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ÌCortli Carolina State College
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This BOOK may be kept out TWO WEEKS
ONLY, and is subject to a fine of FIVE
CENTS a day thereafter. It is due on the
day indicated below:
Prof. Dott. D. TAMARO
Direttore della Regia Scuola di Agricoltura con Sezione coloniale
in Sanf Ilario Ligure
TRATTATO
FRUTTICOLTURA
QUARTA EDIZIONE COMPLETAMENTE RIFATTA
con ITi illustrazioni e LXXIV tabelle
ULRICO IlOEPLI
EDITORE LIBRAIO DELLA REAL CASA
MILANO
1915
PROPRIETÀ LETTERARIA
TIPOGRAFIA SOCIALE - Milano, Via G. Mameli, 15
INDICE DELLA MATERIA
Pag.
Introduzione 1
FRUTTICOLTURA GENERALE
Parte Prima: Economia della frutticoltura.
I Importanza agraria ed economica della frutticoltura in Italia 7
II Notizie statistiche della frutticoltura in Italia 9
III .... Principi generali per far progredire la frutticoltura. ... 13
IV Stima degli alberi da frutto 14
Parte Seconda : Riproduzione e moltiplicazione delle piante
da frutto.
I Il vivaio: Definizione del vivaio, sua importanza. Scelta del ter-
reno, sua preparazione e distribuzione 20
II Riproduzione e moltiplicazione 24
III .... Attrezzi e macchine necessarie al frutticoitore 26
IV .... Riproduzione per seme 39
V Semina e cure successive 43
VI .... Moltiplicazione per talea, polloni ed ovolo: Talea ad una sola
gemma - Talea a più gemme - Zampa di cavallo - Magliolo
- Barbatella 47
VII ... Moltiplicazione per margotta: Condizioni di riuscita - Margotta
a ceppaja, a capogatto, a serpente, a tacca ed in aria. . 51
VIII ... Innesto delle piante da frutto: Teoria dell'innesto e condizioni es-
senziali di riuscita - Preparazione dei soggetti e delle marze. 56
IX .... Sull'afnnità e sulla reciproca influenza del soggetto e del nesto. 59
X Innesti principali per le piante da frutto e soggetti relativi . 63
XI .... Innesto a spacco semplice 66
XII . . . Innesto a spacco laterale 71
64604
XIII
XIV .
XV ..
XVI .
XVII
XVIII
XIX
— VI —
Pag.
Innesto a corona 73
Innesto inglese 74
Innesto per approssimazione 78
Innesto a gemma e ad anello 79
I soprainnesti 82
Cura degli innesti 85
Innesti erbacei: Importanza e vantaggi - L'innesto Condurso e
l'innesto Zerboni 86
Parte Terza : Potatura delle piante da frutto.
I Principi generali
II
Ili ....
IV ....
V
VI
A'
88
. Gemme 89
. Rami 91
. Precetti generali della potatura 94
. Potatura secca e potatura verde 102
. Principi generali del taglio dei rami 106
. Taglio secco dei rami a legno 107
Vili . . . Taglio secco dei rami a legno per ottenere dei rami a frutto . 109
IX .... Operazioni accessorie della potatura secca 110
X Potatura verde 118
Parte Quarta: Forme.
I ...
II ..
Ili .
IV .
V ..
VI .
VII
Vili
IX .
Perchè alle piante da frutta si danno forme speciali .... 125
Piramide 127
Fuso 137
Forme basse 138
Pieno e mezzo vento 143
Formazione della corona del pieno e mezzo vento .... 145
Alberello, Cespuglio, Cespaja 151
Cordoni 152
Forme da spalliera e controspalliera 157
Parte Quinta : Sistemi di coltivazione.
I Frutticultura estensiva ed intensiva 165
II Frutticultura campestre 166
III .... Coltivazione lungo le strade o viali 169
IV Brolo 171
V Frutteto casalingo 175
VI .... Scelta della località e distribuzione del terreno per un frutteto
casalingo 177
VII . . . Frutteto di speculazione 186
VIII . . . Frutteti misti 189
Parte Sesta: Coltivazione generale.
I Clima
II Terreno
Ili .... Altitudine, latitudine, situazione ed
esposizione
204
211
215
IV ..
V ...
VI ..
VII .
vili .
IX ..
X ...
XI ..
XII .
XIII
XIV .
XV..
XVI .
XVII
XVIII
XIX
XX .
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV .
— VII —
Pag.
Distribuzione geografica 218
Sviluppo e funzioni delle radici 322
Preparazione del terreno per l'impianto 225
Scasso del terreno 228
Chiusure dei terreni coltivati a piante da frutto 231
Siepi vive 234
Impianto e cure relative al mantenimento delle siepi vive . 235
Siepi morte 238
Armature per spalliere e materiale usato per legare le piante . 239
Determinazione delle distanze nell'impianto 245
Disposizione degli impianti 247
Epoca della piantagione 249
Scelta degli alberi e loro preparazione per l'impianto . . . 251
Concimazione per l'impianto 254
L'impianto 256
Lavori complementari dell'impianto 258
Cure annuali alle piante da frutto 260
Trapianto di alberi adulti 262
Lavori annuali del terreno - Mezzi per evitare i danni dell'ari-
dità - Sostituzione delle piante morte - Cure alle piante som-
merse da alluvione - Avvicendamento e consociazione delle
piante da frutto 264
Trasformazione in frutteto di vigneto filosserato .... 269
Le piante infruttifere 270
Impollinazione e fruttificazione 275
Parte Settima: Concimazione ed irrigazione.
I Importanza della concimazione e della irrigazione .... 281
II Elementi chimici che costituiscono la pianta, come vengono as-
similati e composti a cui danno luogo 283
Distribuzione delle sostanze organiche e minerali nelle diverse
parti della pianta . 286
Ufficio speciale dei singoli elementi chimici della pianta . . 287
Riepilogo sulla composizione delle piante e sulla loro nutrizione 289
Materiali nutritivi necessari ad una pianta da frutto . . . 289
Concimi naturali. (Lo stallatico - I terricciati - Le foglie, i ger-
mogli, i rami di potatura - Il colaticcio, la colombina, la
pollina, il pozzo nero) 298
Concimi liquidi 301
Concimi potassici 303
Concimi fosfatici. (Perfosfati - Perfosfato doppio - Polvere d'ossa
- Scorie Thomas - Fosfato d'ammoniaca - Fosfato di potassa) 305
XI .... I concimi azotati 308
XII . . . Concimi calcici 310
XIII . . Concimi animali diversi 311
XIV ... Altre sostanze fertilizzanti che si possono impiegare in frutti-
coltura 313
XV .... Sovescio 315
XVI . . . Esperienze di concimazione 316
XVII . . Concimazione dei vivai 319
III
IV
V .
VI
VII
Vili
IX .
X ..
— vili —
Pag.
XVIII . Concimazione di mantenimento 322
XIX .. Concimazioni diverse a seconda dello stato in cui si trovano le
piante 324
XX . . . L'irrigazione delle piante da frutto 326
Parte Ottava :
delle frutta.
Raccolta, conservazione e utilizzazione
I .,
II ,
III
IV
V .
VI .
VII
VIII
IX .
X ..
XI ..
XII .
XIII.
XIV .
XV ..
XVI .
Sviluppo e maturazione delle frutta 338
Fasi della maturazione - Componimenti chimici delle frutta . 342
Raccolta delle frutta 348
Importanza delle frutta nella nostra alimentazione .... 350
Conservazione delle frutta allo stato naturale e gli agenti prin-
cipali che influiscono sulla loro maturazione 355
Cause di deterioramento delle frutte raccolte 357
Precetti per la conservazione delle frutta 358
Fruttaio 359
Cure relative al fruttaio ed alle frutta che in esso si conservano 362
Applicazione del freddo per la conservazione ed il trasporto
delle frutta 364
Conservazione delle frutta fresche con materiale inerte od altro 367
Imballaggio e spedizione delle frutta 369
Conservazione della frutta nell'alcool o nell'aceto .... 374
Conservazione collo zucchero 376
Essiccamento delle frutta 381
Il sidro o vino di frutta 385
Parte Nona;
frutto.
Malattie e cause nemiche delle piante da
I
II
III ...
IV ...
V ....
VI ...
VII ..
VIII ..
IX ...
X . ...
XI ...
XII ..
XIII .
XIV ..
XV . . .
XVI . .
XVII .
XVIII
XIX .
XX ..
XXI .
. Malattie e loro classificazione
. Malerbe - Vischio - Cuscuta
. Muschi e Licheni
. Crittogame parassite e saprofite delle piante da frutto
. Rimedi anticrittogamici e loro applicazione .
. Malattie dovute a crittogame
. 389
. 390'
. 391
. 392
. 393
. 398
. Danni e malattie prodotte da animali 430
. La lotta contro i parassiti animali 431
. Mammiferi - Uccelli e Molluschi dannosi 434
. Grillotalpa - Forfecchia e Pidocchio dell'olivo 435
Tingiti e Psillidi o falsi gorgoglioni 436
. Api (pidocchi 0 gorgoglioni) 439
. Cocciniglie 445
. Papilionidi 449
. Farfalle grosse i cui bruchi (tarli) rodono il legno .... 451
. Farfalle grosse i cui bruchi rodono le foglie (Bombici) . . . 452
. Geometre o Misurine 455
. Tortricì 458
. Tignole 461
. Scarabei 464
. Buprestidi - Bostricidi e Crisomelidi 465
— IX —
XXII.. Curculionidi o Punteruoli 468
XXIII . Scolitidi 471
XXIV . Imenotteri 472
XXV .. Mosche 476
XXVI . Acari 478
XXVII . Malattie prodotte da cause meteoriche 479
XXVIII Malattie dovute a ferite 484
XXIX . Malattie dovute al regime culturale ed a cattive condizioni
del terreno o dell'atmosfera 491
XXX . . Malattie dovute a sostanze nocive trovantesi nel terreno o nel-
l'aria 497
XXXI . Guida per determinare le principali malattie delle piante da
frutto 500
FRUTTICOLTURA SPECIALE
Parte Prima: Piante da frutto a granella.
Pero 513
Melo 557
Cotogno 591
Sorbo 600
Parte Seconda: Piante con un solo nocciolo.
Mandorlo 605
Pesco 622
Albicocco 674
Ciliegio 690
Susino 722
Olivo 755
Pistacchio 769
Giuggiolo 775
Parte Terza: Piante da frutto con più noccioli.
Nespolo 780
Lazzeruolo 790
Parte Quarta: Piante da frutto con semi succosi.
Melograno 796
Parte Quinta: Piante da frutto a bacca.
Vite 803
Fico d'India 829
Ribes ed Uva spina 835
— X —
Parte Sesta: Gli agrumi.
Pag.
Regioni di coltivazione 855
Origine 856
Caratteri botanici 856
Vegetazione 858
Classificazione degli agrumi 858
Specie e varietà coltivate per il frutto 859
Clima per gli agrumi 878
Terreno 879
Moltiplicazione 879
Coltivazione e Malattie 881
Irrigazione 882
Concimazione 882
Potatura 886
Raccolta dei frutti 887
Prodotti secondari degli agrumi 889
Dati economici della coltura degli agrumi 891
Parte Settima: Piante con frutti aggregati.
Lampone 896
Rovo 907
Parte Ottava: Piante da frutti composti.
Fico 913
Gelso da frutto 945
Parte Nona: Piante da frutti secchi.
Castagno 948
Nocciuolo 961
Noce 973
Carrubo 985
Pino da pinoli 992
Parte Decima: Piante esotiche per i paesi caldi.
Aberia 996
Anona 998
Asinina 1002
Banano 1003
Eugemia 1010
Feijoa 1013
Holboelia latifolia 1014
Hovenia 1015
Kaki (Diospiri) 1015
Pachira 1022
Palma del dattero 1022
Passiflore a frutti dolci 1032
— XI —
Pag.
Pavia dolce 1034
Persea gratissima 1034
Psidio 1037
Parte Undecima : Piante da bosco a frutto commestibile.
Bagolaro 1041
Ciavardello 1043
Corbezzolo 1046
Corniolo 1048
Crespino 1049
Faggio 1052
Mirtillo 1053
Quercia ballota 1056
INTRODUZIONE
La frutticultura è l'arte di coltivare razionalmente le piante da
frutta. Si divide in due parti : generale e speciale. La prima riflette i ca-
ratteri generali delle piante, vuoi nella loro struttura ^e funzione, vuoi
nelle rispettive esigenze onde ricavarne il maggior utile possibile —
la seconda si occupa della struttura, delle funzioni o delle esigenze di
coltivazione di ogni singola specie.
Le piante da frutto coltivate e coltivabili in Italia e nelle sue co-
lonie, e delle quali si tratta nel presente libro, sono le seguenti, ordi-
nate per categoria e per affinità (Tab. I).
TAsr.\RO - Frutlicoliiira.
Elenco delle piante da frutto coltivate e coltivabili
in Italia e Colonie.
Nome scientifico
Famiglia
botanica
I. — Piante da frutto a granella.
Pero
Melo
Cotogno
Sorbo
II. — Piante da frullo con un
solo nocciolo.
Mandorlo
Pesco
Albicocca
Ciliegio
Susino
Olivo
Pistacchio
Giuggiolo
III. — Piante da frutto con ]>iii
noccioli.
Nespolo
Nespolo del Giappone
Azzeruolo
IV. — Piante da frutto con semi
succosi.
Melograno
Piante da frutto a bacca.
Vite
Ribes rosso
Uva spina
Ribes nero
Fico d' India
VI.
Agrumi.
Arancio dolce
forte
Chinotto
Mandarino
Pompelmo
Bergamotto
Limetta
Lumia
Limone
Cedro
Arancio trifogliato
Pirus communis L.
, Malus L.
Cydonia vulgaris luss. e Persoon
Sorbus sp. L.
Amygdalus communis L.
Amygdalus Persica L.
Armeniaca vulgaris luss.
Cerasus sp. L.
Prunus domestica L.
Olea europaea L.
Pistacia vera L.
Zizyphus vulgaris WiM.
Mespilus germanica L.
Eryobotrya japonica L.
Crataegus Azarolus L.
Punica Granatum L.
Vitis vinifera L.
Ribes rubrum L.
„ Uva crispa
, nigrum
Opuntia Ficus indica Mill.
Citrus aurantium Risso
„ vulgaris
sinense Wild.
deliciosa Ten.
„ Pompelmos Risso
„ Bergamina „
„ Limetta „
„ lumia „
„ Limonum „
„ medica L.
„ triptera „
Oleacee
Anacardiacee
Ramnee
Ampelidee
Sassifragacee
Auranziacee
Segue Tab. I.
a.
Nome volgare
Nome scientifico
Famiglia
botanica
VII. — Piante con fruiti aggregati.
33
Lampone
Rubus Idaeus L.
Rosacee
34
Rovo
Vili. — Piante da frutti composti.
fruticosus L.
"
35
Fico
Ficus carica L.
Urticacee
36
Gelso da frutto
IX. — Piante da frutti secchi.
Morus nigra L.
Moree
37
Castagno
Castanea saliva Mill.
Cupulifere
38
Nocciolo
Corylus Avellana L.
39
Noce
luglans regia L.
luglandee
40
Pino da pinoli
Pinus Pinea L.
Conifere
41
Carrubo
X. — Piante da frutto esotiche
poco diffuse in Italia ina col-
tivabili nei pae.ù caldi e nelle
colonie.
Ceratonia siliqua L.
Leguminose
42
Aberia
Aberia sp.
Bixacee
43
Anona '
Anona sp.
Anonacee
44
Persea
Persea gratissima Goertn,
Lauracee
45
Banano
Musa sp.
Musacee
46
Eugenia
Eugenia sp.
Mirtacee
47
Palma del dattero
Phoenix dactylilera L.
Palme
48
Feijoa
Feijoa sellowiana Berg.
Mirtacee
49
Kaki
Diospyros sp.
Ebenacee
50
Asimina
Asimina triloba L.
Anonacee
51
Holboelia
Holboelia latifolia Wellich.
Lardizabale
52
Psidio
Psidium sp.
Mirtacee
53
Hovenia
Hovenia dulcis Thumb.
Ramnee
51
Pachira
Pachira sp. Aubl.
Malvacee
55
Passiflora
Passiflora sp.
Passifloree
56
Pavia dolce
XI. — Piange da bosco a frutto
commestibile.
Pavia dulcis
Sapindacee
57
Bagolaro
Celtis australis L.
Ulmacee
58
Ciavardello
Sorbus torminalis Crartzy.
Rosacee
59
Corbezzolo
Arbutus unedo L.
Ericacee
60
Corniolo .
Cornus Mas L.
Cornee
61
Crespino
Berberis vulgaris L.
Berberidacee
62
Faggio
Fagus sylvatica L.
Cupulifere
m
Mirtillo
Vaccinium Myrtillus L.
Vacciniee
61
Quercia ballota
Quercus ballota Dest.
Cupulifere
FRUTTICOLTURA GENERALE
PARTE PRIMA
ECONOMIA DELLA FRUTTICOLTURA
I.
Importanza agraria ed economica
della frutticoltura in Italia.
1. — É stalo varie volte ripetuto che in Italia, più che in ogni altro
paese d'Europa, la frutticoltura dovrebbe prosperare.
L' accidentalità dei nostri terreni, la varietà della loro composi-
zione, l'abbondante radiazione solare, il clima generalmente mite e
favorevole, rese possibile l'acclimatarsi di molte specie e varietà di
piante da frutto. Ed anche per la scarsità generale d'acqua, l'agricoltore
dovette dedicarsi in particolar modo alle colture arboree poiché sol-
tanto queste, colle loro profonde radici, possono resistere alle non
infrequenti siccità.
Le essenze fruttifere coltivate o coltivabili in Italia passano la
cinquantina (Vedi Tab. I) la maggior parte sparse qua e là nei campi,
nei broli e nei vigneti. Colture specializzate si fanno colle viti, cogli
agrumi, col nocciuolo. col mandorlo, col pistacchio e con poche altre.
Il nostro popolo si ciba molto di frutta essendo questa la coltura
più naturale d' Italia. Per provvedere a questo consumo l'agricoltore
badò fino ad ora più alla quantità di prodotto che alla qualità; più
alla minima spesa di produzione che alla scelta delle varietà ricercate
dalla popolazione facoltosa o dai mercati internazionali. Perciò noi,
malgrado del nostro bel cielo, abbiamo frutta di qualità inferiore a
quelle dei paesi nordici : troppo poche cure si dedicano alle piante
da frutto., incominciando per esempio ad allevare piante senza basi
razionali.
Nei paesi nordici, l'alimentazione colle frutta è una eccezione
praticata soltanto dalle persone più agiate, le quali non badano alla
Library
K. C. State Coll^fe
spesa pure di avere delle qualità superiori. Da noi, le esigenze dei
consumatori in generale sono invece assai più modeste e perciò il col-
tivatore non trovò ancora la convenienza di fare delle coltivazioni
specializzate e più razionali.
Abbandonate a sé stesse le singole specie e varietà di piante,
degenerarono in modo che ora le antiche e rinomate varietà italiane
sono di gran lunga sorpassate dalle varietà forestiere.
2. — Eppure non è a temersi che producendo di più e di meglio
non si troverebbe da esitare il prodotto.
Anzitutto notiamo che per la mancanza di organizzazione della
vendita, il popolo non può avere ancora oggi quella quantità di fruita
che consumerebbe. Nei piccoli centri, per esempio, per parecchi mesi
i mercati sono sprovvisti di frutta e quelle che arrivano sono di
infima qualità e più care che non nei grandi centri. Nei paesi meri-
dionali per mancanza di mezzi di comunicazione, avviene molte volte
una pletora di produzione alternala colla carestia negli anni in cui
le piante non producono.
Ma la mancanza dei mezzi di comunicazione nei centri minori
è un male transitorio, e dobbiamo ricordare che in questi ultimi anni
anche le nostre comunicazioni internazionali e perciò le nostre espor-
tazioni sono di molto aumentate.
3. — La scelta delle varietà, deve corrispondere alle esigenze dei
mercati. Ricordiamoci che oggi le condizioni economiche del nostro
popolo sono di molto migliorate e perciò le esigenze di frutta migliori,
anche se ad un prezzo più elevato in confronto del passato, potranno
essere convenientemente vendute.
Ma noi dobbiamo anche affrontare la concorrenza dei mercati
internazionali e metterci nella condizione di portare all'estero le frutta
fresche o conservate tali, in tutti i periodi dell'anno.
4. — Un complemento indispensabile per la riuscita della frutti-
coltura è infine l'industria della conservazione delle frutta.
Per mezzo della refrigerazione noi possiamo ora spedire a grandi
distanze le frutta fresche ; coli' industria delle conserve noi siamo in
grado di utilizzare immediatamente quei prodotti che non possono
essere venduti sul luogo. Un mezzo e l'altro devono completarsi con
un opportuno e conveniente imballaggio.
5. — E siccome le piante da frutto richiedono più lavoro che
capitale, estendendo la loro coltivazione daremo in mano al nostro
intelligente operaio agricoltore una coltura di alto reddito, stimoleremo
la sua intelligenza ad impratichirsi di nuove e più redditive operazioni,
vedremo moltiplicarsi le piccole proprietà nelle quali, a seconda del
clima, della posizione e del terreno si formeranno dei frutteti specia-
lizzati a cui acudirà il proprietario coltivatore, interessato direttamente
nel raccolto finale.
Un ettaro di terreno coltivato a pescheto, nel territorio di Massa
Lombarda rende fino a L. 3000; la stessa superficie a limoni a Sorrento
rende oltre L. 6000; ad aranceto L. 5000; a noccioleto, nei dintorni di
Napoli, L. 1200 e così via. Queste ed altre colture arboree specia-
lizzate, fatte dallo stesso proprietario anche per frazioni di ettaro, pos-
sono dare un conveniente sostentamento ad una intera famiglia. Trat-
tandosi di proprietari che non possono coltivare direttamente e che
devono ricorrere all' opera di terzi, converrà affidare la coltivazione
a mezzadri o ad affittuari con contratti a lunga scadenza. La condu-
zione diretta, generalmente parlando oggi, non è consigliabile per queste
colture. L'opera avventizia e mercenaria è troppo alleatoria per il costo
ed incerta per la capacità degli operai.
L'Italia, per elevare la sua produzione agricola, ha bisogno di indu-
strializzare ancora molte delle sue colture e fra queste, una delle prin-
cipali è la frutticoltura, che se esercitata razionalmente, recherà un
grande beneficio al nostro paese ed avrà conseguenze ancora più bene-
fiche, sia morali che materiali sui nostri lavoratori.
IL
Notizie statistiche della frutticoltura in Italia.
1. — L'importanza economico-agraria della frutticoltura si desume
dalla statistica della produzione confrontata colla superfìcie coltivala.
I primi dati sulla produzione, che abbiano una certa attendibilità,
sono quelli pubblicati dall'Ufficio di Statistica Agraria per l'anno 1912,
Fascicolo 6. Nella Tab. II ne riporto alcuni da cui risulta che si pro-
ducono in Italia approssimativamente Q.li 20.840.358 di frutta del valore
di L. 555.527.160.
Nell'anno 1911 si avevano le seguenti cifre:
I Mele, pere, cotogne e melagrane Q.li 2.126.000 a L. 20 L. 42.520.000
li Frutta polpose (pesche, ciliegie,
albicocche ., 768.000 ., 20 „ 15.360.000
III Fichi secchi e prugne secche . „ 710.000 „ 40 „ 28.400.000
IV Frutta senza distinzione di specie „ 1.786.000 „ 20 „ 35.720.000
V Mandorle, noci, nocciole . . . „ 1.583.000 „ 100 „ 158.300.000
VI Castagne „ 8.290.000 „ 20 „ 165.800.000
VII Agrumi „ 7.865.000 „ 20 „ 157.300.000
VIII Uve da mensa „ 245.358 „ 20 „ 4.907.160
Totali . . Q.li 23.373.338 L. 608.307.100
Come si vede, colle piante da frutto noi ricaviamo un prodotto
che sorpassa il mezzo miliardo di Lire, quantunque in questa cifra
sia ommesso il valore delle carrube, dei pistacclii, la cui sola espor-
tazione arriva al valore di 2 milioni.
Per la maggior parte di queste produzioni noi non possiamo raet-
-
- 10 -
Tab. II.
Produzione delle frutta nell'annc
Qualità delle frutta
e
o
a
i
C3
1
a
o
5
1
.2
1
1
1
s
Q.
Q.
Q-
Q.
Q.
Q-
Q.
(J.
I. — Mele, pere, cotogne, mela-
63.000
33.000
95.000
62.000
468.000
67.000
29.000
18.000
24.000
22.000
li. — Frutta polpose (pesche,
ciliege, albicocche, prugne
frescne ed altre)
112.000
52.000
:ì(ioo
111. — Mandorle, noci e nocciole
14.000
6.000
11.000
4.000
8.000
8.000
7.000
1 (100
IV. — Fichi secchi e prugne
secche
748.000
580.000
259.000
100.000
296.000
1.717.000
40.000
V. - Castagne
CI. (11)0
VI. - Agrumi (a. 1911) ....
VII. - Uva da mensa (a. 1895) .
26.771
114.000
1.185
9.723
14.841
22.630
7.000
11.589
500
6.275
tere in confronto la superfìcie coltivata, poiché come si è detto, la
frutticoltura non è specializzata ma è promiscua con altre colture.
2= — Intanto possiamo però rilevare, che il massimo prodotto di
frutta ci è dato dal castagno per un valore che può arrivare, come nel
1911, a 160 milioni di lire. La Toscana ne produce quasi la metà della
produzione totale italiana; segue con un buon quinto il Piemonte, indi
la Liguria. In Toscana si producono specialmente le castagne che si
consumano nell'interno, disseccate o in farina. Nel Piemonte (Cuneo)
Veneto (Belluno), nel meridionale mediterraneo (Avellino) sono rinomati
i marroni, di cui si fa una notevole esportazione.
3. — Alle castagne seguono per importanza gli agrumi e questi
sono coltivati
ad agrumeto puro .
a coltura promiscua
Totale
ha. 44.700
» 69.700
ha. 114.400
Dando questa estensione un prodotto complessivo di Q.li 7.865.000
del valore di L. 157.300.000 risulta che in media si ricavano per ettaro
circa Q.li 69 di frutta del valore di L. 1375, facendo media dell' agru-
meto puro con quello misto.
Palermo, Messina, Reggio Calabria, Catania e Siracusa sono i più
grandi centri di agrumicoltura. Anche le sponde meridionali della terra
d'Otranto, della Calabria, di Amalfi e Sorrento, sono località celebri
per gli agrumi. Più al nord, ottimo centro troviamo specialmente pei
limoni, mandarini e chinotti, la costa della Liguria. La Sardegna si
distingue specialmente per i cedri ed aranci.
— 11
912 in quintali e
valore
in Lire.
o
II
.2
a
a
a
U
3
1
P3
es
5
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%
Vi
Sardegna
Totale
nel
Regno
Prezzo
Unitario
Valore
conipless.
Q.
Q-
Q.
Q.
Q-
Q.
Q.
Q.
Q.
L.
L.
10.000
173.000
533.000
34.000
12.000
20.000
108.000
35.000
2.160.000
20
43.200.000
14.000
38.000
331 .0{K)
78.000
3.000
5.000
100.000
2.000
930.000
20
18.600.000
13.000
52.000
69.000
776.000
8.000
10.000
1.052.000
13.000
2.052.000
100
205.200.000
_
33.000
21.000
315.000
_
265.000
16.000
6.000
668.(KK)
40
26,720.000
90.000
68.000
307.000
-
29.000
659.000
24.000
20.000
4.980.000
20
99.600.000
4.000
3.500 ! 815.000
378.000
1.000
896.000
5.540.000
70.304
76.000
4.985
7.865.000
245.358
20
20
L.
157.300.000
8.480
68.572
4.907.160
Totali Q.
20.840.358
555.527.160
In tutta Italia si conterebbero circa 17 milioni di piante cosi
ripartite :
limoni milioni 8 1/4
aranci „ 7 '/a
cedri, mandarini, bergamotti, ecc.
IV4
4. — Le frutta secche (mandorle, carrube, noci e nocciole) predo-
minano nella Sicilia, negli Abruzzi, nella Campania e nelle Puglie. La
Sicilia è specialmente nota per le nocciole, mandorle e carrube; gli
Abruzzi, la Campania e le Puglie per le noci. Rinomate sono le noci
di Sorrento.
5. _ I fichi secchi migliori si hanno dalle Puglie e dalla Calabria,
mentre i fichi freschi si hanno in tutta Italia, abbastanza buoni anche
ai piedi delle Alpi, sulle colline.
6. — Le mele, pere, ecc., hanno prevalenza nell' Alta Italia e spe-
cialmente nel Piemonte; nell'Italia meridionale, sono diffuse nella
Campania, negli Abruzzi e Molise ; le pesche nel Veneto e nella Ligu-
ria; le ciliegie nella Romagna e cosi via.
7. — Quantunque non tanto curata, la produzione delle uue da
mensa ha avuto un incremento notevole in questi ultimi anni, per
merito specialmente degli esportatori che incoraggiarono i viticoltori
e curarono molto l' imballaggio.
Evidentemente però i dati statistici della produzione di uve da
mensa sono inferiori al vero. Quelli che sono state pubblicati e che
io riporto, si riferiscono di certo alla quantità di uve da mensa che
vengono esportate, poiché non è ammissibile che in Italia si consu-
- 12 -
mino soltanto 13.471 quintali di detta uva, pur ammettendo che pel
consumo interno il nostro popolo fa uso delle uve da vino (1).
8. — Se alla quantità di frutta prodotta in Italia si aggiunge quella
importata e dalla somma si detrae quella esportata, si ha la quantità
di frutta che generalmente si consuma nell'interno.
Calcolo del consumo di frutta in Italia
Qualità della frutta
Produzione
Importazione
Esportazione
Consumo interno
Q.
L.
Q.
L.
Q.
L.
Q.
L.
I. — Mele, pere, cotogne,
melagrane
2.160.000
43.200.000
II. — Frutta polpose (pe-
sche, ciliegie, albi-
cocche, prugne fre-
sche ed altre) . . .
930.000
18.600.000
14.&41
17.054
1.219.000
403.329
12.099.000
2.701.312
50.920.000
III. — Mandorle, noci e
nocciole
2.052.000
205.200.000
1.894.000
214.196
29.094.000
1.854.858 178.000.000
IV. - Fichi secchi e pru-
gne secche ....
668.000
26.720.000
19.583
910.000
150.381
5.023.000
537.202
22.607.000
V. — Castagne ....
4.980.000
99.600.000
6.816
114.000
147.790
2.456.000
4.839.026
,97.258.000
VI. — Agrumi
7.865.000
157.300.000
11.796
359.000
2.a43.954
25.915.000
5.032.842
131.744.000
VII. — Uve da mensa .
245.358
4.907.160
10.974
1.000
231.958
4.877.000 13.471
31.160
Totali
20.840.358
555.527.160
69.961
4.497.000
3.991.608
79.464.000 14.978.711
480.560.160
(1) Avevo già scritto queste considerazioni quando apparve nelle Notizie periodiche
di Statistica Agraria, anno 1913, Fase. 8, il risultato delle indagini fatte per l'anno 1912.
Riporto integralmente la parte che ci interessa.
Uva da tavola.
Provincie in cui la produzione ha maggiore importanza.
Piacenza ....
. . Q.li 114.000
Vicenza
. Q.li 16.000
Teramo
. . „ 73.500
Venezia
. „ 15.000
. . „ 70.000
. . , 33.000
. . „ 13.000
Cuneo
Salerno
. „ 10.000
Bologna
. , „ 30.000
Alessandria . . .
. . „ 7.000
Napoli
. . „ 29.000
Padova
. .. 6.000
Trapani
. . „ 22.000
Genova
. „ 5.000
Verona
. . „ 22.000
Sassari
. . „ 2'.700
Lecce
. . „ 18.000
Chieti
. „ 1.500
r\ ì: aìi rr\r\
411.500
Q.li 411.500
Q.li 487.700
Nel complesso del Regno si può ritenere che la produzione dell uva da tavola nel 1912
abbia superato di poco i 500.000 quintali. Tale cifra non rappresenta però che una parte
dell' uva destinata all' alimentazione. Secondo le considerazioni sopra accennate deve
valutarsi a parte la quantità di uva da vino consumata direttamente nel periodo della
vendemmia. Tale quantità, secondo il calcolo istituito nella determinazione della pro-
duzione del vino , ascenderebbe al 2.50 per cento dell' uva ottenuta, e cioè a circa
1.670.000 quintali.
Il consumo complessivo di uva destinata all' alimentazione sarebbe quindi stato,
nel 1912, di circa 2.200.000 quintali.
- 13 —
Questo calcolo è stalo fatto nella Tab. Ili, prendendo per base i
(lati di importazione ed esportazione medi veriMcatisi nel quinquen-
nio 1900-1904.
Dalla detta tabella risulta un consumo interno di quasi 15 milioni
(li chilogrammi di fruita del valore di mezzo miliardo circa di lire.
L'Italia avendo 34 milioni di abitanti, ha un consumo per abitante
di (14.978.711 : 34.000.000) = Kg. 44 di frutta del valore di
(L. 480.560.160 : Kg. 14.918.711) L. 0.32 x Kg. 44 = L. 14,08.
III.
Principi generali per far progredire la frutticoltura.
Dopo aver verificalo l'imporlanza economica che ha la frutticoltura
in Italia, vediamo sommariamente quali sono i principi generali sui
quali noi dobbiamo basarci per farla progredire. E questi principi mi
furono di guida per scrivere questo trattato.
1. — Scegliere accuratamente le specie e le varietà più adalle al
clima ed al terreno.
2. — Adattare il sistema di coltivazione non solo alle condizioni
naturali, ma anche alla potenzialità economica ed alla capacità tecnica
di chi dirige e lavora.
3. — Il frutticoitore deve produrre molto colla minore spesa.
4. — Nella scelta della varietà bisogna valersi mollo dell'esperienza
locale o di quella dei luoghi vicini. Si ricordi ancora che i gusti dei
consumatori vanno sempre perfezionandosi e le esigenze dei mercati
sono sempre maggiori.
5. — Non conviene mai tenersi ad una sola varietà, ma a più va-
rietà che maturino nella stessa epoca ed anche in epoche diverse.
6. — Si dia la preferenza alle varietà che maturano nell'epoca della
maggiore richiesta, ma si ricordi che anche le varietà che maturano
nelle epoche ordinarie molle volte rimunerano largamente il frutti-
coitore.
7. — La scelta di piante sane ed un conveniente impianto di esse,
sono le basi di un buon successo. Le economie esagerate nelle spese
di impianto e nell' acquisto delle piante, sono di grande danno alle
piante da frutto. Si ha la maggiore garanzia di successo producendo
le piante da se stessi, nel proprio terreno.
8. — Una conveniente potatura costringe le piante a dare frullo
costantemente.
9. — La periodica e razionale concimazione assicura la longevità,
la produttività e la sanità delle piante.
10. — L'irrigazione, se non indispensabile, è necessaria per molle
piante da frutto, specialmente nei paesi caldi.
- 14 -
11. — Il successo economico della frutticoltura viene ancora meglio
assicurato, quando si possono utilizzare convenientemente i prodotti
secondari, come le frutta immature od in parte deteriorate, e quelle
che non si possono vendere immediatamente.
L' arte di conservare ed utilizzare le frutta deve uscire dai limiti
dell'economia domestica ed entrare nel campo delle industrie agrarie.
12. — 11 mal governo delle piante ha il medesimo effetto del mal
governo nelle famiglie, che ad un tratto si trovano senza tetto e senza
mensa, se l'accortezza del capo non provvede al costante assetto eco-
nomico ed alla difesa delle cause nemiche.
IV.
stima degli alberi da frutto.
1. — Premesso che la stima degli alberi da frutto non può dare
la misura assoluta del loro valore, ma solamente una misura relativa
ad un determinato mercato, di determinato tempo, volendo procedere
alla stima, bisogna:
a) determinare la produzione lorda media annua, di frutta, con-
guagliata in denaro, ridotta al netto della quota di infortuni ;
b) determinare le spese di impianto, di allevamento e di coltiva-
zione annua successiva, necessarie pel mantenimento dell'albero.
Delle spese di impianto e di allevamento che si riscontrano lino a
che la pianta entra in produzione, bisogna calcolare l'interesse medio
annuo fino all'estinzione della pianta.
Detraendo i titoli in b) dalla produzione del titolo in a) e capita-
lizzando la differenza, si ha il valore di stima della pianta.
2. Calcolo della produzione. — Per fare questo calcolo, bisogna
prendere in considerazione molti fattori, che andrò ora enumerando.
a) La specie e varietà della pianta. — Questa determinazione ha
maggiore o minore valore secondo le condizioni naturali dell'ambiente.
Un mandorlo per il suo prodotto ha minor valore nell'Italia settentrio-
nale che nell'Italia media, ed ancora minore che nell'Italia meridionale.
La varietà bisogna considerarla dal punto di vista della sua adat-
tabilità all'ambiente, e dalla qualità del prodotto che dà.
b) Qualità del terreno. — Più che le sue condizioni fisico-chimi-
che converrà notare se il terreno è aratorio, irriguo o no, a prato od
a pascolo. Nell'aratorio, le piante non piantate in filari appositi, non
prendono grandi dimensioni per le continue ferite che le radici rice-
vono dagli aratri. Sotto questo rapporto le piante si trovano meglio in
un terreno lavorato a vanga od a zappa. Cosi in un terreno non
irriguo, la pianta si sviluppa di più ed ha vita più lunga. Il prato è
dà preferirsi al pascolo.
- 15 —
Fatta questa distinzione di terreno aratorio o no, irriguo o no, da
prato o pascolo, converrà aggiungere la classe catastale a cui appartiene.
e) La longevità della pianta. — Per normali, si possono ritenere
i seguenti dati, partendo dall' impianto (Tab. IV). In questa tabella è
registrata anche l'età nella quale le piante cominciano a fruttificare e
l'età nella quale raggiungono il massimo prodotto.
Età che raggiungono le piante da frutto e l'età alla quale
cominciano a fruttificare.
NOME DELLA SPECIE DI PIANTA
Agrumi
Albicocco
Carruljo
Castagno
Ciliegio acido
, dolce
Cotogno
Diospiri
Fico
Fico d'India
Gelso
Lampone
Lazzcruolo
Giuggiolo
Mandorlo
Melagrano
Melo a pieno vento
„ a mezzo vento
„ a cordone o vaso
Nespolo
„ del Giappone
Nocciuolo
Noce
Olivo
Palma da datteri
Pero a pieno vento
„ a mezzo vento
, a spalliera, piramide o cordone
Pesco
Pino da pinoli
Pistacchio
Ribes
Sorbo
Susino
Vite
Età
che raggiunge
l'albero
Età
nella quale
comincia
a fruttificare
Età
nella quale
comincia
a dare
il massimo
prodotto
anni
anni
anni
40
5-6
15
20
5
12
100
10-12
25
150
10
20
.30-30
4-6
10-12
25 - 35
8-11
12-15
20-25
6
10
35
6
10
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15
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10-15
30-00
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16
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10
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20-25
6
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30-60
5
30
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15-20
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20-25
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60-70
16
20
50-60
10
15
20-25
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10
15-20
3-4
7
1.50
20
40
100
12
25
10
4
6
100-150
20
30
.30 -.35
4
8
.50
4-5
12
- 16 -
d) La produttività dipende da molte condizioni locali : la compo-
sizione e la profondità del terreno, la natura del sottosuolo, il grado
di freschezza, l'esposizione, la posizione, il clima, l'isolamento o l'ag-
gruppamento delle piante, l'impeto dei venti che fanno cadere antici-
patamente le frutta, i danni causati per ladroneggi e cosi via.
Terreni aridi o paludosi o pietrosi; la presenza di tufo od argilla
compatta nel sottosuolo danneggiano il prodotto.
L'esposizione a Sud dà le frutta migliori, più belle e saporite,
quando le piante non vengono danneggiate dai geli lardivi in prima-
vera. L'esposizione ad Ovest favorisce meno la riuscita degli alberi,
quella a Nord è la peggiore.
Gli alberi coltivati nei giardini o negli orti sono generalmente più
produttivi, però si ricordi che in questi, rinnovandosi l'impianto bi-
sogna lasciare il terreno per un periodo di tempo senza coltivazione
arborea e, rimettendola, bisogna fare uno scasso accurato.
Dopo l'mpianto, passa un periodo di anni prima che le piante
diano frutto. Questo periodo, che ha la durata da 3 a 25 anni (Vedi
Tab. IV), viene chiamato stazione di improduttività. A questa segue la
stazione di produttività nella quale bisogna distinguere tre periodi :
a) il primo, nel quale la produzione va crescendo fino al mas-
simo normale; che si ottiene facendo la differenza degli anni registrati
nella colonna seconda e terza della Tab. IV ;
b) il secondo, nel quale la produzione si mantiene costante ;
e) il terzo, nel quale il prodotto comincia a diminuire fino al-
l'improduttività assoluta, alla quale segue quasi sempre, immediata-
mente la morte della pianta.
Durante i tre periodi di produttività si hanno dei raccolti abbon-
danti, buoni, mediocri e nulli dipendono dalle condizioni naturali del
luogo (clima, terreno), dall' imperversare delle cause nemiche ed infine
dall'abilità del frutticoitore.
In una grande media si possono calcolare le seguenti probabilità
di raccolto :
Probabilità di raccolti
un periodo
di
anni
abbondanti
buoni
medi
nulli
7
1
1-2
2-.S
2
10
1-2
2
3-4
3
12
2
4
3
3
50
12
18
18
2
Per dare un esempio io ho determinato la produzione di frutta nei diversi perìodi
di produttività del pero, del melo, del susino e del ciliegio. Questi dati li ho raccolti
nella Tab. V e valgono per le forme a pieno vento coltivate nei campi ed in terreni
buoni.
Nei calcoli di stima bisogna molte volte fare sui prodotti medi
una percentuale di diminuizione per varie ragioni. Conviene per que-
sto fare quattro classi, ritenendo per prima classe quella normale, la
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seconda 25 7o in meno, la terza 50 % in meno e la quarta ed ultima
75 7o in meno.
Il terreno può influire dal 5 al 10 7o; l'esposizione ai danni per
vento dal 25 al 100 7o ; i danni per ladroneggi dal 5 al 20 7o.
d) Il valore del legno delle piante vecchie atterrate si calcola in
base al peso presumibile ed al prezzo a cui si paga la legna d'ardere
o il legname da costruzione. Questo ultimo caso però è difficile a
riscontrarsi poicliè gli alberi vecchi sono per lo più tarlati e poco
adatti per la costruzione. Naturalmente bisogna detrarre le spese di at-
terramento.
Per il pero e melo, il valore netto si calcola de 2 a 5 Lire: per il susino, L. 0,75 — 1,.50;
per il ciliegio da L. 2 a 3.
e) Il prezzo delle fruita si fìssa coi prezzi medi del mercato lo-
cale, detraendo da questo le spese di trasporto al mercato. Bisogna
però fare una percentuale sulle avarie a cui possono andar soggette le
frutta nel trasporto, ed un' altra, sulla eventualità che le frutta non
possano essere vendute.
3. La spesa di impianto. — Nella spesa di impianto bisogna pren-
dere in considerazione :
a) il valore originario della pianta;
b) la spesa d' impianto (scasso, concimazione e copertura delle
radici, legatura e palizzatura della pianta);
e) la spesa di palatura e legatura, calcolato il rinnovo dei legacci
e detratto il valore dei pali scartati.
Di queste tre spese si deve calcolare annualmente l' interesse del
5 7o e, si addebita fino all' età in cui la pianta riesce a coprire coi
prodotti le spese sostenute.
4. — La spesa di sorveglianza e di coltivazione annna della pianta
comprende :
a) le spese di potatura e di difesa dei parassiti, detratto il valore
della legna che si ricava colla potatura;
b) le spese di lavorazione del terreno e dell' eventuale conci-
mazione ;
c) la spesa di raccolta e conservazione delle frutta ;
d) l'interesse del capitale fondiario che non produce in causa
delle piante. Di solito si calcola il totale interesse e si detrae da que-
sto la rendita ricavata da qualche coltura intercalare, che si vuol fare
fino che le piante non hanno occupato tutto il terreno.
Per esempio, avendo un'ara di terreno del valore di L. 16 ed utilizzando un quarto
di questa superficie con una coltura intercalare, si addebiterà alla coltura arborea sol-
tanto l'interesse di L. 12 al 5 "/„, pari a L. 0,(J0.
Ammesso che un melo a pieno vento occupi 50 m.'- e che le si)ese a) b) ammontino
a L. 0,20 per pianta; si avranno L. O.óO di cui bisogna calcolare l'interesse fino che la
pianta copre le spese col suo prodotto.
I. 'interesse di L. 0,50 al 5 % è di centesimi 2.5. Ammesso che il melo a 30 anni ar-
- 19 -
rivi col suo prodotto a coprire le spese oltre quelle di coltivazione corrente, si calcola
nel seguente modo :
nel 1" anno che si fa la spesa —
, 2" „ „ „ 1 volta 2.5
. 3» „ , „ 2 volte 2.5
„ 4° , „ , 3 „ 2.5
„ 5» , „ „ 4 „ 2.5
„ 6» , „ , 5 „ 2.5
„ 7" „ „ „ G „ 2.5
„ 8° „ „ „ 7 „ 2.5
„ 9» „ „ „ 8 „ 2.5
,10° , „ „ 9 „ 2.5
fino al 10 anno 45 volte 2.5
daini" anno al 15' : 10 + Il + 12 -|- 13 + 14 = 60 „ 2.5
dal 16" , al 20» : 15 + 16 -f 17 -|- 18 + 19 = 85 „ 2.5
dal 21° „ al 25° : 20 + 21 + 22 -f 23 + 24 = 110 „ 2.5
dal 26> , al 30» : 25 -f- 26 + 27 +- 28 + 29 = 135 „ 2.5
In 30 anni 435 volte 2.5 = L. 10,87
5. Determinazione del valore della pianta. — Detratto dal valore
del prodotto che si può ricavare da una pianta durante la sua vita, la
somma delle spese sostenute per coltivarla, comprendendo gli interessi
relativi, si ha la rendita netta che la pianta dà durante la sua vita.
Su questa rendita bisogna fare ancora una riduzione del 5 % per
risico. Dividendo quello che rimane per il numero degli anni di vita
della pianta si ha la rendita annua, capitalizzando la quale, si ottiene
il valore di stima della pianta.
Un calcolo di stima fatto con questo metodo lo presento nella
parte speciale per il pero e melo, per il susino, per il ciliegio dolce
ed acido.
PARTE SECONDA
RIPRODUZIONE E MOLTIPLICAZIONE
DELLE PIANTE DA FRUTTO (J)
I.
Il vivaio : Definizione del vivaio, sua importanza. —
Scelta del terreno, sua preparazione e distribuzione.
1. — Per vivaio intendo quello spazio di terreno nel quale si pro-
pagano e si allevano le piante da frutto. Quella parte del terreno desti-
nata per la semina, ctiiamasi semenzaio ; quella dove si trapiantano i
soggetti per innestarli, dicesi nestaiiiola o meglio nestaia ; quella dove
si piantano le talee, barbatellaio ; quella infine dove si allevano le piante
dopo l'innesto e si tengono fino al momento dell'impianto a dimora sta-
bile, piantonaia.
Senza far torto ad alcuno dei nostri vivaisti di piante da frutto, alcuni dei quali
si sono resi veramente benemeriti, debbo sostenere per l'interesse di tutti gli agricoltori
che intendono estendere nei loro terreni la coltivazione delle piante da frutto, la ne-
cessità di destinare un appezzamento di terreno anche a vivaio.
Due sono le ragioni principali per le quali bisogna sostenere la necessità del vi-
vaio. L'una è l'incertezza che le piante acquistate corrispondano alla varietà che si in-
tende possedere; l'altra che nel vivaio si ottengono delle piante cresciute sotto le me-
desime condizioni di quelle a cui devono sottostare dopo l'impianto stabile. Col vivaio
si ha perciò, maggior facilità di attecchimento nei trapianti, sicurezza assoluta della
qualità e da ultimo il vantaggio di poter rimpiazzare prontamente quelle piante che
per un accidente venissero a mancare.
2. — Il terreno deve essere fertile, dei migliori della località, ricco
di umus, profondo almeno 80 cm., libero da grosse pietre ed esente di
strati cretosi o ferruginosi. E' da preferirsi un terreno siliceo-argilloso,
(1) Ch. Baltet. — La pepinière — Paris, 1903.
- 21 -
fresco ; i terreni umidi sono assolutamente da scartarsi, perchè in que-
sti le piante prendono facilmente il cancro e si coprono di muschi. Se
invece il terreno è arido, le piante crescono stentatamente e sviluppano
poche radici fine.
La località deve essere arieggiata, non soggetta alle brine tardive
di primavera od a quelle precoci d'autunno. Nelle località troppo fa-
vorite dal clima le piante però riescono troppo delicate, in quelle
esposte ai venti impetuosi, le piante crescono storte, piegate. Il terreno
deve essere piano, con una massima pendenza del 5 %, e possibilmente
riparato a nord ed a ponente.
Un terreno diboscato, un vecchio prato dissodato, sono adatti per
l'impianto di un vivaio. Non è consigliabile un vivaio in una landa mai
coltivata.
Infine chi vuol piantare un vivaio di speculazione è bene scelga
una località di facile accesso ed in vicinanza di strade ferrate per avere
la minor spesa di trasporto e la maggior facilità di commercio.
Nel vivaio destineremo poi a semenzaio quella porzione del terreno
più comoda per l'irrigazione o innaffiamento, il terreno più sciolto, an-
che se non tanto profondo, più fertile e mondato da ciottoli e da ma-
lerbe. Per nestaio e barbatellaio destineremo la porzione migliore di
terreno, che rimane dopo scelto il semenzaio. A piantonaia infine de-
stineremo la parte più riparata dai venti.
3. — Il primo lavoro d'impianto consisterà in uno scasso di 40 ad
80 cm. di profondità. Si lavora a 40 centimetri di profondità quando
le piante devono rimanere due soli anni ; se invece devonsi lasciare
due anni dopo l'innesto, bisogna scassare a 60 cm. e se più anni, fino
ad 80 cm.
L'epoca più conveniente per lo scasso è l' estate e facendolo, si
abbia l'avvertenza di pulire il terreno dai ciottoli, radici, ecc., nonché
di mescolare i diversi strati, quando non se ne trovassero propriamente
di ingrati, onde ottenere un terreno di composizione uniforme. Bi-
sogna però avvertire che la terra vergine non deve essere portata alla
superficie poiché questa è dannosa a tutte le giovani piante da frutto
meno forse che alla vite. Le radici estratte si bruciano ed i ciottoli
servono per fare il basso fondo dei viali.
Il concime migliore per l'impianto di un vivaio è quello fatto a
base di stallatico. Bisogna assolutamente escludere il letame fresco,
perchè ingenera con somma facilità la muffa alle radici e la sua azione
è troppo lenta. Nei terreni forti, è indicata una miscela di letame ca-
vallino, suino, pecorino e bovino ammonticchiata almeno 6 mesi prima
dell'impiego ed annaffiata con spurgo di latrine a colaticcio. Per affret-
tare la decomposizione, convengono uno o due rivoltamenti. Se si
tratta di terreni ordinari é preferibile un composto in parti eguali di
letame cavallino col bovino.
Preparati i composti tanto in un modo che in un altro, essi rie-
scono però soverchiamente ricchi di azoto in confronto alla anidride
— 22 —
fosforica e potassica e quindi se applicati tali quali, farebbero crescere
in altezza le piante del vivaio, ma una gran parte del legno rimarrebbe
immatura e poi perirebbe coi freddi dell'inverno. E' quindi necessario
di spolverare ogni quintale di questi composti prima di spargerli, con
180 gr. di scorie Thomas e 70 gr. di solfato di potassa. Invece di scorie
si possono impiegare 125-150 gr. di perfosfato oppure 150-180 gr. di
polvere d'ossa. Invece di solfato di potassa si può adoperare eguale
quantità di cloruro di potassa oppure gr. 100 a 120 di Kainite.
Lo spargimento del concime è bene farlo in autunno o durante
l'inverno, spargendolo uniformemente e poi sotterrandolo subito con
un lavoro superficiale. Nel periodo che passa dallo spargimento all'im-
pianto, il concime si amalgama per bene col terreno e le piante poi
crescono con vegetazione uniforme.
4. — Per evitare confusioni è bene che il vivaio venga diviso in
appezzamenti regolari, possibilmente rettangoli, di dimensioni non mag-
giori di m. 40 per lato. Fatti gli appezzamenti, si destineranno quelli
per il semenzaio, per il barbatellaio, per il nestaio e per la piantonaia.
