Skip to main content

Full text of "Trattato di frutticoltura"

See other formats


m]t  ^.  ^.  mi  pbrara 


ÌCortli  Carolina  State  College 

55357  ^ 


''°umSl^I!^ì^  UNIVERSITY  LIBRARIES 


SOI  948864  / 


SB357 


64604 


TamarcL 


Ti^pttatn    di 


tti  noi  tn-ra. 


64604 


This  BOOK  may  be  kept  out  TWO  WEEKS 
ONLY,  and  is  subject  to  a  fine  of  FIVE 
CENTS  a  day  thereafter.  It  is  due  on  the 
day  indicated  below: 


Prof.  Dott.  D.  TAMARO 

Direttore  della  Regia  Scuola  di  Agricoltura  con  Sezione  coloniale 
in   Sanf  Ilario   Ligure 


TRATTATO 


FRUTTICOLTURA 


QUARTA    EDIZIONE   COMPLETAMENTE   RIFATTA 
con  ITi  illustrazioni  e  LXXIV  tabelle 


ULRICO  IlOEPLI 

EDITORE     LIBRAIO     DELLA    REAL    CASA 

MILANO 
1915 


PROPRIETÀ    LETTERARIA 


TIPOGRAFIA  SOCIALE  -  Milano,  Via  G.  Mameli,  15 


INDICE    DELLA    MATERIA 


Pag. 
Introduzione 1 


FRUTTICOLTURA     GENERALE 

Parte  Prima:  Economia  della  frutticoltura. 

I Importanza   agraria   ed   economica   della   frutticoltura  in  Italia  7 

II Notizie  statistiche  della  frutticoltura  in  Italia 9 

III  ....    Principi  generali  per  far  progredire  la  frutticoltura.      ...  13 

IV    Stima  degli  alberi  da  frutto 14 

Parte  Seconda  :  Riproduzione  e  moltiplicazione  delle  piante 
da  frutto. 

I Il  vivaio:  Definizione  del  vivaio,  sua  importanza.  Scelta  del  ter- 
reno, sua  preparazione  e  distribuzione 20 

II Riproduzione  e  moltiplicazione 24 

III  ....    Attrezzi  e  macchine  necessarie  al  frutticoitore 26 

IV  ....    Riproduzione  per  seme 39 

V    Semina  e  cure  successive 43 

VI  ....   Moltiplicazione  per  talea,  polloni  ed  ovolo:   Talea  ad  una  sola 

gemma  -  Talea  a  più   gemme  -  Zampa  di  cavallo  -  Magliolo 

-  Barbatella 47 

VII  ...   Moltiplicazione  per  margotta:  Condizioni  di  riuscita  -  Margotta 

a   ceppaja,   a   capogatto,   a  serpente,   a  tacca  ed  in   aria.      .      51 

VIII  ...    Innesto  delle  piante  da  frutto:  Teoria  dell'innesto  e  condizioni  es- 

senziali di  riuscita  -  Preparazione  dei  soggetti  e  delle  marze.      56 

IX  ....   Sull'afnnità  e  sulla  reciproca  influenza  del  soggetto  e  del  nesto.      59 
X Innesti  principali  per  le  piante  da  frutto  e  soggetti  relativi       .      63 

XI  ....    Innesto  a  spacco  semplice 66 

XII  .  .  .    Innesto  a  spacco  laterale 71 

64604 


XIII 

XIV  . 

XV  .. 

XVI  . 
XVII 
XVIII 
XIX 


—  VI  — 

Pag. 

Innesto  a  corona 73 

Innesto  inglese 74 

Innesto  per  approssimazione 78 

Innesto  a  gemma  e  ad  anello 79 

I  soprainnesti 82 

Cura  degli  innesti 85 

Innesti  erbacei:  Importanza  e  vantaggi  -  L'innesto  Condurso  e 

l'innesto  Zerboni 86 


Parte  Terza  :  Potatura  delle  piante  da  frutto. 

I Principi  generali 

II 

Ili  .... 

IV  .... 

V    

VI    

A' 


88 

.    Gemme 89 

.   Rami 91 

.    Precetti  generali  della  potatura 94 

.    Potatura  secca  e  potatura  verde      102 

.    Principi  generali  del  taglio  dei  rami 106 

.    Taglio  secco  dei  rami  a  legno 107 


Vili  .  .  .   Taglio  secco  dei  rami  a  legno  per  ottenere  dei  rami  a  frutto     .   109 

IX   ....   Operazioni  accessorie  della  potatura  secca 110 

X Potatura  verde 118 


Parte  Quarta:  Forme. 


I  ... 

II  .. 
Ili  . 

IV  . 

V  .. 

VI  . 
VII 
Vili 
IX   . 


Perchè  alle  piante  da  frutta  si  danno  forme  speciali  ....  125 

Piramide 127 

Fuso 137 

Forme  basse 138 

Pieno  e  mezzo  vento 143 

Formazione  della  corona  del  pieno  e  mezzo  vento     ....  145 

Alberello,  Cespuglio,  Cespaja 151 

Cordoni 152 

Forme  da  spalliera  e  controspalliera 157 


Parte  Quinta  :  Sistemi  di  coltivazione. 

I Frutticultura  estensiva  ed  intensiva 165 

II Frutticultura  campestre 166 

III  ....    Coltivazione  lungo  le  strade  o  viali 169 

IV    Brolo 171 

V    Frutteto  casalingo 175 

VI  ....    Scelta  della  località  e  distribuzione  del  terreno  per  un  frutteto 

casalingo 177 

VII  .  .  .    Frutteto  di  speculazione 186 

VIII  .  .  .    Frutteti  misti 189 


Parte  Sesta:  Coltivazione  generale. 

I Clima 

II Terreno 

Ili   ....   Altitudine,    latitudine,    situazione    ed 


esposizione 


204 
211 
215 


IV  .. 

V  ... 

VI  .. 

VII  . 

vili . 

IX  .. 

X  ... 

XI  .. 

XII  . 
XIII 
XIV  . 
XV.. 
XVI  . 
XVII 
XVIII 
XIX 
XX    . 
XXI 
XXII 


XXIII 
XXIV 
XXV  . 


—  VII  — 

Pag. 

Distribuzione  geografica 218 

Sviluppo  e  funzioni  delle  radici 322 

Preparazione  del  terreno  per  l'impianto 225 

Scasso  del  terreno 228 

Chiusure  dei  terreni  coltivati  a  piante  da  frutto 231 

Siepi  vive 234 

Impianto   e   cure  relative   al   mantenimento   delle   siepi   vive    .  235 

Siepi  morte 238 

Armature  per  spalliere  e  materiale  usato  per  legare  le  piante   .  239 

Determinazione  delle  distanze  nell'impianto 245 

Disposizione  degli  impianti 247 

Epoca  della  piantagione 249 

Scelta  degli  alberi  e  loro  preparazione  per  l'impianto    .      .      .  251 

Concimazione  per  l'impianto 254 

L'impianto 256 

Lavori  complementari  dell'impianto 258 

Cure  annuali  alle  piante  da  frutto 260 

Trapianto  di  alberi  adulti 262 

Lavori  annuali  del  terreno  -  Mezzi  per  evitare  i  danni  dell'ari- 
dità -  Sostituzione  delle  piante  morte  -  Cure  alle  piante  som- 
merse da  alluvione  -  Avvicendamento  e  consociazione  delle 

piante  da  frutto 264 

Trasformazione   in   frutteto   di   vigneto   filosserato      ....  269 

Le  piante  infruttifere 270 

Impollinazione  e  fruttificazione 275 


Parte  Settima:  Concimazione  ed  irrigazione. 

I Importanza  della  concimazione  e  della  irrigazione     ....  281 

II Elementi  chimici  che  costituiscono  la  pianta,  come  vengono  as- 
similati e  composti  a  cui  danno  luogo 283 

Distribuzione  delle  sostanze  organiche  e  minerali  nelle  diverse 

parti  della  pianta .  286 

Ufficio  speciale  dei  singoli  elementi  chimici  della  pianta    .      .  287 

Riepilogo  sulla  composizione  delle  piante  e  sulla  loro  nutrizione  289 

Materiali  nutritivi  necessari  ad  una  pianta  da  frutto    .      .      .  289 
Concimi  naturali.  (Lo  stallatico  -  I  terricciati  -  Le  foglie,  i  ger- 
mogli,  i   rami   di   potatura   -    Il  colaticcio,   la   colombina,   la 

pollina,  il  pozzo  nero) 298 

Concimi  liquidi 301 

Concimi  potassici 303 

Concimi  fosfatici.  (Perfosfati  -  Perfosfato  doppio  -  Polvere  d'ossa 

-  Scorie  Thomas  -  Fosfato  d'ammoniaca  -  Fosfato  di  potassa)  305 

XI  ....    I  concimi  azotati 308 

XII  .  .  .    Concimi  calcici 310 

XIII  .  .    Concimi  animali  diversi 311 

XIV  ...    Altre  sostanze  fertilizzanti  che  si  possono  impiegare    in   frutti- 

coltura         313 

XV  ....    Sovescio 315 

XVI  .  .  .    Esperienze  di  concimazione 316 

XVII  .  .    Concimazione  dei  vivai 319 


III 

IV 
V    . 
VI 
VII 


Vili 

IX  . 

X  .. 


—  vili  — 

Pag. 

XVIII  .   Concimazione  di  mantenimento 322 

XIX  ..   Concimazioni  diverse  a  seconda  dello  stato  in  cui  si  trovano  le 

piante 324 

XX  . . .   L'irrigazione  delle  piante  da  frutto 326 


Parte     Ottava  : 
delle  frutta. 


Raccolta,    conservazione     e     utilizzazione 


I  ., 

II  , 
III 
IV 
V    . 


VI    . 

VII 

VIII 

IX  . 

X  .. 


XI  .. 

XII  . 
XIII. 

XIV  . 

XV  .. 

XVI  . 


Sviluppo  e  maturazione  delle  frutta 338 

Fasi  della  maturazione  -  Componimenti  chimici  delle  frutta    .   342 

Raccolta  delle  frutta 348 

Importanza  delle  frutta  nella  nostra  alimentazione  ....   350 
Conservazione  delle  frutta  allo  stato  naturale  e  gli  agenti  prin- 
cipali che  influiscono  sulla  loro  maturazione 355 

Cause  di  deterioramento  delle  frutte  raccolte 357 

Precetti  per  la  conservazione  delle  frutta 358 

Fruttaio 359 

Cure  relative  al  fruttaio  ed  alle  frutta  che  in  esso  si  conservano    362 
Applicazione   del  freddo  per  la   conservazione   ed  il  trasporto 

delle  frutta 364 

Conservazione  delle  frutta  fresche  con  materiale  inerte  od  altro    367 

Imballaggio  e  spedizione  delle  frutta 369 

Conservazione   della   frutta   nell'alcool   o   nell'aceto    ....   374 

Conservazione  collo  zucchero 376 

Essiccamento  delle  frutta 381 

Il  sidro  o  vino  di  frutta 385 


Parte   Nona; 
frutto. 


Malattie    e    cause    nemiche    delle    piante   da 


I 

II 

III  ... 

IV  ... 

V  .... 

VI  ... 

VII  .. 

VIII  .. 

IX  ... 

X  .  ... 

XI  ... 

XII  .. 

XIII  . 

XIV  .. 

XV  .  .  . 

XVI  .  . 

XVII  . 
XVIII 

XIX  . 

XX  .. 

XXI  . 


.  Malattie  e  loro  classificazione 

.  Malerbe  -  Vischio   -   Cuscuta 

.  Muschi  e  Licheni 

.  Crittogame  parassite  e  saprofite  delle  piante  da  frutto 

.  Rimedi  anticrittogamici  e  loro  applicazione     . 

.  Malattie  dovute  a  crittogame 


.  389 

.  390' 

.  391 

.  392 

.  393 

.  398 

.   Danni  e  malattie  prodotte  da  animali 430 

.   La  lotta  contro  i  parassiti  animali 431 

.    Mammiferi  -  Uccelli  e  Molluschi  dannosi 434 

.    Grillotalpa  -  Forfecchia  e  Pidocchio  dell'olivo 435 

Tingiti  e  Psillidi  o  falsi  gorgoglioni 436 

.   Api  (pidocchi  0  gorgoglioni) 439 

.    Cocciniglie 445 

.   Papilionidi 449 

.    Farfalle  grosse  i  cui  bruchi  (tarli)  rodono  il  legno     ....  451 

.    Farfalle  grosse  i  cui  bruchi  rodono  le  foglie  (Bombici)     .      .      .  452 

.    Geometre  o  Misurine 455 

.   Tortricì 458 

.   Tignole 461 

.    Scarabei 464 

.   Buprestidi  -  Bostricidi  e  Crisomelidi 465 


—    IX  — 

XXII..   Curculionidi  o  Punteruoli 468 

XXIII  .   Scolitidi 471 

XXIV  .    Imenotteri 472 

XXV  ..   Mosche 476 

XXVI  .   Acari 478 

XXVII .  Malattie  prodotte  da  cause  meteoriche 479 

XXVIII  Malattie  dovute  a  ferite 484 

XXIX  .  Malattie   dovute   al  regime   culturale   ed   a   cattive   condizioni 

del  terreno  o  dell'atmosfera 491 

XXX  . .   Malattie  dovute  a  sostanze  nocive  trovantesi  nel  terreno  o  nel- 

l'aria      497 

XXXI  .   Guida  per  determinare  le  principali    malattie    delle    piante  da 

frutto 500 


FRUTTICOLTURA    SPECIALE 


Parte  Prima:  Piante  da  frutto  a  granella. 

Pero 513 

Melo 557 

Cotogno 591 

Sorbo 600 

Parte  Seconda:  Piante  con  un  solo  nocciolo. 

Mandorlo 605 

Pesco 622 

Albicocco 674 

Ciliegio 690 

Susino 722 

Olivo 755 

Pistacchio 769 

Giuggiolo 775 

Parte  Terza:  Piante  da  frutto  con  più  noccioli. 

Nespolo 780 

Lazzeruolo 790 

Parte  Quarta:  Piante  da  frutto  con  semi  succosi. 

Melograno 796 

Parte  Quinta:  Piante  da  frutto  a  bacca. 

Vite 803 

Fico  d'India 829 

Ribes  ed  Uva  spina 835 


—  X  — 

Parte  Sesta:  Gli   agrumi. 

Pag. 

Regioni  di  coltivazione 855 

Origine 856 

Caratteri  botanici 856 

Vegetazione 858 

Classificazione  degli  agrumi 858 

Specie  e  varietà  coltivate  per  il  frutto 859 

Clima  per  gli  agrumi 878 

Terreno 879 

Moltiplicazione 879 

Coltivazione  e  Malattie 881 

Irrigazione 882 

Concimazione 882 

Potatura 886 

Raccolta  dei  frutti 887 

Prodotti  secondari  degli  agrumi 889 

Dati  economici  della  coltura  degli  agrumi 891 

Parte  Settima:  Piante  con  frutti  aggregati. 

Lampone 896 

Rovo 907 


Parte  Ottava:  Piante  da  frutti  composti. 

Fico 913 

Gelso  da  frutto 945 


Parte  Nona:  Piante  da  frutti  secchi. 

Castagno 948 

Nocciuolo 961 

Noce 973 

Carrubo 985 

Pino  da  pinoli 992 

Parte  Decima:  Piante  esotiche  per  i  paesi  caldi. 

Aberia 996 

Anona 998 

Asinina 1002 

Banano 1003 

Eugemia 1010 

Feijoa 1013 

Holboelia  latifolia 1014 

Hovenia 1015 

Kaki  (Diospiri) 1015 

Pachira 1022 

Palma  del  dattero 1022 

Passiflore  a  frutti  dolci 1032 


—  XI  — 

Pag. 

Pavia  dolce         1034 

Persea  gratissima 1034 

Psidio 1037 

Parte  Undecima  :  Piante  da  bosco  a  frutto  commestibile. 

Bagolaro 1041 

Ciavardello 1043 

Corbezzolo 1046 

Corniolo         1048 

Crespino         1049 

Faggio 1052 

Mirtillo 1053 

Quercia  ballota 1056 


INTRODUZIONE 


La  frutticultura  è  l'arte  di  coltivare  razionalmente  le  piante  da 
frutta.  Si  divide  in  due  parti  :  generale  e  speciale.  La  prima  riflette  i  ca- 
ratteri generali  delle  piante,  vuoi  nella  loro  struttura  ^e  funzione,  vuoi 
nelle  rispettive  esigenze  onde  ricavarne  il  maggior  utile  possibile  — 
la  seconda  si  occupa  della  struttura,  delle  funzioni  o  delle  esigenze  di 
coltivazione  di  ogni  singola  specie. 

Le  piante  da  frutto  coltivate  e  coltivabili  in  Italia  e  nelle  sue  co- 
lonie, e  delle  quali  si  tratta  nel  presente  libro,  sono  le  seguenti,  ordi- 
nate per  categoria  e  per  affinità  (Tab.  I). 


TAsr.\RO  -  Frutlicoliiira. 


Elenco  delle  piante  da  frutto  coltivate  e  coltivabili 
in  Italia  e  Colonie. 


Nome  scientifico 


Famiglia 
botanica 


I.  —  Piante  da  frutto  a  granella. 

Pero 
Melo 
Cotogno 
Sorbo 

II.  —    Piante   da  frullo   con    un 
solo  nocciolo. 

Mandorlo 

Pesco 

Albicocca 

Ciliegio 

Susino 

Olivo 

Pistacchio 

Giuggiolo 

III.  —  Piante  da   frutto  con  ]>iii 
noccioli. 

Nespolo 

Nespolo  del  Giappone 

Azzeruolo 

IV.  —  Piante  da  frutto  con  semi 
succosi. 


Melograno 


Piante  da  frutto  a  bacca. 


Vite 

Ribes  rosso 
Uva  spina 
Ribes  nero 
Fico  d' India 


VI. 


Agrumi. 


Arancio  dolce 
forte 
Chinotto 
Mandarino 
Pompelmo 
Bergamotto 
Limetta 
Lumia 
Limone 
Cedro 
Arancio  trifogliato 


Pirus  communis  L. 

,      Malus  L. 
Cydonia  vulgaris  luss.  e  Persoon 
Sorbus  sp.  L. 


Amygdalus  communis  L. 
Amygdalus  Persica  L. 
Armeniaca  vulgaris  luss. 
Cerasus  sp.  L. 
Prunus  domestica  L. 
Olea  europaea  L. 
Pistacia  vera  L. 
Zizyphus  vulgaris  WiM. 


Mespilus  germanica  L. 
Eryobotrya  japonica  L. 
Crataegus  Azarolus  L. 


Punica  Granatum  L. 


Vitis  vinifera  L. 
Ribes  rubrum  L. 

„      Uva  crispa 

,      nigrum 
Opuntia  Ficus  indica  Mill. 


Citrus  aurantium  Risso 
„       vulgaris 

sinense  Wild. 

deliciosa  Ten. 
„       Pompelmos  Risso 
„       Bergamina        „ 
„       Limetta  „ 

„       lumia  „ 

„       Limonum  „ 

„       medica  L. 
„       triptera  „ 


Oleacee 

Anacardiacee 

Ramnee 


Ampelidee 
Sassifragacee 


Auranziacee 


Segue  Tab.  I. 


a. 

Nome  volgare 

Nome  scientifico 

Famiglia 
botanica 

VII.  —  Piante  con  fruiti  aggregati. 

33 

Lampone 

Rubus  Idaeus  L. 

Rosacee 

34 

Rovo 

Vili.  —  Piante  da  frutti  composti. 

fruticosus  L. 

" 

35 

Fico 

Ficus  carica  L. 

Urticacee 

36 

Gelso  da  frutto 

IX.  —  Piante  da  frutti  secchi. 

Morus  nigra  L. 

Moree 

37 

Castagno 

Castanea  saliva  Mill. 

Cupulifere 

38 

Nocciolo 

Corylus  Avellana  L. 

39 

Noce 

luglans  regia  L. 

luglandee 

40 

Pino  da  pinoli 

Pinus  Pinea  L. 

Conifere 

41 

Carrubo 

X.  —   Piante   da   frutto   esotiche 
poco  diffuse  in  Italia  ina  col- 
tivabili nei  pae.ù  caldi  e  nelle 
colonie. 

Ceratonia  siliqua  L. 

Leguminose 

42 

Aberia 

Aberia  sp. 

Bixacee 

43 

Anona         ' 

Anona  sp. 

Anonacee 

44 

Persea 

Persea  gratissima  Goertn, 

Lauracee 

45 

Banano 

Musa  sp. 

Musacee 

46 

Eugenia 

Eugenia  sp. 

Mirtacee 

47 

Palma  del  dattero 

Phoenix  dactylilera  L. 

Palme 

48 

Feijoa 

Feijoa  sellowiana  Berg. 

Mirtacee 

49 

Kaki 

Diospyros  sp. 

Ebenacee 

50 

Asimina 

Asimina  triloba  L. 

Anonacee 

51 

Holboelia 

Holboelia  latifolia  Wellich. 

Lardizabale 

52 

Psidio 

Psidium  sp. 

Mirtacee 

53 

Hovenia 

Hovenia  dulcis  Thumb. 

Ramnee 

51 

Pachira 

Pachira  sp.  Aubl. 

Malvacee 

55 

Passiflora 

Passiflora  sp. 

Passifloree 

56 

Pavia  dolce 

XI.  —  Piange  da  bosco  a  frutto 
commestibile. 

Pavia  dulcis 

Sapindacee 

57 

Bagolaro 

Celtis  australis  L. 

Ulmacee 

58 

Ciavardello 

Sorbus  torminalis  Crartzy. 

Rosacee 

59 

Corbezzolo 

Arbutus  unedo  L. 

Ericacee 

60 

Corniolo  . 

Cornus  Mas  L. 

Cornee 

61 

Crespino 

Berberis  vulgaris  L. 

Berberidacee 

62 

Faggio 

Fagus  sylvatica  L. 

Cupulifere 

m 

Mirtillo 

Vaccinium  Myrtillus  L. 

Vacciniee 

61 

Quercia  ballota 

Quercus  ballota  Dest. 

Cupulifere 

FRUTTICOLTURA  GENERALE 


PARTE   PRIMA 
ECONOMIA  DELLA  FRUTTICOLTURA 


I. 

Importanza  agraria  ed  economica 

della  frutticoltura  in  Italia. 

1.  —  É  stalo  varie  volte  ripetuto  che  in  Italia,  più  che  in  ogni  altro 
paese  d'Europa,  la  frutticoltura  dovrebbe  prosperare. 

L' accidentalità  dei  nostri  terreni,  la  varietà  della  loro  composi- 
zione, l'abbondante  radiazione  solare,  il  clima  generalmente  mite  e 
favorevole,  rese  possibile  l'acclimatarsi  di  molte  specie  e  varietà  di 
piante  da  frutto.  Ed  anche  per  la  scarsità  generale  d'acqua,  l'agricoltore 
dovette  dedicarsi  in  particolar  modo  alle  colture  arboree  poiché  sol- 
tanto queste,  colle  loro  profonde  radici,  possono  resistere  alle  non 
infrequenti  siccità. 

Le  essenze  fruttifere  coltivate  o  coltivabili  in  Italia  passano  la 
cinquantina  (Vedi  Tab.  I)  la  maggior  parte  sparse  qua  e  là  nei  campi, 
nei  broli  e  nei  vigneti.  Colture  specializzate  si  fanno  colle  viti,  cogli 
agrumi,  col  nocciuolo.  col  mandorlo,  col  pistacchio  e  con  poche  altre. 

Il  nostro  popolo  si  ciba  molto  di  frutta  essendo  questa  la  coltura 
più  naturale  d' Italia.  Per  provvedere  a  questo  consumo  l'agricoltore 
badò  fino  ad  ora  più  alla  quantità  di  prodotto  che  alla  qualità;  più 
alla  minima  spesa  di  produzione  che  alla  scelta  delle  varietà  ricercate 
dalla  popolazione  facoltosa  o  dai  mercati  internazionali.  Perciò  noi, 
malgrado  del  nostro  bel  cielo,  abbiamo  frutta  di  qualità  inferiore  a 
quelle  dei  paesi  nordici  :  troppo  poche  cure  si  dedicano  alle  piante 
da  frutto.,  incominciando  per  esempio  ad  allevare  piante  senza  basi 
razionali. 

Nei  paesi  nordici,  l'alimentazione  colle  frutta  è  una  eccezione 
praticata  soltanto   dalle   persone   più  agiate,   le  quali  non  badano  alla 

Library 
K.  C.  State  Coll^fe 


spesa  pure  di  avere  delle  qualità  superiori.  Da  noi,  le  esigenze  dei 
consumatori  in  generale  sono  invece  assai  più  modeste  e  perciò  il  col- 
tivatore non  trovò  ancora  la  convenienza  di  fare  delle  coltivazioni 
specializzate  e  più  razionali. 

Abbandonate  a  sé  stesse  le  singole  specie  e  varietà  di  piante, 
degenerarono  in  modo  che  ora  le  antiche  e  rinomate  varietà  italiane 
sono  di  gran  lunga  sorpassate  dalle  varietà  forestiere. 

2.  —  Eppure  non  è  a  temersi  che  producendo  di  più  e  di  meglio 
non  si  troverebbe  da  esitare  il  prodotto. 

Anzitutto  notiamo  che  per  la  mancanza  di  organizzazione  della 
vendita,  il  popolo  non  può  avere  ancora  oggi  quella  quantità  di  fruita 
che  consumerebbe.  Nei  piccoli  centri,  per  esempio,  per  parecchi  mesi 
i  mercati  sono  sprovvisti  di  frutta  e  quelle  che  arrivano  sono  di 
infima  qualità  e  più  care  che  non  nei  grandi  centri.  Nei  paesi  meri- 
dionali per  mancanza  di  mezzi  di  comunicazione,  avviene  molte  volte 
una  pletora  di  produzione  alternala  colla  carestia  negli  anni  in  cui 
le  piante  non  producono. 

Ma  la  mancanza  dei  mezzi  di  comunicazione  nei  centri  minori 
è  un  male  transitorio,  e  dobbiamo  ricordare  che  in  questi  ultimi  anni 
anche  le  nostre  comunicazioni  internazionali  e  perciò  le  nostre  espor- 
tazioni sono  di  molto  aumentate. 

3.  —  La  scelta  delle  varietà,  deve  corrispondere  alle  esigenze  dei 
mercati.  Ricordiamoci  che  oggi  le  condizioni  economiche  del  nostro 
popolo  sono  di  molto  migliorate  e  perciò  le  esigenze  di  frutta  migliori, 
anche  se  ad  un  prezzo  più  elevato  in  confronto  del  passato,  potranno 
essere  convenientemente  vendute. 

Ma  noi  dobbiamo  anche  affrontare  la  concorrenza  dei  mercati 
internazionali  e  metterci  nella  condizione  di  portare  all'estero  le  frutta 
fresche  o  conservate  tali,  in  tutti  i  periodi  dell'anno. 

4.  —  Un  complemento  indispensabile  per  la  riuscita  della  frutti- 
coltura è  infine  l'industria  della  conservazione  delle  frutta. 

Per  mezzo  della  refrigerazione  noi  possiamo  ora  spedire  a  grandi 
distanze  le  frutta  fresche  ;  coli'  industria  delle  conserve  noi  siamo  in 
grado  di  utilizzare  immediatamente  quei  prodotti  che  non  possono 
essere  venduti  sul  luogo.  Un  mezzo  e  l'altro  devono  completarsi  con 
un  opportuno  e  conveniente  imballaggio. 

5.  —  E  siccome  le  piante  da  frutto  richiedono  più  lavoro  che 
capitale,  estendendo  la  loro  coltivazione  daremo  in  mano  al  nostro 
intelligente  operaio  agricoltore  una  coltura  di  alto  reddito,  stimoleremo 
la  sua  intelligenza  ad  impratichirsi  di  nuove  e  più  redditive  operazioni, 
vedremo  moltiplicarsi  le  piccole  proprietà  nelle  quali,  a  seconda  del 
clima,  della  posizione  e  del  terreno  si  formeranno  dei  frutteti  specia- 
lizzati a  cui  acudirà  il  proprietario  coltivatore,  interessato  direttamente 
nel  raccolto  finale. 

Un  ettaro  di  terreno  coltivato  a  pescheto,  nel  territorio  di  Massa 
Lombarda  rende  fino  a  L.  3000;  la  stessa  superficie  a  limoni  a  Sorrento 


rende  oltre  L.  6000;  ad  aranceto  L.  5000;  a  noccioleto,  nei  dintorni  di 
Napoli,  L.  1200  e  così  via.  Queste  ed  altre  colture  arboree  specia- 
lizzate, fatte  dallo  stesso  proprietario  anche  per  frazioni  di  ettaro,  pos- 
sono dare  un  conveniente  sostentamento  ad  una  intera  famiglia.  Trat- 
tandosi di  proprietari  che  non  possono  coltivare  direttamente  e  che 
devono  ricorrere  all'  opera  di  terzi,  converrà  affidare  la  coltivazione 
a  mezzadri  o  ad  affittuari  con  contratti  a  lunga  scadenza.  La  condu- 
zione diretta,  generalmente  parlando  oggi,  non  è  consigliabile  per  queste 
colture.  L'opera  avventizia  e  mercenaria  è  troppo  alleatoria  per  il  costo 
ed  incerta  per  la  capacità  degli  operai. 

L'Italia,  per  elevare  la  sua  produzione  agricola,  ha  bisogno  di  indu- 
strializzare ancora  molte  delle  sue  colture  e  fra  queste,  una  delle  prin- 
cipali è  la  frutticoltura,  che  se  esercitata  razionalmente,  recherà  un 
grande  beneficio  al  nostro  paese  ed  avrà  conseguenze  ancora  più  bene- 
fiche, sia  morali  che  materiali  sui  nostri  lavoratori. 


IL 

Notizie  statistiche  della  frutticoltura  in  Italia. 

1.  —  L'importanza  economico-agraria  della  frutticoltura  si  desume 
dalla  statistica  della  produzione  confrontata  colla  superfìcie  coltivala. 

I  primi  dati  sulla  produzione,  che  abbiano  una  certa  attendibilità, 
sono  quelli  pubblicati  dall'Ufficio  di  Statistica  Agraria  per  l'anno  1912, 
Fascicolo  6.  Nella  Tab.  II  ne  riporto  alcuni  da  cui  risulta  che  si  pro- 
ducono in  Italia  approssimativamente  Q.li  20.840.358  di  frutta  del  valore 
di  L.  555.527.160. 

Nell'anno  1911  si  avevano  le  seguenti  cifre: 

I  Mele,  pere,  cotogne  e  melagrane  Q.li  2.126.000  a  L.  20  L.  42.520.000 

li  Frutta  polpose  (pesche,  ciliegie, 

albicocche .,      768.000  .,    20  „     15.360.000 

III  Fichi  secchi  e  prugne   secche    .  „      710.000  „   40  „    28.400.000 

IV  Frutta  senza  distinzione  di  specie  „  1.786.000  „    20  „    35.720.000 

V  Mandorle,  noci,  nocciole     .     .     .  „  1.583.000  „  100  „  158.300.000 

VI  Castagne „  8.290.000  „    20  „  165.800.000 

VII  Agrumi „  7.865.000  „   20  „  157.300.000 

VIII  Uve  da  mensa „      245.358  „    20  „      4.907.160 

Totali    .     .      Q.li  23.373.338  L.  608.307.100 

Come  si  vede,  colle  piante  da  frutto  noi  ricaviamo  un  prodotto 
che  sorpassa  il  mezzo  miliardo  di  Lire,  quantunque  in  questa  cifra 
sia  ommesso  il  valore  delle  carrube,  dei  pistacclii,  la  cui  sola  espor- 
tazione arriva  al  valore  di  2  milioni. 

Per  la  maggior  parte  di  queste  produzioni  noi  non  possiamo  raet- 


- 

-   10   - 

Tab.  II. 

Produzione  delle  frutta  nell'annc 

Qualità  delle  frutta 

e 
o 

a 
i 

C3 

1 

a 

o 

5 

1 

.2 
1 

1 
1 

s 

Q. 

Q. 

Q- 

Q. 

Q. 

Q- 

Q. 

(J. 

I.  —  Mele,  pere,  cotogne,  mela- 

63.000 
33.000 

95.000 
62.000 

468.000 
67.000 

29.000 
18.000 

24.000 
22.000 

li.   —    Frutta   polpose   (pesche, 
ciliege,   albicocche,    prugne 
frescne  ed  altre) 

112.000 

52.000 

:ì(ioo 

111.  —  Mandorle,  noci  e  nocciole 

14.000 

6.000 

11.000 

4.000 

8.000 

8.000 

7.000 

1  (100 

IV.    —    Fichi    secchi    e    prugne 
secche     

748.000 

580.000 

259.000 

100.000 

296.000 

1.717.000 

40.000 

V.  -  Castagne 

CI. (11)0 

VI.  -  Agrumi  (a.  1911)    .... 

VII.  -  Uva  da  mensa  (a.  1895)  . 

26.771 

114.000 
1.185 

9.723 

14.841 

22.630 

7.000 
11.589 

500 
6.275 

tere  in  confronto  la  superfìcie  coltivata,  poiché  come  si  è  detto,  la 
frutticoltura  non  è  specializzata  ma  è  promiscua  con  altre  colture. 

2=  —  Intanto  possiamo  però  rilevare,  che  il  massimo  prodotto  di 
frutta  ci  è  dato  dal  castagno  per  un  valore  che  può  arrivare,  come  nel 
1911,  a  160  milioni  di  lire.  La  Toscana  ne  produce  quasi  la  metà  della 
produzione  totale  italiana;  segue  con  un  buon  quinto  il  Piemonte,  indi 
la  Liguria.  In  Toscana  si  producono  specialmente  le  castagne  che  si 
consumano  nell'interno,  disseccate  o  in  farina.  Nel  Piemonte  (Cuneo) 
Veneto  (Belluno),  nel  meridionale  mediterraneo  (Avellino)  sono  rinomati 
i  marroni,  di  cui  si  fa  una  notevole  esportazione. 

3.  —  Alle  castagne  seguono  per  importanza  gli  agrumi  e  questi 
sono  coltivati 


ad  agrumeto  puro    . 
a  coltura  promiscua 


Totale 


ha.     44.700 
»     69.700 

ha.  114.400 


Dando  questa  estensione  un  prodotto  complessivo  di  Q.li  7.865.000 
del  valore  di  L.  157.300.000  risulta  che  in  media  si  ricavano  per  ettaro 
circa  Q.li  69  di  frutta  del  valore  di  L.  1375,  facendo  media  dell'  agru- 
meto puro  con  quello  misto. 

Palermo,  Messina,  Reggio  Calabria,  Catania  e  Siracusa  sono  i  più 
grandi  centri  di  agrumicoltura.  Anche  le  sponde  meridionali  della  terra 
d'Otranto,  della  Calabria,  di  Amalfi  e  Sorrento,  sono  località  celebri 
per  gli  agrumi.  Più  al  nord,  ottimo  centro  troviamo  specialmente  pei 
limoni,  mandarini  e  chinotti,  la  costa  della  Liguria.  La  Sardegna  si 
distingue  specialmente  per  i  cedri  ed  aranci. 


—  11 


912  in  quintali  e 

valore 

in  Lire. 

o 

II 

.2 

a 

a 

a 
U 

3 

1 

P3 

es 

5 

.2 
% 

Vi 

Sardegna 

Totale 

nel 
Regno 

Prezzo 
Unitario 

Valore 
conipless. 

Q. 

Q- 

Q. 

Q. 

Q- 

Q. 

Q. 

Q. 

Q. 

L. 

L. 

10.000 

173.000 

533.000 

34.000 

12.000 

20.000 

108.000 

35.000 

2.160.000 

20 

43.200.000 

14.000 

38.000 

331 .0{K) 

78.000 

3.000 

5.000 

100.000 

2.000 

930.000 

20 

18.600.000 

13.000 

52.000 

69.000 

776.000 

8.000 

10.000 

1.052.000 

13.000 

2.052.000 

100 

205.200.000 

_ 

33.000 

21.000 

315.000 

_ 

265.000 

16.000 

6.000 

668.(KK) 

40 

26,720.000 

90.000 

68.000 

307.000 

- 

29.000 

659.000 

24.000 

20.000 

4.980.000 

20 

99.600.000 

4.000 

3.500  !  815.000 

378.000 

1.000 

896.000 

5.540.000 
70.304 

76.000 
4.985 

7.865.000 
245.358 

20 
20 
L. 

157.300.000 

8.480 

68.572 

4.907.160 

Totali  Q. 

20.840.358 

555.527.160 

In    tutta    Italia  si    conterebbero    circa    17  milioni    di   piante   cosi 
ripartite  : 

limoni milioni  8 1/4 

aranci „        7  '/a 


cedri,  mandarini,  bergamotti,  ecc. 


IV4 


4.  —  Le  frutta  secche  (mandorle,  carrube,  noci  e  nocciole)  predo- 
minano nella  Sicilia,  negli  Abruzzi,  nella  Campania  e  nelle  Puglie.  La 
Sicilia  è  specialmente  nota  per  le  nocciole,  mandorle  e  carrube;  gli 
Abruzzi,  la  Campania  e  le  Puglie  per  le  noci.  Rinomate  sono  le  noci 
di  Sorrento. 

5.  _  I  fichi  secchi  migliori  si  hanno  dalle  Puglie  e  dalla  Calabria, 
mentre  i  fichi  freschi  si  hanno  in  tutta  Italia,  abbastanza  buoni  anche 
ai  piedi  delle  Alpi,  sulle  colline. 

6.  —  Le  mele,  pere,  ecc.,  hanno  prevalenza  nell'  Alta  Italia  e  spe- 
cialmente nel  Piemonte;  nell'Italia  meridionale,  sono  diffuse  nella 
Campania,  negli  Abruzzi  e  Molise  ;  le  pesche  nel  Veneto  e  nella  Ligu- 
ria; le  ciliegie  nella  Romagna  e  cosi  via. 

7.  —  Quantunque  non  tanto  curata,  la  produzione  delle  uue  da 
mensa  ha  avuto  un  incremento  notevole  in  questi  ultimi  anni,  per 
merito  specialmente  degli  esportatori  che  incoraggiarono  i  viticoltori 
e  curarono  molto  l' imballaggio. 

Evidentemente  però  i  dati  statistici  della  produzione  di  uve  da 
mensa  sono  inferiori  al  vero.  Quelli  che  sono  state  pubblicati  e  che 
io  riporto,  si  riferiscono  di  certo  alla  quantità  di  uve  da  mensa  che 
vengono    esportate,  poiché  non  è  ammissibile  che   in    Italia  si    consu- 


-  12  - 

mino  soltanto  13.471    quintali  di    detta    uva,   pur   ammettendo   che  pel 
consumo  interno  il  nostro  popolo  fa  uso  delle  uve  da  vino  (1). 

8.  —  Se  alla  quantità  di  frutta  prodotta  in  Italia  si  aggiunge  quella 
importata  e  dalla  somma  si  detrae  quella  esportata,  si  ha  la  quantità 
di  frutta  che  generalmente  si  consuma  nell'interno. 


Calcolo  del  consumo  di  frutta  in  Italia 


Qualità  della  frutta 

Produzione 

Importazione 

Esportazione 

Consumo  interno 

Q. 

L. 

Q. 

L. 

Q. 

L. 

Q. 

L. 

I.  —  Mele,  pere,  cotogne, 
melagrane 

2.160.000 

43.200.000 

II.  —  Frutta  polpose  (pe- 
sche,   ciliegie,    albi- 
cocche,  prugne   fre- 
sche ed  altre)    .    .    . 

930.000 

18.600.000 

14.&41 
17.054 

1.219.000 

403.329 

12.099.000 

2.701.312 

50.920.000 

III.  —  Mandorle,  noci   e 
nocciole 

2.052.000 

205.200.000 

1.894.000 

214.196 

29.094.000 

1.854.858  178.000.000 

IV.  -  Fichi  secchi  e  pru- 
gne secche     .... 

668.000 

26.720.000 

19.583 

910.000 

150.381 

5.023.000 

537.202 

22.607.000 

V.  —  Castagne     .... 

4.980.000 

99.600.000 

6.816 

114.000 

147.790 

2.456.000 

4.839.026 

,97.258.000 

VI.  —  Agrumi 

7.865.000 

157.300.000 

11.796 

359.000 

2.a43.954 

25.915.000 

5.032.842 

131.744.000 

VII.  —  Uve  da  mensa    . 

245.358 

4.907.160 

10.974 

1.000 

231.958 

4.877.000        13.471 

31.160 

Totali 

20.840.358 

555.527.160 

69.961 

4.497.000 

3.991.608 

79.464.000  14.978.711 

480.560.160 

(1)  Avevo  già  scritto  queste  considerazioni  quando  apparve  nelle  Notizie  periodiche 
di  Statistica  Agraria,  anno  1913,  Fase.  8,  il  risultato  delle  indagini  fatte  per  l'anno  1912. 
Riporto  integralmente  la  parte  che  ci  interessa. 

Uva  da  tavola. 
Provincie  in  cui  la  produzione  ha  maggiore  importanza. 


Piacenza     .... 

.     .  Q.li    114.000 

Vicenza  

.  Q.li      16.000 

Teramo 

.     .      „        73.500 

Venezia 

.      „        15.000 

.     .      „        70.000 
.     .      ,        33.000 

.     .      „        13.000 

Cuneo 

Salerno 

.      „        10.000 

Bologna 

.     ,      „        30.000 

Alessandria    .    .    . 

.     .      „          7.000 

Napoli 

.     .      „        29.000 

Padova    

.      ..          6.000 

Trapani 

.     .      „        22.000 

Genova    

.      „          5.000 

Verona    

.    .      „        22.000 

Sassari 

.    .      „          2'.700 

Lecce  

.     .      „        18.000 

Chieti 

.      „          1.500 

r\  ì:       aìi  rr\r\ 

411.500 

Q.li    411.500 


Q.li    487.700 


Nel  complesso  del  Regno  si  può  ritenere  che  la  produzione  dell  uva  da  tavola  nel  1912 
abbia  superato  di  poco  i  500.000  quintali.  Tale  cifra  non  rappresenta  però  che  una  parte 
dell'  uva  destinata  all'  alimentazione.  Secondo  le  considerazioni  sopra  accennate  deve 
valutarsi  a  parte  la  quantità  di  uva  da  vino  consumata  direttamente  nel  periodo  della 
vendemmia.  Tale  quantità,  secondo  il  calcolo  istituito  nella  determinazione  della  pro- 
duzione del  vino ,  ascenderebbe  al  2.50  per  cento  dell'  uva  ottenuta,  e  cioè  a  circa 
1.670.000  quintali. 

Il  consumo  complessivo  di  uva  destinata  all'  alimentazione  sarebbe  quindi  stato, 
nel  1912,  di  circa  2.200.000  quintali. 


-   13  — 

Questo  calcolo  è  stalo  fatto  nella  Tab.  Ili,  prendendo  per  base  i 
(lati  di  importazione  ed  esportazione  medi  veriMcatisi  nel  quinquen- 
nio 1900-1904. 

Dalla  detta  tabella  risulta  un  consumo  interno  di  quasi  15  milioni 
(li  chilogrammi  di  fruita  del  valore  di  mezzo  miliardo  circa  di  lire. 

L'Italia  avendo  34  milioni  di  abitanti,  ha  un  consumo  per  abitante 
di  (14.978.711  :  34.000.000)  =  Kg.  44  di  frutta  del  valore  di 

(L.  480.560.160  :  Kg.  14.918.711)  L.  0.32  x  Kg.  44  =  L.  14,08. 


III. 

Principi  generali  per  far  progredire  la  frutticoltura. 

Dopo  aver  verificalo  l'imporlanza  economica  che  ha  la  frutticoltura 
in  Italia,  vediamo  sommariamente  quali  sono  i  principi  generali  sui 
quali  noi  dobbiamo  basarci  per  farla  progredire.  E  questi  principi  mi 
furono  di  guida  per  scrivere  questo  trattato. 

1.  —  Scegliere  accuratamente  le  specie  e  le  varietà  più  adalle  al 
clima  ed  al  terreno. 

2.  —  Adattare  il  sistema  di  coltivazione  non  solo  alle  condizioni 
naturali,  ma  anche  alla  potenzialità  economica  ed  alla  capacità  tecnica 
di  chi  dirige  e  lavora. 

3.  —  Il  frutticoitore  deve  produrre    molto  colla  minore  spesa. 

4.  —  Nella  scelta  della  varietà  bisogna  valersi  mollo  dell'esperienza 
locale  o  di  quella  dei  luoghi  vicini.  Si  ricordi  ancora  che  i  gusti  dei 
consumatori  vanno  sempre  perfezionandosi  e  le  esigenze  dei  mercati 
sono  sempre  maggiori. 

5.  —  Non  conviene  mai  tenersi  ad  una  sola  varietà,  ma  a  più  va- 
rietà che  maturino  nella  stessa  epoca  ed  anche  in  epoche  diverse. 

6.  —  Si  dia  la  preferenza  alle  varietà  che  maturano  nell'epoca  della 
maggiore  richiesta,  ma  si  ricordi  che  anche  le  varietà  che  maturano 
nelle  epoche  ordinarie  molle  volte  rimunerano  largamente  il  frutti- 
coitore. 

7.  —  La  scelta  di  piante  sane  ed  un  conveniente  impianto  di  esse, 
sono  le  basi  di  un  buon  successo.  Le  economie  esagerate  nelle  spese 
di  impianto  e  nell'  acquisto  delle  piante,  sono  di  grande  danno  alle 
piante  da  frutto.  Si  ha  la  maggiore  garanzia  di  successo  producendo 
le  piante  da  se  stessi,  nel  proprio  terreno. 

8.  —  Una  conveniente  potatura  costringe  le  piante  a  dare  frullo 
costantemente. 

9.  —  La  periodica  e  razionale  concimazione  assicura  la  longevità, 
la  produttività  e  la  sanità  delle  piante. 

10.  —  L'irrigazione,  se  non  indispensabile,  è  necessaria  per  molle 
piante  da  frutto,  specialmente  nei  paesi  caldi. 


-  14  - 

11.  —  Il  successo  economico  della  frutticoltura  viene  ancora  meglio 
assicurato,  quando  si  possono  utilizzare  convenientemente  i  prodotti 
secondari,  come  le  frutta  immature  od  in  parte  deteriorate,  e  quelle 
che  non  si  possono  vendere  immediatamente. 

L'  arte  di  conservare  ed  utilizzare  le  frutta  deve  uscire  dai  limiti 
dell'economia  domestica  ed  entrare  nel  campo    delle  industrie  agrarie. 

12.  —  11  mal  governo  delle  piante  ha  il  medesimo  effetto  del  mal 
governo  nelle  famiglie,  che  ad  un  tratto  si  trovano  senza  tetto  e  senza 
mensa,  se  l'accortezza  del  capo  non  provvede  al  costante  assetto  eco- 
nomico ed  alla  difesa  delle  cause  nemiche. 


IV. 
stima  degli  alberi  da  frutto. 

1.  —  Premesso  che  la  stima  degli  alberi  da  frutto  non  può  dare 
la  misura  assoluta  del  loro  valore,  ma  solamente  una  misura  relativa 
ad  un  determinato  mercato,  di  determinato  tempo,  volendo  procedere 
alla  stima,  bisogna: 

a)  determinare  la  produzione  lorda  media  annua,  di  frutta,  con- 
guagliata in  denaro,   ridotta  al  netto   della  quota  di  infortuni  ; 

b)  determinare  le  spese  di  impianto,  di  allevamento  e  di  coltiva- 
zione annua  successiva,  necessarie  pel  mantenimento  dell'albero. 

Delle  spese  di  impianto  e  di  allevamento  che  si  riscontrano  lino  a 
che  la  pianta  entra  in  produzione,  bisogna  calcolare  l'interesse  medio 
annuo  fino  all'estinzione  della  pianta. 

Detraendo  i  titoli  in  b)  dalla  produzione  del  titolo  in  a)  e  capita- 
lizzando la  differenza,  si  ha  il  valore  di  stima  della  pianta. 

2.  Calcolo  della  produzione.  —  Per  fare  questo  calcolo,  bisogna 
prendere  in  considerazione  molti  fattori,  che  andrò  ora  enumerando. 

a)  La  specie  e  varietà  della  pianta.  —  Questa  determinazione  ha 
maggiore  o  minore  valore  secondo  le  condizioni  naturali  dell'ambiente. 
Un  mandorlo  per  il  suo  prodotto  ha  minor  valore  nell'Italia  settentrio- 
nale che  nell'Italia  media,  ed  ancora  minore  che  nell'Italia  meridionale. 

La  varietà  bisogna  considerarla  dal  punto  di  vista  della  sua  adat- 
tabilità all'ambiente,  e  dalla  qualità  del  prodotto  che  dà. 

b)  Qualità  del  terreno.  —  Più  che  le  sue  condizioni  fisico-chimi- 
che converrà  notare  se  il  terreno  è  aratorio,  irriguo  o  no,  a  prato  od 
a  pascolo.  Nell'aratorio,  le  piante  non  piantate  in  filari  appositi,  non 
prendono  grandi  dimensioni  per  le  continue  ferite  che  le  radici  rice- 
vono dagli  aratri.  Sotto  questo  rapporto  le  piante  si  trovano  meglio  in 
un  terreno  lavorato  a  vanga  od  a  zappa.  Cosi  in  un  terreno  non 
irriguo,  la  pianta  si  sviluppa  di  più  ed  ha  vita  più  lunga.  Il  prato  è 
dà  preferirsi  al  pascolo. 


-  15  — 

Fatta  questa  distinzione  di  terreno  aratorio  o  no,  irriguo  o  no,  da 
prato  o  pascolo,  converrà  aggiungere  la  classe  catastale  a  cui  appartiene. 
e)  La  longevità  della  pianta.  —  Per  normali,  si  possono  ritenere 
i  seguenti  dati,  partendo  dall'  impianto  (Tab.  IV).  In  questa  tabella  è 
registrata  anche  l'età  nella  quale  le  piante  cominciano  a  fruttificare  e 
l'età  nella  quale  raggiungono  il  massimo  prodotto. 


Età  che  raggiungono  le  piante  da  frutto  e  l'età  alla  quale 
cominciano  a  fruttificare. 


NOME  DELLA  SPECIE  DI  PIANTA 


Agrumi 

Albicocco 

Carruljo 

Castagno 

Ciliegio  acido 

,        dolce 

Cotogno 

Diospiri 

Fico      

Fico  d'India 

Gelso 

Lampone 

Lazzcruolo 

Giuggiolo 

Mandorlo 

Melagrano 

Melo  a  pieno  vento 

„     a  mezzo  vento 

„     a  cordone  o  vaso 

Nespolo 

„        del  Giappone    

Nocciuolo 

Noce 

Olivo 

Palma  da  datteri 

Pero  a  pieno  vento   

„      a  mezzo  vento 

,      a  spalliera,  piramide  o  cordone 

Pesco 

Pino  da  pinoli 

Pistacchio 

Ribes 

Sorbo   

Susino 

Vite 


Età 

che  raggiunge 

l'albero 

Età 
nella  quale 

comincia 
a  fruttificare 

Età 

nella  quale 

comincia 

a  dare 

il  massimo 

prodotto 

anni 

anni 

anni 

40 

5-6 

15 

20 

5 

12 

100 

10-12 

25 

150 

10 

20 

.30-30 

4-6 

10-12 

25  -  35 

8-11 

12-15 

20-25 

6 

10 

35 

6 

10 

— 

3 

15 

30 

3 

15 

(iO-100 

5 

20 

s 

3 

4 

GO-70 

10-12 

15 

SO    100 

20 

25 

(i5 

5 

10-15 

30-00 

4 

30 

60—70 

16 

20 

50  -  00 

10 

15 

20-25 

6 

10 

30-60 

5 

30 

30-60 

4 

10 

(iO— 70 

10 

15-20 

90 

20-25 

40 

100 

10 

20 





— 

60-70 

16 

20 

50-60 

10 

15 

20-25 

{■> 

10 

15-20 

3-4 

7 

1.50 

20 

40 

100 

12 

25 

10 

4 

6 

100-150 

20 

30 

.30 -.35 

4 

8 

.50 

4-5 

12 

-  16  - 

d)  La  produttività  dipende  da  molte  condizioni  locali  :  la  compo- 
sizione e  la  profondità  del  terreno,  la  natura  del  sottosuolo,  il  grado 
di  freschezza,  l'esposizione,  la  posizione,  il  clima,  l'isolamento  o  l'ag- 
gruppamento delle  piante,  l'impeto  dei  venti  che  fanno  cadere  antici- 
patamente le  frutta,  i  danni  causati  per  ladroneggi  e  cosi  via. 

Terreni  aridi  o  paludosi  o  pietrosi;  la  presenza  di  tufo  od  argilla 
compatta  nel  sottosuolo  danneggiano  il  prodotto. 

L'esposizione  a  Sud  dà  le  frutta  migliori,  più  belle  e  saporite, 
quando  le  piante  non  vengono  danneggiate  dai  geli  lardivi  in  prima- 
vera. L'esposizione  ad  Ovest  favorisce  meno  la  riuscita  degli  alberi, 
quella  a  Nord  è  la  peggiore. 

Gli  alberi  coltivati  nei  giardini  o  negli  orti  sono  generalmente  più 
produttivi,  però  si  ricordi  che  in  questi,  rinnovandosi  l'impianto  bi- 
sogna lasciare  il  terreno  per  un  periodo  di  tempo  senza  coltivazione 
arborea  e,  rimettendola,  bisogna  fare  uno  scasso  accurato. 

Dopo  l'mpianto,  passa  un  periodo  di  anni  prima  che  le  piante 
diano  frutto.  Questo  periodo,  che  ha  la  durata  da  3  a  25  anni  (Vedi 
Tab.  IV),  viene  chiamato  stazione  di  improduttività.  A  questa  segue  la 
stazione  di  produttività  nella  quale  bisogna  distinguere  tre  periodi  : 

a)  il  primo,  nel  quale  la  produzione  va  crescendo  fino  al  mas- 
simo normale;  che  si  ottiene  facendo  la  differenza  degli  anni  registrati 
nella  colonna  seconda  e  terza  della  Tab.  IV  ; 

b)  il  secondo,  nel  quale  la  produzione  si  mantiene  costante  ; 

e)  il  terzo,  nel  quale  il  prodotto  comincia  a  diminuire  fino  al- 
l'improduttività assoluta,  alla  quale  segue  quasi  sempre,  immediata- 
mente la  morte  della  pianta. 

Durante  i  tre  periodi  di  produttività  si  hanno  dei  raccolti  abbon- 
danti, buoni,  mediocri  e  nulli  dipendono  dalle  condizioni  naturali  del 
luogo  (clima,  terreno),  dall' imperversare  delle  cause  nemiche  ed  infine 
dall'abilità  del  frutticoitore. 

In  una  grande  media  si  possono  calcolare  le  seguenti  probabilità 
di  raccolto  : 

Probabilità  di  raccolti 


un  periodo 

di 

anni 

abbondanti 

buoni 

medi 

nulli 

7 

1 

1-2 

2-.S 

2 

10 

1-2 

2 

3-4 

3 

12 

2 

4 

3 

3 

50 

12 

18 

18 

2 

Per  dare  un  esempio  io  ho  determinato  la  produzione  di  frutta  nei  diversi  perìodi 
di  produttività  del  pero,  del  melo,  del  susino  e  del  ciliegio.  Questi  dati  li  ho  raccolti 
nella  Tab.  V  e  valgono  per  le  forme  a  pieno  vento  coltivate  nei  campi  ed  in  terreni 
buoni. 

Nei  calcoli  di  stima  bisogna  molte  volte  fare  sui  prodotti  medi 
una  percentuale  di  diminuizione  per  varie  ragioni.  Conviene  per  que- 
sto fare  quattro  classi,    ritenendo  per  prima  classe  quella  normale,  la 


>• 

2. 
Il 

es  •- 

S    3 

Ti 

il 
II 

S-2 

o   ii 

S  e 
o   rt 

11 

CU 

BliAiunpojd  Bi 
3}UBjnp  aiBnauE 
Bipaui  B^jiaenf) 

-^       1 

1 

E- 

^ 

lunj}  lap 
aiBjo;  Bii^nBnO 

-^  b:;1 

e 

è5 

'a 

i.s| 

08 

opouaa  III 

^  » 

3 

«g 

^ 

1 
1 

opouaj  II 

.^      s? 

?^ 

§ 

opoTjaa  I 

§  ^  s  f^ 

°°°   Il 

— li 

'-  '-'  «^  rt 

so 

et 

a 
.2 

1 
o 
o 

1 

Oh 

o 

OITOOOBJ 

inSo  Jad 
BjpnBnO 

S  g  -,2  II 
o  a 

IHOOOBJ  pp 

ri     (N     -f 

-6 

^     CM    CM    CVJ 

-  "  -  ^e 

1 

1 

OUOOOBJ 

mèo  jad 
BinnBtiO 

^1     §     § 

S     ?     S     f^ 

o  e 

§  s  s  |-^ 
■SS 

O 

jUoooBJ  lap 

"     •-     2 

.,,:! 

««•■«„ 

i 

o 

■a 
o 

OHOOOBJ 

luSo  jad 
BiiJUBnf) 

^S^^ 

.  n  -.  Il 

g  s  s  II 

-  -  ^  5s 

=,8  3  II 

moooBJ  lap 

o-N 

li    <M    -* 

ti 

-  -  c^  5^ 

1 

'5 
g'SS        -« 

„ 

O 

I> 

ir: 

IO 

1 

s 

§ 

•^ 

s 

i2 

:2 

IP 

1 

- 

c 

I^ 

in 

in 

1 

aiBjoi  BiEjna 

g 

?5 

!3 

cQ 

1 

'2 

1 

a. 

oinBidmij  odop 

ouuB  a^iianSas 

lE  ouy  BJnp 

sS 

?? 

s 

Si? 

oinBidoiTj  odop 
OUUB  ajùangas 
I9U  Biooimoo 

s 

co 

«> 

th 

1 

s 

il 

•a 

il 
2 

o 
.5 

5 

1 

cs 
o 

'6 

© 
•e 

o 
"Sé 

o 

TA>r.\no  -  Friitticnltttra. 


—  as- 
seconda 25  7o  in    meno,    la    terza  50  %  in   meno  e  la  quarta  ed  ultima 
75  7o  in  meno. 

Il  terreno  può  influire  dal  5  al  10  7o;  l'esposizione  ai  danni  per 
vento  dal  25  al  100  7o  ;  i  danni  per  ladroneggi  dal  5  al  20  7o. 

d)  Il  valore  del  legno  delle  piante  vecchie  atterrate  si  calcola  in 
base  al  peso  presumibile  ed  al  prezzo  a  cui  si  paga  la  legna  d'ardere 
o  il  legname  da  costruzione.  Questo  ultimo  caso  però  è  difficile  a 
riscontrarsi  poicliè  gli  alberi  vecchi  sono  per  lo  più  tarlati  e  poco 
adatti  per  la  costruzione.  Naturalmente  bisogna  detrarre  le  spese  di  at- 
terramento. 

Per  il  pero  e  melo,  il  valore  netto  si  calcola  de  2  a  5  Lire:  per  il  susino,  L.  0,75  —  1,.50; 
per  il  ciliegio  da  L.  2  a  3. 

e)  Il  prezzo  delle  fruita  si  fìssa  coi  prezzi  medi  del  mercato  lo- 
cale, detraendo  da  questo  le  spese  di  trasporto  al  mercato.  Bisogna 
però  fare  una  percentuale  sulle  avarie  a  cui  possono  andar  soggette  le 
frutta  nel  trasporto,  ed  un'  altra,  sulla  eventualità  che  le  frutta  non 
possano  essere  vendute. 

3.  La  spesa  di  impianto.  —  Nella  spesa  di  impianto  bisogna  pren- 
dere in  considerazione  : 

a)  il  valore  originario  della  pianta; 

b)  la  spesa  d' impianto  (scasso,  concimazione  e  copertura  delle 
radici,  legatura  e  palizzatura  della  pianta); 

e)  la  spesa  di  palatura  e  legatura,  calcolato  il  rinnovo  dei  legacci 
e  detratto  il  valore  dei  pali  scartati. 

Di  queste  tre  spese  si  deve  calcolare  annualmente  l' interesse  del 
5  7o  e,  si  addebita  fino  all'  età  in  cui  la  pianta  riesce  a  coprire  coi 
prodotti  le  spese  sostenute. 

4.  —  La  spesa  di  sorveglianza  e  di  coltivazione  annna  della  pianta 
comprende  : 

a)  le  spese  di  potatura  e  di  difesa  dei  parassiti,  detratto  il  valore 
della  legna  che  si  ricava  colla  potatura; 

b)  le  spese  di  lavorazione  del  terreno  e  dell'  eventuale  conci- 
mazione ; 

c)  la  spesa  di  raccolta  e  conservazione  delle  frutta  ; 

d)  l'interesse  del  capitale  fondiario  che  non  produce  in  causa 
delle  piante.  Di  solito  si  calcola  il  totale  interesse  e  si  detrae  da  que- 
sto la  rendita  ricavata  da  qualche  coltura  intercalare,  che  si  vuol  fare 
fino  che  le  piante  non  hanno  occupato  tutto  il  terreno. 

Per  esempio,  avendo  un'ara  di  terreno  del  valore  di  L.  16  ed  utilizzando  un  quarto 
di  questa  superficie  con  una  coltura  intercalare,  si  addebiterà  alla  coltura  arborea  sol- 
tanto l'interesse  di  L.  12  al  5  "/„,  pari  a  L.  0,(J0. 

Ammesso  che  un  melo  a  pieno  vento  occupi  50  m.'-  e  che  le  si)ese  a)  b)  ammontino 
a  L.  0,20  per  pianta;  si  avranno  L.  O.óO  di  cui  bisogna  calcolare  l'interesse  fino  che  la 
pianta  copre  le  spese  col  suo  prodotto. 

I. 'interesse  di  L.  0,50  al  5  %  è  di  centesimi  2.5.  Ammesso  che  il  melo  a  30  anni  ar- 


-  19  - 

rivi  col  suo  prodotto  a  coprire  le  spese  oltre  quelle   di  coltivazione  corrente,  si  calcola 
nel  seguente  modo  : 

nel  1"  anno  che  si  fa  la  spesa — 

,    2"  „  „  „  1  volta  2.5 

.    3»  „  ,  „  2  volte  2.5 

„    4°  ,  „  ,  3       „      2.5 

„    5»  ,  „  „  4      „      2.5 

„    6»  ,  „  ,  5      „      2.5 

„     7"  „  „  „  G      „      2.5 

„     8°  „  „  „  7      „      2.5 

„    9»  „  „  „  8      „      2.5 

,10°  ,  „  „  9      „      2.5 

fino  al  10  anno 45  volte  2.5 

daini"  anno  al  15'  :  10  +  Il  +  12  -|-  13  +  14  =  60  „  2.5 
dal  16"  ,  al  20»  :  15  +  16  -f  17  -|-  18  +  19  =  85  „  2.5 
dal  21°  „  al  25°  :  20  +  21  +  22  -f  23  +  24  =  110  „  2.5 
dal  26>        ,      al  30»  :  25  -f-  26  +  27  +-  28  +  29  =  135      „      2.5 

In  30  anni 435  volte  2.5  =  L.  10,87 

5.  Determinazione  del  valore  della  pianta.  —  Detratto  dal  valore 
del  prodotto  che  si  può  ricavare  da  una  pianta  durante  la  sua  vita,  la 
somma  delle  spese  sostenute  per  coltivarla,  comprendendo  gli  interessi 
relativi,  si  ha  la  rendita  netta  che  la  pianta  dà  durante  la  sua  vita. 

Su  questa  rendita  bisogna  fare  ancora  una  riduzione  del  5  %  per 
risico.  Dividendo  quello  che  rimane  per  il  numero  degli  anni  di  vita 
della  pianta  si  ha  la  rendita  annua,  capitalizzando  la  quale,  si  ottiene 
il  valore  di  stima  della  pianta. 

Un  calcolo  di  stima  fatto  con  questo  metodo  lo  presento  nella 
parte  speciale  per  il  pero  e  melo,  per  il  susino,  per  il  ciliegio  dolce 
ed  acido. 


PARTE  SECONDA 

RIPRODUZIONE   E   MOLTIPLICAZIONE 
DELLE  PIANTE  DA  FRUTTO  (J) 


I. 
Il  vivaio  :   Definizione   del  vivaio,   sua   importanza.  — 
Scelta  del  terreno,  sua  preparazione  e  distribuzione. 

1.  —  Per  vivaio  intendo  quello  spazio  di  terreno  nel  quale  si  pro- 
pagano e  si  allevano  le  piante  da  frutto.  Quella  parte  del  terreno  desti- 
nata per  la  semina,  ctiiamasi  semenzaio  ;  quella  dove  si  trapiantano  i 
soggetti  per  innestarli,  dicesi  nestaiiiola  o  meglio  nestaia  ;  quella  dove 
si  piantano  le  talee,  barbatellaio  ;  quella  infine  dove  si  allevano  le  piante 
dopo  l'innesto  e  si  tengono  fino  al  momento  dell'impianto  a  dimora  sta- 
bile, piantonaia. 

Senza  far  torto  ad  alcuno  dei  nostri  vivaisti  di  piante  da  frutto,  alcuni  dei  quali 
si  sono  resi  veramente  benemeriti,  debbo  sostenere  per  l'interesse  di  tutti  gli  agricoltori 
che  intendono  estendere  nei  loro  terreni  la  coltivazione  delle  piante  da  frutto,  la  ne- 
cessità di  destinare  un  appezzamento  di  terreno  anche  a  vivaio. 

Due  sono  le  ragioni  principali  per  le  quali  bisogna  sostenere  la  necessità  del  vi- 
vaio. L'una  è  l'incertezza  che  le  piante  acquistate  corrispondano  alla  varietà  che  si  in- 
tende possedere;  l'altra  che  nel  vivaio  si  ottengono  delle  piante  cresciute  sotto  le  me- 
desime condizioni  di  quelle  a  cui  devono  sottostare  dopo  l'impianto  stabile.  Col  vivaio 
si  ha  perciò,  maggior  facilità  di  attecchimento  nei  trapianti,  sicurezza  assoluta  della 
qualità  e  da  ultimo  il  vantaggio  di  poter  rimpiazzare  prontamente  quelle  piante  che 
per  un  accidente  venissero  a  mancare. 

2.  —  Il  terreno  deve  essere  fertile,  dei  migliori  della  località,  ricco 
di  umus,  profondo  almeno  80  cm.,  libero  da  grosse  pietre  ed  esente  di 
strati  cretosi  o  ferruginosi.  E'  da  preferirsi  un  terreno  siliceo-argilloso, 


(1)  Ch.  Baltet.  —  La  pepinière   —  Paris,  1903. 


-  21   - 

fresco  ;  i  terreni  umidi  sono  assolutamente  da  scartarsi,  perchè  in  que- 
sti le  piante  prendono  facilmente  il  cancro  e  si  coprono  di  muschi.  Se 
invece  il  terreno  è  arido,  le  piante  crescono  stentatamente  e  sviluppano 
poche  radici  fine. 

La  località  deve  essere  arieggiata,  non  soggetta  alle  brine  tardive 
di  primavera  od  a  quelle  precoci  d'autunno.  Nelle  località  troppo  fa- 
vorite dal  clima  le  piante  però  riescono  troppo  delicate,  in  quelle 
esposte  ai  venti  impetuosi,  le  piante  crescono  storte,  piegate.  Il  terreno 
deve  essere  piano,  con  una  massima  pendenza  del  5  %,  e  possibilmente 
riparato  a  nord  ed  a  ponente. 

Un  terreno  diboscato,  un  vecchio  prato  dissodato,  sono  adatti  per 
l'impianto  di  un  vivaio.  Non  è  consigliabile  un  vivaio  in  una  landa  mai 
coltivata. 

Infine  chi  vuol  piantare  un  vivaio  di  speculazione  è  bene  scelga 
una  località  di  facile  accesso  ed  in  vicinanza  di  strade  ferrate  per  avere 
la  minor  spesa  di  trasporto  e  la  maggior  facilità  di  commercio. 

Nel  vivaio  destineremo  poi  a  semenzaio  quella  porzione  del  terreno 
più  comoda  per  l'irrigazione  o  innaffiamento,  il  terreno  più  sciolto,  an- 
che se  non  tanto  profondo,  più  fertile  e  mondato  da  ciottoli  e  da  ma- 
lerbe. Per  nestaio  e  barbatellaio  destineremo  la  porzione  migliore  di 
terreno,  che  rimane  dopo  scelto  il  semenzaio.  A  piantonaia  infine  de- 
stineremo la  parte  più  riparata  dai  venti. 

3.  —  Il  primo  lavoro  d'impianto  consisterà  in  uno  scasso  di  40  ad 
80  cm.  di  profondità.  Si  lavora  a  40  centimetri  di  profondità  quando 
le  piante  devono  rimanere  due  soli  anni  ;  se  invece  devonsi  lasciare 
due  anni  dopo  l'innesto,  bisogna  scassare  a  60  cm.  e  se  più  anni,  fino 
ad  80  cm. 

L'epoca  più  conveniente  per  lo  scasso  è  l' estate  e  facendolo,  si 
abbia  l'avvertenza  di  pulire  il  terreno  dai  ciottoli,  radici,  ecc.,  nonché 
di  mescolare  i  diversi  strati,  quando  non  se  ne  trovassero  propriamente 
di  ingrati,  onde  ottenere  un  terreno  di  composizione  uniforme.  Bi- 
sogna però  avvertire  che  la  terra  vergine  non  deve  essere  portata  alla 
superficie  poiché  questa  è  dannosa  a  tutte  le  giovani  piante  da  frutto 
meno  forse  che  alla  vite.  Le  radici  estratte  si  bruciano  ed  i  ciottoli 
servono  per  fare  il  basso  fondo  dei   viali. 

Il  concime  migliore  per  l'impianto  di  un  vivaio  è  quello  fatto  a 
base  di  stallatico.  Bisogna  assolutamente  escludere  il  letame  fresco, 
perchè  ingenera  con  somma  facilità  la  muffa  alle  radici  e  la  sua  azione 
è  troppo  lenta.  Nei  terreni  forti,  è  indicata  una  miscela  di  letame  ca- 
vallino, suino,  pecorino  e  bovino  ammonticchiata  almeno  6  mesi  prima 
dell'impiego  ed  annaffiata  con  spurgo  di  latrine  a  colaticcio.  Per  affret- 
tare la  decomposizione,  convengono  uno  o  due  rivoltamenti.  Se  si 
tratta  di  terreni  ordinari  é  preferibile  un  composto  in  parti  eguali  di 
letame  cavallino  col  bovino. 

Preparati  i  composti  tanto  in  un  modo  che  in  un  altro,  essi  rie- 
scono però  soverchiamente  ricchi  di  azoto  in  confronto   alla   anidride 


—  22  — 

fosforica  e  potassica  e  quindi  se  applicati  tali  quali,  farebbero  crescere 
in  altezza  le  piante  del  vivaio,  ma  una  gran  parte  del  legno  rimarrebbe 
immatura  e  poi  perirebbe  coi  freddi  dell'inverno.  E'  quindi  necessario 
di  spolverare  ogni  quintale  di  questi  composti  prima  di  spargerli,  con 
180  gr.  di  scorie  Thomas  e  70  gr.  di  solfato  di  potassa.  Invece  di  scorie 
si  possono  impiegare  125-150  gr.  di  perfosfato  oppure  150-180  gr.  di 
polvere  d'ossa.  Invece  di  solfato  di  potassa  si  può  adoperare  eguale 
quantità  di  cloruro  di  potassa  oppure  gr.  100  a  120  di  Kainite. 

Lo  spargimento  del  concime  è  bene  farlo  in  autunno  o  durante 
l'inverno,  spargendolo  uniformemente  e  poi  sotterrandolo  subito  con 
un  lavoro  superficiale.  Nel  periodo  che  passa  dallo  spargimento  all'im- 
pianto, il  concime  si  amalgama  per  bene  col  terreno  e  le  piante  poi 
crescono  con  vegetazione  uniforme. 

4.  —  Per  evitare  confusioni  è  bene  che  il  vivaio  venga  diviso  in 
appezzamenti  regolari,  possibilmente  rettangoli,  di  dimensioni  non  mag- 
giori di  m.  40  per  lato.  Fatti  gli  appezzamenti,  si  destineranno  quelli 
per  il  semenzaio,  per  il  barbatellaio,  per  il  nestaio  e  per  la  piantonaia. 
Di  solito  questa  ultima  occupa  circa  due  terzi   della    superficie   totale. 

Per  fissare  l'estensione  che  si  deve  dare  al  vivaio  bisogna  anzitutto  stabilire  il 
numero  delle  piante  che  si  vogliono  ricavare  ogni  anno  e  l'età  cui  le  piante  si  vogliono 
vendere.  Ammesso  di  volere  N.  600  piante  ogni  anno,  di  5  anni  di  età,  calcolato  lo  spazio 
che  occorre  per  il  semenzaio,  nestaio  e  viali  relativi,  si  può  ritenere  che  per  ogni  pianta 
occorre  un  terzo  di  metro  quadrato  di  superfìcie  e  pel  nostro  caso  quindi  m.^  200.  Tenuto 
conto  lo  scarto  inevitabile,  che  ammonta  in  media  al  25  %  e  calcolato  che  queste  piante 
devono  rimanere  per  5  anni,  si  ha  una  superfìcie  complessiva  di  m.'-'  250  X  5  =  m.^  1250. 
Considerato  poi  che  estirpate  queste  piante  bisogna  destinare  il  terreno  per  altri  5  anni 
ad  altre  coltivazioni,  si  ha,  che  per  produrre  annualmente  N.  600  piante  occorrono 
m.'-  2500  di  superficie  di  terreno. 

Fissata  l'estensione  degli  appezzamenti,  nel  mezzo  ed  in  direzione 
della  massima  lunghezza  si  fa  un  viale  largo  da  m.  1,20  a  m.  2,  e  m.  2,30 
a  seconda  della  ampiezza  del  vivaio  ed  a  seconda  che  occorrerà  tran- 
sitare con  carrette  a  mano  o  carri  e,  fra  i  principali  quadri,  si  faranno 
perpendicolarmente  dei  sentieri  larghi  m.  0,80. 

Tanto  i  sentieri  che  i  viali  nei  terreni  sciolti  è  bene  farli  fuori  terra  poiché  così 
s" accumula  l'acqua  nei  quadri  del  terreno  ;  se  invece  il  terreno  è  argilloso,  perchè  servano 
di  drenaggio,  i  viali  si  fanno  ad  un  livello  più  basso  di  quello  del  terreno  delle  aiuole. 

Nei  vivai  stabili  di  speculazione  ai  lati  dei  grandi  appezzamenti  si 
collocano  le  piante  madri  ed  i  piccoli  appezzaiwenti  si  contornano  di 
salici,  di  ribes,  di  uva  spina,  di  lampone,  di  fragole  che  rimangono 
poco   nel  vivaio. 

11  semenzaio  sì  suole  dividere  in  aiuole,  della  larghezza  di  m.  1,20 
e  della  lunghezza  di  m.  8  circa.  Ogni  aiuola  è  divisa  dall'  alti'a  da  un 
sentiero  largo  cm.  20  e  ad  ogni  6  aiuole  si  fa  un  sentiero  più  largo  e 
cioè  di  cm.  50.  Per  il  nestaio  si  può  disporre  il  terreno  in  quadri  più 
grandi.  L'esperienza  mi  ha  dimostrato  che  la  larghezza  più  conveniente 
di  questi  e  da  m.  8  a  9.  La  lunghezza,  dipende  dalla  quantità  di  piante 
che  si  intende  piantare. 


-    2A   — 

Il  semenzaio  e  barbatellaio,  hanno  specialmente  bisogno  |)er  alcune 
ore  della  giornata  di  essere  riparate  dal  sole.  Allora  conviene  fare  delle 
spalliere  con  delle  piante  a  forma  di  U,  alte  m.  2,50  e  distanti  fra  loro 
m.  4,60  e  nella  direzione  da  levante  a  ponente.  Per  la  spalliera  basta 
una  aiuola  di  m.  1  di  larghezza  e  lo  spazio  fra  mezzo  di  ni.  4,60  si 
suddivide  in  due  aiuole  di  m.  1,20  ciascuna  con  in  mezzo  un  sentiero 
di  m.  0,40,  le  quali  possono  servire  per  barbatellaio  o  nestaio.  Una  tale 
disposizione  è  illustrata  dalla  fìg.  1. 


N 


m.  1, — 
m.  0,40 
m.  1,20 
m.  0,40 
m.  1,20 
s 
m.  1,20 
m.  0,40 
m.  1,20 
m.  0,40 
m.  1,20 
m.  0,40 
m.  1,- 


^I<     ^     >ì<     >i<     h&     ^     ^[-<     ^      >ì<     hB     ^     >-B 


>-p     vj<     >-I<     ^p 


^  s 

_  s 
B 


^1^    ^x<    >h    >-P    >-P    ^J<    y^    ^P 


y'b    ^I<    ^I<    ^    >-I<    >ì<    h&    ^    ^    ^    yJ<'  ^  S 


Fig.  1.  —  Ksempio  di  vivaio  ombreggiato  da  spalliere  ad  U. 

Spainola  larga  m.  1  con  spalliera  formata  da  piante  allevate   ad    U    semplice   distanti 

Ira  loro  m.  1;  —  s  =  sentieri  della  larghezza  di  m.  0,40;  -  iV=  aiuole  per  nestaiola  larghe 

m.  1.20;  —  J3  =  aiuole  di  barbatellaio  larghe  m.  1.20. 


Anche  per  la  piantonaia  conviene  dividere  l'appezzamento  in  tante 
aiuole,  larghe  m.  2,40,  lunghe,  quanto  è  lungo  l'appezzamento,  e  divise 
da  un  sentiero  largo  m.  0,30.  Le  piante  sono  collocate  a  copie  di  tre 
file  distanti  m.  0,80  e  sulla  fila  a  m.  0,60.  Per  ogni  forma  pciò  queste 
distanze  possono  variare,  ma  è  bene  che  in  ogni  appezzamento  od 
almeno  per  ogni  fila  si  destini  una  sola  forma  di  pianta. 

Nei  vivai  dove  si  fa  l'irrigazione,  le  piante  si  collocano  a  doppie 
file,  separate  dal  solco  irrigatore. 

Infine  in  un  vivaio  occorre  la  numerazione  d'ogni  fila  di  piante 
mediante  dei  cartellini  che  si  attaccano  alla  prima  pianta  d'ogni  fila,  i 
quali  cartellini  si  riferiscono  ai  numeri  del  registro  che  ogni  vivaista 
deve  preparare. 


—  24  - 

5.  —  Per  utilizzare  meglio  il  terreno  e  per  avere  delle  piante  sem- 
pre robuste,  occorre  seguire  anche  nel  vivaio  una  certa  rotazione. 

Il  vivaio  delle  aziende  rurali,  dopo  prodotto  quel  dato  numero  di 
piante  per  il  quale  è  stato  destinato,  si  destina  subito  alle  coltivazioni 
ordinarie  e  si  fa  il  nuovo  vivaio  in  altro  prato  vecchio  o  terreno,  di- 
boscato. 

Nei  vivai  stabili  ciò  naturalmente  non  si  può  fare  ed  allora  bi- 
sognerà provvedere  ad  un  certo  avvicendamento  per  prevenire  l'esauri- 
mento del  terreno.  Cosi  ad  esempio  non  converrà  allevare  dei  peschi 
sempre  nello  stesso  quadro,  ma  si  alterneranno  questi  con  cotogni,  con 
viti.  Passati  però  5  anni  circa,  occorre  cambiare  addirittura  coltivazione 
per  altrettanto  tempo  e  cioè  fare  colture  ordinarie  di  granoturco,  pa- 
tate, barbabietole,  ecc. 

Le  colture  consociate  agli  ortaggi  nelle  piantonaie,  generalmente 
non  convengono. 

Una  buona  rotazione  è  la  seguente  : 

I Anno  piantonaia  con  stallatico  decomposto  corretto   con   concimi 

chimici. 

II „       piantonaia  senza  concime. 

III...      „  „  con  terricciato,  o  torba  imbevuta  di  pozzo  nero. 

IV....      „       granturco  con  stallatico  kg.  30,000  per  ettaro. 

V „       ortaggi,  specialmente  legumi  da  seme,  senza  concime. 

VI....      „       patate,  barbabietole  od  altre  sarchiate  con  stallatico  Kg.  30000 

per  ettaro. 
VII..      „       semenzaio  o  barbatellaio,    con   una    delle   formole   indicate 

per  questi. 
Vili.      „       nestaio  senza  concime. 

Sulla  concimazione  dei  vivai  si  parla  diffusamente  nella  Parte 
Ottava  Gap.  XVII. 


II. 

Riproduzione  e  moltiplicazione. 

Le  piante  da  frutto  si  riproducono  per  seme  e  si  moltiplicano  per 
divisione. 

1.  —  La  riproduzione  per  seme  è  la  via  naturale,  per  la  quale  si 
propagano  tutte  le  piante.  Con  questa  si  ottengono  i  soggetti  (chiamati 
franchi  o  selvatici)  più  robusti,  vigorosi  e  generalmente  simili  al  tipo, 
per  quanto  concerne  la  specie.  Quanto  ai  caratteri  della  varietà  avviene 
di  sovente,  che  subiscono  delle  modificazioni  più  o  meno  importanti. 
Cosi  ad  esempio,  dai  granelli  di  pere  si  ottengono  bensì  dei  peri,  ma 
questi,  con  99  probabilità  su  cento,  non  avranno  né  il  legno,  né  le  fo- 


Library 
State   CoHep-e 


Tab.  VI. 


Modo  con  cui  si  propagano  le  piante  da  frutto. 


Nome  della  pianta 


Moltiplicazione  per 


Aberia 

Agrumi 

Albicocco  

Anona    

Asimina 

Azzeruolo 

Bagolano  

Banano 

Carrubo     

Castagno 

Ciavardello 

Ciliegio 

Corbezzolo    

Corniolo 

Cotogno 

Crespino 

Diospiri 

Eugenia . 

Faggio 

Feijoa 

Fico    .    .         

„    d'India 

Gelso  da  frutto     .    .    . 

Giuggiolo 

Holboelia  latifolia  .    . 
Ilovenia  dulcis     .     .    . 

Lampone 

Mandorlo 

Melo 

Melagrano 

Mirtillo 

Nespolo     

„        del  Giappone 

Noce 

Nocciolo 

Olivo 

Pachira  

Palma  del  dattero   .    . 

Pavia 

Passiflora  a  frutti  dolci 

Pero 

Persea  gratisima .    .    . 

Pesco 

Pino  da  pinoli.    .    .    . 

Pistacchio 

Psidio 

Querce  ballota.    .    .    . 

Ribes     

Rovo ........ 

Sorbo     

Susino 

Vite 


seme  talea       margotta    innesto      polloni        ovol 


\') 

15 

iM 

16 

40 

— 

41 

— 

(') 

17 

14 


2C 

_ 

27 

— 

_ 

21 

28 

22 

29 

_ 

30 

23 

;u 

- 

(')  Soltanto  per  ottenere  nuove  varietà.  -  O  Per  ottenere  degli  alberelli. 


-  26  - 

glie,  né  i  fiori,  né  i  frutti  della  pianta  da  cui  provenivano  i  granelli 
seminati.  Alcune  piante  fruttifere  si  riproducono  abbastanza  fedelmente 
anche  per  seme. 

2.  —  La  moltiplicazione  per  divisione  è  la  via  artificiale  applicata 
dall'uomo  ed  ha  per  iscopo  di  riprodurre  esattamente  i  caratteri  della 
varietà  in  tutte  le  sue  parti.  Molto  raramente  si  verifica  una  eccezione 
a  questa  regola  e  non  succede  che  nel  caso  di  alterazione  delle  parti 
del  vegetale  moltiplicato.  Questa  moltiplicazione  che  possiamo  anche 
chiamare  artificiale,  comprende  la  moltiplicazione  per  talea,  per  mar- 
gotta, per  innesto,  per  polloni  e  per  ovoli. 

Il  modo  seguito  dal  frutticoitore,  per  propagare  le  diverse  essenze 
fruttifere,  è  indicato  dalla  Tab.  VI. 

Come  si  vede,  delle  52  piante  da  frutto,  41  si  propagano  per 
seme;  17  per  talea;  14  per  margotta,  31  per  innesto;  23  per  polloni  o 
rimessiticci  di  radici  ed  1  per  ovoli. 


III. 

Attrezzi  e  macchine  necessarie  al  frutticoitore. 

Prima  di  addentrarci  nella  pratica  della  moltiplicazione  è  bene  che 
si  passino  in  rassegna  e  che  si  diano  alcune  norme  nella  scelta  dei 
principali  attrezzi  e  macchine  che  occorrono  al  frutticoitore. 

1.  —  La  vanga  è  l'istrumento  che  serve  a  rivoltare  il  terreno. 

Deve  essere  grande  e  terminare  in  punta  poco  aguzza  piuttosto  rotonda,  pei  ter- 
reni sciolti;  deve  essere  appuntata  e  greve,  pei  terreni  duri  e  pietrosi;  appuntata  od  a 
forca  e  mediocremente  pesante,  pei  terreni  argillosi  e  marnosi  (fìg.  2-6). 

2.  —  La  zappa  (fig.  7-12).  Anche  la  scelta  di  questo  strumento  merita 
riflessione.  Colla  zappa  si  mareggia  quando  trattasi  di  lavorare  super- 
ficialmente, si  sarchiella  quando  si  vuole  ripulire.  Nei  terreni  non  ciot- 
tolosi e  sciolti  possono  usarsi  le  zappe  grandi,  del  rimanente  si  ado- 
pera con  vantaggio  la  zappa  bergamasca  che  ha  un  manico  lungo 
m.  1,50  ed  il  ferro  trapezoidale  col  tagliente  largo  cm.  20. 

I  picconi  (fig.  13  e  14)  si  adoperano  quando  si  tratta  di  smuovere 
il  sottosuolo  od  i  terreni  sodi. 

3.  —  Il  badile  (fig.  15-16)  si  adopera  per  ripulire  solchi,  per  vuotare 
fossi,  per  trasportar  terra  e  negli  impianti.  Per  trasportare  la  terra  ad  una 
certa  distanza  si  adoperano  le  barelle  (fig.  17)  e  la  carriola  (fig.  18). 

4.  —  Il  rastrello  serve  a  raccogliere  le  erbe  cattive,  così  pure  le 
pietre  e  le  radici  che  vengono  portate  alla  superficie  colla  vangatura. 
Serve  anche  a  sminuzzare  il  terreno,  eguagliarlo  ed  a  coprire  le  se- 
menti. I  rastrelli  si  costruiscono  o  tutti  in  ferro  (fig.  19  e  2U)  o  tutti  in 
legno  oppure  col  traverso  di  legno  ed  i  denti  di  ferro.  Preferisco 
quest'ultimi  perchè  più  leggeri,  più  comodi  e  che  facilmente  si  possono 


27 


Fig.  2.  —  Vanga  a 
punta  rotonda. 


Fig.  3.  —   Vanga  a 
taglio  concavo. 


Fig.  4.    -  Vanga 
taglio  ottuso. 


Fig.  5.   —   Vanga  a 
taglio  diritto. 


m 


Fig.  G. 
Vanghe   a   forca. 


Fig.  7. 
Zappa   Bergamasca. 


l'ig.  8.        Zappa  a  punta 
quadra    per    giardino. 


28    - 


Fig.   12. 
Zappone  semplice. 


Fig.  13. 
Piccone  semplice. 


Fig.    14. 
Piccone  doppio 


—  29  - 

far  rimontare  dagli  stessi  contadini.  Per  eguagliare  il  terreno  e  per 
coprire  le  sementi  si  adopera  il  rastello  a  denti  dritti,  per  gli  altri 
lavori  quello  a  denti  curvi. 

5.  —  Il  rastialoio  o  grametlo,  sarchiello  (fig.  21).  E'  uno  strumento  che 
consiste  in  un  bastone  lungo  m.  1,50,  alla   cui    estremità   sta    attaccato 


Fig.  16.  —  Badile  a  punta  arrotondata. 


/ 


piifHf 


Fig.  15.  —  Badile. 


Fig.  17.  -  Barella. 


un  ferro  a  guisa  di  coltello  largo  da  tre  a  quattro  dita  posto  di  tra- 
verso, col  quale  si  nettano  i  viali  e  si  recidono  e  levano  le  erbe 
tenere. 

6.  —  Il  potatoio.  E'  questo  l'istrumento  più  importante  pel  frutti- 
coitore. Tutti  i  frutticoitori  raccomandano  una  propria  forma  di  potatoio 
a  seconda  della  pratica  fatta  adoperandone  una  o  l'altra.  Predomina  la 
forma  francese,  col  manico  e  lama  diritta,  adunca    quest'  ultima   all'è- 


-  30  - 

stremità  (fig.  22)  ;  la  forma  tedesca  con  manico  e  lama  leggermente  in- 
curvata (fig.  23)  ed  il  modello  con  manico  a  tagliente  ancora  più  in- 
curvato (fig.  24).  Quest'ultimo  modello,  è  stato  adottato  da  me  da  pa- 
recchi anni  ed  è  conosciuto  per  potatoio  Tamaro. 


Fig.  18.  —  Carriola  per  trasporto  di  terra  con  una  ruota  articolata 
fra  i  due  piedi  {tipo  Hebert). 


Fig.  19. 
Rastrello   in  ferro. 


Fig.  21.  —  Rastiatojo. 


Per  fare  tagli  più  grossi  e  specialmente  per  gli  olivi  e  gelsi,  si 
adopera  il  pennato  (fig.  25)  o  la  roncola  (fig.  31). 

Per  abbattere  gli  alberi  si  adopera  la  scure  (fig.  26);  per  pulire  i 
tronchi  dalla  carie  nell'interno  si  adopera  una  specie  di  scalpello  (fig.  27) 
od  una  scure,  colla  parte  opposta,  foggiata  a  guisa  di  scalpello  conico 
(fig.  29)  o  da  un  lato  solo  (fig.  30). 

7.  —  La  sega  è  necessaria  per  fare  le  amputazioni  dei  rami  più 
grossi.  Di  seghe  ce  ne  sono  ad  archetto  (fig.  33   e   34),   a  manico   fisso 


31   — 


Fig.    24. 
Potatoio  Tamaro. 


\v 


Fig.  22.  —  Potatoio  francese.  Fig.  23.  -  Potatoio  tedesco.  Fig.  25.  —  Pennato. 


Fig.   27. 
Strumento  per  pulire  l'interno  dei  tronchi  dalle  carie. 


Fig.   2G. 

Scure   per  atterrare 

le  piante. 


Strumento  per  rimuovere  la  terra  intorno  agli  innest 


32 


Fig.   29. 
Scure  per  pulire  e  tagliare  i  tronchi. 


Fig.  30.  Fig.  31.  Fig.  32. 

Scure  Roncola  che  si      ^'^)]T^  P^r  puljre 

a  scalpello.       fissa  all'estre-         ,  1  •"♦frno  dei 
raità  di  una  tronchi  di  olivi 

pertica.  colpiti  dalla 

cane  centrale. 


Fig.  33.  —  Sega  per  potatore  ad  archetto.  Fig.  34.  —  Seghetta  da  innestatore. 


Fig.   35-36. 
Seghe  a  manico  fisso. 


Fig.  37-39. 
Seghe  a  serramanico  per  potatori. 


66 


(fig.  35  e  36),  a  serramanico  (fig.  37  a  39)  e  di  quelle  fissate  aireslreinità 
di  una  pei'tica,  per  le  amputazioni  più  incomode.  Una  sega  buona  deve 
avere  il  dorso  mollo  più  sottile  della  dentatura.  I  tagli  falli  colla  sega 
devono  essere  ripuliti  col  potatoio. 


Fig.  40.  —  Forbice  tipo  Dittmar. 


8.  —  La  forbice.  La  migliore  che  si  abbia  in  commercio  in  Italia  è  la 
forbice  tipo  Dittmar  (fig.  40).  Con  essa  si  potano  più  speditamente  le 
piante  ma  essa  iia  l'inconveniente  di  schiacciare  il  legno.  In  tesi  gene- 


Fig.  41.  —  Forbice 
pei"  tagliare  i  rami  discosti. 


Fig.  42.  -    Forbice  a  pertica  per  gli  alberi  alti. 


rale  dunque,  Fuso  della  forbice  è  da  condannarsi  se  al  più  non  si  vuol 
tagliare  ad  una  certa  disianza  dal  punto  destinato.  La  sola  vite,  per 
la  natura  del  suo  legno  elastico,  risente  meno  delle  altre  piante  del- 
l'amputazione colla  forbice.  Ci   sono   anche  delle  forbici  per  tagliare  i 

3  —  TAM.\r.o  -  Friitticollitra. 


—  34 


rami  discosti  (fìg.  41)  o  di  quelle  saldate   a  delle   pertiche  per  tagliare 
i  rami  più  alti  (fig.  42). 

Al  frutticoitore  può  occorrere  una  forbice  per  cogliere  le  frutta 
(fig.  43),  per  tagliare  le  siepi  (fig.  44);  pel  diradamento  degli  acini  del- 
l'uva (fig.  45). 


Fig.  44.  —  Forbicioni  da  siepi. 


00' 


Fig.  43.  —  Forbice  cogli  frutta. 


Fig.  45.  —  Forbice  per 
diradamento  degli  acini  d'uva. 


9.  —  Uinneslaloio.  Per  la  maggior  parte  degli  innesti  è  sufficiente 
l'innestatoio  Kunde  (fìg.  46),  il  quale  ha  l'unghia  all'estremità  del  dorso 
della  lama.  Per  gli  innesti  a  gemma  occorre  invece  che  il  taglio  del 
coltello  sia  convesso,  per  incidere  meglio  la  corteccia  dei  soggetti 
(fig.  47-50). 

10.  —  Il  fenditoio.  E'  uno  strumento  col  quale  si  fa  lo  spacco  dei 
soggetti  grossi  per  innestarli.  La  lama  deve  essere  fissa  al  manico  e 
col  dorso  largo  per  poter  battere  con  una  mazza  (fig.  51). 

Altri  istrumenti  accessori  per  l'innestatore  è  la  pietra  per  affilare 


35 


Fig.   4().  Fig.  47-50. 

Innestatoio  Kunde.  Tipi  diversi  di  innestatoio  per  l'innesto  a  gemma  ed  altri  innesti. 


.^.^^W^^ 


Fig.  51.  —  Fenditoio  per  l'innesto  a  spacco. 


Fig.   52. 
Pietra  per  affilare  gli  innestatoi. 


Fig.  -53.  —  lìaschiatoio. 


Fig.  54.  —  Raschiatoio. 


Fig.  55.  —  Spazzola  d'acciaio. 


-  36  — 

gli  innestatori  (fig.  52)  la  vanghetta  per  scalzare  gli  innesti  (fig.  28)  ed 
un  sarcliiello  per  rimuovere  la  terra  nei  semenzai  e  nestai  (flg.  57j; 
dei  fornelli  per  preparare  il  mastice  ((ìg.  58  e  59);  la  rapina  per  gli  in- 
nesti (fig.  60). 


Fig.  57.  —  Sarchiello. 


Fig.  56.  —  Spazzole  di  acciaio. 


Fig.  59.  —  Fornello  per  preparare  il  mastice. 


!'■ 


Fig.  .^8.  —  Fornello   per  i  mastici 
da  adoperarsi  a  caldo. 


.Fig.  (JO.  —  Matassa  da  raphia. 


11.  —  I  raschiatoi  (fig.  53-54),  la  spazzola  di  fili  d'acciaio  (fig.  55  e  56) 
sono  due  strumenti  che  servono  al  diraspamento  dei  tronchi  d'alberi 
jjer  distruggere  crittogame  e  uova  d'insetti. 

Occorrono  poi  dei  coglif rulla  (fig.  43  e  67);  un  traspiantatoio  per  pìc- 
cole  piante  (fig.  62);  dei  tendifilo  (fig.  63  e  64);  il  gzm/j/o  .S«/)a/é  per  levare 
le  corteccie   grossolane  che   si   staccano    ad   esempio  dal  tronco  della 


-  37  — 

vite  o  per  levare  le  foglie  dalle  canne  (fig.  65)  ;  una  gruccia  per  piantare 
le  talee  (tìg.  66);  una  tenaglia  per  l'incisione  anulare  (fìg.  67). 

Ci  sono  ancora  altri  attrezzi  e  macchine  necessarie  per  l'esercizio 
della  frutticoltura,  ma  di  essi  verrà  fatto  cenno  nel  trattato,  di  mano 
in  mano  che  si  presenterà  il  bisogno. 

12.  —  Inchiostro  per  scrivere  sulle  etichelle  di  latta  a  zinco.  Nel  vi- 
vaio si  devono  adoperare'  molte  etichette,  perciò  è  bene  conoscere 
come  si  può  preparare  un  inchiostro. 

Per  scrivere  sulla  latta,  si  sciolga  una  parte 
di  rame  metallico,  in  10  parti  di  acido  nitrico,  e 
si  aggiunga   a  questa   sohizione    10   parti  d'acqua. 


Fig.  62.  —  Traspiantatoio. 


Fig.  63.  —  Tendifilo. 


Fig.  61.  —  Cogli  frutta. 


Fig.  64.  —  Tenditore  per  filo  di  ferro. 


Il  liquido  cosi  ottenuto  è  un'ottimo  incliiostro  che  con  una  penna 
un  po'  dura  può  esser  steso  sulla  latta.  Questa  si  deve  pulire  bene 
con  uno  straccio  o  col  bianco  di  Spagna,  se  fosse  un  po'  grassa,  perchè 
non  permetterebbe  all'inchiostro  d'aderire. 

Ecco  ora  altre  formole  che  si  possono  convenientemente  adottare 
per  scrivere  su  metalli.  Se  si  vuole  inchiostro  nero,  si  mescolino  : 

Inchiostro  di  China  liquido  .    .     .    parti  11 

Silicato  di  soda „      1  a    2 

Se  si  desidera  invece  inchiostro  bianco  : 

Solfato  di  bario parti        1 

Silicato  di  soda „    3  o  4 


38 


Si  conserva  in  bottiglie  ben  chiuse  e  si  scuote  prima  d'adoperarlo: 
si  fa  uso  d'una  penna  d'acciaio   che    si    asciuga   appena    Unito.   Questi 

inchiostri  resistono  a  quasi  tutti  i  reat- 
tivi, ma  con  un  coltello  si  possono 
levare  facilmente. 


Fig.  65.  —  Guanto  Sabatè. 


Fig.  66.  —  Gruccia 
per  piantare  talee. 


Fig.  67.  —  Tenaglia 
per  l'incisione  anulare. 


Per  scrivere  su  targhette  di  zinco,  si  abbia  cura  di  pulir  bene 
prima  il  metallo  e  poi  si  usi  uiia  di  queste  composizioni  : 

"Verderame  in  polvere parti  4 

Sale  ammoniaco „  4 

Nerofumo „  4 

Acqua „  40 

oppure  : 

Cloruro  di  rame „         1 

Inchiostro  comune „        10 

II  cloruro  di  rame  si  scioglie  assai  presto  nell'inchiostro,  e  il  li- 
quido cosi  preparato  attacca  meglio  lo  zinco  che  non  quelli  a  base  di 
solfato  od  acetato  di  rame. 


IV 


Riproduzione  per  seme. 


1.  —  Dopo  quanto  è  detto  nel  Gap.  II  sulla  riproduzione  per  seme, 
è  evidente  che  il  frutticoitore  per  poche  piante  ricorre  a  questo  mezzo 
per  la  produzione  diretta,  ma  bensì  solo  per  avere  dei  buoni  soggetti 
chiamati  franchi,  vigorosi,  da  innestarsi,  colle  varietà  che  desidera  col- 
tivare. 


-  39  — 

Si  usa  la  riproduzione  per  seme,  solo  per  ottenere  nuove  varietà, 
per  le  seguenti  piante:  Azzeruolo,  Banano,  Cotogno,  Diospiri,  Fico,  Pico 
d'India,  Lampone,  Mi'lagrano,  Nespolo,  Passiflora  a  frutti  dolci,  Pistac- 
chio, Ribes  ed  Uva  spina,  Vite. 

Per  avere  piante  che  non  subiscono  l'innesto,  si  riproducono  per 
seme  :  Carrubo,  Ciavardello,  Corbezzolo,  Corniolo,  Crespino,  Eugenia, 
Faggio,  Feijoa,  Giuggiolo,  Holboelia  latifolia,  Hovenia  dulcis,  lambosa, 
Mirtillo,  Nespolo  del  Giappone,  Nocciolo,  Pachira,  Palma  del  dattero, 
Pavia,  Passiflora  a  frutti  dolci,  Pero  delle  Indie,  Persea  gratissima, 
Pino  da  pinoli,  Pomo  di  cannella,  Psidio,  Quercia  ballota. 

Si  riproducono  abbastanza  fedelmente  per  seme:  il  Lampone,  il 
Mandorlo,  il  Pesco,  il  Pistacchio. 

Per  avere  dei  soggetti  da  innesto  si  seminano  le  piante  indicate 
nella  Tabella  VII  jjagina  40. 

2.  —  I  semi  destinati  alla  riproduzione  devono  essere  pesanti,  ben 
conformati,  devono  provenire  da  alberi  adulti  ma  non  vecchi,  allevati 
a  pieno  vento  ed  in  posizione  soleggiala,  da  regioni  preferibilmente  più 
calde  e  da  frutta  completamente  mature. 

E'  diffìcile  stabilire  la  maturazione  completa  del  frutto.  Dovendo 
utilizzare  il  seme  per  la  riproduzione,  il  frutto  devesi  considerare  per 
maturo,  quando,  dopo  aver  raggiunto  il  suo  massimo  sviluppo,  cade 
da  sé  dall'albero.  Sono  sempre  da  preferirsi  i  semi  dei  frulli  caduti  a 
terra  naturalmente  a  quelli  caduti  per  abbacchiatura,  per  vento,  per 
insetti,  ecc.  La  maggior  parte  delle  nostre  specie  fruttifere  maturano 
in  autunno.  Essendoci  però  delle  eccezioni,  nella  Tab.  VIII  è  indicala 
l'epoca  di  maturazione  e  la  durata  media  della  facoltà  germinativa  dei 
semi  delle  principali   piante  da  frutto. 

Come  si  vede,  i  semi  delle  piante  da  frutto  conservano  in  media, 
per  un  tempo  molto  breve  la  facoltà  germinativa  e  per  norma  il  frut- 
ticoitore deve  ricordare: 

a)  i  semi  che  cadono  appena  maturi,  mantengono  per  breve  tempo 
la  facoltà  germinativa; 

b)  i  semi  più  grossi  e  pesanti  danno  sempre  le  migliori  piante-, 

e)  i  semi  provenienti  dai  paesi  caldi  e  dalle  pianure  fertili  danno 
sempre  le  piante  più  belle  e  meglio  sviluppate; 

d)  i  semi  provenienti  dai  paesi  freddi  o  dalla  montagna  danno 
piante  più  piccole  ma  non  più  resistenti  al  freddo  delle  altre. 

I  semi  perdono  la  facoltà  germinativa  per  una  ossidazione  che  av- 
viene degli  olii  e  grassi  od  altre  sostanze  che  contengono. 

La  semina  quindi  di  quelli  che  perdono  presto  la  facoltà  germina- 
tiva bisogna  farla  subito  dopo  la  raccolta,  oppure  bisogna  mantenere 
artificialmente  la  facoltà  riproduttiva  fino  alla  primavera,  marzo-aprile, 
epoca  nella  quale  si  fanno  ordinariamente  le  semine.  Ciò  si  ottiene  con 
una  opportuna  preparazione  e  conservazione  dei  semi. 

La  preparazione  dei  semi  potrebbe  consistere  nella  loro  immersione 
nella  parafina  pura  a  60".  Questo  mezzo  si   adopera   per   spedire  dalle 


40  - 


Prontuario  per  la  semina  delle  piante  da 


Nome  della  pianta 


Aberia 

Albicocco 

Anona    

Arancio  amaro.    .    . 

Asimina 

Biancospino  .... 

Carrubo 

Castagno 

Ciavardello    .... 
Ciliegio  di  monte 

di  S.  Lucia  . 
Citrus  triptera  .  .  . 
Corbezzolo     .... 

Corniolo 

Crespino     

Diospiro  di  Virginia 

Eugenia 

Feijoa 

Gelso  da  frutto     .    . 

Giuggiolo 

Holboelia 

Hovenia 

Loto  d'Italia  .... 

Mandorlo 

Melangolo 

Melo 

Melograno 

Mirtillo 

Nespolo 

„        del  Giappone 

Nocciolo 

Noce 

Olivo 

Pachira      

Palma  del  dattero 

Pavia  

Pero 

Persea  gralissima 

Pesco 

Pino  da  pinoli  . 

Psidio     

Sorbo 

Susino  domestico     . 

Mirabolano   . 

S.  lulien    . 
„       Damas 


Maturazione 
del  seme 


agosto-sett. 

luglio 
dicembre 


settembre 
luglio 

dicembre 
settembre 

agosto 

novembre 

dicembre 

inverno 

giugno-luglio 
settembre 
dicembre 
ottobre 
dicembre 
settembre 
dicembre 
ottobre 

agosto 

ottobre 

aprile-maggio 

settembre 

dicembre 

ottobre 


dicembre 
settembre 
novembre 

settemb.-ottob. 
agosto 
luglio 
agosto 


6 
6 
24 

6 
6 
2 
1 
6 
6 
2 
18 
settim. 


6 
() 
settim. 
2 
6 
6 
24 
1 
1 
1 
1 


Un  litro  di  semi 


pesa 
Kg. 


0.&41 

0.660 

0.62-0.64 

0.675 
0.675 


0.564 
0.666 


0.734 
0.52-0.537 

0..575 

0.526 

0.42 

0.35-0.40 

0.596 

0.68 

0.543 

0.145 


conta 
semi 

N." 


7563 
3738 
53-60 

1200-1700 
1200-1700 


1230 
61337 


7043 
106-210 


220 
35-40 
560 

680 

16200 

115 


-  41 


'rutto  e  dei  rispettivi  soggetti  da  innesto. 


Peso 
li  lOOt) 
semi 


Epoca 


della  semina 


2()U0         febbraio-marzo 
-  maggio 


8-1  marzo 

marzo-aprile 
10000  fine  iiìarzo 

settembre  180 

440  febbraio -marzo    i        15 


febbraio  1  anno 

marzo  2  anni 

fine  novembre 

marzo 

febbraio  45 

giugno 
marzo 


marzo  — 

500-4000     febbraio-marzo    '        15 


31.7 

marzo 

- 

novembre 

- 

maggio 

_ 

marzo 

90-95 

febbraio 

1000 

fine  marzo 

37 
2.500 


aprile 


febbraio -marzo 
marzo 


marzo 
febbraio-marzo 


2  anni 
15 


Distanza 
della  semina 


sulla 
fila 
cm. 


0.5-1 

5 
7-10 


1-2 

V-2-1 


"Ari 
2-3 


25-60 

Vo-1 


4-5 
8-10 


V.-i 
35 


da  fila 
a  fila 
cm. 


20-25 

15 
35-40 

25-30 


20-25 
25-30 


30-35 
60-75 


25-30 
25-30 


25-30 
30-35 


70 


25-30 
35-70 
25-30 


1.5-2 

2 

6-8 

15 

5-6 


2 
3-4 
1-2 
3-4 


1.5-3 
3-4 


2-3 
1.5-2 


10-12 
0-10 


25-30      i        2-3 


3-5 


2-3 
5-6 
4-5 


Per  metro  quadrato 


dei  semi 


Peso 
dei  semi 


Piante 
ottenibili 

N." 


600-650 
140 
30-35 

40-60 
150 


250 

575 

180-200 


570-580 
135-145 


180-200 
20-30 


520-580 
575 


87 
34-38 


570 
18-20 


570-580 
5-10 
150 


58-60 

25 
30-35 

18-24 


60-70 
6-7 


130-150 
20 


175 
35-40 


250-300 
22-44   I   54-80 
-    1   80-85 


--  42  - 

colonie  i  semi  dei  paesi  caldi.  I  semi  che  germinano  appena  liberati 
dalla  polpa,  si  raccolgono  col  fruito  immaturo  il  quale  lasciato  in- 
tatto, viene  spedito  con  mezzi  refrigeranti. 

I  semi  dei  frutti  a  granella,  a  nocciolo  ed  a  bacca  si  preparano 
sminuzzando  i  frutti  e  privandoli  con  ripetuti  lavacri  degli  involucri 
inutili  che  potrebbero  alterarli.  Quindi  si  raccolgono  i  semi  che  si  sono 
depositati  in  fondo  all'  acqua,  scartando  quelli  che  galleggiano  e  si 
stendono  sopra  un  tavolato  o  una  tela,  e  si  asciugano  all'aria  libera, 
in  una  località  ombreggiata.  Durante  l'asciugamento  si  abbia  cura  di 
rivoltarli  frequentemente,  acciò  l'evaporazione  dell'acqua  si  effettui  nel 
minor  tempo  possibile. 

I  semi  dei  frutti  secchi  all'incontro  non  abbisognano  di  alcuna 
preparazione  e  si  conservano  col  loro  epicarpio  secco. 

3.  —  Appena  completato  l' essiccamento  all'  aria  libera,  conviene 
stratificare  tutti  i  semi  indistintamente  essendo  la  stratificazione  il 
miglior  mezzo  di  conservazione. 

Per  recipiente  si  può  adoperare  un  vaso,  una  botte,  una  cassa  col 
fondo  e  pareti  bucherellate. 

Io  di  solito  adopero  delle  cassette  larghe  30  cm.  lunghe  40  alte  20  cm. 
non  collocando  più  di  5  strati  di  semi,  le  cassette,  chiuse  e  sovrapposte 
una  all'  altra  in  numero  di  2  a  6,  le  metto  in  una  fossa  coperta  pro- 
fonda non  più  di  m.  1,50. 

La  stratificazione  nelle  cassette  si  fa  nel  seguente  modo.  Sul  fondo 
si  mette  uno  strato  di  sassolini  irregolari  per  mantenere  l'areazione  e 
sopra  questo  si  stende  della  sabbia  asciutta  per  un'altezza  di  cm.  3. 
Quindi  si  fa  uno  strato  di  semi,  distendendoli  bene  col  rovescio  della 
mano  e  senza  che  si  sovrapjjongano,  si  coprono  poi  con  altro  strato  di 
sabbia,  sempre  asciutta,  dello  spessore  di  1  a  5  cm.  a  seconda  della  gros- 
sezza del  seme  e  cosi  si  segue  con  questi  strati  alternati,  fino  a  riem- 
pire il  recipiente  adoperato.  In  tal  modo  stratificati  si  può  tenere  il  re- 
cipiente anche  in  un  locale  non  caldo  ma  ventilato  ed  asciutto.  Il 
freddo  danneggia  meno  del  caldo. 

Per  ottenere  una  più  rapida  germinazione  dei  semi  a  guscio  duro, 
come  quelli  del  ciliegio,  susino,  mandorlo,  pesco,  prima  di  stratificarli, 
si  può  immergerli  per  qualche  minuto  nell'acido  solforico.  Con  questa 
immersione,  si  carbonizza  superficialmente  il  guscio  ma  in  modo  suf- 
ficiente per  preservare  il  seme.  I  semi  devono  essere  perfettamente 
asciutti  quando  si  mettono  nel  bagno  diversamente  si  eleverebbe  la  tem 
peratura  a  danno  del  seme. 

Di  solito  si  mette  l'acido  solforico  in  un  recipiente  di  terra,  si  im- 
mergono i  semi  e  dopo  estratti,  si  lavano  abbondantemente  con  uno 
zampillo  d'acqua  e  poi  vi  si  versa  del  latte  di  calce  per  neutralizzare 
l'acido  che  eventualmente  è  rimasto*  ancora  aderente. 


-  43  - 

V. 
Semina  e  cure  successive. 

1.  —  Per  seguire  l'ordine  naturale  di  propagazione  delle  piante,  la 
seminagione  di  (}uelle  da  frutto  dovrebbesi  fare  sempre  dopo  la  rac- 
colta. Difatti  la  terra  oltre  ad  essere  un  mezzo  eccellente  per  conservare 
ai  semi  la  facoltà  germinativa,  colla  sua  umidità  rammollisce  gli  invo- 
lucri disponendo  i  semi  alla  germinazione. 

Non  sempre  però  è  possibile  seminare  in  questa  epoca,  ne  è  sempre  conveniente, 
per  le  molte  peripezie   a   cui    esponiamo    i   semi   lasciati   inerti    nel   terreno  per  lungo 
tempo.  Fra  le  altre  cause  nemiche  ci  sono  i  topi,  che  troverebbero  un  pasto  gradito  in 
na  stagione  nella  quale  non  abbondano  di  alimento. 

Sta  il  latto  però,  che  i  semi  delle  piante  a  nocciolo  si  sogliono  affidare  al  terreno 
in  autunno  e  per  esse  io  consiglio  quest'epoca,  semprechè  il  terreno  non  sia  soggetto 
al  danno  dei  topi. 

Le  semine  di  tutte  le  piante  da  frutto  in  genere  si  possono  però 
sempre  fare  senza  alcun  inconveniente,  in  primavera  e  precisamente 
nella  prima  o  nella  seconda  quindicina  di  marzo,  a  seconda  dell'anda- 
mento della  stagione  ed  a  seconda  della  regione  piti  o  meno  calda. 
Onde  ottenere  una  piti  rapida  germinazione  conviene  bagnare  giornal- 
mente la  sabbia  nella  quale  sono  stratificati  i  seitii  alcun  tempo  prima 
e  portare  tutto  il  vaso  contenente  i  semi,  in  un  ambiente  caldo. 

Non  si  può  stabilire  quando  convenga  cominciare  questo  umetta- 
mento della  sabbia,  poiché  dipende  dalla  qualità  dei  semi  e  anche 
dalla  temperatura  dell'  ambiente  in  cui  essi  si  trovano.  In  generale 
diremo,  che  converrà  bagnare  la  sabbia  due  buoni  mesi  prima  della 
semina,  quando  trattasi  di  semi  ad  involucro  osseo,  ciliegi,  mandorli, 
peschi,  susini,  albicocchi,  ecc.,  e  per  le  granella  basterà  un  mese  prima. 
Va  da  sé,  che  di  quando  in  quando  bisogna  esaminare  i  semi  per  con- 
statare il  loro  stato  progressivo  di  rammollimento  e  per  provvedere, 
se  del  caso,  con  un  pit!i  abbondante  annaffiamento  e  con  una  più  alta 
temperatura,  ad  un  piti  sollecito  sviluppo  germinativo. 

2.  —  Come  gli  animali  devon  essere  ben  nutriti  sia  dalla  nascita 
per  crescere  poi  vigorosi,  cosi  le  piante  da  frutto  per  crescere  vigorose 
abbisognano  di  buona  concimazione  nel  semenzaio. 

Lo  stallatico  ben  decomposto  è  il  migliore  concime  pel  semenzaio, 
poiché  oltre  migliorare  fisicamente  il  terreno,  é  anche  un  concime 
complesso.  Però  ha  l'inconveniente  di  essere  troppo  ricco  di  azoto  in 
confronto  di  anidride  fosforica  e  fa  crescere  perciò  le  piante  lunghe, 
esili,  che  maturano  male  il  legno  e  che  i  geli  invernali  possono  anche 
far  perire.  Oltre  ai  concimi  fosfatici  è  necessario  di  aggiungere  molte 
volte  dei  sali  potassici,  e  ciò,  non  perché  lo  stallatico  od  il  terreno 
non  ne  contengano  a  sufficienza,  ma  poiché  la  potassa  che  noi  diamo 
sotto  forma  di  sali,  é  più  assimilata  di  quella  che  si  trova  nello  stal- 
latico o  nel  terreno. 


-  44  - 

Per  correggere  lo  stallatico  allo  scopo  di  dare  dell'anidride  fosfo- 
rica, si  possono  adoperare  le  scorie,  la  polvere  d'ossa  ed  i  perfosfati. 
Per  dare  la  potassa,  si  adoperi  del  solfato  di  potassa.  Per  dare  tanto  uno 
quanto  l'altro  degli  elementi,  si  può    adoperare  del  fosfato  di  potassa. 

La  quantità  necessaria  di  ciascuna  delle  dette  sostanze  per  correg- 
gere un  quintale  di  stallatico  è  la  seguente  : 

Scorie  Thomas gr.  180 

Polvere  d'ossa „  150  -  180 

Perfosfato  14-21  °U „  125  -  150 

Solfato  di  potassa „  60-70 

Fosfato  di  potassa „  80-100 

Adoperando  la  polvere  d'ossa  conviene  aggiungere  altrettanto  gesso, 
per  facilitare  la  decomposizione  dello  stallatico. 

La  quantità  di  stallatico  da  adoperarsi  per  m.^  è  di  kg.  5  ossia 
kg.  500  per  ara.  Prima  di  spargere  lo  stallatico  lo  si  spolverizza  con 
uno  o  due  dei  concimi  sopra  citati  e  poi  subito  Io  si  vanga  sotto. 

Il  concime  devesi  sotterrare  almeno  sei  settimane  prima  della  se- 
mina. Meglio  ancora  è  darlo  in  autunno,  appena  fatto  il  lavoro  pro- 
fondo del  terreno  per  disporlo  a  semenzaio. 

Nel  caso  in  cui  non  si  potesse  fare  questa  concimazione  a  tempo, 
conviene  adoperare  del  terriccio  in  doppia  quantità  di  quella  indicata 
per  lo  stallatico  al  momento  della  semina. 

3.  —  Disposto  il  terreno  in  aiuole  larghe  ni.  1,20,  fìg.  68,  come  ho 
detto  parlando  del  vivaio,  giunta  l'epoca  della  semina  si  sparge  sopra 
il  terreno  del  terriccio  ben  decomposto  e  quindi  si  fa  una  leggera 
zappatura.  Questa  ha  lo  scopo  non  soltanto  di  coprire  il  terriccio,  ma 
di  sminuzzare  anche  il  terreno  e  ripulirlo  se  mai  necessario,  di  ogni 
erba,  radici  o  ciottoli,  che  fossero  rimasti  dopo  lo  scasso. 

La  semina  delle  piante  da  frutto  si  fa  a  file  od  a  buche,  mai  a 
spaglio,  che  dà  una  distribuzione  irregolare  della  semente,  e  rende  più 
diffìcili  le  cure  successive,  che  si  devono  apprestare  ai  seminati.  La 
profondità  a  cui  si  deve  porre  il  seme  varia  a  seconda  del  terreno 
ed  a  seconda  della  grossezza  del  seme.  Si  dice  che  in  un  terreno  nor- 
male pel  semenzaio,  la  profondità  a  cui  si  deve  porre  il  seme  deve  es- 
sere uguale  alla  doppia  lunghezza  del  massimo  diametro  del  seme.  Ma 
siccome  tutte  le  regole  hanno  la  loro  eccezione,  cosi  nella  Tab.  VII  è 
indicata  la  profondità  più  conveniente,  per  ciascuna  delle  nostre  piante 
da  frutto. 

Si  seminano  a  file  i  semi  più  minuti,  tracciando  col  sarchiello  e 
guidati  da  un  filo,  dei  solchetti  trasversali  all'aiuola,  alla  profondità  a 
cui  si  vuol  porre  il  seme  e  distanti  fra  loro  cm.  15.  Sul  fondo  d'ogni 
solchetto  ed  a  distanza  presso  a  poco  eguale,  da  cm.  5  a  7,  si  dispon- 
gono i  semi  e  quindi  si  coprono  colla  terra  servendosi  del  dorso  del 
rastrello,   comprimendo   poi    energicamente   il   terreno    col   piatto  del 


—  45  - 

badile.  La  quantità  di  seme  da  impiegarsi  devesi  regolare  in  modo  da 
ricavare  nel  primo  anno  da  180  a  200  piantine  per  m.'^ 

Per  i  semi  più  voluminosi  e  specialmente  per  quelli  che  produ- 
cono delle  piante  di  rapido  sviluppo,  peschi,  mandorli,  ecc.,  si  fanno 
i  solchetti  più  distanti  uno  dall'altro  e  cioè  di  cm.  25,  e  distribuendoli 
sulla  fila  alla  distanza  di  cm.  10. 

Volendo  seminare  a  buche,  si  risparmia  di  tracciare  i  solchi,  ser- 
vendosi soltanto  del  filo  e  mantenendo  le  distanze  sopra  accennate. 
Prima  di  terminare  questo  argomento,  ritengo  utile  di  far  conoscere 
l'esperienza  da  me  fatta  e  che  mi  è  stata  confermata  da  molti  pratici 
e  cioè,  che  avendo  da  seminare  dei  meli  e  peri,  si  ottiene  un  migliore 
risultato  mescolando  le  due  qualità  assieme. 


Fig.  68.  —  Semenzaio  di  piante  da  frutto. 


4.  —  Le  cure  successive  che  si  devono  prestare  ai  seminati  sono  : 
la  scerbatura,  la  sarchiatura,  il  diradamento  e  gli  innaffiamenti. 

La  scerbaliira  è  un'operazione  indispensabile  che  serve  a  mante- 
nere mondo  il  terreno  dalle  malerbe. 

La  sarchiatura  è  anche  un'operazione  che  si  deve  ripetere  di  fre- 
quente per  aereare  il  terreno,  per  portare  alla  superficie  le  radici  delle 
malerbe  e  per  togliere  la  crosta  che  sovente  si  forma,  specialmente 
quando  si  annaffia.  Si  abbia  però  l'avvertenza  di  non  sarchiare  quando 
le  piante  sono  troppo  giovani,  ossia  appena  spuntano  dal  terreno, 
poiché  in  tale  stadio  sono  estremamente  sensibili. 

Gol  diradamenlo,  si  tolgono  le  piante  che  non  crescono  enti'o  i  li- 
miti delle  distanze  volute.  Molti  utilizzano  anche  queste  piantine,  ri- 
piantandole col  loro  pane  di  terra  in  altro  terreno.  Ma  oltre  ad  essere 
questa  un'operazione  difficile  ad  eseguirsi,  debbo  avvertire  che  di  solito 
queste  piante  vengono  meno  vigorose  delle  altre. 


-  46  - 

Quando  la  primavera  corre  troppo  asciutta  è  bene  annaffiare  ma 
una  volta  cominciati  gli  annaffi,  bisogna  continuarli  poicliè  una  inter- 
mittenza può  cagionare  dei  danni  più  gravi,  che  non  lasciando  nel 
terreno  i  semi  senz'acqua.  Nei  terreni  facili  ad  essiccarsi  e  per  i  semi 
di  lenta  e  difficile  germinazione,  come  i  vinaccioli,  i  noccioli  di  olivo, 
susino,  ecc.,  ho  trovato  conveniente  di  coprire  le  semine  per  due  dita 
colla  segatura  di  legno,  oppure  con  paglia  od  altro  genere  di  lettime. 
Questa  copertura  mantiene  l'umiditù,  impedisce  il  rapido  propagarsi 
delle  malerbe  ed  impedisce  anche  l'incrostazione  del  terreno  favorendo 
in  tal  modo  lo  spuntare  delle  piantine. 

Infine  trovo  necessario  di  raccomandare  anche  la  irrorazione  con 
la  poltiglia  bordolese  neutra  al  2  %  specialmente  le  piantine  a  nocciolo 
nonché  il  pero  e  melo,  per  evitare  l'accartocciamento  delle  foglie  e  la 
ticchiolatura. 

Alla  fine  dello  stesso  anno  e  cioè  nel  mese  di  novembre  o  al  più 
nel    febbraio    successivo,   si   trapiantano    nel   nestaio    le   piantine    che 


Fig.  69.  —  Terrina  per  semi  minuti. 


Fig.  70.  —  Sezione  della  terrina. 


hanno  almeno  il  diametro  di  una  matita.  Si  lasciano  a  posto  le  più  esili 
acciò  si  rinvigoriscano,  recidendole  alla  base  col  potatoio,  onde  pro- 
vocare la  emissione  di  un  nuovo  getto  più  robusto. 

Nell'anno  successivo  si  abbia  cura  di  sorvegliare  le  piante  lasciate 
sul  posto,  acciò  non  abbiano  che  una  sola  cacciata,  sopprimendo  tutte 
le  altre  di  minor  forza. 

La  convenienza  di  trapiantare  in  autunno  piuttosto  che  in  prima- 
vera, dipende  dalle  condizioni  locali.  Se  si  può  piantare  presto  in  au- 
tunno in  modo  che  le  radici  possano  subito  produrre  qualche  novella 
radichetta,  se  abbiamo  dei  soggetti  molto  ben  forniti  di  radici,  e  non 
vi  ha  pericolo  di  straordinaria  umidità  durante  l'inverno,  è  consigliabile 
l'impianto  d'autunno.  In  generale  però  è  più  consigliabile  l'impianto 
di  primavera,  perchè  non  è  raro  il  caso  che  le  radici  gelino  e  marci- 
scano per  le  ferite  e  i  tagli  che  si  fanno  all'impianto. 

I  trapianti  si  debbono  fare  in  giornate  asciutte,  senza  vento.  In 
Lombardia  ciò  può  aver  luogo  fino  a  tutto  il  mese  di  marzo. 

Neil' estirpare  si  abbia  cura  di  guastare  il  meno  possibile  le  radici, 
e  si  tagli  il  fittone  a  cm.  15  con  un  taglio  inclinato  ed  in  un  punto 
dove  c'è  la  massima  ramificazione  delle  radici  laterali.  11  fusto  si 
deve  tagliare  precisamente  ad  una  gemma  sopra  il  colletto. 


-  47  - 

5.  —  Le  piante  dei  paesi  caldi  è  bene  seminarle  in  appositi  cassoni, 
in  terrine  (fig.  69-70)  oppure  in  vasi,  sempre  con  terricciati,  tenuti  entro 
stufe  di  moltiplicazione  (Agrumi,  Nespolo  del  Giappone,  Olivo,  Pino 
da  pinoli,  ecc). 

Si  adoperano  dei  vasi  di  20  cm.  di  diametro  e  vi  si  collocano  da 
20  a  50  semi  secondo  la  loro  grossezza,  alla  dovuta  profondità.  Si 
trapiantano  dopo  uno  o  due  anni. 


VI. 

Moltiplicazione  per  talea,  polloni  ed  ovolo  :  Talea  ad 
una  sola  gemma.  —  Talea  a  più  gemme.  —  Zampa 
di  cavallo.  —  Magliolo.  —  Barbatella. 

1.  —  Per  talea  s'intende  ogni  pezzo  di  ramo,  che,  sotterrato  in 
parte,  è  capace  di  produrre  una  pianta  perfettamente  eguale  a  quella 
che  l'ha  fornito. 

Questo  modo  di  moltiplicazione  è  il  più  sollecito,  ma  non  può 
essere  applicato  che  per  quelle  piante  il  di  cui  tessuto  corticale  per- 
mette l'uscita  ai  fascetti  libro-vascolari,  dai  quali  hanno  origine  le  ra- 
dici. Delle  nostre  piante  da  frutto,  si  moltiplicano  più  usualmente  per 
talea  il  cotogno,  il  fico  d'India,  il  ribes  e  la  vite.  Le  altre  citate  nella 
Tab.  VII  sono  quelle  appartenenti  ai  paesi  caldi. 

Ecco  come  possiamo  spiegarci  il  fenomeno  della  propagazione  per  talee. 

Noi  sappiamo  che  tutti  i  rami  trattengono  durante  linverno  una  certa  quantità 
di  linfa  o  succo  alimentare,  destinato  ad  alimentare  il  primo  sviluppo  delle  gemme. 
Orbene,  quando  piantiamo  in  primavera  una  talea  nel  terreno  con  due  gemme  fuori 
terra,  viene  eccitata  l'energia  vitale  per  il  maggior  grado  di  temperatura  dell'aria  e 
perciò  la  talea  entra  in  vegetazione.  La  linfa  sale  e  va  ad  alimentare  una  gemma  fuori 
terra,  fa  sviluppare  delle  foglie,  le  quali  alla  loro  volta  elaborano  dei  nuovi  elementi 
nutritivi,  che  discendono  alle  gemme  sottostanti.  Di  queste,  quelle  che  si  trovano  sot- 
terra e  perciò  private  di  luce  ed  esposte  a  maggior  umidità,  emettono  delle  radici  an- 
ziché delle  foglie. 

In  tale  doppio  movimento  dei  succhi,  quello  ascendente  dà  lo  sviluppo  delle  foglie 
e  quello  discendente  dà  le  radici.  Questi  due  movimenti  si  bilanciano  soltanto  quando 
il  calore  dell'atmosfera  è  maggiore  di  (jnello  del  terreno,  momento  in  cui  comincia  la 
vegetazione.  Nelle  talee  occorre  osservare  se,  sviluppate  alcune  foglioline,  presto  appas- 
siscono. Ciò  succede  quando  il  terreno  troppo  freddo  non  mantiene  o  meglio  non  attira 
la  linfa  discendente,  mancando  la  quale  le  radici  non  sono  alimentate,  e  perciò  la  talea 
deve  morire  per  mancanza  di  nutrimento. 

Questo  fenomeno  avviene  per  effetto  della  polarità  in  conseguenza  della  quale 
ogni  pezzo  di  ramo  produce  verso  il  suo  apice  nuovi  germogli  e  verso  la  base  nuove 
radici.  Cosi  ad  esempio  se  una  talea  è  piantata  a  rovescio  getta  bensì  radici  dal  lato 
sotterrato  e  germoglia  dal  lato  opposto,  (juantunque  stentatamente,  ma  di  solito  però 
questi  ultimi  periscono  e  vengono  surrogati  da  altri  polloni  vigorosi,  che  vengono  ac- 
canto alle  radici  a  fior  di  terra. 

La  talea  può  consistere  di  una  gemma  sola,  ed  allora  si  ha  la 
moltiplicazione  per  gemma  isolata   che   si  adotta  per  le  viti  americane, 


—  48  - 

allo  scopo  di  ottenere  colla  massima  rapidità  il  maggior  numero  di 
soggetti.  Per  ottenere  simili  talee,  basta  tagliare  il  sarmento  subito 
sopra  e  sotto  l'occhio,  in  modo  che  la  talea  abbia  circa  due  centimetri 
di  lunghezza.  Le  sezioni  del  taglio  devonsi  fare  inclinate  in  modo  che 
la  talea  riesca  più  lunga  dalla  parte  dell'occhio  (fig.  71). 


Fig.  71.  —  Talea 
di  una  gemma  isolata. 


Fig.  7."?.  -  Magliolo. 


Fig.   72. 
Barbatella  ottenuta   da   talea 
di  una  sola  gemma  abbarbicata. 


Fig.   74. 
a)   Talea  a  zampa  di  cavallo. 
bì   Talea  semplice. 


Queste  talee  devono  farsi  con  tralci  tagliati  in  marzo,  oppure  ben 
conservati.  Una  volta  preparate,  si  piantano  le  talee  come  semi  in 
piena  terra  nel  semenzaio,  collocandole  colla  gemma  rivolta  in  alto  o 
coprendole  con  un  centimetro  di  sabbia.  Successivamente  si  deve  an- 
naffiare per  mantenere  fresco  il  terreno  e  per  mantenere  in  buon  slato 
la  vegetazione  delle  barbatelle  (fig.  72). 

La  talea  consiste  invece  di  più  gemme  (fig.  74  b),  e  se  si  lascia  il 
pezzo  di  legno  di  due  anni  a  cui  è  aderente  si  chiama  magliolo  (fig.  73). 
Se  si  taglia  con  precauzione  il  magliolo,  rispettando  le  gemme  alla 
base,  si  ha  la  zampa  di  cavallo  (fig.  74  a).  Piantando  le  viti,  colla  zampa 


49 


di  cavallo  o  col  magliolo,  e  avuto  cura  di  tagliare  prima  a  quest'ultimo 
il  moncone  di  legno  vecchio,  si  hanno  piante  più  vigorose  che  colla 
semplice  talea. 

Le  talee  piantate  clie  hanno  emesso  le  radici  ed  un  germoglio  si 
chiamano  barbatelle  (fìg.  75),  da  ciò  il  nome  di  barbatellaio,  al  terreno 
destinato  a  produrle. 

La  raccolta  delle  talee  si  faccia  più  tardi  possibile  perchè  si  possa 
subito  piantarle.  Se  in  parte  sono  entrate  in  vegetazione  non  fa  danno, 
anzi  attecchiscono  di  più.  Se  invece  non  si  può  aspettare  la  raccolta 
fino  al  mese  di  marzo,  conviene  farla  di  mano  in  mano  che  si  fa  la 
potatura  secca  a  completo  riposo  della  vegeta- 
zione e  poi  si  stratificano.  Nei  paesi  esposti  a 
geli  invernali,  le  talee  conviene  raccoglierle  in 
autunno  e  si    conservano  stratificate. 

Nella  vite,  le  migliori  talee  si  fanno  da  quei 
tralci  che  lasciati  sulla  pianta  darebbero  i  mi- 
gliori frutti.  Per  tutte  le  piante  bisogna  poi  scar- 
tare per  talee  i  succhioni,  le  vermene,  i  ger- 
mogli anticipati,  le  femminelle  e  sottofemmi- 
nelle. Si  scelgano  invece  i  rami  ben  maturi, 
completamente  sviluppati  e  si  ommetta  la  cima 
e  la  base;  poiché  la  cima  possiede  delle  gemme 
per  lo  più  meschine  e  la  base  darebbe  luogo  a 
piante  pletoriche. 

Non  potendo  piantar  subito,  i  rami  si  la- 
sciano intatti,  si  legano  a  manipoli  di  40-50  l'uno 
e  si  stratificano  orizzontalmente  nella  sabbia  in 
una  fossa  in  piena  terra,  oppure  al  coperto  in 
un   luogo  riparato  dal  freddo. 

Al  momento  dell'  impianto,  le  talee  si  tagliano  della  lunghezza  di 
10  a  30  cm.  in  modo  che  siano  munite  di  4  o  5  gemme,  di  cui  una 
vicina  alla  base. 


Fig.    7.^. 
Talea  e  barbatella. 


Per  le  talee  di  diflìcile  attecchimento  ho  ottenuto  degli  ottimi  risultati,  applicando 
il  seguente  metodo  di  conservazione  e  preparazione. 

Fatte  le  talee,  si  raccolgono  a  mazzetti  e  si  stratificano  nella  sabbia  in  linea  ver- 
ticale anziché  orizzontale,  e  coll'estremità  destinata  a  dar  foglie  volta  in  basso.  In  tal 
modo  col  calore  dell'ambiente  si  ha  un'ascensione  della  linfa  in  senso  opposto  e  cioè 
questa  si  accumula  verso  la  estremità  che  deve  dare  radici,  favorendo  la  loro  emissione 
dopo  l'impianto.  Otto  giorni  prima  dell'  impianto,  si  levano  dalla  sabbia  le  talee  e  si 
immerge  la  parte  destinata  a  dare  radici  nell'acqua  tiepida  e  calore  solare.  Prima  del- 
l' impianto  infine  si  raschia  leggermente  la  corteccia  attorno  le  gemme  che  devono 
venire  sotterrate.  Con  questo  mezzo  riuscii  ad  ottenere  delle  barbatelle  dalle  viti  Ci- 
nerea, Ilerbemont  e  Berlandieri.  Per  le  varietà  che  attechiscono  difficilmente  per  talea 
si  consiglia  di  tagliarle  e  piantarle  quando  hanno  già  emesso  le  foglie.  Altri  preferi- 
scono l'impianto  in  autunno,  ma  io  non  ho  mai  ottenuto  dei  buoni  risultati. 


Il  terreno  destinato  a  ricevere  le  talee  (barbatellaio),  dopo  lo  scasso 
fatto  in  autunno  si  vanga  e  si  sminuzza,  quantunque  non  sia  necessario 

i  —  Tamaiìo  -  Fnitlicollura. 


/  1 


-50- 

di  sminuzzarlo  tanto  finamente  come  pel  semenzaio.  Il  letame  caldo 
non  è  consigliabile,  poiché  questo,  anziché  favorire,  danneggerebbe 
l'emissione  delle  radici,  quindi  è  preferibile  del  terriccio  ben  decom- 
posto. (Vedasi  sulla  concimazione  la  Parie  VII,  r.ap.  XVII). 

Il  mese  più  conveniente  all'impianto  delle  talee  é  l'aprile,  epoca 
nella  quale  il  terreno  è  sufficientemente  riscaldato  ed  umido. 

Il  barbatellaio  é  pure  bene  dividerlo  in  tante  aiuole  della  larghezza 
di  m.  1,20,  divise  da  un  sentiero.  La  distanza  da  osservare  nell'impianto 
devesi  calcolare  approssimativamente  sulla  vegetazione  presumibile 
delle  barbatelle.  Se  devono  rimanere  per  un  solo  anno,  si  piantano  alla 
distanza  da  cni.  5  ad  8  sulla  fila  e  di  cm.  20  da  fila  a  fila;  dovendo 
rimanere  per  più  di  un  anno  la  distanza  sulla  fila  sia  di  cm.  20  a  25 
e  da  fila  a  fila  di  cm.  30  a  35. 

L'impianto  si  fa  nel  seguente  modo.  Si  comincia  a  scavare  un  fos- 
setto (fìg.  76)  trasversale  all'aiuola,  profonda  quanto  è  lunga  la  parte 
di  talea  che  deve  stare  sotterra,  tenendo  un  lato  del  fossetto  inclinato 
di  45  gradi.  Su  questo  lato  inclinato  si  di- 
^  (i^l'i^'S  spongono  le  talee  alla  distanza  voluta,  leg- 

iÉ^^5^  ^  germente  comprimendole  colla  mano  ed 
avendo  cura  di  non  guastare  la  corteccia 
e  le  gemme.  Fuori  del  terreno  le  talee  non 
devono  sporgere  più  di  cm.  5,  il  che,  per 
Fi:4.  76.  Impianto  di  talee.  le  talee  di  vite,  equivale  a  non  sporgere 
più  di  una  gemma,  e  per  le  talee  di  co- 
togno che  hanno  gli  internodi  più  corti,  di  due  o  tre  gemme.  Disposte 
le  talee  in  tal  modo  si  coprono  colla  terra,  ed  alla  distanza  voluta  si 
scava  un  secondo  fossetto,  ripetendo  la  stessa  operazione.  Se  il  ter- 
reno è  stato  lavorato  bene  in  precedenza,  si  possono  piantare  le  talee 
senza  fossatello  adoperando  la  grucia  (fig.  62). 

Le  cure  successive  nel  barbatellaio  dopo  l'impianto  consistono  in 
ripetute  scerbature  per  estirpare  le  malerbe,  ed  in  raschiature  per 
aerare  il  terreno  e  mantenerlo  soffice. 

Prima  della  emissione  delle  radici,  le  talee  di  legno  secco  e  duro 
ed  in  genere  tutte  quelle  piante  di  difficile  attechimento,  devono  essere 
ombreggiate,  perché  la  traspirazione  farebbe  loro  perdere  tutta  la  linfa. 
A  tal  uopo  conviene  scegliere  per  barbatellaio  la  località  meno  soleg- 
giata, o  riparare  il  barbatellaio  con  controspalliere  (fig.  1)  o  con  altri 
ripari  ricorrere  alla  irrigazione. 

2.  —  La  moltiplicazione  per  polloni  (fig.  77)  è  adottata  per  molte 
piante,  per  alcune  anzi,  come  il  lampone,  il  ribes,  il  melagrano,  il  rovo, 
il  nocciuolo,  é  l' unico  metodo  di  moltiplicazione.  In  via  generale 
quando  si  ha  modo  di  procurarsi  dei  buoni  selvatici  venuti  da  seme  è 
meglio  servirsi  di  questi,  inquantochè,  le  piante  che  vengono  da  un 
pollone  non  crescono  mai  tanto  alte,  non  sono  mai  tanto  vigorose,  per 
la  continua  tendenza  che  esse  mantengono,  di  dare  polloni  alla  base. 
È  da  condannarsi  la  moltiplicazione  con  questo  mezzo  delle  piante  a 
nocciolo,  specialmenle  del  ciliegio  e  susino. 


—  51  — 


Per  spiegare  la  ragione  di  questo  fatto  che  coi  polloni  non  si  possono  avere  delle 
piante  molto  robuste,  basta  ricordare  cjuanto  segue. 

Noi  sappiamo  che  una  distinzione  netta  della  radice  dal  fusto  consiste  che  la 
prima  è  sprovvista  di  gemme.  Ma  pure  succede  che  quando  un  albero  viene  tagliato  al 
colletto  o  quando  una  radice  superficiale  viene  mozzata  o  ferita,  dai  protoplasti  viventi 
nel  tessuto  generatore  delle  radici  secondarie,  invece  di  svilupparsi  una  radice  secon- 
daria, si  sviluppa  una  gemma  e  da  essa  un  germoglio  che  poi  diventa  il  comune  pollone 
che  riscontriamo  di  sovente  nei  pioppi,  nei  susini,  nel 
melagrano,  nelle  rose,  nel  lampone,  nel  ribes,  ecc. 

Anatomicamente  questo  fenomeno  si  spiega  collo 
stimolo  che  deve  aver  avuto  una  cellula  della  zona  ge- 
neratrice per  l'arresto  della  linfa  avvenuto  in  conse- 
guenza del  taglio  o  della  ferita.  Questa  cellula  anziché 
dare  origine  ad  una  nuova  radice,  si  riveste  dapprima 
di  un  tessuto  delicato  il  quale  da  un  lato  si  estende 
all'esterno  verso  gli  strati  superficiali  della  corteccia  e 
dall'altro  si  prolunga  in  forma  di  peduncolo  nella 
zona  generatrire  della  radice.  Ben  presto  si  sviluppano 
anche  dei  fasci  fibro-vascolari,  i  quali  congiungono  il 
rudimento  iniziale  peduncolato  della  nuova  gemma 
col  corpo  legnoso  della  radice,  e  quando  tutto  ciò  è 
compiuto,  la  corteccia  è  lacerata,  e  la  gemma  sporge 
dalle  fenditure  coi  suoi  rudimenti  di  foglie  che  si 
aprono,  quando  il  germoglio  arriva  alla  superficie  del 
terreno.  Questo  fenomeno  del  resto  non  succede  sol- 
tanto quando  il  tronco  viene  tagliato  o  quando  una 
radice  viene  ferita,  ma  ogni  qualvolta  la  pianta  è 
indebolita  dall'età.  La  presenza  quindi  di  polloni  è  in- 
dizio certo  di  esaurimento  della  pianta. 


Fig.  77.  —  Polloni 
che  sorgono  da   un  olivo. 


La  moltiplicazione  per  polloni  è  facile.  Al  principio  della  prima- 
vera, non  si  fa  altro  che  staccarli  colle  radici  e  si  piantano  per  lo  più 
direttamente  a  dimora  (per  il  lampone,  rovo,  nocciuolo,  ecc.),  o  nel 
nestaio  se  devono  servire  da  soggetti  di  innesto. 

3.  —  La  moltiplicazione  per  ovolo  non  si  applica   che   per  l'olivo. 

L'ovolo  è  un  bitorzolo  tondeggiante,  più  o  meno  grande  quanto  un 
uovo,  legnoso,  coperto  da  corteccia  molto  liscia  e  tenera,  che  si  trova 
specialmente  alla  base  del  tronco  degli  ulivi.  In  sostanza  non  è  che 
una  talea  cortissima  senza  gemme.  Questi  ovoli  si  staccano  in  gennaio 
o  febbraio  e  si  piantano  nella  piantonaia,  perchè  abbarbichino. 


VII. 

Moltiplicazione  per  margotta:  Condizioni  di  riuscita.  — 
Margotta  a  ceppala,  a  capogatto,  a  serpente,  a  tacca 
ed  in  aria. 


1.  —  Dopo  quello  per  seme,  questo  è  il  metodo  di  moltiplicazione 
più  naturale.  La  margotla  consiste  in  un  ramo  d'albero  od  arbusto, 
attaccato  per  un  dato  tempo  alla  pianta  madre  e  che  dopo  essere  stato 


-  52  - 

coperto  in  parte  di  teri'a,  ha  emesso  delle  radici,  in  modo  da  poter 
vivere  poi  indipendente. 

A  parte  il  modo  di  operare,  che  varia  secondo  il  genere  di  mar- 
gotta, le  norme  generali  di  buona  riuscita  sono  le  seguenti  : 

a)  si  può  margottare  in  tutte  le  stagioni  purché  la  temperatura  non 
discenda   sotto   lo    zero.  Si  preferisca  però  il  momento  che  precede  il 


Fig.  78.  —  Margotta  di  vite  a  ceppala. 

risveglio  della  vegetazione  in  primavèra,  poiché  allora  la  margotta  ri- 
sente l'influenza  della  vegetazione  di  tutta  l'estate  successiva  e  sviluppa 
delle  radici  più  numerose  ; 


Fig.  79.  —  Margotta  a  ceppaia  di  cotogno. 


b)  si  scelgano  sempre  i  rami  più  vigorosi  a  corteccia  liscia,  non 
dura  e  al  massimo  di  due  anni  d'età  ; 

e)  si  lavori  bene  il  terreno  e  lo  si  renda  soffice  e  grasso,  con 
una  generosa  concimazione  di  terriccio  ; 

d)  le  estremità  di  tutte  le  margotte  si  tengano  sempre  verticali 
e  fissate  ad  un  tutore,  per  ottenere  dei  getti  nuovi  robusti; 


-  53  - 

e)  è  utile  di  sopprimere  ogni  qualvolta  lo  si  potrà,  tutti  i  rami 
e  branche  del  soggetto  che  non  si  possono  margottare  e  che  hanno 
una   direzione  verticale. 

Non  tutte  le  piante  fruttifere  si  possono  (colla  stessa  facilità)  pro- 
pagare per  margotta.  Si  moltiplicano  però  facilmente  :  la  vite,  il  ribes, 
il  melo  paradiso  e  dolcigno  ed  il  cotogno;  a  queste  seguono:  il  susino 
mirabolano,  gli  agrumi,  il  crespino,  il  faggio,  il  fico,  il  gelso,  il  mela- 
grano,   il   pavia,   il    pero    delle   Indie    ed   il    pomo    di  cannella. 

Diversi  sono  i  modi  di  procedere  per  fare  delle  margotte.  Alcune 
si  fanno  in  piena  terra,  altre  in  vasi. 

2.  —  La  margotta  più  usata  è  quella  a  ceppala  (fig.  78  e  79).  Le 
piante  madri  si  potano  corte  in  modo  da  ottenere  una  ceppala,  ed  at- 
torno a  questa  si  apre  una  fossa  profonda  tre  palmi.  Colla  vanga  si 
lavora  accuratamente,  levando  le  pietruzze,  sassi  e  radici,  quindi  vi  si 


ripone  la  terra  sino  alla  metà.  Si  curvano  poi  i  rami,  e  si  sforzano  a 
stare  sepolti  con  una  forchetta  di  legno,  in  modo  però  che  la  loro  estre- 
mità rimanga  verticale  e  allo  scoperto.  È  bene  legarla,  come  abbiamo 
già  detto,  ad  una  canna  di  sostegno.  Fatte  queste  operazioni  basta  ri- 
coprire colla  terra  rimanente. 

3.  —  Per  il  gelso,  cotogno,  melo  paradiso,  dolcigno,  ribes,  susino 
mirabolano  si  operi  nel  seguente  modo.  Si  comincia  col  piantare  in 
un  appezzamento  separato  le  piante  le  quali  devono  fornire  la  propag- 
gine disponendo  il  terreno  diviso  in  aiuole  larghe  m.  1,50  ed  in  modo 
che  alternativamente  ogni  aiuola  risulti  più  alta  e  l'altra  più  bassa. 
Ciò  si  ottiene  gettando  la  terra  della  aiuola  che  si  vuol  tenere  più 
bassa  sull'aiuola  che  si  vuol  tenere  più  alta.  Fatte  le  aiuole,  si  pian- 
tano i  gelsi  lungo  la  linea  mediana  di  quelle  ])iù  basse  a  m.  3  di  di- 
stanza, e  si  lasciano  là  per  tre  anni,  allevandoli  a  ceppala,  perchè  le 
radici  possano  meglio  svilupparsi. 


-  54  — 

Giunta  la  primavera  del  quarto  anno,  si  taglia  la  pianta  al  piede 
per  provocare  l'emissione  di  rami  novelli.  In  autunno  si  recidono  i 
rami  più  nodosi  e  più  corti  e  se  ne  lasciano  5  o  6  soli,  scegliendo  i 
più  vigorosi.  Questi  si  piegano  stendendoli  lungo  l'aiuola  (fig.  80)  e 
coprendoli  fino  alla  linea  b,  e,  colla  terra  dell'aiuola  vicina  e  mesco- 
lando a  questa  del  concime  trito.  Le  estremità  dei  rami  si  lasciano 
fuori  e  si  tengono  diritte  legandole  ad  un  palo  (de). 


Fig.  81.  —  Propaggine  di  vite. 

Lungo  r  anno  si  lega  il  germoglio  di  prolungamento  al  palo,  per 
avere  un  fusto  diritto,  mentre  si  mozzano  i  germogli  laterali  a  tre 
foglie  mano  mano  che  si  sviluppano.  Intanto  la  parte  sotterrata  del 
ramo  avrà  cominciato  a   dare   radici.  Nella   primavera   successiva,   se 


tv. 


au 


queste  sono  belle,  si  tagliano  al  punto  d' unione  colla  pianta  madre 
e  si  trasporta  con  molta  cura  la  nuova  pianta  in  vivaio,  dove  si  lascia 
un  anno.  Molte  volte  in  un  anno,  non  si  riesce  a  formare  una  pian- 
tina, allora  si  lascia  la  propaggine  unita  per  un  secondo  anno. 

4.  —  Altro  sistema  di  margotta  è  la  propaggine  o  provana  usata 
per  la  vite  ffìg.  81  e  82)  che  si  fa  in  primavera.  A  tale  scopo  si  scelgono 
i  sarmenti  più  belli  e  di  piante  robuste.   Questi  si  sotterrano  a  cm.  25 


—  55  — 

facendo  venir  fuori  l' estremità  del  tralcio,  che  si  lega  ad  un  palo, 
lasciando  sporgere  due  gemme  fuori  terra.  Nella  fossetta  che  si  deve 
fare  per  sotterrare  il  tralcio,  si  mette  della  terra  ben  sminuzzata  e  del 
concime  decomposto. 

5.  —  Se  invece  di  distendere  sul  fondo  di  una  fossetta  il  tralcio 
destinato  alla  moltiplicazione,  lo  si  piega  in  giù  in  modo  da  sotterrare 
due  o  tre  gemme  della  sua  punta,  si  ha  la  propaggine  a  capogallo 
(fig.  83),  con  la  quale  si  ha  il  vantaggio  di  non  perdere  il  frutto  del- 
l'annata. 


Fig.  83.  —  Propaggine  a  capogatto. 

Quando  si  vuole  ottenere  più  piante  da  un  solo  tralcio  si  ricorre 
all'espediente  di  incurvarlo  due  o  tre  volte  (fig.  84),  in  modo  che  le 
sue  gemme  vengano  a  trovarsi  parte  entro  terra,  per  l'emissione  delle 
radici  e  parte  fuori,  per  lo  sviluppo  dei  germogli.  E  questa  è  chiamata 
propaggine  a  serpentone. 


Per  assicurare  l'emissione  delle  radici,  si  fanno  anche  delle  lega- 
ture od  incisioni  vicino  ai  nodi  dai  quali  svilupperanno  di  preferenza 
le  radici.  I  tralci  incurvati  sotto  terra,  si  tengono  fermi  mediante  delle 
forchette  (a  fig.  82).  Nella  primavera  si  taglia  il  tralcio  in  b  (fig.  82  e  84). 

6.  —  Altre  volte  per  non  far  solt'rire  menomamente  le  radici  nel 
trasporto  della  margotta  si  piegano  i  rami  in  un  vaso  o  in  un  paniere 
(fig.  85),  margotta  in  vaso. 

In  tutti  questi  casi  bisogna  sopprimere  le  gemme,  che  stanno  fra 
il  ceppo  ed  il  punto  in  cui  il  sarmento  entra  nel  terreno,  per  impedire 
che  esse  assorbano  il  nutrimento  a  svantaggio  della  propaggine.  Nel- 
l'autunno successivo  si  stacca  la  propaggine,  tagliando  al  punto  dove 
il  sarmento  entra  nel  terreno  e  la  projjaggine  si  porta  sul  sito  del- 
l'impianto. 


-  56  - 

Per  agevolare  il  radicamento  della  margotta,  si  suol  fare  anche  una 
tacca  trasversale  propriamente  nella  parte  della  curva  {margotta  a  tacca) 
che  si  sotterra.  Questa  tacca  devesi  mantenere  sempre  aperta  e  ciò  si 
ottiene  passandole  attorno  un  filo  di  rame,  o  di  ferro  zincato,  acciò 
non  si  arrugginisca. 

Dirò  ancora  della  margotta  in  aria  che  si  usa  per  quei  rami  che, 
trovandosi  troppo  alti,  non  possono  essere  piegati  in  terra.  A  questo 
scopo  si  adoperano  dei  vasi  di  terra  non  verniciati,  e  tagliati  per  metà, 
dei  quali  si  riuniscono  le  due  parti  lasciando  i  rami  nel  mezzo  e  poi 
si  legano  e  si  riempiono  di  buona  terra,  che  si  avrà  cura  di  mantenere 
sempre  umida.  Il  vaso  naturalmente  deve  essere  sostenuto  dal  ramo 
stesso  e  se  fosse  troppo  pesante  lo  si  aiuta  con  un  paletto.  Applicato 
il  vaso,  si  fa  sul  ramo  immediatamente  sotto  al  vaso  una  leggera  tacca, 
che  bisogna  rinnovare,  e  far  sempre  più  profonda,  ogni  settimana,  fino 
a  che  si  recide  il  ramo  completamente. 


'A/  ')       '  ' 


Fig.  85.  —  Margotta  in  vaso. 


7.  —  Le  margotte  si  staccano  quando  hanno  vegetato  per  una  in- 
tera stagione  e  perciò  al  cadere  delle  foglie.  Il  taglio  devesi  fare  sotto 
le  ultime  radici  in  modo  da  lasciarne  in  maggior  numero  possibile. 

Rispetto  alla  qualità  delle  piante  ho  da  osservare,  che  in  generale 
per  margotta  si  ottengono  bensì  delle  piante  molto  fruttifere,  ma  non 
tanto  longeve  e  vigorose  come  per  talea.  In  ogni  caso  bisogna  scegliere 
dei  buoni  rami  vigorosi  e  provveduti  di  gemme  ben  fecondate. 


Vili. 

Innesto  delle  piante  da  frutto  :  Teoria  dell'innesto  e 
condizioni  essenziali  di  riuscita.  —  Preparazione  dei 
soggetti  e  delle  marze. 


1.  —  Dopo  tante  monografie  che  sono  state  pubblicate  sull'innesto 
è  per  me  veramente  imbarazzante  di  scrivere  su  questo  argomento,  e 
ciò  per  la  difficoltà  di  limitarsi,  pur  soddisfacendo    al    tema   imposto. 

Quando  la  pianta  entra  in  vegetazione  ai  primi  tepori  primaverili, 
noi  riusciamo  a  staccare  colla  massima  facilità   la  corteccia   dal  legno 


57 


sottostante,  che  per  il  suo  colore  bianco  è  stato  chiamato  alburno  (fig.  86). 
Questo  fenomeno  noi  lo  dobbiamo  alla  presenza  di  un  succo  mucilag- 
ginoso  che  appunto  in  questo  momento  circola  in  massima  quantità 
fra  la  corteccia  e  l'alburno  e  che  dai  botanici  è  chiamato  cambio.  Il 
cambio  è  composto  di  tante  granulazioni  microscopiche,  delle  quali 
lungo  l'anno  alcune  si  depositano  sull'alburno  formando  un  nuovo 
strato  concentrico;  un'altra  parte  si  deposita  sullo  strato  più  interno 
della  corteccia,  formando  altrettanti  strati  fibrosi  che  si  possono  stac- 
care a  guisa  delle  pagine  di  un  libro,  da  cui  anche  il  suo  nome  di  libro. 

Ma  le  proprietà  del  cambio  non 
sono  soltanto  queste.  Esso  serve 
anche  quale  mezzo  connettivo,  in 
modo  che  se  noi  leviamo  un  pezzo 
di  forma  regolare  di  corteccia  da 
un  albero  e  lo  sostituiamo  con  un 
egual  pezzo  di  corteccia  apparte- 
nente ad  un  altro  albero  di  egual 
genere,  in  un  breve  tempo  la  ferita 
si  rimargina  completamente. 

Immaginate  ora  che  questo  pez- 
zo di  corteccia  trasportato,  porti 
una  gemma.  Questa  continuerà  a 
vivere,  si  svilupperà,  darà  luogo  ad 
un  getto,  un  ramo  con  delle  foglie, 
fiori,  frutti  che  saranno  identici 
però  alla  loro  pianta  madre  e  non 
a  quelli  sulla  quale  vivono.  Un  si- 
mile fenomeno  avviene  anche  quan- 
do vi  poniamo  in  contatto  il  libro 
e  l'alburno  di  una  pianta. 

Operando  sia  in  un  modo  che  nell'altro,  non  si  è  fatto  che  un 
innesto  e  cioè  abbiamo  saldato  an  vegetale  o  una  parte  di  un  vegetale 
su  di  un  altro  che  diventerà  il  suo  sostegno  e  gli  fornirà  una  parte  del- 
l'alimento necessario  alla  sua  cresciuta.  La  pianta  sulla  quale  si  opera 
l'innesto,  chiamasi  soggetto  —  e  nesto  o  marza,  quella  parte  del  vege- 
tale che  vien  saldata  al  soggetto. 

Dopo  quanto  precede  è  evidente,  che  tutto  il  segreto  di  questa 
operazione  consiste  :  nell'innestare  soltanto  delle  piante  di  parentela 
molto  stretta;  nel  far  combaciare  perfettamente  la  corteccia  del  nesto 
con  quella  del  soggetto,  ed  il  sistema  legnoso  con  quello  legnoso, 
acciò  si  uniscano.  È  quindi  necessario  che  i  tagli  che  si  praticano 
siano  ben  fatti,  con  strumenti  taglientissimi,  acciò  non  riescano  punto 
laceri.  Occorre  anche  evitare  assolutamente  l'accesso  dell'  aria  e  più 
ancora  dell'acqua  per  entro  la  commessura  dell'innesto.  Ciò  si  rag- 
giunge con  delle  opportune  legature  ed  in  caso  ancora  con  dei  mastici. 

Ma  non  sono  soltanto  queste  le  condizioni  a  cui  bisogna  provve- 
dere per  assicurarsi  la  riuscita  dell'innesto. 


Fig.  80.  —  Figura  schematica  della  se 
zione  di  un  tronco  :  a  modello  ;  b  le 
gno  di  prima  formazione  ;  e'  legno 
ordinario  chiamato  anche  durame 
e"  legno  formatosi  nell"  ultimo  anno 
chiamato  alburno  ;  a'  raggio  midol 
lare  ;  fra  d'  e"  lo  strato  del  cambio 
d'  parenchima  corticale;  d"  perider 
ma  che  forma  lo  strato  sugheroso 
d'"  epidermide  che  è  verde  nel  ger 
moglio. 


-  58  — 

Quelle  che  ci  mancano  a  prendere  in  considerazione  riguardano  il 
vigore  e  l'epoca  in  cui  si  possono  fare  gli   innesti    con  buona  riuscita. 

Le  due  piante  che  si  intendono  unire  per  innesto,  devono  posse- 
dere una  certa  analogia  di  vigore,  sia  per  quanto  riguarda  il  momento 
in  cui  entrano  in  vegetazione  in  primavera,  quanto  per  la  robustezza. 
Essendoci  discordanza,  è  meglio  che  il  soggetto  sia  di  vegetazione 
più  precoce  del  nesto,  nel  caso  contrario  quest'ultimo  in  primavera 
soffrirebbe  per  mancanza  di  nutrimento.  D'altra  parte  è  desiderabile 
che  il  nesto  sia  di  varietà  più  vigorosa  del  soggetto,  poiché  in  tal 
caso  si  hanno  piante  più  fruttifere  e  di  frutto  più  voluminoso.  Questo 
è  il  caso  del  pero  sul  cotogno,  del  melo  sul  dolcigno. 

Gli  alberi  delicati  si  adattano  meglio  sui  soggetti  di  vigore  medio, 
e  se  lo  squilibrio  fosse  troppo  saliente,  si  può  renderlo  meno  sensi- 
bile con  un  doppio  innesto.  Il  sopra  innesto  consiste  nell'innestare  i 
soggetti  vigorosi  con  una  varietà  di  medio  vigore,  e  su  quest'ultima 
innestare  quella  che  si  desidera  propagare  (v.  più  avanti  Gap.  XVII).  Gosi, 
ad  esempio,  si  ottengono  delle  buone  piante  di  Duchessa  d'Angouléme, 
innestandole   sul   pero   Gurato,  innestato    alla   sua  volta   sul    selvatico. 

L'epoca  più  opportuna  per  gli  innesti  è  il  tempo  dei  maggiori  ef- 
flussi della  linfa,  cioè  nell'aprile  o  nell'agosto.  Le  marze  devono  essere 
però  sempre  meno  avanzate  in  vegetazione  dei  soggetti. 

In  fine  diremo  che  una  atmosfera  quieta,  asciutta,  piuttosto  che 
umida,  è  un'altra  condizione  per  la  buona  riuscita  degli  innesti. 

2.  —  Prima  di  terminare  questo  capitolo  vediamo  come  si  prepa- 
rano i  soggetti  e  le  marze  per  gli  innesti. 

Ottenuti  i  soggetti  per  via  di  seme  o  di  talea  o  di  margotta,  si 
trapiantano  i  più  sani  nel  nestaio.  La  sanità  dei  soggetti  si  riconosce 
tagliando  le  radici,  la  cui  sezione  deve  essere  perfettamente  bianca, 
come  pure  dagli  anelli  legnosi  del  fusto  che  devono  apparire  lucenti 
e  privi  di  macchie.  Se  invece  si  trovano  delle  slriature  giallognole, 
se  la  corteccia  non  ha  un  colore  uniforme,  vuol  dire  che  le  piante 
soffrirono  per  il  gelo  o  che  è  ingenerata  qualche  malattia  nei  loro 
succhi.  Simili  piante  sarà  bene  scartarle. 

L'impianto  nel  nestaio  si  fa  nel  mese  di  novembre  oppure  in 
marzo,  approfittando  di  una  giornata  asciutta  e  con  terreno  asciutto. 
Il  sistema  d'impianto  che  trovai  più  conveniente  è  quello  a  porche 
di  due  file  l'una,  e  distanti  cm.  70  una  dall'altra.  Le  due  linee  di  sog- 
getti che  compongono  la  porca  si  piantino  alla  distanza  di  cm.  40 
sulla  fila  e  di  cm.  50  da  fila  a  fila.  Si  aumentano  o  diminuiscono  queste 
distanze,  secondo  le  specie  più  o  meno  vigorose  ed  a  seconda  del 
tempo  durante  il  quale  si  intendono  lasciare  le  piante  nel  nestaio. 
Disposti  in  tal  modo  i  soggetti  nel  nestaio,  si  trattano  differentemente 
a  seconda  che  si  vuol  fare  l'innesto  al  piede  oppure  in  testa. 

Per  l'innesto  al  piede  si  tagli  il  fusto  da  cm.  10  a  30  d'altezza  a 
seconda  del  vigore  della  pianta,  a  cm.  10  i  più  deboli  ed  a  cm.  30  i  più 
robusti.    Durante  l'anno  questi  soggetti  si  lasciano  sviluppare   normal- 


-  59  - 

mente  poiché  nell'agosto  dello  stesso  anno  od  al  più  tardi  nella  pri- 
mavera successiva,  si  possono  fare  gli  innesti. 

Volendo  innestare  invece  in  testa,  devesi  allevare  un  fusto,  per 
ottenere  il  quale  occorrono  almeno  due  anni  di  dimora  nel  nestaio.  Il 
fusto  si  ottiene  recidendo  il  soggetto  vicino  a  terra  a  cm.  5  circa  di 
distanza.  Durante  il  primo  anno  si  conserva  uno  solo  dei  getti  nuovi 
che  si  lega  ad  un  tutore,  per  mantenerlo  in  direzione  verticale.  Nel 
secondo  anno,  qualora  il  fusto  non  avesse  preso  una  direzione  regolare 
si  ritaglia  alla  base  per  ottenere  un  nuovo  getto.  Le  branche  laterali 
si  lasciano  intatte  se  deboli,  poiché  servono  a  rinforzare  il  fusto,  quelle 
di  sviluppo  medio  si  tagliano  a  cm.  10,  e  quelle  troppo  robuste  si 
svettano  dalla  base. 

Per  ricevere  l'innesto,  il  soggetto  deve  essere  capitozzato  o  no,  a 
seconda  del  genere  di  innesto  che  si  vuol  applicare.  La  capitozzatura 
é  indispensabile  per  gli  innesti  in  testa  e  si  fa  alcune  settimane  prima, 
cioè  quando  la  pianta  non  é  ancora  entrata  in  vegetazione.  La  capi- 
tozzatura si  fa  a  cm.  10  sopra  al  punto  dove  si  intende  fare  l'innesto  ed 
ha  per  iscopo  di  rilardare  la  vegetazione  e  di  trattenere  la  massima 
quantità  di  alimento  per  la  marza. 

Sulle  altre  precauzioni  ed  operazioni  che  riguardano  la  prepara- 
zione dei  soggetti,  mi  estenderò  descrivendo  i  singoli  sistemi  d'innesto. 

I  nesti,  o  marze,  devono  essere  di  buona  qualità,  sani,  vigorosi;  in 
una  parola,  perfettamente  costituiti. 

Un  nesto  malato  propaga  il  male  di  cui  é  alletto  a  parecchie  ge- 
nerazioni, deteriorando  la  varietà.  Usualmente  si  dice  che  ha  degene- 
rato ;  ma  la  degenerazione  é  locale  e  non  generale. 

Non  si  devono  perciò  accettare  con  troppa  facilità  dei  nesti  di 
origine  sconosciuta.  Le  piante  madri,  ossia  quelle  che  forniscono  i 
nesti,  non  si  devono  potare  che  alternativamente  ;  ossia  non  si  cimano 
né  si  potano  per  un  anno,  quei  rami  dai  quali  si  intende  levare  le 
marze,  acciò  le  gemme  maturino  completamente. 

Le  marze  per  gli  innesti  di  primavera  si  raccolgono  durante  l'in- 
verno, al  più  tardi  negli  ultimi  giorni  di  febbraio,  quando  cioè  la 
pianta  è  in  pieno  riposo  di  vegetazione  ed  in  una  giornata  asciutta  e 
non  troppo  fredda.  Raccolti  gli  innesti,  si  legano  a  mazzetti  e  si  stra- 
li lìcano  nella  sabbia  in  un  locale  fresco,  che  non  vada  soggetto  a 
sbalzi  di  temperatura. 

IX. 

Sulla  affinità  e  sulla  reciproca  influenza 
del  soggetto  e  del  nesto. 

1.  —  L'argomento  é  importantissimo  non  soltanto  nel  campo  della 
frutticoltura  ma  anche  in  quello  della  viticoltura  dove  si  devono  fare 
nuovi  impianti  di  viti  americane  innestate. 


-  60  - 

Infatti,  nelle  regioni  dove  si  attende  alla  ricostituzione  dei  vigneti, 
ci  vengano  sempre  fatte  presso  a  poco  le  seguenti  domande  :  Scelte  le 
viti  americane  adatte  al  terreno,  le  nostre  viti  potranno  poi  adattarsi 
all'innesto  su  di  esse  ?  Se  queste  si  adattano,  ci  daranno  prodotto 
eguale  a  quello  di  prima  per  quantità  e  per  qualità? 

Per  rispondere  alla  prima  domanda,  bisogna  esaminare  quali  sono 
le  condizioni  perchè  avvenga  l'adattamento,  per  rispondere  alla  se- 
conda occorre  vedere  quale  influenza  reciproca  hanno  il  soggetto  colla 
marza  e  se  eventualmente  vi  siano  altre  circostanze  che  possano  in- 
fluire sulla  qualità  e  quantità  del  frutto. 

2.  —  Quando  noi  innestiamo,  facciamo  una  pianta  bimembre,  cioè 
costringiamo  la  marza  ed  il  soggetto  a  vivere  strettamente  uniti,  pre- 
standosi un  vicendevole  aiuto. 

Il  nesto  riceve  dal  soggetto  la  linfa  brutta,  ossia  l'acqua,  conte- 
nente dei  sali  minerali  che  si  trovano  nel  terreno  e  che  venne  as- 
sorbita dalle  sue  radici.  Grazie  però  alla  traspirazione  ed  all'attività 
clorofilliana  delle  foglie  del  nesto,  la  linfa  brutta  viene  trasformata 
in  linfa  elaborata,  la  quale  poi  circola  in  tutte  le  parti  della  pianta 
bimembre,  alimentandola  ed  ingrossandola.  Come  dunque  il  nesto  di- 
pende dal  soggetto  per  la  quantità  di  linfa  brutta  che  può  elaborare, 
il  soggetto  alla  sua  volta  dipende  dal  nesto  per  la  preparazione  dei 
materiali  che  provvedono  al  suo  sviluppo. 

Perchè  queste  due  individualità  messe  in  contatto  non  si  danneg- 
gino, bisogna  che  esista  fra  loro  una  certa  affinità,  ossia  bisogna  che 
esista  fra  loro  comunanza  di  struttura  anatomica,  di  modo  di  nutri- 
zione e  di  vegetazione. 

Al  nesto  non  è  possibile  di  scegliersi  nel  terreno  le  sostanze  a  lui 
utili  e  di  regolarne  l'assorbimento  conforme  al  suo  bisogno.  Se  si 
trova  ad  esempio  sopra  un  soggetto  avente  dei  vasi  più  rari  o  di 
minore  calibro  dei  propri,  riceverà  probabilmente  minor  quantità  di 
linfa  brutta  e  si  avrà  per  effetto  una  imperfetta  nutrizione  e  talvolta 
l'essiccamento  parziale  o  totale  della  pianta  per  mancanza  di  acqua. 
Questo  danno  poi  si  accentua  per  la  qualità  dei  vasi  che  si  trovano 
nel  tessuto  connettivo  dell'innesto  che  sono  sempre  più  piccoli  e  con- 
torti. Se  invece  i  vasi  del  soggetto  sono  più  grossi  e  più  numerosi  di 
([uelli  del  nesto,  affluendovi  troppa  linfa  acquosa,  si  corre  pericolo 
che  la  pianta  soffra  per  pletora. 

Il  soggetto  alla  sua  volta,  riceve  la  linfa  elaborata  dal  nesto  e  na- 
turalmente il  suo  sviluppo  ne  risente.  Se  questa  è  adatta  e  conveniente 
si  ha  uno  sviluppo  normale,  altrimenti  anche  esso  ne  subisce  delle 
conseguenze. 

Le  piante  innestate  subiscono  quindi  delle  modificazioni  nella  loro 
crescita,  nella  loro  vitalità,  nella  loro  precocità  di  sviluppo,  nella 
grossezza  e  qualità  dei  frutti,  nella  resistenza  ai  parassiti  ed  agli 
agenti  esteriori  dell'atmosfera. 

3.  —  Ravaz   e  Viala   hanno    fatto    in   proposito    degli   studi   molto 


-  61   - 

importanti  sulla  vite  e  dimostrarono  che  l'affinità  dipende  in  gran 
parte  dall'eguaglianza  o  meno  dei  tessuti  o  vasi  che  le  due  parti  si 
compongono. 

Ma  altri  fatti  bisogna  ora  far  emergere  per  vedere  quale  influenza 
reciprocamente  possono  avere  il  nesto  col  soggetto. 

L'innesto  del  pero  sul  franco  produce  un  anello  di  cicatrizzazione 
poco  marcato  e  dà  delle  gettate  deboli  nei  primi  anni,  vigorose  o  vi- 
gorosissime negli  anni  successivi.  Sul  cotogno  si  ha  invece  un  ingros- 
samento notevole  al  punto  d'innesto,  perciò  si  ha  molto  vigore  nella 
prima  età  ed  indebolimento  negli  anni  successivi  in  modo  che  la  vi- 
talità della  pianta  e  più  breve  che  innestando  sul  franco.  Questo  porta 
per  conseguenza  una  fruttificazione  anticipata,  frutta  più  voluminose 
e  più  saporite. 

La  pera  Decana  d'inverno,  innestata  sul  cotogno  e  sul  franco  ha 
dato  i  seguenti  risultali  comparativi  ai  signori  Rivière  e  Beilanche,  per 
quanto  concerne  il  peso  medio  dei  frutti  e  la  loro  ricchezza  zuc- 
cherina : 

Peso  medio  di  Zucchero  totale 

un  frutto  in  100  parti  di  succo 

^     ...     .,        ,.       ,,,.         X         1    \    cotogno  435  gr.  11,59 

Frutti  ottenuti  coUinnesto  sul        „       °       „„„  „^, 

ì    franco     230  „      9,04 

Gli  stessi  esperimenlatori  colla  varietà  Calvilla  bianca,  di  15  anni 
d'età,  hanno  ottenuto  i  seguenti  risultati  : 

Peso  medio  Zucchero  totale 

del  frutto  in  100  parti 


Calvilla  innestata  sul 


)    Paradiso    gr.  285  15,26 

)    Dolcigno      .,    220  11,90 


Ledere  du  Sablou  ha  determinato  nei  diversi  periodi  dell'anno 
gli  idrati  di  carbonio  (zucchero  ed  amido),  contenuti  quali  materiali 
di  riserva,  nel  fusto  di  un  pero  della  varietà  Duchessa  di  Angoulème 
innestata  sul  franco  e  sul  cotogno.  Dalle  analisi  fatte  è  risultato,  che 
durante  l'inverno  e  l'autunno,  i  materiali  di  riserva  sono  più  abbon- 
danti nelle  piante  innestate  sul  cotogno.  Allora  ne  avviene  che  in  pri- 
mavera, la  pianta  avendo  a  disposizione  una  maggiore  quantità  di  ele- 
menti nutritivi,  si  presta  meglio  a  fruttificare.  E  naturale  che  da  queste 
piante  si  ottenga  un  maggiore  prodotto. 

Segue,  che  nei  terreni  freschi,  fertili,  dove  il  cotogno  riesce  per- 
fettamente, bisogna  sceglierlo  anche  per  porta  innesti  del  pero.  Nei 
teiTeni  secchi  e  poveri,  e  specialmente  per  le  forme  a  pieno  vento,  è 
consigliabile  l'innesto  sul  franco. 

Del  resto  una  prova  che  anche  la  rusticità  del  soggetto  esercita 
una  certa  influenza  sulla  longevità  delle  piante,  l'abbiamo  precisamente 
nel  pero  il  quale,  se  innestato  sul  franco  ha  una  longevità  molto  su- 
periore che  se  innestato  sul  cotogno,  mentre  su  questo  ultimo  la  irut- 


-   62  - 

tificazione  è  più  abbondante  e  sollecita;  i  frutti  sono  più  grossi  e 
saporiti. 

E  proseguiamo  in  queste  constatazioni. 

Il  pesco  innestato  sul  susino,  è  più  precoce  e  meno  vigoroso  che 
sul  mandorlo  ;  il  pesco  stesso  innestato  sul  selvatico  è  ancora  più 
precoce  e  meno  vigoroso  di  quello  innestato  sul  susino. 

Alcune  viti  nostrane,  innestate  sulla  Rupestris  du  Lot,  porta  in- 
nesto questo,  molto  vigoroso  e  rusticissimo,  danno  poco  prodotto. 
Innestate  le  stesse  viti  sopra  varietà  americane  meno  vigorose  (Ri- 
paria X  Rupestris  lOP*  o  3309),  danno  risultati  splendidi. 

D'altra  parte  abbiamo  molte  viti  nostrane,  che  innestate  sopra 
la  Riparia,  danno  più  prodotto  che  se  ottenute  per  talea. 

Infine  si  è  notato  che  se  innestiamo  il  ramo  di  un  albero,  questo 
dà  più  frutti  degli  alberi  non  innestati.  Questo  è  un  fenomeno  analogo 
a  quello  che  si  verifica  coll'incisione  anullare. 

L.  Daniel,  che  fece  una  inchiesta  sullo  stato  della  viticoltura  e 
sulla  questione  fillosserica,  è  venuto  alla  conclusione,  che  coll'innesto 
si  producono  degli  ibridi  i  cui  caratteri  possono  essere  in  parte  ere- 
ditari, in  parte  anche  essere  fugaci  ed  in  altre  costanti.  Come  avvenga 
questa  reazione,  non  si  è  potuto  ancora  spiegare. 

È  un  fatto  che  vi  sono  delle  marze  miglioranti,  altre  deterioranti 
ed  altre  infine  neutre.  Così  nel  Belgio  hanno  cominciato  a  fare  degli 
ètalons  pedigree  per  quelle  piante  madri  che  danno  le  marze  con  una 
o  l'altra  di  queste  qualità. 

4.  —  Moltissima  influenza  però  sugli  ettetti  diversi  che  si  otten- 
gono cogli  innesti  ha  la  variazione  di  nutrizione  delle  piante  innestate. 

Questa  variazione  di  nutrizione  la  si  deve  attribuire  alla  qualità 
del  terreno  dal  quale  le  radici  del  soggetto    assorbono    il   nutrimento. 

Il  pero  innestato  sul  cotogno,  il  pesco  innestato  sul  franco  o  sul 
susino  ;  le  viti  innestate  sulla  Riparia  piuttosto  che  sulle  Rupestris, 
producono  di  più  e  meglio  perchè  i  rispettivi  soggetti  hanno  radici 
più  superficiali,  le  quali  vivono  nella  parte  del  terreno  più  ricco  di 
materiali  nutritivi  ed  assimilabili. 

Il  Muntz  ci  ha  dimostrato  che  le  proprietà  fìsiche  e  chimiche  del 
terreno  hanno  una  influenza  notevole  sulla  qualità  delle  uve  e  dei 
vini  da  loro  derivati.  I  terreni  più  ricchi  di  anidride  fosforica  e  po- 
tassa, sono  quelli  che  ci  danno  i  vini  più  accreditati.  Ebbene  è  ap- 
punto lo  strato  superficiale  del  terreno  che  possiede  queste  proprietà 
e  si  ha  verificato,  che  tanto  dalle  vecchie  viti  non  innestate  quanto 
dalle  giovani  innestate,  meno  per  l'influenza  della  età,  si  ottengono  dei 
vini  di  eguale  valore  purché  le  radici  si  trovino  in  un  terreno  di 
eguale  grado  di  fertilità. 

Ricostituendo  delle  vigne,  noi  facciamo  dei  lavori  profondi  di  ri- 
voltamento e  rimescolamento.  Ma  mentre  si  è  aumentato  il  volume 
della  terra  utilizzabile  dalle  radici,  si  è  diminuita  la  ricchezza  media 
di  materie  fertilizzanti.  Da  ciò  la  ragione: 


-  63   - 

a)  che  nella  generalità  dei  casi  innestando  delle  viti  si  ha  un 
prodotto  più  scadente  di  qualità  nei  primi  anni,  sia  per  la  giovinezza 
delle  piante  sia  per  il  nutrimento  a  loro  defìcente; 

b)  che  a  questo  si  può  rimediare  arricchendo  il  terreno  di  so- 
stanze minerali. 

5.  —  Da  quanto  precede  ci  sembra  di  poter  concludere  : 

a)  l'affinità  del  neslo  col  soggetto  è  uno  dei  problemi  più  inte- 
ressanti da  studiare,  perchè  da  esso  dipende  essenzialmente  la  longe- 
vità, il  vigore  e  la  sanità  delle  piante  innestate  ; 

b)  sulla  quantità  e  qualità  del  prodotto  ha  una  certa  influenza 
il  reciproco  influsso  del  soggetto  e  del  nesto,  però  ancora  maggiore 
influenza  hanno  le  sostanze  minerali  contenute  nello  strato  del  ter- 
reno nel  quale  vivono  le  radici  del  soggetto  ; 

e)  se  le  radici  del  soggetto  sono  superficiali,  striscianti,  allora 
bisogna  curare  che  lo  strato  attivo  del  terreno  sia  specialmente  ricco 
di  anidride  fosforica  e  potassa.  Se  le  radici  sono  profonde,  fittonanti, 
allora  bisogna  ammigliorare  con  opportune  concimazioni  anche  lo 
strato  inerte  del  terreno  ; 

d)  dalla  possibilità  di  una  alimentazione  ricca  e  conveniente, 
più  che  dalla  affinità  del  nesto  col  soggetto  dipende  la  quantità  e 
qualità  del  prodotto. 


X. 

Innesti  principali  adottati  per  le  piante  da  frutto 
e  soggetti  relativi. 

1.  —  Gli  innesti  principali  sono  i  seguenti:  l'innesto  a  spacco; 
l'innesto  a  corona  ;  l'innesto  inglese  ;  l'innesto  per  approssimazione  ; 
l'innesto  a  gemma;  l'innesto  erbaceo. 

Con  l'innesto  a  spacco  si  fa  entrare  nel  soggetto,  mediante  spacco, 
una  marza  di  due  o  tre  gemme,  mentre  con  l'innesto  a  corona  si  in- 
troduce la  marza  senza  spaccare  il  soggetto  e  precisamente  tra  la 
corteccia  ed  il  legno.  Con  l'innesto  inglese  invece  si  fendono  tanto  il 
soggetto  che  la  marza,  ma  bisogna  che  abbiano  lo  stesso  diametro. 
L'innesto  per  approssinìazione  consiste  nel  fare  combaciare  un  ramo 
dell'innesto  con  un  soggetto  giovane  presso  a  poco  di  eguale  grossezza. 
L'innesto  a  gemma  consiste  nel  trasportare  una  gemma  sopra  il  sog- 
getto e  procurarne  la  comunanza.  Quando  queste  operazioni  si  fanno 
nei  germogli  in  corso  di  vegetazione  si  fa  l'innesto  erbaceo  adottalo 
specialmente  per  la  vite. 

Nella  lab.  Vili  a  pag.  64-67  sono  indicate  le  varie  foggie  di  innesto 
più  adatte  alle  singole  essenze  fruttifere. 


-64  - 


Nome  della  pianta 
da  frutto 


Agrumi 


Anona .    . 
Carrubo 

Castagno . 


Gelso    .    . 
Lazzcruolo 

Mandorlo 
Melagrano 


Nome  volgare 
del  soggetto 


)    Arancio  dolce  franco 
I     Limone  franco 

;  Susino  franco 

\  Mandorlo 

<  Pesco 

/  Albicocco  franco 

\  Susino  mirabolano 

Diverse  specie 
Carrubo  franco 

Castagno  franco 


Ciliegio I     Ciliegio  franco 

(  ,        di  S.  Lucia 


Cotogno 
Diospiri 


Nespolo 1    Nespolo  selvatico 

j    Biancospino 


Nome  botanico 
del  soggetto 


Citrus  Bigaradia 
Citrus  aurantium 
Citrus  Limonum 

Prunus  domestica 
Amygdalus  communis 

„  Persica 

Armeniaca  vulgaris 
Prunus  cerasifera 


Ceratonia  siliqua 


Castanea  vesca 


Cerasus  avium 
Mahaleb 


Cotogno 

Cydonia  vulgaris 

Diospiro 

Kaki 

Diospyros  Kaki 

d'Italia 

Lotus 

Gelso  franco 

Morus  alba 

Biancospino 

Crataegus  oxyacanta 

Albicocco 

Armeniaca  vulgaris 

Mandorlo 

Amygdalus  communis 

Susino  Damas 

Prunus  insititia 

S.  lulien 

' 

Melagrano  selvatico 

Punica  Granatum 

Melo  franco 

Pirus  malus 

Dolcigno 

Pyrus  malus  prrecox 

Paradiso 

Pyrys   malus    paradi- 
siaca 

Mespilus  germanica 
Crataegus  oxyacanta 


65 


ell'innestatore. 


Epoca 

Terreno 

! 

Vigoria 

Frutlilìcazione 

Longevità 

dell'innesto 

più  conveniente 

aprile 

mediocre 

molta 

tardiva 

massima 

agosto 

, 

„ 

„ 

aprile 

ricco 

media 

pronta 

minima 

■     agosto 

, 

„ 

aprile 

l)Uono 

poca 

tardiva 

media 

agosto 

fresco-argilloso 

" 

eccell.  per  qualità 

, 

- 

profondo  e  caldo 

molta 

precoce 

massima 

, 

mediocre 

media 

mediocre 

media 

„ 

secchi,  leggeri 

molta 

massima 

asciutti 

minima 

pronta 

minima 

maggio 

- 

- 

osto  o  maggio 

mediocre 

molta 

normale 

massima 

maggio 

- 

. 

, 

aprile 

normale 

normale 

normale 

agosto 

aprile 

- 

„ 

prile-maggio 

fresco-siliceo 

molta 

abbondante 

massima 

. 

arido,  calcare 

poca 

, 

minima 

agosto 

fresco-ricco 

normale 

normale 

normale 

bbraio-marzo 

profondo-fertile 

settembre 

" 

bbraio-marzo 

; 

" 

" 

aprile 

normale 

' 

: 

- 

agosto 

arido 

media 

abbondante 

minima 

asciutto 

, 

normale 

poca 

rzo-fìne  agosto 

normale 

normale 

„ 

normale 

umido 

media 

mediocre 

agosto 

normale 

normale 

aprile 

, 

marzo 

fresco  di  pianura 

massima 

abbon.  ma  tardiva 

massima 

primi  agosto 

•■ 

, 

marzo 

ricco,  calcare 

media 

abbondante 

media 

Drimi  agosto 

- 

, 

„ 

„ 

marzo 

. 

minima 

^ 

minima 

primi  agosto 

- 

» 

aprile 

normale 

molta 

normale 

normale 

.. 

arido  poco  prof,    i 

minima 

pronta 

minima 

Tamaro  -  Frutticoli  lira. 


Segue  Tab.  Vili. 


■2  a 

Nome  della  pianta 
da  frutto 

Nome  volgare 
del  soggetto 

Nome  botanico 
del  soggetto 

Sistema 
di  innest 

14 

Nespolo  del  Giappone 

Nespolo  del  Giappone 

franco 
Biancospino 
Cotogno 

Mespilus  Japonica 
Crataegus  oxyacanta 
Cydonia  vulgaris 

gemma 

15 

Noce 

Noce  franco 

luglans  regia 

corona 
anello 

spacco 

16 

Olivo 

Olivo  selvatico 

Olea  europea 

corona 
gemma 

17 

Pero 

Pero  selvatico 

Cotogno 
Bianco  Spino 

Pyrus  coramunis 

Cydonia  vulgaris 
Crataegus  oxyacantha 

spacco 
gemma 
spacco 

18 

Pero  delle  Indie     .    . 

Mirto  comune 

Myrtus  communis 

» 

19 

Pesco    

Pesco  selvatico 
1    Mandorlo 
1    Susino  Daraas 

Albicocco 

Amygdalus  Persica 

„           communis 
Prunus 

gemma 

Armeniaca  vulgaris 

. 

20 

Pistacchio 

Pistacchio  selvatico 
Terebinto 

Pistacia  vera 

Terebintus 

gemma  ve 
e  dormi 

21 

Sorl)0 

Bianco  Spino 

Crataegus  oxyacantha 

gemma 

22 

Susino 

Susino  selvatico 

„        mirabolano 
S.  Giuliano 

Prunus  domestica 

„        cerasifera 
insititia 

spacco  1 
gemma  i 
spacco  i 

23 

Vite 

Su   tutte   le  specie  di 
Viti 

spacco  sem: 
erbaceo,  ir. 

XI. 

Innesto  a  spacco  semplice. 

1.  —  Questo  è  dei  più  facili  ad  eseguirsi  e  dei  più  sicuri,  tanto  è 
vero  che  è  il  più  generalmente  conosciuto.  Si  pratica  in  marzo  e  du- 
rante i  primi  giorni  d'aprile  per  tutte  le  piante  a  foglie  caduche,  quan- 
tunque riesca  meglio  per  le  piante  a  granella  che  per  quelle  a  noc- 
ciolo. Fra  queste  ultime  fanno  eccezione  il  ciliegio  e  qualche  varietà 
di  susino,  per  le  quali  l'innesto  a  spacco  riesce  meglio  di  qualsiasi 
altro  metodo  d'innesto. 


67 


Epoca 

Terreno 

Vigoria 

Fruttificazione 

Longevità 

dell'innesto 

più  conveniente 

agosto 

profondo 

massimo 

massima 

massima 

n 

arido,  poco  prof. 

medio 

eccellente 

minima 

. 

fertile 

minimo 

eccell.  e  precoce 

media 

aprile 

normale 

normale 

normale 

normale 

sbbraio-marzo 

; 

; 

" 

marzo-aprile 

„ 

, 

, 

ggio  -  settembre 

- 

. 

" 

. 

agosto 

profondo  fresco 

massima 

tardiva 

massima 

marzo 

„ 

, 

» 

„ 

agosto 

fresco  e  molto  feri. 

media 

precoce 

media 

marzo 

arido 

minima 

minima 

minima 

fine  agosto 

normale 

media 

abbondante 

media 

profondo  fertile 

massima 

„ 

massima 

umido 

media 

media 

media 

' 

arido 

- 

, 

" 

aprile-agosto 

normale 

normale 

normale 

normale 

agosto 

arido 

minima 

abbond.  e  pronta 

minima 

„ 

normale 

massima 

massima 

massima 

aprile 

„ 

„ 

agosto 

asciutto 

media 

pronta 

minima 

aprile 

" 

„ 

normale 

normale 

normale 

normale 

giugno 

, 

„ 

Per  fare  questo  innesto,  si  opera  nel  seguente  modo. 

Scelti  i  soggetti,  che  devono  avere  almeno  cm.  2  di  diametro,  si 
recidono  all'altezza  a  cui  si  intende  fare  l'innesto,  con  una  forbice  o 
con  una  sega,  se  il  soggetto  fosse  molto  grosso,  avendo  cura  di  ripas- 
sare il  taglio  col  potatojo  per  togliere  qualsiasi  ineguaglianza  (C  fìg.  87). 
Quando  il  soggetto  fosse  soltanto  dello  spessore  di  cm.  2,  non  si  ap- 
plica che  una  sola  marza  ed  allora  la  sezione  del  taglio  convien  farla 
leggermente  obliqua,  appianandola  soltanto  nella  parte  superiore,  dove 
si  intende  di  inserire  la  marza  (B  fìg.  88). 

La  marza  si  prepara,  scegliendo  soltanto  la  parte  mediana  dei 
rami,  raccolti  e  conservati    nell'inverno,  come  abbiamo  veduto  nel  ca- 


68 


pitelo  precedente;  e  questo  per  il  fatto  che  le  gemme  dell'estremità 
dei  rami,  non  raggiungendo  sempre  la  loro  completa  maturazione, 
darebbero  delle  piante  deboli,  come  le  gemme  della  base  darebbero 
invece  delle  piante  rigogliose  bensi,  ma  poco  fruttifere.  Questa  pre- 
cauzione, che  in  apparenza  sembra  di  poca  entità,  ha  invece  una 
grande  importanza  e  ad  ogni  attento  osservatore  delle  campagne  non 
possono  sfuggirne  gli  effetti.  Guardiamo  un  po'  qual  difterenza  di  com- 
portamento   hanno  le  piante  acquistate  negli   stabilimenti    di  frutticol- 


Fig.  87. 
Innesto  a  spacco. 


Innesto  a  spacco 
con  una  sola  marza. 


Fig.  89. 

Marze  per  l'innesto 

a  spacco. 


tura,  e  quelle  ottenute  per  innesto  dai  contadini.  Le  prime  (perchè, 
purtroppo  di  sovente,  provengono  da  vivaisti  che  speculano  su  miseri 
arboscelli  per  fare  degli  innesti)  crescono  deboli,  rachitiche,  fruttifi- 
cano se  si  vuole  anche  presto,  ma  presto  periscono.  Quelle  invece  ot- 
tenute dal  contadino  per  innesto,  sono  eccessivamente  rigogliose  ma 
pochissimo  produttive  e  ciò  per  il  fatto,  che  il  contadino  sceglie  per 
fare  le  marze  i  rami  più  vigorosi  e  di  questi  utilizza  soltanto  la  parlo 
inferiore.  L'arte  non  sempre  riesce  ad  attenuare  questi  inconvenienti 
e  molto  di  sovente,  chiamato  in  simili  casi,  io  dovetti  consigliare  dei 
rimedi  radicali. 

Scartata  adunque  la   parte  inferiore,  si    tiene   il   ramo  colla    mano 
sinistra  appoggiandolo  sul  dito  indice,  e  colla    mano  destra   armala  di 


-  69  - 

innestatoio,  si  taglia  sotto  un  occhio  e  su  due  facce  la  parte  inferiore, 
in  modo  da  ottenere  una  bietta  triangolare  (F  fig.  89)  lasciando  in- 
tatta la  corteccia  sul  dorso  (A).  Questi  tagli  devono  essere  fatti  con 
l)Ochi  tratti  di  coltello,  acciò  le  superfici  che  devono  venire  in  con- 
tatto col  soggetto  riescano  ben  liscie  ed  uguali.  Superiormente  la 
marza  si  recide  in  media  a  3  gemme  sopra  la  bietta  (B),  avvertendo 
però,  che  per  i  soggetti  molto  robusti,  per  i  terreni  molto  ricchi,  e  nei 
climi  umidi  e  freddi,  si  devono  tagliare  più  lunghi  ;  ed  anche  a  2  sole 
gemme  per  i  casi  opposti. 

Preparata  in  tal  modo  la  marza,  si  fa  uno  spacco  al  soggetto,  nel 
senso  del  diametro  (D  fig.  87)  adoperando  un  coltello  o  fenditoio  (fi  • 
gura  88),  più  o  meno  robusto  a  seconda  del  caso.  Collo  stesso  coltello 
oppure  con  un  cuneo  di  bosso,  si  tiene  quindi  aperta  la  fenditura,  si 
immette  colla  mano  sinistra  per  l'orifìzio  superiore  la  marza,  in  modo 


Fig.  90.  —  Innesto  a  spacco  sulla  vite 
a)  sezione  orizzontale  del  soggetto  ;  b)  nesto  inserito. 

che  la  sua  corteccia  venga  a  coincidere  con  quella  del  soggetto,  senza 
essere  né  sporgente,  né  rientrante.  Nel  caso  soltanto  in  cui  la  corteccia 
del  soggetto  fosse  troppo  grossa,  conviene  che  la  marza  sia  inserita 
più  in  dentro.  Quando  non  si  possono  inserire  due  marze  come  si  vede 
nella  fig.  87,  ma  soltanto  una,  allora  bisogna  procurare  di  fendere  il 
soggetto  soltanto  da  un  lato.  Fatto  questo  non  si  ha  che  da  legare  e 
coprire  le  ferite  con  un  mastice  onde  evitare  l'accesso  all'aria,  all'u- 
midità e  alle  bricciole  di  terra  nello  spacco.  Altro  esempio  di  innesto 
a  spacco  semplice  sulla  vite,  l'abbiamo  rappresentato  sulla  fig.  90. 

2.  —  I  migliori  legacci  per  gli  innesti  sono  quelli  che  non  si 
accorciano  e  neppure  allungano  sotto  le  influenze  igrometriche,  e  che 
sono  dotali  d'una  certa  elasticità,  che  permette  di  cedere  all'ingrossa- 
mento del  soggetto.  Più  il  soggetto  sarà  grosso,  e  più  forte  dovrà  es- 
sere il  legaccio.  Le  legature  si  fanno  colle  due  mani.  Si  avvolge  l'in- 
nesto a  spirale  dandogli  una  stretta  bastantemente  forte  ad  ogni  giro, 
in  modo    che   le   legature  non    si   possano    muovere.    Bisogna   sempre 


-  70  — 

tenere  in  mente  che  l'ufficio  della  legatura  è  provvisorio;  esso  cessa, 
quando  la  saldatura  è  suflìciente  per  lo  sviluppo  della  marza. 

Per  ordine  d'importanza,  delle  legature  più  usate,  diremo  che  la 
lana  filata  possiede  tutte  le  qualità  volute  per  un  buon  legaccio,  poi 
viene  il  cotone  filato,  specialmente  per  l'innesto  ad  occhio,  quindi  la 
corteccia  di  tiglio,  la  raphia  (fig.  56),  lo  spago.  Gli  ultimi  quattro  de- 
vonsi  bagnare  coU'acqua  prima  di  adoperarli. 

3.  —  Gli  unguenti,  misture  o  mastici,  come  si  vogliono  chiamare, 
servono  a  spalmare  le  ferite  ed  i  tagli  delle  piante  che  si  fanno  sia 
per  potarle  che  per  innestarle,  onde  evitare  una  soverchia  evapora- 
zione della  pianta  o  specialmente  un  afflusso  di  linfa  che  come  nel 
pesco  e  in  tutte  le  piante  a  nocciolo,  porta  per  conseguenza  delle 
malattie  cagionevoli,  quale  la  gommosi.  Visto  lo  scopo  di  questi  ma- 
stici è  evidente  che  essi  devono  corrispondere  alle  seguenti  condi- 
zioni :  1."  di  non  far  seccare  la  ferita:  2.°  di  avere  un  colore  tale  da 
concentrare  il  minor  grado  di  calore  possibile  ;  3.°  di  non  screpolare 
all'azione  dell'aria,  e  non  liquefarsi  al  calore  solare. 

Il  miglior  mastice  è  ancora  quell'usato  ab  antiquo  e  cioè  della 
buona  terra  argillosa  leggermente  umettata.  Delle  diverse  misture  con- 
sigliate, quella  che  trovai  più  conveniente  è  la  seguente  di  Romeville, 
quantunque  questa  però  non  corrisponda  tanto  bene  quanto  una 
buona  pasta  di  terra  argillosa. 

Pece  nera grammi  150 

Resina „         150 

Cera  vergine „  25 

Sego „  25 

Alcool  denaturato „        1/10  di  litro. 

Si  riscalda  la  mescolanza  lino  alla  completa  fusione  delle  sostanze, 
si  ritira  dal  fuoco  e,  dopo  che  il  liquido  si  sarà  alquanto  raffreddato, 
vi  si  aggiunge  l'alcool,  rimestando  per  bene,  quindi  si  riscalda  di 
nuovo  leggermente.  Questo  mastice,  che  si  può  adoperare  a  freddo, 
si  può  colorire  con  la  terra  gialla  o  rossa. 

Altri  mastici  a  freddo  molto  buoni  sono  i  seguenti: 

grammi    830  di  resina  raffinata 

„  15    „    pece  nera 

„  30    „    grassp  di  montone 

„  35    „    cenere  stacciata 

„  90    „    spirito  a  90°  denaturato 

grammi  1000 

grammi    735  di  resina  raffinala 

„  100    „    pece  nera 

„  30    „    grasso  di  montone 

„  35    „    polvere  d'ocra 

„  100   „    spirito  a  90°  denaturato 

grammi  1000. 


—  71  — 

I  mastici  a  caldo  hanno  il  vantaggio  di  resistere  di  più  al  calore 
e  si  possono  dare  con  maggiore  facilità  e  speditezza  adoperando  il 
pennello,  mentre  per  i  primi  bisogna  adoperare  una  spatola.  Si  ado- 
perano più  per  guarire  le  ferite. 

Due  buone  formole  di  mastici  a  caldo  sono  : 


1. 

li. 

grammi 

915 

gì' 

animi    830  di 

resina  raffinata 

„ 

15 

100    „ 

pece  nera 

„ 

30 

30    „ 

grasso  di  montone 

„ 

40 

gr 

40    „ 

cenere  stacciata 

grammi 

1000 

ammi  1000. 

Per  mantenere  il  mastice  caldo  si  sono  costruiti  dei  fornelli  ap- 
positi, di  cui  un  esempio  lo  si  ha  rappresentato  nelle  fìg.  54  e  55. 

Di  queste  sostanze,  la  resina  dà  al  mastice  la  proprietà  di  seccare 
più  presto  ;  la  pece  rende  il  mastice  più  denso  ;  il  sego  lo  rende  più 
leggero;  la  cera,  più  untuoso  e  l'alcool  lo  mantiene  liquido. 


XII. 
Innesto  a  spacco  laterale. 

1.  —  Questo  innesto  evita  l'inconveniente  di  dover  decapitare  il 
soggetto,  le  radici  del  quale,  continuano,  come  prima  dell'innesto,  ad 
inviare  il  loro  succo  alle  foglie.  Questo  succo  è  elaborato  nel  suo  moto 
discendente  e  facilita  la  saldatura  dell'innesto,  nel  medesimo  tempo 
che  continua  a  nutrire  le  radici. 

L'innesto  a  spacco  laterale  viene  applicato  alla  vite  quando  si  tratta 
di  innestare  dei  ceppi  vecchi  di  vite  americana  ed  alle  piante  da  frutto 
quando  si  ha  bisogno  di  occupare  uno  spazio  vuoto  lungo  il  fusto  con 
un  novello  ramo  a  legno  od  a  frutto. 

Tale  sistema  di  innesto  può  servire  anche  a  soggetti  giovani,  ed  ha 
il  grande  vantaggio  di  poterlo  applicare  per  le  piante  da  frutto  nei 
mesi  di  aprile  e  maggio  e  per  la  vite  nei  mesi   di    agosto  e  settembre. 

2.  —  Per  la  vite  questo  innesto  è  chiamato  innesto  di  Cadillac  e  di 
cui  ne  tolgo  la  descrizione  dal  Trattalo  di  Vilicolliira  del  prof.  O.  Ot- 
tavi. Gasalmonferrato,  1893. 

"  Supponiamo  un  soggetto  avente  uno  o  due  anni  di  piantamento; 
in  esso  l'ordinaria  operazione  della  scalzatura  vien  fatta  verso  la  fine 
di  agosto  od  in  principio  di  settembre,  momento  in  cui  si  pratica  l'in- 
nesto annuale. 

"  Su  questo  soggetto,  a  qualche  centimetro  solamente  al  disopra 
del  terreno,  si  opera  uno  spacco  laterale,  che  arriva  alla  metà  o  quasi 
alla  metà  del  legno,  senza  però  mai  trapassarla  (fig.  91,  D). 


-  72  - 

"  Vi  si  inserisce  allora  la  marza  E,  tagliata  come  si  pratica  per 
l'innesto  a  spacco.  Nella  fig.  91  essa  ha  una  gemma  sola,  ma  sarebbe 
meglio  ve  ne  fossero  due  C  sopra  un  nodo,  ed  allora  si  ha  l'innesto 
in  B.  Bisognerà  aver  cura  di  non  prolungare  di  troppo  lo  spacco  la- 
terale fatto  sul  soggetto  D,  ma  di  regolar  più  esattamente  che  sarà  pos- 
sibile sulla  lunghezza  del  taglio  fatto  sulla  marza  E,  che  deve  esservi 
inserita  per  formare  l'innesto  A. 


Fig.  91.  —  Innesto  a  spacco  laterale  della  vite. 


"  La  marza  E  dovrebbe  avere,  come  abbiamo  detto,  due  gemme 
ed  essere  tagliata  spaccandone  sopra  di  esse  una  terza.  Ma  a  questa 
opportunità,  che  diremo  teorica,  non  sempre  si  può  obbedire  nella  pra- 
tica. È  da  temersi  che  la  marza  innestala  e  prendente  una  posizione 
divergente  rispetto  al  soggetto  sia  esposta  cosi  ad  essere  urtata  e  smossa 
dagli  operai.  Perciò  si  contentano  a  Cadillac  di  darle  una  lunghezza 
molto  minore,  tagliandola  alla  metà  circa  della  lunghezza,  che  si  vede 
nella  figura  A,  e  cioè  a  qualche  centimetro  al  disopra  della  gemma. 


-  73  - 

"  In  questo  modo  la  marza  avrà  un  occhio  solo  invece  di  due,  e 
sarà  tagliata  nella  parte  inferiore  del  meritallo  invece  di  esserlo  sul 
nodo;  tuttavia,  malgrado  queste  condizioni  certo  sfavorevoli,  l'opera- 
zione, fatta  con  ogni  cura  sarà  egualmente  coronala  di  successo. 

"  La  legatura  è  fatta  a  preferenza  con  vimini  sottili,  i  quali  resi- 
stono assai  bene  conservandosi  durante  tutto  l'inverno.  „ 

Per  eseguire  con  facilità  questo  innesto  furono  immaginati  due  in- 
nestatoi, una  pinzetta  cioè  ed  un  coltello,  i  quali  trovansi  vendibili 
presso  il  Comizio  agrario  di  Cadillac. 

Per  praticare  poi  con  successo  l'innesto  di  C-adillac,  è  necessario  eseguirlo  abba- 
stanza presto.  A  questo  proposito  mi  piace  riportare  quanto  scriveva  sul  Giornale  vini- 
colo italiano,  nel  1888,  il  Dolt.  Guimaldi: 

"  È  della  più  alta  importanza  tìssare  l'epoca  nella  quale  1  innesto,  di  cui  ci  occu- 
piamo, debba  praticarsi,  stantechè  alla  cattiva  scelta  di  esso  son  dovuti  i  pochi  insuc- 
cessi, che  si  sono  lamentati  in  Francia.  Può  cominciare  ad  eseguirsi,  quando  il  legno 
dei  sarmenti  è  sufficientemente  maturo,  aòutc,  come  dicono  i  Francesi:  però  si  badi 
bene  che,  se  si  fa  troppo  precocemente,  può  accadere  che,  formata  la  saldatura,  il  nesto 
emetta  un  germoglio  anticipato:  questo  non  avrà  mai  il  tempo  di  formarsi  perfetta- 
mente e  sarà  rovinato  dalle  brine  primaverili  e  quindi  si  indebolirà  la  vite  senza  gua- 
dagno. La  esecuzione  troppo  tardiva  arrecherà  inconvenienti  ancora  maggiori,  perchè 
la  saldatura  non  avrà  tempo  di  formarsi  prima  che  la  linfa  abbia  finito  di  circolare  e 
l'innesto  di  sicuro  fallirà.  A  Cadillac  l'innesto  si  opera  dalla  metà  di  agosto  alla  metà 
di  settembre,  epoca  opportuna  anche  nell'Italia  settentrionale,  ma  che  vuol  essere  ri- 
tardata di  almeno  un  mese  nell'Italia  meridionale  e  nella  Sicilia.  In  queste  regioni 
specialmente  è  indisjjensabile  l'innestare  quando  il  terreno  e  l'atmosfera  abbiano  una 
sufficiente  quantità  di  umidità  e  quindi  dopo  una  abbondante  pioggia  ;  in  caso  contrario 
il  nesto  si  disseccherebbe  rapidamente  e  la  saldatura  non  potrebbe  di  certo  avvenire.  „ 


XIII. 
Innesto  a  corona. 


1.  —  Anche  questo  innesto  è  molto 
usato  specialmente  sopra  i  soggetti  che 
presentano  un  diametro  troppo  grande 
per  essere  innestati  a  spacco.  Si  fa  dal 
principio  alla  fine  d'aprile,  quando  cioè 
la  corteccia  si  stacca  facilmente  dal- 
l'alburno. 

1  soggetti  che  si  vogliono  innestare 
a  corona  devono  essere  capitozzali  du- 
rante l'inverno  a  cm.  10  al  disopra 
del  punto  dove  s'intende  fare  l'inne- 
sto. Le  marze  si  devono  raccogliere 
pure  durante  l'inverno  come  abbiamo 
detto  per  l'innesto  a  spacco. 

L'operazione  dell'innesto  a  corona 
consiste  nel   recidere  il  soggetto  Cfig.  92) 


Fig.  92. 
Innesto  a  corona 


Fig.  'J-ò. 
Marza  p.  l'innesto 


come  per  l'innesto   a  spacco 


si  solleva  quindi  la  corteccia,  vi  si  imnaette  la  marza,  tagliata  nella  sua 


-  74  — 

estremità  inferiore,  non  a  bietta  ma  a  becco  di  flauto,  appuntito  da 
una  sola  parte  (A,  fig.  93).  Quando  i  fusti  sono  piccoli,  si  può  fare  nella 
corteccia  una  incisione  longitudinale  per  facilitare  l'introduzione  della 
marza.  Quando  il  soggetto  è  abbastanza  grosso  si  possono  inserire  2, 
3,  4,  marze  in  circolo,  da  ciò  anche  il  nome  di  innesto  a  corona. 
Fatto  questo,  basta  legare  meno  stretto  però  che  per  l'innesto  a  spacco, 
per  evitare  delle  strozzature  e  quindi  si  coprono  le  ferite  con  mastice. 
Questo  innesto  offre  il  vantaggio  di  evitare  lo  spacco  del  soggetto 
e  di  poterlo  fare  più  tardi  dell'innesto  a  spacco. 


XIV. 
Innesto  inglese. 


1.  —  In  questi  ultimi  anni,  l'innesto  inglese  ha  acquistato  una 
singolare  importanza,  poiché  con  questo  si  propagano  le  viti  no- 
strane  su    ceppi    americani,    onde   evitare   i    danni   della    fillossera. 

Il  soggetto  sul  quale  si  vuol  praticare  l'in- 
nesto, sia  esso   talea,  sia   barbatella,  non    deve  /,,  ig^ 
aver  meno  di  mm.  6  di  diametro,  fig.  94-96;  al                 //'  !^M 
di  là  di  12  o  13  è  difficile  trovare  le   marze   di 
grossezza  uguale.  La  lunghezza  deve  essere  di 


Fig.  94. 
Taglio  del  soggetto. 


Fig.  95. 

Taglio  della  marza 

prima  di  fare  la  linguetta. 


Vi 


Fig.  96.  —  Innesto 
preparato  per  la  legatura. 


cm.  20  a  25,  esso  deve  portare  almeno  due  occhi  o  due  nodi;  taglian- 
dolo più  corto  di  cm.  20  si  potrebbe  correr  rischio  che  avesse  a  sof- 
frire la  siccità  al  momento  della  ripresa;-  tagliandolo  più  lungo  di 
cm.  25,  si  troverebbe   qualche   difficoltà  nel  piantamento. 


75  - 


Fatta  adunque  per  bene  la  scelta  del  soggetto,  questo  si  taglia  a 
bietta  alla  sua  estremità  superiore  (fìg.  94),  e  ciò  con  una  pendenza 
del  26  al  30  Vo»  o»  se  si  vuol  meglio,  con  un  angolo  di  14  a  17  gradi, 
avendo  cura  di  tenersi  a  14  gradi  per  i  sarmenti  più  esili.  Alla  prima 
prova  è  un  po'  diffìcile  di  tenersi  a  questa  pendenza,  ma  con  un  po'  di 
pratica  e  di  colpo  d'occhio  si  viene  ad  eseguire  assai  presto  il  taglio 
all'inclinazione  voluta.  La  quale  inclinazione,  non  è  stabilita  dal  ca- 
priccio, come  potrebbe  parere,  ma  è  la  conseguenza  acquistata  dalla 
|)ratica  di  tutti  gli  innestatori  che  hanno  fatto  in  grande  l'innesto  in- 
glese, ed  eccone  le  ragioni. 

Affìnchè  quest'innesto  sia  eseguito  irreprensibilmente,  bisogna,  una 
volta  adattati  i  due  pezzi,  che  i  punti  di  congiunzione  non  lascino  as- 
solutamente alcun  vuoto,  e  che  l'innesto  sia  già  solido  di  perse,  senza 
il  soccorso  della  legatura  (fig.  96).  Quando 
si  fanno  innesti  inglesi  a  bietta  lunga  e  lin- 
guetta pure  assai  lunga,  le  biette,  non 
avendo  più  la  rigidità  voluta  per  restare 
nella  linea  retta  che  sempre  devono  conser- 
vare, si  piegano  sotto  la  pressione  delle  lin- 
guette. Queste  poi,  introducendosi  nei  tagli 
d'adattamento,  formano  linee  curve  quasi 
sempre  in  senso  contrario  a  quello  che  do- 
vrebbero avere,  e  per  conseguenza  lasciano 
numerosi  vuoti  che  solo  una  energica  lega- 
tura potrà  colmare.  Se  questa  legatura  viene 
per  una  causa  qualunque  a  mancare,  ecco  la 


Fig.  97.  -  Come  si  fa  la  linguetta. 


Fig.  98. 


li 

Innesto  inglese  già  fatto. 


saldatura  dell'innesto  gravemente  compromessa:  non  vi  ha  allora  che 
una  saldatura  parziale  o  l'insuccesso  completo.  Per  l'innesto  inglese 
a  lunga  bietta,  la  legatura  è  una  cosa  indispensabile,  una  necessità  non 
scevra  d'inconvenienti,  necessità  che  si  fa  sentire  sino  a  che  la  salda- 
tura non  si  sia  completamente  operata,  mentre  per  l'innesto  a  bietta 
relativamente  corta,  coi  pezzi  saldamente  adattati  l'uno  all'altro,  la 
legatura  non  ha  altro  scopo  che  quello  di  preservarlo  dagli  urti  che 
potrebbero  spostare  i  tagli:  una  volta  piantato  e  ben  incalzato,  esso 
potrà  assai  bene  far  senza  della  legatura. 


—  76  - 

Se  si  hanno  inconvenienti  coi  tagli  troppo  lunghi  non  bisogna  per 
([uesto  farli  troppo  corti;  al  disotto  d'un  angolo  di  14°  l'adattamento 
dei  due  pezzi  diviene  più  diffìcile  e  meno  solido:  infine  per  far  bene 
bisogna  attenersi  alla  media  che  abbiamo  dato. 

Anche  le  linguette  (fig.  97)  destinate  a  tener  saldi  assieme  soggetto 
e  marza  meritano  tutta  la  nostra  attenzione.  Invece  di  farle  assai  lunghe 
o  anche  solo  al  terzo  della  lunghezza  della  bietta,  come  si  facevano  in 
principio,  si  è  potuto  riconoscere  al  giorno  d'oggi  che  esse  non  devono 
sorpassare  i  quattro  o  cinque  millimetri  a  seconda  del  diametro  della 
marza  sulla  quale  si  opera  (fig.  98). 

Ammettiamo  ora  la  cifra  4  come  media,  e  consideriamo  una  linea 
trasversale  che  tagli  nel  soggetto  il  centro  della  sezione  da  noi  fatta 
col  coltello:  due  millimetri  al  disopra  di  questa  linea  si  applica  il  taglio 
ilei  coltello  innestatoio  e  lo  si  fa  penetrare  verticalmente  seguendo  la 
direzione  del  legno  sino  a  due  millimetri  al  disotto.  Si  ripete  l'opera- 
zione sulla  marza,  che  si  fa  di  una  sola  gemma,  assolutamente  colle 
medesime  norme,  avendo  cura  di  rialzare  un  po'  col  coltello  l'estremità 
di  ogni  linguetta,  allorché  si  ritira  la  lama  dal  taglio  fatto,  e  ciò  allo 
scopo  di  ottenere  più  facilmente  l'unione  delle  due  linguette. 

Quando  si  cominciò  a  studiar  l'innesto  sopra  talee  o  barbatelle,  si 
pensò  di  facilitare  quest'operazione  per  mezzo  di  macchine.  Molti  inne- 
statoi meccanici  furono  inventati  per  praticare  l'innesto  inglese  ed  altri; 
ma  l'impiego  di  essi  risultò  nella  pratica,  pieno  d'inconvenienti.  Con 
essi  non  si  opera  né  meglio,  né  più  presto  di  quello  che  si  può  fare 
col  semplice  coltello  innestatoio  che  il  vignaiuolo  può  sempre  portare 
nel  suo  taschino.  Il  miglior  coltello  per  questo  innesto  è  il  Kunde 
(fig.  37)  costruito  in  Italia  dalla  Ditta  Fugini  di  Brescia. 

Uniti  assieme  il  soggetto  e  il  nesto  per  mezzo  delle  linguette  che 
abbiamo  visto,  si  fermano  le  due  sezioni  l'una  contro  l'altra  con  una 
legatura  o  con  un  rivestimento  di  gesso.  (Vedi  l'articolo  dell'Autore  nel 
Giornale  Vinicolo  del  5  e  12  gennaio  1913. 

Molti  non  danno  alcuna  importanza  al  midollo.  Difatti,  per  l'atte- 
chimento  dell'innesto,  fisiologicamente  non  ha  influenza;  è  necessario 
però  che  i  punti  dove  termina  e  dove  comincia  il  midollo  si  trovino 
ad  eguale  distanza  dal  centro  della  sezione,  affine  che  le  due  sezioni 
possano  sovrapporsi. 

Fatto  l'innesto  esso  ha  bisogno,  se  non  lo  si  mette  subito  in  terra 
(il  che  è  sempre  preferibile,  anzi  è  consigliabile  di  fare  questi  innesti 
al  risveglio  della  vegetazione)  d'  essere  tenuto  fresco,  al  riparo  dall'aria. 
Si  procede  quindi  alla  stratificazione  degli  innesti,  preparando  innanzi 
tutto  sul  terreno,  preferibilmente  in  luogo  esposto  a  Nord,  uno  strato 
di  sabbia  fina;  su  questa  si  piazzano,  uno  vicino  all'altro,  gli  innesti 
lasciando  tra  essi  solo  un  vuoto  della  lunghezza  d'  una  talea.  Si  ripete 
questo  letto  di  sabbia  per  una  lunghezza  ed  altezza  sufficiente  per  riu- 
nirvi la  quantità  d'innesti  che  si  possiede  ;  si  possono  anche  fare  mucchi 
separati,  specialmente  se  si  hanno  innesti  di  più  varietà.  Il  caso  essen- 


-  77  - 


ziale  è  di  coprire  il  mucchio  con  uno  strato  di  sabbia  sufficiente  a 
preservarlo  dal  contatto  dell'aria,  sino  all'epoca  del  piantamento.  L'al- 
tezza minima  di  questo  strato  protettore  sia  di  40  centimetri. 

Ora  consiglio  di  stratificare  i  nesti  nella  sabbia  umettata,  coperta 
con  un  tetto  per  preservarla  dall'  eccessiva  umidità  ed  esposta  da  un 
lato  al  sole.  In  questa  stratificazione  i  resti  cominciano  a  fare 
il  callo. 

Per  r  impianto  a  dimora,  il  terreno  vuol  essere  prima  scassato  e 
lavorato,  e,  se  è  argilloso,  condizione  poco  favorevole  all'emissione  di 
radici,  è  sommamente  necessario  di  interporre  un  piccolo  strato  di 
sabbia  tra  l'innesto  e  la  terra,  a  fine  di  facilitare  questa  messa  delle 
radici.  Il  migliore  terreno  è  quello  sciolto,  irrigatorio. 

L'epoca  migliore  dell'impianto  è  il  mese  di  aprile-maggio. 

Per  piantare  in  vivaio  si  apre  colla  vanga  un  largo  solco,  tenendo 
il  Iato  superiore  di  esso  un'  po'  in  pendenza  per  appoggiarvi  gli  innesti 
su  talea  o  su  barbatella  ;  messi 
questi  a  posto  sopra  un  pic- 
colo letto  di  sabbia  ad  una  di- 
stanza di  cm.  10  gli  uni  dagli 
altri,  si  coprono  con  un  altro 
piccolo  strato  di  sabbia  sulla 
quale  si  getta  il  terreno  del 
solco  che  si  aprirà  immedia- 
tamente. Se  il  terreno  è  secco, 
lo  si  bagna  per  tenerlo  ade- 
rente air  innesto. 

Per  facilitare  le  cure  di 
cui  hanno  bisogno  gli  innesti 
in  vivaio,  si  piantano  le  file 
distanti  cm.  50  oppure  a  dop- 
pie file  distanti  cm.  20  e  fra 
una  doppia  fila  e  l'altra  si  la- 
scia uno  spazio  di  l  metro. 

Per  la  riuscita  importa  che  la  terra  contro  i  nesti,  sia  battuta  e  che 
a  5  cm.  sotto  al  livello  del  terreno  si  trovi  il  punto  d'innesto.  La  se- 
conda gemma  deve  stare  pure  coperta,  ma  col  cumulo  di  terra  che 
si  sovrappone  (fig.  99). 

2.  —  L' innesto  inglese  si  può  fare  anche  a  dimora,  in  fin  di  marzo 
o  al  principio  d'aprile  sopra  soggetti  piantati  da  un  anno  o  due  al  più. 
Quando  il  soggetto  è  più  vecchio,  vi  è  meno  probabilità  di  presa,  di- 
venta troppo  grosso  per  ricevere  l'innesto  inglese,  e  non  si  può  appli- 
care ad  esso  che  l'innesto  a  spacco  ordinario  che  non  dà  mai  una 
saldatura  completa.  Per  l'innesto  sul  sito,  si  taglia  generalmente  con 
vantaggio  il  soggetto  otto  o  dieci  giorni  prima  dell'operazione  dell'in- 
nesto, e  cioè  all'altezza  a  cui  questo  deve  essere  praticato.  A  capo  di 
questi  dieci  giorni   il   taglio  comincia  a  cicatrizzarsi,    i    pori  del  legno 


'à 


im. 


t 


Fig.  99. 


'Mm'^^ 


-  Impianto  di  una  barbatella 
innestata   all'  inglese. 


-  78  - 

sì  restringono  e  si  rinchiudono,  il  pianto  della  vite  cessa.  Questa  linfa 
non  elaborata,  restando  accumulata  nella  parte  inferiore  del  soggetto, 
favorisce  la  formazione  di  cellule  tra  il  soggetto  e  il  nesto,  e,  per  conse- 
guenza, anche  la  presa. 

XV. 
Innesto  per  approssimazione. 

1.  —  È  il  più  antico  di  tutti  i  sistemi  d'innesto.  La  natura  ci  dà 
degli  esempi  nelle  foreste,  dove  si  trovano  talvolta  degli  alberi  uniti 
fra  loro  per  le  parti  aeree  o  sotterranee,  in  seguito  al  contatto  intimo 
e  sfregamento  continuato  prodotto  dal  vento. 


Fig.  100.  —  Innesto 

per  approssimazione 

senza  lingueUa. 


Fig.  101.  —  Innesto 

per  approssimaz.  senza  linguettE 

con  una  pianta  in  vaso. 


Fig.  102.  —  Innesto 

per  approssimazione 

a  linguetta. 


L'innesto  per  approssimazione  consiste  dunque  nel  saldare  due 
alberi  per  il  loro  fusto  o  per  i  loro  rami. 

L'epoca  d'innestare  va  dal  principiare  al  finire  del  movimento  della 
linfa,  quindi  dal  marzo  al  settembre.  L'operazione  è  identica,  siano  i 
soggetti  o  le  marze  legnosi  o  erbacei. 

2.  —  L'innesto  più  semplice  per  approssimazione  consiste  nel  pie 
gare  o  ravvicinare  i  due  rami  o  i  due  fusti  che  si  vogliono  saldare,  in 


-  79  — 

modo  da  renderli  paralleli  e  tangenti  per  una  lunghezza  di  qualche 
centimetro.  A  questo  punto  di  contatto  si  leva  sopra  ciascuno  dei  due 
rami  una  fetta  permettainente  eguale  di  corteccia  e  di  alburno  lunga 
da  3  a  6  centimetri,  e  quindi  si  legano  solidamente  e  si  intonacano  per 
mantenere  l'aderenza  completa  delle  due  ferite  e  per  impedire  l'accesso 
dell'aria,  dove  il  contatto  non  è  assoluto  (fig.  100). 

3.  —  Invece  di  applicare  semplicemente  l'una  contro  l'altra  le  due 
superfici  scoperte,  per  aumentare  la  superficie  di  contatto,  si  può  sol- 
levare sopra  ciascuna  di  queste  ed  in  senso  opposto,  due  linguette 
(fig.  101  e  102)  lunghe  un  terzo  della  superficie  messa  a  nudo  e  con  uno 
spessore  alla  base  di  2  a  3  millimetri,  in  modo  da  non  intaccare  il  mi- 
dollo. Si  fanno  quindi  entrare  le  due  linguette  nelle  fessure  praticate 
dietro  ciascuna  e  poi  si  lega  ed  intonaca.  Questo  si  chiama  innesto  per 
approssimazione  inglese,  od  anche  innesto  per  approssimazione  a  linguetta 
e  con  esso  si  ottiene  una  più  pronta  e  più  perfetta  saldatura,  che  non 
coir  innesto  per  approssimazione  semplice. 


XVI. 
Innesto  a  gemma  e  ad  anello. 

1.  —  L'innesto  a  gemma  consiste  in  un  pezzo  di  corteccia  senza 
alburno,  munito  di  gemma,  che  si  introduce  fra  l'alburno  e  la  cor- 
teccia del  soggetto.  Viene  anche  chiamato  innesto  ad  occhio,  od  innesto 
a  scudo. 

Si  può  farlo  durante  tutto  il  tempo  in  cui  i  soggetti  sono  in  corso 
di  vegetazione  e  che  hanno  la  massima  circolazione  della  linfa.  Due 
però  sono  le  epoche  caratteristiche  di  questo  innesto;  la  primavera  ed  il 
mese  d'agosto.  In  primavera  si  fa  quando  i  soggetti  entrano  in  vege- 
tazione, ed  in  questo  caso  la  gemma  innestata  vegeta  immediatamente. 
Da  ciò  anche  il  suo  nome  di  innesto  a  gemma  vegetante.  Innestando  in 
agosto,  innesto  a  gemma  dormiente,  la  gemma  non  vegeta  che  nella  pri- 
mavera successiva.  Per  le  piante  fruttifere  si  preferisce  l'innesto  d'a- 
gosto. 

Il  ramoscello  da  cui  ricavasi  la  gemma  deve  essere  dello  stesso 
anno,  vigoroso,  sano  ed  in  pieno  succo,  in  modo  che  la  corteccia  si 
stacchi  agevolmente  dall'alburno.  Si  scarti  la  base  e  la  vetta;  e  delle 
foglie,  si  lasci  un  tratto  di  picciolo.  Devesi  impiegare  sollecitamente. 
Volendo  ritardare  di  alcun  giorno,  gli  si  lascia  la  base  per  tenerla  im- 
mersa nell'acqua. 

Il  soggetto  deve  trovarsi  in  succhio  del  pari  del  ramo  che  fornisce 
la  gemma,  anzi  è  preferibile  più  che  meno.  Esso  deve  essere  pure  sano 
e  vigoroso,  non  importa  l'età  purché  la  corteccia  sia  liscia,  e  si  stacchi 
facilmente  senza  lacerazioni,  manifestando  nell'alburno  quell'umidità 
dovuta  al  cambio,  senza  del  quale  la  saldatura  non  succede. 


Preparato  il  ramo  nel  modo  dianzi  accennato,  per  levare  lo  scu- 
detto, si  fa  una  incisione  trasversale  a  2  cni.  sotto  la  gemma.  A  partire 
da  circa  eguale  distanza  sopra  la  gemma  che  si  vuol  levare,  si  fa  scen- 
dere la  lama  dell'innestatoio  sotto  la  corteccia  piano  piano,  fino  al 
detto  taglio  orizzontale  (fig.  103).  In  tal  modo  si  ha  la  gemma  staccata 
come  si  vede  in  (fig.  104).  Rimanendo  attaccato  qualche  brandello  di 
alburno    sotto    la    gemma,   devesi    levare    destramente    colle    dita,    in 


Fig.  104. 

Gemma  staccata 

veduta  dal  disopra. 


Fig.  103. 
Operazione   per  levare  una  gemma  da  innesto. 


Fig.  105. 
Gemma  staccata 
veduta  al  disotto. 


modo  da  non  intaccare  quella  leggera  protuberanza  che  trovasi  sotto 
l'occhio,  che  è  il  suo  punto  vitale  e  si  potrebbe  chiamare  anche  la  sua 
radice.  Scientificamente  si  chiama  cnrculiim  (C  fig.  105). 

iMeglio  ancora  prima  di  isolare  la  gemma,  in  ogni  caso  subito  dopo, 
si  fa  un'incisione  a  T  sul  soggetto  (AB  fig.  106)  oltre  il  doppio  dell'o- 
rizzontale, si  sollevano  i  lembi  della  ferita,  dove  l'incisione  verticale 
incontra  l'orizzontale  e  si  introduce  colla  mano  sinistra  la  gemma,  fino 
che  lo  scudetto  arriva  all'incisione  trasversale  (fig.  107).  In  tal  modo  lo 
scudo  rimane  coperto  da  quei  lembi,  lasciando  sporgere  soltanto  la 
gemma.  Fatto  questo  si  lega  con  della  lana  o  filaccia  di  tiglio,  come  è 
indicato  in  A  (fig.  108). 

Questo  innesto  a  gemma  nei  vivai  si  fa  di  solito  in  basso  e  cioè 
a  10-12  cm.  dal  suolo  e  sopra  soggetti  giovani  di  1  a  2  anni.  Esso    ha 


-  81  — 

il  vantaggio  della  facilità  e  rapidità  d'operazione  e  non  procura  nessun 
guasto  rilevante  alla  pianta  in  caso  d'insuccesso.  I  vivaisti  si  servono 
quasi  esclusivamente  di  questo  innesto  ed  è  difatti  raccomandabile  spe- 
cialmente per  le  piante  a  nocciuolo. 


Fig.   106. 
Incisione  a   T    per 
l'innesto  a  gemina 


Fig.  107. 
Gemma  immessa 
nell'incisione  a  T. 


Fig.   108. 
Innesto    a   gemma 
dopo    la    legatura 


Fig.  109.  —  Innesto  ad  anello  terminale. 


Fig.  110.  —  Innesto  ad  anello 


2.  —  L'innesto  a  gemma  vegetante  si  fa  nel  mese  di  aprile,  quando 
la  pianta  è  in  pieno  succo,  e  dopo  si  recide  il  soggetto  immediatamente 
sopra  all'innesto  e  si  scacchiano  via  durante  tutto  l'anno  tutti  i  ger- 
mogli che  avessero  a  sorgere  sul  soggetto. 

6  —  T.^M.\uo  -  Frittlicoltnra. 


-  82  - 

Invece  di  una  gemma  a  legno  si  possono  inserire  in  primavera  e 
nel  medesimo  modo  delle  gemme  a  frutto,  dei  dardi,  dei  brindilli. 

Questi  innesti  si  fanno  sopra  i  rami  che  non  portano  frutto  e  nelle 
parti  che  rimangono  nude. 

3.  —  A  questa  categoria  appartiene  anche  l'innesto  ad  anello,  per 
il  quale  si  opera  nel  seguente  modo. 

Si  recide  il  soggetto  al  punto  in  cui  si  vuol  innestare  con  un  taglio 
ben  netto  nel  senso  trasversale  al  suo  asse  (a  fìg.  109  e  110)  e  poi  si 
stacca  la  corteccia  in  4  o  5  strisele  lunghe  3  cm.  {b  fìg.  110).  Intanto 
si  avrà  levato  dalla  cantina  già  da  due  giorni  le  marze  di  innesto,  che 
saranno  avvolte  da  un  cencio  bagnato  e  collocate  in  un  sito  caldo, 
onde  le  gemme  si  gonfino  e  la   corteccia  si  stacchi.  Al  momento   del- 


l'innesto, si  prende  fuori  la  marza  della  grossezza  del  soggetto  o  del 
ramo  che  si  vuole  innestare  e  si  leva  con  precauzione  un  anello  di 
corteccia  alto  3  cm.,  possibilmente  con  due  gemme.  Questo  anello 
(e  fig.  Ili)  lo  si  immette  nella  parte  scoperta  del  soggetto,  si  rialzano  le 
strisele  di  corteccia  e  si  legano  colla  scorza  di  gelso  (d  fig.  111).  E  dì 
capitale  importanza  che  nei  primi  quindici  giorni  non  penetri  nelle 
fessure  della  corteccia  e  sopra  la  parte  nuda  del  soggetto  né  l'umidità 
né  l'aria,  perciò  é  bene  fare  uso  di  un  mastice  o  di  una  buona  argilla 
per  coprire  tutte  le  parti  scoperte  ed  avvolgere  poi  tutto  con  della 
cai'ta  o  cartocci  di  granturco  per  impedire  la  evaporazione. 

Questo  innesto  viene  usato  per  il  noce,  gelso,  castagno  e  si  applica 
al  piede  oppure  in  testa  alla  pianta,  sopra  i  diversi  rami  a  breve  di- 
stanza dall'estremità  del  tronco.  Il  suo  vantaggio  principale  consiste 
in  ciò  che  anche  non  ottenendo  l'attechimento,  la  pianta  si  rimette 
presto. 


XVII. 
I  soprainnesti. 

1.  —  Quantunque  la  scienza  ci  insegni  che  l'affinità  fra  generi  vicini 
é  tale  da  poter  applicare  l'innesto,  con  tutto  ciò  nella  pratica,  si  riscon- 
trano delle  eccezioni,  di  cui  bisogna  tener  parola. 

Per  esempio  é  noto,  che  il  pero  si  innesta  sul  cotogno,  anzi  questo 
è  il  soggetto  preferito  per  la  fertilità  e  qualità  delle    frutta  che  si   ot- 


-  83   - 

tengono;  eppure  ci  sono  delle  varietà  di  peri,  come  la  Decana  d'in- 
verno, che  non  simpatizzano  col  cotogno,  e  che  moltiplicate  su  questo, 
danno  piante  poco  longeve  e  di  pochissima  vigoria.  Per  queste  varietà, 
volendo  averle  con  tutto  ciò  innestate  sul  cotogno,  si  ricorre  ad  una 
doppia  operazione,  e  cioè  si  innesta  prima  sul  cotogno  una  varietà  di 
pero  che  col  cotogno  simpatizzi  e  su  quest'ultima  si  innesta  la  varietà 
desiderata. 

Questa  doppia  operazione  si  chiama  il  soprainiieslo. 

Il  soprainnesto  viene  anche  adoperato  per  dare  alla  pianta  una 
forma  che  essa  non  prenderebbe  se  venisse  lasciata  alle  sue  forze  na- 
turali. Cosi  ad  esempio  è  noto,  che  le  migliori  e  più  scelte  frutta  da 
tavola,  raramente  si  prestano  per  alti  o  mezzi  fusti,  perchè  deboli  di 
vigoria  e  facili  a  ramificarsi.  Alcune  altre  varietà  darebbero  bensì  dei 
mezzi  ed  alti  fusti,  se  il  getto  venisse  affidato  nel  vivaio  ad  un  tutore. 
Ma  di  tutori  nei  vivai  se  ne  fa  uso  il  meno  possibile,  poiché  i  fusti 
crescono  stentati,  ed  è  bene  preferire  delle  varietà  che  danno  una  get- 
tata forte,  vigorosa  e  non  ramificata,  all'estremità  della  quale  poi  si 
può  innestare  la  varietà  che  si  vuole. 

Il  soprainnesto  si  può  anche  adoperare  per  migliorare  la  qualità  e 
per  aumentare  la  quantità  delle  frutta.  Ancora  nei  secoli  decorsi  venne 
raccomandato  a  questo  scopo  il  soprainnesto  da  celebri  scienziati,  fra 
i  quali  il  Duhamel,  il  quale  disse  che  col  soprainnesto  si  raggiunge 
un  triplice  scopo,  e  cioè  di  anticipare  la  fruttificazione,  di  aumentare 
il  volume  e  la  bellezza  esteriore  dei  frutti  e  di  migliorare  il  loro  sapore. 

-Un  esperimento  che  possono  fare  i  frutticoitori  sul  vantaggio  del 
soprainnesto  sotto  questo  punto  di  vista,  è  il  seguente.  Quelli  che  ten- 
gono nei  loro  impianti  degli  alberi  che  danno  sempre  delle  frutta  tic- 
chiolate,  provino  a  reinnestarli  con  la  medesima  varietà,  ma  con  marze 
prese  da  alberi  sani.  L'  esito  è  quasi  sempre  coronato  da  ottimo  suc- 
cesso. Io  ho  provato  a  reinnestare  degli  Spina  Carpi,  e  ne  sono  ri- 
masto soddisfatissimo,  come  dà  buoni  risultati  il  soprainnesto  sul  San 
Germano  d'inverno,  sulla  Virgolosa,  sulla  Decana  d'inverno,  sul  Martin 
secco,  tutte  varietà,  senza  contare  di  molte  altre  locali,  che  oggigiorno 
danno  frutta  imperfette  e  poche,  oppure  sono  infruttifere  per  troppa 
vigoria. 

A  Massa  Lombarda  si  rigenera  il  pesco  affetto  da  gommosi,  col 
soprainnesto  ;  cosi  pei  susini,  per  ottenere  dei  fusti  diritti,  si  innesta 
il  Damas  sul  Mirabolano  e  su  questo  il  susino.  Così  per  avere  delle 
piante  di  nespolo  con  bel  fusto,  si  innesta  sul  Mespilus  Santhie  il  quale 
alla  sua  volta  è  innestato  sul  biancospino. 

Questo  reale  vantaggio  del  soprainnesto  ce  lo  possiamo  spiegare 
nel  senso,  che  al  punto  dell'  innesto  formasi  sempre  una  strozzatura, 
la  quale,  impedendo  il  libero  deflusso  della  linfa  elaborata,  fa  sì  che 
questa  si  arresta  sopra  al  punto  d'innesto  ed  alimenta  meglio  le  gemme 
sovrastanti,  disponendole  a  fruttificare. 

II  Prof.  Hardy  fece  già   da    anni  una   applicazione   molto    interes- 


-  84  - 

sante  per  formare  delle  spalliere  vigorose  e  fertili  di  Decana  d'inverno 
e  Butirra  d'Hardenpont.  Esso  cominciò  a  piantare  i  cotogni  innestali 
col  Cure  al  piede,  e  nell'anno  successivo  fa  3  innesti  a  gemma  all'al- 
l'altezza  di  25  a  30  cm.  colla  Decana  d'invei'no  e  Butirra  d'  Hardenpont 
per  ottenere  le  tre  branche  che  formano  poi  la  base  della  impalcatura 
della  palmella.  Con  questo  sistema  sono  state  ottenute  quasi  tutte  le 
rinomate  spalliere  della  Scuola  di  Versailles. 

Ed  ora  veniamo  all'applicazione  dei  soprainnesti. 

2.  —  Il  sistema  d'innesto  preferibile  è  quello  a  gemma  dormiente. 
Per  soggetto  intermediario  si  preferisca  una  vai'ietà  vigorosa  non  solo, 
ma  di  conosciuta  adattabilità  ;  da  noi  non  possono  certo  mancare  delle 
varietà  locali. 

Il  primo  innesto  sul  soggetto  si  fa  vicino  a  terra  e  poi  nell'agosto 
successivo,  se  l'innesto  ha  dato  un  germoglio  vigoroso,  si  può  reinne- 
stare colla  varietà  che  si  vuole  moltiplicare,  semprechè  si  traili  di 
forme  basse.  Trattandosi  invece  di  forme  d'alto  fusto,  conviene  atten- 
dere due  anni  per  fare  l'innesto  definitivo  in  testa. 

Una  osservazione  vuoisi  fare  e  cioè,  che  il  soprainnesto  deve  di- 
stare almeno  20  cm.  dal  primo  innesto,  perchè  la  linfa  abbia  un  per- 
corso facile. 

I>e  varietà  di  peri,  le  quali,  innestate  sul  cotogno,  hanno  una  vita  molto  effìmera, 
sono:  Beurré  d'Apremont,  Beurré  Bretonneau,  Beurré  d'Angleterre,  Beurre  de  Lugon, 
Brooraparli,  Délices  de  Lowenjoul,  Doyenné  Gombault,  Ravut,  Sarah,  Grand  Soleil,  Ma- 
dame Chaudy,  Marie  Louise,  Sucrée  Troyenne,  e  per  queste  in  Francia  si  sogliono  ado- 
perare per  soggetto  intermediario:  il  Cure,  Beurré  Hardy,  Pierre  Joigneaux,  Jaminet, 
Bergamotte  Sageret.  Potrebbero  servire  anche  a  questo  scopo  il  Beurré  d'Amanlis,  Bon 
Chrétien  d'été,  Conseiller  de  la  Cour,  Royal  d'hiver,  Dame  vert  e  Madame  Favre,  ma 
queste  varietà  formano  un  ingrossamento  troppo  pronunciato  sul  punto  d'inserzione 
dell'innesto. 

Colle  vaiietà  da  tavola  più  delicate  e  poco  vigorose  quali  sono  :  il  Beurré  Clairgeau, 
Gambier,  Henri  de  Courcelle,  Federico  de  Wiirtemberg,  Madame  Lyé  Baltet,  Olivier  de 
Serres,  Seckel,  Duchesse  bronzee  o  panachée,  ecc.,  si  ottengono  dei  mezzi  venti  sopra- 
innestandole  sulle  varietà  surriferite,  così  pure  viene  applicato  il  soprainnesto  per 
quelle  varietà  la  cui  corteccia  si  fende  facilmente  e  che  perciò  non  si  prestano  per 
mezzo  fusto. 

Questa  varietà  sono  per  esempio  il  Van  Mons,  Angèlique  Ledere,  Beurré  Flou, 
Colmar  de  Nars,  Délices  des  Chartres,  Délices  des  deux  Soeurs,  Mad.  André  Leroy, 
Saint  André,  Tardive  d'Anvers,  ed  altre  ancora. 

In  Germania  per  soggetti  intermediari  vengono  molto  adoperati  pel  pero  :  Nor- 
mànnische  Cyderbirne,  Metzer  Bratbirne,  Neue  Poiteau,  Englischer  Butterbin,  Bonne 
Louise  d'Avranche,  Curato  e  Butirra  Hardy. 

I  meli  delle  varietà  :  Reinette  Ananas,  Fenouillet,  Reinette  de  Carmes,  Reinette 
brodée.  Reinette  musquée,  Borowitsl^y,  Cortipendola,  Jacquin,  si  soprinnestano  sul 
Transparente  de  Croncels,  Reinette  de  Cuzy,  Reine  de  Reinettes,  Belle  de  Pontoise,  Ram- 
bour  d'hiver  ed  anche  sul  Grand  Alexandre  e  Cellini. 

Mercè  il  soprainnesto  si  possono  ottenere  bei  mezzi  venti  di  susini  mirabolani 
innestati  sul  susino,  innestando  prima  delle  varietà  vigorose  che  formano  facilmente 
fusto,  quali  sono:  Belle  Louvain,  Reine  Claude  de  Bavay,  Mitchelson,  Prince  Englebert. 

Infine  col  mezzo  del  soprainnesto  si  possono  coltivare  delle  varietà 
non  adatte  al  suolo.  Cosi  ad  esempio  nei   terreni   aridi   ed  esposti   ai 


-  85  - 

venti  della  Provenza,  dove  bisogna  tenere  il  mandorlo  per  soggetto,  si 
innesta  sopra  quest'ultimo  il  pesco  e,  sopra  il  pesco,  l'albicocco. 

La  coltivazione  del  ciliegio  sul  S.  Lucia,  necessita  pura  il  soprainnesto,  quando  si 
vogliano  avere  degli  alberi  grandi  in  terreni  magri  con  delle  varietà  di  poco  vigore, 
(juali  sono  :  l'Anglaise,  Remercier,  Royale  nouvelle,  Indule,  Gobert.  Per  soggetto  inter- 
mediario si  adoperano  i  ciliegi  duracini  e  le  visciole.  Anche  per  l'albicocco,  volendolo 
allevare  a  pieno  vento,  conviene  il  soprainnesto.  Sul  susino  si  innesta  una  varietà 
molto  rigorosa  di  altro  susino,  quali  sarebbero  il  Belle  de  Louvain,  Sainte-Cathérine, 
Heine  Claude  de  Bavav. 


XVIII. 
Cura  degli  innesti. 

1.  —  Le  cure  d'indole  generale  sono  le  seguenti  : 

a)  Mantenere  costantemente  il  terreno  soffice  e  mondato  da  ma- 
lerbe. 

b)  Sorvegliare  le  legature  e  rinnovarle  quando  corre  pericolo  di 
formarsi  una  strozzatura. 

e)  Mettere  a  lato  degli  innesti  dei  tutori  per  legare  i  giovani  ger- 
mogli e,  trattandosi  di  innesti  per  approssimazione,  per  tener  sempre 
fermi  due  rami  posti  in  contatto. 

d)  Cimare  e  svettare  a  poco  a  poco  tutti  i  getti  del  soggetto,  acciò 
la  sua  vigoria  vada  a  vantaggio  del  nesto. 

e)  Se  sopra  una  pianta  si  sono  fatti  pili  innesti,  se  ne  conservi 
uno  solo  e  cioè  quello  meglio  riuscito. 

2.  —  Riguardo  alle  cure  speciali,  per  l'innesto  a  spacco  diremo,  che 
sarà  meglio  favorire  il  germoglio  di  una  gemma  rivolta  contro  il  centro 
del  tronco  che  non  all'i nfuori,  affine  di  dare  al  fusto  una  direzione 
verticale.  La  slegatura  si  deve  fare  quando  è  assicurata  la  saldatura 
del  nesto  in  autunno  anziché  in  inverno,  acciocché  l'epidermide  ed  i 
punti  di  congiunzione  si  adattino  gradualmente  alla  temperatura  del- 
l'aria libera. 

Le  stesse  avvertenze  valgono  per  l' innesto  a  corona,  soltanto  che 
volendo  lasciar  sviluppare  tutte  le  due  o  tre  marze  per  avere  altret- 
tanti rami,  convien  lasciar  sviluppare  i  germogli  delle  gemme  situate 
all'infuori. 

Piantati  gli  innesti  inglesi  con  quelle  cure  che  abbiamo  veduto, 
essi  non  devono  essere  assolutamente  toccati  nel  periodo  assai  deli- 
cato in  cui  si  forma  la  saldatura.  Per  mantenere  freschezza  nel  terreno 
si  coprono  con  della  terra.  In  caso  di  siccità  è  buona  cosa  annaffiare 
abbondantemente.  In  luglio  ed  agosto,  quando  la  saldatura  è  in  buona 
via  di  formazione  si  scalzano  colla  massima  cura  senza  procurar  scossa, 
per  tagliare  le  radichette  che  spuntano  dalla  marza. 

Agli  innesti  per  approssimazione  fatti  durante  la  vegetazione  si  ta- 
glia la  testa  del  soggetto  al  disopra  del  nodo,   solo  dopo   la   completa 


-  86  — 

saldatura,  e  poco  alla  volta,  affine  di  non  annegare,  Y  innesto.  Anche  lo 
slattamento  dell'  innesto  devesi  fare  quando  la  saldatura  è  completa  e 
poco  alla  volta.  11  meglio  si  è  di  farvi  una  tacca  sotto  il  punto  d'in- 
serzione, che  si  approfonda  sempre  più  ogni  20  giorni,  onde  abituare 
l'innesto  a  vivere  colle  proprie  forze.  Il  distacco  completo  è  bene  farlo 
nell'inverno  anziché  in  corso  di  vegetazione. 

All'innesto  ad  occliio  e  fatto  a  gemma  vegetante,  dopo  15  giorni 
si  slega  e  si  taglia  il  soggetto  a  dieci  o  quindici  cm.  sopra  l' innesto, 
allo  scopo  di  lasciarvi  un  mozzicone  che  serve  poi  da  tutore  al  gio- 
vane germoglio.  Nell'inverno  successivo  si  leva  via  completamente 
questo  mozzicone,  poiché  il  nuovo  getto  avrà  acquistato  una  sufficiente 
robustezza  ed  una  direzione  normale.  Gli  innesti  a  gemma  dormiente 
si  lasciano  intatti  colle  loro  legature  per  tutto  l'inverno,  ed  in  prima- 
vera, prima  che  entrino  in  vegetazione,  si  opera  come  abbiam  veduto 
per  gli  innesti  a  gemma  vegetante. 

Se  nei  primi  otto  giorni,  dopo  fatto  l'innesto  ad  anello,  viene  una 
pioggia  ed  un  abbassamento  di  temperatura,  la  riuscita  è  molto  com- 
promessa. Dopo  8  giorni  si  fa  una  visita,  e  trovandone  qualcuno  già 
secco  o  quasi,  si  può  rinnovarlo  sullo  stesso  soggetto  tagliando  più 
basso.  Se  l'innesto  ha  attecchito,  ciò  che  avviene  dopo  15  giorni,  si 
levano  i  legacci  e  l'involucro. 


XIX. 

Innesti  erbacei:  Importanza  e  vantaggi. 
L'innesto   Condurso   e   l'innesto   Zerboni. 

1.  —  Questi  innesti  vengono  applicati  soltanto  alla  vite  e  per  qual- 
che pianta  dei  paesi  caldi.  Hanno  il  vantaggio,  oltre  che  la  facilità 
d'attecchimento,  di  non  compromettere  l'avvenire  della  pianta  quando 
non  riescono. 

E'  già  noto  per  legge  fisiologica,  che  gli  innesti  riescono  tanto  più 
facilmente  e  si  ha  la  saldatura  più  completa,  quanto  più  giovane  è  il 
tessuto  che  si  mette  in  contatto.  E'  naturale  quindi  che  i  viticoltori  i 
quali  devono  ricostituire  le  loro  vigne  su  ceppo  americano,  si  lascino 
attrarre  dalla  prova  di  questi  innesti. 

2.  —  In  questo  trattato  mi  limiterò  di  far  conoscere  sommariamente 
Vìnnesto  Condurso. 

Ecco  quanto  ne  dice  il  prof.  O.  Ottavi,  nella  sua  opera  di  Viticol- 
tura teorico-pratica. 

"  L'innesto  Condurso  non  è  altro  che  un'innesto  inglese  fatto  con 
elementi  erbacei,  invece  che  con  legnosi.  In  Sicilia  lo  praticano  fra  il 
maggio  e  giugno,  precisamente  quando  i  due  individui  sono  abbastanza 
sviluppati  in  modo  da  potei'si  ben  differenziare   i   due   tessuti   princi- 


pali,  il  corticale  ed  il  legnoso  :  allora  si  sopprimono,  nel  getto  ameri- 
cano tutti  i  sarmenti  inutili,  e  se  ne  lascia  uno  solo,  preferibilmente  il 
più  diritto  ed  il  più  robusto,  sul  quale,  scelta  la  marza  euroi)ea  d'e- 
gual  grossezza,  si  pratica  il  ben  noto  innesto  inglese,  legando  jìoi  con 
legaccio  che  non  stringe  troppo  i  tessuti  e  avviluppando  il  tutto  colla 
solita  foglia,  legata  lentamente  con  cotone  non  torto  e  che  deve  impe- 
dire alla  marza  di  appassire.  „ 


PARTE  TERZA 
POTATURA  DELLE  PIANTE  DA  FRUTTO 


I. 
Principi  generali. 

1.  —  La  potatura  degli  alberi  da  frutto  è  l'arte  di  disporli  e  di  alle- 
varli per  trarne  il  maggior  utile  possibile.  Oltre  che  il  taglio  propria- 
mente detto,  comprende  quindi  un  complesso  di  operazioni  quali  sono 
la  legatura,  le  incisioni,  le  cimature,  le  torsioni  e  cosi  via,  che  stanno 
in  rapporto  con  esso. 

Dopo  la  lavorazione  del  terreno  e  la  concimazione,  la  potatura  è 
la  principale  operazione  nella  coltura  delle  piante  da  frutto.  Bene  a  ra- 
gione Columella  scrisse  che  chi  lavora  intorno  agli  alberi  li  prega,  chi 
li  concima  li  supplica,  ma  chi  pota,  li  costringe  a  dar  frutta. 

La  pratica  della  potatura,  si  ben  conosciuta  in  altri  paesi,  è  ancora 
poco  diffusa  da  noi  e  ciò  specialmente  per  il  fatto,  che  assai  pochi 
sono  quelli,  i  (juali  della  frutticoltura  formarono  un  cespite  esclusivo 
di  produzione.  Le  molte  piante  da  frutta  che  si  trovano  sparse  per  le 
campagne  sono  abbandonate  a  sé  stesse,  si  lasciano  crescere  a  loro 
piacimento,  la  loro  fronda  è  fìtta  e  formata  di  rami  che  s'incrociano 
uno  coll'altro  nel  modo  più  capriccioso,  cosi  da  proiettare  ombra  so- 
pra una  vasta  superfìcie  del  terreno.  E  che  diremo  dei  raccolti  che 
danno  queste  piante?  L'intermittenza  di  produzione  è  la  loro  caratte- 
ristica, cosi  che  un  anno  si  ricava  una  quantità  di  frutta,  mentre  poi 
per  lungo  tempo  si  ha  scarso  raccolto.  Anche  la  qualità  ne  scapita, 
poiché  nelle  piante  abbandonate,  non  essendo  sempre  equilibrata  la 
produzione  fruttifera  con  quella  legnosa,  ne  avviene  che  la  frutta  riesce 
meschina  e  di  sapore  mediocre. 

Con  queste  ed  altre  considerazioni  che  si  potrebbero  fare  intorno 
agli  svantaggi  di  abbandonare  a  sé  stesse  le  piante  da  frutto,  il  lettore 


-  89  — 

avrà  compreso  di  già  che  mio  scopo  è  di  condurlo  a  riconoscere,  nella 
potatura,  una  delle  pratiche  più  importanti,  e  senza  della  quale  è  inutile 
discorrere  di  voler  allevare  per  lucro  delle  piante  da  frutto. 

2.  —  Ma  perchè  la  potatura  riesca  vantaggiosa,  conviene  che  sia 
fatta  con  raziocinio,  eseguita  con  esattezza  e  con  moderazione.  Questo 
mezzo  di  coltura,  se  ben  inteso,  accelera  il  godimento  dei  frutti,  li 
rende  più  voluminosi  e  saporiti,  diminuisce  le  cause  che  nuociono  alla 
loro  produzione,  prolunga  la  durata  degli  alberi  e  dà  loro  la  forma 
conveniente. 

La  potatura  è  il  mezzo  migliore  per  rimettere  una  pianta  che  de- 
perisce e  si  mostra  affievolita  o  improduttiva,  infine  è  il  mezzo  di  fa- 
vorire la  vegetazione  a  tutto  ftostro  vantaggio. 

Per  ottenere  tutti  questi  vantaggi  però,  non  conviene  far  violenza 
alla  natura,  ma  assecondarla,  studiando  il  modo  di  vegetare  di  ciascuna 
specie  e  da  questo  poi  ritrarre  le  cognizioni  utili. 

3.  —  Da  quanto  precede  risulta  evidente  che  bisogna  far  sopra  le 
piante  due  generi  di  potatura  : 

a)  Potatura  di  formazione,  che  ha  lo  scopo  di  dare  alla  pianta  la 
forma  desiderata;  di  regolare  lo  sviluppo  relativo  delle  diverse  branche 
che  ne  formano  l'ossatura. 

bj  Potatura  di  produzione,  che  ha  lo  scopo  di  provocare  lo  sviluppo 
dei  rami  a  frutto  assicurando  loro  una  buona  costituzione,  una  razio- 
nale disposizione  delle  gemme  da  frutto  ed  una  regolarità  nella  loro 
fruttificazione.  Questa  potatura  deve  quindi  disporre  l'albero  per  una 
fruttificazione  bella,  regolare  e  ben  distribuita. 

I  principi  che  reggono  la  potatura  di  formazione  variano  colla  spe- 
cie e  col  vigore  individuale  della  pianta. 

La  potatura  di  produzione  all'incontro  differisce  da  una  specie  al- 
l' altra  in  modo  assoluto  e  per  essere  ben  praticata  bisogna  che  chi 
opera,  conosca  perfettamente  come  si  sviluppa  l'albero  e  come  sono 
costituiti  i  rami  fruttiferi,  pur  tenendo  conto  delle  condizioni  in  cui 
l'albero  si  trova,  del  vigore  della  varietà  e  dell'individuo  sul  quale  si 
opera. 


II. 

Gemme. 

1.  —  Come  il  seme  racchiude  il  principio  della  vita  di  una  nuova 
pianta,  cosi  le  gemme  racchiudono  i  rudimenti  per  formare  dei  nuovi 
rami  e  fiori. 

Le  gemme,  come  è  noto,  sono  quei  corpicelli  di  figura  per  lo  più 
ovoidale,  che  si  trovano  all'estremità  dei  rami  annuali  ed  anche  all'a- 
scella delle  foglie.  Esse  sono  formate  di  scaglie  che  si  sovrappongono 
e  rinchiudono  un  corpo  centrale  più  piccolo,  che  si  allunga   e   si  tra- 


-  90  - 

sforma  formando  dei  rami  a  legno  o  dei  fiori.  Delle  gemme  si  di- 
stinguono quindi  quelle  che,  sviluppandosi,  producono  dei  nuovi  rami 
e  perciò  vengono  chiamate  gemme  a  legno  :  e  quelle  che  producono 
lìori  e  poi  frutti,  epperciò  chiamate  gemme  a  fruito. 

2.  —  Le  gemme  a  legno  si  distinguono  da  quelle  a  frutto  oltreché 
per  la  loro  forma  esteriore  ed  interna,  anche  per  il  tempo  che  impie- 
gano a  formarsi  e  per  la  posizione  che  occupano. 

3.  —  La  gemma  a  frutto  è  sempre  più  grossa,  più  arrotondata, 
leggermente  elastica  al  tatto  ;  quella  a  legno  invece,  è  di  forma  conica, 
più  consistente  ed  è  coperta  di  squame  più  serrate.  Rispetto  alla  con- 
formazione interna,  se  noi  facciamo  una  sezione  trasversale  ad  una 
gemma  a  fiore,  si  osserva  nel  centro  di  un  contorno  verde,  4  punti 
rossi,  rappresentanti  il  fiore  in  embrione.  Nella  vite  la  sezione  della 
gemma  fruttifera  si  presenta  come  un  oo  rovesciato  ;  se  la  gemma  è  a 
legno,  la  sezione  è  rotonda.  Nelle  gemme  a  legno  della  maggior  parte 
delle  piante  da  frutto  la  sezione  appare  tutta  verde.  Infine  le  gemme 
a  legno  si  trovano  di  preferenza  sui  rami  che  hanno  una  direzione 
verticale,  mentre  quelle  a  frutto  sui  rami  che  hanno  una  direzione 
orizzontale  ed  obliqua. 

4.  —  Delle  gemme  a  legno  conviene  distinguere  : 

a)  La  gemma  terminale,  che  si  trova  all'estremità  dei  rami  che 
danno  le  gettate  più  vigorose. 

h)  Le  gemme  laterali,  quelle  che  si  trovano  lungo  i  rami. 

e)  Le  gemme  latenti  o  dormienti,  che  si  trovano  alla  base  dei  rami 
per  una  lunghezza  media  di  cm.  6,  e  di  solito  non  germogliano.  Di 
queste  il  frutticoitore  molte  volte  si  serve  per  ringiovanire  i  rami. 

Quasi  ogni  gemma  da  legno  ha  una  o  due  sottogemme  o  soltoocchi, 
|)oco  apparenti,  collocati  ai  lati  e  destinati  a  sostituire  la  gemma  prin- 
cipale, se  questa  avesse  a  perire.  Nelle  piante  a  nocciolo,  i  sottoocchi 
sono  ordinariamente  gemme  a  fiori. 

5.  —  Notevole  è  la  difTerenza  di  tempo  che  le  gemme  impiegano 
per  germogliare.  Generalmente  nelle  piante  a  nocciolo,  le  gemme  che 
non  si  sviluppano  nell'anno  successivo  alla  loro  formazione,  muoiono. 
Nelle  piante  a  granella  le  gemme  possono  rimanere  inattive  per  parec- 
chi anni.  Quanto  più  una  pianta  proviene  dai  paesi  caldi,  tanto  minor 
tempo  le  gemme  a  frutto  impiegano  a  formarsi.  Così  la  vite,  il  fico, 
lìoriscono  durante  il  corso  della  prima  vegetazione;  le  piante  a  noc- 
ciolo, che  provengono  da  paesi  meno  caldi,  come  il  pesco,  1'  olivo,  il 
mandorlo,  l'albicocco,  richiedono  due  vegetazioni  per  costituire  i  fiori  ; 
le  nostre  piante  da  frutto  indigene,  il  pero,  il  melo,  il  susino,  il  cilie- 
gio ed  il  ribes,  richiedono  tre  vegetazioni,  e  soltanto  due  quando  ven- 
gono sottoposti  a  coltura  forzata.  Anche  nella  stessa  specie  troviamo 
differenze  notevoli.  Cosi  il  ciliegio  dolce  che  è  indigeno,  porta  i  frutti 
soltanto  sul  legno  di  due  anni  ;  il  ciliegio  acido,  che  proviene  proba- 
bilmente dall'Asia  minore,  fruttifica  sul  legno  dell'anno  precedente. 
Anche  il  susino  nostro  ordinario  fiorisce  sul  legno  di  tre  anni,  mentre 


—  91  - 

le  susine  Regina  Claudia,  che  provengono  dalla  Palestina,  importate 
dai  Crociati,  fioriscono  sul  legno  dell'annata  precedente. 

Quando  una  gemina  a  frutto  non  si  dispone  a  fiorire,  alla  ripresa 
della  vegetazione  si  sviluppano  alla  sua  ascella  due  o  tre  foglie,  nel 
secondo  anno  otto  o  dieci,  nel  terzo  infine,  si  ha  lo  sbocciamento  dei 
fiori. 

6.  —  Le  gemme  sono  per  lo  più  equidistanti  una  dall'altra  e  l'in- 
tervallo si  chiama  inlernodio. 

Le  gemme,  come  le  foglie,  sono  disposte  lungo  il  ramo  in  un  ordine 
particolare,  che  è  diverso  secondo  la  specie.  Una  gemma  si  trova  esat- 
tamente sulla  medesima  linea  di  un'  altra  sottostante,  dopo  un  certo 
numero  di  gemme  nello  spazio  intermedio,  cosicché  questo  numero 
varia,  ma  per  lo  più  sono  5  collocate  a  spirale.  Perciò  nella  maggior 
parte  delle  nostre  piante  da  frutto  è  la  sesta  gemma  che  si  trova  esat- 
tamente sopra  la  prima.  Ne  risulta,  che  se  lungo  un  fusto  noi  vogliamo 
ottenere  un  ramo  esattamente  sovrajjposto  a  quello  inferiore,  bisognerà 
cercare  la  sesta  gemma.  Sopra  alcune  specie  le  gemme  sono  opposte, 
sopra  altre,  come  nella  vite  si  alternano  a  destra  e  sinistra. 


IH. 
Rami. 

1.  —  Corrispondente  alla  distinzione  che  abbiamo  fatto  delle  gemme, 
possiamo  fare  la  distinzione  dei  rami  e  cioè  chiameremo:  rami  a  legno 
quelli  che  hanno  delle  gemme  a  legno;  rami  a  frutto  quelli  che  possie- 
dono gemme  esclusivamente  a  fruito  :  rami  misti  quelli  che  hanno 
gemme  a  legno  ed  a  frutto. 

Dei  rami  a  legno  si  distinguono  : 

a)  Ramo  ordinario  a  legno  che  costituisce  l'ossatura  della  pianta. 
Il  primo  ramo  a  legno  lo  abbiamo  nel  fusto,  che  nella  sua  estremità 
superiore  si  divide  in  altri  rami  chiamati  branche.  Di  queste  conviene 
distinguere  le  branche  madri  principali  che  sono  quelle  che  stanno  in 
immediata  comunicazione  col  fusto;  le  branche  madri  secondarie  che 
partono  dalle  branche  madri  principali  e  le  branche  madri  terziarie  che 
partono  dalle  secondarie.  Nella  vite  il  ramo  a  legno  si  chiama  sarmento. 

b)  Succhione  o  vermena.  E'  questa  una  produzione  legnosa  a  lunghi 
meritalli,  che  si  trova  di  frequente  all'  incurvatura  dei  rami,  oppure 
nella  parte  superiore  della  corona  dell'albero.  Se  è  molto  vigorosa,  la 
vermena  si  deve  svettare,  onde  impedire  uno  squilibrio  della  pianta. 
Alcune  volte  però  si  lascia,  e  ciò  quando  si  tratta  di  ringiovanire  dei 
rami  esauriti.  Se  la  vermena  sorge  alla  base  del  fusto  si  ha  il  pollone. 

e)  Rami  anticipati  o  falsi  rami.  Quando  lungo  la  vegetazione  si 
sviluppa  qualche  sott'occhio,  si  hanno  i  rami  anticipati  o  falsi  rami. 
Nella  vile  si  chiamano  femminelle  e  quelli  che  sorgono  dalle  gennne  delle 


-  92  - 

femminelle  s  chiamano  sollofemminelle.  Questi  rami  anticipati  si  for- 
mano molto  di  frequente  sul  pesco  e  riescono  anche  a  maturare  cosi  da 
portar  fruiti  nell'anno  venturo.  Nelle  altre  piante  invece  si  sopprimono, 
perchè  durante  l'inverno  non  essendo  arrivati  a  maturazione  non  da- 
rebbero né  frutto,  né  buoni  germogli  legnosi  nel  venturo  anno. 
2.  —  Dei  rami  a  frutto  abbiamo  : 
aj  II  brindino,  che  é  un  rametto  sottile,  flessibile,  della  lunghezza 
di  cm.  15  a  30,  munito  di  piccole  gemme  poco  sporgenti,  meno  l'ultima 


Dardo  a  marzetto. 


Fig.  115.  —  Pera  che  alla  base  del  peduncolo 
diede  una  borsa  ed  un  brindillo. 


Fig.  114. 
Brindillo. 


gemma  che  é  a  frutto.  Questi  rami  si  possono  conoscere  anche  in  estate, 
poiché  non  si  allungano  come  gli  altri  e  terminano  con  una  coroncina 
di  foglie.  Come  la  gemma  terminale,  anche  le  gemme  mediane  possono 
trasformarsi  in  frutto  (fig.  112). 

bj  II  dardo.  E'  un  ramoscello  lungo  da  cm.  1  a  7,  liscio,  che  tro- 
vasi piantato  ad  angolo  retto  lungo  i  rami  e  termina  con  una  o  più 
gemme  a  frutto.  Nelle  piante  selvatiche  il  dardo  è  appuntito  e  forma 
una  spina,  in  quelle  a  granella  (fig.  112)  termina  con  una  grossa  gemma 


-  93  - 

a  frutto,  raramente  con  più.  Nelle  piante  a  nocciolo,  si  trovano  più 
gemme  a  fiore  con  in  mezzo  ed  all'  estremità  una  gemma  a  legno. 
Questi  dardi  con  più  gemme  a  fiore,  si  claiamano  a  mazzelto  (fìg.  113). 
Quando  da  una  gemma  si  sviluppano  due  o  tre  foglie  nel  primo 
anno  e  nel  secondo  una  coroncina  di  quattro  o  cinque  foglie,  allora 
si  sviluppa   un   dardo   grinzoso,   appuntito    e    non    a    superfìcie   liscia 


Fig.  11 


Lamburda  di  pero. 


Fig.  117.  —  Ramo  misto  di  pesco. 


come  il  dardo  testé  descritto.  Per  distinguerlo  lo  chiameremo  dardo 
infriiKifero.  Ma  nelle  piante  a  granella  nel  terzo  anno  arrotonda  la 
sua  estremità,  è  contornato  da  sette  a  nove  foglie  e  diventa  frutti- 
fero (vedi  d  fig.  116).  Questi  dardi  cosi  allungati,  grinzosi,  nelle  piante 
a  nocciolo  fruttificano  nel  secondo  anno,  ma  si  spossano  facilmente 
e  periscono. 

Questa  produzione  è  propria  di  alcune  varietà,  cosi  la  pera  Decana 
e  Duchessa  è  ricca  di  dardi  grinzosi,    mentre   la   Butirra   d' Aremberg 


-  94  - 

abbonda  di  dardi  normali;  la  Passa  colmar  e  1' Esperen   hanno    molti 
brindilli.  Generalmente  le  piante  deboli  abbondano   di    dardi   grinzosi. 

e)  La  borsa.  Durante  la  maturazione  dei  frutti  a  granella,  si  forma 
alla  base  di  ogni  penducolo  un  ingrossamento  procurato  dall'accumu- 
larsi  di  materiali  di  riserva,  che  sono  destinati  alla  fruttificazione  ven- 
tura. Questi  rigonfiamenti  sono  appunto  le  borse,  le  quali  danno  ori- 
gine alla  lor  volta  a  dei  dardi  e  brindilli  (fig.  115). 

d)  La  lamborda.  Diverso  è  il  significato  che  si  suol  dare  dagli 
autori  a  questa  parola  lamborda.  Dalla  maggior  parte  però  viene  con- 
siderato per  lamborda,  quell'aggruppamento  di  dardi,  borse  e  brindilli 
che  si  forma  in  seguito  a  ripetute  fruttificazioni,  come  si  vede  nella 
fìg.  117. 

Da  ultimo  diremo  alcunché  dei  rami  misti. 

3.  —  I  rami  inisli,  chiamati  anche  ramali,  si  trovano  di  preferenza 
sulle  piante  a  nocciolo  e  specialmente  sul  pesco.  Portano  gemme  a 
legno,  gemme  a  frutto  talvolta  solitarie  e  talvolta  raggruppate.  Molte 
volte  questi  ramuli  sono  provveduti  di  una  gemma  alla  base,  ed  allora 
si  lasciano  per  avere  il  frutto,  che  è  succosissimo.  Di  essi  si  può  anche 
servirsi  per  formare  l'impalcatura  della  pianta  (fig.  117). 


IV. 
Precetti  generali  della  potatura. 

1.  —  La  potatura  è  necessaria  : 

a)  nei  primi  anni,  per  ottenere  uno  sviluppo  normale  della  pianta 
e  per  darle  una  forma  ; 

bj  negli  anni  successivi,  per  mantenere  la  forma,  la  costanza  della 
fruttificazione  e  la  qualità  dei  frutti. 

2.  —  Colla  potatura  si  accorcia  la  vita  della  pianta.  Bisogna  ricono- 
scere che  coi  tagli,  colle  cimature,  noi  forziamo  la  pianta  a  dare  nuovi 
germogli  o  frutta  più  grosse,  epperciò  è  naturale  che  la  pianta  viene 
spossata  più  di  quello  che  se  venisse  lasciata  libera.  Non  per  questo 
dobbiamo  stancarci  di  raccomandare  la  potatura,  poiché  quel  minor 
tempo  di  vita  della  pianta  viene  largamente  ricompensato  dalla  mag- 
giore rendita  ottenuta. 

Dopo  queste  considerazioni,  risulta  evidente  anche  il  seguente 
precetto  : 

3.  —  Alla  pianta  bisogna  dare  la  forma  che  più  si  avvicina  alla  sua 
naturale.  Operando  in  tal  modo  la  forzeremo  meno. 

4.  —  //  vigore  e  la  fertilità  di  una  pianta  variano  a  seconda  del 
clima,  del  terreno  e  della  località. 

Quanto  più  al  Nord  tanto  più  lunghi  e  legnosi  sono  i  rami  mentre 
al  Sud  si  sviluppano  i  rami  più  esili,  disposti  a  fruttificare  più  abbon- 
dantemente e  con  maggior  regolarità.  Cosi  avviene  anche  da   noi,   che 


-  95  — 

dopo  le  estati  calde  ed  asciutte  si  ha  sempre  maggior  fruttificazione. 
Perciò  nei  paesi  più  freddi  del  nostro,  per  utilizzare  al  massimo  il 
calore,  applichiamo  le  piccole  forme  addossate  ai  muri. 

Nei  terreni  soffici,  permeabili,  fertili,  facili  a  riscaldarsi,  il  legno 
matura  più  presto  e  le  frutta  sono  più  belle,  succose  ed  abbondanti. 
Quanto  più  un  clima  è  rigido  tanto  più  bisogna  ricercare  questa  qua- 
lità di  terreno.  I  terreni  compatti,  argillosi,  profondi,  umidi,  danno 
estrema  vigoria  alla  pianta,  ma  la  rendono  poco  produttiva. 

5.  —  Il  vigore  di  ima  pianta  dipende  dal  nwdo  con  cui  circola  la 
linfa.  —  E'  indispensabile  quindi  per  il  frutticoitore  di  conoscere  le 
condizioni  che  influiscono  sulla  circolazione. 

Ogni  specie  esige  in  primavera  una  temperatura  più  o  meno  elevata 
per  entrare  in  vegetazione.  Il  ribes  entra  in  vegetazione  a  3°,  la  vite 
esige  11".  Se  nei  giorni  successivi  avviene  un  raffreddamento  della 
temperatura,  la  circolazione  si  rallenta  e  la  fioritura  è  compromessa. 

Nelle  piante  a  granella  più  che  in  quelle  a  nocciolo,  avviene  sempre 
un  rallentamento  della  linfa,  specialmente  nei  mesi  più  caldi  ed  il  mo- 
vimento viene  ripreso  in  agosto.  Allora  abbiamo  la  cosidetta  linfa 
d'agosto,  la  quale  dà  di  solito  dei  rami  anticipati. 

Questa  linfa  viene  assorbita  dalle  radici  capillari,  in  corrispondenza 
alle  quali  e  nella  medesima  direzione  si  sviluppano  anche  i  rami.  Cosi 
pure  le  radici  verticali  tendono  a  far  sviluppare  i  rami  verticali  e 
quelle  striscianti,  i  rami  orizzontali. 

La  linfa  viene  attirata  principalmente  dalle  gemme  meglio  costi- 
tuite e  nell'ascensione  non  fa  sviluppare  il  l'amo  per  tutta  la  sua  lun- 
ghezza, ma  all'estremità,  cosi  che  lo  spazio  fra  foglia  e  foglia  non  cambia. 

6.  —  //  vigore  di  ana  pianta  dipende  in  gran  parte  dall'eguale  di- 
stribuzione della  linfa  in  tutte  le  sue  branche.  Se  la  linfa  abbandona 
qualche  branca  e  si  porta  con  maggior  affluenza  nelle  altre,  quella 
allora  si  indebolisce,  si  esaurisce,  dando  dei  frutti  meschini,  e  che  non 
vengono  portati  a  completa  maturanza.  Egli  è  quindi  necessario,  vo- 
lendo conservare  ai  nostri  alberi  la  loro  forma  e  la  sanità,  di  fare  la 
potatura  in  modo  da  mantenere  un  perfetto  equilibrio  in  tutte  le 
branche  principali. 

Il  gran  mezzo  per  ristabilire  l'equilibrio  consiste  nel  tagliare  poco 
o  punto  la  branca  debole  e  di  accorciare  la  branca  forte  all'  altezza 
della  branca  debole,  avendo  cura  di  tagliare  corto  anche  i  rami  laterali. 
In  seguito  a  questa  operazione,  la  linfa  che  viene  attratta  anche  dalle 
foglie,  si  porta  in  eguale  quantità  su  tutte  le  parti  e  perciò  si  ha  un 
accrescimento  regolare.  Ma  ci  sono  degli  altri  mezzi  che  servono  a 
completare  l'effetto  di  questa  operazione,  e  sono  : 

a)  Inclinare  la  branca  forte  e  mantenere  verticale  la  debole. 

b)  Mozzare  molto  per  tempo  i  getti  della  branca  forte  e  più  tardi 
possibile  quelli  della  debole. 

e)    Sopprimere   semplicemente    un   certo    numero    di   foglie    alla 
branca  forte,  senza  svellere  il  picciolo. 


-  96  - 

d)  Lasciare  il  maggior  numero   di    frutti    possibile    alle   branche 
forli  e  sopprimere  quelli  della  debole. 

7.  —  La  durala  ed  il  vigore  di  ima  pianta  dipendono  in  gran  parie 
dall'equilibrio  della  parie  aerea  colle  radici.  Da  questo  precetto  risulta 
che,  ogniqualvolta  si  trapianta  un  albero,  bisogna  fare  dei  tagli  alle 
branche,  in  proporzione  dell'estensione  delle  radici  che  vengono  lasciate 
nel  terreno  o  che  sono  state  recise.  Lo  stesso  si  deve  operare  quando 
una  pianta  venisse  colta  da  qualche  malattia  alle  radici,  oppure  quando 
è  vecchia. 

8.  —  La  linfa  tende  sempre  a  salire  dalle  radici  alle  branche  il  più 
verticalmente  possibile,  perciò  abbonda  nei  rami  verticali  a  detrimento 
degli  altri.  Sulla  conoscenza  di  questo  principio  si  basa  l'incurvamento 
dei  rami,  mezzo  per  il  quale  noi  impediamo  l'ascesa  troppo  abbon- 
dante della  linfa  e  la  forziamo  a  portarsi  verso  altri  rami.  Quando  una 
branca  è  troppo  rigogliosa  e  peixiò  poco  produttiva  di  frutta,  per  ar- 
restare la  sua  crescita  si  deve  inclinarla  più  o  meno  ed  al  contrario, 
per  rinvigorire  un  ramo  debole,  non  si  avrà  che  portarlo  in  direzione 
verticale. 

Molti  autori  raccomandano  di  tagliare  lunghe  le  branche  superiori, 
quando  queste  sono  molto  sviluppate  in  confronto  delle  inferiori.  Ope- 
rando in  tal  modo  dicono,  la  linfa  invece  di  concentrarsi  sopra  una  o 
due  gemme  soltanto,  viene  suddivisa  sopra  dodici  o  quindici,  e  quindi 
quelle  branche  non  potranno  crescere  con  quella  vigoria  da  squili- 
brare la  pianta.  Ma  la  quantità  di  linfa  necessaria  per  quindici  gemme, 
non  sarà  forse  superiore  a  quella  che  affluisce  a  due  gemme  soltanto  ? 
Credo  di  sì,  quindi  le  branche  inferiori  non  ne  risentiranno  alcun 
vantaggio.  Perciò  il  metodo  di  tagliare  lungo  per  ristabilire  l'equilibrio 
in  una  pianta  deve  essere  abbandonato,  si  applichi  invece  il  taglio 
corto  alle  branche  superiori  e  possibilmente  si  portino  in  una  posi- 
zione inclinata  o  si  incurvino. 

9.  —  La  linfa  fa  sviluppare  dei  germogli  molto  più  vigorosi  ad  una 
branca  tagliala  corta,  che  ad  un'altra  tagliala  lunga.  E'  facile  convin- 
cersi di  questa  verità  inquanlochè,  la  linfa,  avendo  da  alimentare  tre 
o  quattro  gemme  soltanto,  queste  daranno  getti  molto  più  vigorosi  che 
se  fossero  dieci  o  quindici. 

Volendo  perciò  ottenere  dei  rami  a  legno,  si  deve  tagliare  corto, 
perchè  i  rami  vigorosi  non  portano  che  poche  gemme  a  frutto  ;  se 
invece  si  vogliono  far  sviluppare  dei  rami  a  frutto  si  taglia  lungo, 
poiché  i  rami  .poco  vigorosi  si  caricano  d'un  numero  maggiore  di 
gemme  a  frutto. 

Un'altra  applicazione  di  questo  principio  l'abbiamo,  quando  si  ha 
un  albero  spossato,  o  per  la  troppa  produzione  fruttifera,  o  per  ma- 
lattie. Tagliando  corto,  per  uno,  due  ed  anche  tre  anni,  si  otterrà  una 
quantità  di  legno  sufficiente  per  riattivare  il  movimento  della  linfa  e 
per  ristabilire  l'equilibrio. 

Quest'ultima    applicazione    sembra    essere    in   contraddizione    con 


-  5Jt  - 

quello  che  abbiamo  detto  nel  precetto  n.°  6  e  cioè,  che  per  ristabilire 
l'equilibrio  fra  due  branche  di  diverso  vigore,  si  debba  tagliar  corto 
la  branca  forte  e  poco  o  punto  la  debole.  Questa  contraddizione  però 
non  è  che  apparente.  Difatti  si  dà  vigore  ad  un  ramo  tagliandolo  lungo 
se  gli  altri  rami  sono  tagliati  corti.  Si  indebolisce  un  ramo  tagliandolo 
lungo  se  le  altre  branche  sono  tagliate  lunghe,  essendo  la  linfa  meno 
concentrata.  Si  dà  vigore  ad  una  branca  tagliandola  corta,  se  le  altre 
branche  sono  pure  tagliate  corte,  poiché  la  linfa  rimane  più  concen- 
trata. Infine  si  indebolisce  un  ramo  tagliandolo  corto  se  le  altre  bran- 
che sono  tagliate  lunghe,  poiché  queste  dominando  per  il  maggior 
numero  di  gemme  attirano  una  maggior  quantità  di  linfa. 

10.  —  La  linfa,  tendendo  sempre  ad  affluire  air  estremità  dei  rami, 
sviluppa  le  gemme  terminali  con  maggior  vigore  di  quelle  di  mezzo  e 
della  base.  Questo  precetto  devesi  applicare  ogni  qualvolta  si  hanno 
da  tagliare  delle  piante  giovani  o  che  si  voglia  in  genere  ottenere  il 
prolungamento  di  qualche  ramo.  Il  taglio  di  questi  rami  devesi  perciò 
fare  sempre  sopra  la  gemma  più  vigorosa  e  non  lasciare  alcuna  pro- 
duzione fruttifera  al  di  là  di  questa  gemma. 

11.  —  Sopprimendo  una  branca,  la  linfa  va  a  profitto  delle  branche 
vicine.  Quando  una  branca  é  indebolita  in  modo  da  non  lasciar  spe- 
ranza di  ristabilirla  nel  suo  primiero  vigore,  quando  essa  é  affetta  da 
qualche  malattia  la  di  cui  guarigione  è  dubbia,  conviene  svettarla  ad- 
dirittura prima  che  muoia  completamente,  poiché  in  questo  caso,  le 
branche  vicine  ricevendo  una  maggiore  quantità  di  linfa,  si  irrobusti- 
scono e  presto  rimpiazzano  il  vuoto  lasciato  dal  ramo  soppresso. 

12.  —  Nelle  branche  in  cui  la  circolazione  è  rapida  e  vi  affluisce  la 
maggior  quantità  di  linfa,  si  ha  anche  la  maggior  produzione  legnosa  ; 
ed  in  quelle  invece  in  cui  essa  non  si  porta  in  grande  abbondanza,  si 
hanno  molti  frutti  e  poco  legno.  Da  questo  precetto  possiamo  trarre  la 
conseguenza  che,  quando  una  branca  porta  troppo  legno,  bisogna  im- 
pedire un  tanto  afflusso  di  linfa,  i)er  esempio  inclinandola  orizzontal- 
mente, per  forzarla  a  dare  frutti.  Se  al  contrario  si  volesse  aver  del 
legno,  la  si  porta  in  direzione  verticale  per  concentrare  la  linfa  sopra 
due  o  tre  gemme.  L'esperienza  ha  dimostrato,  che  tagliando  ad  una  o 
due  gemme,  si  hanno  dei  rami  a  legno  forti  e  robusti  ;  tagliando  a 
metà  lunghezza,  il  terzo  superiore  fornisce  dei  rami  a  legno,  il  terzo 
intermediario  dei  brindilli  ed  il  terzo  inferiore  dei  dardi. 

13.  —  Quanto  maggiori  sono  gli  ostacoli  che  si  oppongono  alla  libera 
circolazione  della  linfa,  tanto  maggiore  è  la  produzione  di  frutti  di  quel 
ramo  o  di  quella  pianta,  (ili  alberi  cominciano  a  formare  delle  gemme 
a  frutto  soltanto  quando  è  trascorso  un  dato  numero  di  anni  e  cioè 
quando  sì  son  provveduti  di  quel  sufficiente  numero  di  organi  che 
servono  a  preparare  meglio  la  linfa  e  la  vegetazione  legnosa  ha  assunto 
un  certo  sviluppo  in  modo  che  la  circolazione  della  linfa  si  rallenta, 
per  l'estensione  delle  ramificazioni  che  deve  percorrere. 

Le  operazioni  principali  di  cui  si  può  servire   il    frutticoitore   per 

7  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  98  - 

diminuire  l'intensità  dell'azione  della   linfa    e   pei'ciò    per   disporre   le 
piante  a  portare  frutto,  sono  le  seguenti  : 

a)  Tagliare  molto  lunghi  i  prolungamenti  delle  branche. 

b)  Applicare  ai  rami  che  nascono  sui  prolungamenti,  tutte  quelle 
operazioni  che  hanno  lo  scopo  di  diminuire  il  loro  vigore. 

e)  Praticare  il  taglio  d'inverno  molto  tardi  e  cioè  quando  i  nuovi 
germogli  hanno  raggiunto  la  lunghezza  di  cm.  4. 

d)  Innestare  delle  gemme  a  frutto. 

e)  Piegare  più  orizzontalmente  possibile  le  branche. 

f)  Praticare  colla  sega  a  mano,  in  febbraio,  alla   base    del    fusto, 
una  incisione  anullare,  per  intaccare  gli  anelli  esterni  del  legno. 

g)  Scoprire  le  radici  per  un  buon  tratto    in    primavera,   lascian- 
dole esposte  all'aria  per  tutta  l'estate. 

lì)  Trapiantare  le  piante  alla  line  d'autunno  e  ripiantandole  colla 
massima  cura,  lasciando  intatte  le  radici. 

.  i)  Scalzare  le  piante  in  primavera  e  mutilare  le  radici  più  pro- 
fonde, gròsse  e  verticali. 

14.  —  Le  branche  vengono  mozzale  durante  il  corso  della  vegetazione, 
per  la  sovrabbondanza  di  linfa  che  non  potendo  produrre  del  legno,  pro- 
ducono dei  rami  e  delle  gemme  a  fruito.  Acciò  questo  principio  produca 
lutto  il  suo  effetto,  bisogna  fare  questa  operazione  al  primo  risveglio 
della  vegetazione  e  ripeterla  altre  volte  durante  l'anno,  poiché  altrimenli 
succederebbe  la  formazione  di  nuove  gemme  che  si  svilupperanno  in 
legno. 

15.  —  Quanto  più  si  sforza  un  albero  a  dare  dei  frutti,  tanto  più  lo 
si  spossa;  più  si  favoriscono  le  formazioni  legnose,  tanto  più  aumenta  di 
vigore.  Questo  precetto  insegna  al  frutticoitore  il  modo  di  condursi  per 
ottenere  per  molto  tempo  dei  buoni  raccolti  sopra  degli  alberi  robusti. 

Tutti  avranno  fatto  l'osservazione,  che  quando  un  albero  ha  pro- 
dotto una  grande  quantità  di  frutti,  resta  poi  per  uno,  due  e  anche  tre 
anni,  senza  darne.  Ciò  avviene  perchè  l'albero  è  stato  spossato  avendo 
esaurite  tutte  le  sue  borse,  i  suoi  dardi,  le  sue  lamborde,  epperciò  deve 
provvedere  alla  loro  ricostituzione  che  è  lenta  e  dura,  come  abbiamo 
veduto  per  alcune  piante,  degli  anni. 

E'  meglio  produrre  poco,  ma  ogni  anno,  che  non  molto  ogni  3  o  4 
anni.  Oltre  le  ragioni  fisiologiche  che  si  potrebbero  addurre  per  dimo- 
strare la  verità  di  questo  asserto,  ci  sono  anche  delle  ragioni  econo- 
miche, inquantochè,  producendo  poco  e  costantemente,  si  avranno 
delle  frutta  più  belle,  più  saporite,  più  sviluppale  e  perciò  meglio  ac- 
cette sul  mercato. 

E'  dunque  indispensabile  che  il  frutticoitore  sappia  mantenere 
nelle  piante,  in  giusto  equilibrio,  la  produzione  legnosa  colla  fruttifera  ; 
la  sanità  e  la  longevità  dell'albero  dipendono  molto  da  questo  equili- 
brio. Nei  casi  di  dubbio,  è  meglio  sacrificare  un  ramo  a  frutto  di  più 
che  un  ramo  a  legno,  il  poco  che  si  viene  a  perdere  nell'  annata,  si 
riacquista  in  misura  maggiore  coi  prodotti  degli  anni  venturi. 


-  99  - 

16.  —  Tutto  ciò  che  tende  a  diminuire  il  vigore  dei  getti  e  fa  affluire 
la  linfa  nei  frulli,  concorre  ad  aumentare  la  grossezza  di  questi.  Le  gemme 
hanno  la  facoltà  di  attirare  a  loro  la  linfa  dalle  radici.  Ora,  se  le  gemme 
a  legno  sono  molto  più  numerose  delle  gemme  a  frutto,  è  evidente  che 
trattengono  una  maggior  quantità  di  linfa  a  detrimento  dello  sviluppo 
del  frutto.  Ecco  s|)iegata  la  ragione,  perchè  dalle  piante  molto  vigorose 
si  hanno  dei  frutti  meno  grossi,  che  dalle  piante  di  vigore  medio. 

Le  operazioni  principali  di  cui  si  serve  il  frutticoitore  per  aumen- 
tare il  volume  delle  frutta,  sono  le  seguenti  : 

a)  Innestare  i  fruttiferi  sopra  soggetti  poco  vigorosi. 

b)  Applicare  un  taglio  d'inverno  tale  da  non  lasciare  sull'albero 
che  i  rami  necessari  alla  vegetazione  simmetrica  ed  alla  formazione 
dei  rami  a  frutto. 

e)  Far  nascere  i  rami  a  frutto  direttamente  sulle  branche  prin- 
cipali e  mantenerli  più  corti  possibili. 

dj  Quando  i  rami  a  frutto  sono  formati,  tagliare  corto  i  rami  a 
legno. 

e)  Lasciare  sulla  pianta  solo  un  numero  poco  considerevole  di 
frutta,  facendo  la  soppressione  quando  hanno  raggiunto  11  quinto  del 
loro  sviluppo  completo. 

f)  Praticare  un'incisione  anullare  sui  rami  da  frutto  sotto  al  punto 
d'inserzione  dei  fiori  ed  al  momento  della  fioritura  in  modo  che  que- 
sta incisione  non  sia  più  larga  di  5  mm. 

g)  Innestare  dei  rami  a  frutto  sugli  alberi  vigorosi. 

hj  Sostenere  le  frutta  pendenti  dall'albero  con  un  supporto  e  col 
penducolo  rivolto  in  basso. 

ij  Riparare  le  frutta  durante  il  tempo  del  loro  sviluppo  colle  fo- 
glie, acciò  il  sole  e  la  luce  non  le  colpiscano  direttamente. 

17.  —  La  linfa  si  porta  di  preferenza  verso  le  branche  favorite  da 
luce  e  calore  attorno  alle  quali  può  circolare  liberamente  l'aria.  Dare 
|)erciò  aria  e  luce  a  tutte  le  parti  della  pianta  è  una  delle  regole  fon- 
damentali della  frutticoltura. 

18.  —  La  linfa  affluisce  ai  rami  più  vigorosi  e  più  sviluppati  ed 
abbandona  i  rami  e  le  parli  più  deboli.  Tagliando  una  branca  lunga  ed 
un'altra  corta,  il  vigore  sarà  molto  maggiore  nella  prima  che  nella 
seconda.  Quindi  bisogna  tagliare  sempre  lunghe  le  branche  deboli  per 
rinforzarle. 

19.  —  Rallentando  la  circolazione  della  linfa,  si  favorisce  la  lignifi- 
cazione dei  germogli,  la  maturazione  dei  frulli  e  la  formazione  delle 
gemme  a  frutto. 

In  una  annata  secca  e  calda  i  germogli  lignificano  più  presto,  i 
frutti  anticipano  la  maturazione  e  si  formano  molte  gemme  a  frutto. 
Nelle  annate  umide  il  legno  non  matura  e  le  frutta  maturano  male. 

Si  favoriscono  tutti  e  due  questi  processi,  allevando  le  piante  con- 
tro i  muri,  scegliendo  terreni  permeabili  e  dei  soggetti  da  innesto  di 
vegetazione  più  rapida,  come  sono:  il  cotogno  per  il  pero;  il  melo 
paradiso  per  il  melo  e  così  via. 


-  100  — 

20.  —  Se  la  linfa  affluisce  rapidamente  verso  l'estremità  delle  bran- 
che, senza  incontrare  ostacoli  che  moderino  la  sua  circolazione,  queste 
branche  si  costituiscono  male  e  la  fruttificazione  riesce  più  tardiva  ed 
imperfetta. 

La  biforcazione  delie  branche,  i  tagli  annuali  successivi  che  si 
fanno  ai  rami,  rallentano  momentaneamente  la  circolazione  ed  allora  i 
tessuti  e  le  gemme  hanno  modo  di  meglio  costituirsi. 

21.  —  .Se  la  linfa  non  è  sufficiente  per  tutte  le  branche,  queste  si 
sviluppano  debolmente,  oppure  la  linfa  abbandona  certe  parti  dell'albero 
per  portarsi  verso  le  altre  allo  scopo  di  rinvigorirle.  Ad  esempio  piantando 
a  dimora  una  pianta  con  due  rami,  se  questa  non  riceve  sufficiente 
nutrimento  la  linfa  abbandona  il  ramo  più  debole  e  si  porta  esclusi- 
vamente  nel  ramo  più  forte. 

22.  —  Le  foglie  servono  alla  respirazione  e  nutrizione  epperciò  sfron- 
dando totalmente  si  arrischia  di  far  perire  le  piante.  Nelle  sfrondature 
che  si  fanno  in  estate,  bisogna  procedere  con  precauzione  e  sfogliare 
soltanto  le  parti  puramente  necessarie. 

23.  —  Quei  rami  o  quelle  piante  aliamo  alle  quali  non  possono  cir- 
colare liberamente  l'uria,  la  luce  ed  il  calore,  diventano  esili,  s'allungano 
e  non  producono  più  né  frutti,  né  legno.  Dalla  conoscenza  di  questa  re- 
gola, venne  la  prima  idea  di  dare  alle  piante  delle  forme  regolari, 
poiché,  avendo  ciascun  ramo  una  posizione  calcolata,  si  permette  a 
tutte  le  parti  della  pianta  di  avvantaggiare  dell'influenza  dell'aria,  della 
luce  e  del  calore. 

In  base  a  questo  principio  risulta  evidente  che  il  frutticoitore  non 
deve  lasciar  crescere  i  rami  contro  il  centro  della  pianta  per  non  for- 
mare una  chioma  troppo  fitta  di  foglie  che  impedirebbero  le  benefiche 
influenze  atmosferiche. 

24.  —  //  legno  vecchio  non  produce  delle  gemme  se  non  è  forzalo 
dal  taglio  o  da  qualche  alterazione  del  legno  giovane  che  esso  porta  alla 
sua  estremità.  È  perciò  necessario,  specialmente  nelle  spalliere,  di  ta- 
gliare in  modo,  che  le  branche  principali,  di  mano  in  mano  che  si 
allungano,  portino  dei  rami  alla  loro  base  e  per  tutta  la  lunghezza, 
affine  di  guarnire  anche  la  parte  centrale  della  pianta.  Se  questa  ne 
rimanesse  sprovveduta,  è  impossibile  far  sviluppare  delle  nuove  gemme 
a  legno  ed  allora  bisogna  ricorrere  all'  innesto  per  approssimazione 
con  qualche  ramo  vicino.  Ciò  si  verifica  in  particolar  modo  nel  pesco. 

25.  —  Tutti  i  rami  che  nascono  fuori  tempo  sono  per  lo  più  sterili, 
esili  ed  incapaci  di  produrre  né  legno,  né  frutti.  Queste  formazioni  a 
cui  si  è  dato  il  nome  di  rami  anticipati,  falsi  rami,  non  si  trovano  mai 
sopra  un  albero  abbandonato  a  sé  stesso.  Esse  sono  il  risultato  d'un 
accidente  o  d'un  taglio  fatto  in  una  stagione  intempestiva. 

In  generale  possiamo  dire  che  i  rami  anticipati  nascono  da  tutte 
(|uelle  gemme  che  vegetano  prima  di  raggiungere  la  loro  completa 
maturazione  e  quindi  devono  essere  soppressi,  perchè  non  servono 
che  a  indebolire  la  pianta. 


-  101  - 

26.  —  Le  gemme  a  fruito  si  trovano,  a  seconda  delle  specie,  o  snlVe- 
stremiià  dei  rami  o  limgo  le  branche.  Da  questo  risulta  che  tutti  gli 
alberi  fruttiferi  non  possono  essere  sottoposti  a  un  taglio  eguale  ma 
esso   deve   variare,   secondo  la  posizione  dei  rami  a  frutto. 

27.  —  Negli  alberi  con  frutto  a  granella  (pero  e  melo),  tutte  le  gemme 
sono  organizzate  in  modo  da  potersi  conformare,  secondo  le  circostanze, 
in  gemme  a  legno,  in  brindilli  o  dardi.  La  circostanza  che  niaggiormenle 
inUuisce  è  la  maggiore  o  minore  quantità  di  linfa  che  affluisce  alle 
gemme.  Quando  una  gemma  è  alimentala  da  una  grande  quantità  di 
linfa,  questa  allora  dà  luogo  alla  formazione  di  un  ramo  a  legno;  se 
invece  raffluei>za  è  minore,  si  sviluppa  un  brindillo;  se  minore  ancoia, 
un  dardo.  Nelle  branche  si  osserverà  sempre  che  l'estremità  porla  dei 
rami  a  legno,  la  parie  mediana  dei  brindilli,  e  la  parte  inferiore  dei  dardi. 

In  queste  piante  quindi  le  gemme  a  frutto  hanno  un  duplice  scopo 
di  dare  del  legno  o  dei  fruiti. 

28.  —  Le  gemme  a  frullo  nel  pero  e  melo,  si  trovano  ordinariamente 
su  rami  di  almeno  tre  anni.  Questi  quindi  sono  rami  specializzati  da 
frutto  i  quali  continuano  per  più  anni  a  dare  frutta. 

29.  —  Sulle  piante  a  granella,  le  gemme  a  frutto  sono  durevoli  alVe- 
slremilà  dei  dardi.  Dopo  aver  dato  frutto  possono  rimanere  inattive 
per  qualche  anno  e  poi  dare  un  novello  ramo  a  frutto. 

30.  —  Le  piante  a  granella  stentano  a  dare  frutto  più  di  quelle  a 
nocciolo.  Per  il  melo  e  pero  bisogna  aspettare  anche  8  e  10  anni,  mentre 
dal  pesco  si  hanno  frutti  nel  terzo  anno  d'età.  Quando  però  le  piante 
a  granella  cominciano  a  dare  frutto  continuano. 

31.  —  /  rami  a  fruito  delle  piante  a  granella,  essendo  a  produzione 
continua,  si  allontanano  lentamente  dal  centro  della  pianta  e  quindi  l'al- 
bero assume  un  aspetto  più  riunito  delle  piante  a  nocciolo,  nelle  quali  la 
maggior  parte  dei  rami  a  frutto  sono  più  lunghi,  avendo  anche  essi  le 
funzioni  di  accrescimento. 

32.  —  Nel  giuggiolo  e  nel  carrubo,  i  rami  a  fruito  tendono  addirit- 
tura ad  accorciarsi  e  sembrano  tanti  ingrossamenti  del  ramo.  Essi  pure 
continuano  per  parecchi  anni  a  dare  frutto  e  si  chiamano  coni   gemmari. 

33.  —  Gli  agrumi,  il  nespolo  del  Giappone,  il  melagrano  ed  il  sorbo 
portano  i  fiori  nella  gemma  apicale  ed  allora  il  ramo  si  arresta  nel  suo 
prolungamento,  però  questo  è  continualo  da  un  getto  laterale  che  prende 
il  posto  della  cima. 

34.  —  Anche  il  nespolo  ed  il  cotogno  portano  i  fruiti  ali  estremila 
dei  rami  e  quindi  non  si  devono  tagliare  che  i  rami  che  hanno  già  por- 
talo frullo. 

35.  —  Le  gemme  a  fruito  del  mandorlo,  pesco,  albicocco  e  delle 
piante  a  nocciolo  in  genere,  si  trovano  ordinariamente  sul  legno  di  un 
anno.  Esse  danno  un  solo  fiore  nel  pesco,  mandorlo  ed  albicocco,  sono 
trillori  nel  susino;  multitlori  nel  ciliegio. 

36.  —  Tatti  i  rami  a  frullo  del  pesco  una  volta  dato  frutto  non  lo 
danno  più.  Egli  è  perciò  necessario  di  rinnovare,  ossia  di  svettarli  per 
sostituirli  con  altri  di  recente  formazione. 


-  102  - 

37.  —  Negli  alberi  con  frutto  a  nocciolo,  le  gemme  a  frutto  si  for- 
mano già  entro  nel  mese  di  giugno  sul  legno  dell'annata  e  non  possono 
trasformarsi  in  genìme  a  legno.  Il  ciliegio  e  qualche  altra  specie  fanno 
molto  di  sovente  eccezione  alla  prima  parte  di  questa  regola,  la  di  cui 
applicazione  rigorosa  conviene  solo  al  pesco. 

38.  -  Tutte  le  gemme  a  frutto,  negli  alberi  con  frutto  a  nocciolo, 
restano  sterili,  se  non  sono  accompagnate  da  una  gemma  a  legno.  Da  ciò 
la  necessità  di  non  fare  la  potatura  dei  rami  a  frutto  del  pesco  quando 
difficilmente  si  distinguono  le  gemme  a  legno  da  quelle  a  frutto. 

39.  —  Nell'olivo,  il  ramoscello  che  si  sviluppa  da  una  gemma,  dà  in 
capo  a  due  anni  i  fiori  all'ascella  delle  foglie. 

40.  —  La  vite  ed  il  fico,  hanno  la  gemma  apicale,  sviluppatasi  sul  ramo 
dell'anno  precedente,  mista  e  cioè  si  svolge  a  germoglio,  ma  contempora- 
neamente dall'ascella  delle  foglie  si  svolgono  le  gemme  a  fiore.  Nella  vite 
le  gemme  uniflori  sono  unite  a  grappolo  il  quale  apparisce  nel  germo- 
glio dell'annata,  ma  non  tutti  maturano  nell'annata  bensi  nell'anno  suc- 
cessivo. 

41.  —  La  vite  ed  il  fico  danno  i  migliori  frutti  sui  rami  più  robusti. 
Questo  si  deve  al  fatto  che  i  frutti  si  trovano  sui  germogli  dell'annata. 

42.  —  Il  ribes  ha  le  gemme  moltiflori  che  appariscono  a  grappolo 
sui  rami  di  un  anno,  come  nel  pesco. 

43.  —  Sul  lampone,  i  fiori  riuniti  a  grappolo,  sorgono  dal  germoglio 
nato  nell'annata  come  nella  vite  e  sopra  rami  di  un  anno.  Dopo  la  frut- 
tificazione questi  rami  periscono.  Nelle  varietà  a  fruttificazione  autunnale, 
appariscono  dei  fiori  fertili  all'estremità  dei  germogli  radicali  dell'annata. 


V. 
Potatura  secca  e  potatura  verde. 

1.  Potatura  secca  e  verde.  —  Visto  lo  scopo  della  potatura  per  le 
piante  da  frutto  ed  i  principi  generali  che  servono  di  base  alle  opera- 
zioni inerenti,  occorre  adesso  entrare  nei  particolari  e  cioè  discorrere 
come  questa  potatura  si  eseguisce. 

Le  operazioni  della  potatura  che  si  praticano  durante  il  riposo  della 
vegetazione  si  comprendono  sotto  il  titolo  di  potatura  invernale  o  pota- 
tura secca.  Quelle  che  si  fanno  quando  la  linfa  è  in  movimento  od  a 
meglio  dire  in  corso  di  vegetazione,  appartengono  alla  po/a/a/-a  d'estate 
o  potatura  verde. 

In  questo  capitolo  tratteremo  della  potatura  secca  ed  in  particolar 
modo  del  taglio  secco  dei  rami  a  legno  e  dei  rami  a  frutto,  che  è  la 
principale  delle  operazioni. 

2.  Strumenti  per  la  potatura.  —  Come  ho  già  fatto  notare  parlando 
degli  utensili  del  frutticoitore  (vedi  Parte  11),  lo  strumento  più  adatto, 
per  eseguire  i  tagli  delle  piante,  è  il  potatoio  (fig.  24).  Esso  deve  avere 


—  103  — 

un  manico  curvo,  lun<,'o  da  11  a  13  cni.,  ed  abbastanza  grosso  per  non 
stancare  la  mano.  r>a  lama  invece  di  essere  in  diretto  prolungamento 
del  manico  ed  arcuata  soltanto  all'estremità,  è  bene  sia  saldata  ad 
angolo  convergente  col  manico,  in  modo  che  il  coltello  senza  essere 
adunco,  abbia  quell'inclinazione  voluta  per  fare  dei  fagli  anche  forti  e 
sempre  recisi. 

Trattandosi  di  fare  dei  grossi  tagli  alle  piante,  si  può  adoperare  la 
sega  oppure  il  pennato,  avendo  però  sempre  cura  di  ripassare  la  ferita 
col  potatoio,  onde  togliere  alla  superfìcie  qualsiasi  scabrosità. 

Da  quando  si  introdussero  le  forbici,  1'  uso  di  queste  si  è  molto 
generalizzato  anche  pel  taglio  delle  piante  da  frutto,  perchè  esse  hanno 
il  vantaggio  di  rendere  molto  spedito  il  lavoro.  Ma  ho  già  fatto  notare 
nella  Parte  li,  che  la  forbice  deve  essere  adoperala  soltanto  per  la 
specie  a  legno  molle,  come:  la  vite,  il  lampone,  il  fico;  non  mai  per  il 
taglio  dei  rami  destinati  a  fare  l'impalcatura  della  pianta.  Colla  forbice 
è  impossibile  fare  un  taglio  ben  netto,  perchè  essa  schiaccia  alquanto 
il  legno,  e  dovendo  operare  presso  le  gemme,  si  incorre  nel  pericolo 
di  guastarle. 

3.  Epoca.  —  L'epoca  del  taglio  secco  non  può  essere  indicata  con 
precisione,  perchè,  non  solamente  avanza  o  ritarda  a  seconda  dei  vari 
climi  o  della  vegetazione  più  o  meno  anticipata,  ma  ben  anco  in  ra- 
gione della  sanità  delle  piante,  delle  specie  a  cui  esse  appartengono 
e  dell'esposizione  calda  o  fredda  in  cui  si  trovano. 

Il  taglio  si  deve  fare  durante  il  riposo  della  vegetazione  e  perciò 
da  novembre  a  marzo.  Fra  questi  due  limiti  il  momento  più  favorevole 
è  quello  che  segue  i  forti  freddi  e  precede  il  primo  risveglio  della 
vegetazione,  ossia  il  mese  di  febbraio. 

Tagliando  prima  dei  forti  geli,  si  espone  la  ferita,  per  troppo  tempo 
prima  della  vegetazione,  all'influenza  dell'aria,  dell'umidità  e  del  freddo, 
e  allora  avviene  che  molte  gemme  terminali  periscono. 

Neppure  si  devono  tagliare  le  piante  quando  fa  molto  freddo, 
inquantochè  in  tali  giornate  essendo  il  legno  molto  fragile,  non  si  pos- 
sono fare  dei  tagli  ben  netti,  senza  notare  che  si  può  incorrere  il 
pericolo  di  frangere  molti  rami. 

Ritardando  il  taglio  fino  al  risveglio  della  vegetazione,  i  danni 
sono  ancora  maggiori.  Anzitutto  noi  indeboliamo  soverchiamente  la 
pianta,  privandola  di  quella  linfa  già  assorbita  dalle  radici  e  che  si 
trova  già  distribuita  lungo  quelle  parti  dei  rami  che  si  sopprimono. 
D'altro  lato  operando  a  stagione  avanzata  si  incorre  il  pericolo  di  far 
cadere  molte  gemme  a  frutto  al  minimo  urto,  essendo  queste  molto  fra- 
gili perchè  in  via  di  svolgimento.  Alle  piante  a  nocciolo  è  assoluta- 
mente sconsigliabile  un  taglio  tardivo,  che  provoca  il  mal  della  gomma 
o  il  cancro.  Se  invece  noi  fagliamo  le  piante  a  nocciolo  per  tempo  e 
cioè  nei  primi  giorni  di  febbraio,  allora  la  ferita  ha  tempo  di  cicatriz- 
zarsi e  perciò  resta  impedito  lo  sgorgo  della  linfa  dalle  ferite,  ma 
anche   le   gemme   ascellari,    che    molto   di   sovente   rimangono   inerti, 


-  104  - 

risentendo  la  prima  azione  di    movimento  della  linfa,    si  svilu[)pano  e 
danno  quei  rami  di  sostituzione  che  sono  tanto  necessari. 

Ripeteremo  dunque  che  le  piante  non  si  devono  tagliare  nel  tempo 
dei  freddi  intensi,  come  pure  allorquando  questi  freddi  si  presumono 
prossimi;  che  ogni  qualvolta  si  tratterrà  di  indebolire  una  pianta  con- 
viene il  taglio  tardivo,  trattandosi  di  rinvigorirla  conviene  farlo  per 
tempo;  infine,  che  le  piante  a  nocciolo  devonsi  tagliare  presto  anziché 
tardi. 


ì 


Vli'^ 


Fig.  118.  Fig.  119.  Fig.  120.  Fig. 

Fig.  118.  -  Taglio  normale. 

Fig.  119.  -  Taglio  troppo  vicino  alla  gemma  terminale. 
Fig.  120.  -  Taglio  lontano  dalla  gemma  terminale  per  rinforzarla. 
Fig.  121.  -  Sarmento  di  vite  tagliato    alla   base    della   sua  inserzione; 
ritallo  o  internodio. 


Da  noi  si  può  liberamente  tagliare  dalla  caduta  delle  foglie  a  tutto 
febbraio,  evitando  le  giornate  umide,  nebbiose  o  di  vento.  Se  si  tratta 
di  molte  piante  e  di  diversa  specie,  conviene  seguire  l'ordine  con  cui 
si  sussegue  il  risveglio  vegetativo  e  quindi  si  taglino  per  primo  i  man- 
dorli, poi  gli  albicocchi,  poi  i  peschi,  quindi  i  susini,  i  ciliegi,  i  peri, 
la  vite  ed  infine  i  meli. 

Alla  fine  di  febbraio  è  bene  di  avere  ultimate  tutte  le  operazioni 
di  potatura,  poiché  nel  mese  di  marzo  sono  molti  i  lavori  di  campagna 
a  cui  si  deve  accudire. 

4.  (^ome  si  fa  il  taglio.  —  Non  è  indilferente  il  modo  di  tagliare  i 
rami  o  le  bianche  delle  piante  da  frutto. 


105 


Trattandosi  di  piante  a  legno  duro,  il  taglio  si  fa  al  disopra  e  dalla 
parte  opposta  di  una  gemma,  il  più  vicino  possibile,  senza  però  recarle 
danno.  A  tal  uopo  colla  mano  sinistra  si  tiene  in  mano  l'estremità  del 
ramo  al  punto  in  cui  si  vuol  recidere,  e  colla  mano  destra  armata  di 
potatoio  si  pone  la  lama  dalla  parte  opposta  ed  all'altezza  della  base  A 
fìg.  118  della  gemma,  quindi  con  un  colpo  risoluto  si  conduce  la  lama 
cosi  da  fare  un  taglio  netto,  che  termini  sopra  la  punta  della  gemma, 
e  ad  una  distanza  da  questa  eguale  al  diametro  del  ramo.  In  tal  modo 
si  fa  un  taglio  a  sbieco,  che  ha  il  doppio  vantaggio  di  non  far  soffrire 
la  gemma  e  di  cicatrizzare  prontamente- 
Tagliando  più  sotto  al  punto  indicato,  si 
corre  il  pericolo  di  far  soffrire  la  gemma 
(fìg.  119)  e  di  farla  sviluppare  perciò  con 
meno  vigore;  se  al  contrario  si  avesse  a 
tagliare  più  in  alto,  il  legno  disseccherebbe 
-  -   t  fino  alla  gemma,  lasciando  perciò    un   moz- 

zicone  che   si   dovrebbe  recidere  nell'  anno 
venturo,  fig.  120. 


Fig.  122.  —  Sezione  longitudinale 
del  sarmento  precedente;  n>,  mi- 
dollo ;  rf,  tramezzo  legnoso  o  dia- 
framma; i,  internodio. 


Fig.   123. 
a)  Taglio  razionale  di  un  ramo 
b^  Taglio  non  conveniente. 


Nella  vite  (fig.  121)  il  taglio  si  fa  a  gemma  franca,  e  cioè  nel  tra- 
mezzo o  diaframma  che  si  trova  in  ogni  nodo,  come  si  vede  in  ci  fig.  122. 

E  giacché  sono  a  parlare  di  avvertenze  per  fare  i  tagli  conviene 
aggiungere,  che  quando  la  potatura  secca  si  fa  in  novembre  e  dicembre, 
per  evitare  i  danni  eventuali  del  gelo  nelle  gemtiie  terminali,  conviene 
tagliare  più  in  alto  della  gemma  che  si  vuol  lasciare  per  ultima,  ed 
in  febbraio  fare  il  taglio  definitivo  a  giusta  altezza. 

Nelle  piante  a  legno  molle  e  sopratutto  di  midollo  abbondante 
come  il  fico,  il  lampone,  il  taglio  deve  farsi  da  8  a  10  mm.  al  disopra 
della  gemma,  perchè  la  cicatrizzazione  non  avviene  mai  al  punto  stesso 


—  106  — 

in  cui  è  stato  fatto  il  taglio.  La  grande  jiorosità  del  legno  e  la  quan- 
tità del  midollo  permettono  all'aria  ed  all'umidità  di  introdursi  fino 
ad  una  certa  profondità  nei  tessuti  e  quindi,  se  il  taglio  non  viene 
fatto  ad  una  certa  distanza  dalla  gemma,  può  avvenire  che  questa 
perisca. 

Talvolta  al  posto  ove  si  deve  lare  il  taglio  si  trova  una  gemma 
fruttifera,  oppure  un  dardo  od  un  ramo  anticipato.  Negli  alberi  con 
frutto  a  granella  si  possono  sopprimere  queste  produzioni  ed  utilizzare 
una  delle  gemme  latenti.  Nelle  piante  a  nocciolo  bisogna  invece  cercare 
di  fare  il  taglio  sopra  una  gemma  a  legno. 

Trattandosi  di  recidere  un  ramo  rasente  il  tronco,  il  taglio  deve 
farsi  in  modo  che  la  ferita  sia  più  piccola  possibile.  A  tal  uopo  il 
taglio  si  fa  dal  basso  all'  alto,  cosi  che  il  lembo  superiore  della  piaga 
venga  a  trovarsi  rasente  il  tronco  ed  il  lembo  inferiore  sia  sporgente 
di  2  a  3  mm.  (fìg.  123  a). 


VI. 
Principi  generali  del  taglio  dei  rami. 

Ripeto  ancora,  il  taglio  devesi  fare  con  criteri  diversi,  a  seconda 
che  si  tratti  di  rami  a  legno  o  di  rami  a  frutto.  Pei  primi,  il  taglio 
ha  lo  scopo  di  costituire  la  forma,  di  circoscriverla  entro  certi  limiti, 
e  di  produrre  dei  rami  robusti,  capaci  di  portare  ed  alimentare  dei 
rami  a  frutto.  Il  taglio  dei  rami  a  frutto  ha  lo  scopo  di  mantenere 
costante  ed  ottima  di  qualità,  la  produzione  delle  frutta. 

1.  —  Neil'  applicazione  del  taglio  noi  dobbiamo  ricordare  le  mas- 
sime seguenti  : 

a)  Gli  alberi  soltanto  in  uno  stato  perfetto  di  vegetazione  danno 
una  regolare  e  perfetta  fruttificazione. 

b)  Per  conservare  sane  e  produttive  le  singole  branche  degli 
alberi  bisogna  che  esse  ricevano  una  conveniente  quantità  di  linfa,  di 
luce  e  di  calore. 

cj  L'albero  deve  essere  contenuto  nelle  dimensioni  che  comporta 
la  sua  età  e  la  sua  vigoria. 

dj  Bisogna  mantenere  un  giusto  equilibrio  fra  la  produzione  a 
legno  e  quella  a  frutto.  Se  all'albero  si  favoriscono  soltanto  le  produ- 
zioni a  legno,  esso  finisce  col  rimanere  sterile;  se  viceversa  lo  si 
lascia  eccessivamente  a  fruttificare,  va  presto  in  rovina. 

e)  Tutti  gli  alberi  in  vegetazione  normale  producono  dei  rami, 
degradantisi  per  vigoria,  di  mano  in  mano  che  ci  si  allontana  dal  fusto 
e  senza  incrociarsi. 

fj  L'estensione  e  la  forza  delle  branche  devono  essere  in  rapporto 
coU'età,  col  vigore  e  colla  produzione  di  frutta. 


—  107  — 

g)  I  rami  a  legno  ed  a  frutto  che  sono  della  medesima  età  e  della 
medesima  natura,  devono  essere  eguali  per  vigoria,  per  lunghezza,  per 
direzione  e  per  fertilità. 

hj  Le  branche  di  maggiore  età  devono  essere  più  vigorose  di 
quelle  più  giovani. 

i)  I  rami  novelli  non  devono  sorgere  che  dalle  branciie  più 
giovani. 

Ij  Ogni  branca  deve  occupare  uno  spazio  suo  proprio  come  lo 
esige  la  forma  della  pianta. 

m)  Poiché  le  produzioni  fruttifere  si  esauriscono  dopo  alcuni 
anni,  l'accorto    potatore    deve  pensare  a  tempo  a  sostituirle. 

nj  Rami  normali,  sani,  vigorosi,  non  si  possono  ottenere  che  da 
gemme  a  legno  di  un  anno  ed  è  soltanto  sopra  questi  che  quindi  si 
deve  fare  il  taglio. 

VII. 
Taglio  secco  dei  rami  a  legno. 

1.  —  Il  ramo  di  un  albero  può  paragonarsi  ad  un  canale  che  tras- 
porta la  linfa  contro  a  degli  orifizi  chiamati  gemme.  L'orifìzio  estremo, 
che  è  la  gemma  terminale,  riceve  quindi  il  massimo  di  linfa  e  le 
gemme  laterali  ne  ricevono  gradualmente  di  meno,  mano  a  mano  che 
si  distanziano  dalia  gemma  terminale.  Naturalmente  che,  in  proporzione 
alla  quantità  di  linfa  ricevuta,  si  differenziano  dalle  singole  gemme. 

Se  un  ramo  a  legno  fornito  di  gemme  (fig.  124)  si  lascia  sviluppare 
tale  e  quale,  avremo  uno  sviluppo  di  rami  come  è  rappresentato  nella 
fìg.  125  e  cioè  si  avranno  verosimilmente  dal  terzo  superiore  4  rami  a 
legno;  dalle  4  gemme  intermedie  4  brindilli  e  dalle  4  inferiori  4  dardi. 

Se  invece  lo  si  accorcia  sopra  l'ottava  gemma  (fig.  126),  ossia  se  lo 
si  taglia  a  ^/g,  le  gemme  che  rimangono  vengono  molto  meglio  nutrite 
e  daranno  delle  gettate  più  vigorose  di  '/g  non  soltanto  ciascuna,  ma 
dalle  gemme  6,  7,  8,  si  avranno  dei  rami  a  legno;  dalle  gemme  3,  4,  5, 
tre  brindilli  e  dalle  altre  due  dei  dardi  (fig.  126). 

Tagliando  a  metà  e  cioè  sopra  la  sesta  gemma,  si  avranno  delle 
gettate  ancora  più  vigorose  (vedi  fig.  127)  e  verosimilmente  si  avranno 
dalle  gemme  4,  5,  6,  tre  bei  getti  vigorosi  a  legno  ;  dalla  gemma  3  e  2, 
due  brindilli  e  dalla  gemma  1,  un  dardo. 

Se  infine  noi  tagliamo  il  ramo  ad  Va.  ossia  sopra  la  quarta  gemma, 
la  linfa  affluisce  in  gran  quantità  nelle  gemme  lasciate  in  modo  da 
sviluppare  dei  rami  a  legno  vigorosi  ed  appena  uno  o  due  di  quelle 
a  frutto  (fig.  128). 

Dopo  questo  risulta  evidente,  che  tagliando  sistematicamente  i 
rami  di  una  pianta  ad  una  eguale  lunghezza,  ad  esempio  sempre 
corto,  si  fa  un  errore  madornale,  cioè  si  rovina  l' albero  anziché 
rinforzarlo. 


—  108  — 

2.  —  La  lunghezza  a    cui   si    devono   tagliare  i   rami  a  legno  deve 
perciò  variare  : 

a)  coll'età  della  pianta  ; 
bj  colla  direzione  dei  rami  ; 
cj  colla  vigoria; 
d)  colla  specie. 
Immagini  il  lettore  di   avere  innanzi  a  sé    una  giovane  pianta.  Noi 
dobbiamo  anzitutto  pensare,  oltreché  alle  radici,  a  tutti  quei  rami  che 
sono  destinati  a  sostenere  la  fronda.    É    necessario    quindi   che  queste 


Fig.  124. 

Fig.  124, 
Fig.  125. 
Fig.  126 
il 
Fig.  127. 
Fig.  128. 


Fig.  125. 


Fig.  126. 


Fig.  127. 


Fig.  128. 


-  Ramo  a  legno  normale  con  12  gemme. 

-  Ramo  precedente  non  tagliato. 

-  Vegetazione  ottenuta   dopo   un    anno  in 
forte  e  il  debole  al  ramo  della  fig.  124. 

-  Vegetazione  ottenuta  col  taglio  a  metà. 

-  Vegetazione  ottenuta  col  taglio  corto. 


mito  al  taglio  fatto  fra 


prime  branche  siano  solide  e  ben  costituite  sino  alla  base  e  questo  si 
ottiene  tagliando  corto  a  4  o  5  gemme  per  due  o  tre  anni  di  seguito. 
Passato  questo  primo  periodo,  la  fronda  raggiunge  uno  sviluppo  tale 
che  si  può  lasciar  campo  alla  base  delle  prime  branche  di  fornirsi  di 
rami  a  frutto,  e  perciò  non  si  taglia  più  i  rami  a  legno  ad  un  terzo, 
ossia  a  4  o  5  gemme,  bensì  a  metà  lunghezza.  Questo  secondo  taglio  a 
metà   devesi   ripeterlo   per   altri   tre  anni,   fino    a   che  la  fronda  della 


-  109  - 

pianta  si  trovi  si  può  dire  al  completo.  Ottenuto  questo  risultato,  non 
si  devono  lasciare  a  sé  stessi  i  rami  a  legno;  occorre  soltanto  mode- 
rare il  loro  sviluppo,  e  non  tagliandoli  più  né  ad  un  terzo,  né  a  metà, 
ma  a  due  terzi  di  lunghezza.  Praticamente  il  primo  taglio  ad  un  terzo 
si  suole  chiamarlo  taglio  corto,  il  secondo  a  metà  si  chiama  appunto 
a  metà,  il  terzo  infine  a  ^/g  si  chiama  taglio  lungo  o  dal  forte  al  debole, 
perchè  si  fa  dove  il  ramo  accenna  a  diminuire  sensibilmente  di  vigore. 

Riassumendo  rispetto  all'età,  il  taglio  dei  rami  a  legno  devesi  fare 
nel  seguente  modo.  Per  i  primi  due  o  tre  anni  si  tagli  ad  un  terzo  di 
lunghezza,  ossia  a  4  o  5  gemme  dalla  base,  nei  tre  anni  successivi  a 
metà  lunghezza  e  quindi  si  applichi  il  taglio  lungo  che  equivale  circa 
a  due  terzi. 

Questa  regola  vale  specialmente  per  il  pero  e  susino  ;  per  il  melo 
ed  albicocco  che  hanno  maggior  vigore,  conviene  tagliare  corto  per  un 
anno  solo  e  poi  tagliare  da  un  quarto  a  metà  ;  per  il  pesco  si  taglia 
subito  a  metà.  Per  la  vite  il  taglio  corto  si  fa  a  due  gemme. 

Quanto  più  i  rami  sono  vigorosi  tanto  più  si  può  abbreviare  il 
periodo  del  taglio  corto  e  del  taglio  a  metà. 

Noi  sappiamo  che  i  rami  verticali  sono  i  più  vigorosi  perché  in 
(jucsti  abbonda  la  linfa  (vedi  il  precetto  n.°  8  di  Potatura  a  pag.  96)  é 
evidente  quindi  che  per  mantenere  l'equilibrio  in  una  pianta  un  ramo 
verticale  si  taglierà  più  corto  ancora  del  ramo  orizzontale.  Difatti  in 
pratica,  i  rami  verticali  si  tagliano  a  metà,  gli  obliqui  a  due  terzi  e  gli 
orizzontali  si  lasciano  intatti  od  appena  sì  accorciano. 


Vili. 

Taglio   secco   dei  rami  a  legno  per   ottenere  dei  rami 
a  frutto. 

1.  —  11  taglio  descritto  nel  Capitolo  precedente  ha  lo  scopo  di 
formare  le  branche,  ossia  le  diramazioni  principali  e  diciamo  cosi 
l'ossatura  della  |)ianta. 

Questi  rami  devono  portare  lateralmente  dei  rami  a  frutto  e  nul- 
l'altro,  ma  non  sempre  si  può  ritenere  che  da  essi  nascano  soltanto 
dei  brindilli,  dei  dardi.  Avviene  più  di  frequente,  e  specialmente  nelle 
piante  a  granella,  che  si  sviluppano   dei  rami   a  legno. 

Ora  è  su  questi  rami  a  legno  laterali  che  noi  dobbiamo  operare 
per  trasformarli  in  rami  a  frutto. 

Intanto  ricordo  che  su  questi  rami  le  gemme  più  lontane  sono 
quelle  che  lasciate,  darebbero  dei  nuovi  rami  a  legno  vigorosi,  quindi 
la  massima  che  più  si  taglierà  corto,  meno  le  gettate  saranno  vigorose 
e  più  si  disporranno  a  dare  frutti. 

Partendo  da  questo  principio  si  deduce,  che  se  noi  tagliamo  sulle 


-  110  — 

gemme  latenti  poste  alla  base  del  ramo,  noi  otterremo  dei  rami  ancora 
più  deboli  e  perciò  ancora  meglio  disposti  a  dare  frutti. 

Anche  la  posizione  dei  rami  ha  un'importanza  notevole  su  questa 
produzione  dei  rami  a  frutto. 

I  rami  verticali  hanno  maggiore  tendenza  a  dare  dei  rami  a  legno 
e  perciò  sono  anche  più  ribelli  a  trasformarsi  in  rami  a  frutto.  Quindi 
nelle  forme  appoggiate,  si  piegano  fino  a  renderli  quasi  orizzontali  e 
nelle  forme  libere  si  tagliano  alla  base,  lasciando  un  breve  moncone  di 
Va  cm.  perchè  dalle  gemme  laterali  vengano  fuori  i  nuovi  rami. 

Da  quanto  precede  emerge  che  volendo  avere  dei  rami  a  frutto 
dai  rami  a  legno,  bisogna  tagliarli  tanto  più  corti  quanto  più  essi  sono 
vigorosi. 

2.  —  Questo  taglio  viene  chiamato  in  frutticoltura  speronatura  la 
quale  può  essere  di  due  gemme  o  di  quattro  a  seconda  della  vigoria 
ed  anche  della  specie  di  piante.  Di  questo  e  del  taglio  dei  rami  a  frutto 
si  tratterrà  particolarmente  nella  Frutticoltura  speciale. 


IX. 
Operazioni  accessorie  della  potatura  secca. 

La  buona  riuscita  di  una  pianta  da  frutto  non  dipende  soltanto 
dalla  giusta  applicazione  del  taglio  secco  ;  occorre  saper  applicare  delle 
altre  operazioni,  le  quali  se  pure  accessorie,  hanno  una  rilevante  im- 
portanza. 

1.  —  Slegatura  dei  tutori.  Questa  operazione,  che  deve  essere  fatta 
ogni  anno,  consiste  nello  staccare  dal  muro,  dai  reticolati  o  dai  sem- 
plici pali,  tutte  le  ramificazioni,  per  poter  fare  agevolmente  la  potatura, 
per  impedire  che  le  legature  diano  luogo  a  strozzamenti,  per  levare  le 
foglie  morte,  gli  insetti  e  loro  nidi,  che  potrebbero  trovarsi  fra  i  tutori 
ed  i  rami,  e  per  ripulire  le  parti  legnose  intaccate  da  muschi  od  altri 
parassiti.  L' epoca  più  opportuna  per  questa  operazione  è  la  prima 
quindicina  di  novembre  ;  dobbiamo  però  avvertire  che,  trattandosi  di 
piante  mollo  grandi  a  spalliera,  conviene  mantenere  le  branche  prin- 
cipali nella  medesima  posizione  con  legature  rallentate  acciò  non  pos- 
sano squarciarsi  o  piegarsi. 

2.  —  Accecamento.  E'  una  operazione  per  la  quale  si  levano  le 
gemme  inutili  o  che  assorbirebbero  una  troppo  grande  quantità  di 
linfa,  a  detrimento  di  altre  poste  sullo  stesso  ramo.  L'accecamento  è 
molto  raccomandabile  sulle  ramificazioni  fruttifere  del  pesco,  ma  ge- 
neralmente esso  viene  surrogato  dalla  scacchiatura.  Occorre  però  un 
occhio  molto  vigile  ed  esperto  per  saper  scegliere  le  gemme  che  si  de- 
vono accecare.  Io  la  ritengo  una  operazione  molto  diflìcile  e  che  è  forse 
meglio  evitarla  piuttosto  che  non  esser  sicuri  nella  scelta  delle  genuiie, 

3.  —   Incisione    longitudinale.    Queste   incisioni    si    fanno   lungo    le 


Ili 


l)ranche  e  sotto  alle  gemme,  per  facilitare  la  dilatazione  dei  tessuti 
sotto  l'epidermide  e  perciò  favorire  il  loro  sviluppo.  L'istrumento  da 
adoperarsi  deve  essere  il  potatoio  ben  a  dilato  oppure  l'innestatoio,  e 
si  opera  fendendo  colla  punta  la  corteccia  senza  intaccare  l'alburno. 
Alle  piante  a  nocciolo  non  si  devono  applicare  le  incisioni  che  pos- 
sono provocare  il  male  della  gomma.  Né  bisogna,  come  consigliano 
certuni,  fare  le  incisioni  dalla  parte  dell'ombra;  vai  meglio  assai  farla 
dalla  parte  del  sole,  dove  la  corteccia  è  più  indurita.  Però,  quando 
si  opera  durante  un  tempo  caldo  e  molto  secco,  sarà  pru- 
denza ombreggiare  la  parte  incisa,  per  impedire  il  dissecca- 
mento ed  il  sollevamento  della  corteccia  presso  l'incisione. 
Per  ottenere  buoni  risultati  dalle  incisioni,  fa  d'uopo  operare 
soltanto  all'epoca  in  cui  gli  alberi  si  mettono  in  vegetazione; 
in  altro  tempo  le  ferite  potrebbero  disseccarsi. 

4.  —  Intaccatura.  L'intaccatura  si  pratica  al  di  sopra  di 
una  gemma  sul  ramo  che  si  vuol  rinforzare.  La  profondità 
e  larghezza  variano  da  mm.  3  a  10,  a  seconda  della  grossezza 
della  branca  su  cui  si  opera.  La  tacca  si  fa  arrivare  circa  ad 
un  terzo  della  periferia.  Può  farsi  orizzontale  oppure  ad 
angolo  (fig.  129)  col  potatoio. 

Facendo  la  tacca  sotto  ad  una  gemma  o  ramo,  si  ottiene 
l'effetto  opposto,  ma  non  sempre  i  risultati  sono  soddisfacenti. 

Anche  (|uesta  operazione  non  devesi  fare  sopra  le  piante       ^^S  ^29 

.    ,  ,        .,        j  .  ,  .    !..     1-     1.       .  Intaccatura 

a  nocciolo;  sopra  la  vite  ed  in  generale  sopra  lutti  gli  alberi  a  ^^  ansoio 
legno  molle,  producono  poco  effetto;  riesce  veramente  profi- 
qua  al  pero  e  pomo,  quando  si  vuole  co})rire  una  parte  denudata  del  fusto. 
Di  tutte  e  tre  queste  operazioni  è  bene  però  che  il  frutticoitore 
non  ne  abusi  e  che.  non  le  applichi  che  in  caso  di  assoluta  necessità, 
inquantochè  egli  deve  tendere  a  mantenere  sempre  la  scorza  dei  suoi 
alberi,  più  liscia  possibile. 

5.  —  Mondatura.  È  l'operazione  che  si  fa   in   autunno    appena    ca- 
dute le  foglie. 

Colla  mondatura  si  devono  allontanare: 

aj  Tutti  i  rami  secchi,  disorganizzati,  monchi,  i  quali  non  fareb- 
l)ero  che  marcire  e  propagare  il  male  alle  parti  sane. 

b)  Tutti  i  rami  che  si  trovano  fuori  di  posto,  specialmente  nel 
centro  della  corona,  poiché  questi,  oltre  ad  impedire  la  libera  circola- 
zione dell'aria  e  della  luce,  crescerebbero  a  detrimento  delle  branche 
fruttifere.  Anche  i  cosidetti  succhioni  appartengono  a  questa  categoria, 
che  sorgono  verticalmente,  all'estremità  del  fusto  od  alla  incurvatura 
dei  rami.  Questi  succhioni,  se  lasciati,  portano  via  una  notevole  quan- 
tità di  nutrimento. 

e)  Se  due  rami  si  trovano  troppo  vicini,  si  tagli  il  più  debole  e 
se  uno  é  sopra  e  l'altro  più  sotto,  si  lasci  il  primo,  poiché  il  secondo 
avrà  già  incominciato  a  soffrire. 

ci)  Lo  stesso  devesi  fare  quando  due  rami  si  incrociano.  Il  ramo 
più  debole  deve  essere  sempre  sacrilìcato. 


-  112  - 

e)  I  rami  troppo  vicino  a  terra  si  svettano,  poictiè  questi,  oltreché 
impedire  un  accurato  lavoro  del  terreno,  danno  frutta  sempre  meschine. 

/)  Infine,  trattandosi  di  i)iante  d'alto  fusto,  se  si  vede  che  i  rami 
sono  troppo  fitti,  si  faccia  un  diradamento,  tagliando  alla  base  quelli 
che  non  si  trovano  alla  dovuta  distanza. 

Ad  un  albero  abbandonato  da  parecchi  anni,  il  più  delle  volte  oc- 
corrono tagli  molto  forti,  i  quali,  se  fatti  tutti  in  una  volta,  porterebbero 
squilibrio  alla  pianta  e  la  farebbero  perire.  In  questo  caso  conviene 
tagliare  gradatamente,  un  poco  per  anno,  seguendo  un  certo  ordine. 

Trattandosi  di  rami  molto  grossi,  si  abbia  l'avvertenza  di  tagliarli 
alla  base,  più  vicino  possibile  alla  loro  inserzione.  Fatto  il  taglio  colla 


Fig.  Ilio.  —  Ferite  ad  un  tronco  fatte  da  un  operaio  salito  sopra  un  albero 
colle  scarpe  armate  di  borchie. 


sega,  bisogna  ripassar  per  bene  la  ferita  con  un  ferro  tagliente,  poiché 
allora  la  ferita  rimane  liscia  e  l'acqua  non  può  penetrare  tra  le  fibre. 
E'  bene  coprire  simili  tagli  con  del  catrame  o  carbolineo  solubile 
al  5-10  Vo?  i  quali  non  solo  impediscono  l'azione  dell'acqua  e  dell'aria, 
ma,  il  creosoto  che  essi  contengono,  essendo  un  veleno  per  le  piante, 
fa  dissecare  per  un  tratto  le  cellule  della  ferita.  Queste  cellule  dissec- 
cate formano  una  specie  di  zona  di  sicurezza,  ed  impedisce  che  negli 
strati  sottostanti,  abbia  ad  estendersi  la  disorganizzazione  dei  tessuti. 
Bisogna  adoperare  il  catrame  quando  la  pianta  è  in  perfetto  riposo, 
altrimenti,  la  linfa  in  movimento,  lo  dilaverebbe  e  il  carbolineo  dan- 
neggerebbbe  invece  la  pianta. 


—  113  - 

Bisogna  ricordarsi  che  col  catrame  le  sezioni  del  taglio  non  si  ri- 
marginano, ed  allora  si  può  adoperare  il  seguente  mastice,  veramente 
buono,  di  Mùller: 

Si  prendano  500  g.  di  resina  di  Borgogna  e  liquefatta  al  fuoco  vi 
si  aggiungano  500  gr.  di  catrame  di  legno  svedese,  caldo.  Si  mescola  il 
tutto  e  si  aggiungono  ancora  125  gr.  di  olio  di  lino.  Prima  che  si  raf- 
freddi si  versano  60  gr.  di  alcool  (spinto  di  vino)  per  mantenere  al 
mastice  la  vischiosità.  11  tutto  ben  mescolato  si  mette  in  vasi  che  si 
conservano  ben  chiusi,  avendo  cura,  quando  lo  si  adopera,  di  riscal- 
darlo fino  che  ha  raggiunto  una  certa  vischiosità. 

6.  —  Guarigione  delle  ferile.  Molte  volte,  o  per  strappi  dovuti  a 
vento  o  neve  o  per  inavvertenza  del  potatore  (fig.  130),  oppure  per  opera 
di  animali,  si  hanno  sul  tronco  delle  ferite  o  contusioni  tali,  che,  lasciate 
a  sé  stesse,  farebbero  disseccare  buona  parte  del  fusto  ed  anche  tutta 
la  piante.  In  questo  caso  bisogna  ripassare  i  lembi  e  l'interno  della  fe- 
rita con  un  coltello  tagliente  lino  a  scoprire  il  tessuto  sano.  11  tutto  si 
copre  poi  con  un  mastice  composto  d'argilla,  una  parte  di  sterco  bo- 
vino senza  paglia,  mezza  jiarle  di  cenere  di  legno  stacciata  fina,  più 
un  po'  di  sabbia  e  di  peli  di  vitello,  in  modo  da  formare  una  poltiglia. 
Si  applica  questa  poltiglia  alla  ferita  e  si  fascia  poi  con  della  corteccia 
di  castagno  che  si  lega  con  vimini  o  tela  di  sacco. 

Se  nel  tronco  si  sono  formate  delle  cavità,  si  pulisce  prima  la  pa- 
rete interna  asportando  gli  anelli  di  legno  guasti  cogli  istrumenti  ap- 
positi (fig.  27  e  32)  e  poi  si  riempie  la  cavità  con  pietra  e  cemento, 
che  sì  dipinge  poi  esternamente  con  una  vernice  di  egual  colore  del 
tronco. 

7.  —  Scorlecciainenlo.  Alla  operazione  precedente  devesi  far  se- 
guire in  autunno  lo  scortecciamento  per  levare  tutti  i  brandelli  di  cor- 
teccia, che  si  sollevano  lungo  il  tronco  ed  il  ramo  e  danno  ricetto  agli 
insetti,  ai  muschi  e  licheni. 

Questa  pulizia  si  fa  coi  raschiatoi  (fig.  53  e  54)  e  colle  spazzole  di 
fili  d'acciaio  (fig.  55  e  56).  Si  faranno  anche,  per  distaccare  i  muschi  e 
licheni,  (a  cui  può  servire  il  guanto  Sabaté,  fig.  65)  delle  lavature  con 
spazzole  bagnate  con  liscivia  di  cenere  o  Kainite. 

Nel  caso  in  cui  sul  tronco  vi  fossero  molti  muschi,  si  può  adope- 
l'are  con  vantaggio,  ma  con  le  dovute  precauzioni  da  parte  degli  operai 
una  pennellazione  con  una  soluzione  al  12  %  di  acido  ossalico.  L'acido 
ossalico  fa  in  brevissimo  tempo  disseccare  tutti  i  muschi,  che  da  verdi 
diventano  di  color  bruno  e  cadono.  Ho  applicato  con  vantaggio  anche 
la  seguente  miscela:  125  gr.  di  aloe  e  kg.  1  V2  di  calce  spenta,  stempe- 
rata in  8  litri  di  acqua.  Si  dà  questa  miscela,  lungo  tutto  il  tronco  e  i 
rami  principali,  cosi  si  impedisce  l'annidarsi  di  insetti  e  la  formazione 
di  nuovi  muschi  mentre  si  distruggono  quelli  che  le  vengono  a  contatto. 

8.  —  Imbianchimento  dei  fusti  e  rami  con  latte  di  calce  molto  denso. 
Compiute  le  precedenti  operazioni  nello  stesso  autunno  si  fa  l'imbian- 
chimento adoperando  un  pennello  od  una  pompa. 

8  —  T.VMARO  -  Frutticoltura 


-  114  - 

La  calce  che  si  adopera  deve  essere  spenta  da  lungo  tempo. 
Gli  efletti  dell'imbianchimento  sono  : 

a)  Di  cauterizzare  i  resti  dei  muschi,  licheni  e  le  spore,  che  colla 
raschiatura  non  sono  stati  allontanati. 

b)  Di  facilitare  la  caduta  dei  brandelli    di    corteccia   che    riman- 
gono appiccicati. 

e)  Di  distruggere  gli  insetti  o  ninfe  eventualmente  rimaste. 

d)  D'impedire  la  deposizione   delle    uova   e    la    circolazione  alle 
larve. 

e)  D'impedire  lo  sviluppo  di  altre  ciittogame. 

f)  Di  riparare  le  piante  dai  danni  dagli   sbalzi    di  temperatura  e 
specialmente  dal  gelo. 

Per  le  piante  che  nella  vegetazione  precedente  sono  state  colpite 
straordinariamente  da  malattie  crittogamiche,  come  peronospora,  tic- 
chiolatura,  oidium,  ecc.,  ho  trovato  conveniente  l'imbianchimento  con 
una  poltiglia  bordolese  composta  del  6  %  di  solfato  di  rame  e  6  %  di 
calce  spenta  in  100  d'acqua. 

L'imbianchimento  in  primavera  è  mano  vantaggioso. 

9.  —  Ringiovanimento  (fig.  131).  Fra  le  specie  e  varietà  di  piante 
da  frutto  coltivate,  non  sono  poche  quelle  che  si  distinguono  per 
un'abbondante  e  precoce  fruttificazione  nei  primi  anni.  Passata  però 
una  certa  epoca,  si  osserva  che  in  queste  piante  le  gettate  annuali 
crescono  sempre  più  corte  e  deboli,  la  fioritura  aumenta  a  scapito 
della  qualità,  crescono  dei  succhioni  alle  biforcazioni  dei  rami  ed  al- 
l'incurvamento delle  branche,  infine  queste  piante  non  danno  più  nuovi 
germogli  ;  le  frutta  non  vengono  più  a  maturazione,  ma,  increspate, 
ancora  verdi  e  ticchiolate,  cadono  a  terra;  —  i  rami  si  ricoprono  di 
licheni  e  muschi,  quelli  più  lontani  dal  fusto  si  disseccano  ;  —  in  una 
parola  la  pianta  accenna  a  morire. 

La  causa  di  questi  fenomeni  risiede  nel  fatto  che  la  pianta  per  la 
troppa  fruttificazione  si  è  esaurita,  e  la  presenza  dei  primi  succhioni 
alle  biforcazioni  delle  branche,  dimostra  che  queste  non  sono  più  ca- 
paci di  alimentare  i  rami  lontani,  ma  che  vogliono  riprodursi  con  rami 
giovani  e  più  vicini.  Sta  quindi  nella  abilità  ed  accorgimento  del  frut- 
ticoitore d'impedire  la  morte  della  pianta. 

La  presenza  dei  succhioni  lungo  le  branche  è  un  primo  indizio 
dell'esaurimento,  e  se  noi  asseconderemo  la  natura  col  recidere  le 
branche  per  metà  o  per  due  terzi  o  vicino  al  punto  in  cui  sorgono  i 
succhioni  noi  possiamo  salvare  la  pianta.  Questo  radicale  accorciamento 
delle  branche  si  chiama  appunto  ringiovanimento. 

Il  ringiovanimento  è  un'operazione  che  si  deve  fare  normalmente 
ogni  10  o  15  anni  per  alcune  specie  di  piante,  quali  il  pesco,  il  susino, 
il  ciliegio,  alcune  varietà  di  meli  (Renetta  di  Champagne,  Renetta  grande 
di  Gassel,  Parmaine  dorata)  e  di  peri  (William,  Butirra  Napoleone,  Bu- 
tirra bianca  d'autunno  e  Buona  Luigia  d'Avranche).  In  genere  esso  di- 
pende  invece  dal  sistema  d'allevamento,  dal  terreno  in  cui  si  trovano 


-  115  - 

le  piante.  Quanto  più  sciolto  e  sabbioso  è  il  terreno,  quanto  più  forzata 
è  la  coltivazione  di  una  pianta,  tanto  più    presto    essa   invecchia. 

Si  applica  pure  il  ringiovanimento  in  diversi  casi  con  vera  efficacia, 
e  questi  sono  ; 

a)  Quando  le  piante  soffersero  per  gelo,  per  neve,  grandine,  venti 
per  insetti  o  malattie  crittogamiche. 


Fig.  131.  —  Ringiovanimento  di  un  gelso,  un  anno  dopo  fatto  il  taglio. 


b)  Quando  sono  affette  da  clorosi. 

e)  Quando  una  pianta  riesce  improduttiva  o  di  qualità  scadente. 
Allora  si  innestano  le  branche  con  la  varietà  che  si  desidera,  o  si 
soprainnesta  con  la  stessa  varietà  per  migliorare  la  qualità. 

d)  Quando  una  parte  della  fronda  ha  preso  uno  sviluppo  non 
proporzionale  a  quello  del  fusto. 

Nell'operazione   del   ringiovanimento   bisogna   seguire   le  seguenti 
regole: 

a)  Si  operi  nel  mese  di  febbraio  e  marzo,  o  meglio  in  settembre. 

bj  L'amputazione  delle  branche  si  faccia  sull'incurvamento. 


-  116  - 

e)  I  tagli  non  devono  avere  un  diametro  superiore  di  8  cm. 

d)  Il  taglio  si  faccia,  senza  fare  lacerazioni  alla  corteccia,  ad  un 
punto  liscio  e  senza  nodi,  più  vicino  possibile  alla  base,  per  non  la- 
sciare monconi. 

e)  La  direzione  del  taglio  deve  essere  perpendicolare  all'  asse 
della  branca  che  si  taglia. 

f)  La  ferita  deve  essere  ripassata  con  un  buon  ferro  tagliente,  e 
coperta  con  un  mastice,  per  impedire  che  l'acqua  vi  penetri. 

g)  Si  può  senza  inconvenienti  amputare  contemporaneamente 
tutti  i  rami  di  una  pianta,  sia  che  si  tratti  di  ringiovanimento  o  di  so- 
prainnesto. 

h)  Nell'anno  che  segue  si  devono  lasciare  tutti  i  germogli  che 
sorgono,  indipendentemente  della  loro  posizione  ed  anche  se  la  pianta 
è  stata  innestata. 

i)  Se  a  malgrado  di  questa  capitozzatura,  la  pianta  non  sviluppasse 
dei  rami  vigorosi,  è  indizio  che  è  sofferente,  non  per  esaurimento,  ma 
per  qualche  altra  causa.  Non  trovando  questa  causa,  bisogna  allora 
atterrar  la  pianta  e,  rinnovando  il  terreno,  sostituirla  con  un'altra. 

Quando  un  tronco  od  un  ramo  vengono  tagliati  trasversalmente,  nel  moncone  ri- 
masto si  forma  intorno  al  corpo  legnoso  nella  corteccia,  o  a  meglio  diie  fra  il  legno  ed 
il  libro,  un  tessuto,  il  quale  si  rigonfia  ed  assume  presto  1"  apparenza  di  un  argine 
anullare.  Le  cellule  legnose  tagliate  e  denudate  che  sono  nel  mezzo  dell'argine  anullare, 
non  hanno  la  facoltà  di  dividersi,  di  moltiplicarsi  e  di  divenire  la  matrice  di  una  neo 
formazione,  si  disseccano  e  periscono.  Ma  il  tessuto  che  forma  l'argine  anullare,  si  allarga, 
restringe  sempre  più  la  parte  centrale  morta  della  regione  del  moncone  e  si  distende 
alla  fine  così  completamente  sulla  medesima,  che  tutta  la  sezione  è  interamente  coperta 
dalla  neoformazione.  Questa  neoformazione  è  chiamata  callo  ed  è  paragonabile  a  quella 
che  si  forma  col  connettivo  che  sta  sotto  alla  nostra  pelle,  quando  viene  tagliato  un 
braccio,  una  gamba. 

Nelle  piante  tagliate  questo  callo  ha  una  importanza  particolare  poiché  in  esso  si 
formano  delle  gemme  da  cui  si  sviluppano  i  nuovi  germogli  della  pianta  tagliata.  Sic- 
come il  callo  si  è  incuneato  fra  il  vecchio  libro  ed  il  vecchio  legno,  cosi  avviene  che  i 
nuovi  germogli  formano  un  nesso  e  connesso  col  vecchio  tronco. 

Lo  stesso  callo  si  forma  quando  noi  leviamo  una  porzione  di  corteccia  dal  fusto, 
così  pure  quando  un  germoglio  sorto  dal  callo  dissecca,  allora  viene  sostituito  da  una 
nuova  gemma  della  base  producendo  però  così  un  moncone  od  un  bitorzolo  dissecato 
che  non  è  infrequente  di  trovare  sui  rami  di  piante  troppo  sottoposte  a  tagli  continui 
come  nei  salici,  gelsi,  querele  ecc. 

10.  Incurvatura.  —  Consiste  nell'incurvare  i  rami  colla  punta  in  giù 
a  semicerchio.  Si  ricorre  a  questa  operazione  per  rallentare  il  movi- 
mento della  linfa  nei  rami  eccessivamente  vigorosi  e  costringerli  a 
fruttificare  (fig.  132). 

11.  Legatura  in  secco  e  palatura.  —  La  legatura  per  le  forme  ap- 
poggiate si  fa  iramediatainente  dopo  il  taglio  e  consiste,  dopo  avere 
determinato  la  direzione  e  la  distanza  delle  branche,  nel  fissarle  ai 
tutori  con  legaccioli  di  salice,  di  cotone,  ecc. 

Trattandosi  di  piante  libere,  il  fusto  si  suole  affidarlo  ad  un  palo 
tutore.  Questa  operazione  è  chiamata  palatura. 


—  117  — 

Molti  autori  sono  contrari  ai  pali,  perchè  le  piante  legate  danno 
bensì  getti  più  vigorosi,  ma  il  fusto  rimane  più  esile.  E  difatti,  attorno 
ad  una  pianta  lasciata  libera,  l'aria  circola  meglio  se  anche  per  lo 
scuotimento  del  vento  si  romperà  qualche  radice,  nasceranno  altre 
radici  giovani,  poiché  la  pianta  è  costretta  a  trovarsi  dei  nuovi  punti 
d'appoggio.  Per  il  fatto  poi,  che  ogni  parte  libera  cresce  sempre  più 
vigorosa  di  altra  tenuta  legata,  e  per  il  risparmio  di  tempo  e  di  denaro 
che  si  ha,  non  si  può  fare  a  meno  di  parteggiare  per  quelli  che  sono 
o  contrari  alla  palatura.  Una  pianta  da  frutto  bene  allevata  con  fusto 
e  rami  robusti  non  può  aver  bisogno  di  pali. 

Soltanto  ai  fusti  non  diritti,  il  palo  è  necessario. 

I  pali  devono  essere  diritti,  non  tanto  grossi,  secchi  e  scortecciati. 
Non  devono  essere  tanto  grossi  perchè  colla  loro  ombra  dannegge- 
rebbero il  fusto.  E'  bene  siano  di  castagno  o  frassino. 

Perchè  si  conservino  a  lungo,  il  requisito  principale  è  quello  della 
secchezza  ;  la  carbonizzazione,  l'immersione  nel  catrame,  nella  soluzione 


Fig.  1.32.        Incurvatura  di  un  ramo  fruttifero. 


di  solfato  di  rame  o  ferro,  sono  mezzi  che  giovano  limitatamente, 
avendo  queste  sostanze  una  azione  superficiale  se  al  più  i  pali  non 
sono  straordinariamente  secchi.  Per  essere  sicuri  che  i  pali  si  conser- 
vino a  lungo,  bisognerebbe  sottoporli,  in  stabilimenti  speciali,  ad  un 
trattamento  di  pressione  per  impregnarli  di  solfato  di  rame  o  subli- 
mato corrosivo. 

L'estremità  del  palo  è  bene  venga  a  trovarsi  a  5-10  cm.  al  di  sotto 
della  prima  diramazione  della  corona,  e  si  fanno  le  legature  come  è 
indicato  nella  Parte  sesta  Gap.  XVIII. 

Si  potrà  anche  tenere  fermo  il  fusto  al  palo  con  due  anelli,  che  si 
possono  aprire  a  cerniera,  rivestiti  di  paglia  e  fìssati  uno  a  circa  10  cm. 
sotto  alle  estremità  del  palo  e  l'altro  a  metà  altezza.  Questi  anelli  si 
possono  fare  con  filo  di  ferro  grosso,  quello  di  scarto  del  telegrafo. 

Trattandosi  di  piante  appoggiate,  allora  la  legatura  in  secco  consi- 
ste dapprima  nel  legare  le  branche  più  robuste  alla  intelaiatura  contro 
cui  esse  vengono  allevate  ;  si  passa  poi  alle  branche  secondarie,  quindi 
ai  rami  a  frutto,  e  di  questi,  prima  si  legano  i  superiori  e  poi  gli 
inferiori. 


—  118  - 

Sul  modo  di  legare  e  sulla  qualità  delle  intelaiature,  mi  intratterrò 
più  a  lungo  quando  si  parlerà  delle  spalliere  e  loro  armature  nella 
Parte  sesta. 

X. 
Potatura  verde. 

Quantunque  sia  antichissima  la  pratica  della  potatura  verde,  con 
tutto  ciò  da  noi  è  ancora  assai  poco  generalizzata.  Nella  coltura  della 
vite  è  entrata  fra  le  pratiche  ordinarie,  non  cosi  nella  coltivazione 
delle  altre  piante  da  frutto.  Eppure  sono  tanti  i  benefìzi  che  si  traggono 
colla  potatura  verde  e  si  eseguisce  con  tanta  facilità,  che  non  si  può 
fare  a  meno  di  raccomandarla  caldamente  quale  una  delle  pratiche 
più  importanti. 

Vedremo  più  innanzi  lo  scopo  delle  diverse  operazioni  che  si  com- 
prendono sotto  il  titolo  di  potatura  verde  ;  per  ora  basta  accennare, 
che  con  questa  si  completa  la  potatura  secca,  si  favorisce  la  fruttifi- 
cazione migliorando  la  qualità  e  si  facilita  infine  la  potatura  secca  del- 
l'anno prossimo. 

1.  La  scacchiatura.  —  Scacchiare  vuol  dire  :  togliere  alle  piante 
tutte  le  messe  nuove  mal  situate  o  superflue,  perchè  se  ne  avvantaggino 
i  rami,  che  danno  o  devono  dar  frutto  e  quelli  destinati  a  costituire 
l'ossatura  della  pianta. 

La  scacchiatura  devesi  perciò  cominciare  quando  sorgono  dei  ger- 
mogli inutili  sul  tronco  e  sui  rami.  Siccome  questi  getti  crescono  a 
danno  dei  rami  normali,  è  naturale  che  questa  operazione  devesi  fare 
in  primavera,  appena  essi  spuntano  e  devesi  ripetere  ogniqualvolta 
avessero  da  rigermogliare. 

La  scacchiatura  ha  una  particolare  importanza  pel  pesco  e  per  la 
vite.  Per  la  proprietà  che  hanno  queste  piante  di  portar  frutto  soltanto 
sui  rami  formatisi  nell'anno  antecedente,  il  frutticultore  ha,  nella  scac- 
chiatura, un  potente  mezzo  per  provvedere,  non  soltanto  ad  una  buona 
fruttificazione  dell'anno  in  corso,  ma  anche  alla  formazione  di  buoni 
rami  a  frutto  per  l'anno  venturo. 

Dobbiamo  però  in  particolar  modo  far  delle  osservazioni  rispetto 
al  modo  di  scacchiare  queste  due  piante. 

Noi,  colla  scacchiatura,  togliamo  l'equilibrio  naturale  esistente  fra 
lo  sviluppo  aereo  e  quello  sotterraneo  della  pianta.  Questo  squilibrio 
può  essere  vantaggioso  quando  si  tratta  di  una  pianta  adulta,  poiché 
allora  la  linfa  va  a  rinvigorire  quei  getti  che  rimangono.  Se  invece  la 
pianta  è  giovane  oppure  molto  vigorosa,  pel  soverchio  afflusso  della 
linfa,  i  frutti  maturano  a  stento,  spesse  volte  cadono,  e  nei  peschi  ed 
altre  piante  a  nocciolo,  essa  produce  molto  facilmente  il  male  della 
gomma.  Quindi  non  si  deve  fare  la  scacchiatura  in  una  sol  volta,  bensi 
incominciare    coi    germogli  posti    sulle    parti   più    favorite    della  linfa, 


-  119  - 

cioè  verso  la  soniinità  dell'albero,  ed  8  o  10  giorni  dopo,  si  levano  via 
quelle  delle  altre  parti. 
Riassumendo  : 

a)  La  scaccliiatura  non  devesi  applicare  atTalto  sopra  piante  gio- 
vani, e  deve  essere  limitata  per  quelle  anche  adulte,  che  sono  mollo 
vigorose. 

b)  Non  devesi  scacchiare  in  una  sol  volta  una  pianta,  si  inco- 
minci dall'alto  e  doj)o  8  o  10  giorni  si  ritorni,  per  scacchiare  i  rami 
interiori. 

e)  Per  le  piante  vecchie,  deperenti,  la  scacchiatura  ha  la  massi- 
ma importanza  non  soltanto  pei  frutti  pendenti,  ma  perla  preparazione 
dei  frutti  e  rami  dell'avvenire. 

La  scacchiatura  si  fa  meglio  colle  mani  che  cogli  strumenti  da 
taglio.  Se  i  germogli  sono  troppo  sviluppati  perchè  strappandoli  si  fa- 
rebbe una  ferita  troppo  lacera,    conviene  adoperare   il  potatoio. 

2.  La  cimaliint.  —  Consiste  nel  sopprimere  coli'  unghia  del  dito 
pollice,  premendo  contro  l'indice,  l'estremità  dei  germogli.  Togliendo 
la  cima  ai  germogli,  arrestiamo  per  il  momento  il  loro  sviluppo  in 
lunghezza,  e  la  linfa  fa  ingrandire  le  foglie,  ingrossare  i  frutti  e  le 
gemme  sottostanti. 

Mentre  la  cimatura  arreca  notevoli  vantaggi  sullo  sviluppo  della 
frutta,  non  ha  altrettanto  benefica  influenza  sulla  qualità  dei  fruiti.  Da 
esperienze  fatte,  specialmente  sulla  vite,  è  risultato,  che  quanto  più  si 
cima  tanto  più  grosse  riescono  le  frutta,  ma  tanto  meno  dolci  ed  aro- 
matiche. Cosi  si  può  osservare  quotidianamente,  che  una  stessa  varietà 
di  piante  da  frutto,  allevata  a  pieno  vento  e  senza  cimatura  dà  frutta 
bensi  più  piccola,  ma  più  gustosa  e  dolce  di  quella  ottenuta  con  una 
forma  appoggiala. 

Come  per  la  scacchiatura,  la  cimatura  non  si  deve  fare  in  una  sol 
volta  sopra  la  medesima  pianta  ma  gradualmente,  alla  distanza  di 
qualche  giorno,  cominciando  dai  germogli  superiori;  cosi  conviene  la 
sua  applicazione  più  o  meno  rigorosa  a  seconda  del  vigore  della  pianta 
e  della  sua  fertilità.  Quanto  più  produttiva  è  una  pianta,  tanto  meno 
occorre  cimare;  cosi,  quando  si  ha  eccessivo  vigore  sarebbe  un  errore 
cimare  troppo  corto  e,  se  la  pianta  è  debole,  si  lascia  intatta. 

Colla  cimatura  ci  proponiamo  tre  scopi: 

a)  Di  rallentare  lo  sviluppo  dei  germogli  che  crescerebbero 
troppo  vigorosi,  e  di  favorire  lo  sviluppo  dei  più  deboli. 

b)  Di  mantenere  i  rami  a  frutto  già  costituiti  negli  anni  prece- 
denti e  di  conservare,  migliorando,  il  frutto  pendente. 

cj  Di  provocare  lo  sviluppo  di  nuovi  rami  o  gemme  a  frutto. 

A  raggiungere  il  primo  scopo  e  cioè  di  equilibrare  la  pianta,  basta 
sorvegliare  se  qualche  germoglio  minaccia  di  passare  gli  altri  in  lun- 
ghezza. In  questo  caso,  cimando  il  germoglio  più  vigoroso  all'altezza 
dei  deboli,  si  rallenta  il  suo  sviluppo. 

Per  raggiungere  gli  altri  due  scopi,  bisogna  distinguere  a  seconda 
pelle  diverse  specie  di  [)ianle. 


120   - 


3,  L'incisione  anulare.  —  Anche  questa  è  una  operazione  che  si  fa 
esclusivamente  alla  vite  e  che  riporto  dal  mio  Manuale  Hoepli:  —  Uue 
da  tavola. 

"Quando  la  vite  è  in  piena  fioritura,  allo  scopo  di  impedire  la 
colatura  dei  fiori  nonché  di  sviluppare  di  più  il  grappolo  anticipando 
anche  la  sua  maturazione,  si  suole  togliere  un  anello  di  corteccia  larga 
3  mm,  (A  fig.  133)  immediatamente  sotto  il  primo  grappolo,  in  modo 
però  da  non  intaccarre  l'alburno.  Questa  incisione  fa  arrestare  la  linfa 
elaborata  dalle  foglie  superiori  a  vantaggio  dei  grappoli. 

"  Nell'allevamento  delle  uve  da  tavola  si  può 
applicare  questa  incisione  soltanto  quando  si  de- 
vono sopprimere  lutti  i  getti  che  portano  frutto, 
come  sarebbe  col  sistema  Guyot,  non  mai  però 
quando  trattasi  di  cordoni  permanenti. 

"  Per  meglio  eseguire  l'operazione,  anziché  ado- 
perare  un   coltello,  si    sono    costruite  delle  appo- 
site tanagliette,  quali  quella  del  Pulifìci   (fig.  67).  „ 
4.  —  Uinfrangimento  si  opera  sui  germogli  al 
di  sopra   di   cinque    o    sei    foglie,    allorquando   la 
loro  base  ha  preso  una  consistenza  legnosa.   Vien 
fatto  specialmente  sui  germogli  degli  alberi  a  gra- 
nella, ma  solo  quando  non  si  é  potuto  operare  la 
cimatura.    L' infrangimento  si  fa  appogiando  il  ta- 
glio   del    potatoio    contro  il  ramo   al  punto  in  cui 
si  vuol   recidere,    rovesciando    col    pollice    questo 
ramo    sopra    la    lama    e    invece   di  svettarlo,  lo  si 
lascia  penzoloni,   acciò   continui    a    vegetare  anche  la  parte  infranta  e 
così  evitare  che  le  gemme  della  parte  inferiore,  diano  per  il  soverchio 
vigore  dei  rami  anticipati,  anziché  dei  dardi  (fig.  134). 

5.  —  La  torsione  si  applica  nello  slesso  caso  dell'operazione  pre- 
cedente. Per  fare  la  torsione  si  prende  con  due  dita  della  mano  sini- 
stra il  ramo  sul  quale  si  vuol  operare  e  coli'  altra  mano  si  torce  la 
parte  soverchia,  sopra  la  parte  inferiore  (fig.  135). 

6.  —  L' incurvamento  dei  rami  consiste,  nel  curvare  a  forma  di 
cerchio  o  ad  arco  certi  rami,  allo  scopo  di  costringerli  a  dar  frutto. 

7.  Legatura  in  verde.  —  Consiste  nel  fissare  contro  i  muri  e  le  arma- 
ture i  germogli  di  prolungamento  dei  rami  delle  piante  allevate  a  spal- 
liera, come  anche  i  getti  fruttiferi  del  pesco  e  della  vite.  La  legatura 
in  verde  o  palizzatura  di  estate,  come  viene  anche  chiamata,  serve  per: 

a)  supplii'e  alla  sfrondatura. 

b)  riparare  ai  difetti  della  potatura  secca. 

e)  facilitare  la  colorazione  e  la  maturazione  dei  frutti. 

d)  favorire  l'afflusso  della  linfa    piuttosto    sopra  una  branca  che 
sopra  un'altra. 

e)  preparare  la  pianta   al   taglio  secco,   rendendolo   meno   lungo 
e  diffìcile. 


Fig.  133.  —  Incisione 

anulare  della  vite 

A  -  l'incisone 


-  121  — 

f)  evitare  che  i  giovani  germogli  si  pieghino  e  si  guastino  per 
il  vento. 

L'epoca  nella  quale  bisogna  fare  la  palizzatura  dipende  interamente 
dalla  specie  ed  anclie  dalla  varietà  dell'albero,  sul  quale  si  opera.  È 
evidente  che  le  varietà  che  danno  frutta  precoci  devono  essere  paliz- 
zate prima  e  più  tardi  le  varietà  tardive.  Ciò  dipende  anche  dalla  ve- 
getazione della  pianta  più  o  meno  rigogliosa,  poiché  è  naturale,  che 
una  pianta  vigorosa  bisognerà  legarla  prima  che  una  debole.  Dunque 
noi  non  diremo,  come  molti  autori,  che  la  palizzatura  devesi  fare  in 
giugno  o  luglio  ;  suggeriremo  invece  di  farla  nel  momento  in  cui  si 
presentano  minori  inconvenienti. 

Quando  il  muro  non  ha  reticolati,  conviene  servirsi  di  stracci,  al- 
trimenti s'impiega  il  giunco,  che  è  la  più    economica    fra    le   legature 


'^y       Fig.  134.  —  Intranginiento. 


Fig.  135.  —  Torsione. 


Nel  legare  bisogna  por  mente  che  il  germoglio  possibilmente  non  toc- 
chi il  chiodo  od  il  filo  di  ferro,  perchè  si  potrebbero  produrre  delle 
ferite,  e  nelle  piante  a  nocciolo  la  malattia  della  gomma.  Naturalmente 
le  legature  bisogna  farle  rilassate,  nella  prevenzione  dello  sviluppo  dei 
germogli. 

8.  —  Taglio  verde  da  molti  anche  chiamato  potatura  in  verde.  Con 
un  tal  titolo  si  indicano  tutte  le  amputazioni  fatte  col  potatoio  o  colla 
forbice,  quando  gli  alberi  sono  in  vegetazione  e  servono  a  liberare  le 
piante  di  quei  rami,  che  furono  lasciati  nella  potatura  secca  per  un 
dato  scopo  che  non  hanno  raggiunto. 

Cosi  ad  esempio  per  il  pesco,  se  un  brindillo  venne  lasciato  lungo 
per  portare  frutti  e  questi  non  attecchirono,  si  taglia  il  detto  ramo 
immediatamente  sopra  alle  due  prime  gemme,  per  ottenere  da  queste 
due  germogli  più  vigorosi  dalla  base.  Cosi  per  la  vite.  Se  dopo  lo  svi- 
luppo dei  germogli  uviferi,  viene  una  tempesta  che  li  danneggia,  si 
taglia  il  ramo  a  frutto,  per  rinforzare   i    due   germogli   dello   sperone. 


—  122  - 

Inlìne,  se  questi  rami  hanno  portato  fruito  si  possono  tagliare  appena 
il  frutto  è  stato  raccolto. 

Un  tale  taglio  si  fa  quindi  dal  maggio  al  mese  di  settembre  e  cioè 
appena,  quella  data  parte  di  ramo,  viene  riconosciuta  inutile. 

Il  taglio  verde  conviene  ancora  ap])l icario  quando  si  vede  minac- 
ciato l'equilibrio  fra  le  branche. 

9.  Soppressione  dei  bolloni,  dei  fiori  e  dei  frutti  troppo  numerosi.  — 
Negli  anni  d'abbondanza,  se  si  lasciassero  tutti  i  frutti,  essi  restereb- 
bero piccoli,  di  qualità  scadente  e  l'albero  si  guarnirebbe  di  un  esiguo 
numero  di  gemme  a  frutto  per  l'anno  venturo. 

Per  gli  alberi  con  frutto  a  nocciolo,  la  soppressione  si  deve  fare 
quando  gli  endocarpi  si  sono  già  formati,  e  cioè  in  principio  di  giugno. 
Si  abbia  cura,  nella  soppressione,  di  conservarne  meno  sui  rami  deboli 
che  sui  forti.  Per  i  peschi  se  ne  possono  lasciare  da  20  a  25  per  m^„ 
e  sugli  albicocchi  da  40  a  50. 

Sul  pero  e  sul  melo  si  fa  la  soppressione  presso  a  poco  nella  me- 
desima epoca,  togliendo  i  frutti  mal  formati,  i  quali  in  seguito  si  dira- 
dano in  modo,  da  lasciare  una  mezza  dozzina  di  pere  per  ogni  metro 
di  lunghezza  del  ramo.  Naturalmente  tutto  ciò  dipende  dalle  varietà  di 
I)iante  che  si  coltivano. 

Per  il  commercio  delle  uve  da  tavola,  onde  ottenere  degli  acini 
più  voluminosi,  si  suole  lasciare  un  solo,  al  massimo  due  grappoli, 
per  ti'alcio  fruttifero. 

Quando  gli  acini  hanno  raggiunto  la  grossezza  di  un  pisello  si 
diradano  con  forbici  (fig.  45)  non  aguzze  a  punta  accuminata,  ma  appo- 
sitamente costruite,  togliendo  quelli  meno  sviluppati  e  troppo  fìtti. 
Trattandosi  di  viti  giovani  o  molto  vigorose,  le  quali  di  solito  danno 
grappoli  lunghi,  si  recide  addirittura  la  punta  del  grappolo  per  2  o  3 
cm.  di  lunghezza. 

Col  diradamento  si  tolgono  anche  tutti  gli  acini  non  fecondati  ed 
imperfetti.  Alle  varietà  ad  acini  grossi  si  tolgono  circa  due  quinti  de- 
gli acini  ed  alle  uve  con  acini  piccoli,  circa  il  quinto.  Così  gli  acini 
lasciati  si  sviluppano  straordinariamente,  l'uva  matura  meglio,  più 
presto,  non  infracidisce,  e  viene  meno  colpita  dagli  insetti. 

E'  una  operazione  questa  di  somma  delicatezza,  che  per  lo  più 
viene  fatta  dalle  donne.  Nel  fare  il  diradamento,  non  si  deve  toccare 
il  grappolo,  né  gli  acini  che  si  devono  lasciare;  bisogna  acquistare 
una  certa  pratica  per  saper  scegliere  gli  acini  da  tagliarsi  avendo  ri- 
guardo anche  alla  forma  del  grappolo. 

La  soppressione  dei  bottoni  e  dei  fiori  si  può  applicare  con  van- 
taggio sopra  piante  deperenti.  A  tutti  è  noto  che  una  pianta  da  frutto, 
esaurita  o  vicina  a  morire,  emette  una  quantità  di  bottoni  e  poi  di 
fiori.  Lasciando  queste  produzioni,  non  si  farebbe  che  aflrellare  la 
morte.  E'  quindi  consigliabile,  quando  la  pianta  è  in  fioritura,  di  levare 
delicatamente  tutti  i  fiori.  Avviene  molto  di  sovente  che  allora,  alla 
base  dei  fiori,  vengono  emessi  dei  germogli  e  con  ciò  la  pianta  acquista 


-  123  - 

in  vegetazione.  Per  la  difficoltà  della  scelta  dei  bottoni  non  possiamo 
consigliare  la  soppressione  di  questi,  bensì  quella  dei  fiori,  che  è  molto 
più  sicura. 

10.  Sfogliatura.  —  Questa  operazione  ha  lo  scopo  di  esporre  diret- 
tamente i  frutti  all'influenza  dei  raggi  solari,  perchè  diventino  più  sa- 
l)oriti  ed  anticipino  la  maturazione.  Si  pratica  specialmente  sui  peschi 
e  sulla  vite,  allevati  a  spalliera.  La  sfogliatura  si  comincia  quando  i 
frutti  sono  sul  punto  di  maturare,  e  cioè  10  o  12  giorni  prima  della 
raccolta. 

Si  levano  le  foglie  che  stanno  fra  il  frutto  ed  il  muro  per  uti- 
lizzare meglio  i  raggi  riflessi  da  quest'ultimo. 

Quando  comincia  la  maturazione  dei  grappoli  e  cioè  quando  gli 
acini  cominciano  a  cambiare  di  colore,  si  sopprime  qualche  foglia 
esterna,  e  specialmente  quelle  che  danno  troppa  ombra.  Perciò  le  foglie 
'poste  sotto  e  piegate  contro  il  muro,  poi  quelle  che  toccano  i  grappoli, 
conservando  però  sempre  una  o  due  foglie  sopra  al  grappolo  che 
funzionano  da  riparo. 

11.  Privazione  della  luce.  —  Si  sa  che  la  luce  è  uno  degli  agenti 
principali  di  vegetazione  delle  piante.  Quando  si  vuole  che  una  parte 
della  pianta,  perchè  troppo  vigorosa,  non  continui  a  crescere  a  scapito 
di  un'altra,  si  suole  coprire  quella  più  vigorosa  con  una  stuoia  distesa 
sopra  un  telaio  :  e  questo  riparo  si  lascia  fino  che  1'  altra  parte  rag- 
giunge lo  sviluppo  desiderato.  Questo  sistema  è  impiegato  specialmente 
alle  spalliere  di  pesco. 

12.  Insaccamento  dei  frutti.  —  Per  preservare  le  uve  da  mensa  dalle 
api  e  vespe,  già  da  tempo  si  usa  insaccarle.  Più  recente  è  la  pratica 
dell'insaccamento  degli  altri  frutti  come  le  pere  e  mele  che  le  preser- 
vano dalla  ticchiolatura,  dalla  pirale  e  da  altre  insidie. 

Il  frutto  in  realtà  in  questa  vita  confinata,  oltre  essere  preservato 
dalle  malattie,  acquista  un  aspetto  più  leggiadro  ed  aggradevole  all'oc- 
chio ;  la  buccia  si  rende  più  sottile,  prende  delle  sfumature  più  deli- 
cate; si  sviluppa  meglio  e  nell'assieme  acquista  dei  pregi  incontesta- 
bili molto  apprezzati  sul  mercato. 

L'insaccamento  dell'uva  fa  anticipare  di  qualche  giorno  la  matu- 
razione, ma  non  è  consigliabile  che  per  le  varietà  bianche  poiché  per 
le  altre  il  colorito  riesce  più  sbiadito. 

Per  le  pere  e  mele  che  devono  prendere  un  colorito  più  intenso, 
i  sacchetti  devono  essere  levati  8  o  10  giorni  prima  del  raccolto,  per- 
chè possano  godere  del  sole  e  dell'aria  libera.  Questo  periodo  è  suffi- 
ciente per  far  sviluppare  alla  buccia  quel  pigmento  colorato  e  che 
rende  le  frutta  più  apprezzate.  Alle  varietà  molto  colorate,  l'insacca- 
mento è  meglio  non  farlo. 

I  sacchetti  non  devono  essere  tolti  bruscamente,  per  evitare  dei 
colpi  di  sole.  Il  primo  giorno  si  comincia  a  scoprire  la  parte  vicina  al 
penducolo,  il  secondo  giorno  si  scopre  a  metà  ed  appena  nel  terzo 
giorno  lo  si  leva  del  tutto.  Queste  operazioni  si  fanno  al  tramonto  del 
sole  o  nelle  giornate  coperte. 


-  124  - 

I  sacchetti  si  fanno  di  carta  bianca  o  giallastra  semi  lucida,  im- 
permeabile, in  modo  che  la  luce  possa  penetrarvi  e  aperti  al  di  sotto 
specialmente  per  l'uva. 

Perchè  il  frutto  rimanga  aereato  bisogna  che  il  sacchetto  sia  grande 
e  si  fanno  dei  fori  con  uno  spillo  nella  carta  ed  anche  sul  fondo,  perchè 
scoli  via  l'acqua. 

La  forma  può  essere  varia  a  seconda  della  forma  presumibile  del 
frutto,  ma  la  preferibile  è  a  campana  modello  Opoix,  che  sono  tenuti 
aperti  nel  fondo  mediante  un  filo  o  una  lista  di  cartone.  Il  sacchetto 
ha  una  fenditura  laterale,  che  serve  per  farvi  passare  il  penducolo  del 
frutto,  poscia  si  riuniscono  i  margini  piegandoli  e  si  attaccano  al  pen- 
ducolo, senza  farvi  entrare  le  foglie  della  borsa.  La  legatura  si  fa  con 
del  filo  di  piombo. 

Si  possono  anche  adoperare  dei  sacchetti  chiusi  ed  allora  il  frutto 
viene  quasi  a  contatto  della  carta,  ciò  che  non  è  desiderabile  special- 
mente per  l'uva. 

L'uva  si  rinchiude  nei  sacchetti,  appena  fatto  il  diradamento  degli 
acini,  scegliendo  naturalmente  i  grappoli  più  belli  e  sani  perfettamente, 
poiché  c'è  molto  da  temere  che  l'uva  nell'interno  marcisca.  Se  si  ha 
questo  timore  si  attenda  anzi  di  fare  l'insaccamento,  all' invajatura. 

L'insaccamento  si  raccomanda  esclusivamente  per  le  forme  appog- 
giate (cordoni,  spalliere).  Nelle  piante  libere,  esposte  al  vento,  l'insac- 
camento fa  cadere  di  più  le  frutta. 


PARTE  QUARTA 
FORME 


I. 
Perchè  alle  piante  da  frutta  si  danno  forme  speciali. 

1.  —  Abbandonando  una  pianta  a  sé  stessa,  essa  assume  un  porta- 
mento speciale,  inerente  alla  sua  natura  e  perciò  chiamato  portamento 
naturale.  Questa  pianta  si  distinguerà  fra  tutte  le  altre  coltivate  per  la 
sua  robustezza,  longevità  e  dimensione.  Se  costretta  invece  a  prendere 
una  data  forma,  secondo  la  volontà  dell'uomo  avrà  un  minore  sviluppo 
apparente,  ma  mentre  dalla  prima  si  otterrà  un  prodotto  di  frutta, 
abbondante  si  ma  saltuario,  dalla  seconda  si  otterrà  costantemente  un 
sicuro  prodotto.  E  qui  non  si  limita  il  vantaggio  delle  forme. 

Dando  una  forma  alle  piante,  noi  limitiamo  lo  spazio  da  esse  oc- 
cupato e  perciò  abbiamo  la  possibilità  di  coltivarne  un  maggior  numero, 
nello  stesso  spazio  e  senza  danneggiare  altre  colture  sottostanti.  Di  più 
si  assicura  il  prodotto,  si  rende  più  intensiva  la  produzione,  così  da 
poter  raggiungere  lo  scopo  finale  comune  a  tutte  le  industrie  e  cioè  di 
produrre  il  massimo  con  la  minor  spesa. 

Se  bene  si  rammenta  il  nostro  benevolo  lettore,  un  consimile  ragionamento  l'ab- 
biamo latto  quando  si  trattava  di  dimostrare  la  necessità  della  potatura  e  perciò  la  sua 
importanza.  Difatti  lo  studio  delle  forme  non  è  altro  che  una  applicazione  continua 
della  potatura.  Abbiamo  dovuto  studiare  l'organizzazione  delle  diverse  specie  di  piante 
coltivate  per  trarne  poi  dei  precetti  o  norme  sui  modi  di  potare,  e  in  questo  studio 
delle  forme  bisognerà  richiamare  alla  mente  quelle  istruzioni  ed  applicarle,  a  seconda 
che  lo  consente  la  natura  della  pianta.  Ad  una  pianta,  è  vero,  si  può  dare  quasi  sempre 
la  forma  che  si  desidera,  ma  noi  dobbiamo  considerare  per  razionale  quella  che  ci  dà 
il  maggior  reddito.  In  una  parola  non  tutte  le  forme  si  prestano  egualmente  od  anche 
per  le  specie  di  piante  coltivate  per   le  varietà  della  stessa  specie. 

Se  guardiamo  nel  passato  noi  troviamo  che  le  forme  hanno  una 
storia  molto  più  antica  della  frutticoltura  in  genere.  L'uomo  possiede 
per   istinto  l'idea  di  dominare  e  di  imprimere  la  sua  volontà  e  certa- 


-  126  - 

mente  nei  parchi  coltivati  si  avrà  voluto  dare  alle  piante  una  forma 
piacevole  all'occhio  per  dilettare  la  dama  di  corte  o  per  rendere  più 
piacevole  il  soggiorno  del  principe. 

Dilatti  la  storia  ci  racconta  come  ben  allineati,  tagliati  e  ben  tenuti 
fossero  gli  alberi  dei  ricchi  giardini  indiani  e  babilonesi.  In  tempi  più 
moderni  sappiamo  che  i  giardinieri  francesi  davano  alle  piante  dei 
parchi  la  forma  di  mostri,  di  statue,  per  compiacere  re  e  cortigiani. 

E'  sicuro  che  noi  di  queste  forme  non  intendiamo  parlare.  Oggi 
col  dare  la  forma  ad  una  pianta  ci  proponiamo  è  vero  di  renderla 
piacevole  all'occhio,  ma  più  ancora  di  renderla  più  produttiva.  Quindi 
non  è  il  capriccio  o  il  puro  senso  del  bello  che  ci  guida,  ma  è  la  pra- 
tica razionale  di  coltivare  le  piante  da  frutto,  avvalorata  dagli  esperi- 
menti più  rigorosi  di  persone  competenti.  La  forma  è  il  mezzo: 

a)  di  ottenere  la  produzione  massima  di  frutta  dalle  singole 
qualità  coltivate; 

b)  di  diminuire  i  danni  dell'ombra  ad  altre  coltivazioni  ; 

cj  di  mantenere  l'equilibrio  fra  le  diverse  parti  della  pianta  e 
quindi  una  maggiore  regolarità  di  produzione; 

d)  di  riparare  le  frutta  dai  danni  del  vento,  della  grandine  ed 
altre  intemperie  per  quanto  possibile  ; 

ej  di  affrettare  o  ritardare  a  piacere,  la  maturazione  delle  frutta  ; 
fj  di  ottenere  frutta  più  grosse,  più  belle  e  saporite. 
2.  —  Le  forme  che  vengono  date  alle  piante  da  frutto  sono  molte, 
e  variano  a  seconda  della  specie,  delle  condizioni  di  clima,  terreno  ed 
infine  a  seconda  delle  condizioni  economiche. 
Le  forme  da  me  proposte  sono  quelle  : 

a)  che  si  ottengono  più  facilmente; 

b)  che  si  ottengono  in  breve  tempo  cosi  che  presto  occupano  il 
posto  a  loro  designato  ; 

cJ  che  hanno  le  branche  meglio  disposte  in  modo  che  i  frutti 
possono  godere  al  massimo  l'aria  e  la  luce; 

d)  che  permettono  senza  difficoltà  e  con  rapidità  ed  economia 
di  tempo  a  fare  le  potature  e  tutte  le  operazioni  necessarie  per  com- 
battere le  malattie. 

Come  consiglio  di  abbandonare  le  forme  cosi  dette  artistiche  che 
soddisfano  più  che  altro  il  senso  estetico  o  l'ambizione  personale  di  chi 
le  ottiene,  debbo  anche  raccomandare  di  ridurre  sempre  più  quelle 
forme  giganti,  quegli  alberi  che  obbligano  il  potatore  ad  adoperare  delle 
scale  lunghe  e  pericolose,  in  cima  alle  quali  non  si  può  operare  mai 
con  esattezza  e  con  raziocinio. 

Una  delle  caratteristiche  della  nostra  frutticoltura  in  Italia  è  il  pre- 
dominio di  queste  forme  alte,  naturali,  raramente  sottoposte  al  taglio. 
Se  andiamo  negli  Stati  Uniti  dove  gli  impianti  sono  recenti,  razionali  e 
fatti  per  estensioni  immense,  la  caratteristica  di  quelle  piantagioni  con- 
siste nell'avere  le  piante  senza  fusto.  Il  fusto  è  completamente  elimi- 
nato. A  queste  ultime  forme  noi  dobbiamo  arrivare  nella   coltivazione 


-  127  - 

in  grande  e  cioè  alla  forma  a  vaso  o  piramidale  e  che  ora  vedo  appli- 
cata abbastanza  eslesamente  per  il  pesco.  I.e  forme  più  piccole  e  le 
appoggiate  conviene  applicarle  per  i  fruiteti  di  speculazione  e  casa- 
linghi. 

Ed  ecco  senza  altro  le  forme  di  cui  tratteremo    e    che  ritengo  più 
convenienti  per  le  nostre  piante  da  frutto. 


libere 


Forme 

cordone . 


»l)poggiate  '^  ad 

palmella 


/  ^• 

piramide 

''' 

fuso 

\3. 

basse 

pieno  e  mezzo  vento 

alberello 

cespuglio 

\    7. 

ceppala 

8. 

annuo 

permanente 

\       9. 

semplice 

'     10. 

doppio 

\  li. 

U  semplice 

Iì2. 

U  doppia 

,13. 
U4. 

verticale  a  5  rami 

Verri er  a  6  rami 

jl5. 

semplice 

'l6. 

doppia 

II. 

Piramide. 

1.  —  Fra  le  forme  libere,  la  piramide  è  sicuramente  delle  più  im- 
portanti, sia  per  la  sua  eleganza,  sia  per  la  produzione.  A  dire  il  vero, 
dagli  scrittori  più  antichi  la  piramide  è  stata  più  apprezzata  che  non 
adesso. 

Gli  appunti  principali  che  le  si  fanno  riguardano,  alcuni  la  difficoltà  di  ottenerla, 
altri  la  produzione,  altri  infine  l' inflennza  dannosa  che  subisce  per  le  intemperie. 

c;he  vi  siano  delle  difficoltà  per  ottenere  (juesta  forma,  non  puossi  negarlo,  e  ciò 
ho  potuto  constatare,  non  soltanto  nella  pratica,  ma  anche  visitando  dei  frutteti  nei 
quali  in  pochi  casi  ho  trovato  delle  piramidi  perfette.  I  difetti  principali  di  forma  che 
ordinariamente  si  verificano  sono  due  e  cioè  :  l'asse  centrale  riesce  troppo  sviluppato  in 
confronto  delle  branche  laterali  o  viceversa.  Nel  primo  caso  abbiamo  le  piramidi  poco 
produttive,  nel  secondo  delle  piramidi  poco  resistenti  ai  venti.  Ma  tutto  questo  dipende 
dall'imperizia  del  potatore,  il  quale  non  sa  mantenere  l'eipiilibrio  fra  lo  sviluppo  delle 
branche  e  quello  del  fusto.  Allora  avviene  che  la  linfa,  essendo  attirata  per  maggior 
parte  dalle  branche  inferiori,  arriva  all'estremità  molto  debole  e  perciò  le  branche 
della  cima  riescono  poco  o  affatto  produttive,  f^e  estremità  delle  branche  inferiori  si 
allungano  troppo  rimanendo  debole  la  base,  con  evidente  pericolo  di  rompersi  col  peso 
dei  frutti. 

Rispetto  alla  produzione,  molti  asseriscono  che  questa  non  è  tanto  rilevante  da 
compensare  lo  spazio  di  terreno  occupato  dalla  piramide,  che  i  frutti  lontani  dall'  asse 


-  128  - 

centrale  si  sviluppano  poco,  e  quelli  del  centro  non  godono  tutti  i  benefìzi  dell'aria  e 
della  luce. 

10  credo  invece  che,  fra  le  forine  libere,  sia  la  migliore  per  quantità  di  produzione. 
Dopo  4  anni  d'impianto,  dalle  piramidi  si  comincia  già  avere  un  discreto  raccolto, 

che  va  aumentando  ogni  anno  tanto  da  dover  diradare  molto  di  frequente  anche  le 
frutta  pendenti. 

Più  fondata  invece  è  l'osservazione  che  le  frutta  del  centro  sono  poco  ventilate  e 
che  dalle  branche  si  ottengono  delle  frutta  poco  sviluppate. 

Per  rimediare  a  questo  inconveniente  consiglierei  di  allevare  a  piramide  soltanto 
le  varietà  estive  ed  autunnali  e  non  le  invernenghe. 

Le  intemperie  che  maggiormente  danneggiano  le  nostre  piante  da  frutto  sono  :  la 
brina,  i  venti  e  la  grandine.  Per  la  brina  è  sicuro  che  la  piramide  soffre  più  del  pieno 
o  mezzo  vento,  ma  da  noi  son  ben  rari  i  casi  in  cui  si  formino  delle  brine  tanto  forti 
al  tempo  della  fioritura  del  pero,  da  danneggiare  tutta  la  pianta.  In  ogni  modo  non 
converrà^piantare  a  levante  le  piramidi,  ma  invece  a  file  da  nord  a  sud  e  possibilmente 
nel  mezzo  del  frutteto,  anziché  nei  contorni.  Invece  il  vento  e  la  grandine  danneggiano 
meno  questa  forma  che  qualsiasi  altra,  inquantocliè  il  maggior  peso  della  pianta  gra- 
vita in  basso  e  le  frutta  vengono  riparate  dai  rami  superiori. 

La  piramide  oggi  è  preferita  anche  per  le  piantagioni  industriali 
fatte  in  grande  come  si  fa  in  California,  dove  per  ettari  ed  ettari  di 
terreno  si  pianta  in  pieno  campo. 

2.  —  Non  tutte  le  specie  fruttifere  si  prestano  per  la  piramide.  Le 
varietà  più  vigorose  del  pero  sono  quelle  che  meglio  si  adattano,  poi 
viene  il  melo.  Anche  col  ciliegio  e  susino  e  specialmente  per  alcune 
varietà  si  possono  avere  delle  buone  piramidi. 

3.  —  La  piramide,  come  io  la  intendo,  componesi  d'un  fusto  alto 
da  m.  3  a  4,  il  quale,  cominciando  da  35  a  40  cm.  dal  terreno,  porta 
dei  rami  (branche)  laterali,  la  di  cui  lunghezza  diminuisce  regolarmente 
di  mano  in  mano  che  si  avvicinano  all'  estremità.  Dico  regolarmente, 
poiché  per  stabilire  la  lunghezza  delle  branche  bisogna  tenere  per 
principio,  che  ogni  branca  deve  avere  una  lunghezza  eguale  ad  un  terzo 
della  distanza  che  separa  la  sua  base  dall'estremità.  Cosi  ad  esempio  unn 
piramide  alta  m.  3  dovrà  avere  le  prime  branche  inferiori  lunghe  m.  1. 

Nella  fig.  136  riporto  l'illustrazione  di  una  piramide  tipica. 

Le  branche  non  devono  mai  biforcare  e  devono  portare  solo  dei 
rami  a  frutto.  Le  biforcazioni  però  molte  volte  sono  utili  per  rimpiaz- 
zare un  vacuo  ;  ma  lasciandole,  si  incorre  nel  facile  pericolo  di  squi- 
librare la  pianta  e  di  avere  dei  rami  troppo  fitti,  come  si  vede  nella 
lìg.  137. 

Nei  primi  anni  queste  branche  devono  venir  dirette  in  modo  da 
formare  col  piano  orizzontale  un  angolo  di  48°,  che  negli  anni  succes- 
sivi poi  prende  una  inclinazione  di  45"  fino  a  40"  per  il  peso  delle 
frutta  pendenti.  Colla  inclinazione  di  48"  si  ha  la  massima  ventilazione 
ed  una  maggior  azione  della  luce.  Questa  inclinazione  ha  pure  il 
vantaggio  di  favorire  l'allungamento  delle  branche  e  contemporanea- 
mente di  rinvigorirsi  in  modo  da  poter  poi  sostenere  il  peso  dei  frutti. 

11  contrario  succede  quando  le  branche  formano  un  angolo  di  25" 
o  meno.  Trovandosi  in  questo  caso  quasi  orizzontali,  acquistano  poca 
forza  e  tendono  a  piegarsi  sempre  più  colla  fruttificazione. 


-  129  - 

Come  il  lettore  vede  nella  fig.  136,  le  branche  laterali  sono 
disposte  a  serie  di  4  quasi  unite  alla  base.  Ciò  non  si  può  ottenere 
sempre  facilmente,  anzi  dirò  che  praticamente  alla  prima  serie  si 
lasciano  anche  5  branche  e  nelle  serie  superiori  4,  e,  se  non   vengono 


Fig.  136.  —  Piramide  alata. 


tutte  unite  e  sovrapposte  una  all'altra  come    si    vede   nella    fig.  137,  si 
procura  che  si  alternino,  in  modo  da  ottenere  un  cono  completo. 

Nel  primo  terzo  d'altezza  è  bene  che  le  serie  distino  fra  loro  25  cm., 
nel  secondo  30  cm.,  nell'ultimo  terzo  35  cm.  e  ciò  perchè  le  branche 
inferiori,  essendo  più  lunghe,  tendono  sempre  a  piegarsi  di  più  delle 
branche  superiori. 

9  —  Tamaro  -  FrutticoHiira. 


-  130  - 

4.  —  Per  formare  delle  piramidi  si  scelgano  dei  soggetti  vigorosi 
di  un  anno  (fìg.  138).  Preferisco  i  soggetti  di  un  anno  a  quelli  di  due, 
poiché  questi  ultimi  non  hanno  di  solito  diritta  l'asta  di  prolungamento, 
in  causa  del  taglio  a  cui  vengono  sottoposti  nel  primo  anno  di  vivaio, 
oppure  hanno  delle  biforcazioni. 


Fig.  137.  —  Piramide  comune. 


L' impianto  si  fa  in  linea  a  3  o  4  metri  di  distanza  fra  pianta  e 
pianta  (ossia  ad  una  distanza  eguale  all'altezza  a  cui  si  vuol  far  arri- 
vare la  piramide)  ed  in  caso  in  cui  si  avessero  a  piantare  lungo  il  ci- 
glio di  un  appezzamento,  a  m.  1,50  di  distanza  dal  viale. 

Nel  primo  anno  d'impianto  si  recide  il  soggetto  a  50  cm.  dal  ter- 
reno e  sopra  una  gemma  [h  fig.  138)  opposta  alla  parte  dove  il  fusto 
rimane  incurvato  per  l'innesto  («  fìg.  138). 


131 


La  potatura  verde  comincia  quando  le  giovani  gettate  hanno  rag- 
giunta una  lunghezza  di  5  cm.  Se  ne  sceglie  una  per  prolungamento  e 
la  si  mantiene  diritta  mediante  un  tutore.  Dei  getti  laterali  si  scelgano 
5  buoni  germogli  equidistanti  uno  dall'altro,  sopprimendo  tutti  gli  altri. 

A  questi  germogli  si  dà  una  inclinazione  di  48°  mediante  bacchette 
che  si  incrociano  sull'asse  della  pianta.  Praticamente  si  suole  misurare 
la  lunghezza  del  germoglio  e  si  dà  poi  alla  bacchetta  una  inclinazione 
tale  che  la  sua  estremità  disti  dal  fusto  di  '^j.^  di  questa  lunghezza. 
Quando  questi  germogli  hanno  raggiunto  la  lunghezza  di  50  cm.  si 
cimano  di  10  cm.  riducendoli  a  40.  Si  abbia 
cura  di  cimare  soltanto  le  gettate  forti,  le  de- 
boli è  meglio  lasciarle  intatte.  Molte  volte  que- 
sta cimatura  bisogna  rinnovarla  2  e  3  volte 
lungo  la  stagione.  Applicando  questa  cimatura 
noi  favoriamo  lo  sviluppo  del  fusto  il  quale, 
alla  fine  dell'  anno,  deve  essere  la  metà  o  due 
terzi  più  lungo  delle  branche  laterali  e  4  o  5 
volte  più  grosso.  Sul  fusto  non  consiglio  perciò 
di  fare  alcuna  cimatura,  però  quando  si  tratta 
di  ristaurare  un  albero  male  equilibrato  o 
quando  la  linfa  accenna  ad  abbandonare  le 
branche  inferiori,  la  cimatura  del  prolunga- 
mento del  fusto  può  recare  dei  vantaggi. 

Per  spiegare  i  tagli  che  si  devono  applicare 
negli  anni  successivi  per  formare  la  piramide, 
tratteremo  separatamente  il  taglio  del  fusto,  il 
taglio  delle  branche  laterali  ed  il  taglio  dei 
rami  fruttiferi. 

5.  —  Il  prolungamento  del  fusto  si  po- 
trebbe chiamare  debole,  quando  la  sua  lun- 
ghezza non  oltrepassa  i  25  cm.  In  questo  caso 
conviene  lasciarlo  intatto  ed  anzi  lasciarvi  la 
gemma  conica  terminale,  poiché  questa  ha 
sempre  un  vigore  superiore  alle  gemme  sottostanti  ed  assicura  uno 
sviluppo  maggiore  al  fusto  nell'anno  venturo.  Se  il  prolungamento  in- 
vece ha  una  lunghezza  superiore  a  25  cm.  allora  bisogna  tagliarlo 
sopra  una  gemma  opposta  a  quella  sulla  quale  si  è  tagliato  nell'anno 
antecedente.  Ed  a  quale  altezza  mi  chiederà  il  lettore?  All'altezza 
a  cui  si  vuol  ottenere  la  prossima  serie  delle  branche,  epperciò,  al 
primo  terzo  d'altezza  della  piramide,  a  25  cm.,  nel  secondo  terzo 
a  30  cm.  ed  all'  ultimo  terzo  a  35  cm.  Nel  caso  in  cui  il  prolun- 
gamento avesse  una  lunghezza  di  oltre  80  cm.  con  dei  rami  conve- 
nientemente disposti,  che  si  alternano  coi  sottostanti  e  ad  una  conve- 
niente distanza,  si  taglia  il  prolungamento  fino  a  75  cm.  di  altezza 
poiché  in  tal  caso  si  ha  il  vantaggio  di  ottenere  due  serie  di  branche 
in  un  anno. 


Fig.  138.  —  Primo  taglio 

di  un  pero  per  ottenere 

una   piramide. 


-  132 


Per  stabilire  la  serie,  una  volta  tagliato  il  prolungamento  del  fusto 
all'altezza  ora  enunciata,  si  scelgano  subito  le  quattro  gemme  meglio 
situate  e  dalle  quali  si  spera  ottenere  le  prossime  branche  per  formare 
la  nuova  serie.  Le  altre  gemme  conviene  addirittura  accecarle. 

Il  taglio  del  prolungamento  bisogna  farlo  in  modo  da  lasciare  un 
mozzicone  sopra  l'ultima  gemma,  il  quale  serve  poi  per  tutore  del 
germoglio  terminale. 


Fìg.  139.  —  Piramide  di  due  anni 
colle  indicazioni  del  taglio. 


Fig.  140.  —  Piramide  precedente 
di  tre  anni  colle  indicazioni  del  taglio. 


6.  —  La  lunghezza  delle  branche  laterali  1'  ho  già  detta  parlando 
sulla  generalità  della  piramide.  E  cioè  :  ogni  branca  deve  avere  una 
lunghezza  eguale  ad  un  terzo  della  distanza  che  separa  la  sua  base  dal- 
r  estremità. 

Per  conseguenza  ogni  anno  tutte  le  branche  laterali  non  si  pro- 
lunghino oltre  un  terzo  della  lunghezza  a  cui  si  è  tagliato  il  pro- 
lungamento del  fusto.  Così  ad  esempio  se  il  prolungamento  è  stato 
tagliato  a  30  cm.,  alla  branca  si  dovrà  lasciare  un  prolungamento  non 
superiore  a  10  era. 


-  133  — 


Fig.  141.  —  Piramide  precedente  nel  sesto  anno. 


-  134  - 

In  tal  modo  tutte  le  gemme  terminali  di  queste  branche  vengono  a 
trovarsi  a  medesima  altezza  e  nel  caso  in  cui  non  lo  fossero,  si  devono 
piegare  con  una  freccia  di  legno. 

Il  taglio  bisogna  farlo  sopra  una  gemma  rivolta  al  terreno  oppure, 
se  si  tratta  di  drizzare  una  branca,  si  taglia  sopra  la  gemma  che  guarda 
la  direzione  voluta.  Non  bisogna  però  mai  tagliare  sopra  una  gemma 
rivolta  in  alto.  Se  una  branca  avesse  per  gemma  terminale  un   dardo, 


Fig.  142.  —  Piramidi  prima  della  potatura. 

conviene  tagliare  fino  alla  prossima  gemma  a  legno,  collocando  più 
verticalmente  la  branca,  perchè  la  sua  gemma  terminale  venga  a  tro- 
varsi al  medesimo  livello  delle  altre. 

La  potatura  verde  del  ramo  di  prolungamento  consiste  nel  vigilare 
che  il  germoglio  terminale  cresca  vigoroso  e  diritto.  Dei  germogli  la- 
terali, si  allevano  quelli  che  devono  formare  la  nuova  serie,  cimandoli 
a  cni.  40  se  avessero  a  superare  questa  lunghezza. 


—  135  - 

Si  cimeranno  pure  i  germogli  di  prolungamento  delle  branche  in- 
feriori. Si  abbia  l'avvertenza  di  scacchiare  tutti  i  germogli  che  sorgono 
verticali  e  si  mantengano  quelli  laterali  soltanto,  svettando  anche  quelli 
rivolti  in  basso.  Ai  germogli  che  si  lasciano,  si  applica  la  cimatura 
colle  regole  indicate  parlando  della  cimatura  del  pero  (Vedi  Parte  III, 
capitolo  XII). 


Fig.  143.    -  Piramidi  dopo  la  potatura. 


7.  —  Dovrei  parlare  delle  piramidi  alate  di  cui  una  l' abbiamo 
rappresentata  nella  fig.  136.  Questa  forma  non  ditlerisce  da  qiiella  già 
descritta  che  per  la  disposizione  delle  branche  laterali  ;  esse  sono  di- 
sposte simmetricamente  le  une  sopra  le  altre,  lasciando  fra  loro  un 
largo  spazio  libero. 

Per  ottenere  questa  forma  occorre  una  impalcatura  apposita,  ma 
io  mi  limito  qui  soltanto  a  citarla,  poiché  è  ben  raro  il  caso  di  poterla 


-  136  - 

ottenere  con  una  certa  perfezione,  e  poi  questa  forma  serve  più  per 
dimostrare  la  capacità  del  frutticoitore,  che  per  l'economia  della  pro- 
duzione. 

Il  taglio  dei  rami  a  frutto  è  semplicissimo,  perchè  basta  applicare 
sulla  piramide  la  potatura  dei  rami  a  frutto  che  verrà  descritta  par- 
lando delle  singole  specie.  Bisogna  sempre  tenere  in  mente  che  le  bran- 
che della  piramide  devono    portare   esclusivamente   dei   rami  a  frutto. 


Fig.  144.  —  Pirainkli  potate. 

Tutti  quei  rami  legnosi  o  troppo  vigorosi  o  che  per  la  loro  posizione 
(verticale)  potrebbero  diventare  tali,  conviene  scacchiarli  o  cimarli, 
ecc.,  come  abbiamo  già  descritto  a  suo  tempo. 

Nelle  fig.  139  e  141,  sono  rappresentate  tre  piramidi  di  2,  3,  e  6 
anni,  colla  indicazione  dei  tagli. 

