Skip to main content

Full text of "Sulla morale cattolica, osservazioni"

See other formats


¥ 


i^^'^l^ 


-*••  ■-■T»- 


^.  se 


r  ^ 


<^ 


^  ..?[,     ^„- 


■    » 


"V--.. 


'^^■^^.'^ 


■  "<^; 


».      ■    _ 


>  /^-i. 


;'  ■     -  .  . 

r-x.  . 


';;r"-^-'=^' 


ì\ 


,:.*»». 


*.■ 


1*:;^ 


^  • 


1   ■ 

■t    ■    .. 

.^ 

f     -      V 

^    ''.    ^ 


^•^f^ 


,1^. 


^ 


k- 


L 


'^i 


..'» 


*v 


-    •«. 


.1? 


y^. 


> 


•^1 


li      '' 


:.< 


<, 


4 

*#*^.-. 


A 


•f       '« . 


\^ 


I  * 


A 


T'-  j^.       g^^        !^^^-^' 


t.        V.  '        a         i»- 


V      ^*^«        <".^ 


PURCHASED    POR    THE 

UNIVERSITY  OF  TORONTO  LIBRARY 

FROM    THE 

HUMANITIES  RESEARCH  COUNCIL 
SPECIAL  GRANE 

POR 

Italian  Literature 
from  Romanticism 
to  Postmodernism 


( 


-*'4.:.*^:^v<>. 


Ù£ì« 


SULLA 


MORALE  CATTOLICA 


OSSERVAZIONI 


D  I 


ALBJSSAITDKO  MAITZOITI 


^li 


TIPOGRVriA    VESCOVILE  DI   A.  CANESI 

.835. 


L'  AUTORE 


>^uesto  scritto  è  destinato  a  difendere  la  morale  della 
Chiesa  Cattolica  dalle  accuse  che  le  son  fatte  nel  ca- 
po cxxvii.  della  Storia  delle  Repubbliche  Italiane  del 
medio  evo . 

Ivi  s'intende  provare  che  la  corruttela  dell'Italia 
deriva  in  parte  da  questa  morale .  Io  sono  convinto 
che  essa  è  la  sola  morale  santa  e  ragionata  •,  che  ogni 
corruttela  viene  anzi  dal  trasgredirla,  dal  non  cono- 
scerla, o  dall' interpretarla  a  rovescio*,  che  è  impos- 
sibile trovare  contro  di  essa  un  argomento  valido,  ed 
ho  qui  esposte  le  ragioni,  per  cui  non  ritengo  come 
tale ,  alcuno  di  quelli  addotti  dall'  illustre  autore  di 
quella  Storia. 

Debole,  ma  sincero  apologista  d'una  morale,  il  cui 
line  è  r  amore  :^  persuaso  che  il  sentimento  di  benevo- 
lenza che  sorge  nel  cuore  del  fatuo ,  è  più  nobile  e  più 
importante  dell'ampio  e  sublime  concetto  che  nasce 
dalla  mente  di  un  gran  pensatore ,  persuaso  che  il  tro- 
vare nelle  opinioni  d'alcuno  disparità  dalle  nostre  de- 
ve avvertirci  a  ravvivare  per  lui  i  sentimenti  di  stima 
e  di  affezione,  appunto  perche  la  corrotta  nostra  in- 
clinazione potrebbe  ingiustamente  strascinarsi  ai  con- 
trari-, se  non  avrò  osservati  in  questa  opericciuola  i 
più  scrupolosi  rigiiardi  verso  l'Autore  che  prendo  a 


VI  L^  AUTORE 

confutare ,  ciò  sarà  avvenuto  certamente  contro  la  mia 
intenzione:  io  spero  però  che  ciò  non  sarà  avvenuto^ 
e  ritj;ctto  anticipatamente  ogni  interpe trazione  meno 
gentile  di  ogni  mia  parola. 

Con  tutto  ciò  io  sento  che  ad  ogni  opera  di  questa 
sorte  si  attacca  un  non  so  che  di  odioso ,  che  è  troppo 
difficile  di  togliere  adatto .  Pigliare  in  mano  il  libro 
di  mio  scrittore  vivente,  e  a  giusta  ragione  stimato^ 
ripetere  alcune  sue  frasi ,  fermarsi  ad  esaminarle ,  vo- 
ler mostrare  ad  una  ad  una  elisegli  si  sia  in  quasi  tut- 
te ingannato:^  fargli  per  dir  cosi  il  dottore  ad  ogni 
passo,  e  cosa  che  a  lun2;o  andare  è  quasi  impossibile, 
che  non  lasci  una  certa  impressione  di  presunzione,  e 
di  basso  e  insistente  litigio .  Per  prevenire  questa  im- 
pressione, io  non  dirò  al  lettore:  vedete  se  non  ho 
ragione  oa;ni  volta  che  prendo  qui  a  contraddire  5  so  e 
sento  che  aver  ragione  non  basta  per  lo  più  a  giusti- 
ficare un  attacco,  e  sopra  tutto  a  nobilitarlo^  ma  di- 
rò :  considerate  la  natura  dellargomento .  Non  è  que- 
sta una  discussione  astratta,  è  una  delil)erazione :  essa 
deve  condurre,  non  a  ricevere  piuttosto  alcune  nozio- 
ni che  alcune  altre ,  ma  a  scegliere  un  partito  :  poiché 
se  la  morale  che  la  Chiesa  insegna,  portasse  alla  cor- 
ruttela, converrebbe  rigettarla.  Questa  è  la  conse- 
guenza che  gl'Italiani  dovrebbero  cavare  dalle  rifles- 
sioni alle  quali  credo  d' oppormi.  Io  ritengo  che  que- 
sta conseguenza  sarebbe  pe'miei  connazionali  la  più 
grande  sventura:  quando  si  senta  di  avere  sopra  una 
tale  questione  un  parere  ragionato,  il  darlo  può  esse- 
re un  dovere  :  non  vi  ha  doveri  ignobili . 

Il  lettore  troverà  tavolta  che  la  confutazione  ab- 
braccia più  cose  che  l'articolo  confutato:  in  questo 
caso  lo  prego  di  avvertire,  ch'io  non  intendo  di  at- 


L^  AUTORE  VII 

irlhuirc  all'  illustre  autore  più  di  quello  eh*  eo;li  abbia 
espressamente  detto,  ma  ho  stimato  allora,  che  runi- 
co modo  per  giungere  ad  un  risultato  utile,  era  di  por- 
tare la  questione  in  un  punto  di  vista  più  generale ,  e 
invece  di  difendere  in  un  articolo  di  morale  la  sola 
parte  controversa,  mostrare  la  ragione  di  tutto  T ar- 
ticolo, poiché  è  su  di  esso  che  importa  di  farsi  una 
opinione,  è  desso  che  bisogna  interamente  ricevere  o 
rifiutare .  Ho  seguito  tanto  più  volentieri  questo  me- 
todo, perchè  apparisca  meglio  che  il  mio  scopo  è  di 
stabilire  delle  verità  importanti,  e  che  la  confutazio- 
ne è  tutta  subordinata  a  questo . 

Notare  in  un'opera  di  gran  mole  e  di  grande  im- 
portanza quello  che  si  crede  errore,  e  non  far  cenno 
dei  pregi  che  vi  si  trovano ,  non  sarà  forse  ingiustizia , 
ma  mi  sembra  almeno  discortesia  :  è  rappresentare  una 
cosa  che  ha  molti  aspetti,  da  un  lato  solo,  e  quello 
sfavorevole .  Non  dovendo  io  citare  la  Storia  delle  Re- 
jnihhliclie  Italiane  che  per  contraddire  ad  una  parte 
fh  essa,  mi  affretto  di  attestare  brevemente  la  mia 
stima  per  tante  altre  parti  di  un'  opera ,  di  cui  il  mini- 
mo pregio  sono  le  laboriose  ed  esatte  ricerche,  che 
formano  il  massimo  di  tante  altre  di  simil  genere,  di 
un'opera  originale  con  una  materia  forse  la  più  trat- 
tata, e  originale  appunto  perchè  è  trattata  come  do- 
vrebbero essere  tutte  le  storie,  e  come  pochissime  lo 
sono.  Accade  troppo  sovente  di  leggere  presso  i  più 
lodati  storici  descrizioni  di  lunghi  periodi  di  tempi, 
e  successioni  di  fatti  veri  e  importanti,  non  vi  trovan- 
do quasi  altro  che  la  mutazione  che  questi  produssero 
negli  interessi  e  nella  miserabile  politica  di  pochi  uo- 
mini: le  nazioni  erano  quasi  escluse  dalla  storia.  Il 
metodo  di  trattarla,  pigliando  per  base  i  costumi,  e 


vili  L^ALTOKE 

l'amministrazione,  e  ^\'i  effetti  delle  le^pji  sugli  nomi- 
ni,  per  cni  (Jcvono  esser  fatte,  ([uesto  metodo  illu- 
strato ii^Vci  da  alcuni  scrittori,  è  stato  in  questa  storia 
nj)r/licato  ad  un  aro;omento  vasto  e  complicalo,  ma 
di  una  bella  e  felice  proporzione  :  i  falli  vi  sono  pros- 
simi di  tempo  e  di  natura,  in  modo  clie  si  possono 
con  clilarezza  e  senza  stento  confrontare  colle  teorie 
che  c;li  abbracciano  tutti ,  e  queste  teorie  sono  assai 
estese,  senza  andare  a  qucU* indeterminato  e  genera- 
le ,  che  mette  bensì  lo  storico  al  coperto  dalle  criti- 
che particolari,  perche  rende  fpiasi  impossii)ilc  il  tro- 
vare gli  errori,  ma  che  lascia  il  lettore  nell'incertezza 
di  avere  appresa  una  osservazione  vera  e  importante, 
o  una  ipotesi  ingegniosa .  Senza  ricevere  tutte  le  opi- 
nioni dell' illustre  Autore,  non  si  può  non  sentire 
quante  parti  della  politica  della  giurisprudenza  del- 
r  economia  e  della  letteratura  sieno  state  da  lui  ve- 
d!!te  da  un  lato  sovente  nuovo  e  interessante,  e  quel- 
lo che  più  importa,  nobile  e  generoso;^  quante  verità 
sieno  state  da  lui,  per  dir  così,  riabilitate,  che  erano 
cadute  sotto  una  specie  di  prescrizione,  per  lindolen- 
za,  o  per  la  l)assa  connivenza  di  altri  storici,  che  di- 
scesero troppo  spesso  a  giustificare  l'ingiustizia  poten- 
te, e  adularono  perfino  i  sepolcri.  Egli  ha  voluto  qua- 
si sempre  trasportare  la  stima  pubblica  dal  buon  suc- 
cesso alla  giustizia:  lo  scopo  è  tanto  bello,  che  è  do- 
vere di  ogni  uomo ,  per  quanto  poco  possa  valere  il 
suo  suffragio,  di  darglielo  per  far  numero,  se  non 
altro,  in  una  causa,  che  ne  ha  sempre  avuto  gran  bi- 
sogno.  Protesto  però  ch'io  dissento  dall'Autore  in  tut- 
ti quei  casi  dov'egli  dissente  dalla  fede  e  dalla  mora- 
le cattolica^  e  perchè  la  tengo  per  regola  infallibile, 
e  perchè  dall'esame  particolare  di  ognuno  di  questi 


L^  AUTORE  IX 

casi  mi  risiilla  evlJentemciUe  che  la  verità  è  dalla 
parie  di  essa. 

Chi  ha  fatti  studi  seri  e  lunghi  sulle  Sacre  Scrittu- 
re, fonti  della  morale,  ed  ha  letti  accuratamente   i 
2;randi  moralisti  cattolici,  ed  ha  meditato   lungi  dal 
rumore  del  mondo  sopra  di  se  e  sopra  gli  altri,  tro- 
verà queste  0^.y<?nY/z/o7z/ superficiali:  e  sono  ben  lon- 
tano dall' appellarmi  dal  suo  giudizio,    perchè   sento 
che  sono  tali.  Le  discussioni  parziali  ponno  bensì  met- 
tere in  chiaro  qualche  punto  staccato  di  verità,  ma 
la  evidenza  e  la  bellezza  e  la  profondità  della  morale 
cattolica  non   si  manifesta  che   nelle  Opere  dove   si 
considera  in  grande  la  legge  divina  e  l'uomo  per  cui 
è  fatta.  Ivi  l'intelletto  passa  di  verità  in  verità',  l'u- 
nità della  rivelazione  è  tale  che  ogni  picciola  parte  di- 
venta una  novella  prova  del  tutto  per  la  maraviglio- 
sa  subordinazione  che  vi  si  scopre;,  le  cose  difficili  si 
spiegano  a  vicenda,  e  da  molti  paradossi  risulta  un  si- 
stenia  evidente.  Quello  che  è,  e  quello  che  dovrebbe 
essercela  miseria  e  la  concupiscenza*,  l'idea  sempre  vi- 
va di  prefezione  e  di  ordine  che  troviamo  egualmente 
in  noi  ;  il  bene  e  il  male  \  le  parole  della  sapienza  di- 
vina e  i  vani  disegni  degli  uomini,  la  gioja  vigilante 
del  giusto,  i  dolori  e  le  consolazioni  del  pentito:  lo 
spavento  o  l'imperturbabilità  del  malvagio*,  i  trionfi 
della  giustizia  e  quelli  della  iniquità;,  i  disegni  degli 
uomini  condotti  a  termine  fra  mille  ostacoli,  o  rove- 
sciati da  un  ostacolo  impreveduto  ^  la  fede  che  aspet- 
ta  la   promessa  e  che  sente  la  vanità  di  quello  che 
passa;,  l'incredulità  stessa,  tutto  si  spiega  col  Vangelo, 
tutto  conferma  il  Vangelo  :  la  rivelazione  d' un  passa- 
to, di  cui  l'uomo  porta  nelF animo  suo  le  tristi  testi- 
monianze, senza  averne  da  se  la  tradizione  e  il  segre- 


X  1/ AUTORE 

to,  e  d'un  avvenire^  di  cui  ci  restava  solo  una  idea 
confusa  di  terrore  e  di  desiderio ,  e  quella  che  ci  ren- 
de chiaro  il  presente  che  abbiamo  sotto  gli  occhi:  i 
misteri  concihano  le  contradizioni,  e  le  cose  visibili 
s^ intendono  per  la  notizia  delle  cose  invisibili.  E  piìi 
si  esamina  questa  Pieligione,  più  si  vede  che  dessa  è 
che  ha  rivelato  l'uomo  ali  uomo,  che  essa  suppone 
nel  suo  Fondatore  la  cognizione  la  più  universale,  la 
più  intima,  la  più  profetica  di  ogni  nostro  sentimen- 
to. Rileggendo  le  opere  dei  grandi  moralisti  cattolici, 
e  segnatamente  i  sermoni  di  Massillon  e  di  Bourda- 
loue ,  i  Pensieri  di  Pascal ,  e  i  Saggi  di  Nicole ,  io  sen- 
to la  picciolezza  delle  osservazioni  contenute  in  questo 
scritto  ^  e  sento  che  vantaggio  dava  ai  due  primi  P  au- 
torità del  sacerdozio ,  e  a  tutti  il  modo  generale  di 
trattare  la  morale,  un  gran  genio,  dei  lunghi  studi, 
ed  una  vita  sempre  cristiana. 

Si  usa  una  strana  ingiustizia  cogli  apologisti  della 
Religione  cattolica.  Si  sarà  prestato  un  orecchio  favo- 
revole a  ciò  che  vien  detto  contro  di  essa  5  e  quando 
cpiesti  si  presentano  per  rispondere,  odono  dirsi  che 
la  loro  causa  non  è  abbastanza  interessante  ,  che  il 
mondo  ha  altro  a  pensare,  che  il  tempo  delle  discus- 
sioni teologiche  è  passato .  La  nostra  causa  non  è  in- 
interessante  !  ah  !  noi  abbiamo  la  prova  del  contrario 
neir  avidità  con  cui  sono  sempre  state  ricevute  le  ob- 
biezioni che  le  si  son  fatte  :  non  è  interessante  !  e  in 
in  tutte  le  questioni  che  toccano  ciò  che  Puomo  ha 
di  più  serio  e  di  più  intimo ,  essa  si  presenta  così  na- 
turalmente, che  è  più  facile  rispingerla  che  dimcnli- 
carla:  non  è  interessante  !  e  non  v'è  secolo  in  cui  es- 
sa non  abbia  monumenti  di  una  venerazione  profonda, 
di  !m  amore  prodigioso,  e  di  un  odio  ardente  e  infa- 


L  AUTORE  XI 

ticabìle  :  non  è  hUcrcssantc  !  e  il  vuoto  che  lasccrcl>l)c 
nel  mondo  il  levamela,  è  tanto  immenso  ed  orribile, 
che  i  più  di  quelli  che  non  la  vogliono  per  loro ,  dico- 
no che  conviene  lasciarla  al  popolo ,  cioè  ai  nove  de- 
cimi del  t^enere  umano  :  la  nostra  causa  non  è  interes- 
sante !  e  si  tratta  di  decidere  se  milioni  d' uomini  deb- 
bano abbandonare  la  morale  che  professano,  o  stu- 
diarla meglio ,  e  seguirla  più  fedelmente . 

Si  crede  da  molti  che  questa  noncuranza  sia  un 
frutto  di  una  lunga  discussione,  e  di  una  civilizzazio- 
ne avanzata  j  che  sia  per  la  Religione  Y  ultimo  e  il  più 
terribile  nemico,  venuto  nella  pienezza  dei  tempi  a 
terminare  la  sua  sconfitta ,  e  a  godere  del  trionfo  pre- 
parato in  tante  battaglie^  e  invece  questo  nemico  è  il 
primo  che  essa  incontrò  nella  sua  maravigliosa  carriera. 

Al  suo  apparire,  fu  circondata  dai  disdegni  del 
mondo  ^  si  è  cominciato  dal  crederla  non  meritevole  di 
essere  esaminata.  Gli  Apostoli,  nell'estasi  tranquilla 
dello  Spirito,  rivelano  quelle  verità  che  diverranno 
la  meditazione  la  consolazione  e  la  luce  dei  più  alti 
intelletti,  piantano  le  basi  dì  una  civilizzazione  che 
diventerà  europea,  che  diventerà  universale 5  e  sono 
chiamati  ubbriachi  (1) .  San  Paolo  fa  sentire  nello  A- 
reopago  le  parole  di  quella  sapienza ,  che  ha  rese  tan- 
to superiori  le  donnicciuole  cristiane  ai  savi  del  gen- 
tilesimo *,  e  i  savi  gli  rispondano  che  lo  udranno  un'  al- 
tra volta  (2) .  Essi  credevano  di  avere  per  allora  cose 
più  importanti  da  meditare,  che  Dio  Tuomo  il  pec- 
cato e  la  redenzione.  Se  questo  antico  nemico  sussi- 


(i)  Jlii  nutem  irridentes  dicehant  :  quia  miisfo  pieni  simt  isti.  Act. 
Apost.  TI.    i3. 

(u)  Quidam  quidem  irridchant  ;  quidam  vero  dixerunt:  audiemus  te  de 
lioc  itcrum.  Act.  Apost.  XVII.  32. 


xri  L^  AUTORE 

sic  tuttora,  è  perchè  non  fu  promesso  alla  Chiesa, 
ch'ella  (llslruggerehbe  tutti  i  suol  nemici,  ma  che  non 
sarebbe  dislrutta  da  alcuno  . 

Parlare  di  dogmi,  di  riti,  di  sacramenti  per  com^ 
ballcre  la  Fede,  si  chiama  filosolìa^  parlarne  per  di- 
fenderla,  si  chiama  entrare  in  teologia,  voler  fare  1  a- 
scetico,  il  predicatore,  si  jìretende  che  la  discussione 
assuma  allora  un  carattere  meschino  e  pedantesco . 
Eppure  non  si  può  difendere  la  Religione  senza  giu- 
stihcare  ciò  che  in  essa  vien  condannato,  senza  mo- 
strare l'importanza  e  la  ragionevolezza  di  ciò  che  for- 
ma la  sua  essenza.  Volendo  parlare  di  Cristianesimo, 
bisogna  pur  risolversi  a  non  lasciar  da  parte  i  Sacra- 
menti. Cile  dico?  perchè  ci  vergogneremo  di  confes- 
sare quelle  cose,  in  cui  è  riposta  la  nostra  speranza? 
perchè  non  renderemo  testimonianza,  nei  tempi  di 
lina  gioventù  che  passa,  e  di  un  vigore  che  ci  abban- 
dona, a  ciò  che  invocheremo  al  momento  della  sepa- 
razione e  del  terrore? 

Ma  io  mi  avveggo  che  comincio  una  difesa  antici- 
pata, contro  censure  che  non  sono  ancor  nate,  e  che 
ibrse  non  nasceranno .  Caderci  in  un  orgoglio  ridicolo , 
se  cercassi  di  trasportare  a  questa  opericciuola  l'inte- 
resse ,  che  si  deve  alla  causa  per  cui  essa  è  intrapresa  . 

Io  spero  di  averla  scritta  con  rette  intenzioni;,  e  la 
espongo  colla  tranquillità  di  chi  è  persuaso,  che  l'uo- 
mo può  aver  talvolta  il  dovere  di  parlare  per  la  ve- 
rità j  ma  non  mai  quello  di  farla  trionfare . 

Si  riportarlo  nel  testo  nriginnle  tanto  i  passi  della  Storia  delle  Repuh- 
hliclie  Italiane  al  cap.  CXXf^H  Voi.  XVI,  su  i  quali  sono  fatte  le  se- 
guenti osservazioni,  quanto  le  altre  citazioni  francesi,  non  m'cndo  ora- 
mai questa  lingua  piii  bisogno  di  traduzione  in  Italia .  I  passi  citati  delle 
Scritture,  o  di  opere  latine  si  inseriscono  tradotti,  riponendo  ì  testi  u 
pie  dì  pagina  per  chi  amasse  di  verificarli . 


^■fc 


CAPITOLO  I. 

SILLA  unita'   della  FEDE. 


L' unite  de  foi  y  qui  ne  peut  résulter  cjue  cV  un  assen'isse- 
ment  absbtu  de  la  raison  à  la  crojance ,  et  qui  en  consé- 
qucnce  ne  se  trouve  dans  aucune  nutre  religion  au  méine 
degré  que  dans  la  catliolique ,  He  hien  tous  les  memhres 
de  cette  E  gli  se  à  recevoir  les  mémes  dogmes ,  a  se  sou- 
mettre  aux  mémes  décisìons ,  à  se  former  pai'  les  mémes 
enseignémens .  liist.  des  Répub.  It.  t.  xvi.  p.  ^\o. 


vL^iie  l'unità  della  Fede  si  trovi  nel  più  alto  grado,  cioè 
assolutamente,  nella  Chiesa  Cattolica  è  questo  un  ca- 
rattere evangelico,  di  cui  ella  si  vanta:  poiché  ella 
non  ha  inventata  questa  unità,  ma  Tha  ricevuta:  e 
tralasciando  tanti  luodii  delle  Scritture  dov'essa  è  in- 
segnata,  ne  riporterò  uno,  in  cui  si  trova  non  solo  la 
cosa,  ma  la  parola.  San  Paolo  nella  epistola  agli  Eie- 
si  ,  dopo  d"  avere  annoverati  vari  doni  ed  uffici ,  che 
sono  nella  Chiesa,  stahilisce  per  fine  di  essi  l'unità 
della  Fede  e  la  cognizione  del  Figliuolo  di  Dio  (  i  )  . 
L'illustre  Autore  non  adduce  le  ragioni ,  [)cr  le  (pia- 
li stima,  che  l'unità  della  fede  non  possa  risultare  che 
dalla  schiavitù  assoluta  della  ragione  alla  credenza  . 
Se  la  cosa  l'osse  così,   non   si   potrebbe  conciliare  il 


(i)   Dance  occtiirainus  omncs  in  unitulcm  /idei,  in  annilioncin  Fili i  Dei  . 
i^a  ì:|,1u-.s.   IV.    i3. 


i4         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

passo  citato  eli  San  Paolo,  e  l'altro  dove  aft'eriiia  e- 
sprcssamentc  :  una  è  la  fede  (i),  con  quello  ch'egli 
dice  al  llouiani:  il  vostro  ossequio  è  ragionevole  (2). 
Ma  non  solo  si  conciliano ,  si  spiegano  anzi ,  e  si  con- 
fermano a  vicenda . 

Certo  la  fede  include  la  sommissione  della  ragione  : 
questa  sommissione  e  voluta  dalla  ragione  stessa,  la 
quale  riconoscendo  incontrastabili  certi  principi  ,  è 
posta  nell'alternativa,  o  di  credere  alcune  conseguenze 
inevitabili,  che  essa  non  intende,  o  di  rinunziare  ai 
principi  :  avendo  essa  riconosciuto ,  che  la  Religione 
Cristiana  è  rivelata  da  Dio ,  non  può  più  mettere  in 
dubbio  alcuna  parte  della  rivelazione  \  il  dubbio  sareb- 
be non  solo  irreligioso,  ma  assurdo.  Ma  supponendo 
per  un  momento ,  che  V  unità  della  fede  non  fosse  e- 
spressa  nelle  Scritture,  la  ragione,  che  ha  ricevuta 
la  fede ,  deve  adottarne  1'  unità  :  non  le  bisogna  più 
per  questo  sottomettersi  alla  credenza  j  vi  deve  giun- 
gere per  una  necessità  logica . 

La  fede  sta  nell'  assentimento  dato  dall'  intelletto 
alle  cose  rivelate,  come  rivelate  da  Dio.  Ritengo,  che 
r Autore  scrivendo  questa  parola  Fede,  le  ha  appli- 
cata questa  idea,  perchè  è  impossibile  applicargliene 
im^  altra .  Ora  ripugna  alla  ragione ,  che  Dio  riveli 
cose  contrarie  fra  loro  :  se  la  verità  è  una ,  la  fede 
dev'  esserlo  pure ,  perchè  sia  fondata  sulla  verità .  La 
connessione  di  queste  idee  è  chiaramente  accennata  nel 
testo  sopraccitato:  un  solo  Signore  y  una  sola  fede  y 
un  solo  battesimo .  Dalla  unità  di  Dio  risulta  necessa- 
riamente Punita  della  fede 5  e  da  questa  l'unità  del 


(1)   Uiìits  Dominus ,  una  fulcs ,  unum  haplisnia.  Thid.    5. 
(j)  litiliu/iabcle  ubscquium  vcslrum .  Ad  lloiii,  XII.    i. 


CAPITOLO  I.  i5 

culto  essenziale .  Bacone  mostrò  di  ritenere  questa  per 
una  verità  fondamentale ,  dove  disse  :  ce  Fra  gli  attri- 
buti del  vero  Dio  si  pone  eh'  Egli  è  un  Dio  geloso  : 
onde  il  suo  culto  non  soffre  mescolanza ^  né  compa- 
gnia 5J  (i). 

Le  idee  di  fede  e  di  pluralità  sono  così  ripugnanti, 
che  il  linguaggio  stesso  sembra  rifiutarsi  a  significare 
la  loro  unione  :  poiché  si  dirà  bene  :  le  diverse  religio- 
ni ,  opinioni ,  credenze  religiose ,  ma  non  già  le  diver- 
se fedi.  Per  religione  s'intende  un  corpo  di  tradizio- 
ni di  precetti  di  riti;,  e  si  vede  assai  bene  come  ve 
ne  possa  essere  più  d' una .  Così  nelle  opinioni  si  con- 
sidera piuttosto  la  persuasione  di  chi  crede,  che  la 
verità  delle  cose  credute.  Ma  per  fede  s'intende  per- 
suasione fondata  sulla  rivelazione  divina  *,  e  benché 
popoli  di  vario  culto  credano  clic  l'opinione  loro  ab- 
bia questo  fondamento,  il  linguaggio  ricusa  l'espres- 
sione ,  che  signi(icherebl)e  la  coesistenza  di  più  rivela- 
zioni, perchè  la  ragione  la  conosce  impossibile:  molti 
di  diversa  religione  possono  credere  di  avere  la  fede  ^ 
ma  un  uomo  non  può  ammettere,  che  questi  molti 
P abbiano.  Se  questa  fosse  una  sofisticherìa  gramma- 
ticale, vaglia  per  tale:  bastando  P argomento  sempli- 
cissimo, col  quale  si  è  provato,  che  Punita  della  lede 
non  suppone  altro  assoggettamento  della  ragione,  che 
alle  leggi  del  raziocinio . 

Non  è  che  io  voglia  dire  con  ciò,  che  la  fede  risul- 
ti dal  solo  ragionamento  :  essa  è  anche  un  sentimento 
del  cuore,  e  perciò  dalla  Chiesa  è  chiamata  virtù  . 
Questa  qualità  le  è  contrastata  da  Voltaire  all'artico- 

(i)  InU'v  atlrìbula  autem  iwri  Dei  poniLur  tjuod  sii  Deus  zelai yjnis; 
itaqite  cuUiis  cjits  non  feri  mixLurain ,  nec  consurliurn  .  l'ruu.  Buconis  Scr- 
rnoncs  Fidclcs  III.  De  imitate  Ecclcsue. 


1 6         SLIJ.A  MORALE  CATTC  )LICA 

\i)  i  crlii^  ciaf  Dizionario  Filosofico^  iti  un  l)revc  (liulcr- 
t;o,  In  cui  riiitllolazlonc  stessa  di  uno  dei  ncisuMaii''^» 
mostra.^  che  ivi  eLi^li  si  ricordasse  poco  della  gentilez- 
za, e  non  l'osse  in  quello  stato  di  trarK[!!Jllilà,  con  cui 
si  devono  esaminare  le  questioni  lìlosoJiclie.  Un  hon- 
néte  hoiìiine  sostiene  contro  lui  cxcrèinctU  de  llico- 
los^ie^  che  la  ^niV^,  non  è  altrimenti  una  virtù,  con 
questo  argomento  :  Ksi-ce  verta  de  croirc?  ou  ce  mie 
tu  crois  te  semb/e  vrai^  et  en  ce  cas  il  n  j  a  rad 
mèrìte  il  le  eroine .)  ou  il  te  semole  faux .  et  alors  il 
est  i/njìossiòle  quc  tu  le  crojes . 

E  diillcile  osservare  più  superficialmente  di  quello 
che  abbia  qui  fatto  Voltaire.  Per  escludere  dalla  fede 
ogni  cooperazione  della  volontà  egli  considera  nel 
credere  indi' altro  che  l'ultima  operazione  della  men- 
te ,  che  riconosce  vera  o  non  vera  una  cosa  *,  risguarda 
questa  operazione  come  necessitata  dalle  prove ,  non 
ammettendo  altra  potenza  a  determinarla,  che  le  pro- 
ve stesse  ^  considera  insomma  la  mente  come  uno  slro- 
mento,  per  così  dire,  passivo,  su  cui  le  probabilità 
operano  la  persuasione  o  la  non-credenza.  Come  se 
la  Chiesa  dicesse,  clie  la  fede  è  una  virtù  dell' intel- 
letto. Essa  è  una  virtù  nell'uomo:  per  vedere  come 
sia  tale,  bisogna  osservare  la  parte  ciie  ha  tuUo  l'uo- 
mo morale  nel  riceverla,  o  nel  rii^cttarla.  Voltaire  la- 
scia da  un  canto  due  elementi  importanti:  i  atto  della 
volontà,  che  determina  la  mente  allesame,  e  la  dispo- 
sizione dell'animo,  clie  tanto  influisce  neli'annaetterc 
o  nel  rigettare  i  motivi  di  credibilità,  e  quindi  nei 
crcjdere .  Quanto  al  primo  :  le  verità  della  Ì<c\\<ì  sono  in 
tante  ])arti  così  avverse  all'orgoglio,  ed  agli  appetiti 
sensuali,  che  l'animo  sente  un  certo  timore  ed  una 
certa  avversione  per  esse,  e  cerca  una   distrazione) 


CAPITOLO  I.  17 

tende  insomma  ad  allontanarsi  da  quelle  ricerche,  che 
lo  condarrehbero  a  scoperte,  che  non  desidera.  Ognu- 
no può  riconoscere  in  se  (questa  disposizione ,  rifletten- 
do alla  estrema  attività  della  fLintasia  nell'andare  in 
traccia  di  oggetti  diversi  per  occupare  1"  attenzione, 
quando  una  idea  tormentosa  se  ne  sia  impadronita .  La 
volontà  di  porre  T  animo  in  una  situazione  piacevole 
influisce  su  queste  operazioni  della  fantasia  in  un  mo- 
do così  manil'esto,  che  quando  ci  si  presenti  una  idea 
che  riconosciamo  importante,  ma  sulla  quale  non  a- 
miamo  a  fermarci,  ci  accade  sovente  di  dire  a  noi 
stessi  :  non  ci  voglio  pensare  :  e  lo  diciamo ,  benché 
convinti  che  il  tralasciare  di  pensarvi  ci  apporterà  do- 
lori nell*  avvenire  ^  tanto  è  allora  in  noi  il  desiderio  di 
escludere  un  sentimento  penoso  nel  momento  presen- 
te. Questa  mi  sembra  una  delle  ragioni  per  cui  ab- 
biano avuta  tanta  voga  gli  scritti  che  hanno  combat- 
tuto la  Religione  col  ridicolo  :  secondano  essi  una  di- 
sposizione comune  degli  uomini,  associando  ad  idee 
gravi  ed  importune  una  serie  di  idee  opposte  e  di- 
straenti.—  Posta  questa  inclinazione  dell' animo,  la 
volontà  esercita  un'  atto  difllcile  di  virtù ,  applican- 
dolo all'esame  delle  verità  relÌ2;iosc:  e  la  sola  dctcr- 
minazione  a  questo  esame  sujipone  non  solo  una  im- 
pressione ricevuta  di  probabilità,  ma  un  timore  san- 
to dei  giudizj  divini,  e  un  amore  di  quelle  verità, 
il  quale  snperi,  o  combalta  almeno  le  inclinazioni 
terrestri . 

Che  poi  l'amore  o  l'avversione  alle  cose  proposte  da 
credersi,  influisca  potentemente  sul  modo  di  esaminar- 
le, sull'ammissione  o  esclusione  deUe  prove,  è  ima  ve- 
rità nota,  e  provata  ([iiolidiananiente .  (iiunga  una  no- 
vella in  una  città  che  abbia  la  (hsgrazia  di  essere  divisa 

Manzoni  a 


1 8         SULLA  MO?,  ALE  CATTOLICA 

in  partili,  ossa  e  creduta  da  alcuni,  discreduta  da  al- 
tri a  iKunia  dcc;li  interessi  e  delle  passioni.  Il  tiino^ 
re  inilnisce,  come  il  desiderio,  sulla  credenza,  por- 
tando talvolta  a  nec;ar  fede  alle  cose  minacciate,  e  tal- 
volta a  prestarla  più  die  non  meritino*,  il  che  avviene 
spesso  quando  si  presenti  un  mezzo  di  sfuggirle  (i). 


(i)  Mi  soinhrn  c.ìio  a  fnrfo  G.  C  Hoiisscnr.  rida  di  coloro  elio  ammira- 
rin  il  cnrn!:;gio  di  Alrssntidro  nel  ])Cro  la  iiirdieiria  jiortatao^li  dal  medico 
l''ili|)p(),  dopo  d'aver  ricevuta  una  lettera  di  Farinenione,  clic  lo  avvisava 
<li  guardarsi  dal  medico ,  come  corrotto  con  doni  e  con  promesse  da  Da- 
rio a  lo^Iieri^li  la  vita.  Dice  Rousseau  nel  lihro  secondo  dell'Emilio,  clic 
essendo  stato  questo  tratto  raccontato  a  tavola  da  un  ragazzo,  molli  tac- 
ciarono Alessandro  di  temerario;  ed  alcuni  ammirarono  la  sua  fermezza, 
il  suo  coraggio.  Al  clie  egli  rispose,  sembrargli  clic  se  nell'azione  di  A- 
lessandro  \i  fosse  il  menomo  coraggio,  la  menoma  fermezza,  essa  non  sa- 
rebbe ])iìi  che  una  stravaganza .  Concordando  tutti  che  era  una  stravagan- 
za,  egli  stava  per  riscaldarsi  e  per  rispondere,  quando  una  donna,  clie. 
gli  era  vicina,  gli  si  accostò  all' orcccliio,  e  gU  disse  sommessamente: 
Taistoi ,  Jean- Jacques;  ils  ne  V entendrnnt  pas .  Quei  signori  non  ebbero 
dunque  la  spiegazione:  Rotisscau  la  dà  ai  lellori,  ma  con  qncl  modo  ira- 
condo e  misterioso,  ch'egli  usa  tropjìo  sovente;  massime  in  quel  libro, 
dove  alle  volte  pare  ch'egli  voglia  far  sentire  che  non  istinia  alcuno  dei 
lettori  degno  d'udire  il  vero,  nò  capace  d'intenderlo;  dove  spesso  osten- 
ta di  voler  far  indovinare  quello  che  poteva  esser  detto  buonamente  e  a- 
michevolmente;  e  elove  invece  di  adoperare  semplicità  chiarezza  e  dol- 
cezza in  pì'oporzione  della  sua  superiorità  d'ingegno,  aflelta  talvolta  di 
])rcndere  co' suoi  lettori  il  timno  agro  imperioso  e  sprezzante,  che  rim- 
provera ai  precettori,  come  avesse  più  voglia  di  aspreggiare  e  di  umiliqre 
gli  uomini,  che  non  d'istruirli.  Ecco  le  .'•.ne  parole:  Oitehjul-s  lectem's 
mécunlens  du  taistoi  Jean  Jacques,  deinanderonl ,  je  le  pi-rfois ,  ce  qiie 
je  troiive  enfin  de  si  beau  daits  /'  aclion  d' Alexandre  .  J/iJurUmcs  !  s'  il 
J'aiil  vous  le  dire,  cnmment  le  compi-endrez  vous?  C  est  (jii'  Àlevandre 
crojoit  a  la  verta;  e' est  qu' il  y  crojaif  sur  sa  te'te ,  sur  sa  projne  vie  ; 
c^  est  que  sa  grande  dme  è  tei  t  fai  te  [xnn-  r  ci-oire  .  O  qiir  celle  medicine 
fivalée  étoit  une  Ielle  professinn  de  fai!  Non,  jamnis  mnilel  n  en  fit 
line  si  suldinie  .  Con  lutto  ciò,  mi  sembra  che  il  coraggio  appunto  spie- 
chi  in  questa  azione.  Credere  nella  viilù  non  bastava  in  fjiicl  caso:  biso- 
f;nava  credere  la  virtù  del  medico  Fi'ipiio;  e  per  crederla  in  quel  mo- 
mento con  piena  certezza,  lìisognava  rirhinmarsi  pacatamente  alla  meino- 
l'ia  e  al  giudizio  le  ragiom'  in  l'avote  della  sua  fedeltà,  e  rimaTier  convinto 
che  queste  superavano  ìa  probabililà  dell' atfenlaio  (polche  la  lettera  di 
]*;ni)ienione  coslituiva  certamcnle  una  [irobabililà  ,.  :  iiisognava  avere  un  a- 
iiimo  tale,  che  l'idea  d'un  p().ssil)ilc  avvclcnamniii)  iif>n  turbasse  dal  fare 
freddamente  rpiesto  esame;  in  soimna  aver  eora^"io.  Il  .sf'iitimenlo  che  por- 
ta il   timoroso  ad  ingrandire  o  ad  immaginare  il   nericohi ,    è  quello  stesso 


CAPITOLO  I.  19 

Quindi  sono  cosi  coinuni  quelle  espressioni  ;,  esaìniiìa- 
re  (li  buona  fede  ^  giudicare  senza  prevenzione  ^  spas- 
sionatamente ^  non  farsi  illusione^  ed  altre  simili,  le 
quali  significano  la  liSìertà  del  giudizio  dalle  passioni. 
La  forza  d  animo,  clie  mantiene  questa  libertà,  è  sen- 
za dubbio  una  disposizione  virtuosa:  essa  nasce  da  un 
amore  della  verità,  indipendente  dal  diletto,  o  dal  di- 
spiacere che  ne  può  venire  al  senso.  Si  vede  nuìndi, 
quanto  sapientemente  alla  fede  sia  dato  il  nome  di 
l'irta.  Siccome  poi  la  mente  umana  non  sarebbe  ginn™ 
ta  da  se  a  discoprire  molte  verità  della  religione,  se 
Iddio  non  le  avesse  rivelate,  e  la  volontà  nostra  cor- 
rotta non  ha  da  se  quella  forza,  di  cui  si  ò  parlalo^ 
così  la  fedo  è  clnaoìata  daila  Chiesa  una  virtù  e  lui 
dono  di  Dio . 

Tornando  da  questa  lunga  digressione  al  passo  in 
cpicstione,  confesso  di  non  intendere  chiaramente  il 
senso  di  quella  proposizione:  che  l'unità  di  ìvAq  non 
si  trova  in  alcuna  altra  religione  allo  stesso  grado  che 
nella  cattolica.  Come  vi  ponno  esser  gradi  nella  unità 
di  fede?  0  queste  altre  religioni  ritengono  che  la  loro 
Ìq:(\g  sia  vera*^  e  riterranno  che  sia  vera  essa  sola:  o 
ammettono  la  possibilità  di  qualche  altra  fede,  e  non 

che  Io  fa  fuggire  cl;il  pericolo  rnaìc ,  cioè  un  timore  della  morto  e  del 
dolore  corporale,  elio  s'impadronisco  dolio  suo  facoltà,  e  agisco  codio  pas- 
siono togliendo  la  tranquillità  alla  monto.  Il  conservare  questa  tiaricpii!- 
lilà  in  faccia  al  pericolo  vero  o  supjKuihilo  è  1' e  flotto  del  cora<.v.;io  .  So 
Alessandro  avesse  credulo  prolialiilo,  elio  Filippo  volesse  avvelenaiio  uell;» 
medicina,  sarebbe  slata  una  stravagante  temerità  il  pigliarla;  rfueslo  è  cer- 
tissimo: ma  quella  letteia  giunta  m'Ho  mani  di  un  uomo  pusillanime,  più* 
quanto  foss' egli  persuaso  Un' allora  della  verità  del  medico,  io  avrcbbo 
mosso  in  tale  angustia  o  perplessità,  eli' egli  non  avrebbe  ragionato,  ma 
Farchhc  filato  con  viojon/.a  portato  a  schivare  II  rischio  ad  ogni  modo;  a- 
vrrMje  preso  informazioni,  nn!in:ilo  jxMquislz.ioni  ,  latto  esaminale  la  me- 
duina,  arrestare  il  medico,  avrebJ)e  fatto  luti' altro  che  ingojarsi  la  me- 
dicina. 


20         SULLA  MOllALE  CAFJ OLICA 

sono  certi  della  loro,  non  hanno  fede.  Ogni  volta  the 
una  religione  si  avvicina  al  principio  della  unità,  cioè 
quando  esclude  dal  suo  seno  le  opinioni  contrarie  a 
quelle  che  vi  si  professano,  ciò  accade  perchè  in  quel- 
la relii>ione  si  sente  allora  vivamente  che  è  assurdo 
dir  vera  una  proposizione,  e  non  ricusare  quello  che 
le  è  contrario.  E  ogni  volta  che  una  religione  si  al- 
lontana dal  principio  delle  unità,  ciò  accade  perchè 
non  trovandosi  argomenti  perentori  a  stahilire  la  cer- 
tezza della  fede ,  si  accorda  agli  altri  quella  tolleranza 
che  si  richiede  per  sè^  non  si  ardisce  fare  una  esclu- 
sione, della  quale  altri  ci  potrehbe  rendere  la  pariglia 
per  le  stesse  ragioni. 

Il  non  essere  la  Chiesa  cattolica  soggetta  a  queste 
fluttuazioni,  l'avere  essa  T unità  di  fede  nel  massimo 
grado,  è  una  prova  della  perpetua  certezza';  che  i  cat- 
tolici danno  come  un  carattere  della  verità  della  fede 
che  professano . 


è 

ti 


CAPITOLO   II, 

SULLA    DIVERSA   INFLUEJfZA   DELLA   ilELIGIONE   CATTOLICA, 
SECONDO  I  LUOGHI   E   1   TEMPI, 


Toutefois  r  infìnence  de  la  religion  catholique  ìi  est  poiut 
la  menic  en  ioiU  temps  et  en  tout  lieu;  elle  a  opere  j'ort 
différemment  en  France  et  en  Allemagne  de  ce  qu  elle 
à  fait  en  Italie  et  en  E  spagne  ....  Les  obseivaUons  que 
nous  serons  appelés  a  faire  sur  la  religion  de  l'Italie  oà 
de  r  Espagne  pendant  les  trois  derniers  siècles ,  jie  doi- 
vent  point  s' appliquer  à  tonte  V  Église  catholique .  Pag. 

4io. 

irer  cllliicitlare  questo  punto,  il  quale,  come  si  vedrà, 
non  è  qui  d' una  importanza  meramente  storica ,  è  ne- 
cessario rammentare  il  disegno  del  cap.  GXXVII. ,  di 
cui  osserviamo  una  parte .  Esso  è  espresso  nella  inti- 
tolazione del  capitolo  medesimo  :  Que/les  soni  les  cau- 
scs  qui  ont  changè  le  caracfère  des  Italiens  ^  dèpuis 
r  assennssement  de  leurs  rèpublìques .  E  se  ne  asse- 
gnano quattro:  la  prima  e  la  sola,  su  cui  io  mi  pro- 
pongo di  ragionare,  è  la  religione.  1/ Autore  entran- 
do a  spiegare  come  ella  sia,  per  la  sua  parte,  cagio- 
ne del  cangiamento  suddetto,  si  fa  una  obbiezione 
della  unità  di  fede^  poiché,  vincolando  cssa^  come 
egli  dice  benissimo  ,  //////  i  membri  della  religione 
cattolica  a  ine  evere  gli  stessi  dogmi  ^  a  sottomettersi 
alle  stesse  decisioni,  a  formarsi  co^li  stessi  insegna- 
nienti^  pare  che  questa  religione  debba  essere  più t lo- 


22        SUf  J.A  MORALE  CATTOLÌCA 

f^U)  causa  <ìl  (oiironiiilà  fra  i  vari  popoli  clic  la  pi'ò-* 
fcssano,  clic  di  triifcrcnzc.  Tuttavia^  soggiunge,  /V/i-« 
Jhieiiza  della  religione  cattolica  non  e  la  stessa  sem-' 
pre^  nò  da  per  tatto  :  essa  ha  operato  dispersamente 
in  Francia  e  in  Germania  ^  cìie  in  Italia  e  in  I spa- 
gna. 

Per  motivare  una  diversità  d'influenza,  non  ostan- 
te r unità  della  lede  tenuta  da  tutti  i  cattolici,  io  cre- 
do, clie  non  si  possano  trovare  cagioni  che  di  tre  sorte. 

I.  Leggi  o  costumanze  disciplinari,  le  quali  non  so- 
no parte  della  fede . 

II.  Alterazioni  insensibili  e  parziali  della  dottrina, 
o  inesecuzioni  e  violazioni  della  disciplina  essenziale 
ed  universale,  le  quali,  lasciando  intatto  in  teoria  il 
principio  della  unità,  possono  portare  una  nazione,  o 
una  frazione  di  essa,  per  lungo  tempo  o  per  interval- 
li, con  maliziosa  cognizione  di  causa  o  ignorantemen- 
te, ad  operare  e  parlare  in  fatto  come  se  avesse  ri- 
nunziato alla  unità. 

in.  Circostanze  particolari  di  storia  di  coltura  di 
interessi  di  clima  non  legate  direttamente  colla  re- 
ligione, ma  COSI  legate  cogli  nomini  che  la  professa- 
no, che  la  influenza  delia  religione  resta  da  esse  bi- 
lanciata o  illesa  o  impedita  o  facilitala  più  presso 
gli  imi,  che  presso  gli  altri. 

Se  r  illustre  Autore  avesse  cercate  in  queste  tre 
classi  le  cause  particolari  dei  diversi  eifetti  ch'egli  as- 
serisce aver  la  religione  prodotti  in  Italia,  io  mi  sarei 
ben  guardato  di  entrare  nella  questione;  percliè,  o  le 
sue  ragioni  mi  sareblicro  sembrate  concludenti,  ed  a- 
vrei  goduto  d'imparare,  come  mi  e  accaduto  in  tante 
altre  parti  di  questa  Storia  ^  o  non  mi  avrebbero  ])er- 
suaso,  e  sarebbe  stato  uno  di  quei  casi,  nei  quali  io 


CAPITOLO  II.  23 

stimo  clic  il  silenzio  sia  per  lo  più  migliore  della  di- 
mostrazione .  Ma  siccome  quelle  cose  cìie  si  assegnano 
come  canse  di  dannosa  influenza  sugli  Italiani,  sono 
per  la  più  parte  non  usi,  ne  opinioni  particolari  ad 
essi ,  ma  massime  morali ,  o  prescrizioni  ecclesiastiche, 
venerate  e  tenute  da  tutti  i  cattolici  in  Francia  e  in 
Germania,  non  meno  clie  in  Italia  e  in  Spagna^  così 
chi  le  condannasse  vcrrchbe  a  condannare  la  fede  cat= 
tolica:  conseguenza,  che  tro[)po  importa  di  prevenire. 

L'autore  stesso,  nominando  a  varie  riprese,  nel 
corso  tlelle  sue  riilessioni,  semplicemente  la  Chiesa, 
lascia  dubbio  s'egli  intenda  attribuire  ad  essa  le  dot- 
trine che  censura,  o  se  voglia  dire  la  Chiesa  in  Ita- 
lia .  Verificare  il  precìso  senso  delle  sue  parole  in  que- 
sto caso,  non  è  cosa  possibile,  nò  utile 5  onde  io  mi 
limiterò  a  mostrare  l'universalità,  e  la  ragionevolez- 
za di  quelle  massime  e  di  quelle  prescrizioni  che  sono 
cattoliche . 

Citerò  spesso  scrittori  francesi,  non  solo  per  la  de- 
cisa loro  superiorità  in  queste  materie,  ma  perchè  Tau- 
torità  loro  serve  mirabilmente  a  far  vedere^  che  que- 
ste non  sono  dottrine  particolari  alf  Italia:  e  che  la 
Francia  non  diiferisce  da  essa  in  ciò,  fuor  che  nella- 
vere  avuto  uomini,  che  le  hanno  più  eloquentemente, 
cioè  più  ragionatamente  sostenute  e  difese . 

La  più  splendida  prova  poi  dell'universalità  di  que- 
ste massime  morali  sarà  tratta  dalle  Scritture,  dove 
sono  per  lo  più  letteralmente:^  a  segno  che  si  può  ar- 
ditamente alfermare,  die  non  sono,  né  possono  essere 
controverse  fra  i  cattolici  di  nessuna  nazione. 

Le  prescrizioni  della  Chiesa,  risguardanti  la  mora- 
le, si  possono  dividete  in  due  classi,  cioè: 

Decisioni  di  punti  di  nioralc,  le  «[uali  non  sono  ai- 


2/|         SUIJwV  MORALE  CATlOi.ICA 

Irò  clic  Icstinionianzc  della  Cliìcsa,  che  la  morale  con- 
iidatale  da  Cristo  è  quella,  e  non  mi  altra,  che  si  vuol 
far  adottare  ^  testimonianze ,  che  ohljligano  i  fedeli  ad 
acconsentirvi:  ovvero. 

Leggi  per  regolare  l'uso  dell'autorità  conferita  pu- 
re alla  Chiesa  dal  suo  Fondatore ,  di  applicare  i  rime- 
di spirituali,  che  hanno  tutti  origine  da  Lui. 

Per  le  une  e  per  le  altre  si  può  invocare  11  testi- 
monio di  (pialnnque  cattolico  di  Francia  e  di  Germa- 
nia, colla  certezza  chVgll  confesserà,  che  sono  in  vi- 
£;ore  sì  nell'una  che  nelf  altra  nazione.  Si  citerà,  do- 
ve occorra,  il  Concilio  di  Trento,  come  il  più  recen- 
te e  il  più  parlante  testimonio  della  uniformità  della 
dottrina,  la  quale  diventa  una  prova  della  perpetuità 
di  essa. 

1.46  Concile  de  Trenie  trapalila  avec  autant  d' ar- 
deiir  a  rcfornier  la  discipline  de  VEglise^  qu  à  eni- 
péclier  tonte  rèforme  dans  ses  croyances  et  ses  en" 
srjfrnemens  (i).  Nessun  cattolico  potrà  esprimere  con 
più  precisione  e  con  più  forza  la  fermezza  dei  Padri 
di  quel  Concilio  nel  rigettare  ogni  idea  di  riforma 
nella  fede,  come  cosa  impossihile  ed  empia. 

Ora,  a  Trento  sedettero  Vescovi  di  quelle  quattro 
nazioni  ^  e  come  erano  venuti  colla  testimonianza  del- 
le loro  Cliiese  sui  punti  controversi  di  fede  e  di  mo- 
rale, ne  tornarono  colla  testimonianza  della  Chiesa  u- 
niversale.  D'allora  in  poi,  il  Concilio  di  Trento  fa 
specialmente  il  punto  a  cui  ricorsero  tutti  i  cattolici^ 
e  per  provare  la  fede  di  tutti  i  secoli ,  consegnata  e 
sparsa  in  tanti  Concili,  non  ehbero  più  in  moltissime 
questioni,  che  a  citare  quel  Concilio,  che  l'aveva  ri- 

(0  Jlisl.  (Ics  Ràpuh.  t.  XVI.  }yng.   i83. 


CAPITOLO  II.  25 

prrxìoUa,  e  per  così  dire,  riepilogata.  Il  gran  Bos- 
.suet  lo  pose  per  fondamento  alla  sua  Esposizione  del- 
ia fede  cattolica^  per  attestare  i  pnnti  di  morale  e 
di  disciplina  essenziali,  alcuni  dei  quali  censurati  nel 
Capitolo  sul  quale  sono  fatte  le  presenti  osservazioni, 
lo  erano  pure  a' suoi  tempi,  benché  con  argomenti  af- 
fatto diversi . 

E  nella  sua  corrispondenza  con  Lelbnitz,  lo  stesso 
Bossuet  rigetta  sempre  come  non  ammissibile  la  pro- 
posizione di  riesaminare  il  Concilio  di  Trento.  Je 
voudrais  hien  seulenient  voiis  supplier  de  me  dire . . . 
si  vous  poiwez  douter  que  les  dècrets  du  Concile  de 
Trente  soient  aiitant  recus  en  France  et  en  Alle- 
ni a  f^ne  pormi  les  Catholic/ues ,  qu  en  E  spagne  et  en 
Italie^  en  ce  qui  regarde  la  Eoi,  et  si  vous  aK^ez 
jamais  ouì  un  Seul  Catholique  ^  qui  se  crut  libre  a 
recevoir^  ou  à  ne  pas  recevoir  la  Eoi  de  ce  Conci- 
le (i).  Ora,  i  decreti  del  Concilio  di  Trento  risguar- 
danti  la  morale,  che  saranno  citati  in  queste  osserva- 
zioni, sono  sopra  punti,  che  per  consenso  di  tutti  i 
cattolici  fanno  parte  della  fede. 

Quanto  agli  abusi  ed  agli  errori  popolari,  imporla 
di  accennare  una  volta  per  sempre ,  che  non  sono  im- 
putabili alla  Chiesa ,  che  non  2;li  ha  approvati ,  nò  san- 
zionati. Confido  di  provare,  che  non  sono  conseguen- 
ze legittime  della  fede ,  ne  della  morale  della  Chiesa  *, 
vSe  alcuni  le  hanno  dedotte  da  essa,  la  Chiesa  non  può 
prevenire  tutti  i  paralogismi,  ne  distruggere  la  logica 
delle  passioni.  Quando  però  mi  sembri,  che  questi 
mali  sieno  minori  in  realtà  che  in  pittura ,  io  non  la- 


(i)  Lettre  à  M.   Leibnilz  du   io  janvicr   iS;)^.  a'tures  j'ostli.  de  Bossucl 
t.   I.  pa^.   349. 


2 6         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

scerò  dì  accennarlo  brevemente^  ma  soltanto  per  lai 
difesa  della  Chiesa ,  sulla  quale  se  ne  vuol  far  ricade- 
re il  l)iasimo .  Se  alcuno  vorrà  credere ,  che  questi  in- 
convenienti sieno  particolari  all'Italia,  io  non  mi  af- 
faticherò a  distorlo  dalla  sua  opinione .  Si  avverta  pe- 
rò ,  che  le  citazioni  degli  scrittori  francesi  verranno  in 
molte  parti  a  provare  incidentemente  il  fatto  contra- 
rio ,  poiché  si  vedrà  come  essi  nello  stabilire  le  verità 
cattoliche,  hanno  combattuti  quegli  errori  e  quelle 
illusioni,  come  esistenti  in  Francia.  Così  non  fos- 
se ! — Perchè,  può  mai  per  un  cristiano  divenire  una 
consolazione  delforiioeilio  nazionale  il  vedere  la  Chic- 
sa  men  bella  in  qualuncpie  parte  del  mondo? 

Dovunque  sono  i  fedeli  retti  illuminati  irrepren- 
sibili, essi  sono  la  nostra  gloria ,  dobbiamo  farne  i 
nostri  esemplari ,  se  non  vogliamo  che  siano  mi  giorno 
ìa  nostra  condanna. 


i 


CAPITOLO  IIL 

SULLA.  DISTINZIONE  t)ì  FILOSOFIA   3I0RALE  E  DI   TEOLOGIA  < 


Il  j'  a  sans  doiite  une  liaison  intime  entre  la  rcligion  et 
la  morale;  et  toiit  lionnéte  homme  doit  vcconncdtre  que 
le  plus  nohle  liommage  que  la  créature  puisse  rendre 
à  son  Créateur ,  c^  est  de  s'' élcver  à  lui  par  scs  vértus  i 
Cependant  la  philosopliie  morale  est  une  science  ahso- 
lument  distincte  de  la  diéoloirie:  elle  a  ses  bases  dans^ 
la  raison  et  dans  la  conscience  ;  elle  porte  avec  elle  sa 
propre  convictioiiy  et  après  avoir  développé  T  esprit  par 
la  recJierche  de  ses  principes ,  elle  saiisjait  le  cocur 
par  la  dccouverte  de  ce  qui  est  vraiment  beau,  juste^ 
et  com>enable .  V  E  gli  se  s' cmpara  de  la  morale,  commc 
étant  purement  de  son  domaine pag.  /|i3. 


Wiiando  Gesù  Cristo  disse  adi  Aiìostoli:  istruite  tui- 

te  le  genti insegnando  loro  di  ossen>are  tutto 

(/nello  che  7>i  Ito  comandato (^\^  .  Egli  iìiginnsc  espres-- 
Samcnle  alla  Chiesa  d'impadronirsi  della  morale. 

Certo  gli  uomini  liamio  iiidiprndenlemente  dalla  re- 
ligione, delle  idee  intorno  al  giusto  e  all'ingiusto,  le 
quali  costituiscono  una  scienza  morale.  Ma  questa 
scienza  è  essa  completa?  E  quella  che  noi  dol)!)iamo 
adottare?  L*esseie  chstinta  dalla  teologia,  è  una  con- 
dizione della  morale^  o  una  imperfezione  di  essa?  Ec- 


co J\iiitles  ei-'^o ,  ilocctc  omnes  t^piitcs  ....   Docciitcs  cos  serbare  uinniu 
qurecumqiw  mandavi  vobis .   Matlh.   XX Vili.    l'j.    20. 


li)         SI  Li. A  MORA! .E  CATTOLICA 

co  la  qncsllono  :  onnnclarla  e  lo  stesso  che  sciop^llcrla . 
Polche  indile  è  appunto  questa  scienza  imperletla,  va- 
ria, in  tante  ])arti  erronea,  e  mancante  in  tutte  di  uu 
rondamento  irreniovlljile,  che  Gesù  Cristo  pretese  ri- 
l'ormare  (piando  prescrisse  le  azioni  e  i  motivi,  quan- 
do regolò  i  sentimenti  i  desideri  e  le  parole*,  quan- 
do ridusse  ogni  amore  ed  ogni  odio  a  ])rincip)  ch'E- 
gli diede  come  eterni  infallihili  unici  ed  universali. 
Egli  unì  allora  la  filosofia  morale  alla  teologia  :  tocca- 
va alla  Chiesa  il  sejiararle? 

Di  che  tratta  la  filosofia  morale?  dei  doveri  verso 
Dio  e  verso  gli  uomini,  dell'onesto,  e  del  vizioso, 
della  felicità:  essa  vuole  insomma  dirigere  la  nostra 
volontà  nella  scelta  delle  azioni:  e  la  Morale  teolo2;i- 
ca  ha  forse  un  altro  scopo?  può  averlo?  Se  dunque 
cercano  un  solo  vero,  se  discutono  gli  stessi  principi , 
se  gli  applicano  alle  stesse  azioni,  come  saranno  due 
scienze  diverse?  Non  è  egli  vero,  che  dove  discorda- 
no, una  dev'essere  falsa?  e  che  dove  dicono  lo  stesso, 
sono  una  scienza  sola?  E  evidente,  che  non  si  può  pre- 
scindere dal  Vangelo  nelle  quistioni  morali:  bisogna 
rigettarlo,  o  metterlo  per  fondamento.  Non  possiamo 
dare  un  passo,  che  non  lo  troviamo  sulla  nostra  via: 
si  può  far  mostra  di  non  vederlo ,  si  può  schivarlo  sen- 
za urtarlo  di  fronte j  si  può  in  parole,  ma  non  in 
fatto. 

Io  so  che  questa  distinzione  di  filosofia  morale  e  di 
teologia  è  ricevuta  comunemente  '^  che  con  essa  si 
sciolgono  tante  difficoltà,  e  si  conciliano  tanti  dispare- 
ri: ma  questo  consenso  non  è  nemmeno  una  obbiezio- 
ne. So  pure  che  altri  uomini  distinti  l'hanno  addotta- 
la, anzi  l'hanno  posta  per  fondamento  ad  una  parte 
dei  loro  sistemi .  Ne  prenderò  un  esemplo  da  un  uomo 


capìtolo  111.  29 

^  da  un  111)1-0  tutt' altro  che  volgari:  Camme  dans  cet 
viwrage  je  ne  suis  point   thèoìogien  ^  mais  ècrivahi 
poUtique^  il  pourrait  y  avoir  des  choses  rpd  ne  jc- 
raient  entièrement  vraies  (pie  dans  une  facon  de  pen- 
ser  humaine^  n  ayant  point  ètè  considèrèes  dans  le 
rappoìt  avec  des  vèrilès  plus  suhliines  (1).    Percìiè 
t>la  di  Montesquieu,  questa  frase  non  è  meno  priva  di 
senso.  Poiché,  se  queste  cose  saranno  interamente  ve- 
re in  un  modo  di  pensare   umano ,   saranno   vere   in 
quahmque  modo  di  pensare .  Questa  possibile  contra- 
dizione, che  si  suppone  con  verità  più  sublimi,  o  non 
esisterà,  o  se  esiste,  farà  che  quelle  cose  non  sìeno 
interamente  vere .  Se  esse  hanno  un  rapporto  con  ve- 
rità più  sublimi,   è  essenziale  esaminare  questo  raj)- 
j)orto ,  perchè   questo   appunto  dev'  essere  il  criterio 
della  verità  di  quelle  cose .   L'  illusione  che  ha  dato 
occasione  a  questa  frase,  come  a  tant' altre,  era  già 
stata  osservata  e  messa  in  chiaro,  mezzo  secolo  pri- 
ma, da  un  osservatore  profondo  e  sottile  del  cuore  u- 
mano ,  il  gran  Nicole .  Esaminando  il  valore  di  quelle 
parole   frequentemente   usate  :  umanamente  pailan^ 
do:  egli  dice:    //  semole j  à  nous   enteìidre  parler^ 
(pi  il  y  ait  comnie  trois  class es   de  sentimens  '^    les 
iins  justes  y  les  autres  injustes  ^  et  les  autres  humrùus  ^ 
et  tìvis  classes  de  juge/nenSy  les  uns  vrais,  les  autres 
faujOy  et  les  autres  ìmmains .  Cepeiuhmt  il  n'  en  est 
pas  (ànsi.  Tout  jugement  est  oà  vrai  ole  faux ^  tout 
senti inent  est  oà  just  e  oit  in j  uste  j  et  il  faut  nccessai- 
rement  (pie  ceux  (pie  nous  appelons  ju Siemens  et  sen- 
limens  liumains  se  rcduisent  ii  l  une  oit  ii  V  aiitre  de 
ces  classes  (2) .  Nicole  ha  ridotta  la  questione  ai  mi- 

(i)  Esprit  de  Lots   liv.   "XX\  l.   cluip.    i. 

(2)  JJa/ìi^cr  des  cnlieliciiù  </o  I'oiiliuc^.   I.  l'uilic.  C/tap.   V. 


3o         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

nlml  termini,  ed  lia  poi  e2;rr2;iamentc  mostrale  le  rel- 
igioni per  cui  i;!i  uomliù  si  Canno  questa  illusione. 
Ouando  si  dice  clie  una  cosa  sia  umanamente  vera,  si 
accenna  di  non  pr0j)orla  che  come  una  ipotesi:  ma  le 
conseguenze  se  ne  deducono  come  se  fosse  assoluta- 
mente vera.  Questa  espressione  significa  dunque:  io 
sento,  che  la  massima  ch'io  sostengo  è  opposta  alla 
j'cligioue^  uon  voglio  contradlre  alla  religione,  uè  ah- 
handonare  la  massima*,  non  potendo  farle  concordare 
logicamente,  mi  servo  di  un  termine  che  lascia  intat- 
ta la  quistione  in  astratto ,  per  scioglierla  in  fatto  se- 
condo i  mici  desideri.  Chi  domandasse  se  hasta  che 
un  principio  sia  umanamente  vero  per  regolarsi  con 
esso ,  mostierehlje  suhito  che  quella  espressione  è  in- 
trodotta inutilmente.  Perchè  non  si  dice  mai:  secon- 
do il  sistema  Tolemaico^  secondo  la  elàmica  anti- 
ca ?  Perchè  in  queste  cose  nessuno  si  crea  un  interes- 
se di  partire  da  una  ipotesi  falsa. 

Ma  senza  arrogarsi  di  fare  un  giudizio  sopra  Mon- 
tesquieu ,  si  può  credere  che  Puso,  a'suoi  tempi  comu- 
ne a  tanti  scrittori,  di  queste  espressioni,  non  sia  ve- 
nuto da  un  errore  d" intelletto. 

La  Rcliiilone  Cattolica  era  allora  in  Francia  sosle- 
nula  dalla  forza .  Ora  per  una  legge ,  che  durerà  quan- 
to il  mondo  lontana j  la  forza  la  nascere  l'astuzia  per 
condjatterla  (i):  e  quegli  scrittori,  che  desideravano 

(i)  Il  lettore  intenderà  che  la  parola  le^gr.  è  qui  impiegata  a  significa- 
re, non  ciò  che  si  deve  fare,  ma  ciò  che  gli  uomini,  generalmente  |inr- 
lando  (se  non  sono  sostenuti  da  un  principio  o  da  una  forza  sopraimatu- 
rali  ) ,  fanno  cos'i  certamente ,  come  se  vi  fossero  astretti  da  una  logge  , 
Una  splendida  eccezione  a  questa  sono  i  primi  Cristiani,  i  quali  nei  loia 
rapporti  coi  persecutori,  combinarono  in  un  gr;ido  mirabile,  sincerità  pa-. 
zienza  e  resistenza . 