Di solito questa ultima occupa circa due terzi della superficie totale.
Per fissare l'estensione che si deve dare al vivaio bisogna anzitutto stabilire il
numero delle piante che si vogliono ricavare ogni anno e l'età cui le piante si vogliono
vendere. Ammesso di volere N. 600 piante ogni anno, di 5 anni di età, calcolato lo spazio
che occorre per il semenzaio, nestaio e viali relativi, si può ritenere che per ogni pianta
occorre un terzo di metro quadrato di superfìcie e pel nostro caso quindi m.^ 200. Tenuto
conto lo scarto inevitabile, che ammonta in media al 25 % e calcolato che queste piante
devono rimanere per 5 anni, si ha una superfìcie complessiva di m.'-' 250 X 5 = m.^ 1250.
Considerato poi che estirpate queste piante bisogna destinare il terreno per altri 5 anni
ad altre coltivazioni, si ha, che per produrre annualmente N. 600 piante occorrono
m.'- 2500 di superficie di terreno.
Fissata l'estensione degli appezzamenti, nel mezzo ed in direzione
della massima lunghezza si fa un viale largo da m. 1,20 a m. 2, e m. 2,30
a seconda della ampiezza del vivaio ed a seconda che occorrerà tran-
sitare con carrette a mano o carri e, fra i principali quadri, si faranno
perpendicolarmente dei sentieri larghi m. 0,80.
Tanto i sentieri che i viali nei terreni sciolti è bene farli fuori terra poiché così
s" accumula l'acqua nei quadri del terreno ; se invece il terreno è argilloso, perchè servano
di drenaggio, i viali si fanno ad un livello più basso di quello del terreno delle aiuole.
Nei vivai stabili di speculazione ai lati dei grandi appezzamenti si
collocano le piante madri ed i piccoli appezzaiwenti si contornano di
salici, di ribes, di uva spina, di lampone, di fragole che rimangono
poco nel vivaio.
11 semenzaio sì suole dividere in aiuole, della larghezza di m. 1,20
e della lunghezza di m. 8 circa. Ogni aiuola è divisa dall' alti'a da un
sentiero largo cm. 20 e ad ogni 6 aiuole si fa un sentiero più largo e
cioè di cm. 50. Per il nestaio si può disporre il terreno in quadri più
grandi. L'esperienza mi ha dimostrato che la larghezza più conveniente
di questi e da m. 8 a 9. La lunghezza, dipende dalla quantità di piante
che si intende piantare.
- 2A —
Il semenzaio e barbatellaio, hanno specialmente bisogno |)er alcune
ore della giornata di essere riparate dal sole. Allora conviene fare delle
spalliere con delle piante a forma di U, alte m. 2,50 e distanti fra loro
m. 4,60 e nella direzione da levante a ponente. Per la spalliera basta
una aiuola di m. 1 di larghezza e lo spazio fra mezzo di ni. 4,60 si
suddivide in due aiuole di m. 1,20 ciascuna con in mezzo un sentiero
di m. 0,40, le quali possono servire per barbatellaio o nestaio. Una tale
disposizione è illustrata dalla fìg. 1.
N
m. 1, —
m. 0,40
m. 1,20
m. 0,40
m. 1,20
s
m. 1,20
m. 0,40
m. 1,20
m. 0,40
m. 1,20
m. 0,40
m. 1,-
^I< ^ >ì< >i< h& ^ ^[-< ^ >ì< hB ^ >-B
>-p vj< >-I< ^p
^ s
_ s
B
^1^ ^x< >h >-P >-P ^J< y^ ^P
y'b ^I< ^I< ^ >-I< >ì< h& ^ ^ ^ yJ<' ^ S
Fig. 1. — Ksempio di vivaio ombreggiato da spalliere ad U.
Spainola larga m. 1 con spalliera formata da piante allevate ad U semplice distanti
Ira loro m. 1; — s = sentieri della larghezza di m. 0,40; - iV= aiuole per nestaiola larghe
m. 1.20; — J3 = aiuole di barbatellaio larghe m. 1.20.
Anche per la piantonaia conviene dividere l'appezzamento in tante
aiuole, larghe m. 2,40, lunghe, quanto è lungo l'appezzamento, e divise
da un sentiero largo m. 0,30. Le piante sono collocate a copie di tre
file distanti m. 0,80 e sulla fila a m. 0,60. Per ogni forma pciò queste
distanze possono variare, ma è bene che in ogni appezzamento od
almeno per ogni fila si destini una sola forma di pianta.
Nei vivai dove si fa l'irrigazione, le piante si collocano a doppie
file, separate dal solco irrigatore.
Infine in un vivaio occorre la numerazione d'ogni fila di piante
mediante dei cartellini che si attaccano alla prima pianta d'ogni fila, i
quali cartellini si riferiscono ai numeri del registro che ogni vivaista
deve preparare.
— 24 -
5. — Per utilizzare meglio il terreno e per avere delle piante sem-
pre robuste, occorre seguire anche nel vivaio una certa rotazione.
Il vivaio delle aziende rurali, dopo prodotto quel dato numero di
piante per il quale è stato destinato, si destina subito alle coltivazioni
ordinarie e si fa il nuovo vivaio in altro prato vecchio o terreno, di-
boscato.
Nei vivai stabili ciò naturalmente non si può fare ed allora bi-
sognerà provvedere ad un certo avvicendamento per prevenire l'esauri-
mento del terreno. Cosi ad esempio non converrà allevare dei peschi
sempre nello stesso quadro, ma si alterneranno questi con cotogni, con
viti. Passati però 5 anni circa, occorre cambiare addirittura coltivazione
per altrettanto tempo e cioè fare colture ordinarie di granoturco, pa-
tate, barbabietole, ecc.
Le colture consociate agli ortaggi nelle piantonaie, generalmente
non convengono.
Una buona rotazione è la seguente :
I Anno piantonaia con stallatico decomposto corretto con concimi
chimici.
II „ piantonaia senza concime.
III... „ „ con terricciato, o torba imbevuta di pozzo nero.
IV.... „ granturco con stallatico kg. 30,000 per ettaro.
V „ ortaggi, specialmente legumi da seme, senza concime.
VI.... „ patate, barbabietole od altre sarchiate con stallatico Kg. 30000
per ettaro.
VII.. „ semenzaio o barbatellaio, con una delle formole indicate
per questi.
Vili. „ nestaio senza concime.
Sulla concimazione dei vivai si parla diffusamente nella Parte
Ottava Gap. XVII.
II.
Riproduzione e moltiplicazione.
Le piante da frutto si riproducono per seme e si moltiplicano per
divisione.
1. — La riproduzione per seme è la via naturale, per la quale si
propagano tutte le piante. Con questa si ottengono i soggetti (chiamati
franchi o selvatici) più robusti, vigorosi e generalmente simili al tipo,
per quanto concerne la specie. Quanto ai caratteri della varietà avviene
di sovente, che subiscono delle modificazioni più o meno importanti.
Cosi ad esempio, dai granelli di pere si ottengono bensì dei peri, ma
questi, con 99 probabilità su cento, non avranno né il legno, né le fo-
Library
State CoHep-e
Tab. VI.
Modo con cui si propagano le piante da frutto.
Nome della pianta
Moltiplicazione per
Aberia
Agrumi
Albicocco
Anona
Asimina
Azzeruolo
Bagolano
Banano
Carrubo
Castagno
Ciavardello
Ciliegio
Corbezzolo
Corniolo
Cotogno
Crespino
Diospiri
Eugenia .
Faggio
Feijoa
Fico . .
„ d'India
Gelso da frutto . . .
Giuggiolo
Holboelia latifolia . .
Ilovenia dulcis . . .
Lampone
Mandorlo
Melo
Melagrano
Mirtillo
Nespolo
„ del Giappone
Noce
Nocciolo
Olivo
Pachira
Palma del dattero . .
Pavia
Passiflora a frutti dolci
Pero
Persea gratisima . . .
Pesco
Pino da pinoli. . . .
Pistacchio
Psidio
Querce ballota. . . .
Ribes
Rovo ........
Sorbo
Susino
Vite
seme talea margotta innesto polloni ovol
\')
15
iM
16
40
—
41
—
(')
17
14
2C
_
27
—
_
21
28
22
29
_
30
23
;u
-
(') Soltanto per ottenere nuove varietà. - O Per ottenere degli alberelli.
- 26 -
glie, né i fiori, né i frutti della pianta da cui provenivano i granelli
seminati. Alcune piante fruttifere si riproducono abbastanza fedelmente
anche per seme.
2. — La moltiplicazione per divisione è la via artificiale applicata
dall'uomo ed ha per iscopo di riprodurre esattamente i caratteri della
varietà in tutte le sue parti. Molto raramente si verifica una eccezione
a questa regola e non succede che nel caso di alterazione delle parti
del vegetale moltiplicato. Questa moltiplicazione che possiamo anche
chiamare artificiale, comprende la moltiplicazione per talea, per mar-
gotta, per innesto, per polloni e per ovoli.
Il modo seguito dal frutticoitore, per propagare le diverse essenze
fruttifere, è indicato dalla Tab. VI.
Come si vede, delle 52 piante da frutto, 41 si propagano per
seme; 17 per talea; 14 per margotta, 31 per innesto; 23 per polloni o
rimessiticci di radici ed 1 per ovoli.
III.
Attrezzi e macchine necessarie al frutticoitore.
Prima di addentrarci nella pratica della moltiplicazione è bene che
si passino in rassegna e che si diano alcune norme nella scelta dei
principali attrezzi e macchine che occorrono al frutticoitore.
1. — La vanga è l'istrumento che serve a rivoltare il terreno.
Deve essere grande e terminare in punta poco aguzza piuttosto rotonda, pei ter-
reni sciolti; deve essere appuntata e greve, pei terreni duri e pietrosi; appuntata od a
forca e mediocremente pesante, pei terreni argillosi e marnosi (fìg. 2-6).
2. — La zappa (fig. 7-12). Anche la scelta di questo strumento merita
riflessione. Colla zappa si mareggia quando trattasi di lavorare super-
ficialmente, si sarchiella quando si vuole ripulire. Nei terreni non ciot-
tolosi e sciolti possono usarsi le zappe grandi, del rimanente si ado-
pera con vantaggio la zappa bergamasca che ha un manico lungo
m. 1,50 ed il ferro trapezoidale col tagliente largo cm. 20.
I picconi (fig. 13 e 14) si adoperano quando si tratta di smuovere
il sottosuolo od i terreni sodi.
3. — Il badile (fig. 15-16) si adopera per ripulire solchi, per vuotare
fossi, per trasportar terra e negli impianti. Per trasportare la terra ad una
certa distanza si adoperano le barelle (fig. 17) e la carriola (fig. 18).
4. — Il rastrello serve a raccogliere le erbe cattive, così pure le
pietre e le radici che vengono portate alla superficie colla vangatura.
Serve anche a sminuzzare il terreno, eguagliarlo ed a coprire le se-
menti. I rastrelli si costruiscono o tutti in ferro (fig. 19 e 2U) o tutti in
legno oppure col traverso di legno ed i denti di ferro. Preferisco
quest'ultimi perchè più leggeri, più comodi e che facilmente si possono
27
Fig. 2. — Vanga a
punta rotonda.
Fig. 3. — Vanga a
taglio concavo.
Fig. 4. - Vanga
taglio ottuso.
Fig. 5. — Vanga a
taglio diritto.
m
Fig. G.
Vanghe a forca.
Fig. 7.
Zappa Bergamasca.
l'ig. 8. Zappa a punta
quadra per giardino.
28 -
Fig. 12.
Zappone semplice.
Fig. 13.
Piccone semplice.
Fig. 14.
Piccone doppio
— 29 -
far rimontare dagli stessi contadini. Per eguagliare il terreno e per
coprire le sementi si adopera il rastello a denti dritti, per gli altri
lavori quello a denti curvi.
5. — Il rastialoio o grametlo, sarchiello (fig. 21). E' uno strumento che
consiste in un bastone lungo m. 1,50, alla cui estremità sta attaccato
Fig. 16. — Badile a punta arrotondata.
/
piifHf
Fig. 15. — Badile.
Fig. 17. - Barella.
un ferro a guisa di coltello largo da tre a quattro dita posto di tra-
verso, col quale si nettano i viali e si recidono e levano le erbe
tenere.
6. — Il potatoio. E' questo l'istrumento più importante pel frutti-
coitore. Tutti i frutticoitori raccomandano una propria forma di potatoio
a seconda della pratica fatta adoperandone una o l'altra. Predomina la
forma francese, col manico e lama diritta, adunca quest' ultima all'è-
- 30 -
stremità (fig. 22) ; la forma tedesca con manico e lama leggermente in-
curvata (fig. 23) ed il modello con manico a tagliente ancora più in-
curvato (fig. 24). Quest'ultimo modello, è stato adottato da me da pa-
recchi anni ed è conosciuto per potatoio Tamaro.
Fig. 18. — Carriola per trasporto di terra con una ruota articolata
fra i due piedi {tipo Hebert).
Fig. 19.
Rastrello in ferro.
Fig. 21. — Rastiatojo.
Per fare tagli più grossi e specialmente per gli olivi e gelsi, si
adopera il pennato (fig. 25) o la roncola (fig. 31).
Per abbattere gli alberi si adopera la scure (fig. 26); per pulire i
tronchi dalla carie nell'interno si adopera una specie di scalpello (fig. 27)
od una scure, colla parte opposta, foggiata a guisa di scalpello conico
(fig. 29) o da un lato solo (fig. 30).
7. — La sega è necessaria per fare le amputazioni dei rami più
grossi. Di seghe ce ne sono ad archetto (fig. 33 e 34), a manico fisso
31 —
Fig. 24.
Potatoio Tamaro.
\v
Fig. 22. — Potatoio francese. Fig. 23. - Potatoio tedesco. Fig. 25. — Pennato.
Fig. 27.
Strumento per pulire l'interno dei tronchi dalle carie.
Fig. 2G.
Scure per atterrare
le piante.
Strumento per rimuovere la terra intorno agli innest
32
Fig. 29.
Scure per pulire e tagliare i tronchi.
Fig. 30. Fig. 31. Fig. 32.
Scure Roncola che si ^'^)]T^ P^r puljre
a scalpello. fissa all'estre- , 1 •"♦frno dei
raità di una tronchi di olivi
pertica. colpiti dalla
cane centrale.
Fig. 33. — Sega per potatore ad archetto. Fig. 34. — Seghetta da innestatore.
Fig. 35-36.
Seghe a manico fisso.
Fig. 37-39.
Seghe a serramanico per potatori.
66
(fig. 35 e 36), a serramanico (fig. 37 a 39) e di quelle fissate aireslreinità
di una pei'tica, per le amputazioni più incomode. Una sega buona deve
avere il dorso mollo più sottile della dentatura. I tagli falli colla sega
devono essere ripuliti col potatoio.
Fig. 40. — Forbice tipo Dittmar.
8. — La forbice. La migliore che si abbia in commercio in Italia è la
forbice tipo Dittmar (fig. 40). Con essa si potano più speditamente le
piante ma essa iia l'inconveniente di schiacciare il legno. In tesi gene-
Fig. 41. — Forbice
pei" tagliare i rami discosti.
Fig. 42. - Forbice a pertica per gli alberi alti.
rale dunque, Fuso della forbice è da condannarsi se al più non si vuol
tagliare ad una certa disianza dal punto destinato. La sola vite, per
la natura del suo legno elastico, risente meno delle altre piante del-
l'amputazione colla forbice. Ci sono anche delle forbici per tagliare i
3 — TAM.\r.o - Friitticollitra.
— 34
rami discosti (fìg. 41) o di quelle saldate a delle pertiche per tagliare
i rami più alti (fig. 42).
Al frutticoitore può occorrere una forbice per cogliere le frutta
(fig. 43), per tagliare le siepi (fig. 44); pel diradamento degli acini del-
l'uva (fig. 45).
Fig. 44. — Forbicioni da siepi.
00'
Fig. 43. — Forbice cogli frutta.
Fig. 45. — Forbice per
diradamento degli acini d'uva.
9. — Uinneslaloio. Per la maggior parte degli innesti è sufficiente
l'innestatoio Kunde (fìg. 46), il quale ha l'unghia all'estremità del dorso
della lama. Per gli innesti a gemma occorre invece che il taglio del
coltello sia convesso, per incidere meglio la corteccia dei soggetti
(fig. 47-50).
10. — Il fenditoio. E' uno strumento col quale si fa lo spacco dei
soggetti grossi per innestarli. La lama deve essere fissa al manico e
col dorso largo per poter battere con una mazza (fig. 51).
Altri istrumenti accessori per l'innestatore è la pietra per affilare
35
Fig. 4(). Fig. 47-50.
Innestatoio Kunde. Tipi diversi di innestatoio per l'innesto a gemma ed altri innesti.
.^.^^W^^
Fig. 51. — Fenditoio per l'innesto a spacco.
Fig. 52.
Pietra per affilare gli innestatoi.
Fig. -53. — lìaschiatoio.
Fig. 54. — Raschiatoio.
Fig. 55. — Spazzola d'acciaio.
- 36 —
gli innestatori (fig. 52) la vanghetta per scalzare gli innesti (fig. 28) ed
un sarcliiello per rimuovere la terra nei semenzai e nestai (flg. 57j;
dei fornelli per preparare il mastice ((ìg. 58 e 59); la rapina per gli in-
nesti (fig. 60).
Fig. 57. — Sarchiello.
Fig. 56. — Spazzole di acciaio.
Fig. 59. — Fornello per preparare il mastice.
!'■
Fig. .^8. — Fornello per i mastici
da adoperarsi a caldo.
.Fig. (JO. — Matassa da raphia.
11. — I raschiatoi (fig. 53-54), la spazzola di fili d'acciaio (fig. 55 e 56)
sono due strumenti che servono al diraspamento dei tronchi d'alberi
jjer distruggere crittogame e uova d'insetti.
Occorrono poi dei coglif rulla (fig. 43 e 67); un traspiantatoio per pìc-
cole piante (fig. 62); dei tendifilo (fig. 63 e 64); il gzm/j/o .S«/)a/é per levare
le corteccie grossolane che si staccano ad esempio dal tronco della
- 37 —
vite o per levare le foglie dalle canne (fig. 65) ; una gruccia per piantare
le talee (tìg. 66); una tenaglia per l'incisione anulare (fìg. 67).
Ci sono ancora altri attrezzi e macchine necessarie per l'esercizio
della frutticoltura, ma di essi verrà fatto cenno nel trattato, di mano
in mano che si presenterà il bisogno.
12. — Inchiostro per scrivere sulle etichelle di latta a zinco. Nel vi-
vaio si devono adoperare' molte etichette, perciò è bene conoscere
come si può preparare un inchiostro.
Per scrivere sulla latta, si sciolga una parte
di rame metallico, in 10 parti di acido nitrico, e
si aggiunga a questa sohizione 10 parti d'acqua.
Fig. 62. — Traspiantatoio.
Fig. 63. — Tendifilo.
Fig. 61. — Cogli frutta.
Fig. 64. — Tenditore per filo di ferro.
Il liquido cosi ottenuto è un'ottimo incliiostro che con una penna
un po' dura può esser steso sulla latta. Questa si deve pulire bene
con uno straccio o col bianco di Spagna, se fosse un po' grassa, perchè
non permetterebbe all'inchiostro d'aderire.
Ecco ora altre formole che si possono convenientemente adottare
per scrivere su metalli. Se si vuole inchiostro nero, si mescolino :
Inchiostro di China liquido . . . parti 11
Silicato di soda „ 1 a 2
Se si desidera invece inchiostro bianco :
Solfato di bario parti 1
Silicato di soda „ 3 o 4
38
Si conserva in bottiglie ben chiuse e si scuote prima d'adoperarlo:
si fa uso d'una penna d'acciaio che si asciuga appena Unito. Questi
inchiostri resistono a quasi tutti i reat-
tivi, ma con un coltello si possono
levare facilmente.
Fig. 65. — Guanto Sabatè.
Fig. 66. — Gruccia
per piantare talee.
Fig. 67. — Tenaglia
per l'incisione anulare.
Per scrivere su targhette di zinco, si abbia cura di pulir bene
prima il metallo e poi si usi uiia di queste composizioni :
"Verderame in polvere parti 4
Sale ammoniaco „ 4
Nerofumo „ 4
Acqua „ 40
oppure :
Cloruro di rame „ 1
Inchiostro comune „ 10
II cloruro di rame si scioglie assai presto nell'inchiostro, e il li-
quido cosi preparato attacca meglio lo zinco che non quelli a base di
solfato od acetato di rame.
IV
Riproduzione per seme.
1. — Dopo quanto è detto nel Gap. II sulla riproduzione per seme,
è evidente che il frutticoitore per poche piante ricorre a questo mezzo
per la produzione diretta, ma bensì solo per avere dei buoni soggetti
chiamati franchi, vigorosi, da innestarsi, colle varietà che desidera col-
tivare.
- 39 —
Si usa la riproduzione per seme, solo per ottenere nuove varietà,
per le seguenti piante: Azzeruolo, Banano, Cotogno, Diospiri, Fico, Pico
d'India, Lampone, Mi'lagrano, Nespolo, Passiflora a frutti dolci, Pistac-
chio, Ribes ed Uva spina, Vite.
Per avere piante che non subiscono l'innesto, si riproducono per
seme : Carrubo, Ciavardello, Corbezzolo, Corniolo, Crespino, Eugenia,
Faggio, Feijoa, Giuggiolo, Holboelia latifolia, Hovenia dulcis, lambosa,
Mirtillo, Nespolo del Giappone, Nocciolo, Pachira, Palma del dattero,
Pavia, Passiflora a frutti dolci, Pero delle Indie, Persea gratissima,
Pino da pinoli, Pomo di cannella, Psidio, Quercia ballota.
Si riproducono abbastanza fedelmente per seme: il Lampone, il
Mandorlo, il Pesco, il Pistacchio.
Per avere dei soggetti da innesto si seminano le piante indicate
nella Tabella VII jjagina 40.
2. — I semi destinati alla riproduzione devono essere pesanti, ben
conformati, devono provenire da alberi adulti ma non vecchi, allevati
a pieno vento ed in posizione soleggiala, da regioni preferibilmente più
calde e da frutta completamente mature.
E' diffìcile stabilire la maturazione completa del frutto. Dovendo
utilizzare il seme per la riproduzione, il frutto devesi considerare per
maturo, quando, dopo aver raggiunto il suo massimo sviluppo, cade
da sé dall'albero. Sono sempre da preferirsi i semi dei frulli caduti a
terra naturalmente a quelli caduti per abbacchiatura, per vento, per
insetti, ecc. La maggior parte delle nostre specie fruttifere maturano
in autunno. Essendoci però delle eccezioni, nella Tab. VIII è indicala
l'epoca di maturazione e la durata media della facoltà germinativa dei
semi delle principali piante da frutto.
Come si vede, i semi delle piante da frutto conservano in media,
per un tempo molto breve la facoltà germinativa e per norma il frut-
ticoitore deve ricordare:
a) i semi che cadono appena maturi, mantengono per breve tempo
la facoltà germinativa;
b) i semi più grossi e pesanti danno sempre le migliori piante-,
e) i semi provenienti dai paesi caldi e dalle pianure fertili danno
sempre le piante più belle e meglio sviluppate;
d) i semi provenienti dai paesi freddi o dalla montagna danno
piante più piccole ma non più resistenti al freddo delle altre.
I semi perdono la facoltà germinativa per una ossidazione che av-
viene degli olii e grassi od altre sostanze che contengono.
La semina quindi di quelli che perdono presto la facoltà germina-
tiva bisogna farla subito dopo la raccolta, oppure bisogna mantenere
artificialmente la facoltà riproduttiva fino alla primavera, marzo-aprile,
epoca nella quale si fanno ordinariamente le semine. Ciò si ottiene con
una opportuna preparazione e conservazione dei semi.
La preparazione dei semi potrebbe consistere nella loro immersione
nella parafina pura a 60". Questo mezzo si adopera per spedire dalle
40 -
Prontuario per la semina delle piante da
Nome della pianta
Aberia
Albicocco
Anona
Arancio amaro. . .
Asimina
Biancospino ....
Carrubo
Castagno
Ciavardello ....
Ciliegio di monte
di S. Lucia .
Citrus triptera . . .
Corbezzolo ....
Corniolo
Crespino
Diospiro di Virginia
Eugenia
Feijoa
Gelso da frutto . .
Giuggiolo
Holboelia
Hovenia
Loto d'Italia ....
Mandorlo
Melangolo
Melo
Melograno
Mirtillo
Nespolo
„ del Giappone
Nocciolo
Noce
Olivo
Pachira
Palma del dattero
Pavia
Pero
Persea gralissima
Pesco
Pino da pinoli .
Psidio
Sorbo
Susino domestico .
Mirabolano .
S. lulien .
„ Damas
Maturazione
del seme
agosto-sett.
luglio
dicembre
settembre
luglio
dicembre
settembre
agosto
novembre
dicembre
inverno
giugno-luglio
settembre
dicembre
ottobre
dicembre
settembre
dicembre
ottobre
agosto
ottobre
aprile-maggio
settembre
dicembre
ottobre
dicembre
settembre
novembre
settemb.-ottob.
agosto
luglio
agosto
6
6
24
6
6
2
1
6
6
2
18
settim.
6
()
settim.
2
6
6
24
1
1
1
1
Un litro di semi
pesa
Kg.
0.&41
0.660
0.62-0.64
0.675
0.675
0.564
0.666
0.734
0.52-0.537
0..575
0.526
0.42
0.35-0.40
0.596
0.68
0.543
0.145
conta
semi
N."
7563
3738
53-60
1200-1700
1200-1700
1230
61337
7043
106-210
220
35-40
560
680
16200
115
- 41
'rutto e dei rispettivi soggetti da innesto.
Peso
li lOOt)
semi
Epoca
della semina
2()U0 febbraio-marzo
- maggio
8-1 marzo
marzo-aprile
10000 fine iiìarzo
settembre 180
440 febbraio -marzo i 15
febbraio 1 anno
marzo 2 anni
fine novembre
marzo
febbraio 45
giugno
marzo
marzo —
500-4000 febbraio-marzo ' 15
31.7
marzo
-
novembre
-
maggio
_
marzo
90-95
febbraio
1000
fine marzo
37
2.500
aprile
febbraio -marzo
marzo
marzo
febbraio-marzo
2 anni
15
Distanza
della semina
sulla
fila
cm.
0.5-1
5
7-10
1-2
V-2-1
"Ari
2-3
25-60
Vo-1
4-5
8-10
V.-i
35
da fila
a fila
cm.
20-25
15
35-40
25-30
20-25
25-30
30-35
60-75
25-30
25-30
25-30
30-35
70
25-30
35-70
25-30
1.5-2
2
6-8
15
5-6
2
3-4
1-2
3-4
1.5-3
3-4
2-3
1.5-2
10-12
0-10
25-30 i 2-3
3-5
2-3
5-6
4-5
Per metro quadrato
dei semi
Peso
dei semi
Piante
ottenibili
N."
600-650
140
30-35
40-60
150
250
575
180-200
570-580
135-145
180-200
20-30
520-580
575
87
34-38
570
18-20
570-580
5-10
150
58-60
25
30-35
18-24
60-70
6-7
130-150
20
175
35-40
250-300
22-44 I 54-80
- 1 80-85
-- 42 -
colonie i semi dei paesi caldi. I semi che germinano appena liberati
dalla polpa, si raccolgono col fruito immaturo il quale lasciato in-
tatto, viene spedito con mezzi refrigeranti.
I semi dei frutti a granella, a nocciolo ed a bacca si preparano
sminuzzando i frutti e privandoli con ripetuti lavacri degli involucri
inutili che potrebbero alterarli. Quindi si raccolgono i semi che si sono
depositati in fondo all' acqua, scartando quelli che galleggiano e si
stendono sopra un tavolato o una tela, e si asciugano all'aria libera,
in una località ombreggiata. Durante l'asciugamento si abbia cura di
rivoltarli frequentemente, acciò l'evaporazione dell'acqua si effettui nel
minor tempo possibile.
I semi dei frutti secchi all'incontro non abbisognano di alcuna
preparazione e si conservano col loro epicarpio secco.
3. — Appena completato l' essiccamento all' aria libera, conviene
stratificare tutti i semi indistintamente essendo la stratificazione il
miglior mezzo di conservazione.
Per recipiente si può adoperare un vaso, una botte, una cassa col
fondo e pareti bucherellate.
Io di solito adopero delle cassette larghe 30 cm. lunghe 40 alte 20 cm.
non collocando più di 5 strati di semi, le cassette, chiuse e sovrapposte
una all' altra in numero di 2 a 6, le metto in una fossa coperta pro-
fonda non più di m. 1,50.
La stratificazione nelle cassette si fa nel seguente modo. Sul fondo
si mette uno strato di sassolini irregolari per mantenere l'areazione e
sopra questo si stende della sabbia asciutta per un'altezza di cm. 3.
Quindi si fa uno strato di semi, distendendoli bene col rovescio della
mano e senza che si sovrapjjongano, si coprono poi con altro strato di
sabbia, sempre asciutta, dello spessore di 1 a 5 cm. a seconda della gros-
sezza del seme e cosi si segue con questi strati alternati, fino a riem-
pire il recipiente adoperato. In tal modo stratificati si può tenere il re-
cipiente anche in un locale non caldo ma ventilato ed asciutto. Il
freddo danneggia meno del caldo.
Per ottenere una più rapida germinazione dei semi a guscio duro,
come quelli del ciliegio, susino, mandorlo, pesco, prima di stratificarli,
si può immergerli per qualche minuto nell'acido solforico. Con questa
immersione, si carbonizza superficialmente il guscio ma in modo suf-
ficiente per preservare il seme. I semi devono essere perfettamente
asciutti quando si mettono nel bagno diversamente si eleverebbe la tem
peratura a danno del seme.
Di solito si mette l'acido solforico in un recipiente di terra, si im-
mergono i semi e dopo estratti, si lavano abbondantemente con uno
zampillo d'acqua e poi vi si versa del latte di calce per neutralizzare
l'acido che eventualmente è rimasto* ancora aderente.
- 43 -
V.
Semina e cure successive.
1. — Per seguire l'ordine naturale di propagazione delle piante, la
seminagione di (}uelle da frutto dovrebbesi fare sempre dopo la rac-
colta. Difatti la terra oltre ad essere un mezzo eccellente per conservare
ai semi la facoltà germinativa, colla sua umidità rammollisce gli invo-
lucri disponendo i semi alla germinazione.
Non sempre però è possibile seminare in questa epoca, ne è sempre conveniente,
per le molte peripezie a cui esponiamo i semi lasciati inerti nel terreno per lungo
tempo. Fra le altre cause nemiche ci sono i topi, che troverebbero un pasto gradito in
na stagione nella quale non abbondano di alimento.
Sta il latto però, che i semi delle piante a nocciolo si sogliono affidare al terreno
in autunno e per esse io consiglio quest'epoca, semprechè il terreno non sia soggetto
al danno dei topi.
Le semine di tutte le piante da frutto in genere si possono però
sempre fare senza alcun inconveniente, in primavera e precisamente
nella prima o nella seconda quindicina di marzo, a seconda dell'anda-
mento della stagione ed a seconda della regione piti o meno calda.
Onde ottenere una piti rapida germinazione conviene bagnare giornal-
mente la sabbia nella quale sono stratificati i seitii alcun tempo prima
e portare tutto il vaso contenente i semi, in un ambiente caldo.
Non si può stabilire quando convenga cominciare questo umetta-
mento della sabbia, poiché dipende dalla qualità dei semi e anche
dalla temperatura dell' ambiente in cui essi si trovano. In generale
diremo, che converrà bagnare la sabbia due buoni mesi prima della
semina, quando trattasi di semi ad involucro osseo, ciliegi, mandorli,
peschi, susini, albicocchi, ecc., e per le granella basterà un mese prima.
Va da sé, che di quando in quando bisogna esaminare i semi per con-
statare il loro stato progressivo di rammollimento e per provvedere,
se del caso, con un pit!i abbondante annaffiamento e con una più alta
temperatura, ad un piti sollecito sviluppo germinativo.
2. — Come gli animali devon essere ben nutriti sia dalla nascita
per crescere poi vigorosi, cosi le piante da frutto per crescere vigorose
abbisognano di buona concimazione nel semenzaio.
Lo stallatico ben decomposto è il migliore concime pel semenzaio,
poiché oltre migliorare fisicamente il terreno, é anche un concime
complesso. Però ha l'inconveniente di essere troppo ricco di azoto in
confronto di anidride fosforica e fa crescere perciò le piante lunghe,
esili, che maturano male il legno e che i geli invernali possono anche
far perire. Oltre ai concimi fosfatici è necessario di aggiungere molte
volte dei sali potassici, e ciò, non perché lo stallatico od il terreno
non ne contengano a sufficienza, ma poiché la potassa che noi diamo
sotto forma di sali, é più assimilata di quella che si trova nello stal-
latico o nel terreno.
- 44 -
Per correggere lo stallatico allo scopo di dare dell'anidride fosfo-
rica, si possono adoperare le scorie, la polvere d'ossa ed i perfosfati.
Per dare la potassa, si adoperi del solfato di potassa. Per dare tanto uno
quanto l'altro degli elementi, si può adoperare del fosfato di potassa.
La quantità necessaria di ciascuna delle dette sostanze per correg-
gere un quintale di stallatico è la seguente :
Scorie Thomas gr. 180
Polvere d'ossa „ 150 - 180
Perfosfato 14-21 °U „ 125 - 150
Solfato di potassa „ 60-70
Fosfato di potassa „ 80-100
Adoperando la polvere d'ossa conviene aggiungere altrettanto gesso,
per facilitare la decomposizione dello stallatico.
La quantità di stallatico da adoperarsi per m.^ è di kg. 5 ossia
kg. 500 per ara. Prima di spargere lo stallatico lo si spolverizza con
uno o due dei concimi sopra citati e poi subito Io si vanga sotto.
Il concime devesi sotterrare almeno sei settimane prima della se-
mina. Meglio ancora è darlo in autunno, appena fatto il lavoro pro-
fondo del terreno per disporlo a semenzaio.
Nel caso in cui non si potesse fare questa concimazione a tempo,
conviene adoperare del terriccio in doppia quantità di quella indicata
per lo stallatico al momento della semina.
3. — Disposto il terreno in aiuole larghe ni. 1,20, fìg. 68, come ho
detto parlando del vivaio, giunta l'epoca della semina si sparge sopra
il terreno del terriccio ben decomposto e quindi si fa una leggera
zappatura. Questa ha lo scopo non soltanto di coprire il terriccio, ma
di sminuzzare anche il terreno e ripulirlo se mai necessario, di ogni
erba, radici o ciottoli, che fossero rimasti dopo lo scasso.
La semina delle piante da frutto si fa a file od a buche, mai a
spaglio, che dà una distribuzione irregolare della semente, e rende più
diffìcili le cure successive, che si devono apprestare ai seminati. La
profondità a cui si deve porre il seme varia a seconda del terreno
ed a seconda della grossezza del seme. Si dice che in un terreno nor-
male pel semenzaio, la profondità a cui si deve porre il seme deve es-
sere uguale alla doppia lunghezza del massimo diametro del seme. Ma
siccome tutte le regole hanno la loro eccezione, cosi nella Tab. VII è
indicata la profondità più conveniente, per ciascuna delle nostre piante
da frutto.
Si seminano a file i semi più minuti, tracciando col sarchiello e
guidati da un filo, dei solchetti trasversali all'aiuola, alla profondità a
cui si vuol porre il seme e distanti fra loro cm. 15. Sul fondo d'ogni
solchetto ed a distanza presso a poco eguale, da cm. 5 a 7, si dispon-
gono i semi e quindi si coprono colla terra servendosi del dorso del
rastrello, comprimendo poi energicamente il terreno col piatto del
— 45 -
badile. La quantità di seme da impiegarsi devesi regolare in modo da
ricavare nel primo anno da 180 a 200 piantine per m.'^
Per i semi più voluminosi e specialmente per quelli che produ-
cono delle piante di rapido sviluppo, peschi, mandorli, ecc., si fanno
i solchetti più distanti uno dall'altro e cioè di cm. 25, e distribuendoli
sulla fila alla distanza di cm. 10.
Volendo seminare a buche, si risparmia di tracciare i solchi, ser-
vendosi soltanto del filo e mantenendo le distanze sopra accennate.
Prima di terminare questo argomento, ritengo utile di far conoscere
l'esperienza da me fatta e che mi è stata confermata da molti pratici
e cioè, che avendo da seminare dei meli e peri, si ottiene un migliore
risultato mescolando le due qualità assieme.
Fig. 68. — Semenzaio di piante da frutto.
4. — Le cure successive che si devono prestare ai seminati sono :
la scerbatura, la sarchiatura, il diradamento e gli innaffiamenti.
La scerbaliira è un'operazione indispensabile che serve a mante-
nere mondo il terreno dalle malerbe.
La sarchiatura è anche un'operazione che si deve ripetere di fre-
quente per aereare il terreno, per portare alla superficie le radici delle
malerbe e per togliere la crosta che sovente si forma, specialmente
quando si annaffia. Si abbia però l'avvertenza di non sarchiare quando
le piante sono troppo giovani, ossia appena spuntano dal terreno,
poiché in tale stadio sono estremamente sensibili.
Gol diradamenlo, si tolgono le piante che non crescono enti'o i li-
miti delle distanze volute. Molti utilizzano anche queste piantine, ri-
piantandole col loro pane di terra in altro terreno. Ma oltre ad essere
questa un'operazione difficile ad eseguirsi, debbo avvertire che di solito
queste piante vengono meno vigorose delle altre.
- 46 -
Quando la primavera corre troppo asciutta è bene annaffiare ma
una volta cominciati gli annaffi, bisogna continuarli poicliè una inter-
mittenza può cagionare dei danni più gravi, che non lasciando nel
terreno i semi senz'acqua. Nei terreni facili ad essiccarsi e per i semi
di lenta e difficile germinazione, come i vinaccioli, i noccioli di olivo,
susino, ecc., ho trovato conveniente di coprire le semine per due dita
colla segatura di legno, oppure con paglia od altro genere di lettime.
Questa copertura mantiene l'umiditù, impedisce il rapido propagarsi
delle malerbe ed impedisce anche l'incrostazione del terreno favorendo
in tal modo lo spuntare delle piantine.
Infine trovo necessario di raccomandare anche la irrorazione con
la poltiglia bordolese neutra al 2 % specialmente le piantine a nocciolo
nonché il pero e melo, per evitare l'accartocciamento delle foglie e la
ticchiolatura.
Alla fine dello stesso anno e cioè nel mese di novembre o al più
nel febbraio successivo, si trapiantano nel nestaio le piantine che
Fig. 69. — Terrina per semi minuti.
Fig. 70. — Sezione della terrina.
hanno almeno il diametro di una matita. Si lasciano a posto le più esili
acciò si rinvigoriscano, recidendole alla base col potatoio, onde pro-
vocare la emissione di un nuovo getto più robusto.
Nell'anno successivo si abbia cura di sorvegliare le piante lasciate
sul posto, acciò non abbiano che una sola cacciata, sopprimendo tutte
le altre di minor forza.
La convenienza di trapiantare in autunno piuttosto che in prima-
vera, dipende dalle condizioni locali. Se si può piantare presto in au-
tunno in modo che le radici possano subito produrre qualche novella
radichetta, se abbiamo dei soggetti molto ben forniti di radici, e non
vi ha pericolo di straordinaria umidità durante l'inverno, è consigliabile
l'impianto d'autunno. In generale però è più consigliabile l'impianto
di primavera, perchè non è raro il caso che le radici gelino e marci-
scano per le ferite e i tagli che si fanno all'impianto.
I trapianti si debbono fare in giornate asciutte, senza vento. In
Lombardia ciò può aver luogo fino a tutto il mese di marzo.
Neil' estirpare si abbia cura di guastare il meno possibile le radici,
e si tagli il fittone a cm. 15 con un taglio inclinato ed in un punto
dove c'è la massima ramificazione delle radici laterali. 11 fusto si
deve tagliare precisamente ad una gemma sopra il colletto.
- 47 -
5. — Le piante dei paesi caldi è bene seminarle in appositi cassoni,
in terrine (fig. 69-70) oppure in vasi, sempre con terricciati, tenuti entro
stufe di moltiplicazione (Agrumi, Nespolo del Giappone, Olivo, Pino
da pinoli, ecc).
Si adoperano dei vasi di 20 cm. di diametro e vi si collocano da
20 a 50 semi secondo la loro grossezza, alla dovuta profondità. Si
trapiantano dopo uno o due anni.
VI.
Moltiplicazione per talea, polloni ed ovolo : Talea ad
una sola gemma. — Talea a più gemme. — Zampa
di cavallo. — Magliolo. — Barbatella.
1. — Per talea s'intende ogni pezzo di ramo, che, sotterrato in
parte, è capace di produrre una pianta perfettamente eguale a quella
che l'ha fornito.
Questo modo di moltiplicazione è il più sollecito, ma non può
essere applicato che per quelle piante il di cui tessuto corticale per-
mette l'uscita ai fascetti libro-vascolari, dai quali hanno origine le ra-
dici. Delle nostre piante da frutto, si moltiplicano più usualmente per
talea il cotogno, il fico d'India, il ribes e la vite. Le altre citate nella
Tab. VII sono quelle appartenenti ai paesi caldi.
Ecco come possiamo spiegarci il fenomeno della propagazione per talee.
Noi sappiamo che tutti i rami trattengono durante linverno una certa quantità
di linfa o succo alimentare, destinato ad alimentare il primo sviluppo delle gemme.
Orbene, quando piantiamo in primavera una talea nel terreno con due gemme fuori
terra, viene eccitata l'energia vitale per il maggior grado di temperatura dell'aria e
perciò la talea entra in vegetazione. La linfa sale e va ad alimentare una gemma fuori
terra, fa sviluppare delle foglie, le quali alla loro volta elaborano dei nuovi elementi
nutritivi, che discendono alle gemme sottostanti. Di queste, quelle che si trovano sot-
terra e perciò private di luce ed esposte a maggior umidità, emettono delle radici an-
ziché delle foglie.
In tale doppio movimento dei succhi, quello ascendente dà lo sviluppo delle foglie
e quello discendente dà le radici. Questi due movimenti si bilanciano soltanto quando
il calore dell'atmosfera è maggiore di (jnello del terreno, momento in cui comincia la
vegetazione. Nelle talee occorre osservare se, sviluppate alcune foglioline, presto appas-
siscono. Ciò succede quando il terreno troppo freddo non mantiene o meglio non attira
la linfa discendente, mancando la quale le radici non sono alimentate, e perciò la talea
deve morire per mancanza di nutrimento.
Questo fenomeno avviene per effetto della polarità in conseguenza della quale
ogni pezzo di ramo produce verso il suo apice nuovi germogli e verso la base nuove
radici. Cosi ad esempio se una talea è piantata a rovescio getta bensì radici dal lato
sotterrato e germoglia dal lato opposto, (juantunque stentatamente, ma di solito però
questi ultimi periscono e vengono surrogati da altri polloni vigorosi, che vengono ac-
canto alle radici a fior di terra.
La talea può consistere di una gemma sola, ed allora si ha la
moltiplicazione per gemma isolata che si adotta per le viti americane,
— 48 -
allo scopo di ottenere colla massima rapidità il maggior numero di
soggetti. Per ottenere simili talee, basta tagliare il sarmento subito
sopra e sotto l'occhio, in modo che la talea abbia circa due centimetri
di lunghezza. Le sezioni del taglio devonsi fare inclinate in modo che
la talea riesca più lunga dalla parte dell'occhio (fig. 71).
Fig. 71. — Talea
di una gemma isolata.
Fig. 7."?. - Magliolo.
Fig. 72.
Barbatella ottenuta da talea
di una sola gemma abbarbicata.
Fig. 74.
a) Talea a zampa di cavallo.
bì Talea semplice.
Queste talee devono farsi con tralci tagliati in marzo, oppure ben
conservati. Una volta preparate, si piantano le talee come semi in
piena terra nel semenzaio, collocandole colla gemma rivolta in alto o
coprendole con un centimetro di sabbia. Successivamente si deve an-
naffiare per mantenere fresco il terreno e per mantenere in buon slato
la vegetazione delle barbatelle (fig. 72).
La talea consiste invece di più gemme (fig. 74 b), e se si lascia il
pezzo di legno di due anni a cui è aderente si chiama magliolo (fig. 73).
Se si taglia con precauzione il magliolo, rispettando le gemme alla
base, si ha la zampa di cavallo (fig. 74 a). Piantando le viti, colla zampa
49
di cavallo o col magliolo, e avuto cura di tagliare prima a quest'ultimo
il moncone di legno vecchio, si hanno piante più vigorose che colla
semplice talea.
Le talee piantate clie hanno emesso le radici ed un germoglio si
chiamano barbatelle (fìg. 75), da ciò il nome di barbatellaio, al terreno
destinato a produrle.
La raccolta delle talee si faccia più tardi possibile perchè si possa
subito piantarle. Se in parte sono entrate in vegetazione non fa danno,
anzi attecchiscono di più. Se invece non si può aspettare la raccolta
fino al mese di marzo, conviene farla di mano in mano che si fa la
potatura secca a completo riposo della vegeta-
zione e poi si stratificano. Nei paesi esposti a
geli invernali, le talee conviene raccoglierle in
autunno e si conservano stratificate.
Nella vite, le migliori talee si fanno da quei
tralci che lasciati sulla pianta darebbero i mi-
gliori frutti. Per tutte le piante bisogna poi scar-
tare per talee i succhioni, le vermene, i ger-
mogli anticipati, le femminelle e sottofemmi-
nelle. Si scelgano invece i rami ben maturi,
completamente sviluppati e si ommetta la cima
e la base; poiché la cima possiede delle gemme
per lo più meschine e la base darebbe luogo a
piante pletoriche.
Non potendo piantar subito, i rami si la-
sciano intatti, si legano a manipoli di 40-50 l'uno
e si stratificano orizzontalmente nella sabbia in
una fossa in piena terra, oppure al coperto in
un luogo riparato dal freddo.
Al momento dell' impianto, le talee si tagliano della lunghezza di
10 a 30 cm. in modo che siano munite di 4 o 5 gemme, di cui una
vicina alla base.
Fig. 7.^.
Talea e barbatella.
Per le talee di diflìcile attecchimento ho ottenuto degli ottimi risultati, applicando
il seguente metodo di conservazione e preparazione.
Fatte le talee, si raccolgono a mazzetti e si stratificano nella sabbia in linea ver-
ticale anziché orizzontale, e coll'estremità destinata a dar foglie volta in basso. In tal
modo col calore dell'ambiente si ha un'ascensione della linfa in senso opposto e cioè
questa si accumula verso la estremità che deve dare radici, favorendo la loro emissione
dopo l'impianto. Otto giorni prima dell' impianto, si levano dalla sabbia le talee e si
immerge la parte destinata a dare radici nell'acqua tiepida e calore solare. Prima del-
l' impianto infine si raschia leggermente la corteccia attorno le gemme che devono
venire sotterrate. Con questo mezzo riuscii ad ottenere delle barbatelle dalle viti Ci-
nerea, Ilerbemont e Berlandieri. Per le varietà che attechiscono difficilmente per talea
si consiglia di tagliarle e piantarle quando hanno già emesso le foglie. Altri preferi-
scono l'impianto in autunno, ma io non ho mai ottenuto dei buoni risultati.
Il terreno destinato a ricevere le talee (barbatellaio), dopo lo scasso
fatto in autunno si vanga e si sminuzza, quantunque non sia necessario
i — Tamaiìo - Fnitlicollura.
/ 1
-50-
di sminuzzarlo tanto finamente come pel semenzaio. Il letame caldo
non è consigliabile, poiché questo, anziché favorire, danneggerebbe
l'emissione delle radici, quindi è preferibile del terriccio ben decom-
posto. (Vedasi sulla concimazione la Parie VII, r.ap. XVII).
Il mese più conveniente all'impianto delle talee é l'aprile, epoca
nella quale il terreno è sufficientemente riscaldato ed umido.
Il barbatellaio é pure bene dividerlo in tante aiuole della larghezza
di m. 1,20, divise da un sentiero. La distanza da osservare nell'impianto
devesi calcolare approssimativamente sulla vegetazione presumibile
delle barbatelle. Se devono rimanere per un solo anno, si piantano alla
distanza da cni. 5 ad 8 sulla fila e di cm. 20 da fila a fila; dovendo
rimanere per più di un anno la distanza sulla fila sia di cm. 20 a 25
e da fila a fila di cm. 30 a 35.
L'impianto si fa nel seguente modo. Si comincia a scavare un fos-
setto (fìg. 76) trasversale all'aiuola, profonda quanto è lunga la parte
di talea che deve stare sotterra, tenendo un lato del fossetto inclinato
di 45 gradi. Su questo lato inclinato si di-
^ (i^l'i^'S spongono le talee alla distanza voluta, leg-
iÉ^^5^ ^ germente comprimendole colla mano ed
avendo cura di non guastare la corteccia
e le gemme. Fuori del terreno le talee non
devono sporgere più di cm. 5, il che, per
Fi:4. 76. Impianto di talee. le talee di vite, equivale a non sporgere
più di una gemma, e per le talee di co-
togno che hanno gli internodi più corti, di due o tre gemme. Disposte
le talee in tal modo si coprono colla terra, ed alla distanza voluta si
scava un secondo fossetto, ripetendo la stessa operazione. Se il ter-
reno è stato lavorato bene in precedenza, si possono piantare le talee
senza fossatello adoperando la grucia (fig. 62).
Le cure successive nel barbatellaio dopo l'impianto consistono in
ripetute scerbature per estirpare le malerbe, ed in raschiature per
aerare il terreno e mantenerlo soffice.
Prima della emissione delle radici, le talee di legno secco e duro
ed in genere tutte quelle piante di difficile attechimento, devono essere
ombreggiate, perché la traspirazione farebbe loro perdere tutta la linfa.
A tal uopo conviene scegliere per barbatellaio la località meno soleg-
giata, o riparare il barbatellaio con controspalliere (fig. 1) o con altri
ripari ricorrere alla irrigazione.
2. — La moltiplicazione per polloni (fig. 77) è adottata per molte
piante, per alcune anzi, come il lampone, il ribes, il melagrano, il rovo,
il nocciuolo, é l' unico metodo di moltiplicazione. In via generale
quando si ha modo di procurarsi dei buoni selvatici venuti da seme è
meglio servirsi di questi, inquantochè, le piante che vengono da un
pollone non crescono mai tanto alte, non sono mai tanto vigorose, per
la continua tendenza che esse mantengono, di dare polloni alla base.
È da condannarsi la moltiplicazione con questo mezzo delle piante a
nocciolo, specialmenle del ciliegio e susino.
— 51 —
Per spiegare la ragione di questo fatto che coi polloni non si possono avere delle
piante molto robuste, basta ricordare cjuanto segue.
Noi sappiamo che una distinzione netta della radice dal fusto consiste che la
prima è sprovvista di gemme. Ma pure succede che quando un albero viene tagliato al
colletto o quando una radice superficiale viene mozzata o ferita, dai protoplasti viventi
nel tessuto generatore delle radici secondarie, invece di svilupparsi una radice secon-
daria, si sviluppa una gemma e da essa un germoglio che poi diventa il comune pollone
che riscontriamo di sovente nei pioppi, nei susini, nel
melagrano, nelle rose, nel lampone, nel ribes, ecc.
Anatomicamente questo fenomeno si spiega collo
stimolo che deve aver avuto una cellula della zona ge-
neratrice per l'arresto della linfa avvenuto in conse-
guenza del taglio o della ferita. Questa cellula anziché
dare origine ad una nuova radice, si riveste dapprima
di un tessuto delicato il quale da un lato si estende
all'esterno verso gli strati superficiali della corteccia e
dall'altro si prolunga in forma di peduncolo nella
zona generatrire della radice. Ben presto si sviluppano
anche dei fasci fibro-vascolari, i quali congiungono il
rudimento iniziale peduncolato della nuova gemma
col corpo legnoso della radice, e quando tutto ciò è
compiuto, la corteccia è lacerata, e la gemma sporge
dalle fenditure coi suoi rudimenti di foglie che si
aprono, quando il germoglio arriva alla superficie del
terreno. Questo fenomeno del resto non succede sol-
tanto quando il tronco viene tagliato o quando una
radice viene ferita, ma ogni qualvolta la pianta è
indebolita dall'età. La presenza quindi di polloni è in-
dizio certo di esaurimento della pianta.
Fig. 77. — Polloni
che sorgono da un olivo.
La moltiplicazione per polloni è facile. Al principio della prima-
vera, non si fa altro che staccarli colle radici e si piantano per lo più
direttamente a dimora (per il lampone, rovo, nocciuolo, ecc.), o nel
nestaio se devono servire da soggetti di innesto.