8.  —  Molto  di  sovente  avviene  di  trovai^e  nei  giardini  o  frutteti 
delle  piramidi  di  brutta  apparenza,  perchè  non  sottoposte  ai  tagli  ra- 
zionali. Si  trova  per  esempio  che  i  prolungamenti  del  fusto  sono  stati 


—  137  - 

tagliati  troppo  lunghi  e  le  branche  laterali  sono  troppo  piegate  verso 
il  centro  od  a  meglio  dire  troppo  verticali. 

Lasciate  a  sé  stesse  tali  piramidi,  le  branche  inferiori  dopo  aver 
dato  ancora  per  alcuni  anni  dei  frutti,  perirebbero,  mentre  tutta  la  ve- 
getazione si  porterebbe  in  alto  a  formare  una  specie  di  scamoglio.  Si 
trovano  anche  delle  piramidi  aventi  le  branche  inferiori  soverchiamente 
sviluppate,  ma  le  superiori   ed  il   prolungamento  del  fusto  molto  esili. 

Nel  primo  caso  si  veda  fino  a  quale  lunghezza  le  branche  inferiori 
sono  vegete,  robuste  -,  —  si  tagliano  a  questa  lunghezza  ed  il  fusto  si 
tronca  all'altezza  corrispondente  alle  branche  che  si  lasciano  e  cioè, 
se  le  branche  superiori  lasciate  avessero  una  lunghezza  di  cm.  .SO  il 
fusto  si  recide  a  cm.  60. 

Se  la  piramide  da  ricostituire  avesse  invece  le  branche  inferiori 
troppo  forti,  allora  conviene  abbattere  il  fusto  a  cm.  30  sopra  la  serie 
ben  costituita  ed  accorciare  le  branche  delle  serie  conservate. 

Nelle  fotografie  (fig.  142-144)  abbiamo  delle  piramidi  in  diversa 
gradazione  di  età. 


III. 

Fuso. 


1.  —  Dopo  la  piramide  il  fuso  merita  il  primo  posto  nei  frutteti. 
A  questa  forma  si  presta  in  particolar  modo,  anzi  quasi  esclusivamente, 
il  pero  colle  sue  varietà  meno  vigorose  non  adatte  per  piramide.  Tali 
varietà  sarebbero  principalmente  la  Duchessa  d'Angou- 
lème.  Passa  Crassana,  Olivier  des  Serres,  Clairgeau,  Col- 
mar d'Aremberg. 

Nella  fig.  145  abbiamo  rappresentato  un  fuso,  che 
potremmo  definire  cosi:  una  piramide  avente  un  metro 
o  al  massimo  un  metro  e  mezzo  d'altezza  e  le  di  cui 
branche  laterali,  invece  di  essere  lunghe  un  terzo  dalla 
distanza  che  separa  la  loro  inserzione  dall'estremità 
sono  invece  d'un  quinto  ed  anche  più.  Le  branche  della 
base  non  devono  difatti  sorpassare  la  lunghezza  di  cm. 
20  ai  25.  in  modo  che  all'estremità  del  fusto  non  si  tro- 
vino che  delle  lamborde  o  dei  dardi.  11  diametro  infe- 
riore del  fuso  misurerà  perciò  al  massimo  cm.  50. 

Per  l'impianto  si  scelgano  dei  soggetti  di  un  anno 
d'innesto,  e,  come  per  la  piramide,  nel  primo  anno  si 
lasciano  intatti. 

Nel  secondo    anno    d'impianto  si  taglia  il  soggetto 
a  cm.  50  dal  punto  innestato  ed  al  disopra  di  un'occhio 
opposto  al  gomito   che   forma  l'innesto.    Qualora  la  pianta  fosse  prov- 
veduta di  buoni   getti  laterali,  si  potrà  tagliarla  anche   a   cm.  75   d'al- 


Fig.  145 


-  138  - 

tezza.  Al  disopra  della  gemma  su  cui  si  taglia,  si  lascia  un  mozzicone 
di  cm.  5,  il  quale  serve  per  legare  il  getto  destinato  a  prolungare  l'asta. 

Durante  l'estate  sorgeranno  lungo  l'asta  dei  germogli  e,  sulle  gemme 
che  non  vogliono  muoversi  ;  per  provocare  lo  sviluppo  dei  germogli, 
si  fa  superiormente  a  questa  una  tacca  ed  una  incisione  logitudinale 
al  di  sotto.  Nella  parte  superiore  invece  i  germogli  saranno  anche 
troppo  vigorosi  ed  allora  converrà  cimarli  a  cm.  15  od  al  massimo  20. 

11  numero  dei  germogli  che  si  devono  lasciare  dipende  dalla  loro 
distanza  e  dalla  loro  posizione. 

Ogni  anno  il  prolungamento  si  taglierà  più  o  meno  lungo,  a  seconda 
che  la  parte  inferiore  del  fusto  è  più  o  meno  guernita  di  rami. 

Generalmente  si  taglia  lungo,  il  che  equivale  in  via  normale  da 
cm.  30  a  .35.  Le  branche  laterali  si  taglieranno  sempre,  come  per  la 
piramide,  sopra  una  gemma  che  guarda  terra  e  ad  una  lunghezza  che 
corrisponda  al  quinto  del  fusto  lasciato. 

Per  ottenere  il  fuso,  più  che  alla  potatura  secca,  la  quale  è  facile 
e  molto  spiccia,  bisogna  stare  attenti  alla  potatura  verde.  Questa 
consisterà  nello  scacchiare  successivamente  tutti  quei  germogli  mal 
situati,  di  mano  in  mano  che  vanno  formandosi  e  nel  cimare  le  bran- 
che ed  i  rametti  laterali  in  modo  che  il  diametro  inferiore  del  fuso 
non  sorpassi  i  cm.  50  ;  —  tutte  le  branche  superiori  poi  gradualmente 
devono  essere  sempre  più  coi'te. 

IV. 
Forme  basse. 

1.  —  Su  queste  forme  io  devo  particolarmente  richiamare  l'atten- 
zione del  lettore,  poiché  esse  convengono  tanto  per  la  frutticoltura  in 
grande  con  indirizzo  industriale,  come  per  i  frutteti. 

Quando  un  frutticoitore  degli  Stati  Uniti  viene  in  Europa  a  vedere 
gli  impianti  dei  nostri  alberi  da  frutto,  rimane  meravigliato  come  a 
tutte  le  nostre  piante  noi  lasciamo  un  fusto,  mentre  egli  ritiene  che 
questo  sia  inutile,  perchè  esso  : 

a)  espone  maggiormente  la  pianta  ai  danni  del  vento  e  delle  in- 
temperie; 

b)  rende  la  potatura  e  la  difesa  delle  malattie  più  costose; 
e)  rende  più  costosa  la  spesa  di  raccolta  ; 

d)  ritarda  la  fruttificazione  della  pianta  che  rimane  improduttiva 
per  più  lungo  tempo  ; 

e)  fa   maggior   ombra   al  terreno  rendendolo  meno  adatto  a  col- 
ture sottostanti  ; 

f)  obbliga  a  tenere  le  piante  più  distanti,  con  perdita  di  terreno 
utile. 

Molti  ritengono  che  le  piante  in  questo  modo  non  abbiano  lunga 
vita  e  sieno  di  poca  produzione,  ma  questi  sono  pregiudizi.  Quando  si 


-  139  - 

ha  cura  di  seguire  le  norme  che  andrò  ora  esponendo.  È  sicuro  che 
una  pianta  bassa  potrà  condurre  una  vita  normale,  non  per  un  decennio 
come  dicono  alcuni,  ma  anche  per  venti  e  più  anni.  Quanto  riguarda 
alla  produzione,  è  sicuro  che  una  pianta  a  pieno  vento,  di  dimensione 
dieci  volte  maggiore,  produrrà  più  frutta  di  una  pianta  bassa,  ma  se  cal- 
coliamo il  danno  che  arreca  il  pieno  vento  colla  sua  ombra,  lo  spazio 
di  terreno  che  occupa,  e  la  qualità  superiore  di  frutta  che  si  ricava 
dalle  piante  basse  è  certo  che  per  frutteti  di  speculazione  queste  devono 
essere  le  forme  preferite. 

Dobbiamo  convenire  che  se  noi  non  abbiamo  quasi  mai  adottate 
delle  forme  basse  è  perchè  la  frutticoltura  non  ha  ancora  un  indirizzo 
industriale  specializzato. 

Coltiviamo  qua  e  là  delle  piante  da  frutto,  abbiamo  degli  interi 
filari  nei  broli,  nelle  aperte  campagne  e  di  varietà  ordinarie,  comuni, 
che  fruttificano  abbastanza  specialmente  nei  primi  anni  ma  noi  vo- 
gliamo però  lavorare  egualmente  il  terreno  coll'aratro  e  non  è  il  pro- 
dotto della  pianta  da  frutto  che  ci  preme  ma  quello  delle  colture  er- 
bacee sottostanti.  In  queste  condizioni  è  certo  che  noi  non  facciamo 
una  coltura  veramente  redditiva  di  piante  da  frutto. 

Io  credo,  e  questo  lo  vado  dicendo  da  parecchi  anni,  noi  dovremmo 
abbandonare  in  moltissimi  casi  i  pieni  e  mezzi  venti,  fare  dei  filari  a 
larghe  distanze  con  le  piante  basse,  per  coltivare  le  piante  erbacee.  Se 
infine  noi  vorremo  dare  agli  impianti  un  indirizzo  industriale,  sce- 
gliendo delle  varietà  ricercate  dai  mercati  internazionali,  noi  dovremo 
coltivare  il  massimo  numero  di  piante  colla  minima  spesa  e  questo 
si  raggiunge  solo  con  le  forme  basse. 

Anche  per  i  frutteti  casalinghi,  le  forme  basse  sono  molto  racco- 
mandabili. 

2.  —  Le  forme  che  or  ora  andremo  illustrando  richiedono  però: 

a)  buona  preparazione  del  terreno  ; 

b)  terreno  facile   a   lavorarsi,   possibilmente   irrigatorio    special- 
mente nei  paesi  caldi,  fertile,  di  natura  siliceo-argillosa,  profondo  ; 

e)  posizioni  riparate  dai  geli  e  dalle  brine  ; 

d)  varietà  molto  precoci  da    mercato,   molto    produttive  e  di  vi- 
gore medio  ; 

e)  cure  assidue  al  terreno  ed  alle  piante. 

Le  specie  che  più  si  adattano  sono  il  pero,  melo,  pesco,  albicocco, 
susino  e  ciliegio,  tutte  innestate  su  soggetti  di  vigore  medio.  Cosi  il 
melo  innestato  sul  paradiso  o  dulcigno  ;  il  pero  sul  cotogno  (il  pero  e 
melo  soltanto  per  varietà  molto  deboli  si  innesta  sul  franco)  il  ciliegio 
sul  mahaleb,  il  susino  sul  mirabolano,    il   pesco    sul    franco    da  seme. 

Ordinariamente  si  prendono  delle  piante  innestate  al  piede  e  di 
uno  o  due  anni  di  innesto  e  che,  cominciando  dal  basso,  siano  fornite 
di  branche  laterali,  perchè  allora  è  indizio  che  la  pianta  non  tende  a 
portarsi  molto  in  alto  colla  sua  vegetazione.  Al  momento  dell'impianto 
non  si  lascino  tutte  le  radici,  anzi  si  recidano  le  più  grosse,  lasciando 


140 


invece  le  più  sottili  e  superficiali.  A  dimora  si  collocano   in   quadrato 
o  a  quinconce  a  4-5  metri  di  distanza. 

Di  solito  nei  giardini  casalinghi,  si  suole  alternare  le  file  di  piante 
di  pero  con  quelle  di  pomo,  colla  vite  tenuta  ad  alberello  o  ceppala 
e  con  cespugli  di  ribes  od  uva  spina.  Volendo  invece  fare  degli  im- 
pianti di  intere  aiuole,  allora  si  mettono  a  quinconce  alla  distanza 
sopra  accennata. 

Le  piante  basse  si  mettono  lungo  i  margini  delle  aiuole  alla  di- 
stanza di  2-3  metri,  e  in  tal  modo  servono  anche  ad  ornare  il  viale. 

Le  forme  basse  si  distinguono: 
in  quelle  a  vaso  con  branche  verti- 
cali, in  quelle  a  branche  oblique  con 
o  senza  fusto  ed  in  quelle  a  chio- 
ma piramidale  od  arrotondata. 

3.  —  Forme  basse  a  vaso  con 
branche  verticali.  Questa  forma  rap- 
presenta un  vaso  cilindrico  portato 
da  un  fusto  alto  30  cm.  Il  piccolo 
vaso  (fig.  146)  ha  m.  1.80  di  circon- 
ferenza ed  ha  quindi  6  branche  ed 
i  vasi  più  grandi  hanno  m.  3.60  di 
circonferenza  con  12  branche. 

Per  la  formazione  del  vaso  oc- 
corre tagliare  il  fusto  nel  primo 
anno  a  30  cm.  di  altezza.  Dalle 
gemme  terminali  si  alleveranno  tre 
germogli  equidistanti  che  si  pie- 
gheranno a  60°,  fissandoli  ad  un 
cerchio  avente  il  diametro  del  vaso 
e  che  si  tiene  sollevato  dal  terreno  all'altezza  del  fusto  per  mezzo  di  3 
pichetti,  piantati  nel  terreno. 

Nella  primavera  del  secondo  anno,  ogni  branca  viene  tagliata  a 
circa  20  cm.  di  lunghezza  sopra  due  gemme  laterali,  sopprimendo  le 
gemme  rivolte  in  allo.  Da  queste  gemme  laterali  si  alleveranno  altret- 
tanti germogli,  i  quali,  raggiunto  che  abbiano  il  cerchio,  si  legheranno 
a  questo  e  si  faranno  crescere  poi  verticalmente. 

Da  questo  momento  comincia  la  formazione  delle  branche  laterali 
verticali,  che  si  taglieranno  ogni  anno  sopra  una  gemma  in  fuori. 

La  lunghezza  a  cui  possono  essere  tagliate  varia  colla  loro  vigoria; 
può  essere  ad  Vs  a  V2  od  anche  a  7s-  Si  comincia  a  tagliare  all'altezza 
conveniente  la  branca  più  debole  e  le  altre,  si  devono  tagliar*  alla 
medesima  altezza  di  questa. 

Naturalmente  queste  branche  devono  portare  esclusivamente  dei 
rami  a  frutto. 

Per  il  vaso  più  grande  di  m.  3,60  di  circonferenza  bisogna  fare  una 
seconda  biforcazione  prima  di  piegare  verticali  le  branche. 


[16.        Forma  bassa  a 
a  branche  verticali. 


-  141  - 

Come  si  vede  questo  vaso  è  una  forma  semplice,  adatta  particolar- 
mente per  il  melo  e  per  frutteti  casalinghi.  Essa  è  di  beli'  aspetto  ma 
ha  l'inconveniente  di  dare  dei  succhioni  sempre  nel  centro. 

4.  —  Forma  bassa  a  calice  ossia  a  cono  rovesciato  con  o  senza  fusto. 
Per  togliere  quest'ultimo  difetto  praticamente  si  fanno  dei  vasi  con 
branche  oblique  in  numero  di  6,  8,  10,  12,  che   crescono   senza  tutore. 

Il  processo  di  formazione  è  simile  a  quello  precedente. 

Nello  stesso  anno  dell'impianto  si  taglia  la  pianta  all'altezza  alla 
quale  si  vuole  ottenere  la  impalcatura  dei  rami  e  cioè  da  20  a  50  cm. 
di  altezza.  Lungo  l'anno  si  allevano  dall'estremità  tre  germogli  equi- 
distanti i  quali,  nell'inverno  prossimo,  si  tagliano  ad  ^3  e  sopra  due 
gemme  che  guardano  ai  lati,  per  avere  da  queste  due  nuovi  germogli. 

Durante  il  secondo  anno  si  alleveranno  oltre  i  6  germogli  terminali 
delle  tre  branche  anche  quelli  laterali,  applicando  a  questi  ultimi  la 
cimatura  nel  caso  che  fossero  troppo  lunghi  e  si  sopprimono  quelli 
che  sorgono  in  basso  o  verso  il  centro. 

Nel  terzo  anno  i  6  germogli  terminali  ottenuti  nell'anno  precedente 
si  devono  considerare  come  branche  secondarie  che  si  taglieranno  ad 
Vs  di  lunghezza  e  pure  sopra  due  gemme,  una  che  guardi  a  destra  e 
l'altra  a  sinistra.  Ai  rami  secchi  si  applicherà  la  potatura  secca,  per 
avere  dei  rami  a  frutto  e  questa  sarà  fatta  con  criteri  diversi  a  seconda 
della  specie  di  pianta  e  di  ciò  si  parlerà  nelle  coltivazioni  speciali. 

In  tal  modo  alla  fine  del  terzo  anno  noi  avremo  una  pianta  con 
12  branche  terziarie,  queste  si  tagliano  a  metà  del  loro  prolungamento 
e  sopra  una  gemma  che  guarda  in  fuori. 

Negli  anni  successivi  i  prolungamenti  dei  rami  si  taglieranno  a  '/^ 
e  poi  a  ^/j  in  modo  che  le  loro  estremità  vengano  a  trovarsi  ad  eguale 
altezza.  Il  taglio  terminale    deve  essere  sempre 
sopra  una  gemma  a  legno  e  che  guardi  in  fuori. 

Si  avrà  cura  di  mantenere  la  forma  a  vaso 
durante  il  riposo  della  vegetazione  colla  scac- 
chiatura  dei  germogli  che  si  trovano  fuori  posto, 
lungo  le  branche  che  vanno  verso  il  centro  o 
che  si  incrociano  o  che  sono  troppo  vicini  ;  colla 
cimatura  di  quelli  che  si  vogliono  trasformare 
in  rami  a  frutto,  colla  mondatura  e  coi  tagli  di 
ringiovanimento  che  si  faranno  ogni  singolo  anno. 

Queste  forme  basse  acquistano  sviluppo  di-      ^.     ..^ 

...  ^  .  Fig.  147.  —  Forma  bassa 

verso  e  si  lasciera    un    maggiore  o  minore  nu-  a  calice. 

mero  di  branche  a  seconda  del  loro  vigore. 

Cosi  nella  fig.  147  abbiamo  una  forma  bassa  a  vaso  che  ha  preso 
poco  sviluppo,  nella  fig.  148  una  forma  molto  più  sviluppata. 

Se  invece  di  partire  le  branche  primarie  dal  fusto  all'altezza  di  30-50 
cm.  si  prendono  tre  rami  che  sorgono  vicino  al  colletto  e  si  aprono 
a  V  sottoponendoli  alla  medesima  potatura  di  formazione  ora  descritta, 
si  ha  la  forma  bassa  senza  fusto  a  calice  che  prendono  facilmente  i 
susini  ed  i  ciliegi. 


-  142  — 

5.  —  Forme  basse  a  chioma  arrotondata  o  piramidale.  Ci  sono  molte 
volte  delle  varietà  che  prendono  naturalmente  la  forma  piramidale  od 
arrotondata. 

Per  la  prima  si  applicherà  per  la  potatura  di  formazione  di  cui 
abbiamo  parlato  nel  Gap.  Il  pag.  128. 

La  forma  arrotondata  si  dà  quando  più  getti,  senza  una  direzione 
determinata,  si  sviluppano  all'estremità  del  fusticino.  Allora  si  lasciano 
quelli  che  sorgono  ad  una  certa  distanza  fra  loro  e  si  tagliano  a  5  o 
6  gemme,  avendo  cura  che  la  gemma  terminale  guardi  da  quella  parte 
da  cui  si  vuole  avere  il  prolungamento.  Molte  volte  occorre  averlo  a 
destra,  altre  a  sinistra,  epperciò  secondo  il  caso  si  taglia  sopra  una 
gemma  che  guardi  a  destra  o  sinistra.  Volendo  invece  che  la  branca 
si  prolunghi  nella  stessa  direzione,  allora  si  faccia  il  taglio  sopra  una 
gemma,  che  guardi  il  terreno  e  mai  sopra  una  gemma  che  guardi  in 
alto.  Se  invece  si  vuole  che  la  branca  si  biforchi,  ciò  che  specialmente 
si  verifica  nei  primi  tre  anni  per  fare  l'ossatura  della  pianta,  allora  si 
taglia  sopra  due  gemme,  una  che  guardi  a  destra  e  l'altra  a  sinistra. 

Durante  il  primo  anno  si  avrà  cura  di  allevare  quei  getti  che  de- 
vono servire  di  prolungamento  alle  branche  e  gli  altri  si  mozzano  per 
trasformarli  in  rami  fruttiferi. 

Nel  secondo  anno  la  potatura  secca  consisterà  nel  tagliare  le  bran- 
che laterali  sopra  la  sesta  o  settima  foglia,  coi  criteri  che  ho  detto 
poc'anzi,  e  così  ogni  anno  si  va  tagliando  sempre  più  lungo  fino  a  che 
nel  sesto,  la  pianta  sarà  già  formata. 


J 

ÉA.\!    A., 

^■ÉBAi 

^SHS^is^              ^M^H^tt&^'»><^^0 

£* 

'^^^1 

^HE^^        Js,             ^'^H^^P9kJR|ì& 

■!%, 

% 

^K 

ìiil^B 

W^'  '            '  ■'^^^''^^am 

.              .t¥> J 

I^L 

I^^R 

i                       ^jaffigMJ^aBWB 

L       .t^^ii^|fesa 

^^H 

éh^?*'-'^'^^^HHBh 

B^-^- 

bSB 

^K^^Mm^^sB^^^^^ 

lE^"  "''- 

Ft^HH 

^[HMHI^^mB^I 

Hk^^^BH 

^^ 

^Bi^^^^B 

^^^1 

1 

nm 

1 

Fig.  148.  —  Forma  bassa  a  vaso  conico  di  melo  fra  due  mezzi  venti  di  melo. 


-  143  - 

Dì  mano  in  mano  che  crescono  le  branche,  si  deve  aver  cura  di 
allevare  anche  i  rami  fruttiferi  e  ciò  si  ottiene  colla  potatura  verde, 
scacchiando  le  gettate  sorte  in  cattiva  posizione  o  troppo  fìtte,  cimando 
quelle  che  si  lasciano  ed  applicando  in  fine  tutte  quelle  operazioni  che 
agevolano  la  produzione  dei  rami  fruttiferi.  Nella  potatura  secca  i  dardi 
e  le  lamborde,  come  è  noto,  si  lasciano  intatte  f  i  brindilli  si  tagliano 
ad  una  lunghezza  varia  a  seconda  della  specie  di  pianta  e,  se  e'  è 
qualche  ramo  che  malgrado  della  cimatura,  non  abbia  prodotto  dei 
dardi,  allora  conviene  reciderlo,  acciocché  dalla  sua  base  si  possano 
ottenere  delle  nuove  gettate.  Così,  in  tre  anni,  dopo  l'impianto,  si  può 
cominciare  già  a  godere  qualche  frutto. 

Molte  volte,  con  tutte  le  attenzioni  usate  nella  scelta  delle  piante, 
avviene  di  trovarne  alcune  che  riescono  troppo  vigorose  e  poco  frut- 
tifere. In  questo  caso  conviene  fare  la  scalzatura  e  tagliare  le  radici 
più  grosse  e  verticali.  Se  anche  questo  mezzo  non  riesce,  conviene  fare 
il  trapianto. 

V. 
Pieno   e  mezzo   vento. 

(Formazione  del  fusto). 

1.  —  Il  pieno  vento  nel  senso  assoluto  della  parola  si  dovrebbe 
intendere  quella  forma  che  prende  una  pianta  lasciata  a  sé  stessa.  In 
frutticoltura  invece  per  pieno  vento,  si  suole  chiamare  queir  albero  il 
cui  fusto  ha  un'  altezza  che  varia  da  m.  1,30  a  m.  2,  ed  il  mezzo  vento 
da  m.  0,50  a  m.  1,30. 

Vi  sono  delle  piante,  come  il  ciliegio,  il  mandorlo,  il  noce,  il  ca- 
stagno, le  quali,  innestate  sul  franco,  vengono  lasciate  a  sé  stesse  e 
prendono  la  forma  del  pieno  vento.  Per  queste  il  frutticoitore  ha  da 
operare  qualche  taglio  soltanto  nel  caso  che  qualche  ramo  crescesse 
fuori  posto  e  togliesse  l'armonia.  Invece  il  melo,  pero,  innestati  sul 
franco,  nonché  il  gelso  e  1'  olivo,  hanno  bisogno  dì  essere  guidati  nei 
primi  anni  per  ottenere  un  bel  fusto  diritto  ed  una  chioma  regolare  e 
l'altezza  del  fusto  non  deve  superare  m.  1,70. 

Molti  frutticoitori  giustamente  preferiscono  il  mezzo  vento,  perchè 
le  piante  iruttifìcano  prima,  sono  più  produttive,  danno  meno  ombra, 
si  potano  più  facilmente  e  si  difendono  con  minor  spesa  dai  parassiti. 
Difatti  oggigiorno,  il  pieno  vento  non  potrei  consigliarlo  che  per  gli 
impianti  lungo  le  strade  e  viali,  o  per  il  ciliegio,  mandorlo,  noce  e 
castagno.  L'altezza  del  fusto  del  mezzo  vento  é  molto  variabile.  Così  per 
il  melo,  pero,  susino,  albicocco,  gelso  ed  ulivo,  é  bene  varii  fra  m.  1 
e  m.  1,30  e  per  il  pesco  non  deve  superare  m.  0,50. 

Prima  di  descrivere  le  operazioni  per  ottenere  il  pieno  e  mezzo 
vento,  occorre  premettere  alcune  norme  per  ottenere  il  fusto. 

2.  —  La  bellezza  e  robustezza  del  fusto,  come  pure  il  giusto  rap- 
porto delle  sue  dimensioni,   oltre  che  dal  clima  e  terreno,   dipendono 


—  144  - 

in  gran  parte  dal  modo  speciale  di  vegetare  e  ramificarsi  delle  singole 
varietà.  Ci  sono  delle  varietà  di  lento  o  rapido  sviluppo  nella  prima 
età,  ce  ne  sono  di  quelle  le  quali,  più  che  a  formare  un'asta  lunga, 
diritta  e  robusta,  tendono  a  ramificarsi  cominciando  dal  basso  rima- 
nendo esile  l'asta  di  prolungamento.  È  sicui'o  che  il  frutticoitore  deve 
prestare  attenzione  a  tutto  questo  e,  mentre  coU'arte  si  può  rimediare 
ad  alcuni  inconvenienti,  non  consiglierei  mai  però  per  l'alto  fusto,  delle 
piante  di  lento  sviluppo  nella  prima  età  e  che  tendono  a  ramificarsi. 

Scelta  dunque  la  varietà  con  questi  criteri,  si  abbia  cura  di  inne- 
starla sopra  soggetti  ben  robusti  e  sani.  Passato  l'anno  dell'  innesto, 
bisogna  pensare  subito  alla  formazione  del  fusto. 

Se  il  getto  del  nesto  è  debole  e  se  ha  dei  rami  laterali,  non  conviene 
lasciarlo  intatto  come  viene  usato  da  molti,  ma  invece  bisogna  tagliarlo 
a  due  o  tre  gemme  sopra  l'innesto  per  provocare  nel  secondo  anno  un 
getto  vigoroso.  Perchè  questo  non  prenda  una  direzione  sconveniente, 
non  conviene  tagliare  immediatamente  sopra  la  gemma  che  si  intende 
lasciare  per  ultima,  ma  lasciare  sopra  questa  un  mozzicone  di  legno, 
il  quale  serve  a  legare  il  getto  di  prolungamento,  quando  si  trova  allo 
stato  erbaceo.  Nel  venturo  anno  questo  mozzicone  si  recide  alla  base 
o  si  può  tagliarlo  in  luglio,  coprendo  la  ferita  con  mastice. 

Ben  raro  è  il  caso  di  trovare  dei  nesti  che  si  possano  lasciare 
intatti  per  ottenere  il  fusto.  Almeno  per  un  anno  è  quasi  sempre  ne- 
cessario di  fare  il  taglio  sopra  descritto. 

Negli  anni  successivi  si  abbia  cura  di  non  tagliare  mai  la  gemma 
terminale,  perchè  la  più  vigorosa.  Questa  attrae  la  maggiore  quantità 
di  linfa  e  con  essa  si  ha  il  prolungamento  perfetto  del  fusto.  Nel  caso 
in  cui  per  una  ragione  qualsiasi  la  gemma  terminale  si  rompesse,  allora 
si  tagli  a  due  terzi  di  altezza  e  sopra  una  gemma  opposta  alla  curva 
che  ha  preso  il  fusto  od  alla  direzione  del  nesto. 

Generalmente  per  ottenere  i  fusti,  si  usa  di  accecare  tutte  le  gemme  lungo  il  gio- 
vane fusto  meno  quella  terminale  e  cosi  pure  si  sogliono   recidere  tutti  i  getti  laterali. 

Con  ciò  si  hanno  dei  prolungamenti  lunghi  ma  piìi  deboli  il  che,  se  può  essere 
vantaggioso  per  un  vivaista  speculatore,  non  lo  è  certo  per  un  proprietario  al  quale 
interessa  di  avere  fusti  bene  equilibrati  e  vigorosi. 

Difatti  le  foglie  sono  gli  organi  aerei  nutritivi  più  importanti  della  pianta.  Togliendo 
le  gemme  ed  i  getti  laterali,  noi  priviamo  la  pianta  di  una  quantità  di  organi,  i  quali, 
oltreché  attrarre  una  maggior  quantità  di  succhi  dal  terreno,  fanno  sì  che  questi,  dopo 
elaborati,  si  immagazzinano  nel  fusto  ingrossandolo.  Quindi  le  gemme  debbonsi  lasciare 
intatte. 

1  getti  laterali,  generalmente  parlando,  sono  più  corti  in  basso  e 
diventano  sempre  più  lunghi  di  mano  in  mano  che  si  ascende  all'e- 
stremità del  fusto. 

Quando  si  fa  la  potatura  secca,  di  questi  getti  non  si  tagliano  alla 
base  che  quelli  aventi  una  grossezza  superiore  ad  una  matita;  i  rima- 
nenti si  lasciano,  tagliandoli  da  cm.  6  ad  8  di  lunghezza,  avendo  cura 
di  lasciare  più  lunghi  quelli  più  vicini  alla  radice  e  di  tagliare  grada- 
tamente più  corti  quelli  che  si  portano  all'estremità. 


-  145  - 

La  potatura  verde  di  questi  getti  consisterà,  nel  mozzare  tutte  le 
gettate  verdi  sopra  la  terza  foglia,  e  si  lasceranno  soltanto  i  germogli 
cresciuti  sotto  la  cima. 

Operando  in  tal  modo,  noi  otteniamo  una  crescita  normale  e  ro- 
busta del  fusto  tale,  che  nella  maggior  parte  dei  casi  la  pianta  non 
abbisogna  di  tutore.  Ci  sono  però  delle  varietà,  come  il  pero  d'Amanlis, 
che  dà  dei  getti  molto  vigorosi,  ma  ritorti.  Allora  conviene  applicare 
un  tutore  per  guidare  il  getto  di  prolungamento. 

Quando  questi  fusti,  proporzionatamente  ben  robusti,  hanno  rag- 
giunto l'altezza  voluta,  nella  primavera  si  tagliano  per  ottenere  la  co- 
rona del  mezzo  vento. 


VI. 
Formazione  della  corona  del  pieno  e  mezzo  vento. 

1.  —  La  forma  della  fronda  può  essere  piramidale,  cupoliforme  od 
a  vaso,  ed  il  frutticoitore  deve  assecondarla.  Nel  dubbio  sulla  scelta 
della  forma  per  qualche  varietà,  si  lasci  la  pianta  senza  potatura  per 
uno  o  due  anni  dopo  l'impianto,  per  rilevare  quella  che  essa  tende  a 
prendere  naturalmente. 

Se  nel  mezzo  si  vede  che  un  ramo  tende  ad  elevarsi  sopra  gli  altri, 
il  frutticoitore  sceglierà  la  forma  a  piramide;  se  vede  che  i  rami  sono 
presso  a  poco  della  stessa  lunghezza  allora  si  deciderà  per  la  chioma 
cupoliforme  ;  se  invece  i  rami  tenderanno  a  divaricarsi  e  sporgere  in 
fuori,  allora  darà  la  forma  a  vaso. 

Quando  si  potesse  scegliere  la  forma  quella  a  vaso  è  la  preferibile 
nella  generalità  dei  casi.  Difatti  colla  chioma  a  vaso  è  più  facile  di  man- 
tenere l'equilibrio  fra  i  rami  ;  questi  poi  sono  meglio  aereati,  perciò  si 
mantengono  più  sani,  più  robusti,  danno  frutta  in  maggior  copia  e  di 
qualità  migliore;  infine  richiedono  minor  arte  nella  potatura  di  forma- 
zione e  di  mantenimento  della  pianta. 

Molti  frutticoitori  trovano  dei  difetti  nella  forma  a  vaso  inquantochè 
dà  relativamente  meno  frutta  ;  i  rami  sono  più  danneggiati  dal  vento  e 
dalla  neve;  si  lacerano  più  facilmente  se  carichi  di  frutta.  Con  tutto 
questo,  molte  varietà  di  meli  e,  più  ancora  i  gelsi,  i  peschi,  albicocchi 
e  susini  conviene  allevarli  a  vaso. 

Vediamo  ora  come  si  ottiene  la  corona  a  vaso. 

2,  —  Ottenuto  il  fusto  e  tagliato  all'  altezza  da  m.  1  ad  1,20,  come 
abbiamo  già  detto,  si  svilupperanno  lungo  l'anno  dei  getti  dalle  gemme 
all'  estremità.  Dì  questi  si  abbia  cura  di  allevarne  tre,  schiacciando 
tutti  gli  altri,  scegliendo  quelli  disposti  più  uniformemente  intorno  al 
fusto  e  situati  ad  eguale  altezza,  come  si  vede  nella  fìg.  149,  e  che  ten- 
dono ad  allontanarsi  dalla  direzione  verticale  del  fusto.  Non  avendo 
dei  getti  che  corrispondano  a  questa  ultima  condizione,  allora  si  pre- 
io  —  T\>URO  -  Frutticoltura. 


—  146  — 

para  un  cercine  di  salice  e  si  legano  sulla  sua  circonferenza.  Durante 
il  primo  anno  non  occorre  fare  alcun'altra  operazione. 

Nella  primavera  del  secondo  anno,  all'epoca  della  potatura  secca, 
ai  tre  giovani  rami  o  branche  primarie  si  tagliano  a  metà  o  ad  un 
terzo  (a  fig.  149)  a  seconda  se  i  germogli  sono  più  o  meno  robusti, 
avendo  l'attenzione  che  le  due  ultime  gemme  non  guardino  né  in  den- 
tro, né  in  fuori,  bensì  siano  divergenti  ai  lati. 

E  qui  dobbiamo  fermarci  per  fare  un'  altra  osservazione  che  deve 
valere  anche  pel  taglio  degli  anni  venturi. 

Nella  scelta  dei  tre  germogli  che  ci  hanno  dato  le  tre  prime  bran- 
che abbiamo  procurato  di  preferire  quelle  che  stanno  più  appresso  fra 
loro.   Ciò  non  toglie  però  che  ci  saranno  alcuni  centimetri  di  distanza 


Fig.  149.  —  Chioma  a  vaso 
nel  primo  anno  di  formazione. 


Fig.  1,50.  —  Lalprecedente 
nel  terzo  anno  di   formazione. 


fra  una  base  e  l' altra  delle  branche  e  quindi,  se  tagliamo  tutte  le 
branche  a  metà,  l'estremità  della  branca  superiore  sarà  più  alta  della 
immediatamente  sottostante  e  questa  più  dell'  inferiore.  Con  questo 
criterio,  noi  porteremo  uno  squilibrio,  poiché  è  sicuro  che  la  branca 
superiore  si  svilupperà  molto  di  più  delle  inferiori.  Per  questo,  nel 
taglio  si  deve  procedere  dal  basso  in  alto,  e  cioè  tagliare  a  giusta 
lunghezza  la  branca  inferiore,  o  la  più  debole,  quella  di  mezzo  all'al- 
tezza della  seconda  e  cosi  la  branca  superiore,  in  modo  che  le  estre- 
mità delle  tre  branche  vengano  a  trovarsi  ad  eguale  altezza. 

Durante  il  secondo  anno,  deve  essere  cura  del  frutticoitore  di  alle- 
vare i  due  germogli  che  sorgeranno  dalle  due  gemme  terminali  delle 
tre  branche  lasciate,  in  modo  che  prendano  una  direzione  divergente 
e  si  allontanino  dal  centro  della  pianta.  Anche  qui  occorre  molte  volte 
far  uso  di  un  cercine,  come  abbiamo  osservato  nel  primo  anno,  per 
costringere  i  getti  a  prendere  una  giusta  direzione. 


—  147  - 

Dalle  gemme  sottostanti  delle  branche,  come  è  naturale,  si  svilup- 
peranno dei  germogli.  Quelli  verticali  o  che  tendono  a  portarsi  contro 
il  centro  conviene  scacchiarli  di  mano  in  mano  che  si  formano;  se 
ci  sono  invece  dei  germogli  che  guardano  in  basso  od  ai  lati,  allora  si 
può  anche  lasciarli,  avendo  cura  però  di  cimarli  sopra  la  quinta  foglia. 
Cosi  si  rinvigorisce  la  branca  e  negli  anni  venturi,  se  intralciano,  si 
possono  togliere  addirittura,  oppure  si  lasciano  per  ottenere  i  primi 
frutti. 

Nella  primavera  del  terzo  anno  il  nostro  mezzo  vento  avrà  la  forma 
della  fig.  150,  e  cioè  avremo  G  branche  secondarie. 


Fig.  151.  —  Chioma  a  vaso  di  quattro  anui 


A  queste  branche  si  applica  nuovamente  il  taglio  a  metà  o  ad  un 
terzo,  come  nell'  anno  precedente,  sopra  due  gemme  divergenti  ai  lati 
e  trovantisi  ad  eguale  altezza. 

Durante  il  terzo  anno  si  cureranno  i  12  getti  terminali  che  sorgono 
dalle  branche  secondarie,  e  lungo  le  branche  si  scacchieranno  o  si 
cimeranno  i  germogli  come  abbiamo  detto. 

Nella  primavera  del  quarto  anno  la  pianta  si  presenterà  come  si 
vede  nella  fig.  151  con  12  branche.  Giunti  a  questo  punto  questi  rami 
si  tagliano  più  lunghi,  a  due  terzi,  e  sopra  una  gemma  che  guardi  in 
fuori,  non  avendo  più  bisogno  di  allargare  la  fronda. 

Questo  periodo  di  formazione  della  impalcatura  può  durare  tre 
anni,  ma  qualche  volta  dura  di  più  e  specialmente  per  le  piante  vigo- 
rose, le  quali  esigono  talvolta  12  e  anche  24  branche.  Come  è  evidente, 
ciò  può  dipendere  dalle  condizioni  in  cui  si  trova  la  pianta,  e  dal  vigore 
della  varietà  che  si  coltiva. 


—  148  — 


Spesso  si  deve,  nei  primi  anni,  cimare  lungo  il  corso  della  vege- 
tazione, le  branche  che  minacciano  sorpassare  le  altre  in  forza;  allora 
naturalmente  la  cimatura  devesi  fare  all'altezza  a  cui  arriva  il  prolun- 
gamento delle  branche  più  deboli. 

Formata  la  impalcatura  della  fronda,  negli  anni  successivi  si  lasciano 
le  piante  a  sé  stesse,  procurando  soltanto  che  tutti  i  rami  si  manten- 
gano in  equilibrio. 


Fig.  152.  —  Gelso  a  pieno  vento 

colla  indicazione  del  taglio 
nel  primo  anno  di   formazione. 


Fig.  154.  —  Gelso  a  pieno  vento 

colla  indicazione  del  taglio 

nel  secondo  anno   di  formazione. 


Fig.  1.53.  —  Proiezione  orizzontale 
del  gelso  precedente. 


Fig.  1.55.  —  Proiezione  orizzontale 
del  gelso  precedente. 


Nella  fig.  152  si  vede  un  gelso  coi  segni  del  primo  anno  di  potatura 
e  nella  fig.  153  la  proiezione  orizzontale  dei  rami  dopo  tagliati. 

Nella  fig.  154  abbiamo  lo  stesso  gelso  nel  secondo  anno  di  potatura 
e  nella  flg.  155  la  rispettiva  proiezione  orizzontale  dopo  potato. 

Nella  figura  156  abbiamo  il  medesimo  gelso  nel  terzo  anno  con 
12  branche  e  nella  fig.  157  la  rispettiva  proiezione  orizzontale. 

Nella  fig.  158  abbiamo  un  gelso  a  mezzo  vento  già  formato. 


—  149  — 

3.  —  Veniamo  ora  alla  formazione  del  mezzo  fusto  a  chioma  pi- 
ramidale. 

Dopo  aver  parlato  abbastanza  diffusamente  della  forma  a  piramide, 
avrei  assai  poco  da  aggiungere,  poiché  quello  che  sarà  capace  di  alle- 
vare una  piramide  le  cui  branche  laterali  si  dipartono  dal  fusto,  all'al- 
tezza di  cm.  50  dal  terreno,  potrà  ancor  meglio  allevare  la  corona 
piramidale  del  mezzo  e  pieno  vento,  per  le  quali  forme  si  comincierà 
operare  a  oltre  m.  1  d'altezza,  all'estremità  del  fusto. 


Fig.  157.  —  Proiezione  orizzontale 
del  gelso  precedente. 


Fig.  156.   —   Gelso  precedente  nel  terzo  anno. 


Fig.  158.  —  Gelso  a  mezzo   vento. 


Dirò  soltanto  che  dalla  corona  piramidale  del  mezzo  e  pieno  vento 
non  si  esige  quella  regolarità  nelle  branche,  che  si  vuole  colla  pira- 
mide già  descritta. 

Ottenuto  il  fusto  all'  altezza  voluta,  invece  di  allevare  tre  rami» 
come  abbiamo  visto  per  ottenere  la  forma  a  vaso,  se  ne  allevano  di 
più  come  si  vede  nella  fig.  159.  In  questo  caso  il  primo  taglio  consiste 
nel  tagliare  l'asta  di  prolungamento  a  due  terzi  della  sua  lunghezza- 
Dei  rami  laterali  se  ne  scelgono  4,  al  massimo  5,  i  meglio  disposti 
intorno  al  fusto,  e  si  tagliano  a  metà,  in  modo  che  dopo  potati,  abbiano 


150 


una  lunghezza  decrescente,  così  che  la  chioma  acquista  la  forma  pira- 
midale. Si  abbia  cura  di  tagliare  il  prolungamento  dell'asta  su  una 
gemma  opposta  a  quella  sopra  la  quale  è  stato  tagliato  il  fusto  al  mo- 
mento dell'impianto  ed  i  rami  laterali  si  taglino  sopra  una  gemma  che 

guardi  in  basso.  Quei  rami  laterali  con 
una  direzione  troppo  verticale  si  incli- 
nano artificialmente  a  45  gradi,  frap- 
ponendo una  assicella  assicurata  al- 
l'asse della  piramide.  Cosi  noi  abbiamo 
la  prima  impalcatura  della  piramide. 
'"I    §  Nell'anno  successivo  (fig.  160),  dalla 

gemma  dell'estremità  dell'asta  si   avrà 


Fig.  159.  —  Chioma   piramidale 

di  un  pero    a   pieno   vento   nel 

primo  anno  di  potatura. 


Fig.  1()0.  —  Pianta  precedente 
nel  terzo  anno  di  potatura. 


Fig.  161. 
Pianta  precedente  nel  quarto  anno 


potatura. 


un  vigoroso  ramo,  che  si  taglierà  ancora  a  due  terzi.  Sotto  si  saranno 
sviluppati  dei  nuovi  rami  dalle  altre  gemme.  Questi  si  tagliano  a  metà 
lunghezza,  come  si  fece  l'anno  precedente  per  la  prima  impalcatura 
avendo  cura  di  preferirne  tre  o   quattro    soltanto,  alternati  con  quelli 


-  151  - 

inferiori.  I  rami  inferiori  della  prima  impalcatura  si  saranno  allungati 
ed  il  loro  prolungamento  si  taglia  a  metà. 

Passato  il  secondo  anno  non  occorre  alzare  oltre  la  pianta.  L'asta 
di  prolungamento  si  comincia  a  tagliare  un  poco  più  corta,  mentre  i 
rami  laterali  si  vanno  tagliando  sempre  più  lunghi  fino  a  lasciarli 
intatti.  A  seconda  della  pianta,  questa  operazione  si  fa  oltre  che  nel 
terzo,  nel  quarto  e  qualche  volta  nel  quinto  anno  dopo  l'impianto. 

Nella  fig.  161  abbiamo  rappresentata  una  chioma  piramidale  colla 
indicazione  dei  tagli  nel  quarto  anno. 

4.  —  La  corona  cupoliforme  o  sierica  differisce  dalla  precedente 
per  avere  tutti  i  rami  pressoché  di  eguale  lunghezza.  Per  ottenere 
questa  forma,  basta  sopprimere  l' asta  verticale  e  curare  invece  che 
tutti  i  rami  abbiano  una  inclinazione,  in  modo  da  permettere  una  ae- 
reazione.  Per  ottenere  una  chioma  cupoliforme,  i  rami  verticali  si  ta- 
gliano a  metà,  gli  obliqui  a  due  terzi  e  gli  orizzontali  si  lasciano 
intatti.  Questa  forma  è  molto  produttiva  e  viene  preferita  da  molti  alla 
forma  a  vaso. 

VII. 
Alberello,  Cespuglio,  Ceppaja. 


1.  Alberello.  —  A  questa  categoria    appartengono    gli    alberelli    che 
si  ottengono  col  ribes  (fig.  162)  e  colla  vite. 

Per  il  ribes  se  ne  parlerà  nella 
parte  speciale.  La  vite,  in  frutticoltura 
dobbiamo  considerarla  come  produt- 
trice esclusivamente  di  uve    da  tavola 


Fig.  162.  —  Alberello  di  ribes. 


Fig.  163.  —  Cespuglio  di  uva  spina. 


e  la  forma  ad  alberello  per  questo  scopo  non  è   la    più  conveniente, 
mentre  è  vantaggiosissima  per  le  uve  da  vino. 


-  152  - 

2.  Cespuglio.  —  Il  lampone,  il  ribes  (fig.  163)  ed  il  rovo  hanno  i 
rami  che  si  rinnovano  ogni  secondo  anno  dalla  radice  e  perciò  il  loro 
allevamento  si  deve  fare  a  cespuglio,  ed  anche  di  questo  si  parlerà 
nelle  coltivazioni  speciali. 

3.  Ceppaja.  —  Il  nocciolo  ed  il  fico  si  possono  allevare  a  questa 
forma  tenendo  i  rami  bassi,  i  quali  si  rinnovano  dal  ceppo  dopo  una 
serie  di  anni. 


Vili. 
Cordoni. 

1.  —  Per  cordoni  s' intendono  quelle  forme  di  piante,  che  consi- 
stono del  solo  fusto  rivestito  esclusivamente  di  rami  a  frutto.  I  cordoni 
si  dicono  orizzontali,  obliqui,  verticali  od  a  serpentone,  a  seconda  della 
direzione  che  viene  data  al  fusto.  Il  cordone  è  quindi  la  forma  più 
elementare,  è  l'albero  ridotto  ai  suoi  minimi  termini. 

La  forma  a  cordone  è  molto  conveniente,  perchè  facile  ad  ottenersi 
ed  in  breve  tempo,  perchè  fruttifica  immediatamente  e  dà  frutti  sapo- 
ritissimi e  di  molto  volume.  II  raccolto  è  abbondante,  sicuro,  e  per  il 
poco  spazio  che  il  cordone  occupa,  eleva  la  rendita  del  terreno  occu- 
pato ad  un  limite,  che  non  può  essere  raggiunto  da  alcuna  altra  forma. 

Non  tutte  le  specie  fruttifere  e  non  tutte  le  varietà  possono  però 
elevarsi  a  cordone.  Così  ad  esempio,  a  cordone  orizzontale  conviene 
soltanto  allevare  il  pomo,  alcune  varietà  di  pero,  ed  a  cordone  verti- 
cale, il  pero,  la  vite;  a  cordone  obliquo  il  pero;  a  spira  il  pero.  Si 
possono  allevare  a  cordone  anche  altre  specie  fruttifere,  come  il  cilie- 
gio, il  nespolo,  ecc.;  ma  sono  troppe  le  cure  e  l'arte  che  richiedono, 
per  poterle  consigliare  in  generale.  Bisogna  aver  cura  di  allevare  a  cor- 
done delle  varietà  di  poco  vigore,  di  brevi  cacciate  e  di  raeritalli  corti. 

2.  Cordone  orizzontale.  —  Il  cordone  orizzontale  è  la  forma  più 
elegante  dei  cordoni  e  la  più  produttiva,  alla  quale  si  presta  in  modo 
singolare  il  melo.  Serve  a  contornare  le  aiuole  formando  una  specie  di 
siepe  che  impedisce  l'accesso  all'  interno,  e  ad  utilizzare  le  strisele  di 
terra,  che  per  nessuna  altra  forma  potrebbero  servire. 

Per  condurre  i  meli  o  peri  a  cordone  orizzontale,  si  piantano  i 
soggetti  a  file  ben  diritte  e  ad  una  distanza  varia  a  seconda  della  qua- 
lità del  terreno  e  del  vigore  della  varietà.  Per  il  melo  innestato  sul 
paradiso  conviene  la  distanza  da  m.  1,50  a  2,  e  se  innestato  sul  dolcigno 
da  m.  2  a  2,50.  Per  il  pero  innestato  sul  cotogno  m.  2,  e  se  innestato 
sul  biancospino  m.  1,50. 

Il  cordone  orizzontale  può  essere  allevato  in  due  maniere,  e  cioè 
avente  un  solo  braccio  orizzontale  o  due  opposti  uno  all'altro.  Il  primo 
si  chiama  cordone  orizzontale  semplice  od  unilaterale  (fig.  164);  il 
secondo  è  bilaterale,  chiamato  anche  cordone  doppio  (fig.  165). 


-  153  - 

Per  ottenere  un  cordone  orizzontale  semplice,  si  comincia  col  ten- 
dere un  filo  di  ferro,  all'altezza  di  40  cm.  dal  terreno  e  lungo  la  linea 
dove  si  vogliono  i  cordoni.  Lungo  questo  filo  si  piantano  i  soggetti  alla 
dovuta  distanza. 

Nel  secondo  anno,  al  piede  di  ciascuna  pianta,  si  infigge  nel  terreno 
un  paletto,  che  arrivi  all'  altezza  del  filo  di  ferro,  anzi  lo  si  lega  a 
quest'ultimo,  perchè  in  tal  modo  reciprocamente  si  sostengono.  Quindi 
si  lega  la  pianta  al  paletto  con  due  legature;  una  poco  sopra  al  colletto 
ed  una  a  cm.  20  dal  terreno  e  poi  si  piega  orizzontalmente  la  pianta, 
dolcemente,  al  fine  di  non  romperla  da  nord  a  sud,  oppure  da  ovest 
ad  est.  Piegata  la  pianta,  bisogna  legarla  al  filo;  allora  si  fa  una  lega- 
tura più  vicino  al  paletto  ed  una  seconda  a  metà ~  lunghezza  della 
branca,  e  la  estremità  si  lascia  libera.  Le  legature  non  devono  essere 
tanto  tese,  altrimenti  si  incorre  nel  pericolo  di  avere  delle  strozzature. 

Adattata  la  pianta  nel  modo  descritto,  si  applica  il  taglio,  il  quale 
consiste  nel  recidere  tutti  i  rami  e  le  gemme  che  si  possono  trovare 
lungo   il   fusto    verticale   e   sull'  incurvatura ,    poiché   lasciandole   non 


Fig.  164.  Fig.  165. 

Cordone  orizzontale  semplice.  Cordone  orizzontale  doppio. 

farebbero  che  assorbire  della  linfa  a  detrimento  della  branca  orizzon- 
tale. Lungo  questa  si  tagliano  i  rami  laterali,  a  due  gemme  dalla  loro 
base;  i  rami  verticali  e  tutti  quelli  contro  terra  si  tagliano  del  tutto  e 
l'estremità  della  branca  si  accorcia  di  un  terzo  della  lunghezza  totale, 
sopra  una  gemma  che  guardi  il  terreno. 

Durante  l'estate  si  devono  sopprimere  tutti  i  getti  che  nascono 
verticali  lungo  la  branca,  ed  a  tutti  i  getti  laterali  si  applicherà  la 
cimatura  e  le  altre  operazioni  di  potatura  verde,  descritte  a  suo  luogo. 
Il  getto  di  prolungamento  lo  si  lascia  completamente  libero  od  al  più, 
se  viene  a  raggiungere  una  lunghezza  superiore  a  cm.  40,  lo  si  lega  al 
filo  di  ferro,  lasciando  però  sempre  libera  l'estremità. 

Negli  anni  venturi,  la  potatura  secca  dei  rami  laterali  alla  branca 
si  fa  nel  seguente  modo. 

Se  inavvertitamente  sono  rimasti,  dopo  la  potatura  verde,  dei  rami 
verticali,  questi  si  devono  risolutamente  sopprimere  alla  base.  Per  gli 
altri  rami  bisogna  comportarsi  a  seconda  dei  casi. 

Può  darsi  ad  esempio,  che  un  ramo  laterale,  per  la  troppa  vi- 
goria e  nonostante  delle  ripetute  cimature,  torsioni,  ecc.,  non  porti  alcun 
dardo,  ma  invece  abbia  esclusivamente  delle  gemme  a  legno.  In  questo 
caso  conviene  reciderlo  alla  base  un  mezzo  centimetro  sopra  la  sua 
inserzione,   allo  scopo   di  indebolire   la  pianta  e  di  far  sviluppare  dei 


-  154  - 

getti  dalle  gemme  latenti,  che  si  trovano  sempre  alla  base  di  ogni  ramo. 
Naturalmente  nella  primavera  avi'emo  l'emissione  di  più  getti,  quante 
sono  cioè  le  gemme.  Dipenderà  dal  potatore  di  scegliere  fra  questi  il 
meglio  situato  e  che  più  gli  conviene  :  gli  altri  dovrà  scacchiarli. 

Talvolta  lateralmente  vi  è  un  dardo  ad  oltre  cm.  10  di  distanza 
dalla  branca.  Questa  distanza  è  troppo  grande,  poiché  se  si  considera 
che  questo  dardo,  dopo  aver  portato  frutto  si  trasforma  in  una  borsa, 
la  quale  borsa  alla  sua  volta  può  emettere  un  brindillo,  lungo  il  quale 
poi  devono  venire  i  frutti  avvenire,  si  comprenderà  di  leggeri  che 
la  vegetazione  viene  a  portarsi  troppo  distante  dalla  branca  madre, 
incoiTendo  perciò  nel  pericolo  di  avere  poca  solidità  ed  anche  una 
deformazione.  Tenga  bene  a  mente  il  lettore  che  il  cordone  in  vege- 
tazione devesi  presentare  come  il  ramo  di  una  ghirlanda,  avente  una 
larghezza  non  superiore  a  cm.  30.  Nel  caso  or  ora  descritto  consiglierei 
quindi  di  recidere  anche  questo  ramo  alla  base,  appena  raccolto  il 
frutto. 

Un  terzo  caso  può  essere  il  seguente  e  cioè  che  un  ramo  porti  due 
o  tre  dardi  entro  i  cm.  10  di  distanza  dalla  branca.  Dato  che  basti  un 
solo  dardo  per  ogni  ramo  laterale  per  caricare  la  pianta  di  frutta,  molti 
potrebbero  ritenere  che  si  debba  tagliare  il  ramo  immediatamente  sopra 
il  primo  dardo.  Ma  invece  si  deve  tagliare  sopra  la  gemma  immediata- 
mente superiore. 

Tagliando  sopra  il  primo  dardo,  tutta  quella  linfa  destinata  alla 
parte  superiore  del  ramo  si  concentra  su  questo,  e  invece  di  formare 
dei  fiori,  dà  un  getto;  in  una  parola  avviene  una  specie  di  colatura  o 
trasformazione  del  dardo  fruttifero  in  infruttifero.  Lasciando  invece 
anche  la  gemma  superiore,  allora  la  linfa  viene  ad  avere  maggior  sfogo, 
viene  meglio  elaborata,  il  dardo  inferiore  porterà  i  suoi  fiori  e  la 
gemma  superiore  servirà  a  dar  frutti  negli  anni  venturi.  Potrebbe  darsi 
però  che  sopra  al  primo  dardo  se  ne  trovi  un  secondo  e  che  tutti  e 
due  i  dardi  venissero  a  portar  fiori  e  frutti.  Allora  conviene  togliere 
delicatamente  i  fiori  dal  dardo  più  lontano,  per  lasciar  fruttificare 
soltanto  quelli  più  vicini  alla  branca.  Di  questo  si  è  trattato  più  ditfu- 
samente  nella  Parte  III,  cap.  VII  e  seguenti. 

Invece  di  portare  dei  dardi,  un  ramo  laterale  potrebbe  portare  dei 
brindilli.  Allora  di  questi  si  lascia  quello  più  vicino  alla  branca,  ta- 
gliandolo a  cm.  10  di  lunghezza. 

Se  infine  un  ramo  laterale  non  ha  che  delle  gemme  a  legno,  allora 
lo  si  taglia  a  due  gemme,  come  ho  consigliato  nel  primo  anno  di 
piegatura. 

Il  taglio  secco  del  ramo  di  prolungamento  del  cordone,  consiste 
neir  amputarlo  fra  il  forte  ed  il  debole  e  sempre  con  una  gemma 
rivolta  in  basso,  contro  il  terreno. 

Quando  l'estremità  di  un  cordone  raggiunge  il  cordone  vicino  si 
abbia  cura  di  l'innovare  ogni  anno  1'  estremità,  con  un  ramo  novello, 
perchè  attiri  la  linfa,   A  questo  scopo  conviene  tener  innalzata  l'estre- 


—  155  - 

mità  mediante  un  paletto  infìsso  obliquamente.  L'uso  d' innestare  per 
approssimazione  l' estremità  del  cordone  orizzontale  colla  pianta  vi- 
cina, quando  questa  viene  raggiunta,   non   lo  trovai  conveniente. 

Molte  volte  avviene  che  lo  spazio  lasciato  a  ciascuna  pianta  non  è 
proporzionato  al  suo  vigore.  Nel  caso  in  cui  la  vegetazione  ecceda,  si 
tende  un  altro  filo  di  ferro  parallelo  sopra  al  primo  e  distante  cm.  40, 
e  ciò  allo  scopo  di  allevare  una  seconda  branca.  Questo  però  si  deve 
fare  quando  solo  la  prima  branca  ha  raggiunto  il  cordone  vicino. 
Allora  all'incurvatura  si  alleva  un  ramo,  che  nel  primo  anno  si  man- 
tiene verticale  e  nel  secondo  lo  si  piega  lungo  il  secondo  filo,  appli- 
cando le  stesse  operazioni  prima  descritte. 

3.  —  Per  formare  il  cordone  bilaterale  o  doppio,  è  meglio  tendere 
il  filo  di  ferro  prima  dell'impianto,  perchè  allora  si  collocano  i  soggetti 
in  modo  da  ottenere  una  branca  per  lato,  lungo  la  linea  del  cordone. 

Trattandosi  di  soggetti  di  un  anno,  si  tagliano  nello  stesso  anno 
dell'impianto  e  precisamente  sopra  due  gemme  opposte  e  situate  alcuni 
centimetri  più  sotto  del  filo  di  ferro.  I  due  germogli  che  escono  si 
lasceranno  crescere  liberi  verticalmente  e  nell'anno  successivo,  si  pie- 
gano uno  da  una  parte  e  l'altro  dall'altra,  tagliandoli  ad  eguale  lun- 
ghezza. Poi  si  avrà  sempre  cura  che  tutte  e  due  le  diramazioni  crescano 
di  conserva,  mantenendole  eguali  di  lunghezza.  Per  il  resto,  l'alleva- 
mento del  cordone  bilaterale  non  differisce  punto  da  quello  del  cordone 
orizzontale,  ma  non  è  conveniente  per  la  difficoltà  di  mantenere  in 
equilibrio  le  due  branche. 

4.  Cordone  obliquo.  —  Per  questa  forma  si  adatta  meglio  il  pero 
che  il  pomo  (vedi  fig.  166). 

Coi  cordoni  obliqui  si  ha  il  vantaggio  di  coprire  i  muri  in  breve 
tempo,  senza  menomare  la  vigoria  delle  piante. 

Occorre  impiegare  però  una  sola  varietà,  perchè  le  piante  possano 
svilupparsi  di  conserva. 

Prima  dell'impianto,  si  tendono  lungo  il  muro  tre  fili  di  ferro; 
uno  a  cm.  30  di  distanza  del  terreno,  il  secondo  a  metà  altezza  del 
muro  ed  il  terzo  a  cm.  20  sotto  al  culmine  del  muro.  A  questi  fili  si 
legano  subito  delle  assicelle  di  legno,  a  mezzo  di  filo  di  ferro  cotto, 
inclinandole  a  50  gradi,  ed  alla  distanza  di  cm.  40  una  dall'altra. 

Indi,  si  procede  all'impianto,  impiegando  delle  piante  di  un  anno 
di  innesto  che  si  collocano  a  cm.  40-50  di  distanza  e  inclinandole  subito 
a  50  gradi,  legandole  alle  assicelle.  Fatto  l'impianto,  si  tagliano  tutti  i 
soggetti  a  due  terzi  di  lunghezza  e  sopra  una  gemma  che  guarda 
innanzi  o  al  di  sotto,  mai  al  di  sopra.  Durante  la  state  si  favorisce  il 
meglio  possibile  lo  sviluppo  del  germoglio  terminale,  ed  ai  germogli 
lungo  il  fusto,  si  applicano  tutte  quelle  operazioni  descritte  nella  po- 
tatura verde  e  che  tendono  a  trasformarli  in  rami  a  frutto. 

Il  taglio  del  secondo  anno  ai  rami  laterali  sarà  identico  a  quello 
pel  cordone  orizzontale;  cosi  pure  il  ramo  di  jjrohnigamento  lo  si 
taglierà  fra  il  forte  ed  il  debole  e  sempre  sopra  una  gemma  che  guarda 


—  156  — 

in  avanti.  Per  regolarità,  si  procura  di  tagliare  possibilmente  tutti  i 
cordoni  di  una  fila  a  medesima  altezza.  Se  il  ramo  di  prolungamento 
non  fosse  ben  sviluppato,  allora  conviene  tagliare  sul  legno  di  due 
anni,  per  ottenere  un  ramo  terminale  più  vigoroso. 

Nel  terzo  anno  il  cordone  ha  di  solito  raggiunto  due  terzi  della 
sua  lunghezza  totale.  Ai  rami  laterali  e  di  prolungamento  si  applicano 
le  medesime  operazioni  degli  anni  precedenti. 

Quando  il  cordone  è  arrivato  all'altezza  del  mui'o,  conviene  tagliare 
ogni  anno  il  fusto  cm.  40  al  disotto  dell'estremità  per  lasciar  sviluppare 
un  getto  vigoroso  di  prolungamento,  che  forzi  la  linfa  a  circolare  ab- 
bondantemente lungo  il  fusto.  Le  due  estremità  del  muro  si  rivesti- 
ranno con  due  palmette  semplici,  una  avente  i  lati  laterali  a  destra  e 
l'altra  con  una  biforcazione  sull'ultima  pianta. 

Come  si  vede,  il  cordone  obliquo  ha  il  vantaggio  di  dare  un  mag- 
gior sviluppo  alla  pianta,  però  abbisogna  sempre  di  sostegno.  Così  è, 
che  questi  cordoni  si  fanno  o  contro  un  muro  o  contro  una  intelaiatura 
alta  m.  2,50. 


Fig.  166.  —  Cordoni  obliqui. 


Fig.  167.  —  Cordoni  orizzontali. 


In  cinque  anni  tutto  il  muro  può  essere  coperto  e  nel  quarto 
anno  si  possono  raccogliere  le  frutta. 

5.  Cordone  verticale.  —  Quando  si  ha  un  muro  superiore  a  m.  2,50 
d'altezza,  conviene  il  cordone  verticale  (vedi  fig.  167). 

L' impianto  si  fa  come  pel  cordone  obliquo,  con  questa  sola  diffe- 
renza, che  il  fusto  si  mantiene  diritto  e  le  piante  si  mettono  alla  di- 
stanza di  cm.  40  una  dall'altra.  L'allungamento  della  branca,  e  la  po- 
tatura annuale  sono  le  stesse  del  cordone  obliquo,  cosi  pure  si  farà 
costruire  egualmente  la  intelaiatura,  solo,  come  è  naturale,  si  dovranno 
tenere  gli  assicelli  verticali  e  distanti  fra  loro  centimetri  30. 

6.  Cordone  a  zig-zag  od  a  serpentone.  —  Per  ovviare  l'inconveniente 
dei  cordoni  verticali,  e  cioè  di  vedere  in  poco  tempo  deperire  i  rami 
laterali  in  basso,  si  propone  la  forma  a  serpentone,  che  colla  sua 
curvatura  ripetuta  rallenta  un  poco  il  corso  della  linfa.  Del  resto  questa 
forma  viene  poco  usata  ed  è  anche  poco  apprezzata.  La  potatura  di 
mantenimento  è  sempre  eguale  a  quella  che  ho  descritto  pel  cordone 
orizzontale. 


—  157  - 

Riassumendo  quanto  è  stato  detto  sui  cordoni  si  conclude,  che  il 
cordone  orizzontale  conviene  per  il  melo  soltanto  ed  eccezionalmente 
per  il  pero  ;  il  cordone  obliquo  è  al  più  vantaggioso  per  il  pero,  ma 
per  la  difficoltà  di  mantenere  l'equilibrio  fra  i  due  lati  e  sopra  l'incli- 
nazione del  cordone,  conviene  abbandonarlo.  Il  cordone  verticale  è 
invece  vantaggiosissimo  per  il  pero  e  per  coprire  dei  muri  alti. 

Il  pesco  a  cordone  verticale  ed  obliquo  è  sconsigliabile  perchè  le 
piante  hanno  breve  durata  ed  abbisognano  di  continue  cure  di  potatura. 

La  vite  si  alleva  a  cordone  verticale  ed  a  cordone  orizzontale 
annuo  e  permanente.  Di  questi  si  tratterrà  nella  coltura  speciale 
della  vite. 


IX. 
Forme  da  spalliera  e  controspalliera. 

1.  —  La  spalliera  non  è  altro  che  una  intelaiatura  in  legno,  o  parte 
in  legno  e  parte  in  ferro,  fatta  contro  un  muro  e  sulla  quale  si  sten- 
dono le  branche  delle  piante  da  frutto,  allevate  in  forma  regolare.  Se 
la  intelaiatura  non  viene  appoggiata  al  muro,  ma  si  trova  isolata,  lungo 
i  lati  di  un'  aiuola,  dicesi  controspalliera. 

Questo  sistema  non  è  una  cosa  nuova,  suggerita  dai  frutticoitori  moderni,  ma  è 
sempre  stata  usata  anche  in  antico.  E  ciò  non  soltanto  per  i  vantaggi  rispetto  alla  frut- 
tificazione, ma  anche  perchè  serve  di  ornamento  dei  giardini  o  dei  viali.  La  differenza 
che  passa  fra  quanto  suggerivano  nei  tempi  antichi  e  la  pratica  odierna  consiste  sol- 
tanto in  ciò,  che  mentre  una  volta  venivano  suggerite  le  forme  più  bizzarre  e  capricciose, 
oppure  si  stendeva  ed  allacciava  ogni  ramo  in  modo  affatto  irregolare,  soltanto  allo 
scopo  di  coprire  il  muro,  ora  invece  si  suggeriscono  delle  forme  regolari,  più  semplici, 
ad  ottenersi,  di  facile  manutenzione  e  adatte  per  mantenere  la  pianta  in  continuo  vi- 
gore, producendo  costantemente  una  considerevole  quantità  di  frutta. 

I  vantaggi  che  si  hanno  coli'  allevare  le  piante  a  spalliera  sono 
multipli  e  di  questi  dobbiamo  ora  tener  parola. 

Anzitutto  i  rami,  le  frutta,  vengono  esposte  ad  un  maggior  grado 
di  calore,  e  perciò  si  ha  una  più  pronta  maturazione  e  sviluppo. 
Essendo  allacciato  ogni  ramo,  vengono  assolutamente  ovviati  tutti  i 
danni  causati  dai  venti,  ciò  che  è  indispensabile  specialmente  per  le 
frutta  invernenghe,  senza  contare  ancora  che  per  il  poco  spazio  che 
occupano  le  spalliere,  è  permesso  al  frutticoitore  di  utilizzare  al  mas- 
simo il  suo  terreno,  con  la  certezza  quasi  di  avere  un  prodotto  costante 
e  di  ottima  qualità.  Abbandonando  certe  forme  capricciose  che  possono 
ottenere  soltanto  pochi  ben  ammaestrati  in  frutticoltura,  io  suggerirò 
forme  molto  facili  ad  ottenersi,  poco  costose  e  di  non  difficile  manu- 
tenzione. Con  una  scala  doppia  di  sussidio,  un  frutticoitore  in  un 
giorno  può  fare  un  lavoro  di  rendita  doppia,  che  non  potando  delle 
forme  libere.  La  facilità,  con  pochi  costosi  ripari,  di  salvare  le  piante 
dai    danni  dei  geli    tardivi    di   primavera   e   precoci  d' autunno,    è    un 


-  158  - 

vantaggio  di  cui  bisogna  tener  conto.  Da  ultimo  aggiungeremo  che,  per 
r  aspetto  elegante  di  queste  forme,  esse  servono  di  ornamento  a  qual- 
siasi giardino. 

Le  forme  principali  che  io  consiglio  per  spalliere  e  controspalliere 
sono  :  il  cordone  verticale  di  cui  si  è  già  parlalo,  la  forma  ad  U  sem- 
plice e  doppia,  la  palmetta  Verrier  e  la  palmetta  semplice  e  doppia. 

2.  Forma  ad  U  semplice.  —  Questa  forma  è  da  raccomandarsi  per 
il  pero,  quando  si  vuole  una  spalliera  non  più  alta  di  due  metri  e  mezzo. 
Se  il  muro  è  più  alto,  conviene  il  cordone  verticale.  Per  il  pesco  e 
ciliegio  questa  forma  invece  è  convenientissima  ed  è  molto  migliore 
che  i  cordoni  semplici  verticali,  anche  per  spalliere  di  oltre  3  metri 
di  altez^  (flg.  168). 

Per  ottenere  una  forma  ad  U  semplice,  si  fa  l'impianto  di  soggetti 
innestati  da  un  anno,  collocandoli  alla  distanza  di  80  cm.  se  peri,  e 
m.  1  se  peschi  o  ciliegi. 

Nel  primo  anno  si  taglia  il  soggetto  a  cm.  30  da  terra,  sopra  due 
gemme  laterali  ed  opposte.    Lungo  l'anno  si  avrà  cura  di  allevare  sol- 


Fig.  168.  —  Forma  U  semplice. 


Fig.  169.  —  Forma  U  doppia. 


tanto  i  due  germogli  che  esciranno  da  due  gemme  terminali,  ai  quali 
si  darà  anche  subito  l'incurvatura  per  ricondurli  alla  direzione  verti- 
cale, in  modo  che  vi  sia  una  distanza  di  40  cm.  fra  loro.  Ciascuno 
di  questi  bracci  si  tratta  colle  medesime  regole  che  ho  spiegato  per  i 
cordoni  verticali,  avendo  l'avvertenza  che  le  due  branche  crescano 
sempre  eguali.  In  casi  diversi  si  applicheranno  le  pratiche  già  spiegate 
per  stabilire  l'equilibrio  fra  due  rami. 

3.  —  Palmette  Verrier.  —  Per  l' U  doppia  o  palmetta  a  quattro 
rami  verticali,  avendo  un  doppio  numero  di  rami  della  U  semplice,  la 
distanza  deve  essere  doppia. 

Questa  forma  è  molto  vantaggiosa  prima  per  il  pesco,  poi  per  il 
ciliegio  e  pero  (tìg.  169). 

Nel  primo  anno  di  impianto,  dopo  aver  tagliato  la  pianticina  d'un 
anno  a  30  cm.  dal  terreno,  si  alleveranno  tre  getti,  dei  quali  quello  di 
mezzo  si  terrà  verticale,  ed  i  getti  laterali  verranno  avviati  a  formare 


—  159  - 

una  curva  in  modo  che  i  due  bracci  si  trovino  alla  distanza  di  ni.  1,20 
se  pero,  e  di  m.  1,50,  se  pesco  o  ciliegio. 

Durante  il  primo  anno,  come  è  naturale,  si  avrà  da  curare  solo  lo 
sviluppo  dei  due  bracci  laterali  e  della  branca  di  mezzo.  A  quest'ultima 
poi  in  particolar  modo  bisogna  stare  attenti,  poiché  ricevendo  essa 
direttamente  la  linfa,  sì  incorre  nel  pericolo  che  soperchi  i  primi 
due  rami. 

Nella  potatura  secca  del  secondo  anno  si  procederà  cosi. 

Si  incomincia  prima  a  tagliare  circa  a  due  terzi  l'estremità  della 
branca  laterale  più  debole  avendo  cura  che  l'estremità  sia  piegata  in 
alto  ed  il  taglio  lo  si  farà  sopra  una  gemma  posta  in  avanti.  Se  l'estre- 
mità non  arrivasse  a  poter  esser  piegata  verticalmente,  allora  per  un 
tratto  la  si  legherà  orizzontalmente  e  l' altra  parte  si  terrà  obliqua, 
acciò  prenda  vigore.  La  branca  centrale  non  si  deve  tagliarla  ad  un'al- 
tezza superiore  a  quella  cui  arrivano  le  estremità  delle  branche 
laterali.  Per  questo,  nel  secondo  anno,  non  si  arriva  a  tagliarla  mai 
ad  un'altezza  superiore  di  20  o  25  cm.  e  sopra  una  gemma  posta  in 
avanti. 

Nel  terzo  anno  si  taglieranno  le  due  branche  laterali  come  fossero 
tanti  cordoni  verticali  e  la  centrale  alla  distanza  di  50  cm.  sopra  il 
punto  di  partenza  delle  due  prime  branche  e  sopra  due  gemme  laterali 
ed  opposte,  le  quali  serviranno  a  formarne  una  seconda  U  colle  bran- 
che distanti  fra  loro  40  per  il  pero  e  50  cm.  per  il  pesco.  Anche  du- 
rante questo  anno  bisogna  avere  cura  che  le  due  branche  di  mezzo 
non  vengano  a  soperchiare  le  due  esterne. 

Nel  quarto  anno  le  quattro  branche  verticali  si  tratterranno  come 
fossero  tanti  cordoni  verticali  e  nel  taglio  si  avrà  l'avvertenza  di  ope- 
rare prima  sulla  branca  più  debole  onde  poi  tagliare  anche  le  forti  ad 
eguale  altezza. 

4.  —  Ci  sono  anche  le  palmelte  verlicalì  a  5  rami,  in  cui  la  branca 
di  mezzo,  oltre  a  biforcarsi,  si  allunga  e  forma  una  specie  di  asse 
mediano.  Non  consiglio  questa  forma  per  la  difficoltà  di  mantenerla  in 
equilibrio. 

Da  alcuni  autori  questa  palmetta  viene  chiamata  palmella  Verrier 
a  5  rami. 

5.  Palmella  Verrier  a  6  rami.  —  Non  è  altro  che  la  forma  ad  U  la 
quale,  invece  di  portare  come  l'ultima  descritta  4  branche  verticali,  ne 
porla  6  sempre  a  40  cm.  di  distanza.  Le  piante  si  collocano  a  ni.  2,40 
di  distanza,  se  le  branche  si  vogliono  tenere  alla  distanza  di  40  cm., 
e  per  il  pesco  e  susino,  la  distanza  deve  essere  di  m.  3  dovendo  ogni 
branca  distare  50  cm. 

La  potatura  di  formazione  si  fa  come  per  1'  U  doppia,  soltanto  per 
ottenere  la  terza  impalcatura  delle  branche  verticali,  bisogna  nel  terzo 
anno  ripetere  la  potatura  già  indicata  del  secondo  anno. 

6.  Palmella  semplice.  —  Questa  forma  consiste  in  una  branca  ver- 
ticale,  avente   ad   eguale   distanza   fra   loro   ed  opposte,   una   serie  di 


—  160  - 

branche  orizzontali  (fìg.  170).  La  palmetta  doppia  invece  non  ha  l'asse 
della  pianta  unico,  ma  doppio  a  forma  di  U  (fìg.  171). 

Queste  palmette  sono  adatte  tanto  per  le  piante  a  granella  che  per 
quelle  a  nocciolo.  Per  le  prime  la  prima  impalcatura  si  fa  all'altezza 
di  30-40  cm.,  e  per  le  piante  a  nocciolo  a  40-50  cm.  Lo  stesso  vale  per 
le  distanze  fra  le  diverse  branche. 

Per  la  palmetta  semplice  si  scelgano  dei  soggetti  di  un  anno  di 
innesto  e  si  piantino  ad  una  distanza  che  sarà  in  ragione  inversa  del- 


Fig.  170.  —  Palmetta  semplice. 


Fig.  171.  —  Palmetta  doppia. 


l'altezza  del  muro  o  della  controspalliera.  Da  noi  bisogna  calcolare  le 
distanze  in  modo  che  ciascuna  palmella  venga  a  coprire  8-12  m^. 

Nel  primo  anno  d'impianto  si  taglia  a  30  o  40  cm.  di  altezza  (fìg.  172) 
in  modo  che  si  trovino  due  gemme  laterali  opposte  all'altezza  di  16  a 
20  cm.,  ed  una  gemma  superiore  posta  sul  davanti.  Le  due  prime  gemme 


Fig.  172.  —  Taglio  del  primo  anno 
per  ottenere  una  palmetta. 


Palmetta  nel  secondo  anno 


sviluppandosi,  daranno  le  prime  branche  laterali  inferiori  e  quella  di 
mezzo  il  prolungamento  della  branca  centrale. 

Fatto  il  taglio,  si  farà  una  prima  legatura  alla  base  del  soggetto,  la 
seconda  a  metà  e  la  terza  sopra  l'ultima  gemma  del  mozzicone  lasciato. 

Durante  la  state  si  conserveranno  i  tre  germogli  delle  tre  gemme 
terminali,  mentre  tutti  gli  altri  si  scacchieranno.  1  tre  germogli  si  affi- 
deranno a  tre  fuscelli,  ad  uno  dei  quali,  quello  nel  mezzo  e  verticale, 
si  legherà  il  germoglio  di  prolungamento  del  fusto,  ed  agli  altri  due  si 
darà  un'  inclinazione   di  30°  circa  sia  da  un  lato  che  dall'altro,  acciò  i 


-  161  - 

due  germogli  laterali  che  si  legano,  prendano  vigore  e  crescano  egual- 
mente vigorosi. 

Nella  primavera  del  secondo  anno,  se  tutto  corre  regolarmente,  la 
pianta  si  presenterà  come  si  vede  nella  fìg.  173.  La  branca  centrale  si 
taglierà  a  circa  cm.  45  e  sopra  una  gemma  posta  in  avanti  in  modo,  che 
sotto  si  trovino  due  gemme  laterali,  distanti  dalle  due  prime  branche 
laterali  cm.  40.  La  gemma  che  guarda  in  avanti  ha  lo  scopo  di  pro- 
lungare il  fusto  della  pianta,  le  due  gemme  laterali  serviranno  a  for- 
mare la  seconda  impalcatura.  Le  due  prime  branche  laterali,  mante- 
nendole sempre  inclinate  di  40  gradi,  si  taglieranno  sopra  una  gemma  in 
avanti  ed  alla  medesima  altezza  a  cui  è  stata  tagliata  la  branca  centrale. 

Lungo  l'anno  si  scacchieranno  i  germogli  che  si  portano  in  avanti 
od  indietro,  regola  questa  che  serve  per  tutte  le  forme  a  spalliera. 
Per  i  germogli    che  si    trovano    in    alto    od   in  basso    della  branca,   si 


Fig.  174.  —  Palmetta  nel  terzo  anno. 


Fig.  175.  —  Palmella  di  4  anni 
non  bene  sviluppala. 


applicherà  la  potatura  verde  che  ho  descritto  a  suo  luogo.  Riguardo  ai 
germogli  di  prolungamento  delle  due  branche  laterali,  non  si  cimano 
e  si  procurerà  al  loro  normale  sviluppo  assicurandoli  ad  una  assicella 
che  si  terrà  nella  direzione  della  branca.  Dall'estremità  della  branca 
centrale  si  alleveranno  invece  tre  germogli  come  quelli  dell'anno  de- 
corso. 

Se  tutto  va  normalmente,  la  pianta  nella  primavera  del  terzo  anno 
si  presenterà  come  nella  fig.  174. 

In  questo  caso  si  taglia  il  fusto  centrale  circa  a  cm.  45,  come  il  primo 
anno,  sopra  una  gemma  in  avanti  ed  in  modo  che  sotto  a  questa  si 
trovino  2  gemme  laterali  che  distino  dalle  seconde  branche  cm.  40.  Le 
due  branche  immediatamente  inferiori  si  inclinano  a  30  gradi  e  si 
tagliano  in  modo  che  la  gemma  terminale  venga  a  trovarsi  a  medesimo 
livello  della  gemma  terminale  del  fusto  ;  le  due  branche  ottenute  nel 
primo  anno,  si  tagliano  a  cm.  40-50  sopra  al  taglio    fatto  l'anno  prima 

11  —  Tamauo  -  Frutticoltura. 


-  162  - 

e  si  inclinano  in  modo  che  la   loro  gemma  terminale  venga  a  trovarsi 
a  livello  delle  gemme  terminali  immediatamente  superiori. 

Durante  la  state  si  fanno  tutte  quelle  operazioni  di  potatura  verde 
già  descritte,  avendo  sempre  di  mira  di  ottenere  il  prolungamento  per 
ogni  branca  ed  ogni   anno    una   nuova   serie    di  branche.    La  potatura 


Fig.  17G.  —  Palmetta  Verrier  a  11  branche. 

secca  dei  rami  laterali  alle  branche  deve  essere  conforme  a  quella  già 
indicata  per  ottenere  dei  rami  a  frutto. 

Nel  quarto  anno  avremo  la  palmetta  con  3  serie  di  branche.  Se  le 
prime  branche  hanno  già  raggiunto  la  lunghezza  desiderata  della  spal- 
liera, si  piegano  orizzontalmente,  le  seconde  dell'impalcatura  superiore 
si  piegano  a  60  gradi,  e  le  terze  branche  a  30  gradi. 


Fig.  177.  —  Palmetta  a  forma  ventaglio  a  10  branche. 

Negli  anni  successivi,  per  formare  le  altre  impalcature,  basterà 
seguire  quanto  abbiamo  detto  per  le  tre  prime.  In  8  o  10  anni,  seguendo 
il  sistema  che  ho  spiegato,  avremo  una  palmetta  come  è  indicata 
nella  fig.  170. 

Non  sempre  è  possibile  ottenere  ogni  anno  una  nuova  impalcatura, 
oppure  molte  volte  avviene  che  le  branche  inferiori  rimangono  deboli 


/    -  163  - 

e  le  superiori  attirano  una  straordinaria  quantità  di  linfa.  Allora  bisogna 
perdere  un  anno  e  cioè  tagliare  il  fusto  centrale,  non  all'altezza  a  cui 
si  vuole  ottenere  la  nuova  impalcatura,  ma  a  metà  distanza,  cioè  a 
25  citi,  invece  che  a  circa  45.  Si  devono  tagliare  più  corte  tutte  le  altre 
branche  ed  appena  nell'anno  successivo  si  taglierà  il  fusto  all'altezza 
dovuta,  per  ottenere  la  nuova  impalcatura  (fig.  175). 


Fig.  178. 


Palmetta  a  forma  ventaglio  a  12  branche. 


Nella  palmetta  in  genere,  la  difficoltà  maggiore  consiste  nel  man- 
tenere il  necessario  vigore  nelle  branche  inferioii,  le  quali  vengono 
facilmente  soverchiate  dalle  superiori,  se  non  si  ha  cura  di  diminuirne 
costantemente  il  vigore,  rallentando  il  loro   sviluppo.  Per   evitare  ciò, 


Fig.  179.  —  Palmetta  a  forma  candelabro. 

l)u  Breuil  padre  ha  immaginato  di  dare  alle  branche  laterali  una  di- 
rezione obliqua  ascendente,  in  modo  che  lo  scheletro  della  pianta  si 
presenta  come  tanti  V  aperti.  Questa  forma  ha  però  molti  degli  in- 
convenienti dei  cordoni  obliqui. 

7.  Palmella  doppia.  —  Questa  palmetta  (fig.  171)  si  ottiene  tagliando 
il  soggetto  di  un  anno  sopra  due  occhi  situati  lateralmente  uno  a 
destra  e  l'altro  a  sinistra,   e   guidando  i  getti  che   ne  derivano  a  guisa 


—  164  - 

da  formare  una  U  larga  40  cm.  Sopra  queste  branche  madri  poi,  si 
prenderanno  i  bracci  secondari  laterali,  che  si  terranno  alla  slessa 
distanza  indicata  per  la  palmetta  semplice. 

Questa  forma  è  stata  suggerita  dal  sig.  Fanon  nel  1827,  per  togliere 
ogni  inconveniente  a  cui  si  va  incontro  colla  palmetta  semplice.  Difatti 
egli  divise  in  tal  modo  il  canale  adduttore  della  linfa  in  due  parti 
eguali,  cioè  a  dire,  invece  di  avere  una  sola  branca  centrale,  ve  ne 
sono  due  che  portano  le  branche  laterali. 

È  incontestabile  che  così  viene  temperata  l;i  circolazione  della 
linfa  dalla  base  alla  sommità,  ma  d'  altro  canto  non  bisogna  discono- 
scere che  ne  avviene  un  altro  vizio  organico. 

Colla  palmetta  semplice  noi  possiamo  molto  facilmente  ottenere 
tutte  le  branche  bene  equilibrate,  mentre  ciò  è  molto  difficile  colla 
palmetta  Fanon,  poiché  bisogna  sorvegliare  incessantemente  che  le 
due  branche  madri  crescano  di  egual  vigore.  Trascurando  ogni  poco, 
sia  nei  primi,  che  nei  successivi  anni,  è  molto  facile  a  compromettere 
la  vita  della  pianta. 

Per  questo  inconveniente,  che  per  me  è  più  grave  di  quanti  si  pos- 
sono dare  sulla  palmetta  semplice,  consiglio  e  dò  la  preferenza  alla 
palmetta  semplice  piuttosto  che  alla  doppia. 

Altre  forme  poco  usate  attualmente  sono  la  palmetta  Verrier  a  11 
branche  verticali  (fìg.  176)  adatta  per  il  pero;  i  ventagli  (fig.  177-178) 
che  venivano  adottate  pel  pesco  ed  il  candelabro  (fìg.  179)  che  era  pure 
adottato  pel  pesco. 


PARTE  QUINTA 
SISTEMI  DI  COLTIVAZIONE 


I. 
Frutticoltura  estensiva  ed  intensiva. 

1.  —  La  frutticoltura  razionale,  nel  senso  agronomico,  non  può  es- 
sere che  una  coltivazione  intensiva  e  quindi  può  sembrare  viziosa  ed 
inutile  la  distinzione  di  frutticoltura  estensiva  ed  intensiva. 

Se  noi  però  poniamo  mente  alle  diverse  forme  che  si  possono 
dare  alle  piante,  se  consideriamo  i  diversi  prodotti  per  quantità  e 
qualità  che  (|ueste  forme  possono  dare,  se  prendiamo  in  considera- 
zione il  vario  numero  di  piante  che  si  possono  far  stare  sopra  una 
superfìcie  di  terreno,  applicando  una  forma  piuttosto  che  un'altra, 
infine  la  diversità  di  spese  d'impianto,  di  mantenimento,  di  capacità 
nel  personale,  parmi  abbastanza  dimostrata  la  necessità  di  distinguere 
una  coltura  estensiva  da  una  coltura  intensiva  delle  piante  da  frutto, 
distinzione  importante  non  soltanto  dal  lato  agronomico  in  genere,  ma 
anche,  come  vedremo,  per  le  nostre  condizioni  speciali  in  Italia. 

Nella  frutticoltura  estensiva,  comprenderemo  tutti  quei  sistemi  di 
coltivazione  delle  piante  da  frutto  che  danno  un  prodotto  mediocre  e 
non  sempre  sicuro  sopra  una  superficie  relativamente  estesa,  ma  che 
richiedono  relativamente  poca  spesa  di  impianto,  di  mantenimento  e 
di  intelligenza  del  coltivatore. 

Ascriveremo  invece  alla  frutticoltura  intensiva  quei  sistemi  di  col- 
tivazione per  cui,  coir  impiego  di  un  rilevante  capitale,  lavoro  ed  in- 
telligenza, si  ricava  costantemente,  da  una  superficie  relativamente 
limitata  di  terreno,  un  prodotto  abbondante  e  della  migliore  qualità. 

Alla  frutticoltura  estensiva  perciò  appartengono  : 
1."  La  coltivazione  campestre. 
2.0  La  coltivazione  lungo  le  strade  o  viali. 
3.»  //  brolo. 


—  166  - 

Alla  frutticoltura  intensiva  : 

1.°  //  frutteto  casalingo. 

2."  Il  frutteto  di  speculazione. 

3."  /  frutteti  misti. 
Per  la  frutticoltura  estensiva  occorre  una  situazione  ventilata,  ma 
non  troppo  esposta  ai  venti,  e  un  terreno  profondo,  non  umido  e  di 
mediocre  fertilità,  mai  esposto  a  nord.  La  forma  più  consigliabile  è  il 
pieno  vento,  raramente  il  mezzo  vento.  Le  piante  devono  essere  delle 
più  fertili,  bene  sviluppate,  sane,  vigorose  sino  dalla  prima  età,  resi- 
stenti alle  intemperie  e  malattie.  Devono  dare  frutta  non  tanto  volumi- 
nose, con  buccia  resistente,  atte  a  potersi  conservare  per  lungo  tempo 
di  varietà  ricercate  dalla  maggioranza  della  popolazione. 

Nella  frutticoltura  intensiva  si  dà  alle  piante  tutte  le  forme,  meno 
il  pieno  vento  ;  il  terreno  deve  essere  fertile  e  ben  preparato  e  in  esso 
si  coltivano  esclusivamente  delle  piante  da  frutto,  mentre  ciò  non 
succede  nel  brolo  o  nella  coltivazione  campestre.  Si  devono  coltivare 
tutte  le  possibili  specie  e  varietà  di  frutta,  ma  specialmente  le  più  deli- 
cate, le  più  voluminose,  quelle  insomma  che  sono  richieste  dalle  fami- 
glie signorili.  Si  preferiscono  le  varietà  più  precoci  o  della  più  tarda 
maturazione,  perchè  appunto  più  ricercate  e  meglio  pagate.  Più  che 
alla  longevità  della  pianta  si  bada  alla  sua  fertilità,  perchè  poco 
importa  se  dopo  dieci  anni  bisogna  sacrificarla  se  ha  già  dato  frutti 
quanti  un'altra  in  vent'anni. 


II. 

Frutticoltura  campestre. 

1.  —  La  maggior  quantità  di  frutta  che  troviamo  sui  nostri  mercati 
e  che  viene  esportata  anche  all'estero,  proviene  dai  campi  e  quindi 
sarebbe  un  grave  errore  il  trascurare  questa  frutticoltura  per  prediligere 
esclusivamente  quella  specializzata  nei  frutteti,  colle  piante  tenute  a 
forme  speciali,  costose,  che  richiedono  molta  capacità. 

Io  sono  convinto  che  incoraggiando  la  frutticoltura  campestre,  noi 
promuoveremo  uno  dei  migliori  cespiti  di  produzione  del  nostro  suolo. 
E  che  questo  sistema  di  coltivazione  possa  avere  un  avvenire  lo  dimo- 
strano molti  paesi  esteri,  come  alcuni  Cantoni  della  Svizzera,  il  Tirolo, 
la  Stiria,  il  Wùrtemberg,  l' Inghilterra,  la  cui  straordinaria  quantità  di 
frutta,  per  nove  decimi  è  prodotta  nei  campi.  Gli  Stati  Uniti  d'America 
ci  danno  un  esempio  splendido  di  frutticoltura  campestre.  Essi  non 
trascurarono  nessun  mezzo  per  favorire  il  suo  sviluppo.  Diffusione  stra- 
ordinaria di  pubblicazioni  popolari,  istituzione  di  grandi  vivai,  di  sta- 
zioni sperimentali,  di  cattedre  di  arboricoltura  ed  infine  sono  riusciti 
a  creare  nel  Ministero  d'Agricoltura  una  Divisione  speciale  per  la  frut- 
ticoltura.  Mercè   questi   sforzi  la    produzione    frutticola   è    aumentata 


—  167  — 

tanto,  che  se  ne  esporta  una  quantità  considerevole  e  la  una  seria 
concorrenza  alla  produzione  europea. 

La  frutticoltura  campestre  ben  sviluppata  darà  dunque  un  grande 
impulso  alla  produzione  di  frutta  in  Italia. 

Per  ottenere  questo  intento,  bisogna  allevare  le  piante  da  frutto 
nei  campi,  a  filari  regolari  od  in  appezzamenti  l'iservati,  come  siamo 
abituati  pei  gelsi,  olivi  ed  agrumi.  F"ino  ad  ora,  generalmente  teniamo 
sparso  qua  e  là  per  le  campagne  un  pero,  là  un  melo,  un  ciliegio  e 
così  via;  ma  tutte  queste  piante  vengono  abbandonate  a  loro  stesse  con 
poco  profitto  del  proprietario  e  molto  danno  alle  coltivazioni  sottostanti. 

Ma  se  invece  fra  un  campo  e  l'altro,  ed  in  una  località  adatta,  il  pro- 
prietario pianta  in  uno  o  più  filari  le  piante  da  frutto,  oppure  se  utilizza 
i  lati  di  qualche  sua  strada,  il  terreno  coperto  dall'ombra  di  queste 
piante  sarà  naturalmente  minore.  Se  anche  per  un  tratto  attorno  alla 
pianta  non  converrà  coltivare,  il  proprietario  potrà  applicare  con  minor 
spesa  tutte  le  cure  necessarie,  potrà  agevolmente  vigilare  le  sue  frutta, 
ed  infine  avrà  raccolto  più  sicuro,  abbondante  e  migliore  di  qualità. 

Per  raggiungere  il  miglior  risultato  occorre  però  limitarsi  alla  col- 
tivazione di  poche  specie  e  varietà,  e  riguardo  al  sistema  di  allevamento, 
tenersi  a  quelle  forme  che  richiedono  minor  lavoro  e  capacità  di  po- 
tatura, perchè  non  si  può  pretendere  che  ogni  agricoltore  sia  anche 
frutticoitore  (vedi  a  proposilo  quanto  è  detto  parlando  delle  forme 
basse  pag.  138). 

La  scelta  delle  specie  di  frutta  da  coltivarsi  nei  campi  non  riesce 
difficile,  poiché  ogni  provincia  e  comune  può  indicarci  per  i  diversi 
terreni,  le  specie  che  meglio  allignano.  Scostarsi  da  queste  per  intro- 
durne di  nuove  è  sempre  pericoloso  se  al  più  non  si  hanno  delle  prove 
incontestabili  fatte  da  altri.  Dico  espressamente  fatte  da  altri,  poiché 
l'agricoltore  non  deve  esperimentare  ma  volendo  dare  un  indirizzo 
industriale  alla  coltivazione  campestre  egli  deve  piantare  delle  specie 
e  varietà  di  sicura  riuscita,  sia  rispetto  alle  condizioni  naturali  di  ter- 
reno e  clima,  sia  rispetto  alla  ricerca  delle  frutta  sul  mercato. 

Per  la  stessa  ragione  deve  essere  limitato  anche  il  numero  delle 
specie,  e  cioè  mai  più  di  due  in  una  medesima  condizione  di  terreno. 

2.  —  Le  specie  che  si  prestano  per  la  coltivazione  campestre  sono 
il  melo,  il  pero,  il  pesco,  l'albicocco,  il  mandorlo,  il  ciliegio,  il  cotogno, 
il  susino,  il  castagno,  il  noce  ed  il  nespolo. 

Le  varietà  oggigiorno  più  raccomandabili  sono  indicate  nella  parte 
speciale  di  questo  libro  in  cui  si  tratta  della  coltivazione  delle  singole 
specie. 

3.  —  Ed  ora  veniamo  all'applicazione  di  questo  sistema  di  coltivare 
le  piante  da  frutto  nei  campi. 

Un  agricoltore  può  avere  la  sua  campagna  coltivata: 

a)  in  rotazione  con  frumento,  mais,  prato  ecc.  ; 

b)  a  prato  stabile  (fìg.  180); 
e)  a  pascolo  ; 

d)  a  vigneto. 


—  168  - 

In  tutti  e  tre  i  primi  casi  conviene  fare  l'impianto  a  filari  orientati 
da  sud  a  nord,  distanti  uno  dall'altro  almeno  da  m.  25  a  30.  A  questa 
distanza,  il  danno  che  i  filari  arrecano  alle  coltivazioni  sottostanti  è 
appena  sensibile. 

Per  l'impianto  non  occorre  uno  scasso  reale,  basta  fare  delle 
fosse  quando  trattasi  di  piantare  sulla  fila  alla  disianza  di  m.  5  a  7,  e 
delle  buche  quando  la  distanza  è  maggiore.  Negli  anni  successivi  si 
deve  avere  cura  che  il  terreno  sia  lavorato  almeno  per  un  metro  in- 
torno al  fusto  e  sia  sempre  tenuto  soffice  e  senza  alcuna  coltivazione. 

Se  il  terreno  è  irrigatorio,  gli  alberi  da  frutto  soffrono  maggior- 
mente, ed  allora  le  distanze  da  pianta  a  pianta  si   possono   diminuire  5 


Fig. 


—  Prato  arborato  con  piante  da  frutto. 


bisogna  impiantare  l'albero  alquanto  sollevato  dal  terreno,  formando 
attorno  a  questo  un  cumulo  di  terra. 

Trattandosi  di  un  terreno  a  vigneto,  sia  questo  misto  o  specializ- 
zato, non  conviene  piantare  degli  alberi  da  frutto  Tramezzo  alle  viti. 
La  vite  è  una  pianta  che  esige  molto  calore  e  luce  e  quindi  tutte  quelle 
coltivazioni  che  la  privano  dell'uno  o  dell'altra,  non  vanno  che  a  de- 
trimento della  produzione  dell'uva.  Sui  margini  però  degli  appezzamenti 
e  specialmente  sul  lato  nord,  si  possono  coltivare  quelle  piante  da 
frutto  che  non  prendono  grande  sviluppo,  quali  sono  il  pesco,  l'albi- 
cocco, il  nespolo,  e  il  cotogno. 

Infine  bisogna  tenere  conto  di  quei  vigneti,  che  in  conseguenza 
della  loro  non  felice  posizione,  d'un  succedersi  d'annate  sfavorevoli 
per  il  clima,  per  il  moltiplicarsi  di  parassiti,  danno  meschinissimi 
prodotti,  poco  rimunerativi.  A  questa  categoria  si  possono  inscri- 
vere tutti  quei  vigneti  che   si  trovano    tuttora  in  cattivo  stato,  nelle 


—  169  — 

pianure  e  vallate  dell'  Italia  settentrionale,  nelle  insenature  dei  monti, 
o  quelli  intaccati  o  distrutti  dalla  fillossera.  In  questi  terreni,  le  sole 
piante  da  frutto  potranno  dare  dei  raccolti  da  potersi  mettere  in  con- 
fronto. Anzi  in  generalità  sono  eminentemente  adatti  per  le  piante  da 
frutto  ;  i  peschi,  gli  albicocchi,  specialmente  le  varietà  precoci  ed  in- 
vernenghe di  meli  e  peri,  danno  dei  prodotti  abbondanti. 

La  trasformazione  da  vigneto  a  frutteto  può  farsi  gradatamente 
e  di  questo  se  ne  parlerà  nella  Parte  Sesta,  Gap.  XXIII. 

4.  —  Le  distanze  a  cui  si  devono  fare  gli  impianti,  variano  fra 
specie  e  specie  e  varietà  e  varietà.  Certo  si  è  che  la  disposizione  delle 
piante  deve  essere  regolare  e  cioè  per  ogni  specie,  per  ogni  varietà  e 
per  ogni  forma  di  pianta,  conviene  formare  tanti  filari  da  nord  a  sud. 
Non  v'è  di  peggio  che  intercalare  sulla  medesima  fila  delle  piante  di 
diversa  altezza. 

Quanto  più  un  terreno  è  fertile,  ben  lavorato,  profondo,  tanto  mag- 
giore deve  essere  la  distanza  di  esse.  Nella  coltivazione  campestre,  le 
distanze  più  convenienti  per  il  pieno  vento  sono  quelle  indicate  nella 
Parte  Sesta,  Gap.  XIII. 


III. 

Coltivazione  lungo  le  strade  o  viali. 

1.  —  La  coltivazione  è  da  noi  assai  poco  in  uso.  In  Svizzera,  in 
(ìermania  ed  in  alcuni  paesi  dell'Austria  vengono  fatti  degli  estesi 
impianti  di  pomi  e  peri  per  fabbricare  poi  colle  frutta  il  sidro.  Le 
strade,  i  passeggi  di  quasi  tutti  i  paesi  di  campagna  sono  fiancheggiati 
da  alberi  da  frutta,  piuttosto  che  da  piante  ornamentali,  con  evidente 
vantaggio  del  bene  pubblico,  poiché  i  Gomuni  affidano  in  affitto  a  dei 
singoli  coltivatori,  la  manutenzione  ed  il  raccolto  di  queste  piante. 

I  lati  delle  strade  pubbliche  e  dei  larghi  viali  nelle  campagne  of- 
frono un  terreno  eccellente  per  la  coltivazione  delle  piante  da  fruito. 
Quivi  le  acque  piovane  raccolgono  tutte  le  immondizie  delle  strade, 
non  che  la  polvere  stessa  che  è  pure  un  discreto  concime,  e  questo 
miglioramento  continuato  è  tanto  maggiore  quanto  più  vecchie  sono 
le  strade. 

Se  invece  ai  lati  delle  strade  si  trovano  dei  fossi  profondi  a  rapida 
pendenza,  allora  non  si  accumulano  tanti  materiali  e  quindi  l'impianto 
non  conviene.  Non  conviene  neppure  quando  la  strada  viene  fatta  so- 
pra uno  strato  roccioso  senza  alcun  strato  di  terreno  sottostante.  Biso- 
gnerebbe allora  fare  delle  buche  bene  ampie  e  trasportarvi  la  terra, 
lavoro  questo  costoso  e  che  non  si  può  suggerire.  Del  resto  lo  svi- 
luppo delle  strade  è  tanto  grande  che  si  possono  trovare  dei  percorsi 
convenienti. 


-  170  — 

Ad  eccezione  di  quest'ultimo  caso,  la  coltivazione  delle  piante  da 
frutto  lungo  le  strade  è  convenientissima,  poiché  in  generale  gli  alberi 
si  mantengono  costantemente  molto  produttivi  ed  anche  sani.  La  con- 
tinua polvere  che  sta  sospesa  ha  sicuramente  influenza  sulla  feconda- 
zione dei  fiori  ed  impedisce  lo  sviluppo  delle  crittogame.  Non  bisogna 
però  nascondere  che  le  piante  sono  alquanto  sensibili  ai  freddi  rigidi 
e  prolungati  d'inverno,  per  i  quali  molte  volte  periscono-,  inoltre  le 
primavere  molto  umide  provocano  l'aborto  dei  fiori.  Questi  danni  si 
possono  prevenire  non  piantando  nei  tratti  di  strada  poco  soleggiati  e 
dove  ristagna  l'acqua. 

Gli  alberi  devonsi  allevare,  come  è  naturale,  sempre  a  pieno  vento 
e  si  possono  piantare  o  sui  lati  della  strada  slessa,  oppure,  se  la  strada 
è  stretta,  sui  margini  dei  campi  vicini.  In  quest'ultimo  caso  le  piante 
sono  meglio  difese  dagli  urti  dei  rotabili  e  i  prodotti  pendenti  sono 
più  sicuri  anche  del  furto.  Piantando  lungo  i  margini  dei  campi,  è 
sufficiente,  un  solo  palo  di  sostegno  mentre  lungo  le  strade,  oltre  al 
palo  occorre  contornare  il  fusto  da  una  specie  di  gabbia  di  legno  o  di 
ferro,  solidamente  conficcata  nel  terreno.  Questa  gabbia,  che  ha  la  forma 
di  un  prisma  triangolare,  per  lo  più  consta  di  tre  assicelle  trasversali 
in  modo  da  formare  una  specie  di  reticolato. 

Per  riparare  dai  danni  dei  rotabili  si  può  anche  provvedere  pian- 
tando nel  terreno,  attorno  al  fusto,  delle  pietre  a  guisa  di  piccoli  pa- 
racarri, oppure  facendo  un  cumulo  di  terra  o  agglomerando  della 
ghiaia. 

2.  —  Per  piantare  lungo  le  strade  si  prestano  i  peri,  meli,  ciliegi, 
susini,  noci  e  castagni,  che  si  mettono  alla  distanza  indicata  per  la 
coltivazione  campestre.  L'impianto  si  fa  in  modo  che  ogni  pianta  venga 
a  trovarsi  alternata  con  quelle  dell'altra  parte  della  strada. 

Il  noce  e  castagno  saranno  da  preferirsi  nelle  strade  che  servono 
da  pubblici  passeggi,  perchè  danno  maggior  ombra. 

Sono  certo  che  molti  dei  miei  lettori  dopo  aver  letto  questo  arti- 
colo mi  osserveranno  che  ho  voluto  fare  della  poesia  col  trattare  delle 
coltivazioni  lungo  le  strade,  inquantochè  da  noi  in  Italia  non  abbiamo 
esempi  di  simili  coltivazioni. 

Che  per  ora  non  esistano  sono  anch'  io  d'  accordo  (1),  poiché  un 
impianto  in  grande  di  albeii  da  frutto  lungo  le  strade  non  mi  è  stato 
dato  ancora  di  vedere,  se  al  più  non  si  vogliono  citare  quelle  piante 
di  gelsi  o  da  frutta  che  si  trovano  sui  sagrati  delle  chiese  di  campa- 
gna —  ma  che  non  vi  potrebbero  essere  è  cosa  di  cui  non  mi  so  ca- 
pacitare. 

All'estero  noi  abbiamo  degli  esempi  di  interi  paesi,  nei  quali  le  ri- 
spettive città  e  borgate  ne  ricavano  un  bel  lucro,  lucro  che  va  a  tutto 
vantaggio  del  rispettivo  erario  comunale.   Nel   piccolo    Wùrtemberg   il 


(1;  Quantunque  nel  comune  di  Bizzozero  in  Brianza  vi  sia  un  esempio.  N.  d.  T 


—  171  — 

prodotto  di  frutta  ottenuto  in  questo  modo  è  stato  calcolato  del  valore 
di  8  milioni  di  marchi. 

Mi  si  potrebbe  inoltre  obbiettare  che  la  proprietà  pubblica  non 
viene  sufficientemente  rispettata;  da  ciò  l'impossibilità  di  allevare  e 
mantenere  in  buono  stato  delle  piante  da  fruito.  Ammettere  ciò  in  via 
assoluta  mi  sembra  di  far  torto  alla  nostra  pubblica  moralità,  io  posso 
però  osservare  che  come  vengono  rispettate  molte  piante  ornamentali 
che  fiancheggiano  le  nostre  strade,  i  nostri  passeggi,  si  potrebbero 
far   rispettare   anche   le  piante  da  frutto. 

Nel  Wiirtemberg,  quando  un  comune  fa  una  strada,  provvede  al- 
l'impianto degli  alberi  da  frutto  i  quali,  per  un  periodo  d'anni,  di 
solito  15,  vengono  dati  in  affitto  a  privati,  i  quali  alla  lor  volta  si 
obbligano  di  mantenere  in  buon  stato  di  vegetazione  ed  alla  altezza 
prescritta  le  piante  affidate,  raccogliendone  naturalmente  le  frutta.  La 
sorveglianza  a  queste  piante  è  obbligatoria  per  il  personale  addetto 
alla  manutezione  delle  strade  nonché  per  le  guardie  campestri,  come 
fossero  proprietà  private  ;  —  quando  poi  il  prodotto  è  presso  alla 
maturazione,  il  fittabile  stesso  provvede  ad  una  sorveglianza    speciale. 

A  chi  volesse  provare  in  Italia  questa  coltivazione  lungo  le  strade 
pubbliche,  nelle  quali  si  teme  tanto  il  furto,  consiglierei  per  prova 
l'impianto  di  ciliegi.  Il  ciliegio  difatti  è  bello  d'aspetto,  rapido  nello 
sviluppo,  fiorisce  e  matura  in  breve  tempo  i  frutti,  senza  lasciarli  cadere. 

3.  —  Bisognerebbe  anche  sollecitare  perchè  lungo  le  ferrovie  ve- 
nissero piantati  degli  alberi  da  fruito.  L'amministrazione  potrebbe  con 
poca  spesa  procurarsi  un  benefizio  non  piccolo,  favorendo  anche  il 
personale  di  sorveglianza  (cantonieri)  al  quale  si  potrebbe  affidare  la 
potatura  e  le  cure  di  coltivazione. 


IV. 
Brolo. 

1.  —  Con  questo  termine,  che  è  proprio  dell'  Italia  settentrionale 
ed  in  particolar  modo  della  Lombardia,  intendo  designare  quell'ap- 
pezzamento di  terreno  abbastanza  esleso,  situato  di  solilo  appresso 
alla  casa  di  campagna,  cintato  di  muro  o  da  siepe,  nel  quale  si  colti- 
vano delle  piante  da  frutto  a  pieno  o  mezzo  vento  e  il  terreno  sotto- 
stante, a  prato,  a  cereali  o  ad  ortaggi.  Da  alcuni  autori  italiani  viene 
chiamato  pomario,  da  altri  verziere,  che  sarebbe  un  termine  preso  dai 
Francesi  che  lo  chiamano  verger  (fig.  181). 

Comunque  sia,  per  il  sistema  poco  dispendioso  con  cui  si  allevano 
le  piante,  e  per  i  prodotti  considerevoli  che  dà,  il  brolo  è  il  vero  frut- 
teto della  casa  di  campagna  o  della  azienda  agraria,  che  fornisce   una 


-  172  — 

grande  massa  di  frutta  ai  mercati.  Dal  brolo  si  esige  un  prodotto  suf- 
ficiente, se  non  eccezionale,  con  la  massima  economia. 

Per  ottenere  questi  risultati  bisogna  prestare  una  certa  attenzione 
nella  scelta  della  località  e  nella  scelta  della  specie  e  varietà  da  col- 
tivarsi. 

Ovunque  si  ha  un  brolo,  è  certo  che  le  condizioni  di  terreno  e 
di  clima  corrisponderanno,  poiché  di  solito  è  vicino  ai  fabbricati  di 
campagna,  che  si  costruiscono  nel  miglior  sito  dell'azienda. 

2.  —  Per  la  scelta  del  numero  della  specie  e  varietà  bisogna 
distinguere,  a  seconda  che  la  coltivazione  del  brolo  ha  uno  scopo  spe- 
culativo, di  portare  cioè  le  frutta  sul  mercato,  oppure  di  fornire  di 
frutta  lungo  l'anno  la  famiglia  del  proprietario  e  le  famiglie  degli  ope- 


Fig.  181. 
Appezzamento  di  un  brolo  con  la  coltivazioni;  intercalare  di  fragole. 


rai  dell'azienda.  Nel  primo  caso  conviene  tenersi  a  pochissime  specie 
e  varietà,  a  quelle  cioè  della  cui  riuscita  si  è  sicuri.  Allora  la  potatura 
e  tutte  le  operazioni  di  coltivazione,  compresa  la  raccolta,  vengono 
fatte  in  una  volta,  e  quindi  col  massimo  risparmio  di  mano  d'opera 
e  colla  più  probabile  facilità  di  vendere  il  prodotto.  Non  conviene  però 
tenersi  esclusivamente  ad  una  specie  e  varietà,  poiché  non  bisogna  di- 
menticare che  la  diversità  offre  il  vantaggio  di  assicurare  maggior- 
mente il  raccolto,  sia  perchè  la  fecondazione  dei  fiori  riesce  meglio 
sia  perchè  le  intemperie  e  le  avversità  in  genere  della  vegetazione  non 
colpiscono  in  eguali  proporzioni  tutte  le  varietà  di  piante. 

Nel  secondo  caso,  cioè  quando  si  tratta  di  avere  delle  frutta  pos- 
sibilmente per  tutto  l'anno,  deve  essere  maggiore  il  numero  delle  specie 
e  varietà. 


-  173  - 

Per  un  brolo  di  speculazione,  nell'Italia  settentrionale,  l'impianto 
dovrebbe  essere  fatto  nella  seguente  proporzione  per  ogni  100  piante  : 

50  meli  ; 
28  peri  ; 
12  prugni; 
10  ciliegi  ; 

Totale  100  piante. 

Dove  riescono  bene  i  peschi,  questi  potrebbero  sostituire  i  prugni 
e  ciliegi;  se  discendiamo  poi  nell'Italia  centrale  o  meridionale,  allora 
si  può  sostituire  un  certo  numero  di  piante  di  pero  e  melo,  coll'albi- 
cocco  o  col  mandorlo,  oppure  cogli  agrumi,  ecc. 

Per  un  brolo  casalingo,  sempre  per  noi  dell'Italia  settentrionale, 
conviene  tenersi  alle  seguenti  proporzioni  : 

38  peri  ; 
32  meli  ; 
40  meli  ;  oppure  :  8  ciliegi  ; 

38  peri  ;  6  albicocchi  ; 

10  prugni  ;  4  prugni  ; 

(ì  peschi  ;  6  peschi  ; 

4  ciliegi  ;  2  nespoli  ; 

2  mandorli;  4  cotogni; 

Totale  100  piante.  Totale  100  piante. 

Per  l'Italia  media  e  meridionale,  si  faranno  le  riduzioni  a  seconda 
del  clima  locale. 

Nella  scelta  delle  varietà  bisogna  aver  sempre  di  mira  di  coltivare 
non  delle  varietà  eccezionali,  ma  quelle  che  maggiormente  servono 
pel  grande  consumo  e  che  sono  perciò  le  più  ricercate.  Devono  inoltre 
essere  vigorose,  rustiche,  fertili,  dare  frutti  bene  aderenti  che  si  con- 
servano facilmente  dopo  la  raccolta  e  maturare  lentamente. 

3.  —  Della  preparazione  del  terreno  per  l'impianto  di  un  brolo  e 
del  modo  di  costruire  i  muri  di  cinta  o  di  fare  le  siepi,  qui  non  ci 
intratterremo,  perchè  formerà  argomento  di  capitoli  speciali  nella 
Parte  VI.  Bisogna  invece  ora  parlare  della  disposizione  degli  impianti. 

Un  brolo,  perchè  corrisponda  anche  alle  esigenze  del  buon  gusto, 
deve  avere  le  piante  poste  regolarmente  ed  equidistanti  una  dall'altra, 
in  modo  da  formare  tanti  lilari  in  tutti  i  sensi.  Conviene  tenere  in  un 
brolo  eguali  distanze  fra  pianta  e  pianta ,  indipendentemente  dalle 
specie,  e  cosi  come  per  un  pomo  d'alto  fusto  occorre  la  distanza  di 
m.  12,  questa  distanza  si  manterrà  pure  per  il  pesco,  nespolo,  e  cosi 
via.  La  distanza  di  m.  12  da  pianta  a  pianta  è  la  più  conveniente. 

Trattandosi  di  coltivare  il  terreno  sottostante  con  cereali  ed  ortaggi. 


-  174  — 

oppure  volendolo  lasciare  a  prato,  conviene  fare  dei  filari  in  direzione 
da  nord  a  sud,  distanti  m.  24  uno  dall'altro.  Per  coltivare  cereali  e 
ortaggi,  bisogna  lasciare  il  terreno  libero  per  un  metro  per  lato  della 
fila,  per  non  guastare  le  radici  delle  piante  colle  diverse  lavorazioni. 
Oltre  ai  cereali,  quali  sono  il  frumento,  mais,  ecc.,  si  possono  coltivare 
in  rotazione  i  pomi  di  terra,  il  trifoglio  ;  degli  ortaggi  non  bisogna 
coltivare  quelli  che  richiedono  frequenti  annaffiature,  che  sono  nocive 
alle  piante  da  frutta.  Epperciò  si  potranno  coltivare  con  vantaggio  i 
piselli,  le  fave,  i  fagioli,  i  cavoli,  le  fragole,  le  cipolle,  l'aglio,  gli  aspa- 
ragi e  così  via.  Volendo  coltivare  il  terreno  a  prato,  bisogna  evitare 
quelle  essenze  foraggere  le  cui  radici  vanno  troppo  profonde,  come 
sarebbe  1'  erba  medica  ;  e  sempre  per  un  metro  in  giro  attorno  al  fusto 
della  pianta  da  frutto,  bisogna  mantenere  il  terreno  lavorato  e  privo 
di  cotica. 

Le  essenze  foraggere  che  meglio  convengono  nei  broli  e  che  meno 
danneggiano  le  piante  da  frutto  sono  le  seguenti  :  Avena  elatior,  Dac- 
tylis  gloinerata,  Poa  trivialis,  Lolliiim  italicuin,  Alopecurus  pratensis, 
Poa  pratensis,  Agrostis  stolonifera,  Cynosorus  cristatus,  Avena  flavescens, 
Festuca  pratensis,  Lotus  corniculatus,  Medicago  Lupulina,  Trifolinm  pra- 
tense e  Trifolium  repens. 

Si  possono  consigliare  le  seguenti  due  miscele  per  ettaro  nei 


A.  Terreni 
asciutti,  calcari 

x.^  da  vigna 

Avena  elatior  (Ventolana) Kg.  9,5 

Dactylis  glomerata  (Erba  mazzolina) „     7 

Poa  trivialis  (Poa  comune) „     4,5 

Lollium  italicum  (Loglio  italico)  .......       „    5 

Alopecurus  pratensis  (Goda  di  volpe).    .....       „    — 

Poa  pratensis  (Erba  maggenga  o  Fienarola)    .     .       „    5 
Agrostis  stolonifera  (Agrostide  comune).     ...       „     1 

Cynosorus  cristatus  (Goda  di  topo) „    2 

Avena  fiavescens  (Avena  gialla) „    5 

Lotus  corniculatus  (Trifoglio  giallo) „     1 

Medicago  lupulina  (Tri foglino  selvatico).     ...       „     1 
Trifolium  pratense  (Trifoglio  comune)    ....       „     4 
repens  (Trifoglio  bianco  o  ladino).    .       „    0,5 


B.  Terreni 
treschi 
di  piano 


Kg. 


9,5 

7 

3,5 

6 

4 

5 

1,5 

1 

1,5 

1.5 


„     4 
„    0,5 


Una  miscela  che  dà  pure  dei  buoni  risultati  è  la  seguente 
Per  ettaro 

Alopecurus  pratensis Kg.    7,50 

Dactylis  glomerata „     13,00 

Garum  Garvi „      5,00 

Lolium  italicum „     19,00 


-  175  - 

La  semina  di  questa  miscela  presenta  i  vantaggi  seguenti  : 

1.»  Cresce  all'ombra. 

2."  Si  ha  un  taglio  precoce  a  primavera  che  permette  di  passare 
senza  difficoltà  dal  regime  alimentare  d'inverno  degli  animali  a  quello 
d'estate. 

3."  Per  la  presenza  del  Carum  carvi  il  foraggio  mantiene  in  buona 
salute  gli  animali. 

4.°  Mediante  l'impiego  sufticiente  di  colaticcio  e  di  perfosfato  si 
ottiene  un  foraggio  che  tanto  per  quantità,  come  per  valore  nutritivo 
può  paragonarsi  a  qualunque  altro  fieno. 

5."  Si  possono  avere  con  facilità  tre  tagli,  e  quando  la  primavera 
e  l'autunno  presentano  le  condizioni  climatologiche  favorevoli  allo  svi- 
luppo dell'erba,  si  può  raggiungere  anche  i  4  tagli. 

4.  —  Volendo  coltivare  il  brolo  esclusivamente  a  piante  da  frutto, 
e  a  prato,  queste  si  possono  disporre  in  quadralo,  (fig.  180)  in  triangolo 
equilatero  od  a  quinconce.  Col  primo  metodo  4  piante  formano  un  qua- 
drato ;  col  secondo,  3  piante  formano  un  triangolo  equilatero;  col  terzo 
in  ogni  quadrato  si  mette  in  mezzo  una  quinta  pianta. 

Fra  i  tre  sistemi  è  preferibile  il  secondo,  che  permette  di  lavorare 
il  brolo  in  tre  sensi  con  un  interfilarc  di  egual  larghezza,  cosi  si  ha 
la  massima  uniformità  di  sviluppo  nelle  piante,  avendo  tutte  un'eguale 
superficie  a  loro  disposizione. 

L' impianto  a  quinconce  viene  preferito  quando  si  vogliono  allevare 
molte  piante  in  un  appezzamento ,  poiché  ad  esempio  avendo  un 
quadro  di  m.  36  di  lato  e  perciò  della  superficie  di  m.^  1296,  disponendo 
le  piante  in  quadrato  alla  distanza  di  m.  12,  ci  stanno  16  piante  ;  di- 
sponendole a  triangolo  equilatero  pure  distanti  m.  12,  ci  stanno  18 
piante  ed  a  quinconce,  ben  24  piante. 

5.  —  Io  notai  sempre  un  maggior  sviluppo  dell'albero  ed  una  mag- 
giore produzione,  quando  sotto  all'albero  si  lavora  anziché  tenere  il 
terreno  coperto  da  erbe  che  sottraggono  troppa  umidità  e  tolgono  l'aria 
al  terreno. 

V. 
Frutteto  casalingo. 

1.  —  Il  frutteto  casalingo  ha  lo  scopo  di  fornire  la  mensa  del  pro- 
prietario di  tutte  le  possibili  specie  di  frutta  ed  in  tutte  le  stagioni.  Ma 
non  di  frequente  il  proprietario  dispone  a  tale  scopo  di  una  estesa  super- 
ficie, perciò  è  naturale  che  deve  dare  alle  piante  le  forme  ridotte:  mezzo 
vento,  piramide,  cordone,  spalliere,  ecc.;  l'impianto  deve  essere  fatto 
con  una  certa  eleganza,  perché  serve  d'abbellimento  alla  sua  abitazione 
di  campagna  ed  anche  di  distrazione  alla  monotonia  delle  coltivazioni 
campestri.  Quindi  il  frutteto  casalingo  devesi  trovare  vicino  all'abitato, 
deve  essere  straordinariamente  produttivo,  deve  dare  le  migliori  varietà 


-  176  - 

di  frutta  ed  avere  una  aggradevole  disposizione  architettonica.  Esso  co- 
stituisce per  gli  appassionati  della  coltivazione  delle  frutta  ciò  che  è 
la  serra  per  i  floricultori.  Soltanto  nei  frutteti  si  possono  allevare  certe 
varietà  di  piante,  si  possono  ottenere  alcuni  prodotti  prelibati,  perchè 
in  questi  soltanto  si  possono,  mercè  i  muri  ed  altri  ripari,  difendere 
le  piante  dai  danni  degli  estremi  di  temperatura,  da  quelli  dei  venti, 
e  cosi  via.  Senza  muro  di  cinta  è  quindi  impossibile  immaginare  un 
frutteto,  come  pure  occorre  l'impiego  d'una  discreta  somma  di  danaro 
per  il  suo  impianto  e  la  relativa  manutenzione.  Il  frutteto,  dà  una  ren- 
dita sicura,  appaga  anche  l'occhio  e  quindi  può  farsi  benissimo  per 
abbellire  una  villa.  Anche  nel  frutteto  non  mancano  le  attrattive. 

D'inverno  si  vedono  le  belle  forme  delle  piante  e  si  studiano  even- 
tuahnente  gli  errori  incorsi  nella  potatura,  in  primavera  si  ha  la  fiori- 
tura che  è  appariscente  come  in  qualsiasi  pianta  ornamentale,  in  estate 
si  ha  lo  sviluppo  delle  foglie  e  dei  germogli  colle  diverse  gradazioni 
di  colorito  verde,  in  autunno  sono  le  frutta  pendenti,  le  quali  dilettano 
per  le  loro  forme  diverse,  per  la  loro  grossezza  e  per  i  loro  variati  co- 
lori. Se  si  mette  poi  in  confronto  il  frutteto  col  giardino,  si  vorrà  rico- 
noscere che  i  piaceri  di  quest'ultimo  costano  molto  più  cari  poiché  col 
valore  soltanto  di  una  serra  si  può  piantare  un  frutteto  molto  più  esteso. 

Fino  ad  ora,  in  Italia,  si  possono  citare  ben  pochi  esempi  di  frut- 
teti propriamente  detti,  che  corrispondano  anche  per  la  rendita.  Questo 
fatto,  pur  troppo  vero,  ha  portato  il  discredito  alle  forme  modellate, 
tanto  che  si  ritengono  forme  di  lusso,  convenienti  ai  dilettanti  ca- 
pricciosi. 

Chi  giudica  però  in  questo  modo  non  tiene  conto  del  poco  amore 
fino  ad  ora  prestato  alle  piante  da  frutto,  alla  mancanza  di  persone 
tecniche  capaci  di  allevare  e  mantenere  razionalmente  le  piante;  non 
si  pensa  che,  in  generale,  un  signore  da  noi  preferisce  spendere  delle 
centinaia  di  lire  per  avere  una  conifera  rara,  oppure  una  data  varietà 
di  rose,  piuttosto  che  provvedersi  d'un  capace  potatore  di  piante.  Quante 
volte  non  mi  è  avvenuto  il  caso  in  Lombardia  di  far  visita  a  qualche 
signore  che,  nella  sua  campagna  aveva  piantato  un  frutteto,  acqui- 
stando dagli  stabilimenti  le  forme  modellate  ed  era  malcontento  della 
spesa  sostenuta  pur  avendo  fatto  venire  uno  specialista  all'  impianto 
e  per  alcuni  anni  di  seguito  anche  all'  epoca  della  potatura  ! 

Ma  non  è  il  caso  di  incolpare  né  lo  stabilimento  che  ha  fornito 
le  piante,  né  lo  specialista  che  viene  una  o  due  volte  l'anno,  bensi  il 
proprietario  stesso,  il  quale  dovrebbe  sapere  che  queste  piante  ri- 
chiedono lungo  tutto  l'anno  delle  cure  da  una  mano  abile  e  conscia 
del  proprio  operato.  Frequentissimo  poi  è  il  caso  che  questi  frutteti 
siano  in  mano  di  giardinieri,  i  quali,  perchè  conoscono  la  coltivazione 
dei  fiori,  credono  d'essere  capaci  anche  per  le  piante  da  frutto.  Niente 
di  più  erroneo  :  il  floricultore  ha  un'arte  ben  diversa  da  quella  del 
frutticoitore.  Sarebbe  lo  stesso  che  affidare  un  vigneto  specializzato 
sul  colle  ad  un  coltivatore  di  marcite  che  pota  anche  dei  salici. 


-  177  - 

Non  intendo  di  combattere  l'amore  e  la  predilezione  che  si  ha 
per  i  giardini,  poiché  è  questione  di  preferire  un  piacere  piuttosto  di 
un'altro  ;  vorrei  soltanto  che  la  decima  parte  delle  cure  che  si  hanno 
per  riparare  una  palma  dal  freddo,  per  riscaldare  e  ventilare  le  serre, 
e  cosi  via,  venisse  riconosciuta  necessai'ia  anche  per  le  piante  da 
frutto,  poiché  queste  ultime  in  fine  dei  conti,  sono  sempre  più  utili. 

Se  ho  la  fortuna  d'avere  fra  i  miei  lettori  anche  qualche  lettrice, 
incoiTo  il  rischio  d'essere  tacciato,  scrivendo  in  questo  modo,  da  uomo 
prosaico,  ma  potrei  rispondei'e  che  assai  poche  sono  le  signorine  che 
amano  soltanto  i  fiori  e  invece  alla  maggior  parte  piacciono  i  fiori  e  le 
frutta. 

2.  —  Il  frutteto  casalingo  si  può  farlo  in  diversi  modi,  e  ciò  natu- 
ralmente dipende  dalla  somma  di  danaro  che  si  vuole  impiegare. 

Non  di  rado  anche  nel  frutteto  stesso  si  vogliono  coltivare  degli 
ortaggi,  ma  questo  sistema  non  è  privo  d'inconvenienti.  Anzitutto  la 
coltivazione  degli  alberi  e  quella  degli  ortaggi  non  si  possono  fare  con- 
temporaneamente con  quella  comodità  necessaria;  la  concimazione  o 
l'irrigazione  frequente  di  cui  abbisognano  gli  ortaggi  non  sempre  sono 
adatte  alle  piante  da  frutto,  anzi,  le  frequenti  annaffiature,  sono  piut- 
tosto nocive  ;  gli  ortaggi  stessi,  perchè  ombreggiati,  non  riescono  tanto 
saporiti  e  neppure  tanto  precoci,  infine  coltivando  anche  degli  ortaggi, 
il  frutteto  perde  quella  eleganza  che  è  pur  necessaria  per  abbellire 
una  villeggiatura.  Piuttosto  di  non  avere  né  frutteto,  né  orto,  sarà  meglio 
coltivare  gli  ortaggi  fra  le  piante  da  frutto  o  viceversa,  più  razionale 
però  sarà  sempre  di  coltivare  le  une  e  gli  altri  in  appezzamenti  separati. 

Non  di  rado  avviene  di  trovare  delle  piante  da  frutto  ad  alto  fusto 
coltivate  promiscuamente  colle  spalliere,  cordoni,  ecc.  Anche  questo  é 
un  errore.  Gli  alti  fusti  bisogna  lasciarli  per  il  brolo,  per  la  coltivazione 
campestre;  se  noi  li  teniamo  nel  frutteto,  agiscono  come  tanti  parassiti 
delle  piante  sottostanti,  mercé  le  loro  radici  molto  sviluppate  assorbono 
tutto  il  nutrimento  e  l'umidità,  mentre  colla  loro  fronda  le  privano 
dell'aria  e  della  luce.  Al  più  si  possono  tollerare  delle  piante  allevate  a 
mezzo  vento,  ma  allora  è  naturale  che  le  forme  da  adattarsi  per  le 
altre  piante  non  devono  essere  né  spalliere  né  cordoni,  ma  bensi  i  fusi 
e  le  piramidi. 

VI. 

Scelta  della  località 

e  distribuzione  del  terreno  per  un  frutteto  casalingo. 

1.  —  Pel  frutteto  casalingo  bisogna  destinare  il  miglior  terreno  che 
si  ha  disponibile,  non  tanto  distante  dalla  abitazione  con  l'acqua  vicina 
perché,  in  caso  di  siccità,  si  possa  in  qualche  modo  provvedere.  Il  ter- 
reno deve  essere  possibilmente  orizzontale  ed  in  caso  di  pendenza 
questa  sia  verso  Sud-Est  od  Ovest  e  mai  verso  Nord. 

12  —  Tamaiìo  -  Frutticoltura. 


-  178  — 

Per  quanto  è  possibile,  al  frutteto  bisogna  dare  una  forma  rettan- 
golare, il  cui  asse  maggiore  sia  in  direzione  perfetta  da  Nord  a  Sud. 
Con  questa  direzione  si  possono  utilizzare  i  muri  per  tutta  la  loro 
lunghezza.  Tanto  contro  il  muro  rivolto  ad  Est  quanto  contro  quello 
ad  Ovest,  si  possono  allevare  dei  peri  a  spalliera  ed  in  quello  ad  Ovest 
anche  dei  peschi  primaticci  ;  quello  esposto  a  mezzogiorno  si  utilizza 
per  la  vite  e  per  l'altro  a  tramontana  conviene  il  ciliegio. 

Volendo  costruire  dei  muri  isolati,  per  allevare  delle  varietà  pre- 
giate di  pesco  od  uve  da  tavola,  si  costruisca  il  muro  da  Nord-Est 
a  Sud-Ovest,  in  modo  che  da  un  lato  si  avrà  1'  esposizione  di  Sud-Est, 
preziosissima  per  le  pesche  precoci,  per  le  pere  invernali,  per  l'uva 
da  tavola  e  in  genere  per  tutte  le  varietà  prelibate  molto  esigenti  per 
il  calore. 

L'estensione  da  darsi  al  frutteto  dipende  naturalmente  dalla  entità 
di  prodotto  che  si  vuol  ricavare.  Generalmente  parlando,  il  frutteto 
casalingo  non  conviene  che  sia  molto  esteso,  perchè  allora  diventa 
troppo  costosa  la  sua  manutenzione.  Si  può  ritenere  che  una  super- 
fìcie di  200  m.^  è  sufficiente  per  produrre  la  frutta  necessaria  ad  una 
persona,  sarà  meglio  però  abbondare  che  non  essere  deficienti.  Una 
estensione  di  20  are  può  provvedere  di  frutta  due  famiglie,  e  quindi 
l'estensione  media  di  un  frutteto  puossi  ritenere  da  10  a  20  are. 

Destinato  il  posto,  si  passa  alla  costruzione  del  muro  di  cinta  che 
deve  essere  di  2,50  o  al  massimo  3  metri,  per  non  privare  le  piante 
della  luce  e  dell'aria.  Il  muro  quando  è  possibile,  è  bene  costruirlo, 
a  m.  1,50  dal  confine,  per  poterlo  utilizzare  con  spalliere  da  tutti  due 
i  lati. 

Per  la  distribuzione  del  terreno  si  comincia  a  destinare  la  direzione 
dei  viali.  I  viali  principali  devono  avere  una  larghezza  di  m.  1,30  a  2, 
e  quelli  secondari  di  m.  0,80  a  1,  sotto  ai  muri  bisogna  lasciare  uno 
spazio  di  terreno  della  larghezza  di  m.  1,20  a  1,50,  ed  eventualmente 
di  m.  2  contro  il  muro  a  mezzogiorno. 

Fatta  questa  prima  disposizione,  si  divide  il  terreno  in  tante  aiuole 
le  quali  devono  avere  una  larghezza  diversa  a  seconda  della  forma  che 
si  vuol  dare  alle  piante.  Per  i  peri  è  sufficiente  una  larghezza  di  2  m., 
per  le  spalliere  isolate  m.  2,80-3,40. 

Volendo  piantare  in  un'aiuola  tre  file  di  peri,  si  deve  darle  la  lar- 
ghezza di  5  a  6  metri  ;  se  invece  si  tratta  di  piramidi,  da  9  a  10  metri. 

E'  abbastanza  difficile  fare  un  piano  generale  che  possa  servire 
d'esempio  per  l'impianto  d'un  frutteto  casalingo,  con  tutto  ciò  mi  pro- 
verò coll'aiuto  di  illustrazioni  di  chiarire  le  regole  principali. 

2.  —  Intanto,  riassumendo  questo  ho  detto  più  sopra,  le  regole 
principali  che  devono  servire  di  norma  per  l'impianto  d'un  frutteto 
casalingo  sono  le  seguenti  : 

1.0  II  frutteto  deve  essere  cintato  da  muro. 

2."  Contro  i  muri  non  si  allevino  delle  forme  libere,  bensì  delle 
forme  appoggiate,  quali  sono  le  spalliere,  i  cordoni,  per  utilizzare  al 
massimo  il  calore. 


-  179  - 

3.0  Nella  forma  da  darsi  al  frutteto  casalingo,  nella  divisione  del 
terreno  e  nella  scelta  delle  forme  da  darsi  alle  piante,  bisogna  sempre 
provvedere  a  che  le  piante  godano  delia  massima  luce  e  calore,  con- 
dizioni indispensabili  per  la  fertilità  e  per  la  precocità  di  maturazione 
delle  frutta. 

4."  Le  forme  delle  piante  si  devono  aggruppare  in  modo  clie  si 
adombrino  il  meno  possibile  una  coll'altra.  Ciò  si  raggiunge,  se  fra  le 
singole  forme  si  lascia  una  distanza  eguale  ad  una  volta  od  una  volta 
e  mezza  l'altezza  che  raggiunge  la  pianta  nel   suo    completo   sviluppo. 


""■■■"■■  -■•■•——- ..-.^..-.^ 

o 

o 

O     ; 

:"o       '      0      ' 

e 

e 

o 

I 

o   ! 

i    o             o 
7/ 

o     : 

;•          X                x 

0 

o 

o    j 

1    O                  0 

o 

X 

X 

X    ; 

:  0    •      X        X        ?<. 

.    o; 

X 

,        X 

X     1 

jo    .      ^       X        X 
:  o    . 

•  °  ; 

•  0  ; 

•  o   '■ 

■     X 

.        X 

X    : 

■o-'^x        X 

■     X 

•       X        . 

X    ; 

;  0  .    ^     X      X 

•    0 

X, 

.        X 

X    ; 

;  o  .    X     x      X 
■p  • 

'    o 

X 

X 

X        ; 

jo   •      X      X        >■ 

•  o 

l 

■ - 1  r - - - - 

Fig.  182.  —  Frutteto  casalingo. 


5."  11  frutteto  deve  essere  orientato  da  sud  a  nord  e  cosi  pure  la 
sua  linea  mediana,  in  modo  che  tutti  e  due  i  lati  del  frutteto  godano 
egualmente  della  luce. 

6.0  Da  Nord  a  Sud  e  nel  mezzo,  devesi  costruire  un  viale,  a  cia- 
scun lato  del  quale  si  devono  disporre  le  piante  a  file  parallele  in 
modo  che  appresso  si  trovino  le  forme  più  basse,  poi  le  mediane  e 
contro  il  muro  di  levante  e  ponente  le  più  alte.  Ciò  si  fa  per  evitare 
che  le  piante  si  danneggino  colla  loro  ombra;  quando  però  i  due  ap- 
pezzamenti ai  lati  del  viale  sono  molto  larghi,  allora  si  destina  per  le 
forme  più  alte  la  parte  centrale. 

3.  —  Nella  fig.  182,  abbiamo  il  disegno  di  un  frutteto  casalingo, 
nel  quale  sono  illustrati  quattro  sistemi  diversi  d'impianto.  Esso  mi- 
sura 50  m.  in  larghezza  e  51  in  lunghezza,  quindi  ha  una  superficie 
totale  di  m^  2550. 


—  180  - 

Cintato  da  muro,  l'ingresso  è  in  A,  a  capo  cioè  del  viale  mediano 
che  lo  divide  in  due  parti.  (Nella  figura  è  diviso  in  quattro  parti,  poi- 
ché ho  voluto  l'iunire  in  un  solo  disegno  quattro  sistemi  diversi  d'im- 
pianto). 

Il  viale  di  mezzo  è  largo  due  metri.  Sotto  ai  muri  è  lasciata  un'aiuola 
di  terreno  larga  m.  1,50,  ad  eccezione  della  parte  sotto  al  muro  esposto 
a  mezzogiorno,  che  è  largo  m.  2,50.  Tutto  intorno,  c'è  un  viale  secon- 
dario largo  m.  1,50.  Contro  ai  muri  si  allevano  delle  spalliere  o  cordoni 
verticali  od  obliqui,  in  margine  poi  all'aiuola  e  contro  al  viale,  si  alle- 
vano dei  cordoni  orizzontali,  con  due  branche  sovrapposte.  I  cordoni 
orizzontali    sono    di   pero    e    melo,    sotto   il    muro    esposti    a   Nord   si 


Fig.  183.  —  Frutteto  casalingo  (proposto  da  Hardy). 


possono  fare  invece  siepi  di  ribes,  lampone,  uva  spina,  ecc.  Le  spal- 
liere esposte  a  mezzogiorno  si  fanno  con  peschi  od  uva,  quelle  esposte 
a  Nord,  con  cordoni  verticali  od  obliqui  di  peri  e  meli  primaticci,  op- 
pure con  palmette  di  prugni;  quelle  esposte  a  levante  pure  con  peschi, 
albicocchi,  viti  di  varietà  precoci  ed  a  ponente  di  varietà  tardive. 

I  due  appezzamenti  interni  del  frutteto  vengono  anzitutto  contor- 
nati da  cordoni  orizzontali,  e  quindi  nel  loro  interno  si  possono  disporre 
le  piante  nel  modo  più  svariato. 

Nel  quadro  1  è  disegnato  un  impianto  in  quadrato  di  mezzi  fusti 
alla  distanza  di  7  metri,  impianto  che  si  può  fare  anche  a  triangolo, 
per  utilizzare  meglio  il  terreno. 

Nel  quadro  II  si  trovano  gli   stessi    mezzi    fusti,  soltanto  nel  loro 


—  181  — 

centro  è  piantala  una  piramide  (segnata  con  crocetta)  e  dintorno  dei 
fusi,  oppure  delle  piramidi  strette  a  colonna,  (Le  piramidi  sono  segnate 
con  punti.) 

Nel  quadro  III  si  trovano  tre  file  di  piramidi  distanti  7  metri  da 
fila  a  fila  e  m.  3,50  sulla  fila.  Fra  una  fila  e  l'altra  sono  piantate  due 
file  di  fusi  alla  distanza  sulla  fila  di  m.  2. 

Infine  nel  quadro  IV,  appresso  al  viale  centrale  e  distante  m.  1,25 
dai  cordoni  orizzontali,  si  trova  un  filare  di  forme  basse  che  distano 
sulla  fila  m.  2.  Parallelo  a  questo  ed  alla  distanza  di  m.  2,50  vi  è  un 
altro  filare  di  fusi  pure  distanti  fra  loro  di  2  m.,  poi    vengono  tre    file 


Fig.  184.  —  Altro  frutteto  casalingo  proposto  da  Hardy. 


di  piramidi  piantate  in  quadrato  e  distanti  m.  3,50  in  tutti  i  sensi,  quindi 
ritornano  i  fusi  e  le  forme  nane. 

4.  —  Nella  fig.  183  abbiamo  rappresentato  un  frutteto  suggerito  da 
Hardy  largo  40  m.  e  lungo  50,  dunque  una  superficie  complessiva  di 
20  are,  pari  a  m.^  2000. 

Il  frutteto  è  orientato  perfettamente  da  Nord  a  Sud,  cintato  da  muro. 
In  A  l'ingresso  e,  sotto  al  muro  di  mezzogiorno,  c'è  un'aiuola  larga 
m.  2,  e  m.  1,50  sotto  agli  altri  muri.  I  muri  servono  d'  appoggio  alle 
spalliere  e  contro  al  viale  si  allevano  dei  cordoni  orizzontali  a  doppia 
fila,  in  modo  che  vengono  ad  avere  l'altezza  di  m.  0,80.  Contro  al  muro 
di  mezzogiorno  si  piantano  invece  due  cordoni  di  viti,  che  raggiun- 
gono l'altezza  di  m.  1.  Il  viale  di  mezzo  e  quell'intorno  parallelo  ai 
muri  è  largo  m.  2,  gli  altri  secondari  m.  1,50. 


182 


Fig.  185.  —  Frutteti  casalinghi  signorili. 


—  183  - 

Le  due  metà  del  frutteto  sono  poi  suddivise  in  quattro  aiuole  nel 
senso  della  lunghezza  (1,  li,  111,  IV).  La  prima  aiuola  è  larga  m.  3,25  ed 
in  questa,  da  tutti  due  i  lati  del  viale  di  mezzo  ed  a  25  cm.  di  distanza 
dal  medesimo  si  trova  una  fila  di  cordoni  orizzontali  (a  a)  a  due  piani, 
che  arriva  all'altezza  di  80  cm. 

Nella  stessa  aiuola,  alla  distanza  di  m.  1,20  trovasi  un  cordone  di 
vite  (b  b)  a  due  piani  che  raggiunge  l'altezza  di  ni.  1.  In  (d)  poi,  alla 
distanza  di  altri  m.  1,50  trovasi  una  contro  spalliera,  che  non  deve  su- 
perare l'altezza  di  m.  1,60. 

L'aiuola  II  è  larga  ra.  2,50,  ed  in  mezzo  ad  essa  ci  sta  una  fila  di 
piramidi  non  più  alte  di  m.  2,  ed  ai  lati  contro  ai  viali  e  distanti  da 
questi  25  cm.  un  cordone  semplice  orizzontale. 

Nell'aiuola  III  trovasi  una  contro  spalliera  nel  mezzo  alta  3  m.  ed 
ai  lati  un  cordone  orizzontale. 

Nell'aiuola  IV  in  (e)  c'è  una  contro  spalliera  alta  m.  1,60,  e  dall'altro 
lato  un  cordone  orizzontale  a  due  piani  (f). 

5.  —  Nella  fig.  184  abbiamo  il  disegno  di  un  altro  frutteto  impian- 
tato col  sistema  Hardy,  che  non  si  trova  orientato  perfettamente  da 
Nord  a  Sud.  In  questo  caso  i  viali  sono  perciò  tracciati  diagonalmente. 

Le  aiuole  I,  I  sono  piantate  come  le  omonime  della  fig.  183  soltanto 
sono  50  cm.  più  larghe,  cosi  pure  le  aiuole  li,  li  e  III.  111.  Gli  ultimi 
appezzamenti  d'angolo  IV,  IV  sono  coltivati  a  cordoni  orizzontali. 

6.  —  Nella  fig.  185  ho  disegnati  due  metà  di  frutteti  casalinghi 
signorili  della  superficie    di    m.  4400.    La   disposizione    è   la   seguente  : 

N.  1  :  muro  con  spalliere  di  viti. 

N.  2:  muro  con  spalliere  di  peschi  e  albicocchi  precoci  dal  Iato 
contro  levante,  ciliegi  e  susini  precoci  dal  lato  contro  sud,  e  peschi  ed 
albicocchi  tardivi  dal  Iato  contro  ponente.  Al  rovescio  di  questo  muro 
si  possono  anche  fare  delle  spalliere. 

N.  3:  muro  con  spalliere  di  albicocchi. 

N.  4:  muro  con  spalliere  di  peschi. 

N.  5:  muro  con  spalliere  di  peri  per  cuocere  e  per  conserve. 

Il  muro  N.  5  può  essere  utilizzato  per  la  coltura  forzata  delle  frutta. 

Contro  poi  a  tutti  i  muri  c'è  un'aiuola,  nella  quale,  al  margine  del 
viale,  si  trova  un  cordone  orizzontale. 

N.  6  :  padiglione  formato  con  piante  da  frutto. 

N.  7  :  stanza  degli  attrezzi. 

N.  8:  vasca  d'acqua. 

N.  9  :  boschetto  di  fichi,  sorbi,  giuggioli,  oppure  di  altre  piante,  con 
concimaia. 

N.  10:  mezzi  venti  di  meli  e  peri,  o  mandorli,  melagrani,  o  cornioli. 

N.  11  :  aiuole  per  la  coltivazione  in  vaso. 

N.  12:  aranciera  o  serra  calda. 

N.  13  :  piramidi  di  pero. 

N.  14  :  fosso  di  cinta  fiancheggiato  da  cespugli  di  nocciuoli,  di  co- 
togni e  nespoli. 


—  184  - 

N.  15:  viale  fiancheggiato  da  viti  ad  alberello. 

N.  16:  viale  fiancheggiato  da  peri  a  fuso  e  da  cordoni    orizzontali. 


Fig.  186.  —  Frutteto  casalingo  signorile. 


N.  17:  viale  fiancheggiato  da  palmette  di  peri. 

N.  18:  viale  fiancheggiato  di  ciliegi  e  pruni  a  piramide   od    a  pai- 
metta,  oppure  da  meli, 


—  185  — 


; .     .    .  3  .     .      .  ì 

1                          1    1 

3      %|%      3 

!                                                              N      ' 

r.L:.:.:.yr--y  ' 

-^t- 


=3m 


Wi 


^^^e.[^^s 


PE^^m 


2'' 


4 


•^-  "•"•>. 


%%!■ 


%.%% 


%  %% 


Fig.  187.  —  Frutteto  casalingo  signorile. 


-  186  - 

Appezzamento  A  :  fragole  con  peschi  a  mezzo  vento. 

„  B:  ribes  con  albicocchi  a  mezzo  vento. 

„  C:  lampone  con  ciliegi  a  mezzo  vento. 

„  D:  viti  ad  alberello  od  a  cordone  orizzontale. 

„  E  :  peri  a  forma  nana,  contornati  da  cordoni    oriz- 
zontali. 

„  F:  ceppale  di  fichi. 

„  G:  meli  a  vaso  nani. 

„  H:  pruni  e  ciliegi  a  vaso  nani. 

„  /;  uva  spina  con  pruni  a  mezzo  vento. 

7.  —  A  chi  non  piacesse  la  disposizione  troppo  regolare  di  questi 
ultimi  appezzamenti,  presento  nella  fig.  186  un'altra  disposizione  nella 
quale  le  lettere  che  distinguono  ogni  singolo  appezzamento,  corrispon- 
dono alla  leggenda  come  sopra. 

8.  —  Infine  nella  fig.  187,  abbiamo  il  disegno  d'  un  altro  frutteto 
signorile,  della  superfìcie  di  m^  6400.  Il  disegno  rappresenta  soltanto  le 
metà  del  frutteto. 

N.  1  :  padiglione  fatto  con  viti  di  varietà  primaticcie. 

N.  2  :  vasca  d'acqua. 

N.  3:  aiuole  con  una  fila  di  piramidi  e  contro  ai  viali  principali, 
dei  cordoni  orizzontali. 

N.  4:  aiuole  con  una  contro  spalliera  di  cordoni  verticali  od  obli- 
qui. Cordoni  orizzontali  contro  ai  viali. 

N.  5  :  quattro  aiuole  con  palmette  ad  U. 

N.  6:  piramidi  o  bassi  fusti  alternati  con  filari  di  lampone,  ribes, 
uva  spina,  ecc. 

N.  7  :  spazio  per  la  coltivazione  in  vaso. 

N.  8  :  tappeto  di  fragole,  ornato  da  gruppi  di  piante,  o  da  alberelli 
di  uva  spina. 

N.  9  :  spalliera  di  peschi  od  uva  contro  il  muro  di  cinta. 

N.  10  :  spalliera  di  peschi  contro  il  muro  di  cinta. 

N.  11:  spalliera  di  peri  e  meli  da  cuocere  o  primaticci  contro  il 
muro  di  cinta. 


VII. 

Frutteto  di  speculazione. 

1.  —  Il  frutteto  di  speculazione  conviene  soltanto  quando  le  con- 
dizioni del  terreno  e  la  località  sono  in  massimo  grado  favorevoli. 

Quando  si  ha  vicina  una  città  grande  che  consuma  una  considere- 
vole quantità  di  frutta  di  lusso,  come  sarebbe  da  noi  la  città  di  Milano; 
per  la  Francia,  Parigi  ;  per  l' Inghilterra,  Londra  ;  quando  si  ha  vicino 
una  via  ferrata,  un  porto  che  mette  in  diretta  comunicazione  con  grossi 


187 


Fig.  188.  -  Frutteto  di 


-  188  - 

mercati,  può  convenire  il  frutteto  di  speculazione,  il  frutteto  cioè   colti- 
vato con  piante  modellate,  appoggiate,  a  spalliera,  ecc. 
Per  raggiungere  però  lo  scopo,  è  indispensabile  : 

a)  che  la  persona  chiamata  a  dirigere  il  frutteto  abbia  una  piena 
cognizione  della  frutticoltura  ; 

b)  che  siano  state  fatte  delle  indagini  sufficienti  per  accertarsi 
delle  varietà  ricercate  dal  mercato  e  dei  prezzi  che  si  potranno  realiz- 
zare, per  convincersi  dell'opportunità  della  coltura; 

e)  fare  l'impianto  con  la  minima  spesa; 

d)  scegliere  le  forme  più  semplici,  più  facili,  che  producono  il 
massimo  ; 

e)  coltivare  soltanto  poche  specie  e  varietà. 

Ammettiamo  d'avere  un  appezzamento  rettangolare  (vedi  fig.  188) 
nel  quale  si  voglia  piantare  un  frutteto  in  parola. 

Si  comincia  a  circuirlo  di  un  muro  alto  da  m.  2,50  a  3,  contro  al 
quale  si  metteranno  delle  spalliere  e,  vicino  ai  viali  che  vanno  in  giro, 
dei  cordoni  orizzontali.  1  viali  devono  avere  una  larghezza  di  m.  2. 

Contro  al  muro  rivolto  a  mezzogiorno  (a),  si  faranno  delle  spalliere 
di  peschi  e  vili.  In  preponderanza  gli  uni  piuttosto  delle  altre,  a  se- 
conda della  convenienza.  I  peschi  si  allevino  ad  U  doppia.  Le  viti  si  al- 
levino a  cordoni  permanenti  verticali.  Nel  caso  che  non  convengano  né 
i  peschi,  né  le  viti,  si  coltivino  delle  qualità  invernenghe  di  peri  a 
palmetta.  Lungo  il  viale  si  mettono  due  cordoni  orizzontali  sovrapposti, 
quello  inferiore  di  meli  e  quello  superiore  di  peri  tardivi. 

Contro  il  muro  (h)  si  allevino  a  palmetta  i  peri  di  qualità  più  fina 
e  delicata  autunnali  o  invernenghe,  e  contro  al  viale  un  coi'done  oriz- 
zontale di  meli,  lo  stesso  contro  il  muro  rivolto  a  ponente  (e). 

Invece  contro  al  muro  (d)  a  tramontana,  dei  ciliegi  precoci  e  tardivi 
ad  U  semplice  o  doppia. 

Nelle  due  aiuole  nel  mezzo  (gli)  si  allevano  a  basso  fusto,  a  vaso, 
alla  distanza  di  5  m.  degli  albicocchi,  susini  e  ciliegi,  di  varietà  adatte 
da  coltivarsi  a  vaso.  Ciascuna  aiuola  è  contornata  naturalmente  da  un 
cordone  orizzontale  semjjlice  di  meli,  e  fra  i  due  vasi  si  possono  alle- 
vare dei  cespugli  di  uva  spina,  ribes  o  qualche  forma  nana  di  pero 
o  melo. 

Negli  appezzamenti  (fi)  successivi,  si  pianta  una  contro  spalliera 
doppia  di  palmetta  di  peri,  ed  in  giro    dei    cordoni    semplici  di    pero. 

Infine  negli  appezzamenti  (ef),  se  hanno  una  larghezza  almeno  di 
2  m.,  si  piantano,  contro  al  viale  del  muro,  dei  cordoni  orizzontali 
di  peri  o  meli,  e  nell'altro  lato  contro  il  viale  di  mezzo  delle  contro 
spalliere  di  pero  non  più  alte  di  2  metri. 

Per  l'impianto  delle  armature,  per  la  costruzione  dei  muri,  valgano 
le  stesse  considerazioni  fatte  pel  frutteto  casalingo. 


-  189  - 
Vili. 

Frutteti  misti. 

1.  —  I  friitleli  misti  hanno  lo  scopo  di  riunire  in  un  appezzamento 
la  coltura  delle  piante  da  frutto  con  altre  coltivazioni.  Se  in  vicinanza 
alla  abitazione,  oltre  al  frutteto,  si  vuol  avere  un  giardino,  si  può 
disporre  in  modo  die  l'uno  non  danneggi  l'altro,  anzi  lo  completi  per 
l'estetica  ;  altre  volte  si  vogliono  coltivare  degli  ortaggi    ed  allora    ab- 


c    à  F 


Fig.  189.  —  Frutteto  giardino  in  stile  simmetrico  (scala  1  :  200). 

bianio  il  frutleto-orlo,  mentre  il  primo  si  può  chiamarlo  fnitleto-giardino. 
Infine,  un  frutteto  può  servire  quale  mezzo  d'insegnamento  nelle  scuole 
rurali  elementari  o  nelle  scuole  normali,  e  quindi  presso  ad  ogni  scuola 
dovrebbe  essere  un  appezzamento  di  terreno,  nel  quale  gli  alunni  po- 
tessero esercitarsi  non  soltanto  nella  potatura  delle  piante  da  frutto, 
ma  anche  nell'innesto,  nella  moltiplicazione  dei  vegetali,  nella  coltura 


-  190  - 

degli  ortaggi,  dei  fiori.  Insomma  un  insieme  clie  comprenda  in  minia- 
tura un  frutteto,  un  vivaio,  un  giardino,  un  orto,  ed  è  ciò  che  io  chia- 
merei giardino  didatiico. 

Col  mettermi  a  parlare  dei  frutteti  misti,  non  è  mia  intenzione  di 
suggerire  un  sistema  di  coltura  per  speculazione;  mio  scopo  soltanto 
è  di  dimostrare,  come  si  possa  abbellire  una  villa  mercè  le  piante  da 
frutto,  consociandole  ai  fiori,  agli  ortaggi  e  riunire  in  una  parola  l'utile 
al  dilettevole. 

Meglio  di  quanto  potrei  dire  con  molte  parole,  mi  valgo  dei  disegni 
che  illustrano  questo  capitolo,  per  fare  i  quali  ho  preso  in  considera- 
zione le  esigenze  che  può  avere  un  proprietario. 


IV 


E 


Fig.  190.  —  Frutteto  giardino  in  stile  simmetrico  (scala  1  :  200). 


Nella  fig.  189  abbiamo  il  disegno  della  metà  dì  un  frutteto  da  col- 
locarsi innanzi  ad  una  casa  d'abitazione. 

La  superficie  complessiva  essendo  soltanto  di  m.^  882  convenne 
dare  al  frutteto  uno  stile  simmetrico. 

La  disposizione  è  la  seguente  : 

a)  Aiuole  con  piante  ornamentali  basse. 

b)  Ingresso  al  frutteto. 

e)  Padiglione  coperto  con  piante  ornamentali  o  con  viti. 

d)  Macchie  di  piante  ornamentati. 

e)  Fusi  di  peri  e  sotto  tappeto  verde. 


-  191   - 

f)  Forme  basse  di  piante  da  frutto. 

g)  Fiori  oppure  una  grande  piramide  di  pero. 
lì)  Piramidi  di  peri. 

i)  Fiori. 

ì)  Vasca  d'acqua. 

Nella  fig.  190  abbiamo  un  frutteto-giardino  ancora  più  piccolo,  nel 
quale  però  le  piante  da  frutto  sono  in  maggior  numero  che  nel  disegno 
precedente.  Anche  questo  disegno,  come  il  precedente,  si  può  applicare 
sul  davanti  di  una  casa  d'abitazione. 

La  sua  superficie  è  di  m.^  250. 

a)  Piante  ornamentali. 

b)  Aiuole  con  fusi  contornate  da  cordoni  orizzontali. 

e)  Aiuole  circolari  con  una  piramide  nel  mezzo,  o  con  una  pianta 
ornamentale. 

d)  Aiuole  con  fiori. 

e)  Aiuola  centrale  con  piramidi  e  due  vasche  d'acqua. 

La  fig.  191  rappresenta  la  pianta  di  tre  frutteti-giardini  con  disegno 
diverso  e  di  stile  simmetrico.  I  frutteti  A  e  B  hanno  una  superficie 
ciascuno  di  m.^  900,  ed  il  frutteto  C  di  m.^  1332. 

Frutteto  giardino  A  : 

a)  Padiglione. 

b)  Fontana  o  vasca  d'acqua. 

e,  d)  Aiuole  con  fiori  (rose  tenute  basse  e  con  piante  ornamen- 
tali da  foglia)  p.  es.  Dracaene,  ecc. 

e)  Cordone  orizzontale  di  meli  in  modo  però  da  lasciare  il  pas- 
saggio per  andare  dai  quattro  lati  alla  fontana  nel  mezzo. 

fj  Fusi  o  piante  basse  da  frutto  con  sotto  fragole. 

g)  Alberelli  di  viti,  ribes,  uva  spina  o  fusi. 

lì)  Ingresso. 

l)  Aiuole  con  piramidi  di  peri,  contro  il  viale  cordoni  orizzontali 
ed  eventualmente  intorno  ai  muri  spalliere. 

Le  medesime  indicazioni  valgano  anche  per  i  frutteti  B  e  C. 
Nella  fig.  192  abbiamo  la  pianta  di  un  frutteto-giardino  di  stile  pure 
simmetrico.  La  superficie  complessiva  è  di  m.^  6351. 

a)  Padiglioni. 

bj  Pergolato  di  vite. 

e)  Vasca  d'acqua. 

d)  Piramidi  di  peri. 

e)  Fusi  di  peri. 

f)  Alberelli  di  viti. 

g)  Cordoni  di  meli. 

h)  Spalliere  e  contro  spalliere. 
l)  Piante  ornamentali  sempre  verdi. 
m)  Fiori. 


-  192 


\V 


:--h.-'   H>     ,  a.      a 


Fig.  191.  —  Pianta  di  tre  frutteti-giardini.  (Scala  1  :  600). 


-  193  — 

ir 


B      ^<&       »'      ff        £^       m>      ^       >F^  <^      »      «      fi 


4    ^    -xi,^i,w 


i'^  j 


i    A      il 

tf       ^        a'      <t       ^^         *      ■•?>       a^        «J &_*: fe^ 


<5" 

Fig.  192.  —  Pianta  di  mi  frutteto-giardino  in  stile  simmetrico.  (Scala  1:C00). 
1:ì  —  T.\M.vi!(i  -  Fnilticoltiira. 


1114  - 


V     J 


IP/ 


o 

0 

" 

Fig.  193.  —  Frutteto-giardino  con  casa  di  abitazione. 


—  195  — 

Nella  fig.  193  abbiamo  il  complesso  di  una  villa. 
11  giardino  è  immediatamente  vicino  alla  casa. 

a)  Casa  d'abitazione. 

bj  Rimessa,  casa  d'abitazione  del  giardiniere,  stanza  per  bagni,  ecc. 

e)  Scuderia. 

d)  Rimessa  per  la  legna. 

e)  Concimaia. 

f)  Cortile  per  gli  animali  di  bassa  corte. 

g)  Locale  per  il  bucato. 

hj  Alti  fusti  di  meli  e  peri. 

i)  Spalliere  di  peschi. 

l)  Spalliere  di  meli,  peri  primaticci  o  ciliegi. 
mj  Montagnetta. 
nj  Piramidi  di  peri. 

o)  Controspalliere  doppie  con  cordoni  orizzontali  contro  ai  viali. 
p)  Vigneto. 
r)  Giardino. 

Infine  nella  fig.  194  è  disegnata  la  pianta  di  un  giardino-frutteto  di 
stile  non  simmetrico.  A  spiegazione  della  figura  valga  la  seguente  leg- 
genda : 

a)  Casa  d'abitazione  con  aranciera. 

bJ  Cortile. 

e)  Abitazione  rustica. 

d)  Fiori. 

e)  Alberelli  di  ribes,  uva  spina  o  vite. 

f)  Piramidi  di  piante  da  frutto. 

g)  Pieni  e  mezzi  venti  di  piante  da  frutto. 
h)  Piante  ornamentali,  conifere  ecc.,  ecc. 

Per  chiarire  meglio  lo  scopo  di  questo  disegno,  credo  opportuno 
di  far  seguire  una  breve  spiegazione. 

Molti  sogliono  destinare  a  frutteto  un  appezzamento  separato  dal 
giardino,  mentre  qui  sarebbe  riunito  e  l'uno  e  l'altro,  perché  le  forme 
delle  piante  da  frutto  completino  l'ornamento  del  giardino  o  parco. 

La  casa  d'abitazione  con  annessa  aranciera,  ha  anche  dal  lato 
ovest  una  aiuola  che  si  può  destinare  a  fiori  specialmente  a  rose;  dal 
lato  est  invece  c'è  una  pergola  di  sempreverdi  che  conduce  in  (e), 
uno  spazio  con  nel  mezzo  una  vasca  d'acqua  ed  all'intorno  degli 
alberelli  di  ribes,  uva  spina,  viti.  I  muri  della  casa  d'  abitazione  pos- 
sono venire  utilizzati  per  appoggiare  delle  spalliere  di  piante  da  frutto, 
specialmente  viti. 

Contro  i  muri  di  cinta  conviene  piantare  delle  piante  sempre  verdi 
arboree,  mentre  invece  nelle  aiuole  interne  secondarie,  si  possono  al- 
ternare le  piante  ornamentali  più  piccole  con  dei  gruppi  di  piante  da 
frutto  allevate  a  fusi,  piramidi,  mezzi  e  pieni  venti,  a  seconda  che  lo 
permettano  le  piante  ornamentali. 


-  1%  — 

La  fìg.  195  è  la  pianta  di  un  giardino,  nel  quale   oltre    alle   piante 
ornamentali,  ai  fiori,  sono  coltivate  delle  piante  da  frutto  e  degli  ortaggi. 


Fig.  194.  —  (iiardino  all'inglese  con  piante  da  frutto  ed  ornamentali.  Scala  (1:000) 


La  superficie  complessiva  è  di  m.^  750. 

a)  Padiglione  di  piante  ornamentali. 

b)  Pergolato  di  piante  ornamentali. 
e)  Boschetto. 

d)  Fiori. 


197 


e)  Gruppo  di  lìori  o  vasche  di 
acqua. 

f)  Spazio  per  mettere  le  piante 
da  frutto  in  vaso. 

g)  Aiuole  di  fusi  di  peri  con  cor- 
doni orizzontali  contro  ai  viali. 

h)  Fragole  od  altre  piante  da  orto. 

i)  Piramidi   di    piante    da    frutto. 

l)  Spalliere  di  piante  da  frutto. 
m)  Ingresso  con  padiglione  for- 
mato con  cordoni  verticali  di  peri. 
Il)  Sedili. 

Nella  lìg.  196  abbiamo  un  pro- 
getto di  villeggiatura  nel  quale  il 
giardino  (A),  V  orto  (B)  ed  il  frut- 
teto {C),  occupano  spazi  speciali  e 
separati. 

Il  frutteto  e  l'orto  sono  cintali 
da  muro,  contro  il  quale  si  allevano 
delle  spalliere. 

a)  Casa  d'abitazione. 

b)  Vasca  d'acqua  o  fontana. 
e)  Latrina. 

d)  Spazio  per  mettervi  dei  sedili. 

e)  Padiglione  per  vedere  nella 
strada. 

f)  Bagno. 

g)  Muro  di  cinta  con  spalliere  di 
peschi  ed  albicocchi. 

h^i)  Controspalliere  isolate  di  peri. 

k)  Controspalliere  di  peri  a  pal- 
metta. 

l)  Aiuole  per  la  coltivazione  de- 
gli ortaggi. 

Il  progetto  della  flg.  197  si  può 
applicare   per  una  villa   grandiosa. 

Il  disegno  è  in  scala  da  1  :  2000 
e  misura  una  superficie  di  m.^  44.200. 

a)  Castello. 

b)  Fontana. 

e)  Fabbricati  rustici  con  scuderie  ecc.,  ecc. 

e)  Casa  del  portinaio. 

f)  Serre. 

Per  la  scelta  delle  specie  e  varietà  delle  piante 
pel  frutteto  casalingo. 


Fifj.  19.S.  —    F'nitleto.  orlo  e  giardino 
di  stile  simmetrico.  (.Scala  1:300). 


ale  quanto  ho  detto 


1<J8  - 


l 

6 

0 

A 

1                                        1 

1      *  „            ! 

k 

k 

ù 

1 

5'  *- j— '^  JìÌ<xm)CoJ  <{Àj  kaxv  <ujx\AÀa\o  -  otto  pu.ctt«to  c<frv  ixS^iXvJiAMne/ 
^  ("Sc^z/cc-  7.2ÓO  J 


Fig.  196. 


l'JU 


Fio-.  197.  -  Villeggiatura  con  gianlino,  orto  e  friillelo. 


—  20U 


IX. 


Giardino  didattico. 

I  moderni  sistemi  di  insegnamento  elementare  che  escludono  la  via 
astratta  della  dimostrazione  per  quella  oggettiva,  la  necessità  sempre 
più  riconosciuta,  che  alcuni  elementi  di  agricoltura  vengano  instillati 
agli  scolari,  ed  infine  i  vantaggi  dell'igiene,  portano  la  necessità  che, 
annesso  ad  ogni  scuola  si  trovi  un  appezzamento  di  terreno,  nel  quale 


^      %     *     %     I     %     ^     •%   * 


Fig.  198..-  Giardino  didattico  -  Scala  1:250  -  .Sup.  m.^ 


514,50. 


non  soltanto  sieno  raccolte  le  principali  piante  coltivate,  ma  dove  anche 
gli  scolari  possano  esercitarsi.  Trattando  della  coltivazione  delle  piante 
da  frutto,  mi  è  sembrato  necessario  di  parlare  brevemente  anche  sulla 
disposizione  da  darsi  ad  un  giardino  didattico,  il  quale,  secondo  me, 
dovrebbe  essere  occupato  per  molta  parte  da  piante  da  frutto  e  da 
rispettivi  vivai. 

Nella  figura  198   abbiamo    il   piano    d'un    giardino    didattico    della 
superficie  complessiva  di  500  m.^  La  leggenda  è  la  seguente  : 

a)  Padiglione  coperto  di  vite  o  d'una  pianta  ornamentale,  oppure 
vasca  d'acqua. 


—  201   - 

b)  Viale  intorno  alla  vasca  o  padiglione  con  sedili. 

e)  Quattro  aiuole  coltivate  a  Mori  od  altre  piante  ornamentali. 

d)  Viale  fiancheggiato  da  spalliere  di  peri,  peschi,  vite,  ecc. 

e)  Fusi  di  peri,  oppure  peri  e  pomi  allevati  a  ceppaia  nani. 


ìk^ÌM 


Fig.  199.  —  Giardino  didattico  o  casalingo  -  Scala  1:250  -  ,Sup.  m.-  2000. 


//;  Sono  due  appezzamenti,  che  si  suddividono  in  tante  aiuole 
trasversali  larghe  m.  1  e  che  possono  servire  per  seminare  le  piante 
da  frutto. 

gy)  Sono  due  altri  appezzamenti  da  suddividersi  in  altrettante 
piccole  aiuole  per  coltivare  i  principali  ortaggi. 


—  202  — 


h)  Barbatellaio  e  nestaiuola. 

i)  Fragolaio  contornato  da  piante  da  frutto  a  cespuglio,  come  è 
il  ribes,  l'uva  spina,  ecc. 

l)  Appezzamento  da  suddividersi  in  piccole  aiuole  di  1/2  m.^  per 
coltivare  le  principali  piante  velenose  e  malerbe. 


% ^ 


Fig.  200.  —  Giardino  didattico  della  superficie  di  m.'  2000. 


m)  Lo  stesso  come  per  /,  ma  invece  per  coltivare  le  principali 
piante  aromatiche  e  medicinali.  Le  aiuole  h,  /,  /  ed  m  sono  di  eguale 
grandezza  per  poterle  mettere  in  rotazione. 

n  n)  Due  aiuole  da  destinarsi  a  piantonaia  e  che  si  possono  met- 
tere in  rotazione  colle  aiuole  (ff)  di  eguale  grandezza. 


-  203  - 

00)  Due  appezzamenti  da  suddividersi  in  aiuolette  di  1  m.-  per 
coltivarvi  le  principali  piante  agricole.  Anche  questi  due  appezzamenti 
si  possono  mettere  in  rotazione,  ad  esempio  ogni  tre  anni,  cogli  ap- 
pezzamenti (y  g). 

p)  Mezzi  venli  di  piante  da  fruito  di  diversa  specie  alternati  con 
piramidi. 

Nella  fig.  199  abbiamo  il  disegno  d'un  giardino  didattico  molto  più 
grande  e  che  può  servire  anche  per  un  giardino  casalingo  : 

a)  Scuola  od  abitazione  del  proprietario. 

b)  Gradinata  coperta  di  vetri  o  da  una  pergola. 
e)  Abitazione  del  custode  e  riparo  degli  attrezzi. 

d)  Vasca  d'acqua  con  zampillo. 

e)  Tappeto  verde  contornato  da  fiori  e  qua  e  hi  con  piante  or- 
namentali. 

/>  Boschetti  con  jnante  da  bosco  e  da  Irufto. 
(j)  Apiario. 
h)  Frutteto. 
i)  Orto. 

1)  Letti  caldi,  semenzaio  e  vivaio. 

n)  Pieni  e  mezzi  venti  alternati  con  piramidi,  l'usi,  ecc. 

o)  Campo  sperimentale  e  dimostrativo. 

p)  Orto  botanico  agricolo  di  piante  annuali. 

Infine  nella  fig.  200  abbiamo  un  giardino  didattico  completo: 

a)  Strada  del  villaggio. 

b)  Ingresso. 

e)  Fabbricato  della  Scuola. 

d)  Padiglione. 

e)  P'abbricato  pegli  attrezzi  e  palestra  di  ginnastica. 

f)  Orto. 

g)  Collezione  di  piante  coltivate  da    campo  di   piante  nocive. 
h)  Vivaio  di  piante  e  campo  sperimentale  dimostrativo. 

i)  Semenzaio,  letti  caldi,  fragolaio,  asparagiaia. 

l)  Piramidi  o  spalliere  di  peschi. 
in)  Mezzi  o  pieni  venti  alternati  con  piramidi  da  fiutlo. 
n)  Piante  forestali  e  d'ornamento. 
o)  Piante  da  frutto  ad  alto  fusto. 
p)  Fiori. 

v)  Vasca  d'acqua. 
s)  Tappeto  verde. 

t)  Concimaia. 


PARTE  SESTA 
COLTIVAZIONE  GENERALE 


I. 
Clima. 


Gli  elementi  che  concorrono  a  caratterizzare  il  clima  sono  quattro 
e  cioè:  il  calore,  la  luce,  V acqua  e  Varia,  ciascuno  dei  quali  noi  dob- 
biamo ora  prendere  in  considerazione  in  rapporto  alle  piante  da  frutto, 

1.  Calore.  —  Il  calore  favorisce  fino  ad  un  certo  punto,  la  traspi- 
razione e  mantiene  in  attività  la  vegetazione,  ma  deve  essere  accom- 
pagnato da  un  corrispondente  grado  di  umidità  dell'aria  e  del  terreno. 
In  Italia,  compresa  la  Libia,  al  periodo  delle  pioggie  corrisponde  un 
abbassamento  di  temperatura  dell'atmosfera  ;  ai  tropici  si  ha  il  feno- 
meno inverso  e  cioè  colle  pioggie  coincide  il  maggiore  sviluppo  delle 
piante  di  quelle  regioni. 

La  frutticoltura  è  possibile  soltanto  nei  paesi  dove  la  temperatura 
media  annuale  arriva  almeno  a  8  1"  C.  con  una  temperatura  media 
estiva  di  15.  6°  C.  In  Italia  questi  limiti  vengono  sorpassati  in  ogni  re- 
gione. 

Sarebbe  di  grande  importanza  non  solo  teorica  ma  anche  pratica, 
sapere  di  quanto  calore  abbisognano  gli  alberi  da  frutta  per  compire 
il  ciclo  annuale  della  loro  vita,  quanto  calore  sia  necessario  peichè  i 
semi  germinino,  perchè  le  gemme  germoglino,  e  perchè  la  pianta 
fiorisca  e  porti  il  frutto  a  maturazione.  Se  fosse  possibile  calcolare 
con  esattezza  queste  quantità  di  calore  chiamate  costanti  termiche  della 
vegetazione,  si  potrebbe  stabilire  anticipatamente  se  in  una  località 
possono  vivere  queste  o  quelle  piante,  se  possono  portare  frutti  ma- 
turi e  se  la  loro  coltivazione  è  utile  e  raccomandabile. 

L' esperienza  ha  dimostrato  che  l' accrescimento  dipende  princi- 
palmente dalla  temperatura  misurata  al  sole,  perciò  si  pensò,  per  deter- 
minare le  costanti  termiche,  di  utilizzare  le  indicazioni  di  un  termometro 


205 


a  massima,  esposto  al  sole.  Si  sommano  le  temperature  diurne  date  da 
questo  termometro  a  cominciare  dal  1"  gennaio  fino  al  giorno  in  cui 
sopra  una  pianta,  illuminata  direttamente  dal  sole,  si  svolgono  le  foglie 
dalla  gemma,  si  aprono  i  primi  fiori  e  maturano  i  primi  frutti,  e  i  nu- 
meri ottenuti  si  considerano  come  le  costanti  termiche. 

La  tabella  che  segue  dà  le  costanti  ottenute  nel  modo  indicato 
dopo  osservazioni  di  parecchi  anni,  eseguite  a  Giessen  nella  Ger- 
mania centrale.  Queste  costanti  superano  di  molto  quelle  che  si  leggono 
nei  comuni  trattati,  inquantochè  di  solito  si  fa  la  somma  delle  tempe- 
rature medie  giornaliere  del  periodo  vegetativo  e  non  si  sommano  le 
temperature  dal  gennaio  in  poi. 


Tab.  IX. 


Costanti  termiche  di  alcune  piante  da  frutte. 


Nome 
della  pianta 


Albicocco 

Castagno 

Ciliegio. 

Corniolo 

Crespino 

Faggio 

Mandorlo  .         .    . 

Melo 

Nocciolo    .    .    .    . 

Noce 

Pero 

Pesco  .... 
Ribes  .... 
Sorbo  ancuparia 
Susino  .... 
Uva  spina  .  . 
Vite    .         .    . 


3.^.96 
.-.780 


ti!»13 


1  dati  però  hanno  un  valore  molto  relativo,  poiché  i  raggi  solari 
agiscono  sulle  foglie,  sui  fiori,  sui  frutti,  in  un  modo  essenzialmente 
diverso  che  sul  mercurio  del  termometro.  Bisognerebbe  trovare  uno 
strumento  che  ci  indicasse  la  quantità  di  calore  effettivamente  con- 
sumata dalla  pianta  ed  un  altro  che  ci  indicasse  il  calore  utilizzato 
del  terreno  e  quello  derivante  dalla  luce. 

Con  tutto  ciò  le  comparazioni  possono  avere  una  qualche  utilità, 
specialmente  se  completate  colle  osservazioni  fenoloifiche.  Con  queste  si 
registra  il  giorno  in  cui  avviene  il  risveglio  della  vegetazione  ed  il 
tempo  impiegato  dalla  pianta  per  svolgere  le  sue  diverse  fasi.  Si  ca- 
pisce che  nelle  osservazioni  fenologiche,  lo  strumento  di  misurazione  è 
la  pianta  e  non  il  termometro. 


-  206  - 

Finora  però  non  sono  stati  organizzati  degli  osservatori  a  questo 
scopo  per  una  vasta  regione  o  Stato.  Le  osservazioni  fenologiche  e 
termometriche  bisogna  farle  almeno  per  5  anni  di  seguito,  in  una 
stessa  regione  e  sulle  medesime  piante  per  poterne  trarre  utili  dedu- 
zioni. 

A  mia  conoscenza,  soltanto  il  Wùrtemberg  organizzò  da  25  anni 
ben  63  stazioni  fenologiche.  Il  paese  si  presta,  poiché  sopra  una  super- 
ficie relativamente  limitata  sono  coltivate  molte  specie  di  piante  da 
frutto,  situate  nelle  condizioni  più  varie. 

Le  deduzioni  che  si  possono  ricavare  e  che  interessano  la  frutti- 
coltura, coi  dati  raccolti  nel  Wùrtemberg,  sono  le  seguenti  : 

a)  Procedendo  da  sud  a  nord,  le  primavere  si  ritardano  ma  questa 
perdita  di  tempo  viene  poi  compensata  dalle  giornate  lunghe  e  calde 
d'estate. 

h)  Ad  eguale  altitudine  e  latitudine,  la  fioritura  primaverile  e  la 
caduta    delle  foglie  viene  ritardata  andando  da  ponente  a  levante. 

Ad  ogni  122  Km.  di  distanza  si  ha  il  ritardo  d'un  giorno. 
e)  La  fioritura  estiva  invece  è  più  tarda  a  ponente  che  a  levante. 

d)  Nelle  regioni  montuose  di  media  altezza,  la  fioritura  primave- 
rile viene  ritardata  in  primavera,  mentre  quella  estiva  rimane  la  stessa. 

e)  La  maturazione  delle  frutta  invece  viene  tanto  più  ritardala 
quanto  più  si  sale,  poiché  l'autunno  comincia  prima. 

f)  La  maturazione  a  levante  è  più  anticipata  di  quella  a  ponente. 

g)  Per  ogni  100  m.  di  altitudine  corrispondono  giorni  1,  2  di 
ritardo  di  vegetazione  e  giorni  4,  1  di  ritardo  di  fioritura  e  di  matu- 
razione. 

h)  Ad  ogni  grado  di  latitudine  verso  Nord,  corrisponde  un  ritardo 
di  vegetazione  di  giorni  2.6  e  si  prolunga  di  2  giorni  il  periodo  vege- 
tativo. 

ì)  Nel  Wùrtemberg,  in  una  media  di  25  anni,  la  fioritura  del 
ciliegio  avvenne  il  27  aprile,  della  vite  il  25  giugno,  e  la  maturazione 
dell'uva  il  15  ottobre.  Il  ribes  fiori  il  25  aprile. 

l)  Dalla  fioritura  alla  maturazione,  le  piante  sotto  indicate  impie- 
garono i  seguenti  giorni  : 

albicocco    giorni  133  fioritura  15  aprile 

ciliegio             „  80  „  27 

lampone           „  83  „  —        „ 

melo  precoce  „  101  „  12  maggio 

„      tardivo  „  138  „  22 

pero  precoce  „  100  „  11        „ 

„     tardivo    „  147  „  6 

Per  sapere  se  una  pianta  è  adatta  in  un  dato  ambiente,  è  necessario 
conoscere  non  soltanto  la  media  temperatura  dell'aria  e  del  terreno, 
ma  anche  le  rispettive  massime  e  minime  che  si  hanno  d'estate  e  d'in- 
verno. 


207 


Gli  estremi  di  temperatui 

•a  ai  quali  possono 

resistere  alcune  piante 

sono  i  seguenti  : 

Teni|)eratura  in 

gradi  e. 

niininia 

massima 

Agrumi 

—  3.5  a  —  5 

40"  C. 

Banano 

—    2 



Castagno 

—  34  a  -  36 

— 

Ciliegio 

-  37  a  -  38 

— 

Fico 

—    9  a  —  11 

_ 

Gelso 

-   21  a  -  23 

_ 

Melo 

-  39  a  —  40 

— 

Noce 

-  37  a  -  38 

— 

Pero 

-  39  a  -  40 

_ 

Pesco 

-  34  a  -  36 

— 

Vite 

-  26 

— 

Gaspatin  ha  scritto  che  l'agricoltore  deve  per  primo  farsi  amiche 
le  stagioni,  il  che  vuol  dire  che  non  conviene  fare  una  coltura  se  que- 
sta non  sopporta  le  condizioni  di  temperatura  dell'ambiente. 

Per  alcune  piante  da  frutto  si  conoscono  i  gradi  di  calore  neces- 
sari nelle  diverse  fasi  di  vegetazione.  Questi  dati  sono  riuniti  nella 
Tab.  X. 


Tab.  X.  Gradi  di  temperatura  necessari 

per  alcune  fasi  di  vegetazione  delle  piante  da  frutto. 


Temperatura  per  la 

PIANTE  DA  FRUTTO 

germogliazione 

fioritura 

maturazione 
del  frutto 

Aberia 

Agrumi 

Albicocco 

Castagno 

Ciliegio 

Fico     . 

Co 

10 
6 
8 

11.2 

8 
11-12 

2 

7 

10 

C» 

10 
17 
8 

17.5 

17.8 

8 

8 

18 

5.4 

18 

Co 

.■50-40 

19 

20 
17.8 

21 

(lelso 

Lampone 

Mandorlo 

Melo 

— 

Olivo 

Pero 

Pesco 

Ribes 

Susino 

Uva  spina 

Vite 

21 

20 

17.8 

18 

22 

Riguardo  alla  temperatura  devo   ricordare   al  lettore,  che  i  rilievi 
climatologici  vengono  fatti  tenendo  i  termometri  a    m.  2,60   di   altezza 


—  208  - 

dal  terreno.  Avviene  però,  specialmente  nelle  zone  calde  come  in  Sicilia 
e  nella  Libia,  che  durante  l'inverno  sono  non  infrequenti  degli  abbas- 
samenti di  temperatura  vicino  al  suolo,  talvolta  prolungati  e  dovuti 
al  notevole  irradiamento  notturno. 

L' intensità  e  la  rapidità  dei  processi  di  vegetazione,  dipendono 
dal  grado  di  calore  che  si  ha  nei  periodi  decisivi  per  la  vita  della 
pianta,  quali  sono  la  germinazione  dei  semi,  la  germogliazione  delle 
gemme,  la  tìoritutura  e  la  maturazione  dei  frutti. 

La  temperatura  media  annuale  di  una  data  regione  ha  un  valore 
molto  relativo,  mentre  è  indispensabile  conoscere  la  durata  e  l'intensità 
dei  periodi  di  gelo,  il  limite  massimo  della  temperatura  estiva  e  le 
variazioni  di  temperatura  che  avvengono  nelle  giornate  più  critiche. 

Per  difendere  le  piante  dal  gelo  si  ricorre  alle  coperture,  alle  col- 
tivazioni contro  i  muri,  ai  ripari  nelle  arancere  e  cosi  via. 

Col  troppo  calore  e  la  conseguente  aridità  nel  terreno,  si  arresta  la 
vegetazione,  cadono  le  foglie  ed  i  frutti,  le  piante  si  coprono  di  paras- 
siti e  l'albero  infine  deve  morire.  Se  invece  la  temperatura  è  sempre 
in  aumento,  mantenendosi  il  terreno  umido,  le  piante  prendono  un  ri- 
goglio straordinario,  ma  portano  poche  frutta. 

Si  possono  prevenire  i  danni  dell'aridità  del  terreno  e  del  sover- 
chio calore  coi  seguenti  mezzi  : 

a)  coprendo  il  terreno  con  stranie  o  stallatico  od  altro  materiale 
che  si  abbia  a  disposizione,  affine  di  limitare  l'evaporazione  del  ter- 
reno per  un  metro  intorno  alle  piante,  non  già  però  quando  il  terreno 
è  già  secco,  ma  bensì  in  marzo  quando  è  ancora  umido  ; 

b)  irrorando  con  acqua  le  foglie  alla  sera  dopo  il  tramonto  ; 

e)  annaffiando  con  conci  liquidi,  come  colaticcio  allungato,  il 
quale  influisce  anche  sulla  grossezza  e  gusto  delle  frutta.  L'annaffiatura 
non  si  deve  fare  però  più  di  due  o  tre  volte  durante  la  stagione,  altri- 
menti marciscono  le  radici  superficiali  ; 

d)  zappando  e  sarchiando  di  frequente  ; 

e)  irrigando  il  terreno. 

2.  La  luce.  —  Senza  la  luce  non  è  possibile  una  sana  alimentazione 
e  traspirazione  della  pianta. 

Un  albero  che  cresce  all'ombra  dà  rami  lunghi  e  sottili,  produce 
fiori,  ma  non  frutti.  Solo  i  rami  esposti  al  sole  possono  portare  frutto. 
11  medesimo  efletto  lo  abbiamo  anche  sulle  piramidi  o  fusi,  allevati 
con  rami  troppo  fitti. 

La  luce  abbondante,  viva,  diretta  deve  avvolgere  tutta  la  pianta. 
Con  ciò  si  favorisce  lo  sviluppo  dei  rami  laterali,  che  sono  sempre  i 
più  fruttiferi.  Si  raccomanda,  nelle  località  a  luce  scarsa,  non  soltanto 
di  tenere  i  rami  più  radi,  ma  di  fare  le  piantagioni  a  maggiore  distanza. 

La  luce  influisce  in  grado  eminente  sulla  fecondazione  dei  fiori, 
sul  sapore,  sulla  fragranza,  sul  colorito  dei  frutti  e  delle  foglie,  poiché 
lo  strato  cellulare  della  buccia  delle  frutta  funziona  in  eguale  guisa 
delle  foglie.  Per  questo,  prima  che  cominci  il  processo  di  maturazione, 


-  ^09  - 

bisogna  evitare  che  le  pesclie  e  le  albicocche  delle  spalliere  vengano 
adduggiate  dalle  foglie. 

Dopo  il  calore,  la  luce  è  indubbiamente  l'elemento  che  ha  la  mag- 
giore influenza  sulla  quantità  e  qualità  delle  frutte.  Soltanto  dove  ab- 
bonda la  luce  si  possono  coltivare  le  varietà  tardive.  Nelle  città,  nei 
giardini  presso  le  case,  dove  di  frequente  l'aria  è  offuscata  da  nebbie, 
da  fumo  o  da  pulviscolo,  si  raccomandano  le  varietà  precoci  ;  le  va- 
rietà tardive  si  devono  allevare  soltanto  contro  i  muri  a  spalliera. 

Quanto  più  rigido  è  un  clima  tanto  maggiore  è  il  bisogno  di  luce 
per  la  pianta.  La  luce  convertita  in  calore  supplisce  alla  delìcenza  di 
quest'ultimo  ed  è  per  questo  che  nei  paesi  nordici  la  coltivazione  a 
spalliera  è  molto  estesa  e  le  piantagioni  vengono  fatte  a  maggiore  di- 
stanza che  da  noi. 

3.  —  L'aria  è  altro  degli  elementi  indispensabili  per  la  vita  delle 
piante;  senza  il  suo  concorso  non  può  avvenire  germinazione  di  semi, 
elaborazione  di  succhi,  sviluppo  e  vitalità  nelle  radici. 

Se  in  un  giardino  non  circola  sufficientemente  l'aria,  le  piante  pe- 
riscono oppure  non  portano  alcun  frutto. 

Dagli  impianti  troppo  fitti,  non  si  può  attendere  molto  prodotto; 
così  pure  è  necessario  che  il  terreno  attorno  alle  piante  sia  mantenuto 
soffice,  poiché  l'aria  penetrando,  non  soltanto  serve  per  la  respirazione 
delle  radici,  ma  serve  anche  a  decomporre  e  rendere  assimilabili  i  ma- 
teriali inerti.  Quanto  più  compatto  è  un  terreno,  tanto  più  piofondo  e 
di  frequente  bisogna  lavorarlo. 

Il  movimento  dell'aria  agisce  favorevolmente  sulla  pianta  sia  dal 
lato  meccanico  che  fisiologico.  Meccanicamente,  poiché  una  ventilazione 
moderata  favorisce  la  fecondazione  ed  impedisce  i  danni  del  secco  o 
della  umidità  eccessiva  dell'atmosfera;  fisiologicamente,  perchè  si 
rende  più  attiva  la  vita  della  pianta. 

4,  —  L'acqua  è  un  elemento  indispensabile  per  la  vegetazione  :  nel 
terreno  ed  allo  stato  liquido,  quale  solvente  degli  elemenli  nutritiin  ; 
nelle  piante,  poiché  vi  costituisce  un  gran  parte  del  succo;  nell'aria 
allo  stato  gazoso,  perché  oltre  a  servire  da  regolatore  del  calore,  ci 
procura  le  pioggie  ed  altri  precipitati  atmosferici. 

Nel  terreno  deve  però  trovarsi  nella  dovuta  quantità  poiché,  se 
esuberante,  le  piante  non  fioriscono  e  il  legno  si  costituisce  male; 
se  invece  é  deficiente,  le  piante  crescono  poco  rigogliose,  sono  poco 
longeve,  si  caricano  di  fiori  e  frutti  che  non  sempre  portano  a  ma- 
turazione. Si  toglie  la  soverchia  umidità  al  terreno,  mediante  lavori 
speciali  di  miglioramento  o  col  drenaggio  ;  all'  aridità,  come  ho  detto, 
si  rimedia  coprendo  il  terreno  in  primavera,  o  coll'irrorare  le  fronde, 
o  somministrando  concimi  liquidi  durante  la  vegetazione. 

L'irrorazione  delle  fronde  é  forse  il  miglior  sistema  specialmente 
pegli  alberi  coperti  di  polvere  lungo  le  strade;  bisogna  però  avere 
l' avvertenza,  che  l'acqua  abbia  la  temperatura  piuttosto  supcriore  a 
quella  dell'atmosfera,  altrimenti  le  foglie  cadono. 

14  -  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  210 

In  una  atmosfera  umida  o  che  va  soggetta  a  nebbie,  le  piante  bensì 
fioriscono  molto,  ma  le  frutta  allegano  poco.  A  questo  inconveniente 
non  si  può  rimediare  con  alcuno  artifizio. 

Dal  periodo  della  lìoritura  a  quello  della  maturazione,  sono  prefe- 
ribili le  pioggie  frequenti  ai  forti  acquazzoni,  i  quali  scorrono  via  senza 
che  il  terreno  se  ne  possa  imbevere.  Le  regioni  delle  colline  che  hanno 
pioggie  meno  abbondanti,  ma  più  frequenti  del  piano,  danno  anche  per 
questo  dei  maggiori  prodotti. 

Le  regioni  ricche  di  pioggia  richiedono  concimazioni  e  lavorazioni 
diverse  delle  regioni  asciutte. 

Per  r  Italia,  il  problema  dell'acqua  è  il  più  importante  ed  è  di  vitale 
importanza  per  la  nostra  frutticoltura.  L'irrigazione  anche  delle  piante 
da  frutto,  come  vedremo  in  apposito  capitolo,  nella  Parte  sesta,  si  deve 
estendere  molto  di  più  di  quanto  si  è  fatto  finora. 

5.  Conclusioni.  —  Dopo  quanto  precede  in  questo  capitolo  dobbiamo 
dire  che  lo  studio  del  clima  ha  una  importanza  capitale  per  rendere 
reddiliva  la  nostra  frutticoltura. 

a)  L'albero  da  frutto  richiede  durante  il  periodo  di  attività  vege- 
tativa, temperatura  elevata,  buona  aria,  abbondante  luce  con  una  nor- 
male freschezza  del  terreno. 

b)  Durante  il  periodo  di  riposo,  la  neve  protegge  le  piante  e  gli 
inverni  miti,  con  frequenti  giornate  coperte,  nebbiose  o  asciutte  e  fredde 
con  gelo,  sono  dannosi.  Dannosissime  sono  poi  le  forti  nebbie  se 
seguono  i  freddi  intensi  e  lunghi. 

e)  Le  primavere  precoci,  un  maggio  soleggiato  ma  non  caldo,  con 
pioggie  moderate,  promettono  buon  allegamento  dei  frutti.  I  rapidi 
sbalzi  di  temperatura,  i  jìeriodi  lunghi  di  siccità  o  di  pioggie,  così  pure 
la  persistenza  di  venti  asciutti,  sono  quanto  mai  dannosi.  Il  prodotto  è 
tanto  maggiore  quanto  più  di  frequente  si  alternano  durante  l'estate,  i 
periodi  di  tempo  sereno  con  dei  brevi  periodi  di  pioggie  abbondanti. 
Nel  primo  mese  dell'autunno,  la  pianta  da  frutto  esige  giornate 
calde  e  serene  per  maturare  i  suoi  frutti  ;  in  novembre  e  in  dicembre 
invece,  le  pioggie  sono  propizie,  perché  nel  terreno,  si  immagazzina 
dell'umidità  che  va  a  vantaggio  della  vegetazione  successiva. 

d)  Naturalmente  il  prodotto  dipende  anche  dalla  quantità  di  ma- 
teriali di  riserva  che  la  pianta  ha  potuto  immagazzinare  dal  tempo 
trascorso  dall'ultimo  grande  raccolto;  dalle  cure  che  si  hanno  avute 
per  mantenere  sano  e  vigoroso  l'albero;  dai  materiali  nutritivi  accu- 
mulati nel  terreno  e  dal  loro  grado  di  assimilazione.  (ìeneralmente  il 
prodotto  dipende  da  quel  fattore  di  produzione  che  agisce  in  rapporto 
massimo  o  minimo. 

Più  ancora  però  delle  sostanze  nutrienti  accumulatesi  nel  terreno, 
il  prodotto  dipende  dall'andamento  delle  stagioni  nell'anno  precedente. 

e)  Per  ogni  specie  di  alberi  vi  ha  una  condizione  speciale  di 
terreno  e  di  clima  che  rappresenta  il  suo  optimum,  e  tutte  le  variazioni 
di  questo  sia  per  una  temperatura  più  alta  o  più  bassa,  va  a  svantaggio 
della  fruttificazione. 


—  211   - 

Ogni  pianta  trovandosi  nel  suo  optimum  per  un  fattore,  ha  esi- 
genza diversa  per  un  altro  fattore.  Ad  esempio  se  una  pianta  nel  suo 
optimum  esige  terreno  fresco,  nei  climi  più  caldi  lo  esigerà  umido  e 
nei  climi  più  freddi,  secco. 

Gli  agenti  atmosferici  che  vi  concorrono  maggiormente  sul  risultato 
dei  prodotti  dell'anno  in  corso  sono:  il  calore,  nel  mese  di  maggio; 
in  giugno,  l'umidità  dell'aria;  in  luglio  ed  agosto,  l'umidità  del  terreno; 
in  settembre-ottobre,  il  sole. 

/)  Quando  nei  mesi  di  giugno,  luglio  ed  agosto  si  ha  avuto  un 
tempo  caldo,  uniforme,  con  una  media  superiore  alla  usuale,  si  avrà 
con  molta  probabilità,  se  l'autunno  e  l'inverno  non  danneggiano,  un 
buon  raccolto  nell'anno  seguente. 

Se  invece  il  suddetto  jieriodo  è  stato  piuttosto  freddo,  incostante, 
con  una  media  inferiore  a  quella  solita  del  paese,  si  avrà  scarso  rac- 
colto nell'anno  venturo,  indipendentemente  dall'autunno  ed  inverno  più 
o  meno  favorevoli. 


II. 

Terreno. 

A  parità  di  condizioni  di  clima,  la  riuscita  di  una  coltura  dipende 
dal  terreno. 

I  terreni  di  buona  composizione  e  di  buona  preparazione  hanno 
un  valore  inestimabile,  poiché  da  essi  tutto  si  ottiene  colla  minor 
spesa  e  col  minor  lavoro.  Questi  terreni  però  sono  ben  rari.  La  mag- 
gior parte  di  quelli  che  possediamo  sono  mediocri,  quindi  per  ottenere 
dei  prodotti  rimuneratori  occorrono  miglioramenti  meccanici  e  chi- 
mici, occorre  applicare  la  coltivazione  più  adatta,  infine  sono  neces- 
sarie tutte  quelle  intelligenti  vedute  che  costituiscono  la  vera  scienza 
della  coltivazione. 

1.  Composizione  del  terreno.  —  Gli  elementi  principali  che  costitui- 
scono il  terreno  agrario  sono  quattro,  e  cioè:  l'argilla,  la  silice,  il  cal- 
care e  l'umus. 

Un  terreno  in  cui  prevale  l'argilla,  per  la  sua  impermeabilità,  si 
mantiene  costantemente  umido.  Gli  alberi  ivi  piantati  nei  loro  primi 
anni  di  vita,  hanno  una  vegetazione  rigogliosa,  ma  più  tardi  poi  si 
arrestano  nel  loro  sviluppo.  Il  legno  cresce  molle,  mal  conformato 
e  le  piante  sono  poco  fruttifere.  Le  frutta  vengono  voluminose,  ma 
poco  succose  e  si  conservano  male.  Durante  l' inverno  le  piante  sof- 
frono per  il  freddo;  nell'estate,  screpolando  il  terreno,  le  radici  sof- 
frono per  il  caldo,  e  con  questo  alternarsi  di  caldo  e  freddo  si  ingenera 
il  marciume.  I  tronchi  ed  i  rami  si  coprono  di  muschi  e  licheni,  le 
piante  perciò  presto  si  ammalano  e  muoiono. 

Nei  terreni  silicei,  che  hanno  proprietà  opposte    degli    argillosi,  le 


—  212  - 

piante  da  frutto  si  sviluppano  lentamente,  danno  cacciate  meno  vigo- 
rose ;  fioriscono  però  molto,  e  danno  frutta  saporite,  ma  piccole. 

I  terreni  calcari  sono  i  meno  adatti  per  le  piante  da  frutto,  perchè 
troppo  freddi,  perchè  trattengono  molt'acqua  e  presto  anche  si  asciu- 
gano, screpolandosi.  In  questi  terreni,  le  piante  a  granella  non  riescono 
assolutamente  ;  soltanto  le  piante  a  nocciolo  vi  crescono  ;  però  sembrano 
sempre  ammalate  ;  sviluppano  molte  frutta,  ma  giunte  presso  alla 
maturanza  cadono  o  rimangono  di  sapore  disgustoso,  amaro  e  piccole. 
Meglio  di  tutte  le  altre  piante  a  nocciolo  nel  calcare,  riesce  il  ciliegio. 

L'uraus  non  è  altro  che  il  prodotto  della  decomposizione  di  so- 
stanze organiche  vegetali  ed  animali.  In  un  terreno  costituito  esclusi- 
vamente di  umus  nessuna  pianta  riesce. 

Come  si  vede,  ciascuno  di  questi  quattro  elementi  preso  da  sé  solo 
non  costituisce  un  terreno  fruttifero;  una  combinazione  di  due  lo  rende 
mediocre,  fertile  in  sommo  grado  se  costituito  da 

silice  50  7o 
argilla  25  „ 
calcare  15  „ 
umus     10    „ 

Concludendo,  un  buon  terreno  da  frumento,  è  sommamente  adatto 
per  tutte  le  piante  da  frutto  ;  se  il  calcare  abbonda  alquanto,  allora 
riusciranno  meglio  le  piante  a  nocciolo  di  quelle  a  granella  o  viceversa. 

Del  terreno,  più  che  la  composizione  immediata  hanno  importanza: 
la  sua  profondità  ;  il  comportamento  delle  sue  particelle  per  trattenere 
l'aria,  il  calore  e  l'umidità;  la  composizione  chimica,  per  quanto  questa 
possa  influire  sulle  proprietà  fìsiche. 

2.  Profondità.  —  Per  le  piante  da  frutto  è  indispensabile  che  il 
terreno  sia  profondo,  perchè  le  radici  possano  estendersi,  penetrare 
negli  strati  sottostanti.  Soltanto  a  queste  condizioni  si  hanno  delle 
piante  vigorose,  ben  sviluppate,  longeve  e  fertili. 

Difatti,  lo  strato  superficiale  del  terreno  è  poco  utilizzato  dalle 
radici  di  un  albero,  tanto  più  che  esso  va  soggetto  ad  asciugarsi.  Lo 
strato  veramente  attivo  è  quello  sottostante.  Nel  sottosuolo  le  radici 
ordinariamente  non  penetrano,  ma  esso  deve  servire  da  deposito  del- 
l'umidità e  quindi  da  sorgente  di  quella  freschezza  che  nel  capitolo 
precedente  abbiamo  visto  essere  indispensabile  per  assicurare  la  pro- 
duzione di  frutta.  La  profondità  più  conveniente  per  questo  imma- 
gazzinamento di  umidità  sarebbe  fra  i  tre  e  quattro  metri. 

E'  ovvio  aggiungere  che  per  le  piante  da  frutto  in  genere  e  spe- 
cialmente quelle  con  radici  molto  profonde  come  il  pero,  ciliegio, 
noce,  castagno,  sono  molto  dannosi  nel  sottosuolo  gli  strati  imper- 
meabili compatti  di  creta  o  marna. 

Trattandosi  soltanto  di  coltivare  delle  piante  a  cespuglio  od  a  forme 
nane,  la  profondità  del  terreno  ha  minore  intluenza  ;  esse  però  esigono 
un  terreno  ben  fertile. 


-  213  - 

3.  —  Le  pruprielà  fisiche  e  specialmente  la  facollà  di  Iratlenere 
l'aria,  il  calore  e  l'umidità  dipendono  oltre  che  dalla  costituzione  del 
terreno,  dalla  sua  profondità,  dall'intensità  di  evaporazione,  dall'espo- 
sizione, dalla  pendenza,  dalla  qualità  e  quantità  di  erbe  che  vi  crescono, 
dalla  distanza  fra  le  piante,  dall'immissione  di  acque  superficiali  e 
dalla  sottrazione  di  acque  mediante  le  affossature  o  drenaggio. 

I  terreni  argillosi  sono  generalmente  impermeabili,  umidi,  freddi, 
tenaci,  aderenti,  diffìcili  a  lavorarsi,  soggetti  a  sbalzi  di  temperatura. 

I  terreni  calcari  sono  simili  ai  sabbiosi,  ma  sono  più  leggeri  e  più 
freddi  se  bianchi. 

I  terreni  sabbiosi  sono  molto  permeabili,  secchi,  caldi  negli  strati 
superficiali  e  freschi  nei  profondi,  con  temperatura  relativamente  co- 
stante e  facile  a  lavorarsi. 

I  terreni  umiferi  sono  mobili,  porosi,  facili  a  lavorarsi,  ricchi  di 
umidità  e  caldi. 

Dai  diversi  rapporti  in  cui  si  troveranno  l'argilla,  la  calce,  la 
sabbia  e  l'umus,  in  un  terreno  si  potranno  dedurre  le  rispettive  proprietà 
fìsiche. 

L'aria  è  necessaria  nel  terreno  per  la  respirazione  delle  radici  e 
per  la  vita  dei  batteri  i  quali,  importati  col  letame,  rendono  molto  più 
attivo  il  terreno  che  i  concimi  chimici. 

L'intensità  di  evaporazione  dà  alle  frutta  il  loro  gusto  caratteristico. 

4.  —  Mentre  le  proprietà  fisiche  servono  a  preparare  un  buon  am- 
biente alle  radici,  le  proprietà  chimiche,  procurano  a  queste  il  nutri- 
mento per  la  pianta. 

Ogni  terreno  ha  la  proprietà  di  trattenere  una  maggiore  o  minore 
quantità  di  sostanze  nutritive  sciolte  o  solubili  nell'acqua,  senza  lasciarle 
defluire  nel  sottosuolo. 

Questo  è  il  potere  assorbente  del  terreno  che  è  il  vero  regolatore 
della  fertilità. 

La  facoltà  assorbente  massima  è  per  la  potassa,  ammoniaca,  calce, 
soda,  acido  carbonico,  anidride  fosforica  ;  media  per  la  magnesia  e 
l'acido  silicico  ;  molto  debole  per  l'acido  solforico  e  nessuna  per  il 
cloro  e  l'acido  nitrico. 

Per  questo  il  nitrato  viene  dato  a  piccole  dosi,  altrimenti  l'acqua 
lo  disperde. 

I  terreni  ricchi  di  calce  trattengono  gli  acidi,  quelli  di  acido  sili- 
cico le  basi  e  quindi  i  terreni  ricchi  di  questi  due  elementi  hanno  il 
maggiore  potere  assorbente. 

5.  —  Da  quanto  precede  si  capisce  che  come  per  ogni  specie  e 
varietà  di  piante  vi  ha  un  optimum  di  terreno  per  ogni  località. 

Prendendo  in  considerazione  le  esigenze  delle  singole  specie  ri- 
spetto al  terreno  ed  al  suo  stato  colturale,  si  può  dire  che.il  melo 
preferisce  i  terreni  freschi,  profondi  e  fertili  delle  vallate  ;  tuttavia  nei 
terreni  poco  profondi  riesce  meglio  del  pero.  Le  varietà  a  frutta  grosse 
esigono  in  particolar  modo  terreni  ben  fertili. 


-  214  - 

Il  pero  ha  minori  esigenze  del  melo  rispetto  alla  fertilità  del  ter- 
reno ed  alla  composizione  mineralogica  ;  invece  è  più  esigente  rispetto 
alla  profondità,  poiché  è  necessario  che  ad  un  certo  punto  trovi  del- 
l'umidità. Nei  terreni  asciutti,  secchi,  cadono  facilmente  i  frutti  ;  oppure 
questi  diventano  come  si  suol  dire  legnosi.  Il  pero  sopporta  anche  le 
acque  nel  sottosuolo. 

Il  ciliegio  è  ancora  meno  esigente  del  pero,  e  fa  hene  anche  nei 
terreni  magri,  sabbiosi,  ciottolosi  ed  anche  sulle  colline  rocciose. 

I  susini  sopportano  l'umidità  meglio  d'ogni  altra  pianta  da  frutto; 
il  noce  è  come  il  ciliegio,  ma  è  forse  un  po'  più  esigente  per  il  calore. 
Il  castagno  pure  -,  ma  ama  i  luoghi  riparati. 

II  nocciuolo  non  sopporta  troppo  l'aridità  del  terreno  e  neppure 
la  poca  fertilità;  fa  molto  bene  nelle  località  ombreggiate. 

Il  pesco,  l'albicocco  ed  il  mandorlo  amano  i  terreni  soffici,  medio- 
cremente asciutti,  caldi  e  profondi.  Il  mandorlo,  specialmente  se  inne- 
stato sul  susino,  tollera  un  terreno  anche  più  tenace. 

Le  piante  da  frutto  cespugliose  invece  fanno  bene  in  qualunque 
terreno,  sono  però  molto  redditive  se  si  trovano  in  terreno  fertile. 

E'  indispensabile,  per  lo  sviluppo  della  frutticoltura,  che  vengano 
esattamente  determinate  le  condizioni  di  terreno  e  di  clima  più  favo- 
revoli per  ogni  essenza  fruttifera.  Per  quanto  riguarda  il  terreno  è  in- 
dispensabile che  la  sua  determinazione  venga  basata  sulla  sua  costitu- 
zione geologica. 

6.  —  I  terreni  torbosi  sono  i  peggiori  per  le  piante  da  frutto. 
Causa  la  mancanza  d'aria,  rimangono  acidi  negli  strati  sottostanti  e 
quando  vi  arrivano  le  radici,  le  piante  periscono.  Poi  vi  ha  un  altro 
inconveniente.  Le  buche  che  si  fanno  sempre  all'impianto,  funzionano 
come  sorgenti  di  richiamo  d'acqua  e  quindi  le  piante  appena  piantate 
ne  hanno  troppa. 

Per  l'umidità  e  freddezza  del  terreno,  le  piante  germogliano  tardi 
ed  i  germogli  stentano  a  maturare. 

E'  quindi  necessario,  per  chi  voglia  piantare  nei  terreni  torbosi, 
dopo  aver  estratta  la  torba,  procurare  di  emendarli  con  della  calce  e 
della  sabbia  e  l'impianto  si  faccia  sempre  superficiale,  senza  fare  bu- 
che ed  impiegando  esclusivamente  concimi  minerali. 

Delle  piante  da  frutto,  le  i)iante  a  nocciolo  non  riescono  ;  le  va- 
rietà più  rustiche  delle  viti  fanno  discretamente,  meglio  fanno  i  peri 
ed  ancora  più  i  meli. 

Dei  peri  si  possono  raccomandare  le  seguenti  varietà:  Nuova 
Poiteau,  Squisita  di  Charnen,  William,  Bergamotta  d'estate.  Tutti  i  peri 
bisogna  che  siano  innestati  sul  cotogno,  poiché  se  sul  franco,  avendo 
radici  profonde,  deperiscono  presto. 

I  meli  riescono  meglio  dei  peri,  applicando  delle  forme  basse.  Le 
varietà  che  riesono  abbastanza  bene  sono  le  seguenti:  Bella  di  Boskoop, 
Mela  di  Boikev,  Renetta  Baumann,  Renetta  di  Gonion,  Renetta  grigia 
d'autunno.  Regina  Sofìa  e  Gharlamowsky. 


III. 

Altitudine,  latitudine,  situazione  ed  esposizione. 


1.  Altitudine.  —  Di  mano  in  mano  che  ci  eleviamo  sopra  il  livello 
del  mare  si  ha,  per  ogni  173  metri  di  altezza,  un  abbassamento  di  1°  C. 
di  temperatura.  Ciò  naturalmente  porta  con  sé  una  inlluenza  varia  sulla 
vegetazione  delle  piante. 

In  Italia,  la  coltivazione  delle  piante  da  frutto  ad  oltre  700  m.  di 
altezza,  anche  nelle  provincie  meridionali  come  sull'Etna,  è  una  ecce- 
zione. 

11  limite  di  altitudine  a  cui  possono  trovarsi  in  Italia  alcune  specie 
di  piante  da  frutto,  è  il  seguente  : 


Agrumi m.    400 

Azzeruolo ,,1800 

Bagolaro „      800 

Carrubo „      300 

Castagno „      600 

Ciavardello   ....  „    1800 

Ciliegio „    1200 

Fico .  „      300 

Gelso „      800 

Mandorlo „      500 


Melo ni.  1400 

Nocciuolo „  1600 

Noce 1000 

Olivo 550 

Pero „  1200 

Pino  da  pinoli  .     .     .      „  300 

Querce  ballota  .     .     .      „  ó(X) 

Sorbo ,  1500 

Susino ,,1200 

Vite ,  600 


Come  abbiamo  visto  a  pag.  206  per  ogni  100  metri  di  altitudine 
corrispondono  giorni  1  . 2  di  ritardo  di  vegetazione  e  giorni  4 . 1  di 
ritardo  di  fioritura  e  maturazione. 

La  maturazione  delle  frutta  avviene  tanto  più  imperfettamente 
quanto  più  si  sale,  poiché  l'autunno  comincia  prima  e  si  fa  subito 
piovoso. 

2.  —  Anche  la  latitudine  ha  inlluenza  notevole  incjuantochè  par- 
tendo dall'equatore,  ad  ogni  grado  di  latitudine  corrisponde  una  dimi- 
nuzione di  ^2  grado  di  temperatura  media.  I  limiti  di  latitudine  per 
alcune  specie  di  piante  da  frutto,  sono  i  seguenti  : 


Agrumi . 
Albicocco 
Anona   . 
Azzeruolo 
Banano  . 


.     .    .  35-42« 

...  52» 

.    .    .  :?9" 

...  53^^ 

...  37° 

Castagno 48-54" 

Ciavardello 64" 

Fico 45« 

Fico  d'India 25-45" 

Mandorlo 45-50° 

Melagrano 44° 


Melo  .    . 
Nocciuoic 
Olivo. 
Palma    . 
Pero  .     . 


00° 
64° 
46" 
37° 
55" 


Pesco 47-52° 


Pistacchi( 
Susino    . 


30» 
()2" 


L'va  spina 35-47" 


Vite 


45° 


—  216  -  ^ 

Dalle  osservazioni  fenologiche  finora  fatte  risulterebbe  (pag.  206), 
clie  ad  ogni  grado  di  latitudine  verso  nord,  corrisponde  un  ritardo  di 
vegetazione  di  giorni  2.6  e  si  prolunga  di  due  giorni  il  periodo  vege- 
tativo. 

3.  La  situazione.  —  Le  piante  da  frutto  si  possono  coltivare  sulle 
montagne  od  altipiani,  sui  colli,  nelle  pianure  o  nelle  valli. 

Sulle  montagne  od  altipiani,  le  piante  da  frutto  sono  sottoposte  alla 
medesima  iniluenza  che  abbiamo  considerato  riguardo  l'altezza;  di  più 
i  terreni  essendo  generalmente  poco  fertili  e  molto  dominati  dai  venti, 
le  piante  crescono  irregolarmente,  vanno  soggette  a  strappi  di  rami,  le 
frutta  riescono  piccole  con  buccia  grossa,  acquose,  ed  il  prodotto  è 
meschino  ed  irregolare. 

Sui  colli,  le  condizioni  sono  molto  migliori;  difatti,  anche  se  il  ter- 
reno è  meno  fertile  che  nelle  vallate,  e  i  prodotti  non  saranno  tanto  ab- 
bondanti, sono  però  migliori  e  più  regolari.  Le  piante  meglio  espo- 
ste al  sole,  meglio  illuminate  per  la  loro  superficie  inclinata,  risentono 
maggior  calore.  La  pendenza  favorisce  lo  scolo  delle  acque  e  perciò  il 
terreno  si  mantiene  più  soffice,  le  radici  possono  estendersi  di  più  e 
quindi  le  frutta  aumentano  di  volume,  di  fragranza  e  di  sapore.  Infine 
i  colli  sono  meno  esposti  ai  geli,  alle  brine,  alle  rugiade,  le  quali  ul- 
time influiscono  tanto  sulla  conservazione  delle  frutta.  In  generale  le 
frutta  dei  colli  sono  sempre  più  apprezzate  di  quelle  del  piano. 

Le  piante  nella  prima  età,  sui  colli,  sembrano  crescere  più  vigo- 
rose che  nel  piano,  finché  le  radici  si  trovano  in  uno  strato  smosso 
del  terreno.  Allora  all'azione  della  freschezza  del  terreno,  va  com- 
binata l'azione  dell'aria,  che  quivi  è  molto  più  energica  e  quindi  si  ha 
una  grande  attività  nei  batteri.  Successivamente  però  il  successo  della 
coltivazione  dipende  più  che  altro,  dalla  possibilità  delle  radici  di  esten- 
dersi in  un  buon  strato  di  terreno  fresco  e  ricco  di  materiali  nutritivi. 

Nelle  pianure  le  piante  trovano  generalmente  terre  fresche  e  fertili, 
che  favoriscono  una  vegetazione  lussureggiante  e  danno  delle  grandi 
rendite  in  annate  favorevoli;  ma  le  frutta  sono  meno  saporite  ed 
hanno  un  aspetto  meno  attraente  di  quelle  dei  colli.  Le  pianure  sono 
inoltre  soggette  alle  brine  ed  i  frutti  qualche  volta  sono  poco  conser- 
vabili. Nonostante  però  tutti  questi  inconvenienti,  la  coltivazione  delle 
piante  da  frutta  puossi  benissimo  consigliare  al  piano,  poiché  in  realtà 
si  hanno  ottimi  prodotti  e  si  possono  coltivare  varietà  di  frutta  della  più 
straordinaria  fertilità.  L'abbondanza  del  prodotto  supplisce  ad  usura 
al  sapore  meno  fragrante  che  hanno  queste  frutta  in  confronto  di 
quelle  ottenute  sui  colli. 

Le  vallate  presentano,  in  grado  molto  maggiore,  gli  inconvenienti 
delle  pianure.  Il  sole  viene  tardi  alla  mattina  e  scompare  presto  alla 
sera  ;  le  brine  sono  frequenti,  le  rugiade  abbondanti,  la  colatura  dei 
fiori,  la  poca  conservabilità  delle  frutta,  l' infierire  delle  malattie  crit- 
togamiche, sono  frequenti  ;  e  soltanto  le  varietà  più  rustiche,  di  pomo, 
susino,  ciliegio,  nocciuolo,  castagno,  vi  possono  riuscire. 


-  217  - 

Alcuni  autori  attribuiscono  una  influenza  forse  esagerala  alla  vici- 
nanza delle  foreste,  delle  grandi  masse  d'acqua,  delle  riviere,  dei  lìunii, 
dei  laghi  o  mari,  sulle  qualità  delle  frutta.  Certo  però  un'atmosfera  un 
po'  umida  quale  è  quella  presso  alle  foreste  o  vicino  al  mare  non  può 
che  favorire  lo  sviluppo  delle  frutta,  rendendole  più  succose  e  sa- 
porite. 

Per  concludere,  diremo  che  per  piantare  un  frutteto  conviene  evi- 
lare  i  siti  bassi,  umidi  e  sottoposti  alle  brine  od  ai  tardi  geli  come  pure 
le  alture  dominate  dai  venti,  i  quali  sono  svantaggiosi  alle  piante  ;  ma 
scegliere  piuttosto  un  luogo  riparato,  ai  piedi  di  una  collina,  in  una  in- 
senatura od  in  una  pianura,  dove  non  regni  troppa  umidità. 

4.  Esposizione.  —  L'orientazione  di  un  frutteto,  specialmente  per 
noi  dell'Italia  settentrionale,  ha  una  certa  importanza. 

L'esposizione  a  mezzogiorno,  per  l'Italia  settentrionale,  può  consi- 
derarsi come  la  più  vantaggiosa,  poiché  le  piante  godono  al  massimo 
i  benefizi  del  sole  e  sono  riparate  dai  venti  del  nord.  Nelle  provincie 
meridionali  a  mezzodì  si  ha  l' inconveniente  di  essere  troppo  esposti 
ai  venti  di  scirocco,  invece  l'esposizione  a  tramontana  è  vantaggiosa  e 
si  ottengono  frutta  più  sviluppate  e  succose. 

Il  levante  ha  lo  svantaggio  di  avere  una  lunga  irradiazione  notturna, 
di  ricevere  al  mattino  molto  presto  i  raggi  solari,  epperciò  nei  jìaesi 
ove  le  brine  sono  frequenti,  si  hanno  dei  danni  considerevoli. 

A  ponente  all'ora  del  tramonto,  è  troppo  rapido  l'abbassamento 
della  temperatura,  ma  durante  la  notte  si  conserva  ])iù  caldo. 

Come  si  vede  in  tutte  le  esposizioni  si  possono  coltivare  le  piante 
da  frutto  :  sarà  questione  di  scegliere  una  specie  od  una  varietà  piut- 
tosto di  un'altra.  Neil'  Italia  settentrionale,  si  possono  enumerare  le  di- 
verse esposizioni  in  ordine  decrescente  di  merito,  come  segue:  sud,  sud- 
est, sud-ovest,  est,  ovest,  nord-est,  e  nord. 

Dalle  osservazioni  fenologiche  (pag.  206)  risulterebbe  che  le  fioriture 
primaverili  ritardano  di  un  giorno  in  direzione  da  ponente  a  levante, 
ad  ogni  122  Km.  di  distanza  e  così  pure  la  caduta  delle  foglie.  La  fio- 
ritura estiva  invece  é  più  tarda  a  ponente  che  a  levante. 

Per  dimostrare  l'influenza  dell'esposizione  sulla  qualità  dei  frutti 
basta  riportare  i  seguenti  dati  ottenuti  dal  Prof.  Passy  nel  clima  di 
Parigi. 

Mele  Calville  Contenuto  %  di  zucchero 

esposizione  a  mezzogiorno 12.1.) 

„  levante 10.07 

Uva  Chapelas  dorato 

ottenuta  da  due  tralci  di  una 
stessa  pianta,  uno  esposto  a 

Nord 10115 

Sud 17.025 


-  218  — 

IV. 
Distribuzione  geografica. 

1.  —  F/ azione  reciproca  dell'aria,  acqua,  luce  e  calore,  e  l'intensità 
diversa  con  cui  esse  agiscono,  producono  le  diverse  variazioni  di  clima, 
da  noi  cosi  frequenti.  Questo  fatto  è  dovuto  naturalmente  alla  costi- 
tuzione geologica  dell'Italia,  all'imponente  giogaia  delle  Alpi  la  quale, 
a  modo  d'anfiteatro,  la  cinge  a  settentrione,  alla  catena  degli  Apennini 
che  la  scomparte  in  due,  alla  infinita  serie  di  monti  secondari  e  di 
colli   ed  infine  al  vasto  mare  che  la  circonda  quasi  d'ogni  lato. 

Conseguenza  naturale  di  cotante  diversità  di  clima  si  è  l'abbon- 
danza delle  specie  fruttifere  coltivate,  e  lo  stragrande  numero  di  va- 
rietà che  di  ogni  specie  si  sono  formate. 

Sarebbe  prezzo  dell'opera  raggruppare  le  diverse  specie  di  piante 
fruttifere  e  le  diverse  varietà  di  queste  entro  certi  confini  per  stabilire 
cosi  delle  zone  che  demarchino  i  limiti  necessari  per  la  utile  coltura 
delle  medesime.  Procurerò  di  fare  ciò  rispetto  alla  specie,  non  cosi 
posso  dire  rispetto  alle  varietà  indigene,  mancando  ancora  noi,  di  una 
pomona  italiana.  Senonchè  fa  d'uopo  premettere  che  le  piante  non 
crescono  sempre  ed  in  modo  assoluto  entro  una  cerchia  delimitata  da 
confini  fissi  ed  immutabili;  e  che  anzi  le  eccezioni  diventano  tanto  più 
numerose  quanto  più  vasto  è  il  paese  che  forma  oggetto  di  studio,  e 
quanto  più  frequenti  sono  le  cause  che  contribuiscono  alle  variazioni 
del  clima,  come  sono  i  venti,  le  esposizioni,  le  vicinanze  di  bacini 
d'acqua  o  di  foreste. 

l  limiti  entro  i  quali  un  dato  numero  di  piante  prospera,  viene 
chiamato  zona  o  regione.  Per  il  frutticoitore  possiamo  distinguere  in 
Italia  3  regioni  fruttifere  e  cioè  la 

1."  Regione  delle   piante  a  granella. 
2.»  „  „  „        „  nocciolo. 

;ì°  „        degli  agrumi. 

La  regione  delle  piante  a  granella  è  la  zona  più  fredda  ed  ha  i  ca- 
ratteri del  clima  continentale  per  eccellenza.  Oltre  il  Piemonte,  la 
Lombardia,  il  Veneto  e  l'Emilia,  comprende  tutta  quella  parte  interna 
della  penisola  percorsa  dall'Appennino  e  dalle  sue  diramazioni.  Perciò 
la  parte  interna  della  Toscana,  Marche,  Umbria,  Lazio,  Abruzzi,  Cam- 
pania, Basilicata  e  Calabria. 

La  regione  delle  piante  a  nocciolo  è  la  regione  intermediaria  fra  le 
regioni  calde  meridionali  e  quella  del  settentrione.  Essa  comprende 
tutte  le  regioni  costiere  dell'Adriatico. 

La  regione  degli  agrumi  o  dell'olivo,  e  del  niandorlo,  comprende  le 
zone  marittime  mediterranee  della  Liguria,  Campania,  Calabria,  Sicilia, 
Sardegna  ed  Isole  minori,  nonché  la  Libia. 


-  219  — 

Delle  6(ì  specie  di  piante  da  frutto  coltivabili  in  Ilaiia.  almeno  una 
quarantina  si  jìossono  coUivare  in  tutte  e  tre  (|uesle  re^noni.  Colia  in- 
dicazione sopra  accennata  io  intendo  caratterizzare  la  regione  nella 
quale  le  piante  a  granella,  quelle  a  nocciolo  ecc.,  prosperano  e  dove 
la  loro  coltura  non  soltanto  riesce  redditiva  costantemente  ma  dà  an- 
che i  Trutti  migliori  della  specie.  Quindi,  se  nella  prima  regione,  le 
piante  a  granella  trovano  la  loro  zona  oUima  non  viene  escluso  che  si 
possano  coltivare,  nelle  zone  meno  favorevoli,  altre  piante  da  frutto  e 
che  nelle  zone  più  calde,  meglio  esposte,  si  possano  coltivare  delle 
piante  a  nocciolo  o  degli  agrumi,  ecc.  Da  ciò  la  necessità  di  distin- 
guere i)er  ogni  regione  la  zona  ottima,  che  sarà  la  più  estesa,  la  zona 
fredda  e  la  zona  calda. 

Nella  Tab.  XI  sono  indicati  i  caratteri  meteorologici  delle  regioni 
fruttifere  sopra  indicate  e  nella  Tab.  XII  sono  indicate  le  piante  che 
nella  rispettiva  regione  si  trovano  nella  zona  ottima,  fredda  o  calda. 


Tab.  XI. 

Caratteri  metereologiei  delle  regioni  fruttifere  d'Italia. 


Elementi  metereologiei 

Val  Padana  e 
zona  peninsu- 
lare interna 

Zona 
marittima 
adriatica 

Zona  mariti. 

mediterranea 

e  insulare 

i 
ì 

annua 

12.08  -  13 

14.21 

15.86  -  16.42 

Temperatura  media 

di  Gennaio 
„    Luglio 

1.19  -  4.21 
22.75  -  22.91 

4.49 
24.47 

8.29  -    9.49 
21.41  -  24.70 

E.scursione 

18.54  -  21.72 

19.98 

15.21  -  16.12 

( 

l 

minima 

-  9.17  -  12.07 

-  7.25 

-  2.42  -  4.28 

Temperatura  estrema 

massima 

35.71  -  .36.30 

37.50 

35.76  -  37..-.0 

differenze 

45.47  -  47.78 

44.75 

39.92        40.04 

Umidità 

66.6        69.4 

70.9 

65  9  -  66.8 

1 

quantità 

1063.7  -  1095.2 

750.9 

601  -  873.4 

Pioggia 

frequenza 

96,7  -  99.6 

91.6 

H-U    -  92.8 

Neve 

8.1  -  8.0 

44 

1.2  -  1.8 

2.  —  Nella  regione  Padana  le  nebbie  sono  più  frequenti  e  predo- 
minano le  pioggie  primaverili  (maggio)  mentre  in  febbraio  si  ha  il  mi- 
nor numero  di  pioggie;  i  venti  di  nord  ovest  predominano  neirinverno, 
portando  il  bel  tempo,  invece  i  venti  di  levante  d'estate,  portano  le 
pioggie.  Nel  periodo  estivo  i  temporali  sono  frequenti  e  violenti. 

Nella  regione  peninsulare  predominano  le  pioggie  autunnali  (no- 
vembre-dicembre) ed  il  minor  numero  di  giorni  di  pioggia  lo  si  ha 
in  luglio.  Nel  versante  prospiciente  l'Adriatico  predominano,  durante 
r  inverno  i  venti  N  a  NO  e  quello  Tirrenico  di  SO,  S  e  SE.  Nell'estate 
prevalgono  nel  versante    Adriatico  i  temporali    che    assumono    grande 


—  220 


Tab.  XII. 


Distribuzione  delle  piante  da  frutto  in  regioni  e  zone. 


Regione  delle 

Regione  delle 

Regione  degli 

piante  a 

granella 

piante  a  nocciolo 

agrumi,  olivo  e  mandorlo 

Zona 

ottima 

Zona  ottima 

Zona  ottima 

Bagolaro 

Albicocco 

Aberia 

Castagno 

Azzeruolo 

Agrumi 

Ciavardello 

Ciliegio 

Anona 

Corniolo 

Corbezzolo 

Asimina 

Cotogno 

Fico  da  consumo 

Banano 

Crespino 

Giuggiolo 

Carrubo 

Faggio 

Pesco 

Eugenia 

Gelso  per 

a  foglia 

Pino  da  pinoli 

Feijoa 

Lampone 

Susino 

Fico 

Melo 

Vite  per  uve  mangerecce 

Fico  d' India 

Mirtillo 

d'autunno 

Gelso  da  frutto 

Nespolo 
Noce 

Zona  fredda 

Holboelia 
Hovenia 

Nocciuolo 

Castagno 

Kaki 

Pero 

Cotogno 

Mandorlo 

Ribes 

Gelso  per  la  foglia 

Melagrano 

Rovo 

Melo 

Nespolo  del  Giappone 

Sorbo 

Nespolo 

Olivo 

Uva  spina 

Nocciuolo 

Pachira 

Vite  per  uva  da  serbo 

Pero 

Palma 

Ribes 

Passiflora 

Zona 

fredda 

Sorbo 

Pavia  dolce 

Castagno 

Uva  spina 

Persea  gratissiraa 

Ciavardello 
Corniolo 

Zona  calda 

Pistacchio 
Psidio 

Crespino 

Fico   da   consumo    e   da 

Querce  ballota 

Faggio 
Lampone 

serbo 
Mandorlo 

Vite  per  uve  precoci 

Mirtillo 

Melagrano 

Zona  fredda 

Nocciuolo 

Nespolo  del  Giappone 

Albicocco 

Ribes 

Olivo  per  olive  da  mensa 

Ciliegio 

Rovo 

Vite  per  uve -precoci 

Melo 

Uva  spina 

Nespolo 

Zona 

calda 

Nocciuolo 
Pero 

Albicocco 

Pesco 

Ciliegio 
Fico 

Pino  da  pinoli 
Susino 

Mandorlo 

Melagrano 

Zona  calda 

Nespolo  de 

Giappone 

Aberia           Holboelia 

Pesco 

Agrumi          Hovenia 

Susino 

Anona           Pachira 
Asimina        Palma 
Banano          Passiflora 
Eugenia        Pavia  dolce 
Feijoa           Persea  gral. 
Ficodindia  Psidio 

-  221   - 

violenza  ed  i  venti  di  levante  ;  nel  versante  Tirrenico  predominano 
d'estate  i  venti  di  ponente  ed  i  temporali  sono  distribuiti  nelle  varie 
stagioni,  senza  essere  intensi. 

Questa  zona  è  limitata  per  le  piante  da  frutto  (ino  a  circa  000  metri 
di  altitudine. 

3.  —  Regione  marittima  adriatica  ossia  regione  delle  piante  a  nocciolo. 
Il  clima  ha  un  carattere  decisamente  marino,  per  conseguenza  più 
uniforme  e  costante  e  perciò  più  adatto  per  le  piante  a  nocciolo  di 
fioritura  precoce,    che  temono  gli  sbalzi  di  temperatura  in  primavera. 

E  questa  si  può  dire  la  vera  zona  intermedia  colla  mediterranea 
che  è  per  l'Italia  la  più  vasta. 

Il  mese  in  cui  piove  maggiormente  è  l'ottobre  poi  a  distanza  il  no- 
vembre. La  minor  quantità  d'acqua  si  ha  in  luglio  o  febbraio.  L' in- 
verno e  la  primavera  hanno  valori  presso  a  poco  eguali  rispetto  alla 
pioggia. 

Neil'  inverno  dominano  i  venti  di  nord  e  nord  ovest  mentre  d'estate 
dominano  i  venti  di  levante.  I  temporali  si  hanno  nell'estate,  come 
nella  valle  Padana  e  sono  violenti. 

4.  —  La  regione  degli  agrumi,  delVolivo  e  del  mandorlo  abbraccia 
tutte  le  isole,  la  costa  mediterranea  della  Liguria,  Toscana,  Lazio,  Cam- 
pania, Calabria,  Puglie  e  la  Libia. 

Se  i  geografi  considerano  la  Libia,  l'Algeria,  la  Tunisia  e  il  Marocco 
come  appartenenti  all'Africa,  gli  storici,  gli  economisti,  i  naturalisti  ed 
aggiungiamo  ancora  gli  agronomi,  devono  considerare  questi  paesi 
come  facenti  parte  integrante  dell'Europa.  Essi  appartengono  al  bacino 
del  Mediterraneo,  alla  medesima  regione  agricola,  caratterizzata  dalla 
coltura  dell'olivo,  della  vite,  del  gelso,  del  fico,  del  carrubo,  degli 
agrumi  e  nella  Libia  anche  della  palma. 

I  limiti  non  sono  arbitrari  ma  segnati  particolarmente  dalla  na- 
tura e  dal  clima.  L'Africa  propriamente  detta  non  comincia  che  al 
confine  nord  del  Sahara.  Non  è  quindi  esagerato  il  dire  che  la  Libia 
puossi  considerare,  anche  agronomicamente,  come  una  continuazione 
del  suolo  italiano. 

II  clima  del  litorale  mediterraneo  è  caratterizzato  da  una  stagione 
invernale  piovosa,  seguita  da  una  stagione  estiva  con  pochissima  o 
punto  pioggia.  Per  questa  alternanza  dei  periodi  secchi  cogli  umidi  noi 
dobbiamo  in  particolar  modo  attenerci  alle  coltivazioni  arboree,  le 
uniche  che  possano  colle  loro  radici  profonde,  utilizzare  durante  l'e- 
state, l'acqua  immagazzinata  nel  sottosuolo.  Altra  caratteristica  del  clima 
è  la  sua  mitezza  durante  l' inverno,  nel  quale  si  hanno  delle  giornate 
splendide,  soleggiate,  tanto  da  chiamare  questi,  i  paesi  dell'eterna  pri- 
mavera. L'agricoltore  anche  di  questa  circostanza  deve  saper  trarre  un 
utile,  coltivando  sempre  le  specie  e  varietà  di  più  rapido  sviluppo  e 
precoci,  per  poter  fornire  di  primizie  non  soltanto  i  mercati  d'Europa, 
ma  anche  per  utilizzare  meglio  l'umidità  immagazzinatasi  nel  terreno, 
durante  l'inverno.  In  tal  modo  l'agricoltore  oltre  assicurare  la  vendita 


—  222  - 

dei  suoi  prodotti  a  prezzi  molto  rimuneratori  ha  il  vantaggio  di  rea- 
lizzare una  costante  produzione. 

In  questa  regione  è  indispensabile  per  alcune  piante  la  irrigazione. 

La  temperatura  ])erò  è  più  uniforme,  più  elevata  d'inverno  che 
in  qualsiasi  altra  regione  e  pari  d'  estate,  alla  regione  adriatica.  Spesso 
d' inverno,  dopo  le  giornate  serene,  per  irradiamento  notturno,  avviene 
un  notevole  abbassamento  di  temperatura  presso  terra  (vedi  pag.  208) 
che  produce  dei  danni  notevoli  alle  piante  specialmente  basse. 

Tanto  sulle  coste  del  Mediterraneo  che  nelle  isole,  l'inverno  è  più 
asciutto  e  l'estate  |)iù  umido  che  nelle  altre  zone,  da  ciò  ne  deriva  che 
d'estate  si  hanno  rugiade  abbondanti. 

I  mesi  più  piovosi  sono  l'ottobre  ed  il  novembre. 

Predominano  nell'inverno  i  venti  S.O,  S  e  SE;  nell'estate  di  O,  nella 
costa  mediterranea.  In  Sicilia  sulla  costa  di  tramontana  e  di  levante  i 
venti  O  nell'inverno  e  di  N  K  nell'estate;  in  Sardegna  prevalenza  dell'O 
e  del  N  O. 

I  temporali  sono  distribuiti  lungo  tutto  l'anno  e  sono  poco  intensi. 

Nella  Libia,  d' inverno  si  ha  raramente  il  Giùbili  (scirocco)  ed  i  venti 
di  Nord  che  alla  costa  fanno  abbassare  la  temperatura.  D'estate  il  vento 
pernicioso  è  lo  scirocco,  perchè  secco,  caldo  e  bruciante. 

5.  Conclusione.  —  Come  si  vede,  quanto  più  ci  avviciniamo  al  Mez- 
zogiorno tanto  maggiore  è  il  numero  delle  specie  di  piante  coltivabili  ; 
e  nella  scelta  delle  varietà  bisognerà  preferire,  per  le  regioni  meridio- 
nali, quelle  varietà  a  maturazione  precoce  piutloslo  che  tardiva. 

1  climi  settentrionali,  freddi  ed  umidi,  non  sono  favorevoli  alle 
piante  da  frutto  :  i  frutti  sono  acquosi,  poco  zuccherini,  poco  con- 
servabili e  le  piante  vengono  attaccate  troppo  facilmente  da  malattie. 
In  queste  località  al  più,  riescono  le  piante  da  frutto  a  cespuglio,  quali 
sono  il  lampone,  il  crespino,  oppure  il  susino  e  ciliegio. 

Nei  climi  caldi,  meridionali,  le  piante  sviluppano  poco;  le  frutta 
però  riescono  mollo  zuccherine,  ma  non  tanto  aromatiche,  come,  ad 
esempio  le  pere,  le  mele,  l'uva.  Per  le  piante  a  nocciolo  invece,  e  spe- 
cialmente le  varietà  ])recoci  di  pesche,  albicocche,  un  clima  caldo  è 
favorevolissimo. 

1  climi  temperati  sono  i  più  favorevoli  per  le  frutta  pregiate  e  da 
commercio,  quali  sono  le  pere,  le  mele  e  l'uva.  Qui  le  frutta  assumono 
il  loro  sviluppo  normale,  acquistando  la  migliore  fragranza  ed  appa- 
renza; le  piante  alla  lor  volta  crescono  vigorose  e  sono  longeve,  senza 
eccessiva  produzione  di  legno.  Di  queste  frutta  si  può  coltivare  un  nu- 
mero stragrande  di  varietà  e  specialmente  a  maturazione  tardiva. 


-  223  - 

V. 
Sviluppo  e  funzioni  delle  radici. 

Piiiiia  di  trattare  dell'impianto  e  delle  cure  necessarie  al  terreno 
per  ottenere  un  conveniente  sviluppo  delle  piante  è  bene  ricordare  al- 
cune nozioni  generali  che  riguardano  lo  sviluppo  e  le  funzioni  delle 
radici. 

Le  radici  hanno,  come  è  noto,  quattro  funzioni  e  cioè  di  respirare, 
fissare  la  pianta,  assorbire  e  digerire. 

1.  —  Se  la  radice  non  può  respirare,  ciò  che  avviene  quando  il 
terreno  non  viene  lavorato  od  è  imbevuto  d'acqua,  muore  asfissiata  e 
cioè  il  glucosio  contenuto  dalle  cellule  si  decompone  in  alcool,  che 
rimane  nelle  cellule  ed  in  anidride  carbonica  che  volatilizza.  Da  ciò 
l'odore  di  spirito  che  emanano  le  radici  infracidite. 

Oltre  favorire  la  respirazione  delle  radici,  il  terreno  soffice,  si 
rende  più  attivo;  i  batteri  funzionano  maggiormente;  viene  immagaz- 
zinata una  maggiore  umidità  ;  vengono  allontanate  le  malerbe  e  viene 
evitata  la  evaporazione  e  perciò  ritardata  la  secchezza  del  terreno. 

Questa  sofficità  oltre  che  coi  lavori  la  si  procura  con  le  concima- 
zioni a  base  di  stallatico  e  col  sovescio  fatto  in  primavera. 

Nei  terreni  concimati  con  sovescio  le  radici  riescono  sempre  me- 
glio sviluppate  che  in  quelli  concimati  con  stallatico.  Questa  maggiore 
penetrazione  delle  radici  nel  terreno  la  si  spiega  col  fatto  che  la  pianta 
sovesciata  decomponendosi  lascia  dei  canali  per  la  penetrazione  del- 
l'aria e  dell'umidità.  Da  ciò  la  convenienza,  come  vedremo  parlando 
della  concimazione,  di  alternare  la  concimazione  chimica  col  sovescio 
per  le  piante  da  frutto. 

Nei  frutteti  con  la  coltura  intercalare  ad  ortaggi,  conviene  alternare 
una  pianta  da  sovescio  con  un  ortaggio. 

Un  buon  sovescio  sono  i  piselli  da  foraggio  seminati  in  febbraio- 
marzo  che  si  possono  sovesciare  in  giugno.  Si  lasciano  poi  crescere 
le  malerbe  le  quali  si  sradicano  con  un  estirpatore  per  seminarvi  la 
senape  che  sovescia  il  più  tardi  possibile,  in  dicembre.  Nella  primavera 
successiva  si  possono  coltivare  gli  ortaggi  senza  stallatico  e  soltanto 
con  concimi  potassici  e  fosfatici. 

2.  —  La  fissazione  della  piante  nel  terreno  per  mezzo  delle  radici 
le  rende  stabili  in  un  luogo  e  resistenti  ai  venti. 

3.  —  L'assorbimento  dei  materiali  nutritivi  avviene  per  mezzo  dei 
peli  radicali,  i  quali  si  sviliuppano  tanto  di  più  quanto  più  attiva  è  la 
traspirazione  delle  foglie.  Se  per  effetto  di  una  energica  traspirazione 
la  umidità  del  suolo  viene  a  mancare,  allora  i  peli  radicali  si  allungano 
e  moltiplicano  per  aumentare  la  superficie  assorbente.  Avviene  quindi 
che  nei  terreni  freschi  e  ricchi  le  radici  sono  semplici  e  grosse  mentre 
nei  terreni  asciutti  sono  molto  ramose  e  sottili  ed  hanno  un  maggior 
numero  di  peli  radicali. 


—  224  — 

Per  questo  quando  si  trapianta  un  albero,  si  mozza  il  fìttone  per 
rinvigorire  le  radici  laterali,  le  quali  essendo  più  sottili  portano  un 
maggior  numero  di  peli  radicali. 

4.  —  La  digestione  consiste  nella  escrezione  di  succhi  acidi  che 
rendono  solubili  dei  materiali  nutritivi  inerti  nel  terreno. 

5.  —  La  linfa  assorbita  dalla  radice  sale  per  mezzo  dei  peli  radi- 
cali per  i  fasci  legnosi  e,  dopo  elaborata  dalle  foglie  discende  per  i 
fasci  del  libro.  Di  mano  in  mano  che  la  radice  cresce,  i  peli  radicali 
delle  prime  radici  scompaiono  e  l'assorbimento  dei  succhi  nutritivi 
viene  effettuato  dai  nuovi  peli  radicali  che  si  sviluppano  sulle  radici 
di  prolungamento.  Così  un  po'  alla  volta  le  radici  attive  si  allontanano 
sempre  più  dal  fusto  sia  nel  senso  della  profondità  che  nel  senso  oriz- 
zontale. È  evidente  per  questo  la  necessità,  di  portare  le  sostanze  con- 
cimante sempre  più  lontane  dal  fusto. 

6.  —  Lo  sviluppo  delle  radici  è  sempre  in  proporzione  a  quello 
della  parte  aerea.  Quando  questo  non  avviene  bisogna  artificialmente 
o  tagliare  le  radici  o  tagliare  i  rami. 

Quando  un  albero  vigoroso  non  dà  frutti,  molte  volte  è  indizio  che 
le  rispettive  radici  sono  troppo  sviluppate  in  confronto  alla  parte  ae- 
rea. Gli  alberi  che  hanno  i  rami  molto  sviluppati  in  tutti  i  sensi  ed 
il  fusto  corto,  grosso,  raramente  hanno  un  fìttone  grosso.  Quando 
invece  la  maggior  parte  dei  rami  ha  una  direzione  verticale  ed  il 
tronco  è  relativamente  sottile  e  lungo,  si  può  essere  certi  che  quella 
pianta  ha  molte  radici  fìttonanti. 

La  vite,  r  olmo,  il  nocciuolo,  il  ribes,  1'  uva  spina,  il  lampone  che 
hanno  radici  a  fibra  larga  come  i  rami,  assorbono  e  fanno  circolare 
più  facilmente  una  notevole  quantità  di  linfa,  perciò  la  crescita  è  più 
rapida  sia  delle  radici  che  dei  rami.  Lo  sviluppo  però  dei  rami  è  sem- 
pre superiore  a  quello  delle  radici.  Nelle  piante  a  legno  duro  invece, 
dove  Io  scambio  della  linfa  è  più  lento,  perchè  limitato  agli  strati 
esterni  dell'alburno,  avviene  un  maggiore  sviluppo  delle  radici  ed  un 
lento  accrescersi  dei  rami.  In  queste  piante  le  radici  fìttonanti  tendono 
a  scomparire  per  lasciar  operare  le  radici  laterali. 

7.  —  In  un  albero  possiamo  distinguere  le  radici  orizzontali,  obli- 
que e  verticali.  Le  prime  sono  quelle  che  forniscono  il  maggiore  nu- 
trimento, le  altre  danno  un  debole  e  grossolano  materiale  di  manteni- 
mento che  serve  più  che  altro  a  sviluppare  la  parte  legnosa.  Difalti, 
quando  l'albero  ha  passato  la  prima  età,  nella  quale  ha  bisogno  di 
sviluppare  la  sua  armatura  ossia  i  rami  più  grossi,  i  peli  radicali  co- 
minciano a  farsi  più  radi  nelle  radici  fìttonanti  ed  un  po'  alla  volta  anche 
scompaiono  assieme  alle  radici. 

8.  —  Le  radici  delle  piante  a  foglie  persistenti  si  sviluppano  lungo 
lutto  l'anno  meno  nelle  stagioni  più  secche  e  fredde.  Gli  alberi  a  foglie 
caduche  ma  però  giovani  e  vigorosi,  sviluppano  pure  nuove  radici 
lungo  tutto  l'anno;  mentre  gli  alberi  adulti  soltanto  in  primavera  ed 
autunno. 


-  225  - 

Le  radici  che  si  formano  in  primavera  hanno  lo  scopo  dì  alimen- 
tare il  fiore,  i  germogli,  il  frutto  ;  quelle  di  autunno,  (dall'  agosto  in 
avanti)  preparano  gli  alimenti  di  riserva  per  le  gemme  che  daranno 
fiori,  foglie  o  rami  nell'anno  venturo  e  fanno  anche  maturare  il  legno 
dell'annata.  Il  compito  perciò  di  queste  ultime  radici  é  di  assicurare 
la  vegetazione  e  la  fruttificazione  dell'anno  venturo;  quelle  di  prima- 
vera, hanno  influenza  sulla  vegetazione  in  corso. 

Quando  i  frutti  appassiscono  in  autunno  o  non  maturano,  è  un 
segno  manifesto  che  manca  l'equilibrio  fra  le  radici  e  la  parte  aerea 
della  pianta;  se  ciò  avviene  in  primavera  ò  segno  che  vi  ha  carestia 
di  alimento  o  eccessivo  movimento  di  linfa.  Quindi  non  bisogna  sti- 
molare in  primavera  il  movimento  della  linfa  per  ottenere  dei  frutti 
mentre  non  bisogna  ostacolare  lo  sviluppo  delle  radici  in  autunno. 

9.  —  Le  radici  sono  di  natura  molto  diversa  a  seconda  che  si  sono 
formate  quando  l'albero  portava  delle  foglie  giovani,  di  mezzo  sviluppo, 
adulte  o  quando  erano  cadute. 

Le  radichette  più  atte  a  far  produrre  dei  frutti  sono  quelle  che  si 
producono  in  autunno  e  cioè  quando  la  temperatura  dell'aria  tende 
ad  abbassarsi.  Allora  il  terreno  mantiene  ancora  il  suo  calore  e  le  ra- 
dici riescono  meglio  costituite,  più  proporzionate  che  non  quelle  di 
primavera,  quando  la  temperatura  dell'aria  tende  ad  elevarsi  ed  il  ter- 
reno è  più  freddo.  Le  prime  destinano  una  parte  del  loro  nutrimento 
a  favore  della  parte  aerea  le  seconde  invece  lo  trattengono  tutto  a  loro 
profìtto. 

Bisogna  saper  distinguere  le  radici  che  alimentano  da  quelle  che 
che  si  allungano.  Le  prime  sono  quasi  tutte  autunnali  ;  le  seconde, 
sono  di  primavera.  Gli  alberi  giovani  e  deboli  hanno  molto  bisogno 
delle  prime  mentre  i  soggetti  robusti  non  sviluppano  che  poche  radici 
per  l'alimentazione  e  sì  trovano  superficialmente. 

10.  —  E'  necessario  perciò  studiare  le  radici  per  comprendere 
quali  sono  le  forze  che  determinano  la  loro  direzione,  la  loro  natura 
e  la  loro  durata,  per  interpretare  la  formazione,  la  persistenza  o  la 
soppressione  delle  radici  fittonanti  e  per  apprezzare  l'influenza  del 
terreno  e  del  clima.  Cosi  è  necessario  studiare  e  conoscere  la  radice 
della  pianta  allo  stato  selvatico  poiché  dal  suo  sviluppo  e  forma  si 
potrà  regolarsi  nell'allevare  la  pianta  domestica. 


VI. 

Preparazione  del  terreno  per  l'impianto. 

Scelta  la  locahtà  e  fatto  il  progetto  dell'impianto  colle  norme  sug- 
gerite nella  Parte  V,  bisogna  procedere  alla  preparazione  del    terreno. 

1.  —  La  preparazione  del  terreno  prima  dell'impianto,  non  soltanto 
deve  avere  lo  scopo  dì  renderlo  soffice  con  un'opportuna  lavorazione, 

1.-)  -  Tamaho  -  FriilticoUiira. 


—  226  — 

perchè  le  radici  possano  estendersi  e  trovare  il  dovuto  nutrimento,  ma 
deve  anche  provvedere  in  molti  casi  a  migliorare  le  proprietà  fisico- 
chimiche  del  medesimo,  importandovi  dei  materiali  dei  quali  si  trova 
deficiente,  oppure  nel  liberarlo  da  una  soverchia  umidità,  perniciosa, 
come  abbiamo  veduto,  alle  piante  da  frutto  in  generale. 

La  lavorazione  del  terreno  consiste  in  un  dissodamento  cliiamato 
anche  scasso,  reale  o  parziale,  per  mettere  alla  portata  delle  radici  e 
rendere  assimilabili  molti  materiali  che  si  trovano  nel  sottosuolo. 

Per  scasso  reale  s'intende  quello,  per  cui  il  terreno  destinato  per  la 
coltivazione  delle  piante  da  frutto  viene  rimosso  completamente.  Questo 
è  necessario  se  si  piantano  gli  alberi  ad  una  distanza  inferiore  ai  10  metri. 
Quando  invece  trattasi  di  piantare  dei  filari  distanti  oltre  10  metri,  con- 
viene fare  una  fossa  larga  3  metri  lungo  il  filare  e  se  le  ])iante  sulla 
fila  si  vogliono  piantare  ad  una  distanza  maggiore  di  10  metri  si  fanno 
delle  buche  quadre  di  m.  3  per  lato.  Facendo  la  fossa  si  mette  la  terra 
migliore  da  un  lato  per  metterla  poi  sotto,  in  contatto  delle  radici  e 
la  terra  mediocre  dall'altro  lato,  che  si  metterà  sopra  alle  radici  delle 
piante  che  si  collocano.  Anche  facendo  la  buca  si  separano  le  due  terre 
e  trovando  della  terra  cattiva  si  mette  sopra  un  terzo  lato,  per  poi 
esportarla  coi  carri. 

2.  —  La  profondità  a  cui  si  deve  fare  lo  scasso,  le  buche  o  i  fossi, 
dipende  dalla  qualità  del  suolo,  dal  clima  e  dalla  natura  della  pianta. 
Nei  terreni  leggeri,  silicei  o  calcari  bisogna  lavorare  più  profondo  che 
non  nei  terreni  compatti,  nei  quali  ultimi  le  radici,  rimanendo  anche 
superficialmente,  trovano  sempre  sufficiente  umidità.  Le  stesse  consi- 
derazioni devonsi  fare  rispetto  al  clima.  Nei  climi  caldi,  dove  gli  al- 
beri sono  esposti  molto  di  frequente  alla  siccità,  occorre  una  lavo- 
razione più  profonda  che  nei  climi  freschi.  Le  piante  che  hanno  radici 
fittonanti  come  la  vite,  il  pesco,  il  ciliegio,  ecc..  esigono  un  lavoro  più 
profondo  del  melo,  susino,  delle  piante  a  nocciolo  in  genere,  che  hanno 
radici  oblique  ed  orizzontali. 

Ricordiamo  sempre  che  la  profondità  favorisce  lo  sviluppo  delle 
radici  verticali  le  quali  fanno  ritardare  alle  piante  la  fruttificazione. 
Noi  che  vogliamo  invece  delle  piante  che  producano  presto  e  molto, 
anziché  estendersi  col  lavoro  nel  senso  della  profondità  allargheremo 
le  buche,  le  fosse  o  meglio  ancora  si  farà  lo  scasso  reale.  In  tal  modo 
noi  favoriremo  lo  sviluppo  delle  radici  laterali  che  sono  le  più  attive. 

Io  credo  più  conveniente  una  profondità  media  di  70  cm.,  in  ogni 
caso  col  lavoro  non  si  deve  mai  intaccare  il  sottosuolo  e  neppure  ar- 
rivare a  questo  se  esso  è  impermeabile.  Specialmente  trattandosi  di 
buche,  se  queste  avessero  per  fondo  un  sottosuolo  impermeabile  fun- 
zionerebbero come  tanti  bicchieri  nel  cui  fondo  vi  ristagnerebbe  l'acqua 
e  vi  sarebbe  una  continua  melma  al  contatto  della  quale,  le  radici 
infracidirebbero. 

Per  la  stessa  ragione  coi  lavori  non  si  deve  andare  mai  più  pro- 
fondi al  livello  ordinario  a  cui  arriva  l'acqua  nel  terreno. 


-  227  - 

Soltanto  in  casi  eccezionali  conviene  un  lavoro  profondo  di  1  metro 
Questa  operazione  conviene  farla  alcuni  mesi  i)rima  dell' impianto, 
perchè  il  terreno  subisca  l'inlluenza  degli  agenti  atmosferici,  e  cioè 
volendo  fare  l'impianto  in  autunno,  conviene  scassare  in  agosto,  e  vo- 
lendo i)iantare  in  primavera,  bisogna  scassare  nei  mesi  di  novembre» 
dicembre  e  gennaio. 

3.  —  Se  il  terreno  non  ha  una  composizione  adatta  alle  esi- 
genze delle  piante  da  frutto  e  se  in  particolar  modo  non  contiene 
una  sutlìciente  quantità  di  calcare,  conviene,  prima  di  operare  lo  scasso, 
spargere  sulla  sua  superficie  dei  calcinacci,  delle  spazzature  dì  strade. 
Molti  preferiscono  di  fare  questo  ammendamento  durante  l' opera- 
zione dello  scasso,  e  cioè  di  portare  i  suddetti  materiali  in  fondo 
alle  fosse  di  mano  in  mano  che  si  procede  col  lavoro.  Questa  pratica 
non  la  consiglierei  mai,  perchè  in  questo  modo  non  si  ottiene  una  in- 
tima e  completa  mescolanza  dei  materiali  importati  col  terreno,  e  si 
finisce  coll'avere  degli  strati  troppo  ricchi  di  calcare  e  degli  altri  più 
poveri,  a  danno  alla  vegetazione  delle   giovani  piante. 

Quando  si  tratta  di  impiantare  un  frutteto  a  coltivazione  intensiva, 
e  cioè  con  molte  piante  vicine  una  all'altra,  conviene  anche,  prima  di 
scassare,  spargere  dello  stallatico  grossolano  sulla  superficie,  in  modo 
che  questo  si  mescolerà  bene  colla  terra. 

Con  questa  concimazione,  coll'aggiunta  di  calcinacci,  e  collo  scasso 
per  se  slesso,  si  provvede  a  migliorare  le  proprietà  fisico-chimiche 
del  terreno.  Ora  prima  di  descrivere  il  modo  di  fare  lo  scasso,  conviene 
parlare  del  modo  con  cui  si  deve  provvedere  per  allontanare  l'umidità, 
la  quale  talvolta  viene  soverchiamente  trattenuta  per  l'impermeabilità 
degli  strati  sottostanti. 

4.  —  Per  allontanare  rumidità  si  provvede  con  fosse  scoperte,  con 
fosse  coperte,  con  tubi  di  drenaggio.  Mediante  fosse  scoperte  si  occupa 
troppo  terreno,  e  rendesi  meno  comodo  l'accesso  ai  diversi  ap|)ezza- 
menti  del  frutteto.  Le  fosse  coperte  si  devono  fare  almeno  alla  pro- 
fondità a  cui  si  intende  fare  lo  scasso,  in  direzione  dell'inclinazione 
del  terreno,  parallele  fra  loro,  ed  alla  distanza  almeno  di  10  metri,  con 
una  pendenza  di  mezzo  centrimetro  per  metro.  Scavata  la  terra,  si  fa 
sul  fondo  una  specie  di  canaletto,  con  delle  tegole  o  con  delle  pietre 
piane.  Sopra  a  queste  si  mette  della  ghiaia,  e  poi  la  terra.  Meglio  ancora 
di  queste  fosse  coperte  è  il  vero  drenaggio  con  tubi  di  terra  cotta,  i 
quali  mettono  capo  in  un  emissario  comune,  che  poi  si  scarica  in  una 
roggia. 

Il  sistema  più  conveniente  però  per  liberare  il  terreno  di  un  frut- 
teto da  una  soverchia  umidità  consiste,  nel  servirsi  degli  stessi  viali 
quali  mezzi  di  drenaggio.  Intanto,  bisogna  premettere,  che  in  un  terreno 
soverchiamente  umido  non  è  consigliabile  l'impianto  di  alberi  da 
frutto,  e  perciò  è  sempre  relativamente  poca  l'umidità  da  allontanale. 
Questo  sistema  che  non  ho  trovato  descritto  ancora  in  alcun  trat- 
tato, ha  il  vantaggio  di  permettere  una  lunga  durata,  poiché  le  radici 


-  228  - 

delle  piante  sono  lontane  ;  di  più  esso  costa  poco  ed  è  di  un  effetto 
sicuro. 

Per  applicarlo  si  opera  nel  seguente  modo  :  destinato  un  appezza- 
mento per  frutteto,  si  comincia  anzitutto,  prima  di  scassare,  a  segnare 
dove  si  vogliono  fare  i  viali,  ed  in  quel  sito  si  scava  tutta  la  terra  fino 
alla  profondità  a  cui  si  intende  scassare  ed  anche  più  sotto,  facendo 
tanti  fossi  con  la  dovuta  pendenza  e  spargendo  la  terra  di  sterro  sulla 
parte  del  terreno  destinata  ad  essere  piantata  e  scassata. 

Con  questa  semplice  operazione  noi  cominciamo  già  ad  alzare  la 
superficie  del  terreno,  e  renderla  perciò  meno  umida.  Sul  fondo  delle 
fosse  si  mettono  le  pietre,  che  si  raccolgono  man  mano  che  si  fa  lo 
scasso,  in  modo  che,  quasi  sempre,  col  semplice  scasso  si  riesce  a 
trovare  sul  sito  le  pietre  necessarie  per  fare  il  drenaggio  e  per  fare  il 
fondo  ai  nostri  viali.  Per  completare  questi  ultimi  basta  coprirli  con 
uno  strato  di  20  cm.  di  ghiaia  un  po'  fina. 


VII. 
Scasso  del  terreno. 

1.  —  Lo  scasso  si  fa  succedere  a  tutte  le  operazioni  che  abbiamo 
or  ora  descritto. 

Lo  scasso  si  eseguisce  generalmente  a  mano  colla  vanga  e,  dove 
trovansi  molte  pietre  o  degli  strati  compatti  di  marna  o  di  tufo,  si 
ricorre  al  bidente,  al  piccone,  al  zappone.  A  qualunque  profondità  si 
voglia  fare  lo  scasso,  è  conveniente  sempre  di  non  portare  lo  strato 
superficiale,  che  è  quasi  sempre  migliore  degli  inferiori,  ad  una  pro- 
fondità superiore  ai  30  cent.,  perchè  le  radici  delle  nuove  piante  pos- 
sano assimilare  immediatamente  i  materiali  nutritivi. 


0,30  A 


Fig.  201.  —  Sezione  di  uno  scasso  in  preparazione. 


Come  si  proceda  lo  scasso,  è  troppo  noto.  Si  scava  prima  una 
fossa  in  forma  di  gradinata  ffig.  201),  i  cui  gradini  sieno  eguali  fra 
loro,  alti  ciascuno  quanto  una  fìtta  di  vanga  e  larghi  il  doppio.  La  ca- 
vata si  pone  in  E  meno  quella  dello  strato  D  che  si  lascia  sul  posto, 
ma  che  pure  viene  smossa  colla  vanga  o  col  piccone    secondo   i    casi. 


-  229  - 

Si  procede  quindi  al  lavoro  della  gradinala,  ponendo  la  terra  C  in  t-, 
la  terra  A  in  a  e  la  terra  B  in  b,  in  modo  che  lo  scasso  assumerà  la 
forma  della  fìg.  202. 


Fig.  202.  —  Sezione  di  uno  scasso  in  lavoro. 


Alla  fine  rimarrà  una  l'ossa  aperta  che  si  deve  colmare  con  la  terra 
scavata  prima  e  che  abbiamo  collocato  in  E  (fig.  201).  Trattandosi  di 
un'estensione  piuttosto  grande  ed  allo  scopo  di  diminuire  la  spesa 
di  trasporto  di  questa  terra,  si  divide  l'appezzamento  da  scassarsi  in 
un  numero  pari  di  regioni  eguali  fra  loro  (fig.  203). 


e 

1) 

e 

d 

a 

B 

A 

h 

Fig.  203.  —  Disposizione  per  uno  scasso  di  appezzamento  grande. 


Nella  prima  sezione  si  comincia  il  lavoro  a  sinistra  in  A  per  la- 
sciarvi la  fossa  aperta  in  b,  che  viene  colmata  col  cavaticcio  B  delh 
seconda  sezione  dove  si  comincia  lo  scasso  a  sinistra. 


-  230  - 

Per  la  terza  sezione  si  fa  come  per  la  prima,  e  cosi  via.  Se  gli 
operai  hanno  lavorato  accuratamente,  la  superfìcie  del  terreno  dovrà 
presentarsi  piana  come  prima,  soltanto  sarà  sollevata  di  Va  circa  della 
profondità  a  cui  si  è  fatto  lo  scasso.  Con  tutto  ciò,  si  notano  sempre 
dei  piccoli  dislivelli  che  bisogna  togliere,  mediante  una  vangatura  ge- 
nerale per  appianare  la  superfìcie  e  cosi  poter  piantare  tutti  gli  alberi 
ad  una  regolare  profondità. 

Avendo  da  piantare  degli  alberi  ad  una  distanza  superiore  ai  10  m. 
da  fila  a  fila,  si  può,  come  ho  detto  e  senza  inconvenienti,  preparare 
il  terreno  colle  fosse.  Queste  devono  essere  della  larghezza  almeno  di 
3  metri,  e  della  profondità  di  uno  scasso  reale.  Le  fosse  si  tengono 
aperte,  fino  al  momento  dell'impianto,  avendo  cura  di  tenere  separate 
le  due  terre,  quella  superficiale  da  un  lato,  e  quella  del  sottosuolo 
nell'altro. 

Anche  col  sistema  delle  buche,  valgono  le  medesime  considera- 
zioni. Queste  si  fanno  della  dimensione  di  3  metri  in  quadrato  separando 
le  due  terre  e  si  lasciano  aperte  fino  al  momento  dell'impianto. 

Infine  noteremo,  che  durante  lo  scasso  si  deve  liberare  il  terreno 
dalle  radici  di  male  erbe  e  dai  ciottoli.  Questo  lavoro  è  adatto  a  donne 
o  ragazzi  i  quali,  di  mano  in  mano  che  si  smuove  viene  rivoltata  la 
terra  e  la  ripassano  muniti  di  una  piccola  zappa. 

2.  —  Ciglionatiira  e  riduzione  a  gradoni. 

Per  fare  un  impianto  sopra  un  terreno  inclinato,  bisogna  ridurlo 
a  terrazze  o  banchine.  Dal  lato  economico  questa  spesa  è  più  conve- 
niente per  la  vite,  anziché  per  le  piante  da  frutto.  Per  le  piante  da 
frutto  conviene  soltanto  quando  si  ottengono  delle  banchine  molto 
larghe,  o  a  meglio  dire  quando  la  pendenza  è  lieve  e  cioè  da  25  a  30  7o- 

La  fig.  204  ci  dimostra  il  modo  di  operare. 

Si  comincia  col  segnare  mediante  paline  la  linea  di  pendenza  (AB), 
quindi  si  apre  in  basso  (B)  la  linea  fondamentale  di  base,  lungo  la 
quale  dovrà  aprirsi  la  fossa  che  raccoglierà  tutte  le  acque. 

Indi  viene  fissata  la  lunghezza  totale  del  gradone  (comprendendo 
anche  quella  della  scarpata)  e  la  si  riporta  da  E  verso  A,  ponendovi 
una  palina.  Da  ciascuna  palina,  mediante  lo  squadro  agrimensorio,  si 
innalzano  delle  perpendicolari  alla  linea  di  pendenza,  individualizzan- 
dole con  altre  paline,  le  quali  segneranno  perciò  la  linea  longitudinale 
mediana  del  gradone.  La  larghezza  totale  del  gradone  chiamata  lenza, 
è  sempre  eguale  alla  distanza  che  si  intende  lasciare  fra  filare  e  filare 
delle  piante  oppure,  trattandosi  di  viti,  dal  numero  di  filari  che  si  in- 
tendono piantare  in  ogni  ripiano.  Naturalmente  quanto  più  erto  è  il 
terreno,  tanto  più  corte  devono  essere  le  lenze. 

Per  formare  i  gradoni,  si  comincia  sempre  dal  basso,  la  terra  che 
si  trova  nella  metà  superiore  si  porta  alla  metà  inferiore,  e  cioè  la 
terra  scavata  in  a  si  porta  in  b,  e  quindi  non  si  scassa  che  il  terreno 
che  era  sotto  a.  Bisogna  badare  che  i  ripiani  abbiano  una  leggera  pen- 
denza verso  il  poggio,  in  modo    che   le   acque   si   raccolgano   tutte   ai 


-  231  - 

piedi  della  scarpa,  dove  si  fa  anche  un  solchetto  che  le  conduce  in 
un  canale  maggiore  e  le  allontana.  La  pendenza  da  dare  alla  scarpa 
dipende  dalla  sua  altezza,  ammenoché  non  si  voglia  farla  di  muro, 
utilizzando  le  pietre  del  terreno.  In  cpiesto  ultimo  caso  la  faccia  interna 
del  muro  si  deve  farla  verticale,  e  quella  esposta  inclinata,  in  modo 
che  il  muro  venga  ad  essere  più  largo  alla  base. 


Fig.  204.  —  Disposizione  a  terrazze  per  1"  impianto  di  agrumeto. 

Per  il  movimento  di  terra  bisogna  cominciare  dal  basso,  mentre 
per  completarlo  e  affinarlo,  come  sono  gli  spianamenti  dei  ripiani, 
l'accomodamento  delle  scarpate,  la  sistemazione  degli  scoli,  devesi 
procedere  dall'alto  in  basso. 

3.  —  Trattandosi  di  un  terreno  molto  inclinato,  non  conviene  ridurlo 
a  banchine,  bensì  bisogna  piantare  gli  alberi  a  formelle,  che  poi  si 
allevano  a  pieno  vento,  od  al  ])iù  a  mezzo  vento. 

Le  formelle  si  fanno  col  medesimo  principio  delle  banchine,  sol- 
tanto si  fanno  quadrate  di  1  metro  o  2  per  lato.  La  terra  cavata  contro 
il  poggio,  la  si  porta  subito  al  disotto,  sostenendola  con  una  palizzata 
o  con  della  cotica  d'erba  oppure  con  pietre,  facendo  un  muro  a 
mezza  luna. 

Vili. 
Chiusure  dei  terreni  coltivati  a  piante  da  frutto. 

(I  muri  di  recitilo). 


Se  per  tutte  le  coltivazioni  è  sempre  stata  riconosciuta  la  necessità 
di  chiudere  i  terreni,  questa  necessità  è  tanto  maggiore  per  un  terreno 
coltivato  a  piante  da  frutto. 

Le  chiusure  si  possono  fare  con  muri,  siepi  vive  e  siepi  morte.  In 
questo  capitolo  tratterò  soltanto  delle  chiusure  con  muri. 


-  232  — 

1.  —  I  mari  sono  specialmente  indicati  per  i  frutteti.  L'altezza  più 
conveniente  è  di  3  metri  ;  in  ogni  caso  non  meno  di  metri  2,50  sopra 
al  livello  del  terreno,  per  riparare  il  frutteto  dai  venti  e  per  allevare 
le  piante  a  spalliera. 

Il  miglior  materiale  per  questi  iiiuri  è  la  pietra  per  le  fondamenta 
e  per  circa  30  cm.  fuori  terra,  il  rimanente  di  mattoni.  Le  fondamenta 
non  devono  farsi  troppo  larghe,  per  impedire  alle  radici  di  svilupparsi. 
E'  meglio  rendere  più  solido  il  muro  coU'approfondire  le  fondamenta 
che  non  coll'allargarle.  In  ogni  caso  esse  devono  essere  più  profonde 
di  quanto  si  intende  lavorare  il  terreno. 

Una  volta  si  costruivano  questi  muri  della  larghezza  di  35  cm.,  ora 
invece  si  usano  molto  più  economici.  Si  fanno  dello  spessore  di  due 
teste  di  mattoni,  e  cioè  della  larghezza  di  25  cm.,  ed  ogni  tre  metri  e 
mezzo  si  fanno  dei  pilastri  larghi  da  35  a  50  cm.  per  dare  maggior 
solidità. 

E'  bene,  perchè  i  muri  mantengano  la  dovuta  solidità,  che  siano 
unO'  in  congiunzione  dell'altro  e  con  le  porte,  non  libere,  ma  intagliate 
nel  muro,  e  cioè  che  superiormente  a  queste,  il  muro  possa  continuare. 

Occorre  che  il  muro  si  mantenga  sempre  asciutto,  e  le  sue  faccie 
sieno  perfettamente  a  piombo  e  che  le  piante  a  spalliera  non  siano 
investite  direttamente  dalla  pioggia. 

Per  evitare  questo  inconveniente,  tutti  i  muri  saranno  muniti  alla 
sommità  di  una  specie  di  cappello  fatto  con  tegoli,  mattoni,  lastre  di 
pietra,  o  lavagne,  o  cemento,  in  modo  da  riparare,  a  guisa  di  tettoia, 
più  o  meno  sporgente. 

La  copertura  fatta  con  mattoni  e  con  cemento  è  la  migliore,  per- 
chè mantiene  più  serrato  il  muro  ed  impedisce  all'umidità  di  penetrarvi. 
La  pendenza  poi  deve  essere  dalla  parte  opposta  a  quella  in  cui  si 
intende  di  utilizzare  il  muro,  perchè  l'acqua  sgoccioli  sul  lato  esterno 
del  frutteto. 

Utilizzando,  di  un  muro,  tutti  e  due  i  lati,  bisogna  fare  la  coper- 
tura a  doppio  pendìo. 

In  generale,  per  un  muro  alto  3  metri,  la  sporgenza  del  cappello 
necessaria  è  di  cm.  25.  Al  disotto  del  cappello  vengono  poi  fissate  delle 
sbarre,  alla  distanza  di  un  metro  e  sporgenti  50  cm.,  unite  all'estremità 
mediante  un  lilo  di  ferro  per  servire  di  sostegno  alle  tettoie  mobili. 
Queste  tettoie  riparano  dalle  brine  e  mantengono  più  alta  la  tempera- 
tura evitando  l'irradiamento  del  calore. 

Le  tettoie  mobili  consistono  di  tanti  assiti  larghi  50  cm.  e  lunghi 
m.  1  a  3,  fatti  con  sottili  tavole  oppure  di  lamiera  di  latta  unita  in- 
sieme mediante  intelaiatura  di  ferro  o  legno. 

Al  momento  di  adoperarle  si  distendono  lungo  le  sbarre  in  modo 
che  stiano  quasi  orizzontali,  perchè  altrimenti  porterebbero  troppa 
ombra  alle  spalliere  e  renderebbero  la  vegetazione  irregolare. 

Si  possono  fare  anche  ripari  di  stuoie  o  cannicci  o  con  paglia  di 
segale  ;  le  stuoie  si  fanno  della  larghezza  sopi'a  indicata  e  lunghe  pa- 


—  233  - 

lecchi  metri,  percliè  per  levarle  si  arrotolano.  Sono  da  preterirsi  però 
le  tettoie  in  latta  o  quelle  in  legno,  perchè  trattengono  minore  umidità 
e  in  esse  non  si  annidano  gli  insetti. 

Questi  ripari  sono  molto  utili  specialmente  per  le  spalliere  di 
peschi  e  viti,  perchè  riparano  dal  freddo  da  novembre  a  tutto  maggio, 
e  anche  a  tutto  giugno  per  le  viti  precoci. 

Quando  le  piante  sono  giovani  e  non  hanno  per  conseguenza  rag- 
giunta la  sommità  del  muro,  o  quando  si  tratta  di  varietà  molto  deli- 
cate di  peschi,  viti,  limoni,  ecc.,  e  che  la  stagione  corre  fredda  e  pio- 
vosa, e  quando  finalmente  vuoisi  arrestare  la  vegetazione  di  una  branca 
per  rinforzarne  un'altra,  si  dispongono  questi  ripari  sopra  speciali  ca- 
valietti di  legno  a  diversa  altezza. 

Questi  ripari  o  intelaiature,  come  avrà  già  rilevato  il  lettore,  sono 
indispensabili  per  avere  delle  belle  spalliere  di  uniforme  e  sana  vege- 
tazione. Si  possono  chiamare  le  vere  regolatrici  del  calore,  e  senza  di 
esse,  almeno  da  noi  dell'  Italia  settentrionale,  non  è  possibile  allevare 
il  pesco  a  spalliera. 

L'intonaco  dei  muri  deve  essere  liscio  più  perfettamente  possibile 
e  fatto  di  cemento  o  gesso,  perchè  si  possa  pulirlo  da  muschi  od  altre 
crittogame  con  la  maggior  facilità  e  perchè  gli  insetti  non  possano 
alloggiarvisi. 

Alcuni  vorrebbero  dare  ai  muri  il  color  bianco,  altri  il  nero.  Il 
color  bianco  ha  la  proprietà  di  riverberare  il  calore  durante  il  giorno, 
ma  non  durante  la  notte,  poiché  allora  non  avviene  il  processo  di  nu- 
trizione mediante  le  foglie.  E  poi,  anche  l'opinione  che  i  muri  di  color 
nero  si  mantengano  caldi  per  più  lungo  tempo  non  è  esatta,  impe- 
rocché se  il  color  nero  ha  la  facoltà  di  trattenere  molto  il  calore,  ha 
pure  una  gran  forza  d'attrazione  per  il  freddo  e  quindi  dopo  il  tramonto 
del  sole  in   pochissimo  tempo  i  muri  neri  si  raffreddano. 

Io  sono  delia  convinzione  che  il  color  bianco  è  l'unico  colore 
che  si  debba  dare  ai  muri,  per  avere  la  massima  concentrazione  di 
calore  sulle  spalliere.  In  una  località  dove  temo  le  scottature  dei  gio- 
vani germogli  per  etietto  della  troppa  irradiazione  del  calore,  non  farò 
neppure  delle  spalliere,  o  metterò  delle  varietà  che  non  sottrano. 

2.  —  Per  utilizzare  i  muri  da  tutti  e  due  i  lati  e  potervi  piantare 
due  spalliere,  non  si  fanno  i  muri  al  confine  del  frutteto,  ma  più  al- 
l'interno lasciando  al  di  fuori  una  striscia  di  terreno  larga  2  metri 
almeno,  la  quale  alla  sua  volta  si  chiude  al  confine  con  una  rete  me- 
tallica (fig.  205)  A  B  G  D. 

Importante  è  la  orientazione  da  darsi  ai  muri,  per  evitare  la  espo- 
sizione peggiore  che  è  quella  a  Nord.  Invece  di  dare  una  orientazione 
da  Nord  a  Sud  sarà  meglio  scegliere  quella  da  nord  est  a  sud  ovest  o 
da  nord  ovest  a  sud  est  (fig.  205). 

3.  _  Volendo  allevare  delle  spalliere  anche  nel  mezzo  del  frutteto, 
si  costruiscono  dei  muri  isolati,  in  modo  da  poter  utilizzare  da  tutti  e 
due  i  lati  delle  spalliere.  E'  necessario,  per  evitare  resposizione  a  Nord, 


234 


che  essi  abbiano  un  lato  esposto  a  levante  e  l'altro  a  ponente  od  almeno 
da  SE  a  N  O,  come  è  indicato  in  g,  h,  i,  nella  fig.  205.  Perchè  l'aria 
possa  circolare  nel  frutteto,  questi  muri  non  devonsi  fare  in  contatto 
col  muro  di  cinta,  ma  distanti  almeno  3  metri  ;  si  dispongono  paralleli 
e  distanti  uno  dall'altro  almeno  3  volte  la  loro  altezza. 


s-o 


y- 


g  f. 


Fig.  205.  -   Disposizione  di  un  frutteto 
per  utilizzare  esternamente   i   muri  di  cinta. 


IX. 

Siepi  vive. 


Le  siepi  vive  possono  servire  di  riparo  ai  venti  intorno  ai  frutteti, 
ma  devono  essere  alte  quanto  un  muro,  e  si  fanno  di  castagno,  di  ro- 
vere, di  carpino,  di  leccio  e  cosi  via.  Queste  siepi  però  si  fanno  più 
nei  giardini  e  quindi  mi  -intratterò  soltanto  delle  siepi  vive  da  difesa 
dei  broli  e  campi,  in  cui  si  coltivano  le  piante  da  frutto. 

Moltissime  sono  le  specie  di  piante  che  si  prestano  per  fare  siepi 
vive.  Qui  sotto  dò  l'elenco,  colle  principali  indicazioni  colturali  che  le 
riguardano.  Nella  scelta  bisogna  aver  cura  che  l'essenza. 

a)  abbia  una  ramificazione  fitta,  cominciando  dalla  base,  e  possi- 
bilmente munita  di  spine  ; 

b)  che  mantenga  costantemente  le  ramificazioni  in  basso  ; 

e)  che  sia  di  rapida  crescita  e  possa  sopportare  tagli    frequenti; 
dj  che  non  invada  colle  sue  radici  il  terreno  circostante  e  cresca 
bene  in  file  serrate. 

Le  piante  da  siepe  più  adatte  sono  1'  acero    campestre,  il    bossolo, 
l'arancio  trifoliato,  il  biancospino,  la  maclura,  il  fico  d'India  e  la  marruca. 
Faccio  seguire  un  elenco  di  piante  che   possono   servire   per   for- 
mare   la   siepe,    colle   principali    indicazioni    colturali  (vedi  Tab.  XIII 
a  pag.  236-237). 


-  235  - 

X. 

Impianto  e  cure  relative 

al  mantenimento  delle  siepi  vive. 

1.  —  Prima  di  disporre  per  rimpianto  di  una  siepe  dobbiamo  ri- 
cordare che  l'Art.  579  del  Codice  Civile  prescrive,  che  non  si  possono 
piantare  siepi  ad  una  distanza  inferiore  di  50  cm.  dal  confine  del  vi- 
cino, cosi  pure  devesi  ricordare,  che  le  siepi  devono  distare  dai  fossi 
di  scolo  almeno  tanto  quanto  è  profondo  il  fosso. 

2.  —  Fissata  la  posizione  della  siepe,  si  scava  una  fossa  larga  un 
metro,  lungo  tutto  lo  spazio  che  deve  essere  da  essa  occupato. 

Al  momento  dell'impianto  si  impiegano  i  concimi  indicati  per  gli 
impianti  in  genere  (Vedi  Cap.  XVII  di  questa  parte)  e  poi  si  collocano 
le  piantine  di  almeno  due  anni  d'età  in  doppia  fila  alternata,  alla  di- 
stanza di  20  cm.  per  lato.  Volendo  invece  fare  un  siepe  con  una  lila  sola 
di  piante,  queste  si  collocano  a  15  cm.  di  distanza. 

Prima  dell'impianto,  si  abbia  cura  di  mondare  le  radici  dalle  ra- 
mificazioni rotte  e  contuse  e,  dopo  si  tagliano  le  piante  vicino  terra. 
Durante  l'anno,  si  fa  una  zappatura  nel  mese  di  agosto,  per  mondare 
il  terreno  dalle  malerbe. 

Nel  secondo  anno,  durante  l' inverno,  si  tagliano  tutte  le  piante  a 
10  cm.  dal  terreno  e  si  lavora  il  terreno  fra  mezzo  alle  piante  ed  almeno 
50  cm.  per  lato  della  siepe.  Nell'agosto  si  fa  una  zappatura. 

Nel  terzo  anno  si  tagliano  le  piante  20  cm.  sopra  al  taglio  l'alto 
l'anno  scorso  e  così  ogni  anno,  fino  ad  arrivare  all'altezza  a  cui  si 
desidera  la  siepe. 

Quando  la  siepe  ha  raggiunto  l'altezza  voluta  le  cure  annuali  con- 
sistono in  una  zappatura  e  scerbatura  accurata  durante  l'inverno  ed 
in  luglio  col  forbicione  da  siepe  si  fa  (vedi  fig.  44,  pag.  34)  una  tosa- 
tura in  alto  e  lateralmente,  per  mantenere  la  siepe  nelle  sue  dimensioni. 

Una  siepe  fatta  in  questo  modo  può  durare  a  lungo,  ma  se  non  è 
curata  annualmente  si  formano  facilmente  spazi  vuoti,  per  mancato 
equilibrio  fra  pianta  e  pianta  e  perchè  le  piante  si  sguerniscono  facil- 
mente in  basso,  per  deficienza  di  luce  ed  aria. 

Un  metodo  migliore,  che  ha  il  vantaggio  di  far  crescere  più  presto 
le  piante,  di  dare  meno  ospitalità  agli  insetti  e  di  rendere  più  facile 
e  meno  costosa  la  manutenzione,  è  la  siepe  a  reticolato. 

Per  formare  questa  siepe,  si  adopera  l'acero,  il  gelso,  ed  anche  la 
maclura  ed  il  biancospino. 

L'impianto  si  fa  sopra  una  sola  fila,  collocando  le  piante  alla  di- 
stanza di  15  cm.,  e  tagliandole  vicino  a  terra. 

Nell'inverno  del  secondo  anno  si  prendono  i  due  rami  migliori  e 
si  piegano  a  destra  e  sinistra  del  fusto,  secondo  un  angolo  di  45°,  e  si 


236 


Le  principali  piant 


Abies 

Acer  campestre 


„  Monspessulanurn 
Atriplex  Halimus.  .  . 
Berberis  vulgaris.  .  . 
Buxus  sempervirens    . 


Carpinus  betulus . 

Cerasus  Mahaleb  .  . 
Clematis  vitalba  .  . 
Citrus  triptera  .  .  . 
Cornus  Mascula     .    . 

„        Sanguinea 
Corylus  Avellana .    . 
Crataegus  oxyacantha , 
„  Crusgalli .    . 

Evonimus  vulgaris  .    . 
Fagus  sylvatica     .    .    . 


Genista  sylvestris.  .  . 
Gleditschia  triacanthos 
Hippophae  rhamnoides 
liex  acquifollium .  .  . 
luniperus  communis    . 


Abete 

Acero  campestre 

Acero  minore 
Atreplice  di  mare 
Crespino 
Bossolo 

Carpino 

Ciliegio  di  S.  Lucia 

Vitalba 

Arancio  trifogliato 

Corniolo 

Sanguinella 

Nocciuolo 

Biancospino 

Lazzcruolo  spinoso 

Evonimo  o  Fusaggine 

Faggio 

Ginestra  spinosa 
Spinacristi 
Olivello  spinoso 
Aquifoglio 
Ginepro 


Laurus  nobilis Alloro 

Ligustrum  vulgare Ligustro 


Lycium  Europaeuni 
Maclura  aurantiaca  . 
Morus  alba  .... 
Opuntia  Ficus  indica 
Olea  europea  .  .  . 
Paliurus  aculeatus  . 
Parkinsonia  aculeata 

Pinus  

Prunus  

Prunus  spinosa.  .  . 
Punica  granalum  . 
Quercus  coccifera.  . 
Bamnus  catharticus. 
Robinia  pseudoacacia 
Rosa  canina  .... 


Agutoli 

Maclura 

Gelso 

Fico  d' Inilla 

Olivastro 

Marruca 

Parkinsonia 

Pino 

Susino  selvatico 

Pruno  prugnolo 

Melagrano 

Querce  spinosa 

Ramno  spin  cervino 

Robinia 

Rosa  canina 


Rubus  fruticosus ;     Ro\ 


Ruscus  aculeatus . 
Tamarix  gallica  . 
Taxus  baccalà  .  . 
Thuja  occidentalis 
Ulex  europaeus  . 
Ulmus  campestris 


Rusco  pugnitopo 

Tamarice 

Tasso 

Tuja  del  Canada 

Ginestrone  europeo 

Olmo 


forte,  fresco 

tutti  meno  negli  umidi 

eccessivamente  scioll 

sterile  e  sassoso 

fresco 

qualunque 

qualunque,  di  prefereii 

calcare  e  non  umido 

scoglioso  e  secco 

calcari  e  rocciosi 

sabbioso,   argilloso 

in  ogni  terreno 

id. 

id. 

leggei-o  e  fresco 

qualunque 

id. 

id.  : 

qualunque,  purché  non  e\ 
maraente  umido  o   paluj 
qualunque  | 

id.  j 

sulle  spiaggie  e  sabbi 
fertile  e  profondo 
qualunque,  anche  dove  > 
sun  albero  potrebbe  allig) 
fertile  e  leggero 
fertile  ed  umido 
qualunque 
sciolto  e  fresco 
id. 
qualunque 
argilloso,  calcare 
qualunque 
id. 
sciolto 
fresco 
id. 
asciutti  e  calcari 
id. 
indifferente 
id. 
id. 
id. 
id. 
salsi 
fresco 
fresco  e  fertile 
secco,  arenoso 
leggero  profondo 


ì  e  cenni  colturali. 


23: 


Clima 

Moltiplicazione 

umido 

seme 

fresco 

id. 

caldo 

id. 

id.                 j 

seme  e  polloni 

jii:iliim|ue 

id. 

idifferente 

seme 

o  per  mazze 

id. 

polloni  o  seme 

i.l. 

id. 

i<l. 

polloni 

id. 

seme 

id. 

polloni  e  seme 

id. 

id. 

freddo 

id. 

5iialiiin|iic 

id. 

id. 

id. 

id. 

id. 

piuUoslo 

seme 

freddo 

qualunque 

id. 

id. 

seme  e  polloni 

id. 

id. 

caldo 

seme 

qualunque 

id. 

caldo 

seme  e  polloni 

fresco 

seme  e  polloni 

qualiuKiue 

id. 

temperalo 

seme 

id. 

id. 

caldo 

articolazioni 

id. 

seme  ed  ovoli 

qualunque 

seme  e  polloni 

temperalo 

seme 

k       id. 

id. 

id. 

seme  e  polloni 

id. 

id 

caldo 

id. 

id. 

seme 

ndifferente 

seme  e  polloni 

temperato 

id. 

id. 

id. 

id. 

id. 

ndifferente 

seme  e  polloni 

caldo 

seme  e  marze 

temperato 

,                      seme 

id. 

1                         id. 

marittimo 

id. 

temperato 

id. 

OSSERVAZIONI 


Si  adopera  di  rado  nei  frutteti. 

E  molto   adoperato    nelle    siepi   da    campo    e    dei 

broli. 
Poco  usato. 
Idem. 
j     Non  si  usa  perchè  dannoso  ai  cereali. 
Molto  usalo  per  fruiteti  e  giardini. 

Molto  usato   in    Lombardia    ma    non    tanto   racco- 
mandabile perchè  si  dirada. 
Poco  usato  da  solo,  di  più  consocialo. 
Idem. 

Poco  usata  ma  mollo  da  raccomandarsi. 
Poco  usala  da  sola  ma  consociata. 
Idem. 
Idem. 

È  una  delle  migliori  essenze  <la  siepe. 
Meno  usata  della  ])reccdcnle. 
Poco  usata. 
Idem. 

Idem. 

Abbastanza  usata  ma  è  invadente  colle  sue  railici. 

Poco  usalo. 

È  poco  u.salo  ma  merita  di  raccomandarlo. 

Poco  usato. 

Poco  usato  o  soltanto  per  ornamento. 

Molto  usato  per  siepe  da  ornamento. 

Poco  usalo. 

Abbastanza  esteso. 

Abbastanza  esteso  in  Londiardia. 

Molto  esteso  nelle  provincie  meridionali. 

Poco  applicalo. 

Molto  eslesa. 

Da  poco  tempo  introdotta. 

Poco  usato. 

Poco  usato,  i)erchè  delicato  al  laslio. 

Idem. 

Poco  usalo 

Idem. 

Abbastanza  usalo,  misto  con  allit-  essenze. 

Invade  troppo  il  terreno  e  si  spoglia  in  basso. 

Idem. 

Idem. 

Poco  usato. 

Molto  usato  nel  Litorale. 

Usalo  più  per  siepe  dornamento. 

Poco  usata  o  soltanto  per  ornamento. 

Usato  più  per  siepe  dornamento 

Poco  usato. 


-  238  - 

fissano  opportunamente  ad  un  sostegno  provvisorio  che  dapprima  si 
avrà  avuto  cura  di  costruire  lungo  tutta  la  siepe,  oppure  si  tendono 
due  fili  di  ferro  a  40  cm.  di  distanza  uno  dall'altro.  Nel  punto  di  in- 
contro si  legano  strettamente  i  rami  uno  coll'altro,  perchè  avvenga 
l'innesto  per  approssimazione. 

I  rami  convenientemente  incrociati  Ira  di  loro  presenteranno  cosi 
l'aspetto  di  un  reticolato  a  maglie  romboidali. 

Nella  state  successiva  ogni  ramo  darà  origine  a  nuovi  getti;  questi, 
di  nuovo  si  incroceranno  fra  di  loro,  legandoli. 

Se  la  siepe  ha  vigoria,  se  al  piede  è  ben  guarnita  di  rami,  i  getti 
di  prolungamento  delle  piantine  non  si  ridurranno  se  non  quando  esse 
avranno  raggiunto  l'altezza  voluta.  Avendo  invece  scarsi  rami  meschini 
durante  l'inverno  di  ogni  anno  o  di  due  anni,  si  raccorceranno  i  getti 
principali  di  metà  o  due  terzi  della  loro  totale  lunghezza. 

Questo  taglio,  che  ritarderà  alquanto  l'innalzamento  della  siepe, 
provocherà  un  maggior  sviluppo  di  rami  basilari  e  gioverà  alla  solidità. 

La  siepe  si  arresterà  all'altezza  voluta  con  tagli  che  si  praticheranno 
nella  stagione  morta.  Le  pareti  verticali  richiederanno  pure  tosature 
invernali  per  evitare  un  soverchio  sviluppo  nello  spessore. 

Quando  la  siepe  avrà  raggiunto  un  certo  sviluppo,  la  potatura  secca 
si  sostituisce  colla  potatura  verde  nel  mese  di  luglio. 

L'innesto  per  approssimazione  interviene  talvolta  a  dare  una  soli- 
dità ancora  maggiore  ed  un  aspetto  bellissimo. 

Di  queste  siepi  bellissime  di  acero  ne  vidi  nella  provincia  di  Padova. 

Passati  alcuni  anni,  specialmente  le  siepi  doppie  non  mancano  a 
diradarsi.  Allora  conviene  ringiovanirle,  tagliandole  al  piede,  scalzan- 
dole bene,  e  portando  della  buona  terra  ben  concimata. 


XI. 

Siepi  morte. 

Le  siepi  morte  hanno  il  vantaggio  sulle  siepi  vive,  di  occupare 
meno  spazio,  di  non  ombreggiare  il  terreno,  di  non  essere  ricettacolo  di 
insetti  e  malattie  crittogamiche  che  sovente  vi  ospitano,  ma  d'altro 
canto  costano  notevolmente  di  più. 

La  siepe  morta  più  semplice  si  fa,  stendendo  tre  fili  di  ferro,  uno 
all'altezza  di  15  cm.  dal  terreno,  ed  i  due  altri  a  3,5  cm.  di  distanza 
ciascuno,  e  fissando  a  questi,  mediante  filo  di  ferro  cotto,  dei  regoli  di 
legno  o  dei  paletti  o  dei  rami  di  piante  spinose  come  robinia,  spina- 
cristi, disposti  a  reticolato  o  verticalmente  distanti  15  cm.  fra  loro. 

A  risparmiare  questi  paletti  di  legno  si  è  pensato  di  preparare  dei 
fili  di  ferro  armati  di  punte,  ma  sono  più  adatti  per  difendere  i  boschi 
i  prati,  le  campagne  estese,  dagli  animali  vaganti  più  che  dalle  persone. 


-  239  - 

La  migliore  siepe  morta  è  senza  altro  quella  a  maglia  di  ferro, 
che  si  pone  in  opera  nel  seguente  modo. 

Alle  due  estremità  della  siepe  si  collocano  due  solidi  capi  saldi, 
elle  possono  essere  colonne  di  pietra,  ferro  a  j.  ecc.,  alti  quanto  il  re- 
ticolato. Ogni  6-10  metri  di  distanza,  a  seconda  dell'altezza,  si  collocano 
altri  paletti  di  ferro  a  T,  più  leggeri  però  dei  capisaldi.  A  5  cm.  dal 
terreno  ed  all'estremità  si  tendono  due  fili  di  ferro,  meglio  se  armati 
di  punte,  i  quali  fili  si  sostengono  con  dei  piantoni  ad  ogni  f)  metri  di 
distanza,  che  possono  essere  di  legno  o  di  ferro  a  j..  11  Ilio  di  ferro 
superiore  ed  inferiore  si  fa  scorrere  prima  entro  la  maglia  di  ferro  in 
modo  che  tendendo  i  fili,  si  tende  anche  la  maglia. 

Di  queste  siepi  ne  feci  e  consigliai  parecchie.  Tutta  in  ferro,  alta 
metri  uno,  viene  a  costare  circa  L.  1  il  metro  corrente. 


XII. 

Armature  per  le  spalliere  e  materiale  usato 

per  legare  le  piante. 

E'  indispensabile  una  armatura  per  dare  alle  piante  quelle  forme  a 
spalliera  che  si  desiderano.  Ogna  branca  richiede  di  essere  guidata  e 
sostenuta,  altrimenti  è  impossibile  che  essa   si   sviluppi   regolarmente. 


Fig.  20e.  —  Chiodo  caposaldo  Fig.  207.  -   Chiodo  di  mezzo 

per  legare  un  capo  del  filo  di  ferro.  per  sostenere  il   filo  di  ferro. 

Una  volta  le  armature  si  facevano  esclusivamente  con  regoli  di 
legno  in  modo  da  formare  un  reticolato  a  maglie  quadrale  o  romboi- 
dali. Con  queste  armature  però,  che  si  devono  rinnovare  di  frequente 
e  perciò  costano  assai,  non  sempre  si  raggiunge  lo  scopo,  poiché  le 
singole  branche  non  crescono  diritte,  se  al  più,  oltre  all'armatura,  non 
si  voglia  munire  ogni  branca  di  un  regolo  speciale. 

Il  filo  di  ferro  zincato  per  le  armature,  corrisponde  meglio  di  ogni 
altro  per  la  sua  durata,  per  la  poca  spesa  che  per  difendersi  dagli 
insetti. 

Una  armatura  semplice  è  la  seguente.  Si  fissano  alle  estremità  del 
muro  e  ben  saldati  con  cemento,  dei  chiodi  galvanizzati  (fig.  206)  alle 
seguenti  distanze  :  i  primi  a  40  cm.  dal  terreno  e  gli  altri  ad  1  m. 
e  l'ultimo  almeno  a  40  cm.  distante  dalla  sommità  del  muro.  Sulla  linea 
su  cui  deve  passare  il  filo  di  ferro  si  conficcano  alla  distanza  di  5  m. 


-  24U  — 

dei  chiodi  galvanizzati  e  colla  capocchia  ricurva  (fig.  207)  che  servono 
di  sostegno  ai  fili.  Questi  chiodi,  collocati  possibilmente  a  scacchiera 
(b  fig.  208),  non  devono  opporre  una  grande  resistenza,  ma  soltanto 
sostenere  i  fili,  perciò  basta  che  siano  infitti  nel  muro  col  martello, 
mentre  quelli  dell'estremità  bisogna  che  siano  murati  (a  lig.  208).  Tanto 
questi  chiodi  che  quelli  in  capo  al  muro  devono  sporgere  dalla  super- 
ficie del  muro  10  cm. 

Il   filo    di    ferro    galvanizzato    che    si   raccomanda  è  il  N.  15  e  per 
tenderlo,  si  comincia  a  fissarlo  fortemente  al  chiodo  (a)  dell'estremità 


Fig.  208.  —  Armatura  per  una  spalliera. 


e  quindi  all'altra  estremità  si  tende  con  delle  macchinette  apposite 
quali  sono  il  tenditore  fisso  (fig.  209)  il  tenditoio  Panizzardi  (lìg.  210), 
(|uello  Ariighetti  (fig.  211),  quello  a  carrucole,  quello  Barbero-Delodi, 
tutti  di  semplice  congegno.  I  tenditori  fissi  servono  una  sola  volta  do- 
vendo restare  sul  filo  e  costano  15  centesimi  l'uno.  La  macchina  Ar- 
riglaetti  presso  l'A.  a  Sesto  Horentino  costa  L.  15,  quella  a  carrucole 
L.  1(3  presso  l'Amministrazione  del  giornale  //  Coltivatore,  quella  Delodi 
L.  15  presso  il  signor  Barbero  di  Torino. 

A  completare  l'armatura  occorrono  delle  assicelle  possibilmente  di 
abete,  perchè  più  resistenti  e  perciò  più  economiche.  Queste  assicelle 
devono  essere  ben  liscie  da  tutti  i  lati,  uniformi  e  diritte. 


-  241  — 

Non  devono  essere  né  troppo  grosse,  perchè  allora  vengono  a  co- 
stare troppo  ed  all'armatura  danno  un  aspetto  poco  elegante,  ne  troppo 
sottili,  perchè  col  lenipo  si  piegano. 

Io  consiglio  tre  dimensioni: 

a)  Per  spalliere  nelle  quali  le    assicelle    o    regoli,   come   si    vuol 
chiamarli,  devono  stare  verticali,  si  dà  la  grossezza   di  18  per  24  mm. 

b)  Per  quelle  che  devono  stare  orizzontali  od  oblique  basterà  la 
grossezza  di  15  per  20  mm. 

cj  Per  quelle  che  servono  per  legare  i  rami  laterali  alle  branciie 
è  sufficiente  la  grossezza  di  10  per  12  mm. 


Fig.  209.  -  Tenditore  fisso. 

Questi  regoli  si  legano  ai  fili  di  ferro  ben  stretti  mediante  filo  di 
ferro  sottile  e  cotto.  Nella  lìg.  208  abbiamo  un'armatura  preparata  per 
cordoni  obliqui  distanti  fra  loro  35  cm.  ;  volendo  invece  preparare 
un'armatura  per  un  candelabro,  per  una  palmella,  ecc.,  si  collocano 
queste  assicelle,  al  momento  dell'  impianto,  alla  distanza  e  luogo  pre- 
ciso, dove  si  vogliono  avere  le  branche,  in  modo  che  le  assicelle  stesse 
formeranno  perciò  in  precedenza  la  forma  della  i)ianla.  Molli  potreb- 
bero ritenere  inutile  di  fare  l'armatura  prima  che  le  piante  prendano 
un  certo  sviliuppo.  Niente  di  più  errato,  poiché  mentre  l' armatura 
stessa  serve  di  guida  al  potatore,  facendola  dopo,   non    si    può    fare  il 


Fig.  210.  —  Tendiloio  Panizzardi. 


lavoro  tanto  comodamente  e  molte  volle  lungo  il  corso  di  vegetazione, 
non  avendo  indicala  la  direzione  e  la  distanza,  si  dà  alle  branche  una 
direzione  sbagliata. 

Invece  di  adoperare  delle  assicelle  di  legno  nel  senso  verticale,  si 
possono  tendere  dei  fili  di  ferro  galvanizzati  del  N.  10  a  partire  da 
30  era.  dal  terreno  e  che  distino  fra  loro  10  cm.  per  le  spalliere  del 
pesco  e  cm.  30  per  quelle  del  pero. 

Per  le  controspalliere,  ossia  spalliere  isolate,  il  miglior  materiale 
per  l'armatura  è  il  ferro  a  T,  perchè  con  questo  si  ha  solidità,  eleganza 
ed  economia. 

16  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  242  - 

Le  armature  in  ferro  consistono  di  due  parti  :  dei  pali  capisaldi  e 
dei  pali  di  mezzo  di  sostegno  del  filo,  che  non  devono  avere  fuori  del 
terreno,  una  altezza  superiore  di  tre  metri. 

I  capisaldi  constano  di  un  palo  (a)  e  di  una  saetta  (b  fig.  212).  La 
saetta  sta  unita  al  palo  mediante  viti. 

Per  provvedere  di  una  base  pali,  le  saette,  e  acciocché  possano 
stare  ben  fermi  nel  terreno,  o  si  impiombano  nelle  pietre,  oppure  si 
opera  nel  seguente  modo  :  si  prepara  uno  stampo  di  legno  o  forma 
di  vaso  rovesciato  dall'altezza  di  25  cm.,  che  si  apre  a  metà  mediante 
cerniera.  Si  prende  quindi  il  palo  di  ferro  e  lo  si  mantiene  verticale 
nel  centro  dello  stampo  riempiendolo  con  cemento  a  rapida  presa  e 
scaglie  di  pietra.  Dopo  un  quarto  d'ora  il  cemento  ha  fatto  presa,  si 
leva  lo  stampo  ed  allora  il  palo  rimane  in  piedi  munito  di  una  base 
solidissima  che  diventerà  poi  più  dura  nel  terreno  (f). 


Fig.  211.  -   Tenditoio  Arrighetti. 


A  40  cm.  dal  terreno  stanno  infisse  nei  pali,  orizzontalmente,  delle 
sbarre  di  ferro  (a)  sporgenti  10  cm.  da  tutti  e  due  i  lati  con  all'estre- 
mità un  foro,  che  serve  nei  capisaldi  per  tenere  fermo  il  filo  di  ferro 
e  per  i  pali  di  sostegno  per  farlo  passare  attraverso.  All'estremità  poi 
dei  pali  trovasi  una  specie  di  architrave  in  ferro  (d),  la  quale  serve 
per  stendere  i  fili  una  copertura  che  di  solito  si  fa  di  tela  da  vele  per 
riparare  le  due  spalliere  dalle  brine  e  per  concentrare  il  calore,  come 
abbiamo  detto  per  i  muri.  Come  si  vede  noi  abbiamo  in  questo  modo 
un'armatura  molto  elegante  che  ci  permette  di  allevare  da  due  parti 
delle  spalliere. 

Nella  figura  è  anche  indicato  il  modo  per  piantare  i  pali  per  i 
cordoni  orizzontali. 

L'impianto  si  fa  nel  seguente  modo.  Si  comincia  a  stabilire  il  silo 
ove  collocare  i  pali  capisaldi  e  poi  si  scava  una  buca  profonda  da  40 
a  80  cm.  a  seconda  che  si  vuole  l'altezza  della  spalliera  a  2  od  a  3  m. 
E'  meglio  non  superare  i  m.  2. 

Sul  fondo  della  buca  si  batte  per  bene  il  terreno  e  quindi  si  mette 
dentro  il  palo  già  unito  alla  saetta.  Nel  caso  che  nel  sottosuolo  si  tro- 
vasse del  terreno  molle  si  possono  mettere  delle  pietre. 


-  243  - 

Una  volta  messo  a  posto  il  palo  caposaldo  e  la  saetta,  si  interra 
la  buca,  comprimendo  per  bene  il  terreno  intorno  alla  base.  Se  adun- 
que si  vuole  avere  la  spalliera  dell'altezza  di  2  m.,  i  pali  devono  avere 
la  lunghezza  di  m.  2, 10,  poiché  40  cm.  vengono  interrati.  Anche  la  saetta 
corrispondente  deve  essere  più  lunga. 

Collocali  i  capisaldi  si  piantano  i  pali  intermedi  nello  slesso  modo 
che  abbiamo  detto  per  gli  altri,  e  devono  trovarsi  alla  distanza  di  li  ni- 


Fig.  212.  -  Armatura 


ferro  di  una  conlro-spalliera  e  di  un  cordone  orizzontale 


quando  trattasi  di  un'altezza  della  spalliera  di  3  m.  ;  di  4  se  l'altezza  è 

di  soli  2  m.  ,^ 

I  ferri  a  T  di  minima  dimensione  devono  essere  di  min.  .iox.iUo 
di  mm.  25  x  25.  Invece  del  ferro  a  T  si  può  adoperare  .1  ferro  ad  L 
oppure  il  mezzo  rotondo.  Migliore  ho  trovato  il  lerro  a_  T. 

Del  filo  di  ferro  si  adopera  ordinariamente  i  N.  !•>,  ovvero  K.  m 
ogni  caso  per  potersi  regolare  sulla  spesa  valgono  le  seguenti  due  ta- 
belle per  il  filo  di  ferro  e  per  il  ferro  modulato  da  sostegni. 


—  244 


Tab.  XIV.    Lunghezza  per  kilogramma 

e  peso  di  m.  100  di  filo  di  ferro. 


Numero 

del 

lilo  di  ferro 

Peso 
di  ni.  100  di 

Lunghezza 

di  1  Kg. 

metri 

Diametro 
in  decimi 

Prezzo 
variabile 

lunghezza 
Kg. 

di 
millimetro 

di  100  Kg. 
Uve 

5 

0,572 

180 

10 

55 

6 

0,711 

135 

11 

52 

7 

0,882 

115 

12 

49 

8 

1,035 

100 

13 

46 

9 

1,200 

83 

14 

43 

10 

1,378 

71 

15 

40 

11 

1,567 

62 

16 

37 

12 

1,988 

50 

18 

34 

13 

2,450 

42 

20 

33 

14 

2,965 

35 

22 

32 

15 

3,526 

29 

24 

31 

16 

4,380 

24 

27 

30 

17 

5,510 

19 

30 

29 

18 

7,078 

13 

34 

29 

19 

9,310 

10 

39 

28 

20 

11,850 

9 

44 

28 

21 

14,150 

6 

49 

28 

22 

18,348 

5 

54 

28 

Tab.  XV.  Dimensioni  e  peso  del  ferro  modulato  per  sostegni. 


Dimensioni 

Lunghezze   metri 

in 
millimetri 

1 
Kg. 

1,20 
Kg. 

1,40 
Kg. 

1,60 
Kg. 

1,80 
Kg. 

2 
Kg. 

20x20 
23x23 
25x25 
27x27 
30x30 
35x35 
40x40 
45x45 


23x20 
27x25 
30x25 
.35  X  30 
40x35 
45x40 


18x12 
20x14 
23x17 
25x18 
35x17 


A   Ferro  ad 

U. 

0,660 

0,790 

0,925 

1,050 

1,190 

1,000 

1,200 

1,400 

1,600 

1,800 

1,200 

1,430 

1,700 

1,950 

2,100 

1,350 

1,600 

1,900 

2,150 

2,450 

1,900 

2,280 

2,650 

3,000 

3,400 

2,450 

2,950 

3,450 

3,900 

4,400 

2,900 

3,480 

4,050 

4,650 

5,250      j 

3,350 

4,000 

4,690 

5,350 

6,000 

B.  Ferro  a  T. 


1,140 

1,370 

1,600 

1,850 

2,080 

1,450 

1,680 

1,960 

2,250 

2,550 

1,750 

2,100 

2,450 

2,800 

3,150 

1,950 

2,340 

2,750 

3,150 

3,500 

2,450 

2,940 

3,430 

3,900 

4,400 

3,600 

4,320 

5,050 

5,750 

6,500 

G.  Ferro  semirotondo. 


0,650 

0,780 

0,910 

1,050 

1,170 

0,800 

0,960 

1,120 

1,280 

1,450 

0,950 

1,150 

1,330 

1,520 

1,700 

1,180 

1,410 

1,650 

1,900 

2,120 

1,200 

1,430 

1,660 

1,950 

2,150 

1,320 
2,000 
2,360 
2,750 
3,800 
4,900 
5,800 
6,700 


2,800 
3,500 
3,900 
4,900 
7,200 

1,300 
1,600 
1,900 
2,360 
2,400 


-  245  - 

In  questo  capitolo  trova  ancora  posto  un  arf^omenlo  abbastanza 
importante  quale  è  quello  delle  legature. 

Una   buona    legatura    non    deve    subire    le    intluenze    igromelriche, 
deve  essere  dotata  di  una  certa  elasticità,  che   permeila    facilmenle   ai 
rami  o  germogli  legati  di  svilupparsi. 
Le  legature  più  usate  sono: 
a)  I  vimini,  che  servono  specialmente  per  legare  al  tempo    della 
potatura  secca  tutte  le  branche  sia  principali  clie  secondarie. 

bj  I  giunchi;  servono  molto  bene  al  tempo  della  potatura  verde; 
sono  elastici,  costano  pochissimo. 

e)  La  corteccia  del  tiglio,  gelso,  le  slìlaccialure  di  canape  si  im- 
piegano per  la  legatura  dei  grossi  rami,  ma  sono  poco  elastiche. 

d)  La  paglia  di  segale  è  molto  usata  ed  è  utilissima.  La  segale 
si  taglia  prima  che  abbia  fiorito,  si  fa  appassire  all'ombra  e  cpiindi  si 
immerge  in  una  soluzione  di  solfato  di  rame.  Questa  legatura  è  delle 
migliori,  però  non  è  elegante. 

e)  La  lana  filata  serve  molto  bene,  così  Io  spago  e  la  rafia,  ma 
è  cara  ed  il  lavoro  riesce  troppo  lungo. 

f)  A  Montreuil  per  le  spalliere  di  pesco  si  pratica  con  vantaggio 
la  legatura  fatta  con  lacciuoli  di  cimosa,  fissali  contro  il  muro  con 
apposito  chiodo. 

Questo  sistema  è  molto  elegante  e  si  i)resta  in  parlicolar  modo 
quando  si  tratta  di  esporre  una  spalliera  ad  una  pubblica  mostra,  per 
attirare  maggiormente  l'attenzione  dei  visitatori.  Difalti  contro  alla 
spalliera  si  mette  un  tavolato  bianco,  si  adoperano  poi  dei  lacciuoli  di 
color  nero  di  larghezza  eguale. 

Fra  tutti  i  diversi  legacci  proposti,  i  più  convenienli  sono  ancora 
i  vimini  per  l'inverno  ed  i  giunchi  per  l'estate. 


XIII. 
Determinazione  delle  distanze  nell'impianto. 

Non  si  può  procedere  alla  piantagione  degli  alberi  se  prima  non 
si  è  stabilita  la  forma  che  ad  essi  si  vuol  dare.  .Sollanlo  dopo  (ìs.sala 
questa  e  il  soggetto  sul  quale  si  vogliono  gli  alberi  innestati,  si  deter- 
minano le  distanze  dell'impianto  (vedi  Tab.  XVI  a  pag.  246). 

La  distanza  deve  essere  tale  da  permettere  lo  sviluppo  sufficiente 
della  pianta  e  che  le  rispettive  ramificazioni  si  trovino  ad  una  conve- 
niente distanza  fra  loro,  perchè  l'aria  e  la  luce  possano  circolare  e 
favorire  la  fruttificazione.  Collo  spazio  non  si  deve  essere,  nò  troppo 
avari,  né  troppo  generosi.Le  piante  destinate  per  spalliere  devono  essere 
collocate  a  distanze  tali,  che  dopo  formale,  coprano  totalmente  il  .miro 


Tab.  XVI.    Distanze  alle  quali  si  devono  piantare  gli  alberi  da  frutto. 


ALBERI  DA  FRUTTO 


Agrumi 
Aranci  nei  terreni  in  piano.    .    . 
„         „         „  „   colle  .    .    . 

Limoni 

Albicocco 
Nei  campi  o  broli  a  pieno  vento 
A  ventaglio  nei  frutteti     .... 

Carrubo 
Nei  campi  a  pieno  vento.    .    .    . 

Castagno 
Nei  castagneti  a  pieno  vento  .    . 
Ciliegio 

A  pieno  vento 

„  mezzo      ,         

Ad  u  semplice 

„     U  doppia 

A  palmella  Verrier  a  5  branche. 

„  6  „        . 

„  forme  basse 


5 
4 

|5-0 

! 

j    5-6 

I    4-5 

I 

n 

I 

12-15 

i 

i  6-10 

I    5-6 

I  0.80 

I   1.60 

2 

2.40 

3-4 


Nano     .    .    . 
Forma  libera 


Cotogno 


Fico 
A  ceppala  m.  3,50   da   fila   a   fila   e 
m.  2  sulla  fila. 

A  pieno  vento     

Fico  d'India 
Si   pianta   a   strisele   distanti   m.  6 
una  dall'altra. 


Pieno  vento 
Gelseto  nano 
Ceppale   .    . 


Gelso 


Giuggiolo 


Pieno  vento 

Lampone 
A  cespuglio,  a  file   distanti   m.  l,3:i 
e  sulla  fila  m.  1. 


Mandorlo 


Pieno  vento 


Pieno  vento 


Melograno 


Melo 

Forme  basse  innestate  sul  dolcino. 

Pieno  vento  innestato  sul  franco  nei 
broli 

Pieno  vento  innestato  sul  franco  nei 
campi 

Pieno  vento  innestato  sul  franco 
lungo  le  strade 

Mezzo  vento  innestato  sul  franco    . 

Mezzo  vento  innestato  sul  dolcino. 

Cordone  orizzontale  semplice  inne- 
stato sul  paradiso 


6-10 

2.5-3 

2 


6-8 

3-4 

3-4 

,8-10 

10-12 

10-12 
8-10 
6-8 


ALBERI  DA  FRUTTO 


Nespolo  e  Nespolo  del  Giappone 

Forme  nane 

Mezzi  venti 

Noce 
Pieno  vento     

Nocciuolo 
Ceppale 

Olivo 

Pieno  vento     

Mezzo  vento 

Pero 

Piramide  innestata  sul  franco.  .  . 
„    cotogno  .    . 

Fuso  innestato  sul  cotogno  .... 

Pieno  vento  innestato  sul  franco 
nei  broli 

^Pieno  vento  innestato  sul  franco 
nei  campi 

Pieno  vento  innestato  sul  franco 
lungo  le  strade 

Mezzo  vento  innestato  sul  franco  . 
„  „  „  „     cotogno. 

Cordone  orizzontale  semplice  inne- 
stato sul  cotogno 

Cordone  verticale  innestato  sul  co- 
togno  

Palmetta  semplice  innestata  sul  co- 
togno  

Palmetta  doppia  innestata  sul  co- 
togno  

Pesco 

A  vaso 

Pieno  vento     

Forma  ad  U  semplice 

„        „     „   doppia 

Palmetta  Vernier  a  6  branche.    .    . 
,5  „      .    .    . 


Alto  fusto 


Pino  da  pinoli 


Forma  libera 

Ribes  ed  uva  spina 


Alberello . 
Cespuglio 


Sorbo 


Pieno  vento     

Su  ino 
Regine  Claudie  ])ieni  venti 
Mirabelle  „ 

Zwetschen 

Susino  a  mezzo  vento   .    . 
„      a  vaso 


Vite 


Sistema  Guyot 

Thomery 

Cordone  verticale  permanente 


-  247  - 

o  la  superficie  ad  esse  destinala.  Per  le  forme  libere,  (|uali  sono  i  pieni 
venti,  mezzi  venti,  piramidi,  fusi,  ecc.,  dopo  il  loro  com|)leto  sviluppo, 
si  deve  poter  comodamente  girare  intorno  ad  ogni  pianta  per  po- 
tarla e  per  lavorare  il  terreno. 

Una  distanza  di  60  cni.,  fra  i  rami  più  esterni  di  una  pianla  t- 
quelli  dalla  pianta  vicina,  è  appena  suflìciente. 

In  via  generale  conchiuderemo  che  è  meglio  piuttosto  aumentare 
che  diminuire  le  distanze,  poiché,  costringendo  la  pianla  a  non  pren- 
dere uno  sviluppo  normale,  questa  indeiiolisce  e  perisce  presto. 

Trattandosi  di  frutteti  con  piantagioni  uniformi,  la  disianza  fra 
pianta  e  pianta  deve  essere  eguale  almeno  all'altezza  massima  che  po- 
trà raggiungere  la  pianta. 

Cosi  ad  esempio  in  un  frutteto  a  piramidi  di  peio,  essendodiè  le 
piramidi  raggiungono  al  massimo  4  metri  di  altezza,  si  fa  l'impianto 
collocando  i  soggetti  a  m.  4  di  distanza. 

E'  evidente  che  le  distanze  quindi  devono  variare  a  seconda  della 
natura  delle  piante,  della  loro  forma  e  della  natura  del  terreno.  I  limili 
maggiori  delle  distanze  qui  sotto  indicate,  si  devono  adottare  nei  ter- 
reni buoni,  profondi  e  fertili,  lasciando  distanze  tninnri  pei  terreni 
mediocri.  Per  le  forme  a  spalliera  si  ha  calcolato  che  il  muro  deve 
avere  un'altezza  non  inferiore  a  m.  3. 


XIV. 
Disposizione  degli  impianti. 

L'impianto  si  può  fare  a  file,  a  triangoli  equilateri,  detto  a  sel- 
tonce,  in  quadrato  ed  a  triangoli  isosceli.  Quello  a  setlonce  consiste 
nel  collocare  una  pianta  per  ogni  angolo  di  un  esagono  ed  una  nel 
centro;  in  quadrato  collocando  una  pianta  agli  angoli  di  un  (juadrato:  a 
triangolo  isoscele  collocando  in  un  quadrato  olire  una  pianta  agli  an- 
goli una  anche  nel  mezzo. 

Il  numero  necessario  delle  piante  in  un  ettaro  per  gli  impianti  a 
fila  si  ottiene  moltiplicando  il  numero  delle  lìle  i)er  il  numero  delle 
piante  che  stanno  in  una  fila. 

Per  determinare  il  numero  delle  piante  nelle  piantagioni  in  trian- 
goli equilateri  ed  in  quadrato,  valga  la  Tab.  XVII  a  pagina  seguente 
che  può  avere  utilità  tanto  per  i  vivaisti  che  per  i  frutticoitori. 

Per  avere  il  numero  delle  piante  negli  impianti  a  setlonce,  bi- 
sogna moltiplicare  il  numero  delle  file  per  ogni  lato  di  (piadrato  per 
il  numero  delle  piante  nella  fila  e  sommare  il  prodotto  a  quello  otte- 
nuto, moltiplicando  il  numero  degli  interfilari  col  numero  delle  piante 
che  si  trovano  in  essi. 


—  248  - 


Numero  di  piante  contenute  in  vin  ettaro 
a  seconda  delle  distanze. 


N."  delle 

N.o  delle 

Distanze 

piante  in  un  ettaro 

Distanze 

piante  in  un  ettaro 

collocate  in 

collocate  in 

delle  piante 

■"  •    '  ;  — -^      ~~~ 

delle  piante 

'  — -.^^   ■  _..— — --^ 

in  metri 

triangoli 
equilateri 

quadrati 

in  metri 

triangoli 
equilateri 

quadrati 

0,1 

1,154,700 

1,000,000 

1,7 

3,996 

3,460 

0,2 

288,675 

250,000 

1,8 

3,564 

3,087 

0,3 

128,300 

111,111 

1,9 

3,199 

2,770 

0,4 

72,169 

62,500 

2 

2,288 

2,500 

0,5 

46,188 

40,000 

2,2 

2,386 

2,066 

0,6 

32,075 

27,778 

2,4 

2,005 

1,736 

0,66 

26,515 

26,515 

2,6 

1,708 

1,479 

0,7 

23,565 

20,408 

2,8 

1,473 

1.276 

0,8 

18,042 

15,625 

3,- 

1,283 

1,111 

0,9 

14,256 

12,346 

3,2 

1,128 

977 

1 

11,547 

10,000 

3,4 

999 

865 

1,1 

9,543 

8,265 

3,6 

891 

772 

1,2 

8,019 

6,944 

3,8 

800 

693 

1,3 

6,833 

5,917 

4,- 

722 

625 

1,33 

6,529 

5,653 

5,— 

462 

400 

1,4 

5,821 

5,102 

6,- 

321 

278 

1,5 

5,132 

4,444 

7,- 

236 

204 

1,6 

4,511 

3,906 

8, 

180 

156 

1,66 

4,190 

3,628 

La  seguente  tavola  indica  il  numero  necessario  delle  piante  secondo 
la  distanza  che  si  vuol  tenere  fra  esse  negli  impianti  a  file  : 


Tab.  XVII I.    Numero  dei  soggetti  in  un'ara  di  terreno  piantato  a  file. 


Distanza 

DISTANZA  DELLE  PIANTE  NELLE  LINEE  IN  CENTIMETRI 

delle 

(Le  cifre  qui  sotto  rappresentano 

il  numero  dei  soggetti 

linee  in 

da  pìantars 

in  u 
75 

n'ara). 

centim. 

5 

10 

15 

20 

25 

50 

100 

125 

150 

175 

200 

5 

40,000 

20,000 

13,333 

10,000 

8,000 

4,000 

2,666 

2,000 

1,600 

1,333 

1,142 

1,000 

10 

20,000 

10,000 

6,666 

5,000 

4,000 

2,000 

1,333 

1,000 

800 

066 

571 

500 

15 

13,333 

6,666 

4,444 

3,333 

2,666 

1,333 

888 

666 

533 

444 

380 

333 

20 

10,000 

5,000 

3,333 

2,500 

2,000 

1,000 

666 

500 

400 

333 

285 

250 

25 

8,000 

4,000 

2,666 

2,000 

1,600  t      800 

533 

400 

320 

266 

230 

200 

50 

4,000 

2,000 

1,333 

1,000 

800 

400 

266 

200 

160 

.     133 

114 

100 

75 

2,666 

1,333 

888 

666 

533 

266 

177 

133 

106 

88 

76 

66 

100 

2,000 

1,000       666 

500 

400 

200 

133 

100 

80 

66 

57 

50 

125 

1,600 

800 

533 

400 

320 

160 

106 

80 

64 

53 

46 

40 

150 

1,333 

666 

444 

333 

266 

133 

88 

66 

53 

44 

38 

33 

175 

1,142 

571 

380 

285 

230 

114 

76 

57 

46 

38 

33 

28 

200 

1,000 

500 

333 

250 

200 

100 

66 

50 

40 

33 

28 

25 

-  249  - 

Quando  si  vorrà  conoscere  il  numero  dei  sog^^etli  necessari  per 
piantare  un'ara,  si  calcoleranno  le  distanze  che  si  vogliono  stabilire  fra 
le  linee  e  fra  le  piante  nelle  linee;  quindi  si  osserveranno  le  cifre  che 
rappresentano  queste  distanze  in  centinielri  nella  prima  colonna  oriz- 
zontale all'alto  della  tavola  e  nella  prima  colonna  verticale  di  sinistra, 
il  numero,  che  si  trova  nel  quadrato  di  congiunzione,  sarà  (|ueilo 
cercato. 

Quando  invece  di  un'ara  si  tratterà  di  un  ettaro,  basterà  aggiungere 
due  zeri  alle  cifre  della  tavola  per  ottenere  il  totale  desideralo.  Per 
considerare  le  cifre  fattori  che  rappresentano  le  distanze  delle  linee  o 
delle  piante  nelle  linee,  come  dei  decimetri  o  dei  metri  invece  dei 
centimetri,  bisognerebbe  sopprimere  nei  numeri  della  tal)ella  sia  uno 
zero  trattandosi  di  decimetri,  sia  due  zeri  trattandosi  di  metri. 


XV. 
Epoca  della  piantagione. 

1.  —  La  piantagione  si  può  fare  durante  lutto  il  tempo  in  cui  le 
piante  sono  in  riposo  di  vegetazione,  cioè  dall'autunno  alla  primavera. 
Se  convenga  piantare  piuttosto  in  autunno  che  in  primavera  e  stato 
molto  discusso;  in  ogni  caso  noi  premetteremo  che  gli  impianti  non  si 
devono  fare  quando  il  terreno  è  troppo  umido  o  durante  i  forti  geli, 
e  perciò  un  impianto  nei  mesi  di  dicembre  e  di  gennaio  non  è,  in  via 
generale  da  consigliarsi.  Adunque  rimane  da  decidere  se  convenga 
piantare  piuttosto  dalla  seconda  metà  di  ottobre  alla  metà  novembre, 
anziché  in  febbraio-marzo  e  perciò  bisogna  prendere  in  considerazione 
il  clima,  la  località,  il  terreno  e  la  specie  delle  piante  che  si  vogliono 
piantare. 

Nelle  località  dove  di  solito  la  primavera  è  asciutta  e  dove  la  tem- 
peratura comincia  presto  ad  elevarsi,  mentre  l'autunno  è  piuttosto  mite, 
conviene  sicuramente  l'impianto  in  autunno,  poiché  allora  le  piante 
cominciano  subito  al  principio  della  primavera  a  sentire  i  benelìci  ellelli 
del  calore,  attecchiscono  facilmente  e  molto  per  tempo  cominciano  a 
formare  delle  nuove  radici.  E'  questo  il  caso  che  giuslilica  il  detto: 
chi  pianta  in  autunno  ijuadagna  un  anno,  oppure  quello  francese:  a  la 
Sainte  Catherine  tout  bois  prende  racine,  caso  che  da  noi  si  verilica  in 
molte  località  dell'Italia  centrale  e  meridionale,  .\nche  coU'acqua  le 
radici  si  imbevono  durante  l'inverno  di  materiali  nutritivi  che  in  pri- 
mavera subito,  coi  primi  tepori,  vanno   a  beneiicio    della    vegetazione. 

Quindi,  trattandosi  di  terreni  asciutti,  leggeri,  soflici,  conviene  la 
piantagione  in  autunno  anziché  in  primavera,  piantagione  che  si  può 
incominciare  per  ciascuna  specie  di  mano  in  mano  che  cominciano  a 
cadere  le  foglie.  Coli' impianto  in  autunno,  se  fatto  per  tempo,  le  piante 
possono  cominciare  a  formare  nuove  radici  ancora  prima  dellinverno  ; 


-  250  - 

mentre  ritardando  di  troppo,  e  sopraggiungendo  il  freddo,  le  ferite  delle 
radici  non  hanno  tempo  di  cicatrizzarsi  e  possono  anche  in  parte 
marcire.  A  questo  fatto  si  deve  attribuire  qualche  insuccesso  negli 
impianti  di  autunno. 

L'impianto  di  primavera  si  fa  quando  il  terreno  è  completamente 
sgelato  e  quando  la  temperatura  dell'aria  comincia  ad  elevarsi,  il  che 
equivale  per  noi  dalla  seconda  metà  di  febbraio  alla  prima  metà  di 
aprile.  Quasi  tutti  gli  impianti  vengono  fatti  in  quest'epoca,  special- 
mente trattandosi  poi  di  climi  rigidi,  di  vallale  chiuse  da  monti,  di 
montagne  dominate  dai  venti,  di  terreni  umidi,  tenaci,  argillosi  che 
vanno  soggetti  a  parziali  sommersioni,  di  terreni  scassati  appena  in 
autunno,   od   anche    in  autunno  avanzato. 

L'impianto  di  primavera  conviene  però  anticiparlo,  il  più  possibile, 
appena  ci  si  accorge  che  il  terreno  comincia  a  sbricciolarsi  in  conse- 
guenza del  disgelo,  e  a  riscaldarsi  per  effetto  del  sole,  si  proceda  alla 
piantagione. 

Delle  diverse  specie  di  piante,  il  pero  ed  il  susino  avvantaggiano 
in  particolar  modo  se  piantati  in  autunno. 

2.  —  Da  quanto  ho  detto  risulta  evidente,  che  quando  il  terreno  è 
sgelato,  e  la  temperatura  dell'aria  è  al  disopra  di  zero  gradi  e  il  tempo 
è  asciutto,  dal  momento  che  cadono  le  foglie  alla  ripresa  della  vegeta- 
zione noi  possiamo  in  via  generale  piantare  ciò  che  è  appunto  dal- 
l' ottobre  all'aprile.  Perciò  è  sempre  meglio  piantare  in  ottobre  che 
in  novembre,  in  novembre  piuttosto  che  in  dicembre  e  cosi  via.  Se 
in  ottobre  si  trovano  ancora  delle  foglie,  queste  si  levano  prima  del 
trapianto. 

3.  —  Molte  volte  si  può  aver  bisogno  di  fare  degli  impianti  fuori 
tempo.  Ciò  succede  quando  muore  qualche  pianta  che  si  vuole  im- 
mediatamente rimpiazzare  o  quando  si  vuole  cambiarla. 

Per  questi  trapianti  bisogna  scegliere  il  periodo  durante  la  vegeta- 
zione nel  quale  la  pianta  ha  il  minore  movimento  di  linfa  e  cioè  nel 
mese  di  luglio.  In  questo  mese  il  movimento  primaverile  della  linfa 
subisce  una  sosta,  sia  per  esaurimento  dell'umidità  del  terreno,  sia  per 
il  calore  dell'aria.  Tale  periodo  dura  tino  alle  prime  pioggie  di  agosto 
e  si  può  approfittare  per  fare  il  trapianto,  il  quale  però  ha  sempre 
meno  probabilità  di  riuscita  del  trapianto  fatto  in  autunno. 

Avendo  fatto  parecchi  trapianti  anche  fuori  stazione  ho  constatato 
quanto  segue  : 

a)  le  piante  di  5  a  6  anni,  che  non  hanno  più  il  vigore  della 
giovane  età  e  cominciano  già  disporsi  a  fruttificare,  si  prestano  meglio 
delle  piante  giovani  al  trapianto  fuori  stagione.  Ciò  si  spiega  anche  col 
fatto,  che  le  piante  adulte  hanno  maggiori  materiali  di  riserva  ed  arri- 
vano maturare  entro  luglio  le  cime  dei  germogli  dell'annata,  il  che 
non  avviene  per  le  piante  giovani  ; 

b)  le  piante  più  volte  ripiantate  da  un  luogo  all'altro,  si  prestano 
meglio  al  trapianto  fuori  stagione  delle  piante  che  sono  rimaste  sempre 
allo  stesso  posto  ; 


-  251  - 

e)  le  piante  che  non  hanno  maturate  le  cime  dei  Mermoj>li  del- 
l'annata, non  si  devono  trapiantare  Inori  tempo  ; 

d)  la  sfrondatura  parziale  ed  il  taglio  dei  getti  non  lignilicati 
favorisce  l'attect-himento  ma  di  più  lo  favorisce  l'accorciamento  con 
dei  buoni  tagli,  dei  rami  princii)ali; 

e)  fatto  l'impianto  occorre  annaflìare  abbondantemente  lincile  la 
stagione  si  mantiene  calda.  Avanzandosi  l'autunno  gli  annalìianienli  si 
possono  fare  sempre  più  radi. 


XVI. 
Scelta  degli  alberi  e  loro  preparazione  per  rimpianto. 

Nella  scelta  delle  piante,  molte  volte  si  commettono  delle  inavver- 
tenze i  cui  elletti  si  risentono  più  tardi,  (juamlo  non  c'è  più  tempo  di 
rimediare,  se  non  con  sacrilicio  di  denaro  e  di  rendita. 

1.  —  Le  piante  devono  essere  possibilmente  giovani,  perchè  allora 
più  facile  ne  è  l'attecchimento  e  la  durata;  devono  essere  esenti  da 
malattie  o  da  ferite,  la  scorza  deve  essere  liscia,  lucida,  di  colore  nor- 
male, il  fusto  diritto  e  bene  sviluppato,  le  radici  con  molte  ramilìca- 
zioni  specialmente  sottili  e  che  si  distendano  orizzontalmente  ;  -  il 
legno  deve  presentare  una  sezione  lucida  con  anelli  di  colore  giallo 
chiaro,  senza  sfumature  o  macchie. 

Si  ordinino  le  piante  —  se  non  si  hanno  nel  propri  vivai,  il  che  è 
meglio  di  tutto  —  a  vivaisti  di  lunga  professione,  di  fama  incontestata. 
Prima  della  ordinazione  è  opportuna  una  visita  al  vivaio  in  autunno. 
Bisogna  diflìdare  di  quelle  piante  che  hanno  anticipato  la  caduta  delle 
foglie,  che  hanno  le  foglie  non  bene  colorate  in  verde,  e  non  sono 
uniformemente  sviluppate.  Non  bisogna  mai  lasciarsi  adescare  da  prezzi 
troppo  miti  in  confronto  di  altri  venditori,  poiché  allora  si  corre  rischio 
di  non  avere  la  qualità  desiderata  o  di  ricever  piante  cresciute  in 
fretta,  forzatamente,  per  la  grande  quantità  di  concime  e  che  poi  diven- 
tano troppo  delicate.  Un  risparmio  di  denaro  in  questa  oc<-asione  può 
cagionare  delle  perdite  più  tardi. 

Riescono  meglio  le  i)iante  provenienti  da  vivai  che  si  trovano  in 
terreno  e  clima,  simili  al  luogo  dell'impianto.  Si  preferiscano  i  vivai 
più  vicini,  situati  in  luoghi  aperti,  sopra  terreni  di  mediocre  consi- 
stenza e  fertilità.  Le  piante  cresciute  in  terreni  troppo  sciolti,  sabbiosi, 
diffìcilmente  fanno  buona  prova  nei  terreni  tenaci,  se  in  questi  non  si 
provvede  ad  una  costosa  lavorazione  del  terreno  e  ad  opportuni  am- 
mendamenti. Le  piante  venute  troppo  sollecitamente,  per  le  abbondanti 
irrigazioni  e  concimazioni,  diventano  poi  troppo  delicate,  ma  d'altro 
canto  non  bisogna  esagerare  in  senso  inverso.  Se  il  vivaio  si  trova  in 
terreno  troppo  arido  e  povero  di  materiali    nutrienti,    anche  le    piante 


-  252  - 

saranno  cresciute  lentamente  e  avendo  sofferto  sino  dalla  prima  età, 
non  si  rimettono  poi  tanto  presto. 

In  ogni  caso,  lo  sviluppo  delle  radici  e  del  fusto  può  dirci  molto 
sulla  fertilità  del  terreno  del  vivaio.  Le  radici  fittonose,  con  poche  rami- 
ficazioni sottili  danno  indizio  di  eccessiva  fertilità  ;  radici  brevi,  tutte 
sottili  ci  indicano  troppa  aridità  del  terreno,  una  giusta  proporzione  fra 
le  radici  grosse  e  sottili  ci  indicano  la  condizione  buona  che  ci 
occorre. 

Il  fusto,  oltreché  avere  le  qualità  sopra  accennate,  deve  essere 
completamente  maturo,  ossia  la  sua  estremità  e  le  estremità  delle  rami- 
ficazioni non  devono  essere  pieghevoli  come  se  fossero  erbacee,  ed  è 
per  questo  che,  di  solito,  conviene  l'acquisto  di  piante  provenienti  da 
vivai  di  paesi  più  caldi. 

Abbiamo  detto  più  sopra  che,  per  l'impianto,  occorrono  piante 
giovani,  ma  non  per  questo  intendiamo  di  impiegare  delle  piante  di 
appena  un  anno  d'innesto.  Le  piante  di  un  anno  d'innesto  conviene 
mettere  a  dimora  se  sono  destinate  a  cordoni,  ma  se  trattasi  di  pieno 
o  mezzo  vento,  di  piramidi,  di  palmette,  ecc.,  conviene  che  abbiano  al- 
meno un'impalcatura  e  perciò  un'età  che  può  variare  da  2  a  5  anni 
dopo  l'innesto,  ma  non  oltre  perché  il  terreno  non  rimanga  per  troppo 
lungo  tempo  infruttuoso. 

Nell'estirpare  le  piante  dal  vivaio,  bisogna  aver  cura  di  lasciare 
intatto  il  maggior  numero  di  radici  ;  poi  devono  essere  piantate  il  più 
presto  possibile. 

2.  —  Per  spedii'le  in  luoghi  distanti,  bisogna  imballarle  convenien- 
temente. 

Anzitutto  si  legano  assieme  in  maiwpoli  da  6  a  12,  secondo  il  vo- 
lume, unendo  assieme  quelle  di  eguale  sviluppo,  e  si  fa  una  legatura 
con  vimini  sotto  al  punto  d'innesto,  poi  un'altra  20  cent,  più  in  alto, 
quindi  una  terza  ed  una  quarta  che  unisca  le  estremità  dei  rami. 
Trattandosi  di  spedire  delle  piante  già  formate,  piramidi,  palmette  ecc., 
conviene  anzitutto  legare  assieme  le  rispettive  ramificazioni  di  ogni 
pianta  e  poi  riunirle. 

Fra  manipolo  e  manipolo  di  piante  si  mette  del  muschio,  perché 
non  rimangano  degli  spazi  vuoti,  e  cosi  pure  si  avvolgono  anche  le  ra- 
dici di  un  buon  strato  di  muschio  leggermente  umettato.  Il  tutto  viene 
poi  rivestito  con  paglia  di  segale  in  modo  da  formare  un  rivestimento 
completo  e  solido.  In  un  imballaggio  non  conviene  di  mandare  più  di 
50  piante. 

Durante  il  transito  bisogna  tenere  gli  imballaggi  riparati  dal  sole 
e  dalla  pioggia.  Appena  arrivano  sul  sito,  si  piantano,  e  se  il  tempo 
non  lo  permette,  si  projjagginano  nel  terreno  fino  sotto  al  punto  d'in- 
nesto. Se  invece  vi  fosse  del  gelo,  si  portano  le  piante  come  sono  im- 
ballate, in  una  cantina  o  in  un  ambiente  leggermente  umido,  ma  non 
freddo,  e  qui  si  lasciano  per  tre  o  quattro  giorni,  passato  il  qual  tempo 
si  sciogliono  e  si  propagginano  una   per   una   nella    sabbia.    Giunto    il 


-  253  - 

momento  della  piantagione,  quando  cioè  non  si  hanno  più  a  temere  i 
geli,  quando  la  terra  è  asciutta  e  non  gelata  e  durante  una  giornata 
serena  e  senza  vento,  si  ritirano  le  piante  ad  una  ad  una  dal  luogo  di 
conservazione  e  si  preparano  per  l'impianto. 

3.  —  Questa  preparazione  consiste  nel  tagliare  le  radici  rotte, 
contuse,  che  hanno  avuto  qualche  ferita  quando  sono  slate  estirpale, 
nel  tagliare  eventualmente  anche  qualche  lìllone,  poiché  le  piante 
che  hanno  il  fittone  sono  le  meno  produttive.  In  ogni  caso,  deve  essere 
cura  di  mantenere  la  maggior  quantità  possibile  di  radici  ed  i  tagli 
devonsi  fare  con  strumenti  ben  taglienti  e  possibilmente  in  senso 
obliquo,  poiché  le  ferite  si  rimarginano  più  iacilmente. 

Se  le  radici  hanno  sofferto  e  ci  si  accorge  che  sono  troppo  secche, 
conviene  fare  V  inzaffardainento,  che  consiste  nell' intingere  o  nel  la- 
sciare per  mezz'ora  le  radici  in  un  liquido  composto  di  acqua,  '/a  ^' 
terra  argillosa,  e  -J3  di  sterco  bovino.  La  parte  aerea  della  pianta  si 
lascia  intatta,  ammenoché  non  vi  sia  qualche  ramo  rotto  da  togliere. 
Anche  durante  tutto  il  primo  anno  dell'impianto,  gli  alberi  non  bisogna 
toccarli. 

Su  tale  argomento  però  molti  autori  hanno  espresso  opinioni  di- 
sparate; cosi  gli  uni  sostengono  l'opportunità  di  lasciare  inlatte  le 
radici  ed  i  rami,  gli  altri  la  necessità  di  tagliare  i  rami  in  proporzione 
alle  radici.  Dicono  che  bisogna  tagliare  irami  per  evitare  lo  squilibrio 
fra  la  parte  aerea  e  sotterranea,  mentre  i  primi  aifermano,  che  anzi  un 
maggior  sviluppo  della  parte  aerea  costringe  la  pianta  a  svilupiìare 
delle  nuove  radici. 

Per  decidere  una  tale  questione  feci  parecchie  esperienze  (vedi  le 
edizioni  precedenti  di  questo  libro)  e  sono  venuto  alle  seguenti  con- 
clusioni : 

a)  alle  radici  non  conviene  tagliare  che  il  fittone  e  le  radici 
contuse. 

b)  alle  piante  a  nocciolo  bisogna  tagliare  i  rami  a!  momento 
dell'impianto,  perché  diversamente  le  gemme  più  basse  dei  rami  o  del 
fusto  abortiscano. 

e)  per  le  altre  piante  bisogna  distinguere  pel  taglio  dei  rami,  a 
seconda  delle  circostanze  nelle  quali  si  opera. 

d)  i  rami  rotti,  contusi,  feriti,  inutili  bisogna  semi)re  toglierli. 

e)  dal  punto  di  vista  generale  é  meglio  non  abbattere  alcun  ramo 
poiché  in  tal  modo  si  favorisce  lo  sviluppo  delle  radici. 

f)  piantando  però  presto  in  autunno  ed  in  un  terreno  buono, 
dove  presumibilmente  si  avranno  forti  gettate,  conviene  tagliare  ad  un 
terzo  i  rami  formatisi  nell'anno  precedente  ed  in  tal  modo  si  avvan- 
taggerà la  vegetazione  di  un  anno.  Le  piante  giovani  si  taglino  sempre 
più  corte  delle  piante  adulte. 

q)  Se  al  contrario  si  pianta  tardi  od  in  primavera  e  in  un  terreno 
non  buono,  non  conviene  tagliare.  Tagliati  corti  nell'anno  successivo 
o  dopo  due  anni,    saranno    vigorosi.   In  questo   caso   converrà   al   più 


-  254  - 

qualche  volta  fare  una  leggera  accorciatura  per  stabilire  l'equilibrio 
della  parte  aerea  colla  sotterranea. 

h)  Piantando  degli  alberi  piuttosto  adulti,  bisogna  tagliare  sempre 
nel  secondo  anno  poiché  altrimenti  sviluppano  dei  rami  infruttiferi 
che  indebolirebbero  la  pianta. 

ì)  Il  taglio  dei  rami  si  faccia  sempre  dopo  l'impianto  e  prima 
che  le  piante  entrino  in  vegetazione. 

/)  Se  le  piante  hanno  sofferto  conviene  tagliare  corto  le  radici 
ed  i  rami  per  facilitare  l'attecchimento. 


XVII. 
Concimazione  per  l'impianto. 

Colla  concimazione  al  momento  dell'impianto  noi  dobbiamo  pro- 
porci : 

1."  Dì  mantenere  bene  la  pianta  da  2  a  5  anni. 
2.0  Di  mantenere  la  sofficità  al  terreno  procurata  collo  scasso  od 
altri  lavori  fatti  prima  dell'impianto. 

3."  Di  favorire  lo  sviluppo  delle  radici  in  modo,  che  queste  cre- 
scano numerose  e  possano  estendersi  anche  sotto  allo  strato  coltivabile. 
Per  ottenere  tutto  ciò  è  necessario    quindi  somministrare  a  larghe 
dosi    concimi    complessi,  voluminosi,  di  lenta    assimilazione  e  ben  di- 
stribuiti nel  terreno  fino  ad  80  cm.  almeno  di  profondità. 

Se  noi  ad  esempio  concimiamo  il  terreno  per  il  granoturco  in  ra- 
gione di  30  tonnellate  di  stallatico  per  ettaro  (concimazione  ordinaria), 
noi  diamo  3  kg.  di  stallatico  per  m.^  di  superficie  di  terreno.  Questi 
3  kg.  vanno  a  vantaggio  dello  strato  coltivabile  del  terreno  che  non 
arriva  ad  oltre  25  cm.  di  profondità. 

Se  si  tratta  invece  dell'impianto,  noi  dobbiamo  concimare  fino  a 
70  cm.  di  profondità  ed  allora  è  naturale  che  bisognerà  dare  3  volte 
tanto  di  stallatico  che  corrisponderà  appunto  a  9  kg.  per  metro  qua- 
drato. Poiché  la  concimazione  deve  avere  effetto  almeno  per  3  anni, 
cosi  per  ogni  pianta  e  per  ra^  bisognerà  darne  (3  x  9)  27  kg.  Ma  lo  stal- 
latico non  basta.  Esso  in  due  o  tre  anni  è  già  decomposto,  di  più 
esso  é  troppo  povero  di  anidride  fosforica  e  di  potassa  assimilabile. 
Da  ciò  la  necessità  di  aggiungervi  dei  concimi  di  lenta  decomposizione 
e  dei  concimi  fosfatici  e  potassici. 

Una  buona  concimazione  per  pianta  al  momento  dell'impianto  è 
la  seguente  : 

'  Kg.     .30  Stallatico  ben  decomposto  o  terriccio. 
i      „        4  Lanino 
Form.  I      gr.   500  Scorie 

1     „     100  Perfosfato  al  lG-1870 
i     „  100  Kainite 


-  255  - 

Lo  stallatico  ben  decomposto  ed  i  terricciati  convengono  sempre 
poiché  danno  origine  alVnmns,  il  quale  alla  sua  volta  favorisce  la  de- 
composizione di  altri  sali  minerali.  Di  più  agisce  fisicamente,  mante- 
nendo soffice  il  terreno  e  ne  trattiene  l'umidità,  di  cui  hanno  bisogno, 
in  particolar  modo,  le  giovani  piante,  per  sviluppare  le  radici.  Infine 
fornisce  il  primo  alimento  alla  pianta.  Lo  stallatico  bisogna  darlo  ben 
decomposto  poiché  altrimenti  danneggia  le  radici  e  specialmente  (|ui'lle 
delle  piante  a  nocciolo. 

Non  avendo  stallatico  si  può  adoperare  con  vantaggio  ed  in  (|uaii- 
titativo  corrispondente  alla  composizione,  della  torba  imbevuta  di  pozzo 
nero,  delle  alghe  e  felci  decomposte,  spazzature,  foglie  morte  decom- 
poste, vinacce,  ecc. 

Le  scorie  Thomas,  più  di  qualsiasi  altro  concime  fosfatico,  con- 
vengono in  particolar  modo  per  gli  impianti.  L'azione  però  delle 
scorie  comincia  quando  esse  vengono  intaccate  dagli  acidi  delle  radici, 
diversamente  l'anidride  fosforica  resta  sempre  allo  stalo  insolubile.  Il 
perfosfato  invece  ha  una  azione  pronta  e  mentre  le  scorie  conviene 
mescolarle  al  terriccio  o  stallatico,  il  perfosfato  si  dà  da  solo  sopra 
alle  radici. 

Nei  terreni  però  ricchi  di  calcare  conviene  sostituire  le  scorie 
colla  polvere  d'ossa  o  col  perfosfato,  applicando  la  seguente  formola  II. 

Kg.  30       Stallatico  ben  decomposto  o  terriccio, 
i     „    4         Lanino 
Form.  Il       „   0,400  Polvere  d'ossa  o  perfosfato  al  1(1-18  7o 
I     „   0,400  Gelso 
^     „    0,200  Kainite 

Essendo  molti  i  terreni  che  mancano  di  solfali,  specialmente  i  ter- 
reni calcari,  negli  impianti  si  preferisce  l'uso  della  kainite  in  confronto 
del  cloruro  di  potassio.  Nel  caso  però  che  non  si  avesse  la  kainite 
si  adoperi  il  cloruro  od  il  solfato  potassico  in  proporzione  del  quarto 
ossia  applicando  la  seguente  formola  III. 

Kg.  30       Stallatico  ben  decomposto  o  terricciato 
i     „    4         Lanino 
Form.  Ili        „   0,400  Polvere  d'ossa  o  perfosfato  al  l<i-18  7o 
I     „    0,400  (ielso 

„    0,050  Cloruro  o  Solfalo  potassico. 

Così  i  cenci  di  lana  si  possono  sostituire  con  eguale  quantitavivo 
di  polvere  e  raschiatura  di  corna,  polvere  e  cascami  di  corna,  piume 
e  penne,  crini  e  peli,  coiattoli,  rasatura  di  pelli  e  panelli,  quantunque 
di  questi  sia  meglio  farne,  per  gli  impianti,  uso  il  meno  possibile. 

Avendo  invece  a  disposizione  della  polvere  di  sangue,  o  polvere  di 
carne,  si  potrà  diminuire  la  quantità  dandone  in  ragione  di  kg.  3. 


-  256  - 

Questa  dose  di  concimazione  vale  per  le  piante  d'alto  fusto  in  ge- 
nere, cosi  pure  per  i  gelsi  e  per  gli  olivi. 

Trattandosi  di  viti,  di  piante  da  frutto  allevate  a  cordone,  a  spal- 
liera, a  fuso,  oppure  di  piante  cespugliose,  si  limiterà  il  quantitativo 
in  proporzione  allo  spazio  che  essi  occupano,  ed  allo  sviluppo  delle 
radici. 

Circa  al  modo  di  concimare  al  momento  dell'operazione,  l'ideale 
sarebbe  di  mescolare  le  materie  fertilizzanti  4  ovvero  6  settimane  prima, 
colla  terra  scavata  fuori  della  buca.  Allora  si  ottiene  una  intima  me- 
scolanza e  durante  questo  tempo,  le  sostanze  organiche  comincieranno 
a  decomporsi.  E'  da  condannarsi  la  disposizione  del  concime  a  strati, 
poiché  allora  lo  stallatico  e  le  altre  sostanze  voluminose,  formano  uno 
strato  troppo  rilevante  di  sostanze  organiche  in  decomposizione,  dove 
non    penetrano    le    radici,  anzi    le    danneggiano    per  la  reazione  acida. 


XVIII. 
L'  impianto. 

Questo  si  deve  fare  soltanto  in  giornate  senza  vento,  non  fredde  e 
quando  il  terreno  non  è  gelato  e  tanto  meno  coperto  di  brina. 

1.  —  Ammettiamo  di  dover  fare  un  impianto  in  un  terreno  nel  ({naie 
è  stato  fatto  lo  scasso  generale. 

Si  comincia  a  segnare  con  paletti  la  posizione  di  ogni  pianta  in 
base  al  disegno  prima  fatto,  e  poi,  vicino  a  ciascun  paletto,  alla  distanza 
di  circa  un  metro,  si  fa  portare  in  un  cumulo  di  terriccio.  Se  non  vi 
è  sotterrato  dello  stallatico,  conviene  scavare  intorno  al  palo  della 
terra  e  preparare  una  fossa  profonda  e  larga  quanto  occorre  per  sot- 
terrare comodamente  le  radici.  Colla  terra  si  fa  un  cumulo  vicino, 
mescolando  ad  essa  il  concime  che  si  intende  impiegare. 

La  principale  preoccupazione  nell'impianto  deve  essere  di  mettere 
le  piante  alla  dovuta  profondità,  che  varia  a  seconda  della  natura  del 
terreno  e  quella  del  soggetto  sul  quale  la  pianta  è  innestata.  In  un  ter- 
reno soffice  o  ciottoloso,  è  meglio  piantare  alquanto  più  profondo  che 
in  un  terreno  umido  e  freddo,  poiché  in  questo  ultimo  le  radici  mar- 
cirebbero e  la  vegetazione  sarebbe  poco  rigogliosa.  Nei  terreni  scoscesi, 
queste  regole  hanno  una  eccezione,  inquantochè,  andando  la  terra  di 
frequente  soggetta  a  corrosione,  conviene  piantare  alquanto  più  profondo. 

Le  piante  innestate  sul  franco  ed  in  genere  su  soggetti  vigorosi, 
tollerano  una  profondità  maggiore  che  se  innestate  su  soggetti  a  radici 
superficiali. 

In  ogni  caso  il  colletto  della  pianta,  col  soprastante  punto  di  inne- 
sto, può  servire  di  norma  negli  impianti.  Il  colletto  deve  trovarsi, 
dopo  assodato  il  terreno,  a  fior  di  terra  e  la  prima   impalcatura   delle 


—  257  — 

radici  deve  rimanere  coperta  per  10  cm.  Il  punto  d'innesto  deve  spor- 
gere di  poco  dal  terreno.  Piantando  più  profondo,  le  radici  non  fun- 
zionano bene  per  mancanza  di  aria  e  possono  anche  marcire,  dando 
piante  tristi  e  frutta  poco  sviluppate  e  saporite;  piantando  i)iù  su|)er- 
ficialmente,  le  radici  possono  soflrire  per  mancanza  di  umidità. 

Nell'impianto  si  deve  aver  presente  che  il  terreno  assodandosi,  si 
abbassa  da  8  a  12  cm.  per  metro  di  profondità  a  cui  é  stato  scassato,  a 
seconda  se  il  terreno  è  tenace  o  meno.  Per  regolarsi  intorno  alla  giusta 
profondità,  si  segna  sul  paletto,  infìsso  nel  mezzo  della  buca,  il  livello 
del  terreno  circostante,  quindi  si  prende  la  pianta  e  la  si  mette  nella 
buca,  tenendo  il  punto  d'innesto  8-12  cm.  sopra  a  (juesto  segno,  segnando 
pure  sul  paletto  in  punto  fin  dove  si  vuole  che  arrivi.  Allora  si  leva 
la  pianta  e  si  versa  nella  fossa  la  terra  mista  al  concime,  fino  a  che, 
la  pianta  appoggiata  su  questa  terra,  viene  a  trovarsi  all'altezza  voluta. 
Un  operaio  tiene  quindi  la  pianta  e  ha  cura  di  stender  bene  le  radici, 
ed  un  altro  versa  della  terra  asciutta,  non  mescolata  al  concime,  la 
ripassa  con  le  mani  e  la  mette  fra  le  radici  per  evitare  che  rimangano 
degli  spazi  vuoti.  Quando  le  radici  sono  coperte,  si  comprime  la  terra 
col  rovescio  del  badile.  Molti  usano  comprimere  coi  piedi  la  terra,  ma 
ciò  non  è  ben  fatto,  poiché  si  strappano  le  radici.  Al  più,  perchè  la 
terra  aderisca  bene,  e  trattandosi  in  particolar  modo  d'impianti  tardivi 
in  primavera,  conviene  fare  una  annaffiatura.  Indi  si  versa  nella  buca 
la  terramista  al  letame  ancora  disponibile.  L'albero  piantato  sembrerà 
a  maggiore  altezza,  anzi  bisognerà  fare  attorno  alla  pianta  una  specie 
di  rialzo  di  terra  della  medesima  forma  della  buca,  rialzo  che  poi  scom- 
pare coll'assodarsi  del  terreno. 

2.  —  Trattandosi  di  terreni  poco  profondi,  oppure  di  terreni 
umidi,  per  evitare  i  danni  alle  radici,  si  può  piantare  fuori  terra,  ossia 
facendo  una  banchina  circolare  attorno  al  fusto,  in  modo  che  artifi- 
cialmente viene  elevato  il  livello  del  suolo  da  cm.  20  a  2").  Questo 
sistema  d'impianto  veramente  da  noi  si  può  applicare  di  rado,  al  più 
trattandosi  d'impianto  di  alti  fusti  di  meli,  susini  e  ciliegi  in  vallale 
eccezionalmente  umide  mentre  nelle  nostre  esposizioni  calde,  le  radici 
vicine   al  colletto  della  pianta  ne  soffrirebbero. 

L'operazione  si  fa  nel  seguente  modo.  Infìsso  nel  terreno  il  palo 
dove  si  vuol  piantare,  si  lavora  per  un  metro  in  giro  alla  profondità 
di  cm.  25-30  ossia  fino  a  che  si  ha  della  buona  terra  non  umida.  Ap- 
pianato il  terreno,  si  lega  la  pianta  al  palo,  colle  radici  fuori  e  quindi 
si  vanga  il  terreno  circostante  portando  la  terra  buona,  che  si  può 
mescolare  con  terriccio,  contro  le  radici,  coprendole  per  bene,  in  modo 
da  fare  una  banchina  circolare  a  forma  di  cono  tronco  molto  depresso. 
Cosi  le  banchine  non  si  disfanno  per  l'azione  delle  acque  e  favori- 
scono lo  sviluppo  delle  radici  in  senso  verticale  anziché  in  senso 
orizzontale. 

3.  —  Infìne  resta  a  dire  deìV  impianto  a  buche  ed  a  fosse,  che  si 
pratica  specialmente  per  le  forme  a  pieno  vento. 

17  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  258  - 

Le  buche  si  fanno  in  autunno,  per  piantare  in  primavera;  ed 
in  luglio,  per  piantare  in  autunno. 

Si  ha  cura,  nel  preparare  le  buche,  di  separare  le  due  terre  e,  quella 
della  superficie,  si  mescola  subito  col  letame  o  cogli  altri  concimi  che 
si  ha  intenzione  di  adoperare,  perchè  prima  dell'impianto,  comincino 
a  decomporsi  e  ad  amagalmarsi  col  terreno. 

Giunto  il  momento  dell'impianto,  si  conficca  nel  fondo  della  fossa, 
ed  in  mezzo  un  buon  palo,  in  modo  che  questo  non  si  possa  più  muo- 
vere; quindi  si  versa  dentro  la  terra  della  superficie  del  terreno  che  già 
abbiamo  mescolata  al  concime  e  separata  da  quella  dello  strato  inerte. 
Giunti  all'altezza  su  cui  devono  posare  le  radici,  altezza  che  si  deter- 
minerà come  ho  scritto  al  principio  di  questo  capitolo,  si  lega  la 
pianta  al  palo  tutore,  si  distendono  il  più  accuratamente  possibile  le 
radici  e  si  coprono  con  della  terra  fina  ed  asciutta.  Fatto  questo,  si 
versa  l'ultima  terra  buona  mescolata  col  concime  e  da  ultimo  si  colma 
la  fossa  colla  terra  rimasta  dello  strato  inerte  in  modo,  che  intorno 
alla  pianta,  si  formerà  una  banchina  quadrangolare  della  dimensione 
della  buca.  Compiuto  l'impianto,  conviene  sciogliere  la  legatura  della 
pianta  col  tutore,  perchè  diversamente,  assodandosi  il  terreno,  si  strap- 
perebbero molte  radici.  Al  più  conviene  tenere  una  legatura,  ma  molto 
larga,  perchè  il  fusto  non  si  inclini. 


XIX. 
Lavori  complementari  dell'impianto. 

Compiuto  l'impianto,  non  conviene  andare  intorno  alle  piante  per 
non  comprimere  il  terreno.  Quando  questo  però  si  è  assodato  sono 
necessarie,  nella  maggior  parte  dei  casi,  alcune  operazioni,  che  ora 
descriverò. 

1.  —  Trattandosi  di  pieni  e  mezzi  venti,  il  palo  si  troverà  di  già 
piantato  dal  momento  della  piantagione  e  quindi  appena  il  terreno  è 
assodato  si  fanno  tre  legature  con  dei  vimini  e  non  ad  co  come  si  usa, 
ma  ad  o  per  evitare  delle  strozzature,  frapponendo  fra  il  fusto  ed  il 
])alo  un  cuscinetto  di  paglia.  La  prima  legatura  si  fa  vicino  al  terreno 
per  gli  alti  fusti,  a  cm.  20;  la  seconda  a  metà  altezza  e  la  terza  a 
cm.  20  sotto  la  estremità.  Il  palo  deve  essere  sempre  più  basso  del- 
l'estremità e  collocato  a  mezzodì  nei  paesi  caldi,  a  nord  nei  paesi 
freddi.  Il  nodo  si  fa  contro  al  palo.  Una  legatura  comoda  è  quella  in- 
dicata nella  Fig.  213.  Attorno  al  palo  si  fa  prima  un  giro  completo  colla 
corda  di  juta,  poi  nel  secondo  e  terzo  giro  si  avvolge  palo  e  fusto,  nel 
quarto  giro  si  avvolge  soltanto  il  palo  e  poi  si  fa  il  nodo  e  si  infila  la 
estremità  del  legaccio,  fra  il  palo  ed  il  fusto.  Per    quanto    riguarda    la 


259 


palizzuliira  vedasi  le  norme  dettate  nella    Parie    III    di    (|iieslo    trallato 
al  capitolo  IX  pag.  116. 

Se  vi  sono  rimasti  dei  muschi  e  dei  licheni  nei  fusto,  si  lavano 
con  una  liscivia  composta  di  1  Kg.  di  cenere,  e  '/•..  Kg.  di  kainite  in  un 
litro  d'acqua. 

Volendo  riparare  la  corteccia  dei    l'usti,  si    forma  attorno  al  fusto, 
con  tre  pali,  una  specie  di  gabbia  che  si  riempie  di  spini.  Fig.  21 1  op- 
pure   si    prendono    delle    gabbie 
■Ua-    HJI^ìi''^  di   ferro  costruite  appositamente 

Jli^     iIl40<^-..i  per  gli  alberi  ornamentali   lungo 

i  passeggi  Fig.  21.'). 


Fig.   213. 
Legatura  con  corda  dei  tronchi 


S.> 


Fig.  21t.  —  Palizzalura  con  pali 


tn^ 


Fig.  215. 
Cal.hia  di  ferro  per  prolexgerc  H  fusto 


2.  —  Se  un  fusto  non  è  diritto,  non  conviene  raddrizzarlo  forza- 
tamente subito  all'impianto,  legandolo  stretto  al  palo  tutore.  Conviene 
invece  lasciarlo  a  sé  stesso  per  qualche  tempo,  anche  per  un  anno, 
perchè  prenda  vigore  e  si  arricchisca  di  succhi;  nell'anno  succes- 
sivo poi,  essendo  pilli  elastico,  si  potrà  drizzarlo  a  piacimento. 

3.  —  Nei  primi  due  mesi,  si  deve  aver  cura  che  le  piante  non 
soffrano  la  siccità.  Si  provvede  a  questo  colla  irrigazione  o  coprendo 
il  terreno  intorno  al  fusto  e  per  tutto  lo  spazio  occupato  dalle  radici, 
con  dello  stallatico  fresco,  oppure  con  della  paglia,  delle  foglie  od 
altri  materiali  grossolani  che  si  hanno  a  disposizione. 


-  260  — 

4.  —  Per  evitare  invece  che  dissecchino  i  rami  ed  il  fusto,  con- 
viene imbiancarli  con  una  miscela  di  due  parti  di  calce  spenta  ed  una 
parte  di  argilla.  La  miscela  viene  diluita  con  acqua  per  poterla  appli- 
care con  un  pennello. 

Questo  intonaco  bianco  è  molto  opportuno,  anzi,  in  molti  casi  è 
necessario  per  il  trapianto,  per  varie  ragioni. 

Nel  fusto  si  trovano,  presso  alla  corteccia,  le  sostanze  di  riserva 
(cambio)  che  servono  alla  formazione  dei  primi  germogli,  quando  la 
pianta  riprende  la  vegetazione  in  primavera. 

In  un  albero  trapiantato,  il  cambio  ha  ancora  maggiore  importanza, 
inquantochè  per  più  lungo  tempo  esso  deve  mantenere  le  nuove  pro- 
duzioni erbacee,  non  funzionando  subito  le  radici.  Se  in  primavera 
comincia  presto  il  caldo,  oppure  se,  come  avviene  di  frequente,  domi- 
nano i  venti,  questi  fanno  evaporare  il  cambio,  lo  rendono  meno  dif- 
fusibile e  la  pianta  non  può  a  meno  di  soffrire.  L'intonaco  serve 
appunto  a  diminuire  questa  evaporazione  ed  è  bene  sia  di  color  bianco 
perchè  rifrange  maggiormente  il  calore,  di  più,  spesso  la  calce  ha  la 
facoltà  di  favorire  la  vegetazione  e  di  essere  anticrittogamica. 

Si  ottiene  anche  buon  risultato,  avvolgendo  i  fusti  con  della  corda 
di  paglia,  ma  il  riparo  serve  di  rifugio  agli  insetti.  Conviene  in  ogni 
caso,  al  cessare  dei  forti  calori  dell'estate,  di  levare  questo  rivestimento. 

5.  —  Se  le  piante,  ad  onta  di  queste  cure,  cominciano  ad  appas- 
sire, si  può  ricorrere  ad  un  ultimo  mezzo  e  cioè  alla  spruzzatura  dei 
rami  con  dell'acqua  dopo  il  tramonto  del  sole,  mediante  una  pompa 
irroratrice. 

Quando  entro  la  metà  di  giugno  si  trova  che  qualche  pianta,  pur 
rimanendo  verde  non  ha  preso  a  vegetare,  conviene  strapparla,  e  la- 
sciarla colle  radici  sommerse  per  una  giornata  nell'acqua  in  cui  si 
siano  stemperate  2  parti  di  sterco  bovino  ed  una  di  terra  argillosa. 
Quindi  si  rinnova  il  taglio  delle  radici,  si  tolgono  quelle  imbrunite  e  si 
pianta  con  molta  cura,  con  molto  terriccio  ed  annaffiando  abbondan- 
temente ogni  giorno  e  coprendo  il  terreno  con  stallatico. 


XX. 

Cure  annuali  alle  piante  da  frutto. 

//  raddrizzamenlo  delle  piatile  e  la  cura  alle  radici. 

1.  —  Nel  primo  anno  basta  mantenere  il  terreno  costantemente 
soffice  e  mondato  dalle  malerbe  almeno  per  un  metro  attorno  al  fusto. 
Poi  si  cominciano  a  fare  tutte  le  operazioni  di  taglio  indicate  nella 
Parte  IV,  per  ottenere  la  forma,  nonché  tutte  quelle  indicate  nella 
Parte  111,  cap.  IX,  e  cioè  la   slegatura  dei  tutori,  le  mondature,  la  gua- 


—  261  - 

rigione  delle  ferite,  lo  scortecciamento,  i  tagli  di  ringiovanimento  e  la 
palizzatura,  di  mano  in  mano  che  la  stagione  e  l'età  lo  richiedono. 

2.  ~  Molte  volte  avviene  che,  o  per  un  impianto  mal  fallo,  o  per 
il  vento,  o  infine  per  il  soverchio  carico  di  frutta,  il  fusto  dellL'  piante 
non  rimane  diritto.  Bisogna  provveder  suhito  a  questo  inconveniente, 
altrimenti  il  colletto  si  indebolisce  in  modo  da  render  la  i)ianta  meno 
resistente  ai  venti. 

Nel  caso  in  cui  il  fusto  si  sia  piegalo  causa  un  impianto  imperfello, 
che  può  avvenire  comprimendo  il  terreno  sulle  radici  più  da  una  parte 
che  dall'altra,  si  può  facilmente  rimediare  nel  primo  inverno,  levando 
la  terra  attorno  alle  radici  e  quindi,  a  forza  di  braccia  e  con  cura,  per 
non  rompere  le  radici  stesse,  si  porta  il  fusto  nella  direzione  verticale 
voluta.  Fatto  questo,  si  piantano  nel  terreno  due  pali  in  croce,  inclinati 
contro  il  fusto  ed  a  questi  lo  si  assicura.  Si  ricopre  (piindi  colla  me- 
desima terra  che  è  stata  levata. 

La  stessa  operazione  si  deve  lare  quando  gli  alberi  si  sono  |)iegali 
per  il  vento;  ma  allora  bisogna  badare  a  togliere  dal  terreno  le  radici 
rimaste  rotte.  Nel  ricoprire,  si  abbia  cura  di  adoperare  anche  del  buon 
terriccio,  specialmente  dalla  parte  in  cui  si  sono  rotte  delle  radici,  e 
ciò  per  favorire  Io  sviluppo  di  altre. 

Una  pianta,  collocata  a  dimora,  dimostra  dal  primo  anno  di  svi- 
luppo, se  l'impianto  è  stato  fatto  bene.  Le  foglie  di  un  bel  colore 
verde  cupo,  i  germogli  vigorosi,  sono  indizi  certi  che  le  radici  si  tro- 
vano in  un  ambiente  incco  di  materiali  nutritivi  e  si  possono  espan- 
dere. Ciò  si  ottiene  con  una  profonda  ed  accurata  lavorazione  del  ter- 
reno, nonché  con  una  appropriata  concimazione. 

3.  —  Successivamente,  bisogna  curare  lo  sviluppo  delle  radici. 
Dopo  tre  anni,  le  piante  avranno  esplorato  il  terreno  smosso  colla 
fossa  per  m,  1,-5  di  lato,  perciò  bisogna  scavare  una  fossa  intorno  di 
cm.  50,  profonda  (50-70,  che  si  concima  e  si  migliora  a  dovere.  Cosi  si 
continua  di  3  in  3  anni. 

Se  fra  le  piante  c'è  (pialche  coltivazione  campestre  (prato,  ecc.) 
bisogna  lavorare  il  terreno  intorno  alla  pianta  per  m.  1,."ì()  e  periodica- 
mente concimarlo  per  impedire  che  le  radici  si  dillondano. 

4.  —  Finche  le  piante  sono  giovani,  si  può  senza  inconvenienti, 
rispettando  la  distanza  di  m.  \,nO,  coltivare  quali  colture  intercalari 
delle  piante  erbacee  e  specialmente  degli  ortaggi.  Le  patate  a  rapido 
sviluppo,  precoci,  si  possono  alternare  con  fagioli  o  piselli  nani,  fra- 
gole, cavoli.  Con  questi  prodotti  si  riesce  a  ricavare  nei  primi  armi  le 
spese  di  mantenimento  del  frutteto. 


—  262  — 

XXI. 
Trapianto  di  alberi  adulti. 

Si  possono  trapiantare  con  successo  alberi  già  sviluppati  qualora 
però  non  abbiano  un'età  maggiore  di  10  anni  ed  un  diametro  del  fusto 
non  superiore  di  20  cm.  Si  possono  trapiantare  anche  degli  alberi  più 
vecchi  e  di  maggiore  dimensione,  ma  per  questi  il  risultato  é  più 
incerto. 

Le  piante  da  trapiantare  devono  essere  sane,  rigogliose,  avere  una 
bella  fronda,  delle  radici  sane,  ben  sviluppate  e  non  intaccate  da  mu- 
schi e  licheni. 

Gli  alberi  giovani  oltre  essere  più  vigorosi  germogliano  più  presto, 
ma  trapiantando  degli  alberi  adulti,  si  gode  più  presto  il  frutto. 


JXM^ 


Fig.  216.  —  Preparazione  della  fossa  per  trapiantare  un  albero  adulto 

L'estirpazione  e  l'impianto  si  fa  durante  il  riposo  della  vegetazione 
e  la  preparazione  della  pianta  per  il  trapianto  in  luglio  od  agosto. 

1.  —  La  preparazione  della  pianta  che  si  vuol  trapiantare  consiste 
(Fig.  216)  nel  scavare  una  fossa  intorno  al  fusto  in  luglio  o  nell'agosto 
precedente,  ossia  quando  i  germogli  dell'annata  si  sono  lignificati.  Questa 
fossa  si  fa  un  metro  distante  dal  fusto  e  per  una  larghezza  da  80  cen- 
timetri ad  un  metro,  in  modo  che  possa  penetrarvi  comodamente  un 
operaio  per  lavorare.  La  profondità  varia  collo  sviluppo  delle  radici. 
In  ogni  caso  mai  inferiore  ad  1  metro  né  inferiore  a  m.  1,30.  Facendo 
questa  fossa  si  tagliano  con  buon  potatoio  lungo  le  pareti  interne,  le 
radici  che  sporgono.  Arrivati  al  fondo,  con  dei  pali  si  vanno  a  trovare, 
per  tagliarle,  le  radici  che  sono  verticali  e  che  si  approfondiscono. 

Fatta  questa  operazione  si  riempie  di  nuovo  la  fossa  con  la  terra 
scavata  mescolandovi  però,  contro  la  parete  interna  del  buon  terriccio. 

Colmata  la  fossa  si  bagna  abbondantemente. 


—  263  - 

Il  lettore  avrà  compreso  che  si  fa  questo  lavoro  per  provocare  dal 
luglio  in  avanti  lo  sviluppo  di  radici  novelle  le  quali,  essendo  più  at- 
tive, faciliteranno  l'attecchimento  (Fi{|.  217). 

2.  —  Preparazione  del  terreno  destinalo  al  collocamento  delta  pianta. 
Nel  luogo  destinato  all'impianto,  si  scavano  prima  dell'inverno  le  bu- 
che destinate  a  ricevere  le  piante,  che  saranno  della  dimensione  di 
due  metri  di  raggio  almeno,  poiché  devono  trovar  posto  comodamente 
tutte  le  radici  anche  nuove  della  pianta.  La  profondità  varierà  da  80 
a  100  centimetri. 

La  terra  scavata  si  stralifìcacon  letame  ed  altri  concimi  di  cui  abbiamo 
parlato  nel  Gap.  XVll  pag.  254  e  si  bagna  con  colaticcio  o  cessino. 


fi 


Fig.  217.  —  Kffetto  della  preparazione  precedente 

Sei  od  otto  settimane  prima  del  trapianto,  si  riversa  la  terra  cor- 
retta nella  buca  riempiendola  a  metà. 

3.  —  In  primavera,  tosto  che  il  tempo  lo  |)ermelta,  e  quando  il 
terreno  è  riscaldato  si  disotlerraiw  gli  alberi  destinati  al  trapianto.  Vo- 
lendo fare  un  trapianto  simile  in  autunno,  bisogna  operare  presto 
prima  che  il  terreno  si  rallVeddi. 

Si  leva  la  terra  della  superlìcie  e  {|uella  della  fossa  scavala  nel- 
l'agosto precedente  e  di  mano  in  mano  che  si  discende,  con  un  bastone 
acuminato  si  leva  la  terra  fra  le  radici  in  modo  da  lasciarle  un  poco 
alla  volta  completamente  libere  e  intatte.  Arrivati  sul  fondo,  spostando 
il  fusto  da  destra  a  sinistra,  si  riesce  ad  estirparlo. 

Ciò  fatto  si  alza  l'albero  con  carrucole  o  con  stanglie  legate  al 
tronco  e  lo  si  trasporta  alla  nuova  dimora. 

4.  —  Trattandosi  di  piante  ornamentali  o  sempre  verdi  oppure 
volendo  trasportare  delle  piante  durante  il  corso  della  vegetazione,  si 
fa  il  trasporto  col  pane  di  terra.  A  tal  line  si  riveste  il  pane  di  terra 
con  della  tela  di  sacco  o  si  adoperano  degli  assiti  speciali  che  si  uni- 
scono fra  loro  in  modo  da  formare  una  specie  di  cassa,  la  «juale  si 
solleva  dal  fondo,  facendola  scorrere  sopra  un  piano  inclinato  che 
parte  dal  fondo  della  fossa  e  va  alla  superlicie  del  terreno. 

5.  —  Prima  di  collocare  la  pianta  nella  buca,  si  taqliano  le  radici 
che  eventualmente  si  sono  lacerate.  Dei  rami  si  tolgono  quelli  superllui, 


-  264  - 

rotti  e  si  lasciano  specialmente  intatti  quelli  più  giovani  e  vigorosi 
che  sono  i  primi    a  germogliare  e  facilitano   con    ciò    l'attecchimento. 

Dovendo  accorciare  molto  le  radici,  bisogna  anclie  in  proporzione 
accorciare  i  rami,  per  stabilire  l'equilibrio. 

Si  avrà  cura  di  coprire  le  ferite  con  mastice  mentre  alle  radici 
si  farà  un  inzaflardamento  (vedi  pag.  253). 

6.  —  Fatto  ciò  si  pone  Valbevo  nella  nuova  dimora  badando  che  i 
rami  vengano  a  trovarsi  nella  medesima  esposizione  di  prima  e  cioè 
quelli  che  erano  a  mezzodì  devono  trovarsi  pure  a  mezzodi. 

A  tale  scopo  è  meglio  segnare  con  calce  prima  dell'  estirpamento 
il  ramo  esposto  a  mezzodi  e  cosi  pure  il  punto  di  livello  del  terreno 
a  cui  si  trovava  la  pianta,  per  collocarla  alla  stessa  profondità. 

7.  —  Messo  a  posto  l'albero,  si  copriranno  le  radici  con  la  terra 
migliore  ed  asciutta,  mescolandovi  anche  del  terriccio  ben  decomposto. 
Per  evitare  che  fra  le  radici  rimangano  degli  spazii  vuoti,  si  me- 
scola alla  terra,  se  possibile,  della  torba  imbevuta  di  urina  e  la  si  com- 
prime bene  contro  le  radici  col  piatto  del  badile.  Infine  si  colloca  la 
rimanente  terra  scavata  facendo  una  specie  di  rialzo,  come  abbiamo 
parlato  trattando  dell'impianto  in  generale. 

L'albero  appena  piantato  non  potrà  rimanere  verticale  senza  ap- 
poggio ed  a  tal  fine  si  legheranno  con  filo  di  ferro  i  suoi  rami  più 
grossi  a  3  picchetti  equidistanti  e  collocati   a    m.  2,50  a  4  dal    terreno. 

Per  impedire  che  il  terreno  inaridisca,  è  indispensabile  di  coprirlo 
con  dello  stallatico  o  paglia. 

Se  il  tempo  si  mantiene  asciutto  bisogna  bagnare  abbondantemente 
il  terreno  in  ragione  di  un  ettolitro  d'acqua  per    m.-'  e   per   settimana. 

Il  fusto  ed  i  rami  bisogno  poi  imbiancarli  come  abbiamo  già  par- 
lato a  pag.  113. 


XXII. 

Lavori  annuali  del  terreno.  -  Mezzi  per  evitare  i  danni 
dell'aridità.  -  Sostituzione  delle  piante  morte.  -  Cure 
alle  piante  sommerse  da  alluvione.  -  Avvicenda- 
mento e  consociazione  delle  piante  da  frutto. 

1.  Come  tutte  le  piante  coltivate,  anche  quelle  da  frutto  ricliiedono 
che  il  terreno  sia  mantenuto  soffice  e  mondato  dalle  malerbe. 

Le  fig.  218  e  219  dimostrano  la  differenza  di  sviluppo  di  due  piante 
di  melo  della  medesima  età,  cresciute  in  terreno  lavorato  e  non  la- 
vorato. 

Lo  sviluppo  delle  radici  dipende  non  soltanto  dalla  qualità  del 
terreno   ma   anche   dalla   lavorazione  a  cui   esso  viene   sottoposto.  La 


265  - 


differenza  di  sviluppo  delle  radici  dimostra  l'importanza  che  ha  per 
l'alimentazione  delle  piante  la  cura  al  terreno.  La  cotica  erbosa  non 
fa  che  impedire  all'acqua  di  penetrare  nel  terreno  ed  aumenta  levapo- 


razione.  La  (ìg.  219  dimostra  che 
superficiale  del  terreno  suflicienle 
quantità  di  elementi  assimilabili, 
approfondi  le  sue  radici  lino  dove 
le  radici  delle  erbe  non  arrivano. 


pianta,  non   trovando  nello  strato 


Fig.  218.  —  Pianta  di  melo  cresciuta  in 
un  terreno  costantemente  lavorato  e 
mondato  da  malerbe. 


Fig.  219.  —  Pianta  di  melo  della  medesima 
età  della  precendente.  cresciuta  in  un  ter- 
reno non  lavoralo  e  non  mondalo  da  erbe. 


Il  terreno  deve  essere  quindi  costantemente  lavorato  per  m.  1  a  l,5() 
intorno  alla  pianta.  Specialmente  importante  é  questo  lavoro,  come  ho 
detto,  pei  terreni  sciolti  che  perdono  facilmente  l'umidità.  Col  lavoro 
si  rendono  anche  più  attivi  i  bacilli  del  terreno. 

Alcuni  avrebbero  ottenuto  dei  buoni  risultati  colla  mcollimi  ne, 
vigneli.    Io   davvero   non    mi    so   spiegare   questi   buoni   risultati.   Per 


-  266  - 

((uanta  esperienza  io  abbia  fatta  non  mi  è  mai  accaduto  di  verificare 
dei  casi  simili  e  per  mio  conto  ritengo  che  la  incoltura  è  sinonimo  di 
abbandono  del  prodotto. 

Naturalmente  non  tutte  le  piante  risentono  eguali  vantaggi  colla 
lavorazione.  Il  pero,  la  vite,  che  hanno  radici  profonde  ne  risentono 
meno  del  pesco,  del  susino,  del  fico,  del  melo,  che  hanno  radici  più 
superficiali.  Le  piante  vecchie,  aventi  radici  profonde,  in  genere  hanno 
minor  bisogno  di  lavori. 

Nel  fare  la  lavorazione  del  terreno  bisogna  aver  cura  di  non  offen- 
dere le  radici  e  perciò  è  consigliabile  per  le  piante  con  radici  super- 
ficiali e  per  tutte  le  piante  giovani,  di  lavorare  con  una  vanga  corta 
oppure  anche  con  una  vanga  tridente  (fig.  6). 

Alle  piante  da  frutto  occorrono  tre  lavorazioni  all'anno  e  cioè  una 
vangatura  (prima  che  le  piante  entrino  in  vegetazione  ed  a  potatura 
compiala)  e  due  zappature. 

Le  zappature  hanno  per  iscopo  di  distruggere  le  malerbe,  mante- 
nendo soffice  la  superfìcie  del  terreno  evitando  che  si  asciughi  troppo 
durante  l'estate. 

La  prima  zappatura  si  fa  dopo  la  scacchiatura  e  prima  cimatura 
delle  piante,  e  cioè  intorno  alla  line  di  maggio  o  nei  primi  giorni  di 
giugno.  La  seconda  zappatura  si  fa  in  agosto  ed  ha  lo  scopo  di  evitare 
l'aridità  al  terreno  e  di  distruggere  le  malerbe.  E'  bene  farla  due  o  tre 
giorni  dopo  la  prima  pioggia  di  agosto. 

2.  Aridità  del  terreno.  —  Le  piante  da  fruttò,  specialmente  i  nuovi 
impianti,  soffrono  molto  per  l'aridità  del  terreno,  che  si  deve  evitare. 
Il  mezzo  più  efficace  perciò,  è  quello  della  preventiva  lavorazione  pro- 
fonda del  terreno  destinato  per  l'impianto.  Le  radici,  hanno  l'istinto 
di  approfondirsi  quanto  più  il  terreno  è  secco,  perciò  è  evidente,  che 
con  uno  scasso  profondo,  si  estenderanno  per  trovare  la  necessaria 
freschezza. 

E'  molto  utile  anche  di  evitare  l'impianto  di  alberi  innestati  su 
soggetti  che  soffrono  per  la  siccità.  Per  i  terreni  secchi,  bisogna  te- 
nersi al  franco,  abbandonare  il  cotogno  per  soggetto  del  pero,  così 
])ure  il  pomo  paradiso  pel  melo  ed  il  susino  per  le  piante  a  nocciuolo. 
Le  loi-o  radici  stanno  troppo  alla  superficie  e  perciò  sono  troppo 
esposte  alla  siccità.  Il  pomo  è  meglio  innestarlo  sul  dolcigno,  il  pesco 
sul  mandorlo,  cosi  pure  l'albicocco  ed  il  prugno.  Quest'ultimo  si  può 
anche  iniìeslare  sul  mirabolano,  che  ha  delle  radici  verticali  e  profonde. 

Attorno  alle  piante  di  recente  piantagione,  è  utile  coprire  il  terreno 
dopo  la  prima  zappatura,  con  della  paglia  o  della  lettiera  qualunque, 
per  trattenere  l'umidità  più  che  sia  possibile.  Nelle  terre  compatte  oc- 
corrono le  zappature  frequenti. 

Infine,  per  combattere  energicamente  l'aridità  del  terreno,  sono 
utili  gli  annaffiamenti  nel  primo  anno  dell'impianto,  tanto  più  fre- 
quenti quanto  più  il  terreno  va  soggetto,  per  propria  natura  o  per  po- 
sizione, alla  siccità. 


-  267  - 

Negli  anni  successivi  si  può  ricorrere  alla  irrigazione  la  quale, 
come  vedremo  in  un  espresso  capitolo  più  avanti,  è  \ùù  necessaria  in 
via  generale  di  quello  che  si  crede. 

3.  Sostituzione  delle  piante  morte.  —  Trattandosi  di  sostituire  molte 
piante  in  un  sito  ristretto,  quale  sarebbe  un  frutteto,  conviene  lasciare 
in  riposo  il  terreno  per  5  o  6  anni,  coltivandolo  con  piante  che 
richiedono  abbondanti  concimazioni;  —  poi  si  potr;i  ellettuare  l'im- 
pianto. 

Invece  di  sostituire  una  pianta  messa  a  posto  da  uno  o  due  anni, 
conviene  rinnovare  la  buca  in  autunno,  facendola  più  lar^a  di  (|uella 
fatta  al  momento  dell'impianto,  ed  in  primavera  si  ripianta,  poiiandovi, 
se  possibile,  della  terra  nuova. 

Volendo  invece  sostituire  una  pianta  morta  per  vecchiaia  o  che 
da  lunghi  anni  si  trovava  in  quel  posto,  è  prudente  di  non  mettere 
in  quel  sito  una  pianta  della  stessa  specie.  Cosi,  se  prima  era  una 
pianta  a  granella,  converrebbe  sostituirla  con  una  a  nocciuolo  od  al- 
meno, se  prima  c'era,  per  esempio,  un  pero  innestato  sul  cotogno,  so- 
stituirlo con  uno  innestato  sul  franco. 

Non  potendo  far  questo,  in  autumio  si  apre  la  buca  sul  sito  in  cui 
si  trovava  la  pianta,  e,  di  mano  in  mano  che  viene  portata  fuori,  si 
deve  pulire  la  terra  da  tutti  i  rimasugli  di  radici.  La  buca  viene  poi 
lasciata  aperta  tutto  l'inverno,  e  se  la  pianta  è  morta  in  primavera,  si 
deve  fare  la  buca  subito  per  lasciare  esposta  la  terra  anche  al  caldo 
dell'estate. 

Giunta  la  primavera,  è  molto  utile  di  portare  della  nuova  terra 
riposata,  almeno  quanta  ne  occorre  a  formare  un  mezzo  metro  di 
strato  intorno  alle  radici.  Si  procede  poi  all'impianto  nel  modo  che 
ho  già  suggerito  a  suo  tempo,  adoperando  mollo  concime  di  costituzione 
complessa. 

In  ogni  caso  avverto  gli  agricoltori,  che  la  sostituzione  delle  piante 
morte  con  altre  di  eguale  qualità  è  una  delle  cose  a  cui  bisogna  pre- 
stare la  maggiore  accuratezza  per  riuscire. 

4.  Care  alle  piante  sommerse  da  alluvione.  —  Dopo  le  alluvioni  il 
terreno  viene  coperto  da  un  limo  il  quale  impedisce  all'aria  di  pene- 
trare rendendo  inattive  le  radici.  E'  perciò  necessario  di  fare  appena 
possibile  una  buona  vangatura  profonda  e  nel  caso  in  cui  piante  aves- 
sero manifestamente  sofferto  bisogna  ricorrere  ad  una  concimazione 
complessa  con  concimi  chimici. 

Tre  formole,  che  in  un  simile  caso  mi  diedero  buoni  risultali,  sono 
le  seguenti  : 

Per  le  piante  a  granella  in  un  frutteto  in  cui  le  piante  a  mezzo 
vento  si  trovavano  alla  distanza  di  5  metri 

i   Kg.  550  di  perfosfato 
Form.  IV         „    160  di  cloruro  potassico 
(     „    200  di  nitrato  di  soda 


-  268  — 

Se  le  ])iaiite  non  sono  clorotiche  ma  vigorose,  si  può  omnieltere 
il  nitrato  di  soda. 

Per  le  piante  allevate  a  vaso,  a  cordone,  a  fuso,  a  piramide  si  pos- 
sono dare  300  gr.  per  metro  quadrato,  dalle  seguenti  tre  miscele. 

Per  le  piante  a  granella 

Kg.  1,500  di  solfato  ammonico 
„    4  „  perfosfato  16-18% 

Form.  V   {      „    1  „  cloruro  potassico 

gesso 
solfato  di  fei"ro 


ì'j 


Per  le  piante  a  nocciolo 


Kg.  1,500  di  solfato  ammonico 
„    2  „  perfosfato  16-18  7„ 

Form.  VI   /     „    1  „  cloruro  potassico 


gesso 


\      „    1  „  solfato  di  ferro 

Per  le  jìiante  a  nocciolo  giovani,  molto  deboli  ' 

!Kg.  2  corna  torrefatte 
.,  12  perfosfato  16-18  7o 
„    2  sollato  di  potassa 
^     .,    5  nitrato  di  soda 

5.  Avvicendamento  e  consociazione.  —  Anche  per  le  piante  da  frutto 
occorre  avere  delle  avvertenze  nella  successione  e  consociazione  come 
per  le  piante   erbacee. 

In  via  generale  si  raccomanda  di  non  piantare  una  pianta  dove  è 
stata  estirpata  un'altra  della  medesima  specie,  ammenoché  non  si  tratti 
di  sostituirne  una  giovane  deperita  dopo  uno  o  soli  due  anni  di  im- 
pianto. Se  muoiono  delle  piante  isolate  conviene  lasciare  lo  spazio  li- 
bero perchè  ne  avvantaggeranno  le  altre. 

Quando  invece  si  deve  rinnovare  un  intero  appezzamento  allora 
conviene  lasciare  il  terreno  per  tre  o  quattro  anni  in  riposo,  ossia 
coltivandovi  dapprima  per  uno  o  due  anni  del  frumento,  dell'avena,  che 
riescono  molto  bene  e  poi  si  fanno  dei  lavori  più  profondi  per  estir- 
pare Io  radici  rimaste  e  per  coltivare  delle  patate,  barbabietole  od  altre 
piante  sarchiate. 

Assicurati  che  il  terreno  sia  ben  mondato  dalle  radici  delle  piante 
estirpate,  si  potrà  procedere  al  nuovo  impianto  e  sarà  meglio  piantare 
delle  piante  a  nocciolo  dove  erano  delle  piante  a  granella  od  a  bacca. 

La  consociazione  può  farsi  con  le  piante  erbacee  stabile  o  tempo- 
ranea. 


-  269  - 

La  consociazione  stabile  si  fa  nei  broli,  nelle  piantagioni  campe- 
stri, utilizzando  gli  interfìlari  con  dei  cereali,  prati,  avvicendati,  ortaggi, 
piante  sarchiate,  ecc. 

E'  temporanea  come  abbiamo  visto  nel  Cap.  \X  pag.  2(il  i|ii:indo  si 
utilizza  il  terreno  nei  primi  anni  dell'inipianlo.  prima  che  le  i)iniile  da 
frutto  occupino  tutto  il  terreno. 

E'  utile  ed  anzi  mollo  vantaggioso  in  una  gran  parte  di  casi,  di 
consociare  più  specie  di  piante  da  frutto  nel  medesimo  appezzamento. 
Cosi  si  assicura  un  buon  prodotto  medio  poiché  si  utilizzano  le  pro- 
prietà medie  della  maggior  parte  dei  terreni  e  si  rendoìio  meno  sensi- 
bili i  danni  per  le  cause  nemiche,  le  quali,  raramente  colpiscono  con- 
temporaneamente ed  in  eguale  misura,  tutte    le    specie. 

Naturalmente  bisognerà  curare  che  le  singole  specie  occupino  cia- 
scuna un  filare,  poiché  come  é  dannoso  di  alternare  sul  medesimo 
filare  forme  diverse  cosi  non  è  vantaggioso  di  alternare  |)iii  specie. 

Nella  mia  pratica  trovai  vantaggioso  nei  frutteti  con  piante  a 
mezzo  o  pieno  vento  di  fare  degli  interlìlari  di  peschi,  di  ribes,  uva 
spina,  lampone  che  poi  estirpavo  dopo  10  anni  quando,  k-  piante  a 
mezzo  o  pieno  vento  occupavano  maggiore  spazio. 


XXIII. 
Trasformazione  in  frutteto  di  un  vigneto  fillosserato. 

La  coltivazione  delle  piante  da  frutto  in  un  vigneto  colpito  dalla 
fillossera  devesi  fare  in  modo  che  venga  a  costare  il  meno  possibile  e 
che  il  rispettivo  mantenimento  non  procuri  soverchio  aggravio  al  |)ro- 
prietario.  Si  devono  infine  produrre  frulla  di  grande  commercio,  ri- 
chieste dalla  popolazione  e  che  con  facilità  si  possano  trasportare  e 
conservare  senza  soffrir  danni.  In  una  parola  si  deve  fare  una  coltiva- 
zione estensiva  ed  é  con  tali  criteri  che  ho  dettato  (|uesto  ca|)itolo. 

Le  piante  da  frutto  che  possono  convenire  per  sostituire  la  vigna 
sono  gli  agrumi  ed  il  mandorlo  nell'Italia  meridionale;  il  pero,  il  su- 
sino, il  pesco,  l'albicocco  nell'Italia  centrale;  il  pero,  melo,  pesco  e 
susino  nell'Italia  settentrionale. 

Quando  l'infezione  fiUosserica  é  stala  constatata,  si  proceda  al- 
l'impianto  negli  interfìlari  cosi  che,  nei  loro  primi  anni  avendo  gli 
alberi  poca  fronda,  danneggiano  poco  le  vili  e  quando  (piesle  per 
la  fillossera  muoiono,  entrano  in  fruttificazione  le  piante  da  frullo. 

Nella  fig.  220  è  rappresentalo  un  vigneto  da  me  ridotto  a  pescheto. 
Le  viti  erano  piantate  (a)  ad  un  metro  di  distanza  su  tutti  e  due  i  lati 
ed  a  fdari  da  Nord  a  Sud.  Appena  apparve  la  fillossera  piantai  dei  pe- 
schi di  un  anno  (in  P)  facendo  delle  buche  nel  mezzo  di  ogni  terzo 
inlerfilare,  come  si  vede  nella  figura  ed  a  distanza    di    m.  3  sulla    fila. 


—  270  - 

In  tal  modo  non  disturbai  punto  le  viti  e,  quando  i  peschi  entrarono  in 
completo  periodo  di  fruttificazione  le  viti  pur  troppo  non  esistevano  più. 

Ho  creduto  bene  di  allegare  questa  illustrazione  per  dimostrare 
graficamente  come  si  deve  procedere  nell'impianto  di  un  frutteto  in 
successione  di  una  vigna. 

Naturalmente  bisogna  modificare  le  distanze  a  seconda  della  specie. 


N 


Oeo®  ©  «  ©b 


©    g    © 


Fig.  220.    -  Sistema  tli  riduzione  di  un  vigneto  lillosseralo  in  pescheto. 


XXIV. 
Le  piante  infruttifere. 


Non  si  può  negare,  che  anche  fra  le  piante  da  frutto,  come  in  tutti 
gli  esseri  organizzati,  sì  possono  trovare  dei  soggetti  affatto  sterili. 

11  detto  fenomeno  però  è  ben  raro  e  verificandosi  conviene  natu- 
ralmente innestarlo. 

Spesso  però  avviene,  e  specialmente  negli  impianti  vecchi,  fra  le 
piante  di  alto  fusto  o  nelle  piramidi,  che  per  anni  ed  anni  non  si  ri- 
cavano che  meschinissimi  prodotti.  Conviene  quindi  studiare  anche 
l'infruttuosità  e  vedere  quali  sono  le  cause  che  la  possono  procurare 
e  quali  i  mezzi  per  rimediarvi. 

Le  cause  che  possono  rendere  infruttifera  una  pianta  sono  multi- 
ple e  noi  le  passeremo  in  rassegna. 


-  271  - 

1.  Clima  e  terreno  non  (ulcUli.  —  Noi  sappiamo  che  ogni  pianta  ha 
le  sue  esigenze  dì  clima  e  di  terreno.  i/ini[)ianto  d'una  specie  e  va- 
rietà, senza  aver  fatto  prima  delle  prove  di  adallaniento,  può  condurre 
appunto  a  questi  infelici  risultali.  Molte  volte  poi  avviene,  che  il  friil- 
ticoltore  ritiene  coUarte,  di  procurare  alla  sua  piantagione  ìv  dovute 
condizioni  di  riuscita,  ma  non  sempre  riesce,  e  la  lotta  essendo  all'alto 
impari,  il  coltivatore  ha  quasi  sempre  la  peggio. 

Ad  esempio,  noi  sappiamo  che  il  melo  esige  un  leri-eno  :ibbasl:ni/.a 
fertile,  fresco  e  profondo;  il  pero  un  terreno  asciutto,  profondo  e  caldo; 
facendo  l'impianto  in  condizioni  opposte,  è  ovvio  il  dire  che  quelle 
piante  non  si  distingueranno  per  pi'oduttività.  Notisi  poi,  che  nelle 
piantagioni  vecchie,  si  trovano  delle  varietà  che  riescono  soltanto  in 
posizioni  mollo  privilegiate,  mentre  una  volta  riesci  vano  (iniicrliillo. 
Fra  queste  le  pere:  Passa  tutti,  Virgolose,  Spina  Carpi. 

Sotto  questo  riguardo  devesi  consigliare  : 

1."  Di  non  introdurre  delle  varietà  delicate  per  clima  e  U'rrenn. 
se  non  si  hanno  larghi  mezzi  per  difenderle. 

2."  Di  scegliere  sempre  delle  varietà  piuttosto  rustiche,  che  liori- 
scono  tardi  e  che  si  dispongono  a  fruttilìcare  anche  in  seguilo  ad 
annate  umide  e  fredde. 

2.  La  forma,  il  taglio  e  lo  soiluppo  liato  (din  pianla.  —  Se  noi  vo- 
gliamo ad  ogni  costo  allevare  una  pianta  vigorosa,  innestata  sul  franco 
o  su  altro  soggetto  pure  vigoroso,  dandogli  una  forma  ristretta,  è  certo 
che  la  produttività  ne  viene  a  soffrire.  Ad  esempio,  sarebbe  \\\\  errore 
voler  allevare  a  cordone  verticale  permanente  l'uva  lugliatica,  mentre 
è  noto  che  questa  varietà  esige  taglio  lungo. 

Così  non  si  può  pretendere  che  dei  meli  innestati  sul  franco,  diano 
dei  cordoni  orizzontali  produttivi  ;  altrettanto  succede  volendo  allevare 
dei  susini  o  ciliegi  a  forma  nana.  Hpperciò  una  data  specie  e  varietà 
di  frutta,  non  si  deve  allevare  che  colla  forma  suggerita  dall'esperienza 
e  con  la  quale  si  è  sicuri  di  ottenere  copioso  prodotto. 

3.  La  scella  del  aogijello  sn  cui  si  innesta.  -  Come  per  la  scelta 
della  specie  e  della  varietà,  cosi  bisogna  essere  accorti  nella  scella  del 
soggetto.  E'  evidente  che  se  questo  vien  piantato  in  un  terreno  non 
adatto,  non  può  neppure  dar  vita  feconda,  alia  varietà  che  vi  si  innesta. 

4.  L'impianto  troppo  fitto  e  profondo.  -  Nel  primo  caso  le  piante 
mancano  d'aria  e  di  luce  e  si  può  fare  il  diradamento;  nel  .secondo 
caso  le  radici  non  funzionano  bene  per  mancanza  d'aria,  ed  allora  si 
può  tentare  di  sollevare  la  pianta  (ino  a  che  il  colletto  viene  a  livello 
del  terreno,  o  levare  la  terra  attorno  la  pianta  oppure  Irapiantarlu. 

5.  L'impianto  nel  medesimo  sito  dorè  è  perita  una  pianta  di  cijuat 
specie.  -  Le  piante  poste  in  questa  condizione  non  soltanto  rie.scono 
infruttifere,  ma  anche  poco  vigorose.  Abbiamo  un  esem|)io  nei  nume- 
rosi rimpianti  di  gelsi  che  si  fanno  nelle  campagne  di  Lombardia,  h 
ben  raro  trovare  una  bella  riuscita,  ammenocché  la  terra  non  venga 
rinnovata  del  tutto  e  lautamente  concimata. 


—  272  — 

6.  Esaurimento  del  terreno  di  materie  fertilizzanti.  —  L'infruilnosità 
può  dipendere  dall'essersi  esaurito  il  suolo  dei  materiali  più  importanti 
per  l'alimentazione  vegetale.  L'esaurimento  lo  si  ha  in  particolar  modo 
negli  strati  inferiori,  dove  il  concime  dato  alla  superficie  non  può  ar- 
rivare, mentre  da  esso,  le  radici,  che  sono  profonde,  devono  trarne  il 
nutrimento.  A  questo  si  rimedia  : 

1.0  Scavando  delle  buche  dove  si  trovano  le  radici  attive  e  ver- 
sandovi dei  concimi  liquidi  adatti. 

2.0  Lavorando  profondamente  e  concimando  il  terreno  intorno  alla 
pianta,  con  stallatico  decomposto  corretto  con  concimi  chimici,  come 
viene  suggerito  nella  parte  VII  pag.  281  che  tratta  della  concimazione. 

7.  Esuberanza  nel  terreno  di  un  materiale  fertilizzante  piuttosto  che 
un'altro.  —  Noi  sappiamo  che  gli  elementi  principali  fertilizzanti  a  cui 
deve  provvedere  l'agricoltore  sono  l'azoto,  l'anidride  fosforica,  la  po- 
tassa e  la  calce.  Dall'aspetto  esterno  della  pianta  si  conosce  se  questa 
difetta  di  uno  od  altro  dei  materiali,  epperciò  il  frutticoitore  deve 
provvedere  con  appositi  concimi  supplementari,  pag.  287. 