Clio  sapienza  divina  nel  precetto  di  fuggire  dnlle  persecuzioni!  Come 
Ron  si  poteva  uscirne  che  colla  morte  o  colla  apostasia,    1'  uomo  non  4o- 


GiiPìTOLO  III.  3i 

abbattere  la  religione  senza  compromettersi,  non  di- 
cevano che  ella  fosse  falsa,  ma  cercavano  di  stabilire 
principi  incompatibili  con  essa,  e  sostenevano  clic 
questi  principi  ne  erano  indipendenti.  INon  si  arri- 
scbiando  di  demolire  piiliblicamente  l'edifizio  del  Cri- 
stianesimo, gli  innalzavano  a  canto  un  altro  cdifizio, 
cbe  secondo  essi  doveva  rendere  impossibile  ,  che 
quello  rimanesse  in  piedi  (i). 

Ma  questa  filosofia  morale  lia  le  sue  òasi  nella  ra^ 
gìone y  e  nella  coscienza:  ella  porta  con  se  il  suo 
proprio  convincimento  ^  e  dopo  avere  sviluppato  lo 
spirito  colla  ricerca  dei  principj  ^  appasta  il  cuore 
colla  scoperta  di  ciò  che  è  veramente  hello  giusto  e 
conveniente . 

Ha  ella  basì  stabili?  Prod[ice  ella  un  convincimen- 
to universale  e  perpetuo?  Pone  principi  confessati  da 
tutti  quelli  cbe  la  professano?  Concorda  sempre  e 
dovunque  sul  bello  sul  gisisto  e  sul  conveniente?  In 
questo  caso  ella  può   essere   distinta   dalla   teologia: 

vcva  esporsi  ad  una  prova  m.sì  supcriore  alle  sue  forzo;  ma  doveva  soste- 
nerle quando  fossero  inevitabili.  Non  si  poteva  immaginare,  secondo  la 
prudrnza  mondana,  un  piano  clie  desse  m:incf)  speranza  di  riiiscila,  di 
tpiello  clic  etcliidcva  i  vantai^gi  della  forza,  e  quelli  della  destrezza; 
vantaggi  che  dà  il  trasgredire,  il  pigliar  tempo ,  1' ingannare  chi  vuole  op- 
primere :  il  piano  del  Cristianesimo  non  lasciava  ai  suoi  difensori,  quando 
erano  in  presenza  del  nemico,  altra  scelta  che  quella  di  morire  senza  far- 
gli danno.  Certo,  ogni  savio  mondano  avrebbe  prognosticalo  che  questa 
diiltiiiia  doveva  rovinare  infallibilmente  e  in  breve  tempo,  a  meno  che  I 
suoi  parligiani  istruì  li  dall'esperienza,  non  cangiassero  il  modo  di  propa- 
garla. 11  nurabile  si  r  che  questa  dottrina  ò  stata  stabilita  e  dilUisa  con 
]a    fedeli:»   a   (|ueste   prescrizioni  . 

(i)  Questo  cajìilolo  ora  già  steso,  quando  seppi  elio  la  stessa  qnistionc 
era  slata  recentemente  discussa  da  un  rispettabilissimo  apologista  della  rc- 
li'j;inne  (Analisi  ragionala  de'sistemi  e  de' fondamenti  doll'ateismo,  e  del- 
l'inncdulilà  .  Dissertazione  VI.  Cap.  II.).  IN'onilimeno  ho  stimato  di  in,- 
.sciarlo  tal  fpiale,  non  importando  il  Iraltar  roseimf)ve,  ma  cose  opportu- 
ne :  r  sono  .sempre  f,ili  rpielle  rlie  risguardano  un  punto  contrastato  postc- 
ru)rmcnlc  da  uno  scrittore  distinto  . 


32         SUJJ.A  MORALE  CATTOLICA 

non  ne  ha  bisogno ,  o  per  dir  mcj^lio ,  sarà  la  teolo- 
gia stessa. 

Ma  se  ella  varia  secondo  i  luoghi  e  i  tempi,  noit 
sarà  una  :  non  si  potrà  dunque  porla  al  confronto  del- 
la morale  religiosa,  che  è  tale.  Sarà  lecito  domanda- 
re ([uale  sia  questa  filosofia  morale ,  di  cui  s' intende 
parlare^  perche  è  indubitato  che  ve  ne  ha  nìolte. 

Vi  ha  (hie  cose  principali  nella  morale:  il  principio, 
e  le  regole  delle  azioni,  che  ne  sono  l'applicazione: 
la  storia  delle  opinioni  morali  presenta  in  entrambe 
la  più  mostruosa  varietà. 

Quanto  alle  reci;ole  basta ,  per  convincersene ,  ricor- 
darsi gli  assurdi  sistemi  di  morale  pratica,  che  sono 
stati  tenuti  da  nazioni  intere.  Locke  volendo  provare, 
che  non  v'ha  regole  di  morale  innate,  e  stampate  na- 
turalmente nell'anima  degli  uomini,  ne  ha  citati  e- 
sempi  a  dovizia  (i) .  Egli  è  andato  a  cercarne  la  mag- 


(i)  Saggio  siiir intelletto ,  Uh.  i.  cap.  ii.  Dopo  Locke,  si  volle  Ja  que- 
sti l'alti  e  da  altri  di  siiiiil  gciicie  cavare  una  conscgucMiza  ben  più  ain[)ia , 
cioè  che  non  esista  negli  uomini  il  sentimento  della  moralità .  Helvetiiis  ne 
citò  assai  per  provare  che  in  tutti  i  secoli  e  nei  diversi  paesi  la  probità  non 
j)uù  essere  che  l'abitudine  delle  azioni  utili  alla  propria  nazione.  Disc.  il. 
Cap.  XIII.  Qualche  scrittore,  insorgendo  con  ragione  e  con  dignità  con- 
tro <juesto  sofisma  che  coni'onde  l'idea  della  giustizia  colla  applicazione  di 
essa,  parve  quasi  disapprovare  la  ricerca  stessa  di  questi  fatti.  Pliiloso 
phie  eie  Kant,  par  C.  Villers  pag.  878.,  e  più  espressamente  Mad.  De 
Staci,  de  V  Alte  magne  3. me  paitie  cìiap.  u.  Qu'estce  dono  qu  un  sjstè- 
me  (jiii  in.spire  à  un  homme  aussi  vertueux  cpie  Locke  de  V  ai'idité  pour 
de  tels  faits?  Ma  ella  stessa  mostrò  di  sentire  che  questa  non  era  una  ob 
biezione:  e  diffalti  soggiunge  immediatamente:  Que  ce  faits  soient  tristes 
ou  non,  pouria  t  on  dire,  l' impoitant  est  de  sa^'oir  s' ils  sont  vrais .  Cosi 
è:  l'unica  cosa  che  si  deve  cercare  nei  fatti,  è  la  verità:  chi  teme  di  e- 
saminarli  dà  un  gran  segno  di  non  esser  certo  dei  suoi  principii.  Ma,  se- 
gue la  celebre  donna:  ils  peuvent  etre  vrais,  mais  que  signi fient  ils ?  Si- 
gnificano che  non  vi  e  principio  di  morale  pratica  innato,  verità  né  pic- 
cola, né  volgare  prima  di  Locke:  producendola  e  provimdola ,  egli  ha  di- 
strutto un  errore,  e  reso  un  gran  servigio,  perchè  noai  vi  è  errori  di  ino- 
rale innocui . 

Questa  verità  era  la  lesi  di  Lokcj  ma  bisogna  confessare  che  i  suoi  ra- 


CAPITOLO  III.  33 

^lor  parte  fra  1  popoli  rozzi  e  vicini  allo  stato  selvag- 
£;io  5  ma  non  gli  sarebbero  mancati  fra  le  nazioni  più 
conosciute,  e  che  hanno  più  fama  tìi  civili  ed  illumi- 
nate .  Trovavano  essi  nel  loro  cuore  e  nella  loro  men- 
te, la  vera  misura  del  giusto  e  dell'ingiusto  i  genti- 
li? Quei  Romani,  che  udivano  con  raccapriccio,  che 
un  loro  cittadino  fosse  stato  percosso  di  verghe,  e  ai 
quali  sembrava  un  atto  di  giustizia  ordinaria,  che  si 
desse  vivo  alle  fiere  uno  schiavo  fuggito  per  non  po- 
ter resistere  ai  trattamenti  d'un  padrone  crudele? 
Senza  citare  altri  esempi,  basti  il  dire,  che  gli  storici 
e  i  moralisti  antichi  ne  ridondano .  Quale  è  duncpie 
questo  convincimento  morale,  se  non  nasce  in  tutti 
gli  uomini?  Esso  potrà  pur  troppo  essere  tanto  com- 
piuto da  determinare  un  uomo  a  commettere  una  a- 
zione  pessima  colla  persuasione  di  operar  bene,  da 
impedire  che  nasca  in  lui  il  rimorso  dopo  di  averla 
commessa  j  esso  si  estenderà  a  nazioni  intere ,  ma  sa- 


j^ionamenti  sembrano  prestarsi  alla  conseguenza  di  cui  abbiamo  parlato  . 
Kgli  non  l'ha  dedotta  espressamente,  ma  non  l'ha  neppure  prevenuta  .  lia 
provato  che  gli  uomini  variano  prodigiosamente  nell'applicazione  dell'idea 
di  giustizia;  ma  non  ha  osservato,  che  concordano  nell'avere  un  sentimen- 
to generale  che  vi  sieno  delle  cose  giuste  e  delle  ingiuste  ,  delle  azioni 
belle  e  delle  turpi.  Quelli  che  dopo  lui  stabilirono  questa  verità,  hanno 
non  dirò  confutato  un  grande  errore  del  suo  sistema ,  ma  certamente  riem- 
piuto in  esso  un  vuoto  importante. 

Ma  ravvicinando  la  verità  scoperta  da  Locke  a  quest'ultima,  ne  viene 
una  terza  conseguenza;  ed  è  la  necessità  della  legge  diyu^a  per  avere  una 
regola  santa  ed  infallibile  di  morale.  Il  sentimento  universale  disila  mora- 
lità piova  l'altitudine  dell'  uomo  a  ricevere  ima  regola  universale,  per  ap- 
Silicarlo  :  quel  dito  che  ha  scritta  la  legge  aveva  già  f(iiin;\tn  il  cuore  del- 
'uonio  colla  disposizione  d'intenderla  e  di  riconoscerla.  E  le  moslruo.se 
tiMviazioni  degli  uomini  che  io  applicarono  da  sé,  provano  il  bisogno  di 
questa  legge,  e  che  essa  e  la  sola;  che  fuori  di  essa  tntlo  è  confusione  e 
<  ecità  ;  cìm  gli  errori  che  essi  fanno  nello  stabilirne  altre,  .sono  tali,  che 
lino  gli  altri  uomini,  ciechi  com'essi,  li  ravvisino  e  U  comlannano ,  quan 
do  sieno  cessate  le  cause  particolari  che  avevano  fatto  prendere  per  verità 
piuttosto  un  errore  che  un  altro. 

Manioni  3 


34        SULLA  IMORALE  CATTOLICA 

rà  un  convincimento  falso .  E  per  chiarirlo  tale ,  non 
abbisognerà  nemmeno  il  testimonio  della  relliiionc; 
basterà  che  cessmo  alcune  circostanze,  che  si  cangi 
unMnteressc,  che  si  abolisca  una  costumanza. 

Quanto  al  principio  della  morale ,  le  diirerenze  non 
sono  più  fra  i  Mingreliani  i  Peruviani  e  i  Topinam- 
bi:  la  questione  è  fra  pochi  uomini  intenti  a  studiar- 
la, e  che  pretendono  fare  astrazione  da  ogni  interes- 
se, da  oejni  autorità,  e  da  ogni  abitudine  per  trovare 
il  vero.  Essi  concordano  ncU' ammettere,  che  esiste 
un  principio  della  morale,  una  ragione  di  giustizia 
applicabile  a  tutti  i  rapporti  degli  uomini^  ma  quan- 
do si  viene  ad  indicarlo,  chi  lo  vede  nell' interes«e , 
chi  nella  idea  del  dovere,  chi  nella  coscienza.  E  si 
osservi,  che  ([ueste  discussioni  non  sono  di  quelle  che 
preparano  la  via  ad  un  accordo ,  di  quelle  in  cui  tut- 
te le  parti  fanno  qualche  passo  verso  un  centro  co- 
mune. Queste  ultime  hanno  un  movimento  progressi- 
vo, e  ad  ogni  epoca  si  rinvengono  punti  di  contatto, 
che  formano  poi  parte  della  scienza ,  si  conviene  in 
alcune  cose,  che  non  entrano  più  in  questione.  Ma 
qui  invece  i  diversi  sistemi  cadono  e  risorgono,  con- 
servando sempre  le  loro  ditferenze  caratteristiche  ',  si 
disputa,  ripetendo  ognuno  sempre  i  suoi  argomenti 
come  perentori ,  e  ripetendoli,  benché  sia  provato  che 
non  sono  atti  a  sciogliere  le  opposizioni  degli  avver- 
sari: è  questo  il  gran  carattere  delle  questioni  incon- 
ciliabili (i). 

(i)  Di  tempo  in  tempo  escono  poi  fuora  scrittori  che  volgono  in  ridi- 
colo queste  discussioni:  cosa  tanto  più  facile,  quanto  esse  tengono  da  una 
parte  a  sistemi  arbitrari,  e  dall'altra  ai  sentimenti  più  intimi  dell'uomo: 
due  gran  fonti  di  ridicolo  per  la  maggior  parte  degli  uomini  colli .  Il  fra- 
sario stesso  dei  diversi  sistemi  presenta  agli  scrittori  burleschi  dei  mate- 
riali da  porre  in  opera  senza  grande  studio.  In  ogni  sistema,  a  misura  che 


CAPITOLO  III.  35 

E  dunque  ben  chiaro ,  che  la  Ulosofia  morale  non  è 
scienza  una,  che  non  ha  basi  fisse,  ne  punti  di  con- 
vincimento comune.  Quando  ad  essa  si  fosse  data  la 


si  classificano  più  idee,  diventa  necessario  inventare  dei  termini,  che  uè 
significhino  le  relazioni  e  il  complesso.  Questi  vocaboli  lontani  dall'uso 
comune,  ripetuti  sovente  dai  filosofi  per  supplire  ad  un  periodo,  e  talvol- 
ta ad  un  trattato,  e  ripetuti  per  lo  più  con  importanza,  perdio  rappre- 
sentano le  idee  cardinali  del  sistema;  questi  vocaboli  soli  accumulati  in  uno 
scritto  scherzevole  bastano  a  far  ridere  raigliaja  di  lettori. 

Nulla  serve  più  a  far  ridere  gli  uomini  di  una  cosa,  che  il  ricordar  lo- 
ro, che  per  altri  uomini  quella  cosa  è  seria  ed  importante  :  poiché  ad  o- 
gnuno  sembra  un  segno  evidente  della  propria  superiorità  l'esser  divertito 
da  ciò  che  occupa  e  domina  le  menti  altrui .  Ciò  si  vede  ogni  giorno  fra 
gli  uomini  d'ogni  ceto,  dove  quando  si  sappia  che  uno  abbia  una  affezio- 
ne particolare  ad  una  idea,  gli  altri  si  servono  di  quella  per  farsi  I)cffe 
di  lui  o  contradicendogli  o  secondandolo,  ma  sempre  in  modo  che  quel- 
la sua  affezione  si  mostri  al  massimo  grado  :  e  questa  usanza  si  può  assai 
bene  combinare  colla  urbanità,  la  quale,  separata  dalla  carità  religiosa,  ò 
piuttosto  la  legge  della  guerra,  che  un  ti'attato  di  pace  fra  gli  uomini. 

Dalle  Nubi  fino  al  Fausto,  i  sistemi  positivi  sulla  parte  morale  e  intel- 
lettuale dell'  uomo  sono  sempre  (  o  al  loro  apparire  o  col  tempo  )  caduti 
nelle  mani  di  scrittori  comici;  e  il  sentimento  eccitato  da  questi  è  stato  o 
gajo  o  schernevole  o  anche  penoso,  secondo  che  hanno  pia  fatta  risal- 
tare o  la  vanità  dei  sistemi  particolari,  o  la  vanità  terribile  della  mente  u- 
mana  ;  il  che  è  dipenduto  dalla  malignità  dalla  vivacità  o  dalla  profon- 
dità del  genio  dei  diversi  scrittori. 

Quando  le  parole  tecniche  d'un  sistema  sono  state  da  molti  pronunzia- 
te ridendo,  pochi  ardiscono  più  impiegarle;  e  le  questioni  sembrano  ter- 
minate: ma  esse  risorgono  quasi  sempre  sotto  altri  nomi.  Vi  ha  nell'uomo 
una  brama  di  conoscere  la  propria  natura,  di  trovare  un  tipo  a  cui  com- 
parare i  suoi  sentimenti,  per  acchettare  la  quale  ci  vuol  altro  che  piace- 
volezze. 

Si  osservi  qui  di  passaggio,  che  fra  i  filosofi  si  disputa  assai  meno  sulle 
regole  delle  azioni ,  che  sul  principio  generale  della  morale  :  su  quelle 
convengono  per  lo  più;  anzi  ognuno  procura  di  attaccare,  come  può,  al 
suo  principio  quelle  regole  pratiche  che  sono  più  comunemente  ricevute. 
Ma  sembra  che  questo  nasca  da  alcune  cose  che  mettono  d'  accordo  più 
facilmente  sul  giudizio  delle  azioni,  e  sono  l'educazione  e  l'importante 
autorità  del  consenso  dei  contemporanei,  nato  da  circostanze  e  da  inlrressi 
comuni:  onde  in  ciò  i  filosofi  sono  guidati  piuttosto  clic  guide.  L'induen- 
za  poi  del  Cristianesimo  aumenta  ed  estende  questa  cagione;  poichì:  aven 
do  osso  proscritte  certe  azioni,  che  per  una  corrutt<:la  del  senso  morale 
erano  state  tenute  da  altri  popoli  come  ottime  ,  ed  avendone  comandate 
altre ,  ha  creato  sopra  raoltissime  un  giudizio  stabile  ed  indipendente  da 
principi  arbitrari. 


k 


36        SULLA  MORALE  CATTOLICA 

preferenza  sopra  la  morale  teologica,  resterebbe  an- 
cora a  sce2;licrc  fra  i  cento  sistemi  opposti  e  incom- 
paliblli,  nei  (piali  essa  si  divide,  o  fra  i  cpiali,  per 
dir  meglio ,  è  combattuta  . 

Vi  ha  due  vizi  irrimediabili,  che  hanno  distrutti, 
e  distruggeranno  di  volta  in  volta  tutti  i  sistemi  di 
morale  umana:  difetto  di  bellezza  e  difetto  di  moti- 
\ì.  Perchè  una  morale  sia  perfetta,  deve  riunire  que- 
ste due  condizioni  al  massimo  grado*,  deve  cioè  non 
escludere,  anzi  proporre  i  sentimenti  e  le  azioni  più 
belle,  e  dare  dei  motivi  per  preferirle.  Ora  nessuno 
di  questi  sistemi  può  farlo:  ognuno  di  essi  è,  per  dir 
così,  obbligato  a  scegliere*,  e  tutto  ciò  che  acquista 
da  una  parte  Io  perde  dair  altra .  Se  per  evitare  la 
dilTicoltà,  si  ricorre  ad  un  sistema  medio,  questo  tem- 
pererà i  due  difetti,  ma  gli  avrà  entrambi.  Mi  sia  le- 
cito di  entrare  in  un  esame  più  esteso  per  mettere  in 
chiaro  questa  proposizione. 

A  misura  che  un  sistema  di  filosofia  morale  si  adat- 
ta al  sentimento  universale,  consacrando  alcune  mas- 
sime che  gli  uomini  hanno  sempre  lodate  ed  ammira- 
te, la  preferenza  data  alla  cose  sjiuste  sulle  piacevoli, 
il  sacrilicio  di  se  stesso ,  il  bene  fatto  senza  speranza 
di  ricompensa  né  di  gloria,  diviene  tanto  più  arduo 
il  trovare  ncll' intelletto  le  basi  ragionevoli  di  quella 
dottrina.  Inlatti,  se  noi  esaminiamo  quale  sia  in  una 
bella  azione  la  qualità  che  eccita  l'ammirazione,  e 
che  ci  fa  nominar  òr//a  quella  azione ,  troveremo  non 


esser  altro  che  la  difficoltà  (intendo,  non  difficoltà  di 
eseguire,  che  nasce  dagli  ostacoli  esterni,  ma  quella  di 
determinarsi):  l'utilità,  la  giustizia,  saranno  condi- 


i 


j 


zioni  senza  le  quali  essa  non  sarebbe  bella,  ma  non 
sono  quelle  che  la  rendono  tale.  Il  che  è  si  vero,  che 


CAPITOLO  III.  5; 

se,  mentre  si  sta  ammirando  la  risoluzione  presa  da 
un  uomo  in  una  data  circostanza,  alcuno  scopre  clic 
essa  era  di  suo  vantaggio,  e  ch'egli  lo  sapeva  pren- 
dendola ,  r  ammirazione  cessa  '^  cpiclla  risoluzione  si 
chiamerà  huona  utile  giusta  savia,  ma  non  più  mi- 
rahile  nò  hella^  si  dirà,  che  quell'uomo  è  stato  for- 
tunato onesto  avveduto,  nessuno  lo  chiamerà  gran- 
de. Vediamo  anche  una  prova  di  ciò  nella  invidia,  la 
quale,  quando  non  possa  ne2;are  una  bella  azione,  si 
affatica  in  trovare  dei  motivi,  pei  quali  appaja  che 
chi  l'ha  intrapresa  vi  trovava  il  suo  conto,  in  prova- 
re cioè ,  che  quella  azione  era  facile  :  le  cose  facili  non 
sono  ammirate .  Ma  perchè  mai  le  più  belle  azioni 
compariscono  diilicili  al  più  degli  uomini ,  se  non  per- 
chè essi  non  trovano  nella  ragione  motivi  suflicienti 
per  intraprenderle  risolutamente,  anzi  trovano  nell'a- 
more di  sé  dei  motivi  contrari?  (Quindi  consegue,  che 
quanto  più  un  sistema  di  morale  avrà  per  iscopo  la 
bellezza  delle  azioni,  tanto  meno  avrà  argonienti  per 
provare  che  è  ragionevole  di  abbracciarlo  e  di  se- 
guirlo . 

Ma  se  un  sistema  si  fonda  sul  mero  ragionamento, 
se  non  pretende  dall'uomo  altre  determinazioni  che 
quelle,  alle  quali  si  può  provargli  ch'egli  si  deve  por- 
tare per  conseguire  il  suo  utile  temporale ,  esso  scon- 
tenta ed  oifende  un^ altra  tendenza  di  tutti  gli  uomi- 
ni, i  quali  non  vogliono  rinunziare  alla  stima  di  ciò 
che  è  bello  senza  essere  utile  a  (pialche  modo^  anzi  è 
bello  perciò  appunto.  Io  so,  che  nella  teoria  della 
morale  fondata  sull'interesse  si  spiegano  tutte  le  azio- 
ni più  magnanime  e  più  indipendenti  da  ciò  che  co- 
munemente si  chiama  utile:  si  spiegano  col  dire,  che 
gli  uomini  di  gran  cuore  trovano  in  esse  piacere.  Ma 


38         SUTJ.A  MORAT.E  CATTOLICA 

perdio  una  teoria  morale  sia  completa ,  non  basta  che 
spieghi  come  alcimi  possano  averle  fatte,  bisogna  clic 
dia  ragioni  ed  impulsi  per  farle:  altrimenti  la  parte 
più  perfetta  della  morale  diventa  una  eccezione  alla 
regola,  e  il  retaggio  di  alcuni  uomini  che  si  allon- 
tanano dal  modo  comune  di  ragionare,  è  quasi  una 
stravaganza  di  gusto  (i).  Vi  è  negli  uomini  una  po- 
tenza, che  gli  sforza  a  disapprovare  tutto  ciò  che  ap- 
pare loro  esser  falso,  e  come  essi  non  possono  disap- 
provare le  virtù  disinteressate,  cosi  vogliono  un  siste- 
ma, nel  quale  esse  entrino  come  ragionevoli.  Io  cre- 
do, che  quanto  più  si  osservi,  sempre  più  si  vedrà, 
che  le  morali  umane  si  agitano  fra  questi  due  termi- 
ni, cercando  invano  di  ravvicinarli:  ogni  sistema  ha 
una  parte  di  fondamento  nella  natura  umana,  cioè 
nella  ragione  o  nel  sentimento  :  la  difficoltà  consiste 
nel  farli  coincidere,  nel  trovare  un  punto  che  li  riu- 
nisca al  massimo  grado . 

Questo  punto  è  la  morale  teologica. 

S^  immagini  qualunque  sentimento  di  perfezione  ! 
esso  si  trova  nel  Vangelo,  si  esaltino  i  desiderj  della- 
nima  la  più  pura  da  passioni  personali  fmo  al  sommo 
ideale  pel  hello  morale  :  essi  non  oltrepasseranno  la 
regione  del  Vangelo .  E  nello  stesso  tempo  non  si  tro- 
verà alcun  sentimento  di  perfezione,  al  quale  col  Van- 
gelo non  si  possa  assegnare  un  motivo  razionale,  pre- 


(i)  Lo  scrittore  anonimo  della  vita  di  Hcivctius,  dopo  aver  parlato  di 
alcuni  suoi  tratti  di  bcnelìcenzn,  riferisce  ch'egli  disse  al  suo  cameriere, 
il  quale  ne  era  testimonio  :  vi  proibisco  di  raccontare  quel  clie  avete  ve- 
duto ,  anche  dopo  la  mia  morie.  Questo  scrittore  non  ricorderebbe  una 
tale  circostanza,  se  non  fosse  di  opinione  che  la  volontà  di  celare  i  bene- 
ficj  che  si  fanno  è  una  disposizione  virtuosa  .  Kssa  è  tale  senza  dubbio; 
ma  nel  sistema  di  Helvetius  e  impossibile  classificarla  fra  le  virtù. 


:^- 


CAPITOLO  III.  5g 

ponderante ,  e  legato  naturalmente  con  tutta  la  rive- 
lazione . 

È  e^li  bello  il  perdonare  le  offese,  l'avere  un  cuo- 
re inalterabile  placido  e  fraterno  per  cbi  ci  odia  ? 
Cbi  ne  dubita?  ma  perchè  dovrò  io  averlo  tale,  se 
tutto  mi  strascina  ai  sentimenti  contrari?  Perchè  tu 
non  puoi  odiare  il  tuo  fratello  che  come  cagione  del 
tuo  male  :^  s' egli  non  lo  è ,  il  tuo  odio  diventa  irragio- 
nevole ed  ingiusto;  ora  egli  non  ti  ha  fatto  male^  la 
tua  volontà  sola  può  nuocerti  realmente  :  egli  ha  fat- 
to male  a  se ,  e  merita  da  te  compassione .  Se  V  oifesa 
ti  punge ,  e  perchè  tu  dai  alle  cose  temporali  un  va- 
lore che  non  hanno  ',  perchè  tu  non  senti  abitualmente 
che  Dio  è  il  tuo  solo  bcnc'^  e  che  nessun  uomo,  nes- 
suna cosa  ti  può  togliere  a  Lui.  Il  tuo  odio  viene  dun- 
cpie  dalla  corruttela  del  tuo  cuore,  dal  traviamento 
del  tuo  intelletto  :  purifica  1*  uno  e  correggi  l'altro, 
e  non  potrai  più  odiare.  Di  più,  tu  riconosci  come  il 
più  sacro  dovere  quello  di  amare  Iddio  sopra  ogni  co- 
sa;, tu  devi  dunque  bramare  ch'Egli  sia  glorificato  ed 
obbedito  :  oseresti  tu  volere  che  alcuna  creatura  ra- 
o;ionevole  di  nesfasse  il  suo  omaoo;lo,  si  ribellasse  alla 
sua  legge  ?  Questo  pensiero  ti  fa  orrore  :  tu  desidere- 
rai dunque  che  ogni  uomo  serva  Dio  e  sia  nell'ordi- 
ne;, se  lo  fai,  tu  desideri  ad  ogni  uomo  la  perfezione, 
la  somma  felicità,  tu  ami  ogni  uomo  come  te  stesso. 

E  bello  il  dare  la  propria  ^ita  per  la  verità  e  per 
la  giustizia,  il  darla  senza  testimoni  che  ti  ammiri- 
no, senza  un  compianto,  nella  certezza  che  gli  uo- 
mini ingannati  ti  accompagneranno  colle  esecrazioni, 
che  il  sentimento  della  santità  della  tua  causa  non 
troverà  fuori  di  te  dove  appoggiarsi,  dove  diilbndor- 
si?  ì\on  v' è  uomo  che  non   pianga   di   ammirazione 


4o         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

all'udire  clic  un  allr'uomo  abbia  abl)an(lonala  la  ter-' 
ra  così.  ]Ma  (bi  proverà,  cbe  sia  ra£:;ioncvole  il  faHo? 
Quab'  e  il  iiiolivo,  [)er  cui  si  dcl)ba  rinunziare  a  ([nel 
scnlimenlo,  cbe  domina  Inlto  il  nostro  essere,  al  de- 
siderio di  far  consentire  delle  anime  immortali,  come 
la  nostra,  al  nostro  più  alto  e  profondo  sentire?  Per- 
cbè,  quando  a  seiJìiire  la  giustizia  non  ve  altra  via 
die  la  morte,  è  certo  per  noi,  cbe  Dio  ci  lia  segnata 
quella  via  per  giungere  a  Lui,  percliè  il  secolo  pre- 
sente non  ba  il  suo  compimento  in  sé',  percliè  il  biso- 
gno clie  abitiamo  di  essere  approvati  non  sarà  conten- 
to, cbe  quando  vedremo  cbe  Dio  ci  approva,  percbè 
ogni  nostro  sacrificio  e  leggiero  in  paragone  deU"  inef- 
labilc  sacrificio  dell  Uomo  Dio ,  al  quale  doljbiamo 
rassomigliare,  se  vogliamo  entrare  a  parte  del  sua 
regno . 

Ecco  i  motivi,  per  cui  milioni  di  deboli  creature, 
con  queir  ajuto  divino  cbe  rende  facili  tutti  i  dove- 
ri, banna  trovato,  cbe  la  determinazione  la  più  am- 
mirabile e  la  più  difficile,  quella  di  nwrire  fra  i  tor- 
menti per  la  verità,  era  la  più  ragionevole,  la  sola 
rai^ionevole ^  e  l'banno  abbracciata.  Prodigiosa  sto- 
ria della  Religione  !  nella  quale  Latto  di  virtù  il  più 
superiore  alle  forze  dell'uomo,  è  forse  quello  di  cui 
gli  esempi  sono  più  comuni . 

Non  se  ne  potrà  immaginare  alcuno,  per  cui  il  Van-* 
gelo  non  dia  motivi:  non  si  potrà  immaginare  un  sen- 
timento vizioso,  cbe,  secondo  il  Vangelo,  non  sup- 
ponga un^idea  falsa.  Si  domandi  ad  un  cristiano  qua- 
le sia  in  ogni  caso  la  risoluzione  più  ragionevole  e  la 
più  utile  ;  egli  dovrà  rispondere  j  la  più  onesta  e  la 
più  generosa. 

Ma  questo  non  basta  :  dai  sistemi  di  morale  fdoso- 


CAPITOLO  III.  4i 

fica  risulta  un  altro  difetto  essenziale,  e  pure  irrime- 
diabile. Osservandoli  anche  da  questo  lato  e  compa- 
randoli colla  morale  religiosa,  troveremo  che  questa 
non  solo  ne  è  esente,  ma  che  invece  di  quello  ha  una 
perfezione. 

]Nel  principio  della  morale  non  si  cerca  puramente 
una  verità  speculativa;,  si  vuole  che  sia  una  sori>ente 
di  regole  per  norma  della  vita.  Ora,  tutti  i  principi 
di  morale  umana  sono  sterili  e  senza  applicazione: 
non  già  che  dato  un  principio,  non  possa  uno  dedur- 
ne una  regola^  ma  perchè  non  ne  vengono  regole  in- 
negabili universali  e  perpetue^  regole  che  tutti  deb- 
bano riconoscere,  quando  abbiano  ammesso  il  prin- 
cipio . 

Facciamo  bi'evemente  questo  esame  sopra  uno  di 
essi,  che  è  forse  il  più  ditfuso  a  questi  tempi,  quello 
che  ridnce  tutte  le  obbligazioni  morali  ali"  interesse 
proprio,  bene  inteso;  principio,  il  quale  suppone  che 
l'interesse  privato  coincida  sempre  col  pubblico,  di 
modo  che  l'uomo  giovando  agli  altri  fa  la  sua  felici- 
tà, e  viceversa  (i) .  Supponiamo  un  uomo  convinta 
di  questo  principio,  e  disposto  sinceramente  a  rego- 
larsi in  conseguenza*,  supponiamolo  alla  scelta  di  una 
azione.  Che  farà  egli  per  trovare  la  regola?  Esami- 
nerà il  suo  interesse .  Come  farà  per  bene  intenderlo? 
Kipasserà  tutte  le  eventualità  di  piacere  e  di  dolore, 
delle  quali  la  sua  azione  può  essergli  causa.  Ha  egli 
l'avvenire  davanti  a  se?  Conosce  gli  elfetti  e  le  cir- 
costanze indipendenti  dalla  sua  azione,  e  che  agiranno 
sopra  di  lui  in  conseguenza  di   quella,  lo  opinioni  i 


(i)  V.  Essai  sur  V  ìncìifférence  en  matt'ère  de  religion  3. me  édil.  T.  I. 
nota  alle  pag.  476  77  . 


42         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

capricci  clcc;li  nomini,  il  cangjiamenlo  possi])ile  del  suoi 
scnllmcnti  stessi?  iNon  si  parli  del  tempo  e  della  oc- 
cnpa/lonc  clic  esio;c  questa  ricerca ,  ma  si  dica  se  pnò 
condurre  ad  un  risultato  .  Questo  principio  non  è  dun- 
(pie  applicabile  che  al  passato  ^  è  j)rincipio  di  osserva- 
zioni  e  non  di  ref»ole  .  Voi  mi  direte  :   esaminando 
tutte  le  azioni  dea;li  nomini  si  vede,  che  le  virtuose 
hanno  accresciuto  il  hen  essere  di  chi  le  ha  fatte,  le 
viziose  hanno  avuto  con  se  il  loro  castigo .  Sia  pur 
così*,  io  vi  passo  (piesto  fatto:  ma  non  è  questo  che 
io  vi  domando:  io  domando,  di  due  azioni  fra  le  qua- 
li dehho  scegliere,  quale  mi  farà   più  felice?  Mi  ri- 
mandate voi  alla  mia  esperienza?  ma  essa  non  basta: 
alla  esperienza  di  tutti  i  tempi?  ma  io  non  la  cono- 
sco ,  nò  mi  basterebbe ,  perchè  ho  bisogno  di  sapere 
gli  eifetli  di  una  azione  sopra  di  me ,  date  queste  uni- 
che circostanze  in  cui  io  sono .   Mi  rimandate  voi  al 
consenso  universale?  ma  questo  consenso  non  esiste^ 
ma  se  esistesse,   non  sarebbe  una   autorità   per  me: 
converrebbe  supporre  che  gli  uomini  non  errano  quan- 
do vanno  d'accordo  nel  (issare  l'utile  o  il  danno  di 
una  azione,  e  che  le  loro  unanimi  osservazioni  sono 
applicabili  anche  al  mio  caso . 

Ma  siccome  secondo  questo  sistema  in  ogni  azione 
virtuosa  si  verificano  due  condizioni,  il  bene  di  chi  la 
fli  e  il  bene  pubblico  :  cosi  non  potendo  io  prevedere 
il  primo  nò  ricavarne  la  regola  dell'azione,  andrò 
almeno  a  ricercarla  nel  ben  pubblico,  colla  certezza 
che ,  se  io  lo  procuro ,  avrò  anche  fatta  la  mia  parti- 
colare felicità.  Ma  è  inutile  diftbndcrsi  a  dimostrare, 
che  questo  pure  è  impossibile  ad  indovinarlo ,  che  sco- 
prire la  somma  di  piacere  e  di  dolore ,  che  porterà  agli 
altri  la  mia  determinazione,  è  cosa  superiore  ali  hi- 


CAPITOLO  III.  45 

telletto  umano.  Ma  supponiamo^  che  uno  vi  giunga, 
che  egli  sappia,  che  cpiella  azione  è  certamente  utile 
agli  altri,  e  che  egli  vi  si  risolva:  supponiamo,  che 
per  questa  sua  azione  (l'ipotesi  non  è  strana)  egli  sia 
odiato  perseguitato  tormentato  :  la  sua  azione  diven- 
ta forse  cattiva  perchè  egli  non  ha  saputo  comhinare 
r  interesse  proprio  coli' altrui?  La  huona  coscienza, 
si  risponde,  lo  sostiene  e  lo  compensa,  e  mette  così 
in  salvo  il  suo  interesse.  Ma  la  voce  della  coscienza, 
domanderemo,  è  ella  certa,  perpetua,  porta  ella,  in 
conseguenza  di  tutte  le  azioni  utili  al  puhhlico,  un 
piacere  infallihilmente  superiore  a  tutti  i  mali  che  da 
esse  possono  venire  ai  loro  autori,  e  una  pena  per  tut- 
te le  azioni  dannose  superiore  ai  vantagi>i?  Se  que- 
sto si  atYcrma,  converrà  ricorrere  alla  sola  coscienza, 
per  regolarsi  indipendentemente  da  ogni  altro  piacere 
o  dolore^  perchè  il  dolore  e  il  piacere  della  coscienza 
essendo  iniallihile  e  sempre  preponderante  mi  darà, 
secondo  il  sistema  stesso,  una  norma  certa  della  vir- 
tù .  Ma  se  questo  non  si  aiferma ,  e  si  dice  che  la  re- 
tribuzione della  coscienza  può  mancare  prima  per  ri- 
guardo al  tempo,  poiché  un  uomo  può  aver  diletto  di 
una  azione  dannosa,  e  dolore  d*  una  azione  utile,  e 
morire  prima  che  il  rimorso  o  la  consolazione  della 
coscienza  porti  la  pena  o  il  premio  ^  se  si  dice  che  que- 
sta retribuzione  è  incerta  perchè  dipende  dalle  circo- 
stanze dalle  idee  e  dal  temperamento  dell'  uomo  su 
cui  deve  operare ,  ne  verrà  di  conseguenza,  che  la  co- 
gnizione certa  che  una  azione  sia  per  essere  utile  al 
pubblico  non  basterà  per  dichiararla  virtuosa,  per 
provare  ad  uno  che  debba  intraprenderla,  giacché  non 
sarà  provato  ch'essa  sarà  utile  a  lui.  Che  se  si  dices- 
se, che  questa  voce  della  coscienza,  benché  non  inlai- 


44         SLLLA  MORALE  CATTOLICA 

lll)ile  ne  preponderante,  è  però  da  meltersi  a  calcoìo^ 
essendo  un  fallo  nolo,  che  essa  porta  piacere  e  do- 
lore secondo  le  azioni,  e  dà  cpiindi  una  probabilità  di 
premio  e  di  pena,   ne  verrebbe  di  conseguenza,   clic 
ad  eguali   circostanze  estrinsedie    le  obbligazioni  non 
sono  e2;uari  :^  ])erchè  la  coiji;nizione  del  danno  pubblica 
potrà  obbliiiare  ad  astenersi  l'uomo,  clic  conoscendo- 
si di  coscienza  delicata  prevede,  clic  dall' averlo  ca- 
gionato gliene  verrà  diminuzione  di  felicità,  ma  non 
colui,  che  sentendosi  agguerrito  contro  il  rimorso,  si 
promette  la  trancpiillità  dell'animo:   e  i  due  estremi 
del  sistema,  interesse  pubblico  e  interesse  privato,  si 
combineranno  nel  primo  caso  e  non  nel  secondo.  Tali 
sono  (oltre  le  tante  notate  da' moralisti  pensatori)  le 
conseguenze  di  questo  sistema:  sistema  assurdo,  per- 
chè si  fonda  sulla  supposizione  di  un  fatto  smentito  in 
mille  casi  dalla  realtà,  che  il  bene  pubblico  cioè  coin- 
cida sempre  col  bene  particolare  dell'operante  in  que- 
sta vita^   di  un  fatto   che   quand'anche   fosse   vero, 
non   potrebbe  essere   dimostrato  e  posto  in  principio 
per  l'avvenire,  non  avendo  ogni  uomo  i  dati  necessa- 
ri per  accettarne  la  verificazione  nel  suo  caso.  E  come 
l'errore  è  cagione  di  errore,  questo  sistema  è  inappli- 
cabile in  pratica  per  le  stesse  ragioni  che  lo  rendono 
assurdo  in  principio. 

Del  resto ,  si  osservi  di  passaggio ,  clì€  questo  siste- 
ma non  è  altro  che  l'alterazione  di  una  grande  verità 
proposta  dalla  religione:  che  operando  la  giustizia  si 
ottiene  la  somma  felicità.  Una  lllosolia  arbitraria  ha 
voluto  (se  mi  è  lecito  usare  questa  espressione)  to- 
gliere da  questo  calcolo  la  cifra  della  vita  futura^  e 
il  calcolo  si  è  trovato  fallato . 

È  dunque  dimostrato  che  da  questo  principio  non 


t 


CAPITOLO  111.  45 

si  possono  air  uopo  dedurre  le  regole  della  condotta  : 
ripeto,  le  regole  certe ^  giacche  uno  potrà  bensì  tro- 
vare che  nelsiio  caso  ne  venga  più  probahilmente  una 
regola  tale  e  fermarsi  a  cpiella ,  ma  essa  non  sarà  tale 
che  obljli^hi  a  riconoscerla  tutti  quelli  che  ammetto- 
no il  principio  sotto  pena  di  non  esser  logici . 

Questo  inconveniente  è  comune  a  tutti  gli  altri  si- 
stemi di  morale  umana,  perche  in  tutti,  le  regole  non 
sono  espresse  nel  principio,  né  derivano  necessaria- 
mente da  quello.  Per  istabilire  in  un  modo  incontra- 
stabile è  necessaria  una  cognizione  profetica  di  tutti 
gli  effetti  delle  azioni ,  una  cognizione  di  tutti  i  loro 
rapporti  coli' ordine  generale.  Ammesso  che  lidea  del 
dovere  sia  il  principio  delle  obljllgazioni  morali,  per 
avere  le  re2;ole,  o  converrà  dire  che  l'uomo  conosce 
certamente  tutti  i  suoi  doveri  in  ogni  caso,  o  confes- 
sare che  le  regole  devono  venirci  da  tutt' altro  clie  da 
questo  solo  principio  :  ammesso  che  sia  la  coscienza , 

0  converrà  dire  che  essa  non  inganna  mai,  e  quindi 
rimettere  le  regole  alla  coscienza  di  ognuno,  o  con- 
fessare qui  pure  che  non  vengono  dal  principio . 

La  morale  religiosa  sola  poteva  dar  regole  pratiche 
incontrastabili,  e  unile  indissolubilmente  al  principio, 
perchè  sola  può  riconoscere  un  princìpio  di  autorità 
infallibile,  quale  è  Dio,  e  sola  può   comunicare   al- 

1  uomo  le  regole  derivanti  e  rivelate  da  questo  prin- 
cipio .  Chi  lo  ha  ammesso ,  deve  ricevere  le  regole , 
deve  esser  certo  clic  son  giuste,  perdio  chi  le  ha  date 
conosce  tutti  i  rapporti  possibili  dei  sentimenti  o  delle 
azioni  colla  eterna  innnutabile  giustizia  (1). 

(1)  Di  qui  si  vede  quanto  sia  assurda  ]a  prctcnsidue  di  fare  eccezioni 
alla  legge  iliviiia  cnl  pretesto  di  una  nlat;^'lnr  ntililìi  :  essa  suppone  nnn 
più  estesa  cojjnizionc  della  possibile  ulililà  nell'uomo  che  in  Dio.   L'uomo 


*,. 


46         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

Principio  di  irrecusabile  autorità:  regole  alle  quali 
si  riduce  ogni  atto  ed  ogni  pensiero:  spirito  di  per- 
fezione che  in  ogni  cosa  dubbia  rivolge  l'animo  al  me- 
glio :  promesse  superiori  ad  ogni  inunaginabile  inte- 
resse temporale:  modello  di  santità  proposto  nell'uo- 
mo Dio:  mezzi  eflicaci  per  ajutarci  ad  imitarlo  nei 
Sacramenti  da  Lui  istituiti,  nei  quali  anche  chi  ha  la 
sventura  di  non  riconoscere  Y  autorità  divina,  non  può 
non  ravvisare  azioni  che  dispongono  ad  ogni  virtù: 
tale  è  la  morale  della  Chiesa  cattolica,  quella  morale 
che  sola  ha  potuto  farci  conoscere  quali  noi  siamo  ^, 
che  sola  dalla  cognizione  di  mali  umanamente  irrime- 
diabili  ha  potuto  far  conoscere  la  speranza  *,  quella 
morale  che  tutti  vorrebbero  praticata  dagli  altri,  che, 
praticata  da  tutti,  a  tutti  darebbe  il  più  alto  grado  di 
perfezione  e  di  felicità  che  si  possa  conseguire  su  que- 
sta terra;,  quella  morale,  a  cui  il  mondo  stesso  non 
ha  potuto  negare  una  perpetua  testimonianza  di  am- 
mirazione e  di  applauso. 

Che  anche  dopo  il  Cristianesimo  alcuni  fdosofi  si 
sieno  alfaticati  per  iscoprirne  un  altra,  questo  è  un 
l'atto  pur  tro])po  vero .  Simili  a  chi ,  trovandosi  con 
una  moltitudine  assetata  e  sapendo  di  esser  vicino  ad 
un  gran  liume ,  si  fermasse  a  fare  con  dei  processi  chi- 
mici qualche  goccia  di  quell'acqua  che  non  disseta, 
essi  hanno  consumate  le  loro  cure  nel  cercare  una  teo- 
ria di  doveri  f)  quando  si  sono  abbattuti  in  qualche  im- 
portante verità  morale,  non  si  sono  ricordati  che  era 


non  vede  che  una  parte  delle  cose;  Dio  e  venuto  in  soccorso  della  sua 
infermità,  e  gli  ha  dato  regole,  stando  alle  quali  l'uomo  è  certo  di  fare 
quello  che  dovrebbe  scegliere,  se  avesse  tutto  veduto:  l'uomo  che  si  di- 
spensa dal  seguirle,  mette  in  confronto  il  poco  clic  egli  conosce  colla  sa- 
pienza iufmila  di  Dio,  e  decide  in  favore  della  sua  propria  opiuiouc . 


CAPITOLO  III.  47 

stala  loro  insegnata,  che  era  un  frammento  o  una 
conseguenza  del  catechismo ,  non  si  sono  avvisti  che 
avevano  soltanto  allungata  la  strada  per  giungere  ad 
essa,  che  invece  di  presentare  una  legge  nuova,  spo- 
gliavano della  sanzione  nna  legge  già  promulgata  (i). 
La  Chiesa  non  ignora  i  loro  sforzi  e  i  risultati  di  es- 
si :  ma  è  questo  un'  esempio  per  lei  ?  Essa  non  ha  po- 
tuto che  ammonirli  e  compiangerli:  perchè  avreljhe 
dovuto  imitarli  ?  La  Chiesa,  a  cui  Gesù  Cristo  ha  con- 
segnata una  dottrina  morale  perfetta ,  non  dovrà  man- 
tenersene padrona?  dovrà  cessare  di  dirgli  con  Pietro: 
da  chi  aneleremo?  tu  hai  le  parole  dì  vita  eter- 
na (2).  Dovrà  cessare  di  ripetere,  che  disperde  chi 
non  raccoglie  con  Ini  (3)  ?  Potrà  snp[)orre  un  mo- 
mento che  vi  sieno  due  vie  due  verità  due  vite?  Le  so- 
no stati  allidati  dei  precetti,  e  depositaria  infedele  e 
amministratrice  dilìidente  essa  (Hspcnscrà  dei  du!)hi? 
Lascierà  da  un  canto  la  parola  eterna,  e  si  avvihip- 

(1)  Chi  non  riflettesse  che  le  scienze  ninali  non  seguono  la  progressio- 
ne delle  altre,  (perchè  non  sono  dipendenti  dal  solo  intelletto,  ne  pro- 
pongono di  quelle  verità,  che  riconosciute  una  volta  non  sono  più  contra- 
state, e  servono  di  scala  ad  altre  verità)  non  saprehbe  spiegare  come  la 
dottrina  di  Helvctius  ahl)ia  potuto  succedere  in  Francia  a  quella  dei  gran- 
di moralisti  del  secolo  decimosctflmo .  Colpito  della  inferiorità  della  prima, 
non  saprebbe  delle  due  maniere  di  renderne  ragione,  quale  ammettere  come 
la  meno  strana:  o  che  Helvctius ,  moralista  di  jirolcssione ,  non  si  fosse 
curato  d'informarsi  dello  stato  della  scienza  e  delle  opinioni  di  scrittori 
rinomalissimi  e  recenti,  o  che  leggendo  le  loro  opere  egli  non  avesse  ve- 
duto come  le  questioni  eh'  egli  ha  messo  in  cauipo  erano  già  compiuta- 
mente sciolte,  e  clic  la  soluzione  era  sempre  quella  ch'egli  dovi^va  trovare 
la  più  magnanima  e  la  piìi  utile,  (piella  ch'egli  avrebbe  desideralo  che 
ognuno  adunasse  nelle  sue  relazioni  con  lui;  non  avesse  veduto  come  in 
quei  libri  tiilto  concorda  colla  scienza  che  l'uomo  ha  di  se  stesso,  come 
i  principi  sono  senza  eccezione  di  tempi  o  di  persone,  come  la  perfezione 
<!  ragionala,  come  il  vero  modo  per  fare  trattati  utili  universali  ed  onesti 
di  morale  era  adottare  quei  principi,  ed  applicarli  alle  osservazioni  che 
presenta  la  società. 

(•2)  Domine^  ad   (jiieìii  ihhims?  vnbn  i>i//i;  mtcrno;  liabcs  .  Job.  VI.   6, 
(3)   (^ui  nuli  colligit  inccuiìi ,  di.'^i>crgil  .  Lue.   XI.   6. 


48        SULLA  MORALE  CATTOLICA 

perà  nei  discorsi  dell' nonio,   per   riuscire   a  trovare 
forse ,  che  la  viriti  è  più  ragionevole  del  vizio ,  l'orse , 
die  Dio  deve  essere  adoralo  ed  obbedito,  forse,  che 
Ijìso^na  amare  i  suoi  Iratclli?  11  Verbo  avrà  assunta 
(iiirsla  carne  mori  ale,  avrà  altraversate  le  angoscie 
iiu'K'abili  della  redenzione,  per  meritare    alla  società 
da  lui  fondata  un  poslo  Tra  le  accademie  filosoliche? 
Essa,  cbe  coi  suoi  primi  insegnamenti  può  innalzare 
il  semplice,  clic  ignora  tulio  fuorché  la  speranza,  al 
più  allo  punto  della  morale,  a  quel  punto  a  cui  si  ri- 
trova Bossuet  dopo  aver  percorso  vm  vasto  circolo  di 
meditazioni  sublimi,  non  ve  lo  innalzerà,  ma  lo  ri- 
.spingerà  sulla  strada  del  ragionamento,  che  conduce 
a  cento  mete  diverse?  Stanco  e  smarrito,  l'uomo  si 
rifuL^girà  a//a  cifià  posici  sul  monte  (i),  ed  essa  non 
i^ìi  darà  asilo?  Aliamato  di  giustizia  e  di  certezza,  di 
autorità  e  di  speranza,  egli  ricorrerà  alla  Chiesa,  e 
la  Chiesa  non  gli  spezzerà  (piel  pane  che  si  moltiplica 
nelle  sue  mani?  ISo,  la  Chiesa  non  tradisce  così  i  suoi 
iigli:  noi  non  possiamo  temere  di  esserne  abbandona- 
ti:^ non  ci  resta  che  il  timore  salutare  che  noi  possia- 
mo abbandonarla:  un  tal  timore  non  deve  che  cresce- 
re la  nostra  fiducia  in  Chi  ci  può  tenere  attaccati  a 
cpicsta  coloììua  e  foudamcnio  della  verilà  (2) .  Di- 
mentichiamo diciotto  secoli  di  esistenza,  di  successio- 
ne di  pastori,    e  di  sommi  pastori,  di  continuazione 
nella  stessa  dottrina,  diciotto  secoli  nei  quali  si  con- 
tano tante  persecuzioni  e  tanti  trionfi,  tante  separa- 
zioni dolorose,  e  non  una  sola  transazione:  che  abbia- 
mo noi  bisogno  di  esperienza?  1  primi  fedeli  non  l'a- 

(1)    'Non  polest  ch'ilns  aììsroiìcìi  siipra  mniifcm  posila.   INIatlli.   v.    i4- 
(•'.)  Ecclesia  Dei    vu'i ,    culimuia    et  Jinnumcntuin    veriUUis .    I.  ad  Ti- 
motb.  Ili,   i5. 


CAPITOLO  III.  49 

vevano  ed  hanno  creduto:  bastò  loro  la  parola  di 
quel  Dio  per  cui  mille  anni  sono  come  il  giorno  di 
jeri  che  è  passato  (i)  . 

Io  non  mi  diffonderò  qui  davvantaggio  sulla  supe- 
riorità della  morale  religiosa,  argomento  trattato  da 
sonuni  uomini,  e  collegato  naturalmente  con  tutte  le 
opere  che  parlano  di  questa  morale .  I  soli  cenni  stac- 
cati che  ne  lasciò  Pascal,  contengono  più  scoperte  iiii- 
j)ortanti  di  morale  generale ,  che  molti  volumi  (2) . 
Altronde,  far  risaltare  questa  superiorità,  è  lo  scopo 
di  tutto  il  presente  scritto.  Riepiloghiamo  ora  breve- 
mente i  risultati  del  confronto  che  abbiamo  fatto  in 
questo  capitolo. 

La  filosofia  non  ha  potuto  convenire  in  un  solo  prin- 
cipio e  in  una  sola  regola ,  che  sono  le  due  parti  es- 
senziali della  morale.  Non  è  dunque  una,  ne  si  può 
contrapporla  alla  rivelazione. 

Esaminando  ad  uno  ad  uno  i  sistemi  di  morale  fi- 
losolica,  si  troverà,  che  nessuno  di  essi  può  concilia- 
re la  somma  bellezza  colla  somma  ragionevolezza} 
quindi  ognuno  di  essi  lascia  molto  a  desiderare  ai  suoi 


(i)  Quoniam  mille  anni  ante  oculos   tuos   tamqiiavi   dies   hesterna  quce 
rrcBteriit.  Ps.  LXXXIX.  4. 

(2)  Pascal,  per  avere  osservati  profondamente  i  mali  dell'uomo     è  stalo 
le  tante  volte  tacciato  di  atrabiliario;  e  questa  taccia  non  è  forse  mai  stata 
data  ad  Helvetius  che  rappresenta  la  natura  umana   nel    punto    di  vista  il 
più  tristo  e  desolante.  Questa  differenza  di  giudizio  è  tanto  più  strana,   in 
quanto  Pascal,  il  quale  aveva  troppo  studiato    se  stesso   per  essere    sprez 
zatore  degli  altri,  non  respira  che  compassione  di  se  e  d'altrui,  rassegna 
zinne   amore    e   speranza  ;    egli    riposa  di  tratto  in  tratto  con  gioja   e    con 
calma  nel  ciclo  lo  sguardo  turbato  e  confuso  dalla  contemplazione  dell*  a  • 
liisso  del  cuore  umano  :  e  le  riilessioni    di  Helvetius   sono    sovente    amare 
iraconde    insofferenti    o    di    una   crudele    festività  .    Pascal    è    atrabiliario  , 
|)crcl»ò  mostra  la  necessità  di  rimedi  che  ci  spiacciono  più  dei  mali.   Hcl- 
vcliMs  invece    cerca  ad  ogni  inconveniente  morale  una   causa   estranea;   in- 
vece di  urtare  le  passioni,  le  lusinga,   insognando  ad  ognuno  ad  attribuire 
i  VIZI  alla  necessità  o  alla  iguorauia  altrui,  e  non  alla  propria  corruttela. 
Maii^uiii  > 


»    » 


5o         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

stessi  partigiani .  La  morale  teologica  riunisce  queste 
due  condizioni  al  massimo  grado . 

I  sistemi  di  fdosofia  morale  non  danno  regole  cer- 
te e  derivanti  necessariamente  dal  principio^  cpielle 
proposte  dalla  morale  teologica  sono  tali^  il  suo  prin- 
cipio è  V  autorità  di  Dio ,  e  le  sue  regole  sono  i  co- 
mandamenti di  Dio. 

Quando  si  ammette  che  la  morale  del  Vangelo  vie- 
ne da  Dio,  bisogna  ammettere  nella  Chiesa  lo  stretto 
dovere  di  adottarla  e  di  mantenerla  ad  esclusione  di 
ogni  altra .  Quando  si  viene  ad  esaminarla  in  confron- 
to delle  altre ,  le  sue  perfezioni  provano  sempre  più 
la  origine  divina  di  essa. 


CAPITOLO  IVa 

su   I  DECRETI  DELLA   CHIESA  ;   SULLE   DECISIONI  DEI   PADRI  ; 

E   SU  1   GASLSTI  , 


Elie  (  r  Église  )  substitua  V  cmtorité  de  ses  decvcts ,  et  Ics 
décis'ioìis  des  Pèrcs  ciux  liuìiièrcs  de  la  raìsoìi  et  de  la 
coiisciencCf  r  étnde  des  Casuistes  à  celle  de  la  plido- 
sophie  ....  Pag.  l\vù-\l\. 


ILa  Chiesa  fonda  la  sua  autorità  nella  parola  di  Gesù 
Cristo:  essa  pretende  essere  de|)ositaria  e  inlerprele 
delle  Scritture  e  della  Tradizione:  essa  si  protesta 
non  solo  di  non  aver  mai  insegnato  nulla  che  non  de- 
rivi da  Gesù  Cristo,  ma  di  essersi  sempre  opposta  e 
di  volersi  opporre  sempre  ad  ogni  novità  che  tentasse 
introdursi,  di  esser  pronta  a  cancellare  appena  scritto 
oi»;ni  jota,  che  una  mano  profana  osasse  a2;a;iungere 
alle  carte  divine .  Essa  non  ha  mai  preteso  di  avere 
l'autorità  d'inventare  principj  di  morale  essenziale: 
anzi  la  sua  gloria  è  di  non  averla ,  di  poter  dire  che 
ogni  verità  le  è  stata  inscenata  lino  dalhi  sua  oriinnc, 
ch'ella  ha  sempre  avuto  gli  insegnamenti  e  i  mezzi 
necessari  per  salvare  i  suoi  ligli,  di  avere  una  autorità 
che  non  può  crescere,  perchè  non  è  mai  stata  man- 
eante.  Essa  atlerma  in  conseguenza,  che  i  suoi  decreti 
sono  conlorini  al  Vangelo,  e  ciie  non  riceve  le  deci- 
sioni del  Padri  che  in  quanto  gli  sono  [)ure  conformi , 


52         SULLA  MOllALE  CATTOLICA 

e  sono  una  testimonianza  della  continuazione  della 
stessa  fede  e  della  stessa  morale .  Se  la  Chiesa  all'er- 
ma il  vero ,  non  si  potrà  dire  ch^  ella  sostituisca  que- 
sti decreti  e  queste  decisioni  ai  lumi  della  rac;ione  e 
della  coscienza,  come  non  si  può  dire  sostituita  alla 
ìe^Q^e  una  sentenza  clie  ne  spieghi  lo  spirito ,  e  che  ne 
determini  l' esecuzione ,  si  dovrà  anzi  confessar  eh'  es- 
sa regola  Luna  e  l'altra  con  una  norma  infallihile, 
come  è  quella  del  Vangelo .  Che  se  non  si  vuol  crede- 
re a  questa  asserzione  della  Cliiesa,  conviene  dire  qua- 
li sono  le  massime  di  morale  proposte  dalla  Chiesa, 
che  non  venivano  dal  Vangelo,  che  siano  contrarie  o 
anche  soltanto  indifferenti  al  suo  spirito.  Questa  ri- 
cerca non  farà  che  mettere  sempre  più  in  chiaro  la  ma- 
ravigliosa  immutahilità  della  Chiesa  nella  sua  morale 
perpetuamente  evangelica,  e  la  infmita  distanza  che 
passa  fra  essa  e  tutte  le  sette  filosofiche ,  nelle  quali 
non  si  è  fatto  che  edificare  e  distruggere,  che  after- 
mare  e  disdirsi^  nelle  quali  i  più  savi  sono  stati  sti- 
mati quelli  che  più  hanno  confessato  di  duhitare. 

Quanto  ai  casisti,  comincio  dal  confessare  di  non  a- 
verli  letti ,  non  dico  tutti ,  che  deve  esser  cosa  impos- 
sibile ,  ma  neppur  uno ,  e  di  non  averne  altra  idea , 
che  per  le  confutazioni  e  le  censure  che  di  molti  di  es- 
si furono  fatte .  Ma  la  cognizione  delle  loro  opere  è 
necessaria  per  i stabilire  il  punto  che  interessa  la  Chie- 
sa a  riguardo  loro ,  ed  è,  che  alla  Chiesa  non  si  posso- 
no attribuire  le  dottrine  dei  casisti:  essa  non  si  fa 
mallevadrice  delle  opinioni  dei  privati,  ne  pretende 
che  alcuno  de' suoi  figli  non  possa  errare:  questa  pre- 
tesa contradirebbe  le  predizioni  del  suo  Fondatore  di- 
vino .  Essa  non  ha  mai  proposti  i  casisti  come  norma 
di  morale  :  era  anzi  im[)0ssibile  il  farlo  ^  i)erchè  le  de- 


CAPITOLO  IV.  53 

cìsìoni  loro  devono  essere  un'ammasso  di  opinioni  so- 
vente varie  e  sovente  opposte. 

La  storia  del  Casìsmo  può  dar  luogo  a  due  osser- 
vazioni importanti.  L^una,  che  le  proposizioni  inique 
fino  alla  stravaganza,  che  sono  state  messe  fuori  da 
qualche  casista,  sono  motivate  sopra  sistemi  arhitra- 
ri  ed  indipendenti  dalla  religione .  Alcuni  fra  di  loro 
si  erano  costituiti  in  scuola  di  filosofi  moralisti  profa- 
ni, e  si  perdevano  a  consultare  e  citare  Aristotele  e 
Seneca,  dove  aveva  parlato  Gesù  Cristo.  Lo  stesso 
principio  sul  quale  sembra  che  questi  fondassero  una 
gran  parte  della  loro  autorità  (quello  della  probabili- 
tà), è  un  principio  tutto  filosofico:  essi  non  hanno 
mai ,  per  quello  che  io  sappia ,  tentato  di  provare  che 
era  tolto  dalla  rivelazione  :  sarebbero  stati  ben  impac- 
ciati a  farlo .  Questo  è  lo  spirito  che  Fleruy  osservò 
negli  scritti  di  questi:  Il  s' est  a  la  fin  trouvè  des  ca- 
suistes  qui-ont  fonde  lenr  morale  plutót  sur  le  raison- 
nement  hiimain^  que  sur  V  ecriture  et  la  tradii ìon , 
Conime  sì  Jèsus-Christ  ne  nous  avoit  pas  enseignè 
tonte  vèritè  aussi-bien  pour  les  nioeurs  que  pour  la 
foi:  comme  si  nous  en  ètions  encore  à  clierclier  avec 
les  anciens  philosophes  (i).  L^ altra  osservazione  si 
è:  che  2;li  scrittori  e  le  autorità  che  nella  Chiesa  si 
alzarono  contro  quelle  proposizioni,  opposero  ad  esse 
costantemente  le  Scritture  e  la  Tradizione.  Gli  ecces- 
si di  una  parte  dei  casisti  vennero  dunque  dall' esser- 
si essi  allontanati  dalle  norme ,  che  la  Chiesa  segue  e 
propone ,  e  a  queste  si  dovette  ricorrere  per  ricondur- 
re la  morale  ai  suoi  veri  principj . 


(i)  Maeurs  des  Chrctìcns.  \. me  par  tic ,  LXVI.  Mullitude  des  Docieurs 


CAPITOLO   V, 

SULLA   COUKJSr.)M)KN/A    DILLI  A   MOKALK   CATTOLICA 
COI   SENTIMENTI   NATURALI  RETTI. 


La  morale  (ut  nhsohiìiient  dénaturée  antre  les  maius  des 
casuistcs  ;  die  dcviiit  rtrangàre  aa  cocur  cornine  à  la 
raison:  elle  pevdit  de  vite  la  souffrance  que  chacime 
de  nos  faulcs  poia>ait  causerà  c/iielc/u  luie  dcs  créatii- 
res ,  polir  n  avoir  d' aiitres  lois  que  les  volonie's  suppo- 
sces  du  Crcatcur:  elle  repoussa  la  base  que  lui  avait 
donnée  la  nature  dans  le  cocur  de  lous  les  hommes , 
pour  s' en  former  une  tonte  arhitraìre.  pag.  l\\l\. 


ISenclìè  non  si  voglia  qui  difendere  i  casisti,  non  si 
può  a  meno  di  non  reclamare  contro  una  condanna 
che  li  comprende  tutti  ^  il  loro  numero  è  sì  grande, 
che  e  quasi  impossibile  che  non  vi  sia  stato  fra  essi 
alcuno  che  abbia  trattata  la  morale  cristiana  con  sin- 
cerità e  con  scienza  :  quegli  stessi  che  svelarono  e  con- 
dannarono le  massime  false  di  alcuni  casisti  non  man- 
carono di  fare  una  distinzione  fra  la  moltitudine ,  e  di 
render  giustizia  ai  buoni. 

Ma  siccome  la  Chiesa  è  poco  sopra  accusata  di  aver 
sostituito  lo  studio  dei  casisti  alla  filosofia  morale,  e 
siccome  il  non  tenere  al  (re  leggi  che  le  volontà  (non 
supposte  ma  rivelate)  del  Creatore  non  è  massima 
privata  dei  casisti,  ma  generale  della  Chiesa*,  così 
queste  censure  vengono  a  ricadere  sovra  di  essa .  Ad 
ogni  modo ,  io  credo  bene  di  esporre  lo  spirito  della 


CAPITOLO  V.  ^         55 

Chiesa  su  questo  particolare,  per  mostrare  che  ciò 
che  viene  da  lei  e  sapientissimo,  e  per  impedire  che 
le  si  attribuisca  ciò  che  non  è  suo.  Che  se  l'intenzio- 
ne deir  illustre  Autore  non  è  stata  di  censurare  la 
Chiesa ,  tanto  meglio  :  io  avrò  avuto  campo  di  render- 
le omaggio  senza  contradire  a  nessuno. 

La  Chiesa  non  ha  poste  le  basi  della  morale ,  ma  le 
ha  trovate  nella  parola  di  Dio.  Io  sono  il  Signore 
Dìo  tuo  (i):  questo  è  il  fondamento  e  la  ra2;ione  del- 
la legge  divina,  e  per  conseguenza  della  morale  della 
Chiesa.  //  principio  della  sapienza  è  il  timor  di 
Dio  (2) .  Ecco  le  basi  sulle  quali  sole  doveva  la  Chie- 
sa edificare. 