3. — La moltiplicazione per ovolo non si applica che per l'olivo.
L'ovolo è un bitorzolo tondeggiante, più o meno grande quanto un
uovo, legnoso, coperto da corteccia molto liscia e tenera, che si trova
specialmente alla base del tronco degli ulivi. In sostanza non è che
una talea cortissima senza gemme. Questi ovoli si staccano in gennaio
o febbraio e si piantano nella piantonaia, perchè abbarbichino.
VII.
Moltiplicazione per margotta: Condizioni di riuscita. —
Margotta a ceppala, a capogatto, a serpente, a tacca
ed in aria.
1. — Dopo quello per seme, questo è il metodo di moltiplicazione
più naturale. La margotla consiste in un ramo d'albero od arbusto,
attaccato per un dato tempo alla pianta madre e che dopo essere stato
- 52 -
coperto in parte di teri'a, ha emesso delle radici, in modo da poter
vivere poi indipendente.
A parte il modo di operare, che varia secondo il genere di mar-
gotta, le norme generali di buona riuscita sono le seguenti :
a) si può margottare in tutte le stagioni purché la temperatura non
discenda sotto lo zero. Si preferisca però il momento che precede il
Fig. 78. — Margotta di vite a ceppala.
risveglio della vegetazione in primavèra, poiché allora la margotta ri-
sente l'influenza della vegetazione di tutta l'estate successiva e sviluppa
delle radici più numerose ;
Fig. 79. — Margotta a ceppaia di cotogno.
b) si scelgano sempre i rami più vigorosi a corteccia liscia, non
dura e al massimo di due anni d'età ;
e) si lavori bene il terreno e lo si renda soffice e grasso, con
una generosa concimazione di terriccio ;
d) le estremità di tutte le margotte si tengano sempre verticali
e fissate ad un tutore, per ottenere dei getti nuovi robusti;
- 53 -
e) è utile di sopprimere ogni qualvolta lo si potrà, tutti i rami
e branche del soggetto che non si possono margottare e che hanno
una direzione verticale.
Non tutte le piante fruttifere si possono (colla stessa facilità) pro-
pagare per margotta. Si moltiplicano però facilmente : la vite, il ribes,
il melo paradiso e dolcigno ed il cotogno; a queste seguono: il susino
mirabolano, gli agrumi, il crespino, il faggio, il fico, il gelso, il mela-
grano, il pavia, il pero delle Indie ed il pomo di cannella.
Diversi sono i modi di procedere per fare delle margotte. Alcune
si fanno in piena terra, altre in vasi.
2. — La margotta più usata è quella a ceppala (fig. 78 e 79). Le
piante madri si potano corte in modo da ottenere una ceppala, ed at-
torno a questa si apre una fossa profonda tre palmi. Colla vanga si
lavora accuratamente, levando le pietruzze, sassi e radici, quindi vi si
ripone la terra sino alla metà. Si curvano poi i rami, e si sforzano a
stare sepolti con una forchetta di legno, in modo però che la loro estre-
mità rimanga verticale e allo scoperto. È bene legarla, come abbiamo
già detto, ad una canna di sostegno. Fatte queste operazioni basta ri-
coprire colla terra rimanente.
3. — Per il gelso, cotogno, melo paradiso, dolcigno, ribes, susino
mirabolano si operi nel seguente modo. Si comincia col piantare in
un appezzamento separato le piante le quali devono fornire la propag-
gine disponendo il terreno diviso in aiuole larghe m. 1,50 ed in modo
che alternativamente ogni aiuola risulti più alta e l'altra più bassa.
Ciò si ottiene gettando la terra della aiuola che si vuol tenere più
bassa sull'aiuola che si vuol tenere più alta. Fatte le aiuole, si pian-
tano i gelsi lungo la linea mediana di quelle ])iù basse a m. 3 di di-
stanza, e si lasciano là per tre anni, allevandoli a ceppala, perchè le
radici possano meglio svilupparsi.
- 54 —
Giunta la primavera del quarto anno, si taglia la pianta al piede
per provocare l'emissione di rami novelli. In autunno si recidono i
rami più nodosi e più corti e se ne lasciano 5 o 6 soli, scegliendo i
più vigorosi. Questi si piegano stendendoli lungo l'aiuola (fig. 80) e
coprendoli fino alla linea b, e, colla terra dell'aiuola vicina e mesco-
lando a questa del concime trito. Le estremità dei rami si lasciano
fuori e si tengono diritte legandole ad un palo (de).
Fig. 81. — Propaggine di vite.
Lungo r anno si lega il germoglio di prolungamento al palo, per
avere un fusto diritto, mentre si mozzano i germogli laterali a tre
foglie mano mano che si sviluppano. Intanto la parte sotterrata del
ramo avrà cominciato a dare radici. Nella primavera successiva, se
tv.
au
queste sono belle, si tagliano al punto d' unione colla pianta madre
e si trasporta con molta cura la nuova pianta in vivaio, dove si lascia
un anno. Molte volte in un anno, non si riesce a formare una pian-
tina, allora si lascia la propaggine unita per un secondo anno.
4. — Altro sistema di margotta è la propaggine o provana usata
per la vite ffìg. 81 e 82) che si fa in primavera. A tale scopo si scelgono
i sarmenti più belli e di piante robuste. Questi si sotterrano a cm. 25
— 55 —
facendo venir fuori l' estremità del tralcio, che si lega ad un palo,
lasciando sporgere due gemme fuori terra. Nella fossetta che si deve
fare per sotterrare il tralcio, si mette della terra ben sminuzzata e del
concime decomposto.
5. — Se invece di distendere sul fondo di una fossetta il tralcio
destinato alla moltiplicazione, lo si piega in giù in modo da sotterrare
due o tre gemme della sua punta, si ha la propaggine a capogallo
(fig. 83), con la quale si ha il vantaggio di non perdere il frutto del-
l'annata.
Fig. 83. — Propaggine a capogatto.
Quando si vuole ottenere più piante da un solo tralcio si ricorre
all'espediente di incurvarlo due o tre volte (fig. 84), in modo che le
sue gemme vengano a trovarsi parte entro terra, per l'emissione delle
radici e parte fuori, per lo sviluppo dei germogli. E questa è chiamata
propaggine a serpentone.
Per assicurare l'emissione delle radici, si fanno anche delle lega-
ture od incisioni vicino ai nodi dai quali svilupperanno di preferenza
le radici. I tralci incurvati sotto terra, si tengono fermi mediante delle
forchette (a fig. 82). Nella primavera si taglia il tralcio in b (fig. 82 e 84).
6. — Altre volte per non far solt'rire menomamente le radici nel
trasporto della margotta si piegano i rami in un vaso o in un paniere
(fig. 85), margotta in vaso.
In tutti questi casi bisogna sopprimere le gemme, che stanno fra
il ceppo ed il punto in cui il sarmento entra nel terreno, per impedire
che esse assorbano il nutrimento a svantaggio della propaggine. Nel-
l'autunno successivo si stacca la propaggine, tagliando al punto dove
il sarmento entra nel terreno e la projjaggine si porta sul sito del-
l'impianto.
- 56 -
Per agevolare il radicamento della margotta, si suol fare anche una
tacca trasversale propriamente nella parte della curva {margotta a tacca)
che si sotterra. Questa tacca devesi mantenere sempre aperta e ciò si
ottiene passandole attorno un filo di rame, o di ferro zincato, acciò
non si arrugginisca.
Dirò ancora della margotta in aria che si usa per quei rami che,
trovandosi troppo alti, non possono essere piegati in terra. A questo
scopo si adoperano dei vasi di terra non verniciati, e tagliati per metà,
dei quali si riuniscono le due parti lasciando i rami nel mezzo e poi
si legano e si riempiono di buona terra, che si avrà cura di mantenere
sempre umida. Il vaso naturalmente deve essere sostenuto dal ramo
stesso e se fosse troppo pesante lo si aiuta con un paletto. Applicato
il vaso, si fa sul ramo immediatamente sotto al vaso una leggera tacca,
che bisogna rinnovare, e far sempre più profonda, ogni settimana, fino
a che si recide il ramo completamente.
'A/ ') ' '
Fig. 85. — Margotta in vaso.
7. — Le margotte si staccano quando hanno vegetato per una in-
tera stagione e perciò al cadere delle foglie. Il taglio devesi fare sotto
le ultime radici in modo da lasciarne in maggior numero possibile.
Rispetto alla qualità delle piante ho da osservare, che in generale
per margotta si ottengono bensì delle piante molto fruttifere, ma non
tanto longeve e vigorose come per talea. In ogni caso bisogna scegliere
dei buoni rami vigorosi e provveduti di gemme ben fecondate.
Vili.
Innesto delle piante da frutto : Teoria dell'innesto e
condizioni essenziali di riuscita. — Preparazione dei
soggetti e delle marze.
1. — Dopo tante monografie che sono state pubblicate sull'innesto
è per me veramente imbarazzante di scrivere su questo argomento, e
ciò per la difficoltà di limitarsi, pur soddisfacendo al tema imposto.
Quando la pianta entra in vegetazione ai primi tepori primaverili,
noi riusciamo a staccare colla massima facilità la corteccia dal legno
57
sottostante, che per il suo colore bianco è stato chiamato alburno (fig. 86).
Questo fenomeno noi lo dobbiamo alla presenza di un succo mucilag-
ginoso che appunto in questo momento circola in massima quantità
fra la corteccia e l'alburno e che dai botanici è chiamato cambio. Il
cambio è composto di tante granulazioni microscopiche, delle quali
lungo l'anno alcune si depositano sull'alburno formando un nuovo
strato concentrico; un'altra parte si deposita sullo strato più interno
della corteccia, formando altrettanti strati fibrosi che si possono stac-
care a guisa delle pagine di un libro, da cui anche il suo nome di libro.
Ma le proprietà del cambio non
sono soltanto queste. Esso serve
anche quale mezzo connettivo, in
modo che se noi leviamo un pezzo
di forma regolare di corteccia da
un albero e lo sostituiamo con un
egual pezzo di corteccia apparte-
nente ad un altro albero di egual
genere, in un breve tempo la ferita
si rimargina completamente.
Immaginate ora che questo pez-
zo di corteccia trasportato, porti
una gemma. Questa continuerà a
vivere, si svilupperà, darà luogo ad
un getto, un ramo con delle foglie,
fiori, frutti che saranno identici
però alla loro pianta madre e non
a quelli sulla quale vivono. Un si-
mile fenomeno avviene anche quan-
do vi poniamo in contatto il libro
e l'alburno di una pianta.
Operando sia in un modo che nell'altro, non si è fatto che un
innesto e cioè abbiamo saldato an vegetale o una parte di un vegetale
su di un altro che diventerà il suo sostegno e gli fornirà una parte del-
l'alimento necessario alla sua cresciuta. La pianta sulla quale si opera
l'innesto, chiamasi soggetto — e nesto o marza, quella parte del vege-
tale che vien saldata al soggetto.
Dopo quanto precede è evidente, che tutto il segreto di questa
operazione consiste : nell'innestare soltanto delle piante di parentela
molto stretta; nel far combaciare perfettamente la corteccia del nesto
con quella del soggetto, ed il sistema legnoso con quello legnoso,
acciò si uniscano. È quindi necessario che i tagli che si praticano
siano ben fatti, con strumenti taglientissimi, acciò non riescano punto
laceri. Occorre anche evitare assolutamente l'accesso dell' aria e più
ancora dell'acqua per entro la commessura dell'innesto. Ciò si rag-
giunge con delle opportune legature ed in caso ancora con dei mastici.
Ma non sono soltanto queste le condizioni a cui bisogna provve-
dere per assicurarsi la riuscita dell'innesto.
Fig. 80. — Figura schematica della se
zione di un tronco : a modello ; b le
gno di prima formazione ; e' legno
ordinario chiamato anche durame
e" legno formatosi nell" ultimo anno
chiamato alburno ; a' raggio midol
lare ; fra d' e" lo strato del cambio
d' parenchima corticale; d" perider
ma che forma lo strato sugheroso
d'" epidermide che è verde nel ger
moglio.
- 58 —
Quelle che ci mancano a prendere in considerazione riguardano il
vigore e l'epoca in cui si possono fare gli innesti con buona riuscita.
Le due piante che si intendono unire per innesto, devono posse-
dere una certa analogia di vigore, sia per quanto riguarda il momento
in cui entrano in vegetazione in primavera, quanto per la robustezza.
Essendoci discordanza, è meglio che il soggetto sia di vegetazione
più precoce del nesto, nel caso contrario quest'ultimo in primavera
soffrirebbe per mancanza di nutrimento. D'altra parte è desiderabile
che il nesto sia di varietà più vigorosa del soggetto, poiché in tal
caso si hanno piante più fruttifere e di frutto più voluminoso. Questo
è il caso del pero sul cotogno, del melo sul dolcigno.
Gli alberi delicati si adattano meglio sui soggetti di vigore medio,
e se lo squilibrio fosse troppo saliente, si può renderlo meno sensi-
bile con un doppio innesto. Il sopra innesto consiste nell'innestare i
soggetti vigorosi con una varietà di medio vigore, e su quest'ultima
innestare quella che si desidera propagare (v. più avanti Gap. XVII). Gosi,
ad esempio, si ottengono delle buone piante di Duchessa d'Angouléme,
innestandole sul pero Gurato, innestato alla sua volta sul selvatico.
L'epoca più opportuna per gli innesti è il tempo dei maggiori ef-
flussi della linfa, cioè nell'aprile o nell'agosto. Le marze devono essere
però sempre meno avanzate in vegetazione dei soggetti.
In fine diremo che una atmosfera quieta, asciutta, piuttosto che
umida, è un'altra condizione per la buona riuscita degli innesti.
2. — Prima di terminare questo capitolo vediamo come si prepa-
rano i soggetti e le marze per gli innesti.
Ottenuti i soggetti per via di seme o di talea o di margotta, si
trapiantano i più sani nel nestaio. La sanità dei soggetti si riconosce
tagliando le radici, la cui sezione deve essere perfettamente bianca,
come pure dagli anelli legnosi del fusto che devono apparire lucenti
e privi di macchie. Se invece si trovano delle slriature giallognole,
se la corteccia non ha un colore uniforme, vuol dire che le piante
soffrirono per il gelo o che è ingenerata qualche malattia nei loro
succhi. Simili piante sarà bene scartarle.
L'impianto nel nestaio si fa nel mese di novembre oppure in
marzo, approfittando di una giornata asciutta e con terreno asciutto.
Il sistema d'impianto che trovai più conveniente è quello a porche
di due file l'una, e distanti cm. 70 una dall'altra. Le due linee di sog-
getti che compongono la porca si piantino alla distanza di cm. 40
sulla fila e di cm. 50 da fila a fila. Si aumentano o diminuiscono queste
distanze, secondo le specie più o meno vigorose ed a seconda del
tempo durante il quale si intendono lasciare le piante nel nestaio.
Disposti in tal modo i soggetti nel nestaio, si trattano differentemente
a seconda che si vuol fare l'innesto al piede oppure in testa.
Per l'innesto al piede si tagli il fusto da cm. 10 a 30 d'altezza a
seconda del vigore della pianta, a cm. 10 i più deboli ed a cm. 30 i più
robusti. Durante l'anno questi soggetti si lasciano sviluppare normal-
- 59 -
mente poiché nell'agosto dello stesso anno od al più tardi nella pri-
mavera successiva, si possono fare gli innesti.
Volendo innestare invece in testa, devesi allevare un fusto, per
ottenere il quale occorrono almeno due anni di dimora nel nestaio. Il
fusto si ottiene recidendo il soggetto vicino a terra a cm. 5 circa di
distanza. Durante il primo anno si conserva uno solo dei getti nuovi
che si lega ad un tutore, per mantenerlo in direzione verticale. Nel
secondo anno, qualora il fusto non avesse preso una direzione regolare
si ritaglia alla base per ottenere un nuovo getto. Le branche laterali
si lasciano intatte se deboli, poiché servono a rinforzare il fusto, quelle
di sviluppo medio si tagliano a cm. 10, e quelle troppo robuste si
svettano dalla base.
Per ricevere l'innesto, il soggetto deve essere capitozzato o no, a
seconda del genere di innesto che si vuol applicare. La capitozzatura
é indispensabile per gli innesti in testa e si fa alcune settimane prima,
cioè quando la pianta non é ancora entrata in vegetazione. La capi-
tozzatura si fa a cm. 10 sopra al punto dove si intende fare l'innesto ed
ha per iscopo di rilardare la vegetazione e di trattenere la massima
quantità di alimento per la marza.
Sulle altre precauzioni ed operazioni che riguardano la prepara-
zione dei soggetti, mi estenderò descrivendo i singoli sistemi d'innesto.
I nesti, o marze, devono essere di buona qualità, sani, vigorosi; in
una parola, perfettamente costituiti.
Un nesto malato propaga il male di cui é alletto a parecchie ge-
nerazioni, deteriorando la varietà. Usualmente si dice che ha degene-
rato ; ma la degenerazione é locale e non generale.
Non si devono perciò accettare con troppa facilità dei nesti di
origine sconosciuta. Le piante madri, ossia quelle che forniscono i
nesti, non si devono potare che alternativamente ; ossia non si cimano
né si potano per un anno, quei rami dai quali si intende levare le
marze, acciò le gemme maturino completamente.
Le marze per gli innesti di primavera si raccolgono durante l'in-
verno, al più tardi negli ultimi giorni di febbraio, quando cioè la
pianta è in pieno riposo di vegetazione ed in una giornata asciutta e
non troppo fredda. Raccolti gli innesti, si legano a mazzetti e si stra-
li lìcano nella sabbia in un locale fresco, che non vada soggetto a
sbalzi di temperatura.
IX.
Sulla affinità e sulla reciproca influenza
del soggetto e del nesto.
1. — L'argomento é importantissimo non soltanto nel campo della
frutticoltura ma anche in quello della viticoltura dove si devono fare
nuovi impianti di viti americane innestate.
- 60 -
Infatti, nelle regioni dove si attende alla ricostituzione dei vigneti,
ci vengano sempre fatte presso a poco le seguenti domande : Scelte le
viti americane adatte al terreno, le nostre viti potranno poi adattarsi
all'innesto su di esse ? Se queste si adattano, ci daranno prodotto
eguale a quello di prima per quantità e per qualità?
Per rispondere alla prima domanda, bisogna esaminare quali sono
le condizioni perchè avvenga l'adattamento, per rispondere alla se-
conda occorre vedere quale influenza reciproca hanno il soggetto colla
marza e se eventualmente vi siano altre circostanze che possano in-
fluire sulla qualità e quantità del frutto.
2. — Quando noi innestiamo, facciamo una pianta bimembre, cioè
costringiamo la marza ed il soggetto a vivere strettamente uniti, pre-
standosi un vicendevole aiuto.
Il nesto riceve dal soggetto la linfa brutta, ossia l'acqua, conte-
nente dei sali minerali che si trovano nel terreno e che venne as-
sorbita dalle sue radici. Grazie però alla traspirazione ed all'attività
clorofilliana delle foglie del nesto, la linfa brutta viene trasformata
in linfa elaborata, la quale poi circola in tutte le parti della pianta
bimembre, alimentandola ed ingrossandola. Come dunque il nesto di-
pende dal soggetto per la quantità di linfa brutta che può elaborare,
il soggetto alla sua volta dipende dal nesto per la preparazione dei
materiali che provvedono al suo sviluppo.
Perchè queste due individualità messe in contatto non si danneg-
gino, bisogna che esista fra loro una certa affinità, ossia bisogna che
esista fra loro comunanza di struttura anatomica, di modo di nutri-
zione e di vegetazione.
Al nesto non è possibile di scegliersi nel terreno le sostanze a lui
utili e di regolarne l'assorbimento conforme al suo bisogno. Se si
trova ad esempio sopra un soggetto avente dei vasi più rari o di
minore calibro dei propri, riceverà probabilmente minor quantità di
linfa brutta e si avrà per effetto una imperfetta nutrizione e talvolta
l'essiccamento parziale o totale della pianta per mancanza di acqua.
Questo danno poi si accentua per la qualità dei vasi che si trovano
nel tessuto connettivo dell'innesto che sono sempre più piccoli e con-
torti. Se invece i vasi del soggetto sono più grossi e più numerosi di
([uelli del nesto, affluendovi troppa linfa acquosa, si corre pericolo
che la pianta soffra per pletora.
Il soggetto alla sua volta, riceve la linfa elaborata dal nesto e na-
turalmente il suo sviluppo ne risente. Se questa è adatta e conveniente
si ha uno sviluppo normale, altrimenti anche esso ne subisce delle
conseguenze.
Le piante innestate subiscono quindi delle modificazioni nella loro
crescita, nella loro vitalità, nella loro precocità di sviluppo, nella
grossezza e qualità dei frutti, nella resistenza ai parassiti ed agli
agenti esteriori dell'atmosfera.
3. — Ravaz e Viala hanno fatto in proposito degli studi molto
- 61 -
importanti sulla vite e dimostrarono che l'affinità dipende in gran
parte dall'eguaglianza o meno dei tessuti o vasi che le due parti si
compongono.
Ma altri fatti bisogna ora far emergere per vedere quale influenza
reciprocamente possono avere il nesto col soggetto.
L'innesto del pero sul franco produce un anello di cicatrizzazione
poco marcato e dà delle gettate deboli nei primi anni, vigorose o vi-
gorosissime negli anni successivi. Sul cotogno si ha invece un ingros-
samento notevole al punto d'innesto, perciò si ha molto vigore nella
prima età ed indebolimento negli anni successivi in modo che la vi-
talità della pianta e più breve che innestando sul franco. Questo porta
per conseguenza una fruttificazione anticipata, frutta più voluminose
e più saporite.
La pera Decana d'inverno, innestata sul cotogno e sul franco ha
dato i seguenti risultali comparativi ai signori Rivière e Beilanche, per
quanto concerne il peso medio dei frutti e la loro ricchezza zuc-
cherina :
Peso medio di Zucchero totale
un frutto in 100 parti di succo
^ ... ., ,. ,,,. X 1 \ cotogno 435 gr. 11,59
Frutti ottenuti coUinnesto sul „ ° „„„ „^,
ì franco 230 „ 9,04
Gli stessi esperimenlatori colla varietà Calvilla bianca, di 15 anni
d'età, hanno ottenuto i seguenti risultati :
Peso medio Zucchero totale
del frutto in 100 parti
Calvilla innestata sul
) Paradiso gr. 285 15,26
) Dolcigno ., 220 11,90
Ledere du Sablou ha determinato nei diversi periodi dell'anno
gli idrati di carbonio (zucchero ed amido), contenuti quali materiali
di riserva, nel fusto di un pero della varietà Duchessa di Angoulème
innestata sul franco e sul cotogno. Dalle analisi fatte è risultato, che
durante l'inverno e l'autunno, i materiali di riserva sono più abbon-
danti nelle piante innestate sul cotogno. Allora ne avviene che in pri-
mavera, la pianta avendo a disposizione una maggiore quantità di ele-
menti nutritivi, si presta meglio a fruttificare. E naturale che da queste
piante si ottenga un maggiore prodotto.
Segue, che nei terreni freschi, fertili, dove il cotogno riesce per-
fettamente, bisogna sceglierlo anche per porta innesti del pero. Nei
teiTeni secchi e poveri, e specialmente per le forme a pieno vento, è
consigliabile l'innesto sul franco.
Del resto una prova che anche la rusticità del soggetto esercita
una certa influenza sulla longevità delle piante, l'abbiamo precisamente
nel pero il quale, se innestato sul franco ha una longevità molto su-
periore che se innestato sul cotogno, mentre su questo ultimo la irut-
- 62 -
tificazione è più abbondante e sollecita; i frutti sono più grossi e
saporiti.
E proseguiamo in queste constatazioni.
Il pesco innestato sul susino, è più precoce e meno vigoroso che
sul mandorlo ; il pesco stesso innestato sul selvatico è ancora più
precoce e meno vigoroso di quello innestato sul susino.
Alcune viti nostrane, innestate sulla Rupestris du Lot, porta in-
nesto questo, molto vigoroso e rusticissimo, danno poco prodotto.
Innestate le stesse viti sopra varietà americane meno vigorose (Ri-
paria X Rupestris lOP* o 3309), danno risultati splendidi.
D'altra parte abbiamo molte viti nostrane, che innestate sopra
la Riparia, danno più prodotto che se ottenute per talea.
Infine si è notato che se innestiamo il ramo di un albero, questo
dà più frutti degli alberi non innestati. Questo è un fenomeno analogo
a quello che si verifica coll'incisione anullare.
L. Daniel, che fece una inchiesta sullo stato della viticoltura e
sulla questione fillosserica, è venuto alla conclusione, che coll'innesto
si producono degli ibridi i cui caratteri possono essere in parte ere-
ditari, in parte anche essere fugaci ed in altre costanti. Come avvenga
questa reazione, non si è potuto ancora spiegare.
È un fatto che vi sono delle marze miglioranti, altre deterioranti
ed altre infine neutre. Così nel Belgio hanno cominciato a fare degli
ètalons pedigree per quelle piante madri che danno le marze con una
o l'altra di queste qualità.
4. — Moltissima influenza però sugli ettetti diversi che si otten-
gono cogli innesti ha la variazione di nutrizione delle piante innestate.
Questa variazione di nutrizione la si deve attribuire alla qualità
del terreno dal quale le radici del soggetto assorbono il nutrimento.
Il pero innestato sul cotogno, il pesco innestato sul franco o sul
susino ; le viti innestate sulla Riparia piuttosto che sulle Rupestris,
producono di più e meglio perchè i rispettivi soggetti hanno radici
più superficiali, le quali vivono nella parte del terreno più ricco di
materiali nutritivi ed assimilabili.
Il Muntz ci ha dimostrato che le proprietà fìsiche e chimiche del
terreno hanno una influenza notevole sulla qualità delle uve e dei
vini da loro derivati. I terreni più ricchi di anidride fosforica e po-
tassa, sono quelli che ci danno i vini più accreditati. Ebbene è ap-
punto lo strato superficiale del terreno che possiede queste proprietà
e si ha verificato, che tanto dalle vecchie viti non innestate quanto
dalle giovani innestate, meno per l'influenza della età, si ottengono dei
vini di eguale valore purché le radici si trovino in un terreno di
eguale grado di fertilità.
Ricostituendo delle vigne, noi facciamo dei lavori profondi di ri-
voltamento e rimescolamento. Ma mentre si è aumentato il volume
della terra utilizzabile dalle radici, si è diminuita la ricchezza media
di materie fertilizzanti. Da ciò la ragione:
- 63 -
a) che nella generalità dei casi innestando delle viti si ha un
prodotto più scadente di qualità nei primi anni, sia per la giovinezza
delle piante sia per il nutrimento a loro defìcente;
b) che a questo si può rimediare arricchendo il terreno di so-
stanze minerali.
5. — Da quanto precede ci sembra di poter concludere :
a) l'affinità del neslo col soggetto è uno dei problemi più inte-
ressanti da studiare, perchè da esso dipende essenzialmente la longe-
vità, il vigore e la sanità delle piante innestate ;
b) sulla quantità e qualità del prodotto ha una certa influenza
il reciproco influsso del soggetto e del nesto, però ancora maggiore
influenza hanno le sostanze minerali contenute nello strato del ter-
reno nel quale vivono le radici del soggetto ;
e) se le radici del soggetto sono superficiali, striscianti, allora
bisogna curare che lo strato attivo del terreno sia specialmente ricco
di anidride fosforica e potassa. Se le radici sono profonde, fittonanti,
allora bisogna ammigliorare con opportune concimazioni anche lo
strato inerte del terreno ;
d) dalla possibilità di una alimentazione ricca e conveniente,
più che dalla affinità del nesto col soggetto dipende la quantità e
qualità del prodotto.
X.
Innesti principali adottati per le piante da frutto
e soggetti relativi.
1. — Gli innesti principali sono i seguenti: l'innesto a spacco;
l'innesto a corona ; l'innesto inglese ; l'innesto per approssimazione ;
l'innesto a gemma; l'innesto erbaceo.
Con l'innesto a spacco si fa entrare nel soggetto, mediante spacco,
una marza di due o tre gemme, mentre con l'innesto a corona si in-
troduce la marza senza spaccare il soggetto e precisamente tra la
corteccia ed il legno. Con l'innesto inglese invece si fendono tanto il
soggetto che la marza, ma bisogna che abbiano lo stesso diametro.
L'innesto per approssinìazione consiste nel fare combaciare un ramo
dell'innesto con un soggetto giovane presso a poco di eguale grossezza.
L'innesto a gemma consiste nel trasportare una gemma sopra il sog-
getto e procurarne la comunanza. Quando queste operazioni si fanno
nei germogli in corso di vegetazione si fa l'innesto erbaceo adottalo
specialmente per la vite.
Nella lab. Vili a pag. 64-67 sono indicate le varie foggie di innesto
più adatte alle singole essenze fruttifere.
-64 -
Nome della pianta
da frutto
Agrumi
Anona . .
Carrubo
Castagno .
Gelso . .
Lazzcruolo
Mandorlo
Melagrano
Nome volgare
del soggetto
) Arancio dolce franco
I Limone franco
; Susino franco
\ Mandorlo
< Pesco
/ Albicocco franco
\ Susino mirabolano
Diverse specie
Carrubo franco
Castagno franco
Ciliegio I Ciliegio franco
( , di S. Lucia
Cotogno
Diospiri
Nespolo 1 Nespolo selvatico
j Biancospino
Nome botanico
del soggetto
Citrus Bigaradia
Citrus aurantium
Citrus Limonum
Prunus domestica
Amygdalus communis
„ Persica
Armeniaca vulgaris
Prunus cerasifera
Ceratonia siliqua
Castanea vesca
Cerasus avium
Mahaleb
Cotogno
Cydonia vulgaris
Diospiro
Kaki
Diospyros Kaki
d'Italia
Lotus
Gelso franco
Morus alba
Biancospino
Crataegus oxyacanta
Albicocco
Armeniaca vulgaris
Mandorlo
Amygdalus communis
Susino Damas
Prunus insititia
S. lulien
'
Melagrano selvatico
Punica Granatum
Melo franco
Pirus malus
Dolcigno
Pyrus malus prrecox
Paradiso
Pyrys malus paradi-
siaca
Mespilus germanica
Crataegus oxyacanta
65
ell'innestatore.
Epoca
Terreno
!
Vigoria
Frutlilìcazione
Longevità
dell'innesto
più conveniente
aprile
mediocre
molta
tardiva
massima
agosto
,
„
„
aprile
ricco
media
pronta
minima
■ agosto
,
„
aprile
l)Uono
poca
tardiva
media
agosto
fresco-argilloso
"
eccell. per qualità
,
-
profondo e caldo
molta
precoce
massima
,
mediocre
media
mediocre
media
„
secchi, leggeri
molta
massima
asciutti
minima
pronta
minima
maggio
-
-
osto o maggio
mediocre
molta
normale
massima
maggio
-
.
,
aprile
normale
normale
normale
agosto
aprile
-
„
prile-maggio
fresco-siliceo
molta
abbondante
massima
.
arido, calcare
poca
,
minima
agosto
fresco-ricco
normale
normale
normale
bbraio-marzo
profondo-fertile
settembre
"
bbraio-marzo
;
"
"
aprile
normale
'
:
-
agosto
arido
media
abbondante
minima
asciutto
,
normale
poca
rzo-fìne agosto
normale
normale
„
normale
umido
media
mediocre
agosto
normale
normale
aprile
,
marzo
fresco di pianura
massima
abbon. ma tardiva
massima
primi agosto
•■
,
marzo
ricco, calcare
media
abbondante
media
Drimi agosto
-
,
„
„
marzo
.
minima
^
minima
primi agosto
-
»
aprile
normale
molta
normale
normale
..
arido poco prof, i
minima
pronta
minima
Tamaro - Frutticoli lira.
Segue Tab. Vili.
■2 a
Nome della pianta
da frutto
Nome volgare
del soggetto
Nome botanico
del soggetto
Sistema
di innest
14
Nespolo del Giappone
Nespolo del Giappone
franco
Biancospino
Cotogno
Mespilus Japonica
Crataegus oxyacanta
Cydonia vulgaris
gemma
15
Noce
Noce franco
luglans regia
corona
anello
spacco
16
Olivo
Olivo selvatico
Olea europea
corona
gemma
17
Pero
Pero selvatico
Cotogno
Bianco Spino
Pyrus coramunis
Cydonia vulgaris
Crataegus oxyacantha
spacco
gemma
spacco
18
Pero delle Indie . .
Mirto comune
Myrtus communis
»
19
Pesco
Pesco selvatico
1 Mandorlo
1 Susino Daraas
Albicocco
Amygdalus Persica
„ communis
Prunus
gemma
Armeniaca vulgaris
.
20
Pistacchio
Pistacchio selvatico
Terebinto
Pistacia vera
Terebintus
gemma ve
e dormi
21
Sorl)0
Bianco Spino
Crataegus oxyacantha
gemma
22
Susino
Susino selvatico
„ mirabolano
S. Giuliano
Prunus domestica
„ cerasifera
insititia
spacco 1
gemma i
spacco i
23
Vite
Su tutte le specie di
Viti
spacco sem:
erbaceo, ir.
XI.
Innesto a spacco semplice.
1. — Questo è dei più facili ad eseguirsi e dei più sicuri, tanto è
vero che è il più generalmente conosciuto. Si pratica in marzo e du-
rante i primi giorni d'aprile per tutte le piante a foglie caduche, quan-
tunque riesca meglio per le piante a granella che per quelle a noc-
ciolo. Fra queste ultime fanno eccezione il ciliegio e qualche varietà
di susino, per le quali l'innesto a spacco riesce meglio di qualsiasi
altro metodo d'innesto.
67
Epoca
Terreno
Vigoria
Fruttificazione
Longevità
dell'innesto
più conveniente
agosto
profondo
massimo
massima
massima
n
arido, poco prof.
medio
eccellente
minima
.
fertile
minimo
eccell. e precoce
media
aprile
normale
normale
normale
normale
sbbraio-marzo
;
;
"
marzo-aprile
„
,
,
ggio - settembre
-
.
"
.
agosto
profondo fresco
massima
tardiva
massima
marzo
„
,
»
„
agosto
fresco e molto feri.
media
precoce
media
marzo
arido
minima
minima
minima
fine agosto
normale
media
abbondante
media
profondo fertile
massima
„
massima
umido
media
media
media
'
arido
-
,
"
aprile-agosto
normale
normale
normale
normale
agosto
arido
minima
abbond. e pronta
minima
„
normale
massima
massima
massima
aprile
„
„
agosto
asciutto
media
pronta
minima
aprile
"
„
normale
normale
normale
normale
giugno
,
„
Per fare questo innesto, si opera nel seguente modo.
Scelti i soggetti, che devono avere almeno cm. 2 di diametro, si
recidono all'altezza a cui si intende fare l'innesto, con una forbice o
con una sega, se il soggetto fosse molto grosso, avendo cura di ripas-
sare il taglio col potatojo per togliere qualsiasi ineguaglianza (C fìg. 87).
Quando il soggetto fosse soltanto dello spessore di cm. 2, non si ap-
plica che una sola marza ed allora la sezione del taglio convien farla
leggermente obliqua, appianandola soltanto nella parte superiore, dove
si intende di inserire la marza (B fìg. 88).
La marza si prepara, scegliendo soltanto la parte mediana dei
rami, raccolti e conservati nell'inverno, come abbiamo veduto nel ca-
68
pitelo precedente; e questo per il fatto che le gemme dell'estremità
dei rami, non raggiungendo sempre la loro completa maturazione,
darebbero delle piante deboli, come le gemme della base darebbero
invece delle piante rigogliose bensi, ma poco fruttifere. Questa pre-
cauzione, che in apparenza sembra di poca entità, ha invece una
grande importanza e ad ogni attento osservatore delle campagne non
possono sfuggirne gli effetti. Guardiamo un po' qual difterenza di com-
portamento hanno le piante acquistate negli stabilimenti di frutticol-
Fig. 87.
Innesto a spacco.
Innesto a spacco
con una sola marza.
Fig. 89.
Marze per l'innesto
a spacco.
tura, e quelle ottenute per innesto dai contadini. Le prime (perchè,
purtroppo di sovente, provengono da vivaisti che speculano su miseri
arboscelli per fare degli innesti) crescono deboli, rachitiche, fruttifi-
cano se si vuole anche presto, ma presto periscono. Quelle invece ot-
tenute dal contadino per innesto, sono eccessivamente rigogliose ma
pochissimo produttive e ciò per il fatto, che il contadino sceglie per
fare le marze i rami più vigorosi e di questi utilizza soltanto la parlo
inferiore. L'arte non sempre riesce ad attenuare questi inconvenienti
e molto di sovente, chiamato in simili casi, io dovetti consigliare dei
rimedi radicali.
Scartata adunque la parte inferiore, si tiene il ramo colla mano
sinistra appoggiandolo sul dito indice, e colla mano destra armala di
- 69 -
innestatoio, si taglia sotto un occhio e su due facce la parte inferiore,
in modo da ottenere una bietta triangolare (F fig. 89) lasciando in-
tatta la corteccia sul dorso (A). Questi tagli devono essere fatti con
l)Ochi tratti di coltello, acciò le superfici che devono venire in con-
tatto col soggetto riescano ben liscie ed uguali. Superiormente la
marza si recide in media a 3 gemme sopra la bietta (B), avvertendo
però, che per i soggetti molto robusti, per i terreni molto ricchi, e nei
climi umidi e freddi, si devono tagliare più lunghi ; ed anche a 2 sole
gemme per i casi opposti.
Preparata in tal modo la marza, si fa uno spacco al soggetto, nel
senso del diametro (D fig. 87) adoperando un coltello o fenditoio (fi •
gura 88), più o meno robusto a seconda del caso. Collo stesso coltello
oppure con un cuneo di bosso, si tiene quindi aperta la fenditura, si
immette colla mano sinistra per l'orifìzio superiore la marza, in modo
Fig. 90. — Innesto a spacco sulla vite
a) sezione orizzontale del soggetto ; b) nesto inserito.
che la sua corteccia venga a coincidere con quella del soggetto, senza
essere né sporgente, né rientrante. Nel caso soltanto in cui la corteccia
del soggetto fosse troppo grossa, conviene che la marza sia inserita
più in dentro. Quando non si possono inserire due marze come si vede
nella fig. 87, ma soltanto una, allora bisogna procurare di fendere il
soggetto soltanto da un lato. Fatto questo non si ha che da legare e
coprire le ferite con un mastice onde evitare l'accesso all'aria, all'u-
midità e alle bricciole di terra nello spacco. Altro esempio di innesto
a spacco semplice sulla vite, l'abbiamo rappresentato sulla fig. 90.
2. — I migliori legacci per gli innesti sono quelli che non si
accorciano e neppure allungano sotto le influenze igrometriche, e che
sono dotali d'una certa elasticità, che permette di cedere all'ingrossa-
mento del soggetto. Più il soggetto sarà grosso, e più forte dovrà es-
sere il legaccio. Le legature si fanno colle due mani. Si avvolge l'in-
nesto a spirale dandogli una stretta bastantemente forte ad ogni giro,
in modo che le legature non si possano muovere. Bisogna sempre
- 70 —
tenere in mente che l'ufficio della legatura è provvisorio; esso cessa,
quando la saldatura è suflìciente per lo sviluppo della marza.
Per ordine d'importanza, delle legature più usate, diremo che la
lana filata possiede tutte le qualità volute per un buon legaccio, poi
viene il cotone filato, specialmente per l'innesto ad occhio, quindi la
corteccia di tiglio, la raphia (fig. 56), lo spago. Gli ultimi quattro de-
vonsi bagnare coU'acqua prima di adoperarli.
3. — Gli unguenti, misture o mastici, come si vogliono chiamare,
servono a spalmare le ferite ed i tagli delle piante che si fanno sia
per potarle che per innestarle, onde evitare una soverchia evapora-
zione della pianta o specialmente un afflusso di linfa che come nel
pesco e in tutte le piante a nocciolo, porta per conseguenza delle
malattie cagionevoli, quale la gommosi. Visto lo scopo di questi ma-
stici è evidente che essi devono corrispondere alle seguenti condi-
zioni : 1." di non far seccare la ferita: 2.° di avere un colore tale da
concentrare il minor grado di calore possibile ; 3.° di non screpolare
all'azione dell'aria, e non liquefarsi al calore solare.
Il miglior mastice è ancora quell'usato ab antiquo e cioè della
buona terra argillosa leggermente umettata. Delle diverse misture con-
sigliate, quella che trovai più conveniente è la seguente di Romeville,
quantunque questa però non corrisponda tanto bene quanto una
buona pasta di terra argillosa.
Pece nera grammi 150
Resina „ 150
Cera vergine „ 25
Sego „ 25
Alcool denaturato „ 1/10 di litro.
Si riscalda la mescolanza lino alla completa fusione delle sostanze,
si ritira dal fuoco e, dopo che il liquido si sarà alquanto raffreddato,
vi si aggiunge l'alcool, rimestando per bene, quindi si riscalda di
nuovo leggermente. Questo mastice, che si può adoperare a freddo,
si può colorire con la terra gialla o rossa.
Altri mastici a freddo molto buoni sono i seguenti:
grammi 830 di resina raffinata
„ 15 „ pece nera
„ 30 „ grassp di montone
„ 35 „ cenere stacciata
„ 90 „ spirito a 90° denaturato
grammi 1000
grammi 735 di resina raffinala
„ 100 „ pece nera
„ 30 „ grasso di montone
„ 35 „ polvere d'ocra
„ 100 „ spirito a 90° denaturato
grammi 1000.
— 71 —
I mastici a caldo hanno il vantaggio di resistere di più al calore
e si possono dare con maggiore facilità e speditezza adoperando il
pennello, mentre per i primi bisogna adoperare una spatola. Si ado-
perano più per guarire le ferite.
Due buone formole di mastici a caldo sono :
1.
li.
grammi
915
gì'
animi 830 di
resina raffinata
„
15
100 „
pece nera
„
30
30 „
grasso di montone
„
40
gr
40 „
cenere stacciata
grammi
1000
ammi 1000.
Per mantenere il mastice caldo si sono costruiti dei fornelli ap-
positi, di cui un esempio lo si ha rappresentato nelle fìg. 54 e 55.
Di queste sostanze, la resina dà al mastice la proprietà di seccare
più presto ; la pece rende il mastice più denso ; il sego lo rende più
leggero; la cera, più untuoso e l'alcool lo mantiene liquido.
XII.
Innesto a spacco laterale.
1. — Questo innesto evita l'inconveniente di dover decapitare il
soggetto, le radici del quale, continuano, come prima dell'innesto, ad
inviare il loro succo alle foglie. Questo succo è elaborato nel suo moto
discendente e facilita la saldatura dell'innesto, nel medesimo tempo
che continua a nutrire le radici.
L'innesto a spacco laterale viene applicato alla vite quando si tratta
di innestare dei ceppi vecchi di vite americana ed alle piante da frutto
quando si ha bisogno di occupare uno spazio vuoto lungo il fusto con
un novello ramo a legno od a frutto.
Tale sistema di innesto può servire anche a soggetti giovani, ed ha
il grande vantaggio di poterlo applicare per le piante da frutto nei
mesi di aprile e maggio e per la vite nei mesi di agosto e settembre.
2. — Per la vite questo innesto è chiamato innesto di Cadillac e di
cui ne tolgo la descrizione dal Trattalo di Vilicolliira del prof. O. Ot-
tavi. Gasalmonferrato, 1893.
" Supponiamo un soggetto avente uno o due anni di piantamento;
in esso l'ordinaria operazione della scalzatura vien fatta verso la fine
di agosto od in principio di settembre, momento in cui si pratica l'in-
nesto annuale.
" Su questo soggetto, a qualche centimetro solamente al disopra
del terreno, si opera uno spacco laterale, che arriva alla metà o quasi
alla metà del legno, senza però mai trapassarla (fig. 91, D).
- 72 -
" Vi si inserisce allora la marza E, tagliata come si pratica per
l'innesto a spacco. Nella fig. 91 essa ha una gemma sola, ma sarebbe
meglio ve ne fossero due C sopra un nodo, ed allora si ha l'innesto
in B. Bisognerà aver cura di non prolungare di troppo lo spacco la-
terale fatto sul soggetto D, ma di regolar più esattamente che sarà pos-
sibile sulla lunghezza del taglio fatto sulla marza E, che deve esservi
inserita per formare l'innesto A.
Fig. 91. — Innesto a spacco laterale della vite.
" La marza E dovrebbe avere, come abbiamo detto, due gemme
ed essere tagliata spaccandone sopra di esse una terza. Ma a questa
opportunità, che diremo teorica, non sempre si può obbedire nella pra-
tica. È da temersi che la marza innestala e prendente una posizione
divergente rispetto al soggetto sia esposta cosi ad essere urtata e smossa
dagli operai. Perciò si contentano a Cadillac di darle una lunghezza
molto minore, tagliandola alla metà circa della lunghezza, che si vede
nella figura A, e cioè a qualche centimetro al disopra della gemma.
- 73 -
" In questo modo la marza avrà un occhio solo invece di due, e
sarà tagliata nella parte inferiore del meritallo invece di esserlo sul
nodo; tuttavia, malgrado queste condizioni certo sfavorevoli, l'opera-
zione, fatta con ogni cura sarà egualmente coronala di successo.
" La legatura è fatta a preferenza con vimini sottili, i quali resi-
stono assai bene conservandosi durante tutto l'inverno. „
Per eseguire con facilità questo innesto furono immaginati due in-
nestatoi, una pinzetta cioè ed un coltello, i quali trovansi vendibili
presso il Comizio agrario di Cadillac.
Per praticare poi con successo l'innesto di C-adillac, è necessario eseguirlo abba-
stanza presto. A questo proposito mi piace riportare quanto scriveva sul Giornale vini-
colo italiano, nel 1888, il Dolt. Guimaldi:
" È della più alta importanza tìssare l'epoca nella quale 1 innesto, di cui ci occu-
piamo, debba praticarsi, stantechè alla cattiva scelta di esso son dovuti i pochi insuc-
cessi, che si sono lamentati in Francia. Può cominciare ad eseguirsi, quando il legno
dei sarmenti è sufficientemente maturo, aòutc, come dicono i Francesi: però si badi
bene che, se si fa troppo precocemente, può accadere che, formata la saldatura, il nesto
emetta un germoglio anticipato: questo non avrà mai il tempo di formarsi perfetta-
mente e sarà rovinato dalle brine primaverili e quindi si indebolirà la vite senza gua-
dagno. La esecuzione troppo tardiva arrecherà inconvenienti ancora maggiori, perchè
la saldatura non avrà tempo di formarsi prima che la linfa abbia finito di circolare e
l'innesto di sicuro fallirà. A Cadillac l'innesto si opera dalla metà di agosto alla metà
di settembre, epoca opportuna anche nell'Italia settentrionale, ma che vuol essere ri-
tardata di almeno un mese nell'Italia meridionale e nella Sicilia. In queste regioni
specialmente è indisjjensabile l'innestare quando il terreno e l'atmosfera abbiano una
sufficiente quantità di umidità e quindi dopo una abbondante pioggia ; in caso contrario
il nesto si disseccherebbe rapidamente e la saldatura non potrebbe di certo avvenire. „
XIII.
Innesto a corona.
1. — Anche questo innesto è molto
usato specialmente sopra i soggetti che
presentano un diametro troppo grande
per essere innestati a spacco. Si fa dal
principio alla fine d'aprile, quando cioè
la corteccia si stacca facilmente dal-
l'alburno.
1 soggetti che si vogliono innestare
a corona devono essere capitozzali du-
rante l'inverno a cm. 10 al disopra
del punto dove s'intende fare l'inne-
sto. Le marze si devono raccogliere
pure durante l'inverno come abbiamo
detto per l'innesto a spacco.
L'operazione dell'innesto a corona
consiste nel recidere il soggetto Cfig. 92)
Fig. 92.
Innesto a corona
Fig. 'J-ò.
Marza p. l'innesto
come per l'innesto a spacco
si solleva quindi la corteccia, vi si imnaette la marza, tagliata nella sua
- 74 —
estremità inferiore, non a bietta ma a becco di flauto, appuntito da
una sola parte (A, fig. 93). Quando i fusti sono piccoli, si può fare nella
corteccia una incisione longitudinale per facilitare l'introduzione della
marza. Quando il soggetto è abbastanza grosso si possono inserire 2,
3, 4, marze in circolo, da ciò anche il nome di innesto a corona.
Fatto questo, basta legare meno stretto però che per l'innesto a spacco,
per evitare delle strozzature e quindi si coprono le ferite con mastice.
Questo innesto offre il vantaggio di evitare lo spacco del soggetto
e di poterlo fare più tardi dell'innesto a spacco.
XIV.
Innesto inglese.
1. — In questi ultimi anni, l'innesto inglese ha acquistato una
singolare importanza, poiché con questo si propagano le viti no-
strane su ceppi americani, onde evitare i danni della fillossera.
Il soggetto sul quale si vuol praticare l'in-
nesto, sia esso talea, sia barbatella, non deve /,, ig^
aver meno di mm. 6 di diametro, fig. 94-96; al //' !^M
di là di 12 o 13 è difficile trovare le marze di
grossezza uguale. La lunghezza deve essere di
Fig. 94.
Taglio del soggetto.
Fig. 95.
Taglio della marza
prima di fare la linguetta.
Vi
Fig. 96. — Innesto
preparato per la legatura.
cm. 20 a 25, esso deve portare almeno due occhi o due nodi; taglian-
dolo più corto di cm. 20 si potrebbe correr rischio che avesse a sof-
frire la siccità al momento della ripresa;- tagliandolo più lungo di
cm. 25, si troverebbe qualche difficoltà nel piantamento.
75 -
Fatta adunque per bene la scelta del soggetto, questo si taglia a
bietta alla sua estremità superiore (fìg. 94), e ciò con una pendenza
del 26 al 30 Vo» o» se si vuol meglio, con un angolo di 14 a 17 gradi,
avendo cura di tenersi a 14 gradi per i sarmenti più esili. Alla prima
prova è un po' diffìcile di tenersi a questa pendenza, ma con un po' di
pratica e di colpo d'occhio si viene ad eseguire assai presto il taglio
all'inclinazione voluta. La quale inclinazione, non è stabilita dal ca-
priccio, come potrebbe parere, ma è la conseguenza acquistata dalla
|)ratica di tutti gli innestatori che hanno fatto in grande l'innesto in-
glese, ed eccone le ragioni.
Affìnchè quest'innesto sia eseguito irreprensibilmente, bisogna, una
volta adattati i due pezzi, che i punti di congiunzione non lascino as-
solutamente alcun vuoto, e che l'innesto sia già solido di perse, senza
il soccorso della legatura (fig. 96). Quando
si fanno innesti inglesi a bietta lunga e lin-
guetta pure assai lunga, le biette, non
avendo più la rigidità voluta per restare
nella linea retta che sempre devono conser-
vare, si piegano sotto la pressione delle lin-
guette. Queste poi, introducendosi nei tagli
d'adattamento, formano linee curve quasi
sempre in senso contrario a quello che do-
vrebbero avere, e per conseguenza lasciano
numerosi vuoti che solo una energica lega-
tura potrà colmare. Se questa legatura viene
per una causa qualunque a mancare, ecco la
Fig. 97. - Come si fa la linguetta.
Fig. 98.
li
Innesto inglese già fatto.
saldatura dell'innesto gravemente compromessa: non vi ha allora che
una saldatura parziale o l'insuccesso completo. Per l'innesto inglese
a lunga bietta, la legatura è una cosa indispensabile, una necessità non
scevra d'inconvenienti, necessità che si fa sentire sino a che la salda-
tura non si sia completamente operata, mentre per l'innesto a bietta
relativamente corta, coi pezzi saldamente adattati l'uno all'altro, la
legatura non ha altro scopo che quello di preservarlo dagli urti che
potrebbero spostare i tagli: una volta piantato e ben incalzato, esso
potrà assai bene far senza della legatura.
— 76 -
Se si hanno inconvenienti coi tagli troppo lunghi non bisogna per
([uesto farli troppo corti; al disotto d'un angolo di 14° l'adattamento
dei due pezzi diviene più diffìcile e meno solido: infine per far bene
bisogna attenersi alla media che abbiamo dato.
Anche le linguette (fig. 97) destinate a tener saldi assieme soggetto
e marza meritano tutta la nostra attenzione. Invece di farle assai lunghe
o anche solo al terzo della lunghezza della bietta, come si facevano in
principio, si è potuto riconoscere al giorno d'oggi che esse non devono
sorpassare i quattro o cinque millimetri a seconda del diametro della
marza sulla quale si opera (fig. 98).