8.  Esaurimento  della  pianta  per  abbondanti  prodotti  precedenti.  — 
Questa  può  essere  una  causa  momentanea  a  cui  presto  si  provvede 
con  abbondanti  concimazioni  e  tagliando  corto. 

9.  —  La  pianta  può  essere  troppo  giovane.  Specialmente  le  piante 
innestate  sul  franco  ritardano  a  portare  frutti  e  per  lo  più  la  loro  pro- 
duzione normale  comincia  dopo  8-10  anni  dall'impianto.  Non  è  sempre 
conveniente  di  affrettare  la  fruttificazione  perchè  la  pianta  si  esaurisce 
in  anticipazione,  però  tagliando  lungo  i  rami,  lasciando  intatti  i  brin- 
dilli  e  diradando  la  fronda,  si  arriva  a  sollecitare  la  produzione  di  frutta. 

10.  Trascuranza  nelle  cure  di  coltivazione.  —  Le  piante  poco  curate 
si  coprono  per  lo  più  di  muschi  e  licheni,  si  ingombrano  di  rami  inu- 
tili, e  vengono  invase  da  una  quantità  di  malattie  ed  insetti.  Convien 
diradare  i  rami,  togliendo  quelli  inutili,  accorciando  gli  altri,  raschiando 
dalla  corteccia  i  muschi  e  licheni  e  curandoli  delle  malattie  o  ferite 
che  possono  avere. 

Tutte  queste  si  possono  chiamare  cause  esterne  di  infruttuosità. 

Le  cause  interne  si  manifestano  o  con  una  esuberanza  di  vegeta- 
zione legnosa  o  col  deperimento  ed  esaurimento. 

IL  Esuberanza  di  vegetazione  legnosa.  —  Questa  si  manifesta  con 
uno  straordinario  rigoglio  della  pianta  che  continua  a  dare  delle  get- 
tate lunghe,  grosse,  a  meritalli  lunghi  ma  con  pochi  rami  fruttiferi. 

Meno  la  vite,  tutte  le  piante  da  frutto  troppo  rigogliose  danno  po- 
che frutta. 

L'eccesso  di  vigore  fa  colare  le  gemme  a  frutto,  i  fiori,  i  dardi  ; 
trasforma  in  rami  legnosi  i  brindilli.  Questo  avviene  se  le  piante  si 
trovano  nei  terreni  pingui  e  freschi,  ricchi  specialmente  di  azoto,  nei 
cortili  delle  case,  nelle  vicinanze  delle  concimaie,  negli  orti. 

Il  frutticoitore  deve  porre  ostacolo  alla  straordinaria  affiuenza  di 
linfa  per  ridurre  l'attività  vegetativa. 


-  273  - 

Questo  si  può  ottenere  : 

(tj  sopprimendo  una  buona  parie  dello  branche  centrali  che  im- 
pediscono la  circolazione  dell'aria  e  della  luce.  Fatta  questa  operazione 
nell'anno  successivo  si  lasci  la  pianta  senza  tagliare; 

b)  tagliando  le  radici  più  grosse  verticali  e  quelle  laterali  più 
attive,  facendo  un  fosso  profondo  e  largo  50  cm.  e  distante  m.  1  a  ÌSti) 
dal  fusto  ; 

e;  lasciando  scoperte  le  radici  all'aria  per  ima  (|uindicina  di 
giorni  nel  mese  di  agosto  ; 

dj  esaurendo  l'azoto  del  terreno  con  delle  coltivazioni  come  bar- 
babietole, lattughe,  cavoli,  ecc. 

e)  se  la  fioritura  è  abbondante  ed  i  frutti  cadono  subilo,  questo 
indica  che  mancano  gli  elementi  minerali  mentre  abbonda  l'azoto.  Si 
rimedia  dando  dei  concimi  fosfo  potassici,  con  una  delle  segucnli 
formole  per  metro  quadrato  di  terreno  occupato  dalle  radici. 

i  Scorie  Thomas gr.  150 

Form.  Vili  I  Solfato  potassico 60 

(  Calce  spenta  o  sfiorila     .     .      .,     1(X) 

i  Polvere  d'ossa gr.  l.")0 

Form.  IX  j  Kainite 210 

(  Calce  sfiorila 150 

nei  terreni  calcari 

:  Perfosfato  1(5-18  7, gr.  150 

Form.  X       Gesso 150 

'  Solfato  potassico     ......      fio 

Non  riuscendo  neanche  colla  concimazione,  si  ricorra  al  rimedio 
radicale  del  trapianto. 

12.  —  Potrebbe  darsi  il  caso  che  un  albero  si  arresti  di  fruttificare 
ad  una  data  età,  i)erchè  trova  un  sottosuolo  cattivo,  impermeabile  od 
acquitrinoso  e  le  radici  quindi  sono  costrette  ad  arrestarsi  nello  svi- 
luppo e  non  più  funzionare.  Abbiamo  in  tal  modo  il  deperimento. 

Bisogna  allora  lavorare  bene  il  terreno  intorno,  fare  dei  fossi  pro- 
fondi per  allontare  l'acqua  stagnante  e  fare  una  concimazione  ricosti- 
tuente, applicando  ad  esempio  la  seguente  formola  per  pianta  adulta 
di  3  metri  di  raggio  : 

/  Kg.  10         di  stallatico  ben  decomposto 
i    „     10  „  scorie 

Form.  XI  ^    „      4  „  solfato  potassico 

j    „      lì  „  nitrato  di  soda 

V    „      0,5000  „  cloruro  di  sodio 

Il  nitrato  di  soda  conviene  darlo  per  metà  in  primavera  e  l'altra 
metà  in  autunno  assieme  cogli  altri  concimi. 

18  —  TA^f.\no  -  Frutticoltura. 


—  274  - 

13.  —  U esaurimento  può  derivare  dall'eccesso  di  fruttilìcazione.  Si 
rimedia  favorendo  l'attività  e  lo  sviluppo  delle  radici,  e  curando  con 
opportuna  potatura  la  ])arte  aerea.  Si  favorisce  l'attività  e  lo  sviluppo 
delle  radici  lavorando  il  teri*eno  profondamente,  procurando  così  di 
allargare  la  zona  di  esplorazione  delle  radici  stesse.  Contemporanea- 
mente a  questo  lavoro,  si  deve  concimare  lautamente  con  concimi 
complessi,  quali  sono  i  terricciati  e,  durante  la  state,  si  deve  usare  il 
colaticcio  diluito  in  10  parti  d'acqua.  Al  sopraggiungere  della  prima- 
vera si  dà  ancora  la  seguente  miscela  per  m''' 

1  gr.  55  di  fosfato  di  potassa 
Form.  XII 

'    „    25    „    nitrato  di  potassa. 

Questa  miscela  si  può  impiegarla  anche  per  la  concimazione  liquida 
sciogliendone  gr.  150  per  ettolitro. 

Quando  invece  il  terreno  è  sufficientemente  ricco  d'azoto,  può 
darsi  il  caso,  e  questo  anche  avviene  di  frequente,  che  manchi  l'acido 
fosforico  e  la  potassa,  al  che  si  può  provvedere  con  concimi  artifi- 
ciali adoperando  le  formole  IV,  V  e  VI  oppure  soltanto  il  fosfato  di 
potassa  in  ragione  di  gr.  55  per  m".  Infine  una  pianta  può  trovarsi 
in  istato  di  deperimento  per  malattie  particolari,  quali  sono  la  gomma 
la  rogna,  oppure  per  ferite  non  curate,  per  colpi  di  sole,  e  allora  si 
curano  le  rispettive  malattie.  La  potatura  deve  essere  corta,  e  bisogna 
impedire  che  la  pianta  porti  frutti  nel  primo  e  secondo  anno  di  rico- 
stituzione. 

14.  —  Riassumendo,  chi  ha  delle  piante  infruttifere  esamini: 

1."  se  la  qualità  del  terreno  ed  il  clima  sono  confacenti  alla 
specie  e  qualità  che  coltiva,  nonché  al  soggetto  sopra  cui  è  innestata; 

2."  se  la  forma  e  la  potatura  sono  conformi  alle  esigenze 
della  varietà; 

3."  se  il  terreno  è  esaurito  di  materiali,  sia  per  mancanza  di  conci- 
mazione, sia  perchè  prima  c'era  una  pianta  identica  nel  medesimo  sito; 

4."  se  la  pianta  è  esaurita  per  abbondanza  di  produzione; 

5."  se  le  piante  sono  state  abbandonate  a  sé  stesse  senza  potatura 
e  senza  cura  contro  i  parassiti  ; 

6.0  se  le  piante  hanno  una  vegetazione  legnosa  troppo  rigogliosa; 

7.0  se  le  piante  sono  deperite  per  mancata  attività  delle  radici  o 
per  effetto  di  malattie. 

Non  presentandosi  alcuno  di  questi  casi,  bisogna  sacrificare  la 
pianta,  o  farvi  dei  sopra  innesti,  poiché  é  indizio  che  è  sterile  d'origine. 

15.  —  Il  frutticoitore  deve  sempre  tenere  in  mente,  che  la  produt- 
tività di  una  pianta  é  assicurata  quando  : 

a)  le  foglie  possono  funzionare  normalmente,  senza  parassiti,  e 
l'aria  e  la  luce  possono  circolare  liberamente  ; 

h)  le  gettate  non  sono  eccessive,  ma  in  giusta  proporzione  fra  la 
produzione  legnosa  e  la  fruttifera. 


275  — 


e)  il  tempo  di  luf,'lio  ed  agosto  dell'anno  precedente  è  slato  bello 
e  caldo,  in  modo  da  favorire  la  nutrizione  delle  gemine  fruttifere.  Ad 
ogni  buon  anno  di  uino,  segue  sempre  un  buon  anno  di  frulla. 

d)  la  vegetazione  della  pianta  è  sana  e  normale. 


XXV. 
Impollinazione  e  fruttificazione. 

(Nuove   ricerche  nel   campo   della   /rutlicollura). 

1.  —  Linneo,  avendo  trovato  che  nelle  piante  prevalgono  i  (lori 
ermafroditi,  li  ritenne  i  più  perfetti,  cioè  (|uelli  che  assicurano  mag- 
giormente la  buona  ed  al)bondante  frutlilìcazione.  I-Igli  credette  di 
spiegare  la  sua  asserzione  col  fatto  della  più  facile  fecondazione  es- 
sendoché, in  questi  fiori,  gli  slami  si  trovano  in  immediata  vicinanza 
dei  pistilli,  mentre  negli  altri  fiori  unisessuali,  i  detti  organi  si  trovano 
distanti.  E  con  ciò  espose  la  legge  detta  deWaulogamia  alfermando,  che 
la  fecondazione  è  maggiorinenle  assicurata,  quando  il  pistillo  riceve  il 
polline  dello  stesso  fiore. 

Le  ricerche  posteriori  hanno  però  constatato,  che  molte  piante 
hanno  soltanto  in  apparenza  dei  liori  ermafroditi,  poiché  nei  loro  liori 
si  trovano  bensì  gli  stami  vicini  ai  primordi  del  frutto,  ma  le  rispettive 
cellule  polliniche  sono  spesso  abortite  e  non  alle  perciò  a  fecondare. 
Viceversa,  in  molti  altri  fiori,  si  trovò  il  i)rimordio  del  fruito  alteralo 
e  non  atto  ad  essere  fecondato.  E  Darwin  anzi  dimostro  che  la  fecon- 
dazioni migliori,  quelle  che  danno  i  migliori  frulli,  i  semi  migliori  e 
le  piante  più  fertili,  più  robuste  e  vigorose,  sono  quelle  che  avvengono 
col  polline  apjjartenenle  ad  un'altra  pianta  della  slessa  specie.  Questa 
dicogamia  o  /econdazione  incrociala  la  ritenne  di  molto  superiore  al- 
Vautogamia  e  spiegò  che  il  trasporto  del  polline  avviene  principalmente 
per  opera  del  vento  e  degli  insetti.  Per  lo  più,  lìnchè  i  fiori  sono  ricchi 
di  nettare,  e  cioè  al  principio  della  fioritura,  la  visita  degli  inselli  è 
continua  e  perciò  continua  è  la  rispettiva  fecondazione  ;  più  lardi  quando 
manca  questa  attrazione  del  nettare,  quando  in  una  parola,  il  nettare 
inaridisce,  gli  insetti  fanno  delle  visite  più  rade  ed  è  allora  il  vento 
che  supplisce  alla  loro  azione. 

La  fecondazione  incrociata  non  è  da  confondersi  colla  ibridazione, 
la  quale  è  un  incrocio  fra  due  piante  appartenenti  a  specie   diversa. 

Si  osservò  pure,  che  mentre  il  suolo,  il  clima  e  le  altre  condizioni 
esteriori  hanno  una  influenza  notevole  sulla  formazione  delle  varietà, 
sulla  distribuzione  geografica  delle  piante  e  sulle  loro  immigrazioni, 
non  agisciscono  però  affatto  come  causa  diretta  a  produrre  dei  carat- 
teri nuovi,  ereditari  che   caratterizzano   le    nuove    specie   o    le   specie 


—  276  - 

incipienti.  Invece  la  generazione  alternante,  la  separazione  dei  sessi 
nello  spazio,  il  meraviglioso  processo  della  fecondazione  il  quale,  al 
principio  della  fìoi'itura  favorisce  l'ibridazione  e  soltanto  in  mancanza 
di  questa,  l' incrociamento  nella  medesima  specie,  producono  una  quan- 
tità sterminata  di  forme,  le  quali  possono  essere  adattate  alle  più  di- 
verse condizioni  del  terreno  e  del  clima.  Finché  non  avvenga  alcun 
mutamento  nelle  condizioni  climatiche,  la  maggior  parte  di  queste 
forme  ha  poco  probabilità  di  conservarsi  e  di  stabilirsi  come  specie 
fra  le  forme  vegetali  che  già  occupano  una  località.  Ma  se  avviene  un 
mutamento  di  clima  cosi  forte  da  diradare  i  rappresentanti  delle  specie 
primitive,  allora  esse  vengono  sostituite  dalle  nuove  forme  che  alle 
cambiate  condizioni  si  adattano  ed  abbiamo  con  ciò  le  nuove 
specie. 

Spiegata  in  tal  modo  la  formazione  delle  specie,  rispetto  alle  varietà 
diremo,  che  queste  mantengono  i  loro  caratteri  finché  permangono 
intorno  a  loro  le  condizioni  esteriori  in  cui  si  sono  formate.  Cambian- 
dosi queste  cambiano  anche  le  loro  proprietà.  Ed  é  cosi  che  ci  pos- 
siamo spiegare  le  degenerazioni  ed  anche  i  perfezionamenti  delle  varietà 
quando  queste  vengono  portate  in  ambienti  più  o  meno  dannosi.  Il 
frutticoitore,  per  ottere  la  trasmissione  diremo  così  fotografica  dei  ca- 
ratteri della  varietà,  ricorre  alla  riproduzione  agamica. 

Di  queste  leggi  naturali  il  frutticoitore  ha  già  un  concetto  sia 
pure  empirico  poiché  nella  pratica  egli  è  in  lotta  cogli  efi'etti  delle 
medesime.  Però  in  materia  di  ibridazione,  di  incrociamenti  e  di  im- 
pollinazione, sarebbero  necessari  degli  studi  ordinati  e  metodici  :  di 
molti  fenomeni  creduti  causali  si  potrebbe  darsi  una  ragione  ed  in 
base  a  questa,  trovare  i  rimedi  che  avrebbero  una  importanza  capitale. 

2.  —  Nel  campo  della  frutticoltura  si  sa  ad  esempio  che  per  alcune 
viti  di  uve  da  mensa  é  necessaria  l'impollinazione  con  varietà  diverse. 

Negli  Stati  Uniti  d'America  del  Nord,  nel  1887  si  cominciarono  a 
fare  delle  indagini  anche  nel  campo  di  altre  piante  da  frutto. 

A  Baltimora,  nella  proprietà  del  Signor  Davide  Franklin,  c'era  un 
frutteto  piantato  con  20.000  piante  di  pero  appartenenti  tutte  alla  va- 
rietà William.  Per  18  anni  questo  frutteto  non  diede  dei  frutti  ed  il 
fatto  venne  denunziato  all'ufficio  di  patologia  vegetale  del  Ministero  di 
Agricoltura  di  Washington  perché  cercasse  di  conoscere  le  cause  che 
potevano  determinare  questa  sterilità.  Dall'  ufficio  venne  delegato  un 
patologo,  il  Signor  Waite  il  quale  da  quell'epoca  si  dedicò  esclusiva- 
mente a  questo  genere  di  ricerche. 

Egli  subito  espresse  l'opinione  che  la  sterilità  di  queste  piante  di- 
pendeva dal  fatto  che  i  fiori  della  vai'ietà  William  dovevano  avere  la 
particolarità  di  non  rimanere  fecondali  col  proprio  polline.  Portato 
artificialmente  su  alcune  piante  del  polline  appartenente  ad  altra  va- 
varietà,  queste  piante  portarono  subito  dei  frutti.  Con  questa  prova 
egli  dimostrò  che  per  alcune  varietà  la  frntlificazione  é  assicurata  sol- 
tanto quando  vi  concorre  del  polline  appartenente  a  varietà  diversa. 


-  277  - 

Fatta  una  rapida  inchiesta  nei  territorio  di  Baltimora  e  linilinii. 
egli  ha  constatato,  che  almeno  un  terzo  delle  varietà  di  peri  ordina- 
riamente colivati  non  fruttificano  se  fecondati  dal  proprio  polline. 

Fra  le  varietà  di  peri  ordinariamente  coltivati,  hanno  questa  par- 
ticolarità le  seguenti:  William,  Anjou,  Bonssock,  Butirra,  Clairgeau, 
Favorita  di  Clapp,  Easter,  Howel,  Lawrence,  Luigia  buona  di  lersey, 
Sheldon,  Ricordo  del  Congresso,  Superfin  e  Nelis  d'inverno, 

Waile  osservò  che  lo  stesso  avviene  per  alcune  varietà  di  meli. 
ma  però  in  minor  numero  dei  perì. 

Dei  ciliegi,  non  fruttificano  i  fiori  fecondati  col  proprio  polline,  le 
seguenti  varietà:  Napoleone,  Bella  di  Choisy,  Regina  Ortensia;  degli 
albicocchi,  la  varietà:  White  Nicholas;  dei  susini  le  seguenti  varietà: 
Coè,  Goccia  d'oro,  Prugna  d'Italia,  Frenclie  Prune  (Susino  di  Francia), 
Kelsey,  Marianna,  Miner,  Ognon,  Peach,  Satsuma,  Wild  (ioose.  Come  si 
vede  i  susini  hanno  specialmente  questo  difetto  e  in  modo  paiticolare 
quelli  di  origine  giapponese  ed  americana,  ad  eccezione  della  varietà 
Robinson. 

La  conseguenza  di  queste  osservazioni  è  la  seguente:  é  un  errore 
coltivare  assieme  e  per  una  grande  estensione  una  sola  varietà  di  frutti 
ma  che  conviene  invece  riunire  più  varietà,  sia  pur  distinte,  per 
filari. 

Queste  prime  deduzioni  si  possono  considerare  come  punti  di 
partenza  di  ulteriori  investigazioni  d'importanza  notevole  per  la  frut- 
ticoltura. 

3.  —  Da  ulteriori  indagini  è  risultato  al  Waite,  che  vi  sono  (kl li- 
varietà  le  quali  possono  fecondarsi  per  autogamia  a  seconda  delle 
condizioni  esteriori  e  cioè  a  seconda  del  clima,  del  sistema  di  colti- 
vazioni, del  tempo  che  domina  durante  la  Moritura  ed  inline  dalla  sa- 
nità delle  piante. 

Ad  esempio,  se  durante  la  fioritura  vi  ha  un  tempo  rigido,  coperto 
da  nubi,  o  piovigginoso  e  freddo;  se  le  condizioni  della  località  non 
sono  adatte  e  se  le  piante  sono  attaccate  da  malattie,  allora  niolte  va- 
rietà hanno  bisogno,  per  portare  frutti,  di  essere  fecondate  dal  polline 
di  piante  sane  e  cresciute  in  un  ambiente  favorevole.  Questa  snrehbe 
una  sterilità  occasionale  e  fra  le  varietà  di  pere  che  può  colpire  sono  : 
Duchessa  d'Angoulcme,  Manning's  Elisabeth,  Rose,  Bullum,  Flemish 
Beauthy  Heatheote  e  Seckel. 

Delle  mele  le  varietà:  Belfiore,  Primala,  Spilzenburg.  Willow  Twig. 
Winesap. 

Probabilmente  ci  sono  delle  varietà  che  per  una  o  per  l'altra  delle 
sopra  accennate  avversità  sono  più  o  meno  sensibili.  Ad  esempio  si 
constatò  che  le  varietà  Le  Coulc  e  Kieilen,  nei  climi  caldi  non  abbi- 
sognano di  fecondazioni  incrociate,  mentre  invece  nei  climi  più  freddi, 
sono  indispensabili.  In  California  le  varietà  di  pere:  William,  Favorita 
di  Clapp,  Clairgeau  al  contrario  che  ni  nord,  non  hanno  bisogno  di 
impollinazione  incrociata. 


-  278  - 

La  malattia  del  marciume  ai  frutti,  la  Monilia  fructigena,  pare  che 
intacchi  maggiormente  gli  organi  femminili  dei  fiori  e  nelle  piante 
deperenti  sulle  quali  si  vede  di  frequente  abbondare  la  fioritura,  que- 
sta rimane  infeconda  perchè  sono  i  granelli  del  polline,  non  atti  alla 
fecondazione. 

Cosi  dobbiamo  ritenere  che  dipenda  da  questa  fecondità  non  sem- 
pre sicura  per  una  od  altra  causa,  l'alternarsi  periodico  di  due  o  tre 
anni  della  fruttificazione  per  alcune  varietà. 

Studiando  attentamente  questi  casi  si  deve  in  via  assoluta  trovare 
il  rimedio  e  si  deve  poter  conoscere  la  ragione  per  la  quale,  alcune 
piante  cominciano  a  fruttificare  quando  si  indeboliscono,  mentre  altre 
fruttificano  presto  e  poi  diventano  sterili.  Il  primo  caso  noi  ce  lo 
possiamo  spiegare  soltanto  in  parte  e  cioè  avendo  le  piante  molta 
affluenza  di  linfa  esse  tendono  a  produrre  dei  germogli  legnosi  anziché 
dei  fruttiferi.  Nel  secondo  caso  bisogna  convenire  che  molto  devesi 
attribuire  alla  qualità  del  polline  nella  sua  maggiore  attività  quando 
la  pianta  è  giovane. 

Da  questi  ed  altri  molti  fenomeni  che  noi  pratici  osserviamo  quo- 
tidianamente nelle  coltivazioni  si  deve  arguire  la  necessità  di  studiare 
e  di  fissare  per  ogni  specie  e  varietà  di  frutta  le  condizioni  nelle  quali 
la  fecondazione  è  più  assicurata. 

4.  —  Poiché  il  budello  pollinico  va  in  contatto  soltanto  coU'ovulo 
e  non  coli' involucro  dell'ovario,  si  è  creduto  che  la  natura  del  polline 
non  possa  influire  sulla  qualità  della  polpa  del  frutto,  derivando  la 
polpa  appunto  dall'involucro.  E  visto  che  il  frutticoitore  bada  più  alla 
polpa  che  al  seme,  si  credette  che  la  scoperta  del  Darwin,  della  fe- 
condazione incrociata,  non  avesse  grande  importanza  per  il  frutticoitore. 

Eppure  il  polline,  anche  indirettamente,  ha  una  azione  notevole 
sulla  qualità  della  polpa.  Difatti,  perchè  nei  fiori  non  fecondati  la 
polpa  non  si  sviluppa  tanto  quanto  in  quelli  fecondati  ?  Questo  si 
verifica  specialmente  sulla  vite  la  quale  dà  degli  acini  meschini  coi 
fiori  non  fecondati.  Waite  ha  notato  che  tutte  le  varietà  che  si  possono 
fecondare  per  autogamia,  se  fecondate  con  polline  di  altre  varietà 
daimo  delle  frutta  più  belle  con  molta  polpa,  ben  colorate  e  molto 
saporite.  Ha  esperimentato,  che  i  fiori  della  mela  Baldwin,  se  fecondati 
col  polline  della  mela  Belfiore,  danno  della  frutta  migliore  che  se  la- 
sciati fecondare  col  proprio  polline. 

La  fecondazione  incrociata  ha  inflenza  anche  sullo  sviluppo  del 
peduncolo  del  frutto.  Le  frutta  che  si  ottengono  per  autogamia  hanno 
il  peduncolo  sempre  più  lungo  e  sottile;  quelle  ottenute  per  dicogamia 
hanno  le  frutta  più  grosse  con  peduncolo  corto  e  grosso.  Finora  io 
avevo  osservato  soltanto  un  rapporto  costante  della  grossezza  del  frutto 
colla  lunghezza  e  grossezza  del  peduncolo.  Così  si  spiegherebbe  anche 
il  fatto,  di  trovare  talvolta  sopra  una  stessa  pianta  delle  frutta  grosse 
con  peduncolo  corto  e  grosso  e  delle  frutta  più  piccole,  ma  con  pe- 
duncolo lungo  e  sottile. 


-  279  - 

La  conclusione  che  possiamo  trarre  per  ora  è  la  se|{uenlc  : 

a)  la  fecondazione  incrociala  inlhiiscr  nolevolmenlc  sulla  produlli- 
vilà  della  pianla  da  frullo  e  sulla  qualità  dei  frulli.  La  provenienza  del 
polline  deve  avere  una  azione  decisiva  ; 

b)  possono  avvenire  delle  condizioni  cliinaliclie  duranle  la  /iorilura, 
per  cui  anche  le  pianle  che  di  solilo  (ruUificano  per  autoijaniia,  abbiano 
bisogno  della  fecondazione  incrociala,  per  dare  dei  frulli  ; 

e)  ad  una  cerla  eia,  alcune  pianle  che  prima  si  fecondarono  da 
sé  stesse,  possono  aver  bisogno  della  fecondazione  incrociala,  allrimenli 
il  loro  prodotto  diminuisce  notevolmente  ; 

d)  praticamente  nei  frutteti,  conviene  tenere  le  diverse  specie  riunite 
a  gruppi  e  tenere  vicine,  delle  singole  specie,  tpiellf  varietà  die  htuino 
maggiore  analogia  per  l'epoca  della  fioritura. 

5.  —  Per  la  provenienza  del  polline  si  osservò,  che  non  tutti 
i  pollini  appartenenti  a  varietà  diverse  hanno  ej^uale  influenza  ed  è 
qui  che  si  apre  un  vasto  campo  di  osservazioni  che  avranno  per  ef- 
fetto, di  poter  consigliare  al  frutticoitore  quali  varietà  convenga  mettere 
vicine  per  ottenere  la  scambievole  fecondazione. 

11  polline  che  ha  sufficiente  energia  fecondatrice  per  gli  ovuli  del 
proprio  fiore,  probabilmente  avrà  ancora  maggiore  energia,  se  portato 
sopra  altra  pianta.  La  generazione  è  sempre  più  vigorosa  e  vitale, 
quanto  minore  sarà  la  affinità  fra  le  due  piante  che  si  incrociano. 
Potrebbe  però  darsi,  che  con  una  parentela  troppo  lontana,  il  risul- 
tato sia  anche  nullo. 

Facendo  degli  incroci  di  fiori  con  polline  proveniente  da  piantagioni 
di  clima  e  terreno  diversi,  si  la  una  mescolanza  diciamo  cosi  di  sangue, 
i  cui  efTetti  non  si  palesano  colla  produzione  in  corso. 

Non  tutti  i  granelli  di  polline  sono  atti  alla  fecondazione.  Il  Signor 
Waugh,  isolando  i  granelli  coll'aiuto  di  una  soluzione  al  ó  "/„  di  zuc- 
chero li  ha  analizzati  e  trovò,  che  è  ben  raro  il  caso  che  il  50  %  dei 
granelli  pollinici  siano  atti  alla  fecondazione.  Trovò  poi  che  fra  pianta 
e  pianta  pur  appartenente  alla  medesima  specie  e  varietà  vi  sono  delle 
difTerenze  notevoli  e  perciò  consiglia  sempre  di  unire  alle  varietà  che 
hanno  bisogno  della  fecondazione  incrociata,  quelle  che  si  fecondano 
da  sé,  poiché  può  succedere  qualche  volta,  che  queste  piante  soffrano 
e  abbiano  perciò  bisogno  del  polline  di  altre  piante. 

S.  A.  Beach,  ha  fatto  in  proposito  diverse  esperienze  col  polline 
della  vite  e  verificò  : 

a)  che  il  polline  di  piante  che  non  si  fecondano  per  autogamia, 
non  riesce  a  fecondare  altre  piante  che  pure  non  si  fecondano  per 
autogamia  ; 

b)  che  le  varietà  sterili  per  autogamia  si  fecondano  col  polline 
di  piante  capaci  di  fecondarsi  col  proprio  polline  e  questo  polline 
trasmette  al  grappolo  la  forma  e  la  proprietà  dei  grappoli  che  da  la 
pianta  da  cui  proviene  ; 

e)  che  nella  vite  é  necessario  di  estendere  le  varietà  che  hanno  la 


—  280  — 

facoltà  di  fecondarsi  per  autogamia,  inquanlochè  trovandosi  nei  vigneti 
([ualche  ceppo  sterile  per  autogamia  trova  nel  polline  di  cjueste  piante 
il  mezzo  di  produrre  dei  fruiti. 

6.  —  Le  esperienze  ed  osservazioni  fatte  in  America  sotto  questo 
riguardo,  si  inferiscono  anche  all'azione  del  vento  e  degli  insetti  sulla 
fecondazione  incrociata. 

E'  stato  constatato  ad  esempio,  che  le  piante  da  frutto,  per  il  poco 
polline  che  producono,  risentono  forte  danno  per  il  vento  che  lo  di- 
sperde. Da  ciò  la  convenienza  di  non  fare  delle  piantagioni  in  località 
esposte  ai  venti  frequenti  di  primavera  ed  al  caso  bisogna  riparare  la 
piantagione  con  degli  alberi  frangiventi  collocati  dalla  parte  da  cui 
proviene    il  vento. 

Gli  insetti  che  hanno  una  parte  più  attiva  ed  importante  sulla  impolli- 
nazione sono  i  coleotteri,  le  mosche  ma  sopratutto  gli  imenottori,  le  api, 
che  passano  rapidamente  da  un  fiore  all'altro.  L'ape  ha  una  particolare 
influenza  sulla  fecondazione  del  pesco,  albicocco  e  susino.  Bassford 
riferisce,  che  nella  valle  Vaca  in  California,  egli  ottenne  un  notevole 
prodotto  da  una  sua  estesa  piantagione  di  ciliegi  dal  1890  e  cioè  da 
{{uando  allevò  nel  frutteto  delle  api.  Durante  però  la  fioritura  non  bi- 
sogna andare  intorno  alle  piante  per  non  disturbai'e  la  visita  di  questi 
insetti.  Ricordarsi  del  proverbio  francese  : 

Vigne  en  jloraison  —  X'aime  ni  maitre  ni  servon. 


PARTE  SETTIMA 
Concimazione  ed  irrigazione 


I. 
Importanza  della  concimazione  e  della  irrigazione. 

1.  —  Io  credo  che  una  gran  parte  del  disagio  in  cui  si  trova  la 
frutticoltura  in  Italia  sia  dovuto  alla  mancanza  di  freschezza  e  di  fer- 
tilità del  terreno. 

Erroneamente  si  ritiene  ancora  che  le  i)iaiile  da  fruito,  i-oIle  loro 
radici  sviluppate,  trovino  umidità  sufficiente  negli  strati  sottostanti 
del  teri'eno  ed  il  nutrimento,  nelle  concimazioni  fatte  alle  piante  erbacee 
coltivate  in  consociazione  a  quelle  da  frutto. 

A  parte  il  fatto  che  ([ueste  piante  erbacee  (patate,  granturco,  ce- 
reali, prati)  non  sempre  ricevono  la  concimazione  a  loro  necessaria, 
ma  per  di  più  i  concimi  ad  esse  ap|)Iicati  non  si  adattano  alle  piante 
arboree;  in  ogni  caso  rimangono  negli  strati  supertìciali  del  terreno, 
poco  esplorati  dalle  radici  delle  piante  arboree.  Noi  abbiamo  oggi 
molli  esempi  di  agricoltori  intelligenti  che  già  da  tempo  riconol)bero 
la  necessità  di  concimare  anche  le  piante  da  frutto  come  hanno  sc/npre 
fatto  per  la  vite,  l'olivo,  gli  agrumi,  pochi  però  sono  convinti,  special- 
mente nell'Italia  centrale  e  settentrionale,  della  necessità  di  fornire 
l'acqua  colla  irrigazione. 

Difatti,  gli  agricoltori  della  Sicilia,  delle  Puglie  e  di  altre  regioni 
meridionali,  appena  possono,  irrigano  gli  agrumi  e  gli  altri  alberi 
fruttiferi.  Nell'Italia  centrale  a  ciò  non  si  pensa,  eppure  anche  qui  noi 
possiamo  constatare  che  nelle  località  dove  più  a  lungo  si  mantiene  la 
freschezza  del  terreno,  i  prodotti  sono  più  abbondanti  e  sicuri  che  nei 
terreni  meno  freschi;  il  prodotto  dipende  cosi  dalla  frequenza  delle 
pioggie  nel  periodo  che  decorre  dalla  lìoritura  alia  nmlurazinne  dei 
frutti. 


-  282  — 

Basterebbe  citare,  ad  esempio,  i  pescheti  di  Massa  Lombarda,  gli 
impianti  di  ciliegi  dell'Imolese  che  si  trovano  nei  terreni  irrigui  da 
orto,  le  piante  da  frutto  del  Pisano  e  di  Lucca,  ecc. 

Nell'Italia  settentrionale  non  si  manifesta  tanto  il  bisogno  di  acqua, 
inquantochè  durante  l'estate,  piove  più  di  frequente,  ma  chi  non  sa 
che  il  prodotto  delle  castagne  sui  contrafforti  alpini  e  sull'Appennino 
nove  volte  su  dieci,  viene  compromesso  dalla  siccità  durante  l'estate? 
Così  noi  riscontriamo  più  abbondali  prodotti  nei  terreni  pianeggianti 
del  Veneto,  della  Lombardia  e  del  Piemonte,  ed  ivi  abbiamo  i  frutteti 
più  belli. 

L'irrigazione  è  ricosciuta  già  indispensabile  per  i  paesi  dell'Italia 
meridionale  :  per  i  paesi  dell'Italia  centrale  io  la  credo  utile,  anche  se 
non  strettamente  necessaria  e  vantaggiosa,  in  molte  circostanze  nel- 
l'Italia settentrionale. 

2.  —  La  concimazione  e  l'irrigazione  si  compensano  una  coU'altra. 

Tutti  avranno  osservato  che  le  piante  non  concimate  soffrono  molto 
di  più  per  siccità,  per  gli  improvvisi  sbalzi  di  temperatura  e  sono  meno 
resistenti  alle  cause  nemiche,  siano  queste  di  natura  vegetale  od 
animale. 

Fino  ad  ora  però  anche  nei  migliori  trattati  di  frutticoltura  si  os- 
serva che  sull'argomento  della  concimazione  gli  autori  si  limitano  a 
tenersi  molto  sulle  generali,  e  cioè  sui  concimi  preferibili,  senza  indi- 
care quando  convengano  gli  uni  piuttosto  degli  altri  e  sotto  qual  forma 
ed  in  quale  rapporto  devonsi  fare  le  miscele. 

La  causa  di  questa  lacuna  risiede  nelle  difficoltà  di  fare  varii  espe- 
rimenti, dovendo  basare  il  giudizio  sopra  l'aspetto  della  pianta,  sulla 
qualità  e  quantità  di  frutta  e  i  risultati  non  si  possono  dedurre  con 
quella  facilità  che  si  ha  esperimentando  il  frumento,  pel  quale  si  può 
pesare  la  paglia  ed  il  grano.  Mentre  per  i  cereali,  pei  prati  e  cosi  via, 
colla  bilancia  e  coi  mezzi  che  il  chimico  possiede,  ha  saputo  darci 
la  composizione  chimica  dei  rispettivi  prodotti,  per  le  piante  da  frutto 
ben  poche  sono  le  analisi  che  egli  ci  ha  dato  ed  anche  quelle  poche, 
non  sono  state  abbastanza  ripetute  per  poterci  basare  su  di  esse  con 
sicurezza. 

Però,  specialmente  all'estero,  in  questi  ultimi  anni  si  fecero  studi 
ed  esperienze,  frutto  delle  quali  è  la  difì'usione  sempre  maggiore  dei 
concimi  chimici  anche  nella  frutticoltura. 

Io,  che  faccio  di  frequente  dei  viaggi  all'estero,  constatai  di  anno 
in  anno  dei  notevoli  progressi  di  applicazione,  specialmente  negli  sta- 
bilimenti di  frutticoltura. 

Se  è  difficile  constatare  gli  effetti  dell'esaurimento,  altrettanto  facile 
però  è  discernere  una  pianta  ben  nutrita  da  una  mal  nutrita.  La  prima 
avrà  le  gettate  sue  vigorose,  la  corteccia  liscia,  i  rami  diritti,  vitali, 
sani  e  la  sua  fertilità  si  manifesta  sempre  costante. 

Alcuni  osservano,  che  come  le  piante  arboree  dei  boschi  vivono 
senza  concimazione,  cosi  potrehbero  resistere  le  piante    da    frutto.  Ma 


-  283  - 

questo  esempio  non  regge.  Se  in  apparenza  le  foreste  od  i  boschi  fanno 
eccezione  a  questa  regola,  non  è  men  vero  che  anche  esse  devono 
ubbidire  alla  legge  fondamentale  della  nutrizione,  in  virtù  della  quale, 
il  prodotto  è  in  rapporto  con  le  risorse  alimentari,  che  il  terreno  olire 
ai  vegetali.  Tutti  sanno  che  v'ha  dilìerenza  fra  foresta  e  foresta  e  che 
la  produzione  forestale  è  strettamente  legala  alla  natura  Tisica  e  chi- 
mica del  terreno,  vale  a  dire  a  (luanlo  vi  ha  di  |)iù  inlluente  nella  nu- 
trizione degli  alberi. 

Da  ciò  deriva  ad  esempio,  che  le  |)ianle  laliloglie,  perchè  più  esi- 
genti non  prosperano  che  nei  terreni  mollo  l'erlili  ;  menile  le  conifere, 
riescono  anche  nelle  terre  più  povere.  Bisogna  poi  lener  conio  della 
differenza  della  raccolta.  Al  bosco  noi  domandiamo  del  legno  ed  espor- 
tando questo,  togliamo  la  parte  della  |)ianla,  meno  ricca  di  elementi 
minerali.  La  concimazione  naturale  del  bosco  o  foreste  risiede  nelle 
foglie,  frutti  e  ramoscelli  che  rimangono  sul  terreno  dopo  la  loro  ca- 
duta e  bastano  a  mantenere  la  fertilità,  mentre  noi,  dalle  piante  da 
frutto,  esportiamo  i  fruiti  e  coi  tagli,  rendiamo  la  pianta  più  debole. 

Non  si  deve  escludere  che  se  noi,  malgrado  delle  condizioni  favo- 
revoli, concimassimo  i  boschi  avremmo  prodotti  maggiori.  Lo  dimo- 
strano le  vigne  convenientemente  concimale  le  cjuali  danno  un  pro- 
dotto migliore,  più  abbondante  e  rendono  le  piante  più  resistenti  alle 
malattie.  Ma  anche  per  le  vili  dalla  generalità  non  è  riconosciuto  ne- 
cessario che  l'uso  dello  stallatico  ;  mentre  gli  sludi  moderni  hanno 
concliiuso,  che  collo  stallatico  da  solo  non  si  riesce  ad  avere  molti 
vantaggi,  se  non  lo  si  completa  con  concimi  arliliciali. 

Infine  un  vecchio  pregiudizio  che  la  quantità  del  prodotto  va  a 
scapito  della  qualità,  contribuì  a  trallenere  il  frutticoitore  dal  fare  una 
concimazione  conveniente.  Una  concimazione  razionale  non  può  dare 
che  dei  prodotti  perfetti  sotto  ogni  rapporto.  Se  i  prodotti  riescono 
inferiori  per  quantità  o  per  qualità,  vuol  dire  che  il  concime  difettava 
di  qualche  elemento  fertilizzante,  oppure  che  (|uesto  elemento  non  è 
stato  assimilato. 


II. 

Elementi    chimici    che    costituiscono    la    pianta,  come 
vengono  assimilati  e   composti  a  cui  danno  luogo. 

1.  -  Da  quanto  è  stato  detto  nel  precedente  capitolo  risulta  evi- 
dente, che  l'arte  della  concimazione  consiste  nella  razionale  alimen- 
tazione delle  piante,  basata  su  esatte  cognizioni  di    lìsiologia    vegetale. 

La  fisiologia  vegetale  ci  insegna  che  le  piante  si  nutrono  dell'aria 
e  del  terreno  e  possono  considerarsi  come  laboratori,  neirinlerno  dei 
quali  si  elaborano  gli  alimenti  assorbiti  per  esser  trasformati  in  nuovo 


284 


legno,  nuovi  rami,  foglie,  fiori,  frutti  e  semi.  E'  evidente  quindi  la  ne- 
cessità di  conoscere  la  composizione  chimica  della  pianta,  per  deduri-e 
i  materiali  di  cui  abbisogna  per  il  suo  nutrimento. 

2.  —  Dalle  analisi  è  risultato,  che  in  tutti  gli  organi  bisogna  distin- 
guere una  parte  combustibile  ed  una  parte  incombustibile  la  quale 
ultima,  doi)o  l'abbruciamento,  rimane  nelle  ceneri. 

La  parte  combustibile  formata  di  materia  organica  è  composta  di  : 
1."  carbonio  ;  2."  idrogeno  ;  3.°  ossigeno  e  4.°  azoto  con  un  po'  di  zolfo. 

Le  ceneri  sono  composte  di:  \°  zolfo;  2."  fosforo;  3."  potassio; 
4."  calcio  ;  5."  magnesio  ;  6."  ferro. 

Altri  elementi  contenuti  nelle  ceneri,  in  quantità  discreta,  sono  il 
silicio,  il  sodio,  il  cloro,  il  manganese  ecc.,  ma  le  prove  colturali  hanno 
dimostrato,  che  queste  non  sono  indispensabili  alla   vita    della  pianta. 

Le  sostanze  organiche  assieme  coll'acqua  la  quale  costituisce  il 
30-35  7o  del  peso  totale  della  pianta,  formano  la  parte  preponderante. 
La  parte  minima  è  rappresentata  dalla  cenere,  come  si  vede  nel  se- 
guente specchietto  : 


Carbonio 
Idrogeno 
Ossigeno 
Azoto.    . 


Totale  sostanze  organiche 
Ceneri 


Pianta  intera        Radici        Fusti  e  rami 


46,4 
5,0 

41,1 
1,6 


94,7  7o 
5,3  7o 


43,4 
5,7 

43,4 
1,6 


94,1  7o 

5,9  7o 


46,9 
5,3 

39,6 
1,— 


92,8  7o 

7,2  7o 


Semi 


47,4 

6 
41,1 

2,6 


97,1  7o 
2,9  7o 


Perciò 

a)  ì  rami  danno  circa  il  3  %  del  loro  peso  in  ceneri  ; 

b)  le  sole  radici  ne  danno  il  6  7o  i 
e)  i  soli  fusti  e  rami  circa  il  7  7o  ; 

d)  una  pianta  intera  circa  il  5  7o. 

3.  —  Dunque  colle  coltivazioni  erbacee,  esportando  le  piante  intere, 
si  esporta  di  ceneri  il  5  y„  circa  del  loro  peso  in  sostanze  minerali, 
mentre  colla  coltivazione  degli  alberi,  esportandosi  dal  terreno  la  sola 
frutta  che  fa  parte  dei  rami,  si  esporta  il  3  7o  di  sostanze  minerali.  Da 
ciò  si  deduce  che  le  piatile  da  frullo  esauriscono  il  Icrreiio  di  soslanze 
minerali  meno  delle  pianle  erbacee. 

La  proporzione  degli  elementi  minerali  è  maggiore  in  tutte  le  {)arli 
che  si  avvicinano  alla  condizione  erbacea  e  cosi  è  maggiore  : 

a)  nelle  piante  erbacee  che  negli  alberi  ed  in  questi  ; 

b)  nell'alburno  che  nel  vero  legno  ; 

e)  nella  corteccia  che  nell'alburno  ; 

d)  nel  tronco  che  nelle  radici  ; 

e)  nei  rami  che  nel  tronco; 

fj  nei  rami  nuovi  che  nei  vecchi  ; 
g)  nelle  foglie  che  nelle  altre  parti. 


-  28.-) 


Il  costituente  principale  della  pianta  e  che  forma  la  base  di  oj^ni 
sostanza  organica,  è  il  carbonio.  Questo  proviene  unicamente  dall'anidride 
carbonica  dell'aria,  ed  è  assorbito  dalle  foglie  e  da  tutte  le  paiti  verdi. 

L'idrogeno  è  dato  dall'acqua  insieme  aWossigeno. 

L'oro/o  è  preso  dalle  radici,  in  soluzione,  sotto  forma  di  nitrali  o 
di  sali  amnìoniacali.  Questi  ultimi,  per  essere  assorbiti,  devono  trasfor- 
marsi in  nitrati.  Lo  zolfo  entra  nella  pianta  coi  solfati  od  il  fosforo  coi 
fosfati. 

Il  potassio  viene  assimilato  coi  sali  di  potassio  (cloruri,  solfali, 
fosfati  di  potassio). 

Il  calcio  è  anche  introdotto  nell'organismo  della  i)ianla  per  mezzo 
dei  suoi  sali,  ed  in  quantità  considerevole.  Cosi  si  dica    pel    inaynesio. 

Il  ferro,  viene  assimilato  sotto  forma  di  ossidi,  di  cloruro  e  di  sali 
molto  ossigenati. 

I  composti  che  danno  luogo  questi  elementi  nell'organismo  della 
pianta  sono  indicati  nel  seguente  schema. 


Carbonio 
Idrogeno 
Ossigeno 


Carboiìio  \ 
Idrogeno  ; 
Azoto         ) 

Carbonio    , 
Idrogeno   f 
Ossigeno 
Azoto 

Carbonio  ] 
Idrogeno  I 
Azoto  i 
Zolfo  ! 

Carbonio 
Idrogeno    , 
Ossigeno   I 
Azoto         j 
Zolfo  ( 

Fosforo 
Potassio 
Calcio 
Magnesio 
Ferro 


I.  Idrati  di  carbonio  (zuccheri,  cellulosio,  amido). 
II.  Acidi  organici  e  corpi  pedici  (mucilaggini). 

III.  Grassi. 

IV.  Le  sostanze  cerogeni  (pruina). 

V.  Gli  olii  eterei  (essenze  e  le  canfore). 
VI.  Le  gomme  e  le  resini. 
VII.  In  parte  le  sostanze  coloranti. 

Vili.  Una  parte  di  alcaloidi. 


IX.  Altra  parte  di  alcaloidi. 


Albuminoidi    o    Sostanze    azotate    (albumin: 
lìbrina,  glutine,  legumina,  caseina). 


B.  Sostanze  minerali  (ceneri). 


286 


III. 

Distribuzione  delle  sostanze  organiche  e  minerali  nelle 
diverse  parti  della  pianta. 

1.  —  Tanto  le  sostanze  organiche  che  le  minerali,  sono  distribuite 
in  proporzioni  diverse  nei  singoli  organi  della  pianta,  a  seconda  della 
specie  a  cui  la  pianta  appartiene  ed  a  seconda  della  sua  fase  di  sviluppo. 

Le  principali  sostanze  organiche  contenute  nel  legno  delle  piante 
da  frutto  sono  :  la  cellulosa,  l'amido,  l'acido  tannico,  l'ossalato  di  calcio, 
il  tartarato  di  potassio  e  di  calcio  ed  infine  le  sostanze  azotate.  Queste 
ultime  sono  contenute  in  maggiore  quantità  nei  germogli,  ed  è  per 
questo  che  i  concimi  azotati  favoriscono  la  produzione   ei'bacea. 

Nelle  sostanze  minerali  che  compongono  la  cenere  del  legno  si 
osserva,  che  l'elemento  predominante  è  la  calce,  a  questo  segue  la 
potassa  e  l'anidride  fosforica. 

Nelle  foglie  troviamo  una  notevole  quantità  di  sostanze  organiche 
sotto  forma  di  amido,  clorofilla,  zuccheri,  materie  coloranti,  materie 
grasse  e  degli  acidi  ;  le  quali  tutte  poi  emigrano  nelle  diverse  parti 
della  pianta,  per  ricostituirle  o  formare  le  sostanze  di  riserva.  Fra 
queste  meritano  una  speciale  considerazione  le  sostanze  azotate,  per 
l'azoto  che  concorre  a  formarle,  ed  al  quale  deve  provvedere  il  frut- 
ticoitore. La  foglia  è  l'organo  più  ricco  di  azoto;  da  ciò  la  notevole 
influenza  dei  concimi  azotati  sull'espansione  delle  foglie  e  sulla  produ- 
zione fogliacea  in  genere  ;  da  ciò  l'esaurimento  di  azoto  notevole  del 
terreno  quando  si  cima,  si  scacchia,  si  sfoglia  intensivamente  o  quando 
ad  esempio  utilizziamo  per  strame  le  foglie  cadute  nei  boschi. 

La  cenere  delle  foglie  è  generalmente  più  ricca  di  silice,  calce  e 
magnesia  di  quella  del  legno;  mentre  contiene  molto  meno  di  potassa 
(meno  della  metà  in  media)  e  di  anidride  fosforica  (la  metà  circa). 

Colle  frutta  e  semi  non  si  esportano  notevoli  quantità  di  azoto  ; 
ma  in  ordine  decrescente,  rilevanti  quantità  di  potassa,  di  anidride 
fosforica  e  di  calce. 

Tutto  l'azoto  o  la  maggior  parte  di  quello  contenuto  nei  frutti  si 
trova  concentrato  nei  semi,  quale  materiale  di  riserva,  sotto  forma  di 
sostanze  albuminoidi.  Anche  nella  polpa  e  succo  si  trovano  delle  note- 
voli quantità  di  questi  materiali  azotati,  e  a  questi  si  ascrive  principal- 
mente la  loro  facoltà  nutritiva.  Nelle  frutta  e  nei  semi,  sì  trovano  an- 
cora amido,  zuccheri,  mucilaggini,  materie  coloranti,  gomme,  acidi 
organici  sìa  lìberi  che  combinati  con  delle  basi,  quali  il  ferro,  la  potassa, 
la  calce,  la  soda. 

La  potassa  che  prevale  la  troviamo  sotto  forma  di  tartarato,  di 
ossolato  ;  mentre  l'anidride  fosforica  la  troviamo  sotto  forma  di  fosfato 
di  calce  e  di  ferro;  la  calce  infine,  sì  trova  combinata  cogli  acidi,  sia 
organici  che  minerali. 


—  287 


IV. 
Ufficio  speciale  dei  singoli  elementi  chimici  della  pianta. 

L'assimilazione  degli  elementi  di  cui  si  compone  la  pianta,  avviene 
per  l'attività  simultanea  delle  radici  e  delle  foglie;  l'attività  delle  radici 
dipende  principalmente  dalla  quantità  di  materiali  nutrilivi  che  esse 
trovano  nel  terreno,  quella  delle  foglie  è  sempre  attiva,  purché  possano 
avere  a  loro  disposizione  luce,  aria  e  calore  suflìcienli. 

Le  sostanze  assorbite  dalle  radici  sono  il  fosforo,  lo  zolfo,  l'azoto, 
la  potassa,  il  ferro,  la  calce,  il  magnesio  e  l'acqua  in  gran  parte. 

1.  —  L'ufficio  del  fosforo  e  dello  zolfo  sembra  essere  ((nello  di 
concorrere  alla  formazione  delle  sostanze  azotate  e  del  i)rotoplasma. 
Il  fosforo  influisce  notevolmente  sulla  fecondazione  dei  Mori,  sulla 
formazione  e  maturazione  del  legno  e  sullo  sviluppo  e  maturazione  dei 
frutti.  Nei  terreni  poveri  di  fosforo,  il  legno  ritarda  a  maturare,  si 
sviluppano  pochi  rami  da  frutto,  con  i)oche  frutta,  le  quali  anche  ca- 
dono facilmente.  Per  questo,  come  vedremo  più  tardi,  è  molto  racco- 
mandata pei  vivai  la  concimazione  fosfatica.  Il  fosforo  manifesta  più 
energicamente  la  sua  influenza  sulla  frutlilìcazione.  nelle  piante  a 
nocciolo. 

Il  fosforo,  nei  calcoli  della  concimazione  ed  anche  per  determinare 
la  ricchezza  dei  concimi  e  dei  terreni,  viene  sempre  calcolalo  in  base 
all'anidride  fosforica,  ossia  alia  sua  combinazione  coU'ossigeno.  Questa 
alla  sua  volta,  unita  all'acqua,  forma  l'acido  fosforico  che.  unendosi 
alla  calce,  al  ferro,  ecc.,  forma  i  fosfati. 

2.  —  L'azoto  concorre  coi  due  precedenti,  alla  formazione  delle 
sostanze  azotate  e  del  protoplasma.  Esso  contribuisce,  come  abbiamo 
già  veduto  nel  Capitolo  precedente,  alla  vigoria  della  pianta  e  quindi 
allo  sviluppo  del  legno,  delle  foglie  e  sulla  quantità  di  frutta.  In  un 
terreno  però  troppo  ricco  d'azoto,  le  piante  ritardano  la  maturazione 
del  legno,  vanno  soggette  alla  colatura  dei  (lori,  si  hanno  le  frutta  più 
colpite  da  parassiti,  i)in  voluminose  ma  insipide,  meno  zuccherine,  e 
maturano  anche  tardi.  Se  il  terreno  è  deficiente,  si  hanno  dei  rami 
deboli,  a  brevi  meritalli,  delle  foglie  poco  sviluppate,  poco  carnose,  di 
color  verde  sbiadito. 

Le  concimazioni  azotate  non  bisogna  però  darle  troppo  tardi  in 
primavera  poiché  allora  la  vegetazione  della  pianta  si  protrae  troppo 
in  autunno  e  si  ha  una  imperfetta  maturazione  del  legno  e  dei 
frutti. 

Occorre  anche  consociare  ai  concimi  azotati,  dei  concimi  fosfatici, 
potassici  e  calcici,  altrimenti  si  ha  un  legno  molle  e  non  sano. 

3.  —  Senza  il  ferro  non  vi  ha  formazione  di  clorofilla,  e  quindi  le 
piante  crescono  clorotiche. 


-  288  - 

4.  —  Oltre  il  ferro  occorre  poi  la  potassa,  poiché  senza  la  presenza 
di  questa,  la  clorofilla  non  è  capace  di  formare  del  biossido  di  carbonio 
e  dell'amido.  Se  ad  una  pianta  vengono  quindi  a  mancare  la  potassa 
ed  il  ferro,  devesi  anche  arrestare  la  sua  crescila  poiché  dall'amido  si 
forma  il  cellulosio,  e  cioè  l'elemento  fondamentale  del  tessuto  erbaceo 
e  legnoso.  La  potassa  concorre  infine  alla  formazione  delle  sostanze 
azotate  e  rende  i  rami  più  resistenti  ai  freddi  ed  alle  malattie. 

La  potassa  contribuisce  notevolmente  a  mantenere  bella  ed  appa- 
riscente la  vegetazione,  facilita  la  fecondazione  dei  fiori,  fa  rinvigorire 
il  colorito,  fa  aumentare  la  fragranza,  il  sapore  e  la  ricchezza  zucche- 
rina dei  frutti,  ed  anticipa  infine  la  loro  maturazione. 

Mancando  la  potassa  le  foglie  si  raggrinzano,  prendono  poco  svi- 
luppo ed  i  rami  non  crescono  sani.  E'  per  questo  che  la  potassa  ha 
tanta  influenza  sulla  produzione  dei  frutti. 

5.  —  Il  calcio  ha  una  azione  importante  nel  ricambio  materiale 
delle  piante  verdi.  Non  ha  una  azione  immediata  sulla  formazione 
del  protoplasma,  ma  serve  quale  mezzo  di  trasporto  ed  è  intermediario 
di  combinazione  pei  prodotti  secondari.  Mancando  il  calcio,  vi  ha  un 
arresto  di  sviluppo.  Difatti,  esso  è  necessario  per  la  formazione  e  tra- 
sformazione dell'amido  in  sostanze  solubili  che  possano  circolare.  Senza 
il  calcio,  si  trova  un  agglomeramento  di  granelli  d'amido  nelle  cellule 
delle  foglie.  Esso  infine  influisce  notevolmente  sulla  vivacità  dei  colori, 
sullo  sviluppo  dei  frutti,  sulla  loro  ricchezza  zuccherina  e  sul  loro 
allegamento.  Specialmente  le  piante  a  nocciolo  ne  risentono  molto 
vantaggio.  La  calce  favorisce  anche  lo  sviluppo  dei  batteri  e  mantiene 
il  terreno  in  buon  stato  di  mobilità. 

6.  —  La  funzione  del  magnesio  non  è  bene  definita  ;  è  certo  però 
che  senza  questo  elemento  le  frutta  non  attecchiscono  ;  se  ne  trova 
in  quantità  notevole  nei  semi  e  nelle  punte  dei  germogli. 

7.  —  Infine  l'acqua  viene  assorbita  pure  dalle  radici,  poiché  entra 
come  solvente  dei  materiali  nutritivi.  Essa  oltre  rendere  un  servizio 
alla  pianta  come  suo  costituente,  influisce  sulla  elasticità  dei  tessuti, 
sulla  rapidità  del  loro  sviluppo.  Nelle  annate  asciutte  si  ha  sempre 
poco  sviluppo  dei  rami  e  dei  frutti. 

8.  —  L'attività  delle  foglie  avviene  per  mezzo  degli  stomi.  Per  questi 
stomi  penetra  il  biossido  di  carbonio  od  anidride  carbonica  dell'aria  la 
quale,  cogli  elementi  dell'acqua,  dà  origine  all'amido  e  poi  allo  zucchero. 
Sotto  questa  ultima  forma  emigra  coi  grassi  da  cellula  a  cellula  nei 
frutti  ed  in  tutte  quelle  parti  dove  vi  ha  bisogno  di  sviluppo  erbaceo 
o  di  agglomerare  delle  sostanze  di  riserva.  Da  ciò  risulta  evidente 
l'importanza  che  hanno  le  foglie  nello  sviluppo  di  una  pianta  e  nella 
rispettiva  fertilità.  Quanto  più  essa  è  ricca  di  foglie  ben  sviluppate, 
tanto  più  si  sviluppano  le  radici. 


-  289  - 


V. 

Riepilogo  sulla  composizione  delle  piante 

e  sulla  loro  nutrizione. 

Riepilogando  quanto  è  stato  detto  sulla  nutrizione  e  sui  materiali 
di  cui  si  compone  la  pianta  deduciamo,  che  le  radici  assorbono  lutti 
i  materiali  costituenti  meno  il  carbonio,  che  viene  fornito  dall'aria. 
Questi  materiali  vengono  assorbiti  sotto  forma  di  sali,  sciolti  neirac(|iia. 

Gli  acidi  e  le  basi  che  costituiscono  questi  sali  sono  i   seguenti: 

Acidi  Basi 

1.  Acido  carbonico  5.  Acqua  6.  Potassa. 

2.  „        nitrico  7.  Calce 

3.  „         fosforico  8.  Magnesia 

4.  „        solforico  9.  Ossido  di  ferro 


Acidi  -\-  Basi  =  Sali  nutritivi. 

E'  da  notarsi,  che  questi  sali  non  vengono  assimilati  dalle  jìiante 
con  eguale  energia.  In  ordine  decrescente,  vengono  assimilati  :  la  po- 
tassa, la  calce,  l'azoto,  l'acido  fosforico,  la  magnesia,  l'ossido  di  ferro, 
l'acido  solforico. 

L'azoto  e  l'acido  fosforico  si  trovano,  in  quasi  tutti  i  terreni,  in 
piccolissima  quantità.  Da  ciò  la  necessità  di  i)rov vederli  colla  conci- 
mazione. 

La  potassa  e  la  calce  difettano  specialmente  nei  terreni  sabbiosi 
ed  umiferi;  mentre  nei  terreni  alluvionali  ed  argillosi,  abbondano. 
Considerato  però  che  le  piante  da  frutto  esportano  una  notevole  (pian- 
tila di  questi  due  elementi,  bisogna  somministrarne  quasi  costantemente, 
tanto  più  che  la  calce,  migliora  anche  fisicamente  il  terreno. 

L'acido  solforico,  l'ossido  di  ferro  e  la  magnesia  si  trovano  sempre 
in  quantità  sufficiente,  quindi  gli  elementi  più  importanti  che  bisogna 
restituire  il  terreno  e  su  cui  si  basa  la  concimazione  sono  1  e  cioè: 
Vazolo,  l'acido  fosforico,  la  potassa  e  la  calce. 


VI. 
Materiali  nutritivi  necessari  ad  una  pianta  da  frutto. 

1.  —  Determinato  che  la  concimazione  consisterà  nella  restituzione 
al  terreno  di  azoto,  anidride  fosforica,  potassa,  calce  ed  al  più  magne- 
sia, che  vengono  esportati  coi  prodotti  ;  si  tratta   ora   di    conoscere  la 

19  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  290  - 

quantità  media  di  questi  materiali  clie  le  singole  nostre  piante  da  frutto 
esportano  dal  terreno. 

In  questi  ultimi  anni,  i  prof.  dott.  Steglich  e  dott.  Barili  fecero  delle  ricerche  nelle 
stazioni  esperimentali  di  Dresda  e  Colmar  per  dare  un  responso  a  questo  quesito,  ed 
essi  ci  diedero  i  seguenti  risultati  : 


Tab.  XIX. 

Contenuto  percentuale  dei  principali  elementi  nelle  singole 
parti  di  una  pianta  da  frutto  (in  100  parti  di  sostanza  secca). 


I.  Piante  da  frutto 

A     GRANELLA     (Steglich) 

(Pero    e  melo). 

Radice 

Fusto  e  rami  a  legno 

Rami  a  fruito 

Foglie 

Frutta 

II.  Piante  da  frutto 
A  NOCCIOLO  (Steglich) 

(Ciliegio   a   frutto    dolce   e   3iisi;io). 

Radice 

Fusto  e  rami  a  legno 

Rami  a  frutto 

Foglie 

Frutta 


Azoto 

Ani- 
dride 
fosforica 

Potassa 

Calce 

0.349 

O.IOI 

0.284 

0.596 

1    0.597 

0.126 

0.313 

1.265 

0.892 

0.232 

0.526 

2-897 

0.719 

0.214 

1.194 

2.913 

1    0.410 

0.088 

1.061 

0.407 

0.370 

0.115 

0.206 

0.594 

0.307 

0,081 

0.193 

0.593 

1.022 

0.296 

0.462 

2.192 

1.725 

0.766 

2.579 

4.137 

? 

0.246 

0.903 

0.140 

Magnesia 


0.069 
0.098 
0.196 
0.482 
0.118 


0.050 
0.056 
0.203 
0.408 
0.100 


Per  sapere  poi  la  quantità  di  materiali  nutritivi  di  cui  necessita  annualmente  ogni 
pianta  per  sviluppare  i  suoi  rami,  le  sue  foglie  ed  i  suoi  frutti,  il  prof.  Steglich  per 
molti  anni  di  seguito  misurò  le  circonferenze  del  fusto  di  molte  piante,  pesando  con- 
temporaneamenle  le  foglie  cadute,  le  radici,  il  fusto,  i  rami  a  legno  ed  a  frutto. 

Egli  constatò  che  l'aumento  periferico  annuale  di  un  : 


a)  melo  i 

b)  pero 

e)  ciliegie  dolci 
d)  susino 


2     cm.  con  328  g.  di 

1.5  ,         „     158  „ 
2       „        „     716  , 

1.6  „        „     173  , 


foglie 


La  pianta  comincia  a  fruttificare  quando  ha 

una   circonferenz.t 

a)  nei  meli  di  15  cni 

b)  „  peri  „  24  „ 
e)  ,  ciliegi  dolci  „  10  , 
d)     „     susini               „    15     „ 


ed  au 

menta  annualmente 

1   diame 

tro   col  peso  di  frutta 

4000  g 

di  2     cm.  di  2000  g 

5000   , 

„    1.5     ,       „    3000   , 

800   , 

„    3       „       „    1600   „ 

1250   „ 

.,1.5      „       „    1875   „ 

Con  questi  dati  analitici,  il  dott.  .Steglich  ha  redatto  il  quadro  seguente,  che  rias- 
sume le  esigenze  di  sostanze  minerali  di  una  pianta  da  fruito,  avente  una  circonferenza 
di  25  centimetri. 


291  - 


Quantità  di  sostanze  che  vengono  fissato  annualmente 
dalle  seguenti  piante.  ' 


SOSTANZE 

Quantità 
di  sostanze 

w 

PRODUZIONE 

contenute  in  100  parti 
di  sostanza  secca 

necessarie 
per  anno 

ANNUAI 

.E  DI  UN  ALBERO 
cm.  di  periferia 

in  grammi 

-S 

di  25 

NOME 

fi 

.2 

2 

1 

JS 

•s 

^- 

delle  sostanze 

S 

1 

é 

& 

1 

^ 

Melo  (Steglich) 

Azoto 

Anidride  fosforica 

0,46 

1,80 

0,46 

12 

36 

11 

59 

Kg.  4,5  rami 

=  Kg.  2,7  sost.  secca 

0,14 

0,26 

0,10 

4 

5 

2 

11 

„    4,2  foglie 

=      .,     2,—     ., 

Potassa 

0,33 

UU 

0,63 

9 

27 

15 

51 

„  14,-  frutti 

=      „     2,3      „ 

Calce 

1,55 

3,30 

0,06 

42 

66 

1 

109 

Pero  (Steglich)        , 
=  Kg.  2.5  sosl.  secca 

Azoto 

066 

160 

0,35 
0,07 

16 
4 

17 
2 

4 

37 

Kg.  4,7  rami 

Anidride  fosforica 

0,16 

0,16 

7 

„    2,6  foglie 

=     „     1.1      ,          ,         i 

=          n         1,2           „                  „                 ' 

Ciliegio  (Steglich)        j 
=   Kg.  2,3  .sost.  secca 

Potassa 

0,41 

1,00 

1,48 

11 

11 

18 

40 

„    7,-  frutti 

Calce 

160 

2,48 
1,40 

0,18 
? 

40 
15 

27 
61 

2 

69 

Azoto 

0,67 

Kg.  4,2  rami 

Anidride  fosforica 

0,13 

0,48 

0,27 

3 

21 

6 

30 

.    2,-  foglie 

=     ,     4,4      „          ,         J 

Potassa 

o,;« 

1,57 

0,90 

8 

68 

19 

95 

„  12,-  frutti 

=     ,     2,1      „          „         f 

Calce 

1.30 

4,00 

0,13 

30 

176 

3 

20» 

Susino  (Steglich) 

Azoto 

0,.% 

1.90 

? 

13 

21 

? 

V 

Kg.  3,3  rami 

=   Kg.  2,3  sost.  secca 

Anidride  fosforica 

0,15 

0,24 

0,22 

3 

3 

5 

11 

„    2,8  foglie 

=     „     1,1      ,          ,         / 

=      „     2,2      „          ,         ' 

Potassa 

0,61 

3,50 

0,90 

15 

.{9 

20 

74 

„  13,5  frutti 

Calce 

1,13, 

43) 

0,14 

2(i 

(•; 

•.\ 

7-. 

'  Nelle  analisi  e  nei  calcoli  di   concimazione,    il    fosforo 
anidriile  fosforica,  la  (|iiale  combinandosi  coli  ai'i|iia  dà  ori;;! 


delerminato   come 


292   - 


La  stazione  esperimentale  di  Geneva  (Stato  di  New-York)  ha  fatto  simili  ricerche 
importantissime  e  ne  riportò  i  dati,  i  quali  si  riferiscono  soltanto  alla  parte  aerea  delle 
piante  prodottasi  in  un  anno,  trascurando  perciò  la  crescita  delle  radici  nonché  l'in- 
grossamento avvenuto  dei  rami  di  2  e  più  anni.  Non  venne  neppure  tenuto  conto  del 
materiale  di  riserva  che  in  autunno,  dalle  foglie  emigra  nei  rami. 


Quantità  di  elementi  nutritivi 
contenuti  nelle  singole  parti  della  pianta. 


Specie 

della 

pianta  da 

frutto 


Pero. 


Parte  della  pianta 


Frutta 

}  Foglie 

r  Gettata  da  1  anno    . 

Totale 


V  Foglie 

(  Gettata  di  1  anno. 


614.741 
36.526 
3.191 

654.458 

73.202 
10.581 
2.948 


In  100  parti  di  sostanza  verde 


520.989 

837.11 

98.753 
603.331 
561.963 


0.333 
10.746 
4.538 


0.180 
1.711 
1.233 


14.921 
5.945 


0.469 
7.044 
2.940 


0.182 
1.172 
1.080 


1.131 
4.271 
2.827 


0.101 
11.218 

7.688 


0.135 
5.794 
2.201 


I  1.02    I  0.27    I  1.08    I  1.12    I  0.45 


0.130 
2.795 
1.306 


86.731     829.48        1.29       0.34       1.33       1.67       0.47 


Cotogno  .  /  Foglie 

f  Gettata  di  1  anno. 


Frutta  Spolpa)   .    . 
(nocciolo)  . 

Foglie 

Gettata  di  1  anno. 


/  Frutta  (polpa)   .    . 
1        „        (nocciolo)  . 

/  Foglie 

Gettata  di  1  anno. 


34.927 
4.382 
1.220 


766.255 

1.202 

0.543 

2.405 

541.305 

8.671 

1.825 

4.335 

517.213 

4.918 

1.638 

4.098 

0.171 
19.853 
24.590 


40.529   i  783.78     |  2.12    |  0.71    |  2.66    |  3.( 


73.352 

843.529 

0.738 

4.516 

374.351 

2.870 

20.752 

644.864 

9.070 

5.821 

552.148 

4.861 

104.441 

790.73 

2.70    1 

0.395 
0.741 
1.296 
1.063 


29.886 
1.853 
6.691 
2.184 


459.998 
287.520 
635.587 
464.778 


1.031 

5.177 
7.270 


0.460  I 
1.391 
1.732  I 
1.584  I 


41.073   I  777.( 


0.314 
4.792 
3.278 


0.8 


1.854 

0.085 

0,145 

0.855 

0.801 

0.626 

5.793 

15.919 

5.286 

2.121 

12.615 

1.897 

0.75       2.66       4.13       1.27 


1.899 

0.125 

1.010 

1.010 

8.586 

16.676 

2.842 

16.839 

0.200 
1.010 
5.187 
2.759 


2.70    I  0.81    I  3.47    |  3.76    |  1.17 


293 


Per  calcolare  la  ((iiantilà  di  materiali  che  veiiRono  c.s|)orl;ill  ria  un  ellaro  ili  lerrono 
si  è  calcolato  che  possono  essere  piantati  per  ettaro  100  meli  :t(Kl  peri.  :t(Mi  peschi. 
300  susini,  600  cotogni,  mantenendo  le  distanze  fra  pianta  e  pi:inl.i  ctu-  -.i  s.>t;li.,iii«  «hirc 
in  America. 

L'esportazione  sarebbe  indicata  dalla  seguente  taliolla. 


Tab.  XXll. 


Esportazione  di  materiali  nutritivi 
da  un  ettaro  di  terreno  nella  coltivazione  delle  piante  da  frutto 


Parte  della 

pianta 

Esportazione  per  ettaro  in  chilograrami 

della  pianta 

II 

04 

3 

< 

■< 

■il 

J_ 

38.4 
123 
0.8 

8 

5 

1 

61474 
3653 
319 

53054 
1575 
167 

26 
39.3 
1.5 

11.1 
6.3 
0.5 

5.1 
&1.4 
3.9 

8.2 

Melo        .    . 

Foglie 

2Ì2 

Gettate  dell'annata  . 
Totale 

0.7 

65446 

54796 

66.8 

17.9 

71.5 

73.4 

30.1 

Pesco 


'  Foglie 
/  GeUate 


dell'annata  . 

21961 
3174 
884 

19183 
1949  ! 
5011 

10.2 
21 

2.4] 

Totale 

26019 

21633 i 

33.6  1 

3.9 
3.3 
0.9  I 


Xi.ì  2.7 
12.3  ,  :m.8 
2.4        6    , 


37.8  1    43.5 


Cotogno.    .  '  Foglie 
/  Gettate 


dell'annata  . 

20956    17258 
2629      1423 
732       379 

25.2 
22.8 
3.6 

Totale 

243171  19060 

51.6 

11.4  1 
4.8 
1.2  I 


17.4  I    64.8 


3.6  { 
52.2. 

18    I 


73.8 


Foglie 
I  Gettate 


Susino     .    .  ,  Foglie 
'  Gettate 


dell'annata  . 
Totale 


dell'annata  . 
Totale 


23361 i  19750: 
6226  4022 
1746  i     lOM, 


20.1 
57.3 

7.5  1 


9.6 

41.1  1 

2.4  1 

9 

372 

107.4 

1.8 

3.6  1 

19.8  1 

IJi 

12J{ 

6.6 
12.6 

2.1 

21.6 

45 
Sii 
3 


31333 1  247761  84.9 1  20.4  |  81.9  |  129.6  1  39.9 


9849  8110 i 
2007  1292 I 
655   328 I 


15.3] 

5.4 

^'^     1 

3.6 

3.6' 

1.2 

21 J  (  5.1 
20.1  I  30.6 
2.1  ;  11.4 


12511  i  9730 1  33.9:  10.2'  43.5.1  47.1  |  14.7 


i  s 

Boijojso}  apijpiuv 

12,2 
13,5 
19,4 
17,8 
13,8 
11,3 
17,1 
12,8 
11,6 
13,2 
8,4 
12,7 
7.4 
10,3 
8,8 
8,8 
11,6 
11,8 
9,8 
9,4 

ì^ 

BisaugBK 

S-  %'  S-  Jr  S-  SJ  S-  S-  Sf  :5-  ^'  %'  ^-  Jr  5-  ^'  ?l  S-  5-  S 

aoiGO 

&  S'  ;S'  s  s-  §  ^-  &  ^  5  s  s-  S'  :S'  2-  s-  s-  s-  §  ^- 

BSSBtOd 

52,3 
47,9 
42,- 
44,1 
36,1 
32,8 
35,3 
32,9 
52,7 
45,1 
40,0 
50,1 
51,8 
47,7 
46,- 
50,- 
57,5 
38,6 
39,0 
44,7 

BDiJojsoi  apijpmv 

■ 

'  0,046 
0,056 
0,118 
0,104 
0,132 
0,069 
0,105 
0,041 
0,065 
0,058 
0,044 
0,053 
0,046 
0,033 
0,038 
0,034 
0,045 
0,029 
0,019 

i  0-019 

294 

»     00 

".  ^. 
■s>   «o 

SS 

o    n 

o    o" 

^^^    ro    i-H    -ri  co    co    o 

oooooooooo 

o"  o'  o"  o'  o"  o"  o"  o" 

^co~M   OS    t^    to    cr~o    X 

g  g  S  g  '^^  g  s  g 

o"  o    o    o    o    o    o"  e 

TI     TI     <M     CJ     co     C^l     (M     1-1 

o"  o'  o"  o'  o"  o    o"  o" 

"cD~CO~tO~  lO^^-rH^CO'^rH^O^CTl      05      OS      in      t~-      O      M      O      -H      O^'S'^th" 

i>-'riOcoi-0  0---<T-iiocoTiT-i'-ic>icocoaiT»<aio 
fOT)<coi.oc;^ocoin-!)<io-ftocOTrcococMi-i(M 
o"  o  o"  o'  o'  o"  o  o"  o'  o"  o  o"  o'  o"  o  o"  o"  o  o"  o" 
~«D~t-^~~co~"-ti  aT'^-    1-1    00    ^    o~o"co"  i^"  lO    -i>"lr^~  c^~'*  '  c^  ' 

^,  ?2S5    |SÌS3§8§8SSSgS^ggS?Ìg 

TH   Ti   T-T  t4        Ti   Ti   O   O"  O   O"  Ti   O"  O"        O"  O"  O'   O"  O" 

o  i>  co  o 
o  o"  o~  o" 

CM  IO  IO  Ò 
T^  O"  O'  r-T 

Tfi  I  I  |-*C3|  I  |coiniS«Doo50i>-*«ooo 
o~    '      '      '      '    o"  o"    '      '      '    ^  IO   in   <n"  t"  TfT  .o"  Ti'  th'  oo' 

~03  00  o  io  in  co  o  00  Tii>ojiOT),cv]^i>ooinT*i> 
c>_cooi>_^Ti^è5_wco«Dt~^OTi_T)^ioo5_oo<»oèi> 
THvoso'iooreo't^rsot-rr^THcTpicTincoinco^od 

inTfeoi>  It-io->j<coo>  leoa5«OJ^i>«>,TCco  I 
■<a<'THC-rTjI'Tii(fooeoin'-*TH'TÌ"o«D^incoinTH'TH 

IO  «o  ■*  co  I  02  '  cD^  i>  Ti  l_^  i>  Ti  T(<^  Ti_  co  Tj<  o  i>  l_^ 
ioodMioor-*c4'to'"'tinorogorco'io^co-*'ooor 
aot>ooaot>ooooooooooooooooaoooooooooaooo 

«Otì  tJ<tHtìOi0005 

oo'        '        '        I        I        '        '         'lMeOCOr-<TiOTi'        '         ' 

co    co  IO    00    C5    co    «o    w    i>     i      1    00    t    IO    o    o 

oOKnini>t>oo-*-*i>-^Ti-*05     I      ir^cOT(<Mai 

«     ^'    O-    O-    O'    r.'    th'    o'    «'    00     ^^    ^•'   5     ^   g-   '^"•O     '^    g    ^ 

tì  O  2     O  2     O  2 

3  -  M)  '  p  bó  "  O  bi)  "  '  '  ?„  ^  '  '  "^  '  '~  " 
.S  3  se     3  6D     3  bC 

iOOìlOiOOOOOCOOOOOOOOOTHt^OOI>COOO>-H 


«IStfUaBJV 

§  S'  S'  S'  S'  S'  S-  S'  5  S'  S'  S'  2-  2  2  2  2  2'  S'  § 

aoiBO 

0,033 
0.022 
0,039 
0.037 
0,156 
0.089 
0,070 
0,028 

0.08 
0,049 
0,029 
0,036 
0,012 
0,021 

0,03 
0,024 
0,025 
0,016 

0,02 
0,015 

BSSB;Od 

0,197 
0,198 
0,255 
0,258 
0,343 
0.200 
0,216 
0,105 
0,295 
0,198 
0,208 
0.208 

0,32 
0,153 
0,199 
0,193 
0,225 
0,095 
0,076 

0,09 

ajana3 


a^BlOOlBO 

aXBXOZB  azuBiSos 


oiozv 

0,201 
0,182 
0,250 
0,231 

0,259 
0,263 
0,133 
0,142 
0,141 
0,104 
0,177 
0,130 
0,102 
0,120 
0,127 
0,138 
0,136 
0,055 
0,07 

ooiXBin  opioB  ]XBnb 

l'xBIOOIBo'  ipiov       ! 

0,51 
0,99 
1,70 
2,15 
3,61 
1,35 
1,73 
1,09 
1,44 
1,76 
1,23 
0,52 
0,50 
1,04 
1,29 
0,60 
1,16 
0,21 
0,61 
0.48 

BUUEO  ip  ojaqoonz 


BOOaS    BZUBXSOS 


Bnbov 


aiu9s  un  IP  osad 


ounjj  un 
ip  Dipani  osaj 


,J 

O 

o 

S 

n 

<! 

> 

W 

3   1 

w 

o 
z 

Q 

Cd 

H 

w 

H 

J 

n 

^ 

O 

a, 

b. 

o 

M 

a 

H 

t  s  .-e 

2  M  a 


>  a  s 

O       tS       BJ 

«   J    P5 


«    o    g  -o 

^     Ss  "O  cK 

2  a  -3 

I  s  . 


•-    ea    «     e  .^i 

^'  -^   -    2  2 

«  s  -a  a  - 

2  < 


—  295  — 

Il  Prof.  Kulisch  della  Scuola  di  (leissciihciin,  ha  pubblicalo  le  scKuenli  analisi  de 
terminale  con  frutta  raccolte  nel  medesimo  terreno  (Tah.  XXIIl). 

I  dati  più  attendibili  che  si  hanno  sulla  esportazione  della  vile,  sono   i    se;;uenli  : 

1-sportazione  per  ettaro  di 
Anidride  fosforica    Azoto  Potassa 

a)  colla  produzione  di  48  hi.  di    vino, 

assieme  colle  vinaccie  e  feccie  ....  >•,.')  20,—  .v.\,m 

b)  coi  germogli  verdi,  legno  m.  da   un 
ettaro  di  terreno,  che  produce  48  hi. 

di  vino .  17,—  '.»2,2  .'>2,(i 

e)  esportazione  complessiva  per  ettaro 

producendo  48  ettolitri   di   vino.  .  .  2G,.')  117,2  Hl.ti 

II  Prof.  Doti.  Hilgard  di  Berkeley  (California)  fece  altre  analisi    mollo    inlcrcssunli 
di  frutta  di  cui  riporto  i  dati  principali  : 

■Susine  .\lbioocchc 

Peso  medio  del  frutto 2;i.<>  (i2,j 

Polpa  p.  % !>4.2  i«,K.1 

Succo  p.  %  della  jìolpa 83,1  !W,— 

Acidità  %  del  succo  <juale  anidrifle  solforica  0,31  0.68 

Zucchero  p.  %  del  frutto  fresco 18,.t3  11,10 

Acqua  ,  .  72,82  85,16 

Cenere  ,  .      0„->78  0,491 

Anidride  fosforica       „  „      0,081  0.064 

Azoto  ,  „      0.182  0,11M 

Potassa  ,  ,      0,37  0,21» 

Calce  .  0,027  0,016 

Magnesia  .  0,032  0.018 

2.  —  Da  tutte  queste  cifre  risulta  evidente  quaiìto  segue  : 

a)  Il  contenuto  di  elementi  nutritivi  aumenta  dalle  radici  al  fusto, 
da  questo  ai  rami  e  dai  rami  alle  foglie.  Nei  frutti  invece  diminuisce, 
Sulle  foglie  e  sui  rami  a  frutto  si  accumulano  i  materiali  dcslinali  a 
costituire  e  sviluppare  il  frutto. 

b)  Il  nocciolo  contiene  più  sostanze  nutritive  della  jjolpa  <lel 
frutto. 

e)  La  massima  quantità  di  acqua  e  di  sostanze  organiche  è  con- 
tenuta nei  semi  e  frutti  e,  dopo  questi,  nei  fusti  e  rami,  i  quali  ultimi 
però  contengono  il  massimo  di  ceneri.  Da  ciò  la  necessità  di  concimare 
largamente  le  piante  giovani,  i  vivai,  poiché  collo  sviluppo  erbaceo  che 
si  esige,  si  ha  la  massima  esportazione  di  materiali  minerali. 

d)  Allo  sviluppo  delle  frutta  inlluisce  notevolmente  l'acqua  od  a 
meglio  dire  la  freschezza  del  terreno.  In  un  terreno  arido  si  hanno 
sempre  poche  frutta  e  poco  saporite. 

e)  Una  pianta  da  frutto  esporta  dal  terreno  colla  sua  vegetazione 
in  ordine  decrescente  la  calce,  la  potassa,  l'azoto  e  l'anidride  fosforica, 
nelle  proporzioni  di  circa  8:  4:  3:  1: 

/)  Non  tutte  le  parti  della  pianta  contengono  in  eguale  i)ropor- 
zione  i  suddetti    elementi. 


-  296  — 
Per  ordine  decrescente  d' importanza  abbiamo  i  seguenti  risultati 


radice 

rami  a  legno 

rami  a  frutto 

foglie 

frutta 

1.  calce 

1.  calce 

1.  calce 

1.  calce 

1.  potassa 

2.  azoto 

2.  azoto 

2.  azoto 

2.  potassa 

2.  azoto 

3.  potassa 

3.  potassa 

l    potassa 
3.)  edanidr. 

3.  azoto 

3.  anidride 

4.  anidride 

4.  anidride 

4.  anidride 

fosforica 

fosforica 

fosforica 

f  fosforica 

fosforica 

4.  calce 

L'ordine  decrescente  d'importanza  di  ogni  elemento  per  le  singole 
parti  di  una  pianta  è  il  seguente  per 


l'azoto 


le  foglie 
i  rami  a  frutto 
„        legno 
la  radice 
le  frutta 


l'anidride  fosforica 


le  foglie 

i  rami  a  frutto 

i  frutti 

le  radici 

i  rami  a  legno 


la 

le  foglie 

i  frutti 

i  rami  a  frutto 

la  radice 

i  rami  a  legno 


la  calce 


le  foglie 

i  rami  a  frutta 

la  radice 

i  rami  a  legno 

le  frutta. 


Da  questo  si  deduce  : 

aa)  che  volendo  favorire  lo  sviluppo  fogliaceo,  bisogna  dare  la 
massima  e  completa  concimazione  ; 

bb)  che  avendo  da  concimare  piante  di  normale  sviluppo,  con- 
verrà attenersi  alle  proporzioni  del  capoverso  3  precedente,  ma  quando 
si  tratterà  di  ottenere  più  frutta  piuttosto  che  legno  o  viceversa,  quando 
si  tratterà  di  rinvigorire  una  pianta,  deve  differire  anche  la  qualità  dei 
concimi. 

g)  Confrontando  la  composizione  della  cenere  del  legno  con 
quella  della  cenere  delle  frutta  si  osserva  : 

aa)  nella  cenere  del  legno  prevale  la  calce,  poi  viene  la  potassa 
e  da  ultimo  l'anidride  fosforica; 

bb)  nella  cenere  delle  frutta  prevale  la  potassa  dalla  metà  ai  due 
terzi,  poi  l'acido  fosforico  e  quindi  la  calce. 

■  Come  si  vede,  tanto  per  la  formazione  del  legno  che  delle  frutta, 
notevole  è  l'importanza  che  ha  la  calce,  ed  ammettendo  pure  che  la 
maggior  parte  dei  terreni  ne  contenga  a  sufficienza  con  tutto  ciò,  trat- 
tandosi di  terreni  poveri,  non  potrà  essere  trascurata  nei  concimi  anche 
raggiunta  di  calce. 

h)  La  composizione  di  una  pianta  e  delle  singole  sue  parti  può 
variare  colla  specie  e  col  clima. 

i)  1  frutti  a  bacca  (compresa  la  vite),  contengono  la  maggior  quan- 
tità di  sostanze  organiche  e  di  azoto  ;  poi  vengono  le  frutta  delle 
piante  a  nocciuolo  e  quindi  quelle  delle  piante  a  granella. 


l)  Maggiore  è  la  esportazione  di  sostanze  minerali  colle  frulla 
delle  piante  a  nocciuolo,  j)oi  viene  la  vite  e  (juindi  le  piante  a  granella. 
Da  questo  e  da  quanto  è  detto  nel  capoverso  precedente  si  può  dedurre 
in  via  generale  che  alle  piante  a  bacca  ed  a  nocciuolo  occorre  un  terreno 
pili  ricco,  più  fertile,  più  profondo  delle  piante  a  granella. 

ni)  Il  legno  del  cotogno  contiene  la  massima  (juantilà  di  calce: 
((uello  del  susino  e  del  pesco  ne  contiene  ([ualcosa  meno  ma  non  di 
molto  ;  quello  del  pero  e  melo,  notevolmente  meno. 

n)  Le  foglie  del  cotogno  sono  le  più  ricche  di  calce  :  seguono 
ma  non  con  una  grande  ditTerenza  quelle  di  susino,  pesco  e  melo. 
Quelle  di  pero  contengono  la  minor  quantità. 

a)  La  massima  (luantità  di  azoto  si  trova  nelle  foglie  di  melo, 
minore  nelle  foglie  di  pesco,  cotogno,  susino  e  pero. 

p)  Per  l'anidride  fosforica  c'è  poca  diversità  Ira  una  e  l'allra 
specie  ed  in  generale  ne  contengono  poca. 

Le  foglie  di  cotogno  sono  quelle  che  ne  contengono  di  più.  (|uelk' 
di  pesco,  meno  di  tutte. 

Il  rapporto  in  cui  si  trovano  le  singole  sostanze  nutritive  fra  di  loro 
si  rileva  meglio  dalla  seguente  tabella,  preparala  in  base  alle  ci  Ire  di 
analisi  ottenute  dalla  Stazione  di  (ieneva  l'America). 

Anidride  fostorica    Potassa  Calce  .MaKiicsia 


/ 

'  Melo     .    . 

.    .            0.13 

2.2Ó 

0.20 

0.32 

( 

l  Pero     .    . 

.    .            0.36 

2.24 

0.24 

0.30 

F'rutto 

1 

Cotogno   . 
1  Pesco   .    . 
V  Susino.    . 

.     .             0.46 
.     .             O.il) 
.    .            O.:^.") 

2.- 

2.05 
1.43 

0.15 
0.12 
0.13 

0.27 
0.23 
0.1« 

Fruito 

in  media  0.42 

2.- 

0.17 

0.26 

/  Melo     .     . 
Pero     .     . 

.     .            0.16 
.     .             0.16 

0.31 
0.58 

1.64 
l.()(i 

0..54 
0.10 

Foglie  < 

1 

^  Cotogno   . 
)  Pesco   .    . 
[  Susino.    . 

.     .             0.20 
.     .             0.16 
.     .             0.22 

0.50 
0.65 
1.33 

2.26 
l.iK) 
2.(»3 

0.51 
0..56 
0.64 

Foglie  in  media  0.18 


0.67  1.1>0  0.54 


q)  Nelle  diverse  frutta,  la  cenere  delle  susine  è  la  più  n^-ca^di 
potassa  (63.83  7o);  le  albicocche  ne  hanno  50.36  7o  ;  »  •>t;hi  55.83  %  ; 
l'uva  50.95  %  ;  gli  aranci  e  limoni  48  7o- 

/•;  La  calce  fa  molti  maggiori  dilTerenze  nella  cenere  delle  frutta. 
La  cenere  più  ricca  di  calce  è  quella  del  limone,  29.87%;  gli  aranci 
22  70  7o;  i  fichi  11.30  7o;  l'uva  e  le  susine,  4  7o  e  le   albicocche   .H.l/»  . 

s)  L'anidride  fosforica  rimane  pressoché  costante  m  tutte  le 
frutta.  La  cenere  di  limone  ne  contiene  al  minimo:  11,09 7o;  quella  di 
arancio  e  pino  12%;  quella  di  albicocche  13  7»;  di  susine  14  7o.  La 
cenere  dell'uva  ne  contiene  la  quantità  massima  di  21.24  "/o- 


-  298  - 

t)  Rispetto  all'esportazione  per  ettaro  di  terreno  coltivato,  si  nota  : 

aa)  che  la  massima  quantità  di  sostanza  verde  viene  prodotta 
dal  melo.  L'esportazione  dal  terreno  fatta  col  melo  è  inferiore  a  quella 
col  pesco,  quantunque  questo  dia  la  metà  della   produzione    vegetale  ; 

bb)  questa  maggiore  esigenza  del  pesco  trova  la  sua  ragione  nella 
rapida  crescita  di  questa  pianta.  Al  pesco  segue  il  melo.  Per  queste  due 
piante  quindi, l'agricoltore  deve  provvedere  con  più  lauta  concimazione; 

ce)  il  cotogno,  il  susino  ed  il  pero  non  sono  troppo  esigenti.  La 
relativa  piccola  quantità  di  sostanze  che  si  verificarono  pel  pero  è 
giustificata  dal  fatto,  che  a  Geneva  si  sottoposero  all'analisi,  delle  piante 
troppo  giovani.  In  generale  però,  le  piante  a  granella,  avendo  una  cre- 
scita non  tanto  rapida,  esigono  concimazioni,  specialmente  d'impianto, 
meno  abbondanti  ; 

dd)  il  pesco  esporta  la  massima  quantità  di  calce  ed  è  più  esigente 
dello  stesso  susino.  E'  per  questo  che  il  pesco,  se  allevato  in  terreni 
non  calcari,  dà  frutti  per  qualche  anno  e  poi  questi  diminuiscono  ed 
anche  perdono  di  valore.  L'esportazione  di  magnesia  corrisponde  circa 
alla  metà  di  quella  della  calce  ; 

ee)  di  azoto  e  potassa  ne  richiedono  presso  a  poco  circa  la  me- 
desima quantità.  Il  melo  ed  il  pesco  sono  però  i  più  esigenti  ;  il  pero 
susino  e  cotogno  ne  richiedono  molto  meno.  Una  grande  quantità  di 
potassa  è  richiesta  per  la  produzione  delle  frutta  mentre  l'azoto  serve 
per  le  foglie  ; 

fP  l'esigenza  delle  piante  da  frutto  per  l'anidride  fosforica  è  ge- 
neralmente modesta.  Il  pesco  ne  adopera  la  maggiore  quantità  mentre 
il  susino  ne  richiede  la  metà.  11  melo  ed  il  cotogno  si  avvicinano  fra 
loro  per  esigenza  di  anidride  fosforica. 

u)  Questi  dati  servono  per  dare  una  base  al  frutticoitore  allo 
scopo  di  fissare  la  concimazione.  Ma  poiché  gli  effetti  della  concima- 
zione variano  colla  qualità  dei  concimi,  col  clima  e  col  terreno,  è 
necessario  prima  di  tutto  di  conoscere  la  qualità  dei  concimi  che  il 
frutticoitore  può  adoperare  e  poi  procedere  per  via  esperimenlale  prima 
di  fissare  in  base  a  terreno,  clima  e  natura  della  pianta,  il  definitivo 
modo  di  concimare. 


VII. 

Concimi  naturali.  —  (Lo  stallatico.  -  I  terricciati.  -  Le 
foglie,  i  germogli,  i  rami  di  potatura,  ecc.  -  Il  co- 
laticcio, la  pollina,  la  colombina,  il  pozzo  nero,  ecc.) 

1.  —  Lo  stallatico  è  il  principale  ed  in  molte  località  l'unico  con- 
cime applicato.  Esso  contiene  tutte  le  sostanze  nutritive  necessarie; 
volume  mantiene  soffice  il  terreno,  lo  migliora  fisicamente,  poiché 
QOÌVhiinius    e    colle  sostanze  umiche    che  in  esso   si   formano   rende 


-  299  - 

più  legali  i  terreni  sciolti  e  più  sciolti  i  terreni  tenaci.  Aumenta  poi  la 
freschezza  del  terreno,  rende  solubili  molti  sali  minerali  lucendoli  di- 
sgregare, infine  le  sostanze  umiche  trattengono  una  quantitii  notevole 
di  potassa,  acido  fosforico  ed  azoto,  cosi  che  impediscono  il  dilava- 
mento. Per  questo  complesso  di  proprietà,  oltre  alla  facilità  di  averlo 
in  ogni  azienda,  lo  stallatico  ha  una  cosi  larga  applicazione. 

Un  capo  di  bestiame  dà  in  un  anno  circa  2")  volte  del  suo  peso 
in  stallatico.  Naturalmente  la  composizione  di  questo  varia  a  seconda 
dell'animale  che  l'ha  prodotto,  della  qualità  del  foraggio  consumato, 
della  qualità  della  lettiera  adoperata  ed  infine  del  modo  col  quale  lo 
stallatico  è  stato  conservato. 

Come  risulta  dallo  specchio  che  segue,  lo  stallatico  di  pecora  e 
poi  quello  di  cavallo  sono  i  migliori,  perchè  contengono  in  proporzioni 
più  concentrate,  l'azoto,  l'anidride  fosforica  e  la  potassa. 


Analisi  di  deiezioni  animali. 


Un  quintale  dei  seguenti  concimi  contiene  in  Kg. 

Nome 
dei  concimi 

Azoto 

Anidride 
fosforica 

Potassa 

Calce 

Sostanza 
organica 

20.-? 
25.4 
31,8 
25.- 

21.2 
19.2 
14.5 

20.- 

0,7 
'22.5 
19,8 

■2.4 

Acqua 

F-etame  fresco  (compresa  la 
lettiera)  di 

aj  bovini 

b)  cavalli 

cj  pecore 

dj  maiali 

Letame  di  stalla  misto: 

uj  fresco    

bj  semi-decomposto    . 

e)  maturo 

dJ  composizione   media 

normale 

Colaticcio  di  stalla    .... 

0,34 
0,58 
0,83 
0,45 

0,39 
0,50 
0,58 

0,50 
0,15 
1,&3 

0,16 
0.28 
0,23 
0,19 

0,18 
0,26 
0,30 

0.25 
0,01 
1.S1 

0,40 
0,53 
0,67 
0,60 

0.45 
0,63 
0,.50 

0,55 
0.49 
0.85 

0,31 
0.21 
0.33 
0,08 

0.19 
0,70 
0,88 

0,70 

o.a3 

2.40 

77,5 
71.3 
64.6 
72.4 

75,- 
75.- 
79.- 

75.- 
98,2 
56,- 

Escrementi  umani  freschi  . 
Orina  umana  fresca 
Pozzo  nero  puro 

1,          1        1,10 
0,60             0,17 
0.55      1       0,28 

0.25             0.62 
0,20             0,02 
0,20      1       0.10 

77,2 
96,3 
«J3/. 

Di  questi  se  ne  fa  però  un  uso  limitato  inquantoclié  raramente  se 
ne  produce  a  sufficienza.  Di  più  essi  si  decom|)ono  presto,  sono  pron- 
tamente attivi,  richiedono  concimazioni  più  freciuenti  e  talvolta  dan- 
neggiano anche  le  radici  delle  piante,  producendo  una  specie  di  scotta- 
tura, dovuta  all'azione  diretta  dell'ammoniaca  e  dei  sali  che  si  svilup- 
pano. È  meglio  con  questi  due  letami  fare  dei  terricciati,  oppure 
adoperarli  pei  terreni  umidi  e  perciò  freddi. 

Il  letame  vaccino  è  quello  più  comunemente  adoperato. 


—  300  — 

Quanto  più  conceiilrati  sono  gli  alimenti,  e  meglio  nutriti  sono 
gli  animali,  tanto  migliore  è  anche  il  letame  prodotto.  Nei  paesi  viticoli, 
dove  non  si  abbonda  di  paglia,  si  adopera  per  lettiera  lo  strame  dei 
boschi.  Sarebbe  più  vantaggioso  adoperare  la  paglia  dei  cereali,  perchè 
si  decompone  meglio  e  più  sollecitamente,  formando  una  buona  amal- 
gama colle  feci  solide.  Le  foglie  delle  conifere  sono  molto  meno  de- 
componibili delle  altre  foglie  di  castagno  e  quercia;  le  quali  son  o 
anche  più  ricche  in  azoto  e  più  povere  di  potassa  della  lettiera  di 
palude. 

Lo  stallatico  fresco  non  si  dovrebbe  dare  mai  alle  piante  da  frutto. 
Conviene  invece  che  sia  applicato  in  ragione  di  50  a  70  tonellate  per 
ettaro  a  metà  decomposto,  ossia  ridotto  in  modo  da  formare  un  tutto 
omogeneo,  così  da  non  discernere  la  lettiera  dal  fieno.  Allora  sol- 
tanto gli  alementi  fertilizzanti  hanno  acquistato  una  definitiva  stabi- 
lità di  forma  e  rendono  più  duraturo  l'effetto  del  concime.  Al  più,  nei 
terreni  tenaci,  si  può  applicare  dello  stallatico  meno  decomposto. 

Lo  stallatico  deve  essere  adoperato  specialmente  per  gli  impianti. 
Colla  aereazione  che  procura  al  terreno,  favoi'isce  la  ramificazione 
delle  radici  e  lo  sviluppo  delle  radici  sottili  che  sono  le  più  attive. 
All'impianto,  come  abbiamo  parlato  a  pag.  254,  conviene  però  una  ag- 
giunta di  raschiatura  di  corna,  unghie,  cascami  di  lana,  peli,  ecc.,  cosi 
pure  bisogna  aggiungere  dei  concimi  artificiali  per  fare  le  concimazioni 
di  mantenimento. 

2.  /  terricciati.  —  Molto  è  stato  scritto  e  discusso  sui  vantaggi  dei 
composti  o  terricciati.  In  generale,  col  fare  dei  terricciati,  l'agricoltore 
si  propone  di  diluire  un  ingrasso  potente  (fimo  cavallino,  pecorino, 
cascami  di  lana,  di  sostanze  animali  in  genere)  con  una  materia  inerte 
o  poco  attiva,  oppure  si  tratta  (quando  si  aggiunge  della  calce)  di  affret- 
tare la  disgregazione  delle  materie  dure  e  resistenti,  il  di  cui  impiego 
sarebbe  ])oco  comodo,  la  distribuzione  difficile  e  la  decomposizione 
troppo  lenta. 

Per  i  molti  e  svariati  materiali  che  si  adoperano  e  per  il  modo 
con  cui  vengono  preparati  i  terricciati  è  evidente  che  la  loro  compo- 
sizione è  molto  complessa  e  le  sostanze  nutritive  si  trovano  in  uno 
stato  facilmente  assimilabile. 

Sotto  tutti  i  rapporti,  il  terricciato  è  uno  dei  migliori  concimi  che 
si  possa  adoperare  in  frutticoltura.  Sia  che  si  tratti  di  fare  degli  im- 
pianti, sia  nei  vivai,  sia  alle  piante  adulte,  il  terricciato  è  il  concime 
che  dà  i  migliori  risultati  ed  è  il  più  economico. 

11  terricciato  per  le  piante  da  frutto  non  sarà  però  fatto  di  solo 
stallatico  e  terra,  bensì  bisognerà  mescolarvi  spazzature  di  strade  di 
case  e  cortili,  materie  fecali  umane,  ceneri,  calcinacci,  foglie  d'alberi, 
i  prodotti  della  potatura,  pollina,  fuliggine,  ecc. 

Questi  miscugli  rivoltati  bene  e  di  frequente,  disgregati  e  bagnati 
con  urina  o  pozzo  nero,  hanno  una  composizione  migliore  dello  stal- 
latico, e  si  dovrebbero  applicare  ogni  anno  in  ragione  di  kg.  50  per 
pianta. 


—  301  - 

3.  —  Le  foglie,  i  germogli  prodotto  dalla  cimatura  e  scacchiatura.  i 
rami  e  tralci,  gli  avanzi  delle  coiiscruc,  devono  essere  pure  tenuli  da 
conto  dal  frutticoitore,  per  usarli,  decomposti,  quali  concimi.  Conviene 
far  decomporre  queste  sostanze  macerandole  con  pozzo  nero  Dove 
non  si  difetta  di  legna,  si  possono  utilizzare  per  concime  i  rami  caduti 
colla  potatura  secca.  Si  tagliano  i  delti  rami  a  pezzetti  di  10  centi- 
metri e  si  sotterranno  in  fosse  che  si  fanno  intorno  ad  ogni  pianta, 
oppure  longitudinalmente,  se  le  piante  sono  vicine  una  all'altra.  Onesti 
rami  tagliuzzati  rendono  il  terreno  più  soffice,  formano  in  sette  o  otto 
anni  un  buon  strato  di  humus,  vantaggioso  per  la  freschezza  che  man- 
tiene e  perchè  rende  più  facile  lo  smaltimento  delle  acque  nei  ter- 
reni umidi.  Naturalmente  l'effetto  di  queste  concimazioni  si  fa  sentire 
molto  tardi  ed  in  quelle  località  in  cui  vengono  applicate,  si  usa  me- 
scolarvi dello  stallatico,  oppure  si  alterna  la  loro  applicazione  coi 
concimi  chimici. 

4.  —  //  colaticcio,  la  pollimi,  la  colombina,  il  pozzo  nero,  ecc.,  sono 
pure  molto  convenienti  pel  frutticoitore.  Questi  materiali  servono  per 
formare  i  terricciati,  o  per  migliorare  lo  stallatico,  oppure  per  prepa- 
rare i  concimi  liquidi,  di  cui  si  parlerà  nel  prossimo  capitolo. 


Vili. 
Concimi  liquidi. 

1.  _  Uno  dei  mezzi  più  energici  per  favorire  lo  sviluppo  delle 
piante  da  frutto  è  incontestabilmente  l'aiìplicazione  degli  ingrassi  li- 
quidi al  momento  in  cui  la  vegetazione  è  più  attiva.  In  questo  mo- 
mento appunto,  le  piante,  hanno  maggior  bisogno  di  trovare  nei  terreno 
dell'umidità  che  tenga  in  soluzione  dei  materiali  nutritivi. 

Coi  concimi  liquidi  si  ha  il  vantaggio  di  un  pronto  assorbimento,  si  possono  appli- 
care in  ogni  tempo  e  si  fornisce  la  pianta  di  (juegli  eleinenli  di  cui  direltaincnle  ha 
bisogno. 

Come  abbiamo  già  veduto,  parlando  della  piantagione,  le  giovani  piante  hanno 
bisogno  molto  di  frequente  di  concio  liquido  nella  prima  estate  dopo  fatto  rimpianto, 
così  pure  è  molto  utile  l'applicazione  dei  concimi  liquidi  anche  alle  piaiMc  adulte 
durante  l'anno,  quando  improvvisamente  ci   si   accorge   che   incominciano   a   deperire. 

Non  trovo  però  conveniente  di  consigliare  solo  l'applicazione  di  questo  sistema  di 
concimazione  nella  generalità  dei  casi. 

Dalle  osservazioni  che  ho  potuto  fare  e  che  già  riferii  nelle  pas.sate  e.lizioni  mi 
risulta  che,  continuando  per  una  serie  danni  colla  concimazione  liquida,  questa  riesce 
pericolosa,  perchè  esaurisce  presto  la  pianta,  la  fa  invecchiare  anzi  tempo. 

La  concimazione  liquida  può  trovare  forse  una  applicazione  conveniente  ne.  Irutlel. 
coltivati  molto  intensivamente,  dove  può  essere  sostenuta  la  sposa  di  trasporto  d  acqua: 
ma  da  noi  generalmente,  dove  la  fruUicoUura  non  ci  rimunera  ancora  abbastanza, 
dove  dobbiamo  anzi  abituare  le  piante  a  sostenersi  ad  onta  della  siccità  dove  è  de- 
siderabile che  le  radici  approfondiscano  anziché  svilupparsi  alla  superiic.e,  la  concima- 
zione liquida  l'applicheremo  soltanto  in  casi  speciali  e  cioè,  quando  si  vorrà  evitare 
che  lungo  l'anno,  una  pianta  abbia  a  deperire  per  mancanza  di  special,  iiialcnal.. 


-  302  - 

2.  —  Questi  ingrassi  si  applicano  alla  sera  al  tramonto,  o  meglio 
dopo  una  pioggia,  acciò  il  terreno  abbia  modo  di  imbeversene  pro- 
fondamente. È  indispensabile  anche,  che  l'ingrasso  arrivi  alla  estremità 
delle  radici,  ossia  in  contatto  delle  radici  capillari,  e  non  resti  né  alla 
superficie,  né  vicino  al  tronco. 

A  tale  scopo,  anziché  aprire  un  fossatello  intorno  alla  pianta,  come  si  fa  usual- 
mente, è  meglio  fare,  a  perpendicolo  dei  rami  estremi  della  fronda  ed  in  giro  al  fusto, 
tanti  fori  con  dei  pali  di  ferro,  profondi  50  centimetri.  In  Svizzera  e  in  Germania  si 
applicano  dei  pali  iniettori  appositi  o  delle  trivelle.  Di  queste  la  più  economica  è  quella 
di  Bohlken.  Invece  di  adoperare  dei  pali  si  possono  fare,  alla  medesima  distanza  dal 
fusto,  delle  buche  cilindriche  di  20  centimetri  di  diametro  e  profonde  50  centimetri,  in 
modo  che  le  pareti  di  queste  buche  rimangano  porose  ed  il  concio  liquido  passi  un 
poco  alla  volta  nel  terreno.  Alla  sera  si  riempiono  di  concio  e  poi  si  coprono  con  stra- 
maglia,  finché  il  liquido  scompare  dalla  buca  che  poi  si  chiude.  Di  queste  buche  se  ne 
fanno  da  4  a  5  a  seconda  dello  sviluppo  della  pianta.  Dovendo  lungo  l'anno  ripetere  la 
concimazione,  si  possono  tenere  aperte  le  buche  con  dei  tubi  di  drenaggio,  i  quali  tubi 
si  riempiono  con  stallatico  quando  non  sono  pieni  di  liquido. 

Il  numero  dei  fori  dipende  naturalmente  dalla  quantità  di  concio  che  si  deve  dare. 
Dovendo  mantenere  esclusivamente  con  concio  in  soluzione  una  pianta  di  10  anni  delà 
che  dà  un  quintale  di  frutta  all'anno,  bisognerebbe  naturalmente  darle  .300  litri  di  so- 
luzione. 

La  concimazione  liquida  si  può  fare  in  tre  periodi  e  cioè:  in  pri- 
mavera, quando  la  pianta  entra  in  vegetazione,  per  favorire  lo  svi- 
luppo del  legno  e  delle  foglie  ;  in  agosto-settembre,  per  favorire  la  tras- 
formazione delle  gemme  a  legno  in  quelle  a  frutto;  e  intorno  alla  metà 
di  ottobre,  per  immagazzinare  nei  rami  delle  sostanze  di  riserva. 

Non  bisogna  però  mai  dare  tutto  il  concio  in  una  volta,  perché 
andrebbe  disperso;  ma  invece  ad  intervalli  di  una  settimana  per  un 
mese  di  seguito,  acciò  le  radici  abbiano  tempo  di  assimilare  le  sostanze. 

3.  —  Vediamo  ora  come  si  preparano  i  conci  liquidi. 

Per  preparare  i  conci  liquidi  conviene  avere  a  disposizione  una 
vasca  di  cemento. 

Il  concime  per  il  primo  periodo  deve  contenere  dell'azoto  e  della 
potassa  per  promuovere  la  formazione  del  legno  e  delle  foglie. 

A  tale  scopo  si  possono  adoperare  : 

aj  Kscrementi  umani  ed  animali,  così  pure  cascami  di  animali,  pelli,  sangue  ecc. 
Si  mettono  tutti  nella  vasca,  vi  si  aggiunge  della  calce,  dell'acido  solforico  per  favorire 
la  decomposizione,  e  del  solfato  di  ferro  per  fissare  le  sostanze  volatili  in  ragione  di 
1  chil.  per  ettolitro.  Quando  hanno  finito  di  fermentare,  il  che  si  sollecita  mescolando 
di  frequente,  si  allunga  con  acqua  in  ragione  di  25  volte  il  loro  volume.  Filtrando  poi 
il  liquido  attraverso  una  tela,  lo  si  somministra  alle  piante. 

b)  L'orina  fermentata,  allungandola  con  acqua,  nel  rapporto  di  1  a  25.  Si  conosce 
che  l'orina  ha  terminato  di  fermentare  quando,  mescolandola,  non  fa  più  schiuma. 

e)  Fimo  bovino,  aggiungendo  dell'acqua  nella  vasca  in  rapporto  di  1  a  ^0.  Si 
mescola  per  bene  ogni  giorno,  e  dopo  12  giorni  si  può  applicare  direttamente  alle 
piante,  purché  abbia  terminato  di  fermentare. 

d)  Fimo  pecorino,  nello  stesso  modo,  soltanto  bisogna  metterlo  in  macerazione 
in  una  maggiore  quantità  d'acqua  e  cioè  nella  proporzione  di  1  a  40. 

ej  Per  dare  la  potassa  conviene  preparare  le  soluzioni  separate  e  mescolarle  coi 
concimi  sopra  indicati  al  momento  dell'applicazione. 

I  materiali  per  dare  potassa  sono:  la  cenere  (1  :  30  d'acqua),  mancando  cenere, 
potassa  del  commercio  (1  :  800  litri  d'acqua),  oppure  solfato  di  potassa  (1  :  1000  litri  d'acqua. 


Nel  concime  del  secondo  periodo,  devono  invece  prevalere  l'anidride 
fosforica  e  la  potassa.  Per  entrambe  si  adopera  : 

a)  polvere  d'ossa        (1  :  400  litri  dacc|ua); 

b)  farina  di  sangue  (1  :  400  „ 
e)  perfosfato  (1  :  500  „ 
d)  colombina  (1  :  100     „ 

per  la  potassa  come  sopra. 

Nel  concime  del  terzo  periodo  devono  prevalere  nuovamente  l'azoto 
e  la  potassa,  quindi  si  ripeterà  la  concimazione  del  primo  periodo. 

Considerando  i  concimi  liquidi  quali  conipleuientari  della  concimazione  normale 
è  evidente  che  i  materiali,  che  devono  essere  contenuti  nella  soluzione,  devono  variare 
a  seconda  dei  casi  e  dello  scopo  che  ci  si  prefigge. 

Ad  una  pianta  bene  sviluppata,  di  10  anni  d'età  e  che  dà  un  quintale  di  frulla,  si 
può  dare  un  ettolitro  in  soluzione  in  4  volte  alla  distanza  di  una  settimana;  trattandosi 
di  una  piramide  o  di  un  mezzo  fusto  sono  sufficienti  iiO  litri  e  cosi  via,  sempre  in  pro- 
porzione alla  produzione  della  frutta. 

Da  ultimo  voglio  ancora  osservare,  che  non  tutte  le  specie  di  piante 
avvantaggiano  egualmente  colla  concimazione  li(|uida.  Ho  osservalo  ad 
esempio  che  il  susino,  la  vite,  l'avellano  ne  approlìttano  meglio  dei 
ciliegi,  dei  peschi,  degli  albicocchi  e  dei  mandorli.  .\1  noce  essa  è  dan- 
nosa, poiché  dà  pochissimi  frutti  e  nell'inverno  e  gelano  facilmente  le 
ultime  gettate,  li  pero  ed  il  pomo  ne  approlìttano  più  di  tutte  le  specie 
di  piante. 


IX. 
I  concimi  potassici. 

La  composizione  di  questi  concimi,  che  sono  di  prima  imi)oit:mza 
Ira  i  concimi  artificiali,  è  data  dalla  tabella  XXV. 

Abbiamo  già  visto  che  dopo  la  calce,  la  potassa  è  uno  degli  ele- 
menti più  importanti  per  la  concimazione. 

Nei  terreni  per  le  ordinarie  coltivazioni  a  cereali,  concimate  in 
rotazione  con  stallatico,  vi  ha  di  solito  una  quantità  sufficiente  di  po- 
tassa. Trattandosi  però  di  piante  da  frutto  come  anche  per  le  viti,  che 
hanno  una  maggiore  esigenza,  occorre  importare  della  potassa,  poiché 
quella  del  terreno  o  non  è  sufficiente,  o  non  si  trova  in  uno  stato  as- 
similabile. 

1.  -  1  sali,  che  possono  servire  a  dare  la  potassa,  sono  anzitutto 
i  prodotti  greggi  delle  saline  di  Stassfurt.  Questi,  come  la  kainite,  la 
carnallite,  la  silvinite,  contengono  dal  9  al  20  %  di  potassa,  ma  hanno 
l'inconveniente  di  avere  anche  (vedi  Tab.  XXV)  del  cloruro  di  sodio, 
del  cloruro  di  magnesio,  del  solfato  di  magnesia,  i  quali,  se  dati  nei 
terreni  aridi  e  leggeri  servono  a  trattenere  l'umidità  e  mantenerli  più 
freschi,  ma  nella  generalità  dei  terreni,  che  non  soffrono   per  umidità, 


-  304  - 

danneggiano  le  radici  delle  piante  colle  quali  vengono  in  contatto.  A 
questi  danni  sembrano  più  sensibili  le  piante  che  si  trovano  in  terreni 
non  leggeri  :  gli  albicocchi  e  i  peschi  più  dei  ciliegi,  peri  e  meli. 

Ad  evitare  questi  danni  conviene  somministrarli  nell' inverno,  per- 
chè, prima  della  ripresa  della  vegetazione,  abbiano  modo  di  ripartirsi 
e  trasformarsi  nel  terreno. 

Nell'acquisto,  s'abbia  cura  di  garantire  la  ricchezza  in  potassa  so- 
lubile e  conoscere  le  proporzioni  allo  stato  di  carbonato,  cloruro  e 
solfato. 

L'applicazione  dei  sali  greggi  in  Italia  è  cominciata  appena  da 
qualche  anno,  perchè  le  spese  di  trasporto  li  rendevano  troppo  cari  e 
conveniva  l'acquisto  dei  sali  depurati.  Ora  però  ne  vengono  inìportati 
e  la  loro  applicazione  è  consigliabile,  specialmente  per  i  terreni  calcari 
a  sottosuolo  permeabile. 

Tab.  XXV.  B.  Analisi  completa  dei  sali  di  Stassfurt. 


NOME  DEI  SALI 
(in   100  parti  sono  contenute) 

2  " 

"o  a- 

C/2.- 

o 

£  2 
o  o 

•a 

2  1 

3  "3 

.2° 

i 

si  1 

^11 

< 

Conte 

potass 

luto  di 

garan- 
tito 

A.  Nei  prodotti  greggi 

1.  Cainite 

23 
21,3 

,6 
2,0 

14,5 

12,4 

34,6 

1,7 

0,8 

12,7 

12,8 

12,4 

2.  Carnallite.    .  ' 

— 

15,5    14,1 

21.5 

22,4 

1,9 

0,5 

26,1 

9,8 

9,0 

.3.  Silvinite 

5,2 

28,3 

3,6 

1,8 

51,3 

1,8 

4,2 

3,8 

20,7 

15,0 

B.  Sali  preparati  (concentrati) 

aj  Sali  fosfatici  senza  cloro  : 

1.  Solfato  di  potassa  al  !  ^^Ij     '    ' 

97,2 
90,6 

0,3    0,7 

1,6  1  2,7 

0,4 
1,0 

0,2 
1,2 

0,3 
0,4 

0,2 
0,3 

0,7 
2,2 

52,7 
49,9 

51,8 
48,6 

2.  Solfato  di  potassa  e  magnesia . 

50,4 

-  !34,0 

— 

2,5 

0,9 

0,6 

11,6 

27,2 

25,9 

b)  Sali  solfatici  con  cloro  : 

V  90-95  Y„    . 
3.  Cloruro  di  potassio  -  80-85%    . 

_ 

91,7     0,2 

0,2 

7,1 

— 

0,2 

0,6 

57,9 

56,8 

— 

83,5     0,4 

0,3 

14,5 

- 

0,2 

1,1 

52,7 

50,5 

(70-75%    . 

1,7 

72,5    0,8 

0,6 

21,2 

0,2 

0,5 

2,5 

46,6 

44,1 

4.  Sali  calcinati  col  massimo    .     . 

— 

44,5  |22,5 

4,6 

12,4 

2,9 

5,3 

7,8 

28,1 

20,0 

5      „             „         col  minimo.    .    . 

— 

25,6  31,1 

6,3 

10,3 

3,5 

10,6 

12,6 

16,2 

15,0 

Carbon. 
doppio   di 

Carbon. 
di  ma- 

Carbonato doppio  di    potassa  e   ma- 

potassa 

gnesia 

. 



gnesia   

40 

,- 

X 

5,6 

1,0 

25,4 

18,8 

18,5 

NE.  1  Kg.  di  cloruro  di  potassio  puro  corrisponde  a  Kg.  0,63  di  potassio  :  o   inversa- 
mente, 1  Kg.  di  potassa  corrisponde  a  Kg.  1,585  di  cloruro  di  potassio  puro. 

1  Kg.  di  solfato  di  potassa  puro  corrisponde  a  Kg.  0,54  di  potassa    ed   inversamente. 
Kg.  di  potassa  corrisponde  a  Kg.  0,851  di  solfato  di  potassa. 


2.  —  I  sali  potassici  preparati,  sono  depurati  dai  sali  nocivi  alla 
vegetazione. 

Di  questi  ne  abbiamo  tre:  il  cloruro  di  potassio  che  contiene  in- 
circa dal  44  al  57  %  di  potassa;  il  solfato  potassico   dal   48  al  52%  di 


-  305  - 

potassa;  il  solfato  doppio  di  potassa  e  magnesia  (26%  di  potassa),  il 
quale,  oltre  la  potassa,  contiene  la  magnesia,  clìe  può  essere  utile  per 
molti  terreni. 

Nel  cloruro  di  potassio  noi  abbiamo  la  potassa  più  a  buon  mercato, 
ma  per  l'eccesso  di  cloro  che  contiene  riesce  talvolta  dannoso  alla 
vegetazione.  Nei  terreni  sprovvisti  di  calcare,  il  cloruro  è  più  nocivo 
che  utile  ;  bisogna  riservarlo  ai  terreni  calcari  con  sottosuolo  per- 
meabile e  per  quelli  che  non  soffrono  ordinariamente  di  siccità.  Si  im- 
piega di  inverno. 

Il  solfato  di  potassa  viene  generalmente  preferito,  sia  perchè  non 
contiene  che  pochissimi  cloruri,  sia  perchè  si  adatta  a  tutti  i  terreni, 
sia  perchè  per  l'acido  solforico  che  contiene,  riesce  più  attivo  e  di  più 
pronto  effetto.  E  meglio  però  evitare  il  solfato  che  contiene  di  meno 
del  46  7o  di  potassa.  Si  sparge  pure  d' inverno.  Del  solfato  doppio  di 
potassa  e  magnesia,  si  fa  poco  uso. 

Di  potassa  si  possono  fare  generalmente  delle  forti  anticipazioni, 
perchè  il  terreno,  specialmente  l'argillo-calcare,  trattiene  con  molla 
energia  la  potassa.  Nei  terreni  sabbiosi,  poveri  di  Imimis,  ed  in  (|uelli 
cretacei,  o  calcari,  o  torbosi,  la  potassa  viene  molto  trattenuta. 

La  potassa  per  essere  assimilata,  deve  trasformarsi  in  carbonaio, 
ciò  che  avviene  in  contatto  dei  carbonati  calcari.  L'uso  quindi  della 
potassa  rende  i  terreni  sempre  meno  ricchi  di  calcare,  da  ciò  anche 
la  convenienza  di  unire  ad  ogni  concimazione  potassica,  dei  concimi 
calcici.  Questo  spiega  il  danno,  che  possono  arrecare  i  concimi  potas- 
sici, nei  terreni  poveri  di  calce. 

Il  danno  che  il  cloruro  arreca  alle  piante,  lo  si  spiega  nel  seguente 
modo.  Il  cloruro  decomponendosi,  mette  in  libertà  il  cloro,  il  (|uak' 
combinandosi  colla  calce  forma  il  cloruro  di  calce  che  se  non  viene 
dilavato  dall'acqua,  danneggia  le  radici. 


X. 

Concimi  fosfatici.  —  (Perfosfati.  -  Perfosfato  doppio.  - 
Polvere  d'ossa.  -  Scorie  Thomas.  -  Fosfato  d'am- 
moniaca. -  Fosfato  di  potassa). 

1.  -  Quantunque  le  piante  da  frutto  richiedano  poca  quantità  di 
anidride  fosforica,  tuttavia  bisogna  tenere  conto  di  questo  elemento 
importante,  non  soltanto  perché  i  terreni  ordinariamente  coltivali  sono 
esauriti,  ma  perchè  anche  l'anidride  fosforica  ha  una  nolevole  influenza 
sullo  sviluppo  ed  attechimento  dei  frutti.  Recenti  esperienze  hanno 
dimostrato  che  i  migliori  vini  si  ottengono  dai  terreni  più  ricchi  di 
anidride  fosforica. 

20  —  Tamaro  -  FrutticoUura. 


-  306  - 

In  frutticoltura,  per  dare  l'anidride  fosforica,  si  sogliono  adoperare 
concimi  indicati  nella  Tabella  seguente. 


Analisi  dei  pi'ineipali  concimi  fosfatici. 


Perfosfato 

Perfosfato  doppio  .    .    . 
Polvere  d'ossa  normale 
Scorie  Thomas 
Fosfato  d'ammoniaca 
„       di  potassa.    . 

NB.  1  Kg.  d'anidride  fosforica  corrisponde  a  Kg.  2,183  di  fosfato  di  calce 
puro  ed  inversamente  1  Kg.  di  fosfato  di  calce  puro  corrisponde  a  Kg.  0,458 
di  anidride  fosforica. 


I  perfosfati  convengono  a  tutti  i  terreni,  meno  a  quelli  acidi  e 
sono  propri  particolarmente  ai  terreni  calcari  —  anche  se  calcari 
puri,  oppure  argilloso  —  calcari  o  siliceo  —  calcari  (basta  che  conten- 
gano qualche  centesima  parte  di  calcare  per  dichiararli  tali),  oppure 
nei  terreni  silicei  puri  ed  aridi,  privi  di  humus;  o  infine  nei  terreni 
granitici,  ina  ad  elementi  grossolani  friabili  e  inconsistenti. 

L'epoca  dell'applicazione  non  ha  quella  importanza  che  ha  per  i 
concimi  potassici  ed  azotati,  poiché  le  pioggie  non  fanno  disperdere  i 
perfosfati.  Generalmente  in  frutticoltura  si  applicano  durante  od  alla 
fine  dell'inverno. 

2.  —  Il  perfosfato  doppio  contiene  in  un  piccolo  volume  una  quan- 
tità notevole  di  anidride  fosforica  assimilabile  ed  in  molti  casi,  come 
negli  impianti  di  collina,  può  esserne  conveniente  l'impiego  per  dimi- 
nuire le  spese  di  trasporto.  S'impiega  circa  la  metà  ed  anche  meno,  in 
proporzione  del  perfosfato  semplice,  ma  la  sua  distribuzione  è  pii!i 
difficile. 

3.  —  La  polvere  d'ossa  non  sgelatinata  contiene  l'anidride  fosforica 
insolubile  e  perchè  questo  agisca  sulle  piante,  bisogna  che  si  decom- 
ponga la  gelatina.  Da  questa  decomposizione  ne  derivano  delle  sostanze 
umiche  che  agiscono  sul  fosfato  di  calce  tribasico.  Se  invece  si  opera 
con  polvere  d'ossa  sgelatinata,  conviene  usar  assieme  dello  stallatico, 
poiché  l'humus  di  questo,  agisce  come  quello  della  gelatina. 

L'anidride  fosforica  della  polvere  d'ossa  ha  poi  la  particolarità,  di 
non  venire  trattenuta  negli  strati  superficiali  del  terreno  come  quello 
dei  perfosfati,  ma  invece  passa  negli  strati  sottostanti  ;  da  ciò  la  note- 
vole importanza  della  polvere  d'ossa  nella  concimazione  delle  piante 
da  frutto,  poiché  con  essa  abbiamo  il  mezzo  di  alimentare  anche  le 
radici  più  profonde. 


—  307  — 

Gli  effetti  della  polvere  d'ossa  sono  tanto  più  sensibili  quanto  più 
finamente  è  macinata,  e  mescolandovi  del  gesso,  il  ([uale  allVelta  la  de- 
composizione delle  sostanze  organiche. 

Si  adopera  di  preferenza  pei  terreni  sabbiosi,  poco  fertili. 

4.  —  Le  scorie  Tlwiìias  non  devono  contenere  meno  del  ir)",„  di 
anidride  fosforica,  della  quale  almeno  il  75  %  deve  essere  solubile 
negli  acidi.  Secondo  Wagner,  il  fosfato  sarebbe  qui  telrabasico  e  for- 
merebbe un  composto  di  facile  decomposizione  in  alcuni  k'rreni,  causa 
la  temperatura  elevatissima  colla  quale  si  ottengono  le  scorie.  Olire 
all'anidride  fosforica  è  da  notarsi  la  considerevole  quantitii  di  calce 
(48.5  7o)  che  contengono,  di  cui  una  parte  allo  stato  di  calce  viva. 

L'azione  delle  scorie  ha  una  durata  di  3  a  4  anni,  ('convengono 
specialmente  nei  terreni  non  calcari,  argillosi,  argilloso-silicei  o  siliceo- 
argillosi,  più  o  meno  comi)atti  o  d'origine  granitica,  di  una  sufficiente 
consistenza  anche  se  composti  dì  elementi  fini  ;  oppure  in  terreni 
sempre  non  calcari,  ricchi  di  materia  organica,  torbosi,  acidi  ed  umidi. 

Difatti  gli  acidi  umici  dei  terreni  torbosi  ed  acidi,  facilitano  l'as- 
similazione dell'anidride  fosforica  delle  scorie;  di  più  la  calce  che 
contengono  unitamente  al  carbonato  e  silicato  di  calce  neutralizzano 
l'acidità  e  facilitano  la  decomposizione  della  materia  organica  col  favo- 
rire la  nitrificazione.  Dunque  le  scorie  oltre  ad  essere  un  elemento 
concimante  funzionano  da  ammendamento. 

Le  scorie  si  danno  pure  d'inverno  in  modo,  che  colle  pioggie  e 
colla  umidità  della  neve  possano,  prima  della  ripresa  della  vegetazione 
venire  in  contatto  delle  radici  capillari,  le  quali  disciolgono  ed  assor- 
bono il  fosfato. 

5.  —  Il  fosfato  d'ammoniaca  ha  il  grande  vantaggio,  di  portare  con 
un  piccolo  volume  una  notevole  quantità  di  anidride  fosforica  e  di 
azoto  prontamente  assimilabili.  Per  la  grande  coltura,  questo  sale  non 
ha  avuto  fino  ad  ora  una  larga  applicazione,  ma  bensì  in  frutticoltura 
e  specialmente  per  le  coltivazioni  in  vaso,  nella  formazione  dei  cosi- 
detti  sali  nutritivi.  Ad  esempio  il  sale  nutritivo  di  Wagner  è  composto  di 

parti  30  di  fosfato  ammonico 
„      25   „    nitrato  di  soda 
„      25   „   nitrato  potassico 
20    „    solfato  ammonico 

Si  scioglie  nell'acqua  nella  dose  di  1  grammo  per  litro 
Per   rifornire  il   terreno    dell'anidride    fosforica   che   csporlii    una 
pianta  da  frutto  occorrerebbero  ogni  anno  gr.  5  di   anidride   fosforica 
per  metro   quadrato    (vedi  cap.  VI  pag.  289)   eppcrciò    per   ettaro    una 
delle   seguenti  quantità  : 

Perfosfato kg.  300 

„  doppio  «     1^ 

Polvere  d'ossa -^    250 

Scorio  Thomas    ....      .     WO 


-  308  - 

e.  —  Il  fosfato  di  potassa  è  preparato  dalla  ditta  Albert  di  Bibrich 
e  fino  ad  ora  viene  adoperato  limitatamente,  ma  esso  avrà  un  avvenire 
nella  frutticoltura  intensiva,  contenendo  una  notevole  quantità  assimi- 
labile di  anidride  fosforica  e  potassa.  Serve  eccellentemente  per  cor- 
reggere lo  stallatico. 


XI. 
I  concimi  azotati. 

1.  Solfato  aiumonico.  —  Esso  proviene  dalle  acque  di  condensazione 
del  gas  e  contiene  il  20-21  %  di  azoto  ed  una  purezza  di  94-99  % 
(1  kg.  di  azoto  ammoniacale  corrisponde  a  kg.  4.714  di  solfato).  È  molto 
solubile  nell'acqua  e  non  si  disperde  facilmente,  perchè  viene  tratte- 
nuto dal  potere  assorbente  del  terreno.  In  tal  modo  rimanendo  più  a 
contatto  delle  radici,  queste  possono  assorbirlo  per  la  quasi  totalità. 
Noi  sappiamo  che  le  piante  assorbono  l'azoto  per  mezzo  delle  radici 
sotto  forma  nitrica,  ma  giova  avvertire,  che  l'azoto  del  solfato  ammo- 
niaco nitrifica  abbastanza  presto,  purché  il  terreno  sia  sufficientemente 
umido  (3-15  %  di  umidità)  abbia  una  temperatura  compresa  fra  i  10" 
e  40*^  e  contenga  una  certa  dose  di  calcare. 

11  terreno  quindi  più  adatto  per  l'applicazione  del  solfato  ammonico 
è  l'argilloso-calcare. 

Per  la  proprietà  che  ha  il  solfato  ammonico  di  non  essere  facil- 
mente trasportato  dalle  acque,  non  si  deve  credere  di  poterlo  spargere 
fin  dall'autunno  in  quantità  molto  forti,  poiché  se  é  vero  che  esso 
rimane  diffuso  ed  in  buona  parte  inalterato  durante  l'inverno  —  nel 
qual  tempo  non  ha  la  temperatura  sopra  indicata  —  al  sopraggiungere 
della  primavera,  il  solfato  nitrifica  prontamente  e  l'azoto  nitrico  si 
disperde.  Epperciò  nella  coltivazione  delle  piante  da  frutto,  non  con- 
viene dare  tutto  l'azoto  necessario  in  autunno  col  solfato  ammonico, 
ma  in  parte  soltanto  col  solfato  ed  in  luglio-agosto  durante  la  vegeta- 
zione, col  nitrato  di  soda.  Nei  terreni  poi  molto  leggeri  od  eccessiva- 
mente calcari,  nei  quali  la  nitrificazione  é  rapida,  il  solfato  ammonico 
devesi  dare  in  luglio  agosto  in  modo  che  nitrifichi  e  possa  essere 
assorbito  subito  dalle  piante  durante  l'autunno.  Quest'ultima  avvertenza 
si  deve  avere  specialmente  pei  paesi  meridionali,  dove  la  mitezza  del- 
l'inverno favorisce  di  più  la  nitrificazione. 

Lo  spargimento  si  fa  assieme  cogli  altri  concimi  chimici,  sotter- 
randolo, purché  i  concimi  non  contengano  della  calce  libera  o  calcare 
(come  le  scorie)  perchè  in  contatto  col  carbonato  di  calce  si  forma  del 
carbonato  ammonico  che  volatilizza. 

Si  può  anche  mescolarlo  con  letame.  Se  ne  possono  dare  fino  a 
kg.  300  per  ettaro. 

2.  —  Nitrato  di  soda  o  Salnitro  del  Chili,  è  il  concime  azotato  per 
eccellenza,  che  contiene  dal  15  al   16  %    di   azoto   nitrico,   avente   una 


-  301)  - 

purezza  del  91-97  7„  (1  kg.  di  azoto  nitrico  corrisponde  a  kg.  6.070  di 
nitrato  di  soda  puro,  inversamente  kg.  1  di  nitrato  di  soda  puro,  cor- 
risponde a  kg.  0.165  di  azoto). 

II  nitrato  ha  un'azione  pronta  ed  è  adatto  per  dare  rapidamente 
vigoria  alle  piante,  specialmente  se  sono  vecchie,  ed  hanno  radici 
profonde  o  se  sono  deperite  per  insufficienza  di  alimentazione.  11  ni- 
trato rende  anche  assimilabili  molti  materiali  del  terreno,  e  mantiene 
questo  più  fresco. 

Lo  si  applichi  contrariamente  a  quanto  venne  suggerito  lino  ad 
ora,  non  in  primavera,  perchè  le  piante  al  risveglio  della  vegetazione 
hanno  sufficienti  materiali  di  riserva  per  germogliare  ma  durante  l'anno, 
in  giugno  e  luglio,  a  piccole  dosi,  in  modo  da  dare  agio  alle  piante  di 
poterlo  meglio  utilizzare.  Non  bisogna  però  che  il  nitrato  venga  in 
contatto  delle  radici  perchè,  per  la  sua  azione  caustica,  riuscirebbe 
dannoso.  Conviene  sotterrarlo  con  leggera  zappatura. 

II  nitrato  devesi  dare  da  solo  e  mai  mescolato  specialmente  coi 
perfosfati.  Portato  nel  terreno,  il  nitrato  forma  dei  nitrati  di  potassa  e 
di  calce  che  sono  direttamente  assimilati  dalle  piante.  Ciò  spiega  la 
necessità,  per  avere  un  eflelto  dal  nitrato,  di  aver  in  antecedenza  prov- 
veduto sufficientemente  il  terreno  di  calce,  potassa  ed  anidride  fosforica. 

Per  gli  impianti  ;  a  complemento  del  solfato  ammonico  o  di  altri 
concimi  impiegati,  per  le  piante  deperenti  ;  per  completare  l'azione 
dello  stallatico,  il  nitrato  di  soda  ha  una  larga  applicazione  nella  frut- 
ticoltura. 

Sciogliendosi  facilmente  nel  terreno,  anche  se  dato  alla  superfìcie, 
arriva  in  contatto  delle  ultime  radici,  anzi  la  sua  azione  sulle  piante 
vecchie  non  si  può  spiegare  diversamente.  Se  ne  può  dare  fino  4(K)  kg. 
per  ettaro,  ma  si  ricordi,  che  se  dato  in  forti  dosi  incrosta  il  terreno. 

3.  Nitrato  potassico.  —  Esso  contiene  12-1;!.')  7„  di  azoto  nitrico  e 
42-45  7o  di  potassa  solubile.  Queste  percentuali  corrispondono  ad  una 
purezza  di  90-92  7o-  (1  kg.  di  azoto  nitrico,  corrisponde  a  kg.  7.214  di 
nitrato  di  potassa:  1  kg.  di  potassa  corrisponde  a  kg.  2.149  di  nitrato 
di  potassa  pura;  inversamente,  1  kg.  di  nitrato  di  potassa  corrisponde 
a  kg.  0.139  di  azoto  nitrico  ed  a  kg.  0,465  di  potassa). 

Non  si  usa  troppo  di  frequente  questo  sale  perchè  troppo  caro 
(L.  50  al  quintale),  ma  del  resto  con  esso  si  hanno  degli  effetti  sor- 
prendenti, specialmente  per  le  piante  da  frutto  e  le  viti.  Si  adopera  nello 
stesso  modo  ed  in  quantità  eguale  a  quella  indicata  pel  nitrato  di  soda. 

4.  —  La  calciocianainide,  contiene  11  %  di  azoto  e  40-12  7»  di  calcio. 
È  efficace   specialmente  nei  terreni  umidi   privi  di    calcare    ed    ha 

una  azione  alquanto  più  lenta  del  solfato  ammonico.  In  presenza  del- 
l'umidità si  trasforma  gradatamente  in  carbonato  di  calce  ed  ammoniaca. 
Il  costo  dell'azoto  sarebbe  di  '/s  inferiore  a  quello  del  nitrato.  La  cal- 
ciocianamide  è  il  migliore  concime  azotato  che  si  possa  mescolare  alle 
scorie  e  che  si  può  impiegare  pei  terreni  non  calcari. 

5.  —  Il  nitrato  di  calcio  è  un  altro  composto  ottenuto  artificialmente 
ed  ha  eguale  efficacia  del  nitrato.   Finora  ce   n'è   poco  in  commercio. 


-  310  — 

XII. 
Concimi  calcici. 

1.  —  Le  piante  da  frutto  abbisognano  molto  di  calce,  come  ab- 
biamo già  visto  nei  precedenti  capitoli  trattando  della  loro  compo- 
sizione. Le  piante  a  nocciolo  sono  più  esigenti  di  quelle  a  granella. 
Delle  piante  a  granella  vi  ha  una  notevole  differenza  fra  le  esigenze 
del  pero  e  quelle  del  melo.  11  melo  richiede  difatti  quasi  una  quan- 
tità doppia  di  calce  in  confronto  del  pero,  con  ciò  si  spiega  perchè 
noi  troviamo  molto  di  frequente  nei  terreni  poveri  di  calcare  e  sciolti, 
delle  vigorose  e  bellissime  piante  anche  adulte  di  peri,  mentre  i  meli 
nelle  medesime  località  crescono  stentati  e  vengono  colpiti  dalla  rogna 
o  dal  cancro.  Dei  peri  poi,  quelli  innestati  sul  cotogno  richiedono  più 
calce  di  quelli  innestati  sul  selvatico. 

Delle  piante  a  nocciolo,  specialmente  le  foglie  contengono  molta 
calce.  Le  ciliegie  dolci  richiedono  una  quantità  tripla  di  calcare  in 
confronto  del  susino.  Praticamente  anche  si  sa,  che  se  noi  nell'impianto 
delle  piante  à  nocciolo  adoperiamo  molti  calcinacci,  le  preserviamo 
per  molti  anni  dalla  gomma.  Anche  il  noce  è  molto  esigente  per  la  calce. 

È  stata  notata  la  notevole  influenza  della  calce  sulla  qualità  delle 
frutta  a  nocciolo  e  sul  contenuto  di  zucchero.  Nei  terreni  poveri  di 
calce  non  è  possibile  avere  varietà  apprezzate,  di  pesche,  susine,  albi- 
cocche. Esse  per  lo  più  rimangono  piccole,  acide  e  facilmente  cadono 
prima  di  maturare. 

2.  —  In  frutticoltura  per  dare  la  calce  si  adoperano  i  calcinacci, 
la  calce  viva,  il  carbonato  calcare  ed  il  gesso.  L'eft'etto  dei  concimi 
calcici  sulle  piante  da  frutto  è  sempre  subordinato  alla  presenza  di 
lutti  gli  altri  materiali  nutritivi  nel  terreno. 

I  calcinacci  contengono  del  gesso,  carbonato  di  calce  e  sabbia,  una 
certa  quantità  di  nitrati  di  potassa,  calce  e  di  soda  (2-10%)  ed  altri 
sali  solubili  come  fosfati,  carbonati  e  cloruri.  Si  impiegano  polverizzati, 
alla  dose  di  150-200  ettolitri  per  ettaro,  specialmente  nel  momento 
degli  impianti. 

La  calce,  se  è  allo  stato  di  calce  viva,  molto  grassa  contiene  in  circa 
il  25  7o  di  calce  pura.  È  meglio  dare  la  preferenza  per  i  terreni  tenaci 
alla  calce  grassa.  La  calce  viva  arresta  per  il  momento  la  nitrificazione 
dell'azoto  organico,  ma,  dopo  qualche  tempo,  gli  dà  una  attività  mag- 
giore e  favorisce  anche  l'assimilazione  della  potassa,  che  si  trova  nel 
terreno.  Si  dà  nell'autunno  in  ragione  di  300  a  500  gr.  per  m.^  ogni 
di  5-6  anni.  SÌ  può  anche  adoperare  della  calce  sfiorita  ed  a  questo 
scopo  si  porta  a  cumuli  la  calce  sul  campo  coprendola  con  terra. 
Passato  qualche  tempo  si  distribuisce  la  massa  sul  terreno  e  si  vanga. 
Negli  impianti,  conviene  pure  mescolare  della  calce  alla  terra  scavata. 


-  311  - 

Il  gesso  contiene,  quando  è  crudo,  in  media  30%  di  calce,  41  "'„  di 
acido  solforico  e  19%  di  acqua.  La  purezza  del  gesso  viene  determi- 
nata in  base  all'acido  solforico. 

Per  gli  elletti  non  vi  ha  dillerenza  fra  il  gesso  crudo  ed  il  gesso 
cotto.  Col  gesso  si  jìorlano  nel  terreno  due  elementi  importanti  :  la 
calce  e  l'acido  solforico.  11  gesso  oltre  portare  la  calce,  favorisce  la 
nitrificazione  delle  sostanze  organiche  azotate  del  terreno  e  l'assimila- 
zione della  potassa.  Per  la  sua  azione  eccitante,  non  conviene  dare  del 
gesso  da  solo,  ma  mescolandolo  ad  altri  concimi.  Perchè  le  colture  ne 
profittino  bisogna  però  che  il  terreno  sia  argilloso. 

Si  dà  durante  l'inverno  ed  in  quantità  variabile,  lino  a  1(1  (juintali 
per  ettaro. 

Il  carbonaio  di  calce  o  anche  le  marne  calcari  convengono  pei  lei- 
reni  sciolti.  Bisogna  perù  che  siano  polverulenti  e  darne  in  (juanlilà 
doppia  della  calce  viva. 


XIII. 

Concimi  animali  diversi. 

1.  —  Oltre  il  colaticcio,  la  pollina,  la  colombina,  il  pozzo  nero,  di 
cui  è  stato  trattato  nel  Cap.  Vili,  si  adoperano,  in  frulticollura,  altri 
concimi  animali,  che  sono  indicati  nel  seguente  quadro. 


Tab.  XXVII. 

Analisi  di  concimi  animali  diversi  impiegati  in  frutticoltura. 


1.  Carne  secca 

2.  Cuojattoli 

3.  Crini  e  peli 

4.  Crisalidi  di  bachi  da  seta. 

5.  Guano  di  pesce 

(5.  Lanino 

7.  Letto  dei  bachi 

8.  Piume  e  penne 

9.  Polvere  e  cascami  di  corna  .    . 

10.  Polvere  e  raschiatura  di  corna 

11.  Polvere  di  sangue 

12.  Rasatura  di  pelli 

13.  Stracci  di  lana 


7-14 
8,0 

12,7 
0,8 
7,5 
4,0 
1,63 

14,17 
5,2 

10,2 

11,8 
5,6 
8.0 


Anidri- 
de fo- 
sforica 


0,3-1 


0,8-1,2 

9,1  I 
0,2 

1,55  ' 

l"^  I 

5,5  j 

1^  I 


0,3-0,8 

1,4-1,6 

3,28 

0,3 

0,7 
0,15 


Sosunù 
org«nlc« 


Aequa 
% 


84,6 


86,26        12,96 


1      _ 

i      — 

1   56,0 

i    10,0 

68,5 

,     8,5 

78;4 

;    13,4 

773 

t     8.6 

Tutti  questi  concimi  sono  di  più  o  meno  lenta  decomposizione,  in- 
quantochè  il  loro  azoto,  quantunque  in  quantità  rilevante,  si  trova  allo 


312 


stato  di  combinazioni  organiche  (albumina  e  fibrina  animale  e  vegetale) 
e  devesi  trasformare  in  azoto  ammoniacale  e  nitrico. 

Rispetto  alla  prontezza  della   loro    azione,   si   possono    classilìcare 
come  segue,  in  ordine  decrescente  : 


Tab.  XXVIII. 


Azione  dei  concimi  animali  diversi. 


1.  Crisalidi  di  bachi  da  seta 

2.  Letto  dei  bachi  da  seta 

3.  Polvere  di  sangue 

4.  Polvere  di  carne 

5.  Guano  di  pesce 


1.  Polvere  e  raschiatura  di 

di  corna  ed  unghie 

2.  Polvere  e  cascami  di  corna 

3.  Lanino 

4.  Piume  e  penne 

5.  Crini  e  peli 


1.  Stracci  di  lana 

2.  Cuojattoli 

3.  Rasatura  di  pelli 


Considerato  perù  che  gli  effetti  di  questi  concimi  possono  variare 
colla  qualità  del  terreno,  colla  natura  della  pianta  e  col  clima,  questa 
classificazione  si  può  ritenere  buona  per  norma  generale,  ma  spetterà 
al  frutticoitore  di  provarne  praticamente  gli  effetti  nel  suo  terreno. 

A  priori,  per  le  concimazioni  straordinarie,  quando  si  tratterà  di 
rimettere  in  vigoria  una  pianta,  che  sofferse  specialmente  per  mancanza 
di  azoto,  converranno  i  concimi  di  pronta  assimilazione.  La  loro  ap- 
plicazione converrà  pure  quando  si  vogliono  ripetere  ogni  anno  le 
concimazioni  su  ogni  pianta. 

Se  si  tratterà  invece,  di  mantenere  una  pianta  in  ordinaria  vege- 
tazione (ossia  per  la  concimazione  di  mantenimento)  converrà  l'appli- 
cazione dei  concimi  di  lenta  decomposizione. 

Infine,  negli  impianti,  quando  si  vorrà  dare  una  larga  provvista  al 
terreno  di  elementi  fertilizzanti  che  rimangono  per  molti  anni  a  dispo- 
sizione della  pianta,  si  ricorrerà  ai  concimi  di  molto  lenta  decom- 
posizione, i  quali  serviranno  anche  per  rinvigorire  una  piantagione 
trascurata.  Allora  questi  concimi  di  lenta  decomposizione,  incorporati 
nel  terreno,  coi  lavori  profondi  che  in  tale  occasione  si  sogliono  fare 
per  togliere  le  malerbe  e  per  aereare  il  terreno,  unitamente  a  quelli 
di  pronto  effetto,  danno  sicuro  affidamento   di  buona  riuscita. 

Ed  ora  entriamo  in  particolarità  sui  singoli  concimi. 

2.  —  Le  crisalidi  ed  il  letto  dei  bachi  da  seta,  si  applichino  mesco- 
landoli prima  con  altrettanta  terra  asciutta,  oppure  meglio  coi  terricciati 
o  col  letame.  La  concimazione  si  fa  durante  l'inverno. 

3.  —  La  polvere  di  sangue  nitri  fica  un  po'  meno  rapidamente  delle 
crisalidi,  ma  il  suo  effetto  è  più  lungo.  Si  applica  durante  l'inverno. 

Avendo  del  sangue  fresco  da  utilizzare,  conviene  coagularlo  prima 
con  solfato  ferroso  (5  %)  o  con  calce  viva,  e  mescolarlo  con  terricciati. 

4.  —  La  polvere  di  carne  si  dà  in  autunno  e  si  seguono  le  mede- 
sime norme  indicate  per  i  precedenti  concimi. 

5.  —  Il  guano  di  pesce,  ha  un  notevole  potere  fertilizzante.  Esso 
contiene,  oltre  l'azoto,  una  rimarchevole  quantità  di  anidride  fosforica 


—  313  — 

e  di  calce.  Conviene  specialmente  pei  terreni  sciolti  ed  è  di  pronta 
azione,  cosi  che  si  può  impiegare  oltre  che  per  gli  impianti  anche  per 
le  concimazioni  di  mantenimento.  Conviene  darlo  in  autunno. 

6.  —  La  polvere  e  le  raschiature  di  corna  ed  luif/liie,  la  polvere  e  ca- 
scami di  corna,  il  lanino,  le  piume  e  penne,  crini  e  peli,  per  la  loro 
lenta  decomposizione,  devono  essere  mescolale  alcun  tempo  prima 
dell'autunno  con  letame  o  terricciati,  a  cui  si  può  aggiungere  del  per- 
fosfato, della  cenere,  del  colaticcio,  del  cloruro  di  potassio,  deve 
rimestare  il  tutto  assieme,  anche  coi  prodotti  della  cimatura  delle  piante 
e  della  potatura  (l'ami  tagliuzzati,  pampini,  germogli,  ecc.).  Si  mescola 
di  frequente  questa  massa  ed  in  autunno,  si  fa  la  concimazione. 

7.  —  Per  gli  stracci  di  lana,  cuojattoli  e  rasature  di  pelli  si  opera  lo 
stesso  ed  essi  servono  specialmente  per  gli  impianti.  Dovendo  adope- 
rarli per  concimazione  di  mantenimento,  bisogna  preparare  i  suddetti 
miscugli  un  anno  per  l'altro  e  si  applicano  pure  in  autunno. 


XIV. 

Altre  sostanze  fertilizzanti 
che  si  possono  impiegare  in  frutticoltura. 

Queste  sono  indicate  nella  Tabella  XXIX  a  pag.  seguente. 

1.  —  Le  alghe  marine  sono  molto  utili  per  gli  impianti  e  per  altre 
concimazioni  alle  piante  arboree  ed  i  paesi  lungo  le  sjjiaggie  del  mare 
ne  possono  trarre  profitto.  A  tale  scopo,  ammucchiate  che  siano,  si 
lasciano  dilavare  dall'acqua  piovana  e  poi,  asciugate,  si  adoperano  come 
lettiera. 

Lo  stesso  dicasi  per  il  falasco  o  piante  palustri,  che  però  non 
occorre  dilavare  per  togliere  la  salsedine. 

2.  —  Le  torbe,  ridotte  in  polvere,  possono  essere  anche  utilizzate 
direttamente  per  concime,  ma  in  tal  caso  conviene  prima  slratilicarle 
con  della  calce  viva,  per  togliere  loro  lacidità.  Lsse  migliorano  anche 
le  condizioni  fisiche  dei  terreno,  rendendolo  più  so  Ilice  e  più  alto  a 
mantenere  la  freschezza. 

Meglio  ancora  impiegare  la  torba  imbevuta  di  materie  fecali,  ciò 
che  si  ottiene,  usandola  prima  per  lettiera. 

3.  -  Come  risulta  dalle  analisi,  le  comuni  felci  dei  nostri  twschi, 
le  eriche,  le  cjinestre,  le  foglie  morte  hanno  una  composizione  complessa 
e  molto  apprezzabile  per  la  concimazione.  Anche  per  queste  conviene 
usarle  prima  per  la  lettiera  e  poi  darle  imbevute  di  colaticcio,  allo 
piante  da  frutto,  migliorando  cosi  le  condizioni  fìsiche  del  terreno. 
Epperciò  si  impiegano  nelle  terre  magre,  sciolte  sabbiose  e  marnose. 
Se  il  terreno  non  è  ricco  di  calcare,  conviene,  prima  dello  spargi- 
mento, spolverarlo  con  calce  viva. 


314 


Tab.  XXIX. 

Analisi  di  sostanze  fertilizzanti  diverse  impiegate  in  frutticoltura. 


Anidride 

Sostanza 

NOME 

Azoto 

fosforica 

Potassa 

Calce 

organica 

Acqua 

»/o 

% 

% 

% 

y 

% 

1.  Alghe  marine 

■ 
0.3-1,7 

0,2-1 

0,1-0,8 

_ 

_ 

16,33 

2.  Cenere  di  piante  frascate 

3,5 

10 

— 

— 

— 

3.        ,         „        ,        agate    . 

2,6 

6 

— 

— 

— 

4.        „          „    carbon  fossile. 

— 

0,05 

0,15 

30.1 

— 

— 

5.        „          „    lignite.    .    .    . 

— 

0,10 

0,37 

31 

- 

— 

6.        „          „    torba    .... 

— 

0,97 

0,20 

35 

— 

— 

7.        „        lisciviata    .... 

— 

1,5-2,5 

1,4-1,6 

28-30 

— 

— 

8.        „        di  legna  mista  .    . 

— 

3,4 

6-10 

28-32 

— 

— 

9.  Falasco 

0,893 

0,279 

0,856 

—  • 

— 

— 

10.  Felci,  eriche  e  ginestre    . 

1 

0,1-0,37 

0,2-1,86 

0,2-0,6 

63,7 

20,25 

11.  Foglie  morte 

0,8-1 

0,1-0,2 

0,16-0,35 

0,4-2 

— 

13-14 

12.  Fuliggine 

1,3 

0,4 

2,4 

10 

— 

— 

13.  Panello  di  arachide.    .    . 

5,5-7,5 

0,6-1,8 

1,4-1,6 

— 

— 

10,4 

14.        ,            „    cocco   .... 

3,74 

0,18 

1,96 

0,55 

— 

12,7 

15.        „           ,    colza    .... 

4-4,6 

1,8-2,8 

1,3-1,5 

0,71 

— 

11,3 

16.        „            „    cotone.    .    .    . 

6,21 

3,05 

1,58 

0,29 

- 

11,2 

17.        „            ,    lino 

4,72 

1,62 

1,25 

0,43 

— 

12,2 

18.        „            „    noce    .... 

5,53 

1,53 

2,02 

0,31 

— 

13,7 

19.        „            „    olivo    .... 

0,96 

0,25 

0,79 

0,61 

— 

13,8 

20.        „            „    ricino  .... 

3,67 

1,62 

1,12 

— 

— 

21.  Semi  di  lupino 

5,66 

1,42 

1,14 

0,28 

13 

22.  Spazzature 

0,39 

0,45 

1,06 

5,34 

— 

35,92 

23.  Torba 

0,33-2,64 

0,173-0,75 

0,07-1,88 

_ 

24.  Vinaccia  fresca 

0,95-1,55 

2,08 

4,94 

1,30 

95,96 

4.  —  Le  spazzature  sono  specialmente  ricche  di  anidride  fosforica 
e  potassa  e  con  esse  conviene  fare  i  terricciati.  Si  possono  considerare 
come  un  concime  un  poco  più  povero  dello  stallatico  di  media  decom- 
posizione. Esse  migliorano  le  condizioni  fìsiche  del  terreno  ed  è  note- 
vole la  quantità  di  calce  che  contengono.  Si  danno  d'inverno. 

5.  —  Le  viiiaccie,  specialmente  quelle  da  cui  non  si  è  estratto  il 
cremor  di  tartaro,  sono  molto  utili,  perchè  molto  ricche  di  potassa  e 
di  anidride  fosforica.  Per  la  concimazione  della  vite  e  delle  piante  da 
frutto,  che  richiedono  molta  potassa,  costituiscono  uno  dei  migliori 
residui  che  stanno  a  disposizione  del  viticoltore.  La  loro  azione  però 
è  molto  lenta  e  quindi  conviene  stratificare  anche  queste  in  precedenza 
con  del  letame,  con  della  buona  terra  e  decomporle,  preparando  un 
terricciato  da  adoperarsi  un  anno  per  l'altro. 

6.  —  In  frutticoltura,  la  concimazione  coi  lupini,  ha  una  larga 
applicazione  nelle  coltivazioni  in  vaso.  Essi,  oltre  a  contenere  una  note- 
vole quantità  di  tutti  e  tre  gli  elementi  pricipali,  servono  anche  come 
insettifughi.  Prima  di  spargerli  conviene  macinarli  od  almeno  schiacciarli 
o  torrefarli  o  bollirli,  perchè  si  decompongano  più  presto  e  perdono 
la  facoltà  germinativa. 


-  315  - 

7.  —  Anche  la  fuliggine,  quantunque  abl)ia  un  valore  concimante 
inferiore  di  un  quinto  circa  in  confronto  dei  lupini,  può  avere  una 
larga  applicazione  nella  concimazione  delle  piante  da  frutto,  tenute  in 
vaso  od  a  spalliera.  La  fuliggine  è  pure  insettifuga  e  rende  soflice  il 
terreno. 

8.  —  Le  ceneri  hanno  una  larga  applicazione  in  frutticoltura.  Do- 
vendo però  fare  degli  actiuisti  in  grande,  conviene  fare  il  contratto  a 
base  del  loro  contenuto,  poiché  vengono  molto  falsificate,  essendo 
grande  e  forse  esagerata  la  richiesta. 

Le  ceneri  si  impiegano  per  il  loro  contenuto  di  anidride  fosforica, 
potassa  e  calce.  La  prima  si  trova  allo  stato  insolubile,  la  potassa  e  la 
calce  per  lo  più  sotto  forma  di  carbonato. 

Le  ceneri  migliori  sono  ([uelle  comuni  che  raccogliamo  dai  foco- 
lari. Quelle  delle  fornaci,  delle  stufe,  ecc.,  hanno  un  valore  inferiore 
perchè,  colla  temperatura  elevata,  si  formano  dei  conii)osti  meno  as- 
similabili. 

Le  ceneri  di  carbon  fossile,  Ugnile,  lorba  e  le  ceneri  lisciinale,  agi- 
scono più  perla  calce  che  contengono  la  quale,  oltre  a  essere  un  elemento 
concimante,  serve  come  ammendamento.  Di  (jueste  ceneri  se  ne  pos- 
sono dare  in  quantità  rilevante;  la  cenere  comune  si  dà  quale  concime 
di  mantenimento  alle  piante  incorporandola  ai  terricciati  o  mescolan- 
dola col  letame  e  perfosfato. 

9.  —  I  panelli  hanno  una  scarsa  applicazione  in  Irutticollura. 
perchè  oltre  ad  essere  di  lento  effetto,  possono  portare  nel  terreno 
delle  muffe  che  guastano  le  radici.  Avendone  a  disposizione,  conviene 
forse  stratificarli  prima  coi  terricciati. 


XV. 

Sovescio. 

1.  —  Il  sovescio  consiste  nel  sotterrare  con  un  lavoro.  (U-lle  jùanlr 
erbacee  che  sono  state  appositamente  coltivale  ((piali  i  lupini,  i  trifogli 
e  le  piante  leguminose  in  genere)  o  che  crescono  spontaneamente 
(malerbe).  Queste  piante  sovesciate  ridanno  al  terreno  le  sostanze  che 
vi  avevano  preso,  di  più  vi  cedono  molta  materia  organica,  che  migliora 
le  sue  proprietà  fìsiche.  Fra  le  buone  piante  da  sovescio  sono  da  pre- 
ferirsi le  leguminose,  perchè  colla  materia  organica,  oltre  a  dare  tutti 
i  materiali  assorbiti  dall'aria  delle  altre  piante  (ossigeno,  idrogeno,  car- 
bonio) danno  anche  dell'azoto,  che  esse  sole  hanno  facoltà  di  assorbire 
dall'aria,  Essendo  l'azoto  l'elemento  più  costoso  nella  concimazione, 
si  comprenderà  l'importanza  del  sovescio. 

In  frutticoltura,  come  in  viticoltura  ed  olivicoltura,  il  sovescio 
può  sostituire  la  concimazione  di  stallatico  purché,  al  momento    della 


-  316  — 

semina  della  leguminosa,  si  faccia  una  concimazione  a  base  di  anidride 
fosforica,  potassa  e  calce. 

Per  sovescio  bisogna  adopei-are  delle  piante  che  si  sviluppano 
presto  durante  l'inverno  ed  in  primavera.  Adoperando  delle  piante  che 
si  sviluppano  durante  l'estate,  si  sottrarrebbe  alle  piante  da  frutto  del- 
l'umidità. Per  noi  fanno  benissimo  i  lupini  invernenghi  ed  il  trifoglio 
incarnato;  o  le  fave  seminale  in  gennaio.  Per  i  paesi  meridionali,  le 
veccia  e  le  fave. 

Il  sovescio  poi  può  arrecare  dei  vantaggi  incalcolabili  nelle  loca- 
lità di  collina,  nei  luoghi  difficilmente  accessibili  per  portare  lo  stalla- 
tico o  dove  non  è  possibile  estendere  l'allevamento  del  bestiame. 

Circa  alla  quantità  e  qualità  di  concime  chimico  che  conviene  dare 
al  momento  della  semina  della  pianta  da  sovescio,  si  possono  ritenere 
per  buoni  i  seguenti  dati. 

Nei  terreni  non  calcari  : 

Scorie  Thomas quintali  8 

Cloruro  e  solfato  di  potassa.     .    .  „        2-i 

oppure 

Perfosfato  al  15  % „        4 

Gesso „        4 

Cloruro  o  solfato  di  potassa.     .     .  „        2-4 

Questa  ultima  formola  si  può  anche  applicare  per  i  terreni  non 
calcari. 

Nei  terreni  umiferi  o  ricchi  di  sostanze  organiche,  il  sovescio  non 
conviene. 


XVI. 
Esperienze  di  concimazione. 

Nelle  precedenti  edizioni  di  questa  mia  opera,  riferii  dettagliata- 
mente sulle  esperienze  di  concimazione  da  me  fatte.  In  questa  edizione 
mi  limito  a  riportare  le  conclusioni  generali  a  cui  sono  arrivato. 

Nella  parte  speciale,  trattando  delle  singole  piante  da  frutto,  si  ri- 
feriranno le  conclusioni  speciali. 

1.  —  I  concimi  che  non  sono  molto  solubili  devono  essere  inter- 
rati e  mescolati  collo  strato  superficiale  del  terreno. 

2.  —  Quelli  che  non  sono  solubili  totalmente  ma  soltanto  in  parte, 
devono  essere  pure  mescolati  colla  terra  superficiale  e  sotterrati  avendo 
cura  però  di  non  danneggiare  le  radici. 

3.  —  I  concimi  molto  solubili  possono  essere  impiegati  superfi- 
cialmente o  semplicemente  coperti  da  terra. 

4.  —  Certi  concimi  possono  essere  mescolati  con  altri,  qualche 
tempo  prima  del  loro  impiego;  altri  invece  bisogna  somministrarli 
da  soli. 


-  317  - 

5.  —  La  concimazione  si  può  fare  sia  in  autunno,  sia  in  primavera, 
sia  nell'agosto,  però  per  ciascuna  di  queste  epoche,  sono  diversi  i 
concimi  da  applicare. 

6.  —  In  estale  (luglio)  la  più  consigliabile  è  la  concimazione  liciuida 
con  colaticcio,  mercè  la  quale  le  piante  si  dispongono  meglio  a  frut- 
tificare e  nella  ventura  primavera  entrano  più  presto  in  vegetazione. 
L'azione  però  della  concimazione  liquida  è  momenlanea.  e  perciò  vo- 
lendola adottare  costantemente,  bisogna  ripeterla  annualmente  e  non 
darla  in  una  sol  volta. 

Non  viene  esclusa  anche  la  probabililà  che  le  piante,  trattale  a 
lungo  con  questo  nìezzo,  si  esauriscano  invecchiando  anzi  tempo. 

7.  —  Le  concimazioni  a  base  di  cloruro  di  potassio,  op|)ure  di 
cenere,  o  di  terriccio  o  di  perfosfato,  danno  migliori  risultati  in  autunno 
che  in  primavera. 

8.  Le  formule  contenenti  cloruro  di  potassio  o  cenere  sommini- 
strate in  autunno,  hanno  una  marcata  influenza  per  rinvigorire  la  ve- 
getazione delle  piante.  Le  formule  a  base  di  perfosfato  invece  fanno 
aumentare  la  fruttificazione. 

Così  ad  esempio  col  perfosfato  solo,  le  piaiile  più  vigorose  si 
disposero  a  fruttificare. 

9.  —  Le  piante  concimate  in  autunno  entrano  generalmenle  in 
vegetazione  prima  delle  piante  concimale  in  primavera. 

10.  —  Le  formule  più  complesse  (cenere,  perfosfato  e  cloruro; 
perfosfato  e  nitrato  di  potassa;  solfato  d'ammoniaca,  perfosfato  e  clo- 
ruro) danno,  durante  la  vegetazione,  migliori  risultali  che  in  autunno. 

11.  —  Concimando  in  autunno  piuttosto  che  in  primavera,  l'ope- 
razione è  più  economica  e  si  ottiene  maggiore  allegamento  di  frulla  e 
frutta  più  voluminose. 

12.  —  La  concimazione  durante  la  vegetazione  è  consigliabile  quando 
si  adoperano  concimi  di  pronto  effetto  e  favorisce  in  parlicolar  modo 
lo  sviluppo  erbaceo. 

13.  —  Dopo  i  concimi  liquidi,  le  formole  a  base  di  nitrato  e  per- 
fosfato sono  di  più  pronto  efletto. 

14.  —  Durante  la  vegetazione  volendo  pronmovere  la  fruttilicazione, 
le  migliori  formole  sono  quelle  a  base  di  solfato  d'ammoniaca  unito  a 
perfosfato  e  cloruro  di  potassio  ;  per  rinvigorire  una  pianta,  é  utile 
ancora  la  cenere.  Siccome  le  piante  in  primavera  hanno  sufficienti 
materiali  di  riserva  per  germogliare,  la  concimazione  con  concimi  di 
pronto  efTetto  è  meglio  ritardarla  al  luglio,  quando  la  pianta  ha  esau- 
rito i  materiali  di  riserva  e  sta  per  sviluppare  le  gemme  per  produrre 
rami  e  frutti  nell'anno  venturo. 

15.  —  Per  la  quantità  di  concimi  da  applicarsi,  bisogna  prendere 
in  considerazione  : 

a)  se  le  le  piante  si  trovano  in  un  terreno  ben  lavorato  e  pre- 
parato, contenente  a  sufficienza  della  materia  organica,  della  calce,  della 
potassa  e  dell'anidride  fosforica  ; 


-  318  - 

b)  se  si  tratta  di  piante  vecchie  o  giovani  ossia  di  piante  che 
hanno  già  dato  frutti  o  se  ancora  hanno  da  sviluppare  dei  rami  per 
raggiungere  la  loro  forma  e  dimensione  comune  ; 

e)  se  le  piante  sono  esaurite  per  esuberante  produzione  fruttifera 
negli  anni  precedenti  ; 

d)  se  le  piante  per  loro  natura  hanno  delle  radici  striscianti  o 
fittonanti  ; 

e)  se  il  terreno  in  cui  si  trovano  è  di  natura  argilloso  o  siliceo; 
calcare  od  umifero  ;  secco  o  fresco. 

16.  —  Basandosi  sull'esperienza  acquistata,  sulla  conoscenza  dei 
concimi  e  del  loro  effetto  sulla  vegetazione,  si  può  con  una  sufficiente 
esattezza  determinare  la  quantità,  la  qualità  dei  concimi  necessari 
nonché  l'epoca  ed  il  modo  più  conveniente  di  applicarli,  tenendo  anche 
conto  della  specie  delle  piante,  della  loro  età,  della  loro  vigoria  e  della 
loro  produttività  di  frutta. 

17.  —  I  dati  analitici  servono  a  fissare  le  proporzioni  nelle  quali 
devonsi  trovare  le  materie  fertilizzanti  però  sarebbe  errato  il  ritenere, 
che  applicando  strettamente  i  dati  analitici  nella  composizione  delle 
miscele  concimanti,  l'albero  possa  essere  sufficientemente  nutrito. 

E  questo  per  il  fatto  che 

a)  non  tutti  gli  elementi  fertilizzanti  sono  assorbiti  direttamente 
dall'albero  ; 

b)  molti  dei  materiali  fertilizzanti  non  vengono  in  contatto  com- 
pleto colle  radici  ; 

e)  molti  concimi  come  i  fosfati,  non  sono  egualmente  diffusibili 
nel  terreno. 

Bisogna  quindi  molte  volte  dupplicare  e  triplicare  le  dosi,  poiché 
bisognerebbe  basare  la  quantità  di  concime  sulla  superfìcie  del  terreno 
coperta  dalla  chioma  dell'albero  possibilmente  sul  volume  della  terra 
esplorata  dalle  radici. 

18.  —  Rispetto  ai  singoli  componenti  delle  formole  esperimentate, 
si  é  potuto  concludere  quanto  segue  : 

a)  il  terriccio  è  sempre  un  buon  concime  ed  il  più  conveniente 
dal  lato  economico,  specialmente  trattandosi  di  piante  in  vegetazione 
normale. 

b)  al  terriccio  conviene  l'aggiunta  di  concimi  chimici  quando  si 
tratta  di  favorire  o  la  fruttificazione  o  la  vegetazione  erbacea; 

e)  il  perfosfato  dato  in  autunno  od  in  primavera  promuove  la 
fruttificazione  ; 

d)  la  cenere  è  un  buon  ricostituente  della  pianta,  sia  che  venga 
data  in  autunno,  sia  in  primavera  ; 

e)  lo  stallatico  ha  sempre  bisogno  di  essere  corretto  con  del  per- 
fosfato e  cenere,  per  avere  efficacia  sulle  piante  da  frutto.  Si  può  anche 
adoperare  100  gr.  di  scorie  e  80  grammi  di  solfato  di  potassa   per  m-. 

fj  il  rapporto  di  valore  che  hanno  gli  elementi  fertilizzanti  nei 
concimi  diversi  applicati  alla  frutticoltura,  si  rileva  dalla  seguente 
Tabella  XXX. 


-  319 


Tal).  XXX.  Valore  degli  elementi  fertilizzanti 

in   rapporto   al   loro  effetto   sulle    piante    da    frutto. 


NOME  DEI  CONCIMI 


Prezzo  uninatario  in  Lire  italiane 
per  Kilogramina  di 


Alghe  marine,  falasco,  foglie,  ginestre    . 

Carne  secca  e  lupini 

Ceneri  

Cloruro,  di  potassio 

Coiattoli,  corna,  unghie,  crini,  penne,  peli 

Crisalidi  e  letto  dei  bachi 

Fosfato  ammonico      

Fuliggine.    ...  

Guani 

Kainite j 

Lanino  e  stracci  di  lana 

Nitrato  di  potassa 

,  „    soda    

Panelli ' 

Perfosfato  d'ossa I 

minerale 1 

Polvere  d'ossa 

Polvere  di  sangue  

Pozzo  nero   

Scorie  Thomas 

Solfato  ammonico 

di  potassa ! 

Spazzature    

Stallatico 

Torba 

Vinaccia 


0,8 
1,70 


o,no 

1,70 

i.r>n 

1,70 
1,70 

0,90 
1,00 
1,00 
1,20 
1,70 

1,70 
1.70 
1,20 


0,30 
0,45 


0,45 
0,56 
0,45 
0,52 


0,45 
0,56 
0,52 
0,45 
0,45 
0,45 
0,40 


03 
0,45 
0,30 
0,30 


035 

0.40 
0,60 
0,48 


0/10 
0,40 
0,50 


0,40 


0,40 
0,45 


0,58 
035 
0,40 

o;ì5 


XVII. 
Concimazione  dei  vivai. 


1.  —  Per  la  concimazione  del  semenzaio  rimando  il  lettore  a  pa- 
gina 43  dove  ho  trattato  diflusamente  questo  argomento. 

2.  -  Nella  piantonaia,  nei  neslai  e  barbatellai  noi  desideriamo  avere 
molto  sviluppo  di  radici  sottili  e,  specialmente  nella  piantonaia,  svi- 
luppo di  rami  a  legno. 

Per  ottenere  un  ampio  sviluppo  di  radici,  occorre  che  .1  terreno 
sia  soffice,  lavorato  profondamente  e  che  contenga  i  matenah  nutnliv, 
bene  amalgamati  e  distribuiti.  K  necessario  che  i  concimi  siano  co.n- 
plessi,  e  prevalga  la  calce,  poi  la  potassa,  quindi  l'azoto  e  anidride 
fosforica.  Ma  siccome  nella  maggior  parte  dei  nostri  terreni,  1  anidride 


-  320  — 

fosforica  si  trova  in  piccolissima  quantità,  ed  essendo  essenziale  la  sua 
influenza  sulla  maturazione  del  legno,  cosi  di  questa  conviene  darne 
in  eccesso. 

Per  fare  un  vivaio  e  specialmente  una  piantonaia,  si  può  utilizzare 
(come  ho  già  dello  a  suo  luogo)  in  particolar  modo  un  bosco  dissodato 
o  un  prato  vecchio.  Dissodandolo  in  autunno  vi  si  mescola  contem- 
poraneamente della  calce  spenta  all'aria,  in  ragione  di  q.li  10  per  ettaro. 
Questa  calce  nitrifica  Vhiimiis  immagazzinato  e  facilita  la  decomposi- 
zione della  cotica. 

Se  si  tratta  invece  di  un  terreno  coltivato  ordinariamente  conviene 
in  autunno  fare  pure  lo  scasso  e,  dopo  terminato,  sotterrare,  con  una 
vangatura,  dello  stallatico  corretto  coi  concimi,  come  ho  indicato  per 
il  semenzaio.  Questo  stallatico  mantiene  soffice  il  terreno,  riparte  bene 
i  materiali  nutritivi,  facendo  sviluppare  numerose  le  radici. 

Si  adoperi  di  preferenza  dello  stallatico  composto  di  un  terzo  di 
letame  bovino,  un  terzo  di  letame  cavallino  ed  un  terzo  di  letame  ovino. 

La  quantità  di  concime  da  spargere  in  autunno  per  ara  di  terreno 
destinata  a  vivaio  in  genere,  sarà  quindi  la  seguente  : 

f  Stallatico Kg.  500,— 

Form.  XIII.     ì  Scorie „        0,900 

(  Solfato  di  potassa  o  cloruro  di  potassio    „        0,300-0,350 

l  Stallatico Kg.  500,— 

Forra.  XIV.     ]  Scorie „        0,900 

(  Solfato  di  potassa  e  magnesia    .     .    .     .     „        0,600-0,700 


,  Stallatico Kg.  500,— 

Forra.  XV.       ^  Scorie ,        0,900 

(Kainite ,        1,200-1,400 


Per  le  piantonaie,  purché  dati  in  autunno,  si  può  sostiture,  come 
si  vede,  il  cloruro  ed  il  solfato  di  potassa,  col  solfato  di  potassa  e 
magnesia  o  colla  kainite,  perchè  i  cloruri  dannosi  che  contengono 
vengono  dilavati  dalle  pioggie  invernali. 

/  Stallatico Kg.  500,  - 

„  ,„..      )  Polvere  d'ossa „        0,750-0,900 

Form.  XVI.     ^^^^^ 0,750-0,900 

(  Solfato  di  potassa  o  cloruro  di  potassio     „        0,300-0,350 

/  Stallatico Kg.  500,— 

^,,,„     \  Perfosfato  14-21 ,        0,725-0,750 

Form.  XVII.    ;  „  r^\-,^-  «  --r. 

)  Gesso „        0,72o-0,7o0 

\  Cloruro  di  potassio  o  solfato  di  potassa    „        0,300-0,350 

/  Stallatico Kg.  500,— 

Form.  XVIII.  j  Fosfato  di  potassa „        0,400-0,500 

(  Gesso „        0,400-0,500 


-  321   - 

Anche  applicando  queste  formole  XVI  e  XVII,  si  può  sostituire  il  clo- 
ruro di  potassio  o  il  solfato  di  potassa,  con  altrettanta  quantità  di 
solfato  di  potassa  e  magnesia  o  con  una  quantità  (juadrupla  di  kainite, 
come  è  evidente  nelle  formole  XIV  e  XV. 

Nelle  località  dove  si  difetta  di  stallatico,  allo  scopo  di  immagaz- 
zinare dell'azoto  nel  terreno,  si  potrebbe  far  precedere  un  sovescio, 
ma  questo  deve  essere  fatto  per  tempo  in  modo  che  prima  dell'im- 
pianto, il  sovescio  possa  essersi  completamente  decomposto. 

Dovendo  fare  la  preparazione  del  teireno  ajìpena  in  primavera 
non  conviene  adoperare  lo  stallatico,  ma  invece  dei  terricciati,  i  (juali 
si  devono  impiegare  in  quantità  doppia  di  quella  indicala  per  lo  stallatico. 

Non  aveiìdo  terriccio  sufficiente,  si  può  aumentare  la  sua  ricchezza 
fertilizzante,  bagnandolo  fino  a  che  se  n'è  iml)evulo  completamente, 
con  colaticcio  o  pozzo  nero,  nei  quali  prima  si  sciolgono  una  delle 
seguenti  3  sostanze 


Kg.  3  di  scorie  Thomas  o 
„  3  „  polvere  d'ossa  o 
..    2,5    ..    perfosfato  al  14-16% 

per  metro  cubo  di  terriccio. 

Quando  il  terriccio  è  asciutto,  lo  si  sparge  sul  terreno  e  Io  si  sotterra. 

Invece  di  terriccio  si  può  adoperare  della  torba  pure  asciutta,  ma 
stata  prima  imbevuta  di  orina  o  pozzo  nero  con  l'aggiunta  di  una  delle 
suddette  sostanze.  ^ 

Se  infine  non  si  avesse  neppure  la  torba  allora  soltanto  in  via 
eccezionale,  si  può  ricorrere  ai  concimi  artificiali  e  precisamente  alla 
seguente  formola  per  ara 

/  Fosfato    ammonico Kg-  <l,30() 

Form.  XIX,     |  Scorie  Thomas  o  polvere  d'ossa -    <M>()0 

(  Cloruro  di  potassio  o  solfato  di  i)olass;i 0,200 

Questi  concimi  appena  mescolati  per  bene  devono  subito  essere 
sotterrati  mediante  una  vangatura.  Bisogna  curare  che  la  distribuzione 
sia  ben  fatta  e  ciò  si  ottiene  allungando   la    miscela   con    molta   terra- 

Per  la  piantonaia  invece  e  per  il  nestaio,  nei  quali  le  piante 
rimangono  due  o  tre  anni,  questa  concimazione  devesi  ripetere  ogni 
anno  ;  cosi  nei  barbatellai. 

Come  abbiamo  visto  parlando  del  vivaio  (vedi  pag.  VA)  allo  scopo 
di  mantenere  un  giusto  equilibrio  fra  la  spesa  e  la  produzione,  ogni 
vivaio  stabile  si  deve  tenere  in  rotazione  con  delle  piante  erbacee, 
altrimenti  il  terreno  si  esaurisce. 


Tamauo  -  Frutticoltura 


-  322  — 

XVIII. 
Concimazione  di  mantenimento. 

Nella  parte  sesta  pag.  254  sì  ha  già  parlato  della  concimazione  per 
l'impianto,  ora  bisogna  parlare  della  concimazione  in  generale  per  il 
mantenimento  delle  piante,  che  deve  essere  guidata  da  criteri  alquanto 
diversi. 

1.  —  Mentre  nell'impianto  noi  dobbiamo  aver  cura  di  provvedere 
la  pianta  di  elementi  nutritivi  complessi  ed  a  varia  profondità  per 
parecchi  anni  ;  colla  concimazione  di  mantenimento  noi  dobbiamo 
mantenere  la  pianta  in  costante  vigore  ed  equilibrare  lo  sviluppo  dei 
rami  a  legno  collo  sviluppo  dei  rami  a  frutto. 

La  differenza  poi  essenziale  della  concimazione  sta  nel  modo  di 
portare  i  principi  nutritivi  a  contatto  delle  radici  degli  alberi.  Negli 
impianti,  a  questo  si  provvede  con  facilità  ;  non  cosi  quando  le  piante 
sono  adulte  ed  hanno  delle  radici  talvolta  a  notevole  profondità. 

Il  metodo  più  comune  consiste  nello  scavare  attorno  alle  piante 
una  fossa  circolare,  larga  e  profonda  cm.  50,  e  distante  dal  fusto  tanto 
quanto  è  distante  la  periferia  delia  fronda.  In  questa  fossa  si  mescola 
sul  fondo  il  concime  con  altrettanta  terra  e  poi  si  copre.  Trattandosi 
di  concimazioni  liquide,  invece  che  delle  fosse,  si  possono  preparare 
dei  fori  profondi  %  distanti  fra  loro  cm.  50,  con  un  palo  di  ferro,  come 
è  indicato  nel  capitolo  Vili.  Se  il  terreno  è  inclinato  si  fanno  dei  fos- 
satelli  interrotti. 

Le  molte  esperienze  hanno  dimostrato  a  sufficienza  che  per  man- 
tenere una  pianta  adulta  da  frutto  in  giusto  equilibrio  occorrono  con- 
cimi complessi.  La  pratica  ha  dimostrato  anche  la  convenienza  di  con- 
cimare piuttosto  a  piccole  dosi  e  di  frequente  che  a  grandi  dosi  e  di  rado. 

I  Professori  Steglich  e  Barth  hanno  trovato  che  una  pianta  da 
frutto  adulta  in  produzione  normale,  avente  un  tronco  della  circonfe- 
renza di  cm.  25  e  le  cui  radici  si  estendono  per  una  media  superficie 
di  terreno  di  m.^  20  esporta  annualmente  per 

metro  quadrato  Ettaro 

Anidride  fosfor.  g.  5  Kg.    50 

Azoto „  17  ,,170 

Potassa „  22  ,,220 

Calce „  40  ,,400 

Per  restituire  questi  materiali  bisognerebbe  dare  kg.  5  di  stallatico 
per  anno  e  per  metro  quadrato,  ossia  Ivg.  100  per  pianta.  Ma  anche  qui 
l'azoto  è  in  quantità  esuberante,  perciò  bisogna  aggiungere  dei  concimi 
fosfatici  e  potassici,  tanto    più    che    questi,   come    ho    verificato    nelle 


-  .-^23    - 

diverse  esperienze,  inlluiscono  notevolmente  sulla  produzione  legnosa 
e  fruttifera. 

Lo  stallatico  si  deve  dare  in  autunno  ogni  anno,  sotterrandolo  con 
una  buona  vangatura  i)rima  dell'inverno,  acciocché,  prima  della  prima- 
vera, possa  decomporsi.  Dopo  la  vangatura,  il  terreno  lo  si  lascia  irre- 
golare, perchè  possano  meglio  agire  gli  agenti  atmosferici.  Facendo 
una  concimazione  ogni  due  o  tre  anni,  bisogna  darne  in  (|uanlità  doppia 
o  tripla,  e  perchè  colla  vangatura  non  si  può  sotterrare  questa  quan- 
tità rilevante,  bisogna  aprire  delle  fosse.  Questa  concimazione  peiù  ad 
intervalli  non  è  senza  incovenienti,  inquantoché  nel  primo  anno  la 
pianta  acquista  eccesso  di  vigoria  a  scapito  della  fruttificazione.  La 
concimazione  in  copertura,  come  viene  usala  da  molti,  lasciando  cioè 
esposto  all'aria  lo  stallatico  coprendo  il  terreno,  é  da  condannarsi, 
poiché  favorisce  lo  sviluppo  delle  malerbe,  annida  degli  insetti  ed  una 
gran  parte  delle  materie  fertilizzanti  vanno  perdute. 

Il  terriccio  è  un  altro  dei  concimi  utilissimi  che  si  può  dare  nella 
medesima  quantità  dello  stallatico  ed  è  molto  vantaggioso,  specialmente 
per  le  piante  giovani,  poiché  favorisce  lo  sviluppo  delle  radici.  Con- 
viene però  applicarlo  in  febbraio  anziché  in  autumio,  facendo  delle 
fosse. 

Non  avendo  né  stallatico,  né  terricciato,  é  molto  vantaggiosa  la 
torba  che  si  lascia  imbevere  di  spurghi  di  latrina  in  una  vasca  e  poi 
si  lascia  asciugare.  Se  ne  adopera  nella  medesima  proporzione  dello 
stallatico,  kg.  5  per  metro  quadrato. 

I  concimi  liquidi,  per  il  mantenimento  delle  piante,  si  devono  ado- 
perare in  via  eccezionale,  come  ho  detto  nel  cap.  L\. 

Adoperando  tanto  l'uno  che  l'altro  dei  concimi  indicali  lino  ad 
ora,  bisogna  sempre  correggerli  con  dei  concimi  chimici.  In  quali 
proporzioni  lo  si  debba  fare,  ciò  dipende  dallo  scopo  che  ci  si  propone 
di  ottenere  colla  concimazione,  dalla  qualità  delle  piante  e  dalla  natura 
del  terreno. 

Rispetto  alla  scelta  dei  concimi  chimici,  valga  quanto  ho  detto  in 
particolare  nei  singoli  capitoli  ;  diremo  qui  soltanto  che  : 

a)  dovendo    dare   della    calce,   si    adopererà   della    calce   spenta 
all'aria  che  poi  verrà  interrata  in  autunno  assieme  allo  stallatico; 

b)  dovendo  dare  dell'azoto,  si  adopererà  del  solfato  ammonico  o 
del  nitrato  di  soda  ; 

e)  per  dare  dell'anidride  fosforica  si  impiegherà  in  autunno  delle 
scorie  o  polvere  d'ossa;  in  primavera  dei  perfosfati; 

(/;  per  dare  della  potassa  si  può  impiegare  della  kainite,  del  clo- 
ruro di  potassio  o  del  solfato  di  potassa  ; 

e)  per  dare  della  calce,  potassa  ed  anidride  fosforica,  si  può  im- 
piegare della  cenere. 

Ogni  frutticoitore  deve  studiare  nelle  proprie  condizioni  la  formola 
di  concimazione  più  conveniente,  ed  è  un  errore  quindi  ritenere  che 
una  formola  possa  valere  per  tutte  le  piante,  siano  queste  più  o  meno 


—  324  - 

rigogliose,  più  o  meno  fruttifere  ;  siano   esse    di   una    specie    piuttosto 
die  l'altra. 

Ripetutamente  io  ho  applicato  la  seguente  formola  di  concimazione  alle  piante  da 
frutto  in  genere  per  il  loro  mantenimento,  per  verificare  i  dati  ottenuti  dai  Dottori 
Steglich  e  Barth.  Questa  quantità  venne  data  per  m.- 

gr.  100  di  nitrato  al  15.5%  in  3  volte:  marzo,  aprile,  maggio  e  contenente 
\  in  totale  gr.  17  di  azoto  ; 

Form.  XX.  „    25  di  perfosfato  al  20  %  e  contenente  in  totale  gr.  5  di  anidride  fosforica; 

I     „   45  di  solfato  di  potassa  al  48%  e  contenente  in  totale  gr.  22  di  potassa  : 
,    50  di  calce  viva. 

Ho  riscontrato  nell'applicazione,  che  l'azoto  era  insufficiente  pei  meli  mentre  era 
eccessivo  pei  peschi.  I  meli  risentivano  però  grande  vantaggio  colla  potassa.  Per  i 
susini,  peschi  ed  albicocchi,  si  mostrò  deficiente  la  calce  ed  i  peschi  oltre  che  di  calce 
anche  di  potassa  ed  anidride  fosforica. 

Questa  formola  applicata  ogni  anno,  specialmente  nei  terreni  poveri  di  humus, 
non  è  consigliabile  se,  ogni  terzo  anno  almeno,  non  si  fa  un  sovescio  od  una  concima- 
zione a  base  di  stallatico. 

I  dati  invece  ottenuti  dalla  stazione  di  Geneva  (Stati  Uniti)  sono  più  attendibili  e 
se  in  base  a  questi  si  faranno  le  miscele  di  concimazione,  io  credo  che  si  otterranno 
migliori  risultati. 

Nella  parte  speciale,  trattando  delie  singole  piante  da  frutto,  verrà 
indicata  in  apposito  capitolo,  la  concimazione  più  conveniente  per 
ogni  singola  essenza  fruttifera. 


XIX. 

Concimazioni  diverse 
a  seconda  dello  stato  in  cui  si  trovano  le  piante. 

1.  Concimazione  di  piante  deperenti.  —  Quando  il  deperimento  di 
una  pianta  dipende  dalla  deficienza  di  materiali  nutritivi  nel  suolo, 
allora  bisogna  ricorrere  a  delle  concimazioni  straordinarie  ed  a  brevi 
intervalli. 

Conviene  anzitutto  scalzare  la  pianta  in  autunno  e  concimare  colle 
seguenti  forinole  XXI,  XXII,  e  XXIII,  per  m.^ 


Form.  XXI. 


Kg.  1  di  crisalidi  di  bachi  da  seta 

„     3  di  terriccio 
gr.  100  di  Scorie  Thomas 

„    25-30  di  cloruro  dì  potassio  o  solfato  di  potassa. 


Kg.  1  di  crisalidi  di  bachi  da  seta 
\    „     3  di  stallatico 
Form.  XXII.    ■  gr.  200-400  di  calce  spenta 

/    „    100  di  perfosfato  al  16  X 

,    „    25-30  di  cloruro  di  potassio  o  solfato  di  potassa. 


-  325  - 

/  Kg.  1  di  crisalidi  di  bachi  da  seta 

L-  vvirr  )    "     -^  di  terriccio 

Form.  XXIII.  ;        .„,,   ,. 

j  gr.  100  di  calce  spenta 

l    „    400  di  cenere. 

Al  sopraggiungere  della  primavera  si  dà  ancora  la  seguente  mi- 
scela per  m.^ 

Form.  XXIV   ]    ^,"f ^'/^  ^'}  P^'^'*^^' «■■    '^'^ 

I    Nitrato  di  potassa 20 

Se  durante  il  corso  della  vegetazione  non  si  avessero  a  rimarcare 
i  buoni  effetti,  si  applicherà  nel  mese  di  giugno  la  concimazione  li(|uida 
sciogliendo  nell'acqua  gr.  1-1.5  per  litro,  la  miscela  XXIV. 

Nell'anno  successivo  si  potrà  applicare  una  delle  formole  seguenti: 

i  Scorie  Thomas  o  polvere  d'ossa gr.  150 

Form.  XXV.    \  Cloruro  potassico  o  solfato  di  potassa „      60 

(  Nitrato  di  soda 100 

Totale  gr.  310 

Da  applicarsi  in  autunno,  meno  la  metà  del  nitrato  che  si  dà  in 
primavera,  sotterrandolo  colla  vangatura. 

/Perfosfato  16-18  % gr.  IfiO 

1-  x'viTT    )  Cloruro  potassico  e  solfato  di  potassa .,      60 

torm.  XXVI.  { -..,     ,      ,-        ■                                ^  ,,^ 

1  Nitrato  di  soda .    „    100 

(  Gesso ^    150 

lotale  gr.  -160 
Da  applicarsi  in  primavera 

Scorie  Thomas  o  polvere  d'ossa gr.  15(» 

Kainite .240 

Form.  XXVII.  '  Solfato  ammonico ..50 

I  Nitrato  di  soda ,50 

1  Calce  spenta .150 

Totale  gr.  640 

Il  nitrato  si  dà  in  primavera. 

Nel  terzo  anno  si  ripeterà  la  concimazione  colle  formole  XXI,  XXII 
e  XXIII. 

b)  Concimazione  di  piemie  troppo  vigorose  e  poco  fruttifere.  Nella 
maggior  parte  dei  casi,  questo  fenomeno  si  deve  attribuire  all'eccesso 
di  umidità  e  di  azoto  nel  terreno  ed  alla  deficienza  di  elementi  mine- 
rali, principalmente  potassa  ed  anidride  fosforica,  r.pperciò  il  frutti- 
coitore deve  somministrare  dei  concimi  minerali  che  portino  gli.,  ele- 
menti minerali,  principalmente  potassa  ed  anidride  fosforica,  tpperciò 
il  frutticoitore  deve  somministrare  dei  concimi  minerali  che  portino 
gli  elementi  suddetti,  i  quali  favoriscano  in  particolar  modo  la  produ- 
zi  one  della  frutta. 


-  326  - 

Anche  qui  si  possono  applicare  una  delle  formole  XXV,  XXVI,  XXVII, 
omettendo  però  i  concimi  azotati. 

e)  Concimazione  delle  piante  molto  fruttifere  e  poco  vigorose.  Que- 
ste piante  di  solito  fioriscono  molto,  ma  portano  difficilmente  la  frutta 
a  maturazione. 

In  questo  caso  bisogna  dare  una  concimazione  che  ricostituisca 
completamente  la  pianta,  col  fornirla  dell'azoto,  e  degli  elementi  mi- 
nerali, potassa,  anidride  fosforica  e  calce. 

In  questo  caso  bisogna  concimare  in  autunno  con  del  terricciato  e 
seguire  quanto  ho  detto  per  la  concimazione  di  piante  deperenti. 


XX. 
L'irrigazione  delle  piante  da  frutto. 

1.  Azione  dell'acqua  sulle  piante  da  frutto.  —  L'azione  dell'acqua 
è  intimamente  legata  a  quella  del  calore  tanto  da  poter  asserire  che 
essa  non  esercita  tutta  la  sua  utilità,  od  almeno  tutta  la  sua  azione  se 
non  vi  ha  contemporaneamente  una  temperatura  abbastanza  elevata. 
Una  dimostrazione  l'abbiamo  nella  interruzione  della  vita  vegetativa 
durante  l'inverno.  Nelle  regioni  temperate  e  fredde,  l'interruzione  è 
dovuta  alla  mancanza  di  calore  ;  nelle  regioni  calde  e  intertropicali 
alla  mancanza  di  umidità.  In  queste  ultime  regioni  però  l'arresto  di 
vegetazione  è  meno  apparente  poiché  le  foglie  non  cadono  e  soltanto 
le  radici  rimangono  inattive. 

Le  piante  da  frutto  soltanto  nella  loro  prima  età  vivono  degli  ele- 
menti che  si  trovano  nello  strato  superficiale  del  terreno.  Ma  poiché 
questo  primo  strato  si  essica  nella  stagione  calda,  così  é  naturale  che, 
per  assicurarsi  l'attecchimento  negli  impianti,  si  fanno  delle  buche 
profonde,  si  adoperano  molti  concimi  organici,  si  tiene  coperto  il  ter- 
reno con  letame,  si  impianta  presto  in  autunno  anziché  in  primavera, 
quand'anche  non  si  ricorra  alla  irrigazione.  E'  certo  che  molti  dei 
nostri  impianti,  e  non  soltanto  dell'  Italia  meridionale,  riuscirebbero 
molto  meglio,  se  nel  primo  e  secondo  anno  dopo  l'impianto,  si  avesse 
dell'acqua  per  inaffìare  od  irrigare. 

Passato  questo  periodo  di  infanzia,  l'albero  approfondisce  le  radici 
nel  suolo  inerte  dove  esse  stazionano,  per  nutrirsi  dell'umidità  che  si 
accumula  per  le  pioggie  e  per  l'acqua  che  deriva  dal  sottosuolo. 
Quest'ultimo  deve  servire  da  sorgente  e  l'umidità  in  esso  deve  trovarsi 
fino  a  2-3  metri.  1  terreni  che  non  hanno  queste  sorgenti  o  che  hanno 
un  sottosuolo  impermeabile,  sono  assolutamente  disadatti  per  le  piante 
da  frutto.  Le  piante  dopo  un  periodo  di  pochi  anni  muoiono  improv- 
visamente. 

Queste  sorgenti  di  umidità  vengono  alimentate  annualmente  dalle 
pioggie.  Pochissimo  vi  concorrono  quelle  estive  sia  perchè,  ad  esempio, 


—  327  - 

nei  climi  meridionali  ((uesle  pioj^gie  sono  rare,  sia  percliè,  in  i|ualsiasi 
regione,  o  sono  di  ])oca  entità  brevi  ed  evaporano  prontamente  prima 
che  le  radici  ne  ritraggano  vantaggio  ;  opjìure  sono  torrenziali  ed  allora 
l'acqua  scorre  via,  prima  che  il  terreno  la  possa  trattenere. 

Il  maggior  bisogno  di  acqua  la  pianta  lo  lia  alla  ripresa  della  ve- 
getazione. In  questo  periodo,  tutta  l'umidità  di  cui  si  sono  imbevute 
le  radici  nell'autunno  e  durante  l'inverno,  passa  alle  gemme,  alle  foglie, 
ai  nuovi  germogli. 

Durante  la  fioritura  il  movimento  dei  succhi  subisce  una  sosta,  ma 
subito  dopo,  |)er  l'attecchimento  dei  frutti,  è  necessaria  l'umidità  ac- 
compagnata da  calore.  In  questo  periodo  le  pioggie  più  frequenti  sono 
più  utili  dei  forti  acquazzoni.  Nei  mesi  in  cui  avviene  la  maturazione 
dei  frutti  occorrono  giornate  serene,  ma,  appena  fatto  il  raccolto,  é 
bene  che  piova  abiiondantemente,  perchè  si  possa  innnagazzinare  del- 
l'actjua  nel  terreno,  per  l'anno  venturo. 

La  mancanza  d'acqua  nel  terreno  dopo  la  lioritura,  fa  cadere  molti 
frutti  e,  quelli  che  rimangono,  non  raggiungono  lo  sviluppo  normale, 
riescono  colla  buccia  rugosa,  ((uassa;  colla  polpa  scipita,  asciutta, 
senza  profumo;  i  rami  della  pianta  rimangono  corti,  esili.  In  Sicilia  ad 
esempio  gli  agrumi  irrigati  danno  in  media,  un  terzo  di  più  di  prodotto. 

Nei  terreni  freschi,  i  frutti  riescono  più  sviluppati,  succosi,  di 
sapore  più  delicato  e  contengono  pochi  senìi.  La  buccia  riesce  sottile, 
elastica,  con  colorito  normale;  la  maturazione  è  più  regolare  e  piutto- 
sto anticipata.  I  rami  e  le  gettate  dell'annata  crescono  vigorose  ed  entro 
l'anno  compiono  completamente  la  lignificazione.  Tutta  la  vita  vegeta- 
tiva viene  prolungata  e  perciò  le  jiiante  riescono  più  fertili  ed  anche 
più  vigorose. 

Dalla  freschezza  del  terreno  dipendono  anche  gli  elletti  della  con- 
cimazione. Gli  agricoltori  sanno  che  nelle  annate  asciutte,  le  colture 
risentono  poco  vantaggio  dalle  concimazioni,  specialmente  se  queste 
sono  a  base  di  concimi  artilìciali.  H  difatti  mancando  lumidilà  che 
disciolga  i  materiali  nutritivi,  le  radici  non  possono  funzionare  e  la 
pianta  ne  soffre. 

Un  eccesso  di  umidità  produce  i  rami  meno  robusti,  colle  libre 
più  larghe,  rendendosi  meno  resistenti  ai  freddi  ed  agli  attacchi  dei  pa- 
rassiti ;  cosi  le  frutta  riescono  troppo  acquose  e  meno  saporite.  L'acqua 
eccessiva  nel  terreno  rende  infine  inattive  le  radici  per  la  mancanza 
d'aria  e  se  vi  ristagna  il  terreno  dà  una  reazione  acida  che  danneggia 
le  radici. 

2.  Quantità  d'acqua  necessaria  e  modo  di  usarla.  —  Finora  per 
noi  italiani  le  piante  da  frutto  tipiche  per  l'irrigazione  sono  gli  agrumi, 
che  si  diiìusero  ai  due  estremi  dell'Italia:  nella  Sicilia  e  nella  Hiviera 
Ligure.  In  Sicilia  vennero  sempre  irrigati  e  gli  arabi  ne  perfezionarono 
il  sistema.  Quivi  si  irriga  anche  il  nocciuolo,  nelle  Calabrie  il  fico, 
destinato  per  il  consumo  diretto  dei  frutti,  mentre  per  i  frutti  da  essic- 
care la  pianta  si  coltiva  nelle  alture  non  irrigabili. 


-  328  - 

Nell'Africa  mediterranea  bisogna  irrigare  tutti  i  fruttiferi  dell'Europa 
e  della  regione  intertropicale,  se  si  vuole  assicurare  il  prodotto,  e  cosi 
in  Sicilia  e  Sardegna,  specialmente  lungo  il  litorale,  conviene  l'irriga- 
zione degli  olivi,  dei  gelsi,  dei  pistacchi,  dei  mandorli  e  di  quasi  tutte 
le  piante  da  frutto,  specialmente  nei  primi  almi,  dopo   la  piantagione. 

Stabilita  l'importanza  dell'acqua  anche  per  le  piante  da  frutto,  non 
è  da  ritenersi  che  queste  si  debbano  irrigare  come  si  trattasse  di  piante 
erbacee.  Come  abbiamo  visto,  il  maggior  bisogno  d'acqua  si  risente 
nella  stagione  calda,  che  ricorre  dal  periodo  dopo  la  fioritura  fino  alla 
maturazione  dei  frutti.  Nei  paesi  meridionali,  durante  questo  periodo, 
il  bisogno  d'acqua  sarà  maggiore  che  nelle  regioni  dell'Italia  centrale, 
e  qui  molto  di  più  che  nell'Italia  settentrionale. 

E'  difficile  poter  stabilire  la  quantità  d'acqua  necessaria  per  le 
piante  da  frutto.  Questa  naturalmente  varia  colla  specie  della  pianta, 
coll'andamento  della  stagione  e  colla  natura  e  posizione  del  terreno. 
Le  piante  sempreverdi,  come  gli  agrumi,  quelle  ricche  di  fronda  e  di 
succhi,  come  le  piante  a  nocciolo,  quelle  che  hanno  l' apparecchio 
radicale  poco  sviluppato  richiederanno  più  acqua.  Nei  terreni  sciolti, 
permeabili,  situati  in  pendio,  esposti  a  mezzogiorno,  le  piante  saranno 
più  esigenti  di  acqua  di  irrigazione. 

Nella  provincia  Santa  Clara  in  California,  dove  non  piove  mai  e 
dove,  ciò  malgrado,  si  sono  fatti  degli  estesi  frutteti  industriali,  por- 
tandovi l'acqua  artificialmente  a  mezzo  di  canali,  si  irriga  sette  volte 
all'anno,  impiegando  per  ettaro  1000  m^.  d'acqua  per  volta. 

Nella  valle  di  Jakina,  (Washington)  dove  si  hanno  in  media  ogni 
anno  150  mm.  di  acqua,  si  irriga  6  volte  all'anno,  dando  1000  m^  d'ac- 
qua per  volta. 

In  tutti  gli  Stati  occidentali  dell'America  del  Nord  le  pioggie  sono 
scarse  e  quasi  ovunque  si  irrigano  anche  le  piante  da  frutto.  Per  im- 
magazzinare l'acqua  nel  terreno,  si  irriga  anche  d'inverno.  Durante 
l'estate  si  fa  di  solito  l'irrigazione  ogni  20-30  giorni  per  quattro  volte 
cominciando  dal  maggio.  L'ultima  irrigazione  si  fa  in  settembre.  Rara- 
mente si  adoperano  più  di  7500  m^  per  ettaro  e  per  anno.  Durante  la 
vegetazione  si  ha  cura  di  mantenere  sempre  il  terreno  soffice  e  mondato 
dalle  malerbe,  per  evitare  la  soverchia  evaporazione. 

In  Sicilia  si  fanno  negli  agrumeti  da  6  a  10  irrigazioni  per  anno, 
impiegando  nei  terreni  consistenti  da  400  a  800  m^  di  acqua  per  ettaro 
e  per  anno,  che  equivalgono  a  m^  1  a  2  per  pianta.  Nei  terreni  sciol- 
tissimi, secondo  il  Prof.  Savastano,  si  impiegano  m^  3  a  4000  e  per  ogni 
albero  da  7  a  10  m^.  Il  Prof.  Alfonso  vorrebbe  495  litri  per  pianta  e 
per  ogni  irrigazione  che  corrisponderebbe  a  circa  1200  m^  per  anno  e 
per  ettaro  ;  il  Turrisi  Colonna  circa  840  m^',  il  Cusmano  480  m^. 

Considerate  le  condizioni  udometriche  delle  regioni  in  cui  pro- 
sperano le  piante  da  frutto,  io  credo  che  per  esse  occorrano  annualmente 
(dalla  caduta  delle  foglie  in  autunno  alla  maturazione  dei  frutti)  750  mm. 
d'acqua  corrispondenti  a  7500  m^  per  ettaro. 


—  ;i2y  - 

Nella  Valle  Padana  (vedi  Trallalo  completo  (li  af^ricoltura.  iloepli  HH_>. 
dell'A.  nella  parte:  Climatologia)  si  hanno  annualmente  coi  |)iecipitati 
atmosferici  1095,  2  mm.  d'acqua,  pari  a  10.'.>52  m-'  d'acqua;  nella  zona  pe- 
ninsulare interna  10.637  m»  ;  nella  zona  marittima  interna,  7509  m'; 
nella  zona  marittima  mediterranea,  8734  m^  e  nella  zona  insulare,  ()012. 
Da  ciò  si  dovrebbe  dedurre  che  soltanto  nella  zona  insulare  si  ha 
stretto  bisogno  di  irrigare.  Ma  dobbiamo  notare  che  queste  medie 
rappresentano  lo  stato  udometrico  della  intera  regione,  non  ([uello 
speciale  in  cui  si  coltivano  le  piante  da  frutto.  Kcco  quindi  la 
necessità  di  indagare  per  ogni  territorio  la  quantità  d'acqua  clie  cade 
dalla  caduta  delle  foglie  in  autunno,  poiché  è  da  questo  periodo  che 
si  incomincia  ad  immagazzinare  la  magf^iore  (|uanlilà  d'acqua  per 
l'anno  venturo,  e  provvedere  colla  irrigazione  durante  l'estate,  al- 
l'acqua che  viene  a  mancare,  per  arrivare  ai  7-7500  m'  d'ac(|ua 
che  sono  necessari.  Questa  è  una  cifra  teorica,  ma  che  i  molli  latti 
pratici  mi  darebbero  per  quella  che  più  si  avvicina  alla  realtà. 

Praticamente,  se  le  foglie  degli  alberi  al  mattino  appaiono  legger- 
mente avvizzite  o  cominciano  ad  impallidire,  se  cadono  anticipata- 
mente i  frutti,  questi  sono  gli  indizi  che  le  piante  patiscono  il  secco. 
Per  ogni  irrigazione,  ogni  pianta  dovrebbe  ricevere  da  2  a  .'i  ettolitri 
d'acqua  e  mai  meno. 

Perchè  sia  di  giovamento  all'albero,  l'acqua  deve  penetrare  negli 
strati  sottostanti  del  terreno  e  venire  in  contatto  delle  radici  più  sottili 
che  sono  le  più  attive.  Per  questo  conviene  fare  l'irrigazione  a  lunghi 
intervalli,  ma  con  acqua  abbondante,  anziché  ad  intervalli  brevi  e  con 
poca  acqua.  Le  piante  adulte  necessariamente  hanno  maggiore  bisogno 
di  acqua  delle  piante  giovani  e  per  queste  ultime  l'acqua  non  occorre 
che  arrivi  a  tanta  profondità. 

Le  piante  giovani  possono  avere  bisogno  di  irrigazione  già  in 
maggio,  le  più  adulte  in  giugno  ed  anche  in  luglio;  una  volta  comin- 
ciata la  irrigazione  bisogna  ripeterla,  come  ho  detto,  ogni  20  giorni, 
un  mese  e  più  a  seconda  che  si  manifesterà  il  bisogno,  (ili  agrumi, 
ripeto,  si  irrigano  da  6  a  10  volte  all'anno;  per  le  altre  piante  bastano 
3  a  4  irrigazioni  dal  maggio  al  settembre. 

L'irrigazione  bisogna  farla  nelle  ore  nelle  quali  la  dilferenza  fra  la 
temperatura  del  terreno  e  quella  dell'acqua  è  minore.  Perciò  sono 
preferibili  le  ore  della  sera  e  della  notte  e,  dovendo  adoperare  del- 
l'acqua di  sorgente,  bisogna  disporre  di  vasche  di  raccoglimento,  perchè 
essa  possa  riscaldarsi  durante  il  giorno.  Par  ottenere  il  medesimo  in- 
tento si  può  anche  dirigere  le  acque  nei  siti  più  lontani  alla  sorgente  e 
poi  farla  ritornare,  perchè  intanto  si  riscaldi. 

Durante  l'irrigazione  è  bene  che  l'acqua  si  mantenga  in  costante 
circolazione,  facendola  scorrere  con  moto  lento  ed  uniforme.  Nei  siti 
più  alti  bisogna  dispensarne  in  maggior  quantità  che  nei  depressi  ed 
alle  piante  che  si  trovano  nelle  medesime  condizioni  bisogna  distri- 
buire l'acqua  colla  maggiore  uniformità. 


330 


3.  Come  si  irrigano  le  piante  da  frutto.  —  L'irrigazione  delle 
piante  da  frutto  si  può  fare  in  vari  modi  a  seconda  della  località  e 
della  quantità  d'acqua  che  si  ha  a  disposizione. 

Negli  Stati  Uniti,  ad  esempio,  dove  vi  sono  frutteti  estesissimi  irri- 
gati, questi  si  piantano  di  solito  sulla  rottura  di  prato  di  erba  medica. 
La  sistemazione  del  terreno  si  fa  in  modo  da  poter  fare  l'irrigazione 
per  fossatelli  orizzontali  e  cioè  tracciando  un  canale  irrigatore  lungo 
la  parte  più  elevata.  Questo  canale  lo  si  fa  di  una  lunghezza  non  su- 
periore ai  200  metri  e  con  una  pendenza  del  2  °Jqq.  Lungo  questo  canale 
si  fanno  le  piantagioni,  e  collegate  ad  esse,  a  quinconce,  si  collocano 
altre  piante.  I  peschi  si  piantano  a  6-7  metri  di  distanza  fra  loro  ;  gli 
olivi  da  m.  7  a  9;  i  peri,  meli,  albicocchi,  ciliegi  ed  agrumi  da  m.  9  a 
11  ;  i  noci  a  metri  14-17.  Quando  si  vuole  irrigare,  si  fanno  tanti  fos- 
satelli di  presa  quante  sono  le  piante  della  prima  fila  che  trasportano 
l'acqua  dalla  irrigatrice.  Attorno  ad  ogni  pianta  si  fa  un  argi nello  di 
terreno  per  trattenere  l'acqua.  Da  ogni  pianta  si  diparte  alla  sua  volta 
un  altro  fossatello  che  la  mette  in  comunicazione  colla  pianta  imme- 
diatamente sottostante,  in  modo  che  tutte  le  piante  hanno  due  fossa- 
telli di  comunicazione  :  uno  colla  pianta  superiore  dalla  quale  ricevono 
l'acqua  e  l'altro  con  quella  inferiore  alla  quale  la  trasmettono. 

Questo  sistema  di  irrigazione  è  molto  pratico  quando  la  pendenza 
del  terreno  è  irregolare  e  quando  supera  il  6  %•  Se  la  pendenza  è  re- 
golare ed  uniforme,  inferiore  al  6  Vo,  si  fanno  dei  fossatelli  lungo  curve 
orizzontali,  seguendo  cosi  l'andamento  naturale  della  superficie. 


V 


Fig.  221.  —  Doccia  pensile 
trasportabile,  di  legno 
incatramato. 


Fig.  222.  —  Palo  di  so- 
stegno per  le  doccie. 


Fig.  223.  —  Cavalletto  di  sostegno 
per  le  doccie. 


Se  invece  l'impianto  non  è  regolare  per  trasportare  l'acqua  si  fanno 
di  tratto  in  tratto,  lungo  il  canale  irrigatore,  delle  saracinesche,  dalle 
quali,  mediante  doccie  trasportabili  di  legno  incatramato  (fig.  221) 
sostenuti  da  pali  (fig.  222)  conficcati  nel  terreno  o  da  cavalietti  (fig.  223) 
l'acqua  viene  condotta  presso  ogni  pianta.  Si  fanno  anche  dei  canali 
pure  in  legno,  rivestiti  di  mattoni  (fig.  224). 

In  questo  modo  l'irrigazione  si  fa  per  aspersione,  trattenendo  l'acqua 
intorno  alla  pianta  con  un  arginello  di  terra  (figure  225-226). 

Un  altro  sistema  da  me  raccomandato  che  può  servire  anche  per 
la  concimazione  delle  piante  adulte,  consiste  nell'aprire  dei  fori  nel 
terreno  con  dei  pali  di  ferro,  (fig.    227j   alla   distanza   circa   di  ^/g   del 


331 


Fig.  224.  -  Canali  pensili  rivestiti  di  mattoni. 


Fig.1225.  —  Pianta  collocata  in  piano"con  argi-        Fig.  22(i    —Pianta  collocata  su  terreno  indi 
nello  preparato  per  l'irrigazione.  nato  preparata  per  l'irrigazione 


(5) 


O 


y. 


-^^^^- 


o      e 


Fig.  227.  —  Palo  di  Ferro  per       Fig.   228.    —    Irrigazione   a   fori    veduta    in    sezione   ed    in 
preparare  i  fori  nel  terreno.  pianta. 


-  332   - 

raggio  della  IVouda.  ed  iniroducendo  in  (.juesti  l'acqua.  Questi  lori  s 
fanno  in  numero  di  4  a  (ì  a  seconda  dell'età  della  pianta  (iìg.  228).  Na- 
turalmente la  profondità  dei  fori  deve  variare  coH'età  della  pianta  da 
un  minimo  di  50  cm.,  lino  anche  80  cm.,  cioè  tino  all'incontro  delle  radici. 

Poiché  questi  fori  si  ostruiscono  facilmente,  dovendo  ripetere  l'ir- 
rigazione, si  fanno  delle  buche  più  larghe,  che  si  tengono  aperte  con 
dei  tubi  di  drenaggio.  Nell'intervallo  della  irrigazione  si  riempiono  con 
stallatico. 

Ora  si  costruiscono  dei  tubi  appositi,  lunghi  Ho  cm.  e  del  diametro 
di  10  cm.  con  4  tìle  longitudinali  da  9  fori  ciascuna,  cosi  che  ogni  tubo 
ha  36  fori  (lig.  229).  Questi  tubi  si  piantano  nel  terreno  in  modo  che 
la  bocca  arriva  appena  a  sporgere  dal  terreno.  Si  versa  dentro  l'acqua 
od  il   colaticcio  diluito,  quando  si  vuole  anche  concimare,  ed  i  tubi  si 


Fig.  229.  —  Tubo  in 
terra  cotta  forato  per 
la  irrigazione  delle 
piante  da  frutta. 


^ 

-    e 

t- ^ 

.o^ 

(T 

s> 

hj-ii 

.'A 

e 

<f 

N^ 

^^ 

.{^ 

"/^ 

Fig.  230.  —  Irrigazione  per  sommersione. 


coprono  con  un  mattone.  Essi  offrono  la  comodità  di  irrigare  in  modo 
sicuro  e  colla  massima  economia  di  acqua.  Aggiungo  ancora  che  gli 
alberi  concimati  con  questo  sistema  assumono  un  rigoglio  straordinario: 
essi  vengono  sottoposti  ad  una  vera  alimentazione  intensiva  e,  come 
si  ottiene  cogli  animali,  crescono,  rapidamente.  Questi  tubi  costano 
circa  L.  1,25  l'uno. 

Si  è  constatato  che  il  liquido  si  dilTonde  per  un  raggio  di  m.  2,50 
e  per  un  metro  di  profondità.  Per  ogni  albero  grande  bastano  3  tubi 
e  nei  frutteti  si  calcolano  3  tubi  per  ogni  due  alberi,  piantandoli  alla 
distanza  di  m.  2,50  dal  fusto. 

L'irrigazione  si  può  fare  anche  come  si  usa  in  Sicilia  per  soiuiner- 
sione.  Attorno  ad  ogni  pianta  di  agrumi  si  fa  una  conca  la  quale  viene 
riempita  di  acqua  ogni  volta  che  si  irriga.  L'acqua  viene  condotta  per 
mezzo  di  un  canale  apportatore  A  B  (lig.  230),  che  ha  una  pendenza 
del  5  al  10  per  mille  e  la  si  costringe  a  mezzo  di  paratoie  p,  ad  entrare, 


:us  - 


per  altri  canaletti  distributori  Ci),  EF  die  passano  fra  le  (ile  delle 
piante.  Da  questi  canaletti  si  passa  in  solchi  (s)  appositi,  che  condu- 
cono l'acqua  nelle  conche  scavale  intorno  al  tronco  di  ogni  singola 
pianta. 

Nel  fare  queste  conche  si  deve  avere  cura  di  non  denudare  le  radici 
vicine  al  tronco  e  di  lasciarle  coperte  con  un  buono  strato  di  terra 
(fig.  231).  Quando  si  vuole  irrigare  col  canale  CD  si  mette  la  paratoia 
in  p  ed  allora  l'acqua,  costretta  a  deviare,  riempie  le  singole  conche  e 
e  quando  l'acqua  arriva  in  D,  si  leva  la  paratoia  p  per  chiudere  l'a- 
pertura C  e  se  ne  mette  un'altra,  in  p\  per  irrigare  col  canale  K  F  e  cosi 
via.  Il  canale  D  F  è  un  canale  collettore  il  quale,  alla  sua  volta,  può 
servire  da  canale  distributore  per  altre  file  di  piante  sottostanti 

Avendo  degli  alberi  isolali,  il  canale  distributore  lo  si  fa  lungo   la 
parte  più  alta  del  terreno  e  da  ({ueslo  si  fanno  dipartire  dei  fossalelli 
distributori  secondari  che  conducono  l'acqua  allo  singole  conche  delle 
piante  (lìg.  232).   L'acqua  raggiunto 
il  fossatello  a  è  costretta  a  passare 
nella  conca  A,  ostruendo  in  /'  il  ca- 
nale con  della  terra.  Quando  la  conca 
ha   ricevuto    l'acqua   sufficiente,   si 
chiude   la  bocchetta  e  colla  stessa 
terra  collocata  in  /?  e  si  passa  ad  ir- 
rigare successivamente,  collo  stesso 
metodo,  la  conca  B  e  C. 


Fig.  231.  -  Sezione  di  una  conca  intorno   ad         Fig.  232.  -  Irrlgailone  di  alberi  isolati 
un  albero  da  irrigare. 

Nei  terreni  non  livellati,  un  metodo  semplice  consiste  nel  dirigere 
le  acque  non  seguendo  una  disposizione  regolare,  ma  facendo  seguire 
le  curve  di  livello,  in  modo  da  ottenere  uno  scorrimento  graduale  e 
continuo.  Seguendo  l'acqua,  facendola  entrare  in  un  fossatello.  si  con- 
tinua a  scavare  questo  fossatello  per  una  linea  pressoché  on;tzonlale: 
basta  dare  al  suo  fondo  una  inclinazione  debolissima  del  2  al  3"^.  Si 
arriva  cosi  a  tracciare  una  curva  a  contorno  qualunque,  purché  1  acqua 
arrivi  presso  ogni  pianta,  attorno  alla  quale  si  fa  un  arginello  perche 
l'acqua  possa  per  qualche  tempo  arrestarsi. 

Quando  si  ha  poca  acqua,  si  rivestono  i  canali  apportatori  e  di- 
stributori di  mattoni  o  di  uno  strato  di  cemento,  come  si  fa  in  America. 


—  334  - 

Il  frutteto  viene  diviso  in  tante  regioni  corrispondenti  ciascuna  a  date 
quole  dì  livello  e  le  conche  si  fanno  rettangolari  (sistema  che  l'itengo 
introdotto  dagli  Arabi),  divise  da  un  arginello,  aprendo  il  quale  con 
una  bocchetta,  l' acqua  entra  direttamente  dal  canale  distributore. 
Quando  si  irriga,  la  terra  levata  per  fare  la  bocchetta  a  (fig.  233),  si 
mette  di  traverso  b  al  canale  distributore,  per  costringere  l'acqua  ad 
entrare  nella  conca.  Appena  questa  ha  ricevuto  l'acqua  ritenuta  neces- 
saria, si  leva  la  terra  da  b  per  ricollocarla 'in  a  e  si  passa  all'altra 
conca  seguendo  il  medesimo  metodo. 

Nella  fig.  234  abbiamo  rappresentato  il  medesimo  sistema    di    irri- 


>' 


^ 


^>i 


^ 


^ 


a 


N. 


/^ 


Q 


\ 


4U 


Qì 


/^ 


Fig.  233.  —  Irrigazione  per       pjg  234.  —   Irrigazione    per    sommersione  a'^conche    qiia- 
sommersione  a  concile  qua-  drangolari  a  fila  doppia, 

drangolari  a  fila  semplice. 


gazione,  ma  le  conche  sono  a  file  doppie  e  quindi  si  irrigano  due  per 
volta  a  destra  ed  a  sinistra. 

L'irrigazione  degli  alberi  si  può  fare  anche  per  infiltrazione  ed 
anzi  le  piante  ne  avvantaggiano  di  più  poiché  le  radici  non  rimangono 
sommerse,  l'acqua  si  infiltra  lentamente  e  non  si  produce  intorno  al- 
l'albero un  ambiente  troppo  umido  che  provoca  tante  volte  lo  sviluppo 
di  molte  malattie,  specialmente  crittogamiche.  Occorre  però  una  note- 
vole maggiore  quantità  d'acqua  che  cogli  altri  sistemi,  si  ha  poi,  lungo  i 
fossi,  un  eccessivo  sviluppo  di  erbe  e  si  va  incontro  ogni  anno  ad  una 
spesa  non  piccola  per  rinnovare  i  solchi  irrigatori. 

Il  metodo  più  semplice  consiste  nel  tracciare  coll'aratro  un  solco 
come  si  trattasse  di  una  scolina,  colla  pendenza  del  3  al  5  %>  profondo 
.30  cm.  (fig.  235)  vicino  al  fusto  e  se  le  piante  sono  giovani,  più  lontano 
(fig.  236)  se  le  piante  sono  adulte.  Con  tutti  e  due  però  questi    sistemi 


Xi'i 


l'acqua  viene  portata  da  un  solo  lato  ed  ogni  anno  bisogna  cambiare 
il  solco  portandolo  dall'altra  parte.  Per  risparmiare  questa  spesa  si 
può  fare  la  coltura  degli  alberi  coll'aritico  sistema  del  cavalU'tto.  in- 
troducendo l'acqua  nei  due  fossi  laterali  (lig.  237  e  238). 


rr^. 


Fig.  235.  —  Irrigazione  per  imbibizione  ili  piante  giovani. 


Fig.  236    —  Irrigazione  per  imbibizione  di  piante  adulte. 


I  solchi  irrigatori  non  si  fanno  più  lunghi  di  2()0  inclri. 

Per  ovviare  rinconvonieiito   che    !'ac(|ua    vi    scorra    troppo    presto 


Fig.  237.  —  Irrigazione  di  piantagione  su  cavalietti. 


prima  che  il  terreno  si  possa  imbevere,  ciò  che  avviene  specialmente 
quando  l'irrigatrice  è  da  un  solo  lato,  si  può  far  deviare  il  solco  at- 
torno ad  ogni  pianta  (fig.  239)  oppure  si  fa  un  solco  più  profondo  a 
fondo  cieco  (fig.  240). 


336 


fi' 

A 

ti 

o 

« 

'^^ 

<> 

O- 

a 

ù 

^ 

o 

Fig.  238.  —  Distribuzione  dell'acqua  per  irrigare  filari  di  piante  con 
doppio  canale  irrigatore. 


Fig.  239.  —  Irrigazione  per  imbibizione  a  solchi  circolari  intorno  al  fusto. 


Fig.  240.  —  Irrigazione  per  imbibizione  a  solchi  cicolari  a  tondo  cieco. 


Fig.  241.  —  Irrigazione  di  una  spalliera. 


-  \VM  - 

Avendo  da  irrigare  un  frutteto  con  piante  più  lìtte,  conviene  portare 
l'acqua  per  tutto  il  terreno  e  nelle  figure  abbiamo  rappresentali  sche- 
maticamente i  diversi  metodi  che  si  possono  adottare  a  seconda  delle 
distanze.  Anche  questi  solchi  si  possono  tracciare  coll'aratro,  dando 
loro  una  pendenza  del  3  al  S^/^o  ed  una  lunghezza  non  superiore  ai 
200  metri. 

Infine  nella  fig.  241  si  vede  come  si  possono  irrigare  le  piante 
coltivate  contro  i  muri  a  spalliera. 


Tamaro  -  Frutticoltura 


PARTE  OTTAVA 

RACCOLTA,   CONSERVAZIONE 
ED    UTILIZZAZIONE  DELLE  FRUTTA  d) 


I. 
Sviluppo  e  maturazione  delle  frutta. 

1.  —  Le  buone  e  belle  frutte  da  tavola,  costituiscono  in  ogni  sta- 
gione, un  articolo  di  commercio  molto  ricercato  e  perciò  anche  ben 
pagato.  Per  ottenere  però  questo  vantaggio  occorre  che  le  frutta  ac- 
contentino il  gusto  e  l'occhio  del  consumatore  ;  in  altri  termini  devono 
essere  saporite,  profumate  e  belle  di  aspetto,  condizioni  queste,  che  non 
sempre  si  verificano. 

Naturalmente  la  colpa  è  del  produttore  il  quale,  sia  perchè  fa  poco 
calcolo  su  questa  rendita,  molte  volte  per  lui  secondaria,  sia  per  igno- 
ranza, trascura  delle  pratiche  razionali  facili  ad  applicarsi,  che  potreb- 
bero avvantaggiarlo  di  molto.  In  questo  riguardo  è  aperto  per  noi  un 
vasto  campo,  da  cui,  se  ben  studiato,  si  possono  trarre  notevoli  gua- 
dagni. Io  credo  che  se  l' agricoltore  sapesse  quanta  maggior  rendita 
potrebbe  trarre,  raccogliendo  e  conservando  più  razionalmente  le  frutta, 
non  soltanto  vi  presterebbe  maggiori  cure,  ma  anche  le  stesse  piante 
verrebbero  meglio  coltivate. 

Siccome  la  riuscita  della  conservazione  dipende  assai  dallo  stato 
di  maturità  che  viene  colta  la  frutta,  cosi  è  indispensabile  che  noi 
permettiamo  alcuni  cenni  sulla  maturazione. 


(1)  G.  Rovesti.  —  Conserve  alimentari  vegetali.  Biblioteca  Ottavi  1906. 
M.  Marval.  —  Ma  pratique  des  conserves.  Paris  1911. 
G.  Pellerin.  —  Denrées  alimentaires.  Paris  1911. 
A.  Rolet.  —  Les  conserves  de  fruits.  Paris  1912. 
X.  Roeques.  —  Les  industries  de  la  conservation  des  aliments.  Paris  WO.'j. 


2.  —  Funzione  del  frullo.  Avvenuta  la  fecondazione  dell'  ovario, 
comincia  subito  nel  medesimo  ad  aflluire  le  diverse  sostanze  nutritive 
di  natura  organica  e  minerale  elaborate  dalle  foglie  e  rami.  Cosi  av- 
viene che  il  frutto  a  poco  a  poco  si  ingrossa  e,  lino  che  rimane  di 
color  verde,  assinmla  e  respira  come  le  foglie 

Coir  assimilazione  dell'anidride  carbonica  dell  aria,  di  questa  Iraltiene  il  carltonio 
ed  emette  T  ossigeno.  11  carbonio  colle  sostanze  nutritive  che  hanno  cniigrulo  colla 
linfa,  ne  forma  di  altre.  Colla  respirazione  assorbe  dell'ossigeno  il  quale  combinandosi 
con  una  parte  delle  sostanze  nutritive,  provoca  la  combustione  o  consumo  di  queste 
sviluppando  calore,  calore  necessario  per  fornire  alle  cellide  l'energia  per  aumentare  di 
volume  e  per  moltiplicarsi,  a  misura  che  il  frutto  ingrossa. 

Trasformandosi  o  scomparendo  la  clorolìlla  anche  il  processo  di 
assiinilazione  si  arresta  ed  allora  rimane  l'unica  funzione  della  respi- 
razione come  nelle  prugne  e  nelle  ciliegie.  La  respirazione  piti  attiva 
la  si  ha  nel  periodo  della  fioritura  e  dopo  |)oco  tempo  diminuisce 
continuamente  fino  a  (juando  il  frutto  comincia  ad  ammezzire.  In 
questo  stadio  la  respirazione  è  i)ressocchè  insensibile. 

Perchè  lo  sviluppo  delle  frutta  sia  attivo  occorre  l'azione  simul- 
tanea dell'  aria,  della  luce,  dell'  umidità  e  di    un  certo  grado  di  calore. 

L'aria  come  abbiamo  veduto  è  necessaria  per  l' assimilazione  e 
respirazione;  la  luce  ha  veramente  una  minima  influenza  nella  forma- 
zione dei  materiali  componenti  il  frutto.  Ciò  e  stato  dimostrato  dal 
MuUer  Thurgau  coH'uva  il  quale  ha  constatato  che  i  grappoli  maturati 
al  coperto  della  luce  contenevano  eguale  quantità  di  zucchero  di  quelli 
soleggiati. 

Tab.  XXXI. 

Influenza  dei  raggi  solari  sulla  composizione  dell'uva. 

Uva  del  tralcio 


completa-    coperto  da  1  coperto  da 
mente     '    una  tela    i    un»  tr'- 
soleggiato  I     bianca  neri 

per  il  frutto.  !         .„  .  ji     •     /• 

Temperatura  media  m  C" 


conponenti    trovati    in    un   Icg.  di  foglie  e    ,  ^„™-;|,„      "-J^«    [    ""^,lf 
tralci  che  forniscono  il  materiale  di  riserva    I         °''         I 


Glucosidi      .     .  12.'i01 

Acido  tartarico 3*'*^ 

Anidride  carbonica  delle  ceneri  .  3.071 

Ceneri 

Calce 


15.412 
2.181 


Potassa '^^^ 


Anidride  fosforica 


0.215 


•JT.Vi 

:«.«J 

8662 

6.690 

i       1.%-. 

2.404 

1        0.442 

12.817 

8.221 

1.918 

0,877 

2.578 

1        1.349 

O.IW 

0.072 

-  340  - 

Non  così  avviene  se  invece  la  pianta  od  anche  soltanto  il  ramo  che  porta  i  frutti,  ven- 
gono tenuti  riparati  dalla  luce.  Allora  si  ha  una  notevole  diminuzione  di  zucchero  e  di 
tutti  gli  altri  componenti  utili.  Il  Dott.  Maccagno  ha  ciò  dimostrato,  analizzando  il  con- 
tenuto dei  pampini  uviferi;  il  Dott.  Giorgio  Ritter  ha  recentemente  pubblicato  i  risultali 
della  sua  esperienza,  analizzando  l'uva  (Vedi  Tab.  XXXI). 

L'umidità  è  necessaria  costantemente  specialmente  nel  periodo  del  maggiore  svi- 
luppo del  frutto. 

La  temperatura  ha  sopratutto  influenza  nelle  trasformazioni  che  subiscono  gli 
elementi  organici  del  contenuto  del  frutto.  A  5"  C.  il  processo  di  maturazione  si  arresta, 
mentre  essa  si  compie  fra  un  minimo  di  15»  C.  ed  un  massimo  di  30"  C. 

3.  —  Sintomi  della  maturazione.  Benché  sia  indubitabile  che  un 
frutto  pervenuto  allo  stato  naturale  della  sua  intera  crescita,  possa 
essere  staccato  dell'albero  senza  alcun  inconveniente,  non  per  questo 
è  vero  che  sia  quello  il  momento  della  sua  maturità.  La  pera,  la  mela 
e  molte  altre  frutta  di  questo  genere  si  adattano  a  questa  pratica,  ma 
non  maturano  che  gradatamente  dopo  la  raccolta.  Dunque  il  completo 
sviluppo  delle  frutta  non  indica  uno  stato  assoluto  di  maturazione,  ma 
il  momento  possibile  della  raccolta.  Ciò  significa,  che  quando  la  frutta 
è  arrivata  allo  stato  finale  della  sua  crescita  in  volume,  benché  le  ap- 
parenze esterne  siano  contrarie,  e  la  polpa,  per  es.,  sia  consistente,  e 
l'epidermide  sia  di  color  verde  più  intenso,  pure  da  quel  momento 
può  essere  separata  dalla  pianta  madre,  e  in  conseguenza  passare  al 
fruttaio  per  esservi  conservata.  Ma  tutto  questo  non  costituisce  la  vera 
maturazione  della  frutta. 

La  maturazione  è  uno  stato  totalmente  diverso.  La  natura  ce  lo 
insegna  ogni  giorno,  e  in  un  modo  ben  chiaro.  Quando  il  momento  è 
arrivato,  la  frutta  si  distacca  spontaneamente  dal  ramo  e  cade  a  terra. 
Questo  è  il  punto  finale  della  compiuta  maturità,  e  tutte  le  condizioni 
vi  si  trovano  riunite  per  provarla  col  fatto. 

Dìfatti  quando  il  frutto  ha  raggiunto  il  massimo  del  suo  sviluppo, 
staccandolo  dalla  pianta,  porta  seco  tutti  i  succhi  nutritizi  che  concor- 
rono a  formare  la  maturazione.  Questi  succhi  sono  rinchiusi  in  tante 
cellule  che  costituiscono  la  polpa,  la  quale  diventa  molle,  succosa,  dolce; 
le  cellule  si  ingrandiscono  rapidamente  con  notevole  assotigliamento 
delle  pareti  ;  le  fibre  si  riducono  in  filamenti  delicatissimi.  I  succhi  si 
spandono,  ne  avviene  un  processo  chimico  interno  mercé  il  quale, 
coll'infiuenza  dell'aria,  della  luce  e  del  calore,  i  succhi  che  erano  prima 
succosi,  aspri  ed  acidi,  perdono  gli  elementi  che  li  costituivano  tali,  e 
diventano  zuccherini  ed  aromatici. 

Tali  sono  le  fasi  diverse  delle  maturazione,  le  quali  sono  piti  o 
meno  apparenti  secondo  il  caso,  il  tempo  e  le  circostanze  di  calore, 
luce  ed  aria  a  cui  i  frutti  vengono  sottoposti. 

Profittando  d'un  tale  insegnamento,  si  è  imparato  la  possibilità  di 
protrarre  la  maturazione  quasi  a  piacimento  e  di  ciò  parleremo  in  ap- 
positi capitoli,  che  tratteranno  della  conservazione  della  frutta.  Ora 
veniamo  a  parlare  dei  segni  indicanti  lo  stato  finale  della  crescita  della 
frutta,  e  quelli  della  sua  definitiva  maturità. 


-  341  - 

La  risposta  a  questo  doppio  quesito  non  può  essere  precisa  in 
quanto  che,  il  punto  fìsso  della  crescita  finale,  dipende  dalle  circostanze 
locali,  dal  clima,  dalle  variazioni  atmosferiche,  e  dalle  varietà  delle 
specie  coltivate,  ciascuna  delle  quali  può  avere,  secondo  il  silo,  delle 
abitudini  particolari.  In  generale,  quando  la  frulla  cessa  di  crescere,  si 
comincia  a  trovare  in  terra  qualche  frullo  precursore  che  richiama  l'atten- 
zione del  pratico;  è  ([uesto  un  segno  approsimativo  di  possibile  raccolta. 

Indipendelemente  da  questo  segno;  quando  la  parte  del  frutto 
esposta  al  sole  mostra  colori  più  o  meno  vivi;  quando  il  penducolo 
comincia  ad  aggrinzarsi  e  senza  sforzi  si  distacca  dal  ramo;  (juando 
le  foglie  dell'albero  cangiano  di  colorito  ed  appariscono  giallastre,  è 
allora  il  momento  di  pensare  alla  raccolta  delle  frutta.  (C\ò  vale  spe- 
cialmente per  le  pere  e  le  mele  autunnali  e  vernine;.  Ma  questo  è  il 
primo  grado  della  maturazione.  Il  secondo  è  quello  in  cui  il  frutto 
conservato  in  fruttaio,  divenuto  molle,  è  arrivalo  al  punto  vero  della 
commestibilità.  Per  questo,  la  prima  regola  é  fondala  sulla  consistenza 
del  frutto;  la  seconda,  sul  colorilo  dell'epidermide  che,  nella  maggior 
parte  delle  pere,  ingiallisce. 

Quando  i  succhi  nutritizi  contenuti  nel  frullo,  dopo  aver  termi- 
nato le  loro  funzioni  cessano  di  essere  attivi,  il  frutto  è  maturato. 
Allora  soprabbondandovi,  non  possono  più  slare  al  di  dentro,  né  intorno 
alle  membrane  che  formano  la  polpa,  senza  impregnarle,  immergerle, 
ammolirle  e  far  loro  provare  una  specie  di  dissoluzione.  Tale  è  la 
causa  della  mollezza  dei  frutti  la  quale,  giunta  a  un  certo  grado,  è  il 
miglior  segno  della  loro  maturità. 

Ma  questo  "segno  non  è  generale  per  tutte  Io  fruita.  Alcune  pere 
dette  di  polpa  consistente,  quasi  tulle  le  mele  rimangono  dure,  o  si 
ammolliscono  pochissimo,  mentre  molle  pere,  tulle  le  prugne,  le  albi- 
cocche, le  pesche  sono  considerate  mature,  solo  quando  hanno  acquis- 
tato un  certo  grado  di  mollezza. 

Un  altro  segno  per  conoscere  la  maturità  di  certi  fruiti,  come  la 
pera  e  la  mela,  è  quello  indicalo  dal  colore  dei  granelli  che  stanno 
racchiusi.  Quindi,  prima  di  fare  la  raccolta,  sarà  prudente  aprire  alcuni 
frutti  e  vedere  se  i  granelli  hanno  preso  la  tinta  nera  o  tendente  al  nero. 

Finalmente  si  deve  dire  che  ogni  frutto  ha  un  segno  particolare, 
che  di  rado  inganna  un  occhio  pratico,  che  l'abitudine  insegna. 

lì'  questo  un  certo  volume,  una  forma  data,  una  gradazione  speciale 
nel  colorito,  una  tal  quale  leggera  flessibilità  della  polpa,  la  facilità  più 
o  meno  di  distaccarsi  dal  ramo,  che  la  pratica  ed  il  paragone  fanno 
conoscere. 


342 


IL 

Fasi   della   maturazione. 
Componenti   chimici   delle   frutta. 

Nella  fruttificazione  conviene  distinguere  4  fasi  o  periodi. 

1.  —  I.o  Periodo  o  fase  acida.  Queslo  periodo  dura  fino  a  quando 
la  buccia  rimane  verde.  Avviene  in  questo  periodo  che  i  frutti  assimi- 
liano  e  respirano,  perciò  producono  della  sostanza  organica,  ma  la 
maggior  parte  di  questa  viene  portata  dalla  linfa  elaborata  dalle  foglie 
e  dalle  altri  parti  verdi  della  pianta. 

In  questo  periodo  i  frutti  aumentano  notevolmente  di  volume,  si 
arricchiscano  di  acidi  organici,  di  sostanze  tanniche  e  di  amido,  tanto 
che  per  il  sapore  che  hanno  i  frutti,  viene  chiamata  questa  la  fase  acida. 

2.  —  IL"  Periodo  o  fase  zuccherina.  Esso  comincia  quando  la  buccia 
perdendo  la  clorofilla  prende  un  colorito  diverso  del  verde.  Perdendo 
la  clorofilla  cessa  l'assimilazione  del  carbonio  ma  continua  attivamente 
la  respirazione,  trattenendo  l'ossigeno. 

Mentre  il  frutto  continua  ad  aumentare,  ma  di  poco,  il  peso  ed  il 
volume;  gli  acidi  lentamente  scompariscono  e  subentrano  gli  zuccheri, 
si  sviluppano  gli  aromi  di  cui  alcuni  sono  idrocarburi,  altri  degli  eteri. 
Da  questo  ne  segue  che  il  frutto,  dapprima  acerbo,  per  l'eccedenza  di 
acidi  e  di  tannino,  con  l' ossidazione  di  questi  corpi  si  dolcifica  ed 
acquista  profumo  ed  aroma. 

In  questo  periodo  di  maturazione,  i  mutamenti  che  avvengono  nella  composizione 
del  frutto  sono  i  seguenti. 

11  succo  del  frutto  mentre  aumenta  in  qjiantità  colla  maturazione  si  arrichisce  di 
sali  minerali  ed  organici  aumentando  naturalmente  anche  il  suo  peso  specifico. 

Lo  zucchero  viene  in  parte  direttamente  dalle  foglie,  in  parte  è  dovuto  alla  saccari- 
ficazione dell'amido  ed  in  parte  alla  decomposizione  degli  acidi  organici  e  sostanze 
tanniche.  Il  saccarosio  derivato  dell'amido,  in  contatto  dell'inverlina,  si  sdoppia  in 
glucosio  e  levulosio.  Se  l'invertimento  è  completo  come  nell'uva,  nelle  ciliegie,  nel  ribes 
e  nel  fico,  non  rimane  traccia  di  saccarosio,  a  maturazione  completa.  Per  lo  più  però  è 
incompleto  come  nelle  pesche,  susine,  albicocche,  pere,  mele,  banane  e  arance. 

Secondo  Marcadante,  lo  zucchero  può  anche  prodursi  nelle  susine  verdi  mediante 
l'azione  dell'acido  malico  sulla  gomma,  la  quale  perciò  viene  necessariamente  a  dimi- 
nuire. 

È  specialmente  il  calore  che  favorisce  la  formazione  dello  zucchero  il  quale  aumenta 
lino  alla  maturazione. 

Lo  zucchero  è  pressocchè  in  quantità  eguale  nelle  pere  e  nelle  mele.  Nelle  mele 
prevale  il  levulosio.  In  100  cm.^  di  succo  si  trovano  da  gr.  0.75  a  gr.  6.27  di  zucchero  greggio 
Sopra  100  parti  di  zucchero  invertito  si  tovano  parli  8.5  a  96.9  di  saccarosio. 

Naturalmente  la  composizione  del  succo  e  della  polpa  di  frutta  varia  per  la  stessa 
pecie,  colla  varietà,  col  terreno,  clima,  concimazione  ed  età. 


-  :u-A  — 

In  100  cm.^  di  succo  si  trovano  in  medie  lo  seguenti  ([uanlilà  di  /.ucchcro  RrcRgio. 

Nelle  pere  e  mele  .  -r  o.".'.  a  0.27 

pesche    .        .  ,7.5 

susine  Mirabelle  .    (;i)« 

R.  Clandie  .    6.0U 

,  „       Zwetschen  .    5.5 

La  proporzione  in  cui  si  trova  il  glucosio  col  saccarosio  varia  cogli  stadi  di  matu- 
razione del  frutto.  Nelle  arance,  la  materia  zuccherina  al  principio  del  periodo  di  matu- 
razione è  costituita  dal  solo  glucosio  poi  ad  un  rlalo  momentn  rimane  quasi  invarialo, 
mentre  subentra  il  saccarosio   che  aumenta  sempre  lino  a  maturazione  tomplela 

A  differenza  degli  altri  frutti  nei  iiuali  al  i)rinclplo  della  maturazione  domina  il 
levulosio,  nell'uva  domina  il  destrosio  o  glucosio  e  soltanto  a  maturazione  completa  il 
levulosio  si  pareggia  col  glucosio. 

Gli  albuminoidi  emigrano  coslaulemenle  dai  rami  e  dalle  foglie  lino  al  momento 
che  si  concentrano  nei  semi.  Successivamente  diminuiscono. 

11  cellulosio  aumenta  costantemente  fino  alla  maturazione  e  nell'ultimo  tempo  di 
questo  periodo,  probabilmente  una  parte  si  converte  in  zucchero. 

Il  pectosio  che  è  associato  alla  materia  legnosa,  per  l'azione  combiiuita  del  calore 
e  degli  acidi,  si  riduce  in  pectina  solubile  e  j)oi  in  gelatina  vegetale,  <|uando  la  polpa 
comincia  a  rammollirsi. 

Le  gomme,  le  miicilaggini,  i  gnissi,  i  quali  devonsi  considerare  come  materiali  di 
demolizione  specialmente  degli  idrati  di  carbonio  (cellulosa,  amido,  etc.)  aumentano 
lino  alla  fase  del  ranimollniento  della  polpa.  1  grassi  si  formano  nei  semi  per  meta- 
morfosi dell  amido. 

Le  sostanze  lanniche  che  sono  lauto  abbondanti  nel  I  Periodo,  in  questo  secondo 
periodo  diminuisce  tanto  che  nei  frutti  iiuituri  non  se  ne  trovano  più  A  loro  si  deve 
il  sapore  aspro  delle  frutta  acerbe.  Questa  scomparsa  pare  che  la  si  debba  al  fatto,  che 
le  sostanze  tanniche  solubili  diventano  insolubili  cristallizzando  oppure  formano  dei 
glomerati  che  si  depositano  sulle  pareti  delle  cellule. 

Di  alcaloidi  finora  non  se  ne  sono  trovati  nei  nostri  frutti 

Gli  acidi  organici  emigrano  dalle  foglie  nei  frutti,  però  pare  che  cambino  il  loro 
carattere  chimico.  modiJìcandosi.  L  acidità  aumenta  lino  che  il  frutto  aumenta  di  volume. 
Se  in  seguito  si  nota  una  diminuizionc.  la  si  deve  alle  combinazioni  che  avvengono 
colle  basi,  formando  dei  sali  oppure  alla  loro  combustione  in  contatto  collosslgeno  od 
infine  a  reazioni  diverse.  Ogni  specie  di  frutto  ha  un  acido  organico  speciale.  Cosi  le 
mele  l'acido  malico,  gli  agrumi  l'acido  citrico,  i  susini  lacido  succinico.  eie  Haramente 
però  si  trova  un  solo  acido,  cosi  nell'uva  ne  abbiamo  parecchi  ma  principalmente 
lacido  malico,  tannico  e  tartarico. 

Neil  uva  lacido  tannico  e  malico  scompaiono  colla  maturazione  mentre  1  acido 
tartarico  aumenta  rimanendo  in  parte  libero  ed  in  parte  combinandosi  colla  potassa, 
formando  il  tartarato  acido  di  potassa.  Quando  1  uva  è  matura  l'acidità  dovuta  all'acido 
tartarico  o  tartarato  non  aumenta. 

Delle  materie  coloranti,  la  clorofilla  scompare  in  molte  frutta  e  le  altre  materie 
coloranti  proprie  ad  ogni  frutto  si  formano  colla  maturazione  sotto  lazione  della  luce. 
Nell'uva,  la  sostanza  colorante  rossa  (eritrofilla)  si  forma  quando  cessa  l'assimilazione 
del  carbonio  da  parte  dell'acino  e  deriva  dal  tannino. 

In  quasi  tutti  i  frutti  la  materia  colorante  si  accunuda  nelle  cellule  epidermiche 
mentre  nelle  ciliegie  rimane  sparsa  in  tutta  la  parte  del  frutto. 

I  sali  minerali  aumentano  fino  alla  completa  maturazione.  K  notevole  nell'uva,  la 
costanza  di  un  eccesso  di  potassa  non  combinala  coll'acido  tartarico,  ad  onta  della  pre- 
senza di  acido  tartarico  libero. 

La  fine  quindi  del  II.»  Periodo  di  maturazione,  che  per  maggior 
parte  dei  frutti  è  la  maturazione  commestibile,  è  caratterizzata: 


-  344  — 

a)  della   scomparsa  dell'amido,   delle   sostanze  tanniche  e   della 
maggior  parte  degli  acidi  organici  ; 

b)  dal  massimo  contenuto  di  zucchero. 

La  trasformazione  delle  sostanze  componenti  il  frutto  nei  diversi  periodi  di  svi- 
luppo, si  rilevano  delle  seguenti  analisi  fatle  a  periodi  quasi  eguali  dalla  fioritura  alla 
maturazione. 


Tab.  XXXII. 

Contenuto  percentuale  di  alcune  frutta  fresche  (Ritter). 


SPECIE  E  VARIETÀ 


Solubili  nell'acqua 


Insolubili 
neir  acqua 


A.  Mele. 

Ranetta  d'Inghilterra.     .    . 

Borsdorf 

Pearmaine  dorata  d'inverno 
Agostana 

B.  Pere. 

Re  del  Wùrttemberg  .    .    . 

Sanguigna   

Di  Siegel 

C.  Susine. 

Azzurra  scura 

Rosse  scure 

I).  Ciliegie. 

Duracina  rosso  chiara     .    . 

Nera 

Nera  dolce 

E.  Lampone. 

Di  bosco  

Da  giardino     ...... 

F.  Ribes. 

Rosso  I 

,       II 

Bianco      


9.25 
7.61 
10.36 
5 


1.99 
6.44 


13.11 
3.43 
10.7 


2.8 
4.45 


4.78 
6.44 

7.69 


0.53 
0.61 
0.48 
0.96 


0.08 
0.21 


0.35 
0.32 
0.56 


1.38 
1.46 


0.48 
0.23 


0.43 
0.37 


0.85 
0.43 
0.96 


0.15 
0.12 


1.80  ] 
6.85 

5.11  ! 

5.37  i  0.5 


2.07 
3.18 


2.31  0.45 

1.84  0.49 

2.26  0.30 


2.27 
0.47 


2.8 
0.45 


0.09 
0-64 
0.08 


0.69 

0.72 

0.24    I     - 


14.05 
6.98 


4.61 
4.48 

4.14 


345 


Tab.  XXXIII. 


Contenuto  in  grammi  di  una  pera. 
(Varietà  :  Pera  di  Salisburgo). 


DATA 

1 

2 

V 

ì 

1 

Albu- 
minoidi 

Legnoso 

Pectina  e 
Destrina 

26  Maggio 

0.108 

0.001 

0.0004 

0.0066 

0.002 

0.0017 

0.0103 

5  Giugno 

0.595 

0.0027 

0.0009 

0,0298 

0.04 

0.0068 

0.0448 

15 

1.62 

0.0077 

0.0017 

0.0736 

0.19 

0.0198 

0.1672 

25        „ 

2.9 

0.018 

0.0031 

0.123 

0.42 

0.026» 

0349 

5  Luglio 

3.94 

0.036 

0.0(M2 

0.121 

0.68 

».tM3 

0.4358 

15 

1     6.26 

0,095 

0.0083 

0.167 

0.99 

0.057 

0.7627 

25 

;  11.38 

0,218 

0.0245 

0.252 

1.17 

0069 

1.3165 

4  Agoslo 

16.03 

0.637 

0.0657 

0.207 

1.21 

0.068 

1.7023 

14 

24.99 

1.66 

0.0763 

0.229 

1.34 

0.079 

2.0437 

24 

31.22 

2.23 

0.094 

0.282 

1.2« 

0.098 

2366 

3  Settembre 

1  36.14 

3.59 

0.138 

0.242 

1J>9 

0.065 

1.675 

8 

37.24 

4.18 

0.111 

0.227 

i.2:« 

0.101» 

2.37 

c2 


0.13 
0.72 
2.08 
3.81 
5.26 
8.:{4 
14.43 

lo.iri 

30.52 
37.57 
43.14 
45.5 


Tab.  XXXIV 

Composizione  percentuale  dell'uva  spina  fresca  (Ritter). 


- — ^ 



— ^ 

4» 

DATA 

1 

S 

1 

■^1 
^1 

1.0« 

£ 

- 

II 

7  Giugno     

- 

1.736 

13 

88.8 

1.826 

1.52 

1.6 

o.lòl 

H.O-'l 

.)  Il 

16 

88-8 

2.06 

1.51 

1.6 

0.614 

0.603 

4.81 

20 

88.4 

2.08 

1..>1 

1.87 

0.813 

0.626 

4.67 

23 

88.3 

2.50 

1.61 

1.92 

- 

0.614 

— 

27 

88.- 

2.54 

1.76 

1.95 

0.84 

0.624 

4.:io 

30 

87.9 

2.58 

1.90 

2.14 

— 

0.617 

— 

4  Luglio 

87.7 

2.62 

1^ 

2.14 

0.911 

0.627 

4.15 

7 
11 

87.7 
87.7 

2.76 
2.76 

1.88 

2.01 
1.87 

0.885 

0.623 
0.613 

4.14 

14 

87.6 

2.78 

1.67 

1.87 

0.^ 

0.617 

4.-57 

17 

87.7 

2.80 

1.66 

1.84 

0.744 

0.541 

4.71 

21 

87.3 

3.02 

1.68 

1.84 

— 

0.553 

25 

86.- 

3.14 

1.78 

1.84 

0.838 

0.565 

5.80 

28 

85.7 

3.30 

1.70 

187 

0.84 

0.553 

6.03 

1  Agosto 

85.2 

3.82 

1.58 

1.87 

0.917 

0.532 

6.1 

4 

83.5 

4.45 

— 

1.79 

— 

0.503 

— 

8 

81.il 

.-,:,! 

I .': 

1  cs 

1  122 

(1  1 1  '. 

"HI 

346 


Tab.  XXXV.     Composizione  percentuale  della  sostanza  secca 
dell'uva  spina  (Bitter). 


DATA 

Zucchero 

Acido 
malico 

Albu- 
minoidi 

Grassi 

Cenere 

Sostanze 
non  azotate 

13  Giugno     .    . 

16.3 

14.28 

13.6 

4.3 

5.58 

45.94 

16        „ 

18.42 

14.28 

13.5 

5.49 

5.39 

42.92 

20        „ 

17.3 

16.12 

13.3 

7.1 

5.4 

40.18 

23        , 

21.3 

16.39 

13.8 

— 

5.25 

— 

27        „ 

21.1 

16.25 

14.7 

1.- 

5.2 

33.75 

30        „ 

21.3 

17.68 

15.5 

— 

5.1 

— 

4  Luglio      .     . 

21.3 

17.4 

15.- 

7.5 

5.1 

33.7 

7        . 

22.4 

16.34 

15.3 

7.2 

5.08 

33.68 

11        , 

22.4 

15.2 

— 

— 

5.03 

— 

14        , 

22.4 

15.08 

13.5 

6.9 

4.98 

37.14 

17        „ 

22.7 

14.96 

13.5 

6.2 

4.4 

38.24 

21        „ 

23.8 

14.53 

13.25 

— 

4.36 

— 

25        , 

23.8 

13.85 

13.25 

6.21 

4.19 

38.7 

28        „ 

23.5 

13.42 

12.18 

6.- 

3.95 

40.95 

1  Agosto     .    . 

25.8 

12.S 

10.68 

6.2 

3.6 

41.22 

4        , 

26.9 

10.85 

— 

- 

3.05 

— 

8        , 

30.6 

9.28 

8.7 

6.2 

2.45 

42.77 

3.  —  II  i//."  periodo  è  quello  nel  quale  il  frutto  diviene  mezzo, 
ossia  uno  stato  che  sta  fra  il  maturo  ed  il  fradicio  e  che  per  alcune 
frutta  come  le  nespole,  sorbe,  i  kaki  e  qualche  varietà  di  pere  ricche 
di  tannino,  questo  stato  ò  necessario  per  renderle  commestibili. 

Nelle  frutta  secche  invece  (mandorle,  noci  ecc.),  si  dissecca  il  mallo 
e  rimane  il  guscio  avvenendo  una  diminuzione  di  peso  del  70-85  7o- 

In  questo  periodo,  nella  frutta  polposa  si  lia  una  notevole  dimi- 
nuzione di  sostanze  organiche  e  specialmente  di  acidi  organici,  di 
amido,  di  tannino  e  di  zucchero.  Gli  acidi  si  uniscono  in  parte  alle 
aldeidi  in  formazione  per  dare  degli  eteri  a  contatto  dell'alcool,  eteri 
che  danno  il  profumo  ai  frutti. 


Questi  processi  avvengono  indipendentemente  dall'atmosfera  in  cui 
tenuti  i  frutti  ma  hanno  uno  sviluppo  più  o  meno  rapido  a  seconda  della  temperatura.  In 
alcuni  frutti  ricchi  di  acidi  e  di  amido,  durante  questo  periodo  si  nota  un  aumento 
progressivo  di  zucchero.  Per  questi  bisogna  concludere  che  i  suddetti  composti  si  tra- 
sformano in  zucchero. 

Degli  acidi,  quello  citrico  ha  bisogno  di  una  temperatura  molto  elevata  per  scom- 
parire ed  è  per  questo  che  gli  aranci  maturano  soltanto  nei  paesi  molto  caldi  e  l'uva 
dei  paesi  meridionali  è  meno  ricca  di  acido  tartarico  di  quella  dei  climi  temperati. 
L'acido  malico  scompare  ad  una  temperatura  ancora  più  bassa  ed  è  per  questo  che  le 
mele  maturano  in  un  clima  meno  caldo  di  quello  della  vite. 

Da  questo  si  deve  concludere,  che  dopo  raccolte  le  frutta,  colla 
temperatura  dell'ambiente  in  cui  si  tengono,  si  può  regolare  la  scom- 
parsa dell'acidità  e  quindi  regolare  il  tempo  della  maturazione. 


-  347  - 

Dopo  gli  acidi  scompaiono  i  composti  tannici  a  qualunque  tem- 
peratura. La  peciosi  o  gelatina  di  fruita  che  si  forma,  riempie  le  lacune 
dei  tessuti  avviluppando  completamente  le  cellule.  Queste,  In  tal  modo 
private  dell'aria  devono,  per  continuare  a  vivere,  cambiare  il  loro 
modo  di  esistenza.  Da  aerobiche  che  erano  lino  a  questo  momento 
diventano  anaerobiche  e  si  comportano  come  veri  fermenti,  determi- 
nano una  leggera  fermentazione  dello  zucchero  che  contengono  pro- 
ducendo dell'alcol,  dell'anidride  carbonica,  degli  eteri  che  si  spandono 
nei  tessuti. 

E'  a  questi  processi  che  si  deve  attribuire  la  diminuzione  del  tan- 
nino e  dello  zucchero  il  quale  ultimo  deve  anche  mantenere  la  re- 
spirazione. 

Ed  è  allora  che  il  frutto  diventa  succolenlo,  saporito,  profumato, 
vinoso,  zuccherino.  La  buccia  prende  un  colorito  seducente,  giallo 
pallido  o  rossastro  ed  è  questo  il  momento  che  bisogna  consumarlo. 
Esso  ha  acquistato  in  questo  momento  il  suo  massimo  valore  e  dura 
poco  tempo  per  entrare  poi  nella  disgregazione.  A  questo  punto  si 
fanno  arrivare  specialmente  le  pere  e  le  mele  nei  locali  di  conservazione. 

Per  alcuni  frutti  la  scomparsa  del  tannino  e  la  formazione  della 
pectasi  produce  l'asfissia  immediata  delle  cellule  per  la  privazione 
dell'aria. 

I  tessuti  dei  frutti  diventano  di  color  bruno  e  si  rammolliscono, 
ammezziscono,  come  le  nespole,  le  sorbe,  i  kaki. 

L'ammezzimento  per  non  confonderlo  coli'  infracidimento,  comincia  sempre  dal 
centro,  perchè  è  nel  centro  che  per  primo  risente  la  privazione  dell'aria  e  poi  in  via 
centrifuga  si  estende  verso  la  periferia  ed  arriva  da  ultimo  sotto  alla  buccia.  Non  è 
dovuto  quindi  questo  slato  a  malattia  ma  è  uno  stato  finale  di  maturazione  naturale 
di  alcuni  frutti  polposi  ricchi  di  acidi  e  di  tannino.  I  tessuti  ammezziti  non  hanno 
sapore  ed  odore  disaggradevoli. 

4.  —  //  /F.»  ed  ultimo  periodo  è  quello  deW  infracidimento,  alla  line- 
dei  quale  i  semi  rimangono  liberi. 

L' infracidimento  è  dovuto  a  dei  microorganismi,  a  dei  batteri 
venuti  dall'esterno  e  penetrati  nel  frutto  per  le  screpolature  o  ferite 
della  buccia.  In  questo  caso  il  fracido  comincia  dall'esterno  e  va  verso 
l'interno.  I  tessuti  emanano  un  odore  disaggradevole  ed  in  una  parola 
mentre  l'ammezzimento  devesi  considerare  come  uno  slato  fisiologico, 
r infracidimento  è  uno  slato  patologico  del  frullo  provocalo  mollo  dalle 
ferite  che  fanno  gli  insetti. 

5.  —  La  maturazione  delle  fruita  raccolte  anticipatamente.  1  frutti 
raccolti  anticipatamente  hanno  naturalmente  una  composizione  diversa 
da  quando  sono  maturi.  Se  poi  al  frullo  si  lascia  attaccalo  il  ramo  che 
lo  portava  e  se  per  qualche  tempo  questo  lo  si  mantiene  in  vita,  con- 
tinua l'immigrazione  da  questo  e  perciò  il  frutto  andrà  acquistando 
una  composizione  che  più  si  avvicina  a  quella  della  maturazione  na- 
turale sull'albero. 

Anzitutto  lo  zucchero  e  l'amido  passando  dalle  foglie  al  frutto, 
producono  un  aumento  di  ricchezza  zuccherina. 


—  348  — 

Però  le  frutta  in  genere  se  raccolte  molto  tempo  prima  sono  più 
piccole,  hanno  un  peso  specifico  minore,  e  la  polpa  va  soggetta  a  delle 
alterazioni.  I  frutti  carnosi  invece,  se  tenuti  in  un  ambiente  asciutto,  ne 
guadagnano. 

Ricerche  sull'uva  dimostrano  che  questa  se  raccolta  ad  un  certo 
grado  di  maturità,  continua  la  sua  maturazione,  indipendentemente 
dal  legno  che  la  portava.  Così  aumentano  il  cellulosio  e  le  sostanze 
gommose.  1  grappoli  però  maturati  sul  ceppo,  acquistano  una  notevole 
e  maggiore  ricchezza  zuccherina  e  di  acido  tartarico  non  aumenta  però 
dopo  l'ammezzimento.  La  gomma  ed  il  cellulosio  aumentano  di  poco 
dopo    r  ammezzimento  mentre  l'acido  tannico  aumenta. 

Le  mele  se  raccolte  immature  o  perchè  cadute  o  ferite,  collocate 
in  un  ambiente  caldo,  diventano  più  dolci  perchè  una  parte  dell'acqua 
evapora  e  perchè  dell'amido  si  converte  in  zucchero.  L'acidità  tannica 
invece  diminuisce. 


III. 

Raccolta  delle  frutta. 

1.  —  Questa  è  una  operazione  importante  che  devesi  fare  con 
riguardo  per  evitare  ammaccature,  lacerazioni,  che  fanno  andare  a 
male  di  solito  le  frutta. 

Dobbiamo  anche  avvertire,  che  sopra  una  medesima  pianta  lo 
sviluppo  delle  frutta  non  compiesi  in  modo  uniforme  e  regolare.  Da 
ciò  ne  consegue  che  la  raccolta  deve  essere  successiva,  graduale  e  fatta 
a  più  riprese. 

La  raccolta  di  solito  si  comincia  dagli  alberi  meno  vigorosi,  più 
vecchi  e  più  esposti  ai  raggi  solari.  1  primi  ad  essere  spogliati  devono 
essere  i  rami  della  cima,  perchè  più  battuti  dal  vento. 

2.  —  Le  frutta  a  nocciolo  e  le  varietà  estive  ed  autunnali  di  quelle 
a  granella  che  devono  servire  per  il  consumo  locale,  si  raccolgono 
quando,  con  una  lieve  torsione,  si  staccano  dal  ramo.  Se  destinate  a 
lunghi  trasporti,  è  necessario  raccoglierle  due  o  tre  giorni  prima  della 
maturazione,  a  seconda  della  distanza  a  cui  devono  essere  spedite. 

3.  —  Le  pere  e  mele  invernali  si  colgono  quando  hanno  raggiunto 
il  pieno  loro  sviluppo,  quando  si  stacca  con  facilità  il  peduncolo  e 
prima  dei  geli.  Staccate  troppo  presto,  queste  frutta  si  raggrinzano 
senza  che  avvenga  la  completa  maturazione  e  la  polpa  si  fa  sugherosa 
e  scipita;  colte  troppo  tardi,  dopo  aver  sofferto  per  la  brina,  si  con- 
servano meno  e  la  polpa  si  disfà  agevolmente,  rimanendo  scipita  e  di 
un  colore  sbiancato  e  pallido.  Alcune  varietà  autunnali  di  pere,  come 
la  Duchessa  d'Angoulème  e  Clairgean,  se  raccolte  alquanto  immature, 
restano  è  vero  meno  grosse,  ma  prolungano  la  loro  maturazione. 


—  34  i) 


4.  —  Per  quanto  è  possibile,  si  sceglie,  per  la  raccolta,  una  gior- 
nata di  tempo  asciutto,  ventilato  e  bello.  Per  le  piante  a  nocciolo,  e 
specialmente  per  le  pesche,  si  raccolgano  le  frutta  alla  mattina  quando 
è  scomparsa  la  rugiada,  oppure  alla  sera,  quando  non  fa  molto  caldo. 
Per  le  pere  e  mele  che  si  devono  conservare  nel  fruttaio  durante 
l'inverno,  è  consigliabile  di    fare    la   raccolta   dopo    mezzogiorno    lino 


si  portano  in  una  rimessa 
per 


alle  sedici.  Dopo  raccolte,  si  portano  in  una  rimessa    acciò  si  rallred- 
dino,    e    si    lasciano   colà 
una  quindicina  di  giorni,  come 
vedremo  in  altro  capitolo,  per 
allogarle  poi  nel  fruttaio  d'in- 
verno. 

Il  miglior  modo  di  racco- 
glere  le  frutta  si  è  quello  di 
staccarle  ad  una  ad  una  e  a 
mano,  torcendo  il  picciolo  e 
l)adando  di  non  comprimerle; 
poiché  le  ammaccature  pro- 
ducono delle  macchie  brune, 
che  determinano  la  putrefazio- 
ne. Le  pesche  delicate  delle 
spalliere,  per  non  guastare  la 
peluria,  si  raccolgono  con  la 
mano  munita  di  una  foglia  di 
vite,  per  non  toccare  diretta- 
mente il  frutto  con  le  dita. 
Per  le  fruita  della  sommità  de- 
gli alberi,  bisogna  servirsi  di 

una  scala  doppia,  oppure  di  appositi  strumenti,  chiamati 
raccoglitori.  Questi  non  sono  che  forbici  a  pertica,  sotto  ai 
quali  si  trova  una  piccola  rete  a  guisa  di  borsa,  per  rac- 
cogliere il  frutto  spiccato  dallo  svettatoio  (fig.  242). 

Bisogna  assolutamente  bandire  del  tutto  l'abbacchiatura 
della  frutta  e  lo  scuotimento  dei  rami,  e  ciò  non  soltanto  per 
la  ragione  che  le  frutta,  cadendo  a  terra,  vanno  soggette  a 
contusioni  ;  ma  anche  perchè  operando  in  tal  modo,  si  gua- 
stano le  borse  e  le  lamburde  che  si  formano  alla  base  del  picciolo. 
Per  questa  ultima  ragione  raccomandiamo  anche,  nel  raccogliere  le 
frutta,  di  torcere  il  picciolo  e  non  di  strapparlo. 

Le  frutta  devono  essere  trasportate  con  somma  diligenza  epperciò, 
appena  spiccate,  si  pongono  in  larghi  e  bassi  canestri,  nei  quali  non 
ci  possano  stare  più  di  due  od  al  massimo  tre  strati  di  frutta. 

Il    canestro     usato    dai    frutticultori    di    Montreuil    ha   le   seguenti 
dimensioni  :  lunghezze  65  cm.,  larghezza  48  cm.,  profondità  25  cni.  Prima 
di  porre  le  frutta  nei  canestri,  è  bene  guernire 
carta,  di  paglia  o  di  muschio   secco   e. 


il    fondo    di    ritagli  di 
trattandosi    di    frutta    delicate, 


—  350  - 

come  le  pesche  ed  albicocche,  conviene  frapporre  anche  fra  le  stesse 
frutta  delle  foglie  fresche  dello  stesso  albero,  oppure  di  vite. 

Le  frutta  raccolte  si  portano  coi  panieri  in  un  luogo  asciutto,  ven- 
tilato, non  abitato  e  riparato  dal  sole  e  dagli  insetti,  per  i  quali  ultimi 
consiglierei  di  difendersi,  riparando  le  finestre  con  delle  reti  di  filo  di 
ferro.  Questo  locale  può  essere  una  rimessa,  un  granaio,  purché  sia 
ampio,  né  troppo  freddo  né  troppo  caldo.  Deve  essere  anche  arredato 
di  tavole  o  stuoie,  sopra  le  quali  si  distendono  le  frutta  di  mano  in 
mano  che  vengono  portate.  Nel  distenderle,  si  fa  una  prima  separazione 
delle  frutta  contuse,  ferite  o  che  cominciano  a  guastarsi. 

In  questo  locale,  chiamato  fruttaio  d'estate,  si  lasciano  le  frutta 
invernenghe  per  8  o  10  giorni,  e  l'uva  da  serbo  anche  per  20  e  più  giorni 
fino  che  il  peduncolo  comincia  ad  avvizzire,  acciò  si  asciughino  dalla 
umidità  superficiale  e  per  vedere  se  v'è  ancora  frammista  della  frutta 
che  minaccia  di  guastarsi.  Passata  quest'epoca,  si  portano  nel  fruttaio 
propriamente  detto,  dove  si  tengono  fino  al  momento  del  consumo  e 
cioè  per  tutto  l'inverno  e  parte  della  primavera. 

È  ovvio  aggiungere,  che  tutte  le  frutta  d'immediato  consumo  e  cioè 
quelle  estive,  autunnali,  si  portano  anche  nel  fruttaio  d'estate  dove  si 
imballano,  per  essere  spedite  alla  loro  destinazione. 

Per  la  raccolta  delle  singole  specie  di  frutta  verrà  trattato  in  par- 
ticolare nella  parte  speciale  di  questo  libro. 

IV. 
Importanza  delle  frutta  nella  nostra  alimentazione. 

1.  —  In  ogni  periodo  storico,  presso  tutti  i  popoli,  le  frutta  costi- 
tuirono sempre  uno  dei  cibi  più  ricercati.  Oltre  essere  oggetto  di  com- 
piacimento contribuiscono  a  rendere  la  nostra  alimentazione  più  variata 
e  razionale. 

Il  consumo  delle  frutta  é  naturalmente  maggiore  nelle  popolazioni 
di  campagna,  meno  intensivo  é  il  loro  uso  negli  abitanti  di  città  dove, 
in  certe  stagioni,  le  frutta  costituiscono  un  alimento  di  lusso. 

Mentre  deve  essere  cura  del  frutticoitore  di  rendere  sempre  più 
basso  il  prezzo  di  produzione  per  generalizzare  il  consumo  delle  frutta, 
non  è  meno  interessante  di  far  conoscere  e  divulgare  l'importanza  che 
esse  hanno  nella  nostra  alimentazione. 

2.  —  Le  olive,  le  mandorle,  le  noci  e  le  nocciole  sono  le  frutta  più 
ricche  di  grassi  ;  meno  le  banane  e  le  castagne,  sono  generalmente 
povere  di  amido  ed  abbastanza  ricche  di  cellulosio,  il  quale  però  bi- 
sogna considerarlo  per  l'uomo  come  una  materia  ingombrante  ed  assai 
poco  digerita. 

L'elemento  però  che  predomina  é  la  materia  zuccherina  che  con- 
ferisce buon  gusto  al  frutto  e  che  é  totalmente  digerita  ed  assimilata 
più  dell'amido.  Gli  zuccheri  sotto  qualsiasi  forma  sono  quindi  elementi 
di  primo  ordine. 


-  :sr>i  - 

Gli  acidi  vegetali  sono  vari.  Nelle  pere,  mele,  susine,  albicocche  e 
ciliegie,  troviamo  l'acido  malico  ;  nelle  uve,  l'acido  malico  e  tartarico  ; 
nell'uva  spina  e  nel  ribes,  l'acido  citrico  e  malico;  negli  agrumi  l'acido 
citrico  e  cosi  via.  Questi  acidi  sono  elementi  calorigeni  poiché  intro- 
doUi  nel  nostro  organismo  si  decompongono  in  acido  carbonico,  svi- 
luppando calore  e  producendo  una  certa  energia  che  non  è  però  pa- 
ragonabile a  quella  prodotta  dalle  sostanze  azotate,  dai  grassi  e  dagli 
idrati  di  carbonio. 

Di  sostanze  azotate  le  frutta  sono  generalmente  povere.  Kccetto  che 
nelle  castagne  e  noci  in  cui  arriva  da  12  al  23  7^  della  sostanza  secca, 
tutte  le  altre  frutta  ne  contengono  da  8,4  a  9,6  7(,.  In  media  quindi  le 
frutta  non  contengono  la  quantità  di  sostanze  azotate  delle  patate;  il 
riso,  che  è  il  seme  farinaceo  più  povero  di  sostanze  azotate,  ne  con- 
tiene 8,9  7o;  i  cavoli  fiori  18,9  7o;i  piselli  29  7o  ;  gli  spinacci  32,fi  7^ 
della  sostanza  secca. 

Come  si  rileva  dal  seguente  specchietto,  le  frutta  contengono  assai 
poche  sostanze  minerali,  meno  ancora  di  qualsiasi  ortaggio. 

In  M)  PAini  DI  CENEHiv 

tenere  p.  O/o  — — — .^       ^ - 

dellii  sost.  secca  Potassa  Soda  Calce  Mapsesia 

Rape 10,55  17,5  11,6  14,2  8,5 

Cavoli  fiori  ....        11,27  26,4  10,2  16,7  2,3 

cappucci  .     .        10,80  37,8  14,4  9,4  3,5 

Spinaci 16,50  16,6  35,:^  11,9  6,4 

Lattuga  cappuccia    .        18,—  37,6             7,5  11,7  6,2 

Mele 1,7  41,8  —  8,8  5,0 

Pere 1,G  58,6  —  6,5  5,6 

Susine 2,1  69,4  2,3  4,0  4,9 

Ciliegie 2,2  50,1  -  7,0  5,2 

Fragole 3,4  45,5  6,9  12,5  4,7 

Mirtillo 2,9  .37,1  5,2  8,0  6,1 

Mandarini      ....  2,7  47,1  2,8  22,8  5,7 

Castagne 2,4  56,7  7,1  3,9  7,5 

Noci 2,1  31,1  2,2  8,(i  13,0 

L'inferiorità  delle  frutta  per  il  loro  contenuto  in  sostanze  ntinerali 
risulta  ancora  più  evidente  se  si  considera  come  qui  appresso,  le  ceneri 
contenute  dai  diversi  cibi  necessari  per  il  mantenimento  di  un  lavo- 
ratore il  ([uale  ha  bisogno  di  elaborare  giornalmente  3080  calorie. 

Col  Ceneri       Potassa         Soda  Calce       Magneti»  Acido  fosfor. 

Pane  di  frumento     .    .     gr.      6,9         2,1         0,1         0,2         0,8         3,4 

Noci 8,8         2,7         0,2         0,7         1,1         3,8 

Pere „      13,9         5,0        3,6         1,2         0,7         1,3 

Cavoli  cappucci    .    .     .      „    104,5       39,5       15.0         9,8         3,6       13,8 
Spinaci „    198,6       33,0       70,1       23,7       12,7       20,8 


-  352  - 

Le  cifre  che  si  riferiscono  alle  noci  possono  ritenersi  eguali  per 
tutti  i  frutti  secchi  e  quelli  delle  pere,  per  i  frutti  freschi. 

Come  si  vede,  notevolissima  è  la  differenza  della  quantità  di  ceneri 
in  confronto  cogli  ortaggi.  Degli  elementi  minerali,  la  potassa  è  quella 
che  prevale.  La  maggior  parte  delle  basi  è  combinata  cogli  acidi  vege- 
tali cosi  da  formare  dei  sali  che  nel  nostro  organismo  poi  si  decom- 
pono  formando  dei  carbonati  alcalini.  Gli  acidi  solforico,  cloridrico  e 
silicico,  mentre  abbondano  negli  ortaggi,  nelle  frutta  sono  in  quantità 
limitata. 

Pur  non  attribuendo  all'acqua  contenuta  un  valore  alimentare  è 
bene  però  far  noto  che  l'uva  ne  contiene  più  delle  patate  ;  le  banane 
come  le  patate  ;  le  pere,  mele,  susine,  ciliegie  e  lampone,  contengono 
molto  meno  acqua  di  molti  ortaggi  che  si  mangiano  giornalmente. 

3.  —  Come  si  vede,  le  frutta  bisogna  considerarle  come  alimenti 
ricchi  di  zuccheri  ed  acidi  vegetali  ma  poveri  di  sostanze  azotate  e  di 
elementi  minerali.  Colle  frutta  soltanto,  l'uomo  non  può  vivere  ed  è 
errata  la  credenza  che  ci  siano  dei  popoli  che  vivono  di  sole  frutta. 
Si  dimentica  che  questi  popoli  selvaggi  hanno  a  loro  disposizione  i 
prodotti  della  caccia  e  della  pesca. 

Non  per  questo  bisogna  escludere  le  frutta  dalla  nostra  alimenta- 
zione e  come  l'uomo  non  può  vivere  di  sola  carne,  latte,  uova,  spinaci, 
ecc.,  così  è  necessario  che  nella  sua  alimentazione  faccia  uso  anche 
di  frutta. 

Le  proprietà  termodinamogene  delle  frutta  ossia  la  proprietà  di 
produrre  calore  onde  soppei'ire  alle  continue  perdite  di  energia  del- 
l'organismo sono  abbastanza  notevoli,  come  si  rileva  dai  seguenti  dati 
forniti  dall'Istituto  fisiologico  della  Università  di  Berlino  : 

Noci danno  707  calorie 

Pane  di  frumento.    .        „      252        „ 

Carne „        98        „ 

Patate „        98        „ 

Banane „        97        „ 

Pere „        69 

Uva „        68 

Latte „        67 

Rape „        57 

Barbabietole ....        „        50 

Cavoli  verzotti  ...        „        48        ,, 

Spinaci „        34        „ 

Ravanelli „        12 

Rispetto  alla  digeribilità,  mentre  noi  sappiamo  che  gli  albuminoidi 
dei  faiinacei  e  degli  ortaggi  vengono  digeriti  soltanto  per  metà,  per  le 
frutta  non  sono  state  fatte  ancora  delle  esperienze  che  meritino  di 
essere  ricordate.  Da  alcuni  dati  raccolti  dal  Prof.  Rubner  dell'Istituto 
sopra  ricordato,  sembra  che   ad    esempio   le   ciliege   vengano    digerite 


-  353  - 

come  e  meglio  delle  barbabietole  e  del  cavolo  verzotto.  Colle  banane 
si  perdono  nelle  feci  l'S  %  delie  sostanze  azotate. 

In  generale  pare  che  l'assimilazione  delle  sostanze  azotate  dalle 
frutta  non  sia  inferiore  a  quella  che  si  verifica  cogli  ortaggi,  é  eguale 
a  quella  del  granturco  ed  alquanto  inferiore  a  quella  del  pane  di  fru- 
mento e  delle  patate. 

Nel  calcolare  la  facoltà  nutritiva  delle  frutta  bisogna  tener  calcolo 
dello  stato  di  maturazione  della  loro  freschezza  e  del  modo  con  cui 
vengono  masticate.  E'  stato  provato  che  nelle  frutta  immature  assai 
poche  sostanze  azotate  vengono  assimilate,  che  nelle  frutta  secche  la 
digeribilità  di  tutti  gli  elementi  nutritivi  viene  notevolmente  diminuita 
e  che  ad  esempio  le  molte  sostanze  azotate  contenute  dalle  noci  non 
vengano  assimilate  se  non  sono  bene  triturate,  macinale  fra  i  denti  e 
bene  insalivate. 

Le  sostanze  però  che  facilitano  la  digestione,  sono  le  cosidette 
sostanze  stomatiche  contenute  dalle  frutta,  quelle  sostanze  cioè  appeti- 
bili, che  eccitano  le  secrezioni  dell'apparecchio  digerente  e  che  rendono 
anche  le  frutta  più  gradite.  Queste  sono  gli  zuccheri,  gli  acidi  e 
gli  eteri. 

Le  frutta  secche  o  conservate  col  freddo  e  collo  zucchero,  perdono 
la  loro  fragranza  e  con  essa  la  rispettiva  digeribilità.  Molti  fruiti  se 
cotti  come  le  castagne  a  100",  acquistano  in  digeribilità;  le  pere,  mele, 
susine,  ciliegie  la  mantengono. 

Le  buccie  ed  i  semi  dei  frutti  non  sono  affatto  digeribili  e  quindi 
non  conviene  trangugiarli.  Però  si  deve  far  notare  che  sbucciando 
grossolanamente  noi  togliamo  alle  frutta  delle  proprietà  stomatiche 
poiché  è  precisamente  sotto  alla  buccia  che  risiedono  la  maggior  parte 
delle  sostanze  aromatiche  e  che  danno  profumo  al  frutto. 

Le  frutta,  al  pari  del  thè,  calle  ed  alcuni  preparali  alcoolici  agi- 
scono come  disinfettanti  dell'intestino  per  i  loro  acidi,  come  calmanti 
e  rinfrescanti  ed  hanno  anche  delle  proprietà  nervine,  ossia  aumentano 
l'attività  dei  centri  nervosi. 

Riassumeudo  si  può  concludere  che  le  frulla  pur  non  essendo 
indispensabili  per  la  nostra  alimentazione  e  non  essendo  un  cibo  mollo 
nutriente,  sono  un  prezioso  complemento.  Mercé  le  fruTla  si  ha  una  sana 
variazione  di  cibo,  si  evita  di  nutrirsi  di  troppo  pane  od  ortaggi 
che  caricano  soverchiamente  lo  stomaco.  Gli  igienisti  ne  raccoman- 
dano l'uso  specialmente  nei  pasti  intermedi  del  mallino  e  del  po- 
meriggio. 

Le  frutta  bisogna  poi  prenderle  da  sole  e  masticarle  bene.  Delle 
bevande  alcooliche  da  prendersi  colle  frutta  e  raccomandabile  soltanto 
il  vino;  la  birra  le  rende  indigeste  e  provoca  la  diarrea. 

Per  i  malati,  per  i  fanciulli,  sono  raccomandate  molto,  tanto  le 
frutta  cotte  che  crude.  Per  coprire  l'acidità  conviene  condirle  con 
zucchero.  Le  frutta  più  acide  (1,6-2,2  7o;  sono  l'uva  spina,  le  more  di 
rovo,  il  ribes;   seguono    per   ricchezza   d'acidi  (  1,1-1,5  %)  le  pesche,  le 

23  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  354  - 

albicocche,  il  mirtillo,  le  fragole,  il  lampone.  Le  pere,  mele,  l'uva,  le 
susine  contengono  in  media  1  %  di  acidità  totale  come  molti  degli 
ortaggi. 

Infine  le  frutta  convengono  di  più  nella  stagione  calda,  quando 
cioè  bisogna  diminuire  l'alimentazione  carnea  e  si  ha  bisogno  di  intro- 
durre nello  stomaco  dello  zucchero  facilmente  assimilabile  per  sosti- 
tuire il  regime  carneo  e  di  grassi  che  bisogna  limitare. 


4.  —  Molto  si  è  esagerato  in  questi  ultimi  anni  attribuendo  alle 
frutta  il  pericolo  di  diffondere  delle  malattie  infettive.  Nella  polpa  poi 
i  batteri  patogeni  non  trovano  un  buon  terreno  per  svilupparsi  per  la 
reazione  acida. 

Le  frutta  sane  e  non  ferite  non  contengono  quindi  affatto  nel  loro 
interno  dei  batteri.  Naturalmente  se  vengono  contuse,  o  se  un  bruco 
corrode  la  polpa  fino  ai  semi,  queste  frutta  possono  essere  infette,  ma 
basterà  togliere  la  parte  guasta. 

In  caso  però  di  colera,  di  tifo,  è  molto  facile  che  colle  frutta  si 
comunichino  queste  malattie  mediante  i  batteri  che  sì  depositano  sulla 
buccia.  Da  ciò  la  necessità  di  far  raccogliere  le  frutta  da  persone  che 
hanno  le  mani  pulite,  di  conservarle  dopo  raccolte  in  locali  non  pol- 
verosi, puliti.  Lasciare  le  frutta  esposte  alle  mosche,  alle  vespe,  è  anche 
un  mezzo  per  facilitare  la  diffusione  di  malattie. 

Quando  si  hanno  delle  frutta  di  ignota  provenienza,  è  sempre  op- 
portuno di  lavarle  con  acqua  abbondante,  corrente  e  fresca  possibil- 
mente sotto  ad  una  fontana.  Immergere  semplicemente  un  frutto  in  un 
bicchiere  d'acqua  od  in  una  tazza,  è  una  precauzione  pressocché 
inutile. 

5.  —  11  consumo  delle  frutta  non  si  potrà  però  generalizzare  nelle 
popolazioni  urbane  se  noi  non  potremo  offrirle  più  a  buon  mercato 
specialmente  in  inverno  e  primavera  e  se  noi  non  impediren^o  le  forti 
oscillazioni  dei  prezzi  per  i  mancati  raccolti.  Queste  oscillazioni  sono 
forse  minori  oggi  che  una  volta,  per  i  migliorati  mezzi  di  comunica- 
zione ma  non  vi  ha  dubbio  che  il  rimedio  radicale  consisterà  nel  co- 
stringere le  piante  a  dare  frutta  costantemente  ciò  che  non  si  può 
pretendere  fino  a  che  la  maggior  parte  delle  piante  fruttifere  non 
vengono  potate.  Quando  si  conoscerà  la  potatura  razionale  ci  sarà 
anche  il  tornaconto  di  estendere  la  coltivazione  delle  piante  da  frutta 
e  potremo  anche  dare  la  frutta  più  a  buon  mercato. 

Rispetto  al  valore  nutritivo  che  hanno,  noi  oggi  paghiamo  le  frutta 
troppo  care  ed  a  ciò  valga  il  seguente  confronto  di  diverse  cibarie  che 
si  possono  acquistare  sui  mercati  attuali  spendendo  una  lira. 


35 


Quantità  Calorie  roiileiiiito 

che  si  acquista  che  produce  ili 


,ì^ì9}:'^}'^}:ì  ■                        "^o"  ^P'*  ''r:'  la  sostanze  azotate 

della  cibaria                               Kg.  , ietta    quantità  Rranuni 

Patate 16,6(iG  19724  :VSÀ 

Piselli 4,166  14747  9;i7 

Pane 3,333  8402  2r)6 

Zucchero 0,680  279  — 

Cavoli  cappucci  ...          5  —  4000  200 

Latte 5—  3280  16") 

Ciliegie 5—  2900  60 

Mele 5—  2700  20 

Barbabietole  da  urto  .          6,250  2843  !)1 

Arringhe 0,832  2395  194 

Susine 2,500  1550  25 

Carne  di  bue   .     .    .    .          0,784  913  127 

Come  si  vede  ad  esempio  le  ciliegie,  le  mele  svihipijaiio  egual  nu- 
mero di  calorie  del  latte  ma  pure  il  latte  si  deve  preferire  per  la  no- 
tevole quantità  di  sostanze  azotate. 


V. 

Conservazione  delle  frutta  allo  stato  naturale  e  gli 
agenti  principali  che  influiscono  sulla  loro  maturazione. 

Colla  vendita  delle  frutta  allo  slato  naturale,  il  frutticoitore  ricava 
il  maggior  utile,  da  ciò  la  necessità  di  studiare  le  cause  che  possono 
deteriorarle. 

Noi  sappiamo  che  gli  agenti  principali  che  intluiscono  sulla  matu- 
razione sono  quattro  e  cioè:  il  calore,  l'aria,  la  luce  e  l'umidità. 

1.  —  Una  temperatura  piuttosto  elevata  fa  aumentare  gli  scambi  e 
la  decomposizione  di  materiali  fra  molecola  e  molecola,  ed  alfrettare 
la  maturazione  delle  frutta.  (2oI  gelo  e  susseguente  disgelo,  avviene 
invece  la  disorganizzazione  dei  tessuti,  che  si  dispongono  poi  alla  pu- 
trefazione. E'  per  questo  che  il  frutticoitore  deve  evitare  gli  estremi  di 
temperatura  e  ricordare  che  la  maturazione  si  compie  fra  i  15''e3(»"C, 
mentre  al  disotto  di  5"  C  si  arresta  ogni  processo  vegetativo,  compreso 
quello  dei  fermenti. 

Alla  temperatura  di  5",  conviene  però  tenere  le  frutta  molto  succose 
e  già  mature,  per  impedire  la  putrefazione,  quali  sono  le  ciliegie,  le 
pesche,  le  susine  e  le  albicocche  che  devono  servire  per  uso  locale  o 
di  famiglia.  Dovendole  tenere  per  qualche  tempo,  esse  perdono  note- 
volmente di  fragranza. 

Trattandosi  però  di  pere  e  mele,  di  cui  si  vuol  tardare  la  matura- 
zione, una  temperatura  di  8"  a  10"  è  sufficiente. 


—  356  - 

Per  meglio  conoscere  i  limiti  di  temperatura  entro  i  quali  le  frutta 
non  si  alterano,  riproduco  i  seguenti  dati,  raccolti  dal  Ministero  di 
Agricoltura  degli  Stati  Uniti,  in  seguito  ad  una  inchiesta  promossa  per 
fissare  gli  estremi  con  varianti  per  spedire  le  frutta  a  mezzo   ferrovia. 

Tab.  XXXVI.   Temperatura  massima  e  minima  a  cui  resistono  le  frutta. 


Uva 

Pesche  fresche).    . 
Albicecche  in  ceste 

Prugne   

Fragole  

Mele  in  cumulo 

isolate   .     .     . 
Mandarini  .... 

Limoni 

Aranci 

Ananassi     .     .    .     . 

Banane  

Noci  di  cocco     .    . 

Olive 

Asparagi     .     .    .    . 
Pomidoro  freschi  . 


Temperatura  in  gradi 

centigradi  esterna'massima 

a  cui  possono  sottomettersi 

le  frutta 


in  refri- 
geranti 
ed  altri 

carri 
speciali 


Senza 
imbal- 
.laggio 
in  casse 

alla 
rinfusa 

in 
vagoni 

0 

-  6.67 

0 

-  6.67 

1.67 

-  4.44 

1.67 

0 

0.56 

-  3.89 

-  6.67 

-  12,22 

-  2.22 

-  9.44 

0 

-  6'67 

0 

-  6.67 

-  2.22 

-  6.67 

0 

-  3.89 

10.- 

0 

-  1.11 

-  6.67 

-2.22 

-3.89 

-2.22 

-  5.56 

0.56 

-  2.22 

17.18 
12.2 
r2.22 
17.78 
23.33 
23.33 
23.33 
17.78 
12.22 
17.78 
17.78 

17.78 
17.78 

23.33 


uà-" 

^a« 


OSSERVAZIONI 


In  pacchi  ed  entro  scatole. 

In  canestri,  barili  e  scatole. 

Avvolte  con  paglia. 

In  scatole  avvolte  con  carta. 

In  canestri. 

Coperte  da  paglia. 

Avvolte  da  paglia. 

Entro  scatole. 

Idem. 

In  canestri,  scatole  e  barili. 

In  barili. 

Entro  scatole  e  barili. 

In  barili. 

Idem. 

Entro  scat.  coperte  di  muschi. 

In  barili. 


2.  —  Le  frutta  per  maturare  hanno  bisogno  di  respirare  come  tutte 
le  altri  parti  della  pianta.  L'ossigeno  che  assorbono  serve  ad  affrettare 
la  maturazione;  è  troppo  evidente  quindi,  che  quanto  maggiore  sarà 
la  quantità  di  ossigeno  in  contatto  colle  frutta,  tanto  più  rapida  avverrà 
la  fermentazione.  Da  ciò  la  necessità  che  i  fruttai  stiano  sempre  chiusi. 

3.  —  La  luce  è  uno  degli  elementi  che  concorrono  alla  maturazione 
dei  frutti,  difatti  la  parte  più  saporita  è  quella  esposta  direttamente 
al  sole. 

Un'interessante  esperienza  ha  fatto  il  prof.  Sorauer  per  constatare 
l'influenza  della  luce  sulla  diminuzione  del  peso.  Su  4  mele  (Renetta 
dorata)  esposte  alla  luce  ottenne  una  diminuzione  del  peso  iniziale  in 
4  settimane  corrispondente  a  8,97  %,  allo  oscuro  di  10,8  %•  H  risultalo 
sarebbe,  che  l'oscurità  rallenta  il  processo  di  maturazione  o  a  meglio 
dire,  quei  processi  che  hanno  bisogno  dell'elemento  acqueo. 

Egli  avrebbe  anche  constatato,  che  la  luce  bleu  favorisce  la  vege- 
tazione delle  muffe  più  che  la  luce  gialla. 

4.  —  Se  tutti  si    accordano   nel    dire    che   il    fruttaio    deve    essere 


—  357  — 

tenuto  all'oscuro  od  avere  una  luce  dillusa,  non  lo  stesso  può  dirsi 
rispetto  all'uinidilà. 

Ci  sono  degli  autori  che  raccomandano  un  atmosfera  perlellamente 
asciutta,  altri  invece  la  vorrebbero  umida.  Tanto  gli  uni  che  altri  pos- 
sono aver  ragione,  a  seconda  delle  condizioni  in  cui  fecero  gli  espe- 
rimenti. 

Sta  il  fatto  che  le  frutta  conservate  in  ambiente  asciutto  ritardano 
la  maturazione  più  che  nell'aria  umida,  ma  d'altra  parte  non  si  può 
negare,  che  la  frutta  allora  deforma  per  la  soverchia  evaporazione. 
Nell'aria  umida  invece,  il  frutto  conserva  per  piii  lungo  tempo  la  sua 
forma  come  fosse  fresco  senza  aggrinzirsi  ;  e  la  maturazione,  purché 
siano  osservate  le  altre  condizioni  di  calore,  aria  e  luce,  procede  ab- 
bastanza lentamente.  Se  le  cose  stessero  in  questi  semplici  termini,  si 
dovrebbe  propendere  piuttosto  per  l'aria  umida  che  asciutta,  ma  c'è  il 
pericolo  delle  muffe.  Se  una  parte  delia  fruita  è  contusa,  ammaccata^ 
è  certo  che  le  mulle  si  propagano  in  modo  spaventevole.  Il  meglio  sarà 
di  mantenere  un'atmosfera  media,  che  non  si  scosti  da  40  a  50"  del- 
l'igrometro. 


VI. 
Cause  di  deterioramento  delle  frutta  raccolte. 

1.  —  Queste  possono  derivare  da  una  cattiva  raccolta,  dalla  natura 
del  terreno,  dai  vari  metodi  di  coltura,  dalla  potatura,  da  parassiti 
vegetali^ed  animali. 

Se  noi  raccogliamo  delle  frutta  in  stato  avanzato  di  maturazione  e  se  noi.  nel 
raccoglierle,  non  abbiamo  nessun  riguardo  di  portar  loro  contusioni,  ferite,  lacerazioni. 
è  naturale  che  queste  frutta  non  soltanto  non  si  po.ssono  conservare,  ma  comunicheranno 
anche  la  loro  putrefazione  a  quelle  sane. 

Quanto' più  fertile,  umido  e  ricco  di  sostanze  azotate  è  un  terreno,  tanto  più  molli 
riescono  i  tessuti  e  tanto  più  facilmente  vengono  intaccate  dn  parassiti  anche  le  frulla. 
Quelle  provenienti  invece  da  terreni  secchi,  ventilati,  bene  esposti,  poco  ricchi  di  so- 
stanze azotate  e  da  piante  poco  lussureggianti,  sono  le  più  adatte  per  la  conservazione 

Rispetto  al  metodo  di^coltura,  quanto  piti  questo  è  intensivo  ed  il 
prodotto  abbondante  per  eccesso  di  fertilità  del  terreno,  tanto  meno 
quelle  frutta  sono  atte  a  conservarsi. 

Anche  la  potatura  influisce  notevolmente.  Dalle  piante  ben  potale 
e  sulle  quali  si  ha  avuto  cura  di  conservare  fra  i  diversi  rami  le  di- 
stanze necessarie  per  assicurare  la  ventilazione,  si  hanno  le  frutta  più 
sviluppate  e  meglio  atte  alla  conservazione.  Confrontando  ad  esempio 
delle  pere  ottenute  da  spalliere  non  quelle  ottenute  da  piante  non  ap- 
poggiate, si  ha  sempre  colle  prime  un  migliore  risultato. 

Anche  l'irrigazione  ha  una  notevole  inlluenza.  Se  questa  viene  data 
con  parsimonia  e  di  mano  in  mano  che  le  piante  ne  abbisognano,  come 
si  tratta  per  gli  agrumi  nell'Italia-meridionale,  allora  l'irrigazione  serve 


—  358  - 

a  favorire  l'allegainento  del  frutto  ed  il  suo  sviluppo.  Neil'  Italia  set- 
tentrionale tutte  le  piante  da  frutto  non  hanno  bisogno  di  irrigazione 
che  in  casi  eccezionali.  In  ogni  caso,  le  frutta  dei  terreni  irrigui  sono 
meno  atte  alla  conservazione. 

2.  —  Se  queste  sono  cause  occasionali  che  cagionano  la  putre- 
fazione, gli  agenti  però  che  la  determinano  sono  delle  crittogame,  le 
cui  spore  possono  trovarsi  nella  stanza  di  conservazione,  oppure  sulla 
buccia.  Quando  queste  spore  si  trovano  in  condizioni  favorevoli,  ger- 
minano e  vivendo  parassite  al  frutto,  lo  decompongono  facendolo 
andare  a  male. 

Questi  microorganismi  difatti,  decompongono  le  sostanze  albuminoidi,  provocano 
nuove  fermentazioni  nei  componenti  delle  cellule  del  frutto  rimanendo  poi  infine,  quali 
prodotti  ultimi,  dell'idrogeno  solforato,  dell'ammoniaca,  ecc.,  che  si  rivelano  facilmente 
all'odorato.  Questi  microorganismi  sono  dei  batteri  e  delle  muffe,  le  quali,  nutrendosi 
a  spese  del  frutto  su  cui  si  posano,  penetrano  per  le  lesioni  o  ferite  e  determinano  la 
completa  decomposizione. 

I^e  muffe  parassite  sono  :  Botrgtis  cinerea,  i  Cladosporium,  Gloeosporium,  fructigenuin, 
Helminthosporium  carpophiluin,  Leptothyrium  pomi  e  carpophilum,  Monilia  fructigena, 
Mucor,  Oidiuin  fitiictigenum,  Penicilum  glaucum,  Phoma,  Phyllosticta  vindobonensis, 
Sclerotiuni  cifri. 

3.  —  Infine  gli  animali  che  possono  arrecare  danno  sono  i  miria- 
podi,  le  formiche,  i  topi,  i  ragni,  dei  quali  si  può  liberarsene  coi  mezzi 
che  vengono  all'uopo  suggeriti. 


VII. 
Precetti  per  la  conservazione  delle  frutta. 

Dopo    quanto    ho    esposto    nei    precedenti    capitoli,    le   norme  per 
riuscire  nella  conservazione  si  possono  riassumere  nei  seguenti  precetti: 

1.  Per  le  frutta  da  conservare,  non  si  destinino  quelle  prove- 
nienti da  terreni  eccessivamente  fertili,  poco  ventilati,  umidi.  Conven- 
gono invece  le  frutta  ottenute  da  terreni  sani,  aereati,  secchi,  medio- 
cremente ricchi. 

2.  Fare  la  raccolta  con  le  maggiori  cautele  per  evitare  contusioni, 
ferite,  ammaccature.  Le  frutta  guastate  o  intaccate  da  parassiti  conviene 
destinarle  subito  pel  mercato  o  per  fare  conserve. 

3.  Proteggere  le  frutta  da  insetti  ed  altri  animali,  cosi  pure  dalle 
muffe. 

4.  Mantenere  una  temperatura  costante  nei  locali  di  conservazioni. 
Per  le  frutta  a  granella,  delle  quali  si  vuol  protrarre  l'epoca  di  matura- 
zione conviene  la  temperatura  di  8-10°  C;  per  quelle  a  nocciolo  al  disotto 
di  5°  C.  Durante  l'inverno  non  deve  discendere  al  di  sotto  di  0*^. 

5.  L'  esperienza  ha  dimostrato  l'opportunità  di  esporre  le  frutta, 
compreso  l'uva,  appena  raccolta  e  per  alcuni  giorni,  fino  a  che  il 
penducolo  accenna  ad  appassire,  nel  fruttajo  d'estate  e  cioè  in  un  locale 


-  359  - 

ventilato,  poco  illuminato  ed  asciutto.  ])er  evaporare  l'acciua  che  lascia 
traspirare  la  superfìcie.  Successivamente  si  collocano  le  frutta  nel  frut- 
tajo  nel  quale  si  deve  rendere  possibile  una  ventilazione  o«ni  qual- 
volta sia  necessario  di  mantenere  la  tem|)eraUua  e  l'umidità  enlro  quei 
dati  limili.  Cosi  in  autunno  e  d'estate  conviene  ventilare  di  notte 
|)er  abbassare  la  temperatura;  d'inverno  conviene  ventilare  di  giorno 
per  elevare  la  temperatura. 

6.  Mantenere  per  l'uva  e  per  le  frutta  a  nocciolo  raml)ieiiU'  al- 
l'oscuro. Per  le  frutta  a  granella  conviene  di  |)iù  una  luce  dillusa. 

7.  Evitare  delle  correnti  d'aria  nell'ambiente  per  manteneie  un 
atmosfera  piuttosto  stagnante.  La  ventilazione  si  faccia  soltanto  nel 
caso  indicato  più  sopra  al  numero  .i. 

8.  Avere  un'atmosfera  media,  cioè  non  troppo  asciutta,  né  troppo 
umida,  che  non  si  scosti  da  40-50"  dell'igrometro. 

9.  Impedire  la  maturazione  oltre  un  dato  limile  conveniente  per 
ciascuna  varietà  di  frutta. 

10.  Conservare  le  frutta  lincile  non  perdono  le  pro|)rielà  organo- 
lettiche loro  particolari. 

11.  Evitare  il  contatto  di  lìutta  sane  con  quelle  alterale  e  queste 
ultime,  allontanarle  dal  fruttaio  il  più  sollecitamente  possibile. 

12.  Evitare  che  nell'ambiente  di  conservazione  si  trovino  delle 
sostanze  che  emanano  odori. 

13.  Negli  ambienti,  è  bene  che  le  frutta  siano  disposte  ad  un  solo 
strato  senza  toccarsi.  Nel  caso  di  esuberante  quantità,  non  si  devono 
sovrapporre  più  di  tre  strati,  avendo  cura  allora  di  isolare  ciascun 
frutto  con  della  carta  o  delle  materie  isolanti  quali  sono  la  sabbia,  il 
sovero,  la  polvere  di  carbone  di  legna  e  cosi  via. 

14.  Quando  si  ha  poca  quantità  di  frutta  da  conservare  e  che  non 
conviene  costruirsi  un  fruttaio,  allora  si  adoperino  i  cassettoni,  gli 
armadi  di  muro  o  delle  casse  isolate.  In  queste  ultime  si  abbia  cura 
di  conservare  per  ciascuna,  le  varietà  che  maturano  contemporaneamente. 

15.  Nel  collocare  le  frutta  si  abbia  cura  che  il  penducolo  si  trovi 
in  alto. 


Vili. 
Fruttaio. 

Ogni  proprietario  potrà  trovare  forse  nella  sua  abitazione  di  cam- 
pagna una  stanza  collocata  a  nord,  non  abitala,  chiusa  da  doppi  ser- 
ramenti, in  modo  che  conservi  costante  la  temperatura  e  non  sia  tropjìo 
umida.  Per  chi  non  la  possedesse  e  che  avesse  una  quantità  limitata 
di  frutta  da  conservare,  adoperi  delle  casse,  cassettoni,  armadi  di  muro 
purché  asciutti,  in  cui  le  frutta  si  conservano  mollo  bene. 

Per  chi  volesse  costruire  un  fruttaio  apposito  per  la  sua  fruita,  dò 
qui  le  norme  generali  in  base  delle  quali  il  lettore  potrà  trarre  anche 


-  360  - 

quei  suggerimenti  che  sarebbero    necessari    per    modificare   e    ridurre 
una  stanza  secondo  lui  adatta  per  conservare  la  frutta. 

1.  Per  costruire  un  fruttaio,  si  scelga  un  terreno  ben  asciutto,  un 
poco  elevato  ed  esposto  a  tramontana.  Le  dimensioni  del  locale  saranno 
determinate  dalla  quatità  di  frutta  che  si  vuol  conservare.  Si  calcola 
che  ogni  frutto  occupi  una  spazio  di  cm.  10^ 

2.  Onde  difendere  il  fruttaio  dalla  temperatura  esterna,  è  bene 
che  sia  circondato  da  alberi  sempreverdi  e  che  il  piano  del  locale 
venga  a  trovarsi  da  70  cm.  ad  1  m.  sotto  il  livello  del  suolo.  Per 
evitare  che  le  acque  piovane  si  accumulino  sotto  od  ai  lati,  si  dà  alla 
superfìcie  del  terreno  circostante  una  inclinazione  opposta  ai  muri,  i 
quali  devono  essere  costruiti  ed  intonacati  all'  interno  ed  all'  esterno, 
accuratamente  di  cemento  fino  sopra  al  livello  del  terreno. 

3.  L'orientazione  deve  essere  da  nord  a  sud. 

4.  Il  pavimento  deve  essere  impermeabile  e  cementato  con  fondo 
di  calcestruzzo. 

5.  1  muri,  dello  spessore  di  30  cm.,  devono  essere  doppi,  in  modo 
da  lasciare  uno  spazio  intermediario  di  50  cm.  per  sottrarre  l'ambiente 
dalle  influenze  esterne.  Conviene  anche,  intorno  al  muro  interno,  un 
più  largo  corridoio,  di  m.  1  a  2,  che  può  servire  da  ripostiglio  di 
attrezzi.  (R  fig.  243). 

6.  11  fruttaio  lo  si  faccia  rettangolare,  colle  facciate  più  strette 
esposte  rispettivamente  a  nord  e  sud.  Sul  lato  sud  si  fa  la  porta,  per 
la  quale  si  deve  accedere  ad  un  vestibolo  (V)  illuminato  da  una  finestra, 
che  serve  per  l'mballaggio  e  lo  scarico  delle  frutta.  Per  mezzo  di  un'altra 
porta  si  deve  accedere  dal  vestibolo  al  locale  di  conservazione  (F). 
Sugli  altri  lati  del  fruttajo  sì  fa  una  finestra  dell'altezza  di  m.  1.50  dal 
suolo.  Nel  mezzo  del  soffitto  si  apre  uno  sfiatatojo  (o)  che  comunica 
con  un  camino  che  si  eleva  oltre  al  tetto.  Sotto  ad  ogni  finestra,  ed  al 
livello  del  terreno  si  aprono  dei  sfiatatoj,  muniti  di  doppia  saracinesca 
e  di  una  rete  metallica  fitta,  per  evitare  che  entrino  i  topi. 

Lo  sfiatatojo  del  soffitto,  pure  chiudibile,  dal  basso  all'alto,  serve 
per  allontanare  l'aria  calda;  i  due  sfiatatoj  vicini  al  pavimento  servono 
per  smaltire  l'umidità  e  per  attivare  la  ventilazione. 

7.  I  muri,  nell'interno  devono  essere  intonacati  di  uno  leggero 
strato  di  gesso,  perchè  più  assorbente  dell'umidità. 

8.  Il  suolo  del  corridojo  passante  fra  mezzo  ai  due  muri,  deve 
essere  a  livello  del  i)aviniento  del  fruttajo. 

9.  La  porta  e  le  finestre  del  muro  esterno,  devono  essere  in  cor- 
rispondenza con  quelle  del  muro  interno. 

10.  La  porta  del  muro  esterno  si  deve  aprire  per  di  fuori  e  deve 
essere  munita  di  controporta,  che  si  apra  per  di  dentro  e  snodata  a 
guisa  di  paravento.  Quando  ci  sono  dei  forti  freddi  si  riempie  di  paglia 
lo  spazio  fra  la  porta  e  controporta. 

11.  Le  finestre  del  muro  esterno  si  fanno  della  dimensione  di  .50 
cm.  in  quadrato.  Ciascuna  finestra  è  munita  di  due  imposte,  delle  quali 


-  :{6i  - 

l'esterna  si  apre  per  di  fuori  e  l'interna  per  di  dentro.  Diiranlc  l'inverno, 
lo  spazio  fra  queste  due  imposte  viene  pure  riempito  di  paglia. 

La  porta  del  muro  interno  è  semplice;  le  due  finestre  interne  sono 
munite  di  imposte,  come  le  finestre  esterne. 

12.  Il  soffitto  si  fa  di  legno  doppio,   dello   spessore  di    M   cm.  e 
riempito  di  polvere  di  sughero  o  di  pula  di  riso.  Questo   soffitto    allo 


L 


Fig.  243-244.  —  Sezione  verticale  e  pianta  di  un  fniUajo. 


m.  2.50  dal  terreno,  è  riparalo  da  un  alto  letto  di  paglia  avente  molla 
pendenza.  Lo  spazio  fra  il  soffitto  ed  il  letto  può  essere  utilizzato  |)er 
tenere  della  paglia. 

Queste  disposizioni  concorrono  non  soltanto  a  mantenere  costante  la 
temperatura  dell'ambiente,  ma  anche  per  evitare  che  s'infiltri  l'umidità. 
13.  Lungo  le  pareti  all'ingiro,  vengono  collocali  tanti  piani  di 
legno  (S)  a  guisa  di  scansie,  della  larghezza  di  .^)0  cm.,  sui  quali  poi  si 
distendono  le  frutta.  Questi  piani  distano  uno  dall'altro  25  cm.  A  quello 
più  alto  si  dà  una  inclinazione  di  45  gradi,  e  di  mano  in  mano  che  si 


-  362  - 

discende  si  dà  una  minore  inclinazione  in  modo  che  all'altezza  di  m.  1.50 
dal  terreno  si  trova  orizzontale.  Ai  piani  inferiori  a  questo  si  dà  una 
leggera  inclinazione  opposta. 

Questa  inclinazione  è  data,  per  rendere  più  facile  e  spedito,  l'esame 
della  frutta  durante  la  conservazione.  Ogni  piano  è  formato  di  tante 
assicelle  larghe  10  cm.  e  fissate  a  3  o  4  cm.  di  distanza,  per  aereare  la 
frutta.  Dalla  parte  verso  il  centro  ogni  piano  è  munito  di  un  bordo  di 
3  cm.,  per  impedire  che  le  frutta  cadono  a  terra. 

14,  Nel  mezzo  del  fruttaio  rimane  uno  spazio  dove  si  può  collo- 
care una  doppia  scansia  (S). 

Nella  fìg.  243-244  ho  rappresentato  un  fruttaio  che  corrisponde  ai 
requisiti  sopra  indicati. 


IX. 

Cure  relative  al  fruttaio 
ed  alle  frutta  che  in  esso  si  conservano. 

Come  l'enologo,  prima  di  vendemmiare,  appresta  alla  cantina  tutte 
quelle  cure  che  sono  necessarie  per  ottenere  dei  vini  buoni  e  serbevoli, 
lo  stesso  deve  fare  il  frutticoitore  per  il  fruttaio  prima  di  collocarvi 
le  pere,  mele  od  altre  frutta  per  conservarle. 

Se  il  fruttaio  durante  l'estate  o  meglio  durante  l'autunno  è  stato 
trascurato,  nel  senso  che  non  sia  stata  fatta  una  accurata  pulizia  subito 
dopo  tolte  le  frutta  dell'anno  antecedente,  oppure  se  durante  l'autunno 
è  stato  tenuto  sempre  chiuso,  è  probabile  che  si  conservino  e  traman- 
dino dei  germi  di  putrefazione,  che  possono  trovarsi  non  soltanto  in 
sospensione  nell'aria  ma  anche  aderenti  alle  pareti,  alle  scansie  od 
altri  oggetti  del  fruttaio. 

1.  —  Le  misure  che  tutti  son  d'accordo  di  prendere  a  questo  riguardo 
consistono:  prima  in  una  ventilazione  durante  l'estate  ed  in  autunno 
nelle  giornate  asciutte;  quindi,  quando  si  approssima  il  tempo  della 
raccolta,  in  una  lavatura  accurata  del  pavimento,  nell'imbianchimento 
dei  muri  con  latte  di  calce,  nel  lavare  tutte  le  scansie  con  una  soluzione 
al  5  per  lOOU,  di  solfato  di  rame.  Asciugalo  l' ambiente  dopo  queste 
lavature,  si  chiudono  ermeticamente  tutte  le  aperture  e  si  abbruciano 
nell'interno,  per  ogni  100  m.  cubi  di  volume,  10  miccie  di  zolfo,  di 
quelle  che  si  sogliono  adoperare  nella  cantina,  e  cioè  larghe  5  cm.  e 
lunghe  10,  acciò  l'anidride  solforosa  che  si  sviluppa,  distrugga  ogni 
germe.  Uopo  24  ore  si  riaprono  le  porte  e  finestrine  per  procurare  un 
energico  aereamento.  Una  simile  solforazione  si  potrà  ripeterla  con 
vantaggio  per  due  o  tre  volte,  anche  durante  il  tempo  in  cui  si  conser- 
vano le  frutta. 


-  363  — 

Molti  temono,  che  la  solforazione  faccia  perdere  di  colorilo  le  frutta,  oppure  che 
queste  acquistino  un  sai)ore  disgustoso  causa  lanidride  solforosa.  Per  verificar  ciò  ques- 
t'anno lasciai  sotto  una  capanjia  di  vetro  per  interi  giorni  della  frutla  delicata  come  la 
pesca,  immersa  in  un  atmosfera  di  anidride  solforosa,  o  non  ebbi  a  rimunare  alcun 
inconveniente.  .Scopo  di  «piesto  mio  esperimento  era  anche  di  provare  se.  una  tale 
atmosfera,  poteva  arrestare  il  processo  di  maturazione  e  di  dissolvimento  interno.  Men- 
trecchè  il  processo  di  maturazione  veniva  rallentato  di  un  tempo  trascurabile  (un 
giorno)  il  processo  di  dissolvimento  interno  continuò  come  nella  frutta  lasciata  all'aria 
libera. 

Le  pere  e  le  mele  prima  di  portarle  nel  fruttaio  devono  essere  ben 
pulite,  asciugate  delicatamente  con  un  pannolino  ;  si  devono  scartare 
tutte  quelle  che  appaiono  contuse,  o  che  accusano  la  presenza  di  bruchi 
nell'interno.  Per  fare  uno  scarto  piti  accurato  si  lasciano  i)er  8  o  10 
giorni  distese  su  un  tavolino  ed  in  una  stanza  asciutta,  acciò  nel  ripren- 
derle per  portarle  nel  fruttaio  si  possa  conoscere  mef»Iio  (|uel!e  dete- 
riorate. (1)  Nel  fruttaio  poi  si  dispongono  sulle  scansie  in  bell'ordine,  in 
file  regolari,  accoste  l'una  all'altra  col  picciuolo  in  alto  e  in  modo  che 
non  si  tocchino.  E'  naturale  che,  facendo  questa  operazione,  si  separe- 
ranno le  frutta  delle  diverse  varietà,  di  diversa  grandezza  e  di  diverso 
ordine  di  maturazione. 

Molti  frutticoitori  consigliano  di  distendere  prima  sulle  scansie  del  muschio  secco 
o  della  paglia  per  facilitare  l'aereazione.  Ma  ciò  lo  ritengo  inutile  e  forse  dannoso:  è 
vantaggioso  soltanto  di  distendere  sulla  paglia  le  frutta  raccolte  molto  umide  ed  in 
quantità  tale,  da  non  aver  tempo  d'asciugarla  col  pannolino,  come  è  stato  detto  poc'anzi. 
In  questo  caso,  per  i  giorni  che  precedono  il  momento  di  collocarla  nel  fruttaio,  si  |)uò 
distenderle  sulla  paglia  acciò  la  paglia  assorba  anche  l'umidità. 

Siccome  la  frutta  nei  primi  giorni  che  si  trova  nel  fruttaio  è  molto 
satura  d'acqua,  nel  primo  tempo  di  conservazione  si  ha  una  rilevante 
evaporazione,  cosi  è  indispensabile  nei  primi  giorni  e  nelle  ore  più 
serene,  ventilare  il  fruttaio,  per  una  mezz'ora  e  poi  richiuderlo  erme- 
ticamente. 

Passati  i  primi  20  giorni,  basterà  fare  una  visita  alla  settimana,  per 
scegliere  la  frutta  guasta  o  quella  matura,  e  se  il  fruttaio  è  stato  cos- 
truito colle  norme  già  descritte,  anche  le  cure  del  frutticoitore  si 
risolvono  in  ben  poca  cosa. 

In  caso  che  si  volesse  togliere  un  eccesso  d'umidità  durante  l'inverno, 
se  il  tempo  lo  permette,  si  aprono  le  finestrine,  altriiuenti  si  adoperi 
della  calce  viva.  Per  regolare  la  temperatura,  nel  mezzo  del  fruttaio 
bisogna  collocare  un  igrometro  ed  un  termometro. 

Le  norme  che  ho  dato  per  la  conservazione  valgono  specialmente 
per  i  frutti  a  granella. 

2.  —  La  frutta  a  nocciolo  si  può  conservare  per  lungo  tempo,  purché 
venga  tenuta  in  un  atnbiente  dove  la  temperatura  sia   molto  bassa.  La 


(t)  l.e  mele  renette  fanno  eccezione.  Queste,  appena  raccolte,  si  devono  portare  nel 
fruttaio,  altrimenti  la  buccia  avvizzisce  troppo. 


—  364  — 

conservazione  di  questa  frutta,  come  sarebbero  le  pesche,  susine,  ecc , 
solo  è  possibile  disponendo  di  una  buona  ghiacciaia  oppure  di  buone 
credenze-ghiacciaie  che  si  usano  in  molte  famiglie  per  i  legumi,  le 
conserve,  ecc.  Di  questo  si  parlerà  più  avanti  in  apposito  capitolo. 


X. 

Applicazione  del  freddo  per  la  conservazione 
e  per  il  trasporto  delle  frutta. 

Le  applicazioni  del  freddo  per  la  conservazione  anche  delle  frutta, 
ortaggi  e  fiori,  hanno  preso  un  enorme  sviluppo  in  questi  ultimi  anni 
ed  è  per  questo  che  ritengo  opportuno  di  farne  un  cenno  in  questo 
capitolo  speciale. 

1.  —  Azione  del  freddo.  Il  freddo,  come  viene  applicato  industrial- 
mente, paralizza  l'azione  dei  microorganismi  che  alterano  le  sostanze 
organiche,  senza  distruggerli.  Nelle  frutta,  arresta  o  ritarda  notevolmente 
il  processo  di  maturazione  cosi  da  permettere  la  spedizione  ed  il  con- 
sumo di  queste  per  un  tempo  più  o  meno  lungo. 

2.  —  Camere  frigorifìche  e  vagoni  refrigeranti.  Per  conservare  per 
pochifgiorni  delle  frutta  destinate  al  consumo  di  casa,  si  possono  ado- 
perare le  credenze-ghiacciaie  comuni.  In  esse  si  possono  conservare 
per  qualche  giorno  le  frutta  succose  come  le  pesche,  susine,  ecc.  Oggi 
si  costruiscono  dalla  Ditta  Dyle  et  Bacalan,  degli  impianti  Irigorifichi, 
alla  portata  di  piccoli  proprietari,  del  costo  a  forfait  di  L.  3000.  Questa 
macchina  può  servire  a  refrigerare  una  camera  isolata  della  capacità 
di  12-15  m.^  che  costa  L.  1700. 

Trattandosi  invece  di  partile  in  grande,  si  ricorre  alle  camere  o 
depositi  frigorifichi  i  quali  sono  ordinariamente  allestiti  e  condotti  da 
società. 

Questi  depositi  sono  dei  locali  più  o  meno  vasti,  limitati  da  pareti 
e  porte  di  legno  doppie  dello  spessore  di  circa  m.  1,  nel  cui  mezzo  si 
mettono  delle  sostanze  isolatrici  quali  sono  la  pula  di  riso,  la  segatura 
di  legno,  la  polvere  di  sughero  ecc.  Nell'interno  si  trovano  tanti  scom- 
parti quante  sono  le  sostanze  che  si  vogliono  conservare. 

Sotto  al  soffitto  sono  fissati  dei  tubi  nei  quali  circola  il  lit[UÌdo 
rallreddato  prodotto  da  apposita  macchina  esterna  frigorifica.  Regolando 
la  circolazione  di  questo  liquido  è  possibile  di  mantenere  fìsso  il  grado 
di  temperatura. 

Una  macchina  frigorifica  (vedi  Rocques  pag.  2-13)  della  capacità  di 
100  m.'' ..utilizzabili,  costa  L.  30.000  per  l'impianto  e  si  ha  una  spesa 
annua  di  L.  10.600  per  farla  funzionare  che  corrisponde  quindi  a  circa 


—  365  — 

L.  100  all'anno  per  m.\  A  Londra,  dove  sono  piantati  dei  deposili  fri- 
gorifichi  della  capacità  di  8000  m.»  si  ha  una  spesa  annua  di  [..  IH  al- 
l'anno per  m.^ 

Per  il  trasporto  della  frutta  si  costruiscono  anciie  dei  vagoni 
frigoriferi,  nei  quali  viene  mantenuta  la  temperatura  bassa  a  mezzo  del 
ghiaccio  o  di  una  macchina  frigoritìca.  Generalmente  però,  la  costru- 
zione e  la  manutenzione  di  questi  vagoni  costano  molto  ed  ora  si 
preferisce  sottoporre  le  frutta  imballate  ad  una  prerefrigerazione  di 
0  a  1"  e  poi  si  collocano  nei  vagoni.  Delle  pesche  e  ciliegie  sottoposte 
a  questo  trattamento,  arrivarono  perfettamente  a  destinazione  dopo  un 
viaggio  di  10  a  12  giorni.  Naturalmente  che  se  il  vagone  avrà  le  pareti 
doppie,  e  se,  come  si  propone  ora,  il  vagone  slesso  sarà  raffreddalo, 
collocandolo  in  un  ambiente  freddo  per  qualche  ora,  prima  del  cari- 
camento, i  risultati  saranno  ancora  migliori. 

3.  —  Condizioni  di  rinscila.  Le  frulla  che  si  vogliono  conservare  col 
freddo  devono  essere  perfetlamente  inlatte.  La  minima  contusione,  la 
più  piccola  scalfìtura  compromette  l'esito  sicuramente.  In  generale  si 
conservano  soltanto  le  frulla  con  buccia  grossa,  più  scelte  e  di  pri- 
missima qualità. 

Nella  camera  si  collocano  di  solito  le  frutta  appena  raccolte,  già 
imballate  od  avvolte  in  cotone  o  carta  seta.  Il  materiale  d'imballaggio 
non  deve  comunicare  alcun  odore.  L'uva  si  avvolge  in  un  sacchetto  di 
carta  seta. 

Bisogna  abbassare  lentamente  la  temperatura,  (8  giorni)  mantenere 
oscurità  completa  ed  aria  confinata. 

La  temperatura  di  conservazione  varia  colla  specie,  colla  varietà  e 
col  grado  di  maturazione.  La  temperatura  di  0"  costituisce  il  minimo 
poiché  i  frulli  non  devono  gelare,  e  4"  C.  è  la  temperatura  massima. 

Quanto  al  grado  di  umidità,  questo  deve  essere  del  75  %  per  le  frutta 
a  polpa  molle  e  del  65  %  per  le  altre  che  si  aggrinzano  più  diftìcilmenle. 

Delle  precauzioni  speciali  sono  necessarie  specialmente  per  le  frutta 
delicate,  quando  si  ritirano  dalle  camere  frigorifiche.  Se  portate  imme- 
diatamente alla  temperatura  esterna,  si  deposita  nella  buccia  dell'umi- 
dità e  talvolta  la  buccia  stessa,  screpola. 

Perciò  bisogna  elevare  a  loro  gradualmente  (in  24  ore)  la  tempe- 
ratura fino  a  15«,  portandole  in  stanze  apposite  mollo  ventilate. 

Le  frutta  sottoposte  al  freddo,  perdono  completamente  il  sapore 
ed  il  profumo.  Dopo  portate  a  15°,  ci  vogliono  ancora  2  giorni  e  più 
prima  che  rinvengano. 

Si  è  notato  che  le  frutta  conservate  col  freddo  si  mantengono  .sane 
per  un  tempo  mollo  più  lungo  di  quelle  che  vengono  ordinariamente 
raccolte  e  consumate,  cosi  ad  esempio  le  pesche  si  conservano  per 
oltre  una  settimana  ed  è  questo  che  permette  poi  la  spedizione  a  note- 
vole distanza. 

4.  —  Conservazione  delle  diverse  specie  di/ ralla.  Le  pere  e  mele  sono 
le  frutta  che  si  conservano  meglio.  Si  poterono  conservare  delle  mele 


—  366  — 

per  2  anni.  Le  temperature  più   convenienti  e   la   durata   possibile   di 
conservazione  sarebbero   le  seguenti  per  le  singole  frutta  : 


Mele 

V,   a   20 

per 

8-9 

mesi 

Pere 

1    a    4" 

„ 

3-4 

„ 

Susine 

2    a    4« 

„ 

2-6 

settimane 

Pesche 

0" 

„ 

2-3 

mesi 

„ 

0»  -  lo 

„ 

2-4 

settimane 

Albicocche 

20 

„ 

4 

,, 

Ciliege 

V2  a  40 

„ 

4 

„ 

Uva 

2  a  4"' 

„ 

6-8 

^ 

Ribes 

1  a  30 

„ 

3 

„ 

Fichi 

2  a  40 

„ 

3-4 

„ 

Aranci  e  limoni 

5  a  70 

„ 

2-3 

mesi 

Noci  e  frutta  secche 

2  a  50 

„ 

3 

„ 

Le  mele  si  raccolgono  quando  cominciano  a  cadere  le  foglie. 

Le  pere  d'estate  conviene  raccoglierle  8  giorni  prima  della  matu- 
razione ;  quelle  d'autunno  quando  sono  ancora  consistenti  e  cioè  quando 
comincia  cadere  spontaneamente  qualche  frutto  dalla  pianta  ;  quelle 
d'invei'no  quando  hanno  raggiunto  il  completo  loro  sviluppo.  Se  rac- 
colte troppo  presto  si  raggrinzano,  se  troppo  tardi  riescono  scipite. 

Le  pesche  sono  molto  delicate  e  bisogna  raccoglierle  quando  hanno 
ancora  la  polpa  dura,  come  quando  si  tratta  di  spedirle.  Si  raccolgono 
col  penducolo  e  se  possibile  con  un  pezzo  di  ramo.  Lo  stesso  dicasi 
per  le  susine  e  ciliegie. 

Gli  aranci  e  limoni  si  raccolgono  quando  sono  ancora  immaturi. 
Siccome  sviluppano  molti  gas,  è  necessaria  una  continua  aereazione. 

5.  —  Conclusioni.  L' industria  del  freddo  può  darci  dei  notevoli 
vantaggi  in  quantochè  le  frutta  imballate  od  avvolte  in  carta  seta  od 
ovata,  dopo  essere  state  sottoposte  alla  refrigerazione,  si  mantengono 
sane  più  a  lungo  per  8-10  giorni  in  modo  da  rendere  possibile  un  con- 
sumo graduale  o  la  spedizione  a  grandi  distanze. 

Non  credo  però  che  l'industria  della  refrigerazione  si  debba  spin- 
gerla al  punto  da  portare  nel  mercato  delle  frutta  fuori  stagione.  Gli 
acquirenti  di  queste  sono  ben  in  piccolo  numero  e  non  arrivano  a 
compensare  la  spesa. 

Limitiamoci  invece  a  piantare  delle  camere  frigorifiche  consorziali 
nei  centri  di  produzione  di  ortaggi,  frutta  ecc.,  e  serviamoci  del  freddo 
come  un'eccellente  preparazione  per  assicurare  il  trasporto  e  facilitare 
la  sicura  e  completa  loro  maturazione. 


—  S67 


XI. 

Conservazione    delle   frutta   fresche 
con  materiale  inerte  od  altro. 

Collocando  le  frutta  nelle  materie  inerti  che  perciò  le  riparano 
dell'umidità,  dall'evaporazione,  dal  freddo,  dall'ossigeno  dell'aria  e  dai 
germi  di  alterazione,  è  probaliiie  di  conservare  le  frulla  fresche  per 
un  certo  tempo. 

Ancora  nel  1896   io   feci   delle  esperienze  di   conservazione  con   iiuesti    nic/zì  o    eli 
(jueste  esperienze  ne  diedi  relazione  nelle  precedenti  edizioni  di  questo  libro. 
Qui  riporto  le  conclusioni  le  quali  sono  ancora  di  attualità. 

a)  La  qualità  della  frutta  ha  una  grande  importanza  sull'esito  della  conservazione. 
I,e  frutta  più  succose  sono  le  più  difficili  a  conservarsi,  e  mentre  le  pesche  si  poterono 
conservare  al  massimo  per  10  giorni  ad  onta  di  una  perdita  percentuale  nel  numero 
di  91,7/0'  1^  pere  Passa  Crassana,  che  hanno  la  buccia  consistente  e  la  polpa  non  deli- 
quescente, si  conservarono  per  130  giorni  senza  verificare  alcuna  perdita. 

b]  Prendendo  ad  esaminare  le  specie  di  frutta  tli  cui  e  stata  esperimentala  In 
conservazione,  si  osservò,  che  per  le  pesche  il  mezzo  migliore  è  il  freddo,  mantenendo 
la  temperatura  intorno  a  zero  gradi.  Rispetto  all'uva,  la  minor  perdita  di  peso  e  pre- 
sumibilmente una  più  prolungata  conservazione  la  si  ottiene,  lenendola  in  ima  atmosfera 
limitata,  in  un  ambiente  chiuso,  e  perciò  quando  si  tratterà  di  conservare  dclluva.  una 
volta  posta  nel  locale  di  conservazione,  bisognerà  evitare  il  massimo  possibile  l'aerea- 
zione.  Stratificare  l'uva  coi  mezzi  polverulenti,  non  è  consigliabile,  e  ciò  non  per  il  latto 
di  un  soverchio  essicamento,  che  anzi  viene  diminuito,  ma  perchè  si  ha  una  maggior 
perdita  per  muffe,  in  quanto  la  muffa  di  un  acino  facilmente  si  trasmette  a  tutto  il 
grappolo. 

cj  Rispetto  ai  diversi  mezzi  di  conservazione  esperinienlali  si  trovò  che,  lasciando 
le  fratta  all'aria  libera  ed  alla  luce,  si  ha  la  massima  evaporazione  (per  l'uva  l'i",,  per 
le  pere  da  10  a  M%1  e  quindi  si  possono  conservare  per  minor  tempo.  Meglio  converrà 
tenere  le  frutta  in  ambienti  chiusi  e  poco  ventilati,  come  sono  dei  semplici  cassettoni. 
La  stratificazione  in  generale  delle  frutta  con  mezzi  polverulenti  è  il  miglior  mezzo 
consigliabile  e  fra  ((uesti  (luello  della  sabbia  asciutta  è  risultato  miglioro.  Dopo  la  sabbbia 
asciutta,  si  può  consigliare  la  segatura  di  legno,  quindi  la  sabbia  umida  e  poi  l:i  terra 

1.  —  Mezzi  polverulenti.  Con  questi  si  tratta  di  stratificare  le  frulla 
con  delle  sostanze,  che  servano  di  sterilizzatori  dell'aria  prima  che 
venga  in  contatto  alle  frutte,  di  assorbire  i  prodotti  gasosi  di  queste 
ed  infine  di  rendere  meno  sensibile  la  variazioni  di  temperatura. 

A  tale  scopo  si  può  adoperare  la  sabbia,  la  calce  spenta,  la  polvere 
di  sughero,  la  polvere  di  carbone  di  legno  e  torba,  la  segatura  di  legno, 
la  pula,  i  cascami  di  cotone,  la  crusca,  la  cenere,  il  gesso. 

Questi  materiali  si  possono  adoperare  tanto  per  conservare  le  frutta 
quanto  per  imballare. 

La  sabbia  asciutta  è  uno  dei  materiali  polverulenti  piti  raccoman- 
dabili. Bisogna  che  prima  venga  abbondantemente  dilavala  con  acqua 
e  deve  essere  adoperata  asciutta.  Per  questa  conservazione  si  adope- 
rano delle  casse  di  legno,  nel  quale  sui  fondo   si  stende  uno  strato  di 


-  368  — 

cm.  1  di  sabbia.  Sopra  questa  si  distendono  le  pere  e  mele  avvolte 
con  carta  di  seta  in  modo  da  lasciare  fra  frutto  e  frutto  uno  spazio 
sufficente  che  vi  possa  penetrare  la  sabbia.  Completato  uno  strato,  lo 
si  copre  con  la  sabbia  per  1  cm.,  sovrappondovi  altri  6  ad  8  strati  di 
frutta.  Nella  sabbia  si  conservano  per  un  tempo  lunghissimo,  ed  è  ap- 
plicato soltanto  alle  pere  e  mele. 

Col  gesso  cotto  o  colla  calce  spenta  finamente  polverizzati  gli  Ame- 
ricani spediscono  dall'America,  in  casse,  moltissima  frutta  ben  conservata. 
Questi  due  materiali  hanno  però  l'inconveniente  in  confronto  della 
sabbia,  di  avvizzire  maggiormente  le  frutta  e  non  sono  cosigliabili 
specialmente  per  l'uva  e  le  pesche. 

La  polvere  di  carbone  di  legna,  purché  finamente  polverizzata  e 
perfettamente  asciutta,  è  un  eccellente  materiale  di  conservazione. 
Essendo  cattivo  conduttore  del  calorico  permette  di  conservare  tanto 
d'estate  che  d'inverno  i  frutti  già  maturi  senza  che  si  alterino.  Difatti, 
la  polvere  di  carbone  è  anche  antisettica  ed  antiputrida.  Per  ottenere 
però  lo  scopo,  bisogna  che  la  frutta  non  si  tocchi  una  coll'altra. 

Anche  la  polvere  di  torba  è  utilissima,  però  durante  la  state  bisogna 
dilavarla  abbondantemente  coli'  acqua  per  depurarla  e  poi  essiccarla 
completamente. 

La  cenere  sola  ben  stacciata  ed  asciutta,  o  mista  con  della  segatura 
di  legno,  sono  anche  materiali  utilizzabili  ma  si  adoperano  più  per  la 
spedizione.  Così  in  Spagna  si  adoperano  i  residui  della  lavorazione  del 
sughero  e  con  questi,  in  barrili,  si  spedisce  l'uva  da  tavola. 

Nell'America  del  Nord  si  stratificano  le  frutta  anche  fra  i  cascami 
della  tessitura  di  cotone,  materiale  però  che  si  può  adoperare  per  locali 
non  esposti  al  gelo  e  comprimendo  questi  cascami  contro  le  frutta, 
perchè  stiano  aderenti. 

La  conservazione  fra  il  grano  è  usato  da  noi  nella  provincia  di 
Imola;  al  Nord  d'Europa  si  collocano  le  frutta  sotto  V avena,  l'orzo,  il 
nìiglio,  cosi  pure  la  pula  di  frumento  e  di  grano  saraceno,  quantunque 
la  pula  viene  più  adoperata,  per  imballaggio. 

2.  —  Materie  isolanti.  Queste  servono  per  l'imballaggio,  quantunque 
si  possa  conservare  anche  le  frutta,  mai  però  tanto  perfettamente  che 
colle  materie  polverulenti.  Queste  materie  hanno  lo  scopo  di  riparare  le 
frutte  dall'  aria,  dalla  luce,  dalla  soverchia  umidità,  cosi  pure  dai  funghi 
ed  altri  parassiti.  Quando  poi,  per  sovrabbondanza  di  prodotto,  non  si 
può  tenere  le  frutta  nel  fruttaio  separate  e  distese,  si  sogliono  sovrap- 
porle  a  strati,  frammettendo  delle  materie  isolanti. 

Di  queste  materie,  la  più  importante  è  la  carta  di  seta  bianca  o 
colorata,  per  fare  risaltare  meglio  i  frutti.  Colla  carta  le  frutte  manten- 
gono la  fragranza,  il  marciume  non  si  propaga,  però  appena  che  le 
frutta  sono  liberate  dall'involucro  maturano  subito  completamente. 

E'  noto,  che  una  gran  parte  degli  agrumi  vengono  avvolti  da  carta 
per  imballaggio  così  pure  le  pesche,  le  pere,  le  mele  più  delicate. 

Altri  materiali  che  si  possono  adoperare  al  medesimo  scopo  sono  : 


—  3()9  - 

lo  sfagno,  la  borracina,  le  felci,  la  paglia,  l'ooalla  per  le  frulla  da  lusso, 
avendo  cura  che  siano  bene  asciutti.  Con  la  boraccina  si  ollengono 
buoni  risultati  stratificandola  sulle  Irutla  in  tante  cassette,  che  poi 
vengono  sotterrate. 

3.  —  Mezzi  gasosi.  Questi  hanno  più  che  altro  lo  scopo  di  mantenere 
l'ambiente  di  conservazione  disinfettato,  in  modo  che  alcun  -^erme 
dannoso  possa  svilupparsi. 

Il  più  comunemente  adoperato  è  il  fumo  di  zolfo,  (anidride  solfo- 
rosa) ed  i  vapori  di  alcool.  Si  abbruciano  gr.  5  di  zolfo  per  m^  L'alcool 
è  molto  da  raccomandarsi  specialmente  quando  si  conservano  le  fruita 
in  ambienti  ristretti  come  sarebbero  i  cassettoni,  gli  armadi  di  muro. 
In  ognuno  di  questi  si  colloca  un  bicchiere  ripieno  di  alcool  e  si  lascia 
che  l'evaporazione  avvenga  da  sé. 

4.  —  Altri  mezzi  di  conservazione.  Fra  questi  posso  accennare  alle 
materie  coibenti,  fra  i  quali  venne  proposta  la  cera  e  la  paraffina.  Le 
frutta  coinvolte  di  queste  sostanze  si  conservano  a  lungo,  però  prendono 
un  sapore  disgustoso  e  quindi  si  adoperano  soltanto  nel  caso,  che  si 
vogliono  conservare  a  scopo  di  studio. 

Cosi  si  possono  conservare  le  pere  e  mele  precoci,  per  li  e  4  set- 
timane ;  le  ciliegie  per  una  settimana,  immergendo  i  frutti  e  poi  lascian- 
doli appesi  fino  che  si  asciugano  in  una  soluzione  di  gomma  arabica 
al  50  7o. 

Il  suggellamento  dell'  estremità  del  peduncolo  con  cera-lacca  può 
anche  giovare,  però  è  applicabile  soltanto  per  quantità  limitata  di  frutta. 

Molti  ritennero,  che  lasciando  il  peduncolo  del  frutto  intatto,  si 
aveva  una  conservazione  più  lunga.  Io  avrei  osservato  piuttosto  l'op- 
posto, credo  però  sia  indilferente  sull'esito  della  conservazione  che  il 
frutto  abbia  intatto  il  peduncolo  o  meno. 


XII. 
Imballaggio  e  spedizione  delle  frutta. 

Per  il  commercio  è  di  non  poca  importanza  il  modo  con  cui  ven- 
gono imballate  e  spedite  le  frutta,  poiché  da  esso  dipende  lo  stato  in 
cui  arrivano  al  luogo  di  destinazione. 

I  difetti  principali  dei  nostri  sistemi  d'imballaggio  consistono 
neir  ammassare  troppa  frutta  in  una  medesima  cesta  o  cassa,  la  quale 
poi  non  é  sufficentemente  solida  da  poter  resistere  ai  disagi  del 
viaggio.  Da  ciò  ne  consegue,  che  la  frutta  arriva  alla  sua  destinazione 
contusa  e  non  inditTerentemente  deteriorata. 

Se  noi  vogliamo  che  la  frutta  arrivi  in  modo  che  non  abbia  |)OÌ  a 
difettare  né  per  bontà,  né  per  qualità  di  conservazione,  dobbiamo  ap- 

24  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  370  - 

plicare  diversi  sistemi  d'imballaggio  a  seconda  delle  diverse  varietà  e 
e  specie  di  frutta  che  si  intendono  spedire.  Anclie  sotto  questo  punto  di 
vista  distingueremo  dunque  le  frutta  a  granella,  a  nocciolo,  a  bacca 
ed  i  frutti  secchi. 

Questi  ultimi  non  richiedono  speciali  cure  poiché  se  ben  secchi, 
si  possono  spedire  in  sacchi  o  casse.  Delle  altre  tre  specie,  le  frutta  a 
granella  resistono  meglio  alla  spedizione,  poi  vengono  quelle  a  nocciolo 
ed  a  bacca,  per  le  quali  due  ultime  bisognerà  perciò  apprestare  la 
maggior  attenzione. 

Le  fruita  in  genere  devono  essere  imballate  in  modo  che  le  qualità 
e  perciò  il  valore  non  abbiano  a  sotfrire.   L' imballaggio  poi  non  deve 


Fig.  245.   -    Casse  smontabili. 

essere  privo  di  una  certa  eleganza,  per  attrarre  l'attenzione  del  pubblico 
sui  mercati  o  di  chi  la  riceve,  come  pure  per  far  figurare  meglio  anche 
le  stesse  frutta. 

1.  —  Casse  di  legno.  Di  tutti  i  recipienti  che  si  possono  adottare 
per  spedire  la  frutta,  la  cassa  di  legno  è  ancora  la  migliore,  purché 
questa  cassa  non  emani  odore  e  non  sia  fatta  con  legno  resinoide.  Per 
le  frutta  a  granella  le  casse  hanno  una  capacità  tale  da  poter  collo- 
carvi da  24  a  30  kg.  di  merce.  Riguardo  alle  dimensioni  diremo  essere 
meglio  che  siano  più  larghe  e  lunghe  che  non  alte,  per  non  collocare 
più  strati  di  frutta  uno  sopra  l'altro. 

Le  casse  a  gabbia,  che  possono  contenere  da  kg.  3  a  5  di  frutta 
(fig.  245)  smontabile,  sono  molto  adottate  oggi  per  la  spedizione  di 
frutta  di  qualità  corrente  e  di  immediato  consumo  come  ciliegie,  uva, 
mele,  pere.  Per  le  uve  scelte  e  per  le  spedizioni  fuori  stagione  si  adope- 
rano delle  cassette  di  dimensioni  più  limitate  (lìg.  246). 

2.  —  Cesti.  Dopo  le  casse  vengono  per  importanza  i  cesti,  che  devono 
essere  preferibilmente  di  forma  quadrata  (panieri  fìg.  249)  anziché 
rotonda  ffìg.  247)  come  si  sogliono  fare,    perché  presentano   una  mag- 


371   - 


L-^^jifflfiJ^ff' 


iimT>r>(i!mni|nt( 


zionr^iù^accùriir^"''  '^^  ^'^°°  '"''*''  ''''^"  speditori  italiani  per  spedi- 


Fig.  248.  —  Panieri  rettangolari. 


372 


giore  solidità  e  si  utilizza  meglio  lo  spazio  dei  vagoni  o  dei  carri,  sui  quali 
si  spediscono.  Per  i  frutti  a  nocciolo  ed  a  bacca,  simili  cesti  non  dovreb- 
bero avere  un'altezza  superiore  a  20  cm;  per  quelli  a  granella  possono 
essere  anche  di  40  cm. 

3.  —  Cesti  e  panieri.  Dopo  le  casse  per  importanza  seguono  i  cesti  e 
panieri  che  hanno  la  forma  quadrata,  rettangolare  e  rotonda  e  sono  in 
vimini  o  liste  di  castagno. 

I  panieri  rettangolari  (fig.  248)  sono  a  coperchio  piatto  e  della  capa- 
cità di  8,  15,  18,  25  kg.  Quelli  da  8  kg.  hanno  le  seguenti  dimensioni 
interne:  lungh.  cm.  32;  largh.  cm.  20;  alt.  cm.  15.  Essi  contengono 
kg.  4.500  di  albicocche  ;  kg.  5.500  di  ciliegie,  ed  uva. 

I  panieri  da  12  kg.  (cm.  39x25x20)  contengo  kg.  7  di  pesche  e  albi- 
cocche; kg.  8.500  di  ciliegie,  prugne,  uva,  mandorle;  kg.  8  di  pere  o 
mele. 

I  panieri  da  18  kg.  fcm.  44x28x22)  contengono  kg.  11.500  di  pesche 

od  albicocche;  kg.  13.500  di  ciliegie, 
prugne,  uva,  mandorle;  kg.  12.500 
di  pere  o  mele. 

I  panieri  di  25  kg.  si  fanno  di 
varie  dimensioni  e  contengono  kg. 
17  di  pere  o  mele;  kg.  19  di  prugne 
o  mandorle. 

I  cesti  quadrati  (fig.  249)  fatti  di 
vimini  si  adoperano  per  spedire  le 
frutta  delicate  e  si  fanno  di  due  di- 
mensioni. 1  piccoli  (cm.  28x21x9) 
contengono  kg.  2  di  pesche  od  albi- 
cocche; kg.  2.500  di  ciliegie  od  uva; 
gli  altri  contengono  (cm.  30x23x11) 
kg.  3.800  di  ciliegie  od  uva  ;  kg.  2.080 
di  pesche  o  albicocche.  Il  coperchio 
di  questi  cesti  è  curvo. 

In  Italia  di  questi  cesti  quadrati 
se  ne  fanno  con  liste  di  legno  di  castagno  e  senza  coperchio,  ma  della 
capacità  di  15  a  20  kg.  di  frutta.  La  copertura  si  fa  con  della  tela  che 
si  cuce  di  volta  in  volta.  Si  spediscono  specialmente  le  pere  e  mele. 

4.  —  //  materiale  d' imballaggio,  come  abbiamo  già  fatto  rilevare, 
questo  deve  essere  aggradevole  all'occhio  e  tale  da  impedire  qualsiasi 
contusione.  A  quest'ultimo  scopo  devesi  adoperare  della  carta  perfet- 
tamente inodora,  senza  colla,  non  umida  e  sufficientemente  elastica.  La 
carta  stampata  non  conviene.  Altri  buoni  materiali  d'impacco  oltre  la 
carta  sono  :  il  musco  ben  secco,  alghe  marine  pure  bene  asciutte,  pol- 
vere di  sughero,  paglia  d'avena  trinciata,  pula  di  riso,  segature  e 
trucioli  di  legno  non  resinoide,  ritagli  di  carta,  e  l'ovatta  per  paesi 
freddi. 

5.  —  Imballaggio.  Le  pere  o  mele  con  polpa  e  buccia  resistenti  s'im- 


Fig.  249.  —  Cesti  quadrati. 


—  373  - 

ballano  in  cesti  o  casse,  stendendo  prima  sul  fondo  uno  strato  di  paglia 
od  altro  materiale  soffice,  e  quindi  si  dispone  uno  strato  regolare 
di  frutta  col  picciolo  orizzontale.  Sopra  queste  si  pongono  altre  fruita, 
avendo  soltanto  cura  che  rimanga  vuoto  il  minor  s|)azio  possibile 
e,  quando  si  arriva  colle  frutta  a  15  cm.  sotto  al  coperchio,  si  fa 
un  nuovo  strato  regolare,  e  sopra  a  questo  del  nuovo  materiale  sof- 
fice che  viene  poi  in  contatto  col  coperchio.  ì\  naturale  che  anche  vi- 
cino alle  pareti  si  deve  mettere  del  materiale  per  riparare  le  frutta  dalle 
contusioni.  Per  chi  volesse  raggiungere  meglio  l'intento  di  far  comparire 
le  frutta  ben  imballate,  riempia  la  cassa  dal  fondo,  inchiodando  per 
primo  il  coperchio. 

Per  le  pere  o  mele  a  buccia  sottile  ed  a  polpa  deliquescente  è  meglio 
avvolgere  ciascun  frutto  con  della  carta  di  seta  e  frapporre  fra  frutto 
e  frutto  dei  ritagli  di  carta  od   altro. 

Assai  più  diffìcile  è  l'imballaggio  e  la  spedizione  delle  fruita  a 
nocciolo.  Come  abbiamo  già  fatto  rilevare  prima,  queste  bisogna  spe- 
dirle in  casse  basse,  cosi  che  non  ci  possano  stare  più  di  due  od  al 
massimo  tre  strati,  e  ciascun  frutto  si  suole  avvolgerlo  con  una  doppia 
carta,  frammettendovi  dei  ritagli  di  carta  od  altro.  Le  pesche  non  si 
dovrebbero  spedire  in  quantità  maggiore  di  5  a  10  kg.  per  cassetta. 

Per  le  pesche  sopraffine  si  suole  fare  nel  seguente  modo.  Si  pren- 
dono le  cassette  che  non  possono  contenere  più  di  uno  strato  di  12 
frutti.  Il  coperchio  non  si  tocca  ;  invece  si  leva  il  fondo,  e  contro  al 
coperchio  si  distende  dell'ovatta.  Sopra  questa  poi  si  distende  un  foglio 
di  carta  bianca,  senza  colla  e  con  altri  fogli  si  coprono  le  pareli.  Le 
pesche  si  avvolgono  per  metà  con  carta  di  seta  in  guisa,  che  aprendo 
la  cassetta,  possano  far  sfoggio  dei  loro  leggiadri  colori,  (juindi  si  riem- 
piono i  vacui  con  ritagli  di  carta  e  si  chiude  il  fondo. 

L'uva  da  vino,  viene  imballata  entro  ceste  robuste  di  vimini,  lunghe 
m.  0.72,  alte  m.  0.20,  larghe  m.  0.50  e  capaci  di  ben  kg.  50  d'  uva.  Per 
il  commercio  di  uve  di  immediato  consumo  convengono  le  ceste  della 
capacità  di  20  kg.  Bisognerebbe  preparare  delle  ceste  di  forma  paral- 
lelepipeda,  con  tutte  e  due  i  fondi  fatti  a  coperchio.  Volendo  fare 
l'imballaggio,  si  chiude  uno  di  questi  coperchi  e  lo  si  fa  funzionare  da 
fondo.  —  Si  distende  sopra  uno  strato  di  paglia,  che  si  copre  con  un 
loglio  di  carta  bianca,  bleu  o  rossa  secondo  che  l'uva  è  bianca  o  rossa, 
per  farla  risaltare.  -  Sulle  pareti  si  distendono  pure  dei  fogli  di  carta 
della  medesima  dimensione,  cosi  pure  ogni  strato  di  grappoli  viene 
separato  dall'altro  con  fogli  di  carta. 

Gli  strati  di  grappoli  si  devono  fare  in  modo  da  lasciare  meno 
spazi  possibili,  che  si  riempiono  di  grappolini  più  piccoli.  Nel  collo- 
carli si  abbia  poi  l'avvertenza  che  il  peduncolo  guardi  sempre  in  alto, 
cosi  che,  contro  la  carta,  non  appoggino  che  gli  acini. 

Riempila  la  cesta,  si  distende  un  altro  foglio  di  caria  e  sopra  questo 
della  paglia  e  quindi  si  chiude.  Portando  l'uva  sul  mercato,  la  cesta  si 
apre  dalla  parte  opposta  a  quella  da  cui  è  slata  riempila;  allora  gli 
acini  si  presentano  serrati. 


-  374  - 

Per  l'esportazione,  durante  l'estate  ed  autunno,  l'imballaggio  dell'uva 
da  mensa  si  fa  ora  esclusivamente  con  gabbiette  e,  quando  cominciano 
i  freddi,  con  cassette  di  faggio.  Una  cassetta  della  capacità  di  kg.  2.50 
ha  le  seguenti  dimensioni  interne:  cm.  35x15x12.  Queste  cassette 
(fig.  246)  si  riuniscono  poi  per  12  o  24  in  casse  più  grandi,  per  facilitare 
il  collocamento  nei  vagoni. 

Ed  ecco  ora  come  si  fa  l'imballaggio  in  queste  cassette.  Si  inchioda 
il  coperchio  e  si  capovolge  la  cassetta  in  modo  da  caricarla  dalla  parte 
del  fondo,  il  quale  naturalmente  si  inchioda.  Si  fa  cosi  perchè  quando 
si  aprono  le  cassette  appaiono  alla  superficie  soltanto  gli  acini  riuniti. 

Si  comincia  col  collocare  in  fondo  un  leggerissimo  strato  di  trucioli 
di  carta  e  poi  si  rivestono  il  fondo  e  le  pareti  con  carta  bianca  a  bordi 
seghettati,  se  l'uva  è  rossa  o  nera  ;  con  carta  rosa  o  hleu,  se  1'  uva  è 
bianca.  Si  collocano  quindi  i  grappoli  uno  vicino  all'altro  e  naturalmente 
per  un  strato  solo,  avendo  cura  di  appoggiarli  leggermente  inclinati, 
in  modo  che  il  peduncolo  si  trovi  al  di  sopra.  1  vani  fra  grappolo  e 
grappolo  si  riempiono  coi  piccoli  grappoli.  Il  riempimento  si  fa  in  modo 
che  l'uva  sorpassi  l'orlo  della  cassetta  appena  di  1  cm.,  perchè  sop- 
portino una  leggera  pressione  di  chiusura. 

Poi  si  pone  da  parte  la  cassetta  o  la  si  sovrappone  ad  un'altra  già 
riempita,  e  così  di  seguito  si  ammonticchiano  le  cassette  una  sopra 
l'altra  per  sottoporre  a  pressione  le  uve.  Dopo  qualche  oi-a  si  ripren- 
dono queste  cassette,  se  qualche  acino  alla  superficie  si  è  contuso  lo 
si  leva,  quindi  si  prende  un  foglietto  di  carta,  si  copre  con  qualche 
ritaglio,  e  si  inchioda  il  fondo.  Anche  per  questa  ultima  operazione 
bisogna  procedere  con  una  certa  cautela  e  cioè  si  inchioda  prima  il 
fondo  da  un  lato,  e  poi  leggermente  comprimendo,  si  arriva  all'alti'o  lato. 

Avendo  da  spedire  in  tempo  di  gelo,  si  ripara  l'uva  con  due  fogli 
di  ovatta,  che  si  collocano  uno  sul  fondo   e  l'altro   sotto  il  coperchio. 

La  cassetta  deve  portare  sul  lato  del  coperchio  le  istruzioni  per 
aprire,  la  marca  dello  speditore,  la  qualità  dell'uva  ed  il  suo  peso  netto. 


XIII. 
Conservazione  delle  frutta  nell'alcool  e  nell'aceto. 

La  conservazione  nell'  alcool  o  nell'  aceto  si  basa  sulla  proprietà 
di  questi  due  corpi  di  incorporarsi  facilmente  l' acqua  ed  inoltre  di 
essere  antisettici  in  modo  che,  né  muffe  uè  altri  organismi  parassiti, 
si  possono  sviluppare  sulle  frutta.  L'inconveniente  principale  di  questi 
due  metodi  di  conservazione  consiste  in  ciò,  che  le  frutta  dopo  un  po' 
di  tempo,  per  effetto  di  endosmosi,  s'imbevono  del  liquido  in  cui 
sono  immerse,  alterandosi  il  gusto,  la  composizione  chimica  ed  anche 
l'aroma. 


-  370  - 

Per  recipienti  di  conservazione  si  sogliono  adoperare  dei  vasi  di 
vetro,  piuttosto  piccoli  o  meglio  di  una  capacità  tale,  che  il  rispettivo 
contenuto  possa  venir  consumalo  in  una  famiglia  nello  stesso  giorno 
o  poco  più.  La  forma,  deve  essere  delle  più  semplici  per  poter  ottenere, 
nel  sciacquarci,  la  maggior  pulizia  nel  più  breve  tempo. 

La  chiusura  dei  vasi,  che  deve  essere  ermetica,  e  anche  di  non 
poca  importanza. 

Come  è  noto,  per  uso  casalingo  si  sogliono  adoperare  delle  vesciche 
di  maiale  o  bue,  ben  digrassate  con  ripetuti  lavacri  e  frizioni  di  sale, 
oppure  si  adopera  della  carta  pergamena.  Sia  per  (|ucsta  che  per  le 
vesciche,  si  rammolliscono  prima  nell'acqua  tiepida  e  poi  si  stendono 
sulla  bocca  del  vaso  i)er  poi  legarle  con  uno  spago.  Più  sem|)lice  è  la 
chiusura  con  turaccioli,  suggellati  poi  con  della  cera  lacca  o  con  della 
parafina. 

In  questi  ultimi  tempi  si  trovano  in  commercio  dei  vasi  di  vetro 
appositi  per  conserve.  Essi  hanno  il  collo  a  vile  ed  il  coperchio  è  fatto 
a  guisa  di  capsula  di  zinco,  pure  a  vite.  Siccome  lo  zinco  del  com- 
mercio contiene  anche  del  piombo,  il  quale  in  conlatto  con  le  conserve 
produrrebbe  dei  composti  nocivi  alla  salute,  gli  inglesi  inverniciano 
interamente  questi  coperchi  col  silicato  di  soda,  di  potassa  o  calce. 

La  frutta  destinata  per  le  conserve  deve  essere  di  prima  qualità, 
di  maturazione  non  troppo  inoltrata,  sana,  priva  di  contusioni  o  macchie 
e  di  polpa  consistente. 

Nell'alcool  si  sogliono  conservare  le  frulla  a  nocciolo,  le  pere,  le  pe- 
sche, l'uva  ad  acini  grossi  di  preferenza  moscata,  (come  è  il  Moscalel- 
lone)  i  cedri,  i  limoni,  i  bergamotti,  gli  aranci;  nell'aceto  sollanto  le 
ciliegie  e  le  prugne. 

1.  —  Per  conservare  le  frutta  nell'alcool,  quelle  a  buccia  iiscia(ciliegie, 
susine,  pere,  ecc.),  si  puliscono  con  un  pannolino  e  quelle  con  buccia 
tomentosa  (pesche,  albicocche)  con  una  spazzola  e  si  lascia  ad  ogni 
frutto  un  mozzicone  di  peduncolo. 

Per  impedire  che  la  buccia  screpoli  nell'alcool,  si  jìunzecchiano 
le  frutta  con  uno  stecco  di  legno  e  poi  si  immergono  per  un  giorno 
in  una  soluzione  zuccherina  avente  da  óO-Wo  di  concentrazione.  Pas- 
sato questo  primo  giorno  si  levano  le  frutta,  si  fa  la  depurazione  della 
soluzione  e,  quando  è  ancora  tiepida,  si  riversa  sulle  frutta. 

Questa  operazione  di  depurazione  si  ripete  per  tre  volle,  e  quindi 
l'ultima  volta,  colle  frulla  dentro,  si  porla  quasi  all'ebollizione.  Dopo 
raffreddate  le  frutte,  si  lasciano  colare  e  si  immergano  nell'alcool  a 
55°   avendo  cura,  come  naturale,  di  chiudere  poi  i  vasi  ermeticamente. 

I  vasi  si  conservano  al  buio  in  locali  piuttosto  freddi. 

Pere  Si  fa  limbianchiniento  iniinergendole  neUacpua  bollente  per  3-4  minuti. 
EstraUe,  sì  geUano  nellacqa  fredda,  si  sbucciano,  si  punzecchiano  e  si  metlono  neiralcool 
aromatizzato  con  scorza  di  limone.  (Rovesti). 

2.  -  Nell'ace/o  si  conservano  le  ciliegie  e  le  susine  (.Zwetsche)  che 
servono  poi  di  contorno  alla  carne  come  i  soltoaceti. 


—  376  — 

Per  ogni  kg.  di  ciliegie  acide  si  adoperano  3-4  chiodi  di  garofani, 
10  gr.  di  dragoncello,  50  gr.  di  zucchero,  ed  1  litro  di  buono  aceto  forte 

Lo  zucchero  si  fa  bollire  coU'aceto.  Intanto  si  collocano  le  ciliegie 
colle  erbe  aromatiche  in  un  vaso  e  poi  vi  si  versa  l'aceto  freddo.  Si 
chiude  il  vaso  ermeticamente  e  dopo  20  giorni  si  possono  conservare. 

Le  susine  si  preparano  facendo  bollire  per  4  minuti  e  per  ogni  kg. 
di  frutta  '/g  litro  di  aceto,  450  gr.  di  zucchero,  2  gr.  di  chiodi  di  garo- 
fano 3  gr.  di  cannella. 

Le  prugne  si  punzecchiano  con  uno  stecco  fino  al  nocciolo  e  poi 
si  versano  nell'  aceto  bollente,  zuccherata  e  aromatizzato.  Le  prugne 
(mirabelle  o  regine  clandie),  si  spaccano  si  ritirano  dal  fuoco  vivo  e 
si  lasciano  raffi'eddare.  Si  mettono  poi  i  frutti  nei  vasi  ed  il  succo  dopo 
averlo  un  poco  concentrato,  si  versa  sopra,  riempiendo  poi  il  vaso  con 
aceto  e  otturandolo  perfettamente.  Dopo  8  giorni,  si  leva  l'aceto,  lo  si 
fa  ancora  bollire  per  rimetterlo  nei  vasi  che  si  colmano  con  nuovo 
aceto.  Fatto  questo,  si  chiude  definitivamente  di  nuovo. 

Per  impedire  la  putrefazione  alle  conserve  d'  aceto,  sarebbe  bene 
aggiungere  qualche  goccia  di  acido  formico.  Rendo  attente  le  nostre 
massaie,  che  se  vogliono  impedire  le  muffe  dei  cetriuoli  o  peperoni 
conservati  nell'aceto,  facciano  uso  di  questo  acido.  Se  il  miele  non  va 
in  putrefazione  lo  si  deve  alla  presenza  dell'  acido  formico. 


XIV. 
Conservazione  collo  zucchero. 

(Confetture) 

1.  —  Le  confetture  o  conserve  di  frutta  collo  zucchero  si  ottengono 
colla  cottura  di  un  miscuglio  di  frutta  e  zucchero,  portato  ad  un  tale 
grado  di  concentrazione  che  la  massa  non  possa  più  fermentare.  Le 
confetture  si  distinguono  in  : 

a)  confetture  propriamente  dette,  nelle  quali  i  frutti   sono   interi 
o  smezzati,  cotti  in  un  siroppo  di  zucchero  ; 

b)  marmellate  e  composte,  per  le  quali  la  polpa  dei  frutti  viene 
completamente  disgregata  e  cotta  con  una  forte  porzione  di  zucchero; 

e)  i  siroppi  e  gelatine  costituiti   di   siroppo    di  zucchero  e  succo 
di  frutta. 

2.  —  Gli  utensili  per  cuocere  preferibili  sono  quelli  in  rame  non 
stagnato,  a  una  condizione  che  la  pasta  appena  levata  dal  fuoco  non 
si  lasci  dentro  a  raffreddare.  Non  si  devono  adoperare  pentole  stagnate 
poiché  lo  stagno  altera  il  colore  ed  il  sapore  dei  frutti  rossi. 

Cosi  sono  da  preferire  le  marmitte  in  terra  cotta  purché  siano 
nuove,  poiché  coll'uso  diventano  assorbenti   e  non   si   possono  pulire 


perfettamente.  Le  pentole  smaltate  sono    utilizzabili    linché    lo    smallo 
rimane  intatto. 

E'  necessario  anche  avere  uno  staccio  in  crine  e  per  lillrare,  si 
adoperino  degli  imbuti  di  vetro  e  della  carta  speciale  da  iillro. 

Le  schiumarole,  i  cucchiai,  ecc.,  devono  essere  di  legno,  di  osso 
o  di  porcellana. 

Per  le  gelatine  e  siro|)pi  si  possono  adoperare  per  la  conservazione 
dei  vasi  di  veti'o  ordinari,  o  delle  bottiglie  chiuse  con  carta  [)er^(aine- 
nata  e  turacciolo  di  sughero  paraflnato. 

Le  confetture  al  siroppo,  le  marmellate  e  composte  o  paste,  si  con- 
servano nella  grande  industria,  in  scatole  di  metallo  che  hanno  il 
vantaggio  di  costare  poco  e  di  essere  molto  solide.  Migliori  ancora  sono 
i  vasi  in  porcellana  con  chiusura  ermetica. 

I  recipienti  di  vetro  però  sono  i  preferibili  e  specialmente  per  uso 
casalingo.  I  vasi  di  vetro  hanno  è  vero  lincon veniente 
della  fragibilità  ma  hanno  però  il  merito  di  potersi 
pulire  perfettamente,  di  potersi  adoparare  più  volte,  di 
poterli  verificare  costantemente  e  di  presentarsi  con 
molta  proprietà. 

I  vasi  di  vetro  più  pratici,  sono  ciucili  posti  in 
vendita  dalla  Ditta  F.  Weck  di  Ofilingen,  cilindrici, 
con  apertura  larga,  a  bordo  piatto  e  liscio  (lìg.  250) 
sul  quale  si  mette  un  anello  di  gomma  e  sopra  questo 
si  posa  alla  sua  volta  un  coperchio  di  metallo  col- 
r  orlo  piatto  e  liscio. 

I^o  stesso  Weck  ha  costruito  uno  slerilizzalore  dei 
vasi  ottimo  per  i  bisogni  della  famiglia  e  che  io  mi 
servo  da  oltre  20  anni.  '^ 

Esso  consiste  in  un  pentolone  cilindrico  di  ferro  "^ 

zincato   (flg.   251)    munito  di   coperchio    e   porla     un     Fi|.  25a^  ^  J^o 

termometro,  il  cui  bulbo  arriva  a  metà  altezza  della       piatto  per  conser- 
vare la  frutta, 
pentola. 

I  vasi  da  sterilizzare,  che  sono  di  diversa  gran  czza,  si  devono 
riempire  per  due  centimetri  al  disotto  del  coperchio  e  si  collocano  sopra 
un  sostegno  (fig.  252)  a  base  circolare  fa;  t:on  una  colonna  centrale  (ò/ 
lungo  la  quale  si  uniscono  delle  molle  (d)  oppure  i  supporti  dei  vasi  (g). 
Le  molle  si  fanno  scorrere  in  giù  lino  a  toccare  il  coperchio  del  vaso, 
esercitando  su  questo  una  certa  pressione  per  tenere  fermo  il  coperchio. 
I  supporti  scorrevoli  hanno  lo  scopo  di  poter  piazzare  nell'apparecchio 
più  vasi  uno  sull'altro. 

Al  momento  di  usare  la  pentola,  bisogna  versare  tanf  acqua  che 
basti  a  coprire  i  vasi  di  vetro  immersivi.  La  temperatura  del  bagno 
deve  essere  eguale  a  quella  che  ha  il  contenuto  dei  vasi.  Posto  l'ap- 
parecchio al  fuoco  si  riscalda  l'acqua  tino  a  portarla  alla  temperatura 
prescritta  e  per  il  tempo  pure  indicato  e  di  cui  vedremo  più  avanti. 

Compiuta  la  sterilizzazione,  si  leva  la  colonna  sostegno  coi  vasi, 
prendendola  per  il  manico  e  si  lascia  raffreddare  a  se. 


—  378  — 

Durante  la  sterilizzazione  è  avvenuto,  che  l'aria  rinchiusa  nel  vaso 
per  dilatazione  solleva  leggermente  il  coperchio  che  è  tenuto  fermo 
soltanto  dalla  molla  e  ne  esce.  Ma  quando  si  raffredda,  il  coperchio 
spinto  dalla  molla  ricade  a  guisa  di  valvola  suU'  anello  di  gomma  e 
non  permette  che  l'aria  rientri. 

Compiuto  il  raffreddamento,  la  pressione  stessa  dell'aria  esterna, 
tiene  chiuso  il  vaso. 

Per  aprire  il  vaso,  quando  si  vuole  consumare  il  contenuto,  non 
si  ha  che  da  tirare  l'anello  di  gomma  dalla  parte  che  ha  una  specie 
di  orecchio.  In  tal  modo  si  dà  accesso  all'aria  ed  il  vaso  si  apre. 

Con  questa  pentola  si  possono  sterilizzare  le  confetture  al  siroppo, 
le  marmellate  e  quanto  si  desidera.  E'  questo  uno  degli  apparecchi  più 
pratici  che  io  conosca  per  uso  di  famiglia. 

3.  —  Conservazione  al  siroppo  di  zucchero.  La  frutta  destinata  per  le 
conserve  nel  siroppo,  deve  essere  sempre  di  maturazione  non  troppo 
inoltrata,  sana,  priva  di  contusioni  e  di  polpa  consistente. 


Fig.  251.  —  Pentola  di  ferro  zincato   per 
sterilizzare. 


Fig.  252.  —  Sostegno  per  tenere  nella  pen- 
tola sterilizzatrice  i  vasi  di  conserva. 


Si  prestano  mollo  bene  le  mele  piccole  e  mediane.  Queste  si  sbuc- 
ciano e  si  tagliano  per  levare  i  semi.  Delle  pere  si  scelgono  anche  le 
mediane  o  piccole  e  si  preferiscono  quelle  aromatiche  e  dolci.  Anche 
queste  bisogna  sbucciarle.  Le  pere  e  mele  cotogne,  si  prestano  in  par- 
ticolar  modo.  Dei  frutti  a  nocciolo  si  conservano  le  albicocche  e  pe- 
sche spiccagnole.  Si  raccolgono  10  o  12  giorni  prima  della  completa 
maturazione,  sì  immergono  nell'acqua  bollente  per  levarne  la  buccia  e 
poi  si  dividono  per  metà,  onde  levare  il  nocciolo.  Anche  le  prugne  si 
preparano  in  tal  modo,  soltanto  a  queste  non  si  leva  il  nocciolo.  I 
lamponi  a  frutto  rosso,  l'uva  spina  verde  e  della  varietà  pelosa,  il  ribes 
a  bacche  grosse  e  rosse,  si  possono  anche  conservare  senza  una  spe- 
ciale preparazione,  tranne  il  ribes  che  bisogna  sgranare. 

Sbucciate  e  preparate  nel  modo  anzidetto  le  frutta,  e  non  avendo 
pronto  il  siroppo,  per  non  lasciarle  esposte  all'aria  che  farebbe  pren- 


—  379  - 

der  loro  un  colorilo  bruno,  si  immergono  prontamente  nell'acqua  fredda. 
Qualora  avessero  a  stare  più  di  un  giorno  nell'acqua,  allora  conviene 
leggermente  riscaldarla  ed  aggiungere  una  piccola  dose  di  acido  citrico. 
Questa  operazione  dai  tecnici  viene  detta  iinhianchimento. 

Veniamo  ora  alla  preparazione  del  siroppo  di  zucchero. 

Lo  zucchero  da  adoperarsi  deve  essere  raldnato  e  la  concentrazione 
della  soluzione  in  ragione  di  1  kg.  di  zucchero  in  1  litro  d'acqua  pos- 
sibilmente pura.  (1)  Di  solito  si  adopera  acqua  di  pioggia  filtrala.  Anche 
adoperando  dello  zucchero  più  puro  del  commercio,  bisogna  sempre 
sottoporre  il  siroppo  ad  un  processo  di  depurazione.  A  tale  scopo  la 
soluzione  anzidetta  si  porta  sul  fuoco  e,  di  mano  in  mano  che  si  forma 
la  schiuma,  questa  si  leva.  Nel  caso  che  si  avesse  uno  zucchero  non 
tanto  fino,  si  aggiungano  anche  delle  chiare  d'uovo,  le  quali  servono, 
bene  sbattute,  a  chiarificare  e  depurare  la  soluzione.  Bisogna  continuare 
a  schiumare  ed  aggiungere  dell'acqua  con  relativa  porzione  di  zucchero 
fino  a  quando  non  viene  più  a  galla  alcuna  sostanza  etereogenea. 

Preparato  in  tal  modo  il  siroppo,  non  si  ha  che  da  riem|)ire  i  vasi 
colle  frutta,  colmarli  col  siroppo  e  quindi  chiuderli  ernìeticamente. 
Una  volta  chiusi,  si  avvolgono  con  delia  paglia  e  si  immergono  fino  al 
collo  nell'acqua  bollente  a  105"  C.  Il  ribes  ed  il  lampone  si  lasciano 
immersi  per  15  minuti;  le  pesche,  pere,  mele,  uva  s|)ina  per  '20  minuti 
e  le  cotogne  per  30  minuti.  I  vasi  si  lasciano  raffreddare  nella  stessa 
caldaia. 

CoU'apparecchio  Weck,  si  seguono  le  norme  indicale  nella  se- 
guente tabella. 

Tabella  XXXVII.    Norme  per  sterilizzare  le  frutta  al  siroppo 
eoli' apparecchio  Weck. 


Densità  Tem-  '      Durata 

del  siroppo  paratura           della 

Nome             in  ]   jitro  di  sterilizza- 

d' acqua  sterilizza-         zione 


O.SSKKV.VZIONI 


dei  fruiti       j    zucchero   i       zione 

I 


j         gr.         :         e,"  Mi 


Albicocche   .  .             MO                 9t'  ^"             V<:y  '«^H»  bpez«ite 

2.'>  .         ,       intere 

Ciliegie  dolci.            300                  .  -'o 

acide             7.-,(i                   ,  -'<'             volendo  indolcirle 

Lampone.  .  .  .  |          500                 7.')  '•• 

Mele I          750        I          90  ^ 

Pere I          600                KH)  -'-SO 

Pesche I          300        I          80  :20 

Ribes I          750                 »>  ■■^" 

Rovo j          500                  ".')  •■' 

Susine 750        '          80  20 

Uva  spina ...  I          750        1          00  'iO 

(D  A7operando  1  apparecchio  speciale  Weck  di  conservazione,  basta  una  soluzione 
di  gr.  300  al  massimo  700  di  zucchero  in  un  litro  d'acqua. 


~  380  — 

4.  —  Le  marmellate  si  preparano  facendo  cuocere  il  frutto  nel- 
l'acqua, tramenando  sempre  perchè  non  attacchi  poi  si  passa  al  set- 
taccio  per  togliere  i  semi  e  le  parti  dure.  Per  ogni  chilogramma  di 
frutta  netta  dai  noccioli,  si  prendono  700  gr.  di  zucchero  che  si  fa 
bollire  con  un  bicchiere  d'acqua.  Quando  lo  zucchero  comincia  a  filare 
si  aggiunge  la  polpa  di  frutta  e  si  fa  bollire  ancora  cinque  minuti,  poi 
si  mette  nei  vasi.  Si  adopera  per  dolci  o  si  serve  col  burro  all'ora  del  the. 

5.  _  Volendo  fare  invece  la  pasta  di  frutta,  come  specialmente  si 
usa  colle  mele  cotogne  (cotognata)  o  colle  pesche  (persicata)  bisogna 
sbucciar  prima  il  frutto,  tagliarlo  in  4  e  metterlo  in  un  recipiente  con 
acqua.  Poi  si  fanno  bollire  i  pezzi  e,  ridotti  teneri,  si  passano  allo 
staccio.  Per  ogni  chilo  di  cotogne  o  pesche  occorrono  kg.  ^|^  di  zuc- 
chero pesto  che  si  fa  bollire. 

Si  aggiunge  il  frutto  e  dopo  ^4  o  mezz'ora  di  bollitura  si  versa  la 
pasta  nello  stampo. 

6.  —  Le  composte  servono  più  per  il  dessert  e  conservano  forse 
maggiormente  l'aroma.  Si  fanno  per  lo  più  di  pesche  o  d'albicocche. 
Il  frutto  si  punge  prima  con  uno  spillo  poi  si  lascia  cuocere  per  mez- 
z'ora, ma  non  deve  diventar  troppo  tenero. 

Tolto  dal  fuoco  si  mette  il  tutto  per  24  ore  in  luogo  fresco.  Poi  i 
frutti  sgocciolati  si  mettono  in  vasi  e  si  fa  bollire  lo  zucchero  finché 
vien  denso.  Si  copre  la  frutta  e  dopo  due  giorni  si  riempie  il  vaso 
con  spirito  di  Francia. 

Un  modo  più  semplice  di  fare  la  composta  è  il  seguente.  Far  filare 
lo  zucchero  e  poi  gettarvi  la  frutta  tagliata  in  4,  lasciando  bollire 
pochi  minuti.  Mettere  in  vasi,  coperti  con  carta  pergamena  e  far  bollire 
a  bagno  maria. 

7.  —  Gli  stroppi  di  frutta  sono  una   bibita   eccellente    per    l'estate. 
Si  fanno  di  lampone,  di  ribes,  di  more  e  di  ciliegie. 

Bisogna  lasciar  riposare  prima  i  frutti  ben  maturi  almeno  24  ore. 
Poi  si  spreme  oltre  un  cencio  e  si  lascia  altre  24  ore.  Indi  si  fa  pas- 
sare senza  premere  per  un  cencio  più  fitto. 

Si  pesa  tanto  zucchero,  quanto  è  il  succo  del  frutto  e  si  mette  a 
bollire.  Di  mano  in  mano  che  si  forma  la  schiuma  bisogna  levarla  e 
si  confina  a  far  bollire  finché  la  schiuma  cessa.  Si  toglie  dal  fuoco  e 
si  mette  in  bottiglie. 

8.  —  Colle  frutta  si  possono  fare  anche  gelatine,  paste,  liquori,  aceti, 
tinture,  mostarde,  canditi  ecc.,  per  la  cui  preparazione  conviene  che  il 
lettore  si  provveda  di  pubblicazioni  speciali  e  raccomando  special- 
mente quelle  citate  nella  Bibliografìa  del  presente  capitolo. 


-  381 


XV. 
Essiccamento  delle  frutta. 

1.  Generalità.  —  Anche  le  frutta,  come  molti  altri  prodotti  alimen- 
tari, si  possono  conservare  per  disseccamento. 

Con  questo  mezzo  si  utilizzano  le  frutta  appena  raccolte  epperciò 
non  si  ha  alcuna  perdita;  il  processo  dell'essiccazione  non  richiede 
profonde  cognizioni  tecniche,  nessun  dispendio  in  apparecchi  e  vasi 
di  conservazione  né  in  zucchero  ed  altri  mezzi  costosi  che  servono  a 
conservare  le  frutta.  D'altra  parie  le  fruita  essiccate,  conservano  una 
gran  parte  del  loro  aroma,  si  mantengono  a  lungo  inalterate,  possono 
essere  spedite  colla  minima  spesa  di  trasporto   nei    paesi    più   lontani. 

Il  disseccamento  si  può  ottenere  per  calore  naturale  del  sole  o  per 
calore  artificiale.  Da  noi,  che  non  sempre  si  può  avere  un  costante 
calore  solare,  conviene  seguire  per  l'essiccazione  un  metodo  misto  e 
cioè  col  calore  solare  completato  dal  calore  artificiale.  Il  primo  non 
è  privo  d'incovenienti,  i  principali  dei  quali  sono:  a)  di  non  poter 
fare  un  sicuro  assegnamento  sul  medesimo  ;  b)  di  avere  un  calore 
irregolare  ed  interrotto  ;  e)  le  frutta  esposte  alia  libera  circolazione 
dell'aria  durante  il  disseccamento,  per  l'effetto  dell'ossigeno,  si  deco- 
lorano e  diventano  poco  appariscenti. 

Il  disseccamento  artificiale  si  ottiene  con  speciali  apparecchi  chia- 
mali essiccatoi,  forni  o  stnfe  per  frulla.  Questi  apparecchi  devono  essere 
costruiti  in  modo  da  produrre  e  mantenere  il  massimo  calore  colla 
minor  spesa  di  combustibile  e  quindi  di  allontanare  l'acqua  dalle  frutta 
nel  minor  tempo,  acciò  la  frutta  non  perda  del  suo  aspetto    e    sapore. 

Disseccando  ad  una  temperatura  troppo  elevata  si  incorre  nell'in- 
conveniente, che  la  buccia  scoppi  o  s'indurisca,  ed  i  pori,  non  fun- 
zionando più,  impediscono  l'evaporazione  dell'umidità  interna.  Disse- 
cando ad  una  temperatura  troppo  bassa  si  lasciano  esposte  le  frutta  al 
calore  per  troppo  tempo  e  quindi  si  hanno  o  delle  frutta  poco  saporite 
oppure  imperfettamente  essiccate.  Tutta  l'arte  perciò  di  chi  accudisce 
al  disseccamento  consiste  nel  trovare  il  giusto  calore  necessario  per 
ovviare  a  questi  inconvenienti. 

E'  naturale  che  i  frutti  acquosi  richiedano  un  maggior  calore  dei 
zuccherini.  I  primi  non  bisogna  però  sottoporli  rapidamente  ad  una 
temperatura  elevata,  quanto  forse  si  può  fino  ad  un  certo  punto  per 
quelli  ricchi  di  zucchero. 

Lo  scopo  dell'essiccamento  non  consiste  soltanto  nel  conservare 
la  frutta,  ma  nell'ottenere  anche  che  questa,  mantenga  il  suo  gusto  e 
aumenti  il  suo  contenuto  zuccherino.  Difatti,  l'amido  contenuto  nella 
polpa,  col  calore  si  trasforma  in  zucchero,  e  questo  aumento  è  sempre 


—  ;J82 


relativo  alla  rapidità  dell'operazione.  La  temperatura  in  genere  non 
deve  mai  oltrepassare  i  100"^'  C,  (per  le  pere  e  mele  90^*  C,  per  le  pesche, 
e  luva  e  frutta  a  bacca  e  nocciuolo  in  genere  80-JH)"  C.)  e  per  ottenere 
che  il  disseccamento  avvenga  nel  più  breve  tempo,  gli  ap|)arecchi  di 
essiccazione  sono  costruiti  in  modo  che  intorno  ai  frutti  circoli  una 
forte  corrente  d'aiùa  calda. 

2.  —  Le   inucchinc   occorrenti    per    preparare    le    frutta    disseccate 
consistono  :    in    una    macchina    per    sbucciare,    in    altra   per   levare    il 
nocciolo,  trattandosi  di  ciliegie  o  prugne,  ed 
infine  nell'essiccatoio. 

Le  macchine  più  raccomandabili  per  sbuc- 
ciare sono  quelle  della  fabbrica  K.  Herzog  di 
Reudnitz;  cosi  pure  per  levare  il  nocciolo. 

Gli  essiccatoi  più  importanti  sono  i  se- 
guenti : 

a)  A  corrente  d'aria  verticale:  Evapo- 
ratore universale  M.  Tritschler;  l' evapora- 
tore di  Geisenheini;  l'evaporatore  Vermorel 
figura  2Ò3);  l'evaporatore  Alden  ; 

b)  A  corrente  d'aria  obliqua:  Evapo- 
ratore Ryder,  l'essiccatoio  Fouché,  la  stufa 
Mayfart;' 

ci  A  corrente  d'aria  orizzontale.  Questi, 
più  che  apparecchi  sono  delle  camere  di  es- 
siccazione come  sono  quelle  costruite  da 
Cozens,  Fouché  ed  altri. 

3.  —  Scelta  delle  fruita.  iNon  tutte  le  frutta 
si  prestano  per  l'essiccamento;  le  une  sono 
soltanto  dolci  e  prive  di  aroma,  altre  sono 
troppo  acide  o  troppo  acquose,  altre  hanno 
la  polpa  troppo  deliquescente,  altre  infine 
lianno  la  polpa  a  libra  troppo  grossolana. 

Si  scelgano  le  frutta  con  polpa  soda  e 
con  succo  denso.  Quelle  acquose  è  meglio 
riservarle  per  siroppi  e  confetture. 

Le  frutta  mature  disseccano  più    presto. 
Dopo  essiccate  sono  più  gustose,  hanno  più 
bell'aspetto  e  più  bel  colorito.  Le  frutta  im- 
mature si  disseccano  lentamente  e  perdono  relativamente  più  di  peso. 
Per  la  medesima  varietà  e  ad  eguale  stadio  di  maturazione,  le  frutta 
più  piccole  disseccano  più  presto. 

lutine  prima  dell'essiccazione  bisogna  separare  le    fruita  per  gran- 
dezza poiché  soltanto  in  tal  modo  si  ottiene  una  uniforme  disseccazione. 
Le  mele  per  l'essicamento  devono  avere  polpa    line,  morbida,  dol- 
cemente acida  (10%  <^li  zucchero  0°^    d'acidi)   e   tanto   consistente    da 
poter  togliere  la  buccia  senza  inconvenienti.  Sono  migliori  le    mele  di 


Fig.   253.   —    Evaporatore   per 
frutta  ■•  Vermorel , . 


—  ;jh;j  — 

media  grandezza,  di  forma  regolare  rotonda  o  leggermente  depressa. 
Sono  consigIiat)ili  le  varietà  seguenti:  Cardinale  rossa,  Nobile  di  liors- 
dorJ',  Imperatore  Alessandro,  Menetta  giallo  dorala  d'estate,  Renetta 
grigia  d'autunno. 

Le  pere  non  devono  essere  troppo  dolci,  devono  avere  una  forma 
regolare,  allungala,  con  polpa  aromatica  e  fondente  quali  sono  la  Lui- 
gia buona  d'Avranches,  Ricordo  del  (Congresso,  Rutirra  d'Amanlis,  Ru- 
tirra  bianca  d'Autunno,  Fondante  des  Rois,  Catillac,  Martin  secco,  ecc. 

Delle  prugne  si  preferiscono  la  Claudia  imperiale,  la  Precoce  di 
Bavay,  la  Mirabolana  e  cosi  via. 

4.  —  Preparazione  delle  frulla  per  iessiccamenlo.  Poche  sono  le 
frutta  che  possono  essiccarsi  come  vengono  raccolte  ;  la  maggior  parte 
richiedono  una  speciale  preparazione. 

Le  mele  ad  esempio  devonsi  sempre  sbucciare,  tagliare  in  due  o 
|)iù  pezzi,  a  seconda  della  grandezza,  si  levano  i  semi  colla  capsula  che 
li  inchiude,  poiché  sono  indigesti.  Preparale  in  lai  modo,  per  non  la- 
sciarle all'aria,  che  ne  renderebbe  il  colorito  ruggine  o  bruno,  si  im- 
mergono in  una  soluzione  di  sale,  '/2V0  di  concentrazione,  ossia  50  gr. 
di  sale  in  10  litri  d'acqua,  oppure  si  mellono  in  una  cassa  dove  si 
bruciano  delle  miccie  di  zolfo  (20  grammi  per  m'). 

(ìiunlo  il  momento  di  collocarle  nell'essiccatoio,  si  levano  dalla  so- 
luzione, si  lasciano  sgocciolare  e  quindi  .si  distendono  sui  graticci  nel 
modo  che  vedremo  più  innanzi.  Se  conservale  coi  fumi  di  zolfo,  si 
l)orlano  direllamenle  nel  forno. 

Le  pere  sono  più  facili  a  preparare  e  cioè  dopo  sbucciate  e  tagliate, 
non  si  leva  loro  le  granella  :  del  rimanente  anche  queste,  come  qualsiasi 
altra  specie  di  fruita,  bisogna  toglierle  dal  contatto  dell'aria  e  provvi- 
soriamente si  mettono  nella  soluzione  di  sale  o  in  un'atmosfera  d'ani- 
dride solforosa  come  abbiamo  visto  per  le  mele.  Se  le  pere  non  sono 
completamente  mature  è  consigliabile  di  sottoporle,  dopo  sbucciate, 
all'azione  del  vajìore  acqueo.  A  tal  uopo  si  mettono  in  un  canestro  a 
larga  lessituia  e  ben  coperte.  Questo  canestro  lo  si  lascia  in  sospensione 
sopra  dell'acqua  bollente  fino  al  punto  che  una  paglia  si  possa  intro- 
durre facilmente  nella  polpa.  Di  solilo  ci  vuole  una  mezz'ora.  Con 
(|uesla  operazione,  la  polpa  diventa  quasi  trasparente  ed  acquista  alla 
superfìcie  un  aspetto  lucido  per  i  cristalli  di  zucchero  che  si  formano. 

Le  susine  e  ciliegie  si  disseccano  tali  e  quali  vengono  raccolte,  e, 
trattandosi  di  qualità  speciali,  si  sbucciano  immergendole  nell'acqua 
bollente  e  si  snocciolano  con  a|)positi  congegni. 

Le  albicocche  e  le  pesche  si  mellono  nell'acqua  calda  o  in  una  li- 
scivia al(;alina  bollente,  per  qualche  secondo,  allo  scopo  poi  di  sbuc- 
ciarle. Levale  dalla  liscivia  si  pongono  sopra  un  reticolalo  di  filo  di 
ferro  zincalo.  La  liscivia  si  fa  sciogliendo  kg.  0,")  ad  1  di  carbonato  di 
potassa  o  kg.  1-1,5  di  carbonaio  di  soda  in  10  litri  d'acqua.  Si  rinfre- 
scaiìo  poi  le  frulla  con  dell'acqua  buona,  si  dividono  per  metà,  per 
levare  il  nocciolo  e  quindi  si  solforano  lasciandole  per  3  ore. 


—  384  — 

E'  inutile  aggiungere  che  tutte  queste  operazioni  devonsi  fare  colla 
massima  pulizia  e  sollecitudine.  Gli  strumenti  metallici  devonsi  pulire 
frequentemente  con  liscivia  e  tenerli  asciutti. 

L'aria  dell'ambiente  e  dei  locali  in  prossima  vicinanza  al  forno  di 
essiccazione,  deve  essere  priva  di  polvere  e  di  fumo. 

5.  —  L'essiccazione.  Le  frutta  non  si  devono  introdurre  nell'appa- 
recchio essiccatore  se  prima  la  temperatura  dell'interno  non  è  stata 
portata  a  70°  C.  Di  solito  questi  apparecchi  consistono  in  graticci  so- 
vrapposti uno  all'altro  e  tenuti  assieme  agli  angoli  mercè  una  catena 
che  serve  ad  abbassare  od  innalzare  i  graticci  di  mano  in  mano  che 
occorre. 

Le  frutta  sul  graticcio,  se  intere,  si  dispongono  col  picciuolo  in 
su  ;  se  a  pezzi,  si  distendono  in  modo  che  possa  circolare  l'aria  fram- 
mezzo. 

Per  le  frutta  a  granella  occorre  una  temperatura  in  media  da  80 
a  100°  C,  per  quelle  a  nocciolo  da  10  a  15°  di  meno.  Una  volta  avviata 
l'essicazione,  si  leva  un  graticcio  ogni  tanto  tempo,  che  viene  poi  so- 
stituito da  un  altro.  Riguardo  al  tempo  che  si  devono  lasciare  diremo 
per  norma,  che  le  frutta  essiccate,  compresse  fra  le  mani,  non  devono 
lasciare  umore.  Ad  esempio  coll'apparecchio  di  Alden  si  cambia  il 
graticcio  per  le  mele  ogni  8  a  10  minuti,  per  le  pere  da  8  a  12  minuti, 
le  pesche  12-20,  albicocche  10  a  15,  susine  15  a  20,  ciliegie  15  a  20,  uva 
da  15  a  20. 

In  Francia,  le  pere  e  mele  finissime,  si  preparano  nel  seguente 
modo.  Dopo  sbucciate,  tagliate  e  levate  le  granelle,  lasciandovi  però  il 
picciolo,  si  immergono  nell'acqua  bollente  fino  a  che  lo  strato  esterno 
della  polpa  diventa  molle  come  la  cera.  Allora  si  portano  nel  forno  e 
si  espongono  alla  temperatura  di  80"  C,  lasciandole  fino  al  momento 
che  si  chiudono  i  pori.  Estratte,  vengono  sottoposti  ad  una  compres- 
sione per  riportarle  poi  nel  forno  dopo  raffreddate,  ad  una  temperatura 
di  85-95°  C.  Così  ripetono  questa  operazione  per  una  terza  volta  ed 
allora  acquistano  lo  spessore  di  circa  cm.  12.  Ben  essicate  le  mettono 
in  scatole  eleganti  spargendo  dello  zucchero  su  ogni  strato. 

Le  frutta  candite  si  preparano  sbucciando  le  pere,  o  susine,  o  ciliegie.  Con  queste 
si  fa  una  gelatina  nella  quale  si  immergono  le  frutta  da  candire  che  poi  si  spolverano 
di  zucchero.  Fatto  questo  si  lasciano  per  un  po'  di  tempo  esposte  all'aria  e  quindi  si 
portano  nel  forno  dove  si  essicano  a  lento  calore. 

Chiudo  questo  capitolo  col  dare  alcune  cifre  riguardanti  l' es- 
siccazione. 


385 


Tab.  XXXVIII. 


Dati  generali  sull'essiccazione  delle  frutta. 


QUALITÀ  DiìL  FRITTO 


Grado  di 

calore 

per  l'es- 

sicazione  ; 

Co       I    intere 
ore 


Pere 
Buon  Cristiano  William  .    .  60-70 

Andrea  Desporles i         „ 

Zuccherina  di  Montliicon    .  , 

Duchessa  di  Berry    .... 

Monsallard 

Butirra  Hardy 

d'Ainanlis  .... 
Luigia  buona  d'Avranches  . 
Duchessa  d'Angouléme    .    . 

Pero  in  inedia (iO-iXl 

Mele 

Susine .')0-7()-!l() 

Albicocche S.'i-iM) 

l'esche 

Ciliegie (;()-8.'i 

Vini Cid-'.Mt 

Fichi |()-,S() 


Durata 

dell'essiccazione 

cogli  evaporatori 

per  fruita 


Rendita  % 
<lel   frutto  fresco 


12-48 


diverse  |    frutta 
ore      '  essicata 


Spesa  di 


zione  per 
,      Qle 


Lire 


S-12 
(1-7 


11 

11 

10 

14-15 

2.% 

2.00-. 

12-15 

30-35 

. 

:tii 

— 

2.70 

20 

— 

3.10 

18 

— 

:».io 

17-2.-S 

2 

XVI. 
Il  sidro  o  vino  di  frutta. 


1.  —  Generalilà.  Sino  dai  leinpi  piti  antichi  e  presso  (ulti  i  popoli, 
si  prepararono  delle  bevande,  col  succo  fernienlato  delle  frulla.  Il  sidro 
è  appunto  una  di  queste  bevande,  e  si  ottiene  sol  succo  spremuto  dalle 
mele  e  talvolta  anche  dalle  pere.  Nei  paesi  dove  alligna  anche  la  vile, 
si  unisce  alle  pere  e  mele  anche  una  certa  {[uaiilifà  di  uva,  la  (juale 
rende  il  sidro  più  aromatico  e  conservabile. 

Come  bevanda  alcoolica  il  sidro  può  slare  a  lato  della  birra,  sia 
per  la  quantità  di  alcool  (da  4  ad  8%)  «ia  per  le  sue  qualità.  Uifalti  il 
sidro  viene  raccomandato  alle  balie  per  acquistare  una  mngfjiore  ab- 
bondanza di  latte,  alle  persone  inclinale  alla  |)inguedine,  all'idropisia  ecc. 
E'  una  bevanda  sanissima,  rinfrescante  e  della  (juale  si  fa  largo  uso 
nella  Normandia,  Piccardia  e  nella  (lermania  meridionale.  Da  noi,  in 
Italia,  la  fabbricazione  del  sidro  è  mollo  limitata.  Pochi  sanno  prepa- 
rare convenientemente  il  sidro  e  buona  parie  ne  ignora  |)ernno  il  nome 
tant'è,  che  in  molte  località  ove  si  fanno  degli  abbondanti  raccolti  di 
mele,  invece  di  convertirle  in  sidro    a    tempo    opportuno    e    ricavarne 

25  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  386  - 

perciò  un  discreto  profitto,  le  trascurano  al  punto  di  doverle  dare  al 
bestiame  come  foraggio. 

2.  —  Scella  delle  frulla.  La  qualità  e  serbevolezza  del  sidro  dipende 
in  particolar  modo  dalla  scelta  delle  mele  o  pere  e  del  rispettivo  rap- 
porto con  cui  si  uniscono  le  diverse  varietà  destinate  a  farlo. 

Tre  sapori  difìerenti  caratterizzano  tutte  le  specie  di  mele  e  cioè  : 
l'acido,  il  dolce  e  l'amaro. 

L'abilità  del  fabbricatore  sta  appunto  nell'opportuna  miscela  di 
queste  tre  qualità.  La  prima  concorre  a  fornire  il  sidro  dell'acidità  che 
lo  rende  serbevole,  la  seconda  lo  rende  ricco  in  alcool  e  le  mele  amare 
rendono  il  sidro  stomatico  ed  aromatico. 

Le  mele  da  sidro  non  si  distinguono  soltanto  pel  loro  sapore,  ma 
anche  per  l'epoca  di  maturazione  e  difatti  abbiamo:  le  mele  precoci  o 
tenere  che  maturano  nel  mese  di  settembre  ;  le  mediane  e  seraitenere, 
che  si  raccolgono  a  metà  ottobre  ;  le  tardive  che  maturano  al  principio 
di  novembre.  Dalla  pi'ima  categoria  deriva  un  sidro  alquanto  debole^ 
e  che,  quantunque  gradevole,  è  di  breve  conservazione.  Dalla  seconda 
categoria  si  ottiene  un  sidro  più  forte  e  serbevole,  dalla  terza  si  ha  un 
sidro  generoso  che  si  conserva  anche  per  5  o  6  anni. 

Ecco  alcune  ricette  di  miscele  che  vengono  raccomandate  dai  princijiali  autori 
francesi  per  ottenere  i  sidri  migliori. 

Sidri  di  Mele  puecoci  (settembre). 

Doux  a  l'Aignel     .    .    .  V3  Doux  à  l'Aignel     .    .    .  V4  Rouge  Bruyère  ....  V.i 

De  Vermeille V:ì  Rouge  Bruyère  ....  '/j  D'Ognonet '/., 

(ìros  amer  doux    .    .    .  ','3  Blanc  Mollet '/i  Douce-Morelle   ....  '/a 


Sidri  di  mezza  stagione  (ottobre). 

De  Rouget V4  Peau  de  vache  precoce  '/a  Doux  aux  vespes   .    .    .  '/a 

De  Sonnette '/4  Gallot '/ 1  Rambour  doux  ....  '/:i 

Gres  amer  doux    .    .    .  '/j  Doux  amer '/;ì  Petit  Amerei '/:> 

Ozanne '," 


Peau  (le  vaclie  tardive  V.  Peau  de  vache  tardive  ','3 

Roquet  blanc     .    .    .    .  '/4  Marin  Onfroy Vs 

Bec-d'àne '/4  Bec-d'àne '/:) 

Oltre  alla  qualità  delle  mele  bisogna  tener  conto  anche  della  natura  ed  esposizione 
dei  terreni  in  cui  vennero  coltivati,  ed  a   tal  uopo  servano  le  seguenti  norme. 

1.  Le  mele  provenienti  da  terreni  argillosi,  elevati,  aprichi  e  riparati   dai    venti 
marini,  danno  un  sidro  assai  generoso,  ricco  di  colore  e  che  si  conserva  a  lungo. 

2.  Dai  terreni  pure  argillosi,  ma  poco  profondi,  si  ottiene  un    sidro   meno   ricco 
di  alcool,  di  colore  e  meno  conservabile. 

3.  Nei  terreni  sciolti  si  ottiene  un  sidro  sapido  bensì,  ma  debole  e  poco  conser- 
vabile ;  così  pure  nei  terreni  marnosi  e  calcari. 

4.  I  terreni  delle  valli  profonde  ed  umide  danno  sidri  deboli,  di  difficile  chiari- 
ficazione e  di  poco  gusto. 

5.  Infine  i  terreni  elevali,  aprichi,    argilloso-silicei,   producono  le  migliori    mele 
da  sidro. 


—  387 

Una  buona  varietà  di  mele  da  sidro  conliene  da  10  a  15%  di  zucchero  o  dal  4  al  5 "io 
(li  acidi  (tartrico,  nialico  e  tannico).  Lo  zucchero  colla  fermentazione  si  trasforma  in 
alcool,  gli  acidi  concorrono  a  rendere  il  sidro  più  sapido  e  serbevole  In  Kenerale  le 
pere  contengono  più  zucchero  e  tannino,  ma  meno  aciflo  tartarico  e  malico  delle  mele. 

Di  grandissima  iiiduenza  sulla  qualità  e  serbevolezza  del  sidro  i' 
il  tempo  ed  il  modo  con  cui  si  raccolgono  le  mele.  Raccogliendo  troppo 
presto,  si  ha  un  mosto  troppo  acido  e  si  danneggiano  anche  le  piante, 
perciò  anche  per  questa  raccolta  seguiremo  cjuelle  norme  che  abbiamo 
già  descritte  ])arlando  della  raccolta  delle  frutta  in  genere. 

3.  -  Fabbricazione  del  sidro.  Le  mele  che  hanno  raggiunto  il  mas- 
simo di  zucchero  bisogna  subilo  ammostarle  poiché,  lasciate  a  se  stesse, 
perderebbero  dello  zucchero,  ])er  alcune  varietà  invece,  bisogna  lasciarle 
ammonticchiate  a  strati  di  20  a  30  cm.  d'altezza,  affinchè  per  una  spe- 
cie di  lenta  fermentazione  saccarina  che  subiscono,  i  principi  saccari- 
ilcabili  abbiano  tempo  di  elaborarsi  a  sufficienza. 

Le  mele  jìer  ammostarle  si  sottopongono  ad  una  triturazione  che 
ha  per  scopo  di  ridurle  in  una  polpa  omogenea  per  estrarne  poi  il  sugo. 
La  triturazione  si  fa  in  diversi  modi  a  seconda  dei  mezzi  |)ecuniari  di 
cui  si  dis|)one,  si  pestano  o  si  grattuggiano.  Per  pestarle  si  adoperano 
dei  trogoli  a  maglio,  oppure  dei  trogoli  circolari  nei  quali  si  fa  circo- 
lare una  pesante  macina  verticale  a  guisa  di  ruota,  od  infine  due  mulini 
a  due  cilindri  scandali  di  ghisa,  disjiosti  parallelamente  ed  orizzontal- 
mente al  disotto  di  una  tramoggia.  Per  gralluggiarle  invece,  si  adope- 
rano delle  macchine  simili  a  ([uelle  che  si  adoperano  por  le  barba- 
bietole. 

La  triturazione  devesi  fare  colla  massima  cura  j)er  ottenere  poi  la 
massima  ((uantità  di  succo.  Le  polpe  ben  macinate  devonsi  piesentare 
senza  grumi  di  sorta  e  formare  una  pasta  omogenea. 