Ma  ciò  facendo,  ha  ella  potuto  rispingere  le  basi 
naturali  della  morale ,  cioè  i  sentimenti  retti ,  ai  qua- 
li tutti  gli  uomini  hanno  una  disposizione?  Non  mai: 
giacche  questi  sentimenti  non  ponno  mai  essere  in  con- 
tradizione colla  legge  di  Dio,  dal  quale  vengono  essi 
pure.  La  legge  non  è  anzi  fatta  che  per  confermarli, 
che  per  annunziare  all'  uomo  eh'  egli  può  e  deve  se- 
guirli ,  per  dargli  un  mezzo  con  cui  discernere  nel 
suo  cuore  ciò  che  Iddio  vi  ha  posto  e  ciò  che  il  pec- 
cato vi  ha  introdotto .  Poiché  queste  due  voci  parla- 
no in  noi  ^  e  troppo  spesso ,  tendendo  l' orecchio  inte- 
riore, l'uomo  non  ode  una  risposta  distinta  e  sicura, 
ma  il  suono  confuso  d'una  triste  contesa.  Conforma- 
re la  morale  alla  legge  divina  è  dunque  un  farla  esse- 
re conforme  al  cuor  retto  ed  alla  ragione  sana  :  e  que- 
sto ha  latto  la  Chiesa  \  ed  essa  sola  può  larlo  come 
interprete  infallibile  di  questa  legge . 

(0  £i^(;  sum  Domliiiis   Deus  tuits .  Exoii.  XX.   2. 

(■-')  liiilliini  sniìicnliiu  timor  Domiìii .  Psal.  T.X.  Ercli.  i-  if).  Prov.    1.  ■;. 
1I-h1.   IX.    ,0. 


BR         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

Perche,  a  che  giova  che  il  regolo  sia  perfetto,  se 
la  mano  trema  a  colui  che  lo  tiene?  A  che  varrehlic 
Ja  santità  della  legge,  se  l'interpretazione  ne  fosse 
al)hantIonata  al  giudizio  passionato  di  chi  deve  assog- 
gettarvisi?  Se  Dio  non  l'avesse  resa  indipendente  dal- 
le fluttuazioni  della  mente  umana,  afiidandola  a  (picl- 
Ja  Chiesa  ch'Egli  ha  promesso  di  assistere? 

Se  dunque  il  riguardo  al  dolore  degli  altri,  se  il 
dovere  di  non  contristare  una  immagine  di  Dio  ò  uno 
di  (piesti  sentimenti  stampati  da  Dio  nel  cuore  dell'uo- 
mo, la  Chiesa  non  lo  avrà  certamente  perduto  di  vi- 
sta nel  suo  insegnamento  morale,  perchè  non  lo  avrà 
perduto  di  vista  la  legge  divina.  Così  è  infatti. 

E  insegnamento  catechistico  universale,  che  i  pec- 
cati si  aggravano  in  proporzione  del  danno  che  con  es- 
si si  fa  volontariamente  al  prossimo . 

La  Chiesa  insegna  esser  peccati  una  quantità  di  a- 
zioni,  alle  quali  non  si  può  assegnare  altra  colpahiii- 
tà,  che  il  torto  che  con  esse  si  fa  altrui. 

L^intenzione  di  affliggere  un  uomo  è  sempre  un  pec- 
cato^ razione  la  più  lecita,  T esercizio  del  diritto  il 
più  incontrastahile  diventa  una  colpa,  se  sia  diretto  a 
questo  orrihile  fine. 

La  Chiesa  ha  dunque  tenuto  di  vista  questo  senti- 
mento :  essa  vi  ha  poi  aggiunta  la  sanzione ,  insegnan- 
do che  il  dolore  fatto  agli  altri  diventa  infallibilmen- 
te un  dolore  per  chi  lo  fa,  il  che  non  insegna,  nò  può 
insegnare  la  natura. 

La  Chiesa  vuole  che  i  suol  fisT;li  educhino  T  animo  a 
vincere  il  dolore ,  che  non  si  perdano  in  deboli  e  dif- 
fidenti querele:  essa  presenta  loro  un'Esemplare  divi- 
no di  fortezza  e  di  calma  sovrumana  nei  patimenti. 
Vuole  i  suoi  figli  severi  per  se,  ma  pel  dolore  dei  lo- 


CAPITOT.O  V.  5; 

ro  FratoìH  li  vuole  misericordiosi  e  delicati '^  e  per  ren- 
derli tali  essa  presenta  loro  lo  stesso  Esemplare,  (piel- 
r  Uomo-Dio  che  pianse  al  pensiero  dei  mali  che  sa- 
rebhero  piombati  snlla  città,  dov^Egli  aveva  a  soffrire 
la  morte  più  crudele  (i) .  Ah  !  non  lascia  certo  ozioso 
il  sentimento  della  commiserazione  quella  Chiesa,  che 
nella  parola  divina  di  carità  mantiene  sempre  unito  e 
per  così  dire  confuso  l' amore  di  Dio  e  degli  uomini , 
quella  Chiesa  che  manifesta  il  suo  errore  pel  sangue, 
fino  a  dichiarare ,  che  anche  quello  che  si  sparge  per  la 
difesa  della  patria  contamina  le  mani  dei  suoi  mini- 
stri, e  le  rende  indegne  di  offrire  l'Ostia  di  pace .  Tan- 
to ella  vuole  che  si  veggia  che  il  suo  è  ministero  di 
perfezione,  che  se  vi  ha  delle  circostanze  orribili,  nel- 
le quali  può  esser  lecito  all'uomo  di  combatter  l'uo- 
mo, essa  non  ha  istituiti  dei  ministri  per  far  ciò  che 
è  lecito ,  ma  ciò  che  è  santo  \  che  quando  si  creda  di 
non  poter  rimediare  ai  mali  che  con  altri  mali,  essa 
non  vuole  avervi  parte,  essa  il  cui  solo  fine  è  di  ri- 
condurre i  voleri  a  Dio ,  essa  che  rigetta  tutto  ciò  clie 
non  è  santo,  e  che  considera  tale  il  dolore  sol  quando 
è  volontario,  sol  quando  è  una  espiazione,  sol  quan- 
do è  offerto  dall'animo  che  lo  soffre. 


{\)  El    ut    appvopiiiquavit ,    vidcns   ch'i'lalcm  Jlaùt    super    illain  .    ìa\c.       « 

XIX.  4i. 


SULLA   DISTINZIONI-;   DEI   l'KWATI   MORTALI  E  VENIALI 


La  disUnclìon  dcs  pcchcs  moj'tels  fV  avcc  Ics  pcchcs  ve- 
jiicls  cfjaca  celle  quc  nous  tvouvions  daiis  notre  con- 
osci enee  enti 'e  les  o/fcjises  plus  graves  et  plus  pardon- 
mdÀes .  Oli  j  vit  rfuif^cr  les  iins  h  coté  dcs  autres  les 
crtines  qui  inspireut  la  plus  profonde  liori'eur,  avec  les 
fautes  que  notre  jcdhlesse  peut  a  peine  éviter.  Pag.  l\\f\. 


Jrer  questa  osservazione  vaglia  la  protesta  premessa 
air  antecedente. 

Sembra,  che  P illustre  Aiilore  ammetta  colla  Chie- 
sa cattolica  la  distinzione  dei  peccati  in  mortali  e  ve- 
niali di  loro  natura,  poiché  divide  le  oirese  in  ])iii  gra- 
vi, e  in  più  perdonahill,  riponendone  la  distinzione 
nella  coscienza.  Si  può  quliKÌi  credere,  che  la  censu- 
ra non  cada  che  sull" applicazione  della  massima,  cioè 
sulla  classificazione  concreta  dei  peccati .  Su  di  che  mi 
io  lecito  di  osservare,  che  la  nostra  coscienza,  desti- 
tuta  della  rivelazione,  non  può  mai  essere  una  auto- 
rità a  cui  ricorrere  per  riformare  in  ciò  il  giudìzio 
non  solo  dalla  Cliicsa,  ma  qualunipie  giudizio:  non 
sarebbe  che  appellare  da  una  coscienza  ad  un'  altra . 

All'udire,  che  la  distinzione  dei  peccati  mortali  dai 
veniali ,  cancellò  quella  che  noi  trovaviamo  nella  no- 
stra coscienza  tra  le  oiìesc;  più  gravi  e  le  più  condo- 
nabili, pairebbc,    che  allorquando  la  Chiesa  insegnò 


CAPITOLO  VI.  5j) 

qiìcsla  ilislinzione,  ne  al)ì)ia  trovata  nelle  menti  (U'Li;tì 
tiomini  un  anteriore,  precisa  e  unanimemente  rice- 
vuta, e  che  a  questa  ella  abbia  sostituita  la  sua.  Ma 
il  fatto  sta,  che  la  voce  della  coscienza  era  (come 
abbiamo  spesse  volte  ripetuto)  varia  secondo  i  luo- 
ghi i  tempi  e  gì"  individui ,  che  ad  alcuni  faceva  sem- 
brare c;rave  ciò  che  per  altri  era  colpa  leggiera,  o 
non  colpa,  o  virtù*,  che  alcuni  perhno  (e  non  erano  i 
meno  pensatori)  tenevano  che  tutte  le  colpe  fossero 
pari  5  e  per  conseguenza  non  solo  non  trovavano  cpie- 
sta  distinzione  nella  loro  coscienza ,  ma  la  stimavano 
una  chimera.  La  Chiesa  istituita  per  illuminare  e  per 
regolare  la  coscienza,  la  Chiesa  fondata  appunto  per- 
chè cpiesla  non  era  nò  retta  nò  unanime  nò  infalli- 
bile ,  non  può  esser  citata  al  suo  tribunale . 

Quale  doveva  dunque  essere  per  la  Chiesa  il  crite- 
rio a  giudicare  della  gravità  delle  colpe  ?  Certo  la  pa- 
rola di  Dio. 

Uno  degli  uomini  che  hanno  più  meditato  e  scritto 
sulle  idee  morali,  Sant'Agostino,  aveva  già  osserva- 
lo, che  alcune  cose  si  crederebbero  leggerissime  ^  se 
nelle  Scritture  non  fossero  dicìdarate  pili  giravi  che 
non  sembra  a  noi:  e  da  ciò  appunto  egli  aveva  de- 
dotto che:  col  giudizio  divino^  e  non  colV umano  si 
deve  decidere  della  gravitii  delle  colpe  (i).  Non 
prendiamo^  die' egli  altrove,  non  prendiamo  bdance 
fallaci  a  pesare  quel  che  voij^liamo  j  e  come  l'O filia- 
mo ^  dicendo  a  nostro  capriccio.^  rpceslo  è  grave ^ 
questo  è  leggero  :  ina  prendiamo  la  bilancia  divina 

(i)  Sunt  auteni  qiifedam  (fuce  levissinia  piitnreutw ,  Jiisi  in  Scripturis 
dcmonslravcnliiv  opiiiioue  ^minora.  S.  Aiifj;nst.  Eiicliincl.  tic  Fide  eie.  r. 
7<).  (ìiiw  sint  aulciii  Un'in,  qua,'  grcwia  jx'ccdtn ,  non  Inunanu ,  sed  diinnu 
iimt  pcnsunda  jndicio  .   Ibid    e.    7^^. 


6o        SL^Ll.A  MORALE  CATTOLICA 

delle  Scritture ,  e  pesiamo  in  essa  ciò  che  è  cnljìa 
i^ravc^  o  per  dir  meglio^  riconosciamo  il  peso  die 
Dio  Ita  dato  a  ciascuna  (i).  Poiché  il  vero  appello 
è  dalla  coscienza  alla  rivelazione,  cioè  dall'incerto  al 
certo,  dallo  errante  e  dal  tentato  all'incorruttibile  ed 
al  santo . 

Che  se  con  qnesta  coscienza,  riformata  ed  illumi- 
nata dalla  rivelazione ,  osserviamo  (piello  che  la  Chie- 
sa ne  insei>;na  sulla  gravità  delle  colpe,  non  troveremo 
che  da  ammirare  la  sapienza  della  Chiesa  e  la  sua 
fedeltà  alla  parola  divina,  della  (piale  è  interprete  e 
depositaria.  Noi  vedremo,  che  (pielle  cose  che  essa 
ascrive  a  peccato  grave,  vengono  tutte  da  disposizio- 
ni delP  animo,  contrarie  direttamente  al  sentimento 
predominante  di  amore  e  di  adorazione  che  dobbiamo 
a  Dio,  o  allo  amore  che  dobbiamo  agli  nomini  tutti, 
nostri  fratelli  di  creazione  e  di  riscatto  :  vedremo ,  che 
la  Cliiesa  non  ha  posto  fra  le  colpe  gravi  nessun  sen- 
timento, che  non  venga  da  nn  cuore  superbo  e  cor- 
rotto, che  non  sia  incompatibile  colla  giustizia  cristia- 
na, nessuna  disposizione  che  non  sia  bassa,  carnale, 
o  violenta,  che  non  tenda  ad  avvilire  l'uomo,  a  stor- 
narlo dal  suo  nobile  fine ,  e  a  cancellare  dalla  sua  ani- 
ma i  tratti  divini  della  somiglianza  col  Creatore^  e 
sopra  tutto  nessuna  disposizione ,  per  la  quale  non  sia 
espressamente  intimata  nelle  Scritture  T esclusione  dal 
regno  de' cicli.  Ma  spcciticando  queste  disposizioni, 


(i)  TVbn  affemmus  statcrm;  Aolnxnx ,  uhi  nppntfJamus  qiiod  vnhimus,  et 
quoinodo  volumtis,  prò  arbitrio  nostro  dlcenlcs  ,  hoc  grm^e ,  hoc  h'i'C  est: 
scd  afferamii.';  divinavi  stateram  de  scriptiiris  sanctis ,  tamquani  de  thesa- 
ris  doininicis,  et  in  illa  quid  sit  prai'iiis  nppendamits ,  immo  non  nppen- 
damus ,  sed  a  Domino  appensa  recognoscamus  .  S.  Aug.  de  BapUsmo  cou- 
tra  Donatistas .  Lib.  II.  y. 


CAPITOLO  VI.  61 

la  Chiesa  lia  ben  ili  rado  enumerati  gli  alti,  in  cui  si 
trovino  al  punto  di  rendersi  colpe  gravi.  Ella  sa  ed 
insegna,  che  Dio  solo  vede  a  qual  segno  il  cuore  de- 
gli uomini  si  allontani  da  Lui;,  e  fuorché  nei  casi,  in 
cui  r  azione  esterna  è  una  espressione  manifesta  di 
(juesta  disposizione ,  essa  non  ha  che  a  ripetere  :  Chi 
è  che  conosca  i  delitlì  (  1  )  ? 

Oltre  le  disposizioni,  vi  ha  delle  azioni,  per  le  qua- 
W  nelle  Scritture  è  pronunziata  la  morte  eterna:  sulla 
gravità  di  queste  non  può  cader  controversia. 

Oltre  di  queste  pure,  la  Chiesa  ha  dichiarate  colpe 
gravi  alcune  inohhedienze  alle  leggi  disella  ha  stahih- 
te  colla  autorità  datale  da  Gesù  Cristo.  ]Non  vi  ha 
alcuna  di  queste  prescrizioni,  che  tema  l' osservazio- 
ne di  un  intelletto  cristiano,  spassionato  e  serio,  al- 
cuna che  non  sia,  in  un  modo  manifesto  e  diretto^ 
conducente  air  adempimento  della  legge  divina.  JNon 
sarà  qui  fuori  del  caso  il  discuterne  una  hrevemente. 

E  peccato  mortale  il  non  assistere  alla  Messa  in 
giorno  festivo.  ^ 

Chi  non  sa  che  la  sola  enunciazione  di  questo  pre- 
cetto eccita  le  risa  di  molti?  Ma  guai  a  noi  se  voles- 
simo abbandonare  tutto  ciò  che  ha  jiotuto  essere  so«;- 
getto  di  derisione:  quaPò  Pidea  seria,  quale  il  nobi- 
le sentimento  che  abbia  potuto  sfuggirla?  ÌNella  opi- 
nione di  molti  non  può  essere  colpa  se^hon  Fazione 
che  tenda  direttamente  al  male  temporale  degli  uo- 
mini: ma  la  Chiesa  non  ha  stabilite  le  ?,\\ìì  letitil  se- 
condo  questa  opuiione  sonnnamente  frivola  ed  im- 
provida  :  la  Chiesa  insegna  altri  doveri  ^  e  quando 
essa  regola  le  sue  prescrizioni   secondo   tutta  la  sua 

(1)  DcIilLu  ijiiis   iiUclli^itP  Piai.  XVin.    Ili. 


62         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

(loUrliia  5  bisoji^na  prima  confessare  eh'  dia  è  conse- 
j»;iiente^  e  se  le  prescrizioni  non  semì)rano  ragionevo- 
li, bisogna  provare  die  tutta  la  sua  dottrina  è  falsa  :^ 
non  giudicare  la  Chiesa  con  uno  spirito  che  non  è  il 
suo,  e  che  essa  ri[)rova. 

E  notissimo  che  la  Chiesa  non  ripone  1'  adempi- 
mento del  precetto  nella  materiale  assistenza  dei  fe- 
deli al  Sacrificio,  ma  nella  volontà  di  assistere:  essa 
ne  dichiara  disobbligati  gli  infermi,  e  quelli  che  sono 
trattenuti  da  una  occupazione  necessaria^  e  ritiene 
trasgressori  (pielli  che  presenti  colla  persona,  ne  stan- 
no lontani  col  cuore  :  tanto  è  vero  che  anche  nelle  co- 
se più  essenziali  essa  vuole  princij)almente  il  cuore  dei 
fedeli.  Ciò  posto,  vediamo  quali  disposizioni  certe 
supponga  la  trasgressione  di  questo  precetto. 

La  santificazione  dui  giorno  del  Signore  è  uno  di 
<piei  comandamenti  che  il  Signore  stesso  ha  dati  al- 
l' uomo .  Certo  nessun  comandamento  divino  ha  biso- 
gno di  apologia^  ma  non  si  può  a  meno  di  non  vede- 
re la  bellezza  e  la  convenienza  di  questo,  che  consa- 
cra specialmente  un  giorno  al  dovere  il  piìi  nobile  e 
il  j)iìi  stretto,  che  richiama  l'uomo  al  suo  Creature. 

il  povero  curvato  verso  la  terra,  depresso  dalla  fa- 
tica e  incerto  se  questa  gli  produrrà  il  sostentanicn- 
to,  forzato  talvolta  a  misurare  col  lavoro  un  tempo 
die  s;li  manca;,  il  ricco  sollecito  per  lo  più  del  mudo 
di  passarlo  senza  avvedersene,  circondato  da  quelle 
cose  in  cui  il  mondo  predica  essere  la  felicità,  e  stu- 
pito ad  ogni  momento  di  non  trovarsi  felice,  disin- 
gannato degli  oggetti  da  cui  sperava  un  pieno  conten- 
to, ed  ansioso  dietro  altri  oggetti  dei  quali  si  disin- 
gannerà quando  gli  abbia  posseduti:  f  uomo  prostrato 
dalla  sventura,  e  l'uomo  inebriato  da  un  prospero 


CAPITOLO  VI.  63 

successo  5  r  uomo  immerso  nei  diletti ,  e  l' uomo  assor- 
to nelle  astrazioni  delle  scienze,  il  potente,  il  priva- 
to, tutti  insomma  troviamo  in  ogni  oggetto  un'osta- 
colo a  sollevarci  alla  Divinità,  una  forza  che  tende  ad 
attaccarci  a  cpielle  cose  per  cui  non  siamo  creati,  a 
farci  dimenticare  la  nobiltà  della  nostra  origine  e  la 
importanza  del  nostro  line .  E  appare  manifesta  la  sa- 
pienza divina  in  quel  precetto  che  ci  toglie  alle  cure 
mortali  per  richiamarci  al  culto  ed  alla  contemplazio- 
ne delle  celesti,  che  impiega  tanti  giorni  delPuomo 
indotto  in  una  scuola  della  più  sublime  fdosofia,  che 
santifica  il  riposo  del  corpo  e  lo  rende  figura  di  tpiel 
riposo  di  eterno  contento,  a  cui  aneliamo,  e  di  cui  Ta- 
nima  nostra  sente  di  esser  capace^  in  quel  precetto  che 
ci  riunisce  in  un  tempio,  dove  le  comuni  preghiere, 
ricordandoci  le  comuni  miserie  e  i  comuni  bisogni ,  ci 
fanno  sentire  che  siamo  fratelli .  La  Chiesa ,  conserva- 
trice perpetua  di  questo  precetto,  prescrive  ai  suoi 
iigli  il  modo  di  eseguirlo  più  egualmente  e  più  costan- 
temente .  E  fra  i  mezzi  ch'ella  sceglie,  poteva  mai  di- 
menticare il  rito  più  necessario,  il  più  essenzialmente 
cristiano,  il  Sacrilicio  di  Gesù  Cristo,  quel  Sacrilicio 
dove  sta  tutta  la  fede,  tutta  la  scienza,  tutte  le  nor- 
me, tutte  le  speranze?  Il  Cristiano  che  volontariamen- 
te si  astiene  in  un  tal  giorno  da  un  tal  Sacrifìcio ,  [mò 
mai  essere  un  i^iusto  die  viva  della  fede  (i)?  l>uò  e- 
gli  mostrare  più  [)alescmente  la  non  curanza  *\yi\  pre- 
cetto divino  della  santificazione?  non  ha  egli  eviden- 
temente nel  cuore  un'  avversione  al  eristianesimo  , 
non  ha  rinunziato  a  ciò  che  la  fede  offre  (h  più  gran- 
de di  più  sacro  e  di  più  consolante^  non  ha  rimmzia- 

(i)  Juslits  aulcin  ex  Jide  vivit .  P.uil.   .id  Kom     i.    17.   e  :iltiOVf 


64         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

io  a  Gesù  Cristo?  Pretendere  clie  la  Clilcsa  non  di- 
rliiari  prevaricatore  ch'i  si  trova  in  tali  disposizioni, 
sarebbe  nn  volere  ch'ella  dimenticasse  il  iine  per  coi 
è  istituita,  disella  ci  lasciasse  ricadere  nell'aria  mor- 
tale del  2;entilcsimo. 


CAPITOLO  Vii. 

DEGLI    ODJ    P.ELKilOSI. 


hes  casuistes  présentérent  a  V  exécralion  (ics  honimes ,  mi 
premier  rang  entre  les  plus  coupables  y  Ics  hérétiques ,  Ics 
schismatiques  y  les  hlasphémateurs .  Quelcfue  fois  ils  reiis- 
sirent  a  allumer  contve  eux  la  haine  la  plus  violente  , . . 
Pag.  4 14. 


\l4ert0  vi  ha  poche  cose  che  tanto  corrompano  un  po- 
polo, quanto  T  ahituclhie  dell' odio:  così  non  fosse 
questo  sentimento  fomentato  perpetuamente  da  quasi 
tutto  ciò  che  influisce  sulle  menti  e  sugli  animi  !  L'in- 
teresse l'opinione  i  pregiudizj  le  verità  stesse,  tut- 
to diventa  agli  uomini  una  opportunità  per  odiarsi 
a  vicenda:  appena  si  trova  alcuno  che  non  porti  nel 
cuore  l'avversione  e  il  disprezzo  per  classi  intere  di 
suoi  fratelli  :  appena  può  accadere  ad  alcuno  una  sven- 
tura, che  non  sia  cagione  di  gioja  per  molti ^  e  spesso 
non  per  alcun  utile  che  ad  essi  ne  venga,  ma  per  un 
interesse  ancor  più  hasso,  quello  dell'odio.  Confesso 
di  veder  con  maraviglia  posti  fra  i  pervertitori  di  una 
nazione  in  questo  senso  i  casisti,  che  finora  non  ho 
intesi  a  censurar  d'altro,  che  di  voler  giustilicarc 
quasi  ogni  opera  ed  ogni  persona,  che  d'insegnare  a 
non  odiare  nemmeno  il  vizio . 

Ma  sieno  i  casisti,  o  sia  qM.ihinqiie  si  voglia  chi  i- 
spira   agli  uomini  odio   contro  i  loro  fratelli  ,    li  hi 

Manzoni  5 


66         SULLA  MORALE  CATl OLICA 

essere  omicidi  (i),  va  direttamente  contro  il  secon- 
do precetto^  che  è  simile  (d  primo ^  che  non  ne  ha 
alcun  altro  sopra  di  se  (2),  va  direttamente  contro 
l'insegnamento  perpetuo  della  Chiesa,  che  non  ha  mai 
lasciato  di  predicare  che  il  segno  di  vita  è  l'amare  i 
fratelli  (3) . 

Sia  però  lecito  di  osservare  che  fra  le  cagioni  che 
ponno  aver  cangiato  il  carattere  degli  Italiani,  chie- 
sta ,  se  esiste ,  deve  aver  certamente  operato  assai 
poco^  giacché  non  v  ha  forse  nazione  cristiana  dove  i 
sentimenti  d" antipatia  col  pretesto  di  religiona  abbia- 
no avuto  meno  occasione  di  nascere  e  d' influire  sulla 
condotta  degli  uomini.  In  verità,  riguardando  a  que- 
sta parte  della  storia,  noi  troviamo  piuttosto  da  pian- 
gere su  quella  Francia  e  su  quella  Germania  che  ci 
vengono  opposte .  Ah  !  fra  gli  orribili  rancori  che 
hanno  diviso  l'Italiano  dall' italiano,  questo  almeno 
non  si  conosce:  le  passioni  che  ci  hanno  resi  nemici 
non  hanno  almeno  potuto  nascondersi  dietro  il  acIo 
del  santuario.  Pur  troppo  noi  troviamo  ad  ogni  passo 
dei  nostri  annali  le  inimicizie  trasmesse  da  una  o;ene- 
razione  all'altra  per  miserabili  interessi,  e  la  vendet- 
ta anteposta  alla  sicurezza  propria  5  vi  troviamo  ad  o- 
gni  passo  due  parti  di  una  nazione  disputarsi  accani- 
tamente un  dominio  e  dei  vantaggi,  i  quali,  per  un 
grande  esempio,  non  sono  rimasti  ne  all'una  né  al- 
l'altra;,  vi  troviamo  la  feroce  ostinazione  di  volere  a 
schiavi  pericolosi  quelli,  che  potevano  essere  amici  ar- 


(1)  Omnis  qui  odit  frali-cm  siitan  omicida  est.  Jo.    Epist.   I.   III.    i5. 

(2)  Seciuidiun  aiitem  (niandatuni)  simile  est  illi  :  Dili'ges  proximum  tuum 
tamqiiam  ieipsum.  3Iajus  liorum  aliud  maiidatum  non  est.   Matth.  XIII.  3i. 

(3)  Kos  scimus  quia  tvanslati  sumus  de  morte  ad  vitam  quoniam  dili- 
gimus  fratres .  Joan.  Epist.  I.  III.    i.|. 


CAPITOLO  VII.  f^-j 

denti  e  fedeli  5  vi  troviamo  una  serie  spaventosa  di 
giornate  deplorabili,  ma  nessuna  almeno  simile  a  quel- 
le di  Cappel  (1),  e  di  Jarnae  (2),  e  di  Praga  (3). 
Pur  troppo  da  questa  terra  infelice  sorgerà  un  giorno 
o;ran  sangue  in  giudizio '^  ma  del  versato  col  pretesto 
della  religione  assai  poco.  Poco  dico,  in  confronto  di 
quello  che  lordò  le  altre  parti  d'Europa;,  i  furori  e 
le  sventure  delle  altre  nazioni  ci  danno  questo  tristo 
vantaggio  di  chiamar  poco  quel  sangue:  ma  il  sangue 
d^un  uomo  solo  sparso  per  mano  del  suo  fratello  è 
troppo  per  tutti  i  secoli  e  per  tutta  la  terra. 

r\on  si  può  a  meno  a  €[uesta  occasione  di  non  riflet- 
tere all'  in2:iustizia  commessa  da  tanti  scrittori  nel- 
r attribuire  ai  cattolici  soli  questi  orribili  sentimenti 
di  odio  religioso  e  i  loro  effetti  :  ingiustizia  che  ap- 
pare a  chiunque  scorra  appena  le  storie  di  queste  dis- 
sensioni .  Ma  questa  parzialità  j)uò  essere  utile  alla 
Chiesa:  il  arido  di  orrore  che  i  secoli  alzano  contro 
di  quelle,  essendo  principalmente  rivolto  sopra  i  cat- 
tolici, essi  devono  averlo  sempre  negli  orecchi;,  e  sa- 
ranno richiamati  alla  mansuetudine  ed  alla  giustizia 
non  solo  dalla  voce  della  Chiesa,  ma  anche  da  quella 
del  mondo. 

Io  so  che  da  molti  è  stato  detto,  che  queste  avver- 
sioni e  queste  stragi,  benché  abborrite  dalla  Chiesa, 
le  ponno  essere  imputate,  perchè  insegnando  essa  a 
detestare  Terrore,  dispone  l'animo  dei  cattolici  ad  e- 
stenderc  questo  sentimento  agli  uomini  che  lo  pro- 
fessano . 

A  ciò  si  potrebbe  rispondere ,  che  non  solo  ogni  re- 

(1)  ."il   Ottobre   i53i. 

(2)  if)   Mai/.n    1  !>()"). 

(3)  8  Jiovcinbic   i().20.  > 


68         SLLJ.A  MORAl.E  CATTOLICA 

lliilonc,  ma  op;ni  filosofia  inscc^na  a  detestare  gli  er- 
rori conh'o  i  doveri  essenziali  dell'uomo.,  che  non  v'è 
setta  cristiana  che  non  riteniia  detestabile  ocrni  errore 
contro  i  fondamenti  del  Cristianesimo.  Ma  ])er  glnsti- 
iìcare  la  Chiesa  non  e  mai  necessario  ricorrere  ad  e- 
sempi ^  hasta  esaminare  le  sue  massime.  E  dottrina 
])er{)etna  della  Chiesa  che  si  debba  detestare  gli  erro- 
ri ed  amare  gli  erranti.  V^è  contradizione  fra  questi 
iltie  precetti?  nessuno  vorrà  affermarlo.  —  Ma  è  dif- 
ficile il  fare  la  distinzione  fra  l'errore  e  la  persona,  e 
detestar  quello,  e  nutrire  per  questa  i  sensi  d'un  a- 
iiiore  non  apparente  soltanto,  ma  vero  ed  opero- 
so (i).  —  E  difficile!  ma  quale  e  la  giustizia  facile 
all'uomo  corrotto?  ma  donde  questa  dillicoltà  di  con- 
ciliare due  precetti,  se  sono  giusti  entrambi?  E  cosa 
giusta  che  si  detesti  l'errore?  Sì  certamente,  e  non 
v'abbisognano  prove.  E  cosa  giusta  amare  gli  erran- 
ti? Sì  certamente,  e  per  le  ragioni  stesse  per  cui  è 
giusto  di  amar  tutti  gii  uomini:  perchè  Dio  da  cui  te- 
niamo tutto,  da  cui  speriamo  tutto,  Dio  a  cui  dob- 
biamo tutto  dirigere,  ^U  ha  amati  fino  a  dare  per 
essi  il  suo  Uni  frenilo  (2)  j  perchè  è  cosa  orril)ile  il 
non  amare  quelli  che  Dio  ha  predestinati  alla  sua  glo- 
ria, ed  è  giiuhzio  della  più  rea  e  stolta  temerità  l'af- 
fermare d'alcun  uomo  vivente  che  non  lo  sia,  ardire 
escluderne  un  solo  dalla  speranza  nelle  ricchezze  delle 
misericordie  di  Dio .  I  testimoni  che  stavano  per  lan- 
ciare le  prime  pietre  sopra  Stefano,  deposero  le  loro 
vesti  appiedi  di  un  giovinetto:  egli  non  si  ritirò  inor- 


(i)  Filiolì  mei,  non  diligamus  verbo,  neque  lingua,  sed  opere  et  ve- 
ntate. Jo.  Epist.  I.  III.   18. 

(2)  Sic  enini  Deus  dilexit  miinduin ,  ut  filiuni  suuiii  unigenituni  darei. 
Jo.  III.   16. 


CAPITOLO  VII.  69 

rklilo,  ma  consentendo  alla  strage  di  quel  giusto,  ri- 
mase a  custodirle  (1).  Se  un  cristiano  avesse  allora 
accolto  nel  suo  cuore  un  sentimento  di  odio  per  quel 
giovinetto ,  la  cui  perversità  precoce  poteva  parere  un 
segno  cosi  manifesto  di  riprovazione  ^  se  avesse  mor- 
morata la  maledizione  che  sembra  così  giusta  in  boc- 
ca degli  oppressi ,  ah  !  quel  cristiano  avrebbe  maledet- 
to il  Vaso  di  elezione  (2) .  Donde  adunque  la  difficol- 
tà nel  conciliare  questi  precetti,  se  non  dalla  nostra 
corruttela,  da  cui  vengono  tutte  le  guerre  fra  i  do- 
veri? E  questa  difficoltà  è  appunto  il  trionfo  della 
morale  cattolica:  poiché  essa  sola  può  vincerla:  es- 
sa sola  prescrivendo  colla  sua  piena  autorità  tutte 
le  cose  e;luste,  non  lascia  dubbioso  su  di  alcun  dovere, 
e  per  troncare  la  serie  di  quelle  induzioni  colle  qua- 
li si  arriva  a  sagriìicare  un  principio  ad  un  altro 
principio ,  li  consacra  tutti ,  e  li  mette  fuori  della 
discussione.  Nessun  cattolico  di  buona  fede  può  mai 
credere  di  avere  una  l)uona  ragione  per  odiare  il 
suo  fratello:  il  Legislatore  divino,  ch'egli  si  vanta 
di  seguire,  sapeva  certo  che  vi  sarebbero  stati  dc- 
2;li  uomini  ingiusti  e  provocatori,  e  degli  uomini  ne- 
mici della  Fede*,  e  nuUadimeno  non  ha  avuto  altro 
da  dirgli  su  questo  proposito  se  non  :  tu  amerai  il  tuo 
prossimo  come  te  stesso . 

E  uno  dei  più  grandi  caratteri  della  morale  cattoli- 
ca, e  dei  più  grandi  vantaggi  della  sua  autorità  il 
prevenire  tutti  i  solismi  delle  passioni  con  un  precet- 
to, con  una  dichiarazione.  Così  quando  si  disputava 


(1)  Te.stes  deposuevìint  vestinienta  sua  seciis  pcdes  adolesccntif; ,  qin  vo- 

cabatur  Saulus Suulus  aitlem  erat  conseiUicns  ned  ejtis  .  Act.  Apost. 

VII.   57.   59. 

(j)   p^as  cleclionis  osi  mihi  iste.  Ibitl.   IX.    i3. 


70         SULLA  MOIIALE  CATTOLICA 

per  sa[)cre  se  uomini  di  colore  diverso  dalF  Europeo 
dovessero  essere  considerati  come  uomini,  la  Chiesa 
versando  s«dla  loro  fronte  l'acqua  rigeneratrice  aveva 
imposto  silenzio,  per  ([uanto  era  in  lei,  a  queste  di- 
scussioni vergognose ,  li  dichiarava  fratelli  di  Gesù 
Cristo  e  chiamati  a  parte  della  sua  eredità. 

Di  più,  la  morale  cattolica  rimove  le  cagioni  che 
rendono  diflicile  T adempimento  di  questi  due  doveri, 
odio  all'errore,  amore  agli  uomini,  proscrivendo  la 
superbia,  l'altaccamento  alle  cose  della  terra,  e  tutto 
ciò  che  strascina  a  rompere  la  carità .  E  ci  fornisce  i 
mezzi  per  essere  fedeli  ad  entrambi,  e  questi  mezzi 
sono  tutte  quelle  cose  che  portano  la  mente  alla  co- 
iinizlone  della  giustizia  ed  il  cuore  all'amore  di  essa: 
la  meditazione  sui  doveri,  la  preghiera,  i  sacramenti, 
la  diiFidenza  di  noi  stessi,  la  confidenza  in  Dio.  Ij'uo- 
mo  educato  sinceramente  a  questa  scuola  eleva  la  sua 
benevolenza  in  una  sfera  dove  non  arrivano  i  contra- 
sti gl'interessi  le  ob!)iezioni:^  e  questa  perfezione  ri- 
ccA^e  anche  nel  tempo  una  grande  ricompensa.  A  tut- 
te le  vittorie  morali  succede  una  calma  consolatrice', 
e  amare  in  Dio  quelli  che  si  odierebbero  secondo  il 
mondo,  è  nell'anima,  nata  ad  amare,  un  sentimento 
d' inesprimibile  giocondità . 

Vi  ebbe  però  uno  scrittore,  e  non  volgare  certa- 
mente, il  quale  pretese,  che  conciliare  la  guerra  al- 
l'errore e  la  pace  cogli  uomini,  sìa  impresa  non  diili- 
cile,  ma  impossibile  .  La  distìnction  entre  la  tolèran^ 
ce  civile  et  la  tolèrance  tlièologir/ue  ^  est  puerile  et 
vaine.  Ces  cleiix  folèrances  sont  inseparahles ^  et 
V  on  ne  peut  admettre  V  une  sans  Vanire ,  Des  anges 
méme^  ne  vivraient  pas  en  paix  avec  des  hommes 


CAPITOLO  VII.  7, 

quils  regajxleraient  cornine  les  ennemìs  de  Dieu(^\^, 
Quali  conseguenze  da  questo  principio  !  I  primi  cri- 
stiani non  dovevano  dunrpie  credere,  che  adorare  gli 
idoli,  e  sconoscer  Dio  gli  rendesse  1'  uomo  nimico  . 
Hanno  dunque  avuto  il  torlo  a  co'mhattere  il  gentile- 
simo, perchè  è  impresa  almeno  imprudente  e  pazza  il 
predicare  contro  una  religione  che  non  rende  nemici 
di  Dio  quelli  che  la  professano.  E  quando  San  Paolo 
per  accrescere  la  riconoscenza  e  la  fiducia  dei  fedeli, 
ricordava  la  misericordia  usata  loro  da  Dio,  nel  tem- 
po che  erano  suoi  nemici  (2),  egli  proponeva  loro 
una  idea  iiilsa  e  antisociale. 

Vivere  in  pace  con  uomini  che  si  hanno  per  nemici 
di  Dio,  non  sarà  possihile  a  quelli  che  credono  che 
Dio  stesso  lo  comanda  loro,  che  non  sanno  se  sieno 
essi  stessi  degni  di  amore  e  di  odio  (3),  e  che  sanno 
di  certo  che  diverrebhero  nemici  di  Dio  rompendo  la 
pace?  a  quelli  che  pensano  che  un  giorno  si  chiede- 
rebbe loro,  se  la  fede  era  loro  stata  data  per  dispen- 
sarli dalla  carità,  e  con  che  diritto  aspettano  la  mi- 
sericordia ,  se  per  quanto  era  in  loro  l' hanno  negata 
agli  altri?  a  quelli  che  devono  riconoscere  nella  fede 
un  dono ,  e  tremare  dell  uso  che  ne  fanno  ? 

Queste  ed  altre  ragioni  si  sarebbero  potute  addurre 
a  chi  avesse  fatta  questa  obbiezione  al  Cristianesimo 
quando  esso  apparve  :  ma  ai  tempi  di  Rousseau  questa 
obbiezione  diventa  inconcepibile,  poiché  impugna  la 
possibilità  di  un  fatto,  di  cui  la  storia  del  Cristiane- 
simo è  una  luniTfa  e  non  interotta  testimonianza. 

(i)  Emile  Liv.  IV.   Not.   4o. 

(a)  Sì  eiiim,  cimi  iiumici  essemus ,  reconciliati  sunuis  Dea  per  morteni 
Fila  ejus  :  multo  vki^ìs  reconciliali  salvi  eruinis  in  vita  ipsiits  •  Ad 
Rom.  V.   10. 

(3)  Nescil  fiomo,  ulrum  amore  an  odio  digrius  sii.   Eccl.   IX.   I. 


72         SILLA  MORALE  CATTOLICA 

Quc[i;li  che  ne  clicdc  il  primo  esemplo ,  era  certo  al 
(li  so[)i'a  degli  Angeli,  ma  era  anche  uomo-,  ma  nei 
(lisenni  tlclla  sna  misericordia  esili  volle  che  la  sua 
condotta  fosse  un  modello  che  ognuno  de' suoi  seguaci 
potesse  imitare:  il  lledentore  prega  morendo  pei  suoi 
uccisori.  Quella  generazione  durava  ancora,  quando 
Stefano  entrò  il  primo  nella  carriera  di  sangue  che 
r Uomo-Dio  aveva  aperta.  Stefano  che  con  sapienza 
divina  cerca  d'  illuminare  i  giudici  ed  il  popolo,  e  di 
richiamarli  ad  un  pentimento  salutare,  quando  poi  è 
oppresso,  quando  sta  per  compirsi  sulla  terra  l'alto 
sanguinoso  della  sua  testimonianza,  dopo  d'aver  rac- 
comandato il  suo  spirito  al  Signore,  non  si  ricorda  di 
quelli  che  T uccidono,  che  per  dire:  Signore ^  non  ini- 
imtar  loro  questa  cosa  a  peccato .  E  detto  c/uesto  sì 
addormentb  nel  Signore  (^i). 

Tale  fu  per  tutti  quei  secoli,  in  cui  gli  uomini  per- 
sistettero nella  incomprensihiìe  perversità  di  venerare 
gl'idoli  fatti  da  loro,  e  di  far  morire  i  giusti,  tale  fu 
sempre  la  condotta  dei  cristiani:  la  pace  orrihile  del 
gentilesimo  non  fu  mai  disturhata,  nemmeno  dai  loro 
gemiti.  Che  si  può  fare  di  più  per  conservarla  cogli 
uomini,  che  amarli  e  morire?  Convien  dire  che  que- 
sta dottrina  sia  heo  concorde  con  se  stessa,  e  ben 
chiara  agii  intelletti  cristiani,  poiché  i  fanciulli  stessi 
la  trovavano  intelligibile:  fedeli  agli  ammaestramenti 
delle  lor  madri,  i  fanciulli  sorridevano  ai  carnetici^ 
quelli  che  sorgevano,  imitavano  quelli  che  erano  ca- 
duti dinanzi  a  loro,  primizie  dei  santi,  fiori  rinascen- 
ti sotto  la  falce  del  mietitore. 


(i)  Domine,  ne  statuas    illis    ìioc  peccatum .  Et  ciim  ìioc  dixisset ,  ch- 
lìcrmivit  in  Domino.  Act.  Apost.  VII.   Sg. 


CAPITOLO  VII.  75 

Ma  ia  storia  del  Cristianesimo  non  ha  forse  esempi 
di  odj  e  di  gnerre?  JXe  ha  pur  troppo:  ma  bisogna 
chieder  conto  ad  nna  dottrina  delle  consei^nenze  lemt- 
tìme  clic  si  cavano  da  essa,  e  non  di  qnelle  che  le 
passioni  ne  possono  dednrre.  Qnesto  principio,  vero 
in  tntti  i  tempi,  si  pnò  ai  nostri  giorni  ripeterlo  con 
maaciore  fiducia  di  essere  ascoltati,  dacché  molti  di 
quelli  che  lo  i:ontrastavano  alla  religione,  sono  stati 
costretti  ad  invocarlo  per  altre  dottrine.  La  memo- 
rabile epoca  storica,  nella  quale  ci  troviamo  tutta- 
via ,  si  distingue  pel  ritrovamento ,  per  la  diiTusione , 
e  per  la  ricapitolazione  di  alcuni  principi  politici,  e 
per  la  tendenza  che  è  stata  spiegata  a  metterli  in  ese- 
cuzione :  all'  occasione  di  questi  princìpi  •>  sono  acca- 
duti gravissimi  mali:  i  nemici  dei  principi  pretendo- 
no che  i  mali  si  debbano  imputare  ad  essi,  e  che  que- 
sti sieno  per  conseguenza  da  abbandonarsi.  Al  che  i 
sostenitori  di  essi  vanno  rispondendo,  che  è  assurdo 
ed  ingiusto  proscrivere  le  verità  per  l'abuso  che  gli 
uomini  ne  hanno  potuto  fare^  che  lasciando  di  pro- 
mulgarle e  di  stabilirle,  non  si  leveranno  per  questo 
dal  mondo  le  passioni^  che  mantenendo  gli  uomini  in 
errori,  si  lascia  viva  una  cagione  ben  più  certa  e  di- 
retta di  calamità  e  d*  ingiustizia  |,  che  gli  uomini  non 
diventano  migliori  ne  più  umani  coli' avere  idee  fal- 
se .  La  Saint-Bcirihèlemy  n'  a  pas  faìt  proscrive  le 
catholìcisnie  ^  ha  detto  a  questa  occasione  un  celebra- 
to ingegno  (1):  e  certo  nessuna  conseguenza  sarel)be 
stata  più  stolta  ed  ingiusta.  La  memoria  di  rpiclla  a- 
trocissima  notte  dovrebbe  servire   a  far  proscrivere 


(1)  ConsìdératioHS  sur  la  revolution  francaise  par  Me-  de  Staci.  Tom, 
3    pag.   38a. 


74         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

r ambizione,  e  lo  spirito  fazioso,  l'alìuso  del  potere, 
l'insubordinazione  alle  leggi,  la  orribile  e  stolta  po- 
litica clie  insegna  a  violare  ad  ogni  passo  la  giustizia 
per  ottenere  qualcbe  vantaggio,  e  quando  poi  queste 
violazioni  accumulate  ajjbiano  condotto  un  gravissimo 
pericolo,  insegna  cbe  tutto  è  lecito  per  salvar  tutto ^ 
a  far  proscrivere  le  insidie  e  le  frodi,  le  provocazio- 
ni e  i  rancori,  l'avidità  della  potenza,  cbe  fa  tutto 
tramare  e  tutto  osare,  e  l'ingiusto  amore  della  vita, 
che  fa  sorpassare  ogni  legge  per  conservarla,  perchè 
queste  ed  altre  simili,  furono  le  vere  cagioni  della 
strage,  per  cui  quella  notte  è  infame. 

Ripeteremo  dunque  quel  principio,  che  ad  una  dot- 
trina si  deve  chieder  conto  delle  sue  conseguenze  le- 
c;ittime,  e  non  di  quelle  che  le  passioni  ne  possono 
dedurre^  e  applicandolo  alla  religione,  osserveremo, 
clic  anche  in  questo  essa  è  al  di  sopra  di  tutte  le 
teorie  umane,  per  quei  caratteri  inimitabili  che  la  di- 
stinguono.  Essa  escjude  ogni  conseguenza  dannosa,  e 
la  cschide  con  quella  stessa  autorità  che  rende  sacri  i 
suoi  principi  ^  il  che  essa  sola  può  fare  :  se  andando  di 
ragionamento  in  ragionamento  si  arriva  ad  una  ingiu- 
stizia ,  si  può  esser  certi  di  avere  mal  ragionato  ^  e 
r  nomo  sincero  trova  nella  religione  stessa  I'  avviso 
eh'  egli  è  uscito  di  strada,  perchè  dove  apparisce  il 
male,  ivi  si  trova  una  proibizione  ed  una  minaccia. 
Kon  è  quindi  ragionevole  dare  la  colpa  alle  verità  ri- 
velate ,  che  gli  uomini  si  sieno  odiati  e  distrutti ,  ma 
deve  dirsi  invece:  la  disposizione  degli  uomini  ad  o- 
diarsi  ed  a  nuocersi  a  vicenda  è  tale  pur  troppo ,  che 
essi  ne  hanno  preso  pretesto  fmo  dalle  verità  di  una 
religione  che  dà  loro  la  regola  di  amarsi,  come  una 
regola  senza  eccezione  :  che  avranno  essi  fatto  quando 


CAPITOLO  MI.  75 

abbiati  presi  ì  loro  ])retesti  da  prìncipi  o  da  interessi 
ai  quali  non  sia  collei>ato  essenzialmente  questo  co- 
mandamento, da  cose  in  cui  tutto  sia  per  le  passio- 
ni? E  diffatti  che  non  hanno  fatto? 

La  religione  cattolica  non  ha  mal  agito  ne  poteva 
aairc  come  causa  diretta  e  naturale  di  dissensioni:  ma 
tutto  è  arme  nella  mano  d'mi  furioso:  queste  non  so- 
no scoppiate  fra  uomini  dapprima  concordi  ed  uma- 
ni, ma  sempre  in  tempi  feroci  e  brutali,  in  tempi  in 
cui  tutte  le  passioni  ostili  erano  accese^  e  credo  che 
senza  timore  di  essere  smentiti  dalia  storia,  si  possa 
aggiungere ,  in  tempi ,  che  si  distinsero  per  una  gran- 
de indifferenza  delle  cose  essenziali  della  religione  (1), 
e  per  un  ardore  singolare  per  tutte  quelle  cose  che 
Tamor  sincero  di  essa  fa  considerare  come  vanità. 

02;ni  volta  che  si  trova  nella  storia  un  esempio  di 
influenza  benigna  della  religione,  non  si  può  a  meno 
di  non  riconoscere  una  causa  che  produce  il  suo  effet- 
to proprio .  Uno  di  questi  esempj  è  la  tregua  di  Dio: 
è  una  voce  di  concordia  e  di  pietà  che  sola  s'innalza 
fra  i  gridi  della  provocazione  e  della  vendetta^  è  la 
voce  del  Vangelo,  e  suona  per  la  bocca  dei  Vescovi  e 
elei  Preti .  Ma  per  spiegare  le  vessazioni  commesse  col 
pretesto  della  religione,   bisogna  supporre  uno  stato 


(i)  È  noto  che  il  Conlcstahile  di  Mcnhimrenci  fu  ferito  niortalnioiitc  a 
San  Dionigi  combattendo  nella  parte  cattolica.  Ecco  come  jI  J)avila  rac- 
conta la  sua  fine  .  «e  .Morì  senza  turbazione  di  mente  e  con  prandissima 
<c  costanza,  sicché  essendosi  accostato  al  letto  ove  giaceva  un  religioso  per 
«  volerlo  confortare,  egli  rivoltosi  con  viso  sereno  Io  pregò  che  non  lo 
"  molestasse,  perchè  sarebbe  stata  cosa  brutta,  l'aver  sapulo  vivere  ot- 
"  tant'anni,  e  non  saper  morire  un  quarto  d'ora».  {Istoria  civile  delle 
guerre  civili  eli  Francia  lib.   IV.) 

Qual  cattolico  colui  che  confida  in  se  stesso,  che  al  fine  di  ima  lun- 
ga vita  non  sa  che  compiacersene,  e  non  pensa  a  richiamare  su  di  essa  la 
misericordia  di  Dio,  che  rifiuta  il  iiiiiiistcro  istituito  per  dispensarla! 


7  6         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

tì'icinoianza  o  di  mala  fede,  un  inasprimento  dep;ll  a- 
nimi,  dei  molivi  di  avversione  preesistenti,  dei  (ini 
naseosti,  e  mi  i::;rado  di  passione  elie  alteri  l'intellet- 
to al  pnnto  di  iarlo  acconsentire  a  ciò  che  è  proscrit- 
to da  quella  leage  che  si  jjropone  per  norma.  San- 
t'Amlnogio  spezza  e  vende  i  vasi  saeri  per  riscattare 
gli  schiavi  Illirici^  ]ìer  la  più  parte  Ariani:  San  Mar- 
tino di  Tonrs  va  a  Treverl  ad  intercedere  presso  l'im- 
peratore in  favore  dei  Priscillianlsti,  e  considera  co- 
me scomimicato  lincio  e  gli  altri  Vescovi,  che  Fave- 
vano  mosso  a  servire  contro  di  qnelli:  Sant'Agostino 
sup])llca  il  proconsole  di  Affrica  per  i  Donatisti,  dai 
quali  ognun  sa  che  travaglio  avesse  la  Chiesa:  Noi 
prcgjiianìo  voi ^  dice  egli,  perchè  non  siano  uccisi ^ 
noi  pre selliamo  Dio  perchè  si  jrivvcggano  (i).  Ecco 
i  veri  cattolici:  e  la  storia  ecclesiastica  abhonda  di 
questi  esempi .  E  fra.  i  tanti  che  ne  hanno  dati  anche 
i  tempi  moderni,  giova  ricordarne  uno,  e  perchè  è 
forse  il  più  splendido,  e  perchè  pur  troppo  è  stato 
tentato  nel  corso  forse  d'un  mezzo  secolo,  non  solo 
di  rapirne  la  gloria  alla  Chiesa,  ma  di  cangiarla  in 
ignominia:  ed  è  la  condotta  del  clero  cattolico  in  A- 
merica.  LMra  contro  ogni  resistenza,  l'avarizia  dive- 
nuta esibente  in  proporzione  delle  promesse  di  una 
fantasia  esaltata,  il  timore  che  nasce  anche  negli  ani- 
mi i  più  determinali,  e  li  rende  crudeli  quando  non 
sono  sostenuti  dall'idea  di  un  dovere,  e  quando  gli 
oOesi  sono  molli,  le  pas;ioni  tutte  insomma  della  con- 
quista, avevano  snaturati  affatto  gli  animi  degli  Spa- 


(i)  Non  ahi  vile  sit  ncque  cnntcmptihile ,  flit  honovahiliter  dileclìssì- 
me,  (juod  vos  rogamua  ne  occidauiitì- ,  prò  quihus  Dondiuan  voiinmìts  ut 
corri ^antur .  August.  Donato  piocons.  Afr.  Epist.  C.  t.  u.  pag.  :'.7o.  Edit. 
Maur. 


CAPITOLO  VII.  77 

^niioli:  e  2;li  Americani  non  ebbero  qnasl  altri  avvo- 
cati che  gli  ecclesiastici-,  e  questi  non  ebbero  altri  ar- 
gomenti in  favor  loro  che  quelli  del  Vangelo  e  della 
Chiesa.  Giova  qui  riportare  il  noto  passo  di  Robert- 
son^ passo  importantissimo,  e  per  l'imparzialità  cer- 
ta dello  storico,  e  per  T accuratezza  e  moltitudine 
delle  ricerche  che  lo  condussero  alla  opinione  ch'egli 
manifesta.  «  Con  ingiustizia  ancor  maggiore  è  stato 
53  da  molti  autori  rappresentato  l'intollerante  spirito 
>>  della  Romana  Cattolica  Religione  come  la  cagione 
5J  dell' esterminio  degli  Americani;,  ed  hanno  accusati 
:»  gli  ecclesiastici  Spagnuoli  d'  aver  animati  i  loro 
>:>  compatriotti  alla  strage  di  quell'innocente  popolo 
3j  come  idolatra  ed  inimico  di  Dio .  Ma  i  primi  Mis- 
yi  sionari  che  visilaron  P America,  benché  deboli  ed 
:>i  ignoranti,  erano  uomini  pii.  Essi  presero  di  l)uon' o- 
M  ra  la  difesa  dei  nazionali,  e  li  giustillcarono  dal- 
53  le  calunnie  dei  vincitori,  i  quali  descrivendoli  come 
55  incapaci  d'essere  istruiti  negli  uflizi  della  vita  civi- 
53  le,  e  di  comprendere  le  dottrine  della  Religione, 
5)  sostenevano  esser  quelli  una  razza  subordinata  di 
5j  uomini,  e  sopra  cui  la  mano  della  natura  aveva 
5j  posto  il  segno  della  schiavitù.  Dalie  relazioni  che 
5j  ho  già  date  dell' vnnano  e  perseverante  zelo  dei  ]Mis- 
5j  sionari  Spagnuoli  nel  proteggere  1"  inerme  greggia 
53  a  loro  commessa,  eglino  compariscono  in  una  luce 
53  che  aggiunge  lustro  alla  loro  funzione.  Eran  mini- 
55  stri  di  pace,  che  procuravano  di  strappare  la  ver- 
5J  ga  dalle  mani  degli  oppressori.  Alla  potente  loro 
55  interposizione  doverono  gli  Americani  ogni  regoia- 
55  mento  diretto  a  mitigare  il  rigore  del  loro  destmo. 
55  Negli  stabilimenti  Spagnuoli  il  clero  si  regolare  che 
55  secolare  e  ancor  dauli  indiani  consideralo  come  il 


78         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

■»  suo  naturai  protettore,  a  cui  ricorrono  nei  trava- 
si gli  0  nelle  esazioni,  alle  (juali  troppo  frequente- 
5J  mente  sono  essi  esposti  (1)  ^^ . 

(ìuale  è  cpiesta  religione  in  cui  gli  nomini  deboli, 
quando  sono  pii ,  resistono  alla  forza  in  favore  dei  lo- 
ro fratelli  !  in  cui  gli  uomini  ignoranti  conoscono  e 
svelano  i  sofismi  clic  le  passioni  oppongono  aìla  giu- 
stizia !  In  una  spedizione  dove  non  si  parla  che  di 
conquiste  e  d'oro,  questi  non  parlavano  che  di  pietà 
e  di  doveri:  essi  citavano  al  tribunale  di  Dio  i  \T.nci- 
tori,  dichiaravano  empia  e  irreligiosa  l'oppressione: 
il  mondo  con  tutte  le  sue  passioni  aveva  mandato  a- 
c>li  Indiani  dei  nemici  che  essi  non  avevano  offesi^  la 
religione  mandava  loro  desìi  amici  che  essi  non  ave- 
vano  mai  conosciuti.  Essi  furono  odiati  e  perseguita- 
ti, furon  costretti  talvolta  a  nascondersi:^  ma  almeno 
raddolcirono  la  sorte  dei  vinti,  ma  prej)ararono  colla 
loro  costanza  e  coi  loro  pericoli  alla  religione  un  te- 
stimonio, che  essa  non  è  stata  nemmeno  un  pretesto 
di  crudeltà,  che  queste  furono  commesse  malgrado  le 
sue  proteste .  Ah  !  gli  avari  crudeli  avrebbero  voluto 
passare  per  zelanti  \  ma  i  ministri  della  religione  non 
han  permesso  loro  di  porsi  al  volto  questa  maschera, 
gli  hanno  costretti  a  cercare  i  loro  soiìsmi  in  ogni  al- 
tro principio  che  in  quello  della  religione  :  gli  hanno 
costretti  a  ricorrere  alle  ragioni  di  convenienza,  di  u- 
tilltà  politica,  di  impossibilità  di  stare  esattamente 
alla  legge  divina*,  gli  hanno  costretti  a  parlare  dei 
grandi  mali  che  sarebbero  venull  se  gli  uomini  fosse- 
ro stati  giusti,  a  dire  che  era  necessario  opprimere 


(i)  Robertson,  Stoiia  dell'America.   Pisa   1780  vcl.   2.   pag.   ,^21. 


CAPITOLO  VII.  79 

gli  uomini  cnulelmente  ,  perchè  altrimenti  diveniva 
impossibile  T opprimerli  (i). 


(i)  Un  solo  ecclesiastico  disonorò  il  suo  ministero  eccitando  i  suoi  con- 
cittadini al  san"-ue;    e    fu  il  troppo  noto  Valverde .   Ma  esaminando  la  sua 
condotta,   come  è  descritta  da  Robertson,   si   vede  chiaro,    a    mio  parere, 
che  il  movente  di  essa  era  tutt'  altro    che    il    fanatismo    religioso  .   Pizarro 
aveva   formato  il   perfido  disegno  d'  impadronirsi  dell'Inca  Àtahualpa,   per 
dominare  nel  Perù  e  per  saziarsi  d'oro.   Adescato  con  pretesti  d'amicizia 
Finca    ad    un   abboccamento,    questo    si    risolvette    in    una  allocuzione  del 
Valverde,   nella  quale  i  misteri  e  la  storia  della  santa  e  pura  Religione  di 
Cristo  non  erano  esposti  che  per  venire  alla  assurda  conseguenza  che  Tin- 
ca doveva  sottomettersi  al  re  di  Castiglla  come    a    suo    legiltimo  sovrano. 
La  risposta  ed  il  contegno  di  Àtahualpa  furono  il  pretesto  a  Valverde  per 
chiamare  gli  Spagnuoli  contro  i  Peruviani.  «  Il  Pizarro  (è  Robertson  che 
«  parla),   che  nel  corso  di  questa    lunga    conferenza    aveva    con    difficoltà 
ce  trattenuti   i  soldati  impazienti    d'  impadronirsi   delle    ricche    spoglie   che 
«  essi  vedevano  allora  sì  da  vicino,  diede  il  segno    all'assalto.    >>  Pizarro 
stesso,  che  era   venuto  a  (juel  fine,   fece  prigione  Tinca:  il  quale  poi  con 
un  processo  atrocemente  stolto  fu  condannato    a    moite:  e  Valverde  com- 
mise anche  il  delitto  di  autorizzare  la  sentenza  colla  sua  firma.   Ora,  chi 
non  vede  che  ad  uomini   deliberati  ad  una  azione  ingiusta,   ad  uomini  for- 
ti contro  uomini  ricchi,  ogni  pretesto    era  buono;    che  Valverde    fu    stro- 
mento  orribile,   ma  non  motore  della  giustizia;  che  la  sua  condotta    svela 
piuttosto  la  bassa  connivenza  all'ambizione  e   all'  avarizia    di  Pizarro,   che 
non  il   fanatismo  religioso?    Marmontel ,    che  negli  Incas   volle  attribuire  a 
questa  passione  la  più   parte  delle  crudeltà   degli  Spagnuoli,  non  potè  far- 
lo che  travisando  affatto  la  storia  .  Egli  fii  Pizarro  alieno  dalla  intenzione 
di  opprimere  e  d'ingannare  Àtahualpa,   dissimula  le  crudeltà  di  questo;  e 
nega,  non  si  sa  con  che  autorità,  l'ordine  da  lui  dato  di  uccidere  Temo- 
lo fratello  Huascar;  e  carica  poi  il  carattere  di  Valverde  con  altre  atroci- 
tà di   sua  invenzione,  come    se    non    fosse    abbastanza    tristo:  e  a  forza  di 
volerlo    fare  odioso,    lo    rende    inverosinnle,    dandogli    vizi    incompatibili. 
Cosi,  non   trovando  che  la  storia  provi  abbastanza  certe  massime  generali, 
si  fanno  dei  romanzi  che  le  provano  troppo.   Il  solo  buon  senso  fa  vedere 
che  non  è  nella  natura  dell'uomo,    per  quanto    sia  fanatico,    il    concepire 
un  odio  violento  contro  nomini  che  non  professano  il  Cristianesimo,   [)cr- 
chè  l'ignorano.   Difatti  se  la  disposizione  de^li   Ecclesiastici  Spagnuoli  era 
tale  che  dalla  Religione  dovessero  ricevere  impulsi  di  questa  sorte,  porcili; 
tutti  gli  altri  parlarono  ed  operarono    non  solo  diversamente,    ma    all'op- 
posto? E  se  la  condotta  di  Valverde    era  conforme    al    modo    d'  intendere 
la  religione    dei    suoi  concittadini,    perchè  è  stata    (come  assicura  Robert- 
son) censurata  da  tutti  gli  sforici? 

E  giusto  di  osservare  che  l'opera  di  Marmontel,  qual  ch'ella  sia  dal 
lato  storico,  è  fatta  per  lasciare  una  impressione  di  orrore  per  la  violen- 
za e  pel  sangue;  impressione  che  non  bisogna  mai  indebolire  per  qualun- 
que mezzo  sia  essa  prodotta.  In  questo  caso,  essa  acquista  una  nuova 
forza  dalla  condotta  di  Marmonicl ,  che  fu  sempre  pari  ai  suoi  sentimenti. 


8o        SULLA  MORALE  CATTOLICA 

Se  il  rappresentare  1"  intolleranza  pcrsecutrice  corno 
una  conseguenza  dello  spirito  del  Cristianesimo  è  una 
calunnia  smentita  dalla  dottrina  della  Chiesa,  e  una 
singolare  ingiustizia  il  rappresentarla  come  un  vizio 
particolare  ai  cristiani .  Erano  le  verità  cristiane  clie 
rendevano  intolleranti  gl'imperatori  gentili?  Sono  es- 
se che  hanno  creata  quella  crndeltà  senza  contrasto  e 
senza  rimorso,  clic  ha  sparso  il  sangue  di  tanti  milio- 
ni, non  dirò  di  innocenti,  ma  di  persone  che  porta- 
vano la  virtù  al  più  alto  Q^vmìo  di  perfezione  ^  che  ha 
rivolta  1  ira  del  mondo  contro  quelli  di  cui  il  mon- 
do non  era  degno  (i)? 

Sul  principio  del  secondo  secolo ,  un  vecchio  fu  con- 
dotto in  Antiochia  davanti  T imperatore.  Questi,  do- 
po avergli  fatte  alcune  interrogazioni,  lo  interpellò 
finalmente,  se  egli  persisteva  a  dicltlarare  di  portar 
Gesù  Cristo  in  cuore .  Al  che  avendo  il  vecchio  ripo- 
sto che  si,  r imperatore  comandò  che  fosse  legato  e 
condotto  a  Roma  per  essere  dato  vivo  alle  fiere.  Il 
vecchio  fu  caricato  di  catene,  e  dopo  un  lungo  tragit- 
to, giunto  in  Roma,  fu  tosto  condoilo  ali  anfiteatro, 
dove  fu  shranato  dalle  fiere  per  divertimento  del  po- 
polo Romano  (2). 

11  vecchio  era  Sant'Ignazio  Vescovo  d'Antiochia, 

Ma  è  giusto  altresì  di  restituire  i  mali  politici  e  morali  della  società  alle 
loro  vere  cagioni,  quando  ne  siano  state  assegnate  delle  arbitrarie,  e  di 
impedire  per  quanto  si  può  1'  impressione  la  più  falsa  e  la  più  funesta, 
quella  che  farebbe  supporre  un  contrasto  fra  la   religione  e  la  umanità. 

Del  resto  la  religione  oltraggiata  da  Valverde  è  stata  ben  vendicata  non 
solo  da  quasi  lutti  gli  ecclesiastici  delle  diveise  spedizioni,  ma  anche  da 
quelle  migliaja  di  missionari  che  portando  la  fede  ai  selvaggi  e  agli  infe- 
deli di  Ogni  specie,  vi  andarono  lutti  come  n Lineili  fra  i  lupi.  La  storia 
di  quelle  maravigliose  imprese  di  carità  è  troppo  vasta  e  varia  per  essere 
toccata  m  una  nota,  e  basti  l'averla  acceimata  . 

(i)   (Ji/ibus  digniis  non  evat  mtindtis  .  Ad  Uebr.   XI.   38. 

(2)  Tilleinont,  6\  Ignave. 


CAPITOLO  VII.  8  z 

(liscepolo  degli  Apostoli  :  la  sua  vita  era  stata  degna 
di  una  tale  scuola .  Il  coraggio  eh*  egli  mostrò  ali  u- 
dire  la  sua  sentenza,  lo  accompa^iTiò  per  tutto  il  cam- 
mino^ e  fu  un  coraggio  sempre  tranqu^jlo,  e  come  u- 
no  di  ciue*  sentimenti  ultimi  che  vengono  dalla  piìi 
ponderata  e  ferma  deliberazione,  in  cui  ogni  ostacolo 
è  stato  preveduto  e  pesato .  AH'  udire  il  ruggito  delle 
fiere  egli  si  rallegrò  :  la  morte  del  supplizio ,  quella 
morte  senza  combattimento  e  senza  incertezza  ,  la 
presenza  della  quale  è  una  rivelazione  di  terrore  per 
gli  animi  i  più  preparati,  non  aveva  nulla  d'inas[)et- 
tato  per  lui,  tanto  lo  Spirito  Santo  aveva  rinforzato 
quel  cuore  *,  tanto  egli  amava  ! 

L^  imperatore  era  Trajano. 