Ammettiamo ora la cifra 4 come media, e consideriamo una linea
trasversale che tagli nel soggetto il centro della sezione da noi fatta
col coltello: due millimetri al disopra di questa linea si applica il taglio
ilei coltello innestatoio e lo si fa penetrare verticalmente seguendo la
direzione del legno sino a due millimetri al disotto. Si ripete l'opera-
zione sulla marza, che si fa di una sola gemma, assolutamente colle
medesime norme, avendo cura di rialzare un po' col coltello l'estremità
di ogni linguetta, allorché si ritira la lama dal taglio fatto, e ciò allo
scopo di ottenere più facilmente l'unione delle due linguette.
Quando si cominciò a studiar l'innesto sopra talee o barbatelle, si
pensò di facilitare quest'operazione per mezzo di macchine. Molti inne-
statoi meccanici furono inventati per praticare l'innesto inglese ed altri;
ma l'impiego di essi risultò nella pratica, pieno d'inconvenienti. Con
essi non si opera né meglio, né più presto di quello che si può fare
col semplice coltello innestatoio che il vignaiuolo può sempre portare
nel suo taschino. Il miglior coltello per questo innesto è il Kunde
(fig. 37) costruito in Italia dalla Ditta Fugini di Brescia.
Uniti assieme il soggetto e il nesto per mezzo delle linguette che
abbiamo visto, si fermano le due sezioni l'una contro l'altra con una
legatura o con un rivestimento di gesso. (Vedi l'articolo dell'Autore nel
Giornale Vinicolo del 5 e 12 gennaio 1913.
Molti non danno alcuna importanza al midollo. Difatti, per l'atte-
chimento dell'innesto, fisiologicamente non ha influenza; è necessario
però che i punti dove termina e dove comincia il midollo si trovino
ad eguale distanza dal centro della sezione, affine che le due sezioni
possano sovrapporsi.
Fatto l'innesto esso ha bisogno, se non lo si mette subito in terra
(il che è sempre preferibile, anzi è consigliabile di fare questi innesti
al risveglio della vegetazione) d' essere tenuto fresco, al riparo dall'aria.
Si procede quindi alla stratificazione degli innesti, preparando innanzi
tutto sul terreno, preferibilmente in luogo esposto a Nord, uno strato
di sabbia fina; su questa si piazzano, uno vicino all'altro, gli innesti
lasciando tra essi solo un vuoto della lunghezza d' una talea. Si ripete
questo letto di sabbia per una lunghezza ed altezza sufficiente per riu-
nirvi la quantità d'innesti che si possiede ; si possono anche fare mucchi
separati, specialmente se si hanno innesti di più varietà. Il caso essen-
- 77 -
ziale è di coprire il mucchio con uno strato di sabbia sufficiente a
preservarlo dal contatto dell'aria, sino all'epoca del piantamento. L'al-
tezza minima di questo strato protettore sia di 40 centimetri.
Ora consiglio di stratificare i nesti nella sabbia umettata, coperta
con un tetto per preservarla dall' eccessiva umidità ed esposta da un
lato al sole. In questa stratificazione i resti cominciano a fare
il callo.
Per r impianto a dimora, il terreno vuol essere prima scassato e
lavorato, e, se è argilloso, condizione poco favorevole all'emissione di
radici, è sommamente necessario di interporre un piccolo strato di
sabbia tra l'innesto e la terra, a fine di facilitare questa messa delle
radici. Il migliore terreno è quello sciolto, irrigatorio.
L'epoca migliore dell'impianto è il mese di aprile-maggio.
Per piantare in vivaio si apre colla vanga un largo solco, tenendo
il Iato superiore di esso un' po' in pendenza per appoggiarvi gli innesti
su talea o su barbatella ; messi
questi a posto sopra un pic-
colo letto di sabbia ad una di-
stanza di cm. 10 gli uni dagli
altri, si coprono con un altro
piccolo strato di sabbia sulla
quale si getta il terreno del
solco che si aprirà immedia-
tamente. Se il terreno è secco,
lo si bagna per tenerlo ade-
rente air innesto.
Per facilitare le cure di
cui hanno bisogno gli innesti
in vivaio, si piantano le file
distanti cm. 50 oppure a dop-
pie file distanti cm. 20 e fra
una doppia fila e l'altra si la-
scia uno spazio di l metro.
Per la riuscita importa che la terra contro i nesti, sia battuta e che
a 5 cm. sotto al livello del terreno si trovi il punto d'innesto. La se-
conda gemma deve stare pure coperta, ma col cumulo di terra che
si sovrappone (fig. 99).
2. — L' innesto inglese si può fare anche a dimora, in fin di marzo
o al principio d'aprile sopra soggetti piantati da un anno o due al più.
Quando il soggetto è più vecchio, vi è meno probabilità di presa, di-
venta troppo grosso per ricevere l'innesto inglese, e non si può appli-
care ad esso che l'innesto a spacco ordinario che non dà mai una
saldatura completa. Per l'innesto sul sito, si taglia generalmente con
vantaggio il soggetto otto o dieci giorni prima dell'operazione dell'in-
nesto, e cioè all'altezza a cui questo deve essere praticato. A capo di
questi dieci giorni il taglio comincia a cicatrizzarsi, i pori del legno
'à
im.
t
Fig. 99.
'Mm'^^
- Impianto di una barbatella
innestata all' inglese.
- 78 -
sì restringono e si rinchiudono, il pianto della vite cessa. Questa linfa
non elaborata, restando accumulata nella parte inferiore del soggetto,
favorisce la formazione di cellule tra il soggetto e il nesto, e, per conse-
guenza, anche la presa.
XV.
Innesto per approssimazione.
1. — È il più antico di tutti i sistemi d'innesto. La natura ci dà
degli esempi nelle foreste, dove si trovano talvolta degli alberi uniti
fra loro per le parti aeree o sotterranee, in seguito al contatto intimo
e sfregamento continuato prodotto dal vento.
Fig. 100. — Innesto
per approssimazione
senza lingueUa.
Fig. 101. — Innesto
per approssimaz. senza linguettE
con una pianta in vaso.
Fig. 102. — Innesto
per approssimazione
a linguetta.
L'innesto per approssimazione consiste dunque nel saldare due
alberi per il loro fusto o per i loro rami.
L'epoca d'innestare va dal principiare al finire del movimento della
linfa, quindi dal marzo al settembre. L'operazione è identica, siano i
soggetti o le marze legnosi o erbacei.
2. — L'innesto più semplice per approssimazione consiste nel pie
gare o ravvicinare i due rami o i due fusti che si vogliono saldare, in
- 79 —
modo da renderli paralleli e tangenti per una lunghezza di qualche
centimetro. A questo punto di contatto si leva sopra ciascuno dei due
rami una fetta permettainente eguale di corteccia e di alburno lunga
da 3 a 6 centimetri, e quindi si legano solidamente e si intonacano per
mantenere l'aderenza completa delle due ferite e per impedire l'accesso
dell'aria, dove il contatto non è assoluto (fig. 100).
3. — Invece di applicare semplicemente l'una contro l'altra le due
superfici scoperte, per aumentare la superficie di contatto, si può sol-
levare sopra ciascuna di queste ed in senso opposto, due linguette
(fig. 101 e 102) lunghe un terzo della superficie messa a nudo e con uno
spessore alla base di 2 a 3 millimetri, in modo da non intaccare il mi-
dollo. Si fanno quindi entrare le due linguette nelle fessure praticate
dietro ciascuna e poi si lega ed intonaca. Questo si chiama innesto per
approssimazione inglese, od anche innesto per approssimazione a linguetta
e con esso si ottiene una più pronta e più perfetta saldatura, che non
coir innesto per approssimazione semplice.
XVI.
Innesto a gemma e ad anello.
1. — L'innesto a gemma consiste in un pezzo di corteccia senza
alburno, munito di gemma, che si introduce fra l'alburno e la cor-
teccia del soggetto. Viene anche chiamato innesto ad occhio, od innesto
a scudo.
Si può farlo durante tutto il tempo in cui i soggetti sono in corso
di vegetazione e che hanno la massima circolazione della linfa. Due
però sono le epoche caratteristiche di questo innesto; la primavera ed il
mese d'agosto. In primavera si fa quando i soggetti entrano in vege-
tazione, ed in questo caso la gemma innestata vegeta immediatamente.
Da ciò anche il suo nome di innesto a gemma vegetante. Innestando in
agosto, innesto a gemma dormiente, la gemma non vegeta che nella pri-
mavera successiva. Per le piante fruttifere si preferisce l'innesto d'a-
gosto.
Il ramoscello da cui ricavasi la gemma deve essere dello stesso
anno, vigoroso, sano ed in pieno succo, in modo che la corteccia si
stacchi agevolmente dall'alburno. Si scarti la base e la vetta; e delle
foglie, si lasci un tratto di picciolo. Devesi impiegare sollecitamente.
Volendo ritardare di alcun giorno, gli si lascia la base per tenerla im-
mersa nell'acqua.
Il soggetto deve trovarsi in succhio del pari del ramo che fornisce
la gemma, anzi è preferibile più che meno. Esso deve essere pure sano
e vigoroso, non importa l'età purché la corteccia sia liscia, e si stacchi
facilmente senza lacerazioni, manifestando nell'alburno quell'umidità
dovuta al cambio, senza del quale la saldatura non succede.
Preparato il ramo nel modo dianzi accennato, per levare lo scu-
detto, si fa una incisione trasversale a 2 cni. sotto la gemma. A partire
da circa eguale distanza sopra la gemma che si vuol levare, si fa scen-
dere la lama dell'innestatoio sotto la corteccia piano piano, fino al
detto taglio orizzontale (fig. 103). In tal modo si ha la gemma staccata
come si vede in (fig. 104). Rimanendo attaccato qualche brandello di
alburno sotto la gemma, devesi levare destramente colle dita, in
Fig. 104.
Gemma staccata
veduta dal disopra.
Fig. 103.
Operazione per levare una gemma da innesto.
Fig. 105.
Gemma staccata
veduta al disotto.
modo da non intaccare quella leggera protuberanza che trovasi sotto
l'occhio, che è il suo punto vitale e si potrebbe chiamare anche la sua
radice. Scientificamente si chiama cnrculiim (C fig. 105).
iMeglio ancora prima di isolare la gemma, in ogni caso subito dopo,
si fa un'incisione a T sul soggetto (AB fig. 106) oltre il doppio dell'o-
rizzontale, si sollevano i lembi della ferita, dove l'incisione verticale
incontra l'orizzontale e si introduce colla mano sinistra la gemma, fino
che lo scudetto arriva all'incisione trasversale (fig. 107). In tal modo lo
scudo rimane coperto da quei lembi, lasciando sporgere soltanto la
gemma. Fatto questo si lega con della lana o filaccia di tiglio, come è
indicato in A (fig. 108).
Questo innesto a gemma nei vivai si fa di solito in basso e cioè
a 10-12 cm. dal suolo e sopra soggetti giovani di 1 a 2 anni. Esso ha
- 81 —
il vantaggio della facilità e rapidità d'operazione e non procura nessun
guasto rilevante alla pianta in caso d'insuccesso. I vivaisti si servono
quasi esclusivamente di questo innesto ed è difatti raccomandabile spe-
cialmente per le piante a nocciuolo.
Fig. 106.
Incisione a T per
l'innesto a gemina
Fig. 107.
Gemma immessa
nell'incisione a T.
Fig. 108.
Innesto a gemma
dopo la legatura
Fig. 109. — Innesto ad anello terminale.
Fig. 110. — Innesto ad anello
2. — L'innesto a gemma vegetante si fa nel mese di aprile, quando
la pianta è in pieno succo, e dopo si recide il soggetto immediatamente
sopra all'innesto e si scacchiano via durante tutto l'anno tutti i ger-
mogli che avessero a sorgere sul soggetto.
6 — T.^M.\uo - Frittlicoltnra.
- 82 -
Invece di una gemma a legno si possono inserire in primavera e
nel medesimo modo delle gemme a frutto, dei dardi, dei brindilli.
Questi innesti si fanno sopra i rami che non portano frutto e nelle
parti che rimangono nude.
3. — A questa categoria appartiene anche l'innesto ad anello, per
il quale si opera nel seguente modo.
Si recide il soggetto al punto in cui si vuol innestare con un taglio
ben netto nel senso trasversale al suo asse (a fìg. 109 e 110) e poi si
stacca la corteccia in 4 o 5 strisele lunghe 3 cm. {b fìg. 110). Intanto
si avrà levato dalla cantina già da due giorni le marze di innesto, che
saranno avvolte da un cencio bagnato e collocate in un sito caldo,
onde le gemme si gonfino e la corteccia si stacchi. Al momento del-
l'innesto, si prende fuori la marza della grossezza del soggetto o del
ramo che si vuole innestare e si leva con precauzione un anello di
corteccia alto 3 cm., possibilmente con due gemme. Questo anello
(e fig. Ili) lo si immette nella parte scoperta del soggetto, si rialzano le
strisele di corteccia e si legano colla scorza di gelso (d fig. 111). E dì
capitale importanza che nei primi quindici giorni non penetri nelle
fessure della corteccia e sopra la parte nuda del soggetto né l'umidità
né l'aria, perciò é bene fare uso di un mastice o di una buona argilla
per coprire tutte le parti scoperte ed avvolgere poi tutto con della
cai'ta o cartocci di granturco per impedire la evaporazione.
Questo innesto viene usato per il noce, gelso, castagno e si applica
al piede oppure in testa alla pianta, sopra i diversi rami a breve di-
stanza dall'estremità del tronco. Il suo vantaggio principale consiste
in ciò che anche non ottenendo l'attechimento, la pianta si rimette
presto.
XVII.
I soprainnesti.
1. — Quantunque la scienza ci insegni che l'affinità fra generi vicini
é tale da poter applicare l'innesto, con tutto ciò nella pratica, si riscon-
trano delle eccezioni, di cui bisogna tener parola.
Per esempio é noto, che il pero si innesta sul cotogno, anzi questo
è il soggetto preferito per la fertilità e qualità delle frutta che si ot-
- 83 -
tengono; eppure ci sono delle varietà di peri, come la Decana d'in-
verno, che non simpatizzano col cotogno, e che moltiplicate su questo,
danno piante poco longeve e di pochissima vigoria. Per queste varietà,
volendo averle con tutto ciò innestate sul cotogno, si ricorre ad una
doppia operazione, e cioè si innesta prima sul cotogno una varietà di
pero che col cotogno simpatizzi e su quest'ultima si innesta la varietà
desiderata.
Questa doppia operazione si chiama il soprainiieslo.
Il soprainnesto viene anche adoperato per dare alla pianta una
forma che essa non prenderebbe se venisse lasciata alle sue forze na-
turali. Cosi ad esempio è noto, che le migliori e più scelte frutta da
tavola, raramente si prestano per alti o mezzi fusti, perchè deboli di
vigoria e facili a ramificarsi. Alcune altre varietà darebbero bensì dei
mezzi ed alti fusti, se il getto venisse affidato nel vivaio ad un tutore.
Ma di tutori nei vivai se ne fa uso il meno possibile, poiché i fusti
crescono stentati, ed è bene preferire delle varietà che danno una get-
tata forte, vigorosa e non ramificata, all'estremità della quale poi si
può innestare la varietà che si vuole.
Il soprainnesto si può anche adoperare per migliorare la qualità e
per aumentare la quantità delle frutta. Ancora nei secoli decorsi venne
raccomandato a questo scopo il soprainnesto da celebri scienziati, fra
i quali il Duhamel, il quale disse che col soprainnesto si raggiunge
un triplice scopo, e cioè di anticipare la fruttificazione, di aumentare
il volume e la bellezza esteriore dei frutti e di migliorare il loro sapore.
-Un esperimento che possono fare i frutticoitori sul vantaggio del
soprainnesto sotto questo punto di vista, è il seguente. Quelli che ten-
gono nei loro impianti degli alberi che danno sempre delle frutta tic-
chiolate, provino a reinnestarli con la medesima varietà, ma con marze
prese da alberi sani. L' esito è quasi sempre coronato da ottimo suc-
cesso. Io ho provato a reinnestare degli Spina Carpi, e ne sono ri-
masto soddisfatissimo, come dà buoni risultati il soprainnesto sul San
Germano d'inverno, sulla Virgolosa, sulla Decana d'inverno, sul Martin
secco, tutte varietà, senza contare di molte altre locali, che oggigiorno
danno frutta imperfette e poche, oppure sono infruttifere per troppa
vigoria.
A Massa Lombarda si rigenera il pesco affetto da gommosi, col
soprainnesto ; cosi pei susini, per ottenere dei fusti diritti, si innesta
il Damas sul Mirabolano e su questo il susino. Così per avere delle
piante di nespolo con bel fusto, si innesta sul Mespilus Santhie il quale
alla sua volta è innestato sul biancospino.
Questo reale vantaggio del soprainnesto ce lo possiamo spiegare
nel senso, che al punto dell' innesto formasi sempre una strozzatura,
la quale, impedendo il libero deflusso della linfa elaborata, fa sì che
questa si arresta sopra al punto d'innesto ed alimenta meglio le gemme
sovrastanti, disponendole a fruttificare.
II Prof. Hardy fece già da anni una applicazione molto interes-
- 84 -
sante per formare delle spalliere vigorose e fertili di Decana d'inverno
e Butirra d'Hardenpont. Esso cominciò a piantare i cotogni innestali
col Cure al piede, e nell'anno successivo fa 3 innesti a gemma all'al-
l'altezza di 25 a 30 cm. colla Decana d'invei'no e Butirra d' Hardenpont
per ottenere le tre branche che formano poi la base della impalcatura
della palmella. Con questo sistema sono state ottenute quasi tutte le
rinomate spalliere della Scuola di Versailles.
Ed ora veniamo all'applicazione dei soprainnesti.
2. — Il sistema d'innesto preferibile è quello a gemma dormiente.
Per soggetto intermediario si preferisca una vai'ietà vigorosa non solo,
ma di conosciuta adattabilità ; da noi non possono certo mancare delle
varietà locali.
Il primo innesto sul soggetto si fa vicino a terra e poi nell'agosto
successivo, se l'innesto ha dato un germoglio vigoroso, si può reinne-
stare colla varietà che si vuole moltiplicare, semprechè si traili di
forme basse. Trattandosi invece di forme d'alto fusto, conviene atten-
dere due anni per fare l'innesto definitivo in testa.
Una osservazione vuoisi fare e cioè, che il soprainnesto deve di-
stare almeno 20 cm. dal primo innesto, perchè la linfa abbia un per-
corso facile.
I>e varietà di peri, le quali, innestate sul cotogno, hanno una vita molto effìmera,
sono: Beurré d'Apremont, Beurré Bretonneau, Beurré d'Angleterre, Beurre de Lugon,
Brooraparli, Délices de Lowenjoul, Doyenné Gombault, Ravut, Sarah, Grand Soleil, Ma-
dame Chaudy, Marie Louise, Sucrée Troyenne, e per queste in Francia si sogliono ado-
perare per soggetto intermediario: il Cure, Beurré Hardy, Pierre Joigneaux, Jaminet,
Bergamotte Sageret. Potrebbero servire anche a questo scopo il Beurré d'Amanlis, Bon
Chrétien d'été, Conseiller de la Cour, Royal d'hiver, Dame vert e Madame Favre, ma
queste varietà formano un ingrossamento troppo pronunciato sul punto d'inserzione
dell'innesto.
Colle vaiietà da tavola più delicate e poco vigorose quali sono : il Beurré Clairgeau,
Gambier, Henri de Courcelle, Federico de Wiirtemberg, Madame Lyé Baltet, Olivier de
Serres, Seckel, Duchesse bronzee o panachée, ecc., si ottengono dei mezzi venti sopra-
innestandole sulle varietà surriferite, così pure viene applicato il soprainnesto per
quelle varietà la cui corteccia si fende facilmente e che perciò non si prestano per
mezzo fusto.
Questa varietà sono per esempio il Van Mons, Angèlique Ledere, Beurré Flou,
Colmar de Nars, Délices des Chartres, Délices des deux Soeurs, Mad. André Leroy,
Saint André, Tardive d'Anvers, ed altre ancora.
In Germania per soggetti intermediari vengono molto adoperati pel pero : Nor-
mànnische Cyderbirne, Metzer Bratbirne, Neue Poiteau, Englischer Butterbin, Bonne
Louise d'Avranche, Curato e Butirra Hardy.
I meli delle varietà : Reinette Ananas, Fenouillet, Reinette de Carmes, Reinette
brodée. Reinette musquée, Borowitsl^y, Cortipendola, Jacquin, si soprinnestano sul
Transparente de Croncels, Reinette de Cuzy, Reine de Reinettes, Belle de Pontoise, Ram-
bour d'hiver ed anche sul Grand Alexandre e Cellini.
Mercè il soprainnesto si possono ottenere bei mezzi venti di susini mirabolani
innestati sul susino, innestando prima delle varietà vigorose che formano facilmente
fusto, quali sono: Belle Louvain, Reine Claude de Bavay, Mitchelson, Prince Englebert.
Infine col mezzo del soprainnesto si possono coltivare delle varietà
non adatte al suolo. Cosi ad esempio nei terreni aridi ed esposti ai
- 85 -
venti della Provenza, dove bisogna tenere il mandorlo per soggetto, si
innesta sopra quest'ultimo il pesco e, sopra il pesco, l'albicocco.
La coltivazione del ciliegio sul S. Lucia, necessita pura il soprainnesto, quando si
vogliano avere degli alberi grandi in terreni magri con delle varietà di poco vigore,
(juali sono : l'Anglaise, Remercier, Royale nouvelle, Indule, Gobert. Per soggetto inter-
mediario si adoperano i ciliegi duracini e le visciole. Anche per l'albicocco, volendolo
allevare a pieno vento, conviene il soprainnesto. Sul susino si innesta una varietà
molto rigorosa di altro susino, quali sarebbero il Belle de Louvain, Sainte-Cathérine,
Heine Claude de Bavav.
XVIII.
Cura degli innesti.
1. — Le cure d'indole generale sono le seguenti :
a) Mantenere costantemente il terreno soffice e mondato da ma-
lerbe.
b) Sorvegliare le legature e rinnovarle quando corre pericolo di
formarsi una strozzatura.
e) Mettere a lato degli innesti dei tutori per legare i giovani ger-
mogli e, trattandosi di innesti per approssimazione, per tener sempre
fermi due rami posti in contatto.
d) Cimare e svettare a poco a poco tutti i getti del soggetto, acciò
la sua vigoria vada a vantaggio del nesto.
e) Se sopra una pianta si sono fatti pili innesti, se ne conservi
uno solo e cioè quello meglio riuscito.
2. — Riguardo alle cure speciali, per l'innesto a spacco diremo, che
sarà meglio favorire il germoglio di una gemma rivolta contro il centro
del tronco che non all'i nfuori, affine di dare al fusto una direzione
verticale. La slegatura si deve fare quando è assicurata la saldatura
del nesto in autunno anziché in inverno, acciocché l'epidermide ed i
punti di congiunzione si adattino gradualmente alla temperatura del-
l'aria libera.
Le stesse avvertenze valgono per l' innesto a corona, soltanto che
volendo lasciar sviluppare tutte le due o tre marze per avere altret-
tanti rami, convien lasciar sviluppare i germogli delle gemme situate
all'infuori.
Piantati gli innesti inglesi con quelle cure che abbiamo veduto,
essi non devono essere assolutamente toccati nel periodo assai deli-
cato in cui si forma la saldatura. Per mantenere freschezza nel terreno
si coprono con della terra. In caso di siccità è buona cosa annaffiare
abbondantemente. In luglio ed agosto, quando la saldatura è in buona
via di formazione si scalzano colla massima cura senza procurar scossa,
per tagliare le radichette che spuntano dalla marza.
Agli innesti per approssimazione fatti durante la vegetazione si ta-
glia la testa del soggetto al disopra del nodo, solo dopo la completa
- 86 —
saldatura, e poco alla volta, affine di non annegare, Y innesto. Anche lo
slattamento dell' innesto devesi fare quando la saldatura è completa e
poco alla volta. 11 meglio si è di farvi una tacca sotto il punto d'in-
serzione, che si approfonda sempre più ogni 20 giorni, onde abituare
l'innesto a vivere colle proprie forze. Il distacco completo è bene farlo
nell'inverno anziché in corso di vegetazione.
All'innesto ad occliio e fatto a gemma vegetante, dopo 15 giorni
si slega e si taglia il soggetto a dieci o quindici cm. sopra l' innesto,
allo scopo di lasciarvi un mozzicone che serve poi da tutore al gio-
vane germoglio. Nell'inverno successivo si leva via completamente
questo mozzicone, poiché il nuovo getto avrà acquistato una sufficiente
robustezza ed una direzione normale. Gli innesti a gemma dormiente
si lasciano intatti colle loro legature per tutto l'inverno, ed in prima-
vera, prima che entrino in vegetazione, si opera come abbiam veduto
per gli innesti a gemma vegetante.
Se nei primi otto giorni, dopo fatto l'innesto ad anello, viene una
pioggia ed un abbassamento di temperatura, la riuscita è molto com-
promessa. Dopo 8 giorni si fa una visita, e trovandone qualcuno già
secco o quasi, si può rinnovarlo sullo stesso soggetto tagliando più
basso. Se l'innesto ha attecchito, ciò che avviene dopo 15 giorni, si
levano i legacci e l'involucro.
XIX.
Innesti erbacei: Importanza e vantaggi.
L'innesto Condurso e l'innesto Zerboni.
1. — Questi innesti vengono applicati soltanto alla vite e per qual-
che pianta dei paesi caldi. Hanno il vantaggio, oltre che la facilità
d'attecchimento, di non compromettere l'avvenire della pianta quando
non riescono.
E' già noto per legge fisiologica, che gli innesti riescono tanto più
facilmente e si ha la saldatura più completa, quanto più giovane è il
tessuto che si mette in contatto. E' naturale quindi che i viticoltori i
quali devono ricostituire le loro vigne su ceppo americano, si lascino
attrarre dalla prova di questi innesti.
2. — In questo trattato mi limiterò di far conoscere sommariamente
Vìnnesto Condurso.
Ecco quanto ne dice il prof. O. Ottavi, nella sua opera di Viticol-
tura teorico-pratica.
" L'innesto Condurso non è altro che un'innesto inglese fatto con
elementi erbacei, invece che con legnosi. In Sicilia lo praticano fra il
maggio e giugno, precisamente quando i due individui sono abbastanza
sviluppati in modo da potei'si ben differenziare i due tessuti princi-
pali, il corticale ed il legnoso : allora si sopprimono, nel getto ameri-
cano tutti i sarmenti inutili, e se ne lascia uno solo, preferibilmente il
più diritto ed il più robusto, sul quale, scelta la marza euroi)ea d'e-
gual grossezza, si pratica il ben noto innesto inglese, legando jìoi con
legaccio che non stringe troppo i tessuti e avviluppando il tutto colla
solita foglia, legata lentamente con cotone non torto e che deve impe-
dire alla marza di appassire. „
PARTE TERZA
POTATURA DELLE PIANTE DA FRUTTO
I.
Principi generali.
1. — La potatura degli alberi da frutto è l'arte di disporli e di alle-
varli per trarne il maggior utile possibile. Oltre che il taglio propria-
mente detto, comprende quindi un complesso di operazioni quali sono
la legatura, le incisioni, le cimature, le torsioni e cosi via, che stanno
in rapporto con esso.
Dopo la lavorazione del terreno e la concimazione, la potatura è
la principale operazione nella coltura delle piante da frutto. Bene a ra-
gione Columella scrisse che chi lavora intorno agli alberi li prega, chi
li concima li supplica, ma chi pota, li costringe a dar frutta.
La pratica della potatura, si ben conosciuta in altri paesi, è ancora
poco diffusa da noi e ciò specialmente per il fatto, che assai pochi
sono quelli, i (juali della frutticoltura formarono un cespite esclusivo
di produzione. Le molte piante da frutta che si trovano sparse per le
campagne sono abbandonate a sé stesse, si lasciano crescere a loro
piacimento, la loro fronda è fìtta e formata di rami che s'incrociano
uno coll'altro nel modo più capriccioso, cosi da proiettare ombra so-
pra una vasta superfìcie del terreno. E che diremo dei raccolti che
danno queste piante? L'intermittenza di produzione è la loro caratte-
ristica, cosi che un anno si ricava una quantità di frutta, mentre poi
per lungo tempo si ha scarso raccolto. Anche la qualità ne scapita,
poiché nelle piante abbandonate, non essendo sempre equilibrata la
produzione fruttifera con quella legnosa, ne avviene che la frutta riesce
meschina e di sapore mediocre.
Con queste ed altre considerazioni che si potrebbero fare intorno
agli svantaggi di abbandonare a sé stesse le piante da frutto, il lettore
- 89 —
avrà compreso di già che mio scopo è di condurlo a riconoscere, nella
potatura, una delle pratiche più importanti, e senza della quale è inutile
discorrere di voler allevare per lucro delle piante da frutto.
2. — Ma perchè la potatura riesca vantaggiosa, conviene che sia
fatta con raziocinio, eseguita con esattezza e con moderazione. Questo
mezzo di coltura, se ben inteso, accelera il godimento dei frutti, li
rende più voluminosi e saporiti, diminuisce le cause che nuociono alla
loro produzione, prolunga la durata degli alberi e dà loro la forma
conveniente.
La potatura è il mezzo migliore per rimettere una pianta che de-
perisce e si mostra affievolita o improduttiva, infine è il mezzo di fa-
vorire la vegetazione a tutto ftostro vantaggio.
Per ottenere tutti questi vantaggi però, non conviene far violenza
alla natura, ma assecondarla, studiando il modo di vegetare di ciascuna
specie e da questo poi ritrarre le cognizioni utili.
3. — Da quanto precede risulta evidente che bisogna far sopra le
piante due generi di potatura :
a) Potatura di formazione, che ha lo scopo di dare alla pianta la
forma desiderata; di regolare lo sviluppo relativo delle diverse branche
che ne formano l'ossatura.
bj Potatura di produzione, che ha lo scopo di provocare lo sviluppo
dei rami a frutto assicurando loro una buona costituzione, una razio-
nale disposizione delle gemme da frutto ed una regolarità nella loro
fruttificazione. Questa potatura deve quindi disporre l'albero per una
fruttificazione bella, regolare e ben distribuita.
I principi che reggono la potatura di formazione variano colla spe-
cie e col vigore individuale della pianta.
La potatura di produzione all'incontro differisce da una specie al-
l' altra in modo assoluto e per essere ben praticata bisogna che chi
opera, conosca perfettamente come si sviluppa l'albero e come sono
costituiti i rami fruttiferi, pur tenendo conto delle condizioni in cui
l'albero si trova, del vigore della varietà e dell'individuo sul quale si
opera.
II.
Gemme.
1. — Come il seme racchiude il principio della vita di una nuova
pianta, cosi le gemme racchiudono i rudimenti per formare dei nuovi
rami e fiori.
Le gemme, come è noto, sono quei corpicelli di figura per lo più
ovoidale, che si trovano all'estremità dei rami annuali ed anche all'a-
scella delle foglie. Esse sono formate di scaglie che si sovrappongono
e rinchiudono un corpo centrale più piccolo, che si allunga e si tra-
- 90 -
sforma formando dei rami a legno o dei fiori. Delle gemme si di-
stinguono quindi quelle che, sviluppandosi, producono dei nuovi rami
e perciò vengono chiamate gemme a legno : e quelle che producono
lìori e poi frutti, epperciò chiamate gemme a fruito.
2. — Le gemme a legno si distinguono da quelle a frutto oltreché
per la loro forma esteriore ed interna, anche per il tempo che impie-
gano a formarsi e per la posizione che occupano.
3. — La gemma a frutto è sempre più grossa, più arrotondata,
leggermente elastica al tatto ; quella a legno invece, è di forma conica,
più consistente ed è coperta di squame più serrate. Rispetto alla con-
formazione interna, se noi facciamo una sezione trasversale ad una
gemma a fiore, si osserva nel centro di un contorno verde, 4 punti
rossi, rappresentanti il fiore in embrione. Nella vite la sezione della
gemma fruttifera si presenta come un oo rovesciato ; se la gemma è a
legno, la sezione è rotonda. Nelle gemme a legno della maggior parte
delle piante da frutto la sezione appare tutta verde. Infine le gemme
a legno si trovano di preferenza sui rami che hanno una direzione
verticale, mentre quelle a frutto sui rami che hanno una direzione
orizzontale ed obliqua.
4. — Delle gemme a legno conviene distinguere :
a) La gemma terminale, che si trova all'estremità dei rami che
danno le gettate più vigorose.
h) Le gemme laterali, quelle che si trovano lungo i rami.
e) Le gemme latenti o dormienti, che si trovano alla base dei rami
per una lunghezza media di cm. 6, e di solito non germogliano. Di
queste il frutticoitore molte volte si serve per ringiovanire i rami.
Quasi ogni gemma da legno ha una o due sottogemme o soltoocchi,
|)oco apparenti, collocati ai lati e destinati a sostituire la gemma prin-
cipale, se questa avesse a perire. Nelle piante a nocciolo, i sottoocchi
sono ordinariamente gemme a fiori.
5. — Notevole è la difTerenza di tempo che le gemme impiegano
per germogliare. Generalmente nelle piante a nocciolo, le gemme che
non si sviluppano nell'anno successivo alla loro formazione, muoiono.
Nelle piante a granella le gemme possono rimanere inattive per parec-
chi anni. Quanto più una pianta proviene dai paesi caldi, tanto minor
tempo le gemme a frutto impiegano a formarsi. Così la vite, il fico,
lìoriscono durante il corso della prima vegetazione; le piante a noc-
ciolo, che provengono da paesi meno caldi, come il pesco, 1' olivo, il
mandorlo, l'albicocco, richiedono due vegetazioni per costituire i fiori ;
le nostre piante da frutto indigene, il pero, il melo, il susino, il cilie-
gio ed il ribes, richiedono tre vegetazioni, e soltanto due quando ven-
gono sottoposti a coltura forzata. Anche nella stessa specie troviamo
differenze notevoli. Cosi il ciliegio dolce che è indigeno, porta i frutti
soltanto sul legno di due anni ; il ciliegio acido, che proviene proba-
bilmente dall'Asia minore, fruttifica sul legno dell'anno precedente.
Anche il susino nostro ordinario fiorisce sul legno di tre anni, mentre
— 91 -
le susine Regina Claudia, che provengono dalla Palestina, importate
dai Crociati, fioriscono sul legno dell'annata precedente.
Quando una gemina a frutto non si dispone a fiorire, alla ripresa
della vegetazione si sviluppano alla sua ascella due o tre foglie, nel
secondo anno otto o dieci, nel terzo infine, si ha lo sbocciamento dei
fiori.
6. — Le gemme sono per lo più equidistanti una dall'altra e l'in-
tervallo si chiama inlernodio.
Le gemme, come le foglie, sono disposte lungo il ramo in un ordine
particolare, che è diverso secondo la specie. Una gemma si trova esat-
tamente sulla medesima linea di un' altra sottostante, dopo un certo
numero di gemme nello spazio intermedio, cosicché questo numero
varia, ma per lo più sono 5 collocate a spirale. Perciò nella maggior
parte delle nostre piante da frutto è la sesta gemma che si trova esat-
tamente sopra la prima. Ne risulta, che se lungo un fusto noi vogliamo
ottenere un ramo esattamente sovrajjposto a quello inferiore, bisognerà
cercare la sesta gemma. Sopra alcune specie le gemme sono opposte,
sopra altre, come nella vite si alternano a destra e sinistra.
IH.
Rami.
1. — Corrispondente alla distinzione che abbiamo fatto delle gemme,
possiamo fare la distinzione dei rami e cioè chiameremo: rami a legno
quelli che hanno delle gemme a legno; rami a frutto quelli che possie-
dono gemme esclusivamente a fruito : rami misti quelli che hanno
gemme a legno ed a frutto.
Dei rami a legno si distinguono :
a) Ramo ordinario a legno che costituisce l'ossatura della pianta.
Il primo ramo a legno lo abbiamo nel fusto, che nella sua estremità
superiore si divide in altri rami chiamati branche. Di queste conviene
distinguere le branche madri principali che sono quelle che stanno in
immediata comunicazione col fusto; le branche madri secondarie che
partono dalle branche madri principali e le branche madri terziarie che
partono dalle secondarie. Nella vite il ramo a legno si chiama sarmento.
b) Succhione o vermena. E' questa una produzione legnosa a lunghi
meritalli, che si trova di frequente all' incurvatura dei rami, oppure
nella parte superiore della corona dell'albero. Se è molto vigorosa, la
vermena si deve svettare, onde impedire uno squilibrio della pianta.
Alcune volte però si lascia, e ciò quando si tratta di ringiovanire dei
rami esauriti. Se la vermena sorge alla base del fusto si ha il pollone.
e) Rami anticipati o falsi rami. Quando lungo la vegetazione si
sviluppa qualche sott'occhio, si hanno i rami anticipati o falsi rami.
Nella vile si chiamano femminelle e quelli che sorgono dalle gennne delle
- 92 -
femminelle s chiamano sollofemminelle. Questi rami anticipati si for-
mano molto di frequente sul pesco e riescono anche a maturare cosi da
portar fruiti nell'anno venturo. Nelle altre piante invece si sopprimono,
perchè durante l'inverno non essendo arrivati a maturazione non da-
rebbero né frutto, né buoni germogli legnosi nel venturo anno.
2. — Dei rami a frutto abbiamo :
aj II brindino, che é un rametto sottile, flessibile, della lunghezza
di cm. 15 a 30, munito di piccole gemme poco sporgenti, meno l'ultima
Dardo a marzetto.
Fig. 115. — Pera che alla base del peduncolo
diede una borsa ed un brindillo.
Fig. 114.
Brindillo.
gemma che é a frutto. Questi rami si possono conoscere anche in estate,
poiché non si allungano come gli altri e terminano con una coroncina
di foglie. Come la gemma terminale, anche le gemme mediane possono
trasformarsi in frutto (fig. 112).
bj II dardo. E' un ramoscello lungo da cm. 1 a 7, liscio, che tro-
vasi piantato ad angolo retto lungo i rami e termina con una o più
gemme a frutto. Nelle piante selvatiche il dardo è appuntito e forma
una spina, in quelle a granella (fig. 112) termina con una grossa gemma
- 93 -
a frutto, raramente con più. Nelle piante a nocciolo, si trovano più
gemme a fiore con in mezzo ed all' estremità una gemma a legno.
Questi dardi con più gemme a fiore, si claiamano a mazzelto (fìg. 113).
Quando da una gemma si sviluppano due o tre foglie nel primo
anno e nel secondo una coroncina di quattro o cinque foglie, allora
si sviluppa un dardo grinzoso, appuntito e non a superfìcie liscia
Fig. 11
Lamburda di pero.
Fig. 117. — Ramo misto di pesco.
come il dardo testé descritto. Per distinguerlo lo chiameremo dardo
infriiKifero. Ma nelle piante a granella nel terzo anno arrotonda la
sua estremità, è contornato da sette a nove foglie e diventa frutti-
fero (vedi d fig. 116). Questi dardi cosi allungati, grinzosi, nelle piante
a nocciolo fruttificano nel secondo anno, ma si spossano facilmente
e periscono.
Questa produzione è propria di alcune varietà, cosi la pera Decana
e Duchessa è ricca di dardi grinzosi, mentre la Butirra d' Aremberg
- 94 -
abbonda di dardi normali; la Passa colmar e 1' Esperen hanno molti
brindilli. Generalmente le piante deboli abbondano di dardi grinzosi.
e) La borsa. Durante la maturazione dei frutti a granella, si forma
alla base di ogni penducolo un ingrossamento procurato dall'accumu-
larsi di materiali di riserva, che sono destinati alla fruttificazione ven-
tura. Questi rigonfiamenti sono appunto le borse, le quali danno ori-
gine alla lor volta a dei dardi e brindilli (fig. 115).
d) La lamborda. Diverso è il significato che si suol dare dagli
autori a questa parola lamborda. Dalla maggior parte però viene con-
siderato per lamborda, quell'aggruppamento di dardi, borse e brindilli
che si forma in seguito a ripetute fruttificazioni, come si vede nella
fìg. 117.
Da ultimo diremo alcunché dei rami misti.
3. — I rami inisli, chiamati anche ramali, si trovano di preferenza
sulle piante a nocciolo e specialmente sul pesco. Portano gemme a
legno, gemme a frutto talvolta solitarie e talvolta raggruppate. Molte
volte questi ramuli sono provveduti di una gemma alla base, ed allora
si lasciano per avere il frutto, che è succosissimo. Di essi si può anche
servirsi per formare l'impalcatura della pianta (fig. 117).
IV.
Precetti generali della potatura.
1. — La potatura è necessaria :
a) nei primi anni, per ottenere uno sviluppo normale della pianta
e per darle una forma ;
bj negli anni successivi, per mantenere la forma, la costanza della
fruttificazione e la qualità dei frutti.
2. — Colla potatura si accorcia la vita della pianta. Bisogna ricono-
scere che coi tagli, colle cimature, noi forziamo la pianta a dare nuovi
germogli o frutta più grosse, epperciò è naturale che la pianta viene
spossata più di quello che se venisse lasciata libera. Non per questo
dobbiamo stancarci di raccomandare la potatura, poiché quel minor
tempo di vita della pianta viene largamente ricompensato dalla mag-
giore rendita ottenuta.
Dopo queste considerazioni, risulta evidente anche il seguente
precetto :
3. — Alla pianta bisogna dare la forma che più si avvicina alla sua
naturale. Operando in tal modo la forzeremo meno.
4. — // vigore e la fertilità di una pianta variano a seconda del
clima, del terreno e della località.
Quanto più al Nord tanto più lunghi e legnosi sono i rami mentre
al Sud si sviluppano i rami più esili, disposti a fruttificare più abbon-
dantemente e con maggior regolarità. Cosi avviene anche da noi, che
- 95 —
dopo le estati calde ed asciutte si ha sempre maggior fruttificazione.
Perciò nei paesi più freddi del nostro, per utilizzare al massimo il
calore, applichiamo le piccole forme addossate ai muri.
Nei terreni soffici, permeabili, fertili, facili a riscaldarsi, il legno
matura più presto e le frutta sono più belle, succose ed abbondanti.
Quanto più un clima è rigido tanto più bisogna ricercare questa qua-
lità di terreno. I terreni compatti, argillosi, profondi, umidi, danno
estrema vigoria alla pianta, ma la rendono poco produttiva.
5. — Il vigore di ima pianta dipende dal nwdo con cui circola la
linfa. — E' indispensabile quindi per il frutticoitore di conoscere le
condizioni che influiscono sulla circolazione.
Ogni specie esige in primavera una temperatura più o meno elevata
per entrare in vegetazione. Il ribes entra in vegetazione a 3°, la vite
esige 11". Se nei giorni successivi avviene un raffreddamento della
temperatura, la circolazione si rallenta e la fioritura è compromessa.
Nelle piante a granella più che in quelle a nocciolo, avviene sempre
un rallentamento della linfa, specialmente nei mesi più caldi ed il mo-
vimento viene ripreso in agosto. Allora abbiamo la cosidetta linfa
d'agosto, la quale dà di solito dei rami anticipati.
Questa linfa viene assorbita dalle radici capillari, in corrispondenza
alle quali e nella medesima direzione si sviluppano anche i rami. Cosi
pure le radici verticali tendono a far sviluppare i rami verticali e
quelle striscianti, i rami orizzontali.
La linfa viene attirata principalmente dalle gemme meglio costi-
tuite e nell'ascensione non fa sviluppare il l'amo per tutta la sua lun-
ghezza, ma all'estremità, cosi che lo spazio fra foglia e foglia non cambia.
6. — // vigore di ana pianta dipende in gran parte dall'eguale di-
stribuzione della linfa in tutte le sue branche. Se la linfa abbandona
qualche branca e si porta con maggior affluenza nelle altre, quella
allora si indebolisce, si esaurisce, dando dei frutti meschini, e che non
vengono portati a completa maturanza. Egli è quindi necessario, vo-
lendo conservare ai nostri alberi la loro forma e la sanità, di fare la
potatura in modo da mantenere un perfetto equilibrio in tutte le
branche principali.
Il gran mezzo per ristabilire l'equilibrio consiste nel tagliare poco
o punto la branca debole e di accorciare la branca forte all' altezza
della branca debole, avendo cura di tagliare corto anche i rami laterali.
In seguito a questa operazione, la linfa che viene attratta anche dalle
foglie, si porta in eguale quantità su tutte le parti e perciò si ha un
accrescimento regolare. Ma ci sono degli altri mezzi che servono a
completare l'effetto di questa operazione, e sono :
a) Inclinare la branca forte e mantenere verticale la debole.
b) Mozzare molto per tempo i getti della branca forte e più tardi
possibile quelli della debole.
e) Sopprimere semplicemente un certo numero di foglie alla
branca forte, senza svellere il picciolo.
- 96 -
d) Lasciare il maggior numero di frutti possibile alle branche
forli e sopprimere quelli della debole.
7. — La durala ed il vigore di ima pianta dipendono in gran parie
dall'equilibrio della parie aerea colle radici. Da questo precetto risulta
che, ogniqualvolta si trapianta un albero, bisogna fare dei tagli alle
branche, in proporzione dell'estensione delle radici che vengono lasciate
nel terreno o che sono state recise. Lo stesso si deve operare quando
una pianta venisse colta da qualche malattia alle radici, oppure quando
è vecchia.
8. — La linfa tende sempre a salire dalle radici alle branche il più
verticalmente possibile, perciò abbonda nei rami verticali a detrimento
degli altri. Sulla conoscenza di questo principio si basa l'incurvamento
dei rami, mezzo per il quale noi impediamo l'ascesa troppo abbon-
dante della linfa e la forziamo a portarsi verso altri rami. Quando una
branca è troppo rigogliosa e peixiò poco produttiva di frutta, per ar-
restare la sua crescita si deve inclinarla più o meno ed al contrario,
per rinvigorire un ramo debole, non si avrà che portarlo in direzione
verticale.
Molti autori raccomandano di tagliare lunghe le branche superiori,
quando queste sono molto sviluppate in confronto delle inferiori. Ope-
rando in tal modo dicono, la linfa invece di concentrarsi sopra una o
due gemme soltanto, viene suddivisa sopra dodici o quindici, e quindi
quelle branche non potranno crescere con quella vigoria da squili-
brare la pianta. Ma la quantità di linfa necessaria per quindici gemme,
non sarà forse superiore a quella che affluisce a due gemme soltanto ?
Credo di sì, quindi le branche inferiori non ne risentiranno alcun
vantaggio. Perciò il metodo di tagliare lungo per ristabilire l'equilibrio
in una pianta deve essere abbandonato, si applichi invece il taglio
corto alle branche superiori e possibilmente si portino in una posi-
zione inclinata o si incurvino.
9. — La linfa fa sviluppare dei germogli molto più vigorosi ad una
branca tagliala corta, che ad un'altra tagliala lunga. E' facile convin-
cersi di questa verità inquanlochè, la linfa, avendo da alimentare tre
o quattro gemme soltanto, queste daranno getti molto più vigorosi che
se fossero dieci o quindici.
Volendo perciò ottenere dei rami a legno, si deve tagliare corto,
perchè i rami vigorosi non portano che poche gemme a frutto ; se
invece si vogliono far sviluppare dei rami a frutto si taglia lungo,
poiché i rami .poco vigorosi si caricano d'un numero maggiore di
gemme a frutto.
Un'altra applicazione di questo principio l'abbiamo, quando si ha
un albero spossato, o per la troppa produzione fruttifera, o per ma-
lattie. Tagliando corto, per uno, due ed anche tre anni, si otterrà una
quantità di legno sufficiente per riattivare il movimento della linfa e
per ristabilire l'equilibrio.
Quest'ultima applicazione sembra essere in contraddizione con
- 5Jt -
quello che abbiamo detto nel precetto n.° 6 e cioè, che per ristabilire
l'equilibrio fra due branche di diverso vigore, si debba tagliar corto
la branca forte e poco o punto la debole. Questa contraddizione però
non è che apparente. Difatti si dà vigore ad un ramo tagliandolo lungo
se gli altri rami sono tagliati corti. Si indebolisce un ramo tagliandolo
lungo se le altre branche sono tagliate lunghe, essendo la linfa meno
concentrata. Si dà vigore ad una branca tagliandola corta, se le altre
branche sono pure tagliate corte, poiché la linfa rimane più concen-
trata. Infine si indebolisce un ramo tagliandolo corto se le altre bran-
che sono tagliate lunghe, poiché queste dominando per il maggior
numero di gemme attirano una maggior quantità di linfa.
10. — La linfa, tendendo sempre ad affluire air estremità dei rami,
sviluppa le gemme terminali con maggior vigore di quelle di mezzo e
della base. Questo precetto devesi applicare ogni qualvolta si hanno
da tagliare delle piante giovani o che si voglia in genere ottenere il
prolungamento di qualche ramo. Il taglio di questi rami devesi perciò
fare sempre sopra la gemma più vigorosa e non lasciare alcuna pro-
duzione fruttifera al di là di questa gemma.
11. — Sopprimendo una branca, la linfa va a profitto delle branche
vicine. Quando una branca é indebolita in modo da non lasciar spe-
ranza di ristabilirla nel suo primiero vigore, quando essa é affetta da
qualche malattia la di cui guarigione è dubbia, conviene svettarla ad-
dirittura prima che muoia completamente, poiché in questo caso, le
branche vicine ricevendo una maggiore quantità di linfa, si irrobusti-
scono e presto rimpiazzano il vuoto lasciato dal ramo soppresso.
12. — Nelle branche in cui la circolazione è rapida e vi affluisce la
maggior quantità di linfa, si ha anche la maggior produzione legnosa ;
ed in quelle invece in cui essa non si porta in grande abbondanza, si
hanno molti frutti e poco legno. Da questo precetto possiamo trarre la
conseguenza che, quando una branca porta troppo legno, bisogna im-
pedire un tanto afflusso di linfa, i)er esempio inclinandola orizzontal-
mente, per forzarla a dare frutti. Se al contrario si volesse aver del
legno, la si porta in direzione verticale per concentrare la linfa sopra
due o tre gemme. L'esperienza ha dimostrato, che tagliando ad una o
due gemme, si hanno dei rami a legno forti e robusti ; tagliando a
metà lunghezza, il terzo superiore fornisce dei rami a legno, il terzo
intermediario dei brindilli ed il terzo inferiore dei dardi.
13. — Quanto maggiori sono gli ostacoli che si oppongono alla libera
circolazione della linfa, tanto maggiore è la produzione di frutti di quel
ramo o di quella pianta, (ili alberi cominciano a formare delle gemme
a frutto soltanto quando è trascorso un dato numero di anni e cioè
quando sì son provveduti di quel sufficiente numero di organi che
servono a preparare meglio la linfa e la vegetazione legnosa ha assunto
un certo sviluppo in modo che la circolazione della linfa si rallenta,
per l'estensione delle ramificazioni che deve percorrere.
Le operazioni principali di cui si può servire il frutticoitore per
7 — Tamaro - Frutticoltura.
- 98 -
diminuire l'intensità dell'azione della linfa e pei'ciò per disporre le
piante a portare frutto, sono le seguenti :
a) Tagliare molto lunghi i prolungamenti delle branche.
b) Applicare ai rami che nascono sui prolungamenti, tutte quelle
operazioni che hanno lo scopo di diminuire il loro vigore.
e) Praticare il taglio d'inverno molto tardi e cioè quando i nuovi
germogli hanno raggiunto la lunghezza di cm. 4.
d) Innestare delle gemme a frutto.
e) Piegare più orizzontalmente possibile le branche.
f) Praticare colla sega a mano, in febbraio, alla base del fusto,
una incisione anullare, per intaccare gli anelli esterni del legno.
g) Scoprire le radici per un buon tratto in primavera, lascian-
dole esposte all'aria per tutta l'estate.
lì) Trapiantare le piante alla line d'autunno e ripiantandole colla
massima cura, lasciando intatte le radici.
. i) Scalzare le piante in primavera e mutilare le radici più pro-
fonde, gròsse e verticali.
14. — Le branche vengono mozzale durante il corso della vegetazione,
per la sovrabbondanza di linfa che non potendo produrre del legno, pro-
ducono dei rami e delle gemme a fruito. Acciò questo principio produca
lutto il suo effetto, bisogna fare questa operazione al primo risveglio
della vegetazione e ripeterla altre volte durante l'anno, poiché altrimenli
succederebbe la formazione di nuove gemme che si svilupperanno in
legno.
15. — Quanto più si sforza un albero a dare dei frutti, tanto più lo
si spossa; più si favoriscono le formazioni legnose, tanto più aumenta di
vigore. Questo precetto insegna al frutticoitore il modo di condursi per
ottenere per molto tempo dei buoni raccolti sopra degli alberi robusti.