Se  le  mele  erano  completamente  mature,  allora  si  passa  subito  la 
jiolpa  alla  torchiatura,  se  invece  non  erano  completamente  mature,  si 
lascia  la  polpa  per  una  mezza  giornata  in  recipienti  ben  coperti  e 
rimestandola  di  quando  in  quando  per  impedire  la  fermentazione.  Lo 
scopo  di  questo  riposo  è  di  rammollire  i  tessuti  e  per  sciogliere  meglio 
le  sostanze  aromatiche. 

L'estrazione  del  mosto  dalle  polpe,  si  ottietie  sottoponendo  la  ma.ssa 
alla  pressione  di  un  torchio.  Nella  gabbia  del  torchio  le  polpe  si  di- 
spongo a  strati  di  10  a  12  cm.  di  spessore  separati  uno  dall'altro  da 
una  tela,  la  quale  serve  a  facilitare  lo  sgocciolio  del  mosto.  Dopo  una 
prima  torchiatura  si  leva  la  massa,  la  si  spappola  con  dell'acqua  (10 
litri  per  quintale  di  inele)  indi  si  lascia  in  riposo  per  una  giornata,  per 
poi  ripetere  la  torchiatura.  Il  mosto  di  questa  seconda  torchiatura  si 
può  benissimo  unire  con  quello  della  prima. 

La  fermentazione  del  mosto  la  si  fa  subire  in  botti,  le  quali  devono 
essere  conservate  e  preparate  con  quelle  medesime  cure  che  si  sogliono 
applicare  alle  botti  per  vino. 


—  388  — 

Nelle  botti,  o  tosto  o  tardi  comincia  la  fermentazione  e  perciò 
comincia  a  notarsi  una  modificazione.  Trasformandosi  lo  zucchero  in 
alcool,  il  mosto  non  solo  diventa  meno  dolce  ma  anche  acquista  un 
frizzante  speciale  dovuto  all'anidride  carbonica.  La  temperatura  più 
adatta  per  la  fermentazione  è  dai  17  a  20"  C.  la  quale  alla  sua  volta 
dura  in  media  da  due  o  tre  settimane.  Fino  a  che  la  massa  è  in  fer- 
mentazione, bisogna  lasciarla  in  completo  riposo;  quando  poi  è  ben 
chiarilìcata,  allora  si  travasa  per  separare  il  sidro  dalle  fecce. 

Per  norma  del  lettore  diremo  che  un  mosto  abbastanza  denso,  di  sapore  agro 
dolce  piuttosto  aspro,  con  vena  di  amarognolo  è  quello  che  produce  il  miglior  sidro. 
Anche  questi  mosti  si  possono  correggere  come  quello  d'uva,  con  aggiunte  di  zucchero, 
acido  tartarico,  cremortartaro  e  così  via. 

Nei  travasi  e  nelle  ulteriori  cure  di  conservazione  non  si  ha  che 
da  seguire  quei  precetti  che  ci  vengono  dettali  per  ottenere  del  vino 
l)uono,  sano  e  serbevole. 

Il  sidro  di  solito  si  consuma  nello  stesso  anno  che  viene  prodotto. 
Volendolo  conservare  oltre  al  secondo  anno  bisogna  metterlo  in  bottiglie. 

Anche  il  sidro,  come  il  vino,  va  soggetto  a  delle  malattie,  delle 
quali  le  più  frequenti  sono:  T  acidificazione,  l'amaro,  il  grassume  e 
l'annerimento.  Per  la  cura  di  queste  si  seguono  i  medesimi  metodi  che 
sono  suggeriti  pel  vino. 


PARTE    NONA 

MALATTIE    E   CAUSE    NEMICHE 
DELLE  PIANTE  DA  FRUTTO 


I. 
Malattie  e  loro  classificazione.  '•) 

Per  inalallia  intendo  quella  (jiinliiiuiiic  itllcraziunc  clic  m>i>iciic  nvlln 
funzione  normale  dctjli  oiyani  della  pianta. 

In  questa  nuova  edizione  della  mia  Frullicollura,  mi  sono  |)ro|)oslo, 
come  avrà  già  rilevato  il  lettore  che  conosce  le  |)recedenli  edizioni, 
di  riassumere  ciò  che  è  stato  dillusainenle  trattato  nella  111'  l%(lizione 
e  quindi  anche  in  (|uesta  jìarte  mi  son  limitato  a  seguire  il  seguente 
schema  di  classificazione: 


'piante' 


Schema  di  classificazione  delle  malattie 
consociate  nel  terreno 

\ 

■     ■    ■     ■) 


'  parassite 


1. 

Malerhe 

p;i«- 

:{'.»() 

2. 

Fanerogame     .... 

„ 

IVI 

3. 

Muschi  e  licheni .     .     . 

„ 

.{91 

A. 

Crittogame 

„ 

:v.r2 

Animali 

\u 

6. 

Cause  meteoriche 

IT'.l 

7. 

Ferite 

„ 

INI 

Regime  colturale.     . 

l'.ll 

.^ 

Cattive  condizioni    del 

terreno 

IVI 

/ 

Cattive  condizioni  del- 

l'atmosfera    . 

IVI 

U. 

Sostanze    nocive    Iro- 
vantisi    nel   terreno  o 

nell'aria 

.. 

Il  (7 

(1)  V.  Peglion.  -  Le  malattie  crittogamiche  delle  piante  coltivale.  Biblioteca  A.  Ottavi. 
1913.  -  P.  Voglino.  -  Patologia  vegetale  -  Enciclopedia  Agraria  Italiana.  -  Torino  V.m. 
(Vedi  Trattato  completo  di  Agricoltura  del  Prof.  D.  Tamaro  pag.  349). 


-sgo- 
li. 
Malerbe  -  Vischio  -  Cuscuta. 

1.  —  Tutte  quelle  erbe  che  crescono  nel  terreno  dove  non  si 
vorrebbe,  si  chiamano  malerbe. 

Queste  assorbono  una  gran  quantità  di  nutrimento  dal  terreno  e, 
mentre  non  danno  nessun  utile,  impoveriscono  il  suolo,  producono 
ombra  e  soverchia  umidità.  Il  maggiore  danno  che  ne  risente  il  frut- 
ticoitore è  nei  vivai,  ma  anche  nei  frutteti  e  broli,  se  trascurati  i  lavori 
del  terreno,  si  risentono  dei  danni  notevoli. 

Le  malerbe  appartengono  tutte  alle  fenerogame  e  ne  sono  di  annuali 
e  perenni.  La  maggior  parte  di  queste  ultime,  oltre  che  per  seme  si 
moltiplicano  per  rizoma. 

Si  previene  l' invasione  delle  malerbe  adoperando  semi  puri  per 
le  colture  intercalari  e  impiegando  stallatico  ben  decomposto.  Per 
distruggere  le  malerbe  annuali  il  miglior  mezzo  consiste  nel  non  lasciar 
maturare  il  seme,  strappando  le  piante  in  piena  fioritura.  Più  difficile 
è  mondare  il  terreno  degli  organi  sotterranei.  A  ciò  si  provvede  con 
accurati  rivoltamenti  del  terreno  per  esporre  le  radici  e  rizomi  ai 
calori  d'estate  od  ai  freddi  dell'inverno;  con  accurati  lavori  successivi 
mediante  estirpatori  e  coltivando  poi  una  pianta  sarchiata.  Tutte  le 
malerbe  o  parti  di  esse  che  vengano  strappate  dal  terreno  bisogna 
bruciarle  oppure  si  mettono  in  macerazione  con  del  colaticcio  e  pozzo 
nero,  rivoltandole  di  frequente  in  modo,  che  dopo  un  anno,  si  ottiene 
una  massa  decomposta  completamente,  che  è  molto  utile  per  conci- 
mare i  vivai  e  per  gli  impianti. 

Se  il  terreno  è  invaso  dal  Raphanus  raphanistruiu,  dalla  Sinapis  arvensis,  con 
delle  pompe  irroratrici,  si  bagnano  tutti  le  parti  verdi  delle  piante  e  quando  queste 
sono  asciutte  dalla  rugiada,  con  una  soluzione  di  solfato  di  ferro  al  15-20"/,,. 

Questa  irrorazione  si  faccia  quando  le  piante  hanno  sviluppata  la  quinta  foglia, 
e  dopo  qualche  giorno,  se  non  si  ha  avuto  1'  effetto  desiderato,  si  ripete  l'irrorazione. 
Cosi  si  può  distruggere  anche  la  Cuscuta,  il  Cirsiuni  arvense,  il  Polygonum  persicaria 
ed  il  papavero. 

Perchè  la  soluzione  aderisca  meglio  alle  foglie,  si  suole  aggiungere  5  "/o  di  melassa 
oppure  kg.  1-1  '/j  di  sapone  molle  per  ettolitro.  Si  impiegano  circa  600  litri  per  ettaro. 

2.  —  Il  vischio  e  la  cuscuta  sono  le  due  fanerogame  parassite  delle 
piante,  da  frutto.  Il  (Viscum  album  L.)  lig.  254  nasce  da  un  seme  por- 
tato eventualmente  dagli  uccelli  che  sono  ghiotti  delle  bacche,  sopra  un 
ramo,  germina  fra  la  fessura  della  corteccia  di  ([uesto  e,  mentre  emette 
il  fusto,  interna  nel  ramo  la  radichetta,  la  quale  sviluppa  degli  austori. 
Questi  si  arrestano  al  cambio  e  persistono  in  aderenza  continua  con 
esso,  per  quanto  il  tronco  della  pianta  nutrice  continui  a  crescere. 
Fiorisce  in  giugno  e  le  bacche  sono  mature  dall'ottobre  in  avanti.  Le 
piante  danneggiate  sono  il  pero,  melo,  noce,  nespolo,  susino,  carubbo, 


391 


mandorlo.  Il  vischio    si  presenta  con  folti  mazzi  di'rami  sempreverdi, 


evidenti  specialmente  d'inverno,  sul  tronco  e 
gna  strappare  igeili  di  vischio  escavare  con 
un  ferro  tagliente  nel  ramo  lino  a  scoprire 
il  legno  vecchio,  per  levare  tutte  le  radici- 
La  cuscuta  è  una  (]onvolvulacea  (Cu- 
scuta lupuliformis  Krocker),  mollo  co- 
mune nei  prati  di  erba  medica,  che  av- 
volge la  pianta  come  il  vilucchio,  priva 
di  radici  e  di  foglie:  ha  invece  dei  suc- 
chiatori o  austori  che  infigge  nei  tes- 
suti delle  piante  per  succhiarne  il  nutri- 
mento. 

I  grappoli  della  vile  sono  talvolta  in- 
laccati e  per  difenderli  basta  allontanare 
i  focolari  di  infezione  dal  campo  sot- 
tostante, con  una  soluzione  al  20  7o  di 
solfato  di  ferro. 


ami.  Pei-  difendeili  biso- 


•'"?^. 


h 


Fig.  2S).    - 
hit  ni)  sopra  i 


Viscliio   ^\7ici;;)i  al- 
I  tronco  (li  un  albero. 


111. 

Muschi   e   Licheni. 


1  muschi  sono  crittogame  fornile  di  clorolìlla  e  di  Toglie,  i  licheni 
sono  piante  tallolite  risultanti  dall'unione  simbiotica  di  algiie  e  di  lunghi. 

Queste  piante  preferiscono  i  luoghi  umidi  e  di  luce  limilata.  Si 
trovano  in  quantità  sui  tronchi  degli  alberi  nei  terreni  umidi,  spe- 
cialmente dal  lato  di  tramontana  e  formano  un  rivestimento  chia- 
mato col  nome  generico  di  borraccina. 

Tanto  i  muschi  quanto  i  licheni  non  sono  parassiti  nello  slrello 
senso  della  parola,  perchè  vivono  sulla  scorza,  cioè  su  zone  disorga- 
nizzate; ma  coll'involucro  formato  intorno  ai  rami  ed  ai  fusti  impe- 
discono la  respirazione  e  la  traspirazione  producendo  un  danno  in- 
diretto. Di  più,  essi  trattengono  molta  umidità  la  quale  è  un  elemento 
di  disorganizzazione  delle  parli  sane  e  vegetative,  specialmente  se  queste, 
per  una  ragione  incidentale,  vengono  ferite. 

La  presenza  di  questi  muschi  e  licheni  è  dovuta  alla  imperfetta 
nutrizione  delle  piante,  causa  il  sottosuolo  umido,  impermeabile  e  la 
poca  fertilità  del  terreno.  Quando  una  pianta  si  nutre  imperfeltamenie 
allora  è  limitata  la  sua  crescita,  la  scorza  si  indurisce,  non  si  rinnova 
e  quindi  i  muschi  e  licheni  hanno  modo  di  prendere  stanza  e  di  svi- 
lupparsi. Anche  l'acquisto  di  piante  da  vivaio  aventi  licheni  o  muschi 
non  devesi  fare,  poiché  la  loro  presenza  è  sicuro  indizio  che  le  piante 
hanno  patito  nella  loro  prima  età. 


—  392  — 

I  mezzi  che  si  consigliano  per  combattere  i  muschi  e  hcheni  sono: 

a)  Lavorazione  profonda  del  terreno  attorno  alle  piante  e  conci- 
mazione abbondante  e  complessa. 

b)  Drenaggio  del  terreno. 

e)  Dopo  le  pioggie  d'autunno,  raschiare  con  spazzole  e  raschiatoi 
i  tronchi  e  rami  e  poi  imbiancarli  con  latte  di  calce  e  solfalo  di 
rame  al  G^j^. 


IV. 

Crittogame  parassite  e  saprofite 
delle  piante  da  frutto. 


1.  —  La  caratteristica  delle  crittogame  consiste  nell'essere  sprovviste 
di  clorofilla;  quindi,  per  nutrirsi,  hanno  bisogno  di  assorbire  da  altre 
piante  le  sostanze  elaborate,  necessarie  al  loro  sviluppo.  Perciò  i  funghi 
hanno  la  facoltà  di  attaccare  gli  organi  o  le  sostanze  organiche,  di  dis- 
solverle e  poi  di  assimilarle.  Le  crittogame  chiamansi  parassite,  se  questa 
azione  viene  esercitata  sopra  piante  vive;  se  sopra  piante  morte,  chia- 
mansi saprofite.  Ksiste  poi  un'altra  categoria  di  crittogame,  che  trae  la 
vita  da  organi  viventi,  ma  lesi  da  qualche  anormalità  dell'ambiente.  Cosi 
il  bacillo  del  cancro  si  sviluppa  la  maggior  parte  delle  volte  sopra  una 
ferita  lacera  prodotta  dal  gelo  o  da  una  qualsiasi  intemperie  ;  in  questo 
caso  il  bacillo  non  provoca  il  male  ma  lo  aggrava.  Bisogna  perciò  bene 
assodare,  nella  constatazione  di  una  malattia,  se  il  l'ungo  è  la  causa  o 
l'effetto  della  medesima.  Nel  primo  caso,  bisogna  lottare  contro  il  fungo, 
nel   secondo  bisogna  rimuovere  la  causa  della  malattia. 

I  funghi  possono  essere  costruiti  da  una  sola  cellula,  per  esempio  i  bacteri,  gruppo 
molto  importante  per  noi:  nella  maggior  jiarte  vi  si  distingue  l'organo  vegetativo  chia- 
mato  micelio,   che   provvede   alla    nutrizione,   e  l'organo  riproduttore. 

2.  —  Come  le  piante  superiori  si  possono  riprodurre  per  talea, 
così  anche  i  funghi  si  possono  moltiplicare  per  divisione  del  micelio. 

La  riproduzione  però  comune  a  tutti  i  funghi  è  a  mezzo  di  spore. 

Le  spore  corrispondono  ai  semi  delle  i^ianle  superiori:  sono  cellule  microscopiche 
aventi  una  protoplasma  ed  una  parete.  Talora  la  spora  si  forma  per  divisione  della 
estremità  di  un  micelio,  in  (juesto  caso  si  chiama  conidio:  o  altre  volte  due  lile  di  un 
micelio  si  riuniscono  assieme,  si  aggrovigliano  e  si  ha  la  oospora  od  uopo,  o  producono 
un  concettacolo  speciale,  alla  cui  superfìcie  si  generano  dei  sacchetti  chiamati  asclie  che 
rinchiudono  le  ascospore. 


-  35)3  - 

Le  spore  conservano  per  più  anni  la  facoltà  gerniinaliva  e  possono  tollerare  anche 
un  forte  calore,  l'er  germinare  richiedono  aria,  aci|ua,  ed  tin  certo  «rado  di  calore  che 
varia  da  lo  a  20"  C.  La  luce  viva  ostacola  la  «erniinazione:  con  luce  debole  cmI  al  buio, 
la  germinazione  e  vegetazione  dei  funghi  è  (ìiìi  rigogliosa.  Dalla  geniiiiia/ioMe  della 
spora  derivano  uno  o  più  tubi  di  germinazione  che  costituiscono  poi  il  micelio. 
Questo  si  fissa  alla  superficie  della  pianta  mediante  gli  austeri  :  allora  abbiamo  i  funghi 
epi/iti.  o  penetra  neUinterno  dei  tessuti  della  pianta  attraverso  gli  stomi  o  perforando 
le  cellule,  e  abbiamo  i  funghi  endofiti. 

Le  malattie  causate  dai  funghi  possono  pio|)a<<ai-si  o  per  loniie  uii- 
celiche  o  per  conidi,  o  per  spore,  [/infezione  niicelica  avviene  (juasi 
esclusivamente  sotto  terra  per  il  conlatto  di  radici  sane  con  radici  am- 
malate. Le  infezioni  per  spore  e  conidi  sono  dovute  in  parte  ai  vento, 
in  parte  agli  animali  ed  all'uomo.  L'uoiuo  può  coi  semi,  con  marze  di 
innesto,  passando  da  una  pianta  ammalala  ad  una  piatila  sana,  tras- 
portare i  geriui  delle  malattie. 

3.  —  Un  fungo  parassita  altera  il  protoplasma  della  pianta  attaccala. 
Esso  può  perforare  le  pareti  cellulari  col  suo  micelio,  e  allora  attra- 
versa la  cavità  della  cellula  assorbendone  i  succhi  e  esce  da  altra  parte: 
in  questo  caso  si  nota  esternamente  soltanto  un  iiiyiiilliiiieiilo  delTepi- 
dermide  o  dell'organo  intaccato.  Può  invece  penetrare  nella  cellula 
cogli  austori,  e  allora  questi,  mercè  un  fermento  diastasico,  digeriscono 
completamente  l'amido  e  le  sostanze  organiche  contenute  nelle  cellule 
che  vengono  combinale  coH'azoto  e  col  fosforo  e  vanno  ad  ingrossare 
il  fungo:  in  questo  caso  sull'organo  della  pianta  si  osservano  chiazze 
di  vario  colore  ;  il  tessuto  poi  si  disuitutnizza  complelamenU'  e  mdrciscc. 

Alcune  volte  i  funghi  fanno  sviluppare  irregolarmente  una  parte 
di  un  organo  in  confronto  ad  un  altro.  In  ((ueslo  caso  il  fungo  agisce 
per  irritazione.  Altre  volte  agiscono  iiiline  per  inlilliamenlo  di  sostanze 
estranee  nel  protoplasma  e  producono  una  specie  di  fermentazione,  la 
quale  fa  aumentare  il  volume  delle  cellule  e  le  rende  più  lumescenli, 
gonfiando  i  tessuti. 


V. 
Rimedi  anticrittogamici  e  loro  applicazione. 

1.  —  //  solfato  (li  rame  e  le  poltifilie.  Il  solfato  di  rame  è  il  rimedio 
anticrittogramico  più  dilluso  e  più  raccomandabile  per  la  maggior  parte 
delle  malattie  crittogamiche. 

L'azione  del  solfato  di  rame  non  è  ancora  stala  ben  ciiiarila.  L'opi- 
nione più  generalizzata  è  questa:  il  solfalo  di  rame  eccita  il  processo 
vegetativo  della  pianta,  rendendola  più  vigorosa  e  perciò  più  resistente 
alle  malattie.  Infatti  si  osserva  che,  dopo  il  trallamento,  le  foglie  ac- 
quistano un  colore  più  intenso  e  diventano  più  consistenti.  Da  ciò 
una  più  intensa  assimilazione,  un  miglioramcnlo  generale  della  nulri- 


—  394  - 

zione  della  pianta,  onde,  naturalmenle,  frutti  più  abbondanti  e  più 
zuccherini.  Il  soliato  di  rame  si  adopera  in  semplice  soluzione  nell'acqua 
o  nelle  cosi  dette  poltiglie.  Nella  frutticultura  si  adoperano  di  prefe- 
renza le  poltiglie,  le  quali  devono  possedere  3  qualità;  conlenere  un 
sale  dì  rame  perfetlainente  solubile,  avere  una  buona  aderenza  e  ripartirsi 
facilmente  sugli  organi  delle  piante. 

Un  sale  di  rame  completamente  insoluliile  non  ha  alcuna  azione 
fungicida  mentre  quello  sciolto  ha  un'  azione  immediala.  La  semplice 
soluzione  presenta  pei'ò  tre  inconvenienti  :  aderisce  poco  agli  organi 
della  pianta,  facilmente  viene  dilavata  dalle  acque,  ustiona  le  foglie 
delle  piante. 

Per  questo  la  semplice  soluzione  di  solfato  di  rame  non  viene 
mai  adoperata  o  solo  raramente  (100-200  gr.  per  hi.  d'  acqua  :  si  ripe- 
tono i  trattamenti  a  brevissimi  intervalli  e  dopo  ogni  pioggia). 

Adoperando  invece  poltiglie  questi    inconvenienti  si  evitano. 

2.  —  Poltiglie  bordolesi  :  sono  composte  di  solfato  di  rame  e  calce 
spenta. 

Per  preparare  queste  poltiglie,  bisogna  avere  le  seguenti  avvertenze: 

1.  Non  si  adoperino  mai  né  vasi  di  ferro  o  di  zinco,  né  strumenti  di  ferro,  bensì 
di  legno  o  di  terra. 

2.  Il  latte  di  calce  sia  perfettamente  freddo,  altrimenti  si  deposita  ossido  di 
rame  che  rende  inefficace  la  poltiglia. 

3.  Non  si  adoperi  una  poltiglia  avente  notevole  reazione  acida:  ciò  indicherebbe 
la  presenza  del  solfato  di  rame  indecomposto,  che  produce  scottature  sulle  parti  verdi 
della  pianta. 

4.  Si  versa  sempre  il  latte  di  calce,  molto  allungato,  nel  solfato  di  rame  e  non 
viceversa 

1^'aggiunta  del  latte  di  calce  all'acqua  contenente  solfato  di  rame  produce  un  intor- 
bidamento dovuto  alla  decomposizione  del  solfato  di  rame,  depositandosi  il  rame  allo 
stato  di  idrossido.  Se  la  qualità  di  calce  aggiunta  è  sufficiente  per  scomporre  tutto  il  rame 
disciollo,  l'idrossido  di  rame  precipita  sollecitamente  e  l'acqua  sovrastante  diventa  limpida. 
Se  la  calce  vien  data  in  eccesso,  allora  alla  superfice  si  forma  un  velo  dovuto  al  carbo- 
nato di  calce.  Se  la  calce  non  é  sufficente,  lacqua  rimane  piìi  o  meno  colorata  in  azzurro. 
Oltre  allidrossido  di  rame  ed  al  solfato  di  calcio,  che  depositano,  si  formano  altri 
composti  speciali  e  cioè  solfato  basico  doppio  di  rame  e  calcio.  Una  parte  di  rame 
rimane  disciolta  e  questa  agisce  direttamente  sulle  crittogame  ed  é  in  quantità  inversa 
a  quella  di  calce  usata  nella  ))reparazione.  Quindi  quanto  più  calce  si  adoprerà  tanto 
meno  rame  sciolto  conterrà  la  poltiglia  e  la  sua  azione  non  sarà  cosi  sollecita.  I  com- 
posti rameici  insolubili  nell'acqua  sono  destinati  a  sciogliersi  lentamente  ed  esercitare 
perciò  un'azione  prolungata  sui  germi  dei  parassiti. 

Un  eccesso  di  calce  nell'impiego  della  poltiglia  non  fa  aumentare  1  aderenza  della 
poltiglia  stessa. 

La  calce  che  si  deve  adoperare  deve  essere  completamente  spenta  e  per  quanto  è 
l)ossibile  pura,  cosi  il  solfato  di  rame  deve  avere  un  titolo  non  inferiore  al  98  "/o- 

I.a  poltiglia  bordolese  più  comunemente  impiegata  è  quella  aH'l"/,,  di  calce  spenta 
(P'ormola  Cuboni).  Per  preparare  la  miscela  si  sciolga  1  kg.  di  solfato  di  rame  in  5  litri 
di  accjua  calda  in  un  recipiente  di  legno. 

Si  prenda  poi  1  kg.  di  calce  spenta,  mondata  da  pietruzze  e  da  impurità,  e  si  spap- 
j)oli  in  altri  10  litri  di  acqua  in  modo  da  ottenere  un  buon  latte  di  calce.  Quindi  si 
versi  questo  latte  di  calce,  facendolo  passare  per  uno  staccio,  nella  soluzione  di  solfato 
di  rame,  agitando  ben  bene  ed  allungando  con  S.'i  litri  di  acqua  fino  ad  ottenere  un 
bel  liquido  color  celeste  che,  lasciato  in  riposo,  diventa  incolore,  depositando  la  poltigia. 


-  395  - 

Per  assicurarsi  che  la  poltiglia  sia  perfeltaiuenle  neutra,  si  fa  uso  rielle  carte  alla 
fenolftaleina  che  sono  bianche  e  rimangono  bianche  nella  soluzione  di  solfalo  ril 
rame,  diventano  rosse  nel  latte  di  calce.  Si  può  anche  adoperare  la  carta  di  tornasole. 

Si  preferisce  generalmente  che  la  poltiglia  riesca  lievemente  acida 

Volendo  avere  una  poltiglia  che  agisca  immediatamente  ed  in  modo  energico  contro 
i  germi,  si  può  consigliare  la  poltiglia  al  cloruro  aniiiionico  (Formola  Sostegni)  A  tale 
line  si  prepara  nel  modo  sopraindicato  una  poltiglia  all' 1  '/."A,  di  solfato  di  rame  e  di 
calce  spenta  e  vi  si  aggiungono  125  gr.  di  cloruro  ammoniaco,  sciolto  a  caldo,  o  di  solfalo 
ammonico.  Questa  poltiglia  appena  fatta  dovrà  essere  adoperata. 

Per  combattere  contemporaneamente  anche  gli  insetti,  in  America  dapprima  ed 
ora  anche  da  noi,  si  aggiungono  G()-1(K)  gr.  di  verde  di  Parigi  (aceto  arsenito  di  rame  per 
ettolitro).  Con  questa  miscela  si  combatte  la  ticchiolatura  del  pero  e  melo  e  le  torlrici, 
oppure  la  peronospera  e  la  Cochylis  della  vite.  Bisogna  avere  l'avvertenza  di  preparare 
la  poltiglia  cupro  calcica  con  eccesso  di  calce. 

3.  —  Ln  poltiglia  boryognona  si  prepata  come  la  pollif^lia  bordolese, 
soltanto  si  adoperano  2  kg.  di  solfato  di  lanie  ed  1  kg.  di  carbonaio  di 
soda  Solvay.  Ha  il  vantaggio  che  il  carbonaio  di  soda  non  si  altera 
colla  conservazione  come  avviene  per  la  calce. 

Tutte  queste  poltiglie  devono  esseie  date  in  modo  che  tulle  le  pai  li 
verdi  le  ricevano  allo  stato  massimo  di  divisione,  o  meglio  polveriz- 
zazione. I  trattamenti  devonsi  perciò  fare  con  pompe  che  agitino  co- 
stantemente la  poltiglia  polverizzata  al  massimo  grado  nella  irrorazione. 

4.  —  Le  due  poltiglie  precedenti  non  sono  aderenti  che  alla  condi- 
zione di  essere  adoperate  fresche,  ossia  appena  preparale. 

La  poltiglia  al  sapone  oltre  ad  essere  aderente  è  anche  inalleiabile 
se  conservata  in  recipienti  chiusi. 

Il  Prof.  Francesco  Senise,  Vice  Direttore  della  Scuola  di  S.  Ilario  Ligure  mi  riferisce 
di  avere  ottenuto  splendidi  risultati  nella  lotta  contro  la  peronospera  adoperan<lo  le 
seguenti  poltiglie  al  sapone. 


Formola  generale  . 


Forinola  per  le  acque  dure,  scie-      \ 


Solfalo  di  rame  gr.    500 

Sapone  di  Marsiglia      kg.    2.— 
Solfalo  di  rame  gr.    .50» 


nitose  o  torbide      .       .        .      (      .sapone  «li  Marsiglia     kg.    2..50( 
Solfalo  di  rame  gr.    .500 


Formola  per  le  acque  piovane 


Sapone  di  Marsiglia       kg     1  .VKM.WtO 


Egli  sperimentò  delle  poltiglie  nel  Napoletano,  nella  lta-.ili,:.i:i  .■  npll:i  (Mhil.i  i:i 
e  trovò  i  seguenti  vantaggi: 

al  aderenza  perfetta: 

b)  conservazione  perfetta  delle  jìompe: 

e)  minima  esportazione  per  efletto  delle  |)ioggie  dovuta  alle  particelle  finissime 
che  aderiscono  a  tutte  le  anfrattuosita  anche  microscopiche  delle  foglie; 

d)  pochi  trattamenti: 

e)  irrorazione  completa  dei  grappoli  ed  allri  frutti  con  buccia  liscia  o  pruinosa  : 
fi  risparmio  di  mano  doperà  e  di  materia  prima: 

g)  risparmio  di  calpestare  il  terreno,  danno  rpiesto  non  piccolo  avendo  delle 
raccolte  sottostanti. 

Ha  l'inconveniente  di  non  essere  visibile  come  il  traltamento  borrlolese  o  il  bor- 
gognone. 


—  396  - 

Si  scioglie  sempre  il  solfato  di  rame  in  50  litri  d'acqua.  Separatamente  si  scioglie  il 
sapone  nell'acqua  calda  in  altri  50  litri  d'acqua. 

Si  versa,  contrariamente  alla  preparazione  della  poltiglia  bordolese,  la  soluzione 
del  solfato  di  rame  in  (juella  saponosa,  agitando  fortemente.  Facendo  il  contrario,  l'acqua 
resta  limpida  e  nel  fondo  si  ha  un  precipitato  spugnoso,  mentre  invece  si  deve  avere 
una  soluzione  colloidale,  leggermente  azzurra,  non  limpida,  senza  precipitato. 

5.  —  Zolfo.  Lo  zolfo  viene  impiegato  pei-  coinbatlere  V  Oidiuni  e 
molte  altre  crittogame  che  vivono  alla  superficie  delle  piante.  Lo  zollo 
dev'  essere  fine  e  puro  e  dev'esser  dato  in  modo  da  avvolgere  la  pianta 
con  una  polvere  lìnissima  senza  grumi.  La  sua  azione  è  meccanica 
e  chimica:  meccanica,  perchè,  come  tutte  le  polveri,  ostacola  l'estendersi 
delle  crittogame;  chimica,  per  la  derivazione  di  anidride  solforosa  e 
di  acido  solforoso  e  solforico,  i  quali  ultimi  morti lìcano  i  miceli  dei 
funghi.  Lo  zolfo,  per  agire,  ha  bisogno  d'una  temperatura  di  25»  a  35"  : 
a  questa  temperatura  la  sua  azione  si  può  esplicare  anche  in  24  ore. 
Lo  zolfo  agisce  anche  sulla  vegetazione;  il  fogliame  delle  viti  acqui- 
sta maggior  consistenza,  fa  anticipare  la  maturazione  dell'uva  e  del 
legno,  favorisce  in  sommo  grado  la  fecondazione. 

Per  dare  lo  zolfo  si  devono  adoperare  le  solforatrici  che  devono 
getlare  lo  zolfo  molto  minutamente,  in  modo  da  avvolgere  la  pianta 
in  una  nube. 

6.  —  Lo  zolfo  raiìialo  viene  ora  molto  usato,  specialmente  quello 
al  3%,  per  combattere  contemporaneamente  l'oidio  e  la  peronospora. 

7.  —  Polliglia  zolfo -calcica.  Facendo  bollire  nell'acqua  della  calce  e 
dello  zolfo,  si  formano  dei  tetra  e  pentasolfuri  di  calcio  i  quali  si 
sono  trovati  efficaci  per  combattere  le  cocciniglie,  gli  Eriophyes,  il  Tet- 
ranichus,  l'Exoascus  deformans,  i  Fuscicladium,  la  Sphaerotheca  mors- 
uvae,  la  S.  paunosa,  il  Cladosporium  carpophilum,  la  Monilia  fructigena 
ed  altre  crittogame  che  andremo  citando,  quando  si  tratterà  delle  sin- 
gole malattie. 

Questa  poltiglia  applicata  ai  rami  colpiti  da  cocciniglie  agisce  come 
caustico,  corrodendo  le  uova  e  gli  scudetti  sotto  ai  quali  si  riparano 
gli  insetti  e  mettendoli  a  nudo.  Agirebbe  anche  come  asfissiante:  i  poli- 
solfuri  infatti,  sotto  l'azione  dell'anidride  carbonica  dell'aria,  si  de- 
compongono, formando  carbonato  di  calcio,  zolfo  molecolare  e  idro- 
geno solforato,  che  é  velenosissimo.  Il  carbonato  di  calcio  e  lo  zolfo 
rimangono  fortemente  aderenti  ai  rami  e  per  lungo  tempo,  impedendo 
cosi  che  altre  cocciniglie  vengano  a  stanziarsi. 

La  preparazione  si  fa  nel  seguente  modo: 

«)  Si  prendano  3  lig.  di  calce  viva,  ancora  in  i)ietruzze.  fresca  e  pura  più  che  sia 
possibile.  Si  fa  l'estinzione  lentamente  con  pochissima  aciiua.  (juando  è  ridotta  in  una 
poltiglia  omogenea,  si  slaccia  per  levare  le  impurità. 

b)  A  parte  si  pesano  3  kg.  di  zolfo  puro  più  che  sia  possibile  e  con  questo  si  fa, 
aggiungendo  acqua  un  po'  alla  volta,  un  impasto  omogeneo,  in  una  specie  di  polenta 
tenera. 

.Siccome  è  difficile  stemperare  omogeneamcnle  lo  zolfo  coH'acqua,  conviene  aggiiui- 
gere  40  cm.'  di  alcool  denaturato. 


-  :v.)7  - 

e)  Si  prenda  poi  una  riiarniilla  di  terra  (od  ima  pentola  di  ferro,  non  però  di  rnmei 
della  capacità  di  30  litri.  In  i(uesla  si  versino  2(1  litri  dac.|iia,  poi  i  :t  kf-  di  .-alce  stem- 
perati nell'acqua  e  da  ultimo  la  polenta  di  zolfo,  mescolando  sempre  atlivaiiienle  con 
un  bastone  di  legno  e  con  diligenza,  per  ottenere  un  tutto  omogeneo. 

lì)  Ottenuto  questo,  si  metta  la  marmitta  al  fuoco,  si  faccia  bollire  la  miscela 
per  un  ora.  mescolandola  vivamente  per  evitare  che  si  formi  deposito. 

Passato  «pieslo  tempo  si  levi  la  marmitta  dal  fuoco,  si  filtri  il  tidto  attraverso 
una  tela  grossolana,  lavando  la  marmitta  con  ac(pui  calda,  per  portar  via  lutto  il  sedi- 
mento (costituito  in  massima  parte  di  solfito  e  monusolfnro  di  calcio)  rimasto  ade- 
rente alle  pareti.  Se  la  operazione  è  stata  fatta  bene,  la  poltiglia  avrà  un  colore 
giallo   bruno. 

e)  Si  porti  la  poltiglia  al  volume  di  20  litri,  aggiungendo  acqua  fredda  e  Iole  si 
conservi  in  recipienti  chiusi  di  vetro.  Non  potendo  conservarla  in  recipienti  ben  chiusi, 
bisogna  avere  lavvertenza  di  ricoprirla  di  un  leggero  strato  di  olio,  allo  scopo  di  evitare 
che  avvengano  delle  decomposizioni  al  contatto  dell'aria. 

Nella  operazione  non  si  devono  adoperare  recipienti  o  spatole  di  rame,  perché 
vengono  intaccate.  I  vapori  che  si  sprigionano  durante  l'ebollizione,  attaccano  facilmente 
i  metalli,  sicché  è  prudente  allontanare,  prima  dell'operazione,  orologi  o  altri  oggetti 
che  potrebbero  essere  danneggiati. 

Si  faccia  l'applicazione  delia  poltiglia  con  un  pennello.  Dovendo 
adopei'are  pompe  iiroi-atrici,  bisogna  averne  con  iccipienti  di  legno  ; 
ai)pcna    adoperate   si  sciacciui  bene  la  cannula  ed  il  getto. 

L'inverno  è  la  stagione  piti  propizia  per  il  Iraltatnento. 

Trattandosi  di  piante  a  foglie  caduche,  si  pennellano  i  rami  ed  i 
tronchi  con  3  litri  di  soluzione  concentrala  diluiti  con  7  litri  di  ac(|ua. 
Per  gli  olivi,  aranci,  evonimi  e  altre  piante  sempre  verdi  bastano 
2  litri  di  soluzione  concentrala  diluiti  con  N  litri  di  ac(|ua. 

Durante  la  vegetazione  si  adojiera  una  soluzione  ancora  piti  diluita 
(litri  1,  5  e  litri  8,  ó  di  acqua;,  specialmente  in  primavera,  (piando  ap- 
pariscono le  ])rime  foglie,  e  le  prime  cocciniglie. 

Una  settimana  dopo  il  primo  trattamento,  se  ne  faccia  un  secondo, 
per  distruggere  le  cocciniglie  scampate  dal  primo  o  nate  dopo. 

8.  —  Miscuglio  Slaiu'insclaj.  Serve  per  combattere  1'  antracnosi 
della  vile  e  per  disinfettare  le  ferite.  Si  pennellano  le  parli  aeree  della 
pianta  con  ballulfoli  di  stracci  in  cima  ad  un  bastoncino. 

Si  prepara,  ponendo  10-.')0  kg.  del  solfato  ferroso  in  commercio  in  un  recipiente  di 
terra  cotta  o  di  legno,  e  versan<lo  a  poco  a  poco  1  litro  <leiracido  solforico  in  com- 
mercio al  Mi"  B.  Si  lascia  che  il  sale  assorba  l'acido  solforico  e  poi  si  versano  KMi  litri 
di  acqua  bollente  mescolando  tino  ad  ottenere  la  completa  soluzione  del  sale. 

Non  bisogna  mettere  metalli  in  contatto  con  questa  miscela. 

(Lon  questo  miscuglio  si  curano  anche,  con  buonissimo  elicilo,  le 
piante  colpite  da  clorosi,  pennellandole  durante  rinverno. 


398 


VI. 
Malattie  dovute  a  crittogame. 

1.  —  Rogna  e  lubercolosi.    Con  tali  termini  volgari  si  sogliono    de- 
signare malattie  dovute  al  parassitismo  dei  batteri. 

«;  La  Rogna  e  tubercolosi  della  vile  {Fig.  255  e  257)  si  manifesta  con  deformazioni 
del  ceppo,  dei  tralci,  e  dei  grappoli,  ricoperti  da  tubercoli  numerosissimi,  addossati,  in 
modo  che  gli  organi  intaccati  assumono  un  aspetto  fungoso.  La  malattia  è  causata  da  un 

bacillo  (Bacillus  tumefaciens,  E.  Smith) 
che  penetra  nei  tessuti  per  qualche  ferita 
prodotta  al  ceppo,  a  fior  di7,terra,  colla 
vanga  o  colla  potatura  ai  tralci. 

È  meglio  svellere  ima  vite  colpita  e 
bruciarla;  non  si  ricorra  alle  propaggini 
j)er  la  moltiplicazione. 

bj  Rogna  o  tubercolosi  dell'olino  (Ba- 
cillus .Savastanei  E.  Smith)  (Fig.  2.5()  e  2.58). 
Si  manifesta  sotto  forma  di  tubercoli  sparsi 
sui  rami,  sui  virgulti,  sul  tronco  e  sul  pe- 
dale, prima  di  consistenza  carnosa,  lisci,  poi 


Fig.   255.    —    Tralcio   di   vite 
colpito  dalla  rogna. 


Fig.  2.5fi.  —  Ramoscelli  di  olivo 
colpiti  dalla  rogna. 


screpolati,  legnosi,  foggiati  a  crateri.  Il  continuo  accrescersi  del  tubercolo  produce  screpo- 
lature e  spacchi  nel  periderma,  indi  disfacimento  dei   tessuti  esterni  (carie  del  legno). 
I  tubercoli  possono  anche  colpire  le  foglie  ed  il  frutto  (Peglion). 
I  rimedi  da  consigliare  sono  i  seguenti: 

aaj  non  ])ropagare  gli  olivi  per  ovoli  o  per  polloni  ; 
bbj  moltiplicare  le  varietà  più  resistenti  alla  malattia  ; 


—  ÒW 

ce)  non  potare  gli  olivi  sani  con  arnesi  usati  nella  potatura  di  lineili  malati, 
senza  averli  prima  disinfettati  col  fuoco: 

dd)  rigorosa  scelta  delle  marze  di  innesto,  prelevandole  da  piaiilc  assoluta- 
mente sane; 

eej  nei  casi  di  infezione  leggera,  si  taglino  i  rami  attaccati  e  si  bruciano: 

If)  se  l'infezione  è  estesa  si  asportino  i  tubercoli  con  un  pennato,  trattando  le 
ferite  col  miscuglio  SUawinsky  (pag.  'MÌ7). 


Fig.  257.  —  Grappolino  di  vite  deformalo  dalla^rogn:! 


Fig.  2.')<S.  —  Tumori  prodotti  dalla  rogna  su  un  ra 


2.  —  Bacteriosi  del  gelso,  del  fico  e  Mal  nero  della  vile.  (Ascobaclc- 
rium  luteum).  Sulle  foglie  del  gelso  si  iiianifesla  con  macchie  nera- 
stre, a  contorni  irregolari,  più  piccole  di  quelle  della  fersa,  di  colore 
più  scuro  e  prive  di  orlatura  rosso  brunaslra.  Le  foglie  poi  riman- 
gono perforale  ed  i  rami  si  mostrano  ricoperti  di  ulcerette  ovali  che 
dapprima  si  sporgono  e  poi  si  avallano,  assumendo  una  colorazione  più 
oscura,   corrodendo  il   ramo  fino  al  midollo. 

Sul  ramo  di  lieo  si  osservano  chiazze  brune  che  mettono  a  nudo 
le  zone  legnose  dando  loro  un  colore  ocraceo.  II  Cavara  attribuisce 
anche  all'Ascobacteriuni  luteum  il  mal  nero  della  vile. 


-  400  — 

Non  si  conosce  alcun  rimedio  diretto  contro  queste  malattie.  Si 
possono  consigliare  i  medesimi  rimedi  suggeriti  per  la  rogna. 

3.  —  Gommosi  delle  piemie  a  nocciolo.  Questa  malattia  è  dovuta  allo 
stimolo  o  reazione  della  pianta  alle  ferite,  all'azione  del  gelo,  alla  con- 
cimazione non  completa,  a  parassiti  vegetali. 

Secondo  il  Prof.  Comes,  un  batterio,  Bacleriiim  gummis^  si  noterebbe 
nella  mucilaggine  che  precede  la  gummi/icazione  delle  cellule  amilifere 
nelle  piante  affette  da  gommosi. 

La  gommosi  avviene  tanto  nel  legno  quanto   negli    strati    corticali. 

Quando  una  parte  del  legno  è  degenerata  in  gommosi,  la  degenerazione  si  pro- 
paga, da  un  ramo  passa  all'altro,  fino  al  tronco,  senEa  avere  influenza  negli  strati  cor- 
ticali, cosi  che  della  malattia  ci  si  accorge  solo  tagliando  il  ramo. 


Fig.  259.  —  Sezione  di  un  ramo  di  un  anno  di  ciliegio 
con  una  ghiandola  gommosa  nel  corpo  legnoso. 

M,  midollo  -  li.  strato  legnoso  -  rf,  ghiandola  gommosa  -  ni,  raggi  midollari 
assottigliati  e  degenerati  dalla  gommosi  -  a,  masse  di  gomma  sparse  per  il 
legno  che  impescono  lo  sviluppo  delle  fibre  legnose  -  b.  cellula  di  libro  defor- 
mata dalla  gommosi  -  /).  cellule  di  legno  che  cominciano  ad  essere  intaccate. 


Come  questo  avvenga  si  rileva  dalla  fig.  259  in  cui  è  rappresentala  la  sezione  di  un 
ramo  di  un  anno  di  ciliegio,  colpito  internamente  da  gommosi. 

\el  corpo  legnoso  H  si  osserva  in  d)  un  agglonieramento  di  cellule  degenerate  in 
gomma  che  chiameremo  ghiandola  goniinosa,  p  un  agglomeramento,  appena  al  prin- 
cipio del  suo  sviluppo.  Avvenuta  la  degenerazione,  si  ])ropaga  alle  cellule  situate  alla 
periferia  di  queste  ghiandole,  dissolvendo  in  gomma  prima  le  pareti  cellulari,  poi  il  loro 
contenuto.  In  questo  stadio  della  malattia,  avviene  uno  strano  modo  di  ricostituzione 
dei  singoli  elementi  dei  tessuti.  Le  cellule  dei  raggi  midollari,  quantunque  l'amido  che 
contengono  venga  trasformato  in  gomma,  si  allungano  e  penetrano  nella  ghiandola 
gommosa  in  ;  lo  stesso  avviene  per  le  cellule  del  libro  b.  In  tal  modo  il  ramo  resta  senza 
sviluppo  per  tutto  il  tratto  di  degenerazione.  I.e  cellule  vicine,  rimaste  sane,  producono 
bensì  un  tessuto  rimarginante,  che  si  accresce  sotto  il  i)eriderma  e  dovrebbe  sostituire 
il  mancato  sviluppo  di  legno  e  corteccia,  ma  questo  tessuto  non  arriva  che  in  rari  casi 
ad  unirsi  e  porre  riparo  alla  degenerazione  patologica.  1  rami  in  tal  modo  langui- 
scono sempre  più  e  finiscono  col  perire. 


101 


4»*f^^-^ 


Qualche  volta,  dalla  parte  opposta  del  ramo  colpito,  si   sviluppano  nuovi   strali  di 
legno,  come  si  vede  nella  fig.  26(). 

Quando  la  gommosi  intacca  la  corteccia,  allora  su  questa  appaiono  piaghe  esterne 
come  nella  iìg.  261.  Qui  si  vedono  i  tessuti  del  lloeiua.  del  cambio  ed  anche  del  paren- 
chima corticale,  colpite  dalla  degenerazione.  K  degno  di  nota  però  il  fallo  che  il  peri- 
derma  non  viene  inlaccato  nei  rami  giovani:  quindi  se  non  avviene  il  dellusso  della 
gomma,  la  gommosi,  che  si  trova  immediatamente  sotto 
air  epidermide,  rimane  inavvertita. 

Da  quanto  precede  noi  possiamo  concludere  che 
la  gommosi  la  si  può  inoculare  facilmente  colle  marze 
di  innesto,  poiché  queste  possono  contenere,  senza  che 
subito  apparisca,  ghiandole  goiuiiiose  o  noduli  gom- 
mosi. Quand  anche  non  vediamo  sgorgare  della  gom- 
ma, la  degenerazione  interna  dei  tessuti  può  essere 
molto  diffusa  negli  strali  sottocorticali  e  fino  e<l  oltre 
al  legno. 

Come  abbiamo  sopra  accennalo.  i)arecchic  sem- 
brano essere  le  azioni  concomitanti  a  provocare  la 
gommosi:  le  principali  sono  tre  e  cioè:  i  tagli  molto 
energici,  il  gelo  ed  una  iiuperfella  nutrizione.  Queste 
diverse  azioni  raccolgono  nelle  singole  parli  materiali 
esuberanti  in  quel  dato  organo  :  si  ha  perciò  una 
rapida  formazione  di  nuovi  tessuti  senza  però  che  i 
materiali  siano  completamente  adatti  per  portarli  a 
completo  sviluppo. 

La  malattia  .si  mani  festa  con  masse  di 
gomma  che  sgofgano  dal  tronco  e  dai  fami; 
tali  masse  si  liquefano  nell'acqua  e  non  nel- 
l'alcool. 


Fig.  260.  —  .Sezione  trasversale  del  fusto  di  un  ciliegio 
di  8  anni,  il  quale  da  un  lato  in  3  e  da  :>  anni  è  stato 
alterato  per  la  gommosi  e  che  potè  sviluppare  dei  nuovi 
circoli  legnosi  dalla  parte  opposta  in  n  -  a.  ramo  che 
si  diparte  dal  fusto  -  i.  una  faccia  del  fusto. 


l'ig.  261.        Ferita  prodotta 

dalla    gommosi    sopra     un 

tronco    di    una    pianta    da 

fruito  a  nocciuolo. 


I  rimedi  sono  più  di  ordine  preventivo  che  curativo  : 
aa)  non  concimare  con  molto  letanie  ed  evitare   i    terreni    argil- 
losi umidi  ; 

bb)  difendere  con  diligenza  le  piante  da  qualsiasi   i)arassita   ani- 
male o  vegetale  ; 

ce)  arare  superficiamente  il  terreno  per  non  intaccare  coll'aralro 
le  radici  : 


Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  402  — 

dd)  Recidere  la  parte  degenerata  fino  alla  parte  sana,  formando 
così  una  ferita  che  la  pianta  possa  rimarginare  senza  pericolo  di  disfa- 
cimento. Si  ripari  la  ferita  con  un  mastice  ; 

ee)  Moderare  la  letamazione  delle  piante,  impiegando  concimi 
chimici,  esclusi  gli  azotati  e  con  prevalenza  di  calcari  e  fosfatici. 

ff)  Privare  le  piante  dei  rami  più  deperiti. 

gg)  Moderare  le  irrigazioni. 

hh)  Aereare  il  terreno  con  profonde  lavorazioni  e  con  fossi  di  scolo. 

ii)  Non  adoperare  per  la  moltiplicazione  piante  o  parli  di  piante 
affette  da  gommosi. 

Il)  Evitare  la  potatura  invernale. 

4.  —  Gommosi  degli  agrumi.  La  causa  deve  essere  simile  a  quella 
della  precedente  malattia,  soltanto  intacca  gli  agrumi  e  specialmente  il 
cedro  ed  il  limone. 

Si  manifesta  con  un  intristimento  generale  della  pianta,  ingialli- 
mento e  poi  caduta  delle  foglie,  sviluppo  esile  dei  rami.  Sui  rami  si 
osservano  macchie  nere,  da  cui  sgorga,  dopo  alquanto  tempo,  la 
gomma.  Quando  la  malattia  colpisce  in  giro  tutto  il  fusto,  la  pianta 
muore  in  3-4  anni.  Dal  1865  al  1870  questa  malattia  infierì  tanto  in 
Sicilia  da  distruggere  tutti  gli  agrumi. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Innestare  sul  melangolo  ad  un  metro  di  altezza. 
b)  Non  adoperare  mai  per  soggetti  piante  ottenute  per  talee  o  per 
margotte. 

e)  Non  scegliere  le  marze  di  innesto  sopra  piante  colpite  da 
gomma. 

d)  Rinunciare  alla  moltiplicazione  per  talea,  barbatella  o  margotta. 

e)  Applicare  i  mezzi  di  difesa  indicati  più  sopra  per  la  gommosi 
delle  dupracee. 

5.  —  Anche  sulle  radici  dell' o//j'o  e  del  fico  si  sviluppa  una  ma- 
lattia simile  della  gommosi. 

6.  —  Marciume  radicale  parassitario.  Tutte  le  piante  da  frutto  pos- 
sono essere  intaccate  da  questa  malattia,  tanto  nei  vivai  quanto  a 
dimora. 

Il  marciume,  chiamato  anche  mal  bianco  o  putredine  delle  l'adici 
viene  prodotto  daWAgaricus  (Armillaria)  melleus,  Rosellinia  aquila  che 
colpisce  specialmente  le  radici  del  gelso  e  la  Rosellinia  (Dematophora) 
necatrix  (1). 

Questi  funghi  hanno  cordoni  miceliali  chiamati  rizomorfe,  consistenti  in  tanti 
filamenti  bianchi  (fìg.  262),  che  si  internano  nei  tessuti  della  radice,  uccidendoli  e  for- 
mando delle  falde  biancastre. 

Poco  prima  o  poco  dopo  la  morte  della  pianta,  avviene  la  fruttificazione  dei  funghi. 

Le  fruttificazioni  dell'Agarico  compaiono  di  solito  dopo  le  pioggie  di  settembre  od 


(1)  Nei  tessuti  alterati  o  morti  per  il  marciume,  si  trova  anche  un  altro  fungo  la 
Raesleria  hypogea  la  quale  in  autunno  si  palesa  esternamente  con  dei  cappelli  piccoli, 
emisferici  bianchi,  portati  da  un  piede  ancora  più  bianco,  lungo  5  a  6  mm. 


403 


in  ottobre,  alla  base  del  ceppo  della  pianta  colpita,  a  gruppi:  sono  conosciute  comune- 
mente col  nome  dì  fungo  chiodino,  famigliola,  ecc..  fungo  mangereccio  (lig.  2<>:t). 

I  frutti  della  Dematophora  hanno  l'aspetto  di  aggregali  di  sferoline  pedicellnle.  ncl- 
r  interno  trovansi  le  spore,  che  sitrovano  pure 
alla  base  dei  tronchi,  al  colletto. 

La  inolli|)licazione  quindi  dei  due  lunghi 
è  affidata  non  solo  alle  rizomorfe,  ma  anche 
alle  spore:  (pielle  procurano  le  infezioni  a  de- 
corso sotterraneo,  da  radice  a  radice,  queste 
invece  producono  a  fior  di  terra  ed  invadono 
direttamente  il  colletto  e  le  grosse  branche  delle 
radici. 

La  eslesa  diffusione  del  marciume  radicale 
è  dovuta  alla  vitalità  delle  rizomorfe,  che  pos- 
sono adattarsi  per  un  tempo  assai  lungo  alla 
vita  saprofìtaria,  vivendo  a  spese  dei  materiali 
organici  che  abbondano  nel  terreno.  Questa  fa- 
coltà unita  alla  spiccata  resistenza  del  micelio 
e  delle  rizomorfe  in  ispecie,  all'azione  degli 
agenti  fisici,  fa  si  che  i  parassiti  stessi  si  mol- 
tiplichino sopratutto  per  mezzo  degli  avanzi 
miceliali  rimasti  nel  terreno.  La  penetrazione 
del  micelio  nelle  piante  ospiti  è  indubbia- 
mente agevolata  poi  dalle  lesioni  che  eventual- 
mente presentano  le  parti  sotterranee  delle 
piante  ospiti  :  le  ferite  prodotte  durante  i  lavori 
del  suolo,  le  erosioni  causate  dagli  insetti,  le 
alterazioni  che  susseguono  alle  punture  della 
fillossera   sono   altrettante    vie    d' accesso     alla 


Fig.  262.  —  Ceppo  di  vite  morto  per 
1  invasione  della  Dematophora  necatri.v. 
a.  Micelio  filamentoso  -  b.  cordone  ri- 
zoido  che  poi  si  ingrossa  o  differenzia 
in  rizoforme  -  e,  in  d  ed  e.  si  vedono 
dei  piccoli  sclerozi  che  spuntano  alla 
superficie  della  corteccia  della  pianta  e. 
tanto  su  questi  quanto  direttamente  sul 
micelio,  in  condizioni  opportune,  si  for- 
mano dei  filamenti  fruttiferi  conidiofori. 


Fig.  263.  —  Agaricus   melleus. 

Il    micelio   abbraccia    in    parte    la    base 

del  tronco  morto  del  fungo. 

Le  fruttificazioni  escono   in  copia  dalla 

corteccia  del  tronco. 


malattia,  indipendentemente  dalla  facoltà  che   hanno 
genere  di  invadere  anche  i  tessuti  sani 


tubi  [germinali  e  il  micelio   in 


Il   marbia^n^o  Infierisce   specialmente   nei  terreni  forti  che  -«'-«  ^f  «,«  J,°^°° 
quindi  soggetti  a  ristagni  d'acqua.  Nei  punti   in  cui   questi   sono   frequent.,  .1   male   è 


—  404   - 

endemico  poiché  il  micelio    del   parassita   non    risente   alcun    danno    neppure   da   una 
prolungata  sommersione. 

Nelle  sabbie  ove  diffìcilmente  v'è  umidità  stagnante,  il  mal  bianco  è  rarissimo  (Peglion). 

Aspetto  della  lualaltia:  Le  piatile  amiiialate  iiiostfano  sintomi  di 
sofferenza  dopo  3-6  anni  dall'infezione;  questi  sintomi  si  possono 
riassumere  in  una  vegetazione  stentata,  in  un  aspetto  languente,  in  uno 
sviluppo  delle  foglie  spesso  inferiore  al  normale  ed  inlltie  in  un  lento 
e  graduale  disseccamento.  Quando  la  ])ianta  è  per  perline,  appariscono 
a  fior  di  terra  i  corpi  fruttiferi  dei  parassiti,  dei  quali  s])ecialinente  è 
comune  l'Agarico. 


Fig."2f>4.  —  Foglia  di  vite  intaccata  dalla  Plasniopuia  oitis. 


Mezzi  di  difesa:  Non  si  possono  consigliare  contro  questa  malattia 
che  cure  preventive,  e  cioè: 

a)  Allontanare  i  funghi  che  compaiono  alla  base  delle  piante 
prima  dello  maturazione  delle  spora; 

bj  Appena  conosciuta  la  malattia  estirpare  tutte  le  piante  che  non 
ne  siano  perfettamente  immuni  ; 

e)  Disinfettare  il  terreno  con  calce  o  solfato  di  ferro,  abbruciando 
o  iniettando  120  gr.  di  solfuro  di  carbonio  per  metro  quadrato  ; 

d)  Non  fare  nel  medesimo  posto  altri  impianti  per  3  o  4  anni, 
cambiando  poi  le  linee  dei  filari; 

e)  Usare  nell'impianto  piante  sane  provenienti  da  terreni  asso- 
lulainente  immuni  ; 

f)  Drenare  il  terreno. 


7.  ~  PeroiiosiHìre.  Alle  infezioni  peronosporiche  sono  sof^gelU  la 
vile  (Feronospora  o  Plasniopara  viticola  Buch.  e  De  Ton.)  il  ribes 
(Pei'onospora  ribicola  Schraet;  ed  il  lampone  (I*.  rubi  Bbli.) 

La  più  iniportanle  è  la  peronospora  della  vite  che  intacca  lutti  ^li 
organi  aerei,  erbacei  della  vile.  Le  prime  Iraccie  coinpaionc»  sulle  fof^lie 
in  maggio,  sotto  torma   di    macchie    tondeggianti,   di    color    bruno    nel 

centro,  che  sfuma  in  giallastro  alla 
periferia  ed  inleriormenle  si  noia 
una  efiloresccnza  bianca,  cristallina. 
Conlluendo    più    macchie,    l'intera 

^. f  foglia  dissecca  e  si  distacca  (lig.  2<)l). 

I  grappolini,  se  colpiti  prima, 
durante  o  dopo  la  lìoritura,  si  ricur- 
vano, diventano  giallognoli  e  poi 
bruni  (lig.  2(55)  con  una  leggera  ef- 
iloresccnza bianca.  L'acino  imbru- 
nisce (lig.  2(56),  prende  una  linla 
cuojo  e  talvolta  si  copie  di  una  ef- 
llorescenza.  Sui  Iralci,  lìnchè  sono 
verdi,  si  notano  macchie  giigie  o 
livide. 

Si  può  prevedere  ogni   conlaminazioiie 

(iella  peronospora  cogli   elementi  seguenti  : 

II)    (li    primavera  :    pioggie    generali 

fredde    e    prolungate  ;     pioggie     l)revi     ma 

fredde  in  terreno  già  umido 


l'ig.  26.').  —  Grappolo  nel  primo  periodo 
di  sviluppo,  intaccato  dalla  Peronospora 
uilicola.  —  £1,  acini  sani  -  b,  acini  legger- 
mente colpiti  -  e,  acini  molto  danneg- 
giali -  rf.  peduncolo  colpito. 


l-ig.  IW.. 
:iiii  d'  uva   in  grandezza  naluralc 
colpiti  dalla  /Vroiios/ion/ 


b)  in  estate;  pioggie  generali  fred.le  e  prolungale,   pioggie  brevi   ma  .fredde   in 
terreno  arido  : 

e)  arresto  della  vegetazione,  eziolamento  delle  foglie: 

d)  scomparsa  dell'amido  dagli  internodi  erbacei,  arresto  di  sviluppo  nelle   radi- 
cene (Peglion).  ,.     .       ,, 

Ora  in  Francia  si  stanno  organizzando  osservatori   per  avvertire  i  viticoltori  sulle 

epoche  in  cui  fare  i  trattamenti. 

La  poltiglia   bordolese  e  gli    zoHÌ-ramali  sono  i    rimedi  di    ordine 
preventivo. 


—  406  — 

Il  primo  trattamento  si  fa  a  partire  dal  primo  periodo  piovoso 
susseguente  alla  comparsa  dei  grappoli  fiorali.  Durante  la  fioritura 
bisogna  star  sempre  pronti  per  un  secondo  trattamento,  specialmente 
quando  si  hanno  rapidi  abbassamenti  di  temperatura  e  nebbie. 

Talvolta  occorre  un  terzo  e  quarto  trattamento.  Per  il  primo  trat- 
tamento si  può  usare  la  poltiglia  bordolese  all'  1  7o  di  solfato  di  rame 
e  calce;  nei  successivi  trattamenti,  specialmente  occorrendo  intensificare 
la  difesa,  si  potrà  usarla  all'I  '/aVo?  aggiungendovi  anche  gr.  125  per  hi. 
di  cloruro  o  solfato  animonico.  Nelle  annate  piovose  si  adoperi  la 
poltiglia  al  sapone  (pagina  395). 

Per  la  difesa  dei  grappoli  si  ado- 
pera il  zolfo-ramato  al  3  7o  invece  di 
impiegare  lo  zolfo  solo. 

La  peronospera  del  lampone  e 
del  ribes  si  combatte  nel  medesimo 
modo. 


Fig.1267.  —  Foglia  di  pesco  Fig.  268.  —  Foglia  di  pero 

colpita  dall'  Exoasciis  deformans.  colpita  dalla  Taphrina  ballata. 

8.  —  Lebbra,  bolla,  scopazzi,  accarlocciainento  delle  foglie.  Malattia 
molto  comune  a  tutte  le  piante  a  nocciolo  ma  specialmente  al  pesco  e 
al  mandorlo  (Exoascus  deformans  Fuck),  al  susino  (E.  pruni  Fuck),  al 
ciliegio  (E.  cerasi  Fuck)  oltre  che  al  noce  e  al  nocciuolo  (E.  jnglandis 
Berck).  Sul  pero  e  sul  biancospino  si  ha  pure  un'alterazione  delle  foglie 
prodotta  dalla  Taphrina  bullata  Fuck. 

Queste  crittogame  intaccano  le  foglie  (lìg.  267-268)  ed  i  giovani  rami 
(fig.  270).  Le  foglie  intaccate  ingialliscono,  poi  diventano  rossastre, 
vescicolose,  si  arricciano,  si  torcono  ed  al  principio  dell'estate  cadono. 

Avviene  lo  stesso  sulla  corteccia  dei  giovani  rami,  cosi  che  questi 
formano  colle  foglie,  specialmente  sul  ciliegio  e  prugno,  una  massa 
arruffala  (scopazzi). 

Sul  susino  intacca  specialmente  i  frutti  giovani,  ipertrofizzandoli-, 
li  allunga,  li  schiaccia  lateralmente  e  spesso  li  incurva  e  contorce  tra- 
sformandoli in  bozzacchioni,  che  cadono  al  suolo  (fig.  269). 


407 


Tulle  queste  alterazioni  sono  dovute  ni  luioelio  degli  Kxoascus  il  c|iialc.  invadendo 
le  foglie  o  l'ovario  dei  fiori,  passa  poi  ai  rami  e  alle  gemme  ove  sverna.  La  mnlattia 
procede  sempre  dall'alto  al  basso  e  la  sua  intensità  è  sempre  in  correlazione  colle 
condizioni  tìsiche  deiranibienle.  I  rapidi  sbalzi  di  temperatura  durante  la  primavera  o 
l'estate,  accompagnati  da  venti  freddi  u  da  nubi  e  da  acccpiazzoni  freddi,  favoriscono 
in  particolar  modo  la  intensità  della  malattia  mentre  una  forte  elevazione  della  tem- 
peratura ed  un  abbassamentodello  stato  igrometrico,  possono  arrestare  o  indebolire  il 
decorso. 


Fig.  269.  —  Ramo  e  frutto  di  susino  colpito 

dall'ExoascHS  pruni  o  malattia  della  lebbra. 

per    la    quale    i    frutti   si  sono   trasformati 

in  bozzacchioni. 


Fig.  27(1.  —  Ramo  di  ciliegio  de- 
formato dair£roa.scMS  cerasi.  —  Il 
prolungamento  i)rìncipale  ò  niorlo 
lino  all'estremità  e  si  svilupparono 
ranulicazioni  laterali. 


Mezzi  di  difesa,  a)  Abbondante  polatura  dei  rami  inlarcali,  tagliando 
specialmente  tutte  le  estfemità  dei  rami  delle  piante  colpite.  Conviene 
addirittura  capitozzare  le  piante  molto  colpite. 

b)  Prima  che  le  gemme  sboccino,  dal  novembre  al  marzo,  irro- 
rare tutta  la  pianta  in  3  o  4  volte  colla  poltiglia  bordolese  al  4  %  d> 
solfato  di  rame  e  calce.  Questo  rimedio  io  lo  raccomando  già  da  una 
ventina  d'anni:  il  Prof.  Peglion,  iper^ottenere  una  maggiore  aderenza 
della  poltiglia,  consiglia  di  aggiungervi  400J  gr.  di  cloruro  ammonico. 
Lo  stesso  professore  raccomanda  anche  la  miscela  zolfocalcica,  im- 
piegando 3  Kg.  di  zolfo  e  Kg.  4  di  calce.  Si  operi  sempre  in  giornate 
asciutte,  perchè  la  poltiglia  essichi  sollecitamente. 


-  408  - 

e)  Concimare  le  piante  colpite  con  cenere  od  altro  concime  po- 
tassico minerale. 

d)  Ripetere  la  irrorazione  ad  ogni  rapido  abbassamento  della 
temperatura. 

e)  Visitare  accuratamente  ogni  tanto,  dal  marzo  all'ottobre,  le 
piantagioni,  per  impedire  la  maturazione  dei  corpi  fruttiferi.  Se  una 
pianta  viene  colpita  per  la  prima  volta,  raccogliere  e  bruciare  le  foglie 
di  mano  in  mano  che  vengono  colpite. 

f)  Applicare  il  trattamento  anche  ai  pruni  selvatici. 

g)  Non  innestare  con  marze  provenienti  da  piante  infette. 
Il)  Coltivare  varietà  resistenti  come  molti  peschi  americani. 

i)  Badare  di  non  confondere  questa  malattia  coll'arricciamento 
delle  foglie  prodotto  da  afidi.  In  questo  caso  si  devono  combattere 
gli  afidi. 

9.  —  Maremme,  muffa  o  mummificazione  delle  frulla. 

a)  Abbiamo  la  Sclerotinia  Fuckeliana  (De  Bary)  che  produce  la 
cosidetta  muffa  grigia  della  vile  chiamata  anche  marciume  nobile.  E'  una 
muffa  che  si  attacca  sulla  pagina  inferiore  delle  foglie  e  produce  delle 
macchie  rugginose  con  ciuffi  di  filamenti  grigio-cinerini  che  hanno 
l'aspetto  e  l'odore  di  mufta.  Se  attacca  gli  acini  e  si  limita  ad  invadere 
la  buccia,  questa  si  aggrinza  ed  acquista  un  colore  bruno.  Essa  al- 
lora concentra  il  loro  succo,  fa  diminuire  l'acidità  assorbendo  molti 
acidi,  aumenta  la  ricchezza  zuccherina  e  rende  insolubile  una  parte 
delle  materie  azotate,  tutti  fenomeni  che  rendono  più  pregevole  il  mosto: 
da  ciò  il  nome  di  marciume  nobile.  Se  invece  il  parassita  penetra 
nell'acino,  questo  si  copre  di  uno  strato  uniforme  di  muffa  e  bisogna 
scartarlo  dalla  vinificazione. 

Peglion  ha  trovato  che  le  uve  Aglianico,  Cabernet  Sauvignon,  Tiaiiiiner,  Merlot 
sono  più  resistenti  a  questa  malattia  del  Moscato,  dell'Aleatico,  della  Sanginella,  del 
Gamay,  del  Trollinger,  del  Teinturier;  vi  sono  oltremodo  soggetti  il  Dolcetto,  il  Sangio- 
vese, il  Hressana,  il  Malbech,  il  Sciasinuso,  il  Sirah,  il  Pinot. 

Non  si  conosce  un  rimedio  specifico,  bisogna  però  combattere 
le  tignuole  poiché  i  loro  bruchi,  perforando  la  buccia,  danno  accesso 
alle  muffe. 

La  stessa  muffa  intacca  anche  le  pere  e  mele  (fig.  271). 

b)  La  Sclerotinia  cinerea  (Bonn)  o  muffa  delle  ciliegie,  intacca 
anche  le  pesche  e  le  prugne  (fig.  273),  la  S.  laxa  soltanto  le  albicocche 
e  la  S.  fructigena  la  maggior  parte  delle  frutta  polpose  (fig.  272),  coin- 
prese  le  nocciole  (fig.  274). 

La  loro  diffusione  è  favorita  dalla  puntura  degli  insetti  o  da  altre 
lesioni. 

Formano  sulla  buccia  cuscinetti  emisferici,  confluenti,  sparsi,  ovvero  disposti  a 
zone  concentriche,  di  colore  dapprima  bianco  grigio,  poi  carnei  e  alla  fine  ocracei  e 
nerastri.  Contemporaneamente,  nell'interno,  la  polpa  si  raggrinza  ed  ispessisce,  formando 
una  zona  dura  intorno  al  nocciolo.  11    micelio  intacca   tutto  o  parte  della  polpa  e  poi 


-  -10!)  - 

passa  la  buccia  per  frullilicaie.  I.e  spore  alla  lor  volta,  se  favorite  dallimiidilà  e  dalla 
temperatura  di  'Ò2'  C,  germinano  subito  dove  cadono,  inoltrandosi  nelle  spaccature  o 
ferite  dei  frutti  e  inlaccando  anche  le  buccie  sane 

I  danni  aumentano  : 

a)  Col  vento,  che  la  sbattere  le  frutta  contro  i  rami; 

b)  Colle  ferite  prodotte  dalla  grandine  ; 

e)  Colle  ferite  prodotte  da  larve  di  insetti  che  ro(h)ii()  la  polpa 
e  sulle  quali  la  muda  prende  stazione  volentieri  ; 

(/;  Colla  presenza  di  molle  crittogame,  che  dispoiigoiio  le  frutta 
a  contrarre  (juesta  malattia  ; 


Fig.  271.  —  Mela  colpita  da  Sclerotìiia  Fu- 
ckeliana  che  si  potrebbe  dire  intaccata  da 
un  marciume  nero.  Difalti  il  frutto  diventa 
nero-carbone,  da  principio  rimane  lucente 
poi  si  raggrinza  ed  in  tale  stato  può  rima- 
nere per  più  anni.  Esaminando  al  micro- 
scopio si  trova  che  tutto  il  frutto  è  invaso 
dal  micelio,  altre  volte  il  micelio  traversa 
la  buccia  e  la  copre  di  macchie  grigie  fun- 
gose come  da  flgura. 


Fig.  272. 

Mele    colpite    dalla     Moniliii    frm-tiijfim 

che   sono    rimaste   attaccale    alla   pianta 

per   tutto    r  inverno 


e)  Quando  seguono  delle  giornate  secche  ad  un  periftdo  di 
lunghe  pioggie,  le  frutta  screpolano  eppercio  la  .Moiiilia  intacca  più 
fortemente. 

Mezzi  di  difesa.  Queste  Sclerotiiiie  arrecano  mollo  danno  alle  pesche 
in  America;  ma  da  alcuni  anni  sono  penetrate  anche  da  noi  ed  io  ho 
notato  delle  forti  invasioni  nel  territorio  di  Itnola.  In  America  hanno 
anche  intaccato  i  giovani  germogli.  Rilevante  è  poi  il  danno  che  arreca 
alle  frutta  ammassate  durante  il  trasporlo. 

Appena  ci  si  accorge  dell'invasione,  bisogna  fare  la  raccolta  di  lutti 
i  frutti,  prima  che  il  fungo  arrivi  a  frullilicaie,  e  poi  separare  e 
bruciare  le  frutta  guaste.  Le  fruita  inlaccate  e  lasciate  sulla  pianta 
disseccano,  rimangono  appese  per  tutto  T  inverno  ed  il  parassita  vi 
sverna  dentro. 


HO 


Si  raccomanda  ancora 

a)  Irrorare  le  piante,  prima  che  sboccino  le  gemme,  con  poltiglia 
bordolese  al  2  %  di  solfato  di  rame  ed  1  Kg.  di  carbonato  di  soda. 

b)  Irrorare  ancora,  prima  e  dopo  la  fioritura.  Per  combattere 
anche  gli  insetti,  gli  Americani  aggiungono  1  %  di  arseniato  di  piombo 
alla  poltiglia  data  all'epoca  della  caduta  dei  petali.  Un  mese  dopo,  fanno 
una  seconda  irrorazione  con  la  poltiglia  zolfo  calcica  aggiungendo  1  7o 
di  arseniato  di  piombo.  Un  mese  prima  della  raccolta  delle  pesche 
tardive,  fanno  un  terzo  trattamento  con  la  poltiglia  zolfo-calcica  (pa- 
gina 396). 

e)  Amputare  i  rami  colpiti  fino 
al  legno  sano  e  raccogliere  e  distrug- 
gere i  frutti  colpiti. 

d)  Dare  accuratamente  il  latte  di 
calce  a  tutta  la  pianta,  durante  l'inverno, 
lino  all'estremità  dei  rami. 


Fig.  273.    -  Susina  colpita  da 
Sclerotinia    Monilia    cinerea. 


Fig.  274.  —  Nocciuola  colpita 
dalla  Sclerotinia  fructigena. 


10.  — Albugini  o  Bianco.  Queste  malattie  sono  caratterizzate  da  un 
denso  e  candido  strato  lanugginoso  che  il  parassita  produce  sulle 
foglie,  sui  germogli  e  sulle  frutta. 

Tutte  le  albugini  colpiscono  in  parlicolar  modo  le  piante  esposte 
a  sbalzi  di  temperatura,  come  quelle  coltivate  a  spalliera.  Da  ciò  la 
necessità  di  ripararle  alla  sera  con  stuoje  e  di  procurare  un  ambiente 
umido  con  irrorazioni  alle  foglie  la  sera.  Tutte  le  albugini  si  sviluppano 
meno  in  un  ambiente  umido.  Tutte  ibernano  sulle  piante,  per  Io  ])iù 
nelle  gemme. 

Queste  malattie  possono  arrecare  gravi  danni  poiché  impediscono 
alle  foglie  di  funzionare.  Esse  anche  disseccano  o  rimangono  perforate; 
ancelle  i  frutti  non  arrivano  a  maturare  o  rimangono  deformati. 


aj  II  bianco  del  pesco  è  prodollo  dalla  Sphaeroteca  pannosa  Lev,  che  si  combaUe 
(secondo  Arthur»  con  varie  irrorazioni,  in  luglio  e  agosto,  di  una  soluzione  di  solfuro 
potassico  al  0,5%;  nello  stesso   modo  si  combatte  la  nebbia  o  bianco  del  ribes.  (S.   mors 


-  411  — 

uvae  Herk);  il  bianco  del  nespolo  e  òia/(cos/>»Ho.  U'o'losphaera  Oxyacaiilae  I)  C.  ;  il  bianco 
del  susino,  albicocco  e  ciliegio.  (P.  tridaetyla  de  Uaryi.  11  bianco  del  melo  chiamalo  anche 
nebbia  del  melo  è  determinalo  dalla  Podosphaera  leiicotricha  che  si  comhaUe  colla  sol- 
forazione. 

bì  La  crittogama  od  oidio  della  vite  (Lncinula  americana  llowj  lig.  27j  si  ma- 
nifesta negli  internodi  inferiori  dei  giovani  germogli,  indi  sulle  foglie  e  sui  grappoli, 
e  produce  delle  macchie  minutissime,  che  poi,  allargandosi,  conlluiscono,  diventano  li- 
vide e  si  ricoprono  di  una  polvere  bianco-giallastra,  dovuta  alle  ile  ed  alle  spore  del 
parassita.  Gli  acini  avvolti  dal  fungo,  epperò  soffocati,  si  arre- 
stano nello  sviluppo,  screpolano,  si  atrofizzano  e  spesso  anche 
animuffiscono. 

Comincia  a  svilupparsi  (juando  la  temperatura  media  è 
di  12";  si  sviluppa  rapidamente  con  una  temperatura  media 
di  20'.  arresta  lo  sviluppo  a  38"  e  muore  a  4.>''. 

Aspetto  della  malattia.  Macchie  brune  con  polvere  bian- 
castra superficiale. 

Mezzi  di  difesa:  Contro  l'oidio  abbiamo  un  rimedio  pre- 
ventivo e  curativo  ;  lo  zolfo,  lisso  agisce  meccanicamente  pro- 
teggendo la  superficie  delle  parti  verdi  con  uno  strato  di 
polvere  lina;  chimicamente,  perchè  col  calore  (25 ■  C. .  sviluppa 
r  anidride  solforosa  che  è  micidiale  al  fungo. 

Lo  zolfo  deve  essere  finissimo  e  dato  prima  della  liuri- 
lura,  quando  i  germogli  non  sono  più  lunghi  di  .'.  cm.  Al  mo- 
mento in  cui  le  corolle  dei  fiori  cadono  a  terra  deve  essere 
fatta    una   seconda    solforazione  molto   importante,    poiché   la  Mg.  /7.->.  —  Utdio 

,.  ,,.  .    -  ,       ,,         .,  ,  ,  sul  grappolo, 

temperatura    di    quell  epoca    e    favorevole  allo  sviluppo  del- 

l'oidio.   Quando  gli    acini   hanno    raggiunto    la   grossezza    di 

un    pisello,    si    fa    la    terza    solforazione,  che   non    è   sempre   indispensabile. 

Le  solforazioni  devonsi  fare  nelle  ore  più  calde  ed  in  giornate  senza  vento.  Le  viti 
non  devono  essere  bagnate,  né  da  rugiada,  né  da  pioggia. 

.Vlternando  le  solforazioni  con  zolfo  ramato  ed  irrorazioni  C()n  poltiglie  ciipro  cali- 
che,  si  combattono  efficacemente  l'oidio  e  la  peronospora. 

V  albuggine  del  carubbo  è  prodotta  dall' Oidiiim  ceratoniae  Comes,  che  si  combatte 
come  l'oidio. 

11.  —  Fiinuu/gini,  inorfee,  mal  del  cenere.  Sotto  questi  nomi  è  cono- 
sciuta una  serie  di  malattie  le  quali  si  manifestano  con  rivestimenti 
ed  incrostazioni  cenerognole  o  nere  che  si  distendono  sulle  parti 
malate,  deturpandole  ed  alterandole.  Sono  queste  prodotte  da  fuiif^hi, 
appartenenti  alle  Perisporiacee,  per  molti  dei  quali  però,  a  causa  del 
loro  poliniorlìsnio,  la  biologia  non  è  ben  chiara. 

Di  solito  queste  fumaggini  si  sviluppano  (juandt»  le  piante  sono 
colpite  da  cocciniglie,  si  nutrono  colle  dojezioni  di  <pieste  oppure 
colle  secrezioni  che  la  pianta  emette   in  condizioni    anormali  (melala i. 

Quando  si  palesa  la  lumaggine  per  la  presenza  delle  cocciniglie, 
si  combattono  queste,  e  la  malattia  si  arresterà  nel  suo  sviluppo.  Du- 
rante l'inverno  convengono  le  lavature  dei  ceppi  o  rami  colla  solu- 
zione acida  di  solfato  ferroso  del  SkaNvinsky  (i)ag.  :W7). 

a>  La  fumaggine  della  ulte  è  prodotta  dalla  Fumago  vagaiis  Pers,  che  è  una  torma 
della  Capnodium  salicinum  ed  è  a  compagnata  dalla  presenza  della  cocciniglia  della 
vite.  (Dactylopius  vitis). 

b)  La  fumaggine  degli  agrumi  è  prodotta  dalla  Liniacinia  (Mcliola/  Pezigi  Sacc. 
che  si  nutre  di  un  essudato  morboso  della  pianta  (Melata,  e  delle  dejc/i..?ii  <li  .-...winigli.- 
e  gorgoglioni. 


-  412  - 

Questo  fungo,  per  (juaulo  non  i)enetri  nei  tessuti,  ò  tuttavia  dannoso  e,  oltre  ad  un 
manifesto  languore  (iella  pianta,  produce  una  notevole  mancanza  di  frutti.  Siccome  la 
umidità  e  la  mancanza  di  luce  favoriscono  lo  sviluppo  della  malattia,  si  consiglia, 
oltre  ai  mezzi  suddetti,  di  : 

1.  Fare  dei  drenaggi. 

2.  Rimuovere  il  terreno  lavorandolo  profondamente. 

3.  Diradare  la  chioma  degli  alberi. 

i.  Trattare  i  rami  con  latte  di  calce  o  con  cenere  liscivata  nell'acci  uà  per  distrug- 
gere il  fungillo. 

5.  Bagnare  i  rami  con  forti  spruzzi  d'acqua  la  sera  delle  giornate  calde. 
Siccome  i  frutti  degli  agrumi  vengono  anche  molto  deturpati  dalla  fumaggine, 
prima  di  mandarli  in  commercio  in  America,  si  usa  pulirli.  A  tale  scopo,  come  rife- 
risce il  Peglion,  si  collocano  i  frutti  in  una  botte  con  segatura  umida  di  legno.  Mediante 
un  asse  munito  di  manovella,  si  dà  un  movimento  rotatorio  alla  botte  e  la  segatura 
inumidita  funge  da  spazzola. 

e)  La  fumaggine  del  pero,  castagno,  ciliegio,  susino,  ribes  e  melo  è  prodotta  dal 
Capnodium  salicinum  Mont  ;  la  fumaggine  dell'olivo  dell' Antennaria  elaeophila  Mont, 
alla  quale  si  provvede  sempre  combattendo  le  cocciniglie,  concimando  le  i)iante,  fa- 
cendo una  buona  potatura  e  lavando  i  rami. 

d)  Le  altre  piante  colpite  da  fumaggini  sono:  l'albicocco  (Capnodium  arraeniacae 
Thiim.):  il  pero  e  pesco  (C.  elongatum  Berk);  l'Eugenia  (C.  Eugeniarum  Cook)  ;  il  fico 
(G.  Footh  Berck);  il  nocciuolo  (C.  personii  Berck);  il  gelso  (Meliola  mori  Sacc). 

12.  —  Funghi  della  nebbia.  Le  piante  colpite  da  questi  funghi  pre- 
sentano sulle  foglie,  sui  frutti  e  su  tutta  la  parte  erbacea  macchie  per 
lo  più  bianche  che  poi  itnbruniscono,  facendo  disseccare,  in  tutto  od 
in  parte  l'organo  intaccato. 

Gli  effetti  cagionali  da  questi  funghi  sono  piuttosto  gravi.  Il  micelio 
vive  sulla  trama  degli  organi  a  spese  delle  materie  plastiche  in  esso 
contenute;  perciò,  non  trovandosi  il  sistema  vegetativo  alla  superlìcie, 
non  si  può  combattere  coi  comuni  metodi  che  distruggono  le  specie 
epifite,  aventi  cioè  i  loro  organi  esternamente  alla  pianta. 

Il  rimedio  migliore  per  queste  malattie  è  l'irrorazione  preventiva 
delle  foglie  e  delle  parti  verdi  con  la  poltiglia  bordolese  all' 1-2% 
nonché  la  raccolta  e  l'abbruciamento  delle  foglie  dissecate,  sia  durante 
la  vegetazione  che  durante  l'inverno. 

a)  Blackrot  e  marciume  nero  dell'uva.  (Guigardia  Bidwellii  KUis).  K  una  delle 
malattie  più  gravi  della  vite  che  però  fortunatamente  in  Italia  non  si  riscontra. 

b)  Le  altre  piante  che  di  solito  sono  colpite  dalla  malattia  della 
nebbia,  sono  indicate  nel  prospetto  a  pagina  seguente. 

13.  —  Cancro  e  malaltia  delle  pustole  rosse.  A.  Sotto  il  nome  di  cancro 
il  pratico  intende  denominare  quelle  ferite,  prodotte  per  lo  più  per  gelo, 
che  per  l'azione  irritante  di  qualche  fungo  (Nectria  ditissima,  Nectria 
cinnabarina)  od  altra  azione  esterna,  non  si  cicatrizzano  ma  si  ingran- 
discono, formando  dei  rigonfiamenti  allungati  che  poi  si  sjniccano  in 
modo  che  il  legno  rimane  allo  scoperto. 

Si  distingue  il  cancro  aperto  (fìg.  280-2<S4  e  292)  nel  quale  si  nota  di 
solito,  nel  mezzo  della  piaga,  una  discreta  superfìcie  di  legno  scoperto 
e  per  lo  più  annerita,  limata  da  parecchi  cercini,  spesso  screpolati, 
rigonfi. 


ÌVA 


Tab.  XXXIX. 


Prospetto  delle  malattie  della  nebbia. 


Piante 

Nome  volgare 

Nome 

l'orme  diverse  sotto  cui 

intaccate 

(Iella  mal: 

ittia 

del  parassita 
Spliaerella  cinerescens 

si  conosce  il  parassita 

Azzeriiolo 

Xebl)!:. 

j  C_\  lindrosporinan     casla- 

Castagno 

Seociiiiie 

S.  inacnliformis                  , 

1 

!        nicolum 

1  Phyllosticla  maculiformis 

Castagno 

— 

S.  punctiforinis 
S.  pomaceornm 

Cotogno 

Nebbia 
Imbrunini 

eniod. 

S.  sentina 

Scpioria  piricola 

foglie  Ili: 

!?.  270) 

Sligmatea  mespili  Sor. 

l'^ntoinospnrinm    nicspili 

Arancio  e  li- 

mone 

Nebbia 

.Si)haerella  (".ibclliana 

1 

macnlatnm 
l'hleospora  Mori 
1   Seploria   Mori 

Celso 

Nebbia  o  1 

[orsa 

S.  inorifolia 

1 

l'iisariumMori 
1  Cylindrosporinm   Mori 
Scptogloenm  Mori 

Molo 

Nebbia 

S.  pomaccornMi 
S.  sentina 

Pero 

- 

S.  pomaceoruTii 

Dcpa/ea   piricola 
)  Septi  ria  nigerrima 
j          .          Cyd(miae 
[  Phoma  pomorum 

, 

S.  sentina 

1 

Macchie  del  pero 

S,  Bellona 

Phylloslicta  pirina 

Ini  brini  ini 

enio 

Stif^niatea  mespili 

1   l'.ntomosporium    mespili 
1               .             macnlatum 

(Ielle  foc 

;lie 

\  Septoria  piricola  (lig.  277) 

' 

I.cptosphaeria  Lucilla 

Ilendcrsaania  piricola 
(  Ascocliyta  piricola 

— 

I.eptosphaeria  l'omona 

1   Pyllosticta   pninicola 

Nocciiiolo 

Nebbia 

S.  punctiformis 
Gnomoniella  Coryli 

Ribes 

_ 

Sphaerella  ribis 

Sorbo 

^ 

sentina 

Nespolo 

Inibrunimento 
1         delle  foglie 

Sligmatea  mespili 

Ciliegio 

Nebbia 

!     Gnomonia    ervthros- 
tonia 

Noce 

_ 

Gnomoniella  pruni 

Snsino 

, 

Gnomoniella    I-eptos- 
tyla 

1  Marsonia  juglaiulis  ilign- 
1        ra  27S'. 

Albicocco  (1) 

Gnomoniella  pruni 

1 

Vite 

Nebbia 

Spaerella  vilis  l'riik 

Marciume 

bian- 

Metasphaeria    diplo- 

>   Charrinia  diplodiella 

1        co  della 

vile 

diella 

>  Coniothvrinin    diplo- 
/        diellà 

(1)  Sullalbicocco  se  si  notano  sulle  foglie  e  sul  frutto  delle  macchie  bruno  grigie, 
che  acquistano  poi  un  aspetto  suberoso,  si  tratta  di  un  altro  fungo  Phglloslicla  windo- 
bonensix  Thiim    fig.  279). 


414 


Fig.  27(;.  —  Imbruiiimento  delle  fo- 
glie del  castagno,  pesco  e  nespolo. 


Fig.  278.    —   Noce  colpila 
dalla  Marsonia  jiighindis. 


Fig.  277.  —  Imbrunimento 
delle  foglie  del  pero. 


Fig.   279. 
Phyllosticta  Windobonensis. 


415 


Fig.  280.  —  Sezione  trasversale  di  un  tronco  di  melo  di  (i  anni  colpito  dal  cancro  per  gelo. 
Il  fusto  è  stato  colpito  dal  gelo,  nella  parte  contro  la  quale  il  midollo  si  estendeva 
contro  una  gemma.  K  per  questo  che  il  gelo  ha  potuto  entrare  cosi  profondamente  da 
quella  parte,  trovandosi  abbondante  il  tessuto  parenchiniatico  del  midollo.  --  g,  Parte 
bianca  di  un  anello  legnoso.  -  /{,  Anello  legnoso  con  macchie  bianche  per  dove  passano 
i  raggi  midollari  ,'i  b,  ed  i  quali  in  B  li'  sono  morti  e  disseccali.  Lo  stato  sugheroso  K  è 
laceralo  e  disseccato  assieme  airanello  legnoso.  I.a  pianta  è  stata  colpita  dal  gelo  quando 

era  già  formato  l'anello  legnoso  /  ed  ha  danneg- 
giato l'anello  legnoso  sottostante  h  r  col  (^uaVe 
era  in  comunicazione  a  mezzo  dei  raggi  midol- 
lari. -  /,  Nuovo  anello  di  legno  che  si  (orma 
sotto  al  cambio  che  in  B  B'  si  assottiglia. 


Fig.  281.  —  Ramo  di  ciliego  che  mo- 
stra il  primo  stadio  della  screpolatura 
del  cancro  aperto  per  gelo. 


Fig.  282.  —  Cancro   aperto 
sul  tronco  di  melo 
in  stadio  avanzato. 


—  416  - 

Si  ha  il  cancro  chiuso  (fìg.  285)  quando  nel  ramo  si  rinviene  un 
ingrossamenlo  globoso  o  tuberiforme,  superiormente  spianato  e,  nella 
punta,  incavato  ad  imbuto.  Questa  forma  si  trova  di  preferenza  nei 
rami  più  giovani. 

Nella  lig.  286  abbiamo  una  biforcazione  di  nocciuolo  coli' infezione 
della  Neclria  Coryli,  le  cui  spore  hanno  germogliato  all'estremità  (a  b  h, 
limiti  deirinfezione  coperte  di  pustole  rosse,  e  e,  parte  sana.) 

Quando  si  forma  ])er  il  gelo  una  screpolatura  (fig.  280)  o  una  placca 
(lig.  287),  il  micelio   dei  funghi  sopranominati  attraversa  la  zona  gene- 


Fig.  283.  —  Sezione  di  una  piaga  prodotta  dal  cancro  aperto  sul  fusto  di  un  melo. 
Ili,  Midollo  del  fusto.  -  ii\  li-,  ir,  iv,  it,  ti'',  sono  gli  anelli  di  legno  annuali 
che  si  sovrapposero.  -  r,  Anello  di  legno  ultimo  ancora  vivente  mentre 
gli  altri  sono  morti  pel  gelo.  Se  fosse  morto  questo  ultimo  anello  e  per 
tutta  la  ciconferenza  dovrebbe  perire  tutta  la  parte  superiore  del  fusto. 


ratrice,  penetra  nei  raggi  midollari,  indi  nel  legno,  Il  micelio  del  fungo 
si  fa  strada  attraverso  le  ferite  della  corteccia  e  attraverso  le  lenticelle, 
produce  una  piaga,  che  può  a  poco  a  poco  risanarsi  in  seguito  alla 
formazione  dei  tessuti  di  rimarginamento,  ma  che  spesso  rimane  in- 
vece sempre  aperta. 

La  regione  della  corteccia  intaccata  si  colora  in  nero. 

Le  piante  più  danneggiate  sono  il  melo,  il  gelso,  il  nocciuolo,  il 
pero  ed  il  ribes. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Evitare  le  ferite  sulla  corteccia  dell'albero  o, 
quando  ve  ne  siano,  spalmarle  con  un  mastice  o  carbolineo. 


41: 


lì)  Recidere  tutta  la  parte  cancrenosa    fino    al   sano,    e    spalmare" 
la  ferita  con  mastice  o  con  carbolineo. 
e)  (!loncimare  con  calce. 

ci)  C.ollivare  varietà,   specialmente   nei  terreni    ricchi  di  sostanza 
orj*anica,    resistenti  ai   cancro.    Le    calville,    il  cardinale   rosso,    la    re- 
netta di   Champagne    e    del  (-anadù    sono 
poco   resistenti.  Mollo  resistente  è  la   va- 
rietà (iravenstein. 

e)  Drenare  i  terreni  compatti. 


^*A 


Fig.  284.  —  Ceppo  di  vile  di  :5  anni 
colpito  da  cancro  i)er  gelo. 


Fig.  28.').  —  Cancro  chiuso 
sopra   un  ramo  di    melo. 


B  Sotto  il  nome  di  pustole  rosse  delle  foi/lie  si  designano  due 
malattie  prodotte  dalla  Polystigma  ochraceum  sul  mandorlo  e  della 
P.  rubrum  ((ìgura  288)  sul  susino,  funghi  appartenenti  alla  famiglia 
delle  Ipocreacee  cui  appartiene  anche  la  Nectria. 

27  —  Tamaro  -  FrnUicoltura. 


—  418  - 

Le  pustole  si   formano    d' estate  ;   dal    color   aranciato    passano  al 
bruno  e  fanno  cadere  in  luglio  le  foglie. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Raccogliere  e  bruciare  le  foglie  cadute  sul  terreno 


l'ig.  280.  ~  Pollone  di  nocciuolo  coHinfezione 
della  Neclria  Conjli,  le  cui  spore  hanno  ger- 
moglialo alla  estremità  di  una  biforcazione. 
a-h-b,  Limiti  della  infezione  coperte  di  pe- 
riteci rossi.  -  C-C,  Parte  sana. 


Fig.  287. 

P.amo  di  melo 

con  placche  di  gelo. 


Fig.  288.  —  Foglia  di  susino  colpita  dalla  Polystìgwa  rubrnni. 

Le   macchie   nere   che   si   notano    sul  disegno  sono  le  pustole 

prodotte  dalla  crillogama.  Le  macchie  chiare  sono  perforazioni 

prodotte  dal  C.ltistero'iporiuin  anuigdaleaniiìì. 


b)  Irrorare  in  primavera,  allo  sbocciare  delle  foglie,  con  poltiglia 
neutra  bordolese  al  Va  7o  se  fatta  colla  soda,  oppure  al  1  "/„  se  colla  calce, 
mantenendo  sempre  la  reazione  neutra. 


•       -   119  - 

14.  —  Ruggini.  Le  crittogame  che  producono  le  rubigini  vivono  sotto 
l'epidermide  delle  Toglie  o  dei  rami  determinando  gravi  malattie  o  delle 


Fig   289.  —  Ruggine  del  pero  (Gymnosporangiuin  fascimi). 
1.  -  G,  Macchie  di  ruggine  sulla  pagina  superiore  delle  foglie   di    P"«J»*  ^^'^''^j' ' 
G\  Ecidi  sulla  pagina  inferiore  della  foglia  di  pero.    -  ■^;  " '^«'.'•'«"^ ''V      rS  dVLi^in- 
„,òflon.o  sulla  pagina  superiore;  B,  Ecidio  sulla  pagina  inferiore.       3.  -  Ramo  di  Sabina 
colfe   pustole    T  !he   hanno   una   notevole   quantità  di  leleulospore  o  spore  invernali  ,4). 

ipertrofie  degli  organi.  Si  palesano  all'esterno  mediante  pustole  di  forma 
rotondeggiante  eliltica  o  lineare,  di  color  rosso  ruggme,  da  ciò  il 
nome  generico  di  malattie  della  ruggine. 


420 


Fig.  290. 
Rami  di  Sabina  colpiti  dal  Gyiiinosporanghinì  fiiscum. 


Fig.  291. 
Foglie  di  pero  colpite  da  Gypnosporangiiim  ftiscitiii. 


-   J21  - 

La  parlicolarità  di  questi  funghi  consìsle  in  ciò  clic  i  diversi  stadi 
di  sviluppo  non  si  tro-vano  sempre  so|)ra  una  stessa  specie  di  pianta, 
ma  in  piante  diverse.  Ciascuna  di  «luesle  forme  lia    un    noiiìi'   diverso. 


Fig.  292.  —  Ramo  di  lampone 

col    cancro  e  delle  foglie  colpite 

dal    l'Iìragiììidiiinì    Hubi-Idaei. 


Fig.  -Mi. 

Aecidiitm  penicillalt 

sul  Sorbus  aria. 


Il  mezzo  principale  di  lotta  consiste  nell' allontanare  o  distruggere 
le  piante  vicine  ai  nostri  alberi  da  frutto,  che  ospitano,  specialmente 
durante  l'inverno,  (fuesle  crittogame. 

La  raccolta  delle  foglie  e  dei  frutti  intaccati,  il  terreno  mon- 
dato da  malerbe,  lirrorazione,  prima  che  le  piante  entrino  in  vegeta- 
zione,   colla    poltiglia    bordolese,   sono    mezzi    di    Iplta    che    possono 


-  422  - 

avere  una  certa  efficacia.  Per  la  ruggine   del   lampone   si    raccomanda 
anche  la  calce  caustica  mista  a  zolfo. 

Dò  in  una  tabella,  l'elenco  delle  ruggini  (Tab.  XLI)  che  danneggiano 
le  piante  da  fruito,  coll'indicazione  delle  piante  sulle  quali  la  crittogama 
vive  in  parte  e  che  bisogna  allontanare  dai  frutteti  e  dalla  loro  vicinanza. 


Fig.  294.  —  Aecidium  grossiilariae. 

Prospetto  delle  malattie  delle  ruggini 
e   delle   piante   che   la   possono   ospitare. 


Piante 
intaccate 


Nome 

della  crittogama 

della  ruggine 


Nome  della  pianta        |    Nome  della  crittogama 
che  la  ospita  sulla  pianta  ospite 


Cotogno 

Ribes  ed  uva 

spina  (lìg. 294) 
Nespolo 
Pino  da  pinoli 

Ribes 

Melo 

Melo  e  Sorbus 
aria  (fig.  293) 


Cotogno    e 

sorbo 
Lampone 

ilig.292) 
Ciliegio  e  pesco 
Susino,     albi-    ! 


Aecidium    cydo- 
niae 

A.  grossulariae 

A.  mespili 
A.  pini 

Cronartium    ri- 
biculum 

Aecidium  Roes- 
telia  lacerata 
A.  penicillata 


Roaestelia  can- 
cellata 


Phragmidiuni 
Rubi-Idaei 


Puccinia  Cerasi 
Pruni 


Iberna   sulla   stessa    pianta 


^  Pinus  .Strobus 
',        „      Cimbra 

Lambertiana 


(iinepro  comune 

(   luniperus  Sabinae 
'   I.  inacrocarpa 
1   I.  virginiana 


I.  oxycedrus 
(ìinepro  comune 


Periderminum  strobi 

Gymnosporangium  cla- 

variaeiormis 
G.  tremelloides 


/  G.  .Sabinae  (Fig.  289-291 

I   G.  juniperinum 
Iberna   sulla   stessa   pianta 


15.  —  Fniu]hi  a  cappello.  Sotto  questo  titolo  intendo  pallaio  dei  molli 
lunghi  che  producono  dei  corpi  fruiti  (eri  in  forma  di  rij^ontiamenti 
sul  fusto  e  sui  rami  degli  alberi.  Il  micelio  di  (|uesti  funghi  non  pe- 
netra nel  legno  giovane  ma  emette  in  suo  contatto  una  sostanza  spe- 
ciale detta  diastasi,  che  ne  uccide  lentamente  gli    elementi    costitutivi, 

passa  quindi  nelle  parti  morte,  ove 
si  svilu|)pano  in  particolar  modo  i 
lìlamenli  miceliari. 

La  propagazione  avviene  per 
mezzo  delle  spore  che,  portale  dal 
vento  in  una  screpolatura  del  tron- 
co, germinano.  Avviene  anche  per 
mezzo  di  rizomorfe  che  si  produ- 
cono nella  corteccia  :  é  necessario 
([uiiidi  estirpare  e  bruciare  le  piante 
maiale  od  esportarle.  Facendo  ferite 
()  tagli  alle  piante  vicine,  bisogna 
ripararle  con  mastice  o  catrame, 
l)ei-  impediie  l'infezione  delle  spore. 


Fig.  295. 
Tronco  d'albero  colpito 
dal  Polyporus  igniarius. 


Kig.  2'Jl,.  —  Sc/ioiic  li;i.s\ci.salc  di  un  l ronco 
d'olivo.  A  sinistra  ed  a  destra  si  notano  delle 
ferite    prodotte   dal    Pol\n>orits    fulviis   oìeae. 


Accorgendosi  presto  di  una  infezione,  si  può  salvare  la  pianta,  allon- 
tanando tutta  la  parte  guasta,  raschiando  bene  i  contorni  lino  ai  tessuti 
sani  e  dando  una  pennellata   di  carbolineo. 

1  principali  di  questi  funghi  che  inlaccano  le  piante  <la  frutto  sono: 
l'ohjporus  igniarius  (fig.  295)  che  si  trova  sull'albicocco,  sul  ciliegio,  sul  susino,  sul 
pero,   sul  melo,  sul  mandorlo,  sul  carrubo,  sul  gelso  e  sul  noce: 
P.  fiiìvus  (fig.  2961  sul  castagno  e  sull'olivo; 
/'.  foiiientariiia  (fungo  da  esca)  sul  noce  e  sul  pesco; 


-   J2I  - 

Polyporiis  sidijluiieus  (Marciume  rosso  del  legno)  sul   castagno,   sul  pero,  sul    noce, 
sul  ciliegio,  sul  mandorlo  e  sul  carrubo  : 
P.  cìnnabarinus  sul  ciliegio  e  uva; 
P.  hispidiis  sul  gelso,  melo  e  pero.  Conunieniente  chiamasi  Lingua  del  gelso. 

16.  Vajiiolo  o  Antracnosi.  a)  Sotto  ([uesto  nome  si  comprendono 
malattie  causate  da  crittogame  clie  producono  in  primavera,sulle  parti 
verdi  delle  piante,  pustole  circolari  per  lo    più  grigie    od    oscure,   or- 


N^i 


Fig.  297.  —  Antracnosi  wucidata 
della  vite. 


Fig.  298.    -    Giovane   germolio 
di  vite  colpito  dall' A/i(rac/iosi. 


late  di  rosso  e  poi  nero,  le  quali  si  allargano  e  mettono  a  nudo  i 
tessuti  interni,  cosi  che  i  giovani  getti  facilmente  si  spezzano  ed  i 
rami  rimangono  deformati. 

Queste  pustole  invadono  anche  il  picciuolo  e  le  nervature  delle 
foglie  e,  sulla  vite,  anche  il  grappolo  in  modo  da  ridurre  in  brandelli 
le  foglie  e  disseccare  il  grappolo  (Hg.  297-301).  Sui  rami  deformati  e 
forse  anche  sulle  gemme  rimangono  gli  organi  destinati  a  conservare  il 
fungo  da  un  anno  all'altro. 


I  trattaiuenli  per  dil'eiulere  la  vile  devono  esseie  prevenlivi  e  curativi. 

D'ordine  preventivo  sono  le  pennellazioni  o  bagnature  per  niezzo 
di  un  batulolo  di  stracci  legati  in  cima  ad  un  bastoncino,  lon  la  se- 
guente soluzione  : 


Solfato  ferroso 
Acido  solforico 
Acqua 


Kg.    -if) 

3 

litri  100 


un  secchio  di  legno 
si   aggiunge    a  poco 


Si  versa  prima  in  una  marmitta  di  terra  od 
l'acido  solforico  sopra  il  solfato  di  ferro,    jiosc 
a  poco  l'acqua.    (Vedi  quanto  è   detto 
a    proposito    del    miscuglio    Skavinski 
pag.  397). 

La  prima  pennellazione  si  fa  a  po- 
tatura secca  finita,  bagnando  anche  il 
ceppo,  specialmente  dove'  sono  stati 
fatti  i  tagli;  successivamente,  alla  di- 
stanza di  15  giorni,  si  fanno  due  al- 
tre bagnature,  se  si  tratta  di  ])ianle 
molto  colpite. 

Durante  la  vegetazione,  appena  ci 
si  accorge  della  comparsa  della  ma- 
lattia, bisogna  ricorrere  alla  irrorazione 
colla  poltiglia  bordolese  corretta  col 
cloruro  ammonico. 

b)  Oltre  alla  />//e  (Manginia  (ileo- 
sporium  ampelophaga)   vanno  soggette 

al   vajuolo    le  piante    a    granella:    abbiamo    cosi    l' aiitntcnosi   del  ih'io 
(Gieosperium    pyriuum    Pegl;    del    cotogno   (G.    Cydoniae    Mont.;,   del 


Fig.  21t9.  —  Gruppoliiio 
colpito  dall' Anlracnosi. 


Fig.  300.  —  Tralcio  di  vite  <ioformato  dall' .In/racnos/. 

cotogno  e  nespolo  (G.  minutulum),  del  melo  iC  frucligenuni  Herk),  del 
l'mm  spina  (G.  Ribis  Mont.)  del  ribes  {G.  curvatum),  (ìg.  302  del  .s//.s//io 
(Cylindrosporium  Padi  Karst.)  lìg.  .303  che  perfora  le  foglie,  del  noce 
(Marsonia  juglandis  Sacc),  fig.  278,  degli  (Uirumi  e  del  mandorlo  (Pe- 
stalozia  Guepinii  Desm.).  Queste  antracnosi,  si  combattono  abbastanza 
efficacemente  colle  irrorazioni  preventive,  prima  della  ripresa  della  vege- 
tazione, con  poltiglia  bordolese  al  3-5  %  con  aggiunta  di  cloruro  am- 
moniaco e  durante  la  vegetazione,  con  irrorazione  al  1-2%. 

17.  —  Ticchiolatura  o  brnsone.  a)  Questa  malattia  fa  considerevoli 
danni  sul  melo  (Fusicladium  dentriticum  che  è  una  forma  della  Ven- 
turia  inaequalis),  sul  pero  (Fusicladium  pirinium  che  è  una  forma  della 
Venturia  pyrina). 


—  426  - 

Anche  il  ciliegio  viene  intaccato  dal  t'usisladiuni  cerasi  che  è  una 
forma  della  Venluria  cerasi. 

Si  manifesta  con  macchie  superlìciali,  hruno-plumbee,  rotondeg- 
gianti, a  margine  minutamente  fi'angiato,  talora  poche  ed  isolate, 
tal'altra  in  grande  numero  o  confluenti,  si  da  coprire  la  massima  parte 
della  foglia.  Invecchiando,  divengono  arsicce  e  la  porzione  di  organo 
attaccato  si  lacera  e  si  stacca. 

Oltre  alle  foglie  (tìg.  305)  può  attaccare  i  giovani  rami  (hg.  307-309) 
ed  anche  i  frutti  (fig.  304  e  306).  In  questi  casi  la  pianta  soffre  fortemente. 

Non  sempre  però  i  rami  colpiti  dalla  Venturia,  comunemente  nota 
col    nome    di    Fnsicladiiim  muoiono  ;    possono    anche    guarire.    Se    nel 


Fig.  301.   -  Vite  (varietà  Greco»  deformata  dall' Antracnosi. 


primo  inverno  non  fa  tanto  freddo,  durante  la  vegetazione,  la  scorza  ha 
tempo  di  rimarginare  ed  allora  appare  come  nella  fig.  308,  cioè  colla 
scorza  sollevata.  La  mortalità  delle  vette  è  dovuta  all'azione  del  gelo. 
Mentre  il  Fusicladiiim  dentrilicnm,  forma  imperfetta  della  Venturia 
inaequalis,  colpisce  maggiormente  le  foglie  ed  i  frutti  e  raramente  i 
rami  tanto  del  melo  e  del  pero,  quanto  la  Venturia  pyrina  colpisce  in 
particolar  modo  i  rami. 

Nelle  (fig.  309-310)  vediauio  come  il  fungo  attacca  i  rami.  In  A:  tro- 
viamo la  corteccia  sollevala  dallo  stroma  del  fungo,  che  poi  si  ma- 
nifesta sotto  forma  di  macchie  nere. 

Se  viene   intaccato    il    frutto    (fig.   300),    allora   pure  screpola,    ma 


427  - 


([uesla  screpolatura  è  diversa  da  (juella  prodotta  dalla  malattia  cosi- 
detta  itvepo/a  de/ /"ra///,  perchè  con  questa  le  fruita  marciscono,  col  Fu- 
sicladiuiìi  rimangono  mummificate. 

Questo  fungo  si  moltiplica  molto  anche  nei  vivai,  per  mezzo  delle 
marze  di  innesto.  Si  nota  anche  che  esso  colpisce  di  preferenza  certe 
varietà:  p.  es.  Decana  d'inverno,  Butirra  bianca  d'autunno,  Spina 
carpi,  Virgolosa,  Curato,  Olivier  des  Serres. 

Mezzi  di  difesa:  La  poltiglia  bordolese  è   un   rimedio   i)revciiliv(»  e 


Fig.  302.  -   Foglia  di  ribes  col  pi  la  dal  Gloesporimu  rihis. 

(|uindi  bisogna  applicarla  prima  della  germogliazione,  al  4  7o  <!'  solfalo 
di  rame  ed  altrettanto  di  calce  spenta,  corretta  con  2o()  gr.  di  solfai*. 
()  cloruro  ammonico. 

Subito  dopo  la  fioritura,  si  fa  una  seconda  irrorazione  con  una 
poltiglia  al  1  7o  e  dopo  altri  10  giorni  una  lerza. 

Siccome  questo  trattamento  con  temperatura  alta  può  produrre 
delle  macchie  di  ruggine  sulle  frutta,  specialmente  se  di  qualità  deli 
cale,  cosi  esso  si  deve  fare  nelle  ore  fresche  della  giornata,  alla  mat- 
tina od  alla  sera,  oppure  in  giornate  coperte. 


428 


Questi  Iraltamenli  devono  essere  com- 
l)letati  con  una  accurata  mondatura  delle 
piante  durante  T  inverno,  levando  i  rami 
in  letti. 

18.  —  Perforazione  e  caduta  delle  fo- 
glie, a)  In  questo  gruppo  di  malattie  com- 


Fig.  303.  —  l'oglie  di  susino  forate 
dal  Cylindrosporiiim  Piidi. 


.pP^: 


^l0j^ 


Fig.  304.  —  Mela  colla  buccia  intac- 
cata dal  Ventiiriu  inuequalis.  -  u.  Mac- 
chie vecchie  -  ^,  e,  Macchie  recenti. 


b'ig.  305.  —  Foglia  di  melo 
colpita  dalla  Venturia  inaequalis. 


Fig.  306.  —  Pera  con  macchie 
di  Venturia  pyrina. 


prendiamo  per  primo  la  malattia  dell'olivo  detta  occhio  di  pavone  pro- 
dotta dal  Cijcloconiuni  oleaginum  Cesi. 

Questa  crittogama  colpisce  tutti  gli  organi  verdi  dell'ulivo  compreso  il  frutto.  Sulle 
fòglie  forma  delle  macchie  rotondeggianti,  talora  conlluenti,  gialle  nel  centro  e  di  color 


-    I2!t     - 

verde  scuro  a  gradazioni  di  linta  cosi  spiccate  da  giustificare  il  nome  della  uialallia 
Le  foglie  intaccale  si  rivoltano  ai  margini  e  si  staccano. 

Sui  germogli,  sui  peduncoli,  sulle  infiorescenze  forma  delle  efiloscen/e  oscure,  fulig- 
ginose: i  frutti  colpiti  rimangono  atrofizzati  e  chiazzati  di  grigio  chiaro. 

Linvasione  avviene  dal  mese  di  luglio  a  tutto  marzo 

Il  fungo  si  conserva  colle  foglie  cadute,  di  (|ui  la  nccessilà  di  sollcrraric  coi 
lavori  del  terreno. 

l'iia  irrorazione  colla  poltiglia  boido- 
lese  all'  1  7o  fatta  in  agosto-settembre,  è  il 
rimedio  speeilìco  di  (|uesla  malattia. 


Fig.  307.  -  I^amo  di  pe-        Fig.  :508.  -  Ramo  di  pc-  Fig.  .W.l. 

ro  di  un   anno  colpito        ro  di  tre  anni  colpito  l-.stremità  di  un  ramo  di  pero 

dalla    Venttiria  pyrina.       dalla    Ventiiria  piirinu.  colpito   dalla  Veiiliiriti  purinu. 

Le  principali  malattie  che  producono  la  perloiazione   e  laivolla  la 
caduta  delle  foglie  sono  le  seguenti  : 

/))  Seccume,  nebbia  o  vaiolaliira  del  fico  (Cercospora  bolleana  Speg.). 
In  agosto-settembre  le  foglie  di  lieo  presentano  macchie  olivacee  difTuse. 
che  cominciando  da  un  lato,  si  estendono  poi  a  tutto  l'organo,  che 
intristisce,  si  accartoccia  e  si  stacca  dalla  pianta  madre.  Provoca  la 
caduta  anticipata  delle  foglie  e  dei  frutti. 

Si  può  provare  per  rimedio  r  irror;v/inne  delle  foglie  con  poltiglia 
bordolese. 


-  430  - 

e)  La  perforazione  delle  foglie  delle  piante  a  nocciolo  è  determi- 
nata da  una  specie  unica  ((^lasterosporium  carpophilum  Ader)  che 
intacca  anche  i  frutti  ed  i  germogli.  Non  sempre  si  riesce  a  prevenire 
la  malattia  coi  trattamenti  cuprici. 


Fig.  310.  —  Sezione  di  ramo  di  pero  colpito  dalia  Venturia  pyrina. 
st,  .Stroma  isolato  del  lungo,  che  fece  rialzare  la  .scorza  k. 


VII. 
Danni  e  malattie  prodotte  da  animali. 


1.  —  I  danni  e  le  malattie  prodotte  da  animali  sono  di  varia  natura: 

a)  Alcuni  animali  danneggiano  meccanicamente  le  piante  rosic- 
chiando tutti  o  parte  dei  loro  organi.  Questi  animali  sono  provveduti 
di  organi  boccali  masticatori  coi  quali  rodono  le  radici  (larva  del  mag- 
giolino); la  corteccia  (calabrone);  le  foglie;  (i  bombici);  //  libro,  l'alburno, 
il  legno,  scavando  delle  gallerie  (gli  scoliti);  le  gemme  (il  punteruolo  del 
melo);  i  fiori  (cochylis);  la  polpa  del  frutto  ed  il  seme  (la  tignuola  del- 
l'olivo). 

b)  In  altri  casi  l'animale  vive  sulla  pianta  come  i  parassiti  vege- 
tali. Esso  fissa  un  apparecchio  succhiatore  nei  tessuti  e  ne  sugge 
l'umore  per  suo  nutrimento  (la  fillossera,  tutti  gli  afidi,  le  cocciniglie), 
producendo  Yavvizzimento  e  disseccazione  dei  tessuti  e  degli  organi  interni. 

e)  Infine  l'animale  può  recare  guasto  provocando,  mediante  ferite, 
deformazioni  morbose  e  allora  : 


—  4M    - 

aa)  per  irritazione  si  formano  dei  hiloizoli,  nesciche,  (jittlle.  fascia- 
zioni, distorsioni,  ecc. 

bb)  Per  infiltrazione  di  umori  che  l'insetto  slesso  emette,  può  av- 
venire la  decolorazione  parziale  o  totale  degli  organi  cosi  da  provocare 
la  clorosi,  Vitterizia,  l'arrossameiilo  e  cosi  via. 

2.  —  Alla  straordinaria  proli  licita,  che  in  generale  |)ossiedono  tali  ani 
mali,  si  deve  la  facile  trasmissione  e  la  rapida  ditlusione  delle  malattie 
da  loro  causate,  ma  se  questa  prolificità  è  costante  in  ogni  specie, 
altre  sono  le  cause  per  cui  in  alcuni  anni  ed  in  alcune  regioni  avviene 
un'invasione  straordinaria  di  un  dato  animale.  1/ alterna  irruzione  di 
cavallette,  di  maggiolini  è  spiegala  colla  durata  della  loro  metamorfosi, 
ma  per  la  maggior  parte  degli  animali  le  cause  sono  determinate  dalle 
condizioni  di  clima,  di  vigoria  in  cui  si  trovano  le  piante  che  li  ospitano 
ed  infine  nel  maggiore  o  miuore  sviluppo  che  prendono  i  nemici  degli 
stessi  animali  parassiti. 

Noi  artificialmente  possiamo  lare  abbastanza  per  combattere  i  paras- 
siti animali  e  si  farà  sempre  più  col  progredire  della  scienza,  ma  dob- 
biamo però  riconoscere  che  le  cause  naturali  che  limitano  il  loro  dif- 
fondersi, sono  di  gran  lunga  più  potenti. 

La  causa  naturale  prima  è  quella  della  lotta  per  l'esistenza  tanto  bene  svelata  ed 
illustrata  dal  Darwin.  Questi  ha  dimostrato,  ed  evidentemente  ci  persuade,  che  ogni  specie 
ha  una  zona  limitata  d  azione  fuori  della  <iuale  non  può  estendersi  che  per  poco,  perchè, 
per  non  togliere  questo  equilibrio,  sorgono  altri  animali  o  parassiti  che  dislrugfjono  il 
maggior  numero  possibile  di  individui  della  specie  invadente  per  non  esserne  sopraf- 
fatti, alla  loro  volta. 

Altra  causa  naturale  è  il  nutrimento  i)iii  o  meno  adatto  al  loro  sviluppo.  Nelle 
località  dove  una  data  pianta,  che  fornisce  alimento  ad  un  animale  e  maggiormente 
estesa,  è  evidente  che  si  svilupperanno  i  rispettivi  nemici.  Cosi,  quanto  più  vigorosa  <> 
una  pianta  tanto  più  essa  resiste  ai  parassiti,  invece  una  pianta,  passando  dallo  stalo 
selvatico  a  quello  colturale,  diventa  meno  resistente.  La  resistenza  poi  <^  ancora  minore. 
se  la  pianta  non  viene  coltivata  in  un  clima  per  essa  adatto.  Queste  <lue  cause  «li  di- 
minuita resistenza  vengono  spiegate  col  fatto  che  una  pianta  selvatica  è  provveduta  di 
(luegli  organi  che  servono  per  la  sua  conservazione,  perciò  anche  per  resistere  ai  parassiti; 
mentre  invece,  col  cambiamento  di  clima  e  colla  coltura,  questi  organi  di  difesa  perdono 
la  loro  forza  di  resistenza. 

Assai  poco,  e  mollo  meno  di  (piello  che  comunemente  si  crede, 
agiscono  il  clima  e  le  inlemperie  per  ostacolare  lo  sviluppo  degli 
animali  parassiti. 

Vili. 
La  lotta  contro  i  parassiti  animali. 

1.  -  La  lotta  contro  i  parassiti  animali  è  mollo  più  diflìcile  di  quella 
contro  i  parassiti  vegetali.  Gli  animali,  oltre  avere  una  vita  molto  più 
complicata,  hanno  anche  maggiori  organi  di  difesa  e  quindi  l'agricol- 
tore che  si  accinge  a  combatterli,  deve  conoscere  la  loro  biologia,  nonché 
quei  parassiti  animali  o  vegetali  utili  che  evenlualmenle  contranino 
l'esistenza  dei  dannosi. 


-  432  - 

La  lotta  consiste  o  nel  combattere  l'animale  dannoso  in  un  dato 
periodo  di  vita  o  nel  favorire  lo  sviluppo  dei  parassiti  suoi  nemici. 

Pur  troppo  lo  studio  di  questi  ultimi  non  è  ancora  tanto  avanzato 
da  poter  oggi  fare  un  largo  assegnamento,  è  certo  però  che  col  progre- 
dire della  parassitologia  questa  via  appare  non  soltanto  la  più  naturale 
e  la  più  logica  ma  anche  la  più  sicura. 

Come  l'uomo,  cosi  gli  animali  vanno  soggetti  a  malattie  dovute 
all'azione  disorganizzatrice  di  certi  funghi  che  si  svilluppano  nel  loro 
organismo.  Un  esempio  l'abbiamo  nella  malattia  del  calcino  nei  bachi 
da  seta,  dovuto  al  fungo  :  Bolritis  Bassiana.  Abbiamo  anche  animali  che 
vivono  a  spese  di  quelli  a  noi  dannosi,  sia  cibandosene  direttamente, 
sia  vivendo  nell'interno  del  corpo.  Questi  animali  sono  quindi  preziosi 
per  l'agricoltura  e  si  deve  favorire  il  loro  sviluppo  con  ogni  mezzo 
possibile.  Ausiliari  veri,  in  questo  senso,  dell'agricoltura  se  ne  trovano 
in  tutte  le  classi,  come  si  rileva  dal  seguente  elenco. 

A.  Mammiferi:  pipistrelli,  riccio,  toporagno,    donnola,    ermellino. 

B.  Uccelli:  rapaci  che  distruggono  una  quantità  di  rosicanti  dan- 
nosi ed  anche  di  insetti;  passeri,  rampicanti,  eralle. 

C.  Renili:  lucertole,  ramarro,  orbettino. 
I).  Batraci:  rana  e  salamandi-a. 

K.  Insetti:  a)  Coleotteri:  Carabo  dorato,  Calosoma  sicofanta,  Cici- 
della  campestre,  Stafilino  odoroso.  Coccinella; 

bj  Ortotteri:  Mantide  religiosa  e  Libellula; 

e)  Imenotteri:  Anomalon  circomflesso,  Ryssa  persuassoria.  Icneu- 
moni, Microgastro  glomerato,  Alisia,  Calipto,  Pteromali,  Crabro,  Cinipe, 
Ibalia  cultellatur; 

d)  Neurotteri:  Formicaleone  e  Emorobio  perla; 

e)  Ditteri  :  Tachina  larvarium  ed  altre  specie,  Sturmia  atropi, 
Melopia  bisignata,  Masicera  gen.,  Palies  bellierella,  Echinomya  gen. 

F.  Aracnidi:  Scorpioni  e  ragni. 

G.  Anellidi  :  Lombrici. 

H.  Miriapodi  :  Scolopendra. 

2.  —  I  rimedi  per  combattere  direttamente  i  parassiti  animali  sono 
ordine  preventivo  ed  offensivo. 

Di  ordine  preventivo  sono  : 
a)  tutte    quelle  precauzioni  che   deve    usare    il    frutticoitore  per 
non  importare  il  nemico  con  vegetali  od  altro.  Pur  troppo  i  principali 
nemici  delle  nostre  piante  coltivate  sono  stati  diffusi  dall'uomo  stesso 
per  inscienza  o  per  incuria. 

La  storia  della  invasione  della  fillossera  ci  dà  un  esempio.  Perciò 
l'agricoltore  deve  anzitutto,  prima  di  importare  nei  suoi  terreni  qualsiasi 
vegetale  o  parti  di  vegetale,  assicurarsi  della  immunità  od  almeno  pro- 
cedere alla  disinfezione.  Il  miglior  modo  di  disinfezione  è  quello  della 
scottatura  coll'acqua  calda.  La  temperatura  più  conveniente  per  disin- 
fettare le  talee  e  barbalelle  di  viti  èdiSl-iiS»  C.  mantenendole  immerse 
per  5  minuti.  Il  prof.  Danesi  ha  rilevato   che   questa  temperatura   può 


m 


essere  elevala  a  58«  C.  per  le  viti,  però  per  le  piante  da  i'rullo  in  {,'enere 
comprese  le  viti,  non  conviene  i)assare  il  limite  di  53"  C.  in  modo  che 
alla  loro  estrazione  l'acqua  abbia  una  temperatura  di  52°  C 

b)  tutte  quelle  cure  che  si  devono  prestare  alle  piante  per  evi- 
tare che  esse  possano  daie  asilo  ai  parassiti  K  qui  cade  in  acconcio 
far  rilevare  la  necessità  di  mantenere  sempre  sane,  vij^orose  le  piante 
applicando  quelle  operazioni  colturali  che  venj^ono  consigliate,  quali 
le  periodiche  lavorazioni  del  terreno,  la  concimazione  razionale,  la 
potatura  e  mondatui'a  annuale,  la  puliluia  dei  tronchi  e  rami  in  au- 
tunno, e  cosi  via. 

3.   —  I  rimedi  d'ordine  o/Jeiisii>o  possono  essere: 

a)  Meccanici,  che  consistono  nel  catturare  ed  uccidere  gli  animali 
La  raccolta  degli  animali  si  fa  a  mano,  raccogliendo  uno  per  uno  gli 
insetti     come     il     maggiolino,    oppure 

scuotendo  le  piante  e  raccogliendo 
i  parassiti  in  un  lenzuolo  o  in  un  im- 
buto di  latta  come  per  le  altiche.  Si  può 
giovarsi  anche  di  animali  insettivori 
come  i  tacchini  per  far  divorare  le 
larve  (come  quelle  del  maggiolino) 
a  mano  a  mano  che  vengono  scoperte 
dal  terreno  niercè  l' aratura  o  vanga- 
tura. Di  molto  giovamento  riesce  il 
recidere  le  parti  di  pianta  offese,  rac- 
coglierle in  sacchi  e  distruggerle  poi 
al  fuoco.  Cosi  si  fa  pei  rami,  foglie, 
frutta.  Ai  mezzi  meccanici  appartiene 
anche  la  raccolta  dei  nidi,  delle  uova. 
Talvolta  giova  disporre  degli  agguati: 
si  lasciano  sul  lerreno  rami  morti 
perchè  si  sa  che  in  ([uesli  annidano 
larve  che  in  altra  generazione  danneg- 
giano le  piante  vive;  o])pure  si  fanno 
degli  anelli  di  cartone  (fig.  :511j  od  altro, 
perchè  le  larve  si  incrisalidino,  poi  si 
Altri  mezzi  sono: 

b)  Fisici:  col  fuoco,  intaccando  gli  insetti  o  le  ova  colla  lampada 
di  un  piroforo;  colla  scottatura  per  mezzo  d'acqua  calda;  aslissiando  con 
dei  vapori  velenosi  o  inlinc  colla  sommersione  del  terreno  come  si  fa 
contro  la  fillossera. 

e)  Chimici:  sostanze  che  servono  a  distruggere  gli  insetti  e  perciò 
chiamate  insetticide. 

Gli  insetticidi  si  possono  distinguere  in  tre  gruppi  : 

1«  i  cosidetti  insetticidi  esterni  che  uccidono  gli  insetti  per  sem- 
plice contatto  femulsione  di  benzina  o  petrolio  e  sapone  nell'acqua, 
emulsione  di  olio  pesante  di  catrame  ecc.); 

2h  —  Tamaiio  -  Frutticoltura. 


l-ig.:Ml 


Anello  eli  cartone  con  cui 
si  avvolge  una  parte  del  fusto,  per- 
chè sotto  vi  incrisalidano  dei  bruchi. 


raccolgono  e  distruggono. 


-  434  — 

2"  insetticidi  interni,  che  impediscono  il  nutrimento  agli  insetti. 
Con  questi  si  devono  bagnare  tutti  gli  organi  della  pianta  che  sono 
oggetto  di  distruzione  rendendoli  velenosi.  L'arsenico  ed  i  sali  di  bario 
sono  i  migliori  insetticidi  interni  colla  nicotina  ed  il  piretro; 

3°  insetticidi  misti,  sono  quelli  che  agiscono  per  via  interna  ed 
esterna. 

Questi  sono  per  lo  più  a  base  di  nicotina,  che  allontana  le  farfalle 
])er  il  suo  odore,  (azione  insettifuga);  se  assorbita  dall'apparato  dige- 
rente (azione  interna)  e  se  lo  bagna  (azione  esterna)  avvelena  l'iiiseUo. 
l)o])o  la  nicotina  viene  il  piretro. 


IX. 
Mammiferi,  Uccelli  e  Molluschi  dannosi. 

1.  —  Dei  mammiferi,  conviene  ricordare  la  volpe,  il  tasso,  la  martora 
che  si  nutrono,  se  possono,  di  frutta;  la  talpa  che  fa  danni  colle  sue 
gallerie  (è  d'altra  parte  utile  perchè  insettivora);  i  topi  campagnnoli  ed 
altri  topi  delle  cloache,  che  rodono  le  radici,  la  corteccia  dei  tronchi. 
Si  combattono  spargendo  sul  terreno  dei  chicchi  di  granoturco  infranto 
mescolato  col  2  %  di  fosfuro  di  zinco.  La  lepre  si  nulre  delle  corteccie 
degli  alberi  quando  il  terreno  è  coperto  di  neve;  quindi  bisogna  ripa- 
l'are  i  tronchi  con  degli  spini.  Il  ghiro,  il  moscardino,  lo  scojattolo  si 
nutrono  di  frutta.  A  questo  si  fa  la  caccia  diretta;  per  i  due  primi  si 
fanno  prima  dell'inverno  delle  tane  artilìciali,  mettendovi  musco  e 
molte  frutta.  1  ghiri  si  raccolgono  in  queste  tane  e  passano  in  letargo. 
Allora  è  facile  a  prenderli, 

2.  —  Gli  uccelli  più  dannosi  sono:  il  frosone  che  si  ciba  di  gemme  e 
di  ciliegie;  il  montanello,  \l  verdone,  \\  fringuello  (di  semi  e  di  piantine 
in  embrione);  il  crociere  (di  olive);  la  nocciolaia  (di  noci,  nocciole  e 
susine);  il  beccafico  (di  ciliegie,  lampone  ed  uva);  i  passeri  (di  gemme 
e  di  frutti);  gazza  (pere  e  ciliegie);  il  ciuffolotto  (gemme);  lo  storno 
(ciliegie  e  uva);  il  merlo  (olive,  uva  e  ciliegie);  il  lordo  (ciliegie). 

3.  —  I  molluschi  dannosi  sono  la  limaccia  che  danneggia  le  piantine 
nel  semenzaio. 

1  rospi  e  gli  uccelli  distruggono  le  limaccie  in  quantilà;  l'agricol- 
tore può  giovarsi  anche  delle  anitre  e  dei  polli  per  distruggerle.  Altri- 
menti si  può  ricorrere: 

1.  Alla  polverizzazione  con  calce  viva  delle    foglie  e    delle    parli 
colpite, 

2.  All'irrorazione  delle  terreno  e  delle   piante  con  una  soluzione 
di  calce  viva  1  '/2^  7o- 

Siccome  l'acqua  di  calce  ha  una  azione  immediata,  per  colpire  le 
limaccie  non  ancora  uscite  dal  terreno,  bisogna  ripetere  l'irrorazione. 


-  435  - 

Le  irrorazioni  e  polverizzazioni  vanno  fatte  di  notte  o  di  sera  alle 
ore  20-21,  perchè  a  quell'ora  le  lumache  si  trovano  in  maggior  quantità 
sulle  piante.  Applicando  la  calce  viva  in  polvere  bisogna  seguire  la 
direzione  del  vento;  per  le  irrorazioni  si  jiuò  ripetere  1"  operazioni' 
nella  stessa  notte. 


X. 
Grillotalpa,  Forfecchia  e  Pidocchio  dell'olivo. 


1.  —  Grillotalpa  (Gryllotalpa  L.)  (lìg.  312).  K"  un  insetto  comu- 
nissimo, che  scava  molte  gallerie  per  cibarsi  di  insetti.  Si  accop- 
pia in  giugno-luglio,  poi  la  femmina  depone  da  .")  a  20()  uova  in  una 
cella  ovale  nel  terreno,  donde  partono  numerose  gallerie. 


Fig.  .312.  —   Gnillotalpii  vnlqiiri. 

Dopo  ló  giorni  i  giovani  crescono,  svernano  tre  anni  profonda- 
mente nel  terreno. 

I  danni  che  arreca  sono  specialmente  nei  semenzai,  e  nei  vivai  in 
genere. 

Si  combatte  distruggendo  i  nidi  in  luglio  e  iniettando  nel  terreno, 
quando  le  larve  sono  nate,  40  gr.  per  m.'  di  solfuro  dì  carbonio  in 
4-5  fori. 

Può  dare  buoni  risultati  la  caccia  mediante  agguati.  .\  tale  scopo, 
alla  fine  di  settembre  si  fanno  fossatelli  tortuosi  alla  distanza  di 
3-4  m.  e  profondi  25-30  cm.  Si  riempiono  lino  al  livello  del  terreno 
con  letame  paglioso  di  cavallo  o  vaccino  e  poi  si  copre  con  terra. 
Durante  l'inverno  le  larve  si  rifuggiano  in  questo  luogo  caldo,  favo- 
revole anche  alle  mute.  Nel  mese  di  maggio  si  aprono  questi  fossatelli 
e  si  schiacciano  le  larve  che  vi  si  trovano. 

2.  —  Forfecchia  (Forfìcula  auricularia  L.),  (lìg-  313)  anche  questo  e 
un  insetto  che  si  ciba  di  altri  piccoli  insetti  però  durante  la  notte  dan- 
neggia le  frutta  ed  i  giovani  germogli  degli  innesti. 


—  436  - 

Mezzi  di  difesa:  a)  Se  le  piante  sono  in  vaso,  met- 
tere il  vaso  dentro  un  altro  contenente  acqua. 

b)  Collocare  vicino  dei  cannelli  di  canna,  rami 
di  sambuco,  vuotati  dal  midollo,  tubi  di  carta,  masse 
di  letame,  ritagli  di  cuojo,  cinghie,  corna,  paglia, 
fieno  umido,  vecchie  granate  di  saggina,  ecc.  dove 
durante  il  giorno  accorrono  per  nascondersi. 
Prese  in  agguato  si  abbrucciano. 
Fig. .313.  —  For/ìc/(/f(  c)  Spazzolare  durante  l'inverno  i  tronchi    delle 

aiiricniaria.  piante  ed  i  pali  di  sostegno. 

3.  —  Pidocchio  dell'olivo  (Phlaeothrips  oleae  Co- 
sta). Questo  insetto  ha  recato  e  reca  molti  danni  agli  olivi  special- 
mente nella  Lucchesia. 

È  un  insetto  nero,  lucente,  (il  maschio  lungo  mni.  1-3  e  la  femmina  mm.  1-,"))  che 
ha  3  generazioni.  Le  larve  della  prima  succliiano  specialmente  le  giovani  foglioline  ed 
i  boccioli  dei  fiori;  quelle  della  seconda,  le  foglie  ed  i  piccoli  frutti;  quelle  della  terza, 
le  foglie  ed  i  frutti.  Le  foglie  in  corrispondenza  delle  punture  mostrano  depressioni  cir- 
colari, poi  si  deformano  e  cadono.  Cosi  pure  i  fiori  ed  i  frutti  rimangono  piccoli,  defor- 
mati, neri  e  cadono.  Nei  casi  di  forte  invasione  gli  alberi  si  presentano  coi  rami  intristiti 

Per  combattere  questo  insetto  bisogna: 
a)  diradare  la  chioma  e  tagliare  i  rami  secchi  ; 
h)  pulire  i  tronchi  e  i  rami  con  raschiatoi,  imbiancare   i   rami  e 
incatramare  tutti  i  tagli  ; 

e)  bruciare  tutti  i  rami  e  parte  di  rami  tagliati  ; 

d)  lavorare  profondamente  il  terreno; 

e)  irrorare  nella  prima  decade  di  luglio,  appena  lìnita  la  nascita 
delle  larve  della  seconda  generazione,  piti  numerosa  e  pili  nociva,  ado- 
perando la  seguente  formola  del  Del  (luercio  : 

Estratto  fenicato  di  tabacco kg.     1.500 

Polisolfuro  di  sodio  e  potassio  ....      ,,      0.350 
Acqua litri      100 


XI. 
Tingiti  e  Psillidi  o  falsi  gorgoglioni. 

1.  —  Tingile  o  cimice  del  pero  e  del  melo.  (fìg.  315)  (Tingis  pyri 
Fabr.)  è  lunga  3  mm.  quasi  trasparente,  col  capo  nero,  dotato  di  antenne 
sottili,  poco  ingrossate  all'apice;  corsaletto  a  lati  membranosi,  espansi, 
arrotondati  ;  parte  posteriore  del  corsaletto  carenata,  arrotondata  ed 
articolata;  elitre  espanse  e  arrotondate  ai  lati,  vescicolate  nel  mezzo, 
trasparenti,  ornate  di  una  fascia  traversale  bruna  e  di  una  grande 
macchia  apicale  dello  stesso  colore. 


—    \M 

Si  moltiplicano  slraordinariameiile,  vivono  a  colonie  sulla  pagina 
inferiore  delle  Toglie  dal  luglio  in  avanti.  Secondo  il  Costa,  (juesto 
insetto  impiegherebbe  soltanto  15  giorni  nelle  sue  metamorfosi. 

Le  foglie  ingialliscono  per  le  punture;  sulla  pagina  inferiore  si 
trovano  gli  insetti  ed  una  grande  quantità  di  escrementi,  (ili  albeii 
hanno  un  aspetto  malaticcio. 

Mezzi  di  difesa:  a)  All'invasione  delle  tingiti  vanno  soggette  le 
piante  poco  alimentate,  quelle  che  soffrono  per  siccità  o  per  im|)erfelta 
l)reparazione  del  terreno.  Bisogna  quindi  togliere  (juesli  inconvenienti 
sopralutto  per  prevenire  forti  invasioni. 

b)  Per  distruggere  le  tingiti  ibernanti  fare,  d'autunno,  una    forte 
spazzolatura  e  raschiatura  ai  tronchi  ed  ai  rami  ed  una  imbiancatura. 
e)  Lavare  con  acqua  saponata  in  primavera  tutta  la  pianta. 

d)  Raccogliere  le  prime  foglie  inlaccate  e  bruciarle. 

e)  In  caso  di  invasione,  irrorare  la  pagina  inferiore    delle    foglie 
colla  seguente  emulsione  : 

Sapone  molle    ....     Kg.      O.-'UM) 

Petrolio ().5(M) 

Acqua litri    10.  — 


Fig.  314. 
Larva  di  Eupliijllura  olivina. 


Fig.  :{l,x 
Tingis    pijri. 


1-ig.  3ir,. 
Ninfa  di  Eiiphylìttru  tìlinina. 


2.  —  Le  psillidi  o  falsi  (jorgoyliuiii  allo  stato  perfetto  hanno  1  ali  e 
sono  foinite  di  zampe  atte  al  salto.  Sono  agilissime  perhè  volano,  saltano 
e  camminano  rapidamente.  Le  larve  succhiano  gli  umori  delle  piante 
e  secernono  dall'addone  un  umore  a  goccioline  che  produce  poi  la 
fumaggine  sui  rami  e  sulle  foglie.  Sono  poco  agili  e  sono  per  lo  più 
coperte  di  sostanza  cotonosa  o  cerosa  bianca.  Le  punture  col  loro 
rostro  e  più  ancora  le  incisioni  fatte  dalla  femmina  coli' ovoposi- 
tore, causano  spesso  delle  escrescenze  a  guisa  di  galle.  Metamorfosi 
incompleta. 

Abbiamo  delle  psillidi  che  intaccano  il  fico  (Psylla  ficus),  «1  castagno, 
il  melo,  il  pesco,  il  pero  (Psylla  pyri  L.  fig.  317),  il  ciliegio  che  guastano 
le  gemme,  i  germogli,  le  foglie  ed  i  peduncoli  dei  fiori. 

Mezzi  di  difesa:  a)  D'autunno  lavare  i  tronchi  e  rami  con  acqua 
saponata  e  poi  imbiancarli  con  latte  di  calce. 

b)  In  primavera,  al  primo  apparire  delle  larve,  sopprimere  i  ger- 
mogli e  bruciarli. 


438 


e)  Se  l'invasione  è  forte,  spazzolare  la  base  dei  germogli,  dove 
si  raccolgono  per  lo  più  le  larve.  Per  uccidere  poi  le  larve  cadute  a 
terra,  irrorare  il  terreno  con  una  soluzione  di  zolfocarbonato  potassico 
al  10 Vo  o  con  dell'acqua  calda. 

d)  Spolverare  le  piante  con  polvere  di  piretro  e  stendere  sotto 
alle  piante  un  lenzuolo  per  raccogliere  le  psille  che  cadono. 

e)  Irrorare  le  foglie  e  germogli  con  la  seguente  soluzione  : 


Acido  fenico  . 
Sapone  molle  . 
Acqua  .... 


litri       0.500 
Kg.       0.500-0.750 
litri  100. 


Fig.  :{17. 


PsijUa  pijri.  —  1.  Poco  ingrandita;  2-."?.  Molto  ingrandita. 
Sulle  foglie  in  grandezza  naturale. 


3.  —  Euplujlluid  oliuina  (O  Costa)  o  psilla  dell'olivo,  Colonello, 
Bambacella  dell'olivo,  Eufìllura  dell'olivo  (fig.  314  e  316). 

Corpo  tozzo,  addone  triangolare,  colore  giallo-verdognolo;  elitre 
biancastre  e  leggermente  verdiccie,  ornate  di  punti  neri.  —  Larve 
depresse,  ovali  quasi  rotondeggianti,  fittamente  rivestite  di  sostanza 
bianca  cotonosa.  Le  larve  nutronsi  di  fiori  o  dei  teneri  peduncoli,  im- 
pedendo il  loro  sviluppo. 

Sverna  la  psilla  allo  stato  adulto  sui  ramoscelli  alla  base  delle  foglie.  In  niaggio, 
avviene  l'accoppiamento  e  le  femmine  depongono  le  uova  sulle  foglioline  apicali  dei 
germogli  oppure  alla  base  dei  racemi  floreali.  Dopo  pochi  giorni  nascono  le  larve  le 
quali  rivestendosi  di  un  involucro  cotonoso  sono  facilmente  visibili. 

Pare  che  compia  in  un  anno  3-4  generazioni. 

Mezzi  di  difesa:  Si  consiglia  la  seguente  emulsione  saponosa  di  petrolio: 

Petrolio  greggio    ....     litri    G.5 

Sapone  duro Kg.     2.5 

Acqua litri    4 


-  4['AÌ   - 

Si  scioij;lie  coiii|)lelaiiieiile  )ieiriK-(|iia  calda  il  sapone  duro,  layliaii- 
dolo  prima  a  piccoli  pezzi.  Indi  si  versa  la  soluzione  ancora  calda, 
allontanandola  però  dal  luoco,  nel  jielrolio,  agitando  per  bene  in  modo 
da  ottenere  una  specie  di  crema  che  si  può  conservare  in  vasi. 

Per  adoperare  questa  pasta  contro  la  psilia,  si  sciof,'lie  in  '_'.')()  litri 
d'acqua. 

Si  usa  questo  rimedio  con  cautela,  in  modo  che  non  abiiiano  a 
risentirne  danni  gli  organi  più  delicati  della  pianta. 

Rimedio  più  radicale  sarebbe  quello  di  raccogliere  annualmente 
tutti  i  rametti  fruttiferi  che  hanno,  all'ascella  delle  giovani  foglie,  la 
nota  sostanza  cotonosa.  Si  jìerde  cosi,  è  vero,  una  parte  del  rac- 
colto, ma  si  evita  l'attacco  dei  rami  sani  e  si  distrugge  una  glande 
quantità  d'insetti. 


XII. 
Afidi  (pidocchi  o  gorgoglioni). 

1.  —  ("ili  a/idi  costituiscono  una  famiglia  ricchissima  di  insetti,  poco 
vivaci,  di  piccole  dimensioni,  [)oichè  non  superano  i  6  mm.  di  lunghezza. 
Si  moltiplicano  anche  per  partenogenesi,  ossia  la  femmina  depone  delle 
uova  feconde  senza  l'accoppiamento  del  maschio.  In  un  anno  per  via 
partenogenica  si  contano  più  generazioni. 

Intaccano  sempre  le  parti  più  tenere  delle  piante,  però  sulla  stessa 
pianta  alcuni  alìdi  preferiscono  le  estremità  dei  germogli  (lig.  'MH), 
altri  le  gemme,  altri  le  foglie,  i  lìori,  i  frutti  ed  infine  anche  le  radici, 
i  rami  ed  il  fusto.  Vivono  sempre  in  grandi  colonie  ed  intai-cano  le 
parti  più  riparate,  cioè  la  pagina  inferiore  delle  foglie,  le  parti  riv(»lte 
a  terra  dei  rami  e  le  parti  inferiori  delle  radici. 

Gli  afidi  inlaccano  la  pianta  col  loro  ro.stro  succhiatore  e  fanno  si  che  gli  organi 
si  atrofizzano  od  ipertroflzzano  ;  i  tessutisi  disfanno  nei  punti  lesi  e  muoiono.  I.e  foglie 
si  increspano  e  diventano  vescicolose.  i  rami  giovani  si  incurvano  o  si  deformano.  Queste 
deformazioni  sono  dovute  non  soltanto  alla  irritazione  dei  tessuti  prodotta  dalle  pun- 
ture, ma  anche  dal  succhiamento  degli  umori  della  pianta  e  dalla  inoculazione  di  un 
li<Iuido  che  emettono  dall'apparato  boccale  e  che  avvelena  i  tessuti. 

Gli  afidi,  quando  non  trovano  sufficiente  nutrimento  sopra  una  pianta  od  un  organo 
da  essi  preferito,  dalla  forma  attera  passano  alla  forma  alata,  ed  emigrano.  .Vvvicne 
allora  che  una  stessa  specie  nelle  diverse  stagioni  vive  sopra  piante  di  natura  diversa 
e  su  organi  diversi,  dando  luogo  anche  a  variazioni  di  forma. 

La  diffusione  artificiale  però  è  la  più  temibile,  e  la  fa  luomo  slesso  trasportando 
piante  o  parti  di  piante  o  terra  infetta 

Contemporaneamente  alla  distruzione  degli  alidi  bisogna  pensare  a  <(uelle  delle 
formiche.  Ln  presenza  di  queste  ultime  so|)ra  una  pianta  indica  già  nella  maggior  parie 
dei  casi  la  i)resenza  di  afidi.  Le  formiche  allevano  e  proleggono  gli  afidi  poiché  ghiotte 
di  succhi  dolci,  lambiscono  i  loro  escrementi  che  non  sono  altro  che  i  succhi  delle 
piante  diventati  dolci  o  meglio  più  concentrati,  passando  per  l'apparecchio  digerente 
dei  pidocchi.  Onesta  melata  che  gli  afidi  producono,  offre  un  eccellente  substrato  alla 
fumaggine  (vedi  pag.  411). 


440  - 


Per  impedire  che  le  loriiiiche  salgano  sul  tronco,  sarà  opporUino  isolare  le  piante 
ed  impedire  la  salita  con  una  striscia  larga  10  cm.  di  carta  pergamenata,  legata  ad 
anello  all'altezza  di  30  cm.  dal  terreno  ed  unta  ogni  3  giorni  da  una  sostanza  vischiosa. 
Questa  sostanza  vischiosa  può  essere  identica  a  quella  consigliata  per  la  Cheimatobia 
brumata  (pag.  45(5),  oppure  si  ottiene  facendo  sciogliere 
a  caldo  kg  1  di  pece  nera  in  1  litro  di  olio  di  cotone 
o  di  sesamo. 

Molti  icneumoni,  la  Cocinella  septempiinctata,  neu- 
rotteri  e  ditteri,  distruggono  una  quantità  di  afidi. 

Le  piante  più  colpite  dai  pidocchi  sono  anche  le 
più  estenuate  per  cattiva  coltura;  quindi  il  frutticoitore 
deve  concimare  e  lavorare  razionalmente  il  terreno, 
tenere  sempre  puliti  i  tronchi  e  rami,  e  d'inverno  la- 
varli con  acijua  saponata  al  S%  di  sapone  nìoUe;  rac- 
cogliere e  bruciare  i  ritagli  dei  rami  di  potatura. 


Fig.  318. 

Ramoscello    di   rosa 

coperto  da  afidi. 


Fig.  319.  —  Germoglio  di  pero  intaccato  dall' Aphis  sorbi 
che  col  suo  pungiglione  fece  accortocciare  le  foglie 
i'.,  grandezza  naturale).  -  II.  Individuo  non  alato  del 
Myzus   cerasi.   -   III.  Individuo   alato   del   Myziis  cerasi. 


Quando  si  hanno  piante  in  ambienti  chiusi  come  nelle  serre,  è  facile  liberarsi 
dai  pidocchi  facendo  dei  suffumigi:  si  brucia  circa  1  grammo  di  avanzi  di  sigaro 
dissecato  per  ogni  metro  cubo  d' aria,  in  modo  che  le  piante  rimangono  avvolte  dal 
fumo  per  5  o  Ci  ore.  Nelle  serre  calde  si  possono  spargere  succhi  di  estratto  di  tabacco 
sui  tubi  del  calorifero. 

Nella  lotta  contro  gli  alidi,  dovendo  ricorrere  alle  irrorazioni  insetticide,  si  devono 
usare  miscele  deboli,  atle  ad  uccidere  gli  alìdi  vulnerabilissimi  perchè  non  protetti  da 
cera,  ma  non  tanto  forti  da  compromettere  gli  insetti  che  li  divorano.  Bisogna  fare  con 
molta  diligenza  le  irrorazioni  con  insetticidi,  adoperando  dei  polverizzatori  finissimi 
che  avvolgano  la  pianta  come  una  nube.  .Si  opera  sempre  in  giornate  senza  vento  e 
pioggia,  al  mattino  od  alla  sera  o  con  cielo  coperto. 

Una  sola  irrorazione  non  è  sempre  sufficiente:  bisogna  ripeterla  alla  distanza  di 
10-15  giorni,  per  colpire  i  nuovi  nati  e  quelli  che  eventualmente  sono  sfuggiti  o  che  hanno 
emigrato.  Siccome,  a  seconda  delle  specie  o  dello  stadio  di  sviluppo,  hanno  diversa  resi 
stenza  ai  liquidi  insetticidi,  così  enumero  le  principali  soluzioni  che  vengono  adoperate  : 
a)  Soluzione  saponosa  ('/.-2  parti)  nell'acqua  calda  di  sapone  molle,  diluita  con 
acqua  fredda  fino  a  portare  al  volume  di  100. 


-   Ili 


(".ontro  l'atide  del  ribes  e  dell'uva  spina: 
i  Saponefinolle  .    .       2  parli 

hj      Acqua 9.') 

'  Spirilo  denaturalo    15 
l'er  combattere  gli  alidi  del  ciliegio  e  susino: 
^  Sapone  molle    ....    2  parli 
e)  j  Estratto  di  tabacco  .     .    1       ,      conlencnlc  S-'.i"„  di   nicotina 

'  Acqua 97 

l'er  combattere  gli  afidi  del  susino  e  melo  : 
k  Sapone  molle    2    parti 
</;      I.ysolo  .    .    .    '/..      - 
'   Acqua    .     . 


Fig.  320.  —  Galle  prodotte  dall.l/f/jjs  pistaci 


Fer  combattere  gli  afidi  del  pero  : 

(  Estratto  di  tabacco    1-2    parli  conlenenlc  S-it^  di  nicolina 

^^  I   Acqua 99-98       „ 

Per  combattere  gli  afidi  del  pero  e  melo  ed  il  Fusicladium  : 

\  Estratto  di  tabacco    2    parti  contenente  8-9%  di  nicotina 
^''  ì  Poltiglia  bordolese  98 

gì  Infusione  al  legno  di  quassio.  A  questo  scopo  si  mettano  in  macerazione  per 
2  giorni,  Kg.  5  di  legno  di  quassio  in  20  litri  d  acqua.  Si  decanta  il  liquido  e  lo  si  porla 
a  100  litri,  che  si  applica  colle  solite  pompe 

Questo  rimedio  è  da  raccomandarsi  specialmente  per  combattere  gli  alidi  del  pesco, 
quantunque  possa  servire  anche  per  quelli  del  melo,  pero  e  susino.  K  raccomandalo 
specialmente  per  il  pesco  poiché  le  foglie  di  i)esco  sono  piuttosto  delicate  per  gli  altri 
insetticidi  e  quelli  poi  a  base  di  estratto  di  tabacco  macchiano  le  pesche. 

Il)  Contro  gli  afidi  del  ribes  e  dell'uva  spina  è  indicala  la  seguente  miscela  :  Si 
prepara  a  caldo  una  soluzione  di  125  gr.  di  sapone  molle  in  'i,  litro  d"  acqua  e  questa 
soluzione  si  versa  lentamente,  agitando  di  continuo  in  2  litri  di  petrolio.  Quando  si  ha 
ottenuto  una  specie  di  crema  aggiungendo  un  altro  litro  di  acqua,  si  diluisce  il  tutto 
con  acqua  fredda  fino  ad  avere  il  volume  di  100  litri. 

I  principali  afidi  che  si  combattono  con  queste  miscele  sono  quelli  della  Tab  XI, Il 


-  442  - 


Afidi  delle  piante  da  frutto. 


Nome 
scientifico 

Piante 
intaccate 

Caratteri 
alata 

della   forma 

attera 

Apliis  auiyg- 
dali 

Mandorlo    e 
pesco 

giallo  ferrugineo 

giallo  bruno    tendente   al 
rossiccio 

A.    avellanae 
Sch. 

Nocciuolo 

verde 

A.  coryli  Gaetz 

» 

gialla 

bianco-giallognola  pelosa 

A.  grossulariae 
Kaltb 

Uva  spina  e 
ribes 

nera  con  addone  verde 

verde  erbaceo  o  bleu 

A.  mali  Fb. 

Melo,  pero  e 
cotogno 

nero  con  addome  verde 

verde  con  capo  rosso 

A .    pei-sicae 
Kaltd 

Pesco  ciliegio 
e  susino 

nera  lucente  con  zampe 
nere 

giallo  verdastra  con  fascie 
traversali    nere    e    al    di 
sotto  verde  oliva 

A.  pyri  Fb. 

A.   pistaciae 
(fig.  320) 

pero  e  melo 
Pistacchio 

giallo  verdognola 

dorso  nero  con  fascia  longi- 
tudinale bianca 

A    pruni  Kocli 

Susino  e  pesco 

bruno    polverizzato   in 
bianco,  addome  verde 
giallastro 

verdastra  con  una  linea  dor- 
sale e  due  punti  brunaslri 
all'addome 

A.  ribis  L. 

Ribes 

giallo  verdognolo  con 
macchia    bruna    sul 
corsaletto 

giallognola   con    macchie 
brune 

A   sorl)i  Kaltb 

(Hg.  :ì1!I) 

Sorbo 

bruno  scura;  gialloros- 
sastra  al  di  sotto 

sferica,  giallo  verdognola 

Hyalopterus 
pruni  Koch 
(afide  farine 
so  del  i)esco) 

Mandorlo,  pe- 
sco, e  susino 

verde  chiaro  con  fasce 
traversali  scure 

elittica  0  coperta  di  polvere 
di  cera 

Lachuns  jug- 
landicola 
Kaltb 

Noce 

gialla    con    anelli    ed 
antenne  nere 

giallo  pallida,  appiattita 

Myzus  cerasi 

Ciliegio    e 
pesco 

nero  brinia  come  il  capo 

rosso  bruna  con   macchie 
bianco  giallognole 

M.  pyrarius 

Pero 

nero   bruno  il   capo  e 
torace;  giallo  bruno 
l'addome 

nero    pece  e  zampe    bian- 
castre 

2.  —  Fillossera  della  vile  (lìg.  ;{21-322)  (Phylloxera  vaslalrix  Planch). 
Si  manifesta  con  un  deperimento  delle  viti  che  si  dillonde  come  una 
macchia  d'olio.  Nodosità  alle  l'adici  e  galle  talvolta  sulle  foglie. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Distruttivi:  iniezioni  nel  terreno  di  solfuro  di 
carbonio. 


-  4i:{  - 


Fig.  321.  —   Phyllo.veni  vdstutri.r  (molto  iiifjrandila  . 
a-b.  Larve  e  madri  altere  gallicele  e  radicicole.  -  e.  Ninfa  di   lìllossera  alata. 
d,  Fillossera  alala  o  madre  parlenogenica.  -  f.  Femmina.  -  ni,  Maschio.  -  o,  Uovo. 


Fig.  322.  —  Radice  di  vite  colpita  dalla  fillossera 


liK    321. 

(,ailosii:i    e    i)rotuberan/e 

rognose    sopra    un    ramo 

di  melo,  dovute  alla 

Scliizonetira  lanigera. 


—  444  — 

b)  (durativi  :    solfuro   di   carbonio,  solfocarbonato  potassico    e    la 
soiniuerslone. 

e)  Si  ricostituiscono  i  vigneti  con  viti  americane  resistenti  oppure 
colla  coltivazione  nelle  sabbie. 

3.  —  Schizoneura  o  pidocchio  lanigero  del  melo  (Scliizoneura  o 
Myzoxylus  lanigera  Hausmann).  É  un  afide  molto  dannoso  e  diflicile  a 
distruggei'si  che  intacca  specialmente  il  melo  (fìg.  323),  quantunque  io 
r  abbia  trovalo  anche  sul  pero  e  castagno. 

La  forma  attera  è  ovale,  depressa,  lunga  mm.  2-5,  col  dorso  gibboso,  di  color  rosso 
bruno  brillante  volgente  al  nero  e  col  corpo  cosparso  di  materia  cotonosa,  di  cui  si 
serve  per  ripararsi  d'inverno. 

La  forma  alata  è  di  color  f osco-bruno  con  corsaletto  più  pallido,  addome  carenato 
con  4  ali. 

Dallovo   d'inverno   nasce   in   autimno   la  larva,  che   iberna  nelle  screpolature.   In 
primavera  si  ha  la  forma  attera  che  si  moltiplica  per  8-12  generazioni   per   partenoge- 
nesi. La  forma  attera  per  diventare  madre  subisce  4   mute.   La  forma  alata  appare   in 
autunno,  si  riproduce  pure  per  partenogenesi  e  depone  da  ,3  3  6  uova,  da  cui  nascono 
maschi  e  le  femmine,  le  quali  ultime,  dopo  accoppiate,  depongono  l'uovo  d'inverno. 

In  vicinanza  dei  tagli,  presso  le  gemme,  alla  ascella  dei  rami,  delle  foglie  ed  al 
colletto  e  sulle  radici  della  pianta,  si  notano  delle  macchie  candide,  cotonose,  che  schiac- 
ciate lasciano  un  umore  sanguigno.  Se  la  malattia  è  avanzata  si  notano  tumori,  come 
si  vede  nella  fig.  323. 

L'effetto  si  manifesta  con  la  incessante  sottrazione  di  linfa  epperciò  un  grave  spos- 
samento della  pianta  nel  mentre  la  irritazione  suscita  delle  innumerevoli  punture, 
conduce  allo  sviluppo  di  nodosità  e  di  tumori  al  tronco  e  rami.  Un  poco  alla  volta 
({uesti  tumori  generano  una  specie  di  cancro  che  occupa  anche  tutta  la  circon- 
ferenza dei  rami  così  da  impedire  la  circolazione  della  linfa  e  perciò  la  nutrizione 
dei  frutti. 

Non  tutte  le  varietà  di  meli  vengono  egualmente  intaccate.  'Vanno  più  soggette  le 
varietà  dai  frutti  più  dolci  come  la  Rambour  d'inverno,  la  Calvilla  rossa  d'inverno,  la 
Renetta  di  Cassel,  ecc  .  così  pure  quelle  che  hanno  la  scorza  dei  rami  poco  consistente. 
La  mela  Gravenstein  è  delle  piti  resistenti. 

La  quantità  di  generazioni,  il  riparo  della  cera,  la  formazione  delle  croste  sulla 
corteccia,  tutto  questo  impedisce  che  la  lotta  riesca  completamente. 

Mezzi  di  difesa  :  La  migliore  epoca  per  combattere  questo  insetto  è 
la  fine  di  marzo  ed  aprile,  prima  che  comincino  le  nuove  generazioni. 

I  mezzi  di  difesa  che  si  possono  consigliare  sono  i  seguenti  : 
a)  All'epoca  della  potatura  e  non  più  tardi  del  mese  di  marzo, 
si  poli  largamente  la  pianta,  si  mondino  i  tronchi  col  pennato  e  coi 
raschiatoi;  poi  si  distenda  per  mezzo  di  pennello  una  miscela  di  olio 
pesante  di  catrame  dal  5  al  10 "/o,  sapone  3  a  5  Voi  acqua  97  a  9"),  miscela 
fatta  stemperando  prima  il  sapone  nell'olio  di  catrame,  ed  aggiungendo 
l'acqua  gradatamente  e  agitando. 

Un  rimedio  molto  pratico  che  provai  ultimamente  ad  Imola  è  il 
carbolineo  solubilizzato  preparato  in  Francia  e  del  quale  è  rappre- 
sentante per  la  vendita  la  Ditta  Bonhglioli  di  Bologna.  Per  i  trattamenti 
invernali  si  fa  una  soluzione  al  0-4%  e  per  i  trattamenti  estivi  al  1-1 '/^Vo- 

Si  abbia  cura  di  far  penetrare  il  liquido  nei  crepacci  della  scorza, 
nelle  fenditure  del  fusto  e  dei  rami,  e  dovunque  vi  siano  ferite  con 
cercini  di  cicatrizzazione  o  meno. 


—    Ilo  - 

b)  Si  bruciano,  (|u:uido  cadono  sul  terreno,  i  rilaj^li  di  scorza  e  rami. 

e)  Operala  (juesta  prima  cura  d'inverno,  alla  primavera  non  sarà 
dilTicile  di  veder  coni[)arire  qualche  colonia  dell'alide,  che  l)isof»ner:'i 
(lislruff^eie  prima  che  si  dill'onda,  ed  asparj^ere  su  lutla  la  chioma  della 
pianta  una  soluzione  di  sapone  al  li",,,  per  colpire  f»li  alìdi  che  even- 
lualmente  si  l'ossero  sparsi  su  di  essa,  ojjpure  la  soluzione  sopraindi- 
cata di  carboliiieo  solubilizzato. 

cij  Per  combattere  la  infezione  sulle  radici,  conviene  ricorrere 
all'uso  dei  solfocarbonali  alcalini  sciolti  al  U)  7„  nell'acqua,  od  ad  inie- 
zioni ili  solfuro  di  carbonio  in  raj^ione  di   IS-'iO  cm.-'  per  m.'- 

11  Sig.  A.  Cadoret  nel  N.  2  del  Proj^rés  aj^ricole    WH'A,    raccomanda 
la  seguente  soluzione: 

Olio  di   lino  .....     gr.  700 

Biacca 1">0 

Bianco  di  zinco 100 

Si  la  bollire  |)er  10  minuti  e  poi  vi  si  aggiungono,  dopo  rallVeddata 
la  massa.  100  gr.  di  essenza  di  trementina. 

La  miscela  si  applica  con  un  pennello  su  tutte  le  parli  iiilelU'.  In 
solo  trattamento  generalmente  basta.  Per  maggiore  sicurezza  si  jìossnno 
l'are  due  pennellazioni,  in  autunno  ed  alla  line  di  giugno. 


XIII. 
Cocciniglie. 

1.  —  Le  cocciniglie  formano  un  gruppo  ricco  di  ollic  1000  sjìecie 
con  i  segueiìti  caratteri  comuni. 

Maschio  con  due  ali,  lunghe  antenne  e  lunghe  zampe,  senza  ro.stro. 

Femmine  senza  ali  e  spesso  senza  antenne  e  senza  zampe,  ma  con 
un  rostro  breve.  Dopo  poco  tempo  si  fissano  sulla  pianta  succhiandone 
gli  umori.  In  questo  stato,  per  difendersi  dai  nemici  esterni,  o  la  pelle 
del  dorso  si  indurisce,  diventando  coriacea  (Lecunium  Kermes),  o  si 
copre  di  cera  in  forma  di  polvere  bianca  (Duclylopius)  o  si  copre  di  fila- 
menti cotonosi  o  di  squame  larghe  di   cera  (Ceroplasles). 

La  maggior  parte  depongono  ova,  da  cui  nascono  le  larve  prive 
di  ali,  eliltiche,  munite  di  zampe  e  di  antenne  con  ó  o  0  articoli.  Molte 
volte  le  larve  stanno  riparate  per  qualche  tempo  sotto  il  ventre  della 
madre  poi  diventano  mobilissime  e  sono  esse  che  dillondono  il  male. 

Le  cocciniglie  hanno  molti  insetti  predatori  che  le  divorano  oppure  vivono  sopra 
di  esse  parassitarie.  Gli    insetti    predatori   sono   specialmente  i  Cocinellidi,  i  Dilter.  e.l 


luche  piccolissime  vespe  che  comport; 


mdosi  come  la    Prospaltelhi    herlesei.  consigliat 


dal  Prof.  Herlese   per  distruggere   la  Diaspis  pentagona.  divorano  internamente  le  coc- 
ciniglie, lasciando  di  esse  soltanto  le  spoglie. 


—  446  — 

I  mezzi  {generali  di  difesa  contro  le  cocciniglie  consistono: 

(i^nel  favorire  ia  propagazione  dei  nemici  naturali  delle  cocciniglie; 

b)  nel  curare  le  piante  dalle  fumaggini,  le  quali  di  solito  accom- 
pagnano ogni  invasione  di  cocciniglie; 

e)  nel  tagliare  i  rami  molto  colpiti,  nel  curare  le  ferite,  nel  dira- 
dare i  rami  troppo  lìtti  e  nel  calcinare  quelli  che  rimangono.  Tutti  i 
brandelli  di  corteccia  e  tutti  i  rami  tagliati  devonsi  bruciare  sul  sito; 

(/)  nella  spazzolatura  dei  rami  meno  colpiti  con  spazzole  d'acciaio, 
per  levare  lo  scudetto  che  ditìende  le  femmine  ibernanti  e  farle  cadere 
a  terra.  La  spazzolatura  si  deve  cominciare  dai  rami  più  alti; 

e)  nel  fare  irrorazioni  nell'inverno  e  durante  la  vegetazione  con 
la  miscela  zolfo  calcica  nelle  proporzioni  indicate  a  pag.  3%. 


Fig.  325. 
Diaspis  pcntagoiKi 

I  femmina  1. 
(Irandezza  naturale. 
/>,  Ingrandito. 


Fig.  324.  -  Ramo  di  gelso 

colpito  dalla  Diaspis  pentugotui. 

a,  Scudetti  delle  femmine.  -  <(',  .Scudetto  ingr. 

/>,  Follicoli  dei   maschi.  -  b'.  Follicolo  ingr.' 


Fig.  ;?26. 

Diaspis  pentagona  (maschio) 

a,  In  grandezza  naturale. 

b.  Ingrandito. 


2.  —  Cocciniglia  del  gelso.  (Diaspis  pentagona  (fig.  324-326)  La  fem- 
mina è  gialla,  pentagona,  riparata  da  un  scudetto  di  colore  bianco  bigio 
ed  i  maschi  sono  riparati  nell'interno  di  follicoli  che  formano  dei 
fiocchetti  candidissimi.  Si  hanno  2-3  generazioni. 

I  rami  di  due  e  più  anni  si  presentano  coperti  da  una  crosta  costituita  dall'inva- 
sione di  innumerevoli  dischetti  di  color  cenerognolo  dalla  lungh.  di  1-5  mm. 

Per  combatterla,  oltre  ai  mezzi  sopra  indicati  si  ricorra  alla  disseminazione  della 
Prospaltella  berlesei,  una  piccolissima  vespa  che  ha  5  generazioni,  la  cui  larva  succhia  e 
vuota  la  diaspis. 


—  -147  — 

Durante   l'inverno   si    possono   applicare   due    delle    seguenti   emulsioni,  dopo    la 
spazzolatura: 

a)  Sciogliere  in  1(1  litri  d'  acqua  un   ettogrammo    di  Soda  Sohvay,   aggiungervi 
2  ettogrammi  di  olio  di  pesce  e  per  ultimo  9  ettogrammi  di  petrolio  grigio  o  nero. 

b)  Sciogliere  in  10   litri  d"ac((ua  1  '  ,.  ettogrammi  di  Soda  Solway.  aggiungendovi 
!t  ettogrammi  di  olio  pesante  di  catrame  ;  agitare  Ijene  ed  adoperare  la  miscela  in  giornata. 


Fig.  .327.  Fig.   :{28.  Fig.."?20.  —  Femmina  di  A/y/j/asp;.'! 

.Scudetto    di     Miililasiiis         Larva  di  Mijtilaspis  fiiltxi         fiilixi  adulta,  veduta  dal   ventre 
l'iihxi  molto  ingrandito.  molto  ingrandita.  ed  ingrandita  IO  volle. 


:ì:{0.  —  Maschio  di  Mijtilaspis  fulòa 
ingrandito  40  volte. 


Fig.  331.  —  Ramo  di  melo  intac- 
cato dalla  Mijtilaspis  poiiìoriim. 


3.  —  Pidocchio  il  oiryold  (Mytilaspis  fulva  o  Lepidosaphes  citricolaj. 
Lo  scudo  della  femniiiia  ha  forma  di  viigola  (fìg.  327)  ("lunghezza 
2  3  mm.)  di  color  rosso-bruno  lucente:  la  larva  (lìg.  328)  è  di  color 
giallo-aranciato  scuro.  Tutto  lo  scudo  è  circondato  da  uno  stretto  orlo 


4-1  .S 


ceroso;  la  femmina  (Mg.  229)  è  di  color  bianco;  il  maschio  è  rappre- 
sentato nella  lìg.  830.  Il  MijtiUispis  e  V  Aspidiotiis  arrecano  i  maggiori 
danni  agli  agrumi. 

Per  combatterlo,  2  o  3  irrorazioni  ogni  10  giorni,  colla  miscela 
zolfo  calcica  (formola  estiva),  all'epoca  della  nascita  delle  larve  della 
prima   generazione.    I    rametti    defogliati    si    tagliano    ed    abbrucciano. 

Sul  melo  abbiamo  la  Lepidosaphes 
ulmi  L.  denominata  anche  Mytilaspis 
pomorum,  (fig.  331)  che  intacca  il  pero, 
nespolo,  susino,  ribes  ed  olivo. 


Fig.  y^2   -  Scudetti  AéiX Aspidiotm 
limona  (femmina)  sopra  un  fram- 
mento di  foglia  di  limone. 
Ingrandimento  di  18  diametri. 


Fig.  333. 

Femmina  di  Aspidiotns  limonii 

vista    di    sotto    ed    ingrandita 

23  diametri  circa. 


4.  —  Bianca  degli  agrumi.  (Aspidiotus  limonii).  Lo  scudetto  è  cir- 
colare, giallastro,  circondato  da  largo  anello  ceroso,  bianco  (fig.  332). 
Femmina  gialla,  discoide,  convessa,  senza  zampe  ed  antenne  (lìg.  333). 
Maschio  alato,  lungo  0.7  mm.  con  un  lungo  stiletto  all'estremitàTaddo- 
minale.  Larva  elittica,  ristretta  alquanto  alle  due  estremità,  con  antenne 
lunghe  e  pelose;  apice  dell'addone  munito  di  piccole  appendici  coniche. 
Color  giallo- verdiccio.  Lungh.  0.3  mm. 

Alla  fine  di  marzo  si  ha  la  prima  uscita  di  larve  e  poi  la  schiusa 
dura  tutto  l'anno. 

I  frutti  si  fanno  bruni,  si  raggrinzano  nei  punti  lesi  e  cessano  di 
crescere. 

Si  raccomanda  la  cura  invernale  ed  estiva  colla  miscela  zolfo- 
calcica. 

5.  —  Laspidiolus  perniciosus,  la  cocciniglia  S.  José  tanto  dannosa 
nel  Canada  e  Slati  Uniti  a  tutte  le  piante  da  frutto,  per  fortuna  non  è 
stata  ancora  riscontrata  in  Europa. 

e.  —  Cocciniglia  del  fico.  (Geroplastes  rusci  L.)  si  distingue  come 
tutti  i  Lecaniti,  perchè  le  femmine  non  si  coprono  di  scudi  protettori, 
ma  o  segregano  lacca  o  cera,  oppure  la  loro  pelle  semplicemente  si 
indurisce  al  dorso  e  per  lo  più  diventa  bruna. 

Appartengono  ai  Lecaniti  le  seguenti  specie: 

a)  Pidvinaria  della  vite  (Pulvinaria  vitis  L.)  lig.  334. 

h|  Filippia  dell'olivo  o  cocciniglia  cotonosa  dell'olivo  (Philippia  oleae  Costa). 

cj  Cocciniglia  dell'olivo  (l.ecanium  oleae  Fabr)  fig.  33'). 


—  449  — 

d)  Cocciniglia  cerifera  del  chinotto  (Ceroplastes  sinensis). 

e)  Cocciniglia  del  pesco  (Lecanium  Persicae)  che  intacca  anche  il  gelso,  il  susino 
e  la  vite. 

f)  Cocciniglia  delle  esperidi  (Lecanium  hesperiduni  Biirmeisteri  lig.  337-3.59). 
.Si  combatte  con  i  mezzi  generali  già  indicati. 


Fig.  335. 
Scudetti    del    Lecanium 
oìettf.  ingrandito  3  volte. 


Fig.  336.  —  Femmina  di  l'ar- 
latoria  xizii>hy.  vista  dal  ven- 
ire   ed    ingrandita    10    volte. 


Fig.  331, 
Tralcio  di  vite  colpito 
diilla    Pnhniutriu   nitis. 


Fig.  337.  —  Lecanium  hespe- 
ridnin,  visto  dal  dorso  ed 
ingrandito  circa   6   volte. 


Fig.  338.  —  Lecaninm  hespe- 

ridnni,    visto    dal    ventre 

ed  ingrandito  6  volte. 


Fig.  339.  —  Larva  di  Lecanium 

hesperidum,  vista  dal  ventre 

e  molto  ingrandita. 


7.  —  Pidocchio  nero  degli  agrumi.  (Parlatoria  zizyphi  Lucas)  flg.  336. 
La  femmina  si  copre  di  uno  scudo  bruno  o  cfuasi  nero,  lucente,  di 
l'orma  rettangolare,  con  carene  longitudinali  rilevate,  circondate  da  una 
sostanza  cerosa  bianca. 


XIV. 
Papilionidi. 

(Farfalle  diurne  i  cui  bruchi  rodono  le  foglie). 


1.  —  Sono  farfalle  con  antenne  relativamente  corte,  terminanti  a 
clava,  con  le  (5  zampe  abbastanza  sviluppate,  tanto  da  essere  atte  a 
camminare,  in  ambo  i  sessi.  Ali  grandi  coli' arco  interno  delle  poste- 
riori alquanto  concavo. 

I  bruchi  presentano  due  tentacoli  carnosi,  retrattili,  iiosti  sul  ])rimo 
segmento. 

29  —  Tam.^uo  -  Fnitlicolliira. 


-  450  - 

Le  crisalidi  si  sospendono  mediante  un  filo  passato  attorno  al 
corpo  ed  hanno  il  capo  diretto  in  alto. 

2.  —  Aporia  Cralaegi  L.  (Farfalla  del  biancospino  e  del  sorbo).  I 
bruchi  rodono  le  foglie  anche  del  pero,  del  melo,  del  ciliegio  e  del  sorbo. 

La  farfalla  (lig.  340j  è  bianca  con  nervature  brune;  in  maggio-giugno 


Fig.  340.  -    Aporia  Crataegi. 


depone  le  uova;    dopo   due    settimane  nascono    i    bruchi    i   quali    co- 
prono le  foglie  con  una  ragnatela,  se  ne    nutrono  e   vi  ibernano. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Raccogliere  e  distruggere  i  nidi  clie  si  presen- 
tano come  tele  al  principio  dell'inverno  e   che  sono  facili  a  scorgei'si 

sui  rami  spogliati  delle  foglie. 


Fig.  3  ti.  —  l'apilio  Po  lì  aliar  US. 


Fig.  342.  —  Vanessa  pohjchloras. 


b)  Quando  i  bruchi  sono  appena  nati  ed  ancora  riuniti,  spruz- 
zarli con  una  soluzione  al  0.7  "/o  di  arseniato  di  piombo. 

e)  Cacciare  direttamente  le  farfalle  la  sera,  quando  stanno  in- 
torpidite sui  (ìori. 


—  451  — 

3.  —  I  bruchi  del  Papilio  Podaliiiriis  L.  (fig.  341)  e  quelli  della 
Vanessa  pohjchlonis  L.  (fig.  342)  rodono  pure  le  foglie  del  pesco,  del 
melo,  del  susino,  del  mandorlo,  del  ciliegio  e  del  castagno;  si  combat- 
tono come  la  precedente. 


XV. 
Farfalle  grosse  i  cui  bruchi  (tarli)  rodono  il  legno. 

1.  —  Rodilegno.  (Cossus  cossus  L.)  (fig.  343).  Questa  grossa  farfalla 
e  la  seguente  hanno  bruchi  che  scavano  gallerie  larghe  e  lunghe  nei 
tronchi  degli  alberi  vivi,  che  vanno  dal  basso  all'alto.  All'ai^ertura  delle 
gallerie  si  notano  dei  detriti  di  legno  espulso. 

Il  bruco  è  nudo,  lucido,  giallastro  e  misura  lino  a  oltre  10  cm.  di 
lunghezza. 


Fig.  343.  —  r.osxii/ì  cossus. 

Le  farfalle,  durante  il  giorno,  stanno  immobili  (giugno-luglio)  sui 
tronchi,  a  poca  altezza  dal  terreno  e  depositano  le  uova  nei  crepacci 
del  tronco. 

Le  larve  appena  nate  penetrano  subito  nella  scorza  ma  solo  nella 
primavera  dell'anno  seguente  entrano  nel  legno  e  vi  fanno  gallerie; 
dove  rimangono  per  3  anni. 

Bisogna  uccidere  il  bruco  nella  galleria  sia  introducendo  un  filo 
di  ferro  acuto  sia  iniettando  la  seguente  miscela  : 

Solfuro  di  carbonio  parti  9 
Creosoto     1 


Se  ne  imbevono  piccoli  batuffoli  di  cotone  che  si  introducono  nella 
galleria  chiusa  poi  ermeticamente  con  un  mastice. 
I  bruchi  muoiono  asfissiati. 


^  452  - 

2.  —  Zen-era  pyrina.  L.  (Tarlo  bianco  degli  alberi  da  frutto  (ìg.  344). 
Questa  farfalla  predilige  gli  alberi  da  frutto;  la  precedente  invece  si 
trova  anche  su  {|uelli  da  bosco. 

La  farfalla  è  alquanto  più  piccola,  bianca,  con  molte  macchie  dis- 


Fig.  3M.  —  Zeiizera  piiriun. 

seminate,  rotondeggianti,  di  color  bleu.  Depone  le  uova    in  luglio,  alla 
base  delle  gemme;  il  rispettivo  bruco  passa  poi  nel  tronco. 

Produce  molti  danni  specialmente  nei  vivai  ;    si    combatte  coiìie  il 
precedente. 


XVI. 
Farfalle  grosse  i  cui  bruchi  rodono  le  foglie  (Bombici). 

1.  —  I  bombici  sono  per  lo  più  di  forma  tozza,  di  grandezza  media, 
col  corpo  coperto  di  peli  più  o  meno  fìtti  e  lunghi;  le  antenne  sono 
piuttosto  sottili  ed  allungale  nelle  femmine,  pettinate  invece  nei  maschi. 
Le  loro  ali  sono  generalmente  bene  sviluppate.  Sono  quasi  tutti  pretta- 
mente notturni  ed  i  loro  bruchi  fìlano  bozzoli. 

2.  —  Lijmaniria  (F^iparis  o  Ocneria)  dispar  L.  Bombice  dispari  :  è 
uno  dei  più  temibili  per  la  sua  grande  prolificità  e  per  la  sua  poli- 
fagia divorando  il  fogliame  di  un  gran  numero  di  piante  da  frutto. 

I.a  femmina  (flg.  H45)  è  bianca  con  una  screziatura  bruna  a  zig-zag:  il  maschio 
è  più  piccolo,  giallo  terreo,  marmorizzato  in  bruno   (fig.  346'. 

In  estate  le  femmine  stanno  sui  tronchi  o  sui  grossi  rami  o  sotto  le  pietre,  immo- 
bili, e  depositano  le  uova  sulla  scorza  dei  tronchi  in  mucchietti  ovali  del  diametro  di 
t-.5  cm.  che  copre  con  la  peluria  gialla  dell'addome.  Si  vedono  bene  sulle  corteccie 
degli  alberi  dal  luglio  in  avanti. 

Nella  primavera  successiva  nascono  i  bruchi,  i  quali,  dapprima  uniti  e  poi  separati 
rodono  le  toglie  e  passano  da  un  ramo  all'altro  fino  a  che  il  bruco,  alla  fine  di  giugno, 
raggiungendo  la  lunghezza  di  10  cm  ,  si  incrisalida.  Dopo  15  giorni  nasce  la  farfalla. 

Per  combattere  questo  nemico  occorre  dare  la  caccia  alle  uova,  sia 
raschiando  le  placche  di  uova  raccogliendole  in  un  sacco  e  poi  bru- 
ciandole,   o    meglio   ancora   incatramando   i   mucchi  di    uova    con   un 


-  453  - 

pennello  adoperando    15-20  %  di    olio  di    catrame    emulsionato.    In  tal 
modo  le  uova  vengono  asfissiate. 

3.  —  Euproctis   clìrijsorrhoea.   (Liparis    o    Porthesia   chrysorrhoea) 
(fìg.  347).  E'  chiamato  bruco  peloso  degli  alberi  da  frutto.  La    farfalla   è 


Fig.  345. 
ì.ijiiianlrìa  \Ocnerìa)  dispar  (femmina). 


Fig.  34(j. 
Limantria  (Ocneria)  disiìar  ( maschio i 


bianca,  soltanto  l' estremità  posteriore  è  color 
come  la  seta.  Le  larve  sono  pelose  e  metà  più 
precedente. 


giallo    d' oro,   lucido 
piccole    della    specie 


In  luglio,  le  farfalle  depongono  le  uova  sulle  foglie  a  striscie  larghe  un  centimetro 
e  lunghe  parecchi  centimetri,  tortuose,  rivestite  di  peluria  dell'addome 

Dopo  15  giorni  nascono  i  bruchi, 
che  si  raccolgono  subito  a  centinaia, 
rodendo  il  parenchima  delle  foglie  e 
avvolgendole  con  molti  tili  serici,  fra  i 
quali  ibernano.  Neil'  anno  successivo,  i 
bruchi  si  separano  divorando  ancora  le 
foglie,  fino  al  jteriodo  dell'  incrisalida- 
mento  (giugno  l 


Fig.  347. 
Hiiproctis  chrysorrhoea  (l'orthesiaj. 


Fig.  348. 
Orgijd  antiqua  (femmina,  maschio  e  bruco) 


Per  difendersi  durante  l'inverno,  bisogna  raccogliere  e  bruciare  i 
nidi  che  sembrano  macchietti  di  foglie  dissecate. 

4.  —  Orc/yia  antiqua  L.  (fìg.  348).  Il  maschio  ha  le  ali  bene  sviluppate 
mentre  le  femmine  hanno  due  monconi. 

Le  ali  anteriori  del  maschio  sono  brune  con  alcune  fascie  trasver- 
sali nerastre  più  o  meno  spinate  ;  le  posteriori  sono  bruno-nerastre. 


—  454  — 

I  bruchi  sono  pelosi,  grigi,  con  lince  e  disegni  giallognoli  e  con 
ciuffi  di  peli  sul  dorso,  posti  sopra  verrucosità. 

Hanno  due  generazioni,  in  maggio  e  sulla  (ine  di  agosto,  e  si  cibano 
di  foglie.  Le  ])iante  danneggiate  sono  l'albicocco,  il  cotogno,  il  melo, 
il  lampone. 

Mezzi  di' difesa  :  a)  Raccogliere  e  distruggere  ,i  bruchi  scuotendo 
i  rami. 

b)  Distruggere  durante  l'inverno  le  ova]che  si  trovano  sui  bozzoli 
attaccati^ai  tronchi  o  sulle  Toglie  disseccate. 

5.  —  Melacosoma  (Gaslropaclia  o  Bomhyx  neiistria  L.)  (lig.  34y-350j. 
Farfalla  di  colore  uniforme  giallo-ocraceo  con  due  linee  trasverse  oblique 
sulle  ali  anteriori.  Lunghezza  13.5-18  mm. 


Fig.  349.   —  Bombijx  netistria. 


Fig.  350.  -     Bruco  della  Bombix  neiistria. 


Bruco  di  color  turchino-grigiastro  con  una  linea  longitudinale 
bianca  e  6  strie,  3  per  lato,  interrotte,  di  color  giallo-rosso. 

La  femmina  depone' le  uova  ad  anello  sui  rami;  in  primavera  nascono  i  bruchi 
che  fino  alla  3*  muta  vivono  insieme  entro  "una  tela  formata  di  fili  ove  si  rifugiano  du- 
rante la  notte. 

Ai  primi  di  giugno  incrisalidano  e  tessono  un  bozzolo  fra  le  foglie  od  i  crepacci 
della  corteccia.  In  luglio  si  ha  la  farfalla. 

I  bruchi  vivono  delle  foglie  di  quasi  tutti  gli  alberi  da  frutto. 

Si  combatte  tagliando  i  rami  cogli  anelli  delle  uova  e  bruciandoli. 
In  giugno  si  raccolgano  i  bozzoli  e  si  distruggano  i  bruchi,  in  pri- 
mavera, alla  notte,  quando  sono  raccolti    fra  i  fili  serici. 

6.  —  Lasiocampa  qiiercifolia  L.  (fig.  351)  Farfalla  foglia  morta  o  foglia 
di  quercia,  chiamata  così  per  il   suo  colore. 

Ha  4    ali    dentate,    bruno-rossiccie    con    qualche   riflesso    violaceo 
air  apice,    ornate    di    tre  linee    trasversali    nerastre,    ondulate.    Corpo 
bruno-rossiccio.  Durante'il  riposo  tiene  le  ali  anteriori  piegate  a  tetto- 
Bruco  grigio-bruno,  con  due  colaretti  siti  tra  il  primo  e  il  secondo 
e  fra  il  secondo  e  il  terzo  anello. 

I  bruchi  danneggiano  dall'aprile  al  giugno  e  in  settembre,  le  foglie 
del  pero,  del  melo,  dell'albicocco,  del  pesco,  del  ciliegio  e  del  susino. 

Mezzi  di  difesa:  Raccolta  dei  bruchi  in  un  lenzuolo  scotendo  la 
pianta  al  mattino. 

7.  —  Dasgchira  piidibunda  L.  (lig.  352).  La  farfalla  ha  un'  apertura 
d'ali  di  45-50  mm.  Le  ali  anteriori  sono  grigie  con  tre  strisele  trasversali 
scure;  ali  posteriori  bianche  con  una  fascia  nebulosa  brunastra. 


455 


Bruco  giallo-zolfo,  con  molli  ciuffi    di    peli,    dei    quali    uno    rosso, 
all'apice  dell'addonie.  Lungh.  40  nini. 

Le  ova  vengono  deposte  in  maggio,  sui  rami.  I  bruchi   rodono   le 
foglie  meno  le  nervature  ed  in  estate   si    incrisalidano    nascondendosi 

fra  le  foglie   od  all'ascella  dei  rami, 
ù.^j^ìZ^r^  \   u  formando  un  bozzolo  serico,  bianco- 

v^  !-•  -  ^      \  A&S     ^  Danneggia  i  rovi,  i  meli,  i  nocciuoli, 

le  noci,  i  castagni. 


351.  —  Lnsiociiinpa  guercifolia 


Fig.  352.  —  Dusijchiru  ìutdibiinda. 


Mezzi  di  difesa:  a)  La  caccia  al  bruco  è  l'unico  mezzo  pratico 
eflìcace,  e  si  fa  al  solito  scotendo  di  prima  mattina  le  piatite  per  farlo 
cadere  sopra  una  tela. 

b)  Tenere  sgombro  il  terreno  sottostante,  levando  le   foglie  e  le 
vecchie  corteccie,  che  vanno  abbruciate. 


XVII. 

Geometre  o  Misurine. 


1.  —  Corpo  medio,  piuttosto  esile,  ali    relativamente  molto  ampie; 
la  femmina  non  raramente  manca  di  ali  oppure  le  ha  monche. 


I  bruchi  portano  3  paia  di  zampe  vere  e  solo  poche  (pei 
due  ventrali  posteriori  e  due  anali  spingitrici)  zampe  false 
per  camminar.e  devono  spingere  il 
corpo  in  avanti,  poi,  fermatisi  sulle 
zampe  toraciche,  inarcare  il  corpo 
e  portare  la  parte  posteriore  di  esso 
in  modo  che  l'ultimo  paio  di  zampe 
tocchi  o  quasi  l'unico  jiaio  di  zampe 
ventrali.  Questi  bruchi,  se  toccali,  si 
drizzano  appoggiandosi  suH'  ultimo 
paio  di  zampe  cosi  da  sembrare  ra- 
moscelli. 

2.  —  Abraxas  yrosstilaricda  L.  (fig.  353).  La 
giallo-biuuo  e  con  una  macchia  nera  nel  mezzo 


lo    più 
perciò 


Fig.  353.  —  Abraxas  grossulariala. 


farfalla    con  corsaletto 
capo  nero  con  antenne 


brune;  addome  giallo- fulvo  con  macchie  nere  sul  dorso  e  sui  lati;  ali 


—  456  — 

anteriori  a  fondo  bianco;  ali  posteriori  con  una  serie  di  macchie  nere 
lungo  il  margine  e  grossi  punti  sparsi.  Lunghezza  17  mm. 

Bruco  bianco  cereo,  con  una  macchia  nera  sopra  ogni  segmento. 
Lunghezza.  28  mm. 

Verso  sera,  in  luglio  ed  agosto,  la  farfalla  depone  delle  ova  gialle  sulle  foglie.  I 
bruchi  all'inverno  si  ritirano  al  piede  delle  piante,  si  avvolgono  nelle  foglie  cadute  per 
risalire  nella  primavera  successiva  a  rinnovare  i  guasti.  In  giugno  si  hanno  le  crisalidi 
attaccate  con  fili  ai  rami.  I  bruchi  rodono  le  foglie,  i  germogli,  i  fiori  dell'albicocco, 
susino,  ribes,  uva  spina,  mandorlo. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Raccogliere  e  distruggere  le  foglie  cadute  in 
autunno. 

b)  Vangare  d'inverno  il  terreno. 

e)  Distruggere  sulle  foglie  le  ova  depositate  che  si  conoscono 
facilmente  pel  colore  giallo. 

dj  Uccidere  i  bruchi  al  mattino,  quando  le  piante  sono  ancora 
bagnate  di  rugiada,  polverizzandole  con  polvere  di  tabacco  oppure 
lìori  di  zolfo,  cenere,  calce  viva,  fuliggine  fresca. 

e)  Irrorare  le  foglie  dopo  la  raccolta  dei  frutti  colla  seguente 
miscela: 

,    Arseniato  di  piombo    ....      gr.    800-1000 
Fior  di  farina  o  melassa     .     .        „     1000 
Acqua       litri  100 

Si  impasta  la  farina  in  poc'acqua  e  vi  si  aggunge  l'arseniato  di  piombo  rimesco- 
landolo bene;  poi  si  versa  il  tutto  nel  recipiente  contenente  il  resto  dell'acqua.  La 
miscela  si  deve  mescolare  ogni  volta  che  la  si  mette  nella  pompa. 

Se  l'arseniato  di  piombo  è  in  pasta,  come  è  da  preferirsi,  allora  lo  si  scioglie  in  poca 
acqua  e  poi  si  versa  la  soluzione  nel  resto  dei  100  litri  di  acqua,  senza  bisogno  di  me- 
lassa  o   di   farina  (Silvestri). 

3.  —  Cheimatobia  briimula  L.  (Ilg.  8.54).  1!  maschio  ha  le  ali  anteriori 
rosso-grigie  con  linee  ondulate  scure  sfumate  e  le  posteriori  di  colore 
più  chiaro.  La  femmina  ha  mozziconi  di  ali. 

Il  bruco  da  grigio  diventa  giallo-verdognolo. 

Le  femmine  appaiono  in  novembre-dicembre  e,  salendo  dal  terreno 
sul  tronco,  depongono  le  ova  sulle  gemme.  La  larva  appare  ai  primi 
di  maggio  e  divora  le  foglie  legandole  assieme  a  due  a  tre  formando  dei 
gomitoli.  Divora  anche  i  fiori  e  le  gemme  di  quasi  tutte  le  piante  da 
frutto  ma  in  special  tnodo  il  melo,  il  pero  ed  il  ciliegio. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Prima  dello  sfarfallamento,  dalla  metà  di  ottobre 
a  metà  dicembre,  si  fa  intorno  all'  albero,  all'  altezza  del  terreno  di 
m.  1.50,  un  anello  di  sostanza  vischiosa  largo  10-15  cm.  oppure  si  lega 
strettamente  intoi'no  al  tronco  una  striscia  di  carta  i)erganienata, 
resistente  alle  pioggie,  che  si  spalma  con  la  sostanza  vischiosa. 

Per  sostanza  vischiosa  si  può  adoperare  il  goudron  oppure  una  miscela  in  parti 
eguali  di  goudron  ed  olio  di  pesce,  oppure  una  delle  seguenti  miscele. 

Si  scaldano  assieme  500  gr.  d'olio  di  colza  e  altrettanto  di  strutto  di  porco,  fino  alla 
fduzione   di   V3.   Poi   si   aggiunge   un   eguale   peso   di   trementina  e  di  colofonia  e  si 


mescola  semj)re  fino  a  fusione  completa.  La  massa  deve  ridursi  come  quella  di  un 
sciroppo  concentrato.  Se  è  troppo  liquida,  si  prolunga  la  cottura,  se  è  troppo  densa  si 
allunga  con  un  po'  di  olio.  Ben  preparato  questo  vischio  dura  per  tre  mesi. 

Il  vischio  cosidetto  di  Oberlin  si  prepara,  pesando  in  parti  eguali  olio  e  colofonia 
I  pece  ragia).  Si  fonde  la  seconda  in  un  vaso  di  terra,  si  aggiunge  l'olio  e  si  mescola 
tino  a  che  la  massa  sia  completamente  rappresa. 

lutine  si  può  preparare  un  buon  vischio,  riscaldando  con  precauzione,  in  un  reci- 
piente di  ferro,  700  grammi  di  catrame  (goudron)  di  legno  e  .")00  grammi  di  pece  ragia, 
agitando  continuamente.  Quando  la  fusione  è  completa,  si  aggiungono  ,500  gr.  di  sapone 
nero  molle  e  poi  ;iOO  gr.  di  olio  di  pesce.   Si  leva 
dal  fuoco  e  si   continua  a    mescolare  fino    a   che 
la  massa  sia  raffreddata. 


Fig.  K4.  —  C.heimatobia  briinnitii. 
a,  maschio  :  b,  femmina  :  e,  bruco. 


Fig.  355.  —  Hiberiiiii  defoliaria. 
a.  maschio  :  />,  femmina  :  e,  bruco. 


E'  prudente,    ogni    10   giorni,    rinnovare   l'unguento    e  levare  ogni 
giorno  le  farfalle  che  si  sono  attaccate. 

b)  Distruggere  le  uova  sui  rami    specialnienle    in    vicinanza    alle 
gemiue  od  alla  base  dei  germogli.  Si  può  applicare  la  seguente  miscela: 


Calce  viva      .     . 
Sale  comune 
Silicato  di  soda 
Acqua     .     .     .     . 


Kg.       6.795  a  Kg.  9.0(50 

0.906  „  1.;ì')9 

0.227  „  0.453 

litri  36.344 


Si  spegne  la  calce  in  poca  acqua,  circa  la  metà  (hS  litri);  nell'altra 
si  scioglie  il  sale  e  il  silicato,  (juindi  si  uniscono  i  due  liquidi. 

Con  questo  miscuglio  si  pennellano  i  gruppetti  di  20  a  40  uova, 
facilmente  riconoscibili  per  il  color  rosso -arancio.  Dopo  poco  tempo 
le  uova  scompariscono. 

Con  questo  miscuglio  si  distruggono  anche  le  uova  delle  Psylle. 
e)  Irrorare  le  foglie  con  l'insetticida  indicato  per  i  bruchi  del- 
l'Abraxas. 

4.  —  Hibernia  defoliaria  (llg.  355).  1  bruchi  di  questa  farfalla  come 
quelli  della  precedente  distruggono  le  foglie,  i  fiori  e  le  gemme  di 
quasi  tutte  le  piante  da  frutto. 

La  farfalla  ha  le  ali  anteriori  di  forma  triangolare  di  color  bruno  giallo-chiaro, 
con  due  grandi  fascie  brune  e  nerastre,  che  dividono  la  superficie  dell'ala  in  tre  campi, 


—  458  — 

di  cui  il  basilare  è  quasi  del  tulio  bruno,  il  mediano  ò  carallerizzato  da  un  grosso  punto 
nerastro.  Orlo  bianchiccio  con  macchie  nere.  Ali  inferiori  giallo  pallide  con  piccoli 
punti  neri  o  bruni.  Apertura  alare  40  mm.  ;  lungh.  11-12  nini.  Le    femmine  sono  attere. 

Bruco  <li  color  rosso  bruno  più  o  meno  scuro. 

Appare  in  ottobre  e  la  femmina  depone  le  ova  sui  rami  in  vicinanza  delle  gemme. 
1  bruchi  nascono  in  aprile  e  si  nascondono  fra  le  gemme  sboccianti,  avviluppandole 
con  fili  serici.  Nel  terreno  incrisalidano  in  luglio. 

Si  combatte  come  la  precedente. 


XVIII. 
Tortrici. 

1.  —  Le  lortrici  hanno  antenne  lìlil'orini  nei  due  sessi.  Palpi  labiali 
soltanto  visibili.  Succhiatoio  corto  e  non  sviluppato.  Addome  conico- 
cilindrico,  terminato  da  un  ciulfo  di  peli  nei  maschi.  Zampe  corte,  le  4 
posteriori  armate  di  4  spine  corte.  Ali  inclinate  a  tetto,  le  anteriori  più 
grandi  delle  posteriori.  Bruchi  con  16  zampe,  sparse  di  tubercoletti 
piliferi  poco  distinti. 

Le  tortrici  hanno,  per  le  dimensioni,  molti  rapporti  cogli  altri 
Microlepidotteri,  ma  la  loro  struttura  le  ravvicina  specialmente  ai 
Noctui.  Nello  stato  di  larva,  molte  involgono  con  seta  le  foglie  o  i  fiori 
delle  piante;  altre  vivono  insinuandosi  nei  tessuti  molli,  in  particolare 
in  quelle  dei  frutti.  Ordinariamente  solitaiie,  queste  larve  incrisalidano 
nel  viluppo  formato  da  ciascheduna,  nei  cunicoli  o  si  gettano  in  terra. 
La  maggior  parte  ha  una  sola  generazione  nell'anno,  e  sverna  come 
larva  o  crisalide. 

Le  farfalle  vivono  di  giorno  al  coperto,  nascoste  e  quiete,  ma  sono 
facili  a  muoversi  e  prendere  il  volo.    La    maggiore    attività   loro    è   la 
sera  o  la  notte. 

2.  —  Coclujlis  (Cochylis  ambiguella).  Tignola  o  verme 

dell'uva  (fig.  356).  Ali  di  color  giallognolo;  quelle  anteriori 

sono  attraversale  da  una  larga  fascia  bruna  e  circondate 

Q     f.    ,■        danna  trangia  più  lunga  nelle  posteriori. 

ambiguella.  Bruchi    dapprima    grigi,    poi    rosso-carne    od    anche 

verdognoli. 

Alla  metà  di  maggio  quando  i  germogli  sono  lunghi  10  cm.,  nascono  le  farfalle 
dalle  crisalidi  che  ibernano  sul  ceppo  o  sui  pali  della  vite  e  depongono  in  maggio  da 
30-40  uova  sui  grappolini  -  dopo  10  giorni  nascono  i  bruchi  che  formano  un  groviglio 
di  grappolini  con  fili  serici,  divorandoli.  La  seconda  generazione  si  ha  nella  i)rima  de- 
cade di  agosto:  i  bruchi  danneggiano  gli  acini  internandosi  in  questi  e  facendoli  poi 
avvizzire.  Una  terza  generazione  si  ha  sugli  acini  in  corso  di  maturazione.  Le  crisalidi 
della  seconda  generazione  si  trovano  sui  margini  delle  foglie  e  nei  racimoli;  quelle 
della  terza  negli  acini  disseccati. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Vendemmia  anticipala  e  raccolta  accurata  dal- 
l'agosto in  avanti  degli  acini  guasti  o  caduti  in  terra.  Distruzione  di 
questi  fuori  della  vigna. 


450  — 


h)  Nei  locali  dove  si  conserva  l'uva,  anticipare  in  l'ebbraio  lo 
slarrallaniento  delle  crisalidi  che  si  trovano  sulle  pareli,  mediante  il 
calore  e  chiudere  le  finestre  con  tele  per  impedirne  l'uscita. 

e)  Allontanare  durante  l'inverno  tutti  i  residui  della  potatura, 
dopo  aver  scortecciato  accuratamente  i  tronchi  delle  viti,  spuntate  le 
canne  e  passati  sulla  lìamma  i  pali  tutori.  Si  noti  che  la  parte  inleriore 
del  fusto  è  più  coperta  di  solito  di  crisalidi.  Se  ci  sono  screpolature 
tanto  sul  ceppo  quanto  sui  pali,  bisogna  ripassarle  col  coltello  e  dis- 
infettarle. A  tale  scopo  si  versa  dell'acqua  bollente  sui  ceppi  come  per 
la  i)irale. 

d)  Caccia  alle  farfalline  della  prima  età  per  lutto  il  mese  di 
maggio,  finché  se  ne  trovano. 

e)  Raccogliere  in  agosto  gli  acini  guasti  e  poi  bruciarli. 

3.  —  Polychrosis  (Endemis)  bolrana  Schilf.  Tortrice  del  grappolo 
d'uva.  Presenta  costumi  analoghi  alla  Gochjiis,  ed  a  questa  si  sosti- 
tuisce nelle  regioni  meridionali  Ha  con  questa  anche  una  certa  rasso- 
miglianza, soltanto  le  ali  anteriori  hanno  un  colore  fondamentale 
giallo-terreo,  con  macchie  scure  e  nella  parte  submediana  una  macchia 
trasversale  rossastra.  Le  ali  posteriori  sono  grigie. 

Si  comballe  come  la  Cochylis. 


4.  —  Sparcjanolhis  pilleriaiia 
Schilf.  (Oenophlira  pilleriana,  Oe- 
nectra  pilleriana).  Pirale  della  vile 
(Mg.  357). 


■■y:.r^ 


inseUo  perfetlo  ;  b]  insetto  e  larva. 


.\li  anteriori  di  color  giallo-cannella-chiaro,  con  rillessi  dorati  e  verdi  con  tre 
strisele  strette,  rugginose:  le  posteriori  sono  grigie,  iridescenti.  Apertura  alare  22-30  mm. 
e  lunghezza  del  corpo  1,5-16  mm. 

Bruco  verde  sporco  con  (re  strisele  longitudinali  scure  o  giallastre  e  con  i  bitor- 
zoletti  bianchicci  in  due  serie  longitudinali,  ciascuno  dei  quali  porta  un  pelo  setoloso. 
Testa  grossa  e  nera. 

Appare  alla  fine  di  maggio  e  solo  al  tramonto.  La  femmina  depone  circa  60  uova 
sulla  pagina  superiore  delle  foglie  della  vite.  Uopo  10  giorni  nascono  i  bruchi  che  rosic- 
chiano leggermente  le  foglie  e  poi  si  lasciano  cadere  giù  per  un  filo  e  vanno  sul  tronco 
<love,  tessendo  un  bozzoletto  <lelicato.  serico,  si  incrisalidano.  Nella  primavera  succes- 
siva risalgono  il  fusto  rodono  le  gemme  e  le  estremità  dei  germogli  aggrovigliando  le 
foglie  e  cibandosi  di  esse  fino  alla  (ine  di  giugno  epoca  in  cui  si  incrisalidano.  Il  danno 
non  è  sollanlo  direUo  ma  anche  indiretto,  perchè  impediscono  lo  svilup]io  delle  foglie  e 
dei  grappoli  a  causa  dell'aggrovigliamento. 


—   460  - 

Mezzi  di  difesa:  Per  il  fatto,  che  a  difFei-euza  delle  due  precedenti 
l'nrfalle,  questo  insetto  passa  l'inverno  sui  tronchi  allo  stato  di  larva 
adulta  lievemente  protetta  da  un  involucro  sericeo,  cosi  uno  dei  mezzi 
più  raccomandali  è  quello  di  dare  la  caccia  ai  bruchi  ibernanti  sui 
ceppi  e  sui  sostegni,  ira  il  mese  di  gennaio  o  quello  di  marzo. 

Dopo  aver  fatto  una  accurata  pulizia  del  tronco  e  dei  pali  con 
spazzole  d'acciaio  che  possano  penetrare  anche  nelle  fessure  si  può 
fare  una  aspersione  di  insetticidi  specialmente  dell'emulsione  fatta  colla 
forinola  Targioni,  cosi  da  lui  enunciata: 

"  Prendi  da  un  lato  :  solfuro  di  carbonio  (o  petrolio)  parti  10  in 
peso  e  olio  di  pesce  parte  1,  e  dall'altro  potassa  del  commercio  parti 
2  e  acqua  parti  10.  Mescola  le  due  soluzioni  agitandole  in  un  vaso  di 
legno  o  altro  e  aggiungi  50  parti  d'acqua. 

"  Adopera  l'emulsione  che,  per  operare  sui  rami  più  giovani  e  sulle 
foglie,  potrà  essere  maggiormente  diluita  con  acqua.  „ 

Un'altra  eccellente  pratica  ])er  sbarazzarsi  della  pirale  è  quella 
(line  luglio  o  principio  agosto)  di  ricercare  le  placche  di  uova  sulla 
pagina  superiore  delle  foglie,  e  distruggerle. 

In  Francia  ove  l'invasione  della  pirale  assume  talvolta  i  caratteri 
d'un  vero  flagello,  è  molto  usata  la  caldaia  a  pirale  e  cioè  una  caldaia 
portatile  in  cui  si  porta  1'  acqua  all'  ebullizione,  e  che  è  munita  d'  una 
catìettiera  per  spandere  quest'  acqua  sui  tronchi  durante  l' inverno, 
disinfettando  anche  i  tutori  e  sostegni  della  vite. 

5.  —  Vermi  dei  frulli.  Sotto  questo  nome  si  intendono  quei  bruchi 
che  si  trovano  nell'interno  dei  frutti  del  pero,  del  melo,  del  noce,  del 
susino,  del  lampone,  del  pesco  e  del  castagno. 

Anche  ciuesti  sono  bruchi  di  piccole  farfalle,  appartenenti  alla 
medesima  famiglia  delle  precedenti,  che  svernano  allo  stato  adulto 
entro  bozzoli  situati  tra  le  screpolature  o  sotto  la  scorza  degli  alberi. 


Fig.  3.j8.  —  Carpocajìsa  jiomonelìa.  Fig.  'AVd.  —   Carpocapsa  pruniamt. 

Alla  line  di  aprile  o  ai  primi  di  maggio  si  hanno  le  farfalle  che  depon- 
gono le  uova  nei  giovani  frutti.  Le  larvette  penetrano  per  il  calice  e 
scavano  una  galleria  divorando  la  polpa.  In  giugno  ed  in  luglio  si 
hanno  di  nuovo  gli  adulti. 

Si  hanno  ordinariamente  due  generazioni. 

I  danni  possono  essere  gravi  poiché  le  frutta  bacate  cadono  a  terra. 

II  verme  delle  mele  e  pere  è  il  bruco  della  Carpocapsa  poiiwnella  L. 
(lig.  308);  quello  delle  susine  della  C  priiniana  Hb.  (fig.  359;;  quello 
del  lampone  della  C. /oòo/ana  ;  quello  delle  castagne  della  C.  splendami 
Hb.  ;  quello  del  noce  della  C.  amplana. 


—  461  - 

Mezzi  di  difesa:  1.  Raccolta  e  distruzione  giornaliera  dei  frutti 
bacati  e  caduti. 

2.  Irrorazioni  arsenicali. 

I  fiori  e  i  frutti  devono  essere  coperti  preventivamente  con  una 
soluzione  di  solfato  di  rame  1  Vo-  di  calce  1  %  e  di  arseniato  di  piombo 
1  7o.  Si  prepara  prima  la  poltiglia  bordolese  e  poi  vi  si  aggiunge  per 
ogni  hi.  1  kg.  di  arseniato  bene  sciolto  preventivamente  nell'acqua. 

Si  spruzzerà  (piesta  miscela  su  tutta  la  pianta,  specialmente  sui  fiori, 
con  una  irroratrice  che  polverizzi  bene  il  liquido,  avendo  l'avvertenza 
di  ripararsi  il  viso  con  un  velo  sottile,  perchè  illiquido  è  molto  velenoso. 

Le  irrorazioni  si  faranno  abbondaiìti  in  tre  riprese: 

a)  quando  i  fiori  sono  ancora  chiusi  in  bottoni  ; 

b)  alla  fine  della  fioritura  ; 

(•;  una  quindicina  di  giorni  dopo  il  primo  trattamento. 

3.  Disporre  dei  stracci  per  rifugio  ai  bruchi,  alla  biforcazione 
dei  rami,  in  autunno. 

4.  Raschiatura  dei  fusti  e  dei  rami  per  uccidere  il  massimo  nu- 
mero di  larve  il)ernanti  e  dare  poltiglia  bordolese  densa  al  4%,  du- 
rante l'inverno. 


XIX. 
Tignole. 

1.  —  Le  tignole  hanno  le  antenne  semplici  in  ambo  i  sessi;  suc- 
chiatoio mancante  o  rudimentale.  Addome  corto,  cilindrico.  Zampe 
lunghe  e  speronale.  Ali  nel  riposo  coprenti  il  corpo  a  guisa  di  tetto 
arrotondato,  le  superiori  lunghe  e  strette,  le  iiìferiori  ancora  più  strette, 
frangiate  e  coperte  dalle  superiori.  Bruchi  lisci  con  1(5  zampe. 

Le  larve  vìvono  raramente  libere,  o  spesso  sono  minatrici  delle 
foglie,  scavaiìdo  gallerie  fra  le  due  pagine  di  esse,  o  le  avvolgono  in 
forma  di  tubo  aperto  a  una  estremità,  o  formano  con  bave  di  seta, 
con  frammenti  e  tritumi  una  specie  di  fodero,  o  avviluppano  fiori  e 
foglie  formando  groviglioli.  entro  i  quali  si  nascondono  solitarie  oppure 
in  colonie  numerose,  prima  vivendo  in  comune,  poi  ciascuna  da  sé, 
in  un  bozzoletto  più  fitto,  per  trasformarsi. 

Altrimenti,  la  trasformazione  si  compie  da  ciascuna  separatamente, 
nel  luogo  stesso  dove  la  larva  ha  vissuto  o  si  è  stabilita  all' ultimo, 
dentro  il  fodero  suo  o  in  luogo  riposto. 

2.  —  HijponomeiUa  inalinella  L.  Tignola  del  melo  (fig.  360).  In 
aprile  appaiono  i  bruchi  che  hanno  svernato  e  si  costruiscono  un  nido 
serico  col  quale  avvolgono  le  gemme  e  le  foglie  novelle  del  melo.  Con- 
sumate queste,  passano  ad  altra  parte  del  ramo  cosi  da  sfogliare  comple- 
tamente una  pianta.  Si  incrisalida  in  giugno  ed  in  luglio  si  hanno  le 
farfalle  che  depongono  le  ova  alla  base  o  dei  rami  o  delle  gemme  o 
dei  piccioli  delle  foglie. 


—  462  — 

Mezzi  di  difesa  :  a)  Abbruciare  i  nidi  con  una  fiamma. 
b)  Schiacciare  i   bruchi    quando  sono   piccoli,  avvertendo  che  si 
lasciano  cadere  facilmente  appesi  ad  un  lilo  serico. 

e)  Irrorare  tutta  la  pianta  nella  prima  settimana  di  maggio  colla 
poltiglia  arsenicale  preparata  sciogliendo  1  Kg.  di  arseniato  di  piombo 
in  10()  litri  di  poltiglia  bordolese  all'  1  7o 

Quest'ultima  viene  usata  per  lissare  larseniato  di  piombo  e  per  otte- 
nere una  maggiore  aderenza  sulle  foglie. 

Bisogna  usare  i    composti  arsenicali  con    precauzione,    trattandosi 
di  sostanze  molto  velenose.   Bisogna    lavare    le   pompe    accuratamente 
e  le  mani,  appena  l'operaio  ha  iìnito  di  operare.  Sarà  bene  anche  che 
r  operaio  sia  munito  di  una 
sottile  maschera  di  velo. 


Fig.  360.  —  Hijponomeiita  malinella.  Fig.  361.  —  Hyponomenta  cognatella. 

3.  —  Altre  tignole  simili  che  danneggiano  egualmente  le  piante  da 
frutto  sono  :  V Hi/,  padelliis  L.  che  intacca  il  susino  ;  VHi/.  evoni/melliis  L. 
che  intacca  il  ciliegio-,  VHy.  cognatella  Uh.  (fìg.  361)  che  intacca  il 
susino  ed  il  ciliegio. 

4.  —  Tignola  dell'olivo  (Prays  oleellus  F.).  La  farfallina  ha  le  ali 
anteriori  bianco-cineree,  lucenti,  variegate  di  nerastro;  ali  posteriori  di 
color  cinereo-cupo. 

Bruco  lungo  8-9  mm.,  di  color  cenere-gialliccio. 

Appare  per  3  volte  in  un  anno.  I  bruchi  danneggiano  l'olivo,  intro- 
ducendosi  nel  parenchima  delle  foglie  e  scavando  gallerie  sia  ro- 
dendo le  gemme  fiorali  sia  penetrando  nei  frutti  per  cibarsi  del  seme 
contenutovi  facendoli  poi  cadere.  Sugli  olivi  colpiti  si  notano  le  foglie 
con  macchie  rossiccie  e  semitrasparenti  e  si  ha  la  caduta  in  settembre, 
delle  olive  bacate. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Raccolta  e  distruzione  delle  foglie  danneggiate 
in  febbraio-marzo. 

lì)  Raccolta  precoce  delle  olive  bacate  per  molirle  subito. 

cj  Irrorazione  dei  fiori,,  in  maggio  od  ai  primi  di  giugno,  colla  pol- 
tiglia bordolese  all'  1  7„  a  cui  si  aggiungono  grammi  700  di  arseniato 
di  piombo. 

5.  —  La  Tignola  degli  agrumi.  (Prays  ci  tri  Mill.)  è  una  piccola  far- 
fallina, con  apertura  d'ali  di  10-12  mm.  Le  ali  sono  di  colore  cenerino, 
sparso  di  macchie  e  punteggiature  brune  sulle  ali  anteriori  e  nel 
margine  cubitale  delle  ali  posteriori. 

Larva  lunga  6-8  mm.  cilindrica,  verdognola-chiara  se  giovane,  poi 
diventa  bruna  o  giallognola,  con  linea  stigmatica  più  chiara  ;  linea 
dorsale  bruna. 


-  463  — 

La  femmina  depone  poche  uova  fra  il  calice  ed  i  petali  dei  limoni  ; 
il  bruco  si  insinua  poi  fino  all'ovario  e  guasta  tutti  gli  organi  llo- 
rali,  avvolgendoli  con  una  ragnatela.  Pare  che  abbia  5  generazioni  : 
aprile,  maggio,  agosto,  ottobre  e  novembre.  Danneggia  lutti  gli  agrumi 
ma  specialmente  il  cedro  e  il  limone. 

Mezzi  dì  difesa  :  Raccogliere  e  bruciare  le  infiorescenze  intaccate. 

Irrorare  preventivamente,  all'epoca  in  cui  si  hanno  le  generazioni 
con  la  poltiglia  raccomandata  per  la  tignola  dell'olivo. 

6.  —  Tignola  minalrice  del  sorbo.  (Lyonetia  clerkella)  (fig.  362). 
Oltre  al  sorbo  intacca  il  pero,  il  melo,  il  nespolo,  il  susino,  l'albicocco 
e  il  ciliegio. 

La  farfallina  ha  le  ali  anteriori  grigio-pallide,  percorse  longitudi- 
nalmente da  una  stretta  fascia  bruna.  Ali  posteriori  più  scure  munite 
di  larga  frangia.  Lungh.  3  mm. 

Le  uova  vengono  deposte  sulle  foglie  il 
bruco  scava  nel  parenchima  una  galleria  ser- 
peggiante. Quando  è  maturo  ne  esce  e  forma  il 
bozzolo  sulla  foglia  stessa  o  su  qualche  ramo. 
Le  foglie  intaccate  presentano  solchi  traspa-  , 
renti,  tortuosi. 

Si  combatte    raccogliendo    e    bruciando  le 
foglie.  ;:^^f 

7.  —  Tignola  del  fico.  (Simaethis  nemorana  '^^Mi 
Hb.)  Questa  tignola,  che  oltre  alle  foglie  intacca  y^fM 
i  frutti  del  fico,  ha  le  ali  ad    orlo    sinuoso,  di  v^  ' 
color  bruno-cannella,   più    chiare    alla    base  e            i~. 
con  due  linee  trasversali  ed  il  margine  di  co-            ^^' 
lor   bruno    ferruginoso;  ali    posteriori    giallo-              ^\^  ^ 
grigie.  Lunghezza  6  nmi.                                                             "^    f        -^ 

Bruco  verdiccio,  lungo    14    mm.   con  capo  t- 

giallastro,  macchiato    ai    lati,  tubercoletti  neri  H 

muniti    di    peli    sui   segmenti.    Lungh.  14  mm.  l\ 

In  luglio  i  bruchi  rodono  le  foglie  non  la-  % 

sciando  che  le  nervature  e  intaccano  la  buccia  Fig.  362.  —  Foglia  di  ciliegio 

j    .  ~      ...     P  j    ,.  .  j  t^-     u  j  con  gallerie  prodotte  dalla 

dei  frutti,  facendoli   poi   cadere.   Si    hanno   da        L,,onetien  clerkella. 
una  a  tre  generazioni.    Le    foglie    vengono  ac- 
cartocciate e  legate   con   fili   serici,    dentro    l'insetto  compie   le    meta- 
morfosi. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Levare  ed  abbruciare  le  foglie  intaccate. 
b)  Irrorare  le   foglie,    colla   poltiglia   bordolese    al    sapone.  Spe- 
cialmente la  prima   volta,    in    luglio,   bisogna   fare    questa  irrorazione 
con   molta   cura. 


I 


—  464  — 

XX. 

Scarabei. 

1.  —  Maggiolino.  (Melolontha  melolonta  L.)  (fig.  363).  E'  un  insetto 
molto  comune ,  che  esce  in  aprile-maggio  ed  in  8  giorni  distrugge 
le  foglie  di  tutti  gli  alberi.  Appare  di  solito  ogni  tre  anni,  poiché  la 
femmina  depone  le  uova  nel  terreno  a  9-12  mm.  di  profondità  ;  le  larve 
si  cibano  di  giovani  radici  nel  terreno  per  compire  nel  suddetto 
tempo  il  loro  ciclo  vitale. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Caccia  diretta  agli  insetti  perfetti  scotendo  gli 
alberi  al  mattino  e  dandoli  poi  ai  maiali. 


Fig. 


Maggiolino. 


Z;^  Caccia  alle  larve  in  primavera,  facendo  seguire  l'aratro  da 
tacchini,  polli,  ecc. 

e)  Iniezioni  nel  terreno  di  solfuro  di  carbonio  in  ragione  di  gr.  30 
per  m-,  in  due  dosi,  nei  mesi  di  novembre  e  marzo  seguente  all'annata 
della  deposizione. 

dj  Innestare  alle  larve  il  fungo  del  calcino  (Botr(/tis  tcnella)  perchè 
co!  contagio  si  moltiplichi  il  calcino. 

2.  —  Carruga  delle  vile.  (Anomala  vitis  Fabr.).  Insetto  perfetto 
di  un  bel  color  verde-metallico  brillante,  rare  volte  dorato,  azzurro 
o  violaceo;  protorace  marginato  di  giallo;  addome  verde,  bronzato 
o  violaceo.  Lungh.  12-17  mm. 

Larva  con  capo  giallo-rossiccio  ed  il  rimanente  del  corpo  bianco- 
gialliccio,  con  macchia  gialla  sui  lati  de  primo  segmento.  Lungh.  11  mm. 


~  465  — 

La  larva  vive  sotterra  in  luoghi  sabbiosi  ed  umidi  per  un  anno  e 
mezzo,  distruggendo  radici,  specie  quelle  della  vite.  Verso  la  metà  di 
maggio  esce  l'insetto  perfetto  che  danneggia  le  foglie  delle  viti,  del  ci- 
liegio e  del  mandorlo,  come  fossero  devastati  dalla  grandine,  lasciando 
intatte  le  nervature. 

Mezzi  di  difesa:  La  caccia  diretta,  eh' è  facile  durante  il  giorno, 
perchè  stanno  immobili  aderenti  alle  foglie. 

3.  —  Anche  la  Carruga  degli  orli.  (Phyllopertha  horticola  I^.),  dan- 
neggia in  egual  modo  le  piante  da  frutto. 


XXI. 

Buprestidi,  Bostricidi  e  Crisomelidi. 

1.  —  Le  uova  di  questi  insetti  vengono  deposte  in  agosto-settembre 
sul  colletto  delle  radici.  La  giovane  larva  si  interna  sotto  alla  corteccia 
e  scava  una  galleria  nella  quale  vive  fino  che  ha  bisogno  di  nutrirsi. 
Uitorna  poi  sul  suo  cammino  depositando  le  feci  e    viene   all'apertura 


Fig.  364. 

Invasione  dell' Agr il us  sinuatiis 
in  un  fusto  (li  pero 

(i)  insetto  perfetto  : 

e)  larva  ; 

/■|  parie    posteriore    della   larva: 

gì  parte  anteriore  della  larva  : 

/))  galleria   dapprima   stretta    |)oi 

in  «  ed  a  ]3iù  larga  ; 
d)  screpolature  e  prominenze  del- 
la corteccia  in  corrispondenza 
alle  gallerie,  sotto   alle   (|uali 
vivono  : 
Ili  un    nascondiglio    di    crisalide 

coll'insetto  ; 
Il  il  medesimo  vuoto  : 
/>■)  un  toro  sulla  corteccia: 
presso  II  ed  i  si  nota  un  colorito 
più   scuro    del    legno   dovuto 
alla   galleria    della    crisalide. 


della  galleria  al  principio  di  giugno  dell'anno  successivo,  epoca  in  cui 
si  trasforma  in  insetto  perfetto. 

2.  —  Sul  pero  abbiamo  di  frequente  la  specie  Agrilus  siniialus  Oliv. 
(fig.  364),  il  cui  dorso  ed  il  ventre  sono  color  di  rame,  colle  elitre  senza 
macchie  e  senza  peluria.  La  malattia  si  manifesta  con  screpolature  e 
prominenze  tortuose  della  corteccia  in  corrispondenza  alle  gallerie. 

30  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  466 


3.  —  Il  Capnodis  tenebrionis  L.  intacca  il  nespolo,  il  mandorlo  e 
molte  specie  fruttifere.  Ha  il  capo  ovale,  capo  e  corsaletto  rugosi, 
accuminati  verso  l'estremità  con  strie  e  punteggiature  longitudinali 
di  color  nero  piceo- opaco.  Lungh.  20  mm. 

Larva  stretta  verso  l'estremità  posteriore,  simile  a  quella  del  Corebo, 
ma  distinta  per  due  solchi  mediani  contluenti  sul  primo  segmento  e 
per  i  minuti  e  fitti  peli  sulla  pelle  che  è  giallastra.  Lungh.    ."^O-SS   mm. 

Per  combattere  questi  due  insetti  si  raccomanda  di  rintracciare  le 
gallerie  e  distruggere  le  larve.  Conviene  distruggere  le  vecchie  piante 
invase. 

Si  spalmi  poi  con  catrame  il  tratto  dei  tronchi  sospetti. 

4.  —  Ai  bostricidi  appartiene  il  Sinoxi/lon  sexdenlatnin  Oliv.  Apale 
della  vile,  assai  simile  al  S.  muricatum  rappresentato  dalla  fig.  365. 

La  femmina,  profittando  della  inserzione  di  una  gemma  di  un 
tralcio  di  vile,  più  sposso  sopra  che  sotto,  penetra  dentro  e  scava,  1 
o  2  mm.  di  profondità,  una 
galleria  cilindrica  circolare,  o 
una  loggia  più  o  meno  cen- 
ti'ale.  Qui  depone  le  uova  e  vi 
poi  più  lontano  sullo  slesso 
ramo  o  sopra   altri,  per    fare 


Fig.  365.  —  Sinoxylon  tmiricatìtm. 

a,  coleottero  adulto,  ingrandito  - 
b,  antenna  -  e,  parte  inflessa 
della  antenne  -  d,  fronte. 


Fig.  ."566.  —  Bromius  vitis. 


altrettanto.  Le  larve  dal  canto  loro,  partendo  dal  punto  dove  son  naie, 
scavano  cunicoli  tortuosi  ed  irregolari,  generalmente  discendenti,  in 
modo  che,  incontrandosi,  formano  dei  vuoti,  in  parte  riempiti  da  escre- 
menti o  detriti. 

La  metamorfosi  e  l'accoppiamento  degli  insetti  perfetti  avviene 
nei  cunicoli. 

Vi  è  una  sola  generazione  annuale  dall'aprile  all'agosto,  ma  vi  sono 
diversi  ritardatari  che  compaiono  in  altri  tempi  dell'anno. 


—  467  — 

Oltre  alla  vite,  colpisce  l'olivo  ed  il  fico. 

La  malattia  si  manifesta  con  un  deperimento  e  sussej^uente  dis- 
seccamento dei  rami. 

Fino  dalla  primavera  si  nota  alla  base  delle   gemme    un    forellino. 
Si  combatte  tagliando  e  bruciando  i  rami  colpiti. 

5.  —  Ai  Crisomelidi  appartiene  il  Bromìiis  vitis  Fabr.  (tìg.  366) 
chiamato  Scrivano  perchè  l'insetto,  in  giugno,  rode  le  foglie,  lasciando 
su  queste  delle  traccie  caratteristiche.  Vola  raramente  ed  al  menomo 
sospetto  si  lascia  cadere  a  terra. 

D'estate  vengono  deposte  le  uova  sul  colletto  della  pianta;  le  larve 
che  nascono  vivono  parassite  sulle  radici  fino  alla  ventura  primavera. 

Si  hanno  quindi  dei  danni,  oltre  che  sui  germogli,  sui  fiori  e  sulle 
foglie  della  vite,  anche  sulle  radici. 

Mezzi  di  difesa:  Raccolta  degli  adulti:  si  fa  al  mattino  scotendo 
la  pianta  e  raccogliendo  gli  insetti  entro  un  imbuto.  Si  raccomandano 
le  zappature  o  sarchiature  autunnali  e  primaverili,  per  cui  si  espon- 
gono le  larve  e  le  ninfe  agli  agenti  atmosferici. 

In  caso  di  forti  invasioni,  iniezioni  di  solfuro  di  carbonio  nel  ter- 
reno come  per  la  fillossera. 

6.  -  Altica  della  vile.  (Haltica  ampelophaga  Suer)  (fig.  367  a).  Forma 
oblunga,  superiormente  convessa,  ordinariamente  di  color  verde-bluastro 
metallico,  lucente,  ma  spesso  di  color  bleu  puro.  Corsaletto  con  solco 
trasversale  ;    elitre    finamente  e  fittamente   punteggiate,  an- 
tenne  e   tarsi    neri  :   l' insetto    adulto    vola  e  salta.    Lungh. 
4,5-5  mm. 

La  larva  dapprima  di  color  gialla-sporco,  più  tardi  gri- 
gio-scuro, ha  la  testa  nera,  lucente:  cosi  ogni  anello,  meno 
l'ultimo  che  porta  ai  lati  un  bitorzolelto  nerastro  armato 
di  una  setola.  I  tre  anelli  anteriori  portano  6  zampe  nere 
e  l'ultimo  due  false  (Lunardoni). 

Appare  alla  2^  metà  d'aprile,  si  accoppia  presto  e  depone  da  15  a  30 
uova  sulla  pagina  inferiore  e  lungo  la  nervatura  delle  foglie.  Le  larve 
cambiano  molte  volte  di  pelle  ed  in  15  giorni  sono  mature,  lasciandosi 
cadere  a  terra  dove  si  trasformano  in  ninfe.  Gli  insetti  della  2^  gene- 
razione appaiono  in  luglio  e  quindi  in  settembre  si  ha  una  3^  genera- 
zione. Gli  adulti  di  quest'  ultima  generazione  svernano  fra  i  crepacci 
della  scorza,  nella  fessura  dei  muri,  sotto  le  foglie  cadute.  Si  ciba  di 
molte  piante,  ma  specie  delle  foglie  di  vite,  sia  come  larva  sia  come 
insetto  perfetto  :  delle  foglie  rode  il  parenchima  ed  il  danno  è  notevole 
specialmente  nella  L^  generazione,  quando  le  foglie  sono  tenere. 

11  mezzo  più  pratico  per  combattere  questo  insetto  consiste  nel 
difendere  le  foglie  dagli  attacchi  della  1^  generazione,  alla  seconda 
metà  di  aprile,  irrorandole  con  la  soluzione  seguente  : 

Acetato  di  piombo,  gr.  600;  Arseniato  di  soda,  gr.  200;  Acqua,  litri  100. 

Si  può  mescolarla  alla  poltiglia  bordolese.  Le  soluzioni  di  acetato 
ed  arseniato  si  fanno  separatamente  e  poi  si  mescolano. 


—  468  - 

XXII. 
Curculionidi  o  Punteruoli. 


1.  —  Inselli  piccoli  e  piccolissimi,  che  si  distinguono  principal- 
mente per  la  forma  del  capo,  che  si  prolunga  anteriormente  in  mag- 
giore o  minore  grado,  a  forma  di  rostro,  simile  ad  un  becco  o  ad  una 
proboscide. 

I  curculionidi  sono  lutti  dannosi.  Allo  stato  larvale  vivono  nelle 
radici,  nei  tronchi,  nei  rami  delle  piante,  oppure  rodono  le  gemme, 
1  frutti,  i  semi  e  le  foglie. 

2.  —  Anlonomo  0  Piinteniolo  del  melo  (fig.  368)  (Anthonomus  pomo- 
rum  L.)  è  un  insetto  lungo  appena  da  3  a  5  mm.  dalla  tinta  bruna- 
picea  e  per  avere  una  fascia  pallida  obliqua  sulle  elitre. 

Dainieggia  il  melo  e  il  pesco: 
altri  autonomi  simili  danneggiano 
il  pero,  il  ciliegio,  il  lampone  e 
il  rovo. 

Larva  tozza,  apode,  più  gros- 
sa verso  il  capo,  colla  cute  a 
pieghe  trasversali,  bianco  -  gial- 
liccia; capo  piccolo  e  nero.  Lun- 
ghezza 6  mm. 

In  maggio  esce  l'insetto  per- 
fetto dopo  aver  ibernato  sotto  la 
corteccia  :  le  uova  vengono  de- 
poste sulle  gemme  a  fiori,  prati- 
candovi un  foro.  Le  larve  si  ci- 
bano delle  parli  interne  della 
gemma;  gli  insetti  perfetti  escono 
alla  Une  di  giugno. 

Le  gemme  rimangono  chiuse 
ed  assumono  un  color  bruno  con 
macchia  livida  alla  base;  poi  pen- 
dono avvizzite  e  si  distaccano. 
Mezzi  di  difesa:  a)  Coltivare,  nelle  regioni  molto  invase,   varietà  di 
fioritura  precoce  e  di  {rapido  sviluppo. 

b)  Polare  e  concimare  bene  la  pianta,  per  ottenere  un  rapido 
sviluppo  in  primavera. 

e)  Scuotere  le  piante  di  buon  mattino  e  quando  fa  ancora  fresco, 
cominciando  dai  rami  dell'estremità  e  raccogliere  con  un  lenzuolo  gli 
insetti  che  cadono. 

d)  Raccogliere  e  distruggere  nelle  spalliere  le  gemme  colpite 
prima  che  sboccino. 


Fig.  368.  —  Authonomus  pomoruni. 
1)  larva  -  2)  insetto  perfetto  ingrandito. 


m)  - 


ej  Dalla  Fine  di  marzo  lino  alla  metà  d'aprile,  si  lega  attorno  al 
tronco  e  vicino  alla  base,  un  anello  di  carta  consistente  che  poi  si 
spalma  con  catrame,  come  è  indicato  a  pag.  45(3,  rinnovando  la  spal- 
matura quando  perde  la  sua  proprietà  attaccaticcia.  In  questo  modo 
si  impedisce  che  molte  lemmine  fecondale  (quantunque  alcune  pos- 
sano anche  volare)  salgano  a  deporre  le  uova. 

/>  Siccome  gli  insetti  ibernano  volentieri  anche  sotto  le  screpo- 
lature della  corteccia,  conviene,  d'inverno,  raschiare  per  bene  i  tronchi 
e  pennellarli  con  una  soluzione  di  6  kg.  di  zolfaio  di  rame  e  10  di 
solfato  di  ferro  in  100  litri  d'acqua. 

3.  —  Apioii  pomonae  Fbr.  (fìg.  369;  Apione  del  melo,  anche  ([ueslo 
piccolo  insetto  lungo  3  mm.  si  trova  dall'aprile  all'autunno  sugli  alberi 
da  frutto   danneggiando  i  fiori  e 

i  germogli.  Ha  le  elitre  di  colore 
turchino. 

Si  combatte  come  il  prece- 
denle. 

4.  —  Balaiìiìius  niicuni  L.  (fi- 
gura 370)  Piiiileruolo  delle  noc- 
ciuolc.    Corpo    nero,    coperto    da 


Fif?. 


Apion  pomonae. 


Fig.  .370.  —  Balaninus  iiiiciini  e  sua  larva 


una   peluria   bianco-gialliccia.    Antenne   lunghe   e    piegale    con    alcune 
macchie  chiare  sparse  sulle  elitre.  Lungh.  7-8  mm. 

Larva  lunga  6-7  mm.,  semicilindrica,  ricurva,  di  color  bianco-gial- 
liccia, carnosa,  rugosa,  apode. 

(Compare  alla  fine  di  maggio:  la  femmina  depone  l'uovo  nell'invo- 
lucro follare  dell'ancor  tenero  guscio  delle  nocciuole,  facendo  il  danno 
sopradescritto.  La  larva  rode  anche  le  gemme  e  le  foglie  del  nocciuolo. 

Le  nocciuole  colpite  cadono  ordinariamente  prima  delle  sane  ed 
al  posto  della  mandorla  si  trova  una  materia  nerastra  formata  da 
escrementi. 

Mezzi  dì  difesa;  a)  Caccia  all'insello  collo  scotimento  degli  arbusti 
in  aprile  e  maggio. 

b)  Raccolta  delle  nocciuole  cadute  da  sé  anzi  tempo  o  scolendo 
le  piante  di  buon  mattino,  e  loro  distruzione. 

e)  Uccisione  delle  larve  nel  terreno  da  settembre  a  marzo,  span- 
dendo calce  adoperata  nelle  officine  del  gas,  oppure  ceneri  o  segatura 
di  legno  imbevuta  di  acido  fenico. 

6.  —    Oliorinclìi    (Otiorrhynchus    sp.;   sono    inselli  appartenenti    a 


470 


diverse  specie  clic  intaccano  quasi  tutte  le  piante  da  frutto  e  sono 
simili  alle  precedenti  s[)ecie,  soltanto  sono  lunghi  da  6  a  1)  mni.  e  per 
lo  più  bruno-scuri. 

In  primavera  l'insetto  perfetto  danneggia  le  parti  giovani  della  pianta, 
i  germogli,  le  gemme,  le  foglie,  i  fiori,  cagionando  grandissimi  danni. 
Le  larve  che  nascono  in  luglio  dalle  uova  deposte  al  piede  delle  piante, 
si  sprofondano  nel  terreno  e  guastano  le  radici,  in  modo  da  recare 
danni  notevoli  specialmente  alle  giovani  piante.  La  malattia  si  mani- 
festa con  un  indebolimento  generale  della  pianta. 

Si  fanno  ninfe  nel  terreno  dove  passano  l'inverno. 
Mezzi  di  difesa:  a)  Dare  la  caccia  (muniti  di  una  lanterna)  all'insetto 
scotendo  le  piante  di  notte  e  facendolo  cadere  entro  una  tela. 

b)  Applicare  una  specie  d'imbuto  ad  ombrello  rovesciato  intorno 
alla  base  del  fusto,  perchè  di  giorno  sta  nascosto  nel  terreno. 

_  cj   Fasciare    il    tronco    degli    al- 

beri con    una   materia  vischiosa  quale 
il  bitume. 

d)  Provare  la  pennellazione  col- 
l'unguento  di  Balbiani  cosi  composto  : 
si    sciolgono    ;50    parti    di    naftalina   in 


Fig.  ;571 

Foglie  «li  \ite  aci  artocciate 

dal  Rhynchites  betuletì. 


Fig.  :572.  —  Rhynchites  betuletì. 


20  parti  di  olio  pesante  di  catrame, 
si  versa  questa  soluzione  sopra  100 
parti  di  calce  viva,  si  aggiunge  poi 
tanta  acqua  lino  a  che  si  ottiene  la 
soluzione  completa.  Al  momento  di 
adoperare  l'unguento  si  allunga  con  altra  acqua  lino  a  raggiungere 
complessivamente  400  parti  d'acqua. 

6.  —  I  sit/arai  o  rinchiti  (Rhynchites)  sono  molto  conosciuti,  per 
esempio  quelli  della  vite  (fig.  371-372).  Le  femmine  depongono,  in  pri- 
mavera le  uova  sulle  foglie  e  rotolano  le  stesse  a  guisa  di  sigari,  ta- 
gliando la  nervatura  principale.  In  tal  modo  le  larve  vivono  per  4-5 
settimane  cibandosi  delle  foglie  che  poi  api)assiscono  e  cadono  a  terra, 
dove  le  larve  si  trasformano  in  crisalidi.  Oltre  alle  foglie,  l' insetto 
danneggia  i  giovani  germogli  e  le  gemme.  Dalle  varie  specie  di  rinchite 
vengono  intaccate  quasi  tutte  le  piante  da  frutto. 

Mezzi  di  difesa:  Raccolta  e  distruzione  dei  sigari  e  scotimento  della 
pianta  (juando  e  tempo  piovoso,  avvertendo  che  gli  insetti  cadono  molto 
facilmente. 


—  471  - 

XXIll. 
Scolitidi. 


1.  —  Gli  scolitidi  dei  quali  oggi  si  la  una  iamiglia  chiamata  Ipidae, 
sono  coleotteri  piccoli  (3-ó  mm.)  tozzi,  roljusti,  talvolta  villosi  e  per  lo 
più  di  colore  scuro.  Capo  globoso,  incassato  nel  protorace  munito  di 
forti  mandibole.  Protorace  ampio,  con- 
vesso; elitre  spesso  striate;  zampe  brevi. 

Le  larve  sono  apodi,  cilindriche,  molli, 
di  colore  bianco  o  gialliccio  o  roseo  e 
somigliano  a  quelle  dei  curculionidi. 

Queste  larve  scavano  delle  gallerie 
tortuose  più  o  meno  regolari  ai  lati  di 
una  galleria  mediana  più  profonda,  nel 
legno  dell'alburno,  nel  libro  e  nella  scorza 
dei  rami  e  tronchi. 

La  copula  avviene  nella  galleria. 

Si  hanno  più  generazioni  in  un  anno. 


Fig.  373.  —  Sezione  longitudinale 
di  un  fusto  di  melo  intaccato 
dal    Bostryciis   dispari   G,   gal- 
lerie collapertura  esterna  in  E 
(grandezza  naturale). 


Fig.  374.    -  Phloeolhribiis  scarahaesides. 
A,  ramo  infetto  -  li,  tronco  secco  con  galleria 
principale  e  2  individui  (ci  -  dd',  gali,  larvali. 


2.  —  Abbiamo  diverse  specie:  Boslrf/ciis  dispai-  (Mg.  373)  che 
intacca  molte  piante  da  frutto  (melo,  pero,  susino,  albicocco,  pesco, 
melagrano).  Hypoborus  ficus  Er.  che  intacca  il  fico. 

Phleotribas  scarabaesides  Beni,  o  Fleotribo  dell'olivo  (lig.  374); 
Hyelesinus  oleiperda  F.  Ilesino  perdi  olivo  o  Struggiolivo  ;  Eccoplu- 
gaster  o  Scoli/lus  piri.  Hatz.  che  intacca  il  pero;  Scolylus  pruni  Ratz. 
(flg.  375)  che  intacca  oltre  il  melo  e  pero,  anche  le  piante  a  nocciuolo  ; 
Scolijlus  riHiiilosns  Hatz.  che  intacca  pressoché  tutte  le  piante  da  frutto. 


—  472  — 

I  rami  colpiti  si  presentano  deperiti,  sono  fragili  e  disseccano   presto. 
3.  —  I  mezzi  di  difesa  sono  i  seguenti  : 
a)  Mantenere  le  piante  in  buona  vegetazione. 
h)  Tagliare  e  distruggere  i  rami  colpiti. 

e)  Dal  luglio  al  settembre  scortecciare  i  punti   colpiti  e    distrug- 
gere   le   larve    della   seconda   generazione. 

d)  All'operazione  precedente  si 
Q  faccia  seguire  una  irrorazione  della 

fronda  giovane  colla  seguente  solu- 
ti       zione: 


Sapone  molle  di  po- 
tassa  

Estratto  fenicato  di 
tabacco     .... 

Poli  solfuro  di  pa- 
tassio e  sodio  .    . 


K^'. 


1.500 


4.400 


(Grandezza  naturale). 
Fig.  375.  —  Pezzo  di  tronco  di  susino  in- 
taccato dal  Scohjtus pruni  e  di  cui  è  stata 
levata  una  parte  della  scorza:  LL,  larve 
del  coleottero  -  GG,  gallerie  scavate  dal 
coleottero  nell'alburno  -  EE,  ingresso 
nella  galleria  dell'insetto  -  A',  un  in- 
setto sviluppato  avvolto  nella  crisalide. 


Acqua litri  100. — 

Questo  trattamento,  seguito  nel 
Lucchese  per  distruggere  il  Fleo- 
tribo  dell'  olivo,  risparmia  i  tagli 
molto  energici  degli  olivi  invasi. 

e)  Per  catturare  le  larve  della  3" 
generazione  si  facciano  attorno  ai 
rami  principali  anelli  vischiosi,  lar- 
ghi 10  cm.  Il  vischio  adoperato  nel 
Lucchese  è  composto  di  : 

Ragia  di  pino  secca 

non  distillala    .     .  parti  50 

Cera  gialla   ....  „        4 

Olio  di  lino  cotto  „      36 

„    ricino       .     .  „      10 


Ogni  8-10  giorni  e  per  4-5  volte  bisogna  rinnovare  questo  vischio. 

XXIV. 
Imenotteri. 


1.  —  Cefo  compresso  -  laims  coinpressus  Fabr.  o  Cephiis  compressiis. 
Ha  le  antenne  filiformi,  lungh.  6-10  mm.,  capo  e  torace  neri;  addome 
giallo  o  rossastro  coi  due  primi  segmenti  neri  e  parimenti  nero  al- 
l'apice. 


-  473  — 

Le  uova  vengono  deposte  in  maggio  vicino  alle  gemme.  Dopo  10 
giorni  nascono  le  larve  che  si  internano  lino  al  midollo  dei  germogli, 
dove  poi  svernano. 

Intacca  il  pero:  la  malattia  si  manifesta  col  disseccamento  delle 
estremità  dei  rametti  oppure  si  notano  delle  brevi  depressioni  nere 
sulla  corteccia. 

Si  combatte  tagliando  e  distruggendo  i  rami  attaccati. 

2.  —  Tentredine  del  pero,  nespolo,  ciliegio  e  susino  (Neuroloma  o 
Lyda  flaviventris  Klug.  Lungh.  12-13  mm.  Corpo  depresso,  capo  nero 
con  macchia  frontale  gialla,  antenne  sottili  e  brune;  torace  nero.  Ali 
jaline  con  una  fascia  mediana  trasversale  bruno-giallastro;  nervature 
e  stigma  di  color  bruno  ;  addome  depresso  nero,  con  macchie  laterali 
su  di  ogni  segmento;  zampe  gialle  colla  base  di  femori  neri.  Apertura 
d'ali  24   mm. 

La  larva  ha  un  corpo  allungato  e  depresso,  gialliccio,  antenne  a 
due  placche  cornee  sul  primo  segmento,  nere,  sull'ultimo  segmento 
due  piccoli  cornetti  ;  lungh.  25-30  mm. 

L'insetto  perfetto  esce  in  maggio  e  depone  le  uova  sulla  pagina 
inferiore  delle  foglie.  Le  larve  tessono  poi  una  tela  con  cui  avvolgono 
i  rami  e  le  foglie  di  cui  si  nutrono:  spogliati  i  rami  più  alti,  discendono 
a  quelli  più  bassi:  in  agosto  sono  mature  e  si  lasciano  calare  per  mezzo 
di  un  filo  serico  sul  terreno,  dove,  in  primavera,  si  convertono  in  ninfe 
od  insetti  perfetti. 

Si  combatte  come  la  tignola  del  melo. 

3.  —  Tentredine  delle  piante  a  iiocciuolo.  (Neurostoma  nemoralis  L.) 
Si  combatte  come  la  precedente. 

4.  —  Tentredine  nera  del  ciliegio  (lig.  376)  (Caliora  cerasi  L.  -  Ten- 
thredo  limacina.)  Intacca  oltre  il  ciliegio  anche  le  altre  piante  a  noc- 
ciuolo  e  quelle  a  granella.  La  piccola  vespa  è  di  color  nero  lucente, 
lungh.  4-5  mm.,  colla  parte  anteriore  giallo-sporco,  torace  bruno  ;  ali 
con  nervature  brune,  incolore  ed  in  mezzo  leggermente  allumicate. 

La  larva  assomiglia  ad  una  limaccia  lunga  10  mm.  con  zampe  assai 
brevi;  pelle  liscia  e  coperta  di  una  sostanza  limacciosa,  (dolore  giallo- 
bruno. 

Le  larve  rodono  il  parenchima  delle  foglie,  e  s'incrisalidano  nel 
terreno.  Le  piante  danneggiate  sono  il  cotogno,  il  ciliegio,  il  susino  e 
l'albicocco. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Aspergeie  sulle  foglie  calce  viva  in  polvere 
oppure  polvere  di  tabacco  e  zolfo. 

b)  Irrorarle  con  emulsione  di  petrolio  e  sapone,  o  con  una  solu- 
zione 0.7  7o  di  acetato  di  piombo. 

e)  In  settembre  aspergere  il  terreno  con   una  soluzione  concen- 
trata di  zolfo  carbonato  potassico. 

d)  Dopo  aver  zappato  il  terreno  dal  novembre   al    maggio    com- 
primere la  terra  per  distruggere  le  pupe. 

5.  —  Tentredine  del   susino    (Hoplocampa    minuta    Christ.)    Insetto 


474 


nero,  lungo  4-5  nim.  ;  antenne  brune  nella  parte  inferiore.  Zampe  giallo- 
brune  e  gli  ultimi  articoli  neri;  ali  trasparenti  con  venature  brune  e 
macchie  giallo-brune. 

La    larva  è  ingrossala  in  avanti,  di    color    bianco-rossigno,  con  20 
zampe,  capo  giallo-bruno.    Emana  odore  di  cimici. 

La  piccola  vespa  appare  in  a- 
prile  e  depone  un  solo  uovo  in 
ciascun  lìore  del  susino,  facendo 
un  piccolo  foro;  dopo  14  giorni  na 
sce  la  larva.  Il  frutto,  quando  ha  la 
\i»""~5/  grossezza  di  un  granello,  viene  per- 


/ 


^^^»f***< 


Fig.  377.  —  Tentredine  nera  del  ribes. 


Fig.  37(5. 


Larva  della  Caliorti  cenisi. 


forato  dalla  larva,  la  quale  penetra 
e  ne  corrode  il  contenuto.  Si  rico- 
nosce il  fiore  colpito  per  l'odore  di 
cimici  e  perchè  dal  foro  esce  una 
bollicina  di  umore.  Dopo  5-6  set- 
timane, i  bruchi  passano  spesso  da 
un  frutto  all'  altro,  inline  cadono 
coi  frutti  a  terra  e  si  interrano  per 
fare  la  crisalide. 
Scuotere  le  piante  per  raccogliere  i  fruiti  bacali  che  si  distruggono 
immediatamente. 

6.  —  Tentredine  del  melo  (H  testudinea  Klug.)  come  la  precedente 
ma  sul  melo. 

7.  —  I  frutti  del  pistacchio,  vengono  colpiti  da  un  altro  imenotlero, 
Magastigmus  balleslrerii  Rond  ,  la  cui  larva  nasce  nell'interno  del  frutto 
da  un  uovo  deposto  dalla  femmina  perforandolo  alla  base  del  peduncolo. 

8.  —  Tentredine  nera  del  ribes  (fig.  877)  (Nematus  ribesii  Scop.).  La 
larva  è  di  color  bleu-grigio,  con  una  striscia  verde  longitudinale  sul 
dorso  ;  col  primo  e  penultimo  anello  giallo. 

Distrugge  in  pochi  giorni  tutte  le  foglie:  si  combatte  con  la  solu- 
zione di  arsenialo  di  piombo  (0.800  7o)- 

9.  —  Vespe.  Le  vespe  comuni  danneggiano  molto  le  frutta  mature 
o  che  stanno  per  maturare. 

Le  vespe  si  riproducono  durante  l'estate  e  sono  in  massimo  numero, 
quando  le  frutta  stanno  per  maturare. 

Si  può  difendere  le  frutta  proteggendole  con  un  sacchetto,  ma  è 
meglio  distruggere  i  nidi   durante  la  notte. 


-  475  - 

Se  il  vespaio  è  sotterra,  si  chiude  il  foro  d'ingresso  e  se  ne  apre 
un  altro  introducendo  lateralmente  50  gr.  di  solfuro  di  carbonio  o  di 
benzina  e  chiudendo  ermeticamente  con  terra. 

Si  raccolgono  e  distruggono  i  nidi  fuori  terra  con  miccie  di  zolfo 
o  con  batuffoli  di  cotone  imbevuti   di  petrolio  a  cui  si  dà  fuoco. 

Se  il  vespaio  è  nella  cavità  di  un  albero  si  opera  come  se  fosse 
sotterra. 

Si  distruggono  molte  vespe,  specialmente  al  loro  apparire  in  giugno- 
luglio,  appendendo   bicchieri   o  bottiglie  (fig.  378),  riempiti   per   metà 


Fig.  378.        Piglia  vespe. 


di  acqua,  sui  rami    delle   piante  ed    ungendo   l'orlo  del  bicchiere   con 
miele  per  attrarre  le  vespe,  che  poi  cadono  nell'acqua. 

10.  —  Formiche.  Le  formiche,  come  è  noto,  fanno  vita  sociale  e 
guastano  i  legnami,  i  germogli,  le  frutta  e  danno  la  caccia  a  piccoli 
insetti,  da  alcuni  dei  quali  (afidi)  estraggono  gli  umori  dolci,  di  cui 
sono  ghiotte. 

Il  danno  è  quindi  dato  in  tre  modi  distinti  : 

1."  Costruendo  dei   nidi    nell'interno  del  tronco  e  facendolo  cosi 
andare  a  male. 

2.°  Favorendo  lo  sviluppo  e  la  moltiplicazione  di  insetti  dannosi 


—  476  - 

alle  piante  da  Irutlo  in  genere.  Questi  insetti  sono  specialmente  afidi 
e  cocciniglie. 

3."  Intaccando  le  frutta  mature  per  succhiarne  l'umore  zuccherino. 
La  lotta  si  fa  direttamente  : 

1.°  Distruggendo  le  formiche  di  mano  in  mano  che  escono  del  nido. 

2.0  Versando  nei  nidi  acqua  bollente  o  meglio  petrolio  in  emul- 
sione di  sapone  e  acqua. 

3."  Scoperchiando  il  nido  con  un  badile,  gettandovi  dentro  calce 
viva  ed  una  secchia  d'acqua,  indi  ricoprendo  di  terra.  Per  il  calore 
intenso  che  si  sviluppa,  le  formiche  muoiono. 

4°  Introducendo  nei  nidi  solfuro  di  carbonio. 

5."  Attirando  le  formiche  ed  avvelenandole.  A  tale  scopo  si  pi-e- 
para  un  siroppo  dolce  con  miele  o  melassa  e  vi  si  scioglie  1  gr.  per 
litro  di  arseniato  di  soda.  Si  mette  questa  soluzione  in  un  piatto  che 
si  copre  con  tela  metallica  perchè  gli  animali  domestici  non  vadano 
a  leccare.  Dopo  2  o  3  Ire  giorni  si  trovano  le  formiche  morte  nei  nidi. 
Indirettamente  si  lotta  : 

1."  Distruggendo  gli  afidi  e  le  cocciniglie  che  si  trovano  sulle 
piante. 

2."  Impedendo  alle  formiche  di   salire.  Ciò  si  ottiene  avvolgendo 

con    stoppino    a  corda   il   fusto    del   ramo:   una   delle    estremità    dello 

stoppino    viene    immersa  in   una  bottiglietta   contenente   petrolio,  cosi 

da  imbeverlo.  Si  impedisce  in  questo   modo  che  le   formiche   salgano. 

Si  può  ricorrere  anche  agli  anelli  di  vischio  (vedi  pag.  472). 


XXV. 
Mosche. 

1.  —  Moscerino  delle  pere.  Gontarinia  pyrivora  Riley  o  Diplosis 
pyrivora.  Sono  minuscoli  moscerini,  lungh.  2  mm.,  coU'addome  rosso- 
nero  e  col  dorso  e  zampe  nere,  che,  al  tempo  delia  fioritura,  depongono 
da  10  a  15  uova  sui  petali.  Le  larve  che  nascono,  si  internano  nel- 
l'ovario producendo  da  un  lato  un  rigonfiamento  anormale  del  frutto, 
della  cui  polpa  si  nutrono  rendendolo  bacato.  In  maggio,  la  larva  è 
matura,  cade  col  frutto  e  si  incrisalida  nel  terreno:  il  moscerino  ricom- 
pare nel  marzo  venturo. 

Questo  insetto  arreca  notevoli  danni:  bisogna  raccogliere  con  dili- 
genza tutti  i  frutti  bacati  e  distruggerli. 

2.  —  Mosca  delle  ciliegie.  Rhagoleclis  cerasi  L.  Ortalis  cerasi  (fig.  379). 
La  mosca  è  un  po'  più  grande  della  jìrecedente  e  depone  un  uovo 
nella  polpa  di  ogni  ciliegia  matura.  La  larva  che  ne  nasce  divora  l'in- 
terno, la  fa  marcire  e  cadere.  Caduto  il  frutto,  la  larva  ne  esce,  si 
incrisalida  nel  terreno  e  vi  rimane  fino  ai  primi  di  maggio  dell'anno 
successivo,  epoca  in   cui    nasce    l'insetto    perfetto.    La   larva    è    anche 


—  477  - 

ghiotta   delle    bacche  delle  Loiiiceid  xi/tosleum  e  tavlarica  nonché    del 
Berberis. 

Mezzi  di  difesa  :  a)  Estirpare  dalla  vicinanza  dei  ciliegi  le  Loniceve 
ed  il  Berberis. 

b)  Coltivare  le  varietà  precoci  delle  ciliegie  nelle  località  più 
colpite  dalla  mosca,  perché  le  frutta  maturino  prima  che  nasca  la 
mosca. 

e)  Raccogliere  precocemente  le  ciliegie  e  distruggere  quelle 
colpite  o  cadute  a  terra. 

d}  Dopo  la  raccolta  delle  ciliegie,  per  distruggere  le  pupe,  spruz- 
zare il   terreno    intorno    alla   pianta  con   acqua   calda,    o    con    decotto 


Fig.  379.  —  Sezione  di  una  ciliegia 
avente  fra  il  nocciolo  e  la  polpa 
la  larva  L  della  Rhugoìectis  cerasi. 


Fig.  380. 
Olive  attaccate  dal  Daciis  oleae. 


caldo  di  foglie  di  noce,  o  con  una  poltiglia  al  8-10  %  di  cloruro  di 
calce  nell'acqua,  o  con  una  soluzione  al  10%  di  zolfo  carbonaio  potas- 
sico od  infine  injettando  del  solfuro  di  carbonio. 

e)  Lavorare  profondamente  il  terreno  in  autunno  per  esporre  al 
gelo  le  crisalidi. 

Nessuno  però  di  questi  mezzi  é  veramente  efficace. 

3.  —  Mosca  delle  olive.  Dacus  oleae  (fig.  380)  La  mosca  com- 
parisce al  tempo  della  maturazione  delle  olive,  e  depone  una  grande 
quantità  di  uova,  ma  affidandone  di  solito  uno  solo  a  ciascun  frutto. 
Dopo  circa  due  settimane ,  nascono  le  larve  che  divorano  esca- 
vano la  polpa  con  irregolari  gallerie;  fattesi  adulte,  o  abbandonano 
il  frutto  per  celarsi  al  piede  delle  piante,  o  entro  il  frutto  stesso  si 
fanno  pupe. 


-  478 


Hanno  luogo  più  generazioni,  per  ciò  lino  a  novembre  si  rinven- 
gono insetti  perfetti,  larve  e  pupe. 

Sui  metodi  di  lotta  non  è  detto  ancora  l'ultima  parola. 

4.  —  Mosca  delle  arancie.  Ceratitis  capitata  Wied.,  C.  hispanica. 
Oltre  agli  aranci  fa  danni  al  pesco,  al  fico,  al  susino,  al  fico  d'India  e 
al  lazzcruolo. 

La  mosca  è  variegata  di  giallo  e  bruno,  lunga  4-5  nini.  11  maschio 
porta  sulla  fronte  due  appendici  a  forma  di  peli,  allargate  a  spatola  al- 
l'apice. Larva  conica,  lunga  8  mm.  Pupa  ovale,  rosso  bruna,  lunga  5  6  mm. 

L'insetto  ha  più  generazioni  annue.  Le  uova  vengono  deposte  sotto 
la  buccia  delle  frutta;  la  larva  in  15  giorni  altera  totalmente  la  polpa 
e  poi  si  porta  nel  terreno  dove  incrisalida.  Dopo  j)ochi  giorni,  ven- 
gono fuori  gli  adulti,  che  succhiano  i  liquidi  zuccherini  e  depongono 
nuove  uova. 

Mezzi  di  difesa:  a)  Raccogliere  le  frutta  infette  e  stratificarle  con 
calce,  per  utilizzarle  poi  quale  concime.  Bisognerebbe  che  tutti  i  pro- 
prietari d'accordo  operassero  in  tal  modo. 

bj  Irrorare  il  terreno  intorno  alla  pianta 
con  una  soluzione  al  10  "/„  di  solfocarbonalo 
potassico. 


XXVI. 
Acari. 

1.  —  Gli  acari,  non  più  grandi  della  quinta 
parte  di  millimetro,  depongono  sulla  pagina  su- 
periore delle  foglie  un  uovo;  la  rispettiva  larva 
perfora  la  foglia  e  passa  nella  pagina  inferiore, 
dove  si  moltiplica  per  partenogenosi  e  produce 
un  feltrato  bianco  o  nero  o  giallo  rossastro,  a 
seconda  della  specie,  mentre  in  corrispondenza 
sulla  pagina  superiore  si  jiroducono  tanti  rigon- 
Piamenli. 

D'inverno  questi  acari  ibernano  sotto  alla 
corteccia. 
2.  —  La  malattia  prodotta  si  chiama  erinosi:  cosi  abbiamo  la  eri- 
nosi  del  pero,  (fig.  381)  del  melo,  del  susino,  del  nocciuolo.  del  noce, 
della  vite,  del  cotogno,  prodotta  da  diversi  acari  appartenenti  al  genere 
Phyloptiis;  sulla  vite  abbiamo  anche  un  altro  genere,  il  Telraiii/chus 
lelarins  L.  che  produce  la  malattia  del  rossore. 

Se  l'infezione  è  limitata,  le  foglie  continuano  a  funzionare  e  non 
sì  ha  un  grande  danno,  ma  quando  comincia  a  svilupparsi  molto,  ciò 
che  avviene  specialmente  con  tempo  asciutto,  in  maggio  e  giugno,  può 
anche  far  cadere  le  foglie. 


Fig.  .381.  —  Foglia  di  pero 
col   Phijtoptus  pijri. 


—  479  — 

Si  raccomanda  come  mezzi  generali  di  lotta  la  pulizia  generale, 
durante  l'inverno,  dei  fusti  e  rami,  facendo  seguire  una  incalcinatura 
ed  una  scottatura  con  acqua  bollente.  Raccogliere  le  prime  foglie 
intaccate  e  quelle  cadute  a  terra,  bruciandole. 


XXVII. 
Malattie  prodotte  da  cause  meteoriche. 

1.  —  Eccesso  0  difello  di  luce.  Il  primo  produce  l' incurvamento 
dei  rami  (eliotropismo)  verso  la  parte  donde  viene  la  luce;  il  secondo, 
r  eziolamenlo,  per  il  quale  le  foglie  rimangono  liianche  o  sbiadite,  non 
raggiungendo  la  grandezza  normale,  mentre  i  rami  si  prolungano  più 
dell'ordinario. 

2.  —  Eccesso  di  calore  produce  l' avvizzimento  delle  foglie  e  dei 
frutti.  Vi  si  rimedia  con  irrorazioni  dopo  il  tramonto;  al  colpo  di  sole, 
alla  scoi  tatara  ed  a\V  insolazione  dell'uva,  si  provvede  preventivamente 
evitando  di  toccare  l'uva  nelle  ore  più  calde. 

3.  —  Gelo  invernale.  I  danni  prodotti  del  gelo  si  manifestano  quando 
la  temperatura  media  dell'aria  si  aggira  intorno  a  zero  gradi.  Dico 
intorno  a  zero  gradi,  inquantochè,  in  circostanze  speciali  di  irradia- 
zione ed  evaporazione,  le  piante  si  raffreddano  talvolta  più  dell'aria,  e 
cosi  si  hanno  danni  per  gelo  anche  a  temperatura  d'aria  di  uno  o  due 
gradi  sopra  zero. 

E'  bene  premettere  che  gli  alberi  da  frutto  in  genere  resistono  molto  ai  freddi, 
fino  a  15  e  18  gradi  sotto  zero,  purché  lo  sgelo  avvenga  gradatamente.  Questo  si  spiega 
col  fatto  che,  quando  avviene  il  congelamento,  l'acqua  del  contenuto  cellulare  passa 
attraverso  la  parete  della  cellula  e  negli  interstizi  cellulari  si  congela.  Se  il  disgelo 
avviene  lentamente,  quest'acqua  può  venire  lentamente  riassirailata  e  dare  nuova  vita 
alla  cellula,  altrimenti  questa  muore.  Una  volta  invece  si  riteneva  che  il  contenuto  cel- 
lulare, congelandosi  ed  aumentando  perciò  di  volume,  intaccasse  la  parete  cellulare 
rendendola  inattiva.  Se  quest'ipotesi  fosse  vera,  i  danni  del  gelo  si  manifesterebbero 
per  tutto  il  fusto  uniformemente,  mentre  ciò  non  avviene. 

Non  tutte  le  piante,  anche  se  appartenenti  alla  stessa  varietà,  soffrono  in  iegual 
misura  per  il  gelo.  La  loro  provenienza,  lo  stato  di  sviluppo,  il  sistema  d'allevamento, 
il  metodo  di  coltura,  l'andamento  dell'autunno  precedente,  il  clima,  il  terreno,  l'espo- 
sizione, influiscono  notevolmente  sui  danni  del  gelo. 

Tutti  i  frutticultori  pratici  avranno  osservato  che  le  piante  provenienti  da  vivai  di 
paesi  più  caldi  soffrono  di  più  di  quelle  provenienti  da  paesi  più  freddi.  Per  esempio, 
in  via  generale,  ad  un  frutticultore  dell'alta  Italia  non  conviene  l'acquisto  di  piante  pro- 
venienti dai  paesi  meridionali:  così  dicasi  per  la  scelta  delle  varietà  originarie. 

Le  piante  giovani,  oppure  quelle  che  hanno  portato  molte  frutta  e  che  perciò  si 
trovano  molto  esaurite,  quelle  che  hanno  dato  molti  germogli  tardivi  in  autunno,  sono 
le  piante  più  danneggiate  dal  gelo. 

Rispetto  al  sistema  d'  allevamento,  le  forme  a  spalliera,  specialmente  se  giovani, 
hanno  bisogno  di  essere  più  riparate  delle  altre. 

Se  l'autunno  è  stato  piovoso  e  caldo,  se  il  legno  d'agosto  non  ha  potuto  maturare, 
allora  la  linfa,  più  acquosa,  rende  la  pianta  meno  resistente  al  gelo. 

Nei  climi  umidi,  poco  arcati,  nei  terreni  umidi  e  poco  fertili  si  notano  i  maggiori 


—  480  — 

danni  i)er  il  gelo,  mentre  sulle  colline  aereate,  con  terreni  profondi,  asciutti  o  fertili, 
raramente  lo  si  deve  temere. 

Riguardo  allesposizione,  le  piante  poste  a  nord,  dove  cioè  lo  sgelamento  avviene 
lentamente,  si  rimettono  più  facilmente  che  non  quelle  poste  a  mezzogiorno. 

L' inconveniente  delle  piante  poste  a  mezzogiorno  ed  allevate  a  spalliera  sta  ap- 
punto nel  fatlo,  che  vanno  soggette  a  forti  sbalzi  di  temperatura:  la  notte  sono  esposte 
ad  un  freddo  intenso,  mentre  nelle  ore  di  sole  la  temperatura  può  anche  salire  sopra 
lo  zero. 

Le  piante  più  danneggiate  sono  anche  le  più  deboli  per  età,  per  costituzione  o 
per  malattia. 

1  danni  causati  dal  gelo  non  si  riconoscono  tanto  facilmente. 

Per  conoscere  le  parti  colpite  dal  gelo,  basta  raschiare  la  corteccia  fino  all'alburno. 
Anche  se  la  corteccia  è  disseccata  o  morta  si  può  ancora  sperare  di  guarire  la  pianta, 
tagliando  la  corteccia  fino  all'alburno  ed  applicando  im  mastice   come  ho  detto,  per  le 


;)..H). 


Fig.  382.  —  Azione  del  gelo  sui  rami. 

rt)  ramo  sano  -   b)  ramo  in  parte  danneggiato  dal  gelo 

e)  ramo  morto  per  il  gelo. 


.Screpolo  per  gelo 
di   un   ramo   di   melo. 


ferite.  Ma  se  il  gelo  è  entrato  nell'  alburno,  il  che  si  riconosce  dal  colorito  bruno,  è 
difficile  di  poter  guarire  la  pianta. 

Molte  volte  però  le  cellule  della  scorza  dei  giovani  rami  (fig.  383)  vengono  disgre- 
gate :  r  epidemia  si  stacca  dai  tessuti  sottostanti  e  nell'  interno  del  tessuto  legnoso  si 
formano  spaccature  più  o  meno  profonde.  Col  ripristinarsi  di  una  temperatura  più  ele- 
vata si  rimarginano  in  parte  tali  spacchi  ;  cioè  l'assorbimento  dell'acqua  da  parte  delle 
cellule  fa  riaccostare  gli  orli  delle  ferite,  mentre  all'estremità  viene  a  formarsi  un  orliccio 
dovuto  a  tessuto  ricostituente. 

Il  danno  del  gelo  si  può  riconoscere  solamente  in  aprile  o  maggio,  a  meno  che 
non  si  voglia  (fig.  382)  sezionare  gemme  e  rami. 

Se  le  foglie  sono  state  danneggiate,  come  sarebbe  il  caso  dell'olivo  e  degli  agrumi, 
basta  diradare  in  quell'anno  un  po'  più  del  solito  i  giovani  rami  per  dar  campo  alla 
pianta  di  rimettersi. 

Se  sono  colpiti  i  rami  dall'annata,  bisogna  amputarli  al  di  sotto  degli  ultimi  punti 
colpiti,  evitando  così  non   solo  un  indebolimento  maggiore  della  pianta,   ma  anche  i 


—  481   - 

danni  derivati  dalla  decomposizione  dei  punti  morti  e  la  formazione  della  rogna,  specie 
sui  rami  grossi. 

Se  è  colpito  anche  il  tronco  si  tagli  alla  base  si    rimetta  a  nuovo  la  pianta   colla 
potatura  di  formazione.  Però  se  le  piante  sono  di  20  a  30  anni  d'età,  conviene  estirparle. 
In  tutti  i  casi  ad  una  gelata  invernale  devesi  far  seguire  una  copiosa  e  complessa 
concimazione,  per  rimettere  in  forze  la  pianta. 

Quando  una  parte  del  tronco  o  dei  rami  viene  colpita,  e  ciò  avviene  per  lo  piìi 
dalla  parte  esposta  al  sole,  conviene  asportarla  tutta,  intonacare  la  ferita  con  un 
mastice  e  ripararla  con  paglia  fino  a  che  si  rimargina. 

Meglio  di  lutto  è  però  prevenire  il  male  del  gelo  ed  a  tale  scopo  possono  servire 
le  seguenti  norme: 

1."  Non  ordinare  le  piante  nei  paesi  più  caldi. 

2.°  Non  piantare  specie  e  varietà  che  danno  getti  tardivi  in  autunno. 
3.°  Innestare  in  testa  e  non  al  piede. 
4."  Drenare  il  terreno. 

5.°  Concimare  e  tenere  le  piante  sempre  in  buon  stato  di  nutrizione. 
Quali  mezzi  di  difesa: 

l.o  Cimare  le  piante  in  autunno  tardi,  specialmente  dal  legno  d'agosto,  per  arre- 
stare per  tempo  il  movimento  della  linfa. 

2."  Fare  la  potatura  sempre  in  primavera. 

3."  Coprire  il  terreno  attorno  al  fusto  prima  dell'inverno  con  foglie  ed  anche 
lavorarlo. 

4.»  Avvolgere  di  paglia  il  fusto,  oppure  dargli  il  bianco  con  latte  di  calce. 
5.»  Coprire  con  stuoie  interamente  le  piante  a  spalliera,  ed  aver  sempre  cura,  in 
particolar  modo,  delle  piante  giovani  in  genere  e  deperenti. 

Se  il  gelo  si  manifesta  in  primavera  od  in  autunno,  è  accompagnato  dalla  brina: 
per  questa  rimando  il  lettore  all'apposito  capitolo. 

Conseguenza  del  gelo  è  il  cancro  (fig.  280-286),  le  placche  di  gelo 
(fig.  287  pag.  418),  la  rogna  (fig.  255-258),  il  seccume  della  vette,  la  stri- 
scia (fìg.'383). 

4.  —  Brina.  La  brina  è  pi'odotta,  come  la  rugiada,  dai  vapori  con- 
tenuti neir  atmosfera  che  si  condensano  sulle  foglie,  sui  germogli,  sui 
rami,  in  tutte  le  parti  aeree  della  pianta  ad  una  temperatura  inferiore 
a  zero.  I  lìocchi,  che  talvolta  formano  i  piccoli  cristalli  di  cui  è  for- 
mata la  brina,  dimostrano  che  i  vapori  si  congelarono  immediata 
mente,  senza  passare  allo  stato  liquido.  Questo  rapido  raffreddamento 
è  dovuto  a  correnti  fredde  oppure  ad  eccessivo  irradiamento  notturno 
delle  piante  nelle  notti  serene.  Le  parti  piti  colpite  sono  quelle  rivolte 
all'alto. 

Le  brine  si  hanno  nel  tardo  autunno,  d'inverno    ed  in  primavera. 

Mezzi  di  difesa:  Si  basano  sul  principio  di  diminuire  per  quanto  è 
possibile  la  dispersione  del  calore  ed  il  rapido  disgelo.  Ciò  si  ottiene: 
a)  Coprendo  con  stuoie  le  piante  o  munendo  i  muri  contro  i 
quali  si  allevano  le  spalliere,  di  sporgenze  larghe  almeno  30  centimetri, 
a  guisa  di  tetto,  fatte  di  tegole  o  di  un  impiantito  su  cui  si  possa 
stendere  una  stuoia. 

bj  Colle  nubi  artificiali,  che  si  ottengono  dalla  combustione  imper- 
fetta di  sostanze  catramose  miste  a  radici,  a  paglia,  a  steli  di  granturco, 
ad  erbacce  e  a  tutte  quelle  sostanze  che  si  trovano  in  una  azienda  e  pro- 
ducono fumo  abbondante  e  pesante.  La  sera,  quando  si  teme  la  brina, 

31  —  Tamaho  -  Frutticoltura. 


—  482  - 

si  fanno  questi  mucchi  a  circa  15  metri  di  distanza  e  si  accendono 
durante  la  notte,  quando  il  termometro  vicino  a  terra  segna  un  grado 
sopra  zero.  Ci  sono  dei  termometri  avvisatori  elettrici,  che  si  collocano 
vicini  al  terreno  e  di  cui  dovrebbero  essere  provveduti  tutti  i  viti- 
coltori e  frutticoitori  di  una  certa  importanza.  Sul  far  del  mattino 
bisogna  quasi  sempre  rinnovare  i  fuochi  per  impedire  il  rapido  disgelo. 
Invece  di  fare  mucchi  con  queste  sostanze  si  sogliono  anche  met- 
terle entro  botti  usate  di  catrame  :  si  ha  allora  il  vantaggio  di  spo- 
starle in  caso  di  vento  ;  l'effetto  delle  nubi  artificiali  è  nullo  se  la 
temperatura  disce)ide  a  4  gradi  sotto  zero. 

e)  Spolverizzando  le  piante  con  gesso,  calce,  talco,  polvere  di 
strada,  ecc.,  per  impedire  una  eccessiva  irradiazione. 

Avvenuto  il  danno  della  brina,  cura  dell'  agricoltore  deve  essere 
di  sostenere  la  pianta  in  modo  che  non  abbia  ulteriormente  a  soffrirne. 
Questo  si  ottiene: 

1.°  Sulla  vite,  tagliando  dopo  2  o  3  giorni  con  potatoio  ben  affilato 
sul  nodo  più  prossimo  al  tralcio  a  frutto,  e  ciò  per  favorire  lo  sviluppo 
di  un  nuovo  germoglio. 

2.°  Sul  pesco  tagliando  soltanto  i  brindilli  ad  una  gemma. 
3.«  Facendo  regolarmente  la  cimatura  e  la  spollonatura. 
4.°  Concimando  in  copertura  con  nitrato   e  perfosfato  e  contem- 
poraneamente facendo  energiche   solforazioni  e  solfatazioni.  Queste  si 
fanno  anche  per  tutte  le  piante  da  frutto. 

5.  —  La  grandine  (fig.  384)  è  il  più  terribile  degli 
accidenti  meteorici  che  può  colpire  le  piante.  Può  col- 
pire in  tutto  l'anno,  ma  è  più  frequente  in  primavera  ed 
in  estate,  più  rara  in  autunno  e  più  ancora  nell'  in- 
verno. In  Italia  la  Valle  del  Po  è  la  più  colpita. 

Se  viene  in  primavera  si  hanno  i  maggiori  danni.  Fa 
cadere  i  giovani  germogli,  i  frutti  in  via  di  formazione 
e  lacera  le  foglie.  Se  colpisce  la  vite  entro  giugno,  con- 
viene rinnovare  la  potatura  sulla  prima  gemma  buona 
di  ciascun  ramo,  per  provocare  da  essa  un  germoglio 
e  un  nuovo  ramo  vigoroso  destinato  a  portare  frutti  od 
a  formare  l'impalcatura  della  pianta.  I  vegetiili  colpiti 
Fig.  384.  dalla  grandine  sono  poi  sensibilissimi   agli    attacchi  dei 

Ramo  di  melo      parassiti    vegetali    ed    animali    e    quindi    si  devono  ap- 

prodotte^  plicare  i  rimedi   con   cura  e  diligenza, 

dalla  grandine.  Se  la  grandine    viene   più  tardi,  allora  non   si  deve 

toccare  le  piante  ma  si  ripetano  i  rimedi  anticrittoga- 
mici e  la  caccia  agli  insetti.  Durante  l'inverno  si  opererà  poi  sulle 
piante  a  seconda  dei  casi. 

6.  —  Un  eccesso  di  pioggia  caduta  a  forti  scrosci,  può  danneggiare 
meccanicamente  giovani  foglioline  o  piccoli  germogli  ;  cosi  può  far 
cadere  i  petali  ai  fiori,  disperdere  il  pollime  e  disturbare  la  fecon- 
dazione.   Se   la  pioggia   poi    continua   per   un  periodo    troppo   lungo. 


-  483  - 

impedisce  un  normale  sviluppo  delle  piante,  per  l'eccessiva  umidità  e 
per  la  mancanza  di  calore.  Se  questo  avviene  durante  la  fioritura,  1 
granelli  pollinici  si  gonfiano,  si  aprono  le  antere,  prima  che  possa 
avvenire  la  fecondazione  degli  ovuli  nell'  ovario.  L'  umidità  favorisce 
anche  in  modo  particolare  lo  sviluppo  delle  crittogame;  i  frutti  rie- 
scono più  scipiti,  molti  vanno  a  male,  altri  scoppiano  (come  i  fichi, 
le  pesche,  le  ciliegie  ed  altri  frutti  carnosi)  per  eccessiva  turgescenza 
delle  cellule  parenchimatiche. 

7.  —  La  nebbia,  oltre  che  favorire  lo  sviluppo  delle  crittogame, 
priva  le  piante  di  luce  e  di  calore  e  riesce  specialmente  dannosa  al  tempo 
della  fioritura,  per  le  medesime  ragioni  dette  per  la  pioggia  prolungata. 

8.  —  I  venti  agiscono  diversamente  secondo  la  loro  intensità,  la 
natura  della  pianta  e  la  qualità  del  suolo. 

I  venti  impetuosi  causano  la  caduta  dei  fiori,  rompono  i  rami, 
lacerano  le  foglie  e  sbarbicano  financo  i  tronchi.  I  danni  maggiori  si 
hanno  però  nelle  piantonaie  :  da  ciò  la  necessità  che  queste  si  trovino 
in  località  riparate.  Se  il  vento  è  accompagnato  da  pioggia  e  grandine, 
i  danni  evidentemente  sono  maggiori. 

Un  vento  leggero  favorisce  invece  la  traspirazione,  la  fecondazione 
dei  fiori  e  le  piante  acquistano  maggiore  attività.  Se  però  si  prolunga, 
riesce  di  danno  perchè  le  piante,  traspirando  eccessivamente,  finiscono 
coll'estenuarsi  ed  anche  col  dissecare.  I  venti  continuati  sono  parti- 
colarmente dannosi  dopo  gli  impianti.  Le  piante  che  più  ne  soffrono 
sono  le  sempreverdi  :  agrumi,  olivo,  ecc. 

Riguardo  al  suolo,  le  correnti  d' aria  lo  prosciugano,  cosi  da 
formare  alla  sua  superfice  una  crosta  che  impedisce  lo  sviluppo  delle 
giovani  pianticine  nei  semenzai,  e,  negli  impianti  recenti,  priva  il  ter- 
reno della  freschezza  necessaria  per  l' attechimento.  Questi  danni  si 
riscontrano  di  frequente  negli  imboschimenti. 

II  vento  porta  con  sé  talvolta  anche  materiali  dannosi  alla  ve- 
getazione. Così  i  venti  marini  portano  in  sospensione  sostanze  saline 
che  danneggiano  molte  piante,  dando  loro  apparenza  di  bruciate.  In 
altre  località  avviene  che  i  venti  portino  seco  onde  di  terra  e  sabbia, 
depositandole  dove  meno  invece  ne  sarebbe  bisogno,  privandone  la 
vegetazione  in  altri  punti. 

In  Italia  le  regioni  più  colpite  sono  quelle  littoranee  e  le  isole 
nonché  molte  vallate  e  gole  fra  le  nostre  Alpi,  dove  si  contrastano  le 
correnti  d'aria  calda  del  sud  con  quelle  del  nord  prodotte  dai  corsi 
d'acqua  e  dai  ghiacciai. 

9.  —  La  folgore  danneggia  più  o  meno  a  seconda  della  natura  degli 
alberi  ed  a  seconda  della  direzione  nella  quale  cade  il  fulmine. 

E'  bene  notare  che  non  sempre  le  piante  alte  vengono  colpite,  ma 
alcune  pare  abbiano  la  specialità  di  attrarre  il  fulmine.  I  selvicoltori 
per  esempio  lo  hanno  osservato  per  la  quercia  e  per  gli  olmi  ;  delle 
piante  da  frutto  io  avrei  notato  il  ciliegio,  la  vite,  il  pino  da  pinoli 
ed  il  pero. 


-  484  — 

XXVIII. 
Malattie  dovute  a  ferite. 

Le  ferite  son  scissure  o  interruzioni   anormali  di  tessuti  che  deri- 
vano da  tagli,  schiantamenti,   contusioni,   ammaccature,  fratture,  sfre- 
gamenti, urti,  per  cui  le  piante  cominciano  a  soffrire. 
Conseguenze  delle  ferite  sono: 
A)  Una  alterazione  nello  sviluppo  della  pianta,  mancando  quella 
parte  amputata  colla  ferita. 

BJ  Una  reazione  dell'organo  ferito  per  guarire. 
C)  La    decomposizione   dei   tessuti,   non    riuscendo    completa   la 
guarigione. 

A.  —  Alterazione  nello  sviluppo  della  pianta. 

1.  —  Quando  si  conosce  la  funzione  che  ha  l'organo  o  la  parte  di  esso 
che  viene  amputata,  si  possono  trovare  con  facilità  i  rimedi  relativi. 

Nei  trapianti  bisogna  quasi  sempre  recidere  qualche  parte  delle  radici  e  con  ciò, 
oltre  a  levare  un  numero  di  organi  indispensabili  alla  nutrizione,  si  espone  la  radice 
monca  all'azione  devastatrice  di  qualche  fungo  o  all'azione  disgregatrice  dell'umidità 
del  suolo.  A  questi  inconvenienti  si  provvede  colla  disinfezione  del  suolo,  al  momento 
dell'impianto  con  calce  viva  o  con  solfuro  di  carbonio. 

Col  taglio  (li  rami  o  parte  di  rami,  che  si  fa  colla  potatura  secca,  si  priva  la  pianta 
non  solo  di  organi  nutritori,  ma  la  si  impoverisce,  tanto  più  che  essa  deve  impiegare 
una  parte  di  succhi  a  rimarginare  la  ferita.  Quanto  più  grande  è  la  ferita,  tanto  mag- 
giore è  la  perdita  di  materiali  per  cicatrizzarla;  va  cosi  perduta  una  parte  di  umori 
destinati  alle  gemme  sottostanti. 

Finché  le  ferite  interessano  gli  strati  corticali  ed  arrivano  fino  al  cambio,  le  con- 
seguenze sono  meno  gravi,  perchè,  anche  se  la  spaccatura  della  corteccia  si  apre  sempre 
più,  non  viene  interrota  del  tutto  la  continuazione  dei  tessuti. 

Nelle  ferite  fatte  quando  i  rami  sono  in  corso  di  vegetazione,  per  esempio  colla  cima- 
tura, la  cicatrizzazione  avviene  più  rapida  ed  i  danni  che  la  pianta  risente  sono  minori. 

Le  foglie  hanno  la  funzione  di  elaborare  i  succhi,  che  poi  vanno  a  benefizio  del- 
l'accrescimento della  pianta,  di  aumentare  la  ricchezza  zuccherina  dei  frutti,  di  fecon- 
dare le  gemme  da  frutto.  Perciò  la  sfrondatura,  che  si  fa  per  esempio  per  il  gelso, 
produce  uno  straordinario  squilibrio  nella  pianta  ;  i  succhi  necessari  a  dare  nuove 
foglie  e  l'impulso  della  linfa  sono  tali  da  determinare  lo  sviluppo  dei  germogli  anche 
da  tutte  le  gemme  avventizie.  I.a  sfogliatura  delle  piante  da  frutto  è  in  generale  da 
condannarsi  (vedi  pag.  123). 

Molte  volte  la  grandine  sfronda  le  piante  ed  il  danno  evidentemente  è  tanto  minore 
quanto  più  colpisce  in  stagione  avanzata,  perchè  allora  il  legno  è  abbastanza  maturo  e 
non  si  incorre  nel  pericolo  che  la  pianta  sperperi  i  suoi  succhi  in  nuovi  germogli  che 
non  arrivano  a  maturare  prima  dell'autunno. 

Colla  sfrondatura  infine  si  limita  l'accrescimento  della  pianta. 

r.a  scortecciatura  prodotta  da  topi,  conigli  e  lepri  avviene  particolarmente  intorno  al 
colletto  della  pianta  (fig.  385).  Se  la  corteccia  non  è  stata  rosicchiata  tutta  all'intorno, 
allora  la  pianta  riprende  la  vegetazione  in  primavera.  Durante  l'estate  però  quella  parte 
del  legno  che  rimane  scoperta,  dissecca,  e  si  ha  una  notevole  evaporazione  della  linfa, 
che  porta  per  conseguenza  la  disseccazione  delle  parti  della  pianta  al  disopra  delle 
ferite. 


-  485 


Per  evitare  questa  disseccazione  conviene  riparare  le  ferite.  Con  un  coltello  ben 
tagliente  si  lisciano  i  margini  e  poi  si  coprono  con  un  mastice  il  quale  sostituisce  mo- 
mentaneamente la  corteccia.  Buoni  mastici  sono  quelli  indicati  a  pag.  70.  Con  questi 
mastici  si  sviluppa  il   callo   e  le   radici    avventizie,   come   si  vede  nella  lìg.  385. 

Gli  schiacciamenti  avvengono  per  incauto  governo  delle  piante  ;  vi  sono  special- 
mente soggette  le  piante  dei  pubblici  passeggi,  per  l'urto  con  rotabili. 

Non  di  rado  vengono  prodotti  per  stroz- 
zamento delle  legature  (lig.  386)  o  dal  pota- 
tore, o  dal  sfrondatore,  o  dal  raccoglitore 
delle  frutta,  che  salgono  sugli  alberi  con 
scarpe  bullettate  (vedi  fìg.  130). 

Cogli  schiacciamenti  si  ha  una  ferita 
lacera  che  mortifica  interi  tratti  di  tessuti, 
talvolta  fino   ed   oltre  il  legno.  Rare  volte 


Fig.  385.   —   Tronco   d' albero 
rosicchiato  dai  topi. 


Fig.  386.  —  Ferite  dovute  a  strozzamento 
delle  legature  del  fusto. 


dopo  questi  schiacciamenti  si  riesce  ad  avere  una  completa  callosità,  spesso  anzi,  i 
tessuti  schiacciati  si  imputridiscono  e  comunicano  il  marciume  alle  altre  parti  del 
tronco.  In  ogni  caso  bisogna  prestare  la  cura  indicata  più  sopra  e,  se  la  ferita  è  pro- 
fonda fino  al  legno,  così  da  non  sperare  nella  guarigione,  si  impedisca  la  putrefazione 
del  legno,  spalmando  la  ferita,  dopo  pulita,  con  catrame,  che  è  un  ottimo  disinfettante. 
Così  si  guariscono  le  ferite  sulle  radici  prodotte  da  topi,  le  fratture  e  stroncamenti  e 
così  via. 


B.  —  La  reazione  delle  piante  per  guarire  le  ferite. 


2.  —  Questa  reazione  ha  di  solilo  due  conseguenze  :  s'ingorgano  gli 
umori  plastici  mettendo  in  azione  la  forza  vitale  della  pianta  per  cica- 


-  486 


e)  g.S 


-  487  - 

Irizzare  la  ferita  e,  raccogliendosi  in  troppa  grande  quantità,  formano 
calli  legnosi,  oppure  gli  umori  si  corrompono,  l'esercizio  delle  funzioni 
si  arresta  guastando  profondamente  il  tessuto  interno  della  pianta. 

La  cicatrizzazione  più  completa  si  ha  quando  si  fa  il  taglio  nell'epoca  del  massimo 
movimento  di  succhi.  Essa  è  dovuta  allaltività  del  cambio.  Quando  la  lesione  intacca 
la^corteccia,  comincia  una  proliferazione  nelle  sue  cellule,  le  quali  costituiscono  un  tes- 


Fig.  391. 

Ramo  di  ribes,  con  dei  porri, 

la  cui  costituzione   è   simile 

a  quella  del  marezzo. 


Fig.  392. 
Marezzo  sul  ramo  di  pero 
che  ha  prodotto  una  spe- 
cie   di    piccoli    rigonfia- 
menti   a   guisa  di   porri. 


Fig.  393. 

Radice  di  una  piantina 

di  pero  con  marezzo. 


suto  che  protegge  gli  strati  interni,  mentre  nello  stesso  tempo  vengono  prodotte  delle 
cellule  suberose  che  rivestono  e  cicatrizzano  gli  orli. 

Questa  cicatrizzazione  che  si  limita  ad  una  incrostazione  sugherosa  è  chiamata 
normale. 

Se  il  tempo  è  asciutto  questa  cicatrizzazione  è  lenta  o  non  avviene,  perchè  i  sottili 
strati  del  cambio  disseccano.  Allora  il  meristema  dei  raggi  midollari  supplisce  colla  sua 
attività  e  dà  origine  ad  un  tessuto  protettore  del  legno  cicatrizzante. 

Questo  tessuto  —  dapprima  omogeneo   si  differenzia  in  seguito  per  produrre   dal 


—  488  — 


A 


Fig.  395.  —  Radice  di  susino  con 
marezzo  :  a)  ingrossamento  iso- 
lato ;  b)  ingrossamenti  agglome- 
rati ;  e)  screpolatura  della  cor- 
teccia ;  d)  rigonfiamenti  appena 
sensibili;  ri  ingrossamento  in 
formaz.  di  colorito   più  chiaro. 


Fig.  394.  —  Ramo  di  susino  sopra  cui  si  sono  for- 
mate delle  protuberanze  a  guisa  di  porri  la  cui 
costituzione    è   identica   a   quella   del   marezzo. 


Fig.  396.  —  Parte  di  fusto  di  melo 
col  marezzo  della  grossezza  di 
una  ciliegia.  Queste  callosità 
o  sono  coperte  dalla  corteccia 
nonnaie  K'  oppure  vennero  sco- 
perte, facendo  la  raschiatura 
del  tronco  K.  Molte  volte  si  tro- 
vano in  vicinanza  di  queste  cal- 
losità dei  getti  brevi,  appuntiti  Z. 


Fiff.  397. 
Radice    ni    lampone 
affetta  di  marezzo. 


Radice    di   cotogno 
con  marezzo. 


lato  interno  le  cellule  dette  xilematiche,  dal  lato  esterno  le  cellule  floematiche,  man- 
tenendo sempre  poi  fra  le  due  categorie  una  zona  ristretta  di  cellule  cambiali.  Se  il 
cambio  dissecca  affatto,  senza  poter  venir  sostituito  dal  cambio  dei  raggi  midollari, 
allora  non  si  avrà  più  una  rimarginatura  della  ferita,  ma  una  semplice  cicatrizzazione 
dei  suoi  orli,  dovuta  a  produzione  di  tessuto  protettore  per  parte  delle  cellule  cambiali 
vive,  sotto  alla  corteccia,  a  qualche  distanza  dalla  ferita.  Questo  tessuto  cicatrizzante 
(callo»,  si  spinge  fuori,  man  mano  che  si  forma,  facendo  la  ferita  sempre  più  boccheg- 
giante in  modo  che  non  si  chiude  più,  come  avviene   nei  casi  precedenti. 

11  legno  posto  a  nudo  dissecca  le  cellule  su  tutta  quanta  la  superfìcie  esposta;  ma 
è   posto  in  balìa  dagli  agenti  atmosferici  e  di  eventuali  infezioni  miceliche. 

La  cladomania  od  eccesso  di  rami  è  la  produzione  eccessiva  di  succhioni  che  va  a 
scapito  del  normale  svolgimento  dei  rami  ordinari  di  una  pianta.  E'  provocata  dagli 
improvvidi  tagli  :  per  rimediare  bisogna  spuntare  i  succhioni  mano  mano  che  sorgono, 
meno  quelli  che  servono  a  rimpiazzare  qualche  ramo  ordinario. 

Le  fasciazioni  sono  causate  (fig.  387)  da  una  pletora  di  umori  che  si  manifesta  ai 
nodi  con  tumefazioni  circondate  da  numerose  gemme  atrofiche.  Ciò  si  verifica  di  fre- 
quente nella  vite.  Nel  ciliegio  invece,  la  malattia  si  manifesta  nei  rami,  che,  perdendo 
la  forma  tondeggiante,  diventano  piatti. 

Si  rimedia  colla  amputazione  dei  rami  e  col  non  adoperare  per  marze  di  innesto 
i  rami  che  hanno  le  fasciazioni. 

L' idropisia,  (idrope,  pletora,  ripienezza  fig.  388-390)  è  una  malattia  cagionata  da 
sovrabbondanza  di  succhi ,  e  può  manifestarsi  o  per  la  continua  ed  intempestiva 
sfrondatura  o  per  terreni  ricchi  eccessivamente  o  umidi,  o  per  insufficiente  permeabi- 
lità del  terreno  alle  radici.  Le  piante  che  più  vanno  soggette  sono  il  gelso,  il  pero  e 
il  ribes.  La  malattia  si  manifesta  con  un  lento  intristimento  della  pianta.  I^a  foglia  di- 
venta piccola,  giallognola,  rara  e  cadente,  si  osserva  una  lacrimazione  abbondante  dai 
tagli  o  ferite  e  la  scorza  acquista  un  aspetto  lucido. 

Mezzi  di  difesa:  Vicino  a  terra  nel  tronco  con  una  trivella  si  fa  un  foro  fino  al 
midollo,  inclinato  al  basso,  perchè  la  linfa  scorra  in  basso  e  rivolto  a  nord.  Si  suole 
fare  questo  foro  anche  con  scalpello  a  mezzo  cerchio,  e  si  tiene  sempre  netto  dalle 
ostruzioni.  Se  non  bastasse  uno,  se  ne  farà  un  altro  superiormente,  in  direzione  tras- 
versale al  primo. 

Per  il  ribes  si  amputa  al  piede  il  ramo  colpito. 

Il  marezzo  al  fusto  ed  alle  radici  (391-398)  è  effetto  di  una  imperfetta  nutrizione 
e  di  tagli  eccessivi  che  determinano  una  straordinaria  pullulazione  e  diramazione 
subcorticale  dei  caudicini  delle  gemme  latenti,  irritate  da  qualche  lesione  esterna. 

Nella  fìg.  396  si  vede  un  tratto  di  marezzo,  con  dei  getti,  brevi,  appuntiti.  Sui  rami 
del  pero  (fig.  392)  del  ribes  (fig.  391)  e  del  susino  (fig.  394)  si  osservano  talvolta  delle 
protuberanze,  conseguenti  ed  aggruppate,  la  cui  costituzione  è  simile  a  quella  del  marezzo. 


C  —  Decomposizione  dei  tessuti 
non  riuscendo  la  guarigione  delle  ferite. 

3.  —  La  cancrena  consiste  in  un  abbruni  mento  della  massa  legnosa. 
Se  questo  abbrunimento  è  accompagnato  da  gommosi  si  chiama  can- 
crena nmida,  altrimenti  si  chiama  cancrena  secca. 

L'abbrunimento  è  forse  dovuto  a  scomposizioni  chimiche.  Comincia  nell'astuccio 
midollare  e  prosegue  poi  lungo  i  raggi  midollari,  lasciando  intatte  le  cellule  del  legno. 
Se  la  decomposizione  non  arriva  fino  alla  periferia  della  massa  legnosa,  e  se  il  cambio  e 
la  corteccia  restano  intatti,  allora  la  pianta  continua  a  vegetare  normalmente  e  produce 
nuovi  strati  legnosi.  Neppure  l' abbrunimento  si  estende,  ma  lascia  nella  massa  del 
legno  tracce  visibili  dopo  degli  anni. 


-  490  - 

Questa  malattia  si  manifesta  in  estate,  all'epoca  dei  forti  calori.  Le  foglie  comin- 
ciano ad  ingiallire,  avvizziscono  e  poi  cadono  o  disseccano  per  lo  più  coi  germogli  che 
le  portano. 

La  cancrena  prosegue  dali'estremità  dei  rami  al  tronco  ed  alla  radice,  giunta  alla 
quale  la  pianta  muore.  Per  questo  in  febbraio  e  marzo  si  raccomanda  una  spuntatura 
delle  gettate  dell'anno  decorso,  per  togliere  la  parte  estrema  dei  rami,  che  per  lo  più, 
durante  l'inverno,  dissecca  perché  il  legno  non  era  maturo. 

La  cancrena  è  molto  comune  e  molto  vigorosa  nelle  viti  vecchie  e  nei  gelsi.  Per  lo 
più  è  provocata  da  tagli  male  eseguiti,  non  lisci  e  dal  succedersi  durante  o  dopo  la 
potatura  di  tempi  incostanti,  freddi  ed  umidi. 

E'  facile  conoscere  la  cancrena  all'inizio  della  malattia,  esaminando  il  legno  presso 
1  tagli  delle  potature.  A  tal  uopo  si  debbono  praticare  i  tagli  stessi  nel  tronco.  Se  la 
pianta  è  sana,  i  tagli  vecchi  si  presentano  perfettamente  cicatrizzati  ;  se  è  ammalata, 
si  mostrano  affetti  da  macchie  brune  di  seccume. 

Mezzi  dì  difesa:  allontanasi  con  ferro  tagliente  tutte  le  parti  dei 
rami  intaccati  fino  che  si  trova  il  legno  sano,  e  poi  si  copra  la  ferita 
con  un  mastice  o  con  catrame. 

4.  —  La  Carie  centrale  o  Lupa,  Lupa  del  gelso,  Lupa  dell'  olivo, 
Carie  del  castagno. 

E'  una  corruzione  degli  strati  piti  riposti  della  base  del  tronco, 
dai  quali  progredisce  verso  i  piti  lontani  fino  al  cambio.  Lo  spessore 
delle  pareti  cellulari  del  legno,  crescendo  di  anno  in  anno,  acquista 
tali  dimensioni  da  impedire  ogni  circolazione  di  umori  e  di  umidità 
tra  gli  strati  esterni  ed  interni,  perciò  il  centro  del  tronco  si  asciuga 
e  restringe  e,  restringendosi,  si  fonde  e  produce  screpamenti,  che 
i  pratici  chiamano  quadrati,  perchè  seguono  i  raggi  midollari.  Essi 
sono  propri  a  tutti  gli  alberi  di  età  molto  avanzata,  cui  non  apporte- 
rebbero molto  danno  se  non  fossero  vie  per  le  quali  gli  umori  degli 
strati  esterni,  tornando  ad  insinuarsi  nel  centro,  iniziano  un  processo 
di  fermentazione  putrida,  che  li  rende  cavi. 

La  decomposizione  dei  tessuti  può  essere  causata  oltre  che  dalla 
vecchiaia,  dal  parassitismo  di  alcuni  funghi,  ad  esempio  da  Basidiomiceti 
(vedi  pag.  423),  dalla  sterilità  del  terreno  e  dalla  sua  compatezza,  da 
eccesso  di  umidità,  dalla  svettatura  di  grossi  rami,  da  troppo  energiche 
potature,  dall'  innesto,  dal  freddo  o  da  una  eccessiva  siccità. 

Mano  mano  che  per  queste  diverse  cause  la  malattia  progre- 
disce, la  pianta  diminuisce  di  vigoria,  la  linfa  si  decompone,  i  tessuti 
prendono  un  colore  fosco  e  perdono  la  loro  elasticità.  In  un  se- 
condo stadio  della  malattia,  il  tessuto  legnoso  inaridisce  ed  imputri- 
disce. Le  piante  più  danneggiate  sono  il  gelso,  l'olivo,  il  castagno, 
il  noce. 

Mezzi  di  difesa  :  a)  Evitare  gli  impianti  in  luoghi  umidi. 
b)  Non  propagare  l'olivo  per  ovoli. 

e)  Fare  tagli  ben  netti  alle   piante  e  spalmare   le   ferite   con  ca- 
trame. 

d)  Trovato  il  male,  amputare  la  pianta  fino  alla  parte  sana. 

e)  Se  il  male  è  nel  tronco,  mondare  internamente  il  legno  guasto 
e  riempire  la  cavità  con  malta  e  cemento. 


-  491  - 

5.  —  Altre  malattie  derivate  dalla  decomposizione  dei  tessuti  sono: 
la  gommosi  (vedi  pag.  400);  la  filloptosi  (perdita  precoce  delle  foglie  che 
diventano  giallognole  e  biancastre);  la  gommosi  alla  radice  dell'olivo:  il 
marciume  o  pinguedine  del  fico  che  si  mani  lesta  nelle  radici  ed  intorno 
al  colletto  ;  il  marciume  delle  pale  del  fico  d'India,  la  resinosi  e  l'ulcera. 


XXIX. 

Malattie  dovute  al  regime  colturale, 
ed  a  cattive  condizioni  del  terreno  o  dell'atmosfera. 

1.  —  Aborto  dei  fiori,  degli  acini,  e  colatura.  Queste  malattie  pos- 
sono essere  naturali,  quando  sono  dovute  alla  qualità  intrinseca  della 
pianta  (per  esempio  alcune  uve  da  tavola,  il  Gamay,  il  Pinot  vi 
vanno  molto  soggette);  accidentali,  quando  sono  prodotte  da  una  ve- 
getazione troppo  vigorosa  o  troppo  debole  dovuta  ad  intemperie. 

I  fiori  rimangono  sterili  se  il  gineceo  od  androceo  abortiscono  il 
che  può  avvenire  se  non  arrivono  uno  o  l'altro  a  completo  sviluppo  al 
momento  della  fecondazione.  Allora  avviene  che  gli  stami  o  pistilli  si 
trasformano  in  foglie  o  capreoli  come  nella  vite. 

Mezzi  di  difesa  :  a)  Non  innestare   con  marze   provenienti    da   sog- 
getti sterili,  o  da  piante  di  eccessivo  vigore  dovuto  anche  a  giovinezza. 
b)  Applicare  tutti  i  mezzi  che  servono  ad  arrestare  il  movimento 
della  linfa  (incurvatura  dei  rami,  incisioni  anulari,  intaccatura  ecc.). 

e)  Riparare  le  piante  dai  freddi  primaverili  nonché  dalla  nebbia 
ed  umidità  in  genere,  all'epoca  della  fioritura. 

d)  Concimare  con  concimi  potassici  e  fosfatici. 

2.  —  Rossore.  Arrossamento  repentino  delle  foglie  di  vite  d'estate 
dovuto  all'azione  di  forti  venti  e  subitanei  abbassamenti  di  temperatura. 

Si  provveda  con  una  abbondante  nutrizione. 

3.  —  Apoplessia  delle  viti.  Molte  volte  è  causata  dai  venti  nei  terreni 
umidi. 

4.  —  Aspermia  (fig.  399-401).  È  un  fenomeno  patologico. 

Nella  figura  399  abbiamo  si  può  dire  un  frutto  (pera)  sorto  dal  calice  di  un'altro, 
oppure  concresciulo  con  un  ramo  (fig.  400).  Per  spiegare  il  fenomeno  noi  possiamo 
considerare  il  frutto  del  pero  e  del  melo  come  un  ramo  che  si  è  straordinariamente 
ingrossato  per  un  tratto,  il  quale  porta  all'estremità  le  foglie  ffoglioline  del  calice), 
mentre  il  fiore  si  sviluppa  nella  capsula  del  frutto  che  poi  racchiude  i  semi.  Vedasi 
la  figura  401.  In  g)  si  vedono  i  vasi  che  trasportano  il  succhio  del  peduncolo  e  che  si 
aprono  a  calice  per  dar  posto  agli  organi  del  fiore,  di  cui  in  bl)  si  vedono  i  petali;  stj 
stami;  nj  lo  stimma,  il  quale  si  piega  posteriormente  e  racchiude  la  capsula  dei  semi 
in  K).  Tutto  questo  è  esterno  alla  capsula  ultima  che  costituisce  la  polpa  del  frutto.  In 
fondo,  in  pj  si  trova  un  nucleo  di  cellule  apicali  del  peduncolo,  capaci  di  prolungarsi 
come  nella  fig.  399  e  formare  un  secondo  frutto  (fig.  401). 

Si  manifesta  di  sovente  sugli  agrumi,  e  talvolta  sul  pero  e  melo.  I 
frutti  sono  senza  semi. 


492 


Si  rimedia  colle  concimazioni  fosfatiche. 

5.  —  Clorosi.  Con  tal  nome  si  chiama  il  fenomeno  dell'ingiallimento 
delle  foglie  che  può  essere  cagionato  : 

a)  dalla  natura  chimica  del  terreno  e  sopratutto,  per  le  viti  ame- 
ricane, dall'eccessiva  l'icchezza  in  calcare  finamente  diviso  e  polveru- 
lento quando  di  argilla  vi  sia  al  disotto  di  Vs  di  quantità  del  calcare.  In 
un  terreno  che  contiene  30  %    di  calcare  ed 
appena  il  15%  di  argilla  si  ha  comunissima 
la  clorosi  ; 

b)  dall'eccesso  di  umidità  nel  terreno  ; 
e)  dallo  stato  di  deperimento  di  certe 
,  ffl  piante  ; 

^i  ^m  d)  dal  freddo  tardivo  in  primavera; 

^^k,    H^^^Éw/  ^^  dalla  compatezza  del  terreno. 

/^yé*"'^^  Si  rimedia  togliendo  queste  cause  e  ado- 

perando solfato  di  ferro  per  promuovere  la 
formazione  della  materia  verde  nelle  foglie. 
Il   solfato    di   ferro  si  può  applicare  nei 
seguenti  modi  :   • 

a)  In  cristalli  posti  ai  piedi  dei  ceppi 
in  autunno  :  da  gr.  300  ad  1  chilogramma  per 
piede.  L'azione  di  sale  di  ferro  è,  in  queste 
condizioni,  assai  lenta. 

b)  In  soluzione  :  gr.  100  a  130  sciolti  in 
12  litri  di    acqua  per   ogni    ceppo,  alla 

fine  di  febbraio  o  ai  primi  di  marzo 
(M.  Tord). 

e)  Con  polverizzazioni  al  si- 
stema aereo  di  una  soluzione  con- 
tenente da  kg.  0.3  a  1  kg.  di  vetriolo 
verde  in  100  litri  di  acqua  (Gris, 
Roupelier  ed  altri). 
d)  Con  pennellazione  del  ceppo  e  dei  tagli  della  potatura  (che 
giova  anticipare)  col  miscuglio  Skawinsky  (pag.  397), 

I  Prof.  G.  Rivière  e  G.  Bailhache  pensarono  di  sostituire  al  solito  solfato  ferroso 
nella  cura  della  clorosi  degli  alberi  fruttiferi,  il  perfosfato  di  ferro  citro  ammoniacale. 
Il  motivo  di  questa  sostituzione  è  d'impedire  la  formazione  di  precipitato  coi  tan- 
nini, e  quindi  l'ostruzione  dei  vasi  della  pianta.  Infatti  come  è  noto,  introducendo  il  sale 
ferroso  in  una  cavità  praticata  nel  tronco  di  un  albero,  molte  volte  l'azione  del  rimedio 
resta  localizzata  alle  branche  più  vicine. 

Gli  autori  provarono  ad  introdurre  il  pirofosfato,  praticando  una  cavità  cilindrica 
con  una  trivella  a  10  cm.  d'altezza  del  fusto,  penetrando  orizzontalmente  fino  al  midollo. 
Poi  chiusero  questo  foro  con  un  turacciolo  attraversato  da  un  tubo  sottile  di  vetro,  pie- 
gato all'esterno  ad  angolo  retto,  e  terminante  con  una  allunga  mantenuta  verticale  e 
lunga  circa  un  metro.  In  questa  allunga  si  mette  la  soluzione  del  sale. 

L'  esperienza  ha  dimostrato  che  la  migliore  concentrazione  della  soluzione  è  di 
gr.  50  per  litro  d'acqua.  A  tale  concentrazione,  il  sale,  senza  precipitare  il  tannino,  si 
diffonde  facilmente  in  tutte  le  parti  della  pianta,  con  buoni  risultati  senza  determinare 
alcun  disturbo  alla  pianta  trattata. 


Fig.  399.  —  Un  frutto  di  pero 
che  sorge  dal  calice  di  un  altro. 


—  493  — 

6.  —  Imbriinimento  delle  foglie  di  vile  ed  il  male  di  California.  Tutte 
e  due  queste  malattie  venivano  attribuite  al  parassitismo  di  due  Mixo- 
miceti,  ma  il  Ravaz  ha  dimostrato  che  l'inibrunimento  è  una  causa 
particolare  d'impoverimento  del  ceppo  determinato  dalla  produzione. 
Si  rimedia  limitando  la  produzione  dell'uva  specialmente  alle  viti  gio- 
vani e  dando  incremento  con  cimazioni  potassiche  alla  vegetazione. 
In  Italia  non  abbiamo  ancora  queste  due  malattie. 


Fig.  400.  —  Pera  in  via  di  sviluppo  senza 
seme.  .Si  conosce  che  la  polpa  del  frutto 
non  è  altro  che  l'anello  carnoso  d'un  ramo. 


Fig.  401.  —  Figura  schematica  di  una 
gemina  fiorifera  di  melo.  Il  pendacelo 
del  fiore  possiede:  g)  i  vasi;  bl)  petali: 
st)  stami;  n)lo  stimma:  A')  capsula  dei 
semi;  p)  nucleo  apicale  del  penducolo. 


7.  —  Rachilismo,  viti  vizze,  fraslagliamenlo  delle  foglie.  Tutti  questi 
nomi  servono  a  designare  manifestazioni  patologiche  della  vite  che  i 
Francesi  chiamano  Roncet,  il  cui  carattere,  secondo  il  Pantanelli  è  "  la 
frastagliatura  delle  foglie,,,  a  cui  sembra  doversi  aggiungere  "la  mac- 
culatura  pallida  delle  foglie  stesse  „  che,  per  analogia  con  la  ben  nota 
malattia  del  tabacco,  il  Pantanelli  chiama  mosaico  della  vite. 

Altro  carattere  del  Roncet  è  il  raccorciamento  degli  internodi 
(Court  nouc)  con  la  corteccia  escoriata,  con  fenditure  rognose;  e  per  il 


-  494  — 

legno  più  compatto  e  più  duro  del  sano.  Germogli  brevi,  affastellati  ;  i 
fiori  cadono  prima  di  fiorire,  foglie  piccole,  grinzose,  giallastre. 

Non  si  conoscono  ancora  bene  le  cause  di  questa  malattia  ma  si 
sa  soltanto  che  specialmente  in  alcune  specie  di  viti  come  le  Rupestris 
si  trasmette  coll'innesto,  si  propaga  per  talea,  e  che  si  comunica  nelle 
talee  sane  quando  si  piantano  in  terreni  dove  si  trovano  viti  amma- 
late di  Roncet. 

Sono  accertate  fino  ad  ora,  le  seguenti  cause  predisponenti  dalla 
malattia  : 

1.  I  freddi  nel  periodo  della  germogliazione  della  vite. 

2.  Il  disporre  la  vite  a  fruttificare  troppo  presto  e  troppo  abbon- 
dantemente dopo  l'innesto. 


Fig.  402.  —  Rami  a  frutto  di  pero  con  scabbia  :  r)  screpola- 
ture della  corteccia  che  vanno  in  giro  intorno  al  ramo; 
*)  estremità  morta;  b)  sollevamento  di  scorza  prodotta 
dal  callo;  u)  placca  di  gelo;  sp)  dardo  sotto  al  quale  si 
forma  un  anello  inciso  che  lo  fa  cadere  coll'estremità  ; 
a)  squama  di  scabbia   sotto   alla  quale  si  torma  il  callo. 


Fig.  403. 

Cellula  di  pera 

presa   da  Farinosità. 

La  cellula  contiene 

dello  zucchero. 


3.  Il  prolungamento  esagerato  dello  stato  di  vita  attiva  dei  ceppi 
nella  stagione  autunnale. 

8.  —  Scabbia  (fig.  402).  E'  dovuta  alla  esuberanza  di  umidità  e  di 
elementi  nutritivi  nel  terreno  con  deficenza  di  calcare. 

Il  pero  va  soggetto  a  questa  malattia  e  si  manifesta  con  delle  scre- 
polature sulla  scorza  dei  rami  che  si  cicatrizzano  poi  con  delle  produ- 
zioni sugherose  cosi  da  far  apparire  il  ramo  squamoso. 

Bisogna  drenare  il  terreno  e  concimare  con  elementi  calcari,  eli- 
minando gli  altri. 

9.  —  Farinosi  delle  fruita  (fig.  403).  11  processo  della  maturazione 
della  frutto  è  un  processo  di  fermentazione,  in  conseguenza  del  quale 
le  materie  zuccherine  si  convertono  in  alcool  che,  combinandosi  cogli 


-  495  - 

acidi  vegetali,  dà  luogo  alla  formazione  degli  eteri,  che  danno  l'aroma 
alle  frutta. 

Se  questo  processo  avviene  coi  forti  calori,  gli  acidi  volatilizzano 
prima  di  reagire  sull'alcool,  ed  allora  la  polpa  rimane  farinosa,  insipida 
Ciò  avviene  nelle  pere  e  mele  precoci. 

Nelle  pesche  tardive  avviene  il  medesimo  fenomeno,  ma  per  causa 
opposta.  E  cioè  in  queste  frutta,  anche  se  rimangono  a  lungo  esposte 
sulla  pianta,  non  avviene  la  fermentazione  e  manca  quella  produzione 
d'alcool  necessaria  per  far  agire  gli  acidi  e  produrre,  per  reazione  di 
essi,  degli  eteri. 

Si  manifesta  la  malattia  nelle  pere  e  mele  precoci  quando  si  hanno 
dei  caldi  eccessivi  d'estate  e  nelle  pesche  tardive,  quando  l'autunno  è 
freddo.  La  polpa  diventa  farinosa,  insipida  e  prendendola  fra  le  dita 
forma  una  pasta. 

Mezzi  di  difesa  :  a)  Non  piantare  in  località  molto  calde  le  varietà 
che  hanno  questo  difetto. 

b)  Scegliere  per  spalliere  innesti  di  piante  trovantisi  in  paesi  più 
freddi  e  possibilmente  da  pieni  venti. 
e)  Raccolta  anticipata  della  frutta. 

10.  —  Siiberosi.  E'  una  sovrapposizione  di  tessuto  suberoso  sulle 
lenticelle  della  corteccia,  in  modo  che  toccando  colle  dita  si  stacca  una 
farina  gialla  ocracea.  Le  cause  della  malattia  sono  l'eccessiva  umidità 
ed  eccessivi  elementi  nutritivi  nel  terreno,  che  determino  soverchio 
turgore  dei  tessuti  mancando  una  traspirazione  proporzionale.  Di  fatti 
si  nota  specialmente  su  quei  rami  ai  quali  cadono  precocemente  le 
foglie.  Le  piante  più  danneggiate  sono:  pero,  pesco,  melo,  ciliegio, 
susino  e  vite.  Nella  fig.  404  abbiamo  un  tronco  di  melo  sul  quale  sotto 
alle  squame  esterne,  più  dure  della  scorza,  si  formò  una  massa  sughe- 
rosa, dapprima  di  color  bruniccio  chiaro,  poi  nerastra,  e  polverulenta. 

Anche  le  radici  del  susino  e  della  vite  possono  venire  colpite  dalla 
suberosi,  cosi  gli  acini  della  vite  (fig.  405).  Nelle  primavere  umide 
quando  succedono  rapidamente  delle  giornate  molto  asciutte  e  calde, 
avviene  che  alcune  cellule  della  epidermide,  non  trovantisi  sotto  gli 
stomi,  si  ingrossano  in  senso  radiale,  cosi  da  sporgere  dalla  super- 
fice  e  producono  poi  un  rivestimento  sugheroso  che  imbrunisce,  inol- 
trandosi la  stagione.  Questo  fenomeno  viene  anche  provocato  molte 
volte  dall'azione  meccanica  dello  zolfo. 

Mezzi  di  difesa:  Scuotere  le  piante  dopo  la  pioggia,  perché  asciu- 
ghino presto. 

Suir  uva  spina  si  ha  la  suberosi  anche  sulle  foglie. 

11.  —  Malattia  dell' inchiostro  del  castagno.  Non  si  conosce  la  causa 
determinante  la  malattia  che  fa  molto  danno,  però  ultimamente  il 
Prof.  Briosi  avrebbe  accertato  che  trattasi  di  malattia  crittogamica. 

Sul  fusto  e  sulle  radici  si  notano  delle  macchie  nere  in  seguito 
alle  quali  le  piante  avvizziscono  ed  ì  frutti  rimangono  piccoli.  Nelle 
cellule  si  trovano  delle  concrezioni  con  reazione  di  tannino. 


—  496  — 

Anche  il  noce  va  soggetto  ad  una  malattia  simile  chiamata  mal  nero 
del  noce. 

12.  —  La  malatlia  del  nocciuolo  si  manifesta  col  deperimento  gene- 
rale della  pianta;  le  foglie  delle  estremità  ingialliscono;  i  rami  dell'an- 
nata avvizziscono  all'estremità.  Le  nocciuole  all'esterno  non  presentano 
alcun  carattere  anormale,  soltanto  cadono  al  primo  urto  e  se  aperte, 
presentano  i  cotiledoni  abbruniti  e  secchi.  Si  ha  quindi  una  precoce 
caduta  di  frutti,  i  quali,  fin  dal  luglio  e  dall'  agosto,  si  staccano  ;  tal- 
volta il  prodotto  è  interamente  distrutto. 


f% 


^ 


Fig.  404.   —   Suberosi  fari- 
nosa nel  tronco  di  melo. 


Fig.  405. 


AciniTd'uva  in  doppia  grandezza  del  naturale 
colpiti  da  suberosi  al  pendicello. 


Il  Dott.  Brizi  ha  trovato  nelle  radici  galle  nelle  quali  scoperse 
un  forellino  per  il  quale  potrebbe  penetrare  od  uscire  un  insetto. 
Questo  insello  però  è  sconosciuto  e  quindi  è  bene  ancora  considerare 
questa  malattia  nel  presente  capitolo. 

13.  —  Melata  o  manna.  E'  un  trasudamento  del  succhio  che  si 
mostra  sulla  pagina  superiore  della  foglia,  con  un'apparenza  vischiosa 
e  di  sapore  dolce.  Lo  si  scorge  ordinariamente  nel  mese  di  maggio, 
dopo  alcuni  giorni  di  pioggia,  al  comparire  del  sole. 

Ecco  come  il  Peluso  spiega  la  ragione  di  questa  malattia  per  il  gelso. 

"  Ridotto  il  succhio  in  molta  coppia  nelle  cellule,  dilatalo  dal 
calore  del  sole,  al  sopravvenire  della  notte  serena,  per  un  subilo  res- 
tringimento delle  pareti,  è  spinto  fuori  dagli  stomi  superficiali,  e  il 
sole  di  nuovo  evaporando  l'acqua  che  contiene,  lo  riduce  in  uno  stalo 


-  497  - 

più  denso,  mantenendo  quella  porzione' di  glucosio  che  ordinariamente 
va  con  esso. 

"  Perchè  il  fenomeno  succeda,  è  necessario  che  l' albero  sia  ben 
nutrito  e  vigoroso,  che  avvengano  quelle  vicende  atmosferiche  che 
possono  condurre  il  tessuto  a  manifestare  gli   effetti  in  quella  guisa.  „ 

Il  prof.  Comes  che  concorda  in  questa  spiegazione  della  malattia, 
consiglia  specialmente  i  lavori  profondi  e  la  lavorazione  del  terreno 
per  aerearlo,  senza  fare  alcuna  coltivazione  sottostante. 

Questa  malattia  è  di  solito  anche  accompagnata  da  invasioni  di 
afidi  i  quali  si  nutrono  di  alcune  goccia  di  un  liquido  vischioso,  in- 
colore, dolciastro  che  appare  sulle  foglie.  Le  piante  danneggiate  sono 
vite,  gelso,  agrumi,  melo,  susino,  olivo. 

Mezzi  di  difesa  :  a)  Annaffiare  ripetutamente  le  foglie  ed  il  terreno. 
b)  Combattere  i  pidocchi  che  eventualmente  possono  essere  la 
causa  del  male. 

Il  Dott.  Petri,  per  quanto  riguarda  l'olivo,  è  pure  del  parere  che  si 
deve  attribuire  la  malattia  a  disturbi  fisiologici  od  a  parassiti  animali. 

14.  —  Brusca  dell'olivo,  così  si  chiama  quell'alterazione  per  la  quale 
d'un  tratto  le  frondi  dell'olivo,  da  verdi  e  rigogliose,  diventano  abbruciac- 
chiate e  secche. 

Il  Petri  attribuisce  la  malattia  alle  seguenti  cause: 

a)  Nebbia  e  rapidi  passaggi  dal  freddo  al  caldo. 

b)  Vento  marino. 

e)  Marciume  radicale  seguito  o  no  da  gommosi. 

d)  Parassitismo  della  Stictis  Panizzei  De  Not. 
Pare  che  si  tratti  di  disturbi  funzionali  delle  foglie  determinati  indi- 
rettamente da  alterazioni  dell'apparato  radicicolo  (Petri)  e  quindi  viene 
consigliato  di  rinnovare  questo  con  una  scalzatura  delle  piante,  seguita 
da  una  buona  sbarbettalura,  tagliando  le  radichette,  sostituendo  poi  la 
terra  con  altra,  buona,  fertile  e  mista  a  concimi. 


XXX. 

Malattie  dovute  a  sostanze  nocive  trovantesi 
nel  terreno  o  nell'  aria. 

Generalmente  queste  sostanze  vengono  chiamate  veleni,  ma  vi  sono 
anche  delle  sostanze  non  velenose  che,  se  si  trovano  in  eccesso  o 
difetto,  possono  recare  nocumento  alla  pianta.  In  questo  capitolo 
citiamo  le  principali. 

1.  —  Anidride  solforosa.  Questa  si  trova  nel  fumo  delle  fonderie 
e  di  quelle  officine  che  bruciano  la  lignite  o  la  torba  contenente 
della  pirite  di  ferro,  cosi  pure  vicino  alle  fabbriche  di  acido  solforico, 
danneggia  le  piante,  facendo   contrarre  il  protoplasma  delle  cellule  le 

32  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


quali  perciò  perdono  il  loro  turgore.  In  conseguenza  la  clorofilla  viene 
decomposta  rimanendo  soltanto  la  xantofilla.  In  una  parola  le  foglie 
perdono  il  colore,  diventano  gialle  o  brune  ed  avvizziscono,  disseccano 
e  ciò  appunto  perchè  vengono  alterate  la  circolazione  e  la  traspi- 
razione. 

2.  —  Gas  iUiiminante.  Nelle  città,  lungo  i  passeggi,  non  di  rado 
per  qualche  lieve  spandimento  delle  condutture  di  gas,  impossibile  ad 
evitare,  si  hanno  danni  agli  alberi.  Il  gas  è  venefico  per  le  sostanze 
eterogenee  che  contiene,  rende  le  radici  bluastre  e  inattive.  I  danni 
sono  maggiori  durante  il  periodo  vegetativo. 

3.  —  Gas  aminoniacaii.  Questi  pure  son  dannosi  alle  piante,  tanto 
che,  per  esempio,  si  sono  verificati  danneggiamenti  in  serre  che  erano 
in  comunicazione  con  stalle. 

4.  —  Cloro  e  vapori  d'acido  cloridrico.  Arrecano  eguale  danno  del- 
l'anidride solforosa. 

5.  —  Acido  fluoridrico.  Nelle  vicinanze  delle  fabbriche  di  concimi 
chimici  dove  si  lavorano  fosforiti,  specialmente  se  il  tempo  è  umido, 
si  hanno  danni  notevoli  per  questo  gas,  che  danneggia  tutte  le  piante 
colle  quali  viene  in  contatto,  sia  arboree  sia  erbacee,  intaccando  il  pro- 
toplasma delle  cellule  e  decomponendo  la  clorofilla.  Siccome  in  molte 
di  queste  fabbriche  si  ottiene  l'acido  solforico  colle  piriti,  anche  da 
questo  processo  si  ha  un  altro  inquinamento  d' aria  per  l'anidride 
solforosa,  come  abbiamo  già  detto 

6.  —  Acido  solfidrico,  solfuro  di  carbonio,  esalazioni  vulcaniche, 
vapori  d'olii  eterei,  producono  macchie  brune  sulle  foglie. 

7.  —  Vapori  di  catrame  e  bitume,  vapori  di  acido  prussico,  fanno 
perire  in  brevissimo  tempo  le  piante. 

8.  —  Acidi  liberi,  sono  pure  dannosi. 

9.  —  Soluzioni  alcaline.  Le  soluzioni  di  soda  o  cenere  della  densità 
di  1.01  danneggiano  le  piante,  facendo  imbrunire  prima  le  radici,  poi 
le  foglie,  che  muoiono.  Di  questo  bisogna  prenda  nota  il  frutticoitore, 
che  adopera  tanto  di  frequente  la  cenere  per  concime. 

10.  —  Arsenico.  E  molto  velenoso  anche  per  le  piante.  È  sufficiente 
una  soluzione  all'uno  per  mile  per  far  periie  in  poco  tempo  una  pianta. 

11.  —  Sali  mercuriali.  Specialmente  il  cloruro  di  mercurio  è  molto 
dannoso. 

12.  —  Sali  di  rame.  Adoperandosi  il  solfato  di  rame  per  distruggere 
le  spore  dei  parassiti  vegetali,  è  evidente  che  anche  le  semplici  solu- 
zioni di  questo  sale  possono  danneggiare  una  pianta.  Difatti  una  solu- 
zione semplice  oltre  l'uno  per  mille  danneggia  generalmente  la  parte 
erbacea.  Fino  a  che  limite  le  radici  possono  tollerare  questa  soluzione 
non  è  stato  ancora  constatato. 

13.  —  Sali  di  piombo.  Se  le  soluzioni  rimangono  a  lungo  in  contatto 
colle  radici,  queste  vengono  danneggiate. 

14.  —  Sali  di  zinco.  Sono  relativamente  poco  dannosi:  mentre  le 
piante  ritardano  il  loro  sviluppo,  tollerano  una  soluzione  fino  al  2.78  %. 


-  499  — 

15.  —  Sali  di  ferro.  Sono  specialmente  dannosi  il  solfato  acido  ed 
il  carbonato. 

16.  —  Sali  di  litio,  solfuri,  bromuri,  joduri,  borati,  cianuri.  Sono 
tutti  nocivi. 

17.  —  Cenere  dei  vulcani.  Si  sono  verificati  più  volte  danni  alle 
vigne  ed  ai  giardini  intorno  al  Vesuvio  per  effetto  delle  pioggie  di 
cenere  eruttate  dal  vulcano.  Tutte  le  parti  imbruniscono,  ma  questo 
imbrunimento  è  diverso  da  quello  che  potrebbe  avvenire  per  scotta- 
tura. Cosi  pure  le  pioggie  di  fango  danneggiano  la  vegetazione.  Il  Prof. 
Pasquale  attribuisce  questo  danno  ai  componenti  della  cenere,  che 
agisce  sulle  piante  come  l'acqua  salata. 

18.  —  Cloruri.  Quantunque  il  cloruro  di  sodio,  potassio  e  calcio 
siano  elementi  nutritivi  delle  piante,  se  in  quantità  esuberanti  le  danneg- 
giano: sopratutto  il  cloruro  di  sodio,  in  soluzione  nel  terreno,  o  in 
sospensione  nell'  aria,  come  lungo  le  spiaggie  del  mare.  Nel  terreno, 
danneggia  la  pianta  se  in  una  soluzione  superiore  al  0.5  7o- 

19.  —  Acido  fenico.  Anche  questo  è  dannoso  e,  quantunque  venga 
consigliato  e  faccia  parte  di  molti  insetticidi,  pure  1'  agricoltore  deve 
adoperarlo  con  prudenza  e  non  oltrepassare  i  limiti  prescritti  per  il 
rimedio. 

Il  Carbolineo,  che  viene  adoperato  per  conservare  i  pali  di  sostegno 
e  per  spalmare  i  cassettoni  dei  semenzai,  può  anch'esso  recare  qualche 
danno  ai  rami  ed  alle  foglie. 

20.  —  Petrolio.  Il  petrolio  danneggia  seriamente  le  piante  sia  alle 
radici  che  ai  rami.  Il  terreno  bagnato  da  petrolio  perde  ogni  vegeta- 
zione fino  a  che  tutto  il  petrolio  non  evapori.  Sui  rami  l'effetto  è  lungo, 
poiché  i  tessuti  se  ne  imbevono  ed  avviene  che  anche  dopo  uno,  due 
anni  se  ne  risentano  gli  efletti. 

Ho  sempre  consigliate  le  emulsioni  di  petrolio  per  combattere  gli 
insetti  con  una  certa  prudenza,  in  causa  di  questo  fatto. 

21.  —  Catrame,  vapori  d'asfalto,  prodotti  della  distillazione  del  catrame 
sono  meno  dannosi  del  petrolio  però  anche  loro  producono  delle 
alterazioni. 

22.  —  Alcaloidi.  La  nicotina,  la  morfina,  la  stricnina  danneggiano 
soltanto  le  foglie  -,  disseccandosi  sopra,  disorganizzano  le  cellule  del- 
l' epidermide, 

23.  —  Acido  ossalico.  Danneggia  le  radici. 


—  500  - 

XXXI. 

Guida  per  determinare  le  principali  malattie 
delle  piante  da  frutto. 


I.  Deperimento  generale  della  pianta. 

A.  Danni  dovute  a  malerbe 

B.  Danni  dovuti  al 

a)  vischiol  il  quale  spunta  qua  e  là  dalla  corteccia  dei 
rami,  a   ciuffi   sempre  verdi,  ramificati  a  forchetta 


b)  alla  cuscuta  che  avvolge  i  grappoli  d'uva  con  filamenti 
e)  ai  musclii  e  licheni  che  si  trovano  sul  tronco  e  rami 

C  Danni  dovuti  ad  intemperie 

D,,  „        a  ferite 

E.       „  „  regime  colturale 

P-       n  ,  cattive  condizioni  del  terreno  . 

^-       "  »  ,.  „  dell'atmosfera 

^-  «  »  sostanze  nocive  trovantesi  nel  terreno 
o  nell'aria 

^-        »  »  alla  sfrondatura 

L.  Malattie  che  si  manifestano 

a)  colla  mortalità  repentina  di  un  tralcio  o  di  tutta  la 
pianta:  Apoplessia 

b)  coU'intristimento  generale,  le  foglie  diventano  piccole, 
giallognole,  rare,  cadenti  e  con  una  lacrimazione  ab- 
bondante dalla  ferite  :  Idropisia 

e)  colorazione  meno  intensa  che  poi  diventa  giallo  ocracea 
delle  foglie,  le  quali  imbruniscono  dalla  periferia  al 
centro  e  poi  cadono:  Clorosi 

f)  le  foglie  delle  estremità  ingialliscono,  i  rami  dell'an- 
nata avvizziscono  all'estremità,  le  nocciuole  portano 
i  cotiledoni  abbruniU  e  secchi  :  Malattia  del  nocciuolo 

II.  Danni  e  malattie  delle  radici. 

A.  Scavano  delle  gallerie  guastando  le  radici 

1.  le  Talpe 

2.  un  insetto  perfetto  :  Grillotalpa 

B.  Rodono  le  radici 

1.  animali  superiori  :  Topi 

2.  larve  di  coleotteri 

a)  bianche,  lunghe  40-50  mm.  al  massimo  e  larghe 
13  mm.,  grinzose,  sul  di  dietro  alquanto  ingrossate: 
Maggiolino 

b)  simili  alle  precedenti  ma  più  piccole  :  Bromins  vitis 
e)  idem  :  Carruga  degli  orti  (Phylloperta  horticola) 

d)  allungate,  cilindriche,  alquanto  compresse  ai  lati, 
più  grosse  posteriormente  :  capo  carneo,  giallo  ros- 
siccio, con  robuste  mandibole  brune.  Colorito  bianco 
gialliccio,   una  macchia  gialla   sui   Iati  del   primo 


Nome  delle  piante 
intaccate 


pero,  melo,  noce,  car- 
rubo, nespolo,  susino, 
mandorlo 

vite 

tutte 


gelso,  pero  e  ribes 


vite 
tutte 


479 
484 
491 
491 
491 

497 
484 


434 
435 


464 
467 


501 


Nome  delle  piante 

Pag. 

intaccate 

segmento.  Pelle  rugosa  con  peli  giallicci:  Anomala  vitis 

vite,  ciliegio, 

mandorlo 

464 

e)  piccole,  bianche,  apodi,  lunghe  10  mm.  :  Othiorhijn- 

chus  gen 

susino,  vite,  pero, 
pesco,  olivo,  melo. 

lampone,  ciliegio 

469 

C.  Succhiano  gli  umori 

1.  afidi  e  loro  larve 

a]  che  producono  dei  rigonfiamenti  sulle  radichette  a 

forma  di  uncino  :  Fillossera 

vite 

442 

b)  che  schiacciati  lasciano  un  umore  sanguigno;  Schi- 

zoneura  lanigera 

cotogno,  melo,  pero 

444 

c)  di  color  verde  :  Aphis  aoellanae 

nocciuolo 

442 

D.  Sulle  radici  di  piante  deperenti  si  notano 

a)  placche  bianche,  brune,  cordoni  bianchi  con  odore 

di  fungo  e  marcescenza  di  radici:  Marciume  radicale 

tutte 

402 

b)  macchie  nere  in  seguito  alle  quali  le  piante  avviz- 

ziscono :  Mal  dell'inchiostro 

castagno 

495 

e)  ingrossamenti,  tumori  duri  e  legnosi  :  Tubercolosi 

olivo 

398 

idem  :  Rogna 

vite 

398 

d)  callosità  :  JVfarezzo 

albicocco,  cotogno, 
lampone,  mandorlo. 

olivo,  pero 

489 

ITI.  Danni  e  malattie  del  tronco  e  rami 

A.  Alterazioni  per  le  quali  la  corteccia  muore  o  screpola. 

senza  rigonfiamenti  o  spaccature  profonde 

1.  muore  a  larghe   chiazze   ed  in   lunghe   strisele    dalla 

parte   più   illuminata   dal   sole  :   Screpolature  solari  o 

Scottatura 

tutte 

479 

2.  strisele  larghe  che  si  sfaldano  un  po'  per  volta:  Colpo 

di  sole  al 'fusto 

481 

3.  strisele  che  si  sollevano  longitudinalmente  e  ad  ogni 

striscia  corrisponde  una  spaccatura  del  legno  :  Striscia 

^ 

481 

B.  Alla  base   del  fusto  si  notano   delle   macchie    nere,  in 

seguito  ;alle   quali   la  pianta   avvizzisce  ed   i   frutti    ri- 

mangono piccoli 

a)  Mal  dell'inchiostro 

castagno 

495 

b)'Mal  nero  del  noce 

noce 

595 

C.  Imbrunimento  e  screpolature  sulla  corteccia  :  Cancro 

tutte 

412 

D.  Rigonfiamenti  e  pullulazione  di  protuberanze 

1.  al  fusto  :  Marezzo  al  fusto 

cotogno,  pero,  ribes, 

susino 

489 

2.  tuberosità  molli  e  spugnose  finché  sono  in  formazione. 

poi  compatte  o  legnose,  bernoccolute,   connuenti,  che 

sollevano  la  corteccia,  riducendola  a  brandelli:  Rogna 

gelso,  olivo,  vite 

398 

3.  sui  rami  giovani  la   corteccia  si   screpola  e  poi   cica- 

trizza con  produzioni  sugherose,  così  da  far   apparire 

il  ramo  squamoso:  Scabbia 

pero 

494 

4.  rigonfiamenti   allungati ,  che   vanno   ingrandendosi   e 

qua  e   là   si   spaccano,   lasciando   margini   irregolari  : 

Cancro  per  gelo 

tutte 

481 

502 


5.  placche  più  o  meno  regolari:  Placche  di  gelo. 

E.  Dalla  corteccia  o  dalla  massa  legnosa  sgorgano 

1.  degli  umori  linfatici 

a)  accompagnati  da  imbrunimento  del  legno  :  Cancrena 
umida 

b)  senza  inbrunimento  :  Ulcera 

2.  della  resina  :  Resinosi 

3.  un  liquido  gommoso  :  Gommosi 

F.  Intristimento   generale   della   pianta   e   formazione   di 
cavità  nel  tronco  :  Carie  centrale 

G.  Anormali  produzioni  e  disposizioni  di  rami 

1.  produzione  eccessiva  :  Cladomania 

2.  appiattimento  dei  rami  :  Fasciazioni 

3.  i  giovani  rami  disseccano  all'estremità:  Seccume  delle 
vette 

4.  il  fusto  ed  i  rami  si  piegano  dal  lato  meglio   esposto 
alla  luce  :  Eliotropismo 

H.  Malattie  dovute  a  crittogame 
1.  Macchie  diffuse  fuligginose  :  Fumaggine   .... 


2.  Colorazione   rosa   del   tronco;   macchie    brune   sulla 
parte  alta,  annerimento  del  legno  :  Batteriosi  del  fico 

3.  Sviluppo  di  ramificazioni  affastellate  e  rami  sottili  e 
diritti:  Scopazzi 

4.  Funghi  con   cappello  sporgente    dai  rami  e  putrefa- 
zione del  corpo  legnoso 

a)  a  forma  di  unghia  di  cavallo,  legnoso,  di  color 
bruno  ruggine:  Polijporus  igniarius  o  Marciume  bianco 
del  legno 


b)  di  forma  assai  varia,  suddivisa  in  molte  parti  emer- 
genti da  una  comune  prominenza,  larghi,  a  polpa 
succosa,  glabri,  di  color  giallo  rossigno  :  Polyporus 
sulphureiis  o  marciume  rosso  del  legno    .... 


e)  le  cui  spore  germinano  fra  le  ferite  della  corteccia 
fatte  di  recente  ed  il  micelio  poi  penetra  per  i  raggi 
midollari  ed  inducono  una  colorazione  rossigna  al 
legno  :  Polyporus  fulous 

di  cappello  annuale  composto  di  una  sostanza  suberosa, 
rosso  bruna,  più  tardi  lucida,  coperta  di  una  mem- 
brana che  più  tardi  diventa  grigia:  Polyporus  fo- 
mentarius 

e)  cappello  con  sostanza  carnosa  interna  rossa:  Poli- 
porus  cinnabarinus 


Nome  delle  piante 
intaccate 


gelso,  vite 

tutte 

pino  da  pinoli 

agrumi  e  piante 

a  nocciuolo 

castagno,  gelso, 
noce,  olivo 

tutte 
ciliegio 


agrumi,  albicocco, 
castagno,  ciliegio. 
Eugenia,  fico,  gelso, 
melo,  nocciuolo,  olivo, 
pero,  pesco,  ribes, 
susino,  vite 


fico 
ciliegio 


albicocco,  carrubo, 
ciliegio,  gelso,  man- 
dorlo,noce,pero,susino 


carrubo,  castagno, 

ciliegio,  mandorlo, 

noce,  pero 


olivo,  castagno 


noce,  pesco 
ciliegio,  vite 


f)  massa  carnosa  bruno  giallastra  a  cuscinetto  sporgente 
del  diametro  di  15  cui.  molle  al  tatto:  Pohjporns  hispidus 
5.  Croste  di  color  giallo   rancialo  o  rosso  brune,  di  con- 
sistenza gelatinosa,  elittica  o  lineare  :  Ruggine 


6.  Macchie  plumbee  superficiali  che  invecchiando  fanno 

screpolare  la  corteccia:  Ticchiolatura 

/.  Malattie  e  danni  prodotte  da  animali 

1.  Rosicchiamenlo   della   corteccia   prodotta  da  topi,  co- 
nigli, lepri 

2.  Danni  alle  gemme 

a)  prodotti  da  uccelli,  di  cui  si  cibano:  Frosone,  Passero, 
Ciuffolottto 

b)  da  larve  apodi  che  le  vuotano:  Anthonomus pomorum 

e)  corrosione  totale 

aa)  prodotta  da  coleotteri:  Ottiorinchi 

bb)  prodotta  da  bruchi  di  tignole  che  per  ripararsi 

avvolgono  di  ragnatele  le  gemme  colle  foglie  vicine 

d)  prodotte  da  lumache  specialmente  nei  semenzai 

3.  Succhiano  gli  umori  forando  la  corteccia  delle  cocci- 
niglie che  hanno 

a)  lo  scudetto  a  virgola  :  Myiilaspis  fulva  .... 

b)  lo  scudetto  alquanto  più  grande]  e  ;più  panciuto  e 
della  forma  a  virgola:  Lepiidosaplies  ulmi 

e]  lo  scudetto  circolare,  giallastro,  circondato  da  largo 
anello  ceroso,  bianco  :  Bianca  degli  agrumi  o  Aspi- 
diotus  limona 

(/)  la  femmina  lunga  4  mm.  è  coperta  di  8  piastre 
marginali  nel  cui  mezzo  vi  ha  una  depressione 
cera  che  diventa  bruna  :  Cocciniglia  del  fico  o  Cero 
plastes  rusci 

e)  la  femmina  di  color  terreo,  piriforme,  con  solchi  tras 
versali  sulla  linea  mediana  del  dorso  che  è  convesso 
Cocciniglia  della  vite  o  Pulvinaria  vitis    . 

f)  si  circondano  di  una  materia  cotonosa:  Philippia  oleae 

g)  la  femmina  di  color  marrone  fosco  e  lungo  4  mm 
Lecanium  oleae.  ' 

h)  la  femmina  ovale  appuntita  alle  due  estremità  e  molto 
convessa,  di  colore  bruno  rossastro   lunga  5-8  mm 
Lecanium  persicae 


i)  la  femmina  di  color  rosso  vinoso,  convessa  e  coperta 
di  cera:  Ceroplastes  sinensis 

/)  la  femmina  giallo  ocracea  cosparsa  di  macchie  brune: 
Lecanium  hesperidum 

m)  la  femmina  con  uno  scudo  bruno  quasi  nero  lucente, 
di  forma  rettangolare,  con  carene  longitudinali  circon- 
date da  cera:  Par/afora  zfzypTii  (pidocchio  nero  degli 
agrumi) 


Nome  delle  piante 
intaccate 


gelso,  melo,  pero 

albicocco,  ciliegio, 
melo,  nespolo,  pero, 
pesco,  ribes,  uva  spina 

melo,  pero 


ciliegio,  lampone, 
melo,  pero,  gelso 

quasi  tutte 


agrumi 

agrumi,  nespolo,  olivo 
ribes,  susino 


vite 
olivo 


agrumi,  albicocco 


gelso,  pesco,  susino, 
vite 


504 


4.  Sui  rami  dell'annata  e  di  2  anni  si  formano  delle 
protuberanze  elittiche.  gibbose,  a  superficie  grigio 
rossigna,  dapprima  molli  ed  in  seguito  si  lignificano 
e  si  spaccano,  così  da  formare  delle  tumefazioni  ulce- 
rose. Si  debbono  alle  punture  della  Schizoneura  lani- 
gera che  vive  in  numerose  colonie  ed  il  corpo  è  coperto 
da  una  lanuggine  bianca,  cerosa 

5.  Bruchi  di  farfalle  che  rodono  il  legno  scavando  gallerie 

a)  di  colore  bruno  rosa  o  carnicino  a  pelo  lungo, 
lunghi  2  cm.  un  po'  appiattiti  sul  dorso  bruno  o  nero: 
Cossus  cossus 

b)  di  IG  zampe,  più  piccoli,  giallognoli,  testa  e  primo 
segmento  neri  :  Zeuzera  pyrina 

6.  Gallerie  sotto  la  corteccia  in  corrispondenza  delle 
quali  si  hanno  screpolature,  prodotte  da 

a)  larve  apodi,  molto  allungate,  depresse,  col  capo 
piccolo,  nero 'ed  il  primo  segmento  toracico  molto 
largo  :  Agriliis  siniiattis 

b)  larva  allungata  biancastra  coperta  da  una  fine  pube- 
scenza  corta  bianca  :  Capnodis  tenebrionis 

e)  larva, biancastra  piegata  ad  arco,  lunga  4-5  mm.  : 
Sinoxylon  sexdentatiim 

7.  Larve  cilindriche  molli,  poco  pelose,  apode  con  testa 
coriacea  e  retrattile  che  scavano  gallerie  tortuose  attor- 
no ad  una  escavazione  mediana  più  grande 

a)  Bostrychus  dispar 

b)  larva  bianca,  con  pubescenza  rossa  curvata  ad  arco 
Hypoborus  ficus 

e)  larva  biancastra  curvata  ad  arco  e  capo  arrotondato, 
ferrugineo  lucente  :  Phleotribus  scarabaesides 

di  simile  alla  precedente  e  si  forma  sulla  corteccia 
una  macchia  fosco  rossiccia  in  corrispondenza  all'a- 
pertura della  galleria  :  Hglesinus  oleiperda    . 

e)  la  larva  vive  nella  galleria  coU'insetto  perfetto.  La 
galleria  è  sempre  fra  il  legno  e  la  corteccia:  Sco- 
lytus  pruni 

Scolytus  piri 

Scolgtus  rugulosus 

IV.  Malattie  e  danni  sulle  foglie 

A.  Malattie  dovute  a  crittogame 

1.  Depositi  polverulenti  o  priunosi  bianco   grigi,  effusi  : 

Crittogame  della  vite 

Albuggine  del  carrubo 

2.  Depositi  filamentosi  in  forma  di  feltro  lanugginoso  o 
cotonoso  bianchiccio  anche  sui  germogli;  Bianco. 


3.  Placche  o  croste 


Nome  delle  piante 
intaccate 


cotogno,  melo,  pero 

tutte 
quasi  tutte 


pero 

quasi  tutte 

vite,  fico 


albicocco,  melagrano, 

melo,  pero,  pesco, 

susino 

fico 

olivo 


melo,  pero  e   piante 

a  nocciuolo 

pero 

tutte 


vite 
carrubo 

albicocco,  ciliegio, 

melo,  nespolo,  pesco. 

ribes,  susino 


451 

452 


471 

471 
471 


471 
471 
471 


505  - 


a)  polverulenti  superficiali,  nere  anche  sui  germogli  : 
Funiaggini,  Morfee,  Mal  del  cenere 

b)  compatte  superficiali  con  verruche  di  colore 

aa)  aranciato  :  Polystigma  ochraceum       .... 

bb)  rosso  :  Polystigma  rabruni 

ce)  rossastre  sulla  pagina  superiore,  cui  corrispondono 
tubercoletti  sulla  pagina  inferiore,  prominenti, rosso 

bruni  :  Ruggine  del  pero 

4.  Pustole 

a)  minute  bianchiccie,  numerose,  compatte  :  Ruggine 
del  ciliegio 

b)  nere  polverulenti  :  Ruggine  del  lampone  e  del  susino 
e)  piccole,  rotonde,  di  colore   rosso   ranciato  :  Ruggine 

del  ribes 

h.  Vesciche   gialle  o  rossiccie:   Lebbra,   bolla  o  accartoc- 
ciamento delle  foglie 

6.  Macchie  di  diverso  colore 

a]  sulla  pagina  superiore  da  prima  gialle  poi  rossastre, 
indi  color  foglia  secca;  sulla  pagina  inferiore  ed  ai 
lati  delle  nervature  una  efflorescenza  cristallina  : 
Peronospera 

b)  gialle  seguite  da  semplice  accartocciamento  indi 
disseccamento' delle  foglie  e  germogli,  senza  essere 
bollose  né  ispessite:  Nebbia,  Seccume,  Persa,  Imbru- 
niinento  delle  foglie 

e)  bruno  plumbee,  superficiali,  tondeggianti,  a  margine 
minutamente  frangiato.  Invecchiando  diventano  arsic 
eie  e  la  porzione  della  foglia,  del  ramo  o  del  frutto 
intaccati  si  lacera,  screpola  e  si  stacca  :  Ticchiolatura 

d)oìiyacee  diffuse,  che  fanno  intristire  ed  accartocciare 
le  foglie  :  Seccume  del  fico 

e)  grigie  ed  oscure,  circolari  orlate  di  rosso  e  poi  nero, 
le  quali  si  allargano  e  mettono  a  nudo  i  tessuti 
interni  di  tutte  le  parti  verdi  della  pianta  :  Vajolo  o 
Antracnosi 


f)  rosso  cuojo,  irregolari,  situate  verso  l'apice  ed  ai  lati 

del  lembo  :  Brusca  degli  oliui 

7.  Screpolature,  corrosioni  o  perforazioni  : 

a)  i  piccioli  e  le  nervature  fogliari  solcate  da  striature 
ed  ivi  con  spaccature  più  o  meno  profonde:  Mal 
nero  della  vite 

b]  macchie  nere  piccole,  lucide,  depresse,  irregolari  poi, 
confluenti  e  perforate:  Batteriosi  del  gelso 

e)  macchie  bruno  ocracee,  rotondate  con  orlo  rossastro, 
al  centro  poi  perforate  :  Perforazione  delle  foglie. 

d)  perforazione  seguita  dalla  caduta  delle  foglie:  Cy- 
cloconium  oleaginum 


Nome'delle  piante 
intaccate 


quasi  tutte  le  piante 
da  frutto 

mandorlo 
susino 


pero 


ciliegio,  pesco 
lampone,  susino 


ribes,  uva  spina 


tutte  le  piante  a 
nocciuolo 


lampone,  ribes,  vite 


quasi  tutte  le  piante 


cotogno,  melo,  pero 
fico 


agrumi,  cotogno, 

mandorlo,  melo, 

nespolo,  noce,  pero, 

ribes,  susino,  uva 

spina,  vite 

olivo 


vite 

gelso 

piante  a  nocciuolo 

olivo 


506  - 


B.  Malattie  fisiologiche 

1.  Dalla  pagina  superiore  trasuda  un  succhio  vischioso: 
Melata 

2.  Perdita  precoce  delle  foglie  che  diventano  giallognole 
e  biancastre  in  causa  di  lesioni  ai  rami  e  fusto  :  Fil- 
loptosi     

3.  Le  foglie  arrossano  :  Rossore 

C.  Malattie  dovute  ad  animali 

1.  Succhiano  gli  umori  delle  foglie 

a)  le  lumache  specialmente  nei  vivai 

b)  un  pidocchio  la  cui  larva  bianca  colle  estremità  di 
color  castagno,  produce  colle  sue  punture  delle  de- 
pressioni circolari  di  mm.  0,6  di  diametro,  che  fanno 
poi  cadere  le  foglie  :  Phleothrips  oleae    .        .        .        . 

e)  piccole  cimici  che  fanno  ingiallire  le  foglie  e  coprire 
la  pagina  inferiore  di  minutissimi  punti  neri:  Tingis 
pyri 

d)  larve  di  falsi  gorgoglioni  che  secernono  un  umore 
dolce  che  produce  poi  la  fumaggine:  Psillidi 

e)  larve  che  secernono  della  cera  bianca  di  aspetto 
bambagino:  Eiiphhllura  olivina 

/)  afidi,  pidocchi  o  gorgoglioni  che  non  superano  6  mm. 
di  lunghezza,  che  succhiando  gli  umori  della  pagina 
inferiore  fanno  accartocciare  le  foglie  e  secernono 
anche  un  umore  dolce 

2.  Erosione  di  bruchi  grossi  con  16  zampe  e  con  verruche, 
i  cui  peli  sono  disposti  come  i  raggi  di  una  sfera 

a)  grigio  scuri,  con  due  strisele  dorsali,  longitudinali 
di  color  rosso  e  con  striature  bianche  trasversali  ai 
lati  del  dorso  :  Euproctis  chysorrhoea      .... 

b)  grigio  terra,  con  2  macchie  trasversali  celesti  e  con 
numerosi  ciuffi  di  peli:  Lasiocampa  quercifolia  . 


e)  grigi,  con  linee  e  disegni  giallognoli  con  dei  ciuffi 
di  peli  sul  dorso  posti  sopra  delle  verrucosità  :  Orgia 
antiqua 

d)  grigio  pallidi  variegati  di  nero,  con  una  linea  me- 
diana bianco  giallastra  sul  dorso  e  sui  tubercoli  : 
Lymantria  dispar 

e)  azzurro  grigiastri,  con  una  linea  longitudinale  bian- 
castra e  con  6  linee  per  lato,  di  color  giallo  rosso, 
interrotte  :  Malacosonia  neustria 

f)  giallo  zolfo  con  molti  ciuffi  di  peli,  dei  quali  uno 
rosso,  all'apice  dell'addome  :  Dasychira  pudibunda 

g\  con  fascia  mediana  bruna  superiormente;  di  2,  una 
per  lato  dorsali  brune  e  interrotte  ;  di  quattro  altre 
giallastre.  Lunghezza  38  mm.  :  Aporia  crataegi    . 


Nome  delle  piante 
intaccate 


agrumi,  gelso,  melo, 
susino,  vite 


tutte 
vite 


melo,  pero 


castagno,  ciliegio,  fico 
melo,  pero,  pesco 


quasi  tutte 


tutte 

albicocco,  ciliegio, 

melo,  pero,  pesco 

susino 


castagno,  melo,  noce, 
nocciuolo,  rovo 


ciliegio,  melo,  pero, 
sorbo 


Pag. 


437 
438 


ó()7 


h)  verdastri  con  strie  oblique  giallastre:  Papilio  poda- 
liurus 


i)  nero  azzurri,  con  spine  giallastre  e  fini  peli  bianco 

giallicci  con  3  strisele  ranciate  :  Vanessa  polyclhorus 

3.  Erosione  di   bruchi   che   portano   oltre   le   3   paja   di 

zampe  nere,  2  ventrali    posteriori  e  2  anali  e  che   per 

camminare  inarcano  il  corpo,  di  colore 

a)  bianco  cereo,  con  una  macchia  neia  sopra  ogni 
segmento  :  Abraxas  grossulariata 

b)  verde  gialliccio  con  linee  longitudinali  dorsali  verdi 
scure,  avvolgono  le  foglie  e  le  gemme  con  una  ra- 
gnatela :  Cheimatobia  bruiiiata 

e)  fulvo  castano  con  linee  longitudinali  nerastre  ;  ai 
lati  ed  il  ventre  giallo  verdastro.  Avvolgono  anche 
queste  le  foglie  e  le  gemme  con  ragnatela  :  Hibernia 

defoliaria 

-1.  Erosione  di  piccoli  bruchi  che  avvolgono  le  gemme, 
le  foglie  ed  i  germogli,  verdastri  con  macchie  punti- 
formi sul  dorso:  testa  nera  ed  il  primo  segmento  rosso  : 
Pirale  della  vite 

5.  Piccoli  bruchi  lisci  con  16  zampe,  viventi  in  società,  mi- 
natori delle  foglie,  scavando  delle  gallerie  fra  le  due 
pagine  o  avvolgono  delle  foglie  e  fiori  in  forma  di  tubo 
aperto  ad  una  estremità  o  formano  con  bave  di  seta  una 
specie  di  fodero  «d  un  groviglio.  Colore 

o)  giallo  bruniccio,  verdastro  sul  dorso  :  capo  nero  : 
Hyponomenta  malinella 

b)  giallastro  con  una  macchia  Jnera  ai  lati  di  ogni 
anello  :  H.  padellus 

e)  giallognolo  con  punteggiature  nere:  H.  evonymellus 
o  H.  cognatella 

d)  color  terra  dombra,  colla  parte  posteriore  del  capo 
nera.  Tutto  il  corpo  ha  setole  brevi  e  sottili.  Scava 
gallerie  nel  parenchina.  Lungh.  7-8  mm.  Tignuola 
dell'ulivo 

e)  larva  minatrice  che  scava  la  galleria  partendo  dalla 
ners'atura  mediana  e  poi  ad  arco  va  fino  al  lembo  per 
ritornare  alla  nervatura  mediana  :  Lyonetia  clerkella 

f)  verdiccio,  lungo  14  mm,  con  capo  giallastro,  mac- 
chiato in  nero  ai  lati  e  con  tubercoletti  neri.  Copre 
le  foglie  con  una  ragnatela  sotto  alla  quale  vive  : 
Tignuola  del  fico 

6.  Distruzione  completa  delle  foglie  prodotta  da  coleotteri 

a)  Melolonta  vulgaris 

b)  scarafaggio  lucente,  lungo  9-10  mm.,  collo  scudetto 
di  color  bruno  cupo  :  Carruga  degli  orti. 

e)  di  color  verde  metallico,  brillante,  talvolta  azzurro 
con   riflessi  'dorati.  Lungh.  mm.;8-10;  Anomala  vitis 

7.  Erosione  del  parenchima  delle  foglie   rimanendo  la 


Nome  delle  piante 
intaccate 


castagno,  ciliegio, 

mandorlo, melo,  pesco, 

susino 


albicocco,  mandorlo, 
ribes,  susino,  uva  spina 


ciliegio,  melo,  pero 


susino,  ciliegio 


albicocco,  melo, 
nespolo,  pero,  susino 


fico 

463 

tutte 

464 

. 

464 

vite 

467 

Pag. 


461 
462 
462 


508 


sola  nervatura,  intaccando  anche  i  germogli  e  le  gem- 
me. Anche  questi  sono  coleotteri  di  forma 

a)  cilindrica,  neri,  poco  lucenti,  con  elitre  rosso  brune  : 
Bromius  vitis 

b)  oblunga,  convessa  superiormente,  di  color  verde 
bluastro  metallico,  lucente:  Haltica  ampelophaga 

8.  Piccoli  coleotteri  il  cui  capo  si  prolunga  anteriormente 
a  guisa  di  proboscide 

a)  le  gemme,  le  foglie,  i  germogli  vengono  divorati  da 
curcolionidi  per  lo  più  neri  o  scuri:  Ottiorinchi 

b)  le  foglie  vengono  arrotolate  e  guisa  di  sigaro  : 
Sigarai  

9.  Piccole  larve  di  vespe  o  mosche,  quasi  senza  zampe 
o  con  6  zampe  rudimentali,  che  si  internano  nel  mi- 
dollo dei  germogli  o  rodono  il  parenchima  delle  foglie, 
riparandosi  con  una  ragnatela 

a)  larva  con  6  piccole  zampe  che  si  interna  nel  mi- 
dollo dei  germogli  facendoli  appassire  :  Cephus  coni- 
pressus 

b)  la  foglia  o  le  foglie  coi  rami  vengono  avvolte  da 
fili  serici  che  proteggono  delle  larve 

aa)  gialle  colla  testa  e  le  placche  cornee  del  primo 
segmento  toracico,  nere  :  Neurotoma  flaoiventuis 

bb)  verdi  colla  testa  nera  :  Neurotoma  nemoralis. 
cc)  giallo  brune  coperte  da  muco  violaceo,  da   asso- 
migliare a  delle  limacele  :  Caliroa  cerasi  . 

dd)  bleu  grigie  con  una  striscia  verde  longitudinale 
sul  dorso,  col  primo  ed  ultimo  anello  gialli,  capo 
nero  e  zampe  nere  :  Nematus  ribesii    .        .        .        . 

10.  Sulla  pagina  superiore  dei  rilievi  tondeggianti  che 
corrispondono  a  dei  ciuffi  di  peli  della  pagina  infe- 
riore, dapprima  gialli,  poi  rossicci  e  neri 

a)  Brinosi 

b)  simile  alla  precedente,  però  le  toglie  si  presentano 
di  color  rosa  camino  sulla  pagina  inferiore  e  poi 
finiscono  col  cadere:  Tetranycus  telarius 

e)  Galle  quasi  chiare  aprentisi  al  di  sotto  e  formatesi 
per  di  sopra  una  borsa  diritta:  Fillossera  gallicola 

V.  Malattie  e  danni  dei  fiori  e  frutti 

A.  Prodotte  da  crittogame 

1  Depositi  pelverulenti  bianchi:  Peronospera    . 

2  Cuscinetti  emisterici,  confluenti,  sparsi,  ovvero  disposti 
a  zone  concentriche  sulla  buccia  :  Marciume,  Muffa  o 
Mummificazione 


3.  Depositi  filamentosi  in  torma  di  efflorescenza  bianco 
grigiastra  con  sferette  nere  e  successivo  imbrunimento 
della  buccia  del  frutto  e  dei  fiori  :  Abuggine  o  Bianco 


Nome  delle  piante 
intaccate 


tutte 
quasi  tutte 


ciliegio,  nespolo,  pero 

susino 

piante  a  nocciolo 


piante  a  nocciolo 
ed^  granella 


ribes 

melo,  pero,  vite 
vite 

vite,  ribes,  lampone 


vite,  nocciuolo  e  tutti 
i  frutti  a  nocciolo 


albicocco,  ciliegio, 
nespolo,  susino,  car- 
rubo, pesco,  vite 


Pag. 


509 


4.  Croste  nere,  fuligginose,  facilmente  staccabili  coU'unghia 
sulla  buccia:  Fumaggine 

5.  Chiazze  feltrose,  fìtte,  di  color  bruno,  che  fanno  poi 
disseccare  la  buccia  ed  1  frutti:  Nebbia     .       .       .       . 

6.  Macchie  rotonde,  numerose,  a  contorno  ben  marcato 
scuro,  da  principio  di  color  bruno  scuro  poi  grigio 
cenere:  Antracnosi  o  vajolo 


7.  Macchie  circolari  sugherose,  di  color  bruno,  che  da 
principio  sono  circondate  da  una  zona  nera,  limitata 
da  un  circolo  bianco:  Fusicladium  o  Ticchiolatura 

8.  Macchie  giallo  rossastre  sulle  quali  si  sviluppano  dei 
tubercoli  conici,  lunghi  alcuni  millimetri  :  Ruggine 


B.  Animali  superiori  che  danneggiano  i  frutti 

1.  Mammiferi:  Volpe,  Tasso,  Martora,  Gliiro,  Moscardino, 
Scojattolo 

2.  Uccelli:  Frosone  (ciliegie),  Crociere  olive),  Nocciolaja 
(susino  e  nocciuolo).  Beccafico  (fico,  uva,  ciliegie,  lam- 
pone), Passeri  (più  o  meno  tutti  i  frutti).  Gazza  (melo 
e  pero),  Storno  (ciliegio  e  uva).  Merlo  (ciliegio,  olivo  e 
uva).  Tordo  (ciliegio) 

C.  Insetti  dannosi 

1.  I  frutti  rimangono  piccoli,  deformati,  neri  e  cadono  : 
Pidocchio  dell'olivo 

2.  Larve  di  falsi  gorgoglioni  che  succhiano  gli  umori 
delle  infiorescenze  :  Psillidi 

3.  Cocciniglie  come  quelle  che  si  trovano  sulle  foglie 
degli  agrumi 

4.  Erosioni  di  fiori  da  parte  di  bruchi  che  portano  oltre 
le  3  zampe  vere,  2  ventrali  e  2  anali  e  che  per  cam- 
minare inarcano  il  corpo,  di  colore 

a)  bianco  cereo  con  una  macchia  nera  sopra  ogni  seg- 
mento :  Abraxas  grossulariata 

b)  verde  gialliccio  con  linee  longitudinali  dorsali  verdi 
scure  che  avvolgono  i  fiori  con  una  ragnatela:  Chei- 
matobia  bramata 

e)  fulvo  castano  con  linee  longitudinali  nerastre:  Hi- 
bernia  defoliuria 

d)  piccoli  bruchi  grigi  poi  rosso  carne  od  anche  verdo- 
gnoli, che  avvolgono  i  grappolini  con  fili  serici  in 
modo  da  formare  un  groviglio  :  Cochyllis     . 

e)  simili  ai  precedenti,  di  color  verde:  Polychrosis  botrana 

5.  Bruchi  che  si  trovano  nell'interno  dei  frutti  e  che  di- 
vorano la  polpa 

a)  di  color  giallo  paglierino  tendente  più  o  meno  al 
roseo  ;  capo  bruno  :  Carpocapsa  pomonella 

b)  simili  ai  precedenti  ma  più  piccoli:  Carpocapsa 
splendana 


Nome  delle  piante 
intaccate 


nespolo,  ribes,  uva 
spina 


albicocco,  pesco,  vite, 
melo,  pero. 


melo,  pero 

cotogno,  ribes,  uva 

spina,  melo,  pero, 

nespolo,  sorbo 


agrumi 


albicocco,  mandorlo, 
ribes,  susino,  uva  spina      455 


ciliegio,  melo,  pero    1     456 
tutte  457 


Pag. 


noce,  susino,  pesco, 
melo,  pero 


castagno 


-  510 


Nome  delle  piante 

Pag. 

intaccate 

e)  Carpocapsa  pruniana 

susino 

460 

d)  Carpocapsa  roborana 

lampone 

460 

6.  Bruchi  che  avvolgono  le  foglie  assieme  colle   infiore- 

scenze, cibandosi  anche  di  queste  ultime  (vedi  pag.  507 

sub.  5)  nonché  il  bruco  della  tignuola  degli  agrumi 

agrumi 

463 

7.  Larva  apode  di  un  coleottero  :  Anthonomus  pomorum 

pesco,  ciliegio,  lampo- 

ne, melo,  pero 

468 

8.  Un  coleottero   lungo  4  mm.  che  corrode  i  fiori,   bleu 

nerastro  con   elitre   profondamente  solcate   ed   occhi 

molto  sporgenti  :  Apion  pomonae 

tutte 

469 

9.  Larva  semicilindrica,  ricurva,  di  color  bianco  giallic- 

cio, carnosa,  rugosa,  apode:  Balaninus  nucum 

nocciuolo 

469 

10.  Larva  ingrossata  apode,  di  color  bianco  rossigno,  con 

20  zampe   di   color   giallo   bruno   che   perfora  i  frutti 

quando    sono    molto    piccoli   e    poi   li   fanno    cadere: 

Tentredini 

melo,  susino, 

pistacchio 

473 

11.  Vespe  e  formiche  che  rodono  i  frutti 

tutte 

474 

12.  Larve  apodi  di  mosche  che  internandosi  nell'ovario 

producono  un  rigonfiamento  anormale  del  frutto  :  Mo- 

scerino delle  pere 

pero 

476 

13.  Larve  gialle  :  Mosca  delle  ciliegie 

ciliegio 

476 

14.       „             „        Mosca  delle  olive 

olivo 

477 

15.       „             ,        Mosca  delle  arancie 

agrumi,  fico,  fico 
d'India,  pesche,  noci. 

pere 

478 

FRUTTICOLTURA  SPECIALE 


PARTE  PRIMA 
PIANTE  DA  FRUTTO  A  GRANELLA 


PERO 

(Pirus  communis  L.  —  Fam.  Rosacee). 

Nome  volgare  italiano  del  frullo  —  Pera. 

Nomi  volgari  stranieri   della  pianta    —   Francese:    Poirier  —  Tedesco: 

Birnbaum  —  Inglese  :  Pear  tree. 
Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  Francese:  Poire  —  Tedesco:  Dirne 

—  Inglese:  Pear. 

1.  Origine.  —  Gli  antichi  Greci  coltivarono  poco  il  pero  perchè  il 
loro  clima  non  vi  confaceva.  I  Romani  invece,  secondo  Columella  e 
Plinio  ne  fecero  una  larga  coltivazione.  Comunque  sia,  il  pero  è  una 
pianta  originaria  dell'  Europa  centrale,  dove  anche  ora  si  trova  allo 
stato  selvatico. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Albero  piramidale,  arrotondato 
in  gioventù,  poi  ovale,  che  arriva  fino  a  20  m.  di  altezza  e  raggiunge 
in  media  l'età  di  65  anni. 

Radice  profonda,  con  fittone  molto  sviluppato. 

Fusto  alto,  grosso  (può  avere  perfino  1  m.  di  diametro)  a  corteccia 
screpolata,  grigia,  da  cui  si  distaccano  di  sovente  delle  placche  lenti- 
colari;  col  tempo  anzi  la  scorza  si  fende  e  diventa  molto  rugosa.  Il 
coloi-e  di  questa  serve  molte  volte  a  caratterizzare  una  varietà.  Il  tes- 
suto del  legno  è  duro,  line,  sei-rato  e  pesante,  molto  pregiato  per  lavori 
al  tornio  e  perchè  può  essere  ben  levigato. 

I  rami  sono  inseriti  ad  angolo  acuto  nel  tronco  (45°),  hanno  la  scorza 
liscia,  verde  prima  poi  grigio  violacea,  qualche  volta  brunastra  con 
numerose  lenticelle.  I  rami  sono  diffusi,  spinosi  in  gioventù  poi  inermi 
e  fragili,  poco  pelosi  con  gemme  conico-allungate,  accuminate,  ricche 
di  squame,  glabre  o  leggermente  pruinose,  discoste  dai  rami.  Le  gemme 
sono  disposte  in  modo  che  ogni  5  gemme  se  ne  trovano  due  sovrapposte 

Ogni  gemma  porta  alla  base  una  gemma  latente. 

33  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  514  — 

Le  foglie  sono  ovali,  finamente  dentate  od  intere,  coriacee,  glabre 
o  raramente  tomentose,  lucide  sulla  pagina  superiore;  lunghe  quanto 
il  picciolo,  pendute  con  10  o  più  minute  nervature.  Il  picciolo,  più  o 
meno  lungo,  è  portato  da  un  cuscinetto  ed  ha  alla  base  due  stipule 
ben  sviluppate. 

11  pero  fiorisce  in  aprile  alla  temperatura  di  10°.  I  fiori  sono  bianchi 
(raramente  tendenti  al  rosa),  ermafroditi  solitari  od  aggruppati  in  un 
corimbo  composto  da  9  a  11  fiori.  Il  calice  del  fiore  è  composto  da 
5  sepali  persistenti;  la  corolla  è  dialipetala;  gli  stami  sono  in  nu- 
mero di  20  aggruppati  sui  loro  filamenti  per  10  e  per  5.  L'ovario  è 
infero  ed  ha  5  logge  racchiudenti  ciascuna  2  ovuli. 

Il  pero  selvatico  dà  frutti  nell'ottavo  anno  d'età.  Questi  sono  piccoli, 
con  picciolo  lungo  e  di  sapore  aspro.  Maturano  dal  luglio    all'ottobre. 

I  semi,  racchiusi  in  logge  cartilaginose,  sono  di  color  nero,  non 
lucenti. 

II  pero  si  distingue  dal  pomo  per  i  seguenti  caratteri: 

Il  pero,  in  primavera,  entra  prima  in  vegetazione,  perciò  fiorisce 
prima  e  prima  perde  le  foglie  in  autunno. 

I  fiori  del  pero  sono  quasi  sempre  bianchi  mentre  quelli  del  pomo 
sono  rosei. 

I  suoi  semi  sono  di  color  nero,  non  lucidi,  mentre  quelli  del  pomo 
sono  lucidi  e  di  color  bruno. 

II  legno  del  pero  è  più  duro  e  più  scuro  di  quello  del  pomo. 

In  molti  casi  si  trova  nel  pero  una  relazione  fra  il  volume  del 
fruito  e  la  sua  forma  regolare  col  numero  e  colla  posizione  degli  ovuli 
fecondati.  I  piccoli  frutti  o  non  racchiudono  semi  o  solo  in  piccolo 
numero;  se  presentano  un  ineguale  sviluppo  nei  loro  tessuti,  si  può 
constatare  che  la  parte  atrofizzata  corrisponde  alla  parte  dell'  ovario 
non  fecondala  e  che  non  porla  semi.  Certamente  alla  mancata  fecon- 
dazione si  deve  attribuire  lo  scarso  numero  dei  frulli  nel  pero  in 
confronto  al  gran  numero  di  fiori. 

3.  Classificazione  e  scelta  delle  varietà.  —  Le  pere  si  possono 
classificare  secondo  il  seguente  sistema  naturale  : 

I.  Biilirre.  —  A  questa  classe  appartengono  tutte  quelle  che  hanno 
la  forma  tipica  della  specie,  indipendentemente  dal  colore,  e  cioè  ben 
tornila,  senza  protuberanze,  più  lunghe  che  larghe,  oppure  di  eguale 
lunghezza  della  larghezza,  e  non  tanto  incavate  intorno  al  picciolo, 
anzi  appuntite.  La  polpa  affatto  liquescente. 

II.  Semibulirre.—  Eguali  alle  precedenti,  maapolpasemiliquescente. 

III.  Bergamotte.  —  Pere  con  polpa  affatto  liquescente  come  le 
butirre;  differiscono  però  per  la  forma,  che  è  piatta  o  tonda,  pianeg- 
giante al  picciuolo. 

IV.  Semibergamotte.  —  Eguali  alle  precedenti,  ma  a  polpa  semi- 
liquescente. 

V.  Verdelunghe  —  Pere  con  polpa  liquescente  o  quasi,  di  forma 
allungata  (ossia  col  diametro   longitudinale   almeno  quattro   volte  più 


515 


Fig.  406.  —  Butirra  d'Amanlis  (-/a). 


Ficr.  (07.  —  Monfsallard 


Fig.  408.  -■  Coscia:( 


Fig.  409.  -  Willianc  (Vs). 


—  516  — 

lungo  del  trasversale)  con  buccia  verde  con  poca  o  senza  ruggine,  e 
anche  mature  conservano  il  loro  color  verde  leggermente  ingiallito. 

VI.  Caravelle  o  Ampolliformi.  —  Pere  di  polpa  liquescente  o 
quasi,  bislunghe  o  lunghe  (col  diametro  longitudinale  almeno  un  quarto 
più  lungo  del  trasversale),  buccia  verde-giallastra  o  gialla,  coperta  inte- 
ramente o  quasi  da  una  ruggine  color  cannella  o  rosso-bruno. 


Fig.  410.  —  Moscalelline  Cls) 

VII.  Campane  o  Buoncristiane.  —  Polpa  liquescente  o  semilique- 
scente,  forma  irregolare,  di  frequente  gibbose,  di  eguale  od  ineguale 
diametro. 

Vili.  Rossette.  —  Polpa  liquescente,  o  semiliquescente,  con  aroma 
di  cannella  (perciò  chiamate  da  noi  anche  cannellinej,  forma  bislunga 
e,  vicino  al  picciolo,  con  una  parte  più  sviluppata  dell'altra,  quasi  a 
formare  una  curva  cosidetta  a  collo  di  cigno.  La  buccia  è  colorata  per 
lo  più  in  rosso  più  o  meno  intenso  dalla  parte  del  sole  con  qualche 
traccia  di  ruggine. 


—  517  — 

IX.  Moscate.  —  Pere  piccole  o  mezzane,  estive  od  al  massimo  di 
ottobre,  di  forma  varia,  per  lo  più  bislunga,  e  con  aroma  pronunciato 
di  moscato. 

X.  Grosse.  —  Appartengono  pure  a  queste  delle  pere  da  taglio, 
ma  di  grandezza  straordinaria,  con  polpa  liquescente  o  semiliquescente, 
e  che  non  si  possono  ordinare  nelle  classi  precedenti. 

XI.  Aromatiche.  —  Tutte  quelle  che  non  si  possono  ordinare  nella 
classe  precedente,  però  più  piccole  e  di  forma  più  tondeggiante. 


Fig.  411.  —  Duchessa  d'Angouléme  (V;i)- 


Fig.  412. 
Buona  Luigia  d'Avranches  (Va)- 


XII.  Pere  lunghe  da  cuocere.  —  A  questa  classe  appartengono 
tutte  le  pere  aventi  una  polpa  croccante,  non  aspra,  bensi  scipita  e  dolce 
col  diametro  longitudinale  più  lungo  del  trasversale. 

XIII.  Pere  tonde  da  cuocere.  —  Eguali  alle  precedenti  soltanto  coi 
due  diametri  quasi  eguali,  oppure  col  longitudinale  più  corto  del 
trasversale. 

XIV.  Pere  lunghe  da  sidro.  —  A  questa  famiglia  appartengono 
tutte  le  pere  con  polpa  croccante  oppure  semibutirrosa,  di  sapore 
aspro  e  di  forma  allungata. 

XY.  Pere  tonde  da  sidro.  —  Eguali  alle  precedenti  soltanto  di 
forma  rotonda  od  appiattita. 


—  518  - 

Non  essendo  mio  intendimento  di  fare  un  trattato  di  pomologia,  mi 
limiterò  per  il  pero  e  per  tutte  le   specie    fruttifere   che    descriverò  e 


Fig.  4Vlbis.  —  Pera  Curato  (grandezza  naturale). 

tratterò  nel  presente  volume,  di  descrivere  e  citare  le  varietà  più  adatte 
per  l'Italia  in  generale  e  che  dalla  mia  pratica  risultarono  migliori. 

Naturalmente  questo  è  l'argomento  più    difficile   che   imprendo  a 
trattare,  perchè,  per  quanta  conoscenza  si  possa  avere  di   coltivazioni 


—  519  — 

in  vari  climi,  non  sempre  è  possibile  spogliarsi  delle  convinzioni 
acquistate  nel  luogo  dove  si  ha  maggiormente  praticato  la  coltivazione 
delle  piante  da  frutto,  come  pure  è  impossibile,  citando  delle  varietà, 
non  trovar  dei  lettori  che  dissentano  sulle  proprietà  di  alcune,  perchè 
nei  loro  terreni  si  comportano  diversamente. 

In  ogni  caso  io  espongo  le  mie  convinzioni  ;  al  benevolo  lettore 
il  ricavarne  il  profitto  per  le  sue  condizioni  speciali. 

Il  numero  delle  varietà  di  pere  è  certamente  superiore  a  1000,  però 
ad  esempio  la  società  poraologica  di  Francia,  nel  1903,  ridusse  a  134 
quelle  raccomandabili. 

Di  primo  merito  per  l' Italia,  secondo  me  sono  quelle  indicate 
nella  Tab.  XLII. 


Tab.  XLII.  Quadro  sinottico 

delle  varietà  di  pero  di  primo  merito  consigliate  (Tamaro) 


Nomi  della 
specie 


tipica  della  pera, 
più  lunghe  che 
larghe  o  almeno 
i  due  diametri 
eguali 


tonda    o    piatta, 

pianeggiante  al 

picciolo 
allunagta    lunga 

4    volte    la   sua 

lunghezza 


ampolla 


diametro  longitu- 
dinale più  lungo 
del  trasversale 
coi  diametri  qua- 
si eguali  o  più 
largo  che  alto 


liquescente    o 
quasi 


liquescente  o 
quasi  con  aroma 
di  cannella 


Nome  delle  varietà 


1.  Butirra  Hardy 

2.  „         d'Amanlis 

3.  ,         Diel 

4.  Decana  d'Alengon 

5.  „         d'inverno 

6.  Giuseppina  di  Ma- 
lines 

7.  Passa  Colmar 

8.  Bargamotte   Es- 
I)eren 

9.  Oliviero  de  Serres 
10.  Passa  Crassane 


Verdelunghe   1  11.  Curato 

1 12.  Butirra  Clairgeau 
1  13.  Duchessa  d'Angou- 
]         lòme 

Caravelle  "j  14.  Butirra   d' Harden- 

pont 

15.  William 

16.  Buona    Luigia 
d'Avranches 


Buon  cristiane 


Lunghe 


17.  Martin  secco 


Tab 

XLIII. 

Quadro  sinottico  indicante  le  principali  proprietà 

i| 

3  P 

NOME 

Maturazione 

Qualità 

Fertilità 

Vigoria 

1                                     1                                      II 
A-  —  Pere  del  primo  periodo  di  maturazione  dette  d'estate  (giugno-settembre) 

1 

Butirra  d'Amanlis 

(fig.  406) 

luglio-agosto 

prima  da  tavola  e 
per  mercati  locali 

straordinaria  e 
sollecita 

notevole 

2 

Montsallard 

(fig-  407) 

agosto-settembre 

prima  da  mercato 

grande  e  regolare 

media 

3 

William  (fig.  409) 

id. 

la   regina   delle 
pere  d'estate 

straordinaria 

perfetta 

B.  —  Pere  del  secondo   periodo   di   maturazione  dette  d' autunno  (ottobre  a 

4 

Duchessa  d'An- 
goulème  (fig.  411) 

settembre  -  no- 
vembre 

prima  da  tavola  e 
da  mercato  di  lusso 

notevole  e  stra- 
ordinaria 

poca 

5 

Butirra   Hardy 
(fig.  413) 

metà  ottobre 

la  migliore   delle 
pere    da    tavola 
autunnali 

notevole  però  la 
pianta    fruttifica 
tardi 

media 

6 

Buona    Luigia 
d' Avranches 
(fig.  412) 

Butirra  Clairgeau 

settembre  -  no- 
vembre 

prima  da  tavola  e 
per  mercati  locali 

straordinaria  e 
sollecita 

media 

7 

novembre-dicem- 
bre 

seconda  da  tavola 
prima    per   orna- 
mento 

straordinaria 

poca 

8 

Butirra   Die! 
(fig.  414) 

id. 

prima  per  tutto 

notevole 

media 

C.  —  Pere  del  terzo  periodo  di  maturazione  dette  d'inverno  (dicembre-marzo) 

9 

Butirra   di   Har- 
denpont  (fig.  415) 

novembre-marzo 

prima    per  tutto 

notevole 

media 

10 

Decana    d'  Alen- 
?on  (fig.  416) 

dicembre -feb- 
braio 

prima  da  tavola 
e  da  mercato 

media 

media  0  poca 

11 

Decana  d'inverno 

(fig.  414) 

dicembre-aprile 

prima  delle  pere 
invernali  da  serbo 

notevole 

poca 

12 

Oliviero  de  Ser- 
res  (fig.  420) 

V2  febbraio  a  tutto 
marzo 

prima  da  com- 
mercio 

media 

perfetta 

13 

Passa    Colmar 
(fig.  419) 

dicembre  -  feb- 
braio 

prima  da  tavola 

notevole 

id. 

14 

Passa    Crassana 

gennaio-aprile 

id. 

media 

id. 

D.  —  Pere  del  quarto  periodo  dette  tardive  (marzo-maggio) 

15 

Giuseppina  di  Ma- 
lines 

gennaio-marzo 

prima    di    com- 
mercio 

notevole 

id. 

16 

Bergamotta  Espe- 
ren  (fig.  4l8) 

febbraio-maggio 

prima  da  tavola  e 
da  esportazione 

alternata 

media 

E.  —  Pere  da  cuocere. 

17 

Catillac 

dicembre     all'e- 
state 

prima  da  cuocere 
e  da  commercio 

straordinaria 

straordinaria 

18 

Curato  (fig.  412  bis) 

novembre    alla 
primavera 

prima  da  cuocere, 
seconda  da  taglio 

id. 

id. 

19 

Martin    secco 
(fig.  421) 

novembre-marzo 

prima  da  cuocere 
e  da  commercio 

id. 

media 

olturali  delle  pere  consigliate  (Tamaro). 


Clima 

Terreno 

Località 

Forme  più 
adatte 

Soggetto  da 
innesto 

Sistema   di 
coltivazione 

indifferente 

soffice 

levante 

pieno    e   mezzo 
vento 

cotogno 

frutteti  casalinghi 
e   industriali 

la  vigna  dell'Ita- 

buono 

indiffe- 

medie o  basse 

cotogno  e  franco 

nei  campi  e   nei 

lia  centrale 

rente 

frutteti  industriali 

nditferente 

indiffe- 
rente 

id. 

tutte 

id. 

qualunque 

metà  dicembre 

da  vite 

buono 

buona    a 

palmella,  cordoni 

franco  o  soprain- 
nesto  sul  Curato 

frutteti  casalinghi 

E  od  W 

verticali,  fusi 

0  di  speculazione 

temperato 

sano  fresco 

molto  ri- 
parata 

alto   fusto,   pira- 
mide, cordone 
verticale 

franco  ©cotogno 

id. 

anche  freddo 

fertile    e 

indiffe- 

tutte 

franco  o  cotogno 

frutteti  casalinghi 

fresco 

rente 

e  in    aperta  cam- 
pagna 
frutteti  casalinghi 

caldo 

soffice    e 

levante  e 

tutte    meno     il 

franco  o  cotogno 

caldo 

anche  po- 

pieno  e    mezzo 

0  di  speculazione 

nente 

vento 

presso  le  città 

indifferente 

fresco 

indiffe- 

tutte meno  la  pi- 

id. 

frutteti  casalinghi 

rente 

ramide 

e  di  speculazione 

caldo 

fertile    e 

calda,ripa- 

piramide  e  spal- 
liera 

franco  e  cotogno 

frutteti  casalinghi 

non  sab- 

rata a  mez- 

e di  speculazione 

bioso 

zogiorno 

temperato    e 

ÌIÌT' 

indifferen- 

id. 

id. 

frutteti  casalinghi 

freddo 

te  a  S  o  E 

e  industriali 

da  vite 

molto 

buona    a 

piram.,   palmetta. 

soprainnesto  sul 

frutteti  casalinghi 

buono 

E  od  W 

cordoni  verticali 

Curato 

e  di  speculazione 

caldo 

fertile, 

buona  an- 

pieno vento,  cor- 

franco e   cotogno 

frutteti  di  specula- 

sciolto 

che  se  es- 
posta   ai 
venti 

done,  piramide 

zione  e  casalinghi 

caldo 

id. 

calda  buo- 
na esposi- 
zione 

spalliera   e   cor- 
doni 

cotogno 

frutteti  casalinghi 

riparato 

fertile 

riparata  a 

tutte 

cotogno   e  franco 

frutteti  casalinghi 
e  di  speculazione 

temperato    e 

fresco    di 

fredde 

pieno    vento    e 

franco 

frutteti  casalinghi 

freddo 

medio  im- 
pasto 

spalliera 

e  nei  boli 

caldo 

fertile    e 

calda 

pieno  vento,  cor- 
doni e  spalliere 

franco  e  cotogno 

frutteti  casalinghi, 

fresco 

aperta  campagna 
e  frutt.  industriali 

qualunque  an- 
che molto  rigide 

id. 

anche  freddo 


indiffe- 
rente 


fresco 
mediocre 


dovunque 
dove   alli- 
gna il  pero 
id. 

aperta 


pieno  vento 


franco 


pieno  vento,  pira- [  franco  e  cotogno 

mide  e  spalliera 

pieno  vento  franco 


nei  campi 

id. 
nei  campi 


Bergamotta  Esperen  (fìg.  418). 

Frane:  Bergamotte  Espéren  —  Ted  :  Esperens  Bergamotte. 

Origine:  Belgio. 

Maturazione:  dai  primi  di  febbraio  a  tutto  maggio.  Si  conserva  molto  bene  senza 
alterarsi,  soltanto  non  bisogna  toccarla  di  frequente  nel  fruttaio. 

Qualità:  prima,  da  tavola  e  per  esportazione. 

Cliiua  caldo  e  terreno  fertile  e  fresco. 

Località  calda  e  in  tutte  le  esposizioni. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento  nei  climi  caldi,  cordoni  verticali  e  spalliere. 

Fertilità:  alternata. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi,  industriali  ed  in  aperta  campagna 

Descrizione  della  pianta:  albero  piramidale,  di  bella  apparenza  e  ben  proporzio- 
nato. Ha  rami  grossi,  che  formano  un  angolo  molto  aperto  col  fusto.  I  rami  dell'annata 
abbastanza  lunghi,  numerosi,  un  poco  arcuati,  flessibili,  di  color  marrone.  Le  gemme 
a  legno,  coniche,  acute,  depresse  alla  base.  Le  gemme  a  frutto  medie,  ovali,  acute.  Foglie 
grandi,  abbondanti,  elittiche,  ondulate,  coi  lembi  dentati.  Picciolo  lungo,  grosso,  con  sti- 
pule  bene  sviluppate,  lineari. 

Descrizione  del  frutto:  frutto  medio,  di  poca  apparenza,  di  forma  arrotondata, 
appiattito  alla  base,  mammelliforme  all'estremità.  Quasi  mai  solitario,  ma  a  due  o  tre. 
E'  più  largo  che  alto.  Peduncolo  grosso  di  lunghezza  media.  Calice  grande,  svasato. 
Buccia  rugosa,  grossa,  verde  erbacea  sfumata  di  giallo  dorato,  marmorizzata  e  striata 
da  macchie  rosse.  Polpa  bianca  o  leggermente  rosea,  semifina,  succo  abbondante,  molto 
zuccherino,  leggermente  profumato,  delizioso. 

Osservazioni:  innestato  sul  cotogno  ha  un  bel  vigore,  ma  ancora  meglio  sul  franco. 
La  sua  fertilità  è  alterna,  riposa  cioè  un  anno  a  causa  dei  molti  getti  anticipati  che  si 
sviluppano  sui  rami  dell'annata.  E'  quindi  necessario  evitare  colla  potatura  verde  che 
questi  si  sviluppino,  per  non  indebolire  le  gemme  della  base  dei  rami.  Ama  i  terreni 
leggeri  e  caldi,  ricchi  di  materie  nutritive  ;  se  il  terreno  è  tenace  od  umido  o  poco 
concimato,  le  estremità  dei  rami  marciscono,  e  le  pere  si  macchiano.  Oltre  che  a  pieno 
e  mezzo  vento,  si  può  anche  allevare  a  fuso,  a  piramide  ed  a  spalliera  in  tutte  le  espo- 
sizioni, meno  che  a  nord. 

La  fioritura  dura  15  giorni  e  resiste  alle  intemperie. 

La  pianta  è  molto  resistente  alle  malattie. 


Buona  Luigia  d'Avranches  (lig.  412). 

Frane:  Louise-bonne  d'Avranches  —  Ted.:  Gute  Luise  von  Avranches  — 
Ingl.  :  Louise  bonne  of  Jersey. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  settembre-novembre. 

Qualità:  prima,  da  tavola  e  da  mercato. 

Clima  anche  freddo  e  terreno  fertile. 

Località  ed  esposizione:  indifferente. 

Forme  più  adatte:  tutte,  però  per  la  forma  a  piramide,  per  i  fusi  e  per  le  palmette, 
bisogna  ricorrere  al  sopra  innesto. 

Fertilità:  strordinaria  ed  in  giovane  età. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  industriali,  coltivazione  nei  campi. 

Descrizione  della  pianta:  albero  abbastanza  vigoroso  sul  cotogno,  molto  fertile,  che 
forma  delle  belle  piramidi.  Branche  forti,  senza  spine,  che  formano  un  angolo  poco 
aperto  col  fusto.  Rami  obliqui,  medi  in  lunghezza  e  grossezza,  cotonosi  all'estremità, 
rosso  porpora  dalla  parte  del  sole,  oliva  dalla  parte  dell'  ombra,  con  sfumature  ver- 
dognole. Lenticelle  piccole,  rotonde,  grigie  e  molto  salenti.   Gemme   a  legno  coniche. 


—  523  — 

corte,  triangolari,  acute,  coU'estremità  distaccata  del  ramo.  Gemme  a  frutto  medie,  coniche 
acute,  con  borsa  di  color  bruno,  corte.  Dardi  corti  ed  articolati  alla  base.  Foglie  elitliche, 
lanceolate  leggermente  tomentose,  acute,  arcuate  o  piegate  a  gronda,  dentatura  irrego- 
larissima.  Picciolo  grosso,  corto,  verde  biancastro  tendente  al  rosso  bruno.  Stipule 
lineari,  acute,  piegate  a  lira. 

Descrizione  del  frutto:  frutto  per  lo  più  solitario,  medio,  di  forma  ovoidale  allun- 
gata, con  un  lato  sempre  più  sviluppato  dell'altro.  Peduncolo  abbastanza  grosso,  legnoso 
sottile  nel  mezzo  e  più  grosso  all'estremità  piantato  obliquamente  nel  frutto.  Calice 
medio,  rotondo.  Buccia  verde  giallastra,  coperta  di  punteggiature  bruno  chiare,  e  tinta 
di  rosso  vivo  dalla  parte  del  sole.  Polpa  bianca,  line,  liquescente.  Succo  abbondante,  zuc- 
cherino, leggermente  acidulo  e  dotato  di  un  profumo  particolare. 

Osservazioni:  questa  varietà  ha  uno  svilupo  molto  rapido,  prospera  bene  tanto  sul 
cotogno  quanto  sul  franco.  Per  mantenere  la  sua  grande  fertilità  bisogna  tagliare  corto, 
se  si  innesta  sul  cotogno.  Si  adatta  a  tutti  i  terreni  ed  esposizioni,  pur  preferendo 
quelli  freschi  e  non  tanto  forti.  Ha  una  riuscita  straordinaria.  Si  può  allevare  sotto  tutte 
le  forme  ed  è  adatta  sia  per  la  coltura  intensiva  sia  per  l'estensiva. 


Fig.  413.  -  Pera  Butirra  Hardy. 

E'  una  delle  varietà  migliori  che  si  conoscano,  quantunque  il  frutto  forse  non  sia 
di  gran  pregio.  Non  bisogna  lasciar  passare  l'epoca  della  maturazione  per  consumarlo, 
poiché  perde  molto.  Non  si  fa  maturare  nel  fruttaio. 

E'  poco  intaccata  da  malattie  e  l'unico  diletto  che  si  può  notare  in  questa  varietà 
è  che  i  frutti  si  conservano  per  poco  tempo. 


Butirra  d'Araanlis  (fig.  406). 

Frane.:  Beurré  d'Amanlis  —  Ted.:  Amanlis  Butterbirne. 

Origine  :  Francia. 

Maturazione:  alla  fine  di  luglio  e  per  tutto  agosto  nei  paesi  meridionali.  Nei  ter- 
reni molto  fertili  ritarda  a  settembre  e  ottobre. 

Qualità:  prima  da  tavola  e  da  commercio. 

Clima  e  terreno:  qualunque,  quantunque  preferisca  un  terreno  soffice. 

Località  ed  esposizione:  preferisce  l'esposizione  a  levante. 

Forme  più  adatte:  tutte,  specialmente  il  pieno  e  mezzo  vento. 

Fertilità:  produce  presto  e  costautemente  in  quantità  notevole. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  ed  industriali. 

Descrizione  della  pianta:  albero  mollo  vigoroso  e  fertile  sul  cotogno,  però  prende 
diffìcilmente  la  forma  di  piramide.  Branche  forti,  poco  diritte.  Rami  grossi,  lunghi, 
irregolarmente  disposti,  flessibili,  di  colore  rosso-grigio,  con  lenticelle  molto  fitte,  pro- 
minenti, di  color  grigio-bruno.  Gemme  a  legno  medie,   depresse,  angolose,  coniche  ed 


Fig.  415.  —  Butirra  d'Hardenpont  C^/;,). 


Fig.  417.  —  Butirra  Dielil^/s). 


525 


acuminate  all'estremità.  Gemme  a'  frutto  ovali,  acute.  Dardi  corti,  articolati,  borse  pic- 
cole. Foglie  di  un  bel  verde,  liscie,  brillanti,  grosse  appuntite,  ovali,  con  dentatura  pro- 
fonda ed  acuta.  Picciolo  medio  od  un  poco  corto. 

Descrizione  del  frutto:  frutto  voluminoso,  di  forma  rotonda  allungata,  ottusa  e 
ventricolata.  Peduncolo  abbastanza  corto,  orifizio  grande,  semi-aperto,  buccia  giallo 
erbacea,  punteggiata,  leggermente  sfumata  di  rosso  bruno.  Polpa  bianco  citrina,  verde 
sotto  la  buccia,  semilique.scente,  succo  molto  abbondante,  leggermente  acidulo,  zuccherino 
e  profumato. 


Fig.  418.  —  Bergamotta  Espéren  C/g). 


Fig.  419.  -  Passa  Colmar  (VJ. 


Osservazioni  :  innestato  sul  cotogno  è  molto  fertile,  ha  anche  un  vigore  straordi- 
nario. Non  forma  belle  piramidi  se  non  sottoposto  a  molte  cure.  Bisogna  impiegare 
dei  tutori  pel  fusto  e  per  le  branche.  Innestato  sul  franco,  tarda  molto  a  dare  il  frutto, 
ad  onta  anche  di  un  taglio  lungo,  delle  torsioni  e  cimature.  Con  tutto  ciò  dà  belli  alti 
fusti.  Questa  varietà  è  molto  usata  per  innesto  intermediario.  Per  posticipare  la  ma- 
turazione conviene  anticipare  la  raccolta.  11  frutto  quando  è  maturo  ha  lo  stesso  co- 
lore di  (juaudo  viene  raccolto,  perciò  conviene  sorvegliarlo  nel  fruttaio,  perchè,  tras- 
corsa r  epoca,  non  ha  più  valore. 


Butirra  Clairgeau. 

Frane:  Beurré  Clairgeau  —  Ted.:  Clairgeau's  Butterbirne. 


Origine  :  Francia. 

Maturazione  :  dal  novembre  al  dicembre.  Conviene  però  raccoglierla  alla  fine  di 
settembre  o  ai  primi  di  ottobre.  Si  conserva  benissimo  nel  fruttaio,  ma  se  non  viene 
presa  in  buon  punto,  perde  le  sue  migliori  qualità. 


—  526 


Qualità:  seconda  da  tavola  e  da  mercato,  prima  per  ornamento  sulle  tavole. 
Clima  buono  e  terreno  leggero  e  caldo. 
Località  riparata  ed  esposizione  di  levante  o  ponente. 

l'orme  più  adatte:  tutte,   meno    il   pieno   e   mezzo   vento.  Per   la   piramide   e   pal- 
mella, innestare  sul  franco. 
Fertilità  :  slraordinaria. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteto  casalingo  o  di  speculazione  presso  le  città. 
Descrizione  della  pianta:  albero  piramidale,  di  liell'aspetto,  fertilissimo,  ma  delicato 
sul  cotogno.  Le  liranche  formano  un  angolo  acuto  col  tronco.  1  rami  sono  numerosi 
regolarmente  eretti,  grossi,  corti,  giallo  bruno  chiari,  con  lenticelle  allungate.  Le  gemme 
sono  molto  voluminose,  appuntite,  coniche,  generalmente  piantate  a  sperone.  Le  foglie 
sono  leggermente  coriacee  verde  cupo,  grosse  lanceolate,  finamente  dentellate,  un  poco 

arcuate.  Picciolo  medio  e  abbastanza  grosso, 
con  stipule  lineari  corte  e  pendenti  sul  ramo. 
Descrizione  del  frutto  :  frutto  il  più  so- 
vente a  due  a  due,  talvolta  a  tre  o  quattro, 
di  grandezza  considerevole,  forma  rotondeg- 
giante, eccessivamente  allungata,  rientrante 
da  un  lato  verso  il  picciuolo.  Si  potrebbe  con- 
fondere con  un  Colmar,  ma  è  più  rigonfio 
da  un  lato  presso  l' inserzione  del  peduncolo. 
Calice  medio,  rotondo,  aperto,  appena  infos- 
sato, bruno  rosa  nell'  interno.  Buccia  giallo 
grigia,  punteggiata  verde  o  bruna,  bronzata 
dalla  parte  dell'  ombra;  dalla  parte  del  sole 
tinta  di  rosso  carmino.  Polpa  bianchissima, 
semifina,  liquescente,  gustosa,  succosa,  zuc- 
cherina, acidulo  vinosa,  e  profumata.  Queste 
qualità  variano  a  seconda  del  terreno,  espo- 
sizione, ecc. 

Osservazioni  :  è  di  una  fertilità  prodigiosa, 

anche   se   innestata   sul   franco,   perciò   viene 

raccomandato    l'innesto   su    questo    soggetto: 

sul  cotogno  dura  poco  e  si  esaurisce.    Fa  molto  bene   in   U!i    terreno  leggero  e  caldo  a 

piramide,  a  spalliera,  a  fuso  e  a  cordone.  La  pianta  ha  una  debole  vegetazione. 

Qualunque  sia  la  forma  ed  il  terreno  quello  che  più  importa  è  che  non  venga 
esposto  ai  venti,  poiché  i  frutti,  avendo  un  peduncolo  molto  corto,  cadono  facilmente 
Come  tutte  le  qualità  molto  fertili,  richiede  un  taglio  corto  e  cimature  fatte  con  pru- 
denza e  discernimento.  Per  avere  piante  vigorose  con  questa  varietà,  si  ricorre  al  so- 
prainnesto. 

La  pianta  si  mantiene  sana,  esente  da  malattie. 

Per  la  necessità  di  raccogliere  le  frutta  in  giusta  maturazione  perdendo  diversa- 
mente del  loro  valore  commerciale,  si  raccomanda  di  estendere  limitatamente  questa 
pera  alle  esigenze  della  vendita  locale  od  in  vicinanza  al  luogo  di  produzione. 


Fig.  420.  —  Oliviero  de  .Serres 


Butirra  Diel  (fig.  417). 

Frane:  lìeurré  Diel  —  Ted.  :  Diel's  Hutterbirn  - 


Ingl.:  Beurré  Vert. 


Origine:  Belgio. 

Maturazione:  questa  bella  pera  molto  interessante  si  conserva  molto  bene  nel  frut- 
taio e  si  mangia  durante  i  mesi  di  novembre  e  dicembre.  Nei  paesi  del  Nord  si  raccoglie 
tardi  e  si  mangia  in  gennaio,  nei  paesi  meridionali  invece  matura  in  settembre  e  si 
conserva  fino  al  novembre. 

Qualità  :  prima,  delle  più  rimarchevoli. 

Clima  indifferente;  terreni  freschi. 

Località  ed  esposizione:  indifferente. 


527  — 


Forme  più  adatte  :  tutte  meno  la  piramide. 

Fertilità  :  notevole. 

Sistema  di  coltiuazìoiie  :  frutteti  casalinghi  e  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta  :  albero  vigoroso  e  fertile,  con  base  larga  e  la  chioma  rego- 
larmente conica.  Branche  mollo  forti,  rami  dell'annata  numerosi,  di  lunghezza  media, 
abbastanza  grossi,  di  color  grigio  bruno,  con  lenticelle  larghe.  Gemme  a  legno  grosse, 
ovali,  coniche,  a  punta  acuta,  mollo  divergenti  al  ramo.  I.e  gomme  a  frutto  abbastanza 
dardi   corti    e   borse   medie. 