Ah  !  quando  alla  memoria  d^  un  cristiano  si  può 
rimproverare  che  per  uno  zelo  ingiusto  ed  erroneo  c- 
gli  abbia  usurpato  il  diritto  sulla  vita  altrui,  sia  pur 
egli  stato  in  tutto  il  resto  pio  irreprensibile  opero^ 
so  nel  bene,  ad  ogni  sua  virtù  si  contrappone  il  san- 
gue ingiustamente  sparso,  una  vita  intera  di  migriti 
non  basta  a  coprire  una  violenza .  E  perchè  nel  giudi- 
zio tanto  favorevole  di  Trajano  non  si  conta  il  sangue 
d^ Ignazio,  e  dei  tanti  altri  innocenti  che  pesa  sopra 
di  lui?  perchè  si  propone  come  un'esemplare?  perchè 
si  mantiene  ai  suoi  tempi  quella  lode  che  dava  loi'o 
Tacito,  che  in  essi  fosse  lecito  sentire  ciò  che  *i  vo- 
leva, e  dire  ciò  che  si  sentiva  (i)?  Perchè  noi  rice- 
viamo per  lo  più  l'opinione  fatta  dagli  altri ^  e  i  gen- 
tili, che  stabilirono  quella  di  Trajano,  non  credevano 
che  spargere  il  sangue  cristiano   togliesse   nulla   alla 


(i)  Bara  temponim  felicitale ,    ubi  sentire    (/lurr    velis ,    et   qruc  s<'ntias 
diccrc  licei.   Hibl.   lib.   I. 

Jlldnzuni  fi 


/ 

82        SULLA  MORALE  CATTOLICA 
umanità  ed  alla  giustizia  di  un  principe .  E  la  reliii;io- 
ne  che  ci  ha  resi  difficili  nell' accordare  il  titolo  di  u- 
mano  e  di  giusto^  è  dessa  che  ci  ha  rivelato  che  nel 
dolore  d'una  anima  immortale  v^è  qualche  cosa  d'i- 
nctfabile,  è  dessa  che  ci  ha  istruiti  a  riguardare  e  a 
rispettare  in  ogni  uomo  il  pensiero  di  Dio,  e  il  prez- 
zo della  Redenzione .  Quando  si  ricordano  gli  uomini 
condannati  alle  fiamme  col  pretesto   della  religione, 
se  alcuno  per  attenuare  l'atrocità  di  quei  giudizj  al- 
lega che  i  giudici  erano  fanatici,  il  mondo  risponde 
che  non  si  deve  esserlo  :   se  alcuno  allega  che  erano 
ingannati,  il  mondo  risponde  che  non  bisogna  ingan- 
narsi quando  si  pretende  disporre  della  vita  d'un  uo- 
mo :   se  alcuno  allega  che  essi  credevano  di  rendere 
omaggio  alla  religione,  il  mondo  risponde  che  questa 
opinione  è  una  bestemmia.  Ah!  chi  ha  insegnato  al 
mondo,  che  Dio  non  si  onora  che  colla  mansuetudine 
e  colF amore,  col  dar  la  vita  per  gli  altri,   e  non  col 
toglierla  loro ,  che  la  volontà  libera  delf  uomo  è  quel- 
la sola  facoltà  di  cui  Dio  si  degna  ricevere  gli  omaggi.'* 
Per  spiegare  le  persecuzioni  contro   i  cristiani,    è 
forza  talvolta  supporre  che  il  rispetto  alla  vita  del- 
l'uomo era  ignoto  ai  gentili,  che  è  un  altro  mistero 
rivelato  dal  Vangelo,  in  quelle,  si  veggono  crudeltà 
incredibili  commesse  senza  un  forte  impulso,  si  veg- 
gono principi  senza  fanatismo  secondare  il  trasporto 
del  popolo  pei  supplizi,  non  per  politica,  non  per  ti- 
more, non  per  ira,  ma  direi  quasi  per  inditferenza ^ 
perchè  la  morte  crudele  di  migliaja  d'uomini  non  era 
forse  un  oggetto  che  meritasse  un  lungo  esame  :  non 
si  fa  torto  in  supporre  quest'animo  a  quelli  che  face- 
vano scannarsi  migliaja  di  schiavi  per  una  festa. 
La  famosa  lettera  dì  Plinio  a  Trajano,  e  la  rispo- 


CAPITOLO  MI.  85 

sta  ili  questo,  mostrano  ad  evidenza  un  tale  spirilo 
del  gentilesimo.  Plinio,  legato  pro-pretore  in  Biti- 
nia,  consulta  l'imperatore  sulla  causa  dei  cristiani, 
espone  la  sua  condotta  antecedente,  parla  di  un  libri- 
lo anonimo  per  mezzo  del  quale  ne  ha  scoperti  alcu- 
ni, e  domanda  istruzioni.   1/  imperatore  approva  Ja 
condotta  di  Plinio,  proibisce  di  far  ricerca  dei  Cri- 
stiani, e  comanda  di  punirli  se  sono  denunziati,  per- 
donando a  quelli  che  negano  d'esserlo,  e  si  dimostran 
col  fatto  adoratori  degli  Dei.  Finalmente  ordina  die 
delle  accuse  anonime  non  si  tenga  conto  per  nessun 
delitto,  poiché  è  cosa^  dicaceli,  di  pessimo  esenii)io 
e  indegna  del  nostro  secolo  (i).  Ma  in  fatto  di  bar- 
barie, qual  cosa  mai  poteva  esser  indegna  d'un  seco- 
lo in  cui  le  leggi  non  hanno  detennmata  la  necessità 
che  r  accusatore  si  faccia  conoscere  *,  in  cui  un  princi 
pe  comanda  la  punizione  non  di  un  fatto,  ma  di  un 
sentimento,  e  ne  proibisce  ogni  ricerca ^  ed  autoriz- 
zando un  magistrato  ad  usare  la  forza  pubblica  contro 
gli  uomini,  comincia  dal  dichiarare  die  non  si  può  iu 
questa  materia  dare  una  disposizione  certa  ed  univer- 
sale (2);  in  cui  un  magistrato  celebre  per  coltura  di 
ingegno  e  per  dolcezza  di  carattere,  domanda  per  siia 
redola,  se  e  il  nome  solo  di  cristiano  che  si  punisca 
benché  senza  alcun  delitto,  o  se  si  puniscono  i  delitti 

(1)  Jclitm  quem  debuisìi,  mi  Sccu/ulc,  in  cxcut/'citJis  cauiis  eòi  uni , 
qui  Chvisliani  ad  te  dolali  J'uerant ,  .•iccutm:  es  ..  Curu/ui rendi  non  sunt  ; 
si  deferanlur ,  et  arguaritur,  puniendi  sunt;  ita  lanieri,  ut  qui  negavetit 
se  C/irislianum  esse,  idquc  re  ipsa  nianifesluin  j'eceril ,  id  est  supplican- 
do diis  Tioslris,  quamvis  suspeclus  in  pra-teritum  Jiicrit ,  veniam  ex  pce- 
nitentia  tinpcirct .  Sine  auctore  vero  propositi  libelli  nullo  crimine  lociini 
ìiabere  dcbi-nl  :  nani  et  pessimi  excnipli ,  uec  nostri  speculi  est,  Tmjamis 
Plinio  in   riin.   Kpist.  XCNIIL 

(j)  Ncque  enirii  in  univa  suin  alifpiid  rpiod  fxrUiin  Jornuim  hubeat  eoa- 
sliUii  polcst .  Ibid.  • 


84     SULLA  MORALE  CATTOLICA 

che  porta  con  se  questo  nome,  se  si  debba  fare  distin- 
zione di  età,  o  trattare  ad  un  modo  i  fanciulli  per 
quanto  teneri  siano,  e  gli  adulti?  d'un  secolo  in  cui 
quest'uomo  racconta  di  aver  fatti  condurre  al  suppli- 
zio quelli  che  persistevano  a  confessarsi  cristiani,  non 
dubitando^  die' egli,  che  qual  si  fosse  la  cosa  che 
essi  confessavano  ^  doveva  ad  ogni  modo  la  loro  in- 
jlessihile  ostinazione  esser  punita?  d'un  secolo  in  cui 
quest'uomo  avendo  dalle  sue  ricerche  rilevato  che  i 
cristiani  sì  riunivano  non  per  concertare  delitti,  ma 
per  animarsi  all'  esercizio  d' ogni  virtù ,  non  mostra  la 
più  piccola  inquietudine  per  quegli  ostinati  che  ave- 
va fatti  morire  5  in  cui  quest'  uomo  fa  torturare  due 
donne  per  informarsi  meglio?  Egli  si  mostra  sopra 
pensiero  pel  gran  numero  dei  cristiani,  poi  si  consola 
colla  speranza  che  si  possa  fermare  il  corso  del  male  : 
si  conforta  che  si  ripiglino  i  sacrifici,  che  torni  a  cre- 
scere il  numero  di  quelli  che  comperano  \c.  carni  sa- 
criticate  agli  idoli  (i).  Non  si  vede  una  idea  impor- 
tante, non  dirò  di  morale,  ma  di  nessuna  specie,  im- 
plicata in  questi  timori  e  in  queste  speranze,  e  il  san- 
gue umano,  e  le  ultime  angosce  d'una  morte  violen- 


(i)  Nec  mediocri  ter  hcesilavi,  sit  ne  àliquod  discrinien  oetatum ,  an 
quamlihet  teneri  niìiil  a  rohustioribus  differant  ....  nomea  ipsuni,  etiam 
si  flagitiis  carcat,  aut  flagitia  coìirerentia  nomini  puniantur  —  Perseve- 
rantes  duci  jiissi:  ncque  enim  duhitaham,  qualecumque  esset  quod  fatc- 
reniur ,  pertinaciani  certe  et  inflexibilein  ohstinationem  debere  puniri  — 
Adp.nnabant  ....  se  sacramento  non  in  scelus  aliquod  obstringere ,  sed  ne 
finta,  ne  latrocini  a ,  ne  ndulteria  committerenl ,  ne  Jidem  fallerent ,  ne 
depositum  appellati  abnegarent  ■  —  Quo  magis  necessarium  credidi ,  ex 
duahus  ancillis ,  qua;  ministrai  dicebantur ,  quid  esset  veri  et  per  tormen- 
ta quoerere .  —  Visa  est  enim  mi  hi  res  di  gnu  consultatione ,  maxime  pro- 
pter  periclitantium  numerum  .  Certe  salis  constai,  prope  jam  desolata  tem- 
pia campisse  celebrai-i ,  et  sacra  solemnia  diu  intermissa ,  repeti:  passim- 
que  venire  victimas  quarum  adluic  rarissimus  cmptor  invenicbalur  .  PH- 
«iiis  Trajaiio  Bjiist.  XCVII. 


CAPITOLO  VII.  85 

ta,  e  i  momenti  di  una  famiglia  quando  un  uomo  ne 
è  tratto  per  salire  al  supplizio ,  sono  posti  in  bilancia 
non  si  sa  con  che.  Non  si  dirà  certo  che  la  fedeltà  ad 
una  antica  legge  dell'impero  fosse  il  motivo  di  quei 
supplizi,  giacché  le  persecuzioni  sono  cominciate  e 
cessate  secondo  l'indole  e  i  capricci  dee;!'  imperatori 
dei  prefetti  e  dei  proconsoli  ^  giacché  questa  legge  è 
tanto  confusa  che  Plinio  non  sa  come  applicarla:  e 
poi  le  leggi  non  sono  opera  degli  uomini?  e  gl'impe- 
ratori romani,  che  hanno  potuto  abolire  o  violare  le 
più  acconsentite  e  fondamentali,  e  quelle  che  aveva- 
no essi  stessi  stabilite,  perchè  si  arrestavano  poi  ri- 
spettosi dinanzi  a  questa  sola  !  Che  cosa  infine  era 
indegna  d^un  secolo,  in  cui  un  vecchio  divorato  dalle 
fiere  era  un  passatempo  per  il  popolo  ^  d' un  secolo  in 
cui  un  principe  rinomato  per  benignità  dava  al  popo- 
lo questo  passatempo? 

Pur  troppo  i  secoli  cristiani  hanno  esempj  di  cru- 
deltà commesse  col  pretesto  della  Religione,  ma  si 
può  sempre  asserire,  che  quelli  che  le  hanno  commes- 
se furono  infedeli  alla  legge  che  professavano,  che 
questa  li  condanna.  Nelle  persecuzioni  gentilesche 
nulla  può  essere  attrilìuito  ad  inconseguenza  dei  per- 
secutori, ad  infedeltà  alla  loro  Religione ,  perchè  que- 
sta non  aveva  fatto  nulla  per  tenerli  lontani  da  ciò . 

Con  questa  discussione  parrà  forse  che  ci  siamo  al- 
lontanati dall'argomento,  ma  non  sarà  essa  inutile  se 
potrà  dare  occasione  di  osservare  che  molti  scrittori 
hanno  adoperato  due  pesi  e  due  misure  per  giudicare 
dei  cristiani  e  dei  gentili^  se  potrà  servire  ad  allonta- 
nare sempre  più  dalla  morale  cattolica  l'orribil  taccia 
di  sangue  che  tante  volte  le  è  stata  data,  a  ricorda- 
re che  la  violenza  esercitata  in  difesa  di  questa  rcli- 


86        SI  fXA  MORALE  CATTOLICA 

uìoiìc  (li  pace  0  di  misericordia  è  affatto  avversa  al 
suo  spirito,  come  senza  interruzione  è  stato  professa- 
lo in  lutti  i  secoli  dal  veri  adoratori  di  Colui  che  con 
lauta  autorità  sp;ridò  i  discepoli  che  invocavano  il 
fuoco  dal  ciclo  sidle  città  che  ricusavano  di  ricevere 
la  loro  salute  (i),  di  Colui  che  comandò  agli  Aposto- 
li di  scuotere  la  polvere  dai  loro  piedi  (2),  e  di  ab- 
bandonare gli  ostinati .  Onore  a  quegli  uomini  vera- 
mente cristiani,  che  in  ogni  tempo  e  in  faccia  ad  o- 
gni  passione  e  ad  ogni  potenza  insegnarono  la  man- 
.vuetudinc:  da  quel  Lattanzio  che  scrisse  doversi  la 
iìelimone  difendere  col  morire  e  non  coir  uccide- 
re (3),  fino  agli  ultimi  che  si  sono  trovati  in  circo- 
stanze in  cui  abbisognasse  coraggio  per  manifestare 
wn  sentimento  così  essenzialmente  evangelico.  Onore 
ad  essi,  giacche  noi  non  possiamo  più  averne  onore 
in  tempi  e  in  luoghi  in  cui  non  si  può  sostenere  il 
contrario  senza  intamia,  in  cui  se  gli  uomini  non 
hanno  (così  avessero  !  )  rinunziato  agli  odj ,  hanno 
almeno  saputo  vedere  che  la  Keliglone  non  può  ac- 
cordarsi con  quelli^  se  ammettono  talvolta  il  prete- 


(1)  Iiìlrcn-erunt  in  chHtalem  Samari lanorum  —  et  nnn  recpperuvt  etim  — 
Cuin  vidisicut  aittem  discipuli  ejus  Jacubus ,  et  Joannes ,  dixcnmt:  Do- 
mine, vis  dicamus  ut  ignis  descendat  de  coelo ,  et  consumat  illos?  Et 
voììvcrsus  increpm'it  illos,  dicens:  Nescitis  ctijus  spiritus  estis .  Lue.  IX. 

r>j,  53,  54,  r>5. 

(•i)  Et  quicumque  non  receperìt  vos ,  neque  nudierit  sevinones  vestro;; , 
<-xeuntes  foras  de  domo^  vel  civitate  ^  exciitite  pidverem  de  pedibiis  ve- 
^fris.  Matth.  X.   l'i. 

(3)  Defendenda  enini  est  Reliy^io  non  Decidendo  ,  sed  moriendo ;  non 
seevilia,  sed  paticntin;  non  scelere,  sed  fide:  illa  enini  maloriim  siint , 
iure  honorum.  Et  necesse  est  honum  in  Èeligionem  versari ,  non  malum  . 
Ntim  si  sang,uine,  si  lormentis ,  si  malo  Religionem  defendere  velis,  jam 
non  defendcdir  illa,  sed  polluetur  alque  violabifiir .  Nihil  inni  vnluntn- 
lium  quam  Religio,  in  qua  si  animus  sacri ficanlis  avcrsus  est,  jam  ìndia 
est.  L.  C  F.  Lactantii  Divin-  Iristit.  Lib.  V.  e-  uo. 


CAPITOLO  VII.  87 

sto  dell'utile  e  delle  grandi  passioni  per  buona  scusa 
di  vessazioni  e  di  crudeltà,  confessano  che  la  reli- 
gione è  troppo  pura  per  ammetterlo,  che  la  Reli- 
gione non  vuol  condurre  gli  uomini  al  bene  che  per 
mezzo  del  bene. 


cAPiioio  im. 

SULLA    DOTTRINA    DELLA    PENlTErfZi. 


Jji  docirine  de  la  pénitence  causa  une  nouvelle  suhversìon 
Hans  la  momle  dcjà  confondue  par  la  distinction  arbi- 
traire  des  pc-chés .  Sans  doute ,  e  était  une  promesse  con- 
solante que  celle  du  pardon  da  del  pour  le  retour  à  la 
verta;  et  cette  opinion  est  iellement  conjorme  aux  he- 
soins  et  aux  faiblesses  de  Vhonime ,  qu  elle  a  fait  par- 
tie  de  toutes  les  religions.  Mais  les  causi stes  avaient  dé- 
naturé  cette  doctrine  en  imposant  des  formes  pre'cises  à 
la  pénitence  f  à  la  confessione  et  à  V absolution .  Un  seni 
acte  de  j'oi  et  de  ferveur  jut  déclaré  suffisant  pour  ef- 
j'acer  une  longue  liste  de  crimes Pag.  l\\h. 


l'Ion   avendo   T  erudizione   necessaria  per  discutere 
l'asserzione  delF illustre  Autore,  che  la  promessa  del 
perdono  celeste  pel  ritorno  alla  virtù  è  opinione  clic 
ha  fatto  parte  di  tutte  le  religioni,  la  lascio  da   ww 
canto .  Da  quel  poco  che  io  ho  raccolto  nei  libri  sulle 
■    varie  religioni,  e  sulla  pagana  in   ispecie,  mi  è  ri- 
masta l'idea  che  molte  avessero   cerimonie  espiato- 
rie,  le    (piali   per  la  loro   propria  virtù  rendessero 
mondi  dai  peccati  quei  che  le  facevano ,  senza  che  vi 
abbisognasse  il  ritorno  della  virtù;  e  che  l'idea  della 
conversione  si  debba,  non  meno  che  la  parola,  alla 
Religione  Cristiana.  Ad  ogni  modo  questa  quistione, 
benché  assai  importante,  non  ha  un  rapporto  neces- 
sario coli' argomento,   e  si  può,  senza  toccarla,   di- 


CAPITOLO  Vili.  89 

fendere  pienissimamente  la  dottrina  cattolica  sulla  pe- 
nitenza, dalle  censure  che  qui  le  vengon  fatte:  anzi 
queste  saranno  un'  occasione  per  mettere  in  chiaro 
la  sua  somma  ragionevolezza   e  perfezione. 

Tre  sono  principalmente  queste  accuse  :  che  Tavere 
imposte  forme  precise  alla  penitenza  ne  abbia  snatu- 
rata la  dottrina*,  che  i  casisti  abbiano  imposte  queste 
forme,  che  un  atto  di  fede  e  di  fervore  fu  dichiarato 
bastevole  a  cancellare  i  delitti.  Noi  le  esamineremo 
partitamente,  non  seguendo  però  l'ordine  con  cui  so- 
no presentate ,  ma  quello  che  sembra  più  naturale  al 
maggiore  sviluppo  che  siamo  obbligati  di  dare  alla 
materia  esponendo  la  dottrina  vera  della  Chiesa. 

I. 

Chi  abbia  imposte  forme  precise  alla  penitenza . 

Dair essere  nel  Vangelo  espressamente  data  ai  mi- 
nistri 1  autorità  di  rimettere  e  di  ritenere  i  peccati, 
ne  consegue  la  necessità  di  forme  per  esercitarla  :  ma 
chi  ha  potuto  ordinare  ed  imporre  queste  forme?  Se 
i  casisti  avessero  usurpato  questo  diritto,  avrebbero 
alterata  tutta  l'economia  del  rraQjimcnto  spirituale: 
ma  come  si  può  supporre  che  i  casisti,  che  non  sono 
un  corpo  costituito,  che  non  hanno  un  organo  legi- 
slativo, si  sieno  intesi  a  stabilire  queste  forme  cogli 
stessi  principi  e  colle  stesse  regole?  come  si  può 
supporre  che  tutte  le  chiese  le  abbiano  ricevute  da 
persone  senza  autorità,  che  le  autorità  stesse  vi  si 
sieno  assoggettate^  giacche  nessuna  se  ne  crede  esen- 
te? che  i  papi  stessi  si  sieno  lasciati  dalla  volontà 
dei  casisti  imporre   una  legge,  per  la   ([uale  si  con- 


90         SII1J.A  MORALE  CATTOLICA 

Tessano  ai  piedi  di  un  loro  inferiore,  e  ne  implorano 
r assoluzione  e  ne  ricevono  le  penitenze?  Olire  di  clic 
come  mai  sì  può  suj)porre  clic  i  Greci,  pur  troppo 
divisi,  e  divisi  qualche  secolo  prima  clic  si  parlasse 
di  casisti,  hanno  comuni  con  noi  in  tutte  le  parti  es- 
senziali? Quando,  i  casisti  hanno  commesso  questo 
atto  di  usurpazione?  Finalmente,  come  si  esercitava 
l'autorità  di  sciogliere  e  di  legare  prima  che  venis- 
sero i  casisti  ad  inventarne  le  forme? 

Le  forme  della  penitenza,  della  confessione,  e  del- 
la assoluzione,  sono  stale  imposte  dalla  Chiesa  fino 
dalla  sua  origine,  come  lo  attesta  la  sua  storia:  ne 
poteva  essere  altrimenti",  giacche  senza  di  esse  è  im- 
possibile l'esercizio  dell'  autorità  di  assolvere  e  di 
ritenere  i  peccati:  ed  è  impossibile  immaginarne  di 
più  semplici  e  di  più  conformi  allo  spirito  di  questa 
autorità^  ed  è  pure  impossibile  immaginare  chi,  se 
non  la  Chiesa,  avrebbe  potuto  ingerirsi  a  re2;olarc 
questo  esercizio. 

II. 

Condizioni  della  penitenza  secondo  la  dottrina 

cattolica . 

Veniamo  ora  alla  dottrina  che  è  tacciata  di  avere 
corrotta  la  morale,  e  vediamo,  se  è  quella  della  Chie- 
sa .  —  Un  solo  atto  di  fede  e  di  fervore  fu  dichia- 
rato hastes^ole  a  cancellare  una  lunga  lista  di  de- 
litti. Di  questa  opinione  una  parte  è  stala  condan- 
nata: r altra  parte,  ne  la  proposizione  intera,  non  è 
stata  insegnata  giammai . 

Quanto  alla  prima,  basti  ricordare,  che  il  conci- 
lio di  Trento  proscrisse   la  doilrina,  che   l  empio  è 


CAPITOLO  Vili.  91 

giustificato  colla  sola  fede ,  appena  essa  fu  propo- 
sta (1). 

Quanto  alla  seconda,  non  solo  nessun  concilio, 
nessun  decreto  pontificio^  nessun  catechismo,  ma  ar- 
direi, dire  nessun  libricciuolo  di  divozione  ha  detto 
mai  che  un  atto  di  fede  e  di  fervore  basti  a  cancel- 
lare i  peccati.  E  bensì  dottrina  della  Chiesa,  che  essi 
possono  essere  cancellati  dalla  contrizione,  col  pro- 
posito di  ricorrere,  tosto  che  si  possa,  alla  penitene 
za  sacramentale . 

Chi  credesse  che  questa  sia  questione  di  parole 
troppo  s'ingannerebbe,  è  questione  d'idee,  se  mai 
ve  ne  fu  alcuna. 

Fervore  non  significa  altro  che  T intensità  e  forza 
d'un  sentimento:  suppone  bensì  per  l'ordinario  un 
sentimento  pio,  ma  non  ne  individua  la  qualità  la 
contrizione  invece  esprime  un  sentimento  preciso. 
Attribuire  quindi  al  fervore  T  effetto  di  cancellare  i 
peccati,  sarebbe  proporre  una  idea  confusa  e  inde- 
terminata, e  senza  relazione  con  questo  effetto:  at- 
tnbuirlo  alla  contrizione  ;  è  specificare  quel  senti- 
mento che,  secondo  le  Scritture,  e  le  nozioni  della 
ragione  illuminata  da  esse,  dispone  l'animo  del  pec- 
catore a  ricevere  la  giustificazione .  Per  avere  dun- 
que una  idea  giusta  della  fede  cattolica  in  questa 
materia,  bisogna  cercare  che  sia  la  contrizione,  e 
cercarlo  nelle  definizioni  della  Chiesa,  ce  La  contri- 
fc  zione  è  un  dolore  dell'  animo  e  una  detestazione 
fc  del  peccato   commesso,   col  proposito  di    non   più 


(1)  Si  quìs  dixerit  sola  fide  ùnpìuin  jiistificari ,  ita  ut  iitlellic^at  vihil 
aliud  reqiiiri  f  quod  ad  ji/stijìcalionis  i^raltam  coiìspqiiciidcmi  coi)pfrcltu\ 
et  nulla  ex  juirte  nccesse  esse  etim  sua'  volunlatis  mutuili  pi'irpaiiu'i  affiuc 
disfwìti;  anathnna  sii.    Sess.    VI.   de  Jujtlfìcationc ,  (lanon.   XI. 


m 


92         SUIXA  MORALE  CATTOLICA 

re  peccare Dichiara  il  Santo  Sinodo ,  die  quest?. 

ce  contrizione  contiene  non  solo  la  cessazione  dal  pec- 
cc  cato,  e   il   proposito   e  l'incominciamento   di   una 

«  nuova  vita,  ma  l'odio  della  passata Insegna 

(c  inoltre,  che  sebl)ene  avvenga  talvolta  che  questa 
fc  contrizione  sia  perfetta  di  carità,  e  riconcili  l' no- 
ce mo  a  Dio  prima  che  questo  Sacramento  (  della  pe- 
ce nitenza)  sia  ricevuto  in  fatto,  non  si  deve  attri- 
ce huire  la  riconciliazione  alla  contrizione  senza  il 
ce  voto  del  sacramento,  che  e  in  chiuso  in  essa  (i)^\ 
La  ragione  sola  non  poteva  certamente  scoprire 
questa  dottrina,  perchè  il  fondamento  di  essa  è  la 
carità:  ma  quando  essa  le  sia  annunziata  dalla  rive- 
lazione, la  ragione  è  costretta  di  approvarla:  difatti 
tutte  le  opinioni  che  le  si  vollero  sostituire,  fmlsco- 
no  ad  essere  abbandonate  come  insostenibili.  L'uo- 
mo che  trasgredisce  i  comandamenti  di  Dio,  gli  di- 
viene nemico,  e  si  rende  ingiusto.  Ma  quando  egli 
riconosce  il  suo  fallo,  ne  è  dolente,  lo  detesta,  e 
(ciò  che  ne  consegue)  propone  di  non  più  conunet- 
terne,  quando  egli  propone  di  ritornare  a  Dio  per 
quei  mezzi  che  nella  sua  misericordia  Dio  ha  dati  ed 
instltuiti  a  ciò,  quando  propone  di  soddisfare  alla 
giustizia  divina ,  di  rimediare  per  quanto  può  al  mal 
l'atto,  egli  allora  non  è  più,  per  dir  così,  lo  stesso 


(0  Conlrilio,  qua;  jm'mwn  locum  Inter  dictos  panniteli fis  aclus  hahet; 
animi  dolor  ac  detestatio  est  de  peccato  comniis.so,  cuni  proposilo  non 
peccandi  de  cablerò  ....  Declarat  igitur  Sanata  Synodus  ,  hanc  Contritio- 
neni;  non  solum  cessationeni  a  peccato,  et  vita;  nov/v  propositurn ,  et  in- 
cìioationern,  sed  veteris  etiaiii  odiuni  conti  nere  ....  Docet  pra'icrea,  etsi 
Contri ti'onem  hanc  aliquando  charilate  perfectam  esse  contingat,  honiinem- 
</ue  Deo  reconcilini-e ,  priusquam  hoc  Sncramentum  adii  suscipiatiir  ;  ipsam 
nihiloniinus  reconciliationeni  ipsi  Conirilioni ,  sine  Sacramenti  volo  qiiod 
in  illn  includitur ,  non  esse  adscribcndani  .  Conc.  Trid.  sess.  XIV.  De 
poeniìcntia,  IV. 


f    ^ 


CAPITOLO  vili.  90 

uomo,  egli  non  è  più  ingiusto:  tanto  è  vero  che  del 
peccato  in  generale  non  solo,  ma  dei  suoi  propri 
eziandio,  egli  ha  un  sentimento  dello  stesso  genere 
che  ne  ha  Iddio,  fonte  di  ogni  giustizia.  E  dunque 
sommamente  ragionevole,  che  quest'uomo  cosi  mu- 
tato sia  riconciliato  a  Dio . 

Ma  la  conseguenza  immorale  di  questa  dottrina, 
e  stato  detto  tante  volte,  si  è,  che  molti  credono 
che  sia  agevole  l'avere  questo  sentimento  di  contri- 
zione, e  si  animano  quindi  a  commettere  il  male  per 
la  facilità  del  perdono .  Perchè  lo  credono  ?  chi  lo  ha 
detto  loro?  se  credono  alla  Chiesa  quando  insegna 
che  la  contrizione  riconcilia  a  Dio,  perchè  non  le 
credono  quando  ella  insegna  che  Teffetto  naturale  del 
peccato  è  l'induramento  del  cuore,  che  il  ritorno  a 
Dio  è  un  dono  singolare  della  sua  misericordia,  che 
il  disprezzo  delle  sue  chiamate  lo  rende  sempre  più 
difficile?  Se  ad  ogni  conseguenza  assurda  che  gli  uo- 
mini deducono  dalle  dottrine  della  Chiesa,  essa  aves- 
se voluto  abbandonare  una  verità  per  evitare  quelle 
conseguenze ,  la  Chiesa  le  avrebbe  da  gran  tempo  ab- 
bandonate tutte.  Essa  si  oppone  bensì  a  questo  mi- 
serabile traviamento,  inculcandole  tutte*,  e  in  questo 
caso  singolarmente,  chi  può  non  ravvisare  la  mater- 
na sua  cura  in  tutte  le  precauzioni  ch^ella  usa  perchè 
il  peccatore  non  si  illuda,  perchè  non  converta  in  ira 
i  doni  della  misericordia?  di  queste  precauzioni  par- 
leremo or  ora,  trattando  della  amministrazione  della 
penitenza . 

Basti  per  ora  che  dopo  avere  esposto  la  dottrina 
della  Chiesa,  noi  possiamo  arditamente  alfermare,  che 
è  la  sola  ragionevole,  e  arditamente  domandare  qua- 
le le  si  p(»trel)be  sostituire  di  quelle  che  sono  cono- 


94  SULLA  MORALE  CATTOLICA 
sciute,  quale  si  potrebbe  inventare  che  le  potesse 
essere  contrapposta.  0  ricorrere  alla  dottrina  crude- 
le assurda  e  quindi  immorale  della  inespiabilità  : 
o  se  si  suppone  possibile  il  ritorno  dell'uomo  a  quel 
Dio  che  lo  ha  creato  per  se,  è  forza  credere  che  la 
fede  in  chi  solo  può  salvare,  il  cangiamento  del  cuo- 
re, il  cangiamento  della  vita,  il  riparare  i  mali  com- 
messi sono  la  vera  via  di  questo  ritorno.  E  questa 
è  la  via  per  cui  ci  conduce  la  Chiesa  \  è  quella  su  cui 
corrono  i  semplici  colla  sicurezza  di  chi  si  sente  con- 
dotto da  una  mano  forte  pietosa  e  sicura,'  su  cui 
sono  corsi  e  corrono  tanti  ingegni  illuminati,  i  quali, 
veggendo  che  tutto  fuori  di  questa  è  precipizio,  sono 
tanto  più  umili,  tanto  più  riconoscenti  quanto  più 
sono  illuminati, 

IIL 

Spìrito  ed  effetti  delle  forme  imposte 
alla  penitenza . 

Quali  sono  poi  finalmente  queste  forme  penitenzia- 
li? La  confessione  delle  colpe,  per  dare  al  sacerdote 
la  cognizione  dell'animo  del  peccatore,  senza  la  quale 
è  impossibile  ch'egli  eserciti  la  sua  autorità^  l'impo- 
sizione delle  opere  di  soddisfazione*,  la  formola  della 
assoluzione.  Io  non  mi  propongo  di  farne  l'apologia*, 
giacché  che  può  mai  trovarsi  a  ridire  in  esse  che  non 
sono  altro  che  il  mezzo  il  più  semplice,  il  più  indi- 
spensabile, il  più  conforme  alla  istituzione  evangeli- 
ca, per  applicare  la  misericordia  di  Dio  e  il  Sangue 
della  propiziazione?  Farò  bensì  osservare,  non  già 
tutti  2;li  effetti  di  questa  istituzione  divina  (rimetten- 
domi alle  molte  opere  apologetiche  che  gli  annovera- 


CAPITOLO  Vi  IT.  95 

no,  ed  alle  lodi  che  essa  ha  avute  anche  da  molti  di 
quelli  che  non  T  hanno  conservata  ),  farò  osservare 
principalmente  quesjli  effetti  che  sono  in  rapporto  col 
ritorno  alla  virtù  pei  traviati,  e  col  mantenimento 
della  virtù  nei  guisti . 

L^iomo  caduto  nella  colpa  ha  pur  troppo  una  ten- 
denza a  persistervi^  e  l'essere  privato  del  testimonio 
della   huona  coscienza  lo   affligge  senza  migliorarlo. 
Anzi  è  cosa"^  riconosciuta  che  il  reo  per  lo  più  aggiun- 
ge colpa  a  colpa  per  estinguere  il  rimorso ,  simile  a 
coloro  che  nella  perturbazione  e  nel  terrore  dell' in- 
cendio  gettano  sulle  {lamme  ciò   che  vien  loro   alle 
mani,  come  per  soffocarle.  11  rimorso,  quel  sentimen- 
to che  la  religione  colle  sue  speranze  fa  divenir  con- 
trizione, e  che  è  tanto  fecondo  in  sua  mano,  è  per 
lo  più  sterile  o  dannoso  senza  di  essa.  Il  reo  ode  nella 
sua  coscienza  quella  voce  terribile  :  non  siei  più  inno- 
cente: e  quell'altra  più  terribile  ancora:  non  potrai 
esserlo  più*,  egli  riguarda  la  virtù  come  una  cosa  per- 
duta, e  sforza  ì' intelletto  a  persuadersi  che  se  ne  può 
far  senza,  che  essa  è  un  nome,  che  gli  uomini  la  e- 
saltano  perchè  la  trovano  utile  negli  altri,  o  perchè 
la  venerano  per  pregiudizio;,  egli  cerca  di  tenere  il 
cuore  occupato  con  sentimenti  viziosi  che  lo  rassicu- 
rino, perchè  i  virtuosi  sono  un  tormento  per  lui.  Ma 
per  lo  più  quelli  che  vanno  dicendo  a  se  stessi  che  la 
virtù  è  un  nome  vano ,  non  ne  sono  persuasi  :  se  una 
voce  interna  autorevole  annunziasse  loro  che  possono 
riconquistarla,  essi  crederebbero  alla  realtà  di  essa,  o 
per  dir  meglio,  confesscrebljero  di  avervi  sempre  cre- 
duto. Qncsto  fa  la  religione  in  cSii  vuole  ascoltarla: 
essa  parla  a  nome  di  un  Dio  clic  lia  promesso  di  get- 
tar dietro  le  spalle  le  iniquità  del  pentito:  essa  prò- 


96         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

mette  il  perdono,  essa  sconta  il  prezzo  del  peccate 
Mistero  di  sapienza  e  di  misericordia  !  mistero  che  la 
Tachione  non  può  penetrare,  ma  che  tutta  la  occupa 
neli' ammirarlo:  mistero  che  nella  inestimabilìtà  del 
prezzo  della  redenzione,  dà  una  idea  infinita  dell'in- 
giustizia del  peccato,  e  del  mezzo  di  espiarlo,  una  im- 
mensa ragione  di  pentimento,  e  una  immensa  ragione 
di  fiducia. 

Ma  la  religione  non  fa  questo  soltanto;  essa  rimuo- 
vo anche  gli  altri  ostacoli  che  gli  uomini  oppongono 
al  ritorno  alla  virtù.  Il  reo  sfugge  la  società  di  quelli 
che  non  lo  somigliano,  perchè  li  teme  superbi  della 
loro  virtù  :  aprirà  egli  il  suo  cuore  ad  essi  che  ne  ap- 
profitteranno per  fargli  sentire  che  sono  dappiù  di 
lui?  che  consolazione  e;li  daranno  essi;  che  non  ponno 
restituirgli  la  giustizia?  essi  che  stanno  lontani  da 
lui  per  parere  incontaminati  5  essi  che  parlano  di  lui 
con  disprezzo,  perchè  si  vegga  sempre  più  che  disprcz- 
zano  il  vizio?  essi  che  lo  sforzano  cosi  a  cercare  la 
compagnia  di  quelli  che  sono  colpevoli  come  lai,  e 
che  hanno  le  stesse  ragioni  per  ridersi  della  virtù? 
La  giustizia  umana  ha  pur  troppo  con  se  l'orgoglio 
del  Fariseo  che  si  paragona  col  Pubblicano,  che  piglia 
un  posto  lontano  da  lui ,  che  non  s' immagina  che 
quegli  possa  diventare  un  suo  pari,  che,  se  potesse, 
lo  terrebbe  sempre  nella  abbiezione  del  peccato? 

Ma  questa  divina  rellgiune  di  amore  e  di  perdono 
ha  istituito  dei  conciliatori  fra  Dio  e  l'uomo:  essa  li 
vuole  puri,  perchè  la  loro  vita  accresca  fiducia  alle 
loro  parole,  perchè  il  peccatore  che  si  avvicina  a  loro 
si  senta  ritornato  nella  compagnia  dei  virtuosi,  ma  li 
vuole  umili,  perchè  possano  esser  puri,  perchè  il  reo 
possa  ricorrere  ad  essi  senza  tema  di  esserne  respinto. 


CAPITOLO  Vili.  97 

Ec;Ii  SÌ  avvicina  senza  ribrezzo  ad  un  uomo  die  con- 
fessa di  esser  anch'egli  peccatore,  ad  un  uomo  clic 
dall'udire  le  sue  colpe  ricava  anzi  fiducia  die  chi  le 
rivela  sia  caro  a  Dio,  che  venera  nel  ravveduto  la 
iirazia  di  Colui  che  richiama  a  se  i  cuori  ^  ad  un  uo- 
mo che  riguarda  in  lui  la  pecora  portata  sulle  spalle 
del  Pastore ,  che  riguarda  in  chi  gli  sta  ai  piedi  l'og- 
getto della  gioja  del  cielo  ^  ad  un  uomo  che  tocca  le 
sue  piaghe  con  compassione  e  con  rispetto,  che  le  ve- 
de già  coperte  di  quel  Sangue  che  egli  invocherà  so- 
pra di  esse.  Sapienza  ammirabile  della  religione  di 
Cristo  !  Essa  impone  al  penitente  delle  opere  di  sod- 
disfazione, colle  quali  più  certa  appare  la  mutazione 
del  cuore,  perchè  si  rivolge  agli  atti  contrari  a  quelli 
a  cui  si  portava  nel  suo  traviamento;  colle  quali  egli 
si  rinfranca  nelle  abitudini  virtuose  e  nella  vittoria 
di  se  stesso,  colle  quali  egli  mantiene  la  carità  e  com- 
pensa in  certo  modo  il  mal  fatto .  Poiché  non  solo 
essa  non  gli  accorda  il  perdono,  che  a  condizione  che 
egli  rimedi,  potendo,  ai  danni  fatti  al  prossimo,  ma 
per  oc;ni  sorta  di  colpe,  lo  assoggetta  alla  penitenza, 
la  quale  non  è  altro  che  P  aumento  di  tutte  le  virtù . 
Essa  ingiunge  ai  suoi  ministri  che  si  accertino  il  più 
die  possono  della  realtà  del  pentimento  e  del  propo- 
sito, indagine  che  tende  non  solo  ad  impedire  che  si 
incoraggisca  il  vizio  colla  facilità  del  perdono,  ma  a 
dare  una  più  consolante  fiducia  all'uomo  che  è  pentito 
davvero  :  tutto  è  sollecitudine  di  perfezione  e  di  mi- 
sericordia. E  i  ministri  che  leggermente  riconciliassero 
chi  non  fosse  realmente  cangiato ,  essa  li  minaccia  che 
invece  di  scioglierlo,  saranno  essi  stessi  legati:  tanta 
è  la  sua  cura  perchè  l'uomo  non  cangi  in  veleno  i  rl- 
medj    pietosi  che  Dio  ha  dati  alla  nostra  debolezza . 

Manzoni  '  J  ' 


98         SULLA  MORALE  CATTOLICA 

Chi  con  qiiesle  disposizioni  e  ammesso  alla  peni- 
tenza, e  certamente  sulla  via  della  virtù:  chi  ha  udi- 
to dirsi  dal  ministro  del  Signore  ch'egli  è  assolto,  si 
sente  come  ristabilito  nel  retaggio  della  innocenza, 
ec;li  comincia  di  nuovo  a  battere  quella  via  con  ala- 
crità, con  tanto  più  di  fervore  quanto  più  si  ricorda 
che  frutti  amari  ha  colti  in  quella  del  vizio,  quanto 
più  egli  sente  che  gli  atti  e  i  sentimenti  virtuosi  sono 
i  mezzi  che  la  religione  gli  presenta  per  crescere  nella 
fiducia  che  i  suoi  vestigi  su  quella  trista  via  sono  can- 
cellati . 

La  religione  ha  ricevuto  dalla  società  un  vizioso, 
e  le  restituisce  un  giusto:  essa  sola  poteva  fare  que- 
sto cambio.  Chi  avrebbe  pensato,  chi  avrebbe  tentato 
d'instituire  un  ceto  per  aspettare  il  peccatore,  per  ri- 
cercarlo, per  inse2;nare  la  virtù,  per  richiamare  a 
quella  chi  ricorre  a  loro  ,  per  parlargli  con  quella 
sincerità  che  non  si  trova  nel  mondo,  per  metterlo 
in  guardia  contro  ogni  illusione,  per  consolarlo  a  mi- 
sura che  diventa  migliore. 

il  mondo  si  lamenta  che  molti  esercitano  un  tanto 
ufficio  come  un  mestiere,  e  con  questa  parola  che 
non  giunge  a  disonorare  le  più  nobili  funzioni  ,  il 
mondo  fa  vedere  che  distanza  ponga  esso  medesimo 
fra  queste  ed  ogni  altra,  come  senta  anch'esso  che 
l'istituzione  di  (jucste  è  così  augusta,  che  ciò  che  è 
ordinario  nelle  altre,  in  esse  è  sconvenevole.  Ma  for- 
se che  sono  cessati  i  ministri  degni  delle  loro  fun- 
zioni? No:  Dio  non  ha  abbandonata  la  sua  Chiesa: 
Eo-li  mantiene  in  essa  uomini  che  non  hanno,  che  non 
vogliono  altro  mestiere  che  sacrificarsi  per  la  salute 
dei  loro  fratelli,  che  proporsela  per  solo  premio  dei 
pericoli,  dei  patimenti,  della  vita  la  più  laboriosa, 


CAPÌTOLO  Vili.  99 

talvolta  della  morte,  dei  suppìizio,  e  più  sovente  di 
iiD  lento  martirio.  Ma  iì  mondo  che  si  lamenta  degli 
altri  guarderà  dunque  questi  con  venerazione,  e  con 
riconoscersza  :  in  o^nì  ministro  zelante  umile  e  disio- 
teressato  vedrà  un  uomo  grande;  si  ricorderà  con  te- 
nerezza e  con  maraviglia  quegli  Europei  che  scorrono 
i  deserti  dell'America  per  parlare  di  Dio  ai  selvaggi^ 
air  udire  la  line  di  auei  soldati  di  Cristo  che  andati 
alla  Chii;a  per  predicarvi  Gesù  Cristo,  senza  una  spe- 
ranza terrena,  vi  hanno  recentemente  subito  il  mar- 
tirio, il  mondo  se  ne  glorierà  come  fa  di  lutti  quelli 
che  sprezzano  la  vita  per  un  nobile  line .  Se  non  lo 
fa,  se  deride  quelli  che  non  può  censurare,  se  li  di- 
mentica, o  li  chiama  intelletti  deboli  miseri  pre- 
giudicati, si  può  credere  che  il  mondo  odii  non  i  <Ii" 
fctti  dei  ministri,  ma  il  ministero. 

Ma  non  è  solo  a  ipielli  che  hanno  gettato  il  giogo 
della  legge  divina  e  che  vogliono  ripigliarlo,  che  la 
penitenza  sacramentale  è  utile  c^  necessaria:  essa  io 
è  non  meno  ai  giusti.  In  guerra  mai  sempre  colie 
])rave  inclinazioni  interne,  e  con  tutte  le  potenze  del 
male,  essi  sono  chiamati  dalia  religione  a  ripensare 
nell'amarezza  del  cuore  le  loro  imperiezioni,  a  ve- 
gliare sulle  loro  cadute  ^  ad  implorarne  il  perd^ono, 
a  compensarle  con  atti  di  virtuosa  annegazione.  a 
proporre  di  cangiar  sempre  in  meglio  la  loro  yììiì  . 
La  penitenza  è  quella  che  distrugge  in  essi  i  vizi  al 
loro  nascere,  che  in  vasi  di  argilla  conserva  il  te- 
soro (i)  della  innocenza. 

Una  istituzione  che  obbliga  l'uomo  a   formare  un 


(i)  llahemxis    (wirn    ihesuuiiun    istain    in    vftsis    fìctitibu^  .    l'ani    II.   ad 
Coiiiith.  IV.   --. 


> 


100      SULLA  MOr»ALE  CATTOLICA 

fi^ludizio  severo  sopra  se  stesso,  a  misurare  le  sue  a- 
zioni  e  le  sue  disposizioni  col  regolo  della  perfezio- 
ne, che  gli  dà  il  più  forte  motivo  per  escludere  da 
questo  e^iudizio  ogni  ipocrisia,  insegnando  che  sarà 
riveduto  da  Dio,  è  una  istituzione  sommamente  mo- 
rale . 

Come  mai  una  tale  istituzione  ha  potuto  essere 
sconosciuta  da  tanti  scrittori?  Come  mai  le  è  stato 
tante  volte  attribuito  uno  spirito  perfettamente  op- 
posto al  suo? 

Non  si  può  a  meno  di  non  provare  un  sentimento 
doloroso  in  ogni  maniera,  quando  in  uno  scritto  che 
spira  amore  per  la  verità  e  pel  perfezionamento,  in 
lino  scritto  dove  le  riflessioni  le  più  pensate  sono  or- 
dinate al  sentimento  morale,  e  questo  al  sentimento 
religioso,  si  trova  questa  proposizione  che  il  catto- 
licismo  fa  comperare  1'  assoluzione  colla  manifesta- 
zione delle  colpe  (i).  Qui  non  si  tratta  d'induzioni, 

(i)  Le  Catholìcisme ,  en  admettant  les  pratiques  à  compenser  les  cri- 
mcs ,  en  faisant  acheter  V  absolution  par  des  aveux ,  et  les  faveurs  par 
des  offrandes ,  hlessait  trop  ouvertement  les  plus  simples  twtions  de  la 
raison  pour  poin'oir  resister  au  progrès  des  lumières  .  Educalions  prati - 
que,  traci,  de  l' anglais  par.  M.r  Pictet.  Genève  de  1' impr.  de  la  Bibliot. 
liritan.  Préface  du  Traducteiir ,  pag.  Vili  e  della  seconda  ediz.  pag.^VII. 
Senza  dubbio,  una  siffatta  religione  urterebbe  le  nozioni  le  più  sempli- 
ci della  ragione.  Ma  supponendo  tale  il  cattolicismo ,  rimarrebbe  da  spie- 
gare come  p.  e.  Pascal  e  Bossuet  avrebbero  potuto  acconsentirvi  ,  co- 
me tutti  i  cattolici  sicno  indietro  delle  prime  nozioni  della  ragione .  Que- 
sta spiegazione  però  non  è  necessaria,  giacche  il  fatto  non  sta. 

Non  ci  estenderemo  sullo  altre  due  taccie  date  al  Cattolicismo  ,  perche 
non  sono  dirottamente  dell'argomento,  e  implicitamente  vengono  sciolte 
anch'esse;  giacche  le  pratiche  del  culto,  e  le  offerte  sulle  condizioni  del- 
le quali  si  è  tanto  parlato,  sono  atte  al  fine  di  compensare  i  peccati,  e  di 
ottenere  i  favori;  e  senza  quello  non  sono  ne  proposte,  ne  valutate  dalla 
dottrina  della  Chiesa .  Ho  recato  questo  esempio ,  perchè  troppo  importa 
mostrarne  uno,  in  cui  è  evidente  che  l'avversione  alle  massime  della  Chie- 
sa e  fondata  sopra  una  massima  supposta  .  ed  ho  scelto  questo  in  partico- 
lare, })erchè  in  un  libro,  dove  vorrei  che  tutto  fosse  concordia  e  benevo- 
lenza, mi  è  sembrato  bene  di  citare  Scrittori  ai  quali,  ribattendo  le  loro 
iipiuioni,  .-^i  possa  dare  un  attcstato  di  slima  sentita,   e  non  comune. 


CAPITOLO  Vili.  loi 

uè  di  influenze  recondite  e  complicate;  si  tratta  di 
un  fatto:  ognuno  può  informarsi  da  qualunque  cat- 
tolico, se  la  manifestazione  {ai^eii)  delle  colpe  ba- 
sti ad  ottenerne  l'assoluzione:  (fuaUmfjue  cattolico  ri- 
sponderà di  nò,  qualunque  cattolico  ripeterà  col  Con- 
cilio di  Trento  ce  anatema  a  chi  nega  che  alla  per- 
fc  fetta  remissione  dei  peccati  si  richieggano  tre  atti 
ce  nel  penitente  quasi  materia  del  Sacramento,  cioè 
ce  la  contrizione  la  confessione  e  la  soddisfazio- 
cc  ne  (i)  5J. 

Di  più,  ricevere  questo  sacramento  senza  quelle  di- 
sposizioni è  un  sacrilegio ,  un  nuovo  orribile  peccato . 
E  tanto  è  vero  che  T  assoluzione  non  si  compera  colla 
manifestazione,  che  talvolta  1'  assoluzione  può  esser 
negata  dopo  la  manifestazione,  e  talvolta  si  dà  senza 
di  essa ,  come  ai  moribondi ,  che  non  sono  in  grado  di 
farla,  e  che  danno  segni  di  esservi  disposti. 

Si  consideri  un  momento  lo  spirito  della  Chiesa 
nella  dottrina  dei  sacramenti,  e  si  vedrà  come  tutta 
reconomia  di  essi  sia  diretta  alla  santificazione  del 
cuore,  si  vedrà  quanto  ella  abborra  dal  sostituire  le 
pratiche  ai  sentimenti .  1/  insegnamento  cattolico  fa 
nei  sacramenti  una  distinzione  non  meno  propria  che 
importante,  chiamandone  alcuni,  sacramenti  dei  \^wi^ 
ed  altri  dei  morti.  Gli  uni  e  gli  altri  sono  istituiti  da 
Gesù  Cristo,  e  tutti  per  santificare^  ma  ai  primi  non 
è  lecito  accostarsi  se  non  in  istato  di  grazia  :  perchè  ? 
Perchè  secondo  la  Chiesa  il  primo  passo,  il  passo  in- 
dispensabile ad  ogni  grado  di  santificazione,  è  il  ri- 


Sc  quis  ncgaverit  ad  ìntegrant  et  perfectam  lemissionem  requiri  tvcs 
in   pcenitente  ,    quasi    materiarn    Sacramc/Ui    Ptvnilentiie,    vidcUcct 


(0 
actus 

Contritionem ,  Cònfessionem ,  et  Sati-ifactioncin  ....  anathema  si't .  Cane. 
Trid.  scss.  XIV.  caa,  IV 


102        SULLA  MORALE  CATTOLICA 

torno  a  Dio,  l'amore  delia  giustizia,  ravvcrsior.c    \\ 
male . 

Ve  pur  troppo  negli  uomini  una  tendenza  supcrsli- 
ziosa  che  li  porta  a  confidare  nelle  nude  pratiche  ?- 
sterne,  e  a  ricorrere  a  cerimonie  religiose  per  soifo- 
care  i  rimorsi  ;,  senza  riparare  ai  ^mali  commessi ,  e 
senza  rinunziare  alle  passioni:  il  gentilesimo,  credo 
io ,  li  serviva  in  ciò  secondo  i  loro  dcsiderj .  Ma  quale 
è  la  rellsjione  che  essenzialmente  perpeturauentc  e^ 
manifestamente  si  oppone  a  questa  tendenza?  La  re- 
ligione cattolica  senza  alcun  duhbio  .  Essendo  tutti  :. 
sacramenti  mezzi  efficaci  di  santificazione,  perchè  non 
sarebbe  lecito  ricorrere  indistintamente  a  tutti  i  tia 
cramcnti,  se  le  pratiche  del  culto  fossero  ammesse  a 
compensare  i  delitti?  Quale  mezzo  di  santificazione 
potrebbe  parere  più  facile  che  il  sacramento  dell' Eu- 
carestia, il  quale  comunica  realmente  la  Vittima  Di- 
vina, e  unisce  all'uomo  la  santità  stessa?  Eppure  la 
Chiesa  dicliiara  non  solo  inutile,  ma  sacrilego  il  ri- 
cevere questo  sacramento  a  chi  non  sia  in  istato  di 
grazia:  il  Propiziatore  stesso  diventa  condanna  in  un 
cuore  ingiusto.  Essa  obbliga  i  peccatori,  che  voglìon 
giungere  a  quei  fonti  di  grazia ,  a  passare  pei  sacra- 
menti che  riconciliano  a  Dio:  la  penitenza,  alla  quale 
non  è  lecito  avvicinarsi  senza  dolore  del  peccato,  ;e 
senza  proposito  di  nuova  vita  ;  e  il  battesimo,  che  ne- 
gli adulti  esige  le  stesse  disposizioni.  Poteva  la  Chiesa 
mostrare  più  ad  evidenza,  che  non  conta,  che  anzi 
ricusa  le  pratiche  esterne,  quando  non  sieno  segni  di 
amore  sincero  della  giustizia? 

Ma  donde  può  esser  nata  una  opinione  tanto  con- 
traria allo  spirito  della  Chiesa?  Io  credo  da  un  equi- 
voco. Essendo  la  confessione  la  parte  più  a])parente 


CAPITOLO  Vili.  io5 

del  sacramento  di  penitenza,  ne  è  venuto  l'uso  di 
chiamare  impropriamente  confessione  tutto  il  sacra- 
mento. Ma  si  avverta  che  questa  inesattezza  di  paro- 
la non  ne  Iia  corrotta  Tidea^  perchè  la  necessità  del 
dolore  del  proponimento  e  della  soddisfazione  è 
tanto  universalmente  insegnata,  che  si  può  aifermare 
non  esservi  catechismo  che  non  la  inculchi,  né  ragaz- 
zo ammesso  alla  confessione  che  la  ionori. 


CAPITOLO   IX, 

SUL     RITAUDO    DELLA    C0NVERS10ì>JE 


La  verta  mi  lieii  iVétre  la  tdche  constante  de  tonte  la  vie 
ne  flit  plus  quun  compte  à  régler  a  V  article  de  la 
moì't.  Il  iiy  eia  plus  aucun  pécheur  si  aveuglé  par  ses 
passions,  quU  ne  ])rojetdt  de  donner,  avant  de  mourir, 
(juelqiies  jours  aii  soin  de  son  salut;  et  dans  cette  con- 
fiance  U  ahandoiuiait  la  bride  à  ses  penchans  déréglés. 
1  Les  casuistes  avaient  dépassé  leiir  bui  en  nowTissant 
une  telle  confiajice  :  ce  flit  en  vain  quils  préchércut 
alors  contre  le  retard  de  la  conversion;  ils  ètaiént  eux- 
mémes  les  créateurs  de  ce  déréglement  d'esprit,  incon- 
mt  aux  anciens  moralistes;  fhabìtude  était  prise  de  ne 
considcrer  que  la  mori  dii  pécheur ,  et  non  sa  vie;  et 
elle  devint  wiiverselle.  Pag.  l\\.b.  1{ìQ. 


^iicst'iìltima  oìjbiczlonc  contro  la  dottrina  cattolica 
(Iella  penitenza,  viene  a  dire  che  essa  ha  proposto  uà 
mezzo  di  remissione  tanto  facile,  tanto  a  disposizione 
del  peccatore  in  ogni  momento ,  che  questi  certo ,  pei- 
dir  così,  del  perdono,  è  stato  indotto  a  continuare  nel 
vizio,  riservando  la  penitenza  all'ultimo^  e  che  a  que- 
sto modo  non  solo  tutta  la  vita  e  stata  resa  indipen- 
dente dalla  sanzione  religiosa,  ma  questa  stessa  è  di- 
venuta incoraggimento  al  mal  fare,  e  la  morale  è  sta- 
ta per  conseguenza  rovinata. 

Un  tale  tristissimo  ciletto  vien  qui,  a  quel  che  mi 
pare,  attribuito  promiscuamente  alla  dottrina  in  se, 
alle  opinioni  del  popolo,  ed  all'insegnamento  del  cle- 
ro: e  questi  sono  in  fatti  i  tre  elementi  da  considc- 


CAPITOLO  IX.  io5 

rarsi  nella  quistione  presente.  Noi  11  considereremo 
partitamente,  per  presentarli  secondo  (piello  che  a 
noi  sembra  il  vero  punto  di  vista:  ma  prima  sarà  ben 
fatto  di  accennare  le  proposizioni  che  noi  crediamo 
dover  essere  il  risultato  di  questo  esarac. 

I.  La  dottrina  —  è  la  sola  conforme  alle  Sacre 
Scritture  —  è  la  sola  che  possa  conciliarsi  colla  ra- 
c^ione  e  colla  morale. 

II.  Le  opinioni  abusive — non  possono  venire  dalla 
dottrina  —  sono  pratiche  e  non  speculative  —  sono  in- 
dividuali e  non  2;enerali — non  possono  esser  distrutte 
utilmente,  che  dalla  cognizione  e  dall'amore  della 
dottrina . 

in.  11  clero  (  preso  non  nella  totalità  fisica,  ma 
nella  unanimità  morale  )  —  non  insegna  la  dottrina 
falsa  —  non  dissimula  la  vera. 

I. 

Della  Dottrina, 

In  tutte  le  questioni  morali  e  necessario  esaminare 
la  dottrina  in  se.  Stabilirne  il  giudizio  puramente  su- 
gli eiVetti,  mi  sembra  vm  metodo  non  solo  incompleto 
ma  fallace  per  molte  ragioni  :  perchè  suppone  che  non 
vi  siano  nella  rivelazione  e  nella  ragione  principi  mo- 
rali a  cui  ridurre  quella  dottrina^  perche  gli  effetti 
sono  di  una  tale  estensione  e  complicatezza,  che  e  im- 
possibile stimarli,  non  dico  precisamente,  ma  con  quel 
grado  di  approssimazione  alla  realtà,  che  pure  è  ne- 
cessario che  essi  abbiano,   dovendo   essere  prove,  e 
prove  lìoiche^  e  fmalmcnte  perchè  non  essendo  tutù 
dovuti  alla  dottrina,  non  le  si  devono  tutti  imputare^ 


loG        SULLA  MORALE  CATTOLICA 

e  quindi  s'introfUice  nella  questione  nn  elemento  e- 
stranco  :  mi  spiego.  Il  fine  d' ogni  dottrina  morale  de- 
v^ essere  la  possibile  perfezione  degli  uomini:  a  que- 
sto fine  due  cose  sensibili  deggiono  cooperare ,  la  dot- 
trina ,  e  la  volontà  degli  uomini  :  quindi  in  ogni  caso 
in  cui  si  trovi  in  fallo  una  maggiore  o  minore  di 
stanza  dalla  perfezione,  la  colpa  può  essere  di  una  di 
queste  due  cose,  o  d'entrambe:  il  che  bisogna  ricer- 
care. La  volontà  può  rivolgersi  al  male,  anche  dopo 
aver  ricevuta  in  massima  una  dottrina  eccellente,  lo 
può  tanto  più,  adottando  una  dottrina  cattiva.  Acca- 
gionare la  dottrina  dei  mali  che  accadono  dove  essa 
è  tenuta,  è  ritenere  certamente  reo  un  solo  di  una 
colpa  la  quale  può  essere  tutta  d'un  altro,  e  nella 
quale  la  complicità  di  quest'altro  è  almeno  presumi- 
bile,  e  ciò  senza  aver  esaminato  né  l'uno  né  l'altro 
imputato . 

Una  dottrina  morale  che  promettesse  di  condurre 
infallibilmente  tutti  gli  uomini  alla  bontà  col  solo  es- 
sere promulgata,  potrel)be  a  buon  dritto  essere  riget- 
tata sulla  semplice  prova  degli  inconvenienti  clic  sus- 
sistono con  essa.  Ma  siccome  la  dottrina  cattolica  non 
fa  una  tale  promessa ^  questa  prova  non  basterebbe 
contro  di  essa  :  bisogna  esaminarla  :  se  gli  effetti  cat- 
tivi vengono  da  essa,  il  vizio  si  troverà  nei  princi- 
pi (0- 

(i)  S'insiste  pai  ticolarmcnte  sulla  necessità  di  esaminare  la  dottrina, 
perche  questo  esame  è  ordinariamente  trascurato:  e  molli  dopo  aver  ri- 
cordata qualche  perversità  commessa  dai  cattolici  credono  di  aver  condan- 
nata la  religione  Questo  modo  singolare  di  ragionare  è  frequentissimo  in 
tutte  le  questioni,  che  hanno  rapporto  C()"!a  morale:  dove  vi  ha  |)arliti, 
ognuno  crede  di  avere  stabilita  la  sua  causa,  quando  abbia  mostrati  gl'in- 
convenienti dell'altra:  ognuno  paragona  tacifamenle  la  causa  avversaria  con 
un  tipo  di  peifezinnc,  e  non  gli  è  difficile  mostrare  chi"  no  sia  lnii(,ìn.i  ; 
tutti  in  generale  dimenticano  che  il  giudi/.io  deve  venire  dal  conti onto  de- 


>^ 


CAPITOLO  IX.  107 

Nel  capitolo  antecedente  si  ò  dimostrato^  che  la 
dottrina  cattolica  snlla  conversione  è  la  sola  ragione- 
vole: ora  nclFidea  di  conversione  è  natnralmente  in- 
chisa  la  possibilità  di  essa  in  tutti  i  momenti  della 
vita  :  si  potrebbe  dire  adunque  che  la  tesi  presente  è 
già  provata  nelF  altra.  Ma  siccome  questa  possibilità 
è  presentata  come  origine  di  massime  e  di  abitudini 
funeste  alla  morale,  così  diventa  necessario  di  trat- 
tarla a  parte .  Richiamando  dapprima  T  esame  alla 
dottrina,  la  nostra  intenzione  non  è  di  declinare  dal- 
l'esame del  fatto:  noi  cercheremo  anzi  di  istituirlo  con 
tutta  (I nella  precisione  che  si  può  portare  nella  rica- 
pitolazione di  fatti  molliplici  vari  e  composti,  ma 
certo  con  ogni  sincerità:  poiché  se  il  nostro  scopo  fos- 
se di  illudere  noi  e  gli  altri,  il  solo  guadagno  che  po- 
tremmo cavarne  sarebbe  (jucllo  di  essere  o  ciechi  vo- 
lontari,  o  impostori:  due  poveri  guadagni. 


i^li  iuconvcnicuti  delle  due  cause-  Quindi  quelle  eterne  dispute  nelle  quali 
ognuno  espone  la  metà  della  questione  che  gli  è  favorevole,  e  trionfa;  sal- 
vo all'altro  a  trionfare  alla  sua  volta,   esponendone  l'altra  metà. 

Si  citano  tratti  di  prepotenza  brutale  sostenuta  dagli  usi  o  anche  dalle 
leggi,  frivolezze  tenute  in  gran  conto,  e  cose  importanti  trascurate,  sco- 
perto dal  l)uon  senso,  e  dal  genio  accolte  come  dclirj ,  insistenze  lunghis- 
sime dei  più  savi  verso  qualche  scopo  insensato,  e  sbaglio  nei  mezzi  an- 
che per  giungere  a  questo;  buone  azioni  cagione  di  persecuzione,  e  azioni 
tristi  cagione  di  prosperità  ce.  ec.  e  si  couchiude  dicendo:  ecco  il  buon 
tciiìjw  antico;  e  se  ne  trae  argomento  per  ammirare  lo  spirito  dei  tempi 
moderni.  Da  un'  altra  parte  si  ricordano  imprese  cominciate  parlando  di 
giustizia  e  di  up.ianità,  e  consumate  colla  più  orribile  ferocia;  l'esaltazio- 
ne (h  tutte  le  passioni  personali  presentala  come  un  mezzo  di  perfeziona- 
mento sociale;  la  sapienza  riposta  da  molti  nella  voluttà,  e  la  virtù  nel- 
l'orgoglio; e  qui  pure,  come  sempre  e  da  per  tutto,  la  persecuzione  della 
virtù  e  il  trionfo  del  vizio  ec.  ec;  e  si  conclude  dicendo:  ceco  il  secolo 
dei  lìimi;  e  si  hanno  queste  per  buone  ragioni  onde  desiderare  i  tempi 
andati.  Ammirazione  e  desiderio  in  cui  s' im|)iega  l'ozio  che  si  potrebbe 
dare  allo  studio  della  [ìcrpetua  corruttela  dell'uomo  e  dei  mezzi  veri  per 
rimediarvi,  ed  alla  applicazione  di  questa  scienza  a  tutte  lo  istituzioni  e  a 
tulli   i  tempi. 

Queste   rillcssioni  non  si  danno  qui  come   recondite,  ma  come  trascurale. 


io8       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

11  punto  della  controversia  è  questo . 

Può  l'uomo^  fincliè  vive^  di  peccatore  divenir  giu- 
sto detestando  i  suoi  peccati,  riparandoli,  chieden- 
done perdono  a  Dio,  risolvendo  di  non  più  commet- 
terne, e  confidando  per  la  remissione  di  essi  nella  mi- 
sericordia di  Dio,  e  nei  meriti  di  Gesù  Cristo?  Quan- 
do il  peccatore  sia  così  giustificato,  è  egli  in  istato  di 
salvezza  ? 

La  Chiesa  dice  di  si:  consultiamo  la  Scrittura,  con- 
sultiamo la  ragione,  cerchiamo  i  principi  e  le  conse- 
guenze legittime  di  questa  dottrina,  e  della  dottrina 
contraria . 

Ijasciando  per  brevità  da  parte  la  connessione  es- 
senziale di  questa  dottrina  con  tutte  le  Scritture,  e 
i  passi  nei  quali  è  sottintesa,  ne  riportiamo  un  solo: 
esso  e  formale. 

ce  La  giustizia  del  giusto  non  lo  libererà  in  qualun- 
fc  que  giorno  ei  pecchi:  e  l'empietà  dell' empio  non 
r<  2;li  nuocerà  più  in  qualunque  giorno  ei  si  converta.... 
ce  Se  io  avrò  detto  all'empio:  tu  morrai^  ed  egli  farà 
fc  penitenza  del  suo  peccato,  e  farà  opere  rette  e  giu- 
fc  ste^  se  restituirà  il  pegno,  e  renderà  il  rapito,  se 
fc  camminerà  nei  comandamenti  di  vita,  e  nulla  farà 
ce  d'ingiusto,  vivrà,  e  non  morrà.  Tutti  i  peccati  che 
ce  ee;li  ha  fatti,  non  gli  saranno  imputati:  ha  operato 
ce  secondo  il  giudicio  e  la  giustizia 5  vivrà  (i)5->. 