Tutti avranno fatto l'osservazione, che quando un albero ha pro-
dotto una grande quantità di frutti, resta poi per uno, due e anche tre
anni, senza darne. Ciò avviene perchè l'albero è stato spossato avendo
esaurite tutte le sue borse, i suoi dardi, le sue lamborde, epperciò deve
provvedere alla loro ricostituzione che è lenta e dura, come abbiamo
veduto per alcune piante, degli anni.
E' meglio produrre poco, ma ogni anno, che non molto ogni 3 o 4
anni. Oltre le ragioni fisiologiche che si potrebbero addurre per dimo-
strare la verità di questo asserto, ci sono anche delle ragioni econo-
miche, inquantochè, producendo poco e costantemente, si avranno
delle frutta più belle, più saporite, più sviluppale e perciò meglio ac-
cette sul mercato.
E' dunque indispensabile che il frutticoitore sappia mantenere
nelle piante, in giusto equilibrio, la produzione legnosa colla fruttifera ;
la sanità e la longevità dell'albero dipendono molto da questo equili-
brio. Nei casi di dubbio, è meglio sacrificare un ramo a frutto di più
che un ramo a legno, il poco che si viene a perdere nell' annata, si
riacquista in misura maggiore coi prodotti degli anni venturi.
- 99 -
16. — Tutto ciò che tende a diminuire il vigore dei getti e fa affluire
la linfa nei frulli, concorre ad aumentare la grossezza di questi. Le gemme
hanno la facoltà di attirare a loro la linfa dalle radici. Ora, se le gemme
a legno sono molto più numerose delle gemme a frutto, è evidente che
trattengono una maggior quantità di linfa a detrimento dello sviluppo
del frutto. Ecco s|)iegata la ragione, perchè dalle piante molto vigorose
si hanno dei frutti meno grossi, che dalle piante di vigore medio.
Le operazioni principali di cui si serve il frutticoitore per aumen-
tare il volume delle frutta, sono le seguenti :
a) Innestare i fruttiferi sopra soggetti poco vigorosi.
b) Applicare un taglio d'inverno tale da non lasciare sull'albero
che i rami necessari alla vegetazione simmetrica ed alla formazione
dei rami a frutto.
e) Far nascere i rami a frutto direttamente sulle branche prin-
cipali e mantenerli più corti possibili.
dj Quando i rami a frutto sono formati, tagliare corto i rami a
legno.
e) Lasciare sulla pianta solo un numero poco considerevole di
frutta, facendo la soppressione quando hanno raggiunto 11 quinto del
loro sviluppo completo.
f) Praticare un'incisione anullare sui rami da frutto sotto al punto
d'inserzione dei fiori ed al momento della fioritura in modo che que-
sta incisione non sia più larga di 5 mm.
g) Innestare dei rami a frutto sugli alberi vigorosi.
hj Sostenere le frutta pendenti dall'albero con un supporto e col
penducolo rivolto in basso.
ij Riparare le frutta durante il tempo del loro sviluppo colle fo-
glie, acciò il sole e la luce non le colpiscano direttamente.
17. — La linfa si porta di preferenza verso le branche favorite da
luce e calore attorno alle quali può circolare liberamente l'aria. Dare
|)erciò aria e luce a tutte le parti della pianta è una delle regole fon-
damentali della frutticoltura.
18. — La linfa affluisce ai rami più vigorosi e più sviluppati ed
abbandona i rami e le parli più deboli. Tagliando una branca lunga ed
un'altra corta, il vigore sarà molto maggiore nella prima che nella
seconda. Quindi bisogna tagliare sempre lunghe le branche deboli per
rinforzarle.
19. — Rallentando la circolazione della linfa, si favorisce la lignifi-
cazione dei germogli, la maturazione dei frulli e la formazione delle
gemme a frutto.
In una annata secca e calda i germogli lignificano più presto, i
frutti anticipano la maturazione e si formano molte gemme a frutto.
Nelle annate umide il legno non matura e le frutta maturano male.
Si favoriscono tutti e due questi processi, allevando le piante con-
tro i muri, scegliendo terreni permeabili e dei soggetti da innesto di
vegetazione più rapida, come sono: il cotogno per il pero; il melo
paradiso per il melo e così via.
- 100 —
20. — Se la linfa affluisce rapidamente verso l'estremità delle bran-
che, senza incontrare ostacoli che moderino la sua circolazione, queste
branche si costituiscono male e la fruttificazione riesce più tardiva ed
imperfetta.
La biforcazione delie branche, i tagli annuali successivi che si
fanno ai rami, rallentano momentaneamente la circolazione ed allora i
tessuti e le gemme hanno modo di meglio costituirsi.
21. — .Se la linfa non è sufficiente per tutte le branche, queste si
sviluppano debolmente, oppure la linfa abbandona certe parti dell'albero
per portarsi verso le altre allo scopo di rinvigorirle. Ad esempio piantando
a dimora una pianta con due rami, se questa non riceve sufficiente
nutrimento la linfa abbandona il ramo più debole e si porta esclusi-
vamente nel ramo più forte.
22. — Le foglie servono alla respirazione e nutrizione epperciò sfron-
dando totalmente si arrischia di far perire le piante. Nelle sfrondature
che si fanno in estate, bisogna procedere con precauzione e sfogliare
soltanto le parti puramente necessarie.
23. — Quei rami o quelle piante aliamo alle quali non possono cir-
colare liberamente l'uria, la luce ed il calore, diventano esili, s'allungano
e non producono più né frutti, né legno. Dalla conoscenza di questa re-
gola, venne la prima idea di dare alle piante delle forme regolari,
poiché, avendo ciascun ramo una posizione calcolata, si permette a
tutte le parti della pianta di avvantaggiare dell'influenza dell'aria, della
luce e del calore.
In base a questo principio risulta evidente che il frutticoitore non
deve lasciar crescere i rami contro il centro della pianta per non for-
mare una chioma troppo fitta di foglie che impedirebbero le benefiche
influenze atmosferiche.
24. — // legno vecchio non produce delle gemme se non è forzalo
dal taglio o da qualche alterazione del legno giovane che esso porta alla
sua estremità. È perciò necessario, specialmente nelle spalliere, di ta-
gliare in modo, che le branche principali, di mano in mano che si
allungano, portino dei rami alla loro base e per tutta la lunghezza,
affine di guarnire anche la parte centrale della pianta. Se questa ne
rimanesse sprovveduta, è impossibile far sviluppare delle nuove gemme
a legno ed allora bisogna ricorrere all' innesto per approssimazione
con qualche ramo vicino. Ciò si verifica in particolar modo nel pesco.
25. — Tutti i rami che nascono fuori tempo sono per lo più sterili,
esili ed incapaci di produrre né legno, né frutti. Queste formazioni a
cui si è dato il nome di rami anticipati, falsi rami, non si trovano mai
sopra un albero abbandonato a sé stesso. Esse sono il risultato d'un
accidente o d'un taglio fatto in una stagione intempestiva.
In generale possiamo dire che i rami anticipati nascono da tutte
(|uelle gemme che vegetano prima di raggiungere la loro completa
maturazione e quindi devono essere soppressi, perchè non servono
che a indebolire la pianta.
- 101 -
26. — Le gemme a fruito si trovano, a seconda delle specie, o snlVe-
stremiià dei rami o limgo le branche. Da questo risulta che tutti gli
alberi fruttiferi non possono essere sottoposti a un taglio eguale ma
esso deve variare, secondo la posizione dei rami a frutto.
27. — Negli alberi con frutto a granella (pero e melo), tutte le gemme
sono organizzate in modo da potersi conformare, secondo le circostanze,
in gemme a legno, in brindilli o dardi. La circostanza che niaggiormenle
inUuisce è la maggiore o minore quantità di linfa che affluisce alle
gemme. Quando una gemma è alimentala da una grande quantità di
linfa, questa allora dà luogo alla formazione di un ramo a legno; se
invece raffluei>za è minore, si sviluppa un brindillo; se minore ancoia,
un dardo. Nelle branche si osserverà sempre che l'estremità porla dei
rami a legno, la parie mediana dei brindilli, e la parte inferiore dei dardi.
In queste piante quindi le gemme a frutto hanno un duplice scopo
di dare del legno o dei fruiti.
28. — Le gemme a frullo nel pero e melo, si trovano ordinariamente
su rami di almeno tre anni. Questi quindi sono rami specializzati da
frutto i quali continuano per più anni a dare frutta.
29. — Sulle piante a granella, le gemme a frutto sono durevoli alVe-
slremilà dei dardi. Dopo aver dato frutto possono rimanere inattive
per qualche anno e poi dare un novello ramo a frutto.
30. — Le piante a granella stentano a dare frutto più di quelle a
nocciolo. Per il melo e pero bisogna aspettare anche 8 e 10 anni, mentre
dal pesco si hanno frutti nel terzo anno d'età. Quando però le piante
a granella cominciano a dare frutto continuano.
31. — / rami a fruito delle piante a granella, essendo a produzione
continua, si allontanano lentamente dal centro della pianta e quindi l'al-
bero assume un aspetto più riunito delle piante a nocciolo, nelle quali la
maggior parte dei rami a frutto sono più lunghi, avendo anche essi le
funzioni di accrescimento.
32. — Nel giuggiolo e nel carrubo, i rami a fruito tendono addirit-
tura ad accorciarsi e sembrano tanti ingrossamenti del ramo. Essi pure
continuano per parecchi anni a dare frutto e si chiamano coni gemmari.
33. — Gli agrumi, il nespolo del Giappone, il melagrano ed il sorbo
portano i fiori nella gemma apicale ed allora il ramo si arresta nel suo
prolungamento, però questo è continualo da un getto laterale che prende
il posto della cima.
34. — Anche il nespolo ed il cotogno portano i fruiti ali estremila
dei rami e quindi non si devono tagliare che i rami che hanno già por-
talo frullo.
35. — Le gemme a fruito del mandorlo, pesco, albicocco e delle
piante a nocciolo in genere, si trovano ordinariamente sul legno di un
anno. Esse danno un solo fiore nel pesco, mandorlo ed albicocco, sono
trillori nel susino; multitlori nel ciliegio.
36. — Tatti i rami a frullo del pesco una volta dato frutto non lo
danno più. Egli è perciò necessario di rinnovare, ossia di svettarli per
sostituirli con altri di recente formazione.
- 102 -
37. — Negli alberi con frutto a nocciolo, le gemme a frutto si for-
mano già entro nel mese di giugno sul legno dell'annata e non possono
trasformarsi in genìme a legno. Il ciliegio e qualche altra specie fanno
molto di sovente eccezione alla prima parte di questa regola, la di cui
applicazione rigorosa conviene solo al pesco.
38. - Tutte le gemme a frutto, negli alberi con frutto a nocciolo,
restano sterili, se non sono accompagnate da una gemma a legno. Da ciò
la necessità di non fare la potatura dei rami a frutto del pesco quando
difficilmente si distinguono le gemme a legno da quelle a frutto.
39. — Nell'olivo, il ramoscello che si sviluppa da una gemma, dà in
capo a due anni i fiori all'ascella delle foglie.
40. — La vite ed il fico, hanno la gemma apicale, sviluppatasi sul ramo
dell'anno precedente, mista e cioè si svolge a germoglio, ma contempora-
neamente dall'ascella delle foglie si svolgono le gemme a fiore. Nella vite
le gemme uniflori sono unite a grappolo il quale apparisce nel germo-
glio dell'annata, ma non tutti maturano nell'annata bensi nell'anno suc-
cessivo.
41. — La vite ed il fico danno i migliori frutti sui rami più robusti.
Questo si deve al fatto che i frutti si trovano sui germogli dell'annata.
42. — Il ribes ha le gemme moltiflori che appariscono a grappolo
sui rami di un anno, come nel pesco.
43. — Sul lampone, i fiori riuniti a grappolo, sorgono dal germoglio
nato nell'annata come nella vite e sopra rami di un anno. Dopo la frut-
tificazione questi rami periscono. Nelle varietà a fruttificazione autunnale,
appariscono dei fiori fertili all'estremità dei germogli radicali dell'annata.
V.
Potatura secca e potatura verde.
1. Potatura secca e verde. — Visto lo scopo della potatura per le
piante da frutto ed i principi generali che servono di base alle opera-
zioni inerenti, occorre adesso entrare nei particolari e cioè discorrere
come questa potatura si eseguisce.
Le operazioni della potatura che si praticano durante il riposo della
vegetazione si comprendono sotto il titolo di potatura invernale o pota-
tura secca. Quelle che si fanno quando la linfa è in movimento od a
meglio dire in corso di vegetazione, appartengono alla po/a/a/-a d'estate
o potatura verde.
In questo capitolo tratteremo della potatura secca ed in particolar
modo del taglio secco dei rami a legno e dei rami a frutto, che è la
principale delle operazioni.
2. Strumenti per la potatura. — Come ho già fatto notare parlando
degli utensili del frutticoitore (vedi Parte 11), lo strumento più adatto,
per eseguire i tagli delle piante, è il potatoio (fig. 24). Esso deve avere
— 103 —
un manico curvo, lun<,'o da 11 a 13 cni., ed abbastanza grosso per non
stancare la mano. r>a lama invece di essere in diretto prolungamento
del manico ed arcuata soltanto all'estremità, è bene sia saldata ad
angolo convergente col manico, in modo che il coltello senza essere
adunco, abbia quell'inclinazione voluta per fare dei fagli anche forti e
sempre recisi.
Trattandosi di fare dei grossi tagli alle piante, si può adoperare la
sega oppure il pennato, avendo però sempre cura di ripassare la ferita
col potatoio, onde togliere alla superfìcie qualsiasi scabrosità.
Da quando si introdussero le forbici, 1' uso di queste si è molto
generalizzato anche pel taglio delle piante da frutto, perchè esse hanno
il vantaggio di rendere molto spedito il lavoro. Ma ho già fatto notare
nella Parte li, che la forbice deve essere adoperala soltanto per la
specie a legno molle, come: la vite, il lampone, il fico; non mai per il
taglio dei rami destinati a fare l'impalcatura della pianta. Colla forbice
è impossibile fare un taglio ben netto, perchè essa schiaccia alquanto
il legno, e dovendo operare presso le gemme, si incorre nel pericolo
di guastarle.
3. Epoca. — L'epoca del taglio secco non può essere indicata con
precisione, perchè, non solamente avanza o ritarda a seconda dei vari
climi o della vegetazione più o meno anticipata, ma ben anco in ra-
gione della sanità delle piante, delle specie a cui esse appartengono
e dell'esposizione calda o fredda in cui si trovano.
Il taglio si deve fare durante il riposo della vegetazione e perciò
da novembre a marzo. Fra questi due limiti il momento più favorevole
è quello che segue i forti freddi e precede il primo risveglio della
vegetazione, ossia il mese di febbraio.
Tagliando prima dei forti geli, si espone la ferita, per troppo tempo
prima della vegetazione, all'influenza dell'aria, dell'umidità e del freddo,
e allora avviene che molte gemme terminali periscono.
Neppure si devono tagliare le piante quando fa molto freddo,
inquantochè in tali giornate essendo il legno molto fragile, non si pos-
sono fare dei tagli ben netti, senza notare che si può incorrere il
pericolo di frangere molti rami.
Ritardando il taglio fino al risveglio della vegetazione, i danni
sono ancora maggiori. Anzitutto noi indeboliamo soverchiamente la
pianta, privandola di quella linfa già assorbita dalle radici e che si
trova già distribuita lungo quelle parti dei rami che si sopprimono.
D'altro lato operando a stagione avanzata si incorre il pericolo di far
cadere molte gemme a frutto al minimo urto, essendo queste molto fra-
gili perchè in via di svolgimento. Alle piante a nocciolo è assoluta-
mente sconsigliabile un taglio tardivo, che provoca il mal della gomma
o il cancro. Se invece noi fagliamo le piante a nocciolo per tempo e
cioè nei primi giorni di febbraio, allora la ferita ha tempo di cicatriz-
zarsi e perciò resta impedito lo sgorgo della linfa dalle ferite, ma
anche le gemme ascellari, che molto di sovente rimangono inerti,
- 104 -
risentendo la prima azione di movimento della linfa, si svilu[)pano e
danno quei rami di sostituzione che sono tanto necessari.
Ripeteremo dunque che le piante non si devono tagliare nel tempo
dei freddi intensi, come pure allorquando questi freddi si presumono
prossimi; che ogni qualvolta si tratterrà di indebolire una pianta con-
viene il taglio tardivo, trattandosi di rinvigorirla conviene farlo per
tempo; infine, che le piante a nocciolo devonsi tagliare presto anziché
tardi.
ì
Vli'^
Fig. 118. Fig. 119. Fig. 120. Fig.
Fig. 118. - Taglio normale.
Fig. 119. - Taglio troppo vicino alla gemma terminale.
Fig. 120. - Taglio lontano dalla gemma terminale per rinforzarla.
Fig. 121. - Sarmento di vite tagliato alla base della sua inserzione;
ritallo o internodio.
Da noi si può liberamente tagliare dalla caduta delle foglie a tutto
febbraio, evitando le giornate umide, nebbiose o di vento. Se si tratta
di molte piante e di diversa specie, conviene seguire l'ordine con cui
si sussegue il risveglio vegetativo e quindi si taglino per primo i man-
dorli, poi gli albicocchi, poi i peschi, quindi i susini, i ciliegi, i peri,
la vite ed infine i meli.
Alla fine di febbraio è bene di avere ultimate tutte le operazioni
di potatura, poiché nel mese di marzo sono molti i lavori di campagna
a cui si deve accudire.
4. (^ome si fa il taglio. — Non è indilferente il modo di tagliare i
rami o le bianche delle piante da frutto.
105
Trattandosi di piante a legno duro, il taglio si fa al disopra e dalla
parte opposta di una gemma, il più vicino possibile, senza però recarle
danno. A tal uopo colla mano sinistra si tiene in mano l'estremità del
ramo al punto in cui si vuol recidere, e colla mano destra armata di
potatoio si pone la lama dalla parte opposta ed all'altezza della base A
fìg. 118 della gemma, quindi con un colpo risoluto si conduce la lama
cosi da fare un taglio netto, che termini sopra la punta della gemma,
e ad una distanza da questa eguale al diametro del ramo. In tal modo
si fa un taglio a sbieco, che ha il doppio vantaggio di non far soffrire
la gemma e di cicatrizzare prontamente-
Tagliando più sotto al punto indicato, si
corre il pericolo di far soffrire la gemma
(fìg. 119) e di farla sviluppare perciò con
meno vigore; se al contrario si avesse a
tagliare più in alto, il legno disseccherebbe
- - t fino alla gemma, lasciando perciò un moz-
zicone che si dovrebbe recidere nell' anno
venturo, fig. 120.
Fig. 122. — Sezione longitudinale
del sarmento precedente; n>, mi-
dollo ; rf, tramezzo legnoso o dia-
framma; i, internodio.
Fig. 123.
a) Taglio razionale di un ramo
b^ Taglio non conveniente.
Nella vite (fig. 121) il taglio si fa a gemma franca, e cioè nel tra-
mezzo o diaframma che si trova in ogni nodo, come si vede in ci fig. 122.
E giacché sono a parlare di avvertenze per fare i tagli conviene
aggiungere, che quando la potatura secca si fa in novembre e dicembre,
per evitare i danni eventuali del gelo nelle gemtiie terminali, conviene
tagliare più in alto della gemma che si vuol lasciare per ultima, ed
in febbraio fare il taglio definitivo a giusta altezza.
Nelle piante a legno molle e sopratutto di midollo abbondante
come il fico, il lampone, il taglio deve farsi da 8 a 10 mm. al disopra
della gemma, perchè la cicatrizzazione non avviene mai al punto stesso
— 106 —
in cui è stato fatto il taglio. La grande jiorosità del legno e la quan-
tità del midollo permettono all'aria ed all'umidità di introdursi fino
ad una certa profondità nei tessuti e quindi, se il taglio non viene
fatto ad una certa distanza dalla gemma, può avvenire che questa
perisca.
Talvolta al posto ove si deve lare il taglio si trova una gemma
fruttifera, oppure un dardo od un ramo anticipato. Negli alberi con
frutto a granella si possono sopprimere queste produzioni ed utilizzare
una delle gemme latenti. Nelle piante a nocciolo bisogna invece cercare
di fare il taglio sopra una gemma a legno.
Trattandosi di recidere un ramo rasente il tronco, il taglio deve
farsi in modo che la ferita sia più piccola possibile. A tal uopo il
taglio si fa dal basso all' alto, cosi che il lembo superiore della piaga
venga a trovarsi rasente il tronco ed il lembo inferiore sia sporgente
di 2 a 3 mm. (fìg. 123 a).
VI.
Principi generali del taglio dei rami.
Ripeto ancora, il taglio devesi fare con criteri diversi, a seconda
che si tratti di rami a legno o di rami a frutto. Pei primi, il taglio
ha lo scopo di costituire la forma, di circoscriverla entro certi limiti,
e di produrre dei rami robusti, capaci di portare ed alimentare dei
rami a frutto. Il taglio dei rami a frutto ha lo scopo di mantenere
costante ed ottima di qualità, la produzione delle frutta.
1. — Neil' applicazione del taglio noi dobbiamo ricordare le mas-
sime seguenti :
a) Gli alberi soltanto in uno stato perfetto di vegetazione danno
una regolare e perfetta fruttificazione.
b) Per conservare sane e produttive le singole branche degli
alberi bisogna che esse ricevano una conveniente quantità di linfa, di
luce e di calore.
cj L'albero deve essere contenuto nelle dimensioni che comporta
la sua età e la sua vigoria.
dj Bisogna mantenere un giusto equilibrio fra la produzione a
legno e quella a frutto. Se all'albero si favoriscono soltanto le produ-
zioni a legno, esso finisce col rimanere sterile; se viceversa lo si
lascia eccessivamente a fruttificare, va presto in rovina.
e) Tutti gli alberi in vegetazione normale producono dei rami,
degradantisi per vigoria, di mano in mano che ci si allontana dal fusto
e senza incrociarsi.
fj L'estensione e la forza delle branche devono essere in rapporto
coU'età, col vigore e colla produzione di frutta.
— 107 —
g) I rami a legno ed a frutto che sono della medesima età e della
medesima natura, devono essere eguali per vigoria, per lunghezza, per
direzione e per fertilità.
hj Le branche di maggiore età devono essere più vigorose di
quelle più giovani.
i) I rami novelli non devono sorgere che dalle branciie più
giovani.
Ij Ogni branca deve occupare uno spazio suo proprio come lo
esige la forma della pianta.
m) Poiché le produzioni fruttifere si esauriscono dopo alcuni
anni, l'accorto potatore deve pensare a tempo a sostituirle.
nj Rami normali, sani, vigorosi, non si possono ottenere che da
gemme a legno di un anno ed è soltanto sopra questi che quindi si
deve fare il taglio.
VII.
Taglio secco dei rami a legno.
1. — Il ramo di un albero può paragonarsi ad un canale che tras-
porta la linfa contro a degli orifizi chiamati gemme. L'orifìzio estremo,
che è la gemma terminale, riceve quindi il massimo di linfa e le
gemme laterali ne ricevono gradualmente di meno, mano a mano che
si distanziano dalia gemma terminale. Naturalmente che, in proporzione
alla quantità di linfa ricevuta, si differenziano dalle singole gemme.
Se un ramo a legno fornito di gemme (fig. 124) si lascia sviluppare
tale e quale, avremo uno sviluppo di rami come è rappresentato nella
fìg. 125 e cioè si avranno verosimilmente dal terzo superiore 4 rami a
legno; dalle 4 gemme intermedie 4 brindilli e dalle 4 inferiori 4 dardi.
Se invece lo si accorcia sopra l'ottava gemma (fig. 126), ossia se lo
si taglia a ^/g, le gemme che rimangono vengono molto meglio nutrite
e daranno delle gettate più vigorose di '/g non soltanto ciascuna, ma
dalle gemme 6, 7, 8, si avranno dei rami a legno; dalle gemme 3, 4, 5,
tre brindilli e dalle altre due dei dardi (fig. 126).
Tagliando a metà e cioè sopra la sesta gemma, si avranno delle
gettate ancora più vigorose (vedi fig. 127) e verosimilmente si avranno
dalle gemme 4, 5, 6, tre bei getti vigorosi a legno ; dalla gemma 3 e 2,
due brindilli e dalla gemma 1, un dardo.
Se infine noi tagliamo il ramo ad Va. ossia sopra la quarta gemma,
la linfa affluisce in gran quantità nelle gemme lasciate in modo da
sviluppare dei rami a legno vigorosi ed appena uno o due di quelle
a frutto (fig. 128).
Dopo questo risulta evidente, che tagliando sistematicamente i
rami di una pianta ad una eguale lunghezza, ad esempio sempre
corto, si fa un errore madornale, cioè si rovina l' albero anziché
rinforzarlo.
— 108 —
2. — La lunghezza a cui si devono tagliare i rami a legno deve
perciò variare :
a) coll'età della pianta ;
bj colla direzione dei rami ;
cj colla vigoria;
d) colla specie.
Immagini il lettore di avere innanzi a sé una giovane pianta. Noi
dobbiamo anzitutto pensare, oltreché alle radici, a tutti quei rami che
sono destinati a sostenere la fronda. É necessario quindi che queste
Fig. 124.
Fig. 124,
Fig. 125.
Fig. 126
il
Fig. 127.
Fig. 128.
Fig. 125.
Fig. 126.
Fig. 127.
Fig. 128.
- Ramo a legno normale con 12 gemme.
- Ramo precedente non tagliato.
- Vegetazione ottenuta dopo un anno in
forte e il debole al ramo della fig. 124.
- Vegetazione ottenuta col taglio a metà.
- Vegetazione ottenuta col taglio corto.
mito al taglio fatto fra
prime branche siano solide e ben costituite sino alla base e questo si
ottiene tagliando corto a 4 o 5 gemme per due o tre anni di seguito.
Passato questo primo periodo, la fronda raggiunge uno sviluppo tale
che si può lasciar campo alla base delle prime branche di fornirsi di
rami a frutto, e perciò non si taglia più i rami a legno ad un terzo,
ossia a 4 o 5 gemme, bensì a metà lunghezza. Questo secondo taglio a
metà devesi ripeterlo per altri tre anni, fino a che la fronda della
- 109 -
pianta si trovi si può dire al completo. Ottenuto questo risultato, non
si devono lasciare a sé stessi i rami a legno; occorre soltanto mode-
rare il loro sviluppo, e non tagliandoli più né ad un terzo, né a metà,
ma a due terzi di lunghezza. Praticamente il primo taglio ad un terzo
si suole chiamarlo taglio corto, il secondo a metà si chiama appunto
a metà, il terzo infine a ^/g si chiama taglio lungo o dal forte al debole,
perchè si fa dove il ramo accenna a diminuire sensibilmente di vigore.
Riassumendo rispetto all'età, il taglio dei rami a legno devesi fare
nel seguente modo. Per i primi due o tre anni si tagli ad un terzo di
lunghezza, ossia a 4 o 5 gemme dalla base, nei tre anni successivi a
metà lunghezza e quindi si applichi il taglio lungo che equivale circa
a due terzi.
Questa regola vale specialmente per il pero e susino ; per il melo
ed albicocco che hanno maggior vigore, conviene tagliare corto per un
anno solo e poi tagliare da un quarto a metà ; per il pesco si taglia
subito a metà. Per la vite il taglio corto si fa a due gemme.
Quanto più i rami sono vigorosi tanto più si può abbreviare il
periodo del taglio corto e del taglio a metà.
Noi sappiamo che i rami verticali sono i più vigorosi perché in
(jucsti abbonda la linfa (vedi il precetto n.° 8 di Potatura a pag. 96) é
evidente quindi che per mantenere l'equilibrio in una pianta un ramo
verticale si taglierà più corto ancora del ramo orizzontale. Difatti in
pratica, i rami verticali si tagliano a metà, gli obliqui a due terzi e gli
orizzontali si lasciano intatti od appena sì accorciano.
Vili.
Taglio secco dei rami a legno per ottenere dei rami
a frutto.
1. — 11 taglio descritto nel Capitolo precedente ha lo scopo di
formare le branche, ossia le diramazioni principali e diciamo cosi
l'ossatura della |)ianta.
Questi rami devono portare lateralmente dei rami a frutto e nul-
l'altro, ma non sempre si può ritenere che da essi nascano soltanto
dei brindilli, dei dardi. Avviene più di frequente, e specialmente nelle
piante a granella, che si sviluppano dei rami a legno.
Ora è su questi rami a legno laterali che noi dobbiamo operare
per trasformarli in rami a frutto.
Intanto ricordo che su questi rami le gemme più lontane sono
quelle che lasciate, darebbero dei nuovi rami a legno vigorosi, quindi
la massima che più si taglierà corto, meno le gettate saranno vigorose
e più si disporranno a dare frutti.
Partendo da questo principio si deduce, che se noi tagliamo sulle
- 110 —
gemme latenti poste alla base del ramo, noi otterremo dei rami ancora
più deboli e perciò ancora meglio disposti a dare frutti.
Anche la posizione dei rami ha un'importanza notevole su questa
produzione dei rami a frutto.
I rami verticali hanno maggiore tendenza a dare dei rami a legno
e perciò sono anche più ribelli a trasformarsi in rami a frutto. Quindi
nelle forme appoggiate, si piegano fino a renderli quasi orizzontali e
nelle forme libere si tagliano alla base, lasciando un breve moncone di
Va cm. perchè dalle gemme laterali vengano fuori i nuovi rami.
Da quanto precede emerge che volendo avere dei rami a frutto
dai rami a legno, bisogna tagliarli tanto più corti quanto più essi sono
vigorosi.
2. — Questo taglio viene chiamato in frutticoltura speronatura la
quale può essere di due gemme o di quattro a seconda della vigoria
ed anche della specie di piante. Di questo e del taglio dei rami a frutto
si tratterrà particolarmente nella Frutticoltura speciale.
IX.
Operazioni accessorie della potatura secca.
La buona riuscita di una pianta da frutto non dipende soltanto
dalla giusta applicazione del taglio secco ; occorre saper applicare delle
altre operazioni, le quali se pure accessorie, hanno una rilevante im-
portanza.
1. — Slegatura dei tutori. Questa operazione, che deve essere fatta
ogni anno, consiste nello staccare dal muro, dai reticolati o dai sem-
plici pali, tutte le ramificazioni, per poter fare agevolmente la potatura,
per impedire che le legature diano luogo a strozzamenti, per levare le
foglie morte, gli insetti e loro nidi, che potrebbero trovarsi fra i tutori
ed i rami, e per ripulire le parti legnose intaccate da muschi od altri
parassiti. L' epoca più opportuna per questa operazione è la prima
quindicina di novembre ; dobbiamo però avvertire che, trattandosi di
piante mollo grandi a spalliera, conviene mantenere le branche prin-
cipali nella medesima posizione con legature rallentate acciò non pos-
sano squarciarsi o piegarsi.
2. — Accecamento. E' una operazione per la quale si levano le
gemme inutili o che assorbirebbero una troppo grande quantità di
linfa, a detrimento di altre poste sullo stesso ramo. L'accecamento è
molto raccomandabile sulle ramificazioni fruttifere del pesco, ma ge-
neralmente esso viene surrogato dalla scacchiatura. Occorre però un
occhio molto vigile ed esperto per saper scegliere le gemme che si de-
vono accecare. Io la ritengo una operazione molto diflìcile e che è forse
meglio evitarla piuttosto che non esser sicuri nella scelta delle genuiie,
3. — Incisione longitudinale. Queste incisioni si fanno lungo le
Ili
l)ranche e sotto alle gemme, per facilitare la dilatazione dei tessuti
sotto l'epidermide e perciò favorire il loro sviluppo. L'istrumento da
adoperarsi deve essere il potatoio ben a dilato oppure l'innestatoio, e
si opera fendendo colla punta la corteccia senza intaccare l'alburno.
Alle piante a nocciolo non si devono applicare le incisioni che pos-
sono provocare il male della gomma. Né bisogna, come consigliano
certuni, fare le incisioni dalla parte dell'ombra; vai meglio assai farla
dalla parte del sole, dove la corteccia è più indurita. Però, quando
si opera durante un tempo caldo e molto secco, sarà pru-
denza ombreggiare la parte incisa, per impedire il dissecca-
mento ed il sollevamento della corteccia presso l'incisione.
Per ottenere buoni risultati dalle incisioni, fa d'uopo operare
soltanto all'epoca in cui gli alberi si mettono in vegetazione;
in altro tempo le ferite potrebbero disseccarsi.
4. — Intaccatura. L'intaccatura si pratica al di sopra di
una gemma sul ramo che si vuol rinforzare. La profondità
e larghezza variano da mm. 3 a 10, a seconda della grossezza
della branca su cui si opera. La tacca si fa arrivare circa ad
un terzo della periferia. Può farsi orizzontale oppure ad
angolo (fig. 129) col potatoio.
Facendo la tacca sotto ad una gemma o ramo, si ottiene
l'effetto opposto, ma non sempre i risultati sono soddisfacenti.
Anche (|uesta operazione non devesi fare sopra le piante ^^S ^29
. , , ., j . , . !.. 1- 1. . Intaccatura
a nocciolo; sopra la vite ed in generale sopra lutti gli alberi a ^^ ansoio
legno molle, producono poco effetto; riesce veramente profi-
qua al pero e pomo, quando si vuole co})rire una parte denudata del fusto.
Di tutte e tre queste operazioni è bene però che il frutticoitore
non ne abusi e che. non le applichi che in caso di assoluta necessità,
inquantochè egli deve tendere a mantenere sempre la scorza dei suoi
alberi, più liscia possibile.
5. — Mondatura. È l'operazione che si fa in autunno appena ca-
dute le foglie.
Colla mondatura si devono allontanare:
aj Tutti i rami secchi, disorganizzati, monchi, i quali non fareb-
l)ero che marcire e propagare il male alle parti sane.
b) Tutti i rami che si trovano fuori di posto, specialmente nel
centro della corona, poiché questi, oltre ad impedire la libera circola-
zione dell'aria e della luce, crescerebbero a detrimento delle branche
fruttifere. Anche i cosidetti succhioni appartengono a questa categoria,
che sorgono verticalmente, all'estremità del fusto od alla incurvatura
dei rami. Questi succhioni, se lasciati, portano via una notevole quan-
tità di nutrimento.
e) Se due rami si trovano troppo vicini, si tagli il più debole e
se uno é sopra e l'altro più sotto, si lasci il primo, poiché il secondo
avrà già incominciato a soffrire.
ci) Lo stesso devesi fare quando due rami si incrociano. Il ramo
più debole deve essere sempre sacrilìcato.
- 112 -
e) I rami troppo vicino a terra si svettano, poictiè questi, oltreché
impedire un accurato lavoro del terreno, danno frutta sempre meschine.
/) Infine, trattandosi di i)iante d'alto fusto, se si vede che i rami
sono troppo fitti, si faccia un diradamento, tagliando alla base quelli
che non si trovano alla dovuta distanza.
Ad un albero abbandonato da parecchi anni, il più delle volte oc-
corrono tagli molto forti, i quali, se fatti tutti in una volta, porterebbero
squilibrio alla pianta e la farebbero perire. In questo caso conviene
tagliare gradatamente, un poco per anno, seguendo un certo ordine.
Trattandosi di rami molto grossi, si abbia l'avvertenza di tagliarli
alla base, più vicino possibile alla loro inserzione. Fatto il taglio colla
Fig. Ilio. — Ferite ad un tronco fatte da un operaio salito sopra un albero
colle scarpe armate di borchie.
sega, bisogna ripassar per bene la ferita con un ferro tagliente, poiché
allora la ferita rimane liscia e l'acqua non può penetrare tra le fibre.
E' bene coprire simili tagli con del catrame o carbolineo solubile
al 5-10 Vo? i quali non solo impediscono l'azione dell'acqua e dell'aria,
ma, il creosoto che essi contengono, essendo un veleno per le piante,
fa dissecare per un tratto le cellule della ferita. Queste cellule dissec-
cate formano una specie di zona di sicurezza, ed impedisce che negli
strati sottostanti, abbia ad estendersi la disorganizzazione dei tessuti.
Bisogna adoperare il catrame quando la pianta è in perfetto riposo,
altrimenti, la linfa in movimento, lo dilaverebbe e il carbolineo dan-
neggerebbbe invece la pianta.
— 113 -
Bisogna ricordarsi che col catrame le sezioni del taglio non si ri-
marginano, ed allora si può adoperare il seguente mastice, veramente
buono, di Mùller:
Si prendano 500 g. di resina di Borgogna e liquefatta al fuoco vi
si aggiungano 500 gr. di catrame di legno svedese, caldo. Si mescola il
tutto e si aggiungono ancora 125 gr. di olio di lino. Prima che si raf-
freddi si versano 60 gr. di alcool (spinto di vino) per mantenere al
mastice la vischiosità. 11 tutto ben mescolato si mette in vasi che si
conservano ben chiusi, avendo cura, quando lo si adopera, di riscal-
darlo fino che ha raggiunto una certa vischiosità.
6. — Guarigione delle ferile. Molte volte, o per strappi dovuti a
vento o neve o per inavvertenza del potatore (fig. 130), oppure per opera
di animali, si hanno sul tronco delle ferite o contusioni tali, che, lasciate
a sé stesse, farebbero disseccare buona parte del fusto ed anche tutta
la piante. In questo caso bisogna ripassare i lembi e l'interno della fe-
rita con un coltello tagliente lino a scoprire il tessuto sano. 11 tutto si
copre poi con un mastice composto d'argilla, una parte di sterco bo-
vino senza paglia, mezza jiarle di cenere di legno stacciata fina, più
un po' di sabbia e di peli di vitello, in modo da formare una poltiglia.
Si applica questa poltiglia alla ferita e si fascia poi con della corteccia
di castagno che si lega con vimini o tela di sacco.
Se nel tronco si sono formate delle cavità, si pulisce prima la pa-
rete interna asportando gli anelli di legno guasti cogli istrumenti ap-
positi (fig. 27 e 32) e poi si riempie la cavità con pietra e cemento,
che sì dipinge poi esternamente con una vernice di egual colore del
tronco.
7. — Scorlecciainenlo. Alla operazione precedente devesi far se-
guire in autunno lo scortecciamento per levare tutti i brandelli di cor-
teccia, che si sollevano lungo il tronco ed il ramo e danno ricetto agli
insetti, ai muschi e licheni.
Questa pulizia si fa coi raschiatoi (fig. 53 e 54) e colle spazzole di
fili d'acciaio (fig. 55 e 56). Si faranno anche, per distaccare i muschi e
licheni, (a cui può servire il guanto Sabaté, fig. 65) delle lavature con
spazzole bagnate con liscivia di cenere o Kainite.
Nel caso in cui sul tronco vi fossero molti muschi, si può adope-
l'are con vantaggio, ma con le dovute precauzioni da parte degli operai
una pennellazione con una soluzione al 12 % di acido ossalico. L'acido
ossalico fa in brevissimo tempo disseccare tutti i muschi, che da verdi
diventano di color bruno e cadono. Ho applicato con vantaggio anche
la seguente miscela: 125 gr. di aloe e kg. 1 V2 di calce spenta, stempe-
rata in 8 litri di acqua. Si dà questa miscela, lungo tutto il tronco e i
rami principali, cosi si impedisce l'annidarsi di insetti e la formazione
di nuovi muschi mentre si distruggono quelli che le vengono a contatto.
8. — Imbianchimento dei fusti e rami con latte di calce molto denso.
Compiute le precedenti operazioni nello stesso autunno si fa l'imbian-
chimento adoperando un pennello od una pompa.
8 — T.VMARO - Frutticoltura
- 114 -
La calce che si adopera deve essere spenta da lungo tempo.
Gli efletti dell'imbianchimento sono :
a) Di cauterizzare i resti dei muschi, licheni e le spore, che colla
raschiatura non sono stati allontanati.
b) Di facilitare la caduta dei brandelli di corteccia che riman-
gono appiccicati.
e) Di distruggere gli insetti o ninfe eventualmente rimaste.
d) D'impedire la deposizione delle uova e la circolazione alle
larve.
e) D'impedire lo sviluppo di altre ciittogame.
f) Di riparare le piante dai danni dagli sbalzi di temperatura e
specialmente dal gelo.
Per le piante che nella vegetazione precedente sono state colpite
straordinariamente da malattie crittogamiche, come peronospora, tic-
chiolatura, oidium, ecc., ho trovato conveniente l'imbianchimento con
una poltiglia bordolese composta del 6 % di solfato di rame e 6 % di
calce spenta in 100 d'acqua.
L'imbianchimento in primavera è mano vantaggioso.
9. — Ringiovanimento (fig. 131). Fra le specie e varietà di piante
da frutto coltivate, non sono poche quelle che si distinguono per
un'abbondante e precoce fruttificazione nei primi anni. Passata però
una certa epoca, si osserva che in queste piante le gettate annuali
crescono sempre più corte e deboli, la fioritura aumenta a scapito
della qualità, crescono dei succhioni alle biforcazioni dei rami ed al-
l'incurvamento delle branche, infine queste piante non danno più nuovi
germogli ; le frutta non vengono più a maturazione, ma, increspate,
ancora verdi e ticchiolate, cadono a terra; — i rami si ricoprono di
licheni e muschi, quelli più lontani dal fusto si disseccano ; — in una
parola la pianta accenna a morire.
La causa di questi fenomeni risiede nel fatto che la pianta per la
troppa fruttificazione si è esaurita, e la presenza dei primi succhioni
alle biforcazioni delle branche, dimostra che queste non sono più ca-
paci di alimentare i rami lontani, ma che vogliono riprodursi con rami
giovani e più vicini. Sta quindi nella abilità ed accorgimento del frut-
ticoitore d'impedire la morte della pianta.
La presenza dei succhioni lungo le branche è un primo indizio
dell'esaurimento, e se noi asseconderemo la natura col recidere le
branche per metà o per due terzi o vicino al punto in cui sorgono i
succhioni noi possiamo salvare la pianta. Questo radicale accorciamento
delle branche si chiama appunto ringiovanimento.
Il ringiovanimento è un'operazione che si deve fare normalmente
ogni 10 o 15 anni per alcune specie di piante, quali il pesco, il susino,
il ciliegio, alcune varietà di meli (Renetta di Champagne, Renetta grande
di Gassel, Parmaine dorata) e di peri (William, Butirra Napoleone, Bu-
tirra bianca d'autunno e Buona Luigia d'Avranche). In genere esso di-
pende invece dal sistema d'allevamento, dal terreno in cui si trovano
- 115 -
le piante. Quanto più sciolto e sabbioso è il terreno, quanto più forzata
è la coltivazione di una pianta, tanto più presto essa invecchia.
Si applica pure il ringiovanimento in diversi casi con vera efficacia,
e questi sono ;
a) Quando le piante soffersero per gelo, per neve, grandine, venti
per insetti o malattie crittogamiche.
Fig. 131. — Ringiovanimento di un gelso, un anno dopo fatto il taglio.
b) Quando sono affette da clorosi.
e) Quando una pianta riesce improduttiva o di qualità scadente.
Allora si innestano le branche con la varietà che si desidera, o si
soprainnesta con la stessa varietà per migliorare la qualità.
d) Quando una parte della fronda ha preso uno sviluppo non
proporzionale a quello del fusto.
Nell'operazione del ringiovanimento bisogna seguire le seguenti
regole:
a) Si operi nel mese di febbraio e marzo, o meglio in settembre.
bj L'amputazione delle branche si faccia sull'incurvamento.
- 116 -
e) I tagli non devono avere un diametro superiore di 8 cm.
d) Il taglio si faccia, senza fare lacerazioni alla corteccia, ad un
punto liscio e senza nodi, più vicino possibile alla base, per non la-
sciare monconi.
e) La direzione del taglio deve essere perpendicolare all' asse
della branca che si taglia.
f) La ferita deve essere ripassata con un buon ferro tagliente, e
coperta con un mastice, per impedire che l'acqua vi penetri.
g) Si può senza inconvenienti amputare contemporaneamente
tutti i rami di una pianta, sia che si tratti di ringiovanimento o di so-
prainnesto.
h) Nell'anno che segue si devono lasciare tutti i germogli che
sorgono, indipendentemente della loro posizione ed anche se la pianta
è stata innestata.
i) Se a malgrado di questa capitozzatura, la pianta non sviluppasse
dei rami vigorosi, è indizio che è sofferente, non per esaurimento, ma
per qualche altra causa. Non trovando questa causa, bisogna allora
atterrar la pianta e, rinnovando il terreno, sostituirla con un'altra.
Quando un tronco od un ramo vengono tagliati trasversalmente, nel moncone ri-
masto si forma intorno al corpo legnoso nella corteccia, o a meglio diie fra il legno ed
il libro, un tessuto, il quale si rigonfia ed assume presto 1" apparenza di un argine
anullare. Le cellule legnose tagliate e denudate che sono nel mezzo dell'argine anullare,
non hanno la facoltà di dividersi, di moltiplicarsi e di divenire la matrice di una neo
formazione, si disseccano e periscono. Ma il tessuto che forma l'argine anullare, si allarga,
restringe sempre più la parte centrale morta della regione del moncone e si distende
alla fine così completamente sulla medesima, che tutta la sezione è interamente coperta
dalla neoformazione. Questa neoformazione è chiamata callo ed è paragonabile a quella
che si forma col connettivo che sta sotto alla nostra pelle, quando viene tagliato un
braccio, una gamba.
Nelle piante tagliate questo callo ha una importanza particolare poiché in esso si
formano delle gemme da cui si sviluppano i nuovi germogli della pianta tagliata. Sic-
come il callo si è incuneato fra il vecchio libro ed il vecchio legno, cosi avviene che i
nuovi germogli formano un nesso e connesso col vecchio tronco.
Lo stesso callo si forma quando noi leviamo una porzione di corteccia dal fusto,
così pure quando un germoglio sorto dal callo dissecca, allora viene sostituito da una
nuova gemma della base producendo però così un moncone od un bitorzolo dissecato
che non è infrequente di trovare sui rami di piante troppo sottoposte a tagli continui
come nei salici, gelsi, querele ecc.
10. Incurvatura. — Consiste nell'incurvare i rami colla punta in giù
a semicerchio. Si ricorre a questa operazione per rallentare il movi-
mento della linfa nei rami eccessivamente vigorosi e costringerli a
fruttificare (fig. 132).
11. Legatura in secco e palatura. — La legatura per le forme ap-
poggiate si fa iramediatainente dopo il taglio e consiste, dopo avere
determinato la direzione e la distanza delle branche, nel fissarle ai
tutori con legaccioli di salice, di cotone, ecc.
Trattandosi di piante libere, il fusto si suole affidarlo ad un palo
tutore. Questa operazione è chiamata palatura.
— 117 —
Molti autori sono contrari ai pali, perchè le piante legate danno
bensì getti più vigorosi, ma il fusto rimane più esile. E difatti, attorno
ad una pianta lasciata libera, l'aria circola meglio se anche per lo
scuotimento del vento si romperà qualche radice, nasceranno altre
radici giovani, poiché la pianta è costretta a trovarsi dei nuovi punti
d'appoggio. Per il fatto poi, che ogni parte libera cresce sempre più
vigorosa di altra tenuta legata, e per il risparmio di tempo e di denaro
che si ha, non si può fare a meno di parteggiare per quelli che sono
o contrari alla palatura. Una pianta da frutto bene allevata con fusto
e rami robusti non può aver bisogno di pali.
Soltanto ai fusti non diritti, il palo è necessario.
I pali devono essere diritti, non tanto grossi, secchi e scortecciati.
Non devono essere tanto grossi perchè colla loro ombra dannegge-
rebbero il fusto. E' bene siano di castagno o frassino.
Perchè si conservino a lungo, il requisito principale è quello della
secchezza ; la carbonizzazione, l'immersione nel catrame, nella soluzione
Fig. 1.32. Incurvatura di un ramo fruttifero.
di solfato di rame o ferro, sono mezzi che giovano limitatamente,
avendo queste sostanze una azione superficiale se al più i pali non
sono straordinariamente secchi. Per essere sicuri che i pali si conser-
vino a lungo, bisognerebbe sottoporli, in stabilimenti speciali, ad un
trattamento di pressione per impregnarli di solfato di rame o subli-
mato corrosivo.
L'estremità del palo è bene venga a trovarsi a 5-10 cm. al di sotto
della prima diramazione della corona, e si fanno le legature come è
indicato nella Parte sesta Gap. XVIII.
Si potrà anche tenere fermo il fusto al palo con due anelli, che si
possono aprire a cerniera, rivestiti di paglia e fìssati uno a circa 10 cm.
sotto alle estremità del palo e l'altro a metà altezza. Questi anelli si
possono fare con filo di ferro grosso, quello di scarto del telegrafo.
Trattandosi di piante appoggiate, allora la legatura in secco consi-
ste dapprima nel legare le branche più robuste alla intelaiatura contro
cui esse vengono allevate ; si passa poi alle branche secondarie, quindi
ai rami a frutto, e di questi, prima si legano i superiori e poi gli
inferiori.
— 118 -
Sul modo di legare e sulla qualità delle intelaiature, mi intratterrò
più a lungo quando si parlerà delle spalliere e loro armature nella
Parte sesta.
X.
Potatura verde.
Quantunque sia antichissima la pratica della potatura verde, con
tutto ciò da noi è ancora assai poco generalizzata. Nella coltura della
vite è entrata fra le pratiche ordinarie, non cosi nella coltivazione
delle altre piante da frutto. Eppure sono tanti i benefìzi che si traggono
colla potatura verde e si eseguisce con tanta facilità, che non si può
fare a meno di raccomandarla caldamente quale una delle pratiche
più importanti.
Vedremo più innanzi lo scopo delle diverse operazioni che si com-
prendono sotto il titolo di potatura verde ; per ora basta accennare,
che con questa si completa la potatura secca, si favorisce la fruttifi-
cazione migliorando la qualità e si facilita infine la potatura secca del-
l'anno prossimo.
1. La scacchiatura. — Scacchiare vuol dire : togliere alle piante
tutte le messe nuove mal situate o superflue, perchè se ne avvantaggino
i rami, che danno o devono dar frutto e quelli destinati a costituire
l'ossatura della pianta.
La scacchiatura devesi perciò cominciare quando sorgono dei ger-
mogli inutili sul tronco e sui rami. Siccome questi getti crescono a
danno dei rami normali, è naturale che questa operazione devesi fare
in primavera, appena essi spuntano e devesi ripetere ogniqualvolta
avessero da rigermogliare.
La scacchiatura ha una particolare importanza pel pesco e per la
vite. Per la proprietà che hanno queste piante di portar frutto soltanto
sui rami formatisi nell'anno antecedente, il frutticultore ha, nella scac-
chiatura, un potente mezzo per provvedere, non soltanto ad una buona
fruttificazione dell'anno in corso, ma anche alla formazione di buoni
rami a frutto per l'anno venturo.
Dobbiamo però in particolar modo far delle osservazioni rispetto
al modo di scacchiare queste due piante.
Noi, colla scacchiatura, togliamo l'equilibrio naturale esistente fra
lo sviluppo aereo e quello sotterraneo della pianta. Questo squilibrio
può essere vantaggioso quando si tratta di una pianta adulta, poiché
allora la linfa va a rinvigorire quei getti che rimangono. Se invece la
pianta è giovane oppure molto vigorosa, pel soverchio afflusso della
linfa, i frutti maturano a stento, spesse volte cadono, e nei peschi ed
altre piante a nocciolo, essa produce molto facilmente il male della
gomma. Quindi non si deve fare la scacchiatura in una sol volta, bensi
incominciare coi germogli posti sulle parti più favorite della linfa,
- 119 -
cioè verso la soniinità dell'albero, ed 8 o 10 giorni dopo, si levano via
quelle delle altre parti.
Riassumendo :
a) La scaccliiatura non devesi applicare atTalto sopra piante gio-
vani, e deve essere limitata per quelle anche adulte, che sono mollo
vigorose.
b) Non devesi scacchiare in una sol volta una pianta, si inco-
minci dall'alto e doj)o 8 o 10 giorni si ritorni, per scacchiare i rami
interiori.
e) Per le piante vecchie, deperenti, la scacchiatura ha la massi-
ma importanza non soltanto pei frutti pendenti, ma perla preparazione
dei frutti e rami dell'avvenire.
La scacchiatura si fa meglio colle mani che cogli strumenti da
taglio. Se i germogli sono troppo sviluppati perchè strappandoli si fa-
rebbe una ferita troppo lacera, conviene adoperare il potatoio.
2. La cimaliint. — Consiste nel sopprimere coli' unghia del dito
pollice, premendo contro l'indice, l'estremità dei germogli. Togliendo
la cima ai germogli, arrestiamo per il momento il loro sviluppo in
lunghezza, e la linfa fa ingrandire le foglie, ingrossare i frutti e le
gemme sottostanti.