Foglie  di  color  verde  carico  bril- 
lante, leggermente  coriacee ,  ovali 
acute.  Picciolo  alquanto  corto  e  sti- 
pule  molto  lunghe. 

Descrizione  del  frutto  :  quasi 
sempre  solitario,  di  grandezza  \nii 
che  media,  forma  arrotondata,  ot- 
tusa, ventricolata.  Peduncolo  forte 
medio  di  lunghezza.  Calice  medio, 
aperto.  Buccia  ruvida  al  tatto,  di  co- 
lore verde  pallido,  sfumata  in  giallo, 
molto  punteggiala  e  marmorizzata 
di  rosso  bruno.  Polpa  bianca  semi- 
fina, butirrosa,  a  seconda  della  na- 
tura del  suolo  e  della  grossezza  del 
frullo.  Succo  abbondante,  zucche- 
rino, acidulo  vinoso  e  leggermente 
profumato. 

Osseru:izioni  :  si  innesta  tanto 
sul  cotogno  quanto  sul  franco,  ma  è 
preferibile  sul  primo,  perchè  è  più 
fertile.  Si  alleva  sotto  tutte  le  forme, 
per  il  pieno  vento  però  le  trutta  sono 
troppo  grosse  :  il  cordone,  la  spal- 
liera ed  il  fuso  sono  preferibili  alla 
forma  piramidale,  che  non  dà  sem- 
pre delle  belle  piramidi.  Riesce  a 
tutte  le  esposizioni,  ma  semi)ra  pre- 
ferire il  levante  od  il  ponente.  Riesce 
bene  nei  terreni  argillo-sllicei,  fre- 
schi e  non  umidi  ed  in  generale  in 
tutti  i  terreni  leggeri,  aventi  umus.  Piantando  a  mezzogiorno,  bisogna  ricordarsi  che 
i  venti  del  sud  caldi,  secchi  e  violenti  fanno  disseccare  facilmente  le  toglie  in  prima- 
vera e  durante  1'  estate. 

La  fioritura  non  è  tanto    precoce    e   dura  a  lungo,  ciò    che   assicura   una   costante 
fertilità. 


Fig.  421.  —  Marlin  secco  (- 


Butirra  di  Hardenpont  (fig.  415). 

Buerré  Hardenpont  —  Ted.:  Hardenponfs  Winterbutlerbirne 
Ingl.  :  Gol  Lue  de  Cambron. 


Origine:  Belgio. 

Maturazione:  matura  da  novembre  a  marzo.  E'  facile  a  conservarsi. 
Qualità  :  prima. 

Clima  caldo  e  terreno  granitico,  fertile  e  non  sabbioso. 

Località  ed  esposizione:  soltanto  per  località  calde  e  riparate,  esposte  a  mezzogiorno 
levante. 

Forme  più  adatte:  piramide  e  spalliera. 
Fertilità:  notevole. 


—  528  — 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  e  industriali. 

Descrizione  della  pianta:  albero  piramidale,  slanciato,  vigoroso,  fertile.  Branche  di 
color  bruno  nerastro,  con  lenticelle  grigio  brune.  Rami  abbastanza  grossi,  diritti,  con 
direzione  obliqua  ascendente.  Corteccia  di  color  grigio  e  cotonosa  all'estremità.  Gemme 
a  legno  medie,  corte,  depresse  alla  base.  Gemme  a  frutto  ottuse:  borse  e  dardi  medi. 
Foglie  di  color  verde  brillante,  ovali,  lanceolate,  crespate,  dentate.  Picciolo  medio. 

Descrizione  del  fruito:  solitario,  caduco,  grande,  turbinato,  incavato  dalla  parte  del 
calice.  Calice  medio.  Peduncolo  arcuato,  medio.  Buccia  fina,  poco  liscia,  verde  pallido 
quasi  glauco,  unicolore,  con  qualche  macchia  grigia.  Ombreggiata  di  rosso  attorno  al 
calice  od  al  punto  dinserzione  del  peduncolo.  Polpa  bianca,  fina,  liquescente,  succosi- 
sinia,  zuccherina,  delicatamente  acidula  e  dotata  di  profumo  molto  piacevole. 

Osservazioni:  prospera  tanto  sul  cotogno  quanto  sul  franco.  Nei  terreni  freddi,  umidi 
e  grassi,  i  fiori  diventano  infecondi,  ed  i  frutti  cadono  prima  della  raccolta.  Le  forme 
migliori  sono  la  piramide  e  la  spalliera  esposta  a  levante  o  a  mezzogiorno  o  a  ponente. 
Si  possono  fare  anche  dei  bei  fusi  e  cordoni.  Non  è  adatta  per  la  forma  ad  alto  fusto 
perchè  lascia  cadere  facilmente  i  frutti.  Vegetazione  moderata  e  regolare. 

Per  la  facile  caduta  dei  frutti,  per  la  difficoltà  di  trovare  una  esposizione  ed  un 
terreno  adatto,  non  è  consigliabile  per  la  generalità  dei  frutticoitori.  Trovate  però  le 
condizioni  in  cui  prospera,  conviene  estendere  notevolmente  questa  varietà,  perchè  è 
sempre  ricercata. 

E'  abbastanza  soggetta  alla  ticchiolatura  ed  ai  danni  della  mosca. 


Butirra  Hardy  (fig.  413). 

Frane:  Beurré  Hardy  —  Ted.:  Gellert  Butterbirne  —  Ingl.  Beurré. 


Origine:  Boulogne  (Francia). 

Maturazione:  prima  metà  d'ottobre.  E'  meglio  raccoglierla  una  settimana  prima 
della  maturazione,  perchè  diventa  farinosa. 

Qualità:  prima  da  tavola.  È  la  migliore  delle  pere  autunnali. 

Clima  temperato  e  terreno  sano,  profondo,  né  troppo  secco,   né   troppo  umido. 

Località  ed  esposizione:  molto  riparata. 

Forme  più  adatte:  alto  fusto,  piramide  e  cordone  verticale. 

Fertilità:  notevole,  però  fruttifica  tardi. 

Sisteiiìa  di  coltivazione:  frutteto  casalingo  e  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  albero  piramidale,  fertile,  vigoroso  sul  cotogno  ed  ancora 
più  sul  franco.  Branche  fortissime,  lunghe.  Rami  numerosi,  lisci,  con  corteccia  liscia 
disseminata  da  lenticelle  grandi,  sporgenti,  rotonde  e  grigie.  Gemme  a  legno  piccole, 
ovoidali,  appuntite,  cotonose,  alquanto  rilevate  dal  ramo.  Gemme  a  frutto  medie,  ovali, 
appuntite.  Foglie  di  color  verde  chiaro  con  denti  profondi,  arcuate.  Picciolo  grosso, 
diritto.  Stipulo  lineari  corte,  diritte. 

Descrizione  del  frutto  :  frutti  da  tavola  appaiati,  di  grossezza  media,  di  forma  arro- 
tondata, ottusa,  ventricolata,  sempre  più  rigonfia  da  una  parte  che  dall'altra.  Peduncolo 
corto,  grosso.  Orifizio,  medio  e  aperto.  Buccia  grossa,  ruvida  al  tatto,  verde  bronzata  e 
alla  maturazione  diventa  rosso  bruna,  con  delle  macchie  di  colore  ancora  più  scure 
e  puntini  piccoli  bruni.  Polpa  bianca,  finissima,  deliquescente,  talvolta  un  poco  granu- 
losa, molto  succosa,  zuccherina,  e  leggermente  moscata,  al.  cm.  10,  diam.  cent.  8. 

Osservazioni:  per  allevare  questa  varietà  a  piramide  ed  a  cordone,  si  innesta  sul 
cotogno.  Non  dà  però  sempre  belle  piramidi,  essendo  alquanto  deficiente  di  rami.  Sul 
franco  si  presta  per  mezzo  ed  alto  fusto. 

Non  è  delicata  nella  fioritura,  che  è  prolungata. 

La  varietà  ha  un  solo  difetto  :  che  i  frutti  cadono  con  qualche  facilità  e  non  si 
possono  conservare.  Bisogna  raccorglierli  una  settimana  prima,  dovendoli  spedire,  poiché 
appena  maturi  si  macchiano. 


—  529  — 


Catillac. 

Frane.  :  Catillac  —  Ted.  :  Grosser  Katzenkopt 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  dicembre  fino  al  principio  d'estate. 

Qualità:  prima,  tanto  da  cuocere  quanto  da  esportazione. 

Fertilità:  straordinaria,  la  pianta  produce  presto. 

Vigoria:  straordinaria. 

Clima  :  pochissimo  esigente,  resiste  ai  freddi  più  intensi,  anche  in  montagna. 

Terreno:  pochissimo  esigente. 

Esposizione  e  situazione:  ovunque  dove  alligna  il  pero. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento. 

Soggetti  da  innesto:  franco. 

Sistema  di  coltivazione:  pieno  vento  nei  campi. 

Descrizione  della  pianta:  forma  conica,  irregolare,  rada,  rami  molto  lunghi  fino 
a  m.  1.50.  con  gomme  rade,  grosse:  foglie  cotonose  sulla  pagina  inferiore,  molto  grandi, 
le  più  grandi  di  tutte  le  varietà  di  pero  ;  fiore  molto  grande,  fiorisce  tardi  e  resiste  ai 
freddi. 

Descrizione  e  forma  del  frutto:  grosso  o  grossissimo,  largo  quanto  è  alto  (80-100  mm.), 
panciuto  in  basso,  a  rilievi  e  verso  il  peduncolo  si  assottiglia  ;  colore  verde  chiaro  poi 
giallognolo,  cosparso  di  macchie  piccole  brune:  buccia  grossolana,  dura,  peduncolo 
legnoso,  lungo  25-35  cm.,  grosso,  curvo,  disposto  in  una  cavità  regolare,  poco  pro- 
fonda: calice  aperto,  grande;  polpa  granulosa,  grossolana,  dura,  di  color  bianco  giallo- 
gnolo, abbastanza  succosa  e  dolce,  non  commestibile  che  cotta;  semi  appiattiti  e  incur- 
vati a  tegola,  terminanti  in  punta  acuta;  capsula  dei  semi  relativamente  piccola. 

Proprietà  del  frutto:  occupa  il  primo  posto  fra  le  pere  invernali  da  cuocere.  11  frutto 
è  dei  più  grandi  che  si  conoscano.  Nel  fruttaio  acquista  un  colore  giallognolo  cosi  che 
sulle  tavole  può  servire  da  frutto  ornamentale.  Ha  uno  speciale  valore  se  cotto,  acquistando 
un  colore  rosso  ed  un  sapore  dolce  acidulo  gradito.  Avendo  la  buccia  molto  grossa  e 
la  polpa  consistente,  si  conserva  senza  difficoltà  in  qualunque  fruttaio.  Dove  non  domi- 
nano i  venti,  si  può  lasciare  a  lungo  sulla  pianta  ed  allora  acquista  più  presto  quel 
colorito  giallognolo,  che  lo  rende  più  apprezzato  sui  mercati.  L'imballaggio  è  facile  e  di 
poco  riguardo. 

Difetti  della  varietà:  sconosciuti. 


evirato  (lìg.  412  bis). 
Frane:  Cure  —  Ted.:  Pastorenbirne  —  Ingl.:  Paternoster. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  dal  novembre  alla  primavera.  Per  conservarla  lungo  tempo,  conviene 
raccogliere  questa  pera  alla  fine  di  settembre.  Riesce  succosa  e  saporita  nelle  annate 
calde  ed  umide,  altrimenti  resta  insipida  e  poco  succosa. 

Qualità:  secondaria  per  fare  composte  e  da  tavola,  ma  primaria  da  cuocere  e  per 
mercato. 

Clima  senza  esigenze,  terreno  un  po'  fresco. 

Località  ed  esposizione:  indifferente. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento,  spalliera  e  piramide. 

Fertilità  :  notevole  e  precoce. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  di  speculazione  e  nella  coltura  campestre. 

Descrizione  della  pianta:  albero  vigoroso  e  fertile  sul  cotogno,  forma  piramidi 
strette  alla  base.  Le  branche  formano  un  angolo  poco  aperto  col  fusto,  molto  forti,  lunghe, 
senza  spine,  con  poche  lenticelle  grigio  brune,  grosse,  rotonde  e  salienti.  1  rami 
abbastanza  grossi,  non  diritti,  ma  piegati  a  ciascun  nodo,  obliqui  orizzontalmente,  di 
colore  verde  grigio  all'ombra,  bruni  tinti  di  rosso  dalla  parte  soleggiata  ed  all'estremità. 

34  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  530  - 

Lenticelle  rade  e  rossiccie,  prominenti.  Gemme  a  legno  abbastanza  grosse,  allungate, 
coniche,  distaccate  dal  ramo,  coperte  da  lanugine  bianca.  Gemme  a  frutto  abbastanza 
grosse,  ovoidali,  laniborde  corte,  rigonfie,  di  color  bruno  rossastro,  articolate  alla  base. 
Foglie  grandi,  di  un  bel  verde  lucente,  grosse,  ovali,  debolmente  accuminate,  i  lembi 
con  dentatura  marcata,  acuta  specialmente  all'estremità.  Picciolo  lungo  e  molto  grosso. 

Descrizione  del  fruito:  frutto  mollo  grande.  Sovente  solitario  od  a  due  od  a  tre, 
odoroso  all'epoca  della  maturazione.  Forma  molto  allungata,  mammelliforme  all'estre- 
mità, leggermente  incurvata.  Peduncolo  abbastanza  grande,  grosso  alla  base,  legnoso 
nel  mezzo,  di  colore  bruno  chiaro,  e  piantato  sempre  a  lato  della  sommità  del  frutto,  in 
modo  da  imitare  il  becco  d'un  uccello.  Calice  grande,  arrotondato,  aperto.  Buccia 
abbastanza  grossa,  di  colore  verde  chiaro  coperta  da  punti  rossicci;  qualche  volta  è 
coperta  completamente  intorno  all'orilìzio  e  lungo  un  lato  longitudinale  da  macchie 
rossastre.  Dalla  parte  del  sole  si  colora  rosso  chiaro,  nel  mezzo  appariscono  dei  pun- 
teggiamenti grigio  nerastri  contornati  da  una  aureola  verde;  una  linea  grigio  rossiccia 
parte  ordinariamente  alla  base  del  peduncolo  e  si  prolunga  fino  all'  orifizio.  Questa 
linea,  sovente  molto  stretta,  è  talvolta  larga  da  2  a  3  mm.  ed  è  questo  un  carattere 
molto  distintivo  della  varietà.  Polpa  bianca,  semi  fina,  semi  deliquescente,  con  succo 
abbastanza  abbondante  e  zuccherino,  leggermente  muschiata. 

Osservazioni  :  innestala  sul  cotogno  è  varietà  mollo  vigorosa  e  produttiva;  innes- 
tata sul  franco,  si  sviluppa  pure  prontamente  e  si  fanno  dei  pieni  venti;  però  è  meglio 
preferire  il  cotogno,  specialmente  per  le  forme  a  spalliera  e  piramidi,  che  le  sono  molto 
confacenti.  In  primavera  bisogna  fare  la  cimatura  presto  e  corta.  Si  impiega  anche  quale 
pianta  intermediaria  per  i  soprainnesti.  E'  molto  resistente  alle  malattie. 

Sulla  bontà  del  frutto  ha  molta  influenza  il  clima,  il  terreno  e  la  raccolta  antici- 
pala. Si  conserva  molto  bene  nel  fruttaio. 


Decana  d'Alen9on  (fìg.  416). 

Frane:  Doyenné  d'Alen^on  —  Ted.:  Dechants-Birne  von  Alen5on. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  dal  dicembre  al  febbraio.  Nel  fruttaio  si  conserva  molto  bene,  però 
se  raccolta  troppo  presto  non  matura  e  dissecca.  Si  raccomanda  per  la  maturazione 
lenta  e  prolungata. 

Qualità  :  prima,  da  tavola  e  da  mercato. 

Clima  anche  freddo.  Terreno  leggero  e  caldo. 

Località  ed  esposizione:  indifferente,  esposizione  a  mezzodì  o  levante,  piuttosto  ripa- 
rata dai  venti. 

Forme  più  adatte:  piramide,  spalliera  e  mezzo  o  pieno  vento. 

Fertilità  :  media. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  e  industriali. 

Descrizione  della  pianta:  albero  piramidale  e  fertile,  più  vigoroso  sul  franco  che 
sul  cotogno,  perciò  si  innesta  di  preferenza  sul  primo.  Le  branche  formano  un  angolo 
aperto  col  fusto,  sono  coperte  di  molte  lenticelle  grigio-rossastre,  rotonde  e  salienti.  1 
rami  di  grossezza  media,  numerosi,  ascendenti,  leggermente  arcuati,  rigonfi  all'estre- 
mità. Scorza  di  color  grigio-bruno,  con  lenticelle  rotonde  od  ovali,  grigie  e  promi- 
nenti. Gemme  a  legno  abbastanza  grandi,  corte ,  conico  appuntite.  Gemme  a  frutto 
medie,  ovali,  coniche,  bruno-marrone.  Dardi  corti,  esili;  borse  corte,  grasse  specialmente 
nel  mezzo.  Foglie  verde-pallide,  grandi,  elittico-allungate,  finamente  dentate.  Picciolo 
lungo,  grosso. 

Descrizione  del  frutto:  frutto  per  lo  più  solitario,  di  grandezza  media,  di  forma 
ovoidale  arrotondata,  irregolare,  un  poco  più  alta  che  larga,  e  più  prominente  da  una 
parte  che  dall'altra.  Peduncolo  cortissimo,  ma  forte,  inserito  obliquamente  al  frutto.  Ori- 
fizio piccolo:  buccia  molto  rugosa,  squamosa,  molto  grossa, di  colore  giallo  rosso  forte- 


—  531  - 

mente  macchiata  di  rosso,  di  bi-uno  e  di  grigio  e  punteggiata  del  medesimo  colore  nelle 
parti  verdi,  che  diventano  gialle  a  maturazione.  Polpa  bianco-giallastra,  eccessivamente 
liquescente  :  succo  abbondante,  vinoso,  leggermente  acido  ed  aromatico. 

Osservazioni:  .Si  raccomanda  l'innesto  sul  franco. 

Si  raccolga  il  frutto  piuttosto  tardi  perchè  non  aggrinzi. 


Decana  d'inverno  (lig.  414). 

Frane:  Doyenné  d'hiver  —  Ted.:  Winter  Dechantsbirne. 

Origine:  Belgio. 

Maturazione:  dicembre-aprile. 

Qualità:  prima,  da  tavola,  nei  migliori  terreni. 

Clima  :  da  vite  e  terreno  molto  fertile. 

Località  :  buona  a  levante  o  ponente. 

Forme  più  adatte:  palmetta,  cordoni  verticali  e  piramide. 

Fertilità:  notevole  in  buone  condizioni. 

Sistema  di  coltivazione  :  frutteti  di  speculazione  e  di  famiglia. 

Descrizione  della  pianta  :  albero  molto  fertile,  specialmente  adatto  per  spalliera.  Bran- 
che forti,  rami  numerosi,  di  grossezza  media,  lunghi,  lisci,  di  color  giallo  bruno,  con 
rare  lenticelle.  Gemme  a  legno  grosse,  larghe,  corte.  Gemme  a  frutto  medie,  ottuse.  Borse 
molto  grosse,  di  color  grigio  verdastro.  Foglie  di  colore  verde  carico,  ovali  allungate, 
dentate  irregolarmente,  incurvate  ai  lembi  a  guisa  di  gronda.  Picciolo  abbastanza 
lungo,  con  stipule  lanceolate. 

Descrizione  del  frutto:  frutto  per  lo  più  solitario,  voluminoso,  di  forma  varia  fra  il 
globoso  appiattito  e  l'ovoidale  un  poco  ventricolato.  Peduncolo  corto  e  grosso,  calice 
grande  ed  aperto.  Buccia  liscia,  verde  gialla,  punteggiata  o  fregiata  di  bruno  e 
qualche  volta  tinta  di  rosso  scuro  dalla  parte  del  sole.  Polpa  bianca,  abbastanza  fine, 
liquescente.  Succo  abbondante,  zuccherino,  leggermente  acidulo  e  profumato. 

Osservazioni:  questa  varietà  comincia  in  primavera  tardi  ad  entrare  in  vegeta- 
zione. Se  innestata  sul  cotogno  ed  allevata  a  spalliera  o  piramide,  si  sviluppa  bene, 
produce  delle  buone  e  belle  frutta,  ma  la  pianta  si  esaurisce  molto  presto.  Piantata  in  un 
terreno  magro  e  caldo,  produce  poco  :  le  frutta  sono  piccole,  rugose  e  grinzose.  Le 
branche  sono  deboli,  i  rami  sottili  e  sofferenti,  le  foglie  piccole.  Innestata  sul  franco 
e  piantata  in  un  terreno  ricco,  profondo,  leggero  e  fresco,  la  pianta  acquista  un  grande 
vigore,  ma  riesce  poco  produttiva,  quantunque  longeva.  Meglio  di  tutto  è  farcii  soprain- 
nesto  sul  Cure.  11  più  delle  volte  questa  varietà  fiorisce  abbondantemente,  ma  i  fiori  abor- 
tiscono per  le  circostanze  atmosferiche.  Si  raccoglie  nei  primi  giorni  di  novembre  sulle 
spalliere  esposte  a  mezzogiorno  e  matura  allora  alla  fine  di  gennaio.  Le  frutta  raccolte 
a  metà  ottobre  si  conservano  più  a  lungo,  ma  anticipando  ancora,  appassiscono  senza 
maturare.  Ciò  avviene  di  frequente,  quando  questa  varietà  viene  coltivata  in  terreni 
troppo  leggeri  ad  esposizioni  calde. 

Indubbiamente  questa  è  la  regina  delle  pere  invernali,  se  colta  a  tempo  e  portata 
a  giusta  maturazione. 

11  legno,  i  rami  ed  i  frutti  soffrono  molto  per  la  rogna  e  per  il  cancro. 

Estendere  molto  (juesta  varietà,  dove  però  si  è  sicuri  che  le  condizioni  naturali 
sono  adatte. 

Duchessa  d' Angonlème  ((ìg.  411> 

Frane:  Duchesse  d'Angouléme  —  Ted.:  Herzògin  von  Angoulème  — 
Ingl.  Beurré  Soule. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  Di  solito  matura  dal  settembre  a  tutto  novembre.  Si  conserva  molto 
bene  nel  fruttaio  anche  fino  a  metà  dicembre.  Bisogna  raccoglierla  quando  incomincia  a 
cambiare  di  colore.  Allora  si  conserva  più  a  lungo  e  si  gustano  tutte  le  sue  preziose 
qualità.  Nel  mezzogiorno  e  nei  terreni  caldi,  comincia  a  maturare  ancora  in  agosto. 


-  532  - 

Qualità:  prima. 

Clima  caldo  da  vigna  e  terreno  siliceo-argilloso-calcare,  fresco,  ma  drenato. 

Località  riparata,  a  levante  o  ponente. 

Forme  più  adatte:  piramide,  cordoni  verticali,  fusi  e  mezzo  vento. 

Fertilità:  straordinaria. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  di  speculazione  e  casalinghi. 

Descrizione  della  pianta:  albero  molto  fertile,  poco  vigoroso,  piramidale  a  testa 
conica  slanciata  a  base  stretta.  Branche  abbastanza  grosse.  Rami  poco  numerosi  e  leg- 
germente divergenti  e  incurvati,  grossi,  lunghi.  Corteccia  giallo  chiara  con  punteggia- 
ture di  color  cenere.  Gemme  a  legno  abbastanza  grosse,  lunghe,  coniche,  acute.  Gemme 
a  frutto  medie,  cilindriche  all'estremità,  molto  rigonfie  alla  base,  dardi  corti  aggrinziti. 
Foglie  di  color  verde  chiaro,  brillante,  grosse,  con  nervature  pronunciate,  abbastanza 
grandi,  ovali,  con  denti  profondi.  Picciolo  sottile,  lungo,  gracile,  di  color  un  po'  vinoso  ; 
stipule  lineari  fine. 

Descrizione  del  frutto:  frutti  solitari,  raramente  appaiati,  odorosi,  voluminosi,  qualche 
volta  enormi,  forma  ovoidale  leggermente  cilindrica  e  molto  arrotondata.  Orifìzio  piccolo, 
peduncolo  grosso,  legnoso,  più  rigonfio  all'estremità  che  alla  base.  Buccia  ruvida,  grossa, 
giallo  verdastra  punteggiata  e  marmoreggiata  di  rosso  grigio.  Polpa  delle  più  lique- 
scenli,  bianca  un  po'  nevosa  (neigeuse)  secondo  la  natura  del  suolo  e  dell'esposizione,  fina 
o  semi  fina.  Succo  molto  abbondante,  molto  zuccherino,  vinoso,  con  aroma  squisito. 

Osservazioni:  si  può  innestare  indistintamente  sul  cotogno  e  sul  franco  e  si  può 
allevare  sotto  tutte  le  forme,  ma  è  preferibile  la  piramide  al  pieno  vento,  attesa  la  gros- 
sezza dei  suoi  frutti.  Nelle  terre  forti  e  abbondanti  di  ingrassi  organici  i  frutti  vengono 
molto  grossi,  ma  sono  poco  buoni  e  si  conservano  male.  A  nord  sono  freddi  e  senza 
sapore  ;  a  mezzogiorno  sono  pastosi.  Richiede  un  taglio  corto  in  considerazione  della 
sua  fertilità  :  bisogna  tenere  i  rami  superiori  sempre  corti  finché  gli  inferiori  assu- 
mono un  buon  sviluppo,  perchè  si  sprovvede  facilmente  alla  base. 

In  tutta  Italia  si  può  raccomandare  questa  varietà,  innestata  sul  franco,  nei  terreni 
piuttosto  secchi  che  umidi  e  allevarla  a  piramide  o  cordoni  verticali. 

La  vitalità  della  pianta  è  piuttosto  limitata. 

I  fiori  sono  piuttosto  delicati  pel  freddo;  i  rami  ed  i  fusto  vanno  soggetti  alla 
rogna  ed  al  cancro. 


Giuseppina  di  Malines. 

Frane:  Josephine  de  Malines  —  Ted.:  Josephine  von  Mecheln. 

Origine:  Francia. 

Maturazione  :  gennaio-marzo. 

Qualità:  prima. 

Clima  anche  freddo  e  terreno  fresco,  di  medio  impasto. 

Località  fredde  ma  riparate. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento  e  spalliera. 

Fertilità:  notevole. 

Sistema  dì  coltivazione:  frutteto  casalingo  e  nei  broli. 

Descrizione  della  pianta:  albero  vigoroso,  con  rami  sottili  e  confusi,  non  lunghi,  di 
colore  marrone  chiaro  e  punteggiati  abbondantemente.  Gemme  voluminose,  ovoidali, 
arrotondate.  Foglie  di  grandezza  media,  elittico-rotonde,  regolarmente  seghettate;  pic- 
ciolo corto  e  grosso. 

Descrizione  del  frutto:  frutti  riuniti,  medi  di  grandezza,  turbinati  verso  il  pedun- 
colo. Altezza  e  diametro  di  cm.  8.  Calice  piccolo,  aperto,  con  sepali  corti,  duri,  che  si 
trovano  in  una  insenatura  profonda.  Peduncolo  grosso  e  quasi  diritto,  lungo  più  o  meno 
a  seconda  che  il  frutto  è  piccolo  o  grande.  Buccia  ruvida  di  color  verde  che  poi  diventa 
giallo  pallida  a  maturazione,  con  una  sfumatura  nocciola  intorno  al  peduncolo.  Polpa 
bianca,  finissima,  molto  liquescente  e  gustosissima,  dolce  e  profumata  di  rosa.  Granella 
di  color  castagno  cupo,  speronate. 


-  533  - 

Osseruazìoni :  cresce  lentamente,  bisogna  innestarla  in  testo  sul  franco  per  ottenere 
dei  pieni  venti.  Per  la  potatura  si  applichino  le  medesime  precauzioni  suggerite  pella 
Bergamotta  Esperen.  Si  innesti  sul  cotogno  per  le  forme  da  spalliera. 

La  pianta  è  vigorosa,  sana,  rustica,  resistendo  anche  ai  freddi  intensi. 

MontsaUard  (Pig.  407). 

Sinonimi:  Monchallard. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  agosto-settembre.  Va  colto  prima  della  maturità. 

Qualità:  prima  da  mercato. 

Fertilità:  grande  e  regolare. 

Vigoria  :  media. 

Cliiiia:  da  vigna  dell'Italia  centrale. 

Terreno:  buono,  asciutto. 

Esposizione  e  situazione:  indifferente. 

Forme  più  adatte:  qualunque,  di  preferenza  piramide. 

Soggetti  da  innesto:  franco  e  cotogno.  Sul  franco  pei  terreni  ciottolosi,  aridi  e  pel 
pieno  vento. 

Descrizione  della  pianta:  rami  lunghi,  forti,  diritti,  di  color  bruno-olivastro.  Lenti- 
celle piccole  e  rade.  Gemme  piccole  molto,  depiesse,  coniche.  Foglie  grandi,  ovali,  allun- 
gate con  lungo  picciolo. 

Descrizione  del  frutto:  forma  a  campana,  media;  colore  verde  giallastro,  punteg- 
giata di  verde;  buccia  sottile:  peduncolo  grosso  di  media  lunghezza;  polpa  bianco- 
citrina,  fina,  fondente,  profumata,  a  sapore  zuccherino,  rinfrescante. 

Osservazioni:  bisogna  tagliare  un  po'  lungo  specialmente  nei  primi  anni.  In  Toscana 
questa  varietà  ha  dato  e  dà  dei  buonissimi  risultati.  Ritengo  questa  varietà  più  conve- 
niente specialmente  per  la  produttività,  della  pera  Coscia. 


Oliviere  de  Serres  (fig.  420). 

Frane.  :  Olivier  de  Serres  —  Ted.  :  Olivier  de  Serres  —  Ingl.  :  Olivier  de  Serres. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  dalla  seconda  metà  di  febbraio  a  tutto  marzo. 

Qualità  :  prima,  da  commercio. 

Clima  caldo  e  terreno  fertile  e  sciolto. 

Località  ed  esposizione:  buona  anche  se  esposta  ai  venti.  Esposizione  a  mezzogiorno. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento,  cordone  verticale  o  piramide. 

Fertilità:  notevole  soltanto  nelle  località  adatte. 

Sistema  di  coltiuazione  :  fruiteti  industriali  e  casalinghi. 

Descrizione  della  pianta  :  albero  di  corte  dimensioni,  ben  ramificalo,  con  rami 
quasi  eretti,  grossi,  brevi,  verde-bruni  con  minute  lenticelle.  Gemme  voluminose,  ovoidali, 
acute  scostate  dal  ramo.  Foglie  ovali  od  ovali  allungate,  medie,  con  dentatura  pro- 
fonda. Picciolo  lungo  e  grosso. 

Descrizione  del  frutto:  ItuHo  di  grandezza  meno  che  media,  di  forma  sferica  molto 
appiattita.  Peduncolo  corto,  arcualo,  grosso  nel  mezzo  e  molto  rigonfio  all'estremità  che 
sta  attaccata  al  ramo.  Calice  grande,  regolare.  Buccia  sottile,  giallo  olivastra,  coperta 
da  macchie  e  punteggiature  fulve  e  leggermente  rossastre,  dalla  parte  del  sole.  Polpa 
biancastra,  liquescente  abbastanza  fina  e  succosa,  di  un  sapore  dolce  agretto,  soavemente 
profumata. 

Osseruazioni:  è  di  un  vigore  perfetto,  tanto  sul  cotogno  quanto  sul  franco,  ed  è  pure 
molto  fertile.  I  suoi  frutti  resistono  bene  ai  venti,  quindi  si  presta  per  l'alto  fusto, 
purché  però  innestato  sul  franco  e  con  terreno  ricco.  Del  resto  il  pieno  e  mezzo  vento 
sono  le  due  forme  che  meglio  si  prestano. 

La  raccolta  dei  frutti  si  faccia  tardi,  alla  fine  di  ottobre.  I  frutti  non  si  conservano 
bene  nel  fruttaio,  aggrinziscono  se  raccolti  troppo  presto  o  se  conservati  in  località 
troppo  asciutte. 


—  534  - 
Martin  secco  (fig.  421). 

Frane:  Martin  sec  —  Ted.  :  Trockner  Martin  —  Ingl.  :  Dry  Martin. 

Origine:  Francia. 

Maturazione  :  novembre  a  marzo. 

Qualità  :  prima,  da  cuocere  e  da  mercato. 

Clima  anche  freddo  ed  in  terreno  mediocre. 

Località  ed  esposizione:  aperte. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento. 

Fertilità  :  media. 

Sistema  di  crtllivazione  :  campestre. 

Descrizione  della  pianta  :  crescita  normale  ;  rami  sottili,  allargati  alla  base,  diritti 
in  alto,  tomentosi  all'estremità,  con  lenticelle  piccole  e  rare.  Gemme  piccole,  sferoidali, 
poco  prominenti.  Foglie  allungate  od  ovoidali  alla  base  dei  rami,  piegate  a  gronda, 
appuntite,  finamente  seghettate.  Picciolo  rossastro,  tomentoso  al  disotto  e  di  media 
lunghezza. 

Descrizione  del  frutto:  frutto  medio  o  piccolo,  del  diametro  di  6  cm.  ed  alto  cm.  7,5, 
a  forma  di  pera  o  di  fiasco,  portato  da  un  peduncolo  lungo,  diritto  o  leggermente 
incurvato  di  color  rosso  scuro.  Calice  aperto,  cotonoso.  Buccia  sottile,  dura,  liscia,  con 
fondo  di  color  giallo  coperto  da  una  ruggine  rossastra  punteggiata  di  grigio  e  molto 
più  rossa  dalla  parte  del  sole.  Polpa  biancastra,   granulosa,   di   sapore   acidulo  e  dolce. 

Osservazioni:  si  innesti  esclusivamente  sul  franco.  Pianta  alquanto  delicata  per 
malattie  però  specialmente  in  Piemonte  è  sorgente  notevole  di  ricchezza  per  le  località 
in  cui  si  adatta. 


Passa  Colmar  (fìg.  419). 

Frane:  Passe  Colmar  —  Ted.:  Regentin  —  Ingl.:  Chapman's  Passe. 

Origine:  Belgio. 

Maturazione  :  da  dicembre  a  febbraio,  quantunque  molte  volte  arrivi  a  maturare 
prima  e  talvolta  anche  dopo.  Ha  il  merito  di  conservarsi  per  molto  tempo  senza  mac- 
chiarsi, però  se  il  frutto  viene  colpito  dai  primi  freddi,  sulla  sua  buccia  compaiono 
delle  macchie  nere  e  la  polpa  diventa  amara. 

Qualità  :  prima,  da  tavola. 

Clima  caldo,  terreno  fresco  e  mediocremente  fertile. 

Località  calde  e  buona  esposizione. 

Forme  più  adatte  :  spalliera  e  cordoni  verticali  od  orizzontali. 

Fertilità:  notevole. 

Sistema  di  coltivazione    frutteti  casalinghi. 

Descrizione  delli  pianta:  è  di  debole  vegetazione  e  prende  naturalmente  la  forma 
di  cespuglio.  Ha  una  straordinaria  fertilità  :  branche  un  pò  deboli,  che  formano  un 
angolo  poco  aperto  col  fusto.  I  rami  dell'annata  sono  abbastanza  numerosi,  di  media 
lunghezza,  molto  salienti,  di  color  giallo  verdastro,  con  lenticelle  piccole,  salienti,  di 
color  grigio.  Le  gemme  a  legno  sono  medie  o  grosse,  coniche,  quasi  ottuse  che  all'estre- 
mità si  scostano  dal  ramo.  Le  gemme  a  frutto  medie,  acute,  di  color  grigio  biancastro. 
Borse  corte,  rigonfie  nel  mezzo,  di  color  grigio  nerastro.  Dardi  grossi,  rotondi.  Foglie 
piccole  ed  abbondanti,  unite  a  3  o  4,  ovali,  acuminate,  grosse,  regolarmente  seghettate, 
Picciolo  forte  ed  abbastanza  lungo,  stipale  lineari  disposte  ad  ali. 

Descrizione  del  frutto:  frutto  di  solito  appaiato;  cade  facilmente  dall'albero,  è  medio, 
turbinato,  largo  ed  appiattito  verso  il  calice.  Peduncolo  di  lunghezza  media,  gracile, 
molto  grosso  alle  due  estremità. 

Calice  medio,  aperto.  Bu  -eia  grossa,  verde  chiaro  quando  si  coglie  ma  diventa  colla 
maturazione  giallo  dorata  debolmente  marmorizzata  di  rosso  dalla  parte  del  sole, 
punteggiata  di  ruggine  intorno  al  picciolo  e  al   calice.  Polpa  liquescente,  bianco   gial- 


—  535  — 

lastra,  piena  di  succo   di   sapor  vinoso  e  di   profumo    molto   delicato.  I   semi,  due    per 
loggia,  molte  volte  incompleti,  sono  bislunghi  e  di  colore  castano. 

Osserwaz/on j;  sul  cotogno  ha  abbastanza  vigore  specialmente  dopo  il  secondo  anno. 
In  ogni  caso  non  bisogna  applicare  dei  tagli  troppo  corti,  specialmente  nella  potatura 
secca.  Si  può  piantare  tanto  a  levante,  quanto  a  ponente  o  a  mezzodì,  in  un  terreno  non 
troppo  leggero  e  fresco,  purché  non  troppo  fertile.  A  riparo  dei  venti  si  può  allevarla 
anche  a  mezzo  vento.  Meno  che  nei  terreni  eccessivamente  secchi,  cjuesta  varietà  è 
molto  produttiva.  Per  la  sua  straordinaria  fertilità,  molte  volte  bisogna  diradare  i  frutti, 
oppure  togliere  alcuni  fiori.  Volendo  avere  dei  mezzi  venti,  conviene  il  soprainnesto. 


Fassa  Crassane. 

Frane.  :  Passe  Crassane  —  Ted.  :  Edel  Crassane. 

Origine  :  Francia. 

Mritnra'.ione :  questa  varietà  tanto  preziosa,  specialmente  nei  paesi  meridionali, 
matura  durante  i  primi  quattro  mesi  dell'anno.  T.e  frutta  raccolte  dalle  spalliere  delle 
piante  innestate  sul  cotogno  e  piantate  in  esposizioni  calde,  maturano  in  gennaio.  Si 
conserva  benissimo  nel  fruttaio,  ed  è  molto  adatta  per  la  spedizione.  La  raccolta  si 
faccia  il  più  tardi  possibile. 

Qualità  :  prima,  da  tavola. 

Clima:  riparato  e  terreno  fresco  purché  non   argilloso. 

Località  :  riparata  ed  a  mezzogiorno. 

Fornip  più  adatte:  piramidi,  fusi,  vasi,  pieno  o  mezzo  vento. 

Fertilità  :  non  sempre  abbondante. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  e  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  albero  piramidale  abbastanza  vigoroso  che  si  mette  presto 
a  dare  frutto.  Branche  abbastanza  forti,  con  spine  che  scompaiono  col  tempo.  Rami 
medi  o  grossi,  diritti  alla  sommità,  a  gomito  alla  base,  di  colore  bruno  rossastro 
dalla  parte  del  sole  e  bruno  verdastro  dall'altra,  punteggiati  abbondantemente  da 
lenticelle  bianche,  rotonde,  prominenti.  Gemme  a  legno  grandi,  enormi,  schiacciate, 
angolose,  coniche,  appuntite,  f.e  gemme  a  frutto  abbastanza  grandi,  ovali  arrotondate. 
Dardi  e  borse  piccole.  Foglie  molto  grandi,  coriacee,  più  larghe  da  una  parte,  di  color 
verde  carico  brillante,  lanceolate,  acute,  orizzontali,  pendenti  ed  arcuate  a  gronda,  a 
lembi   interi,  meno   all'estremità.  Picciolo   corto  e  ben    nutrito.  Stipulo   filiformi,  corte. 

Descrizioni  del  frutto:  frutto  medio,  molte  volte  a  due,  a  tre  insieme,  di  forma 
ovoidale  fortemente  arrotondata  e  schiacciata,  sovente  più  largo  che  alto.  Peduncolo 
sottile,  abbastanza  lungo,  orifizio  grande.  Buccia  grossa,  ruvida,  verde,  giallo-chiara  a 
maturità,  con  maruìoreggiature  rosso  brune.  Polpa  bianchissima,  molto  fine,  lique- 
scente,  butirrosa.  Succo  abbondante,  zuccherino,  profumato,  acidulo  vinoso,  alquanto 
aspro,  ma  squisito. 

Osservazioni:  può  essere  innestato  tanto  sul  cotogno  che  sul  franco.  Se  sul  primo, 
richiede  un  terreno  ricco  e  convengono  le  piccole  forme,  per  conservare  le  quali  biso- 
gna applicar  il  taglio  corto  e  cimare  ripetutamente  Si  presta  anche  pel  pieno  vento, 
specialmente  nei  paesi  caldi. 

Per  le  sue  esigenze  di  clima  e  terreno,  bisogna  procedere  con  cautela  nell'estendere 
questa  varietà,  che  è  indubbiamente  delle  migliori  per  conservare. 

WUliam  (fig.  409). 

Frane.  :  Bon-Chretien  William    —  Ted.  :  William's    Christbirne   —   Ingl.  :  William's  bon 
Chrétien. 

Oriqine:  Inglese. 

Maturazione  :  questa  pera,  che  viene  considerata  giustamente  fra  le  migliori  d'estate, 
matura  dalla  fine  d'agosto  a  tutto  settembre.  Per  gustarla  in  tutta  la  sua  perfezione, 
bisogna  raccoglierla,  quando  la  buccia  dal  colore  verde  erbaceo  passa  al  verde  paglie- 


—  536  — 

rino.  Portata  nel  fruttaio,  la  polpa  acquista  il  massimo  grado  della  sua  finezza,  con- 
servandola oltre  al  punto  di  maturazione,  si  macchia  e  perde  tutte  le  sue  buone  qua- 
lità. Bisogna  quindi  sorvegliarla  tanto  sull'albero  che  nel  fruttaio. 

Qualità  :  prima,  da  tavola  e  da  mercato. 

Clima  e  terreno  :  qualunque. 

Località  ed  esposi-ione:  qualunque  anche  a  nord  e  nord-ovest. 

Forine  più  adatte:  piramide,  alti  fusti  e  tutte  le  forme. 

Fertilità:  straordinaria. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  e  di  speculazione,  nonché  aperta  cam- 
pagna. 

Descrizione  della  pianta  :  albero  piramidale  notevole  per  la  bellezza  de]  suo  porta- 
mento e  per  la  sua  grande  fertilità.  F.e  branche  formano  un  angolo  aperto  col  tronco. 
1  rami  sono  numerosi,  grossi,  corti,  obliqui,  un  poco  arcuati,  lisci  alla  base  striati  e 
tomentosi  all'estremità.  Lenticelle  grigio-verdastre,  irregolari.  Gemme  a  legno  triango- 
lari, appuntite,  medie  o  voluminose.  Le  gemme  a  frutto  sono  piccole,  ovoidali,  quasi 
ottuse.  Le  foglie  di  color  verde  gaio,  grandi,  ovoidali,  acute,  dentate  a  sega.  Picciolo  corto. 

Descrizione  del  frutto  :  quasi  mai  solitario,  ma  appaiato,  di  grandezza  media  ed 
anche  ragguardevole,  di  forma  oblunga  ovoidale,  poco  regolare,  ben  rigonfia  a  tre 
quinti  del  peduncolo  verso  il  calice.  Peduncolo  corto  o  di  lunghezza  media.  Buccia  sottile, 
morbida,  giallo  paglierina  con  punteggiature  grigie  e  presso  al  peduncolo  di  color 
fulvo.  Polpa  bianca,  fina  liquescente,  butirrosa  e  molto  succosa.  Calice  medio,  semi 
aperto.  Succo  molto  abbondante,  zuccherino,  acidulo,  moscato. 

Osservazioni  :  innestata  sul  cotogno  nei  terreni  silicei  o  schistosi,  misti  di  umus  o 
di  argilla,  getta  molto  vigorosamente  e  produce  in  abbondanza  delle  buone  e  belle 
frutta;  se  invece  pure  innestata  sul  cotogno,  si  trova  in  un  terreno  argillo-siliceo,  si 
esauris:e  molto  presto.  Sul  franco  riesce  molto  bene,  specialmente  nei  terreni  sciolti 
e  vive  molto  più  a  lungo,  semprechè  sia  sottoposta  a  cure  intelligenti.  I  rami  fruttiferi 
di  questa  varietà  hanno  la  tendenza  particolare  ad  allungarsi  e  a  denudarsi  alla  base, 
per  questo  bisogna  applicare  le  cimature,  appena  i  germogli  raggiungono  la  lunghezza 
di  8  a  10  cm.  e  le  torsioni  ai  germogli  anticipati. 

Qualità  eccellente  anche  per  fare  conserve.  Non  sarà  mai  abbastanza  raccomandato 
di  estendere  questa  varietà. 

Il  lettore  avrà  notato  che  nelle  varietà  di  primo  merito  da  me  citate,  non  figura 
alcuna  varietà  italiana.  Non  si  può  negare  che  abbiamo  in  Italia  delle  varietà  origi- 
narie nostre  pur  essendo  ancora  buone,  inferiori  però  di  merito  a  quelle  dianzi 
proposte. 

Le  migliori  varietà  italiane  attualmente  coltivate  sono  le  seguenti. 

1.  Allora  (Gallesio)  invernenga  (novembre  a  febbraio);  albero  vigoroso,  fertile,  sul 
franco  nell'aperta  campagna  della  Toscana. 

2.  Angelica  (Gallesio)  chiamata  anche  pero  fico,  pero  cedro  nel  Modenese,  pera  limona 
nel  Faentino  è  simile  alla  Forellenbirne  dei  tedeschi.  Matura  dalla  fine  di  settembre 
a  tutto  ottobre. 

3.  Bruita  e  buona  di  Giaveno  fGallesio):  in  Toscana  la  chiamano  Bugiarda  o  Inganna 
villani.  Frutto  piccolo,  tondeggiante,  matura  alla  fine  d'estate.  Vigore  mediocre. 

4.  Bugiarda  (Gnocco  di  Parma',  pera  estiva,  oblunga,  cucurbiforme,  verdastra,  av- 
vizzisce presto.  Si  alleva  a  piramide  o  ad  alto  fusto,  sul  cotogno  e  franco  nei  frutteti 
casalinghi  (Molon). 

5.  Campana  (Buoncristiana  d'estate)  chiamata  anche  Battocchia  o  Battaglio  nel 
Bolognese;  la  trovai  coltivata  molto  diffusamente  nel  territorio  di  Imola,  come,  del 
resto  si  trova  anche  nel  Veneto,  sempre  allevata  ad  alto  fusto.  La  sua  produzione  è 
saltuaria,  va  soggetta  alla  ticchiolatura.  Forma  a  campana,  grossa,  di  colore  verde  gial- 
lastro, matura  in  agosto. 

6.  Anche  il  Buon  Cristiano  d'inverno  di  forma  simile  anzi  eguale  alla  precedente  si 
trova  molto  diffuso  nell'lmolese  ed  è  un'ottima  pera  da  cuocere.  La  sua  fertilità  è  però 
incostante. 

7.  Butirra  bianca  d'autunno,  forse  dì  origine  italiana,  matura  in  settembre,  molto 
pregiata  una  volta,  ma  l'albero  è  così  delicato  e  debole  da  dovere  sconsigliare  la  col- 
tivazione. 


-  537  - 

8.  Cedrata  romana  abbastanza  diffusa  in  Istria  negli  orti  di  famiglie  signorili  dove 
è  tenuta  a  spalliera,  a  Torino  è  conosciuta  per  Butirra  Reale.  Ha  una  forma  ovale, 
appiattita  agli  estremi,  buccia  giallo-citrina  con  polpa  zuccherina  acidula  molto  piace- 
vole. Matura  alla  fine  di  settembre.  Si  può  allevare  anche  a  piramide  ed  a  pieno  vento. 
Secondo  me  non  è  tanto  apprezzata  sui  mercati  perchè  nel  suddetto  mese  si  hanno 
altre  varietà  di  pere  e  frutta  diverse  che  possono  farle  concorrenza.  La  pianta  è  sana 
e  vigorosa. 

9.  Cento  doppie  o  Pera  del  lìnea  l'Gallesio)  si  trova  in  Toscana,  a  Napoli  ed  a  Roma 
secondo  il  citato  autore.  Frutto  piccolo,  sferico,  5-6  cm.  di  diametro,  verdastro,  con 
polpa  molto  succosa,  vinosa,  dolce.  A  maturazione  la  buccia  diventa  giallastra  con  stri- 
sele rugginose.  Pianta  molto  delicata.  Matura  in  gennaio-febbraio. 

10.  Coscia,  molto  diffusa  questa  pera  in  Toscana.  Frutto  piramidale,  sessile,  in  parte 
giallo  ed  in  parte  rosso,  che  matura  a  metà  agosto.  Merita  di  essere  estesamente  colti- 
vata, perchè  adatta  per  l'esportazione.  Sul  franco  è  soverchiamente  vigorosa  e  poco  fer- 
tile. Conviene  l'innesto  sul  cotogno  e  si  allevi  a  piramide  o  meglio  a  mezzo  vento  (fìg.  408). 

11.  Frattino  iMolon)  è  un  piccolo  frutto,  a  forma  turbinata,  mm.  48X37,  comune  sul 
mercato  di  Vicenza  nel  mese  di  luglio.  Buccia  gialla  con  macchia  di  colore   rosso. 

12.  nipinlo  (Molonl  che  matura  dalla  metà  alla  fine  di  luglio,  colorito  di  rosso 
carmino.  Molto  profumato  e  di  buon  sapore. 

13.  Limone,  pera  estiva,  (agosto i  allungata,  verdastra,  leggermente  striata  di  rosso 
verso  il  sole.  Diffusa  nel  Bolognese  e  nell'Abruzzo. 

14.  Madama  (Zasso)  frutto  piccolo,  piriforme,  giallo,  finissimo,  eccellente.  Albero 
vegeto,  fertile,  per  alto  fusto  e  commercio.  Luglio-Agosto.  Diffuso  nel  Veronese. 

15.  MoscateUina  (fig.  410)  diffusa  in  tutti  i  paesi  dove  si  coltiva  il  pero.  Ha  il 
pregio  della  precocità  (giugno),  però  ha  poca  durata  Buccia  verdastra,  coperta  in  gran 
parte  di  rosso  bruno.  Coltivasi  ad  alto  fusto.  Bisogna  spedirla  8  giorni  prima  della 
maturazione.  Con  questa  varietà  si  possono  fare  delle  piantagioni  lungo  le  strade  e 
viali.  È  molto  produttiva  e  di  grande  commercio. 

16.  Passa-tutti  (novembre-febbraio^  si  trova  nel  Veneto,  molto  delicata  e  di  poca 
fertilità,  però  è  eccellente.  Ha  la  forma  di  una  piccola  bergamotta. 

17.  Perla,  frutto  estivo  della  Liguria  (Gallesio). 

18.  Regina  Margherita  (novembre-dicembre;. 

19.  Re  Umberto  (novembre-gennaio). 

Queste  due  varietà  ottenute  da  Borsani  a  Milano  sono  raccomandate  dal  Prof.  Molon, 
per  gli  amatori.  Sono  frutti  voluminosi  e  buonissimi. 

20.  Scipiona,  pera  comune  nel  Bolognese,  che  matura  durante  l'inverno.  Coltivata 
a  pieno  vento  nei  campi,  è  migliore  per  cuocere  che  per  mangiarsi  cruda.  È  resi- 
stente alle  malattie,  però  di  produzione  incostante.  Non  è  da  confondersi  colla  S.  Ger- 
mano. Ha  il  gran  vantaggio  di  conservarsi  a  lungo  inalterata  (Tamaro). 

21.  Spinacarpi  (Trentossoi  (gennaio-aprile)  varietà  antichissima  italiana  che  rara- 
mente si  può  assaggiare  perfetta  come  viene  descritta  dai  pomologi.  Molto  di  frequente 
la  polpa  impietrisce  in  parte:  la  pianta  ed  il  frutto  sono  soggette  alla  ticchiolatura. 
Con  tutto  ciò  questa  varietà  è  conosciuta  in  commercio  durante  l'inverno  ed  i  proprie- 
tari degli  alberghi  se  ne  servono  per  far  apparire  il  dessert.  T^a  maggior  parte  di 
queste  pere,  dopo  aver  figurato  per  parecchio  tempo  nelle  tavole,  finiscono  coU'essere 
cucinate  ed  allora,  convenientemente  dolcificate,  sono  veramente  gustose.  Varietà  da 
abbandonarsi.  È  molto   coltivata   nel   Veneto   e  specialmente  nel  Veronese  (Tamaro). 

22.  Gentile  d'estate,  comune  nella  Toscana.  Matura  alla  fine  di  luglio.  Per  pieni 
venti.  Il  frutto  è  piramidale,  lungo  6-8  cm.  a  base  rotonda.  Colore  verde  giallastro  con 
polpa  bianca. 

4.  Coltivazione  nei  paesi  caldi.  —  Come  il  melo  e.  le  altre  piante 
a  granella,  la  coltivazione  del  pero  non  è  raccomandabile  nei  paesi 
caldi,  perchè  soffre  durante  le  siccità  estive. 

Generalmente  le  frutta  che  si  ricavano  hanno  poco  sapore  e  sono 
poco  succose.  Sono  da  raccomandarsi  quasi    esclusivamente  le  varietà 


—  538    - 

precoci  e  fra  queste  le  seguenti:  Gitron  desCarmes;  Butirra  d'Amanlis; 
William  ;  Decana  di  luglio  ;  Moscatellina. 

Per  l'autunno  si  potrà  coltivare  la  Butirra  grigia,  la  Butirra  d'Har- 
denpont  e  per  l'inverno  :  Buona  cristiana  d'inverno,  la  Bergamotta 
Esperen. 

In  ogni  caso  la  coltivazione  deve  essere  limitata  ai  bisogni  della 
famiglia. 

5.  Importanza  della  coltivazione.  —  Il  pero  è  un  albero  adatto  per 
eccellenza  alla  coltivazione  speculativa.  Indubbiamente  è  un  albero 
dei  più  preziosi  perchè  può  fornire  per  tutto  l'anno  la  mensa  di  frutta; 
produce  in  abbondanza  con  cure  relativamente  limitate  e  dà  frutti 
squisiti.  Se  la  pera  non  ha  il  bell'aspetto  della  pesca,  si  presta  però 
meglio  di  questa  a  confezionare  delle  eccellenti  conserve.  Già  accen- 
nammo all'importanza  che  ha  il  suo  legno. 

6.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Si  presta  a  tutti  i  sistemi. 

7.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Prospera  nei  climi  temperati, 
alquanto    umidi,  dando  frutti  succolenti,  gustosi  e  di  bell'aspetto. 

Il  pero  teme  meno  il  freddo  del  caldo,  perciò  la  sua  coltivazione 
si  estende  in  Europa  fino  a  55'  di  latitudine  e  fino  a  m.  1200  di  altitu- 
dine. Gli  sono  molto  nocive  l'umidità  e  le  rugiade  abbondanti  durante 
la  fioritura.  Fiorisce  a  7»  G.,  resiste  anche  alla  temperatura  di  40° 
sotto  zero. 

L'area  di  coltivazione  del  pero  in  Italia  è  quella  da  noi  chiamata 
(pag.  218)  regione  delle  piante  a  granella,  la  quale  comprende,  oltre  al 
Piemonte,  la  Lombardia,  il  Veneto,  l'Emilia,  la  parte  interna  della 
Toscana,  delle  Marche,  dell'Umbria,  del  Lazio,  degli  Abruzzi,  della 
Basilicata,  della  Campania  e  della  Galabria. 

Dalla  fioritura  alla  maturazione  le  varietà  precoci  impiegano  in 
media  100  giorni  e  quelle  tardive  147  giorni. 

Le  costanti  termiche  del  pero  sarebbero  le  seguenti  : 

dalla  caduta  delle  foglie  alla  fioritura  1304''  G. 

,,  „  „  „        „      maturazione  del  frutto  5024"  G. 

„      caduta  delle  foglie  6788"  G. 

8.  Esposizione  e  situazione.  —  Le  vallate  riparate  ma  aperte  con- 
vengono al  pero  meglio  degli  altipiani  troppo  esposti  ai  venti.  La  luce 
viva  non  gli  è  necessaria  per  colorare  i  frutti,  ma  ha  bisogno  di  una 
moderata  aereazione.  Si  accontenta  anzi  di  una  luce  dolce  e  non  teme 
i  cieli  grigi. 

Nei  paesi  caldi  bisogna  coltivare  varietà  primaticcie  e  scegliere 
località  fresche,  ventilate,  esposte  a  N.W.  e  N.E.  ed  anche  a  N.,  ma 
sempre  a  riparo  dal  vento  di  Maestrale. 

Quanto  più  si  va  al  Nord  tanto  maggiore  è  il  numero  della  varietà 
che  si  possono  coltivare.  Nell'alta  Italia,  nelle  località  volte  a  mezzo- 
giorno, non  riservate  ai  peschi,  si  coltivano  le  varietà  di  pere  più 
delicate  e  di  tarda   maturazione,    quali  la  Bergamotta  Esperen,  la  Bu- 


—  539  - 

tirra  d'Hardenpont,  la  Decana  d'inverno  ecc.  Del  resto  le  esposizioni 
a  S.E.  S.W.  E.  e  W.  sono  molto  indicate. 

Vi  sono  naturalmente  anche  nel  pero  delle  varietà  che  si  prestano 
soltanto  per  limitate  località  e  che  quindi  hanno  una  ristretta  area 
di  espansione,  mentre  ve  ne  sono  altre  che  hanno  un'area  estesissima, 
da  un  capo  all'altro  dell'Italia.  Bisogna  quindi  stare  attenti  alle  condi- 
zioni dell'ambiente  nella  scelta  delle  varietà. 

Lo  stesso  dicasi  per  la  scelta  del  soggetto  poiché  ad  esempio  il 
cotogno  non  resiste  tanto  alla  siccità  quanto  il  franco. 

9.  Terreno.  —  Il  pero  è  molto  esigente  per  il  terreno.  Nelle  argille 
fredde  e  compatte  dà  lunghe  gettate,  ma  poche  frutta,  scipite  e  di 
colore  verdastro.  Nei  terreni  silicei  si  sviluppa  presto,  è  fertile,  ma 
si  esaurisce  presto.  Nei  terreni  contenenti  un  eccesso  di  calce,  special- 
mente sotto  forma  di  gesso,  il  pero  non  ha  vigore  ed  è  di  breve  durata, 
la  corteccia  dei  rami  si  indurisce,  screpola  e  diventa  cancrenosa.  Non 
di  rado  le  estremità  dei  rami  disseccano  per  mancala  maturazione.  Ma 
le  frutta  riescono  abbastanza  saporite  ed  acquistano  una  intonazione 
giallastra,  molto  pregiata  sul  mercato. 

Riesce  bene  il  pero  in  un  terreno  che  contenga,  pressoché  in  eguali 
proporzioni,  silice,  calcare  ed  argilla.  Un  buon  terreno  per  frumento  é 
un  buon  terreno  per  peri,  quindi  un  terreno  fresco  e  profondo,  di 
natura  argillo-siliceo-calcare,  con  una  certa  quantità  di  umus,  é  il 
più  adatto. 

Il  terreno  arido  non  favorisce  la  vegetazione,  l'eccesso  di  umidità 
nuoce  alle  qualità  dal  frutto. 

Il  pero  riesce  bene  anche  nelle  terre  franche,  argillo-silicee,  nelle 
sabbie  argillose  contenenti  del  ferro,  nelle  sabbie  dove  l'umus  domina 
sul  calcare,  purché  il  sottosuolo  sia  profondo,  permeabile  e  l'acqua 
non  ristagni.  La  profondità  del  suolo  é  molto  importante  in  vista  della 
lunga  radice  a  fittone  che  ha  la  pianta,  specialmente  se  innestata  sul 
franco.  Se  innestato  sul  cotogno,  soffre  molto  per  il  calcare,  le  foglie 
ingialliscono,  prendendo  la  clorosi. 

Rivièr  e  Bailhache  hanno  dimostrato  che 

10  gr.  di  calcare  per  Kg    di  terra  non  provocano  la  clorosi; 
40  .,     „  „  .,       .,       .,       -,  determinano  una  clorosi  leggera; 

170  „     „  „  «      ^       „      „  determinano    una    clorosi    pro- 

nunciata. 
280  „     „  -,  .,      „       „      „  fanno  perire  la  pianta. 

10.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  seme  e  per  innesto.  Alla 
semina  si  ricorre  per  avere  nuove  varietà,  oppure  per  avere  soggetti 
d'innesto. 

È  meglio  seminare  in  autunno  e  presto.  In  questa  epoca  si  ottiene 
circa  il  71%  di  attecchimento;  più  tardi  il  60%;  in  primavera  soltanto 
il  6%. 


—  54U  — 

I  semi  si  collocano  a  2-3  centimetri  di  profondità.  Mantengono  la 
facoltà  germinativa  per  6  mesi.  Si  stratificano  appena  raccolti.  Un  litro 
di  semi  contiene  in  media  16.200  semi  ;  ogni  litro  pesa  grammi  543. 

L'innesto  si  può  fare  sul 

a)  pero  selvatico  proveniente  dai  boschi  ; 

b)  franco,  ossia  sul  pero  ottenuto  da  seme  nei  semenzai; 
e)  cotogno  ; 

d)  bianco  spino  ; 

e)  corniolo,  nespolo,  sorbo  e  pomo. 

Non  conviene  l'innesto  sui  selvatici  di  bosco  perchè  di  difficile 
ripresa;  le  piante  stentano  a  fruttificare  e  la  corteccia  si  copre  sovente 
di  macchie  nere. 

Al  franco  si  ricorre  ogniqualvolta  si  hanno  dei  terreni  nei  quali 
non  riescono  le  piante  innestate  sul  cotogno,  oppure  quando  si  vogliono 
avere  delle  piante  vigorose,  a  pieno  o  mezzo  vento  o  delle  piramidi 
a  grandi  dimensioni.  Per  avere  delle  spalliere  non  si  ricorre  a  questo 
soggetto,  se  non  quando  lo  strato  superiore  del  terreno  non  sia  ecces- 
sivamente secco. 

Avendo  il  franco  la  radice  a  fittone  che  si  approfonda  molto,  gli 
è  necessario  un  terreno  profondo,  piuttosto  tenace  che  sciolto.  Un 
sottosuolo  inerte,  poco  profondo,  gli  è  contrario  ;  il  calcare  non  gli 
nuoce  ed  il  secco  gli  è  meno  dannoso  dell'  umidità  stagnante.  Per 
questo  il  franco  si  adopera  per  gli  impianti  nelle  colline  e  nei  climi 
meridionali. 

II  pero  sul  franco,  nei  suoi  primi  anni,  ha  poco  sviluppo  specie 
nei  vivai,  fruttifica  tardi,  almeno  8  anni  dopo  l'innesto,  però  dà  le 
piante  longeve  e  di  maggiore  sviluppo.  Delle  diverse  foggie  di  innesto, 
il  più  conveniente,  sul  franco,  è  quello  a  spacco,  trattandosi  special- 
mente di  formare  piante  di  alto  fusto.  Si  innestano  di  solito  le  varietà 
a  frutto  piccolo  per  cuocere,  oppure  le  varietà  estive. 

Il  cotogno  è  il  soggetto  preferito  dai  frutticoitori  per  ottenere  tutte 
le  forme  da  frutteti  e  cioè  il  mezzo  vento,  la  piramide,  la  spalliera,  i 
fusi,  i  cordoni.  Esige  un  terreno  fresco,  di  media  profondità,  non 
eccessivamente  umido.  I  terreni  troppo  secchi  o  troppo  freddi  ed 
umidi  non  gli  convengono,  potendo  le  radici  soffrire  pel  gelo.  Quest'ul- 
timo inconveniente  è  molto  grave  pei  vivai  nei  terreni  umidi.  Il  cotogno 
deperisce  facilmente,  e  più  presto  che  il  franco  nei  terreni  calcari.  In 
questi,  all'inserzione  dell'innesto,  si  forma  un  ingrossamento  enorme, 
le  foglie  ingialliscono  e  l'albero  è  poco  fertile  e  di  breve  durata.  Un 
buon  terreno  argillo-siliceo,  una  sabbia  argillosa  leggermente  ferrugi- 
nosa, un  terreno  alluvionale  sono  i  più  adatti. 

11  cotogno  conviene  in  particolar  modo  ai  frutti  autunnali  e  d'in- 
verno. Quantunque  vivano  meno  che  sul  franco,  nei  terreni  fertili 
l'albero  vegeta  convenientemente,  specialmente  nei  primi  anni.  Ha  una 


-  541  - 

vita  abbastanza  lunga  ed  ha,  relativamente  presto,  una  fruttificazione 
bella,  abbondante  e  regolare  5  i  frutti  poi  sono  sempre  più  grossi,  più 
belli,  più  pregiati  pel  gusto  che  quelli  ottenuti  sul  franco.  Tutti  quelli 
quindi  che  vogliono  raccogliere  presto  o  hanno  un  terreno  poco  pro- 
fondo o  di  importazione,  o  che  infine  sono  incerti  sulle  qualità  del 
sottosuolo,  ricorrano  al  cotogno. 

L'innesto  da  applicare  sul  cotogno  è  a  gemma  dormiente. 

Le  varietà  tardive  ed  alcune  a  frutto  molto  sviluppato  con  legno 
dolce,  non  hanno  molta  simpatia  pel  cotogno  tanto  che  sovente  si 
manifesta  un  cercine  al  punto  d'inserzione  dell'innesto,  ciò  che  rende 
la  pianta  fragile  e  di  poca  durata.  A  questo  si  rimedia  col  soprin- 
nesto e  cioè  innestando  sul  cotogno  una  varietà  vigorosa  come  le 
varietà:  Curato,  Hardy,  Jaminette,  Trionfo  di  lodoigne  e  su  queste 
alla  loro  volta,  dopo  che  la  pianta  è  sufficientemente  ingrossata,  si 
innesta  la  varietà  di  più  difficile  attecchimento.  Col  soprainnesto  si 
ottengono  dei  buoni  mezzi  venti  e  spalliere  delle  varietà  Duchessa 
d'Angoulème  e  Decana  d'inverno,  Buon  Cristiano  William,  Butirra  Clair- 
geau,  Decana  del  Comizio,  Passa  Crassana,  Oliviero  de  Serres,  Butirra 
Bachelier,  Passa  Colmar. 

Sul  bianco  spino  il  pero  si  innesta  soltanto  in  via  eccezionale, 
quando  trattasi  di  terreni  eccessivamente  secchi,  dove  non  fanno  bene 
né  il  franco,  né  il  cotogno.  Si  hanno  piante  di  vita  breve  e  di  poca 
fertilità. 

In  Inghilterra  e  nello  Champagne,  viene  molto  impiegato  questo 
soggetto  per  le  varietà  per  cuocere. 

Non  si  innesta  mai  il  pero  sul  corniolo,  sul  nespolo,  sul  pomo,  sul 
sorbo  perchè  forma  degli  ingrossamenti  straordinari  al  punto  d'innesto  ; 
li  ho  citati  per  pura  curiosità  scientifica, 

I  peri  ornamentali  si  innestano  sul  franco  ;  le  varietà  giapponesi 
mal  riescono  sul  cotogno. 

II  Prof.  Molon  nella  sua  Pomologia,  osservando  che  il  pero  nei 
"  paesi  caldi  non  si  può  innestare  sul  cotogno  e  vegeta  male  anche 
"  sul  franco,  trova  un  buon  soggetto  nel  Pirus  salicifolia  PalL  del 
"  Caucaso,  usato  già  da  tempo  dalla  Scuola  di  Agricoltura  di  Atene. 
"  Questo  soggetto  è  lento  a  svilupparsi  nei  primi  anni;  ma  poi  riprende 
"  vigore,  e  si  hanno  delle  belle  piante,  adatte  specialmente  per  i  ter- 
"  reni  calcari,  secchi,  pietrosi  „. 

10  non  ho  avuto  campo  di  sperimentare  questo  soggetto,  ma  non 
per  questo  faccio  a  meno  di  raccomandarlo  per  esperimento  ai  nostri 
coltivatori  del  meridionale. 

11.  Caratteri  vegetativi.  —  li  pero  domestico,  in  confronto  del  sel- 
vatico, ha  rami  più  vigorosi,  foglie  più  ampie,  fronda  non  tanto 
slanciata,  piramidale  ed  è  più  pronto  a  fruttificare. 

11  clima,  il  suolo  e  le  ibridazioni  sia  naturali  che  artificiali,  hanno 
contribuito  alla  produzione  di  oltre  1000  varietà  di  pere,  varietà  ben 
distinte  che  presentano  caratteri  propri  sia  rispetto  al  frutto,  sia  rispetto 


—  542  - 

alla  vegetazione.  Non  bisogna  escludere  che  siano  avvenuti  incroci  fra 
specie  e  specie.  Cosi  ad  esempio  nelle  pere  Buon  Cristiano,  chi  non 
vede  una  forma  che  ricorda  il  frutto  del  cotogno  ? 

II  pero  in  generale  tollera  molto  i  tagli,  anzi  questi  tendono  a 
rendere  voluminoso  il  frutto.  Se  questi  tagli  però  non  vengono  fatti 
continuamente  e  col  giusto  discernimento  sulle  varietà  a  frutti  grossi,  i 
frutti  rimangono  piccoli  ed  aggrinziti.  Alla  trascuranza  del  taglio  si 
devono  attribuire  molte  degenerazioni  delle  varietà  antiche  più  rino- 
mate, quali  sono  la  spadona,  la  spina,  le  butirre,  ecc.  Il  taglio  coi'to 
e  costante  si  deve  raccomandare  soltanto  per  le  varietà  a  frutto  volu- 
minoso ed  allevate  a  pieno  vento,  alli'imenti  si  diminuirebbe  il  prodotto. 

Le  piante  a  pieno  vento  danno  frutti  con  intermittenza,  fatto  dovuto 
più  all'esaurimento  momentaneo  delle  branche  a  frutto  che  alle  intem- 
perie. Le  piante  invece  sottoposte  al  taglio  regolare  danno  frutta  conti- 
nuamente ,  quantunque  per  eccezione  (la  Passa  Colmar)  ci  siano  di 
quelle  che  producono  semjjre  saltuariamente. 

Le  varietà  con  pochi  rami,  grossi  e  corti  sono  molto  fertili,  danno 
frutta  grosse,  però  vanno  soggette  all'esaurimento  ed  hanno  vita  rela- 
tivamente breve.  La  grossezza  dei  frutti  è  quindi  in  rapporto  inverso 
colla  rusticità  e  longevità  della  pianta. 

La  gemma  a  frutto  si  sviluppa,  come  è  noto,  in  tre  vegetazioni. 
Nella  prima  si  ha  una  foglia,  nella  seconda  una  rosetta  di  foglie,  nella 
terza  il  fiore.  Ciò  può  avvenire  anche  in  due  anni,  specialmente  fra 
le  varietà  precoci  o  molto  fertili,  o  sulle  piante  vecchie  trapiantate. 
Cosi  può  avvenire  che  dalla  gemma  terminale  dei  rami  di  un  anno  si 
sviluppino  dei  fiori,  ma  riescono  mollo  imperfetti.  La  gemma  fruttifera 
si  sviluppa  in  autunno  e  specialmente  alla  metà  di  novembre  che  pre- 
cede la  sfogliatura,  e  sorge  dal  mezzo  di  una  corona  di  foglie.  Durante 
l'inverno  si  ingrossa  sempre  più,  ed  in  aprile  avviene  la  fioritura,  prima, 
contemporaneamente  o  dopo  lo  sviluppo  delle  foglie.  Anche  questo  è 
un  carattere  da  non  trascurarsi  nella  classificazione  delle  varietà. 

Rispetto  alle  qualità  delle  frutta  bisogna  notare  che  le  pere  ecces- 
sivamente precoci  o  tardive  sono  sempre  mediocri,  migliori  di  tutte 
sono  quelle  a  maturazione  autunnale.  La  grandezza  del  frutto  non  ha 
alcuna  influenza  sulla  qualità,  anzi,  contrariamente  all'opinione  invalsa 
nel  volgo,  le  pere  migliori  si  trovano  generalmente  fra  le  voluminose. 

12.  Potatura.  —  Vediamo  intanto,  di  qual  sorta  di  gemme  e  rami 
è  formato  il  pero. 

1.  Gemme  a  legno.  Ogni  foglia  porta  alla  sua  base  una  gemma,  la 
quale  ha  lateralmente  due  gemme  stipulari,  chiamate  così  perchè  nascono, 
all'ascella  delle  due  stipule  che  hanno  le  foglie.  Esse  rimangono  di 
solito  latenti  ma  ce  se  ne  può  giovare  sia  per  ottenere  dei  frutti  sia 
per  ottenere  dei  nuovi  rami,  se  la  gemma  principale  perisce.  Per  farle 
sviluppare  basta  far  affluire  ed  arrestare  alla  loro  base  la  linfa,  facendo 
al  di  sopra  della  loro  inserzione  una  intaccatura.  Ogni  gemma  a  legno 
può  dar  luogo  allo  sviluppo  di  un  ramo  a  legno  o  di  un  dardo  infrut- 


-  543  - 

tiferò  (pag.  93)  il  che  diventerà  fruttifero  nell'anno  successivo  (fìg.  112). 

2.  Il  brindino  (fig.  114)  è  di  solito  sottile,  lungo  talvolta  fino  a  25 
cm.  Se  è  più  lungo  allora  è  un  ramo  a  legno.  Esso  non  porta  delle 
gemme  ben  formate  che  nella  parte  media  e  all'estremità.  La  parte 
inferiore  porta  delle  gemme  a  legno  appena  apparenti.  Il  brindillo 
è  un  eccellente  organo  di  fruttificazione  e  sovente  termina  con  una 
gemma  a  frutto. 

3.  La  borsa  (fig.  115)  nasce  come  sappiamo  alla  base  di  ogni  frutto. 
La  lamborda  (fìg.  116)  è  quel  complesso  di  rami  che  si  formano  col 
succedersi  della  frutlifìcazione. 

4.  Dei  rami  a  legno  abbiamo  sul  pero  i  rami  ordinari,  che  hanno 
una  lunghezza  superiore  a  25  cm.,  i  succhioni  ed  i  rami  anticipati. 

Nei  rami  ordinari,  le  gemme  più  lontane  sono  quelle  destinate  a 
dare  del  legno,  dunque  più  si  taglierà  corto  più  si  disporrà  il  ramo 
a  dare  dei  rami  a  frutto.  Partendo  da  questo  principio,  se  noi  ta- 
gliamo sulle  gemme  latenti  alla  base  dei  rami,  otterremo  rami  ancoi*a 
più  deboli  e  perciò  ancora  meglio  disposti  a  dare  frutti. 

La  potatura  di  formazione  consiste  nell'ottenere  anzitutto  un  bel 
fusto  diritto  (pag.  143).  Da  questo  devono  dipartirsi  le  branche  le  quali 
devono  provenire  esclusivamente  da  gemme  a  legnò.  Da  un  ramo  debole 
come  sarebbe  un  brindillo,  non  si  ottiene  mai  una  buona  branca  vigo- 
rosa. Le  branche  devono  essere  isolate;  se  vi  ha  una  biforcazione,  biso- 
gna toglierla  lasciando  un  solo  ramo,  il  meglio  disposto.  Ogni  branca 
deve  essere  mantenuta  di  eguale  vigoria  e  sviluppo  di  quella  che  sta 
inserita  ad  eguale  altezza  o  quasi  sul  tronco  e  deve  sempre  terminare 
con  una  gemma  a  legno. 

La  potatura  di  produzione  consiste  nell'allevare  e  mantenere  lungo 
le  branche,  esclusivamente  dei  rami  a  frutto. 

Si  possono  presentare  diversi  casi,  che  noi  ora  passeremo  in 
rassegna. 

1.  Da  una  gemma  trovantesi  sul  ramo  di  un  anno  si  può  svilup- 
pare nel  secondo  anno  un  dardo  infruttifero,  che  nell'anno  successivo 
diventa  fruttifero.  Se  questo  dardo  ha  una  lunghezza  non  superiore  a 
5-6  cm.  si  lascia  intatto.  Se  invece  si  è  allungato  (fìg.  422)  lo  si  taglia 
in  B  ossia  a  tre  gemme  sopra  le  ultime  grinze  del  dardo,  per  far  svi- 
luppare da  queste  gemme  dei  nuovi  dardi.  Questa  trasformazione  di 
dardi  fruttiferi  in  dardi  infruttiferi  e  legnosi  avviene  per  troppa  affluenza 
di  linfa. 

2.  Sul  pero  bisogna  distinguere  due  sorta  di  brindilli  e  cioè  quelli 
che  terminano  con  un  dardo  {a  fìg.  423)  e  che  non  si  allungano  e 
quelli  che  si  allungano  e  che  si  potrebbero  chiamare  (però  non  tanto 
propriamente)  brindilli  a  legno. 

I  primi  hanno  di  solito  una  lunghezza  di  10  a  15  cm.  e  si  lasciano 
intatti.  Dopo  due  anni,  portano  frutto  all'estremità.  Dopo  raccolto,  si 
taglia  sopra  alla  borsa  in  a  (fig.  424),  per  provocare  al  di  sotto  lo  svi- 
luppo di  nuovi  dardi  alle  gemme  inferiori. 


-  544  - 

3.  I  brindilli  a  legno  possono  avere  invece  una  lunghezza  anche  di 
25-30  cm.  Questi  si  tagliano  sopra  la  terza  gemma. 

Dalle  gemme  sottostanti  si  possono  avere  nel  secondo  anno  3  dardi 
(fig.  425),  che  si  lasciano  intatti  ;  al  più  se  ne  recide  uno  che  si  taglia 
in  a,  se  il  ramo  è  troppo  debole. 

4.  Nella  fig.  426  abbiamo  invece  il  caso,  in  cui,  per  eccessivo  vigore 
del  brindino,  la  gemma  superiore  si  è  sviluppata  in  legno  ed  ha  rice- 
vuto due  cimature  in  n,  per  moderare  il  vigore.  In  questo  caso  si  taglia 
in  a,  per  concentrare  la  linfa  sui  dardi  della  base. 


Fig.  422.  Fig.  423. 

Dardo  allungatosi  Brindino  di  pero 

in  via  normale.  che  termina  con  un  dardo. 


Fig.  424. 

Brindino  precedente 

dopo    avere   fruttificato 

a)  indicazione   del  taglio. 


Se  invece  tutte  e  due  le  gemme  terminali  si  sono  sviluppate  in 
rami  a  legno  (b  b  fig.  427)  si  ha  per  lo  più  dalla  prima  gemma  un 
brindino  fruttifero.  In  questo  caso  si  taglia  in  a. 

5.  La  fig.  428  rappresenta  un  brindillo  a  legno  visto  al  terzo  anno 
di  potatura.  Esso  si  taglierà  in  a,  al  disopra  del  secondo  dardo,  che  è 
infruttifero.  Intanto  fruttificherà  il  dardo  inferiore,  il  quale  alla  sua 
volta  darà  origine  ad  una  borsa  e  poi  a  nuovi  dardi.  Quando  avrà 
fruttificato  anche  il  dardo  superiore  si  taglierà  in  b.  Come  si  vede 
questo  taglio  ha  Io  scopo  di  avere  per  due  anni  successivi  della  frutta. 

6.  La  fig.  429   rappresenta   un   ramo  a  frutto    molto   vigoroso,  che 


—  545  — 

porta  alla  sua  estremità  due  rami  a  legno  già  cimati  edìinferiormente 
due  dardi.  Questi  rami  si  trovano  molto  di  frequente  negli  alberi  gio- 
vani, vigorosi,  poco  fruttiferi.  Se  noi  avessimo  a  tagliare  immediata- 
mente sopra  il  dardo  e,  noi  provocheremmo  una  soverchia  affluenza 
di  linfa  nei  due  dardi  e  questi  si  trasformerebbero  in  getti  a  legno, 
ossia  si  avrebbe  la  cosidetta  colatura  dei  dardi.  Invece  si  deve  bensi 
tagliare  in  d  il  ramo  a  legno  superioi'e,  ma  il  ramo  b  conviene  tagliarlo 
in  n,  sopra  due  gemme.  Da  queste  due  gemme  si  svilupperanno  due 
germogli  più  o  meno  vigorosi,  che  attireranno  la  linfa  e  quindi  impe- 
diranno la  colatura  dei  dardi  infruttiferi.  Quando  i  due  dardi  saranno 
diventati  fruttiferi,  allora  si  taglierà  sopra  il  dardo  e. 


Fig.  425. 
Conseguenze  del  taglio  precedente. 


Fig.  426. 
Brindino  vigoroso  la  cui  gemma  su- 
periore si   è  sviluppata  in   legno. 


7.  Il  taglio  delle  borse  consiste  nel  lisciare  col  coltello  la  parte  a 
cui  erano  attaccati  i  frutti,  perchè  sovente  è  un  ricettacolo  di  uova 
deposte  da  insetti. 

Il  frutticoitore  deve  avere  per  scopo  principale  la  produzione  di 
lamborde    provvedute  di  borse,  dardi  fruttiferi;  infruttiferi  e   brindilli. 

Il  taglio  di  queste  lamborde  devesi  regolare  in  modo  da  ottenere 
costantemente  frutti  più  vicini  che  è  possibile  alla  branca ,  senza 
esaurire  soverchiamente  la  pianta.  In  generale  non  si  conservano  più 
di  due  o  tre  gemme  a  fioii  per  lamborda. 

Si  abbia  cura  di  abbassare  i  dardi  fruttiferi  un  po'  alla  volta  e 
successivamente,  per  evitare  la   loro    colatura.  Cosi,  ad   esempio,  data 

35  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


546  — 


Fig.  428.  —  Brindino 
nel  terzo  anno  di  potatura. 


Fig.  427.  —  Brindino  ancora  più  vigoroso 

nel   quale   anche   le   due  gemme  laterali 

si  svilupparono  in  legno. 


^tt^ 


Fig.  429. 
Ramo   a  frutto   molto   vigoroso. 


Fig.  430.  —  Potatura  di  una  lamborda. 


-  547  — 

una  lamborda  come  si  vede  nella  fig.  430,  dopo  aver  ricavato  i  frutti 
dalle  borse  d,  si  taglia  in  n  per  aver  frutti  dai  dardi  fruttiferi  b,  mentre 
diventeranno  fruttiferi  gli  altri  dardi. 

8.  Infine  data  una  branca  con   dei    rami   laterali  a   legno,    come  si 
potranno  ottenere  da  questi  dei  rami  fruttiferi? 

È  indispensabile  risolvere  questo  quesito,  poiché  ogni  branca  deve 
portare  dei  rami  a  frutto. 

Per  ottenere  dei   rami  a  frutto   dai   rami   laterali  a  legno,  bisogna 
tagliare  questi  ultimi  alla  distanza   appena  di  1  cm.  alla   base,  oppure 
sopra  la  seconda  o  quarta  gemma.  Si  taglia  ad  un  centimetro  o  sopra 
due  gemme,  quando    si    hanno    delle  piante  poco 
vigorose  e  trovantisi  sopra   branche  orizzontali  o 
piessochè  orizzontali.   Si  taglia    a   4  gemme  per  i 


r^S^i^^is^ 


Fig.  431.  Fig.  432.  Fig.  433. 

Fig.  4.'?l-433.  —  Potatura  per  ottenere  da  un  ramo  a  legno  dei  rami  a  frutto. 


pieni  venti  e  per  le  piante  vigorose  in  genere.  Scopo  di  questi  tagli  è 
di  provocare  l'emissione  di  nuovi  germogli,  dai  quali,  colla  cimatura, 
si  procura  di  avere  dardi  o  brindilli. 

La  flg.  431  rappresenta  un  ramo  a  legno   tagliato    in  a  a  4  gemme. 

Da  queste  4  gemme  si  possono  ottenere  4  dardi  infruttiferi  (fig.  432) 
che  si  lasciano  intatti.  Si  possono  avere  3  dardi  ed  un  ramo  a  legno 
terminale  (fig.  433)  ed  allora  si  taglierà  in  o  sopi'a  la  seconda  gemma 
del  ramo  a  legno,  come  ho  spiegato  per  la  fig.  429.  Se  invece  si  hanno 
due  dardi  e  due  rami  a  legno  (fig.  434)  ;  si  taglierà  il  primo  ramo  a 
legno  in  a  ed  il  secondo  in  b  sopra  la  seconda  gemma.  Avendo  3  rami 
a  legno  fig.  435,  si  recidono  i  due  primi  in  a  ed  il  terzo  in  b.  Avendo 
tutti  4  rami  a  legno  (fig.  436)  si  tagliano  i  3  primi  in  a  e  quello  della 
base  si  taglia  in  b.  Infine  può  avvenire,  fig.  437,  che  dalla  gemma  della 


548 


Fig.  435. 


Fig.  436.  Fig.  437. 

Fig.  434-437.  —  Potatura  per  ottenere  da  un  ramo  a  legno  dei  rami  a  frutto. 


—  549  — 

base  e  dall'ultima  si  ottengano  due  germogli  legnosi  e  dalle  gemme  di 
mezzo  due  dardi  ;  si  taglia  in  a  il  getto  della  base  ed  in  b,  sopra  la 
quarta  gemma  il  ramo  legnoso  dell'estremità. 

Anche  al  pero,  a  completamento  della  potatura  secca  si  possono 
applicare  tutte  le  operazioni  accessorie  indicate  a  pag.  110. 

Riguardo  alla  potatura  verde,  oltre  alla  scacchiatura  per  togliere  i 
germogli  inutili  o  fuori  posto,  bisogna  applicare  la  cimatura  spe- 
cialmente alle  forme  ridotte. 

Colla  cimatura,  bisogna  fare  affluire  la  massima  quantità  di  linfa 
sui  dardi,  perciò  conviene  cimare  i  germogli  crescenti  lungo  un  ramo 
a  frutto  sopra  la  quarta  o  quinta  foglia  (A  fìg.  438).  Se  questa  cimatura 


Fig.  438. 


Fig.  438-439.  —  Cimatura  del  pero. 


viene  negletta,  si  allungano  troppo  i  rami  da  frutto,  spogliandosi  alla 
base  dei  dardi.  Se  un  germoglio  è  molto  vigoroso  e  verticale,  conviene 
cimare  lungo,  per  evitare  la  colatura  delle  gemme  sottostanti. 

Se  lungo  un  ramo  a  frutto  (fìg.  439)  si  avessero,  per  eccessivo  vigore, 
due  germogli  A  e  fi,  si  lascino  tutti  e  due  per  evitare  la  colatura, 
cimando  però  il  più  alto  sopra  la  quarta  foglia  ed  il  più  basso  sopra 
la  settima  od  ottava.  Queste  operazioni  si  fanno  nella  prima  metà  di 
maggio. 

Sul  pero,  volendo  trasformare  un  germoglio  a  legno,  che  cresce 
lungo  una  branca,  in  germoglio  a  frutto,  si  cima  nella  seconda  metà 
di  maggio  a  20-25  cm.  di  lunghezza  e  cioè  sopra   l'ottava  o  nona  foglia, 


-  550  - 

non  contando  le  foglie  della  base,  che  ordinariamente  sono  sprovviste 
di  buone  gemme  (lìg.  440). 

In  conseguenza  di  questa  cimatura,  oltre  che  convertire  le  gemme 
della  base  in  gemme  a  frutto,  si  vedrà  sorgere  dall'ultima  (fig.  440)  e 
talvolta  anche  dalla  penultima  (vedi  (ìg.  441)  e  terza  ultima  gemma,  dei 
falsi  germogli.  Se  ve  ne  è  uno  solo,  quando  questo  ha  raggiunto  la 
lunghezza  di  cm.  10,  si  cima  tra  la  terza  e  quarta  foglia  (a  fig.  440),  se  ve  ne 
sono  due,  si  sopprime  il  germoglio  più  alto  (A  fig.  441)  e  si  cima  quello 
più  basso  fra  la  sesta  ed  ottava  foglia.  (B).  Se  vi  sono  tre  germogli,  si 
sopprimono  i  due  superiori  e  si  cima  quello  più  basso,  fra  l'ottava  e 
la  nona  foglia.  Questa  seconda  cimatura  si  fa  intorno  alla  metà  di 
luglio  e  mai  prima  che  tutti  i  germogli  abbiano  raggiunto  la  lunghezza 
di  cm.  10. 


Fig.  440.  Fig.  441. 

Fig.  440-441.  —  Cimatura  per  avere  da  un  germoglio  dei  rami  a  frutto. 


Dal  luglio  all'agosto,  si  possono  avere  degli  altri  germogli  antici- 
pati o  falsi  :  se  deboli,  si  svettano,  se  rigogliosi  si  cimano  a  due  foglie. 

Tutti  1  germogli  che  si  trovano  lungo  le  branche  e  che  hanno 
appena  una  lunghezza  di  cm.  10-15  si  lasciano  intatti. 

Le  altre  operazioni  complementari  della  potatura  verde,  che  si  appli- 
cano al  pero  (Vedi  pag.  120)  sono:  V infrangimenlo,  la  torsione,  l'incur- 
vamento, la  legatura  in  verde  e  V insaccamento  dei  frutti. 

14.  Forme.  —  Il  pero  si  può  prestare  a  tutte  le  forme  ma  le  più  adot- 
tate sono  le  seguenti  :  pieno  e  mezzo  vento,  piramide,  fuso,  cordone 
verticale,  cordone  oi'izzontale  semplice,  palmella  semplice  e  palmetta 
doppia. 

Nelle  località  a  clima  caldo  sono  da  preferirsi  le  forme  libere  e 
particolarmente  i  mezzi  e  pieni  venti  e,  se  troppo  soggette  a  venti,  le 
piramidi  e  fusi.  Cosi  pure  nei  terreni  molto  ricchi  e  profondi  si  pre- 
feriscono le  forme  libere  alle   appoggiate.  Trattandosi   invece  di  climi 


-  551   - 

umidi,  esposti  a  geli  tardivi  di  primavera  ed  anticipati  di  autunno, 
convengono  le  forme  appoggiate,  cosi  pure  tutte  le  forme  piccole  in 
genere,  quando  il  terreno  è  poco  fertile  e  profondo. 

In  una  parola,  quanto  più  andiamo  al  sud  d'Italia,  tanto  maggiore 
sviluppo  devesi  dare  al  pero. 

1.  Pieno  vento.  Questa  forma  viene  adottata  per  gli  impianti  in 
aperta  campagna,  lungo  le  strade  e  viali,  raramente  nei  broli.  Al  fusto 
viene  lasciata  l'altezza  di  m.  2  a  2.50  ed  alla  chioma  si  lascia  prendere 
la  forma  naturale  a  pii'amide  od  ovoidale,  in  modo  che  la  pianta 
raggiunge  l' altezza  di  m.  10  a  12.  Naturalmente  per  questa  forma 
si  prendono  i  soggetti  innestati  sul  franco  e  varietà  rustiche,  a  frutto 
piccolo. 

Sui  pieni  venti  si  fa  di  solito  soltanto  la' potatura  secca,  di  forma- 
zione nei  primi  5  o  6  anni  (pag.  145)  tanto  per  dare  sviluppo  ed  equi- 
librare le  diverse  branche.  Successivamente  non  si  fa  che  la  mondatura 
dei  rami  secchi,  contusi  o  rotti,  si  sopprimono  le  branche  inutili  o  che 
eventualmente  fanno  confusione,  si  modera  la  vigoria  di  quelle  che 
stanno  vicine. 

2.  A  mezzo  vento,  si  possono  coltivare  indistintamente  tutte  le 
varietà  ;  sarà  meglio  preferire  però  le  più  vigorose  ed  a  rami  poco 
divaricati. 

Il  mezzo  vento  viene  applicato  specialmente  pei  frutteti  di  famiglia 
e  pei  broli.  Il  fusto  viene  lasciato  a  m.  1.20  di  altezza,  lasciando  prendere 
alla  pianta  la  forma  sua  naturale,  che  è  quasi  sempre  piramidale  od 
ovoidale,  guidandola  specialmente  nei  primi  anni  coi  criteri  indicati 
pel  pieno  vento. 

3.  Delle  forme  libere  le  migliori  per  il  pero  sono  la  piramide  ed 
il  fuso.  Naturalmente  la  piramide  serve  per  le  varietà  più  vigorose  ed 
il  fuso  per  le  altre  di  minor  vigore  e  di  grande  produzione. 

Come  si  ottengono  queste  forme,  è  indicato  a  pag.  127  e  137). 

4.  Alla  forma  a  cordone  verticale  si  presta  splendidamente  il  pero, 
specialmente  nelle  varietà  poco  vigorose.  Con  questa  forma  si  fanno 
delle  spalliere  e  contro  spalliere.  Poiché  il  pero  richiede  ventilazione, 
per  il  cordone  verticale  e  per  tutte  le  forme  appoggiale  convengono 
di  più  le  contro  spalliere.  Volendo  allevarle  contro  i  muri,  bisogna 
tenere  le  piante  distanti  dal  muro  almeno  20  cm. 

Per  ottenere  il  cordone  verticale  si  procede  come  è  indicato  a 
pag.  156. 

5.  Il  cordone  orizzontale  semplice  è  meno  usato  pel  pero  che  per 
il  melo.  Con  questa  forma  si  fanno  delle  bordure  alle  ajuole  dei  frut- 
teti casalinghi,  si  fiancheggiano  i  viali. 

Si  scelgono  anche  per  questa  forma  le  varietà  poco  vigorose  ed 
innestate  sul  cotogno.  Al  cordone  si  lascia  uno  sviluppo  di  m.  2,  al 
massimo  3  metri  (Vedi  pag.  152). 

6.  Per  le  piante  di  maggior  vigore,  ma  pure  innestate  sul  cotogno 
o  sul  franco  con   soprainnesto,  sono    molto    da   raccomandarsi   per  le 


-  552  - 

varietà  fine  da  tavola  e  per  frutteti  di  speculazione,  la  palmetta  semplice 
e  la  palmetta  doppia  (pag.  159)  lasciando  alle  branche  la  distanza  di 
30  cm. 

15.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  Il  pero  essendo  una  pianta 
essenzialmente  coltivata  a  scopo  speculativo  essa  prepondera  nei  frut- 
teti industriali.  In  questi,  volendo  ricavare  la  massima  quantità  di 
frutti  nel  più  breve  tempo  possibile,  si  fanno  prevalere  le  forme 
ristrette  quali  sono  le  piramidi,  i  fusi,  i  cordoni  verticali  ed  orizzontali, 
o  le  pai  mette.  Naturalmente  adottando  queste  forme  si  hanno  delle 
piante  di  breve  durata  e  non  è  raro  il  caso  di  dover  ripiantare  dei 
nuovi  frutteti  per  sostituire  i  primi  dopo  20  o  25  anni.  Sul  sito  dove 
si  avevano  delle  piante  di  pero  non  conviene  per  molti  anni  ripiantare 
altre  piante  a  granella.  Converrà  coltivare  degli  ortaggi  e  dovendo 
ripiantare  alberi  da  frutto,  si  ricorrerà  alle  piante  a  nocciolo. 

Le  distanze  che  si  devono  osservare  neir  impianto  sono  le  se- 
guenti : 

Pieno  vento  innestato    sul   franco    lungo    le    strade   m.    12 


n                  "                        " 

nei  broli 

„       8 

«                  n                       „ 

„          „    campi 

„      10 

Mezzo 

„          „ 

„    6-8 

«          «              « 

„    cotogno 

„    4-6 

Piramide                  „ 

„     franco 

«       4 

«                                                                     57 

„    cotogno 

«    2-3 

Fuso                     „ 

,,           „ 

„  1,50 

Cordone  verticale 

„ 

„  0.30 

„        orizzontale 

semplice   „ 

„    2-3 

Palmetta  semplice  innestata  sul  cotogno 

„    4-5 

„          doppia 

«            1,          « 

„    4-5 

^ 

„            „      franco 

„    6-7 

Il  pero,  come  è  esigente  per  la  scelta  del  terreno  richiede  anche 
una  buona  preparazione  del  medesimo  per  l'impianto  e  delle  costanti 
cure  per  mantenerlo  fertile,  soffice  e  mondato  da  malerbe. 

Per  le  sue  radici  profonde  occorre  un  lavoro  profondo  ed  una 
buona  concimazione  (Vedi  pag.  254)  all'impianto. 

Per  le  forme  a  pieno  e  mezzo  vento,  conviene  piantare  il  pero  col 
fusto  già  formato  e  cominciare  la  potatura  di  formazione  della  chioma 
nell'anno  successivo  all'impianto.  Per  tutte  le  altre  forme,  conviene 
piantare  a  dimora  le  piante  di  un  anno. 

Le  cure  di  coltivazione  intorno  alla  pianta  devono  essere  assidue 
poiché  il  pero  va  soggetto  a  molte  malattie  crittogamiche  ed  ai  danni 
di  molti  insetti.  Il  pero  ha  il  vantaggio  sopra  moltissime  altre  piante 
di  tollerare  molto  i  tagli  e  di  poter  protrarre  di  molto  la  sua  vita, 
mediante  tagli  di  ringiovanimento. 


—  553  — 

16.  Concimazione.  —  Una  pianta  di  pero  esporta  in  media,  coi  dati 
delle  Tab.  XXI  e  XXII  la  seguente  quantità  di  materiali  fertilizzanti  per 
ogni  anno  e  per  metro  quadrato  di  superficie  occupata,  secondo  : 

Steglich  Stazione  Agraria  di  Geneva 

Azoto  gr.    3  gr.    3,36 

Anidride  fosforica  „    0,55  „      0,81 

Potassa  „    2,55  „      3,78 

Calce  „    3,45  „      4,35 

Come  si  vede,  le  cifre  della  stazione  agraria  di  Geneva  sono 
alquanto  superiori  e  a  queste  io  ritengo  si  debba  attenersi  tanto  più 
che  feci  in  proposito  delle  prove  che  lo  confermano. 

Adoperando  dello  stallatico  decomposto  di  composizione  media, 
bisognerebbe  darne  ogni  anno  per  m.^  Kg.  0,700,  facendo  la  concima- 
zione ogni  3  anni,  Kg.  2,100  equivalenti  a  poco  più  di  20  tonnellate  di 
stallatico  per  ettaro. 

Conviene  però  alternare  lo  stallatico  coi  concimi  chimici  appli- 
cando il  seguente  turno  di  concimazione: 


per  m.' 

per  ettaro 

per  pianta  che  occupa  20  m 

I  anno  Stallatico           Kg.  1.5  tonnellate 

TT 

15 

Kg.  30 

III  „  Solfato  ammonico  gr.  25 

Kg.  250 

Kg.  0,500 

Scorie                        „  20 

„    200 

„    0,400 

Solfato  di  Potassa  „    8 

„      80 

„    0,160 

IV  „                                      - 

— 

— 

Una  buona  formola  di  concimazione,  dovendo  adoperare  esclusi- 
vamente concimi  chimici  è  indicata  nella  Tab.  XLIV  che  si  può  appli- 
care ogni  due  o  tre  anni.  Lascio  al  lettore  di  modificarla  a  seconda 
delle  sue  condizioni  particolari,  avvertendo  che  questa  io  la  considero 
come  una  formola  di  generale  applicazione. 


Tab.  XLIV  Formola  di  concimazione  pel  pero  di  applicazione  generale, 
allevato  a  pieno  vento  e  da  applicarsi  ogni  2-3  anni. 


ETÀ  DELL'ALBERO 

Applicazione  prima  dell'inverno 

Applicazione  dopo 
l'inverno 

Scorie 

Thomas 

Kg. 

Solfato  di 

Potassa 

Kg. 

Solfato 

Ammonico 

Kg. 

Nitrato  di 
soda 
Kg. 

Calce 
Litri 

a)  innestato  sul  franco. 
anni  5 

1.800 

0.600 

0.150 

0.650 

1 

,     10 

4 

1.250 

0.375 

1.125 

3 

,     20 

6 

2.500 

1.100 

1.400 

5 

bj  innestato  sul  cotogno. 
anni  6 

2.500 

0.700 

0.200 

0.400 

\'i 

.     12 

3.750 

1.- 

0.400 

1.— 

1V2 

17.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  Le  pere  si  raccolgono 
sempre  quando  si  staccano  senza  sforzo;  le  pere  d'estate  quando 
cominciano  a  ingiallire  e  cadere,  facendo  poi  loro  raggiungere  la  matu- 
razione completa  in  locali  appositi,  chiamati  fruttai  d'estate.  Queste 
pere  d'estate,  marciscono  presto,  se  colte  immature  e  se  molto  amuc- 
chiate. In  ogni  caso  sarà  meglio  sbarazzarsene  il  più  presto   possibile. 

Anche  le  pere  autunnali  devono  essere  raccolte  immature,  appena 
cioè  hanno  raggiunto  il  loro  massimo  volume.  In  tal  modo  acquistano 
in  fragranza.  Negli  alberi  a  pieno  vento  la  prima  caduta  dei  frutti  è  il 
segnale  della  raccolta.  Allora  si  osserva  un  leggero  ristringimento  alla 
base  del  peduncolo  del  frutto ,  che  acquista  un  colore  più  vivo, 
più  chiaro  e  lucente  e  diventa  diafano. 

Alcune  varietà,  la  Clairgeau,  la  Duchessa,  se  raccolte  acerbe,  pro- 
lungano la  loro  maturazione. 

Le  pere  invernali  si  raccolgono  quando  cominciano  a  cadere  le 
foglie.  Se  raccolte  troppo  presto  la  buccia  avvizzisce,  la  polpa  diventa 
legnosa  ;  se  troppo  tardi,  la  polpa  diventa  farinosa  ed  insipida. 

In  ogni  modo  raccomando  molta  precauzione  per  l'epoca  della 
raccolta.  La  pratica  locale  vale  più  di  quanto  si  possa  consigliare 
collo  scritto. 

18.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  11  Kònig,  dà  le  seguenti 
composizioni  delle  pere  : 

Acqua 83,03 

Zucchero 8,26 

e     .  ,  ,  ...       ,„  Acidi  liberi 0,20 

Sostanze  solubili  nell  acqua     .    .     e     x  lu       •       j-  oon 

^  I   Sostanze  albummoidi  .     .      0,36 

'   Sostanze  pectiche     .     .    .  3,54 

Semi  e  bucce 4,30 

Generi 0,31 

Azoto 0,31 

Zucchero 48,49 

Secondo  il  Ricliardson,  le  pere  contengono: 

Acqua 83,55  7o        Cenere 2,43% 

L'analisi  della  cenere  sarebbe  la  seguente  : 

Impurità 5,91        Calce 7,98 

Anidride  carbonica.    .    .     11,06        Magnesia 5,22 

Cenere  pura 1,97        Ferro 1,04 

Potassa 54,69        Anidride  fosforica    .     .    .  15,20 

Soda 8,52               „         solforica     .     .     .  5,69 

Anidride  silicica 1,49. 

19.  Usi.  —  La  pera  è  incontestabilmente  uno  dei  migliori  frutti 
per  la  bellezza,  per  la  varietà  della  forma,  del  colore,  del  sapore  e  della 
fragranza.  Si  possono  avere  delle  pere  dal  giugno  al  maggio  successivo. 


Sostanze  insolubili    . 
Nella  sostanza  secca 


—  555  — 

Le  pere  oltre  ad  ornare  le  tavole,  servono  a  preparare  dei  piatti 
speciali,  a  fare  delle  conletture,  degli  scii-oppi,  delle  composte  ed  anche 
a  fare  il  sidro. 

La  pera  si  digerisce  più  difficilmente  della  mela,  ed  i  medici 
sconsigliano  di  darla  ai  bambini.  La  polpa  delle  pere  è  sempre  più  o 
meno  granellosa  ed  astringente.  In  alcune  varietà  è  morbida  e  butirrosa, 
in  altre  è  soda  e  croccante.  Generalmente  è  più  gustosa,  più  abbondante 
di  sugo,  di  principi  zuccherini  e  di  profumo,  di  quella  delle  mele, 

11  valore  nutritivo  delle  pere  è  più  basso  di  quello  delle  mele. 
Secondo  Fresenius,  per  surrogare  una  parte  di  albumina  anidra,  in 
rapporto  alla  sua  azione  come  alimento  plastico,  sarebbero  necessarie 
385  parti  di  pere. 

20.  Prodotti  secondari.  —  Il  legno  del  pero  è  molto  pregiato  per 
la  sua  compatezza  e  per  la  suscettibilità  alla  levigatura.  Serve  perciò 
a  fare  mobili  di  lusso  ed  a  diversi  lavori  di  intaglio. 

21.  Dati  economici.  —  Il  pero  a  pieno  vento  raggiunge  in  media 
l'età  di  65  anni,  dei  quali  i  primi  15  sono   improduttivi. 

Durante  il  periodo  di  vita  produttiva,  50  anni,  si  può  calcolare  la 
seguente  produzione  : 

1.  Nei  primi  dieci  anni,  ossia  dall'anno  16.  "  al  25.°,  Kg.  15  di  frutta  in 

media  all'anno,  quindi  in  totale Kg.    150 

2.  Nei  trent'anni   successivi   (dall'anno  26.»  ai  55."  di  vita),  in   media 

all'anno  Kg.  48  e  quindi  in  totale „    1440 

3.  Negli  ultimi  dieci   anni   di   vita  (dall'anno   56.»  al   65.")   Kg.  18   in 

media  all'anno,  ossia  in  totale ,      180 

Totale  nella  vita Kg.   1770 

che  a  L.  8  al  quintale  equivalgono  a L.  141,60 

Aggiunto  l'aumento  di  valore  dell'albero  coll'età 3,— 

Totale  imporlo  produzione L.  144,60 

Le  spese  si  possono  calcolare  come  segue  : 

1.  Valore  d'acquisto  della  pianta L.    1,25 

2.  Impianto  e  concimi „     0,25 

3.  Palatura „     0,20 

4.  Sorveglianza  e  custodia  per  anni  65  a  L.  0,20  per  anno „   13,— 

5.  Raccolta   e   conservazione   delle   frutta   in   ragione   di   L.    1,80  per 

quintale  e  sopra  quintali  17,70 „   31,86 

6.  Interesse    del    capitale    d'impianto    e    di    coltivazione,    composto 

come   segue  : 

a)  Spese  (sub.  1,  2,  3)  equivalenti  a  L.  1,70  al  5%  e  per  30  anni  .    .     „     2,55 

b)  Interesse   del  capitale   per  la   sorveglianza  e  spesa,   nonché    la 

perdita  di  rendita  che  si  verifica  nel  terreno  circostante  all'albero     „     4,35 

Totale  Spese L.  53,46 

Rendita  lorda L.  144,60 

Totale  Spese ,     53,46 

Restano L.    91,14 

Da  detrarre  un  risico  del  5% „       4,55 

Rendita  totale  netta L.    86,59 


-  556  - 

Un  pero  dà  quindi  un  prodotto  netto,  nei  suoi  65  anni  di  vita,  di 
L.  86,59,  per  un  anno  L.  1,33,  ossia  la  rendita  di  L.  33  impiegata  al  4  7o- 

Nei  frutteti,  il  valore  di  una  pianta  può  aumentare  e  dare  una 
rendita  corrispettiva  superiore  del  25  al  200%;  mentre  ci  sono  delle 
piante  la  cui  rendita  può  essere  inferiore  della  media  esposta  del 
25  al  75  7o- 

Questi  dati  economici  possono  valere  anche  per  il  melo. 

Un  frutteto  di  speculazione  piantato  con  peri  a  piramide  distanti 
4  m.  e  con  meli  a  vaso,  piantati  alla  distanza  di  m.  2,50,  conterrà  per 
ettaro  N.  1250  piante  delle  quali  N.  500  peri  e  N.  750  meli. 

Le  entrate  e  le  spese  si  possono  calcolare  come  segue  : 

Entrate. 

Ogni  pianta  può  dare  in  media  Kg.  10  di  frutta  perciò  in   media  un 

prodotto  annuo  di  (1250X10)  Q.»  125  che  a  L.  40 L.  5000,— 

Spese  di  impianto. 

a)  1250  buche  della   dimensione   di  cm.  40  in   quadro  e  50  cm.  dì 

profondità  a  L.  0.15 L.  187,50 

h)  Acquisto  di  1250  piantine  di  1  anno  di  innesto  a  L.  0,40 500,— 

e)  Impianto  1250  X  L.  0,10 „   125,— 

d)  Acquisto  di  N.  1250  paletti  a  L.  0,10 •    .    .     „   125,— 

e;  Lavori  complementari  dell'impianto  (1250  X  L.  0,05) „     62,50 

Totale  spesa  di  impianto L.  1000,00 

Spese  di  coltivazione. 

Nei  primi  10  anni  si  può  calcolare  che  le  colture  intercalari  (ortaggi)  pagano  le 
spese  di  manutenzione,  danno  l'interesse  del  capitale  d'impianto  e  l'ammortamento. 

A  partire  dal  decimo  anno,  e  cioè  dal  momento  che  non  si  possono  fare  le  colture 
intercalari,  le  spese  annue  sono  le  seguenti  : 

a>  Interesse  del  capitale  di  impianto  (L.  1000)  al  5% L.    50 

h)  Ammortamento  del  medesimo  in  40  anni ,     25 

e)  Affitto  del  terreno ,272 

d)  7  operazioni  annuali  colturali   (sarchiatura,  zappatura,   vanga- 

tura, ecc.)  a  L.  54 ,378 

e)  Potatura  secca  ("j  ora  per  albero)  ossia  63  giornate  a  L.  5.    .     .  „   315 

f)  Potatura  verde  (^^  ora  per  albero)  ossia  giornate  32  a  L.  5    .     .  „    160 

g)  Cure  per  la   malattia,   25  giornate  a    L.    5 „    125 

h)  Raccolta   delle  frutta   15         „  „     „     „ „     75 

i)  Imballaggio  di  500  ceste  10         „  „     .     „ ,50 

l)  Trasporto  sul  mercato  20  viaggi  col  carro  ad  1  cavallo  a  L.  12,50  ,   250 

Totale  spese L.  1700 

Entrata L.  5000 

Spese 1700 

Rendita L.  3300 

Detratto  un  risico  del  5%    ....    L.    165 

Totale  Rendita  netta     .    .    .    .    L.  3135 

Hardy  calcola  il  prodotto  di  pere  da  una  pianta  a  pieno  vento  dell'età  di  20  anni 
2  hi.  e  cioè  una  rendita  di  L.  12,50. 


—  557  — 

22.  Varietà  giapponesi  e  chinesi  di  pero.  —  Von  Siebold,  il  celebre 
introduttore  di  piante  dal  Giappone,  ha  notato  nei  suoi  viaggi  molte 
varietà  di  pero,  appartenenti  ad  una  specie  interamente  distinta  dalle 
specie  europee. 

Sono  piante  più  vigorose  e  più  robuste  delle  varietà  chinesi  con 
foglie  grandissime.  Le  frutta  sono  bellissime,  di  forma  e  colore  parti- 
colare, con  peduncolo  molto  lungo  ;  polpa  muschiata,  buona  quando 
è  cotta.  Tutte  queste  varietà  si  distinguono  per  la  straordinaria  e  co- 
stante fertilità  ;  si  devono  innestare  esclusivamente  sul  franco.  Sul 
cotogno  non  attecchiscono. 

Le  varietà  principali  importate,  sono  le  seguenti  :  Daimyo,  con 
frutto  giallo  che  matura  nei  mesi  di  ottobre-novembre;  Madame  de 
Siebold,  con  frutto  bronzato  ;  Mikado  simile  al  primo  ;  Sieboldi,  che 
matura  in  dicembre,  pure  bronzato  e  la  Pera  miracolo  giapponese. 

Le  varietà  chinesi  sono  meno  apprezzate.  Il  Pirus  Simonii  ha  il 
frutto  di  grandezza  media,  subsferico,  con  polpa  molto  acquosa  e  di 
un  sapore  tutto  affatto  particolare,  che  forse  potrebbe  servire  per  fare 
qualche  sidro. 

23.  Malattie  e  danni.  Vedi  pag.  500. 


MELO 

(Pirus  Malus  L.  —  Fam.  Rosacee). 


Nome  volgare  italiano  della  pianta  —  Pomo. 

Nome  volgare  italiano  del  frutto  —  Mela. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Francese:  Pommier   —  Tedesco: 

Apfelbaum  —  Inglese:  Apple  tree. 
Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  Francese:  Pomme  —  Tedesco:  Apfel 

—  Inglese:  Apple. 

1.  Origini.  —  Il  melo  è  originario  delle  parti  temperate  d'Europa, 
delle  regioni  del  Caucaso  e  dell'Asia  centrale.  Si  trova  sopratutto  nelle 
parti  montuose  poco  elevate  dei  nostri  boschi;  non  ama  l'aria  secca  ed 
i  forti  calori,  quindi  lo  si  trova  più  al  nord  del  pero. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Pianta  meno  slanciata  di 
quella  del  pero.  Può  arrivare  al  massimo  a  10  m.  di  altezza  ed  ha  una 
chioma  globosa,  svasata;  radice  piuttosto  strisciante,  meno  ramosa 
che  nel  pero. 

Fusto  diritto,  arriva  ordinariamente  all'altezza  di  m.  2-2.5  con  cor- 
teccia cosparsa  di  lenticelle,  liscia,  unita,  di  color  cenerognolo-verdastro 
sui  ramoscelli;  scagliosa  e  grigio-bruna  sulle  vecchie  parti  dell'albero. 
Ha  una  vita  lunga  in  media  da  60  ad  80  anni,  quindi  circa  V  età  di 
un  uomo,  e  arriva  all'altezza  complessiva  di  m.  15.  Il  legno  è  di  color 
bruno    pesante,    compatto,    forte,   suscettibile    di   pulimento;  i    circoli 


-  558  - 

legnosi  dei  rami  e  del  fusto  sono  di  colore  bleu-oscuro  e  diventano 
compatti  abbastanza  presto. 

I  rami  sono  inseriti  ad  angolo  aperto  col  fusto,  di  colore  verde- 
bruno,  talvolta  tendenti  al  nerastro  o  violetto,  con  gemme  appiattite  e 
tomentose,  mentre  sul  selvatico  sono  glabre.  I  giovanni  getti  terminano 
spesso  in  una  spina. 

Le  foglie  sono  ovali,  brevemente  acuminate,  seghettate  a  denti 
ottusi,  tenere;  sulla  pagina  inferiore  verdechiaro  e  tomentose  o  glabre, 
a  seconda  se  il  pomo  è  domestico  o  selvatico,  lunghe  due  volte  il  pic- 
ciolo, con  4  a  8  nervature  alterne  e  ben  sviluppate. 

I  fiori  sono  grandi,  quasi  sessili  o  brevemente  peduncolati;  sboc- 
ciano pochi  giorni  prima  delle  foglie.  Sono  ermafroditi,  di  color  rosa- 
pallido,  di  rado  bianchi,  ed  in  numero  di  3  a   6  uniti  a  corimbo. 

1  frutti  sono  globosi,  con  breve  peduncolo  e  contengono  molti 
semi  di  color  bruno  lucenti. 

3.  Classifleazione  delle  varietà.  —  Seguendo  il  sistema  Diel-Lucas, 
le  mele  si  possono  classificare  in  15  famiglie,  ogni  famiglia  in  3  classi 
e  cioè:  in  estive  piatte,  tonde,  appuntite,  oblunghe;  autunnali  piatte, 
tonde,  appuntite,  oblunghe  ed  invernali  piatte,  tonde,  appuntite,  oblunghe. 
Ognuna  di  queste  classi  dividesi  in  tre  ordini  secondo  il  colore  della 
buccia  e  cioè  :  unicolori,  colorate  o  striate  ;  gli  ordini  poi  [si  suddivi- 
dono in  tre  sotto-ordini,  secondo  l'apertura  del  calice  :  a  calice  aperto, 
semi-aperto  e  chiuso. 

Le  15  famiglie  sono  le  seguenti: 

Fam.  1.»  Calville.  —  Mele  a  polpa  molle,  con  sapore  che  ricorda  quello  della  tragola 
o  del  lampone,  con  capsula  aperta  o  semi  aperta,  buccia  morbida  che  diventa  untuosa 
colla  maturazione.  La  forma  è  per  lo  più  irregolare,  cioè  molto  costoluta. 

Fam.  2.»  Caravelle  o  Batlocclne.  —  Polpa  molle  a  tessuto  grossolano,  senza  partico- 
lare aroma  o  quasi.  Capsula  sempre  aperta.  Forma  simile  a  quella  delle  calville,  qualche 
volta  più  cilindrica  e  altre  volte  più  appuntita,  come  nelle  cosidette  Musellone.  Buccia 
liscia  e  di  solito  senza  ruggine. 

Fam.  3."  Calville  bastarde.  —  Polpa  soda,  con  tessuto  compatto  di  gusto  vinoso- 
acidulo  che  ricorda  quello  delle  renette;  capsula  aperta  e  molto  larga  con  semi  rotondi. 
Forma  varia,  però  si  avvicina  a  quella  del  cotogno. 

Fam.  4.Ì'  Mele  rosa.  —  Con  polpa  assai  molle  facilmente  cedevole  alla  pressione  delle 
dita;  buccia  fine,  delicata,  lucente,  fragrante  come  la  polpa,  che  ha  un  sapore  fine, 
dolcemente  armonico  che  ricorda  quello  dell'anice  o  del  finocchio.  Forma  varia,  però 
per  la  maggior   parte   sono   costulute  sulla  metà  superiore. 

Fam.  ,5.»  Mele  colombine.  —  Polpa  meno  molle  delle  mele  della  famiglia  precedente, 
però  fine  e  leggera  che  ricorda  le  renette.  Forma  allungata  oppure  ovoidale  allun- 
gata; polpa  bianca  nivea;  buccia  molto  fine,  lucente,  delicata. 

Fam.  6.»  Mele  da  libra  o  librali  o  raiiìbour.  —  Polpa  grossolana,  farinosa,  dolce-aci- 
dula, senza  il  profumo  delle  calville  e  delle  rose.  Fruiti  molto  grossi,  piatto-rotondi  od 
anche  sferoidali;  di  frequente  con  una  metà  diversa  dell'altra.  Buccia  liscia,  dura  e 
per  lo  più  senza  ruggine. 

A  questa  famiglia  seguono  altre  6  famiglie  di  renette,  i  cui  caratteri  comuni  sono; 
polpa  specificamente  più  pesante,  ma  che  colla  maturazione  diventa  più  leggera  o  croc- 
cante; profumo  rimarchevole  ed  infine  di  gusto  vinoso  più  o  meno  dolce,  tutto  affatto 
speciale,  detto  appunto  di  renetta. 

.Secondo  i  loro  caratteri  esterni  abbiamo  <>  famiglie  di  renette,  delle  quali  dò  i 
caratteri  principali. 


—  559  — 

Fam.  7.»  Renette  da  libra  o  librali.  —  Unicolori,  di  grandezza  considerevole  e  forma 
irregolarissima  piuttosto  tendente  alle  calville. 

Fam.  8.»  Renette  cerine  od  unicolori.  —  Di  forma  regolare,  piccole  o  medie  senza 
protuberanze  o  coste. 

Fam.  9.»  Renette  bastarde.  —  Piccole,  unicolori  o  colorate  o  striate,  regolari,  coniche 
o  sferico  appiattite,  con  buccia  per  lo  più  liscia,  spesso  con  verruche,  di  raro  macchiata 
di  ruggine. 

Fam.  10.  Renette  rosse.  —  In  parte  colorate  ed  in  parte  striate,  col  colore  di  fondo 
giallo  pallido,  senza  ruggine.  La  sfumatura  giallognola  e  la  tinta  rossa  senza  ruggine, 
fanno  distinguere  una  renetta  rossa  da  una  dorata. 

Fam.  11.»  Renette  ruggini  e  grigie.  —  Con  la  buccia  in  tutto  od  in  parte  macchiata 
di  ruggine. 

Fam.  12."  Renette  dorate.  —  Con  la  buccia  a  fondo  di  color  giallo-dorato  con  delle 
striature  rosse  a  leggere  sfumature  dalla  parte  del  sole,  striature  miste  con  qualche 
punteggiatura  di  ruggine  a  differenza  della  famiglia  precedente. 

Bisogna  notare  che  i  caratteri  citati  da  queste  6  famiglie  di  renette  si  riferiscono 
al  frutto  che  ha  raggiunto  la  sua  maturazione,  diversamente  potrebbe  accadere  di  ascri- 
vere ad  esempio  una  renetta  cerina  ad  una  dorata  e  cosi  via. 

Per  tutte  le  mele  che  non  si  possono  ascrivere  ad  alcuna  delle  sopracitate  famiglie, 
si  sono  create  altre  tre  famiglie  come  segue: 

Fam.  13.»  Mele  striate  —  Senza  tener  conto  dei  caratteri  esterni  od  interni.  Appar- 
tengono tutte  le  mele  striate,  non  comprese  nelle  precedenti  famiglie. 

Fam.  14.»  Mele  non  striate  appuntite. 

Fam.  15.a  Mele  non  striate  piatte. 

4.  Scelta  delle  varietà.  —  Data  un'idea  della  classificazione  ab- 
bastanza complicata  di  Diel-Lucas,  faccio  seguire  due  tavole,  nelle 
quali  sono  indicate  le  varietà  di  primo  merito  di  mele  clie  consiglio 
(Tab.  XLV,  XLVI). 

Tab.  XLV.  Quadro  sinottico  di  classificazione 

delle  varietà  di  mele  di  primo  merito  consigliate  (Tamaro). 


Caratteri  della  polpa 


Nome 
della  famiglia 


molle    a   sapore   di 
di  cotogno  irrego-l     fragola  o  lampone 


lare,  costoluto 


allung.  con  polpa 
grossa,  piatto-ro- 
tonda con  polpa 


a  sapore  vinoso 

yo  ■!  j-     ■ 

f  o  y  a  sapore  di  anice 
"  (      o  finocchio 
soda  a  odore  rosmarino 
farinosa,  dolce-acidula 


varia  con  polpa  croccante  di  gusto 
vinoso  detto  di  Renetta 


Calville  bastarde 

Mele  rosa 

Mele  colombine 
Mele  da  libra 

Renette  da  libra 
Renette  unicolori 

Renette  rosse 
Renette  dorate 


Nome  delle  varietà 


1.  Calvilla    bianca 

d'inverno 

2.  Gravenstin 

3.  Belfiore  gialla 

4.  Astracan  rosso 

5.  Carla 

6.  Rosmarina  bianca 

7.  Imperatore  Ales- 

sandro 

8.  Drappo  dorato 

9.  Renetta  Ananas 
di  Cham- 

pagne 

11.  Renetta  del  Canada 

12.  ,       dei  Carme- 
litani 

13.  Carpendola  Reale 

14.  Pearmain  dorata 

d'inverno 
1.').  Renetta  d'Orleans 
16.        ,        di  Monfort 


10. 


Quadro  sinottico  indicante  le  principali  proprietà 


o  " 

NOME 

Maturazione 

Qualità 

Fertilità 

Vigoria 

/.  Mele  d'estate 

1 

Astracan  rosso        luglio 
(fig.  442  e  442  bis) 

II.  Mele  autunnali. 

per  mercato 

id. 

media 

2 

Imperatore  Ales- 
sandro (fig.  443) 

settembre-ottobre 

prima   da   orna- 
mento 

poca 

media 

3 

Gravenstein 
(fig.  444) 

id. 

la  migliore  delle 
mele  autunnali 

id. 

molta 

///.  Mele  invernali. 

4 

Belfiore  gialla 

(fig.  445> 

novembre-marzo 

primissima    da 
tavola  e  per  com- 
mercio 

costante  e  note- 
vole 

media 

5 

Pearmain  dorata 
d'inv.  (fig.  446) 

ottobre-febbraio 

id. 

id. 

id. 

6 

Renetta  Ananas 

(fig.  447) 

novembre-feb- 
braio 

primissima    da 
tavola 

straordinaria 

id. 

7 

Rosmarina  bianca 
(fig.  448) 

novembre  a  pri- 
mavera 

buona  da  tavola 

molta 

media 

8 

Carla 
(fig.  419) 

id. 

buona  da  tavola  e 
per  l'esportazione 

id. 

molta 

9 

Drappo  dorato 
(fig.  450) 

novembre-marzo 

buona  da  tavola  e 
per  cuocere 

notevole 

molta 

10 

Calvilla  bianca 
d'inv.  (fig.  451) 

da  novembre  in 
primavera 

regina  delle  mele 

id. 

media 

11 

Renetta  di  Cham- 
pagne (fig.  452) 

dicembre-feb- 
braio 

prima  da  cuocere 
seconda  da  tavola 

notevole  e  cos- 
tante 

id. 

12 

Renetta  di  Mont- 
fort  (fig.  453) 

dicembre- maggio 

prima  da  tavola  e 
da  cuocere 

id. 

molta 

13 

Renetta  d'Orleans 

(fig.  454) 

dicembre-aprile 

prima  da  tavola  e 
da  mercato 

notevole 

poca 

14 

Renetta    del 
Canada  (fig.  455) 

id. 

prima  da  tavola  e 
per  l'esportazione 

id 

media 

15 

Carpendola 
Reale  (fig.  456) 

dicembre-marzo 

id. 

notevole  e  presto 

id. 

16 

Renetta  dei  Car- 
melitani 

(fig.  457) 

novembre-marzo 

id. 

notevole 

id. 

>ltiirali   delle  mele   consigliate   (Tamaro). 


Forme  più 
adatte 


Soggetti  da 
innesto 


Sistema   di 
coltivazione 


indifferente     vaso  o   pieno 
vento 


franco  o  dolcigno  I   frutteti  di  specu- 
lazione 


indiffe-       I   indifferente!  vaso,  mezzo  vento, 

rente  .         .     ,  .i     cordone  orrizz. 

riparata  dai 

id.  venti  vaso,  alto  fusto 


iso,  dol- 


cigno 


frutteti  casalinghi 


dolcigno  e  franco    nei  campi 


indifferen- 
te di  pre- 
f  er.  fresco 

non  umido 
e  buono 


calda 
id. 


riparata 
da  venti 


aperta  e  non 
ombregg. 

profondo  e    riparata  e 
fertile 


indiffe- 
rente 


fertile 
id. 
id. 


indiffe- 
rente 


calda 
indifferente 


prot.  dai  ven- 
ti non  freddi 


piano    e 
colle 


anche  in  lo- 
calità vent. 


fresche  ed 
elevate 


vaso,  alto  fusto 
ed  a  cordone 


vaso  o  mezzo 
vento 


pieno  e  mezzo 
vento 


pieno  vento  o 
forine    ridotte 


dolcigno,  franco 
o  paradiso 

id. 


dolcigno,  franco 
franco 

id. 


paradiso,  dol- 
cigno e  franco 

dolcigno  o  para- 
diso 

franco  innestando 
in  testa  o  dolcigno 

id. 


alto  fusto  e  vaso  |  franco  e  dolcigno 

alto  fusto  e  cor-      franco  e  para- 
done  I    diso 

alto  fusto  e  vaso  ^  franco  e  dolcigno 

qualunque  franco,  dolcigno 

e  paradiso 


frutteti  casalinghi 
e  di  speculazione 

id.    ed    anche 
lungo  le  strade 

frutteti  casalinghi 
e  di  speculazione 

frutteti  di  specu- 
lazione 


frutteto    casa- 
lingo 

frutteto  di  spec.  e 
casal,  da  lusso 

nei  campi  e  lungo 
le  strade 

id.  e  nei  frutteti 
di  speculazione 

frutteti  casalinghi 
e  di  speculazione 

frutteti   indus- 
triali 

id.  e  lungo  le  stra- 
de e  nei  campi 


36  —  TAsrARO  -  Frutticoltura. 


-  562  - 

Astracan  rosso  (fig.  442). 
Frane:  Astracan  rouge  —  Ted.:  Rother  Astrachan. 

Maturazione:  dalla  metà  di  luglio  a  metà  agosto. 

Qualità:  seconda  da  tavola,  però  la  migliore  delle  varietà  precoci  di  mele. 

Clima  rigido  e  terreno  fertile. 

Località  ed  esposizione:  indifferente. 

Forme  più  adatte:  alto  fusto  e  vaso. 

Fertilità  :  molta. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  ed  anche  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta  :  pianta  alquanto  debole  con  rami  numerosi,  diritti,  di  gros- 
sezza e  lunghezza  media,  tomentosi,  verdi-grigiastri,  talvolta  con  sfumature  rosso-bruno 
chi;ire.  Lenticelle  piccole,  rare,  allungate;  gemme  abbastanza  grosse,  conico  ottuose, 
tomentose.  Foglie  di  media  grandezza,  ovali  allungate,  debolmente  accuminate,  con 
denti  rilevati  a  gronda.  Picciolo  breve  con  stipule  corte  e  strette. 


Fig.  442.  —  Astracan  rosso. 

Descrizione  del  frutto  :  piccolo,  del  diametro  di  52  mm.  per  42  d' altezza,  rotondo. 
Calice  chiuso,  verde,  con  sepali  larghi,  dentro  un'insenatura  mediocremente  profonda. 
Peduncolo  legnoso,  lungo  ed  arcuato  dentro  un'insenatura  abbastanza  profonda  ed 
ampia.  Buccia  grossa,  giallo  verdastra,  marmorizzata,  e  tinta  da  punteggiature  e  stria- 
ture  di  color  carmino,  nonché  da  altre  ancora  molto  larghe  e  grigie.  Polpa  bianca, 
fine,  semitenera,  mediocremente  succosa,  molto  zuccherina,  leggermente  profumata  e 
di  un  sapore  acidulo. 

Osservazioni  :  è  poco  vigorosa,  bisogna  innestarla  sul  franco. 

Abbastanza  diffusa  in  Italia  è  anche  la  varietà  Astracan  bianco  (fig.  442  bin).  Il  frutto 
è  rotondo,  appiattito  al  peduncolo  e  leggermente  rialzato  alla  corona.  La  buccia  è  co- 
perta in  totalità  di  un  bianco  latteo  ed  ha  la  polpa  bianca,  croccante,  gentile  e  di  un 
gusto  mediocre.  Matura  alla  fine  di  agosto  ed  è  apprezzato  sui  mercati  per  il  suo  aspetto. 


563 


Belfiore  giaUa  (fig.  445). 

Frane:  Bellefleure  jaune  —  Ted.  :  Gelber  Bellefleure  — 
Ingl.  :  Linneous  Pipping  o  Seck-no  Further. 

Origine:  Americana? 

Maturazione  :  novembre-marzo. 

Qualità  :  primissima,  sia  per  tavola  sia  per  l' esportazione.  Si  conserva  a  lungo  ; 
l'albero  è  poco  esigente. 

Clima  e  terreno:  per  tutti  i  buoni  climi  e  terreni.  Resiste  abbastanza  al  freddo. 

Località  ed  esposizione:  umide. 

Forme  più  adatte:  tutte. 

Fertilità  :  costante  e  notevole. 

Sistema  di  coltivazione:  per  frutteti  casalinghi  a  cordone  orrizzontale  innestata  sul 
paradiso  e  per  frutteti  industriali  innestata  in  testa  sul  franco. 


Fig.  442 />is.  —  Astracan  bianco. 


Descrizione  della  pianta  :  l'albero  ha  la  forma  piramidale  un  po'  allargata  con  rami 
lunghi  e  sottili  più  o  meno  tomentosi.  Lenticelle  rotonde  od  allungate,  abbondanti; 
gemme  piccole,  ovoidali,  appiattite,  aderenti  alla  scorza  e  leggermente  cotonose.  Foglie 
ovali,  allungate  o  lanceolate,  coriacee,  di  color  verde  chiaro, 

Descrizione  del  fruito  :  grande  e  medio  dell'altezza  di  8  cm.  di  forma  per  lo  più  a 
cuore,  col  calice  pendente  da  un  lato.  Peduncolo  abbastanza  corto,  nerastro,  serrato  in 
una  cavità  ristretta,  profonda  e  rugginosa.  Calice  aperto  o  semiaperto,  quasi  nascosto 
dalle  protuberanze  dell'insenatura.  Huccia  fina  liscia,  alquanto  odorosa  e  quasi  untuosa, 
colorata  d'un  bel  giallo  brillante,  cosparso  di  rari  punti  grigi  e  con  una  sfumatura  rosso 
carmino  dalla  parte  del  sole.  Polpa  bianco-giallastra,  tenera,  finissima,  molto  succosa,  di 


-  564  — 

sapore  zuccherino,  vinoso,  profumato,  che  ricorda  il  sapore  delle  migliori  renette.  Logge 
molto  ampie,  contenenti  pochi  semi. 

Osseruazioni  :  fiorisce  tardi,  e  la  pianta  vegeta  con  forza  quantunque  si   presti  alle 
piccole  forme  anziché  per  l'alto  fusto.  Volendo  avere  di  questi  ultimi  si  innesta  in  testa. 


Fig.  443.  —  Imperatore  Alessandro  C/j). 


Fig.  444.  —  Gravenstein. 


Nei  terreni  leggeri  e  siti  elevati,  il  frutto  acquista  uno  speciale  profumo.  Nel  piano,  le 
frutta  vengono  molto  voluminose  ma  le  piante  tardano  a  dare  frutto.  Si  applichi  la 
potatura  corta.  1  germogli  vanno  cimati,  non  si  aspetta  che  si  siano  lignificati,  poiché 
le  migliori  gemme  a  frutto  vengono  all'apice. 


565 


Calvilla  bianca  d'inverno  (fìg.  451). 

Frane.  :  Calville  blanc  d'hiver  —   Ted.  :  Weisser  Winter  Calvill   —   Ingl.  WhLte  Calville. 


Maturazione  :  questa  varietà  matura  dalla  fine  di  ottobre  al  principio  di  novembre, 
e  si  mantiene  buona,  se  ben  conservata,  fino  in  primavera  ed  anche  fino  all'estate  ;  perde 
però  a  poco  a  poco  della  sua  bontà. 

Qualità:  è  una  delle  migliori  mele  da  tavola  che  si  conoscono  e  sopporta  i  viaggi 
più  lunghi.  Si  può  chiamare  la  regina  delle  mele. 

Clima  mite,  terreno  profondo,  fertile. 

Località  calda  e  riparata.  Esposizione  buona. 

Forme  più  adatte:  si  presta  per  le  piccole  forme,  a  cordone  od  a  vaso,  innestando 
sul  dolcigno.  Si  può  anche  innestarla  sul  franco  in  testa  per  avere  degli  alti  fusti;  però 
sotto  quest'ultima  forma  non  è  mai  tanto  fertile. 

Fertilità  :  molta. 


Fig.  445.  —  Belfiore  gialla  (-3). 


Fig.  446. 
Pearmain  dorata  d'inverno  (^  J. 


Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  e  di  speculazione  per  frutta  da  lusso. 

Descrizione  della  pianta  :  non  è  una  pianta  di  grandi  dimensioni.  Ha  una  fronda 
appiattita  formata  da  rami  molto  divergenti.  I  germogli  non  sono  molto  robusti,  diritti, 
verde-bruni,  con  punteggiature  bianco-giallognole  ed  alquanto  cotonosi  intorno  alle 
gemme.  I  brindilli  ed  i  rami  a  legno  sono  bianco-argentei.  Le  foglie  sono  grandi, 
ovoidali  od  elittiche,  tomentose  sulla  pagina  inferiore.  Picciolo  medio  e  gemme  piccole, 
appiattite. 

Descrizione  del  frutto  :  è  il  frutto  che  corrisponde  più  perfettamente  alla  forma 
delle  calville,  di  solito  è  grosso  o  medio,  di  forma  schiacciata  e  talvolta  allungata  con 
cinque  o  più  coste  ben  pronunciate.  Un  frutto  medio  misura  mni.  72  ed  ha  un  diametro 
di  87  mm.  Calice  verde  abbastanza  lungo  con  petali  appuntiti,  ora  chiuso  ora  semi 
aperto,  tomentoso,  come  la  cavità  profonda  nella  quale  si  trova,  l-a  cavità  costoluta  è 
parzialmente  rugginosa,  lìuccia  giallastra,  liscia,  sottile  con  alcuni  punti  rugginosi.  Dal 
lato  dell'ombra  ha  un  colore  giallo-paglierino,  molto  pallido  con  qualche  sfumatura 
bianca,  mentre  dalla  parte  soleggiata  ha  un  color  giallo  più  marcato  con  qualche  sfu- 
matura rossa.  I  frutti  che  possiedono  quest'ultimo  colore  sono  i  migliori  e  più  pregiati. 


—  566  - 

La  buccia,  fino  a  che  il  frutto  si  trova  sull'albero,  ha  un  colore  che  si  avvicina  all'az- 
zurro e  nel  fruttaio  diventa  giallo-dorata  ed  emana  un  aroma  di  fragola.  Loggia  dei 
semi  ampia,  cuoriforme  e  contiene  uno  o  più  semi  per  loggia.  Polpa  fina,  giallo-bianca- 
stra, tenera,  succosa,  dolce  acidula,  dolcemente  profumata,  con  sapore  leggero  di  cannella. 
Osservazioni:  molto  soggetta  al  Fusicladium  ed  al  cancro. 


Carla  (fig.  449). 

Frane:  Carle  —  Ted.:  Kostlichste. 

Origine:  Finale  (Liguria). 

Maturazione:  novembre,  si  conserva  fino  in  primavera  senza  perdere  alcuna  delle 
sue  qualità. 

Qualità:  prima,  da  tavola  e  per  l'esportazione. 

Clima  caldo  e  terreno  protondo,  sciolto  e  fresco. 

Località  ed  esposizione:  riparate  dai  venti. 

Forine  più  adatte:  alto  fusto  con  chioma  ovale. 

Fertilità:  molta. 

Sistema  di  coltioazione:  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  l'albero  germoglia  tardi  in  primavera,  cresce  molto  vigo- 
roso e  forma  una  fronda  piramidale  molto  allargata.  Tarda  a  produrre  frutti  e  questi 
sono  pochi,  ma  belli  e  molto   sviluppati.   Foglie    grandi,   verdi   scure,   lucenti,   picciolo 


•\ 


F'ig.  447.  —  Renetta  Ananas  (- 


Rosmarina  bianca  [-  ■■). 


alquanto  rosso.  Fiori  abbastanza  grandi,  prima  di  sbocciare  giallo  rosei  e  poi  perfetta- 
tamente  bianchi,  calice  appuntito  molto  tomentoso.  Germogli  e  rami  robusti,  bruno 
scuri  con  grosse  lenticelle  rotonde  chiare. 

Descrizione  del  frutto  :  misura  58-60  mm.  in  altezza  e  70-80  di  diametro,  pesa  in 
media  100  gr.  La  forma  è  alquanto  varia,  per  lo  più  rotonda  e  regolare,  talvolta  marca- 
tamente appuntita  così  da  ricordare  le  musellone.  Calice  chiuso,  stretto,  con  petali 
appuntiti  e  lunghi,  con  insenatura  irregolare,  costoluta.  Peduncolo  molto  lungo  mm.  20-22, 
molto  sottile,  alquanto  tomentoso,  in  una  cavità  liscia,  profonda,  stretta,  senza  ruggine. 
Buccia  finissima,  liscia,  lucente,  giallo-verdognola  colla  maturazione  giallo-chiara  e  dalla 
parte  del  sole  dipinta  di  rosso  carmino.  Punteggiature  fine  ed  odore  molto  forte.  Polpa 
bianca,  molto  fine,  tenera  e  delicatissima,  succosa  con  aroma  speciale  che  ricorda  quello 
della  rosa.  Logge  chiuse  o  semi  chiuse,  con  2  semi  per  loggia. 


-  567  - 

Osseruazioni  :  chiamata  nel  Trentino  Cosenza  gentile  e  nel  Tirolo  Kòstlichste.  Fio- 
risce tardi.  Va  abbastanza  soggetto  al  Fusicladium  ed  anche  i  giovani  rami  disseccano 
facilmente  alla  estremità. 

In  causa  dei  peduncoli  troppo  lungi  del  frutto,  bisogna  cercare  le  località  riparate 
dai  venti  per  coltivarlo,  altrimenti  cadono  facilmente.  Questa  varietà  è  una  delle  più 
estesamente  coltivate  oggi  nel  Trentino  e  Tirolo  ;  però,  essendo  la  polpa  molle,  richiede 
molta  precauzione  nell'imballaggio. 


Carpendola  reale  (fìg.  456). 

Frane:  Court  pendu  plat  —  Ted.:  Kòniglicher  Kurzstiel 


Ingl.:  Wise  appiè. 


Maturazione:  dicembre-marzo.  La  buccia  increspa  molto  sensibilmente,  conviene 
perciò  anticipare  al  massimo  la  raccolta. 

Qualità  :  prima,  da  tavola  e  per  il  grande  commercio. 

Clima  mite  ed  anche   freddo.  Terreno  argilloso,  fresco  e  fertile. 

Località  ed  esposizione:  anche  nelle  località  più  esposte  ai  venti. 

Forme  più  adatte:  alto  fusto  sul  franco,  per  le  forme  piccole  sul  dolcigno. 

Fertilà:  notevole  e  la  pianta  da  anche  presto  frutta. 

Sistema  di  coltivazione  :  per  impianti  lungo  le  strade  e  viali  nonché  per  frutteti 
industriali. 


Fig.  449.  —  Carla  (^3). 


Fig.  450.  —  Drappo  dorato  (-  3). 


Descrizione  della  pianta:  albero  robusto  di  medio  sviluppo.  Rami  numerosissimi, 
corti,  abbastanza  grossi,  molto  tomentosi,  di  color  bruno  verdastro  ed  aventi  i  meri- 
talli  cortissimi.  Lenticelle  piccole,  rotonde,  fìtte.  Gemme  rotonde,  grosse.  Foglie  piccole, 
arrotondate,  di  color  verde  carico  sulla  parete  superiore,  tomentose  e  bianco  grigiastre 
al  di  sotto,  molto  accuminate.  Picciolo  grosso  e  breve.  Stipule  strette  di  media  lun- 
ghezza. 

Descrizione  del  frutto:  misura  da  6  a  7  cm.  in  altezza  e  da  8  a  9  di  diametro.  Forma 
schiacciata.  Peduncolo  legnoso  e  sottile.  Calice  aperto  con  sepali  larghi.  Buccia  inodora, 
che  al  momento  della  raccolta  è  a  fondo  verde  dilavato,  ma  maturando  passa  al  giallo 
d'oro  e  si  copre  quasi  interamente  di  una  tinta  ruggine,  chiara.  Polpa  giallastra,  un 
poco  verdognola  vicino  alle  logge.  Ha  un  sapore  squisitissimo,  dolce  acidulo  vinoso  di 
renette,  ed  è  tenera.  I  semi  sono  piccoli,  chiusi  in  logge  piccolissime. 


-  568  - 

Osservazioni:  fiorisce  tardi,  quindi  si  può  coltivare  in  località  esposte  a  brina.  Dà 
chioma  tondeggiante,  larga.  Va  poco  soggetto  a  malattie. 

Il  frutto  si  lascia  sulla  pianta  il  più  tardi  possibile  in  autunno  e  poi  lo  si  stratifica 
nella  torba,  per  avere  una  lunga  conservazione  che  si  può  protrarre  all'aprile. 


Drappo  dorato  (fig.  450). 

Frane:  Vrai  Drap  d'or  —  Ted,  :  Golzeugapfel  —  Ingl.  :  Bay  Apple. 

Maturazione:  da  novembre  a  marzo. 

Qualità:  è  una  delle  migliori  mele  da  tavola;  si  presta  anche  per  cuocere.  A  ma- 
turazione inoltrata  diventa  insipida  e  farinosa. 

Clima  caldo  e  asciutto.  Terreno  fresco  ordinario. 

Località  ed  esposizione:  aperte  e  non  ombreggiate. 

Forme  più  adatte:  alto  fusto  a  vaso  sul  franco;  a  cordone  sul  paradiso. 

Fertilità:  notevole. 

Sistema  di  coltiuazione:  frutteto  casalingo. 

Descrizione  della  pianta:  pianta  di  grande  sviluppo  con  fronda  molto  fitta  e  chioma 
sferoidale  con  rami  alquanto  pendenti.  Fruttifica  presto  ed  è  molto  fertile.  I  germogli 
sono  sottili,  abbastanza  lunghi,  bruno  rossastri  con  lenticelle   numerose  5e  piccole.   Le 


Fig.  451.  —  Calvilla  bianca^dinverno  {'j-j). 

foglie  sono  caratteristiche;  sottili,  lunghe  e  strette  con  punta  lunga.  Picciolo  abbastanza 
grosso,  lungo.  Stipule  lunghe  e  sottili. 

Descrizione  del  fratto:  grande  a  sufficenza,  sferoidale  e  regolare.  Talvolta  è  legger- 
mente costoluto.  Altezza  61  mm.,  diametro  81.  Peduncolo  corto  e  sottile,  che  non  emerge 
dalla  cavità.  .Sepali  grandi  e  biancastri.  Buccia  liscia,  lucente,  di  color  giallo  sbiadito 
dalla  parte  dell'ombra  e  più  chiaro  da  quella  del  sole,  con  qualche  punteggiatura  grigia 
dal  contorno  biancastro.  Talora,  ma  di  rado,  ha  delle  macchiette  bruno-chiare.  Polpa 
bianco-giallastra,  fina,  semi-croccante,  profumata,  succosa,  saporita,  zuccherina-acidula 
con  odore  piacevolissimo  che  ricorda  quello  del  cedro:  i  semi  sono  numerosi  e  perfetti. 

Osservazioni:  germoglia  e  fiorisce  tardi  e  perciò  dà  quasi  sempre  prodotti  copiosi 


-  569  - 
Gravenstein  (fig.  444). 

Frane:  Gravenstein  —  Ted. :  Gravenstein  —  Ingl.:  Gravenstein  appiè. 

Origine:  Trentino  o  Schleswig-HolsteLn. 

Maturazione  :  settembre-ottobre. 

Qualità:  è  una  delle  migliori  mele  autunnali. 

Clima  freddo.  Terreno  anche  un  po'  umido,  purché  non  dissecchi  troppo  d'estate. 

Località  ed  esposizione:  riparate  dai  venti. 

Forine  più  adatte:  alto  fusto  innestando  in  testa,  piramide  e  vaso. 

Fertilità:  molta,  ogni  due  anni. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre. 

Descrizione  della  pianta:  quest' albero  cresce  rapidamente,  divlen  grande  ed  è  molto 
longevo.  Forma  un'ampia  chioma  sferoidale.  I  germogli  sono  bianchi,  cotonosi,  con  pic- 
cole punteggiature  rotonde  e  bianche.  Foglie  grandi,  ovoidali,  tomentose  sulla  pagina 
inferiore,  con  dentatura  profonda.  Questa  varietà  si  distingue  perchè  fiorisce  molto 
presto  e  tuttavia  i  fiori  non  soffrono.  Fruttifica  tardi,  anche  dopo  15-20  anni. 

Descrizione  del  frutto:  di  forma  e  grandezza  varia  per  lo  più  sferoidale,  con  un 
diametro  medio  di  75  mm.  Coste  pronunciate.  Calice  aperto  con  sepali  verdi  anche  a 
maturazione.  L'insenatura  del  calice  profonda  e  stretta,  così  pure  la  cavità  del  pedun- 
colo. Buccia  liscia,  lucente,  giallo-paglierino  o  giallo  dorato.  Dalla  parte  del  sole  ha  delle 
punteggiature  rosso  carmino  e  brevi  striature  che  mancano  del  tutto  dalla  parte  opposta. 
Ha  un  odore  aromatico  molto  sentito  ;  la  polpa  ha  un  sapore  di  fragola  ed  è  di  color 
giallo,  tenera  e  molto  succosa.  La  camera  dei  semi  è  molto  grande  e  le  loggie  sono 
ripiene  di  semi. 

Osservazioni:  varietà  vigorosa  e  rustica,  non  troppo  produttiva.  Dopo  un  buon  rac- 
colto, riposa  per  2-3  anni. 

Bisogna  raccogliere  le  frutta  alla  fine  di  agosto  o  primi  di  settembre.  Per  spedirle 
sui  mercati  bisogna  curare  l'imballaggio,  perchè  sono  piuttosto  delicate. 

Pianta  vigorosa  fino  dalla  prima  età,  in  qualunque  terreno  ma  predilige  le  località 
littorane.  Si  pianti  nei  campi  a  pieno  vento  alla  distanza  di  almeno  12  metri  e  per  la 
piramide  o  vaso  a  4-5  m. 

Imperatore  Alessandro  (fig.  443). 

Frane:  .\lexandre  —  Ted.:  Kaiser  Alexandre  —  Ingl.:  Emperor  Alexander. 

Origine:  Russia. 

Maturazione:  settembre-ottobre. 

Qualità:  prima,  d'ornamento. 

Clima:  Resiste  ai  forti  freddi.  Fa  bene  in  qualunque  terreno,  di  preferenza  in 
quello  sciolto. 

Località  ed  esposizione:  Indifferente. 

Forme  più  adatte  :  cordone  orizzontale,  vaso  e  mezzo  vento. 

Fertilità:  poca. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  o  d'amatori. 

Descrizione  della  pianta:  albero  slanciato  con  rami  numerosi,  espansi,  di  grossezza 
media,  cotonosi  all'apice,  di  color  rosso-verdastro  chiaro.  Lenticelle  piccole,  numerose. 
Gemme  grosse,  coniche,  cotonose.  Foglie  molto  grandi,  ovali,  di  color  verde-scuro  supe- 
riormente, chiaro  al  disotto,  un  po'  cotonose,  doppiamente  seghettate.  Picciolo  lungo, 
scannellato.  Stipule  corte,  lineari. 

Descrizione  del  frutto:  molto  grande,  talvolta  enorme,  conico,  arrotondato  e  pan- 
ciuto, alto  85  mm.  e  del  diametro  di  108  mm.  Calice  semi-aperto,  verde  o  bruno.  Pedun- 
colo legnoso,  medio,  dentro  un'insenatura  molto  profonda,  abbastanza  ampia  e  costoluta. 
Buccia  liscia,  lucente,  verde-giallognola,  ricoperta  di  rosso  carminio  a  macchie  ed  a 
striature.  Polpa  bianco-verdastra,  semi-fine,  tenera,  morbida,  leggermente  profumata, 
dolce,  con  un  lontano  gusto  vinoso. 


-  570  — 

Osseruazioni:  vegeta  vigorosamente  nei  primi  anni,  anche  nei  terreni  mediocri. 

La  raccolta  si  fa  per  tempo  per  accontentare  i  consumatori  immediati,  però,  volendo 
conservare  il  frutto  a  lungo  (anche  fino  a  dicembre),  bisogna  fare  il  raccolto  il  più  tardi 
possibile. 

Fioritura  molto  prolungata  e  resistente  alle  intemperie. 

Unico  diletto  è  che  i  frutti  marciscono  con  facilità  sulla  pianta. 


Pearmain  dorata  d'inverno  (fig.  446). 

Frane;  Pearmain  dorée  —  Ted.:  Winter  Gold  Parmaene 

Ingl.:  King  of  the  PippLns, 

Maturazione  :  ottobre-febbraio. 

Qualità  :  prima  da  tavola  e  per  il  grande  commercio. 

Clima  e  terreno:  per  ogni  clima  e  terreno,  meno;  troppo  secchi. 

Località  ed  esposizione:  pochissimo  esigente. 

Forme  più  adatte:  alto  fusto  o  vaso  innestando  sul  franco  od  a  cordone. 

Fertilità:  straordinariamente  fertile  e  fruttifica  molto  presto. 

Sistema  di  coltivazione:  per  frutteti  industriali  o  casalinghi  ed  anche  lungo  le  strade. 

Descrizione  della  pianta:  l'albero  cresce  molto  rapidamente  in  gioventù  e  divien 
grande.  Forma  una  chioma  sferoidale  o  piramidale  con  rami  numerosi,  inseriti  ad 
angolo  acuto,  tomentosi  all'estremità.  Le  gemme,  distanti  alquanto  le  une  dalle  altre 
sono  piccole,  appiattite,  tomentose.  Foglie  piccole  ovoidali  a  punta  contorta  dentate.  Pic- 
ciolo corto,  di  color  carmino. 

Descrizione  del  frutto:  forma  regolare,  sferoidale,  alto  90  mm.  e  largo  105.  Insena- 
tura al  calice  profonda,  larga  e  leggermente  tomentosa.  Calice  aperto.  Peduncolo  corto 
o  medio,  sottile,  legnoso,  raramente  sporge  fuori  della  cavità.  Buccia  liscia,  sottile,  di 
color  giallo-verdognolo  che,  maturando,  diviene  giallo-d'oro  o  giallo-arancio  e  dalla 
parte  del  sole  presenta  belle  striature  color  carmino  punteggiate  di  ruggine.  Polpa  finis- 
sima, succosa  e  un  po'  croccante,  con  gusto  vinoso,  squisitissima,  profumata.  Logge 
spaziose,  contenenti  molti  frutti. 

Osservazioni:  si  raccoglie  in  ottobre.  Fiorisce  e  matura  tardi  in  modo  da  poterla 
raccomandare  anche  per  le  località  più  elevate.  Comincia  a  produrre  già  nel  3.°  e  4." 
anno  dopo  l'impianto;  abbisogna  di  frequenti  tagli  di  ringiovanimento.  E'  una  pianta 
poco  esigente  e  dà  frutti  pregevolissimi,  di  facile  conservazione  e  spedizione. 

Siccome  fruttifica  molto  presto,  conviene  togliere  i  fiori  finché  la  pianta  non  è  suf- 
ficentemente  robusta. 

La  fioritura  non  è  tanto  precoce  e  non  è  delicata  per  le  intemperie. 

Si  può  applicare  il  ringiovanimento  a  10-16  anni  alle  piante  esaurite  per  la  sover- 
chia produttività.  In  ogni  caso  si  ricordi  che  la  pianta  ha  poca  durata  se  non  si  inco- 
mincia bene  ed  a  tempo,  quando  si  hanno  molte  frutta.  La  pianta  si  mostra  esaurita 
con  la  produzione  di  piccole  mele,  che  cadono  presto.  Se  il  terreno  non  è  sufficiente- 
mente fertile,  la  pianta  viene  colpita  da  malattie. 

Renetta  Ananas  (fig.  447). 
F'ranc:  Reinette  Ananas  —  Ted.:  Ananas  Reinette. 

Maturazione:  matura  in  novembre  e  si  conserva,  senza  avvizzire,  fino  a  metà  feb- 
braio ed  oltre. 

Qualità:  questa  mela  è  una  delle  più  belle  e  fine  renette  che  si  conoscano,  ed  è 
ottima  da  tavola.  Si  conserva  bene. 

Clima  caldo  e  terreno  discreto,  non  umido. 

Località  ed  esposizione:  calde  ed  umide. 

Forme  più  adatte:  a  vaso  od  a  mezzo  vento. 

Fertilità:  molta. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  e  di  speculazione. 


-  571  — 

Descrizione  della  pianta:  l'albero  si  conserva  facilmente  per  i  suoi  rami  straordi- 
nariamente grossi  e  robusti,  per  le  gemme  molto  fìtte  e  per  la  chioma  pure  fitta  e  larga. 
L'albero  raggiunge  un  medio  sviluppo.  Foglie  abbastanza  grandi,  larghe,  ovoidali,  verdi 
lucenti,  alquanto  ondulate,  tomentose  sulla  pagina  inferiore  e  col  lembo  seghettato. 

Descrizione  del  frutto:  grandezza  media,  alto  e  largo  75  mm.  circa.  La  sua  forma  è 
costantemente  ovale,  più  o  meno  depressa  alle  estremità.   Calice   aperto  o  semi  aperto 


Fig.  452.  —  Renette  di  Champagne. 


ed  il  picciolo  sonile,  corto  e  legnoso.  Le  due  cavità  si  dell'uno  che  dell'altro  sono  rego- 
lari, abbastanza  profonde,  qualche  volta  leggermente  costolate.  Buccia  liscia,  lucente, 
del  color  giallo-dorato  al  giallo-citrino,  senza  traccia  di  tinta  rossa.  Caratteristiche  per 
la  buccia  sono  delle  punteggiature  regolari  di  ruggine  a  forma  di  stelle  cosparse  qua  e 
là.  Polpa  bianco  giallognola,  molto  succosa,  croccante,  profumata,  che  ricorda  l'odore  di 
Ananas,  e  di  sapore  vinoso  dolce,  dei  più  deliziosi  e  profumati.  Le  logge  grandi  ed 
aperte  contengono  semi  numerosi  e  perfetti. 


-  572  - 

Osservazioni:  porta  presto  frutta  —  fiorisce  generalmente  nella  prima  metà  del  mese 
di  maggio  ed  i  fiori  soffrono  poco  per  le  intemperie.  La  prima  pianta  in  vivaio  è  facil- 
mente riconoscibile  per  i  suoi  rami  corti  e  grossi  e  per  1'  ampio  ciuffo  di  foglie  alla 
loro  estremità. 

Va  soggetta  alla  mosca  ed  ha  il  difetto  clie  il  fruito  è  piuttosto  piccolo. 

Renetta  del  Canada  (fig.  455). 

Frane:  Reinette  du  Canada  —  Ted.:  Pariser  Rambour  Reinette 
Ingl.:  Canada  Reinette. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  da  dicembre  a  marzo-aprile,  però  a  maturazione  un  po'  avanzata 
diventa  farinosa  e  dolciastra. 

Qualità:  prima  da  tavola,  sia  per  la  grandezza  sia  pel  gusto  e  per  la  durata,  tanto 
che  si  raccomanda  per  la  grande  e  piccola  coltura.  Prima  anche  di  commercio. 

Clima  buono  e  terreno  fertile  piuttosto  fresco. 

Località  ed  esposizione:  qualunque,  perchè  fiorisce  tardi  ed  a  lungo. 

Forme  più  adatte:  alto  fusto  e  cordone. 

Fertilità:  molta  e  costante. 

Sistema  di  coltivazione  :  frutteti  industriali. 

Descrizione  della  pianta:  in  gioventù  l'albero  cresce  rapidamente  ed  assume  una 
grandezza  abbastanza  ragguardevole.  La  fronda  è  ampia,  rotonda,  talvolta  conica;  i 
rami  sono  robusti,  fitti,  e  producono  una  quantità  di  ramoscelli  secondari,  brevi,  frutti- 


Fig.  453.  —  Renetta  di  Montfort. 


feri,  cotonosi,  di  color  bruno  o  grigio-argenteo,  lucenti  e  poco  punteggiati.  Le  gemme 
sono  piccole,  appuntite,  tomentose,  le  foglie  sono  ovoidali,  tondeggianti,  lucenti,  verdi- 
brune,  appuntite  e  profondamente  dentate.  Picciolo  corto,  grosso,  ricurvo,  dilavato  di 
carmino  con  debole  scannellatura. 

Descrizione  del  frutto:  ampiamente  angoloso,  di  grossezza  superiore  alla  media, 
diametro  90  mm.  ed  altezza  65  mm.,  di  forma  tondeggiante  che  si  assottiglia  più  o  meno 
verso  il  calice  e  non  sempre  regolare.  Le  mele  di  '/.^  kg.  non  sono  rare.  Il  calice  lungo, 


573 


per  lo  più  chiuso  o  semi-aperto,  stretto  con  sepali  appuntiti,  si  trova  in  una  cavità  profonda' 
con  lievi  sporgenze.  Buccia  ruvida,  di  color  verdastro  che,  colla  maturazione,  diventa 
giallo-citrina,  con  una  sfumatura  rossa  dalla  parte  soleggiata,  avente  ancora  delle  pun- 
teggiature stellate,  rugginose,  colore  questo  che  si  diffonde  fra  una  punteggiatura  e  l'altra 
in  modo  da  far  apparire  qua  e  là  delle  macchie  brune.  Peduncolo  cortissimo,  grosso  e 
legnoso,  collocato  in  una  cavità  stretta  e  profonda,  rugginosa,  quando  il  frutto  è  pure 
coperto  di  ruggine.  Questa  mela  emana  un  odore  piacevole,  ha  la  polpa  bianca  con  una 
vena  di  giallognolo;  è  finissima, 
soffice,  tenera  come  tutte  le  re- 
nette, quasi  liquescente  e  piena 

di  un  succo  vinoso  dei  più  squi-  "V 

siti  e  profumati.  Logge  chiuse 
o  semi-chiuse,  piccole,  con  un 
seme  per  cadauna  e  qualche 
volta   abortito   anche   questo. 


Fig.  454. 
Renette  d'Orleans  C 


Fig.  455.  —  Renetta  del  Canada  ("/a)- 


Osservazioni:  l'albero  cresce  rapidamente  e  torma  alberi  con  corona  irregolare  che 
bisogna  sistemare  colla  potatura.  Ordinariamente  però  l' albero  non  ha  vita  lunga  e 
va  soggetto  alla  rogna. 

11  frutto  cade  facilmente  dall'albero  e  dà  molti  scarti  nei  primi  giorni  dopo  il  rac- 
colto. Per  rimediare  a  questo  inconveniente  è  molto  opportuno  portare  le  mele  ap- 
pena  raccolte  in  un   luogo  fresco  e  non  levarle  da  là  fino  al  momento   del  consumo. 

Si  presta  tanto  per  l'alto  fusto  che  per  cordoni.  Per  questi  si  innesta  sul  paradiso. 


Renetta  dei  Carmelitani  (fig.  457). 
Frane:  Reinette  des  Carmes  —  Ted.  :  Carmeliter  Reinette  —  Ingl.  :  Old  Pearmain. 

Maturazione:  novembre  a  marzo. 

Qualità:  prima,  da  tavola  e  da  commercio. 

Clima  e  terreno:  indifferente. 

Località  fresche  ed  elevate. 

Forme  più  adatte:  alto  fusto,  piramide,  spalliera. 

Fertilità  :  molta. 

Sistema  di  coltivazione:  lungo  le  strade  e  i  viali  nei  climi  miti  e  ordinari. 

Descrizione  della  pianta:  l'albero  ha  una  mediocre  vegetazione  e  si  distingue  per 
possedere  un  bel  fusto  diritto  e  una  chioma  sferoidale.  Rami  sottili,  lunghi  poco  nume- 
rosi, bianchicci  all'estremità  e  rossastri  più  sotto.  Lenticelle  grandi,  arrotondate,  nume- 
rose; foglie  coi  lembi  incurvati  sulla  pagina  superiore,  di  forma  elittica,  di  color  verde- 
scuro, lucenti  superiormente  e  grigio-verdastro  sulla  pagina  inferiore,  con  lembo  den- 
tato: picciolo  di  color  verde,  alla  base  rossigno,  scannellato,  porta  due  stipule  ineguali. 


-  574  - 

Descrizione  del  frutto:  ci  sono  due  sottovarietà  e  cioè  quella  con  frutti  appiattiti  e 
foglie  larghe  ed  un  altra  con  frutti  più  alti  e  foglie  più  strette.  Grandezza  superiore 
alla  media;  altezza  e  diametro  di  mm.  75;  calice  aperto  con  sepali  grandi,  disposto  in 
una  insenatura  poco  profonda;  peduncolo  sottile,  legnoso,  piantato  in  una  depressione 
ristretta  che  sarebbe  imbutiforme,  se  una  protuberanza  a  collo  di  cigno,  più  o  meno 
rilevata  non  ne  rompesse  la  regolarità.  Buccia  liscia,  lina  e  quasi  untuosa  con  fondo  verde, 
coperta  da  una  tinta  rosso  cupo  più  o  meno  dilavata  e  caratteristicamente  punteggiata 
picchiettata  o  tratteggiata.  Attorno  al  picciolo  havvi  qualche  leggera  tinteggiatura  di 
ruggine.  Polpa  bianco-giallognola,  carnosa  e  fina,  con  succo  aromatico,  di  gusto  dolce, 
vinoso,  eccellente.  Logge  di  ampiezza  varia,  leggermente  striate  ed  aperte;  i  semi  che 
vi  contengono  sono  perfetti,  appuntiti,  nerastri. 


Fig.  456.  —  Carpendola  reale  f  3). 


Fig.  457.  —  Renetta  dei  Carmelitani  1  '  .). 


Osservazioni:  Y  albero  cresce  sollecitamente  ed  è  molto  produttivo.  Nelle  buone, 
terre,  in  posizioni  difese  riesce  molto  bene.  Innestato  sul  pomo  paradiso  può  dare  dei 
cordoni  ed  innestato  sul  franco  anche  dei  bei  alti  fusti. 

I  frutti  appaiono  all'estremità  dei  brindilli,  quindi  è  neccessaria  più  la  cimatura 
verde  che  la  potatura  secca. 


Eenetta  di  Champagne  ffig.  452). 

Frane:  Reinette  de  Champagne  —  Ted.:  Champagner  Reìnette  — 

Ingl.  :  Champaigne  Reinette. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  dicembre-febbraio. 

Qualità:  prima  da  cuocere,  seconda  da  tavola. 

Clima  e  terreno:  poco  esigente. 

Località  ed  esposizione:  poco  esigente. 

Forme  più  adatte:  a  pieno  vento  innestando  in  testa  sul  franco;  e  sul  dolcigno  per 
cordoni  e  vasi. 

Fertilità:  notevole  e  costante. 

Sistema  di  coltivazione:  nei  campi  e  lungo  le  strade. 

Descrizione  della  pianta:  sviluppo  medio,  di  vegetazione  stentata;  forma  una  chioma 
sferoidale;  rami  grossi  con  rami  fruttiferi  corti;  di  color  rosso  bruno,  con  corteccia 
a  sfumature  cenerognole  e  con  molto  tomento;  finamente  punteggiata.  La  fruttifica- 
zione si  nota  talvolta  anche  sul  legno  giovane.  Geiimie  grosse,  rossastre.  Foglie  di  medio 


—  575  — 

sviluppo,  ineguali,  nervatura  sottile,  doppiamente  seghettate,  nella  pagina  inferiore 
tomentose. 

Descrizione  del  frutto:  frutti  a  due  ed  anche  tre;  con  insenatura  poco  marcata  al 
peduncolo  ed  al  calice.  Grandezza  media,  altezza  mm.  68  e  larghezza  mm.  53.  Il  calice 
rimane  verdastro.  Peduncolo  sottile  e  corto,  attorno  al  quale  la  buccia  è  rugginosa.  Buccia 
da  giallo  verdastra  al  giallo  limone,  con  qualche  sfumatura  rosea  e  rade  punteggia- 
ture. Il  frutto  è  senza  profumo:  polpa  bianca,  molto  succosa,  aggradevole,  acidula-vinosa. 

Osservazioni:  germoglia  in  primavera  abbastanza  tardi.  Le  frutta  stando  molto 
aderenti,  e  la  pianta  essendo  rustica,  si  presta  per  le  piantagioni  lungo  le  strade.  Il 
frutto  si  conserva  benissimo  per   tutto   l'inverno  :    si   preferisce  consumarlo   in   marzo. 


Renetta  di  Montfort  (fig.  453). 

Sinonimi:  Bella  di  Boskoop. 

Frane:  Belle  di  Boskoop  —  Ted.:  Schòne  von  Boskoop. 

Origine:  Olanda. 

Maturazione:  dicembre-maggio. 

Qualità  :  prima  da  tavola  e  da  cuocere.  E'  la  mela  dell'avvenire  per  commercio. 

Fertilità:  costante  e  molto  presto  comincia  a  fruttificare. 

Vigoria:  molta. 

Clima:  anche  freddo. 

Terreno:  anche  in  quelli  magri  non  tanto  secchi. 

Esposizione  e  situazione:  in  piano. 

Forme  più  adatte:  alto  fusto,  vaso  o  piramide. 

Sistema  di  coltivazione:  lungo  le  strade,  nei  campi,  nei  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta  :  alta  con  chioma  arrotondata. 

Proprietà  della  pianta:  resistente  a  tutte  le  malattie.  Fioritura  tardiva  resistente  a 
tutte  le  intemperie.  Fruttifica  talvolta  sul  legno  di  un  anno. 

Descrizione  del  frutto  :  forma  tondeggiante,  media  ed  anche  grande,  mm.  20  x  67, 
sferica  un  po'  appiattita;  buccia  rugginosa  striata  di  rosso;  peduncolo  medio  di  gros- 
sezza, abbastanza  lungo;  calice  chiuso,  verde  coi  sepali  piegati  in  fuori,  piantato  in  una 
cavità  stretta,  abbastanza  profonda  e  rugginosa;  polpa  giallo-biancastra,  ricca  di  succo 
con  gusto  finissimo  di  renetta;  semi  1  o  2,  medi,  poco  appuntiti;  capsula  dei  semi  a 
forma  di  cipolla. 

Proprietà  del  frutto:  poco  profumato  è  però,  dopo  la  Pearmain  dorata,  la  migliore 
mela  che  si  conosca.  La  raccolta  si  faccia  non  prima  della  fine  di  ottobre.  Le  frutta 
si  conservano  bene  nel  fruttaio. 


Renetta  d'  Orleans  (fig.  454). 

Frane:  Reinette  d'Orleans  —  Ted.  Orleans  Reinette  —  Ingl.:  Pepping  Pearmain. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  dicembre-aprile. 

Qualità:  prima,  da  tavola  e  da  mercato. 

Clima  temperato  e  terreno  profondo,  argilloso  un  po'  umido. 

Località  ed  esposizione:  protette  dai  venti  e  non  troppo  fredde. 

Forme  più  adatte:  alto  fusto  e  vaso. 

Fertilità  :  molta  in  terreno  e  località  adatte. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  e  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  pianta  generalmente  di  poco  sviluppo,  con  rami  nume- 
rosi, grossi,  diritti,  molto  tomentosi,  rosso-grigiastri,  cosparsi  di  piccole  lenticelle  rare. 
Gemme  piccole,   tomentose,   piatte:  foglie  ovali,  appuntite;  picciolo  lungo  scannellato. 

Descrizione  del  frutto:  mezzano,  leggermente  depresso,  quasi  sferico;  calice  aperto 
e  sepali  corti  e  larghi,  trovantisi  in  una  cavità  grande.  Peduncolo  corto,  legnoso;  buccia 


—  576  — 

liscia,  quasi  lucente,  di  color  giallo-oro  alla  maturazione  e  dalla  parte  soleggiata  scre- 
ziata di  carmino,  talvolta  con  una  macchia  rossa  e  con  dei  punti  rugginosi.  Polpa  gial- 
lognola, tenera,  succosa,  dolce  delicata  e  ben  profumata. 

Osservazioni  :  per  avere  degli  alti  fusti  si  innesta  sul  franco   o    si   soprainnesta   ad 
esempio  sulla  Pearmain  dorata. 


Bosmarina  bianca  (fig.  448). 
Frane:  Romarin  blanc  —  Ted. :  Weisser  Rosmarinapfel  —  Ingl.:  White  Romarin. 

Origine:  di  Bolzano  e  Merano. 

Maturazione:  matura  alla  fine  di  novembre  e  si  conserva,  mantenendo  intatte  le 
sue  qualità,  fino  a  tarda  primavera. 

Qualità  :  è  una  delle  migliori  mele  da  tavola,  conosciuta  si  può  dire  universal- 
mente, e  che  diede  rinomanza  ai  mercati  del  Tirolo  e  Trentino  in  ispecie  a  Bolzano. 
La  bontà  del  frutto  dipende  molto  dalla  situazione  e  dell'andamento  delle  stagioni. 

Clima  caldo,  terreno  buono,  fresco  e  profondo. 

Località  ed  esposizione:  calda,  riparata  dai  venti. 

Forme  più  adatte:  pieno  e  mezzo  vento  con  chioma  piramidale. 

Fertilità:  molta. 

Sistema  di  coltivazione:  per  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  le  foglie  son  grandi  con  lungo  picciolo,  elittiche,  poco 
tomentose,  mentre  invece  lo  sono  i  germogli.  Fiori  grandi,  del  tutto  bianchi,  petali 
larghi,  ovoidali  e  sepali  appuntiti,  tomentosi.  Rami  di  color  bruno  chiaro,  gemme  lunghe 
ed  appuntite,  aderenti  al  ramo  e  quelle  del  fiore  tomentose. 


Fig.  4.58.  -  Mela  Borda. 


Descrizione  del  frutto:  misura  in  media  dai  63  ai  65  mm.  di  altezza  e  da  56  a  63  di 
larghezza.  Ha  un  peso  medio  dai  115  ai  120  gr.  È  di  forma  ovoidale  allungata  o  conica.  La 
parte  centrale  è  alquanto  al  disotto  della  metà  del  frutto.  Calice  aperto  o  semiaperto 
colle  foglioline  verdi-brune,  tomentose,  sottili  e  lunghe.  Peduncolo  legnoso,  abbastanza 
lungo,  16-18  mm.,  alquanto  tomentoso  e  grosso  all'inserzione  ;  sta  infisso  in  un'insenatura 
profonda,  stretta,  per  lo  più  leggermente  rugginosa.  Buccia  sottile,  lucida,  liscia,  fine, 
bianco -gialla,  talvolta  dorata  o  leggermente  rosea  dalla  parte  del  sole  con  finissime 
punteggiature.  Odore   abbastanza   forte.   Polpa   bianca,   fine,   molto   profumata,   tenera, 


-  577  - 

succosa,  di  sapore  acìdulo  molto  grato.  La  sua  composizione  sarebbe  :  13,17  di  sostanza 
secca;  zucchero  8,75%  ed  acido  malico  0,32%.  La  capsula  dei  semi  alquanto  aperta,  le 
celle  ampie  che  racchiudono  da  2  a  3  granelle  ovoidali. 

Osservazioni:  germoglia  presto  in  primavera  ed  è  molto  soggetta  al  bianco  ed  al 
Fusicladium.  Abbisogna  di  frequenti  solforazioni  e  trattamenti  con  solfato  di  rame. 
La  pianta  non  diventa  molto  vecchia. 

Vi  ha  una  varietà,  e  cioè  il  rosmarino  rosso,  la  quale  oltre  che  per  il  colore  del 
frutto,  si  distingue  per  la  forma  più  cilindrica,  più  lunga  e  meno  larga  —  germoglia 
più  tardi  ed  è  più  vigorosa  quantunque  meno  esigente  pel  terreno.  Va  però  molto 
soggetta  alle  malattie  crittogamiche  ed  è  di  produzione  media.  11  frutto  occupa  il  primo 
posto  sul  mercato  dopo  la  mela  rosmarina  bianca,  è  però  meno  aromatico,  meno  acido 
e  meno  succoso. 


Varietà  italiane. 

Come  feci  per  le  pere,  cito  le  principali  mele  italiane,  coltivate  nelle  nostre  cam- 
pagne e  che  formano  specialmente  oggetto  di  commercio. 

1.  Annurca,  del  mezzogiorno  d' Italia,  sferica,  appiattita,  rosso-carnino  con  fondo 
giallo-verdastro.  Polpa  bianca  leggermente  croccante,  zuccherino-acidula.  Matura  d'in- 
verno. 

2.  Api  piccolo,  bello  per  il  colore  (fìg.  459),  matura  durante  l'inverno  ma  è  poco 
produttivo.  Per  frutteto  d'amatori  a  forme  piccole. 

3.  Attalino,  frutto  comune  del  mercato  di  Vicenza.  Matura  d'inverno. 

4.  Borda  o  Mela  ruggine  di  Toscana,  frutto  da  commercio  descritto  dal  Gallesio 
(Kg.  458).  Matura  d'inverno. 

5.  Calamana  Trevigiana,  comune  sul 
Veneto  (Treviso),  bella,  ottima,  lunga 
75-76  mm.  conico-allungata,  giallo-do- 
rata, marmorizzata  di  carminio.  Varietà 
invernale  e  da  esportazione. 


Fig.  459.  —  Api  piccolo  (-3).  Fig.  460.  —  Renella  vera  (V3). 


6.  Campanino,  matura  d'inverno  ed  è  oggetto  di  esportazione  dal  Modenese. 

7.  Decio.  matura  da  gennaio  a  maggio  e  si  trova  nel  Veneto  e  Modenese. 

8.  Bianco  di  luglio,  Flabewy,  Angelo  Longone,  sotto  questi  diversi  nomi  si  ha  in 
commercio  una  buona  varietà  di  mela  precoce  che  a  Voghera  maturava  nella  seconda 
metà  di  giugno.  E'  preziosa  per  la  sua  precocità,  poco  per  il  gusto.  Sul  mercato  si 
riusciva  però  sempre  a  venderla  molto  bene. 

9.  Frascona,  mela  d'inverno  del  circondario  di  Voghera  e  di  Varzi. 

10.  Gelata,  mela  dall'olio.  Bianco-verdognola,  semi  trasparente  che  colla  maturazione 
(dicembre  gennaio)  appare  ed  è  identica  alla  Apiona  di  Sardegna.  E'  propria  anche 
questa  delle  provincie  meridionali,  però  ha  un'importanza  locale. 

37  —  Tamaro  -  Frutlicolluia. 


—  578  — 

11.  Liinoncella,  preziosissima  mela  invernale  da  grande  commercio  delle  provincie 
meridionali.  La  sua  produzione  però  è  molto  incerta.  Le  frutta  riescono  piccole  nelle 
annate  asciutte  ed  è  molto  soggetta  alla  ticchiolatura. 

12.  Lesa,  varietà  Piemontese,  rosso-carniino. 

13.  Mela  di  Norcia  o  Panaia,  delle  provincie  meridionali.  Varietà  invernale  da  mer- 
cato descritta  ancora  da  Gallesio. 

14.  Paradiso,  frutto  comune  nell'Istria  e  negli  Abruzzi,  da  commercio. 

15.  Renella  vera  (fig.  460).  Sotto  il  nome  di  Renetto  Bianco  venne  descritta  dal  Gal- 
lesio. Matura  dal  dicembre  all'aprile  ed  è  chiamata  la  regina  delle  mele  carnose. 

16.  Rosa,  sotto  questo  nome  si  trovano  in  commercio  durante  l'inverno  nel  Veneto, 
nella  Romagna,  nell'Emilia  e  per  tutta  l'alta  Italia  una  quantità  di  mele  di  forma  varia, 
che  hanno  come  carattere  comune  la  resistenza  ai  trasporti  e  un  colorito,  almeno  dalla 
parte  del  sole,  rosso-cremisino. 

17.  Verdiso,  mela  del  piacentino  e  del  parmigiano. 

18.  Zanibone,  del  modenese. 

19.  Zitella  di  Somma,  del  mezzogiorno. 

5.  Coltivazione  del  melo  nei  paesi  ealdi.  —  Questa  coltivazione 
deve  essere  limitata  ai  soli  bisogni  della  famiglia. 

Si  potrà  coltivare  l'Api  rosa,  la  Calvilla  rossa  d'estate,  la  Calvilla 
di  S.  Saveur,  la  Carla,  la  Renetta  grigia,  la  Renetta  del  Canada  e  Ram- 
bour  d'estate. 

6.  —  Varietà  ornamentali. 

Il  Carrière,  nel  suo  studio  sui  meli  d'ornamento,  descrive  le  seguenti  principali 
varietà  : 

Malus  microcarpa  spectabilis  in  francese  :  Pommier  à  bouquet  o  de  la  Chine  —  in 
tedesco:  Pràchtigen  ApJelbaum. 

Originario  della  China  e  Giappone;  fiorisce  in  maggio.  È  un  piccolo  albero  che  si 
innesta  sul  franco,  ha  rami  diritti,  ma  un  po'  pendenti  all'apice  con  corteccia  nerastra 
lucente,  punteggiata  di  grigio.  Foglie  grosse  coriacee,  lucenti,  di  un  bel  verde  scuro, 
con  denti  corti,  simili  a  quelli  del  M.  Prunifolia  Wild.,  ma  con  picciolo  più  corto  (Kock), 
Bottoni  subsferici,  di  color  rosso-vinoso  scuro.  Fiori  grandi,  semi-doppi,  dapprima  di 
un  color  rosa  scuro  o  rosso  poi  rosa  carneo  pallido.  Frutti  subsferici  o  più  spesso 
allungati,  attenuati  agli  estremi,  di  15-18  mm.  di  diametro.  Calice  irregolarmente  saliente, 
spesso  disposto  in  modo  che  pare  fuori  del  frutto,  a  sepali  persistenti,  numerosi,  irrego- 
lari. Peduncolo  molto  lungo  che  raggiunge  anche  i  5  cm.  rigonfio  alla  sommità  in  modo 
da  confondersi  colla  polpa  del  frutto.  Buccia  gialla,  lucente,  quasi  verniciata,  qualche 
volta  più  o  meno  colorata  di  rosso  dalla  parte  più  esposta  al  sole.  Polpa  bianco-gial- 
lastra, dolce  e  zuccherina,  finamente  e  gradevolmente  acidula.  Logge  in  numero  varia- 
bile, da  5-9  ed  anche  più.  Maturazione  settembre  o  ottobre.  11  frutto,  colto  e  messo  nel 
fruttaio,  ammezzisce  come  le  nespole  e  diventa  brunastro  o  rosso-scuro,  qualche  volta 
pastoso  e  farinaceo.  Gustato  al  momento  opportuno  è  di  buon  sapore. 

Malus  microcarpa  spectabilis  grandissima.  Carr.  La  pianta  è  di  origine  sconosciuta, 
somiglia  assai  al  M.  spectabilis,  ma  lo  supera  in  vigore  e  fiorisce  più  tardi.  1  rami  sono 
grossi,  molto  lunghi,  diritti,  a  corteccia  rosso-nerastra,  lucente  con  molte  lenticelle 
grigio-bianche.  Foglie,  fiori  e  gemme  più  grandi,  e  petali  più  grandi  del  M.  spectabilis. 
Frutti  sub-globulosi,  spesso  assimetrici,  irregolarmente  allargati  in  alto,  a  forma  di  fico, 
larghi  4  cm.  alti  3.  Calice  posto  a  lior  di  buccia,  piegato,  chiuso,  a  sepali  irregolari, 
persistenti.  Peduncolo  lungo  3-4  centim.,  assottiglialo  alla  base,  molto  rigonfio  dove  si 
unisce  al  frutto,  con  una  specie  di  mammellone.  Buccia  verde-erbacea,  lucente,  liscia, 
lavata  di  rosso  mattone  nella  parte  molto  soleggiata,  dove  spesso  mostra  anche  delle 
striature  più  scure.  Polpa  bianca,  succosa,  fondente,  dolce,  un  po'  mancante  di  sapore, 
a  grana  grossolana  e  tessuto  poco  consistente,  con  punteggiature  più  oscure  presso  le 
logge.  .Semi  grossi,  neri.  Logge  da  5-9  e  più.  Maturazione  in  ottobre.  Va  mangiata  a 
tempo  debito,  cioè  quando  sia  ammezzito  convenientemente,  ma  non  troppo. 


—  579  — 

Malus  lììicrocarpa  fioribunda.  Carr.  Arbusto  originario  del  Giappone,  assai  vigoroso 
a  branche  lungamente  espanse,  molto  ramificate,  cosi  da  formare  una  testa  largamente 
arrotondata.  Gettate  con  corteccia  bruna,  quasi  nera,  unita,  lucente.  Foglie  ravvicinate, 
piane,  regolarmente  ovali,  coriacee,  lucenti,  di  color  verde-scuro  al  di  sopra.  Fiori  ecces- 
sivamente numerosi  di  color  rosso-porpora,  quasi  bianchi  all'interno,  più  oscuri  al- 
lesterno,  ciò  che  produce  un  gradevole  contrasto.  Frutti  abbondanti,  subsferici  spesso 
più  alti  che  larghi,  leggermente  assottigliati  all'apice  con  un  diametro  di  10  mm.  Logge 
1-,').  Calice  piccolo  (quasi  ridotto  a  un  punto!  che  si  denuda  presto  per  la  scomparsa 
dei  sepali.  Buccia  liscia,  unita,  giallastra,  qualche  volta  rugginosa,  di  color  più  o  meno 
intenso,  prontamente  liquescente,  di  sapore  fortemente  acido.  La  maturazione  comincia 
nella  prima  quindicina  di  ottobre,  ed  i  frutti  ammezziti  sulla  pianta  cadono  distac- 
candosi dal  peduncolo. 

Malus  iiticrocarpa  tetniiflora.  Carr.  Arbusto  simile  al  precedente,  ma  coi  fiori  più 
piccoli  e  più  delicati.  Bottoni  di  color  rosso-scuro  vivo.  Fetali  distanti,  diritti,  stretti, 
color  rosa-grigiastro.  Frutti  ovoidali,  turbinali,  di  circa  10  mm.  di  diametro.  Calice 
molto  ridotto  che  si  denuda  presto  per  la  caduta  dei  sepali.  Peduncolo  sottile;  lungo 
;?ó  mm.  Buccia  lucente  come  venata,  giallo-chiara,  leggermente  lavata  di  ruggine  alla 
maturazione  del  frutto. 

Logge  4,  raramente  5.  Polpa  bianco-giallastra,  dura,  ma  che  in  seguito  diventa 
presto  liquescente  anche  sulla  pianta.  Maturazione  dal  principio  alla  fine  d'ottobre.  Il 
frutto,  colto  prima  che  maturi,  si  conserva  a  lungo  in  fruttaio. 

Mitliis  lììicrocarpa  Kaido.  Carr.  Viene  dal  Giappone.  È  un  arbusto  vigoroso  a  rami 
diritti  e  corteccia  lucente,  nera,  a  lenticelle  grigio-bianche.  Foglie  elittiche,  coriacee, 
lucenti  e  quasi  verniciate,  lungamente  e  regolarmente  attenuate  alla  base,  a  denti  corti, 
e  picciolo  fortemente  colorato.  Bottoni  di  color  rosso  vivo.  Fiori  molto  numerosi,  di 
color  rosa  vivo,  leggermente  striato,  petali  distanti,  obovali,  concavi.  Frutto  depresso, 
costoluto,  appiattito  alle  due  estremità,  spesso  più  largo  che  alto  di  circa  2  cm.  (Calice 
piccolo,  suborbicolare.  un  po'  infossato. 

Peduncolo  villoso  di  25  mm.  circa.  Buccia  lucente,  giallastra,  lavata  di  rosso-fulvo 
sulla  i)arte  soleggiata.  Polpa  bianco-giallastra  che  ammezzisce  assai  presto  e  prende  un 
colore  fuligginoso-brunastro,  che  ricorda  quello  delle  nespole,  delle  quali  questo  frutto 
ha  il  sapore.  Maturazione  da  settembre  a  ottobre.  È  graziosa  pianta  d'ornamento,  che 
fiorisce  assai  bene  e  presto  ed  i  cui  frutti  si  distaccano  dal  peduncolo  quando  ammez- 
ziscono sulla  pianta:  ma  anche  in  fruttaio  i  frutti  ammezziscono  bene  ed  hanno  poi 
buon  sapore. 

Malus  microcarpa  haccata.  Carr.  Arbusto  di  medio  vigore.  Rami  diffusi  con  corteccia 
verde-rugginosa.  Foglie  elittiche  col  picciolo  assai  lungo,  largamente  e  sensibilmente 
dentate,  ma  non  serrate,  che  si  accorciano  bruscamente,  cuspidate,  glabre,  lucenti, 
glaucescenti  di  sotto.  Bottoni  di  color  bianco-zolfo  un  po'  sciupati  (chiffonés).  Fiori 
bianchi  piccoli  e  petali  distanti,  concavi,  lungamente  ungiuculati.  Frutti  piccoli  di  circa 
10  mm.  di  diametro,  quasi  bianchi  agli  estremi  ;  ammezziscono  assai  presto  e  diventano 
poi  ac(iaosi:  allora  si  distaccano  dal  peduncolo  e  cadono.  Hanno  sapore  eccessivamente 
agro  Peduncolo  corto,  disposto  quasi  a  fior  di  frutto.  Calice  piccolo,  orbicolare,  concavo 
a  sepali  eccessivamente  caduchi. 

1  frutti  che  maturano  durante  il  mese  di  settembre,  colti  e  messi  in  fruttaio  si 
raggrinzano  ed  ammezziscono  a  partire  dal  gennaio;  questo  fenomeno  si  prolunga 
poi  a  limgo. 

La  pianta  si  mette  in  vegetazione  presto  e  fiorisce  tardi.  È  senza  dubbio  una  delle 
più  belle  piante  da  ornamento  :  si  raccomanda  di  innestarla  sul  franco,  perchè  su  altri 
soggetti  produce  al  posto  dell'innesto   un  cercine  troppo  voluminoso. 

7.  Importanza  della  coltivazione.  —  Meno  esigente  del  pero  per  il 
clima  e  il  terreno,  nella  grande  coltura  è  l'albero  dei  terreni  erbosi, 
dei  pascoli  arborati  di  montagna,  dei  terreni  inclinati  che  hanno  il 
benefìzio  di  avere  d'estate  pioggie  e  buone  concimazioni. 

In  molte  delle  nostre  vallale  alpine  e  dell'Appennino  si    dovrebbe 


-  580  - 

coltivare  il  melo  che  dà  dei  fruiti  cosi  ornamentali,  così  bene  accolti 
da  tutte  le  classi  della  popolazione  per  il  loro  buon  sapore  e  per  la 
loro  fragranza.  Contengono  il  12-137o  di  zucchero  e  principi  mine- 
rali utilissimi,  quali  sono  l'anidride  fosforica  e  la  potassa. 

È  un  frutto  sempre  richiesto  perchè  di  facile  consumo  per  tutte 
le  famiglie  e  per  tutto  l'inverno.  Coll'avanzarsi  della  stagione  acquista 
sempre  maggiore  valore. 

8.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Tutti,  ma  specialmente  nell'  aperta 
campagna  : 

Il  melo  è  una  specie  che  molto  si  presta  per  fare  dei  prati  arborati,  special- 
mente dove  il  terreno  è  profondo  e  fertile.  Naturalmente  attorno  ad  ogni  pianta  bisogna 
tenere  il  terreno  lavorato,  serza  erba,  per  uno  spazio  di  circa  2  m.'^ 

Conviene  però,  prima  di  estendere  questo  sistema  di  coltura,  fare  degli  assaggi 
impiantando  alcuni  alberi  ed  osservando  la  loro  riuscita. 

Le  condizioni  principali  di  riuscita  sono  ; 

1,  terreno  profondo  (almeno  50  cm.)  lavorato  all'impianto  almeno  a  60  cm.  di 
profondità  ; 

2,  sottosuolo  permeabile  perchè  le  radici  possano  estendersi  e  perchè  non  vi 
ristagni  l'acqua  : 

3,  qualunque  esposizione  meno  quella  di  levante  :  potendo  scegliere,  si  prefe- 
risca quella  di  S.W.  ad  W.,  riservando  l'esposizione  meno  soleggiata,  per  altre  piante 
fruttifere  ; 

4,  lavorazione  accurata  del  terreno  e  poiché  le  piante  si  collocano  a  10-12  metri 
di  distanza  l'impianto  si  fa  a  buche  ; 

5,  scegliere  delle  piante  perfettamente  sane  e  di  varietà  a  frutto  piccolo  o  medio, 
ben  aderente  ai  rami  e  ricercato  dai  grandi  mercati  e  per  l'esportazione  ; 

6,  per  concimazione  d'impianto  impiegare  per  m.^  di  superficie  smossa: 

Kg.  6  di  stallatico  : 
„  1,200  di  scorie  ; 
,     0.500  di  solfato  di  potassa. 

Non  avendo  stallatico  si  possono  impiegare: 

Kg.  5  di  panelli  ; 
„     1,500  di  scorie  ; 
,     0,500  di  solfato  di  potassa. 

7,  curare  nei  primi  anni  la  potatura  di  formazione  e  difendere  costantemente 
le  piante  dalle  malattie  ed  altre  cause  nemiche. 

8,  concimare  ogni  secondo  anno  le  piante,  adoperardo  di  preferenza  dei  concimi 
chimici. 

9.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Anche  pili  del  pero,  il  melo  è 
proprio  dei  paesi  del  centro  e  del  nord  d'Europa  e  delle  notevoli 
altitudini,  temendo  meno  per  il  freddo  e  non  avendo  tanto  bisogno  di 
calore  e  di  luce,  per  maturare  i  suoi  frutti. 

Le  costanti  termiche  del  melo  sarebbero  le  seguenti  : 

Somma  di  temperatura  necessaria  dalla  caduta 
delle  foglie  in  autunno  allo  sbocciare  dei  primi  fiori  1423°  C. 
Idem,  fino  alla  maturazione  dei  frutti  4730°  G. 

Idem.     ,,.        „     caduta  delle  foglie  6999°  C. 


—  581   - 

Dalla  fioritura  alla  maturazione  impiega  da  101  a  138  giorni  e  fio- 
risce dal  12  al  22  maggio. 

È  meno  sensibile  ai  grandi  freddi  che  ai  grandi  calori  ;  sopporta 
senza  soffrire  delle  temperature  invernali  di  39  a  40"  sotto  zero  tanto, 
che  i  colpi  di  sole  un  poco  ardenti,  in  primavera,  fanno  aggrinzire 
gli  stami  e  nuociono  alla  fecondazione. 

In  Norvegia  arriva  fino  a  67"  di  latitudine.  Il  suo  limite  meridionale 
è  la  Sicilia  e  la  Sardegna,  ma  i  suoi  paesi  prediletti  sono  l'Europa 
centrale  temperata.  In  Inghilterra,  in  Francia,  nei  paesi  bassi  il  melo 
è  molto  esteso  ;  in  Svizzera,  ed  in  Germania  si  coltiva  lungo  le  strade 
e  nei  prati  ;  in  Austria  famose  sono  le  coltivazioni  del  Tirolo. 

La  rusticità  è  tale  che  la  sua  coltura  sulle  nostre  alpi  è  possibile 
fino  a  1400  m.  di  altitudine. 

In  complesso  è  un  albero  dei  climi  temperati,  freschi,  ed  anche 
un  po'  umidi,  mentre  le  regioni  secche  e  calde  gli  sono  poco  favore- 
voli. In  queste  regioni  le  mele  non  raggiungono  lo  sviluppo,  la  bellezza, 
la  succosità,  la  fragranza  ed  il  gusto  delle  regioni  temperate  e  fredde. 
Nei  paesi  del  Nord,  ad  esempio  in  Svezia  e  Norvegia,  si  hanno  delle 
mele  Gravenstein  squisite  ;  anche  nei  paesi  montuosi  è  raccomandata 
la  coltivazione  del  melo,  purché  l'esposizione  sia  riparata.  Quivi  sono 
da  raccomandarsi  le  varietà  precoci,  però  ad  un'altezza  non  supe- 
riore ai  750  metri. 

10.  Esposizione  e  situazione.  —  Il  melo  può  dare  prodotti  conve- 
nienti anche  ad  una  esposizione  poco  soleggiata,  là  dove  il  pero  non 
riuscirebbe;  soltanto  esso  richiede  che  il  luogo  sia  aereato.  È  per 
questo  che  generalmente  il  melo  non  riesce  a  spalliera,  eccetto  qualche 
varietà  di  Calvilla  ed  Api. 

Preferisce  le  esposizioni  di  levante  o  ponente,  non  esposte  ai  venti. 
Nell'Italia  meridionale  è  sensibile  ai  venti  d'estate  e  nella  scelta  della 
località,  si  deve  avere  di  mira  che  le  piante  non  siano  esposte  a  troppo 
calore  :  in  alcuni  luoghi  anzi  si  può  esporlo  anche  a  Nord. 

Sulle  Alpi  e  lungo  gli  Appennini  bisogna  preservarli  dai  venti 
violenti,  regolari,  persistenti,  perciò  nelle  vallate  è  meglio  coltivarlo 
lungo  i  pendii  riparati  anziché  alla  sommità  od  anche  in  piano.  E 
sopratutto  produttivo  nelle  vallate  fresche,  strette,  orientate  da  N.  a  S. 
e  da  O.  ad  E.  Le  vallate  profonde  hanno  un'atmosfera  più  fresca  che 
gli  altipiani.  L'umidità  si  mantiene  più  a  lungo  ed  il  melo  cresce  egre- 
giamente. Nelle  vallate  orientate  dal  ponente  a  levante  é  un  errore 
piantare  nell'esposizione  a  mezzogiorno. 

11.  Terreno.  —  Il  melo  esige  terreno  meno  profondo  del  pero;  le 
piante  di  melo  più  belle  e  più  produttive  si  trovano  nei  buoni  terreni 
argillo-calcari  od  argillo-silicei,  freschi,  con  sottosuolo  permeabile. 

Nei  terreni  troppo  silicei  o  calcari  non  fa  bene,  deperisce  ;  riesce 
meglio  del  pero  nelle  argille  nere  ricche  di  umus. 

Nei  terreni  umidi  ed  argillosi  acquista  una  straordinaria  vigoria, 
ma  più  tardi  si  copre  di  cancrene,  di  muschi  e  fruttifica  irregolarmente. 


-  582  - 

In  complesso  il  melo  non  ha  preferenze  particolari  per  il  ter- 
reno, però  riesce  meglio  nei  terreni  di  formazione  ignea,  contenenti 
argilla,  umus  e  potassa.  I  terreni  granitici,  meno  però  quelli  secchi  e 
rocciosi,  gli  confanno  molto  anche  se  compatti  purché  profondi  e 
freschi.  Le  terre  di  gneis,  i  terreni  vulcanici  di  recente  formazione,  le 
terre  di  alluvione,  le  terre  franche,  purché  profonde  e  fresche  sono 
ottime,  per  poter  estendere  le  sue  radici. 

Meno  sensibile  del  pero  e  del  cotogno  al  calcare,  ne  sopporta  una 
dose  abbastanza  elevata  ciò  che  gli  permette  di  riuscire  nei  terreni  di 
più  svariata  formazione  geologica.  Molto  sensibile  all'acqua  stagnante 
che  rende  l'albero  meno  longevo  e  dà  frutta  più  acquose. 

Ama  tutti  i  terreni  umiferi  perciò  si  coltiva  anche  nei  prati  e 
tollera  meglio  di  qualsiasi  altra  pianta  la  cotica  erbosa.  Preferisce  il 
prato  alla  terra  lavorata  coll'aratro. 

12.  Moltiplicazione.  —  Il  melo  si  può  moltiplicare  per  seme,  per 
innesto  ed  anche  per  talea,  quantunque  quest'ultimo  mezzo  non  si 
possa  consigliare. 

Alla  semina  si  ricorre  per  avere  dei  soggetti  franchi  di  piede  e  per 
ottenere  delle  nuove  varietà.  I  semi  conservano  circa  per  6  mesi  la 
facoltà  germinativa,  quindi  appena  raccolti  bisogna  stratificarli  e  semi- 
narli in  marzo.  Un  litro  di  semi  pesa  kg.  0,575  e  contiene  in  media 
19.500  semi. 

L'innesto  si  fa  : 
1."  Sul  franco,  per   avere    piante    di    grande    vigore    da    allevarsi 
ad  alto  fusto,  che  fruttificano  all'ottavo  o  nono  anno. 

Le  piante  sono  poco  esigenti  per  il  terreno,  preferiscono  località 
poco  soleggiate  e  terreni  profondi,  freschi  e  piuttosto  argillosi. 

2.°  Sul  dolcigno,  per  ottenere  delle  piante  di  mezzo  fusto,  che 
hanno  un  mediocre  vigore  ed  adatte  per  frutteti. 

Per  le  forme  a  vaso  si  impiega  per  soggetto  il  dolcigno. 

La  pianta  resiste  però  poco  alla  siccità  e  preferisce  i  terreni  freschi, 
piuttosto  argillosi  e  profondi.  La  fruttificazione  é  più  sollecita  che  sul 
franco.  Per  le  forme  medie  a  vaso  e  terreni  freschi  si  sceglie  il  dolcigno  ; 
cosi  pure  per  le  forme  piccole  (cordoni)  e  per  i  terreni  aridi. 

3.<'  Sul  paradiso,  le  piante  si  mettono  prontamente  a  fruttificare 
e  si  adotta  per  le  piccole  forme  a  cordone  orizzontale  ed  a  vaso.  La 
fruttificazione  é  pronta  ed  i  frutti  acquistano  in  volume  e  qualità.  Si 
richiede  un  terreno  molto  fertile,  fresco. 

I  soggetti  di  paradiso  e  dolcigno  non  si  ottengono  per  seme,  ma  per 
propaggine  e  per  polloni. 

L'innesto  più  conveniente  é  quello  a  gemma  dormiente  ed  a  spacco. 

Si  innesta  anche  a  corona. 

I  prof.  Berti  e  Gavazza,  nel  loro  Saggio  di  frutticoltura,  danno  la  seguente  descri- 
zione del  melo  paradiso  e  del  melo  dolcigno,  tanto  importanti  perchè  servono  da  sog- 
getti del  melo. 


—  583  — 

•  Il  dolcigno  è  una  pianta  vigorosa  con  radici  a  fittone,  con  tronco  poco  ramificato 
e  assai  diritto,  rami  corti,  grossi,  ricoperti  nelle  parti  adulte  di  una  scorza  di  color 
bruno  scuro,  molto  tumidi  e  biancastri  invece  nei  giovani  getti  ;  le  foglie  sono  larga- 
mente ovate,  lucenti  alla  pagina  superiore  e  pubescenti  al  di  sotto,  largamente  dentate, 
appena  accuininate  all'apice  e  rotonde  alla  base.  Il  picciolo  è  grosso,  a])pena  canalicu- 
lato.  Il  calice  ha  divisioni  libere,  aperte  talvolta,  ripiegate  ed  assai  larghe.  I  petali 
subovali,  molto  carenali  e  portali  da  un'unghia  grossa  ed  assai  corta.  L'ovario  sopra 
un  ricettacolo  grosso  è  ricoperto  di  lanuggine  tomentosa  e  bianca.  Il  frutto  è  depresso, 
senza  costole,  con  buccia  colorata  di  un  verde  intenso,  picchiolata  qua  e  là  da  macchie 
brunastre,  polpa  di  un  sapore  addetto  piacevole  e  matura  in  agosto. 

'  Secondo  alcuni  questa  specie  sarebbe  come  il  tipo  primitivo  di  tutte  le  varietà 
dette  da  coltello. 

"  Il  melo  paradiso  è  una  pianta  a  radici  tenui,  molto  ramificate,  rami  esili  e  nume- 
rosi, di  lunghezza  media,  leggermente  curvati  e  ricoperti  di  una  buccia  liscia  di  color 
marrone  e  rossastro,  appena  pubescente  nei  giovani  getti.  Ha  corti  meritali!,  occhi  medi, 
ovali,  allungati  debolmente,  applicati  sulla  corteccia  con  scaglie  rossastre,  cotonose  e 
disgiunte. 

'  Le  foglie  sono  piccole,  numerose,  ellittico-lanceolate,  di  un  verde  vivo  al  disopra, 
vellutate  al  di  sotto,  assai  finamente  dentate  e  molto  accuminate  all'estremità. 

"  Il  picciolo  è  sottile,  canaliculato,  il  calice  ha  divisioni  accuminate,  ripiegate, 
spesso  contornato  e  lungo  quanto  il  peduncolo.  I  petali  sono  strettamente  allungati, 
debolmente  carenati  alla  base  e  portati  sopra  un'unghia  sottile.  L'ovario  è  situato  sopra 
un  peduncolo  esile  e  pubescente,  il  frutto  somiglia  ad  una  calvilla,  cioè  più  lungo  che 
largo  e  leggermente  costoluto  con  buccia  bianca  lucente  e  polpa  dolce.  Questa  pianta 
fiorisce  assai  più  abbondantemente  che  il  dolcino  :  i  suoi  frutti  sbocciano  circa  8  giorni 
più  presto,  e  matura  i  frutti  in  luglio  ,. 

13.  Caratteri  vegetativi.  —  Nelle  singole  parti  il  melo  somiglia 
molto  al  pero.  Non  devesi  però  da  questo  concludere  che  la  coltiva- 
zione dell'uno  sia  eguale  a  quella  dell'altro. 

Le  radici  del  pero  sono  profonde  a  fittone,  quelle  del  irtelo  sono 
striscianti  e  superficiali  ;  la  chioma  del  pero  tende  alla  forma  pirami- 
dale, quella  del  pomo  è  globosa;  nel  pero  bisogna  tagliare  continua- 
mente per  avere  dei  rami  vigorosi  i  quali  solo  portano  i  buoni  frutti. 
Sul  melo  al  contrario  sono  i  rami  lunghi  e  flessibili  che  portano  i 
migliori  frutti.  Per  questa  ragione  il  taglio  sul  melo  ha  molto  minor 
effetto  che  sul  pero  per  ottenere  uno  sviluppo  in  volume  dei  frutti. 
Talvolta  avviene  di  trovare  dei  rami  deboli  e  senza  foglie  con  fruiti 
voluminosissimi  mentre  sui  rami  robusti  non  si  trova  alcun  frutto. 
Da  ciò  la  conseguenza,  che  al  melo  non  occorre  una  potatura  annuale 
tanto  regolare  come  al  pero,  meno  che  il  melo  non  sia  stato  innestato 
sul  pomo  paradiso,  specie  che  fa  indebolire  anziché  rinvigorire. 

Le  gemme  che  si  trovano  lungo  i  rami  del  pero  sono  generalmente 
tutte  disposte  a  germogliare,  meno  quelle  latenti;  sul  pomo  invece, 
essendo  le  gemme  più  appiattite,  si  sviluppano  quelle  dell'estremità 
soltanto,  meno  che  i  rami  non  siano  inclinati.  Perchè  i  rami  princi- 
pali siano  guerniti  di  rami  per  tutta  la  loro  lunghezza,  bisognerebbe 
applicare  il  taglio  corto,  ma,  poiché,  tagliando  corto  si  hanno  rami 
troppo  vigorosi  ed  infruttiferi,  cosi  si  preferisce  applicare  al  irtelo  il 
taglio  medio  per  ottenere  rami  medi. 

Più  comunemente  che  sul  pero,  le  varietà  di  melo  danno  i  loro 
frutti  all'estremità  deij-ami  deboli  e  dei  brindilli,  quindi  tagliando  con- 


-  584  - 

tinuamente  le  estremità,  si  sopprime  una  notevole  quantità  di  frutti. 
Soltanto  al  melo  innestato  sul  paradiso ,  essendo  foi'nito  di  molte 
gemme  a  frutto,  si  può  applicare  il  taglio  alle  estremità. 

Le  ferite  sul  melo  si  rimarginano  molto  meno.  Facili  quindi  sono 
le  cancrene  nei  meli  e  di  difficile  riuscita  sono  i  tagli  di  ringiova- 
nimento. 

I  rami  fruttiferi  del  melo  fruttificano  più  prontamente  di  quelli 
del  pero,  e  le  loro  gemme,  specialmente  le  terminali  che  sono  più 
grosse,  si  trasformano  più  presto  in  gemme  fruttifere;  mentre  d'allra 
parte  molte  lamborde,  specialmente  se  deboli  e  non  bene  rischiarate, 
danno  talvolta  esclusivamente  delle  foglie.  Avviene  non  di  rado  di 
trovare  frutti  sui  rami  formatisi  l'anno  precedente. 

Giova  notare  che  le  buone  varietà  da  tavola,  sono  numerose  e 
molto  antiche,  il  che  ci  dimostra  che  colla  semina  si  sono  ottenute 
assai  poche  nuove  varietà.  Rispetto  al  pero  invece  è  l'opposto.  La 
maggior  parte  delle  migliori  varietà,  che  sono  anche  molto  numerose, 
sono  recenti  ed  ottenute  per  via  di  seme. 

Generalmente  la  fioritura  precede  di  qualche  giorno  la  fogliazione, 
come  risulta  dal  seguente  quadro  : 

Quadro  indicante  l'epoca  nella  quale  avvengono  le  principali  fasi  di 
vegetazione  del  melo  nelle  diverse  regioni  d'Italia. 


Regioni 


I.  Piemonte 

II.  Lombardia  .... 

III.  Veneto 

IV.  Liguria 

V.  Emilia 

VI.  Marche  ed   Umbria 

VII.  Toscana 

VIIL  Lazio 

IX.  Meridionale    Adria- 

tica      

X.  Meridionale     Medi- 

terranea   

XI.  Sicilia 

XII.  Sardegna 


Maturazione 
del  frutto 


De- 
cade 


Caduta 
delle  foglie 


Dicem. 
Ottobre 


Ottobre 


-              -  IH 

I      Novemb.  !  Ili 

.          I  II 

II  Ottobre 

III  „  I 


Entra  in  vegetazione  prima  della  vile,  quando  la  temperatura  me- 
dia della  giornata  è  di  6-7"  G.  Fiorisce  subito  dopo  il  pero  e  poco  dopo 
aver  sviluppato  qualche  foglia. 

Naturalmente  l'epoca  della  fioritura  varia  colla  varietà  ma  rara- 
mente sotìre  per  le  brinate. 

Nel  melo  però  vi  ha  un  inconveniente  nella  fioritura. 

Lo  stigma  del   fiore  diviene   atto  alla   fecondazione   prima   che  le 


585  — 


^  Ó8(ì  -- 

antere  dello  stesso  fiore  si  aprano.  Quindi  succede  che  se  non  vi  ha 
una  fecondazione  incrociata,  si  hanno  molte  fallanze  di  attechimento. 
A  questo  si  rimedia  col  piantare  più  varietà  riunite  nel  medesimo 
terreno,  coll'allevare  le  api  e  col  ricorrere  anche  alla  impollinazione 
artificiale  con  un  pennello.  Il  polline  mantiene  la  sua  facoltà  feconda- 
trice per  5-6  giorni. 


potatura. 


14.  Potatura.  —  La  potatura  del  melo  è  nel  suo  complesso  identica 
a  quella  del  pero  nei  suoi  principi.  Qui  però  voglio  ricordare  alcune 
leggere  differenze  sul  modo  di  vegetare  dell'albero  per  le  quali  biso- 
gna fare  qualche  modificazione  alla  potatura. 

1.  Le  gemme  a  legno  sono  disposte  come  quelle  del  pero  seguendo 
il  ciclo  2/5  ma  sono  più  avvicinate  e  restano  più  a  lungo  latenti  se 
non  vi  si  là  concentrare  la  linfa.  Il  taglio  quindi  dei  rami,  pur  la- 
sciando un  eguale  numero  di  gemme  come  nel  pero,  apparirà  più  corto. 


2.  La  borsa  sul  melo  facilmente  si  disorganizza  e  quindi  conviene 
tagliarla,  dopo  la  fruttificazione  sopra  le  increspature  che  ha  alla 
sua  base. 

3.  Il  brindino  porta  frutto  di  sovente  all'estremità  e  nell'anno  suc- 
cessivo alla  sua  formazione.  Dopo  la  fruttificazione  conviene  tagliarlo 
sopra  la  terza  gemma  dalla  base. 

15.  Forme.  —  Nell'aperta  campagna,  il  melo  si  alleva  a  pieno  vento 
con  la  chioma  a  vaso  ;  nei  broli  o  frutteti,  a  mezzo  vento  ed  a  vaso 
basso.  Nei  futteti  casalinghi  si  alleva  a  cordone  orizzontale.  Il  melo 
fa  meglio  del  pero  a  pieno  vento  innestato  sul  franco.  L'altezza  del 
fusto  si  lascia  da  m.  1,50  a  2  ricordando  che  quanto  più  basso  è  il 
fusto,  tanto  più  protetta  è  la  pianta  dai  venti.  Gli  impianti  coi  pieni 
venti  si  fanno  nell'aperta  campagna. 


Flg.  4Gt.  —  Melo  precedente  dopo  la  polaliira. 

Una  volta  assicurata  la  forma  alla  chioma,  potando  cioè  per  i 
primi  4  e  5  anni,  conviene  lasciare  la  pianta  a  sé  stessa  e  di  anno  in 
anno  non  si  farà  che  togliere  eventualmente  quei  rami  che  si  incro- 
ciano, che  si  adombrano  o  sono  contusi. 

Nei  broli  e  nei  frutteti  di  speculazione  si  alleva  invece  il  melo  a 
mezzo  vento,  col  fusto  alto  m.  1  a  1,20.  Per  ottenere  questa  forma  si 
adoperano  piante  innestate  sul  franco  e  talvolta  sul  dolcigno  (fìg.  461-462). 

Nelle  piantagioni  industriali  o  per  frutteti  anche  casalinghi  la  forma 
molto  usata  è  quella  bassa  a  vaso  a  branche  verticali  od  oblique 
(flg.  463  e  464). 

Anche  per  queste  forme,  provveduto  alla  formazione  e  disposi- 
zione delle  branche  principali,  si  ha  da  curare  soltanto  al  loro  mante- 
nimento con  qualche  scacchiatura,  diradamento  e  mondatura. 

Nei  frutteti   casalinghi  o    d'amatori    conviene   la    forma  a  cordone 


orizzontale  semplice  ottenute  con  piante  innestate  sul  melo  paradiso. 
Al  cordone  si  dà  uno  sviluppo  di  m.  2  a  3.  Questi  cordoni  hanno  biso- 
gno di  una  potatura  annuale  e  si  ricordi  che  conviene  tagliare  i  rami  de- 
stinati a  produrre  brindilli  a  V3  ed  è  raro  che  occorra  cimarli  d'estate. 
I  brindilli  d'inverno  si  tagliano  a  20  cm.  ed  i  getti  che  ne  sorgono 
si  cimano  in  giugno  a  3-4  foglie  oppure  si  fa  la  torsione  o  la  scapez- 
zatura sulla  sesta  foglia. 

16.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  L'impianto  nell'aperta  cam- 
pagna o  nei  prati  e  pascoli  si  fa  a  buche,  essendo  notevole  la  distanza 
fra  pianta  e  pianta.  Mentre  in  questi  impianti  estensivi,  trattandosi  di 
ciliegi  o  peri,  che  hanno  radici  profonde,  si  può  utilizzare  il  terreno 
degli  interfilari  con  impianti  di  ribes,  uva  spina,  lampone,  che  hanno 
radici  superficiali,  per  il  melo,  che  ha  radici  superficiali,  convengono 
le  colture  erbacee  e  specialmente  il  prato. 

Le  distanze  da  osservare  per  le  singole  piantagioni  sono  le  seguenti: 

Pieno     vento    innestato     sul    franco    nei     campi  m.  10-12 

„         lungo  le   strade  „    10-12 

Mezzo         „  „  „  „         nei  frutteti  o  broli     „      8-10 

„  „  „  „     dolcino       „  „  „        „        6-8 

Forma  bassa  a  vaso  innestato  sul  dolcino  nei     „  „        „       3-4 

Cordone  orizzontale  semplice  innestato  sul  paradiso  „       2-3 

17.  Concimazione.  —  L'esportazione  che  fa  il  melo  (vedi  Tab.  XXII) 
di  materie  fertilizzanti  è  doppia  di  quella  del  pero  e  perciò  il  lettore 
può  regolarsi  nella  concimazione  raddoppiando  le  dosi  raccomandate 
pel  pero  (vedi  pag.  553). 

Di  fatti  Mimtz  e  Gerard  consigliano  la  seguente  concimazione  per 
anno  e  per  ettaro  contenente  100  piante: 

Scorie  al  14  7o  Kg.    500 

Nitrato  di  soda  „      200 

Cloruro  potassico  ,,      500 

Per  chi  volesse  fare  delle  esperienze,  consiglierei  le  formole  di 
concimazione  indicate  nella  Tab.  XLVII. 


Tab.  XLVII.  Formola  di  concimazione  pel  melo  di  applicazione  generale. 


Applicazione  in  autunno 

Applicazione  in 
primavera 

SUPERFICIE 

Scorie 

Thomas 

Kg. 

Solfato  0 

Cloruro 

Kg. 

Solfato 

ammonico 

Kg. 

Nitrato 

di  soda 

Kg. 

Calce 
Litri 

per  metro  quadrato 

per  ettaro,  nei  primi  10  an- 
ni, trovantesi  100  piante  di 
alto  fusto 

idem,  per  alberi  adulti 

0.200 

1200 
1500 

0.075 

600 
800 

0.050 

375-400 
300 

0.150-0.200 

1000-1200 
800 

0.500 

1000 
1400 

-  581)  — 

Le  scorie  ed  i  sali  potassici  si  diano  ogni  2  o  3  anni.  I  concimi 
azotati  devonsi  dare  ogni  anno  e  bisogna  variare  la  loro  quantità  a 
seconda  dalle  condizioni  delle  piante.  Naturalmente  in  primavera  biso- 
gna ripartire  in  2-3  volte.  Un  quarto  della  dose  circa,  si  dia  prima  del- 
l'inverno. Ad  onta  delle  Scorie,  la  calce  è  indispensabile  ogni  2-3  anni. 

Nei  prati  arborati,  si  deve  diminuire  notevolmente  il  nitrato  di  soda. 

18.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  Le  mele  si  raccolgono 
ordinariamente  al  tempo  della  vendemmia,  in  settembre  ed  ottobre, 
ad  eccezione  ben  inteso  delle  varietà  più  precoci  che  si  raccolgono 
in  luglio  ed  agosto. 

La  raccolta  delle  mele  è  meno  minuziosa  di  quella  delle  pere, 
essendo  le  mele  di  natura  più  robusta  ed  avendo  un  periodo  di  matu- 
razione più  lungo.  Difatti  molte  varietà  sono  buone  da  mangiare  tanto 
al  momento  del  raccolto  quanto  nella  primavera  successiva. 

Le  mele  sono  di  più  facile  conservazione  delle  pere  e  possono 
fornire  la  tavola  per  tutto  l'anno. 

Stratificate  sulle  tavole  di  un  fruttajo  con  della  paglia  bene  asciutta 
di  segale  oppure,  non  avendo  un  fruttaio,  in  una  buona  stanza  asciutta 
che  si  possa  mantenere  chiusa  ed  al  buio,  con  una  temperatura  di  8"  C, 
le  mele  si  possono  conservare  per  5  e  6  mesi.  L'  umidità  dell'  aria 
e  le  correnti  d'aria  fanno  il  maggior  danno  per  la  conservazione.  La 
prima  mantiene  i  funghi  di  decomposizione,  le  seconde  fanno  avviz- 
zire il  frutto  perdendo  molte  delle  sue  qualità  commerciali. 

L'America,  che  ha  organizzato  specialmente  nei  Canada  i  più  gran- 
diosi mercati  di  mele  del  mondo,  divide  le  mele  da  commercio  in  4  classi. 

a)  Mele  scelte  il  cui  diametro  non  deve  essere  inferiore  a  62  mm. 

b)  „  di  I  qualità  „  ,.  „  „  „  56  mm. 
e)  „  „  Il  „  „  „  „  „  „  56  mm. 
d)  Rifiuto,  che  serve  a  scopi  industriali  o  per  alimentare  gli  animali. 

In  Inghilterra,  le  mele  da  tavola  devono  avere  il  diametro  di 
62  mm.  ;  le  mele  da  cucina  75  mm. 

19.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  La  loro  composizione  è 
la  seguente,  secondo  Fresenius  : 

Acqua 84.650 

Sostanze  secche 15.350 

Azoto 0.730 

Cenere  greggia 2.130 

Potassa 0.796 

Soda 0.086 

Calce 0.152 

Magnesia 0.162 

Ossido  di  ferro 0.011 

Fosfati 0.053 

Sostanze  insolubili 0.015 


590 


Materie  solubili 


Zucchero 7.22 

Acido  libero 0.82 

Sostanze  albuminoidi 0.36 

Sostanze  pectiche 5.81 


Materie  insolubili  ; 


Semi,  buccie,  eco 1.51 

Pectosio  e  cenere 0.49 

Nella  sostanza  secca: 

Azoto 0.37 

Zucchero 47.50 

Il  sapore  delle  mele  varia  moltissimo,  a  seconda  delle  varietà  e 
del  grado  di  maturazione.  L'acido  malico,  che  abbonda  nel  frutto 
acerbo,  va  gradatamente  diminuendo  col  progredire  della  maturazione  a 
vantaggio  dei  principi  zuccherini,  ma  non  scompare  mai  completamente; 
cosi  che  il  sapore  dominante  è  il  dolce  acidetto  o  il  vinoso,  rilevato 
in  alcune  varietà,  da  un  profumo  che  in  alcuni  casi  ricorda  la  fragola 
o  l'ananasso. 

Secondo  l'Americano  Dott.  Scarles,  una  mela   di  gr.  100   contiene  : 

Proteina gr.    0.3 

Materie  grasse „      0.2 

Idrocarbonati „     11.2 

Cellulosa „      0.6 

20.  Usi.  —  Le  mele  si  mangiano  crude,  secche,  cotte  o  preparate 
in  diversi  modi,  sotto  forma  di  composte,  marmellate,  gelatine,  canditi, 
ecc.  Servono  pure  a  diverse  preparazioni  di  cucina,  a  fabbricare  il 
sidro  ed  a  fare  liquori.  Lo  zucchero  di  mele  forma  la  base  di  cara- 
melle speciali,  raccomandate  per  la  tosse. 

La  mela,  se  non  è  dei  fruiti  più  delicati  è  però  piacevole,  salubre 
e  rinfrescante.  Colla  cottura  perde  in  parte  l'acidità  e  si  trasforma  in 
una  morbida  polpa  mielosa,  di  facile  digestione  anche  per  i  convale- 
scenti. Per  le  loro  qualità  acidule,  zuccherine  e  mucilagginose  passano 
per  emollienti  e  leggermente  lassative,  e  vengono  usate  per  le  irrita- 
zioni dell'apparato  digestivo  e  nelle  infiammazioni  degli  organi  respi- 
ratori. 

Il  Dott.  Scarles  sopra  citato  afferma  che  la  mela  è  il  frutto  più 
ricco  di  acido  fosforico.  Egli  consiglia  prima  di  coricarsi  di  mangiare 
una  mela  per  facilitare  le  funzioni  del  fegato  e  dei  reni.  Gli  acidi  dello 
stomaco  assorbiti  procurerebbero  un  sonno  calmo  e  regolare.  Dopo 
il  limone  e  l'arancio,  la  mela  sarebbe  il  migliore  frutto  disinfettante 
della  bocca  ed  il  migliore  preservativo  delle  malattie  della  gola.  Calma 
la  sete  ai  bevitori  ed  ai  fumatori. 


—  591  — 

Gli  Americani,  sempre  pratici,  hanno  costituito  la  Società  dei 
consumatori  di  mele  "  Apple  consiimesrs  „  che  conta  100.000  aderenti 
ed  ha  lo  scopo  di  favorire  il  consumo  delle  mele.  Ognuno  dei  suoi 
soci,  deve  consumare  almeno  due  mele  al  giorno  e  reclamarle  in  tutti 
gli  alberghi,  restaurants  e  bufFets. 

Le  mele  secche  costituiscono  un  alimento  concentrato  che  sviluppa 
2500  calorie  per  ogni  Kg. 

21.  Prodotti  secondari.  —  Il  legno  del  melo  è  fine,  poco  lucente, 
pesante,  discretamente  duro,  poco  fissile,  molto  meno  compatto  di 
quello  del  pero,  e  di  poca  durata.  Potere  calorifero  77.  Ha  alburno 
bianco  rossiccio  ;  legno  rosso-bruno  chiaro.  Peso  specifico  del  legno 
verde  0.95  ad  1.25  e  se  stagionato  0.66  a  0.84. 

22.  Dati  economici.  —  I  dati  forniti  per  il  pero  valgono  anche  per 
il  melo.  Secondo  Baltet,  un  melo  a 

5        anni  paga  le  spese 

10  „     dà  una  rendita  di  L.    4  annua  netta 

20  „        „  „  „    10 

25-40    „        „  „  „    12 

Hardy  ammette  che  un  melo  a  20  anni  dà  4  hi.  di  mele  in  media 
all'anno  corrispondente  ad  una  rendita  di  L.  16. 

23.  Malattie  e  cause  nemiche.  Vedi  pag.  500. 


COTOGNO 

(Cydonia  vulgaria  luss.  e  Persoon   —  Fani,  Rosacee). 

Nome  volgare  ilaliano  del  frullo:  Cotogna. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianla:  Frane:  Coignassier;  Ted.:  Quitten- 

baum;  Ingl.:  Quince  tree. 
Nomi   volgari  stranieri   del  frullo:   Frane:    Coing;  Ted.:  Quittenapfel; 

Ingl.;  Quince. 

1.  Origine.  —  Sembra  indigeno  dell'Europa  meridionale.  Oggi  si 
trova  ancora  selvatico  nell'isola  di  Creta  e  gli  antichi  lo  coltivavano 
nella  Cydonia.  Si  trova  pure  spontaneo  nei  boschi  del  Caucaso  (regioni 
meridionali)  e  nell'Anatolia,  così  pure  nel  nord  della  Persia.  E'  una 
pianta  coltivata  dai  tempi  più  antichi.  I  Greci  dedicarono  il  suo  frutto 
a  Venere  e  veniva  offerto  quale  simbolo  della  felicità,  dell'amore  e  della 
fecondità.  Plinio  e  Virgilio,  fecero  l'elogio  di  questo  frutto,  però  i 
Romani  dovevano  avere  delle  varietà  con  frutto  meno  aspro  di  quello 
d'oggigiorno. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  È  un  alberello  che  si  alza  poco 
da  terra,  2  a  4  metri  al  massimo,  a  forma  cespugliosa,  col  fusto  sovente 
torto,  sempre  nodoso  e  coi  rami  divaricati.  La  scorza  è  grossa,  bruno 


-  592  - 

cinerea  al  di  fuori,  rossastra  internamente;  invecchiando  screpola  e  si 
stacca  a  scaglie.  Legno  abbastanza  duro.  Gemme  a  legno  piccole,  brune, 
tomentose.  Gemme  a  frutto  uniflori,  che  non  si  distinguono  da  quelle 
a  legno  altro  che  al   momento   di   sbocciare.    Le   foglie    sono   alterne, 


decidue,  intere,  picciolate,  ovali,  verde  cupo  sulla  pagina  superiore  e 
tomentose  sulla  pagina  inferiore.  I  fiori  sono  larghi,  solitari,  quasi 
sessili;  sorgono  dall'ascella  di  una  foglia  ed  all'estremità  dei  rami 
brindili]  ;  sono  abbastanza  grandi,  di  color  rosa  pallido  o  bianchi,  con 
cinque    petali.    Il    frutto    è    grosso,   rotondo    o   piriforme,  ombellicato, 


-  593  - 

tomentoso,  verde  se  immaturo,  giallo  dorato  a  maturità,  ed  allora  svi- 
luppa un  profumo  aromatico  assai  pronunciato,  che  è  una  delle  sue 
caratteristiche.  Le  logge  interne   sono  5   e  portano   ciascuna  8-12  gra- 


nella, (per  questo  carattere  si  distingue  dal  pero)  poste  in  doppia  fila 
longitudinale,  circondate  da  membrana  mucillagginosa. 

3.  Specie  coltivate.  —  Del  cotogno  si  coltivano  tre  specie: 
Cydonia  vulgaris,  Cydonia  sinensis  e  Cgdonia  japonica. 

38  —  Tamaho  -  Frutticoltura. 


594 


La  prima,  Cijdonia  vulgaris,  è  la  specie  tipica  e  selvatica,  che  diede 
origine  a  tutte  le  varietà  coltivate  da  noi.  Resiste  al  freddo;  il  frutto 
è  di  media  grandezza,  molto  cotonoso,  pieno  di  granella,  acerbo,  un 
poco  allungato. 


Le  altre  due  specie  si  coltivano  più  a  scopo  ornamentale. 

La  Cydonia  sineiisis  o  Cotogno  della  China,  ha  il  frutto  bislungo, 
eguale  ai  due  estremi,  con  superficie  unita  e  non  bernoccoluta,  di  polpa 
dura  e  mollo  odorosa  a  maturazione.  Si  mangia  cotto.  E'  poco  fertile 


-  595  - 

ed  è  sensibile  ai  freddi.  Si  innesta  a  gemma  ed  a  spacco  sul  cotogno 
d'Algeri  o  sullo  spino  bianco.  Introdotto  nell'  Europa  temperata  nel 
1796.  Foglie  seghettate,  non  tomentose  con  tìoritura  molto  prolungata, 
perciò  coltivato  per  ornamento.  Fiorisce  metà  aprile. 


Il  Cotogno  del  Giappone  o  Cydonia  japonica  è  un  alberello  di  due 
metri  d'altezza,  con  foglie  ovali,  stipulate;  fiorisce  in  maggio.  I  fiori 
sono  di  color  rosso  carico,  più  piccoli  di  quelli  del  cotogno  comune. 
Ce  ne  sono  due  varietà  :  a  fiori  bianchi  ed  a  fiori  semidoppi.  Anche 
questo  cotogno  è  molto  delicato  pel  freddo.  Volendolo  coltivare  bisogna 


-  596  - 

esporlo  a  mezzogiorno  ed  all'inverno  impagliarlo.  Fiorisce  ai  primi 
di  maggio. 

4.  Classiflcazione  delle  varietà.  —  Della  Cydonia  vulgaris  si  sono 
avute  diverse  varietà  non  bene  definite  e  classificate,  in  causa  della 
incostanza  della  forma,  poiché  il  cotogno  in  genere  cambia  di  forma 
facilmente  a  seconda  del  clima,  del  terreno,  dell'età  e  del  sistema  di 
allevamento.  Talvolta,  sopra  una  stessa  pianta  si  riscontrano  delle 
forme  notevolmente  diverse. 

Le  varietà  meglio  definite  e  che  si  devono  riprodurre  esclusivamente 
per  innesto,  sono  le  seguenti: 


■  Di  Anger  (fig.  465). 

Proprietà  della  pianta:  questa  varietà  è  quella  che  viene  adoperata  anche  per 
porta  innesto. 

Descrizione  del  frutto:  forma  di  mela  sferoidale,  colore  giallo  chiaro,  buccia  coperta 
da  tomento  giallo  grigio,  peduncolo  inserito  all'estremità  di  una  prominenza  conica,  la 
quale  alla  sua  volta  diparte  da  una  insenatura  abbastanza  profonda:  calice  verde  con 
sepali  piegati  all'infuori  indipendenti,  in  una  cavità  stretta. 


I  Arancio. 

Proprietà  della  pianta:  poco  fertile. 

Descrizione  del  fruito:  forma  rotonda  o  rotonda-appiattita,  talvolta  anche  piri- 
forme, colore  giallo  citrino,  buccia  con  fine  tomento,  con  qualche  incavatura  bruno-ros- 
siccia; peduncolo  piantato  sopra  una  piccola  prominenza;  calice  molto  lungo,  con  sepali 
appuntiti,  eretti  in  una  cavità  conica;  dimensioni  cm.  7-7.5. 


Bereczky  (fig.  466). 

Proprietà  della  pianta  :  di  origine  ungherese,  molto  vigorosa  con  foglie  larghe. 

Descrizione  del  frutto:  forma  molto  grande,  panciuto  a  pera  o  cilindrico,  che  si 
restringe  rapidamente  al  peduncolo,  con  qualche  costola;  peduncolo  inserito  sopra  una 
prominenza  rotonda  coperta  di  ruggine  che  si  estende  sulla  buccia;  calice  con  sepali 
divaricati  in  una  insenatura  non  tanto  profonda  ma  molto  costoluta,  dimensioni  cm.  11x8,5. 


Di  Bourgeant. 

Proprietà  della  pianta  :  vigorosa  con  foglie  grandi. 

Descrizione  del  frutto:  forma  grande  a  mela  raramente  piriforme,  verso  il  calice 
troncata  e  verso  il  peduncolo  si  arrotonda;  peduncolo  in  una  cavità  stretta  ;  calice  con 
sepali  piccoli,  divaricati,  in  una  insenatura  a  imbuto,  dimensioni:  cm.  7x7.5 


Champion  (fig.  467). 

Descrizione  del  frutto:  forma  di  pera  raramente  rotonda-ovale.  Superfìcie  irrego- 
lare, panciuta,  colore  giallo  citrino,  buccia  con  tomento  grigio  e  vicino  al  peduncolo 
rugginoso  ;  calice  verde,  con  sepali  divaricati  in  una  cavità  costoluta  di  media  profon- 
dità: dimensioni:  cm.  8.7. 


597  — 


Cotogna  mela  (fig.  468). 

Proprietà  della  pianta:  non  dà  che  piante  cespugliose,  molto  fertili. 

Descrizione  del  frutto:  forma  rotonda  a  mela,  schiacciata  al  peduncolo,  colore 
giallo  citrino:  buccia  con  peluria  grigia,  peduncolo  piantato  sopra  una  superfìcie  piana; 
calice  con  sepali  larghi  e  lunghi,  robusti,  eretti  in  una  cavità  irregolare;  polpa  soda, 
molto  tenera  alla  maturazione,  di  un  sapore  perfetto;  dimensioni:  cm.  G  >c  6.5. 

Proprietà  del  frutto:  matura  metà  autunno.  Viene  ritenuta  da  molti  superiore  al 
Portoghese. 

Gigante  di  Lescowatz  (fig.  469). 

Proprietà  della  pianta  :  cresce  rapidamente  e  dopo  2  anni  di  innesto  fruttifica.  Pianta 
anche  ornamentale  per  la  bellezza  ed  abbondanza  dei   suoi  fiori  e  per  il  bel  fogliame. 

Descrizione  del  frutto:  straordinariamente  grande,  di  foriiìa  rotonda  od  a  mela,  arro- 
tondata alle  due  estremità,  pesa  talvolta  fino  a  1500  gr.;  buccia  di  colore  giallo  perfetto, 
con  striature  più  chiare:  peduncolo  corto,  calice  medio  con  sepali  piccoli,  verdi;  polpa 
molto  aromatica  eccellente  per  marmellate  e  confetture. 


Mammouth  di  Rea  (lig.  470). 

Descrizione  del  fruito:  forma  a  pera  arrotondata,  niammellonata  al  peduncolo; 
buccia  di  colore  giallo  citrino  chiaro,  con  leggero  tomento,  peduncolo  inserito  sopra 
un  mainniellone  sferico;  calice  con  foglie  erette  in  una  cavità  profonda  formata  da 
5  costole;  dimensioni:  cm.  8x7.5. 

Di  Metz. 

Descrizione  del  frullo  :  piccola  o  media,  ovale  arrotondata,  ristretta  sentitamente 
verso  il  peduncolo,  talvolta  piriforme,  di  colore  giallo  citrino:  peduncolo  inserito  sopra 
una  prominenza  sferica:  calice  mezzo  aperto,  contornato  da  insenature:  dimensioni 
cm.  7.5  X  ().5. 

Moscato. 

Descrizione  del  frutto:  forma  ovale  od  oviforn\e,  mammellonato  vicino  al  peduncolo 
buccia  di  colore  abbastanza  carico  giallo  verdognolo,  coperta  da  tomento  grigio  ;  pedun- 
colo inserito  sopra  una  prominenza  carnosa  abbastanza  sviluppata;  calice  stretto,  co- 
stoluto e  non  profondo  :  dimensioni  :  cm.  8x7. 


Cotogno  del  Portogallo  o  Portoghese,  (lìg.  471). 

Proprietà  della  pianta:  rustica  e  fertile.  Forma  un  albero  di  6  a  7  ni.  di  altezza, 
con  fusto  diritto  più  che  in  altre  varietà,  ma  resiste  meno  al  freddo.  Le  foglie  sono 
più  grandi  del  cotogno  comune. 

Descrizione  del  frutto:  forma  allungata  a  pera  od  a  campana,  con  superlìce  ine- 
guale, panciuta:  buccia  di  colore  giallo  paglierino,  coperta  da  tomento  giallastro  calice 
con  foglie  erette  in  una  insenatura  stretta  e  mammellonata  ;  polpa  molto  pregiata  per- 
chè tenera  e  profumata:  dimensioni:  cm.  9x7. 

Proprietà  del  frutto:  maturazione  tardiva.  Mollo  stimato  per  la  sua  bellezza. 

Da  questa  varietà  sono  derivate  le  seguenti  due  sotto-varietà  : 

aj  Melacotegna  di  Spagna,  che  è  un  frutto  grosso,  rotondo,  di  sapore  meno  aspro 
della  precedente  e  che  si  può  mangiare  talvolta  anche  crudo. 


—  598  — 

b)  Melacotogna  di  Algeri,  pregiata  sotto  varietà,  per  i  suoi  frutti,  coi  quali  si  fanno 
le  famose  cotognate.  E'  molto  ricercata  per  porta-innesti,  per  la  sua  vigoria  e  rusticità. 
I  frutti  sono  più  piccoli,  più  arrotondati  e  più  verdastri  della  varietà  precedente.  Se  la 
buccia  non  screpolasse,  si  potrebbero  mangiare  anche  crudi. 

Prolifico  di  Meech. 

Proprietà  della  pianta  :  poco  vigorosa. 

Descrizione  del  frutto  :  forma  piccola  o  media,  piriforme,  costoluto,  buccia  di  colore 
giallo  verdognolo,  con  peluria  grigia,  peduncolo  piantato  su  una  prominenza  carnosa  : 
calice  con  sepali  eretti  in  una  insenatura  non  tanto  protonda;  dimensioni:  cm.  6".2  ^tì. 

Zuccherino  di  Persia  o  di  Costantinopoli  (Fig.  472). 

Proprietà  della  pianta:  vigore  medio.  Foglie  non  grandi,  ovali  o  rotonde. 

Descrizione  del  frutto:  forma  sferica,  talvolta  piriforme  o  oviforme  con  qualche 
costola;  buccia  di  colore  giallo  chiaro,  con  peluria  grigia,  calice  con  sepali  corti,  verdi, 
in  una  cavità  media;  dimensioni:  cm.  7.5x6.5. 

5.  Clima  ed  esposizione.  —  La  sua  origine  indicherebbe  l'esigenza 
d'un  clima  molto  caldo,  ma  invece  lo  troviamo  non  soltanto  nelle  regioni 
più  fredde  d'Italia,  ma  anche  nelle  regioni  al  nord  della  Francia  e  Ger- 
mania. E'  pregiato  anzi  per  resistere  ai  geli  e  per  il  frutto;  lo  possiamo 
coltivare  a  qualunque  esposizione  meno  che  a  nord.  Resiste  anche  ai 
forti  calori. 

6.  Terreno.  —  Nei  buoni  terreni  da  peri  fanno  bene  anche  i  cotogni. 
Prospera  nei  terreni  mezzani,  alquanto  calcari  e  freschi,  e  fa  molto 
bene  lungo  le  ripe  dei  corsi  d'acqua.  In  generale  però  è  poco  esigente 
rispetto  al  terreno,  meno  che  questi  non  siano  aridi  e  cretacei 

7.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  seme,  talea,  margotta,  pol- 
loni ed  innesto. 

Per  seme  si  moltiplica  raramente.  La  semina  si  fa  nello  stesso  au- 
tunno della  raccolta.  Si  moltiplica  invece  sempre  per  talea,  margotta  e 
polloni,  per  avere  soggetti  diversi  da  innesti.  Per  margotta  e  polloni 
si  ottengono  sicuramente  soggetti  piti  vigorosi  che  per  talea.  A  tal  scopo 
si  sogliono  tenere  nei  vivai  delle  piantine  a  ceppala,  tenute  a  fior  di 
terra  od  al  più  a  2  cm.  dal  colletto;  le  quali  poi  si  rincalzano,  quando 
i  numerosi  germogli  che  sorgono,  hanno  la  lunghezza  di  40  cm.  11 
sistema  di  innesto  preferibile  è  quello  a  gemma. 

Si  può  innestare  anche  sul  biancospino. 

8.  Caratteri  vegetativi.  —  Le  gemme  a  frutto,  come  sul  nespolo, 
non  sorgono  mai  sui  rami  principali,  i  quali  non  portano  che  gemme  a 
legno,  ma  sebbene  sull'estremità  dei  brindilli,  formatisi  nell'anno  pre- 
cedente. Questi  brindilli  non  sono  mai  più  lunghi  di  12  cm.  E'  una 
pianta  che  produce  irregolarmente  causa  la  fioritura  precoce  che  viene 
danneggiata  dalle  brine. 

9.  Coltivazione.  —  E'  un  albero  rustico,  che  ha  bisogno  di  poca 
lavorazione  del  terreno.  Generalmente  è  coltivato  per  avere  soggetti  da 
innesto,  ma  lo  si  coltiva  anche  per  i  suoi  frutti. 


-  599  — 

A  questo  ultimo  scopo,  si  scelgano  le  località  distanti  dalle  abita- 
zioni, inquantochè  l'odore  dei  frutti  è  troppo  acuto. 

Ordinariamente  lo  si  alleva  a  mezzo  vento  (fig.  473)  e  per  avere 
dei  fusti  diritti  bisogna  munire  di  sostegno  la  pianta  sin  dal  vivaio.  La 
potatura  nei  primi  anni  consiste  nell'agevolare  la  formazione  regolare 
della  fronda, "^sopprimendo  i  rami  troppo  vicini  o  che  si  incrociano  o 


.^Jfù  ^  ì/: 

H 

<^\ 

Fig.  473. 


Cotogno  a  mezzo  vento. 


quelli  deboli.  Formata  la  pianta,  basta  accorciare  i  rami  terminali, 
impedire  che  alcuni  tolgano  la  regolarità  della  fronda  e  si  levano  i 
rami  morti,  contusi  o  rotti.  Si  sopprimono  anche  tutti  i  getti  che  facil- 
mente si  rinnovano  alla  base,  per  cui  è  raccomandabile  il  taglio  di 
rinnovo,  quando  ci  si  accorge  che  qualche  branca  è  in  deperimento. 
Quantunque  si  possa  coltivare  il  cotogno  anche  a  spalliera  questo 
modo  è  poco  usato,  tutti  preferiscono  il  mezzo  vento  piantando  alla 
distanza  di  4  metri. 


—  600  - 

La  concimazione  del  cotogno  devasi  fare  come  per  il  melo,  soltanto 
meno  azotata. 

10.  Prodotto.  —  E'  una  pianta  generalmente  poco  produttiva  e  tar- 
diva perchè  i  frutti  maturano  alla  fine  d'autunno.  La  maturazione  si 
conosce  dall'odore  penetrante  che  emanano  e  quando  il  tomento  dei 
frutti  si  distacca.  E'  indispensabile  di  fare  la  raccolta  con  molta  cautela, 
non  procurando  ammaccature  e  quando  la  rugiada  si  è  asciugata. 

Oltre  il  novembre  il  cotogno  non  si  conserva. 

Le  cotogne  crude,  causa  il  loro  sapore  crudo  ed  acerbo  e  la  durezza 
della  loro  polpa  sono  quasi  immangiabili  ma  vengono  adoperate  per 
fare  conserve  gradevoli,  delle  migliori  che  si  conoscano,  note  sotto  il 
nome  di  cotognate  nonché  per  fare  composte,  gelatine,  soi-betti,  liquori 
da  tavola  ;  servono  inoltre  a  diverse  usi  di  pasticceria  e  frequentemente 
in  medicina. 

Il  sapore  aspro  ed  astringente  si  affievolisce  in  parte  col  tempo 
della  conservazione  del  frutto  e  si  trasforma  colla  cottura  in  un  sapore 
zuccherino,  aromatico,  piacevole.  Il  loro  odore  penetrante,  per  alcuni 
è  troppo  forte  ed  intollerabile.  Ha  proprietà  astringenti,  toniche  e 
stomatiche. 

11.  Malattie  e  cause  nemiche.  (Vedi  pag.  500  e  seguenti). 


SORBO 

(Sorbus  domestica  L.  —  Pam.  Rosacee). 

Nome  volgare  italiano  del  frutto  :  Sorbo  comune. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  :  Francese;    Sorbier   domestique    — 

Tedesco:  Speierlingbaum  —  Inglese:  Sorb-apple-tree. 
Nomi  volgari  stranieri  del  frutto:  Francese  Gorme  —  Tedesco:  Speier- 

ling  —  Inglese:  Sorb-apple  tree. 

1.  Origine.  —  Nell'Europa  meridionale  ed  orientale,  così  pure  nel- 
l'America del  Nord,  il  sorbo  è  indigeno,  mentre  in  Germania  lo  si  trova 
inselvatichito. 

2.  Specie  botaniche  coltivate.  —  Da  alcuni  si  vorrebbe  distinguere 
due  sottospecie  :  Sorbus  domestica  malifera  (Hayne)  che  ha  il  frutto  a 
forma  di  mela  ed  il  Sorbus  domestica  pirifera  (Hayne)  col  frutto  a  forma 
di  pera,  quantunque  non  sia  escluso  di  poter  trovare  delle  sorbe  sulla 
medesima  pianta,  aventi  la  forma  di  pera  e  di   mela. 

3.  Caratteri  botanici  del  sorbo  pero  e  melo.  —  Il  sorbo  melo  forma 
un  albero  piramidale  nella  sua  prima  età,  che  arriva  ad  un'  altezza 
massima  di  1.5  metri,  e  acquista  poi  una  chioma  regolare,  sferoidale, 
formata  da  rami  numerosissimi,  abbastanza  eretti.  Il  sorbo  pero  (fìg.  474) 
ha  i  rami  più  pendenti  e  non  arriva  a  questa  altezza,  cosi  pure  è  meno 
vigoroso.  La  radice  è  fittonosa.  Le  gemme  sono  conico-allungate;  verde- 
gialliccie,  lucide,  glabre,  viscose.  Foglie  irapari-pennate  {<ò-S  paia)  con 


—  6U1   - 

foglioline  bislunghe,  quasi  biserrate,  di  sopra  venose,  rugose,  di  sotto 
pelose,  col  picciolo  comune  peloso.  Sono  seghettate  a  denti  ugualmente 
cuspidati,  di  color  verde-carico  di  sopra,  di  sotto  bianco-pubescenti.  I 
fiori  sorgono  dalla  estremità  dei  rami,  sono  ermafroditi,  piccoli,  bianchi, 
costituenti  dei  corimbi.  Emanano  un  odore  disaggradevole,  hanno  un 
diametro  di  cm.  1,5  ed  hanno  alla  base  delle  foglioline  pelose,  rotonde. 
I  cinque  o  più  stami  sono  alla  base  molto  pelosi.  I  frutti  sono  riuniti 
da  5  a  10  in  un  mazzetto  e  sono  a  forma  di  mela  sorbo  melo  (fìg.  476) 
o  di  pera  sorbo  pero  (fìg.  475)  del  diametro  longitudinale  di  cm.  1  Va  a  3. 
Variano  anche  pel  colore,  grosezza  a  seconda  delle  varietà.  General- 
mente sono  di  color  verde  e  a  maturazione  diventano  di  color  rosso- 
bruno.  Allora  si  mangiano. 


i  ^ 

.^-j>,>^i~^^S 

«<■• 

J^^^ 

■fi  ""'irj*^- 

^f'^ 

/     ..;T>T^«2PwC 

f^l -v..  \JlltiC^ 

^mJ^mT/^^ 

Jì^'^^X 

•f-:^    '■■ 

'  l^^flÉ^i 

Hi 

Fig.  474.  —  Pianta  di  Sorbo-pero. 

Senza  i  fiori  ed  i  frutti  è  difficile    distinguere   le    due   sottospecie. 
4.  Varietà.  —  Le  varietà  della  sorba- mela  sono  le  seguenti: 

1.  Sorba  lazzeriiola  selvatica  otlobrina  (Marconi). 

2.  Sorba-mela  ottobrina  maggiore  (Marconi). 

3.  Sorba-mela  ottobrina  mezzana  (Marconi). 

Queste  varietà  citate  dal  Canevazzi  e  Marconi  nel  loro  Vacabolario 
d'Agricoltura,  hanno  di  comune  l'epoca  di  maturazione  e  si  distinguono 
per  la  dilferenza  di  sviluppo  del  frutto. 

Altre  varietà  della  sorba-mela  sono  : 

4.  Sorbo  a  Panelle  (Pasquale)  della  montagna  di  Somma.  11  frutto 
matura  in  agosto. 

5.  Sorba   agostino  (Pasquale)  Suorvo   agoslegno  a   Napoli.    Frutto 
piccolo,  quasi  rotondo;  da  un  lato  rosso.  Matura  in  agosto. 


-  602  - 

6.  Sorbo  autunnale;  snervo  a  Panella  (Pasquale).  Frutto  quasi 
rotondo  a  trottola,  da  un  lato  giallo,  dall'altro  rosso,  tre  volte  più 
grande  del  precedente.  Matura  in  settembre. 

7.  Sorbo  capitano  (Pasquale)  di  Somma.  Il  frutto  è  ovato  a  ro- 
vescio, matura  da  dicembre  a  gennaio. 

8.  Sorba  tardiva  (Pasquale)  con  frutto  obovato  a  trottola.  Matura 
in  inverno. 


Sorba-pera. 


9.  Varrecchiare   (Pasquale),  si    trova   presso    Somma.   Matura    da 
dicembre  a  febbraio. 

Della  sorba-pera  Ganevazzi  e  Marconi  citano  la  : 

10.  Sorba-pera  maggiore  settembrina. 

11.  Sorba  lunga  mezzana. 

12.  Sorba-pera  ottobrina  rigata. 

Il  Pasquale  cita  semplicemente  la  Sorba-pera  che  caratterizza  per 
un  frutto  piccolo,  con  epidermide  bruna,  coperta  da  una  polvere  resi- 
nosa. Matura  d'inverno  in  dispensa.  Da  febbraio  a  marzo  maturerebbe 
una  sottovarietà  chiamata  Sorba-pera    Tortona. 


-  603  - 

Per  la  scelta  delle  varietà  io  raccomando  in  particolar  modo  la 
sorba-mela,  perchè  la  più  grossa,  la  meno  aspra  e  di  color  rosso.  Le 
varietà  a  pera  od  a  zucchetta  di  color  bianco  o  rosso-pallido  sono 
generalmente  troppo  aspre  ed  in  Germania  si  utilizzano  per  conciare 
il  sidro. 

5.  Importanza  della  coltivazione.  —  Poca  da  noi  per  il  frutto  men- 
tre in  Germania  ha  una  certa  importanza,  specialmente  intorno  a  Fran- 
coforte per  il  sidro. 

6.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Aperta  campagna. 

7.  Clima  ed  esposizione.  —  11  sorbo  domestico  abita  le  pianure,  le 
colline  ed  i  monti.  E'  più  esigente   del  selvatico,   però    resiste  bene  ai 


Fifi.  170.  —  Sorba-mela. 


venti  e  geli,  mentre  soffre  per  il  caldo  e  per  siccità.  Quantunque  faccia 
bene  anche  in  altitudini  elevate,  è  consigliabile  la  sua  coltivazione  nei 
colli  esposti  a  levante  o  ponente. 

8.  Terreno.  —  Indifferente  però  preferisce  i  terreni  profondi,  ricchi, 
non  umidi. 

9.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  seme  e  per  innesto.  I  semi 
germinano  dopo  due  anni  e  durante  questo  tempo  si  conservano  stra- 
tificati. 

Si  ricorre  al  seme  quando  trattasi  di  ottenere  delle  piante  orna- 
mentali, ma  quando  la  sua  coltivazione  ha  per  scopo  di  ottenere  dei 
frutti,  oppure  quando  si  vuole  affrettare   la   fruttificazione,   si   ricorre 


-  604  - 

all'innesto.  A  questo  ultimo  scopo  si  innesta  sul  biancospino  a  gemma, 
mentre  volendo  ottenere  delle  piante  molto  vigorose  si  innesta  sul 
Iranco.  Oltre  l'innesto  a  gemma  si  applica  quello  a  corona  ed  a  spacco. 
Si  può  innestare  anche  sul  pero  franco,  ma  non  si  ha  una  pianta 
robusta. 

10.  Caratteri  vegetativi.  —  E'  di  lentissimo  sviluppo  e  per  questo 
viene  abbandonata  la  sua  coltivazione.  Appena  dopo  20  anni  si  fa  una 
raccolta  passabile.  Rimette  bene  dal  ceppo  e  dalle  radici. 

Nell'Italia  settentrionale,  fiorisce  in  maggio-giugno,  i  frutti  matu- 
rano in  settembre  e  le  foglie  cadono  durante  l'inverno.  Comincia  a 
dare  un  prodotto  soddisfacente  a  30-35  anni   di  età. 

11.  Coltivazione.  —  Essendo  un  albero  di  bello  aspetto,  il  più  delle 
volte  viene  coltivato  per  ornamento  nei  giardini. 

Le  piante  soffrono  poco  pel  trapianto  e  quindi,  per  non  lasciare 
degli  spazi  vuoti,  infruttuosi,  conviene  fare  gli  impianti  con  soggetti 
di  almeno  10  cm.  di  diametro  che  hanno  10  anni  di  età. 

Come  ho  già  detto,  il  sorbo  cresce  lentamente,  epperciò  lo  si  lascia 
a  se  stesso  ;  prende  una  forma  maestosa,  piramidale,  senza  soccorso 
del  potatore. 

12.  Prodotti.  —  Le  sorbe,  ricche  di  acido  sorbico,  malico  e  gallico, 
d'un  sapore  acerbissimo  anche  alla  loro  maturità  naturale,  come  le 
nespole,  non  sono  mangiabili  che  dopo  essere  divenute  mezze.  Anche 
in  questo  stato  costituiscono  un  alimento  mediocre,  poco  nutritivo, 
indigesto,  che  produce  spesso  delle  coliche  e  non  conviene  che  agli 
stomachi  robusti.  Godono  di  proprietà  astringenti  e  rinfrescanti.  Come 
frutta  possono  stare  allo  stesso  livello  delle  nespole,  e,  per  la  mancanza 
dei  grossi  noccioli  ossei,  sono  anzi  a  queste  superiori. 

Si  possono  conservare  anche  secche.  A  tale  scopo  si  raccolgono 
immature,  si  spaccano  in  due,  ed  i  pezzi  o  si  infilzano  ad  un  filo  facen- 
done de  rosari,  oppure  si  stendono  sopra  graticci  e  si  espongono  al 
sole  per  15  o  20  giorni. 

Le  sorbe  servono  anche  alla  preparazione  di  un  sidro,  poco  diverso 
da  quello  di  pere  e  mele,  molto  ricercato  in  Germania  e  serve  special- 
mente per  correggere  quello  delle  mele  e  pere.  Allora  il  sidro  defeca 
più  facilmente,  si  conserva  di  più  ed  acquista  colore  e  sapore  pia- 
cevoli. Da  un  quintale  di  sorbe  si  ricavano  20  litri  di  sidro.  Serve 
anche   per   preparare  un  liquore  che  si  adopera  per  medicamento. 

11  legno  è  pesante,  compatto ,  suscettibile  di  bel  pulimento.  E 
ricercato  dai  tornitori  ed  incisori  per  tutti  quei  lavori  che  devono 
avere  una  grande  solidità  ed  essere  esposti  a  sfregamento. 

La  scorza  e  le  foglie  si  adoperano  nella  concia  delle  pelli,  e  dai 
rami  si  ricava  una  tintura  nera  bellissima. 

Sul  sorbo  si  può  anche  innestare  il  pero. 

13.  Malattie.  (Vedi  pag.  500  e  seguenti). 


PARTE  SECONDA 
PIANTE  CON  UN  SOLO  NOCCIOLO 


MANDORLO  (D 
(Amygdalus  communis  F.  —  Fam.  Rosacee) 

Nome  volg.  in  italiano  del  frutto  —  Mandorla. 

Nomi  volg.    stranieri  della  pianta    —    Francese:  Amandier   —  Tedesco: 
Gemeiner  Mandelbaum  —  Inglese:  Common  Almond. 

1.  Origine.  —  È  originario  dell'Asia,  In  Europa  lo  si  trova  allo 
stato  selvatico  nel  Caucaso  e  in  Grecia.  È  stato  importato  dai  Romani. 
Presentemente  è  diffusissimo  nel  bacino  del  Mediterraneo,  accanto 
all'olivo.  Lo  troviamo  quindi  estesamente  coltivalo  in  Sicilia,  sul  Lito- 
rale mediterraneo,  sulle  coste  meridionali  della  Francia,  nella  Spagna 
e  nell'Algeria. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Albero  di  prima  grandezza  (ar- 
riva anche  all'altezza  di  m.  8-10),  con  radici  fittonanti;  fusto  (fig.  477) 
grosso,  rare  volte  diritto,  con  scorza  scagliosa  nell'età  adulta  e  nei  rami 
giovani,  di  color  cenerognolo,  sparsa  di  lenticelle  trasversali. 

Le  gemme  a  legno  sono  coniche,  le  fiorifere  ovate;  le  foglie  sono 
semplici,  stipolate,  lanceolate,  seghettate,  penninervie,  con  picciolo 
munito  di  1  a  3  ghiandole.  Filotassi  in  spirale  a  5. 

Infiorescenza  semplice,  a  fiori  solitari  o  in  gruppi  di  2  a  4  (fig.  478). 
Fiori  regolari,  ermafroditi,  con  calice  libero,  gamosepalo,  con  tubo 
a  lembo  e  partito  ;  corolla  dialipetala  con  5  petali  a  margine  eguale  o 
sub-ondato,  di  color  bianco  puro  o  leggermente  roseo,  sempre  però 
con  l'unghia  rosea  o  almeno  carnea.  Stami  numerosi  da  20  a  40,  ma 
sempre  in  numero  divisibile  però;  ovario  unico,  uniloculare,  stilo 
semplice.  Il   frutto  è  una   drupa   verde,  uniloculare,  carnosa,  ovoidale 


(1)  V.  Flores.   Coltivazione   del    mandorlo.   Biblioteca   Ottavi  1905.   —   V.  Estelrich. 
El  Almendro.  Madrid,  1907. 


—   (iU(i   — 

od  allungata,  compressa,  e  pelosa.  Contiene  un  nocciolo  legnoso  nel 
quale  si  trovano  una  o  due  mandorle  senza  perisperma,  aventi  un 
integumento  bruno  e  rugoso. 

3.  Classificazione  delle  varietà.  —  Le  varietà  del  mandorlo  sono 
tante,  da  rendere  difficile,  direi  impossibile,  una  descrizione  siste- 
matica. 

I  fiori,  le  ramificazioni  ed  i  frutti  stessi  diversificano  nella  stessa 
varietà   sensibilmente   a   seconda   dell'età   della   pianta,  dell'altitudine, 


Fig.  477.  —  Albero  di  mandorlo. 


dell'esposizione,  della  località,  delle  condizioni  igrometriche  dell'aria  e 
dell'andamento  delle  stagioni,  nell'annata  stessa. 

Relativa  importanza  hanno  la  forma  del  frutto,  la  rugosità  del 
guscio  ed  il  suo  spessore.  È  accertato,  ad  esempio,  che  nelle  annate 
piovose,  il  guscio  delle  varietà  tenere  è  molto  più  fragile  che  non 
nelle  annate  asciutte.  Da  ciò  la  confusione  di  denominazioni  nelle 
singole  varietà,  a  pochi  chilometri  di  distanza. 

In   Italia,  E.  Bianca,  ci   ha    dato  la    più   completa   monografìa   sul 


—  ti07  - 

mandorlo  coltivalo    in    Stcilia  (1),   ed   ha   adottato   una  classificazione 
molto  minuziosa,  elencando  nientemeno  che  752  varietà. 

Io  ritengo  che  l'unico  carattere  costante,  che  può  essere  preso  per 
base  generale  di  classificazione,  sia  quello  della  consistenza  del  guscio 
della  mandorla  matura,  del  quale  ci  serviremo  pel  seguente  schema 
di  classificazione. 

l  d  lei    i  ^  guscio  tenero    I  Glasse 

Mandorle  <  (  ^  guscio  duro      II  Classe 

/  amare  III  Classe 

Ogni  classe  ha  varie  suddivisoni ,  a  seconda  della  forma  del 
guscio:  bislunga,  appuntita,  sub  ovata,  sub  rotonda. 


5'Fig.  478.  —  Ramo  di  mandorlo  in  fiore. 

4.  Scelta  delle  varietà.  —  Le  norme  per  la  scelta  delle  varietà  sono 
le  seguenti  : 

a)  La  varietà  deve  essere  coltivata  in  condizioni  di  clima  e  di  ter- 
reno eguali  e  se  possibile  migliori  a  quelle  nelle  quali  si  trova  nel 
suo  luogo  di  origine.  Il  mandorlo  prospera  quando  trova  nel  terreno 
con  facilità,  gli  elementi  nutritivi  di  cui  ha  bisogno. 

b)  Una  varietà  che  si  trova  in  condizioni  normali  fruttifica  ogni 
anno  od  almeno  ogni  secondo  anno,  dà  un  prodotto  notevole. 


(1)  Manuale  della  coltivazione  del  iiiandorlo  in  Sicilia  —    Palermo  —   Lorsneider,  1872. 


-  608  - 

Se  ad  un  anno  di  abbondante  raccolto  segue  una  produzione  ecces- 
sivamente limitata,  la  pianta  non  vive  normalmente. 

e)  Sulla  resistenza  alla  bassa  temperatura  nel  periodo  della  fiori- 
tura ha  più  influenza  lo  stato  di  nutrizione  della  pianta  che  la  preco- 
cità di  fiorire.  Le  piante  meno  nutrite  resistono  meno  al  freddo. 

d)  Il  mandorlo  in  generale  ama  i  terreni  freschi  e  non  umidi, 
lavorati  bene  e  profondamente. 

e)  Le  varietà  a  frutto  troppo  minuto  o  troppo  grosso  sono  da 
scartarsi,  perchè  di  poco  pregio.  Le  prime  danno  poco  prodotto  uni- 
tario per  pianta;  le  seconde,  danno  troppo  mandorle  con  doppio 
seme. 

/■)  Si  scartino  pure  le  varietà  a  frutto  corto  o  sub  rotondo  e  si 
preferiscano  quelle  a  frutto  allungate  ed  a  guscio  piuttosto  tenero, 
senza  rughe,  di  colore  giallo  mattone  e  con  la  mandorla  bianchissima 
e  pesante.  Si  scartino  pure  le  varietà  a  seme  leggero;  anche  per  questa 
ragione  non  si  allevi  le  varietà  di  mandorle  a  seme  doppio,  perchè 
hanno  una  percentuale  bassa  di  materiale  utile. 

g)  Non  si  coltivino  estesi  mandorleti  con  una  sola  varietà.  È  meglio 
associare  più  varietà  per  assicurare  la  fecondazione  e  perchè  quando 
viene  a  mancare  la  produzione  di  una  varietà  possa  venire  supplita 
da  un'altra. 

Il)  I  mandorli  che  danno  mandorle  dolci  con  guscio  tenero  (man- 
dorle premici  o  mollesche),  hanno  le  foglie  larghe  con  picciolo  grosso. 
La  mandorla  è  sempre  acuminata,  i  fiori  hanno  i  petali  larghi  e  smar- 
ginati profondamente. 

/)  Quelli  che  danno  mandorle  dolci  con  guscio  duro,  hanno  le 
foglie  più  chiare,  il  frutto  è  ovale  o  tondeggiante,  variamente  compresso 
e  più  o  meno  acuminato. 

j)  I  mandorli  da  frutti  amari,  hanno  i  fiori  grandi,  con  petali 
bianchi  con  una  macchia  rosea  alla  base.  Gli  stili  sono  lunghi  quasi 
quanto  gli  stami  e  cotonosi  alla  base.  Raramente  si  trovano  delle 
mandorle  amare  con  guscio  tenero  o  semi  tenero. 

5.  Varietà  raccomandabili.  —  Le  varietà  meglio  definite  e  più  rac- 
comandabili sono  le  seguenti  : 


'  dolce 


Mandorla 


CI.  I  a  guscio  tenero  < 


CI.  II  a  guscio  duro 


amara  CI.  Ili 


1.  Principessa 

2.  Dama 

3.  Rotonda  fine 

4.  Grossa  tenera 

5.  Comune 

6.  Razza 

7.  A  mazzetto 

8.  Pistacchio  o  rotonda 

9.  Grossa  verde 

10,  Piccola  verde 

11.  Comune  amara 


—  609  — 

a)  Principessa  (Sultana  o  Regina).  Guscio  sottilissimo;  frutto  grosso, 
appiattito  ;  mandorla  bianca,  dolce,  con  pellicola  giallo  carica. 

Varietà  pregiatissima,  di  vegetazione  e  maturazione  precoce. 

Ha  il  difetto  che  i  rami  inferiori  presto  si  sguerniscono  e  disseccano. 

b)  Dama  (Mandorla  semifina,  M.  Abelan,  M.  Aberanne  fig.  479).  Somi- 
glia alla  precedente,  però  essendo  la  parte  interna  del  guscio  alquanto 
consistente,  non  si  rompe  tanto  facilmente  colle  dita. 

Guscio  coperto  di  anfrattuosita  molto  pronunciate.  Mandorla  grossa, 
molto  apprezzata  ma  di  sapore  più  ordinario  della  precedente. 

Fiorisce  presto,  perciò  viene  molto  danneggiata  dalle  brine. 

Fertilità  mediocre.  Matura  alla  fine  di  agosto. 

Una  sotto-varietà  della  Dama  pare  sia  la  mandorla  Sultana,  la  quale 
è  però  più  piccola,  ma  di  sapore  molto  delicato  ed  a  guscio  fragilissimo. 

e)  Rotonda  fine,  frutto  medio,  arrotondato  quasi  come  una  nocciuola. 
I  confettieri  la  preferiscono  alle  nocciuole  pel  suo  buon  sapore.  E 
molto  coltivata  in  Sicilia  e  nelle  Puglie. 


'^ 


Fig.  47!t.  —  Mandorla  Dama  (gr.  nat.)-  Fig.  480.  —  Mandorla  amara  (gr.  nat.). 

(/)  Grossa  tenera,  frutto  abbastanza  grosso,  ovoidale  con  guscio 
molto  sottile  e  tenero.  Varietà  tardiva  per  la  vegetazione  e  maturazione. 
Si  consuma  molto  fresca  col  mallo  che  non  è  spiacevole.  K  comune 
in  tutta  l'Italia  meridionale. 

Affine  a  questa  varietà  è  quella  detta  di  S.  Caterina,  comune  nel- 
l'Italia centrale. 

e)  Comune  dolce,  caratterizzala  pel  frutto  grosso,  allungato,  con  un 
piccolo  mammellone  all'estremità  del  pericarpio.  L'albero  è  dei  più 
vigorosi  e  produttivi.  Si   vendono  i  semi  nudi,  avendo  il  guscio  duro. 

f)  Razza  o  Mollerà  ;  frullo  abbastanza  grosso,  allungato,  con  guscio 
semi  duro,  facile  a  rompersi,  Mandorla  buona,  di  forma  regolare,  dolce, 
con  pellicola  liscia.  Albero  vigoroso  che  fruttifica  però  tardi.  Queste 
mandorle  sono  molto  ricercate  dai  confettieri  ed  anche  per  estrarre 
l'olio. 

g)  A  mazzetto  o  grappolo,  chiamata  cosi  perchè  le  mandorle  stanno 
riunite  sull'albero  a  guisa  di  grappolo.  Questa  varietà  ha  il  frutto  di 
una   grandezza   media  e    di   forma  perfetta.   Mandorla    molto   buona  e 

39  —  Tam.iro  -  Frutticoltura. 


-  610  - 

molto  ricercata  dai  drogliieri.  La  fioritura  è  tardiva  e  molto  produt- 
tiva. Le  sue  branche  sono  di  colorito  chiaro  e  molto  slanciate.  Matura 
in  settembre. 

lì)  Pistacchio  o  rotonda.  Il  frutto  è  piccolo,  un  poco  allungato  ma 
molto  rigonfio  nel  mezzo.  Il  guscio  è  semi  duro,  contenente  una  man- 
dorla dolce,  che  si  utilizza  come  le  nocciuole. 

L'albero  ha  il  difetto  di  fiorire  presto  perciò  non  è  consigliabile 
nelle  località  che  soffrono  per  i  geli  tardivi.  1  rami  poi  si  sguarniscono 
facilmente  alla  base. 

/)  Grossa  verde;  fiorisce  tardi  e  perciò  coltivata  nelle  località 
esposte  alle  brine.  Matura  in  settembre.  La  mandorla  però  è  di  qualità 
secondaria,  quantunque  grossa. 

j)  Piccola  verde;  l'albero  è  molto  rustico  e  di  grande  sviluppo. 
Fiorisce  tardi  perciò  raccomandabile  nelle  località  meno  calde.  Horisce 
abbondantemente  però  ogni  due  anni.  Frutto  di  grandezza  media  col 
guscio  molto  duro. 

/)  Comune  amara,  ha  il  frutto  di  grandezza  media,  con  guscio  duro. 
Fiorisce  tardi  e  la  sua  produzione  è  costante  (fig.  480). 

6.  Specie  e  varietà  ornamentali.  —  Le  specie  e  varietà  ornamentali 
del  mandorlo  sono  abbastanza  ricercate  perchè  hanno  la  fioritura 
[)recoce  e  perchè  resistono  relativamente  alle  intemperie. 

Del  mandorlo  comune  Amygdalus  communis  L.  abbiamo  le  seguenti 
varietà  ornamentali  : 

a)  A.  e.  a  flore  pieno  Harb.  Albero  vigoroso,  robusto,  forse  più 
rustico  dell'A.  communis,  con  fiori  molto  grandi,  rosa,  doppi,  che 
rivestano  completamente  i  rami. 

Fiorisce  circa  8  giorni  prima  del  pesco. 

b)  A.  e.  foliis  variegatis  Carr.  con  foglia  variegata.  La  scorza  dei 
rami  è  sovente  striata,  gialla;  le  foglie  sono  largamente  striate  di  giallo, 
di  un  bel  elTetto.  Contrariamente  alla  varietà  precedente,  è  poco 
vigorosa. 

e)  A.  e.  persicoides  Ser.  è  considerato  come  ibrido  col  pesco,  poiché 
ha  il  frutto  molto  carnoso  e  della  grossezza  di  una  pesca,  ma  poco 
saporito. 

Questo  albero  curioso  è  notevole  per  l'ampiezza,  abbondanza  e 
bellezza  dei  suoi  fiori  rosa. 

Un'altra  specie  ornamentale  è  VA.  Davidiana  Dieck.  d'origine  chi- 
nese  più  resistente  ai  freddi  dell'A.  communis  ed  è  più  precoce.  Si 
adatta  a  tutti  i  terreni  meno  clie  ai  compatti,  però  preferisce  le  terre 
calcari,  secche  e  leggere. 

Questa  specie  è  esclusivamente  ornamentale.  L'albero  ha  un'altezza 
di  6-8  metri  con  rami  diffusi,  cadenti,  con  scorza  di  colore  giallastro 
che  diventa  poi  bruna  sui  rami  adulti,  così  da  scambiarla  con  quella 
del  ciliegio  di  S.  Lucia. 

Foglie  molto  grandi,  ovali  lanceolate. 

Fiori  abbondanti  bianchi  o  rosa  carmino.  Frutti  radi  e  non  com- 
mestibili. 


-  611  - 

Ainygdalus  nana  L.  Si  trova  spontaneo  nella  Siberia,  Caucaso, 
Armenia.  È  un  arbusto  con  molti  rami  fìtti,  sottili  alto  non  più  di  m.  1 
a  1.50.  Le  foglie  sono  glabre,  piccole,  oblunghe,  lanceolate,  finamente 
dentate.  Fiori  rosa  o  rossi  ;  fruiti  piccoli,  cotonosi,  ovali  ;  nocciolo 
liscio,  molto  duro  con  mandorla  molto  amara. 

Il  mandorlo  nano  viene  coltivato  isolato,  nei  parterre  dei  giardini 
e  qualche  volta  lo  si  innesta  anche  in  testa  sul  mandorlo  comune,  per 
avere  degli  alberelli  a  chioma  rotonda,  riunita.  Si  moltiplica  per  polloni. 

Di  questa  specie  sono  interessanti  le  seguenti  varietà  : 

1.  A.  n.  georcjica  Desf.  originario  del  Caucaso  e  dà  le  piante  più 
alte  della  specie  ; 

2.  A.  n.  speciosa  Carr.  il  quale  non  arriva  a  50  cm.  di  altezza.  Molto 
fiorifero;  gemme  rosse  con  punteggiature  cremisi;  fiori  grandi  di  color 
rosso  intenso.  È  la  varietà  più  tardiva  ma  la  più  ornamentale. 

Abbiamo  ancora  le  varietà  a  fiori  bianchi,  a  fiori  rossi,  e  cosi    via. 

Un'ultima  specie  ornamentale  è  VA.  orientalis  Ait.  originario  della 
Persia,  molto  decorativo  per  il  suo  fogliame  argentato  ma  delicato  pel 
freddo  più  del  mandorlo  comune.  Richiede  una  buona  esposizione  ed 
una  terra  sana,  leggera. 

L'albero  arriva  all'altezza  di  3-4  metri  ;  ha  i  rami  divaricati,  bian- 
castri, con  qualche  spina.  Foglie  ovali,  allungate,  argentate  su  tutte 
due  le  pagine.  Fiori  rosa,  piccoli,  poco  ornamentali,  che  si  aprono 
molto  presto  in  febbrajo.  Frutti  piccoli,  ovali,  a  mandorla  commestibile 
quantunque  sia  un  po'  amara. 

Per  avere  dei  fiori  di  mandorla  negli  appartamenti  basta  cogliere 
i  rami  prima  della  fioritura  ed  immergerli  per  la  base  in  un  vaso  di 
acqua  o  di  terra  umida  e  portarli  in  un  appartamento  caldo. 

7.  Importanza  della  coltivazione.  —  Nelle  nostre  provincie  meridio- 
nali, la  coltivazione  del  mandorlo,  viene  per  importanza  subito  dopo 
gli  agrumi. 

Si  calcola  che  il  prodotto  delle  mandorle  ha  un  valore  di  42  mi- 
lioni di  lire  del  quale  circa  per  la  metà  viene  esportato. 

8.  Sistemi  di  coltivazione.  —  11  mandorlo  nella  coltivazione  ordi- 
naria in  pieno  campo,  si  suole  consociare 

a)  colle  colture  erbacee 

b)  colla  vite 

e)  colla  vite  e  coU'olivo. 

Nel  primo  caso  il  mandorlo  si  pianta  a  m.  10  da  fila  a  fila  ed  a 
m.  6  sulla  fila.  Gli  interfilari  si  coltivano  a  fava  od  altre  sarchiate, 
che  si  alternano,  specialmente  nei  primi  anni  con  frumento,  orzo  od 
avena,  lasciando  però  intorno  ad  ogni  mandorlo  uno  spazio  libero  di 
1  metro  di  raggio.  Delle  leguminose  e  graminacee  sono  perferibili  quelle, 
che  anticipano  la  loro  maturazione  in  primavera  ed  estate,  per  la- 
sciare libero  il  terreno  quando  le  mandorle  cominciano  a  maturare. 

Consociato  il  mandorlo  alla  vite,  si  può  piantare  contemporanea- 
mente a  questa,  collocandolo  alla  distanza  sopra   indicata  e  piantando 


-  612  - 

le  viti  negli  interfilari  a  m.  1  di  distanza.  Di  mano  in  mano  che  il 
mandorlo  si  sviluppa,  si  estirpano  le  viti  danneggiate  dall'ombra  pro- 
dotta da  esso. 

Trattandosi  invece  di  vigneto  vecchio,  di  25-30  anni  d'età  o  di 
vigneto  deperito  per  la  filossera,  conviene  seguire  il  sistema  suggerito 
a  pag.  269  piantando  i  mandorli  giovani  alla  conveniente  distanza  ed 
estirpando  le  vili  attorno  a  questi  di  mano  in  mano  che  i  mandorli  si 
sviluppano. 

Infine  nella  provincia  di  Bari  il  mandorlo  è  consociato  alla  vite 
ed  all'olivo  collocando  una  fila  di  mandorli  alternata  con  una  fila  di 
olivi  alla  distanza  di  7  ad  8  metri.  Le  viti  vengono  piantate  a  m.  1  di 
distanza  e,  mano  a  mano  che  si  esauriscono  o  che  sono  danneggiate 
dall'ombra,  vengono  estirpate  per  lasciar  posto  al  mandorlo,  il  quale 
alla  sua  volta  dopo  60  anni,  (vitalità  media  del  mandorlo)  viene  estir- 
pato per  lasciar  posto  all'olivo  secolare. 

Queste  coltivazioni  consociate  riescono  tanto  meglio  quanto  più 
fertile  e  ben  preparato  è  il  terreno  e  quanta  maggior  cura  si  avrà  di 
lasciare  libero  di  ogni  coltura  il  terreno  intorno  ad  ogni  mandorlo 
ed  olivo. 

9.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  La  coltivazione  del  mandorlo 
a  scopo  industriale  è  una  delle  principali  lungo  tutto  il  littorale  me- 
diterraneo ed  accompagna  l'olivo  e  gli  agrumi. 

La  pianta  però  è  rustica  e  si  estende  sino  alla  latitudine  di  45"  circa 
tollerando  le  gelate  invernali.  È  per  questo  che  in  Italia  lo  troviamo 
diffuso  da  per  tutto.  Le  regioni  nelle  quali  trova  le  sue  condizioni  più 
lavorevoli  sono  la  Sicilia,  la  Sardegna  meridionale,  le  Calabrie  e  Puglie 
con  parte  dell'Abruzzo. 

È  necessario  però  che  la  temperatura  nel  periodo  della  fioritura, 
specialmente  quando  cadono  i  petali  e  comincia  la  allegazione  del 
frutto  sia  costante  anche  se  piuttosto  bassa,  poiché  gli  sbalzi  di  tem- 
peratura, le  nebbie  persistenti,  i  venti  freddi  ed  umidi,  sono  in  questa 
epoca  esiziali  al  mandorlo. 

Secondo  Alfonso  de  CandoUe,  l'epoca  nella  quale  avviene  la  fiori- 
tura del  mandorlo  è  abbastanza  capricciosa.  A  Smirne  avviene  al 
principio  di  febbraio;  in  Inghilterra  in  marzo;  nella  Germania  centrale 
alla  fine  d'aprile;  a  Cristiania  al  principio  di  giugno  in  modo  che  il 
frutto  non  arriva  che  a  metà  maturazione  ed  anche  nelle  estati  più 
calde.  Al  Capo  di  Buona  Speranza  il  mandorlo  fiorisce  nel  mese  di 
agosto,  epoca  che  nell'emisfero  australe  corrisponde  alla  nostra  pri- 
mavera. 

In  Algeria,  come  pure  da  noi  in  Sicilia,  anche  le  esposizioni  a  nord, 
purché  riparate  da  venti,  sono  al  mandorlo  favorevoli. 

Il  mandorlo  entra  in  vegetazione  quando  la  temperatura  media 
giornaliera  raggiunge  8*'  G.  e  quando  dalla  caduta  delle  foglie  ha  avuto 
una  somma  di  llOo^  C.  di  temperatura.  Mantenendosi  questa  tempera- 
tura per  7-8  giorni,  comincia  a  fiorire  ed  a  15°  C.  comincia   la    foglia- 


—  ars  — 

zione.  In  Italia  la  fioritura  può  cominciare  anche  alla  line  di  dicembre 
nei  paesi  caldi  ed  appena  ai  primi  di  aprile  in  quelli  più  freddi.  La 
fioritura  dura  da  10  a  15  giorni. 

L'epoca  inedia  nella  quale  avvengono  in  Italia  le  principali  fasi  di 
vegetazione  è  indicata  nella  seguente  Tab.  XLVIII. 


Tab.  X(.VIII. 

Quadro  indicante  l'epoca  nella  quale  avvengono  le  principali  fasi  di 
vegetazione  del  mandorlo,  nelle  diverse  regioni  d'Italia. 


^.     ..  Maturazione  Caduta 

Fioritura  del  frutto  delle  foglie 


I.  Piemonte 

II.  Lombardia    .    .    .    . 
IH.     Veneto 

IV.  Liguria 

V.  Emilia 

VI.  Marche  ed  Umbria  . 

VII.  Toscana 

VIII.  Lazio 

IX.  Meridionale   Adriat. 

X.  Meridionale  Mediter. 

XI.  Sicilia 

XII.  Sardegna 


Ili  Ottobre  III 

II  I        .        j  I 

I  j        ,        I  II 

I      I  Ottobre  1    III  \  Novem.  j  „ 


10.  Esposizione  e  situazione  —  Gli  altipiani,  le  colline,  bene  aereate, 
purché  non  soggette  a  brinate  primaverili  all'epoca  della  fioritura, 
sono  i  siti  più  adatti  pel  mandorlo.  Nelle  località  soggette  a  brine  pri- 
maverili è  meglio  scegliere  una  esposizione  fredda  anche  a  Nord,  come 
in  Algeria,  perchè  ritardi  la  fioritura. 

Si  evitano  le  località  basse,  umide  e  soggette  a  nebbie  od  a  venti 
umidi. 

11.  Terreno.  —  Poco  esigente,  generalmente  parlando,  rispetto  al 
terreno.  Predilige  i  terreni  asciutti,  leggeri,  ciottolosi,  profondi  e  per- 
meabili. Rifugge  dai  terreni  umidi,  argillosi,  poco  profondi,  con  sotto- 
suolo impermeabile. 

Gol  mandorlo  si  mettono  in  valore  le  costiere  pietrose,  ciottolose, 
siliceo  calcari,  poiché  avendo  radici  profonde  non  soffre  per  l'aridità. 

Prospera  anche  nei  terreni  granitici  o  di  alluviane  silicei  e  nei 
terreni  calcari.  Questi  ultimi  sono  però  i  preferiti. 

I  terreni  più  fertili  e  più  adatti  per  il  mandorlo,  sono  per  lo  più 
coltivati  colle  varietà  a  guscio  tenero;  i  terreni  di  fertilità  ordinaria 
sono  riservati  alle  varietà  a  guscio  duro. 

12.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  seme  e  per  innesto. 


-  014  — 

La  semina  si  fa  colle  mandorle  amare  da  guscio  duro,  perchè 
danno  piante  più  robuste,  longeve  e  perchè  anche  sono  meno  danneg- 
giate dai  topi. 

Si  scelgono  le  mandorle  più  belle,  i)iù  piene,  quelle  sopratutto 
cadute  spontaneamente  dall'albero  per  perfetta  maturità.  Sgraziata- 
mente le  mandorle  più  gonfie  tengono  anche  due  mandorle,  perciò 
danno  due  piante  che  si  pregiudicano  alla  nascita.  Per  ottenere  una 
sola  pianta  robusta  si  scelgono  le  mandorle  appiattite,  piccole,  di  qua- 
lità superiore  e  presentanti  i  caratteri  di  precocità,  di  grossezza,  di 
gusto,  ecc.  che  si  vogliono  ottenere. 

Appena  raccolte  in  settembre,  si  stratificano  nella  sabbia  poiché, 
in  capo  a  due  mesi,  perdono  la  facoltà  germinativa.  Si  collocano  due 
strati  per  cassetta,  colla  punta  in  basso.  Le  cassette  si  mantengono  in 
un  locale  possibilmente  alla  temperatura  costante  di  7-8»  C.  e  la  sab- 
bia si  mantiene  fresca.  In  febbraio  o  prima,  quando  il  mandorlo  ac- 
cenna a  fiorire,  si  bagna  la  sabbia  per  affrettare  la  germinazione. 

Quando  le  mandorle  mostrano  la  radichetta,  si  collocano  a  file 
nelle  ajole  del  semenzajo,  coprendole  con  5-6  cm.  di  terra  e  seminando 
da  fila  a  fila  e  sulla  fila  alla  distanza  di  cm.  65-75. 

Il  trapianto  a  dimora  dal  semenzaio,  deve  essere  fatto  a  3  anni 
d'età  delle  piante,  e  durante  questo  tempo  si  abbia  cura  di  svettare  i  rami. 

In  molte  località  la  semina  si  fa  sul  posto,  collocando  due  o  tre 
mandorle  già  germinate  per  buca,  lasciando  poi  nell'anno  successivo 
una  sola  pianta.  Con  questo  sistema  si  hanno  le  piante  ancora  più 
robuste. 

L'impianto  a  dimora  si  suol  fare  in  novembre  con  tutte  le  cure, 
poiché  il  mandorlo  è  una  pianta  che  soffre  molto  del  trapianto. 

Per  l'innesto  il  soggetto  preferito  è  il  mandorlo  stesso,  poiché  si 
hanno  le  migliori  piante.  Per  i  terreni  umidi  e  climi  freddi  si  può 
consigliare  il  susino  Damas  e  S.  Julién  e  per  i  terreni  eccessivamente 
aridi  ma  in  climi  caldi,  l'albicocco  ma  è  adoperato  raramente. 

L'innesto  si  fa  a  gemma  dormiente  alla  fine  dell'estate  che  segue 
la  semina  dei  soggetti.  Quando  non  attecchisce  questo  innesto,  si  fa 
nella  primavera  successiva  l'innesto  a  gemma  vegetante.  Si  suole  fare 
anche  l'innesto  a  dimora  ed  allora  si  fa  in  testa  appena  è  possibile, 
pure  a  gemma  dormiente  o  vegetante. 

13.  Caratteri  vegetativi.  —  La  fioritura  di  questo  albero  avviene 
prima  della  fogliazione,  ma  ciascuna  varietà  ha  un'epoca  determinata 
pella  fioritura  che  in  Italia,  varia  dal  gennaio  al  marzo.  Le  piante 
franche  fioriscono  sempre  prima  ;  poi  seguono  le  varietà  precoci  ed 
ultime  le  varietà  di  tardiva  maturazione. 

Quando  i  petali  si  staccano  e  cadono  a  terra,  comincia  la  fogliazione. 

La  fioritura  del  mandorlo  è  sempre  abbondante  ed  anche  notevole 
è  la  fecondità.  I  fiori  si  trovano  sempre  sui  rami  prodottisi  nell'anno 
antecedente  e  resistono  ai  venti  e  ai  freddi,  più  di  qualsiasi  altra  pianta 
fruttifera  in  tali  condizioni.  Per  questa  loro  resistenza,  avviene  anche 
tardi  l'allegazione  del  frutto. 


—  tìló  — 

Gli  alberi  innestati  si  dispongono  a  dar  frutto  prima  dei  selvatici. 
Generalmente  il  mandorlo  comincia  a  Morire  a  4-5  anni  di  età. 

Il  mandorlo  è  mollo  longevo  (50-60  anni);  in  circostanze  ordinarie 
un  mandorlo  perisce  quando  i  muschi  ed  i  licheni  invadono  i  suoi 
rami  ;  quando  il  cancro  corrode  il  tronco. 

14.  Potatura.  —  Come  abbiamo  fatto  per  le  altre  piante  da  frutto, 
prima  di  parlare  della  potatura  distingueremo  le  diverse  sorta  di  rami 
che  si  trovano  sul  mandorlo. 

Abbiamo  come  per  tutte  le  piante  a  nocciolo  i  rami  a  legno  ordi- 
nario, i  rami  a  frullo,  i  rami  misti  ed  i  rami  a  mazzetto. 

/  rami  a  legno  ordinari  di  un  anno  hanno  la  corteccia  verdognola 
le  gemme  sono  accuminate,  semplici  alla  base,  talvolta  doppie  o  triple 
nella  parie  mediana  ed  all'estremità.  Possono  avere  anche  qualche 
gemma  a  lìore,  la  quale  però  diffìcilmente  fruttifica. 

Questi  rami  sono  numerosi  specialmente  nelle  piante  giovani.  Sono 
di  lunghezza  varia  (ino  a  30  cm.  e  nell'anno  successivo  alla  loro  forma- 
zione si  rivestono  di  rami  a  frutto.  Se  si  trovano  all'estremità  delle 
branche  servono  a  formare  l'impalcatura  e  quindi  vi  si  applicherà  il 
taglio  richiesto  per  la  formazione  della  chioma.  Se  invece  si  trovano 
lungo  le  branche  allora,  se  fitti,  si  diradano  così  che  fra  loro  vi  sia 
uno  spazio  di  circa  30  cm.  e  se  troppo  lunghi  (oltre  25  cm.)  si  accor- 
ciano della  metà  o  di  un  terzo  a  seconda  che  si  trovano  a  metà  altezza 
delle  branche  od  in  basso. 

Sarebbe  bene  fare  questa  potatura  in  verde  per  evitare  i  tagli  sec- 
chi che  sono  sempre  dannosi  alle  piante  a  nocciolo.  Ma  siccome  il 
mandorlo  viene  allevato  a  mezzo  o  pieno  vento,  questa  operazione 
diventa  difficile  durante  la  vegetazione  epperciò  la  si  fa  appena  sono 
cadute  le  foglie. 

Bisogna  evitare  che  i  succhioni  e  le  vermene  si  ingrossino  perciò 
bisognerebbe  scacchiarli  appena  cominciano  a  germogliare.  Tuttavia 
alla  caduta  delle  foglie  bisogna  ripassare  ogni  albero  per  svettare  dalla 
base  quelli  rimasti,  ammenoché  non  occorra  lasciarne  qualcuno  per 
ringiovanire  la  pianta. 

I  rami  misti  nel  mandorlo  sono  molto  abbondanti  e  raggiungono 
fino  40  cm.  di  lunghezza.  Alla  base  non  portano  che  delle  gemme  a 
legno  semplici,  doppie  o  triple,  nel  mezzo  e  fino  alla  cima  hanno  per 
lo  più  due  gemme  a  frutto  consociate  ad  una  gemma  a  legno  o  vice- 
versa. La  gemma  terminale  è  sempre  tripla  e  cioè  fra  due  gemme  a 
frutto  si  trova  sempre  una  gemma  a  legno  la  quale  serve  a  produrre 
il  germoglio  di  prolungamento  del  ramo. 

Se  questi  rami  vengono  lasciati  a  se  stessi  si  allungano  sguernendosi 
alla  base.  Perciò  conviene  accorciare  anche  questi,  se  hanno  una  lun- 
ghezza superiore  a  25  cm.,  tagliandoli  sopra  delle  gemme  doppie  o 
triple,  fra  cui  si  trovi  una  gemma  a  legno.  In  tal  modo  si  provoca 
dalle  gemme  della  base  la  produzione  di  nuovi  rami  misti  che  sosti- 
tuiranno nell'anno  venturo  quello,  sul  quale  si  ha  operato. 


-  616  — 

I  rami  a  mazzetto  deL  mandorlo  sono  simili  a  quelli  del  pesco 
soltanto  sono  più  lunghi,  portano  fino  ad  8  gemme  a  frutto  ed  hanno 
nel  mezzo,  raramente  anche  alla  base,  una  gemma  a  legno.  Questi  sono 
i  rami  più  preziosi,  essi  sorgono  lungo  le  branche  di  due  a  quattro 
anni.  Bisogna  conservarli  poiché  danno  le  mandorle  più  grosse  e 
formano  delle  gemme  a  legno  che  portano  dei  prolungamenti  che 
continuano  a  dare  frutto  per  due  o  tre  anni.  Passato  questo  tempo 
disseccano  ed  allora  vengono  amputati  alla  base  colla  mondatura.  Si 
tagliano  sopra  qualche  rimessiticcio  che  eventualmente  si  può  trovare 
alla  base. 

Come  ho  già  detto,  molte  di  queste  operazioni  si  potrebbero  evi- 
tare se  si  potesse  applicare  la  potatura  verde  che  è  la  più  confacente. 

Difatti  il  diradamento  dei  rami  a  legno,  la  soppressione  dei  suc- 
chioni si  può  evitare,  facendo  a  tempo  una  graduale  scacchiatura 
quando  i  rami  sono  nel  primo  periodo  di  germogliazione.  Successiva- 
mente con  una  cimatura  fatta  a  25  centimetri,  si  evita  che  i  rami  a 
legno  e  quelli  misti  si  allunghino.  Infine  quando  si  vede  che  un  ramo 
a  mazzetto  comincia  ad  esaurirsi,  si  cura  che  dalla  sua  base  sorga  un 
germoglio  che  lo  sostituisca. 

II  mandorlo  soffre  molto  per  la  carie  e  per  la  gomma  e  quindi, 
come  bisogna  evitare  i  tagli  forti  in  secco;  cosi  bisogna  aver  cura  che 
i  tagli  vengano  fatti  con  ogni  diligenza,  coprendoli  con  mastice,  per 
affrettare  la  rimarginazione  delle  ferite. 

Oltre  questa  potatura  di  mantenimento  è  necessaria  naturalmente 
la  mondatura  dei  rami  secchi  e  fuori  posto;  cosi  alle  piante  che  accen- 
nano ad  esaurirsi  non  sempre  indarno,  è  consigliabile  la  capitozzatura 
applicando  anche,  sulle  nuove  gettate,  l' innesto ,  come  si  consiglia 
pel  pesco.  Naturalmente  perchè  (juesto  taglio  riesca  a  rinvigorire  la 
pianta,  non  conviene  aspettare  che  la  pianta  sia  completamente  esaurita. 
E  necessario  rinvigorire  la  vegetazione,  con  una  buona  concimazione 
ed  una  profonda  lavorazione  del  terreno  intorno  alla  pianta. 

15.  Forme.  —  Per  il  mandorlo,  le  forme  più  convenienti  sono  quelle 
a  mezzo  o  pieno  vento.  Per  la  prima  forma,  per  cui  al  fusto  si  lascia 
un'altezza  di  m.  1.20  ad  1.3U  viene  applicata  per  i  broli,  nei  contorni 
delle  vigne  e  nei  frutteti.  Per  l'aperta  campagna  si  adotta  il  pieno  vento, 
col  fusto  alto  da  m.  1.50  a  m.  1.80. 

Essendo  il  mandorlo  una  specie  vigorosa,  abbondante  di  succhi, 
acquista  da  sé  una  forma  simmetrica,  naturale,  e  facilmente  raddrizza 
anche  i  rami  che  per  un  accidente  vengono  storpiati.  È  per  questo 
che  il  potatore  può  essere  molto  parco  di  tagli  anche  per  il  periodo 
della  potatura  di  formazione.  Alcune  volte  si  ha  una  semplice  biforca- 
zione, altre  volte  si  ha  il  tronco  ripartito  in  tre  o  quattro  branche,  le 
quali  coi  loro  rami  secondari  e  terziari  danno  alla  fronda  una  forma 
tondeggiante,  rare  volte  svasata,  mai  piramidale. 

Il  coltivatore  abbia  cura  di  assecondare  le  forme  naturali  delle 
piante,  sopprima  sin  dal  loro  primo  sviluppo  i  rami  che  si  incrociano, 


-  617  - 

e  non  attenda  che  diventino  grossi,  per  non  fare  delle  ferite  che  riescono 
poi  di  nocumento  alla  pianta. 

Formata  l'impalcatura  in  quattro  o  cinque  anni  dopo  l'impianto  si 
lascia  la  pianta  a  se  stessa,  facendo  ogni  anno  quelle  operazioni  indi- 
cate nel  capitolo  precedente. 

16.  Impianto  e  cura  di  coltivazione.  —  Per  l'impianto  si  ricorra  ai 
soggetti  non  trapiantati  dal  semenzaio  ed  innestati  da  due  anni,  in 
modo  che  la  pianta  non  possa  avere  oltre  tre  anni  d'età. 

Nella  scelta  delle  piante  si  deve  essere  molto  rigorosi.  La  pianta 
anche  se  non  è  eccessivamente  vigorosa  deve  essere  assolutamente 
sana  il  che  si  conosce  dalla  corteccia  liscia,  di  colore  violaceo  con 
strisele  traversali  grigiastre  ;  dalle  radici  numerose  e  dal  fusto  diritto 
senza  cicatrici  o  ferite  minute,  senza  traccia  di  muffe. 

Siccome  il  mandorlo  è  facilmente  intaccato  dal  marciume  delle 
radici,  bisogna  accertarsi  che  il  vivajo  non  abbia  questa  infezione. 

Nello  strappare  le  piante  si  abbia  cura  di  lasciare  il  maggior  nu- 
mero possibile  di  radici  capillari  e  si  mondano  soltanto  con  taglio 
ben  netto. 

Anche  la  preparazione  del  terreno  deve  essere  accurata,  sia  per  la 
lavorazione  sia  per  allontanare  qualsiasi  traccia  di  radici  che  poi  pos- 
sono marcire. 

Il  terreno  si  prepara  in  estate  od  almeno  entro  l'ottobre,  poiché 
per  S.  Caterina  (come  dicono  i  francesi)  ogni  mandorlo  deve  essere 
già  piantato  (25  novembre). 

I  lavori  annuali  oltre  quelli  intorno  alla  pianta  e  di  cui  ne  ab- 
biamo già  parlato  nella  potatura,  sono  i  lavori  del  terreno  e  cioè  una 
buona  zappatura  in  autunno  ed  un'altra  in  primavera.  Bisogna  aver 
cura  poi  che  intorno  alla  pianta  per  un  metro  almeno  di  raggio,  non 
vi  siano  altre  piante,  specialmente  viti  e  cereali. 

17.  Concimazione.  —  Del  mandorlo,  mentre  si  hanno  analisi  dei 
frutti,  mancano  quelle  del  legno  e  delle  foglie,  perciò  non  si  possono 
fare  calcoli  che  ci  permettano  di  fissare  chimicamente  le  dosi  di 
concimazione. 

Indiscutibilmente  l'elemento  più  importante  è  la  potassa  a  cui  se- 
guono l'anidride  fosforica  e  l'azoto.  Io  ritengo  che  noi  ci  accosteremo 
al  vero  dando  per  ogni  metro  quadrato  e  per  anno 

gr.      2    di    azoto 

6     „      anidride  fosforica 
„     10     „      potassa 

Ammesso  che  ogni  pianta  occupi  m-.  30  di  superfìcie  bisognerà 
dare  per  pianta 

gr.    60  di  azoto  sotto  forma  di  nitrato   ....  Kg.  0.400 
gr.  180  di  anidride  fosforica  nei  terreni  calcari   sotto 

forma  di  perfosfato Kg.  1.200 

gr.  300  di  potassa  sotto  forma  di  cloruro  potassico       Kg.  0.600 


—  618  - 

Nei  terreni  non  calcari  si  sostituisca  il  perfosfato  con  Kg.  1.5U0  di 
scorie. 

Io  credo  ciie  al  mandorlo  convenga  il  nitrato  sodico  piuttosto  che 
il  solfato  aminonico,  avendo  esso  radici  profonde.  Le  esperienze  che 
ho  in  corso  dimostreranno  la  convenienza  della  suddetta  concimazione, 
intanto  posso  dire,  che 

a)  i  mandorli  concimati  si  rendono  oltre  che  più  vigorosi,  più 
resistenti  alle  gelate  e  danno  mandorle  più  grosse,  più  saporite  ed  in 
maggiore  quantità  ; 

b)  la  concimazione  di  mantenimento  si  può  fare  colle  ordinarie 
sostanze  indicate  per  l'impianto,  ma  bisogna  evitare  più  che  sia  possi- 
bile lo  stallatico  poco  decomposto,  si  adoperi  in  sua  vece  terriccio 
misto  a  cenere  in  ragione  per  metro  quadrato  di 

Kg.  3  di  terriccio 
Kg.  0.200  di  cenere. 

Questa  concimazione  può  essere  ripetuta  ogni  2-3  anni  ; 
e)  la   concimazione   chimica  deve  essere  fatta  presto  in   autunno 
prima  delle  pioggie  (ottobre-novembre)    spargendo  i  concimi    alla   su- 
perficie del  terreno  entro  un  raggio  di  3  metri  (per   le    piante   adulte) 
attorno  al  tronco  e  facendo  seguire  una  buona  zappatura  o  vangatura. 

Anche  se  non  si  può  fare  subito  la  zappatura  il  danno  è  lieve, 
poiché  la  rugiada  e  le  pioggie  si  incaricano  di  trattenere  i  concimi, 
evitando  la  dispersione.  Però  entro  15  giorni  è  opportuno  fare  il  lavoro. 

d)  non  si  dimentichi  che  qualsiasi  concimazione  favorisce  lo  svi- 
lujjpo  di  erbe  e  che  quindi,  nell'anno  della  concimazione,  bisogna  ripe- 
tere le  sarchiature  per  tenere  mondalo  il  terreno. 

18.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  La  raccolta  si  fa  al  prin- 
cipio dell'autunno,  quando  si  apre  il  pericarpio  e  cade  la  mandorla.  In 
Italia  ciò  avviene  nei  mesi  di  agosto  e  settembre.  Prolraendo  troppo 
la  raccolta,  il  guscio  perde  il  suo  colore  naturale  giallo  dorato,  apprez- 
zato tanto  in  commercio  ed  annerisce. 

Le  mandorle  più  grosse  cadono  generalmente  le  prime. 

La  raccolta  delle  mandorle  a  guscio  duro  si  fa  abbacchiando  con 
delle  canne.  Si  raccolgono  in  terra  e  insaccate  si  trasportano  alla  fat- 
toria dove  alla  sera  si  liberano  dell'involucro  feltroso  che  può  essere 
ancora  rimasto  aderente. 

Le  mandorle  così  liberate  dall'involucro  si  espongono  al  sole  per 
due  o  tre  giorni  per  liberarle  completamente  dal  mallo  e  perchè  pren- 
dano un  colore  biondo. 

Quando  la  mandorla  è  secca  sufficientemente,  cioè  quando  non 
aderisce  più  al  guscio,  si  ripone  in  un  locale  asciutto  o  si  venda  subito. 
Di  solito  si  vende  appena  fatta  la  raccolta. 

Le  mandorle  a  guscio  tenero  si  raccolgono  a  mano  e  liberate  deli- 
catamente dell'epicarpio  si  essicano  al  sole  come  le  alti-e. 

Prima  di  venderle,  le  mandorle  sogliono  venire  selezionate  per 
grandezza. 


10" 

al 

150 

16^» 

„ 

25» 

26» 

„ 

35° 

36« 

., 

650 

66" 

„ 

70° 

-  619  - 

Quando  non  c'è  convenienza  di  vendere  le  mandorle  inimediata- 
niente,  si  possono  conservare  un  anno  per  l'altro  in  locali  bene  asciulU 
e  ventilali,  come  sarebbero  i  granai. 

Si  conservano  o  in  cumuli  sul  pavimento  che  si  rivoltano  di  quando 
in  quando  oppure  in  una  specie  di  cestoni  cilindrici  fatti  di  canne 
o  di  tifa,  del  diametro  di  m.  1  e  dell'altezza  doppia.  Questi  cestoni 
hanno  un  portello  in  basso,  dal  quale  si  fa  lo  scarico  delle  mandorle 
quando  si  vuole  rivoltarle  o  spedirle. 

La  conservazione  però  è  sempre  pericolosa  poiché  anche  con  poca 
umidità,  il  guscio  perde  il  suo  colore  caratteristico  ed  i  semi  possono 
irrancidire. 

11  Prof.  V.  Flores,  nella  sua  opera  citata,  dà  i  seguenti  dati  sul  rac- 
colto del  mandorlo. 

11  mandorlo  comincia  a  dare  una  produzione  apprezzabile  verso 
il  10"  anno,  successivamente  dà 

dal     10"    al     15"    anno        litri     12-16 

„       20-25 

„       28-35 

„       15-20 

8-10 

Le  mandorle  se  raccolte  col  mallo,  perdono  colla  soleggiatura  12- 
15  7o  del  loro  peso;  se  senza  mallo,  3-3.50  "/(,•  La  perdita  di  sgusciatura 
è  del  2-3  Vo- 

100  litri  di  mandorle  in   guscio    danno  1.  19   di    semi    sgusciati 

100  Kg.  „  „  .,  32 

100  litri  „  „  pesano  Kg.  60 

100     „  „  „  danno  10-16  Kg.  di  mandorle 

100  Kg.  „  „  corrispondono    a    Kg.    1.36    di 

mandorle 
100     „  semi  netti  corrispondono  al  volume  di  120  litri 

100  litri  „  pesano  Kg.  73 

1      litro  „  ne  contiene  N.  612 

1         .,  „  pesa  Kg.  0.750 

1       Kg.  „  ne  contiene  N.  816 

Le  mandorle  dopo  sgusciate  perdono  per  essiccamento  e  per  la 
manipolazione  2-3  "/o  in  peso. 

Un  Kg,  di  mandorle  premici  contiene  da  400  a  600  mandorle.  Ciascuna 
mandorla  col  guscio  pesa  circa  da  gr.  1.600  a  gr.  2.300.  11  peso  del  gu- 
scio per  le  prime  è  di  gr.  0.580  e  per  le  seconde  di  gr.  0.920. 

Un  litro  di  mandorle  premici  col  guscio,  pesa  in  media  Kg,  0.645  e 
ne  contiene  in  media  N.  320. 

Secondo  il  Prof.  Bordiga,  nella  provincia  di  Bari  una  pianta  di  30 
anni  dà  30-38  litri  di  mandorle  col  guscio  per  discendere  a  soli  7  ad  8 
litri,  nel  60"  anno. 


-  620  - 

19.  Commercio  ed  usi.  —  I  coltivatori  di  solito  vendono  le  mandorle 
a  misura  ed  i  commercianti  a  peso. 

Le  mandorle  si  spediscono  in  ceste. 

II.  commercio  distingue  le  mandorle  in  più  categorie. 

Vende  in  gusci  le  mandorle  a  guscio  tenero  che  si  mangiano  come 
frutta  secche  mentre  quelle  a  guscio  duro  si  vendono  sgusciate,  divise 
anche  queste  in  tante  categorie  a  seconda  della  grandezza. 

Anche  le  mandorle  verdi  si  vendono  facilmente  per  dessert.  Spe- 
cialmente della  varietà  detta  S.  Caterina.  Colle  mandorle  verdi  si  fanno 
anche  canditi  o  si  conservano  nella  mostarda. 

Le  mandorle  dolci  sgusciate  si  adoperano  per  fare  siroppi,  lattate 
e  anche  per  l'estrazione  di  un  olio  da  toilette.  Le  lattate  sono  rinfrescanti, 
raddolcenti,  estinguono  la  sete,  moderano  le  febbri,  facilitano  le  escre- 
zioni. 

Il  pasticcere  le  ricerca  per  le  paste  secche,  per  le  confetture,  per 
i  mardorlati,  per  le  cassate  e  per  la  fabbricazione  del  cioccolato. 

Le  mandorle  amare  servono  a  fabbricare  l' olio  e  l'essenza  di 
mandorle  ed  il  profumiere  le  adopera  anche  per  fare  degli  unguenti  e 
delle  farine  emolienti  della  pelle. 

Il  legno  del  mandorlo  è  poco  impiegato  per  legname  d'opera, 
quantunque  abbia  delle  belle  venature  rosse.  È  duro,  pesante,  compatto  ; 
la  sua  densità  varia  da  0.933  a  1.141.  I  gusci  di  mandorli  servono  a 
colorire  le  acquaviti. 

L'olio  di  mandorle  dolci  ed  estratto  a  freddo  dopo  avere  levate 
anche  la  pellicola,  è  inodoro,  molto  fluido,  giallo  chiaro,  di  sapore 
aggradevole. 

Ha  la  densità  0.917  a  15"  e  non  si  intorbida  che  alla  temperatura 
di  20»  sotto  zero.  L'olio  estratto  dai  panelli  di  mandorle  amare,  svi- 
luppa un  odore  di  liore  di  pesco,  ciò  che  dimostra  dover  contenere 
dell'acido  prussico.  Bisogna  quindi  impiegarlo  con  precauzione. 

Le  mandorle  sottoposte  a  pressioni  a  freddo  danno  il  35-40  7o  del 
loro  peso  di  olio. 

20.  Composizione  chimica.  —  Le  mandorle ,  come  tutti  i  frutti 
ricchi  di  sostanze  oleose,  sono  indigeste  ;  quindi  bisogna  mangiarne 
con  parsimonia. 

Secondo  il  Ruley,  le  mandorle  dolci  avrebbero  la  seguente  compo- 
sizione centesimale: 

Acqua 39 

Pellicole 3.5-5 

Parte  fibrosa 4-5 

Albumina  (emulsina  e  amigdalina)     .        .  20-25 

Olio  grasso 40-60 

Zucchero 5-6 

Gomma 3-3.50 

Acidi  e  perdita  d'analisi       .        .        .         0.3-0.5 


—  621  — 

Secondo  Zedeler,  contengono  4.90  di  cenere  pura  nella  quale  avrebbe 
trovato  : 

Potassa 27.95 

Soda 0.2;? 

Calce 8.81 

Magnesia 17.6(5 

Ferro 0.55 

Anidride  fosforica 43.63 

solforica 0.37 

Perdita  e  sost.  indeterminate       .        .        .    0.80 

Le  mandorle  amare  contengono  un  glucoside,  Vamigdalina,  ed  un 
fermento  solubile,  emiibiiia  o  sinaptosi,  che  si  trova  anche  nelle  man- 
dorle dolci. 

Vamigdalina,  che  si  trova  nelle  mandorle  amare,  è  locatizzata  nel 
parenchima  dei  cotiledoni,  e  Vemulsina  o  sinaptosi  nella  parte  assile 
dell'embrione  e  nei  fasci  fìbro-legnosi,  dei  cotiledoni.  Secondo  il 
.lohannen  sarebbe  questa  la  ragione,  per  cui  Vemulsina  non  può  agire 
sopra  Vamigdalina  nel  periodo  di  sviluppo  della  mandorla,  uè  in  quello 
di  maturazione,  né  in  quello  di  conservazione  del  seme  allo  stato  secco. 
Ma  invece  se  si  rompono  i  tessuti,  spremendoli  a  conlatto  dell'acqua, 
la  emulsina  provoca  una  decomposizione  deWamigdalina  e  cosi  forma 
deWacido  cianidrico,  deìVessenza  di  mandorle  amare  e  del  glucosio. 

21.  Dati  economici.  —  E'  difficile  dare  una  media  sul  raccolto  del 
mandorlo  —  il  suo  prodotto  varia  come  anche  è  variabilissimo  il  prezzo. 

Riguardo  al  prodotto,  si  veda  quanto  é  scritto  nel  capitolo  18 
pag.  619  e  riguardo  al  prezzo  notiamo  che  le  mandorle  premici  si 
vendono  da  50  a  70  lire  al  quintale  ;  quelle  dolci  a  L.  20  circa  l'etto- 
litro che  corrisponde  a  L.  150  per  quintale  di  semi  netti.  Le  mandorle 
amare  si  pagano  circa  L.  160  al  quintale. 

Da  una  pianta  in  piena  produzione  si  può  calcolare  di  avere,  ogni 
5  anni,  un  prodotto  scarso,  tre  prodotti  medi  ed  uno  pieno. 

Il  prodotto  pieno  si  può  ritenere  ecjuivalente  a  litri  35  per  pianta; 
il  prodotto  medio  litri  20;  il  prodotto  scarso  a  litri  5  e  quindi  in  un 
mandorleto  consociato,  contenente  circa  200  piante  per  ettaro,  si  rica- 
vano nel  quinquennio  : 

nell'anno  di  scarsa  produzione  200  x  5  =  hi.  10 
nei  tre  anni  di  media  „  3x200x20=  „  110 
nell'anno  di  prodotto  pieno  200x35=    „      70 

Totale  hi.  200 

media  annuale  del  quinquennio  hi.  40  a  L   20  L.  800. 

Ogni  pianta  darebbe  in  media  un  prodotto  lordo  di  Q^^  L.  4.  La 
spesa  di  coltivazione  compreso  l'ammortamento  e  l'interesse  del  capi- 
tale impiegalo,  si  può  calcolare  circa  della  metà  e  jierciò  il  prodotto 
netto  si  riduce  a  L   2. 

22.  Malattie  e  cause  nemiche.  —  fV.  pag.  500). 


622 


PESCO 

(Amygdalus  Persica  Limi.  —  Fani.  Rosacee). 

Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Persico,  adottalo  specialmente  per 

il  pesco  noce. 
Nome  volgare  del  fruito  —  Pesca. 
Nonìi  volgari  stranieri  della  pianta   —    Francese:    Pecher   —   Tedesco: 

Pfirschbaum  —  Inglese:  Peach  Tree. 
Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  Francese:  Pòche  —  Tedesco:  Pfir- 

sche  —  Inglese:  Peach. 

1.  Origine.  —  Il  pesco  sembra  provenire  dal  centro  della  China 
anziché  dalla  Persia,  come  da  molti  è  stato  ritenuto  fino  ad  ora,  tanto  è 
vero  che  in  quest'ultimo  paese  non  si  trovano  peschi  selvatici.  In  China 
il  pesco  è  un  albero  venerato;  è  l'albero  del  bene  e  del  male;  è  molto 
coltivato,  ma  i  suoi  frutti  sono  mediocri.  Pare  che  sotto  il  regno  del- 
l'Imperatore Claudio  i  Romani  ricevessero  il  pesco  dalla  Persia,  ma 
la  sua  attuale  diffusione  in  Italia  è  dovuta  ai  Crociati,  che  l'importa- 
rono in  gran  copia  dall'Oriente. 

Nelle  Gallie  pare  che  il  pesco  sia  stato  introdotto  molto  prima  che 
in  Italia  e  gli  autori  francesi  ne  attribuiscono  l'introduzione  ai  Fenici. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  .Albero  di  terza  grandezza 
(3-5  m.)  con  cima  conica  poi  ovale  o  appiattita.  Non  è  molto  longevo, 
dura  da  20  a  50  anni,  radice  (ìttonosa,  grossa;  fusto  mai  troppo  grosso 
con  una  scorza  che  si  stacca  a  grosse  lamine,  di  colore  cenerino,  quasi 
liscia.  Rami  radi  e  divaricati,  perciò  la  fronda  fa  poco  danno  colla  sua 
ombra  alle  piante  sottostanti.  Rami  dell'annata  dapprima  verdi,  con 
corteccia  liscia,  lucente,  e  poi  si  tingono  in  rosso  bruno  o  vinosi  dalla 
parte  soleggiata. 

Quanto  più  vecchio  è  un  albero  e  quanto  meno  vigoroso,  tanto 
più  brevi  sono  i  meritalli  dei  rami.  Foglie  sparse,  piuttosto  strette, 
lanceolate,  alterne,  seghettate,  a  piccoli  denti  acuti;  lamina  liscia  un 
po'  ondulata,  di  color  verde  chiaro  e  fino  al  chiaro.  Spesso  alla  base 
del  lembo  portano  delle  glandole  reniformi  o  globose,  in  numero  di 
2  a  4,  più  o  meno  vicine  le  une  alle  altre,  e  di  cui  non  si  conosce 
ancora  l'ufficio.  I  pomologi  si  servono  di  queste  ghiandole  per  carat- 
terizzare le  varietà.  Il  picciolo  è  sempre  più  corto  della  lunghezza  della 
lamina.  Foglie  isolate  o  unite  per  due  o  tre,  In  questo  ultimo  caso, 
quella  di  mezzo  è  più  sviluppata  delle  altre  due. 

Come  in  tutte  le  piante  a  nocciolo,  ogni  gemma  da  frutto  non  dà 
che  un  fiore,  è  ascellare,  completo,  ermafrodito.  Compare  prima  della 
fogliazione. 

Si  fanno  due  categorie  di  fiori:  grandi  e  piccoli,  e  di  questa  dis- 
tinzione se  ne  vale  il  pomologo,  per  distinguere  alcune  varietà.  Le 
varietà  a  fiori  grandi  sono  per  lo  più  precoci. 


-  G23  - 

Il  calice  è  gamo-sepalo,  caduco,  di  colore  più  o  meno  carico;  la 
corolla  è  rosa  o  porporina  o  talvolta  bianca;  è  composta  di  5  petali, 
alterni,  colle  dentature  dei  sepali.  Gli  stami  sono  da  25  a  30,  in- 
seriti neir  orlo  del  ricettacolo  che  presenta  la  forma  di  una  coppa 
poco  profonda.  Il  carpello  è  unico  e  sorge  dal  fondo  di  questa 
coppa  di  cui  l'ovario  alla  maturità  diventa  una  drupa  supera,  mo- 
nosperma. 

Il  frullo  è  sensibilmente  sferico,  con  un  solco  longitudinale  più  o 
meno  marcato  ;  buccia  glabra  o  pubescente  di  colore  verde  o  gialla 
con  sfumature  Carmine  o  porporine  specialmente  dalla  parte  del  sole 
più  o  meno  marcate  a  seconda  del  clima,  terreno  e  modo  di  coltiva- 
zione. Polpa  succolenta,  bianca  gialla  o  rossatra  specialmente  vicino 
al  nocciolo  in  alcune  varietà,  licca  di  zucchero  e  profumala.  E'  ade- 
rente al  nocciolo  o  no. 

Il  nocciolo  è  allungato,  depresso,  acuminato  ad  una  delle  estremità 
con  un  guscio  molto  duro  e  con  solchi  sinuosi,  talvolta  molto  nìarcati. 
La  mandorla  è  sprovvista  di  albume  e  contiene  i  due  cotiledoni  e 
l'embrione. 

3.  Varietà.  —  Oltre  duecento  sono  le  varietà  di  pesche  descritte 
ed  elencate  in  Europa  ed  altrettante  sono  quelle  dell'America.  Questo 
è  avvenuto  non  soltanto  per  la  mania  dei  vivaisti  di  elencare  delle 
nuove  varietà,  ma  anche  per  la  facilità  di  riscontrare  delle  variazioni 
fra  pianta  e  pianta  come  avviene  per  tutte  le  specie  che  si  propagano 
facilmente  per  seme. 

Anche  qui  giova  però  ricordare,  che  nella  riuscita  di  una  varietà, 
ha  molta  influenza  il  terreno,  il  clima  e  l'esposizione.  Queste  condi- 
zioni naturali  possono  rendere  pregevolissima  una  varietà  in  un  dato 
sito  e  di  poca  riuscita  in  un  altro.  Scelta  poi  la  varietà  bisogna  assi- 
curarsi che  essa  sia  inchiesta  anche  dal  mercato. 

Le  dilferenti  varietà  di  peschi,  si  possono  distinguere  per  le  foglie, 
per  le  gemme,  per  i  frutti  e  molte  volte  anche  dall'aspetto  dell'estre- 
mità dei  rami.  Sulla  presenza  o  meno  di  ghiandole  alla  base  delle 
foglie,  sulla  loro  forma  rotondata  o  reniforme  e  cosi  via,  si  può  anche 
basare  una  classificazione.  Così  dal  colore  complessivo  del  fogliame, 
se  apparisce  bianco  o  giallognolo  o  rossastro,  un  bravo  frutticoitore 
discerne  se  un  pesco  dà  frutti  bianchi,  gialli  o  rossi. 

Una  classificazione  si  potrebbe  basare  anche  sui  fiori,  i  quali,  in 
alcune  varietà  sono  grandi,  rossi  al  centro  e  sbiaditi  ai  margini  dei 
petali-,  in  altre  sono  piccoli,  color  cremisi  e  cosi  via.  Infine  il  compor- 
lamento  dell'albero  può  darci  un  indirizzo  di  classificazione.  In  alcune 
varietà  i  rami  si  distendono  orizzontalmente,  in  altre  verticalmente  o 
in  senso  obliquo.  I  primi  danno  la  fronda  rotonda,  i  secondi  terminano 
in  punta  come  i  ciliegi,  i  terzi  si  aprono  come  un  ventaglio. 

Per  la  somma  facilità  con  cui  si  ottengono  delle  varietà  di  pesche, 
avviene  che  una  data  varietà  stimata  da  un  frutticoitore  in  un'  epoca 
viene  poi  bandita  e  sostituita  da  un'  altra  dopo  brevissimo  tempo. 


—  624  — 
La  classificazione  delle  pesche  più  usata  è  la  seguente: 


Pesche 


vellutata        (  Glasse     I.  Spiccagnole 
(Pesche  vere)   r        „        II.  Duracine 


con   buccia  \  jj^^j^  jjj    Spiccagnole  (Nettarine) 

'  (Pesche   noci)  (        .,       IV.  Duracine  (Brugnons) 

Alla  Classe  I  e  cioè  alle  pesche  vere  con  buccia  vellutata  spiccac/nole 
appartengono  tutte  le  migliori  varietà  coltivate  a  spalliera  in  Francia 
e  da  noi,  e  che  si  distingono  per  la  loro  finezza,  freschezza  e  soavità 
del  profumo.  Si  fanno  poi  delle  sottoclassi,  a  seconda  del  colore 
della  polpa  bianca,  gialla  o  rossa.  Quelle  a  polpa  bianca  sono  le  più 
ricercate. 

Le  pesche  vere  a  buccia  vellutata  duracine,  esigono  climi  caldi.  La 
polpa  è  consistente  e  fibrosa,  molto  dolce  e  profumata.  Questa  classe 
comprende  le  cosi  dette  Pavie  dei  Francesi  e  molte  varietà  bianche  e 
gialle  coltivata  in  Italia  a  pieno  vento  e  che  si  riproducono  per  seme. 
I  frutti  sono  talvolta  enormi,  per  lo  più  tardivi  e  le  piante  non  si 
prestano  per  la  spalliera. 

Le  pesche  noci  si  adattano  anche  a  pieno  e  mezzo  vento  ed  anzi 
in  via  generale  sono  meno  esigenti  pel  clima  delle  pesche  vere.  Richie- 
dono un  terreno  fresco  e  sono  di  produzione  costante.  Si  chiamano, 
in  Inghilterra,  Nectarines  le  spiccagnole  e  Brugnons  le  duracine. 

In  Italia  sono  chiamate  pesche  noci  per  la  somiglianza  che  hanno, 
quando  sono  ancora  verdi,  al  mallo  verde  della  noce. 

La  polpa  delle  pesche  noci  è  liquescente,  vinosa,  di  sapore  mai'cato, 
che  la  fa  stimare.  Il  frutto  è  generalmente  più  piccolo  delle  vere  pesche. 
Più  piccole  ancora  sono  le  pesche  noci  duracine  la  cui  polpa  è  però 
più  rada,  fibrosa,  zuccherina  e  moscata. 

Tutte  le  pesche  noci  hanno  il  vantaggio  di  potersi  conservare  nel 
fruttaio  per  qualche  giorno  e  sono  più  atte  al  trasporto. 

Rispetto  alla  maturazione,  si  distinguono  5  periodi  : 

Precoci         —   prima   del   mese    di    luglio 

I.  periodo    —    mese   di   luglio 

II.  „  —       „        „     agosto 

III.  „         —       .,        „     settembre 
Tardive         —       „        ,,     ottobre 

Uno  schema  di  classificazione  pratico  per  le  singole  varietà  è  indi- 
cato nella  Tab.  XLIX  e  nella  Tab.  L  sono  indicate  le  principali  qualità 
colturali  delle  varietà  di  primo  merito.  ^ 


-  tì2i 


Tab.  xi.ix.  Schema  di   classificazione 

delle  varietà  di  pesche  di  primo  merito  consigliate  (Tamaro). 


Caratteri 

Polpa 

Ghian- 
dole alle 
foglie 

Colore  della 

l'i 

Nome  delle  varietà 

della  classe 

buccfa 

raccomandate 

\ 
senza 

ì 

rosso  porpora 
verdognole  mar- 
morizz.  di  rosso 

li 
11 

1.  Maddalena  rossa 

2.  di  Malta 

rubino 

tardiva 

3.  Uallet 

l 

rosso  scura 

j)recoce 

4.  Amsden 

1 
1 

porpora 

I 

5.  Mignonne  e  becco 

carico 

1 

6.  Precoce  di  Hale 

„       violacea 

II 

7.  Galande 

bianca 

globu- 

'  bianca 

II 

8.  Burrona  bianca 

1 

lose       ^ 
i 

carmino 

rosso  porpora 

11 
11 

9.  Mignonne   grande 

precoce. 
10.  Mignonne  grande 
ordinaria 

1 

[ 

„       violacea 

III 

11.  Bella  Bausse 

spicca- 
gnole 

leggermente  ar- 

I 

12.  Precoce  di  Rivers 

1 

] 

renifor-  1 
mi          ' 

rossata 

i 

rosso  sanguigna 

I 

13.        „          Beatrice 

\                  ì 

giallo  biancastra 

III 

14.  Regina  dei  frutteti 

2 

I 

senza 

rossa 

III 

15.  Damaschina    bur- 

9 

rona 

gialla 

renifor- 
mi 

giallo  carico 

tardiva 

16.  Salwey 

f 

bianca 

bianca    ondeg- 

III 

17.  Biancona  di  Ve- 

„ 

giata  di  rosso 

rona 

duracine 

gialla 

gialla  sfumata 
di  rosso 

II 

18.  Giallona  di   Ve- 
rona 

N 

rosso  violaceo 

III 

19.  Damaschina  du- 
rona 

,   spicca- 
\    gnole 

bianca 

_ 

violetto 

II 

20.  Pesca  noce  violetta 

f.^ 

gialla 

- 

gialla 

II 

21.  Vaga  Loggia  Spic- 
cagnola 

B 

]  duracine 

gialla 

_ 

gialla  con  sfuma- 

II 

22.  Vaga  Loggia  Dura- 

ture rosse 

cina 

Frane.  :  Amsden 


Amsden  (fig.  481). 

Ted.  :  Anisden's  lunipfirsich 


Ingl.  :  Arasden's  lune. 


Origine:  E'  stato  ottenuto  da  seme  nel  1872  dal  sig.  Amsden  a  Carthago  nel  Missouri. 

Maturazione:  dal  22  al  29  giugno. 

Qualità  :  prima  da  mercato. 

Clima:  qualunque  anche  rigido  ;  terreno  fertile. 

Località  ed  esposizione:  indifferente,  ma  di  maggiore  precocità  in  l)uon  terreno. 

Forme  più  adatte:  vaso  e  spalliera. 

Fertilità  :  straordinaria. 

Sistema  di  collioazione:  qualsiasi. 

Descrizione  della  pianta:  rami  lunghi  sottili  e  radi:  anelli  legnosi  bruni.  Foglie  me- 
die, verdi  chiare,  con  punta  allungata.  La  nervatura  mediana  ha  una  leggera  sfumatura 
rossa  sulla  pagina  inferiore,  fiori  grandi,  rosa  chiari.  Ghiandole  abbastanza  grosse  una 
o  due  per  lato. 

Descrizione  del  frutto:   diametro  trasversale  58  mm.   ed   alto   .')2   mm.,   rotondo   con 
solco  marcato:  l'estremità  appena  marcata  e  la  base  profonda  e  stretta. 
40  —  Tamaiìo  -  Frutticoltura. 


Tab 

L. 

Quadro    sinottico    indicante 

1 

le   princip 

zi 

3  ^ 

NOME 

Maturazione 

Qualità 

Fertilità 

Vigoria 

SJ. 

I.  —  Pesche  vere 

spiccagnole  gialle. 

1 

Amsden  (fig.  481) 

precoce   giugno- 
luglio 

))rimada  mer-1 
calo 

straordinaria 

media 

2 

Mignonne  a  becco 

20  luglio  al  5  agosto 

seconda 

costante,  buona 

notevole 

3 

Precoce  di  Halefìg.  491 

15  luglio 

id. 

molta 

moderata 

4 

„    di  Rives  fig.  492 

1-15  luglio 

id. 

media 

moltissima 

5 

,    Beatrice  fig.  489 

id. 

prima 

notevole 

notevole 

6 

Maddalena    rossa   (fi- 
gura 488) 

15-30  agosto 

id. 

id. 

id. 

7 

Di  Malta 

25  agosto  al  30  sett. 

id. 

media 

id. 

8 

Galande 

id. 

id. 

id. 

media 

9 

Burrona  bianca  fig  483 

agosto 

id. 

id. 

notevole 

10 

Mignonne    grande 
precoce 

1-15  agosto 

id. 

moltissima 

sufficente 

11 

Mignonne    grande 
ordinaria 

15-30  agosto 

da  commercio 

notevole 

id. 

12 

Bella  Bausse 

1-8  settembre 

prima 

id. 

notevole 

13 

Regina  dei  fruiteti 

id. 

id. 

id. 

id. 

14 

Baltet 

//.  -  Pesche  vere 

1-15  ottobre 

spiccagnole  gialle. 

ìd. 

id. 

id. 

15 

Damaschina  burrona 

(fig.  485) 

settembre 

prima 

notevole 

notevole 

16 

Salwey 

///.  —  Pesche  ver 

15-30  ottobre 
e  duracine  bianche. 

id. 

media 

id 

17 

Biancona  di  Verona 
(fig.  482) 

IV.  —  Pesche  ver 

settembre-ottobre 
3  duracine  gialle. 

1             id 

id. 

id. 

18 

Giallona   di    Verona 

(fig.  486) 

agosto 

id. 

notevole 

id. 

19 

Damaschina  duraci- 
na (fig.  484) 

V.  —  Pesche  noci 

settembre 
spiccagnole  bianch 

seconda  da  ta- 
vola e  prima 
da  comm. 

3. 

id. 

id. 

20 

Pesca    noce   violetta 
Ifig.  490) 

VI.  —  Pesche  noe 

agosto 
i  spiccagnole  gialle. 

prima  da  or- 
namento 

straordinaria 

.. 

21 

Vaga    Loggia    spic- 
cagnola (fig.  494) 

VII.  —  Pesche  no 

15  agosto 
3i  duracine  gialle. 

prima  da  ta- 
vola 

media 

id. 

22 

Vaga  Loggia   dura- 
cina (fig.  493) 

15  agosto 

prima 

molta 

.a. 

jprietà  colturali  di  pesche  consigliate  (Tamaro). 


Terreno        \       Località       1  Forme  più  adatte 


Soggetti      j  Sistema 

da   innesto  !     di  coltivazione 


fertile 

buono 
mediocre 

buono 

id. 

id. 
indifferente 

id. 


fertile 
id. 


indifferente      j  vaso  e  spalliera    j  franco 
id.  id. 


qualsiasi 


I  campi  e  frutteti 
I     casalinghi 
id.  qualunque    |  campi 

vaso  !  —  I  frutteti  casalinghi 

spalliera  I  ~  i  id. 

spalliera  e  vaso        qualunque       frutteti  casalinghi 
e  di  speculazione 
j  spalliera  —  frutteti  di  specul. 

indifferente         spalliera  e  vaso    j   mandorlo  id. 

if'-  i  a  vaso  franco  campestre 


buona 


;  buona 
!  media 


ripar.  ed  a  lev. 


a  S  od  E 


inedia 

a  S 
a  S 


a  vaso  e  spalliera  |  id.  j  frutt.  indus.  e  cas. 

id.  !  indifferente     frutteti  industr. 

id.  I  -  I 


a  vaso 
spalliera 


I  id. 

indifferente  j  id. 

id.  frutteti  casalinghi 


I  buona  e  ripa-l  vaso    e    pieno       I  franco  e        I  campi 
rata  vento  mandorlo 

buona  |  spalliera  j  id.  |  frutteti  di  specul. 


id. 


id.  I  id.  riparata 

differente      !  indifferente      I   indifferente 


vento 

id. 

1  campi 

id. 

id. 

id 

id. 

id. 

i                id 

id.  vaso  e  spalliera  id.  j  frutteti  casalinghi 


buonissimo         riparata 


qualunque 


628 


Buccia  completamente  staccabile,  leggermente  tomentosa,  bianca   verdastra,   rico- 
perta   da    una    sfumatura    rosso-scura    dalla    parte    del    sole. 

Polpa  bianca,  leggermente  arrossata  sotto  alla  buccia,  molto  succosa  e  poco  fibrosa, 
ben  zuccherina,  che  si  stacca  completamente  dal  nocciolo  a  perfetta  maturazione. 

Osservazioni:  Varietà  prege- 
volissima per  spalliera  e  pieno 
vento  e  per  ottenere  delle  frut- 
ta precoci.  Straordinariamente 
produttiva ,  quantunque  non 
tanto  vigorosa.  Per  la  coltiva- 
zione a  spalliera  si  innesti  sul 
franco;  pel  pieno  e  mezzo  vento 
meglio  sul  mandorlo,  special- 
mente nei  terreni  e  climi  caldi. 
Questa  pesca  è  molto  ricer- 
cata sui  mercati  e  deve  essere 
coltivata  in  ogni  frutteto. 

Baltet. 

Origine  :  è  stata  ottenuta 
questa  varietà  una  trentina  di 
anni  fa  dal  sig.  Baltet. 

Maturazione  :  prima  quin- 
dicina di  ottobre. 

Qualità  :  è  la  più  saporita 
delle  pesche  tardive.  Qualità 
primissima. 

Clima  :  Temperato. 

l'orme  più  adatte:  spalliera 

Fertilità  :  notevole. 

Sistema  di  coltivazione:  frut- 
teti casalinghi. 

Descrizione  della  pianta  :  al- 
bero fertile  e  vigoroso,  abba- 
stanza ramificato.  Foglie  senza 
ghiandole,  dentatura  fine.  Fiori 
medi,  a  campana,  di  color  rosso 
vivo. 

Descrizione  del  frutto:  pesca 
grossissima,   ovoidale    gonfiata, 
mammellonata;  di  color  rubino 
dalla   parte   del   sole   sopra  un 
fondo  pallido. 
Polpa  bianco  giallastra   leggermente  tinta  vicino  al  nocciolo;  fine,  liquescente,  suc- 
cosa, dolce  vinosa,  profumata.  Eccellente.  Nocciolo  medio,  allungato  con  lungo  mucrone 
Osservazioni:  .Si  innesti  sul  franco.  E"  una  delle  migliori  pesche  tardive. 


Fig.  481.  —  Amsden  (grandezza  naturale). 


Sella  Bausse. 

Frane:  Belle  Bausse  —  Ted. :  .Schòne  von  Baus 


Origine:  Montreuil  presso  Parigi. 

Maturazione:  nella  prima  settimana  di  ottobre. 

Qualità:  prima. 

Clima:  moderato. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento  e  spalliera. 


—  629  - 

Fertililà:  notevole. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  legno  forte:  rami  abbastanza  numerosi  ed  eretti,  di  gros- 
sezza media,  verdi  aironil)ra,  arrossati  in  carmino  dalla  parte  del  sole.  Lenticelle  rade 
e  piccole.  Gemme  quasi  sempre  accompagnate  da  gemme  a  tìore.  Foglie  poco  numerose, 
grandi,  acuminate,  poco  profondamente  dentate.  Picciolo  grosso  e  lungo.  Ghiandole 
globose.  Fiori  grandi  rosso  scuri. 

Descrizione  del  frutto:  grossezza  al  disotto  della  media,  globoso  appiattito  all'estre- 
mità; cavità  al  peduncolo  larga  e  profonda. 

Buccia  sottile,  che  si  stacca  con  facilità,  con  tomento  abbondante,  a  fondo  bianco 
verdastro  giallognolo,  rosso  violastro  dalla  parte  del  sole. 

Polpa  bianco-verdastra,  un  poco  grossa  sotto  alla  buccia,  finissima,  liquescente,  molto 
succosa,  dolce  acidula,  iirofumata. 

Nocciolo  medio,  non  aderente,  ovoidale. 

Osservazioni:  pianta  di  mollo  vigore,  che  si  presta  per  ottenere  bei  pieni  venti.  Si 
innesta  sul  pesco,  sul  susino,  sul  prugno,  sul  mandorlo.  E'  una  varietà  affine  alla  grande 
Mignona.  Il  frutto  però  maturando,  si  fenile,  specialmente  nei  terreni  umidi.  E'  molto 
coltivata  a  Montreuil. 


Biancona  di  Verona  (Mg,  482). 

Frane:  Pavie  blanc  gross. 

Origine:  Italia. 

Maturazione:  è  una  varietà  che  viene  moltiplicata  per  seme,  perciò  l'epoca  di 
maturazione  varia  fra  luogo  e  luogo,  ma  si  può  ritenere  in  media  fra  settembre  ed 
ottobre. 

Qualità:  prima. 

Clima:  caldo  e  terreno  fertile. 

Località  ed  esposizione:  buona. 

Forme  più  adatte:  pieno  e  mezzo  vento. 

Fertilità:  media. 

Sistema  di  coltivazione:  coltivazione  campestre. 

Descrizione  della  pianta:  l'albero  è  vigoroso,  ingrossa  assai,  dura  niolto.  I  suoi  liori 
sono  piccoli,  quasi  apetali,  e  coloriti  di  un  rosso  chiarissimo  ;  spuntano  in  abbondanza 
sulle  piante  giovani  ed  allegano  con  facilità,  ma  nascono  rari  nelle  piante  vecchie  e  la 
loro  allegazione  su  queste  è  meno  sicura. 

Descrizione  del  frutto:  il  frutto  è  uno  dei  più  grossi;  la  buccia  è  bianca,  qualche 
volta  sfumata  di  rosso  dal  Iato  battuto  dal  sole,  coperta  da  una  lanuggine  leggera  e 
linissitiia,  non  difficile  a  slaccarsi  dalla  polpa,  e  che  bisogna  levare  per  non  guastare  la 
squisitezza  del  sapore.  La  polpa  è  duracina,  aderente  al  nocciolo,  ma  il  tessuto  non  è 
carnoso  e  compatto  come  nelle  altre  duracine:  è  molle,  gentile,  pieno  di  sugo,  sicché 
quando  si  mangia  non  si  distingue  dalla  polpa  delle  spiccagnole:  ha  un  poco  meno  di 
morbidezza,  compensata  però  da  una  abbondanza  di  sugo,  che  la  rende  liquescente.  11 
colore  della  polpa  è  bianco,  ad  eccezione  di  una  zona  presso  il  nocciolo,  ove  è  ondulata 
di  rosso  ed  il  suo  gusto  non  è  tanto  zuccherino  delle  gialle  ma  molto  gradevole  e  leg- 
germente acidulo. 

Osservazioni:  la  Biancona  di  Verona  è,  si  può  dire,  la  regina  delle  pesche  duracine 
Affine  a  questa  ci  sono,  nelle  varie  località  e  nei  vari  paesi,  una  quantità  di  pesche 
duracine,  più  o  meno  precoci  e  tardive.  Ho  descritto  questa  varietà,  perchè  essendo 
essa  una  produzione  essenzialmente  italiana  ha  una  straordinaria  importanza  per  la 
coltivazione  a  pieno  vento  nell'aperta  campagna,  riproducendosi  bene  anche  per  seme. 
E'  molto  diffusa  nell'Alta  Italia,  specialmente  nell'Istria  e  nel  Veneto. 

La  descrizione  di  cui  sopra  è  presa  dall'opera  di  Gallesio. 


—  630  — 


Fig.  482.  —  Biancona  di  Verona  (-/j). 


Fig.  483.  —  Burrona  bianca  (V.j  grandezza! 


()31  — 


Burrona  bianca  (lìg.  -iH'A). 

Sinoniini:  Pesca  spiccagnola  bianca  agostenga. 

Origine:  Italia. 

Maturazione  :  agosto. 

Qujiità  :  prima. 

Clima  e  terreno:  caldo. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento. 

Fertilità:  media. 

Sistema  di  collimazione  :  coltivazione  campestre. 

Descrizione  della  piar.ta:  pianta  molto  vigorosa,  che  ha  bisogno  di  frequenti  dirada- 
menti   Il  suo  fiore  è  brevipetalo. 

Descrizione  del  fratto:  variabilissimo  di  grandezza,  per  lo  più  medio;  buccia  bianca 
velata,  nella  parte  che  guarda  il  sole,  con  qualche  macchia  rosso  paonazzo  che  la  distingue 
dalle  specie  gialle,  nelle  quali  il  rosso  è  piìi  roseo,  e  spicca  assai  meno.  La  polpa  è 
bianca,  gentile,  di  pasta  finissima,  punto  aderente  al  nocciolo:  in  bocca  la  polpa  si 
scioglie  in  un  sugo  abbondante  e  un  poco  acidulo. 

Ossemazioni:  La  varietà  descritta  rappresenta  uno  dei  migliori  tipi  di  pesche  spic- 
cagnole bianche  italiane  che  possediamo.  Ha  il  pregio  anche  nella  precocità,  quantunque 
ora  abbiamo  delle  varietà  forestiere  più  precoci.  Essendo  sempre  slata  moltiplicata  per 
seme,  ogni  regione  ne  ha,  si  può  dire,  una  propria  varietà  affine  a  questa,  e  che  cor- 
risponde ai  suddetti  caratteri. 

La  descrizione  della  pianta  e  del  frutto  l'ho  tratta  dal  (iallesio. 


Damaschina  duracina  ((ìg.  JS]). 

Sinomini:  Duracina  gialla  serotina  a  buccia  paonazza  o  Uamaschina  durona, 
Pesche  da  vigna,  Pòches  de  vigne. 

Origine:  Italia. 

Maturazione:  principio  di  settembre. 

Qualità:  da  tavola  e  prima  da  commercio. 

Clima  e  terreno:  indifferente,  piuttosto  clima  caldo. 

Località  ed  esposizione:  indifferente. 

l'orme  più  adatte:  pieno  o  mezzo  vento 

Fertilità  :  notevole. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre. 

Descrizione  della  pianta:  le  damaschine  sono  le  pesche  del  mese  di  settembre:  e 
tengono  uno  dei  primi  posti  fra  le  pesche  dei  paesi  meridionali.  Ve  ne  sono  parecchie 
varietà  duracine  e  alcune  spiccagnole. 

Descrizione  del  frutto:  la  caratteristica  delle  damaschine  è  di  avere  una  sutura  che 
taglia  dal  picciolo  alla  punta,  presentando  come  due  labbri,  uno  dei  quali  è  più  rile- 
vato dell'altro,  in  modo  che  sembra  una  costa  che  principia  alla  base  del  frutto  e  finisce 
alla  cima  ove  si  prolunga  un  poco,  ritorcendosi  in  punta  come  un  becco.  La  buccia  è 
gialla,  dalla  parte  del  sole  di  color  rosso  violaceo,  denso,  che  dà  nello  scuro,  e  nella 
parte  chiara  di  un  rosso  a  fiocchetti,  che  somiglia  a  tante  pennellate.  I,a  polpa  è  car- 
nosa, giallo  carico,  che  si  tinge  di  rosso  presso  al  nocciolo:  non  ha  la  liquescenza  delle 
pesche  cotogne  ma  e  dolce,  senza  acido  e  non  manca  di  sugo. 

Osservazioni:  le  damaschine  sono  le  pesche  più  spontanee  che  si  conoscono.  Nel 
mezzogiorno  d'Italia  non  si  innestano  e  cosi  nella  Liguria,  dove  si  trovano  nelle  vigne. 
1-;  la  i)esca  che  piìi  si  adatta  ai  terreni  di  montagna:  viene  bene  anche  nelle  valli,  vicino 
o  lontano  del  mare. 

Damaschina  burrona  (lìg.  4cSr)). 

Sinomini:  Pesca  spiccagnola  gialla  serotina  a  buccia  paonazza,  Marasina  a  Genova, 
Moscadella  serotina  in  Toscana.  In  Provenza:  Pavie  rouge  d'automne  ed  a  Valenza:  Priscos 
de  autunno. 


632 


Fig.  484.  —  Damaschina  duracina  (^  j). 


Fig.  485.  —  Daniascliina  burrona  (Vj). 


—  633  — 

Origine:  italiana. 

Maturazione:  settembre. 

Qualità:  prima. 

Clima:  caldo. 

Località  ed  esposizione:  buona  e  riparata. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento. 

Fertilità  :  notevole. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre 

Descrizione  della  pianta:  anche  questa  pianta  come  la  sua  omonima  duracina,  è 
propria  dei  paesi  meridionali,  dove  viene  moltiplicata  per  seme  e  coltivata  tramezzo 
ai  vigneti.  Viene  estesa  la  sua  coltivazione,  perchè  sopporta  i  trasporti.  E"  molto  fertile 
e  vigorosa. 

Descrizione  dei  frutti:  se  ne  trovano  di  varia  grandezza,  ma  per  lo  più  sono  grandi, 
dolci,  carnose,  che  si  coloriscono  di  un  rosso  vivo  carico. 

Osservazioni:  La  descrizione  è  presa  dal  Gallesio. 


Galande. 

Frane:  Galande  —  Ted  :  lìaland-Pfirsich  —  Ingl.:  IJreuKord  Mignonne. 

Origine:  Normandia. 

Maturazione:  dalla  fine  di  agosto  ai  primi  di  settembre. 

Qualità  :  prima. 

Clima:  temperato. 

Forme  più  adatte  :  spalliera. 

Fertilità:  media. 

Sistema  di  coltiintzione:  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  rami  un  po'  deboli  ma  numerosi,  di  vigore  medio,  con 
poche  foglie  alla  base,  rosso  scurì  dalla  parte  del  sole.  Gemme  divaricate,  ovoidali, 
acute:  foglie  numerose,  grandi,  con  dentature  fine  e  con  piccole  ghiandole  globose. 
Fiori  piccoli  color  rosa  intenso. 

Descrizione  del  frutto:  pesca  voluminosa,  di  forma  un  po'  incostante,  mammelli- 
forme  con  solcatura  profonda.  Insenatura  al  peduncolo  variabile,  estremità  sporgente. 
lUiccia  sottile  che  si  stacca  difficilmente  dalla  polpa,  molto  tomentosa,  a  fondo  bianco 
verdastro,  rosso  violacea  dalla  parte  dell'ombra  e  marmoreggiata  di  nero  porpora  dalla 
parte  del  sole.  Polpa  bianco  giallastra,  fine,  liquescente,  sanguigna  al  centro,  succosis- 
sima, vinosa,  molto  dolce  e  delicatamente  profumata.  Nocciolo  ovoidale,  grosso  con 
estremila  poco  appuntita. 

Osseruazioni:  Si  innesti  sul  mandorlo  per  pieno  vento.  Vigore  moderato. 


Giallona  di  Verona  (fìg.  486). 

Sinumini:  Pesca  cotogna  duracina  massima.  Cotogna  durona  massima. 

Origine:  italiana. 

Maturazione:  agosto. 

Qualità:  prima,  se  prodotta  in  località  calde.  La  giallona  di  Verona  è  la  regina 
delle  pesche-cotogne  duracine,  alle  quali  appartengono  tutte  le  pesche  di  color  giallo, 
che  hanno  un  sapore  dolce  e  molto  sugo. 

Clima:  caldo. 

Località  ed  esposizione  :  riparata. 

Forme  più  adatte:  pieno  o  mezzo  vento. 

Ferfi// ù:  notevole. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre. 

Descrizione  della  pianta:  albero  vigoroso,  di  lunga  durata.  I  fiori  sono  brevipetali, 
carnicini,  piccolissimi. 


634 


Fiff.  48(5.  —  Giallona  di  Verona  (- 


Fig.  487.   -  Maddalena  bianca  (.',■). 


-  635  - 

Descrizione  del  frutto:  grossissimo,  tondo,  appena  solcato,  coperto  di  una  buccia 
gialla,  nitida,  quasi  senza  peluria,  rare  volte  leggermente  sfumata  di  rosso.  La  polpa  è 
gialla  sino  al  nocciolo  che  è  sempre  giallo,  è  morbida,  fina,  gentile  e  si  scioglie  tutta 
in  un  sugo  dolce,  fresco  e  senza  ombra  di  acido. 

Osseruazioni:  si  moltiplica  per  seme  abbastanza  fedelmente. 


Pesche  Maddalena. 

Queste  pesche,  molle  delle  quali  sono  di  origine  italiana,  pare  che  debbano  il  loro 
nome  all'epoca  della  loro  maturità  che  cade  fra  il  Vy  e  22  luglio,  giorno  di  S.  Madda- 
lena. .Vdesso  però  abbiamo  delle  Maddalene  che  maturano  anche  più  tardi. 

1  caratteri  generali  di  questa  famiglia  sono  i  seguenti:  frutto  spiccagnolo  non 
sempre  perfetto  con  polpa  bianca;  medio  o  grande;  allungato,  raramente  sferico  con  solco 
leggero.  Fiori  medi  o  grandi,  di  colore  rosa  o  rosso  scuro,  ghiandole  alle  foglie  man- 
canti. ,\lbero  vigoroso  adatto  per  la  grande  coltura  nei  campi,  fertilità  incostante  e 
nelle  annate  abbondanti  i  frutti  sono  piccoli;  ranfi  a  frutto  piuttosto  grossi. 
Le  varietà  più  conosciute  sono; 

aj  Maddalena  bianca  di  origine  italiana  che  matura  a  metà  luglio.  Molto  diffusa 
in  tutta  la  regione  dove  domina  il  pesco  (fig.  487). 

hj  Maddalena  rossa  selezionata  in  Francia  ed  è  una  (jualità  di  primo  merito  che 
matura  a  metà  agosto  che  descrivo  più  innanzi. 

cj  Maddalena  a  fiori  medi   o   rosso   tardiva   che    matura   nella   seconda   metà   di 
agosto. 

dj  Maddalena  grande  od  a  grossi  frutti  che  matura  nella  seconda  metà  di  agosto. 
Molto  esigente  per  il  terreno. 

fj  Maddalena  nobile  che  matura  alla  fine  di  agosto.  Delicata  pel  clima  e  terreno. 

gj  Maddalena  Heriot  che  matura  nella   seconda  metà   di  agosto,   molto  sana  ma 
frutti  di  mediocre  valore. 


Maddalena  di  Courson  o  Maddalena  rossa  (Mg.  488). 

Frane;  Madeleine  de  Courson  —  Ted.;  Hothe  Magdalenc  —  Ingl.;  P.ed  Magdalcn. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  dalla  metà  alla  fine  di  agosto. 

Qualità:  prima. 

Clima:  moderato  e  terreno  mediocre. 

Forme  pili  adatte:  spalliera  od  a  vaso. 

Fertilità  :  notevole. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  e  di  speculazione. 

Descrizione  della  i>ìanta:  rami  fortissimi,  grossi,  verde-giallastri  ali  ombra,  rossastri 
dalla  parte  del  sole. 

Foglie  grandi,  sottili,  ovali  allungate,  molto  acuminate,  con  dentatura  sentita. 
Picciolo  senza  ghiandole,  medio  di  grossezza  e  corto. 

Fiori  grandissimi,  rosa  pallidi  o  rosa  violacei  chiari. 

Descrizione  del  fruito:  pesca  voluminosa,  sferica  o  leggermente  allungala,  regolare, 
con  solco  poco  marcato    Cavità  al  peduncolo  stretta  e  profonda. 

Huccia  abbastanza  grossa,  che  si  stacca  facilmente,  mollo  tomentosa,  verde-giallastra 
all'ombra  e  rosso-porpora  dalla  parte  del  sole. 

Polpa  bianco-verdastra,  liquescente,  rossastra  dalla  parte  del  sole.  .Succo  abbon- 
dantissimo, dolce  acidulo,  delizioso,  profumato. 

Osservazioni:  pianta  vigorosa  si  può  innestare  su  lutti  i  soggetti,  si  può  allevare 
anche  a  pieno  vento. 

Colla  potatura  bisogna  moderare  la  vigoria. 


Fig.  488.  —  Maddalena  rossa  (mezza  grandezza^ 


Fig.  489.  —  Precoce  Beatrice  (grandezza  naturale). 


-  (i37 


Pesche  Mignonne. 

Queste  pesche  di  origine  francese,  maturano  dal  20  giugno  al  20  agosto. 

1  caratteri  di  questa  famiglia  sono  i  seguenti  : 

Frutto  spiccagnolo,  fiori  grandi,  ghiandole  alle  foglie  piccole,  rotonde  e  talvolta 
mancanti:  albero  di  medio  vigore,  che  porta  presto  frutto;  fertilità  costante  e  notevole: 
rami  a  frutto  sottili,  verdi  dalla  parte  dell'ombra,  rosso  violetti  nelle  altre  parti:  loglio 
finamente  dentate:  frutti  molto  colorati,  quasi  perfettamente  sferici  con  depressione 
all'apice  ed  all'inserzione  del  peduncolo  ad  eccezione  della  Mignonne  a  becco. 

-Vbbiamo  3  varietà: 

a)  Mignonne  a  becco  che  matura  dal  20  luglio  al  5  agosto. 

b)  Mignonne  grande  precoce  che  matura  nella  prima  metà  di  agosto. 

cj  Mignonne  grande  ordinaria:  che  matura  nella  seconda  metà  di  agosto 


Mignonne  a  becco. 

Nomi  stranieri:  Frane:  Mignonne  a  bec  —  Ted.  .Schnabel  Pfirsich. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  20  luglio  al  5  agosto. 

Qualità:  seconda. 

Fertilità:  buona  e  costante. 

Vigoria  :  notevole. 

Esposizione  e  situazione:  a  S  od  E 

Forme  più  adatte  :  pieno  vento  e  spalliera. 

Sistema  di  coltivazione:  nei  campi  e  nei  frutteti  casalinghi. 

Descrizione  della  pianta:  rami  a  frutto  sottili,  produttivi  all'estremità:  foglie  grandi, 
piane,  con  dentatura  poco  sensibile,  ghiandole  globulose;  fiore  fra  i  più  grandi  dei  peschi, 
rosa  scuri  e  nello  sfiorire  prendono  un  colore  carnicino. 

Proprietà  della  pianta  :  non  tollera  il  taglio  corto. 

Descrizione  del  frutto:  rotondo,  medio,  talvolta  più  panciuto  da  un  lato,  il  solco 
taglia  il  frutto  in  due  parti  ineguali  e  termina  con  una  specie  di  prominenza  ^beccol 
la  cui  cima  è  sovente  bipartita,  quasi  sempre  incurvata  a  sciabola 

Buccia  sottile  che  si  stacca,  dalla  parte  dell'ombra  giallo-verdognola,  dalla  parte 
del  sole  rosso  bruna,  piìi  scura  della  Mignonne  grande,  ma  la  polpa  è  meno  (ina  di  que- 
sta, verdognola,  ben  profumata,  rossa  vicino  al  nocciolo,  il  quale  è  di  media  grandezza. 


Mignonne  grande  ordinaria. 

Frane:  Grosse  Mignonne  ordinaire  —  Ted.:  Grosse  Mignone  Pfirsich. 

Origine:  ottenuta  nel  1677  in  Francia,  molto  coltivata  a  Montreuil. 

Maturazione  :  seconda  metà  di  agosto. 

Qualità,  da  commercio. 

Fertilità:  notevole. 

Vigoria  ;  suf  ficente. 

Clima  e  Terreno:  indifferente 

Forme  più  adatte:  spalliera  e  pieno  vento. 

Soggetti  da  innesto:  indifferente. 

Sistema  di  coltivazione:  per  frutteti  industriali. 

Descrizione  della  pianta:  albero  vigoroso  e  molto  produttivo;  germogli  molti,  grossi 
e  lunghi,  giallo-verdognoli  e  dalla  parte  del  sole  rosso  bruni;  gemme  distantì,  grosse, 
ovoidali,  appuntite,  leggermente  tomentose;  foglie  medie,  lancettiformi,  di  frequente 
ondulate,  brevemente  dentate,  con  piccole  ghiandole  tondeggianti;  fiori  grandi,  rosa, 
petali  rotondi  con  breve  stilo. 

Proprietà  della  pianta  :  si  riproduce  bene  per  seme.  Tollera  il  taglio  corto. 


—  638  - 

Descrizione  del  frutto:  frutto  grande  o  grossissinìo,  largo  in  media  80  mm.  ed  alto 
70  min ,  di  forma  sferoidale  appiattita,  con  leggera  solcatura  e  breve  prominenza  alla 
parte  opposta  del  picciolo:  cavità  del  peduncolo  larga  e  poco  profonda:  buccia  sottile 
che  facilmente  si  stacca  dalla  polpa,  giallo  verdognola,  cotonosa,  e  dalla  parte  del  sole 
color  rosso  porpora;  polpa  bianca,  rosea  presso  il  nocciuolo,  succosissima,  liquescente. 
squisita  al  gusto:  nocciolo,  ovale,  color  ruggine,  rotondo  alla  base;  all'estremità  ter- 
mina con  una  punta  ben  marcata. 

Proprietà  del  frutto:  dei  più  saporiti. 


Mignoline  grande  precoce. 

Frane:  Grosse  Mignonne  hàtive  —  Ted.:  Friihe  Mignon  Pfirsich 
Ingl.  :  Early  grosse  Mignone. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  progressiva,  dalla  prima  metà  di  agosto. 

Qualità:  prima  da  tavola. 

Fertilità:  moltissima. 

Vigoria  :  sufficente. 

Clima  e  terreno:  indifferente. 

esposizione  e  situazione:  a  mezzogiorno  o  levante. 

Forme  più  adatte:  spalliera  ed  a  vaso. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteto  casalingo  e  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta  :  legno  forte,  rami  abbastanza  numerosi,  grossi  e  lunghi, 
sprovvisti  di  foglie  alla  base,  leggermente  rossi  dalla  parte  del  sole.  Gemme  grosse, 
distanti  una  dall'altra,  foglie  abbondanti  e  grandi,  incartate  ovali,  allungate  con  denta- 
tura larga.  Ghiandole  piccole,  globulari,  picciolo  corto  e  grosso.  Fiori  grandi,  rosa  intenso. 

Descrizione  del  frutto:  abbastanza  grosso  (larghezza  67  altezza  73)  più  o  meno 
ovoidale  con  solco  poco  marcato.  Seno  al  peduncolo  profondo. 

Buccia  fine,  che  non  si  stacca  tanto  facilmente,  mollo  tomentosa  a  fondo  giallo- 
pallido  con  molte  punteggiature  purpuree  e  dalla  parte  del  sole  colorata  in  carmino  vivo. 

Polpa  bianca  con  sfumatura  verde,  liquescente,  sanguigna  intorno  al  nocciolo. 

Succo  abbondante,  molto  dolce,  leggermente  acidulo  e  profumato. 

Nocciolo  alquanto  aderente  per  qualche  filamento  ovoidale. 

Difetti  della  varietà:  poco  vigorosa 


Pesca  di  Malta. 

Frane:  Pèche  de  Malta  —  Ingl.:  Italian. 

Maturazione:  dalla  fine  di  agosto  ai  primi  di  settembre. 

Qualità:  prima. 

Clima  e  terreno:  caldo. 

Località  ed  esposizione:  riparata  ed  a  levante. 

Forme  più  adatte  :  spalliera. 

Fertilità  :  soddisfacente. 

Sistema  di  coltivazione;  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  rami  medi,  lunghi,  numerosi  con  poche  foglie,  medie, 
grosse,  poco  acuminate.  Picciolo  grosso,  cortissimo,  senza  ghiandole.  Fiori  grandi, 
rosa-pallidi. 

Descrizione  del  frutto  :  frutto  medio,  schiaccialo  alle  due  estremità  a  forma  di  mela. 

Buccia  verdognola,  marmorizzata  di  rosso  dalla  parte  del  sole. 

Polpa  bianca  succosissima,  molto  dolce,  vinosa  profumata. 

Nocciolo  medio  ovoidale. 

Osservazioni:  Varietà  vigorosa. 


(539 


Pesca  noce  violetta  dìjf.  490). 

Origine:  italiana. 

Malurazione:  agosto. 

Qualità:  prima  dornanieuto.  ma  seconda  per  sapore, 

Clima:  temperato  e  terreno  fertilissimo. 

Località  ed  esposizione:  riparata. 

Forme  più  adatte:  spalliera. 

Fertilità:  notevolissima. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi. 

Descrizione  della  pianta:  frutto  spiccagnolo,  il  quale  si  distingue  pel  violaceo  vivo 
che  ne  copre  la  buccia.  La  pianta  è  vigorosa,  fecondissima.  1  fiori  hanno  i  petali  corti 
e  spiccano  pel  carnicino  carico  che.  nella  specie  dei  peschi,  distingue  la  massima  parte 
delle  razze  gentili. 


Pesca-noce  violetta  C',). 


Descrizione  del  fruito:  è  la  più  grossa  delle  pesche  noci,  è  tonda  e  ben  tornita. 
La  buciia  è  colorita  di  un  violaceo  carico,  il  quale  copre  quasi  per  intero  il  bianco 
giallognolo,  che  forma  il  fondo  del  suo  colore. 

La  polpa  è  bianca,  delicata,  molto  sugosa,  ma  con  ima  vena  di  acido.  Il  nocciolo 
si  stacca  facilmente  dalla  polpa,  rimane  asciutto  e  si  tinge  di  un  rosso-violetto  analogo 
a  quello  della  buccia. 

Osservazioni:  questa  pesca  è  molto  diffusa,  anzi  si  può  dire  che  si  trova  in  tutta 
Italia,  da  un  capo  all'altro.  \l  ciò  per  il  suo  aspetto  molto  attraente.  Ma  le  pesche  noci 
gialle  dette  cotogne  sono  migliori.  Si  presta  questa  varietà,  specialmente  nelle  località 
temperate,  anche  per  le  forme  a  spalliera:  nei  paesi  caldi  fa  però  anche  degli  alberelli. 
Essendo  una  i)ianta  assai  produttiva,  molte  volte  bisogna  diradare  i  frutti. 


-  640  - 
Precoce  Beatrice  (fig.  489). 

Frane:  Beatrice  precoce  —  Ted. :  Frùhe  Heatrix  —  Ingl.:  Early  Beatrice. 

Origine:  questa  varietà  è  stata  ottenuta  da  un  seme  di  una  pesca  del  sig.  Rivers, 
nel  1865,  che  la  dedicò  alla  principessa  Beatrice. 

Maturazione:  quindici  giorni  dopo  l'Amsden. 

Qualità:  prima. 

Clima  e  terreno:  buoni. 

Località  ed  esposizione:  buone. 

Forme  più  adatte:  spalliera. 

Fertilità:  notevole. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteto  casalingo. 

Descrizione  della  pianta:  pianta  vigorosa,  con  chioma  abbastanza  fitta  e  germogli 
alquanto  rossi. 

Foglia  media,  verde-scura,  con  dentatura  appena  sensibile.  Ghiandole  una  o  due 
per  lato,  grosse,  reniformi.  Fiori  grandi,  rosso-scuri. 

Descrizione  del  fruito:  lunghezza  e  altezza  47  mm.  Di  forma  sferica,  con  solco  pro- 
fondo, dalla  cavità  del  peduncolo  all'estremità.  Cavità  del  peduncolo  stretto  e  profondo. 

Buccia  molto  fine,  che  si  stacca  dalla  polpa,  con  tomento  breve  ma  fìtto,  bianco, 
rosso  sanguigno  dalla  parte  del  sole  e  dalla  parte  dell'ombra  macchiato  a  strisce  e 
punteggiato. 

Polpa  bianca,  talvolta  fino  a  metà  rossa,  quasi  del  tutto  liquescente,  molto  succosa, 
e  si  stacca  facilmente  dal  nocciolo. 

Nocciolo  piccolo,  molto  solcato. 

Osservazioni:  varietà  che  soffre  per  la  malattia  dell'accartoccianienlo.  Per  questa 
ragione  e  per  la  piccolezza  del  frutto  molti  coltivatori  1'  abbandonarono.  Si  può  però 
allevarla  ad  alberello  con  discreto  successo  ma  più  che  tutto  a  spalliera,  ed  allora,  per 
per  la  costante  fertilità,  non  teme  rivali.  In  ogni  frutteto  d'amatori  non  deve  mancare. 

Precoce  di  Hale  (fig.  491). 

Frane  :  Precoce  di  Hale  —  Hales  Early. 

Origine:  americana. 

Maturazione:  metà  luglio. 

Qualità:  seconda. 

Fertilità  :  molta. 

Vigoria  :  moderata. 

Clima:  temperato. 

Terreno:  fertile. 

Esposizione  e  situazione:  buona. 

Forme  più  adatte:  vaso  ed  anche  spalliera. 

Soggetti  da  innesto:  qualunque  soggetto. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre. 

Descrizione  della  pianta:  sana,  di  mediocre  sviluppo:  foglie  strette  e  lunghe;  ghian- 
dole globulose,  piccole;  fiore  rosaceo,  molto  grande. 

Descrizione  del  fruito:  forma  media,  ben  colorato,  striato  di  rosso  verso  il  sole  e 
porta  all'estremità  del  punto  pistillifero,  un  mucrone  incurvato.  Polpa  bianco-giallo- 
gnola, molto  saporita  e  spiccagnola.  Semi  rigonfii  con  mucrone  ben  pronunciato. 


Precoce  di  Bivers  (fig.  492). 

Frane:  Precoce  de  Rivers  —Ted.:  Rivers  Friihpfirsich  —  Ingl.  Early  Rivers. 

Origine:  ottenuta  da  seme  dal  famoso  selezionatore  Th.  Rivers  di  Sawbridgeworth. 
Maturazione:  nei  primi  15  giorni  di  luglio  ed  è  si  può  dire  l'anello  di  congiunzione 
fra  le  pesche  americane  e  la  Mignonne  precoce. 


-  641  - 

Qualità  :  seconda. 

Fertilità:  media 

Vigoria:  moltissima. 

Forme  più  adatte:  pieni  e  mezzi  venti. 

Sistema  di  coltiimzione:  frutteti  casalinghi. 

Descrizione  della  pianta:  albero  vigoroso  che  porta  frutto  anche  sui  rami  deboli. 
Foglie  grandi  con  ghiandole  reniformi.  Fiore  rosa,  medio. 

Proprietà  della  pianta:  molto  sana  e  resistente  alle  intemperie.  Richiede  jiotatura 
lunga. 


Fig.  491.  —  Precoce  di  Hate  (grandezza  naturale). 


Descrizione  del  frutto:  la  più  grande  pesca  delle  precoci,  rotonda:  colore  giallo- 
pallida,  leggermente  arrossata  dalla  parte  del  sole  ed  all'estremità  alquanto  incavata; 
solco  appena  pronunciato.  Buccia  molto  tomentosa.  Polpa  bianco  giallognola  alquanto 
arrossata  intorno  al  nocciolo  che  si  stacca  con  facilità,  fondente,  molto  succosa  e 
fragrante 

Difetti  della  varietà:  quando  è  maturo,  il  frutto  si  spacca  col  nocciolo. 

41  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  642  - 
Regina  dei  frutteti. 

Frane:  Reine  des  Vergers  —  Ted.:  Kònigin  der  Obstgarteu. 

Origine:  Francia. 

Maturazione:  nella  prima  decade  di  settembre. 

Qualità:  prima  o  seconda  secondo  la  località. 

Clima:  buono  e  terreno  fertile. 

Località  ed  esposizione:  riparata  ed  a  mezzogiorno. 

Forme  più  adatte:  pieno  e  mezzo  vento. 

Fertilità:  notevole. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  del  frutto:  albero  con  rami  grossi,  molto  fitti,  eretti,  lunghi  eccessiva- 
mente, con  poche  foglie  alla  base.  Foglie  grandi,  consistenti,  abbondanti,  ovali  allungale, 
molto  acuminate,  dentate.  Picciolo  cortissimo  con  piccole  ghiandole  reniformi,  una  per 
lato.  Fiori  piccoli,  di  color  rosa  intenso. 


Fig.  492.  —  Precoce  di  Rivers  (L;rau<!e//a  naturale). 

Descrizione  del  frutto:  pesca  di  grossezza  considerevole,  di  forma  ovoidale  accor- 
ciata, con  la  insenatura  al  peduncolo  larga  e  profonda. 

Buccia  sottile  che  si  stacca  facilmente,  molto  tomentosa,  giallo  biancastra  all'ombra, 
jtunteggiata  di  rosso-porpora  dalla  parte  del  sole. 

Polpa  bianco-verdastra,  rossastra  sotto  alla  buccia  ed  intorno  al  nocciolo  :  abbastanza 
consistente  e  molto  succosa.  Sapore  zuccherino  acidulo,  profumato. 

Nocciolo  abbastanza  grosso,  ovoidale. 

Osservazioni:  si  può  innestare  su   (pialunque  soggetto. 

Saiwey. 

Frane:  Pòche  de  Saiwey  —  Ingl.:  Sahvey, 

Origine:  è  una  varietà  ottenuta  dal  colonello  Saiwey  (inglese)  da  un  nocciolo  pro- 
veniente dall'Italia. 

Maturazione:  seconda  metà  di  ottobre. 


-  643  — 

Qualità:  prima,  tenuto  conto  che  è  la  pesca  più  tardiva. 

Clima  e  terreno:  temperato  e  terreno  fertile. 

Località  e  esposizione:  riparata  ed  a  mezzogiorno. 

Forme  più  adatte:  spalliera. 

Fertilità:  media. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  rami  forti,  numerosi,  sfogliati  alla  base.  Foglie  numerose, 
generalmente  grandi,  ovali  allungate,  con  picciolo  corto,  flessibile,  di  color  rosso  san- 
guigno e  con  ghiandole  voluminose  e  reniformi.  Fiori  piccolissimi,  rosa-scuri. 

Descrizione  del  frutto:  pesca  di  grossezza  considerevole,  di  forma  sferica,  più  o  meno 
gonfiata  da  un  lato.  Cavità  al  peduncolo  aperta. 

Buccia  abbastanza  sottile,  che  si  stacca  facilmente,  coperta  di  molto  tomento; 
giallo  biancastra  dalla  parte  dell'ombra  e  giallo  carico  qualche  volta  macchiata  di 
rosso  violaceo  dalla  parte  del  sole.  Polpa  bianco-ranciata,  compatta,  sanguigna  presso 
il  nocciolo.  Succo  abbondante,  dolce  acidulo,  profumato. 

Nocciolo  medio,  elissoidc. 

Osservazioni:  albero  vigoroso  che  però  bisogna  riparare  dalle  prime  pioggie  fredde 
autunnali. 


Vaga  Loggia  Duracina  f(ìg.  493). 

Sinomini:  pesco  noce  Cotogno, 

Area  di  coltivazione:  Ferrara.  Bologna,  Firenze,  Hste,  Romagna. 

Maturazione:  metà  agosto. 

Qualità:  la  più  preziosa  delle  pesche  noci. 

Fertilità:  molta. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre. 

Descrizione  della  pianta:  fiore  piccolo,  rosso  vinoso. 

Proprietà  della  pianta:  si  riproduce  facilmente  per  seme. 

Descrizione  del  frutto:  forma  media,  depressa  al  peduncolo,  tondeggiante  alla  cima, 
colore  giallo,  sfumato  di  rosso;  polpa  gialla,  duracina,  sugosa,  dolce  profumata,  senza 
acidità,  seme  giallo  con  mandorla  amara. 

Osservazioni:  chiamata  Vaga-Loggia  dai  Toscani  perchè  era  coltivata  nel  giardino 
Medici  della  Vaga  Loggia  fuori  Firenze.  Chiamata  anche  Albeages  nella  Romagna  e 
questo  indicherebbe  la  sua  origne,  dove  queste  pesche  noci  gialle  si  chiamano  Mhergidos. 


Vaga  Loggia  Spiccagnola  (Og.  4i)4). 

(Pesca  noce  cotogna  sjìiccagnolai. 

Origine:  italiana. 

Maturazione:  metà  agosto. 

Qualità:  prima 

Clima:  caldo  e  terreno  molto  buono  da  giardino. 

Località  ed  esposizione:  buona  e  riparata. 

Forme  più  adatte:  pieno  e  mezzo  vento. 

Fertilità:  mediocre. 

Sistema  di  coltivazione:  coltivazione  campestre. 

Descrizione  della  pianta:  non  differisce  dai  peschi  comuni.  Il  fiore  ha  i  petali  corti, 
coloriti  di  un  carnicino  chiaro,  e  si  spiegano  solo  dopo  che  gli  stami  sono  sbocciati. 

Descrizione  del  frutto:  il  frutto  non  ha  una  grossezza  ben  distinta,  ma  è  aggraziato 
nelle  sue  forme,  ed  è  quasi  sferico.  La  solita  sutura  che  lo  taglia  da  un  lato,  è  appena 
sensibile,  e  perciò  non  ne  rileva  quasi  punto  i  lobi;  la  base  ove  è  impiantato  il  pedun- 
colo, sebbene  un  poco  compressa  si  arrotondisce  però  colle  labbra  dell"  incavamento, 
che  sono  rilevate.  La  cima  finisce  in  una  specie  di  punta,  che  è  un  residuo  del  pistillo, 
ma  questa  è  piccolissima  e  non  ne  altera  la  rotondità.  La  buccia  è  gialla  ed  ha  soltanto 


(544 


'Fig.  493.  -    Vaga  Treggia  duracina  ('!■.). 


Fig.  494.  —  Vaga  T.oggia  spiccagnola  (';,). 


—  645  — 

una  leggera  sfumatura  di  rosso.  La  polpa  gialla  è  butirrosa,  mediocremente  morbida, 
di  un  sapore  dolce  profumato,  punto  acido. 

Osseruazioni:  Si  trova  particolarmente  in  Toscana  —  quantunque  anche  all'estero 
sia  conosciuta  dai  pomologi,  con  nomi  diversi. 

Si  riproduce  abbastanza  fedelmente  per  seme. 

4.  Varietà  di  secondo  merito. 

Varietà  di  secondo  merito  ma  che  hanno  pure  una  notevole  importanza  per  certe 
condizioni,  sono  le  seguenti: 

Sneed  (fig.  495).  varietà  americana  che  matura  8  giorni  prima  dell'Amsden.  Indub- 
biamente è  una  varietà  che  ha  avuto  in  questi  ultimi  anni  una  certa  diffusione,  però 
il  suo  frutto  più  duracino  dellAmsden,  di  sapore  è  molto  inferiore.  Conviene  dare  a 
questa  varietà  quell'estensione  sufficiente  per  produrre  delle  pesche  per  8  giorni  prima 
che  maturi  l'.Vmsden.  I.e  qualità  colturali  sono  simili  a  quella  dell'Amsden. 

Duracina  bianca  estiva  (lìg.  t9C),  varietà  italiana,  molto  diffusa  un  tempo,  che  si 
riproduce  fedelmente  per  seme.  Matura  alla  line  di  luglio  ed  è  forse  la  genitrice  della 
lUancona  di  Verona.  Molte  piante  riprodotte  in  Toscana,  Piemonte  e  Lombardia  sono 
diventale  tardive. 

Precoce  di  Croncels.  —  Ottenuta  da  IJaltet  da  un  seme  di  Amsden,  e  messa  in 
commercio  nel  18S9.  Matura  in  agosto  nel  clima  di  Parigi.  È  una  qualità  d'amatori  e  d'av- 
venire per  il  commercio.  Buonissima,  di  grande  fertilità  e  media  vigoria.  Adatta  per  le 
forme  a  spalliera  e  pieno  vento. 

La  pianta  ha  portamento  divergente,  coi  rami  di  lunghezza  e  grossezza  media, 
rosso  bruni  dalla  parte  del  sole.  Lenticelle  piccole  ed  abbondanti  ;  nodi  poco  rilevati  ; 
meritalli  medi,  gemme  piccole,  ovali  ottuse,  con  lembo  grande  :  picciolo  medio  e  fragile, 
ghiandole  reniformi;  fiore  grande  rosa  pallido.   Fioritura  tardiva. 

11  frutto  è  grosso,  ovoidale,  panciuto  più  o  meno  arrotondalo:  punto  pistillare 
poco  inarcato,  insenatura  del  peduncolo  leggera;  buccia  sottile,  rosso-porporina,  non 
aderente;  polpa  biancastra  o  con  leggera  sfumatura  rosea,  fine,  zuccherina,  succosa, 
d'un  profumo  aggradevole  e  pronunciato;  seme  abbastanza  grande,  ovoidale,  panciuto, 
non  aderente. 

Natalina  fig.  497),  che  matura  tardissimo  dalla  metà  di  novembre  alla  metà  di 
dicembre.  E  di  grandezza  mediocre  con  buccia  gialla  velata  di  rosso.  Polpa  duracina, 
piena  di  sugo  dolce,  non  acida.  Molto  profumata. 

Si  coltiva  tuttora  a  Somma  di  Napoli  sotto  il  Vesuvio  ed  a  Salerno,  dove  il  calore 
dell'autunno  asciutto,  garantiscono  dal  guasto  delle  pioggie  dando  ai  frutti  quella"  con- 
sistenza di  tessuti  che  li  rende  più  forti  e  diffìcili  a  corrompersi. 

l'esca  noce  spiccagnola  gialla  a  buccia  paonazza  (fig  498).  Questa  non  differisce  che 
l)er  il  colore,  dalla  pesca  noce  spiccagnola  gialla  o  Vaga  Loggia.  Matura  in  agosto  e  fa 
bene  nei  paesi  meridionali.  Eccezionalmente  si  trova  in  Lombardia  e  Toscana. 

liurrona  di  Savona  o  Spiccagnola  gialla  agostenga  (fig.  499)  che  si  trova  anche  a  Pisa 
ed  a  Napoli.  È  molto  esigente  pel  clima  e  terreno.  Matura  in  agosto. 

5.  Varietà  pei  paesi  caldi.  —  Per  avere  una  conveniente  suc- 
cessione di  pesche  dal  giugno  all'ottobre,  si  possono  consigliare  le 
seguenti  varietà,  a  scopo  industriale. 

1.  Sneed  coltivato  in  qualità  limitata,  fino  alla  maturazione  del- 
l'Amsden e  cioè  fino  alla  terza  decade  di  giugno. 

2.  Amsden,  terza  decade  di  giugno  alla  metà  di  luglio. 

3.  Precoce  di  Hale  metà  di  luglio  all'agosto. 

4.  Chevreuse  precoce  seconda  metà  d' agosto.  Varietà  vigorosa, 
molto  produttiva  anche  a  pieno  vento.  PYutto  sferico,  oblungo,  colore 
rosso  chiaro  verso  il  sole.  Polpa  bianco  verdastra. 


64() 


Fig.  195.  —  Sneed  (grandezza  naturale). 


Fig.  496.  —  Duracina  bianca  estiva. 


—  G47   - 


Fig.  i!)7.  —  Natalina  (-  ;,). 


Fig.  498.  -    Pesca  noce  spiccagnola  a  buccia  paonazza  C  i)- 


-  648  - 

La  Chevreuse  potrebbe  essere  sostituita  dalla  Mignonne  grande 
precoce. 

5.  Maddalena  rossa,  seconda  metà  di  agosto  ai  primi  di  settembre. 

6.  Regina  dei  frutteti  prima  decade  di  settembre. 

7.  Bella  Bausse  prima  decade  di  settembre. 

8.  Poppa  di  Venere  fine  settembre  (fìg.  500). 

9.  Baltet  prima  decade  di  ottobre. 
10.  Salwey  seconda  metà  di  ottobre. 

6.  Varietà  ornamentali  di  pesco.  —  Demouilles.  Varietà  notevole 
per  il  colore  giallo  carico  dei  suoi  rami  e  delle  foglie  in  autunno,  come 
pure  per  i  suoi  frutti  grossi,  giallo-scuri  e  rosso-porpora,  molto  buoni. 


Fig.  499.  —  Burrona  di  Savona  (' 


Maturano  nella  seconda  metà  di  settembre.  Albero  fertilissimo,  di  bel- 
lissimo aspetto  quando  ha  i  frutti.  I  fiori  hanno  la  forma  campanu- 
lacea  e  sono  piccoli.  Ghiandole  reniformi. 

Pesco  a  foglie  rosse.  È  una  varietà  americana  molto  interessante, 
introdotta  in  Europa  nel  1873.  Il  frutto  ha  la  buccia  e  la  polpa  comple- 
tamente rossa.  Le  foglie  sono  ornamentali  e  di  color  rosso-sanguigno. 
L'albero  è  molto  vigoroso  e  robusto.  Si  presta  benissimo  per  la  colti- 
vazione a  pieno  vento,  ciò  che  permette  di  utilizzare  questa  varietà  al 
duplice  scopo  di  avere  dei  frutti  e  di  servire  per  ornamento.  Fiori  di 
colore  rosa-pallido.  Ghiandole  reniformi. 


649  — 


Pesco  nano  Aubinel.  Albero  molto  vario  con  rami  grossi  e  corti, 
con  foglie  molto  lunghe,  ondulate  e  cadenti,  verdi  scure.  Fertilità  molta. 
Frutto  abbastanza  grosso,  di  forma  regolare,  giallo  d'  oro  con  sfuma- 
tura rossa.  Spiccagnolo,  con  polpa  giallo-ranciata,  molto  deliquescente 
e  dolce,  di  prima  qualità.  Per  seme  si  riproduce  fedelmente.  E'  varietà 
molto  vantaggiosa  per  la  coltivazione  in  vaso. 

Pesco  Clara  Mayer.  Varietà  a  fiori  doppi,  di  color  rosa.  Frutto 
abbastanza  grosso,  ovoidale  arrotondato,  giallo  verdastro,  leggermente 
colorato  dalla  parte  del  sole  a  pol- 
pa giallo-verdastra  succosa,  spicca- 
gnola, aromatica.  Le  frutta  si  uti- 
lizzano per  composte.  Albero  fertile 
e  d'  ornamento. 

7.  Importanza  della  coltiva- 
zione. —  E"  un  albero  di  primaria 
importanza  poiché  i  suoi  frutti 
sono  i  migliori  ed  i  più  ricercati 
da  tutte  le  classi  della  popolazione. 
La  pianta  alla  sua  volta  produce 
presto  ed  abbondantemente  con  re- 
golarità quando  è  curata  e  razio- 
nalmente piantata  in  località  adatte. 

Il  pesco  è  il  compagno  della 
vite  e  quindi  da  noi  si  può  colti- 
vare quasi  da  per  tutto  e,  dalla 
introduzione  dei  peschi  americani 
(1880),  la  coltivazione  ha  preso  un 
indirizzo  veramente  industriale. 

8.  Sistemi  di  coltivazione.  —  In  tutti  i  sistemi  di  coltivazione  il 
pesco  deve  occupare  un  posto  ragguardevole  purché  il  terreno  ed  il 
clima  siano  confacenti.  Non  deve  quindi  mancare  nei  frutteti  casalinghi 
con  diverse  varietà  in  modo  da  fornire  di  frutta  la  mensa  del  proprie- 
tario dal  mese  di  giugno  a  quello  di  ottobre.  Cosi  si  può  consociare 
colla  vite;  nei  broli,  cogli  ortaggi  (cipolle,  aglio,  fagioli  da  cornetti 
tardivi,  piselli  primaticci,  asparagi)  piantando  i  peschi  a  file  distanti 
8  metri  e  sulla  fila  a  metri  4.  Non  é  conveniente  la  coltivazione  nei 
campi  molto  estesi,  perchè  il  pesco  ha  bisogno  di  essere  molto  curato 
ed  assistito  colla  potatura.  Gli  impianti  industriali  si  fanno  in  buona 
esposizione,  allevando  i  peschi  a  mezzo  vento  e  piantandoli  a  quin- 
quonce  di  4  metri  di  distanza,  oppure  nei  frutteti  chiusi,  a  spalliera 
e  contro  spalliera. 

9.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Il  pesco  è  più  sensibile  al  clima 
che  alla  natura  del  terreno.  Esso  esige  molto  calore  ed  abbondante 
luce  per  maturare  e  colorare  i  suoi  frutti  e  così  la  sua  coltura  in 
grande,  con  indirizzo  industriale  non  può  essere  fatta  con  vantaggio 
che  nel  mezzogiorno  e  nella  regione  temperata  occupata  dalla  vite. 


Fig.  500.  —  Poppa  di  Venere  (-  J. 


—  (350  — 

La  sua  coltura  si  è  estesa  più  al  nord  grazie  a  delle  varietà  otte- 
nute da  seme  ottenute  sul  luogo  e  che  si  sono  acclimatate;  oppure 
perchè  riesca,  bisogna  ricorrere  a  dei  ripari  artificiali. 

I  climi  caldi  o  temperati  ma  regolari,  gli  convengono;  le  correnti 
d'aria  fredda,  gli  sbalzi  di  temperatura  in  primavera,  le  frequenti  brine 
danneggiano  la  fioritura  ed  il  normale  sviluppo  dei  rami. 

Esso  vegeta  a  2",  fiorisce  a  5.4°  e  matura  i  suoi  frutti  a  20°  Si  può 
coltivare  fino  a  47"  di  latitudine  a  pieno  vento.  Dalla  caduta  delle 
foglie  in  autunno,  allo  sbocciare  dei  primi  fiori,  impiega  in  media 
1100°  C.  di  calore  e  per  arrivare  alla  maturazione  dei  frutti  6004°  G.  Il 
pesco  può  sopportare  il  freddo  di  34  a  36"  C.  sotto  zero. 

Al  pesco  sono  dannosi  i  venti,  le  rapide  alternative  di  umidità  e 
di  sole,  le  pioggie  prolungate,  le  brine  e  i  geli  tardivi,  in  una  parola 
le  sue  esigenze  per  il  clima  sono  quelle  della  vite.  Nelle  contrade  molto 
soggette  alle  brine  bisogna  rinunciare  alla  coltivazione  del  pesco  a 
meno  che  non  venga  riparato  coltivandolo  a  spalliera. 

Le  diverse  fasi  di  vegetazione  del  pesco  avvengono  in  Italia  nei 
periodi  indicati  nel  seguente  quadro. 

Tab.  LI.  Quadro  indicante  l'epoca  nella  quale  avvengono  le 

principali  fasi  di  vegetazione  del  pesco,  nelle  diverse  regioni  d'Italia. 


Regioni 


Pieinonle 
Lombardia 
Veneto     . 
Liguria    . 
Emilia 

Marche  ed  Umbria 
Toscana  . 
Vili.  Lazio 

IX.  Meridionale  Adriatica 

X.  Meridionale   Mediterr. 

XI.  .Sicilia 

XII.  .Sardegna 


^     ,.     .  1      r-     -x  I  Maturazione  i        Caduta 

Fogliazione    |      Fioritura      [     ^jgl  frutto      !    delle  foglie 


De- 
cade 


Aprile        II       Aprile 

I  •       Marzo 

II  Aprile 


Ottobre     III 


Marzo 

III 

Marzo 

II 

Luglio 

III 

Ottobre 

I 

Aprile 

I 

„ 

„ 

li 

, 

III 

Marzo 

III 

III 

Agosto 

III 

'_ 

II 

Marzo  i    III  Marzo  III  Sett.    ,  1  I  Ottobre 

I      I  I        „             I  Luglio  III  I    Nov. 

Febbr.      Ili  j  Febbr.  j  II  „        !  „  | Ottobre 

»  I        !.        I      »  i  Giugno!  „  I    Nov. 


10.  Esposizione  e  situazione.  —  Per  le  spalliere  è  preferibile  l'espo- 
sizione a  sud-est  e  sud-ovest.  Il  pesco  dà  migliori  frutti  e  più  sicuri, 
se  riparato  dalle  pioggie  fredde  della  primavera,  i  fiori  si  conservano 
più  facilmente  ed  i  frutti  acquistano  un  bel  sviluppo.  A  sud-est  i  ripari 
non  sono  quasi  necessari. 

L'esposizione  a  mezzogiorno  conviene  meno,  specialmente  se  il 
clima  è  secco.  Si  riserva  questa  esposizione  per  le  varietà  molto  pre- 
coci o  tardive.  A  mezzogiorno  il  pesco  viene  molto  intaccato  dagli 
insetti  e  dura  poco. 


—  651  — 

A  ponente  non  conviene  in  via  generale  fare  l' impianto  percliè  il 
pesco  ne  soffre  per  i  freddi,  la  fioritura  riesce  poco  abbondante  ed 
incerta.  Nei  terreni  caldi  ed  aereati  però  si  può  utilizzare  anche 
questa  esposizione. 

Le  località  migliori  sono  le  vallate  ben  ventilate  non  soggette  a 
brina  e  riparate  dai  venti  di  maestrale  oppure  quelle  leggermente 
inclinate. 

11.  Terreno.  —  Come  per  il  clima  anche  per  il  terreno  il  pesco  si 
assomiglia  alla  vite.  I  terreni  leggeri,  sabbiosi,  siliceo  calcari,  sono  i 
più  indicati,  quantunque  nel  complesso  non  sia  una  pianta  tanto  esi- 
gente. Nei  terreni  freddi,  cretacei,  troppo  argillosi,  si  nota  una  tendenza 
maggiore  a  contrarre  la  malattia  della  gomma  ed  un  ritardo  nella  ligni- 
ficazione. Nei  terreni  troppo  aridi  e  poco  profondi,  dà  frutti  piccoli, 
amarognoli,  poco  succosi,  che  cadono  facilmente;  invece  nei  terreni 
umidi  si  hanno  frutta  acquose,  insipide,  di  poca  conservazione. 

E'  essenziale  che  il  terreno  sia  profondo  e  sopratutto  fresco  e 
soffice,  affinchè  le  radici  possano  estendersi  facilmente  ed  approfon- 
dirsi, senza  essere  costrette  a  rimanere  troppo  alla  superlìce  e  soffrire 
per  il  calore  e  la  secchezza. 

12.  Moltiplicazione.  —  Molte  varietà  di  peschi,  specialmente  fra 
quelli  coltivati  estensivamente  nelle  nostre  campagne  a  pieno  e  mezzo 
vento,  si  moltiplicano  abbastanza  fedelmente  per  seme.  Siccome  però 
vi  ha  una  generale  tendenza  ad  allontanarsi  dal  tipo,  converrà  scegliere 
i  noccioli  sulle  piante  più  robuste,  più  franche  di  tipo,  aventi  le  frutta 
con  noccioli  piccoli  i  quali  danno  poi  le  frutta  più  grosse. 

In  via  generale  però,  per  non  andar  incontro  all'incertezza  di  otte- 
nere le  piante  desiderale,  si  ricorre  all'  innesto  a  gemma  dormiente, 
oppure  a  spacco.  11  primo  è  sempre  preferibile  al  secondo. 

I  soggetti  su  cui  si  può  innestare  il  pesco  sono: 

a)  il  franco,  ossia  il  pesco  ottenuto  da  seme; 

b)  il  mandorlo; 
e)  il  susino; 

il)  Y  albicocco. 

La  scelta  del  soggetto  è  molto  importante,  perchè  sotto  questo 
riguardo  il  pesco  non  è  di  facile  adattamento. 

La  maggiore  affinità  1'  ha  per  il  franco.  Si  sviluppa  rapidamente  e 
fruttifica  presto  però  a  condizione  che  il  terreno  sia  leggero,  fertile, 
profondo  e  fresco.  E'  per  questo  che  vegeta  tanto  bene  nelle  alluvioni 
della  Romagna,  dell'estuario  Veneto,  dove  volendolo  si  può  anche 
irrigare. 

La  vegetazione  sul  franco  si  prolunga  troppo  in  autunno,  perciò 
non  conviene  nei  climi  piuttosto  freddi. 

La  pianta  riesce  vigorosa  ma  viene  facilmente  intaccata  dalla  gom- 
mosi e  dall'accartocciamento. 

Le  frutta  riescono  voluminose  e  saporite. 


-  652  - 

Per  ottenere  i  soggetti  si  ricorre  alla  scelta  dei  semi  come  ho  dianzi 
eccennato.  Siccome  perdono  assai  presto  la  facoltà  germinativa,  è 
necessario  seminarli  entro  il  mese  dopo  la  raccolta  od  altrimenti 
bisogna  stratificarli  entro  sabbia  e  seminarli  in  aprile  dell'anno  ven- 
turo, umettando  prima  la  sabbia  per  una  ventina  di  giorni,  allo  scopo 
di  affrettare  la  germinazione.  La  semina  si  fa  a  righe  distanti  70  cm. 
e  35  cm.  sulla  fila,  collocando  il  seme  alla  profondità  di  3  a  5  cm. 
Nello  stesso  anno  in  agosto,  ad  8  o  10  cm.  dal  terreno  si  fa  l'innesto 
a  gemma  dormiente,  ricordando  che  sopra  qualunque  soggetto  è 
sempre  meglio  farlo  quando  la  vegetazione  sta  nel  declinare.  Per 
norma  1  kg.  di  seme  contiene  400  noccioli. 

Nel  ferritorio  di  Gruniello,  pel  franco  la  miglior  epoca  è  1'  ultima 
decade  di  agosto;  pel  mandorlo  la  prima  di  settembre;  pel  susino  la 
prima  metà  di  agosto  e  per  l'albicocco  la  seconda  decade    di    agosto. 

L'innesto  sul  franco  si  fa  sul  posto  per  le  forme  a  spalliera. 

Il  mandorlo  è  un  soggetto  di  molto  valore,  poiché  dà  delle  piante 
vigorose,  specialmente  dopo  il  terzo  anno  di  vita,  e  longeve.  E'  adatto 
specialmente  per  i  climi  caldi  e  per  i  terreni  calcari,  profondi,  fertili, 
senza  umidità  stagnante.  Si  preferiscano  per  soggetti  le  piante  ottenute 
da  mandorle  dolci  a  guscio  duro,  provenienti  da  paesi  caldi.  Danno 
delle  piante  più  longeve  e  robuste  che  quelle  a  guscio  tenero.  Per 
pieni  venti  e  specialmente  per  le  pesche  noci,  sono  preferibili  le  man- 
dorle amare  a  guscio  duro. 

11  pesco  innestato  sul  susino  ha  radici  non  molto  grosse  e  super- 
ficiali, è  perciò  adatto  per  le  località  fredde,  umide  dei  terreni  argillosi, 
poco  profondi  e  dove  ricevono  l'irrigazione  come  negli  orti.  E'  il  sog- 
getto più  comune  delle  provincie  settentrionali,  e  la  pianta  avendo  poca 
vigoria,  si  presta  per  i  mezzi  venti,  cordoni  e  forme  da  spalliera  in 
genere.  Sul  susino  si  sogliono  innestare  le  varietà  precoci.  Buoni  sog- 
getti di  innesto  sono  i  Dumas  Noir  e  S.  Julien.  Sul  primo  ha  maggiore 
affinità,  però  la  pianta  si  sviluppa  lentamente.  Il  susino  mirabolano 
non  è  da  raccomandarsi,  poiché  dà  piante  che  nei  primi  due  o  tre 
anni  hanno  un  gran  vigore  e  poi  rimangono  stazionarie  e  periscono 
presto. 

L' albicocco  è  un  soggetto  da  preferirsi  nei  terreni  aridi,  magri,  poco 
profondi,  dove  non  riescono  i  soggetti  sopra  accennati.  Lo  si  pratica 
molto  per  le  forme  libere. 

Il  pesco  innestato  sull'albicocco  acquista  precocità  e  le  pesche 
riescono  più  grosse  e  più  saporite. 

Tanto  sul  mandorlo  che  sul  franco  e  sul  susino,  si  ricorra  sempre 
a  soggetti  ottenuti  da  seme.  Non  si  ricorra  ai  polloni  perché  si  hanno 
piante  con  tendenza  ad  esaurirsi  emettendo  continuamente  polloni. 

13.  Caratteri  vegetativi.  —  Il  pesco,  come  del  resto  tutte  le  piante 
da  frutto  a  nocciolo,  differisce  da  quelle  a  granella,  per  avere  i  fiori 
ascellari  e  perché  le  gemme  da  fiore  non  possono  trasformarsi  in 
gemme  a  frutto. 


—  653  - 

Sulle  piante  a  nocciolo,  le  gemme  a  legno  ed  i  fiori,  si  trovano 
soltanto  sul  legno  dell'anno  precedente,  mentre  invece  sulle  piante  da 
frutto  a  granella,  le  gemme  da  fiori  abbisognano  di  due  e  tre  anni 
per  costituirsi. 

Il  pesco  è  molto  fiorifero.  Le  piante  fioriscono  a  soli  tre  anni  d'età 
e  successivamente  le  fioriture  si  seguono  anche  in  modo  eccessivo, 
cosi  da  asaurire  la  pianta  molto  presto.  La  fioritura  avviene  soltanto 
sui  rami  formatisi  l'anno  precedente  e  i  rami  giovani  non  si  svilup- 
pano che  sul  legno  d'un  anno,  perciò  il  pesco  ha  la  continua  ten- 
denza di  portare  la  vegetazione  all'  estremità  dei  rami  rimanendo  la 
parte  inferiore  denudata. 

E'  questa  una  delle  ragioni  che  rendono  difficile  la  coltivazione 
del  pesco  a  spalliera  e  tutto  lo  studio  del  frutticoitore  è  rivolto  spe- 
cialmente a  combattere  questa  tendenza  e  a  mantenere  la  vegetazione 
in  basso.  A  ciò  serve  la  divisione  del  fusto  in  rami  e  la  teoria  del 
taglio  di  rinnovo. 

Lasciando  il  pesco  a  se  stesso,  succede  che  nei  primi  anni  esso 
dà  delle  gettate  molto  vigorose  e  poi  di  anno  in  anno  sempre  più 
deboli  fino  a  ridursi  esclusivamente  a  rami  da  frutto.  Dopo  questo 
momento,  succede  non  di  rado  che  uno  o  l'altro  dei  rami  ed  anche  la 
pianta  intera  perisce  per  mancanza  di  vegetazione  fogliacea.  Quanto 
più  vecchia  e  debole  è  una  pianta,  tanto  più  fiori  essa  dà,  perciò  come 
per  tutte  le  piante  ma  molto  di  più  per  il  pesco  che  si  esaurisce 
presto,  occorre  che  il  frutticoitore  sappia  bilanciare  la  produzione 
fogliacea  colla  foglifera.  Preponderando  la  prima  si  ha  un  fruttifica- 
zione incerta  e  di  poco  buona  qualità;  colla  seconda  si  esaurisce  la 
pianta. 

14.  Gemme  e  rami.  —  Più  sopra,  nei  caratteri  botanici  generali 
della  pianta  del  pesco,  ho  fatto  notare  che  le  foglie  sono  isolate  o 
unite  per  due  o  tre. 

All'ascella  di  ogni  foglia  si  trova  una  gemma  e  quindi  quando  ve 
ne  sono  due  o  tre  si  hanno  anche  due  o  tre  gemme  riunite. 

aj  La  geiìuna  semplice  si  trova  alla  base  o  all'estremità  dei  rami 
vigorosi,  nonché  lungo  i  rami  a  frutto  e  sui  rami  anticipati.  Queste 
gemme  isolate  si  trovano  distanziate  fra  loro,  condizione  opportuna  di 
cui  il  frutticoitore  si  vale  per  rinnovare  i  rami.  Queste  gemme  non 
hanno  mai  delle  gemme  lalenli,  così  che,  se  per  una  causa  qualunque 
abortiscono,  il  ramo  per  quella  porzione  rimane  denudato.  Da  questa 
gemma  semplice  può  derivare  tanto  un  ramo  legnoso  che  fruttifero. 
La  tendenza  di  queste  gemme  a  trasformarsi  in  fruttifere  è  tanto  più 
grande  quanto  più  è  sottile  il  i-amo  e  quanto  meno  linfa  esso  riceve. 
Alla  base  di  qualche  foglia,  specialmente  sui  rami  molto  vigorosi,  la 
gemma  può  abortire. 

b)  La  gemma  doppia  è  molto  rara,  mentre  invece  è  frequente  la 
tripla,  specialmente  lungo  i  rami  a  legno  più  vigorosi  ed  anche  alla 
stessa  loro  estremità.  Il  frutticoitore  taglia  di  solito  sopra  queste  gemme 


—  65i  — 

triple  quando  vuol  avere  un  getto  vigoroso  di  prolungamento,  accec- 
cando  le  due  gemme  laterali.  Se  invece  vuol  avere  una  biforcazione 
mediocremente  vigorosa,  sopprime  la  gemma  di  mezzo  e  lascia  intatte 
le  due  laterali. 

Le  gemme  a  legno  sono  piccole,  appuntite,  allungate;  quelle  a  fiore 
sono  globose,  quasi  sferiche  e  fra  le  squame,  quando  cominciano  entrare 
in  succo  in  primavera,  lasciano  scorgere  i  primordi  rosa  dei  petali. 

Anche  le  gemme  a  fiore  possono  essere  isolate,  aggruppate  o  ac- 
compagnate da  gemme  a  legno. 

e)  La  gemma  a  fiore  isolata  si  trova  sui  rami  deboli,  lungo  i  brin- 
dilli  e  predomina  nei  peschi  deboli  o  su  quelli  allevati  a  pieno  vento. 
Generalmente  però  non  dà  frutto,  se  sopra  ad  essa  non  si  trova  una 
gemma  a  legno  che  attiri  la  linfa. 

d)  Raramente  si  trovano  le  gemme  a  fiore  doppie  e  triple.  Invece 
molto  di  frequente  si  trovano  2  gemme  a  fiore  unite  ed  una  da  legno 
posta  nel  mezzo.  Questa  produzione  è  la  più  perfetta,  dà  un  buon  getto 
di  prolungamento  ed  i  frutti  migliori.  Non  si  trova  che  sui  rami  meglio 
costituiti. 

Sopra  un  nodo  di  ramo  di  pesco  si  possono  quindi  trovare: 

1    2   3   gemme   a    legno   riunite. 
12   3         „         „    frutto 

1  gemma  a  legno  ed  una  gemma  a  frutto 

2  gemme  a  legno  ed  una  gemma  a  frutto  nel  mezzo 

1  gemma  a  legno  nel  mezzo  e  2  gemme  da  frutto  laterali. 

Se  una  gemma  non  dà  alcun  germoglio  nell'anno  successivo  alla 
sua  formazione,  si  atrofizza,  perchè  come  abbiamo  già  detto,  le  gemme 
latenti  mancano  o  sono  rare  nel  pesco. 

a)  I  veri  rami  a  legno,  cioè  senza  gemme  a  fiore  si  trovano  sol- 
tanto sulle  piante  giovani;  del  rimanente  ogni  ramo  a  legno  ha,  almeno 
air  estremità  qualche  gemma  a  fiore.  Di  solito  ha  una  lunghezza  di 
m,  0.50  ad  1. 

b)  Abbiamo  anche  i  succhioni  o  vermerne,  i  quali  sono  più  vigo- 
rosi (arrivano  anche  a  m.  1.50  e  non  portano  che  gemme  a  legno,  rara- 
mente qualche  gemma  a  frutto  verso  1'  estremità.  Su  questi  sono  fre- 
quenti le  gemme  a  legno  triple. 

e)  Infine  si  hanno  i  cosidetti  ranìi  anticipati,  i  quali  sorgono  sul 
prolungamento  dei  rami  o  germogli  cimati  e  sono  per  lo  più  sprovvisti 
di  gemme  alla  base.  Anche  su  questi  si  può  trovare  le  gemme  termi- 
nali, qualcuna  a  frutto. 

I  rami  da  frutto  del  pesco  sono  dunque  in  parte  comuni  con  quelli 
da  legno.  Di  questi  rami  bisogna  distinguere: 

aj  11  dardo  a  mazzetto  (Vig.  113).  Esso  è  corto  (3-6  cm.)  eretto,  ed  è 
frequente  sulle  branche.  Porta  da  4-5  gemme  a  frutto  con  una  gemma 
a  legno  nel  mezzo  all'estremità  e  raramente  alla  base.  E'  un  buon  ramo 


—  055  — 

che  dà  delle    frutta   grosse  ma    da  questo    è    difficile  allevare    un  ger- 
moglio che  lo  riuipiazzi  dopo  che  ha  fruttificato. 

b)  Nel  pesco  i  brindilli  sono  sottili,  lunghi  10-20  cm.  e  si  svilup- 
pano sulle  branche  poco  vigorose  e  ombreggiate. 

Talvolta  il  legno  non  riesce  a  maturare,  rimanendo  tenero  in  modo 
che  durante  l'inverno  facilmente  dissecca  o  se  arriva  a  riprendere  la 
maturazione,  ha  una  breve  durata. 

Il  brindino  non  porta  che  delle  gemme  a  frutto  isolate  od  a  due 
od  a  tre,  però  non  sono  mai  accompagnate  da  gemme  a  legno.  Porta 
soltanto  una  gemma  a  legno  all'estremità  e   talvolta  un'altra  alla  base. 

11  brindino  devesi  considerare  come  un  buon  ramo  a  frutto  ma 
avendo  raramente  delle  gemme  alla  base  è  difficile  sostituii'lo. 

e)  I  rami  misti  misurano  da  3  a  6  mm.  di  diametro  ed  una  lun- 
ghezza che  varia  da  25  a  50  cm.  (fig.  117). 

Il  migliore  ramo  misto  è  quello  che  ha  la  grossezza  di  una  penna 
d'oca.  Se  è  grosso  come  una  matita  è  già  troppo  forte  e  dà  pochi  frutti. 