(i)  Justitia  justi  non  liberavi t  cuni  in  quacumqiie  die  peccaverit  ;  e  int- 
pietas  inipii  non  nocebit  ei  in  quncunique  die  conversus  fuerit  ah  impie- 
tate  sua.  .  .  Si  auleni  dixero  impio  :  morte  morieris  ;  et  egerit  poeni- 
tentiam  a  peccato  suo,  faceritque  judicium  et  jusliliarn  ,  et  pignus  resli- 
tuerit  ille  impiiis ,  rapiiiainquc  icddiderit ,  in  mandatis  vitae  ambulaverit, 
nec  fecerit  quidquam  injusLuni,  l'ila  vivet ,  et  non  morie  tur .  Omnia  pec- 
cata ejus ,  quae  j>:'ccavit,  non  imputabantur  ei  :  judicium  et  justitiam  fe- 
rii; vita  vivet.  Ezccli.  XXXIH.  12,  14.  i.>-  iG  V.  pure  il  c.t|).  XVIII. 
21.  e  seg. 


CAPITOLO  IX.  109 

Tutti  i  principi  e  le  conseguenze  di  questa  dottri- 
na ricadono  dunque  sulla  Scrittura,  è  ad  essa  che  bi- 
sogna chiederne  conto  ^  o  per  dir  meglio  ad  essa  sia- 
mo debitori  di  averci  rivelato  il  punto  essenziale  di 
morale  che  è  in  queste  parole .  Difatti,  se  la  giustizia 
consiste  nella  conformità  della  volontà  (e  delle  azioni, 
per  conseguenza  necessaria  )  colla  legge  di  Dio  ,  il 
peccatore  che  ottiene  il  perdono,  e  le  diventa  confor- 
me, diventa  giusto,  e  la  giustizia  è  uno  stato  reale 
dell'anima  umana:  se  la  conversione,  se  T applicazio- 
ne della  misericordia  dì  Dio  pei  meriti  del  Mediatore, 
non  è  una  chimera,  Tuomo  che  è  entrato  in  questo 
stato  è  attualmente  amico  di  Dio,  e  meritevole  di 
ricompensa.  Se  il  tempo  di  prova  è  in  questa  vita,  se 
il  premio  e  la  pena  riguardano  questo  tempo  (e  tutta 
la  morale  religiosa  è  fondata  su  questa  massima ,  e 
tutti  i  filosofi  dal  primo  all'ultimo,  riguardano  que- 
sta massima  come  un  beneficio  della  religione,  un 
supplemento  ai  mezzi  umani  per  accrescere  il  bene 
morale  e  diminuire  il  male)  se  il  tem])o  di  prova  e 
in  questa  vita,  l'uomo  che  al  finire  della  prova  è  in 
istato  di  giustizia,  dev'essere  in  istato  di  salvezza. 
INon  si  perdano  di  vista  le  condizioni  intrinseche  ed 
estrinseche  della  conversione,  delle  quali  si  è  parlato 
nel  capitolo  antecedente ,  e  si  dica  se  la  ragione  può 
rifiutare  questi  principj  di  morale,  se  può  ammet- 
terne altri. 

Ma  quali  sono  le  conseguenze  legittime  di  questi 
principj  nell'applicazione  pratica  a  tutta  la  vita?  Essi 
soli  bastano  a  condurre  alle  conseguenze  le  più  mo- 
rali che  possano  cadere  nella  speculazione  degli  uo- 
mini: ma  per  meglio  convincercene  bisogna  vedere 
la  dottrina  in  tutte  le  sue  parti . 


1 1  o       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

Se  nel  pericolo  prossimo  di  una  inondazione,  i\n 
nomo  a  cui  altri  parlasse  della  necessità  di  porsi  "'ii 
salvo,  domandasse  se  trascurando  di  farlo  in  (pici  mo- 
mento sarebbe  certo  di  perire,  che  cosa  gli  si  dovreb- 
be ragionevolmente  rispondere?  i\o  :  non  è  infaUibllc 
che  voi  perirete  ritardando  a  porvi  in  salvo:  rac([ua 
stessa  può  gettarvi  vicina  una  tavola,  e  condurvi  so- 
vr' essa  a  salvamento:  sarebl)e  sloltezza  negare  una 
possibilità  che  è  nella  natura  delle  cose,  ne  voi  vi  la- 
scerete illudere  dalla  nostra  minaccia.  Ma  voi  ponete 
male  la  questione  '^  voi  avete  torto  di  considerare  una 
cosa  tanto  importante  da  un  lato  che  non  è  il  lato  ra- 
jiionevolc:  j)iìi  voi  tardate,  più  la  vostra  salvezza  di- 
venta difficile:  voi  dovete  calcolare  questa  dillìcoltà, 
e  regolarvi  in  conseguenza:  esaminare  la  possibilità 
sola^  è  volere  escludere  dalla  deliberazione  gli  elemen- 
ti più  importanti . 

Lo  stesso  e  nell'affare  della  salvezza  dell'anima. 

È  possibile  sempre  il  convertirsi,  dice  la  Chiesa^ 
ne  può  dire  altrimenti  :  ma  e  difficile  ;  ma  questa  dif- 
ficoltà cresce  a  misura  che  il  tempo  passa,  che  i  pec- 
cati si  accumulano,  che  le  abitudini  viziose  crescono, 
che  si  è  stancata  la  pazienza  di  Dio,  che  si  è  sta^o 
sordo  alle  sue  chiamate:  quindi  la  difficoltà  .è  massi- 
ma appunto  al  momento  di  abbandonare  la  vita.  E 
la  Chiesa  non  solo  non  lusinga  i  peccatori  che  essi  po- 
tranno superare  questa  difficoltà,  ma  gli  avvisa  che 
non  sanno  nemmeno  se  potranno  affrontarla',  giacche 
il  momento  e  il  modo  della  morte  è  egualmente  in- 
certo . 

Quindi  le  massime  di  condotta  che  un  uomo  ragio- 
nevole (e  la  religione,  come  tutte  le  dottrine  vere, 
intende  parlare  alla  ragione)  può  dedurre  da  questa 


* 

»-  * 

^ 


t 


CAPITOLO  IX.  Ili 

dottrina,  si  riducono  ad  una,  che  il  Maestro  ha  data 
egli  stesso ,  come  conseguenza  di  tutti  i  suoi  insegna- 
menti: ce  state  apparecchiati  5  perchè  in  queir  ora  che 
ce  voi  meno  pensate,  verrà  il  Figliuolo  dciruomo(i)w. 

Dunque  è  ragionevole  di  vivere  in  ogni  momento 
in  modo  che  si  possa  con  fiducia  presentarsi  a  Dio  ^ 
dunque  la  conversione  è  necessaria  in  ogni  momento 
ai  peccatori,  la  perseveranza  in  ogni  momento  ai  giu- 
sti: conseguenza,  della  quale  è  impossihile  trovarne 
una  che  presenti  una  applicazione  più  morale,  più  po- 
tente, più  estensihile  a  tutte  le  azioni.  Quindi  questa 
dottrina  invece  di  non  far  considerare  che  la  morte, 
è  sommamente  propria  a  dirigere  tutta  la  vita. 

ce  Ma  che  importa,  si  dirà,  che  le  cor»scguenze  im- 
cc  morali  sicno  legittime  o  no,  quando  sono  state  de- 
ce dotte,  quando  gli  uomini  hanno  regolata  la  loro 
ce  vita  su  queste  conseguenze?  Voi  dite  che  i  catlo^ 
ce  liei  viziosi  hanno  sragionato:  sia  pure;  ma  questa 
«  dottrina  è  sempre  stata  ad  essi  occasione  di  farsi 
ce  una  falsa  fiducia  :  essi  hanno  vissuto  nel  male,  colla 
ce  speranza  e  per  la  speranza  di  hcn  morire  ^\ 

Suppongo  il  fatto ,  e  domando  :  che  farci  ?  0  hiso- 
gna  provare  che  è  utile  lasciar  gli  uomini  senza  una 
dottrina  sul  ritorno  a  Dio,  sui  suoi  giudizi,  sulle  pene, 
e  sui  premi  della  vita  futura:  o  hisogna  darne  una 
diversa  dalla  rivelazione,  e  che  non  ahhia  questi  in- 
convenienti. Venga  un  uomo,  o  un  ceto  qualutKpie, 
che  si  arroghi  di  farlo:  la  Chiesa  non  avrà  ella  raiiio- 
ne  di  fermarlo,  e  dirgli:  perchè  gli  uomini  hanno, 
secondo  voi,  cavate  conseguenze  viziose  da  una  dot- 


(t)  Et  vos  estate  parati,  quia  qua  hora  non  piilutis ,  Jllius  liòminis  te- 
lnet. Lue.  XII.  40. 


1 1 2       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

Irina  santa  e  vera,  voi  volete  darne  loro  una  arbitra- 
ria !  Come  !  le  loro  inclinazioni  non  si  sono  raddriz- 
zate colla  regola  infallibile  ^  a  che  segno  di  deviazio- 
ne non  si  porteranno  con  ima  regola  falsa? 

Ma  supponiamo  cbe  un  tal  uomo  non  dia  retta  alla 
Chiesa,  ch'egli  passi  sopra  tutte  cpieste  difficoltà,  e 
ragioni  così: 

ce  E  stato  insegnato  ai  cattolici ,  clie  il  peccatore 
«può  (in  che  vive  convertirsi,  ed  essere  giustificato. 
«  E  vero  che  si  è  sempre  detto  loro  che  render  dif- 
cc  ficile  la  propria  salvezza,  è  una  assurdità  ec.  Ma 
«  malgrado  tutte  queste  limitazioni,  l'elFetto  è  stato 
"  che  non  vi  fu  peccatore  cosi  acciecalo  dalle  pas- 
<c  swni  che  non  prxtgettasse  di  consccrare  y  prima 
«  di  morire  y  qualche  giorno  alla  cura  della  sua  sal- 
<c  vezza ,  e  con  questa  fiducia  scioglieva  il  freno  alle 
<c  sue  inclinazioni  sregolate.  Bisogna  dunque  un  ri- 
«  medio,  e  non  un  palliativo  j  bisogna  togliere  la  ra- 
«  dice  del  male,  cioè  una  dottrina  necessariamente 
fc  male  interpetrata-,  una  dottrina  che,  data  la  natura 
«  dell'uomo,  opera  certamente  effetti  pessimi.  In  que- 
«  ste  cose  non  si  può  stare  senza  una  dottrina  qua- 
«  lunque  ^  una  dottrina  media  è  impossibile  :  dunque 
«  è  necessario  stabilire  e  promulgare  la  dottrina  op- 
«  posta,  cioè  non  è  vero  che  Fuomo  possa  convertirsi 
«  a  Dio:  giacché  se  si  ammette  la  possibilità,  essa  si 
«  ap[)llca  da  se  e  necessariamente  a  tutti  i  momenti 
<f  della  vita,  e  per  conseguenza  anche  agli  ultimi  w. 

«  Così  pine  è  stato  insegnato  ai  cattolici,  che  l'uo- 
^'  ino  è  giudicato  nello  stato  in  cui  si  trova  nelluscire 

di  questa  vita.  Egli  è  vero  che  si  è  anche  detto,  che 

la  morte  è  la  conseguenza  per  lo  più  della  vita;  che 


«e 


te  una  buona  morte  è  un  tal  dono,  che  la  vita  tutta 


CAPITOLO  IX.  ii3 

«  intiera  tleve  essere  impiegata  ad  implorarla  e  a 
«  meritarla,  che  non  solo  non  è  promessa  agli  empi, 
ce  ma  sono  minacciati  di  morire  in  peccato,  che  il 
fc  modo  di  esser  certi  di  ben  morire  è  di  ben  vivere, 
ce  ed  altri  simili  massime  :  ma  malgrado  di  qneste , 
ce  si  è  presa  l' abitudine  di  considerare  soltanto  la 
ce  inoi'te  del  peccatore ^  e  non  hi  vita;  e  V abitudine 
ce  divenne  universale.  S'insegni  adnnqne  che  T  uomo 
ce  non  sarà  giudicato  nello  stato  in  cui  si  troverà  al- 
ce  l'uscire  di  questa  vita  w . 

Ci  s'insegni  questa  dottrina,  e  si  dica  quali  ne  sa- 
ranno le  conseguenze  applicabili  alla  condotta  mora- 
le .  L' uomo  non  può  convertirsi  a  Dio  \  dunque  al 
peccatore  non  rimane  che  la  disperazione  :  stato  in- 
compatibile con  ogni  sentimento  pio,  umano,  digni- 
toso: stato  orribile,  in  cui  l'uomo,  se  potesse  durar- 
vi ed  esser  tranquillo ,  non  potrebbe  l'arsi  altra  legge 
che  procurarsi  il  più  di  piaceri,  lin  che  può,  a  qua- 
lunque costo.  L^uomo  non  può  convertirsi  a  Dio^ 
dunque  non  più  pentimento,  non  più  mutazione  di 
vita,  non  più  preghiera,  né  sperenza,  ne  redenzione, 
nò  Vangelo^  dunque  il  dire  ad  un  peccatore  di  diven- 
tar buono  per  motivi  soprannaturali,  sarebbe  fargli 
una  proposizione  assurda.  L'uomo  non  è  giudicalo 
nello  slato  in  cui  si  trova  all'uscire  di  questa  vita: 
dunque  non  v'è  stato  di  giustizia  e  d'ingiustizia  :  poi- 
ché che  sarebbe  una  giustizia  che  non  rimettesse  l  uo- 
mo nell'amicizia  di  Dio?  e  che  sarebbe  una  amicizia 
(h  Dio  (he  lasciasse  l'uomo  nella  pena  eterna?  dun- 
que non  sarà  vero  che  vi  sleno  premj  e  pene  per  le 
azioni  di  questa  vita,  perchè  non  si  suppone  in  ([uc- 
sta  vita  uno  stato  in  cui  l'uomo  possa  esser  degno 
ilegli  uni  e  delle  altre:  dunque  non  vi  sarà  una  ra- 


Mitit  zoili 


1 14       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

lijlonc  certa  e  preponderante  di  operar  bene  in  lutti  i 
momenti  della  vita. 

Queste,  ed  altre  simili,  sarebbero  le  conseji^uenzc 
di  una  tale  dottrina^  e  noi  le  dedurremmo  giuste,  se 
ella  fosse  promulgata  e  ricevuta:  giacche  gli  uomini 
sono  migliori  logici  pur  troppo  sui  principi   falsi  di 
morale ,  che  sui  veri  ;,  perchè  le  conseguenze  che  ven- 
dono da  quelli  non  sono  per  lo  più  avverse  alla  na- 
tura corrotta ,  e  l' ingegno  vi  cammina  senza  esser 
fermato  ad  ogni  passo  da  passioni  cavillatrici .  Sotto 
il  regime  della  dottrina  cattolica,  è  la  passione  che 
conduce  l'uomo  al  traviamento,  in  questa  supposta 
dottrina  più  l'uomo  sarebbe  ragionatore,  più  dovreb- 
be pervertirsi.   INella  dottrina  cattolica  il  mezzo  di 
prevenire  le  conseguenze  immorali,  è  di  richiamare 
gli  uomini  alla  dottrina:  qui,  è  nella  dottrina  che 
starebbe  T immoralità.  Ma  una  tale  dottrina  è  così 
contraria  alle  nozioni  della  ragione  e  ad  ogni  senti- 
mento religioso,  che  non  è  stata  proposta,  ne  potreb- 
be mai  essere  ricevuta.  Non  se  ne  è  parlato,  se  non 
per  mostrare ,  che  a  quella  della  Chiesa  non  se  ne 
può  sostituire  che  una  assurda,  o  nessuna. 

Esaminiamo  ora,  come  si  può,  trattandosi  di  ab- 
bracciare più  luoghi  e  più  tempi,  lo  stato  o  piutto- 
sto la  natura  delle  opinioni  abusive  che  esistono  nel 
cattolicismo  in  questa  materia;,  vediamo  fin  dove 
giungono  £;1' inconvenienti  che  sono  nati,  non  da  que- 
sta dottrina,  ma  malgrado  e  contro  di  essa. 


•   •       é 


CAPITOLO  IX.  ìi5 

II. 

Delle   Opinioni. 

Le  opinioni  abusive  non  possono  essere  imputate 
alla  dottrina. 

Credo  di  averlo  dimostrato  :  e  questa  proposizione 
non  si  ripete  qui  ,  che  per  servire  alla  serie  delle 
idee. 

Non  vengono  neppure  dall'insegnamento:  su  di  ciò 

ragioneremo  in  seguito. 

11  •  lì  l'i** 

Vengono   dal   pervertimento    del   cuore  :   di   tatti 

Fuomo  che  vuol  vivere  contro  la  legge,  e  clie  non 
può  persuadersi  che  la  legge  sia  falsa ,  procura  di  con- 
ciliare come  può  le  sue  azioni  colle  sue  idee.  L'uomo 
ha  bisogno  di  essere  in  pace  colla  sua  ragione  :  opera- 
re secondo  la  ragione,  sarebbe  il  mezzo  da  scegliersi 
sempre;  ma  quando  si  è  risoluto  di  operare  secondo 
le  passioni,  la  pace  si  fa  alla  meglio  per  via  di  so- 
fismi . 

La  religione  gV  insegna  che  Dio  fa  misericordia  a 
chi  si  pente,  ed  egli  dice:  mi  pentirò  un  giorno. 

Questa  illusione  costituisce  un  errore  pratico,  e 
non  speculativo^  e  la  differenza  è  grande  fra  questi 
due  caratteri.  Intendo  ^v  errori  pratici  quelli  che 
l'uomo  crea  a  se  stesso  per  la  circostanza,  per  giu- 
stificaic  in  qualche  modo  alla  ragione  il  male  a  cui 
egli  è  già  determinato:  e  per  errori  speculativi  quelli 
che  si  tengono  abitualmente  anche  quando  non  vi  sia 
un  im])ulso  di  interesse  .  Questi  operano  in  tutti  i 
tempi,  e  sono  cause  potenti  di  pc-rvertimcnto :  l'uo- 
mo il  più  tran([uillo  può  essere  condotto  da  una  opi- 


]  1 6       SLLLA  MORALE  CATTOLICA 

nione  storta  ad  un  male ,  a  cui  non  si  porterebbe  sen- 
za di  essa .  Gli  errori  pratici  invece  non  sono  ricevu- 
ti che  nelle  menti  già  corrotte,  non  durano  che  nella 
perturbazione  delle  passioni  •,  non  sono  discussi ,  deli- 
berati,  non  sono  ragionamenti,  ma  piuttosto  formole 
per  troncare  un  ragionamento . 

Difatti,  se  l'uomo  si  ferma  a  ragionare  sulla  con- 
versione, è  condotto  dalla  logica  alla  necessità  di  con- 
vertirsi immediatamente:  per  non  giungere  ad  una 
conclusione  che  il  senso  abborre ,  egli  dice  a  se  stes- 
so :  mi  convertirò  in  un  altro  tempo  :  non  segue  la  se- 
rie di  queste  idee ,  e  cerca  una  distrazione . 

Di  qui  nasce  un'altra  ditYerenza  essenziale.  Gli  er- 
rori di  questo  genere  sono  individuali  ^  e  non  genera- 
li :  voglio  dire ,  che  non  si  trasmettono  per  via  di  di- 
scussione;, non  diventano  precetti,  e  parte  di  scienza 
comune .  AH'  uomo  affezionato  al  disordine  basta  di 
avere  un  argomento  qualunque,  per  così  dire,  a  suo 
uso'^  non  si  cura  di  farne  parte  ad  altri ,  e  sopra  tut- 
to non  vuole  entrare  in  ragionamento,  e  perchè  non 
è  inclinato  a  queste  considerazioni,  e  perchè  sente 
che  il  suo  argomento  non  può  sostenere  l'opposizio- 
ne .  Quindi  questo  errore  non  si  propaga  per  proseli- 
tismo: vi  ha  degU  erranti  in  questa  materia,  ma  non 
falsi  maestri,  uè  discepoli  illusi. 

1  inalmente  non  può  esser  distrutto  utilmente  che 
dalla  cognizione,  e  dall'amore  della  dottrina. 

Per  distruggere  utilmente  gli  abusi,  bisogna  met- 
tere le  cose  in  istato  migliore  di  quello,  che  fossero 
con  essi:  spero  di  aver  dimostrato  che  sostituire  alla 
dottrina  cattolica  della  conversione  qualunque  altra, 
sarebbe  creare  una  sorgente  di  errori  peggiori,  e  cer- 
ti, e  universali.   Il  solo  mezzo  adunque  di  scemare 


CAPITOLO  IX.  1 1 7 

quelli  che  sussistono,  è  di  d  1  (Fonde re ,  di  studiare,  e 
di  amare  quella  religione,  che  comanda  la  virtù,  e 
la  insegna,  e  che  indica  ed  apre  tutte  le  vie,  che  con- 
ducono ad  essa.  Ricorrendo  un  momento  col  pensie- 
ro al  complesso  delle  massime  di  questa  religione,  si 
vede  a  che  profondo  d'ignoranza,  d'obhho  e  di  acce- 
camento dev'esser  giunto  un  uomo  per  vivere  male, 
colla  fiducia  di  pentirsi  quando  che  sia.  INon  basta 
far  violenza  alla  Scrittura  ed  alla  Tradizione  per  con- 
durle a  favorire  questa  fiducia:  non  si  può:  l'una  e 
r altra  la  combattono  sempre,  la  maledicono  sempre; 
è  forza  prescindere  dalla  Scrittura  e  dalla  Tradizio- 
ne ,  dimenticarle .  Appena  un  uomo  si  avvicina  ad  es- 
se coU'intcllctto  e  col  cuore,  sente  immediatamente 
che  non  v'è  tiducia  se  non  nelf  impiegare  secondo  la 
legge  di  Dio  ognuno  di  quei  momenti,  dei  quali  tut- 
ti si  darà  conto  a  Dio}  che  non  ve  n'ha  uno  in  tutta 
la  vita  per  il  peccato ,  che  è  sempre  di  somma  neces- 
sità dì  camminai^  cautamente ,  non  da  stolti^  ma  da 
prudenti,  ricomperando  il  tempo  (i);*  che  l'unica 
condotta  ra2;ionevole  è  di  studiarsi  di  render  certa 
la  propria  vocazione  ed  elezione  colle  opere  buo-- 
ne  (2) . 


(i)  Fidcte  ilnqtie ,  fi-atres ,  quomodo  caute,  ambulctis:  non  quasi  iiisi- 
pienles ,  sed  ut  sapienlcs ,  vcdimenlcs  lcriii>us  ....  Paul,  ad  Kplics.  v. 
i5,   16. 

(u)  Quaprnpferfrafresmnfrissataf^ilc,  ut  per  bona  opera  cerlain  vcìIikui 
vocatiijiicin  ci  clcclioneiit  faciulis  II.   l'cl.    i.    io. 


1 1 8       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

IH. 

DelV  Insegnamento , 

lì  clero  non  insegna  la  dottrina  falsa  —  non  dissi- 
nmla  la  vera. 

Ogiumo  vede,  clic  gli  allegati  sono  troppo  volumi- 
nosi per  essere  portati  in  giudizio:  ma  si  può  ardita- 
mente citare  tutte  le  istruzioni  del  clero,  tutti  i  li- 
bri ascetici,  tranne  alcune  rarissime  eccezioni,  che  ac- 
cenneremo in  ses^uito.  Trascriviamo  cpiì  alcuni  passi 
di  tre  uomini  celebri,  per  saggio  dell'insegnamento 
in  questa  materia» 

Mais  serons-nous  fort  contents  ci  une  pènitence 
commencèeaT afonie., (juin' aura j amais etè  èprouvèe, 
doni  jamaìs  on  nauta  vu  aucun  fruìt.^  d'une  pè^ 
nìtence  imparfaite ^  d'une  pènitence  nulle  ^  dojiteuse 
si  vous  le  uouleZy  saas  force s  ^  sans  reflexions^  sans 
ìoisir  pour  cu  rèparer  Ics  defauts  (i)? 

Ils  meurentj  ces  pècheurs  invètèrès  ^  camme  ih 
ont  vècu\  ils  ont  vècu  dans  le  pècliè ^  et  il  meurent 
dans  le  pèchè'^  ils  ont  vècu  dans  la  liaine  de  Diew^ 
ils  ont  vècu  en  payens  ^  et  ils  meurent  en  reprou- 
vès:  voilà  ce  que  V expèrience  nous  apprend , . .  Prè- 
tendre  que  des  hcdjitudes  contractèes  clurant  tonte 
la  vie  se  dètruisent  aux  approches  de  la  mort  ^  et 
que  dans  un  moment  on  se  fasse  alors  un  autre  e- 
sprit^un  autre  coeur.^  une  autre  volante .^  c'est^  Chri^' 
tiens^  la  plus  grossière  de  tonte s  les  erreurs  , , ,  ,De^ 
tous  les  tems  celui  oìt  la  vraie  pènitence  est  plus 

(i)  Bossuet^   Orai son  funebre  d' Jnne  ile  Gonzague  . 


CAP1T01.0  1X.  119 

difficile^  e  est  le  tems  de  la  mori.,.  Le  tems  de  le 
chercher  ce  Dieu  de  mìsèrìcorde  j  e  est  la  vie  ^  le 
tems  de  le  irouver^  e  est  la  mori . ,  \\). 

Vous  avez  vècii  impudique'^  vous  mourrez  tel'^  vous 
avez  vècu  amhitieux  ^  vous  mourrez  saiis  cjue  V  a- 
mour  du  monde  ^  et  des  vains  honneurs  meure  dans 
votre  coeur'^  vous  avez  vècu  mollemente  sans  vice 
ni  vertu^  vous  mourrez  Idchement  et  sans  compon- 
ction  .,/je  sais  que  tout  le  tems  de  la  vie  presente  est 
un  temps  de  salut  et  de  propiti ation '^  que  nous  pou- 
\fons  toujours  retourner  ci  Dieu  ;  qu  à  quelque  lieure 
que  lepècheurse  convertisse  au  Seigneur^  le  Seigneur  se 
convertit  à  luii  ^^  '7"'^  tandis  que  le  serpent  d'air  ahi 
est  èlevè  e  il  nest  poiat  de  plaie  incurahleè  e'  est 
une  vèritè  de  la  fai:  mais  je  sais  aussi^  que  cha- 
que  grace  speciale  doni  vous  abusez  peut  étre  la 
deruière  de  votre  vie  .  .  .  Car  non  seulement  vous 
i>ous  promettez  la  grace  de  la  conversione  c'est-ii- 
dire  cette  grace  qui  cliange  le  coeur  j  mais  vous 
vous  promettez  encore  la  grace  qui  nous  fait  mou- 
rir  dans  la  saintetè  et  dans  la  justice  j  la  grace  qui 
consonmie  la  sanctificatioa  d'une  àme'^  la  grace  des 
seuls  èlus:  e' est  le  plus  grand  de  tous  les  dons^  e' est 
la  consommation  de  toutes  les  graces  y  e' est  le  dcr- 
ìiier  trait  de  le  hienveillance  de  Dieu  sur  une  dme , 
e' est  le  fruit  dune  vie  entiere  d'innocence  et  de  pie- 
te  e  e' est  la  couronne  reservee  ìi  ceux  qui  ont  tegi- 
timement  combatta . . .  Et  vous  presume z  que  le  plus 
signalè  de  tous  le  bienfaits  sera,  le  prix  de  la  plus 
ingrate  de  toutes  les  vies  ? . . .  Que  pouvez-vous  sou- 

(2)  Bourdalouc,  Sennon  pow  le  lumìi  de  la  -x.de  scniaine  da  Cardine , 
sur  V  inijH'iiilcucc  finale  . 


1  oo       SUIJ.A  MORALE  CATTOLICA 

ìiailer  de  plus  fm>orable  poiir  vous  à  la  /nort ,  f/nr 
d'm^oir  le  temps^  et  d'étre  en  ètat  de  cerchvr  Jèsus- 
C/trisl^  (/ne  de  le  elicne  liei-  en  effet^  et,  de  lui  of- 
frir des  larmes  de  douleur  et  de  pènilence?  C  est 
tout  ce  que  vous  pouvez  vous  promeilre  de  plus  fa- 
vorahle  pour  ce  dernier  moment.  Et  cependant  {cet- 
te  inerite  me  fait  trembler^^  cependant  ^  que  vous 
permei  Jcsus-Christ  d'espèrer  de  \>os  recherclies  me- 
me.  et  de  vos  larmes^  si  vous  les  rens^ojez  jusques- 
là?  Vous  me  chercliercz^  et  vous  mourrez  dans  vo- 
tre  pèchè:  Quaeretis  me,  et  in  peccato  vestro  morie- 

iiiini Tout  ce  que  je  sais ^  e' est  que  tous  les  Pè- 

jes  qui  ont  parie  de  la  pènitence  des  niourans  ^    en 
ont  parie  en  des  termes  qui  font  tremhler , ,  \\)  , 

Massime  predicate  così  risolutamente ,  così  afferma- 
tivamente, da  tali  uomini,  costituiscono  certo  \  inse- 
gnamento esclusivo  della  Chiesa  in  questa  materia. 

Non  si  oppono-a  che  questi  sono  scrittori  francesi, 
e  che  cpù  si  tratta  degli  effetti  della  relioione  catto- 
lica in  Italia.  È  opportunissimo  citare  scrittori  fran- 
cesi, perchè  si  vegga  che  questo  disordine  di  spirito, 
come  henissimo  lo  chiama  l'illustre  Autore,  ha  Inso- 
gno di  esser  comhattuto  anche  fuori  d'Italia.  Ma  se 
si  vuole  im  Italiano,  udiamo  il  Segneri:  ce  Che  dun- 
fc  que  mi  state  a  dire ,  non  aver  voi  punto  fretta  di 
fc  convertirvi,  giacché  voi  sapete  henissimo,  che  a 
ce  salvarsi  non  è  necessario  di  fare  una  vita  santa, 
fc  ma  solo  una  morte  huona?  Oh  vostra  mente  in- 
cc  pannata  !  Oh  ciechi  consigli  !  Oh  pazze  risoluzioni  ! 
ce  E  come  mai  voi  vi  potete  promettere  una  tal  mor- 


(i)  Mnssillon,  Scvmon  pour  le  Inndi  de  la  -.de  semainc ,   sur    V  intpè- 
ni  tener  jiiude  . 


CAPITOLO  IX.  121 

«  te,  se  quegli  stesso  a  cui  spetta  di  darvela  ve  la 
r<  nega,  e  a  note  chiare,  e  con  parole  apertissime  si 
fc  protesta  che  voi  morrete  in  peccato?  In  peccato 
ce  vostro  lììorìeminì  i^i)? 

Si  dirà  forse,  che  T  illustre  Autore  non  ignora  e 
non  nega  che  così  si  predichi  :  egli  pretende  anzi  che 
questo  è  un  volere  togliere  gli  effetti  creando  le  cau- 
se, fc  Invano,  dice  egli,  predicarono  allora  contro 
ce  il  ritardo  della  conversione  :  essi  stessi  erano  gli 
ce  antori  di  qnesto  disordine  di  spirito,  sconosciuto 
fc  agli  antichi  moralisti  w.  Allora?  Ma  a  che  epoca 
ci  porteremo  per  trovare  l'origine  di  questa  predica- 
zione? Ma  se  fra  gli  antichi  moralisti  contiamo  i  Pa- 
dri ,  questo  disordine  non  era  certo  sconosciuto  a  quel- 
li fra  di  essi  che  nei  primi  secoli  della  Chiesa  decla- 
marono tanto  contro  i  Clinici  (2) .  Ma  in  un  libro  ben 
anteriore  ai  casisti,  ai  clinici,  ed  ai  Padri,  sta  scrit- 
to ce  ]\on  tardare  a  convertirti  al  Signore,  e  non  dii- 
«  ferire  da  un  giorno  all'  altro  ^^  (3) .  Infatti ,  al  mo- 
mento che  è  stata  data  agli  uomini  Tidea  della  con- 
versione, essi  hanno  potuto  aggiungervi  quella  della 
dilazione.  —  Invano  predicarono  contro  il  ritardo 
della  conversione ,  Invano?  perchè?  INon  predicarono 
forse  cose  conformi  alla  ragione  ?  Hanno  o  non  hanno 
provato  che  tardare  a  convertirsi  è  un  delitto?  Si  può 
fare  ai  loro  discorsi  una  oljbiczione  sensata  ?  Sarà  sem- 
pre invano  che  si  dirà  agli  uomini  la  verità  che  loro 


(i)  Segneri  Predica  X. 

(2)  È  nnto  che  clinici  furono  cliiamati  quelli  clic  ffimiitunquc  persuasi 
della  verità  del  Cristiauesinio ,  continuavano  a  vivere  gentilcscanienlc,  per 
non  assoggettarsi  al  suo  giogo j  e  proponevano  di  ricevere  il  Battesimo  al 
lolto  df'tia  morte  . 

(3)  Non  lavdes  converti  ad  Dorninwìi,  et  ne  diJJ'cnu  de  die  in  dient . 
Ecclcsiastic.   v.   8. 


1 22       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

più  importa  ?  —  Ma  si  può  credere  che  non  sia  sem- 
pre stato  invano .  Certo ,  il  seme  della  parola  può  ca- 
dere sulla  via,  e  sui  sassi,  e  fra  le  spine ^  ma  trova 
anche  talvolta  il  huon  terreno  :  e  credere  che  verità 
tanto  incontrastahili  e  tanto  gravi  sieno  state  sempre 
dette  invano,  sarehhe  disperare  della  grazia  di  Dio, 
e  della  ragione  delPuomo. 

Essi  erano  gli  aidorì  di  questo  disordine  di  spi- 
nto.  Ah!  se  i  cristiani  che  vivono  in  quello,  faces- 
sero loro  un  tal  rimprovero,  non  avrebbero  essi  ra- 
gione di  rispondere  :  ce  ]\oi  ?  E  dunque  predicandovi 
<^c  la  conversione,  che  noi  vi  abbiamo  portati  a  vive- 
«  re  nel  peccato ,  e  a  differirla  !  È  dunque  parlando- 
le vi  delle  ricchezze  delia  misericordia,  che  noi  vi  ab- 
«  biamo  animati  a  disprezzarle  !  Noi  vi  abbiamo  det- 
«  to:  venite,  adoriamo,  prosterniamoci,  e  preghia- 
«  moj  noi  vi  abbiamo  detto:  ogeji  che  udite  la  sua 
«  voce,  non  vogUate  indurare  i  vostri  cuori  (1)5  ^ 
«  voi  pensate  ad  un  domani  che  noi  non  possiamo 
fc  promettervi,  ad  un  domani  del  quale  cerclnamo  di 
«  farvi  diffidare  :  e  noi  siamo  gli  autori  del  vostro 
«  induramento?  certo,  noi  siamo  mondi  del  vostro 
ce  sangue  (2)  :» ,  Così  potrebbero  rispondere,  se  vi 
fosse  un  linguaggio  per  giustificare  la  predicazione 
del  Vangelo  in  faccia  del  mondo .  0  potrebbero  anche 
opporre  a  questa  accusa  le  accuse  che  loro  si  fanno 
di  spaventare  gli  uomini  colle  idee  truci  e  lugubri  di 
morte  e  di  giudizio  per  eccitarli  alla  conversione . 


(i)  fienile,  adoremus ,  et  procidamus ,  et  plorèmus  ante  Dominum  .  .  . 
Hodie  si  vocem  ejus  audieritis ,  nolile  obdurare  corda  vostra.  Ps.  XCtV 
6.  8. 

(2)  Quapropler  conteslor  vos  hodierna  die,  quia  inundus  situi  a  san- 
guine omnium.  Paul,   in  Act.   Apost.   XX.   uG. 


CAPITOLO  IX.  123 

Ma  se  la  Chiesa  ha  tanto  poco  fiducia  nelle  con- 
versioni della  morte ,  perchè  si  mostra  cosi  sollecita 
neir  assistere  il  peccatore  morihondo?  Appunto  per- 
chè la  sua  fiducia  è  poca,  ella  riunisce  tutti  i  suoi 
sforzi 5  appunto  perchè  1  impresa  è  difficile,  ella  im- 
piega tutta  la  carità  del  suo  cuore  e  delle  sue  paro- 
le .  Un  filo  di  speranza  di  salvare  un  suo  figlio ,  basta 
alla  Chiesa  per  non  abbandonarlo  :  ma  con  questo  , 
insegna  ella  forse  agli  uomini  a  ridursi  ad  un  filo  di 
speranza?  Quegli  uomini  benemeriti  che  amministra- 
no i  soccorsi  a  colui  che  è  tratto  da  un  fiume  con  po- 
ca o  nessuna  apparenza  di  vita,  ponno  forse  essere 
tacciati  di  incoraggiar  gli  uomini  ad  affogarsi? 

Si  osservi  a  cpiesto  proposito  che  la  Chiesa  sembra 
avere  due  linguaggi  su  questa  materia:  essa  cerca  di 
ispirare  terrore  ai  peccatori  che  nel  vigore  della  sa- 
lute veggono  e  si  promettono  confusamente  nell'av- 
venire il  tempo  di  peccare  e  di  convertirsi^  e  cerca 
d  ispirare  fiducia  ai  moribondi.  Nel  che  non  v'è  con- 
tradlzlone:  ma  prudenza,  e  verità.  I  peccatori,  nel- 
l'uno e  neir  altro  stato,  non  sono  disposti  che  a  guar- 
dare fissamente  una  parte  della  questione:  la  Chiesa 
fa  loro  presente  la  parte  che  essi  dimenticano. 

I  primi  sono  pieni  delf  idea  della  possibilità^  ed  è 
utile  rappresentar  loro  la  ditricoltà  :  gli  altri  sono 
portati  a  veder  questa  sola  co^i  vivamente,  che  per 
essi  uno  dei  più  grandi  ostacoli  al  convertirsi  è  ap- 
punto il  diffidare  della  misericordia  di  Dio. 

Abbiamo  parlato  dell'  insegnamento  generale  *,  e 
forse  non  si  troverà  un  solo  esempio  di  clii  abbia  nel- 
la Clilesa  insegnato  direttamente  il  contrario:  ma  ve- 
rità vuole  che  si  accenni  come  Terrore  è  stato  qual- 
che volta  indirettamente  favorito. 


1 24       SI  [.LA  MOllALE  CATTOLICA 

Fra  i  molti  inconvenienti  dello  spinto  oratorio  (co- 
me è  inteso  dai  più),  inconvenienti  pei  quali  è  spes- 
so in  opposizione  collo  spirito  loj^ico  e  collo  spirito 
morale,  uno  dei  più  comuni  e  dei  più  sensibili  è  quel- 
lo di  esagerare' il  bene  o  il  male  di  una  cosa,  dimen- 
ticando il  legame  che  essa  ha  colle  altre  :  si  viene  co- 
sì ad  indebolire,  o  anche  a  distruggere  un  complesso 
di  verità,  per  volerne  troppo  estendere  una;,  e  si  di- 
strugge per  conseguenza  anche  questa.  Un  tale  spiri- 
to che  piace  a  molti,  i  quali  vedono  potenza  d'inge- 
gno dove  non  è  altro  che  debolezza ,  e  inabilità  ad 
abbracciare  tutti  i  rapporti  importanti  d'un  sogget- 
to, un  tale  spirito  ha  traviato  alcuni,  i  quali  vo- 
lendo magnificare  qualche  pratica  religiosa ,  son  giun- 
ti ad  attribuirle  la  facoltà  di  assicurare  ai  peccatori 
la  conversione  in  punto  di  morte .  Assunto  falso  e  per- 
nicioso, giuoco  di  eloquenza  male  a  proposito  chia- 
mata popolare,  perchè  popolari  hanno  a  dirsi  quelle 
cose  che  tendono  ad  illuminare  e  a  perfezionare  il 
popolo,  non  a  fomentare  le  sue  passioni  ed  i  suoi 
pregiudizi  -  ^^"  ^  vero  che  coloro  i  quali  si  a!)bando- 
narono  qualche  volta  a  questa  miserabile  intempe- 
ranza d'ingegno,  non  mancarono  per  lo  più  di  mi- 
schiarvi dei  correttivi  :  ma  questo  metodo ,  svela  il 
male  senza  porvi  rimedio^  giacche  gli  uomini,  se  è 
lecito  usare  questa  espressione,  lambiscono  volentieri 
il  male ,  e  rigettano  Y  assenzio  salutare .  Ma  si  osservi 
che  oltre  all'essere  queglino  stati  sempre  contraddet- 
ti dalla  quasi  totalità  degli  altri,  venivano  ad  essere 
anche  in  contraddizione  con  se  stessi,  essendo  tutto 
il  loro  insegnamento  incombinabile  con  questa  loro 
particolare  dottrina^  giacche  se  avessero  seriamente 
tenuta  questa,  e  l'avessero  applicato  a  tutti  i  casi, 


CAPITOLO  iX.  125 

non  avrebbero  potuto  più  predicare  il  Vangelo  :  esso 
diventava  inutile .  Si  può  sperare  che  ai  nostri  giorni 
questo  disordine  sia  quasi  del  tutto  cessato . 

Per  mostrare  l'eftetto  dell  abitudine  di  non  con- 
siderare che  la  morte  del  peccatore  ^  adduce  l'auto- 
re una  prova  di  fatto,  che  riportiamo  colle  sue  pa- 
role .  La  funeste  injluence  de  e  et  te  doctrine  se  fait 
sentir  en  Italie  d'une  manière  eclatante ^  toutes  les 
fois  que  quehjue  grand  criminel  est  condamnè  à  un 
supplice  capital .  La  solemnitè  du  jugement  ^  et  la 
certitude  de  la  peine  ^  frappent  toujours  le  plus  en~ 
durci  de  terreur^  puis  de  repentir ,  Aucun  incen- 
diaire^  aucun  brigando  aucun  empoisonneur  ne  mon- 
te sur  r  èchafaud  sans  avoir  fait  ^  avec  une  compon- 
ction  profonde^  une  bonne  confession ^  une  bornie 
conmiunion  j  sans  faire  ensuite  une  bonne  mort  : 
son  confesseur  dèclare  sa  ferme  confiance  que  l'ame 
du  pènitent  a  dijà  pris  son  cliemin  vers  le  ciel^  et 
la  populace  se  dispute  au  pied  de  Vècliafaud  les  re- 
liques  du  nouveau  saint  ^  du  nouveau  martyr^  dont 
Ics  crimes  V avaient  peut-ctre  glacèe  d' off roi  pen- 
dant des  amièes . 

Di  questo  uso  stranissimo  io  non  aveva  mai  inteso 
parlare  prima  di  leggere  questo  passo  :  ma  essendo 
lontano  dal  dare  la  mia  ignoranza  per  risposta  ad  una 
asserzione ,  me  ne  rimetto  a  ([uelli  che  conoscono  me- 
glio di  me  le  circostanze  di  (picsta  Italia.  Il  fatto  è 
di  una  natura  tanto  pubblica,  che  la  verità  sarà  faci- 
le a  stabilirsi . 

Osservo  però  In  massima,  cIk^  in  (juabnique  [)arte 
possa  esistere  questa  superstizione,  non  vi  fu  mai  la 
più  contraria  allo  insegnamento  d'Ila  Cblesa.  Essa 
accoglie,  e  vero,  il  reo  caccialo  violentemente  tlalla 


126       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

società  e  dalla  vita.,  il  suo  ministro  si  pone  fra  il 
giudice  e  il  carnefice  *,  sì  fra  il  giudice  e  il  carnefice , 
perchè  ogni  posto  dove  si  possa  santificare  un  anima 
e  consolarla,  dove  vi  sia  una  ripugnanza  da  sormon- 
tare, una  serie  di  sentimenti  penosi  che  non  termini 
ad  una  ricompensa  temporale,  ivi  è  per  un  ministro 
della  Chiesa  il  posto  d' onore  :^  egli  vi  si  pone ,  e  vi  si 
porrà  dovunque  e  fmchè  dureranno  quelle  leggi  che 
suppongono  che  certi  delitti  non  si  possano  diminuire 
senza  uccidere  il  reo .  Chi  può  dire  quale  sia  V  an2;o- 
scia  d'un  uomo  che  ha  il  patiholo  dinanzi  ac;li  occhi, 
e  rifuggendosi  alla  sua  coscienza  vi  trova  la  memoria 
del  delitto?  di  colui  che  aspetta  la  morte,  non  per 
una  causa  santa,  ma  per  le  sue  passioni?  E  la  Chie- 
sa trascurerebbe  di  render  utile  un  tanto  dolore  al- 
l'infelice che  è  costretto  a  gustarlo  !  E  vi  sarebbe  un 
caso  in  cui  essa  non  avesse  misericordia  da  promet- 
tere !  in  cui  essa  pure  abbandonasse  un  uomo  !  Essa 
gli  apre  le  braccia,  non  dimentica  che  il  Sangue  di 
Gesù  Cristo  è  stato  versato  anche  per  lui,  e  si  ado- 
pera perchè  non  sia  stato  per  lui  versato  invano .  Ma 
la  certezza  non  la  dà  né  a  lui  né  agli  altri  ^  e  chi  la 
piglia,  va  direttamente  contro  il  suo  insegnamento. 


CAPITOLO  .^, 

DELLE    SUSSISTENZE    DEL    CLERO,    CONSIDERATE,    COME 
CAUSA    d'  immoralità'. 


Je  ne  parlerai  point  du  scandaleux  trafic  des  iiidulgences  , 
et  da  prix  hoiiteux  que  le  pénitent  pajait  poiir  ohteuir 
V  ah  solution  du  prétre;  le  concile  de  Trente  piit  à  tàche 
d' en  diininuer  V  ahus  :  cependant  encore  aujourd'  Imi  le 
prétre  vit  des  péchés  du  peuple ,  et  de  ses  terreurs  ;  le 
pécheur  moribond  prodi gue,  pour  pajer  des  messes  et 
des  rosaires ,  V  argent  qu  il  a  soment  rassemhlé  par  des 
'voies  iniques  ;  il  appaise  au  prix  de  V  or  sa  conscience , 
et  il  établit  aux  yeux  da  vulgaire  sa  réputation  de  pie- 
tà.  Pag.  4 16-4*  7- 

lliìimetliamo  per  ora  il  fatto  (sul  quale  però  ragio- 
neremo in  seguito),  ammettiamoio  nel  tempo  pre- 
sente^ e  in  Italia:  giacche  estenderlo  a  tutti  i  tempi 
e  a  tutti  i  luoghi,  sarehbe  dire  che  la  religione  di 
Gesù  Cristo  non  ha  portato  alla  terra  che  un  aumen- 
to di  perversità  e  di  superstizione*,  proposizione  che 
sarebbe  ancor  più  assurda  clie  empia:  sarebbe  oltre- 
passare senza  motivo  la  tesi  dell'illustre  Autore,  clie 
vuol  parhue  degli  efl'etti  della  religione  cattolica  in 
Italia.  Anunesso  duncpie  per  ora  il  fatto,  per  cavar- 
ne un  risultato  utile,  e  non  un  argomento  di  decla- 
mazione, supponiamo  che  ad  un  uomo  si  desse  1  in- 
carico di  [)ro[)orre  i  rimcdj  per  un  così  tristo  stato 
di  cose . 

Quali  ricerche  dovrà  fare  quest'uomo?  La  prima 


1 28       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

sarà  senza  dubbio  d'informarsi,  se  questa  costuman- 
za venga  da  una  legge,  o  sia  un  abuso.  Io  so  che 
questa  distinzione  e  ricantata:  ma  è  inevitabile  di  ri- 
proporla tutte  le  volte  che  con  essa  sola  si  j)uò  ab- 
bracciare tutta  la  questione .  Se  si  dirà  che  sia  ei'iet  - 
lo  di  legge ,  converrà  provarlo  produccndo  la  legge  : 
assunto  impossibile,  assunto  riconosciuto  implicita- 
mente falso  dall'Autore,  il  quale  rimproverando  que- 
sta condotta  all'Italia  in  confronto  della  Francia  e 
della  Germania,  viene  a  concedere  che  si  può  esser 
cattolici  senza  tenerla,  che  dunque  non  è  fondata 
sulle  leggi.  Se  si  dirà  che  è  un  abuso,  allora  que- 
st'uomo che  abbiamo  supposto,  non  dovrà  più  cavar- 
ne conseguenze  contro  la  legge ,  ma  non  cercare  il  vi- 
zio nella  inesecuzione  di  essa:  e  la  discussione  cangia 
aifatto  natura.  Egli  dovrà  cercare  quali  sieno  gli  o- 
stacoli,  che  impediscono  f  effetto  naturale  della  leg- 
ge ,  e  toglierli  :  dovrà  cercare  nella  legge  stessa  i  mez- 
zi per  larla  adempire .  Ammesso  dimque  il  fatto ,  ri- 
sulterebbe che  in  Italia  esiste  questo  inconveniente 
perchè  gli  Italiani  non  sono  abbastanza  cattolici^*  che 
per  togUcrlo,  bisogna  fare  in  modo  che  essi  diventi- 
no più  esattamente  cattolici,  come  si  suppnngon  quel- 
li di  Francia,  e  di  Germania. 

Se  nell'ordine  civile  si  tenesse  per  regola  generale 
di  abolire  tutte  le  leggi  che  non  sono  universalmente 
eseguite,  si  terrebbe  una  regola  pessima^  benché  in 
molti  casi  la  trasgressione  della  legge  possa  giungere 
al  segno  di  renderla  inutile,  e  dannosa,  ed  essere  un 
ragionevole  motivo  di  abolirla.  Ma  nelle  cose  della 
rehgione,  la  regola  sarebbe  ben  più  falsa;  perchè  le 
leggi  essenziali  della  religione  non  sono  calcolate  su- 
gli effetti  parziali  e  temporarj ,  né  si  piegano  alle  cir- 


CAPITOLO  X.  129 

costanze,  ma  intendono  di  piegare  tnlto  a  se,  sono 
emanate  da  una  autorità  inappellabile,  ed  è  impos- 
sibileTair  uomo  sostituirne  delle  più  convenienti.    Il 
ministero  ecclesiastico  istituito  da  Gesù  Cristo  è  una 
di  qneste  leggi*,   e  il  peggiore  abuso  che  gli  uomini 
possano  fare  di  questo  ministero,  è  quello  di  distrug- 
gerlo per  quanto  è  in  loro,    togliendolo   da  qualche 
luogo  e,  per  qualche  tempo.  11  sistema  della  Chiesa 
/    non  è  nò  deve  essere  di  estirpare  gli  abusi  a  qualun- 
que costo,  ma  di  combinare   la   conservazione    delle 
cose  essenziali  colla  estirpazione,  o  colla  possibile  di- 
minuzione degli  abusi:  essa  non  imita  l'artelìce  im- 
perito ed  impaziente  che  spezza  lo  strumento  per  le- 
varne la  ruggine .  — -  Perchè  vi  sono  al)usi  ?   Perchè 
gli  uomini  sono  portati  al  disordine   dalle   passioni  . 
E  perciò  appunto,  Gesù  Cristo  ha  data  l'autorità  alla 
Chiesa,  ha  istituito   il  ministero^  perciò   appunto  il 
ministero  è  indispensabile .  Quello  che  la  Chiesa  vuo- 
le evitare  prima  di  tutto,   è   il  male  orribile   di  un 
popolo  senza  cristianesimo  senza  ministero.   E  indi- 
spensabile che  i  ministri  sieno   provveduti  di   sussi- 
stenze^ e  per  questo  fine  vi  ha  due  mezzi.  L'uno  sa- 
rebbe di  scegliere  esclusivamente  i  ministri  fra  quelli 
che  sono  provvisti  di  beni  di  fortuna  :  mezzo  irragio- 
*  nevole,  e  temerario,  che  ristringendo  arìjitrariamen- 
te  Ja  vocazione  divina  ad  una  sola  classe  d' uomini , 
sconvolgerebbe  alfaito  il  bell'ordine  del  governo  ce- 
clesiaslico:   l'altro  si  è  di  ordinare  che  il  ministero 
dia  le  sussistenze  a  chi  lo  esercita^  mezzo  tanto  ra- 
gionevole, che  è  slato  stabilito  in  legge  dal  principio 
del  cristianesimo:  poiché  il  prete,  servendo  all'alta- 
re, si  inabilita  ad  ac([uislarsi  il  villo  altrimenti.  Dini- 
que  i  fedidi  devono  fornire  le  sussistenze  ai  nilnisrUi 

AlniKoiu  9 


i3o       SULLA  MORALE  CxVTTOLICA 

tlt'll' altare:  ecco  la  lesige.  Ma  fra  i  ministri,  che  so- 
no uomini ,  non  mancherà  chi  rivolgendo  all'  avari- 
zia ciò  che  è  (lato  aUa  necessità,  usi  illegittimamen- 
te del  diritto  certo  di  ricevere,  estendendolo  a  cose 
a  cui  non  è  applicabile:  ma  fra  i  fedeli  non  man- 
cherà chi,  dalla  idea  vera  che  è  buona  opera  forni- 
re ai  ministri  per  le  sussistenze,  passi  a  dare  a  que- 
st'opera un  valore  che  non  ha,  attribuendo  ad  essa 
gli  effetti  che  appartengono  esclusivamente  ad  altre 
opere  indispensabili,  e  sia  generoso  per  dispensarsi 
(V  essere  cristiano  :  ecco  1*  abuso .  E  siccome  questo 
abuso  è  contrario  allo  spirito  ed  alla  lettera  della 
istituzione,  così  il  vero  mezzo  di  toglierlo  sarà  di  ri- 
correre alla  istituzione  stessa .  Così  hanno  fatto  tan- 
te volte  quegli  a  cui  è  confidata  1'  autorità  di  farlo 
direttamente  :  la  storia  ecclesiastica  è  piena  dei  loro 
sforzi,  e  spesso  dei  loro  successi:  per  non  andar  lon- 
tano, l'esempio  del  concilio  di  Trento  qui  citato  ne 
è  una  prova:  molti  papi  e  molti  vescovi  hanno  po- 
sta una  cura  particolare  a  questo  loro  dovere;,  il  so- 
lo S.  Carlo  vi  ha  spesa  la  sua  vita  infaticabile,  e 
l'ha  fatto  stando  sempre  attaccato  alla  Chiesa^  né 
mai,  insomma,  nel  clero  cattolico  sono  mancati  uo- 
mini zelanti  e  sinceri  che  hanno  svelati  gli  abusi,  e 
gli  hanno  corretti  dove  potevano .  Tutti  i  fedeli  fi- 
nalmente possono  in  qualche  parte  rimediare  a  que- 
sti, se  non  altro  coli' essere  essi  stessi  pii,  vigilanti, 
osservatori  della  legge  divina*,  perchè  è  indubitabile 
che  gli  abusi  nascono  dove  o;li  uomini  li  desiderano  ; 
e  che  gli  uomini  li  desiderano,  quando  sono  corrot- 
ti, e  non  amando  la  legge  se  ne  tino;ono  un'altra^ 
che  chi  riforma  se  stesso,  coopera  alla  riforma  del- 
i  intero  corpo  a  cui  appartiene. 


CAPITOLO  X.  i3i 

Abbiamo  ammesso  il  fallo  a  fino  di  provare;  che 
non  ragionereijbe  ì)ene  chi  (la  esso  conchulesse  con- 
tro la  relliiione:  ma  ora  converrà  esaminarlo.  «  Il 
«  prete,  dice  T  ilhistre  Antorc,  vive  dei  peccati  e 
fc  dei  terrori  del  popolo  ;  il  peccatore  moribondo 
ce  prodiga  per  pagar  messe  e  rosari  il  danaro  accu- 
ce  mnlato  sovente  per  vie  inupiej  egli  accheta  a  prez- 
cc  zo  d'oro  la  sua  coscienza,  e  si  crea  presso  il  voi- 
ce go  una  riputazione  di  pietà  jj  . 

Osservo  di  passaggio  che  ,  per  quanto  io  sappia, 
non  si  ò  mai  parlalo  di  retribuzioni  per  rosari^  che 
altronde  la  recita  di  questi  non  essendo  per  nulla  una 
parte  del  ministero  ecclesiastico,  se  vi  fossero  re- 
tribuzioni, non  verrebbero  necessariamente  ai  preti. 

Si  osservi  poi  ciò  che  più  importa,  che  non  solo 
è  insegnamento  cattolico,  che  a  scontare  il  peccalo 
di  aver  accunmlato  denaro  per  vie  inique,  è  condi- 
zione necessaria  la  restituzione,  quando  sia  possibile; 
e  che  rivolgerlo  ad  altri  usi,  per  quanto  santi  pos- 
sano essere,  è  un  inganno,  è  un  persistere  nell* in- 
giustizia ^  ma  ancora,  che  questo  insegnamento  è 
universalmente  predicato  e  conosciuto  in  Italia.  Io 
non  oso  ailermare  che  non  vi  possa  essere  alcun  mi- 
nistro prevaricatore  che  insegni  il  contrario^  ma  se 
ne  esiste  alcuno,  e  certamente  una  eccezione  tanto 
r a  ra  qu  auto  d  e  p  1  o  r ahi  l  e  . 

E  nolo  quante  restituzioni  si  Hvcciano  per  mezzo 
dei  sacerdoti.  Quo  de  restùiitioìis ^  de  rìparatiuiis 
la  coiìfesskm  n^  fait-clle  jìoinf  fa  ire  chcz  les  ca- 
tholiques  (i)?  Onci  sacerdoti  inducono  allora  un  uo- 
mo ad  acchetare   la   sua   coscienza   a   prezzo   d'oro^ 

(i)  ./.  J.  Rvusicau .   Emi  li    li\     IV    noi.    |i. 


i32       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

ma  quest'oro,  il  quale  non  fa  che  passare  per  le  loro 
mani,  è  un  testimonio  che  essi  non  alterano  la  pu- 
rità della  religione  per  appropriarselo,  e  che  inse- 
t;nano  che  non  può  diventar  mezzo  di  espiazione  se 
non  ritornando  donde  era  stato  ingiustamente  tolto . 

E  vero  che  il  prete  che  fa  il  dover  suo,  cerca  di 
eccitare  nei  fedeli  il  terrore  dei  giudizi  divini,  quel 
terrore,  da  cui  per  F incomprensihile  nostra  deholez- 
za  tutto  ci  distrae^  terrore  santo,  che  ci  richiama 
alla  virtù ^  terrore  nohile  che  ci  fa  considerare  come 
sola  vera  sventura  quella  di  fallare  la  nostra  alta 
destinazione,  terrore  che  ispira  il  coraggio,  avvez- 
zando chi  lo  sente  a  nulla  temere  dagli  uomini .  Ma 
dopo  avere  eccitato  questo  terrore  colle  sue  istru- 
zioni, v"ha  forse  un  prete  il  quale  insegni  che  il 
modo  di  viver  sicuri  è  di  larghe» «rlare  col  preti?  Vi 
è  chi  ne  ahhia  ndito  un  solo?  0  non  dicono  tutti 
piuttosto  —  Lavafn>i  ^  mondatevi  ^  togliete  dagJi 
occhi  di  Dio  la  malvagità  de' vostri  pensieri.^  ponete 
fine  al  mal  fare:  imparate  a  far  del  bene  ^  cercate 
quello  che  è  giusto ,  soccorrete  l'oppresso  ^  proteggete 
il  papilla  j  difendete  la  vedova  (  i  )  -^ 

Certo ,  non  si  vuol  dire  che  L  avarizia  non  possa 
considerare  nn  oggetto  di  lucro  nelle  cose  le  più  pu- 
re, le  più  terrihill,  e  le  più  sacre  ^  e  (non  lo  dirò 
colle  mie  parole,  ma  con  quelle  che  proferiva  rac- 
capricciando un  gran  Vescovo)  faire  du  sang  ado- 
rable  de  Jèsus-Christ  un  profit  infame  (2):   e  per 

(1)  Lavami  ni ,  mundi  estote ,  ai/ feri  e  malum  cogitationuni  vestrariim  ah 
orili is  meis :  quiescite  as,eie  pen'erse  . 

Discite  henefacere  •■  qticprite  judiciitm,  suhvenite  oppresso,  judicate  pu- 
pillo,  defendìlr  uiduarn.   Isai.   e.   I.    i<>.    17. 

(•J)  Mnssilldii,   Discours  Sinodau.v .    i!5.  De  la  coinpassion  des  pain>res . 


CAIMTOLI)  X.  i35 

(pianto  la  Chiesa  dovesse  aveie  orrore  a  supporre 
una  tale  prevaricazione,  essa  ha  dovuto  parlarne  per 
prevenirla,  e  per  renderla  difficile  e  rara,  se  non 
impossibile .  11  concilio  di  Trento ,  dopo  d' aver  pro- 
fessata la  dottrina  perpetua  della  Chiesa  sul  Purga- 
torio, sul  giovamento  che  le  anime  ivi  ritenute  ri- 
cevono dai  sutlragi  dei  fedeli,  e  in  principal  modo 
dall^  accettevole  Sacrlllcio  dell  altare  dopo  d'aver 
prescritto  ai  vescovi  di  insegnare  e  di  mantenere 
questa  dottrina,  soggiunge:  «  quelle  cose  che  spet- 
cc  tano  ad  una  certa  curiosità  e  alla  superstizione ,  o 
ce  sanno  di  turpe  guadagno,  le  proibiscano  come  scan- 
cc  dali  e  inciampi  dei  fedeli  (i).  3> 

Non  è  qui  il  luogo  di  segnalare  questi  inciampi , 
e  di  riprender  quelli  che  gli  spargono  sulla  via  della 
salute:  ne  ciò  forse  si  converrebbe  ad  uno,  a  cui 
manca  ogni  genere  di  autorità.  Negare  quelli  che 
esistono,  o  giustiiicarli  con  ragioni  speciose^  presen- 
tare come  necessario  alla  Cliiesa  ciò  che  è  la  sua  de- 
solazione e  la  sua  vergogna,  non  si  conviene  ne  a  me 
ne  a  persona,  come  cosa  vile,  menzognera,  e  quindi 
irreligiosa.  Nò  credo  di  mancare  all'argomento,  ta- 
cendo di  essi:  stimo  anzi  di  averlo  trattato,  toccando 
le  ragioni  per  le  quali  mi  semljra  che  si  possa  atfer- 
mare,  che  fra  gli  abusi,  pur  troppo  reali,  non  esiste 


(i)  Cum  Catholica  Ecclesia,  Spirita  Sanato  edocta,  ex  sacris  litteris , 
et  antiqua  Palrum  trnditione ,  in  Sacris  Conciliis ,  et  ncwissime  in  hac 
ceciimenica  Synodo  docuerit  Purgaloriiim  esse,  animast/ue  ibi  delentas  Ji- 
delium  siiffragiis  ,  pulissinitim  vero  acccplabili  aitaris  Sacri  jicio  jmuiii; 
jiro'cipit  Sancta  Syiiodiis  Episcopis ,  ut  sanam  de  Purgatorio  doctrinaia 
a  Saìictis  Patribus  et  a  sacris  Conciliis  tradì tam,  a  C/iristì  fidelibits  ere 
di ,  teneri,  doceri ,  et  ubitpte  proidicari  diligenler  sludeant  —  Ea  vero 
quce  ad  curiositntem  quanidam  aut  superslitionem  spectant .  vel  tini'r  In 
cn/m  sfipiunl  ,  tamquani  scandal  a  el  Jideliiim  ojfendicula  prohihcaitL  . 
Coiic.   Tiid.   Scss.   XX"\  .   Decrcl.  de  Pnrg;«lurio. 


^ 


<k 


]  54       SULLA  :MOriALE  CATTOLICA 

(moralmente  parlando)  l'abuso  orribile  di  sostituire 
le  largizioni  ai  doveri,  e  di  acclietare  la  coscienza  a 
prezzo  d'oro. 

ila  però  sempre  parlato  la  Chiesa  per  mezzo  dei 
sommi  pontefici,  dei  concilj ,  dei  vescovi:  im  esem- 
pio di  zelo  e  di  sincerità,  fra  mille,  si  può  trovare 
nei  discorsi  sinodali  di  quel  vescovo  die  abbiamo  or 
ora  citato,  di  quel  Massillon  che  fu  certamente  uno 
del  più  bei  genj  che  sieno  passali  sulla  terra  per  l'i- 
struzione del  genere  umano,  dell'  uomo  la  cui  elo- 
quenza non  fu  forse  pareggiata  giammai  (i).  Il  ne- 
mico più  ardente  e  più  sottile  della  Chiesa  non  isve- 
lerà  mai  con  più  a  cemenza  e  con  più  acume  gli  or- 
ribili elTetti  dcir  avarizia  che  entra  nel  cuore  d'  un 
ministro  del  santuario;  e  nessun  figlio  il  più  docile 
V  il  più  tenero  della  Chiesa  non  li  deplorerà  con  più 
gemito,  con  più  umiltà,  con  più  vivo  desiderio  di 
"veder  tolta  da  essa  questa  deformità. 

Ma  noi  non  crediamo  che  sia  facile  1'  avere  que- 
sto spirito  d'  imparzialità^  crediamo  bensì  che  nel 
giudicare  i  difetti  dei  sacerdoti  sia  anzi  troppo  facile 
cedere  alle  prevenzioni,  e  che  queste  vengano  ad  un 
principio  di  avversione  che  tutti  abbiamo  pur  troppo 
al  loro  ministero .  Quelli  che  ci  additano  la  via  stret- 
ta della  salute  ,  che  combattono  le  nostre  inclina- 
zioni, che  col  loro  abito  solo  ci  fanno  sovvenire  che 
v'è  un  ministero  di  sciogliere  e  di  legare,  che  v'  è 
un  giudice  di  cui  essi  sono  i  ministri,  che  ve  un 
esemplare  che  essi  sono  istituiti  per  annunziare  |,  ah  ! 
e  troppo  preziosa  al  senso  corrotto  1'  occasione  di 
renderli  sospetti  per  lasciarla  sfuggire ,  è  troppo  lav- 

(i)  OJtic  il  diacoiiio  citato,  \.   i!  IX,    De  V avaricc  dcs  yicliv». 


CAPITOLO  X.  i35 

versione  della  carne  e  del  sangue  alla  leg^e,  perchì' 
non  si  estenda  anche  a  quelli  che  la  predicano,  per- 
chè non  si  desideri  di  poter  dire  che  essi  stessi  non 
la  seguono,  e  che  quindi  può  tanto  meno  obbligare 
noi  che  l'ascoltiamo  da  essi.  E  questa  avversione  in 
parte  è  che  ci  muove  a  rovesciare  in  biasimo  di  tut- 
ti, il  male  che  veggiamo  in  alcuni  di  essi,  a  dire 
che  nulla  sarebbe  più  rispettabile  del  ministero,  se 
vi  fosse  chi  lo  esercitasse  degnamente,  ed  a  chiuder 
j)OÌ  oli  occhi  quando  ci  si  presenta  chi  degnamente 
lo  eserciti,  o  a  malignare  sulle  virtù  che  non  pos- 
siamo negare.  Quindi,  se  nella  condotta  zelante  di 
un  prete  non  si  può  supporre  avarizia,  perchè  la  po- 
vertà volontaria  e  la  generosità  è  troppo  evidente, 
si  spiega  quella  condotta  col  desiderio  di  dominare, 
di  dirigere,  di  influire,  di  essere  considerato.  Se  la 
condotta  è  tanto  lontana  dagli  intrighi,  tanto  fran- 
ca e  tanto  semplice  che  rispinga  anche  questa  inter- 
pretazione ,  vi  si  vede  il  fanatismo  ,  lo  zelo  inquie- 
to e  intollerante  .  Se  la  condotta  spira  amore,  e 
tranquillità,  e  pazienza,  non  resta  più  che  attribuir- 
la a  pregiudizi,  a  picciolezza  di  mente,  a  scarsezza 
di  lumi:  ultima  ragione,  colla  quale  il  mondo  spiega 
ciò  che  è  la  perfezione  di  ogni  virtù  e  di  ogni  ragio- 
namento. 