Mentre la cimatura arreca notevoli vantaggi sullo sviluppo della
frutta, non ha altrettanto benefica influenza sulla qualità dei fruiti. Da
esperienze fatte, specialmente sulla vite, è risultato, che quanto più si
cima tanto più grosse riescono le frutta, ma tanto meno dolci ed aro-
matiche. Cosi si può osservare quotidianamente, che una stessa varietà
di piante da frutto, allevata a pieno vento e senza cimatura dà frutta
bensi più piccola, ma più gustosa e dolce di quella ottenuta con una
forma appoggiala.
Come per la scacchiatura, la cimatura non si deve fare in una sol
volta sopra la medesima pianta ma gradualmente, alla distanza di
qualche giorno, cominciando dai germogli superiori; cosi conviene la
sua applicazione più o meno rigorosa a seconda del vigore della pianta
e della sua fertilità. Quanto più produttiva è una pianta, tanto meno
occorre cimare; cosi, quando si ha eccessivo vigore sarebbe un errore
cimare troppo corto e, se la pianta è debole, si lascia intatta.
Colla cimatura ci proponiamo tre scopi:
a) Di rallentare lo sviluppo dei germogli che crescerebbero
troppo vigorosi, e di favorire lo sviluppo dei più deboli.
b) Di mantenere i rami a frutto già costituiti negli anni prece-
denti e di conservare, migliorando, il frutto pendente.
cj Di provocare lo sviluppo di nuovi rami o gemme a frutto.
A raggiungere il primo scopo e cioè di equilibrare la pianta, basta
sorvegliare se qualche germoglio minaccia di passare gli altri in lun-
ghezza. In questo caso, cimando il germoglio più vigoroso all'altezza
dei deboli, si rallenta il suo sviluppo.
Per raggiungere gli altri due scopi, bisogna distinguere a seconda
pelle diverse specie di [)ianle.
120 -
3, L'incisione anulare. — Anche questa è una operazione che si fa
esclusivamente alla vite e che riporto dal mio Manuale Hoepli: — Uue
da tavola.
"Quando la vite è in piena fioritura, allo scopo di impedire la
colatura dei fiori nonché di sviluppare di più il grappolo anticipando
anche la sua maturazione, si suole togliere un anello di corteccia larga
3 mm, (A fig. 133) immediatamente sotto il primo grappolo, in modo
però da non intaccarre l'alburno. Questa incisione fa arrestare la linfa
elaborata dalle foglie superiori a vantaggio dei grappoli.
" Nell'allevamento delle uve da tavola si può
applicare questa incisione soltanto quando si de-
vono sopprimere lutti i getti che portano frutto,
come sarebbe col sistema Guyot, non mai però
quando trattasi di cordoni permanenti.
" Per meglio eseguire l'operazione, anziché ado-
perare un coltello, si sono costruite delle appo-
site tanagliette, quali quella del Pulifìci (fig. 67). „
4. — Uinfrangimento si opera sui germogli al
di sopra di cinque o sei foglie, allorquando la
loro base ha preso una consistenza legnosa. Vien
fatto specialmente sui germogli degli alberi a gra-
nella, ma solo quando non si é potuto operare la
cimatura. L' infrangimento si fa appogiando il ta-
glio del potatoio contro il ramo al punto in cui
si vuol recidere, rovesciando col pollice questo
ramo sopra la lama e invece di svettarlo, lo si
lascia penzoloni, acciò continui a vegetare anche la parte infranta e
così evitare che le gemme della parte inferiore, diano per il soverchio
vigore dei rami anticipati, anziché dei dardi (fig. 134).
5. — La torsione si applica nello slesso caso dell'operazione pre-
cedente. Per fare la torsione si prende con due dita della mano sini-
stra il ramo sul quale si vuol operare e coli' altra mano si torce la
parte soverchia, sopra la parte inferiore (fig. 135).
6. — L' incurvamento dei rami consiste, nel curvare a forma di
cerchio o ad arco certi rami, allo scopo di costringerli a dar frutto.
7. Legatura in verde. — Consiste nel fissare contro i muri e le arma-
ture i germogli di prolungamento dei rami delle piante allevate a spal-
liera, come anche i getti fruttiferi del pesco e della vite. La legatura
in verde o palizzatura di estate, come viene anche chiamata, serve per:
a) supplii'e alla sfrondatura.
b) riparare ai difetti della potatura secca.
e) facilitare la colorazione e la maturazione dei frutti.
d) favorire l'afflusso della linfa piuttosto sopra una branca che
sopra un'altra.
e) preparare la pianta al taglio secco, rendendolo meno lungo
e diffìcile.
Fig. 133. — Incisione
anulare della vite
A - l'incisone
- 121 —
f) evitare che i giovani germogli si pieghino e si guastino per
il vento.
L'epoca nella quale bisogna fare la palizzatura dipende interamente
dalla specie ed anclie dalla varietà dell'albero, sul quale si opera. È
evidente che le varietà che danno frutta precoci devono essere paliz-
zate prima e più tardi le varietà tardive. Ciò dipende anche dalla ve-
getazione della pianta più o meno rigogliosa, poiché è naturale, che
una pianta vigorosa bisognerà legarla prima che una debole. Dunque
noi non diremo, come molti autori, che la palizzatura devesi fare in
giugno o luglio ; suggeriremo invece di farla nel momento in cui si
presentano minori inconvenienti.
Quando il muro non ha reticolati, conviene servirsi di stracci, al-
trimenti s'impiega il giunco, che è la più economica fra le legature
'^y Fig. 134. — Intranginiento.
Fig. 135. — Torsione.
Nel legare bisogna por mente che il germoglio possibilmente non toc-
chi il chiodo od il filo di ferro, perchè si potrebbero produrre delle
ferite, e nelle piante a nocciolo la malattia della gomma. Naturalmente
le legature bisogna farle rilassate, nella prevenzione dello sviluppo dei
germogli.
8. — Taglio verde da molti anche chiamato potatura in verde. Con
un tal titolo si indicano tutte le amputazioni fatte col potatoio o colla
forbice, quando gli alberi sono in vegetazione e servono a liberare le
piante di quei rami, che furono lasciati nella potatura secca per un
dato scopo che non hanno raggiunto.
Cosi ad esempio per il pesco, se un brindillo venne lasciato lungo
per portare frutti e questi non attecchirono, si taglia il detto ramo
immediatamente sopra alle due prime gemme, per ottenere da queste
due germogli più vigorosi dalla base. Cosi per la vite. Se dopo lo svi-
luppo dei germogli uviferi, viene una tempesta che li danneggia, si
taglia il ramo a frutto, per rinforzare i due germogli dello sperone.
— 122 -
Inlìne, se questi rami hanno portato fruito si possono tagliare appena
il frutto è stato raccolto.
Un tale taglio si fa quindi dal maggio al mese di settembre e cioè
appena, quella data parte di ramo, viene riconosciuta inutile.
Il taglio verde conviene ancora ap])l icario quando si vede minac-
ciato l'equilibrio fra le branche.
9. Soppressione dei bolloni, dei fiori e dei frutti troppo numerosi. —
Negli anni d'abbondanza, se si lasciassero tutti i frutti, essi restereb-
bero piccoli, di qualità scadente e l'albero si guarnirebbe di un esiguo
numero di gemme a frutto per l'anno venturo.
Per gli alberi con frutto a nocciolo, la soppressione si deve fare
quando gli endocarpi si sono già formati, e cioè in principio di giugno.
Si abbia cura, nella soppressione, di conservarne meno sui rami deboli
che sui forti. Per i peschi se ne possono lasciare da 20 a 25 per m^„
e sugli albicocchi da 40 a 50.
Sul pero e sul melo si fa la soppressione presso a poco nella me-
desima epoca, togliendo i frutti mal formati, i quali in seguito si dira-
dano in modo, da lasciare una mezza dozzina di pere per ogni metro
di lunghezza del ramo. Naturalmente tutto ciò dipende dalle varietà di
I)iante che si coltivano.
Per il commercio delle uve da tavola, onde ottenere degli acini
più voluminosi, si suole lasciare un solo, al massimo due grappoli,
per ti'alcio fruttifero.
Quando gli acini hanno raggiunto la grossezza di un pisello si
diradano con forbici (fig. 45) non aguzze a punta accuminata, ma appo-
sitamente costruite, togliendo quelli meno sviluppati e troppo fìtti.
Trattandosi di viti giovani o molto vigorose, le quali di solito danno
grappoli lunghi, si recide addirittura la punta del grappolo per 2 o 3
cm. di lunghezza.
Col diradamento si tolgono anche tutti gli acini non fecondati ed
imperfetti. Alle varietà ad acini grossi si tolgono circa due quinti de-
gli acini ed alle uve con acini piccoli, circa il quinto. Così gli acini
lasciati si sviluppano straordinariamente, l'uva matura meglio, più
presto, non infracidisce, e viene meno colpita dagli insetti.
E' una operazione questa di somma delicatezza, che per lo più
viene fatta dalle donne. Nel fare il diradamento, non si deve toccare
il grappolo, né gli acini che si devono lasciare; bisogna acquistare
una certa pratica per saper scegliere gli acini da tagliarsi avendo ri-
guardo anche alla forma del grappolo.
La soppressione dei bottoni e dei fiori si può applicare con van-
taggio sopra piante deperenti. A tutti è noto che una pianta da frutto,
esaurita o vicina a morire, emette una quantità di bottoni e poi di
fiori. Lasciando queste produzioni, non si farebbe che aflrellare la
morte. E' quindi consigliabile, quando la pianta è in fioritura, di levare
delicatamente tutti i fiori. Avviene molto di sovente che allora, alla
base dei fiori, vengono emessi dei germogli e con ciò la pianta acquista
- 123 -
in vegetazione. Per la difficoltà della scelta dei bottoni non possiamo
consigliare la soppressione di questi, bensì quella dei fiori, che è molto
più sicura.
10. Sfogliatura. — Questa operazione ha lo scopo di esporre diret-
tamente i frutti all'influenza dei raggi solari, perchè diventino più sa-
l)oriti ed anticipino la maturazione. Si pratica specialmente sui peschi
e sulla vite, allevati a spalliera. La sfogliatura si comincia quando i
frutti sono sul punto di maturare, e cioè 10 o 12 giorni prima della
raccolta.
Si levano le foglie che stanno fra il frutto ed il muro per uti-
lizzare meglio i raggi riflessi da quest'ultimo.
Quando comincia la maturazione dei grappoli e cioè quando gli
acini cominciano a cambiare di colore, si sopprime qualche foglia
esterna, e specialmente quelle che danno troppa ombra. Perciò le foglie
'poste sotto e piegate contro il muro, poi quelle che toccano i grappoli,
conservando però sempre una o due foglie sopra al grappolo che
funzionano da riparo.
11. Privazione della luce. — Si sa che la luce è uno degli agenti
principali di vegetazione delle piante. Quando si vuole che una parte
della pianta, perchè troppo vigorosa, non continui a crescere a scapito
di un'altra, si suole coprire quella più vigorosa con una stuoia distesa
sopra un telaio : e questo riparo si lascia fino che 1' altra parte rag-
giunge lo sviluppo desiderato. Questo sistema è impiegato specialmente
alle spalliere di pesco.
12. Insaccamento dei frutti. — Per preservare le uve da mensa dalle
api e vespe, già da tempo si usa insaccarle. Più recente è la pratica
dell'insaccamento degli altri frutti come le pere e mele che le preser-
vano dalla ticchiolatura, dalla pirale e da altre insidie.
Il frutto in realtà in questa vita confinata, oltre essere preservato
dalle malattie, acquista un aspetto più leggiadro ed aggradevole all'oc-
chio ; la buccia si rende più sottile, prende delle sfumature più deli-
cate; si sviluppa meglio e nell'assieme acquista dei pregi incontesta-
bili molto apprezzati sul mercato.
L'insaccamento dell'uva fa anticipare di qualche giorno la matu-
razione, ma non è consigliabile che per le varietà bianche poiché per
le altre il colorito riesce più sbiadito.
Per le pere e mele che devono prendere un colorito più intenso,
i sacchetti devono essere levati 8 o 10 giorni prima del raccolto, per-
chè possano godere del sole e dell'aria libera. Questo periodo è suffi-
ciente per far sviluppare alla buccia quel pigmento colorato e che
rende le frutta più apprezzate. Alle varietà molto colorate, l'insacca-
mento è meglio non farlo.
I sacchetti non devono essere tolti bruscamente, per evitare dei
colpi di sole. Il primo giorno si comincia a scoprire la parte vicina al
penducolo, il secondo giorno si scopre a metà ed appena nel terzo
giorno lo si leva del tutto. Queste operazioni si fanno al tramonto del
sole o nelle giornate coperte.
- 124 -
I sacchetti si fanno di carta bianca o giallastra semi lucida, im-
permeabile, in modo che la luce possa penetrarvi e aperti al di sotto
specialmente per l'uva.
Perchè il frutto rimanga aereato bisogna che il sacchetto sia grande
e si fanno dei fori con uno spillo nella carta ed anche sul fondo, perchè
scoli via l'acqua.
La forma può essere varia a seconda della forma presumibile del
frutto, ma la preferibile è a campana modello Opoix, che sono tenuti
aperti nel fondo mediante un filo o una lista di cartone. Il sacchetto
ha una fenditura laterale, che serve per farvi passare il penducolo del
frutto, poscia si riuniscono i margini piegandoli e si attaccano al pen-
ducolo, senza farvi entrare le foglie della borsa. La legatura si fa con
del filo di piombo.
Si possono anche adoperare dei sacchetti chiusi ed allora il frutto
viene quasi a contatto della carta, ciò che non è desiderabile special-
mente per l'uva.
L'uva si rinchiude nei sacchetti, appena fatto il diradamento degli
acini, scegliendo naturalmente i grappoli più belli e sani perfettamente,
poiché c'è molto da temere che l'uva nell'interno marcisca. Se si ha
questo timore si attenda anzi di fare l'insaccamento, all' invajatura.
L'insaccamento si raccomanda esclusivamente per le forme appog-
giate (cordoni, spalliere). Nelle piante libere, esposte al vento, l'insac-
camento fa cadere di più le frutta.
PARTE QUARTA
FORME
I.
Perchè alle piante da frutta si danno forme speciali.
1. — Abbandonando una pianta a sé stessa, essa assume un porta-
mento speciale, inerente alla sua natura e perciò chiamato portamento
naturale. Questa pianta si distinguerà fra tutte le altre coltivate per la
sua robustezza, longevità e dimensione. Se costretta invece a prendere
una data forma, secondo la volontà dell'uomo avrà un minore sviluppo
apparente, ma mentre dalla prima si otterrà un prodotto di frutta,
abbondante si ma saltuario, dalla seconda si otterrà costantemente un
sicuro prodotto. E qui non si limita il vantaggio delle forme.
Dando una forma alle piante, noi limitiamo lo spazio da esse oc-
cupato e perciò abbiamo la possibilità di coltivarne un maggior numero,
nello stesso spazio e senza danneggiare altre colture sottostanti. Di più
si assicura il prodotto, si rende più intensiva la produzione, così da
poter raggiungere lo scopo finale comune a tutte le industrie e cioè di
produrre il massimo con la minor spesa.
Se bene si rammenta il nostro benevolo lettore, un consimile ragionamento l'ab-
biamo latto quando si trattava di dimostrare la necessità della potatura e perciò la sua
importanza. Difatti lo studio delle forme non è altro che una applicazione continua
della potatura. Abbiamo dovuto studiare l'organizzazione delle diverse specie di piante
coltivate per trarne poi dei precetti o norme sui modi di potare, e in questo studio
delle forme bisognerà richiamare alla mente quelle istruzioni ed applicarle, a seconda
che lo consente la natura della pianta. Ad una pianta, è vero, si può dare quasi sempre
la forma che si desidera, ma noi dobbiamo considerare per razionale quella che ci dà
il maggior reddito. In una parola non tutte le forme si prestano egualmente od anche
per le specie di piante coltivate per le varietà della stessa specie.
Se guardiamo nel passato noi troviamo che le forme hanno una
storia molto più antica della frutticoltura in genere. L'uomo possiede
per istinto l'idea di dominare e di imprimere la sua volontà e certa-
- 126 -
mente nei parchi coltivati si avrà voluto dare alle piante una forma
piacevole all'occhio per dilettare la dama di corte o per rendere più
piacevole il soggiorno del principe.
Dilatti la storia ci racconta come ben allineati, tagliati e ben tenuti
fossero gli alberi dei ricchi giardini indiani e babilonesi. In tempi più
moderni sappiamo che i giardinieri francesi davano alle piante dei
parchi la forma di mostri, di statue, per compiacere re e cortigiani.
E' sicuro che noi di queste forme non intendiamo parlare. Oggi
col dare la forma ad una pianta ci proponiamo è vero di renderla
piacevole all'occhio, ma più ancora di renderla più produttiva. Quindi
non è il capriccio o il puro senso del bello che ci guida, ma è la pra-
tica razionale di coltivare le piante da frutto, avvalorata dagli esperi-
menti più rigorosi di persone competenti. La forma è il mezzo:
a) di ottenere la produzione massima di frutta dalle singole
qualità coltivate;
b) di diminuire i danni dell'ombra ad altre coltivazioni ;
cj di mantenere l'equilibrio fra le diverse parti della pianta e
quindi una maggiore regolarità di produzione;
d) di riparare le frutta dai danni del vento, della grandine ed
altre intemperie per quanto possibile ;
ej di affrettare o ritardare a piacere, la maturazione delle frutta ;
fj di ottenere frutta più grosse, più belle e saporite.
2. — Le forme che vengono date alle piante da frutto sono molte,
e variano a seconda della specie, delle condizioni di clima, terreno ed
infine a seconda delle condizioni economiche.
Le forme da me proposte sono quelle :
a) che si ottengono più facilmente;
b) che si ottengono in breve tempo cosi che presto occupano il
posto a loro designato ;
cJ che hanno le branche meglio disposte in modo che i frutti
possono godere al massimo l'aria e la luce;
d) che permettono senza difficoltà e con rapidità ed economia
di tempo a fare le potature e tutte le operazioni necessarie per com-
battere le malattie.
Come consiglio di abbandonare le forme cosi dette artistiche che
soddisfano più che altro il senso estetico o l'ambizione personale di chi
le ottiene, debbo anche raccomandare di ridurre sempre più quelle
forme giganti, quegli alberi che obbligano il potatore ad adoperare delle
scale lunghe e pericolose, in cima alle quali non si può operare mai
con esattezza e con raziocinio.
Una delle caratteristiche della nostra frutticoltura in Italia è il pre-
dominio di queste forme alte, naturali, raramente sottoposte al taglio.
Se andiamo negli Stati Uniti dove gli impianti sono recenti, razionali e
fatti per estensioni immense, la caratteristica di quelle piantagioni con-
siste nell'avere le piante senza fusto. Il fusto è completamente elimi-
nato. A queste ultime forme noi dobbiamo arrivare nella coltivazione
- 127 -
in grande e cioè alla forma a vaso o piramidale e che ora vedo appli-
cata abbastanza eslesamente per il pesco. I.e forme più piccole e le
appoggiate conviene applicarle per i fruiteti di speculazione e casa-
linghi.
Ed ecco senza altro le forme di cui tratteremo e che ritengo più
convenienti per le nostre piante da frutto.
libere
Forme
cordone .
»l)poggiate '^ ad
palmella
/ ^•
piramide
'''
fuso
\3.
basse
pieno e mezzo vento
alberello
cespuglio
\ 7.
ceppala
8.
annuo
permanente
\ 9.
semplice
' 10.
doppio
\ li.
U semplice
Iì2.
U doppia
,13.
U4.
verticale a 5 rami
Verri er a 6 rami
jl5.
semplice
'l6.
doppia
II.
Piramide.
1. — Fra le forme libere, la piramide è sicuramente delle più im-
portanti, sia per la sua eleganza, sia per la produzione. A dire il vero,
dagli scrittori più antichi la piramide è stata più apprezzata che non
adesso.
Gli appunti principali che le si fanno riguardano, alcuni la difficoltà di ottenerla,
altri la produzione, altri infine l' inflennza dannosa che subisce per le intemperie.
c;he vi siano delle difficoltà per ottenere (juesta forma, non puossi negarlo, e ciò
ho potuto constatare, non soltanto nella pratica, ma anche visitando dei frutteti nei
quali in pochi casi ho trovato delle piramidi perfette. I difetti principali di forma che
ordinariamente si verificano sono due e cioè : l'asse centrale riesce troppo sviluppato in
confronto delle branche laterali o viceversa. Nel primo caso abbiamo le piramidi poco
produttive, nel secondo delle piramidi poco resistenti ai venti. Ma tutto questo dipende
dall'imperizia del potatore, il quale non sa mantenere l'eipiilibrio fra lo sviluppo delle
branche e quello del fusto. Allora avviene che la linfa, essendo attirata per maggior
parte dalle branche inferiori, arriva all'estremità molto debole e perciò le branche
della cima riescono poco o affatto produttive, f^e estremità delle branche inferiori si
allungano troppo rimanendo debole la base, con evidente pericolo di rompersi col peso
dei frutti.
Rispetto alla produzione, molti asseriscono che questa non è tanto rilevante da
compensare lo spazio di terreno occupato dalla piramide, che i frutti lontani dall' asse
- 128 -
centrale si sviluppano poco, e quelli del centro non godono tutti i benefìzi dell'aria e
della luce.
10 credo invece che, fra le forine libere, sia la migliore per quantità di produzione.
Dopo 4 anni d'impianto, dalle piramidi si comincia già avere un discreto raccolto,
che va aumentando ogni anno tanto da dover diradare molto di frequente anche le
frutta pendenti.
Più fondata invece è l'osservazione che le frutta del centro sono poco ventilate e
che dalle branche si ottengono delle frutta poco sviluppate.
Per rimediare a questo inconveniente consiglierei di allevare a piramide soltanto
le varietà estive ed autunnali e non le invernenghe.
Le intemperie che maggiormente danneggiano le nostre piante da frutto sono : la
brina, i venti e la grandine. Per la brina è sicuro che la piramide soffre più del pieno
o mezzo vento, ma da noi son ben rari i casi in cui si formino delle brine tanto forti
al tempo della fioritura del pero, da danneggiare tutta la pianta. In ogni modo non
converrà^piantare a levante le piramidi, ma invece a file da nord a sud e possibilmente
nel mezzo del frutteto, anziché nei contorni. Invece il vento e la grandine danneggiano
meno questa forma che qualsiasi altra, inquantocliè il maggior peso della pianta gra-
vita in basso e le frutta vengono riparate dai rami superiori.
La piramide oggi è preferita anche per le piantagioni industriali
fatte in grande come si fa in California, dove per ettari ed ettari di
terreno si pianta in pieno campo.
2. — Non tutte le specie fruttifere si prestano per la piramide. Le
varietà più vigorose del pero sono quelle che meglio si adattano, poi
viene il melo. Anche col ciliegio e susino e specialmente per alcune
varietà si possono avere delle buone piramidi.
3. — La piramide, come io la intendo, componesi d'un fusto alto
da m. 3 a 4, il quale, cominciando da 35 a 40 cm. dal terreno, porta
dei rami (branche) laterali, la di cui lunghezza diminuisce regolarmente
di mano in mano che si avvicinano all' estremità. Dico regolarmente,
poiché per stabilire la lunghezza delle branche bisogna tenere per
principio, che ogni branca deve avere una lunghezza eguale ad un terzo
della distanza che separa la sua base dall'estremità. Cosi ad esempio unn
piramide alta m. 3 dovrà avere le prime branche inferiori lunghe m. 1.
Nella fig. 136 riporto l'illustrazione di una piramide tipica.
Le branche non devono mai biforcare e devono portare solo dei
rami a frutto. Le biforcazioni però molte volte sono utili per rimpiaz-
zare un vacuo ; ma lasciandole, si incorre nel facile pericolo di squi-
librare la pianta e di avere dei rami troppo fitti, come si vede nella
lìg. 137.
Nei primi anni queste branche devono venir dirette in modo da
formare col piano orizzontale un angolo di 48°, che negli anni succes-
sivi poi prende una inclinazione di 45" fino a 40" per il peso delle
frutta pendenti. Colla inclinazione di 48" si ha la massima ventilazione
ed una maggior azione della luce. Questa inclinazione ha pure il
vantaggio di favorire l'allungamento delle branche e contemporanea-
mente di rinvigorirsi in modo da poter poi sostenere il peso dei frutti.
11 contrario succede quando le branche formano un angolo di 25"
o meno. Trovandosi in questo caso quasi orizzontali, acquistano poca
forza e tendono a piegarsi sempre più colla fruttificazione.
- 129 -
Come il lettore vede nella fig. 136, le branche laterali sono
disposte a serie di 4 quasi unite alla base. Ciò non si può ottenere
sempre facilmente, anzi dirò che praticamente alla prima serie si
lasciano anche 5 branche e nelle serie superiori 4, e, se non vengono
Fig. 136. — Piramide alata.
tutte unite e sovrapposte una all'altra come si vede nella fig. 137, si
procura che si alternino, in modo da ottenere un cono completo.
Nel primo terzo d'altezza è bene che le serie distino fra loro 25 cm.,
nel secondo 30 cm., nell'ultimo terzo 35 cm. e ciò perchè le branche
inferiori, essendo più lunghe, tendono sempre a piegarsi di più delle
branche superiori.
9 — Tamaro - FrutticoHiira.
- 130 -
4. — Per formare delle piramidi si scelgano dei soggetti vigorosi
di un anno (fìg. 138). Preferisco i soggetti di un anno a quelli di due,
poiché questi ultimi non hanno di solito diritta l'asta di prolungamento,
in causa del taglio a cui vengono sottoposti nel primo anno di vivaio,
oppure hanno delle biforcazioni.
Fig. 137. — Piramide comune.
L' impianto si fa in linea a 3 o 4 metri di distanza fra pianta e
pianta (ossia ad una distanza eguale all'altezza a cui si vuol far arri-
vare la piramide) ed in caso in cui si avessero a piantare lungo il ci-
glio di un appezzamento, a m. 1,50 di distanza dal viale.
Nel primo anno d'impianto si recide il soggetto a 50 cm. dal ter-
reno e sopra una gemma [h fig. 138) opposta alla parte dove il fusto
rimane incurvato per l'innesto (« fìg. 138).
131
La potatura verde comincia quando le giovani gettate hanno rag-
giunta una lunghezza di 5 cm. Se ne sceglie una per prolungamento e
la si mantiene diritta mediante un tutore. Dei getti laterali si scelgano
5 buoni germogli equidistanti uno dall'altro, sopprimendo tutti gli altri.
A questi germogli si dà una inclinazione di 48° mediante bacchette
che si incrociano sull'asse della pianta. Praticamente si suole misurare
la lunghezza del germoglio e si dà poi alla bacchetta una inclinazione
tale che la sua estremità disti dal fusto di '^j.^ di questa lunghezza.
Quando questi germogli hanno raggiunto la lunghezza di 50 cm. si
cimano di 10 cm. riducendoli a 40. Si abbia
cura di cimare soltanto le gettate forti, le de-
boli è meglio lasciarle intatte. Molte volte que-
sta cimatura bisogna rinnovarla 2 e 3 volte
lungo la stagione. Applicando questa cimatura
noi favoriamo lo sviluppo del fusto il quale,
alla fine dell' anno, deve essere la metà o due
terzi più lungo delle branche laterali e 4 o 5
volte più grosso. Sul fusto non consiglio perciò
di fare alcuna cimatura, però quando si tratta
di ristaurare un albero male equilibrato o
quando la linfa accenna ad abbandonare le
branche inferiori, la cimatura del prolunga-
mento del fusto può recare dei vantaggi.
Per spiegare i tagli che si devono applicare
negli anni successivi per formare la piramide,
tratteremo separatamente il taglio del fusto, il
taglio delle branche laterali ed il taglio dei
rami fruttiferi.
5. — Il prolungamento del fusto si po-
trebbe chiamare debole, quando la sua lun-
ghezza non oltrepassa i 25 cm. In questo caso
conviene lasciarlo intatto ed anzi lasciarvi la
gemma conica terminale, poiché questa ha
sempre un vigore superiore alle gemme sottostanti ed assicura uno
sviluppo maggiore al fusto nell'anno venturo. Se il prolungamento in-
vece ha una lunghezza superiore a 25 cm. allora bisogna tagliarlo
sopra una gemma opposta a quella sulla quale si è tagliato nell'anno
antecedente. Ed a quale altezza mi chiederà il lettore? All'altezza
a cui si vuol ottenere la prossima serie delle branche, epperciò, al
primo terzo d'altezza della piramide, a 25 cm., nel secondo terzo
a 30 cm. ed all' ultimo terzo a 35 cm. Nel caso in cui il prolun-
gamento avesse una lunghezza di oltre 80 cm. con dei rami conve-
nientemente disposti, che si alternano coi sottostanti e ad una conve-
niente distanza, si taglia il prolungamento fino a 75 cm. di altezza
poiché in tal caso si ha il vantaggio di ottenere due serie di branche
in un anno.
Fig. 138. — Primo taglio
di un pero per ottenere
una piramide.
- 132
Per stabilire la serie, una volta tagliato il prolungamento del fusto
all'altezza ora enunciata, si scelgano subito le quattro gemme meglio
situate e dalle quali si spera ottenere le prossime branche per formare
la nuova serie. Le altre gemme conviene addirittura accecarle.
Il taglio del prolungamento bisogna farlo in modo da lasciare un
mozzicone sopra l'ultima gemma, il quale serve poi per tutore del
germoglio terminale.
Fìg. 139. — Piramide di due anni
colle indicazioni del taglio.
Fig. 140. — Piramide precedente
di tre anni colle indicazioni del taglio.
6. — La lunghezza delle branche laterali 1' ho già detta parlando
sulla generalità della piramide. E cioè : ogni branca deve avere una
lunghezza eguale ad un terzo della distanza che separa la sua base dal-
r estremità.
Per conseguenza ogni anno tutte le branche laterali non si pro-
lunghino oltre un terzo della lunghezza a cui si è tagliato il pro-
lungamento del fusto. Così ad esempio se il prolungamento è stato
tagliato a 30 cm., alla branca si dovrà lasciare un prolungamento non
superiore a 10 era.
- 133 —
Fig. 141. — Piramide precedente nel sesto anno.
- 134 -
In tal modo tutte le gemme terminali di queste branche vengono a
trovarsi a medesima altezza e nel caso in cui non lo fossero, si devono
piegare con una freccia di legno.
Il taglio bisogna farlo sopra una gemma rivolta al terreno oppure,
se si tratta di drizzare una branca, si taglia sopra la gemma che guarda
la direzione voluta. Non bisogna però mai tagliare sopra una gemma
rivolta in alto. Se una branca avesse per gemma terminale un dardo,
Fig. 142. — Piramidi prima della potatura.
conviene tagliare fino alla prossima gemma a legno, collocando più
verticalmente la branca, perchè la sua gemma terminale venga a tro-
varsi al medesimo livello delle altre.
La potatura verde del ramo di prolungamento consiste nel vigilare
che il germoglio terminale cresca vigoroso e diritto. Dei germogli la-
terali, si allevano quelli che devono formare la nuova serie, cimandoli
a cni. 40 se avessero a superare questa lunghezza.
— 135 -
Si cimeranno pure i germogli di prolungamento delle branche in-
feriori. Si abbia l'avvertenza di scacchiare tutti i germogli che sorgono
verticali e si mantengano quelli laterali soltanto, svettando anche quelli
rivolti in basso. Ai germogli che si lasciano, si applica la cimatura
colle regole indicate parlando della cimatura del pero (Vedi Parte III,
capitolo XII).
Fig. 143. - Piramidi dopo la potatura.
7. — Dovrei parlare delle piramidi alate di cui una l' abbiamo
rappresentata nella fig. 136. Questa forma non ditlerisce da qiiella già
descritta che per la disposizione delle branche laterali ; esse sono di-
sposte simmetricamente le une sopra le altre, lasciando fra loro un
largo spazio libero.
Per ottenere questa forma occorre una impalcatura apposita, ma
io mi limito qui soltanto a citarla, poiché è ben raro il caso di poterla
- 136 -
ottenere con una certa perfezione, e poi questa forma serve più per
dimostrare la capacità del frutticoitore, che per l'economia della pro-
duzione.
Il taglio dei rami a frutto è semplicissimo, perchè basta applicare
sulla piramide la potatura dei rami a frutto che verrà descritta par-
lando delle singole specie. Bisogna sempre tenere in mente che le bran-
che della piramide devono portare esclusivamente dei rami a frutto.
Fig. 144. — Pirainkli potate.
Tutti quei rami legnosi o troppo vigorosi o che per la loro posizione
(verticale) potrebbero diventare tali, conviene scacchiarli o cimarli,
ecc., come abbiamo già descritto a suo tempo.
Nelle fig. 139 e 141, sono rappresentate tre piramidi di 2, 3, e 6
anni, colla indicazione dei tagli.
8. — Molto di sovente avviene di trovai^e nei giardini o frutteti
delle piramidi di brutta apparenza, perchè non sottoposte ai tagli ra-
zionali. Si trova per esempio che i prolungamenti del fusto sono stati
— 137 -
tagliati troppo lunghi e le branche laterali sono troppo piegate verso
il centro od a meglio dire troppo verticali.
Lasciate a sé stesse tali piramidi, le branche inferiori dopo aver
dato ancora per alcuni anni dei frutti, perirebbero, mentre tutta la ve-
getazione si porterebbe in alto a formare una specie di scamoglio. Si
trovano anche delle piramidi aventi le branche inferiori soverchiamente
sviluppate, ma le superiori ed il prolungamento del fusto molto esili.
Nel primo caso si veda fino a quale lunghezza le branche inferiori
sono vegete, robuste -, — si tagliano a questa lunghezza ed il fusto si
tronca all'altezza corrispondente alle branche che si lasciano e cioè,
se le branche superiori lasciate avessero una lunghezza di cm. .SO il
fusto si recide a cm. 60.
Se la piramide da ricostituire avesse invece le branche inferiori
troppo forti, allora conviene abbattere il fusto a cm. 30 sopra la serie
ben costituita ed accorciare le branche delle serie conservate.
Nelle fotografie (fig. 142-144) abbiamo delle piramidi in diversa
gradazione di età.
III.
Fuso.
1. — Dopo la piramide il fuso merita il primo posto nei frutteti.
A questa forma si presta in particolar modo, anzi quasi esclusivamente,
il pero colle sue varietà meno vigorose non adatte per piramide. Tali
varietà sarebbero principalmente la Duchessa d'Angou-
lème. Passa Crassana, Olivier des Serres, Clairgeau, Col-
mar d'Aremberg.
Nella fig. 145 abbiamo rappresentato un fuso, che
potremmo definire cosi: una piramide avente un metro
o al massimo un metro e mezzo d'altezza e le di cui
branche laterali, invece di essere lunghe un terzo dalla
distanza che separa la loro inserzione dall'estremità
sono invece d'un quinto ed anche più. Le branche della
base non devono difatti sorpassare la lunghezza di cm.
20 ai 25. in modo che all'estremità del fusto non si tro-
vino che delle lamborde o dei dardi. 11 diametro infe-
riore del fuso misurerà perciò al massimo cm. 50.
Per l'impianto si scelgano dei soggetti di un anno
d'innesto, e, come per la piramide, nel primo anno si
lasciano intatti.
Nel secondo anno d'impianto si taglia il soggetto
a cm. 50 dal punto innestato ed al disopra di un'occhio
opposto al gomito che forma l'innesto. Qualora la pianta fosse prov-
veduta di buoni getti laterali, si potrà tagliarla anche a cm. 75 d'al-
Fig. 145
- 138 -
tezza. Al disopra della gemma su cui si taglia, si lascia un mozzicone
di cm. 5, il quale serve per legare il getto destinato a prolungare l'asta.
Durante l'estate sorgeranno lungo l'asta dei germogli e, sulle gemme
che non vogliono muoversi ; per provocare lo sviluppo dei germogli,
si fa superiormente a questa una tacca ed una incisione logitudinale
al di sotto. Nella parte superiore invece i germogli saranno anche
troppo vigorosi ed allora converrà cimarli a cm. 15 od al massimo 20.
11 numero dei germogli che si devono lasciare dipende dalla loro
distanza e dalla loro posizione.
Ogni anno il prolungamento si taglierà più o meno lungo, a seconda
che la parte inferiore del fusto è più o meno guernita di rami.
Generalmente si taglia lungo, il che equivale in via normale da
cm. 30 a .35. Le branche laterali si taglieranno sempre, come per la
piramide, sopra una gemma che guarda terra e ad una lunghezza che
corrisponda al quinto del fusto lasciato.
Per ottenere il fuso, più che alla potatura secca, la quale è facile
e molto spiccia, bisogna stare attenti alla potatura verde. Questa
consisterà nello scacchiare successivamente tutti quei germogli mal
situati, di mano in mano che vanno formandosi e nel cimare le bran-
che ed i rametti laterali in modo che il diametro inferiore del fuso
non sorpassi i cm. 50 ; — tutte le branche superiori poi gradualmente
devono essere sempre più coi'te.
IV.
Forme basse.
1. — Su queste forme io devo particolarmente richiamare l'atten-
zione del lettore, poiché esse convengono tanto per la frutticoltura in
grande con indirizzo industriale, come per i frutteti.
Quando un frutticoitore degli Stati Uniti viene in Europa a vedere
gli impianti dei nostri alberi da frutto, rimane meravigliato come a
tutte le nostre piante noi lasciamo un fusto, mentre egli ritiene che
questo sia inutile, perchè esso :
a) espone maggiormente la pianta ai danni del vento e delle in-
temperie;
b) rende la potatura e la difesa delle malattie più costose;
e) rende più costosa la spesa di raccolta ;
d) ritarda la fruttificazione della pianta che rimane improduttiva
per più lungo tempo ;
e) fa maggior ombra al terreno rendendolo meno adatto a col-
ture sottostanti ;
f) obbliga a tenere le piante più distanti, con perdita di terreno
utile.
Molti ritengono che le piante in questo modo non abbiano lunga
vita e sieno di poca produzione, ma questi sono pregiudizi. Quando si
- 139 -
ha cura di seguire le norme che andrò ora esponendo. È sicuro che
una pianta bassa potrà condurre una vita normale, non per un decennio
come dicono alcuni, ma anche per venti e più anni. Quanto riguarda
alla produzione, è sicuro che una pianta a pieno vento, di dimensione
dieci volte maggiore, produrrà più frutta di una pianta bassa, ma se cal-
coliamo il danno che arreca il pieno vento colla sua ombra, lo spazio
di terreno che occupa, e la qualità superiore di frutta che si ricava
dalle piante basse è certo che per frutteti di speculazione queste devono
essere le forme preferite.
Dobbiamo convenire che se noi non abbiamo quasi mai adottate
delle forme basse è perchè la frutticoltura non ha ancora un indirizzo
industriale specializzato.
Coltiviamo qua e là delle piante da frutto, abbiamo degli interi
filari nei broli, nelle aperte campagne e di varietà ordinarie, comuni,
che fruttificano abbastanza specialmente nei primi anni ma noi vo-
gliamo però lavorare egualmente il terreno coll'aratro e non è il pro-
dotto della pianta da frutto che ci preme ma quello delle colture er-
bacee sottostanti. In queste condizioni è certo che noi non facciamo
una coltura veramente redditiva di piante da frutto.
Io credo, e questo lo vado dicendo da parecchi anni, noi dovremmo
abbandonare in moltissimi casi i pieni e mezzi venti, fare dei filari a
larghe distanze con le piante basse, per coltivare le piante erbacee. Se
infine noi vorremo dare agli impianti un indirizzo industriale, sce-
gliendo delle varietà ricercate dai mercati internazionali, noi dovremo
coltivare il massimo numero di piante colla minima spesa e questo
si raggiunge solo con le forme basse.
Anche per i frutteti casalinghi, le forme basse sono molto racco-
mandabili.
2. — Le forme che or ora andremo illustrando richiedono però:
a) buona preparazione del terreno ;
b) terreno facile a lavorarsi, possibilmente irrigatorio special-
mente nei paesi caldi, fertile, di natura siliceo-argillosa, profondo ;
e) posizioni riparate dai geli e dalle brine ;
d) varietà molto precoci da mercato, molto produttive e di vi-
gore medio ;
e) cure assidue al terreno ed alle piante.
Le specie che più si adattano sono il pero, melo, pesco, albicocco,
susino e ciliegio, tutte innestate su soggetti di vigore medio. Cosi il
melo innestato sul paradiso o dulcigno ; il pero sul cotogno (il pero e
melo soltanto per varietà molto deboli si innesta sul franco) il ciliegio
sul mahaleb, il susino sul mirabolano, il pesco sul franco da seme.
Ordinariamente si prendono delle piante innestate al piede e di
uno o due anni di innesto e che, cominciando dal basso, siano fornite
di branche laterali, perchè allora è indizio che la pianta non tende a
portarsi molto in alto colla sua vegetazione. Al momento dell'impianto
non si lascino tutte le radici, anzi si recidano le più grosse, lasciando
140
invece le più sottili e superficiali. A dimora si collocano in quadrato
o a quinconce a 4-5 metri di distanza.
Di solito nei giardini casalinghi, si suole alternare le file di piante
di pero con quelle di pomo, colla vite tenuta ad alberello o ceppala
e con cespugli di ribes od uva spina. Volendo invece fare degli im-
pianti di intere aiuole, allora si mettono a quinconce alla distanza
sopra accennata.
Le piante basse si mettono lungo i margini delle aiuole alla di-
stanza di 2-3 metri, e in tal modo servono anche ad ornare il viale.
Le forme basse si distinguono:
in quelle a vaso con branche verti-
cali, in quelle a branche oblique con
o senza fusto ed in quelle a chio-
ma piramidale od arrotondata.
3. — Forme basse a vaso con
branche verticali. Questa forma rap-
presenta un vaso cilindrico portato
da un fusto alto 30 cm. Il piccolo
vaso (fig. 146) ha m. 1.80 di circon-
ferenza ed ha quindi 6 branche ed
i vasi più grandi hanno m. 3.60 di
circonferenza con 12 branche.
Per la formazione del vaso oc-
corre tagliare il fusto nel primo
anno a 30 cm. di altezza. Dalle
gemme terminali si alleveranno tre
germogli equidistanti che si pie-
gheranno a 60°, fissandoli ad un
cerchio avente il diametro del vaso
e che si tiene sollevato dal terreno all'altezza del fusto per mezzo di 3
pichetti, piantati nel terreno.
Nella primavera del secondo anno, ogni branca viene tagliata a
circa 20 cm. di lunghezza sopra due gemme laterali, sopprimendo le
gemme rivolte in allo. Da queste gemme laterali si alleveranno altret-
tanti germogli, i quali, raggiunto che abbiano il cerchio, si legheranno
a questo e si faranno crescere poi verticalmente.
Da questo momento comincia la formazione delle branche laterali
verticali, che si taglieranno ogni anno sopra una gemma in fuori.
La lunghezza a cui possono essere tagliate varia colla loro vigoria;
può essere ad Vs a V2 od anche a 7s- Si comincia a tagliare all'altezza
conveniente la branca più debole e le altre, si devono tagliar* alla
medesima altezza di questa.
Naturalmente queste branche devono portare esclusivamente dei
rami a frutto.
Per il vaso più grande di m. 3,60 di circonferenza bisogna fare una
seconda biforcazione prima di piegare verticali le branche.
[16. Forma bassa a
a branche verticali.
- 141 -
Come si vede questo vaso è una forma semplice, adatta particolar-
mente per il melo e per frutteti casalinghi. Essa è di beli' aspetto ma
ha l'inconveniente di dare dei succhioni sempre nel centro.
4. — Forma bassa a calice ossia a cono rovesciato con o senza fusto.
Per togliere quest'ultimo difetto praticamente si fanno dei vasi con
branche oblique in numero di 6, 8, 10, 12, che crescono senza tutore.
Il processo di formazione è simile a quello precedente.
Nello stesso anno dell'impianto si taglia la pianta all'altezza alla
quale si vuole ottenere la impalcatura dei rami e cioè da 20 a 50 cm.
di altezza. Lungo l'anno si allevano dall'estremità tre germogli equi-
distanti i quali, nell'inverno prossimo, si tagliano ad ^3 e sopra due
gemme che guardano ai lati, per avere da queste due nuovi germogli.
Durante il secondo anno si alleveranno oltre i 6 germogli terminali
delle tre branche anche quelli laterali, applicando a questi ultimi la
cimatura nel caso che fossero troppo lunghi e si sopprimono quelli
che sorgono in basso o verso il centro.
Nel terzo anno i 6 germogli terminali ottenuti nell'anno precedente
si devono considerare come branche secondarie che si taglieranno ad
Vs di lunghezza e pure sopra due gemme, una che guardi a destra e
l'altra a sinistra. Ai rami secchi si applicherà la potatura secca, per
avere dei rami a frutto e questa sarà fatta con criteri diversi a seconda
della specie di pianta e di ciò si parlerà nelle coltivazioni speciali.
In tal modo alla fine del terzo anno noi avremo una pianta con
12 branche terziarie, queste si tagliano a metà del loro prolungamento
e sopra una gemma che guarda in fuori.
Negli anni successivi i prolungamenti dei rami si taglieranno a '/^
e poi a ^/j in modo che le loro estremità vengano a trovarsi ad eguale
altezza. Il taglio terminale deve essere sempre
sopra una gemma a legno e che guardi in fuori.
Si avrà cura di mantenere la forma a vaso
durante il riposo della vegetazione colla scac-
chiatura dei germogli che si trovano fuori posto,
lungo le branche che vanno verso il centro o
che si incrociano o che sono troppo vicini ; colla
cimatura di quelli che si vogliono trasformare
in rami a frutto, colla mondatura e coi tagli di
ringiovanimento che si faranno ogni singolo anno.
Queste forme basse acquistano sviluppo di- ^. ..^
... ^ . Fig. 147. — Forma bassa
verso e si lasciera un maggiore o minore nu- a calice.
mero di branche a seconda del loro vigore.
Cosi nella fig. 147 abbiamo una forma bassa a vaso che ha preso
poco sviluppo, nella fig. 148 una forma molto più sviluppata.
Se invece di partire le branche primarie dal fusto all'altezza di 30-50
cm. si prendono tre rami che sorgono vicino al colletto e si aprono
a V sottoponendoli alla medesima potatura di formazione ora descritta,
si ha la forma bassa senza fusto a calice che prendono facilmente i
susini ed i ciliegi.
- 142 —
5. — Forme basse a chioma arrotondata o piramidale. Ci sono molte
volte delle varietà che prendono naturalmente la forma piramidale od
arrotondata.
Per la prima si applicherà per la potatura di formazione di cui
abbiamo parlato nel Gap. Il pag. 128.
La forma arrotondata si dà quando più getti, senza una direzione
determinata, si sviluppano all'estremità del fusticino. Allora si lasciano
quelli che sorgono ad una certa distanza fra loro e si tagliano a 5 o
6 gemme, avendo cura che la gemma terminale guardi da quella parte
da cui si vuole avere il prolungamento. Molte volte occorre averlo a
destra, altre a sinistra, epperciò secondo il caso si taglia sopra una
gemma che guardi a destra o sinistra. Volendo invece che la branca
si prolunghi nella stessa direzione, allora si faccia il taglio sopra una
gemma, che guardi il terreno e mai sopra una gemma che guardi in
alto. Se invece si vuole che la branca si biforchi, ciò che specialmente
si verifica nei primi tre anni per fare l'ossatura della pianta, allora si
taglia sopra due gemme, una che guardi a destra e l'altra a sinistra.
Durante il primo anno si avrà cura di allevare quei getti che de-
vono servire di prolungamento alle branche e gli altri si mozzano per
trasformarli in rami fruttiferi.
Nel secondo anno la potatura secca consisterà nel tagliare le bran-
che laterali sopra la sesta o settima foglia, coi criteri che ho detto
poc'anzi, e così ogni anno si va tagliando sempre più lungo fino a che
nel sesto, la pianta sarà già formata.
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Fig. 148. — Forma bassa a vaso conico di melo fra due mezzi venti di melo.
- 143 -
Dì mano in mano che crescono le branche, si deve aver cura di
allevare anche i rami fruttiferi e ciò si ottiene colla potatura verde,
scacchiando le gettate sorte in cattiva posizione o troppo fìtte, cimando
quelle che si lasciano ed applicando in fine tutte quelle operazioni che
agevolano la produzione dei rami fruttiferi. Nella potatura secca i dardi
e le lamborde, come è noto, si lasciano intatte f i brindilli si tagliano
ad una lunghezza varia a seconda della specie di pianta e, se e' è
qualche ramo che malgrado della cimatura, non abbia prodotto dei
dardi, allora conviene reciderlo, acciocché dalla sua base si possano
ottenere delle nuove gettate. Così, in tre anni, dopo l'impianto, si può
cominciare già a godere qualche frutto.
Molte volte, con tutte le attenzioni usate nella scelta delle piante,
avviene di trovarne alcune che riescono troppo vigorose e poco frut-
tifere. In questo caso conviene fare la scalzatura e tagliare le radici
più grosse e verticali. Se anche questo mezzo non riesce, conviene fare
il trapianto.
V.
Pieno e mezzo vento.
(Formazione del fusto).
1. — Il pieno vento nel senso assoluto della parola si dovrebbe
intendere quella forma che prende una pianta lasciata a sé stessa. In
frutticoltura invece per pieno vento, si suole chiamare queir albero il
cui fusto ha un' altezza che varia da m. 1,30 a m. 2, ed il mezzo vento
da m. 0,50 a m. 1,30.
Vi sono delle piante, come il ciliegio, il mandorlo, il noce, il ca-
stagno, le quali, innestate sul franco, vengono lasciate a sé stesse e
prendono la forma del pieno vento. Per queste il frutticoitore ha da
operare qualche taglio soltanto nel caso che qualche ramo crescesse
fuori posto e togliesse l'armonia. Invece il melo, pero, innestati sul
franco, nonché il gelso e 1' olivo, hanno bisogno dì essere guidati nei
primi anni per ottenere un bel fusto diritto ed una chioma regolare e
l'altezza del fusto non deve superare m. 1,70.
Molti frutticoitori giustamente preferiscono il mezzo vento, perchè
le piante iruttifìcano prima, sono più produttive, danno meno ombra,
si potano più facilmente e si difendono con minor spesa dai parassiti.
Difatti oggigiorno, il pieno vento non potrei consigliarlo che per gli
impianti lungo le strade e viali, o per il ciliegio, mandorlo, noce e
castagno. L'altezza del fusto del mezzo vento é molto variabile. Così per
il melo, pero, susino, albicocco, gelso ed ulivo, é bene varii fra m. 1
e m. 1,30 e per il pesco non deve superare m. 0,50.
Prima di descrivere le operazioni per ottenere il pieno e mezzo
vento, occorre premettere alcune norme per ottenere il fusto.
2. — La bellezza e robustezza del fusto, come pure il giusto rap-
porto delle sue dimensioni, oltre che dal clima e terreno, dipendono
— 144 -
in gran parte dal modo speciale di vegetare e ramificarsi delle singole
varietà. Ci sono delle varietà di lento o rapido sviluppo nella prima
età, ce ne sono di quelle le quali, più che a formare un'asta lunga,
diritta e robusta, tendono a ramificarsi cominciando dal basso rima-
nendo esile l'asta di prolungamento. È sicui'o che il frutticoitore deve
prestare attenzione a tutto questo e, mentre coU'arte si può rimediare
ad alcuni inconvenienti, non consiglierei mai però per l'alto fusto, delle
piante di lento sviluppo nella prima età e che tendono a ramificarsi.
Scelta dunque la varietà con questi criteri, si abbia cura di inne-
starla sopra soggetti ben robusti e sani. Passato l'anno dell' innesto,
bisogna pensare subito alla formazione del fusto.
Se il getto del nesto è debole e se ha dei rami laterali, non conviene
lasciarlo intatto come viene usato da molti, ma invece bisogna tagliarlo
a due o tre gemme sopra l'innesto per provocare nel secondo anno un
getto vigoroso. Perchè questo non prenda una direzione sconveniente,
non conviene tagliare immediatamente sopra la gemma che si intende
lasciare per ultima, ma lasciare sopra questa un mozzicone di legno,
il quale serve a legare il getto di prolungamento, quando si trova allo
stato erbaceo. Nel venturo anno questo mozzicone si recide alla base
o si può tagliarlo in luglio, coprendo la ferita con mastice.
Ben raro è il caso di trovare dei nesti che si possano lasciare
intatti per ottenere il fusto. Almeno per un anno è quasi sempre ne-
cessario di fare il taglio sopra descritto.
Negli anni successivi si abbia cura di non tagliare mai la gemma
terminale, perchè la più vigorosa. Questa attrae la maggiore quantità
di linfa e con essa si ha il prolungamento perfetto del fusto. Nel caso
in cui per una ragione qualsiasi la gemma terminale si rompesse, allora
si tagli a due terzi di altezza e sopra una gemma opposta alla curva
che ha preso il fusto od alla direzione del nesto.