I  rami  misti,  chiamali  anche  ramuli  sono  indubbiamente  i  migliori 
organi  della  fruttificazione  del  pesco.  A  partire  dalla  l)ase,  hanno  sempre 
prima  da  2  a  6  gemme  a  legno;  successivamente,  delle  gemme  a  frutto 
isolate  e  binate  con  una  gemma  a  legno  nel  mezzo. 

15.  Potatura.  —  Si  è  sempre  sentito  dire  che  il  pesco  teme  il  col- 
tello, poiché  si  dice  che  i  tagli  provocano  la  malattia  della  gomma. 

E'  un  fatto,  che  il  pesco  tagliato  durante  l'inverno  si  rimette  più 
difficilmente  dei  tagli  e  che  se  nell'interno  dei  tessuti  del  legno  c'è  già 
della  infezione  di  gommosi,  questa  si  manifesta  poi  esteriormente  con 
una  copiosa  colatura  di  liquido  gommoso.  Sta  anche  il  fatto,  che  noi 
passando  col  potatoio  da  una  pianta  infetta  ad  una  sana,  possiamo  por- 
tare la  malattia  a  quest'ultima. 

In  ogni  caso  si  può  affermare  che  sul  pesco  è  preferibile  di  ope- 
rare colla  potatura  verde  perchè  i  tagli  si  rimarginano  più  sollecita- 
tamente  ma  che  anche  la  potatura  a  secco  è  indispensabile. 

1.  Potatura  secca.  Passiamo  ora  in  rassegna  i  diversi  rami  sui 
quali  si  opera  la  potatura  secca 

a)  11  ramo  a  legno  ordinario  se  è  destinato  a  formare  la  impal- 
catura della  pianta  Io  si  taglia  a  quella  lunghezza  che  lo  richiede  la 
forma.  Se  invece  da  questo  si  vogliono  ricavare  dei  rami  a  frutto,  lo  si 
taglia  a  2  gemme  se  debole,  a  4  se  vigoroso,  perchè  da  queste  vengano 
dei  rami  fruttiferi. 

b)  I  succhioni,  si  svettano  alla  base  se  deformano  la  pianta  oppure 
se  da  questi  si  vogliono  ricavare  dei  rami  a  frutto,  si  tagliano  più  lunghi 
dei  rami  precedenti  e  cioè  a  ()-8  gemme,  perchè  se  tagliati  più  corti 
darebbero  dei  rami  infruttiferi. 

e)  Rami  anticipati.  Volendoli  conservare  si  tagliano  sopra  alle  due 
gemme  della  base  per  avere  due  germogli;  se  hanno  delle  gemme  a 
frutto  si  tagliano  a  15  cm. 

d)  I  dardi  si  lasciano  intatti  e  si  sorveglia  che  dalla  gemma  termi- 


-  656  - 

naie  a  legno  sorga  il  germoglio  che  li  rimpiazza.  Se  il  germoglio  del- 
l'estremità perisce,  periscono  i  frutti.  Talvolta  abortiscono  le  gemme 
a  frutto  ed  allora  il  germoglio  dell'estremità  si  converte  in  un  dardo 
allungato,  che  darà  frutto  nell'anno  venturo.  Se  si  sviluppa  invece  un 
germoglio  dalla  base,  allora  si  taglia  il  dardo  sopra  questo,  appena 
esso  ha  fruttificato. 

e)  Brindilli.  Quelli  che  non  hanno  gemme  a  legno  alla  base,  si 
tagliano  sopra  la  quarta  o  quinta  gemma  a  frutto  e,  dopo  la  fruttifi- 
cazione si  tagliano  alla  base. 

Quelli  invece,  provvisti  di  una  gemma  a  legno  alla  base,  se  interessa 
in  quel  punto  di  avere  un  germoglio  di  sostituzione,  allora  si  sacrifi- 
cano i  frutti,  tagliando  il  brindillo  sopra  alla  gemma  a  legno.  Se  il 
brindino  è  sprovvisto  di  gemme  a  frutto,  allora  non  dà  che  un  ger- 
moglio all'estremità. 

f)  I  ramuU  se  lasciati  a  se  stessi,  producono  tanti  nuovi  germogli, 
quante  sono  le  gemme  a  legno,  i  quali  a  loro  volta  daranno  frutti  nel- 
l'anno venturo,  lasciando  denudato  il  ramulo.  In  questo  modo  il  ramo 
si  allungherebbe  portando  frutti  soltanto  all'estremità. 

Bisogna  quindi  opporsi  a  questo  esquilibrio  e  ciò  si  ottiene  col 
rinnovare  ogni  anno  e  vicino  ad  esso  il  ramo  che  ha  già  dato  frutto. 
Sappiamo  anche  che  la  distanza  fra  le  gemme  a  frutto  è  molto  varia- 
bile e  secondo  della  varietà  della  pianta  e  del  terreno.  Ad  esempio  nei 
terreni  secchi,  ciottolosi,  le  gemme  a  frutto  sono  molto  più  avvicinate 
che  nei  terreni  compatti  ed  umidi. 

Per  queste  ragioni  non  è  possibile  dettare  una  regola  assoluta  sulla 
lunghezza  a  cui  si  devono  tagliare  i  rami  misti.  Bisogna  preoccuparsi 
delle  seguenti  regole: 

a)  Che  ogni  branca  porti  alla  distanza  di  10  a  15  centimetri  cos- 
tantemente dei  rami  a  frutto. 

b)  Di  far  produrre  ad  ogni  ramo  un  numero  di  frutti  propor- 
zionato al  suo  vigore. 

e)  Di  assicurare  lo  sviluppo  delle  due  prime  gemme  a  legno,  che 
si  trovano  alla  base  di  ogni  ramulo. 

Se  il  ramulo  è  vigoroso  conviene  lasciare  a  6-8  gemme  a  frutto;  se 
il  ramulo  è  medio,  si  tagli  sopra  la  quarta  o  sesta  gemma  a  frutto;  se 
è  debole,  se  ne  lasciano  soltanto  due  o  tre;  se  infine  fosse  debolissimo, 
si  taglia  sopra  la  seconda  gemma  a  legno  e  cioè  si  fa  uno  sperone  per 
assicurare  lo  sviluppo  di  due  germogli  pel  prossimo  anno.  Come  si 
vede,  il  taglio  bisogna  regolarlo  in  base  al  numero  delle  gemme  che 
si  lasciano  e  non  in  base  alla  lunghezza  del  ramulo. 

Non  è  raro  di  trovare  sul  pesco  dei  rami  a  frutto  aventi  soltanto 
delle  gemme  a  fiore  isolate  e  all'estremità  una  o  due  gemme  a  legno. 
Ciò  si  riscontra  più  sugli  alberi  adulti  che  sui  giovani  e  sui  rami 
più  ombreggiati.  In  questo  caso,  dovendo  tagliare  sopra  una  gemma  a 
legno,  bisognerebbe  lasciarli  intatti.  Siccome  però  questi  rami  riescono 
raramente  a  portare  frutti,  conviene  addirittura  sopprimerli  facendo 
uno  sperone. 


—  657  - 

Sui  peschi  giovani  molto  vigorosi  e  specialmente  su  quelli  innestati 
sul  mandorlo,  si  lianno  talvolta  dei  rami  sviluppatissimi  a  guisa  di  suc- 
chioni. Essi  possono  servire  a  rimettere  una  pianta.  Alcuni  suggeriscono 
di  speronarli  a  due  gemme  per  provocare  dei  getti  nuovi  che  potreb- 
bero diventare  fruttiferi  ma  quest'ultimo  caso  è  quasi  sempre  impos- 
sibile per  la  soverchia  affluenza  di  linfa,  ed  allora  conviene  tagliare 
invece  a  cm.  15-20,  per  ottenere  dei  ramuli  di  vigore  medio  adatti  per 
portare  frutto. 

Nella  fìg.  501  abbiamo  un  ramulo  di  pesco  che  si  taglia  sopra  4  gemme 
a  frutto  in  a.  In  conseguenza  di  questo  taglio  si  cimano  (fig.  502)  in  b  i 


Fìg.  501. 

Taglio  di  un  ramulo 

di  pesco. 


Fig.  502. 
Taglio  verde   dei  germogli 
sorti  dal  ramulo  precedente. 


Fig.  503. 

Potatura  secca 

del   ramo   precedente. 


due  germogli  dell'estremità  e  i  due  germogli  sottostanti  si  scacchiano 
in  a),  mentre  si  allevano  i  due  germogli  della  base  e  e  d,  che  daranno 
frutto  l'anno  venturo. 

Nell'inverno  del  secondo  anno,  se  le  gemme  a  frutto  del  primo 
germoglio  sono  abbastanza  vicine  (fig.  503)  si  taglia  in  a  il  ramo  di  due 
anni,  ed  in  b  il  ramo  di  un  anno  che  porterà  frutto. 

Nel  caso  però  che  questo  ultimo  germoglio  avesse  le  gemme  a 
fruito  troppo  distanti,  come  si  vede  in  A  nella  fig.  504,  lo  si  sperona 
in  a,  e  l'altro  ramo  si  lascia  a  frutto  tagliandolo  in  b. 

Nella  fìg.  505  è  rappresentato  il  ramo  precedente  durante  la  vege- 
tazione coi  segni  in  cui  si  devono  cimare  i  germogli  e  cioè  i  germogli 
U  si  schiacciano  ed  il  germoglio  dell'  estremità  del  ramo  a  frutto,  si 
cima  in  a. 

Raccolto  il  frutto,  nell'inverno  successivo  (fig.  506)  si  recide  alla 
base  in  a  il  ramo  che  ha    dato    frutto;  dei   due   altri    germogli,   il  più 

42  —  TAM.\no  -  Frulticoltitra. 


-  658  - 

lontano  semplicemente  si  taglia  sopra  4  a  6  gemme  da  frutto  in  /)  ed 
il  più  vicino  si  sperona  in  e. 

Nel  caso  che  si  trovassero  dei  brindilli  senza  gemme  a  fiore,  questi 
si  speronano  addiritura. 

Nella  pratica  agricola,  la  soppressione  del  ramo  che  ha  dato  frutto, 
si  chiama  taglio  del  passalo;  l'accorciamento  di  quello  che  deve  darlo, 
taglio  del  presente;  il  taglio  per  fare  lo  sperone,  si  chiama  taglio  del- 
l' avvenire. 

Le  operazioni  di  cui  abbiamo  parlato  fino  ad  ora  riguardano  in 
gran  parte  la  potatura  secca  che  si  opera  durante  il  riposo  della  vege- 
tazione ossia  durante  tutto    l'inverno.    Per   alcune   varietà    sulle    quali 


Fig.  504. 

Potatura  d'un  ramo  a  frutto 

collo  sperone. 


Fig.  505. 

Potatura  verde 

del  ramo  precedente. 


Fig.  506. 

Potatura  secca 

del  ramo   precedente. 


male  si  distinguono  nel  tardo  autunno  le  gemme  a  legno  da  quelle  a 
frutto,  conviene  ritardai-e  la  potatura  nella  seconda  metà  di  febbraio  in 
modo  da  terminare  tutte  le  operazioni  15  giorni  prima  che  avvenga  la 
fioritura. 

2.  La  potatura  verde  riguarda  le  seguenti  operazioni  :  la  scacchia- 
tura,  la  cimatura,  il  diradamento  dei  frutti,  la  legatura  in  verde  e  la 
irrorazione  delle  piante  con  acqua. 

aj  Colla  scacchiatura  si  sopprimono  i  germogli  inutili,  per  assi- 
curare un  buon  sviluppo  a  quelli  che  devono  diventare  dei  rami  a 
frutto  o  dei  rami  di  formazione  della  pianta. 

La  scacchiatura  si  fa  quando  i  germogli  hanno  la  lunghezza  di 
5-10  cm.  e  si  opera  in  più  volte  per  non  arrestare  tutto  d'un  tratto  la 
linfa  e  che  provocherebbe  la  gommosi. 

Sui  rami  di  formazione  si  scacchiano  tutti  i  germogli  fuori  posto 
lasciando  quelli  di  prolungamento  e  quelli  destinati  a  dare  delle  branche 
da  frutto. 


-  659  — 

Sui  rami  da  frutto  si  conservano: 

i  germogli  della  sommità  che  attirano  la  linfa  (b  fig.  502); 
quelli  che  sorgono  a  lato  di  un  frutto  ; 

i  due  germogli  della  basse  che  devono  dare  i  rami  di  sostitu- 
zione (e  e  d  fig.  502). 

I  rami  che  portano  le  gemme  a  legno  producono  specialmente 
all'estremità  tre  germogli.  Per  il  prolungamento  si  lascia  quello  di 
mezzo  ed  i  due  laterali  si  scacchiano. 

bj  La  cimatura  regola  lo  sviluppo  dei  germogli. 

La  cimatura  del  pesco  differisce  notevolmente  da  quella  delle  altre 
piante.  Difatti,  oltre  di  avere  i  rami  a  frutta  organizzati  diversamente, 
si  ha  anche  nel  pesco  un  continuo  movimento  vegetativo  dalla  prima- 
vera all'autunno,  cosi  che  la  cimatura  bisogna  farla  più  di  frequente 
e  non  deve  farsi  neppure  tanto  corta.  Nelle  piante  a  granella  invece  il 
massimo  sviluppo  dei  germogli  lo  abbiamo  in  maggio  ed  agosto. 

Intanto  i  germogli  che  si  sviluppano  lungo  i  rami  di  prolunga- 
mento non  si  devono  lasciare  a  sé  stessi,  poiché  il  loro  vigore  è  nocivo 
ai  germogli  terminali  e  di  più,  porterebbero  delle  gemme  a  frutto  solo 
all'estremità.  Bisogna  quindi  lungo  l' estate,  seguire  il  loro  sviluppo 
colla  cimatura,  per  impedire  che  abbiano  a  prolungarsi  troppo. 

Difatti,  quando  questi  germogli  laterali  hanno  passato  la  lunghezza 
di  cm.  40  si  cimano  a  cm.  30-35,  ossia  sopra  la  decima  foglia  (fig.  507) 
e  si  legano,  nelle  forme  appoggiate,  alla  intelaiatura. 

Se  invece  ci  si  accorge  già  in  primavera  presto,  che  il  germoglio 
crescerebbe  molto  vigoroso,  ciò  che  avviene  di  frequente  sui  peschi 
innestati  sul  mandorlo  e  sulla  parte  superiore  delle  branche,  conviene 
allora  fare  la  cimatura  quando  il  germoglio  ha  appena  cm.  15  di  lun- 
ghezza e  si  cima  sopra  la  quarta  o  la  quinta  foglia,  il  che  equivale  fra 
i  cm.  10  e  15.  Questa  cimatura  che  si  fa  nella  prima  metà  di  maggio, 
ha  lo  scopo  di  provocare  lo  sviluppo  di  due  germogli  sottostanti,  che 
saranno  meno  vigorosi  del  germoglio  da  cui  sorgono.  Anche  questi 
germogli,  raggiunta  la  lunghezza  di  cm.  30-35  si  cimano. 

In  seguito  alla  prima  cimatura,  avviene  quasi  sempre  alla  estremità 
lo  sviluppo  di  uno  a  due  germogli.  Se  ve  ne  sono  due,  si  taglia  il  più 
alto  ed  il  più  basso  si  cima  a  cm.  10-15  (sopra  la  quarta  o  quinta  foglia); 
se  ve  n'  ha  uno  solo,  si  cima  sopra  la  terza  foglia  in  a,  oppure  in  e, 
fig.  508  se  il  germoglio  è  molto  vigoroso.  Questa  operazione  si  fa  in 
luglio. 

Occorre  di  sovente  una  terza  cimatura  e  precisamente  nei  primi 
giorni  di  agosto,  poiché  si  ha  una  seconda  generazione  di  falsi  ger- 
mogli da  quelli  cimati  in  luglio  o  dalle  gemme  inferiori.  In  questo  caso 
conviene  svettare  col  potatoio  addirittura  alla  base,  sopra  il  primo  falso 
germoglio  in  e  fig.  509,  per  conservare  un  solo  brindillo  per  frutto. 

Queste  cimature  si  devono  fare  gradualmente  mano  a  mano  che 
i  germogli  raggiungono  la  lunghezza  voluta,  ossia  nella  prima  metà 
di  maggio,  nella  prima  metà  di  luglio  ed  ai  primi  di  agosto. 


-  660  - 

La  cimatura  dei  rami  a  frutto  si  opera  nel  seguente  modo. 

Colla  potatura  secca  noi  abbiamo  lasciato  i  ramuli  distanti  cm.  15 
uno  dall'altro,  tagliandoli  a  diversa  lunghezza  (a  fìg.  501).  In  conse- 
guenza si  hanno  sei  germogli  (fìg.  502).  Di  questi  i  due  più  alti  perchè 
accompagnano  il  frutto  ed  allo  scopo  di  ingrossarlo  si  cimano  sopra 
la  quarta  o  quinta  foglia   b  b  (a  cm.    10);  i  due    germogli    inferiori    si 


Fig.  507.  —  Prima  cimatura 
di  un  germoglio  di  pesco. 


Fig.  .508.  —  Seconda  cimatura. 


scacchiano  in  a  a,  e  ciò  per  rinvigorire  i  due  germogli  della  base  e 
e  d  che  devono  dare  frutto  il  prossimo  anno.  Questi  ultimi  si  cimano 
a  cm.  30-35. 

Se  invece  dei  ramuli  si  sono  fatti  degli  speroni,  si  trattano  i  ger- 
mogli che  usciranno  come  quelli  che  crescono  lungo  le  branche  e  che 
si  vogliono  avere  fruttiferi. 

Nella  fig.  510  ho  rappresentato  la  cimatura  di  un  ramo  misto,  che 
porta  due  frutti. 


—  6G1 


Le  gemme  a  vennero  accecate,  perchè  si  sviluppino  soltanto  due 
germogli  bb  della  base  che  daranno  i  rami  di  sostituzione  ed  un  ger- 
moglio solo  all'estremità,  per  attirare  la  linfa. 

Le  due  gemme  miste  della  metà  del  i-amo  hanno  dato  ciascuna  un 
frutto  ed  un  germoglio  laterale,  il  quale  venne  cimato    dopo   l'allega- 
mento del  frutto  sopra   la   terza 
foglia.   Nel    medesimo   tempo,  si 
cima   il   germoglio   di  prolunga- 
mento sopra  l'ottava  foglia. 

In  luglio  si  fece  una  seconda 
cimatura  a  due  foglie  sui  ger- 
mogli sorti  dalla  gemma  termi- 
nale e  e  si  accorciò  il  germo- 
glio b  al  punto  indicato  con  li- 
neetta trasversale,  e  cioè  sopra 
r  ottava  foglia,  mentre  l' altro 
germoglio  vicino  venne  lasciato 
intatto    perchè    meno     vigoroso. 

Infine  in  d  è  indicato  il  punto 
che  si  fa  il  taglio  in  verde,  alla 
raccolta  dei  frutti. 

e)  Diradamenlo  dei  frulli. 
Questo  si  fa  quando  il  nocciolo 
è  formato  e  si  lasciano  tante  pe- 
sche quante  si  vede  che  possono 
essere  alimentate  conveniente- 
mente dalla  pianta  godendo  aria 
e  luce. 

Chi  deve  fare  il  diradamento 
deve  essere  molto  esperto,  cono- 
scere la  vigoria  della  pianta  e  lo 
sviluppo  che  prendono  i  frutti  a 
maturazione. 

Generalmente  si  lasciano  due 
pesche  per  ogni  ramo  misto,  una 
per  ogni  dardo  a  mazzetto  ed 
una  per  ogni  brindillo. 

Il  diradamento  si  fa  con  una 
forbice    accuminata  e  si  applica   specialmente    nelle    forme  addossate. 

d)  La    legaliira    in  verde  si  fa  quando  i  germogli  hanno    la   lun- 
ghezza di  30  a  40  cm. 

e)  Taglio  in  verde  si  fa  per  sopprimere   quei  rami   che  hanno   i 
liori  abortiti,  tagliandoli  sopra  i  germogli    di    sostituzione    della   base. 

Nelle  varietà  specialmente  precoci  ed  a  pieno  vento,  consiglio  anche 
di  tagliare,  alla  raccolta  dei  frutti,  il  ramo  che  li  porta  sopra  i  ger- 
mogli di  sostituzione. 


Fig.  509.  —  Terza  cimatura. 


-  662  - 

f)  Il  pesco  ha  molto  bisogno  di  freschezza  per  sviluppare  il  suo 
frutto  nei  mesi  caldi  di  luglio  ed  agosto.  Se  in  questo  periodo  per- 
mane un  tempo  secco,  i  frutti  diventano  pietrosi,  si  arrestano  nello 
sviluppo,  i  tessuti  induriscono  e  ritardano  la  maturazione. 

Si  rimedia  a  questo  colle  sarchiature,  coprendo  di  paglia  o  di  le- 
tame il  terreno  circostante,  colla  irrorazione  od  anche  colla  irrora- 
zione della  fronda  delle  spalliere  alla  sera  tardi  o  durante  la  notte. 

g)  Taglio  di  ringiovanimenlo.  Questo  taglio  si  può  applicare  con 
vantaggio  nel  pesco  specialmente  a  mezzo  vento  ed  a  vaso.  Avviene 
difatti  con  facilità,  che  le  branche  rimangono  sguernite  di  rami  in 
basso  dopo  12  o  15  anni  di  vegetazione.  Allora  conviene  nel  mese  di 
maggio,  alla  ripresa  della  vegetazione,  tagliare  le  branche  principali  a 


Fig.  510.  —  Cimatura  di  un  ramo  misto. 

20-30  cm.  dalla  loro  prima  biforcazione.  Si  ottengono  subito  nell'anno 
dei  germogli  i  quali  nell'agosto  stesso  conviene  innestarli  a  gemma 
alla  base. 

Non  conviene  mai  ringiovanire  poche  branche  per  volta. 

L'operazione  dell'innesto  ha  il  vantaggio  di  assicurare  una  migliore 
e  più  pronta  fruttificazione  semprechè  la  gemma  sia  stata  presa  da 
pianta  sana  e  da  germogli  di  rami  ben  fruttiferi. 

Questa  pratica  seguita  a  Massa  Lombarda  dà  degli  ottimi  risultati. 

16.  Forme.  —  Il  pesóo  si  può  allevare  a  forme  diverse  prestandosi 
molto  la  natura  della  pianta.  Le  forme  però  più  pratiche  sono  fra  le 
libere,  la  forma  bassa  a  vaso;  fra  le  appoggiate:  /'  U  semplice  e  doppia 
e  la  palmella  Verrier  a  5  od  a  6  branche. 

1.  Forma  bassa  a  vaso  a  branche  oblique,  col   fusto   alto   da  30  a 
60  cm.  (pag.  140)  in  media  50.  V.  lìg.  511  e  512. 

I  peschi  giovani  danno  gettate  più  forti  dai  rami  laterali,  perciò 
prendono  naturalmente  la  forma  a  vaso. 

Si  piantano  intanto  a  dimora  esclusivamente  delle  piantine  di  un 
anno  di  innesto  non  tanto  vigorose,  perchè  abbiano  tutto  il  fusticino 


663 


Fìg.  511.  —  Pesco,  forma  bassa  a  vaso. 


Fig.  512.  —  Pesco,  forma  bassa  a  vaso. 


-  664  — 

ben  provveduto  di   gemme.  Questo   fusticino  si  taglia  a  50  cm.  ossia  al- 
l'altezza a  cui  si  vuole  la  biforcazione. 

Durante  il  primo  anno  si  allevano  (re  germogli  all'estremità  diri- 
gendoli a  35°  di  inclinazione. 

Nel  secondo  anno  si  tagliano  questi  germogli  divenuti  rami  a 
40-50  cm.  sopra  due  gemme  laterali  e  situate  ad  eguale  livello  delle 
gemme  terminali  degli  altri  due  rami. 

Durante  l'anno  si  scacchiano  i  germogli  che  crescono  all'interno 
ed  al  di  sotto;  si  applica  la  cimatura  a  quelli  situati  a  destra  ed  a 
sinistra  per  ottenere  dei  rami  a  frutto;  si  lasciano  intatti  i  germogli 
di  prolungamento. 

Nella  primavera  del  terzo  anno  la  pianta  si  presenterà  con  6  branche 
avente  ai  lati  delle  borse,  dei  brindilli,  dei  rami  misti  o  dei  rami 
a  legno. 

Colla  potatura  secca  si  tagliano  intanto  i  prolungamenti  delle  bran- 
che a  medesimo  livello,  alla  distanza  di  altri  40-50  cm.  sopra  al  taglio 
fatto  nell'anno  precedente  e  sopra  due  gemme  laterali.  I  rami  che  si 
trovano  lungo  le  branche,  se  si  trovano  verso  l' interno  si  svettano  ;  a 
quelli  laterali  ed  in  fuori  si  applicherà  la  potatura  dei  rami  a  frutto. 
Se  sono  dardi  si  lasciano  intatti  ;  se  brindilli  si  applicherà  la  potatura 
indicata  a  pag.  656  e  cosi  se  sono  misti.  Se  invece  si  tratta  di  rami  a 
legno  questi  si  speroneranno  (pag.  655),  per  avere  dei  rami  più  deboli 
che  porteranno  frutto  nell'  anno  venturo.  Lungo  le  branche  si  abbia 
r  avvertenza  di  sviluppare  dei  rami  fruttiferi  a  25  cm.  di  distanza  in 
posizioni  alternate. 

Lungo  l'anno  si  avrà  cura  :  di  allevare  i  germogli  di  prolungamento 
inclinati  di  35o;  si  scacchiano  i  germogli  che  crescono  all'interno  e 
che  si  trovano  in  cattiva  posizione,  sempre  allo  scopo  di  aereare  la 
pianta;  agli  altri  rami  si  applicherà  la  cimatura  coi  criteri  suggeriti  a 
pag.  659  per  mantenere  i  frutti  sui  rami  che  si  trovano  e  per  ottenere 
dei  nuovi  rami  che  li  possano  surrogare. 

Nella  primavera    del   quarto    anno  la   pianta    porterà   12   branche, 
numero  questo  sufficiente   per   un  vaso.    Queste  branche   si  tagliano  a 
metà  del  loro  prolungamento  e  sopra  una  gemma  che  guarda  in  fuori. 
I  rami  che  si  trovano  lungo  le   branche  si  tratterranno   come  nel- 
l'anno precedente. 

Durante  il  quarto  anno  si  curerà  un  solo  prolungamento  per  ogni 
branca,  avendo  l'attenzione  che  ogni  prolungamento  disti  da  quello 
della  branca  vicina,  di  50  cm.  Ai  germogli  e  rami  sottostanti  si  appli- 
cherà quella  potatura  verde  che  abbiamo  già  descritto  per  gli  anni 
precedenti. 

In  quattro  anni,  come  si  vede,  noi  abbiamo  la  pianta  già  formata 
che  avrà  un'altezza  ed  un  diametro  di  circa  2  metri. 

Negli  anni  successivi  si  farà  la  cosidetta  potatura  di  mantenimento, 
la  quale  consiste  : 

a)  nel  curare  che  le  branche  si  mantengano  fra  loro  alla  distanza 
di  50  cm.  : 


—  665  — 

b)  nel  tagliare  ogni  anno  il  loro  prolungamento  a  medesimo  livello 
e  ad  una  distanza  varia  equivalente  a  V21  ^/a  ed  anche  soltanto  a  5-10  cm. 
a  seconda  della  vigoria.  Se  il  prolungamento  è  molto  vigoroso,  con- 
viene tagliare  a  Vs.  se  mediocremente  vigoroso,  come  di  solito  avviene 
fra  il  quinto  e  l'ottavo  anno,  si  taglia  a  metà;  successivamente  basta 
tagliare  sopra  5-10  cm.  Il  taglio  si  faccia  sempre  sopra  una  gemma  a 
legno  e  si  lasci  sempre  il  prolungamento  isolato  ; 

e)  le  cure  intorno  ai  rami  laterali  ad  ogni  branca  devono  avere 
lo  scopo  di  mantenere  la  fronda  bene  aereata  nelT  interno  e  di  procu- 
rare che  questi  rami  laterali  siano  fruttiferi  ; 

d)  V  aereazione  si  ottiene  scacchiando  i  germogli  e  tagliando  i 
rami  che  vanno  all'  interno  ; 

e)  per  ottenere  lungo  le  branche  dei  rami  a  frutto,  si  deve  avere 
cura  di  allevarli  alla  distanza  di  25  cm.  uno  dall'  altro,  cominciando 
colla  potatura  verde.  Nella  potatura  secca,  i  brindilli,  i  dardi  si  lasciano 
intatti;  i  rami  misti  si  tagliano  come  è  indicato  a  pag.  656;  i  rami  a 
legno  se  vigorosi,  si  tagliano  a  quattro  gemme,  se  deboli  a  due,  per 
ottenere  quattro  o  due  rami  che  daranno  frutto  nell'anno  venturo; 

f)  se  un  ramo  laterale  alle  branche  porta  due  o  più  rami  ; 

aaj  se  il  ramo  inferiore  è  a  legno  ed  il  superiore  a  frutto,  si 
taglia  a  due  gemme  il  primo  (speronandolo)  ed  a  6-10  gemme  a  frutto 
il  secondo  ; 

bb)  se  i  due  rami  sono  misti,  si  conserva  soltanto  il  più  vicino, 
lasciandoci  6-10  gemme  a  frutto; 

ce)  se  il  ramo  più  lontano  è  a  legno  ed  il  più  vicino  a  frutto,  si 
conserva  quest'  ultimo  soltanto  con  6-8  gemme  a  frutto  ; 

dd)  se  alla  base  si  hanno  dei  dardi  a  mazzetto  o  dei  brindilli  ; 
si  tengono  due  di  queste  produzioni  per  il  frutto  e  se  una  d'esse,  ben 
collocata,  porta  un  occhio  alla  base,  si  taglia  al  di  sopra  di  questo; 

y)  nelle  forme  libere  il  taglio  a  sperone  raramente  riesce,  e  perciò 
bisogna  limitarsi  al  taglio  sopra  un  solo  ramo  misto; 

hj  nelle  varietà  fertili,  come  nell'  Amsden,  tutte  le  gemme  dei 
rami  anticipati,  comprese  le  stipulari,  possono  essere  fruttifere  ; 

i)  nella  forma  a  vaso  il  rischio  della  perdita  dei  (ìori  e  dei  frutti 
è  maggiore,  perciò,  il  taglio  dei  rami  a  frutto,  si  fa  più  lungo; 

l)  nelle  forme  a  vaso  pur  non  potendo  sempre  applicare  rigoro- 
samente la  potatura  verde  e  secca  indicata,  bisogna  procurare  almeno 
di  fare  una  scacchiatura,   una    cimatura  ed  una   mondatura  d'inverno. 

2.  Forma  a  vaso  ottenuta  colla  sola  potatura  verde.  —  Per  evitare 
i  tagli  in  secco,  i  quali  se  non  sono  ben  fatti  e  riparati  da  mastice, 
provocano  facilmente  la  gommosi,  già  dal  1896  (1),  raccomando  per 
ottenere  dei  vasi  di  limitare  la  potatura  secca  alla  sola  mondatura  dei 
rami  morti,  deperiti,  disseccati  e  di  attenersi  esclusivamente  alla  pota- 


ci) Vedi  Conferenze  di  Frutticoltura   tenute  a  Milano    nell'anno    1896. 
Società  Agraria  di  Lombardia. 


-  666  - 

tura  verde,  sia  per  ottenere  l'impalcatura  della  pianta,   sia  per  mante- 
nere la  fruttificazione. 

Questo  sistema  ha  incontrato  il  favore  di  molti  pratici  agricoltori 
ed  anche  dei  contadini  i  quali  in  generale  sono  ritrosi  a  tagliare  il 
pesco  durante  r  inverno.  Una  larga  applicazione  l'ab- 
biamo nelle  campagne  di  Massa  Lombarda.  Che  le 
piante  arrivino  ad  acquistare  una  bella  forma  con  questo 
metodo  e  che  diano  una  abbondante  fruttificazione  lo 
dimostrano  le  due  fotografie  che  riporto  di  due  piante 
da  me  ottenute  (fig.  511  e  512). 

Piantati  i  soggetti  di  un  anno  di  innesto,  non  troppo 
vigorosi  (lig.  513),  questi  vengono  lasciati  intatti. 

Quando  la  pianta  comincia  a  dare  dei  germogli, 
cioè  circa  alla  metà  di  giugno,  si  scelgono  tre  di  questi, 
i  migliori  ed  equidistanti,  che  si  dipartono  possibilmente 
dall'  altezza  di  cm.  50  (fig.  514  /)  e  tutti  gli  altri  si  ta- 
gliano via  compresa  l'asta  di  prolungamento  fig.  514  A). 
Fig.  513.  Ciò  ha  lo  scopo  di  concentrare  i  succhi  della  pianta 

^d^^nnesfo^"*'      Sopra  tre  branche  sole,  le    quali,  nel  primo  anno,  si  la- 
sciano intatte. 
Nel  secondo  anno,    durante    il   riposo    della  vegetazione,  le  piante 
non  si  toccano;  al  più  si  leva  qualche  ramoscello  secco. 

Quando  però  incominciano  ad  entrace  in  vegetazione  e  quando  i 
germogli  hanno  raggiunto  la  lunghezza  di  cm.  15,  il  che  avviene  alla 
fine  di  maggio,  bisogna  operare  un  taglio  verde.  Questo  consiste  nello 
scacchiare  tutti  i  germogli  che  nascono  al  centro  della  pianta  e  che 
lasciati  si  trasformerebbero  in  succhioni  (fig.  515  C).  Si  sopprimono 
pure  quelli  nati  lungo  le  tre  branche,  meno  i  due  che  sorgono  lateral- 
mente e  distanti  dalla  loro  inserzione  almeno  cm.  30  (fig.  515  B). 

Fatte  queste  operazioni,  la  pianta  avrà  la  forma  a  vaso  com- 
posta di  sei  branche,  le  quali  si  lasceranno  sviluppare  fino  al  mese 
di  luglio. 

Nella  seconda  metà  di  questo  mese  (fig.  516)  i  germogli  laterali 
delle  branche  tendono  ad  avere  uno  straordinario  vigore  a  scapito  dei 
sottostanti. 

Questo  s' impedisce  mozzando  l'asta  di  prolungamento  a  40  cm.  di 
distanza  (fig.  516  C)  della  loro  inserzione  e  cimando  i  germogli  laterali 
ad  8-10  foglie  (fig.  516  rf).  Cosi  noi  concentriamo  la  linfa  nelle  gemme 
sottostanti  e  diverranno  fruttifere. 

Nel  terzo  anno  si  lasci  pure  intatta  la  pianta  durante  l' inverno. 
In  primavera  i  brindilli  laterali  sulle  branche  non  mancheranno  di 
portare  fiori.  Non  conviene  lasciarli  tutti;  in  ogni  caso  nel  terzo  anno 
si  può  ricavare  una  certa  quantità  di  frutta. 

Quando  i  frutti  hanno  allegato  ed  i  nuovi  germogli  hanno  acqui- 
stato la  lunghezza  di  15  cm.,  ossia  alla  fine  di  maggio  o  ai  primi  di 
giugno,  si  fa  la  potatura  verde. 


Bisogna  allora  prendere  in  considerazione  la  potatura  per  ottenere 
l impalcatura  della  pianta,  quella  per   i    rami  a   fruito  pemienti,    quella 


Fig.  514.  —  Pianta  precedente 
dopo  un  anno. 


Fig.  515.  —  Primo  taglio  verde 
della  pianta   precedente   nel   secondo  anno. 


Fig.  516.  —  -Secondo  taglio  verde  della  pianta  precedente. 


per  provocare  la  formazione  di   nuovi   rami   a   frutto   per   il   prossimo 
anno,  ed  infine  quella  che  serve  a  liberare  dai  succhioni. 


608 


Per  la  prima  si  scelgono  due  rami  laterali  che  si  dipartono  almeno 
a  30  cm.  dall'inserzione  e  si  tagliano  a  metà.  Gli  altri  germogli  si  scac- 
chiano  e  si  cimano  a  10  foglie  a  seconda  che  con  la  loro  posizione 
convenga  sopprimerli  o  trasformarli  in  rami  a  frutto. 

I  rami  che  portano  frutto  si  cimano  a  4  foglie  sopra  l'ultimo  frutto 
(fìg.  517)  e  quelli  che  non  ne  hanno  o  non  si  vogliono  lasciare,  si 
tagliano  sopra  due  foglie  dalla  base  (fig.  517  /).   Si  lasciano  queste  due 

gemme,  perchè  da  queste  vengano 
due  germogli  i  quali,  trasformali  in 
brindilli,  dovranno  poi  dar  frutto. 

Nello  stesso  anno,  in  luglio,  bi- 
sogna potare  nuovamente. 

Si    comincia    col    sopprimere    i 
succhioni. 

Se  dalle  foglie  lasciate   sopra  i 
frutti,  si  è  sviluppato  qualche  ramo 
anticipato,    si    cima    sulla    seconda 
foglia.  Dall'accorciamento  dei  rami 
fatto  a  due  foglie  nel  mese    di  giu- 
gno si  saranno    sviluppati  due  ger 
mogli.    Se  non  si  sono  ramificati  si 
cimano    sulla    decima   foglia  ;    se  si 
sono  ramificati,  si  tagliano  sopra  il 
germoglio   più    vicino    alla   branca. 
Le  branche  terminali   infine   porte- 
ranno dei  nuovi  rami  specialmente 
all'estremità.  Bisogna  tagliarli   in    modo    che    dalla    base   all'  estremità 
vengano  sempre  meno  in  lunghezza  cosi  da  lasciare  la  pianta  con  sole 
12  branche. 

Nel  mese  di  agosto  e  settembre  si  raccolgono  i  frutti  e  si  prendono 
col  ramo  che  li  porta  tagliandolo  però  a  due  gemme  dalla  base. 
Da  queste  due  gemme,  prima  ancora  che  termini  la  stagione,  si  pos- 
sono sviluppare  due  buoni  germogli. 

In  agosto  conviene  anche  pensare  agli  ultimi  germogli.  Nel  caso 
che  ve  ne  siano  molti,  se  ne  lasciano  uno  o  due  soli,  quelli  più  vicini 
alla  branca  e  i  rimanenti  si  tagliano  (fig.  509).  1  rami  laterali  che  pos- 
sono essersi  sviluppati  alle  estremità  delle  branche  si  accorciano,  e  la 
estremità  delle  branche  si  taglia  a  due  terzi. 
E  con  ciò  siamo  arrivati  al  quarto  anno. 

La  pianta  si  presenterà  a  vaso  formata  da  12  branche,  ciascuna 
delle  quali  porterà  dei  rami  da  frutto. 

Anche  su  questi  durante  l'inverno  non  si  tagliano  che  i  rami 
secchi.  In  primavera  si  lasciano  allegare  i  frutti,  ed  essendo  questi  in 
minor  numero  dei  fiori,  cosi  non  conviene  tagliare  d'inverno  nessun 
brindino. 

Quando  i   fiori  hanno   allegato,   si  tagliano  i  rami  a  4  foglie  sopra 


Fig.  517.  —  Potatura  verde  nel  terzo  anno. 


-  669  - 

r  ultimo  frutto,  quelli  che  non  ne  hanno  si  speronano  a  due  gemme. 
Si  procura  il  prolungamento  delle  branche,  tagliando  sopra  una  gemma 
elle  guarda  in  fuori. 

3  Le  forme  ad  U  semplice,  U  doppia,  a  palmette  Verrier  (fig.  518 
e  519)  a  ')  e  7  Ijranche  si  ottengono  come  è  stato  descritto  a  pag.  158; 
soltanto  si  deve  avere  l'avvertenza  di  tenere  le  branche  a  50  cm.  di 
distanza  e  quindi  bisogna  piantarle  ad  una  distanza  multipla  di50cm. 
quante  sono  le  branche. 

Nella  potatura  di  produzione  si  avrà  cura  di  tenere  le  branche 
costantemente  fornite  di  rami  a  frutto  disposti  a  destra  ed  a  sinistra 
delle  branche  verticali.  F"atta  la  potatura  secca,  i  brindilli  ed  i  ramuli 
si  legano    inclinati,  alla  intelajatura.  Dopo  la  prima  cimatura,  si  legano 


Fig.  .')18.  —  Palmetta  Verrier 
a  5  branche. 


Fig.  519.   —   Palmetta  Verrier 
a  7  branche. 


inclinati  anche  i  germogli  quando  hanno  raggiunto  la  lunghezza  di 
40  cm  ,  disponendoli  in  modo  che  coprano  tutto  il  muro. 

Va  da  sé  che  nelle  forme  appoggiate  bisogna  curare  tutte  le  ope- 
razioni di  potatura  secca  e  verde  che  abbiamo  già  descritto. 

17.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  Il  pesco,  più  dai  geli 
invernali,  ha  bisogno  di  essere  protetto  dalle  brine  di  primavera  e 
dalle  pioggie  fredde  che  possono  colpirlo  durante  la  fioritura.  Perciò, 
in  molle  località  dell'Italia  settentrionale,  dove  queste  e  quelle  sono 
frequenti,  è  possibile  soltanto  la  coltivazione  del  pesco  allevato  a  spal- 
liera, mentre  nella  generalità  dei  territori  della  vite  il  pesco  si  può 
allevare  a  forme  libere  con  pieno  successo,  come  nell'  Italia  centrale 
e  meridionale. 

Per  le  forme  libere  bisogna  scegliere  delle  piante  innestate  sul 
mandorlo  o  sul  pesco,  di  non  più  di  un  anno  d'età.  Il  mandorlo  è 
preferibile  piantarlo  in  autunno.  Trattandosi   di  pieno   vento   si  fanno 


-  (Ì70  - 

dei  filari  distanti  20  m.  e  sulla  fila  si  pianta  a  10  m.  Per  mezzo  vento 
queste  distanze  si  possono  ridurre  alla  metà  ed  anche  meno.  Dopo  15 
o  20  anni,  quando  le  piante  deperiscono,  si  pianta  un  nuovo  filare  nel 
mezzo.  Il  pesco  ordinariamente  lo  si  coltiva  lungo  i  margini  dei  vigneti 
senza  fare  loro  danni  sensibili,  oppure  lungo  le  strade  e  i  viali. 

L'esperienza  mi  ha  dimostrato  che  è  molto  conveniente  la  forma 
a  vaso,  il  cui  fusto  si  biforca  a  50  cm.  dal  terreno.  Colla  chioma  svasata 
si  asseconda  di  più  la  natura  della  pianta  che  tende,  anche  se  abban- 
donata a  se  stessa,  a  biforcarsi  appunto  a  quell'altezza;  poi  si  ha  il 
vantaggio  di  avere  minori  danni  per  l'ombra.  In  questo  caso  si  pian- 
tano in  quadrato  alla  distanza  di  ni.  3,50  a  4  nei  frutteti  industriali.  Sulle 
costiere  secche  e  mezzane,  a  5  metri  o  meglio  a  quinconce  alla  di- 
stanza di  4-5  metri. 

Volendo  lavorare  il  terreno  con  un  aratro,  o  volendo  intercalare 
la  coltura  di  ortaggi  (fagioli,  piselli,  pomidoro,  ecc.),  si  fanno  dei  filari 
distanti  8  metri  e  le  piante  si  collocano  a  4  metri  sulla  fila. 

Ho  già  detto  che  al  pesco  è  preferibile  fare  i  tagli  in  verde,  ossia 
durante  il  corso  della  vegetazione.  II  taglio  in  verde  si  comincia  nei 
primi  giorni  di  giugno  e  successivamente  colle  cimature  e  scacchia- 
ture  devesi  operare  in  modo  da  limitare  il  più  possibile  le  operazioni 
della  potatura  secca. 

18.  Concimazione.  —  Le  più  importanti  esperienze  sulla  concima- 
zione del  pesco  sono  quelle  del  sig.  S.  Dayton  di  New-Jersey,  il  quale, 
dopo  10  anni  di  prove,  è  venuto  alle  seguenti  conclusioni  ; 

1.  Lo  stallatico  influisce  sul  rigoglio  della  pianta  e  sulla  quantità 
del  prodotto,  fa  ritardare  però  la  maturazione  dei  frutti.  Lo  stallatico 
decomposto  oppure  i  terricciati,  migliorano  considerevolmente  le  pro- 
prietà fisiche  del  terreno  e  sono  di  molta  efficacia  negli  impianti.  Una 
loro  applicazione  abbondante  e  continuata  può  però  essere  di  danno, 
poiché  il  legno  non  arriva  a  completa  maturazione  e  le  piante  sono 
più  soggette  a  malattie.  II  colaticcio  ed  il  pozzonero  si  devono  adope- 
rare ancora  con  maggiore  precauzione. 

2.  I  concimi  chimici  possono  sostituire  completamente  Io  stalla- 
tico ed  applicandoli,  si  realizza  una  notevole  economia  di  spesa.  Il 
vantaggio  consiste  essenzialmente  in  ciò,  che  i  tre  elementi  principali: 
azoto,  anidride  fosforica  e  potassa,  si  possono  somministrare  nelle 
proporzioni  richieste  dalle  più  svariate  condizioni  del  terreno. 

3.  La  potassa  agisce  specialmente  sulla  produzione  legnosa  della 
pianta  e  sulla  quantità  e  sviluppo  delle  frutta.  Che  il  solfato  di  po- 
tassa —  come  succede  di  frequente  —  sia  preferibile  al  cloruro  di 
potassio  non  è  stato  ancora  sufficientemente  dimostrato.  Il  quantitativo 
necessario  per  ogni  pianta  sarebbe  gr.  300-500,  oppure  per  ettaro  con 
450  alberi  kg.  135-225  di  cloruro  di  potassio  o  solfato  di  potassa.  1  sali 
greggi  di  potassa  (compresa  la  kainite)  bisogna  adoperarli  con  precau- 
zione, perchè  i  diversi  sali  contenuti  nelle  impurità,  danneggiano  il 
pesco  che  è  molto  delicato. 


-  671  - 

4.  L'anidride  fosforica  favorisce  l'allegamento  dei  frutti  e  la  loro 
maturazione.  Annualmente  ne  vengono  richiesti  gr.  80-160  per  albero, 
oppure  kg.  36-72  di  anidride  fosforica  in  un  ettaro,  contenente  450  piante. 
Del  perfosfato  al  18  %  se  ne  richiedono  quindi  da  gr.  450  a  500  per 
albero,  ossia  kg.  200-400  per  ettaro.  Con  eguale  risultato  si  possono 
applicare  anche  le  scorie  Thomas,  specialmente  negli  impianti. 

5.  L'azoto  favorisce  lo  sviluppo  delle  foglie,  del  legno  e  dei  frutti. 
Ad  una  concimazione  fosfo-potassica  è  indispensabile  un'  aggiunta  di 
azoto;  però  un  eccesso  di  azoto  è  dannoso,  inquantochè  le  frutta  allora 
ritardano  la  maturazione  e  le  piante  vengono  colpite  facilmente  dalla 
gommosi.  Annualmente  dando  gr.  65  di  azoto  con  gr.  400  di  nitrato, 
oppure  kg.  30  di  azoto  con  kg.  180  di  nitrato  per  ettaro,  si  fa  una  con- 
cimazione sufficiente. 

Quando  si  tratta  di  rinvigorire  delle  piante  adulte,  o  quando  si 
hanno  dei  terreni  poveri,  conviene  aumentare  questa  quantità. 

6.  La  potassa  e  l' anidride  fosforica  devono  costituire  la  base 
della  concimazione  del  pesco  e  devono  esser  portati  sul  terreno  possi- 
bilmente d'autunno  o  durante  l'inverno,  e  si  sotterrano  perchè  vengano 
a  trovarsi  vicino  alle  radici.  Tutte  e  due  queste  sostanze,  danno  alla 
pianta  un  aspetto  più  vigoroso  ed  il  prodotto  aumenta  di  quantità  e 
migliora  di  qualità.  L'azoto,  a  seconda  del  bisogno,  si  dà  in  primavera 
ed  in  estate. 

7.  La  calce  è  indispensabilissima  per  le  piante  a  nocciolo,  e  fa 
aumentare  notevolmente  la  ricchezza  zuccherina  dei  frutti.  Non  è  con- 
sigliabile la  calce  viva,  poiché  sovente  danneggia  le  piante,  ma  invece  il 
carbonato  di  calce  o  la  marna  calcare.  Nei  terreni  abbastanza  ricchi  di 
calce,  è  sufficiente  la  calce  che  si  importa  coi  perfosfati  o  colle  scorie. 

8.  Per  ottenere  un  completo  successo  dalle  concimazioni,  bisogna 
che  a  queste  facciano  seguito  diligenti  lavorazioni  del  terreno  ed  una 
appropriata  potatura. 

Queste  conclusioni  andrebbero  d'accordo  coi  dati  analitici  forniteci 
dalla  stazione  sperimentale  dì  Geneva  (Stati  Uniti) ,  meno  però  per 
quanto  riguarda  l'azoto  e  la  calce. 

lo  ho  visto  sempre  i  migliori  peschi  nei  terreni  fertili,  ricchi  di 
azoto  e  di  calce. 

Una  buona  formola  di  concimazione  è  la  seguente,  per  pianta  che 
occupa  20  m^  di  superficie: 

Solfato  ammonico  o  calciocianamide  grammi  120 

Nitrato  di  soda ,,120 

Scorie  Thomas  o  perfosfato         ...  .,        600 

Solfato  di  potassa „        400 

Dando  le  scorie  conviene  adoperare  la  calciocianamide  e  dando  il 
perfosfato  bisogna  impiegare  il  solfato  ammonico.  Il  nitrato  di  soda  si 
dà  separato  in  primavera,  mentre  il  solfato  ammonico  e  la  calciocia- 
namide si  danno  in  autunno  cogli  altri  concimi. 


—  672  — 

19.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  Le  pesche  si  raccolgono 
quando  comincia  a  schiarirsi  il  fondo  verde  della  buccia  ;  quando  il 
colore  ed  il  profumo  sono  più  accentuati;  quando  l'epidermide  non  è 
più  tanto  tesa.  Le  pesche  destinate  per  la  spedizione  devono  essere 
raccolte  prima  che  raggiungano  la  loro  maturazione  assoluta.  Le  pesche 
duracine  si  prestano  meglio  delle  altre  ai  trasporti  pei  paesi  lontani  e 
le  pesche  mai  acquistano  un  sapore  migliore  se  raccolte  immature  e 
poi  lasciate  qualche  giorno  sopra  una  tavola  distesa  come  avviene  per 
le  mele. 

Per  favorire  il  colore  brillante  delle  pesche  si  può  fare  qualche 
sfogliatura  parziale,  tagliando  le  foglie  sopra  il  picciolo.  Questa  sfo- 
gliatura non  si  deve  fare  però  che  quando  comincia  il  periodo  di 
maturazione.  Si  operi  gradatamente  in  modo  da  conservare  sempre 
almeno  tre  foglie  sopra  il  frutto  e  togliendo  di  preferenza  quelle  che 
al  frutto  danno  ombra. 

Le  pesche  non  si  devono  raccogliere  nelle  ore  più  calde  ;  si  avvol- 
gono colla  mano  o  con  un  pampino  di  vite,  si  fa  un  leggero  movimento 
di  torsione  senza  comprimere  la  polpa  e  poi  si  collocano,  avvolte  dal 
pampino,  in  cesti  bassi  aventi  nel  fondo  del  fieno  o  paglia.  A  Montreuil 
la  raccolta  si  fa  dalle  5  alle  8  ore  di  mattina,  dovendo  raccoglierle 
nelle  ore  calde,  si  fanno  raffreddare  all'ombra  prima  di  imballarle. 

L'imballaggio  (vedi  anche  a  pag.  373)  si  fa  in  panieri  rotondi,  se- 
parando le  pesche  a  seconda  della  loro  grandezza  e  destinando  per  le 
piccole,  canestri  diversi  di  quelli  delle  grandi.  Si  imballano  col  fieno 
o  coi  truccioli  di  carta,  avvolgendo  ogni  pesca  con  una  foglia  di 
vite  o  carta.  Delle  pesche  grosse  si  fanno  strati  da  8  pezzi;  delle  piccole 
da  15,  facendo  poi  fuori  del  paniere  una  specie  di  cono  che  si  avvolge 
con  della  tela.  Ogni  canestro  di  pesche  grosse  ne  contiene  4  dozzine  e 
di  piccole,  8  dozzine. 

Questi  canestri  ripieni,  si  chiudono  poi  dentro  a  grandi  cestoni  in 
numero  di  6  a  9  per  ogni  cestone-,  si  possono  caricare  sul  cavallo, 
oppure  spedire  per  ferrovia. 

Trattandosi  di  spedizioni  in  grande  si  possono  mandare  entro 
cestoni  alla  rinfusa,  avendo  cura  di  collocare  le  pesche  meno  mature 
al  di  sotto.  Questi  cestoni  sono  per  lo  più  rotondi  con  coperchio  con- 
vesso ed  il  fondo  e  le  pareti  si  rivestono  con  paglia  di  segale. 

Se  le  pesche  sono  destinate  ad  essere  consumate  subito  si  suole 
levare  con  una  spazzola  fine,  la  peluria  che  le  ricopre. 

20.  Usi.  —  La  pesca  è  il  frutto  più  fine  e  delicato  e,  sotto  molti 
rapporti,  è  migliore  dell'uva.  Accontenta  l'occhio,  costituisce  uno  dei 
migliori  ornamenti  da  tavola,  ha  un  profumo  soave,  un  gusto  squisito 
ed  il  solo  suo  difetto  è  di  conservarsi  poco.  Per  prolungare  la  sua 
conservazione  si  tengono  le  pesche  nelle  ghiacciaie. 

Si  serve  la  pesca  al  suo  stato  naturale,  oppure  con  essa  si  fanno 
conserve,  canditi,  marmellate,  sorbetti,  paste  ed  altre  confetture. 

Mangiate  in  quantità  notevole,  le  pesche  sono  rilassanti  e  non  facil- 


—  673  - 

mente  digeribili  da   tutti    gli  stomaci.    La  polpa  è  molto  succosa,  zuc- 
cherina, leggermente  acidula  e  profumata. 

Secondo  Fresenius  la  loro  composizione  sarebbe  : 

Acqua 80,24%  Gomma     ....  4,85% 

Sostanze    albumi-  Acido  malico   .     .  1,10  „ 

noidi 0,93  „  Calce 0,06  „ 

Cellulosa  ....  1,21  „  Zucchero  ....  11,61  „ 

Le  persicate,  le  marmellate,  ecc.,  si  fanno  colle  pesche  duracine; 
colle  pesche  a  polpa  molle  e  profumate  si  fa  anche  un  vino.  Negli  anni 
di  abbondanza  si  può  far  fermentare  la  polpa  ed  ottenere  colla  distil- 
lazione un'acquavite  ricercata,  di  gusto  particolare.  Le  pesche  si  so- 
gliono anche  essiccare  e  la  California  si  distingue  per  questa  industria. 

Le  foglie  di  pesco  in  infusione  nel  latte  caldo,  sono  ricercate  per 
la  confezione  di  una  crema  ed  in  infusione  nell'acqua  calda  si  adope- 
rano per  sciacquare  le  botti. 

I  fiori  di  peschi  si  adoperano  per  fare  uno  sciroppo  medicinale  e 
le  mandorle  servono  come  condimento  aromatico  a  diverse  sostanze 
alimentari. 

21.  Dati  economici.  —  Inizia  la  sua  produzione  al  3.''-5."  anno 
dall'impianto  con  3-5  kg.  di  frutti  per  pianta,  acquista  e  conserva  la 
sua  produttività  massima,  in  media  10-12  kg.  sino  a  25-30  kg.,  dal- 
l'anno 8. "-IO."  sino  al  18."-20.« 

II  conto  colturale  di  un  pescheto,  nel  quale  sono  state  collocate 
le  piante  a  m.  8  di  distanze  da  filare  a  filare  ed  a  m.  4  sulla  fila,  con 
coltivazione  intercalare  di  ortaggi,  sarebbe  il  seguente  per  ettaro: 


Prodotto. 

Piante  N.  312  per  Kg.  30  di  pesche  a  L.  20     .  L.  1872,— 

Piselli  Kg.  .3.500  a  L.  20 „  700,— 

Pagi u oli  da  cornetti  Kg.  2500  a  L.  30        .        .  „  750,— 

Totale  prodotto  L.  3322,— 

Spese. 

Acquisto  del  terreno L.  5000, — 

Scasso  e  sistemazione „  2000, — 

Acquisto  di  piante  N.  312  a  L.  0,50    .        .        .  „  156,— 

Impianto  N.  312  a  L.  0,20 ,.  62,40 

Imjìoste,   lavori,    trattamenti,  cure    per  3  anni 

prima  della  produzione         ,        .        .        .  „  450,— 

Concimazione  di  3  anni „  600,— 

Totale  spese  L.  8268,40 
ì  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  674  — 

Quindi  un  ettaro  di  pescheto,  quando  comincia  a  fruttificare  costa 
circa  L.  8300. 

Ritenuto  clie  la  metà  dei  prodotti  vadano  in  spese,  si  avrebbe 
sopra  un  capitale  di  L.  8300  la  rendita  netta  di  circa  1600,  che  rappre- 
senta l'interesse  del  19%  sul  capitale  impiegato. 

22.  Malattie  e  cause  nemiche.  (V.  pag.  500). 


ALBICOCCO 

(Armeniaca  vulgaris  Juss  —  Fam.  Rosacee). 

Nomi  volgari  italiani  della  piatila  —  Albicocco  comune,  Pesco  ar- 
meniaco,  Armeniaco,  Meliaco,  Umiliaco,  Armellino. 

Nomi  volgari  italiani  del  frutto  —  Albicocca,  Albercocca,  Arme- 
niaca, Pesca  armeniaca,  Meliaca,  Armellino,  Umiliaca,  Moniaca,  Biri- 
coccola. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Abricotier  —  Ted. : 
Aprikosenbaum  —  Inglese:  Gommen  Apricot. 

Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  Frane:  Abricot  —  Ted.  Aprikose 
Ingl.  :  Apricot. 

1.  Origine.  —  L'albicocco  è  originario  dell'Asia  (China)  e  dell'Africa 
specialmente  delle  coste  del  Mediterraneo.  Nella  China  e  nel  Giappone 
è  consumato  allo  stato  selvatico. 

Sembra  che  i  Romani  1'  abbiano  importato  dalla  Siria  ed  Armenia 
ai  tempi  di  Plinio.  In  quest'ultimo  paese,  allo  stato  domestico,  il  frutto 
raggiunge  la  sua  massima  perfezione. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  -  E'  un  albero  che  può  arrivare 
all'altezza  di  oltre  6  metri,  nella  regione  mediterranea,  colle  ramifica- 
zioni divaricate  da  formare  una  chioma  tondeggiante.  > 

Radice  fìttonosa. 

La  scorza  del  tronco  è  bruno- violacea  screpolata;  i  rami  sono  ros- 
sastri e  distesi  in  gioventù;  i  rami  secondari  sono  corti,  divergenti  e  radi. 

Internodi  corti;  gemme  piccole,  appuntite,  multiple,  portate  sopra 
un  cuscinetto  abbastanza  sporgente.  Gemme  latenti  frequenti  special- 
mente sui  rami  vecchi.  Gemme  a  frutto  unifloii. 

Foglie  accartocciate  se  giovani,  liscie,  lucenti,  dentate  irregolar- 
mente, ovate,  un  po'  cuoriformi  alla  base,  accuminate  all'  apice,  colla 
pagina  superiore  di  color  verde  scuro  e  più  pallide  sulla  pagina  infe- 
riore. Picciolo  lungo,  solcato,  glanduloso. 

Fiori  grandi  solitari  con  calice  rosso  e  petali  bianchi  o  rosei,  con 
gambo  breve.  Appaiono  nella  primavera  prima  delle  foglie. 

Il  frutto  è  una  drupa  globosa  complessa  su  due  faccie,  gialla  e 
molto  saporita.  Buccia  più  o  meno  ranciata,  tinta  di  rosso  nella  parte 
che  guarda  il  sole,  ricoperta  di  una  sottilissima  lanuggine,  e  con  un 
solco  molto  marcato,  più  che   nella    pesca,  che   dal   gambo    si    stende 


—  675  — 

fino  airestremilà  opposta.  Polpa  più  o  meno  aderente  al  nocciolo,  più 
o  meno  succosa  e  profumata. 

Nocciolo  di  figura  globosa  ed  alle  volte  un  poco  compressa  o  cuo- 
riforme rotonda,  liscio  ed  alato. 

3  Classificazione  delle  varietà.-  La  classificazione  più  usata  e  quella 
basata  sul  seguente  schema  (vedi  Tab.  IJl)  e  nella  Tab.  LUI  mdico  le 
principali  qualità  colturali  delle  varietà  raccomandate. 


Tab.  LII. 


Schema  di  classificazione  delle  varietà  di  albicocche. 


Grandezza 
Mandorla  del 

frutto 


Mu-I 


dolce 
gnaghe) 


grande 


piccolo 


grande 


piccolo 


Forma  del 
frutto 


rotondo 
<  ovale 
(  allungato 
^  rotondo 

ovale 
(  allungato 
i   rotondo 

ovale 
f   allungato 
;  rotondo 
'  ovale 
(  allungato 
■   rotondo 
,  ovale 
(  allungalo 

rotondo 

ovale 
allungato 


N.  progr. 

(fella 
famiglia 


I 

li 

IH 

IV 

V 

VI 
VII 
Vili 

IX 

X 

XI 

XII 
XllI 
XIV 

XV 
XVI 
XVII 
XVlll 


Varietà  Consigliate 


\  Alessandrina  lucente  precoce 
'  Alessandrina  lucente  tardiva 


Liabaud 

\  Romana,  di  Nancy,  di  Tours 
ì  Alessandrina  gialla  precoce 
Reale 


Alessandrina  gialla  precoce  (lìg. 

DAlexandrie        Ted.:  Friihe  gelbe  Alexandrinische 


520). 

-[  Ing.  :  Early  Moorpark. 


Desrrizione  della  pianta  (Leroy):  legno  forte,  rami  abbastanza  numerosi  grossi  e 
lunghi,  eretti  alla  sommità,  di  color  rosso  bruno.  Lenticelle  piccole,  rotonde,  gialle. 
"  Gemme  di  color  bruno,  grosse,  ovoidali,  ottuse,  aggruppate  a  tre  fino  ad  otto. 
Foglie  numerose,  grandezza  media,  cordiforme  arrotondate,  brevemente  accumi- 
nate,  grosse,  di  color  verde  carico  brillante  al  disopra.  Picciolo  corto,  grosso  e  rigido, 
leggermente  scanellato,  ghiandoloso,  di  color  verde  sanguigno  e  generalmente  accom- 
pagnato da  una  o  due  orecchiette. 

Fiori  grandissimi,  bianchi,  con  petali  rilevati  fra  le  nervature  ed  il  calice  rosso. 
Frutto  meno  che  medio,  ovale  rotondo,  con  solco  largo  e  rotondo  all' estremità  e 
stretto  nel  mezzo.  Cavità  al  peduncolo  larga  ed  il  punto  pistiUare  saliente  o  legger- 
mente rientrante.  Buccia  tomentosa,  giallo-citrina  con  sfumature  grigie  e  con  macchia 
rossa  sfumata  dalla  parie  del  sole;  polpa  giallo-pallida,  consistente,  non  aderente  al  noc- 
ciolo. Succo  abbondante,  zuccherino,  molto  profumato,  un  poco  acidulo.  Nocciolo  pic- 
colo, ovoidale-rotondo.  Mandorla  amara. 

Vegetazione:  pianta  di  mediocre  vigore  e  di  fertilità  soddisfacente.   Fiorisce  subito 
dopo  il  mandorlo  ed  è  il  più  precoce  degli  albicocchi. 
Maturazione:  fine  giugno. 
Qualità:  prima. 


—  67(i 


1 

CS  4) 

fili 

II 

3  0 

3 

2 

11 

05 

2 

2 

4)  0 

II 

2 

B3         14- 

._.  4)   — 

0  e 

««a 

l-l 

Ili 

■KS 

—  4JS 

li 

a, 

!2 

S 

2 

pi 

2 

a 
E 

s    8 

2  SI 

es 

g 

S 

0 

•  ■*-       0 

hi 

0     e 

0 

o.S 

2 

a  3 
2« 

3 

3 

2 

2 

2 

2 

2' 

iZJ       — 

■*" 

0  0-0 

2g 

2 

o2 

T3 

ca  0 

=5  ftC 

il 

4,2       . 

tf 

ili 

« 

es^ 

CS        S 

•s  "^ 

CSrt 

IB^ 

fc     « 

o.<u  > 

e. 

fto," 

a> 

>t 

e 
0 

."S 

;o 

il 

C/5 

k 

•-5 

2 

s" 

« 

-e  5 

0 

T3  £ 

a   m 

■3  S 

^ 

e   U 

tq 

B  ^^ 

^e- 

a  h 

0 

e 

0 

0 

0 

ioj 

0 

fc 
^ 

1 

^ 

!S 

■5 

P 

a 
0 

.a 

2 

^ 

CS 

. 

i  « 

ó 

_s 

0 

2 

3 

2 

Il 

0 

!S  -S 

a  es 

2 

2 

u 

« 

«  ^ 

a  I- 

s  ^ 

^ 

0 

cs 

1 

a 

CS 

0 

"3 

■e 

~ 

•~ 

■3 

2 

■d 

•z 

S  e 

bc 

0 

i> 

S 

E 

1^^ 

'« 

.2 

2 

5 

iS 

2 

T3 

2 

2 

fc  C8 
2  E 

<u 

"e 

"o 

fc 

e 

g 

e 

£3-0 

i.  à^ 

I-  a 

« 

es 

'£ 

à 

CS 

tu  g-c 
2  "„ 

<u  0 

a> 

0  ^ 

cs 

C! 

-0 

C!C3   ■" 

«iS 

J2  > 

0  1^ 

•3 

^ 

ss 

"p 

CS   0 

-CTS  ^  CS 

2 

^'a 

gs 

es      — 

cS 

a 

rt  0 

« 

sé; 

Ì2tJ 

S2e:     iSa 

s'-^t; 

E  '^ 

i- 

■C 

■g_E 

•C2S5 

•r  CS  a 

CS  ° 

•3  " 

■IBt 

2  S 

0 

e 

0 

.0.2 

0 

0.2 

S  3 

-•s 

'- 3 

C2P 
«.5  • 

*T  bc 

^3 

3 

2 

2 

T  0 
'-'  so 

2 

S    •" 

'3d 

60 

CS 

i 

CS  1* 

^  > 

II 
|3 

ó 

3 

0 

y. 

«  2 
e  s 

■3  (^5- 

a  0 

3 

CS 

1 

bb 

0 

0) 

bb 

ta 

e 

es 

0 

«  Cbb 

4)  "  bc 

A 

N 

<«  e  bb 

s  « 

— 

y. 

H 

:^"^'^- 

CS 

"2 

-  g« 

h 

s 

J 

'-^ 

-< 

ce 

Q 

5 

uSojd   x 

'-' 

N 

M 

■* 

ira 

0 

i> 

w 

e» 

Fig.  520.  —  Alessandrina  gialla  precoce  (a  mandorla'.amara  -  '/s  grandezza).] 


Fig.  521.  —  Alessandrina  lucente  precoce  {'j,  grandezza). 


—  678  — 

Coltivazione:  per  la  sua  straordinaria  precocità  e  pel  suo  sviluppo  limitalo  questa 
varietà  si  coltiva  esclusivamente  a  spalliera  ed  in  buona  esposizione,  riparata  dai  venti 
freddi  e  dalle  intemperie.  Esige  terreno  buono  e  si  può  innestare  tanto  sul  franco  che 
sul  susino.  È  diffuso  nell'alta  Italia  nonché  sulla  costiera  Ligure  e  nel  Pisano.  Gallesio 
descrisse  questa  varietà  cai  nome  di  Alessandrino  o  mandorla  amara. 


Fig.  522.  —  Alessandrina  lucente  tardiva  ('/a  grandezza). 


Alessandl'ina  lucente  precoce  (fìg.  521). 

Sinomini:  Albicocco  lucente,  Albicocco  precoce,  Alessandrina  gialla  precoce. 
Questa  varietà  è  stata  descritta  dal  Gallesio  che  così  ne  parla: 

Albero  assai  vegeto,  ricchissimo  di  messe  prima  verdognole  poi  rosso-brune,  con 
fogliette  rossiccie  alla  cima,  che  poscia  divengono  verdi.  Fiori  abbondanti,  raggruppati, 
come  a  mazzetti.  Frutto  piccolo,  orbicolare,  leggermente  solcato  da  una  sola  parte; 
buccia  bianchiccia,  poi  di  un  bianco-giallo  men  carico  di  quello  dellalbicocco  di  Ger- 
mania, da  noi  descritto  sotto  il  nome  di  albicocco  di  Nancy,  e  meno  carico  di  quello 
delle  Alessandrine  comuni;  qualche  volta  si  colora  di  una  leggiera  velatura  di  rosso: 
polpa  giallognola,  delicata,  gustosa:  nocciolo,  tondo  rilevato,  contenente  una  mandorla 


—  67i)  — 

dolce  Matura  verso  la  metà  di  giugno.  L' albero  è  feracissimo  nel  Napoletano,  nella 
Sicilia,  nella  Liguria,  nella  Sardegna  a  neir  Isola  di  Malta.  Nelle  restanti  provincie 
d'Italia  non  riesce  che  con  grandissime  cure. 

Alessandrina  lucente  tardiva  (fig.  522). 

Sinomini:  Alessandrino  di  Sardegna,  Alessandrino  di  Malta,  Alessandrinetto,  Mas- 
simin,  Mognaga  o  Mugnaga  dei  Lombardi,  Umbeliaco  dei  Bolognesi. 

Gallesio  cosi  la  descrive: 

È  una  sotto-varietà  dell'albicocco  lucente  precoce,  dal  quale  differisce  solo  per 
l'epoca  diversa  in  cui  giunge  a  maturità.  È  la  migliore  delle  albicocche  dopo  la  lucente 
precoce.  Si  ottiene  per  innesto  ed  anche  per  seme;  coltivasi  a  pieno  vento,  ed  a  spal- 
liera con  maggior  sicurezza  di  buon  successo,  verso  levante  nei  paesi  meridionali,  ed 
a  mezzogiorro  altrove.  È  questo  il  meliaco  o  mognaga  di  Lombardia  o  del  Piemonte, 
coltivato  con  tanto  profìtto  dai  «ttaiuoli  e  dai  proprietari  a  pieno  vento  nei  campi  di 
tutto  il  Siccomario,  vasta  tenuta  fra  il  Gravellone,  il  Ticino  ed  il  Po,  nelle  vicinanze  di 
)>avia.  Il  frutto  è  spiccagnolo,  buonissimo,  fragrante  allorché  si  coltiva  a  piena  aria 
ed  al  sole,  nel  qual  caso  sviluppasi  a  mezzana  grossezza,  acquista  un  color  giallo  d'oro, 
ovvero  di  carota  e  spesso  diviene  rognoso  da  una  parte:  all'ombra  rimane  giallo-ver- 
diccio, insipido.  La  polpa  ne  è  di  un  bel  giallo  come  la  buccia  dolce  zuccherina  a 
mandorla  dolce.  Matura  a  metà  luglio. 

Comune  o  romana. 

Frane:  Abricot  Commun  —  Ted.:  Gemeine  Aprikose  -  Ing.:  Common  Apricot. 

Descrizione  della  pianta;  legno  forte;  rami  numerosissimi,  orrizzontali,  verde-bruni 
alla  base,  eretti  e  rosso-scuri  all'estremità,  con  macchie  verdi,  grossi,  lunghi.  Lenticelle 
rotonde,  di  grandezza  varia,  salienti,  grigie  e  molto  avvicinate. 

Gemme  abbastanza  grosse,  ovoidali-ottuse,  nerastre  aggruppate  a  tre. 

Foglie  numerose,  piccole,  tondeggianti,  più  larghe  che  lunghe,  verdi-giallastre 
superiormente  e  verdi-biancastre  sulla  pagina  inferiore.  1  lembi  sono  dentati  a  sega. 
Picciolo  corto,  di  grandezza  media,  rigido  e  con  molte  ghiandole,  con  leggera  scannel- 
latura, rosso  al  disopra  e  verde  al  disotto. 

Fiori  bianchi,  globulosi,  di  media  grandezza,  col  calice  rosso-verdastro. 

Frutto  men  che  medio  di  grandezza,  di  forma  ovoidale  leggermente  appiattito  ai 
lati,  solco  stretto  e  profondo  ed  una  metà  più  sviluppata  dell'altra.  Insenatura  al  pedun- 
colo media,  l'estremità  opposta  mammelliforme.  Buccia  grossa,  leggermente  tomentosa, 
giallo  biancastra  dal  lato  dell'ombra,  giallo-aranciata  dalla  parte  del  sole,  con  sfuma- 
ture rosse  e  puteggiature  nere,  rugose.  Polpa  giallo-ranciata,  liquescente,  non  aderente  al 
nocciolo.  Succo  abbondante,  acidulo-zuccherino,  leggermente  profumato.  Nocciolo  abbas- 
tanza grande,  ovoidale-rotondo;  mandorla  amara. 

Vegetazione:  di  molta  vigoria  e  di  grande  fertilità. 

Maturazione:  metà  luglio. 

Qualità:  È  una  delle  migliori  per  fare  composte  ed  è  delle  più  ricercate  pel  grande 
commercio. 

Coltivazione:  per  il  suo  vigore,  rusticità,  e  per  la  sua  fioritura  tardiva  si  racco- 
manda pel  pieno  vento.  Sottoposta  a  forme  ristrette  si  rende  meno  produttiva  ed  anche 
i  frutti  perdono  di  profumo.  Sopporta  bene  le  intemperie. 

È  una  varietà  molto  coltivata  all'estero  ed  in  Italia.  Fra  le  varietà  comuni  dell'alta 
Italia  non  è  difficile  trovarne. 

Frutto  da  conserve. 

Liabaud. 

Descrizione  della  pianta  (Leroy):  legno  forte,  rami  abbastanza  numerosi,  eretti  al- 
l'estremità, lunghi,  di  color  bruno  rossastro  con  sfumature  verdi.  Lenticelle  rade,  grandi, 
giallastre  e  prominienti.  Gemme  piccole  o  medie. 


—  G80  - 

Foglie  grandi  o  inedie,  cordiformi,  brevemente  accuminate,  verdi-scure-brunastre 
sulla  pagina  superiore  e  verdi-chiare  sull'inferiore.  Dentatura  fine.  Picciolo  rosso-vivo, 
lungo,  con  ghiandole,  scanelato  con  qualche  orecchietta. 

Fiori  piccoli,  bianco  rosati  col  calice  rosso-amaranto. 

Frutti  voluminosi,  ovoidali  allungati,  con  solco  stretto,  ma  profondo.  Insenatura  al 
peduncolo  poco  sviluppata.  Buccia  leggermente  tomentosa,  giallo-aranciata,  punteggiata 
di  rosso-porpora  e  lavata  di  rosso-chiaro  brillante  dalla  parte  del  sole.  Polpa  molto 
gialla,  consistente,  aderente  al  nocciolo.  Succo  abbastanza  abbondante,  acidulo  più  o 
meno  profumato.  Nocciolo  grossissimo,  ovoidale  allungato,  appiattito.  Mandorla  amara. 

Vegetazione:  pianta  vigorosa  che  fiorsice  tardi  ed  è  molto  fertile. 

Maturazione:  prima  metà  di  luglio.  Varietà  delle  più  precoci. 

Coltivazione:  è  una  varietà  adatta  pei  nostri  paesi  meridionali.  Si  alleva  ad  alto 
fusto,  va  soggetta  ai  danni  delle  brine,  perciò  si  scelgano  località  riparate. 


Luizet  (fìg.  523). 

Frane.  :  Luizet  —  Ted.  ;  Luizets  Aprikose. 

Descrizione  della  pianta:  legno  forte,  rami  robusti,  eretti  alla  sommità,  debolmente 
abbassali  alla  base,  lunghi,  un  po'  fragili,  coli'  epidemia  sfogliato,  di  color  bruno-ros- 
sastro con  sfumature  verdi.  Lenticelle  rade,  grandi,  giallastre  e  prominenti.  Gemme 
brevi,  rotonde,  per  lo  più  unite  a  tre. 


Fig.  523.  Fig.  521. 

Albicocca  Luizet  (Vs  grand,  nat.)  Albicocca  di  Nancy  ('/^  grand,  nat.i. 

Foglie  grandi,  cuoriformi,  tondeggianti,  brevemente  accuminate,  con  dentatura 
grossolana:  verdi-cupe  al  disotto  e  verdi  chiare  al  disopra;  picciolo  rosso-vivo,  lungo, 
di  grossezza  media,  incanalato  con  ghiandole. 

Fiori  tardivi,  grandi,  bianchi  e  prima  di  cadere  leggermente  rosati  col  calice  di 
color  rosso-amaranto. 

Frutto  molto  grande,  di  forma  ovoidale  (largo  mm.  58  ed  alto  62  mm),  con  solco 
stretto  e  profondo  al  peduncolo:  buccia  leggermente  tomentosa,  giallo-citrina,  punteg- 
giata di  rosso-porpora  e  dalla  parte  del  sole  rosso-chiara  brillante;  polpa  finissima, 
giallo-citrina,  consistente  non  farinosa,  non  aderente  al  nocciolo.  Succo  abbondante, 
dolce,  acidulo  e  straordinariamente  fine.  Profumo  gradito. 

Nocciolo  grossissimo,  ovoidale-allungato,  appiattito.  Mandorla  dolce. 

Vegetazione:  vigorosa,  produttiva. 

Maturazione:  alla  metà  di  luglio. 


—  681   - 

Qualità  :  è  una  delle  migliori  albicocche  da  tavola,  e  delle  preferite  per  conserve 
e  per  l'esportazione. 

Coltura:  Questa  varietà  viene  raccomandata  per  la  sua  vigoria  e  fertilità  nonché 
per  la  facilità  di  adattamento  al  clima  e  terreno.  Nell'alta  Italia  è  delle  preferii)ili  :  nel- 
r  Italia  meridionale  si  hanno  varietà  indigene  migliori.  Conviene  esclusivamente  la 
forma  dell'alto  fusto.  Fiorisce   lardi.  Varietà  di  primo  ordine  pel  commercio. 


Di  Nancy  (fig.  524). 

Frane:  Pi-che  di  Nancy  —  Ted.:  Aprikose  von  Nancy.:  Ingl.:  Hroom  Park. 

Descrizione  della  Pianta:  legno  forte,  rami  abbastanza  numerosi,  eretti,  grossi,  lunghi, 
poco  flessuosi,  di  color  bruno  scuro  con  lenticelle  numerose,  rotonde  e  leggermente 
sporgenti. 

Gemme  ben  marcate,  grosse,  conico-appuntile  unite  in  gruppi  di  tre. 

Foglie  grandi,  tondeggianti,  con  estremità  a  punta  molto  lunga,  di  color  verde 
brillante  sulla  pagina  superiore  e  più  pallide  sulla  pagina  inferiore.  I.embo  dentato. 
Picciolo  grosso  e  lungo,  debolmente  scanellato,  un  poco  ghiandoloso,  rosso  sangue  al 
di  sopra  e  rosso  sbiadito  al  di  sotto,  talvolta  munito  di  una  o  due  orecchiette  all'estremità. 

Fiori  grandi  o  medi,  coi  petali  bianchi  leggermente  rosati  vicino  al  punto  d'inser- 
zione. Calice  rosso  verdastro. 

Frutto  di  grandezza  media,  di  forma  ovoidale  arrotondata,  ipiasi  regolare,  con 
solco  molto  largo,  ma  poco  profondo.  Cavità  al  peduncolo  vastissima,  la  punta  del  frutto 
saliente.  I?uccia  leggermente  tomentosa,  giallo  aranciata,  punteggiata,  con  macchie  di 
color  camino  dalla  parte  del  sole.  Polpa  ben  colorata  in  giallo,  tenera,  delicata,  che  si 
stacca  dal  nocciolo.  Succo  abbondante,  profumato  delicatamente  e  molto  zuccherino, 
punto  acidulo.  Nocciolo  gonfio,  ovale  arrotondato,  con  un  foro  da  poter  far  passare  un 
ago,  nella  costa.  La  mandorla  è  amara. 

Vegetazione:  pianta  molto  vigorosa  e  produttiva.  Fioritura  precoce. 

Maturazione:  fine  luglio,  al  15  agosto,  si  può  lasciare  il  frutto  più  a  lungo  degli 
altri  sulla  pianta,  senza  che  diventi  farinoso.  La  maturazione  è  progressiva. 

Qualità:  prima  sotto  tutti  i  rapporti. 

Coltii>azione:  riesce  bene  con  tutte  le  forme,  ma  è  la  varietà  preferita  per  le  spal- 
liere. Avendo  la  fioritura  precoce  ed  essendo  molto  produttiva,  esige  la  migliore  espo- 
sizione ed  un  buon  terreno. 

In  Francia  si  chiama  albicocca-pesca,  perchè  raggiunge  la  grossezza  di  una  pesca. 
È  originaria  di  Pegenas  e  fu  introdotto  a  Parigi  intorno  al  1743. 

Tiene  il  primato  per  le  albicocche  a  polpa  gialla. 

Questa  varietà  è  molto  diffusa  all'estero:  in  Italia  è  stata  illustrata  dal  Gallesio  col 
nome  di  Albicocco  di  Germania.  Egli  dice  di  averla  trovata  soltanto  nel  Genovesalo,  nel 
Piemonte  e  nel  Pisano.  Io  l'ho  trovata  anche  in  Istria  e  specialmente  nelle  Isole  Quar- 
naro.  A  Napoli  è  chiamata  crisomniolo  Peres  o  Peres. 

Qualità  prima  per  conserve  e  per  candire. 


Reale. 

Frane:  A.  Royal  —  Ted.:  Kónigs  Aprikose  —  Ingl.:  Grange. 

Descrizione  della  pianta  (Leroy)  :  legno  forte,  rami  numerosi  più  o  meno  eretti,  di 
color  olivastro  all'ombra  e  rossi  dalla  parte  soleggiata.  Lenticelle  numerose  alla  base, 
di  color  bianco  e  prominenti.  Gemme  voluminose,  conico  arrotondate,  unite  a  gruppi 
di  tre. 

Foglie  molte,  piccole  o  medie,  rotondo  accuminate,  verdi-chiare  al  disopra  e  gial- 
lastre al  disotto,  con  dentatura  irregolare.  Picciolo  medio,  scanellato,  con  ghiandole; 
rosso  dalla  parte  del  sole  e  rosa  alla  parte  opposta. 

Fiori  grandi,  apparescenti,  bianchi  al  disotto  e  rosa  al  disopra  col  calice  di  color 
rosso  sanguigno. 


-  682  — 

Frutto  men  che  medio,  irregolare,  con  solco  ben  marcato.  Seno  al  peduncolo,  largo 
e  profondo.  Buccia  tomentosa,  bianco-giallastra  dalla  parte  dell'ombra,  giallo  aranciata 
dalla  parte  del  sole  con  punteggiature  di  color  rosso  porpora. 

Polpa  giallastra,  liquescente,  molto  fina,  che  si  stacca  molto  bene  dal  nocciolo.  Succo 
abbondante,  molto  dolce,  di  sapore  vinoso  ed  acidulo  profumato,  dei  più  graditi.  Noc- 
ciolo ovoidale  quasi  appiattito.  Mandorla  amara. 

Vegetazione:  pianta  molto  vigorosa  e  fertilissima.  Fioritura  piuttosto  precoce.  Rustica. 

Maturazione:  seconda  metà  di  luglio. 

Qualità:  prima. 

Coltiuazione:  nei  luoghi  riparati  conviene  allevare  questa  varietà  ad  alto  e  mezzo 
fusto.  Xeir  Italia  settentrionale  a  spalliera  fa  abbastanza  bene,  ma  non  è  mai  tanto  pro- 
duttiva sotto  questa  forma. 

Proviene  dal  giardino  di  Lussemburgo.  Varietà  non  mai  abbastanza  raccomandata. 
Ad  alto  fusto  forma  una  testa  irregolare  per  cui  è  meglio  tenerla  a  forme  piccole,  tanto 
più  che  allora  la  fioritura,  che  è  precoce,  è  meno  compromessa  dalle  brine. 


Di  Tours. 

Frane:  Alberge  —  Ted.:  Aprikose  von  Tours  —  Ingl.:  Albergier. 

Desrizìone  della  pianta  (Leroy):  legno  debole;  rami  numerosi,  eretti,  leggermente 
arcuati,  gracili,  molto  lunghi,  appena  flessibili,  bruno  scuri  alla  base,  rosso  violacei 
all'estremità.  Lenticelle  rotonde,  piccole,  numerose,  bianche,  squamose,  prominenti. 
Gemme  a  gruppi  di  tre  a  cinque,  piccole  ovoidali,  ottuse. 

Foglie  molte,  piccole,  ovali  arrotondate,  lungamente  accuminate,  con  dentatura 
fine,  coriacee,  verdi  intenso  sulla  pagina  superiore  e  verdi-rossastre  al  disotto.  Picciolo 
abbastanza  corto  e  grosso,  quasi  flessibile,  con  scanellatura  larga,  con  molte  ghiandole, 
colore  cremisi  alla  base  e  rosso  sanguigno  alla  inserzione  del  lembo,  con  una  o  due 
orecchiette. 

Fiori  piccoli,  bianchi,  leggermente  rosati,  col  calice  rosso  carico. 

Frutto  piccolo,  globoso,  compresso  leggermente,  con  solco  stretto  e  poco  pro- 
fondo. Cavità  al  peduncolo  sentita.  Buccia  sottile,  giallo-verdastra  dalla  parte  dell'ombra, 
giallo-biancastra  con  macchie  verrucose,  salienti,  bruno  rossastre  sulla  parte  opposta. 
Polpa  gialla,  fine,  tenera.  Succo  abbondante,  dolce,  profumato,  tendente  all'amarognolo. 
Nocciolo  non  aderente  alla  polpa,  abbastanza  grosso,  rotondo.  Mandorla  amara. 

Vegetazione:  fiorisce  tardi  ed  ha  una  vigorìa  piuttosto  limitata.  Molto  fertile. 

Mataiazione:  principio  di  agosto. 

Qualità:  prima. 

Coltivazione:  per  la  sua  straordinaria  fertilità  e  per  il  buon  sapore,  questa  albi- 
cocca viene  preferita  a  molte  aire  varietà  più  grosse.  Si  coltivi  a  pieno  e  mezzo  vento, 
quantunqe  si  possa  allevare  anche  a  spalliera.  Ha  la  particolarità  di  riprodursi  abba- 
stanza fedelmente  per  seme.  Per  la  sua  fioritura  tardiva  è  preferita  nelle  località  meno 
calde. 

4.  Albicocche  da  primizie.  —  In  Italia  la  regione  vesuviana  è  la 
pili  rinomata  per  le  albicocche  primaticcie  che  vengono  spedite  in 
tutti  i  paesi  d'Europa.  Si  distinguono  per  la  loro  ricchezza  in  zucchero 
e  per  il  loro  profumo. 

Si  trovano  alberi  di  40-45  anni  d'età,  i  quali  però  fino  al  declino 
anno  producono  poco. 

Le  varietà  pricipali  coltivate  sono  due  :  la  Mazzese  e  quella  di 
5.  Francesco,  che  si  innestano  sul  franco. 

1.  Mazzese.  Albero  alto  e  robusto;  frutto   medio,  schiacciato;  buccia  giallognola, 
chiazzata  di  puntini  rossi,  che  formano  una  sfumatura  rossiccia;  polpa  giallognola,  deli- 


—  6h:ì  - 

cala,  spiccagnola,  non  molto  gustosa;  mandorla  tiniara.  Matura  tra  la  line  di  maggio  e 
primi  (li  giugno.  È  la  piìi  precoce.  Richie.sta  per  lesporlazione.  Coltivata  specialmente 
a  Boscoreale. 

2.  S.  Francesco.  Frutto  medio  un  pò"  arrotondato,  solco  appena  marcato  ;  la  faccia 
rivolta  al  sole  è  a^iuanto  più  convessa:  buccia  pochissimo  pubescente,  sottile,  morbida, 
colore  giallo  arancio  jìallido  su  di  una  faccia  sola:  polpa  gialla  con  profumo  abbastanza 
spiccato:  mandorla  dolce,  che  al  retrogusto  diventa  amara  per  una  ben  nota  reazione 
chimica. 

Fiorisce  alla  fine  di  febbraio  e  matura  ai  primi  di  giugno. 

5.  Varietà  per  i  paesi  ealdi.  —  Nella  Francia  meridionale  si  colti- 
vano le  seguenti  varietà: 

Reale  precoce  per  l'esportazione  che  nel  Varo  matura  il  15  giugno, 

Di  Nancy  per  la  polpa  \ 

Boncarande  I 

Alessandrina  gialla  precoce  '    10  -  15  luglio 

Precoce  di  Sardegna  l 

Comizio  di  Tolone  e  S.  Giovanni 

Nella  Valchiusa: 
Precoce  di  Boulbon  per  il  grande  commercio 
Luizet  per  il  grande  commercio 
Moscato  per  le  marmellate 

Nei  Pirenei: 

Rosa  precoce  e  Bianco  rosalo  per  canditi 
In  Corsica: 

Albicocca  grande 

Moscato 

In  Algeria: 
Moscato 
Reale  precoce 
Commun  du  Lac 
Precoce  d'El  Biar. 

6.  Specie  Giapponese  di  albicocco.  —  Armeniaca  Marne,  notevole 
pel  suo  straordinario  vigore,  per  la  fioritura  precocissima  e  per  i  bel- 
lissimi frutti,  quantunque  piccoli,  che  nel  Giappone  si  preparano  per 
confetture.  Questa  specie  ha  molte  varietà,  di  cui  alcune  hanno  i  fiori 
doppi  e  odorosi. 

7.  Importanza  della  coltivazione.  —  L'albicocco  è  una  pianta  ru- 
stica, poco  meno  del  mandorlo;  poco  soggetta  a  malattie,  dà  regolar- 
mente e  abbondantemente  frutti  che  sono  molto  ricercati  dai  mercati 
e  per  fare  confetture.  Essendo  anche  poco  esigente  per  il  terreno  e 
per  le  cure  di  coltivazione,  esso  può  sostituire  con  vantaggio  il  pesco 
che  è  molto  piti  delicato,  nelle  colture  estensive  e  sulle  costiere 
aride  purché  però  siano  bene  esposte. 


—  684  — 

8.  Sistemi  di  coltivazione  —  Si  colli  va  nei  fruiteli,  nei  broli,  rara- 
mente nell'aperta  campagna  perchè  esposto  troppo  alle  intemperie,  e 
si  dà  alla  coltivazione  un  indirizzo  industriale  allevando  a  mezzo  vento, 
oppure  a  vaso.  Le  forme  addossate  non  convengono  ed  anche  per  l'uso 
casalingo  dei  frutti  si  suole  allevare  qualche  pianta  a  pieno  o  mezzo 
vento  nei  cortili  delle  case  rustiche,  al  riparo  dalle  intemperie.  Nei 
frutteti  casalinghi  conviene  allevare  qualche  pianta  a  vaso,  isolata  ed 
esposta  a  mezzogiorno. 

Per  i  paesi  caldi,  questa  è  una  coltivazione  di  primo  ordine,  per 
le  industrie  della  conservazione  della  frutta. 

9.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  All'albicocco  è  necessaria,  per 
fruttificare,  molta  aria,  calore  e  luce;  perciò  conviene  sia  piantato  iso- 
latamente, dove  possa  formare  una  bella  chioma  arrotondata.  In  un 
giardino-frutteto  lo  si  pianta  da  solo  nel  mezzo  di  una  aiuola,  oppure 
a  riparo  di  un  muro  bene  esposto  a  mezzogiorno. 

Fiorendo  molto  presto  in  primavera,  l'allegazione  dei  frutti  è  incerta 
perchè  viene  compromessa  da  geli  tardivi,  molto  frequenti  nell'Italia 
settentrionale.  L'Italia  centrale  e  meridionale  offrono  migliori  condizioni 
ed  ivi  si  hanno  difatti  le  migliori  albicocche. 

L'albicocco  è  l'albero  del  bacino  del  Mediterraneo,  perciò  la  sua 
coltura  può  avere  un  indirizzo  industriale  soltanto  lungo  le  nostre  coste 
e  nell'Africa. 

Le  varie  fasi  di  vegetazione  avvengono  nei  seguenti  periodi  in  Italia  : 


Quadro  indicante  l'epoca  nella  quale  avvengono  le  principali  fasi  di 
vegetazione  dell' albicoeeo  nelle  diverse  regioni  d'Italia. 


Foglia 

!Ìone 

Fiori  ura 

Maturazione 

Caduta 

del  frutto 

delle  foglie 

Regioni 

—  »_ 

.^ — 

- — ^^  ._ 

.^ — 

■ — -Il      -, 

— 

- — -^^    j,       - 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

I.        Piemonte 

Aprile 

II 

Marzo 

III 

Luglio 

II 

TSIov. 

I 

II.       Lombardia 

„ 

„ 

Aprile 

I 

„ 

III 

, 

„ 

III.     Veneto      .... 

, 

I 

„ 

II 

„ 

„ 

Ottobre 

III 

IV.      Liguria     .... 

Marzo 

II 

Febbr. 

III 

— 

— 

— 

— 

V.       Emilia       .... 

Aprile 

II 

Marzo 

III 

Luglio 

III 

Ottobre 

II 

VI.      Marche  ed  L'iiiliria 

__ 

^ 

II 

I 

VII.    Toscana    .... 

Marzo 

III 

III 

II 

^ 

i 

VIII.  Lazio         .... 

_ 

_ 

_ 

_ 

_ 

_ 

IX.     Meridionale    .Vdriatica 

Marzo 

III 

Marzo 

III 

Luglio 

III 

Nov. 

I 

X.      Merid.  Mediterranea     . 

II 

, 

II 

Giugno 

^ 

^ 

III 

XL     .Sicilia        .... 

, 

III 

„ 

III 

Luglio 

„ 

Ottobre 

II 

XII.    Sardegna  .... 

, 

I 

Febb. 

^ 

Giugno 

„ 

Nov. 

, 

10.  Esposizione  e  situazione.  —  Le  costiere  elevate  ed  esposte  a 
mezzogiorno  oppure  a  levante  ed  a  sud-est,  sono  le  più  adatte  per  le 
coltivazioni  industriali  a  forme  libere.  Nelle  vallate  l'albicocco  non 
fiorisce  quasi  mai,  meglio  nelle  alture  auche  se  battute  da  venti  purché 


-  685  - 

secchi.   È  certo    però    che    nelle  colline  riparate  si  hanno   i    maggiori 
raccolti. 

11.  Terreno.  —  L'albicocco  ama  i  terreni  leggeri,  caldi,  permeabili, 
sabbiosi,  ciottolosi,  poco  fertili.  Nei  terreni  calcari  fa  meglio  che  nei 
vulcanici,  anzi  ivi  acquista  un  colorito  e  fragranza  superiori.  È  anche 
l'albero  delle  costiere  secche  e  coltivandolo  nei  cortili  conviene  for- 
margli un  terreno  con  molti  rottami  di  demolizione. 

Le  terre  forti,  argillose,  umide,  fredde,  gli  sono  contrarie.  Dà  vigo- 
rose gettate,  ma  facilmente  viene  colpito  dalla  gomma.  I  frutti  allora 
sono  rari,  e  quei  pochi,  riescono  insipidi  ed  infracidiscono  presto. 

In  generale  però  è  poco  esigente.  Pare  preferisca  la  silice,  ma  non 
teme  i  calcari-marnosi,  purché  drenati,  caldi  ed  aereati. 

12.  Moltiplicazione.  —  Si  propaga  per  semi  e  per  innesto. 

La  maggior  parte  degli  albicocchi  che  si  trovano  nelle  provincie 
meridionali  d'Italia  provengono  da  seme,  caduto  qua  e  là  da  qualche 
pianta  vicina. 

In  Francia  l'albicocco  pesca  di  Nancy,  quella  d'Olanda  e  l'Alberge, 
si  propagano  per  seme. 

Per  la  semina  si  scelgono  i  migliori  noccioli  e  si  stratificano  imme- 
diatamente dopo  la  raccolta.  All'autunno  si  seminano  a  5  cm.  di  pro- 
fondità. Si  può  seminare  direttamente  in  posto  quando  vogliansi  alle- 
vare piante  d'alto  fusto;  per  le  forme  basse  e  spalliera,  è  preferibile 
la  semina  in  vivaio,  onde  poter  sopprimere  il  fittone  col  trapianto. 

L'innesto  può  farsi  sul  franco,  sul  susino,  sul  pesco  e  sul  mandorlo. 
L'innesto  in  agosto  a  gemma  dormiente  è  il  più  adatto  e  con  questo 
si  assicura  naturalmente  più  che  per  seme,  il    carattere   della   varietà. 

Si  innesta  sul  franco  per  i  pieni  venti  e  per  i  terreni  leggeri  adatti 
all'albicocco  (vedi  più  sopra).  Non  si  ottengono  però  cosi  belle  piante 
che  vanno  molto  soggette  alla  malattia  della  gomma.  Lo  stesso  si  dica 
dell'innesto  sul  pesco. 

Più  consigliabile  è  l'innesto  sul  mandorlo,  ma  allora,  oltre  che  calore, 
per  riuscire  si  richiede  un  terreno  molto  profondo  asciutto,  sciolto.  Sul 
mandorlo  si  ha  l'inconveniente  che  il  nesto  si  stacca.  Allora  si  ricorre 
al  sopra-innesto,  ossia  si  innesta  il  pesco  sul  mandorlo  e  sul  pesco  in 
lesta,  si  innesta  l'albicocco.  Si  adatta  per  le  forme  a  vaso. 

Il  susino  è  il  migliore  soggetto  per  l'albicocco.  Il  susino  (Damas- 
nero,  bianco,  S.  Giuliano)  conviene  per  le  terre  forti,  umide  e  fredde, 
però  la  pianta  ha  l'inconveniente  di  rigettare  dei  polloni  alla  base.  Su! 
susino  mirabolano  ciò  si  evita.  Si  adoperi  il  primo  per  i  pieni  venti  ed 
il  mirabolano  per  le  spalliere. 

13.  Caratteri  vegetativi.  —  La  pianta  dell'albicocco  si  distingue 
per  il  suo  rapido  sviluppo  e  per  la  sua  fioritura  abbondante  e  precoce. 
Nei  paesi  caldi  in  12  anni  essa  raggiunge  il  completo  sviluppo  e  la 
fruttificazione  è  generosa  e  costante. 

Nell'Italia  settentrionale  e  nella  regione  peninsulare  interna,  la 
vegetazione  viene  spesso  contrariata  dagli  sbalzi  di    temperatura,  spe- 


G8G  - 

eialnieiile  in  primavera.  Da  ciò  una  vegetazione  capricciosa,  molte  volte 
contrariala  dalla  gommosi;  certi  rami  clie  si  sono  sviluppati  con  vigore 
straordinario,  colpiti  improvvisamente  si  guastano;  altri  invece  mal 
situati  attirano  la  linfa  dando  delle  cacciate  vigorose,  che  deformano 
la  pianta. 

Per  questa  ragione  non  si  dà  all'albicocco  una  forma  regolare, 
ma  bisogna  notare  che  questo  albero  sviluppa  facilmente  dei  novelli 
germogli  sul  legno  vecchio  e  anche  sui  rami  più  grossi.  Questi  germogli 
sorgono  da  gemme  dormienti,  e  molte  volte  rimangono  cortissimi  e 
da  una  gemma,  l'anno  venturo  può  svilupparsi  il  fiore.  Con  ciò  è 
spiegata  la  ragione  per  cui  da  alcuni  frutticoitori  è  ritenuto,  che  l'al- 
bicocco, a  differenza  di  tutte  le  piante  a  nocciolo,  possa  portare  frutto 
anche  sul  legno  vecchio,  mentre  con  attenta  osservazione  si  nota  che 
questa  anormalità  non  esiste,  ed  il  frutto  che  sorge  in  apparenza  sul 
vecchio,  viene  invece  da  una  gemma  latente. 

Per  questa  sua  proprietà  di  germogliare  sul  vecchio  l'albicocco 
dillerisce  notevolmente  dal  pesco,  nel  quale  ben  raramente  si  notano 
dei  germogli  avvenlizii.  L'albicocco  non  ha  però,  come  il  pesco,  la 
proprietà  di  far  sviluppare  regolarmente  le  gemme  della  base  dei  rami 
tagliali  corti,  sulla  cui  proprietà  si  basa  la  teoria  del  taglio  a  speroni 
del  pesco. 

L'albicocco  differisce  sensibilmente  dal  pesco  anche  per  un'altra 
proprietà  singolare  e  cioè  che  la  linfa  affluisce  maggiormente  nei  rami 
leggermente  irregolari  che  nei  rami  tenuti  perfettamente  diritti.  Da  ciò 
deriva  la  difficoltà  di  ottenere  coli' albicocco  delle  forme  regolari  che 
in  ogni  caso  vanno  a  scapilo  della  fruttificazione  e  longevità  della  pianta. 

Come  nel  pesco,  la  fruttificazione  avviene  sul  legno  formatosi  l'anno 
precedente  ed  anche  qui,  le  gemme  a  fiore  sono  unite  a  quelle  a  legno, 
soltanto  invece  di  trovarsi  al  massimo  due  gemme  a  fiore  unite  ed 
una  o  due  a  legno,  nell'  albicocco  sono  parecchie.  11  numero  delle 
gemme  da  tiorc  unite  va  aumentando  verso  l'estremità  fino  ad  un  mas- 
simo di  cinque.  Non  però  tutte  queste  gemme  riescono  a  dar  frutto; 
la  maggior  parte  dei  fiori  abortiscono,  come  molte  volte  anche  le  gemme 
a  legno. 

Quando  la  pianta  entra  in  vegetazione,  è  difficile  distinguere  le 
gemme  a  legno  da  quelle  a  fiore.  Le  prime  sono  più  larghe  alla  base 
e  meno  gonfie.  Appena  comincia  il  movimento  della  linfa,  le  gemme 
si  gonfiano  enormemente  cosi  da  essere  molto  ravvicinate.  Le  gemme 
della  base  dei  rami  sono  latenti,  non  apparenti  e  non  si  sviluppano 
che  raramente. 

Le  gemme  di  un  ramo  d'albicocco  danno: 
aj  all'estremità,  due  o  tre  rami    a   legno.    Questi   di    solilo   sono 
arcuati,  provvisti  di  gemme  a  legno  e  di  un  maggiore  o  minor  numero 
di  genune  a  fiore.  Questi  rami  si  tagliano  corti   poiché    di    solito    non 
germogliano  che  il  terzo  od  il  quarto; 

b)  nella    parte    mediana    preponderano    i   brindilli.  Questi,  come 


-  687  — 

nel  pesco,  hanno  una  o  più  gemme  terminali  riunite  a  legno,  dalle 
quali  si  sviluppa  un  germoglio,  che  nel  prossimo  anno  dà  frutto.  Tutte 
le  altre  gemme  del  brindillo  sono  a  fiore  ed  alla  base  si  trovano  molte 
gemme  latenti  ; 

e)  nel  terzo  inferiore,  danno  dei  dardi  a  mazzetto,  formati  da  più 
gemme  a  frutto  con  nel  mezzo  una  gemma  a  legno.  Essi  fruttificano 
abbondantemente,  ma  si  esauriscono  presto  e  quindi  bisogna  lasciare 
a  loro  il  germoglio  dell'estremità; 

d)  intorno  al  punto  d'inserzione  si  trovano  infine  delle  gemme 
latenti. 

14.  Potatura.  —  Già  nel  primo  anno  di  impianto,  ralbicocco  deve 
essere  tagliato  convenevolmente  come  richiede  la  forma.  Nei  due  anni 


Chioma  di  un  albicocco  a  mezzo  vento. 


successivi,  per  dare^  la  forma,  si  tagli  piuttosto  corto,  ma  nel  |terzo 
anno,  si  facciano  dei  tagli  lunghi  oppure  ci  si  accontenterà  di  accor- 
ciare leggermente  qualche  ramo,  per  mantenere  le  branche  in  equilibrio. 

Fruttifica  sul  ramo  di  un  anno  come  il  pesco,  perciò  si  potrebbe 
applicare  il  taglio  di  produzione  giada  noi  spiegato  per  il  pesco,  avver- 
tendo però,  che  avendo  l'albicocco  gli  internodi  più  brevi,  per  lasciare  un 
eguale  numero  di  gemme  a  frutto,  bisogna  tagliare  più  corto  (10-12  cm.). 

In  realtà,  i  rami  fruttiferi  dell'albicocco  richiedono  di  essere  la- 
sciali un  poco  a  sé  stessi.  I  dardi  a  mazzetto  sono  tanto  abbondanti  e 
le  gemme  latenti,  dalle  quali  sorgono  i  rami  di  sostituzione,  sono  tanto 


—  688  — 

numerose,  che  la  natura  stessa  provvede  meglio  di  ogni  potatore  a 
far  fruttificare.  Si  abbia  cura  soltanto  che  i  rami  da  frutto  o  quelli 
che  sono  distanti  a  darlo,  non  si  allunghino  troppo.  Si  scacchiano  1 
germogli  inutili  e  iuori  posto;  si  cimano  eventualmente,  quando  co- 
minciano a  legni  Picare,  i  germogli  troppo  lunghi  e  destinati  a  portare 
frutto  nel  prossimo  anno. 

Il  diradamento  dei  frutti  in  molti  casi  è  più  necessario  che  nei 
peschi  e  si  fa  col  medesimo  sistema. 

Il  ringiovanimenlo  delle  branche  è  più  facile,  ma  bisogna  farlo 
più  di  frequente  che  nel  pesco.  Dico  più  facile  per  le  molte  gemme 
latenti  che  si  trovano  su  questa  pianta. 

15.  Forme.  —  Nei  broli,  nei  campi  aperti,  purché  bene  esposti  si 
alleva  a  pieno  vento  (col  fusto  alto  m.  2)  od  a  mezzo  vento  (col  fusto 
alto  m.  1.20).  Il  mezzo  vento  fig.  525  si  applica  nelle  località  più  esposte 
al  vento.  Nei  frutteti  di  speculazione  e  casalinghi  conviene  la  forma 
bassa  a  vaso  (vedi  fìg.  511). 

Nei  primi  tre  anni,  per  ottenere  queste  forme,  si  cura  la  potatura 
di  formazione  procurando  che  le  branche  abbiano  una  razionale  dis- 
posizione a  vaso.  Ottenuta  la  forma  si  lasciano  le  piante  a  sé  stesse, 
tagliando  i  succhioni,  i  rami  mal  situati  ed  accorciando  i  rami  troppo 
lunghi. 

Nei  frutteti  d'amatori  o  casalinghi  si  può  allevare  l'albicocco  anche 
a  palmetta  Verrier  da  6-8  branche,  ricordiamo  però  che  queste  forme 
è  difficile  mantenerle  bene  e  regolarmente  fruttifere. 

16.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  Per  i  pieni  venti  si  applica 
la  distanza  di  m.  6,  per  i  mezzi  venti  m.  5;  per  le  forme  basse  a  vaso 
m.  4.  Le  palmette  Verrier  a  6  branche  si  piantano  alla  distanza  di 
(6x0.40)  m.  2.40  e  quelle  da  8  branche  (8x0.40)  a  m.  3.20,  poiché  le 
branche  fra  loro  devono  distare  40.  cm. 

L'albicocco  va  poco  soggetto  alle  malattie  e  quella  che  dà  maggiore 
danno  è  la  gommosi. 

Dopo  ogni  raccolto  si  abbia  cura  di  accorciare  le  branche  troppo 
lunghe  per  formare  una  fronda  più  accorciata  ed  arrotondata. 

La  concimazione  si  può  fare  identica  a  quella  del  pesco. 

17.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  Il  frutto  si  raccoglie 
qualche  giorno  prima  della  completa  maturazione  e,  dopo  esser  stato 
completamente  raflìeddato  si  fa  immediatamente  la  spedizione.  La  spe- 
dizione delle  albicocche  riesce  facile. 

18.  Composizione  chimica  ed  utilizzazione  dei  frutti.  —  L'albicocco 
é  un  eccellenle  frutto  da  tavola  e  le  mandorle  dei  suoi  noccioli,  spe- 
cialmente le  amare,  servono  in  pasticceria. 

Questo  frutto  è  più  nutriente  e  meno  lassativo  del  susino.  Come 
tutti  i  frutti  dolci  acidi,  ha  delle  proprietà  diverse,  a  seconda  del  grado 
di  maturazione.  Quando  é  verde,  é  indigesto  oltremodo  ed  astringente. 
Ai  bambini  ])uù  provocare  la  febbre.  È  per  questo  che  gli  antichi  non 
lo  apprezzavano.  Se  ben  maturo  però  si  digerisce  facilmente,  soltanto, 


le  persone  poco  robuste  e   malate    di  stomaco   non  devono  abusarne, 
perchè  la  polpa  a  alquanto  fibrosa. 

Secondo  Frésenius,  il  valore  nutritivo  delle  albicocche  è  inferiore 
a  quello  delle  pesche  e  la  composizione  sarebbe  la  seguente: 


Albicocche  di  grandezza 
inedia      piccola 


Acqua. 


Componenti    solubili    nel- 
l'acqua       


Sostanze  insolubili 


Nella  sostanza  secca 


84,97 
1,14 

82,01 
1,53 

83,55 

Zucchero    .    . 

2,74 

Acido  libero  . 

0,89 

0,77 

1,60 

Sostanze  azotate 

0,79 

0,36 

0,38 

Sostanze  peptiche    5,93 

9,28 

5,57 

Cenere    .    .    . 

0,82 

0,75 

0,72 

Nocciolo     .    . 

4,30 

3,?? 

3,42 

Buccia    .    .    . 

0,97 

0,94 

1,25 

Peptosi  .    .    . 

0,15 

1,— 

0,75 

Cenere    .    .     . 

0,07 

0,10 

0,16 

Azoto .... 

.       0,84 

0,32 

0,37 

Zucchero    .    . 

.       7,58 

8,12 

16,66 

Più  apprezzate  sono  le  albicocche  per  fare  le  composte,  marmel- 
late, che  acquistano  un  sapore  delizioso  ed  un  profumo  delicato.  Si 
fanno  anche  i  sorbetti,  dolci  diversi  e  mostarde.  Nell'aceto  alcuni  con- 
servano le  albicocche  verdi. 

Secche  e  compresse,  avvolte  in  carta  e  in  cassette,  viaggiano  colla 
più  grande  facilità  e  si  conservano  per  più  anni. 

Nel  sciroppo  in  scatole  chiuse,  sì  conservano  benissimo  e  questa 
industria  è  molto  lucrativa.  Eccellenti  riescono  i  canditi  e  ne  fanno 
prova  le  albicocche  candite  rinomate  di  Genova  e  della  Ditta  Stringa  di 
Voghera. 

In  Persia  e  nell'Armenia,  si  disseccano  le  albicocche  al  sole.  In 
Siria  si  fa  una  pasta  che  si  dissecca  al  sole  stesa  sopra  una  tela  pre- 
viamente spalmata  con  olio  d'oliva.  Si  ottiene  così  un  foglio  di  pasta, 
dello  spessore  di  1-2  mm.  che  si  vende  a  pezze  come  la  tela.  Si  con- 
serva così  per  molto  tempo  pur  di  preservarla  dalle  tignuole  e  dagli 
acari. 

Prodotti  secondari.  —  Il  legno  ha  meno  valore  di  quello  del  susino, 
però  viene  adoperato  per  fare  delle  minuterie.  Ha  un  colore  grigio- 
scuro  con  sfumature  rosso  e  gialle. 

Malattie  e  cause  nemiche.  —  (Vedi  pagina  500). 


41  —  Tamaro  -  Frulticoìtura. 


CILIEGIO 

(Cerasus  di  Jussìer  —  Fani.  Rosacee). 

Nome  volgare  italiano  del  frutto  —  Ciliegia. 

Nonìi  volgari  stranieri  della  pianta:  Francese:  Cerisier  —  Tedesco: 
Kirschbaum  —  Ingl.:  Cherry  tree. 

1.  Origine.  —  I  ciliegi  si  trovano  spontanei  nei  nostri  boschi  ed  in 
tutti  i  paesi  dell'  Europa  centrale.  Ma  non  si  esclude  che  dall'  Asia 
centrale,  e  specialmente  dai  paesi  occidentali,  provenga  il  ciliegio  viscio- 
lone.  Secondo  G.  Ferrerò  (vedi  Grandezza  e  decadenza  di  Roma  pag.  339) 
"  LucuUo  aveva  fatto  ritorno  in  Italia,  portando  dal  Porto  conquistato, 
insieme  con  molto  denaro,  un  dono  più  umile  e  più  prezioso,  un  albero 
ancora  ignoto,  il  ciliegio,  che,  dopo  lui,  si  cominciò  a  coltivare  in  Italia 
(65  anni  a.  Cristo).  „ 

2.  Specie  botaniche  coltivate  per  il  frutto.  —  I.  Ciliegio  proprio 
Cerasus  avium  Moench)  coltivato  per  il  frutto,  chiamato  anche:  Ciliegio 
di  Monte,  Gandiolo,  C.  montanaro,  C.  montano,  Ciregiuolo,  C.  agreste, 
C.  dolce;  in  Francia:  Merisier;  in  Germania:  Sùsskirschbaum;  Wild 
Cherry  or  Gean  in  Inghilterra, 

Pianta  indigena  dei  boschi  d'Europa  e  comune  in  Italia. 

È  un  albero  che  pareggia  in  altezza  i  più  grandi  d'Europa.  Le  sue 
radici  sono  lunghe,  forti ,  ramose ,  piuttosto  profonde ,  con  fittone 
perpendicolare. 

11  fusto  è  alto  da  15  a  20  metri,  diritto,  con  molti  rami  quasi  dis- 
posti a  palchi,  che  sono  corti,  poco  ramosi,  eretti  o  quasi  orriz- 
zontali,  mai  pendenti  e  colla  sola  cima  elevata.  La  scorza  nei  vecchi 
tronchi  è  coriacea,  di  un  grigio-scuro,  staccantesi  in  lamine  circolari; 
nei  giovani  rami  è  riunita,  lucida,  liscia,  di  color  grigio-bruno,  con 
macchie  bianche  trasversali.  11  legno  è  mediocremente  duro  e  forte, 
pieghevole,  di  color  giallo-rossigno  venato. 

Le  foglie  sono  alterne,  grandi,  ovali,  pendenti,  lanceolate,  doppia- 
mente dentate,  d'un  verde-cupo  nella  pagina  superiore,  glabre  appena 
pelose  nelle  nervature.  La  nervatura  è  rilevata  sulla  pagina  inferiore. 
Sortono  dalle  gemme  in  un  coi  fiori  in  aprile  e,  prima  di  cadere,  in 
autunno,  ingialliscono  e  diventano  rossastre , 

I  fiori  sono  grandi,  di  color  bianco,  odorosi,  disposti  ad  ombrelle 
sessili,  di  7  ad  8  fiori  al  più  per  cadauna. 

I  frutti  sono  drupe,  succose,  globose  a  cuore,  colla  buccia  aderente 
alla  polpa,  della  grossezza  di  un  grosso  pisello,  di  color  rosso-nereg- 
giante, con  succo  rosso,  a  polpa  dolce  e  non  acida.  Nocciolo  aderente 
alla  polpa. 

Le  varietà  appartenenti  a  questa  specie  si  dividono  in  due  gruppi: 
1.  Ciligie  tenerine  (Cerasus  luliana  D.  G.)  di  frutto  approssimati- 
vamente rotondo,  polpa  morbida,  abbondante  di  sugo  più  o  meno  co- 
lorato. 


-  691  - 

Queste  ciliegie  si  chiamano  in  Italia:  Lustrine,  Tenerine,  Acquaiole, 
Ciliegie  dolci,  Tenerine  dolci;  in  Francia:  Guignes  noirs;  in  Germania: 
Hezkirschen;  in  Inghilterra:  Geans. 

Ve  ne  sono  di  tutte  le  grandezze  e  dai  colori  variati.  A  queste 
appartengono  le  varietà  più  precoci  (Acquaiole).  L'acquaiola  comune  è 
piccola,  di  color  rosa  sfumato,  con  poca  polpa.  Si  raccomanda  per  la 
precocità  e  per  la  facilità  di  adattamento  al  clima  e  terreno. 

Gli  alberi  hanno  radici  fittonose,  e  si  innalzano  lino  a  10  o  12 
metri;  rami  quasi  verticali  nella  loro  gioventù,  poco  divaricati  nella 
loro  vecchiaia;  foglie  grandi,  profondamente  seghettate,  liscie  su 
ambedue  le  superfici;  fiori  non  diversi  da  quelli  delle  duracine;  frutti 
cordati  o  rotondi,  di  color  rosso  o  nerastro,  non  mai  acidi,  coperti 
di  una  buccia  molto  aderente  alla  polpa,  che  è  molle  ed  acquosa, 

2.  Ciliegie  duracine  (Cerasus  duracina  D.  C.),  di  frutto  ovato-glo- 
boso,  quasi  coriforme,  molto  grosso,  di  color  rosso  o  misto  di  giallo 
e  rosso  e  spesso  picchiettato  di  punti  rossi,  con  polpa  soda,  ordina- 
riamente scolorata. 

Queste^ciliegie  si  chiamano  in  Italia;  Duracine,  Graflìoni,  Fratac- 
chioni,  Duroni,  Ciliegie  croccanti;  in  Francia:  Bigarreaux;  in  Germania: 
Knorpelkirschen  ;  in  Inghilterra:  Heart  Cherry. 

Le  piante  di  questo  gruppo  di  varietà  sono  diritte  e  vigorose,  si 
aprono  in  rami  prima  raccolti  e  poi  sparsi,  vestite  di  foglie  larghe  con 
gemme  grosse.  I  fiori  sono  disposti  a  mazzetti  grandi.  Frutto  di  gros- 
sezza mezzana,  di  forma  più  o  meno  regolare  e  solcata.  Buccia  di  vario 
colore,  dal  bianco  al  nero  ;  polpa  carnosa,  dura  e  dolcissima.  Nocciolo 
bislungo  con  mandorla  amarognola  e  bianca. 

L'albero  si  presta  per  la  forma  ad  alto  fusto  e  non  tollera  tanto  i  tagli. 
Volendo  tenerlo  sotto  forma  più  ristretta,  bisogna  innestarlo  sul  Mahaleb. 

Il  ciliegio  dalle  frutta  duracine  si  distingue  da  quello  delle  tene- 
rine: a)  per  il  portamento  dell'albero  che  è  sempre  più  grande,  meno 
ramificato  conia  chioma  più  slanciata;  òj  per  i  nuovi  rami  che  son  meno 
numerosi,  ma  molto  più  grossi  e  lunghi;  e)  per  le  gemme  più  volu- 
minose; d)  per  le  foglie  raramente  erette  e  molto  più  grandi. 

II.  Ciliegio  visciolo  (Cerasus  Caproniana  D.  C),  chiamato  anche: 
Agriotto,  Ciriegio  romano,  Ciriegio  agerotto.  Ciliegio  amarasco,  Visciolo; 
in  Francia:  Griottier;  in  Germania:  Sauerkirschen;  in  Inghilterra: 
Common  Cherry. 

È  un  albero  meno  forte  e  molto  meno  elevato  del  ciliegio  proprio. 
Arriva  da  6  ad  8  metri  di  altezza  e  talvolta  è  piccolissimo.  Rami  sottili, 
gracili,  orizzontali,  pendenti  e  divergenti;  foglie  meno  grandi  e  non 
pendenti,  quasi  piane,  liscie  fino  dal  loro  comparire,  di  forma  elittica, 
dentate,  con  lungo  picciolo  senza  ghiandole. 

Fiori  con  lungo  pedicello,  che  appaiono  prima  delle  foglie  (fig.  526). 

Frutto  di  colore  rosso  più  o  meno  cupo,  con  buccia  che  si  distacca 
dalla  polpa,  sugosissima,  di  sapore  acidulo,  talvolta  amarognolo;  noc- 
ciolo con  guscio  sottile  ed  orlo  ottuoso,  che  si  stacca  dalla  polpa. 


—  692  - 

È  più  sensibile  ai  freddi  del  ciliegio  proprio. 

Le  varietà  coltivate  che  provengono  da  questa  specie  si  dividono 
pure  in  due  gruppi  : 

1.  Ciliegio  visciolone,  propriamente  detto  (C.  Caproniana  pj'rami- 
dalis  Carr.  e  André),  il  di  cui  frutto  è  di  color  rosso  corallo,  quasi 
sempre  più  largo  che  lungo,  ombellicato,  a  polpa  acidula,  leggermente 
amara. 

La  pianta  ha  i  rami  corti,  duri,  irti,  con  internodi  brevi  e  foglie 
grandi.  I  fiori  sono  disposti  a  mazzetti,  ed  avendo  i  meritalli  brevi,  sono 
tanto  vicini  da  coprire  il  ramo. 


Fig.  526.   —   Visciolo   -   1,  ramo  fiorito   -   2-3,  fiori  in  sezione  longitudinale 
1,  sezione  del  frutto  -  5-6,  seme  sezionato  -  7,  seme  -  8,  stami. 


Queste  ciliegie  si  chiamano  in  Italia:  Viscide  dolci,  Marasconi;  in 
Francia:  Griottes  douces;  in  Germania:  Weichseln;  in  Inghilterra:  Egriot. 

L'albero  non  ha  l'elevazione  degli  altri  ciliegi,  ma  neppure  i  rami 
flessibili  come  il  Visciolino.  Anzi  questi  sono  corti,  diritti  con  le  gemme 
avvicinate,  in  modo  che,  quando  fioriscono,  hanno  l'aspetto  di  tanti 
mazzetti.  Le  foglie  sono  larghe  e  corte;  i  fiori  molto  avvicinati  a  maz- 
zetto che  coprono  quasi  il  ramo.  I  frutti  hanno  un  picciolo  corto  e 
grosso  ;  di  forma  rotonda,  compressi  all'inserzione  del  picciolo,  rilevati 
appena  alla  cima,  più  alti  che  larghi.  La  buccia  da  prima  rossa,  di- 
venta nera  purpurea  a  maturazione,  e  spicca  singolarmente  sul  lucido 
della  sua  superficie.  La  polpa  è  tenera,  carnosa,  delicata,  colorita,  con 


-  693  - 

un  sugo  sanguigno,  quasi  senza  acido,  leggermente  amarognolo,  che  la 
rende  gradita.  Per  grandezza  compete  colle  duracine.  Matura  dopo  le 
tenerine  ed  è  contemporanea  alle  duracine. 

La  fioritura  è  sempre  molto  abbondante;  i  fiori  però  non  allegano 
tanto  bene. 

Le  ciliegie  visciolone  sono  le  più  pregiate  sia  per  mensa,  sia  per 
conserva. 

2.  Ciliegio  uisciolino  (Cerasus  Caproniana  acida  Dura.),  il  cui 
frutto  è  quasi  tondo,  più  grosso,  di  un  colore  rosso  porporino  scuro 
a  polpa  acidula. 

La  pianta  ha  dimensioni  medie  o  piccole;  i  rami  sono  pendenti, 
lunghi,  sottili,  flessibili,  con  lunghi  internodi  e  quindi  non  tanto  avvi- 
cinati come  nel  visciolone. 

Queste  ciliegie  si  chiamano  anche  Marasche,  Agriotte  ;  in  Francese: 
Griottes;  in  Tedesco:  Amarellen;  in  Inglese:  Small  egriot. 

3.  Classificazione  delle  varietà.  —  In  seguito  alla  descrizione  fatta, 
le  varietà  delle  ciliegie  si  possono  classificare  come  è  indicato  nella 
Tab.  LIV.  Nella  Tab.  LV,  sono  indicate  sommariamente  le  qualità  col- 
turali delle  varietà  raccomandate,  alle  quali  faccio  seguire  in  ordine 
alfabetico  una  particolareggiata  descrizione. 


Tab.  LIV. 


Quadro  schematico  della  classificazione  delle  ciliegie. 


Caratteri 
della  specie 


Nome  della  specie 


dolce;  foglie  pen- 
denti e  frutto  con 
l)olpa  (Cerasus 
vium    Moench.) 


i  la-i] 


grandi:  ra- 
mi eretti 


T3  B     ipiccole  ;  ra- 

■3  u  3  f    mi     pen- 


Tenerine 

(Cerasus  luliana 

D.  C. 


Duracine         i 

(Cerasus  duracina' 

D.  C.  i 


Visciolone 
(Cerasus  Capronia- 
na piramidalis 
Carr.  e  André) 

Viscioline        i 

(Cerasus  Capronia-j 

na  acida)  Dum).  ( 


nera  o  scura 


colore  vario    < 


nera  con  \ 
succo  colo-  l 
rato  I 


colorate  con 
succo  inco- 
lore 


nere  o  scure 

di  colore  vario 

nere 

di  colore  vario 


Nome  delle  varietà 


1.  Tenerina  nera  grande 

2.  Tenerina  nera  grande  lue. 

3.  Tenerina  nera  precoce 

4.  Elton 

5.  Tenerina  porpora  precoce 

6.  Tenerina  prec.  di  maggio 

7.  Duracina  d'Italia 

8   Duracina  nera  grossa 
9.  Duracina  rossa 

10.  laboulay 

11.  Duracina  bianca  grossa 

12.  Esperen 

1.3.  Gialla  di  Buttner 

14.  Napoleone  I 

1.5.  Imperatrice  Eugenia 

16.  Inglese  precoce 

17.  Rossa  di  maggio 

18.  Regina  Ortensia 

19.  Bella  di  Montmorency 

20.  Visciolina  del  Nord 

21.  Gobet  grande 


Tab 

I-V. 

Qadro  sinottico  indicante  le  principali  qu 

1 

NOME 

Maturazione 

Qualità 

1 

Fertilità 

Vigor 

/.  -  Tenerine  nere. 

1 

Grande  nera                                 giugno  1  sett. 

da  mercato 

notevole 

molta 

2 

Nera  grande  lucente                              id. 

da  ornamento 

media 

notevole 

3 

N'era  precoce                                 maggio  i  sett. 

da  tavola 

notevole 

- 

//.  —  Tenerine  di  colorazione  varia. 

4 

5 

Elton 

Porpora  precoce 

maggio  4  sett. 
maggio  3  sett. 

id. 
prima  da  tavola 

sufficente 
media 

id. 
id. 

6     Precoce  di  maggio 


da  mercato 


Duracine  nere. 


8 

D'Italia 
N'era  grossa 

giugno  2  sett. 
giugno  4  sett. 

id. 
da  mercato  e 
da  tavola 

sutficiente 
ordinaria 

buona 
media 

9 
10 

Rossa  grossa 
laboulay 

IV.  —  Duracina  d 

maggio  3  sett. 
maggio  4  sett. 

colore  vario. 

prima  da  tav. 

e  da  mercato 

id. 

notevole 
ordinaria 

notevole 
id. 

11 

Bianca  grossa 

giugno  3  sett. 

seconda 

scarsa 

12 

Esperen 

giugno  4  sett. 

prima  da  mer- 
cato 

notevole 

notevole 

13 
14 

Gialla  di  Buttner 
Napoleone  I 

id. 
id. 

seconda 
prima  da  mer- 

soddisfacente 
notevole 

limitata 
notevole 

cato  e  da  espor- 
tazione 


V^.  —  Visciolone  nere 
Imperatrice  Eugenia 
Inglese  precoce 


maggio  4  sett.       prima  da  tavola    eccessiva 

e  da  conserve       regolare 

Giugno  1  sett.  id.  notevole 


media 
debole 


Rossa  di  maggi 


maggio  4  sett. 
ma  irregolare 


Vf  —  Visciolone  di  vario  colore. 
18     Regina  Ortensia  giugno  3  seil. 

VII.  —  Viscioline  nere. 
10     Bella  di  Montmorency  giugno  4  sett. 

20  j  Del  Nord  luglio-agosto 
'                     Viri  —  Viscioline  colorate. 

21  Gobet  grande  giugno  4  sett. 


seconda  da  tav.    poca 
e  da  conserve 


prima  da  con-      notevole 
serve  e  confett. 


per  conserve         notev.  e  cosi 


da  m.  cons.  nel-    moderata 
l'acquavite,  conf. 


normale 
notevole 


media   o 
bole 


Iturali  delle  Ciliegie  consigliate  (Tamaro) 


Forme 
più  adatte 


Soggetti 
da  innesto 


Sistema 
di  coltivazione 


Osseruazioni 


lido 


_ 

pieno  vento 
id. 

ciliegio 
proprio 
id. 

campestre 

frutteti  di  spe 
cui.  e  amat. 

riparata  da 
brine 

indifferente 

id.  e  Maha- 
leb 

id. 

SI    conserva 
molto  bene 

fioritura    pre- 
coce 


idiffercnte     indifferente     indifferente 


pieno  vento]  id. 

id.  id. 

id.  id. 

i 


id.  1  id. 

frut.  di  specul-ì   resis.  alle  piog. 
id.  i   pregev.  per  la 

precocità 


fertile 


buonissime  id. 

id. 


id. 
campestre 


resiste  ai  freddi 
tardivi 


poca  potatura, 
resistente  ai 
trasporti 


ecco 
ndifferente 


id.         j 
indifferente 


piccole 
ristrette 


ciliegio  vero 
e  Mahaleb 


frutt.  di  fam. 
frutteti    di 
speculazione 

frutt.  di  fam. 
frutteti    di 


molto  rustica, 
la    migliore 
delle  duracine 
per  curiosità 
sopporta    l'im- 


speculazione     ball,  la  spedi 
ricercatissima 


Mahaleb 


frutteti  casa- 
linghi 
id. 


ndifferente    indifferente     indifferente     pieno  vento,    ciliegio  vero  id. 

,  vaso   e    pi-      e  Mahaleb 

ramide 


i  fiori  resistono 
alle  intemper. 

tollera  i  tagli  e 
screp.  i  frutti 
colle  pioggie 

non  tollera  i 
trasp.  tollera  i 
tagli,  rustica 


juonissimo  '  secco  e  ma-    collina  mezzo  vento]  id. 

I     grò  I    forme  ristr.l 


frutteto  casal.  1 
e  da  amatori] 


_  I  —  :  —  I  qualunque    I  id.  '  id. 

Indifferente    indifferente     indifferente  id.  |  id.  1  campestre 


hall  vantaggio 
di  matur.  tardi 


buona 


ristrette 


id. 


frutteti  casal.  1 
e  da  amatori 


-  696  - 

Bella  di  Montmorency. 
Frane:  Cerise  Montmorency.  Ted.:  Kirsche  von  Montmorency. 

Origine:  sconosciuta,  ma  la  sua  coltivazione  rimonta  a  tre  secoli  addietro. 

Maturazione:  giugno,  IV  settimana. 

Qualità:  prima  per  conserve  e  confetture.  Pregiata  perii  succo  fine  ed  abbondante. 
Richiesta  dai  mercati  locali. 

Fertilità:  notevole. 

Vigoria:  normale. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento  sul  ciliegio  proprio  e  spalliere  sul  Mahaleb.  Anche 
mezzi  venti  sul  ciliegio  proprio  e  piramidi  sul  Mahaleb. 

Soggetti  da  innesto:  ciliegio  proprio  e  Mahaleb  per  le  forme  ridotte.  Su  questo 
ultimo  e  per  le  forme  ridotte  è  più  produttiva. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi. 

Descrizione  della  pianta:  forma  bella,  sferica  od  appiattita,  rami  fìtti,  lunghi,  gracili 
e  piegati,  gemme  piccole  o  medie,  foglie  numerosissime,  verdi  scure;   picciolo  corto   e 


Descrizione  del  frutto  :  isolato,  voluminoso,  globuloso,  schiacciato  ai  poli  e  solcato 
profondamente  da  un  lato,  colore  rosso  chiaro  più  o  meno  carico,  buccia  sottile  che  si 
distacca  facilmente  dalla  polpa,  peduncolo  corto  o  cortissimo,  grosso,  inserito  in  una 
cavità  profonda,  polpa  filamentosa,  tenera,  giallo  verdastra,  succo  abbondante,  legger- 
mente camino,  dolce,  aggradevolmente  acido   e  rinfrescante,  semi  pochissimi,  rotondi. 

Proprietà  del  frutto:  eccellente  per  conserve. 


Duracina  bianca  grossa. 

Frane:  Bigarreau  blanc  gros  —  Ted.:  Gemeine  Marmorkirsche. 

Maturazione:  giugno,  III  settimana. 
Qualità:  seconda. 
Fertilità:  scarsa. 
Vigoria  ;  straordinaria. 
Clima:  secco. 

Fsposizione  e  situazione:  calde. 
Forme  più  adatte:  pieno  vento. 
Soggetti  da  innesto:  ciliegio  proprio. 
Sistema  di  coltivazione:  frutteto  di  famiglia. 
Descrizione  della  pianta:  rami  pendenti,  sottili,  foglie  piccole. 
Proprietà  della  pianta:  vegeta  con  forza. 

Descrizione  del  frutto:  grandissimo,  cuoriforme,  colore  bianco  giallastro,  leggermente 
rosato  verso  il  sole,  polpa  soda,  zuccherina,  buona. 


Duracina  d' Italia. 

Frane:  Bigarreau  d'Italie. 

Maturazione:  giugno,  II  settimana. 

Fertilità:  sufficiente. 

Vigoria:  buona. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento 

Soggetti  da  innesto:  sul  ciliegio  proprio  dà  una  bella  chioma  arrotondata.  Rami 
numerosi,  grossi,  corti,  non  flessibili;  con  gemme  medie,  foglie  medie,  dure,  verdi 
biancastre  sulla  pagina  inferiore,  picciolo  grosso  e  lungo,  fiore  grande. 


—  697  - 

Descrizione  del  frutto:  forma  globosa  molto  schiacciala,  colore  porpora  carico  mac- 
chiato da  chiazze  più  chiare.  Buccia  dura,  consistente,  peduncolo  corto,  grosso,  attaccato 
a  due,  polpa  rossa  consistente,  croccante,  succo  abbondantissimo,  rosso,  molto  dolce  e 
profumato,  semi  medi,  ovali. 


Duracina  nera  grossa  (fìg.  527). 

Frane:  Bigarreau  noir  —  Grosse  schwarze  Knorpelkirsche. 

Maturazione:  giugno,  IV  set- 
timana. 

Qualità  :  da  mercato  e  da 
tavola. 

Fertilità:  media. 

Clima  :  caldo. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento 

Soggetti  da  innesto:  ciliegio 
proprio. 

Sistema  di  coltivazione:  cam- 
pestre. 

Descrizione  della  pianta  :  for- 
ma irregolare,  rami  arcuati,  di- 
varicati ,  grossi ,  di  lunghezza 
media  con  lenticelle  rarissime, 
gemme  voluminose,  divaricate, 
ovoidali  appuntite  ;  foglie  poco 
numerose ,  grandissime ,  verde 
giallastre,  picciolo  grosso  e  lungo. 

Proprietà  della  pianta  :  resi- 
stente ai  freddi  tardivi. 

Descrizione  del  frutto  :  uniti 
per  due,  voluminosi,  di  forma  in-  ^V  p.      -™ 

costante   per   lo    più    cuoriforme  ^ 

ottusa,  colore  rosso  porpora  quasi  Jl     Duracina  nera  grossa  ('/»  grandezza), 

nera   a   maturazione,    peduncolo, 
medio  polpa  croccante,  filamentosa,  rosso-violacea,  succo   sufficiente,   porporino  dolce 
acidulo,  molto  aggradevole. 

Proprietà  del  frutto:  non  riesce  sempre  bene  in  tutte  le  località. 


Duracina  rossa  grossa  (fig.  528). 

Frane:  Bigarreau  roux  gros  —  Ted.  :  Gross  Bigareau. 

Maturazione:  maggio, III  settimana. 
Qualità:  prima  da  tavola  e  da  mercato. 
Fertilità  :  notevole. 
Vigoria  :  notevole. 
Terreno:  molto  fertile. 
Esposizione  e  situazione:  luoghi  aprichi 
Forme  più  adatte:  pieno  vento. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre  innestando  sul  ciliegio  proprio. 
Descrizione  della  pianta:  forma  grande,  diritta;  rami  sparsi; foglie  lunghe,  lanceolate. 
Descrizione  del  frutto:  grosso,   oblungo,  cordato;   colore  rosso   vivo;   polpa  giallo- 
gnola, soda,  sugosa,  eccellente  ;  semi  ovali  e  bianchissimi. 


^  698  - 

Elton  (fig.  529). 
Frane:  Guigne  Elton  —  Ted.:  Elton  Kirsche. 

Origine:  inglese. 

Maturazione:  maggio,  IV  settimana. 

Qualità:  prima  da  tavola 

Fertilità:  sufficiente. 

Vigoria:  notevole. 

Terreno:  fertile. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento. 

Sistema  di  coltivazione  ;  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  forma  allargata,  rami  lunghi,  sottili  con  poche  diramazioni, 
fiore  grande  un  po'  rosato. 

Proprietà  delia  pianta  :  fioritura  precoce. 

Descrizione  del  frutto:  grosso,  appuntito,  piatto  all'inserzione  del  peduncolo;  colore 
giallastro  lavato  di  rosa,  a  punteggiature:  buccia  sottile  trasparente;  peduncolo  lungo, 
non  tanto  grosso,  inserito  in  una  piccola  insenatura;  polpa  gialla,  fine,  semi-tenera, 
succosa;  semi  grandi,  appuntiti,  con  sporgenza  laterale. 

Proprietà  del  frutto:  sapore  delizioso.  Molto  bello  per  il  colore  e  per  il  volume. 
Richiesto  dalle  tavole  signorili,  si  presta  per  la  spedizione.  Può  servire  anche  per  conserve. 


Esperen  (530j. 
Frane:  Bigarreau  Esperen  —  Ted.:  Esperen' s  Knorpelkirsche. 

Maturazione:  Giugno,  IV  settimana. 

Qualità  :  la  migliore  e  la  più  bella  delle  duracine.  Prima  da  mercato. 

Fertilità:  notevole. 

Vigoria:  notevole. 

Clima:  qualunque. 

Forme  più  adatte:  tutte,  da  preferirsi  però  il  pieno  vento  innestato  sul  ciliegio  vero. 

Soggetti  da  innesto:  ciliegio  vero  e  Mahaleb. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta  :  forma  grande,  semi-sferica  ;  rami  numerosi,  grossi,  lunghi, 
cosparsi  di  piccole  e  numerose  lenticelle;  gemme  grosse;  foglie  numerose,  grandi  con 
picciolo  molto  grosso. 

Proprietà  della  pianta:  vantaggiosa  su  tutte  le  duracine,  molto  rustica. 

Descrizione  del  frutto  :  attaccati  per  uno,  cordati,  grandi  ;  colore  giallo  biancastro  e 
rosso  cremisi  dalla  parte  soleggiata;  buccia  dura;  peduncolo  grosso  di  media  lunghezza, 
polpa  bianca  o  leggermente  rosea,  croccante,  non  filamentosa;  succo  abbondante,  in- 
colore, molto  dolce  e  saporito:  semi  grossi,  ovoidali,  appuntiti. 

Proprietà  del  frutto:  squisito  per  sapore. 


Gialla  di  Buttner  (fig.  531). 

Frane:  Bigarreau  jaune  de  Buttner  —  Ted.:  Buttner's  gelbe  Knorpelkirsche. 

Origine:  in  Sassonia. 

Maturazione:  giugno,  IV  settimana. 

Qualità:  seconda  da  tavola,  per  curiosità. 

l'ertilità    soddisfacente. 

Vigoria:  limitata. 

Forme  più  adotte  :  piccole. 

Soggetti  da  innesto:  Mahaleb. 

Sistenui  di  coltivazione:  frutteto  di  famiglia. 


699 


9H1 

W/n/T'  ■  ■•  rt;--  '••s^t--'^^^^;:  ^^""^     v_ 

y      1 

""^ 

f  ^ 

^m 

1  T^I^^^^B 

w 

'i'-  ^^¥m 

^^^ 

yym 

■ 

•M 

^B     Ifl^r      ^ì^^^^l 

V 

Fig.  528.  —  Duracina  rossa  grossa  ('  ,  grandezza). 


Fig.  531.  —  Gialla  diìButtner  (V^  grandezza). 


-  700  - 

«cscrii/o/ie  rfe//<( /«an^a  rami  numerosi,  quasi  eretti,  gracili,  di  lunghezza  media. 
Lenticelle  piccole  e  numerose:  gemme  divaricate,  medie;  foglie  poco  numerose,  medie 
o  piccole,  verde  pallide,  sottili  ovali  con  picciolo  corto  e  sottile 

Proprietà  della  pianta:  tardiva. 

Descr  zione  del  frutto:  unUi  per  tre,  medi,  cuoriformi;  colore  giallo  brillante;  buccia 
dura,  consistente;  i)eduncolo  lungo;  polpa  giallastra,  dura,  croccante,  leggermente  traspa- 
rente nel  centro;  succo  abbondante,  giallastro,  acidulo,  zuccherino  più  o  meno  profu- 
mato; semi  piccoli,  rotondi. 

Proprietà  del  frutto:  uno  dei  migliori. 


/ 


F"ig.  529.  —  Elton  (2/3  grandezza  naturale). 


Fig.  530.  —  Esperen  (grand,  naturale.» 


Fig.  532.  —  Gobet  grande  (■'/a  grand,  nat.). 


Qobet  grande  (fig.  532). 

Frane:  Gros  Gobet  o  de  Montmorency  a  gros  fruits.  Gobet  à  courte  queue. 


Origine:  antichissima,  da  tre  secoli. 

Maturazione;  giugno,  IV  settimana. 

Qualità  ;  d'amatore,  per  confetture  e  per  conservare  nell'acquavite. 

Fertilità:  moderata. 

Vigoria:  media  o  debole. 

Kiposizione  e  situazione:  buona. 

Forme  più  adatte:  piccole. 

Soggetti  da  innesto:  sul  ciliegio  di  monte  o  sul  Mahaleb.  Su  questo  è 
duttivo,  innestando  al  piede. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi  e,  moderatamente,  frutteti  di 
zione. 


più   pro- 
specula- 


-  701  - 

Descrizione  della  pianta:  forma  confusa,  schiacciata,  sferica;  rami  abbastanza  lunghi, 
orizzontali,  sottili  e  gracili;  foglie  piccole,  verdi-scure;  picciolo  corto  e  grosso. 

Descrizione  del  fruito:  grande,  solitario  od  appaiato,  sferico,  depresso  ai  due  lati 
e  solcato  profondamente  da  un  lato:  colore  giallo  ambra  marmorizzato  di  rosso; 
buccia  sottile,  trasparente,  tenera;  peduncolo  corto  o  cortissimo,  grosso,  inserito  in  una 
cavità  profonda;  polpa  giallastra,  line:  succo  abbondante,  zuccherino-acidulo,  un  po' 
aspro  se  il  frutto  non  è  maturo. 

Difetti  delle   varietà:   soggetta   alla  colatura  nelle 
stagioni  non  buone.  w 


Imperatrice  Eugenia  (fig.  533). 

Frane:  Impératrice  Eugenie  —  Ted.:  Kaiserin  Eugenie. 

Origine:  ottenuta  da  Varennes  nel  1850  in  una  vi- 
gna di  Belleville. 

Maturazione:  maggio,  IV  settimana. 

Qualità:  prima  da  tavola  e  da  conserve. 

Fertilità:  eccessiva  e  regolare. 

Vigoria:  media. 

Clima:  buono 

Terreno:  fertile. 

Esposizione  e  situazione:  buone. 

Forme  più  adatte:  ristrette  a  spalliera,  per  lorzare, 
a  piramide.  ^^8-  ^^^• 

Soggetti  da  innesto:  Mahaleb  e  visciolo.  Imperatrice  Eugenia  ('I, gr. nat.) 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi. 

Descrizione  della  pianta:  fusto  e   rami   numerosi,  eretti,    corti   e   di   forza   media: 
gemme  grosse;  foglie  numerose. 

Proprietà  della  pianta:  somiglia  all'inglese  precoce,  i  fiori  resistono  alle  intemperie. 

Descrizione  del  frutto:  forma  più  grande  dell'inglese  precoce.  Frutti  solitari,  globosi, 
grossi,  compressi  ai   poli;   colore   rosso    porporino,   unico- 
lore: buccia  sottile,  peduncolo  lungo;  polpa  bianco-carne, 
filamentosa  e  tenerissima  ;    succo    abbondante    deliziosis- 
simo, acido,  di  color  rosa;  semi  piccoli,  rotondi. 

Proprietà  del  frutto:  somiglia  all'inglese  precoce. 


Inglese  precoce  (fig.  33 J). 

Frane:  Anglais  hàlif  —  Ted.:  Frùhe  englische 
Ingl.:  May  Duke. 

Origine:  Inglese. 

Maturazione:  giugno,  I  settimana. 

Qualità:  prima  da  tavola  e  da  conserve. 

Fertilità  :  notevole. 

Vigoria  :   debole   sul   Mahaleb    e    mediocre    sul  cilie-  Fig-  534. 

gio  vero.  Inglese  precoce  (^'g  gr.  nal.). 

Esposizione  e  situazione:  buone. 

Forme  più  adatte:  ristrette,  riparate  dalle  pioggie.  Aiti  fusti  imperfetti  a  cono 
rovesciato.    Vaso,  piramide,  spalliera. 

Soggetti  da  innesto:  Mahaleb  e  ciliegio  vero. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  casalinghi. 

Descrizione  della  pianta:  forma  e  altezza  media,  regolare;  rami  numerosi,  eretti, 
lunghi,  poco  ramificati  e  grossi;  gemme  molto  grosse:  foglie  numerose,  medie;  picciolo 
corto:  fiori  grandi,  numerosissimi. 


—  702 


Proprietà  della  pianta:  poco  vigore,  però  tollera  i  tagli. 

Descrizione  del  frutto:  per  uniti  '.i  o  4,  grossi,   ovoidali,   arrotondati    sensibilmente; 
colore  rosso  intenso:  buccia  sottile;  peduncolo  medio;  polpa  rosso  granata,  tenera,  fila- 
mentosa ;  succo  abbondante,  vinoso,  zuccherino,  eccellente. 
Difetti  della  varietà:  frutto  screpola  colle  pioggie  e  la 
pianta  ha  poco  vigore. 

Osservazioni  :   (jucsta  varietà  si  può  considerare  come 
un  ibrido  del  ciliegio  dolce  coU'amaro  (Mahaleb). 


labovilay  (fig.  535). 

Frane:    Bigarreau    laboulay. 

Maturazione:  maggio,  IV  settimana. 

Qualità:  prima  da  mercato  e  da  figura. 

Fertilità:  ordinaria  e  costante. 

Vigoria  :  notevole. 

Forme  più  adatte:  pieni  venti. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre. 

Descrizione  della  pianta:  forma  non  regolare;  rami 
radi,  arcuati  o  pendenti,  lunghi,  di  media  grossezza,  flessi- 
bili; gemme  medie;  foglie  poco  numerose,  molto  grandi, 
ovali  allungate,  colore  verde  chiaro  :  picciolo  lungo  e 
molto  grosso;  flessibile  con  glandole  enormi. 

Proprietà  della  pianta:  precoce  di  sviluppo  in  prima- 
vera. Richiede  poca  potatura. 

Descrizione  del  frutto:  uniti  per  tre,   piuttosto  piccoli, 
arrotondati  o  cuoriformi  appiattiti  dalla  parte  del  pedun- 
colo; colore  rosso  vivo  con  sfumature   porporine  a  matu- 
razione; buccia  grossa;  polpa  rosso  bruna,   con    succo  ab- 
bondante, rosso  intenso,  dolce:  semi  grossi  ovoidali. 
Proprietà  del  frutto:  eccellente  per  spedizione. 


Napoleone  I.  (fig.  536). 

Frane:  lUgarreau  Napoleon  I.  —   Ted.:  Lavermann's 
Knorpelkirsche. 

Origine:  Germania. 

Maturazione:  giugno,  IV  settimana. 

Qualità:  prima  da  mercato  e  da  esportazione. 

Fertilità:  notevole. 

Vigoria:  notevole. 

Terreno:  indifferente. 

l'orme  più  adatte:  tutte,  però    meglio   forme  ristrette. 

Soggetti  da  innesto:  ciliegio  vero  e  Mahaleb. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  forma  allargata;  rami  nume- 
rosi, grossi,  lunghi,  con  lenticelle  grigie,  numerose;  gem- 
me voluminose;  foglie  poche,  grandi  o  grandissime;  pic- 
ciolo lungo;  fiori  grandi,  precoci. 

Descrizione   del  frutto:   attaccati  per  due,  voluminosi, 
irregolari  a   cuore;  colore    rosso   chiaro   dalla   jiarte   del- 
l'ombra e  rosso  intenso  dalla  parte  del  sole;  buccia  dura; 
peduncolo  grosso,  lungo,  puntato   in   cavità  vasta   e  profonda;  polpa  biancastra,  molto 
consistente;  succo  abbondante,  quasi  incolore,  dolce,  saporitissimo;  semi  piccoli  ovoidali. 

Proprietà  del  frutto    dei  migliori  per  bontà  e   bellezza.  Sopporta  l'imballaggio   ed 
il  trasporto. 


Fig.  535. 
laboulay  (grand,  naturale). 


Fig.  .536. 
Napoleone  I  (grand,  nat.). 


—  703  — 


Regina  Ortensia. 

Frane:  Reine  Hortense  —  Ted.:  Kònigin  Hortensia. 

Origine:  ottenuta  dal  giardiniere  dell'Imperatore  a  Neuilly  nel  1807  dalla  semina 
di  un  ciliegio  dolce  ottenuto  da  un  seme  dell'Inglese  precoce. 

Maturazione:  giugno,  III  settimana 

Qualità:  per  consumo  di  famiglia  e  per  conserve. 

Fertilità:  poca 

Vigoria:  notevole. 

Clima:  delicato  per  le  brine  e  pei  venti  freddi  ed  umidi. 

Terreno:  secco  e  magro. 

Esposizione  e  situazione:  collina. 

Forme  più   adatte:   piccole   forme   libere   e  mezzo  vento. 

Soggetti  da  innesto:  ciliegio  proprio  e  Mahaleb. 

Sistema  di  coltivazione:  frutteto  casalingo  o  d'amatori. 

Descrizione  della  pianta: 
rami  fìtti,  piegati  in  basso  e 
gracili  come  i  ciliegi  acidi, 
ma  il  frutto  è  dolce.  I  brin- 
dilli  portano  i  frutti  all'estre- 
mità ;  gemme  medie,  conico- 
allungate  ;  foglie  numerose, 
grandi. 

Descrizione  del  frutto  :  for- 
ma voluminosa,  frutti  isolati, 
ovoidali;  colore  rossa-chiaro 
con  fondo  chiaro  ;  buccia  uni- 
colore, sottile  ;  peduncolo  me- 
dio, colorato  intensamente  ; 
polpa  giallastra,  tenera,  fine 
con  succo  abbondante,  zuc- 
cherino, acidulo,  saporitissi- 
mo ;  semi  medi,  ovoidali  al- 
lungati. 

Proprietà  del  frutto:  ha 
il  gusto  delle  ciliegie  dolci. 

Difetti  della  varietà:  non 
si  può  trasportare  perchè  de- 
licata e  non  si  può  coltivare 
industrialmente. 

Osservazioni  :  è  un  ibrido  del  ciliegio  dolce  col  ciliegio  acido. 


Rossa  di  Maggio  (fig.  537). 

Frane:  Rouge  de  Mai:  Ted.  Rothe  Mai  Kirsche. 

Maturazione  :  Maggio,  IV  settimana,  ma  irregolare. 

Qualità  :  prima  da  tavola  e  da  conserve.  Non  si  può  spedire,  non  tollerando  il  trasporto. 
Clima  :  indifferente. 
Terreno:  indifferente. 
Esposizione  e  situazione:  indifferente. 

Forme  più  adatte  :  pieno  vento  a  corona  piramidale  e  piramide. 
Soggetti  da  innesto:  ciliegio  nero  e  Mahaleb. 

Sistema  di  coltivazione  :  frutteti  casalinghi  e  di  speculazione  per  mercati   locali  o 
per  uso  casalingo. 

Descrizione  della  pianta  :  Forma  piramidale,  abbastanza  grande. 


—  701   — 

Proprietà  della  pianta  :  tollera  il  taglio,  rustica,  di  lunga  durata  e  resistente  alle 
malattie. 

Descrizione  del  frutto:  Forma  grande,  appiattita  all'inserzione  dello  stelo;  tondeg- 
giante nell'altro  lato  ;  colore  rosso  vivo  e  dalla  parte  dell'ombra  più  scuro  :  buccia  sot- 
tile ;  peduncolo  lungo  cm.  4.5-5  ;  semi  piccoli  tondeggianti,  appiattiti  ai  due  lati. 

Proprietà  del  frutto:  dei  più  precoci  fra  le  viscioline  ed  eccellente  fra  tutte. 

Difetti  della  varietà  :  irregolare  nella  maturazione  e  poco  resistente  ai  trasporti. 


Tenerina  nera  grande  (fìg.  538). 
Frane.  :  Guigne  noir  à  gros  tuit. 

Sinonimi:  Tenerina  a  frutto  grosso  nero. 

Maturazione:  Giugno,  I  settimana. 

Qualità:  da  mercato. 

Fertilità  :  notevole. 

Vigoria:  molta. 

Terreno:  caldo. 

Forme  più  adatte  :  pieno  vento 

Soggetti  da  innesto:  ciliegio  proprio. 

Sistema  di  coltivazione  :  campestre. 

Descrizione  della  pianta  :  albero  grande. 

Descrizione  del  frutto  :  grosso  ;  colore  nero  porporino 
molto  carico  ;  polpa  nerastra,  dolce,  gradita  con  succo 
molto  colorato. 

Tenerina  nera  grande  lucente. 
Frane:  Guigne  noire  grosse  luisante. 

Maturazione  :  Giugno,  I  settimana. 
Qualità:  prima  per  ornamento  da  tavola.   Si  conserva 
molto  bene. 

Fertilità:  media. 
Vigoria  :  notevole. 
Pig-  -^^^  Forme  più  adatte:  alti  fusti. 

Tenerina  nera  grande  Soggetti  da  innesto:  ciliegio  proprio. 

(grand,  naturale).  Sistema  dì  coltivazione:    per  frutteti  di  speculazione  e 

di  amatori. 
Descrizione  della  pianta:  Forma  diritta;  fusto  e  rami  lunghi  e  fragili;  gemme   pic- 
cole, ovoidali,  appuntite  ;  foglie  :  grandi,  sottili  ;  picciolo  medio. 

Descrizione  del  frutto:  Forma  incostante,  voluminosa;  colore  porpora-nerastro  ;  buc- 
cia dura,  grossa,  lucente  ;  peduncolo   lungo,  unito   per   tre  ;  polpa   granata   carica,  semi 
consistente;  succo  abbondante,  violastro  appena  acidulo,  molto  dolce  e  saporito. 
Difetti  della  varietà  :  matura  troppo  tardi  per  essere  una  tenerina. 

Tenerina  nera  precoce. 

Frane.  :  Guigne  noire  hàtive. 

Maturazione:  Maggio,  IV  settimana. 

Fertilità:  notevole. 

Forme  più  adatte  :  tutte. 

Soggetti  da  innesto  :  ciliegio  proprio. 

Descrizione  della  pianta  :  rami  grossi  e  lunghi,  con  molte  lenticelle  grigie  ;  gemme 
grosse,  ovoidali;  foglie  numerose  grandi,  verdi-giallastre,  ovali  allungate;  picciolo 
lungo,  flessibile,  rosso  violaceo. 

Proprietà  della  pianta:  fioritura  precoce. 


-  705  - 

Descrizione  del  frutto:  Forma  ovoidale,  sensibilmente  arrotondala,  voluminoso,  at- 
tacato  per  tre;  colore  rosso  intenso  con  sfumature  rosso  nerastre;  buccia  grossa;  peduncolo 
lungo  ;  polpa  gi-anato  carico,  filamentosa,  semi  tenera  con  succo  abbondante,  violastro, 
acidulo  e  dolce  ;  semi  medi,  ovoidali. 


Fig.  539.  —  Tenerina  porpora  precoce  (V3  grandezza  naturale). 


Tenerina  porpora  precoce  (fig.  539). 

Frane.  :  Guigne  pourpre  hàlive. 

Maturazione  :  Maggio,  111  settimana. 
Qualità:  prima  da  tavola. 
Fertilità  :  media. 
V'jgroria.-  notevole. 
Forme  più  adatte  :  alto  fusto. 
Soggetti  da  innesto:  ciliegio  proprio. 
Sistema  di  coltiuazione:  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  del  frutto:  abbastanza   grosso,  arrotondato  a  cuore;  colore   bello,  rosso 
brillante  ;  polpa  buonissima. 

Proprietà  del  frutto:  non  si  deteriora  colle  pioggie. 
45  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  706  - 
Tenerina  precoce  di  Maggio. 

Frane:  Guigne  precoce  de  Maj  ;  Ted.  Friihe  Mai  Herzkirsche. 

Maturazione  :  Maggio,  III  settimana. 
Qualità  :  pregiata  per  la  precocità,  da  mercato. 
Fertilità  :  notevole. 
Vigoria  ;  notevole. 
Clima  :  indifferente. 
Terreno  :  indifferente. 
lisposizione  e  situazione:  indifferente. 
Forme  più  adatte  :  pieno  vento. 
Soggetti  da  innesto  :  ciliegio  proprio. 
Sistema  di  coltivazione:  frutteti  di  speculazione. 
Descrizione  della  pianta  :  Forma  grande. 

Descrizione  del  frutto:  medio  a  cuore  arrotondato;  colore  rosso  porporino  piuttosto 
carico;  buccia  sottile;  peduncolo  lungo;  polpa  di  sapore  abbastanza  buono. 


Visciolina  del  Nord  (fig.  540). 

Frane:    Griotte  du  Nord;  Ted.  Grosse  lange  rolh  Kirsche. 

Sinoniiììi:  Agriotta  del  Nord. 

Origine:  Germania. 

Mutui  azione:  Luglio-Agosto. 

Qualità:  per  conserve. 

Fertilità  :  notevole  e  costante. 

Vigoria  :  rapida  crescita  e  vigorosa. 

#  Clima  :  indifferente. 

Terreno:  indifferente. 
Esposizione  e  situazione:  indifferente,  anche  a  Nord. 
Forme  più  adatte:  pieni  venti  o  piccole  forme. 
Soggetti  da  innesto:  ciliegio  o  Mahaleb. 
Sistema  di  coltivazione:  campestre. 
Descrizione  della  pianta  :  rami  sottili  pendenti,  grossi 
fiore  tardivo. 

Proprietà   della  pianta:   ha   il   vantaggio  di  maturare 
molto  tardi. 
Descrizione  del  frutto:  Forma  molto  grande,  rotonda  allungata.  I  frutti  sono  per  due 
o  tre;  colore  rosso  vivo, poi  porporino  o  nerastro;  peduncolo  molto  lungo;  polpa  molto 
colorata,  vinosa  acida,  sapore  zuccherino. 

Proprietà  del  frutto:  serve  in  Piemonte  a  fabbricare  il  Ratafià  e  conserve  nello  spi- 
rilo, confetture,  sciroppi. 


Fig.  540. 

Visciolina  del  Nord 

(grand,  natur.). 


4.  Ciliegie  pei  paesi  ealdi.  —  Le  varietà  più  consigliabili  sono  le 
seguenti:  .laboulay,  Duracina  di  Maggio  precoce,  Regina  Ortensia,  Tene- 
rina porpora  precoce. 

5.  Importanza  della  coltivazione.  —  Il  ciliegio  è  una  pianta  pre- 
ziosa anche  per  la  sua  rusticità.  I  suoi  frutti  sono  sempre  graditi  spe- 
cialmente perchè  sono  i  primi  dell'annata.  Si  prestano  anche  per  conserve. 

6.  Sistemi  di  coltivazione.  —  In  particolar  modo  il  ciliegio  è 
adatto  per  l'impianto  nei  campi,  nei  broli,  dove  conviene  l' alleva- 
mento a  pieno  vento.  Negli  orti  conviene   la  forma    a   vaso.   È    anche 


-  707  - 

una   delle    piante  più  consigliabili  per  gli  impianti   lungo    le    strade  e 
i  viali;  mentre  per  i  Irutteti  casalinghi  non  è  consigliabile. 

7.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Si  acclimatizza  in  tutte  le  regioni 
d'Europa,  anzi  si  può  dire  che  è  la  pianta  da  frutto  più  estesa,  poiché 
dalla  Svezia  e  Norvegia  il  ciliegio  è  coltivalo  lino  in  Sicilia. 

Questa  facilità  di    acclimatarsi    è  dovuta  alla   sua  poca    sensibilità 
alle  variazioni  di  temperatura  ed  alla  sua  resistenza  ai  venti. 
Nella  regione  della  vile  si  hanno  però  i  frutti  migliori. 

8.  Esposizione  e  situazione.  —  11  ciliegio  ama  il  colle  o,  a  meglio 
dire,  tutte  le  alture,  le  pendici,  gli  altipiani,  dove  circola  bene  l'aria  e 
la  luce.  Vicino  ai  boschi,  dove  predomina  l'aria  umida,  il  ciliegio  è 
poco  fruttifero,  ma  vigoroso. 

Le  esposizioni  fredde,  soggette  a  brine,  qualche  volta  nuociono 
alla  fioritura,  mentre  le  esposizioni  troppo  calde  spossano  la  pianta. 
Lungo  le  coste  del  mare  non  ha  vegetazione,  né  ha  fruttificazione 
normale.  Con  tutto  questo  l'esposizione  è  la  cosa  meno  importante  per 
il  ciliegio,  Pùesce  bene  a  ponente  come  a  nord  e,  anzi  a  nord  si  colti- 
vano specialmente  le  visciolone  e,  meglio,  le  viscioline. 

Tab.  I.VI. 

Quadro  indicante  l'epoca  nella  quale  avvengono  le  principali  fasi 
di  vegetazione  del  ciliegio,  nelle  diverse  regioni  d'Italia. 


Fogliazione 

Fioritura 

Maturazione 
del  frutto 

Caduta 
delle  foglie 

Regioni 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

I. 

Piemonte    .    .    . 

Aprile 

II 

Aprile 

I 

Maggio 

III 

Novenib. 

I 

II. 

Lombardia.     .     . 

, 

„ 

„ 

„ 

Luglio 

II 

Ottobre 

111 

Ili. 

Veneto    .... 

„ 

, 

, 

li 

„ 

„ 

„ 

II 

IV. 

Liguria   .... 

Marzo 

III 

Marzo 

li 

_ 

— 

- 

— 

V. 

Kmilia     .... 

Aprile 

II 

Marzo 

III 

Giugno 

I 

Ottobre 

II 

VI. 

Marche      ed 

Umbria.    .    .    . 

„ 

Aprile 

II 

II 

„ 

, 

VII. 

Toscana  .... 

" 

. 

„ 

, 

Luglio 

„ 

. 

, 

vili 

Lazio 

- 

— 

_ 

— 

- 

— 

— 

IX. 

Meridionale 

.Vdrialica  .    .    . 

Marzo 

I 

Marzo 

l 

Maggio 

II 

Ottobre 

Ili 

X. 

Merid.    Mediter- 

ranea    .... 

, 

II 

„ 

II 

Giugno 

^ 

Xovenib. 

I 

XI. 

Sicilia 

„ 

, 

Aprile 

, 

, 

. 

Ottobre 

„ 

XII. 

Sardegna    .    .    . 

Aprile 

I 

» 

III 

. 

Novemb. 

HI 

9.  Terreno.  —  Il  ciliegio  è  pochissimo  esigente  per  il  terreno.  Lo 
troviamo  nei  calcari  più  ptiri,  nei  terreni  più  ciottolosi  o  sabbiosi  o 
ferruginosi  ;  soltanto  nei  terreni  soverchiamente  umidi  con  sottosuolo 
impermeabile  non  ha  vita  lunga,  le  foglie  ingialliscono,  e  dà  frutti 
imperfetti  e  va  soggetto  alla  gommosi. 


-  708  ^ 

M.  Ervert  è  venuto  alle  seguenti  conclusioni  nel  suo  studio  sui  terreni  più  favore- 
voli alla  coltura  del  ciliegio; 

aj  II  ciliegio  è  una  pianta  che  si  presta  in  particolar  modo  pei  terreni  profondi 
e  leggeri.  Riesce  particolarmente  bene  nelle  sabbie  alluvionali  di  grande  potenza  e 
nelle  terre  limose. 

bj  Non  riesce  nelle  terre  forti,  ricche  di  argilla  come  le  marne  cretacee. 

cj  Un  terreno  contenente  1*80%  di  terra  lina  esportata  con  la  levigazione  non 
è  conveniente  per  il  ciliegio,  cosi  pure  se  ha  un  contenuto  del  40-45%  di  carbonato  di 
calce,  anche  se  questo  calcare  si  trova  nelle  parti  fine. 

d)  La  riuscita  del  ciliegio  è  indipendente  dal  contenuto  in  calcare,  riuscendo  anche 
in  un  terreno  che  ne  contenga  0.04-0.05%. 

e)  La  produttività  del  ciliegio  non  dipende  dall'avere  il  terreno  elementi  deter- 
minati dall'analisi  chimica,  ma  subisce  particolarmente  l'intluenza  dello  scheletro  del 
terreno  più  o  meno  preponderante  e  dalle  proprietà  fisiche  del  terreno  stesso. 

fj  II  ciliegio  non  tollera  l'acqua  nel  sottosuolo  sia  stagnante  che  corrente. 

g)  Le  radici  si  possono  accomodare  in  uno  spazio  relativamente  ristretto  e  per 
conseguenza  la  pianta  riesce  bene  anche  in  un  terreno  superficiale  con  sottosuolo  calcare, 
conchiglifero  in  parte  oppure  se  marnoso  cretoso. 

hj  11  ciliegio  riesce  perfettamente  nei  terreni  e  località  secche. 

Il  ciliegio  acido  predilige  in  particolar  modo  i  terreni  calcari  o 
sabbiosi  di  buona  qualità,  riesce  meno  del  ciliegio  a  frutti  dolci  nei 
terreni  eccessivamente  calcari,  marnosi  o  sabbie  secche. 

Il  ciliegio  innestato  sul  Mahaleb  si  pianta  nella  maggior  parte  dei 
terreni,  anche  calcari,  tollera  però  meno  del  ciliegio  di  monte  le  sabbie 
secche  ed  i  terreni  troppo  umidi. 

10.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  seme,  polloni  ed    innesto. 

Alla  molliplicazione  del  seme  si  ricorre  per  avere  soggetti  franchi. 

Alla  moltiplicazione  per  polloni  si  ricorre  per  le  viscioline. 

I  soggetti  sui  quali  si  vuole  innestare  il  ciliegio  sono  tre:  il  cilie- 
gio proprio  o  dolce  (Cerasus  avium)  ;  il  ciliegio  di  S.  Lucia  (Cerasiis 
Mahaleb)  e  sul  visciolo  (Cerasus  Caproniana). 

Questi  soggetti  si  ottengono  da  seme. 

I  semi  del  ciliegio  mantengono  appena  per  un  mese  la  facoltà 
germinativa,  in  luglio  bisogna  quindi  stratificarli  o  nelle  provincie 
meridionali  seminarli.  Seminando  in  primavera  si  opera  nel  mese  di 
marzo.  Un  litro  di  semi  ne  contiene  circa  1500  ed  un  Kg.  2200.  A 
questo  mezzo  generalmente  è  meglio  non  ricorrere  perchè  non  si 
ottengono  soggetti  tanto  robusti. 

II  ciliegio  dolce  o  proprio  è  il  pili  usato  ed  i  soggetti  si  ottengono 
seminando  delle  ciliegie  dolci  da  bosco  con  frutto  rosso,  perchè  piti 
vigorosi  di  quelli  con  frutto  nero.  Generalmente  le  visciole  si  innestano 
sui  primi  ;  le  tenerine  e  duracine  sopra  i  soggetti  ottenuti  dalla  semina 
dei  frutti  neri. 

Questi  soggetti  si  adoperano  per  ottenere  le  piante  più  vigorose, 
allevate  ad  alto  fusto,  riescono  bene  specialmente  nei  terreni  né  troppo 
aridi,  né  troppo  asciutti,  freschi  e  sciolti. 

11  visciolo  franco  si  adopera  per  soggetto  nei  terreni  piti  ricchi, 
profondi,  calcari  o  calcarei  marnosi  e  nelle  esposizioni  più  calde  ed 
aeieale,  in  una  parola  nei  terreni  da  vigna.  Specialmente  le  visciolone 


-  701)  - 

e  le  viscioline  vengono  innestale  su  questo  soggetto,  ma  la  pianta  diesi 
ottiene  è  sempre  di  mediocre  sviluppo. 

Il  ciliegio  di  S.  Lucia  o  Mahalcb  chiamato  anche  Pruno  maleho, 
Megalepa,  Ciliegio  canino,  Pruno  odoroso,  si  trova  nei  nostri  boschi, 
nei  luoghi  soleggiati,  sassosi  e  nei  cespugli.  È  una  pianta  cespugliosa, 
a  corteccia  grigio-bruna,  con  foglie  ovato-arrotondate,  cuspidate,  dentel- 
late, liscie,  di  color  verde-scuro;  fiori  bianchi,  odorosi,  in  racemo  pe- 
duncolato, che  si  sviluppi  dopo  le  foglie.  Frutti  ovoidali,  piccoli  quanto 
un  pisello,  neri  o  rossi,  aniarissimi,  non  mangiabili. 
Fiorisce  in  aprile. 

È  un  soggetto  più  rustico  dei  precedenti  ma  è  meno  vigoroso.  E 
adoperato  specialmente  nei  climi  freddi  e  nei  terreni  umidi  come  anche 
in  quelli  irrigati,  quantunque  riesca  anche  nei  terreni  molto  magri, 
ghiaiosi  e  secchi.  Dà  piante  nane  o  di  mediocre  sviluppo  quindi  si 
presta  per  le  forme  da  spalliera  e  vasi,  specialmente  innestando  le 
visciolone.  Avendo  radici  superficiali  non  si  faccia  l'impianto  tanto 
profondo.  Bisogna  fare  l'innesto  tardi,  in  settembre,  poiché  in  agosto, 
essendo  il  soggetto  troppo  in  linfa,  l'innesto  annegherebbe. 

Il  ciliegio  è  l'unica  pianta  a  nocciolo,  sulla  quale  riesca  perfetta- 
mente l'innesto  a  spacco.  Per  gli  alti  fusti  si  fa  in  testa  e  sul  posto, 
quando  la  pianta  è  completamente  in  succo  e  quando  le  foglie  sono 
sviluppate,  cioè  dalla  metà  d'aprile  a  quella  di  maggio. 

Generalmente  conviene  fare  l'  innesto  a  dimora.  Dovendolo  fare 
nel  vivaio,  si  abbia  cura  di  trapiantare  dal  vivaio  nell'anno  successivo 
e  tagliare  corto,  altrimenti  le  piante  non  crescono  tanto  vigorose. 

Si  può  anche  innestare  a  gemma  vegetante  o  dormiente  sopra  sog- 
getti di  un  ainio  e  facendo  una  settimana  prima  l'innesto  sul  ciliegio 
dolce  dell'innesto  sul  mahaleb. 

Innestando  sul  mahaleb  se  la  varietà  non  si  presta  per  formare  il 
fusto,  si  ricorre  al  soprainnesto. 

Le  varietà  ornamentali  si  innestano  sull'amarasco,  meno  quelle 
derivate  dal  mahaleb  che  si  innestano  sul  franco  di  questo. 

11.  Caratteri  vegetativi.  —  Generalmente  il  ciliegio  è  ben  fornito 
di  rami  che  formano  una  bella  e  ionia  (fìg.  541  e  542).  Bisogna  con- 
servare questi  rami  nel  più  gran  numero  possibile.  Essi  sono  sempre 
di  eguale  vigore  e  tendono  ad  elevarsi  mentre  i  rami  inferiori  ten- 
dono ad  esaurirsi. 

Le  ciliegie  tenerine  e  le  duracine  hanno  gli  alberi  con  rami  nume- 
rosi, vigorosi,  verticali ,  che  nel  primo  anno  portano  solo  foglie  ; 
nel  secondo  anno  delle  rosette  di  foglie  e  si  coprono  di  frutti  nel  terzo 
anno.  È  una  eccezione  se  si  trovano  dei  fiori  alla  base  dei  rami  della 
seconda  vegetazione.  Portato  il  frutto,  le  branche  cominciando  dalla 
base  vanno  lentamente  denudandosi,  non  perù  cosi  rapidamente  come 
nel  pesco. 

Anche  l'albero  delle  visciolone  fruttifica  sui  rami  di  3  anni  di  ve- 
getazione, però  la  pianta  è  meno  vigorosa  e  dà  rami  più  brevi. 


—  710  - 

11  visciolino  frulli lìca  sui  rami  nel  secondo  anno  della  loro  vege- 
tazione. È  un  albero  di  taglia  media,  ha  rami  sottili,  fragili,  pendenti 
ed  a  branche  divergenti. 

Per  lo  più  nei  ciliegi  la  gemma  è  solitaria,  senza  sotto  gemme 
latenti  e  racchiude  in  sé,  come  nel  susino,  i  primordi  del  germoglio 
legnoso  o  dei  fiori.  Se  ad  esempio  la  gemma  si  trova  all'estremità  del 
ramo  dove  la  linfa  afiluisce  abbondantemente,  abortiscono  i  primordi 
floreali  e  si  sviluppa  soltanto  un  germoglio.  Se  la  linfa  affluisce  non 
in  tanta  quantità,  si  sviluppano  lìori  (in  numero  sempre  di  2  a  4)  ed 
un  germoglio    Ciò  avviene  specialmente  se  la  gemma   si    trova  a  metà 


Fig.  541.  —  Ciliegio  di  25  anni. 

lunghezza  del  ramo  ;  se  invece  trovasi  verso  la  base,  dà  fiori  ed 
abortisce  il  primordio  del  ramo  a  legno  Talvolta  si  sviluppa  qualche 
foglia,  ma  (juesta  non  porta  alcuna  gemma  alla  sua  ascella. 

Tagliando  su  qualunque  gemma  del  ciliegio,  si  fa  sviluppare  un 
germoglio.  La  gemma  terminale  del  visciolino  è  sempre  a  legno. 

Dei  rami  a  frutto  abbiamo  : 

a)  il  brindino,  il  quale  può  trovarsi  lungo  le  branche  e  lungo 
gli  altri  rami  a  legno.  Esso  porta  delle  gemme  più  avvicinate  alla  base 
ed  all'estremità  che  danno  frutto  nell'anno  successivo; 

b)  i  dardi  a  inazzetlo.  Questi  hanno  nel  mezzo,  fra  le  gemme  a 
flore,  una  gemma  a  legno.  Questi  dardi  si  possono  trovare  anche  sulle 
branche  e,  portando  dei  frutti,  sviluppano  nello  stesso  anno  un  germo- 
glio colla  gemina  terminale  il  quale  alla  sua  volta,  nel  secondo  anno, 
porterà  frutto  ; 


-  711  - 

e)  i  dardi  allungati  che  si  formano  pure  nella  terza  vegetazione 
del  ramo  che  li  porta,  ma  differiscono  dai  precedenti  perché  termi- 
nano con  una  sola  gemma,  dalla  quale  spuntano  i  fiori  e  la  gemma 
che  darà  un  nuovo  germoglio.  Questi  dardi  allungati  sono  produzioni 
particolari  dei  ciliegi  duracini. 

Dal  modo  in  cui  si  formano  questi  rami    a    frutto    si   rileva    la  ra- 
gione per  la  quale  il  ciliegio  porta  frutto  soltanto  sui   rami    nel   terzo 


Fig.  542.  —  Ciliegio  Duracino  d'Italia  di  10  anni. 

anno  di  vegetazione:  nel  primo  si  forma  soltanto  la  gemma,  nel  se- 
condo il  dardo  a  mazzetto,  nel  terzo  questo  dardo  fruttifica.  Contempo- 
raneamente alla  fruttificazione,  dalla  gemma  terminale  a  legno  del 
dardo  si  sviluppa  un  germoglio.  Questo  germoglio  lignificatosi  nel- 
l'anno successivo  si  fornisce  di  dardi  i  quali,  alla  loro  volta,  nell'anno 
seguente  daranno  frutti.  Un  ramo  quindi  che  ha  dato  frutto  non  ne 
porta  nell'anno  successivo  ma  due  anni  dopo  e  cosi  si  spiega  l'alternanza 
della  fruttificazione  del  ciliegio  lasciato  senza  potatura. 


-  712  - 

A  differenza  poi  del  pesco,  i  rami  a  fruito  si  allungano  più  lentamente. 

12.  Potatura.  —  Ad  eccezione  di  alcune  visciolone  come  l'Inglese 
precoce,  la  Regina  Ortensia,  l'Imperatrice  Eugenia  ed  altre  varietà  con- 
simili che  hanno  delle  branche  forti  e  diritte  ma  brevi,  la  potatura 
del  ciliegio  in  genere  deve  essere  moderata  poiché  il  taglio  regolare  è 
nocivo  allo  sviluppo,  alla  durata  ed  alla  fruttificazione  dell'albero. 

Il  ciliegio  in  genere  non  sopporta  i  tagli;  le  ferite  si  rimarginano 
difficilmente  e  lo  fanno  presto  deperire. 

I  rami  del  ciliegio  si  forniscono  facilmente  di  produzioni  fruttifere 
per  tutta  la  loro  lunghezza  e  quindi,  lasciandoli  anche  senza  potatura, 
si  hanno  delle  produzioni  fruttifere  continuate  per  una  serie    di   anni. 

Le  tenerine,  le  duracine  e  le  viscioline  si  allevano,  come  si  vede  nella 
Tab.  LV,  per  la  maggior  parte  a  pieno  vento.  Per  la  loro  formazione 
si  curerà  quanto  è  detto  nel  prossimo  capitolo  sulle  forme  npa  in  ge- 
nerale, qui  si  può  notare,  che  nei  primi  2-3  anni,  quando  la  pianta 
non  presentasse  una  buona  disposizione  dei  rami,  si  può  anche  appli- 
care un  energico  taglio  per  formare  l'impalcatura  della  pianta.  Negli 
anni  successivi  basta  sorvegliare  che  le  branche  crescano  regolarmente, 
equilibrandole  in  caso  con  qualche  taglio,  per  ottenere  una  solida  rami- 
ficazione. Va  da  se  che  occorrerà  anche  talvolta  diradare  la  fronda  dai 
rami  inutili  o  deperenti. 

Per  i  frutteti  di  famiglia,  di  speculazione,  si  possono  allevare  dei 
ciliegi  a  forme  basse  a  vaso  o  nane,  oppure  a  spalliera,  ricorrendo  a 
delle  varietà  più  docili,  innestate  sul  mahaleb.  Le  varietà  indicate  per 
queste  forme  sono:  Gialla  di  Buttner,  Napoleone  I,  Imperatrice  Eugenia, 
Inglese  precoce.  Regina  Ortensia,  Bella  di  Montmorency,  Gobet  grande 
(Vedi  Tab.  LV). 

Per  mantenere  queste  piante  nelle  forme  ristrette  bisogna  ricorrere 
alla  potatura  verde  e  secca. 

La  gemma  del  ciliegio  può  produrre,  sviluppandosi,  dei  brindilli, 
dei  dardi  o  dei  germogli  legnosi. 

I  brindilli  si  lasciano  intatti  perchè  fruttificano  anche  all'estremità 
nell'anno  successivo,  cosi  pure  i  dardi. 

I  germogli  legnosi  possono  essere  dei  succhioni  che  si  scacchiano 
e  per  gli  altri  bisogna  curare  la  loro  trasformazione  in  rami  a  frutto 
procedendo  nel  seguente  modo  : 

Nella  fig.  543  abbiamo  un  germoglio  di  ciliegio  lungo  una  branca 
che  si  vuole  trasformare  a  frutto.  Lo  si  cima  alla  fine  di  giugno 
quando  comincia  a  legnificare  in  a)  sopra  la  ottava  foglia;  si  hanno 
per  conseguenza  due  falsi  germogli,  delle  gemme  terminali  (fig.  544). 
Se  questi  due  falsi  germogli  sono  molto  vigorosi,  si  cima  il  più  lontano, 
sulla  sesta  foglia  in  a  ed  il  secondo  sulla  quarta  foglia  in  b;  se  invece 
non  sono  troppo  vigorosi,  si  sopprime  il  germoglio  più  lontano  in  e 
e  quello  più  basso  si  cima  fra  la  sesta  ed  ottava  foglia. 

Nell'inverno  del  primo  anno  si  taglierà  questo  ramo  a  3-4  gemme, 
non  calcolando  quella  della  base. 


-  713  — 

Nella  primavera  del  secondo  anno  dalla  gemma  terminale  si  avrà  un 
germoglio  che  eveiilualmenle  si  cima.  Le  due  o  tre  gemme  immedia- 
tamente inferiori  sviluppano  dei  dardi  a  mazzetto  aventi  nel  mezzo 
una  gemma  a  legno.  Le  gemme  della  base  si  allungano  brevemente 
ma  senza  costituire  delle  gemme  a  frutto. 

Nell'inverno  del  secondo  anno,  il  ramo  si  presenterà  come  nella 
fig.  545.  Si  applica  il  taglio  secco  come  è  indicato  nella  figura  stessa 
e  cioè  immediatamente  al  di  sopra  dei  2  o  3  dardi  a  mazzetto  che  si 
trovano  sviluppati. 

Durante  il  3"  anno,  dopo  la  fioritura  dei  dardi,  si  sviluppa  dal 
mezzo  di   questi  e  precisamente   dalla   gemma   terminale   a   legno    un 


Fig.  543.  —  Cimatura  del 
ciliegio  per  avere  un 
ramo  a  fruito. 


P'ig.  544.  —  Conseguenza 
della  cimatura  prece- 
dente. -  2=>  cimatura. 


Fig.  54,5.  —  Ramo  a  frutto 
di  ciliegio  ottenuto  colle 
cimature  precedenti. 


germoglio  il  quale,  se  cresce  troppo  lungo,  va  cimato  per  favorire  lo 
sviluppo  del  ramo  di  sostituzione  che  sorgerà  da  una  gemma  della 
base  {(j).  Questo  ramo  di  sostituzione  può  essere  un  dardo  o  un  ramo 
sterile. 

Il  terzo  taglio  secco  consiste  : 

aj  nella  soppressione  del  ramo  che  ha  portato  frutto  al  di  sopra 
del  ramo  di  sostituzione  ; 

bj  in  un  raccorciamento  del  ramo  di  sostituzione  se  vi  ha  biso- 
gno. Se  è  invece  un  dardo  a  mazzetto  lo  si  lascia  intatto,  avendo  però 
l'avvertenza  di  ottenere  alla  sua  base,  durante  la  vegetazione,  un  germo- 
glio che  possa  nel  venturo  anno  sostituirlo. 


-  714  - 

Se  al  contrario  ù  sterile,  bisogna  aspettare  che  fruttifichi  nell'anno 
successivo  per  sopprimerlo. 

Comesi  vede,  il  taglio  dei  rami  a  fruito  del  ciliegio,  come  del  resto 
anche  del  susino,  dilFerisce  da  quello  dell'albicocco  e  del  jjesco,  poiché 
in  questi  ultimi  il  taglio  si  fa  nel  secondo  anno,  mentre  nel  ciliegio 
la  maggior  parte  delle  volte  nel  terzo  anno. 

Qualche  volta  se  si  hanno  dei  dardi  a  mazzetto  molto  deboli  sulle 
branche  bisogna  rinforzarli.  E  ciò  si  ottiene  levando  i  fiori  e  lasciando 
le  foglie  intatte. 

13.  Forme.  —  11  ciliegio  viene  allevato,  come  ho  ripetuto  più  volte, 
specialmente  a  pieno  vento  col  fusto  alto  da  m.  1.80  a  2.  Si  lascia  che 


Fig.  .^46.  —  Chioma  di  visciolone  a  pieno  vento,  potata. 


prenda  da  sé  la  sua  forma  naturale,  soltanto  nei  primi  tre  anni  si  ha 
cura  di  guidare  i  rami  principali.  I  graffìoni  di  solito  formano  degli 
alberi  con  la  fronda  a  tronco  di  cono  o  quasi  piramidale  e  col  fusto 
alto  1  metro;  le  viscioline  prendono  una  forma  a  vaso,  globosa, 
schiacciata  e  meno  ridotta  ;  le  tenerine  e  le  viscioline  una  forma  glo- 
bosa grande.  Per  cjueste  due  ultime  specie  si  può  lasciare  un  mag- 
gior  numero  di  branche  che  per  le  prime. 

Nella  fìg.  .546  riproduco  la  fotografia  di  una  chioma  di  visciolone 
a  pieno  vento,  da  me  potato  nella  colonia  agricola  del  manicomio 
di  Imola. 


—  71;-)  — 

Nei  frutteti  casalinghi  e  negli  impianti  industriali  convengono 
invece  del  pieno  vento  le  forme  basse  a  calice  con  o  senza  fusto,  A 
vaso  si  prestano  in  particolar  modo  le  visciolone  :  Inglese  precoce, 
Hegina  Ortensia  ed  Imperatrice  Eugenia.  Il  ciliegio  in  genere  non  si 
presta  alla  forma  piramidale. 

Si  taglia  il  fusto  a  40  cm.  da  terra  e  nel  primo  anno  si  allevano 
due  germogli. 

Nel  secondo  anno  i  due  rami  si  tagliano  a  15  cm.  ad  uguale  altezza 
per  allevare  alla  loro  estremiti  4  germogli  che  diventano  4  branche 
secondarie. 

Nel  terzo  anno,  queste  branche  secondarie  si  tagliano  ancora  a 
15-20  centimetri,  sempre  sopra  due  gemme  che  guardano  ai  Iati,  per 
avere  8  germogli. 

Ridotta  la  pianta  con  8  branche,  per  un  pajo  di  anni  si  fa  il  taglio 
del  loro  prolungamento  a  metà,  sempre  ad  eguale  altezza  e  sopra  una 
gemma  che  guarda  in  fuori. 

Negli  anni  successivi  si  taglieranno  a  2/3  e  sempre  sopra  una 
gemma  in  fuori. 

Già  nel  3°  anno  le  prime  branche  cominciano  a  portare  frutto  e, 
successivamente,  tutte  le  altre  branche  dal  basso  all'alto  vanno  co- 
prendosi di  rami  a  frutto. 

La  potatura  annuale  consiste  nello  scacchiare  in  giugno  i  germogli 
che  vanno  contro  al  centro  e  gli  inutili,  quando  essi  cominciano  a 
lignificare.  Gli  altri,  se  sono  lunghi  e  se  non  sono  brindilli,  si  cimano 
per  trasformarli  in  rami  a  (vedi  pag.  712)  frutto.  I  dardi  naturalmente 
non  si  toccano. 

Del  resto  anche  senza  potatura  particolare  queste  forme  continuano 
a  dare  fruiti  par  oltre  una  trentina  d'anni,  avendo  cura  soltanto  di 
mantenere  in  equilibrio  i  singoli  rami  e  di  tenere  in  basso  la  vegeta- 
zione. Ciò  si  ottiene  tagliando  sempre  ad  eguale  altezza  e  sopra  una 
gemma  a  legno  i  rami  di  prolungamento  ed  accorciando  qualche  ramo 
troppo  lungo  che  ha  dato  frutto. 

Avendo  da  coprire  dei  muri  esposti  a  Nord,  nei  frutteti  casalinghi 
si  possono  fare  delle  spalliere  di  ciliegi  ad  U  doppia  ed  a  palmella 
Verrier  a  6  branche.  Le  varietà  che  si  prestano  sono  l'Inglese  precoce, 
la  Visciolina  del  Nord  e  la  Bella  di  Montmorency  ;  la  Regina  Ortensia 
avendo  i  rami  troppo  diffusi,  non  si  presta. 

Per  formare  queste  spalliere  si  segue  la  potatura  di  formazione 
indicala  a  pag.  158  soltanto  si  avverta  di  lasciare  il  fusto  alto  40  cm. 
e  la  distanza  fra  le  branche  pure  di  40  cm. 

La  potatura  di  produzione  consisterà  di  conservare  lungo  le  branche 
i  rami  a  frutto,  provvedendo  che  ognuno,  dopo  la  fruttificazione,  venga 
sostituito  da  un  nuovo  ramo.  Ciò  si  ottiene  applicando  le  norme  di 
potatura  indicate  a  pag.  712. 

14.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  11  ciliegio  viene  coltivato 
per    Io    più    da    noi    nei  broli,    nelle  ortaglie,  o  nei   campi  a  pieno  o 


-   7l(i  — 

mezzo  vento  ed  è  abbandonalo  alla  libera  crescila.  Non  convengono 
gli  impianti  falli  nei  prati  e  pascoli  poiché  per  la  colica  erbosa  le 
piante  solì'rono  per  la  siccità  e  sono  poco  produttive. 

Non  avendo  radici  tanto  profonde,  non  richiede  neppure  uno 
strato  di  terreno  tanto  considerevole  per  prosperare,  perciò  anche  la 
preparazione  del  terreno  non  richiede  molta  spesa.  Per  concimazione 
di  impianto  si  suol  dare  al  ciliegio  della  terra  vergine  mista  a  coliche 
erbose  in  decomposizione,  inquantochè  lo  stallatico  fa  spesso  putrefare 
le  radici ,  provoca  la  gomma  e  fa  anche  qualche  volta  ingiallire  le 
foglie. 

Quando  si  hanno  dei  terreni  aridi,  leggeri,  calcari  e  sassosi,  si 
preferisca  per  soggetto  il  mahaleb  ;  il  quale  si  impiega  anche  per 
imboschire  le  frane,  le  pendenze  e  per  fare  siepi. 

I  ciliegi  dolci  (tenerine  e  duracine)  vengono  sempre  coltivati  a 
pieno  vento  e  si  piantano  alla  distanza  di  6  a  10  metri.  Per  i  giardini 
raccomando  il  ciliegio  duracino  che  è  veramente  ornamentale,  lasciato 
a  pieno  vento  ed  a  se  slesso. 

Le  viscioline  si  allevano  pure  esclusivamente  a  pieno  o  mezzo 
vento  ed  isolale,  avendo  dei  rami  pendenti.  I  pieni  o  mezzi  venti  in- 
nestati sul  mahaleb  si  piantano  a  5-6  metri  di  distanza. 

Le  forme  basse  sul  mahaleb  si  piantano  a  3-4  m.  di  distanza  ;  le 
spalliere  e  contro  spalliere  naturalmente  pure  innestate  sul  mahaleb 
si  collocano  alla  distanza  corrispondente  al  niultiplio  di  40  cm.  ossia 
della  distanza  che  si  deve  lasciare  fra  le  branche  moltiplicata  per  il 
numero  delle  branche. 

Riguardo  alle  colture  che  si  possono  fare  fra  i  filari  dei  ciliegi 
bisogna  ricordare  che  essi  soffrono  e  periscono  presto  coi  lavori  pro- 
fondi e  sopralutto  coi  lavori  d'estate.  Sono  raccomandabili  perciò  gli 
ortaggi  in  particolar  modo  e  quelli  a  radici  superficiali  come  sono  le 
fragole,  le  cipolle,  l'aglio. 

II  ciliegio  tollera  poco  i  forti  tagli  di  ringiovanimento  quindi  a 
questi  raramente  si  può  ricorrere  con  vantaggio. 

15.  Concimazione.  —  Il  ciliegio  è  molto  sensibile  alle  concimazioni 
nella  sua  prima  età.  Più  tardi,  quando  le  radici  si  sono  estese,  l'infiuenza 
è  molto  più  lenta. 

Si  può  ricorrere  alla  concimazione  con  stallatico  molto  decomposto 
poiché  è  slato  anche  dimostrato  che  i  concimi  di  composizione  com- 
l)lessa  hanno  la  maggiore  efficacia.  Coltivando  nei  broli,  negli  orti,  nei 
campi  il  ciliegio  riceve  il  nutrimento  dal  letame  che  viene  dato  alle 
colture  sottostanli. 

Questo  però  non  esclude  che  anche  per  il  ciliegio  si  debba  ricor- 
rere ai  concimi  chimici. 


-  717  — 


Pliche  e  Grandeaii  fecero  l'analisi  chimica  delle  foglie  di  ciliegio  dolce  raccolte  in 
diversi  periodi  dell'anno  e  pubblicarono  i  seguenti  dati  analitici: 


Analisi  delle  foglie  raccolte  il 

28-29  aprile 

3  luglio 

7  settembre 

2  ottobre 

Ani<lride  fosforica    .... 

Calce 

Magnesia 

Potassa 

Ferro 

Silice    .... 

1.5.80 
30.57 
7.82 
32.78 
1.89 
1.41 

8.20 
38.06 
18.38 
17.80 
C.44 
1.76 

5.93 
44.70 
14.29 
12.15 
9.33 
2.73 

3.81 
44.05 
17.79 
11.82 
5.— 
2.30 

Non  si  possiedono  ancora  dati  che  riguardano  l'azoto. 

Basandoci  anche  sui  dati  generali  fornitici  dal  Steglich,  (Vedi  Tab.  XX) 
io  sono  dell'opinione  che  bisogna  dare  delle  concimazioni  complesse 
e  più  abbondanti  di  quello  che  Io  richiederebbero  i  dati  delle  analisi. 

Le  forinole  di  concimazione  che  mi  diedero  i  migliori  risultati  per 
i  ciliegi  a  pieno  vento  dell'età  di  20  anni,  producenti  in  media  1  Q.''' 
di  frutta,  sono  le  seguenti,  applicate  ogni  secondo  anno. 

Per  i  terreni  contenenti  più  del  30  %  di  calcare 


Nitrato  di  soda 
Solfato  ammoni  co 
Form.  /  Perfosfato  18-20  % 
Solfato  potassico 
Cloruro 


Per  i  terreni  poveri  di  calce 


Form. 


Nitrato  di  soda 
Solfato  ammonico 
Scorie  18  7o 
Solfato  potassico 
Cloruro 


Kg. 

1.500 

1.500 

7.500 

2 

" 

2. - 

Km 

1.500 

„ 

1.500 

„ 

IL  — 

„ 

2.- 

„ 

2.- 

Con  queste  forinole  si  risparmia  lo  stallatico  che  lo  ritengo  pe- 
ricoloso per  il  ciliegio. 

Naturalmente  bisogna  ridurre  questa  concimazione  a  seconda  della 
quantità  di  prodotto  che  si  ricava  dalle  piante. 

16.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  La  raccolta  delle  cilie- 
gie si  fa  quando  sono  a  perfetta  maturazione  ,  prima  che  il  colore 
diventi  sbiadito.  Esse  non  maturano  tutte  nello  stesso  tempo  quindi 
la  raccolta  si  protrae  da  noi  ad  esempio  dal  primo  maggio  a  tutto 
giugno  e  metà  luglio. 

Le  ciliegie  non  si  conservano  bene  che  sull'albero  e  dopo  raccolte 
non  continuano  il  processo  di  maturazione,  quindi    non   bisogna   rac- 


-  718  - 

coglierle  prima,  come  si  fa  per  gli  altri  frulli.  Si  conservano  pochi 
giorni  dopo  raccolte,  al  massimo  5  a  (5  giorni. 

Se  non  venisse  danneggiato  dalle  brine  il  ciliegio  darebbe  costante- 
mente un  buon  prodotto  abbondante. 

Le  ciliegie  più  precoci  maturano  30  giorni  circa  dopo  la  fioritura. 

Per  le  altre  varietà  questo  periodo  varia  da  38  a  50  giorni. 

Le  prime  ciliegie  in  Italia  si  raccolgono  nella  prima  settimana  di 
Maggio.  La  raccolta  si  fa  a  mano,  adoperando,  se  è  possibile,  delle  scale. 

Un  operajo  in  una  giornata  di  8  ore  può  raccogliere  15-30  Kg.  di 
ciliegie  precoci  e  Kg.  80  di  ciliegie  in  maturazione  ordinaria.  Si  mette 
più  tempo  per  le  prime  perchè  sono  poche  e  rade  sull'albero.  Natu- 
rahnenle  quanto  più  è  carico  l'albero  e  maggiore  è  il  numero  dei 
frutti  maturi  contemporaneamente,  tanto  più  rende  il  lavoro. 

La  raccolta  deve  essere  favorita  dal  bel  tempo.  Le  pioggie  fanno 
gonfiare  le  ciliegie  che  si  spaccano,  rendendole  improprie  per  il  mercato; 
allora  bisogna  destinarle  per  l'essiccazione  o  per  fare  composte. 

Le  migliori  ciliegie  si  ricavano  dai  terreni  più  fertili  e  meglio  so- 
leggiati. Le  ciliegie  più  carnose,  zuccherine  e  ben  colorale  si  hanno 
nelle  terre  franche  esposte  a  mezzogiorno.  Le  argille  fredde,  i  terreni 
umidi  danno  delle  ciliegie  insipide.  I  terreni  secchi  danno  delle  cilie- 
gie con  poca  polpa  ma  resistenti  ai  trasporti. 

L'imballaggio  per  le  primizie  si  fa  in  cassette  di  Va  kg.  ;  per  le 
tardive  in  cesie  di  10  a  15  kg.  Tutte  le  altre  si  spediscono   in    panieri. 

17.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  La  composizione  chimica 
delle  ciliegie,  dataci  da  Fresenius  è  la  seguente: 

CILIEGIE 

Dolci 

Rosse  Nere  Acide 

Acqua 75.37        79.70         82.4(ì 

Sostanze  solubili  nell'acqua  : 

Zucchero 13.11  10.70           8.57 

Acidi  liberi 0.35  0.5(5           0.90 

Sostanze  albuminoidi     ....  0.35  0.96  )        ^ 

Sostanze  peptiche 2.27  0.(30  ) 

Genere 0.60  5.73           0.83 

Sostanze  insolubili  nell'acqua: 

Nocciolo 5.48  5.73  3.24 

Bucce 0.45  0.37  (5.46 

Peptosio 1.45  0.66  0.40 

(tenere 0.09  0.08  0.07 

Nella  sostanza  secca: 

Azoto 0.55  0.76  — 

Zucchero 53.23        52.71  48.86 


-  719  — 

Secondo  Richardsoii,  le  ciliegie  contengono   82,48%  di   acqua,  2,46 
di  cenere  greggia  e  2,20  di  cenere  pura. 
Quest'ultima  si  comporrebbe  di  : 

Potassa 51.85 

Soda 2.19 

Calce 7.47 

Magnesia 5.46 

Ferro 1.98 

Anidride  fosforica 15.97 

Acido  solforico 5.09 

Acido  silicico 9.04 

Cloro 1.35. 

18.  Usi.  —  Si  preparano  le  ciliegie  seccate  al  sole  ed  al  forno, 
ovvero  infuse  nell'alcool  od  acquavite,  spesso  aggiungendovi  zucchero 
ed  aromi.  Se  ne  fanno  sciroppi,  conserve,  marmellate,  composte  e  confet- 
ture piacevolissime.  Con  esso  si  prepara  il  famoso  liquore  Kirschen-Wasser 
della  Selva  Nera,  che  si  fabbrica  pure  anche  in  molte  parti  della  Francia. 
A  Grenoble  si  prepara  il  famoso  Ratafià  ed  in  Dalmazia  l'ancora  più 
famoso  Maraschino. 

Il  legno,  massimamente  quello  del  ciliegio  selvatico,  è  suscettibile 
di  bella  pulitura.  È  duro  abbastanza,  di  color  rosso  vivace  e  si  impiega 
nella  costruzione  di  mobili  ed  altro. 

19.  Dati  economici.  ~  Un  ciliegio  visciolo  dà  in  30  anni,  tale  è  la 
durata  media  della  sua  vita  : 

1.  dal  6."  al  10."  anno  annualmente  Kg.  12  =  Kg.    60 

2.  „   11."  al  25."      „  „  „     27  =  „     405 

3.  „  26."  al  30."      „  „  „     16  =  „      80 

Totale    ....     Kg.  545 

Produzione  totale  Kg.  545  a  L.  0.08        L.    43.60 
Valore  della  pianta  per  legna   ...       „       1.— 

Totale  prodotto L.    44.60 

Le  spese  sono  le  seguenti  : 

1.  Valore  d'acquisto  dell'albero  all'impianto.     .    .    .  L.  0.60 

2.  Spesa  d'impianto „  0.20 

3.  Spesa  di  palatura  e  potatura „  0.15 

4.  Spesa   di    custodia  e  coltivazione    in    ragione    di 

L.  0.08  per  pianta  e  per  30  anni „     2.40 

5.  Raccolta  di  Q.  5.45  di  ciliegie  a  L.  4 „    21.80 


-  720  - 

Riporto     L.  25.15 
6.  Interesse  del  capitale  in  circa  20  anni;  consistente: 
qj  nella   spesa   (sub  1,  2,  3,)  =  a  L.  0.95   al  5  %  e 

per  anni  20 ,     0.95 

b)  nell'interesse  del  capitale  per  la  sorveglianza  e 
spesa  di  conservazione  in  ragione  di  L.  0.08  al  5%  e  per 
20  anni „     0.76 


Totale  Spesa     L.  26.86 


Riossunto 


Totale  Entrata  lorda  .    .     .     .     L.    44.60 
Spesa „     26.86 

Rendita.    .    .     .     L.    17.74 
Da  aggiungersi  il  rischio  per  impreviste 
in  ragione  del  8  y» ,       0.89 

Rendita  netta.    .     .    .    L.     16.85 

Un  ciliegio  quindi  in  30  anni  dà  in  media  una  rendita  netta  totale 
di  L.  16.85,  ossia  per  anno  (16.85  :  30)  di  L.  1.56,  che  rappresenta  il 
capitale  di  L.  M  al  4  %• 

'     In  condizioni  speciali  questa  rendila  può  aumentare  dal  25  al  100 7o 
come  può  diminuire  dal  25  al  75%. 

Un  ciliegio  a  frutti  dolci,  allevato  a  pieno  vento  della  durata  me- 
dia di  35  anni,  dà  in  media  il  seguente  prodotto  : 

1.  Daini."  al  15.«  anno.  Kg.  16  all'anno  di  frutta  =     Kg.      80 

2.  „     16.»  al  30.«      „  „     40  „  „        „       =       „       600 

3.  „    30."  al  35."      „  „     24         „  „        „      =      „       120 

Totale Kg.  800 

che  a  L.  10  il  quintale  importa L.  80. — 

Valore  dell'albero  per  legna „     2.50 

Totale  prodotto      .    .     .    .     L.  82.50 

Le  spese  sono  le  seguenti  : 

1.  Valore  d'acquisto  dell'albero  all'impianto      .    .    .  L.  1.— 

2.  Spesa  d'impianto ,,  0.20 

3.  Spesa  di  palatura  e  potatura „  0.15 

4.  Spesa   di    custodia  e  coltivazione    in    ragione    di 

L.  0.08  e  per  35  anni „     2.80 

5.  Raccolta  di  quintali  8  di  frutta  a  L.  4 „    32.— 


-  721  - 

Riporto     L.  36.15 

6.  Interesse  del  capitale  di  circa  20  anni  consistente: 

a)  nella  spesa  (sub  1,  2,  3)  =  L.  1.35  al  5%  e  per 

20  anni „      1.35 

b)  nell'interesse   del  capitale  per  la  sorveglianza  e 
spesa  di  conservazione  in  ragione  di  L.  0.08  (sub  4)  al  5  % 

e  per  20  anni „     0.76 

7.  Rischio  per  impreviste,  mortalità  5  7o «     2.21 

Totale  Spesa L.  40.47 

Riassunto  : 

Totale  Entrata L.    82.50 

Spesa „     40.47 

Rendita     .    .*.    L.    42.03 

Questa  rendita,  suddivisa  in  35  anni,  dà  un  prodotto  annuo  di  L.  1.20, 
ossia  la  rendita  di  L.  30  al  4  7o. 

In  condizioni  speciali  questa  rendita  può  aumentare  del  25  al 
200  7o  come  può  diminuire  del  25  al  75  7o- 

Nelle  Romagne,  dove  si  ha  la  maggiore  coltura  del  ciliegio  per 
l'esportazione,  si  ricava  da  un  ciliegio  duracino  di  20  anni  d'  età,  un 
prodotto  da  75  a  100  Kg.  per  pianta. 

Attualmente  si  vendono  in  media  queste  ciliegie  a  L.  20  il  Q.'"  e  si 
realizzano  i  seguenti  dati  economici,  nelle  annate  buone  : 

Colla  coltivazione  specializzata  a  pieno  vento  avendo  100  piante 
per  ettaro,  col  prodotto  di  100  Kg.  per  pianta  ossia  in  totale  Kg.  10.000 
a  L.  20,  rendita  lorda  L.  2.000. 

Colla  coltivazione  specializzata  a  forme  basse,  con  N.  200  piante  a 
Kg.  50  che  danno  Kg.  10.000  a  L.  20  L.  2.000. 

Colla  coltivazione  consociata  con  36  ciliegi  a  pieno  vento 
a  Kg.  100  con  un  prodotto  di  Kg.  36.000  a  L.  20    ....    L.     720 

3.000  piante  di  vite  Chasselas  a  2  Kg.  per  pianta  Kg.  6.000 
a  L.  20 „    1.200 

Totale    .    .    ,     .     L.  1.920 

La  coltivazione  consociata  dà  quindi  un  reddito  presso  a  poco  pari 
della  specializzata  ed  è  anche  la  più  raccomandabile  perchè  assicura 
di  più  la  rendita  che  viene  di  frequente  danneggiata  dalle  brine.  Invece 
della  vite  si  consocia  la  coltura  delle  fragole,  delle  cipolle,  dell'aglio, 
degli  asparagi,  dei  piselli.  Le  circostanze  economiche  attuali  sono  contro 
la  monocoltura  e  tutte  in  favore  delle  coltivazioni  consociate. 

Nella  Valchiusa  e  nel  Card,  colla  Regina  Ortensia  si  ottengono 
colle  piante  di  30  anni  di  età  fino  200  Kg.  per  pianta. 

Colle  forme  basse,  innestate  sul  mahaleb  si  ottiene  il  50  7o  di 
meno  di  frutti. 

46  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  722  - 

Colla  duracina  laboulay  nella  vallala  del  Rodano,  si  hanno  in  media 
i  seguenti  prodotti  : 

5   anni    di    età    Kg.      5  10   anni    di    età    Kg.    25 

15        .,        ..  „      50  20        „        „  „      80 

25        .,        „  „     120  30        „        „  „     160 

20.  Specie  e  varietà  ornamentali.  —  Abbiamo  il  Cerasiis  serru- 
lata  flore  pieno,  il  Cerasus  Sìboldi,  il  Cerasiis  flore  pieno ,  poi  molti 
Mahaleb  ornamentali,  il  più  importante  è  però  il  Cerasus  semperflorens 
D.  C.  descritto  dal  Gallesio  per  Ciliegio  progressifloro,  chiamato  dai 
Francesi  Cerisier  de  la  Toussaint  e  dagli  Inglesi  Ali  Saint's  Everfloverlng 
or  Weeping  Cherry. 

Sinonimi  italiano  sono  :  Ciliegio  di  S.  Martino,  Ciliegio  sempre  in 
liore,  Ciliegio  d'Ognissanti,  Ciliegio  pendalo. 

È  una  pianta  cespugliosa,  a  rami  lunghi  pendenti,  sottili  e  lunghi. 
Foglie  ovali,  lanceolate,  dentate,  glabre.  Fiorisce  dalla  primavera  a 
S.  Martino,  da  ciò  anche  il  suo  nome.  I  fiori  sono  bianchi  e  danno  dei 
frutti  piccoli,  acidi,  discreti  anche  per  mensa. 

21.  Malattie  e  eause  nemiche.  —  V.  pag.  500. 


SUSINO 

(Prunus  —  Fani.  Rosacee). 

Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Prugno,  Pruno,  Susinello. 

Nomi  volgari  italiani  del  fratto  —  Susina. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Prunier  —  Ted.:  Pflau- 
menbaum  —  Ingl.:  Plum-tree. 

Nomi  volgari  del  frutto  —  Frane:  Prune  —  Ted.:  Pflaume  —  Ingl.: 
Plum. 

1.  Specie  coltivate.  —  Si  conoscono  tre  specie  di  susino: 
Prunus  domestica  L.  (Susino    Damaschino    o  Damas)    non   spinoso, 

con  rami  eretti  e  glabri,  frutto  oblungo  a  sapore  dolce. 

Prunus  insititia  L.  (Susino  di  S.  Caterina)  raramente  spinoso,  con 
rami  giovani  pubescenti,  piegati  ;  frutto  globoso  o  leggermente  elis- 
soidale,  a  sapore  dolce. 

Prunus  spinosa  L.,  spinoso  con  fruito  globoso  e  acido,  aspro 
(fig.  547). 

Le  varietà  dei  susini  coltivali,  sembrano  derivare  dalla  selezione 
o  dall'incrocio  delle  due  prime  specie. 

2.  Origine.  —  Secondo  il  De-Candolle,  il  Prunus  domestica  cresce 
spontaneo  nel  Caucaso,  in  tutta  l'Anatolia  e  nella  Persia.  L'importa- 
zione in  Europa  risalirebbe  a  oltre  200  anni. 

Il  Prunus  insititia  è  spontaneo  nell'  Europa  meridionale  ed  al  sud 
del  Caucaso. 


723  - 


Del  resto  la  coltura  del  susino  è  antichissima.  Gli  autori  latini 
citano  molte  varietà.  Gli  abitanti  delle  città  lacustri  della  Svizzera,  della 
Savoia  e  del  Delfinato  si  cibavano  di  questi  frutti. 

3.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  É  un  albero  di  media  gran- 
dezza, che  arriva  al  massimo  all'altezza  di  5  a  6  m.,  mentre  alcune 
varietà  rimangono  allo  stato  di  arbusto. 

Ha  radici  lunghe,  forti,  pieghevoli,  tortuose,  poco  ramose  e  poco 
profonde  nel  terreno,  anzi  striscianti;  rimettono  molto  frequentemente 
dei  polloni  dalle  loro  nodosità. 

11  fusto  è  diritto  verso  la  cima,  e  getta  molti  rami  alterni,  diritti  e 
ramosi.  La  scorza  del  tronco  è  bruno-azzurrógnola,  lucida,  liscia  o 
screpolata  pel  lungo  e  non  di  traverso  come  nei 
ciliegi.  11  legno  è  mediocremente  duro,  di  color 
rossigno,  venato,  capace  di  ricevere  pulimento;  è 


Fig.  547.  —   Prunus  spinosa. 


Fig.  548-549.  —  Rami  a  frutto  del  susino. 


molto  flessibile,  e  si  contorce  con  facilità.  I  rami  sono  generalmente 
piccoli,  gracili,  alcune  volle  lisci,  glabri,  altre  volte  pubescenti,  vellutati. 

Le  foglie  sono  oblunghe,  seghettate,  di  color  verde  carico,  liscie 
di  sopra  e  pubescenti  di  sotto.  Sbocciano  appena  fiorita  la  pianta  e 
cadono  in  ottobre  e  novembre. 

I  fiori  sono  portati  da  piccoli  rami  corti,  di  un  anno  d'età,  che  si 
possono  paragonare  a  piccoli  dardi ,  a  bottoni  multipli  o  a  brevi 
brindilli  (fig.  548  e  549). 

I  fiori  sono  bianchi,  solitari,  con  peduncoli  un  po'  più  brevi  di 
quelli  dei  fiori  del  ciliegio,  pubescenti  ed  appaiati  a  piccole  gemme  a 
squame  scabre.  Hanno  un  talamo  a  coppella,  sull'orlo  del  quale  sono 
inseriti  i  sepali,  i  petali  e  gli  stami,  mentre  in  fondo  alla  coppella  sta 
il  gemmulario.  I  sepali  sono  cinque,  i  petali,  alternati  con  essi,  sono 
pure  cinque,  perfettamente  liberi,  ristretti  alla  base,  col  margine  ondu- 
lato. Gli  stami  sono  numerosi  con  antere   bilobe.    Il   gemmulario   è  di 


-  724  - 

forma  ovale  ad  una  sola  casella  conlenente  due  gemmule,  e  porta  uno 
stilo  sottile  con  stimma  a  capocchia. 

Il  frutto,  che  è  una  drupa,  è  rotondo  od  ovale,  ricoperto  da  una 
pruina  biancastra;  esso  è  di  color  giallo,  rosso  o  violaceo,  a  pedun- 
colo mediano,  pelosetto,  con  nocciolo  bislungo,  compresso  un  po' 
scabro,  che  presenta  da  un  lato  una  sola  costola. 

Dentro  al  nocciolo  si  trovano  due  semi,  o  più  spesso  uno  solo,  per 
aborto  dell'altro.  Il  seme  è  amaro,  senza  albume,  e  con  due  grossi 
cotiledoni. 

I  semi  perdono  dopo  un  mese  la  facoltà  germinativa. 

4.  Classifleazione  e  scelta  delle  varietà.  Nella  Tab.  LVII  riporto 
lo  schema  di  classificazione;  nella  Tab.  LVllI,  sono  indicate  in  quadro 
schematico  le  proprietà  colturali  delle  varietà  di  susine  di  primo  me- 
rito, che  consiglio. 

Tab.  LVII.     Schema  di  classificazione  delle  susine  (Tamaro). 


Qualità  della 
polpa 


molle  da  mensa 
e  per  essicare 


semi  consistente 
da  mensa  e  con- 
fetture 


consistente  per 
essiccare  o  per 
marmellate 


Famiglia 


j  Prugne 


Forma  del 
frutto 


rotonde 


Damaschine    <  oblunghe 


ovoidali 


oviformi, 
lungate 


piccole 
tonde 


allungate 
grandi 


Nome  delle  varietà  consigliate 


1.  Kirke 

2.  Precoce  di  Rivers 

3.  D'estate 

4.  Settembrina 

5.  S.  Caterina 

6.  Goccia  d'oro  di  Coé 

7.  Toscana  verde 

8.  Gialla  o  Buon  boccone 

9.  Violetta  o  Vecchietti 

10.  Regina  Claudia  grande 

11.  „  „        violetta 

12.  ,  „        d'Althan 

13.  Precoce 

14.  Gialla  grande 

15.  Grande  di  Nancy 

16.  D' Italia 

17.  Di  Germania 


Catalana  Toscana  verde  (fig.  550). 

Maturazione:  fine  di  luglio  metà  agosto. 

Qualità  :  inferiore  alla  Claudia,  da  tavola. 

Ferinità  :  molta. 

Vigoria:  media. 

Clima  :  caldo. 

Terreno:  buono. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre. 

Descrizione  del  fruito  :  grosso,  oblungo,  ovale  alla  cima  e  degradante  in  un  collo 
quasi  insensibile  verso  il  pedimcolo.  Buccia  verdastra,  opaca;  polpa  verde,  molle  di 
gusto  gentile,  con  succo  abbondante  e  saporito. 

Proprietà  del  frutto:  bisogna  consumarlo  appena  raccolto. 


725  - 


Fig.  550.  —  Catalana  Toscana  verde. 


Fig.  551.  —  Catalana  gialla  (Buon  boccone). 


-  726  - 
Quadro  sinottico  indicante  le  principali  pr< 


^ 

. — ::::= 

2 

a 

NOME 

Maturazione 

Qualità 

Fertilità 

Vigoria 

A  —  Damaschine 

1 

Precoce  di  Rivcrs 

luglio 

per  cucina  ed  es- 

notevole   e 

moltis- 

siccazione 

presto 

sima 

- 

D.  d- estate 

luglio  settemb. 

seconda  da  tavola 

notevole 

notevole 

:{ 

Kirke 

1-15  settembre 

prima  da  tavola 
e  da  mercato 

ìd. 

molta 

» 

S.  Caterina 

15-30  settembre 

da  essiccazione  e 
per  confetture 

molta 

id. 

5 

(ìoccia  d'oro  di  Coè 

fine  settembre 

seconda  da  tavola 
e  per  essiccare 

moltissima 

id. 

t) 

I).  Seltembrina 

B  -  Catalane. 

settembre-ott. 

per  essiccazione 

molta 

- 

Catalana  gialla 

luglio 

da  tavola 

molta 

8 

violetta 

agosto 

id. 

id. 

id. 

1) 

Toscana  verde 
C  -  Claudie. 

fine  luglio  metà 
agosto 

id. 

id. 

media 

IO 

Regina  Claudia  verde 

15-30  agosto 

la   migliore    da 
tavola  e  per  con- 
fetture 

notevole 

molta 

R.  C.  d'Althan 

settembre 

primissima     da 
tavola  e  da  mer- 
cato 

id. 

id. 

12 

R.  C.  violetta 

Z>  -  Mirabelle. 

15-30  settembre 

primissima    da 
tavola,  da  mer- 
cato e  per  con- 
fetture 

media 

id. 

13 

M.  precoce 

fine  luglio 

la  migliore  delle 
susine    precoci 
da  tavola 

moltissima 

media    o 
poca 

M 

M.  gialla  grande 

15-30  Agosto 

prima  per  tutto 

id. 

id. 

15 

M.  grande  di  Nancy 

E  —  Prugne. 

id. 

id. 

notevole 

moderata 

IG 

F.  di  Germania 

fine  settembre 

prima  per  essic- 
care 

id. 

notevole 

17 

F.  d' Italia 

15-30  settembre 

prima  per  essic- 
care 

id. 

id. 

-  727  - 
colturali  delle  susine  consigliate  (Tamaro) 


Terreno 


Località 


Forme 
più  adatte 


Soggetti 
da   innesto 


Sistema 
di  coltivazione 


indifferente      j   indifferente 
fertile  collina 


pieno  vento 

- 

campi 

id. 

si  moltiplica 
per  pollone 

id. 
campi  e  broli 

id. 

- 

broli 

libere    ed    ap- 
poggiate 

- 

frutteti  casalinghi 

pieno  vento 

id. 

campi 

buono  e  te-     1   i)uona 
nace 


fertile  e  fresco 
fertile 


riparata 


indifferente 
id. 
id. 


campi  e  frutteti 
di  speculazione 


piccole 

indifferente 
piccole 


broli  e  frutteti 
casalinghi 

broli  e  frutteti 
casalinghi 

frutteti  di  specu- 
lazione 


indifferente 
fertile  e  te- 


pieno  vento 
id. 


campi  e  broli 
id. 


-  728  — 


Catalana  gialla  (fìg.  551). 

Sinoniini:  Buon  boccone,  Genovese. 

Maturazione:  luglio. 

Qualità:  da  tavola. 

Fertilità:  ricca  e  costante. 

Clima:  caldo. 

Terreno:  fertile. 

Esposizione  e  situazione  :  collina. 

Forme  più  adatte  :  pieno  vento. 

Sistema  di  coltivazione:  campi. 

Descrizione  della  pianta:  Forma  rotonda,  alta;  rami  lunghi  con  gemme  frequenti  e 
grosse;  foglie  ovali  e  puntile  che  assomigliano  a  quelle  delle  Claudie,  peduncolo 
colorito  di  rosso. 

Descrizione  del  frutto:  grosso,  oviforme;  buccia  dapprima  verdognola  che  poi  de- 
grada in  giallo  sudicio  opaco  alla  maturità,  velato  da  una  parte  da  una  sfumatura  rossa  ; 
polpa  gialla,  delicata,  deliquescente,  però  inferiore  alla  Claudia. 


Catalana  violetta  (fig.  552). 

Sinonimi:  Susino  Vecchietti. 

Origine:  molto  diffusa  in  Toscana. 

Maturazione:  agosto. 

Qualità:  da  tavola. 

Fertilità  :  molta. 

Vigoria  :  molta. 

Clima  :  caldo. 

Terreno:  buono. 

Esposizione  e  situazione:  collina. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento. 

Sistema  di  coltivazione:  campi. 

Descrizione  della  pianta  :  forma  media;  rami:  sottili  con  gemme  rade;  foglie  :  cene- 
rine, oblunghe,  lanceolate,  seghettate. 

Descrizione  del  fruito  :  forma  come  quella  di  tutte  le  catalane,  grossa,  oviforme  ; 
colore  violaceo  chiaro  dalla  parte  dell'  ombra  ;  buccia  tagliata  da  una  sutura  leggeris- 
sima da  un  lato;  polpa  giallognola,  gentile,  rugosa  e  di  un  sapore  zuccherino  rilevato. 


Damaschina  d'estate  (fig.  553). 

Sinonimi:  Zuccherina  a  Napoli. 

Maturazione  :  luglio-settembre. 

Qualità:  seconda  da  tavola. 

Clima  :  caldo. 

Terreno:  fertile. 

Esposizione  e  situazione:  colline. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento. 

Soggetti  da  innesto  :  si  moltiplica  per  pollone. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre. 

Descrizione  della  pianta  :  forma  alta,  piramidale  ;  rami  sottili,  diretti  al  centro  e 
vigoro.si,  con  molte  foglie  ;  fiori  piccoli,  bianchi,  sbocciano  a  grappoli  che  allegano 
facilmente. 

Descrizione  del  frutto  :  ovale-oblungo,  di  color  giallo  intenso  con  poca  pruina  ;  polpa 
gialla,  carnosa  e  piena  di  sugo  grazioso. 

Proprietà  del  frutto:  dura  lungo  tempo  sull'albero  e  può  fornire  la  tavola  per  un  mese. 


—  729 


Fig.  552.  —  Catalana  violetta  (Vecchietti). 


Fig.  553.  —  Damaschina  d' estate. 


-  730 


Damaschina  settembrina. 

Maturazione  :  settembre-ottobre. 

Qualità  :  ottima  per  essiccazione.  Si  conserva  a  lungo  sull'albero  ;  in  Liguria  si 
moltiplica  per  pollone. 

Fertilità  :  molta. 

Clima:  caldo. 

Terreno:  pingue. 

Esposizione  e  situazione  :  colline. 

Forme  più  adatte  :  pieno  vento. 

Soggetti  da  innesto:  si  moltiplica  per  pollone. 

Sistema  da  coltiuazione:  campi. 

Descrizione  del  frutto:  più  piccolo  della  Damaschina  d'estate,  ma  ovale-oblunga  ; 
l)uccia  liscia,  giallo  oro  e  velata  da  pruina  bianca;  polpa  carnosa,  abbastanza  sugosa. 

Proprietà  del  frutto:  persiste  sull'albero  fino  ad  avvizzire. 


Goccia  d'oro  di  Coé  (fìg.  554). 

Frane:  Goutte  d'or  de  Coe;  Ted.:  Coe's  rothgefleckte  Pflaume:  Ing. :  Coe's  Golden  Drop. 

Origine  :  Inghilterra. 

Maturazione:  fine  settembre.  Raccogliere 
tardi  e  lasciare  appassire. 

Qualità:   buona   da   tavola  e  per  essiccare. 

Fertilità:  moltissima. 

Vigoria:  molta. 

Clima  :  freddo,  ma  non  umido. 

Terreno:  indifferente. 

Esposizione  e  situazione  ■  indifferente. 

Forme  più  adatte  :   libere  ed  appoggiate. 

Sistema  di  coltiuazione:    frutteti  casalinghi. 

Descrizione  della  pianta  :  rami  molto  sud- 
divisi. 

Descrizione  del  frutto  :  Forma  ovale,  grossa, 
mammellonata  ;  colore  giallo  dorato  moschet- 
tato di  carminio;  polpa  abbastanza  consistente, 
succosa,  di  un  sapore  che  ricorda  quello  del- 
l'albicocco; semi  liberi. 


Frane.  :  Kirke  ; 


Kirke. 

Ted.  :   Kirke'  s  Pflaume  ; 
Kirke'  Piume. 


ingl. 


Fig.  òTA.  —  Goccia  d'oro  di  Coè. 


Origine  :  Inglese. 
Maturazione:  1-15  settembre. 
Qualità  :   prima  da  tavola  e  da  mercato.  Si 
fanno  delle  buone  marmellate. 
Fertilità  :  notevole. 
Vigoria  :  molta. 
Forme  più  adatte  :  pieno  vento. 
Sistema    di    coltiuazione  :    campestre    e    nei    broli    eccezionalmente    per    frutteti. 
Descrizione  della  pianta  :  chioma  allargata. 

Descrizione  del  frutto:  forma  rotonda,  grossa;  colore  nero-rossastro,  bellissimo; 
buccia  molto  pruinosa;  polpa  giallo  verdastra,  consistente,  molto  succosa,  zuccherina, 
piacevole,  che  si  stacca  facilmente  dal  nocciolo. 


—  731  - 

Mirabella  gialla  grande  ((ig.  555). 
Frane;  Petit  Mirabelle;  Ted. :  Gelbe  Mirabelle. 

Maturazione:  15-30  agosto. 

Qualità  :  prima  da  tavola,  per  essiccare  e  per  marmellata.  Ottima  anche  per  canditi 
Fertilità  :  straordinaria. 
Forme  più  adatte  :  piccole  e  grandi. 
Sistema  di  coltiuazior.e  :  frutteti  casalinghi. 
Descrizione  della  pianta  :  piccola  con  rami  sottili  e  brevi. 

Descrizione  del  frutto:  Forma  oviforme,  piccola,  arrotondata;  colore   giallo    pallido 
con  macchie  resse    polpa  che  si  stacca  dal  nocciolo,  profumala,  dolce,  buonissima. 


Fig.  55,5.  —  Mirabella  gialla  grande. 


Mirabella  grande  di  Nancy  (fig.  556). 

Frane:  Grosse  Mirabelle;  Ted.:  Mirabelle  von  Nancy;  Ingl.  :  Gloth  of  Gold. 

Origine:  fra  Nancy  e  Metz. 

Maturazione:  seconda  metà  di  agosto.  Maturazione  prolungata  anche  di  3  settimane. 
Qualità:  prima  da  conserve  e  marmellate. 
Fertilità  :  notevole. 
Vigoria  :  sufficiente. 
Clima  :  resiste  ai  freddi. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento  ed  anche  piccole  forme. 
Sistema  di  coltivazione:  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  altezza  notevole  con  la  fronda  larga  anche  7  metri  ;  germo- 
gli lisci  ;  foglie  medie. 


732 


Descrizione  del  frutto:  forma  piccola,  ovale  arrotondata,  appiattita  alquanto  al- 
l'inserzione del  peduncolo;  buccia  giallo  chiara  con  sfumature  bianche  e  punteggiature 
rosse  specialmente  vicino  al  peduncolo  ;  peduncolo  lungo  ;  polpa  giallo  chiara,  ricca 
di  succo,  consistente,  di  sapore  eccellente,  finissimo  ;  semi  bruno  chiari,  ovali  appuntiti, 
che  si  staccano  facilmente  dalla  polpa. 

Osseruazioni  :  Vi  ha  una  sotto  varietà  la  Mirabella  di  Metz,  che  è  alquanto  più  pic- 
cola e  di  colore  più  sbiadito. 


Fig. 


Fig.  556.  —  Mirabella  grande  di  Nancy. 


Mirabella  precoce  (fig.  557) 

Frane:  Mirabelle  precoce.  Ted.  ;  Frùhe  von  Bergthold 


Maturazione:  fine  luglio. 

Qualità  :  buona,  ma  esclusivamente  da  tavola.  È  una 
delle  migliori  susine  precoci. 

Fertilità  :  moltissima. 

Vigoria  :  media  o  poca. 

Forme  più  adatte  :  piccole  e  grandi. 

Sistema  di  coltivazione:  broli  e  frutteti  casalinghi. 

Descrizione  del  frutto  :  forma  piccola,  quasi  rotonda 
colore  giallo  ambra,  leggermente  o  molto  colorato  e  carminato  dalla  parte  del  sole; 
polpa  melliflua,  dolce,  buona,  che  si  stacca  dal  nocciolo. 


Mirabella  precoce. 


—  733  — 
Precoce  di  Rivers. 

Frane:  Precoce  de  Rivers;  Ted.  :  River' s  Friih  Pflaume;  Ingl.:  River' s  Early. 

Maturazione:  luglio.  Delle  più  precoci. 
Qualità:  per  cucina  e  per  essiccazione. 
Fertilità  :  notevole  e  la  pianta  produce  molto  presto. 
Vigoria:  moltissima. 
Clima:  anche  freddo. 
Forme  più  adatte:  pieno  vento. 
Sistema  di  coltivazione:  campi. 

Descrizione  del  frutto:  forma  rotonda,  media,  bruno  scura;  polpa  che  si  stacca  dal 
nocciolo,  molto  succosa,  zuccherina,  acidula. 


Prugna  di  Germania  (iìg.  558). 

Frane.  :  Quetsche  d'AUemagne  ;  Ted.  Hauszwetsche  ;  Ingl.  German  Quetsche. 

Origine:  Germania. 

Maturazione-  fine  settembre. 

Qualità:  buona  per  l'essiccazione  e  per  la  distilleria. 

Fertilità  :  notevole. 

Vigoria:  notevole. 

Clima:  indifferente. 

Terreno:  indifferente. 

Esposizione  e  situazione:  indifferente. 

Forme  più  adatte  :  pieno  vento. 

Sistema  di  coltivazione:  in  broli  e  campi. 

Descrizione  della  pianta:  rami  sottili,  rosso  bruni,  glabri,  con  macchie  bianche  dalla 
parte  dell'ombra.  Gemme  brevi;  foglie  medie,  elittiche  od  ovali,  superiormente  glabre, 
di  sotto  tomentose  :  picciolo  senza  ghiandole. 

Descrizione  del  fruito  :  forma  ovale  allungata,  lateralmente  compressa,  lunga  60 
min.  e  largo  45,  con  collo  lungo;  colore  bleu  scuro  con  molta  pruina  dello  stesso  colore 
e  con  alcune  punteggiature  fine,  grigie;  peduncolo  medio,  sottile,  peloso,  con  insenatura 
stretta  e  piatta;  polpa  giallo  verdognola,  di  frequente  giallo  dorata,  consistente,  succosa, 
di  sapore  squisito,  dolce  vinoso;  semi  ovali  allungati  che  si  staccano  dalla  polpa. 

Difetti  della  varietà:  è  molto  danneggiata  dai  forti  venti. 

Prugna  d'Italia  (fig.  559). 

Frane:  Quetsche  d'Italie;  Ted.:  Italienische  Quetsche;  Ingl.:  Fellemberg. 

Origine:  Italia. 

Maturazione  :  seconda  metà  di  settembre. 

Qualità  :  prima  da  essiccare,  per  distilleria  e  marmellate. 

Fertilità  :  notevole. 

Vigoria  :  notevole. 

Clima  :  indifferente. 

Terreno  :  fertile  e  tenace. 

Esposizione  e  situazione  :  indifferente. 

Forme  più  adatte  :  pieno  vento. 

Sistema  di  coltivazione:  campestre. 

Descrizione  della  pianta  :  altezza  notevole,  germogli  sottili,  fragili,  di  color  verdo- 
gnolo e  superiormente  violacei;  gemme  piccole,  appuntite  ed  aderenti  al  ramo;  foglie 
medie,  caratteristicamente  sottili,  spesso  lancettiformi,  per  lo  più  pendenti,  raramente 
pelose;  picciolo  debole  con  due  ghiandole. 

Proprietà  della  pianta:  molta  sana  e  rustica. 


-  734  - 

Descrizione  del  frutto  :  forma  piti  grande  della  Prugna  di  Germania  :  colore  come 
quello  della  Prugna  di  Germania  con  punteggiature  gialle;  buccia  sottile;  peduncolo 
breve,  peloso,  verde,  diritto,  in  una  insenatura  poco  profonda,  pendente  da  im  lato; 
polpa  poco  sviluppata,  giallo  verdognola  con  delle  venature  a  completa  maturazione, 
mollo  ricca  di  succo, di  sapore  dolce  vinoso:  semi  come  quelli  della  Prugna  di  Germania, 
un  po'  aderenti  alla  polpa. 


Fig.  558.  —  Prugna  di  Germania. 


Fig.  559.  —  Prugna  d' Italia. 


Regina  Claudia  d'Althan  (fig.  560). 


Reine  Claude  d'Althan;  Ted.  :  Graf  Althan' 
Ingl.  :  Count  Althan'  s  Gage. 


Reine  Claude  : 


Origine:  Boemia,  da  un  seme  di  Regina  Claudia  verde. 

Maturazione:  settembre,  dopo  la  Regina  Claudia  verde. 

Qualità:  primissima  da  tavola  e  da  mercato,  per  le  tavole  di  lusso  si  avvolge  anche 
in  carta  velina. 

Fertilità:  notevole  e  la  pianta  fruttifica    molto  presto. 

Vigoria  :  molta. 

Clima:  moderato. 

Terreno:  fertile  e  fresco. 

Esposizione  e  situazione:  piuttosto  riparate. 

Sistema  di  coltivazione:  nei  campi  e  nei  frutteti  di  speculazione. 

Descrizione  della  pianta:  più  alta  della  Regina  Claudia  grande  verde:  chioma  sfe- 
rica depressa. 

Proprietà  della  pianta  :  molto  sana,  fiorisce  presto. 

Descrizione  del  frutto  :  forma  sferica  40-45  mm.  di  diametro,  grossa,  regolarmente 
depressa;  colore  rosa  violaceo  coperto  da  pruina  bluastra,  molto  bella;  peduncolo 
robusto,  piegato  soltanto  all'estremità  superiore,  verde  con  macchie  rugginose,  in  una 
cavità  poco  profonda;  polpa  giallo  dorata,  fine,  molto  succosa,  profumata  e  molto  dolce. 
Consistente  abbastanza,  non  aderente  al  nocciolo. 


-  735  — 
Regina  Claudia  grande  (fig.  561). 

Frane:  Reine  Claude  dorée;  Ted.  :  Grosse  Reine  Claude;  Ingl.  :  Aloise' s  Green  Gage. 

Origine:  Siria. 

Maturazione:  15-30  agosto. 

Qualità  :  la  migliore  per  tavola,  per  confetture,  per  cucina  e  per  conservare  nello  spirito 

Fertilità:  notevole. 

Vigoria:  molta. 

Clima:  caldo  ed  anche  freddo. 

Terreno  :  permeabile,  profondo,  fresco,  fertile.  La  natura  del  terreno  ha  una  influenza 
notevole  sul  volume,  colore  e  gusto  del  frutto. 

Esposizione  e  situazione:  buona. 

Forme  più  adatte:  indifferente. 

Sistema  di  coltivazione:  tutti. 

Descrizione  della  pianta:  altezza  media,  chioma  appiattita.  Rami  rosso-bruni  con  pun- 
teggiature bianche.  Gemme  corte,  appuntite  e  divaricate;  foglie  eliltiche,  grandi  e  supe- 
riormente glabre.  Picciolo  grosso  con  ghiandole  ineguali. 

Proprietà  della  pianta  :  resistente  alle  malattie. 


Fig.  560.  —  Regina  Claudia  d'Althan. 


Fig.  561.  —  Regina  Claudia  grande. 


Descrizione  del  frutto:  forma  rotonda,  grossa,  alta  e  larga  40  mm.  con  un  solco 
profondo;  buccia  giallo  verdognola,  sottile  e  trasparente,  dalla  parte  del  sole  punteg- 
giata di  rosso,  coperta  da  pruina  bianca;  peduncolo  medio,  grosso,  ricurvo,  verde  chiaro 
con  macchie  rugginose;  calice  leggermente  tomentoso,  in  una  insenatura  poco  profonda; 
polpa  giallo  verdognola  con  delle  venature  bianche,  molto  succosa,  dolce  ed  aromatica; 
aderente  alla  polpa  ;  semi  corti,  ovali. 

Regina  Claudia  violetta. 

Frane.  :  Reine  Claude  violette  ;  Ted.  :  Violette  Reine  Claude  ;  Ingl.  :  Purple  Gage. 

Maturazione  :  15-30  settembre. 

Qualità:  primissima  da  tavola,  da  mercato  e  da  confetture. 

Fertilità  :  media  o  grande. 

Vigoria  :  molta. 

Clima:  caldo. 

Terreno  :  fertile. 

Esposizione  e  situazione:  aereate. 

Sistema  di  coltivazione:  nei  broli. 

Descrizione  del  frutto:  Forma  sferica,  grossa;  buccia  violetta  con  delle  sfumature 
verdastre;  polpa  verde,  consistente  abbastanza,  eccessivamente  succosa  e  molto  dolce; 
semi  non  aderenti  alla  polpa. 


73b 


S.  Caterina  (fig.  502). 

Frane.  :  Sainle  Catherina  :  Ted.  :  Gelbe  Catharinen  Pflaume. 

Sinonimi:  Torlo  dovo. 

Maturazione  :  15-30  settembre;  si  conserva  (ino  alla  metà  novemlire  e  da  ciò  deriva 
il  suo  nome. 

Qualità:  da  essiccare  e  per  confetture. 

Fertilità:  molta. 

Vigoria:  molta. 

Clima  :  caldo. 

Forme  più  adatte:  pieno  vento. 

Sistema  di  coltivazione:  broli. 

Descrizione  della  pianta:  forma  slanciata;  rami,  sparsi,  guarniti  di  pochi  rami 
secondari. 

Descrizione  del  frutto:  forma  ovoidale,  media;  colore  giallo  ambra  brillante,  pic- 
chiettato di  rosso  ;  polpa  gialla,  succosa,  molto  dolce. 

Proprietà  del  frutto:  il  frutto  si  lascia  sulla  pianta  fino  a  novembre,  a  completo 
avvizzimento.  Di  queste  varietà  sono  le  famose  prugne  di  Tours. 


5. 


Fig.  562.  —  Santa  Caterina. 

Specie  di  susino  chinasi,  giapponesi  ed  a  fiori  doppi. 


Prunus  Simona,  specie  chinese  che  forma  un  alberetto  con  foglie 
molto  grandi, elitticoallungate, lucenti,  verdi-scure.  Fiori  piccoli,  bianchi. 
Fruiti  bellissimi,  grossi,  con  breve  peduncolo,  di  colore  rosso  cinabro 
scuro,  più  larghi  che  lunghi,  con  una  profonda  insenatura  alle  due 
estremità.  Polpa  gialla  come  quella  dell'albicocco,  consistente  anche 
quando  è  matura,  di  sapore  tutto  affatto  particolare,  aromatica. 


-  737  - 

Prunus  Plantiriensis  flore  pieno  (Pruno  di  Plantinier  a  fiori  doppi). 
Anche  questo  è  un  arboscello  con  rami  a  scorza  rosso-violacea.  Foglie 
larghe,  cordiformi,  arrotondate.  Fiori  molti,  bianchi,  larghi  25  millimetri. 
Frutti  riuniti  a  due  o  tre,  obovali,  con  un  solco  profondo  da  un  lato. 
Buccia  violetta,  nera  a  maturazione  e  coperta  da  pruina.  Polpa  spicca- 
gnola, verdastra.  Matura  alla  fine  di  agosto  od  al  principio  di  settembre. 

I  susini  giapponesi  sembrano  derivare  dalla  specie  Prunus  triflora 
Barb.  Hanno  per  lo  più  lo  sviluppo  di  un  alberetto  a  chioma  pirami- 
dale; foglie  elittiche,  ricordanti  quelle  del  pesco.  I  rami,  lunghi  gene- 
ralmente, si  coprono  di  una  grande  quantità  di  fiori  e  poi  di  frutti, 
sotto  il  cui  peso  alle  volte  si  piegano.  1  frutti  sono  curiosi,  molto  belli, 
di  colorito  brillante,  a  polpa  molta  sviluppata,  consistente,  di  sapore 
particolare,  gradevolissimo;  maturano  da  luglio  alla  fine  di  settembre. 

Sono  generalmente  piante  vigorose,  resistenti  alle  malattie,  straordi- 
nariamente fertili  ed  i  frutti  si  possono  conservare  per  una  intera  sta- 
gione. Sono  da  raccomandarsi  nei  climi  caldi  (Sicilia,  Sardegna)  dove 
non  allignano  i  susini  nostrali. 

Tre  varietà  principali  di  susini  giapponesi  sono  ora  coltivate  in 
Europa  ed  in  Amei'ica  e  cioè  le  varietà  Botan,  Burbank  e  Kelsey. 

a)  r.a  Botan  si  distingue  per  la  sua  precocità,  per  il  frutto  grosso,  giallo  dalla 
polpa  giallo-ranciata,  molto  profumata. 

L'albero  è  vigoroso,  rustico,  molto  produttivo,  a  germogli  allungati,  grossi  a  scorza 
lucente,  liscia,  fortemente  violacea;  gemme  cortissime,  piccole,  sopra  un  cuscinetto 
saliente.  Foglie  grandi,  distiche,  ovali  elittiche,  dentate  leggermente  ;  di  color  verde 
appariscente,  lucenti  sulla  pagina  inferiore;  nervatura  poco  saliente  al  di  sopra,  pro- 
nunciata al  di  sotto. 

Frutto  sub-sferico  o  leggermente  ovale,  arrotondato,  che  termina  con  una  sporgenza 
conica  nel  mezzo,  cui  segue  da  un  lato  una  costolatura  sporgente.  Diametro  4-5  cm. 
Buccia  sottile,  liscia,  lucente,  tenera  a  toccarsi,  molto  aderente  alla  polpa,  di  color 
rosso  ciliegia  carnio.  Polpa  molto  aderente  al  nocciolo,  di  color  rosso  giallastro,  di- 
venta presto  molle,  mucilagginosa  e  quasi  siropposa.  -Succo  abbondante,  zuccherino, 
mieloso,  con  sapore  speciale,  forte,  che  lascia  un  po'  di  asprezza  sul  palato.  Nocciolo 
durissimo,  obovale-elittico,  lungamente  convesso,  lungo  22  ram.  per  14. 

Matura  nella  seconda  metà  di  agosto. 

Varietà  ornamentale,  più  resistente  al  freddo  della  varietà  Kelsey  ma  poco  racco- 
mandabile perchè  i  frutti  soffrono  pel  trasporto.  Potrebbe  servire   per   la   distillazione. 

b)  La  varietà  Burbank  è  la  meno  caratteristica  e  piìi  si  avvicina  alle  varietà  no- 
strali, da  cui  probabilmente  proviene. 

cj  La  varietà  Kelsey  è  di  straordinaria   produzione  ;  è  rimarchevole   lo    sviluppo 
della   polpa.   I   frutti   sono   grossi  e  talvolta   grossissimi,  cordiformi   più  o  meno   rego- 
larmente; hanno  la  polpa  soda  e  succosa,  la  buccia  di  un  giallo  vivace,  tinta   di   rosso 
scuro  dalla  parte  del  sole.  Questa  varietà  preferisce  i  luoghi  di  media  temperatura. 
Altre  varietà  poste  in  commercio  sono  le  seguenti  : 

dj  CItabot.  Chiamata  in  America  comunemente  col  nome  di  Chase,  ha  anche  per 
sinonimi  Baileij  e  Yeìloiv  Japan.  In  essa  i  rami  a  legno  sono  eretti  e  sottili,  rosso  scuri 
sfuuìati  di  verde,  mentre  i  rami  da  frutto  sono  più  grossi  di  un  violetto  olivastro  e 
bianchicci.  I  frutti,  abbondanti,  sono  leggermente  cordiformi,  a  buccia  liscia,  rossa, 
punteggiata  di  giallo  verso  la  base  e  coperta  dì  una  pruina  bluastra  :  la  polpa  aderente 
al  nocciolo,  ha  color  giallo  e  un  sapore  dolce  leggermente  acidulo  che  ricorda  l'albicocca. 

ej  Varietà  pregiate  sono  la  Berckmans,  coi  frutti  di  un  bel  rosso  ;  1'  Abundance  a 
frutti  precoci  e  tardivi. 

47  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  738  - 

f)  Una  varietà  molto  raccomandata  è  la  Georgeton,  i  cui  frutti  sono  un  poco 
variabili  nella  forma  cioè  talvolta  arrotondati,  talaltra  un  poco  appuntiti.  Bailey  dice 
che  è  la  miglior  susina  gialla  che  egli  conosca,  essendo  di  buon  sapore  e  di  lunga 
conservazione. 

La  varietà  Hale  è  molto  pregiata.  I  suoi  frutti  globosi  hanno  un  aspetto  elegante, 
sono  a  buccia  rossa  e  a  polpa  piuttosto  morbida,  sugosa,  alquanto  addetta,  con  un  leg- 
gero sapore  di  pesca.  La  pianta  non  si  allarga  molto,  ma  vegeta  bene  ed  è  produttiva; 
la  maturazione  e  tardiva. 

La  Hunn  ha  i  frutti  piccoli  di  un  rosso  vinato  con  piccoli  punti  gialli:  la  polpa  è 
sugosa,  dolce  e  di  mezzana  qualità.  Ciononostante  può  in  qualche  luogo  essere  apprez- 
zata, per  la  vigoria  e  fertilità. 

La  Wickson  è  molto  pregevole  e  ricercata  in  America.  La  pianta  è  di  aspetto  simile 
al  Priintis  Sinwnii  ;  il  frutto  è  grosso,  a  buccia  di  un  rosso  marrone  cupo  colla  polpa 
gialla  scura,  soda,  di  lunga  conservazione,  con  un  gusto  speciale  che  si  avvicina  a  quello 
della  mandorla. 

La  sasina  Kanaiva  è  particolare  per  il  suo  fogliame,  che  assomiglia  a  quello  di  un 
pesco  :  i  frutti  hanno  la  grossezza  di  una  grossa  ciliegia  ed  hanno  un  sapore  particolare  ; 
dentro  ad  una  buccia  rossa  trovasi  una  polpa  buona,  che  ricorda  l'uva  spina  molto 
matura. 

La  coltivazione  dei  susini  giapponesi  non  presenta  alcuna  difficoltà. 
La  moltiplicazione  per  seme,  come  del  resto  si  può  prevedere,  non  dà 
buoni  risultati,  fornendo  dei  selvatici  che  si  avvicinano  al  mirabolano; 
conviene  perciò  ricorrere  all'innesto,  il  quale  riesce  tanto  sul  susino 
stesso  quanto  sul  pesco  e  sul  mandorlo. 

L'innesto  sul  pesco  ha  dato  i  migliori  risultati,  procurando  nello 
stesso  anno  piante  abbastanza  vigorose,  capaci  poi  di  fruttificare  fin 
dal  secondo  anno. 

I  susini  giapponesi  si  adattano  a  preferenza  nei  climi  caldi  e  nei 
terreni  profondi  e  freschi,  ovvero  irrigui;  la  varietà  Botan  resiste 
meglio  all'asciutto,  la  Kelsey  è  la  pivi  esigente  rispetto  alla  freschezza  e 
alla  fertilità  del  terreno.  Volendo  praticare  l'innesto  sul  franco  conviene 
tener  conto  di  tutto  questo. 

La  coltura  dei  susini  giapponesi  è  tuttora,  si  può  dire,  in  esperi- 
mento. In  Italia,  e  specialmente  nelle  provincie  meridionali,  potrebbe 
acquistare  una  importanza  notevole;  onde  la  necessità  di  avviare  un 
serio  esperimento. 

A  Imola,  nell'Azienda  Agraria  annessa  al  manicomio  provinciale, 
ho  avuto  campo,  per  4  anni  consecutivi,  di  seguire  la  vegetazione  e  di 
sottoporre  a  potatura  questi  susini  Giapponesi. 

e.  Importanza  della  coltivazione.  —  Il  susino  è  un  albero  prezioso 
per  la  facile  raccolta  dei  suoi  frutti,  per  l'abbondante  fruttificazione 
e  perchè  i  frutti  hanno  una  larga  applicazione  sia  per  il  consumo, 
come  cibo  ordinario  da  tavola,  sia  per  preparare  confetture,  conserve, 
acquaviti. 

Nelle  località  adatte,  è  raccomandabile  la  sua  diffusione  come 
quella  dell'albicocco. 

7.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Tanto  nei  campi  quanto  nei  broli  e 
frutteti  di  speculazione,  si  allevano  le  piante  a  pieno  o  mezzo  vento  ed 
a  forma  bassa  a  vaso. 


—  739  - 

8.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Il  clima  che  più  conviene  al 
susino  è  quello  della  vite.  Come  questa,  soffre  in  primavera  per  le  brine 
e  per  l'umidità  che  produce  la  colatura  dei  fiori. 

Quantunque  sia  originario  dei  paesi  caldi  ed  abbia  una  fioritura 
precoce,  ci  sono  delle  varietà  abbastanza  resistenti  ai  freddi,  tanto  è 
vero  che  lo  troviamo  diffuso  anche  nel  Belgio,  nel  Lussemburgo  e 
nella  Germania  del  Nord. 

In  Italia  si  può  coltivare  il  susino,  e  con  successo,  da  per  tutto. 

I  paesi  più  rinomati  per  questa  coltivazione  sono  quelli  Balcanici 
(Bosnia,  Erzegovina,  Serbia  e  Rumenia). 

Nell'Asia  e  negli  Stati  Uniti  d'America,  specialmente  in  California, 
la  coltura  del  susino  è  molto  diffusa. 

Le  costanti  termiche  del  susino  sarebbero  le  seguenti  : 

Dalla  caduta  delle  foglie  allo  sbocciare  dei  fiori  1423"  G. 

Fino  alla  maturazione  dei  frutti  .5780°  C. 

Temperatura  a  cui  matura  il  frutto  18°  C. 

Faccio  seguire  il  solilo  Quadro  indicante  l'epoca  nella  quale  av- 
vengono le  principali  fasi  di  vegetazione  del  susino. 


Tal).  MX.  Quadro  indicante  l'epoca   nella   quale   avvengono  le  princi- 
pali fasi  di  vegetazione  del    susino   in  alcune  regioni  d'Italia. 


REGIONI 

Fogliaz 
Mese 

ione 

De- 
cade 

Fioriti 
Mese 

ira 

De- 
cade 

Maturaz 
del  fri 

Mese 

ione 
tto 

^D^ 
cade 

Cada 
delle  fo 

Mese 

ta 
glie 

De- 
cade 

I.      Piemonte.    .    .    . 

Aprile 

II 

Aprile 

II 

Luglio 

III 

Novemb. 

I 

II.      Lombardia.    .    . 

„ 

, 

, 

, 

Settemb . 

1 

„ 

„ 

III.     Veneto     .... 

„ 

„ 

„ 

„ 

„ 

, 

Ottobre 

II 

IV.  Liguria    .... 

V.  Emilia 

Aprile 

II 

Aprile 

I 

Giugno 

II 

Ottobre 

II 

VI.     Marche      ed 

Umbria     .    .    . 

III 

, 

II 

Luglio 

„ 

„ 

VII.   Toscana  .... 

Marzo 

„ 

, 

„ 

„ 

III 

„ 

Vili.  Lazio 

— 

— 

— 

— 

— 

— 

— 

— 

IX.      Meridionale 

Adriatica .    .    . 

Marzo 

I 

Marzo 

I 

Agosto 

I 

Novemb 

I 

X.       Merid.  Mediter- 

ranea   .... 

„ 

II 

„ 

II 

, 

„ 

„ 

II 

XI.      Sicilia 

„ 

III 

„ 

„ 

„ 

III 

„ 

„ 

XII.     .Sardegna  .    .    . 

- 

- 

.     - 

- 

- 

- 

- 

- 

9.  Esposizione  e  situazione.  —  Sono  da  scegliere  per  il  susino  le 
esposizioni  a  sud-est  e  sud-ovest,  poste  in  collina,  riparate  dai  venti, 
per  evitare  la  caduta  dei  frutti  e  la  rottura  dei  rami,  che  sono  sottili. 
Nelle  regioni  molto  calde,  se  esposto  a  mezzodì,  il  frutto  si  essica,  i  rami 
screpolano  e  la  pianta  ha  vita  breve.  In  queste  località  si  può  anzi 
coltivare  il  susino  a  nord. 


—  740  — 

Nelle  regioni  più  elevate  di  quella  delia  vite  il  susino  si  alleva 
soltanto  nelle  località  più  riparate  e  meglio  esposte. 

10.  Terreno.  —  Il  susino  fra  le  piante  da  frutto  è  delle  meno  esi- 
genti per  il  terreno. 

Difatti  gli  convengono  tutti  i  terreni  coltivati  purché  non  siano 
eccessivamente  argillosi  od  umidi  in  questi  va  soggetto  al  cancro  e  dà 
bensi  delle  vigorose  gettate  ma  pochi  frutti.  Nei  terreni  eccessivamente 
sciolti  i  frutti  sono  imperfetti  e  la  pianta  solTre  per  clorosi. 

Avendo  delle  radici  striscianti,  non  esige  terreno  molto  profondo  ma 
è  necessario  che  il  sottosuolo  mantengala  freschezza.  Per  conseguenza 
si  escludano  i  terreni  con  sottosuolo  cretaceo,   tufaceo,  impermeabile. 

Si  potrà  dare  un  indirizzo  industriale  alla  coltivazione  del  susino 
soltanto  nei  terreni  permeabili,  profondi  freschi,  fertili.  Per  gli  altri 
terreni,  conviene  la  coltivazione  di  qualche  pianta  per  il  solo  consumo 
locale  o  della  famiglia. 

11.  Moltiplicazione.  —  Il  susino  si  moltiplica  per  seme,  per  polloni 
e  per  innesto.  Si  può  anche  moltiplicare  per  divisione  di  radici,  ma  si 
ottengono  soggetti  poco  vigorosi.  Non  è  consigliabile  neppure  la  molti- 
plicazione per  polloni. 

Per  seme  si  riproducono  abbastanza  fedelmente  le  varietà:  Hegine 
Claudie,  Mirabelle,  Prugne  e  le  Damaschine. 

Si  stratificano  i  semi  appena  raccolti,  poiché  conservano  soltanto 
per  un  mese  la  facoltà  germinativa.  La  ,  semina  si  fa  in  marzo.  Nei 
paesi  caldi  la  semina  si  fa  appena  raccolti  i  frutti. 

In  un  litro  sono  contenuti  1280  semi  in  media  ed  un  seme  pesa  in 
media  grammi  4,4. 

I  trapianti  dal  semenzaio  e  gli  impianti  a  dimora  del  susino  franco 
si  fanno  sempre  d'autimno  e  dopo  un  anno  od  al  massimo  due  anni 
di  permanenza  nel  vivaio.  Cosi  anche  per  i  soggetti  innestati. 

Per  fare  l'innesto  si  scelgono  i  soggetti  franchi,  ottenuti  cioè  da 
seme  delle  varietà  a  frutto  piccolo  e  nero.  Si  preferiscono  le  varietà 
Damaschine,  S.  Giuliano  ed  il  Mirabolano  quale  soggetto  intermediario 
nel  soprainnesto  per  le  mirabelle,  che  hanno  un  legno  sottile  per 
cui  si  stenta  ad  avere  un  bel  fusto.  Il  S.  Giuliano  è  ottimo  per  le  colture 
ordinarie  ed  il  P.  Myrobolana  (Susino  Mirabolano)  pei    terreni    calcari. 

II  S.  Giuliano  si  semina  sul  posto  dove  si  vuol  fare  l'innesto,  col- 
locando i  semi  alla  distanza  di  60  cm.  sulla  fila  e  70  da  lila  a  (ila  per 
ottenere  degli  alti  fusti.  Per  le  forme  basse  basta  la  mela  delle  suddette 
distanze. 

Il  Mirabolano  si  riproduce  pure  per  seme  e  per  talea. 

Si  innesta  a  gemma  dormiente  od  a  spacco,  sia  al  piede  sia  in 
testa.  L'innesto  sul  mirabolano  si  fa  in  stagione  più  avanzata  che  non 
sul  susino  comune. 

L'innesto  al  piede  si  applica  ai  soggetti  rachitici  e  poco  vigorosi, 
l'innesto  in  testa  alle  varietà  poco  vigorose,  come  le  Mirabelle. 

Questi  innesti  si  possono  praticare  al  coperto  sopra  soggetti   pre- 


-    741   - 

cedentemente  sbarbati  o  direttamente  sul  posto.  In    (luest'ultimo    caso 
sarà  utile  spuntare  i  soggetti  qualche  settimana  innanzi. 

I  susini  ornamentali  come  il  Pniniis  iaponico,  Iriloba,  piimila,  spinosa, 
a  fiore  doppio,  ecc.  s'innestano  a  scudo  o  all'inglese  sopra  i  soggetti 
già  descritti. 

I  susini  giapponesi  e  le  specie  ornamentali  si  innestano  sul  Mira- 
bolano ed  anche  sul  susino  franco  (Quetsche)  o  sul  S.  Giuliano. 

II  susino  Pissard,  ornamentale  derivato  dal  Mirabolano,  si  innesta 
su  questo  :  si  ottengono  così  belle  piante  rapidamente. 

Il  P.  triloba  e  sinensis  e  tutti  gli  altri  a  fiore  doppio,  etc.  si  innestano 
sul  loro  tipo  o  sul  susino  franco. 

12.  Caratteri  vegetativi.  —  Il  susino  getta  vigorosamente  in  gioventù 
e  dà  una  notevole  quantità  di  rami.  Passati  però  i  primi  tre  o  quattro 
anni  ha  una  produzione  fruttifera  così  abbondante  che  Io  spossa. 

I  rami  a  legno  sviluppatisi  nell'annata  precedente,  diritti,  lisci  e 
talvolta  molto  lunghi,  si  coprono,  quasi  per  tutta  la  grandezza,  di  un 
gran  numero  di  dardi,  di  un  minor  numero  di  rami  a  legno,  i  quali 
all'estremità,  portano  dei  brindilli  ed  alla  base,  delle  lamborde. 

Nella  terza  vegetazione,  questi  rami  a  frutto  portano  fiori  e  frutti; 
poi  si  allungano,  formando  dei  nuovi  germogli  dalle  gemme  dell'estre- 
mità. Eccezionalmente,  in  alcune  varietà  si  possoso  trovare  dei  frutti 
sui  rami  di  due  anni  e  sui  germogli  che  si  sono  lignificati  per  tempo. 

La  vegetazione  del  susino  è  abbastanza  regolare.  La  linfa  si  distri- 
buisce egualmente  sulle  branche  lacerali  e  perciò  la  forma  a  piramide 
non  è  assolutamente  adatta. 

II  modo  di  vegetazione  del   susino  è  il   seguente  : 

1.  All'ascella  di  ogni  foglia  si  forma  una  gemma  a  legno  appuntita, 
conica,  larga   alla    base,  di   solito    solitaria  e  senza  sott'occhi  (fig.  563). 

Questa  gemma  può  trasformansi  in  germoglio  od  in  gemma  a  fiore 
a  seconda  che  riceve  una  maggiore  o  minore  quantità  di   linfa. 

Se  il  ramo  è  vigoroso  o  di  un  anno  sviluppa  un  germoglio  ;  se  il 
ramo  è  di  vigore  medio  o  di  due  anni,  produce  una  rosetta  da  2  a  4 
gemme  a  fiore  con  in  mezzo  una  gemma  a  legno  (dardo  a  mazzetto) 
(Bm  fig.  564). 

La  gemma  a  legno  del  susino  è  isolata  come  quella  del  ciliegio,  può 
quindi  dare  dei  fiori  o  dei  germogli  a  seconda  della  quantità  di  linfa 
che  riceve.  Nel  pesco  e  nell'albicocco  invece,  le  gemme  a  fiore  sono 
assilari  e  distinte  dalle  gemme  a  legno. 

Quando  si  taglia  sopra  una  gemma  a  flore  isolata  del  pesco,  questa 
non  sviluppa  un  germoglio,  mentre  se  si  fa  questo  taglio  sopra  una 
gemma  a  fiore  del  susino  o  del  ciliegio,  ne  esce  un  ramo  a  legno 
perchè  la  gemma  a  fiore  contiene  i  primordi  del  fiore  e  del  germoglio. 

2.  La  gemma  a  frutto   del   susino  è  leggermente  gonfiata  a  cuore 
con  una  strozzatura  alla  base  (b  fig.  563). 

3.  Se  la  gemma  a  legno  è  abbinata  come  si  verifica  nelle  Mirabelle 
e  nelle  Zwetschen,  la  seconda  gemma  può  essere   pure   una  gemma  a 


legno  od  una   gemma  a   fiore.    Si  possono    anche   trovare    Ire    gemme 
riunite,  una  a  legno  nel  mezzo  e  due  laterali  a  frutto  (fig.  565). 

I  rami  che  portano  queste  gemme  si  chiamano  rami  misti,  hanno 
per  lo  più  la  grossezza  di  una  matita  e  sono  più  lunghi  e  più  grossi 
del  brindino  (fig.  563). 

4.  11  brindino  (fig.  565)  è  un  ramo  sottile,  tlessibile  che  porta 
delle  gemme  più  avvicinate  verso  la  cima  e  la  base  che  non  nella 
parte  mediana. 

I  brindilli  portano  delle  gemme  a  legno  che  si  trasformano  in 
gemme  a  frutto  ;  ciascuna  gemma  ha  dei  sottocchi. 


Bm 


Rm 


Fig.  564. 
Dardo  a  mazzetto   del  susino. 


Fig.  566.  —  Dardo  di  susino. 


Fig.  563.  —  Ramo  misto  di  susino. 


Fig.  565.  —  Brindino  di  susino. 


Tanto  il  brindino  quanto  i  rami  misti  hanno  alla  loro  inserzione 
un  aggruppamento  di  gemme  embrionali  latenti,  grosse  come  la  capoc- 
chia di  uno  spillo,  che  entrano  in  vegetazione  quando  noi  recidiamo 
alla  base  i  rispettivi  rami  o  quando  questi  si  esauriscono. 

5.  I  dardi  nel   susino    hanno    la   lunghezza    cm.  1  a  3  e  sono  in- 
seriti verticalmente  sul  ramo  (fig.  566). 

Nei  dardi,  la  gemma  terminale  serve  a  dare  un  breve  germoglio 
di  prolungamento,  quelle  laterali  nel  primo  anno  producono  solo  un 
ciuflelto  di  foglie  e  nel  secondo,  fruttificano  (fig.  564). 


-  74o  - 

6.  Dopo  che  il  dardo  ha  fruttificato,  si  sviluppa  sul  prolungamento 
un  secondo  dardo  e  poi  un  terzo,  in  modo  che  un  po'  alla  volta  si 
forma  una  lamborda  (fìg.  548). 

7.  Il  susino  dà  una  abbondante  fruttificazione  soltanto  se  è  prov- 
visto di  rami  vigorosi  di  3  anni  e  munito  di  una  considerevole  quantità 
di  dardi  e  brindilli  formatisi  nell'anno  precedente.  Le  produzioni  più 
vecchie  e  divise  non  fruttificano  perfettamente,  se  non  hanno  riposato 
nell'anno  precedente.  Se  si  tagliano  troppo  energicamente  le  piante 
vigorose,  avviene  la  colatura  delle  gemme  a  frutto. 

L'avveduto  potatore,  per  avere  frutti  costantemente,  ricorre  invece 
ad  una  specie  di  rotazione  nella  jiroduzione  dei  rami  a  frutto,  alternando 
sulla  medesima  pianta  la  potatura  di  formazione  di  nuovi  rami  a  frutto 
con  quella  che  dispone  i  rami  a  fruttificare  immediatamente. 

13.  Potatura.  —  l.  Per  la  potatura  di  formazione,  si  procederà  nei 
primi  anni  come  è  prescritto  per  le  singole  forme,  di  cui  si  parlerà 
nel  prossimo  capitolo. 

Ottenute  le  branche  primarie  e  secondarie,  sorgeranno  ai  lati  di 
queste  dei  dardi  e  brindilli  che  si  lascieranno  intatti.  Solo  se  questi 
ultimi  fossero  troppo  lunghi  cosi  da  ingrombare  si  accorciano. 

2.  Dei  rami  laterali  a  legno  o  rami  misti  che  sorgono  lungo  le 
branche  secondarie  si  lasciano  soltanto  quelli  situati  a  destra  e  sinistra, 
distanti  fra  loro  50  cm.  sopprimendo  quelli  che  si  trovano  al  di  sotto 
della  branca  o  che  hanno  una  direzione  verticale.  Questi  rami  laterali 
alla  loro  volta  se  occorre  si  accorciano  in  modo  che  la  loro  lunghezza 
equivalga  ad  '/g  della  distanza  che  passa  dalla  loro  base  all'estremità 
della  branca  che  li  porta. 

3.  Sul  susino,  come  in  tutte  le  altre  piante  a  nocciolo,  bisogna  evi- 
tare il  più  possibile  i  tagli  in  secco,  per  non  provocare  la  gommosi, 
valendosi  della  potatura  verde  e  specialmente  della  scacchiaUira.  Questa 
si  faccia  in  due  volle,  a  metà  maggio  ed  alla  fine  di  giugno.  Colla 
scacchiatura  si  tolgono  ,  con  un  potatojo  affilato  :  i  germogli  che 
sorgono  verticali,  quelli  che  hanno  una  direzione  contro  il  centro  della 
pianta  e  quelli  che  sorgono  al  di  sotto  delle  branche.  La  cimatura  è 
meno  applicabile  sul  susino  specialmente  trattandosi  di  piante  a  vaso 
od  a  pieno  o  mezzo  vento. 

4.  Durante  l'anno,  dalle  gemme  inferiori  dei  rami  tagliati  a  '/s  si 
sviluppa  una  coroncina  di  foglie  che  dà  origine  poi,  alla  base,  dai  dardi 
a  mazzetto  (fig.  564)  ;  dalle  gemme  intermedie  si  formano  dei  dardi  più 
lunghi  (lìg.  566)  o  dei  brindilli  (fig.  565)  ;  [dalle  due  gemme  terminali 
si  sviluppano  due  rami  di  prolungamento  a  legno. 

Nell'inverno  del  secondo  anno,  questi  due  rami  di  prolungamento 
si  accorciano  lasciando  intatte  tutte  le  altre  produzioni  meno  qualche 
brindino  che  bisogna  accorciare,  se  troppo  lungo. 

Nella  vegetazione  del  terzo  anno,  si  avranno  frutti  dai  dardi  e  dai 
brindilli  suddetti,  i  prolungamenti  si  disporranno  per  produrre  altret- 
tanti dardi  e  brindilli  mentre  dalle  due  gemme  terminali  si  avranno 
altri  getti  di  prolungamento. 


744 


Come  si  vede  i  rami  fruttiferi  anche  nel  susino  tendono  a  portarsi 
sempre  più  lontani  dal  centro  della  pianta. 

Per  ritardare  ([uesto  inconveniente  si  accorciano  i  brindilli  appena 
hanno  fruttificato. 

I  dardi  non  si  toccano.  Colle  successive  fruttificazioni  formano  poi 
delle  lamborde  tendenti  ad  allungarsi  a  cui  bisogna  applicare  qualche 
taglio  di  ringiovanimento. 

Se  i  dardi  sono  spinosi  e  lunghi,  come  avviene  in  alcune  piante 
provenienti  da    seme,  si  accorciano  (fig.  567)  e 

negli  anni    successivi  si  tagliano    come  è    indi-  A/lci 

cato  nelle  (ìg.  568  e  569. 


Fig.  567.  —  Ramo  a  frutto 
di  susino  (1»  taglio). 


Fig.  568.  —  Ramo  a  frutto 
di  susino  (2"  taglio;. 


Fig.  569.  —  Ramo  a  frutto 
di  susino  (3°  taglio). 


14.  Forme.  —  1.  Le  forme  più  convenienti  per  il  susino  sono:  il 
pieno  e  mezzo  vento  ed  il  vaso.  Alcune  varietà  si  possoso  coltivare 
anche  a  forme  appoggiate  come  è  la  palmetta. 

Nella  nostra  coltivazione  campestre,  dovendo  lavorare  il  terreno 
coi  buoi  si  darà  al  fusto  del  pieno  vento  l'altezza  di  m.  1.20  e  si  avrà 
cura  che  la  biforcazione  delle  branche  secondarie  avvenga  a  m.  1.60 
dal  terreno.  In  caso  diverso  converrà  tenere  il  fusto  ad  un'altezza 
inferiore  anche  ad  1  metro,  poiché  la  pianta  riesce  più  solida  e  più 
resistente  ai  venti. 

2.  Pieno  vento  con  la  chioma  a  tronco  di  cono.  Per  i  susini  viene 
raccomandata  specialmente  questa  forma  che  si  è  molto  diffusa  nella 
F'rancia  meridionale.  Essa  ha  il  vantaggio  della  massima  solidità  della 
pianta,  di  una  buona  aereazione  dei  rami  e  di  una  più  razionale  ri- 
partizione delle  branche  e  dei  rami  fruttiferi.  La  fig.  570  rappresenta 
questa  pianta  in  forma  schematica. 

Al  fusto  viene  lasciala  l'altezza  di  m.  1.20;  alla  sua  estremità  si  alle- 
vano tre  sole  branche   primarie   (p)   le    quali,  cominciando    dalla   loro 


745 


inserzione,  vengono  piegate  ad  U  invece  che  a  V,  per  una  lunghezza 
di  1  ni.  ,  in  modo  che  le  loro  estremità  vengano  a  trovarsi  al  vertice 
di  un  triangolo  equilatero  avente  un  metro  di  lato  (ppp).  Questa  altezza 
viene  raggiunta  in  2  o  3  anni,  tagliando  ogni  anno  le  tre  branche  a 
30-40  cm.  sul  loro  prolungamento  in    modo    che   la   gemma    terminale 

guardi  in  fuori  e  venga  a  tro- 
varsi al  medesimo  livello  delle 
gemme  terminali  delle  altre  due 
branche. 


p 

/ 

P 

r' 

/ 

\ 

/ 
/ 

^  \^ 

/ 

4- 

Is 

/ 
/ 

/ 

-T-l 

3             \ 

\ 

/''  ^^ 

\ 
\ 

:  ) 

2 

\ 

\ 

S                          P' 

P       f 

Fig.  570.  —  Figura  schematica 

di  un  susino  a  pieno  vento  con  chioma 

a  tronco  di  cono. 


\ 


Fig.  171.  —  Figura  schematica 

della  disposizione  dei  rami  laterali 

del  susino. 


Durante  questi  2-3  anni,  si  scacchiano  i  germogli  che  crescono 
verso  l'interno  e  quelli  più  grossi.  Nella  potatura  secca  si  accorciano 
i  brindilli  tagliandoli  ad  8-10  cm.  di  lunghezza;  i  dardi  si  lasciano 
intatti.  Contemporaneamente  all'altezza  di  m.  1.60  dal  terreno  si  alleva 
una  branca  secondaria  (ps)  diretta  in  fuori  in  direzione  del  raggio. 
Questa  branca  secondaria  si  taglia  nella  potatura  secca  sopra  una 
gemma  che  guardi  in  basso  e  ad  una  lunghezza  equivalente  ad  Vs  della 
distanza  che  passa  dalla  sua  inserzione  all'estremità  della  branca  pri- 
maria che  la  porta. 

Quando  le  tre  branche  primarie  hanno  raggiunto  la  lunghezza  di 
1  m.  in  p,  si  dà  loro  la  direzione  verticale  fpp'),  prolungandole  ogni 
anno  di  30  a  35  cm.  e  tagliandole  sopra  una  gemma  in  fuori.  Dei 
germogli  laterali  si  scacchiano  quelli  che  vanno  nell'interno,  si  accorciano 
eventualmente  i  brindilli,  e  ad  ogni  50  cm.  di  distanza,  si  alleva  una 
branca  secondaria.  Si  veda  ad  esempio  le  branche  p  p'  lunghe  3  metri, 
che  portano  ciascuna  6  branche  secondarie  in  p,  2,  3,  4,  5  e  6. 


—  746  - 

Nella  scelta  delle  bianche  secondarie  bisogna  avere  l'avvertenza 
da  non  sovrajìporle  le  une  alle  altre.  La  prima  sotto  branca  p  s  si  fa 
quindi  sviluppare  in  direzione  del  raggio;  dalla  gemma  2,  a  50  cm. 
di  distanza  da  p,  si  lascia  una  sottobranca  che  vada  in  fuori  e  nella 
direzione  a  destra  della  ps;  dalla  gemma  3   un'altra  sottobranca   pure 


\ 


Fig. 


ino  vento  svasai 


in  fuori  e  nella  direzione  a  sinistra  della  ps;  infine  dalla  gemma  4,  si 
farà  sviluppare  una  sotto  branca  4s  che  sarà  parallela  e  sovrapposta 
alla  p  s.  Procedendo  in  questo  modo  la  fronda  della  pianta  prenderà 
la  forma  di  un  tronco  di  cono. 

Dalle  sottobranche  alla  loro  volta  si  alleveranno,  a  destra  ed  a 
sinistra,  alternati,  dei  rami  laterali  di  terzo  ordine,  situati  orizzontalmente 
ma  mai  guardanti  in  alto  o  in  basso.  Questi  rami  laterali  vengono 
accorciali  in  modo  che  la  loro  lunghezza  equivalga  ad  '/^  della  distanza 


-  747 


748  - 


i'Si»- 


-  749 


Fig.  ri77-r)78.  —  Susini  a  basso  fusto. 


-  750 


che  passa  dalla  loro  inserzione  alla  estremità  della  sotto  branca  che  li 
porta.  In  tal  modo  la  sotto  branca  avrà  i  rami  laterali  disposti  come 
una  foglia  di  felce  (Jig.  571). 

L'albero  dopo  formato  acquista  una  chioma  a  tronco  di  cono   che 
presenta  la  massima  solidità. 


Fig.  579.  —  Susino  a  ceppala. 


Tanto  le  branche  primarie  quanto  le  secondarie  si  prolungheranno 
ogni  anno,  tagliandole  sempre  sopra  una  gemma  a  legno.  I  rami  la  te- 
rali  si  taglieranno  come  è  indicato  nel   capitolo  precedente. 

3.  Pieno  vento  con  la  chioma  arrotondata  a  vaso.  Nella  fig.  572 
riporto  la  fotografìa  di  un  filare  di  susini  da  me  allevati  seguendo  il 
metodo  descritto  nella  parte  generale  per  la  forma  a  vaso.  Le  piante 
sono  in  piena  produzione. 

A  differenza  della  forma  precedente,  le   branche   si   biforcano   dal 


—  751  - 

fusto  a  V  invece  che  ad  C7  e  le  estremità  delle  branche  vennero  perciò 
tagliate  sopra  due  gemme  laterali. 

Nella  fig.  573  abbiamo  la  fotografia  di  un  susino  di  5  anni  da  me 
pure  allevato  e  riprodotto  prima  della  potatura.  Nella  fig.  574  è  ripro- 
dotta la  stessa  pianta  dopo  la  potatura. 

Una  volta  che  il  pieno  vento  è  formato,  basterà  fare  la  mondatura 
annuale;  soltanto  quando  la  chioma  tende  a  perdere  la  forma  od  a 
sguernirsi  in  basso  di  rami  laterali  fruttiferi,  bisogna  tagliare  in  dietro 
le  branche  secondarie  e  primarie,  per  rinnovarle. 

4.  Per  gli  impianti  industriali  nei  campi  aperti  e  per  le  varietà 
poco  vigorose  nei  frutteti,  molto  conveniente  e  produttiva  è  la  forma 
bassa  con  chioma  svasata  (fig.  575-578)  oppure  senza  fusto  e  colle 
branche  che  partono  dal  livello  del  terreno  divaricandosi  a  V  e  for- 
mando un  calice  (fig.  579).  Anche  per  queste  forme  si  cura  la  pota- 
tura di  formazione  per  i  primi  5  e  6  anni  regolando  contemporanea- 
mente l'equa  ripartizione  dei  rami  a  frutto.  Negli  anni  successivi  si 
tiene  la  chioma  ben  mondata  all'interno  e  si  accorciano  solo  le  estre- 
mità, tanto  quanto  occorre  per  mantenerle  di  eguale  altezza. 

15.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  La  coltivazione  del  susino  è 
facile,  poiché  non  richiede  le  cure  assidue  di  potatura  del  pero  e  del  pesco. 

Per  la  sua  coltivazione  è  meglio  scegliere  località  isolate,  poiché 
esso  soff're  della  vicinanza  di  altri  alberi.  L'  unica  pianta  colla  quale 
simpatizza  é  la  vite.  Nei  frutteti  o  broli,  sarà  bene  scegliere  per  il  su- 
sino spazi  isolati,  nei  luoghi  più  ventilati,  poiché  la  chioma  prende 
una  forma  sferoidale.  Uno  o  due  alberi  cosi  isolati  daranno  più  frutti 
che  una  fila  di  piante  troppo  vicine  fra  loro. 

Intorno  alle  piante  bisogna  essere  parchi  di  zappatura,  anzi  non 
conviene  zappare  durante  la  vegetazione,  specialmente  in  primavera 
per  non  provocare  l'emissione  dei  virgulti.  Del  resto  é  noto  che  zap- 
pando in  primavera  si  provoca  la  colatura  dei  fiori,  causata  dall'umi- 
dità immagazzinata  nel  suolo. 

Il  susino  si  alleva  come  abbiamo  visto,  a  mezzo  vento    ed  a  vaso. 

A  pieno  vento  si  colloca  a  4-6  m.  di  distanza,  a  seconda  della 
vigoria  della  pianta.  (Per  le  distanze  vedi  Tab.  XVI). 

A  tale  scopo  si  innesta  al  piede  od  in  testa  e  si  procura,  nei  primi 
anni,  di  assecondare  colla  potatura  secca  la  forma  che  si  vuol  ricavare 
e  che  più  si  avvicina  a  quella  che  naturalmente  viene  a  prendere  la 
chioma  della  pianta.  Negli  anni  successivi  si  pratica  la  mondatura. 

Il  susino  essendo  una  pianta  dai  rami  gracili  che  lascia  cadere 
con  facilità  i  frutti,  meglio  gli  convengono  il  mezzo  vento  e  la  forma 
a  vaso.  Questa  ultima  é  da  raccomandarsi  specialmente  per  i  frutteti 
di  speculazione.  Il  susino  non  conviene  per  le  forme  a  spalliera. 

Ripeto  ancora  che  conviene  giovarsi  della  potatura  verde  piuttosto 
che  di  quella   secca   nel  susino,  se  si  vuole  mantenere  le  piante  sane. 

Benché  suscettibile  di  lunga  vita  (in  media  33  anni)  il  susino  si 
esaurisce  presto  ed  allora  dà  frutta  piccolissime;  si  tenta  di  ringiova- 


—  752  - 

nirlo,  facendo  un  taglio  presso  le  branche  principali.  Nuovi  getti  poi 
escono  dal  legno  vecchio  che  possono  servire  a  ricostituire  l'albero. 
Perchè  la  pianta  però  non  soffra,  bisogna  coprire  le  ferite  con  un 
mastice  ed  operare  in  autunno. 

Anche  gli  impianti  del  susino  si  fanno  di  solito  in  autunno. 

La  concimazione  si  può  fare  seguendo  le  medesime  regole  indicate 
pel  pesco,  soltanto  il  susino  avendo  minori  esigenze  di  questo,  si  po- 
tranno ridurre  le  dosi  di  concimazione. 

Si  ricordi  però  la  massima  che  nella  coltura  di  questa  pianta  il 
punto  essenziale  a  cui  si  deve  mirare  è  l' ottenere  grossi  frutti  ;  ciò 
non  si  ha  che  con  piante  giovani,  trovantisi  in  terreno  adatto  e  ben 
concimato. 

16.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  Le  susine  annunziano  la 
loro  maturazione  con  un  profumo  speciale  che  emanano  ;  sono  mature 
quando, scuotendo  leggermente  l'albero,  qualche  frutto  comincia  a  cadere. 

Le  susine  destinate  alla  spedizione  e  destinate  per  le  tavole,  devono 
essere  raccolte  a  mano,  lasciando  intatta  più  che  si  può  la  pruina,  tor- 
cendo leggermente  il  peduncolo  e  non  rompendolo.  Si  separano  subito 
le  susine  buone  dalle  alterate  e  si  trasportano  dalla  campagna  entro 
panieri  imbottiti. 

La  raccolta  anche  per  una  stessa  varietà  si  fa  in  ordine  diverso,  a 
seconda  del  modo  con  cui  si  intendono  utilizzare  le  susine. 

Prima  si  raccolgono  le  susine  che  si  intendono  conservare  nel- 
l'acquavite o  nello  spirito;  poi  vengono  quelle  da  conservarsi  col  si- 
stema Appert;  poi  quelle  da  candirsi,  poi  quelle  da  confetture,  poi 
quelle  per  fare  marmellate  e  paste  diverse,  ultime  quelle  per  l'essicca- 
zione o  per  la  fabbricazione  dell'acquavite.  La  raccolta  delle  susine 
da  conservarsi  fresche  si  fa  a  metà  circa  di  tutto  questo  periodo. 

E  preferibile  raccogliere  le  susine  al  momento  in  cui  si  possono 
poi  impiegare.  Bisogna  scegliere  giornate  asciutte  in  cui  gli  alberi 
non  siano  bagnati  da  pioggia  o  rugiada.  È  evidente  che  per  le  susine 
destinate  alla  distillazione,  alle  pasticcerie,  eccettera,  occorrono  meno 
riguardi  che  per  quelle  da  mensa,  tuttavia  bisogna  sempre  tener  conto 
della  durata  del  trasporto,  della  dimensione  dei  colli,  dello  stato  dei 
frutti  e  dei  patti  conchiusi  coll'acquirente. 

Evidentemente  le  susine  da  mensa  devono  arrivare  più  fresche  che 
è  possibile,  devono  conservare  la  loro  pruina  sulla  buccia,  il  peduncolo 
deve  essere  intatto.  Per  questo  si  deve  avere  la  maggior  cura  nella 
raccolta  e  nell'imballaggio. 

In  Francia  le  susine  da  mensa  si  mandano  entro  ceste,  il  cui  fondo 
e  le  cui  pareti  si  rivestono  di  paglia;  fra  questa  e  le  prugne  si  collo- 
cano delle  foglie  d'ortica,  colla  pagina  inferiore  contro  le  prugne.  Le 
foglie  d'ortica  hanno  fama  di  preservare  la  pruina  delle  susine.  Si  spe- 
discono di  solito  entro  ceste  di  vimini  col  rispettivo  coperchio  con- 
cavo, delia  capacità  di  10  o  al  massimo  di  20  kg. 

Le  susine  nel  fruttaio  non  si  possono  conservare  oltre  5  giorni. 


—  753  — 

17.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  Il  valore  nutritivo  delle 
prugne,  secondo  R.  Fresenius,  sarebbe  poco  più  della  metà  di  quello 
delle  ciliegie  e  delle  albicocche;  210  parti  di  prugne,  come  alimento 
plastico,  equivarrebbero  ad  una  parte  di  albumina  anidra. 

La  composizione  è  indicata  nella  Tab.  LX. 

18.  Utilizzazione  dei  prodotti.  —  La  susina  è  il  frutto  che  trova 
il  maggior  impiego  nella  economia  domestica.  Se  qualche  varietà  non 
piace  al  gusto,  può  servire  per  confezionare  conserve,  per  fare  acqua- 
vile  ecc.  Difatti  le  susine  fresche  forniscono  le  nostre  tavole  di  un 
frutto  eccellente,  vengono  anche  disseccate,  si  fanno  marmellate,  torte, 
composte,  altre  vivande  squisite;  i  confettieri  le  preparano  nei  siroppi 
e  liquori,  o  ne  fanno  paste  e  confetture  per  usi  da  tavola.  In  alcuni 
paesi  della  Croazia,  nei  Balcani,  nella  Selva  nera,  si  fabbrica  un  liquore 
(Slivovitz  o  Zwetschen-Wasser) ;  l'industria  principale  è  però  sempre  la 
preparazione  delle  prugne  secche  tanto  per  uso  da  tavola  quanto  per 
medicinale.  1  paesi  più  rinomati  per  le  prugne  secche  sono  la  Bosnia, 
la  Boemia  e  l'Alsazia. 

La  polpa  delle  susine  è  zuccherina,  profumata,  gode  di  proprietà 
rinfrescanti,  dolcilìcanti  e  leggermente  lassative,  perciò  si  adoperano 
in  medicina.  Mangiate  acerbe  possono  cagionare  dissenterie. 

11  legno  dell'albero  è  poco  utilizzabile  per  essere  lavorato,  perchè 
screpola  e  si  contorce.  Vale  anche  poco  come  combustibile. 

19.  Dati  economici.  —  Il  susino  allevato  a  pieno  vento,  arriva,  come 
ho  detto,  in  media  all'età  di  33  anni  e  comincia  a  produrre  nel  sesto  anno. 

Nel  periodo  di  produzione: 

a)  (dal  sesto  al  dodicesimo  anno)  produce  in  media  ogni  anno  14  kg. 

che  per  7  anni  = Kg.    98 

bj  (dal    tredicesimo   al    ventiseiesimo   anno)  produce   in   media  ogni 

anno  28  kg.  e  per  14  anni  =      .        .        . „    392 

e)  (dal    ventisettesimo    al    trentatreesimo    anno)    produce   in    media 

ogni  anno  14  kg.  e  per  7  anni  = „ 98 

Produzione  totale  nella  vita  kg.  588 

Circa  600  kg.  di  prugne  a  L.  6  rappresentano  un'importo  di  L.  36, 
vi  si  aggiunga  il  valore  dell'albero  (L.  1.20)  e  si  ha  un'entrata  lorda 
per  albero  di  L.  37.20.  Le  spese  sono  le  seguenti: 

1.  Valore  della  pianta  all'  impianto L.  0.60 

2.  Spesa  per  l'impianto „  0.20 

3.  Spesa  per  palatura „  0.15 

4.  Spesa  per  sorveglianza  e  governo  nei  33  anni  di  vita  in  ragione  di 

L.  0.08  per  anno ,.    2.G1 

5.  Raccolta  delle  frutta  in  ragione  di  L.  1.50  per  quintale  (Q.  (i;      .        .  ,    9.— 
0.  Interesse  del  capitale  d'impianto  e  d'esercizio,  composto  come  segue: 

a)  Spese  (sub.  1,  2,  3l  equivalenti  a  L.  0.95  al  5%  e  per  anni  15       .        .  „    0.71 

b)  Interesse  del  capitale  speso  per  la  sorveglianza,   nonché  la  perdita 

di  rendita  che  si  verifica  nel  terreno  circostante  all'albero „    0.42 

Totale  Spese         L.  13.72 
Riassunto 

Rendita  lorda L.  37.20 

Spese ,   13.72 

Restano          ....  L.  23.48 

Rischio  per  imprevedute  5%     .        .        .  .     1.17 

Rendita  neUa      .       .       .  L.  22.31 
48  —  Tamaro  -  Frutticollura. 


754 


e 

co 

ojaqo 

SS 

SS 

sss 

-onz 

^S3 

^  s 

5SS 

ìi 

2"' 

J 

ig  g 

s  ^ 

SS52 

V 

o  o 

d  © 

d  d  d 

'/: 

f 

3 

/ 

§s 

3:5^ 

S3§ 

;5 

aiana-j 

o  o 

d  d 

d  d  1-; 

V 

ss? 

Iss 

J3 

isopad 

O    r^ 

a 

7A?Ì 

e 

d ,-; 

1   soDng 

5?S 

|S| 

o 

1 

OIDIO 

SSJ 

Sg?J 

^^S 

-oox 

m  evi  o 

3 

d  d 

o  d 

o  o  o 

Z 

aqoijoad 

SS  Ji 

ss 

^ps 

a 

•UBisos 

^ 

A 

ipiouini 

re    OS 

??? 

i§??S 

,3 

d  d 

d  d 

d  d  d 

•UEISOS 

ojaqn 

S^^?? 

^gS 

oppv 

o  o 

I-C    r- 

A 

1 

ojaqo 

SR 

§S 

^^S 

-onz 

r 

nbov 

gs^ 

t2s; 

o6  i6 

■a      4) 

s  • 

.:  ■  2  • 

V 

S     • 

2J  -^.2 

bC 

s  .  n 

11 

^  .  o  ° 

o  n  -a  _9J 

.2    ■ 

•a   a 

1  .2    £    - 

« 

S  V 

«"-=5 

"H-S 

i3  S 

«      «  .t: 

O  Q 

n  K 

U       US 

o 

ligi 

o 

c-i  d  co  ci 

o 

M    TI    M    ;0 

ò 

ò 

SS2I 

o 

bC 

IO  03  -s-  co 

o 
3 

dSli 

o 

o  co  o  r- 

o 

Si 

jq  g  g  S 
SS  SS 

sa 

g5o^^ 

Ila 

grezza 

acido 
carbo- 
nico 

IIP 

Ne 
cenere 

impu- 
rità e 
car- 
bone 

pp 

2« 

U   60 

«M    (M    co    O 

3 
-< 

z: 

£    •    ■    ■ 

.s  ■  ■  • 

0,  Da  cu  ;<: 

—  755  — 

Un  prugno  in  33  anni  di  vita  dà  una  rendita  totale  di  L.  22.31  ossia 
una  rendita  annua  media  di  (L.  22.31:  33)  L.  0.67  che  rappresenta  l'inte- 
resse di  L.  16.75  al  4  Vo- 

Nei  fruiteti,  questa  rendita  può  aumentare  dal  25  al  100  "/o,  mentre 
anche  può  diminuire,  in  condizioni  sfavorevoli  dal  25  al  75"/„. 

20.  Malattie  e  cause  nemiche.  —  (Vedi  pagina  500  e  seguenti). 


OLIVO 

(Per  la   produzione   delle   olive   da   mensa). 
(Olea  europaea  L.  —  Fara.  Oleacee) 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta:  Frane.  Olivier  —  Ted.  Oliven- 
baum  —  Ingl.  Oliven-tree. 

1.  Origine.  —  Sembra  originario  dell'Asia  minore  da  dove  venne 
poi  portato  in  Grecia,  Sicilia  e  Sardegna.  È  una  delle  piante  più  anti- 
camente coltivate  in  Italia. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  L'olivo  comprende  due  sotto- 
specie-, l'olivo  selvatico  od  olivastro  e  l'olivo  domestico.  Quest'ultimo 
è  quello  coltivato  pei  suoi  frutti,  ha  statura  più  alta  e  ramoscelli  più 
flessibili  dell'olivo  selvatico.  Sprovvisto  di  spine,  ha  foglie  più  lunghe 
e  larghe;  frutti  più  grossi,  più  polputi  e  cresce  più  presto.  L'infiore- 
scenza è  a  grappolini,  avente  da  15  a  30  fiori  muniti  di  peduncoli  de- 
licatissimi e  di  corolla  bianco  giallognola,  ermafroditi.  Avvenuta  la 
fecondazione  la  corolla  cade  e  non  rimangono  più  di  4  o  5  olive. 

Le  foglie  crescono  a  due  a  due  sui  ramoscelli,  cosi  anche  i  ramo- 
scelli che  sono  opposti  uno  all'altro. 

3.  Caratteri  generali  delle  olive  da  mensa.  —  Le  olive  da  mensa 
generalmente  sono  voluminose,  ricche  di  polpa  e  con  piccolo  nocciolo. 
Sono  relativamente  poco  ricche  di  olio,  perciò  la  polpa  ha  un  gusto 
delicato,  poco  marcato  di  olio. 

Le  piante  che  le  producono  sono'  per  lo  più  di  grandi  dimensioni, 
con  rami  flessibili.  Le  foglie  sono  di  un  bel  colore  verde  chiaro  o 
cenerognolo. 

In  quasi  tutte  le  regioni  dove  si  coltiva  l'olivo,  si  trovano  delle 
varietà  da  mensa  :  per  queste  vengono  destinate  le  migliori  esposizioni, 
riparate  dai  venti,  con  terreno  fertile,  a  clima  costantemente  mite. 

Citerò  le  varietà  principali  italiane  e  qualcuna  delle  Spagnuole  e 
Francesi. 

Il  prof.  Antonio  Succi,  in  una  sua  pubblicazione  intitolata:  Contributo  allo  studio 
degli  olivi  neli  Umbria.  {aHa  nel  giornale  Le  stazioni  esperiiuentali  Agrarie  Italiane,  volume 
XXXIX  fase.  Vili,  cita  le  seguenti  varietà  da  concia  in  uso  nell'Umbria  stessa: 

1.  Corniolo  o  Roggio  da  concia.  —  Questo  olivo  non  è  molto  esigente  per  clima 
ed  esposizione,  non  essendo  mollo  danneggiato  dalle  brine  eccezionali.  Ha  pure  limitate 
esigenze  iu  qualità  di  terreno,  si  avvantaggia  però  dei  concimi  piuttosto  abbondanti, 
specialmente  se  non  sono  di  troppo  rapido  effetto. 


—  756  — 

l.a  vegetazione  è.  rigogliosa,  a  fogliame  ricco.  Sopporta  male  i  tagli,  ma  non  viene 
attaccato  dalla  rogna. 

Le  fasi  vegetative  si  succedono  alquanto  precocemente,  l'alligameuto  dei  fiori  è  un 
poco  difficile  sicché  la  ])rodu/,ione  riesce  incerta  e  quasi  sempre  povera. 

L'oliva  si  raccoglie  ancora  verde  per  essere  addolcita  e  conservata  in  salamoia. 

La  coltura  di  <iuesto  olivo  è  assai  limitata  nella  località,  dato  l'uso  assai  specioso 
al  quale  si  presta,  quasi  esclusivamente,  il  frutto. 

Per  molti  caratteri  questa  varietà  ricorda  (niella  Da  curare  e  Franloia  del  Laurenzi. 

Kaiììificazioni:  Rami  dell'impalcatura,  grossi,  sostenuti,  dritti  a  corteccia  liscia;  rami 
delle  palraette  abbondanti,  allargati,  non  molto  sostenuti;  rametti  di  un  anno  meno 
abbondanti,  piuttosto  arrotondati  di  media  grossezza,  di  colore  bruniccio,  ad  internodi 
medi,  nodi  j)iuttosto  ingrossati,  gemme  ascellari  piccole. 

Foglie:  Medie  o  grandi  non  molto  larghe,  spesso  con  leggiera  incurvatura  a  doccia, 
ad  angolo  ascellare  medio.  La  pagina  superiore  è  di  colore  verde  normale  lucente,  la 
inferiore  bianco  verdetto. 

l'iori  e  piante:  Migne  medie  o  grosse  bianchiccie;  grappoli  di  media  lunghezza 
aventi  per  lo  più  un  solo  acino  persistente  sul  peduncolo. 

Frutti  gibbosi,  leggermente  ovali  e  pontuti,  buccia  resistente,  polpa  abbondante, 
poco  carnosa,  poco  succosa.  Nocciolo  allungato  molto  appuntito,  acuto  liscio,  di  media 
grossezza  relativa. 

Dimensioni  uìedie  : 

Frutti:   Lunghi   cm.  2.4,     larghi   cm.  1,4,     vot.  cmc.  2,1. 
Noccioli:      „  „    1,70  ,  ,     0.7.5        „         „      0,43. 

Rapporto  della  polpa  al  volume  totale:  0,80  a  1. 

2.  Olivo  da  concia.  —  L'olivo  da  concia  si  adatta  nìediocremente  ai  climi  ed 
esiiosizioni  poco  buoni;  resiste  abbastanza  bene  alle  brinate  forti.  Vuole  buone  terre 
fertili  ed  ama  le  ricche  concimazioni.  Sopporta  abbastanza  bene  i  tagli  e  non  viene  molto 
facilmente  attaccato  dalla  rogna. 

La  vegetazione  è  rigogliosa,  a  fogliame  piuttosto  ricco. 

11  germogliamento,  come  le  altre  fasi  vegetative,  si  succedono  alquanto  precoce- 
mente. L'allignaniento  dei  fiori  succede  abbastanza  facilmente  e  la  fruttificazione  è  rada, 
ma  quasi  sempre  sicura. 

L'olivo  per  addolcire,  si  utilizza  raccogliendo  quando  ancora  non  è  avanzato  il 
colorimeulo  in  bruno. 

La  coltivazione  di  quest'olivo  è  assai  rara  e  limitata:  è  alquanto  più  nota  la  sot- 
tovarietà ad  acino  alquanto  più  piccolo. 

Questa  varietà  sembra  corrispondere  a  quella  indicata  col  nome  di  dolce  dal  Laurenzi. 

Ramificazioni:  1  rami  dell'impalcatura  sono  grossi,  un  pò"  allargati,  ma  sostenuti, 
a  corteccia  liscia;  i  rami  delle  palmette  sono  abbondanti,  lunghi,  non  molto  sostenuti, 
cosi  pure  sono  i  rametti  di  un  anno;  questi  hanno  colore  bianco  verdastro,  internodi 
medi  o  lunghi,  quadrangolari,  a  nodi  poco  pronunziati  e  gemme  ascellari  di  medio 
sviluppo. 

Foglie  grandi,  allungate,  spianate  od  assai  leggermente  incurvate  a  doccia  rovescia  ; 
l'estremità  è  un  poco  arrotondata.  La  pagina  superiore  è  di  color  verde  puro,  la  infe- 
riore bianco  verdetto. 

/•7or/  e  frutti:  Migne  grosse,  biancastre,  in  grappoli  di  media  lunghezza  o  lunghi, 
(piasi  sempre  con  un  sol  acino  persistente. 

Fruiti  eccezionalmente  grossi,  a  forma  ovale  regolare,  buccia  resistente,  polpa 
abbondante,  carnosa,  poco  succosa.  Noccioli  elissoidi,  allungati,  puntati,  relativamente 
piccoli,  lisci.  Dimensioni  medie. 

Frutti  :  Lunghi   cm.   ,3,1,     larghi   cm.  2,5,     voi.  cmc.   8,4. 
Noccioli:      ,  „     2,3,  „  „     1,0.5,      „        „       0,7. 

Rapporto  della  polpa  al  volume  totale  0,91  a  1. 

Oltre  a  questo  olivo,  se  ne  ha  un  altro  pure  da  concia,  da  ritenersi  sottovarietà  di 
esso  e  che  sopralutto  si  distingue  per  avere  i  frutti  alquanto  più  piccoli. 


-  Ihl  — 

I  frutti  di  quest'oliva  da  concia  mezzana  hanno  le  seguenti  dimensioni  medie: 

Frulli:  Lunghi  cni.  2,35,     larghi  cni.   1,07,    voi.  cnic.  2,6. 

Noccioli:        ,        „      1,7  ,  ,      0,9,         „         „      0,6. 

Rapporto  della  polpa  al  volume  totale  0,78  a  1. 

3.  Corniolo  dolce  o  Corniolo  da  curare.  —  11  Corniolo  dolce  vuole  clima  mite  e  buona 
esposizione  resistendo  male  alle  brine  eccezionali:   ama  terre  buone   e   ben  concimate. 

La  vegetazione  è  rigogliosa,  ma  non  molto  ricco  il  fogliame.  Resiste  abbastanza 
bene  ai  forti  tagli  :  va  molto  soggetto  agli  attacchi  della  rogna. 

II  germogliamento,  la  mignolatura,  la  fioritura  e  la  maturanza  si  riscontrano  in 
epoca  inedia.  L'alligamento  dei  fiori  non  riesce  troppo  facile  e  quindi  incerta  e  poco 
abbondante  risulta  la  produzione. 

L'uliva  che  produce  serve  principalmente  per  essere  conservata  in  salamoia.  Il 
reddito  al  frantoio  è  scarso  e  l'olio  riesce  morchioso. 

Ricorda  il  Corniolo  o  Raggio  da  concia  di  Perugia. 

lUiniiflcazioni:  l  rami  dell'impalcatura  non  sono  molto  grossi;  sono  sostenuti,  diritti, 
lisci  :  i  rami  delle  palmette  non  sono  molto  abbondanti  e  sono  eretti  ;  i  rametti  di  un 
anno  sono  poco  numerosi,  quadrangolari  ad  internodi  medi  o  corti,  nodi  poco  ingros- 
sali, gemme  ascellari  normali. 

Foglie:  Medie,  allungate,  strette,  ad  estremità  alquanto  acuta  mucronata,  ad  angolo 
ascellare  poco  aperto. 

La  pagina  superiore  è  di  colore  verde  normale,  l'inferiore  bianca  lavata  leggermente 
in  verdetto. 

Fiori  e  fruiti  :  Migne  medie  o  grosse,  di  colore  biancastro  verdognolo,  grappoli  brevi 
o  medi  per  Io  più  con  un  sol  frutto  persistente. 

Frutti  grossi  ovoidali  arrotondati,  buccia  piuttosto  resistente,  polpa  abbondante, 
carnosa  a  poco  succo  acquoso. 

Noccioli  quasi  regolari  ovoidi. 

Dimensioni  medie  : 

Frutti:  Lunghi   cm.  2,5     larghi   cm.    1,6,     voi.  cmc.  2,3. 
Noccioli:      „  „      2  „  „     0,75        „        „     0,5. 

Rapporto  della  polpa  al  volume  totale  0,78  a  1. 

4.  Grasso  o  da  Guazzo.  —  L'ulivo  grasso  o  da  Guazzo  prospera  nel  clima  del 
lago  Trasimeno  in  tutte  le  esposizioni. 

Ha  vegetazione  alquanto  stentata,  in  ramatura  gracile,  fogliame  di  media  ricchezza. 
È  pressoché  immune  da  rogna. 

Il  germogliamento,  la  mignolatura,  la  fioritura  e  la  maturanza  del  frutto  sono  pre- 
coci. L'alligamento  dei  fiori  è  abbastanza  sicuro  ma  la  produzione  riesce  scarsa  a  causa 
del  limitato  numero  di  grappoli  che  porta. 

L'oliva  al  frantoio  dà  poco  olio  morchioso,  si  usa  sopratutto  per  conservare  in 
salamoia  (i  Toscani  dicono  in  guazzo). 

L'ulivo  grasso  ha  poca  o  niuna  importanza  nella  località  :  per  alcuni  caratteri 
sembra  avvicinarsi  al  Puntarolo  descritto  del  prof.  Caruso  fra  gli  olivastri. 

Ramificazioni:  I  rami  dell'impalcatura  non  sono  molto  grossi,  i  rami  delle  palmette 
sono  molto  lunghi,  poco  sostenuti;  i  rametti  di  un  anno  presentansi  relativamente  grossi, 
quadrangolari  o  rotondi,  con  intermedi  medi  o  lunghi,  modi  spianati,  gemme   piccole. 

Foglie:  Grandi,  larghe,  spianate,  puntute,  mucronate,  con  angolo  ascellare  strette, 
picciolo  alquanto  allungato.  La  pagina  superiore  è  di  colore  verde  scuro. 

Fiori  e  frutti:  I  grappoli  sono  brevi  o  medi,  rari,  con  uno  o,  più  di  rado,  con  due 
frutti  persistenti  fino  alla  maturanza. 

Frutti  grossi,  elissoidi  arrotondati,  lievemente  puntuti,  buccia  poco  resistente,  polpa 
consistente,  poco  succosa,  acquosa. 

Noccioli  di  forma  un  poco  tozza,  leggermente  gibbosi,  a  superficie  rugosa. 

Dimensioni  medie  : 

Frutti:  Lunghi   cm.  2,3,     larghi   cm,  1,5,     voi.  cmc.   2,4. 
Noccioli:      „  .     1,8,  „  .    0,8,        ,         „      0.5. 

Rapporto  della  polpa  al  volume  totale  0,79  a  1. 


-  758  - 

f).  Boce  o  Voce  o  Corniolo  od  Olivo  da  pasto  -  Questo  ulivo  resiste  abbastanza 
tiene  anclie  nei  climi  rigidi  e  nelle  esposizioni  meno  favorite;  è  poco  sensibile  alle 
brinate  straordinarie.  Si  adatta  anche  nelle  terre  poco  buone  ma  si  avvantaggia  util- 
mente dei  concimi. 

La  vegetazione  è  assai  rigogliosa,  il  fogliame  ricco  a  disposizione  aperta.  Sopporta 
male  i  forti  tagli,  ma  non  viene  facilmente  attaccato  dalla  rogna. 

Sono  precoci  tutte  le  fasi  vegetative;  difficile  e  incerto  è  l'allignamento  dei  fiori, 
per  cui  scarso  ed  incerto  è  il  prodotto. 

L'uliva  si  utilizza  sopratutto  conservandola  in  salanìoia. 

Ricorda  per  molti  caratteri  il  Corniolo  o  Raggio  da  concia  di  Perugia. 

Ramificazioni:  I  rami  dell'impalcatura  sono  grossi,  divaricati,  dritti,  a  corteccia 
liscia:  i  rami  delle  jialmette  sono  abbondanti,  sostenuti:  i  rametti  di  un  anno  sono 
(juadrangolari,  di  color  normale,  ad  internodi  medi,  nodi  poco  ingrossati,  gemme  normali. 

Foglie  medie,  piuttosto  allungate  ed  acute,  mucronate.  Lembo  spianato  o  legger- 
mente incurvato,  a  doccia  sulla  pagina  inferiore  :  buccia  resistente,  polpa  abbondante, 
non  molto  succosa,  acquosa. 

Noccioli  allungati,  puntuti,  gibbosi,  rugosi. 

Frutti:  Lunghi  cm.  2,45,    larghi  cm.  1,60,    voi.    cmc.  2,2. 
Noccioli:      ,  ,    1,85,         „  „    0,8,         „  „      0'6. 

Rapporto  della  polpa  al  volume  totale  0,77  a  1. 

C.  Oliva  spagnuola  o  di  Spagna.  —  F'rutto  grossissimo,  quasi  rotondo,  un  po'  bislungo, 
ottuso.  Pare  essere  la  Orcliis  di  Columella  e  la  Olea  fonetu  maxima  di  Garidel  e  Tournefort. 

Nelle  Puglie  abbiamo  di  questa  due  sotto  varietà  : 

Santagostino  di  Bari,  lunga  31  mm.  e  larga  23  nim.  liscia  con  peduncolo  corto.  Sotto 
questo  nome  si  coltiva  anche  a  Piedimonte  ed  a  Cerreto. 

Uliva  grossa  sanginesca  de'  Pencezii  (Bari). 

Sempre  al  gruppo  delle  Olive  di  Spagna  appartengono  gli  Olivoni  dei  territori  di 
Francavilla,  Cerchiara  etc.  e  le  Oliue  di  Ascoli,  dove  si  è  creata  una  industria  di  primo 
ordine  per  la  preparazione  delle  olive  in  salamoja.  • 

Indubbiamente,  per  chi  volesse  estendere  la  coltivazione  dell'olivo  per  produrre 
delle  olive  da  mensa,  è  preferibile  a  tutte  l'oliva  di  Spagna. 

7.  Oliva  d'Andria.  —  Frutto  massimo,  bislungo,  più  largo  verso  l'apice,  lungo  42 
mni.  largo  24  cm.  Nocciolo  lungo  32  mm  largo  10  mm.,  un  po'  curvo,  profondamente 
solcalo. 

8.  Oliva  di  Cerato.  —  È  delle  più  diffuse  e  grosse,  di  Cerato  e  Ruvo.  È  buonis- 
sima per  mangiare. 

Nelle  Calabrie  si  coltivano  le  seguenti  varietà. 
'J.  Muso  di  corvo,  lung.  26  mm.  largh.  20  ram. 

10.  Rotondello,  lung.  24  mm.  larg.  20. 

11.  Tubercolosa,  lungh.  .30  mm.  largh.  22. 

l'i.  Cumigana  che  si  coltiva  altresì  sul  versante  Tirrenico.  Di  questa  si  hanno  i 
seguenti  dati  : 

dimensioni  mm.  28X21 

peso  della  drupa  gr.  4.5-8 

„  „      sola  polpa    „       4-7 

„  „         „  nocciolo  „       0.75 

Rapporto  "/„  della  polpa  col  nocciolo  84  a  16. 

13.  Olivone  coltivato  oltre  che  a  Cosenza,  anche  nei  territori  di  Francavilla,  Cer- 
chiara, ecc.  Di  questa  varietà  si  hanno  i  seguenti  dati  : 

dimensioni  mm.  31X21 

peso  della  drupa  gr.    8 

sola  polpa        „  6.7 

„     nocciolo    „  1.3 

Rapporto  %  fra  la  polpa  ed  il  nocciolo  8  2.5-17.5. 
Nella  Basilicata. 


-  75i»  - 

14.  Uliva  dolce  di  Roccanuova.  —  Frutto  con  polpa  dolcissima,  con  >m  piccolo 
senso  di  amaro,  gustosissima.  È  di  forma  ovoidale,  lunga  ram.  21  e  larga  mm.  L'i  :  con 
nocciolo  costato,  tondo,  alquanto  ristretto  alla  base. 

Nel  Napoletano  : 

1.').  Uliva  la  rustica  (rostica  a  Sorrento).  —  È  tonda,  mezzana,  nera,  con  punteggia- 
ture bianche;  l'albero  ha  rami  pendenti. 

16.  Uliva  la  vajana,  che  ha  la  forma  e  la  grandezza  di  una  ghianda. 
In  Sicilia  ; 

17.  Oliva  neba.  —  Sinonimi:  Oliva  di  Mazzara,  Marmorigna  di  Catagna,  Uliva 
bariddara  di  salarisi,  Scarmazzata.  Secondo  il  Caruso  corrisponde  alla  oliva  Cellina  dei 


Fig.  580. 


Oli 


di  Ascoli 


Leccesi.  11  frutto  è  più  largo   alla  base,  assai  polputo.  Nocciolo  piccolo  :   maturazione 
anticipata. 

18.  Oliva  giarraffa.  —  Le  olive  sono  bislunghe,  più  ristrette  verso  la  base,  acumi- 
nate da  ambo  gli  estremi.  Sono  le  olive  più  grosse  della  Sicilia  e  raggiungono  la  gros- 
sezza delle  susine.  È  la  varietà  Picena  di  Plinio,  l'oZea  maxima  hispanica  di  Bacchino 
ed  è  simile  alla  L7ji;a  di  Andria. 

Sottovarietà  della  giarraffa  sembra  siano  la  giarra/fella  di  Castelbuono,  la  ceresola, 
la  prunara,  la  caloria  o  reale  di  Messina  e  Catania,  il  Corregiolo  di  Toscana. 

19.  Oliva  becco  o  pizzo  di  corvo.  —  Con  rami  pendenti  e  foglie  lunghissime.  Il 
frutto  è  mezzano,  arcuato,  di  color  nero.  È  la  Cornajola  di  Terra  di  Lavoro  o  Corniola 
di  altri  luoghi.  Oliua  storta  in  Istria. 


—  7«iO  - 

20.  Oliva  patornese.  -  Kassoiiiiglia  all'o/ea  racemosa  di  Gonan.  Il  frutto  è  rotondo, 
ovale,  di  color  nero  sparso  di  punti  bianchi. 

Le  varietà  francesi  che  servono  per  uso  commestibile  sono  Liicqiies,  Picholine 
Ventale  e  Anienhio.  Quelle  spagnuole  Madritena.  Siuigtiana,  Picudo  e  Manganitto. 

Delle  varietà  indicate  più  sopra  presento  in  un  quadro  i  dati  princi- 
pali che  si    conoscono,    perchè    il   lettore    possa  regolarsi  sulla  scelta. 


Tab.  LXI.           Prospetto  delle  principali  olive  da  mensa. 

Diametri 

Peso 

Rapporto 

della  drupa 

centesimale 

NOME 

deir  inte- 

della 

del  solo 

fra  la  polpa 

mm. 

ra   drupa 
gr. 

sola 
polpa 

nocciolo 

ed  il  nocciolo 

A.  Olive  italiane 

1.    Corniolo     o     Roggio    da 

concia  (Umbria!    .    .    . 

24-14 

80:20 

2.    Olivo  da  concia 

31-25 

91:9 

3.    Corniolo  dolce 

25-16 

78:22 

4.    Grossa      o      da      Guazzo 

(Umbria) 

23-15 

79:11 

5.    Boce     0     Voce    (Umbria) 

(Corniolo    od    olivo    da 

pasto) 

24.5-16 

77:23 

6.    Grossa  di  Spagna  (Ascoli 

e  Puglie)  (fìg.  580)   .    .    . 

34-23 

84:16 

7.    Oliva    d'Andria     (Puglie) 

42-24 

8.    Muso  di  corvo   (Calabria) 

26-20 

9.    Rolondello.     .    . 

24-20 

10.  Tubercolosa  .    . 

30-22 

11.  Cumigana  ... 

28-21 

4.5-8 

4-7 

0.75    , 

84:16 

12.  Olivone  .... 

31-21 

8 

6.7 

1.3 

92.5 :  17.5 

13.  Oliva  di  Corate. 

14.  Dolce      di       Roccanuova 

. 

(Basilicata) 

15.  Rustica  (Napoli)    .... 

16.  La  Vajana    „ 

17.  Nera  (Sicilia) 

18.  Giarraffa 

19.  Becco    o    Pizzo   di   Corvo 

(Sicilia) 

20.  Patornese 

R.  Oliue  francesi 

21.  Lucques 

31-9 

78:22 

22.  Picholine 

25-75 

88:12 

23.  Verdale 

24-10 

86:  It 

24.  Amenlaon 

34-12 

72.2 :  27.80 

C.  Olive  spagnuole 

25.  Madrilena 

35-28 

12 

11 

1 

91.66:8.34 

26.  Savigliana 

28-20 

6 

5 

1 

83.34  :  16.66 

27.  Piendo 

30-18 

5.2 

4.2 

1 

80.77  :  19.'i3 

28.  Manganino 

23-25 

8 

7 

1 

87.50  :  12.50 

-  761    - 

5.  Importanza  della  coltivazione,  —  In  Italia  dove  la  coltivazione 
dell'olivo  ha  una  slraoidinaria  importanza,  si  dovrebbe  dare  una  mag- 
giore estensione  alla  coltura  per  le  olive  da  mensa  poiché  anche  colle 
nostre  varietà,  potremo  con  facilità  competere  a  quanto  si  produce  e 
si  commercia  per  l'estero  in  Grecia,  Spagna,  Portogallo   e  Francia. 

Da  noi  la  regione  nella  quale  l'oliva  da  mensa  è  oggetto  di  una 
importante  esportazione  è  l'Ascolano  seguono  Messina,  Palermo,  Cata- 
nia, Reggio  Calabria,  Bari,  Benevento,  Caserta,  Cosenza. 

6.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Come  pei  comuni  oliveti. 

7.  Clima  ed  esposizione.  —  Richiede  clima  temperato  e  costante; 
viene  molto  danneggiato  dagli  sbalzi  di  temperatura.  Predilige  la  vici- 
nanza dei  laghi  e  del  mare  perchè  questi  bacini  acquei  rendono  la 
temperatura  più  costante. 

Soffrendo  per  gli  sbalzi  di  temperatura,  rifugge  i  terreni  esposti  a 
levante;  migliore  è  l'esposizione  a  ponente  e  migliore  ancora  quella  a 
mezzogiorno. 

Rispetto  all'altitudine,  in  Sicilia  raggiunge  la  massima  altezza  di 
1000  metri  ;  da  noi  non  va  oltre  i  250  metri. 

Infine  l'olivo  ama  il  colle  purché  riparato  dai  venti. 

8.  Terreno.  —  Richiede  un  terreno  calcare-argilloso,  soffice,  permea- 
bile e  fresco  ma  non  umido.  Se  è  umido  la  pianta  dà  pochi  frutti  e 
molta  foglia,  sviluppando  rami  vigorosi. 

9.  Moltiplicazione.  —  La  moltiplicazione  si  può  fare  per  semi,  ovoli, 
talee,  polloni,  olivastri  e  per  innesto. 

Nel  semenzaio  le  piantine  si  lasciano  per  due  anni  per  poi  tra- 
piantarle nella  piantonaia  dove  si  innestano  dopo  tre  anni. 

Le  piante  che  si  ottengono  per  ovoli,  avendo  radici  superficiali 
soffrono  più  per  la  siccità;  sono  poi  meno  rustiche  e  meno  longeve. 
Gli  stessi  inconvenienti  si  hanno  moltiplicando  l'olivo  per  talea  e 
polloni. 

La  moltiplicazione  per  olivastri  é  la  preferibile  dopo  quella  per  seme. 

Ricorrendo  alla  moltiplicazione  per  seme  o  per  olivastro  é  indispensa- 
bile l'innesto,  così  pure  quando  la  moltiplicazione  é  avvenuta  per  ovoli 
e  polloni  derivati  da  piante  innestate  alte.  Si  applica  per  l'olivo  l'in- 
nesto a  gemma  vegetante,  in  aprile-maggio,  quello  a  spacco  in  marzo- 
aprile  e  quello  a  corona  in  maggio-giugno. 

10.  Caratteri  vegetativi.  —  Se  l'olivo  proviene  da  seme  allora  la 
pianta  ha  un  grosso  fittone  che  si  allarga  all'intorno  per  uno  spazio 
quasi  tanto  largo  quanto  la  chioma  ;  se  invece  proviene  da  ovoli  o 
talee  o  polloni,  le  radici  sono  più  superficiali. 

Ordinariamente  l'olivo  domestico  ha  una  altezza  da  6  ad  8  metri 
ed  é  una  pianta  delle  più  longeve.  Si  trovano  non  di  l'ado  degli  oliveti 
di  2  e  3  secoli,  perché  le  piante  si  rimettono  naturalmente  a  mezzo 
degli  ovoli. 

Ogni  2  o  3  anni  si  rinnovano  le  foglie  ed  i  frutti  si  sviluppano 
generalmente  sui  ramoscelli  sviluppatisi  nell'anno   precedente  ;   mentre 


—  762  - 

il  Trullo  sta  malli  rancio,  i  germogli  del  frullo  successivo  già  sono  in 
via  di  sviluppo.  Da  ciò  il  danno  dell'abbacchialura. 

In  primavera,  ai  primi  calori,  l'olivo  si  rivesle  di  leneri  germogli 
che  sorgono  dalla  ascella  delle  foglie  e  dalle  cime  dei  ramoscelli.  Poco 
dopo  compariscono  le  infiorescenze  (dall'aprile  al  giugno)  e  dall'olto- 
bre  al  dicembre  comincia  la  malurazione.  Questa,  come  la  fioritura, 
non  avviene  simultaneamente;  gli  olivi  meglio  esposti,  i  rami  più  esterni 
sono  i  primi  a  portare  il  frutto  a  maturazione.  La  stessa  maturazione 
avviene  lentamente  e  dura  persino  5  mesi. 

L'olivo  comincia  a  vegetare  a  11"  C;  mignola,  ossia  si  formano  i 
grappolini,  a  15";  fiorisce  a  18";  fruttifica  a  21"  e  richiede  una  somma 
di  calore  complessiva  di  3800"  G. 


Quadro  indicante  l'epoca  nella  quale  avvengono  le  principali  fasi  di 
vegetazione  dell'olivo  in  alcune  regioni  d'Italia. 


Fogliazione 

Fioritura 

Maturazione 
del  frutto 

Caduta 
delle  foglie 

Regioni 

^ — "^^/^ 

-"- — -■ 

^ — •  III-  ■ — . 

^- — 

,- — ««^^  ^. 

--"^ — ~ 

y — '^— '■  .^ — ^ 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

I.    Veneto    .... 

Maggio 

II 

Maggio 

III 

Ottobre 

III 

_ 

_ 

II.  Marche     ed 

Umbria  .    .    . 

Aprile 

II 

, 

II 

Dicenib. 

I 

— 

— 

III.  Toscana     .    .    . 

„ 

I 

Giugno 

I 

Novemb. 

, 

Aprile 

I 

IV.  Meridionale 

Adriatica     .    . 

„ 

III 

Maggio 

III 

„ 

II 

— 

— 

V.    Merid.  Medi- 

terranea .    .    . 

Maggio 

„ 

, 

„ 

„ 

„ 

Novemb. 

I 

VI.  SiciUa    .... 

Aprile 

„ 

Aprile 

I 

Settemb. 

„ 

— 

VII.  Sardegna  .    .    . 

Marzo 

» 

» 

» 

Novemb. 

I 

Novemb. 

I 

11.  Coltivazione.  —  L'olivo  si  pianta  alla  distanza  da  12  a  16  metri 
a  seconda  dei  terreni  :  cioè  si  pianta  più  vicino  nei  terreni  poveri  e 
più  distante  nei  terreni  ricchi  e  profondi. 

Durante  i  primi  tre  anni,  dopo  la  piantagione,  si  mantenga  il  ter- 
reno soffice  e  mondo  da  malerbe;  alla  fine  del  terzo  anno  si  cominci 
il  taglio  di  formazione  della  pianta. 

La  forma  che  si  dà  all'olivo  è  quella  a  vaso  col  fusto  alto  da  metri 
0.70  a  metri  1.50. 

Nelle  colline  si  dà  alla  pianta  un  maggiore  sviluppo,  ma  nel  piano, 
per  utilizzare  anche  il  calore  del  terreno,  gli  olivi  si  tengono  più  bassi. 

Per  la  potatura  di  mantenimento  bisogna  ricordare  : 
a)  che  gli  olivi  non  potati  danno  dei  frutti  piccoli,  poco  carnosi, 
diffìcili  a  raccogliersi  ; 

h)  che  le  vermene,  se  lasciate,    crescono  a  detrimento    dei   rami 
fruttiferi  ed  impediscono  a  ({uesli  la  libera  azione  dell'aria  e  della  luce; 


-  763  - 

e)  che  è  indispensabile,  per  produrre  olive  da  mensa  grosse,  ben 
mitrile,  una  potatura  assidua  ed  accurata,  tendente  ad  avere  delle 
branche  diradate,  guernile  di  rametti  fruttiferi  fino  alla  base; 

d)  che  nell'olivo,  le  branche  verticali  portano  sempre  pochi  rami 
fruttiferi  fino  alla  base; 

e)  che  l'olivo  porta  frullo  solo  sui  rametti  di  un  anno  svilup- 
patisi nell'anno  precedente  e  che  questi  rametti,  dopo  la  fruUificazione 
diventano  sterili  ; 

f)  un  olivo  lascialo  a  se  slesso  senza  potatura,  dà  frullo  ab- 
bondante ogni  secondo  anno.  Ciò  è  dovuto  al  fatto  che  nell'anno  della 
fruttitìcazione  dovendo  nutrire  molli  frutti,  non  può  dare  contempo- 
raneamente dei  novelli  germogli.  Concludendo,  l'olivo  ha  bisogno  di 
un  anno  di  riposo  per  rifarsi  e  produrre  dei  rami  che  fruttificheranno 
nell'anno  successivo. 

Per  costringere  la  pianta  a  dare  frutto  ogni  anno  bisogna  applicare 
una  potatura  annuale. 
Questa  consiste  : 

a)  nel  tagliare  i  rami  di  due  anni  che  hanno  portato  frutto,  per 
far  sviluppare  dalla  loro  base  dei  nuovi  germogli,  che  daranno  frullo 
nell'anno  successivo  ; 

b)  nel  conservare  le  gettate  giovani  dell'annata  che  daranno  frutto 
nell'anno  in  corso. 

La  raccolta  naturalmente  è  meno  abbondante  colla  potatura  annuale, 
ma  i  frulli  diventano  più  grossi.  Questo  modo  di  tagliare  ha  anche  il 
vantaggio  di  mantenere  la  pianta  nei  giusti  limili  della  forma  evitando 
le  forti  amputazioni  di  rami,  che  sono  sempre  dannose  alla  pianta. 

La  potatura  annuale  ha  però  l'inconveniente  di  essere  alquanto 
dispendiosa  e  difficile  nella  sua  applicazione.  Si  richiede  da  parte  del 
potatore  la  conoscenza  esatta  del  modo  di  vegetare  di  ogni  singola 
varietà  sopra  la  quale  si  opera  e  di  saper  discernere  con  sicurezza  i 
rami  che  hanno  fruttificato  da  quelli  che  fruttificheranno. 

Ordinariamente  la  potatura  di  produzione  sopra  indicata  si  fa  ogni 
due  anni  e  cioè  subito  dopo  un  raccolto  abbondante. 

Contemporaneamente  si  fa  un  giudizioso  diradamento  della  fronda, 
si  svettano  le   vermene. 

Le  operazioni  di  potatura  si  fanno  dopo  raccolte  le  olive  (da  dicembre 
a  febbraio)  evitando  le  giornale  fredde  e  prima  che  le  piante  si  rimet- 
tano in  succo. 

Nella  slessa  epoca  si  fanno  anche  le  scalvature  delle  piante  che 
hanno  lo  scopo  di  ottenere  un  parziale  o  un  totale  ringiovanimento 
della  pianta. 

11  parziale  ringiovanimento  si  ha,  tagliando  qualche  ramo  grosso 
cresciuto  fuori  posto,  sopra  un  pollone  che  lo  può  sostituire. 

Il  ringiovanimento  totale  è  consigliabile  per  quegli  olivi  che  da 
anni  ed  anni  non  sono  stati  mai  potati  e  sui  quali  la  produzione  dei 
frutti  è  limitala  a  qualche  ramoscello  che  si  trova  sulla  cima  della  pianta. 


-  764  - 

Di  olivi  in  questo  stato  se  ne  trovano  una  quantità  sul  litorale 
Ligure;  per  utilizzarli  il  miglior  mezzo  è  quello  di  scalvarli  al  piede, 
levando  tutto  il  legno  vecchio,  e  lasciando  sviluppare  dal  ceppo  3  a  4 
virgulti  che  si  manterranno  bassi  in  modo  da  far  figurare  le  piante 
come  tante  ceppaje. 

Oltre  la  trascurata  potatura,  la  mancanza  di  una  adeguata  conci- 
mazione ha  influito  suU'intristimento  di  estesissimi  oliveti  in  Italia. 

II  Prof.  V.  Francolini  ha  scritto  sulla  "  Concimazione  chimica  dell'olivo,, 
(Piacenza  —  1911)  una  buona  monografìa  pratica  dalla  quale  riporlo  i 
seguenti  dati  : 

Da  un  ettaro  di  terreno  olivato,  si  può  calcolare  una  esportazione 
annua  di  Kg.  3150  di  olive  e  di  Kg.  1910  tra  rami  e  foglie.  La  quantità 
di  elementi  nutritivi  che  si  devono  quindi  restituire  annualmente  colla 
concimazione,  è  la  seguente  : 

Azoto Kg.  29.37 

Potassa „  16.48 

Anidride  fosforica    „  9.19 

Calce „  14 

Occorrerebbero  annualmente  Q.'^  60  di  stallatico  che  è  molto  dif- 
ficile a  provvedere  nei  terreni  olivati  dove  si  difetta  di  bestiame. 

Migliore  partito  è  il  ricorrere  al  sovescio  ogni  due  anni  di  piante 
leguminose  (fave,  veccia,  lupina,  ecc.)  Nelle  terre  sabbiose  e  secche, 
sono  da  preferirsi  i  lupini  ;  nelle  terre  argillose  le  fave  o  le  veccie 
che  si  seminano  coll'orzo  e  coll'avena  e  si  sovesciano  assieme  al  mo- 
mento della  fioritura  ;  nei  terreni  calcari,  il  fieno  greco  ;  nei  terreni 
aridi,  non  convengono  le  leguminose  con  radici  profonde  come  la 
lupinella  e  l'erba  medica.  Il  sovescio  deve  essere  naturalmente  sus- 
sidiato con  concimazioni  fosfo-potassiche  o  fosfo-calciche  a  seconda 
dei  terreni. 

Cosi  ad  esempio  nei  terreni  calcari  conviene  la  seguente  concima- 
zione sussidiaria  del  sovescio: 

Q."  3  di  perfosfato 
„   3   „    gesso 
„    2    „    cloruro  o  solfato  potassico 

Nei  terreni  non  calcari  : 

Q."  4  di  scorie  Thomas 
„    2   „    cloruro  o  solfato  potassico 

Quando  non  si  possa  fare  il  sovescio,  per  provvedere  l'olivo  di 
materia  organica,  si  sotterrano  intorno  alla  pianta  le  frasche  degli 
olivi  stessi,  le  ramaglie  ed  il  fogliame  di  bosco,  le  acque  d'inferno,  le 
morchie  (disacidificale  prima  con  della  calce),  i  panelli  di  olive,  a  cui 
si  aggiungono  i  suddetti  concimi  chimici. 


-  765  — 

Infine  dovendo  adoperare  esclusivamente  concimi  chimici,  il  che 
si  fa  quando  si  tratta  di  rimettere  prontamente  un  oliveto  deperito,  si 
diano  per  ogni  pianta  : 

(  Kg.  5  di  scorie  Thomas 
ui  autunno  ?  o  ir  i         »      • 

^  2   „   solfato  potassico 


n  primavera  Kg.  2  di  nitrato  di  soda. 


Naturalmente  tutte  queste  cifre  sono  date  per  norma  generale.  Sta 
al  coltivatore  il  modificarle  a  seconda  delle  condizioni  in  cui  si  trova 
il  suo  oliveto,  soltanto  qui  ricorderò  che  l'olivo  è  molto  sensibile  alla 
concimazione  fosfatica  e  che  il  prodotto  in  olive  è  in  relazione  colla 
quantità  di  anidride  fosforica  che  riceve.  Le  dosi  elevate  di  azoto 
rendono  l'olivo  molto  vegeto  e  vigoroso,  ma  poco  produttivo  di  frutta; 
infine  la  calce,  oltre  a  favorire  la  nitrificazione  delle  sostanze  organiche, 
rende  assimilabili  gli  elementi  potassici  che  si  trovano  nel  terreno. 

12.  Raccolta,  conservazione  ed  usi  delle  olive  da  mensa.  —  La 
raccolta  devesi  fare  a  mano  con  bel  tempo  e  nei  mesi  di  ottobre  e 
novembre,  quando  le  olive  sono  ancora  verdi.  Bisogna  inoltre  scegliere 
i  frutti  più  carnosi,  assolutamente  sani  e  non  contusi. 

Perchè  l'olive  siano  commestibili  bisogna  togliere  l'asprezza  ed 
amarezza  loro  propria.  A  questo  si  provvede  : 

1."  indolcendole; 
2."  confettandole; 
S."*  essiccandole. 

11  metodo  seguito  nell'Ascolano  per  indolcire  è  il  seguente,  descritto 
dal  Prof.  Giuseppe  Castelli  nel  suo  pregevole  opuscolo:  Le  olive  bianche 
ascolane.  Ascoli  1888. 

"  Si  ottiene  anzitutto  una  soluzione  satura  di  calce  e  di  potassa, 
facendo  filtrare  acqua  di  fonte  da  un  ricipiente  (tino,  secchia,  ecc.) 
ripieno  di  un  miscuglio  di  calce  in  polvere  e  cenere,  nella  proporzione 
di  ^4  della  seconda  ed  74  della  prima.  Per  misurare  poi  la  saturila 
della  soluzione,  adoperasi  un  areometro,  molto  semplice  e  di  poca 
spesa,  la  cui  origine  è  di  molti  secoli  anteriore  alle  invenzioni  degli 
scienziati.  Legasi  ad  un  filo  un  uovo  fresco  e  si  immerge  nel  liquido. 
Se  l'uovo  galleggia  appena  appena,  la  soluzione  è  giusta,  se  invece 
parte  della  sua  superficie  rimane  fuori,  ciò  significa  che  la  soluzione 
è  troppo  forte  ed  in  tal  caso  conviene  diluirla  con  altra  meno  satura, 
quale  è  appunto  quella  che  si  ottiene  dal  miscuglio  nelle  successive 
filtrazioni.  Le  olive  si  lasciano  immerse  nella  soluzione  dalle  6  alle  12 
ore,  secondo  che  il  liquido  è  più  o  meno  saturo.  La  parte  oleosa  delle 
bacche  si  combina  colla  calce  e  colla  potassa  e  resta  sciolta  nell'acqua. 
Dopo  questa  prima  operazione,  le  olive  vengono  immerse  in  un  bagno 
d'acqua  di  fonte,  e  per  parecchi  giorni  sono  sciacquate  diligentemente, 
sino  che,  assaggiandole,  si  sentono  prive  dell'amaro  loro  proprio  e  del 


—  760  - 

sapore  degli  alcali  adoperati  nel  prepararle  ;  passano  poi  in  un  bagno 
d'acqua  salsa,  la  quale  vuole  essere  cambiata  almeno  ogni  mese.  Poi 
immerse  nella  salamoia,  con  dei  fascetti  di  finocchio  silvestre,  unico 
aroma  che  entri  nel  condimento  delle  olive  ascolane  „. 

Al  finocchio  si  suole  in  alcune  regioni  aggiungere  del  regamo,  in 
altri  luoghi  noce  moscata  con  coriandoli  o  legno  rosa  o  garofani  con 
cannella. 

Il  Prof.  Bracci,  nel  Bollettino  del  Ministero  di  Agricoltura  N.  26  anno 
1911,  riferisce  colle  seguenti  parole  sugli  esperimenti  da  lui  fatti  per 
indolcire  delle  olive  Cnmignane  della  provincia  di  Cosenza. 

"  Le  olive  vennero  poste  in  un  mastello  di  legno  e  quindi  ammol- 
late con  una  liscivia  preparata  col  metodo  comune,  cioè  a  cenere  di 
nocciolo  d' oliva  e  di  legno,  previamente  setacciata,  venne  aggiunto 
circa  '/4  di  calce  viva,  nel  centro  del  mucchio  della  cenere  slessa,  e 
quindi,  dopo  aver  spruzzata  la  calce  con  acqua  per  ridurla  in  polvere, 
si  fece  una  miscela  intima  che  venne  messa  in  un  mastello  di  legno. 
Vi  si  versò  sopra  dell'acqua  sufficiente  per  sorpassare  il  livello  della 
miscela  solida  e  dopo  5  ore  di  riposo  si  decantò  l'acqua  contenente 
in  soluzione  l'alcali,  aggiungendo  nel  mastello  nuova  acqua  limpida, 
che  dopo  altrettanto  tempo  si  decantò,  aggiungendola  alla  prima  lisci- 
via, fino  ad  ottenere  un  ranno  di  7"  a  8°  B.  Dopo  11  ore  le  olive  erano 
già  indolcite  quasi  completamente  e  si  tolsero  dal  bagno.  Indi  furono 
sottoposte  ai  lavaggi  con  acqua  fresca  e  pura  per  4  o  5  giorni,  cambiando 
l'acqua  due  volte  al  giorno.  Dopo  di  che  si  passarono  in  un  recipiente 
di  creta  verniciata,  sommergendole  con  acqua  salata  e  aggiungendovi 
alcuni  fascetti  di  finocchio  selvatico  ed  alcune  foglie  di  lauro. 

La  salamoia  venne  preparata  sciogliendo  circa  gr.  60  di  sale  da 
cucina  per  litro  d'acqua. 

Dopo  pochi  giorni  erano  già  pronte  per  essere  mangiate.  Avendole 
tolte  dalla  liscivia  ancora  non  perfettamente  indolcite,  conservavano 
un  leggero  retrogusto  amarognolo,  molto  piacevole,  che  però  persero 
col  tempo.  Si  conservarono  a  lungo  mantenendosi  verdi  e  di  buon 
sapore. 

Per  un  altro  saggio  si  preparò  la  liscivia  sciogliendo  ivg.  1.500  di 
soda  commerciale  in  cristalli,  in  acqua  calda,  versando  la  soluzione 
su  di  un  miscuglio  di  kg.  6  di  cenere  e  3  di  calce  viva,  in  un  mastello 
di  legno  e  procedendo  il  tutto  come  sopra. 

Per  l'indolcimento  delle  olive  si  richiesero  12  ore.  Dopo,  vennero 
trattate  come  nel  saggio  precedente,  ottenendone  gli  identici  risultati 
favorevoli. 

Dopo  7  mesi  le  olive  del  1"  e  2"  saggio  erano  benissimo  conservate, 
quantunque  ve  ne  fosse  qualcuna  un  po'  maltrattata,  a  causa  della  pic- 
cola galleria  scavata  dalla  larva  della  mosca  olearia. 

Pesate  un  litro  di  olive  in  numero  di  250,  e  quindi  spolpate,  dettero, 
per  ogni  100  gr,,  parti  82  di  polpa  e  18  di  nocciolo  e  si  vede  anche  da 
ciò  l'esito  buono  della  concia. 


-  767  - 
Considerando  il  lato  economico,  si  hanno  i  seguenti  risultati  : 

Valore  o  costo  di  100  kg.  di  olive  verdi  (massimo) L.  14.— 

Raccolta,  trasporto,  nettatura,  ecc „  4.— 

Cenere  kg.  100  a  125  oppure  cenere  kg.  20  e  soda  kg.  5  (massimo)  „  2.— 

Calce  kg.  25  a  30 „  0.75 

Mano    d'opera   per    preparare   la   liscivia,   trattare   le    olive, 

conciarle,  ecc.  (massimo) ,,  6.— 

Sale  kg.  4  a  5 «  J^ 

L.  28.50 

A  cui  è  da  aggiungere  la  spesa  d'ammortizzamento  dei  mastelli, 
recipienti  di  terra  verniciata,  ecc.,  e  l'interesse  delle  spese  fino  al 
momento  della  vendita,  che  non  si  possono  precisare,  per  un  complesso 
di  circostanze,  e  che  noi  valuteremo  in  un  massimo  di  lire  2.50. 

Per  cui  la  spesa  massima  per  la   concia   di    un   quintale   di 

olive  ammonta  a L.    31.— 

Ricavo  minimo  delle  vendita  a  lire  75  il  quintale „     75.— 

Benefìcio  minimo  netto.     .    .     L.    44.— 

Dalle  stesse  olive,  se  destinate  all'oleificazione,  si  ricaverebbe  al 
massimo  : 

Olio  kg.  17  a  lire  1.10  al  kg L.  18.70 

Sansa «  0-80 

L.  19.50 

Spesa  di  raccolta,  trasporto,  oleifìcazione,  ecc.  (minimo)    .    .     „  3.50 

Beneficio  netto  massimo.    .    .    L.  16.— 

Dal  confronto  delle  cifre  del  risultato  finale  si  vede  quanto  più 
proficua  riesca  la  preparazione  delle  olive  per  uso  commestibile,  nelle 
condizioni  suaccennate,  per  le  varietà  ciimigiiane  e  olivoni. 

Con  ciò  non  vogliamo  dire,  bene  inteso,  che  si  tralasci  di  servirsi 
di  queste  olive  per  farne  olio,  ma  sibbene  che,  ove  si  voglia,  si  ha  un 
rilevante  tornaconto  a  sottoporre  alla  concia  quelle  olive  che  per  i 
caratteri  loro  speciali  (grossezza  notevole,  carnosità  abbondante,  pic- 
colezza del  nocciolo,  ecc.),  si  prestano  bene  a  questo  scopo. 

Senza  dubbio  per  riuscire  bene  nell'intento  si  richiedono  molte 
cure  minute,  per  esempio  evitare  ammaccature  alle  olive  nell'atto  della 
raccolta,  del  trasporto  e  dell'acconciamento,  usare  la  massima  pulizia, 
preparare  a  dovere  le  liscivie  e  la  salamoia,  tenere  in  luoghi  aereati 
e  freschi  le  olive  in  conservazione,  rinnovare,  ove  occorra,  la  salamoia, 
travasare  le  olive,  ove  in  alcune  si  verificasse  qualche  guasto,  scartarle; 
evitare  di  aggiungere  alla  salamoia  aromi  rozzi,  troppo  forti,  come 
peperoni  rossi,  ruta,  menta,  ecc.,  che  dai  più  non  sono  tollerati. 


—  708  — 

Volendo  poi  aggiungere  maggiore  pregio  al  prodotto  si  può  fare  lo 
scarto  delle  olive  prima  della  concia,  mettendo  a  parte  le  più  grosse 
e  perfette  e  facendo  delle  rimanenti  una  seconda  qualità. 

Ricordiamo  a  questo  proposito  che  in  California  adoprano  per  la 
scella  delle  olive  ordegni  appositi  e  che,  trattandosi  di  un  prodotto 
che  deve  figurare  sulla  tavola  del  povero,  ma  specialmente  del  ricco, 
è  necessario  mettere  in  opera  tutto  quanto  possa  soddisfare  insieme  il 
gusto  e  la  vista. 

Io  seguo  il  seguente  metodo:  Per  50  kg.  di  olive,  si  prendono  2  kg. 
di  calce,  2  kg.  di  carbonato  di  soda,  8  kg.  di  cenere  di  legno  e  si  fa 
sciogliere  il  tutto  nell'acqua  fino  ad  ottenere  una  soluzione  della  den- 
sità dL  8°  al  pesa-sali.  Le  olive  si  mettono  nella  liscivia  per  5  a  6  ore 
fino  a  che,  tagliando  la  polpa  delle  olive,  si  vede  che  è  stata  intac- 
cata fino  al  nocciolo.  Arrivato  questo  punto,  si  levano  le  olive  e  si 
mettono  nell'acqua  pura  per  4  giorni,  cambiando  l'acqua  mattina  e 
sera.  Passati  detti  giorni  si  mettono  le  olive  nell'acqua  a  5"  del  pesa- 
sali  e  si  mantengono  costantemente  le  olive  sotto  acqua.  Si  può  aro- 
matizzare questa  acqua  facendovi  pi'ima  bollire  delle  buccie  d'arancio, 
qualche  foglia  di  lauro,  qualche  chiodo  di  garofano  o  altre  spezie.  Le 
olive  non  si  devono  però  collocare  che  quando  l'acqua  è  fredda. 

Un'ultima  raccomandazione  ho  da  fare  e  cioè  che  le  olive  durante 
queste  manipolazioni  e  durante  la  conservazione,  non  si  devono  mai 
toccare  colle  dita.  La  manipolazione  devesi  fare  con  colatoi  di  ferro 
smaltato  o  meglio  dei  mestoli  di  legno. 

Un  modo  di  confettare  le  olive  è  il  seguente  : 

Levate  dalla  salamoia  si  fendono,  si  leva  il  nocciolo  e  lo  si  sosti- 
tuisce con  un  cappero  ed  un  pezzo  d'acciuga  salata.  Così  preparale 
queste  olive  si  racchiudono  in  una  bottiglia  piena  d'olio  fino  e  diventano 
gustosissime.  Si  conservano  in  questo  modo  per  due  o  tre  anni  ossia 
lino  a  che  l'olio  non  si  guasta. 

Si  disseccano  invece  le  olive  già  mature  cioè  annerite.  L'essic- 
cazione si  fa  al  sole,  lasciandole  esposte  da  15  a  20  giorni  e  cospargendole 
di  sale.  Si  possono  anche  trattare  nel  seguente  modo:  si  pongono  in 
un  paniere  a  strati  coperti  di  sale;  a  capo  di  24  ore  cominciano  a  tra- 
sudare acqua,  ma  dopo  4-5  giorni  si  possono  mangiare,  purché  ogni 
giorno  si  scuota  il  paniere  in  modo  da  rimescolarle,  e  sopra  spargasi 
un  pizzico  di  sale. 

Le  olive  hanno  proprietà  lassative  ed  emollienti. 

Sopra  1000  parti  di  olive  si  trovano: 

571,43  di  polpa  e  buccia 
480,96  di  noccioli 
47,61  di  mandorle. 

Le  materie  proteiche  nella  polpa  rappresentano  ril,75  %. 
Malattie  e  danni.  —  Vedi  pag.  500  e  seguenti. 


-  769  - 

PISTACCHIO 

(Pistacia  vera  Linn.  —  Fara.  Anacardiacee). 

Nome  volgare  ilaliano  della  pianta  —  Pistacchio  vero,  Pistacchu. 

Nome  volgare  italiano  del  frutto  —  Pistacchia  o  mandorla  del 
pistacchio. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Pistachier  —  Ted.: 
Echte  Pistazie  —  Ingl.:  Pistacchio  nut-tree. 

1.  Origine.  —  Il  pistacchio  è  indigeno  della  Siria  e  venne  impor- 
tato da  Lucio  Vitello,  governatore  di  quel  paese  sotto  l'impero  di  Ti- 
berio, nell'anno  30  dell'era  volgare. 

Da  Roma  si  diffuse  nel  Napoletano,  nel  Genovesato,  in  Provenza. 
Nella  Spagna  venne  importato  da  Fiacco  Pompeo  nella  medesima  epoca 
in  cui  s'introdusse  a  Roma. 

Attualmente  il  pistacchio  ha  una  vera  importanza  agricola  soltanto 
in  Sicilia  e  in  Spagna;  la  diffusione  in  questi  due  paesi  è  dovuta  agli 
Arabi. 

2.  Specie  botaniche  coltivate.  — 

Pistacchio  vero  che  si  coltiva  per  il  frutto 
Terebinto  che  si  coltiva  per  il  legno 
Lentisco  che  si  coltiva  per  il  legno. 

3.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Il  pistacchio  domestico  non 
supera  quasi  mai  l'altezza  di  15  metri  e  forma  una  testa,  all'altezza  di 
m.  1.50,  voluminosa,  con  rami  lunghi,  sottili  e  divaricati,  che  ricorda 
sotto  certi  aspetti  la  quercia. 

La  pianta  è  divisa,  ossia  si  hanno  dei  soggetti  maschi  e  femmina. 
Naturalmente  per  il  frutto  si  coltivano  soltanto  queste  ultime  allevando 
solo  qualche  pianta  da  fiori  maschili,  per  avere  la  fecondazione. 

Il  fusto  (fìg.  581),  è  di  grossezza  regolare  con  legno  molto  duro, 
venato  di  fulvo. 

I  rami  dell'annata  sono  giallo  rossastri,  gli  adulti  sono  di  color 
cenere  e  la  loro  base  è  coperta  da  una  corteccia  dura,  sugherosa,  scre- 
polata, di  color  bruno. 

Le  gemme  sono  sempre  all'estremità  dei  rami.  La  terminale,  che  è 
di  solito  piccola  e  di  color  fulvo,  dà  origine  al  prolungamento.  Sotto 
alla  gemma  terminale  pei  rami  fruttiferi  si  trovano  due  gemme  laterali, 
raramente  tre,  di  forma  allungata  compressa.  Queste  sono  le  gemme 
da  fiore.  Nei  rami  infruttiferi  invece,  le  gemme  laterali  sono  più  allun- 
gate e  meno  imbricate. 

I  rami  sono  quindi  nudi,  coronati  all'estremità  da  un  ciuffo  di 
foglie  composte  in  numero  impari  (3-5)  ovali,  coriacee,  decidue,  verdi 
lucenti  sulla  pagina  superiore  e  più  chiare  sulla  pagina  inferiore. 

49  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  770  - 

Le  foglie  dell'albero  maschio  sono  più  piccole  e  più  scure  di 
quelle  dell'albero  femmina. 

I  fiori  sono  piccoli  di  color  porpora,  unisessuali,  dioici  come  già 
si  è  detto.  L'inlìorescenza  è  a  grappolo  composto  di  molti  racemi,  rari 
e  ascellari,  ed  è  inserito  sempre  sulla  penultima  gemma  della  porzione 


Fig.  581.  —  l'ianta  di  l'istacchìo 
(Fot.  presa  nell'orto  del  Sig.  Bastianich  a  Lussingrane). 


del  ramo,  prodottasi  l'anno  precedente.  Il  fiore  maschio  è  un  perigonio 
semplice,  piccolo,  con  5  divisioni  e  caduco;  gli  stami  sono  inseriti  nel 
perigonio  in  numero  di  5.  Il  fiore  femmineo  porta  un  perigonio  3-4-5 
fido,  uno  stilo  brevissimo,  tre  stimmi,  ovario  unico,  con  due  logge  ed 
un  ovicino. 


-  771  - 

I  frutti  hanno  la  forma  di  una  grossa  oliva,  ottusi  alla  base,  pun- 
tati alla  cima  e  rilevati  nel  mezzo.  Sono  drupe  il  cui  pericarpio  con- 
siste in  una  membrana  di  color  rosso  che  racchiude  una  capsula  legnosa 
e  sottile,  la  quale  a  sua  volta  contiene  una  mandorla  verdastra,  dolce, 
aromatica,  che  costituisce  la  parte  edule  del   fruito.  Le  drupe  si  divi- 


Fig.  582.  —  Ramo  a  frullo  del  Pistacchio. 


dono  in  due  valve  eguali.  La  mandorla  è  allungata,  vestita  da  una 
membrana  in  parte  bianco  giallognola  ;  nel  resto  di  color  porporino 
più  o  meno  bruno.  Quando  la  mandorla  è  ben  sviluppata,  le  valve  si 
aprono  all'apice,  e  questo  è  un  segno  di  maturità  (fig.  582). 

4.  Classificazione  delle  varietà.  —  In  commercio  si  conoscono  tre 
specie  di  pistacchi:  Il  pistacchio  gentile  o  di  Sicilia,  che  ha  la  mandorla 
verde,  ed  è  il  più  ricercato.  I  migliori  pistacchi  di  questa  varietà  pro- 
vengono da  Bronte   Bisogna  sceglierli  pieni,  verdi  ed  alquanto  grossi. 


Se  sono  ancora  nel  guscio,  bisogna  fare  un  saggio  per  stabilire  la 
percentuale  dei  vuoti. 

11  pistacchio  di  Barbiera  o  di  Tunisi  che  ha  la  mandorla  più  piccola 
del  precedente,  però  è  egualmente  ricercato. 

11  pistacchio  di  Levante,  che  si  ritira  ordinariamente  a  Smirne,  Ha 
la  mandorla  giallastra,  più  grossa  delle  specie  precedenti,  ma  è  meno 
ricercata  perchè  non  tanto  saporita. 

5.  Scelta  delle  varietà.  —  Le  varietà  di  pistacchio  coltivate  in 
Sicilia  si  distinguono  per  la  forma  e  la  grossezza  del  frutto.  Rispetto 
alla  forma,  quella  rotonda  è  più  apprezzata. 

Le  varietà  si  possono  ridurre  a  due  sole: 

1.  Varietà  a  frutto  un  pochino  convesso  molto  esteso  alla  base 
e  con  piccola  punta  all'estremità.  È  di  color  giallo  minutamente  pun- 
teggiato di  bianco.  Questa  varietà  è  poco  ricercata  :  ne  abbiamo  la  sot- 
tovarietà Fastuca  fimminedda  allevata  nei  contorni  dell'Etna  e  la  Min- 
nnlara  allevata  a  Pietraperzia  e  a  Gastrogiovanni, 

2.  Varietà  a  frutto  di  forma  elittica,  quasi  cilindrica,  con  la  su- 
tura di  un  lato  più  convessa,  la  punta  più  accuminata,  di  color  giallo 
con  un  lato  rosso,  col  punteggiamento  bianco  più  marcato  e  colla 
mandorla  più  grossa  della  varietà  precedente.  La  pellicola  è  biancastra 
dove  ha  un  infossamento,  nella  parte  più  convessa  ha  una  grande 
macchia  color  porpora  a  bordi  sfumati  di  rosso.  Questa  è  la  varietà 
coltivata  più  comunemente:  ad  essa  appartengono  le  sottovarietà  Fastuca 
Napolitana  della  campagna  intorno  all'Etna  e  la  Nucidarra  di  Pietra- 
grazia  e  Gastrogiovanni. 

6.  Clima  ed  esposizione.  —  11  pistacchio  trova  il  suo  clima  più 
naturale  in  Sicilia  e  in  Spagna.  In  Sicilia  la  media  temperatura  di 
gennaio-febbraio  è  di  10°  G.  la  minima  di  3°  G.  Se  qualche  anno  in 
Sicilia  la  temperatura  discese  a  3°  G.  il  pistacchio  vegeta  ma  non  lus- 
sureggia; si  dice  che  nella  Linguadoca  resistè  anche  alla  temperatura 
di  —9»  G.  Alcuni  autori  ritengono  che  anche  a  Parigi  si  possa  tenere  il 
pistacchio  all'aria  libera  purché  in  situazione  riparata. 

Gome  ho  detto  fin  dal  principio,  in  nessuno  di  questi  luoghi  con- 
viene economicamente  la  coltivazione  del  pistacchio  ;  la  Sicilia  sola 
per  noi  italiani  è  la  regione  veramente  adatta  per  quest'albero. 

11  pistacchio  resiste  alle  siccità  estive  più  ostinate  e  predilige  na- 
turalmente le  esposizioni  a  mezzogiorno. 

7.  Terreno.  —  11  pistacchio  allo  stato  selvatico  si  trova  nel  calcare 
compatto  o  nelle  marne  o  nei  tufi  o  infine  nelle  lave  vulcaniche,  dove 
sono  terre  aride  e  secche.  Gonsiderato  che  i  pistacchi  naturali  si  fanno, 
innestando  il  pistacchio  vero  sul  terebinto,  comprenderà  il  lettore  quale 
è  la  natura  del  terreno  desiderata.  Però  si  possono  fare  anche  dei  pis- 
tacchieti artificiali  ossia  si  possono  piantare  dei  polloni  barbicati  di 
terebinto  o  piantine  di  4-5  anni  venute  da  seme  di  pistacchio,  in  terreno 
convenientemente  preparato.  Allora  abbiamo  i  cosidetti  pistacchieti  ar- 
tificiali, per  i  quali  si    preparerà  un  terreno   proveniente  da   detriti  di 


-  773  -~ 

marne,  da  sedimenti  di  rocce  vulcaniche,  silualo  nelle  basse  colline  o 
nelle  pianure  con  sottosuolo  permeabile. 

8.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  seme,  per  innesto  ed  in 
via  eccezionale  per  margotta.  Conviene  fare  le  semine  in  vasi  appena 
raccolti  i  semi,  che  germinano  però  nella  successiva  primavera.  La 
piantina  sviluppa  fino  a  giugno-luglio  2-5  internoidi,  poi  si  arresta 
per  maturare  il  legno.  In  agosto  riprende  la  vegetazione  e  dà  un'altra 
breve  cacciata,  la  quale  dopo  pochi  giorni  si  arresta. 

I  soggetti  si  piantano  a  dimora  apppena  dopo  4  o  5  anni.  Passati 
due  anni  a  dimora,  e  cioè  quando  le  piantine  hanno  raggiunto  il  dia- 
metro almeno  di  3  cm.  si  fa  l'innesto  a  gemma  vegetante  in  maggio  o 
l'innesto  dormiente  in  agosto  all'altezza  di  20  cm.  dal  suolo.  Per  i  sog- 
getti più  grossi  si  può  fare  anche  l'innesto  a  corona,  all'altezza  da  40 
a  50  cm.  dal  suolo. 

Raramente  però  si  fanno  dei  pistacchieti  artificiali,  si  suole  invece 
mettere  a  profìtto  il  terebinto  {Pistacia  Terebinthiis),  chiamato  anche 
spaccasasso,  il  quale  forma  dei  boschi.  Su  questi  terebinti  si  innesta  il 
vero  pistacchio  e  si  fanno  i  cosidetti  pistacchieti  maturi. 

Si  può   praticare   anche  l'innesto  a  corona,  ad  anello  ed  a  spacco. 

9.  Caratteri  vegetativi  —  In  ambo  i  sessi  la  fioritura  precede  la 
fogliazione.  1  fiori  si  hanno  in  aprile,  allegano  in  maggio.  1  frutti  rag- 
giungono la  massima  grossezza  in  agosto  e  compiono  la  maturità  in 
settembre.  Allora  la  membrana  esterna  avvizzisce,  perde  il  colore  ros- 
siccio ed  il  frutto  cade. 

Anche  nei  pistacchi  abbiamo  2  movimenti  vegetativi  della  linfa:  dal- 
l'aprile al  giugno  e  dal  luglio  all'agosto.  Nel  secondo  periodo  si  pre- 
parano le  gemme  terminali  che  daranno  frutto  nel  prossimo  anno. 

E'  un  albero  di  lenta  crescita,  a  12  anni  appena  comincia  a  frut- 
tificare ed  a  30  anni  dà  un  prodotto  normale. 

II  pistacchio  è  di  produzione  incerta  dovuta  non  soltanto  alle  al- 
ternative comuni  di  sterilità  e  produzione,  ma  anche  al  fatto  che  gli 
organi  di  riproduzioni  si  trovano  sopra  piante  separate.  Per  questa 
ragione,  si  innesta  un  albero  maschio  ogni  10  femmine.  Siccome  l'albero 
a  fiori  maschi  fiorisce  qualche  volta  15  giorni  prima  dell'albero  a  fiori 
femmine,  gli  agricoltori  sogliono  fare  anche  la  fecondazione  artificiale, 
A  questo  scopo  mettono  i  rami  fioriti  del  maschio  appesi  all'albero 
femmineo  quando  è  fiorito;  altri  invece  raccolgono  il  polline  in  sac- 
chetti di  tela  rada,  li  conservano  in  luogo  secco  e  poi  li  scuotono  sui 
fiori  femminili  mano  mano  che  apronsi.  Il  pollime  si  conserva  anche 
per  un  anno,  sarà   meglio  però  adoperarlo  entro  un  mese. 

La  fronda  degli  alberi  femmine  è  sempre  più  copiosa  degli  alberi 
a  fiore  maschi,  l'agricoltore  però  deve  sempre  ricordarsi  facendo  la 
potatura,  che  le  gemme  da  fiore  si  trovano  all'estremità  dei  rami  del- 
l'annata precedente  e  precisamente  sotto  alla  gemma  terminale. 

Rispetto  alla  vegetazione  naturale  del  pistacchio  devo  ancora  no- 
tare, che  è  una  pianta  lucivaga,  che  ama  la  libera  circolazione  dell'aria 


ma  che  e  sensibile  ai  tagli,  tanto  che  una  pianta  lasciata  a  se  slessa 
raggiunge  anche  i  UK)  anni  d'età. 

10.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  Stabilita  la  differenza  fra 
pistacchieto  naturale  ed  artificiale,  vediamo  come  si  provveda  a  for- 
mare l'uno  e  l'altro. 

Il  terebinto  nei  luoghi  anche  più  sterili,  rocciosi,  purché  abbondino 
di  calce  e  di  detrito  vulcanino,  forma  allo  stato  naturale  delle  ceppaie 
che  coprono  l'intera  superficie  del  terreno  soffocando  tutte  le  altre 
piante  e  colle  radici  penetra  fra  sasso  e  sasso,  da  ciò  il  nome  di  spac- 
casasso.  Da  queste  ceppaie  si  elevano  dei  tronchi  robusti,  i  quali  ven- 
gono lasciali  in  numero  di  2  a  4  per  ceppala  e  tutto  il  superfiuo  viene 
reciso.  Contemporaneamente  si  libera  il  terreno  dai  rovi  di  tutti  gli 
altri  cespugli,  smovendo  il  terreno  intorno  alle  ceppaie  almeno  una 
volta  ogni  anno. 

Quando  gli  allievi  hanno  raggiunto  la  necessaria  grossezza  si  in- 
nesta col  pistacchio  vero,  avendo,  come  ho  detto,  cura  di  innestare  una 
pianta  maschio  sopra  dieci  femmine. 

Fatto  l'innesto,  si  abbia  cura  di  allevare  la  gettata  dell'innesto,  si 
tenga  poi  pulito  il  ceppo  dai  rimessiticci  ed  una  volta  all'anno,  in  gen- 
naio, si  lavori  il  terreno,  per  pulirlo  dalle  erbe  e  dai  cespugli. 

In  questo  modo  è  fatto  il  pistacchieto  artificiale,  al  quale,  oltre  alle 
cure  annuali  del  terreno,  si  farà,  pure  ogni  anno,  una  accurata  mon- 
datura dei  rami  secchi,  dei  monconi  e  dei  rami  tortuosi.  E  questa,  si 
può  dire,  è  l'unica  operazione  di  potatura  che  desidera  il  pistacchio, 
il  quale  è  una  pianta  che  teme  i  tagli  secchi  ed  in  verde. 

Per  il  pistacchieto  artificiale,  scelta  la  località  si  fa  lo  scasso,  si  ri- 
ripulisce il  terreno  dalle  erbe,  dai  ciottoli  e  dai  cespugli,  e  nel  mese  di 
gennaio  si  fa  l'impianto  con  polloni  barbicati  di  terebinto  oppure  con 
piantine  di  pistacchio  vero,  ottenute  da  seme  ed  allevate  nel  vivaio. 
L'impianto  si  fa  a  quinconce  alla  distanza  di  4  metri  almeno;  in  aprile 
si  fa  la  zappatura,  che  si  ripeterà  in  maggio  ed  in  autunno. 

La  coltura  successiva  consiste  in  una  zappatura  al  finire  di  ogni 
inverno,  una  sarchiatura  in  maggio  ed  un'altra  zappatura  dopo  le 
pioggie  autunnali.  Dopo  il  quarto  anno  si  tagliano  i  rami  laterali  per 
formare  il  tionco,  secondo  la  forza  vegetativa  della  pianta.  Quando  le 
piante  hanno  acquistato  lo  sviluppo  desiderato,  si  innestano  all'altezza 
di  1025  cm. 

Il  rimanente  della  coltura  consisterà  nel  mantenere  una  buona  di- 
rezione al  tronco,  nel  tenere  un  tutore  affinchè  l'innesto  cresca  diritto 
e  robusto,  nel  mondare  il  soggetto  da  tutti  i  rimessiticci,  nel  dare  una 
forma  possibilmente  aperta  all'  albero  e  nel  tagliare  i  rami  secchi 
o  rotti. 

Le  foglie  del  pistacchio  vengono  di  sovente  intaccale  da  un  afide  : 
Aplìis  pislaciae  e  da  un  crittogama  Septoria  pistaciae  che  produce  delle 
macchie  irregolari,  aride,  di  colore  fosco  ocraceo. 

Il  fruito  è  colpito  da  un  imenotlero:  Magastlgnuis  balleslrerii  Rond., 


—  775  - 

la  cui  larva  nasce  nel   frullo  da  un  uovo  deposto  dalla  femmina,  per- 
forando alla  base  il  peduncolo. 

11.  Raccolta  e  conservazione  del  prodotto.  —  Il  raccolto  si  fa  in 
settembre,  a  mano,  per  evitare  le  contusioni  ai  rami  inevitabili  colla 
bacchiatura.  La  maturità  è  indicata  quando  le  valve  cominciano  aprirsi 
all'apice  e  quando  il  colore  del  frutto  è  bianco  tendente  al  rosso  por- 
porino. 

I  frutti  che  prendono  un  colore  bianco  roseo,  che  hanno  la  scorza 
levigala,  che  sono  molto  convessi  sono  sempre  pieni  ossia  fecondali 
colla  mandorla;  quelli  invece  che  restano  bianchi  o  vei'di  o  porpora 
scuro,  con  drupa  poco  sviluppata  sono  sempre  vuoti  ossia  non  fecon- 
dali e  senza  mandorla.  Per  separare  i  frutti  pieni  dai  vuoti  si  gettano 
nell'acqua,  dove  quelli  vuoti  galleggiano  e  si  scartano.  Nei  giorni  se- 
reni il  frutto  si  stende  sull'aia,  rimuovendolo  almeno  due  volte  al 
giorno  in  modo  da  sollecitare  il  disseccamento,  altrimenti  i  frutti  in 
massa  si  riscaldano  e  la  mandorla  prende  il  gusto  di  rancido. 

Quando  il  prodotto  è  secco  si  vaglia,  si  stacca  la  corteccia  e  lo  si 
conserva  in  magazzini  asciutti  e  ventilati  rimuovendo  ogni  15  giorni 
per  evitare  il  riscaldamento.  Dovendo  conservare  a  lungo  i  pistacchi 
conviene  lasciarli  col  guscio. 

12.  Usi  e  commercio.  —  Nelle  provincie  meridionali  si  servono  le 
mandorle  di  pistacchi  in  tutte  le  tavole  colla  frutta  secca.  Si  impiegano 
altresi  per  condire  delle  confetture,  per  fare  i  gelali.  Sono  molto  nu- 
trienti e  di  ottimo  sapore  tanto  in  un  modo  quanto  nell'altro.  Si  fanno 
anche  delle  emulsioni,  e  si  eslrae  anche  un  olio  che  viene  impiegato 
per  toilette. 

I  pistacchi  sgusciati  valgono  circa  L.  10  il  kg.,  quelli  col  guscio 
circa  L.  1  il  litro. 

Una  pianta  di  6  metri  d'altezza  dà  in  media  kg.  27  di  pistacchi 
freschi  del  valore  di  circa  L.  13.50 


GIUGGIOLO 

(Zizyphus  vulgaris  Wild.  —  Fani.  Rainiiee) 

Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Zizzole,  Allié,  Zinqueli,  Zingolar, 
Spin  rosso,  Zizzolaro,  Simlar,  Zizzoa,  Zizla,  Zinzarcu,  Giuggeto,  Zinzulu. 

Nomi  volgari  italiani  del  fratto  —  Zizzola,  Giuggiola. 

Nomi  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Jujubier  —  Ted.  :  Brustbeerbaum 
—  Ingl.  :  lujubetree. 

1.  Origine.  —  È  originario  probabilmente  del  Nord  della  China  : 
si  sarebbe  naturalizzato  nell'Asia  2500  a  3000  anni  or  sono.  I  Greci  ed 
i  Romani  lo  ricevettero  in  principio  dell'era  nostra;  passò  poscia  in 
Barberia  ed  in  Spagna.  Secondo  Plinio  sarebbe  stato  portato  dalla  Siria 
in  Roma  dal  console  Sesto  Papinio,  verso  la  fine  del  regno  d'Augusto. 


-  776  - 

Presentemente  si  trova  naturalizzalo  nella  regione  Mediterranea, 
nonché  nella  Adriatica  (Istria),  dove  viene  coltivato,  ma  non  estesamente. 
Nell'Italia  centrale  e  meridionale,  lo  si  trova  più  frequente. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Il  Giuggiolo  non  prende  in 
Europa  che  una  grandezza  media  da  2  a  4  metri.  È  un  albero  spinoso, 
(fig.  hS3  e  584)  con  rami  tortuosi,  guerniti  di  spini  che  stanno  a  due  a 
due;  una  diritta  e  l'altra  curva.  D'estate  l'albero  si  copre  di  una  foglia- 


Fig.  583.  —  Fioritura  del  Giuggiolo. 


zione  ricchissima,  che  offre  una  bella  massa  di  verde,  pendente  verso 
terra  come  un  Salice  Babilonica,  e  che  risulla  dalla  quantità  straordi- 
naria di  foglie  che  escono  a  ciuffi  da  ogni  nodo  unite  da  ramicelli 
flessibili  e  pendoli.  Le  foglie  sono  semplici,  disposte  in  due  serie,  liscie, 
lucide,  ovaio-lanceolate,  coriacee,  dentellate  nel  contorno,  smussate 
nell'apice.  I  fiori  sono  piccoli,  verdastri,  a  forma  di  stella  col  calice 
intagliato  a  lobi  puntuti,  nel  quale  si  spiegano  5  petali  piccolissimi, 
concavi,  inseriti  fra  le  divisioni  del  calice,  dentro  a  questi  sono  5 
stami  opposti  ai  petali.  I  filamenti  degli  stami  sono  brevissimi  e  portano 
le  antere  rotonde.  Nel  mezzo  sorge   il   pistillo   con   l'ovario   superiore 


-  777  - 

avvolto  da  un  disco  carnoso.  L'ovario  forma  poi  il  frullo,  che  è  una 
drupa  ovale  e  rotonda,  contenente  sotto  una  polpa  carnosa  un  nocciolo 
biloculare  a  logge  monosperme. 

3.  Varietà.  —  Il  (iiuggiolo  ha  frutto   oblungo,  della   forma  e  gros- 
sezza di  un'oliva,  cioè  lungo  ^quasi   3  centimetri  e   grosso  Equanto   l'e- 


Fig.  584.  —  Fruttificazione  del  Giuggiolo. 


stremila  del  dito  mignolo,  da  principio  è  verde,  poscia  giallognolo  ed 
infine  rosso  ;  la  polpa  è  biancastra,  dolce  e  zuccherina. 

Gallesio  descrive  anche  una  varietà  della  Toscana  a  frullo  tondo, 
ma  questa  non  differisce  che  per  la  conformazione  del  frutto. 

4.  Clima,  esposizione  e  terreno.  —  Ama  clima  temperato  come 
il  nostro  in  Italia.  In  suolo  secco  ed  arido  viene  basso  ;  ma  in  suolo 
profondo,  fresco,  e  sopralutto  bene  esposto,  raggiunge  l'altezza  anche 
di  7  ad  8  metri,  e  dà  degli  abbondanti  raccolti. 


—  778  — 

5.  Moltiplicazione.  —  Si  può  moltiplicare  per  seme;  se  ciò  si  fa- 
cesse in  grande  si  otterrebbero  forse  delle  nuove  varietà. 

1  semi  geniiinaiio  nel  secondo  anno.  Si  trova  più  comodo  molti- 
plicarlo per  polloni.  Questi  si  tengono  nel  vivaio  fino  a  che  il  fusto 
non  abbia  raggiunto  l'altezza  di  metri  1.50,  e  poi  si  trapiantano  a  dimora. 

6.  Vegetazione.  —  In  primavera  germoglia  tanto  dai  rami  formatisi 
nell'anno  precedente  come  da  quelli  più  vecchi.  Di  questi  germogli  alcuni 
sono  legnosi,  altri,  anzi  la  maggior  ]iarte,  sono  fruttiferi. 

I  germogli  legnosi  sortono  di  rado,  non  ogni  anno,  ed  uno  o  due 
soltanto  per  ogni  ramo  principale.  Sono  grossi,  cilindrici,  prima  verdo- 
gnoli e  poi  di  colore  rosso  bruno,  piegati  a  zig-zag,  divisi  in  nodi 
spessi  e  guarniti  di  due  spine  ineguali. 

I  germogli  fruttiferi  sono  coperti  di  foglie,  che  rendono  l'albero 
fronzuto.  Nell'anno  della  cacciata  essi  si  svolgono  sui  nodi  che  si  vanno 
formando  sul  prolungamento  ed  hanno  per  nutrice  una  foglia  e  per 
custodi  due  spine.  Negli  anni  successivi  essi  spuntano  a  fascetti  da  2 
a  4  nei  nodi  delle  cacciate  anteriori,  ove  sono  nate  e  perite  le  loro 
sorelle  del  primo  anno  e  sopra  una  protuberanza  legnosa  che  contiene 
le  gemme  estinte  degli  anni  antecedenti.  La  forma  e  la  fìsonomia  che 
presentono  le  confonde  con  i  ramicelli,  e  tutti  le  considerano  per  tali. 
Sono  composte  di  un  nervo  lungo,  sottile,  verde-biancognolo,  diviso 
in  nodi  alterni  come  i  rami,  e  guarnito  in  ciascun  nodo  di  una  foglia 
ovale-oblunga,  liscia,  verde,  rilevata  da  tre  nervature  e  leggermente 
dentellata  nel  lembo,  nella  cui  ascella  si  formano  le  gemme  fiorifere, 
nello  stesso  modo  in  cui  si  formano  dei  nodi  delle  messe  ramose.  Queste 
gemme  si  svolgono  in  tanti  bottoncini  piccolissimi,  giallicci,  qualche 
volta  solitari,  più  spesso  riuniti  a  due  o  più  insieme,  ed  attaccati  al 
picciolo  comune  della  foglia  con  due  peduncoletti  appena  visibili. 
Questi  bottoncini  si  aprono  poi  e  danno  il  fiore.  Queste  foglie  fiorifere 
sbocciano  in  aprile,  si  allungano  in  maggio,  sbocciano  i  fiori  in  giugno, 
allegano  in  luglio,  ed  i  frutti  maturano  in  settembre. 

Maturati  i  frutti,  i  rametti  che  li  postano  si  distaccano,  soltanto 
rimane  la  cicatrice  della  loro  inserzione  nella  protuberanza  che  li  portava 
ciò  che  ne  aumenta  il  volume.  Questa  cicatrice  si  dissecca  come  quella 
delle  foglie  degli  alberi  ed  ha  al  suo  lato  le  nuove  gemme  formatesi  sotto 
la  protezione  del  germoglio  che  ha  fruttato  all'ascella  del  suo  gambo, 
e  che,  cresciute  nella  state  e  da  essa  nutrite,  compariscono  già  mature 
nell'autunno,  rinnovando  nella  successiva  primavera  il  corso  naturale 
della  vegetazione  fruttifera  di  questa  pianta. 

In  tal  modo,  la  protuberanza  che  la  natura  ha  messo  nei  nodi  fra 
le  due  spine  va  ingrossando  ogni  anno,  e  forma  col  tempo  un  tubercolo 
legnoso  e  rilevato  che  contiene  le  cicatrici  secche  delle  gemme  estinte 
degli  anni  antecedenti  e  le  nuove  gemme  che  vi  si  formano  ogni  anno. 
Con  tale  sistema  si  rinnova  continuamente  nel  medesimo  punto,  senza 
allungarsi,  la  vegetazione  annua  dell'albero,  sino  cli'ei  vive. 

Ed  ecco  la  ragione  per  cui  il  giuggiolo  ha  una  crescita  cosi  lenta. 


—  779  — 

Egli  fruttifica  ogni  anno  sul  medesimo  luogo,  e  può  lussuieggiare  di 
una  fogliazione  ricchissima  e  di  una  fruttificazione  abbondante  senza 
crescere  una  linea  in  lunghezza. 

La  crescita  in  dimensione  è  riservata  ai  rami  propriamente  detti, 
i  quali  sortono  annualmente  in  pochissimo  numero  :  in  certe  annate 
non  ne  sorte  alcuno.  Ordinariamente  essi  crescono  dalle  punte  delle 
grosse  branche  più  forti  e  specialmente  dalla  centrale,  più  di  rado  dalle 
laterali,  qualche  volta  ancora  dal  legno,  come  i  rami  succhioni.  Quando 
li  mettono,  essi  sortono  con  molta  forza  e  si  suddividono  nell'allungarsi 
in  molte  branche;  ingrossano  straordinariamente  nell'anno  medesimo 
della  cacciala  e  si  guarniscono  subito  ai  nodi  di  gemme  e  di  foglie 
fiorifere  che  compiono  nella  state  medesima  tutta  la  evoluzione  delle 
altre. 

È  degno  di  nota,  formando  un'eccezione,  questo  modo  particolare 
con  cui  segue  il  Giuggiolo  la  sua  vegetazione. 

Tutte  le  piante  rinnovano  annualmente  la  loro  testa  ;  il  punto  le- 
gnoso che  ha  frondeggiato  in  un  anno,  resta  nudo  nel  successivo  o 
serve  solo  di  base  alla  prolungazione  ramosa,  destinata  esclusivamente 
alla  nuova  fogliazione  e  all'emissione  del  fiore.  Il  giuggiolo  non  segue 
questo  sistema  che  negli  anni  che  precedono  la  pubertà.  Appena  la 
sua  testa  è  compiuta  e  i  suoi  rami  sono  capaci  di  fruttificazione,  egli 
arresta  la  sua  crescita,  o  la  limita  a  pochi  punti  dall'albero,  e  restringe 
la  sua  vegetazione  a  mettere  delle  fronde  e  dei  frutti.  Cosi  la  testa 
dell'albero  non  si  rinnova  mai  intieramente  né  in  una  volta  :  essa  si 
estende  a  riprese  e  lentamente,  mentre  la  porzione  che  ha  frondeggiato 
nei  primi  anni  della  sua  virilità  continua  a  frondeggiare  fino  alla 
morte,  e  le  foglie  fruttifere  che  si  rinnovano  ogni  anno,  come  nelle 
altre  piante,  escono  sempre  nel  medesimo  punto,  e  guarniscono  sempre 
il  medesimo  ramo. 

7.  Coltivazione.  —  Si  piantano  i  giuggioli  a  dimora  alla  distanza 
di  circa  6  metri.  11  prodotto  di  questi  comincia  a  farsi  considerevole 
appena  all'età  di  20  anni  e  più,  quindi  fra  mezzo  si  possono  coltivare 
dei  peschi,  susini  ed  altre  piante  di  più  rapida  crescita  e  di  vita  più  breve. 

Le  cure  di  coltivazione,  oltre  a  quelle  comuni  alle  altre  piante  ri- 
spetto al  terreno,  si  riducono  a  liberare  dai  rami  morti  o  contusi  la 
pianta,  che  del  rimanente  si  può  lasciare  a  sé  stessa. 

8.  Raccolta,  prodotti  ed  usi.  —  Se  le  giuggiole  sono  destinate  ad 
essere  consumate  fresche,  si  raccolgono  quando  cominciano  a  diventare 
rosse.  Quando  invece  si  vogliono  conservare  secche,  si  aspetta  che 
avvizziscano,  ed  allora  la  polpa  diventa  molle,  floscia  e  viscosa.  Il 
succo  si  cangia  in  una  specie  di  miele;  l'acidità  sparisce  e  la  parte 
zuccherina  si  concentra,  in  modo  da  potersi  conservare  tali  e  quali 
per  qualche  mese,  essiccandole  al  sole  per  qualche  giorno  dopo  la 
raccolta. 

Il  legno  é  durissimo,  pesante,  di  color  rosso,  suscettibile  di  bel 
pulimento. 


PARTE  TERZA 
PIANTE  DA  FRUTTO  CON  PIÙ  NOCCIOLI 


NESPOLO 

(Mespilus  germanica  Limi.  —  Fam.  Rosacee). 

Nome  volgare  italiano  del  frutto.  —  Nespola. 

Nonìi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Nellier  —  Ted.:  Mis- 
pelbaum  —  Ingl.  :  Mediar  tree. 

1.  Origine.  —  E'  indigeno  d'Italia.  Lo  si  trova  da  per  tutto  nei 
boschi,  specialmente  nei  climi  temperati  e  freddi. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Arboscello  che  raggiunge 
l'altezza  da  3  a  5  metri;  il  tronco  arriva  al  massimo  diametro  di  30  era. 
Ha  radici  lunghe,  nodose,  molto  ramificate,  ma  poco  profonde.  Il  tronco 
è  raramente  diritto,  con  molti  rami,  pure  tortuosi,  poco  ordinati  ;  con 
spine  alle  estremità  che  scompaiono  poi  colla  coltivazione  e  nei  buoni 
terreni.  La  corteccia  dei  giovani  rami  è  liscia,  biancastra  e  molto  to- 
mentosa; quella  dei  rami  più  vecchi  è  liscia,  lucida,  scagliosa,  talvolta 
di  color  grigio.  Le  foglie  sono  grandi,  intere,  ovali,  seghettate  princi- 
palmente alla  punta,  brevemente  peziolate,  per  lo  più  leggermente  vel- 
lutate su  tutte  e  due  le  parti,  ma  segnatamente  di  sotto,  e  di  color 
verde-gialliccio  carico. 

Il  fiore  è  grande,  bianco,  ha  il  calice  irsuto  con  5  divisioni,  i  petali 
sono  grandi,  semi-rotondi,  smarginati  alla  cima,  ondeggianti,  larghi  e 
di  color  bianco,  screziato  di  rosso. 

Frutto  quasi  rotondo,  coperto  di  peluria  in  gioventù,  globoso  di 
color  cannella  carico;  porta  alla  base  per  lo  più  due  bratteole.  E'  ter- 
minato da  un  ciufio  o  corona  di  5  foglie  anguste,  le  quali  non  sono 
altro  che  le  5  divisioni  del  calice.  Racchiude  5  semi. 

3.  Varietà.  —  Le  principali  varietà  sono  le  quattro  seguenti: 

1.  Nespolo  primaticcio.  —  Buon  frutto  di  mediocre  grossezza  ed  a 
polpa  delicata. 


—  781  - 

2.  Nespolo  a  frutto  grosso  rotondo.  —  Il  suo  frutto  raggiunge  tal- 
volta il  diametro  di  6  cm.  E'  la  varietà  migliore  e  più  generalmente 
coltivata. 

3.  Nespolo  a  frutto  lungo.  —  Con  frutto  ovale  e  di  grossezza  media. 

4.  Nespolo  a  frutto  senza  semi  o  aspiremo.  —  Con  frutto  di  me- 
diocre bontà  e  piccolo. 

4.  Importanza  della  coltivazione.  —  Ha  un'importanza  limitata.  Di 
solito  si  innestano  i  biancospini  delle  siepi  oppure  si  piantano  i  nes- 
poli lungo  i  corsi  d'acqua.  Essendo  piante  non  del  tutto  prive  di  bel- 
lezza, specialmente  nella  fioritura,  si  metta  qualche  pianta  isolata 
anche  nei  parchi. 

5.  Clima  ed  esposizione.  —  11  nespolo  cresce  nei  boschi  delle  nostre 
colline  e  montagne,  come  pure  nelle  siepi.  Generalmente  riesce  meglio 
nei  climi  temperati  che  nei  caldi.  Si  può  piantare  in  qualunque  espo- 
sizione, ma  nei  siti  freschi  ed  ombrosi  produce  frutti  più  saporiti  e 
più  grossi. 

6.  Terreno.  —  Non  è  delicato  neppure  pel  terreno,  purché  non  sia 
soverchiamente  umido,  magro  o  tenace.  Nei  terreni  secchi  e  magri  dà 
frutti  piccoli  e  molto  austeri,  i  terreni  sciolti  e  freschi  sono  i  più 
adatti  al  nespolo. 

7.  Moltiplicazione.  —  Può  farsi  per  seme  e  per  innesto. 

I  semi  si  affidano  al  terreno  nello  stesso  autunno  in  cui  si  raccol- 
gono i  frutti,  scegliendo  un  terreno  fresco  e  mettendoli  alla  profondità 
di  5  cm.  La  germinazione  è  lenta.  Le  piaiUe  riescono  nella  primavera 
del  secondo  anno  e  si  trapiantano  fra  il  terzo  e  il  dodicesimo  anno.  I 
semi  mantengono  la  facoltà  germinativa  per  18  mesi. 

Per  avere  delle  piante  a  più  pronta  fruttificazione,  si  innesta  sul 
biancospino.  Si  innesta  e  spacco  a  fior  di  terra,  si  può  anche  innestare 
sul  cotogno  a  gemma  dormiente. 

Le  marze  da  innesto  si  scelgono  con  gemme  salienti,  scartando 
quelle  della  base  dei  rami. 

Per  ottenere  dei  fusti  alti,  si  innesta  sul  biancospino  il  nespolo  di 
Smith  e  sopra  questo,  si  soprainnesta  la  varietà  voluta  all'altezza  del 
mezzo  vento. 

8.  Caratteri  vegetativi.  —  La  chioma  dell'albero  prende  natural- 
mente la  forma  arrotondata  e  la  pianta  vive  molto  a  lungo.  A  30  anni 
ha  il  suo  massimo  sviluppo.  Neil'  Italia  superiore,  le  foglie  sbocciano 
intorno  alla  metà  d'aprile,  fioiisce  nella  prima  decade  di  maggio,  i  frutti 
maturano  nella  terza  decade  di  ottobre  e  le  foglie  cadono  ai  primi  di 
novembre.  I  frutti,  come  nel  cotogno,  si  trovano  all'estremità  dei  brin- 
dilli  formatisi  nell'anno  precedente. 

9.  Coltura.  —  Avendo  il  nespolo  una  vegetazione  ancora  più  irre- 
golare del  cotogno  e  producendo,  pure  come  il  cotogno,  i  frutti  al- 
l'estremità dei  brindilli,  gli  si  lascia  prendere  la  sua  forma  naturale. 
L'opera  del  coltivatore  consisterà  quindi  ad  avvicinare  col  taglio 
qualche  branca  che  si  scosta,  per  mantenere  una  forma  regolare  alla 


—  782  - 

chioma,  oppure  mondare  la  pianta  di  qualche  ramo  secco,   contuso   o 
mal  situato. 

Coir  innesto  intermediario  della  varietà  di  Smith  si  fanno  dei  bel- 
lissimi alberelli  per  ornamento  dei  giardini. 

10.  Prodotti.  —  Viene  coltivato  specialmente  pei  suoi  frutti,  i  quali 
vanno  lasciati  sulla  pianta  più  che  si  può,  fino  ai  primi  geli.  La  polpa 
delle  nespole,  anche  a  completa  maturazione  naturale,  è  durissima  ed 
ha  un  sapore  sommamente  astringente  e  di  una  acerbità  insopportabile. 
Però  conservate  fra  la  paglia  ammezziscono,  ossia  subiscono  una  fer- 
mentazione, prendono  un  colore  bruno,  la  polpa  rammollisce,  assume 
la  consistenza  mielosa  ed  un  sapore  zuccherino  acidulo,  gradevole. 
È  in  questo  stato  che  sono  commestibili.  Costituiscono  un  alimento  rin- 
frescante, ma  troppo  ricco  di  tannino,  perciò  è  soverchiamente  austero 
ed  indigesto.  Bisogna  mangiarne  con  moderazione,  altrimenti  possono 
produrre  coliche,  ventose  e  tenesmo. 

Le  nespole  vengono  anche  candite  ;  si  fa  con  esse  anche  una  specie 
di  sidro. 

Il  legno  è  molto  duro,  forte,  compatto,  bianco-rossastro,  capace  di 
bel  pulimento,  ma  facile  a  contorcersi.  Viene  chiesto  per  piccoli  lavori 
da  tornio. 

La  scorza  dei  rami  ed  i  frutti  immaturi  si  possono  adoperare  nella 
concia  delle  pelli. 

La  pianta  può  servire  da  porta  innesto   del  pero  e  dell'azzeruolo. 

11.  Malattie.  —  Vedi  pag.  500. 


NESPOLO    DEL    GIAPPONE 

(Eriobotrya  japoniea  Lindley  —  Fam.  Rosacee). 


Nome  volgare  italiano  del  frutto  —  Nespola  del  Giappone. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Bibassier  —  Ted.:  lapa- 
nesischer  Mispelbaum  —  Ingl.:  Loguat-tree. 

Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  Frane:  Bibasse  —  Ted.:  lapa- 
nesische  Mispel  —  Ingl.:  lapan  mediar. 

1.  Origine.  —  Proviene  dalla  Cina  orientale.  Fu  importato  nel- 
l'Isola Maurizia  dai  gesuiti  e  da  qui  venne  introdotto  in  Francia,  dove 
il  primo  esemplare  fiorì  nel  1797.  (Prof.  De  Rosa  (1). 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Allo  stato  selvatico  nella 
Cina,  il  nespolo  è  un  albero  non  tanto  alto,  cespuglioso,  con  forte 
ramificazioni  spinose.  Ha  le  foglie  grandi,  lunghe.  La  pianta    coltivata 


(1)  Prof.  F.  De  Rosa.  -  Il  nespolo  dei  (uappone.  -  Napoli.  1913. 


—  783  — 

è  un  albero  medio  (5-6  metri  di  altezza)  a  chioma  piramidale  o  sferica, 
di  magnifico  aspetto  (fig.  585). 

Radice  molto  ramificala,  superficiale,  di  notevole  forza  di  penetra- 
zione anche  fra  i  muri  e  nelle  roccie.  Fusto  diritto,  talvolta  diviso  alla 
base  cosi  da  formare  dei  cespugli;  rami  dell'annata  grossi,  tomentosi, 
crassi  che  si  sviluppano  a  serie  formate  di  due,  più  raramente  di   tre 


tt.- 


-.^*-^ 


Fig.  585.  —  Nespolo  del  Giappone. 


ramificazioni  ;  i  rami  di  due  e  più  anni  sono  diritti,  scagliosi,  poco  prov- 
visti di  foglie.  Le  foglie  si  trovano  di  preferenza  sui  rami  dell'annata  e 
sono  grandi,  lunghe  20  cm.,  coriacee,  di  forma  lanceolata,  con  breve 
picciolo,  cotonose  sulla  pagina  inferiore,  lucide  superiormente.  Fiori 
riuniti  in  pannocchia  all'estremità  dei  rami,  (fig.  586)  di  grato  odore  di 
mandorla,  molto  gradita  anche  alle  api.  Calice  campanulato,  gamo- 
sepalo  ;  corolla  con  5  petali  ;  stami  20;  ovario  intero  aderente  al  calice. 
I  frutti  sono  pomi,  coronati  dal  calice,  raramente  solitari  ma  aggrupati 


-  784  - 

a  4-5,  di  color  giallo,  un  po'  vellutati,  della  grandezza  e  forma  di  una 
piccola  nespola.  Racchiude  da  1-3,  raramente  5  grossi  semi,  i  quali  sono 
tanto  riuniti  da  formare  quasi  un  nocciolo  voluminoso. 

3.  Classificazione  delle  varietà.  —  La  pianta  del  Nespolo  del  Giap- 
pone è  dotata  di  una  grande  variabilità  di  forme  ;  è  suscettibile  perciò 
di  un  grande  perfezionamento  a  mezzo  della  selezione  e  del  meticcia- 
mento. 


Fig.  586.  —  Infiorescenza  e  fruttificazione  del  Nespolo  del  Giappone. 


Il  signor  Sprenger,  nel  Bollettino  della  R.  Società  Toscana  di 
Orticoltura  del  1912,  descrive  le  seguenti  varietà  da  lui  trovate  nei 
giardini  e  frutteti  di  Palermo  e  d'Alcamo: 

1.  Palermo.  Frutto  grossissimo,  allungato,  con  3  semi  angolosi  a 
polpa  giallo-chiara  zuccherata,  deliziosa.  Buccia  sottile,  giallo-dorata, 
scarsamente  punteggiata  di  bruno.  Albero  robustissimo  a  larghissima 
chioma,  sempre  verde  e  con  foglie  ben  fatte,  regolari  e  poco  ondulate. 

2.  Linioncello.  Frutto  a  forma  di  limone,  grossissimo,  allungato, 
con  la  buccia    sottile,    di    color   giallo-limone   o    sulfurea,    punteggiata 


-  785  — 

scarsamente  di  bruno.  Polpa   quasi   bianca,   deliziosa,   copiosa,   con   3 
semi  allungati. 

Fiorisce  in  dicembre  e  matura  i  suoi  frutti  in  aprile-maggio. 

Albero  grandissimo,  un  poco  irregolarmente  ramificato. 

3.  Conca  d'oro.  Frutto  in  grossi  grappoli,  medio,  quasi  piriforme, 
giallo-dorato,  bellissimo  e  dolcissimo.  Polpa  color  giallo -pallido,  con 
2  o  3  noccioli. 

Albero  piccolo,  ben  fatto,  fiorisce  sin  dal  novembre  e  matura 
presto  i  suoi  frutti. 

Questa  varietà  ha  un  profumo  di  Iragola,  perciò  si  chiama  ad 
Alcamo. ed  a  Castellamare  di  Sicilia:  Nespola-fragola. 

4.  Monreale.  Frutto  completamente  rotondo  o  alle  volte  più  lungo 
che  largo,  medio,  giallo-cupo-dorato  e  brunastro  al  sole.  Polpa  suffi- 
cientemente abbondante,  sugosa  e  deliziosa,  con  3  noccioli  piccoli. 

Fiorisce  in  dicembre  e  matura  in  aprile. 
Albero  ben  fatto  e  vigoroso. 

Questa  varietà  nella  provincia  di  Palermo  si  chiama  anche  Vainilia, 
per  il  suo  odore  soave. 

5.  Nespolo  a  un  seme.  Frutto  medio,  giallo  dorato,  rotondo  e  ben 
fallo  con  un  solo  nocciolo  e  qualche  volta  anche  senza;  polpa  deliziosa. 

Albero  medio,  ben  fatto,  fiorisce  tardi  e  matura  in  maggio. 

6.  Sanla  Rosalia.  Frullo  medio,  rotondo  od  allungato,  giallo-do- 
rato, dolcissimo,  sugoso  e  soave,  con  semi  piccoli. 

Albero  ben  fatto,  foglioso. 

Fiorisce  tardi  in  dicembi'e  e  matura  al  principio  di  giugno.  E' 
l'ultimo  dei  nespoli  a  maturare. 

11  Prof.  De  Rosa,  nella  sua  citata  monografia,  cita  e  riporta  le  se- 
guenti varietà  perfezionale  in  Algeria  e  ottenute  dal  Dott.  Trabut. 

Quelle  coltivate  per  l'esportazione,  poiché  i  frutti  sopportano  bene  i  trasporti, sono: 

1.  Telesiaj  precoce.  Frutto  grosso,  allungato.  Buccia  spessa,  colorata;  polpa  giallo- 
carico.  Sapore  profumato  e  squisito.  Precoce  (Arkwight) 

2.  lìrunel.  Frutto  grosso,  rotondo  allungato.  Buccia  spessa,  pelosetta.  Polpa  giallo 
chiara.  Sapore  dolce,  profumato. 

3.  Gelos.  Frutto  grosso,  ovale-allungato.  Buccia  spessa,  poco  colorata;  polpa  suc- 
cosa, dolce. 

4.  Don  Carlos.  Frutto  grosso  (  4-5x4),  di  bella  apparenza,  rotondato.  Buccia  spessa; 
polpa  giallo  chiara,  molto  dolce,  poco  profumata. 

5.  Scala.  Frutto  rotondo,  medio,  buccia  spessa,  colorata;  polpa  gialla,  molto  zuc- 
cherina. 

6.  S.  Michel  Long.  Frutto  grosso,  piriforme,  del  peso  di  circa  50  gr.  e  delle  dimen- 
sioni di  cm.  5-5  per  4-5.  Buccia  fina,  giallo  pallida,  polpa-gialliccia,  profumata,  con 
pochi  e  piccoli  semi. 

Da  queste  varietà  sarebbero  derivate  le  seguenti  due  varietà: 
a)  Meffsre,  frutto  rotondo,  medio. 
bj  Dauphin,  precoce. 

7.  .Merendai.  Frutto  elitico,  piriforme  (cm.  5x.^-5j.  Polpa  bianca,  succosa.  Semi 
piccoli  e  numerosi. 

8.  Amiot.  Frutto  ovale  allungato,  buccia  spessa,  giallo  chiara. 

50  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  786  — 

9.  birrone/.  Frutto  medio,  rotondo,  allungato.  Buccia  fine,  colorata.  Polpa  suc- 
cosa, sapore  dolce,  profumato.  Eccellente  pel  mercato. 

Pel  consumo  locale,  ma  eccellenti  per  la  qualità  del  frutto,  in  Algeria  si  distin- 
guono ancora  le  seguenti  varietà: 

1.  Miss  Archwright.  Fruito  grosso  (cm.  6x4-5,  polpa  da  40-50  gr.).  Polpa  fondente 
gialla  che  racchiude  da  5  a  6  semi  abortiti. 

2.  l'ornine.  Si  dà  questo  nome  perchè  il  frutto  ha  la  forma  ed  il  profumo  di 
mela.  Frutto  medio  (cm.  4x4-5),  polpa  bianca,  soda. 

3.  Miss  li.  Halle.  Frutto  subrotoedo  (cm.  4-5x4;  buccia  spessa,  cotonosa,  pallida. 
Occhio  grande,  aperto:  polpa  molto  soda  e  sapore  dolce. 

4.  Borée.  Frutto  corto,  subrotondo,  depresso;  buccia  resistente,  polpa  bianca,  soda, 
dorata  sotto  la  buccia,  molto  profumata  e  succosa. 

5.  Olivier.  Frutto  allungato  in  grappoli  radi;  buccia  fine;  polpa  bianca,  molto 
profumata,  succosa,  acidula.  Semi  piccoli. 

6.  Longue.  Frutto  allungato,  medio;  polpa  molto  gialla,  soda  profumata.  D'ordi- 
nario contiene  un  solo  seme. 

Il  Dott.  Taft  M.  ha  ottenuto  in  California  le  seguenti  varietà: 

1.  Advance.  Frutto  a  grappoli  radi,  grosso  (5x7  cm.),  piriforme,  molto  zuccherino 
a  maturità  completa. 

2.  Premier.  Frutto  ovale,  grossissimo  con  polpa  salmonata,  zuccherina,  dotata  di 
un  profumo  speciale. 

3.  Eulalia.  Frutto  ovale  o  piriforme,  di  color  aranciato.  Polpa  succosa,  giallo-aran- 
ciata, acidula.  Albero  vigoroso  e  produttivo. 

4.  Victor.  Frutto  grossissimo,  allungato,  ventricoso,  fortemente  colorato,  rossastro. 
Polpa  soda,  noccioli  ridotti.  Non  adatto  per  l'esportazione. 

P.  L.  Vilmorin,  in  un  suo  articolo  sul  nespolo  del  Giappone  pubblicato  dalla  Revue 
Horlicole,  anno  1912,  N.  15,  dice,  che  nel  Giappone  si  conoscono  piii  varietà  di  nespoli 
e  cioè: 

1.  Nespolo  comune,  a  piccoli  frutti  e  acidi  (Biiva.) 

2.  Nespolo  bianco.  (Shiro-Ko-biva). 

3.  Nespolo  a  frutti  ovali  (Naga-tò-biwa).  Questa  varietà  fu  trovata  a  Nagasaki. 
I  frutti  sono  eccellenti,  a  polpa  consistente,  dolce  e  motto  succosa. 

4.  Nespolo  a  frutti  grossi  (Fò  biwer).  Questa  varietà  corrisponderebbe  secondo  Vil- 
morin alle  varietà  coltivate  attualmente  nella  Francia  meridionale. 

Successivamente  l'orticoltore  giapponese  I.  Oinque,  ha  fatto  cono- 
scere (vedi  Revue  llorticole  A.  1915  N.  5)  le  seguenti  varietà,  molto 
distinte,  coltivate  ora  nei  giardini  al  Giappone. 

1.  Dohi  a  Tokio  chiamata  Shino-Biwa  ottenuta  nel  1888.  Questa  varietà  si  alleve- 
rebbe a  piramide,  piantando  75  alberi  per  ettaro. 

2.  Gekkéikan  (fig.  587).  Frutto  molto  dolce,  gustosissimo,  grande,  ovale,  di  colore 
bianco  giallastro  ;  con  4  noccioli. 

Albero  vigorosissimo  e  molto  fertile  ;  di  forma  piramidale  un  poco  nana. 

3.  Mogi  liitva  (fig.  588).  Frutti  ovali,  generalmente  5  per  grappolo,  un  poco  più  ro- 
tondi di  quelli  della  varietà  Tanaka.  Colore  giallo-ranciato;  molto  succosi  e  dolci. 

Albero  molto  vigoroso  ed  abbastanza  fertile. 

4.  Téraoutchi-Biwa  (fig.  589).  Questa  varietà,  ottenuta  dall'orticoltore  Sasaki  di 
Tèraoutchi  Kosonè  (provincia  di  Osaka)  produce  dei  frutti  grossissimi,  rotondi,  dolci^ 
eccellenti. 

Contengono  un  solo  nocciolo;  colore  giallo  biancastro. 

5.  Tamoura-Biwa.  I  frutti  sono  abbastanza  grossi,  molto  dolci  e  succosi,  di  color 
giallo.  Albero  molto  vigoroso,  poco  fertile  nei  teiTeni  calcari. 


787  — 


6.  Tanaka  Biwa.  Questa  varietà  è  stata  ottenuta  dall'orticoltore  Senatore  Barone 
Tauaka. 

Per  la  forma  del  frutto  si  distinguono  due  sotto-varietà  e  cioè  una  a  frutti  elittici 
(cni.  GX •">•'')  e  l'altra  a  piriformi  (cm.  6.5X55). 


r^^i 


Fig.  587.  —  Gekkéikan. 


Fig.  588.  —  Mogi 


Fig.  589.  -  Téraoutclii-Biwa. 


Buccia  molto  resistente  ai  trasporti,  di  colore  aranciato  :  polpa  molto  soda,  giallo- 
albicocca,  tlolce,  con  profumo  piacevole.  Noccioli  pochi.  Matura  in  maggio. 

La  pianta  è  vigorosa,  molto  fertile,  resiste  alla  siccità.  Ha  le  foglie  più  strette  delle 
altre  varietà. 

Questa  varietà  ha  un  valore  notevole  quale  frullo  di  esportazione. 


—  788  — 

7.  Vasé-Biiva  o  nespolo  precoce.  Frutto   piccolo   ma   molto   precoce,  un    pò   acido. 

8.  Vasé-ó-Biu>a  o  nespolo  grande  precoce.  Varietà  nuova.  Frutto  grosso,  molto  dolce, 
di  colore  giallo. 

Albero  mollo  fcrlile  e  molto  stimato. 

9.  Sangalscti-Iiitua  o  nespolo  di  marzo.  È  la  varietà  più  precoce.  Il  frutto  comincia 
a  colorarsi  alla  fine  di  febbraio  ed  in  marzo  matura.  Frutto  piccolo  di  colore  giallo 
carico. 

Albero  molto  vigoroso  e  fertile. 

4.  Scelta  delle  varietà.  —  Ho  citato  tutte  queste  varietà  per  invo- 
gliare gli  agricoltori  italiani  delle  regioni  calde  a  introdurle  ed  espe- 
rimentarle, poiché  per  noi  questa  coltivazione  va  assumendo  una 
sempre  maggiore  importanza. 

Nella  scelta  delle  varietà  si  abbia  sempre  cura,  per  gli  impianti 
industriali,  di  tenersi  alle  varietà  con  buccia  consistente  ed  a  polpa 
soda,  resistente  ai  trasporti.  Si  scelgano  di  preferenza  quelle  con  pochi 
noccioli,  di  sapore  dolce,  leggermente  acidulo.  Rispetto  alla  grandezza, 
si  possono  tollerare  anche  i  frutti  piccoli  per  le  varietà  precoci. 

5.  Importanza  della  coltivazione.  —  É  molto  apprezzata  la  preco- 
cità di  maturazione  dei  frutti  e  perciò  la  coltura  va  acquistando  una 
sempre  maggiore  importanza  commerciale. 

6.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Tanto  nei  frutteti  di  speculazione 
quanto  nei  campi  e  giardini  per  ornamento  e  per  frutto. 

7.  Clima  ed  esposizione.  —  Soffre  pel  freddo  specialmente  se  franco 
di  piede,  perciò  lo  si  innesta  sul  biancospino.  Riesce  nella  regione 
dell'olivo  ;  nei  climi  più  rigidi  si  pianta  contro  i  muri  di  mezzogiorno. 
Non  coltivandolo  per  i  frutti,  basterà  scegliere  una  buona  esposizione 
a  mezzogiorno.  Le  foglie  resistono  alla  temperatura  di  — 10"  C. 

Nel  Veneto  i  frutti  maturano  alla  fine  di  giugno,  a  Napoli  ai  primi 
di  maggio,  sulla  riviera  Ligure,  la  fioritura  comincia  in  ottobre  ed 
i  frutti  maturano  a  metà  maggio. 

8.  Terreno.  —  Prospera  in  tutti  i  terreni  meno  quelli  molto  aridi 
o  argillosi  freddi,  tanto  del  piano  quanto  del  colle.  F'rutta  abbondanti 
non  dà  però  clie  nei  terreni  soffici,  molto  fertili,  freschi  e  non  umidi 
durante  l'inverno. 

Nelle  regioni  littoranee  riesce  molto  bene. 

9.  Moltiplicazione.  —  Può  farsi  per  seme,  per  margotta  e  per  in- 
nesto. Alla  moltiplicazione  per  seme  si  ricorre  nell'Alta  Italia  per  avere 
delle  piante  alte,  ornamentali  più  che  da  frutto.  Raccolti  i  frutti  maturi, 
si  seminano  i  noccioli  in  cassette,  appena  liberati  dalla  polpa,  e  d'inverno 
si  portano  a  riparo  nelle  aranciere.  1  semi  due  settimane  dopo  raccolto 
il  frutto  perdono  la  facoltà  germinativa. 

Allo  scopo  di  avere  presto  frutti  si  ricorre  alla  moltiplicazione  per 
margotta,  ma  allora  si  hanno  piante  cespugliose. 

Lo  stesso  elletto  si  ottiene  per  innesto.  Si  può  innestare  sul  cotogno, 
sul  biancospino  e  sul  franco.  11  soggetto  da  preferirsi  è  il  cotogno, 
poiché  i  frutti  maturano  più  presto. 

Nei  paesi  meridionali  si  moltiplica  da  sé,  coi  frutti  che  cadono. 