Si:  vi  ha  dei  preti  che  spregiano  quelle  ricchezze 
di  cui  annunziano  la  vanità,  e  il  pericolo^  dei  preti 
che  avrebbero  orrore  di  ricevere  i  doni  del  povero, 
e  che  si  spogliano  invece  per  soccorrerlo  ;,  che  rice- 
vono dal  ricco  con  un  nobile  pudore,  e  con  un  in- 
terno senso  di  repugnanza^  che  stendendo  la  mano, 
si  consolano  solo  pensando  che  1'  apriranno  ben  tosto 
per  rimettere  al  povero  f[uella  moneta  che  e  ben  hm- 


1  ò(;       SLIJ.A  MORALE  CATTOLICA 

t:;!  dal  compensare  agli  occhi  loro  un  ministero,  il 
cjnalo  non  ha  prezzo  dciino,  altro  che  la  carità.  Essi 
passano  in  mezzo  al  mondo,  ed  odono  i  suoi  sciicrni 
sulla  ingordigia  dei  preti,  gli  odono,  e  potrehbero 
alzare  la  voce,  e  mostrare  le  loro  mani  pure,  e  il 
<;uore  bramoso  soltanto  di  quel  tesoro  che  la  ruggii 
ne  non  consuma  (i),  avaro  solo  della  salute  dei  loro 
fratelli,  ma  tacciono,  ma  divorano  le  beffe  del  mon- 
do^ ma  si  rallegrano  di  essere  stimati  degni  di  sof- 
frir contumelia  pel  nome  di  Cristo  (2). 


(i)  Thesaurizale  atilem  vnhis  thesaiiros  in  ccelo ,  uhi  neque  eerugo ,  n$- 
que  linea  demolitur .   Math.  VI.   -io. 

(2)  Et  illi  quidem  ibaut  ^audentes  a  cnnspectu  concilii ,  quoniam  di- 
gtii  habiti  sunt  prò  nomine  Jesu  contumeliam  pati.  Act.  Apost.  V.  l^\. 


CAPITOLO  XI. 

DELLE  INDULGENZE. 


Mais  Von  a  considerò  les  indulgences  gratuites ,  celles  qiie 
d'\après  les  concessions  des  papes  ori  obtient  par  quelque 
ade  extérieur  de  piété ,  commc  moins  abusives  :  on  ne 
saurait  toutefois  en  concilier  l^existence  avec  ancien  prin- 
cipe  de  moralité.  Lorsqu  on  voit ,  par  exemple,  deux 
cents  jours  d' indulgence  promis  pour  chaque  baiser  don- 
ne à  la  croix  qui  s'éléve  au  milieu  du  Colisée ,  lors- 
qu  on  voìt  dans  toutes  les  églises  d'Italie  tant  d' indul- 
gences plénières  si  jaciles  àgagner,  comment  concilier 
ou  la  justicie  de  Dieu  ou  sa  miséricorde ,  avec  le  pardon 
accordé  a  une  si  faible  pénitence ,  ou  avec  le  chàtiment 
réservé  à  ceka  qui  n  est  point  a  portée  de  le  gagner  par 
cette  vaie  si  facile?  pag.  4i7' 

^ui  si  presentano  naturalmente  quattro  questioni: 

1.  Che  cosa  è  P indulgenza? 

2.  Vi  può  essere  eccesso  nelle   concessioni  di  in- 
dukenze  ? 

o  •  •  • 

3.  Le  concessioni  eccessive  vanno  contro  i  princi- 
pi della  moralità? 

4.  Se  non  producono  questo  effetto,  quale  effetto 
producono  ? 

Non  potendo  nemmeno  tentare  di  portare  la  novi- 
tà in  una  discussione  continuata  per  secoli  da  centi- 
naja  di  scrittori,  ne  l'amenità  in  una  materia  per 
se  arida,  noi  ccrclieremo  di  supplire  colla  brevità, 
e  colla  precisione  del  rai;luiiamcnto,  confulando  nel- 


1 38       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

l'attenzione  di  qnei  lettori  pei  quali  è  sempre  inte- 
ressante il  vedere  dimostrata  ad  evidenza  una  verità. 

1.  Che  cosa  è  indulgenza? 

Per  fare  la  via  più  breve,  ne  piglierò  la  definizio- 
ne dal  catechismo  della  diocesi  di  Milano,  che  con- 
corda con  tutti  i  catechismi  della  cattolicità  — . 
fc  L'indulgenza  è  una  remissione  di  quella  pena  tem- 
fc  porale,  la  quale  per  lo  più  resta  da  scontarsi,  in 
"  questa  o  nell'altra  vita,  alla  divina  giustizia,  dopo 
ce  rimessa  la  colj)a  e  la  pena  eterna  (  i  ) .  w 

Questa  dottrina  suppone  dunque  nel  peccatore  l'ob- 
bligo di  soddisfare  alla  divina  giustizia. 

2.  Vi  può  essere  eccesso  nella  concessione  delle  in- 
dulgenze ? 

Senza  dubbio:  i  concilj  di  Laterano  e  di  Trento 
hanno  parlato  dell'eccesso,  e  vi  hanno  posti  o  consi- 
gliati i  rimedj . 

Qui  si  olfre  una  osservazione  singolare  a  forza  di 
esser  vera,  ed  è:  che  oo;ni  censura  di  indulgenze,  co- 
me eccessive,  diventa  un  omaggio  alla  dottrina  cat- 
tolica della  soddisfazione.  Poiché,  essendo  l'indulgen- 
za una  commutazione  di  pena,  una  diminuzione  delle 
opere  di  soddisfazione,  chi  trova  eccessiva  la  diminu- 
zione, viene  direttamente  a  dire  che  la  soddisfazione 
è  giusta  ed  utile,  ed  a  concedere,  che  togliere  la 
soddisfazione  sarebbe  spingere  le  indulgenze  all'ulti- 
mo grado,  e  trasportare  l'eccesso  dal  fatto  al  prin- 
cqno,  convertire  in  legge  perpetua  un  abuso  tempo- 
rario,  spogliandolo  anche  di  quei  correttivi  che  gli 
abusi  ritengono  sempre  per  non  urtare  la  legge  di 
fronte . 

(i)  Compendio  della  dottrina  cristiana  cavata  dal  Calechisuio  Romano  ec. 
Milano   i8i4.   Pag.    isio. 


GAP1T0J.0XI.  i39 

3.  Le  concessioni  eccessive  di  indulgenze  vanno 
contro  i  principi  della  moralità? 

Non  mai .  La  maniera  dì  dispensare  le  indulgen- 
ze ^  dice  Bossuet  (i),  ris guarda  la  disciplina.  Ciò 
posto ,  le  concessioni  eccessive  saranno  un  abuso  : 
ora,  la  Chiesa  cattolica  è  costituita  in  modo  che  gli 
abusi  non  ponno  alterare  i  principi  di  moralità,  per- 
chè questi  sono  fuori  della  sfera  della  disciplina,  e 
sono  posti  in  quella  della  fede.  Essendo  ogni  princi- 
pio essenziale  di  moralità  un  articolo  di  fede,  non 
può  esser  distrutto  se  non  da  una  dottrina  che  stabi- 
lisca un  principio  contrario.  Vediamo  ora  nel  caso 
concreto,  come  i  principi  della  moralità  stanno  in- 
tatti anche  con  ogni  possibile  eccesso  di  concessioni 
d'indulgenze. 

Vi  sono  due  massime  essenziali,  che  riporteremo 
Tuna  colle  parole  di  Massillon,  l'altra  con  quelle  di 
Eossuet,  non  perchè  essi  sieno  i  soli  ad  insegnarle, 
che  anzi  tutti  le  inseguano,  e  nessuno  vi  contraddi- 
ce, ma  per  approfittare  d'una  occasione  di  presen- 
tare delle  idee  importanti  espresse  con  esattezza  e  con 
eleganza.  ]Se  nous  jlattons  point  que  nos  fautes 
soient  expièeSj  si  elles  n  ont  pas  è/è  dètestèesy  ne 
crojons  pas  que  les  grdces  de  l'Eglise  nous  aient 
purijìès  ^  si  elles  ne  nous  ont  pas  changès  y  ne  com- 
ptons  sur  son  indulgence  qu  autant  (pie  nous  pou- 
vons  compier  sur  un  sincère  repentir  (2) . 

Per  ottenere  le  indulgenze,  è  dunque  necessaria  la 
conversione  del  cuore. 

Mais  il  faut   bien  se  garder  de   s^  imaginer  que 


(1)  Exposilion  de  la  Doctrine  de  l'Eglise  Catholique  §.  Vili. 

(2)  Mh-ssìMoh,  Mandemcìtt  pour  la  jniblicalion  du  Jubilé  i5.  Nov.  i7a4« 


1 4o       SLJ.LA  MORALE  CATTOLICA 

V  inteiition  de  V  E^lise  soit  de  nous  dèciiargcr  par 
r Indulgeiice  de  l' obligatioii  de  satisfalle  à  Dìeu: 
au  contraìre  V  esprit  de  V  Eglise  est  de  n'  accorder^ 
r  Induìgeiice  qu'  a  ceux  qui  se  mettent  en  devoir 
de  satisfaire  de  leur  còte  à  la  j astice  divine^  au- 
tant  que  V  injìrniitè  humaine  le  permei  :  et  V  In- 
duJgence  ne  laisse  pas  de  nous  e  tre  fort  nécessai- 
re en  cet  ètat^  puisqu  ajant^  comme  nous  avons  ^ 
tout  sujet  de  croirc  ^  que  nous  sommes  bien  èloi- 
gnès  d"  avoir  satisfait  selon  nos  obligationSj  nous 
serions  trop  ennemis  de  nous-mémes  ^  si  nous  n  a- 
vìons  recouj^s  aux  grdces  et  a  V  Indulgence  de 
r Eglise  (i). 

Per  ottenere  le  indulgenze ,  è  dunque  necessario  il 
desiderio  di  soddisfare,  per  quanto  si  possa,  alla  di- 
vina giustizia^  desiderio  che  non  è  sincero,  se  non  si 
combina  con  una  vita  penitente . 

Ammesse  queste  due  disposizioni,  la  più  ampia  in- 
dulj:;enza  accordata  alla  più  picciola  opera  si  concilia 
perfettamente  con  tutti  i  principi  della  moralità  ^ 
perchè  la  giustizia  di  Dio  si  concilia  colla  remissione 
delle  pene,  ottenuta  a  queste  condizioni.  Per  andar 
contro  le  nozioni  che  noi  abbiamo  di  questa  giusti- 
zia, bisognerebbe  dire,  che  le  indulgenze  ottengono 
la  remissione  della  pena  senza  la  conversione  del  cuo- 
re ,  e  la  brama  di  soddisfare  :  empietà ,  che ,  grazie  al 
cielo,  non  è  insesjnata  da  alcuno  nella  Chiesa. 

Ma  come  conciliare  la  misericordia  di  Dio  col 
castigo  riser{>ato  a  chi  non  è  in  grado  di  guada- 
gnarle il  perdono  con  questo  mezzo  cosi  facde  ? 

Si  osservi,  che   è  quasi  impossibile  il  caso  di  un 

(i)  Bossuct,  Instritclion  itccessaivcs  pour  le  Juhilè  Art.  I. 


CAPITOLO  XI.  14' 

feJplc,  a  cui  sia  tolta  ogni  via  di  ricorrere  alla  in- 
duli^enza  della  Chiesa.  Ma  supponendo  questo  caso, 
la  Chiesa  è  ben  lungi  dall' asserire  che  a  questo  fede- 
le si  riservi  castigo  :  la  Chiesa  dispensa  i  mezzi  ordi- 
nar] di  misericordia,  che  Dio  le  ha  confidati^  ma  è 
ben  Inno;!  dal  pretendere  di  circoscrivere  o  di  estima- 
re questa  misericordia  infinita',  è  ben  lungi  dall' as- 
serire che  Quei  che  leva  e  quando  e  cui  li  piace  (i) 
non  possa  concedere  la  somma  indulgenza  al  sommo 
desiderio  di  ottenerla  per  mezzo  della  Chiesa,  quan- 
do sia  tolta  ogni  via  di  chiederla  per  questo  mezzo . 

4.  Se  le  concessioni  eccessive  d'  indulgenze  non 
vanno  contro  i  principi  della  moralità,  quale  altro 
effetto  producono? 

Un  elfetto,  dannoso  certamente,  come  tutti  gli  ec- 
cessi: e  non  è  d'uopo  affaticarsi  a  cercarlo,  poiché 
ce  lo  insesjna  il  Concilio  di  Trento  :  T  effetto  è  di 
snervare  la  disciplina.  «  Il  Sacrosanto  Sinodo  .... 
fc  desidera,  che  nel  concedere  le  indulgenze  si  usi 
«  moderazione,  secondo  la  consuetudine  antica,  ed 
re  approvata  nella  Chiesa,  acciocché  colla  troppa  fa- 
ce cilità  non  si  snervi  la  disciplina  ecclesiastica  (2)  w . 

Infatti  se  le  indulgenze  sono  una  facilitazione  ad 
adempire  l'obbligo  della  soddisfL\zionc,  l'eccesso  di 
quelle  verrebbe  ad  essere  quasi  uno  scioglimento  di 
quest'  obbligo  *,  e  la  stessa  ragione  di  misericordia , 
per  cui  Dio  ci  ha  imposto  di  soddisfare,  consiglia  la 
moderazione  nel  concedere  le  indulgenze  :  de  /;<?//r  (di- 


co Dante,  Purgatorio,  Canto  II. 

(-2)  Sacrosniìcln  Syiiudtia  .  ...  in  his  {iiululgenliis)  tamen  conce  deridi  s, 
inodcrationrm  ,  juxta  vPtfrrin  et  prohatam  in  ecclesia  consiietiidincm  , 
mi/iibri-i  ciipit  ;  ne  nimia  facilitate  ecclesiastica  disanima  enen'etin-  . 
iScss    XXV.   Dccr.  de  Indulj. 


i42       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

ce  Bossuet)  que  sortant  trop  promptement  des  liens 
de  la  justice  ^  noiis  ne  nous  abandonnions  à  une 
tèmèraire  confiance^  abusant  de  la  facilitè  dii  par- 
don (  1  ) . 

Ma  l'eccesso  si  trova  egli  negli  esempi  citati  (|iri 
dair autore?  Non  tocca  a  me  il  deciderlo,  nò  impor- 
ta qui  il  deciderlo,  essendosi  mostrato  come  le  indul- 
genze si  concilino  coi  principi  della  moralità:  il  che 
era  appunto  la  questione . 

(i)  Expoiilien  de  la  doelriiie  de  l'  Eglise.  ^.  VII[. 


CAPITOLO    ?;ii. 

SULLE  COSE  CHE  DECIDONO  DELLA  SALVEZZA. 
E  DELLA  DANISAZIONE  . 


Le  pouvoìr  attvihué  au  repentir ,  aux  cérémonìes  reli  gì  eli- 
se s ,  mix  indidgences ,  tout  s' était  réuni  pour  persuader 
au  peuple  que  le  salut  ou  la  damnation  éternelle  dépen- 
daient  de  V absolution  du  prétre ,  et  ce  ji'd  encore  peut- 
étre  la  le  coup  le  plus  funeste  porte  à  la  morale.  Uha- 
sard ,  et  non  plus  la  vertu  fut  appelé  a  décider  du  sort 
élernel  de  V  cime  du  moribond .  L  homme  le  plus  ver' 
tueux  y  celui  dont  la  vie  avait  été  la  plus  pure ,  poumit 
étre  frappé  de  mort  subite  y  au  moment  oh  la  colere  y  la 
doideur,  la  surprise  lui  avaient  arraché  un  de  ces  mots 
profanes ,  que  r  habitude  a  rendiis  si  communs ,  et  que 
d"  après  les  décisions  de  V  Égli  se ,  on  ne  peut  prononcer 
sans  tombei'  en  péché  morte!  :  alors  sa  damnation  ètait 
éternelle  y  parce  qu  un  prétre  ne  s' était  pas  trouvé  pré- 
sent  pour  accepter  sa  pénitence ,  et  lui  ouvrir  les  portes 
du  del .  U  homme  le  plus  pervers ,  le  plus  souillé  de  cri- 
mes  y  poiivait  au  contraire  éprouver  un  de  ces  retours 
momentanés  à  la  vertu,  qui  ne  sont  pas  étrangcrs  aux 
coeurs  les  plus  dépravés  ;  il  pouvait  jaire  une  honne  con- 
Jession ,  une  bonne  communion ,  une  bonne  morte ,  et  étre 
assiuré  du  paradis .  Pag.  417.  4^^* 


vyiieste  obbiezioni  ricadono  per  la  più  parie  sulla 
dotti  ina  che  è  stata  difesa  nel  capitolo  IX  ^  per  lo 
che  ci  rimettiamo  a  quello.  Qu\  non  si  farà  clic  ra- 
p;lonarc  sopra  alcune  supposizioni,  l/opinlone  erro- 
nea che  la  salvezza  e  la  dannazione  eterna  dipendano 


1 44       SULLA  MORALE  CATrOLlCA 

dalla  assoluzione  del  prete,  è  sconosciuta  in  Italia. 
Vi  si  tiene,  che  la  salvezza  dipenda  dalla  misericordia 
di  Dio,  e  dai  meriti  di  Gesù  Cristo,  applicata  all'a- 
nima che  ha  conservata  1*  innocenza  ottenuta  nel  bat- 
tesimo, o  che  l'ha  ricuperata  colla  penitenza.  L'au- 
torità del  prete  di  assolvere  dai  peccati  è  tanto  chia- 
ramente fondata  nelle  parole  del  Vanendo,  che  ripe- 
terle,  è   attestarla  ad  evidenza:    Saranno  rimessi  i 
peccati  a  chi  li  rimetterete  ^   e  saranno  ritenuti  a 
chi  li  riterrete  (i).  Ma  nessuno   ha   mai   inteso  che 
dalla  assoluzione   dipenda   la   salvezza,   in  modo  che 
non  possa   sperarla   chi  e  impossibilitato  a  ricevere 
questo  insigne  beneficio.  Oltre  che  l'uomo  può  con- 
servare per  tutta  la  vita  F innocenza,  non  commet- 
tendo alcuna  di  quelle  colpe  che  lo  rendono  nimico 
a  Dio,  (e  benché  il  mondo  non  li  discerna,  non  sono 
cessati  i  £;iusti,  che  vi  passano  senza  partecipare  alle 
sue  opere),  oltre  di  ciò,  la  Chiesa  insegna,  e  tutti 
i  cattolici  credono  ,   che   la   penitenza   a   cui  manca 
r assoluzione,  ma  non  il  desiderio  di  essa,  né  la  con- 
trizione ,  è  accetta  a  Dio .  Lasciando  ai  ministri  l'au 
torità  di  assolvere,  avrebbe  egli  mai  voluto  rendere 
in  certi  casi  impossibile  il  perdono  ?  e  i  doni  fatti 
alla  Chiesa  ponno  mai  essere   in   discapito  della  sua 
onnipotenza  e  della  sua  misericordia?  e  perchè  Egli 
si  degna  impiegare   la   mano   dell'uomo,  la   sua   ne 
sarà  accorciata,   sicché  Egli    non   possa  salvare  (2) 
quelli  che  ha  convertiti  a  sé? 

Quando  poi  fosse  nata  questa   falsa    persuaslime, 


(0  Quòrum  re  miserili.':  peccata,  remiltuntur  eis  ;  et  quorum  reiinueri' 
tis  y  relenla  sunt .  Jo.   XS.   23. 

(i)  Ecce  non  est  abbreviata  manus  Domini,  ut  salvare  nequeat .  Isai. 
LIX.   I. 


CAPITOLO  Xli.  145 

essa  non  poteva  certo  venire  dalla  prima,  né  dalla 
terza  delle  ragioni  qni  addotte .  Non  dal  potere  atlii- 
Imito  al  pentiineiito'^  perchè  questo  potere  rendereb- 
be anzi  meno  necessaria  1'  assoluzione  ad  un  aniisia 
già  ritornata  a  Dio  :  non  dal  potere  attribuito  ulle 
indulgenze  j  perchè  nessuno  attribuì  mai  ad  esse  quel- 
lo di  salvare  dalla  dannazione  eterna.  Quanto  alle 
cerimonie  religiose,  non  ne  parlo  non  sapendo  a  quali 
precisamente  si  voglia  qui  alludere . 

l.a  Chiesa  è  tanto  lontana  dal  sospettare  che  // 
caso  e  non  la  virtù  possa  decidere  della  sorte  eter- 
na  dell  anima  del  moribondo  ^  che  essa  non  conosce 
nemmeno  questa  parola  caso  (  hasard  ) .  Essa  non 
ripete  dal  caso  \  essere  o  no  in  istato  di  grazia , 
uè  il  morire  in  un  momento  piuttosto  che  in  un  al- 
tro .  Se  r  uomo  virtuoso  cade  in  peccato  ,  non  è 
eifetto  del  caso ,  ma  della  sua  volontà  pervertita  ;,  se 
umore  in  peccato  è  un  terribile  e  giusto  giudizio. 

La  Chiesa  non  suppone  alcun  peccato  mortale  com- 
binabile colla  conservazione  della  virtù:  quindi,  se 
il  giusto  diventa  peccatore,  è  appunto  la  virtù,  cioè 
l'avere  abbandonata  la  virtù,  che  decide  della  sorl(^ 
dell'anima  sua.  ha  giustizia  del  giusto  non  lo  libe- 
rerei in  qualuncpLe  giorno  ei  pecchi  (i)  . 

Ma  non  si  rileva  il  vero  spirito  della  Chiesa,  non 
si  dà  nemmeno,  a  quel  che  mi  sembra,  una  idea  giu- 
sta della  natura  dell'uomo,  se  si  suppone  ch'egli  de- 
cada così  Tacilmente  dalla  giustizia  realmente  acqui- 
stata ^  se  si  vuol  credere  che  la  conseguenza  naturale 
della  vita  la  pili  pura  sia  una  morte  impenitente  e 
la  dannazione  eterna .  Certo ,  il  giusto  può  cadere  :  la 


(1)  Ezccli.   ;il   cap.   citalo  alia   i-aj^.    i-iu. 

MdllUìlli  IO 


i46       SL1.LA  MOllALE  CATTOLICA 

Chiesa  glielo  ricorda,  perchè  vegli,  e  perchè  sia  umi- 
le; perchè  tema,  e  perchè  s[)eri,  perchè  questa  è  una 
verità.  Se  non  potesse  cadere,  sarehhe  questa  una 
vita  di  prova?  Se  non  potesse  esser  vinto,  dove  sa- 
rehhe il  conihattimento?  Se  non  avesse  ad  ogni  mo- 
mento bisogno  dell' ajuto  divino,  che?  egli  non  do- 
vrebbe più  pregare  .  Ma  la  Chiesa  vuol  togliere  al 
giusto  la  presunzione,  non  la  fiducia.  Come  !  essa  che 
non  parla  ai  peccatori  che  di  conversione  e  di  perdo- 
no, di  penitenza  e  di  consolazione,  che  rammemora 
loro  i  giorni  felici  che  si  passano  nella  casa  del  Pa- 
dre ,  essa  vorrebbe  poi  contristare  gì'  innocenti  rap- 
presentando il  loro  stato  come  uno  stato  senza  fer- 
mezza e  senza  appoggio  !  La  Chiesa  non  consiglia  la 
speranza,  ma  la  comanda.  Essa  dice  a  tutti  di  ope- 
rare la  salute  con  timore  e  tremore  (i);  ma  dice 
anche  che  Dio  è  fedele  ^  e  non  permetterà  che  sieno 
tentati  oltre  il  loro  potere  (2) ,  ma  non  cessa  di  ripe- 
tere ai  giusti,  che  Chi  ha  cominciato  in  essi  r opera 
buona  ^  Egli  la  perfezionerà  fino  al  giorno  di  Cristo 
Gesii  (3) . 

Le  decisioni  della  Chiesa ,  che  si  cada  in  peccato 
mortale  pronunciando  certe  parole  profane  ^  che  l'u- 
so ha  rese  cosi  comuni^  non  sono  qui  citate,  né  io 
le  conosco:  e  bisognerebbe  conoscerle  per  ragionar- 
ne .  La  Chiesa  è  tanto  guardinga  in  queste  distinzioni 
■.  di  peccati,  il  suo  linguaggio  è  così  castigato,  che  im- 
j)orterebbe  assai  di  vedere  come  essa   abbia   potuto 

(i)  Clan  meta  et  tremore  snlutein  veslram  operarne  ni .  Paul,  ad  Philip. 
II      i:ì. 

(1)  Fidelis  autem  Deus  est ,  qui  non  palietur  vos  tentari  sopra  id  quod 
polestis  .  Paul.    i.  ad  Corinth.   X.    i3. 

(3)  Confidens  Jioc  ipsuni,  quia  qui  campii  in  vobis  opus  bonum ,  perji- 
cict  tisque  in  dioni  Chrisli  Jcsu .   Paul,   ad  Philip.  I.   6. 


CAPITOLO  XII.  1^,7 

discendere  a  questi  particolari,  e  trattarli  coU'iinpe- 
ro,  e  colla  dignità  che  le  conviene.  Ad  ogni  modo, 
il  giusto  della  Chiesa,  nutrito  del  pensieri  santi  e 
magnanimi  dell'altra  vita,  avvezzo  alla  vittoria  degli 
impeti  sensuali  di  ogni  sorte,  intento  a  regolare  colla 
ragione  e  colla  prudenza  ogni  suo  atto ,  il  giusto  della 
Chiesa  ha  la  guardia  alla  bocca  (i).  Nei  tempi  di 
calma  e  di  silenzio  delle  passioni,  egli  fortifica  l'ani- 
mo contro  la  collera,  contro  il  dolore*,  egli  prega, 
onde  essere  sempre  tanto  presente  a  se  stesso  che  non 
vi  sia  sorpresa  per  lui;,  se  vi  cade,  ne  piglia  argo- 
mento d'umiltà,  e  di  nuova  e  più  instante  preghiera. 
Io  non  so  chi  possa  insegnare  che  una  di  quelle  paro- 
le profane  distrugga  il  regno  di  Dio  in  un'  anima  : 
è  però  certo  che  dove  Dio  regna ,  ivi  la  lingua  è  pura 
e  grave ,  e  che  la  Chiesa  non  vuole  educare  gli  uomi- 
ni ne  a  seguire  l'uso  comune,  né  ad  assumere  F abi- 
tudine di  espressioni  volgari,  appassionate,  senza  sa- 
pienza, senza  scopo,  e  senza  dignità. 

Quanto  poi  al  ritorno  momentaneo  alla  virtù  del-- 
l'uomo  perverso^  se  ne  è  ragionato  abbastanza,  e 
l'orse  troppo,  nel  Capitolo  IX. 

(i)  Pone,  Domine,  euslodiam  ori  meo.  CXL.  3, 


CAPÌTOLO    \IU^ 


SUI   PKKCETTI    DKI.I.A    CIIILSA 


Ce  ne  fui  pus  tout  :  /  '  Église  placa  ses  commandemens  ci 
coté  de  la  gì^andc  tahle  des  vevtus  et  des  vices ,  doni  la 
connais sance  a  été  impl anice  dans  notre  coeur.  Elle  ne 
les  appuja  point  par  une  sanction  anssi  redoutnhle  que 
ceux  de  la  Dwinité;  elle  ne  fit  point  dépendre  le  salili 
éternel  de  leur  ohseivation ,  et  en  méine  temps  elle  lem" 
donna  une  puissance  que  ne  piirent  jamais  ohlenii'  le:; 
lois  de  la  morale.  Le  meurtrierf  encore  tout  couvet-t  da 
sang  qiL  d  vient  de  verser  ^  jait  mai  gre  avec  de'votion  ^ 

tout  en  médìtant  un  nouvel  assassinai car  phis 

chaque  homnie  vicieux  a  été  reguUer  a.  ohsejver  les  com- 
mandemens de  r  Eglise ,  plus  il  se  seni  dans  son  coeur 
dispense  de  r  ohservation  de  ceite  morale  celeste ,  h  la- 
(juelle  il  jaudrait  sacrifier  ses  penchans  dépravcs .  Pag. 
419. 


iÒsaminlamo  brevemente  le  due  asserzioni  prelimina- 
ri ^  quindi  parleremo  dei  rapporti  di  questi  precetti 
ecclesiastici  (1)  colle  leggi  della  morale. 

1 .  La  Cliiesa  pretende  di  non  dare  un  precetto  che 
non  prescriva  una  azione  per  se  virtuosa,  che  non  sia 
un  mezzo  per  purificare ,  elevare,  santificare  l'animo, 
j)er  adempire  insomma  la  legge  divina.  Se  questo  si 


(1)  È  cvitlcnte  clic  l'illustre  autore  non  ha  inteso  dì  parlare  puramente 
di  quelli  che  in  stretto  senso  e  nel  linguaggio  catechistico  si  chiamano  Co- 
iiiniiilnìnenti  della  C/iie.sn ,  ma  del  complesso  delle  pratiche  coinaudalc  o 
appriivale  da  essa:  noi  pure  li  prenderemo  in  questo  senso. 


CAPITOLO  XUI.  149 

lìpoa,  bisogna  addurre  i  precetti  vi/.iosl  o  indilFcrenti 
della  Chiesa:  se  si  concede,  che  cosa  si  può  dire  del- 
l'aver  essa  posti  i  suoi  precetti  a  fianco  della  gran 
tavola  dei  vizi  e  della  virili  ?  che  gli  lia  posti  in 
quell'ordine  che  loro  si  conveniva. 

Che  poi  la  cognizione  dei  vizi  e  delle  virtù  sia  in- 
serita nel  nostro  cuore,  è  questione  incidente  in  que- 
sto luogo,  e  che  è  stata  trattata  in  uno  dei  capitoli 
antecedenti . 

2.  E  di  fatto,  che  la  Chiesa  ha  muniti  i  suoi  co- 
mandamenti della  stessa  sanzione  che  hanno  i  coman- 
damenti di  Dio,  perchè  sono  da  Dio  essi  pure:  essa 
diffiderebbe  dell'autorità  lasciatale  dal  suo  Fondatore, 
se  operasse  altrimenti.  Clii  non  ascolta  la  Chiesa, 
sia  riguardato  come  un  pagano,  ed  un  pubblica- 
no (i).  Ella  fa  dipendere  la  salvezza  dalla  osservan- 
za de' suoi  comandamenti,  perchè  la  trasgressione  dì 
essi  non  può  venire  che  da  un  cuore  indocile,  e  non 
curante  di  quella  vita  che  è  data  a  chi  la  sospira,  a 
chi  l'apprezza,  a  chi  la  cerca  coi  mezzi  ordinati  da 
Gesù  Cristo.  Questa  è  la  sua  dottrina  perpetua,  tan- 
to manifesta  e  universale ,  che  ogni  cattolico  può  dar- 
ne testimonianza  quando  che  sia. 

Ma  r essenziale  da  esaminarsi,  è  l'effetto  attribui- 
to a  questi  comandamenti,  di  essere  quasi  un  orribile 
supplimento  alle  leggi  eterne  della  morale,  una  scusa 
per  trasgredirle  senza  rimorso:  questo  è  il  punto  di 
vista,  e  l'imico  punto  di  vista  dal  quale  sono  osser- 
vati nel  testo .  Due  cose  si  j)resentano  qui  da  consi- 
derare :  il  Hitto,  e  la  dipendenza  di  esso  dai  princi[)j 
costitutivi  dalla  Chiesa. 


(0   Si  (iiitcìii   Fcclesiom    non  muliciil ,    >/7   libi  st'riif  rl/iniriis ,   ^^  /'"i"*- 
eamts.   Mallli.   XVIIF.    i-. 


1 5o       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

11  l'alto  e  una  parte  importantissima  di  statistica 
morale.  Ora,  ecco  quali  sono,  a  mio  avviso,  le  mas- 
sime da  aversi  di  mira,  e  le  ricerche  da  farsi  per  ve- 
nire alla  cognizione  di  esso. 

La  religione  non  comanda  che  cose  sante:  credo 
(piesto  punto  fuori  di  controversia  .  Quindi  la  vera 
ed  intera  fedeltà  alla  Religione  è  incombinabile  con 
c[ualunque  delitto  :  quindi  1'  uomo  che  vuole  essere 
vizioso,  non  potendo  conciliare  le  sue  azioni  colla  re- 
Jigione  quale  è,  tende  ad  abbandonarla,  o  ad  alterar- 
la^ tende  alla  irreligione,  o  alla  superstizione.  Nei 
primo  caso,  Podio  ch'egli  ha  ai  precetti  che  non 
vuole  osservare,  lo  porta  a  desiderare  che  sieno  mere 
finzioni  umane  ^  e  la  rabbia  di  averli  violati  cangia 
talvolta  il  desiderio  in  persuasione. 

Ma  egli  può  cadere  in  un'altra  specie  di  acceca- 
mento .  Egli  sente  che  il  delitto  lo  esclude  dalla  par- 
te dei  giusti  *,  ma  non  può  lasciar  di  credere  alla  pro- 
messa ,  e  non  vorrebbe  rinunziarvi  :  si  sforza  di  di- 
menticare che  chi  ha  violato  un  precetto  ha  violata 
tutta  la  legge  (i),  e  vorrebbe  esser  fedele  in  quelle 
parti  che  non  gì' impongono  il  sacrifizio  della  sua  più 
forte  passione.  Egli  sa  che  è  atto  di  dovere  l'esegui- 
re certi  comandamenti,  ed  eseguendoli  si  promette 
confusamente  di  non  essere  atfatto  fuori  della  linea 
del  dovere,  e  di  tenere  ancora  un  piede  nella  strada 
della  salvezza^  gli  sembra  di  non  essere  del  tutto  ab- 
bandonato da  Dio,  poiché  fa  alcuni  atti  che  Dio  gli 
comanda .  E  1*  oscuramento  della  sua  mente  può  tal- 
volta giungere  al  segno  (poiché,  a  che  non  va  1  in- 


(i)   Qtdcumque  aidem  totani  legetn  servaverit ,   offcndat  autcm  in  uno  , 
fcu'tits  rst  omnium  mis .    Ep.   B,   .Tar.   IT     io. 


CAPITOLO  Xin.  i5i 

telletto  soggiogato  dalle  passioni?)  che  quegli  alti, 
ancorché  scompagnati  dall'amore  della  giustizia,  gli 
sembrino  una  specie  d'espiazione^  e  pigli  per  un  sen- 
timento di  religione  quello  che  non  è  altro  che  il  de- 
lirio dell'empietà. 

Ora,  per  decidere  se  fra  i  delinquenti  di  mestiere 
in  Italia  sia  più  fre([uente  il  disprezzo  della  religio- 
ne, o  questa  superstizione,  ognun  vede  quali  ricerche 
converrebbe  aver  fatte:  visitare  le  prigioni,  vedere 
se  coloro  che  vi  stanno  per  gravi  delitti  nutrono  sen- 
timenti di  rispetto  per  la  Chiesa,  o  se  ne  parlano 
con  derisione,  chiiKlerne  a  ([uelli  che  per  ufficio  gli 
esaminano  e  gli  osservano,  chiedere  ai  parochi  (qua- 
lora non  si  volesse  averli  per  sospetti  di  parzialità) 
se  coloro  che  si  sono  abbandonati  al  mal  vivere  si 
distinguevano  nella  osservanza  dei  precetti  ecclesia- 
stici ^  assumere  insomma  le  più  esatte  informazioni . 
Le  quali  non  essendo  io  in  caso  di  prendere,  sono 
ridotto  a  non  dare  che  una  opinione,  quella  che  io 
mi  son  fatto,  per  la  tendenza  che  tutti  abbiamo  a 
formarci  un  giudizio  generale  sui  fatti  dello  stesso 
genere,  ancorché  ìe  notizie  che  ne  abbiamo  non  sieno 
né  in  quel  numero,  né  di  quella  certezza  che  é  ne- 
cessaria per  dimostrarlo  altrui.  Io  sono  dunque  d'av- 
viso che  fra  quelli  che  corrono  in  Italia  la  deplorabi- 
le carriera  del  delitto  vi  sia  ai  nostri  giorni  poca  o 
nessuna  superstizione,  e  molta  non  curanza  per  tutte 
le  cose  della  religione.  Aé  basta  a  farmi  rinunziare  a 
questa  opinione,  che  1"  illustre  Autore  abbia  manife- 
stata r opposta^  perché,  per  quanto  peso  abbia  la  sua 
autorità,  una  decisione  sopra  un  complesso  di  falli 
non  si  riceve  che  con  molte  prove  e  con  molti  ragio- 
namenli .  Io  so  che  molti  stranieri  fanno  una  eccezio- 


« 


1^2        sn.l.A  MOllALE  CATTOLICA 

ne  per  l'Italia,  adottando  senza  esame  tutto  ciò  cln! 
si  possa  dire  della  superstizione  di  essa:  ma  non  sono 
persuaso  della  bontà  di  questo  metodo.  INon  pretendo 
(piindi  di  proporre  agli  altri  la  mia  opinione,  ma  la 
sottopongo  al  giudizio  di  quelli  che  hanno  potuto  fare 
osservazioni  in  questa  materia . 

Benché  però  qui  non  si  pensi  a  difendere  T Italia, 
ma  la  religione,  non  si  può  a  meno  di  non  protestare 
di  passaggio  contro  T  interpretazione  che  potranno 
dare  alf  esempio  addotto  dall' Autore  quegli  stranieri 
appunto  che  sono  avvezzi  a  credere  anche  al  di  là 
del  male  che  loro  vien  detto  di  questa  povera  Italia^ 
e  i  quali  udendo  parlar  di  assassini  che  mangiano  di 
mai^ro,  potranno  farsi  tosto  l'idea,  che  l  Italia  sia 
piena  di  uomini  che  vivano  così  tra  lo  scherano  e  il 
certosino .  Se  mal  per  un  caso  strano  questo  libric- 
ciuolo  capitasse  alle  mani  di  alcuno  di  essi,  veggano 
se  è  una  ingiusta  pretesa  il  domandare  che  si  facciano 
altre  ricerche,  prima  di  formarsi  una  tale  idea  d"  una 
nazione . 

Ma ,  per  venire  al  rapporto  di  questi  fatti  coi  prin- 
cìpi della  Chiesa,  T impressione  che  per  T onore  della 
verità  e  della  religione  importa  sopra  tutto  di  di- 
struggere, è  quella  che  può  nascere  contro  i  precetti 
della  Chiesa  e  contro  il  suo  spirito  dal  vedere  questi 
precetti  presentati  come  in  contrasto  colle  leggi  della 
morale,  dal  vedere  messi  insieme  astinenza  ed  assas- 
sinio, e  (negli  altri  esempi,  che  ho  creduto  inutile 
di  trascrivere)  culto  delle  immagini  e  libertinaggio, 
digiuno  ecclesiastico  e  spergiuro,  come  se  queste  co- 
se fossero  in  certo  modo  cause  ed  effetti^  dal  vedere 
supposta  nel  cuore  deiruomo  vizioso  (piasi  una  pro- 
gressione parallela  di  fedeltà  ai  precetti  della  Ciiiesa, 


CAPITOLO  XIII.  1 55 

e  tlì  scelleratezza.  No,  non  v" ha  alcuna  connessione 
fra  queste  cose*,  sono  idee  e  nomi  ripujvnanti;  non 
v'c  lato  per  cui  si  tocchino^  v'è  fra  di  esse  la  distan- 
za che  separa  il  bene  dal  male  :  no  la  Chiesa  non  ha 
mai  proposti  i  suoi  precetti  in  sostituzione  delle  leg- 
gi dalla  morale  *,  non  si  potevano  ideare  precetti  che 
fossero  più  conducenti  alla  vera,  alla  intera,  alla  e- 
terna  morale:  credersi  dispensato  da  essa,  osservando 
esteriormente  alcuni  di  que'  precetti ,  non  può  essere 
nella  mente  del  cristiano  che  una  demenza  irreligiosa  *, 
e  una  demenza  di  questo  genere  deve  essere  sempre 
stata  assai  rara . 

Perchè,  altro   è   che  uomini  perversi,  calpestando 
que'  gravissimi   comandamenti   dai   quali   dipende   la 
conservazione  della  società,  abbiano  mantenuta  una 
fedeltà  esteriore  a  quelli  che  sono  dati  dalla  Chiesa 
per  facilitare   V  adempimento   di  ogni   giustizia,   ed 
altro  è  che  questa  fedeltà  stessa  gli  abbia  incoraggi- 
ti a  calpestare  i  primi .  Hanno  osservata  la  parte  più 
l'acile  della  legge,  hanno  commesse  quelle  sole  colpe 
che  non  sapevano  rifiutare  alle  loro  inclinazioni  cor- 
rotte, non  hanno  aggiunto  il  disprezzo  di  alcuni  pre- 
cetti  alla  violazione   degli   altri,    perchè   questo   di- 
sprezzo non  aveva  per  loro  un'attrattiva  bastante  da 
farli  diventar  rei  anche  in  questo:  ecco  tutta  la  sto- 
ria del  loro  animo.  Che  se  vi  ha  pure  V ncfjno  vizio- 
so che  si  senta  dispensato   dalla  inorale   a   misura 
eh'  egli  è  pili   regolare   nelV  osservare  i  comanda- 
menti della   Chiesa^   si    trovi   nelle   massime   e   nei 
precetti  della  Chiesa  il  punto   d'  appoggio  di  questo 
suo  sistema,  si  indichi  in  essi  il  punto  d  ond'egli  è 
partito  per  giungere  ad  un  lai  delirio,  si  dica  quali 
Islihizlonl  polrcbl)oro  esser  atte  a  ritenere  nell'ordine 


i5/j       SULLA  MORALE  GACTOLICA 

una  mente  ed  un  cuore,  quali  si  suppongono  a  que- 
st'  uomo .  U  assassino  mancia  di  magro  con  divO" 
zione !  Ah!  quanto  e  lontano  questo  sentimento, 
che  riunisce  il  sacrificio  e  l'amore,  dal  cuore  dove  è 
risoluta  la  morte  di  un  fratello  !  Egli  mangia  di 
magro!  Ma  quando  la  Chiesa  gli  ha  detto:  sii  tem- 
perante, rinunzia  in  certi  giorni  a  certi  cihi  per  vin- 
cere la  hassa  inclinazione  della  gola,  per  mortificare 
il  tuo  corpo,  gli  ha  poi  ella  soggiunto,  e  con  questo 
tu  potrai  uccidere?  0  perchè  vi  ha  pure  chi  vuole 
esser  omicida,  la  Chiesa  non  comanderà  a  tutti  di 
esser  astinenti?  Non  imporrà  più  penitenze,  pel  ti- 
more d'  incoraggi  re  al  peccato  ?  Che  importa  che 
due  comandamenti  sieno  diversi,  quando  non  sono 
contraddicenti?  E  impossihile  figurarsi  una  morale, 
una  regola  di  vita,  in  cui  non  vi  sieno  ohhllgazioni 
di  vario  genere  e  di  diversa  importanza:  la  morale 
perfetta  sarà  quella  in  cui  tutte  le  ohhligazioni  ven- 
gano da  un  principio,  sieno  dirette  ad  un  solo  line, 
e  questo  sia  santissimo:  e  tale  appunto  ò  la  morale 
della  Chiesa . 

E  egli  poi  da  credersi,  che  questo  fine,  la  Chiesa 
non  lo  otten2fa  mai?  Nel  testo  che  osserviamo,  non  è 
menzionato  che  uno  dei  possihili  rapporti  dei  coman- 
damenti colla  morale,  T esecuzione  di  questi  combi- 
nata colla  persistenza  nel  delitto  .  Un  complesso  di 
discipline  meditate  ,  promulgate  ,  venerate  da  una 
società  come  la  Chiesa,  non  meriterebbe  attenzione 
se  non  per  f  obbedienza  di  qualche  omicida,  di  qual- 
che prostituta,  di  qualche  spergiuro  !  I  Cattolici  vir- 
tuosi, non  sono  dunque  osservatori  de' comandamen- 
ti? 0  se  lo  sono,  una  tale  osservanza  non  iiilhiirà 
sulla  loro  condotta?  iNc  l'obbedienza  dignitosa,  e  de- 


M 


CAPITOLO  XIII.  i55 

terminata  dalla  sola  ragione:,  nò  T amore  della  rego- 
la, che  fa  preferire  ciòcche  è  prescritto  a  ciò  che  si 
sceglierebbe-  nò  Y  astinenza,  che  franca  l'animo  dalle 
tendenze  sensuali*,   né  il  culto  delle  immagini,   che, 
per  applicarlo  alle  cose  celesti,  si  prevale  della  pre- 
potenza stessa  dei  sensi,  che  ha  tanta  forza  a  sviar- 
nelo^  né  l'abitudine  dell'omaggio  a  Dio,  della  vigi- 
lanza, della  annegazione,   e   del   contrasto ,   nessuno 
insomma  degli  effetti  avuti  in  mira  dal  legislatore  si 
otterrebbe  mai  !    Né  vi  avrebbe   cattolico  che  fosse^ 
pia  fedele   a   quella   morale   celeste^   alla  quale   si 
devono  sacrificare  le  inclinazioni  corrotte,   quanto 
più  é  regolare  neir  osservare  i  comandamenti  della 
Chiesa  !  Ma  il  mondo  stesso  rende  testimonianza  che 
ve  ne  ha ,  se  non  altro  col  ridersi  dei  loro  scrupoli  ^ 
il  mondo  che  li  compatisce  egualmente  pel  timore  che 
hanno  di  nuocere  altrui  con  un  fatto  o  con  una  paro- 
la, di  mancare  ad  un  picciolo  dovere  di  carità,  come 
per  quello  di  fare  uso  di  un  cibo  proibito . 

Togliete  i  comandamenti  della  Chiesa*,  avrete  me- 
no delitti?  No,  ma  avrete  meno  sentimenti  religiosi, 
meno  opere  indipendenti  da  impulsi  e  da  fini  tempo- 
rali, meno  opere  dirette  all'ordine  di  perfezionamen- 
to per  cui  r  uomo  è  creato,  a  queir  ordine  che  avrà 
il  suo  compimento  nell'altra  vita,  e  che  ognuno  per 
sé  è  tenuto  di  cominciare  in  questa .  La  storia  è  pie- 
na di  scellerati,  che  erano  ben  lontani  dall' osservare 
questi  comandamenti,  e  dal  seguire  alcuna  pratica  di 
pietà.  Quando  vi  si  trovano  esempi  di  una  vita  per- 
versa, franunischiata  di  pratiche  religiose  dettate  da 
un  sentimento  qualunque,  e  non  da  (ini  umani,  gli 
scrittori  vi  fanno  per  lo  più  molta  attenzione,  ed 
hanno  ragione;  perchè  T  unione  di  ct^se  tanto  contia- 


1 5(;       SULLA  MOIIALE  CATTOLICA 

rie,  come  perversità  e  pratiche  cristiane,  la  durata 
di  un  certo  rispetto  a  quella  religione  che  comanda 
sempre  il  hene,  in  un  cuore  che  sceglie  di  fare  il  ma- 
Jc,  è  sempre  una  osservahile  contraddizione,  un  tri- 
sto fenomeno   di  natura  umana.  Luigi  XL  onorava 
superstiziosamente,  come  dice  Bossuet(i),  una  im- 
magine di  Nostra  Donna:  chi  non  lo  sa?  Ma  se  Lui- 
gi XI,  come,  per  furore   di   dominare,   violò    tante 
leggi  divine  ed  ecclesiastiche  di  umanità,   di  giusti- 
zia e  di  v^erità,  fosse  anche  diventato  trasgressore  di 
tutte  le  leggi  puramente  ecclesiastiche,  si  può  crede- 
re che  sarehhe  diventato  migliore  per  questo  ?  avreh- 
be  perduto  un  incoraggimento  al  male,    o  non  forse 
un  ultimo  ritegno?  non  avrebbe  con  ciò  forse  vuota- 
to il  suo  cuore  d'ogni  sentimento  di  pietà,  di  ordi- 
ne, di  umiltà,  di  fratellanza?  Alcuni  storici  credono 
eh'  egli  facesse   avvelenare   il  Duca  di  Guienne   suo 
fratello^  e  si  narra  ch'egli  sia  stato  inteso  chiederne 
perdono  ad  una  picciola  immagine  della  Vergine .  Il 
che  non  proverebbe  altro,  se  non  che  la  vista  di  una 
immagine  sacra  svegliava  in  lui  il  rimorso,   che  egli 
si  trovava  in  quel  momento  trasportato  alia  contem- 
plazione di  un  ordine  di  cose,  in  cui  l'ambizione,  la 
ragione  di  stato,  la  sicurezza,  le  offese  ricevute,  non 
iscusano  i  delitti,  che  dinanzi  alla  immagine  di  quel- 
la Vergine,  il  cui  nome  richiama  i  sentimenti  i  più 
teneri  e  i  più  nobili^  egli  sentiva  che  cosa  è  un  fra- 
tricidio . 

Se  vi  ha  fra  cento,  qualche  omicida  che  mangi  di 
magro,    ebbene,    è  un  uomo  che  spera  ancora   nella 
misericordia,  egli  avrà  qualche  misericordia  nel  cuo- 
ci) Abrégé  de  l' Ilistoire  de  France .  Lìv.  XII.  Annec   1472. 


CAPITOLO  Xin.  167 

re;  e  un  resto  di  terrore  dei  oiudizj  di  Dio,  è  iiii  lato 
accessibile  al  pentimento,  una  rimembranza  di  virtù, 
e  di  cristianesimo.  Lo  sciagurato  pensa  talvolta  che 
v'è  un  Dio  di  ricompense  e  di  castighi  :  se  egli  ri- 
sparmia un  supplichevole ,  se  fa  volontariamente  qual- 
che tregua  ai  suoi  delitti,  e  soprattutto  se  un  giorno 
egli  ritorna  alla  virtù,  è  a  questo  pensiero  che  si  do- 
vrà attribuirlo. 

E  qui  il  luogo  di  prevenire  una  obbiezione.  I^a  su- 
perstizione che  fa  confidare  nello  adempimento  di  cer- 
ti precetti,  o  nell'uso  di  certe  pratiche  pie,  come 
supplimento  ad  altri  doveri  essenziali,  è  un  argomen- 
to frequentissimo  di  lagnanza  e  di  rimprovero  nelle 
istruzioni  dei  pastori  cattolici:  il  male  esiste  dunque, 
ed  è  molto  comune. 

Per  sentire  la  differenza  somma  tra  il  male  contro 
cui  essi  declamano,  e  il  male  di  cui  si  e  parlato  fino- 
ra, l)isogna  distinguere  fra  due  gradi,  o,  per  dir 
meglio,  fra  due  generi  di  bontà  :  quella  di  cui  si 
contenta  il  mondo,  e  quella  voluta  dal  Vangelo,  e 
predicata  dai  suoi  ministri .  Il  mondo ,  pel  suo  inte- 
resse e  per  la  sua  tranquillità,  vuole  degli  uomini  che 
si  astengano  dai  delitti  (senza  rinunziare  ed  approvar 
quelli  che  possono  giovare  ad  alcuni),  ed  esercitino 
virtù  utili  temporalmente  agli  altri:  il  Vangelo  vuol 
questo ,  e  il  cuore  :  Ce  ne  sont  pas  les  dèsordres  è^'i- 
ddiites  qui  font  les  Chrètiens ^  ce  sont  les  vertns  de 
l' Evangde  j)ratiqnèes  :  ce  ne  soni  pas  des  moeurs 
irrèprochahles  ciux  ycnjc  des  lioniiìies ^  cesi  V esprit 
de  Jèsus-Christ  cruci/ìc  (  1  ) . 


(0  Miissilloii,  sermon  du  Jeudi  de  La  i.du  seinaine  de  Cardine  :  Le  Man- 
vais  ri  e  he . 


1 58       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

E  contro  la  mancanza  di  questo  spirito ,  che  decla- 
mano i  preti  cattolici^  contro  la  persuasione  che  esso 
possa  esser  supplito  da  pratiche  esterne  di  religione, 
che  vivendo  pel  mondo,  che  non  si  curando  o  non  ri- 
cordandosi del  fine  sovrannaturale  che  deve  animare 
le  azioni  del  cristiano,  si  ahhia  diritto  a  credersi  tale 
col  semplice  adempimento  di  certi  precetti,  i  quali 
non  hanno  valore  che  dal  cuore .  Ma  quelli  a  cui  so- 
no diretti  questi  avvisi,  sono  uomini  dei  quali  il 
mondo  non  ha  a  lagnarsi,  sono  i  migliori  fra  i  suoi 
figli ^  e  se  la  Chiesa  non  è  contenta  di  essi,  è  perchè 
ella  tende  ad  un  ordine  di  santità,  che  il  mondo  non 
conosce,  perchè  non  avendo  altro  interesse  che  la  sa- 
lute degli  uomini,  ella  vuole  le  virtù  che  perfezio- 
nano chi  le  esercita,  e  non  soltanto  quelle  che  sono 
utili  a  chi  le  predica.  Non  basta  alla  Chiesa  che  gli 
uomini  non  si  uccidano  fra  di  loro,  ma  vuole  che 
essi  abbiano  un  cuore  fraterno  1'  uno  per  1'  altro  ^ 
vuole  che  si  amino  in  Gesù  Cristo:  innanzi  ad  essa 
nulla  può  tener  luogo  di  questo  sentimento  ^  ogni 
atto  di  culto  che  parta  da  un  cuore  che  non  lo  col- 
tivi, è  agli  occhi  di  lei  superstizioso,  e  menzognero. 
Ma  la  superstizione  che  concilia  T  omicidio  e  lo  sper- 
giuro coir  obbedienza  ai  precetti,  è  una  mostruosità, 
che,  ardirei  dire,  non  ha  bisogno  di  essere  combat- 
tuta . 

Che  se  pure  se  ne  incontrasse  qualche  esempio , 
quali  riflessioni  utili  vi  si  possono  far  sopra  ?  che  sen- 
lunento  devono  ispirare  i  precetti  della  Chiesa  q'ian- 
d' anche  li  vedessimo  scrupolosamente  osservati  dal- 
1  uomo  il  più  reo  ?  Si  può  indicarlo  con  piena  fiducia, 
perchè  esso  ci  è  stato  mostrato  da  chi  non  può  erra- 
re.  Guai  a  voij  Scribi^    e  Farisei  iprocriti^   che 


CAPITOLO  Xlll.  169 

pacale  la  decima  della  menta  ^  e  dell'  aneto ,  e  del 
cumino^  e  avete  trascurato  il  più  essenziale  della 
l("SS(^:,    la   giustizia,    la   misericordia^    e   la  fede , 


vegga  qu 

quegli  ingannati.  INon  mostra  di  spregiare  il  picco- 
lo comandamento  (  anzi  lo  scrupolo  minuto  nell'  a- 
dempimento  di  esso  )  (1)  ,  ancorché  lo  ponga  in 
confronto  a  ciò  che  la  legge  ha  di  più  grave:  anzi, 
perchè  la  considerazione  della  giustizia,  della  mise- 
ricordia e  della  fede  non  faccia  concepire  noncuranza 
per  quello,  perchè  si  veggia  che  il  male  sta  nella 
trasgressione,  e  non  nella  obbedienza;  che  tutto  ciò 
che  è  comandato  è  sacro,  che  tutto  ciò  che  è  pio  è 
utile,  egli  aggiunge:  Queste  sono  le  cose  che  biso^ 
gnava  fare^  senza  ommettere  le  altre  (2). 


(1)  La  legge  non  ordinava  di  pagar  la  decima  delle  erbe  più  minute. 
Mons.   Martini,  in  nota  al  passo  citato. 

(2)  Vae  vobi's ,  SaibceetPharisceihypocritce,  qui  decimatis  mentham , 
et  anelhum,  et  cyminum,  et  reliquistis  qua  graviora  sunt  legis,  judi- 
cium,  et  misericordiam,  et  Jidem:  hcec  oportuit  fncere ,  et  Illa  non  o- 
mittere:  Matth.  XXIII.  a3. 


DliLLA   MALDICENZA. 


La  morale,  proprement  dite,  ii  a  cepeiulaat  jamais  cesse 
d  e  tre  V  oh  jet  des  prèdio  ations  de  l^  Eglise;  mais  V  iiité- 
rét  sacerdotal  a  corrompa  daiis  l' Italie  moderne  tout  ce 
(ju  il  a  touché.  La  hieiweillance  imitiielle  est  le  fonde- 
meiit  des  vertus  sociales  ;  le  causiste  la  réduisant  en 
préceptc ,  a  déclaré  qu  on  péchait  en  disant  da  mal  de 
son  prochain;  il  a  empéché  chacun  d' exprimer  le  juste 
JHgement  qui  doit  discerner  la  verta  da  vice ,  il  a  impo- 
se silence  aux  accens  de  la  véri  te':  mais  en  accoutumant 
ainsi  a  ce  que  les  mots  n  exprimassent  point  la  pensée , 
il  n  a  fait  que  redouhler  la  scerete  défiance  de  chaque 
homme  a  l  égard  de  tous  les  autres .  Pag.  [\\q^-[\io. 


iLa  dottrina  che  vieta  di  dir  male  del  prossimo,  è 
tanto  manifestamente  della  Chiesa,  che  i  casisti  i  qua- 
li l'hanno  professata  possono  francamente  rigettarne 
sopra  di  essa  tutta  la  responsabilità .  Che  se  alla 
Chiesa  si  domanderanno  le  ragioni  che  1  hanno  de- 
terminata a  farne  un  precetto,  essa  risponderà  che 
non  lo  ha  fatto ,  ma  lo  ha  ricevuto  ^  che  oltre  ai- 
Tessere  consanguineo  a  tutto  Tinsegnamento  evangeli- 
co, questo  precetto  è  intimato  espressamente,  e  spes- 
so, nei  due  Testamenti.  Eccone,  per  brevità,  u«ìu  so- 
la prova  :  ISon  i)'  ingannate  .  .  .  .  i  uialcdici  non 
j 'assederanno  il  regno  di  Dio  (i). 


(0    V<-'//,'V-    crinite  ....  ncque    maledici    ....    icgnuni   Dei   non  /.'Oìòì- 
detu/il.    1.   (.Diiulii.    I.   9.    IO- 


\ 


CAPITOLO  XIV.  i6i 

Ma  questa  sentenza  lia  ella  bisogno  di  essere  giusti^ 
ficata?  e  chi  vorrebbe  sostenere  la  contraria? 

Un  carico  le  vien  fatto  qui ,  ed  è ,  che  essa  impe- 
disce a  ciascuno  di  esprimere  il  giusto  giudizio 
che  deve  discernere  la  virtìc  dal  vizio  ;  impone  si-- 
lenzio  alla  verità ^  e  aumenta  la  diffidenza  fra  gli 
uomini.  Ma  T  illustre  Autore  non  vorrà  certo  che 
si  consideri  da  un  lato  solo  una  questione  complessa 
e  multiforme .  Quand'  anche  un  precetto  fosse  di  osta- 
colo a  qualche  bene,  è  giusto  di  pesare  tutti  i  suoi 
eiFetti,  e  di  mettere  in  bilancia  il  male  che  previene: 
perchè  sarebbe  troppo  singolare ,  che  una  proibizione, 
la  quale  ha  per  oggetto  di  portar  gli  uomini  a  rispar- 
miarsi Tun  r  altro  5  non  fosse  d^  impedimento  che  a 

cose  utili. 

L'amore  della  verità,  il  desiderio  di  fare  un  giu- 
sto discernimento  fra  la  virtù  e  il  vizio,  sono  forse 
il  motivo  principale  e  comune  che  determina  a  dir 
male  del  prossimo  ?  E  1'  effetto  ordinario  ne  è  forse 
di  mettere  la  verità  in  chiaro,  la  virtù  in  onore,  e 
il  vizio  in  abbominazione  ? 

Un  semplice  sguardo  alla  società  ci  convince  tosto 
del  contrario,  mostrandoci  i  veri  motivi,  i  veri  ca- 
ratteri, e  gli  eifetti  comuni  della  maldicenza. 

Perchè  negli  oziosi  colloquj  degli  uomini,  dove  la 
vanità  di  ciascheduno  che  vorrebl^e  occupare  gli  al- 
tri di  se,  trova  un  ostacolo  nella  vanità  di  tutti  che 
tendono  allo  stesso  fine ,  dove  si  combatte  destramen- 
te, e  talora  a  forza  aperta,  per  conquistare  quella  at- 
tenzione che  si  vorrebbe  così  rado  accordine,  perdio 
riesce  tanto  facilmente  a  conciliarsela  colui  che  col  suo 
esordio  promette  ch'egli  dirà  male  del  prossimo?  se 
lìon  perchè  tante  passioni  sperano  un  sollievo  da  quei 

Manzoni  n 


1 62       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

discorsi?  E  quali  passioni!  E  T orgoglio,  che  tacita- 
mente ci  fa  supporre  la  nostra  superiorità  neW  abbas- 
samento degli  altri,  che  ci  consola  dei  nostri  difetti 
coU'idea  che  altri  ne  abbia  di  simili  o  di  peggiori .  Mi- 
serabile condizione  dell'  uomo  !  Bramoso  di  perfezione, 
egli  rifiuta  i  soccorsi  che  la  religione  gli  offre  a  progre- 
dire verso  la  perfezione  assoluta  per  la  quale  è  creato , 
e  si  agita  dietro  una  perfezione  comparativa ,  anela  non 
ad  esser  ottimo ,  ma  ad  esser  primo ,  vuol  paragonarsi, 
e  non  divenire.  E  l'invidia,  inseparabile  dall'orgoglio, 
V  invidia  che  si  rallegra  del  male ,  come  la  carità  del 
bene  ^  l'invidia  che  respira  più  liberamente  quando  una 
bella  riputazione  sia  macchiata,  quando  si  provi  che  vi 
e  qualche  virtù  o  qualche  talento  di  meno .  È  Y  odio , 
che  ci  rende  tanto  facili  sulle  prove  del  male  :  è  l' in- 
teresse, che  fa  odiare  i  concorrenti  d'  ogni  genere: 
tali  e  simili  sono  le  passioni  per  le  quali  è  così  comu- 
ne il  dire  e  V  ascoltare  il  male  :  quelle  passioni ,  che 
spiegano  in  parte  il  brutto  diletto  che  Tuomo  prova 
nel  ridere  delf  uomo  e  nel  condannarlo,  e  la  logica 
indulgente  e  facile  sulle  prove  del  male,  mentre  spes- 
so s^  istituisce  un  giudizio  così  severo  prima  di  crede- 
re una  buona  azione ,  o  la  pura  intenzione  d' una  buo- 
na azione .  Non  è  da  stupirsi  che  la  religione  non  sap- 
pia che  fare  di  queste  passioni ,  e  di  ciò  che  le  mette 
in  opera  :  materiali  fracidi ,  e  nimici  d'  ogni  connes- 
sione, come  entrerebbero  nelf  edificio  di  amore  e  di 
umiltà ,  di  culto  e  di  ragione ,  eh'  essa  vuole  innalzare 
nel  cuore  di  tutti  gli  uomini? 

Vi  ha  nella  maldicenza  un  carattere  di  viltà,  che 
la  rende  una  specie  di  delazione  segreta^  e  fa  risalta- 
re anche  da  questa  parte  la  sua  opposizione  collo  spi- 
rito del  Vaucici'o^  che  è  tutto  franchezza  e   dignità, 


CAPITOLO  XIV.  ì65 

cke  abbomina  le  vie  coperte  per  le  quali  si  nuoce  sen- 
za esporsi,  e  che  nei  contrasti  che  si  tle2;2iiono  pur 
troppo  avere  cogli  uomini  per  la  difesa  della  giusti- 
zia, comanda  per  lo  più  una  condotta  che  suppone 
coraggio .  11  censurare  gli  assenti ,  è  d' ordinario  sen- 
za pericolo  di  chi  lo  fa,  è  una  ostilità  contro  chi  non 
si  può  difendere,  è  sovente  una  adulazione  tanto  più 
iejnobile  quanto  più  ingegnosa  verso  chi  ascolta .  ISoii 
parlerai  male  di  un  sordo  (i),  è  una  delle  pieto- 
se, e  profonde  prescrizioni  Mosaiche:  e  i  moralisti 
cattolici  che  V  applicarono  anche  all'  assente ,  hanno 
mostrato  di  sentire  il  vero  spirito  di  una  religione  la 
quale  vuole  che  quando  uno  è  costretto  ad  opporsi, 
lo  faccia  conservando  la  carità,  e  fuggendo  ogni  bassa 
discortesia . 

La  maldicènza ,  si  dice  da  molti ,  è  una  specie  di 
censura  che  serve  a  tenere  gli  uomini  nel  dovere.  Sì, 
come  un  tribunale  composto  di  giudici  interessati 
contro  r accusato,  dove  l'accusato  non  fosse  confron- 
tato ne  inteso,  dove  chi  volesse  pigliare  le  sue  difeso 
fosse  per  lo  più  scoraggiato  e  deriso,  dove  per  lo  più 
tutte  le  prove  a  carico  fossero  tenute  buone,  come  un 
tal  tribunale  sarebbe  atto  a  diminuire  i  delitti.  E  una 
verità  troppo  facile  ad  osservarsi,  che  si  pixista  ^eàc 
alla  maldicenza  sopra  argomenti,  i  quali,  in  materie 
ove  si  avesse  interesse  d'esaminare,  non  basterebbero 
a  produrre  nemmeno  una  piccola  probabilità . 

La  mahlicenza  deteriora  chi  parla  e  chi  ascolta ,  e 
per  lo  più  anche  chi  ne  è  l'oggetto.  Quando  essa  col- 
pisce im  innocente  (e  per  quanto  sia  grande  il  nume- 
ro dei  falli ,  quello  delle  accuse  ingiuste  e  superiore 

(i)  Non  malcdiccs  òutdu.  Levit.   XIX.    i^ 


i64       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

tl^ assai)  che  tentazione  non  è  questa  per  lui!  Forse, 
percorrendo  a  stento  la  via  erta  della  probità,  egli  si 
proponeva  per  fine  1*  approvazione  degli  uomini ,  egli 
era  pieno  di  quella  opinione  tanto  volgare  quanto  fal- 
sa, che  la  virtù  è  sempre  conosciuta  ed  apprezzata: 
vedendola  sconosciuta  in  se,  egli  comincia  a  credere 
che  sia  un  nome  vano^  l'animo  suo  nutrito  delle  idee 
ilari  e  tranquille  di  plauso  e  di  concordia  comincia  a 
gustare  P amarezza  dell'odio^  allora  il  mobile  fonda- 
mento su  cui  era  stabilita  la  sua  virtù,  cede  facil- 
mente: felice  se  egli  sente  a  questa  occasione  che  la 
lode  degli  uomini  non  è  né  una  mercede  sicura,  né 
la  mercede .  Ah  !  se  la  diffidenza  regna  fra  gli  uomi- 
ni, la  facilità  del  dir  male  ne  è  una  delle  principali 
cagioni.  Quegli  che  ha  visto  un  uomo  comporre  il 
volto  al  sorriso  dell' amicizia  stringendo  la  mano  di 
un  altro,  e  che  lo  ode  apporgli  dietro  le  spalle  fatti 
perversi,  interpetrare  le  sue  intenzioni,  entrare  nel 
santuario  del  suo  pensiero,  o  almeno  censurare  la  sua 
condotta,  quegli  deve  naturalmente  diffidare  di  tut- 
ti, quegli  deve  credere  che  le  espressioni  della  stima 
e  del  disprezzo  siano  spinte  sulla  bocca  degli  uomini 
dalla  bassezza  o  dalla  malignità.  La  fiducia  cresce- 
rebbe al  contrario ,  e  con  essa  la  benevolenza  e  la  pa- 
ce, se  la  detrazione  fosse  proscritta:  ognuno  che, 
abbracciando  un  uomo ,  potesse  accertarsi  di  non  es  - 
sere  T  oggetto  della  sua  censura  e  della  sua  derisio- 
ne, lo  farebbe  più  facilmente,  con  un  più  puro  e  più 
libero  senso  di  carità. 