Generalmente per ottenere i fusti, si usa di accecare tutte le gemme lungo il gio-
vane fusto meno quella terminale e cosi pure si sogliono recidere tutti i getti laterali.
Con ciò si hanno dei prolungamenti lunghi ma piìi deboli il che, se può essere
vantaggioso per un vivaista speculatore, non lo è certo per un proprietario al quale
interessa di avere fusti bene equilibrati e vigorosi.
Difatti le foglie sono gli organi aerei nutritivi più importanti della pianta. Togliendo
le gemme ed i getti laterali, noi priviamo la pianta di una quantità di organi, i quali,
oltreché attrarre una maggior quantità di succhi dal terreno, fanno sì che questi, dopo
elaborati, si immagazzinano nel fusto ingrossandolo. Quindi le gemme debbonsi lasciare
intatte.
1 getti laterali, generalmente parlando, sono più corti in basso e
diventano sempre più lunghi di mano in mano che si ascende all'e-
stremità del fusto.
Quando si fa la potatura secca, di questi getti non si tagliano alla
base che quelli aventi una grossezza superiore ad una matita; i rima-
nenti si lasciano, tagliandoli da cm. 6 ad 8 di lunghezza, avendo cura
di lasciare più lunghi quelli più vicini alla radice e di tagliare grada-
tamente più corti quelli che si portano all'estremità.
- 145 -
La potatura verde di questi getti consisterà, nel mozzare tutte le
gettate verdi sopra la terza foglia, e si lasceranno soltanto i germogli
cresciuti sotto la cima.
Operando in tal modo, noi otteniamo una crescita normale e ro-
busta del fusto tale, che nella maggior parte dei casi la pianta non
abbisogna di tutore. Ci sono però delle varietà, come il pero d'Amanlis,
che dà dei getti molto vigorosi, ma ritorti. Allora conviene applicare
un tutore per guidare il getto di prolungamento.
Quando questi fusti, proporzionatamente ben robusti, hanno rag-
giunto l'altezza voluta, nella primavera si tagliano per ottenere la co-
rona del mezzo vento.
VI.
Formazione della corona del pieno e mezzo vento.
1. — La forma della fronda può essere piramidale, cupoliforme od
a vaso, ed il frutticoitore deve assecondarla. Nel dubbio sulla scelta
della forma per qualche varietà, si lasci la pianta senza potatura per
uno o due anni dopo l'impianto, per rilevare quella che essa tende a
prendere naturalmente.
Se nel mezzo si vede che un ramo tende ad elevarsi sopra gli altri,
il frutticoitore sceglierà la forma a piramide; se vede che i rami sono
presso a poco della stessa lunghezza allora si deciderà per la chioma
cupoliforme ; se invece i rami tenderanno a divaricarsi e sporgere in
fuori, allora darà la forma a vaso.
Quando si potesse scegliere la forma quella a vaso è la preferibile
nella generalità dei casi. Difatti colla chioma a vaso è più facile di man-
tenere l'equilibrio fra i rami ; questi poi sono meglio aereati, perciò si
mantengono più sani, più robusti, danno frutta in maggior copia e di
qualità migliore; infine richiedono minor arte nella potatura di forma-
zione e di mantenimento della pianta.
Molti frutticoitori trovano dei difetti nella forma a vaso inquantochè
dà relativamente meno frutta ; i rami sono più danneggiati dal vento e
dalla neve; si lacerano più facilmente se carichi di frutta. Con tutto
questo, molte varietà di meli e, più ancora i gelsi, i peschi, albicocchi
e susini conviene allevarli a vaso.
Vediamo ora come si ottiene la corona a vaso.
2, — Ottenuto il fusto e tagliato all' altezza da m. 1 ad 1,20, come
abbiamo già detto, si svilupperanno lungo l'anno dei getti dalle gemme
all' estremità. Dì questi si abbia cura di allevarne tre, schiacciando
tutti gli altri, scegliendo quelli disposti più uniformemente intorno al
fusto e situati ad eguale altezza, come si vede nella fìg. 149, e che ten-
dono ad allontanarsi dalla direzione verticale del fusto. Non avendo
dei getti che corrispondano a questa ultima condizione, allora si pre-
io — T\>URO - Frutticoltura.
— 146 —
para un cercine di salice e si legano sulla sua circonferenza. Durante
il primo anno non occorre fare alcun'altra operazione.
Nella primavera del secondo anno, all'epoca della potatura secca,
ai tre giovani rami o branche primarie si tagliano a metà o ad un
terzo (a fig. 149) a seconda se i germogli sono più o meno robusti,
avendo l'attenzione che le due ultime gemme non guardino né in den-
tro, né in fuori, bensì siano divergenti ai lati.
E qui dobbiamo fermarci per fare un' altra osservazione che deve
valere anche pel taglio degli anni venturi.
Nella scelta dei tre germogli che ci hanno dato le tre prime bran-
che abbiamo procurato di preferire quelle che stanno più appresso fra
loro. Ciò non toglie però che ci saranno alcuni centimetri di distanza
Fig. 149. — Chioma a vaso
nel primo anno di formazione.
Fig. 1,50. — Lalprecedente
nel terzo anno di formazione.
fra una base e l' altra delle branche e quindi, se tagliamo tutte le
branche a metà, l'estremità della branca superiore sarà più alta della
immediatamente sottostante e questa più dell' inferiore. Con questo
criterio, noi porteremo uno squilibrio, poiché è sicuro che la branca
superiore si svilupperà molto di più delle inferiori. Per questo, nel
taglio si deve procedere dal basso in alto, e cioè tagliare a giusta
lunghezza la branca inferiore, o la più debole, quella di mezzo all'al-
tezza della seconda e cosi la branca superiore, in modo che le estre-
mità delle tre branche vengano a trovarsi ad eguale altezza.
Durante il secondo anno, deve essere cura del frutticoitore di alle-
vare i due germogli che sorgeranno dalle due gemme terminali delle
tre branche lasciate, in modo che prendano una direzione divergente
e si allontanino dal centro della pianta. Anche qui occorre molte volte
far uso di un cercine, come abbiamo osservato nel primo anno, per
costringere i getti a prendere una giusta direzione.
— 147 -
Dalle gemme sottostanti delle branche, come è naturale, si svilup-
peranno dei germogli. Quelli verticali o che tendono a portarsi contro
il centro conviene scacchiarli di mano in mano che si formano; se
ci sono invece dei germogli che guardano in basso od ai lati, allora si
può anche lasciarli, avendo cura però di cimarli sopra la quinta foglia.
Cosi si rinvigorisce la branca e negli anni venturi, se intralciano, si
possono togliere addirittura, oppure si lasciano per ottenere i primi
frutti.
Nella primavera del terzo anno il nostro mezzo vento avrà la forma
della fig. 150, e cioè avremo G branche secondarie.
Fig. 151. — Chioma a vaso di quattro anui
A queste branche si applica nuovamente il taglio a metà o ad un
terzo, come nell' anno precedente, sopra due gemme divergenti ai lati
e trovantisi ad eguale altezza.
Durante il terzo anno si cureranno i 12 getti terminali che sorgono
dalle branche secondarie, e lungo le branche si scacchieranno o si
cimeranno i germogli come abbiamo detto.
Nella primavera del quarto anno la pianta si presenterà come si
vede nella fig. 151 con 12 branche. Giunti a questo punto questi rami
si tagliano più lunghi, a due terzi, e sopra una gemma che guardi in
fuori, non avendo più bisogno di allargare la fronda.
Questo periodo di formazione della impalcatura può durare tre
anni, ma qualche volta dura di più e specialmente per le piante vigo-
rose, le quali esigono talvolta 12 e anche 24 branche. Come è evidente,
ciò può dipendere dalle condizioni in cui si trova la pianta, e dal vigore
della varietà che si coltiva.
— 148 —
Spesso si deve, nei primi anni, cimare lungo il corso della vege-
tazione, le branche che minacciano sorpassare le altre in forza; allora
naturalmente la cimatura devesi fare all'altezza a cui arriva il prolun-
gamento delle branche più deboli.
Formata la impalcatura della fronda, negli anni successivi si lasciano
le piante a sé stesse, procurando soltanto che tutti i rami si manten-
gano in equilibrio.
Fig. 152. — Gelso a pieno vento
colla indicazione del taglio
nel primo anno di formazione.
Fig. 154. — Gelso a pieno vento
colla indicazione del taglio
nel secondo anno di formazione.
Fig. 1.53. — Proiezione orizzontale
del gelso precedente.
Fig. 1.55. — Proiezione orizzontale
del gelso precedente.
Nella fig. 152 si vede un gelso coi segni del primo anno di potatura
e nella fig. 153 la proiezione orizzontale dei rami dopo tagliati.
Nella fig. 154 abbiamo lo stesso gelso nel secondo anno di potatura
e nella flg. 155 la rispettiva proiezione orizzontale dopo potato.
Nella figura 156 abbiamo il medesimo gelso nel terzo anno con
12 branche e nella fig. 157 la rispettiva proiezione orizzontale.
Nella fig. 158 abbiamo un gelso a mezzo vento già formato.
— 149 —
3. — Veniamo ora alla formazione del mezzo fusto a chioma pi-
ramidale.
Dopo aver parlato abbastanza diffusamente della forma a piramide,
avrei assai poco da aggiungere, poiché quello che sarà capace di alle-
vare una piramide le cui branche laterali si dipartono dal fusto, all'al-
tezza di cm. 50 dal terreno, potrà ancor meglio allevare la corona
piramidale del mezzo e pieno vento, per le quali forme si comincierà
operare a oltre m. 1 d'altezza, all'estremità del fusto.
Fig. 157. — Proiezione orizzontale
del gelso precedente.
Fig. 156. — Gelso precedente nel terzo anno.
Fig. 158. — Gelso a mezzo vento.
Dirò soltanto che dalla corona piramidale del mezzo e pieno vento
non si esige quella regolarità nelle branche, che si vuole colla pira-
mide già descritta.
Ottenuto il fusto all' altezza voluta, invece di allevare tre rami»
come abbiamo visto per ottenere la forma a vaso, se ne allevano di
più come si vede nella fig. 159. In questo caso il primo taglio consiste
nel tagliare l'asta di prolungamento a due terzi della sua lunghezza-
Dei rami laterali se ne scelgono 4, al massimo 5, i meglio disposti
intorno al fusto, e si tagliano a metà, in modo che dopo potati, abbiano
150
una lunghezza decrescente, così che la chioma acquista la forma pira-
midale. Si abbia cura di tagliare il prolungamento dell'asta su una
gemma opposta a quella sopra la quale è stato tagliato il fusto al mo-
mento dell'impianto ed i rami laterali si taglino sopra una gemma che
guardi in basso. Quei rami laterali con
una direzione troppo verticale si incli-
nano artificialmente a 45 gradi, frap-
ponendo una assicella assicurata al-
l'asse della piramide. Cosi noi abbiamo
la prima impalcatura della piramide.
'"I § Nell'anno successivo (fig. 160), dalla
gemma dell'estremità dell'asta si avrà
Fig. 159. — Chioma piramidale
di un pero a pieno vento nel
primo anno di potatura.
Fig. 1()0. — Pianta precedente
nel terzo anno di potatura.
Fig. 161.
Pianta precedente nel quarto anno
potatura.
un vigoroso ramo, che si taglierà ancora a due terzi. Sotto si saranno
sviluppati dei nuovi rami dalle altre gemme. Questi si tagliano a metà
lunghezza, come si fece l'anno precedente per la prima impalcatura
avendo cura di preferirne tre o quattro soltanto, alternati con quelli
- 151 -
inferiori. I rami inferiori della prima impalcatura si saranno allungati
ed il loro prolungamento si taglia a metà.
Passato il secondo anno non occorre alzare oltre la pianta. L'asta
di prolungamento si comincia a tagliare un poco più corta, mentre i
rami laterali si vanno tagliando sempre più lunghi fino a lasciarli
intatti. A seconda della pianta, questa operazione si fa oltre che nel
terzo, nel quarto e qualche volta nel quinto anno dopo l'impianto.
Nella fig. 161 abbiamo rappresentata una chioma piramidale colla
indicazione dei tagli nel quarto anno.
4. — La corona cupoliforme o sierica differisce dalla precedente
per avere tutti i rami pressoché di eguale lunghezza. Per ottenere
questa forma, basta sopprimere l' asta verticale e curare invece che
tutti i rami abbiano una inclinazione, in modo da permettere una ae-
reazione. Per ottenere una chioma cupoliforme, i rami verticali si ta-
gliano a metà, gli obliqui a due terzi e gli orizzontali si lasciano
intatti. Questa forma è molto produttiva e viene preferita da molti alla
forma a vaso.
VII.
Alberello, Cespuglio, Ceppaja.
1. Alberello. — A questa categoria appartengono gli alberelli che
si ottengono col ribes (fig. 162) e colla vite.
Per il ribes se ne parlerà nella
parte speciale. La vite, in frutticoltura
dobbiamo considerarla come produt-
trice esclusivamente di uve da tavola
Fig. 162. — Alberello di ribes.
Fig. 163. — Cespuglio di uva spina.
e la forma ad alberello per questo scopo non è la più conveniente,
mentre è vantaggiosissima per le uve da vino.
- 152 -
2. Cespuglio. — Il lampone, il ribes (fig. 163) ed il rovo hanno i
rami che si rinnovano ogni secondo anno dalla radice e perciò il loro
allevamento si deve fare a cespuglio, ed anche di questo si parlerà
nelle coltivazioni speciali.
3. Ceppaja. — Il nocciolo ed il fico si possono allevare a questa
forma tenendo i rami bassi, i quali si rinnovano dal ceppo dopo una
serie di anni.
Vili.
Cordoni.
1. — Per cordoni s' intendono quelle forme di piante, che consi-
stono del solo fusto rivestito esclusivamente di rami a frutto. I cordoni
si dicono orizzontali, obliqui, verticali od a serpentone, a seconda della
direzione che viene data al fusto. Il cordone è quindi la forma più
elementare, è l'albero ridotto ai suoi minimi termini.
La forma a cordone è molto conveniente, perchè facile ad ottenersi
ed in breve tempo, perchè fruttifica immediatamente e dà frutti sapo-
ritissimi e di molto volume. II raccolto è abbondante, sicuro, e per il
poco spazio che il cordone occupa, eleva la rendita del terreno occu-
pato ad un limite, che non può essere raggiunto da alcuna altra forma.
Non tutte le specie fruttifere e non tutte le varietà possono però
elevarsi a cordone. Così ad esempio, a cordone orizzontale conviene
soltanto allevare il pomo, alcune varietà di pero, ed a cordone verti-
cale, il pero, la vite; a cordone obliquo il pero; a spira il pero. Si
possono allevare a cordone anche altre specie fruttifere, come il cilie-
gio, il nespolo, ecc.; ma sono troppe le cure e l'arte che richiedono,
per poterle consigliare in generale. Bisogna aver cura di allevare a cor-
done delle varietà di poco vigore, di brevi cacciate e di raeritalli corti.
2. Cordone orizzontale. — Il cordone orizzontale è la forma più
elegante dei cordoni e la più produttiva, alla quale si presta in modo
singolare il melo. Serve a contornare le aiuole formando una specie di
siepe che impedisce l'accesso all' interno, e ad utilizzare le strisele di
terra, che per nessuna altra forma potrebbero servire.
Per condurre i meli o peri a cordone orizzontale, si piantano i
soggetti a file ben diritte e ad una distanza varia a seconda della qua-
lità del terreno e del vigore della varietà. Per il melo innestato sul
paradiso conviene la distanza da m. 1,50 a 2, e se innestato sul dolcigno
da m. 2 a 2,50. Per il pero innestato sul cotogno m. 2, e se innestato
sul biancospino m. 1,50.
Il cordone orizzontale può essere allevato in due maniere, e cioè
avente un solo braccio orizzontale o due opposti uno all'altro. Il primo
si chiama cordone orizzontale semplice od unilaterale (fig. 164); il
secondo è bilaterale, chiamato anche cordone doppio (fig. 165).
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Per ottenere un cordone orizzontale semplice, si comincia col ten-
dere un filo di ferro, all'altezza di 40 cm. dal terreno e lungo la linea
dove si vogliono i cordoni. Lungo questo filo si piantano i soggetti alla
dovuta distanza.
Nel secondo anno, al piede di ciascuna pianta, si infigge nel terreno
un paletto, che arrivi all' altezza del filo di ferro, anzi lo si lega a
quest'ultimo, perchè in tal modo reciprocamente si sostengono. Quindi
si lega la pianta al paletto con due legature; una poco sopra al colletto
ed una a cm. 20 dal terreno e poi si piega orizzontalmente la pianta,
dolcemente, al fine di non romperla da nord a sud, oppure da ovest
ad est. Piegata la pianta, bisogna legarla al filo; allora si fa una lega-
tura più vicino al paletto ed una seconda a metà ~ lunghezza della
branca, e la estremità si lascia libera. Le legature non devono essere
tanto tese, altrimenti si incorre nel pericolo di avere delle strozzature.
Adattata la pianta nel modo descritto, si applica il taglio, il quale
consiste nel recidere tutti i rami e le gemme che si possono trovare
lungo il fusto verticale e sull' incurvatura , poiché lasciandole non
Fig. 164. Fig. 165.
Cordone orizzontale semplice. Cordone orizzontale doppio.
farebbero che assorbire della linfa a detrimento della branca orizzon-
tale. Lungo questa si tagliano i rami laterali, a due gemme dalla loro
base; i rami verticali e tutti quelli contro terra si tagliano del tutto e
l'estremità della branca si accorcia di un terzo della lunghezza totale,
sopra una gemma che guardi il terreno.
Durante l'estate si devono sopprimere tutti i getti che nascono
verticali lungo la branca, ed a tutti i getti laterali si applicherà la
cimatura e le altre operazioni di potatura verde, descritte a suo luogo.
Il getto di prolungamento lo si lascia completamente libero od al più,
se viene a raggiungere una lunghezza superiore a cm. 40, lo si lega al
filo di ferro, lasciando però sempre libera l'estremità.
Negli anni venturi, la potatura secca dei rami laterali alla branca
si fa nel seguente modo.
Se inavvertitamente sono rimasti, dopo la potatura verde, dei rami
verticali, questi si devono risolutamente sopprimere alla base. Per gli
altri rami bisogna comportarsi a seconda dei casi.
Può darsi ad esempio, che un ramo laterale, per la troppa vi-
goria e nonostante delle ripetute cimature, torsioni, ecc., non porti alcun
dardo, ma invece abbia esclusivamente delle gemme a legno. In questo
caso conviene reciderlo alla base un mezzo centimetro sopra la sua
inserzione, allo scopo di indebolire la pianta e di far sviluppare dei
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getti dalle gemme latenti, che si trovano sempre alla base di ogni ramo.
Naturalmente nella primavera avi'emo l'emissione di più getti, quante
sono cioè le gemme. Dipenderà dal potatore di scegliere fra questi il
meglio situato e che più gli conviene : gli altri dovrà scacchiarli.
Talvolta lateralmente vi è un dardo ad oltre cm. 10 di distanza
dalla branca. Questa distanza è troppo grande, poiché se si considera
che questo dardo, dopo aver portato frutto si trasforma in una borsa,
la quale borsa alla sua volta può emettere un brindillo, lungo il quale
poi devono venire i frutti avvenire, si comprenderà di leggeri che
la vegetazione viene a portarsi troppo distante dalla branca madre,
incoiTendo perciò nel pericolo di avere poca solidità ed anche una
deformazione. Tenga bene a mente il lettore che il cordone in vege-
tazione devesi presentare come il ramo di una ghirlanda, avente una
larghezza non superiore a cm. 30. Nel caso or ora descritto consiglierei
quindi di recidere anche questo ramo alla base, appena raccolto il
frutto.
Un terzo caso può essere il seguente e cioè che un ramo porti due
o tre dardi entro i cm. 10 di distanza dalla branca. Dato che basti un
solo dardo per ogni ramo laterale per caricare la pianta di frutta, molti
potrebbero ritenere che si debba tagliare il ramo immediatamente sopra
il primo dardo. Ma invece si deve tagliare sopra la gemma immediata-
mente superiore.
Tagliando sopra il primo dardo, tutta quella linfa destinata alla
parte superiore del ramo si concentra su questo, e invece di formare
dei fiori, dà un getto; in una parola avviene una specie di colatura o
trasformazione del dardo fruttifero in infruttifero. Lasciando invece
anche la gemma superiore, allora la linfa viene ad avere maggior sfogo,
viene meglio elaborata, il dardo inferiore porterà i suoi fiori e la
gemma superiore servirà a dar frutti negli anni venturi. Potrebbe darsi
però che sopra al primo dardo se ne trovi un secondo e che tutti e
due i dardi venissero a portar fiori e frutti. Allora conviene togliere
delicatamente i fiori dal dardo più lontano, per lasciar fruttificare
soltanto quelli più vicini alla branca. Di questo si è trattato più ditfu-
samente nella Parte III, cap. VII e seguenti.
Invece di portare dei dardi, un ramo laterale potrebbe portare dei
brindilli. Allora di questi si lascia quello più vicino alla branca, ta-
gliandolo a cm. 10 di lunghezza.
Se infine un ramo laterale non ha che delle gemme a legno, allora
lo si taglia a due gemme, come ho consigliato nel primo anno di
piegatura.
Il taglio secco del ramo di prolungamento del cordone, consiste
neir amputarlo fra il forte ed il debole e sempre con una gemma
rivolta in basso, contro il terreno.
Quando l'estremità di un cordone raggiunge il cordone vicino si
abbia cura di l'innovare ogni anno 1' estremità, con un ramo novello,
perchè attiri la linfa, A questo scopo conviene tener innalzata l'estre-
— 155 -
mità mediante un paletto infìsso obliquamente. L'uso d' innestare per
approssimazione l' estremità del cordone orizzontale colla pianta vi-
cina, quando questa viene raggiunta, non lo trovai conveniente.
Molte volte avviene che lo spazio lasciato a ciascuna pianta non è
proporzionato al suo vigore. Nel caso in cui la vegetazione ecceda, si
tende un altro filo di ferro parallelo sopra al primo e distante cm. 40,
e ciò allo scopo di allevare una seconda branca. Questo però si deve
fare quando solo la prima branca ha raggiunto il cordone vicino.
Allora all'incurvatura si alleva un ramo, che nel primo anno si man-
tiene verticale e nel secondo lo si piega lungo il secondo filo, appli-
cando le stesse operazioni prima descritte.
3. — Per formare il cordone bilaterale o doppio, è meglio tendere
il filo di ferro prima dell'impianto, perchè allora si collocano i soggetti
in modo da ottenere una branca per lato, lungo la linea del cordone.
Trattandosi di soggetti di un anno, si tagliano nello stesso anno
dell'impianto e precisamente sopra due gemme opposte e situate alcuni
centimetri più sotto del filo di ferro. I due germogli che escono si
lasceranno crescere liberi verticalmente e nell'anno successivo, si pie-
gano uno da una parte e l'altro dall'altra, tagliandoli ad eguale lun-
ghezza. Poi si avrà sempre cura che tutte e due le diramazioni crescano
di conserva, mantenendole eguali di lunghezza. Per il resto, l'alleva-
mento del cordone bilaterale non differisce punto da quello del cordone
orizzontale, ma non è conveniente per la difficoltà di mantenere in
equilibrio le due branche.
4. Cordone obliquo. — Per questa forma si adatta meglio il pero
che il pomo (vedi fig. 166).
Coi cordoni obliqui si ha il vantaggio di coprire i muri in breve
tempo, senza menomare la vigoria delle piante.
Occorre impiegare però una sola varietà, perchè le piante possano
svilupparsi di conserva.
Prima dell'impianto, si tendono lungo il muro tre fili di ferro;
uno a cm. 30 di distanza del terreno, il secondo a metà altezza del
muro ed il terzo a cm. 20 sotto al culmine del muro. A questi fili si
legano subito delle assicelle di legno, a mezzo di filo di ferro cotto,
inclinandole a 50 gradi, ed alla distanza di cm. 40 una dall'altra.
Indi, si procede all'impianto, impiegando delle piante di un anno
di innesto che si collocano a cm. 40-50 di distanza e inclinandole subito
a 50 gradi, legandole alle assicelle. Fatto l'impianto, si tagliano tutti i
soggetti a due terzi di lunghezza e sopra una gemma che guarda
innanzi o al di sotto, mai al di sopra. Durante la state si favorisce il
meglio possibile lo sviluppo del germoglio terminale, ed ai germogli
lungo il fusto, si applicano tutte quelle operazioni descritte nella po-
tatura verde e che tendono a trasformarli in rami a frutto.
Il taglio del secondo anno ai rami laterali sarà identico a quello
pel cordone orizzontale; cosi pure il ramo di jjrohnigamento lo si
taglierà fra il forte ed il debole e sempre sopra una gemma che guarda
— 156 —
in avanti. Per regolarità, si procura di tagliare possibilmente tutti i
cordoni di una fila a medesima altezza. Se il ramo di prolungamento
non fosse ben sviluppato, allora conviene tagliare sul legno di due
anni, per ottenere un ramo terminale più vigoroso.
Nel terzo anno il cordone ha di solito raggiunto due terzi della
sua lunghezza totale. Ai rami laterali e di prolungamento si applicano
le medesime operazioni degli anni precedenti.
Quando il cordone è arrivato all'altezza del mui'o, conviene tagliare
ogni anno il fusto cm. 40 al disotto dell'estremità per lasciar sviluppare
un getto vigoroso di prolungamento, che forzi la linfa a circolare ab-
bondantemente lungo il fusto. Le due estremità del muro si rivesti-
ranno con due palmette semplici, una avente i lati laterali a destra e
l'altra con una biforcazione sull'ultima pianta.
Come si vede, il cordone obliquo ha il vantaggio di dare un mag-
gior sviluppo alla pianta, però abbisogna sempre di sostegno. Così è,
che questi cordoni si fanno o contro un muro o contro una intelaiatura
alta m. 2,50.
Fig. 166. — Cordoni obliqui.
Fig. 167. — Cordoni orizzontali.
In cinque anni tutto il muro può essere coperto e nel quarto
anno si possono raccogliere le frutta.
5. Cordone verticale. — Quando si ha un muro superiore a m. 2,50
d'altezza, conviene il cordone verticale (vedi fig. 167).
L' impianto si fa come pel cordone obliquo, con questa sola diffe-
renza, che il fusto si mantiene diritto e le piante si mettono alla di-
stanza di cm. 40 una dall'altra. L'allungamento della branca, e la po-
tatura annuale sono le stesse del cordone obliquo, cosi pure si farà
costruire egualmente la intelaiatura, solo, come è naturale, si dovranno
tenere gli assicelli verticali e distanti fra loro centimetri 30.
6. Cordone a zig-zag od a serpentone. — Per ovviare l'inconveniente
dei cordoni verticali, e cioè di vedere in poco tempo deperire i rami
laterali in basso, si propone la forma a serpentone, che colla sua
curvatura ripetuta rallenta un poco il corso della linfa. Del resto questa
forma viene poco usata ed è anche poco apprezzata. La potatura di
mantenimento è sempre eguale a quella che ho descritto pel cordone
orizzontale.
— 157 -
Riassumendo quanto è stato detto sui cordoni si conclude, che il
cordone orizzontale conviene per il melo soltanto ed eccezionalmente
per il pero ; il cordone obliquo è al più vantaggioso per il pero, ma
per la difficoltà di mantenere l'equilibrio fra i due lati e sopra l'incli-
nazione del cordone, conviene abbandonarlo. Il cordone verticale è
invece vantaggiosissimo per il pero e per coprire dei muri alti.
Il pesco a cordone verticale ed obliquo è sconsigliabile perchè le
piante hanno breve durata ed abbisognano di continue cure di potatura.
La vite si alleva a cordone verticale ed a cordone orizzontale
annuo e permanente. Di questi si tratterrà nella coltura speciale
della vite.
IX.
Forme da spalliera e controspalliera.
1. — La spalliera non è altro che una intelaiatura in legno, o parte
in legno e parte in ferro, fatta contro un muro e sulla quale si sten-
dono le branche delle piante da frutto, allevate in forma regolare. Se
la intelaiatura non viene appoggiata al muro, ma si trova isolata, lungo
i lati di un' aiuola, dicesi controspalliera.
Questo sistema non è una cosa nuova, suggerita dai frutticoitori moderni, ma è
sempre stata usata anche in antico. E ciò non soltanto per i vantaggi rispetto alla frut-
tificazione, ma anche perchè serve di ornamento dei giardini o dei viali. La differenza
che passa fra quanto suggerivano nei tempi antichi e la pratica odierna consiste sol-
tanto in ciò, che mentre una volta venivano suggerite le forme più bizzarre e capricciose,
oppure si stendeva ed allacciava ogni ramo in modo affatto irregolare, soltanto allo
scopo di coprire il muro, ora invece si suggeriscono delle forme regolari, più semplici,
ad ottenersi, di facile manutenzione e adatte per mantenere la pianta in continuo vi-
gore, producendo costantemente una considerevole quantità di frutta.
I vantaggi che si hanno coli' allevare le piante a spalliera sono
multipli e di questi dobbiamo ora tener parola.
Anzitutto i rami, le frutta, vengono esposte ad un maggior grado
di calore, e perciò si ha una più pronta maturazione e sviluppo.
Essendo allacciato ogni ramo, vengono assolutamente ovviati tutti i
danni causati dai venti, ciò che è indispensabile specialmente per le
frutta invernenghe, senza contare ancora che per il poco spazio che
occupano le spalliere, è permesso al frutticoitore di utilizzare al mas-
simo il suo terreno, con la certezza quasi di avere un prodotto costante
e di ottima qualità. Abbandonando certe forme capricciose che possono
ottenere soltanto pochi ben ammaestrati in frutticoltura, io suggerirò
forme molto facili ad ottenersi, poco costose e di non difficile manu-
tenzione. Con una scala doppia di sussidio, un frutticoitore in un
giorno può fare un lavoro di rendita doppia, che non potando delle
forme libere. La facilità, con pochi costosi ripari, di salvare le piante
dai danni dei geli tardivi di primavera e precoci d' autunno, è un
- 158 -
vantaggio di cui bisogna tener conto. Da ultimo aggiungeremo che, per
r aspetto elegante di queste forme, esse servono di ornamento a qual-
siasi giardino.
Le forme principali che io consiglio per spalliere e controspalliere
sono : il cordone verticale di cui si è già parlalo, la forma ad U sem-
plice e doppia, la palmetta Verrier e la palmetta semplice e doppia.
2. Forma ad U semplice. — Questa forma è da raccomandarsi per
il pero, quando si vuole una spalliera non più alta di due metri e mezzo.
Se il muro è più alto, conviene il cordone verticale. Per il pesco e
ciliegio questa forma invece è convenientissima ed è molto migliore
che i cordoni semplici verticali, anche per spalliere di oltre 3 metri
di altez^ (flg. 168).
Per ottenere una forma ad U semplice, si fa l'impianto di soggetti
innestati da un anno, collocandoli alla distanza di 80 cm. se peri, e
m. 1 se peschi o ciliegi.
Nel primo anno si taglia il soggetto a cm. 30 da terra, sopra due
gemme laterali ed opposte. Lungo l'anno si avrà cura di allevare sol-
Fig. 168. — Forma U semplice.
Fig. 169. — Forma U doppia.
tanto i due germogli che esciranno da due gemme terminali, ai quali
si darà anche subito l'incurvatura per ricondurli alla direzione verti-
cale, in modo che vi sia una distanza di 40 cm. fra loro. Ciascuno
di questi bracci si tratta colle medesime regole che ho spiegato per i
cordoni verticali, avendo l'avvertenza che le due branche crescano
sempre eguali. In casi diversi si applicheranno le pratiche già spiegate
per stabilire l'equilibrio fra due rami.
3. — Palmette Verrier. — Per l' U doppia o palmetta a quattro
rami verticali, avendo un doppio numero di rami della U semplice, la
distanza deve essere doppia.
Questa forma è molto vantaggiosa prima per il pesco, poi per il
ciliegio e pero (tìg. 169).
Nel primo anno di impianto, dopo aver tagliato la pianticina d'un
anno a 30 cm. dal terreno, si alleveranno tre getti, dei quali quello di
mezzo si terrà verticale, ed i getti laterali verranno avviati a formare
— 159 -
una curva in modo che i due bracci si trovino alla distanza di ni. 1,20
se pero, e di m. 1,50, se pesco o ciliegio.
Durante il primo anno, come è naturale, si avrà da curare solo lo
sviluppo dei due bracci laterali e della branca di mezzo. A quest'ultima
poi in particolar modo bisogna stare attenti, poiché ricevendo essa
direttamente la linfa, sì incorre nel pericolo che soperchi i primi
due rami.
Nella potatura secca del secondo anno si procederà cosi.
Si incomincia prima a tagliare circa a due terzi l'estremità della
branca laterale più debole avendo cura che l'estremità sia piegata in
alto ed il taglio lo si farà sopra una gemma posta in avanti. Se l'estre-
mità non arrivasse a poter esser piegata verticalmente, allora per un
tratto la si legherà orizzontalmente e l' altra parte si terrà obliqua,
acciò prenda vigore. La branca centrale non si deve tagliarla ad un'al-
tezza superiore a quella cui arrivano le estremità delle branche
laterali. Per questo, nel secondo anno, non si arriva a tagliarla mai
ad un'altezza superiore di 20 o 25 cm. e sopra una gemma posta in
avanti.
Nel terzo anno si taglieranno le due branche laterali come fossero
tanti cordoni verticali e la centrale alla distanza di 50 cm. sopra il
punto di partenza delle due prime branche e sopra due gemme laterali
ed opposte, le quali serviranno a formarne una seconda U colle bran-
che distanti fra loro 40 per il pero e 50 cm. per il pesco. Anche du-
rante questo anno bisogna avere cura che le due branche di mezzo
non vengano a soperchiare le due esterne.
Nel quarto anno le quattro branche verticali si tratterranno come
fossero tanti cordoni verticali e nel taglio si avrà l'avvertenza di ope-
rare prima sulla branca più debole onde poi tagliare anche le forti ad
eguale altezza.
4. — Ci sono anche le palmelte verlicalì a 5 rami, in cui la branca
di mezzo, oltre a biforcarsi, si allunga e forma una specie di asse
mediano. Non consiglio questa forma per la difficoltà di mantenerla in
equilibrio.
Da alcuni autori questa palmetta viene chiamata palmella Verrier
a 5 rami.
5. Palmella Verrier a 6 rami. — Non è altro che la forma ad U la
quale, invece di portare come l'ultima descritta 4 branche verticali, ne
porla 6 sempre a 40 cm. di distanza. Le piante si collocano a ni. 2,40
di distanza, se le branche si vogliono tenere alla distanza di 40 cm.,
e per il pesco e susino, la distanza deve essere di m. 3 dovendo ogni
branca distare 50 cm.
La potatura di formazione si fa come per 1' U doppia, soltanto per
ottenere la terza impalcatura delle branche verticali, bisogna nel terzo
anno ripetere la potatura già indicata del secondo anno.
6. Palmella semplice. — Questa forma consiste in una branca ver-
ticale, avente ad eguale distanza fra loro ed opposte, una serie di
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branche orizzontali (fìg. 170). La palmetta doppia invece non ha l'asse
della pianta unico, ma doppio a forma di U (fìg. 171).
Queste palmette sono adatte tanto per le piante a granella che per
quelle a nocciolo. Per le prime la prima impalcatura si fa all'altezza
di 30-40 cm., e per le piante a nocciolo a 40-50 cm. Lo stesso vale per
le distanze fra le diverse branche.
Per la palmetta semplice si scelgano dei soggetti di un anno di
innesto e si piantino ad una distanza che sarà in ragione inversa del-
Fig. 170. — Palmetta semplice.
Fig. 171. — Palmetta doppia.
l'altezza del muro o della controspalliera. Da noi bisogna calcolare le
distanze in modo che ciascuna palmella venga a coprire 8-12 m^.
Nel primo anno d'impianto si taglia a 30 o 40 cm. di altezza (fìg. 172)
in modo che si trovino due gemme laterali opposte all'altezza di 16 a
20 cm., ed una gemma superiore posta sul davanti. Le due prime gemme
Fig. 172. — Taglio del primo anno
per ottenere una palmetta.
Palmetta nel secondo anno
sviluppandosi, daranno le prime branche laterali inferiori e quella di
mezzo il prolungamento della branca centrale.
Fatto il taglio, si farà una prima legatura alla base del soggetto, la
seconda a metà e la terza sopra l'ultima gemma del mozzicone lasciato.
Durante la state si conserveranno i tre germogli delle tre gemme
terminali, mentre tutti gli altri si scacchieranno. 1 tre germogli si affi-
deranno a tre fuscelli, ad uno dei quali, quello nel mezzo e verticale,
si legherà il germoglio di prolungamento del fusto, ed agli altri due si
darà un' inclinazione di 30° circa sia da un lato che dall'altro, acciò i
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due germogli laterali che si legano, prendano vigore e crescano egual-
mente vigorosi.
Nella primavera del secondo anno, se tutto corre regolarmente, la
pianta si presenterà come si vede nella fìg. 173. La branca centrale si
taglierà a circa cm. 45 e sopra una gemma posta in avanti in modo, che
sotto si trovino due gemme laterali, distanti dalle due prime branche
laterali cm. 40. La gemma che guarda in avanti ha lo scopo di pro-
lungare il fusto della pianta, le due gemme laterali serviranno a for-
mare la seconda impalcatura. Le due prime branche laterali, mante-
nendole sempre inclinate di 40 gradi, si taglieranno sopra una gemma in
avanti ed alla medesima altezza a cui è stata tagliata la branca centrale.
Lungo l'anno si scacchieranno i germogli che si portano in avanti
od indietro, regola questa che serve per tutte le forme a spalliera.
Per i germogli che si trovano in alto od in basso della branca, si
Fig. 174. — Palmetta nel terzo anno.
Fig. 175. — Palmella di 4 anni
non bene sviluppala.
applicherà la potatura verde che ho descritto a suo luogo. Riguardo ai
germogli di prolungamento delle due branche laterali, non si cimano
e si procurerà al loro normale sviluppo assicurandoli ad una assicella
che si terrà nella direzione della branca. Dall'estremità della branca
centrale si alleveranno invece tre germogli come quelli dell'anno de-
corso.
Se tutto va normalmente, la pianta nella primavera del terzo anno
si presenterà come nella fig. 174.
In questo caso si taglia il fusto centrale circa a cm. 45, come il primo
anno, sopra una gemma in avanti ed in modo che sotto a questa si
trovino 2 gemme laterali che distino dalle seconde branche cm. 40. Le
due branche immediatamente inferiori si inclinano a 30 gradi e si
tagliano in modo che la gemma terminale venga a trovarsi a medesimo
livello della gemma terminale del fusto ; le due branche ottenute nel
primo anno, si tagliano a cm. 40-50 sopra al taglio fatto l'anno prima
11 — Tamauo - Frutticoltura.
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e si inclinano in modo che la loro gemma terminale venga a trovarsi
a livello delle gemme terminali immediatamente superiori.
Durante la state si fanno tutte quelle operazioni di potatura verde
già descritte, avendo sempre di mira di ottenere il prolungamento per
ogni branca ed ogni anno una nuova serie di branche. La potatura
Fig. 17G. — Palmetta Verrier a 11 branche.
secca dei rami laterali alle branche deve essere conforme a quella già
indicata per ottenere dei rami a frutto.
Nel quarto anno avremo la palmetta con 3 serie di branche. Se le
prime branche hanno già raggiunto la lunghezza desiderata della spal-
liera, si piegano orizzontalmente, le seconde dell'impalcatura superiore
si piegano a 60 gradi, e le terze branche a 30 gradi.
Fig. 177. — Palmetta a forma ventaglio a 10 branche.
Negli anni successivi, per formare le altre impalcature, basterà
seguire quanto abbiamo detto per le tre prime. In 8 o 10 anni, seguendo
il sistema che ho spiegato, avremo una palmetta come è indicata
nella fig. 170.
Non sempre è possibile ottenere ogni anno una nuova impalcatura,
oppure molte volte avviene che le branche inferiori rimangono deboli
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e le superiori attirano una straordinaria quantità di linfa. Allora bisogna
perdere un anno e cioè tagliare il fusto centrale, non all'altezza a cui
si vuole ottenere la nuova impalcatura, ma a metà distanza, cioè a
25 citi, invece che a circa 45. Si devono tagliare più corte tutte le altre
branche ed appena nell'anno successivo si taglierà il fusto all'altezza
dovuta, per ottenere la nuova impalcatura (fig. 175).
Fig. 178.
Palmetta a forma ventaglio a 12 branche.
Nella palmetta in genere, la difficoltà maggiore consiste nel man-
tenere il necessario vigore nelle branche inferioii, le quali vengono
facilmente soverchiate dalle superiori, se non si ha cura di diminuirne
costantemente il vigore, rallentando il loro sviluppo. Per evitare ciò,
Fig. 179. — Palmetta a forma candelabro.
l)u Breuil padre ha immaginato di dare alle branche laterali una di-
rezione obliqua ascendente, in modo che lo scheletro della pianta si
presenta come tanti V aperti. Questa forma ha però molti degli in-
convenienti dei cordoni obliqui.
7. Palmella doppia. — Questa palmetta (fig. 171) si ottiene tagliando
il soggetto di un anno sopra due occhi situati lateralmente uno a
destra e l'altro a sinistra, e guidando i getti che ne derivano a guisa
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da formare una U larga 40 cm. Sopra queste branche madri poi, si
prenderanno i bracci secondari laterali, che si terranno alla slessa
distanza indicata per la palmetta semplice.
Questa forma è stata suggerita dal sig. Fanon nel 1827, per togliere
ogni inconveniente a cui si va incontro colla palmetta semplice. Difatti
egli divise in tal modo il canale adduttore della linfa in due parti
eguali, cioè a dire, invece di avere una sola branca centrale, ve ne
sono due che portano le branche laterali.
È incontestabile che così viene temperata l;i circolazione della
linfa dalla base alla sommità, ma d' altro canto non bisogna discono-
scere che ne avviene un altro vizio organico.
Colla palmetta semplice noi possiamo molto facilmente ottenere
tutte le branche bene equilibrate, mentre ciò è molto difficile colla
palmetta Fanon, poiché bisogna sorvegliare incessantemente che le
due branche madri crescano di egual vigore. Trascurando ogni poco,
sia nei primi, che nei successivi anni, è molto facile a compromettere
la vita della pianta.
Per questo inconveniente, che per me è più grave di quanti si pos-
sono dare sulla palmetta semplice, consiglio e dò la preferenza alla
palmetta semplice piuttosto che alla doppia.
Altre forme poco usate attualmente sono la palmetta Verrier a 11
branche verticali (fìg. 176) adatta per il pero; i ventagli (fig. 177-178)
che venivano adottate pel pesco ed il candelabro (fìg. 179) che era pure
adottato pel pesco.
PARTE QUINTA
SISTEMI DI COLTIVAZIONE
I.
Frutticoltura estensiva ed intensiva.
1. — La frutticoltura razionale, nel senso agronomico, non può es-
sere che una coltivazione intensiva e quindi può sembrare viziosa ed
inutile la distinzione di frutticoltura estensiva ed intensiva.
Se noi però poniamo mente alle diverse forme che si possono
dare alle piante, se consideriamo i diversi prodotti per quantità e
qualità che (|ueste forme possono dare, se prendiamo in considera-
zione il vario numero di piante che si possono far stare sopra una
superfìcie di terreno, applicando una forma piuttosto che un'altra,
infine la diversità di spese d'impianto, di mantenimento, di capacità
nel personale, parmi abbastanza dimostrata la necessità di distinguere
una coltura estensiva da una coltura intensiva delle piante da frutto,
distinzione importante non soltanto dal lato agronomico in genere, ma
anche, come vedremo, per le nostre condizioni speciali in Italia.
Nella frutticoltura estensiva, comprenderemo tutti quei sistemi di
coltivazione delle piante da frutto che danno un prodotto mediocre e
non sempre sicuro sopra una superficie relativamente estesa, ma che
richiedono relativamente poca spesa di impianto, di mantenimento e
di intelligenza del coltivatore.
Ascriveremo invece alla frutticoltura intensiva quei sistemi di col-
tivazione per cui, coir impiego di un rilevante capitale, lavoro ed in-
telligenza, si ricava costantemente, da una superficie relativamente
limitata di terreno, un prodotto abbondante e della migliore qualità.
Alla frutticoltura estensiva perciò appartengono :
1." La coltivazione campestre.
2.0 La coltivazione lungo le strade o viali.
3.» // brolo.
— 166 -
Alla frutticoltura intensiva :
1.° // frutteto casalingo.
2." Il frutteto di speculazione.
3." / frutteti misti.
Per la frutticoltura estensiva occorre una situazione ventilata, ma
non troppo esposta ai venti, e un terreno profondo, non umido e di
mediocre fertilità, mai esposto a nord. La forma più consigliabile è il
pieno vento, raramente il mezzo vento. Le piante devono essere delle
più fertili, bene sviluppate, sane, vigorose sino dalla prima età, resi-
stenti alle intemperie e malattie. Devono dare frutta non tanto volumi-
nose, con buccia resistente, atte a potersi conservare per lungo tempo
di varietà ricercate dalla maggioranza della popolazione.
Nella frutticoltura intensiva si dà alle piante tutte le forme, meno
il pieno vento ; il terreno deve essere fertile e ben preparato e in esso
si coltivano esclusivamente delle piante da frutto, mentre ciò non
succede nel brolo o nella coltivazione campestre. Si devono coltivare
tutte le possibili specie e varietà di frutta, ma specialmente le più deli-
cate, le più voluminose, quelle insomma che sono richieste dalle fami-
glie signorili. Si preferiscono le varietà più precoci o della più tarda
maturazione, perchè appunto più ricercate e meglio pagate. Più che
alla longevità della pianta si bada alla sua fertilità, perchè poco
importa se dopo dieci anni bisogna sacrificarla se ha già dato frutti
quanti un'altra in vent'anni.
II.
Frutticoltura campestre.
1. — La maggior quantità di frutta che troviamo sui nostri mercati
e che viene esportata anche all'estero, proviene dai campi e quindi
sarebbe un grave errore il trascurare questa frutticoltura per prediligere
esclusivamente quella specializzata nei frutteti, colle piante tenute a
forme speciali, costose, che richiedono molta capacità.
Io sono convinto che incoraggiando la frutticoltura campestre, noi
promuoveremo uno dei migliori cespiti di produzione del nostro suolo.
E che questo sistema di coltivazione possa avere un avvenire lo dimo-
strano molti paesi esteri, come alcuni Cantoni della Svizzera, il Tirolo,
la Stiria, il Wùrtemberg, l' Inghilterra, la cui straordinaria quantità di
frutta, per nove decimi è prodotta nei campi. Gli Stati Uniti d'America
ci danno un esempio splendido di frutticoltura campestre. Essi non
trascurarono nessun mezzo per favorire il suo sviluppo. Diffusione stra-
ordinaria di pubblicazioni popolari, istituzione di grandi vivai, di sta-
zioni sperimentali, di cattedre di arboricoltura ed infine sono riusciti
a creare nel Ministero d'Agricoltura una Divisione speciale per la frut-
ticoltura. Mercè questi sforzi la produzione frutticola è aumentata
— 167 —
tanto, che se ne esporta una quantità considerevole e la una seria
concorrenza alla produzione europea.
La frutticoltura campestre ben sviluppata darà dunque un grande
impulso alla produzione di frutta in Italia.
Per ottenere questo intento, bisogna allevare le piante da frutto
nei campi, a filari regolari od in appezzamenti l'iservati, come siamo
abituati pei gelsi, olivi ed agrumi. F"ino ad ora, generalmente teniamo
sparso qua e là per le campagne un pero, là un melo, un ciliegio e
così via; ma tutte queste piante vengono abbandonate a loro stesse con
poco profitto del proprietario e molto danno alle coltivazioni sottostanti.
Ma se invece fra un campo e l'altro, ed in una località adatta, il pro-
prietario pianta in uno o più filari le piante da frutto, oppure se utilizza
i lati di qualche sua strada, il terreno coperto dall'ombra di queste
piante sarà naturalmente minore. Se anche per un tratto attorno alla
pianta non converrà coltivare, il proprietario potrà applicare con minor
spesa tutte le cure necessarie, potrà agevolmente vigilare le sue frutta,
ed infine avrà raccolto più sicuro, abbondante e migliore di qualità.
Per raggiungere il miglior risultato occorre però limitarsi alla col-
tivazione di poche specie e varietà, e riguardo al sistema di allevamento,
tenersi a quelle forme che richiedono minor lavoro e capacità di po-
tatura, perchè non si può pretendere che ogni agricoltore sia anche
frutticoitore (vedi a proposilo quanto è detto parlando delle forme
basse pag. 138).
La scelta delle specie di frutta da coltivarsi nei campi non riesce
difficile, poiché ogni provincia e comune può indicarci per i diversi
terreni, le specie che meglio allignano. Scostarsi da queste per intro-
durne di nuove è sempre pericoloso se al più non si hanno delle prove
incontestabili fatte da altri. Dico espressamente fatte da altri, poiché
l'agricoltore non deve esperimentare ma volendo dare un indirizzo
industriale alla coltivazione campestre egli deve piantare delle specie
e varietà di sicura riuscita, sia rispetto alle condizioni naturali di ter-
reno e clima, sia rispetto alla ricerca delle frutta sul mercato.
Per la stessa ragione deve essere limitato anche il numero delle
specie, e cioè mai più di due in una medesima condizione di terreno.
2. — Le specie che si prestano per la coltivazione campestre sono
il melo, il pero, il pesco, l'albicocco, il mandorlo, il ciliegio, il cotogno,
il susino, il castagno, il noce ed il nespolo.
Le varietà oggigiorno più raccomandabili sono indicate nella parte
speciale di questo libro in cui si tratta della coltivazione delle singole
specie.
3. — Ed ora veniamo all'applicazione di questo sistema di coltivare
le piante da frutto nei campi.
Un agricoltore può avere la sua campagna coltivata:
a) in rotazione con frumento, mais, prato ecc. ;
b) a prato stabile (fìg. 180);
e) a pascolo ;
d) a vigneto.
— 168 -
In tutti e tre i primi casi conviene fare l'impianto a filari orientati
da sud a nord, distanti uno dall'altro almeno da m. 25 a 30. A questa
distanza, il danno che i filari arrecano alle coltivazioni sottostanti è
appena sensibile.
Per l'impianto non occorre uno scasso reale, basta fare delle
fosse quando trattasi di piantare sulla fila alla disianza di m. 5 a 7, e
delle buche quando la distanza è maggiore. Negli anni successivi si
deve avere cura che il terreno sia lavorato almeno per un metro in-
torno al fusto e sia sempre tenuto soffice e senza alcuna coltivazione.
Se il terreno è irrigatorio, gli alberi da frutto soffrono maggior-
mente, ed allora le distanze da pianta a pianta si possono diminuire 5
Fig.
— Prato arborato con piante da frutto.
bisogna impiantare l'albero alquanto sollevato dal terreno, formando
attorno a questo un cumulo di terra.
Trattandosi di un terreno a vigneto, sia questo misto o specializ-
zato, non conviene piantare degli alberi da frutto Tramezzo alle viti.
La vite è una pianta che esige molto calore e luce e quindi tutte quelle
coltivazioni che la privano dell'uno o dell'altra, non vanno che a de-
trimento della produzione dell'uva. Sui margini però degli appezzamenti
e specialmente sul lato nord, si possono coltivare quelle piante da
frutto che non prendono grande sviluppo, quali sono il pesco, l'albi-
cocco, il nespolo, e il cotogno.
Infine bisogna tenere conto di quei vigneti, che in conseguenza
della loro non felice posizione, d'un succedersi d'annate sfavorevoli
per il clima, per il moltiplicarsi di parassiti, danno meschinissimi
prodotti, poco rimunerativi. A questa categoria si possono inscri-
vere tutti quei vigneti che si trovano tuttora in cattivo stato, nelle
— 169 —
pianure e vallate dell' Italia settentrionale, nelle insenature dei monti,
o quelli intaccati o distrutti dalla fillossera. In questi terreni, le sole
piante da frutto potranno dare dei raccolti da potersi mettere in con-
fronto. Anzi in generalità sono eminentemente adatti per le piante da
frutto ; i peschi, gli albicocchi, specialmente le varietà precoci ed in-
vernenghe di meli e peri, danno dei prodotti abbondanti.
La trasformazione da vigneto a frutteto può farsi gradatamente
e di questo se ne parlerà nella Parte Sesta, Gap. XXIII.
4. — Le distanze a cui si devono fare gli impianti, variano fra
specie e specie e varietà e varietà. Certo si è che la disposizione delle
piante deve essere regolare e cioè per ogni specie, per ogni varietà e
per ogni forma di pianta, conviene formare tanti filari da nord a sud.