—  789  - 

Si  applica  l'innesto  a  corona  od  a  gemma,  possibilmente  raso  terra. 
Si  fa  dopo  la  maturazione  dei  frutti  quando  la  pianta  riprende  la  ve- 
getazione e  cioè  circa  alla  fine  di  giugno. 

La  marza  si  sceglie  sui  rami  di  due  anni.  Si  tolgono  le  foglie 
lasciando  il  picciolo. 

Nei  climi  un  po'  freddi  come  nell'Alta  Italia,  invece  che  all'aperto, 
l'innesto  si  può  fare  sotto  vetrata.  In  tal  caso  si  conserva  al  resto  una 
porzione  di  foglie. 

Sul  cotogno  il  nespolo  del  Giappone  prende  poco  sviluppo,  resta 
basso,  forma  una  pianta  cespugliosa,  ma  anticipa  la  sua  fruttificazione. 

Sul  biancospino  dà  dei  frutti  più  profumati  e  più  grossi.  La  Scuola 
Agraria  di  S.  Ilario  Ligure  ha  sul  biancospino  la  più  bella  pianta  della 
sua  collezione. 

Concludendo,  l'innesto  più  usuale  è  quello  sul  franco;  per  ottenere 
precocità  di  maturazione  si  ricorra  al  cotogno  e  per  le  varietà  più 
grosse  e  delicate,  di  nìaturazione  tardiva,  sul  biancospino. 

10.  Caratteri  vegetativi.  —  È  una  pianta  di  magnifico  aspetto  a 
chioma  piramidale  o  ad  ombrello.  Il  legno  è  tenace,  difficilmente  si 
dirama  ed  è  di  lenta  crescita. 

Il  nespolo  del  Giappone  fruttifica  abbondantemente,  ma  fiorendo 
molto  presto,  qualche  volta  la  fruttificazione  sofire  pei  geli  tardivi  di 
marzo.  A  4  o  6  anni  porta  frutto. 

Fiorisce  dal  novembre  al  febbraio  a  seconda  delle  latitudini.  Porla 
i  frutti  da  maggio  alla  fine  di  giugno.  Dopo  la  fruttificazione  cominciano 
a  svilupparsi  i  nuovi  germogli  dalla  cima  dei  rami  prodotti  nell'anno 
precedente.  Questi  germogli  portano  alla  loro  volta  all'estremità  un 
bottone  dal  quale  si  sviluppano  poi  i  fiori  in  novembre-dicembre. 

11.  Potatura.  —  11  nespolo  del  Giappone,  come  il  fico,  ramifica 
facilmente,  perciò  non  occorrono  dei  tagli  per  la  potatura  di  formazione. 

Quella  di  fruttificazione  è  semplice  e  consiste  nel  sopprimere,  dopo 
la  raccolta  dei  frutti,  l'asse  della  infiorescenza,  che  li  ha  portati. 

Pel  rimanente  a  questa  pianta  bastano  le  cure  comuni  alle  altre. 
Non  è  necessario  alcun  taglio  eccetto  che  pei  rami  rotti,  contusi,  sec- 
chi e  l'amputazione  eventuale  di  qualche  succhione. 

12.  Forme.  —  Si  lascia  prendere  alla  pianta  la  sua  forma  naturale. 

13.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  Il  nespolo  del  Giappone 
oggi  trovasi  in  tutta  Italia  e  dove  non  prospera  come  albero  da  frutto 
è  coltivato  come  albero  d'ornamento.  Anzi  per  questo  scopo  è  stato 
importato  in  Europa  ed  è  un  esempio  del  vantaggio  che  arrecò  l'arte 
del  giardinaggio. 

Con  questa  pianta  in  Liguria  si  fanno  notevoli  impianti  specializ- 
zati, scegliendo  le  località  meglio  esposte  dove  non  si  può  fare  l'ir- 
rigazione. Le  piante  si  collocano  a  5  metri  di  distanza. 

14.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  Le  nespole  del  Giappone 
sono  oggi  molto  ricercate  per  frutta  da  tavola,  per  confetture  o  per 
mostarda.  La  loro  polpa  tenera,  zuccherino   acidulata  è  molto   grade- 


—  790  — 

vole,  tanto  più  che  e  uno  dei  primi  frutti  eduli  che  si  hanno  in  pri- 
mavera. Sono  frutti  che  non  soffrono  per  il  trasporto;  si  usa  imballarli 
in  cestine  di  K{*.  5,  con  ritagli  di  carta. 

I  noccioli,  disgustosi  di  per  sé,  contengono  dell'acido  prussico  e 
quindi  bisogna  guardarsi  dal  cibarsene. 

All'età  di  10-12  anni  il  nespolo  può  dare  un  prodotto  di  12  kg.  di 
frutta;  successivamente,  fino  oltre  il  ventennio,  dà  un  prodotto  triplo. 

15.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  Borntraeger  A.,  già  diret- 
tore della  R.  Stazione  Agraria  di  Palermo,  ha  analizzato  due  campioni 
di  frutti  uno  immaturo  ed  uno  maturo.  Nel  succo  trovò,  in  100  e.'*: 

dei  frutti  immaturi  dei  frutti  maturi 

I  Campione       II  Campione       III  Campione 

Zucchero   invertito gr.  2.74  4.20  6.70 

Saccarosio       „  4.30  2.47  4.94 

Acidi  liberi  (espressi  in  acido 

malico) „  1.75  0.84  0.60 

Acido  citrico „  1.12  1.37  — 

16.  Usi.  —  Oltre  gli  usi  sopra  ricordati,  la  nespola  serve  anche  a 
fabbricare  una  specie  di  acquavite,  avvertendo  però  di  togliere  i  noc- 
cioli, prima  che  i  frutti  fermentino. 

17.  Prodotti  secondari.  —  Le  foglie  vengono  vendute  ed  esportate  per 
ornamento  e  [)er  preparare  corone. 

18.  Malattie.  —  Vedi  pag.  500. 


LAZZERUOLO 

(Crataegus  Azarolus  L.  —  Fani.  Rosacee) 

Nome  volgare  italiano  del  frutto  —  Azeruola  o  Lazzcruola. 
Nomi   volgari   stranieri   della  pianta  —    Frane.  :  Azerolier  —  Ted.  : 
Azarolenbaum  —  Ingl.  :  Thorn  Apple. 

1.  Origine.  —  È  una  pianta  della  Francia  meridionale,  che  si  trova 
ora  estesa  lungo  tutto  il  littorale  mediterraneo  d'Italia  ed  anche  nel- 
l'isola di  Malta. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  È  un  albero  (fig.  587  e  588) 
che  raggiunge  7  od  8  metri  di  altezza,  con  molti  rami  grossi,  corti,  ri- 
torti, ascendenti,  coperti  da  una  corteccia  nera,  screpolata,  e,  se  gio- 
vane, leggermente  pubescente.  Allo  stato  selvatico  i  rami  sono  spinosi, 
ma  la  maggior  parte  delle  varietà  coltivate  sono  senza  spine.  I  rami 
di  queste  sono  grossi,  ritorti,  corti,  divisi  in  nodi  spessi  e  rilevati, 
coperti  di  una  corteccia  nera,  grezza,  screpolata,  ineguale,  e  terminati 
da  una  messa  laterale,  viva,  e  da  un  resto  di  ramo  secco,  che  è  la  punta 
su  cui  l'anno  antecedente  posavano  i  frutti.  Le  foglie  hanno  la  lamina 
leggermente  dentata  e  divisa  in  tre  lobi   profondi,  piegata  a   forma  di 


791 


cuneo  ed  un  poco  tomentosa.  I  fiori  sono  bianchi,  grandi,  odorosi,  riu- 
niti in  piccoli  corimbi  che  si  trovano  all'estremità  dei  rami,  come  nel 
biancospino,  con  peduncoli  e  calici  tomentosi.  Il  frutto  è  di  vario  co- 
lore a  seconda  della  varietà,  e  i-acchiude  da  3  a  5  noccioletti  ossei  più 
duri  di  quelli  del  nespolo.  Ha  l'aspetto  di  una  piccola  mela  Paradisa, 
sferica,  ineguale  e  gibbosa,  un  poco  compressa  alla  cima,  sormontata 
dai  resti  squammosi  del  calice  che  formano  come  una  corona  portata 
da  un  piccioletto  legnoso,  che  esce  dalle  gemme  terminali  della  messa 
e  s'impianta  nella  cavità  inferiore  del  frutto,  come  nelle  mele.  La  sua 
buccia  è  liscia,  di  color  cana- 
rino chiaro  e  aderente.  Polpa 
croccante  e  insieme  butirrosa, 
di  una  grana  finissima. 

3.  Varietà.  —  Le  principali 
varietà  coltivate  per  il  frutto 
sono  le  seguenti  : 

1.  Azeruola  bianca  o  mo- 
scatella. —  Somiglia  ad  una 
piccola  mela  di  S.  Giovanni, 
sferica  ineguale,  compressa  al- 
la cima,  ed  ivi  sormontata  da 
resti  squamosi  del  calice,  che 
formano  come  una  corona. 
Buccia  liscia,  di  color  canari- 
no chiaro,  aderente  alla  polpa. 
Questa  è  croccante,  butirrosa, 
piena  di  un  sugo  acidulo,  grato, 
qualora  sia  perfettamente  ma- 
tura (fig.  590). 

2.  Azeruola  rossa.  —  È  più 
piccola  e  meno  buona  della 
precedente.  Il  frutto  è  un  po' 
più  grosso  di  una  avellana,  la 
polpa  è  acidula  e  ricorda  la  fragola.  Come  dice  il 
eia  è  rossa.  È  più  rustica  della  bianca  (fig.  591). 

3.  Azeruola  gialla.  —  È  la  migliore  di  tutte  od  almeno  sta  alla 
pari  della  prima.  Sui  mercati  di  Napoli  si  paga  il  doppio  della  rossa. 
Somiglia  molto  alla  bianca  e  non  difi"erisce  che  pel  colore. 

Danno  pure  frutti  commestibili  le  seguenti    specie    di    azzaroli,  da 
noi  specialmente  coltivate  per  ornamento  : 

1.  Lazzeruolo  d'America  (Crataegus  coccinea  L.).  —  Dell'America 
settentrionale  :  dà  frutti  rossi  della  grossezza  d'una  ciliegia. 

2.  Lazzeruolo  perino  (Crataegus  pyrifolia  Ait.).  —  Pure  dell'America 
settentrionale.  I  suoi  frutti  hanno  la  forma  d'una  piccola  pera. 

3.  Lazzeruolo  puntato  (Crataegus  puntata  Ait.).  —  Anche  questo 
dell'America  settentrionale.  I  suoi  frutti  contengono  noccioli  troppo 
grossi. 


Fig.  590.  —  Azzeruolo  bianco. 

SUO  nome,  la  bue- 


4.  Lazzeruolo  sanguigno  (Crataegus  sanguinea  Pali).  -  Della  Russia 
e  della  Siberia:  i  suoi  frutti  vengono  mangiati,  ma  sono  poco  polposi. 

5.  Lazzeruolo  Uirco  (Crataegus  tanacetifolia  Pers.).  —  Dell'Oriente: 
i  suoi  frutti  lianno  presso  che  il  gusto  delle  nostre  lazzeruole  e  vengono 
mangiati  dagli  Armeni. 


Fig.  591.  —  Lazzeruolo  rosso. 


4.  Importanza  della  coltivazione.  —  Si  coltivano  delle  piante  iso- 
late nei  frutteti  casalinghi,  nei  giardini.  È  un  albero  assai  rustico  che 
non  ha  bisogno  di  cure  speciali  pel  terreno.  Alcuni  consigliarono  la 
spalliera,  ma  non  c'è  convenienza  di  coltivare  in  tal  modo  una  pianta 
tanto  rustica. 

5.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Abbonda  in  tutti  i  paesi  caldi, 
da  Nizza  a  Napoli  e  Palermo,  perù  in  Italia  si  può  coltivare  e  fruttitìca 


-  793  - 

da  per  tutto.  Dopo  la  vite  è  l'ultimo   a    fiorire   delle   piante  da  frutto, 
cioè  nella  prima  settimana  di  giugno. 

Nell'Italia  settentrionale  conviene  la  varietà  rossa  e  l'esposizione  a 
mezzogiorno,  altrimenti  i  frutti  non  hanno  né  un  buon  sapore,  nò  un 
buon  aroma. 

6.  Terreno.  —  Convengono  tutti  i  terreni,  ma  specialmente,  gra- 
nitici o  i  vulcanici.  Teme  le  terre  fredde,  argillose,  umide.  La  sua  radice, 
approfondendosi  poco,  non  ha  bisogno  di  lavori  profondi. 

7.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  seme  e  per  innesto. 

I  semi  durano  2  anni  nel  terreno  prima  di  germinare  ;  se  ne  otten- 
gono delle  piante  resistenti  al  freddo  e  rustiche,  ma  la  loro  crescita  è 
tanto  lenta  e  fruttificano  tanto  tardi,  da  far  preferire  sempre  l'innesto. 

L'innesto  si  fa  ad  occhio  dormiente  sul  biancospino  di  tre  anni. 
Si  impiega  per  soggetto  anche  il  cotogno,  il  nespolo,  il  pero,  ma  in  via 
eccezionale  e  soltanto  quando  si  vuole  avere  delle  piante  di  rapida 
crescita  e  delle  varietà  a  frutta  grosse.  La  varietà  bianca  non  avendo 
semi,  si  moltiplica  esclusivamente  per  innesto. 

8.  Caratteri  vegetativi.  —  Fiorisce  in  maggio  e  matura  i  frutti  in 
settembre.  La  pianta  fruttifica  fra  il  decimo  ed  il  quindicesimo  anno. 
L'azzeruolo  è  una  pianta  di  lentissimo  sviluppo  ;  la  sua  ramificazione 
procede  quasi  come  quella  del  pero. 

Se  noi  prendiamo  ad  esaminare  un  ramo  di  un  anno  dell'azzeruolo 
e  se  lo  lasciamo  a  se  stesso,  nel  secondo  anno  si  osserva  che  esso  si 
prolunga  mediante  il  germoglio  che  sorge  dalla  gemma  terminale.  Si 
osserva  ancora  che  le  gemme  del  terzo  inferiore  di  questo  ramo  non 
danno  alcuna  produzione  e  le  altre  sviluppano  dei  dardi  o  dei  rami 
misti,  oppure  dei  rami  a  legno.  Naturalmente  questi  ultimi  sorgono 
dalle  gemme  di  mezzo  (fig.  592). 

Nel  terzo  anno  questi  dardi  sviluppano  un  germoglio  fiorifero  più 
o  meno  lungo,  il  quale,  a  seconda  del  vigore,  sviluppa  una  o  due  gemme 
a  fruito  ed  una  o  due  gemme  a  legno-,  all'estremità  porta  il  corimbo 
dei  fiori  e  dei  frutti.  Quando  questi  ultimi  sono  maturi,  dissecca  la 
cima  del  germoglio  fino  alla  prossima  gemma  a  legno  e  quindi  sulla 
pianta  rimane  un  mozzicone  secco.  Le  gemme  a  legno  servono  a  pro- 
lungamento del  ramo,  le  due  gemme  e  frutto  si  trasformano  in  dardi 
e  nel  secondo  anno  producono  un'  altro  getto  consimile,  portante 
all'estremità  i  fiori  e  nel  mezzo  altre  gemme  a  legno  ed  a  frutto. 

Come  si  vede,  lasciando  l'azzeruolo  sempre  a  se  stesso,  si  incorre 
nel  pericolo  di  avere  delle  branche  da  frutto  più  o  meno  lunghe  ma 
sguarnite  alla  base. 

9.  Coltivazione.  —  Per  il  modo  di  vegetare  dell'azzeruolo,  bisogna 
applicare  una  potatura  onde  non  avere  le  piante  coi  rami  sguerniti  di 
frutti  alla  base.  A  questo  scopo  si  tagliano  i  rami  di  prolungamento  a 
due  terzi.  Dei  rami  a  frutto,  i  dardi  naturalmente  si  lasciano  intatti. 
Quelli  misti  ed  a  legno  si  cimano  d'estate  a  7  cm.,  per  far  disporre  a 
frutto  le  gemme  della  base,  taglio  che  si  ripete  anche  d'inverno. 


Quando  i  rami  a  Irulto  sono  bene  costituiti,  non  si  lia  che  da 
lasciar  agire  la  natura  ed  è  sufficiente  di  avvicinarli  costantemente  ai 
dardi  inferiori.  Dopo  un  certo  numero  di  anni  le  lamborde  si  esauriscono, 
ed  allora  sorgono  dalla   base   dei    germogli,  che   servono  a  sostituirle. 

Quanto  riguarda  la  potatura  di  formazione  si  procede  come  per 
tutte  le  piante  a  granella,  allevando  a  mezzo  vento  e  dando  la  forma 
a  vaso,  (ieneralmente  dai  nostri  agricoltori  la   pianta   viene   lasciata  a 


Fig.  592.  —  Ramo  a  frutto  di  Azzeruolo  rosso. 

sè  stessa.  È  certo  che  chi  non  conosce  il  sistema  di  vegetazione  di 
questa  pianta  non  deve  mettersi  a  potare,  perchè  farà  più  male  che 
bene;  ma  con  un  taglio  intelligente  si  ha  un  utile  non  indifferente. 

10.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  Le  azeruole  si  rac- 
colgono in  due  volte.  Nei  primi  giorni  di  settembre,  quando  sono 
ancora  verdi,  per  fare  delle  confetture;  nella  seconda  metà  di  settembre, 
si  là  la  raccolta  per  mangiarle  in  stato  naturale,  fresche. 

Le  azeruole  si  conservano  poco  ;  presto  avvizziscono  ed  ammez- 
ziscono ;  dovendo  spedirle  a  distanza,  bisogna  raccoglierle  alquanto 
immature. 


—  795  — 

Si  raccolgono  le  azeruole  gialle  quando  acquistano  un  color  bianco 
dalla  parte  del  sole  e  le  rosse,  quando  hanno  un  colore  rosso  più 
intenso.  Raccolte  con  precauzione  e  con  le  mani,  perchè  la  più  piccola 
contusione  le  pregiudica,  si  distendono  sulla  paglia,  dove  completano 
la  maturazione,  acquistando  cioè  in  fragranza  ed  un  sapore  meno  acido 
e  più  dolce. 

L'azeruola  è  un  frutto  con  polpa  sugosa,  acido-vinosa,  dolciastra, 
morbidissima,  croccante,  saporita  e  per  alcuni  piacevole. 

11.  Malattie.  —  Vedi  pag.  500. 


PARTE  QUARTA 
PIANTE  DA  FRUTTO  CON   SEMI  SUCCOSI 


MELOGRANO  W 
(Punica  Granatum  Linn.  —  Fani.  Mirlacee) 

Xonii  volgari  italiani  della  pianta  —  Melograno,  Granato,  Melogra- 
nato,  Pomogranato. 

Nomi  volgari  italiani  del  frutto  —  Melagrana,  Balausta,  Balausto, 
Melagranata. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Grenadier  —  Ted.: 
Granatbaum  —  Ingl.  :  Pome  granat-tree. 

Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  Frane:  Grenade  —  Ted.:  Granat- 
Apfel  —  Ingl.  :  Pomegranate. 

1.  Origine.  —  Pare  originario  dall'Africa  e  precisamente  dei  dintorni 
di  Cartagine,  quantunque,  secondo  il  Bertolini,  sull'autorità  di  Catone, 
sembra  che  questo  albero  sia  antichissimo  anche  in  Italia.  Presente- 
mente è  diffuso  in  tutta  Italia,  ma  specialmente  è  coltivato  nelle  regioni 
bagnate  dal  Mediterraneo.  Sono  rinomate  le  melagrane  di  Provenza, 
Malta,  Spagna,  Sicilia,  Calabria,  Lecce,  Salerno  e  sopratutto  quelle  del 
circondario  di  Gaeta. 

11  melograno  è  coltivato  anche  per  siepe  e  quale  pianta  da  orna- 
mento. Qui  mi  occuperò  in  particolar  modo  della  sua  coltivazione 
come  pianta  da  frutto. 

2.  Specie  coltivate.  —  Oltre  al  melograno  comune  vi  ha  un'altra 
specie  di  melograno,  il  melograno  nano  (Punica  nana  L.),  originario 
dell'America  del  Sud,  che   fiorisce   dal    maggio   all'agosto.  Esso   viene 


(1)  Una  diligente  monografia  sul  melograno  :  La  coltivazione  del  melagrano  nel 
circondario  di  Gaeta  (Caserta),  è  stata  pubblicata  dal  Prof.  Doti.  G.  Zambrano,  Napoli,  1898. 
Con  questa  ho  completato  le  notizie  che  avevo  raccolte  sul  melograno  nelle  precedenti 
edizioni. 


-  797  - 

coltivato  per  ornamento,  per  la  sua  fioritura  continua  ed  avendo  varietà 
a  fiori  doppi,  a  fiori  rossi,  a  fiori  bianchi  ed  anche  gialli. 

3.  Caratteri  botanici.  —  È   un    arbusto   che   si    innalza   anche   ad 
albero,  di  2  in.  di  altezza  (fig.  593). 


Albero  di  melograno. 


Radice  nodosa,  consistente,  con  corteccia  rossastra,  e  racchiudente  un 
alcaloide,  chiamato  pellettierina,  che  avrebbe  proprietà  vermifughe. 

Fusto  rotondo,  eretto,  molto  ramoso,  con  corteccia,  che,  invecchiando 
screpola,  e  diviene  cenerognola  ;  rami  opposti  od  alterni,  aperti,  spi- 
nosi all'apice  ;  foglie  opposte,  verticillate  o  sparse,  intere,  rosseggiane 
da  principio,  poi  d'un  verde  gaio  nella  pagina  superiore,  pallidetto 
nell'inferiore;  liscie,  caduche. 


—  798  - 

Fiori  terminali  quasi  sessili,  solitari  od  in  gruppi  da  tre  a  cinque, 
con  calice  di  un  bel  vivo  scarlatto  o  porpora,  turbinato,  colle  lacinie 
ovato-lanceolate,  acute  ;  petali  da  5  a  8,  dello  stesso  colore  del  calice, 
in  numero  da  cinque  a  sette,  obovati,  più  lunghi  del  calice  ;  stami 
numerosi,  più  corti  dei  petali,  lìliformi,  con  antere  biloculari  (fig.  594). 

Il  frutto  è  una  bacca  grossa  sferica  (balausta),  coronata  dal  calice, 
di  bellissimo  aspetto  anch'essa  e  contenente    un    grandissimo    numero 


Fig.  594.  —   Ramo  a  frutto,  fiore  e  frutto  di  melograno. 

di  semi  rinchiusi  in    nove   logge    membranose,  avvolte   da    una   polpa 
sugosa,  in  cui  per  lo  più  domina  l'acido  malico. 

4.  Varietà.  —  1.  Melagrana  acida.  —  Ha  semi  rosei  e  frutti  acidis- 
simi ;  la  si  ritiene  specie  selvatica. 

2.  Melagrana  dolce  ordinaria.  —  Ha  i  semi  mezzani,  dolci,  subacidi. 

3.  Melagrana  dolce  a  denli  di  cavallo.  —  Ad  acini  grossi  e  bislunghi, 
dolcissimi  e  subacidi,  la  più  pregiata  di  tutte  le  varietà. 

Il  prof.  Zambrano,  descrive  le  seguenti  varietà  coltivate  nel  circonda- 
rio di  Gaeta  : 

VarieUì  amara,  verace.  —  Scorza  molto  grossa,  liscia,  lucida,  verde 
e  rossiccia.  Semi  mediocri,  rosso-sbiaditi  e  alquanto  acidi. 


-  799  - 

Varietà  amara,  ferace  a  dente  di  cavallo.  —  Come  la  precedente 
ma  con  semi  molto  più  grossi,  allungati  a  mo'  di  dente  di  cavallo. 

Varietà  dolce,  alappia.  —  Frutto  non  molto  grosso,  scorza  sottile, 
semi  molto  acquosi,  porporino-sbiaditi  e  dolcissimi. 

Varietà  dolce,  alappia  a  dente  di  cavallo.  —  Come  la  precedente, 
ma  con  rami  più  allungati. 

Le  varietà  alappia,  essendo  molto  acquose,  si  devono  consumare 
subito,  perchè  non  infracidiscano. 

5.  Importanza  della  coltivazione.  —  Nelle  jjrovincie  meridionali 
questa  coltura  ha  una  certa  importanza  e  la  pianta  viene  allevata  ad 
albero  (tìg.  590)  in  pieno  campo. 

Nell'Italia  settentrionale  e  centrale,  si  alleva  invece  a  cespuglio 
come  ornamento  nei  giardini  o  per  siepe. 

6.  Clima.  —  Il  clima  suo  proprio  è  quello  della  regione  attorno  al 
Mediterraneo  nei  luoghi  bassi  e  di  mezzana  costa.  Volendo  allevarlo 
nei  climi  temperati,  bisogna  porlo  contro  i  muri,  ad  alberello  od  a 
spalliera,  riparato  dai  venti  ed  esposto  a  mezzogiorno. 

7.  Terreno.  —  Il  melograno  è  poco  esigente  rispetto  al  terreno.  Si 
sviluppa  convenientemente  anche  nelle  terre  più  aride,  ma  dà  frutti 
più  abbondanti  nelle  terre  ricche,  di  consistenza  media.  Esso  soffre 
soltanto  per  la  umidità  eccessiva. 

8.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  semi,  margotta,  polloni, 
talee  ed  innesto. 

Seminando  in  autunno  o  in  primavera  dopo  aver  stratificato  i  semi, 
nel  terzo  anno  le  piantine  si  trapiantano  a  dimora  ed  ivi  si  innestano, 
perchè  le  piante  da  seme  danno  frutti  acidi.  I  semi  mantengono  per  6 
mesi  la  facoltà  germinativa. 

La  moltiplicazione  per  talea  si  fa  raccogliendo  dei  rami  di  metri 
1  di  lunghezza,  nel  mese  di  marzo,  dai  rami  migliori  della  pianta  ;  dopo 
due  anni,  le  barbatelle  si  collocano  a  dimora.  Occorre  però  innaffiare 
il  barbatellaio. 

L'innesto  più  adatto  è  quello  a  spacco  od  a  gemma  dormiente.  Si 
innesta  quando  il  fusticino  ha  la  grossezza  di  cm.  1,5  e  lo  scudetto  si 
oppone  immediatamente  sopra  un  nodo  della  foglia. 

Ma  conviene  moltiplicare  le  buone  varietà  per  polloni,  per  margotta 
o  per  talea. 

9.  Caratteri  vegetativi.  —  Coltivasi  il  melograno  tanto  sotto  forma 
di  albero  quanto  di  cespuglio,  ma  tanto  in  un  modo  quanto  nell'  altro 
cresce  lentamente,  impiegando  più  di  30  anni  per  raggiungere  il  suo 
ordinario  sviluppo  di  5  metri.  Sopporta  il  taglio  del  tronco  e  dei  rami 
finché  è  giovane. 

A  quattro  anni,  comincia  a  fruttificare. 

Le  foglie  spuntano  alla  metà  aprile  ;  in  maggio  o  giugno  si  hanno 
i  fiori  che  continuano  per  un  mese,  e  nel  mese  di  settembre-ottobre  si 
raccolgono  i  frutti,  quantunque  i  frutti  si  possano  lasciare  sulle  piante 
fino  ad  inverno  inoltrato.  Danno  frutti  soltanto  i  primi  fiorì  e  quelli 
più  sviluppati. 


—  800  - 

10.  Coltivazione.  —  Coltivando  ad  albero,  le  piante  si  collocano  a 
3-1  metri  di  distanza.  I.a  sua  coltivazione  e  le  cure,  specialmente  per 
quanto  riguarda  la  potatura,  sono  simili  a  quelle  adottate  pel  cedro. 
Bisogna  quindi  tenere  vuota  la  chioma  nell'interno,  troncare  in  prima- 
vera tutti  i  rami  deboli,  giacché  si  moltiplicano  abbondantemente,  moz- 
zare i  germogli  quando  sono  arrivati  alla  metà  od  ai  due  terzi  della 
loro  lunghezza,  onde  mettano  i  fiori. 

Se  la  pianta  è  troppo  esposta  al  sole,  giova  ripararne  i  frutti,  perchè 
diversamente  restano  poco  colorati  ed  acquistano  un  sapore  meno  grato 

Infine  quando  la  pianta  mostrasi  debole  o  mette  pochi  fiori,  conviene 
scalzarla  intorno  alle  radici  e  mutarne  la  terra,  ponendone  della  ripo- 
sata e  concimata. 

Coltivando  il  melograno  a  spalliera,  considerando  che  porta  i  frutti 
sui  rami  di  medio  vigore,  si  avrà  cura  di  distendere  i  rami  sul  muro 
di  mano  in  mano  che  si  sviluppano,  in  modo  da  coprirlo  completamente, 
perchè  lungo  questi  si  sviluppino  i  rami  fruttiferi.  Si  applicherà  anche 
qui  la  cimatura  sopra  ricordata. 

Continuamente  si  avrà  poi  cura  di  mondare  le  piante  dai    polloni. 

Nei  paesi  meridionali  il  melograno  si  irriga  come  gli  agrumi. 

11.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  Le  melagrane  raccolte 
troppo  presto  si  aggrinzano  e  non  hanno  alcun  valore,  bisogna  quindi 
lasciarle  sull'albero  fino  alla  completa  maturazione.  Ma  allora  screpo- 
lano facilmente  ;  per  evitare  ciò,  si  abbia  cura  di  ombreggiare  i  frutti 
colle  stesse  foglie  dell'albero. 

Una  volta  raccolte,  si  espongono  al  sole  per  2  giorni,  poi  si  avvolgono 
con  carta  e  si  conservano  in  un  luogo  asciutto  oppure  si  stratificano 
in  una  giarra  nuova  con  arena  ben  secca.  In  questo  modo  si  conservano 
lino  a  metà  inverno  e  si  possono  spedire  imballate  in  casse  come  gli 
aranci. 

12.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  Il  citato  prof.  Zambrano 
avrebbe  ottenuto  i  seguenti  risultati  di  analisi  : 

Peso  del  frutto gr.    486 

Corteccia „      160 

Semi ,,326 

Nei  semi  trovò  : 

Zucchero 12.50% 

Acidità  complessiva 2.56  „ 

Secondo  i  prof.  A.  Borntraeger  e  dott.  G.  Paris  (Vedi:  Le  stazioni 
sperimentali  agrarie,  Voi.  XXI,  fase.  1  e  2  1898),  1000  parti  di  melegra- 
nate  danno: 

parti  3;}3  di  corteccie  e  midollo 
„      050   „    acini 
„      450   „    succo 

quindi  quasi  la  metà  in  peso  di  succo. 


^  801  — 

I  semi  avrebbero  la  seguente  composizione  percentuale  : 

Acqua 35.02 

Cenere  grezza 1.54 

Grasso 6.85 

Amido 12.64 

Fibra  grezza 22.41 

Albumina 9.38 

n  mosto  conterrebbe  di  acidità  totale  da  0.37  7o  a  3.36,  costituita 
di  acido  citrico  e  malico  ed  avrebbe  solo  una  ricchezza  zuccherina 
dal  7.81  7o  al  13.69  %,  così  che  bisogna  mettere  molto  in  dubbio  la 
convenienza  di  vinificare  i  semi  delle  melegranate,  ottenendosi  un 
mosto  molto  debole. 

13.  Usi.  —  La  polpa  che  avvolge  i  semi  tempera  l'arsura  e  la  sete 
perchè  ha  un  sapore  zuccherino  agretto,  piacevolissimo.  Il  sugo  è 
rinfrescante  e  grato.  Si  adopera  per  far  siroppi  (la  granatina),  confet- 
ture, gelati. 

II  pericarpio,  ricco  di  tannino,  e  di  materie  coloranti,  viene  ado- 
perato nelle  concerie  delle  pelli,  dà  il  giallo  ai  marocchini  e  serve  in 
genere  per  tingere.  Viene  pure  usato  nelle  farmacie,  per  le  sue  pro- 
prietà astringenti,  sotto  il  nome  di  maUcovium. 

Le  bevande  preparate  col  sugo  della  polpa  tegumentale  del  seme, 
allungate  coll'acqua,  sono  molto  igieniche  e  rinfrescanti. 

Coll'infuso  della  corteccia  si   combatte   la   tenia  ;  serve  a  ciò   spe- 
cialmente la  corteccia  della   radice. 
'  Coi  fiori  si  fa  un  inchiostro  rosso. 

Le  piante  e  specialmente  le  specie  a  fioi'e  doppio  servono  di  orna- 
mento nei  giardini  ;  col  melograno  selvatico  si  fanno  siepi,  che  rie- 
scono sempre  folte  e  di  bell'aspetto  ;  si  tendano  regolarmente  colle 
forbici. 

Il  legno  è  di  un  colore  paglierino,  duro,  compatto,  suscettibile  di 
un  bel  pulimento. 

14.  Dati  economici.  ~  Il  prof.  Zambrano  riferisce,  che  una 

pianta  di 


4  anni  dà. 

,  in  media, 

40  frutti 

5 

„ 

70   „ 

6 

„ 

100   „ 

7 

„ 

140   „ 

8 

„ 

180   „ 

9 

„ 

200   „ 

10 

„ 

240   „ 

30 

„ 

700   „ 

Pel  circondario  di  Gaeta,  dà  il  seguente  conto  colturale,  riferentisi 
N.  100  piante. 

51  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  «02  — 

Aniniontare  per  spesa  d'impianto  e  rinnovazione    .    .     .  L.  2.00 

N.  12  giornate  di  due  operai  a  lire  1.(50 „  15.60 

Un  potatole  per  due  giornate „  4.80 

Letame  (4(K)  corbelle  a  L.  0.04) „  16.00 

Irrigazione,  400  botti  di  acqua,  tiiala  con  la  noria,  a  L.  U.15  „  60.00 

Quota  di  Ulto  dell'orto  da  addebitarsi  al  granatelo  .     .    .  „  20.00 

Totale   spesa  annuale  L.  118.40 

11  prodotto  di  100  melagranati  adulti  è  il  seguente  : 

Da  100  melagrani  si  hanno  in  media  24.000  frutti. 

Numero  20.000  di  P  qualità  a  L.  21.50  il  migliaio     .    .     .  L.  430.00 

Numero  4.000  di  2^  qualità  a  L.  12.00 „  48.00 

Fiori  caduti ,  2.00 


Totale  entrata  L. 
„      uscita     „ 

480.00 
118.40 

Profìtto  annuo  L. 

361.60 

per  ogni  pianta  L. 

3.61 

Da  ciò  risulta  che  questa  è  una  coltura  abbastanza  redditiva. 
15.  Malattie  e  cause  nemiche.  —  Vedi  pag.  500. 


PARTE  QUINTA 
PIANTE   DA    FRUTTO    A    BACCA 


VITE  (1' 
(Vitis  vinifera  L.  —   Fani.  Ampelidec). 

Nome  volgare  italiano  del  frullo  —  Uva. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Vigne  —  Ted,:  Wein- 
slock  —  Ingl.  :  Vine. 

Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  Frane:  Raisin  —  Ted.:  Wein- 
traube  —  Ingl:  Grape. 

1.  Origine.  —  La  vite  è  originaria  delle  regioni  meridionali  del  Mar 
Caspio. 

In  Europa,  viti  selvatiche  se  ne  trovano  nei  boschi  del  Caucaso, 
nonché  in  Sardegna,  dove  la  moltiplicazione  deve  essere  avvenuta  per 
opera  degli  uccelli,  che  dispersero  dei  semi.  Queste  viti  selvatiche  sono 
per  lo  più  sterili  o  danno  grappoli  meschini,  verdi,  di  sapore  aspro 
spiacevole. 

La  vite  quand' è  coltivata  in  climi  più  temperati  di  quelli  del  paese 
d'origine,  dà  la  miglior  uva  sia  per  vino,  sia  per  la  mensa.  I  climi  del 
mezzogiorno  ed  in  genere  i  climi  caldi,  favoriscono  lo  sviluppo  dei 
sarmenti,  la  grossezza  degli  acini,  lo  sviluppo  dei  grappoli  e  fanno 
aumentare  la  ricchezza  zuccherina.  Le  regioni  discretamente  calde  sono 
le  più  adatte  ed  hanno  le  migliori  varietà  di  uve  da  tavola. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  La  vite  è  un  arbusto  sarmen- 
loso,  i  cui  rami  tendono  ad  arrampicarsi  per  mezzo  di  cirri,  chiamati 
anche  viticci  o  capreoli. 

Nella  radice  conviene  distinguere  le  radici  vere  che  producono 
abbondante  alimento,  dalle  radichette  che  si  trovano  a  fior  di  terra,  e 
forniscono  una  linfa  che   favorisce  la  fruttificazione. 


(')  Tamaho,   Uue   da   tavola,  Manuale   Hoepli,   IV.  Edizione   —  Molon,   Ainpelografia, 
Manuale  Hoepli  —  N.  Mahzotto,  Uve  da  mensa,  Vicenza,  1913. 


—  804    - 

Il  fusto  è  torluoso,  con  corteccia  che  si  sfalda.  Se  la  vite  è  tenuta 
bassa,  il  tronco  prende  il    nome  di  ceppo. 

1  rami  sono  nodosi  e  pieghevoli  (fig.  121-122)-,  quelli  di  un  solo 
anno  si  chiamano  sormenti,  e  sono  i  soli  capaci  di  produrre  germogli 
fruttiferi.  Nella  vite  dunque  i  rami  a  frutto  sono  i  sarmenti  e  si  devono 
considerare  come  rami  misti,  poiché  danno  origine  anche  a  germogli 
erbacei.  Kssi  hanno  un  midollo  (m,  fig.  122)  grosso  e  rilassato,  il  quale 
fa  sempre  parte  della  gemma  inferiore  ed  è  diviso  dalla  superiore  da 
un  tramezzo  legnoso,  chiamato  diaframma  (d).  Per  questa  ragione,  il 
potatore  accorto  taglia  sempre  sull'occhio  immediatamente  superiore 
a  quello  che  vuol  lasciare,  e  precisamente  nel  diaframma.  Questo  taglio 
viene  chiamato  a  gemma  franca. 

Le  gemme  od  occhi  si  trovano  lungo  il  sarmento  ed  eccezional- 
mente sul   legno    più  vecchio. 

Dalla  gemma  fruttifera  esce  il  germoglio,  chiamato  anche  pampino 
finché  é  erbaceo,  il  quale,  cominciando  dalla  parte  opposta  della  terza 
foglia,  porta  i  frutti  (fig.  505). 

Le  foglie  sono  distiche  cioè  si  alternano  sopra  due  faccie  opposte 
del  sarmento.  Sono  intere,  3  o  5  lobate. 

I  viticci  si  sviluppano  contro  ogni  foglia  che  non  porta  il  grappolo. 
Nella  coltivazione  delle  uve  da  mensa  si  suole  addirittura  sopprimere 
i  viticci,  come  produzioni  inutili, 

I  grappoli,  da  uno  fino  a  quattro,  sono  opposti  alle  foglie  e  sono 
disposti  come  i  viticci.  La  prima  diramazione  del  grappolo  per  lo  più 
è  una  specie  di  viticcio. 

I  fiori  sono  piccoli,  verdastri,  ermafroditi,  con  calice  piccolissimo, 
cinquedentato;  corolla  di  5  petali,  inserita  sull'orlo  esterno  del  disco 
ipogino  (fig.  596-598). 

I  petali  sono  saldati  fra  loro  per  l'apice,  restando  liberi  per  tutto  il 
resto  ;  cosicché,  nella  schiusa  del  fiore,  cadono  saldati  assieme  a  modo  di 
un  piccolissimo  cappello  e  lasciano  scoperti  i  5  stami.  Antere  biloculari 
versatili,  ovario  libero,  a  due  logge  che  racchiudono  ciascuna  due  ovuli. 

II  frutto  è  una  bacca  carnosa,  succolenta,  racchiudeiìte  da  1  a  4* 
semi;  a  seconda  della  fecondazione.  I  semi  si  chiamano  vinaccioli. 

Quando  si  trovano  delle  bacche  più  piccole,  è  indizio  che  il  budello 
pollinico  non  è  arrivato  fino  sotto  agli  ovoli.  Questi  acini  sono  dolci, 
ma  senza  seme.  Esempio:  l'uva  di  Corinto,  il  Bicane,  l'Ughetta. 

Seme  con  buccia  crostosa,  coperta  da  epidermide  sottile  e  colla 
radichetla  rivolta  in  giù  cioè  verso  la  base  del  frutto. 

3.  Classificazione  e  scelta  delle  varietà.  —  Per  ogni  varietà  delle 
uve  da  mensa  consigliate  in  questo  libro,  ho  avuto    cura   di    indicare  : 

1.^  l'indirizzo  che  si  deve  dare  alla  coltura; 

2,"  la  qualità  dell'uva  ; 

3.0  il  clima  più  confacente; 

4."  l'epoca  di  maturazione  ; 

5."  il  sistema  di  allevamento. 


—  mi)  — 

1.  Indirizzo  della  coltura.  Questo  può  essere  industriale  ossia  a 
grande  coltura  ed  a  piccola  coltura.  Nella  scelta  da  me  fatta,  prevalgono 
le  uve  alla  cui  cultura  si  può  dare  un  indirizzo  industriale,  che  in  Italia 
può  avere  un  forte  impulso. 

Per  la  grande  coUura  sono  indicate  le  seguenti:  Angiola,  Bermestia 
bianca  e  rossa,  Besgano  nero,  Bicane,  Chasselas  dorato  e  rosa.  Lacrima 


Germoglio  di  vite  con  due  grappoli. 


di  Maria,  Luglienga  bianca,  Menna  di  vacca  bianca.  Moscato  bianco, 
Moscato  d'Alessandria,  Paradisa,  Pergolona  bianca  di  Pescara,  Regina 
bianca  di  Firenze,  Trebbiano  di  Montesilvano,  Verdea,  Lattuaria  bianca. 
Per  la  piccola  coltura  :  Agostenga,  Bellino,  Dorona  di  Venezia,  Fran- 
kenthal,  Garganega,  Moscato  di  Amburgo,  Pergolese  rossa,  Pizzutello 
bianco,  Maddalena  Angevine. 


2.  Per  indicare  le  (nutlilà  dell' uva  ho  distiiilo  le  uve: 

a)  di  iinnu'diido  consumo:  Agostengn,  Bellino,  Dorona  di  Venezia, 
Frankenlhal,  Luglienga  bianca,  Moscaio  bianco,  Bicane,  Trebbiano  di 
Montesilvano,  Laltuaria  bianca,  Lacrima  di  Maria,  Maddalena  Angevine. 

b) poco  scrbevoli  ma  che  possono  formare  oggetto  di  esportazione; 
Chasselas  dorato,  Chasselas  rosa,  Luglienga  bianca,  Moscato  bianco, 
Bicane,  Trebbiano  di  Montesilvano,  Lattuaria  bianca,  Moscato  di  Ales- 
sandria, Lacrima  di  Maria. 

e)  da  serbo:  Garganega,  Pergolese  rossa,  Besgano  nero,  Paradisa 
Regina  bianca  di  Firenze,  Verdea,  Bermestia  bianca,  Menna  di  vacca 
bianca.  Moscato  d'Alessandria,  Pergolona  bianca  di  Pescara. 


Fig.  597.  Fig.  598. 

Fig.  .596.  Fiore  di  vite  la  cui  corolla         Fiore  di  vite  dopo  caduta 

Fiore  di  vite  chiuso.  sta  per  staccarsi.  la  corolla. 

d)  di  apparenza:  Angiola,  Besgano,  Paradisa,  Regina  bianca  di 
Firenze,  Bicane,  Bermestia  bianca  e  rossa.  Moscato  d'Alessandria,  La- 
crima di  Maria. 

e)  da  forzare:  Moscato  d'Alessandria,  Frankenthal,  Moscato  d'Am- 
burgo, Chasselas  dorato  e  rosa. 

/■)  da  passire:  Moscato  d'Alessandria  e  Trebbiano  di  Montesilvano. 

<))  da  conservare  nell'acquavite  od  alcool  :  Pizzutello  bianco,  Ber- 
mestia rossa. 

3.  Nella  designazione  del  clima  ho  creduto  bene  distinguere  per 
noi  in  Italia  i  seguenti  climi: 

fl)  clima  delle  piante  a  granella  (pero,  melo  e  ciliegio  duracino) 
che  comprende  la  zona  Padana  del  Piemonte,  della  Lombardia,  del- 
l'Kmilia  e  del  Veneto.  Appartengono  a  (lueste  le  seguenti  uve:  Agos- 
lenga.  Bellino,  Dorona  di  Venezia,  Frankenthal,  Garganega,  Maddalena 
Angevine,  Chasselas  dorato  e  rosa,   Luglienga  bianca.  Moscato  bianco. 

b)  clima  dell'albicocco  e  del  pesco  a  pieno  vento  che  comprende 
la  zona  |)eninsulare  interna  delle  seguenti  regioni  :  Toscana,  Marche, 
Umbria,  Lazio,  Abruzzi,  Campania,  Basilicata  e  Calabria.  Le  uve  indi- 
cale per(|uesle  regioni  sono:  Angiola,  Besgano  nero,  Paradisa,  Regina 
bianca  di  Firenze,  Verdea. 

c)  clima  del  mandorlo  e  del  fico  che  comprende  la  zona  marittima 
del  Veneto,  deirF:milia,  delle  Marche,  degli  Abruzzi  e  delle  Puglie.  Le 
uve  di  (|uesle  regioni  sono  :  Bicane,  Pergolese  rossa  e  Pergolona  bianca. 

(/)  clinm   dell'olivo   che   comprende    le  cosle   Mediterranee    della 


Liguria,  della  Toscana,  del  Lazio,  della  Campania,  le  coste  Tirennica  e 
Jonica  della  Calabria  e  la  costa  Jonica  delle  Puglie.  Per  queste  regioni 
sono  le  seguenti  varietà  :  Bermestia  bianca  e  rossa,  Trebbiano  di  Monte- 
silvano,  Lattuaria  bianca,  Menna  di  vacca  bianca,  Moscato  di  Alessandria, 
Pergolona  bianca  di  Pescara,  Pergolese  rossa,  Pizzutello. 

e)  clima  dell'arancio  che  comprende  la  Sicilia,  la  Sardegna  e  le  isole 
minori.  Per  queste  regioni  oltre  a  gran  parte  delle  uve  citate  per  il  clima 
dell'olivo,  bisogna  aggiungere  la  Lacrima  di  Maria  e  il  Moscato  d'Amburgo. 

4.  Per  fissare  l'epoca  di  malurazione  ho  seguito  il  metodo  di  Pulliat, 
il  quale  prende  per  punto  di  partenza  la  maturazione  del  Chasselas  dorato. 

Questo  vitigno  matura  nel  clima  delle  piante  a  granella  come  in 
Lombardia  fra  il  15  ed  il  18  agosto  ed  in  Sicilia  (clima  dell'arancio) 
nella  prima  settimana  di  Agosto.  Come  media  si  può  quindi  prendere 
per  l'Italia  dal  10  al  15  di  agosto  e  quindi  le  uve  si  classificano  come  : 

n)  Uue  precoci,  quelle  che  maturano  prima  del  15  di  agosto  : 
Agostenga,  Luglienga  bianca,  Maddalena  Angevine. 

h)  Uve  di  I  epoca,  che  maturano  dal  15  al  30  agosto  :  Chasselas 
dorato  e  rosa.  Moscato  bianco.  Bellino. 

e)  Uue  di  II  epoca,  che  maturano  dal  1  al  15  settembre:  Fran- 
kenthal.  Moscato  di  Amburgo,  Angiola,  Bicane,  Trebbiano  di  Montesil- 
vano,  Lattuaria  bianca. 

d)  Uve  della  III  epoca,  che  maturano  nella  seconda  quindicina  di 
settembre  :  Besgano  nero,  Lacrima  di  Maria,  Menna  di  vacca  bianca. 
Paradisa,  Regina  bianca  di  Firenze,  Verdea,  Dorona  di  Venezia,  Garga- 
nega,  Pizzutello  bianco. 

e)  Uve  della  IV  epoca  che  maturano  durante  il  mese  di  ottobre  : 
Bermestia  bianca  e  rossa,  Moscato  di  Alessandria,  Pergolona  bianca  di 
Pescara  e  Pergolese  rossa. 

5.  Pel  sistema  di  allevamento  si  è  distinto  la  coltura  della  vite 
maritata  agli  alberi,  da  quella  a  pergola,  a  cordone  e  ad  alberello. 

Per  comodità  del  lettore  riporto  in  due  tabelle  LXII  e  LXIII  le  pro- 
prietà delle  uve  da  mensa  da  me  consigliate. 

4.  Importanza  della  coltivazione.  —  La  coltivazione  della  vite  in 
genere  è  indubbiamente  la  coltivazione  più  importante  dell'Italia.  Quella 
delle  uve  da  mensa  potrebbe  con  facilità  diventare  la  prima  d'Europa. 

L'uva  da  mensa  che  viene  annualmente  esportata  si  può  calcolare 
circa  di  2,30  a  2.50.000  quintali  dei  quali  la  Sicilia  compresa  l'isola  Pan- 
telleria ne  esporta  circa  120.000  quintali.  (Moscato  d'Alessandria,  Insolia, 
Bermestia,  Gerosolimitana);  Lecce  per  20000  quintali)  (Marchesa,  Pergo- 
lese e  Moscati);  Piacenza  pure  per  20.000  quintali;  Besgano  Verdea, 
Agostenga),  Bologna  per  20.000  quintali,  colle  uve  Angela,  Regina,  Para- 
disa e  Verdea;  Torino  e  Cuneo  per  15.000  quintali  coi  Moscati,  Agostana, 
Favorita,  Erbaluce  e  Barbarossa;  Napoli  12.000  quintali  (Moscati  e  Cata- 
lanesea):  Cosenza  per  10.000  quintali  (Sanginella,  Olivetta,  Rosa,  Pizzu- 
tello); Pisa  per  8000  quintali  (Colombana  bianca  de'  Peccioli,  Regina 
Bianca,  Luglienga);  Verona  per  3000  quintali  colla  Luglienga.  II  valore 
medio  complessivo  si  calcola  di  circa  4V2  niilioni  di  Lire. 


808 


eoo; 

^W 

«.S 

i!i:5 

fe  «  eà 

e 
2 

Cd 

o  «  <y  3 

III; 

!2 

^ 

2 

lì 

si 

2 

2 

ce  .e 

1 

S2rt 

t 

•2c| 

3 

l« 

«li 

li 

g'^S 

;-2 

1 

fin 

8 

«_2  g 
3-3.2 

iili 

0) 

ai 

•o 

si 

«  o 

3 
O 

■3 

sii 

CS 

.2 
■3 

n 

CS 

« 

a 

o 

II! 

i 

2 

V  rt 
g-ticbo 

!H 

"5   M    «   03 

4> 

1 

1 

3 

2 

si 

li 

eli 

ili 

2.2 

33 

sa 

0  " 

il 

2 

«  a 
0  "> 

(x< 

a 

eS 

a 

cu 

a. 

a. 

a 

Ó  O 

« 

.i 

« 

"S 

i 

o 

2 

■So 

^3 

3 

3 

6 

li 

o 
3 

2 

o 
So 

6.Srt 
=  25 
■§.2  0 

ti 

4J  0 

H 

a  o 
a  « 

1" 

1" 

^ 

1- 

sgo 

1" 

(U-w 



_ 

_^ 

_ 

„ 

4) 

e3      — 

o 

o 

ó 
1 

'i 

o' 
o 

s 

.A 

5 

4) 

0 

3 
4) 

l-s 

^%^ 

—  *'' 

<uo2 

"  a 

"  «J 

E 

si 

s| 

5*-' 

sì 

w    1 

g 

^ 

1 

M 

|6 

"^ 
S 

"^ 

S 

""S 
^ 

i5 

M  Bi 

w 

C3rf" 

^ 

ò  «  0 

o  a 

?1 

ci 

•o 

03 
C 

1 

•CS 

«a 

a"" 

a) 

2 

a 
a- 

1 

li 

CS 

0       '^ 
.4>  ca  M 

•tj 

-.2 

o^ 

"o 

.  ca 

^ 

J3  « 

0 

P-o 

;c 

S    -® 

> 

2  "^ 

2 

2 

.a 

"  3  0 

è 

%       V 

5  n  e 
Ǥ5 

'"  o 

■0 

^o^g 

S3 

i.° 

III 

'1 

o 
c 

4) 

6^ 

il 

ili 

III 

|b 

li 

^ 

«  e  e 

a 

|si 

a 

a. 

tt 

■a 

.0. 

« 

-i  o 

"3 

ti 
tic 

.«g 

XI 

a 

S 

2 

!2 

2 

o  O 

2 

2 

2' 

2 

V 

0 

t 

0 

-d 

5 

.2 

|1 

«1 

e 

ag    • 

•a 

o 

CS 

^ 

g 

o 

■3 

M 

o 

■e 

S 

.2 

3 

e 

S 

0) 

i 

i 

1 

bC 

o 

e 

o 

S 

2S 

>5 

e 

0!  C 

i 

1 

45 

3 

B 

O 

bC 

■3 

1 

4) 

3 

O 

O 

J 

S 

< 

CQ 

(2 

cs 

> 

fS 

•ssajgojd 

„ 

W 

« 

■"f 

kO 

g» 

t^ 

00 

05 

0 

•K 

8oy  — 


'e 
o 

l 

1 

mollo  estesa  la  colti- 
vazione sulla  zona 
marittima    dell'A- 
driatico ,     special- 
mente nell'Abruzz 

sostituisce  la  prece- 
dente  nella  Terra 
d'Otranto 

raccomandabile  lun- 
go le  coste  del  Me- 
diterraneo, special- 
mente   nel    Lazio 
nella      Campania, 
nelle  Puglie,  nella 
Calabria  e  le  isole 

id 

come   sopra   ma   da 
comprendersi    an- 
che    la     Toscana, 
l'Umbria  e  l'Abruz. 

conviene  in   tutte  le 
buone    esposizioni 
calde  dall'Abruzzo 
in  giù. 

da    diffondersi    spe- 
cialmente in   Sici- 
lia e  Sardegna 

•3 

"E, 

4) 

a 

1 

potatura   media   a 
cordone  orizzon- 
tale alla  Guyot. 

id. 

potatura    lunga    a 
spalliera     ed     a 
pergola 

id. 

id. 

potatura     corta    e 
media,  sotto  tut- 
te  le   forme  an- 
che per  forzare 

potatura    lunga    a 
pergola  ed  a  spal- 
liera 

potatura  lunga  ed 
a  qualunque  for- 
ma meno  l'albe- 
rello. 

o 

a 

argilloso  cal- 
care 

calcare 

sciolto,    cal- 
care 

id. 

id. 

asciutto,  fer- 
tile,   argil- 
loso, calcar. 

sciolto 

fertile  e  fre- 
sco 

Epoca 

'di 

maturazione 

l 

II 
(1-10  settem.) 

li 
(1-10  settem.) 

IV 
(1-15  ottobre) 

IV 
(1-15  ottobre; 

III 
(15-30  settem.) 

IV 
(1-15  ottobre) 

IV 
rl-15  ottobre) 

III 

(20  settembre  al 

10  ottobre; 

-rt 

'a 

3 

prima  di  esportazione  per 
l'immediato  consumo 

id. 

prima  da  serbo,  d'aspetto 
e  per  l'esportazione 

per  l'apparenza  e  per  con- 
servare nell'acquavite 

prima  da  serbo  e  per  l'es- 
portazione 

prima    sotto     tutti    i    ri- 
guardi 

eccellente   da  serbo,    per 
bontà    e    per    l'esporta- 
zione 

prima  per  il   gusto   e  per 
l'apparenza,    si    esporta 
per   r  immediato    con- 
sumo 

S 

u 

dell'olivo 

id. 

dell'ulivo  e  dell'a- 
rancio 

id. 

id. 
id. 

id. 

dell'arancio 

o 

Trebbiano  diMon- 
tesilvano 

{.attuarla  bianca 
Berraestia  bianca 

Bermestia  rossa 

Menna    di    vacca 
bianca 

Moscato    d'  Ales- 
sandria 

Pergolona  bianca 
di  Pescara 

Lacrima  di  Maria 

•ssajgojd 

S                SS                      SSSU?2 

-  810 


0 

o 

a 

o 

(Ti 

i< 

T3 

E 

> 

^ 

:i 

o 

e» 

(i> 

■c 

O 

0»     2 


3—  4)  O 


Cd© 
o  t-  e 


2 

urne   da 
Veneto; 
che  una 
sportaz. 

esi  me- 
r  l'ap- 
rchè  si 
ielle    a 
oco  sa- 

4)  i  n^      0 

2i 

a  e  —o     ; 

iffusa  nei  p 
ridionali  i 
parenza  e  j 
conserva   . 
lungo.  Ha 

il 

l'uva    COI 
serbo,   ne 
si  avvia  a 
discreta 

pore 

iffusa  spec 
nelle  prov 
ridionali 
conservaz 
l'acquavit 

e  5  a 


2g 
571 


p  a) 
2  ?i= 


Hja         •*£ 


■^2 

0)  ns 


3  ^ .;;         tu  ■ 


OS  et  9)  ' 
-      e  g 


«a 


a-5 


3^a-i 


Sb 


ssaiSojd  I 


«  e  - 


5  o 


4)   3 


-  811  — 

5.  Sistema  di  coltivazione.  —  L'uva  da  mensa  per  esportazione  si 
dovrebbe  coltivare  in  vigneti  specializzati.  Per  il  consumo  locale  o 
della  famiglia,  la  vite  non  dovrebbe  mancare  in  ogni  brolo,  orto 
o  giardino  casalingo,  coltivata  a  pergola  o  spalliera  ed  a  contro 
spalliera. 

L'uva  si  presta  molto  anche  per  la  forzatura.  Per  questo  riguardo 
rimando  però  il  lettore  al  mio  Manuale  sulle  Uve  da  tavola,  del  mede- 
simo Editore. 

6.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Il  clima  ha  maggiore  influenza 
del  suolo  sulla  riuscita  della  vile. 

Essa  prospera  nella  regione  dell'ulivo,  e  da  per  tutto  dove  riescono 
a  piena  aria  il  mandorlo  ed  il  pesco. 

Quanto  più  si  va  al  nord,  tanto  più  vigorosa  è  la  vegetazione,  maggiore 
è  la  (juantità  di  germogli  che  si  sviluppano,  maggiore  perciò  è  il 
consumo  dei  succhi  e  quindi  tanto  più  tarda  avviene  anche  la  matu- 
razione. 

Riassumendo,  la  vite  ama  un  clima  caldo  e  secco;  non  ama  i  ra])idi 
sbalzi  di  temperatura,  né  i  venti  freddi  di  tramontana  e  ponente,  né  le 
brine  tardive,  né  le  pioggie  prolungate. 

Un  clima  umido  dà  uve  serotine,  acquose,  di  poco  sapore;  quello 
mediocremente  asciutto  dà  uve  che  si  conservano  a  lungo;  un  clima 
secco  dà  uve  zuccherine,  poco  acide  e  molto  saporite. 

Le  varietà  a  frutto  bianco  sono  meno  esigenti  di  quelle  a  frutto 
rosso;  per  la  germogliazione  occorrono  10,5"  C.  di  calore  giornaliero; 
per  la  fioritura  18,4"  C.  e  perla  maturazione  22,5"  C.  Dall' incominciare 
della  germogliazione  alla  completa  maturazione,  occorrono  in  media 
3200-4000°  di  calore  distribuiti  in  180-200  giorni. 

7.  Esposizione  e  situazione.  —  Nei  paesi  meridionali  la  migliore 
esposizione  è  a  ponente,  perché  a  nord  è  troppo  fredda;  a  levante, 
specialmente  per  le  uve  da  tavola,  l'alternativa  repentina  del  freddo  e 
della  rugiada  col  calore  del  sole  al  mattino,  produce  non  piccoli  danni. 

Nell'Italia  settentrionale,  le  migliori  esposizioni  sono  il  sud-est  e 
sud.  In  queste  i  grappoli  si  conservano  più  a  lungo. 

Per  giudicare  di  una  esposizione  più  o  meno  favorevole,  bisogna 
considerare  dove  le  piante  sono  meno  esposte  ai  geli  primaverili.  Le 
vigne  più  rinomate  della  Champagne  e  del  Medoc,  hanno  una  pen- 
denza a  nord. 

Si  deve  anche  tener  calcolo  della  direzione  che  hanno  i  venti 
umidi  e  temporaleschi.  Per  le  uve  da  tavola,  conviene  scegliere  espo- 
sizioni riparate  da  questi  venti. 

Le  viti  da  uve  da  tavola  bisogna  coltivarle  quasi  esclusivamente  nei 
dolci  declivi  e  colline,  ove  circola  l'aria  e  la  luce;  nei  luoghi  troppo 
elevati  e  ripidi  si  hanno  venti  frequenti  e  nelle  pianure  invece  v'ha 
difetto    di    circolazione  d'aria  e  troppa  umidità. 

8.  Terreno.  —  La  vite  è  poco  esigente  rispetto  al  terreno.  Le 
terre  leggere,  permeabili,  silicee,  ciottolose,  calcari,   schistose,    giuras- 


—  812  - 

siche,  vulcaniche,  infine  tutte  quelle  che  asciugano  facilmente,  che  si 
riscaldano  presto  e  mantengono  il  loro  calore,  ed  un  certo  grado  di 
freschezza,  si  prestano  per  la  produzione  delle  uve  da  mensa.  Le  terre 
rosse  convengono  meglio  delle  gialle  e  queste  più  delle  bianche. 

La  vite  rifiuta  le  terre  argillose  e  fredde;  nei  terreni  torbosi  e  cre- 
tacei ed  in  quelli  freschi  e  molto  ricchi,  spiega  tutta  la  sua  forza  di 
vegetazione  e  tutta  la  sua  rapidità  di  sviluppo,  ma  l'uva  riesce  scipita, 
malgrado  la  sua  bella  apparenza,  e  la  maturazione,  nella  maggior  parte 
delle  annate,  è  compromessa. 

I  terreni  profondi  sono  generalmente  preferibili,  specialmente 
quando  il  sottosuolo  è  composto  di  detriti  di  roccie,  oppure  di  ciot- 
toli. Nei  terreni  ciottolosi,  magri  e  di  poca  profondità,  1'  uva  matura 
più  presto  e  si  conserva  più  a  lungo  che  in  quelli  ricchi  e  profondi, 
ma  si  ottiene  meno  prodotto. 

A  Thoméry,  il  paese  classico  per  le  uve  da  tavola,  si  piantano  le  viti 
in  terreno  ricco,  che  si  riscalda  facilmente,  di  natura  sabbioso-argilloso 
misto  a  ciottoli,  mediocremente  profondo. 

Lungo  tutta  la  nostra  costa  dell'Adriatico,  nelle  sabbie  che  manten- 
gono nel  sottosuolo  un  certo  grado  di  freschezza,  si  ottengono  delle 
uve  da  mensa  molto  migliori  che  lungo  le  coste  rocciose  del  nostro 
Mediterraneo.  Osservo  questo  poiché  noi  potremo  estendere  con  molto 
vantaggio  la  coltivazione  della  vite  nelle  oasi  della  Libia,  dove  nel  sot- 
tosuolo non  manca  l'umidità. 

9.  Riproduzione  e  moltiplicazione.  —  La  vite  si  riproduce  per 
seme,  e  si  moltiplica  per  gemma,  talea,  e  barbatella,  propaggine  ed 
innesto. 

10.  Caratteri  vegetativi.  —  Nella  vegetazione  della  vite  distingue- 
remo (ì  periodi:  1.  Pianto  della  vite;  2.  Germogliazione  ;  3.  Fioritura 
4.    Maturazione  ;    5.    Lignificazione  ;  6.  Riposo. 

La  ripresa  della  vegetazione  della  vite,  in  primavera,  si  mani- 
festa col  cosidetto  pianto.  Esso  è  provocato  dalle  bollicine  d' aria 
e  di  anidride  carbonica,  che  si  trovano  nel  sugo  acquoso  di  cui  si 
sono  imbevute  le  radici  durante  l'inverno.  Goll'elevarsi  della  tempe- 
ratura in  primavera,  le  bollicine  si  dilatano  e  costringono  il  detto 
sugo  a  sgorgare  dai  vasi,  che  sono  stati  tagliati  trasversalmente  colla 
potatura. 

Poco  dopo  il  pianto,  aumentando  la  temperatura,  si  ha  il  periodo 
della  germogliazione  che  comincia  nella  terza  decade  di  aprile.  Dalle 
gemme  sorgono  i  germogli  o  cacchi,  i  quali  si  nutrono  coi  materiali 
immagazzinati  dalla  vite  nell'agosto  precedente.  Indi,  riscaldandosi 
il  terreno,  la  vite  rinasce  nelle  radici,  le  quali  cominciano  a  fun- 
zionare. 

II  terzo  periodo  è  quello  della  fioritura,  che  comincia  circa  dopo 
14  giorni  dall'inizio  delle  germogliazione  e  dura  da  8  a  10  giorni.  Du- 
rante la  fioritura  è  necessario  un  tempo  caldo,  asciutto,  leggermente 
ventilalo  e  senza  sbalzi  di  temperatura. 


—  .si;^  - 

Passata  la  fioritura  comincia  il  periodo  di  sviluppo  e  maturazione 
del  grappolo. 

Il  grappolo  entra  nel  periodo  di  maturazione  quando  gli  acini  co- 
minciano a  cambiare  di  colore  (invaiaUira)  e  ciò  avviene  30-40  giorni 
prima  della  maturazione  completa.  Dalla  fioritura  alla  maturazione  la 
vite  impiega  123  giorni  nell'alta  Italia  (a  Palermo  116  giorni). 

Contemporaneamente  alla  maturazione  del  grappolo  avviene  la 
lignificazione  ossia  la  pianta  immagazzina,  alla  base  delle  gemme  gli 
elementi  nutritivi  che  serviranno  ad  alimentare  i  grappoli  nell'anno 
successivo.  Un  tempo  umido  durante  questo  periodo,  che  decorre  dal- 
l'agosto a  tutto  ottobre,  produce  una  lignificazione  imperfetta  e  quindi 
lascia  poca  probabilità  di  buon  raccolto  successivo. 

Da  ultimo  le  foglie  ingialliscono  e  cadono.  Allora  abbiamo  il  pe- 
riodo di  riposo  e  la  vite  prende  il  suo  aspetto  invernale. 

7.  La  durata  media  di  questi  singoli  periodi  è  la  seguente  : 
Germogliazione  fino  alla  fioritura,  circa  70  gionii. 
Fioritura,  durante  la  quale  la  vite  esige  una  temperatura   media 
giornaliera  di  almeno  15"  C,  15-20  giorni. 

Sviluppo  del  grappolo,  periodo  nel  quale  necessita    dell'  umidità 
nel  terreno  (nei  paesi  caldi  si  ricorre  anche  alla  irrigazione),  45  giorni. 
Maturazione  dell'uva,  45  giorni. 

In  totale,  per  un  vitigno  che  matura  nella  prima  epoca  come  il 
Chasselas  dorato,  occorrono  180  giorni  di  vegetazione  e  210  giorni, 
per  arrivare  alla  maturazione  del  legno  e  caduta  delle  foglie. 

Il  periodo  di  riposo  è  quindi  di  circa  5  mesi.  Le  uve  tardive  nelle 
Provincie  meridionali  impiegano  200  giorni  per  maturare  e  240  giorni 
per  arrivare  alla  caduta  delle  foglie. 

,11.  Potatura.  —  Nella  potatura  della  vite  bisogna  ricordare  che  i 
primi  rudimenti  del  grappolo  si  formano  nella  gemma  durante  l'au- 
tunno che  precede  la  messe;  perciò  è  un  errore  il  ritenere  che  il  taglio 
secco  più  o  anticipato  possa  predisporre  ad  una  più  o  meno  abbon- 
dante fruttificazione.  Per  norma  bisogna  ricordarsi,  che  le  buone  gemme 
danno  i  buoni  sarmenti;  i  buoni  sarmenti  producono  i  migliori  grap- 
poli e  questi  danno,  a  peso  eguale,  la  massima  quantità  di  sugo.  Non 
basta  che  un  sarmento  sia  vigoroso,  che  abbia  uno  sviluppo  proporzio- 
nato a  quello  del  ceppo,  dei  frutti  e  getti  che  porterà;  bisogna  pure 
che  sia  ben  costituito  e  maturo.  Quando  in  una  vite,  come  succede  nei 
terreni  freddi  ed  umidi  o  in  fredde  ed  umide  annate,  si  osservano  dei 
tralci  di  diverso  vigore,  di  sviluppo  sproporzionato,  c'è  fortemente  da 
dubitare  sulla  vendemmia  dell'anno  venturo. 

Soltanto  la  gemma  che  si  trova  sul  legno  formatosi  nell'anno  pre- 
cedente, cresciuto  alla  sua  volta  sul  legno  di  due  anni,  può  dare  dei 
germogli  fruttiferi  ;  altrimenti  si  hanno  dei  succhioni  o  delle  femminelle. 
I  succhioni  crescono  per  lo  più  da  qualche  gemma  latente,  che  si 
trova  lungo  il  ceppo.  Per  due  vegetazioni  sono  sterili,  ma  sono  molte 
volte  utili  al  viticoltore  che  vuol  ringiovanire  una  pianta. 


-  814  - 

Le  femminelle  sono  sarmenti  deboli  ed  irregolari,  lunghi  in  media 
cm.  40  e  che  escono  dai  sotl'occhi  lungo  la  vegetazione.  Per  lo  più 
sono  infecondi  e  durante  l'inverno  periscono  per  il  freddo,  poiché 
nella  maggior  parte  delle  varietà  non  arrivano  a  maturarsi.  Dalle  fem- 
minelle escono  anche  delle  sottofemminelle  (getti  anticipali),  che  subis- 
cono egual  sorte  delle  femminelle. 

Dalla  gemma  fruttifera  esce  il  germoglio,  chiamato  anche  pampino 
fino  che  è  erbaceo,  il  quale  alla  parte  opposta  della  terza  foglia  porta 
il  primo  grappolo;  contro  la  quarta  vi  ha  il  secondo  e  raramente  vi 
ha  un  terzo  e  quarto  grappolo.  11  primo  grappolo  è  sempre  il  migliore 
sotto  tutti  i  rapporti  (vedi  lìg.  595);  contro  la  quarta  e  quinta  foglia,  se 
non  vi  è  grappolo,  vi  ha  un  viticcio;  contro  la  sesta  nulla  e  cosi  di 
seguito,  in  modo  che  ogni  due  foglie  vi  è  la  terza  provveduta  di  viticcio 
o  di  grappolo.  Per  questa  ragione  il  viticcio  viene  considerato  per  un 
grappolo  abortito. 

I  germogli  che  escono  dal  tronco  e  da  altri  sott'occhi,  fino  che 
sono  erbacei  si  chiamano  cacchi,  più  tardi  succhioni;  mentre  i  getti  che 
escono  dalla  base  delle  foglie,  dalle  sottogemme,  si  chiamano  femmi- 
nelle o  sottofemminelle  quelle  che  sorgono  dalle  stesse  femminelle. 

2.  Da  questo  emerge,  che  per  procedere  alla  potatura  secca,  bi- 
sogna anzitutto  fare  una  mondatura,  allontanare  cioè  tutte  le  femmi- 
nelle, i  succhioni,  lasciando  soltanto  i  tralci  sviluppatisi  nell'anno  pre- 
cedente e  che  si  trovano  sopra  il  legno  di  due  anni.  Questi  sono  i  veri 
tralci  uviferi,  i  quali  devono  essere  mondati  dei  loro  viticci. 

3.  Su  questi  tralci  si  opera  la  potatura  di  produzione,  nella  quale  si 
dislingue  il  taglio  del  passato,  quello  del  presente  e  quello  dell'avvenire. 

II  primo  consiste  nel  tagliare  quel  sarmento  che  ha  portato  già 
frutto  e  che  non  conviene  più  lasciare  sulla  pianta. 

11  taglio  del  presente  si  fa  tagliando  ad  una  certa  lunghezza  quei 
tralci  che  hainio  dato  frutto,  perchè  sviluppino  i  germogli  uviferi  per 
l'anno  in  corso. 

11  terzo  taglio  consi.<>te  di  solito,  nel  tagliare  a  due  gemme  (spero- 
natura)  quei  tralci  che  hanno  già  dato  frutto,  per  far  sorgere  dalle  due 
gemme  due  germogli,  che  daranno  frutto  nell'anno  avvenire. 

Un  esempio  pratico  servirà  a  dimostrare  quanto  ho   detto. 

Dato  un  sarmento,  se  le  viti  esigono  taglio  corto,  si  taglia  a  due 
gemme  franche,  senza  contare  le  gemme  latenti. 

I  due  germogli  che  si  svilupperanno  porteranno  frutto  e,  dopo  ca- 
dute le  foglie,  si  presenteranno  come  nella  fìg.  599. 

Allora  il  taglio  consisterà  nel  sopprimere  in  (a)  il  sarmento  più 
allo  (taglio  del  passato),  mentre  si  taglia  l'altro  a  due  gemme  (b),  per 
avere  nell'anno  prossimo  altri  germogli  che  portino  il  grappolo. 

Ma  se  la  varietà  esìge  taglio  lungo,  allora  si  taglia,  a  4-5  gemme  il 
sarmento  più  alto,  e  si  fa  in  tal  modo  il  taglio  del  presente,  coli' altro 
sarmento  si  fa  lo  sperone  per  avere  due  germogli,  che  porteranno 
frullo  nell'anno  avvenire.  Difatti  nell'anno  successivo,  il  sarmento  che 


-  «lo  - 

ha  dato  frutto  si  sopprime  (taglio  del  passato);  dei  due  germogli  dello 
sperone,  il  più  alto  si  lascia  a  frutto  f/a^//o  del  presente)  ed  il  più  basso 
si  sperona  (taglio  dell'  avvenire). 

Tagliando  costantemente  in  questo  modo,  si  riesce  di  mantenere  la 
produzione  fruttifera  vicina  alla  branca.  Perù  non  di  rado,  per  una 
inavvertenza  la  produzione  si  allontana  troppo;  allora  conviene  allevare 
dalla  base  un  cacchio  o  germoglio  avventizio,  il  quale  servirà  a  sosti- 
tuire lo  sperone  troppo  allungato.  Questo  è  il  cosidetto  taglio  di  ringio- 
vanimento, che  è  mostrato  nella  lìg.  600. 

4.  Nella  potatura  verde,  l'operazione  più  importante  è  la  cimatura. 

La  mia  convinzione  in  materia  della  cimatura  della  vite  è  la 
seguente. 

1.  Chi  non  cura  lo  sviluppo  degli  acini   e   dei  grappoli,  ma  vuol 
avere  uva  dolce,  aromatica  che  dia  anche  buon  vino,  non  cimi. 


Fig.  599.  Fig.  600. 

Secondo  taglio  dello  sperone.  Ringiovanimento  dello  sperone. 


2.  Quello  che  vuol  ottenere  grappoli  sviluppatissimi  con  acini 
grandi,  cimi  come  fanno  gli  inglesi;  ma  l'uva  però  riescirà  scipita  ed 
il  vino  debole. 

;i  Per  riunire  questi  due  vantaggi  si  cimi  a  due  foglie  sopra  il 
secondo  grappolo  e  si  sopprima  anche  il  secondo  grappolo  per  avere 
ben  sviluppato  il  primo. 

1.  Alle  uve  da  tavola  in  generale,  la  cimatura  è  indispensabile. 
La  cimatura  può  variare  secondo  il  clima,  il  terreno  e  la  varietà. 
Essa  non  deve  farsi  mai  contemporaneamente  sopra  tutti  i  germogli 
di  una  pianta,  ma  gradualmente,  e  cioè  si  cimano  prima  i  germogli 
più  vigorosi  dell'estremità;  quelli  della  base  si  cimano  più  tardi.  La 
prima  cimatura  si  fa  quando  sono  comparse  tre  o  quattro  foglie  sul 
secondo  grappolo.  Ciò  accade  negli  ultimi  giorni  di  maggio  e  primi  di 
giugno,  quindi  qualche  giorno  prima  della   fioritura.  Bisogna  poi  ripe- 


-  816    - 

terla  una  seconda  e  terza  volta  e  cioè  in  luglio  od  agosto  e  nel  mese 
di  ottobre,  mano  mano  che  lo  sviluppo    dei    diversi   getti   lo  richiede. 

Nella  prima  cimatura,  oltre  che  cimare  a  due  foglie  sopra  il  secondo 
grappolo,  si  tagliano  tulli  i  viticci  e  le  femminelle  però  solo  sopra  la 
prima  foglia,  per  non  danneggiare  la  gemma  della  loro  base.  Si  tolgono 
tanto  i  viticci  che  le  femminelle,  per  non  rendere  improduttive  le 
gemme  della  base  del  germoglio. 

Nella  seconda  e  terza  cimatura  si  opera  egualmente  sulle  femmi- 
nelle e  sulle  soltofemminelle  che  eventualmente  sono  sorte. 

I  rami  destinati  al  prolungamento  dei  cordoni  si  accorciano  quando 
hanno  raggiunto  m.  1-1,50  di  lunghezza. 

La  cimatura  non  si  deve  assolutamente  fare  quando  l'uva  comincia 
a  cambiare  colore  e  si  avvia  alla  maturazione. 


Fig.  601.  —  Legatura  fatta  dopo  la  potatura  precedente. 

.').  Altre  operazioni  imporlanli  di  potatura  sono  l'incisione  anulare, 
la  legalura  in  verde,  il  diradamenlo  dee/li  acini  r insaccamento  dei  grap- 
poli, la  sfoglialnra,  per  le  quali  rimando  il  lettore  alla  parte  generale 
pag.  118. 

12.  Porrne.  -  1.  Per  produrre  le  uve  da  mensa  convengono  quasi 
esclusivamente  le  forme  a  palo  secco,  che  portano  i  grappoli  alti. 

Questo  per  evitare  che  i  grappoli  risentano  l'influenza  dell'umidità 
del  terreno  che  nuoce  alla  loro  conservabilità,  e  li  rende  anche  meno 
resistenti  alle  malattie  crittogamiche. 

La  forma  ad  alberello  bisogna  perciò  proscriverla  e  cosi  i  pergolati. 


-  817  - 


Bisogna  tenersi  specialmente  al  sistema  Guyot,  al  sistema  Thomery 
ed  al  cordone  verticale  permanente. 

2.  Cordone  orizzontale  annuo  o  sistema  Gnyot.  Questa  è  la  forma 
più  pratica,  più  facile  ad  ottenersi  e  più  adatta  alla  maggior  parte 
delle  uve  da  mensa.  Con  questa  forma  si  fanno  dei  vigneti  a  (Ilari  pa- 
ralleli oppure  delle  contraspalliere. 

La  distanza  che  ho  trovato  più   conveniente  è  di  m,  1,30  a  1,50  da 
pianta  a  pianta  sulla  Illa  e  di  metri  1,50  a  2  da  fila  a  fila. 

Lungo  il  filare,  disposto  da  N  a  S,   si  stendono  tre  fili  di  ferro,  il 
primo  alla  distanza  di  50  cm.  dal  terreno, 
il  secondo  a  25  cm.  dal  primo  ed  il  terzo 
a  45  cm.  dal  secondo  (fig.  601). 

Per  ottenere  questa  forma,  si  procede 
nel  seguente  modo. 

Piantata  la  barbatella,  si  lasciano  due 
sole  gemme  fuori  terra.  Durante  l'anno  si 
avrà  cura  di  allevare  i  due  getti,  tenen- 
doli affidati  ad  un  palo  tutore.  Nell'anno 
successivo  si  sopprime  il  getto  meno  jo- 
busto  e  l'altro  lo  si  taglia  all'altezza  del 
primo  filo  di  ferro,  ossia  a  50  cm.  Molte 
volte  avviene  che  nel  secondo  anno  dopo 
l'impianto  della  barbatella,  non  si  possa 
tagliare  il  getto  all'altezza  del  filo  di  ferro, 
perchè  i  due  rami  riescirono  troppo  esili. 
Allora  conviene  sopprimere  il  più  debole 
ed  il  più  forte  si  taglia  sopra  due  sole 
gemme  per  rinforzare  la  pianta. 

Questa  operazione  si  può  ripetere 
anche  l'anno  successivo,  fino  che  si  ot- 
tengono due  bei  sarmenti  vigorosi  all'al- 
tezza del  tilo  di  ferro  (fìg.  602). 

Si  piega  lungo  il  primo  filo  di  ferro 
il  più  alto  di  questi  (l)J  e  da  esso  sorge- 
ranno i  pampini  fruttiferi  che  vengono 
legati    al   secondo    filo    di    ferro;   l'altro 

(a  fig.  602)  si  sperona  a  due  gemme.  Dalle  due  gemme  si  sviluppano 
due  germogli  i  quali  si  lasciano  crescere  verticalmente  lungo  il  tutore, 
fino  al  terzo  filo  e  poi  si  piegano  lungo  questo  Nell'anno  prossimo  si 
taglia  alla  base  il  ramo  che  ha  portato  già  frutto  e  dei  due  sarmenti 
sorti  sullo  sperone,  si  piega  il  più  alto  (sempre  verso  mezzogiorno) 
lungo  il  primo  filo  di  ferro  e  quello  più  basso  si  sperona  a  due  gemme. 
Si  procede  ogni  anno  sempre  nello  stesso  modo,  notando  però  che,  se 
dallo  sperone  non  si  ha  un  getto  vigoroso  da  rimpiazzare  convenevol- 
mente nel  prossimo  anno  quello  a  frutto,  si  deve  allevarne  uno  dalla 
base  di  quest'ultimo. 

52  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


1 

1 

a   1 
r    1 

Fig.  602.  —  Potatura  nel  terzo  anno  : 
b)  tralcio  che  viene  legato  lungo 
il  primo  filo  di  ferro  (potatura 
del  presente);  a]  tralcio  che  viene 
tagliato  a  sperone  in  r  (potatura 
dell'avvenire). 


—  818  — 

La  potatura  verde  con  questo  sistema  alla  Guj'^ot,  consiste: 
(i)  nella  scacchialnra  di  tutti  i  getti  inutili  che  crescono  lungo  il 

fusto  e  di  tutti  i  germogli  uviferi  che  non  portano  frutto-, 

b)  nel  togliere  ai  due  sarmenti  sorti  dallo  sperone  i  viticci  e  tutte 

le  femminelle  sopra  la  prima  foglia; 

e)  nel  legare  i  germogli   uviferi  al  secondo  filo  di  ferro,  levando 

loro  i  viticci,  le  femminelle  e  cimando  il  germoglio  stesso    a   2  foglie 

sopra  il  secondo  grappolo; 

d)  nel  cimare  una  seconda  ed  eventualmente  una  terza  volta  le 
femminelle  che  si  sviluppassero  in  luglio  ed  agosto,  in  modo  da  lasciare 
i  grappoli  bene  esposti  al  sole  e  distanziati  fra  loro. 

3.  Cordone  Thoinery.  Se,  appena  fatto  il  cordone  orizzontale  annuo, 
si  sopprime  lo  sperone,  e  si  scelgono  sul  cordone  medesimo  i  tralci 
che  hanno  dato  frutto  o  che  dovevano  darlo,  distanziandoli  uniforme- 
mente a  30  cm.  e  tagliandoli  a  due  gemme  franche  per  formare  dei 
cursoncelli,  si  avrà  un  cordone  permanenle  orizzontale  semplice  o  doppio 
se  il  sarmento  destinato  a  sperone  viene  piegato  orizzontalmente  dalla 
parte  opposta. 

Principale  esempio  di  questa  forma  è  quella  detta  alla  Thoméry, 
dal  nome  del  paese  ove  è  più  in  uso,  e  si  applica  per  fare  delle  con- 
trospalliere isolate  o  delle  spalliere  contro  i  muri,  che  in  tal  modo 
restano  totalmente  coperti  con  cordoni  orizzontali   doppi    permanenti. 

Le  condizioni  di  riuscita  per  avere  cordoni  orizzontali  permanenti 
sono  le  seguenti: 

a)  Le  due  braccia  del  cordone  devonsi  conservare  esattamente 
di  eguale  lunghezza,  per  non  permettere  che  il  braccio  più  lungo  attiri 
una  maggiore  quantità  di  linfa  a  detrimento  dell'altro, 

b)  I  cursoncelli  da  frutto  devonsi  lasciare  sempre  sulla  parte 
superiore  del  tralcio  e  distanti  uno  dall'altro  30  cm.  circa. 

e)  I  bracci  non  devono  essere  lunghi  più  di  m.   1  ciascuno. 

d)  Un  medesimo  ceppo  non  deve  portare  più  di  un  doppio  cordone. 

La  distanza  fra  cordone  e  cordone  deve  essere  tale,  che  i  getti 
possano  svilupparsi  sufficientemente,  senza  danneggiarsi  per  l'ombra. 
L'esperienza  ha  dimostrato  essere  necessaria  una  distanza  di  m.  0,50 
a  0,80  secondo  che  la  varietà  esige  taglio  corto  o  lungo.  Per  i  Chasselas, 
Pinot,  bastano  50  centimetri;  per  il  Frankenthal  e  la  Luglienga  ne 
occorrono  almeno  80. 

Fra  cordone  e  cordone  deve  essere  teso  a  metà  distanza  un  altro 
filo  di  ferro  per  poter  assicurare  i  germogli  uviferi. 

In  seguito  conviene  misurare  l'altezza  del  muro,  allo  scopo  di  ren- 
dersi conto  del  numero  dei  cordoni  che  si  potranno  sovrapporre.  Ani- 
melliamo  di  avere  un  muro  di  solita  altezza,  ossia  di  m,  2,50  (flg.  603). 
Il  primo  cordone  bisogna  stenderlo  distante  dal  terreno  50  cm.  e  sopra 
l'ultimo  cordone  occorrono  50  cm.  ancora  di  muro,  per  stendere  un 
filo  di  ferro  a  cui  legare  i  getti  uviferi;  non  rimane  quindi  che  uno 
spazio  di  ni.  1,50,  spazio  sufficiente  per  altri  tre  cordoni,  quindi  per 
coprire  il  muro  occorrono  quattro  cordoni. 


-  819  -- 

La  distanza  fra  ceppo  e  ceppo,  varia  colla  lunghezza  che  si  vuol 
lasciare  alle  due  braccia  del  cordone.  Volendo  la  solita  misura  di  m.  1 
per  braccio  ossia  m.  2,  si  divide  questa  per  l'altezza  del  muro  (m.  2,50) 
ed  il  quoziente  dà  la  distanza  fra  ceppo  e  ceppo  ossia  di  2:  3  =  ra.  0,66. 

Fatto  l'impianto,  è  evidente  che  colla  prima  vite  si  farà  il  primo 
cordone  orizzontale  doppio  presso  terra  a  m.  0,50,  la  seconda  vite 
bisognerà  bìforcarla  al  terzo  filo  di  ferro,  ossia  a  m.  1.  la  terza  a  metri 
1,50  e  la  quarta  a  2  metri  dal  terreno. 

Nei  primi  2,  3  o  4  anni  si  taglia  la  vite,  fino  che  raggiunge  il  punto 
sul  quale  si  vuole  la  biforcazione  a  4  o  5  gemme,  raccogliendo  i  frutti 
che  vengono  e  curando  sempre  il  getto  dell'estremità  per  avere  il  pro- 
lungamento, mentre  quelli  inferiori,  che  danno  pure  frutto,  si  recidono 
appena  fatto  il  raccolto. 

Quando  la  vite  raggiunge  l'altezza  a  cui  deve  essere  biforcata,  si 
taglia  il  sarmento  soi)ra  due  gemme,  trovantesi  immediatamente  sotto 
il  filo  di  ferro  e  collocate  una  destra  e  l'altra  a  sinistra.  Lungo  l'anno 


Fig.  603.  —  Intelaiatura  per  il  sistema  Thoméry. 


si  allevano  soltanto  i  due  getti  che  sorgono  da  queste  due  gemme 
mantenendoli  verticali,  e  tutti  gli  altri  si  scacchiano  e,  se  portano 
frutto,  si  lasciano  fino  a  che  lo  hanno  maturo.  E  importante  ottenere 
una  buona  biforcazione  per  avere  una  eguale  distribuzione  della  linfa, 
sempre  da  preferirsi,  per  la  difficoltà  che  l'altro  presenta  di  mantenere 
poi  l'equilibrio. 

Nel  secondo  anno  di  potatura,  si  piegano  i  due  tralci  uno  a  destra 
l'altro  a  sinistra,  lungo  il  filo  di  ferro,  tagliandoli  ad  egual  lunghezza 
e  cioè  sopra  la  terza  gemma  (fig.  604),  avendo  cura  che  l'ultima  gemma 
guardi  possibilmente  in  basso  (a).  Questa  deve  servire  a  prolungare  la 
branca,  la  seconda  dà  il  cursoncello,  che  poi  si  manterrà  per  la  produ- 
zione fruttifera,  ed  il  getto  della  prima  si  sopprime  colla  cimatura. 

Nel  terzo  anno,  si  taglia  a  sperone,  e  cioè  a  due  gemme  franche, 
il  sarmento  della  seconda  gemma  {b  fig.  605),  ed  il  prolungamento  si 
lega  al  filo  di  ferro  tagliandolo  ad  altre  tre  gemme  ed  avendo  la  pre- 
cauzione che  l'ultima  guardi  sempre  in  basso  (a). 

Lungo  l'anno  si  lega  al  filo  di  ferro  immediatamente  superiore  il 
getto  uvifero,  che  deve  guardare  in  alto,   si   scacchiano  tutti   gli    altri 


-  820  - 

getti,  meno  quelli  che  sorgono  sulla  seconda  e  sull'ultima  gemma  del 
sarmento  di  prolungamento. 

Si  continua  in  questo  modo  prolungando  ogni  anno  i  cordoni  di 
15  a  20  centimetri  circa,  con  l'avvertenza  ogni  anno  di  non  formare 
più  di  uno  sperone  (fìg.  606-609). 

La  potatura  verde  col  sistema  Thoméry,  deve  essere  molto  accurata. 


Fig.  604.  —  Primo  taglio  del  cordone 
orizzontale  doppio  alla  Thoméry 


Fig.  605.  —  Secondo  taglio. 


Fig.  COlj.  —  La  pianta  precedente 
dopo  la  potatura  secca 


Fig.  vm. 
Pianta  precedente  dopo  la  potatura  secca 


Fig.  609.  —  Quarto  taglio. 


La  scacchiatura  bisogna  farla  piuttosto  presto,  sopprimendo  i  ger- 
mogli che  non  danno  frutto  e  le  foglie  nonché  i  germogli  che  crescono 
contro  il  muro.  1  germogli  uviferi  si  cimano,  come  abbiamo  indicato 
parlando  della  cimatura  (pag.  815). 


-  821   - 

Quando  la  branca  ha  raggiunlo  la  lunghezza  voluta,  ci  sono  due 
vie  di  soluzione.  O  si  lascia  j^er  ultimo  uno  sperone,  oppure  si  piega 
oi'izzontalinente  un  sarmento  da  prodotto,  sarmento  che  naturalmente 
deve  essere  rimpiazzato  ogni  anno  da  un  altro.  Questo  ultimo  sistema 
è  il  preferibile  (lìg.  610). 


Fig.  tilO.  —  Kiniiovamento  dell'estrennlà  ad  una  vite  col  sistema  Thoméry. 

Questa  forma  tanto  ingegnosa  non  ha  però  tutti  quei  meriti  che  si 
potrebbe  ritenere  per  la  grande  difficoltà  di  mantenere  in  equilibrio  le 
due  branche.  Credo  quindi  preferibile,  per  produrre  abbondantemente, 
il  cordone  verticale  permanente. 


'mgm^^^mmm 


Fig.  611.  -  Muro  isolato  rivestito  di  viti  a  Thomery  con  cappello  di  riparo. 


La  fig.  611  dà  una  idea   di    una   spalliera   tenuta    col    sistema    ora 
descritto  ed  usato  a  Thomér}'. 

't.  Cordone  verticale  permanente.  Per  fare  delle  controspalliere,  per 
allevare  le  viti  nelle  serre,  e  per  coprire  i  muri  specialmente  dell'  al- 
tezza superiore  a  m.  2,50,  si   alleva   la   vite   a  cordone    verticale    per- 


822 


manente.  Nella  lì{^.  (!12  abbiamo  rappresentato  una  spalliera  che  copre 
un  muro  alto  oltre   m.   2,50,  con   cordoni   alternati    di   diversa  altezza. 
Il  cordone  verticale  permanente  porta  dei  speroni  a  frutto,  alternati 
a  destra  ed  a  sinistra,  alla  distanza  di  25  a  30  centimetri. 

L'impianto  si  fa  a  metri  1  di  distanza,  e  sul  muro  si  assicura  ogni 
vite  a  tante  assicelle  mentre,  e  cominciando  a  50  centimetri  dal  terreno, 
si  stendono  orizzontalmente  dei  fili  di  ferro  o  dei  regoli  di  legno. 

Nel  primo  anno  di  potatura  si  taglia  il 
tralcio  a  tre  gemme  e  possibilmente  l'ul- 
tima che  guarda  in  avanti  e  che  si  trova 
immediatamente  sopra  il  primo  filo  di 
ferro.  La  prima  gemma  serve  a  dare  il 
prolungamento,  la  seconda,  cominciando 
sempre  dall'  alto,  dà  il  frutto  ;  dalla  terza 
inferiore  cresce  pure  un  germoglio,  che 
nel  primo  anno  si  lascia  perchè  attira  una 
maggior  quantità  dì  linfa,  ma  nell'anno 
successivo  si  sopprime  (fig.  613).  Tutti  e 
tre  i  germogli  si  legano  ai  fili  di  ferro,  il 
primo  verticalmente,  gli  altri  due  obliqua- 
mente e,  se  hanno  un  eccessivo  vigore, 
raggiunta  la  lunghezza  di  metri  0,50,  si 
cimano  e  si  legano  all'assicella. 
_,  ,  ,  .  ^  _  .      .  .     j  Nella  primavera  del  secondo  anno,  si 

/ ì     \S  ~f~l  \\  ^  sopprime  il  tralcio  inferiore  (a),  il  secondo 

U  1/  '  ^'  sperona  a  due  gemme  (h),  ed  il  terzo  lo 

si  lega  verticale  tagliandolo  sulla  gemma 
immediatamente  superiore  al  secondo  filo 
di  ferro  (e).  Si  ottengono  così  sul  ramo  di 
prolungamento  3  o  4  germogli,  di  cui  non 
se  ne  conservano  che  due,  e  cioè  uno  per 
prolungamento  che  si  tiene  legato  vertical- 
mente, l'altro  per  dare  lo  sperone  a  frutto. 
Nella  scelta  di  questo,  si  abbia  cura  che  disti  25  centimetri  almeno 
dal    sottostante   e   sì  trovi   dal   lato   opposto.  Durante   la  vegetazione, 
lo  si  lega  a  15"  al  filo  dì  ferro  e  lo  si  cima  solo  se  arriva  a  toccare  i 
germogli  della  pianta  vicina. 

Alla  primavera  del  terzo  anno,  i  cordoni  si  presenteranno  come  si 
vede  nella  fig.  614,  e  si  fa  allora  la  potatura  indicata  dalle  lineette 
nella  figura.  H  cioè,  dei  due  getti  dello  sperone  fatto  nell'anno  precedente, 
si  sop|)rime  il  più  lontano  e  il  più  vicino  si  sperona  a  due  gemme. 

Dei  due  tralci  dell'estremità  poi,  uno,  il  più  basso  si  sperona  a  due 
gemme,  ed  il  più  alto,  ossia  quello  di  prolungamento,  si  taglia  sopra 
una  gemma  immediatamente  superiore  al  vicino  filo  di^ferro. 

Nel  quarto  anno  si  avranno  i   cordoni    come   nella    fig.   615,   nella 

potare.    Proseguendo    cosi,   in 


Fig.  (il2.  —  Spalliera  di  cordoni  di 
viti  alternati  per  altezza  per 
coprire  un  muro  alto  oltre 
ni.  2,50. 


((uah 


5ura  si  vede   anche  il  modo  di 


823 


tanti  anni  quanti  sono  i  fili  di  ferro  od    assicelle    orizzontali    a  25  cm. 
di  distanza,  si  ha  un  muro  coperto  da  viti,  come  nella  fìg.  (512. 

Raggiunta  l'estremità,  bisogna  sempre  rinnovare  la  punta  in  modo 
d'avere   sempre   un   sarmento 
dell'anno  precedente. 


Fig.  613.  —bordone  verticale 
dopo  il  primo  anno. 


Fig.  614.  —  Cordone  verticale 
dopo  il  secondo  anno. 


Per  mantenere  la  forma  a  questi  cordoni  occorre  applicare  sempre 
le  scacchiature  le  amputazioni  dei  viticci  e  la  cimatura  dei  tralci  uviferi, 
con  tutte  le  regole  già  ricordate. 

Non  si  deve  alzare  mai  la  pianta  oltre  uno 
sperone  per  anno  e  non  si  deve  pensare  al  pro- 
lungamento della  pianta  se  prima  i  tralci  infe- 
riori non  sono  bene  sviluppati. 

Perciò  bisogna  applicare  con  maggior  rigore 
la  potatura  verde  sui  germogli  degli  speroni 
più  alti,  che  non  su  quelli  più  bassi. 

Se  il  muro  ha  un'altezza  superiore  di  m.  2,50, 
si  fanno  dei  cordoni  alternati,  come  è  indicalo 
nella  lìg.  612  ed  allora  le  viti  si  piantano  a 
metà  distanza,  cioè  a  m.  0,50. 

13.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  — 
L'impianto  si  fa  a  mezzo  di  barbatelle  o  mar- 
gotte, possibilmente  in  autunno  ed  in  terreno 
molto  ben  preparato  e  concimato. 

/  lavori  aiiniiali  del  terreno  consistono  in  una  vangatura  nel  mese 
di  marzo  o  aprile,  dopo  la  potatura  secca  e  in  due  zappature  fatte 
l'una  in  maggio-giugno,  prima  della  fioritura,  e  l'altra  in  agosto. 


Fig.  615.  —  Cordoni  verticali 
nel  terzo  anno. 


-  824  — 

11  concime  generalinenle  più  usitalo  per  le  viti  è  lo  stallatico,  il 
(piale  si  adopera,  ollrecliè  all'impianto,  anclie  ogni  due  anni  in  ragione 
di  kg.  10000  l'ettaro.  Sono  molto  utili  i  composti  di  stallatico  cogli  avanzi 
delle  viti,  colle  vinaccie,  col  calcinaccio,  colla  terra  vergine,  collo  spurgo 
dei  fossi. 

A  Thomery  usano  coprire  con  stallatico  il  terreno  al  momento  del 
risveglio  della  vegetazione  e,  per  evitare  il  disjierdimento  dei  materiali 
utili,  si  spolverizza  poi  con  del  gesso.  Questa  copertura  serve  anche  a 
mantenere  fresco  il  terreno. 

Per  le  uve  da  mensa  bisogna  impiegare  più  concimi  che  per  l'uva 
da  vino. 

Senza  abbondanza  di  elementi  nutritivi,  i  grappoli  non  acquistano 
bell'aspetto,  la  vite  non  si  mantiene  vigorosa,  anzi  è  poco  resistente  ai 
tagli  ed  alle  molte  operazioni  di  potatura  nonché  alle  diverse  cause 
nemiche. 

La  vite  richiede  molto  Vazolo,  che  associato  convenientemente  al- 
l' anidride  fosforica  accellera  la  maturazione  dei  gi'appoli  ed  insieme 
alla  po/a.ssa  facilita  l'allegamento  e  inlluisce  sul  colorito  dei  grappoli 
e  sul  loro  buon  gusto. 

Conviene  correggere  lo  stallatico  con  della  cenere,  oppure  con 
kg.  200  di  cloruro  potassico  ogni  10  tonnellate. 

Non  potendo  concimare  con  stallatico,  si  faccia  il  sovescio  ogni 
due  anni  con  trifoglio  incarnato,  o  lupini,  oppure  veccia  o  fava,  con- 
cimando contemporaneamente  ogni  ettaro  in  ragione  di  : 

Kg.  400  di  perfosfato  o  Kg.  500  di  scorie 
„    200  di  cloruro  potassico  o  meglio  solfato  potassico. 

Si  adoperi  il  perfosfato  nei  terreni  calcari  o  sciolti. 
Trattandosi  infine  di  viti  deperenti,  conviene   dare   in    autunno    la 
seguente  formola  di  concimazione  per  ceppo  : 

grammi  :}0  di  perfosfato 

15  di  cloruro  potassico  o  meglio  solfato  potassico 
„        15  di  solfato  ammonico 
„        30  di  gesso. 

In  primavera,  dopo  fatta  la  prima  zappatura,  si  aggiungono  per  ogni 
ceppo  grammi  15  di  nitrato  di  soda. 

Nei  terreni  non  calcari  invece  di  impiegare  del  perfosfato  si  diano 
grammi  45  di  scorie  Thomas. 

Nel  mezzodì,  nelle  regioni  calde,  quando  la  siccità  è  insistente  nel 
periodo  di  sviluppo  del  grappolo  e  più  ancora  nel  periodo  dalla  inva- 
jatura  in  avanti,  l'irrigazione  e  utile,  anzi  vorrei  dire  è  necessaria. 
Potendola  fare  si  assicura  un  bel  sviluppo  del  grappolo,  una  bella 
apparenza.  Ne  scapita  sicuramente  la  qualità,  ma  per  le  uve  da  mensa, 
ha  più  importanza  la  bellezza  che  non  la  bontà  del  frutto. 


14.  Il  processo  di  maturazione  dell'uva.  —  K  importante  conoscere 
i  fenomeni  chimici  che  avvengono  nel  processo  di  maturazione  dell'uva. 

1.  Lo  zucchero  deslrosio  domina  in  principio  ed  è  sempre  destrogiro  anche 
quando  il  succo  delle  foglie  è  diventato  sinistrogiro. 

2.  L' acido  tannico  va  diminuendo  tanto  che  al  momento  della  colorazione  quasi 
è  scomparso. 

3.  L'acidità  dovuta  all'acido  tartarico  e  al  bitartrato  di  potassa  aumenta  fino  al 
rammollimento  dell'acino. 

4.  L'acido  malico  invece  aumenta  da  questo  momento. 

5.  Gli  albuminoidi,  eliminabili  coll'alcool,  in  massima  parte  le  sostanze  pectiche, 
come  pure  i  materiali  che  rimangono  insolubili  nel  mosto,  aumentano  sebbene  assai 
lentamente  fino  alla  vendemmia. 

C.  La  clorofilla  scompare  quando  gli  acini  si  colorano. 

7.  Dal  principio  del  rammollimento  dell'acino  fino  alla  vendenìmia  aumenta  il 
diametro  dell'acino  e  il  peso  rimane  quasi  lo  slesso.  11  titolo  di  zucchero  aumenta  pro- 
babilmente per  fenomeni  di  emigrazione  dagli  organi  verdi  dei  tralci.  Nei  racimoli  non 
esiste  traccia  di  zucchero  al  contrario  vi  si  trova  molto  amido.  11  succo  d'uva  coll'inva- 
jatura  diventa  levogiro  —  aumentano  sempre  piti  il  levulosio.  L'uva  quindi  si  distingue 
dagli  altri  frutti,  nei  quali  già  da  principio  domina  il  levulosio.  L'acido  tartarico  libero 
si  trasforma  in  tartarato  acido  a  spese  della  potassa  che  arriva  nell'  acino.  Quindi  il 
cremore  aumenta  fino  alla  vendemmia.  La  somma  di  acido  tartarico  libero  e  combinato 
rimane  immutato  dal  momento  del  rammollimento. 

L'acido  malico  scompare  colla  maturazione. 

1  sali  minerali  aumentano  fino  alla  completa  maturazione.  È  notevole  la  costanza 
di  un  eccesso  di  potassa  non  trasformata  in  cremore  ad  onta  dell'acido  tartarico  libero. 

8.  1^'uva  maturando  svolge  incessantemente  dell'anidride  cartionica,  tanto  al  buio 
che  alla  luce,  nell'aria  o  in  un  gas  inerte  e  la  quantità  di  anidride  carbonica  prodotta 
è  sempre  superiore  alla  quantità  di  ossigeno  consumato. 

9.  I  grappoli  recisi  sono  capaci  di  assorbire  o  di  perdere  dell'  acqua  quando  si 
tengano  in  un  ambiente  umido  o  secco.  Inoltrandosi  la  maturazione,  l'acidità  dimi- 
nuisce e  lo  zucchero  aumenta:  gli  acidi  poi  e  lo  zucchero  sono  forniti  all'uva  dall'or- 
ganismo della  vite  mercè  la  linfa  elaborata.  Da  ultimo  quando  la  maturazione  è  di 
molto  avanzata,  lo  zucchero  viene  ad  essere  a  mano  a  mano  bruciato. 

10.  La  maturazione  dell'uva  è  caratterizzata: 
a)  dalla  scomparsa  dell'amido  nei  pedicelli; 
bj  dalla  strazionarietà  dello  zucchero; 

e)  dal  trovarsi  in  eguale  quantitativo  il  glucosio  ed  il  levulosio; 

dj  dalla  pochezza  di  acido  tartarico  libero  combinandosi  colla  jìotassa; 

ej  dalla  scomparsa  delle  materie  coloranti  verdi  dalla  buccia  dell'uva. 

11.  Staccando  il  grappolo  avviene: 
a)  evaporazione  d'acqua: 

l'J  gli  acini  verdi  si  colorano  anche  con  poca  luce; 

e)   lo  zucchero  rimane  costante,  però  se  ammuffisce  o  si  altera  scompare; 
d)  l'acido  tartarico  rimane  eguale,  però  immergendo  il  tralcio  emigra  la  potassa 
e  ne  neutralizza  una  parte; 

eJ  l'acido  malico  scompare  completamente 

15.  Raccolta  ed  imballaggio.  —  1.  La  raccolta  devesi  fare  mano 
mano  che  i  grappoli  raggiungono  quel  dato  grado  di  maturazione  che 
li  rende  più  accetti  sul  mercato. 

Le  uve  da  serbo  soltanto  si  raccolgono  il  più  tardi  possibile  prima 
però  che  possano  venire  colpite  da  brine,  ammenoché  non  si  ricorra 
a  dei  ripari. 


Non  tutti  i  grappoli,  del  medesimo  ceppo,  hanno  eguale  valore.  In 
•ijenerale  i  grappoli  dell'  estremità  dei  tralci  e  delle  viti  vecchie  sono 
più  belli,  meglio  luilrili  e  perciò  si  raccolgono  separali,  per  quotarli 
di  più  sul  mercato,  o  per  destinarli  alla  conservazione.  Per  questa 
ragione,  si  raccoglie  prima  l'uva  dalle  branche  inferiori,  che  viene 
subito  portata  sul  mercato. 

La  raccolta  si  fa  a  mezzo  di  cesoje ,  per  evitare  lo  sgrana- 
mento. 

Spiccati  i  grappoli  dalla  pianta,  con  cesoie  affilate  si  levano,  gli  acini 
guasti,  alterati  o  di  brutta  apparenza,  e  poi  si  collocano  uno  ad  uno 
nelle  ceste,  nelle  quali  non  si  devon  porre  più  di  due  strati  di  grappoli. 
Le  ceste  più  adatte  sono  quelle  a  fondo  convesso,  molto  basse  e 
divise  in  due  parti  dal  manico,  epperciù  indipendenti  una  dall'  altra. 
Per  le  uve  da  serra  si  adoperano  i  cesti  imbottiti. 

Questi  cesti,  coperti  da  foglie  di  viti,  si  collocano  sopra  una  inte- 
lajatura  apposita  sulla  quale  ne  possono  stare  12,  e  si  fanno  portare 
a  spalle  alla  prossima  stazione  ferroviaria  od  al  vicino  mercato. 

2.  All'imballaggio  conviene  prestare  molta   cura,   per   non    avere 
perdile  rilevanti  di  merce  e  realizzare  un  maggior  prezzo  sul  mercato. 

L'uva  ai  consumatori  deve  arrivare  in  stalo  perfetto,  senza  lesioni 
od  ammaccature  sugli  acini,  i  quali  perciò  debbono  conservare  tutta 
la  loro  pruina  L'imballaggio  poi  deve  essere  anche  elegante,  cosi  da 
far  figurar  bene  la  merce. 

Nei  momenti  di  maggiore  richiesta  e  quando  le  uve  sono  più  a 
buon  mercato,  ossia  da  agosto  a  lutto  ottobre,  la  spedizione  viene  falla 
in  gabbie  di  legno  (fig.  245 j,  che  contengono  da  kg.  10  a  20  d'  uva  e 
sono  facilmente  smontabili. 

Quando  l'uva  è  cara  e  diventa  perciò  un  oggetto  di  lusso,  le  spe- 
dizioni si  fanno  in  piccole  cassette  capaci  di  contenere  kg.  1  ed  anche 
kg.  0,.500,  le  quali  alla  lor  volta  si  chiudono  a  dozzine  e  doppie  dozzine 
in  casse  i)iù  grandi.  Queste  cassette  variano  di  grandezza  a  seconda 
della  varietà  dell'  uva. 

In  Italia  l'imballaggio  si  fa  in  scatolette  di  faggio  lunghe  cm.  25, 
larghe  cm.  12,  alte  cm.  11.  Queste  scatolette  hanno  capacità  di  kg.  1,500 
l'una.  Dodici  di  queste  cassette  vengon  poste  in  una  cassa  di  legno  (fig.  246). 

16.  Conservazione  dell'  uva.  —  Le  norme  principali  che  devono 
servire  di  guida  a  chi  vuol  ben  conservare  l'uva  sono  le  seguenti  : 

u)  non  conservare  uve  guaste,   lacerate,    contuse    e    contaminate 
da  malattie  incipienti  o  da  animali  ; 

b)  evitare  le  putrefazioni  e  fermentazioni  nell'ambiente  ; 
e)  rallentare  la  completa  maturazione  mantenendo  i  locali  chiusi 
in  perfetta  oscurità  ; 

d)  mantenere  una  temperatura  costante  di  8"  a  10°  ; 

e)  evitare  rapidi  cambiamenti  di  temperatura; 

f)  evitare  il  contallo  con  frutti  alterati,  dai  quali  potrebbe  deri- 
vare una  generale  infezione; 


g)  mantenere  un  grado  di  umidità  che  non  si  scosti  da  fi7"  a  72« 
dell'igrometro. 

L'uva  si  può  conservare  col  peduncolo  secco  o  col  |)C(iuncolo 
verde. 

Il  primo  sistema  olire  maggior  garanzia  di  riuscita,  quantunque 
il  grappolo  non  mantiene  allora  completamente  il  suo  turgore.  Di 
solito  nella  camera  di  conservazione  si  lamio  dei  castelli,  si  adoperano 
anche  quelli  dei  bachi,  e  su  questi,  dopo  aver  stesa  della  paglia,  si  col- 
locano i  grappoli,  senza  che  si  tocchino    uno   coll'altro. 

11  sistema  di  conservazione  a  peduncolo  verde,  che  consiste  nel  met- 
tere il  sarmento  a  cui  è  attaccato  il  grappolo,  dopo  averlo  sfogliato, 
entro  bottiglie  piene  d'acqua  e  contenenti  un  cucchiaio  di  polvere  di 
carbone  per  evitare  la  putrefazione  dell'acqua. 

Questo  sistema  è  il  più  i)ericoloso  inquantochè  si  mantiene  l'am- 
biente molto  umido.  Per  rimediare  a  ciò  si  tiene  nel  locale  del  cloruro 
di  calcio  o  della  senqjlice  calce  viva. 

La  raccolta  dell'uva  si  fa  tagliando  il  sarmento  che  porta  l'uva,  a 
tre  occhi  sotto  il  grappolo  e  ad  uno  sopra.  Si  tagliano  poi  subito  le 
foglie  per  diminuire  revajjorazione,  e  si  trasportano  i  grappoli  nel 
fruttajo  con  grande  precauzione,  collocando  subito  il  sarmento  nelle 
bottiglie 

17.  Proprietà  dell'uva  da  mensa  e  sua  composizione.  —  L'uva 
è  il  frutto  più  ricercato  per  la  mensa  e  serve  anche  per  fare 
una  cura. 

Dalle  analisi  risulta  che  1'  uva  è  il  frutto  più  zuccherino  -  le  ciliege, 
ad  esempio,  che  vengono  ritenute  le  più  dolci,  arrivano  appena  al 
107o  —  è  però  povera  di  sostanze  proteiche,  cenere  e  sostanze  secche; 
armonico  invece  è  il  rapporto  dello  zucchero  cogli  acidi. 

La  cura  dell'uva  agisce  quindi: 

a)  come  sostanza  alimentare  di  natura  essenzialmente  vegetale, 
per  le  sostanze  albuminoidi  e  proteiche  che  contiene; 

b)  come  medicamento  dolcificante,  eccitante,  lassativo  degli 
intestini  ; 

e)  per  gli  alcali,  diminuisce  la  plasticità  del  sangue  rendendolo 
più  fluido; 

d)  per  i  diversi  elementi  minerali,  quali  solfati,  cloruri,  fosfati, 
può  sostituire  le  acque  minerali; 

e)  infine  introduce  nell'economia  una  quantità  notevole  d'acqua 
che  passa  nel  sangue,  circola  con  esso,  entra  nelle  urine  ed  attiva  po- 
tentemente le  trasformazioni  organiche. 

Per  giudicare  la  composizione  complessa  sull'uva,  riporto  a  pagina 
seguente  l'analisi  di  Herbei-ger. 


Tab.  LXiv.       Composizione  del  mosto  di  alcune  uve  straniere. 
Analisi  di  Herberger. 


SOSTANZE  CONTENUTE 
in   100  parli   di   mosto  filtrato 


Zucchero         

Materia  albuminosa  e  gelatinosa 
(ìomnia,  deslrina 

Resina 

Principio  colorante  estrattivo 

Tannino 

Acido  tartarico  libero 

citrico 


raceiiuco    ... 
malico         .... 
Bilarlralo  di  potassio 
Tartrato  con  racemato  di  calcio 
di  magnesio 
d  alluminio  . 
„         di  protossido  di  ferro 
Cloruro  di  calcio .... 
di  sodio  .... 
Solfato  di  potassio 
Fosfato  d'alluminio 
Acqua      


Sylvaner 

Chasselas  bianco 

di  due  provenienze 

dì  due  provenienze 

130.975 

132.105 

122.105 

127.497 

17.142 

19.850 

15.427 

18.547 

6.910 

5.425 

9.143 

6.520 

tracce 

tracce 

tracce 

tracce 

0.108 

0.117 

0.097 

0.125 

tracce 

tracce 

tracce 

tracce 

2.210 

2.205 

2.207 

2.246 

0.098 

0.246 

tracce 

tracce 

0.311 

0.227 

0.287 

0.299 

1.289 

1.352 

1.007 

1.127 

1.208 

1.215 

1.341 

1.3.56 

0.224 

0.239 

0.226 

1.521 

0.049 

0.125 

tracce 

tracce 

0.068 

0.115 

0.105 

0.110 

tracce 

tracce 

tracce 

tracce 

„ 

„ 

0.910 

0.923 

0.847 

0.991 

tracce 

tracce 

0.947 

1.211 

0.845 

1.027 

0.024 

0.028 

0.017 

0.021 

837.610 

816.283 

846.283 

838.71 

18.  Dati  economici.  —  Il  costo  di  produzione  di  un  quintale  d'uva 
nelle  varie  regioni  d'Italia,  secondo  l'Ottavi,  è  il  seguente: 


Monferrato    . 

Altre  plaghe  del  Piemont 

Oltrepò  Pavese 

Modenese 

Bolognese 

Polesine 

Colli  Euganei 

Pisano    . 

Fiorentino 

Lazio 

Avellinese 

Puglia    . 

Catania  . 

Trapani  . 


9-10 
12-13 
13-14 

9-9,50 
6,5-7 
6,5-7 
12-13 
6,5-7 
9,5-10 
9,4-10 

6-6,5 
6,5-7 

8-8,5 
5,5-6 


Quando  si  considera  che  le  uve  da  mensa  si  possono  vendere  in 
media  da  L.  15  a  L.  20  il  (puntale  sarà  facile  arguire  quale  enorme 
vantaggio  ne  potrebbe  Irarre  il  coltivatore. 

Perchè  il  lettore  possa  farsi  una  idea  della  rendita    a   cui    si   può 


-  .S2!)  — 

arrivare,  riporto  il  conto  colturale  di  un  ettaro  di  terreno  a  Thomery 
(paese  classico  per  la  produzione  delle  uve  da  tavola). 


Conto  colturale 

di  un  ettaro  di  terreno  dedicato  esclusivamente  alla  produzione 
delle  uve    da    tavola. 

Entrate 

m*  6000  di  muro   coperti    da   spalliere   producenti    kg.   0,6   di 

uva  per   m^  dà  kg.  3600  a  fr.  2  al  kg fr.  7200 

m-  4200  di   controspalliere   producenti    kg.  0,4  di  uva  per    m- 

dà  kg.  1680  a  Ir.  1.10  al  kg „    1848 

Totale  entrata  Ir.  9048 

Spese 

Interesse  al  4  %  di  fr.  50000,  capitale  necessario    per   la    cos- 
truzione   dei   muri fr.  2000 

Mantenimento  muri „  300 

contro  spalliere 180 

Concimazione ,  200 

N.  4  sarchiature  a  fr.  45 ,  180 

Lavoro  annuale  di  due  uomini  a  fr.  1500 „  3000 

N.  150  giornale  di  donne  a  fr.  3 „  450 

Spese  per  attrezzi  e  per  combattere  i  parassiti 120 

Totale  spesa  fr.  6430 
Rendita  netta  fr.  2618. 

19.  Malattie  e  cause  nemiche.    —   (Vedi  pag.  500). 


FICO  D'INDIA 

(Opuntia  Ficus  indica  Mill.  —  Fani.  Coclee). 


Nomi  volgari  ilaliani  delta  piatila  —  Fico  indiano,  Fico  di  Barberia, 
Fico  Moresco,  Figa  morisca. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane.  :  Figuier  d'Inde  o  Ba- 
guette —  Ted.  :  Gemeiner  Fackeldistel  —  Ingl.  :  Prikly  Pear. 

1.  Origine.  —  Il  lieo  d'India,  come  tutte  le  opunzie,  è  originario 
dell'America  tropicale  e  cresce  anche  spontaneo  sulle  coste  settentrio- 
nali dell'Africa.  È  stato  trasportato  in  Sicilia,  Sardegna  e  Corsica,  dove 
si  è  naturalizzato.  Presentemente  si  trova  anche  nell'Italia  meridionale 
continentale. 

2.  Caratteri  botanici.  —  Questa  pianta  è  di  dimensioni  assai  varie, 
talvolta  umile,  prostrala,  tal  altra  arborescente,  legnosa,  con  rami  com- 
posti di  articolazioni  carnose  (pale),    di    forma  obvoidale,   di   colorilo 


—  8:{o  — 

verde  glauco,  di  consislenza  alquanto  lenera  e  succulenta.  Ha  il  fusto 
ramoso  sino  dalla  base,  loniiato  dalle  primitive  articolazioni,  portanti 
varie  strozzature  nei  punii  delle  loro  reciproche  inserzioni.  Queste 
articolazioni  col  tempo  acquistano  una  consistenza  legnosa,  e  formano 
un  tronco  pressoché  cilindrico  e  grigiastro. 

Le  articolazioni  non  sono  che  veri  rami  e  le  foglie,  se  pure  si  pos- 
sono chiamare  tali,  si  rivelano  come  uncinetti  carnosi  o  meglio  squa- 
mette,  che  ordinariamente  nascono  alla  base  di  vari  bottoni  sparsi 
sulle  pale  ed  ove  stanno  inserti  degli  aculei.  Le  foglie  sono  caduche 
dopo  due  mesi. 

Le  gemme  si  distinguono  in  attive  ed  inerti.  Le  prime  sono  poste 
sul  lembo  superiore  delle  pale  e  danno  origine  ai  fiori  ed  alle  nuove 
articolazioni  ;  le  seconde  si  trovano  sulla  lamina  delle  articolazioni. 

I  fiori  sono  ermafroditi,  a  sepali  numerosi  sovrapposti,  giallo-verdo- 
gnoli; i  petali  pure  numerosi  quasi  confusi  coi  sepali,  di  color  giallo 
paglierino.  Stami  numerosissimi,  ovario  intero  sormontato  da  uno  stilo 
allungato,  diviso  in  parecchie  branche  stigmatiche.  Esso  è  iniloculare 
con  tante  placente  nel  suo  interno,  quanti  sono  i  rami  dello  stigma, 
portante  ciuscuna  di  esse  numerosi  ovuli. 

L'ovario  fecondato  diventa  una  bacca  ovoidale,  ombelicata  all'estre- 
mità, provvista  di  pericarpio  coriaceo,  sparsa  di  fascetti  di  aculei, 
contenente  in  un'unica  cavità  molti  semi  reniformi,  disposti  con  ordine 
in  una  polpa  densa  e  mucilagginosa,  dolce  al  gusto  ed  aromatica. 

3.  Specie  e  varietà.  —  Oltre  all'Opuntia  Fiens  indica,  abbiamo  due 
specie,  poco  importanti  però  per  il  frutto  e  cioè  VOpimtia  Amyclaea 
Ten.  e  VOpiintia  Dillenii. 

Sulle  rupi  calcaree  del  Napoletano  e  delle  Isole,  la  prima  è  spontanea. 
A  Messina  la  chiamano  Ficudinnia  masculina  ed  a  r>atania  Ficadinnia 
selvcujgia.  Ha  aculei  robusti,  divergenti,  disegnali,  bianchicci,  quasi 
senza  lanuggine.  Frutti  piccoli,  poco  saporiti.  Pale  allungate  di  color 
verde  cupo.  È  spesso  coltivata  per  fare  siepi,  e  risponde  perfet- 
tamente allo  scopo. 

L'Opiintia  Dillenii,  è  molto  più  piccola.  Chiamata  anche  questa 
Ficudinnia  saervaggia.  Nasce  spontanea  nella  provincia  di  Messina.  Il 
suo  asse  centrale  non  è  diritto  ma  a  zig-zag;  le  pale  sono  provvedute 
di  molti  aculei,  lunghi,  rigidi,  di  colore  giallastro.  Anche  questa  pianta 
si  coltiva  per  siepe.  I  frutti  sono  a  forma  conica. 

4.  Varietà  del  fico  d'India.  —  Abbiamo  della  specie  Opuntia  Ficus 
indica,  4  varietà  ordinariamente  coltivate  per  il  frutto  : 

1.  A  frullo  giallo  (Ficudinnia  surfarina)  la  più  pregiata,  perchè 
molto  fertile  e  dà  frutta  dolci  ed  aromatiche. 

2.  A  frullo  bianco  (Ficudinnia  uìuscaredda),  anche  questa  molto 
fertile  ma  i  suoi  fruiti  sono  meno  pregiali  per  la  dolcezza  ed  aroma. 
Viene  ora  sostituita  ([uasi  totalmente  dalla  varietà  a  frutto  giallo. 

?>.  A  frullo  rosso  (Ficudinnia  sanguigna),  che  è  poco  produttiva  e 
jiialura  tardi. 


—  831   - 

4.  A  frullo   senza   semi  (Ficudiniiia   senza  ariddari),   coltivata   sì 
può  dire  soltanto  per  ornamento.  I  frutti  sono   piccoli. 

Il  Burbank  degli  Stati  Uniti,  è  riuscito  ad  ottenere  un  fico  d' India 
senza  aculei,  da  lui  chiamato  opunlia  inermis.  11  frutto  somiglia  ad  un 
cetriolo  del  diametro  di  6  cm.  e  lungo  9  cni.,  di  colore  giallo  e  cremi- 
sino. Ha  un  sapore  buonissimo,  affatto  nuovo  che  ricorda  la  pesca,  il 
mellone,  il  cotogno,  il  lampone.  Le  pale  si  possono  utilizzare  larghis- 
simamente  per  foraggio  al  bestiame.  Non  so  se  in  Italia  questa  varietà 
sia  stata  introdotta. 

5.  Importanza  della  coltivazione.  —  La  coltura  del  fico  d'India  è 
molto  estesa  specialmente  intorno  ai  centri  abitati  della  Sicilia  e  Sarde- 
gna, per  utilizzare  i  suoi  frutti,  cibo  gradito  per  la  popolazione  e  og- 
getto di  esportazione.  Le  sue  pale,  private  degli  aculei,  si  danno  affet- 
tale come  alimento  al  bestiame  bovino  ed  ovino. 

K  una  pianta  ottima  per  formare  siepi  che  diventano  pressocchè 
inaccessibili  all'  uomo  ed  agli  animali,  mentre  di  esse  si  utilizzano 
anche  i  frutti. 

Nelle  località  esposte  ai  venti  sciroccali  e  salmastri,  queste  siepi 
consociate  colle  piante  di  agave,  servono  a  riparare  i  vigneti  egli  agrumeti. 

Con  questa  pianta  infine  si  utilizzano  tutti  i  terreni  rocciosi  e  di 
lave  non  disgregate;  per  le  sue  radici  molto  estese  e  robuste,  si  imboscano 
i  terreni  in  forte  pendio,  per  impedire  le  frane. 

6.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Raramente  si  fanno  dei  ficheti  d'India 
specializzati  al  più,  vicino  alle  case  di  abitazioni,  si  fanno  delle  macchie 
di  alcune  piante,  perchè  le  famiglie  possano  comodamente  utilizzare 
i  frutti. 

11  fico  d'India  oltre  che  per  siepe  serve  a  disgregare  i  terreni  roc- 
ciosi per  renderli  poi  adatti  alla  coltura  del  carrubo,  del  mandorlo, 
del  fico  e  dell'olivo.  Dopo  6  a  10  anni  di  coltura  a  fico  d'India,  nei 
punti  dove  si  può  accumulare  della  terra,  si  sovesciano  con  questa 
delle  pale  che  servono    per   concime,  si    piantano    gli   alberi   suddetti. 

Raramente  quindi  si  rinnovano  le  piantagioni  di  fico  d'India. 

7.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Predilige  il  clima  caldo;  a  40 
gradi  di  latitudine  sembra  sia  il  limite  massimo  per  la  sua  coltiva- 
zione. Prospera  quindi  nella  regione  degli  agrumi,  ove  la  mitezza  del 
clima  permette  la  coltivazione  del  Pistacchio,  del  Cotone,  del  Frassino 
da  manna,  della  Sulla  e  del  Sommaco.  In  tutta  la  zona  marittima  della 
Sicilia,  delle  Puglie,  della  Calabria  e  della  Sardegna  prospera  egregia- 
mente, non  però  dove  avvengono  nevicate  o  rapidi  disgeli. 

Nella  Libia,  nella  Tunisia,  nell'Algeria,  cresce  spontaneo.  Anche 
nella  Basilicata,  nella  Campania,  negli  Abruzzi  e  nel  Barese  si  trova  il 
fico  d'India,  ma  limitatamente.  Più  al  nord  non  porta  sempre  a  matu- 
razione i  frutti. 

I  venti  di  tramontana  gli  arrecano  molto  danno  ed  anche  quelli 
marini  danneggiano  colla  loro  salsedine  le  gemme  fioreali.  Gli  altri 
venti,  no. 


-  8:r2  — 

Resistentissimo  alla  siccità,  dà  però  frutti  più  succulenti  e  più  grossi 
se  è  benencalo  da  qualche  pioggia  nei  mesi  di  luglio  ed  agosto. 

11  lieo  d'India  liorisce  in  maggio  e  matura  i  suoi  frutti  dalla  fine 
di  luglio  in  avanti. 

8.  Esposizione  e  situazione.  —  L'esposizione  più  conveniente  è 
(|uella  di  mezzogiorno.  Sulle  coste  del  Mediterraneo  può  elevarsi  fino 
a  500  m.  di  altitudine. 

9.  Terreno.  —  Ama  terreni  calcari  e  sciolti,  quantunque  prosperi 
anche  nel  terreno  calcare  argilloso.  È  però  in  generale  di  facile  accon- 
tentatura,  tanto  che  lo  si  trova  nelle  lande  più  sterili,  fra  le  rocce  e 
persino  sui  muri.  Non  riesce  nei  terreni  compatti  ed  umidi. 

Nelle  roccie  vulcaniche  si  ha  la  migliore  e  più  abbondante  produ- 
zione di  lìchi   d'India. 

10.  Moltiplicazione.  —  Il  lieo  d'India  si  riproduce  per  seme  e  per 
talea.  Quest'ultimo  mezzo  è  più  usato  perchè  produce  buone  piante 
che  si  formano  e  fruttificano  in  minor  tempo  che  non  quelle  riprodotte 
per  seme. 

Le  pale  si  scelgono  pochi  giorni  prima  di  fare  l'impianto,  fra  un 
licodindieto  vigoroso  e  sulle  piante  migliori  e  verdeggianti.  Esse  devono 
avere  due  anni,  evitando  tanto  le  più  giovani  che  le  più  vecchie,  e  si 
staccano  dalla  pianta  tagliandole  all'inserzione  con  un  apposito  coltello. 
Prescelte  le  pale  si  espongono  al  sole  per  qualche  giorno,  aspettando 
così  che  i  tagli  si  asciughino  onde  la  ferita  non  marcisca. 

La  moltiplicazione  colle  pale  si  fa  in  maggio. 

11.  Caratteri  vegetativi.  —  In  Sicilia  il  fico  d'India  è  proprio  la 
pianta  provvidenziale,  poiché  anche  senza  ninna  cura  si  moltiplica  da 
sé  per  mezzo  delle  pale,  che  mettono  tosto  radice.  Vive  quasi  di  aria 
come  le  altre  piante  della  stessa  famiglia,  servendosi  della  terra  quasi 
per  solo  sostegno,  e  fruttifica  abbondantemente  cominciando  dal  terzo 
anno. 

A  seconda  dei  terreni  più  o  meno  fertili,  il  flco  d'India  raggiunge 
l'altezza  di  2  a  3  metri  e  come  caso  eccezionale  giunge  fino  a  5  metri. 
La  vita  media  può  ritenersi  di  30  anni  ed  a  L5  ha  il  suo  massimo 
sviluppo. 

Le  radici  sono  striscianti,  ma  penetrano  nelle  fessure  per  nutrirsi 
e  sono  sempre  robuste. 

Le  pale  hanno  eguali  funzioni  delle  foglie  nelle  altre  piante  e  si 
possono  anche  considerare  come  serbatoi  d'acqua  per  i  periodi  di  siccità. 

12.  Potatura.  —  Bisogna  diradare  ogni  5-(3  anni,  tutte  quelle  rami- 
ficazioni articolale  che,  a  conoscenza  dell'agricoltore,  si  mo.strano  su- 
perflue per  la  loro  posizione  o  perchè  poco  produttive.  Dippiù  in  pri- 
mavera ed  anche  durante  l'anno,  si  tagliano  tutte  quelle  piccole  pale 
che  sorgono  nel  tronco  o  presso  al  terreno  e  che  agiscono  come  succhioni. 

Uopo  una  ventina  d'anni,  in  maggio,  bisogna  fare  il  taglio  di  rin- 
novo, ossia  bisogna  tagliare  tutta  la  ramificazione  annosa,  fradicia  o 
morta,  perchè  in  sua  vece  ne  sorga  una  nuova. 


—  833  - 

Tra  le  pratiche  adottate  dagli  agricoltori  siciliani  per  migliorare  le 
frutta  del  fico  d'India,  havvi  quella  del  capilozzamento  o  scoccolamento 
o  scuzzalatnra  (scozzolatura),  mercè  la  quale,  eliminando  la  prima  fiori- 
tura, si  obbligano  le  piante  ad  emetterne  una  seconda  dalla  quale  si 
ha  frutta  sempre  superiore  alla  prima,  sia  perchè  il  frutto  è  più  sapo- 
rito, più  voluminoso,  più  facile  a  conservarsi,  sia  anche  perchè  matu- 
rando più  tardi  anche  per  il  Natale,  si  realizza  un  prezzo  superiore 
sul  mercato. 

L'epoca  oppurtuna  per  abbattere  i  fiori  è  il  mese  di  maggio,  quando 
sono  già  in  pieno  sviluppo.  Questa  pratica  viene  eseguita  con  molta 
destrezza  da  uomini  muniti  di  una  pertica  o  con  le  mani  inguantate 
di  cuoio.  Notisi  però  che  ciò  non  si  deve  fare  prima  che  le  piante 
abbiano  raggiunto  l'ottavo  anno  e  anzi  è  meglio  alternarla  un  anno 
per  l'altro,  poiché  le  piante  si  indeboliscono,  e  se  alla  operazione  segue 
un  tempo  umido,  le  piante  anziché  dare  nuovi  frutti  danno  delle  misere 
articolazioni. 

13.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  La  piantagione  si  può  fare: 
a  bosco  od  a  macchia,  quando  cioè  si  piantano  le  pale  alla  rinfusa  in 
terreni  montuosi  ;  a  vela,  cioè  disponendo  le  piante  lungo  un  solo 
filare  per  formare  siepe;  a  filari  comuni,  quando  la  piantagione  viene 
fatta  a  linee  equidistanti  e  parallele  fra  loro. 

Per  impiantare  un  bosco  di  fichi  d'India,  si  piantano  le  pale  negli 
spacchi  delle  roccie,  nelle  fessure  o  buche  ed  altri  siti  che  possono 
darvi  ricetto. 

Volendo  invece  piantare  una  siepe,  si  fa  uno  scasso  largo  70  cm. 
e  profondo  35,  si  concima  con  letame  paglioso  e  si  dispongono  le  pale 
in  senso  longitudinale,  in  maniera  che  non  si  tocchino  ed  incalzando 
la  terra  fino  a  coprirle  per  due  terzi. 

Per  fare  una  regolare  piantagione,  si  fa  uno  scasso  del  terreno  a 
strisele  parallele  di  ni.  6  una  dall'altra,  larga  ciascuna  un  metro,  in 
direzione  da  nord  a  sud.  Fatto  lo  scasso  si  scavano  trasversalmente 
in  ciascuna  striscia,  dei  solchi  profondi  circa  20  cm.  e  larghi  quanto 
lo  zappone,  distanti  fra  loro  circa  un  metro  ed  in  ciascun  solco  si 
dispongono  4  pale,  equidistanti.  Contro  le  pale  si  incalza  la  terra  fino 
a  coprirle  per  due  terzi. 

L'impianto  si  fa  in  primavera  od  in  autunno  ;  dopo  si  avrà  cura 
di  rendere  sempre  mondato  il  terreno  da  malerbe,  facendo  almeno  due 
zappature  all'anno. 

Alla  concimazione  si  provvede  dando  di  quando  in  quando  del 
letame  ordinario.  Sarebbe  interessante  fare  delle  esperienze  di  conci- 
mazione. Sicuramente  le  Scorie  dovrebbero  avere  un  buon  effetto  sulla 
fruttificazione. 

14.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  Nella  raccolta  si  notano 
3  qualità  di  fico  d'India.  I  primi  detti  agostani  o  latini  sono  provenienti 
dall'ordinaria  fioritura,  e  maturano  in  agosto  ;  gli  scuzzulati  maturano 
in  settembre  e  sono  più  voluminosi  dei  primi  e  più  atti  alla  conserva- 

53  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  834  — 

zione;  una  terza,  iiatui-ale  produzione  è  quella  di  frutti  ritardatari,  in 
rapporto  all'epoca  della  fioritura  normale.  Questi  ultimi  sono  d'ordi- 
nario più  stretti  ed  aggrinziti,  di  color  sbiadito  e,  presso  al  picciolo, 
di  color  rossastro.  Per  ciò  sono  deprezzati. 

Durante  i  mesi  di  agosto,  settemtire  ed  ottobre  si  effettua  in  parec- 
chie riprese  il  raccolto  e,  secondo  l'uso  cui  viene  destinato,  si  scelgono 
diflercnti  gradi  di  maturità,  così  laddove  serve  pel  consumo  giornaliero 
basta  raccogliere  al  punto  preciso  di  maturazione;  conviene  anticipare 
invece  di  qualche  giorno  per  i  frutti  che  si  devono  spedire. 

I.e  bacche  sono  mature  anche  quando  hanno  acquistato  un  colore 
giallo  dorato  oppure  cremisino  in  quelle  sanguigne. 

Per  raccogliere  i  fichi  d'India  bisogna  difendersi  la  mano  con  una 
foglia  di  agave  o  con  un  guanto  di  cuoio,  per  non  infiggersi  gli  aculei 
nelle  dita.  Colla  mano  cosi  riparata,  si  prende  il  fico  d'india  torcendolo 
e  piegandolo,  in  modo  da  staccarlo  senza  comprimerlo. 

Volendo  conservare  i  frutti  in  magazzino,  si  scelgono  gli  sciizziilati 
più  belli  e  prima  che  abbiano  raggiunta  la  maturazione,  si  staccano 
dalla  pianta  con  un  pezzettino  di  pala.  Unitamente  a  questo  pezzo  di 
pala  si  portono  poi  in  un  magazzino  asciutto  e  ventilato  dove  si  col- 
locano a  file  colla  corona  al  suolo  ed  in  modo  che  non  si  tocchino. 
Così  si  possono  conservare  fino  a  gennaio. 

15.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  11  Prof.  Mancuso  Lima  ha 
fatto  le  analisi  dei  frutti  che  vennero  pubblicate  nei  Nuovi  Annali  di 
Agricoltura  Siciliana  A.  1905  e  che  riporto  nella  Tab.  LXV. 

Tab.  LXV. 

Composizione  dei  frutti  di  fico  d'India  (Marcuse  Lima) 


Coiiiponenli 


Acqua  .  . 
Polpa  secca 
Semi  .  .  . 
Scorza    .    . 


Ac<|iia 

Sostanza  secca.    .    . 

<ìrasso 

(ilucosio 

Amido  e  destrosio  . 
Azoto  totale  .  .  . 
proteico.  ,  . 
Materie  Albuminoidi 
Cenere  


Frutti  agostani 

Frutti  scoccolati 

Compos 

izione  percentuale 

Composizione  percentuale 

chimica 

chimica 

chimica 

chimica 

fìsica 

della 

della 

fisica 

della 

della 

polpa 

scorza 

polpa 

scorza 

.53.5'10 

_ 

57.006 

_ 

_ 

4  060 

— 

— 

6.184 

— 

— 

2.950 

— 

— 

3.410 

— 

— 

39.4,->0 

- 

- 

33.400 

- 

- 

__ 

91.956 

86.1900 

_ 

90.2136 

88.400 

— 

7.049 

13.8100 

— 

9.7863 

11.760 

0.074 

0.0830 

— 

traccia 

0.0529 

0.020 

0.9480 

— 

5.60215 

0.1581 

— 

0.169 

5.5460 

— 

2.6918 

4.1240 

— 

0.080 

0.1010 

— 

2.2455 

0.1615 

— 

0.058 

0.0640 

— 

0.1755 

0.0505 

— 

0.366 

0.4000 

_ 

1.0973 

0.3154 

— 

0.253 

0.1540 

- 

0.3307 

0.4028 

-  835  - 

16.  tisi.  —  Il  fico  d'India  in  Sicilia  è  come  il  Banano  a  Rio  Janeiro 
come  il  Dattero  nel  Cairo,  il  pane  del  povero  ed  il  companatico  dell'agiato. 

E'  un  frutto  facilmente  digeribile,  nutriente  e  saporito. 

Dai  frutti  che  rimangono  invenduti  si  può  estrarre  anche  dell'alcool  ; 
così  pure  si  fanno  estratti  e  conserve  alimentari. 

Colle  bucce  e  colle  frutta  scadenti  si  ingrassano  i  maiali  e  bovi,  e 
le  pale  tenere  servono  per  mangime.  Delle  pale  più  dure  si  suole  fare 
concime,  oppure  combustibile. 

Rispetto  all'uso  delle  pale  per  mangime  il  Tucci  osserva  che  biso- 
gna darne  in  quantità  limitata  e  mai  da  sole  poiché  "  rilasciano  molto 
l'apparato  gastro-enterico,  producono  diarrea  ed  al  più  delle  volte  se 
adoperati  e  in  quantità,  denutriscono  l'animale  „.  Bisogna  quindi  mes- 
colarle con  cascami  di  ortaggi,  con  fieno,  fave  etc. 

Per  la  quantità  notevole  di  zucchero  contenuto  nelle  frutte,  meri- 
terebbe che  venisse  studiata  la  sua  estrazione  od  eventualmente  la 
fermentazione  per  estrarne  1'  alcool,  poiché  non  si  é  trovato  ancora  il 
fermento  più  adatto. 

17.  Dati  economici.  —  La  fruttificazione  può  cominciare  nel  se- 
condo anno  dopo  l'impianto.  Un  prodotto  apprezzabile  lo  si  ha  però 
dopo  il  4''  anno  ;  fra  il  5°  e  il  20°  si  ha  il  massimo  })rodotto.  Fra  i  20 
e  25  anni  le  piante  si  estirpano. 

Una  pianta  in  piena  produzione  può  dare  da  400  a  500  fruiti  del 
peso  medio  di  120  grammi  ciascuna. 

I  frutti  si  possono  anche  spedire  all'estero,  imballati  in  cassette, 
avvolti  da  carta,  come  i  limoni  od  aranci.  Sarebbe  bene  imballarli  in 
cassette  contenenti  non  più  di  50  frutti  in  uno  solo  strato,  avvolti  con 
carta  di  seta  e  colmando  gli  interstizii  con  polvere  di  sughero. 

Secondo  il  Cuppari  un  ettaro  a  fico  d'India  dà  una  rendita  netta 
media  di  circa  L.  400. 

18.  Malattie  e  cause  nemiche.  —  Le  pale  vanno  soggette  a  marciume 
quando  le  ferite  non  si  sono  cicatrizzate   prontamente. 

Parassiti  del  Fico  d'India  sono  ancora  la  : 

Phyllosticta  opimtiae,  Sacc.  crittogama  che  produce  delle  macchie 
minute,  circolari,  giallastre,  che  formano  poi  placche  estese  bianchiccie 
sulle  pale. 

Ceratilis  capitata  che  é  una  mosca,  la  cui  larva  intacca  la  frulla, 
cibandosi  dell'interno  del  frutto. 


RIBES  ED  UVA  SPINA 

(Ribes  gen.  —  Fam.  Ribesiacee) 

1.  Origine.  —  Il  ribes  allo   stato   selvatico   ciesce   rigoglioso   nel- 
Europa  settentrionale,  nella  Siberia  e  nel  Canada. 

Sulle  nostre  Alpi  si  trova  fino  a  1600  m.  di  altezza. 


-  836  - 

L'uva  spina  cresce  spontanea  nell'Europa  centrale  e  meridionale, 
nelle  siepi  e  nei  boschi  dal  Sud  della  Svezia  al  Nord  Africa. 

2.  Specie  botaniche  coltivate.  —  Distinguonsi  tre  speci  di  ribes  a 
fruiti  commestibili  : 

1"  Il  ribes  comune  a  grappoli  rossi  (Ribes  nibriim  L.). 
2.»  Il  ribes  spinoso  o  uva  spina  (Ribes  grossularia  L.). 
3."  Il  ribes  nero  o  cassis  (Ribes  nigriim  L.). 
Tulte  e   tre   queste   specie   sono    indigine   e   la    loro    coltura   data 
dal  1571. 

3.  Caratteri  botanici  delle  specie.  —  1.  Il  ribes  comune  a  grappoli 
—  (Frane:  Groseillier  —  Ted.  :  Johannisbeer  —  Ingl.  :  Currant).  Si 
eleva  naturalmente  a  cespuglio  di  metri  1-1.20  d'altezza.  Le  radici  sono 


Fig.  616.  —  Arbusto  di  ribes  comune. 

ramose,  corte  e  poco  profonde.  I  getti  principali  sono  fragili,  ramosi, 
poco  divergenti  -,  i  rami  vecchi  sono  bruno  rossastri  e  quelli  di  un 
anno  grigio-biancastri  con  lenticelle  scure  (fig.  616). 

Le  foglie  sono  palmate,  piccole,  alterne,  picciolate  a  5  lobi;  dentate 
liscie  al  di  sopra  e  tomentose  al  di  sotto.  I  fiori  sono  piccoli,  fascico- 
lati semplici  a  seconda  della  varietà,  pendenti,  muniti  di  brattee  assai 
brevi.  Sono  portati  dai  rami  prodottisi  nell'anno  precedente  (Mg.  617) 
ma  che  si  trovano  su  branche  di  2  a  3  anni,  raramente  di  4.  L'occhio 
terminale  dei  fusti  e  dei  rami  è  sempre  una  gemma  a  legno. 

I  frutti  portano  il  calice  persistente  del  flore,  sono  bacciformi, 
lisci,  globulosi,  uniloculari,  polposi  con  semi  trasparenti.  Hanno  sapore 
acidetto  piacevole  e  sono  ricchi  di  acido  citrico  e  malico.  Il  colore 
del  fruito  nella  pianta  tipica  è  rosso  ;  può  però  essere  rosa,  anche 
bianco  leggermente  perlaceo  od  ambrato. 


-  837  — 

2.  L'uva  spina  o  ribes  spinoso  (Frane:  Groseiller  a  niaqueron  — 
Ted.:  Stachelbeer  —  Ingl.:  Gooseberry)  di ITerisce  dal  precedente  perchè 
forma  dei  cespugli  più  bassi  (fig.  618)  e  piùcompatti;  i  rami  sono  più  corti, 


Fig.  017.  —  Ramo  fruttifero 
di  ribes  rosso. 


Fig.  618. 
Arbusto  di  uva  spina. 


grossi,  tortuosi,  con  ramificazioni  frequenti  e  coperti  di  lunghi  e  forti 

aculei,  molto  pungenti  disposti  per  due  o  per  tre  alla  base  delle  foglie. 

La   corteccia    è    ruvida,   bianco    grigiastra.    Il   legno  è  verdognolo, 

compatto,  pieghevole.  Le  foglie  lobate,  tomentose,  rotondate  con  3  a  5 


V 


Fig.  019.  —  Ramo  fruttifero  di  uva  spina. 


Fig.  620.  —  Cassis  di  Napoli 


lobi,  verdi  lucenti  al  di  sopra  e  pubescenti  al  di  sotto  con  picciolo 
peloso.  Le  bacche  sono  per  lo  più  solitarie  (fig.  619)  od  a  2  o  3,  quasi 
sempre  gialle,  diafane,  odorose,  coperte  di  peli  capitati  aurei,  con 
brattee  bifesse. 


Tab.  LXVI. 


-  838  - 
Quadro  sinottico  indicante  le  principali  i 


NOME 


Malurazione 


Qualità 


Vigori 


A.  —  A  grappoli  rossi, 
llosso  comune 

Precoce  di  Berlino 


Regina  Vittoria 


Rosso  ciliegia 


Versagliese  rosso 


Rosso  d'Olanda 


Chenanceaux 
Prolifìque  Fer- 
tile d'  Angers 
Hàtive  Rouge 
de  Boulogne 

Belle  de  Fon- 
tenay,  Frauen- 
dorl 


B.  —  A.  grappoli  bianchi. 


Bianco  comune 


Bianco  d'Olanda 


Macrocarpa 


Bianche  d'An 
gleterre 


A    feuilles 
bordces 


primi  luglio 
metà  giugno 

fine  luglio  più 
tard.  di  tutti 


primi   luglio 
primi  luglio 

metà  luglio 

fine  giugno 
luglio 


seconda 
id. 


notevole 
straordin 


prima  per 
mercato  e 
speculaz. 


C.  —  A  grappoli  neri. 
Cassis  comune 
Cassis  di  Napoli  (fig.  620) 


luglio 


luglio 
fine  luglio 


prima  da 
mercato 


primis- 
sima 


seconda 
prima 


strordi- 
naria 


straordi 
naria 


mediocre 


moltis- 
sima 


moltis- 
sima 


839 


di  Ribes  a  grappoli  consigliate  (Tamaro). 


Caratteri  del 
grappolo 


Caratteri 
dell'acino 


Sistemi 
di  coltivazione 


Osservazioni 


piccolo   e  unito  a 
mazzi  mediocri 

bello,  lungo  mol- 
to spargolo 


lunghissimo  con 
acini  radi 


irregolari,  lunghi 
comparti 


medii  e  mazzi 
copiosi 


piccolo,  acidulo,       giardini  e  friit- 
rosso  chiaro  leti  casalinghi 


grosso  rosso  ca- 
rico con  pedi- 
cello allungato. 
Succo  abbon- 
dante, acidulo. 

medii,  rosso  pal- 
lido, abbastanza 
acidi. 


grossissimi,  rosso 
carichi,  brillanti 
di  un'acidità  pia- 
cevole 

grossissimo  molto 
bello  di  colore 
rosso  carico 


medio,  rosso  bril- 
lante, piacevol- 
mente acido 


per  frutteti  ca- 
salinghi e  per 
coltivazioni  in- 
dustriali 

per  la  grande  e 
piccola  coltura 


impianti  indu- 
striali 


raccomandabile  per 
la  rusticità  e  per  qua- 
lunque esposizione 

adatto  per  località 
fredde  ed  ombreg- 
giate 


raccomandabile  sotto 
ogni  rapporto 


derivato  dal  ribes  or- 
dinario rosso.  Il  le- 
gno è  soggetto  a  fen- 
dersi 


raccomandabile  sotto 
ogni  rapporto 


piccoli  con  buccia 
fine  e  traspa- 
rente. Sapore 
dolce 

grandi,  chiari,  di 
sapore  dolce  ag- 
gradevole 


grande,  chiaro  di 
sapore  dolce  ag- 
gradevole 


per  frutteti  casa- 
linghi 


coltivazioni    in- 
dustriali 


coltivazioni    in- 
dustriali 


conveniente  per  la 
facilità  di  adatta- 
mento e  per  la 
vigoria 

molto  rustica 


raccomandabilissima 
varietà  sotto  tutti  i 
rapporti 


corto  con  poche 
branche 


orti  e  frutteti 

casalinghi 
per  impianti  di 

speculazione 


da  raccomandarsi 
sotto  tutti  i  rap- 
porti 


—  840  — 

Il  frutto,  dapprima  acido  ed  astringente,  poi  diventa  dolcissimo.  Se 
è  troppo  maturo  diventa  scipito. 

lì.  Il  ribes  nero  chiamato  Cassis  dagli  stranieri,  allo  stato  naturale 
raggiunge  l'altezza  di  3  ra.  È  senza  spine,  con  le  foglie  rugose  di  3  o  5  lobi, 
irregolarmente  dentate,  liscie,  punteggiate  di  giallo  nella  pagina  inferiore, 
])er  effetto  di  glandulette  diafane.  I  fiori  sono  a  grappoli,  piccoli,  di 
pochi  fiori;  i  peduncoli  alquanto  villosi;  i  petali  bianco  rossicci. 

Il  frutto  maturo  è  una  bacca  nera  con  qualche  punteggiatura  come 
le  foglie,  di  poco  più  grossa  di  quella  del  ribes  rosso.  Acerbo  è  verde, 
prima,  poi  rossastro  di  sapore  acidulo,  non  troppo  piacevole,  simile  al 
gusto  del  ginepro.  Contiene  un  olio  volatile,  amaro  che  si  ritrova  in 
tutta  la  pianta,  la  quale  emana  odore  di  orina  di  gatto. 

4.  Classificazione  e  scelta  delle  varietà.  —  Le  varietà  di  tutte  e 
tre  le  specie  di  ribes  ora  citate  hanno  caratteri  molto  instabili  poiché 
molto  influisce  sulla  forma  del  grappolo,  la  natura  del  clima,  del 
terreno  e  le  cure  di   coltivazione, 

1.  Per  semplificare  la  ricchissima  nomenclatura  del  ribes  a  grap- 
poli rossi  e  bianchi,  la  Società  d'Orticoltura  d'Inghilterra,  dove  la  coltiva- 
zione del  ribes  ha  una  notevole  importanza,  anche  per  le  belle  varietà 
che  produce,  ha  preso  in  esame  nel  1892  le  più  scelte  varietà  inglesi 
e  francesi  ed  ha  riconosciuto  che  per  la  classificazione  non  conveniva 
prendere  come  base  l'apparenza  e  la  qualità  del  frutto  molto  variabili, 
ma,  la  forma  generale  dell'arbusto  e  la  forma  ed  il  colore  delle  foglie, 
che  presentano  caratteri  più  costanti. 

Sopra  24  varietà  di  ribes  rosso  che  figuravano  nei  cataloghi  del 
2892,  se  ne  riconobbero  16  soltanto  veramente  caratteristiche,  le  altre 
erano  insignificanti  sotto-varietà.  Cosi  sopra  19  varietà  di  ribes  bianco, 
soltanto  6  furono  riconosciute. 

Le  varietà  elencate  sono  le  seguenti  : 

Ribes  a  grappoli 


rossi 

1.  Champagne 

2.  Rosso  di  Chiswick 

3.  A  foglie  laciniate 

4.  Gloria  de  Sablous 

5.  Goudonin  rosso 

13. 
14. 
15. 
16. 

rossi 

A  foglie  variopint 

Rosso  di  Verrière 

Wallace 

A  foglie  dorate 

6.  Houghton  Castle 

7.  Versagliese  rosso 

8.  A  foglie  di  malva 

1. 
2. 

bianchi 
Comune 
A  foglie  laciniate 

9.  Rosso  antico 

10.  Rosso  ciliegia 

11.  Rosso  d'Olanda 

12.  Regina  Vittoria 

3. 
4. 
5. 

6. 

Bianco  grosso 
Macrocarpa 
Bianco  d'Olanda 
Impei'iale  bianco 

In  Italia  viene  coltivato  sopratutto  il  ribes  comune  a  grappoli  rossi, 
molto  slimato  per  la  sua  rusticità,  per  la  sua  fertilità  e  per   il   sapore 


—  841  — 

gradevolmente  acido  degli  acini.  Volendo  degli  acini  più  grossi,  e  per 
gli  impianti  industriali  speciali,  si  può  ricorrere  a  varietà  forestiere  ma, 
sempre  rosse,  poiché  le  bianche  conservano  poco  il  loro  frutto  sulla 
pianta  e  facilmente  si  macchiano. 

2.  Il  cassis  o  ribes  nero  più  che  da  noi  è  coltivato  in  Francia, 
Germania  ed  Inghilterra  e  con  questo  si  preparano  liquori  confetture  etc. 
Nell'Italia  Settentrionale  io  credo  che  converrebbe  estendere  anche 
questa  specie. 

Il  ribes  nero  è  sempre  meno  produttivo  del  rosso. 
Nella  Tab.  LXVl  sono  indicate  le  varietà  a  grappolo  bianco,  rosso 
e  nero  che  consìglio. 

3.  L'uva  spina  matura  15  giorni  prima  del  ribes  e,  specialmente 
in  Inghilterra,  la  sua  coltura  è  molto  difìusa  in   ogni    orto  o  giardino. 

In  Italia  la  coltivazione  è  limitata  e  ordinariamente  si  coltiva  la 
varietà  cornane  a  buccia  giallo-verdastra. 

Le  varietà  inglesi  più  coltivate  sono  le  seguenti  : 

A.  Bianche  da  conserve  : 

1.  Shanon  (Hopley),  fertilissima,  ovoidale. 

2.  Trionfo,  fertilissima. 

3.  Soaivdrop,  con  buccia  coperta  di  peli. 

4.  Qaeen  Carolina. 

B.  Gialle  da  conserve  e  da  mercato  : 

1.  Precoce  da  mercato. 

2.  Gigante  a  limone  da  conserve  e  da  mercato. 

C.  Verde  per  conserve  : 

1.  Precoce  di  Nenioied. 

2.  Green  Oceau. 

3.  London  city  con  buccia  glabra  e  bacche  grosse. 

D.  Rosse  da  mercato. 

1.  Grossa  rossa  precoce,  vigorosa,  rustica,  coltivata  nelle  regioni 

temperate. 

2.  Grossa  rossa  tardiva,  derivata  dalla  precedente. 

3.  London,  bacca  molto  grossa  ed  una  delle  più  belle. 

4.  Whiahani's  industrie  (fig.  (321). 

5.  Importanza  e  sistemi  di  coltivazione.  —  In  Italia  questa  colti- 
vazione è  limitata  agli  orti  e  giardini  di  famiglia,  però  nell'Italia  set- 
tentrionale si  potrebbe  dare  un  indirizzo  industriale  per  fabbricare 
liquori  o  confetture.  Allora  si  potrebbero  coltivare  dei  campi  o  come 
coltura  intercalare  nei  frutteti  estensivi  a  pieno  vento. 

6.  Clima,  esposizione  e  situazione.  —  Il  ribes  è  rusticissimo  e 
viene  coltivato  anche  per  bordura  nei  luoghi  più  abbandonati  di  un 
podere.  Riesce  meglio  nelle  posizioni  semi  ombreggiate  che  in  quelle 
a  mezzogiorno.  A  tramontana  ritarda  la  maturazione  dei  frutti.  Nei 
climi  temperati  prospera,  mentre  in  quelli  caldi  le  bacche  riescono 
poco  succose  e  piccole. 


—  842  — 

7,  Terreno.  —  Riesce  si  può  dire  in  ogni  terreno,  però  preferisce 
(juello  leggero,  un  po'  fresco  e  calcare. 

Il  Cassis  più  che  il  ribes  rosso,  riesce  nei  terreni  aridi,  però  se  lo 
piantiamo  in  terreno  da  vigna  o  siliceo-argilloso,  limoso  con  sottosuolo 
anche  argilloso,  le  bacche  acquistano  maggiore  profumo. 

8.  Moltiplicazione.  —  La  moltiplicazione  si  fa  per  seme,  pollone 
e  talea. 

Per  seme  allo  scopo  di  ottenere  delle  nuove  varietà  ;  per  pollone 
si  moltiplica  specialmente  l'uva  spina. 

'libito. 


Fig.  tl'il.  —  Whinham's  industry. 

Le  talee  si  fanno  in  autunno  od  in  primavera,  coi  rami  ben  ligni- 
ficati, facendo  tanti  maglioli.  Nel  barbatellajo  si  piantano  alla  distanza 
di  8  cm.  sulla  fila  e  25  cm.  da  fila  a  fila,  acceccando  prima  le  gemme 
che  devono  essere  interrate,  onde  non  escano  dei  germogli  radicali. 
Fuori  terra  non  si  lascia  che  una  sola   gemma. 

Per  avere  degli  alberetti  (fig.  fi22)  si  usa  anche  l'innesto  in  luglio, 
per  approssimazione  od  a  gemma,  sul  Ribes  aiireum  o  palmatiim. 

Le  barbatelle  del  Cassis  e  dell'uva  si)ina  avendo  meno  vigore  si 
devono  lasciare  per  due  anni  nel  vivajo,  mentre  quelle  del  ribes  rosso 
si  lasciano  per  un  solo  anno. 

Si  scelgano  le  talee  dai  cespugli  più  vigorosi  e  produttivi. 

9.  Caratteri  vegetativi.  —  1.  Nel  ribes  a  grappoli  rossi  i  rami  di 
un   anno    non   hanno   ramificazioni,   sono    biancastri    e   portano    delle 


-  843  - 

gemme  semplici,  che  contengono   nel  medesimo   tempo  i  primordi   di 
un  germoglio  e  di  fiori. 

Nel  secondo  anno,  le  gemme  che  si  trovano  all'estremità,  ricevendo 
la  linfa  in  maggiore  copia  producono  dei  rami  legnosi;  quelle  di  mezzo 
ricevendone  meno  producono  brindilli  ;  quelle  del  terzo  inferiore, 
ricevendone  meno  ancora,  sviluppano  un  mazzetto  di  foglie  per  dare 
origine  ad  un  dardo  a  mazzetto.  Talvolta  questo  ciuffo  di  foglie  è  ac- 
compagnato da  un  grappolo.  Alla  fine  del  secondo  anno,  il  ramo  si 
presenterà  quindi  come  nella  fìg.  623. 


Fig.  622. 
Alberello  di  ribes. 


Fig.  623. 

Potatura  di  un  ramo  di 

ribes  nel  terzo  anno. 


Fig.  624. 
Potatura  di  un  ramo  di 
ribes  nel  quarto  anno. 


Prendendo  in  esame  i  dardi  a  mazzetto,  si  osserva,  che  quasi  tutti 
hanno  all'estremità  una  gemma  a  legno  la  quale  ha  la  proprietà  di  far 
allungare  il  dardo,  formando  un  brindillo.  Le  gemme  fiorifere  portano 
ciascuna  un  grappolo  ;  ed  i  grappoli  del  ribes  sono  riuniti  a  ciuffi.  I 
grappoli  prodotti  dai  dardi  sono  i  più  belli  ed  hanno  gli  acini  meglio 
sviluppati. 

I  brindilli  sono  pure  ottime  produzioni  fruttifere.  Oltre  alle  gemme 
a  fiore  che  prevalgono  verso  all'estremità,  portano  sulla  cima  una 
gemma  a  legno  che  dà  il  germoglio  di  prolungamento  ed  alla  base 
hanno  delle  gemme  latenti  dalle  quali  derivano  dei  dardi  e  dei  brindilli 
di  sostituzione.  I  rami  a  legno  hanno  sempre  copiose  gemme  latenti. 

Nel  terzo  anno,  il  ramo  diventato  branca,  si  presenta  come  nella 
fig.  624,  nella  parte  superiore  si  hanno  le  ramificazioni  dei  rami  a  legno  ; 


—  844  — 

nella  parie  media,  i  brindilli  che  hanno  fruttificato  coi  loro  prolunga- 
menti e  con  qualche  brindillo  di  sostituzione  sorto  dalla  base;  nella 
parte  inferiore  i  dardi  che  hanno  pure  fruttificato,  con  i  loro  prolunga- 
menti. Nel  terzo  anno,  si  sviluppa  anche  dalla  radice  un  pollone  (a  fig.  624)' 

Nel  quarto  anno  il  ramo  si  indebolisce,  dà  frutta  più  piccola  in  mi- 
nore quantità,  in  modo  che  nel  quinto  anno  deve  essere  tagliato  e 
sostituito  col  pollone  sorto  alla  base. 

Nella  fig.  025  abbiamo  rappresentato  in  B  i  rami  di  un  anno;  in  C, 
quelli  di  due  ed  in  A,  quelli  di  tre  anni. 


B      A 


Fig.  625.  —  Cespuglio  di  ribes. 


Nel  ribes  rosso  quindi,  i  migliori  grappoli  sono  dati  dalle  branche 
giovani  e  vigorose. 

Per  avere  dei  grappoli  belli  con  acini  grossi,  si  tagliano  con  una 
forbice  ad  impugnatura  lunga,  tutte  le  branche  di  3  e  4  anni  subito 
dopo  la  raccolta  del  frutto,  rinnovandole  coi  polloni  sorte  alla  base. 
Le  branche  rimiovate  di  sovente,  danno  abbondante  fogliame  di  un 
bel  color  verde  cupo  e  danno  la  migliore  e  più  abbondante  fruttificazione. 

E  importante  non  lasciare  sulle  branche  di  2  o  3  anni  più  di  due 
rami  a  legno  di  prolungamento,  altrimenti  si  ottengono  solo  pochi 
grappoli  imperfetti. 

Pel  ribes  rosso  che  fruttifica  di  preferenza  sui  brindilli,  bisogna 
lasciare  intatti  questi  e  fare  un  taglio  corto  ai  rami  a  legno. 

2.  11  ribes  bianco  dà  pochi  grappoli  sui  brindilli  mentre  questi  si 
trovano  sui  rami  laterali  a  legno  di  un  anno.  Perciò  in  questa  specie,  si 
lasciano  all'estremità  delle  branche  possibilmente  tre   o  quattro  rami. 


—  845  - 

3.  Il  cassis  o  ribes  nero  ha  i  rami  più  forti  e  dà  frutti  soltanto 
dalle  gemme  che  si  trovano  sul  ramo  dell'anno  precedente,  compresa 
la  gemma  terminale. 

Le  sue  branche  intristiscono  prima  che  nel  ribes  rosso  perciò  biso- 
gna sostituirle  dopo  il  terzo  anno. 

In  complesso  il  cassis  ha  vita  più   breve. 

Esso  produce  più  copiosamente  sui  rami  medi  e  precisamente  sui 
brindilli  tro vantisi  a  metà  lunghezza  delle  branche.  Quindi  i  brindi  Ili 
non  devono  essere  toccati. 

4.  Uua  spina.  Le  branche  di  questa  hanno  più  lunga  durata  che 
nel  ribes  a  grappoli. 

I  polloni  e  tutti  i  rami  vigorosi  si  guerniscono  nella  seconda  vege- 
tazione, d'una  ghirlanda  di  frutti  isolati  o  accoppiati  nella  medesima 
gemma.  I  fiori  sono  uniti  al  massimo  a  2  o  3  e  formano  dei  grappoli 
cortissimi.  Coi  frutti  appare  talvolta  sulla  medesima  gemma,  un  germo- 
glio foglifero  che  si  sviluppa  in  ramo  ma  più  spesso  in  un  corto 
brindino.  E'  accompagnato  da  1  a  3  aculei  che  cadono  in  seguito.  Questi 
aculei  non  sono  altro  che  delle  foglie  trasformate. 

I  brindilli  o  dardi  che  si  sviluppano  sui  rami  di  due  anni,  frutti- 
ficano alla  loro  volta  e  producono  contemporaneamente  brindilli  deboli 
che  finiscono  coll'esaurirsi. 

In  una  parola  l'uva  spina  dà  i  frutti  più  belli  e  più  numerosi  sui 
rami  vigorosi  di  uno  o  due  anni  (di  solito  leggermente   incurvati). 

10.  Potatura.  —  Della  potatura  di  formazione,  parlerò  diffusamente 
nel  prossimo  capitolo. 

Quella  di  produzione,  come  ho  detto  nel  capitolo  precedente,  con- 
siste nel  sopprimere  tulli  i  rami  di  'i  e  più  anni  di  eia,  rimpiazzandoli 
con  novelli  polloni  che  sorgono  dalla  base. 

Durante  i  4  e  più  anni  di  vegetazione  dei  singoli  rami,  si  accorciano 
ed  eventualmente  si  diradano  i  rami  a  legno  dell'estremità;  si  lasciano 
intatti  i  brindilli,  ma  dopo  la  fruttificazione  si  sopprimono  alla  base, 
se  si  ha  un  altro  brindillo  che  lo  sostituisca. 

Per  la  potatura  si  adoperano  delle  forbici  con  manico  lungo. 

Mantenendo  il  cespuglio  in  questo  modo  si  ha  una  produzione 
abbondante  e  costante-,  con  la  vegetazione  in  basso  ed  il  cespuglio  si 
conserva  vigoroso,  bene  aereato  a  branche  riunite. 

La  cimatura  verde  si  applica  soltanto  alle  forme  ad  alberello, 
sui  germogli  che  devono  diventare  brindilli.  Accorciandoli  sopra  la 
terza  o  quarta  foglia,  le  gemme  alla  base  delle  foglie  si  trasformano 
in  dardi. 

Anche  per  il  ribes  bisogna  diradare  i  rami  troppo  fìtti,  male  situati 
e  aver  cura  che  le  branche  rimaste  siano  bene  aereate  e  soleggiate.  In 
ogni  caso  si  sopprimano  le  branche  deboli. 

Generalmente  sopra  ogni  branca  si  lasciano  da  6  a  9  produzioni 
fruttifere  delle  quali  4  o  5  produzioni  nuove  o  di  un  anno  e  2  a  4, 
produzioni  di  due  anni. 


-  846  - 

11.  Forme.  —  La  forma  naturale  più  adatta,  è  quella  a  cespuglio. 
1.  Cespuglio  a  branche  semplici.  K'  usato  principalmente  pel 
ribes  rosso. 

Al  momento  dell'impianto  la  barbatella  di  un  anno  si  taglia  a  10  cm. 
per  avere  4  getti  (fìg.  626). 

Nell'anno  successivo,  si  taglia  ciascuno  di  questi  4  rami  a  40  cm. 
Lungo  l'anno,  dalle  tre  gemme  terminali  di  ciascuno  di  questi  getti  si 
svilupperanno  tre  germogli  legnosi,  dalle  tre   gemme   immediatamente 


Fig.  626. 
Potatura  di  formazione  del  ribes 
nel  primo  e  secondo  anno. 


>^W^$^^^ 


Fig.  B27. 


Potatura  di  formazione  del  ribes 
nel  terzo  anno. 


sottostanti  dei  brindilli  e  dalle  ultime  vicine  al  piede,  dei  dardi.  Nella 
fig.  623  e  nella  fig.  626  è  rappresentato  uno  di  questi  rami. 

Nel  terzo  anno,  si  tagliano  i  3  rami  dell'estremità  a  10  cm.  (fig.  627), 
se  vi  sono  altri  rami  a  legno  si  accorciano  a  3  cm.  ;  i  brindilli  ed  i 
rami  si  lasciano  intatti. 

Nel  quarto  anno  ogni  branca  del  cespuglio  si  presenterà  come  nella 
fìg.  624  ed  avrà  alla  base  un  pollone  (a).  Questo  ultimo  si  taglierà  a 
40  cm.  in  b,  ed  il  ramo  da  frutto  di  4  anni  si  lascierà  intatto  per  rac- 
cogliere il  frutto. 

11  quinto  anno  si  sopprime  questo  ultimo  in  e,  poiché  già  col  pol- 
lone abbiamo  provveduto  alla  sua  sostituzione.  E  difatti  il  pollone  si 
presenterà  come  nella  lìg.  625. 

Alternando  cosi  la  sostituzione  con  rami  giovani  si  mantengono  le 
piante  in  costante  produzione. 


-  847  - 

I  cespugli  non  devono  avere  più  di  8  o  10  branche  (fig.  625). 

In  questa  figura,  i  rami  A  sono  quelli  di  1  aimi  che  si  sopprimono: 
i  rami  B  sono  quelli  di  due  anni  che  si  accorciano;  i  rami  C  sono  quelli 
di  tre  anni  che  danno  il  massimo  di  frutta. 

2.  CespiHjli  formati  da  due  piante.  Nella  coltivazione  industriale 
del  ribes  rosso,  si  piantano  di  solito  due  barbatelle  abbinate  alla 
distanza  di  10  cm. 

Al  momento  dell'impianto  si  tagliano  le  due  barbatelle  ad  una  sola 
gemma  fuori  terra;  si  alleveranno  due  o  tre  polloni  (fig.  626).  ed  il 
germoglio  che  sorge  da  questa  gemma. 

Nel  secondo  anno  si  avrà  per  ogni  pianta  tre  o  quattro  branche 
le  quali  si  tagliano  a  15-20  cm.  di  lunghezza  in  modo  che  le  estremità 
vengano  a  trovarsi  ad  eguale  altezza  (fig.  627)> 

Nel  terzo  anno,  ogni  branca  sarà  fornita  all'estremità,  di  rami  a 
legno,  si  accorcia  di  Vs  quello  di  prolungamento,  si  tagliano  alla  base 
gli  altri  che  stanno  al  di  sotto  per  provocare,  lungo  il  terzo  anno,  la 
formazione  di  altrettanti  brindilli  dalla  gemma  latente  che  si  trova 
alla  base. 

Nel  quarto  anno  si  ripete  l'operazione,  accorciando  sempre  di  '/a 
il  ramo  di  prolungamento  ;  tagliando  alla  base  gli  altri  rami  a  legno 
inferiori  ;  si  lasciano  intatti  i  nuovi  brindilli  e  dardi  dell'annata  ;  si 
sopprimono  alla  base  quei  brindilli  o  dardi  che  hanno  già  dato  frutto 
e  non  hanno  emesso  alla  base  od  alla  loro  estremità  un  nuovo  ramo 
di  sostituzione. 

Nel  quinto  anno  si  continua  la  medesima  potatura,  ma  poiché  le 
branche  fruttifere  cominceranno  ad  esaurirsi,  si  avrà  cura  di  allevare 
qualche  pollone,  per  sostituirle.  Nel  primo  anno  questi  polloni  si 
lasciano  intatti,  nel  secondo  si  tagliano  a  15-20  cm.  ed  allora  servono 
per  la  sostituzione. 

Le  branche  di  solito  raggiungono  l'altezza  di  un  metro  e  se  ne 
lasciano,  circa  14  a  15  per  ogni  cespuglio  formato  da  due  piante,  com- 
presi i  polloni  di  sostituzione. 

Le  branche,  quando  hanno  fruttificato  per  4-5  anni  devono  essere 
sostituite,  non  è  escluso  però  che   qualche  branca  si  esaurisca  prima. 

3.  Cespuglio  di  ribes  bianco.  Come  abbiamo  già  detto,  il  ribes 
bianco  ha  la  particolarità  di  portare  molti  frutti  più  che  sui  brindilli, 
sui  rami  a  legno  di  un  anno  trovantesi  all'estremità. 

Nella  potatura  quindi  dei  cespugli  di  ribes  bianco,  si  accorcia  ogni 
anno,  tagliando  a  6-8  cm.  il  ramo  di  prolungamento  di  ogni  branca, 
ma  non  si  sopprimono  i  rami  sottostanti. 

Nell'anno  successivo,  si  sopprimono  completamente  i  rami  che  hanno 
fruttificato,  si  lasciano  intatti  i  4  o  5  rami  nuovi  che  si  saranno  svi- 
luppati dal  ramo  di  prolungamento  ad  eccezione  dell'ultimo  che  si 
taglia  a  6-8  cm. 

Come  si  vede,  col  ramo  terminale  tagliato  corto  si  provvede  alla 
nuova  produzione  di  rami  fruttiferi. 


-  848 


Di  solito  i  cespugli  di  ribes  bianco  sono  di  8-10  branche,  aperte 
a  vaso.  Quando  stanno  per  esaurirsi  sul  5°  o  6°  anno,  si  provvede 
alla  loro  sostituzione  con  un  pollone  della  base. 

4,  Cespugli  di  ribes  nero.  Anche  pel  ribes  nero  si  fanno  i  cespugli 
con  due  barbatelle  abbinate.  I  cespugli  però  rimangono  più  bassi 
(45  cm.)  perchè  la  pianta  è  meno  vigorosa  e  le  branche  di  4  anni  de- 
vono essere  soppresse. 

La  barbatella  al  momento  dell'impianto  (fig.  628)  si  taglia  ad  una 
gemma.  Questo  primo  taglio  fa  sviluppare  due  o  tre   rami    dalla   base 

(fìg.  629). 

Nel  secondo  anno  si  ta- 
glia cortissimo  per  costringere 
le  gemme  sotterranee  a  svi- 
lupparsi (fìg.  630).  Alla  fine  del 
secondo  anno,  la  pianta  si 
presenterà  come  nella  fig.  631, 
provveduta  anche  di  polloni. 


Fig.  r)28-(i29.  ^ 
Taglio  di  formazione  del  ribes  nero.  Primo 
secondo  anno  prima  della  potatura. 


7T'7^:~  p/r 

7VT7 

^i  /■' 

;^0  /  V^- 

Fig.  630. 

Taglio  di  formazione  del 

ribes  nero 

Secondo  anno  dopo  la 

potatura. 

Nella  fig.  632  abbiamo  rappresentala  una  branca  isolata  nel  terzo 
anno  con  3  diramazioni.  Di  queste,  le  due  superiori  si  tagliano  a  25-30 
cm.  e  l'inferiore  si  sperona  a  due  gemme. 

Nelle  fìg.  633  è  indicato  il  taglio  del  quarto  anno  ;  nella  fig.  034,  il 
taglio  di  abbassamento  della  branca  nel  quinto  anno  ed  infine  nella 
fig.  6.35,  il  taglio  di  soppressione  totale  della  branca,  per  sostituirla  con 
un  pollone  che  si  sarà  lasciato  crescere  dalla  base,  nell'anno  precedente. 

Come  si  vede,  le  branche  hanno  dato  frutto  nel  terzo,  nel  quarto, 
nel  quinto  e  nel  sesto  anno  dalla  piantagione  e  cioè  per  4  anni,  dopo 
i  quali  bisogna  inesorabilmente  sopprimerle. 

Naturalmente  nella  scelta  delle    branche   per    formare   tutti   questi 


—  849 


cespugli,  si  avrà  cura  di  preferire  quelle  che  formano  un  cespuglio 
svasato  con  i  rami  tagliati  alla  stessa  altezza.  Di  solito  si  sopprimono 
ogni  anno  una  o  due  branclie  per  rimpiazzarle  con  altre  più  giovani 
ed  in  questo  modo  si  assicura  ad  ogni  pianta  l'aereazione  e  la  luce,  si 
favorisce  la  fecondazione  e  si  rende  più  facile  la  raccolta  (lìg.  636). 

5.  A  scopo  special- 
mente di  ornamento  tanto 
il  ribes  che  l'uva  spina  si 
possono  allevare  ad  albe- 
rello (flg.  622j. 

Per  formare  degli  albe- 
relli che  ai'rivano  circa  al- 
l'altezza   di    m.   1,   si    scel- 


7W' 


Fig.  631.  —  Taglio  di  formazione  del  ribes. 
Terzo  anno  prima  della  potatura. 


Fig.  632. 

Branca  isolata  di  ribes  nero  di 

3   anni    colla   indicazione   della 

potatura. 


gono  nel  vivaio  le  piantine  giovani  più  robuste  e  si  tagliano  vicino  terra 
in  primavera.  La  pianta  allora  sviluppa  dal  colletto  parecchi  getti  che 
per  lo  più  sono  vigorosi.  Di  questi  si  sceglie  il  migliore  e  lo  si  man- 
tiene verticale  mediante  un  paletto,  mentre  si  recidono  tutti  gli  altri 
nel  mese  di  maggio.  Questo  ramo  lasciato  solo  raggiunge  già  nel  primo 
anno  la  lunghezza  di  1  metro. 

Nella  primavera  del  secondo  anno,  si  lascia  intatto  il  giovane 
fusticino  od  al  più  ne  viene  recisa  l' estremità  ;  si  tolgono  quindi 
tutti  i  getti  laterali  e  nella  primavera  successiva  si  ha  già  il  fusto 
all'altezza  voluta  per  venir  trapiantato  sul  posto  e  per  formare  la 
corona. 

54  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


850 


In  questi  ultimi  anni  poiché  col    ribes  e  coll'uva   spina   si    ottiene 
diffìcilmente  un  fusto  diritto,  si  adopera   per   porta-innesto,  il    ribes  a 


';y^^y^^f^)9;;^/W//WM 


Fig.  633.  —   Branca  isolata  di  ri6es  nero 
coli"  indicazione  del  taglio  nel  4"  anno. 


Fig.  034.  —  Taglio  di  ringiovanimento  della 
stessa  branca  nel  5»  anno. 


Fig.  G35,  —  Taglio  di 
rinnovo  nel  6"  anno. 


Fig.  636.  —  Cespuglio  completo  di  ribes  nero. 


fiori   {gialli,  ribes   doralo   (Ribes   aureiim   o  palnmtum).   L'innesto   vien 
fatto    all'altezza  di  ni.  0.90  a  m.   1.20  e  viene  adottato  quello  a  gemma 


-  851  — 

capitozzando  il  frutto  in  marzo  e  scacchiando  i  rimessiticci  più  tardi 
possibile. 

Gli  alberelli  si  piantano  alla  distanza  di  m.  1  e  vengono  sempre 
protetti  da  un  palo.  Bisogna  sottoporli  ogni  anno  al  taglio  il  quale 
consiste,  nel  recidere  tutti  i  rami  giovani  a  metà  lunghezza,  avendo 
sempre  l'attenzione  di  dare  alla  corona  la  forma  sferica  e  di  diradare 
i  rami  che  si  intrecciano,  sopprimendo  quelli  di  4  e  più  anni. 

Nelle  diverse  varietà  di  ribes,  non  ci  sono  delle  rimarchevoli  dif- 
ferenze sul  modo  di  vegetare  ;  —  nell'uva  spina  ci  sono  invece  delle 
varietà  le  quali  tendono  a  produrre  di  preferenza  dei  rami  lunghi  ed 
in  senso  orizzontale,  altre  in  senso  verticale  ed  altre  ancora  pendenti 
in  basso.  Per  la  forma  ad  alberello  si  scelgano  queste  ultime  varietà. 
6.  Cespugli  di  uva  spina.  Anche  per  l'uva  spina  si  applica  la  me- 
desima potatura  del  ribes,  soltanto  si  abbia  cura  di  rinnovare  più  di 
frequente  le  branche  per  ottenere  dei  rami  vigorosi  di  uno  o  due  anni, 
che  portano  i  frutti  più  belli  e  più  abbondanti. 

Bisogna  perciò  per  ogni  branca,  conservare  un  piccolo  numero  di 
brindilli  lunghi  e  ben  distanti,  x^ppena  si  vede  che  le  branche  si  sud- 
dividono in  eccesso  all'estremità,  si  tagliano  corte  per  far  sviluppare 
dei  lunghi  rami  incurvati,  i  quali  alla  lor  volta  si  tagliano  lunghissimi, 
per  profittare  dei  frutti  che  si  sviluppano  per  tutta  la  loro    lunghezza. 

I  polloni,  se  forti,  si  tagliano  nel  primo  aniìo  a  3  gemme  per  avere 
tre  ramificazioni  cha  vengono  poi  tagliate  lunghissime,  le  quali  ser- 
vono per  3  anni  e  poi  si  sostituiscono. 

12.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  Nei  frutteti  casalinghi  si 
sogliono  fare  delle  macchie  di  ribes  ed  uva  spina,  collocando  le  piante 
a  m.  1.50  di  distanza.  Cosi  pure  nei  frutteti  in  vicinanza  delle  città  o 
nei  luoghi  di  cura,  convengono  filari  di  cespugli  per  bordura. 

Per  gli  impianti  industriali  nella  grande  coltura,  si  fanno  come 
abbiamo  detto  delle  piantagioni  intercalari  fra  le  file  dei  pieni  e 
mezzi  venti. 

II  ribes  rosso  e  l'uva  spina  si  piantano  a  m.  1-1.40  sulla  fila  ed  a 
m.  1.60-2  da  fila  a  fila.  Il  ribes  nero  a  m.  1-1.50  sulla  fila  ed  a  m.  1.90-2 
da  fila  a  fila.  Le  distanze  maggiori  servono  quando  si  fanno  i  lavori 
coU'aratro  ;  le  minori,  facendo  il  lavoro  a  mano. 

Il  lavoro  d'impianto  consiste  in  una  lavorazione  del  terreno  a  50 
cm.  di  profondità,  concimato  con  stallatico  ben  decomposto.  Di  solito 
si  collocano  in  autunno  2  barbatelle  distanti  10  cm.  fra  loro,  inclinate 
una  contro  l'altra  e  tagliate  a  fior  di  terra.  Dopo  l'impianto  si  lascia 
intorno  una  leggera  incavatura  del  terreno  per  poi  in  luglio  rincalzare 
i  germogli  e  provocare  da  loro  l'emissione  di  nuove  radici,  le  quali 
assicureranno  meglio  l'attecchimento. 

Ogni  anno  occorrono  da  due  a  tre  zappature.  Nella  coltivazione 
campestre  si  fa  un  primo  lavoro  con  un  aratrino  in  marzo  ;  un  altro 
colla  zappa  Planet,  dopo  il  raccolto  ed  un  terzo  in  autunno  con  un 
doppio  orecchio,  per  rincalzare  le  piante. 


—  852  — 

Questo  arbusto  di  coltura  facile  e  rinumeratrice,  richiede  però  una 
conci niazione  regolare  e  jìiultosto  abbondante. 

Le  esperienze  di  concimazione  fatte  finora  (vedi  Kdiz.  Ili  di  questo 
Trattato)  hanno  dimostrato  : 

a)  che  il  ribes  nero  è  il  meno  esigente  per  la  concimazione,  poi 
segue  il  rosso  e  l'uva  spina  ; 

b)  per  il  ribes,  sono  particolarmente   indicati  i  concimi    fosfatici 
ed  azotati  ; 

e)  l'aggiunta  di  potassa  è  specialmente  necessaria   all'uva   spina, 
perchè  diversamente  dà  dei  ranìi  deboli  ; 

d)  Io  stesso  effetto  si  verifica  nel  ribes,  quando  manca  l'anidride 
fosforica  ; 

e)  le  concimazioni  fosfo-polassiche  fanno  anticipare    la    matura- 
zione dei  frutti  ; 

/■)  le    concimazioni    fosfatiche  rendono    le   banche  più  succose  e 
più  zuccherine; 

g)  i  migliori  risultati  si  ottengono    dando    simultaneamente,  tutti 
e  tre  gli  elementi. 

Buone  formole  di  concimazione  sono  le  seguenti  per  il  ribes  e  per  ara: 

I    Anno        Kg.  300  di  stallatico 

[       „    5.500  „    perfosfato  doppio 

,     7  „    solfato  ammonico 

,     2.500  „    farina  di  corna 

,     1.800  .,    nitrato  di  soda 


II  Anno 


per  l'uva  spina  e  per  ara  : 

I    Anno        Kg.  ,300     di  stallatico 

„   .  (  „    5.500   „    perfosfato  doppio 

II  Anno  J  "  "    ^  ^*^ 


9  „    solfato  di  potassa 

Nelle  coltivazioni  industriali,  dopo  il  raccolto,  si  suole  seminare 
dei  lupini  ogni  secondo  anno,  che  vengono  sovesciati  in  primavera.  II 
sovescio  viene  alternato  con  la  seguente  concimazione  per  ettaro  : 

Q."  8  di  Kainite 
„  4  „  Scorie 
„    6   „    Solfato  ammonico 

Un  impianto  di  ribes  dura  da  15  a  20  anni.  Il  cassis  è  quello  che  dura 
meno,  poi  viene  il  ribes  rosso.  (Ili  impianti  di  uva  spina  durano  di  più. 

16.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  II  raccolto  si  comincia 
nell'uHima  settimana  di  giugno  e  dura  per  4  a  6  settimane.  La  raccolta 
viene  fatta  dai  ragazzi  o  dalle  donne  e  si  calcola  che  ogni  ragazzo  può 
raccogliere   15  Kg.  di  grappoli   all'ora.   Il  prodotto  si  imballa  in  ceste 


-  853  - 

da  4  Kg.  per  uso  da  favola  e  da  Kg.  30-35,  quando  deve  servire  a  pre- 
parare liquori  od  altro. 

Si  può  lasciare  il  frutto  per  qualche  giorno  di  più  sulla  pianta, 
anzi  aumenta  allora  di  contenuto  zuccherino.  Per  ripararli  dalle  pioggie 
che  farebbero  screpolare  le  bacche,  in  Inghilterra  si  sogliono  coprire 
i  cespugli  con  cappelli  di  paglia. 

La  raccolta  del  cassis  è  più  lunga  e  costosa,  perchè  i  grappoli  sono 
più  corti  e  dispersi.  Gli  acini  poi  cadono  facilmente  quando  sono  ma- 
tui'i.  Un  ragazzo  ne  può  raccogliere  Kg.  8.5  per  ora.  11  cassis  si  spedi- 
sce in  ceste  cilindriche  di  Kg.  11,  chiuse  sui  due  fondi  da  una  carta, 
sostenuta  da  due  traversi. 

Per  l'esportazione  non  si  raccolgono  le  bacche  a  completa  matura- 
zione. Sono  atte  al  trasporto  quando  travasandole  da  un  paniere  all'altro 
si  sente  un  suono  secco. 

Il  Prof.  Vercier  ha  fatto  delle  determinazioni  per  fissare  l'epoca 
più  conveniente  del  raccolto.  Dai  dati  qui  sotto  riportati  si  rileva,  che 
raccogliendo  presto  o  tardi  si  perde  in  peso  e  quindi  bisogna  fissare 
la  giornata  del  raccolto,  facendo  degli  assaggi  giornalieri. 


Densità 

Peso  medio  di  un  acino 

Proporzione  del  peso  col  succo  762  gr. 

Volume  del  succo  per  Kg.  di 
cassis 

Zucchero  per  litro  di  mosto 

Acidità  in  S  O  4  II  2  per  litro 
di  succo  27.2  27.7  27.0  31.1 

17.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  L'analisi  delle  bacche  sa- 
rebbe la  seguente  : 

Acido  malico 2.43  7o 

citrico 0.81  „ 

Zucchero 6.24  „ 

Gomma 0.78  „ 

Materia  azotata 0.85  „ 

Calce 0.29  „ 

Legnoso 8.01  „ 

Acqua 80.59  „. 

18.  Usi.  —  Il  ribes  serve  specialmente  per  confezionare  sciroppi  e 
conserve  da  solo  o  misto  con  lampone  e  ciliegie.  Si  fanno  anche 
marmellate,  sorbetti,  confetture  e  liquori,  e  si  può  usare  come  frutto 


Raccolto  il 

16  giugno 

24  giugno 

1  luglio 

5  luglio 

1041 

1052 

1063 

1063 

0.36 

0.54 

0.85 

0.58 

co  762  gr. 
a: 

761 

841.6 

819.6 

750 

740 

800 

776 

)     52.4  gr. 

67.3 

83.1 

96.6 

-  854  - 

da  tavola.  Mangiato  fresco  o  in  conserva,  costituisce  un  alimento  salu- 
bre, molto  temperante  e  rinfrescante.  È  poco  nutriente. 

La  polpa  di  queste  bacche  è  sempre  acida,  epperciò  si  serve  a 
tavola  con  zucchero  o  mista  con  lampone  o  fragole. 

Col  ribes  nero  si  fabbrica  il  liquore  detto  Cassis,  che  è  di  profumo 
delicato  e  di  colore  ambrato.  Il  frutto  naturale  invece  è  muschiato  e 
non  troppo  piacevole;  è  discreto  se  conservato  nello  spirito. 

L'uva  spina  viene  impiegata  specialmente  in  Inghilterra  per  fare 
delle  confetture  o  si  mangia  allo  stato  naturale. 

19.  Dati  economici.  —  Il  ribes  rosso  nel  terzo  o  quarto  anno  co- 
mincia a  dare  Kg.  0.500  di  grappoli  per  cespuglio  e  dal  quinto  al  vente- 
simo anno,  Kg.  2  a  4  per  cespuglio.  Il  ribes  nero  dà  un  prodotto  infe- 
riore di  un  terzo. 

20.  Malattie  e  cause  nemiche.  —  (V.  pag.  500). 


PARTE  SESTA 
GLI    AGRUMI 


Regioni  di  coltivazione. 

Nelle  regioni  meridionali  d'Italia,  fra  le  piante  arboree  il  primato 
spetta  agli  agrumi,  sia  per  le  qualità  estetiche  ornamentali,  sia  per  i 
j)rodotti  svariati  ed  abbondanti,  il  cui  profitto  non  viene  superato 
da  nessuna  altra  coltivazione  arborea. 

I  paesi  nei  quali  si  diffuse  l'agrumicoltura  si  possono  riunire  in 
(juattro  regioni  (vedi  Memoria  del  prof.  Savastano  letta  nell'Istituto 
d'Incoraggiamento  di  Napoli  nella  seduta  del  20  maggio  1897,  Sulle  con- 
dizioni agrumarie  italiane  ed  estere)  e  cioè  nella  : 

1.  Regione  Mediterranea,  che  comprende  le  contrade  meridionali 
europee,  africane  ed  asiatiche,  bagnate  dal  Mediterraneo.  Sono  comprese 
perciò  in  questa  regione  l'Italia,  la  Spagna,  il  Portogallo,  la  Francia, 
Tripoli,  il  Marocco,  l'Egitto,  Malta,  la  Grecia,  la  Turchia  europea  ed 
asiatica. 

2.  Regione  dell'America  centrale,  che  avendo  per  centro  le  Indie 
Occidentali,  comprende  la  California,  le  Antille,  il  Messico,  gli  Stati 
dell'Equatore  ed  il  Brasile. 

3.  Regione  asiatica,  che  fa  entrare  le  contrade  dalla  Persia  al 
Giappone,  quindi  le  Indie  inglesi,  la  China,  il  Giappone,  le  colonie 
francesi  e  portoghesi. 

4.  Regione  australiana,  che  componesi  oltre  che  dell'Australia, 
della  Nuova  Galles  del  sud,  della  nuova  Zelanda,  delle  isole  del  Paci- 
fico, delle  colonie  del  Capo,  dello  Zanzibar,  dell'Argentina,  dell'Uraguay, 
Paraguay,  ecc.,  ecc. 

L'Italia  conserva  ancora  il  primato  per  questa  coltivazione,  su  tutti 
i  paesi  del  mondo.  Gli  agrumi  si  coltivano  in  ((uasi  tutta  la  penisola 
e,  dove  la  coltivazione  non  è  possibile  in  piena  terra,  la  si  fa  nei 
giardini  o  nelle  serre. 


—  856  - 

La  ripartizione  della  coltura  agrumaria  e  l'importanza  clie  essa  ha 
in  Italia,  si  rileva  nella  Parte  I  di  questo  libro  nel  Capit.  II  della  Sta- 
lislica  pag.  9. 

Origine. 

Gli  agrumi  si  ritengono  originari  della  Media  e  dell'Asia  meridio- 
nale, quantunque  siano  indigeni  nella  Guyana  inglese  sulle  riviere 
di  Ponieroon  e  Sapiana. 

La  loro  rinomanza  rimonta  ai  tempi  più  antichi.  Si  sa  che  gli 
agrumi  erano  i  principali  ornamenti  dei  giardini  delle  Esperidi,  di 
Babilonia  e  della  Palestina. 

Il  limone,  sarebbe  stato  importato  dagli  Arabi  in  Europa  ed  entrato 
in  Italia  prima  del  1270.  Così  trasportarono  in  Sicilia,  l'arancio  amaro 
o  forte,  tanto  che  lo  si  coltivava  prima  del   1002. 

L'arancio  a  frutto  dolce,  sembra  originario  della  China  meridionale 
e  importato  in  Europa  dai  Portoghesi.  Da  ciò  il  nome  di  Portogallo. 
Non  esclude  però  che  sieno  state  introdotte  ancora  prima  delle  varietà 
a  frutto  dolce,  forse  meno  pregiate,  inquantochè,  secondo  M.  Sylvaticus, 
l'arancio  aveva  acquistato  una  certa  importanza  nel  XIII  secolo  a  S.  Remo. 

Il  mandarino  fu  degli  ultimi  importali  e  pare  al  principio  del  XIX 
secolo.  Sembra  originario  della  Cocincina  o  di  alcune  altre  provincie 
della  China. 

Caratteri  botanici. 

Gli  agrumi  ajipartengono  al  genere  botanico  Citrns,  che  è  compreso 
nella  sottofamiglia,  e  per  alcuni  botanici,  famiglia  delle  Auranziacee. 

La  radice  è  a  fìttone,  con  numerose  radici  secondarie  che  nascono 
si  può  dire  a  capriccio,  diportandosi  come  fossero  avventizie.  Questa 
è  una  caratteristica  degna  di  nota. 

Il  fusto  è  diritto,  di  altezza  diversa  e  di  varia  ramificazione  nelle 
singole  varietà.  I  fusti  ed  i  rami  vecchi  hanno  in  generale  la  sezione 
rotonda,  la  loro  corteccia  è  poco  ruvida,  di  color  grigio  e  presenta 
delle  minutissime  fessure  longitudinali.  I  ramoscelli  giovani  invece 
sono  alquanto  angolosi,  a  sezione  irregolare  e  la  ramificazione  si  fa 
normalmente  per  lo  sviluppo  di  gemme  che  nascono  solitarie  all'ascella 
delle  foglie.  Il  corpo  legnoso  dei  fusti  e  dei  rami  non  mostra  gi'an  dif- 
ferenza dal  tipo  più  comune  delle  piante  dicotiledoni.  Nei  rami  più 
vecchi  è  difficile  trovare  un'apice  intatto,  giacché  di  solito  esso  si 
stacca  immediatamente  sopra  l'inserzione  dell'ultima  foglia,  lasciando 
che  il  ramo  ascellare  di  questa,  contiimi  la  vegetazione.  E  se  anche  si 
conserva,  la  pianta  appare  come  troncala,  perchè  l'accrescimento  si 
forma  tutto  ad  un  tratto  sopra  l'ultima  foglia.  Mentre  i  rami  vegetativi 
terminali  in  tutte  le  Auranziacee  sono  nudi,  cioè  non  hanno  l'organiz- 
zazione di  vere  gemme  protette  da  perule,  nelle  ascelle  fogliari  nascono 


—  857  - 

delle  vere  j^eiimie,  provviste  di  questi  organi  prolettori.  I  rami  ascellari 
di  qualunque  Auranziacea,  prima  delle  vere  foglie,  producono  un  numero 
vario  (almeno  due,  nel  più  dei  casi  tre  o  quattro)  di  perule  protettrici, 
che  in  parte  ravvolgono  il  cono  vegetativo  della  gemma,  in  parte  pos- 
sono trasformarsi  in  spine  più  o  meno  forti.  Tali  spine  vennero  rite- 
nute trasformazioni  della  gemma  ascellare  mentre  invece  hanno  una 
natura  fogliacea ,  sono  squame  raetamorfizzate ,  non  possedendo  le 
Auranziacee  delle  gemme  secondarie. 

Le  foglie  sono  disposte  a  spirale,  secondo  la  formola  ^s»  cioè:  ogni 
ciclo  si  compone  di  otto  foglie,  disposte  in  tre  giri  attorno  all'asse,  ed 


Fig.  637.  —  Fiori,  frulli  e  rami  di  arancio. 


in  modo  che  la  nona  foglia  si  trova  nel  medesimo  ortositico  della  pri- 
ma. La  forma  è  semplice,  più  o  meno  elittica,  col  margine  più  o  meno 
crenato. 

L'infiorescenza  (fig.  637)  è  una  cima  semplice,  terminale  o  situata 
all'ascella  delle  foglie  ordinarie  di  un  ramo  che  in  generale  portano 
pochi  fiori.  In  molte  varietà  di  lutto  il  corimbo  non  viene  a  pieno  svi- 
luppo che  il  solo  fiore  terminale.  I  singoli  fiori  hanno  peduncoli  corti, 
nudi,  articolati,  carnosi. 

I  fiori  (fig.  638)  sono  regolari,  con  calice  gamosepalo  a  cinque  lobi; 
la  corolla  composta  di  cinque  petali  liberi,  alternanti  coi  lobi  del  calice. 
L'androceo  è  costituito  in  apparenza  da  un  solo  verticillo  di  stami,  di 
cui  il  numero  e  la  disposizione  sono  variabilissimi.  L'ovario  è  polimero, 
con  logge  variabilissime  di  numero,  sempre  più  di  cin([ue,  ed  in  alcuna 
relazione  coi  petali.  L'impollinazione  ha  luogo  generalmente  in  prima- 
vera, nei  mesi  di  aprile  e  maggio;  però  nelle  specie  rifiorenti  è  impos- 
sibile fissare  l'epoca. 


858 


Il  fruito  è  una  bacca  con  7  a  12  logge  (chiamate  spichi)  contenenti 
ciascuna  uno  o  più  semi;  qualche  volta  questi  semi  abortiscono  (fìg.639). 

Un  carattere  generale  nella  specie  del  genere  Citriis,  è  la  presenza 
in  tutti  gli  organi  eli  un  olio  etereo  ed  essenziale,  che  si  trova  tanto 
nel  protoplasma  cellulare  della  radice,  come  in  alcune  ghiandole  dei 
rami,  delle   foglie,  fiori,  frutti  e  semi. 


Fig.  638. 
Diagramma  del  fiore  di  arancio. 


Fig.  639. 
Sezione  orizzontale  del  frutto  di  arancio. 


Altra  particolarità  del  genere  Cilrus,  è  l'intensa  colorazione  rosso- 
purpurea  dei  giovani  germogli,  colorazione  propria  delle  piante  dei 
paesi  caldi  che  indica  la  traspirazione  molto  attiva  della  pianta. 


Vegetazione. 

Le  piante  degli  agrumi  hanno  generalmente  una  vita  molto  lunga 
e  nella  loro  prima  età  hanno  un  lento  sviluppo.  Nei  paesi  tropicali 
arrivano  fino  all'altezza  di  10  a  14  metri;  in  Europa  non  sorpassano  i  10 
metri  anche  nelle  regioni  più  favorevoli,  e  l'albero  prende  una  forma 
piramidale. 

Fruttificano  dopo  5  o  6  anni  e  la  fioritura  avviene  in  aprile-maggio 
ed  anche  in  autunno  ma,  questi  ultimi  fiori,  sono  sempre  meno  pro- 
fumati di  quelli  in  primavera. 

Generalmente  i  frutti  degli  agrumi  maturano  dal  novembre  in  avanti. 

Se  lasciati  sull'albero  non  si  alterano  e  quindi  dalle  piante  si  riesce 
ad  ottenere  fiori  e  frutti  tutto  l'anno. 


Classificazione  degli  agrumi. 


Gli  agrumi  si  possono  ordinare  in  tre   gruppi    caratterizzati    come 
segue  : 

I.  Gruppo.  —  Piante  con  foglie  a  picciolo  alato  e  coi  giovani 
germogli  biancastri.  Fiori  completamente  bianchi.  Frutti  giallo-ranciati 
o  giallo-pallidi,  con  buccia  non  aderente  alla  polpa. 


—  859  - 
Apparlengono  a  questo  gruppo  le  seguenti  specie: 

1.  Arancio  dolce  (Cilriis  aurantiiim  L.). 

2.  Arancio  forte  (C.  Bigaradia  Risso). 

3.  Chinotto  (C.  sinense  Wild.). 

4.  Mandarino  (C.  deliciosa  Ten.). 

5.  Pompelmo  (C  Pompelmos  Risso). 

6.  Bergamotto  (C.  Bergamina  Risso). 

7.  Limetta  (C.  Limetta  Risso). 

8.  Lumia  (C.  Lumia  Risso). 

II.  Gruppo.  —  Foglie  con  picciolo  lineare,  poco  o  punto  alato.  Gio- 
vani germogli  violacei.  Fiori  bianchi,  violacei  o  rosa  al  di  fuori.  Frutti 
giallo-pallidi,  buccia  aderente  alla  polpa. 

9.  Limone  (Citriis  Limomim  Risso). 

10.  Cedro  (C.  medica  Lin.). 

III.  Gruppo.  —  Foglie  trifogliate,  caduche.  Fiori  completamente 
bianchi. 

11.  Arancio  trifogliato  (C  triptera  Lin.). 


Specie  e  varietà  coltivate  per  il  frutto. 

Arancio  dolce  comune  (fig.  640).  Citrus  aurantium.  —  Nomi  volgari 
italiani  del  frutto  —  Arancio,  Arancio  comune,  Portogallo,  Melarancio. 
Nomi  volgari  stranieri  —  Frane:  Grange  commun  —  Ted.:  Pomeranzen- 
baum  —  Ingl.  :  Sweet  Grange. 

L'arancio  dolce  ha  un  fusto  arboreo,  coi  rami  forniti  di  spine  ; 
le  foglie  sono  ovali  od  oblunghe,  acute,  qualche  volta  dentate,  con  pic- 
ciolo allargato  ed  alato;  fiori  terminali  bianco-puri:  frutti  rotondi  od 
ovali  o  ottusi,  che  raramente  terminano  in  punta  o  sono  mammello- 
nati,  di  colore  giallo-dorato  leggermente  arrossati,  la  cui  buccia  ha  delle 
vescichette  convesse.  Polpa  abbondante,  succosa,  dolce,  zuccherina  e 
gradevolissima. 

Questa  specie,  se  proveniente  da  seme,  dà  un  albero  rusticissimo, 
che  si  porta  fino  all'altezza  di  m.  10  a  12  a  Sorrento. 

Per  la  sua  vigoria  serve  per  innestare  le  varietà  di  agrumi  a  frutto 
dolce.  E'  spinoso,  abbastanza  precoce  ed  è  meno  sensibile  al  freddo 
delle  varietà  che  producono  dei  frutti  rimarchevoli  di  grossezza  e 
di  sapore  zuccherino. 

L'arancio  è  coltivato  in  Liguria,  in  Sardegna,  in  Sicilia  e  nelle  Calabrie. 

Tutte  le  varietà  d'aranci  derivate  hanno  frutti  dolci  ed  una  buccia 
con  delle  vescicole  convesse.  Quelle  portate  in  commercio  oltre  che 
l'arancio  comune  sono  le  seguenti  : 

a)  Arancio  di  Malta  sanguigno  (Citrus  aurantium    Melitense   Risso 
€  Poileau). 


—  860  - 

Chiamalo  anche  Arancio  rosso  di  Porlojjallo,  Arancio  sanguigno  di 
Spagna. 

Fusto  di  color  grigio-scuro  che  termina  con  una  chioma  forte, 
com])osta  di  rami  corti,  glabri  ed  angolosi  ;  raramente  muniti  di  spine 
cortissime. 

Foglie  ovali,  oblunghe,  appuntite,  grosse,  dentellate  leggermente,  eoa 
picciolo  abbastanza  lungo. 


Fig.  610.    -  Arancio  dolce  comune  di  Genova. 


Fiori  numerosi,  soavi,  portati  da  un  pedicello  lungo  e  sottile;  petali 
larghi  di  un  bel  color  bianco;  stami  da  20  a  22;  ovario  arrotondato; 
stilo  diritto. 

Frutti  sierici,  di  grandezza  media  ;  esteriormente  colorali  di  giallo 
con  slumature  porporine-sanguigne  più  o  meno  intense  e  con  polpa 
color  rosso  di  sangue.  Succo  dolce  ed  aromatico  mollo  superiore  a 
quello  di  altre  varietà. 


-  8()1  - 

Lunghezza  del  frutto  millimetri  64  a  70;  larghezza  millimetri  76  a  80. 
b)  Arancio  della  China.  Ha  il  fusto  coperto  da  una  scorza  glabra 
e  grigia;  1  rami  sono  corti,  irregolari;  i  giovani  germogli  gracili,  ango- 
losi, giallo-pallidi  ;  foglie  ovali,  oblunghe,  qualche  volta  leggermente 
ondulate  ai  lembi,  portate  da  un  picciolo  lungo,  pochissimo  alati.  I  fiori 
sono  riuniti,  bianchi,  di  media  grandezza,  frutti  medi,  rotondati,  pesanti, 
duri,  riconoscibili  particolarmente  per  la  loro  buccia  liscia,  fnie  e  lu- 
cente. Il  loro  interno  è  diviso  in  9  ad  11  logge;  succo  dolcissimo. 

Lunghezza  del  frutto    millimetri  56-60;  larghezza    millimetri   60-65. 

L'albero  raggiunge  un'altezza  da  4  a  5  metri;  i  suoi  rami  sono  tal- 
volta poco  spinosi.  La  fioritura  è  quasi  sempre  biennale  e  mai  molto 
abbondante.  I  frutti  non  soffrono  tanto  per  il  gelo  ed  in  commercio 
passano  per  aranci  di  Portogallo.  Sono  stimati  per  la  loro  buccia  sottile 
ed  unita;  per  il  succo  eccellente  meno  dolce  però  dell'arancio  comune. 

Questo  arancio  ha  qualcosa  di  comune  con  quello  di  Majorca;  ma 
si  distingue  per  il  minor  sviluppo  della  pianta,  per  i  frutti  meno  colo- 
rati, molto  più  lisci  e  per  la  buccia  anche  abbastanza  dolce. 

e)  Arancio  di  Genova  (fìg.  640).  Forma  un  albero  con  chioma  ar- 
rotondata, perchè  ha  rami  piccoli,  corti,  tozzi  ;  le  foglie  sono  ovali 
oblunghe,  di  color  verde-carico,  lucenti  intere,  alcune  piane,  altre  pie- 
gate a  gronda  con  picciolo  talvolta  alato. 

Fiori  disposti  a  mazzetto,  col  calice  a  3  o  5  denti  ;  petali  ineguali, 
talvolta  in  numero  di  3  soltanto  nei  fiori  più  alti,  che  perciò  restano 
più  piccoli  e  poco  sviluppati. 

I  frutti  sono  rotondi,  regolari,  qualche  volta  un  poco  depressi  alle 
estremità,  mammelliformi  alla  base,  con  buccia  unita,  rugosa,  di  color 
giallo-rossastro  ;  l'interno  è  diviso  in  10  o  12  spicchi,  con  polpa  gialla 
al  centro  e  rossastra  alla  periferia,  contenente  molto  succo  dolce.    • 

Diametro  longitudinale  del  frutto  mm.  60-75;  diametro  trasversale 
millimetri  67-72;  spessore  della  buccia  millimetri  6. 

Questo  arancio  coltivato  in  Liguria  si  è  esteso  notevolmente  nel 
litorale  Mediteri-aneo. 

dj  Arancio  di  Nizza.  Fusto  diritto  e  vigoroso,  con  chioma  ampia 
e  fronzuta. 

Foglie  grandi,  ampie,  di  color  verde  cupo,  lucenti,  le  une  ovali 
appuntite,  le  altre  oblunghe  e  più  ristrette;  la  maggior  parte  con  pic- 
ciolo lungo,  leggermente  alato  e  sensibilmente  articolato,  meno  quelle 
vicino  al  frutto. 

Fiori  numerosi  di  un  bel  colore  bianco  e  d'odore  soave. 

Frutti  sferici  un  poco  depressi  alle  due  estremità,  consistenti,  pesanti, 
di  un  bel  color  giallo  carico  tendente  al  rosso;  buccia  grossa  sensi- 
bilmente rugosa,  un  poco  squamosa  internamente,  che  si  distacca 
facilmente  dalla  polpa,  la  quale  è  di  color  giallo  carico,  divisa  in  10  o 
12  logge.  Succo  eccellente  e  semi  numerosi  di  due  grandezze. 

Diametro  longitudinale  mm.  70  a  86;  trasversale  mm.  80  a  90;  spes- 
sore della  buccia  mm.  5-10. 


—  862  — 

E'  uno  dei  migliori  aranci  che  vanno  in  commercio  sotto  questo 
nome  o  sotto  quello  di  arancio  di  Provenza. 

e)  Arancio  di   Majorca.  Fusto    elevato,  vigoroso,   con    molti   rami 
diritti,  lunghi,  muiiili  di  piccole  s])ine,  che  nel  legno  vecchio  poi  dispaiono. 

Foglie  grandi,  ovali  allungate,  appuntite,  grosse,  lucenti  colorite  di 
un  bel  verde;  qualche  volta  leggermente  ondulate  ai  lembi;  picciolo 
leggermente  alalo. 

Fiori  grandi,  belli,  molto  fragranti  riuniti  a  mazzetto,  formato  da 
1  o  5  petali  oblunghi,  un  poco  acuti. 

Frutti  sferici,  abbastanza  grossi  con  buccia  liscia,  lucente,  sottilis- 
sima, di  color  giallo  rossastro.  La  polpa  è  divisa  in  9  o  10  spicchi, 
pieni  di  vescichette  gialle  conlenenti  molto  succo,  dolcissimo  e  piace- 
vole. Semi  molti,  oblunghi  ed  acuti. 

Diametro  longitudinale  del  frutto  mm.  78-86;  diametro  trasversale 
inni.  76-80;  spessore  della  buccia  mm.  3  a  5. 

Questa  varietà  dà  degli  alberi  che  arrivano  fino  a  6  metri  di  altezza 
e  ordinariamente  produce  frutto  ogni  due  anni. 

Matura  presto  e  la  pianta  abbastanza  rustica,  si  presta  per  la  colti- 
vazione in  vaso. 

d)  Arancio  di  Portogallo.  Albero  slanciato,  con  rami  sottili,  diritti. 

Foglie  piccole,  ovali,  acute,  di  un  bel  color  verde  carico,  liscie,  la 
più  parte  erette  verticalmente  e  portate  da  piccioli  sottili,  lunghi  ed 
appena  alati. 

Fiori  piccoli,  numerosi,  di  un  bel  color  bianco. 

Frutti  medi,  gli  uni  arrotondati,  un  poco  depressi  alle  due  estre- 
mità, con  leggera  costolatura  lungitudinale  ;  buccia  sottile,  di  color 
giallo  carico,  male  unita,  rugosa.  Succo  leggermente  acidulo.  Raramente 
si  trovano  semi.  Talvolta  si  notano  anche  dei  frutti  oblunghi. 

Diametro  longitudinale  mm.  50-60;  trasversale  mm.  54-58;  spessore 
della  buccia  mm.  4-5. 

Vi  ha  una  varietà  con  polpa  rossa,  egualmente  pregiata  jìer  il  profumo. 

Si  deve  coltivare  nelle  esposizioni  meglio  soleggiate  e  nei  paesi  caldi. 
g)  Degli  altri  aranci  che  si  trovano  in  commercio  ;  merita  di  es- 
sere distinto  Varando  di  Napoli  e  di  Sorrento  che  si  raccoglie  dal  luglio 
all'autunno  ed  è  molto  pregiato  per  l'aspetto  e  pel  suo  sapore.  Affine 
a  questo  è  l'arancio  di  Reggio  Calabria,  precocissimo,  i  cui  frutti  sono 
molto  grossi,  ma  non  troppo  delicati.  Migliore  è  Varando  di  Messina 
che  viene  spedito  in  Germania.  Varando  di  Palermo  è  apprezzato  per 
la  bellezza  e  bontà,  ed  anche  perchè  tardivo. 

In  Inghilterra  sono  specialmente  conosciuti  gli  aranci  di  Valenza. 
molto  dolci  e  grossi  che  maturano  più  tardi  dell'arancio  di  Portogallo, 
(Ili  aranci  delle  Azorre  sono  piccoli  o  medi,  con  buccia  sottile  e  polpa 
mollo  succosa.  Anche  questi  sono  apprezzati  in  Inghilterra. 

Gli  aranci  della  Tunisia,  Algeria,  Egitto  ed  Asia  Minore,  sono  gene- 
ralmente più  piccoli  dell'arancio  di  Nizza,  ma  molto  più  stimati  per  il 
loro  succo  dolce  ed  aggradevolissinio. 


-  863  - 

Le  varietà  del  Brasile,  dell'Isola  Taiti  e  della  Malesia  sono  pure 
rinomale.  In  China  e  (iiappone  non  si  hanno  varietà  meritevoli  di  spe- 
ciale menzione. 

Gli  aranci  di  Ja/fa  sono  fra  i  più  grossi  che  si  conoscono  sono 
senza  semi  e  vennero  specialmente  importati  in  California. 

Arancio  forte  o  Melangolo  (fìg.  641)  (Citrus  Bigaradia  Risso).  — 
Nomi  volgari  italiani  del  frutto  —  Melangolo,  Cedrangolo,  Arancia  forte 


Fig.  Wl.  -  Melangolo. 

(il  frutto),  Arancio  agro,  Arancio  amaro,  Citrangolo.  Nome  volgare  stra- 
niero del  frutto  —  Ingl.  :  Common  Seville. 

I  melangoli  di  solito  sono  più  piccoli  degli  aranci.  Il  fogliame  è  più 
fìtto,  i  piccioli  hanno  l'ala  più  larga;  i  fiori  sono  più  grandi  ed  odorosi. 
11  frutto  assomiglia  all'arancio,  con  buccia  più  scabra  e  più  rossastra 
a  maturazione  e  la  polpa  contiene  un  succo  acido  tendente   all'amaro. 

Albero  di  media  altezza ,  ma  vigoroso.  I  rami  sono  spinosi  ed 
hanno  un  legno  compatto  e  duro.  Le  radici  sono  ramose,  poco  allungate 
molto  abbondanti  di  barbe,  di  color  giallo  all'esterno  ed  interno. 

Foglie  larghe,  acuminate,  di  colore  verde- cupo,  col  picciolo  larga- 
mente alato. 

Fiori  bianchi,  grandi,  disposti  a  mazzetto,  odorosissimi. 

Frutto  di  color  giallo- rossastro,  di  media  grandezza  e  rotondo, 
con  buccia  grossa,  cotonosa,  non  aderente  alla  polpa,  la  quale  è    acida 


—  864  - 

ed  amara,  impossibile  a  mangiarsi.  E' divisa  in  12-11  spicchi.  Diametro 
di  ()0  a  SO  millimetri. 

Il  melangolo  è  il  più  robusto  albero  del  suo  genere,  ed  è  più  or- 
namentale dell'arancio  dolce.  Resiste  meglio  delle  altre  specie  ai  freddi 
e  nei  paesi  del  nord,  viene  coltivato  in   vaso    appunto  per  ornamento. 

I  fiori  hanno  un  odore  più  soave  di  quelli  dell'arancio  dolce,  e  si 
adoperano  per  preparare  l'acqua  di  fiori  d'arancio.  Si  raccolgono  i 
fiori  a  mano  quando  la  rugiada  è  scomparsa.  Un  melangolo  di  20  a  30 
amii  può  (lare  da  15  a  20  kg.  di  fiori  che  si  pagano  da  L,  0.50  a  L.  1 
il  kg.  Da  100  kg.  di  fiori  si  ricavano  40  kg.  d'acqua  distillata  di  fiori 
oppure  100  grammi  di  essenza. 

Dalla  buccia  del  frutto  si  ha  la  più  pregiata  essenza  che  si  possa 
ottenere  dagli  agrumi  e  coi  frutti  si  possono  fare  delle  confetture,  hi 
tutto  il  Levante,  colle  arancie  amare  si  preparano  le  limonate. 

II  melangolo  è  apprezzato  in  agricoltura  perchè  i  suoi  semi  danno 
dei  forti  piantoni  da  porta-innesto  dei  diversi  agrumi. 

Le  varietà  preferite  per  la  coltivazione  sono  : 

a)  Melani/olo  a  frutto  cornuto  (lìitrns  Bigaradia  corniculata  Risso). 
Il  fusto  è  diritto  con  scorza  liscia  e    grigia   che   termina   con    una 

chioma  ampia,  fronzuta,  coperta  di  foglie  grandi,  ovali,  lanceolate,  leg- 
germente dentale,  di  un  bel  color  verde-cupo,  portate  da  un  picciolo 
munito  di  ali  cordi  formi. 

Fiori  grandi,  numerosi,  sovente  disposti  a  due  a  due  assilari  e  termi- 
nali. I  petali  sono  bianchissimi,  oblunghi,  consistenti,  odorosi;  slami 
corti  ;  lo  stilo  molte  volle  diflbrme,  qualche  volta  suddiviso,  portante 
ciascuna  ramificazione  una  parte  dello  stimma. 

Questa  varietà  dà  frutti  dopo  6  anni  dall'impianto.  I  fruiti  sono 
rotondi,  più  larghi  alla  sommità  che  alla  base,  muniti  lateralmente 
d'appendici  in  forma  di  corna  di  diversa  grandezza  e  spessore;  la  buc- 
cia è  rugosa,  consistente,  di  color  giallo  tendente  al  rossastro,  talvolta 
spugnosa.  La  polpa  è  divisa  in  più  spicchi  ineguali   di   numero    vario. 

Diametro  longitudinale  del  frutto  mm.  55-70;  diametro  trasversale 
75-86;  spessore  della  buccia  8-12. 

Questo  albero  arriva  all'altezza  di  6  metri  e  lo  si  coltiva  in  parti- 
colar  modo  per  i  suoi  fiori  che  servono  a  preparare  delle  pomate  ed 
a  fabbricare  degli  olii  essenziali  e  delle  eccellenti  acque  di  melangolo. 

b)  Melangolo  di  Spagna  {CU ras  Bigaradia  H ispanica). 

Questo  melangolo  si  riconosce  per  il  suo  fogliame  ampio,  cresputo 
ed  abbondante  e  perchè  ha  la  proprietà  di  fiorire  più  volle  in  un  anno 
in  modo  che  oflre  in  ogni  stagione  bell'aspetto,  perchè  la  pianta  porla 
contemporaneamente  dei  fiori  in  lutti  i  loro  stadii  di  sviluppo,  dei 
frutti  verdi  e  dei  bei  frutti  giallo-aranciati. 

Fusto  mollo  allo,  liscio,  di  color  grigio-scuro,  con  rami  corti,  verdi, 
angolosi  sulle  giovani  gettate. 

Foglie  grandissime,  ovali,  oblunghe;  arcuate  indietro,  increspate, 
di  color  verde -chiaro,  portate  da  un  lungo  picciolo,  munito  di  ali  larghe. 


-  865  — 

Fiori  grandi  con  peduncolo  cerio,  ordinariamente  riuniti  da  2  a  4 
sul  medesimo  punto;  lianno  il  calice  piccolo  a  ó  denti  allungali;  i  pe- 
tali sono  oblunghi  di  un  bel  color  bianco,  esalano  un  odore  che  ricorda 
quello  del  gelsomino  -,  gli  stami  in  numero  di  una  trentina  hanno  la 
lunghezza  del  pistillo. 

Frutto  grosso,  rotondo,  depresso  alle  due  estremità,  di  color  giallo 
leggermente  rossastro  ;  buccia  grossa  e  spumosa,  aderente  alla  polpa 
che  è  di  color  giallo-scuro,  divisa  in  8  o  10  spicchi  tondeggianti  e 
contenenti  una  piccolissima  quantità  di  succo  dolciastro.  I  semi  sono 
oblunghi,  piccolissimi  e  per  lo  più  abortiti. 

Diametro  longitudinale  del  frutto  mm.  7G-8Ì-,  diametro  trasversale 
mm.  96-106  ;  spessore  della  buccia  mm.  12-16. 

Questo  melangolo   viene   coltivalo   più    che    altro    per   la    rioritura 
prolungata,  e  per  l'ampiezza  e  singolarità  del  suo  fogliame. 
e)  Melangolo  fiammalo  (Cilvus  bigaradia  fasciata). 

Albero  attraente  per  le  numerose  variazioni  che  presenta  colla 
grandezza  ed  il  colore  delle  foglie,  colla  forma,  colore  e  grossezza  dei 
frutti  che  si  modificano  all'infinito.  Il  suo  fusto  è  di  media  grandezza, 
con  rami  numei'osi,  glabri,  rotondi,  qualche  volta  vellutati  in  bianco  o 
in  verde,  specialmente  le  giovani   gettale. 

Le  foglie  variano  estremamente  di  forma  e  di  grandezza;  le  più 
grandi  sono  ordinariamente  oblunghe,  acute,  tutte  verdi  —  le  altre 
sono  screziate  di  giallo  o  verde. 

Frulli  rotondi,  un  poco  oblunghi,  qualche  volta  depressi  all'estre- 
mila dove  spesso  si  rimarca  una  piccola  aureola  a  forma  di  stella; 
buccia  liscia,  di  color  giallo-pallido,  marcata  da  strisele  longitudinali 
prima  verdi  e  poi  rosso-aranciate.  La  polpa  è  giallo-scura,  divisa  in  7 
od  <S  spicchi  che  contengono  un  succo  abbastanza  acido,  ma  insipido 
alla  nìaturazione. 

Diametro  longitudinale  del  frutto  mm.  56-62;  diametro  trasvei'sale 
mm.  65-70;  spessore  della  buccia  mm.  5-7. 

Chinotto  (Gitrus  sinense  Wild)  (fjg,  642).  —  Nome  volgare  ilaliano 
del  frullo  —  Melangolo  della  China.  Nome  volgare  slraniero  del  frullo 
—  Frane.  :  Bigaradier  Chinois. 

L'albero  non  arriva  i  due  metri  d'altezza,  ed  è  molto  elegante 
d'aspetto  per  la  sua  fronda  ed  i  fiori.  Da  questi  ultimi  si  ricava  una 
essenza  deliziosa  e  coi  frutti  si  fanno  delle  confetture. 

Fusto  scabro,  rami  diritti,  avvicinati  di  colore  verde-pallido. 

Foglie  fitte,  piccole,  leggermente  dentate,  di  color  verde-brillante, 
picciolo  corto  poco  o  punto  alato. 

I  fiori  formano  dei  tirsi  all'estremità  dei  rami,  bianchi,  soavissimi, 
con  calice  corto,  petali  oblunghi;  stami  da  25  a  30,  poco  aderenti  fra  loro. 

Fruiti  piccoli,  rotondi,  appiattiti  alla  base  leggermente  allargati 
all'estremità,  della  grossezza  di  una  prugna  mirabella  e  con  buccia 
grossa,  spugnosa,  poco  aderente  alla  polpa.  La  polpa  è  gialla,  acida, 
amara,  divisa  in  8  o  10  spicchi.  Semi  piccoli  od  alfatto  abortiti. 

55  —  Tamaro  -  FrutlicoUnra. 


—  8G6  — 

Diametro  longitudinale  mra.  24-30;  diametro  trasversale  mm.  30-36. 

Si  coltiva  in  vaso  e  resiste  abbastanza  ai  freddi  ;  è  però  molto 
soggetto  alla  lumaggine.  Nelle  provincie  meridionali  e  nella  Liguria  è 
coltivato  in  piena  terra.  I  frutti  si  raccolgono  a  metà  agosto,  si  vendono 
verdi  e  sbucciati,  e  servono  per  preparare  confetture  Non  sono  com- 
mestibili direttamente.  Si  riproduce  per  seme. 

Si  distinguono  due  varietà  : 
a)   A    fot) He   di   mirto   con   rami   corti,   fìtti,   diritti.   Foglie    fìtte, 
appuntite   all'estremità,  rotonde  alla  base,  di  colore  verde   carico,  lu- 


i,Fig.  642.  —  Chinotto. 


cente,  un  poco  piegate  a  gronda.  Picciolo  corto,  nudo  o  leggermente 
alato  (fig.  642). 

Fiori  piccoli,  odorosi,  bianchissimi,  formanti  dei  mazzetti  all'estre- 
mità dei  rami. 

Frutti  rotondi,  lunghi  tnm.  20-40,  larghi  mm.  25-50;  di  color  giallo- 
rossastro,  lucenti  ;  polpa  gialla  divisa  in  6  od  8  spicchi,  contenenti  un 
succo  leggermente  acido. 

E'  un  albero  grazioso,  coltivalo  tanto  in  piena  terra  che  in  vaso 
per  ornamento  dei  giardini  e  delle  abitazioni. 


-  867  - 

Si    coltiva   specialmente   nel  circondaiio  di  Savona  per   fare  i  chi- 
nolli  candili  od  al  siroppo. 

b)  A  foglie  di  salice  si  distingue  dalla   precedente    per   la    forma 
delle  foglie  e  per  avere  i  rami  più  slanciati. 

Mandarino  (Citrus  deliciosa   Ten.)  (fig.  643).  —    Nomi   volgari  slra- 
nieri  del  frullo  —  Frane:  Mandarin  —   Inglese:  Mandarin  orange. 


Fig.  C4,3.  —  Mandarino. 


Comparandolo  all'arancio,  il  mandarino  è  un  arboscello.  Alto  da 
2  a  3  metri,  ha  le  foglie  più  piccole,  più  lanceolate,  di  color  verde  meno 
carico  dell'arancio  e  di  un  odore  forte,  speciale. 

I  fiori  sono  più  piccoli  di  quelli   dell'arancio  e  bianchissimi. 

I  frutti  piccoli,  arrotondati,  globulosi,  appiattiti,  della  grossezza 
d'una  mela  Api.  La  buccia  è  rosso-ranciata,  sottile,  che  si  distacca 
facilmente  dalla  polpa,  la  quale  è  rossastra,  zuccherina,  profumata  ed 
aggradevole. 


-  868  - 

Maturazione  in  gennaio. 

Il  mandarino,  introdotto  a  S.  Renio  nel  1848,  si  estese  notevolmente 
in  Liguria  rimpiazzando  l'arancio,  la  cui  coltivazione  è  meno  conve- 
niente per  la  concorrenza  degli  aranci  di  Spagna,  di  Malta,  ecc. 

Oltre  che  in  Liguria,  il  mandarino  è  molto  esteso  e  matura  molto 
bene  in  Sicilia,  in  Sardegna  e  Corsica,  anzi  i  mandarini  di  queste  due 
ultime  isole  sono  molto  pregiati  per  profumo  e  dolcezza. 

Il  mandarino  è  più  rustico  e  più  pioduttivo  dell'arancio  comune  ; 
pr^oduce  anche  prima,  ma  è  meno  longevo. 

Si  innesta  sul  franco  di  mandarino,  oppure  sul  melangolo  per 
avere  delle  piante  più  vigorose.  Se  innestato  sull'arancio  franco  si 
hanno  frutte  più  saporite,  se  sul  limone  o  sul  cedro  si  ha  abbondante 
frutti lìcazione  e  le  piante  acquistano  in  precocità. 

Si  alleva  a  mezzo  vento  collocando  le  piante  a  4-5  m.  di  distanza. 
Solfre  molto  per  la  cocciniglia  e  per  gli  afidi  avendo  la  fronda  fitta 
e  perciò  il  diradamento  dei  rami  bisogna  farlo  più  di  sovente  che 
sull'arancio. 

Il  mandarino  rende  di  più  dell'arancio,  perchè  dà  fruttificazione 
più  abbondante. 

Matura  dal  15  dicembre  al  15  marzo.  I  frutti  si  conservano  poco 
sull'albero,  e  la  raccolta,  per  le  spedizioni  lontane,  bisogna  anticiparla 
e  cioè  appena  si  ha  ottenuto  la  colorazione  della  buccia. 

La  spedizione  si  fa  in  piccole  casse  di  2  a  5  kg.  e  l'imballaggio 
deve  essere  accurato. 

Il  mandarino  non  si  conserva  come  l'arancio. 

Le  varietà  di  mandarino  sono  molto  poche.  Secondo  la  località 
si  hanno  dei  frutti  di  diversa  grandezza,  ma  questo  è  un  carattere 
acquisito  per  l'influenza  del  clima,  del  terreno  e  dell'andamento  delle 
stagioni  e  non  è  un  carattere  di  varietà. 

In  America  si  sono  ottenute  delle  varietà  a  frutto  grossissimo,  come 
sarebbe  quella  denominata  Re  del  Siam.  Si  potrebbe  cercare  di  intro- 
durla per  esperimento  in  Liguria. 

Nella  Provenza  si  troverebbero  qua  e  là  delle  piante  che  producono 
dei  frutti  senza  semi.  Anche  questa  è  una  varietà  non  bene  delìnila. 

Pompelmo  (Gitrus  pompelmo  Risso).  —  Nomi  volgari  slranieri  del 
fruito  —  h'ranc.  :  Pompoléon  —   Inglese  :  Shaddoc. 

E'  coltivato  a  Giammaica,  nella  Gocincina,  nelle  isole  Mollusche, 
nell'India,  nel  Brasile,  in  Algeria,  ed  ora  in  Italia  lo  si  coltiva  nelle 
Provincie  meridionali  per  la  sorprendente  grossezza  dei  frutti. 

Albero  di  taglia  media,  meno  rustico  dell'arancio,  con  rami  lunghi, 
senza  spine,  formanti  un  angolo  acuto  col  fusto  e  coi  germogli,  appena 
sviluppati,  leggermente  tomentosi. 

h'oglie    grandissime,   ovali,  oblunghe,  acute,  grosse;  picciolo    alato. 

Fiori  grandi  bianchi  con  petali  grossi. 

I  frutti  sorprendenti,  hanno  la  grandezza  di  un  melone  (diametro 
di  2U  a  30   centimetri),  arrotondati  o  piriformi,  di    color   giallo-pallido 


869 


con  buccia  liscia  avente  le  vescicole  piane  o  convesse;  polpa  verdastra, 
spugnosa,  con  poco  succo  acquoso  poco  zuccherino,  anzi  amaro. 

I  pompelmi  sono  generalmente  poco  noti.  L'albero  si  alleva  per 
abbellimento  e  per  la  curiosità  del  frutto.  Il  frutto  non  è  commestibile 
direttamente,  ma  serve  a  preparare  confetture. 

Le  varietà  principali  sono  : 

a)  Citriis  pompelmiis  decumaniis,  Risso.  Pompelmo  maggiore. 
Piccolo  alberetto  con  foglie  ovate,  molto  più  larghe  alla   base  che 

all'apice,  il  quale  è  ottuso;  talvolta  le  foglie  sono  crespe  ed  irregolari 
per  mostruosità;  picciolo  molto  alato.  Frutto  massimo. 

b)  C.  P.  campaiiiformis  (Pompelmo  campaniforme).  Si  distingue 
pel  frutto  quasi  piriforme  ristretto  alla  base.  Polpa  verdastra. 

e)  C.  P.  mammosa.  Si  riconosce  dal  largo  capezzolo  all'apice, 
circondato  da  un  solco. 

(/)  C.  P.  Clutdeck.  E'  una  sottovarietà  del  campaniforme  e  dilferisce 
soltanto  pel  frutto  più  corto.  Ha  polpa  verdastra,  acidula,  abbastanza 
grata  a  mangiare. 

In  Europa  ed  anche  nel  Nord  Africa, 
il  frutto  non  raggiunge  quella  perfezione 
a  cui  arriva  nell'India,  dove  ha  un  sapore 
dolce  acidulo  gradevole. 

Si  niolliplica  per  talea  o  per  innesto 
sul  melangolo. 

Bei'gamotto  (Citrus  bergamina  Risso) 
(figura  644).  —  Nome  volgare  italiano 
del  frullo  —  Bergamotta.  Nome  volgare 
slraniero  del  frutto  —  Frane.  :  Berga- 
mottier. 

Da  molti  botanici  questa  specie  è 
stata  ritenuta  per  un  ibrido  dell'arancio 
col  limone,  avendo  difatti  le  foglie  ed  i 
fiori  che  rassomigliano  a  quelli  del  primo 
ed  il  frutto  che  si  avvicina  per  il  sapore 
acido  a  quello  del  limone.  Il  bergamotto 
è  però  più  rustico  del  limone,  ma  meno 
dell'arancio.  Viene  coltivato  nelle  regioni 
ed   esposizioni  migliori  pegli  agrumi.   In 

Italia,  la  Calabria  ha  il  primato  ove  si  coltiva  per  l'essenza  ;  nell'India 
i  bergamotti  sostituiscono  il  limone. 

E'  un  piccolo  alberetto,  che  porta  frutti  senza  semi  (o  quasi  senza) 
per  cui  non  si  moltiplica  che  per  innesto. 

I  rami  sono  senza  spine  o  molto  piccoli  ;  le  foglie  oblunghe,  acute 
od  ottuse,  aventi  un  picciolo  alato  o  semplicemente  marginato;  fiori 
piccoli,  bianchi,  di  odore  soavissimo.  I  frutti  sono  piriformi  o  depressi, 
lisci  o  torniti,  di  colore  giallo-paglia,  con  vescichette  concave  conte- 
nenti un  olio  essenziale.  Polpa  leggermente  acida  con  un  aroma  aggra- 
devolissimo. 


Fig.  644.  —  Bergamotto. 


-  870  - 

I  fruiti  non  sono  commestibili  per  il  sapore  troppo  acido.  Si  rac- 
colgono prima  della  maturazione  per  confettarli.  La  loro  buccia  dà 
l'essenza  di  bergamotto. 

Le  varietà  coltivate  sono  : 
a)   Citrus   Bergamina   viilgaris,    Risso.   Bergamotto    comune.   E'  il 
tipo  della  specie. 

Alberetto  piccolo,  alto  2-3  metri,  con  ramificazione  irregolarissima 
e  divaricata.  Rami  armati  di  spine  e  inermi  ;  foglie  bislunghe  acute  od 
ottuse;  fiori  bianchi,  piccoli,  soavissimi;  frutto  di  media  grandezza, 
all'apice  depresso  ed  in  cima  acuminato  con  assai  corto  acumine;  alla 
base  attenuato  in  assai  corto  peduncolo,  e  perciò  alquanto  piriforme; 
diametro  longitudinale  massimo  mm.  75  e  trasversale  mm.  70.  Buccia 
liscia,  di  color  giallo  pallido  ;  vescichette  concave,  pregne  d'olio  es- 
senziale proprio,  odorosissimo  e  soavissimo  (essenza  di  Bergamotto)  ; 
polpa  poco  acida  e  profumata  di  soavissimo  odore. 

h)  Il  inelorosa  o  melarosa  verace.  fCitriis  Bergamina  var.  melarosa 
.Risso). 

Fusto  diritto  con  rami  grossi  e  rotondi,  di  color  verde  giallastro 
i  più  giovani. 

Foglie  ovali-allungate,  molto  ottuse,  leggermente  ondulate  e  piegate 
a  gronda,  dentate,  di  color  verde  pallido  sulla  pagina  superiore,  spes- 
sore notevole.  Picciolo  corto,  articolato  ed  appena  alato. 

Fiori  a  mazzetto  all'estremità  dei  rami;  i  terminali  sono  per  lo  più 
sterili  ;  calice  corto  con  4  a  5  denti  ;  corolla  bianca,  piccola,  di  un 
odore  soave  ;  qualche  stame  talvolta  si  trasforma  in  petalo. 

Frutti  medi,  rotondi,  depressi,  divisi  a  setti  longitudinali  cor- 
rispondenti a  12  o  15  spicchi.  Buccia  consistente,  abbastanza  sottile, 
molto  aderente  alla  polpa  di  color  grigio-giallastro  contenente  un  succo 
leggermente  acido  ed  aromatico.  Semi  grossi  ed  abbastanza  numerosi. 
Diametio  longitudinale  mm.  40-60;  trasversale  mm.  56-70. 

L'albero  arriva  appena  a  3  metri  d'altezza  ed  è  molto  ornamentale. 

Si  chiama  melarosa  perchè  l'essenza  che  si  ricava  dai  frutti  emana 
un  odore  soave  di   rosa. 

e)  Citrus  Sijriacum.  Albero  di    media  grandezza,   più    rustico    del 
limone. 

Foglie  grandi  di  color  verde  cupo. 

Fiori  simili  a  quelli  del  limone,  ma  i  frutti  sono  più  grossi,  globu- 
lari, depressi,  gialli,  a  buccia  più  sottile. 

I  frulli  si  confettano  quando  sono  ancora  verdi.  A  maturazione 
completa  non  riescono. 

E'  una  varietà  di  bergamotto  a  frutti  voluminosi. 

Si    riproduce  per   talea    o  per   seme    e   si  innesta    anche   sul    me- 

l:111'ToIo. 

Limetta  (Gilrus  limetta  Risso).  —  Nomi  volgari    stranieri  del  frullo 
—  Frane:  Limeltier  —  Ing.:  Swel  Lime  or  Lemon  Bergamotte. 
Ma  il  portamento  e  le  foglie  del  limone,  con  rami  ascendentali. 


-  871  - 

Fiori  bianchi,  piccoli,  con  un  odore  piacevole  e  particolare,  ma 
poco  profumati. 

Frutti  più  o  meno  grossi  secondo  la  varietà,  di  forma  poco  diversa 
da  quella  del  limone,  di  color  giallo-pallido,  ovali  od  arrotondati,  prov- 
visti di  un  capezzolo  cinto  più  o  meno  da  un  solco.  Hanno  un  profumo 
delicatissimo.  Le  vescicole  dell'olio  essenziale  sulla  corteccia  sono 
concave.  La  polpa  è  dolce,  un  poco  acida  ma  profumata  ed  aljbastanza 
piacevole. 

Questa  specie,  da  molti  ritenuta  per  un  ibrido  dell'arancio  col 
limone,  è  anche  chiamata  arancio  dolce.  Nel  Brasile  è  comunissima  ed 
i  frutti  si  mangiano  allo  stato  naturale  o  confettati. 

In  Italia  abbiamo  coltivate  le  seguenti  varietà  : 

a)  Limetla  ordinaria  (Citrus  Limetta  viilgaris)  chiamata  anche  dai 
Napoletani  e  Calabresi,  Linwncello  di  Spagna. 

11  frutto  è  piccolo,  sferico,  all'apice  depresso,  portante  un  capez- 
zolo ottuso  e  cinto  alla  sua  base  da  un  solco  profondo,  che  rende  il 
frutto  assai  riconoscibile.  E'  di  colore  giallo-verdino;  la  polpa  è  dolce, 
poco  sapida,  ma  deliziosissima  pel  suo  profumo  particolare. 

Si  moltiplica  per  seme,  per  talea  e  per  innesto. 

b)  Limetta  acida  (C.  L.  acida)  o  Limone  a  frutto  acre. 
Si  distingue  dalla  precedente  per  la  sua  polpa  acida. 

La  coltivazione  è  molto  limitata  e  più  che  altro  la  si  fa  per  il  pro- 
fumo dei  suoi  frutti.  Si  coltiva  come  il  limone. 

Lumia  (Citrus  lumia  Risso).  —  Anche  questa  specie  ha  forme  in- 
termedie fra  il  limone  e  l'arancio  e  viene  considerata  come  un  ibrido. 

Ha  difatti  il  fusto,  rami  e  foglie  quasi  identici  a  quelli  del  limone  ; 
i  fiori  di  fuori  rossi  ;  i  frutti  per  la  forma,  per  la  corteccia  e  per  il 
colore  sono  identici  a  quelli  del  limone  però  sono  più  grossi,  ma  la 
polpa  è  dolce  anziché  acida. 

I  frutti  da  noi  non  sono  commestibili  come  ai  tropici. 
Differisce  dalla  limetta  soltanto  per  i  fiori  rossi  al  di  fuori. 
Le  varietà  più  coltivate  in  Italia   sono   le    seguenti  : 

a)  Lumia  arancio  (Citrus  Lumia  aarantiaca). 
In  Calabria  chiamato  Limone-portogallo.  Ha  foglie  ovato-bislunghe. 
acute,  dentate;  frutti  oblunghi,  all'apice  mammellati;  corteccia  alquanto 
sottile  ;  polpa  gialla  rosseggiante,  dolce. 

Si    distingue    pel   frutto    che   esternamente    ha   l'aspetto    d'arancio 
dolce  e  dentro  ha  la  polpa  acida. 
Si  coltiva  a  Reggio  Calabria. 
h)  Lumia  pera  del  Commendatore  (C.  lumia  pijriformis). 

II  Risso  fa  la  seguente  descrizione  : 

Foglie  ovali  terminate  a  punta  accorciata,  con  leggerissima  denta- 
tura, portate  da  un  picciolo  alato  come  nell'arancio. 

F"iori  violetti  esternamente,  molto  grandi  con  30  a  36  stami.  Ovario 
verde,  allungato,  sormontato  da  uno  stilo  violetto. 

Frutto  grosso,  piriforme,  liscio  di   color   verde-pallido    con   polpa 


—  cS72  - 

bianca  molto  grossa,  simile  a  quella  dell'arancio  non  maturo.  Granelle 
abbastanza  numerose,  corte,  aggrinzile,  rossastre  dalla  parie  della  calaza. 

Si  coltiva  poco  e  si  riproduce  per  talea  o  si  innesta  sul  melangolo. 

Limone  (Cilrus  Limonum  Risso)  (fìg.  (345-646).  —  Nomi  volgari  slra- 
iiieri  del  frnllo  —  Frane:  Limonier  —  Ted.:  Citronenbaum. 


Fig.  645.  —  Pianta  di  limone. 


luslo  arborescente,  dà  legno  tenero,  con  rami  pieghevoli,  allun- 
gati, pendenti,  llessibili,  talvolta  spinosi. 

Foglie  di  color  verde  più  chiaro  di  quello  delle  foglie  degli  aranci  ; 
ovali  od  oblunghe,  la  maggior  parte  dentate;  picciolo  nudo,  semicilindrico. 

(ieiinogli  di  color  rosso-violaceo. 

Fiori  medi,  più  piccoli  di  quello  dell'arancio,  con  sfumatura  rosea 


—  873  — 

al  disotto,  bianchi  di  dentro,  cinque  petali,  slami  poliadelfi  e  talvolta 
liberi  ;  ovario  prima  verde,  poi  rosso,  infine  verdastro,  sormontato  da 
uno  stilo  cilindrico  (lìg.  (i4fi). 

Frutto  ovoidale  appuntito  da  ambe  le  estremità,  colla  buccia  giallo- 
verdina  (color  limone)  o  giallo  chiaro,  liscia,  rugosa  o  solcata,  termi- 
nante in  una  sporgenza  mammelliforme  più  o  meno  lunga.  Buccia  ordi- 
nariamente sottile  coriacea  colle  viscichette  d'olio  essenziale   concave. 


Ramo  fruttifero  di  limone. 


Polpa  abbondante,  contenente  un  succo  acido,  aromatico,  gratissimo. 
Seme  più  piccolo  che  negli  altri  agrumi  e  coperto  da  una  membrana 
giallastra. 

La  pianta  vive  circa  70  anni.  Cresce  rapidamente  fino  a  20  anni. 

Sono  molte  le  varietà  di  limoni,  poiché  si  moltiplica  per  semi.  Di 
ibridi  ve  ne  sono  parecchi. 

Risso  e  Poiteau  nella  classica  loro  opera  Hisloire  natiirelle  des 
orangers  descrivono  una  cinquantina  di  varietà  di  limoni  illustrandoli 
contemporaneamente. 


—  874  - 

Le  varietà  principali  che  meritano  d'essere  citate  sono  le  seguenti: 
a)  Limone  selvatico.  È  il  tipo  delia  specie  i  di  cui  frutti,  quantunque 
piccoli  (6  a  7  centimetri)  sono  molto  apprezzati    per   la   loro  bontà.  È 
poco  coltivato  causa  le  molte  spine  che  portano  i  suoi  rami. 

h)  Limone  incomparabile.  Chiamato  così  dal  Ferrari  per  la  beltà 
e  qualità  del  frutto. 

Fusto  di  media  grandezza,  rami  divaricati  ed  i  germogli   rossastri. 
e)  Limone  di  Calabria.  Chiamato  cosi  perchè  pare  che  in    questa 
regione  lo  si  coltivi  da  più  lungo  tempo.  Fusto  poco  elevato,  rami  pic- 
coli, confusi,  divergenti  e  muniti  di  piccole  spine. 

Foglie  medie,  ovali  arrotondate,  di  un  bel  color  verde,  dentate. 
Peduncolo  leggermente   alato. 

I  fiori  si  trovano  per  lo  più  all'estremità  dei  rami  ed  espandono 
un  leggero  odore  di  mughetto.  Portano  5  o  6  petali,  stretti,  oblunghi, 
appuntiti. 

Frutti  piccoli,  ovoidali,  quasi  arrotondati,  glabri,  consistenti,  pesanti, 
di  color  giallo  pallido  e  di  un  odore  aggradevolissimo.  La  buccia  ab- 
bastanza sottile,  aderisce  alla  polpa  che  è  divisa  in  8  o  10  logge,  conte- 
nente un  succo  acido. 

Questa  varietà  è  affine  al  limone  piccolo,  soltanto  la  pianta  è  più  alta, 
il  frutto  più  grosso.  Lunghezza  4-5  centimetri. 

d)  Limone  piccolo.  E'  si  può  dire,  la  pianta  nana  della  specie  dei 
limoni  e  lo  si  coltiva  per  curiosità.  I  frutti  sono  piccolissimi,  lunghi 
da  3  a  4  centimetri,  quasi  rotondi,  di  color  giallo-verdastro,  con  un 
succo  acido  molto  piacevole. 

Viene  coltivato  per  ornamento. 

e)  Limone  Bignetta.  E'  la  varietà  più  apprezzata  in  commercio 
perchè  sopporta  i  trasporti;  i  frutti  sono  molto  succosi  e  la  ])ianta  è 
assai  produttiva. 

Scorza  dell'albero  liscia,  rami  corti  ed  i  giovani  rami  hanno  una 
sfumatura  rosea. 

Foglie  ovali,  oblunghe,  appuntite,  dentate  di  un  bel  color  verde, 
portato  da  un  picciolo  non  alato. 

Fiori  sovente  disposti  a  corimbo,  con  sfumature  rosee  al  di  sotto, 
con  5  a  6  petali. 

Frutti  ovoidali,  o  rotondi  lunghi  6-7  centimetri,  abbastanza  lisci, 
giallo-verdastri,  terminati  da  una  sporgenza  mammelliforme  ottusa, 
corta.  Buccia  sottile,  aderente  alla  polpa,  la  quale  è  divisa  in  10-22 
logge,  contenenti  molto  succo. 

Si  presta  molto  anche  per  la  coltivazione  in  vaso. 
/)  Limone  Ponzino.  Ha  il  fusto  alto,  vigoroso,  con  molti  rami  spi- 
nosi e  coi  germogli  rosso-porpora. 

Foglie  ovali,  terminanti  a  punta  accorciata,  dentata,  un  poco  crespata, 
di  color  verde-gaio,  con  grosso  picciolo. 

I  fiori,  talvolta  riuniti  a  mazzetto  all'estremità  dei  rami,  rosei  al 
di  sotto,  hanno  fino  a  6  petali. 


—  875  — 

Frutto  grosso,  obovale,  lungo  cm.  11  a  13  e  largo  8  a  9,  niainmel- 
lonato  all'estremità,  striato  da  un  lato.  Buccia  di  color  giallo,  grossa, 
compatta,  poco  aderente  alla  polpa  che  contiene  un  succo  poco  acido, 
ma  abbondante. 

Di  solito  il  frutto  non  porta  semi. 
g)  Limone  ordinario.  Fusto  slanciato  con  scorza  liscia,  grigia  con 
rami  lunghi  e  corti. 

Foglie  grandi,  ovali,  oblunghe,  appuntite  alle  due  estremità,  dentate 
irregolarmente,  portate  da  lunghi  piccioli. 

Fiori  grandi,  violacei  al  di  fuori  con  25  a  30  stami. 

Frutti  medi,  lunghi  cm.  8-9  e  larghi  cm.  5,  ovali-oblunghi-lisci,  di 
color  giallo-pallido,  terminati  da  una  sporgenza  mammelliforme  acuta. 
Buccia  sottile,  molto  aderente  alla  polpa  che  è  giallo-grigia,  e  contiene 
un  succo  acido,  abbondantissimo. 

I  semi  sono  oblunghi,  più  o  meno  perfetti. 

I  frutti  di  questa  varietà  nella  prima  fioritura  sono  più  allungati 
di  quelli 'della  seconda  e  terza. 

E'  la  varietà  più  coltivata  in  piena  terra  per  il  commercio. 
h)  Limone,  a  grappoli.  Si  distingue  perchè  i  frutti  a  grappoli  rag- 
giungono tutti  la  completa  maturazione. 

Fusto  con  corteccia  grigio-scura;  rami  molto  numerosi,  divergenti, 
muniti  di  qualche  spina  cortissima. 

Foglie  ovali,  corte,  di  color  verde-gaio. 

Fiori  grandi,  riuniti  a  mazzetto,  porporini  al  di  sotto. 

Frutti  medi,  lunghi  cm.  9-12,  larghi  cm.  6-7  riuniti  in  gran  numero 
sul  medesimo  grappolo  od  aventi  ciascuno  un  peduncolo  particolare. 
Forma  ovale,  allungata,  panciuti,  leggermente  rugosi,  terminati  da  una 
appendice  mammelliforme  all'estremità,  molto  allungata  e  curva.  Buccia 
sottile,  polpa  di  color  grigio,  giallastro,  divisa  in  8-10  logge,  contenenti 
un  succo  abbondante,  acidissimo. 

Tutti  i  semi  ordinariamente  abortiscono. 

Varietà  molto  produttiva. 

i)  Limone  d'Amalfi.  Fusto  alto  con  scorza  cenere  ;  rami  numerosi, 
fragili  ed  armati  di  lunghe  spine. 

Foglie  oblunghe,  appuntite,  un  poco  ondulate  ai  lembi,  leggermente 
dentate,  di  color  verde-pallido,  con  picciolo  lungo,  giallastro. 

Fiori  leggermente  porporini  al  disotto,  ordinariamente  riuniti  a 
grappoli,  calice  tubercoloso,  corolla  composta  di  5  a  10  petali  ineguali. 

Frutto  grosso,  oblungo,  molto  appuntito  ed  avente  verso  l'estremità 
un  capezzolo  molto  sporgente  ed  acuto.  Buccia  di  spessore  medio,  te- 
nera, di  color  giallo-pallido,  aderente  alla  polpa  che  contiene  molto 
succo  acido.  Di  rado  si  trovano  dei  semi. 

Dimensioni  del  frutto:  lung.  cm.  10-16;  largh.  cm.  4-8. 

l)  Limone  di  Messina.  Frutti  ovoidali,  rugosi,  spesso  tubercolati, 
i  quali  portano  all'apice  una  mammella  conica,  e  nella  base  un  mam- 
mellone ottuso.  Membrane  delle  logge  forti  e  spesse,  le  cellule  contengono 


—  876  - 

mollo  succo  acido.  Buccia  grossa  e  compalla,  giallo-chiara.  Resisle 
ai  lunghi  Irasporti. 

Il  limone  è  dilVuso  lungo  tutla  la  costa  del  Mediterraneo,  è  meno 
esigente  dell'arancio  per  il  terreno  però  più  delicato  per  le  intemperie. 

Nelle  buone  condizioni  è  molto  fruttifero  e  la  maturazione  dei 
frulli  è  progressiva  quasi  continua  per  tutto  l'anno.  Difatti,  la  fioritura 
è  pressoché  continua. 

I  limoni  che  si  hanno  in  Liguria  si  distinguono  specialmente  per 
il  loro  profumo,  mentre  sono  più  abbondanti  di  succo,  i  limoni  della 
Sicilia. 

II  limone  non  è  tanto  esigente  per  il  clima,  ma  gli  è  quasi  neces- 
saria la  irrigazione  durante  tutto  l'estate. 

Si  innesta  sul  limone  franco  e  sul  melangolo. 

Secondo  la  natura  del  terreno  e  l'esposizione,  si  alleva  a  spalliera 
contro  i  muri  oppure  a  mezzo  vento,  alla  distanza  di  3-4  metri.  Occorre 
un  diradamento  annuale  dei  rami  facendo  degli  speroni,  poiché  dalla 
estremità  dei  germogli  che  nascono  nell'annata,  si  sviluppa  nella  sta- 
gione successiva  l'infiorescenza. 

Cedro  (Citrus  medica  L.)  (fig.  647).  —  Nomi  volgari  sUanierì  del 
fruito  —  Frane.  :  Cedratier  —  Ingl.  :  Gitron  or  cedrai. 

Differisce  dal  limone  pei  rami  più  corti  e  rotondi  ;  per  le  foglie  più 
strette,  i  frutti  [)iù  grossi  e  verrucosi  a  buccia  più  tenera  e  con  la  polpa 
meno  acida. 

Non  si  eleva  ad  albero,  né  si  può  conservare  a  spalliera  perchè  ha 
rami  brevi,  rigidi,  inermi  o  spinosi. 

Foglie  verdi  chiare,  bislunghe,  almeno  tre  volte  più  lunghe  che 
larghe,  coriacee  e  dentate.  Picciolo  nudo,  rigonfio. 

Fiori  esternamente  violacei.  Stami  30-40. 

Frutto  grosso,  oblungo,  tubercoloso-rugoso,  di  fuori  di  color  giallo- 
chiaro.  Sarcocarpo  abbondante,  bianco,  dolciastro,  mangiabile,  aderente 
alla  polpa,  che  è  acida,  biancastra  e  poca  o  quasi  nulla,  relativamente 
alla  massa. 

I  semi  sono  coperti  da  una  membrana  rossastra  con  mandorla  bianca. 

Del  cedro,  col  tempo  si  sono  formate  delle  varietà,  ma  poche  in 
confronto  alle  altre  specie  di  agrumi.  Le  principali  sono  le  seguenti  : 
a)  Cedro  ordinario.  Radice  grossa,  ramosa,  gialla  alla  sezione. 

Fusto  diritto  di  color  grigio-biancastro,  con  dei  rami  rari,  divisi, 
muniti  di  lunghe  spine.  Germogli  angolari  e  rosso-violacei. 

Foglie  oblunghe,  di  grato  odore,  quasi  egualmente  larghe  agli  estremi 
e  nel  mezzo,  grosse,  di  color  verde-carico,  qualche  volta  arrotondate 
alla  base;  più  o  meno  dentate;  picciolo  corto,  non  alato. 

Fiori  con  5  petali  rossi  o  violacei  di  fuori  come  quelli  del  limone. 
Pistillo  spesso  abortito. 

ImuIIo  di  varia  grandezza;  nello  sviluppo  è  di  color  rosso -porpora; 
poi  inverdisce  ed  a  maturazione  acquista  un  bel  colore  giallo-zafferano, 
lucido.  Forma  oblunga,  più  gonfia  all'estremità  che  alla  base,  e  termi- 


nante  a  capezzolo  allungalo.  Buccia  tubercolata,  aromaticissima  ;  sar- 
cocarpo  grosso,  dolciastro,  aderente  alla  polpa  biancastra,  acida. 

Semi  numerosi,  appuntiti,  arcuati,  rigonfi  all'estremità. 

Si  moltiplica  per  talea  e  per  innesto  sul  melangolo. 

II  frutto  si  manda  nei  paesi  orientali  per  uso  degli  Ebrei,  per  cele- 
brare la  loro  Pasqua  nel  mese  di  agosto.  Se  ne  coltiva  a  Reggio-Ca- 
labria ed  in  Sardegna  in  gran  quantità. 

E'  molto  coltivato  in  Italia,  dove  è  possibile  la  coltivazione  degli 
agrumi  ed  è  apprezzato  anche  per  ornamento  essendo  una  pianta  sempre 


Fig.  647.  -  Cedro. 


bella,  in  continua  vegetazione  e  che   porla   sempre  simultaneamente  e 
fiori  e  frutti. 

b)  Cedro  ciiciirbitalo.  Con  foglie  quasi  crespe,  frutti  grandi  a  fog- 
gia di  zucca,  donde  il  suo  nome.  Si  può  ritenere  per  una  subvarietà 
della  pi-ecedente. 

e)  Cedro  di  Salò.  Albero  medio,  con  rami  diffusi  e  muniti  di  spine. 

Foglie  oblunghe,  spesse,  dentate,  di  un  bel  color  verde,  con  piccioli 
corti,  non  alati. 

Fiori  porporini,  abbastanza  grandi. 

Frutti  di  media  grandezza,  lungh.  8-10;  largh.  6—5-9,  ovali  un  poco 
a  trottola,  con  all'estremità  un  grosso  capezzolo  lungo  da  un  terzo  ad 
un  quarto  del  frutto.  Buccia  abbastanza  consistente,  bianca  e  saporita, 
polpa  secca,  leggermente  acida  e  divisa  in  8  a  10  logge. 

Semi  numerosi,  grossi,  oblunghi. 

Pianta  abbastanza  resistente  ai  freddi. 
d)  Cedro  di  Firenze.  E'  molto  ricercato  per  la  bella  forma,  per  la 
sua  fertilità,  per  i  fiori  molto  profumati  e  per  i  frutti  eccellenti. 

Fusto  poco  elevato,  grigio,  con  rami  diritti,  spinosi. 


-  878  — 

l'oglie  ovali,  denlale,  di  color  verde-pallido,  con  picciolo  non  alato. 

l'iori  porporini  all'esterno,  riuniti  a  mazzetto  all'estremità  dei  rami, 
in  parte  sterili. 

Fruito  giallo-dorato,  lucente,  lungo  N-10  cm.  e  largo  6,  5-8  cm.  Si 
distingue  dagli  altri  cedrati  per  la  piccolezza  e  per  la  forma  del  frutto 
che  è  più  larga  alla  base  che  all'apice,  dove  termina  in  punta.  Sarco- 
carpo  piacevole  ;  polpa  verdastra,  leggermente  acida,  divisa  in  8-10  logge. 

I  semi  ordinariamente  abortiscono. 

e)  Cedrino  di  Reggio.  Si  distingue  dal  cedro  di  Salò  per  la  forma 
del  fruito  che  é  gibboso  da  un  lato.  Uippiù  ha  polpa  acida  e  piacevole. 
Fornisce  una  essenza  delicata  e  pare  provenga  da  Salò.  Si  coltiva  nelle 
nostre  riviere. 

II  frutto  non  è  commestibile  direttamente,  ma  serve  specialmente 
per  preparare  confetture. 

In  Italia,  i  più  bei  cedri  si  hanno  dalla  Sardegna  e  dalla  Calabria. 

Richiede  buonissima  esposizione  e  clima  caldo.  Nei  terreni  compatti 
e  freddi,  va  soggetto  facilmente  al  marciume  delle  radici. 

Si  moltiplica  facilmente  per  talea.  Non  vi  ha  interesse  di  inneslarlo 
sul  melangolo. 

Arancio  trifogliato  (Citrus  triptera  L.).  —  Frane:  Oranger  à  trois  ailes. 

Originario  della  China.  Forma  un  albero  cespuglioso  di  m.  1,50  a  2, 
molto  frequente  nei  giardini  dell'alia  Italia;  è   rusticissimo  e    spinoso. 

Foglie  sino  a  tre,  lunghe,  molto  dure  e  caduche. 

Fiori  grandi,  rosacei  e  bianchi,  che  danno  dei  frutti  sferici  e  glo- 
bulosi,  cosloluli,  giallo-pallidi,  non  aventi  alcun  valore  alimentare.  Ema- 
nano un  odore  non  molto  gradito. 

Questo  albero  si  può  utilizzare  per  fare  delle  siepi  insormontabili 
ed  impermeabili.  Tollera  bene  il  taglio.  Le  lunghe  spine  sono  molto 
dure.  E  un  eccellente  porla  innesto  per  tutti  gli  agrumi. 

Sopporta  bene  il  freddo  della  Lombardia. 


Clima  per  gli  agrumi. 

Gli  agrumi  richiedono  un  clima  costantemente  caldo,  umido,  alti- 
tudine moderala  e  situazione  difesa  dai  venti.  Vegetano  bene  nella  zona 
torrida  e  sotto  1'  equatore,  quando  trovano  nell'aria  e  nel  terreno  l'umi- 
dità che  a  loro  è  necessaria. 

Per  il  nostro  emisfero,  la  zona  degli  agrumi  è  circoscritta  fra  il 
35°  ed  il  42°  di  latitudine;  essa  quindi  comprende  oltre  la  Sicilia  e 
Sardegna,  tutta  l'Italia  meridionale  e  parte  della  centrale.  In  Europa  si 
coltivano  lungo  tutta  la  riviera  del  Mediterraneo  ed  in  parte  dell'Allan- 
lico.  In  Spagna  non  passa  i  37"  di  latitudine. 

Sono  piante  delicate,  le  quali  resistono  ad  una  temperatura  mas- 
sima estiva  di  lU",  e  ad  una  massima  invernale  di  -f  2»  C.  Alla  tempe- 
ratura di  3  1"  C.  sotto  zero  perdono  le  foglie  ed  a  —    9»   C.    muoiono. 


—  879  - 

Di  tutte  la  regioni  italiane,  la  Sicilia  è  la  più  adatta  per  la  coltivazione 
degli  agrumi,  dove  si  ha  una  temperatura  media  invernale  di  10  a  14"  C. 
Se  noi  vediamo  prosperare  gli  agrumi  sulle  nostre  riviere  del  Mediter- 
raneo, lo  si  deve  alla  costanza  di  temperatura  ed  alla  loro  posizione 
riparata  dai  venti  di  tramontana  e  ponente.  Sul  lago  di  Garda,  le  col- 
tivazioni in  piena  terra,  vengono  riparate  durante  l'inverno  da  apposite 
invetriate. 

L'arancio  è  più  resistente  ai  freddi  del  limone. 

Nell'Italia  meridionale,  gli  agrumi  non  oltrepassano  l'altitudine  di 
m.  100  in  Liguria  arriva  a  m.  200  ed  in  Algeria  e  nelle  isole  Azzorre, 
arriva  a  m.  600. 

Terreno. 

Gli  agrumi  richiedono  un  buon  terreno  profondo  e  permeabile  ; 
perchè  le  loro  radici  possano  allungarsi,  bene  esposto,  perchè  non 
soffrano  per  il  gelo;  fertile  ed  irrigabile  per  alimentare  l'attività  con- 
tinua delle  piante  in  tutte  le  stagioni,  essendo  piante  sempre  verdi.  Oc- 
corre che  il  terreno  sia  fresco,  ma  non  umido  perchè  l'umidità  ecces- 
siva è  causa  di  malattie  e  spesso  della  morte  della  pianta. 

Nei  terreni  eccessivamente  sabbiosi  gli  agrumi  non  fanno,  cosi  pure 
in  quelli  ai'gillosi  o  calcari.  Un  terreno  composto  per  metà  di  sabbia,  un 
terzo  di  argilla  ed  un  quinto  fra  calcare  ed  Imnius,  è  il  più  conveniente. 

Fra  diverse  specie  di  agrumi  i  bergamotti  tollerano  i  terreni  più 
compatti  ed  argillosi;  i  limoni  ed  i  cedri  i  terreni  più  sciolti. 

La  giacitura  più  conveniente  è  quella  leggermente  inclinata,  dove  le 
acque  anche  dei  terreni  circostanti  si  smaltiscono  con  facilità.  Seguono 
poi  la  pianura  con  sottosuolo  permeabile  e  dopo  i  terreni  molto  inclinati. 

L'esposizione  più  propria  è  generalmente  quella  a  mezzogiorno, 
meno  in  alcune  località  della  Sicilia,  come  nel  territorio  di  Siracusa, 
dove  non  essendo  riparati  dai  venti  africani,  troviamo  su  quel  versante 
l'olivo,  il  carrubbo  invece  degli  agrumi. 


Moltiplicazione. 

La  moltiplicazione  si  può  fare  per  seme,  per  talea,  per  margotta  e 
per  innesto. 

Le  semine  si  fanno  in  piena  terra,  purché  questa  sia  buona,  franca 
e  ben  preparata  ed  in  un'epoca  nella  quale  non  si  temono  più  i  danni 
del  gelo.  Si  prendono  i  semi  dalle  frutta  più  belle,  più  mature  e  di 
piante  esenti  da  gommosi.  Questi  si  collocano  alla  profondità  di  3  cen- 
timetri ed  a  righe  distanti  20  cm.  fra  loro,  e  6  cm  sulla  fila.  Si  coprono 
con  terra  ed  il  terreno  si  mantiene  fresco  con  annallìature  e  coperture 
di  stramaglia.  L'epoca  più  opportuna  per  la  semina  è  dalla  fine  di 
marzo  a  tutto  aprile. 


-  880  - 

Nelle  primavere  calde,  i  semi  germinano  presto  —  incirca  dopo  15 
giorni  —  se  la  temperatura  si  mantiene  ira  15  e  16  gradi.  Ogni  seme 
produce  3-4  piantine  ma  se  ne  mantiene  una  sola,  la  migliore.  Questa 
operazione  si  fa  quando  si  è  sicuri  dell'attechimento  della  pianta  che 
rimane.  Contemporaneamente  si  leva  la  stramaglìa,  si  raschia  e  si  ha 
cura  di  mantener  il  terreno  sempre  fresco  con  irrigazioni. 

Il  trapianto  si  fa  nella  primavera  successiva  e  le  piantine,  alle  quali 
si  spunta  il  fittone,  si  collocano  nella  piantonaia  a  90  cm.  di  distanza, 
avendo  cura  che  abhiano  luce,  calore  e  freschezza  nel  terreno.  Nel 
secondo  e  terzo  anno,  si  spuntano  i  germogli  laterali,  per  lasciare  solo 
il  prolungamento,  da  formare  il  fusto.  Nel  quarto  anno  o  si  trapiantano 
ancora,  accorciando  tutte  le  radici,  lasciandole  un  paio  d'anni  nel 
nuovo  vivaio,  oppure  si  innestano  se  hanno  la  grossezza  di  un  centimetro. 

Si  usa  molto  anche  la  moltipicazione  per  margotta  a  ceppala  e  per 
mezzo  di  vasi,  si  margottano  in  autunno  ed  in  primavera  e  sempre  i 
rami  giovani  che  sorgono  dal  centro  della  pianta  e  fra  i  più  fruttiferi. 
Le  margotte  a  ceppala  si  staccano  dopo  due   anni   dalla  pianta  madre. 

La  talea  è  solo  usata  per  il  limone  e  cedro.  Si  adoperano  rami 
belli,  robusti,  dì  almeno  due  anni  e  con  questi  si  fanno  la  talee  di 
50  cm.  di  lunghezza  che  si  sotterrano  totalmente  meno  tre  gemme.  Le 
talee  non  devono  portare  spine  e  le  foglie  si  levano  lasciando  soltanto 
la  base  del  picciolo.  Le  piantine  che  si  ricavano  dopo  tre  anni  di  vi- 
vaio, sono  però  poco  robuste,  poco  longeve  e  per  questa  ragione,  la 
moltii^licazione  per  talea  non  è  consigliabile. 

(ili  agrumi  si  possono  innestare  suW Arancio  amaro  o  melangolo 
(Cilriis  Bigaradia),  suìV Arancio  dolce  (Cilrus  auranlium)  sul  Limone 
(Cilrns  Limonnm).  Questi  diversi  soggetti  si  ottengono  per  seme. 

L'arancio  amaro  o  melangolo  è  il  soggetto  più  frequentemente  ado- 
perato :  è  quello  che  dà  le  piante  più  vigorose,  di  maggior  sviluppo  e 
più  longeve  ed  è  perciò  preferito  dove  gli  agrumi  si  allevano  ad  alto 
fusto.  Questi  soggetti  resistono  alla  malattia  della  gomma. 

L'arancio  dolce  dà  soggetti  robusti  ed  assai  resistenti  al  freddo:  la 
fruttificazione  del  nesto  avviene  sollecita  ed  abbondante;  i  frutti  sono 
di  miglior  qualità  di  quelli  innestati  su  melangolo.  È  riservato  per  le 
forme  basse. 

11  limone  non  si  adatta  che  per  le  piante  di  limitato  sviluppo  quali 
sono  quelle  che  si  allevano  in  conca. 

Anche  il  cedro  di  Corsica  si  adopera  talvolta  con  vantaggio:  si  mol- 
tiplica per  talea;  come  pure  per  talea   sì   può    moltiplicare   il   limone. 

Nel  Giappone  e  nella  China  si  adoperano  come  soggetti  il  Cilrus 
japonica  e  il  C.  trifogliato. 

L'innesto  migliore  è  quello  a  gemma  dormiente,  sopra  soggetti  di 
due  anni  quantunque  si  possa  usare  anche  quello  a  gemma  vegetante, 
e  per  le  piante  di  5-H  anni,  quello  a  spacco,  a  corona  e  cosi  vìa.  L'innesto 
si  fa  wA  vivaio  e  poi  si  trapiantano  a  dimora  ì   soggetti  già  innestati. 

Uua  pianta  franca  non  arriva  a   fruttificare  che  a  10-12  anni  d'età. 


—  881  — 

Coltivazione  e  Malattie. 

L'iinpianfo  degli  agrumi  a  dimoi'a  in  piena  terra,  si  fa  di  solito  in 
quei  terreni  che  per  alcuni  anni  sono  stati  coltivati  ad  orto  o  che 
hanno  avuto  una  accurata  preparazione  e  concimazione.  La  migliore 
epoca  dell'impianto  è  dal  marzo  all'agosto.  L'impianto  si  fa,  lasciando 
ai  soggetti  il  pane  di  terra  intorno  alle  radici. 


Fig.  01<S.  —  Agrumeto  di  mandarini  in  Sicilia. 

Per  i  limoni  conviene  tenere  la  distanza  da  metri  5  a  10;  gli  aranci 
da  metri  4  a  7  ed  i  mandarini  da  metri  4  a  5.  La  disposizione  migliore 
è  quella  a  quinconce. 

Piantato  l'agrumeto  (fig.  648),  il  terreno  ha  bisogno  di  almeno  due 
lavori  annuali,  in  novembre  e  in  marzo,  per  essere  mondato  dalle  ma- 
lerbe e  per  mantenerlo  soffice;  gli  abbisogna  poi,  una  concimazione 
annuale,  o  una  potatura  e,  nella  maggior  parte  delle  località,  del- 
l'acqua di  irrigazione. 

Per  le  malattie  vedi  pag.  500. 

56  —  Tamaro  -  FruilicoUura. 


—  882  — 


Irrigazione. 

In  generale  gli  agrumi  hanno  bisogno  assoluto  di  irrigazione,  da 
praticarsi  dalla  fine  della  primavera  all'autunno  inoltrato.  E  questo,  non 
soltanto  perchè  si  coltivano  nei  paesi  caldi,  ma  anche  essendo  gli 
agrumi  seuìpre  coperti  di  foglie  ed  in  continua  produzione  di  fiori  e 
frutta,  devono  avere  una  costante  dose  di  umidità,  per  alimentare  la 
loro  traspirazione. 

Il  prof.  Aloi  riferisce  che  negli  aranceti  di  Paterno  e  Francofonte, 
che  si  possono  considerare  come  i  migliori  della  Sicilia,  si  prodigano 
ogni  settimana  litri  400-500  di  acqua  per  pianta. 

Come  regola  generale,  per  ogni  irrigazione  conviene  dare  a  ciascuna 
pianta  di 

aranci da  litri  300  a  600 

bergamotti     ....  „        250  a  500 

cedri „        200  a  400 

limoni „        150  a  300 

mandarini      ....  „         100  a  200 

Le  acque  di  irrigazione  vengono  condotte  di  solito  a  mezzo  di  ca- 
naletti, ai  piedi  delle  piante,  attorno  alle  quali  si  scava  una  conca. 
Meglio  però  irrigare  per  imbibizione,  facendo  cioè  entrare  l'acqua  in 
canaletti  fatti  fra  pianta  e  pianta  e  lasciandovi  l'acqua  Uno  che  tutto 
il  terreno  vi  è  imbevuto. 

L'acqua  si  può  correggere  con  della  orina  ó  colaticcio  di  stalla; 
bisogna  poi  che  l'acqua  abbia  la  temperatura  che  si  avvicini  a  quella 
dell'aria.  Nelle  giornate  calde  la  pratica  ha  dimostrato  che  è  meglio 
irrigare  di  sera  ed  abbondantemente,  che  con  poco  e  di  frequente.  L'ir- 
rigazione si  fa  di  solito  coll'intervallo  di  8  a  15  giorni.  Le  piante  di- 
mostrano la  necessità  d'acqua  quando,  osservate  al  mattino,  le  foglie 
danno  accenno  ad  un  avvizzimento. 

Conciraazione. 

Il  prof.  Aloi  nel  suo  Manuale  Hoepli  sugli  Agrumi,  calcola  che  ogni 
pianta  di  agrume  esporta   le   seguenti  quantità  di  materie  fertilizzanti. 


Anidride 

NOMK 

DELLA  SPECIE 

Azoto 

Calce 

Potassa 

fosforica 

gr. 

gr- 

gr. 

gr. 

1^      Classe 

■  ■  ■  (    : 

1 

606,89 

789,46 

513,60 

1.35,98 

Arancio 

2 

423,42 

742.17 

386,28 

102,20 

3 

209,77 

514,44 

191,98 

54,62 

'  '  '  ì    : 

1 

450,24 

681,85 

511,42 

135,52 

Maiiilarìno 

2 

289,41 

533,79 

325,73 

90,58 

3 

144,99 

366,43 

160,81 

49,06 

\ 

1 

67.5,27 

895,63 

523,12 

134,01 

Limone 

]    ' 

2 

457,42 

605,41 

351,09 

85,90 

i 

3 

235,20 

482,91 

192,05 

52,22 

—  883  — 


E  ritenuto  che  in  ogni  ettaro  si  coltivano  in  media   400  piante   di 
'rumi,  la  asportazione  totale  sarebbe  la  seguente  per  ettaro: 


NOME  DELLA  SPECIE 

Azoto 

Calce 

Potassa 

Anidride 
fosforica 

in  Kg. 

in  Kg. 

in  Kg. 

in  Kg. 

1      Classe   1 

242,72 

315,78 

205,44 

54,35 

Arancio       .        .        .        .    s            ,2 

169,30 

296,86 

145,51 

40,88 

'             ,        3 

83,50 

205,77 

76,79 

21,84 

\             '        ^ 

182,49 

272,74 

204,.56 

54,20 

Mandarino                                         ,        ^ 

115,76 

213,51 

130,29 

36,23 

'            „        3 

57,96 

140,57 

64,32 

19,61 

\            '        ^ 

270,10 

358,01 

209,24 

.53,60 

Limone       ...                        ,2 

182,99 

242,16 

140,43 

34,36 

'            ,        3 

91,08 

193,16 

76,82 

20.88 

Parlando  della  applicazione  dei  concimi  agli  agrumi,  egli  dice  che 
l'agrumicoltore  può  valersi  di  quattro  metodi:  o  di  soli  concimi  natu- 
rali, o  di  soli  concimi  artificiali,  o  di  concimi  chimici  misti  allo  stal- 
latico, o  di  concimi  chimici  accoppiati  al  sovescio. 

Generalmente  parlando  sono  da  preferirsi  questi  due  ultimi  metodi, 
come  li  consiglia  il  prof.  Olivieri,  colle  seguenti  parole: 

Prendiamo  un  agrumeto  di  un  ettaro.  Si  dispone  il  terreno,  in 
autunno,  a  piccole  fossette,  equidistanti  cni.  60,  nelle  quali  si  spargono 
per  ettaro  600  kg.  di  scorie  Thomas  al  18%  di  anidride  fosforica-,  e  per 
i  terreni  privi,  o  quasi,  di  calce,  kg.  800  di  gesso  ad  uso  agricolo  misto  a 
terriccio   o  terra  crivellata,  e  quindi  vi  si  semina  il  lupino  o  la  favetta. 

In  dicembre  si  dispone  il  terreno  a  porche,  si  zappa  a  travi. 

In  febbraio,  o  meglio  alla  fioritura  delle  leguminose  si  falciano  le 
piante  e  si  distribuiscono  nei  solchi  e  quindi  si  zappa  il  terreno  a  tra- 
verso ed  in  piano,  in  modo  da  sotterrare  le  piante  falciate. 

In  aprile  o  in  maggio  si  dispone  il  terreno  per  le  irrigazioni  estive. 

Nell'anno  successivo,  febbraio  o  marzo,  si  sparge  attorno  ad  ogni 
pianta  di  agrume,  per  un  raggio  di  cni.  80,  praticandovi  una  conca  pro- 
fonda cm.  10,  gr.  800  di  solfato  ammoniaco  al  21  %  di  azoto  e  gr.  800  di 
cloruro  potassico  al  35%  di  potassa;  coprendo  il  tutto  con  un  leggiero 
straterello  di  terra.  Indi  si  attende  il  tempo  opportuno  per  la  irrigazione. 

Nel  terzo  anno  non  si  pratica  alcuna  concimazione. 

Nel  quarto  anno  si  riprende  la  rotazione  con  la  semina  delle  legu- 
minose e  cosi  successivamente. 

Dai  calcoli  fatti,  con  la  concimazione  minerale  associata  al  sovescio 
e  con  la  spesa  di  L.  422,70  abbiamo  fornito  ad  un'ettara  di  terreno: 

1.0  Anidride  fosforica    .        .        .        -Kg.  108,— 

2.0  Ossido  di  potassio   .        .        .        .      „  258,80 

3."  Azoto  minerale          .        .        .        .      „  110,80 
4.0  Azoto   organico   delle  leguminose 

sovesciate „  73,66 

5.0  Materia  organica       .        .        .        .       „  24555,— 


—  884  - 

Nella  concimazione  con  il  solo  stallatico,  ammettendo  che  ad  ogni 
pianta  di  agrume  si  assegnino  3  corbe  di  20  chilogrammi  ciascuna  di 
stallatico,  si  darebbero  al  terreno: 

1.0  Anidride  fosforica    ....      Kg.        90,— 
2."  Ossido  di  potassio    .        .        .        .        „        115,20 

3."  Azoto  totale „        127,80 

4."  Materia  organica      ..        .        .        „  21,60 

Da  questo  specchietto  si  rivela  che  lo  stallatico  con  una  maggiore 
spesa,  dà  minore  quantità  di  materia  organica  e  di  sostanze  fertilizzanti. 

Per  l'uso  dello  stallatico  consociato  ai  concimi  chimici  devonsi 
praticare  le  conche  profonde. 

In  novembre  o  dicembre  si  distribuisce  ad  ogni  pianta  di  agrume, 
per  un  raggio  di  m.  1,50,  praticandovi  una  conca  profonda  25  a  30  cm., 
kg.  30  di  stallatico,  misto  a  gr.  600  di  scorie  Thomas  ed  a  gr.  1200  di 
gesso  ad  uso  agricolo,  se  il  terreno  è  privo  o  quasi  di  calce. 

In  febbraio  o  marzo  del  secondo  anno,  si  distribuiscono  attorno 
ad  ogni  pianta  di  agrume,  come  si  è  detto  nella  concimazione  col  me- 
todo precedente  gr.  800  di  solfato  ammoniaco,  e  gr,  500  di  cloruro 
potassico. 

Nel  terzo  anno  non  si  pratica  alcuna  concimazione. 

Nel  quarto  anno  si  riprende  la  rotazione. 

Con  questo  sistema  di  concimazione  si  spendono  L.  563,80  in  più 
della  concimazione  con  lo  stallatico  e  L.  114,10  in  più  della  concima- 
zione con  il  metodo  del  sovescio. 

Le  materie  utili  che  si    forniscono    ad  un  ettaro  di   terreno,  sono: 

1."  Anidride  fosforica      ....  Kg.  109,80 

2."  Potassa „  216,60 

3.0  Azoto  totale „  164,70 

4."  Materia  organica        .        .        .        .        „  108,— 

Da  questo  quadro  si  rileva: 
1."  che  le  qualità  di   anidride    fosforica,   dell'azoto  e  di    potassa 
sono  quasi  eguali  a  quelle  fornite  con  il  solo  stallatico; 

2."  che  la  materia  organica  è  inferiore  alla   quantità   fornita   dai 
due  precedenti  sistemi  di  concimazione. 

La  scelta  dell'uno  o  dell'altro  metodo  è  subordinata,  secondo  il 
prof.  Olivieri,  alle  condizioni  locali  ed  alla  maggiore  o  minore  facilità 
di  procurare  il  letame  da  stalla. 

Usandosi  lo  stallatico,  la  concimazione  si  deve  praticare  al  prin- 
cipio dell'inverno,  per  dar  campo  alle  materie  organiche  in  putrefa- 
zione in  esso  contenute,  di  smaltirsi  i)ria  del  sopraggiungere  dei  calori 
estivi,  ed  impedire,  in  tal  modo,  lo  sviluppo  dei  germi  parassitari  che 
purtroppo  funestano  in  malo  modo  gli  agrumi. 

Dal  Giornale  "  l'Agricoltura  moderna  „  N.  !),  Anno  1912,  riporto  le  conclusioni  a  cui 
è  venuto  il  Dott.  !..  Calabro  colle  sue  esperienze  di  concimazioni  degli   agrumi  per  la 


—  885  — 

produzione  dei  verdelli.  Le   conclusioni   sono   importanti   perchè   si   riferiscono   anche 
all'applicazione  della  calciociananiide. 

1  ■  La  massima  |)roduzionc  dei  verdelli  che  una  pianta  può  dare  lino  ad  arrivare 
al  massimo  del  100%  si  ottiene  in  quegli  appezzamenti  che  ricevettero  una  razionale  con- 
cimazione invernale  con  stallatico  e  concimi  chimici,  fatta  però  astrazione  dal  solfato 
ammoniaco  e  dal  nitrato  che  è  bene  somministrare  due  volte  non  appena  finita  la  secca 
e  durante  le  ordinarie  irrigazioni. 

2."  Le  concimazioni  invernali,  siano  o  no  complete,  in  confronto  di  quelle  estive 
j)ure  complete  od  incomplete,  dimostrano  luminosamente  come  le  piante  destinate  a 
coltura  forzata  meglio  si  valgono  del  primo  metodo  che  del  secondo. 

Questa  conclusione  è  importantissima  ed  interessante  più  di  quanto  appare  a  prima 
vista,  jìoichc  producendosi  i  verdelli  sui  rami  giovani  dell'anno  stesso,  è  prudente  met- 
tere le  piante  nelle  condizioni  accennate  per  ottenere  abbondante  e  rimunerativo  pro- 
dotto. A  raggiungere  felicemente  lo  scopo,  ben  si  adatta  il  metodo  della  concimazione 
razionale  suesposto. 

:i°  L'azione  del  solfato  ammonico,  specialmente  nei  terreni  sciolti,  è  superiore 
all'azione  dispiegata  dal  nitrato  sodico,  sia  perchè  meglio  risponde  ai  bisogni  della  cul- 
tura, sia  perchè  mentre  per  il  primo  il  terreno  esercita  un  potere  assorbente,  per  quanto 
abbondantemente  irrigato,  il  contrario  avviene  per  il  nitrato  che  viene  disperso  dalle 
acque  negli  stati  profondi. 

1.»  La  concimazione  supplementare  dei  concimi  chimici  azotati  di  pronto  effetto, 
(piella  cioè  che  meglio  risponde  allo  scopo,  è  la  concimazione  con  solfato  ammonico 
e  nitrato  sodico,  in  proporzione  di  800  gr.  del  primo  e  200  gr.  del  secondo  e  ciò  perchè 
essendo  il  nitrato  direttamente  assimilabile,  esercita  uno  stimolo  d'immediato  effetto 
che  è  i)oi  continuato  dal  solfato.  La  calciocianamide  (800  gr.)  in  presenza  a  nitrato  so- 
dico (200  gr).  raggiunge  quasi  ugualmente  lo  scopo  del  solfato  ammonico,  accoppiato  al 
nitrato  sodico. 

,'j."  l>a  concimazione  sola  di  calciocianamide  confrontata  con  quella  di  nitrato 
sodico  e  di  solfato  ammonico,  dà  risultati  discreti  ed  esercita  un'azione  più  duratura. 

6."  Facendosi  la  concimazione  con  stallatico,  unitamente  alla  concimazione  chi- 
mica, come  generalmente  usasi  nelle  diverse  regioni  agrumarie  a  fine  di  secca,  si  viene 
ad  ottenere  un  esito  poco  felice  essendo  pochissima  la  zagara  prodotta,  e  ciò  per  natu- 
rale i.stiiito  di  conservazione  e  non  di  riproduzione.  Dopo  una  sì  lunga  secca,  non  tro- 
vando le  piante  gli  elementi  necessari  a  nutrire  i  frutticini  ed  a  favorire  1'  allegamento 
di  essi,  pensando  a  provvedersi  deira|)parato  vegetativo  e  non  di  quello  riproduttivo, 
massimamente  in  presenza  di  concimi  azotati  di  pronto  effetto. 

Dalle  esperienze  fatte  è  da  notare  anche  che  i  verdelli  prodotti  da  piante  conci- 
mate in  inverno  si  presentano  ben  proporzionati  in  grossezza  e  non  molto  sbiaditi, 
mentre  che  i  verdelli  raccolti  dopo  la  secca,  si  presentano  all'epoca  del  raccolto  imma- 
turi, sbiaditi  e  sproporzionati  in  grossezza,  a  causa  d"  un  rapido  e  maggiore  accresci- 
mento in  confronto  di  quelli  concimati  in  inverno,  e  tutto  ciò  in  dipendenza  del  fatto 
di  avere  a  disposizione  molti  materiali  assimilabili  in  un  periodo  di  massima  attività 
vegetativa. 

Grande  è  dal  lato  economico  l'importanza  del  colore,  poiché  i  verdelli  che  più  a 
lungo  si  mantengono  verdi  sulle  piante,  sono  ricercati  e  meglio  pagati.  Il  colore  dei 
verdelli  si  deve  essenzialmente  all'azoto,  il  quale  essendo  indispensabile  alla  forma- 
zione della  clorofilla,  ne  conserva  il  verde  nella  foglia  e  nel  frutto.  Qualche  agricoltore 
conscio  dell'importanza  di  quanto  abbiamo  detto,  per  raggiungere  bene  lo  scopo,  ado- 
pera per  le  piante  destinate  a  verdelli  e  nell'annata  di  massimo  prodotto,  una  conci- 
mazione supplementare  primaverile  di  kg.  100  di  nitrato  sodico  per  ettaro  ed  in  ragione 
di  250  gr.  per  pianta. 

Quindi  possiamo  concludere  che  nelle  formule  di  concimazione  da  usarsi  è  neces- 
saria la  presenza  di  tutti  e  tre  gli  elementi:  azoto,  potassa  e  fosforo,  e  il  difetto  di  uno  di 
essi  e  più  specialmente  dell'azoto,  può  esser  causa  principale  della  scarsa  maturazione. 
Infine  le  piante  di  limoni  destinate  a  coltura  forzata,  debbono  concimarsi  nella 
stagione  autimno-vernina  con  stallatico,  perfosfato  minerale,  solfato  potassico  e  gesso  e 
questa  concimazione  deve  essere  completata  con  l'estiva  di  solfato  ammonico  e  nitrato 
sodico. 


-  886  - 

Questo  metodo  farn  produrre  in  primavera  molti  germogli  nuovi  sui  quali  verrà 
in  estate  molta  zagara  Hi  verdelli,  slimolerà  le  piante  a  produrre  abbondante  frutto  fa- 
vorirà l'allegamento  di  esso,  ostacolerà  la  cascola  dei  frutticini  ed  alimenterà  il  frutto 
invernale  pendente:  fattori  tutti  questi  indispensabili  per  ottenere  dalla  coltura  forzata 
ottimi  ed  abbondanti  i)rodotti. 

Potatura. 

1.  L'opei-azione  del  taglio  è  indispensabile  agli  agrumi,  lìia  bisogna 
che  venga  fatta  con  un  certo  discernimento  ed  abilità.  Col  taglio  si 
deve  proporzionare  la  parte  produttiva  di  frutta  della  pianta  con  quella 
legnosa,  e  si  deve  favorire  la  forma  che  prende  naturalmente  la  chioma. 

Il  taglio  si  applica  do])o  il  grande  raccolto  dal  marzo  all'aprile. 

2.  Si  comincia  con  una  accurata  mondaliira,  tagliando  i  rami  su- 
perflui per  facilitare  il  prolungamento  delle  branche,  destinate  a  dare 
raiìii  fruttiferi. 

A  questo  scopo  si  recidono  1  succhioni  ed  i  rami  sterili,  tortuosi, 
quelli  troppo  ombreggiati  o  ritorti  nel  centro;  si  allontanano  tutti  1 
rami  rotti,  contusi,  deboli,  deperenti  o  che  si  incrociano.  Infine  se  la 
pianta  ha  emesso  delle  radici  superficiali,  si  svettano  anche  queste 
perchè  la  pianta  non  abbia  a  soffrire  per  la  siccità. 

3.  La  potatura  di  formazione  varia  naturalmente  a  seconda  della 
specie. 

Per  lo  più,  l'arancio,  il  mandarino,  il  melangolo,  ed  i  pompelmi, 
si  allevano  a  pieno  vento,  col  fusto  alto  da  m.  1.50  a  2.  Alla  chioma  si 
suole  dare  una  forma  globosa,  emisferica  od  ovoidale,  piena,  guarnita 
anche  esteriormente,  libera,  aereata  e  vuota  quanto  si  può  nell'interno. 

I  limoni,  le  limette,  i  cedri,  le  lumie,  inendono  per  lo  piij  la  forma 
a  mezzo  o  pieno  vento  con  la  chioma  allungata  ovoidale  o  cilindrica. 
Anche  per  queste  specie  bisogna  curare  lo  svasamento  nell'  interno 
della  chioma  per  quanto  è  possibile  e  la  si  fa  terminare  in  superficie 
piana,  orizzontale. 

Lungo  il  littorale  Ligure,  si  allevano  1  limoni  a  spalliei'a  contro  i 
muri  che  sostengono  le  terrazze  del  terreno.  La  spalliera  non  ha  una 
foriTia  determinata,  lìia  si  ha  cura  soltanto  di  allevare  i  rami  e  di 
stenderli  a  conveniente  distanza  in  modo  da  coprire  tutto  il  muro.  Non 
si  deve  naturalmente  alzare  di  una  impalcatura  la  pianta,  se  prima  non 
si  è  provveduto  di  cojM-ire  il  muro  in  basso.  Durante  l'estate  si  de- 
vono dirigere  ed  allevare  soltanto  i  germogli  meglio  situati,  esposti 
in  fuori  e  trovantisi  almeno  ad  una  distanza  di  20-25  cm.  uno  dall'altro. 
Allungandosi  troppo,  si  accorciano  col  potatoio,  sempre  durante  l'estate, 
sopra  la  cjuinla  foglia. 

4.  Potatura  di  produzione.  I  rami  a  frutto  degli  agrumi  sono  tanti 
brindilli  flessibili,  di  color  verde,  lunghi  da  5  a  20  cm.,  formatisi  nella 
stagione  precedente  e  che  si  trovano  sul  legno  di  due  anni.  Essi  por- 
tano i  fiori  soltanto  all'estremità.  Un'altra  particolarità  degli  agrumi  è 
quella,  che  essi  sono  provveduti  di  molte  gemme  latenti  in  modo,  che 


-  887  - 

amputando  dei  rami  di  due  e  più  anni,   vicino   alla  loro  inserzione,  si 
ottiene  facilmente  il  ramo  di  sostituzione. 

La  potatura  di  produzione  consiste: 
a)    neir  allevare    dei    rami    laterali ,    convenientemente    distanti 
10-20.,  cm.  lungo  le  branche,   di  mano   in  mano  che  si    allungano,  per 
ottenere  da  questi,  costantemente  dei  getti  che  daranno  frutto; 

h)  dopo  la  raccolta  dei  frutti,  di  provvedere  alla  sostituzione  del 
brindino,  che  li  ha  portati. 

Il  primo  scopo  si  raggiunge  non  permettendo  mai  che  la  branca 
si  allunghi  se  prima  non  è  guernita  di  rami  laterali. 

Tagliate  le  branche  principali  in  marzo-aprile,  ad  una  medesima 
altezza  e  sempre  sopra  una  gemma  che  guarda  in  fuori  lungo  l'estate 
(luglio-agosto)  si  avrà  cura  di  scacchiare  i  germogli  che  crescono  fuori 
jiosto  lungo  la  branca,  lasciando  sempre  intatto  il  germoglio  di  prolun- 
gamento. I  germogli  laterali  lasciati,  si  cimano  col  potatoio,  e  mai 
coir  unghia,  al  di  sopra  della  settima  od  ottava  foglia. 

Dopo  questa  cimatura,  nei  mesi  di  agosto-settembre,  dal  germoglio 
cimato  si  sviluppano  dei  nuovi  germogli,  i  quali  se  arrivano  a  raggiun- 
gere una  certa  maturità,  nella  primavera  successiva  possono  fiorire  e 
portare  frutti. 

I/anno  seguente,  dopo  la  raccolta  dei  frutti,  si  asportano  i  rami 
diventati  improduttivi,  rimpiazzandoli  con  nuovi  brindilli  sviluppatisi 
alla  base. 

La  pratica  di  raccogliere  i  frutti  col  ramo  che  li  porta  non  è  quindi  del  tutto  da 
condannarsi  quando  però  essa  venga  fatta  con  un  certo  discernimento,  come  ho  rac- 
comandato per  il  pesco  e  cioè,  tagliando  il  ramo  sopra  un  brindillo  che  si  trova  alla  base. 

Questa  potatura  si  ripete  ogni  anno  e  nel  caso  che  qualche  brin- 
dino troppo  vigoroso  si  disponesse  a  diventare  un  succhione,  si  arre- 
sterà nel  suo  sviluppo,  tagliandolo  a  5  foglie. 

Per  i  limoni,  la  cui  raccolta  continua  per  diversi  mesi,  la  potatura 
dei  rami  fruttiferi  si  pratica  mano  mano  che  si  asportano  i  frutti. 

Quando  l'albero  ha  raggiunto  l'altezza  voluta,  il  ramo  di  prolun- 
gamento si  sottopone  alla  potatura  verde  e  secca  come  gli  altri  ger- 
inogli  e  rami  laterali. 

Questa  branca  fruttifera,  che  per  la  sua  posizione  è  sempre  vigo- 
rosissima, dovrà  potarsi  piti  lunga  in  modo  che  dia  una  quantità  mag- 
giore di  frutti,  non  preoccupandosi  punto  che  si  elevi  alquanto  al  di 
sopra  della  forma  del  vaso,  alla  quale  è  stata  allevata  la  pianta. 


Raccolta  dei  frutti. 

1.  Fra  il  quinto  ed  il  sesto  anno  della  piantagione  a  dimora,  si 
comincia  a  raccogliere  dal  novembre  all'agosto,  a  seconda  delle  regioni 
e  delle  località,  nelle  quali  si  consumano.  Le  specie  rifiorenti,  come  il 
limone  ed  il  cedro,  possono  dare  frutti  in  differenti  periodi  dell'anno. 


—  888  — 

2.  U arancio  fiorisce  ordiiiarianienle  una  sola  volta  ed  i  frutti  si 
raccolgono  in  tre  volte  nella  Sicilia,  Sardegna  e  Calabria.  Nella  Liguria 
in  due  volte,  dal  10  al  15  novembre  e  dal  20  al  28  febbraio. 

La  prima  volta  in  novembre,  si  raccolgono  30  a  40  giorni  prima 
della  maturazione,  quando  cioè  i  frutti  cominciano  a  colorarsi.  I  frutti 
sono  ancora  acidi,  ma  essendo  destinati  alla  spedizione  in  paesi  lon- 
tani, compiono  la  maturazione  durante  il  trasporto  ed  arrivano  al 
nord  per  Natale  e  Capo  d' anno. 

La  seconda  raccolta  si  fa  dal  15  dicembre  al  15  gennaio,  ed  allora 
i  fruiti  sono  colorati,  dolci,  succosi  ed  eccellenti.  Questa  è  la  cosidetta 
grande  raccolta,  quantunque  i  frutti  ancora  non  siano  completamente 
maturi. 

La  terza  raccolta  si  fa  a  maturazione  completa  e  cioè  dal  marzo 
all'aprile.  In  quest'epoca  i  frutti  sono  deliziosi. 

3.  Prima  degli  aranci  maturano  1  mandarini,  che  si  raccolgono 
dalla  prima  quindicina  di  novembre  in  avanti.  Non  bisogna  lasciare  a 
lungo  il  mandarino  sull'albero  perchè,  essendo  molto  delicato,  deteriora; 
cosi  ripeto  dovendo  mandare  i  mandarini  a  distanza,  conviene  piuttosto 
anticipare  la  raccolta  e  cioè  quando  dal  colore  verde  accenna  a  passare 
al  colore  aranciato. 

4.  Il  limone  è  rifiorente,  ma  le  epoche  principali  di  fioriture  sono 
però  in  sul  finire  dell'inverno,  in  aprile  e  dal  luglio  al  settembre. 

I  pochi  fiori  che  sbocciano  in  sul  cadere  dell'inverno  alla  cima  dei 
rami,  si  trasformano  in  frutti  sfoggiati,  ossia  in  frutti  che  eccedono  gli 
altri  in  grossezza  e  bellezza. 

I  limoni  che  fioriscono  in  aprile  ofiVono  i  frutti  in  novembre; 
questi  frulli  sono  i  migliori,  i  più  succolenti  e  di  bel  colorilo  giallo- 
chiaro. 

I  fiori  dell'ultimo  periodo,  si  svolgono  soltanto  dopo  10  mesi,  ep- 
perciò  si  raccolgono  o  nell'aprile-maggio  e  si  hanno  i  cosidetti  bian- 
cucci.  perchè  sono  giallo-pallidi,  oppure  più  tardi  in  giugno-luglio,  e 
si  hanno  i  cosidetti  verdelli,  che  sono  piccoli,  verdastri. 

Essendo  i  limoni  molto  ricercati  in  luglio-agosto,  cosi  è  sorta  la 
pratica  di  produrre  i  verdelli  artificialmente.  Questo  si  ottiene  non 
irrigando  la  pianta  in  maggio-giugno  ed  anche  parte  di  luglio,  per  ar- 
restare la  vegetazione  e  far  cadere  i  frutti  appena  allegati.  La  pianta 
intristisce  ma  intanto  si  dispone  a  prepararsi  delle  belle  gemme  da 
frutto.  In  luglio,  riprendendo  l'irrigazione  e  facendo  abbondante  con- 
cimazione, fiorisce  e  da  questa  fioritura  si  ha  il  verdello  nell'anno  suc- 
cessivo. Le  piante  cosi  trattate  danno  un  prodotto  interiore  di  un  terzo, 
che  viene  però  compensato  dal  maggior  valore  dei  frutti. 

5.  Riguardo  all'epoca  del  raccoUo  dei  frutti  degli  altri  agrumi,  in 
settembre  si  cominciano  a  raccogliere  i  cedrali  primalicci,  e  la  raccolta 
si  i)rotrae  fino  in  gennaio;  1  chinotti  ed  altri  si  colgono  in  agosto-set- 
tembre, come  pure  le  arance  fortiy  il  cui  raccolto  si  protrae  fino  a 
marzo.  I  berijamolti  si  staccano  in  febbraio. 


6.  La  raccoUa  si  fa  a  mano,  rompendo  col  pollice  o  tagliando 
con  una  forbice  il  peduncolo  e  posandoli  con 'garbo  entro  panieri  im- 
bottiti, sospesi  ai  rami.  I  frutti  che  completano  la  maturazione  sulla 
pianta,  sono  sempre  i  più  saporiti. 

Appena  raccolti  si  portano  in  un  magazzino  sopra  un  letto  di  paglia, 
dove  si  taglia  il  peduncolo  rasente  il  frutto  e  si  fa  la  scelta  e  divisione 
per  grandezza.  Quelli   avariati   e  deformati  si  vendono  subito. 

Per  separarli  i)er  grandezza,  di  solito  si  fanno  passare  per  anelli  di 
ferro  di  tre  dimensioni,  poiché  tre  sono  le  gradazioni  poste  in  commercio. 

I  più  grossi  si  avvolgono  con  una  carta  velina  di  seta  e  si  imbal- 
lano in  casse  capaci  di  200  pezzi  o  20  dozzine,  con  un  tramezzo  verticale 
nel  mezzo  e  nel  senso  trasversale. 

Gli  aranci  di  seconda  qualità  si  avvolgono  pure  con  carta  di  seta 
e  si  mettono  da  160  a  200  per  cassa. 

Quelli  di  terza  qualità  non  si  avvolgono  con  carta  e  vengono  spe- 
diti a  460-560  per  cassa. 

7.  Una  pianta  adulta  produce  da  600  a  1000  frutti  all'anno. 
Ogni  pianta  produce  in  media  all'età  di  15  anni  kg.  130-15Ò  di  frutti, 

quindi  si  ha  un  prodotto  medio  di  30,000  kg.  per  ettaro,  perchè  am- 
messo che  in  un  ettaro  si  trovino  250  piante,  queste  danno  800  frutti 
del  peso  medio  di  gr.  150  e  quindi  un  prodotto  totale  di  kg.  30,000. 

II  bergamotto  produce  per  albero  da  400  a  500  frutti. 

Prodotti  secondari  degli  agrumi. 

Oltre  i  fruiti,  che  costituiscono  senza  dubbio  il  prodotto  principale, 
si  hanno  dagli  agrumi  altri  prodotti  utili  e  cioè  i  fiori,  le  foglie  ed 
il  legno. 

1.  I  fiori  sono  apprezzati  non  solo  per  il  loro  profumo,  ma  anche 
per  le  loro  proprietà  medicinali. 

Il  melangolo  è  specialmente  coltivato  per  i  fiori  che  si  aprono  in 
maggio  e  giugno.  Sono  molto  più  numerosi  di  quelli  degli  agrumi  a 
frutti  dolci. 

La  raccolta  dei  fiori  si  fa  a  mano  ed  è  una  operazione  molto  lunga. 
Si  suole  appendere  sotto,  distendendola,  una  tela  ed  i  fiori  si  staccano 
dal  loro  pedicello,  facendoli  cadere  nella  tela.  E  questa  operazione 
bisogna  ripeterla  quasi  giornalmente  quando  è  scomparsa  la  rugiada 
ed  i  fiori  sono  asciutti.  Si  portano  poi  subito  alla  distilleria  in  gran 
panieri  rivestiti  internamente  di  tela. 

Un  melangolo  adulto  di  10  anni  può  dare  da  6  ad  8  kg.  di  fiori;  se 
di  15  a  20  anni  si  può  arrivare  a  12-15  kg.  I  fiori  di  melangolo  si  ven- 
dono da  L.  75  a  L.  125  per  quintale  e  quelli  d'arancio  da  L.  30  a  40. 
I  fiori  disseccati  costano  L.  6  al  kg. 

2.  Le  foglie  specie  quelle  del  melangolo  e  dell'arancio,  hanno  un 
sapore  amaro  e  sono  aromatiche  ed  un  poco  resinose.  Sono  toniche 
ed  eccitanti. 


-  890  - 

Le  foglie  si  raccolgono  esclusivamente  dai  rami  che  si  tolgono  colla 
potatura  che  si  fa  appena  i  fiori  o  frutti  sono  raccolti.  Questa  è  una 
potatura  in  verde,  molto  vantaggiosa  per  dare  aria  alle  piante  e  forzare 
la  linfa  a  sviluppare  meglio  le  branche  esistenti.  Bisogna  farla  ogni 
anno  dove  le  i)iante  crescono  vigorose,  altrimenti  basta  ogni  due  anni. 
1  rami  vengono  poi  comperati  a  L.  8-15  al  quintale  e  si  realizza  una 
rendita  di  L.  20  a  140  per  ettaro. 

3.  Acqua  di  fior  d'arancio.  Se  ne  fanno  due  qualità  e  cioè  coi 
fiori  e  colle  foglie.  La  prima  è  superiore  per  aroma  e  qualità;  il  suo 
odore  è  soave  e  dolce;  la  seconda  ha  un  sapore  amaro  e  di  solito  si 
fa  una  miscela  colla  prima  nella  proporzione  del  15-20 7o- 

Ricavando  2  kg.  di  acqua  da  un  kg.  di  fiori  si  ha  la  cosidetta  acqua 
doppia  e  quando  non  si  ricava  che  un  litro  d'acqua  da  kg.  1,500  di 
fiori  si  ha  l'acqua  quadrupla. 

L'acido  nitrico  colora  in  rosso  vivo  l'acqua  pura  dei  fiori,  mentre 
non  colora  affatto  quella  delle  foglie  e  se  è  stata  fatta  una  miscela  in 
parli  eguali,  prende  un  color  rosa. 

L'acqua  pura  di  fiori  d'arancio  acquista  un  colore  rosa  dopo  l'anno. 

L'acqua  di  foglie  alla  luce  ed  al  calore  deposita  una  sostanza  bruna 
ed  è  per  questo  che  la  si  conserva  in  bottiglie  colorate  verdi  o  violette, 
avvolte  in  carta  bianca.  I  filamenti  bruni  che  formano  il  deposito  sono 
il  parenchima  delle  foglie. 

La  migliore  acqua  di  fiori  d'arancio  si  ricava  dal  melangolo. 

L'acqua  di  fiori  e  foglie  si  paga  da  L.  50  a  L.  80  per  ettolitro,  a 
seconda  se  è  semplice,  doppia  o  tripla. 

L'acqua  di  soli  fiori  costa  da  L.  100  a  L.  120  l'ettolitro. 

4.  Essenze.  Dagli  agrumi  si  ricavano  le  seguenti  essenze: 

11  Neroli  che  si  fabbrica  coi  fiori  di  melangolo.  Questa  essenza 
è  volatile  e  gialla,  ma  all'aria  arrossa.  La  sua  densità  è  0.888.  Si  scioglie 
nell'acqua,  ha  un  sapore  acre,  ma  è  molto  odorosa. 

11  Petit  grain  si  ricava  dalle  foglie  di  melangolo  e  dai  frutti 
caduti  dagli  alberi,  poco  dopo  la  fioritura.  Da  100  kg.  di  foglie  si  rica- 
vano 125  grammi  di  grain  che  si  vende  a  L.  80-100  il  kg.  Serve  a 
preparare  le  acque  di  fior  d'arancio. 

Essenza  di  Portogallo,  che  si  ricava  degli  aranci  o  a  meglio  dire 
dalle  buccie  dei  medesimi.  Si  vende  a  L.  25  il  kg.  ;  4000  kg.  di  frutti 
danno  1  kg.  d'essenza. 

V Essenza  di  melangolo  ha  un  sapore  amarissimo,  ma  l'odore  che 
esala  è  soave,  penetrante.  La  sua  densità  è  0,855  e  si  vende  a  L.  450-500 
il  kg.  In  commercio  è  anche  conosciuta  col  nome  di  essenza  di 
arancio  amaro. 

L'Essenza  di  Bergamotto  si  ricava  dalle  buccie.  Da  un  ettaro  a 
Reggio  se  ne  ricava  da  25  a  40  kg. 

Buccie  disseccate.  Le  buccie  disseccate  del  melangolo  vengono  uti- 
lizzate in  Germania,  Olanda  e  Francia  per  la  fabbricazione  dei  li- 
quori e  specialmente  pei  Curagao  e  Bitter.  La  polpa  viene  data  alle 
vacche  ed  il  latte  diventa  molto  saporito. 


—  891  - 

Il  legno  degli  agrumi  è  molto  apprezzalo  nella  ebanisteria,  per  la 
sua  finezza  di  fibra  e  per  la  sua  durezza.  Coi  rami  più  belli  si  fanno 
bastoni  da  passeggio  ;  vengono  pagati  da  L.  18  a  L.  20  al  quintale. 

Dati  economici  della  coltura  degli  agrumi. 

Il  prof.  Aloi  nella  sua  citata  opera  sugli  agrumi,  dà  il  seguente 
rendiconto  per  l'impianto  di  un  agrumeto  nel  territorio  di  Francofonte 
(Siracusa)  posto  in  terreno  alluvionale-vulcanico.  Ogni  ettaro  contiene 
525  piante,  poste  alla  distanza  di  m.  4,32  fra  loro. 

Primo  periodo  dal  I.  al  V.  anno. 

a)  Spese  d'impianto  per  ettaro: 

Scasso  reale  del  terreno  alla  profondità  di   cm.    75   ed 

estrazione  di  qualche  masso  vulcanico      .        .        .  L.  643.20 

Apertura  di  525  fosse  a  cm.  20  l'una         .        .        .        .  „  105.— 

Costo  di  525  piantine  innestate  di  3  anni  a  L.  1     .        .  „  525.— 

Trasporto  delle  piante „  60.— 

Trapiantamento ,.  46.— 

Pali  o  canne  per  sostegno  degli  alberetti         .        .        .  „  35. — 

Concime  per  i  primi  5  anni 270.— 

Totale  spesa  d'impianto  L.  1684.20 

b)  Spese  di  coltura  annuale. 

Non  si  tien  conto  delle  spese  annuali  di  coltura  dal  I.  al  V.  anno, 
dappoiché  nel  territorio  di  Francofonte  è  invalso  l'uso  di  cedere  a  degli 
agricoltori  il  terreno,  dove  si  è  impiantato  l'aranceto,  i  quali  coltivatori 
coltivano  a  loro  esclusivo  benefizio  a  piante  ortalizie,  gli  spazi  inter- 
posti fra  gli  aranci  piantati  e  godono  anche  delle  poche  frutta  che  i 
medesimi  producono,  con  l'obbligo  però  di  prodigare  al  crescente 
aranceto  tutte  quelle  colture  che  si  richiedono  per  essere  ben  gover- 
nato e  per  farlo  prosperare. 

Sicché  le  spese  dal  I.  al  V.  anno  sommano  a  L.  1684.20  +  L.  750  di 
fitto  del  terreno  calcolato  a  L.  150  all'anno,  in  complessivo  L.  2434.20 
e  le  entrate  zero. 

e)  Spese  di  coltivazione  annuale  dal  6"  al  40°  anno: 
Prima  zappatura,  giornate  45  a  L.  1.25      .        .        .        .     L.        56.25 
Seconda  zappatura  per   disporre  il   terreno   in   aiuole 

giornate  36  a  L.  1.25 „         45.— 

Terza  zappatura,  idem .      „         45.— 

Tre  sarchiature,  giornate  28  a  L.  1.25       ......         35.40 

Concime  ovino,  carichi  140  ogni  biennio  a  L.  50  il  ca- 
rico e  per  un  anno  carichi  70 ,;       105.— 

Rimonda  annuale,  giornate  28  a  L.  1.50    .        .        .        .     „         42.— 
Irrigazione „         56.50 

Totale  .        .        .        .    L.      385.15 


-  892  - 

l.e  spese  perciò  di  un  ellaro  di  aranceto  del  territorio  di  Franco- 
fonte, possono  essere  così  riassunte: 

1)  Conto  collurale  di  un  aranceto. 

Spese  di  coltura  annuale L-  385.25 

Quota  di  ammortizzamento  delle  L.  2434.20  spese  per 
l'impianto  e  fitto  del  terreno  nei  primi  cinque  anni 

con  relativi  interessi  al  5% .i  142.— 

Fitto  del  terreno „  150.— 

Quota  d'assicurazione „  26. — 

Imposte „  12.— 

Custodia „  5.— 

Totale       .        .        .'       .~T  72025 

Introiti  dal  ó"»  al  W"  anno. 

Produzione  degli  aranceti  in  media,  dal  6"  al  40'>  anno 
300  per  pianta  e  per  525  piante,  formano  157-500 
a  L.  15  il  mille  importano L.    2362.50 

Bilancio. 

Entrata     .        .        .        .     L.  2362.50 

Uscita       ....      „  720.25 

Utile  net^to    .        .  '  L.  1642.25 

L'utile  di  L.  1642.25  si  ricaverebbe  dal  6  al  40  anno  di  vita  dell'  a- 
grumeto,  mentre  nei  primi  5  anni  dell'impianto  nessun  utile  si  ottiene 
e  perciò  per  potere  rendere  il  conto  esatto,  bisogna  moltiplicare  le 
L.  1642.25,  per  anni  35  di  produzione  e  dividere  il  totale  per  40  anni 
della  durata  dell'agrumeto,  e  perciò  : 

1642.25x35       .     ..__ 
j^ =  L.  1436.96 

profitto  netto  e  per  anno  di  un  ettaro  di    aranceto    coltivato   in   terri- 
torio di  Franco  fonte. 

Il  signor  Platania  d'Antoni  Rosario   dà  il   seguente  conto  colturale 
di  un  aranceto  di  Acireale. 
a)  Spese  d'impianto. 

Le  spese  d'impianto  possono  calcolarsi  in  media,  quando  trattasi 
di  un  aranceto  il  quale  si  formi  con  il  sistema  dello  scavo  delle  sem- 
plici fosse,  a  L.  1.50  per  ogni  pianta  messa  a  dimora  tutto  compreso  e 
per  400  piante  contenute  in  un  ettaro  la  spesa  diventa  L.  600,  più  L.  150 
per  anno  di  fitto  del  terreno  e  per  anni  5  L.  750,  in  tutto  le  spese  che 
s'incontrano  dal  1"  al  5°  anno  sono  L.  1350. 

Le  spese  di  coltivazione  sono  largamente  compensate  dalle  colture 
erbacee  che  si  consociano  all'aranceto  nei  primi  5  anni,  e  delle  arance 
che  producono  le  piantine. 


b)  Spese  annuali  di  coltivazione  da  6"  al  40°  ani 

Arature  3 "  .        . 

Zappatura  intorno  alle  piante 
Rimonda  biennale  L.  50,  e  per  anno 
Concimazione  triennale  L.  1050  e  per  anno 
Irrigazione        ....  .        . 

Totale 


o  per  ettaro. 

L.  30.— 
12.50 
25.— 

„  350.- 
100  — 


L.      517.50 


Le  spese  quindi  da  aggravare  su  di  un  ettaro  di  aranceto  per  ogni 
anno  sarebbero: 

2)  Conto  coUiiraie  di  un  aranceto  del  territorio  di  Acireale. 

Spese  di  coltivazione  annuale     .... 
Quota  di  amniortizz.  delle  L.  1350  per  l'impianto 
Fitto  del  terreno 


L. 

517.50 

„ 

78.66 

„ 

150.— 

„ 

30.- 

„ 

12.- 

Infortuni 

Imposte 

Totale        .        .        .        .     L.      788.16 

Introiti. 
Numero  400  piante  di   aranci   producenti  in  media  dal 
6"  al  40'^  anno  frutti  400  per  pianta  ed  in  complesso 
160.000  frutti  all'anno  che  a  L.  15  il  mille  importano    L.    2400.00 

Bilancio. 

Entrata  per  anno  .        .  L.  2400.— 

Spese  per  anno      .  „  788.16 

Utile  netto    .        .  L.  1011.34 

Le  L.  1611.34  ricavabili  annualmente  dal  6"  al  40°  anno  e  ciò  per 
35  anni,  bebbono  essere  scompartite  per  40  e  perciò: 

,     ""'t^x^^^L.  1409.82 
40 

profìtto  netto  ricavabile  dall'aranceto  ogni  anno  dal  1°  al  6"  anno  di  vita. 

Se  l'aranceto  invece  d'impiantarsi  col  sistema  delle  fosse,  si  fa  pre- 
cedere da  uno  scasso  totale  del  terreno,  allora  le  spese  d'impianto  sal- 
gono da  L.  500  a  L.  1800  e  con  le  spese  di  fitto  del  terreno  da  L.  1350 
a  L,  1850,  e  perciò  la  quota  annua  di  ammortamento  da  L.  1611.34  scende 
a  L.  1558.10  e  l'utile  annuale  dal  1°  al  40"  anno  da  L.  1409.92  scende 
a  L.  1363  33. 

Lo  stesso  proprietario  riferisce  al  prof.  Aloi  per  un  limoneto  in 
Acireale: 

a)  Spese  d'impianto. 

Se  il  limoneto  si  impianta,  come  nel  caso  dell'aranceto  scavando 
semplicemente  le  fosse,  le  spese  compreso  il  costo  di  300  piante  som- 


—  894  — 

mano  a  L.  45U,  alle  quali  aggiunte  L.  750,  fitto  dei  primi  5  anni  del 
terreno,  le  spese  per  i  primi  5  anni  sommano  in  tutto  a  L.  1200.  Le 
spese  annuali  di  coltivazione,  durante  i  primi  5  anni  sono  suflicente- 
mente  compensale,  come  nel  caso  dell'aranceto,  dalle  coltivazioni  an- 
nuali che  si  consociano  al  limoneto  e  dalle  frutta  che  se  ne  ricavano. 
b)  Spese  annuali  di  coltivazione  dal  6»  al  40"  anno: 

aj  Tre  arature L.        30.— 

bj  Zappatura  inforno  agli  alberi „         10.— 

e)  Rimonda „         20.— 

d)  Concimazione  —  quota  annuale „       450.— 

e)  Irrigazione ,,100.— 

f)  Fitto  del  terreno „       150.— 

Totale        .        .        .    L.      700.— 
Le  spese  totali  e  per  anno  di  un  ettaro  coltivato  a  limoneto  si  pos- 
sono così  riassumere: 

Spese  annuali L.      760.— 

Quota  di  ammortizzamento  delle  L.    12U0   di    spese   di 

impianto „         69.26 

Fitto  del  terreno ,       150. — 

Quota  d'infortuni „         21.— 

Imposta „         12.— 

Totale        .        .        .     l7~1012.26 
Introiti. 
Da  piante  300  di  limoni,  producenti  in  media  dal  6°  al 
40"^   anno   900   frutti   per  pianta,  in  complesso  per 
l'ettaro  frutti  270.000  che  al  prezzo  di  L.   8   il    mi- 
gliaio importano L.    2160.— 

Legno  della  rimonda „         20.— 

Totale        .  .^^~2m^ 

Bilancio. 
Entrata     .        .        .        .     L.    2180.— 
Uscita       .        .        .        .      „      1012.26 
Profìtto  netto      .        .    L.     1167.74  dal  6°  al  40°  anno. 
E  per  40  anni: 

H^^-^-^^L.  1.21.77 
40 

Pel  territorio  di  Giarre,  le  spese  annuali  di  un   limoneto  vengono 
cosi  riassunte: 

Spesa  di  coltivazione L.      753.— 

Quota   di   ammortizzamento   delle   L.    1600   spese    per 

l'impianto ^  93.24 

Fitto  del  terreno ,,  150.— 

Spese  diverse 21.— 

Totale        .         .         .~L.  1U17.24 


895 


2160. 
20. 


2180. 


Introiti. 

Numero  300  piante  producenli  in  media  frulli  900  per 
una,  formanti  frulli  270.000,  che  al  prezzo   di    !..  8 

il  mille  importano L. 

Legna  da  rimonda „ 

Totale  .        .     L. 

Bilancio. 

Entrata     .        .        .        .    L.    2180.— 

Uscita       .        .        .        ■     „     1017.24 

Profitto  nello  .        ,    L.     1102.76 

Le  quali  L.  1162.76  di  profitto  annuo  dal  6"  al   40°   anno,  riferiti   a 
tutti  i  40  anni,  porta  un  profitto  netto  di 


1162.76x35 
40 


1017.41  per  anno. 


Il  prof.  Aloi  ritiene  che  in  media  un  limoneto  posto  in  Sicilia  ed 
in  piena  produzione  dà  in  media  un'entrata  di  L.  2400  ed  un'uscita  di 
L.  881.70  quindi  un  profitto  netto  di  L.  1518.30. 

Sempre  in  Sicilia  un  aranceto  in  piena  produzione  darebbe  una 
entrata  di  L.  3000  da  cui,  detratte  le  suddette  spese,  si  avrebbe  una 
rendita  netta  di  L.  2118.30. 

Nelle  Calabrie  un  aranceto  di  400  piante  darebbe  una  rendila  netta 
di  L.  1729.53  ed  un  limoneto  di  L.  1029.53. 

Secondo  il  Mancini,  a  Sorrento,  gli  aranceti  danno  una  rendita 
netta  di  L.  1065.75  per  ettaro,  ed  i  limoneti  di  1265.75. 

In  Ligura  la  rendita  netta  per  ettaro  sarebbe  da  L.  500  a  L.  600. 

A  Formica,  nella  provincia  di  Caserta  si  calcola  che  un  limoneto 
renda  L.  800  e  più  di  profitto  netto  per  ettaro  e  l'aranceto  L.  600  a  L.  700. 

II  prof.  Bordiga  nel  suo  Trattato  di  estimo  dà  i  seguenti  dati  per 
le  diverse  classi  di  agrumeti  : 


Classe 

Fri 
per  t 

Aranci 

Itti 

ianta 
Limoni 

Fri 
_pere 

aranci 

piante 

500 

Itti 
ttaro 

limoni 

Reddit 
medio  p 

Aranci 

Q  lordo 
er  ettaro 

Limoni 

I       ottima  .... 

800 

900 

400.000 

495.000 

6000 

9900 

II     buona   .... 

600 

700 

300.000 

385.000 

4500 

7700 

Ili   discreta 

400 

500 

200.000 

275.000 

3000 

3500 

IV   mediocre 

200 

275 

100.000 

151.000 

1500 

3020 

V    scarsa    . 

100 

150 

50.000 

82.000 

7.50 

1740 

VI  infina    .... 

50 

75 

25.000 

41.000 

575 

870 

Malattie  e  cause  nemiche.  —  (Vedi  pag.  500). 


PARTE  SETTIMA 
PIANTE  CON  FRUTTI  AGGREGATI 


LAMPONE 

(Rubus  Idaeus.  Unii.  —  Fain.  Rosacee). 

Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Lampone,  Rovo  ideo  o  del 
monte  Ida,  Lampomella,  Ampomella,  Amponiola,  F'rambosa,  Aponi, 
Frambò,  Lampone. 

Nome  volgare  italiano  del  frutto  —  Lampone. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Framboisier  —  Ted.: 
Himbeerstrauch  —  Ingl.  :  Raspberr}'. 

iYo/ji/  volgari  stranieri  del  fratto  —  Frane.  Frambois  —  Ted.:  Him- 
beer  —  IngL  :  Raspberry. 

1.  Origine  e  specie  coltivate.  —  Il  lampone  è  stato  trovato  dai  Greci 
allo  stato  selvatico  sul  monte  Ida  (da  ciò  il  nome  di  Rubus  Idaeus)  e 
dalla  Grecia  passò  in  Italia,  nei  Paesi  Bassi,  in  Inghilterra  e  poi 
nell'America  del  Nord.  Qui,  per  le  variazioni  del  clima,  le  varietà  rosse 
e  bianche  importate,  non  producevano  abbastanza  cosi  gli  Americani 
si  diedero  a  coltivare  la  specie  a  frutto  nero  (Rubus  occidcntalis)  che 
da  loro  era  indigena  nonché  la  specie  a  fruito  rosso  pure  indigena 
(Rubus  strigosus)  la  quale  venne  trovata  nelle  regioni  più  fredde  fino 
a  m.  2200  d'altezza  ed  a  62»  17'  di  latitudine. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Frutice  di  40  a  60  cm.  di 
altezza  che  cresce  nei  luoghi  sassosi  delle  montagne  a  terreno  grani- 
tico. Ha  un  fusto  sotterraneo,  corto,  che  emette  ogni  anno  dei  rami 
aerei,  (polloni)  della  durata  di  2  anni.  Essi  si  sviluppano  nel  primo 
anno;  fioriscono  e  fruttificano  nel  secondo  e  subito  periscono  per  essere 
rimjnazzati  dai  nuovi  polloni. 

Il  fusto  sotterraneo  è  molto  ramoso  ed  i  molti  rami  aerei  (polloni) 
che  la  pianta  emette  dal  colletto  e  dalle  nodosità,  sono  deboli,  poco 
ramosi,  con  scorza  grigio-giallognola,  coperta  di  molti  peli  giallo  dorati. 


-  897  - 

Nel  secondo  anno  la  loro  corteccia  diventa  grigio-scura,  i  fusti  riman- 
gono deboli,  sottili,  molto  midoliosi,  fragili  sjìarsi  di  aculei  sottili,  folti 
o  radi,  che  facilmente  si  staccano. 

Le  radici  sono  sottili  e  superficiali. 

Foglie  impari  pennate  o  ternate,  a  seconda  se  la  pianta  è  vigorosa 
o  meno  -,  foglioline  più  o  meno  variate  per  la  grandezza  ed  anche  per 
la  forma,  essendo  ovate,  più  o  meno  allungate,  acuminate,  seghettate, 
verdi  nella  pagina  superiore  e  biancastre,  vellutate  nell'inferiore.  Ra- 
chide spinoso. 

Gemme  piccole,  appiattite. 

Il  fusto  aereo  dell'anno  precedente  porta  specialmente  verso  l'estre- 
mità, dei  germogli  laterali  fioriferi,  misti,  guarniti  di  un  certo  numero 
(fig.  649)  di  foglie.  In  certe  varietà,  i  fiori  appariscono  nello  stesso  anno 
in  cui  si  sviluppò  il  fusto  aereo  e  sempre  all'estremità. 

Fióri  scarsi  in  racemo  terminale  semplice,  piccoli,  bianco-verdastri 
o  screziali  di  rosa,  portati  da  un  peduncolo  abbastanza  lungo,  spinoso. 


r      ./^'  '-. 


Fig.  049.  —  Jlanii  e  frutti  del  lampone. 

Calice  a  .1  sepali,  lunghi  e  persistenti  ;  ò  petali  caduchi.  Stami  molto 
numerosi  come  nella  rosa.  Pistilli  pure  numerosissimi,  completamente 
separati,  inseriti  sopra  un  ricettacolo  molto  convesso.  Ogni  pistillo  ha 
un  ovario  con  una  loggia  che  rinchiude  un  ovolo,  dal  quale  si  sviluppa 
una  piccola  drupa  che  racchiude  un  piccolo  nocciolo. 

11  frutto,  detto  lampone,  è  quindi  formato  da  molte  drupe  o  bacche, 
convesse,  depresse,  rugose,  unite  a  pigna,  che  si  staccano  anche  facil- 
mente, li  colore  più  comune  è  quello  rosso  o  giallastro;  vi  sono  delle 
varietà  a  frutto  bianco  e  nero  non  coltivate  da  noi.  Ogni  bacca  ha 
attaccato  un  pelo  colore  giallo-oro. 

3.  Classificazione  delle  varietà.  —  Le  varietà  di  lampone  che  si 
trovano  attualmente  in  commercio,  sono  provenienti  dal  lampone  selva- 
tico dai  frutti  di  color  rosso  (Rubus  Idaeus)  che  si  trova  in  Europa,  e 
dalle  specie  e  varietà  di  color  rosso  e  nero  dell'America  del  Nord.  Le 

57  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


-  898  - 

varietà  a  frullo   pori^orino,  si    devono    considerare    quali    ibridi    delle 
varietà  a  frullo  rosso  con  quelle  a  frutto  nero. 

Le  varietà  si  dividono  in  due  gruppi  : 
o)   rimontanti   o   Infere,  i  cui    polloni    danno    frutto    all'estremità, 
nell'autunno  dello  stesso  anno  della  loro  formazione  ed  anche  nell'anno 
successivo  in    luglio.  I  frutti    dell'autunno    sono    derivati    da   germogli 
anticipali. 

Queste  varietà  sono  preferite  per  i  giardini  e  fruiteli  di  famiglia  e 
degli  amatori,  perchè  fruttificano  nell'estate  ed  in  autunno.  I  frutti  però 
sono  piccoli,  poco  profumali,  poco  zuccherini,  e  danno  un  prodotto 
complessivo  poco  rilevante. 

b)  non  rimontanti  o  ad  un  solo  prodotto.  Queste  varietà  sono  ge- 
neralmente più  rustiche,  più  produttive  quantunque  fruttifichino  una 
sol  volta  in  luglio,  perciò  sono  più  adatte  per  le  coltivazioni  industriali. 
I  loro  frutti  sono  anche  più  pregiali  perchè  più  grossi,  più  dolci  e  più 
profumati.  A  scopo  industriale  si  allevano  esclusivamente  le  varietà  a 
frutto  rosso. 

4.  Scelta  delle  varietà.  —  Per  la  scelta  delle  varietà  si  ricordi, 
che  sono  preferiti  sui  mercati  i  frutti  rotondi  a  quelli  ovali;  quelli 
rossi  a  quelli  gialli,  perchè  più  profumali. 

Le  varietà  a  scopo  industriale,  devono    avere  i  seguenti    caratteri  : 

a)  resistenza  alle  malattie; 

b)  i  polloni  devono  essere  diritti,  possibilmente  verticali,  per 
lasciar  lavorare  più  comodamente  il  terreno  fra  mezzo  alle  file  e  per 
facilitare  il  raccolto  ; 

e)  le  piante  devono  rimettersi  con  dei  polloni  al  piede  ; 

(/)  i  frutti  devono  essere  aromatici,  succosi,  con  un  bel  colore  vivo. 

e)  i  frulli  anche  maturi  devono  stare  bene  aderenti,  per  resistere 
ai  venti  ed  alle  pioggie; 

f)  i  frutti  devono  essere  grossi  ed  a  polpa  soda  per  poterli  spe- 
dire e  presentarsi  bene  sul  mercato  ; 

g)  la  pianta  deve  resistere  ai  geli  e  non  essere  troppo  esigente 
per  il  terreno. 

Le  varietà  più  consigliabili  che  si  trovano  in  commercio  in  Europa, 
sono  indicate  a  pag.  900-901  nella  Tab.  LXVII. 

5.  Importanza  della  coltivazione.  —  La  coltivazione  del  lampone 
è  molto  semplice  e  rinunieratrice.  Per  le  frequenti  zappature  che  ri- 
chiede, allo  scopo  di  tenere  il  terreno  mondo  dalle  malerbe,  e  per  la 
mano  d'opera  necessaria  per  la  raccolta,  essa  conviene  alla  piccola 
proprietà,  al  più  modesto  vignajolo  che  ha  una  pìccola  superfìcie  di 
terreno. 

6.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Si  coltiva  tanto  nei  campi  per  dare 
alla  coltura  un  indirizzo  industriale,  quanto  nei  frutteti  casalinghi. 

7.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  E'  una  pianta  dei  paesi  tem- 
perati piuttosto  che  caldi  e  da  noi  riesce  bene  nelle  regioni  alpine  e 
dell'alto  Appennino. 


—  899  — 

8.  Esposizione  e  situazione.  —  Essendo  una  pianta  originaria  dei 
paesi  freddi  ed  elevati,  non  si  adatta  al  clima  delle  pianure  specialmente 
delle  zone  temperate  o  calde.  In  queste  regioni  si  destinano  gli  appez- 
zamenti a  nord;  ma  se  il  caldo  non  è  troppo  forte  e  la  posizione  poco 
soleggiata,  convengono  meglio  le  esposizioni  di  ponente.  E'  utile  però 
anche  piantare  a  mezzogiorno  per  avere  frutta  precoci,  dolci,  aroma- 
tiche, profumate  ed  anche  per  assicurare  a  tardo  autunno  la  matura- 
zione dei  lamponi  delle  varietà  bifere. 

Nei  frutteti  si  suole  destinare  al  lampone  un'esposizione  a  Nord, 
molto  ombreggiata,  ma  in  queste  condizioni  si  hanno  pochi  frutti,  piccoli 
e  poco  profumati.  Le  esposizioni  troppo  bruciate  dal  sole,  sono  dannose. 

Per  le  colture  industriali  si  destinano  le  costiere  bene  esposte,  le 
posizioni  accidentate  e  le  piccole  valli,  con  terreno  discretamente  prò 
fondo  e  fresco. 

9.  Terreno.  —  Sulle  nostre  Alpi,  nei  terreni  granitici  in  particolare, 
il  lampone  cresce  spontaneo  nelle  località  ombreggiate,  ma  dà  pochi 
frutti,  piccoli,  però  ben  profumati. 

Per  questa  ragione  è  invalso  l'uso  di  destinare  pel  lampone  nei 
giardini,  le  località  meno  favorite  dal  terreno  e  dal  calore  senza  pre- 
stare alcuna  cura.  Ma  i  polloni  riescono  meschini,  sensibili  al  freddo, 
poco  fruttiferi  perchè  al  tempo  della  fioritura,  per  mancanza  di  aria 
e  luce,  i  fiori  vanno  soggetti  alla  colatura  oppure  anche  se  fecondali 
danno  frutti  di  poco  colore  e  di  poco  profumo.  Anche  per  questa 
pianta  dunque  nei  giardini  si  deve  destinare  un  posto  aereato,  soleg- 
giato e  bene  concimato. 

Tutte  le  buone  terre  da  vigna,  contenenti  ferro  e  calcare,  sane,  pro- 
fonde, fresche  e  fertili,  che  si  riscaldano  bene,  convengono  al  lampone. 

Se  si  trovano  delle  piantagioni  vigorose  nelle  costiere  secche  signi- 
fica che  le  radici  poterono  penetrare  nelle  fessure  fra  le  roccie  e  tro- 
varono freschezza.  Quando  ciò  non  avviene,  il  lampone  deperisce  presto. 

Nelle  annate  secche  e  se  il  terreno  non  conserva  una  certa  umi- 
dità, la  vegetazione  del  lampone  si  arresta  in  luglio,  le  foglie  e  l'ultima 
parte  del  raccolto  disseccano,  perdendone  talvolta  per  un  terzo.  I  rami 
dell'annata  si  sviluppano  poco  e  vengono  poi  danneggiati  dal  freddo 
dell'inverno. 

Le  varietà  europee  a  frutto  rosso  richiedono  un  terreno  più  fresco, 
più  profondo,  più  ricco  e  consistente  delle  varietà  americane. 

Essendo  il  lampone  un  arbusto  vigoroso  con  molte  radici,  il  ter- 
reno si  esaurisce  presto  se  non  è  di  natura  molto  fertile  e  se  non  viene 
abbondantemente  concimato. 

10.  Moltiplicazione.  —  Le  migliori  piante  si  ottengono  dai  polloni 
più  robusti  che  crescono  nell'annata  ed  il  trapianto  conviene  farlo  in 
autunno.  Al  momento  del  trapianto  conviene  tagliare  il  pollone  a  15- 
20  cm.  di  altezza,  lasciandogli  naturalmente  una  sufficiente  quantità 
di  radici.  I  polloni  bisogna  sempre  prenderli  dalle  piante  più  sane  e 
più  produttive. 


—  900  - 
Quadro  sinottico  indicante  le  principali  proprie 


s 

a. 

NOME 

Maturazione 

Qualità 

Fertilità 

Vigoria 

\ 
I.  —  Varietà  rimontanti. 

a)  fi  frutto  rosso. 

1 

Bella  (li  Fontenay 

fine  giugno  ed  in  au- 
tunno dal  15  agosto 
alla  fine  di  selleuih. 

prima  fra  le 
bifere 

notevole   spe- 
cialmente in 
autunno 

notevole 

2 

Meraviglia  rossa  delle 
4  stagioni 

fine  giugno  ed  iu  au- 
tunno fino  ai  primi 

prima  da  ta- 
vola 

notevole 

id. 

3 

Perpetiielle  de  Billard 

id. 

delle  migliori 
fra  le  bifere 

id. 

id. 

4 

Superlnlivo 

tardiva  (IH  luglio)  e 
rimontante  in  tar- 
do autunno 

prima  da  mer- 
cato 

media  i^O-tJO  kg. 
per  ara) 

id. 

" 

Stirpasse  Falstoff 

l>)  a  fnitlo  giallo 

luglio  ed  ottobre 

delle  migliori 
fra  le  bifere 

notevole 

id. 

1 

Sorpresa  d  autimrio 

//.  -  Varietà 
a)  a  fruito  rosso. 

ìd. 

non  rimontanti. 

prima  fra  le  bi- 
fere gialle 

notevole  spe- 
cialmente in 
autunno 

id. 

1 

Hornet 

molto    precoce 
(I  luglio) 

prima  per  T  in- 
dustria 

notevole   (70-80 
kg.  per  ara) 

molta 

2 

Inglese  superlativo 

if)    luglio     e    in    4 
volle   si    completa 
il  raccolto 

buona    anche 
da  tavola 

straordinaria 

poca 

3 

Filale 

9  luglio 

prima    da    ta- 
vola 

notevole  (70-7.^) 
kg.  per  ara) 

media 

4 

Prolitico  (li  Carter 

12  luglio 

seconda 

notevole  (70-85 
kg.  per  ara) 

straordi- 
naria 

h)  a  frutto  giallo 

1 

Giallo  d'Olanda 

l.'S  luglio 

da  mercato  e 
industriale 

notevole 

id. 

901   - 


turali  delle  varietà  di  lampone  consigliate  (Tamaro). 


Descrizione  e  propriel 
della  pianta 


Descrizione  e  propriel 
del  frutto 


Sistema 
coltivazione 


Osservazioni 


inllosto  nana,  con  rami  ros- 
sastri aventi  aculei  corti  e 
radi 

ami  numerosi,  spossa  rapi- 
rlamente  il  terreno  per  le 
molle  diramazioni  del  fusto 
sotterraneo 


ami    eretti    o    leggermente 

obliqui    con    foglie    chiare 

composte   di    ^-f)    foglioline 

convesse 

)olloni  di  colore   rosso  vivo, 

troppo  pendenti 


assai  grosso  e  quasi  rotondo,!  giardino  e  frutteto 
di  colore  porpora  scuro  casalingo 


buonissimo,  di  media  gran- 
dezza, rotondo,  rosso  vio- 
laceo 


assai  grosso,  sferico,  rosso 
scuro,  portato  da  grappoli 
allungati 

rosso  carico,  di  forma  coni- 
ca, a  polpa  zuccherina,  deli- 
ziosa, sopporta  i  trasporti 


troncato,  rosa  poi 
rosso  bruno,  profumato, 
buono 


grossissimo,  ovale  appun- 
tito, abbastanza  profumato 
e  di  un  bel  colore  giallo 
dorato 


^i    ha    una    sotto- 
varietà   a    frutti 
bianchi.     Esige 
terreno    molto 
fertile 


di  origine  ameri- 
cana per  terreni 
leggeri,  molto 
fertili  e  freschi 


rami    eretti,    deboli,    nume-    grosso,  dei  migliori  i)cr  fab- 

rosi,  quasi   inermi,   verdi    e      bricare    siroppi.  Forma    ot- 

poi  violacei.   Foglie  con  tre      fusa,  di  colore  rosso  bruno. 

foglioline  abbastanza  gran-       Peso  medio  gr.  2-8.  Di  facile 

di,  piegate  e  rilevate  i     raccolta 

emette  pochi   polloni,  viola- 1  rosso  vivo,  bello,  grosso 

cei,     appena     spinosi,     alti 

m.  0.90.  Foglie  con  4  foglio-, 

line  con  contorno  verde  cupo 


polloni  deboli,  fragili,  poco 
eretti,  di  colore  cenerognolo, 
con  aculei  che  cadono  facil- 
mente: foglie  verdi  bron- 
zate: fioritura  prolungata 

polloni  grossi,  lunghi  m.  1.60 
colore  violetto  scuro,  nume- 
rosi: foglie  larghe  con  tre 
foglioline;  gemme  grosse  e 
sporgenti  | 

polloni  sottili  con  molti 
aculei 


grosso,  consistente   che  sop- 

f)orta  i  trasporti;  rosso  vio- 
aceo,  abbastanza  zucche- 
rino 

abbastanza  grosso  igr.  2-5i, 
un  po'  allungato,  rosso  vio 
lacco,  abbastanza  consis 
tente,  profumato,  zuccherino 

abbastanza  grosso,  ovoidale,, 
giallo  paglierino,  zucche- 
rino e  molto  profumato 


nei  campi  per  le 
coltivazioni  in- 
dustriali 


Irutteli 
glia 


frutteti    di    fami- 
glia e  industriali 


frutteti  industriali 


terreno    molto 
buono  e  ben  con- 
cimato 

simile     alla     va- 
rietà Hornet 


origine  inglese,  si 
raccomanda  spe- 
cialmente per  la 
prolificità  :  terre- 
ni argillosi 

varietà      molto 
rustica 


U02  - 


Le  varietà  a  frutto  nero  si  propagano  per  propaggine,  piegando 
nel  terreno  i  germogli  perciiè  si  abbarbicliino.  Questa  operazione  si  fa 
dalla  metà  di  settembre  alla  metà  di  ottobre,  oppure  subito  dopo  il 
raccolto.  Per  queste  varietà  conviene  fare  gli  impianti  con  soggetti  di 
un  anno. 

Si  possono  adoperare  per  la  moltiplicazione  anche  le  radici  delle 
vecchie  piante,  suddividendole.  Non  è  però  metodo  consigliabile  in- 
quantochè  non  s'ottengono  mai  piante  robuste. 

Non  si  ricorre  alla  moltiplicazione  per  semi  che  per  ottenere  delle 
nuove  varietà.  A  questo  scopo,  raccolti  i  frutti  migliori,  se  ne   estrag- 
gono i  semi  che  si  stratificano  subito.  A  primavera  si  seminano,   assai 
radi,  in  terreno  ben  preparato,  usando  successivamente   tutte   le   cure 
richieste  per  gli    altri   seminati.   Le  piantine 
si    lasciano   per  un   anno   nel  vivaio  e  nella 
primavera  successiva  si  trapiantano  a  dimora 
in  linee  distanti  circa  50  cm.  in  tutti  i  sensi. 
La  fruttificazione  però    non   incomincia   che 
al  quarto  anno. 

11.  Caratteri  vegetativi.  —  Come  abbia- 
mo visto,  il  lampone  ha  un  fusto  sotterraneo 
che  sviluppa  dalle  sue  gemme  dei  polloni  che 
costituiscono  i  rami  aerei  della  pianta,  for- 
mando un  cespuglio.  Questi  rami,  nel  secondo 
anno  (C  fìg.  650),  sviluppano  all'ascella  delle 
foglie  delle  piccole  ramificazioni  fruttifere  (B) 
che  maturano  in  luglio.  Nelle  varietà  bifere, 
si  ha  anche  una  fruttificazione  anticipata 
nell'autunno  precedente.  Nell'inverno  del  se- 
condo anno  lutti  i  polloni  che  hanno  frutti- 
ficato periscono. 

Durante   la   fruttificazione    del   secondo 
anno,  però  la   pianta   sviluppa   contempora- 
neamente dal  colletto   e   dalle   nodosità    del 
fusto  sotterraneo  dei  nuovi  polloni,   i    quali  (A)    sostituiscono    i   rami 
che   hanno  fruttificato.  Anche  questi,   nel  secondo  anno,  dopo  portato 
il    frutto,  subiscono  la  stessa  sorte  dei  rami  (B). 

12.  Potatura.  —  Niente  di  più  facile   della    potatura    del   lampone. 
Se  prendiamo  in  considerazione  una  pianta  si  osserva  in  autunno, 
dopo  cadute  le  foglie  : 

a)  una  serie  di  fusticini  ramificati  brevemente,  che  hanno  portato 
frutto  e  che  si  sono  disseccati  ; 

b)  una  serie  di  rami  aerei  o  polloni  sviluppatisi  nell'anno.  Gli 
uni  lunghi  e  forti,  gli  altri  sottili  e  corti,  talvolta  lontani  dal  centro 
della  pianta  e  talvolta  nel  centro  stesso. 

La  potatura  consiste  : 
a)  nel  tagliare  raso  terra  i  primi  e  cioè  quelli  che  hanno  fruttificato; 


Fig.  650. 
Piantina  di  lampone. 


-  903  - 

b)  dei  secondi,  se  ne  scelgono  da  4  a  8  secondo  il  vigore  della 
pianta,  ira  i  più  robusti  e  più  vicini  al  centro  e  si  tagliano  a  60  cm.  Tutti 
gli  altri  si  tagliano  al  piede. 

Ogni  cespuglio  deve  avere  un  numero  di  rami  proporzionale  al  suo 
vigore.  Se  questo  è  eccessivo,  i  rami  si  tagliano  a  80  cm.  Quanto  più 
lungo  si  taglia,  tanto  più  si  anticipa  la  fruttificazione.  Se  tutti  i  rami 
sono  deboli,  se  ne  lasciano  soltanto  2  o  3  tagliandoli  corti  a  50  cm. 
Col  taglio  corto  si  posticipa  la  fruttificazione.  In  questo  modo  da 
una  medesima  piantagione  possiamo  anche  prolungare  il  periodo  di 
raccolta. 

Si  può  prolungare  la  raccolta  applicando  anche  il  taglio  luisto  cosi- 
delto  airinglese. 

Con  (juesto  taglio,  dopo  aver  soppresso  i  rami  che  diedero  frutto, 
potendo  ad  esempio  conservare  8  nuovi  rami,  di  cjuesti  4  si  tagliano 
ad  1  metro  e  4  a  25  cm.  In  tal  modo  i  rami  tagliati  lunghi  fruttificano 
per  primi  alla  fine  di  giugno  ed  in  luglio  ;  gli  altri  dalla  fine  di  luglio 
per  tutto  l'agosto. 

Dopo  il  taglio,  per  facilitare  i  lavori  del  terreno,  e  per  evitare  i 
danni  della  neve,  si  legano  in  un  fascio  i  rami  lasciati  per  lasciarli 
liberi  o  legarli  come  vedremo  nel  prossimo  capitolo,  prima  che  cominci 
la  vegetazione. 

13.  Forme.  —  Per  ottenere  il  cespuglio,  si  pianta  un  pollone  con 
radici  e  lo  si  taglia  a  20  od  a  50  cm.  a  seconda  del  suo  vigore.  Lungo 
l'anno  si  lascieranno  sviluppare  3  a  i  polloni  dalla  base. 

Nel  secondo  anno,  si  taglia  alla  base  il  pollone  piantato,  ed  i  tre 
o  quattro  polloni  nuovi  si  tagliano  a  60  cm.  Essi  daranno  nello  stesso 
anno,  il  primo  prodotto.  Durante  l'anno  si  lascieranno  sviluppare  dei 
nuovi  polloni. 

Nel  terzo  anno,  si  sopprimono  i  polloni  che  hanno  dato  frullo  e 
dei  nuovi,  se  ne  lasciano  4  o  5,  i  migliori  ed  i  più  vicini  al  centro  del 
cespuglio,  accorciandoli  a  80  cm. 

Di  anno  in  anno  si  aumenta  il  numero  dei  polloni  fruttiferi  fino 
ad  arrivare  ad  8,  applicando  il  taglio  indicato  nel  capitolo  precedente. 

Per  dare  maggiore  aereazione  al  cespuglio,  i  rami  fruttiferi  si  pie- 
gano ad  arco  ai  due  lati,  legandoli  a  dei  paletti  (A  fig.  651)  od  a  dei 
lili  di  ferro,  tirati  a  50-60  cm.  d'altezza  del  terreno.  Questo  sistema  dei 
fili  di  ferro  viene  chiamato  sistema  olandese.  Esso  assicura  un  buon 
sviluppo  dei  polloni  ed  i  frutti  ricevono  più  luce.  PYa  i  fili  di  ferro  si 
lascia  un  sentiero  largo   50   cm.  per   poter    fare  i  lavori  e  la   raccolta. 

Per  le  varietà  bifere  o  di  2  stagioni  o  rimontanti,  che  hanno  la 
particolarità  di  dare  frutto  nell'autunno  dello  stesso  anno  di  loro  forma- 
zione, non  ommettendo  di  produrlo  anche  nell'anno  successivo,  bisogna 
curare  la  scacchiatura  di  polloni  inutili  e  cioè  per  ogni  pianta  non  se 
ne  lasciano  più  di  4  forti  da  frutto. 

14.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  Si  può  piantare  dalla  fine 
di  ottobre  a  tutto  aprile,  però  il  mese  più  favorevole  è  quello    di   no- 


-  904  - 

vembre.  Ed  è  bene,  all' impianlo,  di  concimare  abbondaiitemenle  il  ter- 
reno con  stallalico,  soltcrnindo  collo  scasso  a  40  cm.  la  seguente 
concimazione  per  ara: 

500  Kg.  di  stallatico  decomposto 
8     „      „    scorie 
()    „      .,    Kainite 

Il  lavoro  di  preparazione  del  terreno  si  fa  per  tempo  in  agosto- 
settembre. 

(iìunto  il  momento  dell'impianto  si  segnano  sul  terreno  delle  linee 
parallele  longitudinali  distanti  m.  1.40,  e  traversali  ad  angolo  retto 
distanti  m.  1.10.  Al  punto  d'incontro  si  fa  una  buca  profonda  10  cm. 
sul  fondo  della    quale   si    mette   in    ciascuna    un    pollone    con   radice. 


Fig.  651.  —  Coltivazione  del  lampone  (sistema  olandese). 

Nell'impianto,  la  piantina  si  taglia  a  50  cm.  di  altezza  e  le  radici  si 
coprono  con  5  cm.  di  terra.  E'  soltanto  nell'anno  successivo  che  si 
colma  completamente  la  buca. 

Se  la  piantina  venne  tagliata  a  50  cm.  si  ha  la  probabilità  di  avere 
qualche  frutto  nell'anno  successivo,  ma  da  piante  bene  attecchite  e  molto 
vigorose.  Le  piantine  piuttosto  deboli  conviene  tagliarle  a  20  cm. 

Piantando  il  lampone  sul  confine,  bisogna  collocare  1'  ultima  fila 
a  50  cm.  e  meglio  ancora  a  m.  0.80-1,  dal  limite  della  proprietà 
slessa  i)er  non  danneggiare  il  vicino  avendo  cura  di  estirpare  ogni 
anno  i  polloni  che  crescessero  oltre  il  suddetto  limite  e  di  lavorare 
profondamente  il  terreno  per  estirpare  anche  quella  parte  del  fusto 
sotterraneo. 

Volendo  piantare  a  filare  isolato,  si  fa  una  doppia  fila  a  m.  0.80 
|)er  m.  0.80  ed  allevando  col  sistema  Olandese  si  pianta  una  sola  fila, 
collocando  le  piantine  a  m.  0.60  sulla  fila.  Fra  un  filare  e  l'altro  si  fa 
un  sentiero  di  50  cin.  di  larghezza  perciò  la  distanza  fra  i  filari  è  di  ra.  1.50. 

Nei  primi  due  anni  gli  intei'filari  si  possono  utilizzare  coltivando  dei 
fagioli  da  cornetti,  delle  cipolle,  aglio,  carote.  Non  facendo  la  coltivazione 
intercalare  bisogna  sarchiare  accuratamente  ed  eventualmente  irrigare. 


-  905  - 

11  lampone  viene  mollo  danneggialo  dalle  malerbe  e  perciò  occor- 
rono delle  lre(juenli  sarchiature.  Duranle  le  sarchiature  si  strappano 
anche  i  polloni  che  crescono  troppo  lontani  dal  cespo. 

Una  copertura  con  foglie  o  paglia,  nei  terreni  secchi  o  nelle  annate 
calde,  mantiene  la  freschezza  del  terreno  e  favorisce  la  grossezza  dei 
frutti. 

Un  impianto  di  lampone  esaurisce  presto  il  terreno,  perciò  dopo 
8  o  10  anni  talvolta  bisogna  strappare  le  piante.  Occorre  sempre  una 
forte  concimazione  all'impianto  ed  una  concimazione  di  mantenimento 
ogni  due  anni,  con  concimi  artiliciali. 

Le  esperienze  fatte  di  concimazione  hanno  dato  i  seguenti  ri- 
sultati: 

1.  Concimazioni  frequenti  e  generose  sono  indispensabili  per  il 
lampone. 

2.  Concimando  abbondantemente,  un  impianto  di  lampone  può 
durare  anche  20  anni. 

3.  Se  manca  uno  dei  tre  elementi  fertilizzanti,  la  produzione  dimi- 
nuisce subito  notevolmente. 

4.  L'azoto  influisce  sullo  sviluppo  dei  polloni;  mancando  l'anidride 
fosforica  o  la  potassa,  i  rami  crescono  pure  brevi,  le  gemme  rimangono 
poco  sviluppate,  il  legno  matura    male  e  si   rende   delicato  pei  freddi. 

5.  L'azoto  e  la  potassa  influiscono  principalmente  sullo  sviluppo 
e  produzione  dei  frutti.  I  frutti  ne  contengono  in  quantità  quadrupla 
dell'anidride  fosforica  e  della  calce. 

6.  L'azoto  si  può  dare  sotto  forma  di  nitrato,  di  panelli  e  di  farina 
(li  sangue.  Questi  due  ultimi  hanno  maggiore  effetto  sulla  fruttificazione, 
mentre  l'hanno  eguale  sulla  vigoria  di  vegetazione. 

7.  L'anidride  fosforica  si  può  dare  sotto  forma  di  scorie  nei  ter- 
reni non  calcari,  altrimenti  si  adoperi  perfosfato. 

8.  La  potassa  si  può  dare  sotto  forma  di  cloruro  potassico  o  di 
Kainite. 

La  formola  che  mi  diede  migliori  risultati  in  un  terreno  contenente 
il  20  Vo  di  calce  è  la  seguente  : 

(  Kg.  932  farina  di  sangue 
per  ettaro  ì     „     166  di  perfosfato 

(     „     332    „    cloruro  potassico 

Vercier  consiglia  le  seguenti  formole  : 

l  panello    Kg.  600 

ogni  due  anni  per  ettaro  ^  Kainite       „    700 

f  scorie         „    700 

,  j  .      ,.        ,1  Kainite  Kg.  700 

(  I  anno  in  dicembre  le-  -aa 

Scorie      „     /OO 


oppure  nel      „  ^^^^^   ;„   3   volte  \ 
{     al  1  e  30  maggio      / 


Nitrato  di  soda  Kg.  250 


-  906  - 

II  lampone  si  può  coltivare  anche  nei  frutteti  nei  primi  10  anni, 
quale  coltura  intercalare,  prima  ciie  le  piante  arboree  abbiano  raggiunto 
il  completo  sviluppo.  Si  pianta  negli  interlilari,  lasciando  una  distanza 
di  2  a  3  metri  dalla  fila  delle  piante. 

15.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  I  frutti  del  lampone 
si  raccolgono  (|uando  sono  ben  maturi,  ed  hanno  perduta  tutta  la  loro 
acidità,  non  però  prima  che  le  bacche  si  sgranino. 

Per  la  raccolta  dei  lamponi  da  mensa  bisogna  aver  cura  di  non 
schiacciare  i  frutti.  A  tale  scopo  si  portano  sul  campo  dei  cestelli  con 
coperchio  caj)aci  di  contenere  Va  Kg.  di  frutti  e  l'operaio  piega  il  ramo 
del  frutto  nel  cesto  che  si  colloca  in  terra,  taglia  colle  forbici  i  fruiti 
lasciando  un  po'  di  gambo,  e  li  fa  cadere  direttamente  nel  cesto.  Ap- 
pena questo  è  riempito  si  mette  il  coperchio  e  lo  si  porta  in  luogo 
fresco,  dove  lo  si  lascia  fino  al  momento  di  portare  il  prodotto  sul 
mercato. 

I  frutti  destinati  all'industria  si  raccolgono  pure  maturi  e  collocati 
in  cesti  della  capacità  di  2  Kg.  che  la  donna  tiene  legati  alla  cintura 
quando  raccoglie.  Quando  sono  pieni,  si  mettono  sopra  un  tavolato 
per  raccogliere  eventualmente  il  succo  che  cola. 

II  frutto  maturo  si  riconosce  dal  colore  più  intenso,  dal  profumo 
più  marcato  e  dalla  tendenza  che  esso  ha  di  staccarsi  dal  peduncolo. 
Prendendo  il  frutto  con  le  mani  se  si  stacca  facilmente,  è  giunto  il 
momento  del  raccolto. 

Una  donna  può  raccogliere  in  una  giornata  da  25  a  40  Kg.  di 
frutti.  11  raccolto  completo  si  fa  in  Sol  volte  e  possibilmente  al 
mattino. 

16.  Composizione  chimica  dei  frutti.  -  Il  loro  valore  nutritivo  è 
alquanto  minore  di  quello  delle  fragole,  come  risulta  dal  seguente 
confronto  secondo  Fresenius. 


Acqua 


'     Zucchero  

Sostanze      solubili    )     Acidi  liberi  .... 
nell'acqua \     Sostanze  albuininoidi 


Sostanze  insolubili 
Sostanza  secca  .     . 


,  Sostanze  pectiche 

t  Cellulosa  .     .    .     . 

(  Cenere  

\  Azoto 

(  Zucchero  .    .     .     . 


impone 

Fragola 

85.74 

86.833 

3.86 

3.818 

1.42 

1.491 

0.40 

0.554 

1.44 

0.127 

7.44 

— 

0.48 

— 

0.48 

— 

28.19 



E.  Durand  avrebbe  trovato  per  Kg.  di  frutti  : 

Acidità  in  acido  solforico gr.  12.20 

Glucosio ^^    55.70 

Saccarosio g.95 


—  907  — 

17.  Usi.  —  I  lamponi  come  frutto  da  tavola  si  servono  come  le 
fragole  con  zucchero ,  vino  e  liquori.  Si  fanno  con  essi  conserve, 
confetture,  siroppi,  ghiacciate  e  gelati.  Servono  anche  a  profumare  vini 
e  liquori  ed  in  Russia  e  Polonia  si  adoperano  per  fare  acquaviti.  Sono 
usati  anche  in  medicina. 

I  lamponi  sono  pregiati  come  frutto  da  tavola  per  il  loro  aroma 
speciale  nonché  per  essere  zuccherini,  aciduli.  Non  possono  però  stare 
al  paragone  delle  fragole,  avendo  le  bacche  un  leggero  tomento  sulla 
superlicie  che  fa  un'  impressione  non  a  tutti  gradevole  al  palato.  I 
lamponi  e  specialmente  le  loro  bevande  godono  proprietà  rinfrescanti 
e  si  dice  che  favoriscono  la  traspirazione  e  la  secrezione  urinaria. 
In  troppa  quantità  però  diventano  lassativi  e  possono  cagionare  delle 
coliche. 

Mettendo  in  rifusione  dei  frutti  nell'aceto  bianco,  si  prepara  una 
bevanda  che  con  aggiunta  d'acqua  e  di  zucchero  è  piacevole,  dissetante 
e  rinfrescante. 

L'uso  dei  siroppi  di  lampone  è  ancora  poco  diffuso  in  Italia  causa 
il  prezzo  troppo  elevato  dello  zucchero. 

18.  Dati  economici.  —  Un  impianto  di  lampone  comincia  a  dare 
frutti  normalmente  nel  3°  anno  e  dà  un  prodotto  per  ara  di  40  a  70 
Kg.  di  frutta. 

La  sua  durata  varia  secondo  la  qualità  del  terreno,  le  cure  di 
coltivazione  e  la  concimazione.  Un  impianto  può  durare  12  anni. 


ROVO 

(Rubus  fruticosus  Linn.  —  F'am.  Rosacee). 

Nomi  volgari  iUiliani  della  piatila  —  Kogo,  Rogo  di  macchia,  Rovo 
montano. 

Nomi  volgari  ilaliani  del  frullo  —  Mora,  Mora  prugnola,  Mora  di 
macchia. 

Nomi  volgari  stranieri  della  piatila  —  Frane:  Ronce  coinmun  —  Ted.: 
Gemeiner  Brombeerstrauch  —  Ingl.  :  Black-berry. 

Nomi  volgari  stranieri  del  frullo  —  Ted.  :  Bromberee. 

1.  Origine.  —  E  un  frutice  comune  nelle  siepi,  nei  luoghi  incolli 
e  ne-     oschi  di  tutta  Italia. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Come  il  lampone  ha  un 
fusto  sotterraneo,  molto  lungo,  ramosissimo.  Le  diramazioni  sono  fili- 
formi, nodose  e  profonde.  Queste  diramazioni  emettono  dei  polloni 
che  costituiscono  i  fusti  aerei  i  quali  sono  pure  biennali,  lunghi, 
deboli,  striscianti  o  ripiegantosi  ad  arco,  con  cinque  costole  più  o 
meno    rilevate.    Sono    poco    ramosi    e    sortono   in    gran    numero    ogni 


--  i)08  - 

anno  dalla  radice.  Meltono  i  lìori  nel  secondo  anno  e  poi  abortiscono 
(fìg.  652). 

La  corteccia  è  bruno-rossigna,  coperta  di  molti  aculei  adunchi, 
giallo-rossigni. 

Le  foglie  variano  sovente  d'aspetto,  tanto  in  rapporto  alla  forma 
e  dentellatura  dei  bordi  quanto  ancora  pel  tomento. 


FiS-  'J'>2.  —  Fiori  e  frutti  di  rovo. 


Sopra  simili  accidentali  cambiamenti,  nonché  su  quelli  della  infio- 
rescenza si  basa  la  classKìcazione  delle  varietà,  di  cui  vedremo  in 
seguito. 

Nel  Rubns  fniticosiis  le  foglie  sono  alterne,  picciolate,  quin  e  o 
ternate,  con  foglioline  variabili  di  grandezza  e  figura,  ovate-oblii  - 
ghe,  ecc.  più  o  meno  rotondate,  seghettate  finamente,  glabre  e  lucide 
sulla  pagina  inferiore  e  di  color  verde-cupo.  Sulla  pagina  inferiore 
sono  tomentose  e  biancheggianti. 

Il  fiore  ha  la  corolla  o  bianca  o  screziata  di  rosso,  oppure  è  carni- 
cina ;  sboccia  in  maggio-giugno-luglio. 


—  909  - 

Il  frutto  matura  in  agosto  e  settembre,  passando  del  verde  al  rosso 
poi  al  nero.  K  composto  di  molli  acini,  disposti  a  cupola  (mora), 
di  sapore  dolce  (lìg.  653). 


Fig.  653.  —  Fruttificazione  del  rovo. 


Cresce  per  lo  più  vicino  o  sotto  ad  altri  alberi  ai  quali  molte  volte 
appoggia  i  suoi  rami  talmente,  che  quelli  vengono  depressi  dal  suo 
peso  se  sono  deboli  o  in  tenera  età. 

3.  Classificazione  e  scelta  delle  varietà.  —  Queste  si  possono  riunire 
in  5  classi  secondo  gli  autori  inglesi. 

1.    Rovo  a  grappoli    lunghi   (Rubus    lùllosiis).  —  E'  la    varietà    più 
diffusa  a  frutti  più  grossi,  il  grappolo  è  lungo,  spargolo,  aperto,  senza 


—  910  - 

foglie,  con  un  lungo  peduncolo.  La  pianta  è  vigorosa  con  foglie  ab- 
bastanza sottili.  Frutti  cilindrici.  A  questa  classe  appartengono  le  va- 
rietà: Early  Cluster  e  Ancient  Briton. 

2.  Rovo  a  (jvappoU  corti  (Rubiis  villosus  var.  salivus).  —  Con  le 
le  varietà:  New  Rochelle,  Kattatinny,  Suyder,  Agawan,  Erie,  Minnewaski 
e  Mersereau.  II  grappolo  tipico  ha  pochi  frutti,  tondeggianti. 

:ì.  Rodo  frondoso  {Riibns  villosus  var.  frondosiis.  —  Si  trova  nei 
terreni  aridi  e  forma  dei  frutici  con  molte  ramificazioni.  I  grappoli 
sono  brevi,  le  foglie  piccole,  rotonde,  sbiadite,  rimangono  a  lungo 
aderenti  in  autunno  sui  rami. 

Il  frutto  matura  presto,  di  media  grossezza  e  rotondo.  Appartengono 
a  (juesla  classe  le  varietà:  Early  Harvest  e  Brunton's  Early. 

4.  Rovo  a  grappoli  spargoli  {Rubus  villosus  x  Rubus  Canadensis).  — 
Appartengono  le  varietà  :  Wilson  Early,  Wilson  Junior,  Sterling  Tho- 
ruless ,  Rathbun  e  probabilmente  la  Thompson's  Early  Mammotb. 
Questa  classe  è  caratterizzata  per  i  rami  molto  coricati  formanti  un 
cespuglio  largo. 

5.  Rovo  delle  sabbie  (Rubus  cuneifolius).  —  Questo  rovo  cresce 
selvatico  nelle  sabbie  intorno  a  New  York  e  raggiunge  l'altezza  di  ni. 
0.60  a  1.  Le  foglie  hanno  una  dentatura  larga,  sono  intagliate  e  molto 
pelose.  I  frutti  sono  radi,  rotondi,  molto  neri,  dolci,  eccellenti. 

Le  varietà  più  importanti  poste  in  commercio  dagli  americani 
sono  le  seguenti:  Snyder,  Minnewaski,  Kittatinny  (precoce),  Ancien! 
Hriton,  Agawan,  Erie,  Early. 

Queste  due  ultime  sono  molto  precoci. 

In  generale  tutte  queste  varietà  americane  sono  molto  sensibili 
ai  freddi. 

In  Europa  si  distinguono  due  sole  classi:  rampicanti  e  striscianti, 
alle  quali  ultime  appartengono  quasi  tutte  le  varietà  americane  che 
sono  state  introdotte. 

Le  varietà  più  comuni  sono:  il  rovo  tomentoso  colle  foglie  vellu- 
tate su  ambe  le  pagine;  il  rovo  senza  aculei;  il  rovo  a  foglie  frasta- 
gliate; il  rovo  irto,  cioè  colle  foglie  irsute;  il  rovo  glanduloso  colle 
foglie  glandulose;  ed  il  rovo  ibrido. 

4.  Importanza  della  coltivazione.  —  Da  noi  in  Italia  questa  colti- 
vazione non  è  slata  ancora  tentata  a  mia  conoscenza  con  una  certa 
estensione  per  le  molte  altre  specie  di  frutta  più  pregevole  che  si  pos- 
sono avere  in  agosto,  ma  non  credo  che  sia  conveniente  a  diffonderla. 
In  (lermania  dove  è  slata  tentata  la  coltivazione  anche  di  varietà  ame- 
ricana, non  si  conseguirono  buoni  risultali. 

5.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Come  il  lampone,  richiede  però  più 
sole  e  più  spazio. 

6.  Clima  e  terreno.  —  In  tutta  Italia  è  possibile  la  coltivazione 
del  rovo  che  cresce  spontaneo.  Oggetto  di  cura  è  soltanto  in  Inghil- 
terra ed  America,  dove  si  fanno  le  distinzioni  delle  varietà,  delle 
quali  ho  citalo  le  più  meritevoli. 


—  911  - 

Il  miglior  terreno  per  il  rovo  è  quello  profondo,  soffice,  alluvionale, 
con  preponderanza  di  calce  ed  argilla  e  con  molto  iimiis. 

7.  Moltiplicazione  e  coltivazione.  —  L'impianto  devesi  fare  su 
terreno  scassato,  perchè  le  radici  possano  approfondirsi  e  le  piante 
non  abbiano  da  soffrire  per  la  siccità  dell'estate.  Si  adoperino  per  la 
moltiplicazione  dei  getti  di  un  anno,  robusti,  e  si  piantino  alla  profon- 
dità di  15  a  20  cm.  in  aiuole  ben  concimate  con  stallatico.  L'impianto 
si  faccia  a  file  distanti  fra  loro  m.  2.50  e  sulla  fila  metri  0.6-1.  Gli 
spazi  fra  le  piante  vengono  presto  occupati  nei  venturi  anni  coi  nuovi 
germogli.  Non  conviene  lasciarne  molti  inquantochè  occorre  poter  la- 
vorare il  terreno  intorno  alle  piante  per  mondarlo  dalle  malerbe. 

Nel  primo  anno  si  può  utilizzare  l'interfilarc  con  un  impianto  di 
fragole  o  patate. 

Nel  primo  anno  alle  piante  vigorose  si  lasciano  3  a  4  getti  per 
pianta,  i  quali  daranno  frutto  nell'anno  successivo  ;  se  però  questi 
getti  hanno  una  lunghezza  di  m.  0.60  ad  1,  bisogna   accorciarli. 

Le  cure  di  coltivazione  del  rovo  sono  semplicissime  ed  identiche 
a  quelle  del  lampone.  Bisogna  ricordare  che  soltanto  i  getti  formatisi 
nell'anno  precedente  e  che  sortono  dalla  radice,  possono  portare 
frutto. 

Occorre  quindi  sopprimere  alla  base  tutti  i  getti ,  di  mano  in 
mano  che  i  frutti  maturano  (fine  agosto),  per  provocare  dalla  radice 
dei  nuovi. 

Una  buona  radice  di  rovo  può  dare  annualmente  da  10  a  20  getti, 
però  di  questi,  come  abbiamo  detto,  per  ottenere  delle  belle  frutta 
se  ne  lasciano  soltanto  5  o  6  in  terreni  buoni  e  sopra  piante  vigorose; 
ancora  meno  in  circostanze  poco  favorevoli.  1  polloni  che  non  hanno 
una  lunghezza  superiore  a  10-13  cm.,  devonsi  soppi'imere.  I  polloni 
che  raggiungono  una  lunghezza  di  80  a  90  cm.,  si  cimano  di  5  a  10  cm. 
ed  a  questo  scopo  conviene  visitare  di  frequente  la  piantagione,  per 
praticare  anche  durante  la  vegetazione  questa  cimatura.  11  frutticoitore 
attento  anzi  deve  fare  questa  operazione  di  mano  in  mano  che  vede 
assicurato  un  buon  prodotto,  già  allegato  ed  in  via  di  maturazione, 
allo  scopo  di  rinforzare  i  polloni  nuovi  che  nella  prossima  annata 
porteranno  frutto. 

11  rovo  non  richiede  alcun  sostegno  e  soltanto  nei  terreni  più 
freddi,  abbisogna  di  una  rincalzatura  in  autunno  per  ripararlo  dai 
danni  del  gelo. 

Il  terreno  deve  essere  mantenuto  sempre  soffice  e  deve  essere 
lavorato  profondamente. 

La  concimazione  con  stallatico  e  concimi  supplementari  a  base  di 
azoto  ed  acido  fosforico,  si  è  dimostrata  la  più  confacente. 

8.  Prodotto.  —  I  frutti  sono  commestibili  e  con  essi  si  può  fare 
anche  un  liquore  o  delle  conserve. 

Hanno  un  sapore  dolce  smaccato  con  qualche  profumo  specialmente 
fra  le  varietà  nuove. 


-  912  - 
Secondo  l'resenius  la  loro  composizione  sarebbe  la  seguente 


Acqua. 


Sostanze     solubili 
nell'accina 


Sostanze 
nell'acqua 


Sostanza  secca 


insolubili    \ 


80.11 

Zuccbero 4.14 

Acido  libero Oli) 

Sostanze  albuminoidi 0.51 

Sostanze  pectiche 1.44 

Cenere 0-41 

Cellulosa 0.21 

Pectosio 0.:ì8 

Cenere 0.07 

Azoto 0.42 

Zucchero 32.07 


Le  foglie  del  ros'o  sono  gradite  alle  pecore  e  capre,  le  quali  ul- 
time mangiano  anche  i  teneri  polloni. 

Dai  tronchi  si  ricavano  delle  tinture  per  colorire  i  panni  e  la  ce- 
nere dei  tronchi  contiene  molta  potassa. 

Un  impianto  di  rovi  può  durare  in  media  circa  20  anni  e  sempre 
convenientemente  rimunerativo,  ricavando  intorno  a  120  hi.  l'ettaro 
di  IVutti. 


PARTE  OTTAVA 
PIANTE   DA  FRUTTI   COMPOSTI 


FICO  (') 

(Ficus  carica  Limi.  —  Fani.  Urlicacee). 

Nome  volgare  italiano  del  fruito  —  Fico. 

Nonìi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Pranc.  :  Figuier  —  Ted.  :  Fei- 
genbaum  —  Ingl.  :  Fig-tree. 

1.  Origine  e  distribuzione  geografica.  —  Originaria  dell'Ori en le, 
questa  pianta  è  coltivata  in  tutte  le  regioni  d'Italia,  fino  a  1000  metri 
di  altitudine. 

La  storia  del  fico  presenta  molta  analogia  con  quella  dell'olivo,  per 
quanto  riguarda  l'origine  e  la  distribuzione  geografica.  Come  specie 
spontanea,  ha  dovuto  estendersi  facilmente  per  efletto  della  dispersione 
dei  semi,  potendo  questi  attraversare  il  tubo  digerente  dell'  uomo  e 
degli  animali  senza  essere  digeriti.  Vi  sono  pertanto  dei  paesi  dove  il 
fico  viene  coltivato  senza  mai  essere  inselvatichito,  come  l'India,  il 
mezzogiorno  degli  Stati  Uniti,  l'isola  Borbone  ed  il  Cile. 

Oggi  il  fico  cresce  spontaneo  o  quasi  spontaneo  in  una  vasta  re- 
gione di  cui  la  Siria  occupa  presso  a  poco  il  centro  e  cioè  dalla  Persia 
Orientale  o  dall'Afganistan,  attraverso  tutta  la  regione  del  Mediterraneo 
fino  alle  isole  Canarie;  e  si  arresta  come  l'olivo,  ai  piedi  del  Caucaso 
e  delle  montagne  d'Europa  che  limitano  il  bacino  del  Mediterraneo. 

2.  Il  fico  e  il  caprifico.  —  Da  tutti  viene  ammesso  che  il  fico  do- 
mestico deriva  dal  caprifico,  fico  selvatico  della  regione  del  Mediterraneo 
che  pare  originario  delle  regioni  montuose  dell'Arabia  meridionale. 

Da  qui  si  propagò  per  seme,  trasportato  dagli  uccelli.  Per  coltiva- 
zione o  per  selezione  operata  dall'uomo  si    formarono    diversi   tipi    di 


(1)  F.  Vallese.  //  fico.  Catania  190'J.  —  P.  Esteiìlich.  La  Higuere.  Palina  de  Mallorca  1910. 
58  —   r.\MAito  -  Frulticolliira. 


caprilico  che  vengono  coltivali  più  che  per  il  frutto,  per  l'abbondanza 
di  fiori  maschi  i  quali  servono  a  fecondare  come  vedremo  i  fichi  do- 
mestici. 

3.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Alljcro,  che    si   eleva    fino  a 
7-10  metri  di  altezza,  e  quando  è  selvatico,  rimane  allo  slato  di  arbusto. 


Fig.  654.  —  Albero  di  fico  Albo. 


Cresce  rapidamente,  se  è  isolato,  i  rami  si  estendono  mollo,  curvandosi 
verso  terra  e  dando  alla  pianta  un  aspetto  irregolarmente  rotondalo 
(lìg.  f)ó4).  Radice  robustissima,  dotata  di  un  potere  straordinario  di 
penetrazione  anche  nelle  minime  fessure  delle  roccie. 

Tronco  torlo  e  ramoso,  con  la  scorza  cenerina  e  liscia.  I  rami  sono 
contorli,  di  color  diverso  secondo  l'età,  e  contengono,  come  tutte  le 
parli  della  i)ianla,  un  latticelo  bianco,  gommoso. 


915 


Sul  fico,  le  gemme  vegetanti  fiorifere,  si  trovano  esclusivamente  sui 
rami  di  un  anno  e  verso  l'estremità.  Sui  rami  di  due  e  più  anni  si  tro- 
vano delle  gemme  foglifere  (a  legno)  che  germogliano  soltanto  se  il 
prolungamento  del  ramo  formatosi  nell'anno  precedente  viene  dan- 
neggiato dal  gelo  o  amputato. 

Alla  base  dei  rami  vecchi,  alle  biforcazioni,  alla  base  del  tronco, 
non  mancano  gemme  avventizie  che  danno  i  |)olloni. 

I  rami  di  un  anno  sono  provveduti  sempre  di  una  o  due  gemme 
terminali  a  legno.  Queste  sono  acuminate  e  coperte  da  due  squame.  In 
prossimità  alla  gemma  terminale  si  possono  trovare  delle  gemme  fio- 
rifere, che  sono  subrotonde  e  sporgenti. 

Sotto  la  gemma  teruìinale,  a  brevi  internodi,  si  notano  delle  larghe 
cicatrici  sormontate  da  una  o  due  cicatrici  pure  tondeggianti,  ma  più 
piccole.  La  cicatrice  maggiore,  segna  il  punto  dove  nell'anno  precedente 
era  inserita  la  foglia;  le  cicatrici  minori,  indicano  il  punto  in  cui  erano 
inseriti  i  fichi.  Fra  queste  cicatrici  è  inserita  una  piccola  gemma,  ovale, 
appuntita,  la  gemma  foglifera  (a  legno).  Talvolta  in  sua  vece  può  tro- 
varsi una  gemma  a  frutto  che  ha  la  forma  di  bottoncino  tondeggiante. 

Le  foglie  sono  grandi,  consistenti,  scabre,  pubescenti  di  sotto,  cuori- 
formi alla  base,  raramente  intere,  quasi  sempre  divise  in  tre  a  sette 
lobi  disuguali,  grossamente  dentale  nel  margine. 

Le  nervature  principali  si  dipartono  con  disposizione  palmata  dalla 
base,  raramente  intere,  quasi  sempre  divise  in  tre  a  sette  lobi  disuguali, 
grossamente  dentate  nel  margine,  le  secondarie  sono  a  disposizione 
pennato  reticolata. 

II  picciolo  è  lungo  un  terzo  o  la  metà  della  lamina.  Due  grandi 
stipole  intere,  acute,  avvolgono  come  in  un  cartoccio  la  gemma  termi- 
nale e  cadono  quando  questa  gemma  germoglia 

ed  apparisce  la  foglia  successiva.  Anche  le  stipule 
lasciano  sul  ramo  la  cicatrice.  Quando  invece  si 
arresta  lo  sviluppo  del  prolungamento,  ciò  che 
avviene  in  giugno  o  luglio,  coll'apparire  dei  fichi 
estivi,  le  stipule  dell'ultima  foglia  non  cadono, 
ma  si  induriscono,  diventano  prima  di  color 
rosso  poi  bruno  e  formano  le  due  squame  di 
protezione  della  gemma  terminale  di  cui  abbiamo 
già  parlato. 

Se  si  osserva  un  frutto  di  fico  sezionato  ver- 
ticalmente, quale  è  rappresentato  dalla  fig.  655, 
si  vede  che  esso  non  è  un  semplice  frutto  ma 
un  ricettacolo  fiorale,  un  rametto  verde  iiigrossoto 
e  cavo,  proveniente  dal  ramo  corrispondente  della 
pianta,    e    contiene   nella    sua    cavità    un  grande 

numero  di  fiori.  Questo  rametto  che  ha  la  forma  di  clava,  chiamato 
dai  botanici,  siconio,  è  in  realtà  una  tazza  od  urna,  dalla  cui  parete 
interna    sorgono    le  ultime    ramificazioni  del  germoglio  colla  forma  di 


Fig.  655.  —  Frutto  di 
fico  sezionato. 


-  916  - 

peduncoli  fiorali.  La  bocca  dell'urna,  chiamata  orifizio,  è  molto  piccola, 
ristretta  da  piccole  fogliette  squamose. 

I  (ìori  che  riempiono  quasi  tutta  la  cavità  interna,  sono  molto  pic- 
coli e  di  4  specie  : 

a)  fiori  maschi,  che  si  trovano  presso  l'orifìzio,  formati  da  un 
peduncolo  che  si  allarga  in  tre  foglioline  squamose  (il  perigonio) 
e  portano  da  3  a  5  stami  (vedi  illustrazione  a  sinistra  della  fìg.  055). 
I  fiori  maschi  si  trovano  sul  caprifico;  molto  raramente  sul  fico 
domestico  ; 

b)  fiori  femminili,  con  stilo  lungo  (vedi  illustrazione  a  destra  della 
fig.  055),  producono  il  seme  che  è  considerato  botanicamente,  il  vero 
frutto.  I  fiori  femminili  si  trovano  tanto  sul  caprifico  quando  sul  fico; 

e)  fiori  gciHicoli,  sono  fiori  femminili  con  stilo  assai  breve,  ove 
dimora  e  si  sviluppa  un  moscherino,  Blaslophaga  (jrossoriim  che,  come 
vedremo,  favorisce  la  fecondazione  del  fico.  I  fiori  gallicoli  si  trovano 
solo  sul  caprifico  ; 

d)  fiori  ibridi.  Sotto  questa  denominazione  intendo  chiamare  lutti 
quei  fiori  del  fico  domestico,  che  arrivano  a  maturazione,  ossia  a 
diventare  carnosi,  senza  il  concorso  del  polline  dei  fiori  maschili  del 
caprifico.  Nel  caprifico  non  si  trovano  i  fiori  ibridi.  Questi  fiori  ibridi 
non  producono  semi  fecondi,  si  sono  formati  nel  fico  domestico  in 
seguito  alla  continuata  loro  coltivazione  in  un  ambiente  dove  mancava 
la  fecondazione  per  mezzo  della  Blastophaga.  Per  inerzia  l'ovario  si 
andò  trasformando;  lo  stigma  scomparve,  lo  stilo  diventò  più  corto, 
l'ovulo  si  è  atrofizzato.  E'  avvenuto  perciò  in  questi  fiori  una  degene- 
razione come  si  manifesta  in  molti  fiori  ornamentali  moltiplicati  esclu- 
sivamente per  divisione  della  pianta. 

Non  tutti  i  fichi  domestici  sono  costituiti  esclusivamente  di  fiori 
ibridi.  Cosi  ad  esempio  il  fico  di  Smirne  ha  soltanto'  fiori  femminili  e 
per  maturare  ha  bisogno  della  impollinazione  o  come  si  suol  dire  della 
caprificazione.  Altri  fichi,  come  quello  di  S.  Pietro,  il  Gentile,  il  Porto- 
ghese, secondo  quanto  dice  l'Esterlich  nell'opera  citata,  contengono 
esclusivamente  fiori  ibridi  nei  fioroni  e  fiori  femminili  nei  frutti  estivo 
autunnali. 

Affinchè  questi  maturino  è  indispensabile  quindi  la  impollinazione, 
che  non  è  necessaria  per  i  fichi  fiori. 

Le  infiorescenze  ossia  i  fichi,  si  formano  successivamente  in  diversi 
periodi   dell'anno. 

Così  nel  caprifico  abbiamo  : 

a)  Le  mamme,  (Gratitires  dei  greci)  o  fichi  d'inverno,  attaccati  per 
tutto  l'inverno  al  di  sopra  delle  cicatrici  lasciale  dalle  foglie  cadute 
nell'autunno.  Sono  tondeggianti,  di  colore  verde-bronzo,  con  sfumature 
violacee  e  racchiudono  fiori  gallicoli. 

In  aprile,  quando  escono  i  moscherini,  questi  frutti  cadono. 


-  917  - 

b)  I  profichi  (orni  dei  greci,  grossi  dei  latini),  si  sviluppano  al  di 
sopra  delle  mamme,  sulla  estremità  del  ramo  ;  racchiudono  vicino 
all'orifizio  dei  fiori  maschili,  e  nei  due  terzi  inferiori  circa,  fiori  fem- 
minili gallicoli.  In  tre  mesi  maturano  e  disseccano,  raramente  si  arri- 
vano a  mangiare. 

e)  I  mammoni  (fornites  dei  greci),  si  sviluppano  in  numero  limi- 
tato durante  l'estate  e  contengono  tutte  e  tre  le  sorta  dei  fiori.  I  mammoni 
sono  buoni  a  mangiarsi  in  qualche  varietà  di  caprifico. 

La  coltivazione  del  caprifico  come  si  vede  non  conviene  per  il 
frutto,  ma  solo  per  la  caprificazione. 

Nel  fico  domestico  si  riscontrano  una  o  due  specie  di  infiorescenze, 
[n  questo  ultimo  caso  il  fico  è  chiamato  bifero: 

a)  fiorone  o  fior  di  fico  (colummo)  il  quale  corrisponde  al  profico. 
Si  sviluppa  come  questo  in  primavera,  da  quei  bottoni  tondeggianti 
che  abbiano  veduto  trovarsi  assieme  alle  gemme  a  legno  sull'estremità 
dei  rami  dopo  cadute  le  foglie. 

Contiene  esclusivamente  dei  fiori  ibridi. 

b)  Fico  propriamente  detto,  o  frutto  eslino  autunnale.  Contiene  a 
seconda  delle  varietà  dei  fiori  femminili  o  dei  fiori  ibridi  od  anche 
simultaneamente  tutte  e  due  le  specie  di  fiori.  È  ben  raro  trovare  sul 
fico  domestico,  dei  fiori  maschili. 

Quando  i  fiori  femminili  sono  stati  fecondati,  l'ovario  si  trasforma 
in  una  piccola  drupa,  (è  il  vero  frutto  dei  botanici),  che  racchiude  il 
seme.  Naturalmente  nei  fiori  sterili  la  drupa  rimane  senza  seme  come 
anche  nei  fioroni.  Quindi  la  parte  edule  del  fico  è  composta  di  una 
([uanlità  di  drupe  la  cui  polpa  è  molle,  zuccherina  e  succosa. 

Per  quanto  i  fichi  fiori  del  frutto  domestico  siano  molto  stimali 
per  la  loro  precocità,  nella  grande  coltura  sono  più  apprezzati  però  i 
fichi  estivo-autunnali,  essendo  più  dolci,  più  profumati  ed  i  soli  atti 
dell'essiccazione. 

4.  Caprificazione.  —  La  fecondazione  del  fico  avviene  come  ho 
citato  più  sopra  per  mezzo  di  moscherini  della  famiglia  degli  Imenol- 
leri,  gruppo  dei  Calcidi  e  particolarmente  della  specie  Blastophaga 
grossorum  Grev.  che  nascono  nella  galla  dei  fiori  gallicoli  del  capri- 
fico e  viene  chiamata  caprificazione. 

Aprendo  durante  l'inverno  una  mamma  del  caprifico,  si  trova  il 
ricettacolo  ripieno  di  fiori  gallicoli,  i  quali  invece  di  portare  dei 
semi,  portano  uova  della  Blastophaga.  Queste  uova  sono  affatto  simili 
ai  semi. 

Sul  finire  dell'inverno  dall'uovo  nasce  una  larva,  che  rimane 
racchiusa  nella  galla.  Dopo  due  mesi  si  ha  l' insetto  perfetto  (fine 
aprile). 

Allora  il  maschio,  esce  dalle  galle  e  va  a  fecondare  le  femmine  ; 
c[ueste  alla  loro  volta  si  avviano  verso  l'orifizio,  escono  dalle  mamme, 
e  procurano  di  penetrare  per  l'orifizio  nel   primo   profico    che   incon- 


-  <)18  - 

trano,  perdendo  anche  le  ali.  Nel  profico  depongono  le  ova  nell'ovario 
dei  fiori  giallicoli. 

Le  larve  che  nascono  (verme  dei  fichi)  riempiono  l'ovario,  il  pro- 
(ìco  si  ingrossa  ed  in  capo  ad  altri  due  mesi  si  ha  una  seconda 
generazione,  che  accade  di  solito  nella  seconda  metà  di  luglio. 

Le  femmine  nell'uscire,  in  contatto  coi  fiori  maschili  che  si  tro- 
vano presso  l'orifizio  e  colle  antere  aperte  piene  di  polline,  vengono 
da  questo  quasi  completamente  coperte  e  lo  trasportano  nei  mammoni 
o  fichi  estivo  autunnali.  Il  polline  in  contatto  coi  fiori  femminili,  li 
feconda  ed  intanto  la  Blastofaga  depone  le  uova.  Prima  dell'inverno 
vi  ha  una  terza  generazione,  la  quale  depone  le  uova  (in  settembre), 
nelle  mamme  del  caprifico. 

Essendoché  la  maggior  parte  dei  fichi  domestici  contiene  esclusi- 
vamente dei  fiori  ibridi,  è  sembrato  ad  alcuni  per  molto  tempo  che  la 
caprifìcazione  fosse  inutile.  In  realtà  invece  è  necessaria  per  alcune 
varietà. 

Difatti  abbiamo  visto  che  ad  esempio  il  fico  di  Smirne,  il  quale  è 
unifero,  non  matura  i  suoi  fiori  femminili  se  non  vengono  fecondati; 
cosi  si  dica  per  il  fico  di  San  Piero,  per  il  Gentile,  per  il  Portoghese, 
se  da  questi  si  vogliano  avere  i  fichi  estivo-autunnali  ;  cosi  di  molte 
varietà  delle  regioni  meridionali  come  il  Faccio  descritto  dal  Vallese, 
il  Fico  deir Abate,  il  Fiacazzano,  ecc.  E'  stato  poi  anche  dimostrato  che 
la  capri ficazione  rende  i  frutti  più  succosi,  affretta  la  maturazione  ed 
impedisce  la  caduta  anticipata.  In  ogni  caso  è  necessario  pel  coltiva- 
tore di  conoscere  le  varietà  di  fichi  la  cui  caprificazione  è  necessaria,  a 
{|uali  è  utile  ed  a  quali  è  indifferente.  Questo  è  un  programma  di  studi 
(li  altissimo  interesse. 

In  Italia  è  usata  la  caprificazione  nelle  Puglie,  in  Calabria  ed  in 
Sicilia.  In  Spagna,  Algeria,  Grecia,  Asia  minore  ed  in  generale  nei  paesi 
caldi,  la  caprificazione  è  una  pratica  ordinaria. 

La  caprificazione  si  fa  alla  fine  di  giugno,  quando  cioè  la  cavità 
interna  dei  profichi  è  piena  di  blastofaghe  maschi,  mentre  i  fiori  maschili 
che  si  trovano  verso  l'orifizio  sono  aperti  e  lasciano  cadere  il  polline. 
Si  colgono  allora  questi  profichi  interi  e  si  infilano  a  4  o  6,  perfino  20 
ad  un  giunco  o  fil  di  spago,  e  si  appendono  ai  rami  della  pianta  che 
si  vuol  caprificare. 

Questa  operazione  si  ripete  due  o  tre  volte,  per  fecondare  i  piccoli 
fichi  di  mano  in  mano  che  si  sviluppano.  Dovendo  trasportare  i  pro- 
fichi, bisogna  raccoglierli  quando  appena  qualche  blastofaga  incomincia 
ad  uscire  dalla  boccuccia. 

Naturalmente  per  la  caprificazione,  si  devono  scegliere  quelle  piante 
i  cui  protìchi  contengono  molti  fiori  maschi  e  perciò  producono 
abbondante  polline. 

Per  questo  il  coltivatore  di  solito  seleziona  e  alleva  una  pianta 
apposita  di  caprifico  che  ha  i  suddetti  requisiti  e  con  questa  innesta  le 
altre  piante. 


-  919  - 

5.  Classificazione  delle  varietà.  —  Essendo  il  capri  lieo  coltivato 
soltanto  per  la  fecondazione,    ci    occuperemo    del   fico   domestico. 

Le  varietà  principali  di  questo  sono  classificate  in  base  allo 
sciiema  Tab.  LXVIII  e  nella  Tab.  LXIX  sono  elencate  le  varietà  con- 
sigliate. 

6.  Scelta  delle  varietà.  —  Per  gli  orti  e  per  la  coltivazione  casa- 
linga conviene  allevare  più  varietà  di  fichi  che  maturino  dal  giugno 
all'ottobre. 

Quando  si  coltiva  invece  allo  scopo  di  disseccare  i  frutti,  bisogna 
scegliere  una  o  due  varietà,  possibilmente  precoci,  che  producano 
frutti  abbondanti  ed  uniformi.  Si  preferiscano  le  varietà  a  frutto  bianco 
e  grosso  per  ottenere  dei  fichi  secchi,  bianchi,  polposi,  zuccherini. 


Tab. 

LXVIII. 

Schema  di  classificazione 

delle  varietà  del  fico  domestico  (Tamaro). 

Caratteri 

generali 

del 

Forma 

Famiglia  N. 

Varietà  raccomandate 

gruppo 

sferica 

I 

_ 

appiaUita 

II 

Albo 

' 

•u 

trottola 
ovoidale  o  cucurbiforme 

III 

Brogiotto  bianco 

o 

IV 

— 

i 

1    ampolliforme,  cilindrica 

od 

1 

Dallo,  Dottato,   Fracazzano 

\ 

'    a  pera 

V 

bianco,     Monaco,      Verde 

!a 

1 

( 

gentile 

l 

conica 

VI 

Paradiso 

.2 

1 

sierica 

VII 

_ 

ia 

/  - 

„        appiattita 

vili 

Dell'Abate,  Faccio 

f  1 

1  trottola 

IX 

Di  Smirne 

e 

^  ovoidale,  cucurbiforme, 

X 

Pissalutlo,  Brianzolo 

3 

j  ampolliforme,  cilindrica 

od 

XI 
XII 

lì 

a  pera 
conica 

Cuore,     Dattero,     Trojano, 

b 

Verdeccio  gentile 

sferica 

XllI 

_ 

,        appiaUita 

XIV 

_ 

/    "g 

ì  trottola 

XV 

_ 

1    '-Q 

\  ovoidale  o  cucubiforme 

XVI 



oì 

\ 

1  ampolliforme,   cilindrica 
a  pera 

od 

XVII 

San  riero 

\  s 

conica 

XVIII 

— 

i 

sferica 

XIX 

— 

f    - 

i        ,        appiattila 

XX 

— 

£ 

trottola 

XXI 

Brogiotto  nero 

\  =a 

<|  ovoidale,  cucurbiforme 

XXII 

Melagrano 

3 

j  ampolliforme,   cilindrica 
/    a  pera 

od 

1           XXIII 

Portoghese,   Regina 

'  conica 

1          XXIV 

- 

'S 

■l 

e 

[ 
1 

m 

ili 

2go 
.2S.2 

n 
o 
a 

2 

S 

fichi  abbondantissimi 
primissima  qualità 
pregiatissimo 
di  seconda  qualità 
prima  da  tavola 
pregiato  per  fioroni 
di  prima  qualità  fresco 
primissima  qualità 

a 

3 

«i2o 
5  II 

rt  rt'a 
■u  -d  4, 

ili 

e 
o 
o 

"e 

rt 

o 

i 

3 

•a 
a. 

Ci 

3 

-a 
a 
o 

■3 

■2 

3 

a. 

5 

'S 
-a 
o 

'3: 
2 

a. 

il  più  pregiato  dei  fio- 
roni neri 
prima  da  tavola 

pregiatissimo     per     la 
precocità 
pregiato  perchè  tardivo 

03 

E 
S 

1 

a 

1      .^^     .    1   ^     .^ 

sili 

1|2 

=> 

1 

o 

2 

^ 

III'    ' 

1 

2 

2 

4) 

•§1                 -§5 
P      1     ì^ 

2  .5 

> 

T3 

1 

— 
■•g 

2 

B 

2 

si 

«1 

o 

2 
a     5  2    '       1 
1     1 

li 

È  2 

1 

^ 

1  -s  -s     1  -s  1  -s  « 

1  -s 

1 

1 

m 

1    1  -s  -s  1      1 

il 

•s 

' 

•S  -S  -S      -S  «  -S  -3  -S 

1  -s 

•3 

s« 

S 

1 

s-:3-s-s-5!    -s 

.2 

1 
1 

il 
P 

2 

.a 
S 
ii 

2  '.3      ìi 

Ì|||!|||| 

1 

1     ò 
o 

2 

e 

1 

2    n 
bC   3 

ó 

00 

.a 
o 

o 

2  £  ?  ^  S      E 

Q  *-    aj    e       2 

60  àj  e  o     ■;; 

V 

e 

2 

o 

3 
Ó 

a 

«10 
3 

'3d 

"3 
g 

S 

3 

=    -      1 

'Sd  o  S    :h  «  o  1   1 

«5i          12^ 

1  1 

1 

i      1 

1 

1 

'  .2    1    1  .2       1 

"bc              "bb 
3                _3 

i! 

4> 

:= 

fe    i  ss  o  s 

.2          212| 

■"     C3     O             .     1)     O     O    ■■" 
>     »D         >     >    bC   M 

o 

3  II 

li 

1 
> 

o 

B 

II 

'     1 
E" 

1^  1 

S  ^  2I 
A  a>  > 

i 

£ 

•e  « 

o 
1 

P3   Ili 

^«^o         g    o'd. 

1    ^ 
1    i- 

V 

ì 

1 

e 

s 

li!  1 

1 

1 

s 

i 

te 

< 

1 
o 

^ìii  filli 

uajiq 

if  BgS 

e  2      o^  ?  .2 

Hill 

Q  cu      co  O  > 
ijajinn 

1 

bó 

2 

o 

i 

bc 

2 
B 

es 
Q 

I 

llij! 
lini  1 

2  s  2  «  s    ^ 
2  ^  s  s  ?^   ?? 

oddnjS 

lap 
uanBJBO 

jjiq  i^^n^^ 

iqDUBiq  Tqoij 

(BJOIOD  iqOTJ 

921 


Albo  ((ìgg.  654  e  656). 

Sinonimi:  Bianchetla,  Hiancoletta,  Albinello,  Mattano,  Fico  dorato  a  Pavia,  Bollo  in 
Istria,  Biancolino  a  Milano,  Moscadello  a  Como,  Gentile  a  Venezia  e  Bologna. 
Area  di  coltivazione:  Italia  Centrale  e  Meridionale. 
Maturazione:  Bifero.  I  fioroni  in  giugno-luglio  i  fichi  in  luglio. 

Qualità  :  prima  specialmente  per  i  fioroni,    molto    pregiati    perchè  più  precoci,  co- 
minciando a  maturare  nella  prima  metà  di  agosto.  I  fichi  che  si   raccolgono    nella   se- 
conda   metà  di   agosto  si  essiccano. 
Vigoria:  molta. 
Fertilità  :  molta. 

Clima  :  fresco.  Le  pioggie  lo  ren- 
dono insipido. 

Terreno  :  fertile,  leggero. 
Esposizione  e  situazione:  calda. 
Descrizione  della  pianta:  medio- 
cre grandezza:  fronda  tondeggiante: 
foglie    pubcscicati,    larghe,    fli    un 
verde  cupo  ;   fioroni  di  color   giallo 


Fig.  656.  —  Albo. 


6.i7.  —  Brianzolo. 


canarino  vivo,  colla  forma  a  campana  compressi  alla  corona;  buccia  sottile  con  polpa 
bianchiccia  involta  in  un  miele  giallognolo,  gentile,  di  sapore  grazioso,  non  caustico  : 
fico  tondeggiante,  piccolo  senza  collo,  attaccati  per  un  piccolo  peduncolo  legnoso  ; 
buccia  quasi  bianca,  bianca  è  pure   la   polpa   nuotante  in   un   miele  giallo  chiarissimo. 


Brianzolo  (fig.  657). 

Sinonimi:  Passin,  Passet. 

Area  di  coltivazione  :  tutta  l'alta  Lombardia. 

Maturazione  ■  unifero,  settembre. 

Qualità:  eccellente  per  mercato,  perchè  resiste  ai  trasporti  K  il  migliore  dei  fichi 
lombardi. 

Fertilità  :  normale. 

Vigoria  :  media. 

Descrizione  del  frutto:  Fichi  piccoli,  cucurbiformi,  a  buccia  verde,  dura  ed  a  polpa 
consistente,  del  colore  del  vino.  Molto  saporiti  e  appassiscono  sulla  pianta. 

Proprietà  del  fruito:  resiste  al  trasporto. 


—  922 


Brogiotto  bianco  (lìg.  058). 

.Smo;ii/iu  .  Hroj^iollo  genovese. 

Area  lìi  coltitmzione  :  nelle  regioni  calde  e  meridionali  d'Italia. 

Mitlunizione  :  bifero  ma  non  porta  i  fioroni  a  maturazione.  I  fichi  maturano  dalla 
metà  di  agosto  a  novembre. 

Qualità  :   prima   da   tavola   e   seconda   per    essiccare. 

Fertilità:  notevole  e  costante. 
Vigoria  :  straordinaria. 
Clima:   caldo,    senza    sbalzi    di 
temperatura. 

Terreno:  fertile,  tresco. 
Esposizione  e  situaz.  :  littoraneo. 
Descrizione  della  pianta  :  albero 
di  notevole  dimensioni,  anzi  il  più 
grande  fra  1  fichi,  alto,  grosso,  con 
rami  divaricati,  grossi:  foglie  gran- 
dissime, trilobate,  qualche  volta  in- 
tere, di  un  verde  tendente  al  gial- 
lognolo. 

descrizione  del  fico:  grossi,  com- 
pressi alla  corona,  degradanti  verso 
il  ])eduncolo  ma  quasi  privi  di  collo  : 
colore  verdastro  ;  buccia  sottile  che 
staccasi  facilmente,  con  screpolatu- 
re ;  polpa  saporita,  rosso  vinoso. 

Brogiotto  nero. 

Sinonimi:  Brogiotto  lìorentino. 
Africano,  Brosciotti,  Barnisotti. 

Origine:  dicesi  importato  dall'A- 
frica, ora  è  esteso  in  tutta  Italia. 

Maturazione:  unifero,  dal  princi- 
pio di  settembre  alla  fine  di  oltol)re. 
Qualità:    prima   da   tavola  e  da 
seccare. 

lertilità:  abbondantissima  e  co- 
stante ; 

Vigoria:  straordinaria. 
(.Unta:  caldo  meridionale  ed  anche  con  tuia  temperatura  media. 
Terreno  :  fertile  e  fresco. 
lisposizione  e  situazione:  non  tanto  secche. 

Descrizione  della  pianta:  simile  al  brogiotto  bianco,  grande  con  rami  tortuosi,  por- 
tanti un  gran  numero  di  messe  corte,  con  nodi  approssimati;  fogliame  ricchissimo,  che 
arriva  lino  a  terra.  Foglie  medie,  intere  o  con  lobi  corti  ed  ottusi,  che  si  tingono  di  un 
verde  bruno-cinereo. 

Fichi  grossi  abbastanza,  bruno  violacei,  simili  per  forma  e  per  qualità  al  Brogiotto 
bianco  :  buccia  verde  cinerea,  listata  da  coste  rilevate  che  svaniscono  ;  peduncolo  colla 
maturità  e  la  buccia  diventano  di  colore  bruno  violacea  che  screpola  ;  polpa  con  miele 
rosso  e  denso. 


Fig.  ().')8.  -    Brogiotto  bianco. 


Cuore  o  Rubado  (C.allcsio)  (lìg.  6:)9). 

Area  di  coltiuazione  :  Marche,  Umbria,  Roma,  Liguria  e  nelle  migliori  posizioni. 
Maturazione:  unifero,  agosto-settembre. 
Clima  :  caldo  umido. 
Terreno:  fertile  e  tenace. 