Si  crede  da  molti  che  la  ripugnanza  a  supporre  il 
male  nasca  da  eccessiva  semplicità,  o  da  inesperien- 
za, come  se  vi  volesse  una  grande  perspicacia  a  sup- 
porre che  ogni  uomo  in  ogni  caso  scelga  il  partito  più 


«n 


CAPITOLO  XIV.  1 65 

(ìisonesto.  E  in  vece,  la  disposizione  a  giudicare  con 
indulgenza,  a  pesare  accuse  precipitate,  e  a  compati- 
re falli  reali,  esige  i^  abitudine  della  riflessione  sui 
motivi  complicatissimi  che  determiniamo  ad  agire  , 
sulla  natura  dell'  uomo ,  e  sulla  sua  debolezza . 

Colui  che  ode  riferirsi  i  giudizi  severi  che  si  sono 
leggermente  portati  sopra  di  lui,  vi  sente  talora  vi- 
vamente un  grado  d'ingiustizia^  che  non  vi  sospetta- 
va chi  gli  ha  portati.  Egli  ha  operato  in  una  situa- 
zione di  spirito  dov'era  posto  da  circostanze,  da  sen- 
timenti, da  opinioni,  di  cui  egli  solo  abbraccia  il 
complesso:  il  censore  non  se  n'è  fatto  carico,  ha  giu- 
dicato nudamente  un  fatto  con  regole  di  cui  non  può 
giustamente  misurare  l'applicazione^  forse  biasima  un 
uomo ,  soltanto  perchè  questi  non  opera  come  farebbe 
egli^  perchè  non  ha  le  sue  stesse  passioni.  E  quando 
anche  il  censurato  sia  costretto  a  confessare  a  se  stes- 
so che  la  maldicenza  non  fu  calunnia,  non  ne  è  por- 
tato per  lo  più  al  ravvedimento ,  ma  al  rancore ,  non 
pensa  a  riformarsi,  ma  si  volge  ad  esaminare  la  con- 
dotta del  suo  detrattore,  a  cercarvi  un  lato  debole  e 
aperto  alla  recriminazione  :  l' imparzialità  è  rara  in 
tutti,  ma  più  negli  offesi.  Cosi  si  stabilisce  una  mi- 
serabile guerra:  e  una  continua  faccenda  nelf  esami- 
nare e  propalare  i  difetti  altrui,  che  aumenta  la  non- 
curanza dei  proprj . 

Quando  poi  gli  interessi  ci  mettono  a  fronte  l' uno 
dell'altro,  che  maraviglia  se  le  ire  e  le  percosse  sono 
così  pronte,  se  ci  facciamo  tanto  male?  L'averne  tan- 
to pensato  e  tanto  detto  vi  ci  ha  preparati;  siamo 
avvezzi  a  non  perdonarci  nel  discorso,  a  godere  del- 
l' abbassamento  altrui ,  a  straziare  quegli  stessi  coi 
quali  non  abbiamo  contrasti  :  trattiamo  gli  sconosciuti 


1 G6       SUIJ.A  MOPiALE  CATTOLICA 

come  nemici*,  come  mai  assumeremo  la  dolcezza,  e 
slndloremo  i  riejnardi,  nei  momenti  appunto  che  ri- 
rlìlc£-i»ono  un  animo  che  vi  sia  esercitato  di  lunga 
mano?  Perciò  la  Chiesa,  che  vuole  fratellanza,  vuole 
anche  uomini  che  non  pensino  il  male,  che  ne  gema- 
no quando  lo  veggiono ,  che  parlino  degli  assenti  con 
cpiella  delicata  attenzione  che  V  amor  proprio  ci  fa 
d'  ordinario  usare  verso  i  presenti .  Per  regolare  le 
azioni,  essa  frena  le  parole j  e  per  regolar  queste, 
mette  la  guardia  al  cuore. 

Si  separano  talvolta,  e  si  condannano  due  specie 
di  prescrizioni  religiose ,  che  si  dovrebbero  invece  rav- 
vicinare ed  ammirare.  Della  prima  specie  sono  la 
preohiera  continua,  la  custodia  dei  sensi ^  il  combat- 
timento perpetuo  contro  ogni  attaccamento  alle  cose 
mortali,  il  riferire  tutto  a  Dio,  la  vigilanza  sui  co- 
minciamenti  d'ogni  sentimento  smoderato,  ed  altre 
tali.  Di  queste  si  dice  che  sono  miserie,  vincoli  che 
ristringono  T  animo  senza  produrre  un  risultato,  pra- 
iicho  rla'.sstrali.  Della  seconda  specie  sono  le  prescri- 
zioni dure,  ma  giuste  e  senza  scusa,  che  in  certi  casi 
esigono  sacrificj  ai  quali  il  senso  ripugna,  sacrificj 
che  il  nostro  cuore  molle  e  servile  riguarda  come  e- 
roici ,  ma  che  la  ragione  dichiara  non  essere  altro  che 
doveri  di  stretta  giustizia.  A  proposito  di  queste,  si 
dice  che  bisogna  prendere  gli  uomini  come  sono^  e 
non  chiedere  cose  perfette  da  una  natura  debole.  Ma 
la  religione,  appunto  perchè  conosce  la  debolezza  di 
questa  natiu'a  sulla  quale  vuole  operare,  perciò  ap- 
punto la  circonda  di  soccorsi  e  di  forza  ^  appunto  per- 
chè il  combattimento  è  terribile ,  essa  vuol  preparar- 
vi l'uomo  per  tutta  la  vita^  appimto  perchè  abbiamo 
un  animo  che  una  forte  impressione  basta  a  turbare, 


CAPITOLO  XIV.  1 67 

che  r importanza  e  l'urgenza  di  una  scelta  confondo- 
no di  più  mentre  gli  rèndono  più  necessaria  la  calma , 
appunto  perchè  T abitudine  esercita  una  specie  d'im- 
pero sovra  di  noi,  la  religione  impiega  tutti  i  nostri 
momenti  ad  abituarci  alla  signoria  di  noi  stessi,  al 
predominio  della  ragione  sulle  passioni,  alla  serenità 
della  mente.  La  religione  è  stata  fino  ne' suoi  primi 
tempi  e  da'  suoi  primi  Apostoli  paragonata  ad  una 
milizia.  Seguendo  questa  similitudine  ,  si  può  dire 
che  chi  non  vede  o  non  sa  apprezzare  V  unità  delle  sue 
massime  e  delle  sue  discipline,  fa  come  chi  trovasse 
strano  che  i  soldati  si  addestrino  ai  movimenti  della 
guerra  ,  e  ne  subiscano  le  fatiche  e  le  privazioni , 
quando  non  vi  sono  nemici . 

Le  filosofie  umane  richiedendo  dalP  uomo  molto 
meno,  sono  assai  più  esigenti:  esse  non  fanno  nulla 
per  educare  T  animo  al  bene  difìicile,  e  prescrivono 
solo  azioni  isolate;  vogliono  spesso  il  fine  senza  i 
mezzi;  trattano  gli  uomini  come  reclute,  alle  quali 
non  si  parlasse  che  di  pace  e  di  sollazzi,  e  ohe  si  con- 
ducessero alla  sprovveduta  dinanzi  a  nemici  terribili . 
Ma  il  combattimento  non  si  evita  col  dimenticarlo: 
vengono  i  momenti  del  contrasto  tra  il  dovere  e  l'u- 
tile, tra  l'abitudine  e  la  necessità;  e  l'uomo  si  trova 
a  fronte  una  grande  inclinazione  da  vincere,  non  a- 
vendo  mai  imparato  a  vincere  le  più  picciole  .  Egli 
sarà  stato  avvezzo  forse  a  reprimerle  per  viste  d'in- 
teresse, per  una  prudenza  sensuale;  ma  ora  l'interes- 
se è  quello  appunto  che  rende  difìicile  la  sua  posizio- 
ne.  Gli  è  stata  dipinta  la  via  della  giustizia  come 
una  via  piana  e  sparsa  di  fiori  ;  gli  è  stato  detto  che 
non  si  trattava  che  di  scegliere  fra  i  piaceri  :  ed  ora 
si  trova  fra  il  piacere  e  la  giustizia,  fra  un  gran  do- 


T  68       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

lore  e  una  grande  iniquità .  La  religione  che  ha  reso 
il  suo  allievo  forte  contro  i  sensi  e  contro  le  sorpre- 
se ,  la  religione  che  gli  ha  insegnato  a  domandar  sem- 
pre dei  soccorsi  che  non  sono  mai  negati,  gF impone 
ora  un  grand'  obbligo ,  ma  essa  T  ha  posto  in  grado 
di  adempirlo:  e  avergli  chiesto  un  gran  sacrificio: 
sarà  un  dono  di  più  che  essa  gli  avrà  fatto .  La  reli- 
e;ione ,  chiedendo  all'  uomo  cose  più  perfette ,  chiede 
cose  più  facili  ^  vuole  eh*  egli  arrivi  a  una  grande  al- 
tezza, ma  gli  ha  fatto  la  scala,  ma  Tha  condotto  per 
mano  :  le  filosofie  umane ,  accontentandosi  eh'  egli 
tocchi  un  punto  assai  meno  elevato,  pretendono  spes- 
so di  più,  pretendono  un  salto  che  non  è  nella  forza 
deir  uomo . 

Credo  di  dovere  dichiarare  che  io  sono  lontano 
dall'  immaginare  che  V  illustre  Autore  non  vegga  gli 
inconvenienti  della  maldicenza,  e  anche  meno,  che 
egli  abbia  voluto  farne  l' apologia ,  ma  ho  dovuto  mo- 
strare che  è  eminentemente  evangelico  e  morale  l'in- 
segnamento della  Chiesa,  che  parlar  male  del  prossi- 
mo è  peccato . 

Ma  il  giusto  giudizio  che  deve  discernere  la  virtù 
dal  vizio ,  vuol  ella  forse  toglierlo  ?  No  certamente  : 
vuol  togliere  le  superbe,  leggiere,  ingiuste,  inutili 
accuse,  il  giudizio  delle  intenzioni,  nelle  quali  Dio 
solo  vede  talvolta  quello  che  è  sentito  confusamente 
anche  nel  cuore  dove  si  formano,  ma  il  testimonio 
delle  azioni,  vuol  regolarlo,  non  soffocarlo-,  lo  co- 
manda anzi,  pressoché  in  tutti  i  casi  in  cui  non  lo 
condanna,  cioè  quando  non  ci  porti  a  darlo  la  voglia 
di  deprimere  o  di  disonorare,  ma  dovere  di  uflicio  o 
di  carità,  quando  si  tratti  di  riparare  il  prossimo  dal- 
le insidie  dei  maligni,  quando  insomma  sia  richiesto 


CAPITOLO  XIV.  169 

ila  giustizia  e  da  utilità.  Certo,  in  questi  casi  è  ne- 
cessaria tutta  la  prudenza  cristiana ,  ma  la  religione 
c'insegna  il  mezzo  di  ottenerla:  con  essa,  1*  uomo 
può  condursi  nelle  difficili  circostanze  nelle  quali  il 
tacere  e  il  parlare  hanno  qualche  apparenza  di  male, 
in  cui  bisogna  opporsi  ad  un  maligno,  e  nello  stesso 
tempo  potersi  rendere  testimonianza  di  non  esservi 
condotti  da  malignità.  Il  gemito  dell'ipocrita  che 
sparla  di  colui  eh'  egli  odia ,  le  proteste  che  egli  fa 
di  essere  addolorato  dei  difetti  dell'  uomo  che  deni- 
gra ,  di  parlare  per  dovere ,  sono  un  doppio  omaggio 
alla  condotta  e  ai  sentimenti  che  la  religione  pre- 
scrive . 

Essa  è  tanto  aliena  dall'  imporre  silenzio  agli  ac- 
centi della  verità  quando  siano  mossi  dalla  carità,  è 
tanto  aliena  dal  trascurare  alcun  mezzo  per  cui  gli 
uomini  possano  migliorarsi  a  vicenda,  che  condanna 
i  rispetti  umani,  che  ha  creato  essa  la  parola  che  in- 
dica questa  disposizione  .  Cosi ,  ha  prevenuto  l' animo 
debole  contro  il  terrore  che  la  forza,  che  la  moltitu- 
dine, che  la  derisione,  che  il  possesso  delle  dottrine 
mondane  gli  sogliono  incutere*,  cosi  ha  resa  libera  la 
parola  sulla  bocca  dell'  uomo  che  ha  conosciuto  il  ve- 
ro. Essa  ha  pure  comandata  la  correzione  fraterna: 
mirabile  tempra  di  parole,  in  cui  all'idea  di  corre- 
zione, che  rivolta  il  senso,  è  unita  immediatamente 
Fidca  di  fraternità,  che  ricorda  i  fini  di  amore,  e  il 
sentimento  della  propria  debolezza,  e  la  disposizione 
a  ricevere  la  correzione  in  chi  la  fa  altrui  !  La  reli- 
gione non  impedisce  alcuno  dei  vantaggi  che  possono 
venire  dalla  libera  e  spassionata  espressione  della  ve- 
rità, e  dal  fondato  e  giusto  discernimento  fra  la  vir- 
tù ed  il  vizio . 


1 70       SULLA  MOUALE  CATTOLICA 

Mi  si  permetta  di  collocare  qu'  una  riflessione, 
che  è  sottintesa  in  molti  luoghi  di  questo  scritto,  e 
che  sarà  espressamente  riprodotta  e  sviluppata  in 
qualche  altro.  Ogni  qual  volta  si  crede  trovare  nella 
religione  ostacolo  a  qualche  sentimento,  o  a  qualche 
azione  o  a  qualche  istituzione  giusta,  ed  utile,  gene- 
rosa e  tendente  al  miglioramento  sociale,  esaminando, 
hene,  si  troverà,  o  che  l'ostacolo  non  esiste,  e  la 
sua  apparenza  era  nata  dal  non  avere  abbastanza  os- 
servata la  religione^  o  che  quella  cosa  non  ha  i  ca- 
ratteri e  i  fini  che  mostra  alla  prima .  Oltre  le  illu- 
sioni comuni  che  vengono  dalla  debolezza  del  nostro 
intendimento,  vi  ha  una  continua  tenzione  d'ipocri- 
sia, dalla  quale  non  sono  esenti  gli  animi  i  più  puri 
e  desiderosi  del  bene,  di  una  ipocrisia  che  associa 
tosto  r  idea  di  un  maggior  bene ,  V  idea  di  una  in- 
clinazione generosa  ai  desiderj  delle  passioni  predo- 
minanti: di  modo  che  ognuno,  chiamando  ad  esame 
se  stesso,  non  può  talvolta  esser  certo  della  assoluta 
rettitudine  dei  fini  che  lo  muovono  :  non  può  discer- 
iicre  che  parte  v'abbia  T  orgoglio  o  la  prevenzione. 
Se  allora  noi  condanniamo  le  regole  della  morale  per- 
chè ci  pajono  minori  delle  nostre  viste,  corriamo  ri- 
schio di  servire  a  dei  sentimenti  riprovevoli  che  non 
confessiamo  nemmeno  a  noi  stessi,  che  forse  combat- 
tiamo in  noi ,  ma  che  non  si  vincono  del  tutto  in  que- 
sta vita . 

Si  osservi  finalmente,  che  se  l'aiuiiento  della  dif- 
fidenza fosse  un  effetto  della  proibizione  di  parlar  ma- 
le, siccome  questa  proibizione  è  predicata  per  tutto 
il  mondo  cattolico  (i),  ne  verrebbe,  o  die  la  difTi- 

(i)  V.,  per  un  esempio,    il  Sermone   tli  Massilloii   sulla    m.ililictuza  :    è 
quello  del  luueiti   della    ',  la  settimana. 


CAPITOLO  XIV.  ]  ;  1 

(lenza  ne  è  aumentata  dappertutto ,  o  che  in  Italia  i 
precetti  sono  più  osservati  che  altrove,  il  che  sareb- 
he  invece  prova  di  un  migliore  stato  morale .  Io  non 
so  se  noi  Italiani  siamo  più  diffidenti  desili  altri  Euro- 
pei: so  che  ci  lagnamo  di  non  esserlo  abbastanza,  so 
che  (al  pari  di  tutte  le  altre  nazioni)  noi  diciamo  in- 
vece di  peccare  di  troppa  credulità  e  buona  fede .  Se 
però  la  difìldenza  fosse  universale  fra  noi,  stimo  che 
converrebbe  attribuirla  a  tutt  altro  che  al  non  mormo- 
rare ^  giacche  è  ben  lungi  il  caso  che  questa  abitudine 
sia  qui  del  lutto  perduta. 


CAPIIOIO  X¥. 

SUI    MOTIVI    DELLA   ELEMOSINA 


La  charìté  est  la  vertu  par  excellence  de  V Evangile  :  mais 
le  casuiste  a  enseigné  a  donner  au  pauvre  pour  le  hien 
de  sa  propre  dine,  et  non  pour  soulager  son  sembla- 
ble  .  .  .  Pag.  4^0. 


iOare  al  povero  pel  bene  dell' anima  propria,  è  ra- 
zione e  il  motivo  che  prescrive  la  Chiesa. 

Escludere  dalla  limosina  il  fine  di  sollevare  il  pros- 
simo, è  un  raffinamento  anticristiano,  il  quale  non 
so  se  sia  mai  stato  insegnato  da  alcuno  :  ma  credo  che 
non  ve  ne  sia  vestigio  in  Italia. 

Quanto  al  motivo,  la  Chiesa  non  fa  che  mantener- 
lo, e  trasmetterlo,  quale  fu  proposto  da  Gesù  Cri- 
sto :  non  v^  ha  forse  nel  Vangelo  precetto  al  quale 
vada  così  sovente  unita  la  promessa  della  ricompen- 
sa ,  come  a  questo .  Ivi  1'  elemosina  è  un  tesoro  che 
imo  si  ammassa  nel  cielo  ^  è  un  amico  che  ci  deve  in- 
trodurre nei  padiglioni  eterni:  ivi,  il  regno  è  promes- 
so ai  benedetti  del  Padre,  i  quali  avranno  satollati, 
coperti,  ricoverati,  visitati  coloro  che  il  Re  ,  nel 
giorno  della  manifestazione  gloriosa ,  non  isdegnerà  di 
chiamare  ancora  fratelli,  memore  di  avere  avute  co- 
muni con  essi  le  privazioni  e  i  patimenti ,  di  esser  an- 
che egli  passato,  come  uno  sconosciuto,  dinanzi  agli 


CAPITOLO  XV.  173 

sguardi  distratti  dei  fortunati  del  mondo  (1).  Tutta 
la  Scrittura  parla  così .  Non  avrà  bene  chi  non  fa 
elemosina  (2).  Che  più?  le  parole  stesse  che  qui  si 
danno  come  un  insegnamento  di  casisti,  sono  quelle 
della  Scrittura:  Il  misericordioso  fa  del  bene  all'a- 
nima sua  (3) . 

Questo  motivo  è  proposto  a  tutte  le  cose  coman- 
date: la  sanzione  religiosa  non  si  fonda   che   su  di 

esso. 

L^uomo  che  volesse  prescindere  da  ogni  idea  di 
premio ,  e  che  desse  al  povero  colla  sola  vista  di  sol 
levare  il  suo  simile ,  da  qual  motivo  sarehbe  deter- 
minato ?  Dal  desiderio  di  fare ,  in  un  altro  senso ,  del 
bene  all'anima  sua.  È  impossibile  all'uomo  agire  per 
un  altro  motivo  \  e  il  disinteresse  non  può  mai  consi- 
stere neir  escluderlo . 

Non  sarà,  credo,  cosa  aliena  dall'argomento,  né 
senza  utilità  il  ricercare  quale  debba  essere  l'idea  ra- 
gionevole del  disinteresse ,  e  indicare  nello  stesso  tem- 
po una  illusione  che  ha  fatto  applicare  a  questa  pa- 
rola un  senso  esagerato  e  chimerico  j  tanto  più  che 
questa  ricerca  si  lega  naturalmente  colla  questione^ 
tanto  dibattuta  ai  nostri  giorni,  sulla  parte  che  l'in- 

(1)  Si  vis  perfectus  esse,  vade ,  vende  omnia  qure  habes ,  et  da  pau- 
peribus ,  et  Itabebis  thesaurum  in  coelo .  Matth.  XIX.   3i. 

Facile  vobis  amicos  de  mammona  ìniqidtntis ,  ut  cum  dejeceritis ,  re- 
cipiant  vps  in  (Eterna  tabernacula .  Lue.   XVI.  y. 

Tunc  dicet  Rex  Itis  qui  a  dextris  ejus  erunf.  fienile,  benedicti  Patris 
mei,  possidete  paratum  vobis  re^num  a  costitittione  mundi:  esuri\'i  enun, 
«t  dedistis  mi/ti  manducare  :  sitivi ,  et  dedistis  mihi  bibere:  hospes  eram^ 
et  colle f;istis  me:  nudus ,  et  cooperuistis  me:  infirmus ,  et  visitastis  me: 
in  carcere  eram,  et  venistis  ad  me  ...  .  Quandiu  enim  fecistis  uni  ex 
fralribus  meis  minimis ,  mihi  fecistis .  Malth.  XXV.   34-  et  scq. 

(2)  Non  enim  est  ei  bene  qui  a,ssiduus  est  in  malis ,  et  eleemosjnaiii 
non  danti .   Eccli.   XII.   3. 

(3)  Benefacit  animce  stuv  vir  miserìcors .  Prov.  XI.   17. 


174       SULLA  MOi; ALE  CATTOLICA 

tercsse  deve  avere  nella  morale .  La  illusione ,  dì  cui 
sì  e  parlato ,  merita  poi  molta  attenzione  :  e  perchè  è 
caduta  in  cpialche  sommo  ingegno,  e  perchè  si  mi- 
schia  sovente  ai  giudizj  che  si  danno  sui  motivi  delle 
azioni,  e  perchè  (se  e  lecito  il  dirlo)  è  dessa  che  ha 
ispirato  il  rimprovero  che  vien  qui  fatto  alla  morale 
cattolica  sui  motivi  della  elemosina. 

LMdea  del  disinteresse  è  nata  dalle  seguenti  osser- 
vazioni. L'uomo  ha  una  tendenza  al  piacere:  molte 
cose  che  recano  piacere ,  sono  ingiuste  :  V  uomo  che 
sarehhe  in  caso  di  procacciarsene ,  può  superare  quel- 
la tendenza,  e  astenersene,  può  sempre  determinarsi 
all'azione  giusta,  e  anche  alla  più  perfetta,  indipen- 
dentemente dai  piaceri  e  dai  dolori  che  T  accompa- 
gnano. Di  più:  quando  un'azione  virtuosa  porti  con 
sé  soddisfazioni  di  un  certo  genere  (come  piaceri  del 
senso,  applauso,  potenza,  ricchezze  ec. ,  soddisfazioni 
insomma  che  non  vengono  da  miglioramento  deli'  a- 
ninio)  l'uomo  può  fare  astrazione  da  esse,  ed  esclu- 
derle dai  motivi  per  cui  si  determina  a  quella  azio- 
ne .  Questa  disposizione ,  e  1'  applicazione  di  essa  ai 
casi  della  vita,  è  ciò  che  si  chiama  disinteresse. 

Ma  per  essere  ragionevole,  cioè  per  potere  essere 
dimostrata,  e  ridotta  in  principio,  essa  suppone  la 
persuasione  che  la  felicità  di  tutto  l'uomo  stia  nella 
giustizia  .  Una  tale  persuasione ,  divenuta  speranza 
cristiana,  crea  poi  anche  in  mezzo  ai  più  forti  sacri- 
fici e  patimenti  uno  stato  di  contento;  non  già  di 
contento  perfetto ,  non  già  che  T  animo  desideri  di 
durare  in  quella  situazione  ;  ma  date  le  inevitabili  cir- 
costanze in  cui  è  posto,  di  dover  contrastare  e  sce- 
gliere tra  un  piacere  che  lo  deteriora,  lo  prepara  alla 
infelicità,  e  un  dolore  che  lo  perfeziona  e   lo  porta 


CAPITOLO  XV.  175 

ad  una  gioja  intera  e  perpetua  5  egli  sente  che  la 
maggior  soddisfazione  possibile  per  lui,  lo  stato  più 
vicino  al  riposo,  è  nella  scelta  di  quest^ ultimo . 

Per  giungere  poi  alla  esagerazione  che  ho  accen- 
nata, l'intelletto  fa,  a  mio  credere,  questo  corso 
dMdee. 

Quando  le  cose  giuste  si  trovano  tanto  conformi 
alle  inclinazioni  di  chi  deve  operare ,  che  Y  animo  si 
appigli  ad  esse  senza  contrasto,  non  v'è  disinteresse 
nella  determinazione  :  questo  sentimento  esiste  soltan- 
to nei  casi  (e  sono  senza  paragone  i  più  frequenti), 
nei  quali ,  per  fare  il  giusto  o  il  meglio ,  è  forza  ri- 
nunziare ad  un  piacere  che  è  in  nostra  mano ,  o  as- 
soggettarsi ad  un  dolore  che  si  potrebbe  attualmente 
evitare .  Quanto  più  grande  e  universale  sarà  dunque 
la  rinunzia  al  piacere  ,  tanto  più  la  determinazione 
sarà  disinteressata,  virtuosa:  e  viceversa  tutti  i  pia- 
ceri, che  vi  saranno  contemplati  come  motivi,  ne  di- 
minuiranno il  merito,  e  le  daranno  una  tinta  di  egoi- 
smo :  tutti  i  piaceri  e  le  speranze  di  piaceri ,  di  qua- 
lunque ordine,  e  in  qualunque  tempo,  tutto  ciò  che 
in  ultima  analisi  signitica  piacere  come  promessa,  pre- 
mio, benessere,  felicità,  renderà  la  determinazione 
meno  disinteressata ,  e  quindi  meno  virtuosa .  Qui  co- 
mincia r  errore  ^  qui  si  va  contro  una  legge  eterna 
dell'animo  umano,  contro  una  condizione  della  intel- 
ligenza, l'amore  di  se*,  qui  si  propone  una  perfezione 
impossibile,  e  contraria  alla  natura  .  La  privazione 
che  si  associa  alla  idea  di  piaceri,  non  è  venuta  da 
altro  che  dal  conoscere  che  vi  sono  molti  piaceri  op- 
posti al  doveroso  ed  al  bello  :  trasportare  questa  ri- 
provazione alla  idea  generalissima  di  [)iacere ,  di  con- 
tento, è  servirsi  di  un  nobile  sentimonlo  per  autoriz- 


1 76       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

zare  un  errore ,  e  rigettare  una  idea  anche  quando  sia 
separata  dalle  sole  qualità  che  la  rendono  rigettabile. 

Poiché  gli  uomini  hanno  dato  il  nome  di  interesse 
a  ciò  che  significa  beni  temporali,  poiché  a  cagione 
di  questi  si  mettono  in  gara  fra  di  loro,  e  tradiscono 
spesso  il  loro  dovere,  si  è  ben  fatto  di  avvilire  que- 
sto vocabolo  interesse^  ma  quando  si  esce  dalla  sfera 
della  vita  presente ,  esso  non  è  più  applicabile ,  o  per- 
de ogni  viltà,  assumendo  un  altro  significato:  poiché 
rappresenta  beni  che  non  hanno  né  ingiustizia,  né 
contrasto ,  né  inganno ,  anzi  le  qualità  opposte . 

Ho  detto,  inganno:  ed  é  questa  una  delle  condi- 
zioni essenziali  che  rendono  riprovevole  l' interesse 
temporale,  poiché  quando  esso  è  vizioso,  è  vizioso 
perchè  falso:  se  fosse  interesse  vero,  cioè  mezzo  di 
vera  felicità,  non  si  potrebbe  in  alcun  caso  censura- 
re Tuomo  che  si  appiglia  ad  esso:  egli  farebbe  una 
giusta  applicazione  di  una  legge  che  non  ammette  né 
trasgressione,  né  tampoco  resistenza,  giacché  l'uomo 
non  è  libero  nel  volere  la  felicità,  ma  nella  scelta 
dei  mezzi  per  giungervi. 

Che  intende  il  cristiano  pel  bene  dell'anima  sua? 
considerandolo  nell'altra  vita,  egli  intende  una  feli- 
cità di  perfezione ,  un  riposo ,  che  consisterà  nell'  es- 
sere assolutamente  nelP ordine,  nell'amare  Dio  pie- 
namente, nel  non  avere  altra  volontà  che  la  sua,  nel- 
r  essere  privo  d' ogni  dolore  perchè  privo  d' ogni  in- 
clinazione al  male  e  di  ogni  contrasto.  E  nella  vita 
presente  intende  una  felicità  di  perfezionamento,  il 
cui  cominciamento  e  progresso  non  è  altro  che  un 
avanzarsi  nell'ordine,  e  nella  speranza  di  giungere 
air  altro  stato.  Questo  è  il  senso  del  profondo  am- 
maestramento che  s.  Paolo  diede  a  Timoteo ,  e  a  noi 


CAPITOLO  XV.  177 

tutti  :  La  pietà  è  utile  a  tutto  :  essa  ha  le  promesse 
della  vita  presente^  e  della  futura  (1).  E  impossi- 
bile proporre  alla  condotta  morale  delr  uomo  viste 
più  nobili. 

Essendo  \  annegazione  e  il  disprezzo  dei  diletti  il 
precetto  continuo  e  lo  spirito  del  Vangelo,  era  facile 
alP ingegno  umano  che  abusa  di  tutto  snaturare  que- 
sto spirito  esagerandolo,  e  trasportare  questa  illusio- 
ne nella  religione  stessa ,  immaginandosi  che  applica- 
re Pidea  della  annecaiione  anche  all'ordine  della  vita 
futura,  e  spingerla  cosi  oltre  i  termini  fissati  nel  Van- 
gelo stesso,  sarebbe  un  perfezionarlo .  Infatti  dottrine 
di  questo  genere  si  riprodussero  sovente  nella  Chiesa, 
e  furono  sempre  proscritte  (2) . 


(i)  Pietas  aiitem  ad  omnia  ulilts  est;  proinissionem  habcns  vilve  qua; 
tninc  est,  et  futures ,    i.  Tinit  IV.  8. 

(2)  Tale  fu,  come  è  noto,  la  dottrina  per  cui  ebbero  controversia  Fe- 
ne'lon  e  Bossuet .  Il  nome  dei  due  grandi  contendenti  ha  attirata  spesso 
l'attenzione  dei  loro  posteri  su  questa  controversia;  e  i  giudizj  che  se  ne 
fecero,  sono  molti  e  varj  :  il  meno  sensato  di  questi,  mi  sembra  quello 
che  la  dichiara  una  questione  frivola . 

Questa  è  1'  idea  che  ne  volle  dare  Voltaire  (  Siede  de  Louis  Xlf^. 
Chap.  XXXFIII.  Du  quictisme)  .  Certo  ,  se  ogni  ricerca  sulle  ragioni  di 
volere,  e  sui  doveri,  e  sul  modo  di  ridurre  tutti  i  sentimenti  dell'  annuo 
ad  un  centro  di  verità,  si  riguarda  come  frivola,  tale  sarà  anche  questa, 
poiché  è  di  quella  categoria:  ma  in  quel  caso,  quale  studio  sarà  impor- 
tante all'uomo?  I  filosofi  che  vennero  dopo  Voltaire  continuarono  a  trat- 
tare questo  punto  di  morale,  benché  in  altri  termini;  e  lo  considerarono 
come  fondamentale  (V.  fra  gli  altri  fVoldemar  par  Jacob i ,  trad.  de  l'JL- 
lemand  pas  Ch.  fFanderbour^.  t.  I.  pag.  i5i.  e  seg.  )  Le  questioni  sull'in- 
teresse come  base  della  morale,  sull'amore  della  virtù  per  se  stessa  ec; 
si  riducono,  nella  parte  principale,  a  quella  del  Quiestimo;  a  decidere, 
cioè,  se  la  vista  della  propria  felicità  debba  entrare  nelle  determmaziont 
virtuose.  Mi  sembra  però,  che  fra  i  due  teologi,  la  questione  fosse  ridot- 
ta ai  minimi  termini,  e  che  nel  linguaggio  degli  altri  moralisti  regni  sem- 
pre una  certa  confusione,  che  nasce  dall' usare  la  parola  interesse  in  lui 
senso  ambiguo,  non  specificando  se  s'intenda  con  essa  l'utile  di  rpictt,* 
vita,  o  quello  rhr  abbraccia  tutta  l'esistenza  doli' :mini;)  nninm  lalc  .  A. 
qurlli  che  combattono  la  morale  dell' interesse  ,  sen/.;i  spie-nsi  thi.iraitiru- 
je  su  questo  punto,  si  potrà  sempre  proporre  quuslo  dilemma:  O  voi  le- 
AJuiizntii  *J 


1 78       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

Non  può  dunque  esser  questione  giammai  di  di- 
strugc;ere  T amore  di  se,  ma  di  dargli  una  direzione 
retta  e  nobile,  invece  di  una  falsa  e  servile^  e  que- 
sto ha  fatto  eccellentemente  la  religione:  essa,  ponen- 
do la  ricompensa  fuori  del  secolo  presente,  ha  aperta 
a  questo  sentimento  una  via,  nella  quale  esso  può 
correre  colla  infinita  sua  forza  ,  senza  mai  urtare  il 
più  piccolo  dovere .  Anzi ,  essa  ha  potuto  portare  l'uo- 
mo al  massimo  grado  di  disinteresse,  e  imporgli  che 
rinunzj  non  solo  ai  piaceri  che  sono  direttamente  dan- 
nosi agli  altri,  ma  a  molti  ancora  che  la  morale  del 
mondo,  economa  imprevidente,  permette  ed  approva. 
Perciò  Gesù  Cristo,  dove  appunto  dà  il  motivo  della 
elemosina,  comanda  l'azione  non  solo,  ma  il  segreto^ 
e  togliendo  la  sanzione  umana  dell'  amore  della  lode , 
vi  sostituisce  quella  della  vita  futura.  Il  tuo  Padre ^ 
che  vede  nel  segreto^  te  ne  darà  egli  la  ricompen- 
sa (i). 

Non  vuol  guarire  P avarizia  colla  vanità,  non  vuo- 
le che  l'uomo  si  prenda  nello  stato  presente  ricom- 
pense di  un  genere  che  è  riservato  all'altro,  e  colga, 
nella  stagione  in  cui  deve  solo  attendere  a  coltivarla, 

nete  che  sia  interesse  dell'uomo  l'essere  virtuoso;  e  allora,  perchè  dispu- 
tate? o  non  lo  tenete  e  allora,  la  virtù  sarebbe  per  l'uomo  un  comando 
di  fare  del  male  a  se,  il  che  è  assurdo.  II  torto  degli  altri  non  consiste 
nel  pretendere  che  utile  e  dovere  debbano  esser  d'accordo,  ma  nel  pre- 
tendere che  lo  sieno  in  questa  vita. 

Nella  disputa  fra  i  due  grandi  vescovi ,  si  trattava  niente  meno  che  di 
mettere  l'amor  di  Dio  in  opposizione  con  una  legge  necessaria  dell'animo, 
e  di  distruggere  l'armonia  tra  le  verità  rivelate,  e  le  verità  sentite.  E  i- 
nutile  aggiungere  che  questa  conseguenza  era  ben  lontana  dalle  intenzioni 
di  Feoe'lon  :  il  modo  con  cui  egli  terminò  questa  disputa,  le  altre  sue  o- 
pere ,  e  tutta  la  sua  vita,  sono  una  prova  della  sincerità  con  cui  egli  non 
cessò  mai  di  protestare  che  non  intendeva  di  proporre  né  di  accettare  co- 
sa che  alterasse  menomamente  la  fede  della  Chiesa . 

(i)  Ut  sit  eleemosyna  tua  in  ahscondito ;  et  Pater  tuus  qui  videt  in 
abscondito,  veddet  tihi .   Matth.  VI.  \. 


CAPITOLO  XV.  179 

lina  messe  che  recisa  s' inaridisce^  e  non  riempie  la 
mano  (i)^  non  vuole  soltanto  dei  poveri  sollevati, 
ma  desili  animi  liberi,  illuminati,  e  pazienti.  Che  im- 
porta ,^  dice  il  mondo  sovente ,  da  che  fme  provenga- 
no le  azioni  utili',  purché  ve  ne  sieno  molte?  doman- 
da che  suppone  una  irriflessione  prodigiosa  ,  e  alla 
quale  è  troppo  facile  rispondere ,  che  importa  di  non 
distrarre  gli  nomini  dal  loro  fme ,  di  non  ingannarli , 
di  non  avvezzarli  alf  amore  di  que'beni  pei  quali  si 
troveranno  un'altra  volta  in  contrasto  cogli  altri,  di 
quei  beni,  che  goduti,  crescono  bensì  la  sete  di  pos- 
sederli, ma  non  la  facoltà  di  moltiplicarli:  questa  fa- 
coltà ammirabile,  è  una  qualità  esclusiva  dei  beni  di 
cui  si  forma  la  felicità  cristiana . 

Si  è  fatto  molte  volte  alla  morale  cattolica  un  rim- 
provero opposto,  cioè  ch'essa  non  tenga  conto  del- 
l'amore di  se  quando  comanda  l'annegazione  e  Tama- 
re  il  prossimo  come  se  stessi.  Ma  fannegazione  non 
vuol  dire  rinunzia  alla  felicità,  ma  resistenza  alle  in- 
clinazioni viziose  nate  in  noi  dal  peccato ,  le  quali  ci 
allontanano  dalla  vera  felicità:  e  amare  il  prossimo 
come  se  stesso,  signitica  desiderare  e  procurare,  per 
quanto  si  può ,  al  prossimo  quello  stesso  bene  che  dob- 
biamo volere  a  noi ,  cioè  un  bene  eterno  ed  infmito . 
l  desiderj  mondani  rivolgendosi  a  cose  fmite,  le  qua- 
li per  lo  jìlìi  uno  non  può  possedere  senza  privarne 
gli  altri,  chi  le  proponesse  come  beni,  cadrebbe  poi 
in  contraddizione  se  comandasse  di  volerli  e  di  pro- 
curargli agli  altri  come  a  sé .  Ma  la  religione  ha  po- 
tuto ragionevolmente  prescrivere  un  amore  del  pros- 
simo senza  limite,  perchè  ha  insegnato  che  questo  non 

(1)  De  quo  non  iinplcvit  manitm  suarn  qui  tnctit.  Sai.  CXXMll.   7. 


1  So       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

è  mai  in  opposizione  coll^  amore  che  uno  deve  portare 
a  se  medesimo . 

Togliere  poi  dall'  elemosina  il  fine  di  sollevare  il 
prossimo,  sarebbe  stabilire  una  dottrina  isolata  affat- 
to, anzi  eterogenea  alla  morale  cattolica.  L'elemosi* 
uà  distacca  il  cuore  dai  beni  della  terra,  e  fomenta 
nello  stesso  tempo  il  senso  della  carità:  questi  due  ef- 
fetti non  solo  non  si  contrastano,  ma  si  rinforzano 
scambievolmente . 

L'intelletto  dell'uomo  ha  però  tanta  dlfìlcoltà  ad 
evitare  gli  estremi,  che  non  è  impossibile  che  a  talu- 
no sia  sembrato  che  vi  sarebbe  maggior  perfezione  a 
prescindere  dalla  intenzione  di  sollevare  il  prossimo , 
che  non  a  santiiicarla. 

Ma  questa  esagerazione  non  si  conosce ,  eh'  io  sap- 
pia, in  Italia:  e  il  Segneri  ha  parlato  il  linguaggio 
comune  dell'insegnamento  quando  ha  detto  che  «  i\ue 
ce  solamente  sono  alla  fine  le  porte  del  cielo:  l'una 
«  quella  del  patire  ,  e  1*  altra  quella  del  compali- 
cc  re  .  5i  I  ministri  del  Vangelo  quando  inculcano  di 
soccorrere  i  poveri,  rappresentano  sempre  le  ango- 
scie  del  loro  stato  :  e  nella  trascuranza  di  questo  do- 
vere condannano  espressamente  la  durezza  e  la  cru- 
deltà ,  come  disposizioni  ingiuste,  ed  antievangeli- 
che . 

Quando  Gesù  Cristo  moltiplicò  i  pani  per  satollare 
le  turbe  che  con  tanta  fiducia  correvano  dietro  alla 
parola  ,  1'  opera  della  onnipotenza  fu  preceduta  da 
im  ineffabile  movimento  di  commiserazione  nel  cuo- 
re dell'Uomo  Dio.  Ho  pietà  di  questo  popolo ^  per- 
chè sono  già  tre  giorni  che  non  si  distaccano  da 
me  j  e  non  hanno  niente  da  mangiare^  e  non  vo- 
glio rimandargli  digiuni^  perchè  non  is^engano  per 


CAPITOLO  XV.  18 1 

istrada  (1).  La  Chiesa^  ha  ella  potuto  cessare  un 
iDomento  di  proporre  per  modello  i  sentimenti  di  Ge- 
sù Cristo? 

Converrebbe  domandare  a  quei  parochi  zelanti  e 
nìiserìcordiosi,  i  quali  scorrendo  le  case  affollate  della 
indigenza,  e  dopo  aver  soddisfatto  con  lagrime  di  te- 
nerezza e  di  consolazione  ad  estremi  bisogni,  ne  tro- 
vano ancora  dei  nuovi,  e  non  hanno  che  lagrime  a 
mischiare  con  quelle  del  povero,  converrebbe  doman- 
dare ad  essi,  se  quando  ricorrono  al  ricco  per  averne 
i  mezzi  di  saziare  la  loro  carità ,  non  gli  parlano  che 
deir anima  sua,  se  non  gli  dipingono  le  miserie  e  i 
patimenti  e  i  pericoli  del  bisognoso,  e  se  quelli  che 
ascoltano  preghiere  cosi  sante  e  così  generose,  le  a- 
scoltano  con  fredda  insensibilità,  se  V  immagine  del 
dolore  e  della  fame  è  esclusa  dai  sentimenti  che  li 
muovono  a  dividere  con  esso  lui  quelle  ricchezze  che 
sono  così  sovente  un  inciampo,  e  un  mezzo  di  piaceri 
che  portano  alla  dimenticanza  e  fmo  alP  avversione 
per  l'uomo  che  soffre. 

San  Carlo,  che  si  spogliava  per  vestire  i  poveri,  e 
che  vivendo  fra  gli  appestati  per  dar  loro  ogni  ma- 
niera di  soccorso ,  non  dimenticava  che  il  suo  perico- 
lo- quel  Girolamo  Miani,  che  andava  in  traccia  di 
orfani  pezzenti,  per  nutrirli  e  per  disciplinarli,  con 
quell'ansia  che  un  ambizioso  metterebbe  a  brigare  l'e- 
ducazione del  figlio  di  un  re,  non  pensavano  dunque 
che  all'anime  loro?  e  il  pensiero  di  sollevare  i  loro 
simili  non  entrava,  per  nulla  in  una  vita  tutta  conse- 


(i)  Misereor  turbce ,  quia  triduo  jam  perseverant  mecum,  et  noti  ]ui:':-ni 
tjuoH  manducent:  et  dimittere  eos  iciurios  nolo,  et  de/ìciant  in  via.  M;inh. 

XV.  :w. 


, 82       SULLA  MOH AJ.E  CATTOLICA 

crata  ad  essi?  L'uomo  clie  vive  lontano  dallo  spetta- 
colo dello  miserie,  versa  qualche  lagrima  ad  udirne  il 
racconto:^  e  quelli  che  una  irrequieta  carità  spingeva 
a  cercarle,  a  soccorrerle,  vi  avrebbero  portato  un 
cuore  privo  di  simpatia? 

Certo,  non  sì  vuole  qui  fare  una  enumerazione  de- 
^li  atti  di  carità,  di  cui  è  piena  la  storia  del  cattoli- 
cismo:  ne  scelgo  un  solo,  insigne  per  delicatezza  di 
commiserazione 5  e  lo  scelgo  perchè,  essendo  recente, 
è  un  testimonio  consolante  dello  spirito  che  vi  è  sem- 
pre vivo.  Una  donna  che  abbiamo  veduta  fra  noi,  e 
di  cui  ripeteremo  il  nome  ai  nostri  figli,  una  donna 
cresciuta  fra  gli  agi,  ma  avvezza  da  lungo  tempo  a 
privarsene  e  a  non  vedere  nelle  ricchezze  che  un  mez- 
zo di  sollevare  i  suoi  simili,  uscendo  un  giorno  da  una 
chiesa  di  campagna,  dove  aveva  udita  una  istruzione 
sull'amore  del  prossimo,  andò  al  casolare  dove  gia- 
ceva una  inferma,  il  cui  corpo  era  tutto  schifezza  e 
putredine*,  uè  si  contentò  di  renderle,  com'era  suo 
costume,  quei  servici  pur  troppo  penosi,  nei  quali 
anche  il  mercenario  intende  di  prestare  un  ufficio  di 
misericordia,  ma  piena  di  un  sovrabbondante  impe- 
to di  carità,  la  abbraccia,  la  bacia  in  volto,  le  si  po- 
ne a  canto,  divide  il  letto  del  dolore  e  dell'abban- 
dono, e  la  chiama  più  e  più  volte  col  nome  di  sorel- 

la  co. 

Ah  !  l'idea  di  sollevare  una  creatura  non  era  certo 

estranea   a  quei  nobili  abbracciamenti.   Mangiare  il 

pane  della  liberalità  altrui ,  ottenere  di  che  raddolcire 

i  mali  del  corpo  e  prolungare  una  vita  di  stenti ,  non 


(i)  Vita  (Iella  virtuosa  matrona  milanese,   Teresa  Trotti  Brntwogìi  Ar- 
■eunaii .  Pag.   82. 


CAPITOLO  XV.  i85 

è  il  solo  bisogno  dell'uomo  su  cui  pesa  la  miseria  e 
l'infermità:  sente  di  essere  chiamato  anch' egli  a  que- 
sto convito  di  amore  e  di  comunione  sociale*,  la  soli- 
tudine in  cui  è  lasciato,  il  pensiero  di  fare  orrore  al 
suo  simile,  il  riguardo  con  cui  gli  si  avvicina  quel 
medesimo  che  gli  porsje  soccorso,  il  non  veder  mai 
un  sorriso,  è  forse  il  più  amaro  de^suoi  dolori.  E  il 
cuore  che  pensa  a  questi  bisogni,  e  li  soddisfa,  che 
vince  la  ripugnanza  dei  sensi  per  non  vedere  che  l'a- 
nima immortale  che  soffre  e  si  purga,  è  il  più  bel  te- 
stimonio per  le  dottrine  che  lo  hanno  educato,  è  una 
prova  che  esse  non  mancano  mai  alle  ispirazioni  le 
più  ardenti  e  ingegnose  della  carità  universale. 


CAVIT0Ì.0    XM. 

SI  LLA   SOUKIETa',    E  S!JLLE   ASTINKKZR  —    SULLA 
CO.\TINEN/.A  .   E  .SiLl.A   VEÌIGLMTA'  , 


Ln  sobriété,  la  continence ,  sont  des  vertus  domestiques 
qui  coTisen>eut  les  f acuite s  des  individus ,  et  assuvent  la 
paix  des  jamdles  :  le  casuiste  a  mis  à  la  place  /ev  mai- 
greSf  les  jeùnes  y  les  ingUes,  les  voeux  devliginitéet 
de  chastetc  ;  et  à  coté  de  ces  vertus  inonacales ,  la  gour- 
niandise  et  V  impudicité  peuveut  prendre  racine  dans  les 
coeurs.  Pag.  l\'xo. 


iLe  istituzioni  relative  all'astinenza,  sono  di  quelle 
che  il  mondo  ha  avuto  l'arte  di  circondare  di  una 
specie  di  ridicolo,  per  cui  molti  di  quegli  stessi  che 
le  venerano  in  cuor  loro,  parlano  in  loro  difesa  con 
timidi  rispetti,  non  osano  quasi  di  adoperare  i  nomi 
proprj ,  e  lasciano  credere  che  la  ragione ,  rispettan- 
dole, non  faccia  altro  esercizio,  che  sottomettersi  ad 
una  sacra  e  incontrovertihile  autorità.  Ma  chi  cerca 
sinceramente  la  verità,  invece  di  lasciarsi  spaventare 
dal  ridicolo,  deve  fare  un  oggetto  di  esame  del  ridi- 
colo stesso. 

Questo  ha,  nel  caso  presente,  due  cagioni  ben  di- 
stinte. L'una  è  nella  avversione  che  il  mondo  ha  alla 
penitenza:  tutto  ciò  che  la  prescrive,  e  che  la  orga- 
nizza, per  così  dire,  gli  spiace ^  e  non  volendo  con- 
fessarne i  veri  motivi,  associa  più  che  può  ad  essa 


CAPÌTOLO  XVI.  i85 

idee  ndlcole,  per  far  cretlere  che  vi  disapprova  qual- 
che cosa  di  contrario  alla  ragione:  dimentica,  o  finge 
di  dimenticare  lo  spirito  e  i  motivi  di  queste  prescri- 
zioni: non  si  vergognerà,  per  esempio,  di  domandare 
per  dei  secoli,  che  cosa  importa  a  Dio  che  gli  uomini 
usino  piuttosto  tali  che  tali  altri  cibi,  e  di  fare  altre 
difficoltà  di  egual  forza . 

L'altra  cagione  è  nel  modo  con  cui  le  prescrizioni 
relative  all'astinenza  sono  eseguite  da  molti  cattolici . 
Le  Scritture  e  la  tradizione  rappresentano  il  digiuno 
come  una  disposizione  di  staccatezza   e  di  privazioni 
volontarie,  della  quale  T astinenza  dai  cibi  è  una  par- 
te, una  conseguenza   necessaria,   una  espressione   e- 
sterna.  In  uomini  operosi  nella  ricerca  dei  contenti 
mondani  di  ogni  genere ,  nemici  di  ogni  umiliazione  e 
di  ogni  patimento,  questa  sola  parte  di  penitenza  e- 
seguita  farisaicamente,  è  una  operazione  isolata,  che 
trovandosi  cosi  differente  dal  resto  della  vita,  vi  for- 
ma una  disarmonia,  la  quale  serve  l'inclinazione  del 
moì\do  a  profittare  d'  ogni  appigho  per  poter  ridere 
delle  cose  della  religione .  L'astinenza  delle  carni  poi, 
non  è  che  un  mezzo  prescritto  dalla  Chiesa  per  osser- 
vare questo  digiuno  :  se  di  questo  si  è  potuto  fare  in- 
vece un  mezzo  di  raffinamento,  certo  che  un  indizio 
esteriore ,  una  rimembranza  illusoria ,  e  per  cosi  dire , 
una  millanteria  di  penitenza,  che  si  vede  uscire  tutto 
ad  un  tratto  da  una  vita  tutta  di  delizie  e  di  passio- 
ni, presenta  un  contrasto  fra  l'intenzione  della  legge 
e  lo  spirito  dell'obbedienza,  fra  la  difficoltà  ed  il  me- 
rito, che  presta  al  ridicolo. 

Ma  per  farne  cessare  ocni  occasione  dinanzi  a  quel- 
li che  amano  a  riflettere  (perchè  vi  ha  degli  uomini 
che  non  lasciano  più  di  ridere  su  una  cosa  che  hanno 


1 8G       SULLA  MOlì ALE  CATTOLICA 

lina  volta  concepita  come  ridicola)^  basta  toi^licrè  le 
astinenze  da  quest'  ordine  d*  idee  nel  quale  fanno  con- 
traddizione, e  riportarle  in  quello  che  loro  è  proprio 
e  nel  quale  furono  collocate  dalla  legislazione  religio- 
sa;, basta  osservarle  insieme  coi  fatti  dell'animo  uma- 
no, coi  motivi  e  coi  lini  che  la  Chiesa  ha  avuto  di 
mira  nell'ordinarie,  e  basta  non  dimenticare  i  casi 
nei  quali  producono  i  loro  effetti:  allora  non  solo 
svanirà  il  ridicolo,  ma  risulterà  la  bellezza,  la  sa- 
pienza, e  l'importanza  di  queste  leggi. 

E  una  verità  tanto  nota  quanto  umiliante,  che  l'a- 
buso dei  cibi  influisce  sull'animo,  degradandolo.  Una 
serie  di  sentimenti  gravi,  regolati,  magnanimi,  be- 
nevoli, può  esser  interrotta  da  un  tripudio:  e  nella 
sede  stessa  del  pensiero  si  forma  una  specie  di  entu- 
siasmo carnale,  una  esaltazione  dei  sensi,  che  rende 
inditferenti  alle  cose  le  più  grandi,  che  distrugge  o 
indebolisce  la  persuasione  del  bello,  e  trasporta  verso 
la  sensualità  e  l'egoismo.  La  sobrietà  conserva  le  fa- 
coltà degli  individui,  come  ha  benissimo  detto  l'illu- 
stre Autore  :  ma  la  religione  non  si  accontenta  di 
questo  etfetto,  ne  di  questa  virtù,  conosciuta  anche 
ai  gentili:  e  avendo  fatti  conoscere  i  mali  profondi 
dell'uomo,  essa  ha  dovuto  proporzionare  ad  essi  i 
rimedj  .  Nei  piaceri  della  gola  che  si  possono  combi- 
nare colla  sobrietà,  essa  vede  una  tendenza  sensuale 
che  svia  dalla  vera  destinazione^  e  dove  non  è  ancor 
cominciato  il  male,  essa  segna  il  pericolo.  Essa  co-- 
manda  l'astinenza,  come  una  precauzione  indispensa- 
bile a  chi  deve  sostenere  il  combattimento  contro  la 
legge  delle  membra;,  la  comanda  come  espiazione  dei 
falli  in  cui  1  umana  debolezza  fa  cadere  anche  i  mi- 
gliori 5  la  comanda  ancora  come  giustizia,  e  come  ca- 


CAPITOLO  XVI.  187 

rità ,  percìiè  le  privazioni  del  fedele  devono  servire  a 
soddisfare  alle  necessità  altrui,  e  compartire  così  fra 
gli  uomini  le  cose  necessarie  al  vitto ,  e  fare  scompa- 
rire dalle  società  cristiane  quei  due  tristi  opposti,  di 
profusione  a  cui  manca  la  fame,  e  di  fame  a  cui 
manca  il  pane. 

Queste  prescrizioni  essendo  così  necessarie  all'uomo 
in  tutti  i  tempi,  hanno  dovuto  cominciare  colla  pro- 
mulgazione della  religione^  e  così  è  infatti.  Nel  solo 
popolo  che  avesse  una  civilizzazione  fondata  sopra  ì-- 
dee  di  giustizia  universale,  di  dignità  umana,  e  di 
progresso  nel  bene,  cioè  su  un  culto  legittimo,  si 
trovano  esse  fino  dai  primi  tempi  dal  suo  passaggio 
solenne  dallo  stato  di  schiavitù  domestica ,  dove  era 
ritenuto  dalf  avarizia  e  dalla  mala  fede ,  allo  stato  di 
nazione  :  e  la  tradizione  del  digiuno  discende  da  Mosè 
fino  ai  nostri  giorni  come  un  rito  di  penitenza,  e  un 
mezzo  per  innalzare  la  mente  al  concetto  delle  cose 
di  Dio,  e  per  mantenersi  fedeli  alla  sua  legge. 

Al  tempo  di  Samuele ,  gf  Israeliti  prevaricano  *,  ma 
quando  ritornano  al  Signore  pentiti ,  quando  cessano 
di  adorare  le  ricchezze  della  terra,  e  tolgono  di  mez- 
zo a  loro  gli  Dei  visibili  degli  stranieri,  offrono  olo- 
causti al  Signore,  e  digiunano  (1). 

L'idolatria  era  il  culto  della  cupidigia,  la  festa  dei 
godimenti  terreni:  per  rompere  l'abitudine  della  ser- 
vitù dei  sensi,  per  ritornare  a  Dio,  bisognava  comin- 
ciare dalle  privazioni  volontarie  .  E  quando  i  figli 
d'Israele  ritornano  dalla  terra  dei  padroni  stranieri, 


i88       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

quando  sono  per  rivedere  Gernsalemme ,  il  magnani- 
1110  Esdra  che  li  conduce,  li  prepara  al  viaggio  col 
digiuno  e  colla  preghiera  (i),  per  ricominciare  così 
un  popolo  religioso  e  temperante  ,  segregato  dalle 
gioje  tumultuose  e  servili  delle  genti. 

11  digiuno  accompagna  senza  interruzione  il  primo 
testamento:  Giovanni,  precursore  del  nuovo,  lo  adem- 
pie e  lo  predica:  e  Quegli  che  fu  l'aspettazione  e  il 
compimento  dell'uno,  il  fondatore  e  la  legge  dell'al- 
tro, e  la  sahite  di  tutti,  Gesù  Cristo,  lo  comanda, 
lo  regola,  ne  tocjlie  1  ipocrita  ruvidezza,  e  la  malin- 
conica ostentazione,  lo  attornia  di  immagini  socievo- 
Ji  e  consolanti  (2),  ne  insegna  lo  spirito,  e  ne  dà 
egli  stesso  l'esempio.  Certo,  la  Chiesa  non  ha  hiso- 
gno  di  altra  autorità  per  render  ragione  di  averlo 
conservato . 

Gli  Apostoli  sono  1  primi  a  seguirlo.  Il  digiuno  e 
la  preghiera  precedono  l'imposizione  delle  mani  che 
diede  a  Paolo  la  missione  alle  genti  (3),  e  la  reli- 
gione (come  dice  Massillon)  nasce  nel  seno  del  digiu- 
no e  delle  astinenze  (4) .  D'  allora  in  poi ,  dove  si 
può  segnare  un'epoca  di  sospensione  o  d'intervallo? 
tutta  la  tradizione  lo  riproduce  ad  ogni  momento,  e 
se  si  trova  pur  troppo  il  letterale   adempimento  del 

(i)  Et  picedicavi  ibi  jejunium  juxtafluvium  Aliava,  ut  affligeremtir  co 
Td'ii  Duniiiìo  Dea  nostro,    et  peterenius  ab  eo  viam  rectani  nobis  et  Jiliis- 
riostris,  uìiiversceque  siibstantiae  nostrce .    i.   Esdr.   Vili.    21. 

(2)  Cum  aiitem  jejunatis ,  noli  te  fieri ,  siciit  hjpocritce ,  tristes  ;  exter 
ntinnnt  eriiiii  facies  suas ,  ut  appareant  Iiominibus  jejunantes .  Amen  dico 
■vobis ,  quia  receperunt  niercedem  suam  .  Tu  autem  cum  jejunas ,  unge  ca- 
put tuum ,  et  fnciein  tuam  lava  :  ne  videaris  ab  hominibus  jejunans ,  sed 
Patri  tuo:  et  Pater  tuus ,  qui  videt  in  abscondilo ,  reddet  tibi.  Matth. 
VI.    16.    17.    18. 

(3)  Tunc  jrjuiiantes  et  orantes ,    imponenlesque,    eis  (Saulo,  et  Barna- 
ba;) manus ,  din  iseriint   illos.   Act.   XIII.   3. 

(  '()  Scrmon  sur  le  Jeùne .   E  il  primo  della  quaresima . 


CAPITOLO  XVI.  1 89 

digiuno  scompagnato  da  una  vita  cristiana,  è  impos- 
sibile trovare  una  vita  cristiana  scompagnata  dal  di- 
giuno. I  martiri  e  i  re,  i  vescovi  e  i  semplici  fedeli, 
eseguiscono  ed  amano  questa  legge  ^  essa  si  trova  co- 
me in  un  posto  naturale  fra  i  cristiani.  Fruttuoso  ve- 
scovo di  Tarragona,  rifiutò,  andando  al  martirio,  u- 
na  bevanda  che  gli  era  offerta  per  confortarlo,  la  ri- 
fiutò ,  dicendo  che  non  era  passata  T  ora  del  digiu- 
no (1).  Chi  non  prova  un  sentimento  di  rispetto  per 
una  legge  così  rispettata  nel  momento  solenne  del  do- 
lore da  un  uomo  che  stava  per  dare  una  testimonian- 
za di  sangue  alla  verità?  Chi  non  vede  che  essa  stes- 
sa aveva  contribuito  a  prepararlo  al  sagrificio,  e  che 
per  morire  imitatore  di  Gesù  Cristo ,  egli  ne  era  vis- 
suto imitatore? 

Ma  prescindendo  da  questi  esempi  ammirabili  ^  nel- 
la situazione  la  più  ordinaria  d'un  cristiano,  il  digiu- 
no e  le  astinenze  si  legano  con  ciò  che  la  sua  vita  ha 
di  più  degno  e  di  più  puro.  Si  vegga  mi  uomo  giu- 
sto, esatto  ai  suoi  doveri,  attivo  nel  bene,  solferen- 
le  dei  mali  inevitabili,  fermo  e  non  impaziente  con- 
tro l'ingiustizia,  tollerante  e  misericordioso,  e  si  di- 
ca se  le  pratiche  dclf  astinenza  non  sono  in  armonia 
con  una  tale  condotta.  San  Paolo  paragona  il  cristia- 
no all'atleta  che  j)cr  consecjuire  una  ((jrona  corrutti- 
bile, era  in  tutto  astinente  (2).  L  agilità  e  il  vigore 
che  ne  veniva  al  suo  corpo,  era  tanto  evidente,  i 
mezzi  erano  così  conformi  al  fine,  che  a  nessuno  sem- 
brava irragionevole  quel  tenore  di  vita,    nessuno   se 


(i)  Fleury,  HTnpurs  des  Chvèliens .  IX.   Jcimes . 

(•-'.)  Oinnis  attieni,  qui  in  airone  contcndit ,  ab  o/nitilms  sv  nhslinel  :  et 
ali  i/iii'dcin ,  tit  conitiilihiicin  coionatn  acci'jjittitt  ;  itus  aitte/n  iiicoriiiplam  . 
1     C.ov.   IX.    io. 


1  ()o       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

ne  faceva  maraviglia  :  e  noi  educati  alle  idee  spiritua- 
li del  cristianesimo,  non  sapremo  vedere  la  necessità 
e  la  bellezza  di  quelle  istituzioni  che  tendono  a  reu- 
der  l'animo  indipendente  dalle  inclinazioni  del  senso? 

Questo  è  il  punto  di  vista  vero  e  importante,  delle 
astinenze:  questi  sono  i  loro  elì'etti,  e  se  il  mondo 
non  li  avverte ,  è  perchè  quelli  che  le  praticano  in  i- 
spirito  di  fedeltà,  si  nascondono,  e  il  mondo  non  si 
cura  di  ricercarli,  e  non  nota  per  lo  più  le  astinenze, 
che  quando  presentano  un  contrasto  col  resto  della 
condotta . 

\i  ha  delle  istituzioni  transitorie,  il  fine  delle  qua- 
li è  soltanto  di  preparare  ad  un  altro  ordine,  e  che 
hanno  il  loro  compimento  quando  sono  tolte  di  mez- 
zo, ve  ne  ha  di  quelle  che  sono  così  compenetrate 
collo  spirito  principale  che  è  il  loro  fine ,  che  non 
possono  mai  essere  abolite:  esse  attraversano  delle 
generazioni  ribelli  o  non  curanti ,  rimangono  immo- 
bili in  mezzo  ad  un  popolo  dimentico  o  derisore,  a- 
spettando  le  generazioni  obbedienti  e  riflessive,  per- 
chè sono  fatte  per  tutti  i  tempi.  Tali  sono  (non  dico 
il  digiuno,  che  è  istituzione  divina),  ma  la  più  parte 
delle  leggi  ecclesiastiche  sulla  astinenza  j  tali  sono  per 
esempio  le  vigilie.  Celebrare  la  commemorazione  dei 
grandi  misteri,  e  degli  avvenimenti  ai  quali  dev'es- 
sere rivolta  tutta  la  considerazione  del  cristiano,  e 
prepararvisi  colla  penitenza  e  colle  privazioni,  è  una 
istituzione  tanto  essenzialmente  cristiana,  che  si  con- 
fonde colla  origine  della  religione,  e  non  ha  avuto  un 
momento  di  sospensione. 

L'astinenza  delle  carni  è  un  mezzo  prescritto  dalla 
Chiesa  per  facilitare  l'adempimento  della  penitenza. 
Se  vi  ha  chi  ne  combina  l'osservanza  colla  intempe- 


CAPITOLO  XVI.  191 

ranza  e  colla  gola,  questa  è  una  prova  di  più^  che 
r  uomo  è  ingegnoso  ad  eludere  leggi  più  salutari ,  è 
una  occasione  di  riflettere  ai  pericoli  delle  ricchezze, 
annunziati  da  Gesù  Cristo:  giacché  si  vede,  che  nei 
mezzi  stessi  di  salute  esse  possono  far  trovare  un  in- 
ciampo .  Malgrado  però  le  grida  e  le  derisioni  che  da 
tanto  tempo  si  alzano  contro  questo  precetto,  la  Chie- 
sa si  è  ben  guardata  dal  togliere  un  monumento  del- 
l'antica  semplicità  e  dell'antico  rigore,  dal  cancella- 
re ogni  vestigio  di  penitenza,  per  far  ragione  ai  recla- 
mi del  mondo  suo  nemico.  Se  v'ha  chi  lo  elude,  non 
mancano  pure  dei  ricchi  che  obbediscono  sinceramen- 
te e  per  ispirito  di  penitenza,  ad  una  legge  di  peni- 
lenza,  non  sono  mancanti  fra  i  poverelli  coloro  che 
forzati  ad  una  sobrietà  che  rendono  nobile  e  volonta- 
ria coir  amarla,  trovano  il  mezzo  di  usare  qualche 
maggiore  severità  al  loro  corpo  nei  giorni  in  cui  una 
paiiicolare  afflizione  è  prescritta  dalla  Chiesa:  essa  li 
considera  come  il  suo  più  bello  ornamento,  e  come  i 
suoi  tìgli  prediletti. 

Tutte  queste  pratiche  non  possono  dirsi  sostituite 
alla  sobrietà  :  non  ne  dispensano  '^  la  suppongono  inve- 
ce, e  ne  sono  un  perfezionamento. 

Così  dicasi  del  voti  di  verginità  e  di  castità,  in 
rapporto  alla  continenza:  come  chiamarla  una  sosti- 
tnzione  a  questa,  se  ne  sono,  per  dir  così,  l'ideale? 
E  inutile  dire  che  la  verginità  lodata  e  consigliata  da 
San  Paolo  (1)  che  ne  diede  lesenqìio,  lodata  e  disci- 
plinata dai  Padri,  non  è  una  invenzione  de' casisti. 

(1)  De  vifginihus  auteiìi  prceceptum  Domini  non  Iinbeo  ;  consiliiim.  au' 
lem  do,  tumqtiain  inìsci'icordiain  conscciiliu;  a  Domino  ,  ut  sim  Jidclis  . 
Exislimo  er^o  hoc  bonuni  esse  proptcr  ur^entcrn  necessitntcni ,  quonium 
hoiiiim  est  ìiomiiii  sic  esse.  Alli'^atus  es  uxori  ?  Noli  quceiere  solulioniin  . 
Solulus  es  ab  uxore?  Noli  quosrerc  uxoreni .    i.   Cor.  VII.   iì5.   26.   -^7. 