-  923  - 

Descrizione  della  pianta:  piccola;  rami  rari  e  sottili  ;  fogjie  piccole,  per  lo  più  tri- 
lobate, verde  carico  :  non  produce  lìoroni. 

Descrizione  del  frutto:  frutti  oblunghi,  larghi  alla  corona,  appuntati  verso  il  pe- 
duncolo, imitanti  la  forma  a  campana  o  di  cuore.  Buccia  dura,  compatta,  di  color  ver- 
dastro cenerognolo  e  dalla  parte  del  sole  di  una  tinta  di  secco  nella  massima  maturità. 
Polpa  rosso  vinosa  assai  carica  :  sapore  molto  dolce,  caustico. 


Fig.  6.59.  —  Cuore  o  Rubado. 


Batto  (fig.  6(i0). 


Sinonimi  :  Madama  a  Milano,  Genovese  a  Pavia,  della  Madonna  a  Bergamo  ed  in 
Istria,  Rossetto  a  Voghera,  Avarengo  a  Torino,  Laude  ad  Alessandria. 

Area  di  coltioazione:  tutta  Italia  e  specialmente  a  settentrione. 

Qualità  :  seconda  da  tavola. 

Fertilità  :  media. 

Vigoria  :  media. 

Clima:  caldo,  nellUalia  settentrionale  è  soltanto  il  fiorone  che  raggiunge  la  per- 
fezione. 


—  1)24  — 
rami  lunghi  a 


(li    distanti  :    loglie    5   lobate    con 


Descrizione  della  pianta  :    alla 
lobi  piccoli  e  lunghi. 

Descrizione  del  frullo:  fiorone  grosso,  quasi  cilindrico,  lungo.  Buccia  gialla  sfumata 
di  rosso  marrone  speciale.  Polpa  bianco  brillante  involta  in  un  miele  rosso,  dolce,  de- 
licato se  matura  bene.  Fico  più  piccolo  del  fiorone,  corto,  largo  alla  corona  e  quasi 
piatto:  colore  verdastro  sfumato  in  rosso;  polpa  bianchiccia,  mielosa. 


Fig.  660. 


Dattero   (lìg.  (561). 


Sinoniini:  Vezzoso  l)ianco.  Cortese,  Coasco,  Bezzoso. 
Area  di  cnlliuazione  :  tutta  Italia. 
Maturazione  :  unitero,  settembre-ottobre. 
(Jualitù:  prima  da  commercio  per  essiccare, 
poca. 


Fertilità  : 


Descrizione  della  pianta:  piccola  con  fronda  mollo  larga;   ram 
asi  toccanti  il  suolo,  corti,  fitti;  foglie  5  lobate,  sottili  con  seni  ii 


inclinali    in 
seni  molto  profondi 


Proprietà  della  pianta  :  molto  longeva. 
Descrizione  del  fico:  di  mezzana  grandezza,  a   campana,   ascellare:  colore    bianco  e 
giallo  velato-misto,  con  leggera  sfumatura  rossa;  buccia  carnosa  e  delicata,    screpola  a 


-  925  - 

maturità;  polpa  bianca,  involta  in  un  miele  giallognolo,  dolcissimo,  né  piccante  né 
caustico. 

Proprietà  del  frutto:  sapore  troppo  mieloso  perciò  viene  più  apprezzato  per  sec- 
care che  fresco. 

Osseruazioni  :  vi  ha  una  varietà  a  buccia  nera  chiamato  Dattero  nero. 


Dell'Abate  (Va  li  ose). 


Area  di  coltiuazione  :  Terra  d  Otranto. 

Maturazione:  seconda  metà  di  agosto. 

Qualità:  prima  per  i  frutti  freschi. 
Buono  anche  per  l'essiccazione. 

Fertilità:  unifero. 

Vigoria  :  notevole. 

Terreno  :  buono  ma  non  arido,  perchè 
altrimenti  perde  presto  le  foglie. 

Descrizione  della  pianta:  foglie  medie, 
scabrose,  verde  intenso  ;  picciolo  lungo, 
grossetto  :  lamina  trilobata  con  seni  pro- 
fondissimi: denti  piccoli,  irregolari. 

Descrizione  del  frutto:  forma  roton- 
deggiante, leggermente  compressi  alla  co- 
rona: colore  giallo  verdastro  sporco;  buc- 
cia con  screpolature,  sottile  che  si  stacca 
facilmente;  peduncolo  cortissimo;  polpa 
abbondante,  bianco-giallastra  con  sfuma- 
ture violacee.  Fiorellini  carnosi,  numerosi, 
bianchi   inmiersi   in   un   miele   di   colore   roseo    tendente   al   violaceo  ;  semi  numerosi. 

Proprietà    del    frutto:    sapore    piacevole,    dolcissimo,  richiede  la  caprilìcazione. 


Fig.  661. 


Dattero. 


Dottato  (fìg.  662). 


Sinoniini:  Ottato,  Rinello.  Binellone,  Gentile,  Napoletano,  di  Calabria,  Dattarese, 
della  goccia  d'oro. 

Area  di  coltivazione:  in  tutta  Italia  ad  eccezione  della  Lombardia  e  del  Veneto. 

Maturazione:  bifero,  i  fioroni  per  lo  più  cadono:  i  lichi  maturano  dalla  metà  di 
agosto  alla  metà  di  settembre. 

Qualità  :  prima  da  tavola  e  per  essiccare. 

Fertilità:  straordinaria. 

Vigoria  :  straordinaria. 

Clima  :  caldo. 

Terreno  :  profondo,  fresco,  molto  fertile. 

Esposizione  e  situazione:  soleggiata. 

Moltiplicazione  :  per  talea,  polloni  ed  innesto. 

Sistema  di  coltiuazione:  a  pieno  vento;  bisogna  però  di  quando  in  quando  fare  dei 
tagli  di  rinnovo. 

Descrizione  della  pianta:  fusto  e  rami  diritti,  torti  con  gemme  approssimate;  foglie 
grandi,  trilobate  o  quasi  intere  ;  verde  carico  con  leggera  peluria. 

Oescr/zione  rfe/ /"ru^o:  liorone  a  fiasco  ;  lichi  abbinati  per  lo  più  all'ascella  delle 
foglie,  ovoidali  o  rotondeggianti  e  compressi  alla  corona  ;  colore  verde   giallastro  o  ca- 


—  l)2(i  — 

nariiio:  buccia  verdastra  poi  lucida:  peduncolo  cortissimo;  polpa  bianco  giallastra,  ab- 
bondante, sugosa  con  sugo  color  miele  roseo  :  semi  poco  numerosi. 

Proprietà  del  frutto:  sapore  gradevolissimo,  molto  dolce.  Molto  pregiato  per  il 
consumo  diretto  ma  anche  per  l'essiccazione,  jioichè  conserva  la  morbidezza. 

Fracazzano  bianco  (Vallese). 

Area  ili  coltivazione:  Terra  d'Otranto. 

Maturazione:  bifero.  Dalla  seconda  ciuindicina  di  agosto  ai  primi  di  ottobre. 

Qualità:  prima  da  freschi,  discreta  per  disseccamento. 

Fertilità:  ha  bisogno  della  caprificazione. 

Terreno:  fresco  e  fertile. 

Descrizione  della  pianta:  grande:  foglie  di  media  grand,  verde  vivo;  lamina  3  o  .')  lobata. 

l'ioroni  a  fiasco,  rotondeggianti  alla  corona,  terminanti  con  un  collo  che  va  leg- 
germente restringendosi  al  peduncolo  cortissimo.  Buccia  verde  giallastra  con  rare  pun- 
teggiature bianche  e  qualche  screpolature  alla  maturazione.  Polpa  abbondante,  bianco 
giallastra  con  miele  dolcissimo,  saporitissimo,  squisito. 

Descrizione  del  lieo:  rotondeggiante,  compresso  alla  corona;  colore  giallo-verdastro, 
picchiettato  da  punii  chiari;  la  buccia  si  stacca  facilmente;  peduncolo  corto:  polpa 
bianco  crema,  dolcissima. 

Gentile  (lìg.  663). 

Sinoninìi:  Fico  d'oro.  ^ 

Area  di  coltiuazione:  Italia  centrale  e  meridionale  al  di  là  dell'Appennino. 

Maturazione:  produce  soltanto  fioroni  in  agosto-settembre. 

Terreno:  fertile  e  fresco. 

Jisposizione  e  situazione  :  meglio  al  piano  che  sulle  colline. 

Moltiplicazione:  per  talea  e  polloni. 

Descrizione  della  pianta  :  forma  e  altezza  grandi  :  rami  molti,  riuniti  ;  foglie  trilobate 
di  un  verde  che  cangiasi  in  giallognolo. 

Descriijone  (/e/ /Jorofie;  oblungo,  ovato  alla  cima,  rigonfio  nel  corpo  e  degradante 
appena  vicino  al  peduncolo  dove  fiorisce  quasi  senza  collo;  buccia  sottile  di  un  bel 
canarino,  screpolala  nella  maturità:  polpa  grassa,  mielosa  di  un  giallo  sfumato  di  rosso 
e  di  un  gusto  squisito,  fina,  gentile,  leggera. 

Melagrano. 

Sinonimi:  Unico,  di  .Spagna,  di  .S.  Francesco. 

Area  di  coltiuazione:  (ienovesato. 

Maturazione:  unifero  line  agosto  e  tutto  settembre. 

Qualità:  da  tavola  e  da  seccare. 

Fertilità  :  notevole. 

Clima:  dolce,  umido. 

Terreno:  fertile,  fresco. 

Descrizione  della  pianta:  non  molto  alta  ma  a  chioma  assai  ampia;  foglie  trilobate 
con  lobi  corti,  ottusi. 

Descrizione  del  frutto:  forma  ovata,  grosso;  colore  verde  violaceo;  screpola  in  tutti 
I  sensi  :  polpa  grossa,  involta  in  un  miele  denso  di  colore  sanguigno  simile  al  succo  di 
melagrano.  Gusto  vivo,  saporito. 

Monaco  (fìgg.  661  e  66;")). 

Area  di  collioazione:  f.unigiana  e  Liguria. 
Maturazione:  bifero,  liorone  in  estate:  fichi  tardivi. 
Qualità:  prima  da  tavola  ed  anche  per  seccare. 
Esposizione  e  situazione:  calda. 


—  ;)2«  — 

Descrhione  della  pianta:  grandissima  con  rami  grossi,  diritti  con  nodi  spessi; 
foglie  larghe  appena  lobate  a  lobi  ottusi. 

fioroni  :  escono  dalla  seconda  messe  dell'anno  precedente  :  oblunghi,  ovali  alla 
corona,  allungali  al  collo  ;  buccia  verdastra,  punteggiata  in  bianco,  molle,  violacea  di 
dentro.  Polpa  lina,  mielosa,  delicata,  squisita. 


'>n^,^ 


■1/ 


^■^f 


Fig   OGt.  —  Albero  di  fico  Monaco. 

Descrizione  delfico:  esce  dalla  prima  messe  dell'anno,  sessile,  campaniforme,  com- 
presso alla  corona;  colore  verdastro;  buccia  dura  ed  avvizzisce  alla  maturità;  polpa 
densa,  rosso  rosea,  dolcissima,  caustica. 


Faccio  (Vallose 

Sinonimi:  Pazzo. 

Area  di  c:^llivazione:  Terra  dOlranto. 

Maturazione:  nella  seconda  n»età  di  agosto. 

Qualità:  prima  da  tavola  e  per  l'essiccazione. 

Fertilità:  unifero. 

Vigoria  :  molta. 

Clima  :  caldo. 

Terreno:  profondo,  ciottoloso. 


—  929  - 

Descrizione  della  pianta:  foglie  grandi,  verde  intenso,  picciolo  lungo,  grosso;  la- 
mina rotondeggiante,  5-7  lobata;  lobi  grandi;  denti  irregolari;  ottusissimi;  nervature 
grosse,  sporgenti. 

Proprietà  della  pianta:  richiede  la  caprificazione. 

Descrizione  del  frutto:  forma  rotondeggiante,  compressa  alla  corona;  colore  verde 
giallastro  sporco    buccia  con  scre|)olature  bianche,  esile,  che  si  stacca  facilmente  :  pedun- 


Fig.  665.  —  Monaco. 

colo  cortissimo  :  polpa  bianco-giallastra  con  sfumature  paonazze.  Fiorellini  carnosi,  nume- 
rosi, biancastri,  immersi  in  un  sciroppo;  seme  roseo,  livido  che  spesso  geme  dalla  boccuccia. 

Proprietà  del  frutto:  sapore  grato,  dolcissimo. 

Difetti  della  varietà  :  il  frutto  soffre  per  le  pioggie  autunnali,  spaccandosi. 


Paradiso. 

Sinomini:  Fico  di  Berlo. 

Origine:  Napoli. 

Maturazione:  bitero,  fioroni  in  agosto  e  fichi  in  settembre.  Durano  poco. 

Qualità:  pregiata  per  i  fioroni. 

Fertilità:  poca. 

59  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


Descrizione  della  pianta  :  lorma  e  altezza  media  con  chioma  sparsa,  irregolare; 
rami,  sottili  con  inlernodi  lunghi. 

Fioroni  lunghi,  niedii,  verdi  pichiettati  di  bianco.  Il  parenchima  che  avvolge  la 
polpa  è  violaceo  :  lintcrno  della  polpa  è  bianco  velato  di  rosso,  con  un  miele  squisito. 
Somigliano  al  fiorone  del  Monaco. 

Descrizione  del  fico:  forma  diversa  dal  fiorone,  piccoli,  a  fiasco,  colore  giallo  cereo: 
buccia  sottile:  polpa  bianca  appena  sfumata  di  rosso,  molle,  delicata,  non  caustica 
ma  di  poco  sapore. 

Pissalutto  (Gallesio)  (lìg.  066). 

Sinonimi  :  Liviano  dai  Romani. 

Origine  ed  area  di  coUiuazione:  Genovesato  dove  è  molto  esteso.  Corsica  e  Sardegna. 

Maturazione:  unifero,  fine  agosto  e  tutto  settembre. 

Qualità:  è  il  più  gentile  dei  fichi.  Ottimo  da  tavola,  afjbastanza  precoce,  termina 
alla  line  di  settembre.  Ottimo  anche  per  seccare  avendo  una  buccia  sottile. 

Clima  :  teme  i  freddi  autunnali. 

Esposizione  e  situazione:  littoranea  in  luoghi  aprichi. 

Descrizione  della  pianta:  forma  e  altezza  mezzane;  rami  raccolti  e  vigorosi;  foglie 
trilobate,  con  lobi  pronunziati  larghi  ed  ottusi.  Il  loro  verde  vivace  nei  terreni  freschi, 
si  scolora  nei  luoghi  aprichi. 

Descrizione  del  frutto:  forma  bislunga,  ovale  sulla  cima,  degradante  verso  la  base 
che  si  allunga  in  un  collo  aggraziato  e  che  lo  foggia  a  zucchetta.  Buccia  sottile,  nitida, 
verde  slavata  e  nei  luoghi  aprichi  color  carnicino  chiaro,  colore  suo  caratteristico  La- 
sciato a  lungo  sulla  pianta  avvizzisce,  diventa  livido  scuro,  la  buccia  non  si  stacca.  Co- 
gliendo a  maturità  la  buccia  non  screpola.  Polpa  grassa  quasi  deliquescente,  molto 
gradita  nù  troppo  dolce  né  caustica.  Polpa  rosso-vinosa. 

Osservazioni:  vi  ha  una  varietà  a  buccia  nera:  Pissalutto  nero. 


Portoghese  (fig.  667). 

Area  di  coUiuazione:  secondo  il  Gallesio,  lungo  il  Mediterraneo,  si  trova  però  a 
Padova,  sui  Laghi  di  Lombardia.  Piacenza,  sempre  però  nei  luoghi  caldi. 

Maturazione:  unifero,  produce  soltanto  fioroni,  al  principio  di  luglio. 

Qualità:  da  mangiarsi  fresco. 

Fertilità  :  notevole  fra  tutte  le  varietà  precoci. 

Descrizione  della  pianta  :  forma  e  altezza  medie  ;  rami  corti,  sottili  ;  foglie  piccole, 
.')  lobate. 

Descrizione  del  fruito:  grosso,  oblungo  a  fiasco  e  terminato  da  un  collo  lungo  e 
sottile:  colore  verde  giallastro  al  fondo  con  sfumatura  violaceo-rossa  :  buccia  con  scre- 
polature longitudinali  ;  polpa  molle,  piena  di  miele  fluidissimo,  roseo  vivo,  morbida, 
gentile,  gradita. 

Regina  (fìg.  ()68). 

Origine  :  Poma. 

Maturazione  :  unifera  tardiva,  settembre. 

Clima  :  ealdo. 

Descrizione  delta  idanta  :  alta  :  fusto  elevalo  con  chioma  frondosa  sospesa  :  foglie 
.'■  lobate. 

Descrizione  del  frutto:  grosso,  oblungo  ovato  alla  corona,  rilevato  nel  centro  e  de- 
gradante verso  il  picciolo;  colore  verde  chiaro  con  velatura  violacea:  si  screpola  col- 
runiidità  e  talvolta  si  apre  allestrennlà:  polpa  grossa  con  miele  abbondante,  rosso 
melagrano,  di  gusto  gentile. 


-  931  — 


932  — 


San  Piero  (fig.  669). 

Sinonimi:  Corbo,  Piombinese.  Nero,  Rubicone,  Arbicone,  Pittilonga,  Minna  di 
schiave,  Fallagiana. 

Nomi  xlranieri:  Frane.  Aubiqiie  noire  ;  .Spag.  Hreva  negra. 

Maturazione:  il  fiorone  dalla  seconda  settimana  di  luglio  alla  fine  del  mese;  il 
lieo  dalla  fine  di  agosto  a  tutto  settembre. 

Qualità:  il  pid  gustoso  dei  fioroni  neri,  non  così  delicato  dei  fioroni  bianchi.  Di 
gusto  acerbo.  I  fichi  sono  migliori  e  convenienti  ])er  essiccare. 

Fertilità  :  molta.  F'ruttifica  a  5-0  anni. 

Vigoria  :  molta. 

Clima  :  caldo. 

Terreno:  buono  e  fertile. 

Esposizione  e  situazione:  buona,  soleggiata. 

J'orme  più  adatte:  pieno  vento  (di  vegetazione  scomposta,  poco  regolare). 

Moltiplicazione  :  pollone. 

Sislenìa  di  coltiuazione  :  pieno  campo. 

Descrizione  della  pianta  :  alto,  con  rami  fìtti,  aggrovigliati,  non  molto  lunghi  anzi 
medii  nelle  partì  meno  vigorose  delle  piante  con  internodi  lunghi  in  media  5  cm. 
Foglie  di  colore  verde  carico  (ne  ho  misurato  diverse  delle  dimensioni  di  cm.  44  per 
:Wn),  larghe  a  grandi  lobi  ottusi. 

Fiorone  grosso,  lungo  85  mra.  e  largo  47,  ampolliforme,  con  buccia  bruno  violacea, 
vellutata  che  maturando  diventa  quasi  nera,  e  forma  due  o  tre  screpulature  longitu- 
«linali,  caratteristiche.  Polpa  piuttosto  asciutta,  bianchiccia  esternamente  e  verso  l'in- 
terno si  colora  in  rosa.  Sapore  leggermente  acerbo,  ma  in  prevalenza  dolce.  Succo  non 
tanto  abbondante,  denso,  leggermente  colorato  di  rosso,  dolce,  delicato. 

1  fichi  (frutti  estivo-autunnali)  sono  un  terzo  più  piccoli  dei  fioroni,  ma  più  dolci 
e  più  succosi.  Sono  eccellenti  per  essiccare. 

Difetti  della  varietà  ;  Difetti  veri  e  propri  non  possono  addebitarsi  a  questa  va- 
rietà. Maturando  i  fioroni  molto  presto  occore  che  sia  piantata  ad  ottima  esposizione, 
soleggiata  e  calda.  In  queste  condizioni  favorevoli,  i  fioroni  raggiungono  prima  un 
grado  di  maturanza  più  avanzato  e  vanno  a  perdono  quel  leggero  gusto  di  acerbo  che 
è  caratteristico  di  questa  varietà. 

Osseruazioni  :  assai  ricercata  dai  mercati  per  la  precocità  del  suo  prodotto,  questa 
varietà  non  si  trova  diffusa  in  I.iguria  quanto  lo  dovrebbe.  Credo  che,  meritatamente, 
possa  annoverarsi  fra  le  migliori. 


Smirne  (di)  (fìg.  670). 

Origine  :  Smirne. 

Maturazione  :  mese  di  luglio. 

Qualità  :  jìrima  da  tavola.  Unifero.  È  il  fico  tipico  per  la  mensa  ;  è  abbastanza  re- 
sistente ai  trasporti.  Secco,  è  un  prodotto  di  primissima  qualità. 

l'ertilità  :  molta,  richiede  la  caprifìcazione. 

Vigoria  :  molta. 

Clima:  caldo:  si  può  estendere  su  tutte  le  coste  del  Mediterraneo. 

Terreno  :  calcare. 

Esposizione  e  situazione  :  a  mezzogiorno  in  collina. 

Forme  più  adatte:  a  pieno  vento,  ma  si  presta  molto  anche  per  l'allevamento  a 
ceppala. 

Moltiplicazione  :  talea,  polloni  ed  innesto. 

Sis/ «na  dj  coZ/iwazione:  nei  campi,  negli  orli  e  giardini.  Si  presta  molto  per  la 
forzatura. 

tìfscWrione  rfe//a  pian/«:  altezza  5-6  metri,  forma  globosa  divisa  fino  dalla  base  ; 
rami  a  meritalli  l)revi  molto  ramificati  alla  cima  sulla  quale  portano  2  o  3,   raramente 


-  933 


—  1)34  - 

■t  frutti;  foglie  grandi,  venie  cupo  sulla  pagina  superiore  e  giallastre  al  di  sotto;  3  e  5 
lobate  ;  nervature  rilevate  sulla  pagina  inferiore.  Le  foglie  5  lobate  predominano  nei 
polloni. 

Proprietà  della  pianta  :  rimette  facilmente  al  piede.  I  rami  sono  piegati  ordinaria- 
mente in  basso. 

Descrizione  del  frutto :loTma  a  trottola  allargata,  compressa  al  peduncolo,  leggermente 
gibbosa  a  un  lato;  colore  dal  verde  al  giallo  citrino  dalla  parte  del  sole  ;  buccia  ruvi- 
detta,  che  si  screpola  e  si  stacca  facilmente  dalla  polpa  ;  peduncolo  corto  ;  polpa  bianca 
con  liorellini  carnosi,  bianchi  alla  base  e  rosa  all'estremità.  Siroppo  abbondante,  dol- 
cissimo, color  miele. 

Dimensione  del  fratto  :  alt.  in  media  mm.  73  larg.  mm.  69. 


Fig.  670.  —  Fico  di  Smirne. 

Proprietà  del  frutto:  possiede  soltanto  fiori  femminili  e  per  giungere  a  matura- 
zione richiedono  la  caprificazione.  In  origine  sembra  che  la  pianta  fosse  bifera  ma  in 
Italia  porta  a  maturazione  un  solo  fiore  corrispondente  ai  fioroni. 

Ossernazioni :  questa  varietà  poco  diffusa  in  l>iguria,  è  assai  ricercata  per  la  sua 
proiocilà.  K  il  (ico  che  meglio  si  presta  per  la  coltivazione  a  scopo  industriale. 

Trojano  (fìg.  671). 

Sinonimi  :  l'icus  Livia. 

Origine:  Asia  minore.  Da  qui  i  Greci  pare  l'abbiano  importato  nel  loro  paese  ed 
ili  Italia,  sotto  il  nome  di  lieo  di  Troja,  da  cui  deriva  il  nome  Trojano  (vedi  l'articolo 
del  Sig.  C.  Sprenger  nel  Hollettino  della  R.  Società  di  Orticoltura,  anno  1902,  pag.  210).  Il 
lieo  Troiano  non  ha  sinonimi  ed  ora  è  diffuso  a  Napoli,  Caserta,  Salerno  e  nella  Terra 
d'Otranto. 

Maturazione:  da  .settembre  a  novembre.  L  un  fico  dei  più  lardivi.  Produce  rara- 
ramentc  fioroni. 


—  935  - 

Qualità:  prima  da  consumo  diretto. 

Fertilità:  notevolissima.  A  Napoli  usano  la  ca[>ririca/,ioiie  per  anticipare  la  matu- 
razione (Sprenger). 

Vigoria  :  molta. 

Clima  :  caldo 

Terreno  :  indifferente. 

Descrizione  della  pianta  :  Albero  di  media  altezza,  tronco  diritto,  con  corona  lar- 
ghissima ;  rami  lunghi,  contorli,  irregolari;  foglie  trilobate,  ottuse,  di  media  larghezza. 
Picciolo  lungo  :  lembo  dentellato,  cordiforme  alla  base  con  venature  biancastre  ;  di 
color  verde  chiaro  nella  jìagina  superiore  e  glauche,  rugose  nella  pagina  inferiore. 

Descrizione  del  frutto:  forma  a  fiasco  o  piriforme,  lungo  85  mm.  e  largo  47  mm.,  del 
eso  medio  di  65  grammi.  Simile  al  Pissalutto,  soltanto  è  meno  allungato  e  più  grosso. 


Fig.  671.  —  Troiano. 

Colore  giallo-biancastro  ;  buccia  tenera,  sottile,  liscia,  che  si  distacca  con  facilità  e  si 
screpola  a  maturazione:  peduncolo  legnoso,  lungo,  olivastro.  A  maturazione  si  stacca 
con  facilità  dal  ramo  ;  polpa  biancastra,  velata  di  un  leggero  color  rosa,  sugosa,  sapo- 
rita, delicata. 

Proprietà  del  frutto:  resiste  alle  pioggie,  alle  nebbie  ed  è  molto  pregialo  per  con- 
sumo diretto,  perchè  è  anche  dei  più  tardivi.  Come  ho  detto,  non  si  presta  per  es- 
siccare. 

Verdeccio  (fìg.  fi72). 


Sinonimi  :  Verdolino  (Piacenza),  Zigarino  verde  (Padova). 
Area  di  diffusione:  Emilia. 

Maturazione:  unilero,  metà  agosto  e  tutto  settembre. 
Qualità:  delle  più  stimate  nel  Bolognese. 


—  '.m  — 

ilsposizione  e  situazione  :  luoghi  aprichi. 

Descrizione  della  pianta  ;  piccola,  quasi  nana  ;  rami  corti,  sottili  :  foglie  piccole,  5 
lobate  e  lobi  profondi. 

Descrizione  del  frutto:  piccolo,  piriforme,  compresso  alla  corona,  terminante  in  un 
collo  quasi  insensibile  rigato  da  coste  longitudinali  fino  che  è  acerbo  e  che  perde  matu- 
rando. Colore  verde  ;  peduncolo  corto  ;  polpa  verdognola  presso  la  buccia  e  giallo  chiara 
di  dentro. 

Proprietà  del  frutto:  resiste  all'umidità  e  non  si  screpola. 


Fig.  f)72.  -  Verdeccio. 
Verde  gentile. 

Sinonimi:  Fiore  della  goccia. 

Maturazione:  bifero,  fiorone  alla  fine  di  giugno;  fichi  dall'agosto  all'ottobre. 

l'ertilità:  ì  frutti  serotini  sono  abbondantissimi. 

Vigoria:  straordinaria. 

Descrizione  della  pianta:  molto  alta;  rami  grossi,  estesi;  foglie  grandi,  3  lobate. 

Fiorone:  grosso  e  lungo  quanto  un  uovo  di  gallina,  quasi  cilindrico,  rotondo  alla 
cima  un  po'  degradante  verso  il  peduncolo.  Buccia  liscia,  verde  come  le  foglie,  sottile, 
contiene  una  polpa  finissima ,  di  un  colore  rosso  dilavato ,  dolce ,  leggera ,  niente 
caustica. 

Descrizione  del  fico  :  i  primi  a  maturare  sono  grossi  quanto  la  metà  dei  fioroni,  poi 
maturano  sempre  più  piccoli:  lunghi,  rotondi  alla  cima  e  degradanti  verso  il  peduncolo 
a  guisa  di  un  cono.  Verdi  con  una  leggera  tinta  giallo-canarino,  screpolati  e  internamente 
come  i  fioroni. 


II  Piof.  Vallese,  nella  citata  sua  opera  descrive  ancora  le   seguenti 
principali  varietà,  coltivate  nella  Terra  d'Otranto  : 

a)  Varietà  precoci.  —  Fichi  bianchi: 

Sesso,  unifero,  bianco,  tondeggiante,  adatto  per   l'essiccazione.  Ma- 
tura dalla  metà  agosto  a  tutto  settembre. 


—  937  - 

Rìzzeddii  o  Rizzello,  unifero,  bianco,  tondeggiante  da  essiccare.  Ma- 
lura  come  il  precedente. 

Columnone  o  Colombone,  bifero,  bianco,  tondeggiante  da  essiccare. 
Matura  come  il  precedente. 

Seioiito,  ha  molta  analogia  col  Dottato. 

Poppa,  Paneltano,  Rosa,  bianchi,  compressi  alla  base  ed  anche 
alla  corona. 

Fichi  neri  :  Fico  nero,  varietà  molto  diffusa  che  non  ha  che  fare 
col  San  Piero  già  descritto,  essendo  il    frutto    tondeggiante,  irregolare. 

Oliato  rosso,  il  quale  non  ha  nessuna  analogia  col  Dottato.  Varietà 
hi  fera  da  conservarsi  fresco  dalla  seconda  metà  di  agosto  a  tutto  set- 
tembre. 

Fico  della  signora,  eccellente  per  tavola  e  da  essiccare. 

b)  Varietà  tardive  : 

Processotto,  unifero,  medio,  bianco,  giallognolo  a  trottola  com- 
presso. Matura  nella  prima  decade  di  settembre  fino  a  metà  d'ottobre. 

Melonceddha  (meloncello),  ottimo  per  consumarsi  fresco  o  per  es- 
siccare. Unifero,  conico,  giallo-limone. 

Verdescone,  unifero  —  Del  Vescovo  —  Arneo  bianco. 

Dei  fichi  neri  tardivi  il  prof.  Vallese  illustra  le  seguenti  varietà  : 
Turco,  Scancaniso,  Della  Penna,  Cnmpini,   Verneo  nero. 

7.  Importanza  della  coltivazione.  —  Il  fico  è  un  albero  da  frutto 
dei  più  interessanti,  che  acquista  tanta  maggiore  importanza  quanto 
più  si  va  al  Sud.  Oltre  che  per  i  frutti,  l'albero  ha  un  certo  pregio  per 
il  suo  portamento,  per  il  suo  bel  fogliame  abbondante,  che  dà  un'om- 
bra gradita  la  rapida  crescita  e  la  sollecita  e  costante  produzione 
di  frutti  richiesti  sempre  dal  mercato;  le  poche  cure  colturali  che  ri- 
chiede, rendono  il  fico  una  delle  piante  da  frutto  più  importanti  e 
redditive  del  mezzogiorno. 

Nella  Terra  d'Otranto,  nelle  Calabrie,  esso  viene  dopo  l'olivo  e  la  vite. 

8.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Ordinariamente  è  consociato  alia 
vite,  all'olivo,  al  mandorlo,  agli  agrumi,  al  melograno,  od  è  posto  ai 
lati  dei  vigneti  e  dei  campi. 

Nell'Italia  centrale  non  è  raro  trovare  dei  filari  interi  di  fichi  a  cui 
è  associata  la  vite. 

Si  potrebbero  però  anche  fare  dei  ficheti  a  filari,  distanti  m.  20,  e 
piantando  i  fichi  a  m.  10  sulla  fila.  Gli  interfilari  si  possono  coltivare 
a  leguminose  da  seme  alternate  con  grano. 

9.  Clima.  —  Il  fico  resiste  fino  alla  temperatura  di  10°  sotto  zero. 
Dove  la  temperatura  media  non  discende  sotto  12°  C,  il  fico  ha,  si 
può  dire,  una  vegetazione  continua.  Nel  Belgio,  in  Olanda,  in  Inghilterra, 
si  fanno  le  coltivazioni  allevandolo  a  ceppala,  riparato  da  vetri.  Però 
si  possono  ottenere  soltanto  i  fioroni. 

Nei  climi  caldi,  i  raccolti  sono  sempre  più  abbondanti  ed  i  fichi 
sono  più  dolci  e  più  facili  a  conservarsi. 


—  i)38  — 

La  pioggia,  purché  non  abbondante,  è  necessaria  per  la  matura- 
zione. Le  pioggie  autunnali  sono  molto  dannose.  Al  lieo  occorre  una 
costante  termica  dalla  caduta  deUe  foglie  alla  maturazione  dei  fichi 
estivi  di  350()  a  40()()''  C. 

10.  Esposizione  e  situazione.  —  L'esposizione  più  confacente  è 
([uella  a  mezzogiorno  od  a  levante.  Occorre  anche  una  posizione  ven- 
tilata, perciò  se  è  a  spalliera  contro  i  muri,  è  poco  produttivo. 

11.  Terreno.  —  Vegeta  bene  in  tutti  terreni  (meno  forse  negli  ar- 
gillosi, dove  va  soggetto  al  cancro  ed  è  poco  produttiva)  specialmente 
ijuando  sono  sassosi,  leggeri,  calcari,  caldi  e  piuttosto  profondi,  tanto 
in  pianura  quanto  in  collina.  Nei  terreni  umidi  cresce  pure  bene,  purché 
siano  permeabili,  e  giunge  a  grandi  dimensioni.  Può  vivere  però  anche 
in  terreni  asciutti,  anzi  in  questi,  i  frutti  riescono  più  saporiti. 

12.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  propaggine,  per  polloni, 
per  talea  e  per  innesto.  Alla  riproduzione  per  seme  si  ricorre  per  la 
ricerca  di  varietà  nuove.  Le  piante  ottenute  da  seme,  fruttificano  dopo 
10  anni. 

La  moltiplicazione  per  talea  é  la  più    usata   nell'ordinaria  coltura. 

Le  talee  si  fanno  coi  rami  più  giovani,  della  lunghezza  da  45  a  60 
centimetri,  interrandole  per  30  cni.,  nelle  terre  forti  e  per  40  nelle 
terre  leggere  e  soffici  ;  lasciando  non  più  di  due  gemme  fuori 
terra. 

Le  piante  radicate  soffrono  per  il  trapianto,  perciò  si  sogliono  pian- 
tare le  talee  a  dimora,  preparando  per  bene  una  buca  muovendo  il 
terreno  lino  a  10  cm.  di  profondità  e  concimandolo. 

Si  sogliono  piantare  due  talee  per  buca  per  lasciare  nell'anno  suc- 
cessivo una  sola  barbatella. 

L'impianto  si  fa  d'autunno  od  in  febbraio.  Le  talee  si  piantano 
appena  raccolte. 

Nel  vivaio  si  collocano  invece  a  50  cm.,  da  fila  a  fila  ed  a  30  cm., 
sulla  fila. 

1  polloni  servono  a  ringiovanire  una  pianta.  Levando  invece  il 
pollone,  la  pianta  che  si  ottiene  é  poco  robusta,  ha  vita  breve  ed  ha 
una  tendenza  a  dare  continuamente  polloni. 

Meglio  é  la  margotta  o  propaggine,  alla  quale  si  ricorre  per  ripro- 
durre varietà  rare.  La  propaggine  si  fa  radicare  in  un  cesto  o  cassa  e 
poi  si  trapianta  col  pane  di  terra. 

L'innesto  si  fa  in  febbraio  o  marzo  a  corona,  sopra  rami  di  3  a  4 
aimi  ;  meglio  a  gemma  vegetante  in  aprile  sopra  soggetti  di  2  anni. 

13.  Caratteri  vegetativi.  —  Il  fico  è  in  generale  un  albero  fertilis- 
simo, di  rapido  sviluppo,  a  radici  orizzontali,  forti,  vigorose. 

Nel  mese  di  aprile  entra  in  vegetazione.  Per  le  prime  si  svolgono 
le  gemme  apicali  che  danno  luogo  alle  foglie  ed  al  germoglio  di  pro- 
lungamento. Alle  volte  si  svolgono  due,  più  raramente  tre  germogli.  Indi 
si  aprono  le  gemme  laterali  che  danno  delle  foglie,  alla  cui  base  nelle 
varietà  bifere  si  sviluppa  il  fiorone. 


Intanto  i  nuovi  germogli  continuano  a  crescere,  danno  alla  base  di 
ogni  foglia  un  fico  il  quale  matura  dall'agosto  in  avanti  e  sono  i  veri 
fichi  estivo- autunnali.  Questa  maturazione  successiva  è  provvidenziale 
poiché  assicura  un  buon  raccolto  tutti  gli  anni. 

Le  foglie  laterali  cadendo  in  autunno  lasciano  il  fiorone  in  abbozzo 
(vedi  pag.  915)  al  di  sopra  della  loro  cicati'ice,  della  grossezza  di  un 
piccolo  seme  di  cece  ;  e  le  gemme  invece,  che  sono  più  lunghe  ed  a 
punta,  sono  destinate  a  dare  rami. 

Si  le  une  che  le  altre  di  dette  gemme,  rimangono  inattive  fino  in 
primavera,  ma  nei  paesi  caldi,  la  vegetazione  è  continua,  poiché  ap- 
l)ena  cadono  le  foglie,  le  gemme  terminali  cominciano  a  muoversi. 

14.  Potatura.  —  Bisogna  ricordar  quanto  ho  detto  parlando  dei  ca- 
ratteri botanici  del  fico,  cioè  che  le  gemme  vegetanti  regolarmente,  sia 
lìorifere  sia  da   legno,  si  trovano  solo  sui   prolunga- 
menti dei  rami,  formatesi  nell'anno  precedente.  Questi        /j       |^, 
prolungamenti   hanno  al  loro  apice  una  (A  fig.  673)  o  )^^-  ^  g 
due  gemme  a  legno;   sotto   si   trovano   altre  gemme  ìw' 

a  (B)  legno  accompagnate  talvolta  da  qualche  gemma         ^     '^1 

a  frutto  (C).  Più  sotto  ancora  si  trovano  delle  gemme  '\J         e 

a  legno  isolate  (D). 

Le  gemme  a  frutto    che  si    vedono  durante   l'in-  ^ 

verno  formano   i   fioroni,   mentre  il  germoglio  che  si       ^ 
sviluppa   dall'  estremità   o  dalle  sottostante  gemme  a 
legno  alla  base  di  ogni  foglia,    danno  i   fichi  estivo-  . 

autunnali. 

Quindi,  quando  si  tratta  di  prolungare  un  ramo, 
per  esempio  allo  scopo  di  avere  un  fusto  diritto,  si 
lascia  la  gemma  terminale  e  si  accecano  le  gemme 
sottostanti  a  legno.  Non  volendo  il  prolungamento 
ma  la  biforcazione  o  la  produzione  di  rami  laterali,  si 
acceca  la  gemma    terminale  e    si  lasciano  le  gemme  "^ 

sottostanti.  l-'ig-  673.    -    Ramo 

o.  -j-j  ..  ••.  ,,,  a  frutto  di  fico. 

Sui  rami  di  due  e  più  anni  si  trovano  delle  gemme 
a  legno  inerti  o  laterali,  le  quali  ordinariamente  non 
germogliano   od    al   più    danno  succhioni   o    rami    fuori    posto    che   si 
possono  levare   o   lasciare    a   seconda  che  si  voglia  diradare  i  rami  o 
rimpiazzare  qualche  spazio  vuoto  nella  fronda. 

Quantunque  il  fico  sia  una  pianta  provveduta  di  abbondante 
succo  lattiginoso  che  dovrebbe  favorire  la  cicatrizzazione  delle  ferite 
come  il  gelso,  pure  le  rimargina  con  una  certa  difficoltà.  Quindi 
bisogna  evitare  finché  é  possibile  i  tagli  forti  in  ogni  caso,  si  deve 
procedere  accuratamente  e  spalmarli  subito  con  catrame.  Ma  é  molto 
meglio  prevenire  i  tagli  in  secco,  con  l'accecatura  delle  gemme  e  colla 
spollonatura. 

15.  Forme.  —  Al  fico  viene  lasciata  la  forma  sua  naturale  che  é  a 
pieno  ed  a  mezzo  vento  colla  chioma  più  o  meno  arrotondata. 


—  940  — 

Per  ottenere  il  fusto,  si  lascia  germogliare  soltanto  la  gemma  ter- 
minale ;  le  gemme  sottostanti  si  accecano.  Così  si  procede  nel  secondo 
e  terzo  anno  fino  che  il  fusto  ha  raggiunto   l'altezza  voluta. 

Nel  4"  anno  si  comincia  a  formare  la  fronda  ed  a  questo  scopo  si  ac- 
ceca la  gemma  terminale  e  si  lasciano  sviluppare  tre  germogli  dalle 
tre  gemme  immediatamente  sottostanti. 

Nel  f)"  anno  si  accecano  le  gemme  terminali  delle  tre  branche  pri- 
marie, per  ottenere  la  biforcazione  ossia  due  o  tre  branche  secondarie, 
dalle  gemme  sottostanti  alla  gemma  apicale. 

11  ()»  anno  è  l'ultimo  di  formazione,  si  accecano  le  gemme  termi- 
nali delle  branche  secondarie,  per  avere  due  o    tre    branche    terziarie. 

Naturalmente  se  durante  questi  anni  si  sviluppano  dei  germogli  e 
rami  fuori  posto,  si  scacchiano  colla  potatura  verde. 

Dal  6"  anno  in  avanti  la  pianta  entra  nel  periodo  di  piena  produ- 
zione e  quindi  si  fanno  soltanto  delle  operazioni  di  mondatura  e  di 
ringiovanimento  quando  le  branche  cominciano  ad  esaurirsi. 

Nei  paesi  freddi,  il  fico  si  alleva  a  ceppata  sotto  vetri  od  a  riparo 
dei  muri,  esposti  a  mezzodì,  mai  però  a  spalliera. 

A  tale  scopo,  le  piantine  abbarbicate  si  piantano  col  pane  di  terra 
isolate  od  a  file  distanti  fra  loro  sulla  stessa  linea  m.  3,50  e  da  fila  a 
Illa  m.  2.  Appena  piantate,  si  tagliano  sopra  la  seconda  gemma.  Le 
radici  del  fico  amano  il  calore  e  l'aria,  quindi  bisogna  fare  gli  impianti 
superficiali. 

Alla  fine  di  marzo  del  secondo  anno  si  taglia  ancora  a  due  gemme, 
ciò  che  fa  sviluppare  qualche  germoglio  dalla  base.  Bisogna  procurare 
che  ogni  ceppala  di  fico  non  abbia  né  più  né  meno  di  8  rampolli,  a 
30  cm.  di  distanza  fra  loro. 

Nel  terzo  anno  si  lasciano  intatti  i  rami  e  si  comincierà  a  racco- 
gliere i  frutti  (fig.  674). 

Nel  quarto,  ogni  ramo  avrà  nel  suo  terzo  superiore  una  gemma 
lerminale  a  legno  A  (fig.  673)  e  tre  o  quattro  gemme  a  frutto  accom- 
pagnate ciascuna  da  una  gemma  a  legno  B:  lungo  la  metà  si  hanno 
delle  gemme  a  legno  D  ed  alla  base  delle  gemme  abortite.  Per  abbas- 
sare questo  ramo,  si  accecano  tutte  le  gemme  a  legno  fino  in  D,  com- 
presa quella  dell'estremità.  In  conseguenza  si  avrà  lo  sviluppo  dei  fichi, 
ina  anche  lo  sviluppo  di  uno  (fig.  675)  o  due  polloni,  alla  metà  ed  alla 
base  del  ramo. 

Del  primo  pollone  si  utilizzano  i  fichi  e  poi  si  taglia  alla  base 
del  secondo  pollone,  come  è  segnato  nella  fig.  675,  il  quale  sostituirà 
nel  venturo  anno  l'intera  branca. 

Come  si  vede  la  potatura  del  fico  ha  una  certa  rassomiglianza  con 
quella  del  pesco. 

Durante  la  vegetazione,  i  germogli  che  non  portano  frutti  si  scac- 
chiano. Questa  operazione  si  fa  in  maggio. 

Nella  prima  metà  di  novembre,  nei  paesi  freddi  si  coprono  le  cep- 
pale di  lena,  per  ripararle  dal  freddo. 


-  941  - 

16.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  Il  fico  si  pianta  a  dimora  a 
ra.  6-7  di  distanza,  e  dopo  tre  anni  si  cominciano  a  raccogliere  i  frutti.  Si 
faccia  r  impianto  di  preferenza  in  autunno. 

Nei  climi  favorevoli,  si  lascia  crescere  la  pianta  senza  alcuna  po- 
tatura, soltanto  si  tolgono  i  succhioni  ed  i  rami  deperenti. 

È  meglio  però  praticare  la  potatura  di  formazione  di  cui  abbiamo 
già  parlato. 

Per  forzare  una  pianta  a  dare  maggiori  quantità  di  frutta,  special- 
mente nei  climi  non  tanto  favorevoli,  convengono  la  mozzaliira,  la 
sgemmatnra  e  la  spollonatiira. 

In  maggio,  non  appena  terminata  la  germogliazione,  si  procede  alla 
mozzatura  e  cioè  si  sopprime  la  gemma  terminale  di  ciascun  ramo,  senza 
danneggiare  il   piccolo  fico    posto    a   lato    di  ognuno    di    questi   occhi. 


Fig.  674. 
Ramo  di  fico  di  3  anui 


Fig.  675.  —   Ramo   fruttifero 
con  pollone  di  sostituzione. 


In  seguito,  coll'unghia  del  pollice,  si  tolgono  i  bottoni  a  legno  posti 
accanto  ad  ogni  fico  (si  conoscono  queste  gemme  della  loro  forma  al- 
lungata e  dal  colore  verde  giallastro,  mentre  il  fico  è  rotondo  e  verde 
cupo).  Questa  sgemmatnra  si  pratica  non  appena  può  distinguersi  l'oc- 
chio a  legno  dal  fico  che  gli  è  per  cosi  dire,  accoppiato.  Nel  tempo 
stesso  si  levano  tutti  i  succhioni  che  veggonsi  sviluppare  sui  rami  di 
impalcatura  della  pianta  ;  ma  si  lasciano  crescere  quelli  che  possono 
servire  alla  sostituzione  dei  rami  ammalati. 

Sui  rami  d' impalcatui'a,  come  nel  pesco,  non  si  lasciano  mettere 
che  due  gemme  a  legno,  le  più  basse  possibili,  che  vengono  destinate 
a  dare  i  rami  di  rimpiazzo. 

Non  appena  raccolti  i  fichi,   si    sopprimono    i    rami   che    li   hanno 


prodotti,  proprio  al  disopra  delle  due  gemme  che  si  sviluppano  e  che 
fruttificheranno  a  loro  volta. 

Verso  il  15  di  giugno  si  pratica  la  spollonatura,  che  consiste  nel 
togliere  tutte  le  gettate  avventizie,  sviluppatesi  al  di  fuori  delle  due 
gemme  di  rimpiazzo. 

17.  Concimazione.  —  La  pianta  del  fico  ha  la  particolarità  di  avere 
delle  lunghe  radici  che  si  ramificano  in  tutte  le  direzioni  e  per  una 
notevole  estensione.  Adattandosi  la  pianta  a  terreni  poco  fertili,  ne  viene 
di  conseguenza  che  il  fico  è  forse  una  delle  piante  meno  esigenti  in 
fatto  di  concimazione. 

1  dottori  Rossi  e  Carlucci  trovarono  che  le  foglie  di  fico  conten- 
gono in  media  4.146  %  di  ceneri;  i  frutti  disseccati  2.825%. 

Le  analisi  riguardanti  il  fico  le  riporto  dalla  monografia  citata  del 
prof.  Vallese  ed  i  rispettivi  dati  di  concimazione  dai  suddetti  profes- 
sori Rossi  e  Carlucci. 


Tab.  Lxx.       Composizione  della  pianta  del  fico. 


.Sostanze 

nei  frutti 

nelle  foglie 

nel  legno 

Azoto.    .    . 

0.09 
0.03 
0.19 
0.018 

0.5.5 
0.1.5 
0.451 
0.6C 

0.270 
0.110 
0.360 
1.33 

Anidride  fosforica    .... 

Potassa 

Calce 

Una  produzione  di  50  Q."  di  fichi    secchi    corrispondenti  a  Q."  150 
di  fichi  freschi,  esporta  per  ettaro: 


con  i  frutti 
colle  foglie 


Azoto 
Kg.  13.600 
„     27.500 
„     41.100 


Anidride  fosforica 
Kg.     7.500 
„        7.500 
„     15.000 


Potassa 
Kg.  28.500 
„    22.500 


51.000 


Calce 

Kg.     2.700 

„    33.000 

„    35.700 


Questi  materiali  possono  essere  restituiti  da 

2  Q.''  di  solfato  ammonico   per  ettaro  o  20  gr.  per  m. 


1  Q.'-'  di  perfosfato  o  scorie 

1  Q.''  di  solfato  di  potassa 

2  Q."  di  gesso 


Come  si  vede  ù  una  quantità  mollo  esigua  di  concimi,  che  dimostra 
le  poche  esigenze  di  questa  pianta. 

Essendo  il  fico  una  pianta  che  soffre  di  frequente  la  siccità,  è  bene 
che  la  concimazione  venga  fatta  con  del  materiale  che  arricchisca  il 
terreno  di    sostanza   organica   quindi    sono   raccomandabili  i   concimi 


-  943  — 

organici  complessi  come  lo  stallatico,  i  terricciati,  le  spazzature,  i  stracci 
di  lana,  il  sovescio,  ecc.  Calcolato  che  le  foglie  rimangono  sul  terreno, 
possiamo  ritenere  sufficiente,  ogni  tre  anni,  una  concimazione  di  10  tonn. 
di  stallatico  per  ettaro. 

Non  potendo  disporre  di  stallatico  si  ricorre  al  sovescio  delle  fave 
o  lupini  concimate  con  perfosfato  e  solfato  di  potassa  come  è  indicato 
a  pag.  315  e  spargendo  prima  di  sovesciare,  da  5  a  10  Q."  per  ettaro 
di  gesso.  Mancando  il  gesso,  si  possono  adoperare  con  vantaggio  i  cal- 
cinacci, in  proporzione  relativamente  maggiore. 

18.  Raccolta  ed  utilizzazione  dei  frutti.  —  I  fichi  freschi  costitui- 
scono una  delle  migliori  e  più  ricercate  frutta  da  tavola;  disseccati, 
formano  un  articolo  di  commercio  importantissimo. 

La  polpa  siropposa  e  mielosa  è  un  alimento  piacevole,  rinfrescante 
e  di  facile  digestione,  ma  alquanto  lassativa. 

I  fichi,  rispetto  agli  altri  frutti,  sono  molto  nutritivi,  e,  specialmente 
secchi,  hanno  non  poca  parte  nella  alimentazione  del   popolo  italiano. 

La  raccolta  si  fa  successivamente  dal  mese  di  luglio  a  tutto  no- 
vembre e  può  durare  anche  oltre,  nelle  regioni  calde  e  per  alcune 
varietà.  Si  può  far  anticipare  la  maturazione  ungendo  la  boccuccia 
con  paglia  intrisa  nell'olio  di  oliva.  Questa  operazione  si  fa  verso  sera 
e  quando  l'occhio  stesso  si  mostra  decisamente  rossiccio. 

Volendo  conservare  i  fichi  freschi  per  più  giorni  a  scopo  di  ali- 
mentazione, bisogna  riporli  in  un  frigorifero  alla  temperatura  di  +  2»  C. 

Per  seccare  i  fichi  si  adopera  il  calor  del  sole  che  non  fa  perdere 
il  sapore  epperciò  si  raccomanda  la  coltivazione  di  varietà  precoci. 

II  disseccamento  deve  essere  fatto  il  più  rapidamente  possibile.  A 
tale  scopo  si  raccolgono  i  frutti  col  peduncolo,  di  mano  in  mano  che 
raggiungono  la  completa  maturazione  ;  si  tengono  separate  le  varietà 
e  si  dividono  i  fichi  per  grandezza. 

La  disseccazione  si  fa  stendendoli  su  graticci,  colla  boccuccia  in 
alto  e  comprimendoli  leggermente.  Se  dalla  boccuccia  emettono  del 
succo,  non  si  rivoltano,  prima  che  il  succo  non  si  è  condensalo.  11  ri- 
voltamento deve  farsi  ripetutamente  per  afi"rettare  la  disseccazione. 

I  fichi  piccoli  o  sbucciati  si  sogliono  disseccare  ai  sole,  infilandoli 
al  peduncolo  con  del  refì'e  grosso  facendo  una  specie  di  corona  che 
si  appende  e  si  ritira  ogni  sera. 

I  fichi  disseccati  si  collocano  a  strati  in  cassette  o  ceste  metten- 
dovi anche  frammezzo  delle  foglie  di  lauro,  si  coprono  con  una  tela 
pulita  e  si  comprimono  con  qualche  peso. 

In  questi  recipienti,  tenuti  in  luogo  asciutto  e  caldo,  avviene 
l'efflorescenza  dello  zucchero  sulla  buccia.  Quando  i  fichi  sono  bianchi 
si  imballano  ben  pressati  in  scatole,  cassette,  ceste  di  paglia,  botti,  a 
seconda  della  loro  finezza.  Cosi  imballati  si  conservano  in  luogo  fresco 
ed  asciutto. 

I  fichi  più  fini,  quelli  bianchi,  prima  di  essere  esposti  al  sole  ven- 
gono imbiancati  sottoponendoli  per  un  quarto  d'ora   ad   una   sufFumi- 


—  i»44   - 

gazione  di  zolfo,  entro  una  cassa.  Cosi  pure  prima  di  imballarli  nelle 
cassette  per  la  spedizione,  si  immergono  per  due  minuti  secondi  in  un 
bagno  d'acqua  salala  bollente,  allo  scopo  di  distruggere  le  larve  e  le 
uova  di  insetti  che  eventualmente  possono  essere  depositati  sulla  buccia. 

Se  la  stagione  è  avanzala,  per  alìrettare  il  disseccamento,  si  spac- 
cano i  fichi  longitudinalmente  e  si  riuniscono  dopo  spaccati.  In  Cala- 
bria e  nelle  Puglie  si  mette  in  mezzo  una  mandorla  od  una  nocciola 
sgusciala. 

In  Toscana  si  usano  anche  decorticare  i  fichi. 

Coi  fichi  secchi  trinciati  finamente,  imi)astati  con  uva,  mandorle, 
pistacchi,  cioccolatto,  si  fa  il  famoso  pane  di  fichi  e  il  torrone  di  fichi. 
II  torrone  si  prepara  specialmente  a  Giulianova  nella  provincia  di 
Teramo  e  ad  Ascoli  Piceno. 

Infine  ricorderò  che  coi  fichi  secchi  più  ordinari,  imballati  in  sacchi 
contenenti  50-100  Kg.  si  prepara  il  surrogato  del  cafi'è  chiamalo  caffè 
di  fichi. 

19.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  La  composizione  che  si  co- 
nosce è  la  seguente  fatta  se  non  erro  a   Parigi,   da   Payen,  e  messa  in 

confronto  con  quella  del  pane  comune  : 

Pane      Fichi  freschi    Fichi  secchi 

0/0/0/ 

Acqua 35.700  83.158  20.030 

Sostanze  albuminoidi 8.760  1.142  6 

Zuccheri  ed  altri  idrati  di  carbonio.  53.993  15.146  70.540 

(irassi 0.297  —  0.980 

Ceneri 12.50  0.053  2.450 

Azoto  in  100  parti  di  sostanza  fresca.      —  0.179  — 

secca.      —  1.066  — 

Da  questo  si  vede  che  circa  Kg.  1.500  di  fichi  secchi  e  Kg.  4.500  di 
fichi  freschi  contengono  tante  sostanze  albuminodi  e  molto  di  più  di 
zucchero  di  un  Kg.  di  pane. 

Si  spiega  quindi  l'importanza  del  fico  nei  popoli  dei  paesi  meridionali. 

20.  Prodotti  secondari.  —  I  fichi  secchi  e  le  foglie  fresche,  pos- 
sono servire  anche  per  alimentare  il  bestiame.  Le  foglie  fresche  che  non 
si  possono  utilizzare  immediatamente,  si  infossano.  La  loro  composi- 
zione è  di  poco  superiore  a  quella  della  paglia.  I  fichi  mal  disseccati 
si  utilizzano  per  fabbricare  dell'aceto  o  si  distillano  per  ricavare  l'acqua- 
vile  di  fichi  (Araki  degli  arabi). 

21.  Dati  economici.  —  Una  pianta  a  pieno  vento  comincia  ad  es- 
sere produttiva  nel  settimo  anno  d'età.  Secondo  Berti  Pichat,  una  pianta 
la  cui  chioma  ha  un  diametro  di  2  metri,  può  dare  Kg.  60-80  di  fichi 
freschi  corrispondenti  a  circa  20-27  Kg.  di  fichi  secchi.  Occorrono  di- 
fetti circa  3  Kg.  di  fichi  freschi  per  avere  Kg.  1  di  fichi  secchi. 

Nei  centri  di  |)roduzione  i  fichi  secchi  comuni  si  pagano  da  20  a 
30  lire  il  quintale. 

22.  Malattie  e  eause  nemiche  (vedi  pag.  500). 


-  945  - 

GELSO   DA    FRUTTO 

(Morus  nigra  L.  —  Fain.  Moree). 

Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Moraro,  Morer,  Moro,  Morene. 
Nome  volgare  italiano  del  frutto  —  Mora. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Murier  —  Ted. :  Maul- 
beerbaum  —  Ingl.  :  Mulbery-tree. 

1.  Origine  e  diffusione.  —  Abbiamo  due  specie  di  gelso  :  il  gelso 
bianco  :  Morus  alba,  proveniente  dalla  parte  temperata  dell'Asia  cen- 
trale, particolarmente  dai  monti  del  nord  della  China,  che  si  coltiva  per 
l'allevamento  dei  bachi,  ed  il  gelso  nero,  Morus  nigra,  che  si  coltiva 
per  i  suoi  frutti,  proveniente  dalla  Persia. 

Il  Morus  nigra  è  sfato  coltivato  in  Italia  per  i  suoi  frutti,  prima 
che  venisse  introdotto  l'allevamento  dei  bachi.  Presentemente  è  pochis- 
simo coltivato,  poiché  è  preferibile  il  gelso  bianco  per  dare  alimento 
all'  industre  insetto.  Del  Morus  nigra  troviamo  soltanto  piante  isolate 
nelle  provincie  meridionali  e  nell'  Istria. 

Per  notizie  più  dettagliate,  rimando  il  lettore  al  mio  Manuale  di 
Gelsicoltura  dello  stesso  Editore. 

2.  Caratteri  botanici.  —  Il  gelso  nero  è  un  albero  (fìg.  676)  di 
minor  grandezza  e  di  vegetazione  più  tarda  del  gelso  bianco.  Il  tronco 
raggiunge  dimensioni  maggiori,  dividesi  in  rami  e  ramoscelli  un  po' 
tortuosi,  ma  però  abbastanza  regolari  per  produrre  una  chioma  ro- 
tondata e  di  bell'aspetto  come  pianta  d'ornamento,  mentre  quella  del 
gelso  bianco  è  più  divaricata  ed  irregolare.  —  Le  foglie  fornite  di  un 
picciolo  lungo,  sono  cuoriformi,  intere,  raramente  lobate,  dentate  a  sega 
con  larghi  denti  ottusi,  consistenti,  coriacee,  molto  ruvide  al  tatto 
e  di  color  verde  carico.  I  fiori  sono  comunemente  dioici;  i  maschili  di- 
sposti ad  amento  allungato,  coi  fiorellini  distanti  dall'asse,  che  è  pube- 
scente come  il  perigonio.  Frutto  più  grosso  di  quello  del  gelso  bianco, 
ovale,  oblungo,  assai  più  lungo  del  gambo  che  è  brevissimo,  di  color 
rosso  nerastro,  lucido  e  di  un  sapore  piacevole. 

3.  Varietà.  —  Del  gelso  nero  sono  state  classificate  rispetto  alla 
forma  delle  foglie  le  seguenti  quattro  varietà: 

1.  Morus  nigra  dentata  che  ha  il  contorno  delle  foglie  a  larghi 
denti,  ma  conserva  la  forma  intera,  non  mai  lobata. 

2.  Morus  nigra  lobata  colle  foglie  più  o  meno  profondamente  sol- 
cate o  lobate,  oltre  ad  essere  dentate,  specialmente  nei  giovani  ramo- 
scelli che  escono  dal  colletto  della  pianta. 

3.  Morus  nigra  laciniata. 

4.  Morus  nigra  scabra. 

Rispetto  al  frutto  non  vi  ha  alcuna  distinzione  di  varietà. 

4.  Importanza  della  coltivazione.  —  La  coltivazione  per  il  frutto 
ha  un'  importanza  limitata. 

60  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


—  94ti  — 

5.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Si  coltivano  delle  piante  isolate  nei 
broli,  nella  vicinanza  delle  case  di  campagna. 

6.  Clima,  esposizione  e  situazione.  —  Le  colline  e  gli  altipiani  sono 
le  situazioni  migliori. 

Conviene  evitare  i  siti  bassi,  umidi  ed  esposti  alle  brine  od  ai  tardi 
geli,  come  pure  le  allure  dominate  dai  venti,  che  danneggiano  le  piante; 


Fili.  'J7C.  —  Gelso  nero. 

si  scelga  piuttosto  un  luogo  riparato  o  ai  piedi  di  una  collina,  in  una 
insenatura,  od  in  una  pianura,  dove  non  regni  troppa  umidità. 

L'esposizione  migliore  è  quella  di  mezzogiorno.  A  questa  segue 
quella  di  levante  e  poi  di  ponente. 

7.  Terreno.  —  Occorre  un  terreno  i)iuttosto  profondo,  mediocre- 
mente sciolto,  di  natura  calcareo-argilloso,  permeabile  all'acqua  ed  alle 
radici  e  facile  a  riscaldarsi. 


-  947  - 

8.  Moltiplicazione.  —  Il  gelso  nero  si  moltiplica  raramente  per  seme. 
Si  innesta  sul  gelso  bianco  o  si  fanno  margotte. 

9.  Caratteri  vegetativi.  —  Rispetto  alla  vegetazione,  il  gelso  nero 
essendo  meno  precoce  del  bianco  sembra  più  adatto  pei  climi  freddi  ; 
è  anche  più  rustico,  più  robusto,  la  corteccia  è  più  grossa  e  legnosa, 
le  fibre  del  legno  sono  più  compatte. 

Comincia  a  pi'odurre  i  frutti  assai  presto  e  vive  lungo  tempo. 
1  rami  di  un  anno  non  danno  che  foglie,   cominciano    a  dar    fruiti 
nel  secondo  e  più  ancora  nel  terzo  anno. 

I  geli  sono  dannosi  nella  prima  età. 

Nell'Alta  Italia,  le  epoche  nelle  quali  avvengono  le  principali  fasi 
di  vegetazione  del  gelso,  sono  le  seguenti  : 

Primo  movimento  della  vegetazione,  III  decade  di  aprile 

Germogliazione I        „  maggio 

Fioritura I        „  „ 

Maturazione  del  frutto III        ,,  giugno 

Caduta  delle  foglie III        „  ottobre 

10.  Coltura,  potatura  e  forma.  —  Data  la  forma  a  mezzo  vento  od 
a  pieno  vento  a  vaso  per  3  o  4  anni,  si  lascia  poi  la  pianta  a  sé  stessa 
e  soltanto  si  ha  cura  di  mondarla  dal  seccume. 

Si  coltivano,  come  si  è  detto,  piante  isolate  ed  allevandole  nei  cor- 
tili, non  hanno  bisogno  di  speciale  concimazione. 

11.  Raccolta  e  uso  dei  frutti.  —  Produce  frutti  gustosissimi,  i  quali 
si  raccolgono  di  mano  in  mano  che  vengono  a  maturazione  e  cioè  lungo 
un  intero  mese. 

Appena  raccolti  si  devono  consumare.  Hanno  un  sapore  agrodolce 
e  sono  ritenuti  nutritivi  e  rinfrescanti.  Se  ne  fa  uno  siroppo  che  calma 
la  tosse  e  mitiga  le  infiammazioni  di  gola.  Si  può  anche  preparare  una 
bevanda  alcoolica  e  dell'aceto. 

II  legno  del  gelso  nero  rassomiglia  molto  a  quello  del  gelso  bianco, 
ma  non  è  tanto  compatto. 

12.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  L'analisi  del  frutto  del 
gelso  nero  è  la  seguente  : 

Acqua 84.71 

Zucchero 9.19 

Acido  libero 1.86 

Sostanze    solubili    nell'acqua  '  Sostanze  albuminoidi  .     .  0.36 

Sostanze  proteiche  .     .     .  2.03 

Cenere 0.57 

(   Cellulosa 0.91 

Sostanze  insolubili  nell'acqua  <   Pectosio 0.35 

(   Cenere 0.09 

Sostanza  secca 60.10 

13.  Malattie  (vedi  pag.  500). 


PARTE  NONA 
PIANTE    DA    FRUTTI    SECCHI 


CASTAGNO  (') 
(Castanea  sativa  Mill.  —  Fani.  Capulìfere). 

Xome  volgare  ilitliano  del  frutto  —  Castagna. 

Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  Frane:  Chataignier  o  Maron- 
nier  —  Ted.:  Kastanienbaum  —  Ingl.:  Ghesunttree. 

1.  Origine.  —  Molli  autori  sono  concordi  nel  ritenere  che  il  casta- 
gno sia  originario  della  regione  Mediterranea.  Plinio  lo  ritiene  im- 
portato in  Italia  dalla  Sardia  nell'Asia  Minore  e  lo  Zanibaldi  dalla 
I.idia.  (Comunque  sia,  il  castagno  lo  troviamo  coltivato  in  tutta  Italia 
e  per  ordine  decrescente,  nella  Liguria,  nella  Toscana,  nel  Piemonte, 
nella  Meridionale  Mediterranea,  nell'Emilia,  nella  Lombardia  e  nel 
Veneto.  Poco  esteso  in  Sicilia  ed  in  Sardegna. 

In  Francia  il  castagno  si  diffuse  dall'Italia;  in  Germania  le  poche 
varietà  coltivate  si  trovano  lungo  la  Mosella-,  in  Austria  nella  Garniola; 
più  estesamente  il  castagno  è  coltivato  in  Spagna  e  Grecia. 

Il  nome  castagno  sembra  derivi  da  Kastanea,  regione  della  Tessaglia. 

2.  Caratteri  botanici.  —  (fig.  677)  Albero  alto  ordinariamente  da 
10  a  15  metri  ed  anche  da  25  a  30,  con  tronco  grosso,  sovente  tor- 
tuoso, con  la  scorza  di  color  grigio-scuro,  profondamente  solcata  nel 
senso  della  lungliezza  del  fusto.  I  rami  sono  pur  essi  tortuosi,  e  talora 
anche  quasi  orizzontali,  ma  sempre  disposti  in  guisa  da  formare  una 
chioma  estesa  e  tondeggiante. 

Le  radici  sono  composte  di  un  fittone  e  di  robuste  radici  laterali 
non  lunghe,  ma  molto  ramificate  che  si  estendono  più  o  meno  obliqua- 
mente nel  terreno,  penetrando  anche  a  considerevole  profondità. 


(1)  Piccioli  !..  Monograpa  del  castagno.  iMreiize  1902.  —  Vigiani   D.  //  Castagno.   Bi- 
blioteca (3ttavi. 


-  949  — 

Chioma  ricca,  conica  od  ovale  con  rami  numerosi,  abbastanza  grossi 
con  corteccia  di  color  verde  carico  che  si  screpola  in  età  piuttosto 
avanzata.  Gemme  glabre,  ovate,  coperte  da  due  squame  abbastanza 
grosse,  appuntite. 

Foglie  semplici,  disposte  sul  tronco  secondo  la  fillotassi  ^/^  e  sui 
rami  'j.,  decidue,  grandi,  consistenti,  fortemente  nervate,  lanceolate  o 
bislungó-acuminate,  più  ristrette  e  talora  cuoriformi  alla  base,  intere 
verso  il  picciolo,  nel  resto  del  margine  più  o  meno  grossamente  dentate 
a  sega  e  colle  punte  sottili  rivolte  verso  l'apice  delle  foglie,  glabre  da 


Fig.  677.  —   Ramo  fruttifero  di  castagno 

1,  ramo  da  frutto  -  2,  fiori  maschili  -  3,  fiore  maschile  isolato  colla  sua  brattea 

4   fiori  femminili  -  ."),  frutto  colla  sua  cupola  spinosa  -  6,  frutto. 


ambedue  le  parti,  lucide  e  di  un  bel  verde  nella  faccia  superiore,  più 
pallide  nell'inferiore.  Appena  si  schiudono  queste  foglie  sono  bianchic- 
cie o  leggermente  lanuginose,  almeno  negli  angoli  delle  nervature 
principali.  Il  picciolo  è  breve. 

I  fiori  sono  monoici.  I  maschili,  uniti  in  amenti  lineari,  gracili, 
eretti  o  alquanto  ricurvi  pel  peso,  stanno  riuniti  in  mazzetti  alla  estre- 
mità dei  rami  o  presso  l'ascella  delle  foglie  terminali  e  portano  i  fiori 
o  sparpagliati  sul  loro  asse  o,  più  frequentemente,  riuniti  in  gruppetti, 
collocati  a  brevi  intervalli  gli  uni  dagli  altri  e  quasi  verticillati:  si  pre- 
sentano tutti  insieme  di  un  color  bianco-sudicio,  più  o  meno  tendente 
al  giallo-paglierino.  I  fiori  femminei  sorgono  pur  essi  all'ascella  delle 
foglie  terminali  alla  base  o  in  prossimità  degli  amenti  maschili,  e  sono 


-  950  - 

in  numero  di  uno  a  tre  con  un  pedicello  grosso  e  breve,  raccolti 
entro  un  invoglio  unico,  persistente,  quadrifido,  fornito  di  un  gran 
numero  di  bratleole  lineari  o  lanceolate,  ottuse  o  acuminate.  Questo 
involucro  coll'accrescersi  diventa  coriaceo,  completamente  fasciato  al- 
l'esterno, con  spine  acutissime  e  pungenti,  rivolte  in  vario  senso  ed 
intrecciate  fra  loro,  all'interno  è  vestito  di  una  peluria  molle,  sericea  e 
bianchiccia;  costituisce  colle  noci,  che  prendono  il  nome  di  castagne, 
il  frutto  o  riccio,  che  dapprima  verde,  verso  la  sua  maturità  si  fa  gial- 
liccio ed  apresi  in  quattro  divisioni.  Le  castagne  sono  di  forma  ovoidale, 
raramente  quasi  globose,  piano-convesse  o  piane  da  ambedue  le  parti, 
con  una  larga  cicatrice  di  un  bianco-scuro  alla  base,  ossia  nel  luogo 
corrispondente  alla  inserzione  sull'invoglio  e  coronate  all'apice  dagli 
stili  fatti  rigidi  e  disposti  a  modo  di  raggi. 

3.  Varietà.  —  Una  classificazione  sistematica  delle  varietà  di  casta- 
gne coltivate  è  impossibile.  Ogni  provincia,  ogni  territorio  che  coltiva 
il  castagno  vanta  qualche  varietà,  la  quale  anche  se  simile  a  quella  del 
vicino  non  si  i)uò  chiamare  che  col  nome  vernacolo  del  paese.  I  com- 
mercianti classificano  questi  frutti  distinguendoli  col  nome  del  paese 
da  cui  provengono. 

Praticamente  si  distinguono  due  gruppi  soli  di  varietà:  il  castagno 
a  frutto  grosso  detto  marrone  e  quello  a  frutto  piccolo,  che  è  la  casta- 
gna propriamente  detta. 

I.  Castagna  marrona  (Castanea  sativa  major  Mich.).  Ha  i  rami  co- 
lor nocciuola,  meritalli  lunghi,  lenticelle  biancastre,  rade;  scorza  sot- 
tile ;  gemme  ovali,  giallo-verdognole. 

Foglie  di  color  verde-cupo,  lucenti,  strette  e  con  nervature  rossastre. 

Fiori  di  color  bianco-rossastro. 

Riccio  quadrangolare,  molto  sviluppato,  con  spine  poco  rigide. 

Frutto  semi-elissoidale,  quadrangolare  alla  base;  pericarpio  bruno- 
rossiccio,  liscio,  lucente,  con  cicatrice  biancasta;  tegumento  dei  cotile- 
doni dello  stesso  colore,  ma  grosso  che  si  stacca  facilmente. 

11  fusto  è  meno  sviluppato  di  quello  del  castagno  comune  e  la 
pianta  è  meno  longeva. 

Ama  luoghi  freschi,  terreni  siliceo-argilloso-calcari,  profondi;  espo- 
sizione a  mezzogiorno  o  a  sud-ovest,  riparata  dai  venti.  Come  frutto 
da  mangiarsi  fresco  è  il  più  pregiato  per  la  sua    grossezza  e  sapore. 

Abbiamo  del  marrone  molte  varietà:  alcune  primatìccie  che  ma- 
turano 10  a  12  giorni  prima  del  comune  castagno,  altre  tardive  come 
il  marrone  tardivo  che  matura  quasi  un  mese  dopo.  Rinomati  in  Italia 
sono  i  marroni  di  Belluno,  di  Lovrana  d'Istria,  il  marrone  di  S.  Croce 
con  frutto  grossissimo,  pelle  fina,  di  color  chiaro,  molto  zuccherino; 
quelli  della  Valtellina,  il  marrone  della  Valle  del  Serrino,  di  Antrodoco, 
li  marrone  di  Cuneo  e  cosi  via.  I  marroni  non  si  adoperano  per  otte- 
nere farina 

II.  Castagna  propriamente  delta  (Castanea  sativa  minor  Mich.).  Il 
frutto  è  più  o  meno  globoso,  sferoidale,  con  buccia  alquanto  più  scura 


—  951  — 

di  ({uella  dei  marroni,  con  pellicola  poco  pelosa,  che  si  stacca  diffì- 
cilmente dal  seme.  Il  sapore  è  dolce  e  gradevole,  però  meno  che  nei 
marroni.  Sottovarietà  coltivate  in  Italia  ve  ne  sono  parecchie;  citeremo 
le  principali.  (Vedi  D.  Vigiani  —  //  Castagno  —  Biblioteca  Ottavi) 

Provincia  di  Torino:  Neirana  o  Neiranda,  Pelouse,  Gite,  Boccias  etc. 

Provincia  di  Cuneo:  Gabbiana,  Siria,  Giapastra,  Gaggia,  Rossetta, 
Butale,  Fuse,  Basse,  Frantuna,  Gornera,  Garruna,  Riara,  Roéne,  Bellevite, 
Verdai,  Gavot,  Solenghe  ecc. 

Valli  della  Bormida  e  del  Tanaro:  Gabbiana. 

Savona:  Girla. 

Friuli:  Piccole,  Obiaki. 

Emilia  e  Romagna:  Molane,  Carraresi,  Pastinese,  Lizzanese,  i?osso/a, 
Biancola,  Fronzola,  Raggiolana,  Borgavola,  Lojola,  Mascherina,  Bustana, 
Ceppa,  Pelosa,  Moretta,  Nerattina,  Grossolana,  Bastarda,  Silvana  ecc. 

Piacenza:  Garbelle,  Sisiastiche,  Domestiche,  Vezzolana  (Zago). 

Appennino  Pistojese:  Grossaga,  Pfls//nese,  Lucignana,  i?osso/a,  Carpi- 
nese  o  Carrarese  ecc. 

Casentino:  Pistoiese,  Raggiolana,  Perella,  Fragonese,  Giuggiolana, 
Tigolese,  Mondistolli  ecc. 

Montagna  Cortonese:  Villorina,  Pastorese,  Roggiolana  o  Ruggiolana. 

Monte  Amianta  :  Bastardo,  Domestico,  Marron  picciolino,  Pazzo, 
Luccichente,  Pastinese,  ecc. 

Varie  località  della  Toscana  :  Rossole,  Biancane,  Marzuole,  F"ocetto 
Bragazzino,  Brescianino,  Fastellino,  Pinacchione,  Montanine,  Romagnolo 
o  Grappoluto,  Selvatico  faggino  ecc. 

Monti  Cimini  :  Luciani,  Primaticci,  Fiorentini,  Lanacei,  Porcini,  Pe- 
loselli  ecc. 

Caserta:  Peloselle,  Conche,  Fiane,  Montellesi,  Verzolone. 

Avellino:  S.  Mango  o  S.  Manguli,  Montellesi,  Veraci  o  Yonnole, 
Setarze,  Verdole  o  Virdole,  Corniole  ecc. 

Salerno  :  Marroncelle,  Fergolesi. 

Riporto  dalla  III^  Edizione  di  questa  opera,  la  descrizione  di 
alcune  varietà  : 

1.  Castagna  calabrese,  carpinese  o  carrarese  con  fogliame  verde- 
chiaro, lucente.  È  il  castagno  più  comunemente  coltivato  dai  monta- 
nari; produce  frulli  in  abbondanza,  saporiti  e  delicati;  ha  buccia  di 
color  rossiccio,  liscia,  pellicola  dello  stesso  colore,  sottilissima,  facil- 
mente staccabile.  Ama  terreni  freschi  e  profondi  ;  prospera  benissimo 
anche  in  luoghi  elevati  ed  in  esposizioni  fresche.  Questo  frutto  mangiato 
fresco  sostituisce  il  marrone  e  da  esso  si  ricava  la  miglior  farina  di 
castagne;  ma  si  conserva  male. 

2.  Castagna  pastinese.  —  Ha  grandi  pregi  non  inferiori  alla  va- 
rietà sopracitata;  ama  luoghi  freddi  ed  elevati,  resiste  ai  venti  e  tollera 
anche  un  terreno  compatto.  Dà  frutti  piccoli  e  nericci,  coperti  di  pe- 
luria, con  pellicola  assai  grossa,  aderente.  1  frutti  seccati  e  macinati 
danno  una  farina  che  si  conserva  a  lungo  e  sotto  questo  riguardo  è 
più  pregevole  di  quella  della  varietà  precedente. 


—  1)52  — 

3.  Castagna  rossola.  —  Simile  al  marrone  ma  più  piccola,  prospera 
anche   in    luoghi   elevati  e  freddi;  i  frutti    danno    un'eccellente   farina. 

Dal  \M}^iani  riporto  la  descrizione  delle  seguenti  varietà: 

4.  Pislolcse:  Legname  giovane  color  rosso-scuro.  Meritalli  molto 
lunghi,  gemme  rossicce.  Inlìorescenze  poco  sviluppate;  fioritura  assai 
tardiva.  Foglie  allungate  di  color  verde-chiaro.  Riccio  grosso,  oblungo, 
munito  di  spine  poco  numerose.  Spesso  i  ricci  sono  riuniti  in  grup- 
petti di  6-8.  Achenio  bislungo,  assai  acuminato,  pericarpo  scuro,  cica- 
trice di  mezzana  grandezza;  cotiledoni  poco  solcati;  tegumento  sottile 
e  facilmente  separabile. 

Fusto  molto  contorto  ed  irregolare;  sviluppo  limitato. 

E'  meno  esigente  del  marrone.  Ha  fioritura  assai  tardiva  e  matura- 
zione jirecocissima;  perciò  è  apprezzato  nei  luoghi  in  cui  le  castagne 
si  possono  smerciare  come  primizie.  Fruttifica  abbondantemente  e  dà 
prodotto  pregiato. 

5.  Raggiolana:  Tronco  assai  dritto,  che  rammenta  spiccatamente 
il  selvatico;  giovani  rami  di  color  scurò  con  lenticelle  biancastre  ab- 
bondantissime; meritalli  brevi  ed  irregolari;  gemme  giallo-chiare;  infio- 
rescenze maschili  in  amenti  cilindrici,  eretti,  lunghi  e  numerosi.  F'oglie 
corte,  larghe  e  quasi  ovoidali.  Riccio  più  piccolo  che  nelle  varietà 
precedentemente  descritte  e  rotondeggiante  fornito  di  spine  assai  fitte 
e  lunghe.  Frutto  di  mezzana  grossezza,  rotondeggiante;  pericarpo  ros- 
siccio, con  larga  zona  di  peluria  verso  l'apice;  cicatrice  assai  svilup- 
pata, tegumento  spesso,  rosso-chiaro,  aderente  ai  cotiledoni. 

E'  poco  esigente  e  perciò  viene  coltivata  nei  luoghi  elevati,  esposti 
ai  freddi,  ai  venti,  alle  intemperie.  Ha  maturazione  tardiva.  E'  fertilis- 
simo e  le  sue  castagne,  poco  indicate  per  altri  usi,  sono  eccellenti  per 
farne  farina. 

6.  Villorina:  Fusto  di  medio  sviluppo:  foglie  di  un  bel  verde-ca- 
rico; ricci  rotondeggianti,  di  colore  verde  scuro;  achenio  di  forma 
globosa  che  rassomiglia  a  quella  del  marrone,  ma  è  assai  più  piccolo; 
tegumento  molto  spesso  e  aderentissimo. 

E'  la  varietà  maggiormente  diffusa  nella  montagna  Cortonese;  è 
molto  rustica  e  perciò  viene  coltivata  in  luoghi  poco  favorevoli.  Non 
è  sdegnata  sul  mercato  anche  fresca,  ma  generalmente  si  fa  seccare 
per  farne  farina. 

111.  Castagna  selvatica  (Castanea  vnlgaris  Lamk).  Tronco  dritto, 
alto  e  regolare;  rami  color  giallo  verdastro;  meritalli  corti;  gemme 
molto  grosse  e  rosse.  Infiorescenze  maschili  bianche,  appariscenti,  ab- 
bondantissime e  lunghe  circa  20  centimetri.  Foglie  sottili  e  morbide; 
di  color  verde  chiaro.  Riccio  piccolo,  un  po'  allungato  verso  l'apice.  I 
ricci  sono  costantemente  raggruppati  in  numero  di  8-10.  Spine  fitte, 
resistenti,  di  color  giallo-scuro.  Frutto  piccolo,  cordato,  con  cicatrice 
come  nel  marrone;  cotiledoni  molto  solcati  e  tegumento  aderentissimo. 

Matura  tardi.  Il  frutto  è  poco  ricercato  perchè  il  tegumento  si 
stacca  difficilmente  e  le  castagne  hanno  un  sapore  amarognolo  astringente. 
In  compenso  la  pianta  è  molto  rustica. 


—  953  — 

4.  Scelta  delle  varietà,  —  La  importanza  colturale  di  ciascuna  di 
queste  varietà,  come  insegna  il  prof.  Caruso,  dipende  dalla  rustichezza, 
dalla  precocità,  dallo  spessore  del  tegumento,  dalla  grossezza  del  seme 
e  dalla  resistenza  alle  malattie  parassitarie. 

1.  Considerata  la  rustichezza  ossia  resistenza  al  freddo  le  varietà 
che  tengono  il  primo  posto  sono,  senza  dubbio,  la  Selvatica  e  la  Kag- 
giolana,  che  prosperano  anche  a  considerevole  altezza  ed  in  esposi- 
zioni poco  favorevoli.  Seguono,  in  ordine  decrescente,  la  Pistoiese  e 
la  Marrona,  le  quali  esigono  luoghi  più  riparati  dai  venti  ed  esposi- 
zioni più  soleggiate. 

2.  Riguardo  alla  precocità  della  maturazione  possono  così  ordi- 
narsi: Pistoiesi,  Tigolesi,  Marrone,  Maggiolane  con  una  distanza  di  7  a 
10  giorni  dalle  prime  alle  ultime. 

3.  Per  lo  spessore  della  buccia  certamente  la  Pistoiese  tiene  il 
primo  posto,  avendola  assai  sottile  e  poco  aderente;  segue  poi  la  Mar- 
rona il  cui  seme  si  sbuccia  assai  facilmente.  Meno  pregiate  a  questo 
riguardo  sono  la  Raggiolana  e  le  Selvatiche. 

4.  Rispetto  alla  grossezza  del  seme  la  Marrona  è  la  varietà  che 
fornisce  i  semi  più  grossi  e  per  questo  ed  altri  pregi  (tegumento  poco 
aderente,  precocità  nella  maturazione,  abbondanza  e  bontà  della  polpa) 
è  tenuta  in  grande  considerazione  specialmente  per  essere  consumata 
per  frutto.  Seguono  la  Pistoiese  e  la  Raggiolana-,  in  ultimo  vengono  le 
Selvatiche  le  quali  sono  destinate  per  far  farina  e,  in  casi  speciali,  per 
la  alimentazione  dei  suini. 

5.  Varietà  nuove  di  castagno.  —  Del  Giappone.  —  Albero  di  pro- 
porzioni medie,  a  foglie  brillanti,  dentate  irregolarmente  e  rimarchevoli 
pel  loro  aspetto.  E'  più  rustico  del  castagno  d'Europa,  tollerando  anche 
un  freddo  di  25"  gradi  sotto  zero.  Ha  una  fertilità  eccessiva. 

Numbo.  —  Varietà  pure  rusticissima  e  molto  produttiva.  Fruttilìca 
presto,  settembre,  e  le  castagne  sono  grosse  e  buone. 

Paragon.  —  Varietà  molto  produttiva  che  dà  frutti  eccellenti  e  grossi. 

6.  Importanza  della  coltivazione.  —  Per  i  paesi  di  montagna,  il 
castagno  è  una  vera  provvidenza.  Nella  regione  della  vite  si  coltiva  a 
ceduo  semplice  o  composto  specialmente  col  rovere,  per  produrre  pali; 
nella  regione  immediatamente  superiore  si  coltiva  per  il  frutto  e  per 
il  legname. 

La  produzione  annua  complessiva  in  Italia  si  calcola  di  5  a  6  milioni 
"  /ii  quintali  di  castagne  di  cui  150.000  Ql.  vengono  esportali, 

7.  Sistemi  di  coltivazione,  —  Il  castagno  da  frutto  ordinariamente 
è  coltivato  da  solo  ed  allora  si  ha  il  cosidetto  castagneto  ad  alto  fusto. 

8.  Clima  ed  esposizione.  —  Il  castagno  da  frutto  si  trova  al  limite 
immediatamente  superiore  a  quello  della  vite,  perciò  arriva  a  600  me- 
tri sulle  Alpi,  a  900  metri  sugli  Appennini,  a  1300  in  Sicilia.  Rispetto 
alla  latitudine  non  oltrepassa  i  48"  dì  latitudine  nord. 

E'  una  pianta  dei  climi  temperati,  perciò  non  tollera  i  calori  intensi 
e  la  ostinata  aridità.  Raramente  il  castagno  domestico  si  trova  in  pia- 


—  'Jòi  — 

nura  o  in  luoghi  chiusi  perchè  le  brine  ed  1  geli  prolungati  gli  fanno 
mollo  danno.  Predilige  i  colli  esposti  a  levante  oppure  le  montagne  di 
media  altezza  non  esposte  ai  venti.  Soltanto  nell'Italia  meridionale  ed 
in  qualche  localilà  dell'Italia  centrale  lo  si  trova  esposto  a  tramon- 
tana. Nelle  località  fredde  il  legno  è  meno  compatto  ed  i  frutti  sono 
più  rari. 

Fiorisce  alla  temperatura  di  17"  e  matura  i  suoi  frutti  con  2100"  a 
2200°  di  calore,  a  partire  dalla  germogliazione  in  primavera.  Dalla  ca- 
duta delle  foglie  alla  lìoritura  richiede  3660"  C.  di  calore. 

La  pianta  resiste  ai  freddi  più  intensi,  anche  a  34-36"  C.  sotto 
lo  zero. 

Il  castagno  germoglia  quando  per  alcuni  giorni  la  temperatura  e 
costante  ad  8"  G. 

Quadro   indicante   l'epoca  nella   quale  avvengono   le   principali   fasi 
di  vegetazione  del  castagno  in  alcune  regioni  d'Italia. 


Località 

Fogliazione 

Fioritura 

Maturazione 
del  frutto 

Caduta  delle 
foglie 

Epoca  in 
decadi 

temp. 

Epoca  in 
decadi 

temp. 

Epoca  in 
decadi 

temp. 

Epoca  in 
accadi 

temp. 

Belluno 

Pesaro 

Caserta 

Catanzaro.    .    .    . 

Maggio  I 

Aprile  III 

„        III 

Marzo  III 

10.9 
16.2 
15.6 
12 

Giugno  III 
Maggio  III 
Giugno  I 
Maggio  I 

19.5 
19 
19.9 
16 

Ottobre  II 

„        II 

I 

Settem.  Ili 

10.1 
15.3 
16.9 
22° 

Novemb.  I 

II 

I 

Dicemb.   I 

7.7 
8.4 
13.3 
13 

9.  Terreno.  —  Predilige  i  terreni  sciolti,  freschi,  di  medio  impasto, 
l)rofondi,  ricchi  di  materia  organica.  Perciò  gli  convengono  i  terreni 
siliceo-argillosi  profondi ,  quelli  granitici  e  vulcanici ,  sempre  però 
provveduti  di  una  certa  quantità  di  umus.  Il  castagno  è  una  pianta 
eminentemente  calcifuga.  I  migliori  castagneti  si  trovano  nei  terreni 
che  contengono  non  oltre  l'I  %  di  carbonato  calcare;  in  quelli  che  ne 
contengono  oltre  il  6  7o,  il  castagno  deperisce. 

Hi  fugge  pure  i  terreni  compatti  ed  umidi.  La  presenza  dell'erica  e 
delle  felci  è  un  sicuro  indizio  dell'adattabilità  del  castagno. 

10.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  seme  e  per  innesto. 

La  moltiplicazione  per  seme  si  fa  nel  semenzaio,  in  marzo-aprile, 
conservando  prima  le  castagne  stratificate  nella  sabbia.  Le  piantine  si 
trasportano  nella  piantonaja  dove,  dopo  6  anni,  si  innestano  oppure  si 
collocano  a  dimora.  Per  l'impianto  a  dimora  la  pianta  deve  avere 
l'altezza  di  m.  2.50  ed  un  diametro  di  4  cm. 

L'innesto  si  fa  di  solito  dopo  3  anni  dall'impianto  a  dimora.  Vo- 
lendo adoperare  polloni  per  fare  un  castagneto,  il  che  non  è  consi- 
gliabile perchè  questi  hanno  radici  troppo  profonde,  bisogna  che  essi 
presentino  j)ure  le  suddette  dimensioni  per  essere  piantati  stabilmente 
e  poi  innestati. 


-  955  — 

Pel  castagno  si  pratica  riiinesto  ad  anello,  a  gemma  (dormiente 
dal  luglio  al  settembre  ed  in  maggio  a  gemma  vegetante),  a  spacco,  a 
corona  ed  all'inglese. 

Il  castagno  si  può  anche  innestare  sulle  querele  Qnerciis  sessiflora 
e  Querciis  Mirbeckii. 

11.  Caratteri  vegetativi.  —  Il  castagno  è  l'albero  che  in  Europa 
raggiunge  le  maggiori  dimensioni  ed  è  dei  più  longevi.  In  media  dura 
150  anni,  quantunque  vi  siano  degli  alberi  ai  quali  viene  attribuita 
un'età  di  alcuni  secoli.  Cresce  lentamente  fino  al  decimo  anno  circa, 
poi  abbastanza  rapidamente,  ma  rallenta  presto  e  allora  cresce  più  in 
diametro  che  in  altezza.  A  60  anni  arriva  all'ordinaria  sua  altezza  e 
continua  ad  ingrossare  fino  quasi  alla  morte,  acquistando  una  dimen- 
sione prodigiosa.  Ha  corona  espansa,  querciforme  e  discretamente  fron- 
zuta. Tollera  qualunque  taglio.  I  ricci  cadono  appena  maturi  e  le 
castagne  conservano  la  facoltà  germinativa  per  6  mesi.  Le  fruttificazioni 
abbondanti  avvengono  ogni  2  o  3  anni  ;  la  pianta  comincia  a  fruttificare 
fra  i  15  e  20  anni. 

12.  Impianto  e  cura  di  coltivazione.  —  Il  castagno  da  frutto  si 
coltiva  da  solo  in  terreni  speciali.  A  seconda  della  fertilità  del  suolo 
si  pianta  alla  distanza  di  8  a  14  e  17  metri  tra  pianta  e  pianta.  Quanto 
più  fertile  e  quanto  più  adatto  è  il  terreno  alla  coltivazione  tanto  più 
rade  devonsi  collocare  le  piante.  Non  si  dimentichi  che  il  castagno 
ama  la  luce  e  non  fruttifica  se  è  sacrificato  da  piante  vicine.  Qualche 
volta  col  castagno  si  fiancheggiano  le  strade  ed  i  viali,  oppure  si  con- 
tornano i  campi. 

In  quest'ultimo  caso,  l'impianto  si  fa  soltanto  lungo  il  lato  di  tra- 
montana. 

Fatto  l'impianto  a  dimora,  quando  i  castagni  hanno  alla  base  un 
diametro  di  circa  7  centimetri  si  capitozzano  all'altezza  di  metri  2,50, 
per  provocare  la  formazione  dei  rami  secondari.  Fra  questi,  si  scelgono 
dopo  un  anno  i  5  o  6  più  vigorosi  e  si  innestano.  Ciò  fatto  si  soppri- 
mono i  getti  non  innestati  e  si  rimonderà  il  fusto  di  tutti  i  getti  av- 
ventizi. 

I  nesti  portano  frutto   dopo  5  o  6  anni. 

Le  cure  successive  consistono  nel  taglio  annuale  dei  succhioni  e 
rimessiticci  affine  di  dare  alla  fronda  una  forma  sferica.  Allorquando 
la  pianta  è  adulta,  basta  fare  la  rimonda  ogni  3  anni,  colla  quale  si 
tolgono  i  succhioni,  i  rami  secchi,  contusi,  oppure  troppo  vicini  uno 
all'altro. 

Questa  operazione  si  suol  fare  nel  mese  di  luglio  ed  agosto. 
Ai  rami  da  frutto  non  occoi're  alcuna  potatura.  Quando  però  questi 
ultimi  sono  esauriti,  durante  il  riposo  della  vegetazione,  si  fa  un  taglio 
di  ringiovanimento,  che  però  è  necessario  soltanto  una  o  due  volte 
durante  la  vita  della  pianta. 

13.  Concimazione.  —  Concimazioni  speciali  al  castagno  non  se  ne 
fanno.  Dovendo  però  concimare  è  bene  conoscere  la   quantità   di   eie- 


tiRMili  nulrilivi  che  veiif^ono  esportati  da  un  ettaro  di  terreno,  coltivato 
a  caslaf*neto. 


Per  mezzo  delle 

Azoto 

Anidride 

fosforica 

Potassa 
kg- 

Calce 
kg- 

castagne  tresche  ...    kg.  2200 

legna 710 

foglie „      200 

16.56 

6.24 
1.60 
1.23 

17.04 
4.12 
2.16 

3.36 

26.- 

4.53 

Totale  esportazione 

1().56 

9.07 

23.32 

33.89 

Come  si  vede  il  castagno  è  una  pianta  poco  esigente.  È  bene 
fare  la  concimazione  a  base  di  letame  fresco,  adoperando  anche  quello 
di  pecora  che  abbonda  sempre  nella  regione  del  castagno.  I  concimi 
chimici  sono  pure  efficaci:  si  danno  seminando  lupini  o  trifoglio  in- 
carnato che  ])oi  si  sovescia. 

14.  Raccolta  e  conservazione  del  prodotto.  —  Le  castagne  giunte 
a  maturità  cadono  spontaneamente  per  la  deiscenza  del  riccio,  che  ha 
luogo  secondo  due  linee  che  si  tagliano  a  perpendicolo  nel  punto  op- 
posto alla  inserzione  del  peduncolo  col  riccio  stesso;  se  i  ricci  cadono 
a  terra  chiusi  la  raccoglitrice  con  un  colpo  di  falcetto,  dato  dalla  parte 
della  costola  li  costringe  ad  aprirsi  violentemente,  ed  il  frutto  esce 
fuori.  Quando  sulla  pianta  sono  rimasti  pochi  ricci,  questi  si  abbac- 
chiano, si  scuotono  cioè  fortemente  i  rami  con  una  lunga  pertica  di 
acacia  o  castagno,  per  farli  cadere  forzatamente. 

Durante  la  raccolta,  si  fa  una  scelta  delle  castagne  trovate  nude  in 
terra,  le  (juali  se  non  sono  cadute  per  causa  di  malattia,  hanno  un 
valore  superiore  alle  altre. 

I  ricci  chiusi  si  ammassano  in  un  luogo  asciutto  e  si  coprono  con 
uno  strato  di  20  centimetri  di  foglie  di  castagno.  Cosi  le  castagne  si 
conservano  fresche  per  un  paio  di  mesi.  Quando  si  vuole  protrarre  la 
conservazione  ai  mesi  di  marzo  e  aprile,  si  scava  una  fossa  profonda 
da  70  a  80  centimetri,  in  terreno  asciutto,  nel  fondo  di  essa  si  pone 
della  paglia  ed  uno  strato  di  10  a  15  centimetri  di  foglie  di  castagno 
secche  e  bene  asciutte.  Nel  centro  della  buca  si  pongono  i  ricci,  circon- 
dandoli con  altra  paglia  e  foglie  per  20  o  25  centimetri.  Miglior  sistema 
però  è  quello  di  scegliere  le  castagne  più  sane  e  grosse,  farle  ben 
asciugare  e  poi  stratificarle  nella  sabbia  secca  in  un  luogo  ben  asciutto. 

Altro  mezzo  di  conservazione  consiste  nel  collocare  le  castagne  in 
cantine  a  strati  sottili  di  25  centimetri,  rivoltandole  e  maneggiandole 
di  frequente  con  un  ruvido  sacco  per  togliere  l'umidità  e  quella  mufla 
I)articolare  che  a  guisa  di  patina  ne  riveste  la  superficie. 

1  marroni  si  conservano  anche  immergendoli  per  una  settimana 
nell'acqua  corrente,  dopo  di  che  si  asciugano  al  sole,  e  quindi  si  col- 


-  957  - 

locano  in  cantine  ben  fresche  a  strati  sottili,  prodigando  loro  le  cure 
più  sopra  indicate. 

La  maggior  parte  delle  castagne   si  essicca  nei  così  detti  inetali. 

Il  melato  può  essere  scavato  nel  terreno,  ma  per  lo  più  è  fatto  in 
muratura.  E'  una  grande  stanza,  vasta  quanto  occorre  ed  alta  quanto 
il  casamento,  coperta  con  una  tettoia  a  due  pioventi  dalla  quale  possa 
uscire  il  fumo  e  l'umidità. 

A  due  metri  e  mezzo  dal  fondo  sono  poste  delle  travi  incastrale 
nel  muro  e  ben  murate,  le  quali  sostengono  un  pavimento  formato  da 
pali  di  castagno  diritti  e  robusti,  vicini  tanto  l'uno  all'altro,  da  non 
lasciar  passare  al  disotto  le  più  piccole  castagne.  Sopra  questo  pavi- 
mento, all'altezza  di  un  metro,  c'è  una  finestra  per  la  quale  si  accede. 
Per  accedere  nella  parte  terrena  vi  ha  una  porta.  Nel  centro  del  pavi- 
mento terreno  o  in  tre  o  quattro  punti  nei  grandi  melati  si  accende  il 
fuoco  per  seccare  le  castagne. 

Di  mano  in  mano  che  le  castagne  vengono  raccolte  si  collocano 
sul  pavimento  di  una  stanza  per  asciugarle,  quando  cominciano  ad  av- 
vizzire si  portano  nel  melato.  Quando  in  questo  si  comincia  ad  avere 
uno  strato  di  20  centimetri  di  castagne,  si  pone  il  fuoco,  che  deve  es- 
sere lentissimo,  poiché  da  questo  dipende  la  bontà  della  farina.  Tutti 
i  giorni  si  raccolgono  le  castagne  e  tutti  i  giorni  si  stendono  castagne 
sul  melato,  dopo  averle  tenute  stese  sui  pavimenti  per  3  o  4  giorni. 
Finita  la  raccolta  si  rivoltano  le  castagne  in  modo  che  quelle  che  si 
trovano  al  disopra  vadano  sotto.  Dopo  15  giorni  si  fa  una  seconda  ri- 
voltatura, raramente  ne  occorre  una  terza.  Quando  le  castagne  sono 
prossime  ad  essere  secche  si  raddoppia  il  fuoco  per  tre  o  quattro  giorni. 

Lo  strato  di  castagne  nel  melato  si  fa  alto  un  metro.  Il  tempo  oc- 
corrente per  l'essiccazione  è  da  25  a  40  giorni  ;  si  tolgono  le  castagne 
quando  si  trovano  secche  le  ultime  postevi  quando  cioè  si  rompono 
al  dente  con  frattura  netta. 

In  media  HI.  5  di  castagne  verdi  del  peso  medio  di  kg.  300  si  ridu- 
cono a  HI.  4  di  secche,  che,  private  dalla  buccia  si  riducono  ad  un 
po'  meno  di  HI.  2.  Il  peso  medio  di  una  castagna  è  di   gr.  18  a  60. 

Con  questo  sistema  di  essiccazione  si  impiega  molto  tempo,  e  non 
si  può  regolare  la  temperatura  e,  perciò  le  castagne  non  riescono  tutte 
essiccate  bene  e  spesso  prendono  di  fumo.  Per  evitare  questi  incon- 
venienti il  Prof.  Donati  di  Bastia  e  il  Prof.  Mingioli  della  Scuola 
Superiore  di  Agricoltura  di  Portici,  hanno  ideato  dei  tipi  di  essiccatoi 
ad  aria  calda.  Per  avere  notizie  di  questi,  il  lettore  può  ricorrere  all'o- 
pera citata  del  Doti.  D.  Vigiani. 

Le  castagne  secche  si  liberano  dalla  buccia  colla  battitura  che  si 
fa  in  un  mortaio  di  legno,  oppure  nel  sacco  battendolo  contro  il  ter- 
reno. In  questo  modo  si  ottengono  le  cosi  dette  castagne  bianche,  le 
quali  sono  liberate  oltre  che  dall'involucro  esterno  anche  dell'interno. 

Anche  per  questa  operazione  sono  state  costruite  delle  macchine 
sgusciatrici  le  quali  vagliano  e  ventilano  le  castagne  bianche. 


-  958  - 

Un  ettolitro  di  castagne  conservate  col  guscio  pesa  da  70  a  80  Kg. 
La  produzione  media  per  ogni  pianta   in   piena   produzione   varia 
da  mezzo  a  Ire  ettolitri. 

15.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  Le  castagne  contengono 
una  considerevole  quantità  di  amido  e  di  sostanza  zuccherina.  Secondo 
Payen,  l'azoto  vi  è  rappresentato  in  ragione  del  0,99  7o  delle  materie 
organiche,  di  0,50  del  frutto  fresco  e  di  0,96  del  frutto  secco.  I  marroni 
sono  più  ricchi  in  azoto.  Allo  stato  fresco  ne  contengono  0,53%  ed 
1,17  7o  allo  stato  secco.  Le  castagne  fresche  del  commercio  hanno  il 
48,00  %  d'acqua,  i  marroni  54,21  %  ;  e  le  castagne  secche  ne  hanno 
ancora  dal  10  al  12  7n- 

Secondo  le  analisi  di  1.  Nessler  e  Fellenberg,  le  castagne  secche 
contengono  : 

Castagne  Castagne 

Marroni  primaticcie  tardive 

Sostanze  azotate 14.50  15.75  12.70 

Grassi 2.61  2.61  2.51 

Amido 76.73  74.50  77.76 

Legnoso 3.—  3.63  3.34 

Cenere 3.16  3.51  3.69 

Nella  sostanza  secca  : 

Azoto 2.52  2.52  2.03 

1  marroni  danno  4,04  7^  di  cenere  e  le  castagne  3,20  7o.  Secondo 
K.  Dietrich  le  castagne  forniscono  3,02  7o  di  cenere  greggia  e  2,38  7o  di 
cenere  pura.  Secondo  le  sue  analisi,  la  composizione  della  cenere  pura 
è  la  seguente: 

l*olassa 56.69 

Soda 7.12 

Calce 3.87 

Magnesia 7.47 

I^'erro 0.14 

Allumina 1.15 

Acido  fosforico 18.12 

Acido  solforico 3.^5 

.\cido  salicilico I.54 

Manganese 0.10 

^'•oro 0.53 

16.  Usi.  —  l  marroni  consumansi  lutti  allo  stato  fresco,  le  casta- 
gne invece,  fresche  e  secche. 

I  marroni  si  fan  l)ollire  colla  buccia  nell'acqua  leggermente  salala 
con  qualche  foglia  di  lauro  (ballotte,  succiole)  oppure  senza  buc- 
cia (hgliate,  mondine);  se  queste  ultime,  dopo  lessate,  si  fanno  asciu- 
gare e  disseccare  nel  melato  si    hanno    le   cosi    dette   castagne   secche, 


-  959  - 

che  si  conservano  tali  e  quali  e  si  mangiano  senza  altra  cottura.  Anseri 
o  vecchioni  si  dicono  le  castagne  disseccate  nei  melati,  mantenute  colla 
loro  buccia.  Infine  i  marroni  si  cuociono  arrosto,  in  padella  bucherel- 
lata, e  diconsi  bruciate  od  arrostite  se  incise  col  coltello;  biscottale 
sono  le  castagne  con  buccia  non  incisa  ed  arrostite  a  lento  fuoco  nel 
forno.  Le  castagne  allesso  servono  poi  a  preparare  i  marrons  glacés. 

Le  castagne  disseccate  nel  melato  si  possono  mangiare  crude,  cotte 
nell'acqua,  mescolate  al  riso  nella  minestra,  ma  generalmente  riduconsi 
in  farina,  con  la  quale  si  fa  polenta,  focaccie,  biscottini  ed  anche  pane, 
mescolandovi  farina  di  altri  cereali.  La  farina  di  castagne  ha  un  sapore 
dolce  particolare  ed  è  molto  astringente.  Impastata  da  sola  non  lievita 
perciò  volendo  far  pane  bisogna  mescolarvi  altre  farine. 

Dalla  farina  di  castagne  si  può  estrarre  dello  zucchero  e  perciò 
anche  dell'alcool. 

Le  castagne  apprestate  in  qualunque  modo,  sono  buone,  ma  di  dif- 
ficile digestione.  Crude  vengono  digerite  solo  in  parte,  mangiate  in 
quantità  possono  produrre  peso  allo  stomaco,  mal  di  ventre  e  diarrea. 

Le  sostanze  astringenti  contenute  nella  pellicola  che  riveste  il  seme 
e  nei  peli,  irritano  la  mucosa,  producendo  escoriazioni  nella  bocca, 
talvolta  infiammazioni  di  gola.  Le  castagne  cotte  ed  i  dolciumi  fatti 
colla  farina  sono  più  facili  a  digerirsi,  ma  non  convengono  alle  persone 
gracili  e  deboli  di  stomaco.  Specialmente  per  chi  beve  vino,  le  casta- 
gne arrosto  e  secche  producono  bruciori  allo   stomaco. 

In  ogni  caso,  per  la  popolazione  della  montagna  le  castagne  costi- 
tuiscono un  alimento  di  primo  ordine  sia  per  le  sostanze  azotate  che 
contengono,  di  molto  superiore  a  quelle  contenute  dalle  patate,  dalla 
segale  e  dal  grano,  sia  per  le  materie  grasse  che  danno  calore. 

17.  Prodotti  secondari.  —  Fra  i  prodotti  del  castagno  domestico 
devesi  annoverare  per  primo  il  legname.  Oltre  alla  legna  che  si  ricava 
colla  mondatura  e  che  è  ottima  per  bruciare,  devesi  considerare  il 
legname  che  è  molto  pregevole  per  opere,  quando  la  pianta  viene  ab- 
battuta. Questo  legname  è  semi-forte,  di  color  giallo-bruno,  assai  duro, 
quantunque  non  tanto  compatto  ma  ricercato  per  costruire  botti,  tini, 
mastelli.  Una  particolarità  del  legno  di  castagno  consiste  nella  sua  re- 
sistenza all'umidità.  Per  ciò  il  castagno  viene  quasi  esclusivamente  ado- 
perato per  fare  le  botti  destinate  alle  cantine  umide  o  per  fare  delle 
palafitte  od  infine  per  fare  pali  di  sostegno  per  le  viti. 

La  scorza  del  castagno  si  usa  per  la  concia  delle  pelli  contenendo 
4-9  7o  di  tannino;  le  foglie  allo  stato  fresco  costituiscono  un  buon 
mangime  per  i  bovini,  e  secche  una  discreta  lettiera  :  il  terriccio  che 
ricavasi  dai  vecchi  tronchi  cariati,  viene  usato  utilmente  dai  giardinieri. 

In  questi  ultimi  anni  l'industria  dell'estrazione  delle  materie  tanni- 
che e  coloranti  dal  legno  di  castagno  si  è  molto  intensificata  poiché 
quantunque  la  corteccia  di  quercia  contenga  dal  5  al  10%  di  tannino, 
questo  non  viene  estratto  tanto  bene  quanto  dalla  corteccia  di  casta- 
gno. Da  ciò  la  notevole  distruzione  che    si  è  fatta   in    Italia   in    questi 


^  960  - 

ullimi  anni  dei  castagneti  e  sulla  quale  il  prof.  Giglioli    dell'Università 
di  Pisa  colla  sua  autorevole  parola  ha  dato  l'allarme. 

17.  Dati  economici.  —  11  prof.  Niccoli  nel  suo  Trattato  di  Economia 
rurale,  estimo  e  computisteria   agraria,  (Torino,  Unione  tipografico-edi- 

trice)  dà  la  seguente  analisi  di  spesa   relativa    alla   costituzione  di    un 
fltaro  di  castagneto  da  frutto: 

Anno  I. 

I.  Kscavazione  di  N.  100  fosse I-.  7.50 

II.  N.  10  selvaggioni,  trasportati  a  dimora „  12.50 

III.  Piantamento „  150 

IV.  Fasciature  con  spine  di  selvaggioni „  7..50 

V.  Spese  impreviste,  infortuni,  ecc ,  2.90 

VI.  Vigilanza  ed  amministrazione ,  10.00 

VII.  Interessi  a  riportare  ((ueste  spese  al  termine  dell'anno ,  2.09 

Anno  IL 

Vili.     Sostituzione  di  piante  perite  '  .,o  della  spesa  occorsa  ai  N.  1-4.    .    .  L.  1.45 

IX.  Spese  impreviste  ed  infortuni „  3.00 

X.  Vigilanza  ed  amministrazione ,  10.00 

XI.  Interessi  al  5%  su  L.  58,44 „  2.92 

.1/1/10  ///. 

XII.  Spese  generali  e  diverse L.  13.00 

XIII.  Interesse  al  5 %  su  L.  74.36 „  3.72 

Anno  lY. 

XIV.  Innesto  e  ripulitura I>.  3.00 

XV.  Spese  generali  e  diverse  e.  s 13.00 

XVI.  Interessi  al  5% „  4.70 

Anno  V. 

XVII.  Ripulitura L.  .5.00 

XVIII.  Spese  generali,  diverse,  interessi „  20.93 

.4n/io  VI. 

XIX.  Hi|)iilitura,  spese,  interessi L.  27.23 

^1/ino  VII. 

XX.  Spese  diverse  e  interessi L.  23.35 

^fino  Vili. 

XXI.  Ripulitura,  spese  generali,  interessi L.  .32.29 

Anno  IK. 

XXII.  Spese  diverse  ed  interessi I..  2C.13 

i4/i/io  X. 

XXIII.  Spese  generali  e  diverse,  interessi L.  27.44 

Anno  XI 

XXIX.  Spese  generali  e  diverse,  interessi L,  28.81 

Anno  XIL 

XXV.    Ripulitura,  spese  generali,  interessi L.  45.48 

L.  335.54 


-  961  - 

Cioè  L.  3,35  per  pianta.  Ma  tenuto  conto  della  produzione  che  può 
conseguirsi,  durante  questo  decennio,  dal  suolo,  produzione  che  il 
dottor  Ghiricozzi  computa,  al  netto,  in  annue  L.  11.50,  il  passivo  della 
stazione  improduttiva  si  riduce  a  L.  335.54  diminuite  dell'accumula- 
zione finale  di  12  annualità  a  L.  11.50,  cioè  a  L.  152.50  che  dà  un 
importo   di  capitali  investiti  al  netto   di    circa   L.  1.50-1.55   per   pianta. 


NOCCIUOLO 

(Corylus  Avellana  Lin.  —  Fani.  CiipoUfere). 

Nomi  volgari  ilaliani  della  pianta  —  Noce  pontica  ;  Noce  barbuta  ; 
Nocella  ;  Nocciolaro  ;  Noce  pontico  ;  Avellano,  Nocello  ;  Nosello  ;  Nizo- 
laro  ;  Coralo  ;  Nocciuolo  comune  ;  Nosellaro  ;  Bapiccola. 

Nomi  volgari  italiani  del  fratto  —  Nocciuola  ;  Avellana;  Nucella; 
Avolana;  Ninzola;  Noci  pontiche  ;  Nocella;  Nosella;  Nizzola;  Nisciola. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane.  :  Noisetier  commun  — 
Ted.  :  Haselnussstrauch  —  Ingl.  :  Hazel. 

Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  Frane.  :  Noisette  —  Ted.  :  Ha- 
selnuss  —  Ingl.  :  Hazel-nut. 

1.  Origine.  —  Pare  che  il  nocciuolo  tragga  origine  dal  Ponto  nel- 
l'Asia Minore,  d'onde  venne  poi  portato  dai  Greci  anche  in  Italia.  Certo 
si  è,  che  questa  pianta  si  trova  attualmente  diffusissima  in  tutte  le 
regioni  d'Italia,  sia  allo  stato  selvatico  sia  coltivata.  Coltivata  è  in 
particolar  modo  nel  Principato  Ulteriore  (Avella  ed  Avellino  da  cui 
il  nome). 

In  Sicilia  il  centro  più  importante  di  produzione  è  Piazza  Ar- 
merina. 

2.  Specie  botaniche  coltivate.  —  Delle  varietà  coltivate,  alcune  ap- 
partengono alla  specie  Corylus  tubulosa  ed  altre  alla  specie  Corylns 
avellana. 

3.  Caratteri  botanici  del  Corylus  tubulosa.  —  Il  Coryllus  tubulosa, 
in  italiano  chiamato  Nocciuolo  selvatico  arborescente  oppure  Nocciuolo 
tuboloso;  in  francese:  Noisetier  commun  en  arbre ;  in  tedesco:  Lam- 
bertsnussbaum  ;  in  inglese  ;  Lamberts  Filbertree  ;  si  distingue  dal  noc- 
ciuolo comune  per  avere  gli  stami  e  bratteole  superanti  la  brattea,  nonché 
l'involucro  del  frutto  molto  lungo,  cilindrico,  tuboloso,  che  copre  to- 
talmente il  frutto.  Nel  nocciuolo  comune  invece  l' involucro  è  campa- 
nulato ed  allargato  superiormente  ;  gli  stami  poi  e  le  bratteole  sono 
quasi  eguali  alla  brattea. 

Il  nocciuolo  selvatico  arborescente  si  distingue  anche  dall'altro  co- 
mune per  il  l'usto  più  diritto,  più  grosso,  più  ramificato.  L'albero  ar- 
riva quasi  sempre  all'altezza  di  5  a  tì  metri  ed  i  frutti  sono  più  lunghi 
e  rossigni,  le  foglie  più  corte,  più  grandi  e  meno  pelose. 

61  —  Tamaro  -  Frutticoltura. 


~  962  - 

4.  Caratteri  botanici  del  Corylus  avellana  (figg.  678-679).  —  Ar- 
busto od  alberetto  allo  da  2  a  5  metri  con  la  chioma  espansa  ed  irre- 
golare. 

Le  radici  sono  poco  profonde,  molto  diramate,  lunghe,  nodose,  e  ri- 
mettono sovente  dei  polloni  dalle  loro  nodosità. 

Getta  dal  colletto  molti  fusti,  i  quali  sono  sollevati,  tortuosi,  se  vecchi 
molto  ramificati;  i  rami  giovani  sono  diritti.  La  corteccia  dei  rami  vecchi 


Fig.  (178.       Rami  a  frutto,  inriorescenza  e  fiori  del  nocciuolo. 


è  liscia,  unita  o  soltanto  screpolata  e  di  colore  grigio-biancastro  o  grigio- 
rossigno;  quella  dei  rami  di  un  anno  è  rossigna,  coperta  di  peli  ros- 
sicci e  ruvidi. 

Le  gemme  sono  piuttosto  piccole,  sessili,  ovali,  un  po'  schiacciate 
da  avanti  indietro,  ottuse,  verdi  o  verdognolo-rossiccie,  pubescenti. 

Le  foglie  sono  grandi,  alterne,  ovato-rotonde.  picciolate,  rugose,  pe- 
lose, ruvide,  con  pochi  peli  nella  pagina  inferiore,  di  color  verde-gial- 
lognolo, doppiamente  seghettate.  11  picciolo  è  brevissimo  e  le  stipole 
sono  bislunghe,  ottuse,  verdi  e  caduche. 

Il  nocciuolo  è  monoico,  cioè  sopra  una  stessa  pianta  si  trovano  i 
fiori  maschi  e  femmine  separati. 


963 


I  fiori  maschili  sono  disposti  in  amenti  cilindrici,  lunghi  4-6  cm., 
pendenti,  giallognoli  e  collocati  verso  la  parte  esterna  del  ramo.  Ogni 
fiore  maschile  ha  una  squama  trilobata,  embriciata,  nella  cui  faccia  in- 
terna sono  attaccati  gli  stami,  in  numero  di  circa  8,  e  senza  traccia  di 
pistillo. 

Le  squame  sono  cotonose,  trilobate,  di  color  verde-chiaro,  con  la 
estremità  acuminata. 

I  fiori  femminili,  sono  pure  riuniti  in  un  amento  cortissimo.  Questi 
amenti  sorgono  o  solitari,  all'apice  di  piccoli  rami  laterali  o  riuniti  in 
numero    da  2   a  4,    alla  base  del 

peduncolo  che  porta  gli  amenti 
maschili.  I  fiori  sono  foggiati  a 
guisa  di  gemme  ovali  o  bislunghe, 
ottuse  all'apice,  e  si  compongono 
di  molte  brattee  o  squame  peru- 
liformi,  strettamente  embriciate, 
larghe ,  concave.  All'  ascella  di 
queste  si  trovano  i  fiori  riuniti 
in  numero  di  due,  ciascuno  dei 
quali  è  circondato  da  un  calice 
persistente  peloso,  chiamato  cu- 
pola, che  avvolge  a  guisa  di  sacco, 
l'ovario.  Dall'ovario  sorge  lo  stilo 
piuttosto  lungo,  che  sorpassa  il 
calice  e  lascia  scorgere  superior- 
mente gli  stimmi  rossi,  a  guisa 
di  ciuffo  sporgente. 

II  frutto  è  un  achenio,  ossia 
una  ghianda  colla  cupola  fogliosa, 
gamosepala,  persistente,  aderente, 
eri)acea,  irregolare,  pelosa,  vasei- 
forme,  partita.  La  nocciola  è  quasi 
rotonda,  con  una  piccola    punta 

all'apice,  da  prima  verdognola  e  pubescente,  poi  di  un  color  rossiccio. 
Il  pericarpio  è  osseo  (guscio).  La  testa  è  liscia,  quasi  di  color  cannella. 
Avvolge  per  lo  più  un  solo  seme.  I  cotiledoni  sono  emisferici,  piani  nella 
faccia  interna  con  la  quale  si  toccano,  convessi  nella  parte  esterna, 
bianchi,  oleosi.  La  radichetta  è  piccola,  posta  all'apice  del  seme  e  na- 
scosta dai  cotiledoni. 

5.  Classificazione  deUe  varietà.  —  A)  Varietà  del  coryliis  avellana, 
—  Si  possono  riunire  in  tre  gruppi,  appartenenti  alle  seguenti  tre  sot- 
tospecie: 

1.  Corylus  avellana  racemosa  (Lam.).  —  Volgarmente  Nocchiolo  ra- 
cinante.  —  Il  frutto  ha  la  forma  orbicolare,  rami  obliqui,  foghe  ampie 
e  numerose,  amenti  maschili  lunghi,  nocciuole  aggregate,  racemose, 
rotonde,  spesso  striate,  molto  voluminose,  dal  diametro  di  circa  25  mm. 


Fig.  679.  —  Rami  a  frutto,  infiorescenza 
e  fiori  del  nocciuolo. 


-  964  - 

Sottovarietà  sarebbero:  S.  Maria  di  Ges/i  di  Palizzi  generosa,  5.  G/o- 
uanni  di  Mantonica,  S.  Nicola  e  S.  Cono. 

K  il  tipo  più  gentile,  più  vantaggioso  e  rimuneratore.  Annualmente 
emette  un  numero  considerevolissimo  di  polloni. 

Questa  sottospecie  è  chiamata  racemosa,  perchè  generalmente  allo 
stesso  peduncolo  stanno  attaccate,  a  guisa  di  grappolo,  da  tre  a  sei  noc- 
ciole. Questo  corilo  non  ha  dato  luogo  a  molte  variazioni,  però  è  molto 
coltivato  nelle  provincie  meridionali. 

2.  Conjliis  avellana  glandnlosa  (Lin.).  —  Volgarmente  Jannosa.  — 
11  frutto  è  grosso,  medio  o  piccolo  a  forma  di  ghianda  (da  ciò  il  nome 
di  ghiandulosa),  mitrale,  conica,  con  base  più  stretta  ed  apice  acumi- 
nato o  depresso.  Guscio  meno  duro. 

Sottospecie  molto  rustica,  che  cresce  con  molto  vigore  anche  nei 
terreni  rocciosi  ed  assume  uno  sviluppo  quasi  arboreo.  I  rami  sono 
radi  ed  eretti. 

Resiste  ai  parassiti. 

Il  nocciuolo  ghianduloso  forma  moltissime  varietà  che  si  distin- 
guono tutte  dal  nocciuolo  racemoso  per  avere  il  fusto  più  diritto,  più 
allo,  meno  nodoso;  rami  più  lunghi  e  fruttiTicazione  meno  precoce. 

A  questo  gruppo  appartengono  le  seguenti  varietà  : 

Ghiannnsa.  —  Coltivata  a  Castigione  corrispondente  alla  Jannnsa 
di  Piazza  Armerina,  e  molte  altre  elencate  nell'opera  del  professore 
F.  Alfonso. 

Cannellina.  —  Coltivata  ad  Avellino,  molto  pregiata,  perchè  i  ghe- 
rigli riempiono  totalmente  il  guscio.  Ha  una  tinta  pallida,  che  talvolta 
volge  al  verde  sulfureo.  Il  guscio  è  piuttosto  opaco  e  molto  tomentoso. 
Corrisponde  alla  Minnnlàra  di  Messina. 

Altre  varietà  coltivate  a  Messina  sono  :  Minnalara,  Panullara,  Bac- 
cilara,  Mnddisi  con  guscio  tenero,  Agghirara  a  guscio  esile  e  poco  re- 
sistente, Piattiddara,  la  quale  ultima  si  distingue  per  la  sua  straordinaria 
produttività. 

Avellano  comune.  —  Dà  frutto  ovale  ed  è  quello  dei  nostri  boschi. 

Avellano  ordinario.  —  Se  ne  distinguono  due  sottovarietà  una  di 
colore  bianco  l'altra  di  colore  rossastro.  11  frutto  è  ovato,  grosso,  con 
guscio  non  tanto  duro. 

Nocciuolo  di  Provenza.  —  Frutto  grosso,  arrotondato,  con  guscio 
non  tanto  consistente,  mandorla  rossastra.  Una  sottovarietà  è  il  Noc- 
ciuolo Romano. 

Nocciuolo  di  Piemonte.  —  Frutto  grosso,  più  allungato  che  il  pre- 
cedente. Buonissimo. 

Nocciuolo  di  Barcellona.  —  Frutto  grosso,  arrotondato,  involucro 
poco  sviluppato. 

Nocciuolo  gigante  Cob.  —  Frutto  grossissimo,  allungato. 

Imperiale  di  Trebisonda.  —  Varietà  notevole  a  frutti  grossissimi 
con  un  involucro  curioso  per  il  suo  sviluppo.  Fertilissima,  nana  e 
vigorosa. 


-  965  - 

Nocciuolo  di  Spagna.  —  Frutto  abbastanza  grosso,  a  guscio  semi- 
duro.  Ci  sono  due  sottovarietà  :  una  a  frutto  oblungo  e  mandorla  rosa 
e  l'altra  a  frutto  rotondo  con  mandorla  bianca. 

3.  Corylliis  avellana  maxima  (Lam.).  —  Volgarmente  Napoletana  o 
Nocciuolo  a  frutto  globoso.  —  Le  piante  adulte  assomigliano  molto  al 
Nocciuolo  racemoso.  Crescono  molto  alte  e  rapidamente,  con  ramifica- 
zioni e  foglie  rade  ;  polloni  radi. 

Il  frutto  è  globoso  o  rotondiforme,  grosso,  medio,  a  guscio  duro, 
cordone  ombellicale  diritto;  involucro  del  frutto  campaniforme,  riccio. 

A  questo  gruppo  appartengono  le  seguenti  varietà  coltivate  alle 
falde  dell'  Etna  :  Baddara  ubertosa,  Cerro,  Pigra,  Privitera,  Balzanotto, 
S.  Giorgio,  Reganati,  Rizzo,  S.  Elmo,  Terramiceli,  Nociare,  Stericle,  Lit- 
trata  e  tante  altre  che  sono  state  classificate  dai  signori  dott.  Ignazio 
Nicolosi  ed  Antonino  Previtera  di  Linguaglossa  e  Castiglione.  (Vedi  Mo- 
nografìa del  Nocciuolo  del  prof.  F.  Alfonso.  Palermo,  1887). 

Il  prof.  Alfonso  inscrive  in  questo  gruppo  anche  la  varietà  Napo- 
letana coltivata  a  Piazza  Armerina. 

Altre  varietà  sono  ;  la  Nuciàr  coltivata  a  Messina,  la  Scritta,  Grossa 
o   Vovolona,  Rossa,  Rossa  piccola  coltivate  ad  Avellino. 

Probabilmente  appartengono  anche  le  seguenti  varietà,  citate  nei 
cataloghi  dei  frutticoitori  e  nelle  collezioni  : 

Nocciuolo  d Inghiterra.  —  Frutto  grosso,  eccellente  per  dessert,  fer- 
tilissimo. 

Nocciuolo  striato.  —  Frutto  grosso,  quasi  globosa,  striato  di  bruno 
e  di  giallo. 

Nocciuolo  meraviglia  di  Bolliviller.  —  Frutto  grosso  arrotondato, 
un  poco  compresso. 

B)  Varietà  del  Coryllus  tubulosa.  —  1.  Barbarella  o  Varvarella.  — 
Frutto  ogivale,  guscio  levigato,  debolmente  striato,  con  peli  esilissimi 
e  translucidi.  L' involucro  del  frutto  e  lunghissimo,  carnoso,  intero  ed 
irregolarmente  laciniato. 

Matura  precocemente  ed  è  comune  nell'Avellinese.  I  frutti  si  rac- 
colgono verdi  alla  fine  di  luglio  e  si  adoperano  esclusivamente  per  uso 
mangereccio.  Il  gheriglio  è  molto  delicato  ed  aggradevole.  Contiene 
poco  olio. 

2.  Sant'Anna.  —  Probabilmente  è  una  sottovarietà  della  prece- 
dente, pure  coltivata  ad  Avellino  e  che  si  mangia  verde.  Ha  un  gusto 
più  delicato. 

Dagli  scrittori  francesi  e  tedeschi  di  pomologia  si  trovano  ancora 
raccomandate  le  seguenti  varietà: 

3.  Nocciuolo  a  frutto  bianco.  —  Frutto  abbastanza  grosso,  allungato, 
col  guscio  semi-duro  e  pellicola  bianca.  Vi  ha  anche  una  sottovarietà 
rossa. 

4.  Nocciuolo  de  Céret.  —  Frutto  ovoidale,  appuntito,  col  guscio 
rossatro,  semi-duro,  mandorla  bianca,  gustosissima,  fina,  ricercatissima 
per  dessert  e  per  le  confetture. 


—  y66  — 

ó.  \occiuole  a  fo(jlie  porporine.  —  Frutto  abbastanza  grosso,  di  un 
bel  colore  bruno-rossastre  o  violetto.  Mandorla  purpurea. 

6.  Altre  specie  di  nocciuoli  coltivati.  —  1.  Nocciuolo  di  Coslanli- 
nopoli  (Coriilus  Collima  L.).  —  Da  questo  deriva  probabilmente  il  noc- 
ciuolo di  Trebisonda.  In  francese  si  chinia  Noiselier  deBysance;  in  te- 
desco :  Baumhaselniiss  ;  in  inglese  :  Coslantinople  Iiuaz. 

È  un  albero  di  grandi  dimensioni  con  foglie  ovali,  arrotondate,  in- 
taccate a  cuore  alla  base,  ristrette  alla  sommità,  dentate  ai  margini, 
nella  pagina  inferiore  pelose.  I  frutti  grossi  quasi  il  doppio  della  specie 
comune,  sono  rotondati  ed  avviluppati  da  un  calice  doppio  ;  l'esterno 
partito,  r  interno  diviso  in  tre  parti  laciniate  o  più  propriamente  pal- 
mate. Cresce  in  quel  di  Costantinopoli. 

2.  Nocciuolo  di  Bisanzio  (Coryliis  Bizantina  Port.).  Questa  specie 
dilFerisce  poco  dalla  precedente  ;  è  meno  alta. 

3.  Nocciuolo  cornuto  {Conjliis  rostrata  Lin.).  —  I  ramoscelli  gio- 
vani sono  villosi,  guerniti  di  foglie  ovali,  bislunghe,  intaccate  alla  base 
a  cuore,  acuminate  alFapice,  dentale  ai  margini,  ma  in  modo  disuguale, 
pubescenti  di  sotto,  glabre  di  sopra.  1  fiori  maschili  sono  disposti  in 
amenti  isolali,  colle  squame  cigliate  ai  margini.  L' involucro  che  cir- 
conda il  frutto  è  pubescente,  coi  margini  dentati  irregolarmente.  Alligna 
nell'America  setlentrionale  e  segnatamente  nella  Florida  e  nel  Canada. 
Il  frutto  assume  la  forma  di  un  corno  da  cui  il  suo  nome.  Il  nocciuolo 
cornuto  è  alto  pressoché  due  metri  ;  cresce  bene  anche  in  Francia,  dove 
dà  delle  noci  buone  a  mangiarsi. 

4.  Nocciuolo  d'America  (Corylus  Americana).  —  Le  foglie  sono  molto 
più  larghe  di  quelle  delle  altre  specie  ;  il  calice  del  frutto  è  campanu- 
lato, di  forma  arrotondata,  più  lungo  della  nóce  che  racchiude,  munito 
di  peli  glandolosi,  dilatato  al  margine,  che  è  dentato  irregolarmente. 
Cresce  nel  Canada  e  si  coltiva  con  buon  successo,  come  il  precedente» 
in  Francia. 

5.  Nocciuolo  nano  {Corylus  hiimilis).  —  Questa  specie  è  cosi  chia- 
mata perchè  ha  i  fusti  poco  elevati.  Foglia  arrotondata,  calice  dei  frutti 
campaniforme,  dilatato  ai  margini,  e  spartito  in  divisioni  quasi  penna- 
tifidi.  Altechisce  negli  Stati  Uniti  d'America,  Canada  ed  Europa. 

7.  Importanza  della  coltivazione.  —  La  coltivazione  industriale  a 
noccioleti  specializzati  si  fa  specialmente  nelle  provincie  meridionali, 
dove  questa  coltura  ha  una  notevole  importanza. 

8.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Intensivo  nei  noccioleti,  ma  nell'Italia 
settentrionale  e  centrale  si  fanno  per  ornamento  macchie  di  nocciuoli. 

9.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Il  nocciuolo  è  proprio  dei 
climi  temperati,  quantunque  abbia  un'area  di  distribuzione  notevole. 
Dall'Asia  settentrionale  passa  in  Russia,  in  Austria,  Germania,  Francia, 
Spagna  ed  Italia. 

In  tutta  r  Italia  noi  troviamo  il  nocciuolo  nella  zona  del  castagno 
e  cioè  neir  Italia  settentrionale  all'altitudine  di  400  a  700  metri  ;  nel- 
r  Italia  centrale  da  430  a  900  metri  ed  in  Sicilia   ad  una   altezza   supe- 


—  967  - 

riore  a  1000  metri.  In  Sicilia  i  frutti  migliori  si  hanno  ad  una  altitudine 
di  400  a  800  metri. 

La  zona  del  nocciuolo  è  compresa  fra  il  37"  e  60"  di  latitudine  ;  ma 
dal  37"  al  41"  abbiamo  la  zona  migliore  dove  il  nocciuolo  dà  prodotti 
cospicui  col  suo  frutto,  prodotti  che  superano  quelli  della  vile  e  del- 
l'ulivo ;  da  42"  a  60",  (tranne  qualche  regione  privilegiata,  come  è  1*  Istria) 
il  prodotto  del  frutto  diventa  secondario  e  si  consocia  al  faggio,  alla 
quercia,  alla  betula,  per  formare  dei  cedui  da  legna. 

10.  Esposizione  e  situazione.  —  Il  nocciuolo  ama  le  posizioni  ae- 
reate,  ma  non  ventose,  perchè  il  vento  disturba  la  fecondazione.  Nelle 
località  molto  declivi  ha  una  vegetazione  stentata,  ma  nei  terreni  pia- 
neggianti di  collina  riesce  meravigliosamente. 

Una  temperatura  elevata  congiunta  ad  un  certo  grado  di  umidità, 
favorisce  in  particolar  modo  la  fruttificazione  e  lo  sviluppo  delle  avel- 
lane. È  per  questo  che  in  Sicilia  i  noccioleti  più  rinomati  sono  irrigati. 

Rispetto  all'esposizione,  l'avellano  le  tollera  tutte,  ma  coltivandolo 
per  il  frutto  sono  preferibili  quelle  a  mezzogiono,  a  sud-est  ed  a  sud-ovest. 
Nelle  località  soggette  a  brine  è  da  scartarsi  l'esposizione  a  levante. 

11.  Terreno.  —  Senza  essere  soverchiamente  esigente,  il  nocciuolo 
richiede  un  terreno  profondo,  fresco,  soffice,  di  natura  siliceo-calcare- 
argilloso  o  calcare-siliceo-argilloso,  con  sottosuolo  permeabile. 

Se  il  terreno  è  secco  o  compatto,  la  pianta  fiorisce  poco  e  dà  frutti 
meschini  insipidi  e  poco  sviluppati.  Cosi  non  fa  bene  nei  terreni  so- 
verchiamente sabbiosi,  ciottolosi,  nei  quali  soffre  per  mancanza  di  fre- 
schezza o  nei  terreni  argillosi,  cretosi,  dove  soffre  per  l'acqua  stagnante» 
acquistando  la  pianta  uno  sviluppo  limitato. 

12.  Moltiplicazione.  —  II  nocciuolo  si  moltiplica  per  seme  e  per 
polloni.  Si  può  anche  moltiplicare  per  margotta,  per  talea  e  per  innesto, 
ma  questi  due  ultimi  metodi  sono  pochissimo  usati.  Si  fa  l'innesto  a 
gemma  dormiente  o  per  approssimazione  da  maggio  a  luglio,  quando 
hanno  la  grossezza  di  un  mignolo.  Per  le  forme  ornamentali  si  innesta 
sul  nocciuolo  di  Bisanzio  (Cloryliis  collima). 

Dove  il  nocciuolo  si  coltiva  per  la  legna,  la  riproduzione  si  fa 
per  seme,  allo  scopo  di  ottenere  le  piante  più  rustiche    e  più  longeve. 

A  tale  fine  si  raccolgono  le  nocciuole  a  completa  maturazione,  nei 
mesi  di  agosto  e  settembre,  e  si  conservano  fino  in  primavera  stratifi- 
cate nella  sabbia  fresca  in  una  cantina  o  locale  in  cui  non  possa  ge- 
lare. Per  Io  più  si  sogliono  stratificare  in  vasi,  che  poi  si  sotterrano  a 
20  cm.  di  profondità. 

Nel  mese  di  marzo  si  collocano  le  nocciuole  nel  semenzaio,  lungo 
dei  solchi  profondi  10-12  era.  e  distanti  30  cm.  Poi  si  coprono  con  della 
buona  terra  o  terriccio  per  5  cm.  I  semi  non  tardano  a  germinare  (15 
giorni)  e,  dopo  il  primo  anno,  le  piantine  arrivano  all'altezza  di  10  a 
15  cm.  e  si  collocano  nella  piantonaia. 

Per  4  o  5  anni  le  piantine  crescono  lentamente,  ma  intanto  svilup- 
pano delle  radici  molto  robuste  ed  un  lungo  fittone.  Le  piante  ottenute 


-  968  — 

da  seme  danno  quasi  sempre  delle  nocciuole  piuttosto  ogivali,  con 
guscio  mollo  duro.  Le  varietà  a  frutto  grosso  e  tondeggianti,  si  ripro- 
ducono abbastanza  fedelmente. 

La  moltiplicazione  per  polloni  è  la  più  usata,  essendo  il  nocciuolo 
una  pianta  eminentemente  pollonifera. 

Per  ottenere  da  una  pianta  dei  buoni  polloni,  la  si  scalza  d'inverno 
liberandola  cosi  dalle  radici  andate  a  male  e  deperite,  dai  rimessiticci 
contusi  o  feriti.  Con  buona  terra  mista  a  terriccio,  si  fa  poi  una  rin- 
calzatura. 

Nell'anno  successivo,  dalle  gemme  della  base  del  fusto  vengono 
fuori  dei  polloni  i  quali  abbarbicano  e  dopo  due  o  tre  anni  al  massimo, 
si  staccano  e  sono  atti  a  ripiantare  nuovi  nocciuoleti.  È  superfluo  ag- 
giungere che  i  polloni  si  devono  ricavare  dai  ceppi  più  vigorosi  e  sani, 
che  danno  le  nocciuole  più  belle  ed  in  maggiore  quantità.  A  tale  scopo, 
al  momento  del  raccolto,  conviene  segnare  le  piante. 

13.  Caratteri  vegetativi.  —  Questo  arbusto  dalla  forma  ampia  ed 
irregolare  se  ottenuta  per  seme  dà  frutto  nel  decimo  anno  ed  a  15-20 
anni  è  nel  suo  massimo  sviluppo;  vive  al  massimo  da  60-70  anni. 

Cresce  come  si  vede  abbastanza  rapidamente,  rigetta  vigorosamente 
dal  ceppo,  però  è  meglio  non  praticare  tagli  grossi. 

La  fruttificazione  comincia  sulle  branche  di  quattro  anni  ;  e  conti- 
nua per  7  a  10  anni.  Passata  questa  epoca  i  rami  si  esauriscono  e 
(juindi  si  sopprimono.  Sulla  conoscenza  di  queste  particolarità  si  basa 
la  potatura. 

I  fiori  appaiono  già  nei  mesi  di  agosto,  settembre  ed  ottobre,  si 
aprono  perù  appena  dal  gennaio  al  marzo.  Le  epoche  nelle  quali  avven- 
gono le  diverse  fasi  di  vegetazione  nelle  diverse  regioni  d' Italia,  sono 
indicate  nella  seguente  Tab.  LXXI. 

Tab.  LXXI.  Quadro  indicante  l'epoca  nella   quale  avvengono  le   princi- 
pali fasi  di  vegetazione  del  nocciuolo,  nelle  diverse  regioni  d'Italia. 


I. 
II. 

HI. 
IV. 
V. 
VI. 
VII. 

vili 

IX. 
X. 
XI 


Regioni 


Piemonte 

Lombardia 

Veneto 

Liguria 

ICmilia 

Marche  ed  Umbria    .    . 

Toscana 

Lazio 

Meridionale  Adriatica  . 
Meridion.  Mediterranea 
Sicilia 


Fogliazione 
Mese     c?de 


Aprile 
Marzo 
Aprile 

Marzo 
Maggio 
Aprile 

Febbr. 
Marzo 


Febbr. 
Marzo 


Aprile 


Febbr. 
Marzo 


De- 
cade 


Maturazione 
del  frutto 


De- 
cade 


Agosto 


Agosto 
Settem. 


Agosto 
Settem. 


Caduta 
delle  foglie 


De- 
cade 


Ottobre 


1 
II 

I  e  II 

I 
III 


-  969  - 

14.  Potature  e  forme.  —  Il  nocciuolo  è  una  pianta  a  cespuglio,  e 
quindi   la  forma   più  conveniente  è  indicata  dalla  stessa  sua  natura. 

Per  piantare  un  noccioleto  si  adoperano  dei  polloni  di  due  anni 
che  si  collocano  a  file,  ed  in  questo  anno  si  lasciano  intatti. 

Nel  marzo  del  secondo  anno  invece  si  tagliano  vicino  terra  per 
provocare  l'emissione  di  nuovi  polloni. 

Nel  terzo  se  ne  lasciano  7  od  8  per  ceppala,  i  meglio  sviluppati  e 
meglio  disposti. 

Nel  quarto  anno  si  raccolgono  i  primi  frutti  dai  polloni  lasciati,  che 
diventano  perciò  branche  fruttifere,  le  quali  continueranno  a  dar  frutto 
per  altri  4  o  5  anni.  Durante  questo  tempo  ed  operando  in  marzo  si 
avrà  cura,  di  svettare  sempre  tutti  i  nuovi  polloni  che  avessero  a 
sorgere  dalla  base. 

Nel  nono  anno  bisognerà  cominciare  a  sostituire  le  branche  frutti- 
fere, poiché  si  esauriscono. 

Questa  sostituzione  si  fa  gradualmente,  allevando  cioè  un  pollone 
alla  base  della  branca  che  comincia  ad  esaurirsi.  Assicurato  lo  svilu])po 
di  un  anno  di  questo  nuovo  pollone,  si  taglia  alla  base  la  branca  vec- 
chia. In  questo  modo  si  assicura  la  vigoria  costante  del  noccioleto, 
senza  andare  incontro  a  saltuarietà  nella  produzione. 

15.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  L'impianto  di  noccioleti 
si  fa  scassando  prima  il  terreno  e  collocando  le  piante  in  media  a  4 
metri  di  distanza  fra  loro,  a  quinconce.  Nei  terreni  poco  fertili  la  distanza 
si  può  limitare  a  3  metri,  ed  in  terreni  eccezionalmente  favorevoli  si 
può  portare  anche  a  9  metri. 

Durante  i  primi  tre  anni  si  fa  nell'inverno  una  accurata  vangatura 
e  lungo  l'anno  una  o  due  zappature,  per  sradicare  le  malerbe.  In  se- 
guito si  fa  almeno  una  vangatura  all'anno. 

Fino  che  i  noccioleti  non  danno  frutto,  si  può  intercalare  con  van- 
taggio qualche  coltivazione  di  ortaggi. 

L'avellano  in  Sicilia  ha  bisogno  di  irrigazione.  A  questa  si  prov- 
vede come  per  gli  agrumi.  La  potatura  e  la  mondatura  si  fanno  alla 
fine  di  autunno  od  al  principio  dell'inverno. 

Per  la  concimazione  bisogna  notare  che  il  nocciuolo  è  molto  esi- 
gente di  calce,  in  minor  grado  di  potassa  e  di  anidride  fosforica. 

Secondo  Grandeau,  100  parti  di  legno  contengono  : 

Cenere 0.423 

Anidride  carbonica 30.16 

Potassa 8.99 

Soda 2.8 

Calce 73.33 

Magnesia 2.23 

Ossido  ferroso 1.80 

Anidride  fosforica 5.46 

„         solforosa 1.8 

Silice 4.33 


—  970  — 

Il  concime  più  approprialo  è  naturalmente  quello  proveniente  dalle 
sue  foglie,  rami,  ecc.  ben  decomposti.  Non  avendo  a  sufficienza  di  questi 
materiali  si  ricorre  ai  calcinacci,  alle  spazzature  di  strada,  alla  marna, 
al  gesso,  alternando  ogni  due  anni  con  sovescio  di  lupini  o  fave  con- 
ci nìate  con  scorie  di  Thomas. 

16.  Raccolta  e  conservazione  delle  nocciuole.  —  Le  avellane  si  rac- 
colgono quando  il  loro  involucro  ha  cambiato  di  colore  e  comincia 
ad  aggrinzirsi  e  sopratutto  quando  si  stacca  facilmente.  Raccogliendo 
più  presto,  la  mandorla  non  riempie  completamente  il  guscio  ed  è 
più  insipida. 

La  raccolta  si  fa  a  mano  e  con  un  rampino  per  attrarre  a  sé  i  rami 
più  lontani.  Le  nocciuole  vuote  cadono  a  terra  col  solo  scuotimento  e  si 
distinguono  dalle  altre,  perchè  l' involucro  non  si  stacca.  Un  operaio 
può  raccogliere  in  media  50  Kg.  al  giorno  di  nocciuole. 

Appena  fatta  la  raccolta,  le  nocciuole  si  distendono  in  un  granaio 
asciutto,  non  disponendole  però  per  uno  strato  superiore  a  40  cm.  Ogni 
2  o  3  giorni  devono  essere  accuratamente  rivoltate  ed  in  capo  a  15  giorni 
o  tre  settimane  al  più,  si  battono  per  separai'e  la  cupola  oppure  si  scuo- 
tono in  crivelli  perchè  acquistino  un  bel  colore  rosso  lucido.  Dopo 
battute,  si  separano  con  apposito  rastrello.  Le  nocciuole  che  rimangono 
ancora  coli' invoglio  attaccato  dimostrano  di  essere  imperfette  o  secche 
e  perciò  si  scartano  subito.  Anche  dopo  private  dell'invoglio  devono 
essere  rimestate  ogni  2  o  3  giorni,  per  evitare  che  prendano  la  muffa. 

17.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  Il  Church  dà  la  seguente 
composizione  delle  avellane  fresche: 

Acqua 40     7o 

Albuminoidi 8.4     „ 

Zucchero,  amido,  mucillaggini H.l     „ 

(Irassi 28.5  '  „ 

Cellulosio 2.— 

Cenere L5    „ 

11  Kònig,  dà  la  seguente  composizione  delle  nocciuole  secche: 

Acqua 3.77 

Sostanze  azotate 15.62 

(''•assi 66.47 

Cellulosio 903 

Legnoso 3.28 

Cenere I.33 

Sostanza  secca  i  ^^^^« 2.29 

(  Grassi 69.07 

18.  Usi.  —  Le  nocciuole  si  mangiano  fresche,  secche,  torrefatte, 
senza  guscio  o  confettate  in  diversi  modi.    Come   si   rileva   dalla   loro 


—  971  - 

composizione  il  loro  valore  nutritivo  è  molto  elevato  e  superiore  a 
quello  delle  noci. 

Fresche  si  vendono  al  minuto  nell'estate;  secche  se  ne  fa  un  gran 
consumo  durante  l' inverno  assieme  alle  noci  e  mandorle.  A  Partana, 
Noto,  Piazza  Armerina,  si  fanno  con  esse  dei  famosi  torroni. 

In  Germania,  i  gherigli  immaturi  si  mangiano  in  insalata  oppure  si 
conservano  in  salamoja  e,  aromatizzati  con  aceto  e  foglie  di  lauro,  ser- 
vono per  far  salse. 

Si  può  estrarre  dai  gherigli  maturi  anche  un  olio  bianco,  di  buon 
sapore,  che  serve  ad  usi  alimentari  e  combustibili,  a  fare  saponi  finis- 
simi e  cosmetici  di  profumo  delicato,  l  panelli  che  avanzano  della  tor- 
chiatui'a,  possono  surrogare  in  medicina  la  pasta  di  mandorle. 

Questi  frutti  molto  oleosi  sono  di  difficile  digestione,  specialmente 
se  verdi. 

Le  nocciuole  secche  si  spediscono  in  sacchi,  se  verdi  in  casse 
o  cesti. 

19.  Prodotti  secondari.  —  I  gusci  servono  per  combustibile. 
Le  foglie  sono  mangiate  tanto  fresche  o  secche  dagli  animali. 

Il  legno,  essendo  flessibile,  si  usa  per  far  cerchi,  corbe,  gabbie  e 
simili  lavori.  Abbruccia  bene  quantunque  scoppietti.  Dà  poco  calore.  La 
cenere  è  ottima  per  concime.  Il  carbone  di  questo  legno  è  molto  leg- 
gero e  combustibile.  Si  adopera  per  fabbricare  la  polvere  da  sparo  e 
per  la  fabbricazione  dell'acciaio. 

20.  Dati  economici.  —  I  professori  Savastano  e  Bordiga  ammettono 
per  r  impianto  di  un  noccioleto  le  seguenti  spese  : 

Anno  I. 

I.  Scavo  di  N.  800  fosse,  giornate  16  a  L.  1.50 L.    24.- 

II.  Costo  di  N.  2500  polloni  a  L.  4  % „  100.- 

III.  Piantagione  e  potatura,  giornate  6  a  L.  1.50 „      9.— 

IV.  Letame  compreso  il  trasporto „    80.— 

V.  Improduttività  di  600  m.^   circa  di   terreno,   spese  generali  e  diverse, 

interessi,  eco „    27.— 


Totale  capitali  investiti  del  termine  del  I  anno L.  240.— 

Per  i  tre  anni  consecutivi  le  varie  spese  annue  possono  raggua- 
gliarsi in  L.  30.  Ne  deriva  che  un  noccioleto  condotto  a  frutto  (anno  IV) 
rappresenta  circa  L.  375  di  capitali  investiti,  cioè  per  ogni  pollone 
L.  0.15. 

La  costituzione  di  un  ettaro  di  noccioleto  nel  Viterbese  porta,  se- 
condo un'analisi  del  dottor  Vincenzo  Chiricozzi,  le  seguenti  spese: 


—  '.)?>  - 

Anno  I. 

I.  Sistemazione  del  terreno I-  25.— 

II.  Impianto  di  siepe  viva  limitante  il  terreno 38.— 

III.  Kscavazione  di  X.  .iOO  fosse 20.— 

IV.  Piante  N.  KMK)  compreso  il  trasporto  a  L.  2  il  % 32.— 


4.— 
7.50 


V.  Piantanienlo 

VI.  Potatura  e  zappatura 

VII.  Impreviste  e  infortuni "  ^^ 

Vili.     Vigilanza  ed  amministrazione »  ^0.— 

IX.  Interesse  su  queste  spese  anticipate »  7.17 

Anno  II. 

X.  Sostituzione  di  piante  morte  1  '/-o  delle  spese  dei  nn.  3  e  6.    .    .    .  L.  3.27 

XI.  Spese  generali "  ^^'T 

XII.  Spese  di  coltura »  13.50 

XIII.  Interessi  al  5  %  su  L.  182.44 »  912 

Anno  III. 

XIV.  Spese  culturali  e  generali '-  28.50 

XV.  Interessi  5  %  su  L.  220.06 »  H - 

.4nno  IV. 

XVI.  Spese  culturali  e  generali I-  30.50 

XVII.  Interessi  al  5  %  su  L.  261.56 »  13.07 

Anno  y. 

XVIII.  Spese  e.  s.  al  netto  del  piccolo  prodotto  in  nocciole  e  vermene.    .  L.  27.— 

XIX.  Interessi  al  5  %  su  L.  301.63 „  1505 

Totale  L.  314.68 


Tenuto  conto  delle  culture  erbacee  che  possono  trovar  luogo  nel 
terreno  libero  durante  questi  5  anni,  il  dottor  Ghiricozzi  riduce  l'im- 
porto dei  capitali  direttamente  investiti  a  termine  del  quinto  anno  a 
L.  236.93. 

Per  l'Avellinese  il  prof.  Savastano  espone  come  nel  1,  II  e  III  biennio 
possa  nel  terreno  ricavarsi  pressoché  completo  l'ordinario  prodotto 
delle  colture  erbacee  e  come  la  fruttificazione  s' inizi  nel  terzo  con  circa 
4  quintali  di  frutti  secchi  per  ettaro  -,  nel  IV  e  V  biennio  la  produzione 
delle  colture  erbacee  si  riduce  pressoché  alla  metà,  ma  i  frutti  secchi 
conseguiti,  anno  per  anno,  raggiungono  in  media  gli  8  quintali  nel  IV 
biennio  e  16  quintali  nel  V;  nel  VI  biennio  28  quintali  di  frutti  secchi  5 
40  quintali  nel  III;  circa  60  quintali  nell' Vili  e  nei  seguenti.  AI  netto 
dalle  .spese  di  raccolta,  vendonsi  i  frutti  secchi  a  circa  20  lire  il  quin- 
tale :  quindi  la  produzione  raggiunge,  nella  stagione  di  maturità,  che  ha 
durata  lunghissima,  1200  lire  circa  per  ettaro. 

Il  prof.  Alfonso  per  la  Sicilia  ammette  che  un  noccioleto  senza 
colture  intercalari  ed  in  condizioni  medie  di  fertilità  può  produrre  da 
500  kg.  a  1500  kg.  di  avellane,  ossia  in  media  circa  800  kg.  che  a  L  0.60 
risulterebbe  una  rendita  di  L.  480. 


-  973  - 
Le  spese  per  ettaro  sarebbero  le  seguenti  : 

Potagione  e  rimonda  in  autunno,  giornate  10  a  L.  1.70  L.  17. — 
Vangatura  e  zappatura  in  autunno,  giornate  5  a  L.  1.70     „      8.50 

Due  zappature,  giornate  8  a  L.  1.70 „  13.60 

Scalzatura   e   disposizione  per  l' irrigazione,   giornate 

12  a  L.  1.70 „  20.40 

Irrigazione „  13.60 

Concimazione „  100. — 

Raccolta,  giornate  8  a  L.  1.70 „  13.60 

Totale  spese  L.  186.70 

Come  si  vede  il  noccioleto  dà  una  rendita  media  di    circa    L.   300. 
21.  Malattie  e  cause  nemiche  (vedi  pag.  500). 


NOCE  C) 
(luglans  regia  Linn.  —  Fani.  InglandeeJ. 

Nomi  volgari  italiani  della  pmn/a  —  Nus,  Nogliero,  Nogher,  Noghera, 
Nojara,  Noera,  Nojar,  Cocolar,  Nos. 

Nomi  volgari  italiani  del  frutto  —  Nus,  Nosa,  Nuce,  Nociara. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Noyer  commun  — 
Ted.:  Wallnussbaum  —  Ingl.:  Valnut-tree. 

1.  Origine.  —  Originario  della  Persia,  (regione  dell'Hymalaja)  venne 
trasportato  in  Grecia  e  quindi  in  Italia,  da  cui  si  diffuse  negli  altri 
paesi  d'Europa,  ove  al  presente  si  è  reso  indigeno. 

2.  Caratteri  botanici.  —  Albero  vigoroso,  (fig.  680)  alto  da  24  a  27 
metri  ed  il  cui  tronco  può  raggiungere  la  circonferenza  di  3  a  4  metri. 
Chioma  ramosa,  espansa,  di  forma  sferica  compressa.  Tronco  diritto, 
coperto  di  una  scorza  cenerognola,  grossa;  nei  giovani  rami  liscia  e 
di  color  rosso-scuro,  nei  vecchi  screpolata  e  bruna. 

Le  radici  sono  notevolmente  espanse  sia  orizzontalmente  sia  in 
senso  verticale. 

Foglie  grandi,  imparipennate,  di  color  verde-opaco,  glabre,  di  odore 
acuto  e  disgustoso,  assai  ricche  di  tannino,  come  del  resto  tutte  le 
parti  della  pianta.  Le  foglioline  sono  da  5  a  9,  ovate,  per  lo  più  intere, 
a  nervature  sporgenti  inferiormente,  con  picciolo  breve,  opposte  o 
quasi,  lunghe  da  6  a  12  cm.  e  larghe  da  3  a  6  cm.  (fig.  681). 

Gemme  di  grandezza  variabile,  ovato-rotondate,  finamente  tomentose 
e  coperte  esternamente  da  due  squame  che  rinserrano  più  o  meno 
interamente  le  più  interne.  Le  gemme  terminali  sono  erette,  le  laterali 
patenti  e  tutte  poste  sopra  una  larga  cicatrice  follare  rilevata. 


(1)  F.  Peneveyre  —  //  noce  —  Biblioteca  OUavi. 


_  974  — 

Fiori  monoici  per  aborto.  I  maschili  disposti  in  amenti  lunghi  6-8 
CHI.  per  lo  più  solitari,  di  color  verde-bruno,  ed  inseriti  nella  parte 
superiore  dei  ramoscelli  nati  nell'anno  precedente,  che  al  tempo  della 
lìoritura  sono  privi  di  foglie.  I  fiori  femminili  sono  solitari  o  riuniti 
in  numero  da  1  a  5,  in  spighe  terminali  in  cima  ai  ramoscelli  dell'anno 
in  corso  e  sono  portati  da  un  breve  e  grosso  peduncolo.  Il  ricettacolo 


\i-f:L,V 

\-:  ' 

■m 

1 

W'^ 

1      "^^^-feff^^ 

.-^tm 

BB^r  .-r..  .:fi2^BH^^HP^^^^^ 

1 

Fig.  680.  —  Albero  di  noce. 


fiorale  porta  un  piccolo  perigonio  con  3  a  4  piccoli  denti;  ovario  infero 
aderente  ad  un  ovulo  sormontato  da  due  stili  cortissimi. 

3.  Specie  coltivate.  —  La  famiglia  delle  luglandee  ha  due  generi  : 
luglans  ed  Hicoria. 

Al  primo  appartengono  le  seguenti  specie: 

1.  luglans  regia  che  è  la  noce  europea  ; 

'-•        ..  cinerea  o  noce  burro  ; 

^         "  nigra  o  noce  nera; 

4.        ,.  Oalifornica  o  noce  della  California. 


-  975  - 

II  genere  Hicoria  ha  10  specie,  originarie  dell'America  delle  quali 
se  ne  coltivano,  per  i  frutti,  soltanto  tre  : 

1.  Hicoria  pecan  o  noce  Pecan  ; 

2.  „         ovata  ; 

3.  „         laciniosa. 

4.  Classificazione  delle  varietà.  —  Le  varietà  coltivate  in  Europa 
per  il  frutto  appartengono  alla  specie  luglans  regia. 

Una  classificazione  delle  varietà  non  è  stata  ancora  proposta.  Si 
potrebbero  formare  due  gruppi:  a  germogliazione  precoce  ed  a  germo- 


Fig.  681.  —  Fruttificazione  del  noce. 


gliazione  tardiva.  Di  ciascun  gruppo  si  potrebbero  formare  due  classi 
dal  guscio  tenero  e  dal  guscio  duro,  distinguendolo  in  sotto  classi 
quelle  che  danno  frutti  a  scopo  mangereccio  e  quelle  che  servono  per 
estrarre  l'olio.  Ma  siccome  queste  proprietà  sono  molte  volte  comuni 
nella  stessa  varietà,  cosi  le  sottoclassi  si  potrebbero  distinguere  per  la 
forma  del  frutto. 

5.  Scelta  delle  varietà.  —  Nella  scelta  delle  varietà  si  preferiscano 
quelle  a   germogliazione   tardiva.   Bisogna   tener   conto    della    rapidità 


di  sviluppo  e  della  fruttificazione  sollecita  della  pianta  e  del  gusto  del 
gheriglio.  Le  noci  più  ricche  di  olio  sono  le  meno  pregiate  per  dessert, 
l^sse  hanno  per  lo  più  un  guscio  molto  duro  e  molto  ripieno. 

Per  dessert  si  preferiscano  le  noci  a  guscio  tenero  o  semi  tenero, 
che  abbiano  una  certa  apparenza  e  che  siano  piuttosto  grosse.  Si  ri- 
cordi però  che  le  noci  molto  grosse  sono  poco  ripiene  ed  hanno  il  ghe- 
riglio meno  saporito. 

Le  varietà  più  usuali  sono  le  seguenti: 
1.  Noce  comune.  —  Ha  in  media  un  diametro  di  28   mm.  ed   una 
lunghezza  di  36  mm.  È  dunque  una  noce  non  tanto  voluminosa,  ovale, 

tondeggiante,  ma  la  cui  mandorla  è 
eccellente,  ricca  di  olio.  L'albero 
è  molto  produttivo,  cresce  rapida- 
mente e  la  coltivazione  conviene  in 
particolar  modo  per  estrarre  l'olio 
dai  frutti  (fig.  682). 

2.  Noce  a  frutti  grossi.  —  Il 
legno  è  di  qualità  inferiore;  il  frutto 
ha  la  grossezza  di  un  uovo  di  gal- 
lina, 6  a  7  cni.,  ma  non  pieno  :  la 
mandorla  si  mangia  fresca  o  serve 
per  confetture.  L'albero  cresce  molto 
rapidamente.  I  gusci  si  impiegano 
per  fare  giocattoli  (flg.  683). 

3.  Noce  premice  o  stiacciamano. 
—  11  guscio  di  questa  noce  si  stiaccia 
facilmente  e  contiene  una  mandorla 
che  lo  riempie  quasi  tutto,  bianca, 
buona,  ricca  d'olio.  Questa  varietà 
è  la  più  adatta  per  seminare.  L'al- 
bero stenta  a  dar  frutto  e  nei  primi 
anni  dà  delle  forti  gettate,  ma  più 
tardi  ricompensa  il  proprietario.  La 
scorza   dell'albero   è    fine  e  bianca, 

il  legno  non  è  molto  forte,  ma  ha  delle  belle  venature  nere  (fig.  684). 
Le  noci  sono  di  grandezza  media,  elittica,  appuntite.  Sono  molto 
ricercate  per  dessert. 

4.  Noce  tardiva  o  di  S.  Giovanni.  —  Lq  foglie  di  questa  varietà  non 
spuntano  che  in  giugno  ed  i  fiori  non  compaiono  che  alla  fine  del 
mese,  e  perciò  molto  adatta  alle  località  esposte  ai  geli  tardivi.  Il  frutto 
è  allungato,  con  una  punta  pronunciata,  medio  ;  il  guscio  è  un  poco 
duro,  la  mandorla  è  buona,  un  po'  giallastra,  ricca  d'olio  e  riempie  tutto 
il  guscio.  La  scorza  del  tronco  è  bruna,  rugosa;  il  legno  è  disseminato 
di  venature  scure.  La  pianta  vegeta  rapidamente,  ed  è  molto  fertile.  E' 
una  varietà  da  raccomandarsi  molto  per  l'olio.  Generalmente  è  poco 
produttivo  (fig.  685). 


Fig.  682.  —  Noce  comune. 


977 


5.  Noce  a  grappoli.  —  E'  una  varietà  coltivata  in  Francia,  ma  che 
converrebbe  introdurre  anche  da  noi.  Dà  le  noci  della  grossezza  delle 
nostre  comuni,  ma  soltanto  si  trovano  riunite  a  grappoli  m  numero  di 
10  a  12  e  persino  20.  Il   prodotto  è  addirittura    straordinario    (fig.  686). 

6.  Noce  nialccia  volgarmente  streccerà.  —  L'albero  è  il  più  grande 
del  genere;  il  legno  suo  è  durissimo  e  ben  venato,  si  apprezza  più  di 
ogni  altro.  I  frutti  ne  sono  angolosi,  mediocri  di  grandezza,  a  guscio 
assai  duro  ed  a  mandorla  eccellente,  difficile  da  estrarsi,  atta  a  fornire 
un  olio  molto  gustoso. 

7.  Noce  avellana.  —  Chiamata  cosi  perchè  non  raggiunge  la  gros- 
sezza di  una   avellana.  Il   guscio    però  è  ben   pieno    di    una    mandorla 

bianca,   molto   ricca  di   olio    e    sapo- 
ritissima.   Albero    molto   produttivo. 


Fig.  683.  —  Noce  a  frutti  grossi. 


Fig.  685. 

Noce  tardiva 

di  San  Giovanni. 


8.  Noce  a  frutti  grossi  e  lunghi.  —  Questo  frutto  ha  3  cm.  di  dia- 
metro e  6  di  lunghezza.  Ha  un  guscio  tenero,  ben  pieno,  mandorla  ec- 
cellente. Albero  fertilissimo  e  legno  di  buona  qualità  (fig.  687). 

9.  Noce  di  Sorrento.  —  E'  la  migliore  delle  varietà  italiane  da 
dessert.  E'  di  forma  allungata  quasi  cilindrica,  arrotondata  alla  base  e 
leggermente  appuntita  all'estremità;  guscio  semi  tenero,  poco  scabroso, 
di  bell'aspetto;  gheriglio  eccellente,  pieno.  La  noce  si  conserva  bene 
per  molto  tempo  ed  occupa  il  primo  posto  nella  esportazione. 

In  Francia  abbiamo  le  seguenti  varietà  rinomate  : 

10.  Noce  Franqiiette.  —  Varietà  ottenuta  da  un  certo  Franquette 
nel  dipartimento  dell'Isère.  Frutto  grosso  o  più  che  medio,  ovale,  al- 
lungato, un  poco  appuntito  e  compresso.  E'  una  eccellente  varietà  per 
frutta  e  per  l'olio  (fig.  688).  Albero  vigoroso,  specialmente  adatto  per 
terreni  secchi,  tardivo,  fertilissimo. 

11.  Noce  May  ette.  —  Dal  nome  del  suo  principale  coltivatore. 
Frutto  dittico,  più  che   medio    di    grandezza,  un   poco    compresso 

ed  eccellente  per  dessert.  Si   distinguono    due    sottovarietà  a  mandorla 
bianca  ed  a  mandorla  rossastra. 

62  —  T.VM.VRO  -  Frutticoltura. 


—  ii/S  — 

Guscio  semi-tenero.  Albero  vigorosissimo,  tardivo,  molto  fertile. 
Richiede  un  buon  terreno.  È  la  migliore  noce  francese  (fig.  689)  e  va 
in  commercio  sotto  il  nome  di  noce  di  Grenoble. 

12.  Noce  Meijlanaise.  —  Frutto  grosso  o  grossissimo,  arrotondato, 
guscio  tenero,  ruvidità  poco  pronunciata,  quasi    liscio.  Albero    vigoro- 


Fig.  686.  —  Noce  a  grappoli. 


sissimo  e  molto  produttivo,  a  vegetazione  tardiva.  Originario  del  paese 
di  Meylan,  nell'Isère. 

13.  Noce  Parigina  o  tardiva  di  Parigi.  —  Bel  frutto  arrotondato 
con  solchi  accentuati.  Guscio  tenero,  a  mandorla  bianca  che  lo  riempie 
totalmente.  Adatta  anche  per  estrarre  l'olio  (fìg.  690). 

6.  Varietà  ornameiitali.  —  1.  Noce  a  foglia  intera  (luglans  regia 
monophylla).  —  Molto  curiosa  per  il  suo  fogliame  ed  i  suoi  piccoli 
frutti  che  assomigliano  a  nocciuole. 

2.  A'oce  a  foglie  frastagliate  (luglans  regia  laciniata).  —  Frutto  bello, 
grosso,  ben  pieno,  di  gusto  particolare  ma  di  prima  qualità.  Albero 
di  aspetto  magnifico  per  il  suo  fogliame  elegante. 

3  A'oce  eterofdlo  (luglans  regia  heterophylla).  —  Frutto  grosso 
con  guscio  tenero,  per  lo  più  aperto  all'estremità.  Foglie  a  forme  dise- 
guali ed  irregolari. 

4.  Noce  piangente  (glulans  regia  pendala).  —  Questo  noce  ancora 
raro  e  molto  ricercato  ha  un  largo  e  maestoso  fogliame.  Produce  dei 
belli  e  buoni  frutti. 

Una  specie  notevole  che  è  stata  importata  dall'America  è  il  A^oce 
nero  delta  Virginia  (luglans  nigra),  sul  quale  si  fanno  anche  gli  innesti 
delle  varietà  particolarmente  ornamentali. 


-  979  - 

E'  un  noce  pregevole  anche  per  il  bel  legno  venato  in  bianco  e 
nero,  per  la  sua  rusticità  e  per  la  sua  rapida  crescita. 

Infine  merita  d'essere  citato  il  luglan  porcina  che  ci'esce  nei  ter- 
reni umidi  e  dà  il  legno  più  duro 
e  tenace  di  questa  specie. 


Fig.  687.  —  Noce  a  frutti 
grossi  e  lunghi. 


Fig.  688. 
Noce  Franquette. 


7.  Importanza  della  coltivazione.  —  E'  un  albero  di  grande  im- 
portanza sia  per  la  produzione  dei  frutti  sia  per  il  legno.  In  Italia 
è    ancora    troppo    poco    coltivato    anche    come    pianta    d' ornamento. 


Fig.  690.  —  Noce  tardiva 
di  Parigi  o  Parigina. 

8.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Si  pianta  nei  campi  come  in  Puglia, 
lungo  i  confini  oppure  nei  cortili  vicini  alle  case,  anche  lungo  strade, 
però  molto  radi  e  piantando  da  una  parte  sola. 

9.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Il  noce  tenie  del  pari  il  gran 
freddo  come  il  gran  caldo.  Di  fatto  muore  spesso,  allorquando  durante 


—  980  — 

rinverno  la  temperatura  s'abbassa  a  10-12  gradi  sotto  zero;  e  non 
prospera  giannnai  nelle  esposizioni  caldissime  o  molto  soleggiate.  Le 
località  di  montagna  (lino  a  1000  m.  di  altezza)  o  intersecate  da  colline, 
sono  più  favorevoli  della  pianura.  All'aperto  ed  isolato  si  innalza  vigo- 
roso, robusto;  si  guarnisce  di  ampia,  rotonda  chioma  e  produce  frutti 
abbondanti,  saporiti  ;  pel  contrario  vicino  ad  altri  alberi  e  da  loro 
ombreggiato,  si  eleva  di  più,  ma  mette  pochissimi  rami,  non  forma  una 
chioma  egualmente  maestosa,  e  dà  pochissimi  frutti,  che  d'ordinario 
cadono  avanti  la  maturità. 

Riguardo  all'esposizione  predilige  l'ovest  ed  il  nord-ovest. 

Si  preferiscano  le  località  riparate  dai  venti  di  tramontana  e  di 
levante. 

Dalla  caduta  delle  foglie  alla  germinazione  sono  necessari  1854»  C. 
di  calore. 

10.  Terreno.  —  Il  noce  è  una  pianta  piuttosto  diffìcile  per  terreno, 
non  tanto  per  la  sua  composizione  chimica  quanto  per  la  sua  costitu- 
zione fìsica.  Questo  albero  dalle  lunghe  radici  richiede  terreni  per- 
meabili, anche  nel  sottosuolo,  perciò  profondi,  che  conservano  la  fre- 
schezza durante  l'estate.  Difatti  i  terreni  calcari,  sabbiosi,  silicei,  ar- 
gillo-calcari,  ma  secchi,  gli  sono  più  convenienti,  quantunque  riesca 
bene  anche  nelle  sabbie  fresche,  nei  terreni  pietrosi,  profondi  ma 
ricchi. 

Teme  l'umidità  stagnante.  Nei  terreni  argillosi,  compatti,  freddi, 
dove  non  porta  i  suoi  getti  dell'anno  alla  completa  maturazione,  si  ha 
una  scarza  fruttifìcazione,  il  legno  non  riesce  tanto  compatto  e  non  ar- 
riva all'ordinario  suo  sviluppo. 

I  noci  non  si  devono  piantare  in  pianure  nebbiose,  in  terreni  palu- 
dosi ed  in  località  fredde.  Sono  sensibilissimi  alle  gelate  primaverili. 
Ottime  sono  le  colline  e  montagne  con  terreni  profondi,  permeabili, 
anche  se  rocciose,  dove  la  pianta  possa  estendere  le  sue  potenti  radici, 
nei  terreni  pietrosi  il  legno  riesce  migliore  e  più  conservabile. 

Predilige  i  terreni  calcari  essendo  la  calce  indispensabile  per 
formare  il  guscio. 

11.  Moltiplicazione.  —  Il  noce  si  moltiplica  per  seme  e  per  innesto. 

Per  la  moltiplicazione  si  scelgano  le  noci  da  un  albero  ben  cono- 
sciuto per  la  sua  adattabilità  alla  regione  nella  quale  si  coltiva  e  per 
per  la  qualità  del  suo  prodotto.  L'albero  deve  essere  anche  nella  sua 
piena   vigoria. 

Delle  noci  si  scelgano  quelle  che  sono  prime  a  maturare,  le  più 
grosse,  piene  e  ricche  di  olio.  Appena  raccolte  e  liberate  dal  mallo,  si 
stratificano  nella  sabbia  ed  in  febbrajo  si  cominciano  a  bagnare  per 
sottoporle  ad  una  macerazione  che  facilita  l'apertura  del  guscio. 

Le  noci  si  affidano  direttamente  a  dimora  2-3  per  buca  o  meglio 
nel  vivaio.  Nel  collocarle  si  abbia  cura  di  metterle  coricate  a  5-6  cm, 
di  profondità  perchè  la  radice  esce  dalla  base.  Si  osservi  nel  vivajo 
la  distanza  di  m.  1  da  fila  a  fila  e  30  cm.  sulla  fila. 


—  981   - 

Durante  l'anno  si  avrà  cura  di  tenere  sempre  mondato  il  terreno 
dalle  malerbe. 

Nel  secondo  anno  si  diradano  e  si  possono  innestare  a  gemma  od 
a  corona,  al  piede.  Con  questo  sistema  si  ha  il  maggiore  attechimento 
degli  innesti. 

Volendo  invece  innestare  a  dimora,  nel  terzo  anno  d'età  si  rico- 
minciano a  tagliare  via  i  rami  laterali  bassi,  perchè  il  fusto  si  elevi  in 
modo  da  poterlo  piantare  a  dimora  dal  5"  al  6°  anno  d'età. 

11  trapianto  devesi  fare  con  ogni  cura  per  non  alterare  le  radici. 
E'  bene  farlo  col  pane  di  terra.  Dovendo  fare  qualche  taglio  alle  radici 
ed  ai  rami  laterali,  bisogna  pulire  le  ferite  e  ripararle  con  mastici. 

Il  noce  si  può  innestare  oltre  che  sul  franco  ottenuto  dalla  noce 
comune  anche  sul  noce  volgarmente  chiamato  d'America:  liiglans  nigra. 

Gli  innesti  più  usati  per  le  piante  a  dimora  sono  quelli  a  corona 
e  ad  anello.  Si  innestano  ordinariamente  in  maggio  e  sopra  i  rami 
della  impalcatura.  E'  buona  precauzione  fare  il  salasso  sotto  il  punto 
di  innesto  con  una  trivella. 

Sul  noce  d'America  si  innestano  tutte  le  varietà  ornamentali  e  tutti 
i  noci  destinati  ai  paesi  freddi. 

11.  Caratteri  vegetativi.  —  E'  una  pianta  rigogliosissima,  che  cresce 
molte  volte  spontanea  lungo  i  campi,  le  vigne,  le  siepi,  sugli  orli  dei 
boschi  ed  anche  nei  luoghi  incolti  delle  colline  e  montagne. 

Malgrado  i  vantaggi  che  si  hanno  coltivando  il  noce,  non  bisogna 
dimenticare  che  non  si  può  consigliarlo  da  per  tutto,  anzi  la  sua  vici- 
nanza alle  vigne  è  nociva.  Difatti  colla  sua  fronda  tanto  fìtta  e  colle 
sue  numerose  e  lunghe  radici,  rende  quasi  improduttivo  un  buon  tratto 
del  terreno  che  lo  circonda.  Pei'ciò  non  si  deve  piantare  un  noce  in 
mezzo  ad  un  campo,  sul  lato  sud  ma  solo  sul  lato  nord. 

Poiché  attorno  al  noce  le  altre  piante  non  acquistano  una  rigo- 
gliosa vegetazione  non  mancarono  nel  popolo  dei  pregiudizi  su  questo 
albero,  il  quale  ha  pure  tante  buone  qualità.  Si  arrivò  a  dire  che 
l'acqua  di  pioggia  che  sgocciola  dalle  sue  foglie  è  nociva  alle  altre 
piante,  anzi  le  fa  morire,  che  la  pianta  esala  dei  vapori  insalubri  e  cosi 
via.  E'  vero  che  si  resta  sbalorditi  quando  si  rimane  addormentati  o 
fermi  per  lungo  tempo  sotto  un  noce;  ma  ciò  avviene  sotto  tutti  gli 
alberi  molto  frondosi,  dove  manca  la  ventilazione  e  dove  naturalmente 
esala  un  odore  resinoide,  odore  del  resto  comune  al  pioppo,  al  casta- 
gno, alla  quercia  e  cosi  via. 

I  freddi  primaverili  molte  volte  danneggiano  questo  albero  in  mo- 
do che  ordinariamente  si  ha  un  prodotto    buono    ogni    secondo    anno. 

Comincia  a  fruttificare  nel  decimo  anno.  Le  piante  possono  pro- 
durre fino  oltre  100  anni.  A  Beckensried  sul  lago  di  Costanza,  si  conta- 
no dei  noci  di  300  anni,  il  cui  tronco  misura  m.  1.50  di  diametro  e  la 
periferia  della  fronda  m.  35  a  40  e  producono  Q.''  1.50  di  noci. 

II  noce  cresce  sempre  più  rapido  della  quercia,  perciò  come  legno 
rende  di  più. 


—  !KS2  — 

In  Italia,  le  diverse  Tasi  di  vegetazione   del   noce    avvengono   nelle 
seguenti  epoche. 


Tab.  LXXII. 

Quadro   indicante   l'epoca  nella   quale   avvengono   le   principali  fasi 
di  vegetazione  del  noce  comune  nelle  diverse  regioni  d'Italia. 


Regioni 

Foglia 
Mese 

zione 

De- 
cade 

Fiorii 
Mese 

ura 

De- 
cade 

Matura 
del  fr 

Mese 

zione 
atto 

De- 
cade 

Caduta 
delle  foglie 

Mese      °^- 
™®^®     cade 

I.  Piemonte 

II.  Lombardia 

III.  Veneto 

IV.  Liguria 

V.  Emilia 

VI.  Marche  ed  Umbria    .    . 

VII.  Toscana 

Vili.    Lazio 

IX.  Meridionale  Adriatica  . 

X.  Id.  Mediterranea  .    .    . 

XI.  Sicilia 

XII.  Sardegna 

Aprile 
Maggio 
Aprile 

Aprile 

Aprile 
Marzo 
Aprile 
Marzo 

II 

in 

II 
ITI 

I 
III 

II 
III 

Aprile 
Maggio 
Aprile 

Aprile 
MaVzo 

I 

III 
II 

II 
III 

l 

II 
III 
II 

Agosto 
Settem. 

Settem. 
Ottobre 
Settem. 

Agosto 

III 

III 
II 

I 

II 

1 
II 

Novem. 
Ottobre 

Ottobre 

Novem. 

Novem. 
Ottobre 

Novem. 

I 
III 

I 

III 

I 

III 
II 

12.  Potatura  e  forme.  —  Il  noce  non  tollera  né  la  forbice,  né  il 
pennato,  né  la  sega.  È  molto  delicato  per  le  ferite  le  quali  si  rimar- 
ginano diffìcilmente.  Occorrendo  qualche  taglio  lo  si  faccia  alla  ri- 
presa della  vegetazione.  In  ogni  caso  bisogna  sempre  ripararle  con  un 
mastice. 

Del  resto  il  noce  forma  naturalmente  la  sua  corona.  Anche  al  mo- 
mento del  trapianto  è  meglio  non  fargli  subire  alcuna  amputazione.  Se 
cresce  qualche  ramo  fuori  di  direzione,  il  che  avviene  di  rado,  conviene 
cimarlo  lungo  o  deviarlo  artificialmente  con  speciali  legacci. 

Quando  la  pianta  è  adulta,  tollera  qualche  taglio  di  ringiovani- 
mento, ma  quando  vi  sia  questa  necessità,  conviene  piuttosto  abbattere 
l'albero,  jier  utilizzare  il  legno,  perchè  esso,  dopo  un  taglio  di  ringio- 
vanimento, lentamente  va  perdendo  le  sue  preziose  qualità. 

13.  Impianto  e  cure  di  coltivazione.  —  E'  meglio  fare  l'impianto 
d'autunno,  a  buche,  poiché  come  abbiamo  visto,  il  noce  si  coltiva  iso- 
lalo, nei  cortili  delle  case  di  campagna,  lungo  i  confini  etc.  Dovendo 
fare  qualche  filare,  si  colloca  a  m.  12-17  di   distanza. 

Intorno  all'albero  l'erba  cresce  pochissimo  e  perciò  anche  if  ter- 
reno intorno  alla  pianta  richiede  poco  lavoro  ed  anche  poca  concima- 
zione, se  non  si  considera  quella  per  l'impianto. 

Di  fatti  il  noce  ha  radici  molto  profonde  e  se  il  terreno  é  fertile  e 
ben  provveduto  di  umus,  come  si  richiede,  ha  alimento  sufficiente  per 
parecchi  anni. 


-  983  - 

Del  noce  non  vengono  esportati    che  i  frutti  i  quali    ogni    100   Kg. 
contengono  : 

Kg.  43.7  di  gherigli  che  contengono:  Azoto  Kg.  1.— 
„    56.3   „   gusci  „  „  „        „    0.20 


Totale  Kg.  1.20 


Anici,  fosf.  Kg.  0.28;    Potassa  Kg.  0.27 
„    0.05;  „         „     0.09 


Totale  Kg.  0.43;  Kg.  0.36 


Ammesso  che  ogni  albero  dia  Kg.  150  di  noci,  bisognerebbe  per 
pianta  provvedere  ogni  anno  : 

Kg.  1.80  di  azoto  ossia  Kg.  12  di  nitrato  al   15  %  ; 

Kg.  0.495  di  anidride  fosforica  ossia  Kg.  3.530  di  perfosfato  al  14  %  ; 

Kg.  0.440  di  potassa  ossia  Kg.  0.900  di  cloruro  potassico. 

14.  Raccolta  e  cura  di  coltivazione.  —  Si  raccolgono  le  noci  allor- 
quando vedesi  che  il  mallo  si  fende  spontaneamente  e  le  abbandona. 
Degli  uomini  muniti  di  una  lunga  pertica  sottile  e  flessibile,  vanno 
scuotendo  e  bacchiando  tutti  i  ramoscelli,  all'estremità  dei  quali  si 
trovano  le  noci.  E'  necessario  raccomandare  che  percuotano  legger- 
mente, e  si  guardino  dal  rompere  i  ramoscelli  da  fiori  e  legnosi.  Le 
noci  col  mallo  ancora  aderente  si  pongono  ammucchiate  in  luogo 
asciutto,  e  dopo  averle  rivoltate  2  o  3  volte  al  giorno,  passata  la  setti- 
mana, si  estraggono  dal  mallo,  battendo  leggermente  con  una  mazza 
di  legno  quelle  dalle  quali  non  si  fosse  ancora  staccato.  Successiva- 
mente si  espongono  per  altri  8  o  10  giorni  al  sole,  perchè  dissecchino, 
indi  si  conservino  in  una  stanza  bene  asciutta  ed  ariosa  finché  giunga 
il  tempo  per  romperle,  estrarne  le  mandorle  che  poi  tosto  si  torchiano 
per  ottenere  l'olio. 

Per  uso  commestibile;  si  collocano  a  strati  bassi  (8  cm.)  in  un  gra- 
naio ventilato,  rimuovendole  però  di  quando  in  quando.  Le  noci  si 
possono  conservare  per  7  ad  8  mesi. 

15.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  La  composizione  centesi- 
male delle  mandorle  delle  noci  è  la  seguente  : 

Materie  grasse  ed  olio 55 

Sostanze  azotate  o  proteiche 14 

Azoto 2.25 

Anidride  fosforica 0.56 

Potassa 0.67 

Materie  minerali  diverse 1.75 

Acqua,  cellulosa,  ecc 25.77 


Totale 100. 


—  [m  — 

Il  guscio  contiene  per  cento: 

Azoto -    •      0.3 

Anidride  fosforica 0.09 

Potassa 0.15 

Legnoso  o  cellulosa 54. — 

I  panelli  contengono  il  5  %  di  azoto. 

16.  Usi.  —  Vi  sono  pochi  alberi  dei  quali  come  del  noce  si  possa 
utilizzare  tutto,  persino  i  gusci  del  frutto. 

II  suo  legno  è  uno  dei  migliori  d'Europa,  essendo  duro,  assai  forte, 
vagamente  venato  e  suscettibile  di  bellissimo  pulimento. 

Le  noci  sono  i  frutti  più  ricchi  di  olio  che  si  conoscono.  L'olio  che 
si  estrae,  quando  è  depurato  e  preparato  a  freddo,  ha  un  sapore  dolce, 
aggradevole  ;  la  qualità  inferiore  viene  adoperata  dai  pittori.  I  panelli 
che  rimangono  dall'estrazione  dell'olio  vengono  somministrali  con 
grande  vantaggio  al  bestiame. 

La  medicina  impiega  il  decotto  di  foglie  e  di  mallo  come  astringente, 
vermifugo  e  contro  l'itterizia. 

Le  radici,  la  corteccia  ed  il  mallo  verde  dei  frutti  vengono  impie- 
gate dai  tintori  per  farne  una  tinta  bruna  indelebile. 

Le  mandorle  contenute  nel  guscio  si  mangiano  tanto  verdi  che 
secche;  servono  per  comporre  emulsioni,  entrano  in  molte  vivande  e 
se  ne  fanno  confetture.  Col  mallo  si  prepara  un  liquore  apprezzato 
nelle  case  borghesi,  chiamato  nocino,  al  quale  si  attribuiscono  delle 
proprietà  febbrifughe.  Infine,  come  è  noto,  le  noci  si  adoperano  anche 
per  ingrassare  i  polli  e  specie  i  tacchini. 

La  noce,  come  si  rileva  dalla  composizione,  è  assai  nutriente.  Basta 
considerare  che  contiene  4.5  7o  di  acqua  mentre  le  frutta  comuni  ne 
contengono  72-80  %. 

17.  Dati  economici.  —  Inizia  la  sua  produzione  intorno  i  10  anni 
però  appena  dai  15  ai  20  anni  dà  un  prodotto  che  rinumera  le  spese. 
Raggiunge  la  massima  produzione  intorno  ai  40  e  la  conserva  pressoché 
stazionaria  sino  70-90.  Nel  Sorrentino  secondo  il  prof.  Muzii,  il  prodotto 
annuo  medio  per  pianta  è  di  litri  20  di  frutti  dall'anno  25°  al  40°;  di 
litri  50-60  dal  40«  all'HO". 

Questi  dati  sono  molto  bassi  poiché  mi  consta  che  degli  alberi  di 
50  a  60  anni  d'età  danno  persino  5  ettolitri  di  noci,  e  quindi  produ- 
cendo ogni  secondo  anno,  si  avrebbero  in  media  2.5  hi.  per  anno. 

Un  ettolitro  di  noci  pesa  da  40  a  50  Kg.  e  rende  circa  16-20  Kg.  di 
gherigli  da  cui  si  possono  ricavare  9-10  Kg.  di  olio.  Un  quintale  di  noci 
dà  Kg.  36  a  40  di  gherigli  e  100  Kg.  di  gherigli  danno  circa  50  Kg.  di  olio. 

Le  noci  si  vendono  a  circa  L.  8  l'ettolitro  e  l'olio  da  L.  120  a  150 
il  quintale. 

Ammesso  che  un  noce  di  100  anni  produca  2,5  ettolitri  di  noci  a 
L.  8  sarebbe  una  rendila  di  L.  20,  ossia  l'interesse  di  L.  500.  Occupando 


—  985  - 

la  pianta  150  m.^  di  superficie  anche  se  su  questa  non  si  ricava   altro» 
si  ha  egualmente  una  rendita  non  indifferente. 

Il  legno  poi  costa  da  L.  80  a  100  il  m.^  e  dopo  100  anni  L.  150. 

Una  pianta  da  60  a  80  anni  dà  : 

legname  d'opera  m.^  0.6  a  L.  90      L.  54. — 
legna  da  bruciare  „    1.9  a   „    12       „   22.80 

Totale      L.  76.80 


Ammesso  di  avere  in  un  ettaro  66  piante,  queste  dopo  30  anni 
danno  una  rendita  annua  di  L.  660  di  frutti. 

Ogni  anno  successivo,  la  crescita  del  legno  è  di  mm.  7.50. 

Un  albero  di  60  anni  è  grande  quanto  una  quercia  di  120  anni,  il 
legno  della  quale  costa  circa  la  metà. 

18.  Malattie  e  eause  nemiche.  —  (V.  pag.  500). 


CARRUBO 

(Ceratònia  siliqua  Linn.  —  Fani.  Leguminose). 

Nomi  volgari  italiani  della  pianto.  —  Carrubbio,  Carùbo,  Carobbio, 
Carrobbio,  Guainella,  Sciuscella,  Siliqua. 

Nomi  volgari  italiani  del  fratto.  —  Carùba,  Carruba,  Siliqua,  Siliqua 
dolce,  Cornacchia  marina.  I  semi  si  chiamano  Carati  e  diedero  il  nome 
al  peso  dell'oro. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta.  —  Frane:  Caroubier  —  Ted.:  lo- 
hannisbrotbaum  —  Ingl.:  Carob-tree. 

1.  Origine.  —  Pare  che  la  Siria  e  le  montagne  della  Palestina  sieno 
i  luoghi  d'origine  del  carrubo. 

Attualmente  si  trova  in  tutti  i  luoghi  selvatici  della  regione  Medi- 
terranea. L'  Egitto,  la  Barberia,  la  Grecia  colle  isole  ne  possiedono  in 
quantità.  Non  si  può  precisare  l'epoca  in  cui  passò  in  Italia.  Palladio  è 
il  primo  che  descrive  questo  albero,  se  ne  deduce  che  a'  suoi  tempi 
fosse  già  conosciuto  nel  regno  di  Napoli,  in  Sicilia  e  forse  in  Sardegna. 
Attualmente  è  coltivato  in  esteso  nel  Napoletano,  nelle  Puglie,  nella 
Campania  e  nella  Sicilia.  Si  trova  lungo  tutta  la  Liguria  spontaneo  e 
serve  anche  ad  ombreggiare  i  viali. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta  (fig.  691).  —  11  carrubo  è  un  albero 
di  media  grandezza,  assai  folto  di  rami  con  scorza  cenerognola,  i  quali 
compongono  col  fogliame  una  chioma  tondeggiante,  che  va  più  in  largo 
che  in  alto.  Le  sue  foglie  sono  persistenti  durando  più  di  un  anno;  quindi 
l'albero  è  sempe  verde.  Le  foglie  sono  composte,  pari  pennate,  ordina- 
riamente le  foglioline  sono  di  numero  pari  4,  6,   8,    senza  l' impari   in 


—  986  — 

cima  al  picciolo  principale.  Le  foglioline  sono  rotonde,  coriacee,  di  co- 
lore verde  cupo,  lucide,  senza  intaccature  sul  contorno.  I  fiori  sono 
piccoli,  verdi,  incompleti,  disposti  in  piccoli  grappoli  laterali  sui  rami 
di  più  anni.  Sono  poligami,  trioci  ;  cioè  si  trovano  individui  i  quali  non 
portano  che  fiori  maschili  (fig.  692),  e  quindi  sono  essenzialmente  ste- 
rili, per  tutta  la  loro  vita;  altri  femminei  (fig.  693)  che  portano  solo  fiori 


Fig,  (>i)l. 


iLiiimiiici  e  (|uindi  sono  fruttiferi;  ed  altri  i  quali  portano  su  ciascun 
racemo  fiori  maschi  e  fiori  ermafroditi. 

11  calice  è  piccolo,  appena  percettibile  ad  occhio  nudo,  cinquepar- 
lito,  deciduo.  In  ambi  i  sessi  il  fiore  è  senza  corolla;  gli  stami  sono  5 
e  stanno  solfo  un  disco  ipogino  cinqueangolato,  che  supera  il  calice.  I 
fiori  durano  mollo,  circostanza  questa  che  favorisce  la  fecondazione,  ed 
emanano  un  odore  disaggradevole  acutissimo. 

I  fiori  non  cangiano  colle  varietà,  ma  i  frutti  che  ne  risultano  pre- 


—  987  — 

sentano  tutte  quelle  difFerenze  di  lineamennti  e  di  forme,  che  costitui- 
scono le  fisionomie  vegetali. 

Il  frutto  (fig.  693)  consiste  in  una  siliqua,  lunga  1-2  decimetri,  larga 
2-3  cm.,  cinta  da  suture  crassissime,  coriacee,  che  non  si  apre,  con  tra- 


Fig.  692.  —  Fiori  maschi  del  carrubo. 


mezzi  polposi  nell'interno,  che  dividono  il  legume  in  altrettante  caselle, 
contenenti  una  polpa  zuccherina,  mucillagginosa,  mangiabile  e  nutritiva. 
I  semi  sono  duri,  elittici  e  compressi. 

3.  Varietà.  —  Queste  sono  poco  numerose.  Secondo  il  prof.  Pasquale 
le  varietà  coltivate  in  Italia,  in  Grecia,  in  Spagna  e  nel  mezzogiorno  della 
Francia,  si  riducono  alle  seguenti  : 

1.  Carrubo  selvatico.  —  Maschio  e  quindi  sterile  e  non  serve  che 
da  soggetto  o  per  fecondare  gli  individui  femmine. 


-  1)88 


2.  Carrubo  franco.  —  Pure  selvatico,  con  siliqua  corta  e  sottilis- 
sima, arcuata,  acuminata,  lunga  cni.  15,  larga  cm.  2.2;  matura  più  pre- 
cocemente delle  altre  varietà. 

3.  Carrubo  mascolino. 
i  cavalli. 


Dà  frutti  fibrosi,   buoni   per  alimentare 


?^mQ  k^ 


Fig.  693.  —  Fiori  femminei  e  frutti  del  carrubo. 


1.  Carrubo  femminello  o  zuccherino.  —  Dal  Risso  chiamato  Cera- 
Ionia  sili<iua  latissima,  forse  corrispondente  al  Carrubo  di  Spagna  del 
(iallesio,  meno  fruttifero  del  precedente,  porta  silique  grosse  e  lunghe, 
polpose  e  dolci,  di  cui  si  fa  commercio,  anche  per  cibo  dell'uomo. 

In  Sicilia,  secondo  Gallesio,  se  ne  conoscono  4  varietà  :  la  prima 
lunga  e  grossa;  la  seconda  più  corta,  meno  grossa  ma  con  più  granelli; 
la  terza   con    frutti    vari,   alcuni   lunghi,  torti  e   magri,  ed  altri  brevi 


-  989  — 

molto  carnosi  e  gustosi  ;    la    quarta    con  frutto  magro  e  di   poco  buon 
sapore. 

Sempre  secondo  il  Gallesio,  in  Liguria  se  ne  coltivano  di  tre  sorla 
e  cioè  : 

1.  Carrubo  di  Spagna,  con  siliqua  grossa  e  carnosa. 

2.  Carrubo  nostrale,  con  siliqua  poco  carnosa,  ma  di  maggior  pro- 
duzione. 

3.  Carobba  sonaglina,  che  è  una  siliqua  cosi  asciutta  che   i    semi 
si  muovono  dentro  quando  si  scuote. 

A  Valenza,  secondo  le  osservazioni  dell'  illustre  Cavauilles,  se  ne 
coltivano  tre  qualità  distinte  : 

I  Lindars  e  i  Costelates,  hanno  le  foglie  più  grandi  e  le  silique  della 
lunghezza  di  30  cm.,  ma  asciutte.  I  Melars  hanno  le  foglie  più  grandi 
e  di  eguale  lunghezza  delle  silique,  ma  queste  sono  polpose,  ricche  di 
un  miele  dolcissimo. 

4.  Importanza  della  coltivazione.  —  Per  la  sua  lenta  crescita,  è  una 
coltivazione  poco  estesa,  che  si  fa  solo  allo  scopo  di  produrre  alimento 
pel  bestiame.  È  un  alimento  ricco  di  zucchero  il  quale  si  può  ora  sosti- 
tuire coi  foraggi  melassati.  Forse  potrà  acquistare  importanza  nella  Libia. 

5.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Ordinariamente  lo  si  coltiva  lungo  le 
strade  per  ombreggiarle  oppure  in  linea  nei  campi  alla  distanza  di  8-10 
metri. 

6.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  11  carrubo  appartiene  piuttosto 
al  clima  marino  africano  però  lo  troviamo  nella  maggior  parte  della 
costa  italiana,  da  Nizza  a  Napoli  dove  cresce  spontaneo  in  mezzo  agli 
scogli  riscaldati  dall'aria  marina,  purché  un  po'  riparati  dalle  montagne. 

Segue  in  linea  generale,  per  quanto  riguarda  il  clima,  l'arancio  e 
l'ulivo,  quantunque  quest'ultimo  si  possa  coltivare  ad  una  maggiore  al- 
titudine e  sia  più  resistente  al  freddo.  Siccome  la  sua  vita  vegetativa  non 
cessa  mai  e  si  trova  in  fruttificazione  appunto  nel  cuore  dell'  inverno, 
cosi  il  gelo  offende  le  piccole  silique  appena  allegate,  e  qualche  volta 
anche  la  pianta. 

In  Sicilia,  in  Sardegna,  in  Spagna,  nelle  isole  di  Creta,  Cipro,  nelle 
posizioni  specialmente  marine,  il  carrubo  prospera. 

7.  Terreno.  —  Ama  i  terreni  sassosi,  rocciosi,  specialmente  calcarei, 
come  presso  Gaeta,  Amalfi,  Puglia  ;  ed  i  vulcanici  come  a  Torre  del 
Greco  ;  ancora  alligna  benissimo  nei  terreni  marnosi  del  littorale  Jonio. 
Noto  però  che  nel  Valenzano  vegetano  e  prosperano  benissimo  i  car- 
rubi framezzo  agli  ulivi  e  le  viti,  quindi  puossi  conchiudere  che  ri- 
guardo al  terreno,  se  pure  è  poco  esigente,  prospera  meglio  nei  terreni 
profondamente  lavorati  e  ricchi  di  calcare. 

Soffre  molto  e  va  soggetto  al  marciume  delle  radici  nei  terreni  ar- 
gillosi, umidi  con  acqua  stagnante  durante  l' inverno. 

Anche  riguardo  al  terrero,  il  carrubo  è  più  esigente  dell'ulivo. 

8.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  per  seme  e  per  innesto.  I  semi 
si  conservano  colle  silique  e  raramente  si   affidano  a  dimora,  ponendone 


—  990  - 

tre  o  quattro  e  lasciando  poi  una  sola  piantina.  Generalmente  si  fa  la 
semina  nel  semenzaio,  dopo  aver  tenuto  i  semi  in  macerazione  nel- 
l'acqua per  quattro  giorni,  cambiando  ogni  giorno  l'acqua.  La  semina 
si  fa  in  aprile,  quando  è  cessato  il  pericolo  dei  geli,  collocando  i  semi 
alla  profondità  di  2  cm.  e  distanti  15  cm.  Le  piantine  si  trapiantano 
nel  secondo  anno,  a  50-60  cm.  di  distanza  per  lato. 

V  innesto  è  di  una  riuscita  facilissima  e  si  fa  a  gemma  dormiente, 
nel  mese  di  agosto,  nel  terzo  o  quarto  anno  dopo  la  semina,  su  ciascuno 
dei  rami  che  formano  l'alberello.  Se  il  soggetto  è  un  piede  femmina, 
si  innesta  un  solo  ramo  con  nesto  di  carrubo  maschio.  L'innesto  si 
può  fare  anche  a  gemma  vegetante  nel  mese  di  maggio,  oppure  a  corona. 

Per  norma  un  buon  ramo  maschio,  può  bastare  per  5  alberi  vicini. 

9.  Caratteri  vegetativi.  —  Il  carrubo  cresce  lentamente;  in  un  buon 
terreno  in  6  o  7  anni  le  pianticelle  posso  raggiungere  l'altezza  di  6  metri 
e  la  grossezza  di  un  manico  di  vanga.  Fra  i  10  o  12  anni  l'albero  è  nel 
suo  massimo  sviluppo;  le  piante  da  fiori  femminili  raggiungono  uno 
sviluppo  maggiore  di  quelle  da  fiori  maschi.  Quando  la  pianta  comincia 
a  produrre,  dal  decimo  al  dodicesimo  anno  d'età  i  fiori  sbocciano  in 
autunno,  e  nascono,  meno  che  nel  primo  anno,  sempre  a  lato  dei  frutti 
maturi  e  della  cicatrice  da  essi  lasciata. 

Il  carrubo,  come  si  è  detto,  è  a  foglie  persistenti,  in  primavera  però 
la  sua  vegetazione  riceve  un  forte  impulso,  che  determina  lo  sviluppo 
dei  nuovi  germogli  all'ascella  delle  foglie.  Queste  ultime  cadono  lenta- 
mente, ma  contemporaneamente  avviene  la  formazione  delle  gemme 
fiorifere,  che  restano  protette  dalle  foglie.  AI  cadere  di  queste,  le  gemme 
fiorifere  diventano  fronde  e  tendono  a  svilupparsi.  Nel  mese  di  agosto 
i  rami  cessano  di  allungarsi,  il  frutto  diventa  maturo.  Altri  fiori  allora 
si  schiudono,  allegano  con  lentezza;  più  lento  ancora  è  lo  sviluppo  dei 
frutti.  Al  sopraggiungere  dell'inverno  i  frutti  rimangono  stazionari  e  non 
riprendono  lo  sviluppo  che  in  aprile,  per  maturare  all'avvicinarsi  del- 
l'autunno, mentre  avviene  lo  schiudimento  dei  nuovi  fiori. 

Le  gemme  fiorite  nascono  sempre  ai  nodi,  anzi,  ogni  nodo  è  capace 
di  produrre  per  moltissimi  anni,  e  la  continua  emissione  di  queste  gemme 
fiorali  forma  una  specie  di  tubercoli  che  coprono  i  rami  per  tutta  la  loro 
lunghezza. 

L'aspetto  del  carrubo  adulto  è  per  conseguenza  quello  di  una  pianta 
che  alla  sua  estremità  porta  esclusivamente  dei  germogli  fogliferi,  mentre 
nel  suo  interno  è  coperta  da  una  quantità  di  tubercoli  che  portano  fiori 
o  frutti,  non  sprovvisti  anche  di  foglie.  Questo  è  un  aspetto  veramente 
ridente  e  mentre  ogni  anno  si  rinnova  la  cacciata,  si  rinnova  nell'albero 
un  nuovo  sistema  di  infiorazione. 

Fiorisce  in  settembre-ottobre. 

10.  Coltivazione.  —  Nel  quinto  o  sesto  anno  di  semenzaio,  le  piante 
si  portano  a  dimora.  Il  trapianto  non  è  privo  di  difficoltà  e  non  sono 
mai  sufficienti  le  cure  per  ottenere  una  buona  riuscita.  Ad  tal  uopo 
conviene  sradicare  le  piante  con  tutte  le  loro  radici,  collocarle   in   un 


-  991   - 

terreno  ben  preparato  a  m.  15  di  distanza,  e  durante  la  prima  state  bi- 
sogna annaffiarle  e  tenere  ben  mondato  il  terreno. 

La  potatura  devesi  cominciare  già  nel  semenzaio,  avendo  cura  di 
formare  una  fronda  di  4  rami  principali,  regolarmente  disposti;  e  più 
tardi  bisogna  evitare  che  il  ramo  da  fiori  maschi  si  sviluppi  a  detri- 
mento degli  altri,  ciò  che  avviene  di  sovente  ;  bisogna  ancora,  quando 
la  pianta  è  a  dimora,  togliere  i  rami  superfiui  danneggiati  e  vecchi.  Sic- 
come i  frutti  si  trovano  sul  legno  vecchio,  mal  si  adattano  i  contadini 
a  mondare  i  rami  anche  se  decrepiti,  eppure  lasciandoli  si  ha  sempre 
una  diminuzione  crescente  di  prodotto. 

11.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  Due  o  tre  anni  dopo  il 
trapianto  a  dimora,  si  cominciano  a  raccogliere  le  carrube,  le  quali  sono 
abbondanti  in  particolar  modo  ogni  due  anni. 

La  raccolta  si  fa  in  settembre,  quando  i  frutti  cominciano  a  cadere 
spontaneamente.  Allora  si  abbacchiano  con  delle  canne,  si  stendono  in 
un  granaio  bene  aereato  ove  si  lasciano  fino  a  che  siano  ben  secche; 
altrimenti  fermenterebbero  prendendo  un  color  nero.  Tavolta  si  essic- 
cano mediante  i  forni. 

12.  Composizione  chimica  dei  frutti.  —  Rivière  e  Baillache  hanno 
determinato  gli  elementi  seguenti  : 

Carrube 
Composizione  percentuale  sec^h^^  Tecch^  h^esdì^ 

senza  semi      con  semi       con  semi 

Acqua 1.40  1  13 

Materie  azotate 2.10  2.50  2.30 

Azoto  corrispondente 

(0.332)  0.40  0.35 

Saccarosio 21.46  19.—  16.69 

Glucosio 19.62  17.—  14.94 

Amido 4.60  9.60  8.43 

Cellulosa 19.50  23.40  20.58 

Materie  grasse         0.25  0.50  0.44 

Materie  estrattive  indeterminate   .     .  31.07  27  23.74 

Muntz  avrebbe  trovato  delle  cifre  più  elevate  :  30  %  di  zucchero  di 
canna  e  14  7o  di  glucosio.  Questa  analisi  corrisponderebbe  a  quella  ot- 
tenuta colle  carrube  di  Cipro. 

13.  Usi.  —  Le  carrube  vengono  mangiate  dagli  uonìini  e  special- 
mente dai  ragazzi  pel  dolce  sapore  della  polpa;  la  medicina  se  ne  serve 
per  rinfrescante  o  le  fa  entrare  nelle  infusioni  pettorali.  Gli  egiziani  ne 
estraggono  un  miele  che  serve  a  condire  dei  frutti  (Tamarindi,  Mirabo- 
lani) e  fabbricano  anche  una  bevanda  spiritosa. 

Servono  poi  le  carrube  di  cibo  eccellente  pei  cavalli,  poiché  oltre 
ad  ingrassarli  li  rinfresca.  Può  servire  anche  per  l'ingrassamento  degli 
ovini  e  bovini.  Non  si  diano  però  le  carrube  fresche,  poiché  provocano 
coliche  pericolosissime. 


—  092  — 

La  carruba  è  un  alimento  ricco  di  sostanze  zuccherine  mentre  di 
materie  azotate  scarseggia,  perciò  è  un  cibo  che  bisogna  mescolarlo  con 
semi  o  foraggi  azotati  come  i  fieni  di  sulla,  erbamedica,  lupinella,  ecc. 
Kg.  147.5  di  carruba  corrispondono  per  valore  alimentare  a  100  kg.  di 
frumento  ed  a  74.1  di  fava. 

Le  carrul)e  potrebbero  servire  per  estrarne  l'alcool  e  per  preparare 
farine  per  ingrasso  agli  animali. 

In  Sicilia  questa  coltivazione  è  importante;  basti  dire  che  la  pro- 
vincia di  Siracusa  ne  esporta  annualmente  per  lo  più  Inghilterra  in- 
torno a  200  mila  quintali  di  carrube. 

14.  Dati  economici.  —  Una  pianta  di  carrubo  di  mezzana  grandezza, 
in  buone  condizioni,  dà  circa  1  a  3  quintali  di  carrube.  Specialmente 
all'estero  le  carrube  hanno  un  prezzo  elevato  (L.  7). 

Quando  si  consideri  che  molti  terreni  rocciosi,  relativamente  im- 
produttivi, potrebbero  essere  coltivati  col  carrubo,  non  si  può  fare  a 
meno  di  richiamare  l'attenzione  degli  agricoltori  meridionali,  su  questa 
essenza  fruttifera. 

Calcolato  che  in  un  ettaro  di  terreno  a  carrubeto  si  possono  col- 
tivare circa  40  piante  della  reiìdita  media  di  L.  20,  si  avrebbe  un  pro- 
dotto lordo  di  L.  800. 

15.  Malattie  e  eause  nemiche  (vedi  pag.  500). 


PINO  DA  PINOLI 

(Pinus  pinea  Linn.  —  Fam.  Conifere). 

Xomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Pino,  per  eccellenza;  Pino  do- 
mestico, Pino  gentile.  Pino  da  pinòli.  Pino  d' Italia. 

Nomi  volgari  italiani  del  fruito  —  Pigna,  Pignàra,  Pina  ;  dei  semi: 
Pinocchi,  Pignòli. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane.  :  Pin  pinier  —  Ted.  :  Pi- 
nienbauin  —  Ingl.  :  Parasol  Pine. 

1.  Origine  ed  estensione.  —  Il  pino  domestico  cresce  spontaneo 
lungo  i  litorali  del  Mediterraneo  ed  Adriatico,  nella  Francia  meridio- 
nale (Provenza),  nella  Spagna,  nel  Portogallo,  nelle  isole  Canarie,  a  Ma- 
dera, nell'Algeria,  nell'Asia  Minore,  nella  Grecia  e  nella  Dalmazia.  Esso 
costituisce  da  solo  la  rinomata  Pineta  di  Ravenna,  i  Tomboli  ed  i  bo- 
schi (li  S.  Rossore  presso  Pisa. 

2.  Caratteri.  —  È  un  albero  di  prima  grandezza  caratteristico  per 
la  sua  ramificazione  ad  ombrello  (fig.  694),  colle  radici  lunghe,  poco 
ramose,  grosse  e  profonde;  il  tronco  raggiunge  fino  l'altezza  di  30  m.) 
è  cilindrico,  diritto,  con  scorza  dapprima  liscia  e  bruna,  coli' invec- 
chiare, poi,  grossa,  screpolata  a  scaglie  rossastre  quadrangolari.  Re- 
cidendo i  rami  inferiori  la  chioma  prende  una  forma  di  parasole,  mentre 
da  sé  slessa  prende  una  forma  globosa.  Il  legno   è  tenace,  biancastro, 


-  m  - 

forte,  dì  molta  durata.  Le  gemme  son  quasi  cilindriche,  brevemente 
acuminate,  con  tegumenti  un  po'  rilassati,  bianco-rossicci.  Le  foglie 
sono  disposte  a  fascetti,  ciascuno  di  due,  con  guaina  comune  alla  base, 
lineari, piano-convesse  o  semicilindriche,  rigide,  appontite,  della  lunghezza 
di  cm.  8  a  18  e  larghe  circa  1  mm.  ;  lucenti,  llessibili,  linamente  seghet- 


Fig.  60^.  —  Tino  da  pinoli 


tate  agli  orli,  di  color  verde-chiaro,  con  punta  gialliccia,  persistenti 
3  a  4  anni  sull'albero.  I  fiori  mascolini  sono  amenti  lunghi  10-12  nini., 
di  color  giallo,  oblunghi;  costituenti  una  spiga  all'estremità  dei  gio- 
vani rami. 

I  fiori  femminili  sono  stroboli  ovali,  verde-rossigni,  larghi  da  8  a 
10  cm.  e  lunghi  da  10  a  15,  ripiegati  od  orizzontali,  generalmente  soli- 
tari ed  a  due  o  tre,  collocati  all'estremità  dei  rami  dello   stesso    anno. 

63  —  Tamaro  -  FiutticoUura. 


-  994  - 

Il  frutto  o  pigna  è  un  grande  cono,  di  colore  rosso  bruno-cannella, 
lucido,  quasi  sessile,  più  o  meno  orizzontale.  Le  squame  sono  molto 
ingrossale  e  legnose,  bislunghe,  superiormente  arrotondate,  con  scudo 
rosso-bruno,  lucente,  romboidale.  Ciascuna  squama  porta  nella  faccia 
interna,  in  due  fossette,  i  semi  o  pinòli,  i  quali  sono  assai  grandi  (lunghi 
15-20  mm.  e  larghi  da  7-8  mm.),  ovali,  bislunghi,  con  guscio  osseo, 
ottuso,  di  color  bruno-cannella,  coperto  di  una  efflorescenza  nero- 
violetta,  delicata;  ala  assai  breve  e  caduca.  La  semente  porta  un 
secondo  involucro  interno,  cartaceo,  rossastro  e  sottile.  In  esso  trovasi 
la  mandorla,  che  è  la  parte  commestibile,  costituita  dall'albume  co- 
pioso, oleoso,  bianco;  e  dall'embrione  diritto,  clavato,  fornito  di  circa 
12  cotiledoni. 

3.  Importanza  della  coltivazione.  —  Si  coltiva  per  i  suoi  semi  e 
per  ornamento. 

4.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Forma  anche  da  solo  degli  estesi  bo- 
schi e  si  può  consociare  col  pino  marittimo. 

5.  Clima,  esposizione  e  situazione.  —  Il  pino  da  pinocchi  si  trova 
principalmente  nella  regione  del  litorale,  cresce  anche  nelle  pianure  e 
nelle  basse  colline.  Ama  la  luce  e  l'esposizione  a  mezzogiorno,  rifugge 
quella  a  nord.  Oppone  valida  resistenza  ai  venti. 

E  sensibilissimo  ai  geli  ed  ai  rapidi  sbalzi  di  temperatura.  Si  trova 
fino  a  TìOO  m.  di  altitudine.  Esige  clima  caldo  o  temperato. 

6.  Terreno.  —  Predilige  un  terreno  di  alluvione  sciolto,  umido  e 
profondo.  È  indicatissimo  per  imboschire  le  sabbie  del  litorale  e  per 
fissare  le  dune  ed  i  terreni  mobili.  Prospera  anche  nei  terreni  vulcanici. 

7.  Moltiplicazione.  —  L'unico  mezzo  di  moltiplicazione  è  quello  per 
seme,  che  si  affida  al  semenzaio;  dopo  due  anni  si  trapiantano  a  di- 
mora i  giovani  soggetti  col  loro  pane  di  terra. 

In  via  eccezionale  si  può  innestare  a  spacco  con  marza  erbacea  in 
maggio. 

8.  Caratteri  vegetativi.  —  Come  abbiamo  visto  è  un  albero  di  grandi 
dimensioni,  il  quale  raggiunge  la  sua  virilità  a  25  anni  e  vive  oltre  i 
150  anni.  Fiorisce  dal  febbraio  all'aprile  e  matura  il  frutto  in  dicembre 
dell'anno  appresso.  1  semi  non  conservano  la  facoltà  germinativa  oltre 
l'anno,  e  la  germinazione  avviene  dopo  4-5  settimane,  sviluppando  per 
lo  più  10  cotiledoni.  Nei  primi  3-4  anni  cresce  più  rapidamente  degli 
altri  pini,  ma  poi  rallenta  restando  però  sempre  fra  i  pini  la  pianta  di 
|)iù  rapida  crescita. 

Verso  il  ventesimo  anno  comincia  a  produrre  frutti,  ma   il   tempo 
migliore  per  la  loro  raccolta  incomincia  dal  venticinquesimo  anno. 
Haggiunge  il  massimo  sviluppo  ad  80  anni. 
I  semi  restano  molto  tempo  sulla  pianta  prima  di  maturare. 

9.  Potature  e  Forme.  —  Non  si  applica  alcuna  potatura,  si  lascia 
che  la  pianta  prenda  la  forma  naturale. 

10.  Coltivazione.  —  Il  trapianto  si  fa  in  aprile,  quando  incomincia 
la  vegetazione,  e  le  piantine  si  collocano  a  25  m.  di  distanza.    Dopo  la 


-  995  - 

presa  del  piantone,  negli  anni  avvenire,  si  ricurveranno  in  basso  i  ver- 
ticilli dei  rami  laterali,  acciocché  non  si  dilunghino  a  spese  della  cima. 
Si  evitino  i  tagli,  per  non  rendere  il  fusto  troppo  esile;  si  tagliano  i 
rami  inferiori  di  mano  in  mano  che  il  fusto  acquista  in  robustezza. 

11.  Prodotti.  —  Il  prodotto  principale  lo  danno  i  semi  che  sono 
mangerecci  e  servono  per  certe  confetture  e  per  estrarne  olio.  Le  pine 
si  raccolgono  d'inverno,  prima  che  il  calore  della  primavera  le  faccia 
aprire  lasciando  cadere  i  pinoli.  Si  possono  trovare  60  e  più  semi  per 
pigna. 

11  legno  del  pino  è  molto  stimato  per  costruzioni  sott'acqua.  Ab- 
brucia mediocremente,  ma  le  pine  vuote  danno  un  ottimo  combusti- 
bile. Gli  antichi  facevano  con  questo  legno  le  tede,  che  accendevano 
negli  sposalizi  e  ne'  funerali.  Ancora  oggi  si  adoperano  per  torce. 


PARTE  DECIMA 
PIANTE  ESOTICHE  PER  I  PAESI  CALDI 


ABERIA 

(Gen.  Aberia  —  Fani.  Bixacee). 

Nome  i)ol(/(irc  inglese  —  Kej'-apple  —  Frane:  Abérie  de  la  Caprerie. 
Bibliografia  —  I.  Dybowski  —  Traile  pratique  des   cultures   tropi- 
cales  -  Paris  1902. 

1.  Diffusione  ed  importanza  della  coltura.  —  Del  genere  Aberia  si 
coltivano  due  specie  per  il  frutto:  Aberia  caffra  Hooiv  e  Aberia  Gaer- 
dueri  Clos. 

Sono  degli  arbusti  sempre  verdi,  poco  diffusi,  ma  che  potrebbero 
essere  coltivati  più  estesamente  con  vantaggio,  per  le  loro  poche  esi- 
genze di  coltura  e  per  la  grande  produzione  di  frutti.  Nel  Madagascar, 
nel  Sudan  e  nel  Nord  Africa  sono  molto  coltivali.  Nell'Algeria  si  tro- 
vano dei  belli  esemplari  e  qualche  rara  pianta  la  troviamo  da  noi  nella 
Liguria.  Perla  resistenza  alle  siccità  più  ostinate,  sarà  raccomandabile 
la  loro  coltura  nella  Libia. 

Sono  piante  dioiche  perciò  i  fiori  maschili  si  trovano  sopra  piante 
diverse  da  quelle  sulle  quali  si  trovano  i  femminili.  Per  ottenere  una 
buona  fruttificazione  si  raccomanda  di  coltivare  queste  piante  a  gruppi 
in  cui  si  trovi  un  corrispondente  numero  di  piante  maschili. 

2.  Aberia  caffra  Hook  (fig.  695-696).  —  La  pianta  è  cespugliosa  ed 
arriva  a  4-5  metri  di  altezza.  Le  foglie  sono  rade,  coriacee,  lucenti, 
elittiche  e  piccole.  I  rami  secondari  si  convertono  in  spine;  per  questo, 
l'Aberia  caffra  può  servire  anche  per  fare  delle  ottime  siepi  vive. 

1  fiori  dioici  appajono  iu  maggio-giugno,  il  frutto  matura  in  agosto- 
settembre.  Le  piante  fruttificano  a  5  anni. 

L'Aberia  preferisce  i  terreni  sciolti,  ricchi  di  elementi  vegetali  quan- 
tuncjue  riesca  in  qualunque  terreno  purché  abbia  una  buona  espo- 
sizione a  mezzogiorno. 


—  997  — 

L'alberello  è  rusticissimo,  tollera  i  tagli  e  le  tosature. 

I  semi  somigliano  alle  granelle  della  pera,  perdono  presto  la  facoltà 
germinativa  e  quindi  bisogna  seminarli  subito,  in  terrine,  appena  rac- 
colti. Le  giovani  piantine  si  trapiantano  nel  secondo  o  terzo  anno,  in 
lebbrajo,  ed  il  loro  attecchimento  è  facile.  Le  piante  a  dimora  si    col- 


Fig.  695.  -  Aberia  caffra. 


locano  a  3  m.  di  distanza.  Per  formare  delle  siepi,  le  piante  si  collocano 
a  80  cm.  di  distanza. 

Il  frutto  è  una  bacca  globulosa,  liscia,  gialla,  della  grossezza  di  una 
susina  Regina  Claudia.  La  polpa  è  zuccherina,  acidula,  succosa,  profu- 
mata, non  tanto  piacevole  se  cruda.  E'  meglio  utilizzarla  cotta  in 
marmellata  colla  quale  si  preparono  dei  buoni  dolci. 

3.  Aberia  Gaerdueri  Clos.  —  Differisce  dalla  specie  precedente  per 
il  colore  del  frutto  che  è  rosso  porpora  pallido,  vellutato  e  poco  più 
grosso  di  una  susina  Mirabolana. 


—  yy8  - 

E'  originaria  dell'isola  di  Ceylan. 
Le  conviene  un  terreno  argilloso-siliceo. 
La  coltura  ed  usi  sono  identici  come  per  l'Aberia  caft'ra. 
4   Malattie  e  cause  nemiche.  —  La  Ceratis  hispanica  intacca  i  frutti 
come  (luelli  di  pesco.  Raccogliere  ogni  giorno   i    frutti   caduti  a  terra. 


ANONA 

(Anona  eherimolia  Lamark  —  Fani.  Anonacee) 

Nomi  volgari  —  Cerimoya,  Girinoia. 

Nome  volgare  straniero  della  pianta  —  Tranc.  :  Gherimolier;  Tedesco: 
Flaschenbauni;  Ing.:  Custard  apple-tree. 

Bibliografia  —  I.  Dybowski  —  Traile  pratique  des  cultures  tropi- 
cales  -  Paris  1902. 

1.  Origine.  —  Le  Anonacee  coltivate  sono  tutte  originarie  della  zona 
intertropicale  dell'Africa  e  dell'America.  L'Anona  eherimolia  è  origi- 
naria del  Perù  dove  la  si  coltiva  fino  a  1500  m.  di  altezza. 

2.  Diffusione  ed  importanza  della  coltura.  —  Delle  diverse  specie 
coltivate  per  il  frutto,  la  sola  Anona  eherimolia  è  quella  che  trova 
nel  litorale  settentrionale  dell'Africa,  il  calore  sufficiente  per  maturare 
i  suoi  frutti.  Piante  se  ne  trovano  coltivale  anche  a  Reggio  Calabria, 
ma,  per  esempio  a  Napoli,  soffrono  per  la  bassa  temperatura.  Nell'isola 
di  Madera  sono  abbastanza  diffuse. 

Questa  pianta  potrà  avere  importanza  nella  Libia,  in  località  ripa- 
rale, poiché  i  frutti  sono  veramente  pregevoli  ed  una  volta  fatti  cono- 
scere sui  nostri  mercati,  potranno  incontrare  il  favore  del  pubblico. 

3.  Caratteri  botanici  e  descrizione  della  pianta.  —  E'  un  alberetto 
di  5  a  6  metri  di  altezza,  con  fronda  (fig.  697)  divaricata  e  rami  pendenti, 
appuntiti  e  lunghi.  Le  foglie  sono  ovate,  ottuse,  intere,  leggermente  aro- 
maliche,  di  color  verde  intenso  con  leggera  peluria  sulla  pagina  infe- 
riore. Per  questo  carattere  si  distingue  dalle  altre  specie.  La  pianta 
perde  le  foglie  dopo  la  maturazione  del  frutto  verso  giugno,  sosti- 
tuendole con  altre  di  un  bel  color  verde  vivace. 

Fiori  bianchi,  solitari,  pendenti,  con  3  petali  e  3  sepali.  I  primi  sono 
verdi  al  di  fuori  e  bianchi  verso  l'interno.  Esalano  un  odore  aggrade- 
vole, che  ricorda  quello  del  fiore  della  Magnolia  fuscata.  Fiorisce  in 
luglio. 

Frutto  grande  quanto  una  grossa  pera,  cordiforme,  largo  a  fiasco 
alla  base  e  terminante  a  cono  appuntito  di  colore  verde,  che  poi  alla 
maturità  passa  al  grigio,  diventando  rosso  porpora  e  quasi  nero  a 
completa  maturazione,  (fig.  698)  La  superficie  è  scagliosa.  11  frutto  è 
costituito  di  molte  bacche  saldate  insieme  in  sincarpio,  liscio  di  fuori, 
ma  portante  altrettante  impressioni  quante  sono  le  bacche  che  lo 
compongono.  Buccia  abbastanza  grossa,  polpa  bianca,  butirrosa,  succosa. 


Fig.  696.  -.| 


ia  caffra. 


—  yui)  — 

di  sapore  dolce  soavissimo,  i)rofuiualo.  Il  frullo  può  raggiungere  il 
peso  di  500  grammi. 

I  semi  sono  numerosi,  rispondenti  al  numero  delle  bacche,  lisci, 
ovali,  lucenli,  di  colore  bruno-scuro. 

Fiorisce  come  ho  dello  in  luglio  quanlunque  in  Algeria  si  siano 
osservati  dei  fiori  anche  in  giugno.  Matura  i  suoi  frulli  durante  l'inverno 
fino  a  marzo  aprile.  Nell'isola  Giammaica  matura  dal  luglio  al  settembre 
e  nelle  isole  Canarie,  al  principio  dell'inverno. 


Fig.  697.  —  Albero  di  Anona  cherimolia. 


4.  Coltivazione.  —  L'anona  esige  una  località  calda,  un  buon  ter- 
reno fresco,  irrigabile. 

Moltiplicandosi  per  seme  si  sono  ottenute  in  Algeria  diverse  forme. 
Alcuni  alberi  sono  addirittura  sterili,  altri  danno  il  frutto  di  poco  valore. 

Il  Doti.  Trabul,  direttore  del  servizio  botanico  dell'Algeria,  fa  rile- 
vare specialmente  due  varietà:  una  col  frutto  verde,  grosso  e  liscio; 
l'altra  pure  con  frutto  grosso,  ma  più  conico  ed  a  superfìcie  scabra, 
tanto  che  venne  scambiata  coU'Anona  muricata. 


-   K)U()  - 

Secondo  il  Trabul,  in  Algeria  queste  Anone  maturano  in  novembre- 
dicembre  e  si  vendono  a  centesimi  30  e  persino  un  franco  per   frutto. 

La  coltivazione  della  anona  non  è  più  difficile  di  quella  delTarancio 
nell'Africa  settentrionale. 

Si  moltiplica  per  seme  e  la  germinazione  è  facile  in  aprile.  I  semi 
perdono  presto  la  facoltà  germinativa  e  quindi  si  affidano  al  semenzaio 


Fig.  698.  -   Fniltificazioiie  dcllAnona  cherimolia. 


appena  raccolti  i  frutti.  Per  le  piccole  piantagioni  si  semina  nei  vasi 
e  si  trapianta  col  pane  di  terra  all'età  di  2  anni. 

Dal  semenzaio,  quando  le  giovani  piantine  hanno  emesso  la  seconda 
foglia  si  trapiantano  sempre  col  pane  di  terra  alla  distanza  di  50  cm. 
Dopo  un  anno  si  piantano  a  dimora  in  primavera,  alla  distanza  di  34 
metri. 

L'albero  dà  raramente  una   fronda    Mtla,  avendo  i  rami,  divaricati. 


-  1001  — 

La  riproduzione  per  talea  è  difficile  e  bisogna  farla  nelle  serre. 

Frequente  e  invece  l'uso  di  innestare  a  spacco  i  soggetti  di  due 
anni  ottenuti  da  seme,  per  assicurarsi  la  varietà.  Si  può  innestare 
anche  sulla  Asiniina  triloba  (vedi  pag.  1002). 

Da  noi  l'anona,  quantunque  tolleri  qualche  grado  sotto  zero,  si 
può  coltivare  solo  contro  i  muri,  formando  delle  spalliere. 

La  pianta  comincia  a  fruttificare  nel  6'^  anno. 

I  frutti  si  raccolgano  quando  sono  ancora  verdi  e  duri,  una  setti- 
mana prima  che  compiano  la  maturazione.  In  tale  stato  si  possono 
spedire.  11  frutto  però  non  si  deve  consumare  che  a  maturazione  perfetta 
diversamente  è  spiacevole. 


Fig.  699.  —  F'rutlo  e  sezione  del  frutto  dell'Anona  reliculata. 

La  polpa  si  mangia  come  quella  delle  pere  e  si  digerisce  facilmente. 
Secondo  Sagot,  si  può  preparare  anche  un  liquore. 
Durin  ha  trovato  che  la  polpa  contiene  : 


67.8   %  di  acqua 
9.4    7o  di  saccarosio 
11.75  7o  di  glucosio 

5.  Altra  specie  di  Anona.  L'Anona  reliciilala  L.,  coi  frutti  a  forma 
(li  cuore  (fig.  699);  VAiiona  miiricaia  L.  con  frutti  verdi  ed  a  superficie 
mammeilonata  (fig.  700);  V Anona  sqnamosa  L.  (fig.  701)  con  frutti  ovi- 
formi, scagliosi.  Ha  le  foglie  liscie,  oblunghe,  verniciate  un  po' glauche 
al  di  sotto.  11  frutto  è  chiamato  pomo  di  cannella. 


-   1UU2  — 

Tulle  queste  specie  danno  Irutti  eccellenti  nella  zona  intertropicale 
ma  da  noi  e  sul  litorale  Libico,  non  si  possono  coltivare  che  in  loca- 
lità eccezionalmente  calde  e  riparate. 

l.'Anona  cinerea  Dem.  dà  pure  dei  frutti  eccellenti  ed  è  meno  esi- 
gente pel  clima.  Ha  un  frutto  molto  voluminoso,  con  buccia  a  scaglie 
butirrosa,  delicatamente  profumata. 


Fig.  700. 
Frutto  e  sezione  del  frutto  dell'Anona  imiricata. 


g.  701. 
Frutto  di  Anona  squamosa. 


6.  Malattie  e  cause  nemiche.  —  Le  foglie  vengono  sovente  colpite 
da  un  fungo,  Ascoclujta  cheriinoliac  Thom.,  che  produce  delle  chiazze 
irregolari  brune  e  nel  mezzo  grigie,  sulle  quali  poi  più  lardi  appaiono 
dei  puntini  neri. 


ASIMINA 

(Asimina  triloba  l)ur.  —  Fani.  Anuiuiccc). 


Nome  volgare  straniero  della  pianta  —  Frane:  Asiminien. 

Bibliografìa  —  Gh,  Rivière  e  H.  Lecq.  —  Cultures  du  Midi  —  Paris 
1906. 

1.  Origine  e  descrizione.  —  È  una  pianta  rusticissima,  originaria 
della  Pensilvania  (Stati  Uniti).  È  l'antica  specie  Anona  triloba  del  Linneo. 

All)ero  con  portamento  simile  a  quello  di  una  magnolia,  di  3  a  4  m. 
di  altezza,  a  foglie  caduche,  oblunghe,  cuneiformi,  di  color  verde  gaio, 
che  appaiono  contemporaneamente  ai  fiori  in  primavera.  I  fiori  sono 
pendenti,  belli,  grandi,  bruni  o  rosso  nerastri.  Fioritura  in  aprile-maggio 
ed  i  frutti  maturano  in  settembre  ottobre. 

I  frutti  persistono  sulla  pianta  anche  dopo  cadute  le  foglie.  Hanno 
l'aspetto  del  frutto  del  banano,   lunghi  5-8   cm.   giallo   pallidi,   lisci,   a 


—  1003  — 

buccia  sottile  e  mollo  odorosa.  Ad  ogni  peduncolo  si  trovano  attaccati 
da  3  a  5  frutti.  La  polpa  è  bianco  giallastra,  molle,  pastosa,  zuccherina, 
piacevolmente  profumata  ;  ricorda  il  profumo  dell'  albicocca.  Contiene 
4-7  semi,  grossi,  ovali,  appiattiti,  lisci  e  bruni. 

2.  Coltivazione.  —  In  Algeria  si  coltiva  con  successo  l'Asimina  e 
cosi  pure  nei  dintorni  di  Nizza  ed  in  piena  terra. 

Richiede  un  terreno  soffice,  fresco  e  non  umido. 

Le  radici  sono  striscianti  ed  emetteno  dei  polloni  fruttiferi  sulle 
radici  sui  quali  si  possono  innestare  le  Anone. 

Si  moltiplica  anche  per  seme  in  vasi  in  autunno  ;  i  semi  perdono 
presto  la  facoltà  germinativa. 


BANANO 

(Musa  Linn,  —  Fani.  Miisacee). 

Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Musa  per  eccellenza,  Banano, 
Fico  d'Adamo. 

Nome  volgare  italiano  del  fratto  —  Banano. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane  :  Bananier  —  Ted.  :  Ba- 
nane —  Ingl.  :  Banantree. 

Bibliografia  —  Ch.  Rivière  e  H.  Lecq.  —  (^ultures  du  Midi  —  Paris 
1906.  —  I.  Dubowski  —  Traité  pratique  des  cultures  tropicales  —  Paris 
1002. 

1.  Origine.  —  Il  banano  cresce  spontaneo  nell'Asia  meridionale  e 
da  qui  deve  essersi  diffuso  come  le  razze  dell'uomo,  nell'Africa  ed  in 
America,  dove  costituisce  per  alcune  regioni  la   coltura    fondamentale. 

2.  Specie  botaniche  coltivate.  —  Dal  punto  di  vista  colturale,  noi 
possiamo  aggruppare  senza  inconvenienti  le  varietà  coltivate  del  ba- 
nano in  tre  forme  tipiche  :  Musa  sapientium,  Musa  paradisiaca  e  Musa 
chinensis  o  Cavendishii  (Lamb.). 

1.  Musa  sapientium  L.  o  Fico  d'Adamo,  ha  i  frutti  piccoli,  con 
stipo  alto. 

2.  Musa  paradisiaca  L.  (fig.  702)  è  pure  un  banano  allo  con  dei 
regimi  enormi,  composti  di  frutti  grossi,  che  nelle  regioni  tropicali 
vengono  consumati  cotti  come  i  legumi  quando  sono  verdi,  e  maturi 
offrono  un  eccellente  cibo,  facilmente  digeribile. 

3.  Musa  Cavendishii  Lamb.  con  fusto  molto  grosso  e  relativamente 
corto  (m.  1.50).  Frutti  allungati,  cilindrici  con  regime  portante  fino  a 
200  frutti  (fig.  703). 

I  frutti  che  vengono  portati  sui  nostri  mercati  appartengono  a  questa 
specie,  così  pure  quelli  che  vengono  coltivati  in  Europa,  nella  Cire- 
naica, nella  Tunisia,  Algeria,  Marocco,  al  Capo  Verde,  a  Madera  e  nelle 
isole  Canarie. 


10U4  — 

3.  Caratteri  botanici.  —  Il  banano  è  una  pianta  erbacea  gigan- 
tesca, distinta  per  la  maestà  delle  forme  e  per  le  dimensioni  delle 
foglie. 

Ha  un  rizoma  corto  ed  un  fusto  ai)parente,  risultante  dalla  riunione 
della  guaina  delle  foglie,  conico,  alto  da  3  a  6  m.  Esso  termina  con  un 
ciulfo  di  foglie  molto  grandi,  lunghe  m.  2  a  4,  larghe  fino  mezzo  metro, 
con  picciolo  di  1  m.  e  più,  elittico-allungato,  con  la  lamina  leggemente 
scorrente  lungo  il  picciolo,  un  poco  ondulate,  glabre.  Quando  sono  vec- 
chie si  strappano  facilmente  per  traverso,  all'urto  dei  venti. 

Da  questo  ciuffo  sorge,  al  tempo  della  fioritura,  uno  scapo  pube- 
scente, di  5  a  6  cm.  di  diametro,  terminato    da    un  grappolo  pendente, 


Fig.  702.  —  Musa  paradisiaca. 


lungo  1-2  m.  Esso  porta  una  ventina  di  brattee  ovali-allungate,  acute, 
di  color  rosso  porporino,  coperte  all'esterno  da  un  pulviscolo  bianco 
farinoso;  dall'ascella  di  queste  brattee  sorgono  altrettanti  fiori. 

I  fiori  sono  giallicci,  irregolari,  con  sei  stami  dei  quali  uno  sterile, 
ridotto  a  staminodio  petaloideo.  Il  gineceo  ha  tre  pistilli,  con  gemmu- 
lario  infero,  dal  quale  deriva  un  frutto  bislungo  della  forma  di  un  ce- 
triolo triangolare,  diviso  in  tre  logge  polisperme,  contenente  una  polpa 
carnosa  e  nutriente. 

L'insieme  dell'infiorescenza  costituisce  il  regime  del  banano.  Cia- 
scun grupo  di  fiori  riuniti  dentro  la  brattea  forma  un  insieme  di  frutti 
chiamati  mano,  che  uniscono  3,  4  fino  20   frutti.    Un   regime    non   può 


-  1005  — 

portare  più  di  3  o  4  mani,  meno  nelle  varietà  molto  fruttifere,  che  ne 
possono  contare  lino  a  12  o  14. 

Il  frutto  del  banano  dapprima  è  verde,  a  maturazione  diventa  giallo 
e  quando  comincia  ad  annerirsi,  cade  dall'albero. 

Dalla  grossezza  del  frutto,  dalle  qualità  della  polpa,  dal  loro  nu- 
mero sui  regimi,  si  basa  la  distinzione  delle  forme  coltivate. 

Nei  paesi  originari  fruttifica  nel  secondo  anno  di  vita  e  poi  pe- 
risce, mentre  nelle  nostre  serre,  la  mancanza  di  calore  gli  fa  ritardare 
la  frutliiìcazione  lino  al  terzo  e  quarto  anno,  ed  è  per  questo  che  da 
noi  assume  l'aspetto  di  un  albero. 


Fig.  703.  —  Musa  Cavendishii. 


4.  Diffusione  e  importanza  della  coltivazione.  —  La  coltivazione 
del  banano  per  il  fruito  nelle  nostre  provincie  meridionali  è  una  ecce- 
zione. Sulle  coste  settentrionali  dell'Africa,  quantunque  rado,  si  trova 
all'ultimo  limite  della  sua  vegetazione.  Esso  dà  qualche  risultato  eco- 
nomico in  vicinanza  delle  città  come  a  Tunisi,  Tripoli,  nella  Cirenaica, 
e  la  sua  coltura  si  potrà  estendere  in  zone  limitate. 

Difatti  i  regimi  di  banano  che  si  ottengono  nel  nord  Africa  non 
raggiungono  lo  sviluppo  e  la  fragranza  di  quelli  che  ci  vengono  man- 
dati dall'America  e  dalle  isole  Canarie. 

Il  banano  in  Italia  riesce  a  dare  dei  frutti  all'aria  libera  soltanto  in 
Sicilia.  Nelle  altre  regioni  calde,  ha  bisogno  di  essere  piantato  in  loca- 
lità riparate  o  contro  i  muri  e  durante  l' inverno  bisogna  proteggerlo 
dal  freddo. 


-  1006  - 

5.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Esige  un  clima  caldo  ed  una 
costante  umidita  dell'aria.  Per  la  coltivazione  in  grande  e  per  la  pro- 
duzione di  frutta  da  dessert  occorre  una  media  annuale  di  temperatura 
di  26''-27«  C.  con  piogge  prolungate  e  regolarmente  distribuite.  Questo  si 
ha,  non  allontanandosi  dalla  latitudine  di  30o-31  N.  o  S.  e  dai  1000  a 
2000  m.  di  altitudine.  Sono  da  preferirsi  le  pianure  umide,  vicine  al 
mare  riparate  dai  venti  ed  irrigabili. 

Nel  bacino  del  Mediterrano,  la  sua  coltura  è  possibile,  non  perù 
per  produrre  delle  frutta  scelte,  nelle  località  dove  la  temperatura  media 
annuale  è  fra  i  14°  e  20°  C  ed  ove,  col  più  grande  freddo  d' inverno,  la 
temperatura  non  discende  al  di  sotto  di  2°  C. 

Da  noi  nella  Liguria,  raramente  il  frutto  raggiunge  all'aperto  la 
completa  maturazione. 

Nella  Somalia  italiana,  nella  Libia  (specialmente  nella  Cirenaica)  si 
potrà  dare  una  certa  estensione  a  questa  coltura  come  si  fa  in  Algeria, 
scegliendo  delle  bassure  umide,  calde,  irrigabili  e  riparate  dai  venti 
con  piantagioni  di  alberi  o  con  stuoie. 

6.  Terreno.  —  È  poco  esigente  per  la  natura  del  terreno,  poiché 
prospera  tanto  nei  terreni  argillosi,  calcari  o  silicei  purché  siano  fertili, 
permeabili,  profondi  e  ricchi  specialmente  di  materie  azotate.  Predilige 
però  i  terreni  ricchi  di  potassa,  argilloso-silicei  calcari  o  quelli  ottenuti 
per  dissodamento  dei  boschi,  suscettibili  di  irrigazione  nell'estate  ma 
che  d'inverno  non  trattengono  l'acqua. 

Il  terreno  deve  essere  poi  privo  di  altri  alberi.  Se  il  banano  potesse 
vivere  consociato  alla  palma,  il  problema  della  coltivazione  del  deserto 
sarebbe  risolto.  Il  banano  esige  molta  aria  libera,  piuttosto  umida,  sole 
e  freschezza  nel  terreno. 

7.  Moltiplicazione.  —  La  moltiplicazione  si  fa  quasi  esclusivamente 
a  mezzo  dei  rampolli  che  la  pianta  produce  in  abbondanza,  quando  è 
adulta. 

Quando  un  fusto  ha  portato  frutto,  ha  anche  compiuto  il  suo  ciclo 
vegetativo  e  quindi  perisce.  La  pianta  però  essendo  vivace,  rimette  dei 
polloni  al  piede,  dei  quali  appunto  ci  si  serve  per  le  nuove  piantagioni. 

Per  la  moltiplicazione  é  bene  servirsi  dei  polloni  ben  sviluppati 
aventi  almeno  m.  1.50  di  altezza  e  raccolti  dalle  piante  che  si  ap- 
prossimano a  portare  il  frutto.  Se  invece  si  ha  da  spedirli  lontano,  con- 
viene utilizzare  i  rampolli  quando  hanno  appena  la  dimensione  di  un 
grosso  bulbo  e  ciò  avviene  quando  il  fusto  non  é  ancora  formalo. 
Allora  tagliando  il  fusto  poco  al  di  sopra  di  questo  rampollo,  esso  emette 
all' ingiro  altri  rampolli  che  si  distaccano,  di  mano  in  mano  che  rag- 
giungono la  lunghezza  di  3  a  4  m.  In  questo  modo  da  ogni  pianta  si 
possono  ricavare  in  poche  settimane  15  a  20  piante. 

Nelle  condizioni  ordinarie  di  coltura,  conviene  tagliare  i  rampolli 
ad  1  m.  di  altezza  tagliando  anche  le  foglie  e  si  piantano  nel  terreno 
a  dimora  a  m.  3  di  distanza  per  tutti  i  lati.  In  2  o  3  settimane  i  fusti 
hanno  già  emesso  le  radici  e  cominciano  a  comparire  le  nuove  foglie. 


—  1()()7  - 

8.  Coltivazione.  —  L'impianto  si  fa  nel  nord  Africa  dal  15  aprile 
alla  fine  di  maggio,  nel  terreno  lavorato  profondamente. 

Alla  distanza  di  3  m.  o  3.50  in  quadro  si  fanno  delle  buche  profonde 
60  cni.  un  po'  sollevate  sul  fondo,  dove  si  collocano  due  piantine  di 
banani  una  accanto  all'altra,  una  più  piccola  l'altra  più  grande  e  tutte 
due  sprovviste  di  foglie.  Si  colma  la  fossa  con  terriccio  e  si  copre  poi 
con  terra  sino  a  10  cm.  sopra  il  punto  d'inserzione  delle  radici,  Si  la- 
scia una  cunetta  intorno  alla  pianta  perchè  trattenga  l'acqua  di  irriga- 
zione e  si  spande  anche  del  letame  sulla  cunetta  perchè  il  terreno  non 
abbia  ad  inaridirsi. 

Appena  fatto  l'impianto  bisogna  irrigare.  A  tale  scopo,  le  cunette 
si  mettono  in  comunicazione  con  un  fossatello  irrigatore,  che  si  fa 
nel  mezzo  fra  una  fila  e  l'altra. 

Dopo  due  mesi,  le  piantine  cominciano  a  gettare  dei  polloni.  Allora 
delle  due  piantine  si  lascia  la  migliore,  ed  a  questa  si  lasciano  due 
soli  polloni,  i  migliori  e  più  distanti  l'uno  dall'altro. 

Negli  anni  successivi  se  ne  lasciano  invece  quattro  ma  non  più. 

La  coltivazione  è  semplice. 

Una  zappatura  in  primavera,  rifacendo  le  cunette  attorno  le  piante 
ed  i  fossatelli  di  irrigazione,  qualche  sarchiatura  per  estirpare  le  erbe, 
sono  operazioni  indispensabili.  Non  si  deve  mai  fare  alcuna  coltura  in- 
tercalare. 

Il  banano  è  molto  esigente  per  la  concimazione  e  lo  stallatico  ed  il 
terriccio,  sono  i  concimi  più  convenienti. 

Il  Dugast,  della  Stazione  agraria  di  Algeri,  ha  calcolato  che  i  re- 
sidui di  fusti  e  foglie  che  si  possono  interrare  ai  piedi  delle  piante 
ogni  qualvolta  si  abbattono  ammonta  al  peso  di  30  tonn.  circa  per  et- 
taro contenti  : 

Azoto Kg.  120 

Anidride  fosforica „      50 

Potassa ,,670 

Calce 330 

Questa  concimazione  però  non  è  sufficiente  e  conviene  dare  dello 
stallatico  in  ragione  di  Kg.  .'ÌO  per  pianta,  scalzandola  a  30  cm.  di  pro- 
fondità e  correggendo  lo  stallatico  con  500  gr.  di  solfato  o  cloruro  pò 
tassico. 

È  meglio  concimare  ogni  anno  al  piede  che  distribuire  il  concime 
su  tutto  il  terreno,  perchè  il  banano  ha  radici  poco  estese. 

I  concimi  fosfatici  hanno  un  grande  efl'etto  per  la  fruttificazione. 

La  coltivazione  però  del  banano  non  è  possibile  dove  non  si  può 
sussidiarla  colla  irrigazione. 

In  Egitto  occorrono  m.^  100  di  acqua  per  settimana  e  per  ettaro 
durante  l'estate  e  di  autunno  m.^  50.  In  gennaio  non  si  irriga  ;  in  feb- 
braio una  sola  volta.  L' irrigazione  si  rallenta  quando  i  frutti  sono 
prossimi  alla  maturazione. 


-  1008  — 

Alla  fine  di  certi  inverni  ventosi  non  rimangono  che  poche  foglie 
o  del  loro  lembo  qualche  brandello. 

Nel  giardino  sperimentale  di  Algeri,  i  regimi  vengono  protetti  du- 
rante r  inverno  da  una  foglia  di  lalania  che  viene  legata  al  fusto. 

Nelle  seri'e,  il  banano  non  riesce  bene  e  fruttifica  poco. 

Nelle  Canarie  e  nella  Guinea,  la  pianta  del  banano  si  sviluppa  in 
4  mesi,  in  Egitto  in  5  La  piantina  che  fu  collocata  a  dimora  dà  di  so- 
lito dei  frutti  imperfetti  ed  i  frutti  migliori  si  hanno  dai  polloni  sorli 
al  suo  piede  i  quali  fruttificano  dopo  9  mesi  dall'impianto.  Ne  avviene 
quindi,  che  facendo  l'impianto  in  marzo,  in  agosto  si  hanno  i  polloni 
in  fioritura  ed  in  novembre  (90  giorni  circa  dopo  la  fioritura)  si  là  il 
raccolto. 

Appena  raccolto  il  frutto,  si  recide  la  pianta  al  piede,  lasciando  i 
polloni  alla  base.  Questi  opportunamente  diradati,  dopo  4  mesi  frutti- 
ficano in  modo  che  in  un  anno,  si  possono  fare  3  raccolti.  Nelle  piante 
giovani  si  lasciano  soltanto  2  polloni  per  avere  dei  regimi  molto  ca- 
richi di  frutta  e  dopo  qualche  anno  se  ne  lasciano  al  massimo  4, 
sempre  proporzionatamente  alla  fertilità  del  terreno. 

Piantando  1000  banani  per  ettaro  si  hanno  quindi  3000  regimi  al- 
l'anno, del  peso  medio  di  Kg.  20  portanti  in  media  160  frutti.  Si  arriva 
perciò  al  considerevole  prodotto  di  Kg.  60.000  ossia  di  N.  480.000  frutti. 

La  durata  della  piantagione  è  di  6  a  15  anni;  e  dipende  molto  dalla 
feracità  del  terreno,  dalla  concimazione  e  dalla  mondatura  costante 
della  pianta  tagliando  i  polloni  inutili. 

9.  Raccolta  ed  impiego  dei  frutti.  —  I  frutti  del  banano  si  possono 
raccogliere  tutto  l'anno  e  sono  più  o  meno  abbondanti  secondo  la  sta- 
gione. 

Si  recidono  i  frutti  quando  hanno  raggiunto  il  loro  completo  svi- 
luppo e  quando  cominciano  ad  ingiallire  ed  i  rispettivi  angoli  longitu- 
dinali acquistano  una  certa  convessità. 

Ma  sovente  e  specialmente  d' inverno,  si  anticipa  il  raccolto  e  si 
fanno  maturare  i  frutti  appendendoli,  in  un  locale  chiuso,  asciutto 
e  caldo,  tenuto  al  buio. 

La  spedizione  bisogna  farla  in  tempo  opi)ortuno  perchè  i  frutti 
arrivino  a  destinazione  maturi.  D' estate  si  alterano  presto  ;  d' in- 
verno bisogna  spedire  i  frutti  che  hanno  già  acquistato  una  colora- 
zione gialla. 

Si  spediscono  i  regimi  completi,  opportunamente  liberati  dalle 
brattee  e  dai  frutti  contusi,  avvolti  in  ovatta  e  quindi  in  carta,  rac- 
chiusi ciascuno  in  una  gabbia  di  legno  od  in  panieri.  Bisogna  evitare 
le  contusioni  fra  i  frutti,  perchè  nei  punti  colpiti  anneriscono. 

Giunti  alla  destinazione,  bisogna  allontanare  subito  i  frutti  avariati 
e  conservare  gli  altri  in  ambiente  secco  e  caldo. 

I  banani  si  prestano  a  vari  usi.  La  maggior  parte  dei  frutti  si  con- 
suma cruda  per  dessert.  Per  questo  consumo  che  va  sempre  più  au- 
mentando; l'importazione  dei  banani  ha  preso  un  grande  sviluppo  ed 


—  1009  — 

acquista  sempre  maggiore  importanza  tanto  per  l'Europa  che  per  l'Ame- 
rica settentrionale. 

Di  fatti  coi  banani  si  possono  fornire  le  mense  per  tutto  il  tempo 
dell'anno;  se  si  tratta  di  varietà  poco  zuccherine,  si  cuociono. 

I  frutti  che  non  si  arrivano  a  vendere,  si  sogliono  disseccare,  espo- 
nendoli prima  al  sole  per  un  paio  di  giorni  ossia  lino  a  quando  la 
buccia  comincia  ad  aggrinzire.  Quindi  si  sbucciano  con  un  coltello  non 
ossidabile  (di  legno,  di  osso)  i)er  non  alterare  il  gusto,  e  tagliati  i  frutti 
a  dischi  o  lasciati  interi  si  essiccano  al  sole  od  in  essiccatoi  in  modo 
che  lo  zucchero  cristallizza  alla  superficie.  Si  imballano  quindi  in  cas- 
selle,  della  capacità  di  2-3  kg.  di  frutta,  avvolti  in  foglie  di  banana. 

Coi  banani  secchi  si  può  fare  una  farina  lattea,  ed  allora  i  banani 
non  devono  contenere  più  5-10  7o  di  acqua  mentre  i  banani  secchi  or- 
dinari ne  contengono  25-30  7o- 

Dalle  frutta  mature  si  ricavano  19.1  %  di  frutta  secche  contenenti 
il  50  %  di  umidità. 

Le  banane  secche  da  mensa  devono  conservare  il  loro  gusto  ed 
aroma,  essere  molli  e  non  appiccicaticele.  Si  possono  anche  candire 
come  le  banane  fresche. 

Altro  mezzo  di  utilizzare  i  frutti  è  quello  di  schiacciare  la  polpa  e 
farla  fermentare  per  ottenere  poi  una  specie  di  vino  di  banano  od  anche 
l'acqiuwile  di  banano. 

Di  farina  se  ne  ricava  il  9-10  7o  del  peso  dei  regimi  ed  ha  la  se- 
guente composizione  : 

Amido 52.900 

Cellulosa 8.290 

Sostanze  gommose  e  pccliche 8.180 

Glucosio 6.820 

Materie  estrattive 5.(500 

Sali  mineiali 3.— 

Sostanze  albuminoidi 2.801 

Grassi 1.— 

Sostanze  resinose 0.400 

Acqua 11  — 

Colla  farina  di  banana  si  può  preparare  amido,  sagù,  zucchero, 
bevande. 

Da  60  frutti  di  banano  si  ricavano  2  litri  di  acquavite.  Da  20  litri 
di  mosto  si  ricavano  3  litii  di  alcool  71-5". 

Oltre  come  frutto,  le  banane,  specialmente  la  buccia,  si  può  utiliz- 
zare per  foraggio.  Anche  la  buccia  si  dissecca. 

Degli  steli  recisi  si  può  estrarre  una  filaccia.  Disseccati  e  macinati 
possono  servire  da  foraggio. 

Nei  piroscafi  muniti  di  frigoriferi,  per  spedire  i  banani,  si  tengono 
ad  una  temperatura  di  4.4-7.2"  C. 

64  —  Tam.\uo  -  Frutticoltura. 


-  1010  - 

Nei  magazzini  di  conservazione,  per  raggiungere  la  maturazione, 
occorre  una  temperatura  non  inferiore  a  10"  C. 

10.  Malattie.  —  Sul  banano,  si  sono  riscontrate  fino  ad  ora,  due 
crittogame  parassite:  il  Coniothijriuin  Gaslonis  ed  il  Gleosporiiim  Miisarm. 
11  primo  produce  delle  macchie  brune  sulle  foglie  ed  il  secondo  sui 
fruiti. 

Le  radici  i)ossono  essere  danneggiate  da  un  nematode:  Hclorodera 
radicicola  che  le  può  far  marcire  Si  combatte  iniettando  nel  terreno 
del  solfuro  di  carbonio. 


EUGENIA 

(Eugenia  sp.  Fam.  Mirlacee). 

Nome  volgare  italiano  della  pianta   —  Jambolano. 
Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Francese:  Jamrose,  Jambosa, 
Pomme  rose  —  Tedesco:  Jambuse  —  Inglese:  Rose  Apple. 

1.  Generalità.  —  A  questo  genere  appartengono  degli  alberi  od 
arbusti,  i  cui  frutti  globulosi  od  ovoidali  aromatici,  sono  gradevoli. 
Da  noi  in  Italia  queste  piante  sono  poco  diffuse.  Si  coltivano  in 
serre  ed  a  Napoli  anche  all'aria  libera,  purché  a  spalliera  e  riparate 
da  un  muro.  Richiedono  una  buona  terra  da  giardino,  ricca  di  umus  e 
con  frequenti  annaffiature.  Le  cure  di  coltivazione  sono  identiche  a 
quelle  degli  agrumi.  Si  moltiplicano  per  seme,  per  talea  in  serre  e  per 
margotta.  Nell'Algeria  e  Tunisia  son  abbastanza  diffuse. 

2.  Specie.  —  Si  hanno  le  seguenti  specie  importate  in  Europa: 

1.  Eugenia  myrtifolia  (E.  australis  Wendl).  Chiamata  Mortella  del- 
l'Australia, perchè  proveniente  di  là. 

È  arbusto  tendente  ad  alberetto,  sempre  verde,  piccolo  (2  o  3 
metri)  a  foglie  lanceolate,  acute,  lunghe  circa  4  centimetri,  lucide.  I  suoi 
frutti  sono  bacche  rosse,  ovoidali  o  piriformi,  dolci,  acidule  ed  abba- 
stanza aggradevolì  (per  la  Sardegna  inferiori  al  mirto).  La  pianta  è 
anche  ornamentale. 

Resiste  bene  nei  terreni  secchi,  si  sottopone  a  potatura.  Fiorisce  in 
ottobre-novembre  e  matura  i  frutti   nell'inverno  a   periodi    successivi j 

Si  riproduce  per  seme  nelle  serre,  utilizzando  i  semi  non  più  tardi 
di  2  anni  dopo  che  si  è  utilizzato  il  frutto.  Il  seme  germina  in  5  set- 
timane e  le  piantine  si  collocano  a  dimora  dopo  il  secondo  anno.  Si 
può  anche  moltiplicare  per  talea  semierbacea  in  serra  temperata  nel 
mese  di  giugno. 

Si  trova  di  frequente  nei  giardini  di  Napoli,  Nizza  e  Tunisia.  Coi 
suoi  frutti  si  fa  il  cosidetto  vino  di  mirto  ed  i  fiori  vengono  venduti  per 
ornamento,  sotto  il  nome  di  Mirto  sempreverde  (Myrtes  toujours  verts. 

2.  Ciliegio  di  Cajenna  (Eugenia  Michela  Lamk.).  —  Francese:  Ce- 
risier  de  Cayenne  o  Cerise  carrée  (fig.  704). 


-  1011  - 

Proviene  dal  Brasile  ed  ora  è  molto  diffuso  in  Algeria   e   Tunisia. 

È  un  alberello  con  fusto  diritto,  che  può  arrivare  a  tre  metri  di 
altezza;  a  rami  gracili,  numerosi,  formanti  un  cespuglio  arrotondato,  di 
facile  coltura. 

Le  foglie  sono  lunghe  3-4  cm.,  persistenti,  opposte,  di  colore  verde 
cupo  che  arrossano  in  autunno,  con  picciolo  sottile  e  breve,  ovali,  leg- 
germente acute,  intere,  ondulate,  molto  liscie  e  lucenti.  Le  stipole  sono 
piccole  e  caduche. 

Fiori  bianchi  riuniti  a  cima,  con  peduncoli  fragili,  un  po'  più  corti 
delle  foglie,  ermafroditi;  calice  con  4  petali  bianchi,  oblunghi,  più 
grandi  dei  sepali,  numerosi,  gialli. 

11  frutto  è  una  bacca  di  un  bel  color  rosso  vivo,  della  grossezza 
di  una  grossa  ciliegia  (25  mm.),  costoluta  in  8  o  10  parti  e  portata    da 


Fig.  704.  —  Eugenia  Micheli!. 


Fig.  705.  Eugenia  .lanibosa. 


un  peduncolo  lungo  2-3  cm.  La  polpa  è  rossa,  succosa,  consistente, 
rinfrescante,  profumata,  acidula  cosi  da  ricordare  il  ribes.  Contiene 
uno  o  due  noccioli. 

Questo  frutto  non  è  da  tutti  gradito,  per  il  suo  profumo  e  per  la 
sua  acidità. 

I  frutti  sono  talvolta  solitari,  altre  volte  uniti  a  due  o  tre  e  matu- 
rano successivamente  nei  mesi  giugno  e  luglio. 

La  coltura  di  questa  pianta  è  facile. 

Si  riproduce  facilmente  per  seme  il  quale  mantiene  abbastanza  a 
lungo  la  facoltà  germinativa.  Si  semina  in  terra  e  le  piantine  si  tra- 
piantano in  vaso  od  anche  in  terra,  all'età  di  4-5  mesi. 


-    1012  - 

L'impianto  a  dimora  si  fa  nell'autunno  successivo,  collocando  le 
piante  alla  distanza  di  2  metri  per  tutti  i  lati.  La  fruttificazione  comincia 
nel  terzo  e  talvolta  nel  secondo  anno. 

L'arbusto  è  molto  coltivato  nelle  Antille. 

3.  Eugenia  Ugni  Hook.  —  Francese:  Goyavier  du  Chili. 
Arbusto  cespuglioso,  sempreverde,  con  fiori  bianco  rosei.   Fiorisce 

in  marzo-aprile.  Frutti  rossi,  globosi,  simili  ad  una  azzeruola;  polpa 
zuccherina,  liquescente,  con  retrogusto  resinoso.  E  una  bellissima  pianta 
ornamentale  che  si  trova  abbastanza  di  frequente  nella  Provenza.  Come 
albero  fruttifero  è  di  mediocre  riuscita  perchè  soffre  delle  siccità 
prolungate. 

4.  Jambosa  volgare  {Eugenia  Jambosa  Linn.)  —  (fig.  705). 
Importato  dalle  Indie,  questo  albero  elegante  arriva  da  4  a  6  metri 

di  altezza,  con  foglie  grandi  lanceolate,  persistenti,  coriacee.  Fiori 
bianco-giallognoli,  uniti  in  panocchia,  a  stami  lunghi,  formano  delle 
nappe  leggere   di    bell'effetto.   Fiorisce   in    marzo-aprile. 

I  frutti  sono  bacche  del  diametro  di  25-50  mm.,  sormontate  come 
nella  nespola  da  4  lobi  del  calice. 

La  forma  è  ovoidale  o  piriforme  della  grossezza  di  una  noce. 
Sono  giallastri,  leggermente  rosati  dalla  parte  del  sole  e  con  involucro 
quasi  secco. 

II  frutto  è  molto  stimato  per  la  polpa  molto  dolce,  abbastanza 
consistente,  che  lascia  in  bocca  una  fragranza  di  rose.  Matura  dal 
giugno  all'agosto.  Si  mangia  come  le  nespole  del  Giappone  e  con  esso 
si  fanno  conserve  e  liquori. 

Nell'Algeria  e  nella  bassa  Provenza  matura  perfettamente;  a  Napoli 
si  trova  in  molti  giardini  allevato  a  spalliera.  Del  rimanente  si  coltiva 
nelle  serre  come  i  limoni,  ma  molto  più  di  questi  richiede  dei  fre- 
quenti annaffiamenti  durante  l'estate. 

D'inverno  l'umidità  gli  è  nociva. 

Si  moltiplica  per  semi,  che  si  seminano  appena  che  i  frutti  matu- 
rano. Nelle  serre  si  può  moltiplicare  anche  per  talea.  I  semi  germinano 
circa  dopo  un  mese  e  le  piante  si  collocano  a  dimora  dopo  2  a  3  anni. 
L'albero  entra  in  fruttificazione  fra  il  sesto  a  1'  ottavo  anno  d' età  od 
anche  più  presto. 

5.  Eugenia  Jambolana  Lamk.  —  Francese:  Jàmelongue. 
Proviene  anche  questa  specie  dalle  Indie.    È    un    albero   fruttifero 

molto  bello,  alto  m.  1(5-18,  ornamentale  per  le  sue  magnifiche  foglie 
disposte  a  mazzetti,  molto  grandi,  (8-16  cm),  ovali,  persistenti  e  coriacee. 
Fiori  bianchi  uniti  in  pannocchia,  odorosi. 

Nel  giardino  di  Hamma  ad  Algeri  vi  ha  un  albero  alto  15  metri 
che  si  distende  a  guisa  di  ombrella. 

II  frutto  è  inferiore  per  qualità  a  quello  del  pero  delle  Indie,  è 
piriforme,  lungo  3  cm.,  di  color  rosso  vinoso  che  diventa  nero  a  matu- 
razione. Matura  dall'ottobre  al  gennaio. 

La  polpa  è  zuccherina,  acidula. 


lUlo  — 

Vegeta  molto  bene  nei  climi  temperati  e  si  coltiva  come  la  Jambosa, 
soltanto  si  pianta  a  maggiore  distanza  e  si  scelgono  terreni  più  pro- 
fondi e  fresclii. 

3.  Malattie  e  cause  nemiche.  —  Si  possono  notare  delle  macchie 
iuligginose  sulle  foglie,  dovute  ad  una  fumaggine.  Capnodiiim  Eiigenia- 
riiin  Gook. 


FEIJOA 

(Feijoa  sellowiana  Berg.  —  Fani.  Mtjrtacee). 

Lelteralura  —  I  Dybowski  -  Traile  pratique  des  cultures  tropicales. 
—  Paris  1912. 

1.  Origine  della  pianta.  —  Questo  alberello  è  stato  introdotto  in 
Europa  da  E.  André,  professore  nella  scuola  di  orticoltura  dì  Versailles. 
Lo  importò  dalla  Piata,  ma  il  paese  d'origine  di  questa  pianta  è  il 
Brasile  australe  e  ^Uragua5^ 

La  sua  coltivazione  esperimentata  nella  Francia  meridionale  è 
pienamente  riuscita  e  quindi  si  potrà  estendere  anche  da  noi  e  nella 
Libia. 

2.  Caratteri  botanici  e  descrizione  della  pianta.  —  E  un  alberello 
di  3  a  4  metri  di  altezza,  con  rami  tomentosi  nei  primi  anni,  portanti 
foglie  opposte,  elittiche  con  breve  picciolo,  grosse,  coriacee.  La  pagina 
superiore  è  di  colore  verde  brillante,  l'inferiore  è  biancastra  con  tenue 
tomento. 

I  fiori  sono  solitari  od  a  mazzetto  e  sorgono  alla  base  delle  foglie. 
11  calice  è  composto  di  4  sepali  alternati  da  4  petali  obovali,  carnosi, 
bianchi  al  di  fuori  e  rosso  violacei  al  di   dentro. 

II  frutto  ha  la  forma  di  un  piccolo  limone,  carnoso  con  4  logge.  La 
buccia  è  rugosa,  di  colore  verde  carico  anche  a  maturazione.  La  polpa 
è  bianca,  di  un  sapore  zuccherino  molto  profumato,  e  molto  piacevole. 
Il  frutto  intero  esala  un  odore  soave  che  ricorda  quello  dell'  ananas. 
Matura  durante  l'inverno. 

3.  Coltivazione.  —  La  Feijoa  è  una  pianta  che  resiste  al  freddo 
più  della  Persea  e  cioè  a  16°  C  sotto  zero.  Si  moltiplica  per  seme  o 
per  talea.  1  semi  mantengono  abbastanza  a  lungo  la  facoltà  germinativa 
e  si  ottengono  delle  piantine  molto  rigogliose  nei  primi  mesi. 

Si  semina  in  terrine,  si  trapianta  col  pane  di  terra  e  non  si  mette  a 
dimora  che  dopo  6  mesi  fino  ad  un  anno. 

La  pianta  emettendo  dei  rami  alla  base,  prende  una  forma  cespu- 
gliosa e,  fra  pianta  e  pianta  è  sufficente  uno  spazio  di  2  a  3  metri. 

La  fruttificazione  non  comincia  che  a  4-5  anni. 

Per  seme  non  si  riproducono  fedelmente  i  caratteri  della  pianta 
madre,  così,  per  le  buone  varietà,  si  ricorre  all'  innesto  sopra  soggetti 
robusti  ottenuti  da  seme. 


-  1014  - 

Si  può  anche  moltiplicare  per  talea,  impiegando  le  estremità  dei 
rami  lignificanti.  Si  fanno  delle  talee  di  10  cm.  di  lunghezza  e  dopo 
aver  tolte  le  foglie  della  base  si  pianta  la  talea  in  un  vaso  che  si  mette 


P"ig.  706.  —  Ramo  e  frutti  di  Feijoa  sellowiana. 

sotto  una  capanna  di  vetro.  Le  piante   ottenute   per   talea   fruttificano 
più  presto  di  quelle  ottenute  per  seme. 

4.  Usi.  —  li  frutto  si  può  consumare  crudo  o  può  servire  per  pre- 
parare confetture  e  paste  come  il  psidio. 


HOLBOELIA  LATIFOLIA  Wellich. 

(Fam.  Lardizabalee). 

Originaria  dell' Imalaja.  Magnifica  liana  decorativa,  vigorosa,  che 
produce  dei  frutti  grossi,  decorativi,  aggradevoli,  che  arrivano  a  com- 
pleta maturazione  anche  in  Liguria  (Alassio). 


-  1015  - 

Si  trova  di  frequente  nei  giardini  del  litlorale  di  Nizza,  dove  è 
ricercato  per  le  sue  foglie  ornamentali,  sempre  verdi,  brillanti  e  per  i 
suoi  fiori  bianchi  monoici  o  dioici  riuniti  a  corimbo,  poco  ornamen- 
lali,  ma  che  emanano  un  delicato  profumo  di  fiori  d'arancio. 

Fiorisce  in  aprile-maggio. 

Le  piante  fertili  sono  rare. 

Il  frutto  somiglia  ad  un  grosso  banano,  lungo  da  tì  ad  8  centimetri, 
di  color  rosa  violaceo  vivo  con  polpa  bianca  e  molti  semi.  Ila  il  sapore 
di  pera  ammezzita.  Matura  in  novembre-dicembre. 

Gli  conviene  un  terreno  leggero,  ben  fertile  ed  una  esposizione  ripa- 
rata, calda.  Copre  in  poco  tempo  delle  muraglie,  delle  pergole  e  si  slancia 
a  10-15  metri  d'altezza.  Per  ottenere  una  maggiore  fruttificazione,  bi- 
sogna ricorrere  alla  fecondazione  artificiale  dei  fiori  femminili. 

Si  moltiplica  per  seme. 


HOVENIA 

(Hovenia  dulcis  Thumb.  —  Rcimnee). 

1.  Origine  e  caratteri.  —  Originaria  della  China  e  del  Giappone,  è 
una  pianta  molto  rustica  che  prospera  nella  Riviera  nonché  neirx\lgeria. 

L'albero  arriva  a  3-4  m.  di  altezza,  è  molto  fronzuto,  di  decora- 
zione. Le  foglie  sono  ovali,  abbastanza  grandi,  di  color  verde  brillante 
e  sono  caduche. 

La  parte  commestibile  di  questa  pianta  non  è  il  frutto  ma  il  suo 
peduncolo  il  quale,  dopo  la  fioritura  diventa  carnoso,  dolce,  (22-80 % 
di  zucchero),  di  colore  bruno  rossastro.  A  completa  maturazione  (ot- 
tobre) ha  il  gusto  di  uva  secca. 

Il  vero  frutto  è  una  capsula  ovoidale,  secca,  contenente  delle  granella. 

2.  Coltivazione.  —  Fa  bene  nei  terreni  sciolti  e  profondi.  Sopporta 
abbastanza  il  freddo  del  littorale  Mediteraneo. 

Si  moltiplica  per  seme  e  per  talea. 

Il  seme  mantiene  per  alcuni  mesi  la  facoltà  germinativa. 
La  semina  si  fa  in  terrine  e  poi  le  piantine  si  mettono    in   vivaio. 
Dopo  un  anno  di  vivaio  si  collocano  le  piantine  a  dimora. 
La  sua  fruttificazione  comincia  all'età  di  3-4  anni. 


KAKI  (Diospiri) 

(Gen.  Diospyros  —  Fani.  Ebenacec). 

Nome  volgare  italiano  del  frutto  —   Kaki. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta    —    Francese:    Plaqueminier 
Tedesco:  Persimonen  o  Dattelpflaume  —  Inglese:  Date  Plum. 


—  lUltì  — 

1.  Origine,  —  I  diospiri  sono  oiiginarii  della  China  e  del  Giappone. 
Sono  alberi  della  regione  calda  e  temperata. 

Vennero  introdotti  da  circa  30  anni  in  Europa  nella  l'egione  Medi- 
terranea e  con  successo,  poiché  queste  piante  sono  utili  per  il  loro 
legno  bruno-verdastro,  ricercato  dall'ebanista;  alcune  specie,  per  i  loro 
fruiti  commestibili  che  si  distaccano  tardi  dalla  pianta.  Tutte  sono 
ornamentali  per  il  frutto  e  per  le  foglie,  le  quali  d'autunno  acquistano 
un  bel  colorito  rosso. 

2.  Specie  botaniche  coltivate.  —  Dal  punto  di  vista  della  frutticol- 
tura, questi  alberi  od  alberelli,  si  possono  distinguere  a  seconda  della 
loro  taglia  in  due  gruppi  : 

a)  Diospiri  diversi,  in  parte  originari  della  China  e  che  produ- 
cono dei  piccoli  frutti.  Ordinariamente  formano  degli  alberi  belli  nelle 
regioni  meridionali  ma,  se  per  la  loro  rusticità  si  possono  coltivare 
anche  abbastanza  al  Nord,  essi  danno  pochi  frutti,  di  maturazione 
incerta,  molte  volte  assai  aspri. 

A  questo  gruppo  appartengono  le  seguenti  specie: 

1.  Diospyros  sinensis.  Thumb.  (Fico-Kaki)  o  Diospiro  della  China; 

2.  Diospyro  lotiis.  Lin. ,  dell'Asia  occidentale,  chiamato  anche 
Diospiro  d'Italia,  a  piccoli  frutti  mediocri; 

3.  Diospyros  pnbescens  Pursh.  grande  albero  dell'America  setten- 
trionale. Frutto  abbastanza  grosso,  con  polpa  vischiosa  ed  aspra; 

4.  Diospyros  Yirginiaiia  Lin.  Grande  albero  americano,  a  frutti 
appena  passabili. 

Tutte  queste  specie  sono  difettose  per  il  frutto,  ma  hanno  però  il 
vantaggio  di  riprodursi  facilmente  per  seme  e  sono  i  migliori  porta 
innesti  del  Kaki, 

b)  Kaki  del  Giappone.  Sotto  questo  nome  si  comprendono  tutte 
le  specie  e  varietà  di  Diospiri,  che  vengono  coltivate  esclusivamente 
per  il  frutto  e  di  cui  noi  dobbiamo  occuparci  particolarmente.  Queste 
piante  sono  state  ottenute  dai  frutticoitori  del  Giappone,  maturano  i 
loro  frutti  nelle  zone  meno  calde  delle  specie  precedenti. 

Essi  appartengono  alla  specie  Diospyros  Kaki  di  Linneo. 

3.  Caratteri  botanici  dei  Kaki.  —  L'albero  delle  diverse  specie  di 
Kaki,  può  raggiungere  l'altezza  di  11  a  12  m.,  ha  le  foglie  di  un  bel 
verde,  grandi,  abbondanti,  che  cadono  in  autunno,  diventando  rossastre 
e  lasciano  scoperta  una  quantità  considei'evole  di  frutta  di  vario  colore 
secondo  le  specie.  I  peduncoli  che  sostengono  le  frutta  sono  robusti 
e  non  le  lasciano  cadere  anche  coi  venti  più  forti  (figg.  707-708). 

I  frutti  conviene  lasciarli  sulla  pianta  fino  ai  primi  geli. 

Essi  sono  delle  bacche,  accompagnate  dal  calice,  di  varie  dimensioni 
dalla  grandezza  di  una  nocciola  a  quella  di  una  arancia. 

La  polpa  dei  frutti  è  molle,  succosa,  molto  dolce;  aperta  ha  l'aspetto 
di  marmellata  di  albicocco,  e  si  mangia  col  cucchiaio. 

4.  Classificazione  delle  varietà.  —  Le  forme  tipiche  e  le  varietà 
più  coltivate  sono  le  seguenti; 


-  1017  - 

1.  Diospijros  Si  Tche  Bungl.  o  Kaki  del  Giappone  propriamente 
detto.  Sembra  questo  essere  il  tipo  botanico  delle  numerose  varietà 
orticole  coltivate  da  secoli  nell'  Asia  meridionale  e  specialmente  nel 
Giappone. 

2.  Diosyros  costala  Garr.  —  Con  frutto  molto  grosso,  diviso  alla 
superficie  a  coste,  di  color  giallo  arancio  e  dalla  grandezza  di  una  mela 


Albero  di  Kaki. 


ordinaria.  Foglie  verdi-cupe;  gialle  o  rosse  prima  di  cadere.  Matura  in 
novembre.  Il  frutto  è  senza  semi.  Adatto  per  mezzo  vento. 

3.  D.  lycopersicon  Garr.  (Loto  rosso)  —  Kuro  Kaki  dei  Giappo- 
nesi. Frutto  grossissimo  8-10  cm.  di  diametro,  color  pomodoro,  arro- 
tondato, depresso.  Polpa  molto  dolce,  giallo-bruna  senza  semi.  Foglie 
giallo  rossatre  prima  di  cadere  in  autunno.  È  raccomandabile  per  la 
forma  e  dimensione  dei  due  frutti. 

4.  D.  Mazeli  Garr.  —  Diospiro  di  Mare/.  —  Frutto  globoso  i)iù  o 
meno  depresso,  giallo  aranciato  brillante;  polpa  siropposa  quasi  lique- 


-  1018  - 

scente   con    pochi    semi.    Foglie   rosso  scure   in    autunno.   Adatto   per 
mezzo  vento. 

Altre  specie  introdotte  in  Italia  sono: 

5.  D.  Gruboihi.  —  Frutto  grosso,  allungato  da  18  a  20  cni.  di  cir- 
conferenza su  9  cm.  di  lunghezza,  polpa  squisita,  molto  zuccherina  e 
consistente  come  quella  della  pera  butirra.  Adatto  per  mezzo  vento. 

6.  D.  Knmosu-Maro.  —  Frutto  piccolo,  piuttosto  oblungo,  rosso 
pallido,  colle  strisele  di  rosso  vivo,  interrotte  e  convergenti  sulla  parte 
inferiore,  polpa  rossa,  fondente  e  succosissima. 


Fig.  708. 
Albero  di  Kaki  coi  frutti  in  dicembre,  dopo  cadute  le  foglie. 


7.  D.  Tsouroii.  —  Varietà  di  primo  merito,  i  suoi  frulli  quasi 
rotondi  sono  rosso  scuri,  misurano  20  cm.  di  circonferenza  su  6  cm. 
di  lunghezza,  hanno  polpa  assai  fondente  zuccherina.  Per  mezzo  vento. 

8.  D.  Kiombo.  —  Varietà  a  fogliame  ben  distinto. 

9.  D.  Kirakaki.  —  Varietà  coltivata  su  grande  scala  al  Giappone 
per  la  sua  fertilità;  frutto  dolce,  sferoidale  appiattito,  della  piriferia 
di  18-20  cm. 

10.  D.  Ochirakaki.  —  Frutto  medio,  allungato,  misura  15  cm.  di 
circonferenza,  ha  polpa  rossa  intensa,  molto  succosa  e  zuccherina, 
liquida,  da  mangiare  col  cucchiaio. 

11.  Toyama.  —  Frutto  enorme,  quasi  sempre  sterile,  polpa  aran- 
ciata ed  a  pelle  rossa,  periferia   9-10  cm.  (fig.  709). 

12.  Nachi-nO'tan.  —  Frullo  medio,  bianco  giallo,  colle  coste  leg- 
germente segnale  di  rosso  più  carico,  polpa  delicatissima,  consistente. 
Periferia  25  cm. 


—  loiy  - 

13.  D.  Yoshihito.  —  Frutto  grosso,  leggermente  allungato,  giallo 
citrone  e  rosso  bruno  a  niaturanza  perfetta. 

14.  D.  Zendji-marii.  —  Frutto  medio,  quasi  rotondo,  da  15  cm.  di 
circonferenza  su  5  di  lunghezza,  a  polpa  rossa  più  zuccherata  e  suc- 
cosa di  una  pera  butirra. 

15.  D.  Kyakame.  —  Frutto  grosso  come  una  bella  melarancia  e 
di  buccia  bizzarissima;  dai  sepali  alla  metà  dei  frutti  è  di  color  carneo 
a  tratti  con  chiazze  vermiglie,  la  metà  superiore  è  di  color  bianco-carnea 
ricamata  di  bruno.  Polpa  dolcissima  e  soda. 

16.  D.  Halchuya.  —  Fruito  grossissimo  e  magnifico,  ha  la  forma 
di  un'enorme  fragola;  il  colore  della  buccia  è  scarlatto  cupo  e  la  polpa 


Fig.  709.  —  Kaki  Toyania. 


Fig.  710.  -  Kaki  Tiodemon. 


di  un  giallo  rosso  bruno.  Misura  25  cm.  di  circonferenza  e  9  cm.  di 
altezza,  con  la  polpa  zuccherina  rossa,  melliflua  al  punto  che  è  neces- 
sario il  cucchiaio  per  mangiarla.  Per  mezzo  vento. 

17.  D.  Konroukouma.  —  Frutto  grosso,  appiattito,  della  periferia 
di  20  a  22  cm.  e  5-6  cm.  di  altezza.  Polpa  dolce,  molle,  straordinaria- 
mente succosa,  con  semi. 

18.  D.  Guìbotchy.  —  Bellissima  varietà,  con  frutto  allungato,  lungo 
8-9  cm.  e  della  pirifera  di  20  cm.;  polpa  rossa,  di  sapore  squisito,  pro- 
fumata e  della  consistenza  di  una  pera  deliquescente. 

Gli  autori  francesi  consigliano  ancora  le  seguenti  specie  o  varietà  : 

19.  D.  Saluili.  —  Con  frutto  grosso  molto  buono  e  con  semi. 


-  1020  - 

20.  D.  Touroukoii  Kaki.  —  Con  fruito  grossissimo,  arrotondato, 
rosso  dorato  ed  eccellente.  Per  mezzo  vento. 

21.  D.  Tiodemon.  —  Con  frutto  grossissimo,  di  20-22  cm.  di  cir- 
conferenza. Polpa  soda,  dolce,  buccia  quasi  nera  alla  maturazione. 
Molto  produttiva  ed  è  ritenuta  per  una  delle  migliori  varietà  (flg.  710). 

6.  Importanza  della  coltivazione.  —  Nella  regione  Mediterranea 
può  acquistare  una  certa  importanza,  poiché  i  frutti  vengono  sempre 
più  apprezzati. 

7.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Estensiva  a  pieno  e  mezzo  vento. 

8.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  La  coltivazione  dei  diospiri 
non  è  diffìcile.  Fino  a  tempo  addietro  si  credeva  possibile  la  loro  col- 
tivazione soltanto  nella  regione  degli  olivi  e  degli  agrumi,  la  pratica 
però  ha  dimostrato  che  anche  nella  regione  temperata,  producono  bensì 
meno  frutti,  ma  resistono  ai  freddi  più  intensi  (lO-lS"  sotto  zero)  a  con- 
dizione di  non  trovarsi  in  vallate  umide,  dove  l'azione  dei  geli  è  più 
intensa. 

Nella  Liguria,  specialmente  nel  territorio  di  Neroi,  S.  Ilario  Ligure 
([uesla  essenza  fruttifera  ha  acquistato  una  notevole  estensione.  In  tutta 
la  costa  Mediterranea,  compresa  quella  dell'Africa  la  sua  coltivazione 
ò  raccomandabile. 

9.  Esposizione  e  situazione.  —  Esposizione  di  mezzogiorno  in  col- 
lina di  elevazione  non  maggiore  ai  200  m.  bene  riparata  dei  venti  del  Nord. 

10.  Terreno.  —  Anche  per  il  terreno  i  diospiri  sono  poco  esigenti. 
Sarà  meglio  però  preferire  i  terreni  profondi  e  freschi,  argillosi,  non 
troppo  compatti,  che  si  possono  irrigare  nelle  regioni  secche. 

11.  Moltiplicazione.  —  I  Kaki  del  Giappone  non  producono  la  mag- 
gior parte  semi  e  quindi  si  moltiplicano  per  innesto  sul: 

a)  Diospiro  d'Italia  (Diospyros  lotus)  per  i  climi  temperati; 

b)  Diospiro  della  Virginia  (D.   Virginiana)  per   le    zone    variabili. 
La  maggior  parte  di   questi    soggetti,    riprodotti    per   seme,    danno 

molte  piante  maschili. 

Si  seminano  in  piena  aria,  in  luogo  aereato  e  soleggiato  in  primavera. 

Si  innestano  nel  secondo  anno,  a  spacco  ordinario  avvertendo  che 
bisogna  prestare  grandi  cure  per  il  difficile  attecchimento.  Gli  innesti 
devonsi  proteggere  col  mastice  ed  i  giovani  innesti  si  tengono  sotto 
vetro  od  in  vaso.  Si  può  anche  innestare  a  gemma  dormiente  in  lu- 
glio-agosto. 

12.  Coltivazione.  —  Per  gli  impianti  a  4-5  m.  di  distanza,  si  pre- 
feriscano soggetti  di  un  anno  di  innesto  ;  le  piante  assumono  natural- 
mente la  forma  piramidale  di  un  magnifico  aspetto. 

1  Kaki  si  possono  anche  sottoporre  ad  una  potatura  di  formazione 
per  ottenere  delle  piramidi,  dei  vasi  e  dei  pieni  venti  o  si  possono  al- 
levare a  spalliera,  e  perciò,  si  applicano  le  regole  delle  altre  piante 
da   frutto. 

Sui  Kaki  non  si  vedono  durante  il  riposo  della  vegetazione  le  gemme 
a  frutto,  poiché  queste  si  sviluppano  di  mano   in   mano   lungo  il  ger- 


—  1021  — 

moglio  che  nasce  in  primavera,  come  nella  vite.  Queste  gemme  si  se- 
guono   in    numero   di  2  a  4  per   germoglio.    Per   la   potatura  dei   kaki' 
bisogna    ricordarsi    che   dalle    gemme    terminali    dei    rami    formatisi 
nell'anno    precedente,    nascono    i    migliori    germogli    fruttiferi,    e    che 
i  rami  incurvati  fruttificano  più  dei  verticali. 

La  fioritura  dei  kaki  avviene  al  principio  di  giugno. 

Le  piante,  dopo  due  o  tre  anni  di  innesto,  cominciano  a  caricarsi 
di  frutta  e  questa  fertilità  continua  si  può  dire  quasi  sempre.  Per 
questa  straordinaria  quantità  di  frutta,  i  rami  della  base  si  piegano  ed 
allora  è  vantaggiosa  una  cimatura  dei  rami  superiori,  a  scapito  della 
produzione,  per  mantenere  la  pianta  in  equilibrio. 

13.  Raccolta  e  conservazione  dei  frutti.  —  La  maturazione  dei 
frutti  avviene  in  ottobre  e  novembre,  quando  sui  nostri  mercati  ci 
sono  molte  altre  frutta  più  apprezzate.  Perciò  nei  paesi  caldi  si  lascia 
il  fruito  ammezzire  sulla  pianta  dopo  cadute  le  foglie,  oppure  si  rac- 
colgono quando  la  polpa  comincia  a  farsi  tenera  e  si  stendono  in  una 
stanza  asciutta,  perchè  ammezziscano. 

I  frutti  che  rimangono  aspri  e  non  arrivano  ad  ammezzire,  i  Giap- 
ponesi sogliono  sottoporli  al  seguente  processo.  In  un  barile  mettono 
della  pula  di  riso,  degli  steli  verdi  di  patate  e  del  carbone  di  legna.  Vi 
aggiungono  dell'acqua  tiepida,  scuotono  bene  il  barile  e,  dopo  avere 
agitato  mettono  dentro  i  kaki,  lasciandoli  per  5  o  6  giorni  in  infusione. 
Con  tal  processo  i  frutti  sono  pronti  per  il  consumo. 

Per  spedirli  a  distanza,  sogliono  sbucciarli  e  dissecarli. 

14.  I  diospiri  chinesi.  —  Le  varietà  di  questo  gruppo  sono  fornite 
dalla  specie  Diospyros  sinensis  Thumb. 

I  frutti  sono  verde-giallasti*i,  della  grossezza  di  un'albicocca  coperta 
di  brevi  peli.  Se  l'estate  è  fredda,  i  frutti  cadono  a  terra  ancora  verdi 
nei  mesi  di  ottobre  e  novembre. 

Questi  diospiri  sono  molto  meno  diffusi  dei  precedenti  e  non  rie- 
scono che  nelle  località  molto  calde  di  mezzogiorno,  non  soggette  a 
lunghe  siccità. 

Si  moltiplicano  per  seme  e  per  innesto. 

15.  Diospiri  a  frutti  piccoli.  —  Appartengono  ad  essi  due  specie 
e  cioè  il  Diospyros  Lotus  ed  il  Diospiros  Viryiniana. 

II  D.  Lotus  o  Legno  santo,  albero  di  S.  Andrea  Armellino,  è  un 
albero  alto  da  12  a  15  m.  con  fiori  ascellari,  poligamodioici,  quasi 
solitatari,  rosso  pallidi  e  pubescenti  di  sotto;  calice  con  4  lobi  ottusi-, 
stami  da  6  a  più;  ovario  con  stili  distinti. 

Il  frutto  è  una  bacca  globosa,  grande  quanto  una  nocciola  e  co- 
perta di  una  leggera  pruina.  È  commestibile  ma  di  poco  pregio. 

Foglie  alterne,  picciolate,  bislunghe-accuminate  e  pubescenti  di  sotto. 

Fiorisce  in  maggio  e  giugno. 

Proviene  dall'Asia  minore,  ma  è  coltivato  in  tutta  Italia.  Serve  per 
porta-innesto  delle  altre  specie  a  frutto  commestibile. 

Si  moltiplica  per  seme  nel  mese  di  febbraio  o  marzo. 


-  1022  - 

Il  D.  Virginiana  o  Diospiro  della  Virginia,  è  un  albero  piramidale, 
vigoroso,  dell'altezza  di  8-10  ni.;  con  fogliame  abbondante  che  in  au- 
tunno si  carica  di  molti  frutti  rotondi,  di  color  giallo  più  o  meno  scuro 
e  della  grossezza  di  una  susina  Regina  Claudia. 

La  polpa  è  più  o  meno  zuccherina,  a  seconda  del  clima  e  della 
varietà.  In  Italia  le  frutta  di  questa  pianta  non  maturano  che  nei  ter- 
ritori più  caldi,  però  la  pianta  resiste  ai  freddi  e  si  riproduce  per 
porta-innesto.  Si  alleva  a  pieno  vento. 

16.  Malattie  e  cause  nemiche.  —  Un  fungo  può  intaccare  le  foglie: 
Cercospora  Diospyri.  Cooke. 


PACHIRA 

(Pachira  sp.  —  Fani.  Malvacee). 

Sono  dei  begli  alberi  che  sono  rappresentati  nelle  colture,  da  due 
o  tre  specie  delle  quali  sopratutto  la  Pachira  insignis  Sav.  presenta  un 
interesse  particolare. 

La  Pachira  insignis  è  un  albero  chiamato  anche  Castagno  della 
Gugana  o  Cacao  selvaggio,  poco  elevato,  a  rami  eretti,  formanti  una 
fronda  rada.  Le  foglie  sono  digitate,  composte;  i  fiori  sono  grandi, 
bianchi,  eretti,  portanti  un  ciuffo  di  stami  eretti. 

Il  frutto  è  una  capsula  carnosa,  verde,  della  forma  e  grossezza  di  un 
uovo  di  tacchina,  che  a  maturazione  si  apre  in  5  o  6  valve  dalle  quali 
cadono  al  suolo  altrettanti  semi,  grigio-giallastri,  della  grossezza  di  una 
nocciola,  rigati  da  linee  bianche  orizzontali. 

La  pianta  si  coltiva  per  questi  semi  che  hanno  un  gusto  gradito, 
e  si  consumano  freschi  o  secchi.  Facilmente  però  arrancidiscono  e 
quindi  bisogna  consumarli  presto. 

La  moltiplicazione  si  fa  con  semi  freschi  poiché  se  secchi  perdono 
la  facoltà  germinativa.  Dovendo  spedirli  a  distanza,  si  raccolgano  i  frutti 
prima  che  si  aprano  e  si  spalmano  con  paraffina.  Allora  i  semi  con- 
servano la  facoltà  germinativa  per  2  mesi. 

Il  seme  racchiude  più  germi  embrionali  e  quindi  si  ha  da  ognuno 
nel  semenzaio  o  nel  vaso  un  ciuffo  di  piante.  Nel  trapianto  naturalmente 
si  separano. 

L'albero  fruttifica  a  3  o  4  anni. 


PALMA  DEL  DATTERO 

(Phoenix  dactylifera  Linn.  —  Fani.  Palme). 

Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Palma  dei  datteri,   Palma  dat- 
tilifera, Palmizio,  Dattoliere,  Dattero. 

Nome  volgare  italiano  del  frutto  —  Dattero. 


-  1023  - 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane.  :  Dattier  —  Ted.  :  Dat- 
telpalme  —  Ingl.  :  Date  palm-tree. 

Bibliografìa  —  I.  Dybowski  —  Traité  pratique  de  cultures  tropicales 
—  Paris  1902. 

Schweinfurt  —  Ueber  die  Kullur  der  Dallel  Palme  —  Gartenflora 
act.  1901. 

Swiiigle  —  Le  dattier  et  sa  culture.  Annuario  del  dipartimento  di 
agricoltura  degli  Slati  Uniti,  1900. 

Masselot  —  Les  dattiers  des  oasi  du  Djérid  —  Tunis  1901. 

Caupet  —  Culture  de  dattier  à  Gardaia  —  Algerie  agricole  1902. 

Hubleaux  —  Culture  de  dattier  au  Mzab  et  à  Quargla.  Bull.  Soc. 
gègr.  —  Alger  1903. 

Charlet  —  Les  Palmiers  du  Mzab  —  Id.  1905. 

Fischer  —  Die  Dattelpalme  —  Gotha  1881. 

1.  Origine.  —  La  coltura  della  palma  rimonta  ai  tempi  più  antichi. 
I  nocciuoli  dei  suoi  frutti  si  trovarono  negli  antichi  monumenti  egi- 
ziani e  tutti  gli  autori  dell'antichità  ne  parlano. 

Essa  venne  coltivata  specialmente  nella  zona  arida  e  calda  com- 
presa fra  il  Senegal  e  il  bacino  dell'  Indo. 

Le  coltivazioni  più  importanti  si  trovano  nella  valle  del  Nilo,  in 
Arabia  e  in  Persia. 

2.  Diffusione  ed  importanza  della  coltura.  —  La  palma  del  dattero 
è  fra  le  palme,  la  più  utile  ed  ornamentale.  È  coltivata  lungo  tutte 
le  nostre  coste  del  Mediterraneo  e  specialmente  la  troviamo  in  Sicilia 
e  Sardegna.  Raramente  però  il  suo  frutto  matura  completamente  ma 
serve  per  seminare  i  frutti  fecondi. 

Nell'Africa  boreale  la  palma  fornisce  all'uomo  tutto  ciò  che  è  ne- 
cessario per  vivere.  1  paesi  nei  quali  maturano  i  datteri  si  trovano  si 
può  dire  fra  il  15»  e  30»  di  latitudine. 

Le  foglie  servono  per  la  fabbricazione  delle  stuoje  e  per  coprire 
le  capanne,  le  grosse  nervature  di  esse  forniscono  i  canestri  e  tutti 
quegli  oggetti  alla  cui  fabbricazione  viene  impiegato  da  noi  il  giunco. 
Le  fibre  servono  per  la  fabbricazione  dei  cordami,  il  legno  trova  im- 
piego nell'arte  edilizia.  11  succo,  che  si  raccoglie  dall'estremità  del  tronco, 
viene  fatto  fermentare  e  dà  il  vino  di  palma  (tagmi).  L' indigeno 
scava  alla  sommità  dello  stipo  o  tronco  della  pianta,  a  mo'  di  una  pic- 
cola tazza  e  leva  le  foglie  ;  il  succo  vi  si  raccoglie,  durante  un  periodo 
di  12  a  15  giorni,  nella  quantità  di  2  a  3  litri,  che  si  consuma  subito  o 
si  fa  fermentare.  Le  giovani  gemme  si  mangiano  come  da  noi  i  ca- 
voli fiori  e  talvolta  si  adoperano  anche  le  infiorescenze.  11  frutto  costi- 
tuisce nella  Persia,  nell'Arabia,  nell'Egitto  ed  in  generale  nei  paesi  della 
costa  settentrionale  dell'Africa,  il  cibo  principale  della  popolazione  e 
quindi  nelle  oasi  della  Libia,  dell'Algeria,  della  Tunisia,  la  palma  co- 
stituisce l'elemento  essenziale  della  proprietà  fondiai'ia.  È  per  questo 
che  un  detto  arabo  chiama  il  dattoliere  :  il  padre  nutritore  dei  figli  del 
deserto.  Infine  i  semi  macinati  si  danno  al  bestiame  e  forniscono  anche- 
un  surrogato  al  caffé. 


—  1024 


3.  Caratteri  botanici  e  vegetazione.  —  La  pianta  si  eleva  a  15-20  m. 
di  altezza.  Le  radici  sono  carnose,  fusiformi,  e  si  approfondano  a  pa- 
recclii  meti-i  di  profondità.  Il  tronco  è  uno  stipite  (fig.  711),  che  non  si 
ramilica,  soltanto  alla  base  emette  dei  germogli  quando  la  pianta  ha  rag- 
giunto l'età  di  circa  15  anni  e  dei  quali  ci  si  serve,  come  vedremo,  per 
la  riproduzione. 

All'estremità  il  fusto  è  coronato  da  grandi  foglie  (3-6  ni.  di  lun- 
ghezza), pennato-partite,  picciolate,  guainanti  alla  base. 

I  vecchi  fusti  delle  palme  sono  coperti  dalle  cicatrici  delle  foglie 
caduche  oppure  portano  ancora  gli  avanzi  delle  foglie  sotto    la   forma 

di  squame  ridotte  in  fibre.  Queste 
fibre  formano  una  borra  filamen- 
tosa abbondante,  chiamata  dagli 
Arabi  col  nome  di  Uff  che  serve  a 
confezionare  delle  corde  e  per  fare 
dei  tessuti. 

Il  dattero  è  una  pianta  dioica  e 
cioè  ci  sono  le  piante  a  fiori  ma- 
schili (gialli)  ed  a  fiori  femminili 
(giallo -verdastri)  separate.  I  fiori 
sono  disposti  in  grandi  pannocchie 
racchiuse  da  una  spata  semplice, 
quasi  legnosa  la  quale,  alla  fecon- 
dazione, si  apre  lasciando  scoperti 
e  pendenti  a  fascio  chiamato  re- 
gime, le  diramazioni  della  pannoc- 
chia (fig.  712). 

11  frutto  è  una  drupa  di  colore 
giallo  dorato  o  bruno  rossiccio,  elit- 
tica  di  5-6  m.  di  lunghezza  con  un 
diametro  di  2-3  cm.  All'interno  si 
trova  un  solo  nocciolo,  allungato. 
Quando  germina  un  nocciolo  di 
dattero,  la  giovane  piantina  ha  sol- 
tanto delle  foglie  semplici,  lunghissime,  parallelinervie.  Più  tardi,  lungo 
la  nervatura  mediana,  si  staccano  perpendicolarmente  a  questa  dei  seg- 
menti di  foglia,  che  si  allungano  e  formano  la  grande  foglia  pennato 
partita. 

I  frutti  per  Io  più  sono  abbondanti  e  la  pianta  può  cominciare  a 
fruttificare  a  3  anni,  però  questi  regimi  conviene  sopprimerli  alla  fio- 
ritura per  rinforzare  la  pianta.  Il  raccolto  normale  comincia  a  circa 
10  anni. 

4.  Clima  e  terreno.  —  II  clima  caratteristico  per  la  palma  è  quello, 
che  dal  mese  di  marzo  (epoca  nella  quale  avviene  la  fioritura)  lino  al 
settembre  (nel  quale  avviene  la  maturazione  dei  datteri)  la  temperatura 
si  mantiene  elevata  e  l'aria  secca.    L'umidità   dell'aria   durante   questo 


Fig.  711. 
Viale  delle  Palme  nella  ciUà  di  Nervi. 


—  102Ó  - 

periodo  è  dannosa  mentre  è  indispensabile  che  la  pianta  trovi  nel 
suolo  e  nel  sottosuolo  una  costante  umidità.  Un  detto  arabo  dice  che 
la  palma  vuole  avere  i  piedi  nell'acqua  e  la  testa  al  sole  più  cocente. 
Così  avviene  che  le  palme  i)iù  fruttifere  non  si  trovano  sulla  costa 
dell'Algeria,  Tunisia  e  della  Libia  ma  nelle  oasi  interne,  dove  c'è 
deirac(|ua  nel  sottosuolo. 


U  lUv 


Fig.  7V2.  —  Spadice  della  Palma. 


La  palma  preferisce  quindi  i  terreni  freschi,  profondi,  molto  fertili 
e  dove  l'acqua  si  può  dare  in  abbondanza  mediante  l'irrigazione.  Dove 
si  difetta  di  acqua  la  palma  cresce  stentatamente  e  fruttifica  poco.  I  ter- 
reni sciolti  sono  preferibili.  La  palma  da  dattero  é,  come  le  palme  in 
genere,  una  pianta  molto  rustica.  Il  tronco  è  molto  elastico  e  quindi 
pieghevole,  relativamente  alla  sua  altezza  e  allo  spessore,  ogni  foglia 
è  suddivisa  in  molte  foglioline,  fra  l'una  e  l'altra   delle   quali  il   vento 

G5  —  T.\ir\RO  -  FrutticoUura. 


—  1026  — 

passa  senza  trovare  resistenza  :  perciò  la  pianta  può  resistere  anche  ai 
venti  più  l'orti.  E  poiché  le  foglie  sono  formate  d'un  tessuto  molto  fìtto 
e  forte,  esse  possono  tollerare  benissimo  i  terribili  acquazzoni  delle 
pioggie  tropicali,  che  distruggerebbero  in  un  attimo  il  fogliaine  delicato 
delle  piante  dei  nostri  paesi.  Il  carattere  di  durezza  di  codeste  foglie 
rende  anche  piuttosto  diffìcile  l'evaporazione  dei  succhi,  che  circolano 
nelle  foglie  stesse,  sicché  la  pianta  può  resistere  ai  calori  torridi  degli 
estati  del  deserto  subtropicale  senza  perdite  eccessive  dell'acqua  di  cir- 
colazione. 

5.  Varietà.  —  Le  varietà  del  dattero  sono  parecchie  e  si  classi- 
ficano in  tre  categorie,  distinte  per  la  consistenza  della  polpa  del  frutto. 
Si  hanno  i  datteri  molli,  seminìolli  e  secchi. 

a)  I  primi  sono  ricchissimi  di  zucchero,  ma  non  si  possono  espor- 
tare. Gli  Arabi  sogliono  raccogliere  il  loro  succo  entro  otri  di  pelle  di 
capra  e  li  portano  con  sé  colle  carovane  per  nutrirsi  durante  i  loro 
viaggi.  Viene  chiamato  miele  di  dattero. 

b)  I  datteri  semi  molli  quando  sono  ben  maturi  diventano  translucidi 
e  sono  quelli  di  cui  si  fa  attivo  commercio  di  esportazione  ed  il  cui  con- 
sumo quale  frutto  da  dessert  va  prendendo  sempre  maggiore  importanza. 

Per  noi  sono  queste  le  varietà  che  meritano  una  speciale  conside- 
razione per  la  Libia.  I  cosidetti  datteri  della  Tunisia  e  dell'Algeria,  sotto 
il  qual  nome  ci  vengono  sui  mercati,  sono  i  datteri  semi  molli  prove- 
nienti dalle  oasi  interne  del  Sahara  e  la  varietà  è  chiamata  Deglet-Nour 
o  Deglat-Ennonr  (dattero  della  luce). 

Non  sono  molte  le  varietà  di  questa  categoria,  ma  questa  è  sicura- 
mente la  migliore.  I^e  piante  si  distinguono  per  il  loro  portamento  più 
allungato,  affilato,  eretto  e  di  un  colore  verde  giallastro.  Lo  stipite  è 
slanciato  e  diritto:  le  ramificazioni  del  regime  sono  di  colore  giallo 
jiallido.  Il  nocciolo  del  frutto  non  è  aderente;  la  polpa  a  maturità,  di- 
venta di  color  giallo-bruno,  traslucida.  È  molto  zuccherina  e  di  un 
gusto  piacevole. 

A  questa  categoria  appartiene  la  varietà  Dalle  Rhars,  i  cui  frutti 
piccoli,  bruno  rossastri,  vengono  pressati  e  servono  all'alimentazione 
delle  carovane.  La  pianta  è  di  rapido  sviluppo  (a  4  anni  comincia  a 
fruttificare),  con  fogliame  abbondante,  di  colore  verde  carico.  Il  succo 
che  si  ricava  torchiando  i  frutti  viene  consumato  fresco  dagli  indigeni 
oppure  si  fa  fermentare  e  si  distilla,  ricavando  un  buon  alcool. 

Talvolta  vengono  pressati  ma  non  tanto  fortemente  anche  i  datteri 
Deglot-Noiir  e  si  mandano  in  Europa. 

e)  I  datteri  .secchi  hanno  una  importanza  locale  grandissima  poiché 
servono  per  l'alimentazione  principale  dell'arabo.  Le  due  varietà  più  im- 
portanti si  chiamano  Dalle  Degla  beida  e  Dalle  Mekenlichi  degla.  La 
polpa  è  poco  zuccherina,  secca  al  punto  da  poterla  macinare  e  fare  una 
farina  colla  quale  preparano  il  pane. 

6.  Moltiplicazione.  —  Si  moltiplica  con  molta  facitilà  per  seme  o 
per  polloni  erbacei. 


-  1027  - 

Naturalmente  per  avere  dei  soggetti  che  riproducono  fedelmente 
i  caratteri  della  pianta  madre  bisogna  ricorrere  alla  riproduzione  per 
divisione  con  polloni. 

Anche  per  la  palma,  i  soggetti  ottenuti  da  seme  ritardano  a  frutti- 
ficare fio  anni)  e  prevalgono  i  maschi. 

Volendo  ricavare  delle  nuove  varietà  perfezionate  è  evidente  che 
l)isogna  ricorrere  alla  riproduzione  per  seme,  scegliendo  questo  dai 
soggetti  migliori  più  vigorosi,  più  fruttiferi  e  che  hanno  il  regime  più 
numeroso.  Prima  di  seminare,  ì  semi  si  tengono  in  macerazione  per  un 


4:k 


Fig.   71.3.  —   Pollone 
o  Ributto  di  Palma. 


Fig.  714. 
Palma  giovane  attecchita  a  dimora. 


mese.  Nella  selezione  poi  delle  piantine  si  avrà  cura  di  scegliere  le  più 
vigorose,  le  più  sollecite  di  sviluppo,  le  più  precoci  di  maturazione. 

La  riproduzione  per  seme  devesi  quindi  considerare  una  eccezione 
e  la  regola  sarà  per  pollone  erbaceo. 

I  polloni  erbacei  vengono  emessi  intorno  al  15"  anno  d'età  della 
pianta.  Gli  Arabi  questi  polloni  li  chiamano  djabard  (fig.  713).  Essi  si 
sviluppano  lentamente  ed  appena  nel  terzo  anno  dal  loro  sviluppo  si 
possono  adoperare  per  la  riproduzione. 

II  distacco  dei  polloni  per  ottenere  il  maggiore  attechi mento,  de- 
vesi fare  durante  la  stagione  calda  e  cioè  si  comincia  in  marzo  per 
terminare  in  luglio.  Bisogna  tagliarli  più  vicino  possibile  alla  loro  in- 
serzione poiché  la  pratica  ha  dimostrato  che  il  maggior  numero  di  ra- 


-  1028  - 

dici  si  sviluppa  vicino  al  taglio.  Questa  operazione  si  fa  coU'aiuto  di 
un  falcetto.  Appena  distaccato,  al  pollone  si  ripulisce  il  taglio,  si  tagliano 
tutte  le  foglie  alla  base,  lasciando  soltanto  quelle  poche  centrali  e  quindi 
lo  si  pianta  subito  in  un  vivajo  irrigabile,  a  m.  1.50  per  lato  riparando 
il  ])ollone  dal  sole,  con  dei  ripari  trasversali. 


Fig.  71Ó.  —  Palma  del  dattero  dopo  4  anni  dell' impianto  a  dimora. 

Il  pollone  si  lascia  nel  vivajo  per  un  anno  od  un  anno  e  mezzo  e 
quindi  si  colloca  a  dimora. 

7.  Coltivazione.  —  L'impianto  a  dimora  si  fa  collocando  le  giovani 
piantine  a  m.  5  o  6  per  lato  (figg.  714-715).  Gli  indigeni  sogliono  collocare 
i  polloni  direttamente  a  dimora  appena  tagliati,  senza  tenerli  prima  nel 
vivajo.  Questa  è  una  pratica  sbagliata  per  quelli  che  devono  tener  conto 


-  1029  - 

della  spesa  di  mano  d'opera,  poiché  avendo  le  piante  a  distanza  le  cure 
per  ottenere  l'attechiniento  vengono  a  costare  molto. 

Il  collocamento  a  dimora  si  fa  interrando  tutta  la  base  del  soggetto 
poi,  per  proteggerlo   dal   sole,  si   piantano   nel  terreno   contro   il  sole 

2  o  3  foglie  legandole  al  soggetto.  Questo  riparo  gli  Arabi  lo  chiamano 
djerid.  Le  foglie  si  disseccano  ma  non  marciscono  per  oltre  un  anno. 
Si  levano  soltanto  quando  la  pianta  comincia  emettere  delle  nuove 
foglie. 

Appena  fatto  l'impianto  bisogna  provvedere  all'irrigazione.  A  tale 
fine  si  fanno  dei  canaletti  lungo  le  file  delle  piante  per  condurre  l'acqua 
dentro  ad  una  cunetta  del  diametro  di  80  cm.  che  si  fa  intorno  ad  ogni 
pianta.  Nei  primi  15  giorni  si  irriga  ogni  giorno  successivamente  ogni 
due  giorni  e  si  va  cosi  un  po'  alla  volta  diradando  di  mano  in  mano  che 
la  pianta  attechisce  fino  da  arrivare  al  turno  normale  di  irrigazione 
che  è  di  15  giorni.  Ne  risulla  che  si  pianteranno  in  una  sola  volta  sol- 
tanto tante  piante  quante  si  possono  irrigare  colla  capacità  di  acqua 
disponibile  del  pozzo  vicino.  Ed  è  perciò  che  si  raccomanda  il  vivajo, 
a  risparmio  di  acqua,  poiché  alla  pianta  già  radicata  occorre  l'irriga- 
zione intensiva  per  un  tempo  molto  più  bi-eve. 

Quando  le  piante  sono  adulte,  l'irrigazione  assicura  i  prodotti.  In 
alcuni  luoghi  dall'ottobre  al  gennaio  si  fanno  due  sole  irrigazioni  con 

3  m.^  di  acqua  per  pianta,  da  febbraio  a  maggio,  si  irriga  5  volle  con 
la  stessa  quantità  d'acqua  e  da  giugno  a  settembre,  si  irriga  anche  15 
volte,  impiegando  70  a  75  m.^  per  pianta  all'anno. 

Oltre  l'irrigazione  sono  poche  le  cure  di  coltivazione.  Gli  Arabi 
usano  levare  le  foglie  della  base  di  mano  in  mano  che  il  fusto  si  eleva. 
Questa  è  una  pratica  errata  poiché  le  foglie  sono  gli  organi  che  con- 
tribuiscono maggiormente  alla  vigoria  della  pianta.  Sarà  bene  limitarsi 
invece  ad  allontanare  le  foglie  secche. 

Le  culture  intercalari  di  erba  medica,  orzo,  ecc.  non  sono  vantaggiose 
se  al  più  non  si  hanno  a  disposizione  dei  concimi  che  provvedono  ge- 
nerosamente a  mantenere  la  fertilità  del  terreno.  La  concimazione  del 
resto  è  sempre  vantaggiosa  anche  colle  sole  palme  ma  il  migliore  con- 
cime é  lo  stallatico  corretto  con  dei  perfosfati  poiché  generalmente  le 
sabbie  del  deserto  sono  povere  di  anidride  fosforica. 

Le  varietà  Rhars  fruttificano  prima  delle  altre  cioè  all'età  di  3  a  4 
anni,  mentre  le  Deglet-Nour  soltanto  a  6-7  anni.  I  primi  fiori  sono  per  lo 
più  imperfetti,  i  regimi  sono  piccoli  e  conviene  strapparli  per  non  inde- 
bolire la  pianta.  E'  meglio  lasciare  fruttificare  le  piante  soltanto  all'età 
da  8  a  12  anni,  a  seconda  delle  varietà  più  o  meno  precoci.  A  partire 
da  questa  età  comincia  la  fruttificazione  col  suo  ciclo  normale  di  un 
anno  di  raccolto  ed  uno  di  riposo. 

Quando  in  marzo-aprile  cominciano  a  spuntare  i  fiori  femminili 
dalle  spate,  l'Arabo  segue  il  loi'o  sviluppo  con  attenzione.  Appena  il 
regime  si  mostra  libero  egli  provvede  alla  sua  fecondazione. 

In  questa  epoca  si  tagliano  i  regimi  maschili  dalle  piante  rispettive 


—  1030  — 

e  si  mettono  in  un  locale  asciutto,  perchè  si  possano  conservare  per 
tutto  il  periodo  della  fecondazione.  Si  dice  che  il  polline  si  può  ado. 
perarle  anche  dopo  due  anni.  In  ogni  caso  è  bene  sapere  che  nel  pe- 
riodo della  fecondazione  si  trovano  da  acquistare  sul  mercato  dei  re- 
gimi maschili  e  questo  è  vantaggioso  per  i  proprietari  che  hanno  poche 
piante. 

La  fecondazione  si  fa  quando  i  fiori  femminili  sono  apparenti  e 
fissando  fra  i  regimi  femminili  due  o  tre  ramificazioni  del  regime  ma- 
schile. Queste  ramificazioni  si  fissano  mediante  una  legatura  che  riu- 
nisce tutti  i  rami  del  regime  fecondato  e  si  levano  quando  i  datteri 
cominciano  a  formarsi. 

Essendo  continua  la  fioritura  questa  operazione  bisogna  ripeterla 
di  mano  in  mano  che  appaiono  dei  nuovi  regimi  da  fecondare. 

Gli  Arabi  sogliono  lasciare  tutti  i  regimi  femminili  che  nascono  ed 
allora  avviene  che  all'anno  successivo  di  abbondante  fruttificazione 
ne  succede  uno  di  poca  produzione  ed  un  terzo  aff'atto  nullo.  E'  meglio 
invece  avere  una  fruttificazione  costante  ogni  anno  e  ciò  si  ottiene  to- 
gliendo una  parte  dei  regimi  femminili  nell'anno  dell'abbondanza.  Cosi 
si  hanno  anche  frutti  più  grossi  e  le  piante  si  spossano  meno. 

8.  Raccolta  ed  uso  dei  prodotti,  —  La  raccolta  dei  frutti  si  là  a 
mano,  facendo  salire  un  uomo  sul  fusto  il  quale  poi  dall'alto  cala  giù 
i  regimi  carichi  di  datteri  mediante  una  cordicella.  I  regimi  si  disten- 
dono poi  paralleli  in  una  cesta.  Quelli  non  perfettamente  maturi  si  col- 
locano separati  e  si  portano  in  una  stanza  appendendoli  al  soffitto  e  ri- 
scaldando a  25°-30''  C.  In  tal  modo  si  affretta  la  muturazione. 

Gli  Arabi  conservano  i  frutti  appendendoli  alle  pareti,  quelli  desti- 
nati all'esportazione  si  imballano  in  cassette. 

I  datteri  quando  sono  freschi  hanno  un  sapore  più  piacevole  di 
quando  arrivano  da  noi. 

Fra  i  frutti,  il  dattero  è  uno  dei  più  ricchi  di  sostanze  alimentari. 
Contiene  il  4  7o  di  sostanze  proteiche  e  grassi  ;  il  71  %  di  idrato  di  car- 
bonio, per  la  maggior  parte  in  forma  di  zucchero.  Queste  cifre  equi- 
valgono ad  un  valore  energetico  di  300  calorie  circa  per  ettogrammo, 
pari  a  quello  delle  lenti,  del  miele,  del  pisello  e  maggiore  di  quello 
del  pane.  La  carne  magra  fornisce  a  parità  di  peso  un  numero  di  ca- 
lorie 3  volte  minore  ed  è  meno  digeribile  ;  la  carne  grassa  possiede  un 
valore  energetico  eguale  ma  è  pure  meno  digeribile. 

II  dolt.  Clerici  a  proposito  del  dattero  ha  scritto  un  brillante  arti- 
colo sul  Corriere  della  Sera  (1°  febbraio  1!)12;  del  quale  riporto  la  con- 
clusione . 

"  Ha  grande  importanza  anche  il  fatto  che  la  maggior  parte  del 
valore  alimentare  del  dattero  è  costituita  dalla  presenza  dello  zucchero. 
Lo  zucchero  è  fra  gli  alimenti  quello  che  più  facilmente  provvede  la 
energia  muscolare  mentre  dà  assai  poco  da  fare  alle  funzioni  della  co- 
sidelta  terza  digestione;  in  altri  termini  le  trasformazioni  ch'esso  su- 
bisce nell'organismo  per  diventare  atto  a    fornire   l'energia   muscolare 


-  1031  - 

sono  rapide  e  semplici.  Ne  segue  che  il  dattero  è  specialmente  indicato 
per  la  nutrizione  di  quelle  popolazioni  che,  come  le  popolazioni  no- 
madi, devono  sopportare  gli  sforzi  delle  lunghe  marce  pur  risparmiando 
insieme  l'attività  degli  organi  interni  e  soprattutto  degli  organi  digerenti. 
Ma  le  qualità  igieniche  del  dattero  sono  d'applicazione  generale,  sicché 
esso  potrebbe  figurare  con  vantaggio  nel  regime  di  qualunque  popola- 
zione, in  qualunque  plaga  del  globo. 

'■  Vi  sono  due  specie  di  datteri,  quelli  molli  e  quelli  secchi.  I  dat- 
teri, che  vengono  importati  in  Italia,  sono  molli.  Ma  i  più  molli  son 
cosi  delicati,  che  non  sopporterebbero  lo  strapazzo  del  trasporto,  quindi 
vengono  consumati  sul  posto,  e  pur  colà  costituiscono  uno  dei  cibi  più 
lussuosi. 

"  1  datleri  secchi,  detti  così  perchè  diventano  secchi  subito  dopo 
che  sono  stali  colti,  contengono  una  quantità  di  zucchero  un  po'  mi- 
nore di  quella  contenuta  dai  datteri  molli,  ma  sono  anch'i  ssi  assai  nu- 
trienti ed  hanno  il  vantaggio  di  essere  assai  resistenti.  Son  dessi  che 
formano  il  fondo  del  regime  degli  abitanti  delle  oasi,  che  se  ne  servono 
come  noi  facciamo  col  pane. 

"  Delle  tradizioni  culturali  eccellenti  hanno  dato  luogo  nell'Africa 
settentrionale  alla  produzione  di  un  numero  enorme  di  varietà  distinte 

—  più  che  un  centinaio  — ,  che  presentano  i  caratteri  più  squisiti  di 
adattamento  alle  condizioni  di  clima  e  di  irrigazione  delle  varie  oasi. 
Parimenti  il  dattero  stesso  vien  preparato  in  modi  molto  diversi  a  se- 
conda che  dev'esser  consumato  sul  posto  o  deve  servire  di  provvigione 
durante  un  viaggio  di  carovana  o  ad  una  spedizione  militare.  Cosi  i 
datteri  vengono  non  di  rado  preparati  in  focacce,  le  quali  diventano 
cosi  dure  che  devono  venir  fatte  a  pezzi  con  una  piccola  scure:  in 
questa  forma  condensata  essi  assumono  una  ricchezza  nutritiva,  che  li 
rende  assai  adatti  come  provvigione  di  scorta  per  le  lunghe  corse  nel 
deserto. 

"  Naturalmente  i  datteri  conservano  tutte  le  loro  qualità  intrinseche 
anche  se  vengono  importati  nei  nostri  paesi,  dove  possono    benissimo 

—  quanto  a  salubrità  e  a  ricchezza  nutritizia  —  entrare  in  concorrenza 
così  colle  specie  più  pregiate  dei  frutti  indigeni,  come  cogli  altri  fruiti 
d'importazione,  ad  esempio  colle  banane.  Per  questo  rispetto  è  certo 
che  la  conquista  tripolina  verrà  a  diffondere  grandemente  l'uso  di  essi 
anche  nelle  popolazioni  nostre,  con  vantaggio  non  piccolo  dell'  igiene 
dell'alimentazione  „. 

Nelle  condizioni  ordinarie,  per  stimare  la  produzione  media  annuale 
della  palma,  bisogna  tener  conto  del  prodotto  di  un  triennio.  Natural- 
mente la  quantità  del  prodotto  dipende  molto  dalla  varietà. 

Per  esempio  per  la  varietà  Deglet-Nour  (dattero  della  luce)  l'anno 
della  fruttificazione  abbondante  dà  almeiio  5  o  6  regimi  che  pesano  in 
media  ciascuno  4  kg.,  quindi  in  totale  20  kg. 

Nell'anno  successivo  il  prodotto  si  riduce  della  metà,   ossia   10  kg. 

Nel  terzo  anno  il  prodotto  è  nullo. 


—  1032  - 

In  tal  modo  il  prodotto  medio  per  anno  si  può  calcolare  di  10  kg. 
Ci  possono  essere  dei  soggetti  che  danno  prodotti  più  rilevanti  ma 
sono  eccezioni. 

I  datteri  secchi  danno  un  prodotto  triplo,  valgono  però  meno.  Di- 
fatti i  datteri  secchi  si  pagano  in  media  20  L.  il  Q.^'^  e  quelli  molli 
L.  50  e  più. 

Tenuto  conto  della  mano  d'opera,  si  può  calcolare  che  ogni  palma 
in  produzione  dà  un  prodotto  medio  per  anno  di  L.  3  a  4. 

Degli  altri  prodotti  della  palma,  abbiamo  già  parlato  nel  Gap.  II. 

a)  Malattie  e  danni  sulle  foglie.  —  1.  Annerimento  delle  foglie: 
Coniothy riunì  palmarnm. 

2.  Le  foglie  prendono  un  colore  grigio  e  poi  bruno,  con  delle 
pustole  aventi  dei  concettacoli  neri,  emisferici:  Peslalozia  plioenicis. 

b)  Malattie  e  danni  sui  fiori  e  frutti.  —  Boslrichus  daclyliperda, 
la  cui  femmina  depone  le  uova  nella  infiorescenza  o  sul  frutto  ancor 
verde,  ed  il  bruco  si  nutre  poi  dei  fiori  o  del  nocciolo. 


PASSIFLORE  A  FRUTTI  DOLCI 

Nome  volgare  francese  —   Grenadille    comestible. 

1.  Origine.  —  America  intertropicale. 

2.  Specie  botaniche  coltivate.  —  1.  Pasiflora  qnadrangolarts,  la 
Barbadine  dei  F'rancesi,  produce  dei  frutti  della  grossezza  di  una  noce 
di  cocco.  Somigliano  a  delle  piccole  zucche.  Si  riconoscono  per  il  frutto 
angoloso,  per  le  foglie  intere  verdi  pallide  e  per  la  grossezza  dei 
frutti,  i  più  grossi  del  genere,  che  fanno  un  beli'  efletlo  ornamentale. 
Si  adopera  la  polpa  che  avvolge  i  semi  alla  quale  si  aggiunge  del 
vino  Madera  o  del  vino  bianco.  La  polpa  serve  anche  a  fare  delle 
composte. 

2.  Passiflora  laiirifolia,  si  distingue  dalla  precedente  per  le  foglie 
trilobate,  di  color  verde  carico,  lucente  nella  pagine  superiore.  I  frutti 
sono  sferici,  hanno  la  grossezza  di  un  uovo  di  gallina,  gialli  a  matura- 
zione. Il  pericarpio  è  grosso  ed  abbastanza  duro.  L'interno  racchiude 
una  grande  quantità  di  piccoli  semi,  contornati  da  polpa  gialla  di  un 
gusto  un  po'  acido  piacevole. 

I  frutti  si  consumano  spappolando  i  semi  colla  polpa  che  li  av- 
volge, nell'acqua  zuccherata,  facendo  una  specie  di  limonata  che  è  rin- 
frescante. 

Questa  pianta  dà  ogni  anno  una  notevole  quntità  di  frutti. 

L'illustrazione  che  riporto  è  presa  da  un  frutto  colto  sopra  piante 
denominale  Passiflora  edidis  (fìgg  716-717)  dello  stabilimento  di  fiori- 
coltura  Ballini  di  S.  Ilario  Ligure.  Esso  aveva  la  buccia  coriacea  di  co- 
lore rosso   violetto    leggermente    fragrante,   grossa   2-3  mm.,    con   semi 


—  1033  - 

neri,  ovali   non   più   lunghi  di  2   mm.    Il    gusto    piccante    della    polpa 
ricorda  quello  delle  fragole,  ina  un  po'  astrigente.  I  semi  stanno  uniti 


Fig.  716.  —  Passillora  ediilis:  Ramo  col  fruito  e  fiore. 


lungo  un  asse  mediano,  e  lateral- 
mente sono  attaccati  alle  pareti 
della  cavità  interna  del  guscio,  di- 
visa in  3  carpelli. 

La  varietà  conosciuta  sotto  il 
nome  di  Passiflora  lanrifolia  vai: 
linifoUa  è  migliore  ;  il  pericarpio 
è  più  sottile ,  la  poli)a  più  fra- 
grante. 

3.  Coltivazione.  —  Le  passiflore 
si  coltivano  per  ornamento,  quali 
piante  rampicanti  e  per  il  frutto. 

Poco  esigenti  per  il  terreno,  si 
mol'"  ^licano  per  seme  e  per  talea 
Vege.alio  rapidamente  e  fruttificano 
alla  fin*'  del  primo  anno.  Sono  mollo 
produttive  ed  i  frutti  maturano  dal- 
l'agosto al  novembre. 

Iva  pianta  può  vivere  sino  a  3')  anni. 


Fig.  717.  —  Spaccalo  del 
e  flore  della  Passiflora 


-  1034  — 

PAVIA  DOLCE 

(Pavia  dulcis  —  Fani.  Sapindacee). 

Nome  uolfiure  francese  —  Pavier  doux,  à  grand  épis,  naiii. 

Questa  pianta  ci  viene  dall'America  settentrionale.  E'  un  albero  che 
Tia  molta  analogia  col  castagno  d'India  e  dà  in  luglio  ed  agosto  i  suoi 
fiori  bianchi  odorosi  a  grappoli.  A  questi  succedono  delle  castagne  che 
sono  buone  crude  e  cotte. 

Il  Pavia  ama  un  terreno  fresco  e  leggero,  un'esposizione  fra  mez- 
zogiorno e  levante  o  ponente.  Si  può  moltiplicare  per  margotta,  per 
polloni  rimessiticci  delle  radici  e  per  seme.  Le  margotte  si  fanno  in 
primavera  per  incisione  ed  attechisctmo  con  facilità;  i  polloni  si  stac- 
cano in  autunno  o  primavera.  La  semina  si  fa  come  per  il  castagno, 
ossia  si  stratilicano  le  castagne  in  autunno  per  seminarle  in  primavera. 
Nell'anno  successivo  si  separano  le  piante  ben  riuscite,  trapiantandole 
col  pane  di  terra  e  si  mettono  a  dimora. 

Collocate  nel  posto  definitivo,  queste  piante  non  reclamano  cure 
particolari;  al  più  conviene  riparare  le  radici  dai  freddi  troppo  intensi, 
coprendo  il  terreno  con  paglia. 

Il  Pavia  produce  i  frutti  all'estremità  dei  rami  dell'anno  precedente; 
quindi  qualsiasi  potatura  andrebbe  a  danno  della  produzione. 


PERSEA  GRATISSIMA 

(Persea  gratissima  Goertu.  —  Fam.  Lauracee). 

Nome  voUjare  francese  —  Avocatier,  Persee. 

Bibliografia  —  I.  Dybowski  —  Traile  pratique  des  cultures  tropicales 
—  Paris  1902. 

1.  Origine  della  pianta  e  sua  diffusione.  —  Originaria  dell'America 
tropicale  e  delle  Antille.  Ora  però  si  è  difl'usa  in  tutte  le  colonie  e  si 
sarebbe  diffusa  anche  di  più  se  i  semi  non  perdessero  tanto  presto  la 
facoltà  germinativa.  Vi  sarà  un  grande  interesse  di  propagare  questo 
albero  su  tutta  la  nostra  costa  Mediterranea,  dove  anche  la  temperatura 
discende  d' inverno  intorno  a  zero  gradi,  perchè  rusticissima,  di  fa- 
cile riproduzione  per  seme  ed  i  frutti  saranno  sempre  più  ricercati  sul 
mercato  nazionale  e  internazionale  qualora  si  saranno  fatti  conoscere 
ed  apprezzare. 

2.  Caratteri  botanici  e  descrizione.  —  E'  un  bell'albero  di  8  a  15 
(fìg.  718)  metri  di  altezza,  di  rapida  crescila.  Il  suo  tronco  è  diritto  con 
corteccia  verde  chiara  quando  è  giovane  e  poi  grigia  diventando  adulto, 
ma  sempre  liscia.  Rami  (lìg.  719)   eretti    con    foglie    persistenti,  lunghe 


1035  - 


20-30  cm.,  larghe  8  a  10,  alterne,  coriacee,  interne,  ovali,  accuminate,  di 
color  verde  carico  formante  una  fronda  ovoidale  e  raramente  globu- 
losa.  Infiorescenza  a  panicolo  assilare  o  terminale,  con  fiori  picoli  (fìg.  720). 
I  frutti  sono  drupe,  globose  o  allungate,  liscie  della  grossezza  e  forma 
di  (fìg,  721)  una  pera  (Poire  d'avocat)  e  sono,  secondo  le  varietà,  di  color 
verde  carico  o  violacee  a  maturazione,  il  che  avviene  dall'ottobre  al  gen- 
naio. La  polpa,  abbastanza  consistente,  è  protetta  da  una  pellicola  sot- 
tile, verdastra.  Di  sapore  finissimo  che  ricorda  quello  delle   nocciuole, 

butirrosa,  liquescente,  si  può  com- 
parare al  burro  vegetale.  Il  frutto 
racchiude  un  solo  nocciolo,  grosso, 
globuloso  e  protetto  da  un  guscio 
sottile  ma  duro,  ripieno  di  un  succo 


m:r 


Fig.  718.  —  Albero  di  Persea  della  R.  .Scuola 
Agricola  coloniale  di  .St.  Ilario. 


Fig.  719. 
Dettaglio  della  fronda. 


lattiginoso.  Questi  frutti   si    mangiano   come  antipasto.   Nelle  Antille  i 
creoli  li  mangiano  colla  carne  e  sugo  di  limone. 

3.  Varietà.  —  Esistono  più  varietà  di  Pemea:  a  frullo  violetto  uerde, 
rosso  e  verde  a  fruito  grosso.  Si  preferiscono  le  varietà  dal  frutto  più 
voluminoso.  Vi  sono  delle  varietà  il  cui  frutto  pesa  400-450  gr.  Nell'Al- 
geria si  consiglia  la  varietà  a  frutto  rosso. 

4.  Coltivazione.  —  E'  necessaria  una  esposizione  calda  e  riparala; 
un  terreno  fertile  e  profondo  ;  irrigazioni  frequenti  durante  l'estate  e 
delle  sarchiature. 

Si  può  moltiplicare  per  seme  e  talea. 

II  seme  mantiene  per  3  settimane  la  facoltà  germinativa,  ma  doven- 


-  1036  — 

dolo   spedire   si    deve    usare    molta   precauzione    stratificandolo    colla 
segatura  di  legno.  Si  abbia  cura  che  arrivi  presto. 


Fig.  720.  —  Ramo  a  frutto  e  spaccato  del  frutto  di  Persea. 


Fig.  721.  —  Frullo  di  Fersea. 


Si  può  riprodurre  anche  per  talea,  adoperando  dei  rami  semi-le- 
gnosi, sotto  vetro. 

Le  piantine  ottenute  sia  per  seme  che  per  talea  si  trapiantano  nel 
vivajo  dove  si  lasciano  per  2  anni.  Giunto  il  momento  del  trapianto  si 


-  1037  - 

scava  intorno  alla  pianta  ad  una  distanza  di  25  cm.  un  fossatello  per 
tagliare  le  radici  e  poi  si  riempie  il  fossatello  con  acqua.  Due  settimane 
o  tre  dopo  si  fa  l'estirpazione  e  l' impianto  a  dimora. 

Se  r  impianto  ha  uno  scopo  ornamentale,  la  distanza  che  si  lascia 
fra  pianta  e  pianta  è  di  10  m.  Se  invece  la  sua  coltura  ha  uno  scopo  indu- 
striale allora  si  fanno  dei  frutteti  collocando  le  piante  a  5  m.  di  distanza. 

L'albero  cresce  rapidamente  e  comincia  a  fruttificare  dopo  il  quarto 
o  quinto  anno.  Non  si  distingue  per  una  copiosa  fruttificazione  come  i 
nostri  peri  e  meli,  ma  questa  è  però  costante. 

Nei  paesi  tropicali  comincia  a  fiorire  prima  della  stagione  delle 
pioggie  ed  i  frutti  maturano  in  4-5  mesi. 

5.  Raccolta  dei  frutti  e  usi.  —  La  raccolta  dei  frutti  devesi  fare 
quando  questi  cominciano  a  cambiare  di  colore,  per  le  varietà  violette 
e  quando  diventano  più  chiare  di  colore,  quelle  verdi.  Bisogna  evitare 
che  i  frutti  cadono  a  terra  poiché  sono  delicati  e  se  contusi  marci- 
scono presto. 

Alle  Antille  il  raccolto  si  fa  dall'agosto  a  novembre,  nella  regione 
mediterranea  dall'ottobre  al  gennaio. 

Il  prezzo  dei  frutti  varia  secondo  che  l'albero  è  più  o  meno  cono- 
sciuto. Nell'isola  Giammaica  e  Trinità  si  pagano  Fr.  6  il  cento  mentre 
a  Parigi,  dove  si  cominciano  ad  importare,  si  pagano  da  1  a  2  Fr.  l'uno. 
Potendo  anche  realizzare  un  prezzo  di  50  centesimi,  si  avrebbe  un  buon 
reddito. 

il  frutto  devesi  consumare  quando  è  ben  maturo,  il  che  si  conosce 
quando  cede  alla  pressione  del  dito. 

Come  abbiamo  visto,  la  polpa  ha  un  sapore  che  ricorda  la  nocciola 
e  la  mandorla  fresca  e  il  frutto  lo  si  serve  per  antipasto.  Legger- 
mente salata  e  peppata,  si  stende  sul  pane  e  costituisce  un  alimento 
gradito.  Volendo  servire  per  dessert,  i  fruiti  bisogna  zuccherarli  ed  ac- 
comodarli con  del  rhum,  Kirschwasser,  o  vino  di  Madera.  Ha  fama  di 
essere  afrodisiaco  ed  avere  proprietà  abortive. 

In  America  con  l'olio  estratto  dalla  polpa  si  fabbrica  un  sapone. 
Contiene  il  17  %  di  grassi. 

I  frutti  si  imballano,  avvolti  con  carta,  in  cassette  basse  ad  uno 
strato,  con  della  segatura  di  legno.  Per  ritardare  la  loro  maturazione 
si  possono  tenere  nei  frigoriferi  alla  temperatura  di  -f-  2"  C. 


PSIDIO 

(Psidium  sp.  —  Fani.  Mirlacee). 

Nomi  volgari  slranìeri  della  pianla  —  Frane:  Goyaviere  —  Ted.  Gu- 
javabaum  —  Ingl.  Guava. 

Bibliografia  —  I.  D3bo\vski  —  Traité  pratique  des  cultures  tropicales 
—  Paris  1902. 


—  1038  — 

H.  lunielle  —  Les  cullures  coloniales  —  Paris  1900. 
D/  G   Sauvaigo  —  Les  cultures  sur  le    lìttoral  de  Mediterranée   — 
Paris  1894. 

1.  Origine.  —  Indigeno  dell'America  centrale,  si  trova  dal  Messico 
al  Brasile.  Appartiene  quindi  alla  zona  intertropicale  ma  si  estende  anche 
più  al  nord. 

2.  Specie  botaniche  coltivate.  —  Le  specie  più  raccomandate  per 
i  loro  frutti  e  che  danno  i  migliori  risultati  sul  bacino  del  Mediterraneo 
sono  le  seguenti  :  Psidium  Cattlej^anum  Sabin.  e  P.  Guyava  Raddi. 

a)  Psidium  Catileyanum  Sabin.  (Psidio  di  Cattley,  Psidio  a  frutti 
purpurei,  Psidio  della  China).  Piccolo  albero  con  chioma  ricca  o  ce- 
spuglio, rusticissimo,  più  di  tutti  i  suoi  congeneri.  1  suoi  frutti  che  ma- 
turano in  Liguria  alla  fine  di  luglio,  sono  di  color  rosso  vinoso,  della 
forma  e  grandezza  di  una  ciliegia  duracina.  La  polpa  è  rosso  purpurea, 
più  chiara  verso  il  centro,  del  sapore  di  prugna,  dolciastro,  mucillagi- 
noso intorno  al  nocciuolo  che  ha  la  grossezza  di  quello  della  ciliegia. 
Può  servire  per  preparare  delle  confetture.  Si  moltiplica  facilmente 
per  talea.  Le  foglie  persistenti,  assomigliano  a  quelle  del  pesco,  però 
ingrandite,  e  sono  piuttosto  consistenti.  La  pianta  ha  un  beli'  aspetto 
può  servire  anche  per  ornamento  nei  giardini. 

b)  Psidium  Guyava  Raddi.  (Psidio  giallo,  Psidio  comune,  Pero  delle 
Indie,  Psidio  bianco).  Si  trova  nelle  Antille  e  nel  Brasile,  allo  stato  spon- 
taneo. 

Linneo  ed  altri  autori  dopo  il  Raddi  che  fece  degli  studi  speciali 
sul  genere  Psidium,  ammisero  l'esistenza  di  due  specie  di  Psidium  pro- 
priamente detto  o  Guyava  e  cioè  il  (fig.  722)  Psidium  pomiferum  L.  in 
italiano  chiamato  da  alcuni  Pomo  delle  Indie  ed  il  Psidium  pyriferum  L. 
o  Pero  delle  Indie  ((ìg.  723). 

La  differenza  principale  tra  queste  due  specie  risiede  nella  forma 
del  frutto  come  lo  indica  la  stessa  denominazione  e  nel  colore  della 
polpa.  Il  Psidium  pomiferum  ha  i  frutti  associati  a  2  o  3.  Il  frutto  è 
arrotondato,  ovoidale  con  polpa  rossa  profumata  leggermente  di  fragola, 
il  Psidium  pyriferum  ha  il  flutto  più  isolato,  più  allungato,  in  forma 
di  pera,  con  polpa  bianca  o  rosea. 

Ma  questi  non  sono  caratteri  sufficienti  per  formare  due  S])ecie  di- 
stinte, sono  due  tipi  (issi  appartenenti  alla  medesima  specie.  Del  resto 
anche  il  Raddi  alTerma,  di  avere  trovato  nel  Brasile  dove  l'albero  cresce 
selvatico  e  si  moltiplica  da  sé,  dei  soggetti  promisqui  che  danno  dei 
frutti  con  tutte  le  forme  e  caratteri  intermediari  fra  i  due  tipi. 

Lo  psidio  può  raggiungere  anche  (5  m.  di  altezza  (nell'Italia  meri- 
dionale però  raggiunge  3  m.)  e  prende  una  forma  di  arbusto,  con  rami 
piuttosto  divaricati.  La  scorza  del  tronco  è  liscia,  verde-rossastra,  sot- 
tile, molto  aderente  ma  che  poi  si  distacca  facilmente,  appena  abbattuto 
r  albero. 

I  rami  portano  delle  foglie  opposte  specialmente  all'estremità,  (juasi 
sessili,  ovali  e  cordiformi  alla  base,  grosse,  intere,  persistenti  per  poco 


—  1039  - 

più  di  un  anno,  poi  le  foglie  vecchie  cadono.  Superiormente  sono  di 
un  bel  colorito  verde,  disseminate  da  pori  trasparenti  e  nella  pagina 
inferiore  sono  di  colore  più  sbiadilo  e  leggermente  tomentose  lungo 
le  nervature. 

I  fiori  solitari  o  per  2  o  3,  crescono  all'ascella  delle  foglie.  Sono 
bianchi  o  leggermente  rosati,  col  calice  aderente  all'ovario  più  o  meno 
odorosi.  (Hi  stami  sono  molti,  inseriti  su  di  un  disco  che  parte  dall'asse 
e  tappezza  l' interno  del  calice.  Il  frutto  è  una  bacca  giallastra  o  rossa, 
mollo  odorosa,  della  grossezza  circa  di  un  piccolo  limone,  coronato 
dal  calice  come  la  nespola.  La  polpa  è  zuccherina,  acidula,  profumata 


Psidiuin  pomiferuni. 


Fig.  72.'?.  -   Psidium  pyrifeniiii 


e  succolenta.  I  frutti  si  trovano  raramente  a  due  a  due  riuniti  all'ascella 
delle  foglie  ed  all'estremità  dei  rami,  irregolarmente  messi. 

I  semi  sono  numerosi,  durissimi. 

In  America  si  sono  formate  molte  varietà  di  questo  Psidio,  che  si 
distinguono  per  lo  più  per  la  grossezza  del  frutto,  per  il  suo  sapore  e 
per  il  colore. 

3.  Importanza  della  coltivazione.  —  Per  la  facilità  della  sua  col- 
tivazione, per  la  rapidità  ed  abbondanza  della  fruttificazione,  per  le 
buone  qualità  dei  suoi  frutti  i  quali,  senza  essere  di  primissima  qualità 
pure  meritano  di  figurare  in  qualunque  tavola,  lo  psidio  si  diffuse  anche 
nel  bacino  del  Mediterraneo.  Lo  si  coltiva  con  successo  nell'Algeria  ed 
in  alcune  località  riparale  della  Provenza,  a  S.  Remo,  a  Napoli,  in  Si- 
cilia ed  in  Sardegna. 

4.  Clima  ed  area  di  coltivazione.  —  Nella  Guadelupa  lo  psidio  si 
trova  fino  a  700  m.  di  altitudine.  E'  un  albero  molto  rustico,  ma  dà 
1  frutti  migliori  nelle  zone  con  pioggie  moderate. 


-  1040  — 

Da  noi  in  Liguria,  il  Guyava  fiorisce  in  luglio  ed  il  frutto  matura 
dal  seltembre-ollobre  al  gennaio. 

In  Liguria  non  è  tanto  esteso  quanto  al  di  là  di  San  Remo  lungo 
la  Costa  Azzurra. 

Come  riesce  bene  nel"Algeria  e  Tunisia,  dove  ha  una  fruttificazione 
abbondante  e  regolare,  così  si  potrà  coltivarlo  con  vantaggio  nella 
Libia. 

5.  Coltivazione.  —  Per  prosperare  nella  Liguria,  in  Sardegna  e  Si- 
cilia é  necessario  un  terreno  sciolto,  caldo,  molto  fertile,  da  giardino, 
irrigatorio,  ed  una  esposizione  molto  calda.  Anzi  bisognerà  seminarlo 
in  vasi  e  trapiantarlo  in  marzo,  in  piena  terra. 

Nella  Libia  si  potrà  seminarlo  all'aperto  nel  semenzajo  ;  quando  le 
piante  hanno  emesso  il  terzo  pajo  di  foglie,  si  trapiantano  nella  pian- 
tonaja,  collocandole  alla  distanza  di  25  cm.  in  tutti  i  sensi. 

In  un  anno  si  ottengono  già  delle  piante  di  1  m.  di  altezza  ben  ra- 
mificate alla  base,  che  si  possono  collocare  a  dimora  alla  distanza  di 
4  m.  per  lato. 

La  fruttificazione  comincia  nel  terzo  anno  ed  è  sempre  abbondante 
e  regolare. 

Si  può  anche  moltiplicare  avendo  qualche  varietà  speciale  da  ri- 
produrre per  talea  e  per  innesto,  sopra  dei  soggetti  ottenuti  da  seme 
o  sul  mirto. 

Quando  le  pioggie  sono  abbondanti,  è  necessaria  la  concimazione. 
Per  T  irrigazione  è  meno  esigente  degli  agrumi. 

La  pianta  tende  generalmente  ad  elevarsi  e  perciò  conviene,  sic- 
come non  tollera  i  tagli  forti,  abbassarla  ogni  due  o  tre  anni.  Questo 
taglio  di  ringiovanimento  si  fa  un  mese  prima  della  fioritura. 

6.  Eaccolta  dei  frutti  ed  usi.  —  A  cominciare  dal  terzo  anno,  si 
può  calcolare  sopra  un  prodotto  di  6-8  kg.  di  frutta  per  pianta. 
La  produzione  però  aumenta  in  seguito  e  può  arrivare  alla  media  di 
25  kg.  per  pianta. 

I  frutti  si  mangiano  crudi,  dopo  averli  sbucciati  e  tagliati  per  eslrarre 
i  semi.  Si  servono  in  tavola  zuccherati  e  conditi  con  del  cognac  o  kirsch, 
come  si  trattasse  di  fragole. 

Si  preparano  anche  confetture,  gelatine  e  mostarde. 

I  frutti,  tanto  poco  conosciuti  in  Europa,  si  possono  agevolmente 
spedire,  curando  l'imballaggio,  avvolgendoli  cioè  con  carta  velina  e 
frammettendo  fra  i  frutti  della  segatura  di  legno. 


PARTE  UNDECIMA 

PIANTE   DA  BOSCO  A   FRUTTO 
COMMESTIBILE 


BAGOLARO 

(Celtis  Australis  Linn.  —  Fani.  UlinaceeJ. 

Nomi  volgavi  italiani  della  pianla  —  Fraggiracolo,  Giracelo,  Spac- 
casassi  p.  err.,  Arcidiavolo,  Bagatto,  Buceràta,  Fraggiraco,  Frassignuolo, 
Legno  da  racchelle,  Loto  p.  err,  Loto  ciliegino,  Perlaro. 

Nome  volgare  italiano  del  frutto  —  Bagole. 

Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  Frane:  Micocoulier  —  Ted. : 
Ziirgelbauni. 

1.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  Albero  assai  grande  che  rag- 
giunge l'altezza  di  15  a  18  metri  con  un  diametro  di  50-60  cm.  ed  anche 
di  m.  1.  Chioma  folta,  ricca  di  rami  e  di  ramoscelli  che  producono 
molta  ombra. 

Radici  molto  robuste,  profonde,  estese  anche  superficialmente  e 
capaci  di  dare  molti  polloni,  se  il  tronco  viene  reciso. 

Tronco  diritto,  assai  ramoso;  l'ami  grossi,  tortuosi,  molto  divergenti. 
Corteccia  unita  e  cenerognola,  qua  e  là  tubercolosa  o  che  si  fende  in 
slriscie  longitudinali  quando  è  adulta. 

Gemme  conico-schiacciate,  riunite  a  tre  a  tre  all'ascella  delle  foglie, 
aderente  ai  rami. 

Foglie  distiche,  con  picciolo  breve  (5-10  mm.)  ovali-lanceolate, 
lungamente  acuminate,  irregolarmente  seghettate,  ma  con  base  intera, 
non  simmetrica,  percorse  da  3  nervature  principali,  scabre  sulla  pagina 
superiore,  pubescenti  e  molli  nella  pagina  inferiore. 

I  fiori  sono  solitari,  posti  su  di  un  lungo  peduncolo,  piccoli,  bianco- 
giallognoli,  e  si  trovano  all'ascella  delle  foglie  dei  ramoscelli  dell'anno 
in  corso. 

CG  —  Tamaho  -  Fnitticolliira. 


-  1042  - 

Il  fruito  è  una  drupa  piccola  come  un  pisello,  rotonda,  di  color 
nero  a  maturità,  con  polpa  zuccherina,  mangiereccia,  con  nocciolo 
osseo. 

2.  Importanza  della  coltivazione.  —  11  bagolaro  è  una  pianta  della 
quale  si  utilizzano  i  frutti  soltanto  in  via  secondaria;  si  coltiva  pel  suo 
legno. 

3.  Sistemi  di  coltivazione.  —  Si  educa  tanto  ad  alto  fusto  come  a 
ceduo.  Forma  boschetti  e  lo  si  moltiplica  seminando  od  anche  trapian- 
tando le  piantine  nei  vivai.  La  coltura  del  bagolaro  è  da  raccoman- 
darsi ai  piccoli  proprietari,  come  la  più  proficua.  Si  presta  ad  arborare 
margini  di  boschi  e  colti  per  sostegno,  alle  viti  e  per  abbellire  parchi 
e  giardini.  Nell'Italia  settentrionale,  specialmente  nel  Bresciano  e  nel 
Bergamasco,  viene  abbastanza  estesamente  coltivato. 

Con  questo  albero  si  fiinno  dei  filari  di  ornamento  nei  pubblici 
passeggi  esposti  ai  venti  marini. 

Il  ceduo  viene  tagliato  ogni  10-12  anni,  ed  a  capitozza  ogni  3-4  anni. 
Da  solo  non  forma  mai  dei  boschi. 

4.  Clima  ed  esposizione.  —  È  una  pianta  lucivaga,  che  resiste  ai 
freddi  ed  alla  siccità,  ma  non  ai  geli.  Predilige  le  pianure  e  le  basse 
colline,  però  riesce  anche  nelle  montagne.  Prospera  nelle  esposizioni 
solatie,  ma  fa  bene  anche  nelle  esposizioni  a  bacìo. 

5.  Terreno.  —  Vive  in  qualunque  terreno,  perfino  nelle  fessure 
delle  rupi,  ove  arriva  a  fruttificare.  Ama  un  terreno  fertile  e  profondo, 
con  elemento  calcare  o  sabbioso  prevalente,  ma  si  accontenta  sempre 
purché  non  vi  sia  troppa  umidità. 

6.  Moltiplicazione.  —  Si  propaga  coU'affidare  i  semi  nel  semenzaio, 
oppure  anche  per  mezzo  dei  rimessiticci  delle  radici.  Si  moltiplica 
anche  per  innesto  a  gemma  in  agosto. 

7.  Caratteri  vegetativi.  —  Seminando  in  autunno,  i  semi  germi- 
nano nella  primavera  successiva;  mn,  seminando  in  primavera,  rimangono 
nel  terreno  uno  o  due  anni  prima  di  germinare.  La  pianticella  riesce 
robusta  fin  dal  primo  anno.  Fruttifica  precocemente,  ma  le  fruttifica- 
zioni abbondanti  si  seguono  intermittentemente  e  senza  regola.  Il  siste- 
ma radicale  è  potente  ed  esteso,  si  rimette  vigorosamente  si  dal  ceppo 
che  dalle  radici.  Le  ceppale  sono  longeve.  La  pianta  impiega  circa  150 
anni  per  arrivare  al  suo  intero  accrescimento  ;  nei  primi  40  anni  cre- 
sce con  molta  prestezza,  ma  poi  lentamente  e  diventa  antichissimo.  Le 
gemme  germogliano  in  aprile  e  maggio,  e  cioè  in  un'epoca  che  precede 
poco  quella  della  fioritura.  11  frutto  matura  in  ottobre  e  novembre, 
diventando  nero,  e  cade  a  terra  durante  l'inverno.  Le  foglie  cadono 
nell'autunno  avanzato. 

8.  Prodotti.  —  Il  bagolaro  non  possiede  alburno  distinto.  11  suo 
legno  è  di  un  color  bianco-sordido,  duro,  compatto,  pesante  e,  dopo 
l'ebano  ed  il  bossolo,  è  preferibile  ad  ogni  altro  per  purezza  e  beltà. 
Non  va  soggetto  ai  danni  del  tarlo,  resiste  lungamente  anche  se  esposto 
alle  intemi)erie   e  si  piega  con  facilità  senza  rompersi.  Queste  qualità 


—  1043  — 

si  adoperano  per  fare  ottimi  timoni  àa  carri,  pezzi  di  ruote,  cerchi, 
pali,  tridenti  e  manichi  di  fruste.  La  mancanza  di  questo  legname  si  fa 
sempre  più  sentire. 

I  frutti  sono  mangerecci,  ma  alquanto  lassativi.  Alcuni  hanno  cre- 
duto che  fosse  il  cibo  degli  antichi  Lotofagi.  Dai  noccioli  si  può  estrarre 
un  olio  dolce  da  tavola. 

La  scorza  e  le  radici  si  adoperano  per  tingere  in  giallo. 

Le  foglie  somministrano  un  buon  foraggio. 


CIAVARDELLO 

(Sorbus  torminalis  Crantz.  —  Fam.  Rosacee). 

Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Baccarello,  Mangiarello,  Sorbo 
tonninale  del  Mattioli. 

Nomi  volgari  italiani  del  frutto  —  Brincola  nell'Istria,  Ciavardella, 
(^liabardella,  Sorba  delle  Alpi. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane.  :  Alisier  des  bois  — 
Ted.  :  Essbeerbaum  —  Ingl.  Wild   Servicetree. 

1.  Origine.  —  Il  sorbo  ciavardello  è  pianta  dell'Europa  centrale  e 
non  va  più  in  su  dell'Inghilterra.  In  Italia  è  piuttosto  raro  e  si  trova 
nella  regione  del  faggio  ed  anche  nei  quercili  del  Veneto. 

2.  Caratteri  botanici  della  pianta.  —  D'ordinario  è  un  arboscello; 
ma  cresce  anche  ad  albero,  e  in  circostanze  favorevoli  oltrepassa  i  10 
metri  di  altezza  (fig.  724). 

Radici  lunghe  a  fittone,  ramose  e  molto  dilatate  oltre  che  profonde. 

Il  fusto  è  diritto,  molto  ramoso,  coi  rami  alterni,  lunghi,  disordinati. 
Ha  il  tronco  e  i  rami  vecchi  colla  corteccia  grigia,  finemente  screpo- 
lata, di  color  bruno  rossigno  macchiato  di  bianco.  I  rami  giovani  sono 
coperti  di  una  corteccia  rosso-bruna,  leggermente  lanugginosa.  Legno 
bianco-giallognolo,  assai  compatto  e  pesante. 

Le  gemme  sono  grandi,  ovali-ottuse,  verdi,  lucenti,  glabre  ;  gli  orli 
delle  perule  color  castano  e  bianco  tomentose. 

Le  foglie  sono  alterne,  picciolate,  larghe,  ovate,  divise  in  7  a  9  inci- 
sioni a  cuspide,  dentate  a  sega  e  inegualmente  al  margine,  d'un  verde 
scuro  e  lucido  di  sopra,  pallide  di  sotto,  lanugginose  in  primavera  ed 
in  autunno  rosseggianti. 

I  fiori  sono  ermafroditi,  bianchi,  di  odore  disaggradevole  (fig.  725), 
uniti  in  corimbi  composti  che  si  trovano  all'estremità  dei  rami. 

I  frutti  sono  di  forma  elittica,  umbilicati  alla  sommità,  di  color 
ruggine  di  ferro,  punteggiati  di  bianco  e  somigliano  alle  sorbe.  600 
bacche  pesano  1  kg. 

3.  Clima  ed  esposizione.  —  Vegeta  in  tutte  le  esposizioni,  e  così 
pure   fa   bene    in    piano,   sul    colle    e    sulla    montagna.    Sopporta   più 


-  1044  - 

ombra  del  sorbo  domestico,  resiste  ai    venti   ed   ai   geli,  ma  soffre  per 
il  caldo  e  per  i  colpi  di  sole. 

4.  Terreno.  —  Più  esigente  è  per  il  terreno.  Rifugge  il  suolo  sili- 
ceo ed  umido,  ama  i  terreni  forti  e  freschi,  predilige  i  calcari  e  con- 
chigliferi. 


Fig.  724.  —  Ciavardello. 


5.  Moltiplicazione.  —  Si  fa  per  seme,  affidandolo  al  terreno  appena 
raccolti  i  frutti,  altrimenti  perde  la  facoltà  germinativa.  I  semi  si  met- 
tono profondi  15  cm.  almeno  e  dopo  0  mesi,  e  più  comunemente  dopo 
18  mesi,  nascono  le  pianticelle,  che  indi  si  possono  trasportare  dal 
quinto  al  quindicesimo  anno.  Si  può   moltiplicare    anche    per   polloni. 

6.  Caratteri  vegetativi.  —  Fiorisce  in  maggio,  matura  in  settembre 
e  le  foglie  cadono  dall'ottobre   in   avanti    II    Ciavardello  è  una    pianta 


-  1045  — 

di  lenta  crescita,  impiega  più  di  60  anni  per  arrivare  al  massimo  suo 
sviluppo  e  vive  molto  più  lungamente.  Dà  frutto  dopo  25  o  30  anni. 

7.  Coltivazione.  —  Questa  è  più  una  pianta  da  bosco  che  da  frutto, 
e  nessuno  la  coltiva  a  quest'ultimo  scopo.  L'ho  descritta  perchè  i  suoi 
frutti  sono  commestibili  ed  abbastanza  apprezzati. 

Non  forma  mai  da  per  sé  sola  dei  boschi.  Soffre  il  taglio  del  tronco 
e  dei  rami,  e  come  ceduo,  deve  essere  tagliato  ogni  15-20  anni.  Si  ri- 
mette modestamente  e  solo  dal  ceppo. 

Per  la  sua  lenta  crescita  e  per  la  sua  esigenza  riguardo  al  terreno 
viene  poco  coltivato. 


Fig   725. 


Fiori  e  frutti  del  Ciavardello. 


8.  Prodotti.  —  Il  SUO  legno  avendo  il  vantaggio  di  non  contorcersi 
allatto,  è  molto  stimato  dai  fabbricanti  di  istrumenti  musicali  e  d'arnesi 
di  precisione. 

I  frutti,  ammezziti,  hanno  un  sapore  dolce,  gustoso,  ma  sono  indi- 
gesti. Coi  frutti  fermentati  e  distillati  si  ottiene  uno  spirito  di  ottimo 
gusto  ed  anche  dell'aceto.  Le  foglie  si  danno  fresche  e  secche  alle  capre. 

Colla  corteccia  e  col  legno  si  possono  ottenere  varie  tinture  pei  panni. 


1046  - 


CORBEZZOLO 

(Arbutus  unedu  Limi.  —  Fani.  Ericacee). 


Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Albatro,  Arbuto,  Arbutello, 
Albatrello,  Albatresto,  Grossale  rosso,  Pomin  rosso,  Cornolaro,  Armon, 
Cerasa  marina,  Cuccumarra,  Miriaculi,  Olioni,  Orscello. 

Nomi  volgari  italiani  del  frutto  —  Albatrella,  Corbezzola,  Ciliegia 
marina,  Uva  d'orso,  Uva  orsina,  Pan  d'orso,  Albatra. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta.  —  Frane:  Arbousiet  commun  — 
Ted.  :  Gemeiner  Erdbeerbaum  —  Ingl.  :  Strawberry  tree. 

1.  Caratteri  botanici.  —  Arboscello  di  5  a  6  ni.  di  altezza,  sempre 
verde,  molto  ramoso. 

Le  radici  si  dilatano  in  largo  e  approfondiscono  poco. 

Rametti  numerosi,  di  color  rossiccio  e  cotonosi,  con  scorza  scabra, 
screpolata,  rossastra  e  con  macchie  di  color  bigio-bruno. 

Foglie  alterne,  con  picciolo  breve,  rosso,  molto  vicine  fra  loro, 
ovate,  lanceolate,  ottuse,  dentate,  glabre,  coriacee,  di  un  verde  scuro 
e  lucide  al  di  sopra,  più  pallide  nella  pagina  inferiore.  Lunghezza  6-9 
cm.  ;  larghezza  2-3  cni. 

Fiori  ermafroditi,  foggiati  a  campanellini,  bianchi  o  leggermente 
rosei,  raccolti  in  racemi  pendul  all'estremità  dei  rami.  Calice  a  cinque 
denti,  corolla  ovata  colla  base  luccicante. 

1  frutti  consistono  in  bacche  globose,  verrucose,  superiori  al  calice 
con  5  lobi  e  molti  semi.  Quando  hanno  raggiunta  la  completa  maturità 
sono  di  un  bel  color  rosso  vivo.  Da  principio  sono  verdi  e  poi  gialle 
(fig.  726). 

2.  Moltiplicazione.  —  Si  affidano  i  semi  in  autunno  in  un  terreno 
soleggiato,  sciolto,  posto  in  situazione  ove  non  geli  che  poco  o  di  rado 
alla  profondità  di  2  cm.  Nel  principio  del  successivo  estate,  e  molte 
volte  soltanto  nella  seconda  primavera  nascono  le  pianticelle,  le  quali  si 
possono  trapiantare  dal  terzo  e  settimo  anno.  Si  può  seminarlo  anche 
nella  primavera.  I  semi  mantengono  per  6  mesi  la  facoltà  germinativa. 

Si  propaga  pure  molto  facilmente,  come  fanno  i  Provenzali,  per  mezzo 
delle  messe  delle  radici  e  per  marze,  alle  quali  si  lascia  sempre  attac- 
cato un  poco  di  legno  vecchio.  Si  innesta  per  approssimazione  d'estate 
con  soggetti  di  due  anni. 

3.  Caratteri  vegetativi.  —  È  un  frutice  comunissimo  nella  Pro- 
venza e  da  noi  vegeta  assai  bene  ne'  luoghi  soleggiati  di  collina,  par- 
ticolarmente nella  Liguria,  nel  Friuli,  in  Carniola,  al  monte  Fosca  o 
altrove.  Molto  dilluso  è  in  Istria  e  Dalmazia. 

Matura  in  agosto  e  settembre  e  fiorisce  d'inverno. 


-  1047  - 

4.  Coltivazione.  —  Cresce  nei  luoghi  aridi  e  secchi  delle  regioni 
più  calde  del  nostro  paese,  e  siccome  non  raggiunge  che  rarissime 
volle  delle  dimensioni  considerevoli,  l'uso  anche  del  suo  legname  è 
molto  limitato. 

5.  Prodotti.  —  Le  capre  amano  moltissimo  le  giovani  messe;  varie 
specie  di  uccelli  si   cibano    delle   bacche,  le  quali  vengono  consumale 


Fig.  726.    -  Fiori  e  frutti  del  Corbezzolo. 


anche  da  noi  per  frutti,  ma  riescono  di  difficile  digestione.  Il  legno 
può  servire  per  minuti  lavori;  abbruccia  bene,  dando  bella  fiamma. 
Tutta  la  pianta  potrebbe  venire  messa  a  profitto  per  conciar  le  pelli 
e  per  estrarre  varie  tinture. 

1  frutti  vengono  anche  fatti  fermentare  e  poi  si  distillano  per  rica- 
varne un'acquavite. 


—   1048  — 

CORNIOLO 

(Cornus  mas  L.  —  l'am.  Cornee). 

Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Cornio,  Grognolo,  Sanguine 
maschio,  Gorgnolo. 

Nomi  volgori  italiani  del  frullo  —  Corniola,  Gorniuola,  Cornia. 

Nome  volgare  straniero  del  fruito  —  Frane:  Cornouiller  comun  — 
Ted.:  Cornei  Kirschbaum  —  Ingl.:  Cornel-tree. 

1.  Descrizione.  —  Arboscello  di  2-4  m.  d'altezza,  con  radici  assai 
lunghe,  nodose,  ramose,  che  vanno  poco  profonde  nel  terreno. 

Tronco  assai  ramoso,  mai  diritto,  con  rami  opposti,  assai  moltipli- 
cati, irregolari,  nodosi  e  disposti  in  varie  direzioni.  Nei  giovani  rami 
la  corteccia  è  verde,  nella  state  è  rosso-sanguigna;  invecchiando  diventa 
grigia  e  screpolata. 

Le  foglie  sono  opposte,  picciolate,  ovali,  appuntate,  alquanto  bian- 
cheggianti, nella  pagina  inferiore,  scabre  e  ruvide  al  tatto. 

I  fiori  sono  a  mazzetto  ombelli forme,  di  color  giallo,  provveduti 
di  breve  peduncolo  e  spuntano  prima  delle  foglie. 

II  frutto  è  una  drupa  oliviforme  d'un  bel  rosso  vivo  all'interno, 
racchiudente  uno  o  due  semi  ossei.  11  sa|ìore  del  frutto  è  aspro  dolcigno. 

2.  Vegetazione.  —  I  semi  del  corniolo  conservano  per  due  anni  la 
facoltà  germinativa.  Nei  primi  10  anni  esso  cresce  con  celerilà,  ma  dopo 
assai  lentamente.  Impiega  dai  30  ai  60  anni  per  arrivare  al  massimo 
suo  sviluppo,  e  vive  oltre  i  100.  I  frutti  si  trovano  per  lo  più  all'estre- 
mità di  brevi  dardi  che  sorgono  ai  primi  nodi  dei  rami  di  due  o  tre 
anni,  raramente  su  quelli  di  un  anno. 


Tab.  LXXIII. 

Quadro  indicante  l'epoca  nella  quale  avvengono  le 
principali  fasi  di  vegetazione  del  corniolo  in  alcune  regioni  d'Italia 


Regioni 

Fogliazione 

Fioritura 

Maturazione 
del  frutto 

Caduta 
delle    foglie 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

I.  Piemonte  .    .    . 

II.  Lombardia    .    . 

III.  Veneto  .... 

IV.  Emilia  .... 

V.  Marche,  Umbria 

VI.  Toscana     .    .    . 

VII.  Merid.  Mediter. 

Aprile 

Maggio 
Aprile 
Marzo 

I 

II 
III 

I 
II 

Marzo 

Aprile 
Marzo 
Maggio 

Febbraio 

III 
II 

1 

II 
III 
II 

Settemb. 

Agosto 

Agosto 
Settemb. 
Ottobre 

11 

ni 

II 

I 

Novemb. 
Ottobre 

Novemb. 

I 
111 

li 

3.  Moltiplicazione.  —  Il  corniolo  si  propaga  tanto  per   mezzo    dei 
polloni  delle  radici,  i  quali  si  svellono  in  autunno,  quanto  affidando  i 


-  1049  - 

semi  in  autunno  ad  un  terreno  qualunque,  purché  sciolto,  ed  alla  por- 
fondità  di  3  cm.  Le  piantine  non  compaiono  che  nella  primavera  del 
secondo  anno.  Le  piante  giovani  si  possono  trapiantare  con  profitto 
dal  terzo  all'ottavo  anno  d'età. 

Le  varietà  a  frutto  commestibile,  si  innestano  sul  franco  così  le 
varietà  a  frutto  giallo  a  frutto  grosso,  a  foglie  strette  o  crespe  appli- 
cando l'innesto  a  corona. 

4.  Coltivazione.  —  Il  corniolo  può  contarsi  fra  le  piante  più  rus- 
tiche e  cresce  a  qualunque  esposizione  ed  in  ogni  terreno.  Nondimeno 
preferisce  i  fondi  calcarei,  leggermente  umidi  ed  i  luoghi  alquanto 
ombrosi. 

Si  coltiva  ad  albero  da  fusto  tanto  pel  suo  legno  che  pei  frutti. 

Soffre  il  taglio  del  tronco,  e  lo  tollera  soltanto  da  giovane,  cioè 
prima  che  oltrepassi  i  10  anni  d'età.  Soffre  anche  il  faglio  dei  rami.  11 
taglio  si  dei  rami  che  del  tronco  si  fa  sempre  in  autunno,  i)oichè  la 
pianta  va  in  succo  nei  primi  giorni  di  marzo. 

Si  fanno  con  esso  delle  siepi,  le   quali  non   si  valutano  gran  fatto. 

5.  Prodotto.  —  Il  legno  è  molto  ricercato  per  lavori  da  tornio,  dai 
falegnami,  dagli  ebanisti,  ecc.  e  si  preferisce  ad  altri  legni  pei  denti  da 
ruote  dei  molini,  filatoi  e  simili  lavori  di  forza.  È  pochissimo  soggetto 
al  tarlo,  ma  non  vuole  l'umido.  Colorito  in  giallo,  viene  venduto  per 
legno  di  bosso. 

Le  foglie  sono  buon  foraggio  per  le  capre  e  per  le  pecore.  In  alcuni 
paesi  si  suol  fare  con  esse  del  thè,  il  quale  non  riesce  disgustoso. 

I  frutti  immaturi,  infusi  nella  salamoia,  come  le  olive,  sono  abbas- 
tanza buoni  ed  i  tedeschi  comunemente  li  sostituiscono  a  queste. 

In  Garniola  gli  abitanti  raccolgono  i  frutti  in  principio  di  settembre, 
e,  dopo  avervi  aggiunto  una  sufficente  quantità  d'acqua,  li  pongono  a 
fermentare  come  le  uve  ed  ottengono  una  bevanda  spiritosa,  piccante, 
salubre. 

Le  foglie  ed  i  rami  si  possono  adoperare  nella  concia  delle  pelli  e 
la  corteccia  viene  adoperata  nelle  tintorie  delle  lane,  del  cotone  e 
della  seta. 

6.  Malattie.  —  (Vedi  pagina  500). 


CRESPINO 

(Berberis  vulgaris  Linn.  —  Fam.  Berberidacee). 

Nomi  voUjavi  ilaliani  della  pianta  —  Berberi,  Berbero,  Crespino. 

Nomi  volgari  italiani  del  fratto  —  Uvetta  di  spino,  Spino  acido, 
Lendinina,  Spina  acuta.  Spina  santa,  Spina   vinella. 

Nomi  volgari  stranieri  del  frutto  —  PYancese:  Vinettier  o  Epine 
vinette  comune  —  Tedesco:  Sauerndornstrauch  o  Gemeine  Berberit- 
hestrauch  —  Inglese:  Berberry. 


—  1050  — 

1.  Origine.  —  Cresce  spontaneo  nelle  contrade  montuose  meri- 
dionali e  temperate  d'Europa.  In  tutta  Italia  è  comune  nei  boschi  di 
collina  e  montagna,  nelle  siepi  e  luoghi  simili,  in  qualunque  terreno 
ed  a  qualunqe  esposizione.  Da  noi  si  trova  raramente  coltivato  nei 
giardini  e  frutteti. 

2.  Caratteri.  —  È  un  frutice  alto  2  m.,  colla  radice  lunga,  nodosa, 
assai  ramosa  che  si  espande  molto  profondamente  nel  terreno. 

11  tronco  è  diritto,  molto  ramoso;  i  rami  giovani  sono  diritti,  va- 
riegati ed  incurvano  invecchiando  portando  il  frutto. 

La  corteccia  è  rugosa  o  liscia,  di  color  grigio-lepre  esternamente, 
nell'interno  carnosa,  giallo-verdastra  sui  rami,  giallo-dorata  sul  tronco 
e  sulle  radici.  Fra  gli  strati  dell'alburno  e  della  corteccia  esiste  una 
materia  estrattiva  di  color  d'  oro  assai  bello.  La  corteccia  dei  rami,  e 
segnatamente  dei  giovani,  è  armata  di  lunghi  aculei,  pungenti,  solitari, 
o  più  frequentemente  ternati  uniti  alla  loro  base. 

Il  legno  è  di  color  giallo-dorato,  specialmente  al  colletto  ed  impal- 
lidisce all'aria  o  diviene  giallo-verdastro;  è  duro,  compatto,  forte,  facile 
a  fendersi  ed  a  contorcersi,  come  pure  è  suscettibile  di  un  bel  pulimento. 

Le  foglie  sono  di  color  verde-chiaro  e  molte  volte  verdi-rossastre, 
liscie  superiormente  e  venate  al  disotto. 

I  tìori  sono  gialli,  di  odore  acuto  disaggradevole,  hanno  i  petali 
concavi. 

I  frutti  sono  piccole  bacche  unite  a  grappolo,  ovali,  oblunghe,  suc- 
cose, rosse  o  bianche  o  violette  secondo  le  varietà  quando  sono  mature, 
di  sapore  subacido  grato;  contengono  per  lo  più  due  semi  ovato  oblunghi. 

3.  Varietà.  —  Il  Du  Breuil  accenna  alle  seguenti  varietà  di  crespino  : 

1.  Crespino  comune.  —  Frutti  poco  voluminosi,  rossi,  molto  acidi, 
specialmente  al  Nord. 

2.  (Crespino  bianco.  —  1  cui  frutti  sono  di  colore  bianco- giallastro. 

3.  Crespino  violello.  —  1  cui  frutti  sono  di  colore  violetto,  ed  un 
po'  meno  acidi  della  varietà  precedente.  Questa  varietà  verrebbe  con- 
sigliata ai  paesi  del  Nord,  dove  il  crespino  comune  dà  frutti  troppo 
acidi. 

4.  Crespini)  a  foglie  larghe.  —  I  cui  frutti  sono  di  colore  rosso 
corallino,  acidissimi  ma  più  grossi  dei  precedenti. 

4.  Clima  e  terreno.  —  Il  crespino  non  teme  né  il  freddo  né  il  caldo, 
però  nei  climi  freddi  od  esposizioni  a  nord  da  i  fruiti  più  acidi. 

Lo  troviamo  nelle  terre  più  secche,  aride,  ciottolose,  calcari  o  mar- 
mose  come  in  pianura.  Preferisce  i  terreni  leggeri  e  secchi. 

5.  Moltiplicazione.  Il  crespino  si  moltiplica  per  seme,  per  margotta 
e  per  polloni.  I  semi  non  conservano  la  facoltà  di  germinare  oltre  l'anno. 
La  semina  si  fa  in  autunno  affidando  i  semi  in  un  terreno  mezzana- 
mente leggero  e  sostanzioso,  e  quasi  supertìcialmente.  Le  pianticelle 
spuntano  nella  successiva  primavera,  e  poi  possono  essere  trapiantate 
dopo  il  secondo  anno. 

6.  Caratteri  vegetativi.  Questa  pianta  nella   Lombardia   germoglia 


—  1051  - 

in  aprile  ed  in  novembre  cadono  le  foglie.  Fiorisce  alla  fine  di  maggio 
e  nella  prima  decade  di  giugno;  i  frutti  maturano  dalla  fine  d'agosto  a 
tutto  settembre,  stando  sulla  pianta  anche  fino  ad  autunno  avanzato. 
La  pianta  cresce  con  prestezza  nei  primi  sei  anni  e  ne  impiega  da 
15-25  per  arrivare  all'intero  sviluppo,  vive  però  molto  più  lungamente. 


Tab.  LXXIV. 

Quadro  indicante  l'epoca  nella  quale  avvengono  le  principali  fasi 
di  vegetazione  del  crespino,  in  alcune  regioni  d' Italia. 


Regioni 

Fogliazione 

Fioritura 

Maturazione 
del  frutto 

Caduta 
delle  foglie 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

Mese 

De- 
cade 

I.  Lombardia   .    . 

II.  Veneto  .... 

III.  I-milia  .... 

IV.  Marche,  Umbria 

V.  Toscana      .    .    . 

VI.  Merid.  Adriatica 

VII.  Merid.  Mediterr. 

Aprile 

Marzo 
Febbraio 

I 

III 
lì 
1 

III 

Maggio 

Maggio 
Aprile 

II 

_ 
III 

lì 

I 
III 

Settemb. 
Settemb. 

111 

1 

11 
III 

Novemb. 
Ottobre 

Settemb. 
Dicemb. 
Ottobre 

1 
HI 

III 

,i, 

7.  Coltivazione.  —  Quasi  nulla  è  la  cura  che  si  ha  di  questa  pianta 
anche  nelle  località  dove  i  suoi  frutti  sono  oggetto  di  speculazione.  Da 
noi  in  Italia  non  viene  coltivato  tanto  estesamente  per  il  fatto  che 
abbiamo  i  limoni  i  quali  ci  forniscono  un  succo  acido  molto  più  gra- 
dito. Non  cosi  avviene  nei  paesi  del  Nord. 

Questa  pianta  soffre  il  taglio  del  tronco  e  dei  rami,  e  forma  dei 
cespugli:  in  ogni  caso  una  mondatura  dei  rami  contusi  o  morti,  un 
accorciamento  dei  rami  dell'annata  fortificano  i  rami  della  base.  Coi 
crespino  si  possono  ottenere  anche  delle  piramidi  ed  allora  bisogna 
ricordarsi  ciie  le  gemme  a  fiore  si  trovano  sui  rami  formatisi  l'anno 
precedente.  Quindi  il  taglio  dei  prolungamenti  successivi  delle  branche 
dev'essere  fatto  in  modo  da  determinare  lo  sviluppo  di  questi  piccoli 
rami  i  quali  alla  lor  volta  vengono  rimpiazzati  come  si  fa  sull'albicocco. 

Si  deve  svettare  con  cura  ogni  anno  i  numerosi  rimessiticci  che 
appaiono  al  colletto  della  radice  e  che  ben  presto  spossano  il  fusto 
principale.  Del  resto  i  lavori  di  coltura,  le  concimazioni  devono  essere 
fatte  al  crespino  coinè  agli  alti'i  alberi  fruttiferi,  se  si  vogliono  ottenere 
dei  buoni  prodotti. 

8.  Prodotti.  —  La  pianta  è  buona  per  la  costruzione  di  siepi,  ma 
non  si  jìossono  consigliare  queste  siepi  in  vicinanza  ai  campi  di  cereali 
in  quanto  che  sopra  questa  pianta  completa  la  sua  fase  vegetativa  la 
Piiccinia  gianiinis  (Ruggine  dei  cereali). 

Il  legno  è  usato  per  vari  lavori  di  tornio,  d'intarsi  e  simili.  I  cal- 
zolai fanno  con  esso  dei  cavigliuoli  che  conficcano  nei  talloni  delle 
scarpe.  Con  esso  si  danno  anche  molte  tinture  ai  panni,  giallo  verde,  ecc. 


-  1052  - 

La  corteccia  è  ricercata  per  tingere  in  giallo  i  marocchini,  ed  in 
Polonia,  dopo  d'  averli  coloriti  cosi  in  giallo,  li  fanno  cangiare  in  verde 
colla  soluzione  d' indaco  e  tal  colore  è  molto  permanente.  Se  essa  si 
cuoce  colla  liscivia,  dà  alla  lana  una  tinta,  d'oro  e  con  vari  metodi  si 
danno  varie  gradazioni  di  giallo  e  di  verde  alle  stoffe. 

L'estratto  cavato  dalle  radici  è  un  giallo  molto  migliore  che  la 
gomma  gotta  per  miniature. 

Coi  frutti  si  fanno  conserve.  Nel  Nord  il  loro  succo  viene  sostituito 
ultilmente  al  limone,  col  quale  ha  molta  analogia.  Sono  essi  suscetti- 
bili di  fermentazione  vinosa,  e  colla  successiva  distillazione  danno  un 
alcool  analogo  a  quello  che  si  ricava  dal  vino.  Colti  immaturi  e  pre- 
parati alla  foggia  dei  cappelli,  si  possono  sostituire  a  questi  nelle  salse. 
Maturi,  son  capaci  di  dare,  mediante  vari  processi,  varie  tinte  rosse 
alle  stoffe,  che  però  son  poco  stabili. 

Le  foglie  giovani,  che  sono  addette,  possono  essere  mangiate  in 
insalata  tanto  crude  che  cotte. 

9.  Malattie.  —  (Vedi  pagina  500). 


FAGGIO 

(Fagus  sylvatica.  —  Fani.  Amenlacee). 

Nome  volgare  italiano  del  fruito  —  Faggine  o  Faggiuole. 
Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane.  :  Hètre   des   bois,  Fa- 
yard,  Fau,  t'onteau  —  Ted.  :  Buche  —  Ingl.  :  Beechtree. 

1.  Origine  e  caratteri  botanici.  —  È  un  albero  indigeno,  che  arriva 
all'altezza  di  15  a  30  metri,  ma  che  può  ridursi  alle  dimensioni  di  un 
frutice,  ha  scorza  liscia,  biancastra,  chioma  vasta,  rami  snelli,  brunastri 
e  gemme  fusiformi. 

Le  foglie  ovate  sono  quasi  intere;  da  giovani  sono  di  un  verde 
delicato  e  cigliate  nel  margine,  più  tardi  diventano  scure,  consistenti 
e  glabre,  d'inverno  cadono. 

Anche  il  faggio  non  porta  veri  fiori,  ma  amenti  che  si  sviluppano 
insieme  con  le  foglie  e  sono  di  due  sorta.  I  maschili  sono  globosi, 
peduncolati  di  un  verde  giallognolo  ;  quelli  femminili  sono  circondati 
da  un  involucro  rossiccio;  più  tardi  si  forma  un  altro  involucro  interno 
che  prende  l'apparenza  di  un  frutto  cassulare,  riccioso  di  quattro  valve. 
In  questo  involucro  stanno  racchiusi  gli  acheni,  a  tre  spigoli,  appuntati 
e  bruni,  ossia  le  faggiuole  o  faggine. 

2.  Clima  ed  esposizione.  —  Il  faggio  si  trova  in  collina  e  sui  bassi 
monti,  specialmente  sui  pendii  settentrionali  ed  orientali,  e  sulle  Alpi 
occupa  le  posizioni  solatie.  Teme  poco  i  freddi  invernali,  ma  moltis- 
simo i  geli  tardivi  ed  i  venti. 

3.  Terreno.  —  Ama  i  terreni  ricchi,  freschi,  mediocremente  sciolti 
e  di  media  profondità;  prospera  nei  terreni   argillo- calcarei  e  non   ri- 


—  1053  — 

fugge  neppure  gli  arenosi  purché  siano  fresclii.  K  poco  esigente  rispetto 
al  calore,  però  non  tollera  l'umidità. 

4.  Moltiplicazione.  —  Il  miglior  mezzo  è  per  seme,  quantunque 
nei  boschi  lo  si  propaghi  per  propaggine  e  per  polloni.  Questi  due 
ultimi  metodi  però  non  vengono  adottati  che  per  ripiego,  inquantochè 
le  piante  che  si  ottengono  hanno  breve  esistenza. 

5.  Caratteri  vegetativi.  —  Questo  albero  fiorisce  in  maggio  e  porla 
i  suoi  frutti  a  maturità  in  ottobre;  cadono  dalla  fine  di  ottobre  alla 
prima  metà  di  novembre.  I  semi  conservano  la  loro  facoltà  germina- 
tiva per  6  mesi  e  si  seminano  più  presto  che  è  possibile  in  primavera. 
La  virilità  dell'albero  comincia  dopo  60  anni  di  età,  quindi  ha  un  ac- 
crescimento lento.  1  frutti  si  hanno  ogni  5  anni  ed  in  circostanze  sfa- 
vorevoli appena  ogni  5  a  10  anni.  Le  radici  penetrano  a  mediocre 
profondità. 

6.  Coltura.  —  Il  faggio  viene  regolato  a  fustaie  che  vengono  rin- 
novate naturalmente,  e  forma  da  solo  dei  bellissimi  boschi.  Per  le  fu- 
staie l'epoca  del  taglio  cade  fra  l'SO"  ed  il  120°  anno,  mentre  il  frutto 
Io  si  raccoglie  a  lunghi  intervalli. 

7.  Prodotto.  —  Questa  pianta  dà  dei  bellissimi  boschi  chiamati 
faggete,  che  danno  ottima  legna  per  far  carbone  e  legname  da  co- 
struzione specialmente  per  utensili,  per  fare  remi,  cerchi  da  botte, 
stanghe,  pali,  manichi    da    vanghe,  taglieri,  fusi,  mestoli,  cucchiai,  ecc. 

Dal  frutto,  chiamato  volgarmente  faggiola,  si  estrae  un  olio  che  si 
fa  servire  per  l'illuminazione,  e  che  non  rancidisce  tanto  facilmente 
quanto  gli  altri  olì.  Del  frutto  si  può  servirsi  anche  per  ingrassare  i 
maiali. 

Come  si  vede  è  una  pianta  che  arreca  molti  vantaggi  dal  lato  fo- 
restale, ed  affatto  secondari  sono  gli  utili  che  si  ricavano  col  suo  frutto. 


MIRTILLO 

(Vaccinium  Myrtillus  Linn.  —  Fani.   VaccinieeJ. 

Nomi  volgari  italiani  della  pianta  —  Bagole,  Baceri,  Baggioli,  Lo- 
rioni,  Ghiassarelle,  Uva  orsina,  Baccole. 

Nomi  volgari  stranieri  della  pianta  —  Frane:  Airelle  mirtille  —  Ted. : 
Gemeiner  Heidelstrauch  —  Ingl.  :  Bleaberr}'. 

1.  Caratteri.  —  E'  un  piccolo  frutice  di  circa  30  cm.  d'altezza,  che 
cresce  molto  comunemente  nei  boschi  e  pascoli  di  montagna  e  delie 
Alpi,  in  terreno  sabbioso  e  sciolto. 

Le  radici  sono  lunghe,  nodose,  ramose,  profonde  circa  tre  pollici 
nel  terreno  ed  emettono  molti  getti  dai  nodi  ;  sono  inoltre  legnose  e 
pieghevoli. 

Il  fusto  per  lo  più  è  diritto,  ramoso  ;  i  rami  sono  corti,  alterni, 
angolosi  come  il  tronco.  La  corteccia  è  verde,  liscia,  riunita;  da   ogni 


1054  — 


gemma  si  allungano  verso  la  radice  delle  linee  prominenti,  le  quali 
rendono  il  tronco  ed  i  rami  angolosi.  II  legno  è  sottilissimo,  bianco- 
rossiccio,  pieghevole. 

Le  foglie  sono  alterne,  di  color  verde-carico,  brevemente  peziolate, 
glabre;  sbocciano  in  aprile  e  maggio,  e  cadono  in  ottobre. 

I  fiori  sono  bianchi,  solitari,  peduncolati,  sortono  dall'ascella  delle 
foglie  dal  maggio  al  luglio,  secondo  la  elevatezza  del  luogo  ove  cre- 
sce la  pianta  ;  la  corolla  è  fatta  ad  oriuolo,  di  color  rosa-carico,  il  calice 
ha  lembo  intero  (fìg.  727). 

II  frutto  è  una  bacca  rotonda  ombellicata,  che  dal  color  verde 
passa  al  rosso  e  da  questo  al  nero,  maturando,  e  si  copre,  come  l'uva, 

dì  una  pruina  bianca  insolubile  nell'ac- 
qua, che  gli  fa  prendere  l'aspetto  come 
se  fosse  di  color  celeste.  E'  succoso, 
di  sapore  dolce  subacido,  ed  ha  un 
leggero  suo  odore  particolare.  Matura 
durante  l'estate. 

2.  Moltiplicazione.  —  Da  sé  natu- 
ralmente si  propaga  con  somma  faci- 
lità e  prestezza  ;  ma  per  mezzo  dell'arte 
la  cosa  riesce  difficile  assai.  11  mezzo 
più  sicuro  per  ottenere  ciò  è  quello 
di  svellere  nell'  autunno  avanzato  le 
messe  delle  radici,  o  le  piante  intiere, 
e  dividerle  secondo  il  numero  dei  tron- 
chi in  vari  individui,  e  ripiantarli  di 
poi  in  terreno  sciolto.  Coi  semi,  i  quali 
perdono  dopo  2  mesi  la  facoltà  ger- 
minativa, si  ottiene  difficilmente  buon 
risultato,  ])erchè  pochissimi  ne  nasco- 
no; quando  però  si  voglia  propagare 
con  tal  mezzo,  si  affidano  i  semi  ad 
un  terreno  sciolto  e  fresco  in  autunno  : 

se  entro  dieci  mesi  non  ispuntano  le  pianticelle,  si  deve   abbandonare 

la  speranza  che  abbiano  a  spuntare. 

3.  Coltivazione.  —  Si  trova  nei  boschi  delle  Alpi,  nelle  parti  ele- 
vate delle  colline. 

Forma  da  sé  solo  delle  antichissime  macchie,  e  vive  sotto  l'ombra 
la  più  opaca  degli  abeti,  de'  pini,  de'  larici,  de'  faggi,  o  di  altri  alberi 
di  simile  natura. 

Soffre  il  taglio  del  tronco.  In  sei  anni  circa  arriva  al  massimo  suo 
sviluppo. 

4.  Prodotti.  —  La  pianta  intiera,  eccettuata  la  radice,  serve  a 
conciar  pelli.  Le  bacche  si  mangiano;  colla  fermentazione  si  fa  un  vino 
di  cattivo  sapore,  che  colla  distillazione  dà  un  alcool  di  un  odore  parti- 
colare.   I  panni  di  lana,  dopo  essere  stati  messi  nella  soluzione  di   al- 


Fig.  727.  —  Mirtillo:  1,  ramo  fiorito  ■ 
2,  fiore  spaccato  -  3,  stame  -  4,  frutto 


-  1055  — 

lume  di  rocca,  se  si  pongono  nel  succo  di  questi  frutti,  acquistano  un 
color  violetto  slabile.  Col  succo  si  tinge  la  carta,  e  per  frode  il  vino. 
Le  api  raccolgono  miele  dai  fiori.  Molti  uccelli  si  cibano  dei  frutti, 
le  foglie  non  sono  appetite  dalle  bestie.  Con  vari  processi  si  danno 
varie  tinte  alle  stoffe. 

5.  Specie  coltivate.  —  Oltre  il  Vacciniuin  Mijrtilliis  L.  indigeno 
delle  nostre  montagne,  vengono  coltivate  j)er  il  loro  frutto  le  seguenti 
specie: 

Vacciniuiìi  uitis  idaea,  indigeno  della  Germania.  E'  un  arbusto 
alto  50  cm.  molto  ramoso  ;  con  foglie  alterne,  intere  senza  dentatura, 
strette,  accorciate  ai  lembi;  punteggiate  di  nero  sulla  pagina  inferiore  ; 
sempre  verdi.  Fiorisce  dal  mese  di  maggio  a  luglio;  infiorescenza  a 
grappolo  bianco-rosea. 

Si  trova  particolarmente  nei  terreni  torbosi. 

Vacciniiim  oxycocciis.  Piccolo  arbusto  con  rami  striscianti,  sottili; 
foglie  alternate,  piccole,  ovali-allungate,  sempre  verdi  e  sulla  pagina 
inferiore  colorite  in  verde  chiaro.  I  fiori  rossi,  sono  isolati,  sostenuti 
da  un  pedicello  lungo  e  sottile  ;  le  bacche  sono  rosse. 

Questo  mirtillo  si  trova  spontaneo  nel  Nord  d'Europa  ed  è  ab- 
bastanza diffuso  nella  Germania  centrale. 

Anche  questo  arbusto  si  trova  nei  terreni  torbosi. 

Vacciniuin  macrocarpum.  E'  la  specie  che  è  oggetto  di  coltura 
estesissima  per  i  frutti  nell'America  del  Nord  e  specialmente  nello 
Stato  Wiscousin.  Introdotta  in  Europa  per  i  suoi  fiori  ornamentali, 
ora  in  Germania  si  vorrebbe  difTonderla  anche  per  i  frutti  che  sono 
molto  grossi,  buoni  per  fabbricare  conserve.  La  pianta  è  molto  pro- 
duttiva ed  esige  di  essere  collocata  su  terreno  libero,  completamente 
soleggiato. 

In  America  si  utilizzano  con  questa  pianta  tutti  i  terreni  torbosi, 
sabbiosi,  umidi  nel  sottosuolo,  che  hanno  pochissimo  valore. 

Il  terreno  viene  preparato  un  anno  prima,  facendo  una  fossa  intorno 
profonda  80  cm.  per  allontanare  l'acqua  superficiale.  Poco  dopo  si  fa 
un'aratura  superficiale  per  svellere  le  malerbe. 

L'impianto  si  fa  in  aprile,  collocando  delle  barbatelle  a  60-90  cm. 
di  distanza  in  quadrato  e  nel  primo  e  secondo  anno  si  ha  cura  di  le- 
vare le  malerbe.  Nel  terzo  anno  i  cespugli  di  Vaccinium  hanno  già 
coperto  tutto  il  terreno  in  modo  che  le  malerbe  non  crescono  più. 
Quindi  le  cure  colturali  si  riducono  a  qualche  irrigazione  nel  caso  di 
soverchia  secchezza.  Per  irrigare  si  introduce  l'acqua  negli  stessi  fos- 
sati preparati  per  smaltire  all'impianto,  l'acqua  superficiale. 

Si  producono  circa  200  quintali  di  bacche  per  ettaro  le  quali  servono 
a  fabbricare  gelatine  od  altre  conserve. 

Il  solo  Stato  di  Wiscousin,  produrrebbe  di  questi  frutti  per  un 
milione  di  dollari. 


—  1056  — 

QUERCIA  BALLOTA 

(Quercus  ballota  Desf.  —  Fam.  Cupiilifere). 

Nome  volgare  italiano  della  pianta  —  Quercia  castagnola  ? 

Nome  volgare  straniero  della  pianta  —  Chéne  à  gland  doux,  Ballotte. 

Originaria  dei  dintorni  di  Algeri,  le  sue  ghiande  vengono  servite  a 
tavola  in  Spagna  e  specialmente  sui  Pirenei,  quali  frutti  da  dessert. 
Sono  dolci,  mucilagginosi  ed  il  loro  gusto  si  avvicina  a  quello  della 
nocciuola. 

Le  radici  di  questa  pianta  sono  lunghe  e  profonde,  quindi  deside- 
rano un  terreno  profondo.  Si  moltiplica  per  seme,  per  lo  più  sul  posto. 
Questa  specie  riesce  quasi  esclusivamente  nei  paesi  caldi,  e  volendola 
allevare  nell'Italia  settentrionale  bisogna  riparare  il  suo  fusto  ed  il 
terreno  con  della  pai^lia,  specialmente  quando  è  giovane.  Del  resto 
anche  questa  pianta  è  più  pregiata  pel  suo  legno  che    [)el    suo    frutto. 


INDICE    ALFABETICO 


(I  numeri  indicano  la  pagina) 


Aberia  caffra,  996. 

Acari,  478. 

Accartocciamento  delle  foglie,  406. 

Accecamento,  110. 

Aceto  (conservazione  nell'),  374. 

.Vceto  di  frutta,  463. 

Afidi,  439. 

.\grumi,  855. 

Alberello,  151. 

Albicocco,  674. 

Albuggini,  410. 

Alimentazione  con  frutta,  350. 

Alluvione  (cure  alle  piante  sommerse  da),  264. 

Altitudine,  215. 

Animali  (malattie  prodotte  da),  430. 

Anona,  998. 

Antracnosi,  424. 

Arancio  dolce,  859. 

forte,  863. 

trifogliato,  878. 
Aridità  del  terreno,  264. 
Armature  per  spalliere,  239. 
Asimina,  1002. 
Attrezzi,  26. 
Avvicendamento,  261. 


Bagolaro,  1041. 
Banano,  1003. 
Barbatella,  47. 
Batteriosi,  399. 
Bergamotto,  869. 
Bolla,  406. 
Borsa,  94. 
Bostricidi,  465. 
Branche.  91. 
Brindino,  92. 


Brolo,  171. 
Brusone,  425. 
Buprestidi,  465. 


Cancro,  412. 

Carrubo,  985. 

Castagno,  948. 

Cedro,  876. 

Ceppala,  151. 

Cespuglio,  151. 

Chinotto,  865. 

Chiusure,  281. 

Ciavardello,  1043. 

Ciliegio,  690. 

Cimice  del  pero  e  melo,  486. 

Clima,  204. 

Cocciniglie,  445. 

Coltivazione  lungo  le  strade  e  viali,  169. 

Composizione  delle  piante  da  frutto,  283,  286, 

287,  289. 
Concimazione,  281,  324. 

„  di  mantenimento,  322. 

Concimi  animali  diversi,  311. 
azotati,  308. 
„        calcici,  310. 
diversi,  312. 
fosfatici,  305. 
liquidi,  301. 
naturali,  298. 
Confetture  di  frutta,  376. 
Conservazione  delle  frutta  nell'aceto,  374. 
(precetti),  358. 
,  „  ,        nel    sciroppo    di 

zucchero,  376. 
Conservaz.  delle  frutta  allo  stato  naturale,  355. 
,    (materiali  usati,  367 


1058 


Consociazione,  264. 
Controspalliera,  157. 
Corbezzolo,  1046. 
Cordoni,  152. 
Corniolo,  1048. 
Cotogno,  591. 
Crespino,    1049. 
Crisomellidi,  465. 
Crittogame  parassite,  392. 
saprofite,  392. 
Curculionidi,  468. 
Cure  annuali,  260. 
Cuscuta.  390. 


Dardo,  92. 

Deterioramento  delle  frutta  (cause),  357. 
Diospiri,  1015. 
Diradamento,  122. 
Distanze  nell'impianto,  245. 
Distribuzione    geografica    delle    piante    da 
frutto,  218. 


Economia  della  frutticultura. 
Esposizione,  215 
Eugenia,  1010. 


Faggio,  1052. 
Falsi  gorgoglioni,  436. 
Falsirami,  91. 

Farfalle  grosse  che  rodono  le  foglie,  452. 
„  ,         »  »        il  legno,  451. 

Feijoa,  1013. 
Femminelle,  91. 
Ferite,  113,  484. 
Fico,  913. 

„      d'India,  829. 
Forfecchia,  485. 
Forme,  125. 

da  controspalliera,  1.57. 
„    spalliera,  157. 
basse,  138. 
Formiche,  475. 
Fruttaio,  .359,  362. 
Frutteti  misti,  189. 

casalinghi,  175,  177. 
di  speculazione,  186. 
Frutticultura  da  pieno  campo,  166. 
„  estensiva,  165. 

intensiva,  105. 
Furaaggini,  411. 
Funghi  a  cappello,  423. 


Gemme,  89. 
Geometre,  455. 
Giuggiolo,  775. 
Gommosi,  400. 
Gorgoglioni,  43S 
Grillotalpa,  435. 


Holboelia  latifolia,  1014. 
Hovenia,  1015. 


Gelatina  di  frutta,  4.53. 
Gelso,  945. 


Imballaggio  frutta,  369. 
Imbianchimento  dei  fusti  e  rami,  114. 
Imenotteri,  472. 

Impianto,  247,  249,  251,  254,  2.56,  258. 
Importanza  della  frutticultura,  7. 
Impollinazione  e  fruttificazione,  275. 
Incisione,  110,  120. 
Incurvamento  dei  rami,  116,  120. 
Infrangimento,  120. 
Innesti  erbacei,  86. 
Innesto,  56,  59,  85. 
Innesto  a  corona,  73. 

ad  anello,  79. 
„        a  gemma,  79. 

a  spacco,  66,  71. 
„        condurse,  86. 

inglese,  74. 

per  approssimazione,  78. 

Zerboni,  86. 
Insaccamento  delle  frutta,  123 
Intaccatura,  111. 
Irrigazione,  281,  326. 

Kaki,  1015. 


Lamborda,  94. 
Lampone,  896. 
Latitudine,  215. 

Lavori  annuali  del  terreno,  264. 
Lazzcruolo,  790. 
Lebbra,  406. 
Legature,  116,  120. 
Licheni,  391. 
Limetta,  870. 
Limone,  872, 

Lotta  contro  i  parassiti,  393,  431. 
Lumia,  871. 

Macchine  del  frutticoitore,  20. 
Malattie,  389. 

Malattie  dovute  a  cattive  condizioni  dell'at- 
mosfera, 491. 

dovute  a  cattive  condizioni  del  ter- 
reno, 491. 

dovute  al  regime  colturale,  491. 


1059 


Malattie  dovute  a  sostanze  nocive,  407 

meteoriclie,  179. 
Mal  nero,  399. 
Mammiferi  dannosi,  434. 
Mandarino,  867. 
Mandorlo,  605. 
Marciume  delle  frutta,  408. 

radicale,  402. 
Margotta,  51. 
Marmellate,  376. 
Mastici,  70. 

Materiali  nutritivi,  289. 
Maturazione  delle  frutta,  338,  342. 
Melagrano,  796. 
Melangolo,  863. 
Melo,  557. 
Mezzovento,  143. 
Mirtillo,  1053. 
Misurine,  455. 
Moltiplicazione,  24. 
Molluschi,  434. 
Mosche,  476. 
Mondatura,  111. 
Muschi,  391. 


Piante  deperenti,  324. 

infruttifere,  270. 
„        molto  fruttifere  e  poco  vigorose  (con- 
cimazioni), 326. 

vigorose  e  poco  fruttifere  (conc.\  325. 
Pidocchi,  434. 
Pieno  vento,  143. 
Pino  da  pinoli,  992. 
Piramide,  127. 
Pistacchio,  769. 
Pompelmo,  868. 
Potatura  secca,  102. 
verde,  118. 
Precetti  di  potatura,  88. 

Preparazione  del  terreno  per  l'impianto,  225. 
Principi  di  frutticoltura,  13. 
Propaggine,  54. 
Psidio,  1037. 
Psillidi,  436. 
Punteruoli,  468. 


Querce  ballota,  1056. 


Nebbia  (funghi  della),  412. 
Nespolo,  780. 

del  Giappone,  782. 
Nocciuolo,  961. 
Noce,  973. 


Pachira,  1022. 

Palma,  1022. 

Palmette,  1.57. 

Papilionidi,  449. 

Passittore,  1032. 

Pasta  di  frutta,  376. 

Pavia,  1034. 

Perforazione  delle  foglie,  428. 

Peronospore,  405. 

Pero,  513. 

Persea,  1034. 

Pesco,  622. 

Piante  con  frutti  aggregati,  896. 

„      un  solo  nocciuolo,  605. 
da  bosco  a  frutto  commestibile.  1041. 
,    frulli  composti.  913. 

secchi.  948. 
„    frutto  a  bacca,  803. 
»  -        »         ,  granella,  513. 

„        con  più  noccioli,  782. 
„  „        „  .    semi  succosi,  796. 

„       esotiche  per  i  paesi  caldi,  996. 


Raccolta  delle  frutta,  348. 
Radici  (funzioni),  322. 
Rami  anticipati,  91. 

„      a  frutto,  92. 

„      misti,  94. 
Ramo,  91. 

a  legno,  93. 
Ramuli,  94. 
Ribes,  835. 
Rimedi  anticrittogamici,  : 

insetticidi,  434. 
Ringiovanimento,  114. 
Riproduzione,  24,  39. 
Rogna,  .398. 
Rovo,  907. 
Ruggini,  419. 


Sarchiatura,  260. 
Scacchiatura,  118. 
Scortecciamento.  113. 
Scarabei,  464. 
Scasso,  228. 
Scolitidi,  471. 
Scopazzi,  406. 
Sidro,  .385, 
Siepi  morte,  234. 

.     vive,  234,  235. 
Siroppi  di  frutta,  376. 
Situazione,  215. 
Slegatura  dei  tutori,  123. 
Soggetti  da  innesto,  .56,  .59. 
Soprainnesti,  82. 


1060  — 


Soppressione  bottoni,  lìori  e  frutti,  122. 
Sorbo,  tJOO. 
Sostanze  nocive,  497. 
Sostituzione  piante  morte,  2(Vt, 
Sotto  femminelle,  92. 

,      gemme,  90. 
Sovescio,  315. 
Spalliere.  157. 
Spedizione  frutta,  369. 
Statistica  della  frutticoltura,  9. 
Stima  alberi  da  frutto,  14. 
Succhione,  91. 
Susino,  722. 


Taglio  verde,  121. 

Talea,  47. 

Terreno  per  le  piante  da  frutto,  211 

Ticchiolatura,  425. 

Tignole,  461. 

Tingiti,  436. 

Tinture  di  frutta,  380. 


Torsione,  120. 

Tortrici.  458. 

Trapianto  alberi  adulti,  262. 

Tubercolosi,  398. 


U  semplice  e  doppia,  1.58. 
Uccelli  dannosi,  434. 
Uva  spina,  835. 


Vajolo,  424. 
Vespe,  47.5. 

Vigneto  fìUosserato  itrasformazione   in  frut- 
teto), 269. 
Vino  di  frutta,  385 
Vischio,  390. 
Vite,  803. 
Vivajo,  20,  319. 


Zampa  di  cavallo,  47. 


Library  """^ 

N.   C,   State  College 


E  suuaT&co, 

Kìlità  Hkfner 

New  York