1 92       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

Che  se  r impudicizia  può  prendere  radice  nel  cuore 
a  fianco  della  castità,  e  la  gola  a  fianco  delle  astinen- 
ze, ciò  vorrà  dire  che  tanta  è  la  corruttela  dell'uo- 
mo ,  che  i  mezzi  stessi  proposti  dall'  Uomo-Dio  non  la 
estirpano  totalmente,  che  essi  sono  arme  per  poter 
vincere,  ma  che  non  dispensano  dal  combattere:  ma 
chi  potrà  supporre  che  vi  possano  essere  rimedj  mi- 
gliori? Opporre  alla  Chiesa,  la  quale  consiglia  o  co- 
manda l'esercizio  più  perfetto  di  una  virtù,  che  tal- 
volta esso  può  essere  scompagnato  dal  sentimento  di 
quella  virtù,  non  può,  ch'io  veggia,  condurre  ad  al- 
cuna utile  conseguenza .  Perchè  questa  obbiezione  a- 
vesse  forza,  converrebbe  potere  asserire  che  la  so- 
brietà e  la  continenza  sterpano  dal  cuore  la  radice 
delle  inclinazioni  contrarie . 


CAPITOLO  XVII. 

SrLLl   MODESTIA,  E  SULLA   UMILTÀ* 


La  modestie  est  la  plus  aimahlc  des  qualités  de  Vhomme 
supérieuv;  elle  ii  exclut  point  un  juste  orgueil,  qui  lui 
sert  d'appai  cantre  ses  propres  faiblesses ,  et  de  conso- 
lation  dans  l' adversité  :  le  casuiste  y  a  suhstitué  Vhu- 
milité  y  qui  s' allie  avec  le  mépris  le  plus  insuitant  pouv 
les  autres .  Pag.  tyio  y  l\;i\. 


Ilo  non  difenderò  qui  i  casisti  dalla  taccia  di  avere  so- 
stituita alla  modestia,  e  per  così  dire,  inventata  T  u- 
miltà  :  essa  è  tanto  espressamente  comandata  nelle 
Scritture,  che  suppongo  che  la  frase  la  quale  sembra 
presentare  questo  senso ,  ne  abbia  un  altro  eli'  io  non 
fio  saputo  rilevare . 

Mi  fermerò  invece  a  ragionare  sulla  natura  di  que- 
ste due  virtù  ^  per  dimostrare  che  la  modestia  senza 
umiltà,  o  non  esiste  o  non  è  virtù-,  che  chi  loda  la 
modestia,  o  pronunzia  una  parola  senza  senso,  o  ren- 
de omaggio  alla  verità  della  dottrina  cattolica ,  per- 
chè gli  atti  e  i  sentimenti  che  s'intendono  sotto  il  no- 
me di  mode^ia,  non  hanno  la  loro  ragione  che  nella 
umiltà ,  quale  è  proposta  da  questa  dottrina . 

Qui  è  necessario  risalire  ad  un  principio  generale 
della  morale  religiosa  :  in  essa  ogni  sentimento  co- 
mandato si  fonda  sulla  verità  assoluta  di  una  idea. 
iNon  credo  che  sia  bisogno  di  giustiiicare  questo  prin- 

JSlair.oni  -«i 


( 


1 94       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

clpio:  esso  è  tanto  conforme  alla  ragione,  che  basta 
enunciarlo.  Applicandolo  ora  alla  modestia,  vedremo 
clic  questa  per  essere  virtù ,  deve  avere  due  condizio- 
ni :  essere  l' espressione  di  un  sentimento  non  finto  ma 
reale,  e  di  un  sentimento  fondato  su  una  verità:  de- 
v'essere sincera,  e  ragionata. 

Che  cosa  è  la  modestia?  Non  credo  facile  il  dirlo: 
per  definire  s^ intende  per  lo  più,  specificare  il  senso 
unico  e  costante  che  di  uomini  attribuiscono  ad  una 
parola:  ora,  se  gli  uomini  variano  nèlF applicazione 
di  una  parola,  come  trasportare  nella  definizione  un 
senso  unico  che  non  esiste  nelle  idee?  E  celebre  T os- 
servazione di  Locke:  che  la  più  parte  delle  dispute 
filosofiche  è  venuta  dalla  diversa  significazione  attri- 
buita alle  stesse  parole:  sono  pochi ^  dice  egli,  quei 
nomi  cV idee  complesse ^  che  due  uomini  impieghino 
a  significare  precisamente  la  stessa  collezione  d' i- 
dee  (i).  Questa  diversità,  o  per  dir  meglio  latitudi- 
ne di  significato ,  si  trova  più  specialmente  nei  nomi 
consacrati  ad  esprimere  disposizioni  morali . 

Ma  non  pertanto  è  certo  che  gli  uomini  s'intendo- 
no fra  di  loro,  se  non  con  precisione,  almeno  appros- 
simativamente, quando  adoperano  o  ascoltano  alcuna 
di  queste  parole^  non  potrebl>ero  anzi  disputare  se 
non  andassero  intesi  più  o  meno,  se  non  dessero  in 
parte  lo  stesso  significato  alla  parola  in  questione:  il 
che  ha  fatto  dire  a  taluno,  che  non  vi  ha  dispute  di 
meri  vocaboli,  ma  che  tutte  sono  d'idee.  Questo  si 
spiega,  a  mio  credere,  osservando  che  in  ognuno  di 
questi  nomi  d'idee  morali  v'e  una  idea  predoaiinan- 


(i)  Loke,  Essai  sur  V entendement  humaiii:  Livre  III.  Gap.  X.  De  l'a- 
bus  des  mots.  i  -22. 


CAPITOLO  XVII.  195 

le  e  gencrallssima  che  tutti  vi  riconoscono,  bencliè 
nell'applicazione  essa  subisca  modificazioni  indefinite 
secondo  la  diversità  delle  menti*,  idea  che  ricompare 
sempre,  e  che  regge,  per  così  dire,  il  complesso  d'i- 
dee alle  quali  si  vuole  applicare  quel  nome .  Ora  nei 
sentimenti,  nei  pensieri,  nelle  azioni,  nel  contegno  a 
cui  si  applica  la  parola  modestia ,  l' idea  predominan- 
te mi  sembra  essere:  confessione  di  una  maggiore  o 
minor  distanza  dalla  perfezione.  Credo  che  questa 
sia  la  definizione  più  propria  ad  abbracciare  tutti  i 
possibili  casi  di  applicazione,  e  parto  da  questa  per 
giungere  ad  una  non  meno  generale ,  e  più  ragionata . 
Perchè,  io  stimo  che  si  dieno  in  queste  materie  due 
sorta  di  definizioni  :  definizioni  che  astra2;gono  ed  e- 
sprimono  quella  idea  predominante  di  cui  abbiamo 
jiarlato,  e  si  potrebbero  chiamare  definizioni  stori- 
che :  e  definizioni  che  danno  la  ragione  di  questa  i- 
dca,  e  che  riducendola  a  nozioni  precise  ed  applica- 
bili con  sicurezza  e  con  fondamento,  vengono  a  cir- 
coscrivere, e  per  dir  così,  a  comandare  il  senso  che 
gli  uomini  degglono  annettere  a  quella  parola^  se  pre- 
tendono esprimere  una  idea  giusta,  e  si  potrebbero 
chiamare  definizioni  razionali .  Questa  distinzione  ap- 
parirà più  chiara  nella  applicazione  che  ne  faremo 
alla  definizione  della  modestia  3  giacche  io  penso  che 
si  possa  darne  una  precisa  del  secondo  ejenere. 

Se  si  ammette  per  ora  la  prima,  io  domando:  l'uo- 
mo, a  cui  si  dà  lode  di  modesto,  perchè  dimostra 
un  sentimento  della  propria  impei'fezione ,  o  è  per- 
suaso, o  non  lo  è:  se  non  lo  è,  la  sua  è  tanto  lonta- 
na dall'essere  virtù ,  che  è  anzi  vizio ,  e  finzione ,  ipo- 
crisia. Che  se  e  persuaso,  o  si  appone,  o  è  in  erro- 
}'e ,  in  questo  secondo  caso  ,   e  ignoranza ,   inganno  : 


,  96       SULLA  MORALE  CATTOLICA 
ora  non  è  virtù  quel  sentimento  che   un  esame   niìi 
giudizioso,  una  maggior  cognizione   della  verità,  un 
aumento  di  lumi  ci  farà  abbandonare:  altrimenti,  bi- 
sognerebbe dire  che  vi  ha  delle  virtù  opposte  alla  ve- 
rità^ in  altri  termini^  che  talvolta  la  virtù  è  una  chi- 
mera. Se  dunque,  quando  si  loda  la  modestia  di  uno, 
non  si  vuol  dire  che  quest^uomo  sia  un  impostore,  o 
uno  sciocco,   converrà  dire  che  la  modestia  suppone 
la  cognizione  di  se  stesso,   e  che  nella  cognizione  di 
se  stesso  l'uomo  deve  sempre  trovare   la   ragione  di 
esser  modesto .  Ho  detto  sempre;  perchè  altrimenti, 
vi  sarebbero  dei  casi  in  cui  l'uomo  potrebbe  ragio- 
nevolmente avere  il  sentimento  opposto  a  questa  vir- 
tù: anzi,  a  misura  che  uno  si  avanzasse  nelle  virtù, 
dovrebbe  scemare  di  modestia ,  giacché  è  certo  eh'  e- 
gli  si  sarebbe  avvicinato  alla  perfezione;,  e  così  il  mi- 
glioramento deir animo  condurrebbe  logicamente  alla 
perdita  di  una  virtù,  il  che   è   assurdo.   Ora  questa 
ragione  perpetua  e  senza  eccezirme,   di  modestia,   si 
trova  nella  doppia  idea  che  la  rivelazione  ci  ha  data 
di  noi  stessi,  e  sulla  quale  è  motivato  il  precetto  del- 
l'umiltà, la  quale  non  è  altro  che  una  cognizione  di 
se  stesso:  e  questa  idea  si  è,  che  l'uomo  è  corrotto 
ed  inclinato  al  male ,  e  che  tutto  ciò  eh'  egli  ha  di  be- 
ne in  sé  è  un  dono  di  Dio ,  di  modo  che  ognuno  può 
e  deve  in  ogni  caso  dire  a  se  stesso:  Che  hai  tu  che 
non  abbi  ricevuto  ?  e  se  lo  hai  ricevuto ,  perchè  te  ne 
giorj ^  come  se  non  lo  avessi  ricevuto  (i)-'^ 

Per  questa  sola  ultima  ragione,  Gesù  Cristo,  ben- 
ché perfetto,  anzi  perciò  appunto,  ha  potuto  essere 


(0  Quis  enim  te  dìscernit?    Quid  autem  hahes  ,   quod   jwn   acceju'fifì  ? 
iSV  aiileui  ncccpisll ,  quid  gloriaris  quasi  non  acceperis?   i.  Corinlh.  VI.  7» 


CAPITOLO  XVII.  197 

sovranamente  limile^  perchè  conoscendo  in  eccellenlo 
grado  se  stesso ,  e  non  essendo  accessibile  ad  alcuna 
delle  passioni  che  fanno  errare  T  uomo  che  si  giudica , 
Egli  ha  veduto  in  eccellente  grado  ,  che  le  infinite 
perfezioni  ch'Egli  aveva  nella  sua  natura  umana,  e- 
rano  doni. 

E  per  riguardo  a  tutti  gli  uomini ,  si  darà  una  idea 
chiara  e  ragionata  della  modestia,  definendola:  l'e- 
spressione della  umiltà ,  il  contegno  d' un  uomo  il 
quale  sente  eh'  egli  è  soggetto  alf  errore  ed  al  tra- 
viamento, e  che  tutti  i  suoi  pregi  sono  doni  ch'egli 
può  perdere  per  la  sua  debolezza  e  corruttela.  Se  non 
vi  si  suppone  questa  idea,  la  modestia  è  ciurmeria  o 
scempiaggine;  se  vi  si  suppone,  essa  e  virtù  e  ragio- 
ne: con  questa  idea  si  spiega  la  uniformità  del  senti- 
mento degli  uomini  in  favore  di  essaj  e  questo  senti- 
mento diventa  un  raziocinio. 

Noi  lodiamo  Tuomo  modesto ^  non  solo  perchè,  ab- 
bassandosi e  tenendosi  in  un  canto  ,  lascia  a  noi  \m 
po'  più  di  spazio  per  elevarci  e  per  comparire  ^  non 
lo  lodiamo  solo  come  un  concorrente  che  si  ritira  . 
Certo,  l'interesse  delle  nostre  passioni  ha  una  parte 
che  noi  stessi  non  sappiamo  sempre  discernere  nelle 
nostre  approvazioni  e  nei  nostri  biasimi  :  ma  ognuno 
esaminandosi  trova  in  se  stesso  una  disposizione  ad 
approvare,  indipendente  da  questo  interesse  e  fonda- 
ta sulla  bellezza  di  ciò  che  approva.  Si  potrebbe  di- 
mostrare con  esempi  la  realtà  di  questa  disposizione, 
ma  ognuno  la  sente,  è  un  fatto. 

Non  lodiamo  la  modestia  soltanto  come  una  quali- 
tà rara  e  diflicile  :  vi  ha  delle  abitudini  perverse  che 
sono  di  pochi  uomini,  e  alle;  quali  essi  non  giungo- 
no die  facendosi  molta  violenza  :  e  nessuno  le  ap- 
prova . 


1  ()8       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

INon  lodiamo  neppure  la  modestia  solo  perche  riit^' 
nisca  questi  due  caratteri,  di  utilità,  e  di  difllcoltà. 
11  vecchio  della  montagna  ritraeva  un  vantaggio  dalla 
credulità  e  dalla  devozione  di  colui  che  al  suo  cenno 
si  lanciava  nel  precipizio,  e  doveva  ravvisare  uno 
sforzo  difficile  in  questa  obbedienza,  eppure  non  po- 
teva sentire  una  stima  per  quest'uomo  ch'egli  cono- 
sceva meglio  d'ogni  altro  come  un  miserabile  zimbel- 
lo della  sua  impostura . 

Noi  approviamo  e  lodiamo  l'uomo  modesto,  per- 
chè malgrado  la  tendenza  violenta  d'ogni  uomo  a  sti- 
marsi eccessivamente,  è  giunto  a  fare  un  giudizio  im- 
parziale e  vero  di  se  stesso  ^  perchè  è  giunto  a  farsi 
ima  lee;ge  di  rendere  alla  verità  questa  testimonianza 
difficile  e  dolorosa .  La  modestia  insomma  piace  come 
utilità,  come  difficoltà,  e  come  verità.  Si  ripassino 
pure  tutte  le  idee  ragionevoli  intorno  alla  modestia, 
tutte  verranno  a  combinare  con  questa. 

La  modestia  è  una  delle  più  amabili  doti  del-" 
1' nomo  superiore:  si  osserva  anzi  comimemente,  che 
essa  cresce  a  misura  della  superiorità:  e  questo  si 
spiega  benissimo  colle  idee  della  religione.  La  supe- 
riorità non  è  altro  che  un  grande  avanzamento  nella 
cognizione  e  nell'amore  del  vero  :  la  prima  rende  Tuo- 
mo  umile,  e  il  secondo  lo  rende  modesto. 

Quest'uomo,  teme  le  lodi  e  le  sfugge  ma  le  lodi 
sono  piacevoli,  e  non  vi  pare  ingiustizia  a  cercare  le 
occasioni  di  ottenerle  spontanee:  eppure  il  suo  conte- 
gno è  approvato  da  tutti  quelli  che  apprezzano  la  vir- 
tù. Ciò  accade  perchè  quel  contegno  è  ragionevole. 
L'uomo  modesto  sente  che  le  lodi  non  gli  ricordano 
che  una  parte  di  sé,  e  quella  appunto  ch'egli  è  già 
più  inclinato  a  considerare  e  ad  ingrandire ,  mentre 


i 


CAPITOLO  XVII.  199 

per  ben  conoscersi  egli  ha  bisogno  di  considerare  tut- 
to se  stesso  ;  egli  sente  che  le  lodi  lo  trasportano  Ik- 
cilmente  ad  attribuire  a  sé  ciò  che  è  dono  di  Dio ,  a 
supporre  in  se  una  eccellenza  sua  propria,  ad  un  er- 
rore^ perciò  le  sfugge,  perciò  egli  nasconde  le  sue 
belle  azioni,  perciò" conserva  i  suoi  sentimenti  più 
nobili  nella  custodia  del  suo  cuore  :  egli  conosce  che 
tutto  ciò  che  lo  porta  a  farne  mostra  è  un  desiderio 
di  superbia,  di  essere  distinto,  osservato,  stimato, 
non  quello  che  egli  è ,  ma  il  meglio  possibile , 

Ma  se  la  verità  e  la  carità  lo  domandano ,  egli  la- 
scia apparire  il  bene  che  è  in  lui,  e  si  rende  testimo- 
nianza dove  può  esser  certo  di  non  ingannare  sé,  ne 
gli  altri:  ne  è  uno  splendido  modello  la  condotta  di 
San  Paolo,  quando  l'utile  del  suo  ministero  lo  obbli- 
ga a  rilevare  ai  Corinzj  i  magnifici  doni  di  Dio .  Co  - 
stretto  a  parlare  di  ciò  che  lo  può  elevare  agli  oc- 
chi altrui,  egli  ne  restituisce  a  Dio  tutta  la  gloria^ 
quindi  confessa  spontaneamente  le  miserie  più  umi- 
lianti in  un  Apostolo ,  in  cui  la  dignità  della  missio- 
ne sembra  escludere  l'idea  della  caduta  non  solo,  ma 
della  tentazione .  Nell'animo  sublimato  alla  intelligen- 
za delle  arcane  parole  che  non  è  lecito  ad  un  uomo 
di  proferire  (i)^  chi  avrebbe  ancora  supposta  viva 
la  guerra  delle  inclinazioni  del  senso?  Egli  stesso  ne 
parla:  eejli  discende  dalle  caste  ed  alte  visioni  del 
terzo  cielo  a  mostrarsi  nelP  arena  dei  combattimenti 
carnali:  costretto  a  rivelare  il  segreto  del  suo  animo, 
lo  rivela  tutto  intero,  per  esser  tutto  conosciuto  (2). 

(1)  Quoniam  raptus  est  in  Paradisum,  et  audivit  arcana  verha  ,  ijua; 
non  licet  homini  loqid .  II.  Cor.  XII.   l\. 

{.■■>■)  Et  ne  magnitudo  revelnliuniiin  cxtnllat  me,  datus  est  ini/ii  slwui- 
tiis  carnis  mece ,  Angelus  Satana',   r/iit  me  colajihizct .  Ibid.   7. 


200       SLIA  A  MOUALE  CATTOLICA 

Se  la  modestia  è  l'umiltà  ridotta  in  pratica,  non 
si  può  combinare  coli' orgoglio ,  che  è  il  contrario  di 
questa,  ne  vi  sarà  alcun  giusto  orgoglio.  L\iomo  clic 
sente  compiacenza  in  se  stesso,  l'uomo  che  non  rico- 
nosce in  sé  rpiella  legge  delle  membra  che  contrasta 
alla  leoge  della  niente^  l'uomo  che  osa  promettere  a 
se  stesso  che  per  sua  forza  egli  sceglierà  il  bene  nelle 
occasioni  difficili,  è  miserabilmente  ingannato,  ed  in- 
giusto, Tuomo  che  si  antepone  agli  altri,  è  temera- 
rio 5  è  parte  ,  e  si  fa  giudice .  Che  se  per  un  giusto 
orgoglio  s'intende  riconoscere  la  verità  del  bene  che 
si  è  fatto,  senza  attribuirlo  a  se,  e  senza  elevarsene, 
sarà  questo  un  sentimento  legittimo,  anzi  un  senti- 
mento doveroso^  ma  l'umiltà  non  lo  esclude,  ma  è 
Inutilità  stessa,  ma  la  condotta  contraria  è  proscritta 
dalla  morale  cattolica  come  menzognera  e  superba  ^ 
poiché  chi  crede  che  giudicando  se  stesso  secondo  la 
realtà,  avrebbe  di  che  gloriarsi,  e  che  gli  bisogni 
contraffarsi  per  potere  essere  umile,  quegli  è  un  po- 
vero superbo^  ma  finalmente  bisogna  permetterci  di 
chiamare  questo  sentimento  altrimenti  che  orgoglio^ 
non  per  cavillare  su  una  parola,  ma  perchè  cpiesta  è 
consacrata  a  significare  un  sentimento  falso  e  vizioso 
in  tutti  i  suoi  gradi.  E  poiché  la  condotta  esterna  può 
essere  in  molti  casi  la  medesima  in  chi  ha  il  sentimen- 
to dell'umiltà,  e  in  chi  non  lo  ha,  importa  di  con- 
servare il  suo  senso  alla  parola  che  è  appunto  desti- 
nata a  specificare  il  sentimento.  L'orgoglio  adunque 
non  può  mai  esser  giusto:  quindi  non  può  mai  essere 
ne  un  sostegno  alla  debolezza  umana,  ne  una  conso- 
lazione nelf  avversità . 

Questi  son  frutti  dell'umiltà^  è  dessa  che  ci  sostie- 
ne contro  la  debolezza ,   facendocela  conoscere  e  ri- 


\ 


CAPITOLO  XVII.  201 

cordare  ad  ogni  momento ,  è  dessa  che  ci  porta  a  ve- 
gliare e  a  predare  Colui  che  comanda  la  virtù  e  die 
la  dà  ^  è  dessa^  che  ci  fa  levare  lo  sguardo  ai  monti 
donde  ci  viene  V ajuto  (i).  E  nelle  avversità  le  con- 
solazioni sono  per  \  animo  umile  che  si  riconosce  de- 
gno di  soffrire,  e  prova  il  senso  di  gioja  che  nasce 
dal  consentire  alla  giustizia.  Riandando  i  suoi  falli, 
le  avversità  gli  appajono  come  la  retribuzione  di  un 
Dio  che  perdonerà,  e  non  come  colpi  di  una  cieca 
potenza:  egli  cresce  in  dignità,  e  in  purezza,  perchè 
ad  ogni  dolore  sofferto  con  rassegnazione  egli  sente 
cancellarsi  alcuna  delle  macchie  che  lo  rendevano  men 
bello  :  che  più  ?  egli  giunge  ad  amare  le  avversità 
stesse,  perchè  lo  rendono  conforme  alV immagine  del 
Figliuolo  di  Dio  (2) ,  e  invece  di  perdersi  in  vane  e 
deboli  querele,  egli  rende  grazie,  in  circostanze  nelle 
quali,  abbandonato  a  se  stesso,  non  troverebbe  che 
il  gemito  deir abbattimento ,  o  il  grido  della  rivolta. 
Ma  r  orgoglio  !  Quando  Iddio  a<i>rà  umiliato  il  super-' 
ho  come  un  ferito  (3)  ^  1'  orgoglio  sarà  per  lui  un 
balsamo?  A  che  può  esso  servire  nelle  avversità,  se 
non  a  farle  odiare  come  ingiuste,  a  suscitare  in  noi 
perpetuamente  un  irrequieto  e  doloroso  paragone  tra 
quello  che  ci  sembra  di  meritare,  e  quello  che  ci  toc- 
ca di  soffrire?  Il  punto  di  riposo  per  l'uomo  in  que- 
sta vita  è  nella  concordia  della  sua  volontà  colla  vo- 
lontà di  Dio  sopra  di  lui^  e  chi  ne  è  più  lontano  che 
r orgoglioso  quando  è  percosso?  L'orgoglio  è  garrulo 
nella  sventura,  quando  trovi  ascoltatori}  si  esaurisce 


(1)  Levavi  oculos  meos  in  montes ,  unde  vcnict  aiixìliitni  mila  .  Ps- CXX: 

(2)  Cotiformcs  peri  imagiru's  Filit  sui.  Wom.  VUI.    u). 

(3)  Tu  /luminasti ,  siati  vulnevatum ,  supcrbum .  Psal.  LXXXVIU.  II. 


202       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

a  provare  che  le  cose  non  dovrebbero  essere  come  Dio 
le  ha  volute:  il  suo  silenzio  è  per  lo  più  forzato,  è 
amaro,  è  nutrito  di  disprezzo,  e  teme  fino  il  senti- 
mento della  commiserazione.  Quelle  vantate  consola- 
zioni dell'uomo  che  nelP avversità  assicura  di  trovare 
un  compenso  in  se,  quando  questo  compenso  non  sia 
rassegnazione  e  speranza,  non  sono  altro  per  lo  più 
che  un  artificio  dell' orgoglio  stesso,  che  rifug2;e  dal 
lasciar  vedere  uno  stato  d' abbattimento ,  che  potreb- 
be essere  un  grato  spettacolo  all'orgoglio  altrui.  Dio 
sa  quali  sieno  queste  consolazioni:  e  basta  leggere  le 
Confessioni  dell' infelice  Rousseau  per  averne  una  i- 
dea,  per  vedere  quale  sia  lo  stato  di  un  cuore  che, 
ammalato  d  orgoglio ;,  chiama  l'orgoglio  in  suo  soc- 
corso. Egli  ritorna  col  pensiero  sulle  umiliazioni  sof- 
ferte nella  società,  ne  rammemora  le  più  picciole  cir- 
costanze ^  colui  che  aveva  tanto  meditato  e  scritto 
sulla  corruttela  dell'uomo  sociale,  non  aveva  un  ani- 
mo preparato  alla  ingiustizia:  quando  ne  è  colpito, 
non  può  darsene  più  pace.  Si  misura  con  quelli  che 

10  offesero,  che  lo  trascurarono,  si  trova  tanto  dap- 
più di  essi,  e  si  rode  pensando  che  questi  appunto 
l'abbiano  offeso  o  trascurato.  Le  parole,  gli  sguardi, 
il  silenzio,  tutto  egli  ripensa  nell'amaritudine  dell'a- 
nima sua  5  i  patimenti  del  suo  orgoglio  si  possono  e- 
stimare  dall'  avversione  eh'  egli  sente  per  coloro  che 
1'  harmo   ferito  :   come  li  giudica ,   come   li  dipinge  ! 

11  castigo  è  più  crudele  dell' oifesa^  egli  è  certo  di  a- 
vere  ispirato  a  miglia] a  di  lettori  i  sentimenti  d'odio 
e  di  disprezzo  che  lo  tormentano,  e  quando  sembra 
ch'egli  sia  vendicato,  ec;li  esclama:  cela  me  passait ^ 
et  me  passe  encore  (i).  Eppure  se  vi  fu  mai,  se- 
co ConfesSLons ,  II,  2  me  Partie  Liy.  IX. 


CAPITOLO  XVII.  2oS 

condo  il  mondo,  un  giusto  orgoglio,   sé  una  mente 
vasta,  profonda,  e  ciò  che  è  più  difficile,  spesso  nv 
dependente  dalle  opinioni  predominanti,  se  il  posse- 
dere una  parola  inebriante,   una  parola  che  porta  il 
turbamento  dell'  entusiasmo   anche   negli  spiriti  per 
cui  nulla  è  serio  fuorché  il  divertimento ,  una  parola 
che  va  a  cercare  i  sentimenti  i  più  universali  ed  in- 
timi anche  nei  cuori  dov'  erano  più  soffocati   dalle 
passioni  del  lusso  e  della  vanità,  una  parola  che  ha 
potuto  per  cpialche  momento  rompere  delle  abitudini 
inveterate  di  indifferenza,  una  parola  più  forte   del 
ridicolo ,  (ma  parola  che  strascina  e  che  comanda ,  che 
persuade  il  vero  dimenticato  o  contraddetto  dalla  sa- 
pienza del  bell'ingegno,  e  il  falso  contro  cui  si  rivol- 
ta la  ragione;  se  una  fama  così  rapida  come  univer- 
sale ,  una  fama  che  togliendo  alla  folla  degli  scrittori 
fino  l'idea  della  rivalità,  soffoca  in  essi  l'invidia,  e 
la  fa  nascere  in  quei  provetti  che  credevano  non  aver 
più  altro  da  fare  che  incoraggiare  il  merito  nascente 
e  applaudire  a  dei  successi  che  non  potevano  più  o- 
scurare  i  loro*,  se  il  disprezzo  degli  onori  e  della  for- 
tuna sono  titoli  di  un  giusto  orgoglio,  quale  è  l'uo- 
mo che  più  ne  avesse  di  questo?  E  fra  tanti  motivi, 
non  dirò  di  consolazione,  ma  di  trionfo,  quali  sono 
poi  finalmente  i  suoi  dolori?  E  un  amico  del  mondo 
che  vuol  fargli  1'  uomo  addosso ,   e  prescrivergli  ciò 
eh'  egli  debba  fare ,  è  un  altro  che  protetto  da  lui  un 
tempo,  vuol  parere  il  suo  protettore ^  che  gli  toglie 
il  posto  alla  tavola  di  un'altra  amica  dello  stesso  ge- 
nere .  Ah  !  certo  non  bisogna  usar  parsimonia  nel  di- 
spensare la  compassione ,  ne  pesare  colla  nostra  bilan- 
cia i  dolori  che  hanno  aggravati  i  cuori  degli  altri: 
l'uomo  che  soffre,  sa  egli  (juello  che  soffre*^  e  se  e  la 


2o4       SILT.A  M(U\ALE  CATTOLICA 

debolezza  dell  animo  suo  che  ingrandisce  il  male, 
questa  debolezza  che  è  comune  a  tutti,  è  quella  ap- 
punto che  merita  una  più  grande  pietà  :  ma  quando  si 
pensa  alla  moltitudine  delle  ingiustizie  sofferte  dal 
grandi  del  cristianesimo,  quando  si  pensa  alle  perse- 
cuzioni,  alle  calunnie,  ai  dispregi  di  che  furono  ab- 
beverati i  santi,  e  alla  gioja  con  che  li  sopportarono, 
e  alla  pazienza  con  cui  aspettarono  la  manifestazio- 
ne della  verità  senza  pretenderla  in  questa  vita,  alla 
delizia  che  provavano  a  sfoo;arsi  soli  con  Dio^  e  che 
i  loro  sfoghi  erano  azioni  di  grazie^  e  tutto  ciò  perchè 
erano  umili  ^  allora  si  sente  profondamente  che  la 
grande^  la  vera  sventura  di  quelluomo  era  il  suo  or- 
goglio. 

Se  nella  ingiustizia  di  alcuni  uomini  egli  avesse  sen- 
tita la  giustizia  di  Dio,  quella  avrebbe  perduta  la  sua 
amarezza,  me  egli  pretende  dagli  uomini  una  perfet- 
ta equità,  egli  vuol  riformare  al  tribunale  della  sua 
mente  ogni  giudizio  altrui  sopra  di  sè^*  e  finalmente, 
questa  idea  d'ingiustizia  nutrita  sempre  col  cond)at- 
terla,  diventa  predominante,  diventa  unica,  si  ap- 
plica a  tutti  gli  uomini ,  è  un  verme  che  più  non  muo- 
re. Tutti  gli  sembrano  occupati  di  lui,  tutti  sono 
suoi  nemici,  lo  scopo  del  genere  umano  è  di  vederlo 
disonorato  e  infelice.  Fenomeno  compassionevole  di 
natura  umana  !  in  cui  la  idea  principale  dell'orgoglio, 
quella  di  essere  Y  oggetto  delf  attenzione  altrui ,  di- 
venta la  sorgente  della  miseria .  Egli  ha  votato  il  ca- 
lice della  gloria  ^  ma  la  sua  ebrezza  è  trista  e  penosa . 
Gli  sguardi  dello  sconosciuto  che  incontra  per  via ,  la 
curiosità  dell'ammiratore,  la  parola  detta  sottovoce 
in  sua  presenza,  tutto  è  congiura,  tutto  è  premedita- 
zione. L' infelice  j  scrivendo  la  storia  delle  sue  ango- 


\ 


CAPITOLO  XVII.  2o5 

sce  sembra  talvolta,  con  una  frase  di  disprezzo  dei 
vani  giudizi  altrui  e  di  (ìducia  nella  sua  coscienza,  ri- 
tornare tranquillo^  ma  la  frase  seguente  mostra  che 
il  suo  dolore  persiste  in  tutta  la  sua  forza .  Egli  scri- 
ve per  gettare  da  sé  questo  peso  d'odio^  egli  sì  ap- 
pella a  quegli  uomini  che  pur  crede  tutti  iniqui  :  ma 
a  che  mano  confiderà  il  suo  scritto,  che  non  sia  ne- 
mica? Si  ricorda  di  Dio,  e  risolve  di  deporre  la  sua 
giustificazione  nel  santuario,  ma  un  cancello  ch^egli 
trova  inaspettatamente  chiuso,  gli  pare  un  segno  di 
ripulsa  dalla  parte  di  Dio  stesso  (i)  !  Uomo  infelicis- 
simo !  Se  egli  si  fosse  avvicinato  all'altare,  come  a- 
veva  disegnato,  se  gli  si  fosse  avvicinato  col  cuore, 
se  egli  si  fosse  ricordato  che  ivi  si  adora  Colui  che 
non  apri  bocca  ^  Colui  che  ammitti  come  V  agnello 
dinanzi  a  chi  lo  tosa  (2) .  Colui ,  che  dice  :  venite  a 
me  voi  che  siete  travagliati i  ed  io  vi  solleverò  (3) , 
Colui  di  cui  egli  aveva  confessata  così  magnificamen- 
te la  divinità ,  ah  !  vi  sarebbe  stata  consolazione  an- 
che per  lui*,  essa  sarebbe  stata  secondo  la  moltitudi- 
ne de'  suoi  dolori  (4) . 

Ah  !  se  nella  vita  che  ci  resta  a  percorrere  ci  sono 
preparati  dei  passi  difficili  e  dolorosi,  se  per  noi  si 
avvicina  il  mouiento  della  prova,  preghiamo  che  esso 
ci  trovi  nell'umiltà,  che  il  nostro  capo  sia  pronto  ad 
inclinarsi  sotto  la  mano  di  Dio,  quand'ella  sia  per 
passarvi  sopra. 

(0  V.  Histoire  du  précédent  écri't ,  annessa  ai  Dialogln  intitolati:  Rous- 
seau Juga  de  Jean  Jac/ues  . 

(2)  Qtiitsi  agnus  corani  loiidcnte  se  uhmutescet ,  et  non  aperiet  os  suum . 
Isai.  LUI.   7. 

(3)  Vanite   ad   me  omnes   qui   laboratìs,  et  onerati  estis  ;  et  ego  refi- 
cium  vos.   Mattli.   XI.    i%. 

(4)  Secundiini  multitudinem  dolorwii  meoruni  in  corde  meo,  consolutio- 
net  lniv  la'lificaverunt  aniniam  mcani .  Psal.  XCIII.    19. 


2o6       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

Da  quello  che  si  è  detto  delF  umiltà ,  consegue  ne^ 
cessariamente  5  che  se  vi  è  sentimento  che  distru^2;a 
il  disprezzo  insultante  per  gli  altri,  è  l'umiltà  certa- 
mente .  Il  disprezzo  nasce  dal  confronto  con  gli  altri , 
e  della  preferenza  data  a  se  stesso  :  ora ,  come  questo 
sentimento  potrà  mai  prender  radice  nel  cuore  educa- 
to a  considerare  e  a  deplorare  le  proprie  miserie,  a 
riconoscere  da  Dio  ogni  suo  merito ,  a  riconoscere  che 
se  Dio  non  lo  rattiene,  egli  potrà  trascorrere  ad  ogni 
male? 


CAPITOIO  ^mih 

SUL  SECRETO  DELLA  MORALE  —  SUI  FEDELI  SCRUPOLOSI 
E  SUI  DIRETTORI  DI  COSCIENZE  . 


Za  morale  est  devenue  non-seulement  leur  scìence ,  mais 
leiir  secret  (des  docteiirs  dogmatiques).  Le  dépót  en  est 
tout  entier  entre  les  mains  des  confesseurs  et  des  dire- 
cteurs  des  consciences ,  Pag.  l\i\. 


b)e  i  confessori  in  Italia  hanno  fatto  della  morale  un 
se2;reto,  hanno  dunque  dimenticato  che  fu  loro  im- 
posto di  predicare  su  tetti  (i);  e  la  religione  cristia- 
na, di  cui  è  un  carattere  singolare  il  non  aver  dot- 
trina che  non  sia  palese,  il  non  avere  un  mistero  che 
non  lo  sia  egualmente  per  tatti,  sarehbe  divenuta, 
in  mano  loro,  simile  alle  sette  del  gentilesimo,  in 
cui  non  si  rivelava  agli  iniziati  che  una  parte  della 
scienza,  e  restava  una  parte  arcana,  nota  solo  ai  sa- 
cerdoti, afiinchè  l'immaginazione  dei  creduli  suppo- 
nesse il  vero  della  dottrina ,  e  il  complemento  delle 
sue  prove,  in  quello  appunto  che  le  si  teneva  na- 
scosto . 

Ma  quali  sono  fra  di  noi  i  libri  riservati  ai  soli  dot- 
tori dogmatici?  come  si  trasmettono  essi  questo  se- 
greto? non  ha  detto,  poco  sopra,  l'illustre  Autore  che 
la  inorale  proprenient  dite  n'  a  pas  cesse  d' ciré  Voh' 

(i)  Ouoà  in  aure  auditis ,  prcediea(c  super  leda.  Mallli.  X.  2;: 


2o8      SULLA  MORALE  CATTOLICA 

jet  des  prèdications  de  V  Eglise?  di  che  parlano  ì 
paroclii  dall'altare,  di  che  parlano  tutti  i  trattati  di 
morale,  che  ognuno  può  consultare?  quale  è  l'ogget- 
to delle  istruzioni  catechistiche? 

Le  fi  deh  scriipuleux  doìt^  en  Itcdie^  abdìc/uer  la 
plus  belle  des  facultès  de  Vliomme^  celle  d' ètudier 
et  de  connaitre  ses  devoirs .  Ivi . 

Ma  il  clero  declama  in  Italia  contro  la  negligenza 
iieir  istruirsi  in  quella  legge  sulla  quale  saremo  giu- 
dicati, ma  inculca  ai  parenti  l'obbligo  d'ammaestra- 
re i  loro  figli  in  tutti  i  loro  doveri,  di  amarli  di  buon 
ora  colla  spada  dello  spìrito  che  è  la  parola  di 
Dio  (i)^  perchè  non  si  trovino  sprovveduti  all'  ora 
del  combattimento  5  ma  tutto  1*  insegnamento  catto- 
lico tende  a  diffondere  la  massima,  che  studiare  a 
conoscere  i  propri  doveri  è  non  solo  la  più  bella  fa- 
coltà dell'  iiomoj  ma  la  sua  prima  e  più  stretta  ob- 
bligazione . 

Oli  lui  recommande  de  s' interdire  une  pensée  qui 
pourrait  V  ègarer^  un  orgueil  humain  qui  pourrait 
le  sèduire ,  Ivi . 

Chi  vorrà  discolpare  su  questo  punto  il  clero  ita- 
liano ?  Se  così  è ,  non  resta  a  desiderare  altro  se  non 
che  sia  sempre  così ,  e  che  queste  raccomandazioni 
sieno  universali,  costanti,  figlie  della  scienza  e  della 
carità,  che  il  clero  non  abbia  mai  altro  linguaggio, 
poiché  è  quello  del  Vangelo . 

Del  resto ,  al  fedele  scrupoloso  (  intendendo  que- 
sto termine  nel  suo  stretto  senso)  si  raccomanda  in 
Italia,  come  altrove,  d'interdirsi  le  eccessive  e  lun- 


(i)  In  omnibus  sumentes  .   .  1  .  .  .  gladium  spivitus  (quod  est  verhiim 
Dei).  Paul.   Ephcs  \.    i5.    17. 


capìtolo  X\  hi.  -or, 

^ìie  considerazioni  ^n  o«j;ni  azione  e  sn  ()p;ni  pensiero, 
e  di  fermarsi  suUe  idee  ilari  e  contbrlevoli  di  fidneia 
in  Dio,  e  della  sna  misericordia. 

A  proposito  degli  scrnpoli,  ci  sia  lecito  di  fare  due 
osservazioni,  le  cpiali  se  non  si  legano  al  punto  parti- 
colare di  cui  qui  è  quistione,  non  sono  però  aliene 
dall'argomento  generale. 

È  una  riflessione  volgare  fra  i  moralisti  cattolici , 
che  gli  scrupoli  vengono  da  superbia  di  spirito .  Que- 
sta riflessione  acuta,  quanto  vera,  è  una  prova  fra 
molte,  della  fmezza  e  della  profondità,  clie  la  morale 
religiosa  ha  portata  nello  studio  dell'animo  umano,  e 
nella  scoperta  dei  giri  intricati  delle  passioni . 

L^altrji  osservazione  si  è,  che  questa  malattia  mo- 
rale attesta  nello  stesso  tempo  la  miseria  dell'uomo, 
e  la  bellezza  della  relisiione . 

Lo  scrupoloso  vi  mette  del  proprio  \  incertezza ,  la 
trepidazione,  la  perturbazione,  la  diilldenza,  disposi- 
zioni pur  troppo  connaturali  all'uomo,  e  che  in  alcu- 
ni sono  predominanti  di  modo  che  costituiscono  il  lo- 
ro carattere.  Ma  è  una  cosa  assai  singolare,  che  quel* 
l'angustia  che  l'avaro  ripone  nella  conservazione  del 
suo  avere,  rambizif)so  nel  mantenimento  e  nell'  au- 
mento della  sua  potenza,  quella  penosa  e  minuta  sol- 
lecitudine che  tanti  hanno  per  gli  oggetti  delle  loro 
passioni,  si  eserciti  da  alcuni  cristiani  intorno  a  che? 
all'  adenqìimcnto  dei  loro  doveri  .  La  tendenza  alia 
perfezione  è  tanto  propria  della  religione,  che  si  ma- 
nifesta pedino  nei  traviamenti  e  nelle  miserie  tlell  uo- 
mo che  la  j)iofessa.  In  animo  divorato  dalla  iuqtiie-i 
hurmc  di  non  esser  giusto  abbastanza,  lino  a  perder- 
ne la  trancpiillità,  potrebl)e  parere  (piasi  un  fe)u)uien(j 
(li  virtù,   se  la  religione  stessa j  tanto  superiore  alk' 


2 1  o       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

viste  dcil'iiomo,  non  ci  mostrasse  in  queH' animo  di- 
sposizioni contrarie  alla  fiducia,  alla  umiltà,  ed  alla 
libertà  cristiana,  se  non  ci  desse  l'idea  di  una  virtìi 
da  cui  è  escluso  ogni  movimento  disordinato,  e  che  a 
misura  che  si  perfeziona ,  si  trova  più  vicina  alla  cal- 
ma ed  alla  somma  ragione. 

Et  toutes  les  fois  fju  il  rencontre  un  cloute  ^  toutes 
les  fois  que  sa  situation  devient  difficile  ^  il  doit  re- 
coiirir  à  son  guide  spirituel .  Ainsi  t  ìtpreuve  de  Vad- 
versile^  qui  est  f aite  pour  èlever  Vliomme^  V asserì it 
toujours  davantage ,  Ivi. 

Non  vi  è  forse  scoperta  che  tanto  ripugni  all'orgo- 
glio deiruomo,  quanto  quella  di  trovarsi  nella  dipen- 
denza intellettuale*^  di  trovare  di  essere  sta4;o,  senza 
saperlo,  stromento  di  una  astuta  dominazione,  di  a- 
vere  fatto  per  impulso  altrui  ciò  ch'egli  credeva  scel- 
to volontariamente  e  ponderatamente  dal  suo  giudi- 
zio. A  questa  idea  tutte  le  passioni  si  sollevano,  co- 
me irritate  di  una  usurpazione  sui  loro  diritti,  e  con 
tanto  più  di  veemenza  in  quanto  che  esse  trovano  un 
appoggio'  nella  ragione .  Poiché  è  certo  che  Dio  vuole 
che  la  mente  si  perfezioni  nella  considerazione  dei 
suoi  doveri  e  nella  libera  scelta  del  bene,  e  l'uomo 
che  si  lascia  rapire  arbitrariamente  il  governo  della 
sua  volontà,  rinunzia  alla  vigilanza  delle  sue  azioni, 
delle  quali  non  renderà  meno  conto  j)er  ciò .  Il  solo 
sospetto  di  questa  debolezza  porta  quindi  l'uomo  tal- 
volta ai  pensieri  più  inconsiderati^  egli  è  pronto  a 
gridare:  rompiamo  i  loro  lacci ^  e  gettiamo  lungi  da 
noi  il  loro  giogo  (i). 


(i)  Dìnimpamus  v'incula  eoru/n ,  el  projiciarnus  a  nohin  jui^utn  ipsuiitiìx. 

1  3.    Il,    3. 


CAPITOLO  XVIII.  2 1 1 

È  quindi  della  massima  importanza  separare  la  vo- 
ce dell' orgO£;lio  da  quella  della  ragione,  perchè,  uni- 
te, non  ci  facciano  forza*,  e  considerare  tranquilla- 
mente quale  debba  essere  in  ciò  la  condotta  ragione- 
vole e  dignitosa  di  un  cristiano . 

Si  possono  considerare  nel  sacerdozio  due  sorta  di 
autorità:  quella  che  viene  da  Dio,  e  forma  l'essenza 
della  missione ,  T  autorità  d' insegnare ,  di  sciogliere  e 
di  legare^  e  un^  altra  autorità,  che  può  essere  data 
volontariamente  dagli  uomini,  in  riguardo  della  pri- 
ma, a  questo  o  a  quel  sacerdote:  essa  nasce  da  vene- 
razione e  da  fiducia  dei  fedeli,  che  gP inclina  ad  ob- 
bedirgli anche  dov^  egli  non  esercita  direttamente  il 
suo  ministero.  Quanto  alla  prima,  essa  è  essenziale 
al  cristianesimo:  il  sottomettervisi  non  è  servitù,  ma 
ragione  e  dignità.  Non  vi  è  atto  di  questa,  che  non 
sia  un  atto  di  servigio,  in  cui  il  sacerdote  non  com- 
parisca come  ministro  d' una  autorità  divina ,  alla 
(piale  si  piega  egli  come  i  fedeli^  non  ve  n'è  alcuno 
che  offenda  la  nobiltà  del  cristiano. 

Sì,  noi  e' inginocchiamo  dinanzi  al  sacerdote,  e;!! 
raccontiamo  le  nostre  colpe,  ascoltiamo  le  sue  corre- 
zioni, e  i  suoi  consigli,  riceviamo  le  sue  punizioni. 
Ma  quando  un  sacerdote,  fremendo  in  ispiri to  della 
sua  indegnità  e  dell'altezza  delle  sue  funzioni,  ha  ste- 
se sul  nostro  capo  le  sue  mani  consacrate^  quando, 
umiliato  di  trovarsi  il  dispensatore  del  sangite  dell'al- 
leanza, stupito  ad  ogni  volta  di  proferire  le  parole 
che  danno  la  vita,  peccatore  egli  ha  assolto  un  pec- 
catore, noi,  alzandoci  dai  suoi  piedi,  sentiamo  di  non 
avere  commessa  una  viltà.  Vi  eravamo  forse  prostesi 
a  mendicare  speranze  terrene?  Gli  abbiamo  forse  [)ar- 
lato  di  lui?  Abbiamo  forse  subita   una  positura  uuù* 


2 1 2       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

liante  per  rilevarcene  più  superbi,  per  ottenere  di 
primcg2;lare  sui  nostri  fratelli?  Non  si  è  trattato  fra 
di  noi  che  di  una  miseria  comune  a  tutti,  e  di  una 
misericordia  di  cui  abbiamo  tutti  bisogno .  Noi  siamo 
stati  a' piedi  d'un  uomo  che  rappresentava  Gesù  Cri- 
sto, per  deporre,  se  fosse  possibile ^  tutto  ciò  che  in- 
clina Inanimo  alla  bassezza,  il  giogo  delle  passioni, 
l'amore  delle  cose  passege;iere  del  mondo,  il  timore 
de' suoi  giudizi*,  noi  vi  siamo  stati  per  acquistare  la 
quabtà  di  liberi,  e  di  figliuoli  di  Dio. 

Quanto  all'autorità  del  secondo  genere,  essa  è  fon- 
data su  un  principio  il  più  ragionevole,  ma  può  ave- 
re ed  ha  pur  troppo  i  suoi  abusi.  Per  non  giudicare 
precipitosamente  in  ciò,  un  cristiano  deve,  a  mio 
credere,  non  perder  mai  dì  vista  dne  cose  :  l'una, 
che  1  uomo  può  al>osare  delle  cose  più  sante,  l'altra, 
che  il  mondo  suol  dare  il  nome  di  abuso  anche  alle 
cose  più  sante.  Quando  siamo  tacciati  di  superstizio- 
ne, di  fanatismo,  di  dominazione ^  di  servilità,  per- 
suadiamoci tosto  che  la  taccia  può  pur  troppo  essere 
fondata ,  ma  esaminiamo  poi  se  lo  sia ,  giacché  queste 
parole  sono  spesso  impiegate  a  qualiiicare  le  azioni  e 
i  sentimenti  che  prescrive  il  Vangelo. 

Ricorrere,  nelle  situazioni  difficili,  alla  sua  guida 
spirituale  per  consiglio,  non  è  farsi  schiavo  dell  uo- 
mo i^  è  fare  un  nobile  esercizio  della  propria  libertà. 

Quegli  che  deve  esser  giudice  in  causa  propria,  e 
che  desidera  di  operare  secondo  la  legL';e  divina,  non 
può  a  meno  di  non  accorgersi  che  l'interesse  e  la  pre-< 
venzione  inceppano  la  libertà  del  suo  giudizio^  ed  è 
savio  se  ricorre  ad  un  consigliere  che  per  istituto  e 
per  ministero  deve  aver  meditata  la  legge  (fivina,  ed 
tessere  più  atto  ad  applicarla  imparzialmeutc:^  ad  nu 


1 


CAPITOLO  XVm.  2i5 

{lomo  clic  dev'  essere  nutrito  di  preghiera ,  e  che , 
avvezzo  alla  contemplazione  delle  cose  del  cielo,  ed 
al  sacrificio  di  se  stesso,  deve  sapere  più  d'ogni  altro 
stimare  le  cose  col  peso  del  santuario . 

Ma  del  consiglio  che  gli  vien  dato,  egli  è  sempre 
giudice^  la  decisione  dipende  dal  suo  convincimento: 
tanto  è  vero  che  gli  sarà  chiesto  ragione  non  solo  di 
questa ,  ma  anco  della  scelta  del  consigliero .  JNè  si  è 
mai  lasciato  di  predicare  nella  Chiesa ,  che  se  un  cie- 
co conduce  un  cicco  ,   cadono  entrambi  nella  fos- 

sa  {\). 

Pur  troppo,  cpielle  due  miserabili  e  opposte  ten- 
denze di  servilità  e  di  dominazione  hanno  entrambe 
radice  nel  nostro  cuore,  indebolito  dalla  colpa.  Pigri 
ed  irresoluti,  noi  amiamo  di  rigettare  sugli  altri  il 
peso  della  anima  nostra,  noi  siamo  contenti  di  tutto 
ciò  che  ci  risparmia  una  deliberazione  :  e  dalF  altra 
parte,  quando  un  uomo  conlidi  in  noi,  rincorati  dal 
suffragio,  fieri  di  estendere  il  dominio  della  nostra 
picciola  volontà,  noi  siamo  tosto  tentati  di  servire  a 
questa  più  che  alla  utilità  degli  altri,  siamo  tentati 
di  dimenticare  che  fuomo  è  nato  a  ben  più  alto  eser- 
cizio delle  sue  facoltà,  che  a  signoreggiare  le  altrui. 
Queste  debolezze  della  natura  umana,  possono  pur 
troppo  partorire  inconvenienti  nell'uso  del  consiglio^ 
e  ciò  dev'  essere  per  tutti  i  cristiani  un  soggetto  di 
confusione,  e  di  vigilanza.  Ma  abbandonare  le  guide 
che  Dio  ci  ha  date,  ma  gettare  in  un  canto  //  sale 
della  terra  (2),  ma  privarsi  di  un  ajuto  necessario 
perchè  vi  ponno  essere  dei  pericoli,   ma  non  vedere 

(t)  Sì  coecus  coeco  ducatum  pra-xlet ,    ambo   in  foi'eam  cadunt .  ìM;itlli. 
XV.   i\.  "^^ 

(i)   Voa  eslla  sai  terni?.  M.ilili.  v.   l'i. 


2 1 4       SULL  4  MOFi  ALE  CATTOLICA 

die  (loniinatori  e  che  intriganti,  fra  tanti  pastori  zc-* 
ìanli  e  (Usintcrcssati  clic  tremano  nel  dare  il  consi- 
glio, e  che  si  riputerebbero  stolti  se  volessero  usur- 
pare una  autorità  eccessiva  che  gli  esporrebbe  ad  un 
giudizio  spaventoso  5  lungi  da  noi  questi  pensieri  che 
ci  condurrebbero  a  rendere  in  parte  inutile  il  ministe- 
ro istituito  per  noi. 

Kt  celili  mcme  qui  a  ètè  uraiment  et  piirement 
V  erti  Lei  LX  ^  ne  saurait  se  rendre  compie  des  rcgles 
qiL  il  s' est  imposèes .  Ivi. 

I  precetti  del  Decalogo ,  le  massime  e  lo  spirito  del 
Vangelo ,  le  prescrizioni  della  Chiesa ,  ecco  le  regole 
che  il  Cattolico  virtuoso  si  propone,  e  delle  rpiali  può 
rendersi  conto  ad  ogni  momento. 


CAPITOIO  XIX, 

SULLE  OBBIEZIONI   ALLA  MORALE  CATTOLICA  ,  DEDOTTE 
DAL  CARATTERE  DEGLI   ITALIANI  . 


Aussi  serait-il  impossibile  de  dire  à  quel  degré  ime  faiisse 
ìnstructìon  religieuse  a  été funeste  à  la  morale  en  Italie . 
Il  nj  a  pas  en  Europe  un  peuple  qui  soit  plus  constam- 
ment  occupé  de  ses  prati ques  religieuses ,  qui  y  soit  plus 
unwersellement  i  fidèle.  R  n  y  en  a  pas  un  qui  ohseive 
moins  les  devoirs  et  les  vertus  que  prescrit  ce  christia- 
nisme  auquel  il  par  alt  si  attaché .  Chacun  y  a  appris  non 
point  a  obéir  à  sa  conscience ,  mais  a  ruser  avec  elle; 
chacun  met  ses  passions  à  leur  aise ,  par  le  bénéfice  des 
indulgences  y  par  des  réservations  mentale s  ^  par  le  pro- 
jet  d' une  pénitence ,  et  V  espérance  d' une  prochaine  ab- 
solution  :  et  loin  que  la  plus  girmde  ferveur  religieuse  y 
soit  une  garantie  de  la  probité,  plus  on  y  voit  un  hom- 
ine  scrupulcux  daus  ses  pratiques  de  dévotioji,  plus  on 
peut  a  bon  droit  concevoir  contre  lui  de  défiance.  Pag. 


idìcco  in  poche  paiole  una  condanna  ben  precisa,  e 
ben  severa.  Il  popolo  Italiano  è  il  meno  fedele  ai  do- 
veri e  alle  virtù  del  cristianesimo ,  è  quindi  il  peg^ior 
popolo  di  Europa.  E  in  esso,  i  peggiori  sono  quelli 
che  seguono  più  scrupolosamente  le  pratiche  di  divo- 
zione . 

Non  e  mia  intenzione  di  confutare  questo  giudizio, 
né  di  fare  qui  l'apologia  dell'Italia^  e  molto  meno 
una  a])ologia  comparativa:  metodo  nel  quale  è  dUli- 


2 1 (;        SILLA  Wì]\A f J^  CATTOLICA  | 

cll(^  racrogHcro  i  matcri:ili  che  abbisognano  per  con^        * 
valldarc  l'opinione  che  si  sostiene,  e  più  tliflicile  Tor- 
se l'avere  l'imparzialità  necessaria. 

Ma  (piesto  giudizio  così  generale,  ò  dato  cjui  conio 
lina  prova  della  falsi?  istruzione  religiosa  d'Italia:  o- 
ra,  ([Mesta  [)rova  non  è  confennata  con  ragionamenti 
e  con  fatti,  ma  è  proposta  come  avente  ([nasi  in  se 
la  sna  evidenza:  io  credo  che  in  una  materia  tanto 
grave  e  com[)licata  non  si  debba  riceverla  leggermen- 
te, e  mi  limiterò  ad  indicare  in  [)arte  ciò  che  io  stimo 
abbia  da  farsi  prima  di  ammetterla. 

Il  caltollio  italiano,  il  (piale  si  ode  annunziare  che 
la  sua  njtzione  e  la  meno  cristiana  e  la  meno  virtuo- 
sa, avvertirà  che  bisogna  ragionare  sui  biasimi  che  ci 
sono  dati,  come  sulle  lodi,  perchè  gli  uni  e  le  altre 
ci  vengono  da  nomini  fallibili,  e  soggetti  a  passioni^ 
avveitirà  che  credere  a  dirittura  tutto  il  male  che 
ci  si  dice  di  ciò  che  siamo  interessati  a  stimare,  ò 
tutt'altro  che  imparzialità-^  rifletterà  che  elianto  più 
un  giudizio  comparativo  sopra  argomenti  composti 
ed  estesi  è  semplice  e  [ireciso,  tanto  più  merita  di 
essere  esaminato  accuratamente,  perchè  ([uesta  sem- 
plicità e  precisione  si  trova  ben  facilmente  nel  giu- 
dizi degli  uomini,  ma  è  rarissima  nelle  cose  .  Egli 
paragonerà  ([uesto  giudizio  colle  nozioni  eh'  egli  ha 
della  sua  nazione  e  delle  altre,  e  procurerà  di  a- 
r([uistarne  le  più  numerose  e  le  jiiù  esatte  che  gli 
sia  possibile.  Che  se  da  (jueste  sue  ricerche  egli  po- 
trà ricavare  un  giudizio  fondato  (  cosa  ben  diiìicile 
in  tempi  in  cui  una  nazione  è  dl[)inta  in  un  liljro  co- 
me il  santuario  di  tutte  le  virtù,  e  in  un  altro  co- 
me la  fogna  di  tutti  i  vizi,  ed  ambidue  i  libri  sono 
ri|)utatissimi)  se  egli   avrà   saputo   vedere   da   se,  e 


CAPITOLO  XIX.  ^17 

posare  le  testimonianze,  escluderne  ciò  che  e  errore 
e  passione,  e  preservarsene  egli  stesso^  se  dopo  ciò 
il  giudizio  sarà  sfavorevole  alla  sua  nazione,  egli, 
quando  sia  veramente  cattolico,  non  sarà  contrista- 
to nel  conoscere  che  vi  sia  molta  virtù  negli  altri 
popoli,  ma  perchè  il  suo  ne  sia  privato.  Quindi  si 
metterà  ad  indagare  le  cause  di  questo  pervertimen- 
to^ e  cominci  pure  dalla  religione.  Il  risultato  del 
suo  esame  sarà  :  che  non  vi  ha  sentimento  e  azione 
virtuosa,  che  non  sia  promossa  dalla  morale  cattoli- 
ca, sentimento  o  azione  viziosa,  che  non  sia  da  essa 
proscritta;  e  che  i  difetti  che  vi  ponno  essere  nel- 
r insegnarla  e  nel  praticarla,  non  possono  essere  mi- 
norati, se  non  collo  studio  piò  esatto  di  essa,  e  col- 
la osservazione  più  sincera. 

Ma  chi  ricevesse  un  giudizio  di  questa  importan- 
za senza  premettere  i  dubhi  e  le  ricerche  che  abbia- 
mo dette,  chi  si  atYrettasse  di  attribuire  alla  religio- 
ne questa  supposta  primazìa  dell'Italia  nel  male,  sen- 
tireblje  forse  una  soddisfazione  nel  condannare  una 
religione  ch'egli  non  ama,  e  nell'idea  di  condannar- 
la,  non  come  contraria  alle  passioni,  ma  come  ca- 
gione di  pervertimento  :  ma  avrebbe  operato  con  una 
inescusabile  leggerezza^  ma  avrebbe  dato  troppo  alla 
autorità  di  un  uomo  in  cose  dove  ognuno  deve  ado- 
perare il  proprio  giudizio  \  ma  si  sarebbe  esposto  a 
dare  a  questa  condanna  un  senso  piìi  ampio  di  quel- 
lo che  è  nelle  intenzioni  dell'Autore.  Poiché,  cer- 
to, quando  egli  scrisse:  cliacun  y  a  appris  non  point 
a  obèìr  a  sa  conscience.^  mais  à  vuser  avec  elle  ^ 
cJiacun  met  seS'  passio/ts  à  lenr  aise  eie, ,  non  ha 
voluto  esattamente  parlare  d'ogni  Italiano. 

Non  vi  sarebbe?  fra  di  noi   un   solo   che   obbedisca 


2 1 8       SULLA  MORALE  CATTOLICA 

sinceramente  aHa  sua  coscienza  !  Nessuno  di  noi  po- 
trebbe sperare  di  avere  un  amico  virtuoso,  di  esser- 
lo egli  stesso  !  E  le  gioconde  emozioni  della  stima  e 
della  fiducia,  e  la  gioja  clie  è  dato  alluomo  di  pro- 
vare quando  stringendo  la  mano  dell'  uomo  sente  con 
sicurezza  elle  un  cuore  risponde  al  suo,  non  sarebbe 
riservata  a  nessuno  di  noi  ! 

Cbi  prendesse  alla  lettera  la  frase  che  ho  citata, 
sarebbe  tacciato  di  sofistico:  gli  si  direbbe  che  que- 
ste cose  vanno  intese  a  discrezione  f,  che  non  discer- 
nere ciò  che  v'  è  d' iperbolico  in  una  frase ,  mostra  o 
ben  poca  cognizione  del  modo  ricevuto  di  parlare, 
o  una  gran  voglia  di  far  questioni ,  che  l'Autore  ha 
parlato  degli  Italiani  in  altre  frasi  dello  stesso  capi- 
tolo in  maniera  da  escludere  T  interpretazione  lette- 
rale di  questa. 

Or  bene,  se  è  ragìoìiévole  di  togliere  da  questa 
sentenza  il  senso  esteso  e  generale  che  essa  sembra 
contenere,  si  tolga  anche  dalla  conseguenza  che  se 
ne  vuol  dedurre  contro  l' insegnamento  cattolico  :  e 
chi  sente  (  e  tutti  dovranno  sentirlo  )  che  questa  è 
almeno  una  iperbole,  badi  di  non  fondare  il  suo  giu- 
dizio, in  una  tale  materia,  sopra  una  iperbole. 

Dello  stesso  genere  è  senza  dubbio  T  altra  asser- 
zione, che  si  ha  tanto  più  ragione  di  diffidare  d'un 
TTomo,  quanto  più  lo  si  vede  scrupoloso  nelle  sue 
pratiche  di  devozione. 

Le  pratiche  esterne  non  sono  1'  opera  più  difficile 
della  religione,  e  si  possono  pur  troppo  esercitare 
senza  che  il  cuore  e  la  condotta  vi  corrispondano  : 
quindi  esse  sole  non  bastano  ad  attestare  la  probi- 
tà. Ma  per  qual  ragione  basteranno  ad  escluderla? 
Perchè  l' ipocrisia  imita  le   opere   della  virtù  ,  do- 


CAPITOLO  XIX.  219 

te  si  trovano  queste  opere,  vi  sarà  sempre  ipocrisia? 

In  questo  caso,  non  vi  sarà  più  una  condotta  pos- 
sibile per  un  cattolico  :  perchè ,  se  eg;li  trascura  ogni 
pratica  di  divozione,  si  potrà  ragionevolmente  accu^ 
sarlo  di  non  esser  fedele  alla  sua  legge:  se  ne  eser- 
cita ,  meriterà  che  nessuno  si  fidi  di  lui . 

Vi  ponno  essere  due  motivi  per  esercitarle  :  quel- 
lo di  illudere  se  o  gli  altri,  e  quello  di  fare  il  suo 
dovere,  di  partecipare  dei  frutti  della  fede,  di  santi- 
ficarsi .  Con  qual  fondamento  si  crederà ,  che  que- 
st' ultimo,  che  è  il  motivo  per  cui  sono  state  istitui- 
te, non  operi  mai  in  Italia? 

Io  non  tenterò  nemmeno  di  provare  che  esso  vi  o- 
pera,  che  vi  ha  fra  noi  uomini  governati  da  esso,  ai 
quali  non  si  potrebbe  negare  fiducia  senza  la  più  or- 
ribile incredulità  di  ogni  virtù  ^  uomini  che  escono 
dalla  chiesa,  dove  hanno  pregato,  più  umani,  più  di- 
sinteressati, più  fermi,  più  sinceri,  più  coraggiosi 
nel  combattere  se  stessi^  che  ritornano  dai  sacramen- 
ti, confermati,  e  per  così  dire,  ringioveniti  nella  vir- 
tù. Prima  di  credersi  autorizzati  a  rigettare  le  prati- 
che di  divozione,  a  condannare  il  fervore  religioso 
per  ciò  elisegli  non  sia  una  garanzia  della  probità, 
guardiamoci  intorno  ^  i  nostri  occhi  incontreranno  to- 
sto qualcuno  di  quegli  uomini  che  deporrebbero  un 
giorno  contro  di  noi,  e  che  sono  una  viva  testimo- 
nianza della  bellezza  della  morale  cattolica,  e  della 
possibilità  di  seguirla . 


FIJNE 


KHIDICIIE 


• 


IL  Autore Pag.  i 

Capitolo  I.  Sulla  unità  della  Fede     .     .     .     .     >3  i5 
Gap.  II.  Sulla  diversa  influenza  della  Relis^ione  Cat- 
tolica, secondo  i  luoghi  e  i  tempi  ....     >j  21 
Gap.  III.  Sulla  distinzione  di  filosofia  movale ,  e  dì 

teologia «  27 

Gap.  IV.  Sui  decreti  della  Chiesa;   sulle   decisioni 

dei  Padri;  e  sui  Casisti jj  5i 

Gap,  \'.  Sulla  coirispondenza  della  morale  cattoli- 
ca coi  sentimenti  naturali,  inetti      .     .     .     .     >i  54 
Gap.  \  I.  Sulla  distinzione  dei  peccati  mortali  e  ve- 

mali ij  3r> 

Gap.  \\\,  Degli  odj  religiosi  .          >3  6d 

Gap.  VIII.  Sulla  dottrina  della  penitenza     .     .     "  80 
Gap.  IX.  Sul  ritardo  della  conversione     .     .     .     •>i  \ol\ 
Gap.  X.  Delle  sussistenze  del  clero,  considerate  co- 
me causa  d' immoralità jj  1*27 

Gap.  XI.  Delle  indul gonze >j  1 07 

Gap.  XII.  Sulle  cose  che  decidono  della  salvezza  e 

della  dannazione  .          >3  1  '|5 

Gap.  XIII.  Sui  pi'ecctti  della  Chiesa    .     .     .     .     "  '  4« 

Gap.  XI\  .  Della  maldicenza >i  iCJu 

Gap,  XV.  Sui  motivi  della  elemosina   .     .     .     .     ^^  172 
Gap.  XVI.  Sulla  sobrietà,  e  sulle  astinenze.  Sulla 

continenza ,  e  sulla  virginità »  lo/j 

Gap,  Wll.  Sulla  modestia,  e  sulla  umiltà.     .    '^  Jy^ 


222  I  iN  D  I  C  E 

Cap.  XA'III.  Sul  secreto  della  mornle,  sui  fedeli 
scrupolosi  e  sui  direttori  di  coscienze.     .  w  207 

Cap.  XIX.  Sulle  obbiezioni  alla  morale  cattolica , 
dedotte  dal  carattere  degli  Italiani    .     .     .     »  2i5 


•      » 


n 


-.^<&sap~'-f:^-..r-  -2 


-■X 


BJ 

1249 

M188 

1835 

Ci 

ROBA 


k  »v« 


>M^J%^         ^V'' 


.'> 


■  ■  L**-   tv,-      •*■ 


'^«'^ 


*■«< 
-^' 


^/^:w 


s'V^ 


F^ 


'MSj^