Non v'è di peggio che intercalare sulla medesima fila delle piante di
diversa altezza.
Quanto più un terreno è fertile, ben lavorato, profondo, tanto mag-
giore deve essere la distanza di esse. Nella coltivazione campestre, le
distanze più convenienti per il pieno vento sono quelle indicate nella
Parte Sesta, Gap. XIII.
III.
Coltivazione lungo le strade o viali.
1. — La coltivazione è da noi assai poco in uso. In Svizzera, in
(ìermania ed in alcuni paesi dell'Austria vengono fatti degli estesi
impianti di pomi e peri per fabbricare poi colle frutta il sidro. Le
strade, i passeggi di quasi tutti i paesi di campagna sono fiancheggiati
da alberi da frutta, piuttosto che da piante ornamentali, con evidente
vantaggio del bene pubblico, poiché i Gomuni affidano in affitto a dei
singoli coltivatori, la manutenzione ed il raccolto di queste piante.
I lati delle strade pubbliche e dei larghi viali nelle campagne of-
frono un terreno eccellente per la coltivazione delle piante da fruito.
Quivi le acque piovane raccolgono tutte le immondizie delle strade,
non che la polvere stessa che è pure un discreto concime, e questo
miglioramento continuato è tanto maggiore quanto più vecchie sono
le strade.
Se invece ai lati delle strade si trovano dei fossi profondi a rapida
pendenza, allora non si accumulano tanti materiali e quindi l'impianto
non conviene. Non conviene neppure quando la strada viene fatta so-
pra uno strato roccioso senza alcun strato di terreno sottostante. Biso-
gnerebbe allora fare delle buche bene ampie e trasportarvi la terra,
lavoro questo costoso e che non si può suggerire. Del resto lo svi-
luppo delle strade è tanto grande che si possono trovare dei percorsi
convenienti.
- 170 —
Ad eccezione di quest'ultimo caso, la coltivazione delle piante da
frutto lungo le strade è convenientissima, poiché in generale gli alberi
si mantengono costantemente molto produttivi ed anche sani. La con-
tinua polvere che sta sospesa ha sicuramente influenza sulla feconda-
zione dei fiori ed impedisce lo sviluppo delle crittogame. Non bisogna
però nascondere che le piante sono alquanto sensibili ai freddi rigidi
e prolungati d'inverno, per i quali molte volte periscono-, inoltre le
primavere molto umide provocano l'aborto dei fiori. Questi danni si
possono prevenire non piantando nei tratti di strada poco soleggiati e
dove ristagna l'acqua.
Gli alberi devonsi allevare, come è naturale, sempre a pieno vento
e si possono piantare o sui lati della strada slessa, oppure, se la strada
è stretta, sui margini dei campi vicini. In quest'ultimo caso le piante
sono meglio difese dagli urti dei rotabili e i prodotti pendenti sono
più sicuri anche del furto. Piantando lungo i margini dei campi, è
sufficiente, un solo palo di sostegno mentre lungo le strade, oltre al
palo occorre contornare il fusto da una specie di gabbia di legno o di
ferro, solidamente conficcata nel terreno. Questa gabbia, che ha la forma
di un prisma triangolare, per lo più consta di tre assicelle trasversali
in modo da formare una specie di reticolato.
Per riparare dai danni dei rotabili si può anche provvedere pian-
tando nel terreno, attorno al fusto, delle pietre a guisa di piccoli pa-
racarri, oppure facendo un cumulo di terra o agglomerando della
ghiaia.
2. — Per piantare lungo le strade si prestano i peri, meli, ciliegi,
susini, noci e castagni, che si mettono alla distanza indicata per la
coltivazione campestre. L'impianto si fa in modo che ogni pianta venga
a trovarsi alternata con quelle dell'altra parte della strada.
Il noce e castagno saranno da preferirsi nelle strade che servono
da pubblici passeggi, perchè danno maggior ombra.
Sono certo che molti dei miei lettori dopo aver letto questo arti-
colo mi osserveranno che ho voluto fare della poesia col trattare delle
coltivazioni lungo le strade, inquantochè da noi in Italia non abbiamo
esempi di simili coltivazioni.
Che per ora non esistano sono anch' io d' accordo (1), poiché un
impianto in grande di albeii da frutto lungo le strade non mi è stato
dato ancora di vedere, se al più non si vogliono citare quelle piante
di gelsi o da frutta che si trovano sui sagrati delle chiese di campa-
gna — ma che non vi potrebbero essere è cosa di cui non mi so ca-
pacitare.
All'estero noi abbiamo degli esempi di interi paesi, nei quali le ri-
spettive città e borgate ne ricavano un bel lucro, lucro che va a tutto
vantaggio del rispettivo erario comunale. Nel piccolo Wùrtemberg il
(1; Quantunque nel comune di Bizzozero in Brianza vi sia un esempio. N. d. T
— 171 —
prodotto di frutta ottenuto in questo modo è stato calcolato del valore
di 8 milioni di marchi.
Mi si potrebbe inoltre obbiettare che la proprietà pubblica non
viene sufficientemente rispettata; da ciò l'impossibilità di allevare e
mantenere in buono stato delle piante da fruito. Ammettere ciò in via
assoluta mi sembra di far torto alla nostra pubblica moralità, io posso
però osservare che come vengono rispettate molte piante ornamentali
che fiancheggiano le nostre strade, i nostri passeggi, si potrebbero
far rispettare anche le piante da frutto.
Nel Wiirtemberg, quando un comune fa una strada, provvede al-
l'impianto degli alberi da frutto i quali, per un periodo d'anni, di
solito 15, vengono dati in affitto a privati, i quali alla lor volta si
obbligano di mantenere in buon stato di vegetazione ed alla altezza
prescritta le piante affidate, raccogliendone naturalmente le frutta. La
sorveglianza a queste piante è obbligatoria per il personale addetto
alla manutezione delle strade nonché per le guardie campestri, come
fossero proprietà private ; — quando poi il prodotto è presso alla
maturazione, il fittabile stesso provvede ad una sorveglianza speciale.
A chi volesse provare in Italia questa coltivazione lungo le strade
pubbliche, nelle quali si teme tanto il furto, consiglierei per prova
l'impianto di ciliegi. Il ciliegio difatti è bello d'aspetto, rapido nello
sviluppo, fiorisce e matura in breve tempo i frutti, senza lasciarli cadere.
3. — Bisognerebbe anche sollecitare perchè lungo le ferrovie ve-
nissero piantati degli alberi da fruito. L'amministrazione potrebbe con
poca spesa procurarsi un benefizio non piccolo, favorendo anche il
personale di sorveglianza (cantonieri) al quale si potrebbe affidare la
potatura e le cure di coltivazione.
IV.
Brolo.
1. — Con questo termine, che è proprio dell' Italia settentrionale
ed in particolar modo della Lombardia, intendo designare quell'ap-
pezzamento di terreno abbastanza esleso, situato di solilo appresso
alla casa di campagna, cintato di muro o da siepe, nel quale si colti-
vano delle piante da frutto a pieno o mezzo vento e il terreno sotto-
stante, a prato, a cereali o ad ortaggi. Da alcuni autori italiani viene
chiamato pomario, da altri verziere, che sarebbe un termine preso dai
Francesi che lo chiamano verger (fig. 181).
Comunque sia, per il sistema poco dispendioso con cui si allevano
le piante, e per i prodotti considerevoli che dà, il brolo è il vero frut-
teto della casa di campagna o della azienda agraria, che fornisce una
- 172 —
grande massa di frutta ai mercati. Dal brolo si esige un prodotto suf-
ficiente, se non eccezionale, con la massima economia.
Per ottenere questi risultati bisogna prestare una certa attenzione
nella scelta della località e nella scelta della specie e varietà da col-
tivarsi.
Ovunque si ha un brolo, è certo che le condizioni di terreno e
di clima corrisponderanno, poiché di solito è vicino ai fabbricati di
campagna, che si costruiscono nel miglior sito dell'azienda.
2. — Per la scelta del numero della specie e varietà bisogna
distinguere, a seconda che la coltivazione del brolo ha uno scopo spe-
culativo, di portare cioè le frutta sul mercato, oppure di fornire di
frutta lungo l'anno la famiglia del proprietario e le famiglie degli ope-
Fig. 181.
Appezzamento di un brolo con la coltivazioni; intercalare di fragole.
rai dell'azienda. Nel primo caso conviene tenersi a pochissime specie
e varietà, a quelle cioè della cui riuscita si è sicuri. Allora la potatura
e tutte le operazioni di coltivazione, compresa la raccolta, vengono
fatte in una volta, e quindi col massimo risparmio di mano d'opera
e colla più probabile facilità di vendere il prodotto. Non conviene però
tenersi esclusivamente ad una specie e varietà, poiché non bisogna di-
menticare che la diversità offre il vantaggio di assicurare maggior-
mente il raccolto, sia perchè la fecondazione dei fiori riesce meglio
sia perchè le intemperie e le avversità in genere della vegetazione non
colpiscono in eguali proporzioni tutte le varietà di piante.
Nel secondo caso, cioè quando si tratta di avere delle frutta pos-
sibilmente per tutto l'anno, deve essere maggiore il numero delle specie
e varietà.
- 173 -
Per un brolo di speculazione, nell'Italia settentrionale, l'impianto
dovrebbe essere fatto nella seguente proporzione per ogni 100 piante :
50 meli ;
28 peri ;
12 prugni;
10 ciliegi ;
Totale 100 piante.
Dove riescono bene i peschi, questi potrebbero sostituire i prugni
e ciliegi; se discendiamo poi nell'Italia centrale o meridionale, allora
si può sostituire un certo numero di piante di pero e melo, coll'albi-
cocco o col mandorlo, oppure cogli agrumi, ecc.
Per un brolo casalingo, sempre per noi dell'Italia settentrionale,
conviene tenersi alle seguenti proporzioni :
38 peri ;
32 meli ;
40 meli ; oppure : 8 ciliegi ;
38 peri ; 6 albicocchi ;
10 prugni ; 4 prugni ;
(ì peschi ; 6 peschi ;
4 ciliegi ; 2 nespoli ;
2 mandorli; 4 cotogni;
Totale 100 piante. Totale 100 piante.
Per l'Italia media e meridionale, si faranno le riduzioni a seconda
del clima locale.
Nella scelta delle varietà bisogna aver sempre di mira di coltivare
non delle varietà eccezionali, ma quelle che maggiormente servono
pel grande consumo e che sono perciò le più ricercate. Devono inoltre
essere vigorose, rustiche, fertili, dare frutti bene aderenti che si con-
servano facilmente dopo la raccolta e maturare lentamente.
3. — Della preparazione del terreno per l'impianto di un brolo e
del modo di costruire i muri di cinta o di fare le siepi, qui non ci
intratterremo, perchè formerà argomento di capitoli speciali nella
Parte VI. Bisogna invece ora parlare della disposizione degli impianti.
Un brolo, perchè corrisponda anche alle esigenze del buon gusto,
deve avere le piante poste regolarmente ed equidistanti una dall'altra,
in modo da formare tanti lilari in tutti i sensi. Conviene tenere in un
brolo eguali distanze fra pianta e pianta , indipendentemente dalle
specie, e cosi come per un pomo d'alto fusto occorre la distanza di
m. 12, questa distanza si manterrà pure per il pesco, nespolo, e cosi
via. La distanza di m. 12 da pianta a pianta è la più conveniente.
Trattandosi di coltivare il terreno sottostante con cereali ed ortaggi.
- 174 —
oppure volendolo lasciare a prato, conviene fare dei filari in direzione
da nord a sud, distanti m. 24 uno dall'altro. Per coltivare cereali e
ortaggi, bisogna lasciare il terreno libero per un metro per lato della
fila, per non guastare le radici delle piante colle diverse lavorazioni.
Oltre ai cereali, quali sono il frumento, mais, ecc., si possono coltivare
in rotazione i pomi di terra, il trifoglio ; degli ortaggi non bisogna
coltivare quelli che richiedono frequenti annaffiature, che sono nocive
alle piante da frutta. Epperciò si potranno coltivare con vantaggio i
piselli, le fave, i fagioli, i cavoli, le fragole, le cipolle, l'aglio, gli aspa-
ragi e così via. Volendo coltivare il terreno a prato, bisogna evitare
quelle essenze foraggere le cui radici vanno troppo profonde, come
sarebbe 1' erba medica ; e sempre per un metro in giro attorno al fusto
della pianta da frutto, bisogna mantenere il terreno lavorato e privo
di cotica.
Le essenze foraggere che meglio convengono nei broli e che meno
danneggiano le piante da frutto sono le seguenti : Avena elatior, Dac-
tylis gloinerata, Poa trivialis, Lolliiim italicuin, Alopecurus pratensis,
Poa pratensis, Agrostis stolonifera, Cynosorus cristatus, Avena flavescens,
Festuca pratensis, Lotus corniculatus, Medicago Lupulina, Trifolinm pra-
tense e Trifolium repens.
Si possono consigliare le seguenti due miscele per ettaro nei
A. Terreni
asciutti, calcari
x.^ da vigna
Avena elatior (Ventolana) Kg. 9,5
Dactylis glomerata (Erba mazzolina) „ 7
Poa trivialis (Poa comune) „ 4,5
Lollium italicum (Loglio italico) ....... „ 5
Alopecurus pratensis (Goda di volpe). ..... „ —
Poa pratensis (Erba maggenga o Fienarola) . . „ 5
Agrostis stolonifera (Agrostide comune). ... „ 1
Cynosorus cristatus (Goda di topo) „ 2
Avena fiavescens (Avena gialla) „ 5
Lotus corniculatus (Trifoglio giallo) „ 1
Medicago lupulina (Tri foglino selvatico). ... „ 1
Trifolium pratense (Trifoglio comune) .... „ 4
repens (Trifoglio bianco o ladino). . „ 0,5
B. Terreni
treschi
di piano
Kg.
9,5
7
3,5
6
4
5
1,5
1
1,5
1.5
„ 4
„ 0,5
Una miscela che dà pure dei buoni risultati è la seguente
Per ettaro
Alopecurus pratensis Kg. 7,50
Dactylis glomerata „ 13,00
Garum Garvi „ 5,00
Lolium italicum „ 19,00
- 175 -
La semina di questa miscela presenta i vantaggi seguenti :
1.» Cresce all'ombra.
2." Si ha un taglio precoce a primavera che permette di passare
senza difficoltà dal regime alimentare d'inverno degli animali a quello
d'estate.
3." Per la presenza del Carum carvi il foraggio mantiene in buona
salute gli animali.
4.° Mediante l'impiego sufticiente di colaticcio e di perfosfato si
ottiene un foraggio che tanto per quantità, come per valore nutritivo
può paragonarsi a qualunque altro fieno.
5." Si possono avere con facilità tre tagli, e quando la primavera
e l'autunno presentano le condizioni climatologiche favorevoli allo svi-
luppo dell'erba, si può raggiungere anche i 4 tagli.
4. — Volendo coltivare il brolo esclusivamente a piante da frutto,
e a prato, queste si possono disporre in quadralo, (fig. 180) in triangolo
equilatero od a quinconce. Col primo metodo 4 piante formano un qua-
drato ; col secondo, 3 piante formano un triangolo equilatero; col terzo
in ogni quadrato si mette in mezzo una quinta pianta.
Fra i tre sistemi è preferibile il secondo, che permette di lavorare
il brolo in tre sensi con un interfilarc di egual larghezza, cosi si ha
la massima uniformità di sviluppo nelle piante, avendo tutte un'eguale
superficie a loro disposizione.
L' impianto a quinconce viene preferito quando si vogliono allevare
molte piante in un appezzamento , poiché ad esempio avendo un
quadro di m. 36 di lato e perciò della superficie di m.^ 1296, disponendo
le piante in quadrato alla distanza di m. 12, ci stanno 16 piante ; di-
sponendole a triangolo equilatero pure distanti m. 12, ci stanno 18
piante ed a quinconce, ben 24 piante.
5. — Io notai sempre un maggior sviluppo dell'albero ed una mag-
giore produzione, quando sotto all'albero si lavora anziché tenere il
terreno coperto da erbe che sottraggono troppa umidità e tolgono l'aria
al terreno.
V.
Frutteto casalingo.
1. — Il frutteto casalingo ha lo scopo di fornire la mensa del pro-
prietario di tutte le possibili specie di frutta ed in tutte le stagioni. Ma
non di frequente il proprietario dispone a tale scopo di una estesa super-
ficie, perciò è naturale che deve dare alle piante le forme ridotte: mezzo
vento, piramide, cordone, spalliere, ecc.; l'impianto deve essere fatto
con una certa eleganza, perché serve d'abbellimento alla sua abitazione
di campagna ed anche di distrazione alla monotonia delle coltivazioni
campestri. Quindi il frutteto casalingo devesi trovare vicino all'abitato,
deve essere straordinariamente produttivo, deve dare le migliori varietà
- 176 -
di frutta ed avere una aggradevole disposizione architettonica. Esso co-
stituisce per gli appassionati della coltivazione delle frutta ciò che è
la serra per i floricultori. Soltanto nei frutteti si possono allevare certe
varietà di piante, si possono ottenere alcuni prodotti prelibati, perchè
in questi soltanto si possono, mercè i muri ed altri ripari, difendere
le piante dai danni degli estremi di temperatura, da quelli dei venti,
e cosi via. Senza muro di cinta è quindi impossibile immaginare un
frutteto, come pure occorre l'impiego d'una discreta somma di danaro
per il suo impianto e la relativa manutenzione. Il frutteto, dà una ren-
dita sicura, appaga anche l'occhio e quindi può farsi benissimo per
abbellire una villa. Anche nel frutteto non mancano le attrattive.
D'inverno si vedono le belle forme delle piante e si studiano even-
tuahnente gli errori incorsi nella potatura, in primavera si ha la fiori-
tura che è appariscente come in qualsiasi pianta ornamentale, in estate
si ha lo sviluppo delle foglie e dei germogli colle diverse gradazioni
di colorito verde, in autunno sono le frutta pendenti, le quali dilettano
per le loro forme diverse, per la loro grossezza e per i loro variati co-
lori. Se si mette poi in confronto il frutteto col giardino, si vorrà rico-
noscere che i piaceri di quest'ultimo costano molto più cari poiché col
valore soltanto di una serra si può piantare un frutteto molto più esteso.
Fino ad ora, in Italia, si possono citare ben pochi esempi di frut-
teti propriamente detti, che corrispondano anche per la rendita. Questo
fatto, pur troppo vero, ha portato il discredito alle forme modellate,
tanto che si ritengono forme di lusso, convenienti ai dilettanti ca-
pricciosi.
Chi giudica però in questo modo non tiene conto del poco amore
fino ad ora prestato alle piante da frutto, alla mancanza di persone
tecniche capaci di allevare e mantenere razionalmente le piante; non
si pensa che, in generale, un signore da noi preferisce spendere delle
centinaia di lire per avere una conifera rara, oppure una data varietà
di rose, piuttosto che provvedersi d'un capace potatore di piante. Quante
volte non mi è avvenuto il caso in Lombardia di far visita a qualche
signore che, nella sua campagna aveva piantato un frutteto, acqui-
stando dagli stabilimenti le forme modellate ed era malcontento della
spesa sostenuta pur avendo fatto venire uno specialista all' impianto
e per alcuni anni di seguito anche all' epoca della potatura !
Ma non è il caso di incolpare né lo stabilimento che ha fornito
le piante, né lo specialista che viene una o due volte l'anno, bensi il
proprietario stesso, il quale dovrebbe sapere che queste piante ri-
chiedono lungo tutto l'anno delle cure da una mano abile e conscia
del proprio operato. Frequentissimo poi è il caso che questi frutteti
siano in mano di giardinieri, i quali, perchè conoscono la coltivazione
dei fiori, credono d'essere capaci anche per le piante da frutto. Niente
di più erroneo : il floricultore ha un'arte ben diversa da quella del
frutticoitore. Sarebbe lo stesso che affidare un vigneto specializzato
sul colle ad un coltivatore di marcite che pota anche dei salici.
- 177 -
Non intendo di combattere l'amore e la predilezione che si ha
per i giardini, poiché è questione di preferire un piacere piuttosto di
un'altro ; vorrei soltanto che la decima parte delle cure che si hanno
per riparare una palma dal freddo, per riscaldare e ventilare le serre,
e cosi via, venisse riconosciuta necessai'ia anche per le piante da
frutto, poiché queste ultime in fine dei conti, sono sempre più utili.
Se ho la fortuna d'avere fra i miei lettori anche qualche lettrice,
incoiTo il rischio d'essere tacciato, scrivendo in questo modo, da uomo
prosaico, ma potrei rispondei'e che assai poche sono le signorine che
amano soltanto i fiori e invece alla maggior parte piacciono i fiori e le
frutta.
2. — Il frutteto casalingo si può farlo in diversi modi, e ciò natu-
ralmente dipende dalla somma di danaro che si vuole impiegare.
Non di rado anche nel frutteto stesso si vogliono coltivare degli
ortaggi, ma questo sistema non è privo d'inconvenienti. Anzitutto la
coltivazione degli alberi e quella degli ortaggi non si possono fare con-
temporaneamente con quella comodità necessaria; la concimazione o
l'irrigazione frequente di cui abbisognano gli ortaggi non sempre sono
adatte alle piante da frutto, anzi, le frequenti annaffiature, sono piut-
tosto nocive ; gli ortaggi stessi, perchè ombreggiati, non riescono tanto
saporiti e neppure tanto precoci, infine coltivando anche degli ortaggi,
il frutteto perde quella eleganza che è pur necessaria per abbellire
una villeggiatura. Piuttosto di non avere né frutteto, né orto, sarà meglio
coltivare gli ortaggi fra le piante da frutto o viceversa, più razionale
però sarà sempre di coltivare le une e gli altri in appezzamenti separati.
Non di rado avviene di trovare delle piante da frutto ad alto fusto
coltivate promiscuamente colle spalliere, cordoni, ecc. Anche questo é
un errore. Gli alti fusti bisogna lasciarli per il brolo, per la coltivazione
campestre; se noi li teniamo nel frutteto, agiscono come tanti parassiti
delle piante sottostanti, mercé le loro radici molto sviluppate assorbono
tutto il nutrimento e l'umidità, mentre colla loro fronda le privano
dell'aria e della luce. Al più si possono tollerare delle piante allevate a
mezzo vento, ma allora è naturale che le forme da adattarsi per le
altre piante non devono essere né spalliere né cordoni, ma bensi i fusi
e le piramidi.
VI.
Scelta della località
e distribuzione del terreno per un frutteto casalingo.
1. — Pel frutteto casalingo bisogna destinare il miglior terreno che
si ha disponibile, non tanto distante dalla abitazione con l'acqua vicina
perché, in caso di siccità, si possa in qualche modo provvedere. Il ter-
reno deve essere possibilmente orizzontale ed in caso di pendenza
questa sia verso Sud-Est od Ovest e mai verso Nord.
12 — Tamaiìo - Frutticoltura.
- 178 —
Per quanto è possibile, al frutteto bisogna dare una forma rettan-
golare, il cui asse maggiore sia in direzione perfetta da Nord a Sud.
Con questa direzione si possono utilizzare i muri per tutta la loro
lunghezza. Tanto contro il muro rivolto ad Est quanto contro quello
ad Ovest, si possono allevare dei peri a spalliera ed in quello ad Ovest
anche dei peschi primaticci ; quello esposto a mezzogiorno si utilizza
per la vite e per l'altro a tramontana conviene il ciliegio.
Volendo costruire dei muri isolati, per allevare delle varietà pre-
giate di pesco od uve da tavola, si costruisca il muro da Nord-Est
a Sud-Ovest, in modo che da un lato si avrà 1' esposizione di Sud-Est,
preziosissima per le pesche precoci, per le pere invernali, per l'uva
da tavola e in genere per tutte le varietà prelibate molto esigenti per
il calore.
L'estensione da darsi al frutteto dipende naturalmente dalla entità
di prodotto che si vuol ricavare. Generalmente parlando, il frutteto
casalingo non conviene che sia molto esteso, perchè allora diventa
troppo costosa la sua manutenzione. Si può ritenere che una super-
fìcie di 200 m.^ è sufficiente per produrre la frutta necessaria ad una
persona, sarà meglio però abbondare che non essere deficienti. Una
estensione di 20 are può provvedere di frutta due famiglie, e quindi
l'estensione media di un frutteto puossi ritenere da 10 a 20 are.
Destinato il posto, si passa alla costruzione del muro di cinta che
deve essere di 2,50 o al massimo 3 metri, per non privare le piante
della luce e dell'aria. Il muro quando è possibile, è bene costruirlo,
a m. 1,50 dal confine, per poterlo utilizzare con spalliere da tutti due
i lati.
Per la distribuzione del terreno si comincia a destinare la direzione
dei viali. I viali principali devono avere una larghezza di m. 1,30 a 2,
e quelli secondari di m. 0,80 a 1, sotto ai muri bisogna lasciare uno
spazio di terreno della larghezza di m. 1,20 a 1,50, ed eventualmente
di m. 2 contro il muro a mezzogiorno.
Fatta questa prima disposizione, si divide il terreno in tante aiuole
le quali devono avere una larghezza diversa a seconda della forma che
si vuol dare alle piante. Per i peri è sufficiente una larghezza di 2 m.,
per le spalliere isolate m. 2,80-3,40.
Volendo piantare in un'aiuola tre file di peri, si deve darle la lar-
ghezza di 5 a 6 metri ; se invece si tratta di piramidi, da 9 a 10 metri.
E' abbastanza difficile fare un piano generale che possa servire
d'esempio per l'impianto d'un frutteto casalingo, con tutto ciò mi pro-
verò coll'aiuto di illustrazioni di chiarire le regole principali.
2. — Intanto, riassumendo questo ho detto più sopra, le regole
principali che devono servire di norma per l'impianto d'un frutteto
casalingo sono le seguenti :
1.0 II frutteto deve essere cintato da muro.
2." Contro i muri non si allevino delle forme libere, bensì delle
forme appoggiate, quali sono le spalliere, i cordoni, per utilizzare al
massimo il calore.
- 179 -
3.0 Nella forma da darsi al frutteto casalingo, nella divisione del
terreno e nella scelta delle forme da darsi alle piante, bisogna sempre
provvedere a che le piante godano delia massima luce e calore, con-
dizioni indispensabili per la fertilità e per la precocità di maturazione
delle frutta.
4." Le forme delle piante si devono aggruppare in modo clie si
adombrino il meno possibile una coll'altra. Ciò si raggiunge, se fra le
singole forme si lascia una distanza eguale ad una volta od una volta
e mezza l'altezza che raggiunge la pianta nel suo completo sviluppo.
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Fig. 182. — Frutteto casalingo.
5." 11 frutteto deve essere orientato da sud a nord e cosi pure la
sua linea mediana, in modo che tutti e due i lati del frutteto godano
egualmente della luce.
6.0 Da Nord a Sud e nel mezzo, devesi costruire un viale, a cia-
scun lato del quale si devono disporre le piante a file parallele in
modo che appresso si trovino le forme più basse, poi le mediane e
contro il muro di levante e ponente le più alte. Ciò si fa per evitare
che le piante si danneggino colla loro ombra; quando però i due ap-
pezzamenti ai lati del viale sono molto larghi, allora si destina per le
forme più alte la parte centrale.
3. — Nella fig. 182, abbiamo il disegno di un frutteto casalingo,
nel quale sono illustrati quattro sistemi diversi d'impianto. Esso mi-
sura 50 m. in larghezza e 51 in lunghezza, quindi ha una superficie
totale di m^ 2550.
— 180 -
Cintato da muro, l'ingresso è in A, a capo cioè del viale mediano
che lo divide in due parti. (Nella figura è diviso in quattro parti, poi-
ché ho voluto l'iunire in un solo disegno quattro sistemi diversi d'im-
pianto).
Il viale di mezzo è largo due metri. Sotto ai muri è lasciata un'aiuola
di terreno larga m. 1,50, ad eccezione della parte sotto al muro esposto
a mezzogiorno, che è largo m. 2,50. Tutto intorno, c'è un viale secon-
dario largo m. 1,50. Contro ai muri si allevano delle spalliere o cordoni
verticali od obliqui, in margine poi all'aiuola e contro al viale, si alle-
vano dei cordoni orizzontali, con due branche sovrapposte. I cordoni
orizzontali sono di pero e melo, sotto il muro esposti a Nord si
Fig. 183. — Frutteto casalingo (proposto da Hardy).
possono fare invece siepi di ribes, lampone, uva spina, ecc. Le spal-
liere esposte a mezzogiorno si fanno con peschi od uva, quelle esposte
a Nord, con cordoni verticali od obliqui di peri e meli primaticci, op-
pure con palmette di prugni; quelle esposte a levante pure con peschi,
albicocchi, viti di varietà precoci ed a ponente di varietà tardive.
I due appezzamenti interni del frutteto vengono anzitutto contor-
nati da cordoni orizzontali, e quindi nel loro interno si possono disporre
le piante nel modo più svariato.
Nel quadro 1 è disegnato un impianto in quadrato di mezzi fusti
alla distanza di 7 metri, impianto che si può fare anche a triangolo,
per utilizzare meglio il terreno.
Nel quadro II si trovano gli stessi mezzi fusti, soltanto nel loro
— 181 —
centro è piantala una piramide (segnata con crocetta) e dintorno dei
fusi, oppure delle piramidi strette a colonna, (Le piramidi sono segnate
con punti.)
Nel quadro III si trovano tre file di piramidi distanti 7 metri da
fila a fila e m. 3,50 sulla fila. Fra una fila e l'altra sono piantate due
file di fusi alla distanza sulla fila di m. 2.
Infine nel quadro IV, appresso al viale centrale e distante m. 1,25
dai cordoni orizzontali, si trova un filare di forme basse che distano
sulla fila m. 2. Parallelo a questo ed alla distanza di m. 2,50 vi è un
altro filare di fusi pure distanti fra loro di 2 m., poi vengono tre file
Fig. 184. — Altro frutteto casalingo proposto da Hardy.
di piramidi piantate in quadrato e distanti m. 3,50 in tutti i sensi, quindi
ritornano i fusi e le forme nane.
4. — Nella fig. 183 abbiamo rappresentato un frutteto suggerito da
Hardy largo 40 m. e lungo 50, dunque una superficie complessiva di
20 are, pari a m.^ 2000.
Il frutteto è orientato perfettamente da Nord a Sud, cintato da muro.
In A l'ingresso e, sotto al muro di mezzogiorno, c'è un'aiuola larga
m. 2, e m. 1,50 sotto agli altri muri. I muri servono d' appoggio alle
spalliere e contro al viale si allevano dei cordoni orizzontali a doppia
fila, in modo che vengono ad avere l'altezza di m. 0,80. Contro al muro
di mezzogiorno si piantano invece due cordoni di viti, che raggiun-
gono l'altezza di m. 1. Il viale di mezzo e quell'intorno parallelo ai
muri è largo m. 2, gli altri secondari m. 1,50.
182
Fig. 185. — Frutteti casalinghi signorili.
— 183 -
Le due metà del frutteto sono poi suddivise in quattro aiuole nel
senso della lunghezza (1, li, 111, IV). La prima aiuola è larga m. 3,25 ed
in questa, da tutti due i lati del viale di mezzo ed a 25 cm. di distanza
dal medesimo si trova una fila di cordoni orizzontali (a a) a due piani,
che arriva all'altezza di 80 cm.
Nella stessa aiuola, alla distanza di m. 1,20 trovasi un cordone di
vite (b b) a due piani che raggiunge l'altezza di ni. 1. In (d) poi, alla
distanza di altri m. 1,50 trovasi una contro spalliera, che non deve su-
perare l'altezza di m. 1,60.
L'aiuola II è larga ra. 2,50, ed in mezzo ad essa ci sta una fila di
piramidi non più alte di m. 2, ed ai lati contro ai viali e distanti da
questi 25 cm. un cordone semplice orizzontale.
Nell'aiuola III trovasi una contro spalliera nel mezzo alta 3 m. ed
ai lati un cordone orizzontale.
Nell'aiuola IV in (e) c'è una contro spalliera alta m. 1,60, e dall'altro
lato un cordone orizzontale a due piani (f).
5. — Nella fig. 184 abbiamo il disegno di un altro frutteto impian-
tato col sistema Hardy, che non si trova orientato perfettamente da
Nord a Sud. In questo caso i viali sono perciò tracciati diagonalmente.
Le aiuole I, I sono piantate come le omonime della fig. 183 soltanto
sono 50 cm. più larghe, cosi pure le aiuole li, li e III. 111. Gli ultimi
appezzamenti d'angolo IV, IV sono coltivati a cordoni orizzontali.
6. — Nella fig. 185 ho disegnati due metà di frutteti casalinghi
signorili della superficie di m. 4400. La disposizione è la seguente :
N. 1 : muro con spalliere di viti.
N. 2: muro con spalliere di peschi e albicocchi precoci dal Iato
contro levante, ciliegi e susini precoci dal lato contro sud, e peschi ed
albicocchi tardivi dal Iato contro ponente. Al rovescio di questo muro
si possono anche fare delle spalliere.
N. 3: muro con spalliere di albicocchi.
N. 4: muro con spalliere di peschi.
N. 5: muro con spalliere di peri per cuocere e per conserve.
Il muro N. 5 può essere utilizzato per la coltura forzata delle frutta.
Contro poi a tutti i muri c'è un'aiuola, nella quale, al margine del
viale, si trova un cordone orizzontale.
N. 6 : padiglione formato con piante da frutto.
N. 7 : stanza degli attrezzi.
N. 8: vasca d'acqua.
N. 9 : boschetto di fichi, sorbi, giuggioli, oppure di altre piante, con
concimaia.
N. 10: mezzi venti di meli e peri, o mandorli, melagrani, o cornioli.
N. 11 : aiuole per la coltivazione in vaso.
N. 12: aranciera o serra calda.
N. 13 : piramidi di pero.
N. 14 : fosso di cinta fiancheggiato da cespugli di nocciuoli, di co-
togni e nespoli.
— 184 -
N. 15: viale fiancheggiato da viti ad alberello.
N. 16: viale fiancheggiato da peri a fuso e da cordoni orizzontali.
Fig. 186. — Frutteto casalingo signorile.
N. 17: viale fiancheggiato da palmette di peri.
N. 18: viale fiancheggiato di ciliegi e pruni a piramide od a pai-
metta, oppure da meli,
— 185 —
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Fig. 187. — Frutteto casalingo signorile.
- 186 -
Appezzamento A : fragole con peschi a mezzo vento.
„ B: ribes con albicocchi a mezzo vento.
„ C: lampone con ciliegi a mezzo vento.
„ D: viti ad alberello od a cordone orizzontale.
„ E : peri a forma nana, contornati da cordoni oriz-
zontali.
„ F: ceppale di fichi.
„ G: meli a vaso nani.
„ H: pruni e ciliegi a vaso nani.
„ /; uva spina con pruni a mezzo vento.
7. — A chi non piacesse la disposizione troppo regolare di questi
ultimi appezzamenti, presento nella fig. 186 un'altra disposizione nella
quale le lettere che distinguono ogni singolo appezzamento, corrispon-
dono alla leggenda come sopra.
8. — Infine nella fig. 187, abbiamo il disegno d' un altro frutteto
signorile, della superfìcie di m^ 6400. Il disegno rappresenta soltanto le
metà del frutteto.
N. 1 : padiglione fatto con viti di varietà primaticcie.
N. 2 : vasca d'acqua.
N. 3: aiuole con una fila di piramidi e contro ai viali principali,
dei cordoni orizzontali.
N. 4: aiuole con una contro spalliera di cordoni verticali od obli-
qui. Cordoni orizzontali contro ai viali.
N. 5 : quattro aiuole con palmette ad U.
N. 6: piramidi o bassi fusti alternati con filari di lampone, ribes,
uva spina, ecc.
N. 7 : spazio per la coltivazione in vaso.
N. 8 : tappeto di fragole, ornato da gruppi di piante, o da alberelli
di uva spina.
N. 9 : spalliera di peschi od uva contro il muro di cinta.
N. 10 : spalliera di peschi contro il muro di cinta.
N. 11: spalliera di peri e meli da cuocere o primaticci contro il
muro di cinta.
VII.
Frutteto di speculazione.
1. — Il frutteto di speculazione conviene soltanto quando le con-
dizioni del terreno e la località sono in massimo grado favorevoli.
Quando si ha vicina una città grande che consuma una considere-
vole quantità di frutta di lusso, come sarebbe da noi la città di Milano;
per la Francia, Parigi ; per l' Inghilterra, Londra ; quando si ha vicino
una via ferrata, un porto che mette in diretta comunicazione con grossi
187
Fig. 188. - Frutteto di
- 188 -
mercati, può convenire il frutteto di speculazione, il frutteto cioè colti-
vato con piante modellate, appoggiate, a spalliera, ecc.
Per raggiungere però lo scopo, è indispensabile :
a) che la persona chiamata a dirigere il frutteto abbia una piena
cognizione della frutticoltura ;
b) che siano state fatte delle indagini sufficienti per accertarsi
delle varietà ricercate dal mercato e dei prezzi che si potranno realiz-
zare, per convincersi dell'opportunità della coltura;
e) fare l'impianto con la minima spesa;
d) scegliere le forme più semplici, più facili, che producono il
massimo ;
e) coltivare soltanto poche specie e varietà.
Ammettiamo d'avere un appezzamento rettangolare (vedi fig. 188)
nel quale si voglia piantare un frutteto in parola.
Si comincia a circuirlo di un muro alto da m. 2,50 a 3, contro al
quale si metteranno delle spalliere e, vicino ai viali che vanno in giro,
dei cordoni orizzontali. 1 viali devono avere una larghezza di m. 2.
Contro al muro rivolto a mezzogiorno (a), si faranno delle spalliere
di peschi e vili. In preponderanza gli uni piuttosto delle altre, a se-
conda della convenienza. I peschi si allevino ad U doppia. Le viti si al-
levino a cordoni permanenti verticali. Nel caso che non convengano né
i peschi, né le viti, si coltivino delle qualità invernenghe di peri a
palmetta. Lungo il viale si mettono due cordoni orizzontali sovrapposti,
quello inferiore di meli e quello superiore di peri tardivi.
Contro il muro (h) si allevino a palmetta i peri di qualità più fina
e delicata autunnali o invernenghe, e contro al viale un coi'done oriz-
zontale di meli, lo stesso contro il muro rivolto a ponente (e).
Invece contro al muro (d) a tramontana, dei ciliegi precoci e tardivi
ad U semplice o doppia.
Nelle due aiuole nel mezzo (gli) si allevano a basso fusto, a vaso,
alla distanza di 5 m. degli albicocchi, susini e ciliegi, di varietà adatte
da coltivarsi a vaso. Ciascuna aiuola è contornata naturalmente da un
cordone orizzontale semjjlice di meli, e fra i due vasi si possono alle-
vare dei cespugli di uva spina, ribes o qualche forma nana di pero
o melo.
Negli appezzamenti (fi) successivi, si pianta una contro spalliera
doppia di palmetta di peri, ed in giro dei cordoni semplici di pero.
Infine negli appezzamenti (ef), se hanno una larghezza almeno di
2 m., si piantano, contro al viale del muro, dei cordoni orizzontali
di peri o meli, e nell'altro lato contro il viale di mezzo delle contro
spalliere di pero non più alte di 2 metri.
Per l'impianto delle armature, per la costruzione dei muri, valgano
le stesse considerazioni fatte pel frutteto casalingo.
- 189 -
Vili.
Frutteti misti.
1. — I friitleli misti hanno lo scopo di riunire in un appezzamento
la coltura delle piante da frutto con altre coltivazioni. Se in vicinanza
alla abitazione, oltre al frutteto, si vuol avere un giardino, si può
disporre in modo die l'uno non danneggi l'altro, anzi lo completi per
l'estetica ; altre volte si vogliono coltivare degli ortaggi ed allora ab-
c à F
Fig. 189. — Frutteto giardino in stile simmetrico (scala 1 : 200).
bianio il frutleto-orlo, mentre il primo si può chiamarlo fnitleto-giardino.
Infine, un frutteto può servire quale mezzo d'insegnamento nelle scuole
rurali elementari o nelle scuole normali, e quindi presso ad ogni scuola
dovrebbe essere un appezzamento di terreno, nel quale gli alunni po-
tessero esercitarsi non soltanto nella potatura delle piante da frutto,
ma anche nell'innesto, nella moltiplicazione dei vegetali, nella coltura
- 190 -
degli ortaggi, dei fiori. Insomma un insieme clie comprenda in minia-
tura un frutteto, un vivaio, un giardino, un orto, ed è ciò che io chia-
merei giardino didatiico.
Col mettermi a parlare dei frutteti misti, non è mia intenzione di
suggerire un sistema di coltura per speculazione; mio scopo soltanto
è di dimostrare, come si possa abbellire una villa mercè le piante da
frutto, consociandole ai fiori, agli ortaggi e riunire in una parola l'utile
al dilettevole.
Meglio di quanto potrei dire con molte parole, mi valgo dei disegni
che illustrano questo capitolo, per fare i quali ho preso in considera-
zione le esigenze che può avere un proprietario.
IV
E
Fig. 190. — Frutteto giardino in stile simmetrico (scala 1 : 200).
Nella fig. 189 abbiamo il disegno della metà dì un frutteto da col-
locarsi innanzi ad una casa d'abitazione.
La superficie complessiva essendo soltanto di m.^ 882 convenne
dare al frutteto uno stile simmetrico.
La disposizione è la seguente :
a) Aiuole con piante ornamentali basse.
b) Ingresso al frutteto.
e) Padiglione coperto con piante ornamentali o con viti.
d) Macchie di piante ornamentati.
e) Fusi di peri e sotto tappeto verde.
- 191 -
f) Forme basse di piante da frutto.
g) Fiori oppure una grande piramide di pero.
lì) Piramidi di peri.
i) Fiori.
ì) Vasca d'acqua.
Nella fig. 190 abbiamo un frutteto-giardino ancora più piccolo, nel
quale però le piante da frutto sono in maggior numero che nel disegno
precedente. Anche questo disegno, come il precedente, si può applicare
sul davanti di una casa d'abitazione.
La sua superficie è di m.^ 250.
a) Piante ornamentali.
b) Aiuole con fusi contornate da cordoni orizzontali.
e) Aiuole circolari con una piramide nel mezzo, o con una pianta
ornamentale.
d) Aiuole con fiori.
e) Aiuola centrale con piramidi e due vasche d'acqua.
La fig. 191 rappresenta la pianta di tre frutteti-giardini con disegno
diverso e di stile simmetrico. I frutteti A e B hanno una superficie
ciascuno di m.^ 900, ed il frutteto C di m.^ 1332.
Frutteto giardino A :
a) Padiglione.
b) Fontana o vasca d'acqua.
e, d) Aiuole con fiori (rose tenute basse e con piante ornamen-
tali da foglia) p. es. Dracaene, ecc.
e) Cordone orizzontale di meli in modo però da lasciare il pas-
saggio per andare dai quattro lati alla fontana nel mezzo.
fj Fusi o piante basse da frutto con sotto fragole.
g) Alberelli di viti, ribes, uva spina o fusi.
lì) Ingresso.
l) Aiuole con piramidi di peri, contro il viale cordoni orizzontali
ed eventualmente intorno ai muri spalliere.
Le medesime indicazioni valgano anche per i frutteti B e C.
Nella fig. 192 abbiamo la pianta di un frutteto-giardino di stile pure
simmetrico. La superficie complessiva è di m.^ 6351.
a) Padiglioni.
bj Pergolato di vite.
e) Vasca d'acqua.
d) Piramidi di peri.
e) Fusi di peri.
f) Alberelli di viti.
g) Cordoni di meli.
h) Spalliere e contro spalliere.
l) Piante ornamentali sempre verdi.
m) Fiori.
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Fig. 191. — Pianta di tre frutteti-giardini. (Scala 1 : 600).
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Fig. 192. — Pianta di mi frutteto-giardino in stile simmetrico. (Scala 1:C00).
1:ì — T.\M.vi!(i - Fnilticoltiira.
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Fig. 193. — Frutteto-giardino con casa di abitazione.
— 195 —
Nella fig. 193 abbiamo il complesso di una villa.
11 giardino è immediatamente vicino alla casa.
a) Casa d'abitazione.
bj Rimessa, casa d'abitazione del giardiniere, stanza per bagni, ecc.
e) Scuderia.
d) Rimessa per la legna.
e) Concimaia.
f) Cortile per gli animali di bassa corte.
g) Locale per il bucato.
hj Alti fusti di meli e peri.
i) Spalliere di peschi.
l) Spalliere di meli, peri primaticci o ciliegi.
mj Montagnetta.
nj Piramidi di peri.
o) Controspalliere doppie con cordoni orizzontali contro ai viali.
p) Vigneto.
r) Giardino.
Infine nella fig. 194 è disegnata la pianta di un giardino-frutteto di
stile non simmetrico. A spiegazione della figura valga la seguente leg-
genda :
a) Casa d'abitazione con aranciera.
bJ Cortile.
e) Abitazione rustica.
d) Fiori.
e) Alberelli di ribes, uva spina o vite.
f) Piramidi di piante da frutto.
g) Pieni e mezzi venti di piante da frutto.
h) Piante ornamentali, conifere ecc., ecc.
Per chiarire meglio lo scopo di questo disegno, credo opportuno
di far seguire una breve spiegazione.
Molti sogliono destinare a frutteto un appezzamento separato dal
giardino, mentre qui sarebbe riunito e l'uno e l'altro, perché le forme
delle piante da frutto completino l'ornamento del giardino o parco.
La casa d'abitazione con annessa aranciera, ha anche dal lato
ovest una aiuola che si può destinare a fiori specialmente a rose; dal
lato est invece c'è una pergola di sempreverdi che conduce in (e),
uno spazio con nel mezzo una vasca d'acqua ed all'intorno degli
alberelli di ribes, uva spina, viti. I muri della casa d' abitazione pos-
sono venire utilizzati per appoggiare delle spalliere di piante da frutto,
specialmente viti.
Contro i muri di cinta conviene piantare delle piante sempre verdi
arboree, mentre invece nelle aiuole interne secondarie, si possono al-
ternare le piante ornamentali più piccole con dei gruppi di piante da
frutto allevate a fusi, piramidi, mezzi e pieni venti, a seconda che lo
permettano le piante ornamentali.
- 1% —
La fìg. 195 è la pianta di un giardino, nel quale oltre alle piante
ornamentali, ai fiori, sono coltivate delle piante da frutto e degli ortaggi.
Fig. 194. — (iiardino all'inglese con piante da frutto ed ornamentali. Scala (1:000)
La superficie complessiva è di m.^ 750.
a) Padiglione di piante ornamentali.
b) Pergolato di piante ornamentali.
e) Boschetto.
d) Fiori.
197
e) Gruppo di lìori o vasche di
acqua.
f) Spazio per mettere le piante
da frutto in vaso.
g) Aiuole di fusi di peri con cor-
doni orizzontali contro ai viali.
h) Fragole od altre piante da orto.
i) Piramidi di piante da frutto.
l) Spalliere di piante da frutto.
m) Ingresso con padiglione for-
mato con cordoni verticali di peri.
Il) Sedili.
Nella lìg. 196 abbiamo un pro-
getto di villeggiatura nel quale il
giardino (A), V orto (B) ed il frut-
teto {C), occupano spazi speciali e
separati.
Il frutteto e l'orto sono cintali
da muro, contro il quale si allevano
delle spalliere.
a) Casa d'abitazione.
b) Vasca d'acqua o fontana.
e) Latrina.
d) Spazio per mettervi dei sedili.
e) Padiglione per vedere nella
strada.
f) Bagno.
g) Muro di cinta con spalliere di
peschi ed albicocchi.
h^i) Controspalliere isolate di peri.
k) Controspalliere di peri a pal-
metta.
l) Aiuole per la coltivazione de-
gli ortaggi.
Il progetto della flg. 197 si può
applicare per una villa grandiosa.
Il disegno è in scala da 1 : 2000
e misura una superficie di m.^ 44.200.
a) Castello.
b) Fontana.
e) Fabbricati rustici con scuderie ecc., ecc.
e) Casa del portinaio.
f) Serre.
Per la scelta delle specie e varietà delle piante
pel frutteto casalingo.
Fifj. 19.S. — F'nitleto. orlo e giardino
di stile simmetrico. (.Scala 1:300).
ale quanto ho detto
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Fig. 196.
l'JU
Fio-. 197. - Villeggiatura con gianlino, orto e friillelo.
— 20U
IX.
Giardino didattico.
I moderni sistemi di insegnamento elementare che escludono la via
astratta della dimostrazione per quella oggettiva, la necessità sempre
più riconosciuta, che alcuni elementi di agricoltura vengano instillati
agli scolari, ed infine i vantaggi dell'igiene, portano la necessità che,
annesso ad ogni scuola si trovi un appezzamento di terreno, nel quale
^ % * % I % ^ •% *
Fig. 198..- Giardino didattico - Scala 1:250 - .Sup. m.^
514,50.
non soltanto sieno raccolte le principali piante coltivate, ma dove anche
gli scolari possano esercitarsi. Trattando della coltivazione delle piante
da frutto, mi è sembrato necessario di parlare brevemente anche sulla
disposizione da darsi ad un giardino didattico, il quale, secondo me,
dovrebbe essere occupato per molta parte da piante da frutto e da
rispettivi vivai.
Nella figura 198 abbiamo il piano d'un giardino didattico della
superficie complessiva di 500 m.^ La leggenda è la seguente :
a) Padiglione coperto di vite o d'una pianta ornamentale, oppure
vasca d'acqua.
— 201 -
b) Viale intorno alla vasca o padiglione con sedili.
e) Quattro aiuole coltivate a Mori od altre piante ornamentali.
d) Viale fiancheggiato da spalliere di peri, peschi, vite, ecc.
e) Fusi di peri, oppure peri e pomi allevati a ceppaia nani.
ìk^ÌM
Fig. 199. — Giardino didattico o casalingo - Scala 1:250 - ,Sup. m.- 2000.
//; Sono due appezzamenti, che si suddividono in tante aiuole
trasversali larghe m. 1 e che possono servire per seminare le piante
da frutto.
gy) Sono due altri appezzamenti da suddividersi in altrettante
piccole aiuole per coltivare i principali ortaggi.
— 202 —
h) Barbatellaio e nestaiuola.
i) Fragolaio contornato da piante da frutto a cespuglio, come è
il ribes, l'uva spina, ecc.
l) Appezzamento da suddividersi in piccole aiuole di 1/2 m.^ per
coltivare le principali piante velenose e malerbe.
% ^
Fig. 200. — Giardino didattico della superficie di m.' 2000.
m) Lo stesso come per /, ma invece per coltivare le principali
piante aromatiche e medicinali. Le aiuole h, /, / ed m sono di eguale
grandezza per poterle mettere in rotazione.
n n) Due aiuole da destinarsi a piantonaia e che si possono met-
tere in rotazione colle aiuole (ff) di eguale grandezza.
- 203 -
00) Due appezzamenti da suddividersi in aiuolette di 1 m.- per
coltivarvi le principali piante agricole. Anche questi due appezzamenti
si possono mettere in rotazione, ad esempio ogni tre anni, cogli ap-
pezzamenti (y g).
p) Mezzi venli di piante da fruito di diversa specie alternati con
piramidi.
Nella fig. 199 abbiamo il disegno d'un giardino didattico molto più
grande e che può servire anche per un giardino casalingo :
a) Scuola od abitazione del proprietario.
b) Gradinata coperta di vetri o da una pergola.
e) Abitazione del custode e riparo degli attrezzi.
d) Vasca d'acqua con zampillo.
e) Tappeto verde contornato da fiori e qua e hi con piante or-
namentali.
/> Boschetti con jnante da bosco e da Irufto.
(j) Apiario.
h) Frutteto.
i) Orto.
1) Letti caldi, semenzaio e vivaio.
n) Pieni e mezzi venti alternati con piramidi, l'usi, ecc.
o) Campo sperimentale e dimostrativo.
p) Orto botanico agricolo di piante annuali.
Infine nella fig. 200 abbiamo un giardino didattico completo:
a) Strada del villaggio.
b) Ingresso.
e) Fabbricato della Scuola.
d) Padiglione.
e) P'abbricato pegli attrezzi e palestra di ginnastica.
f) Orto.
g) Collezione di piante coltivate da campo di piante nocive.
h) Vivaio di piante e campo sperimentale dimostrativo.
i) Semenzaio, letti caldi, fragolaio, asparagiaia.
l) Piramidi o spalliere di peschi.
in) Mezzi o pieni venti alternati con piramidi da fiutlo.
n) Piante forestali e d'ornamento.
o) Piante da frutto ad alto fusto.
p) Fiori.
v) Vasca d'acqua.
s) Tappeto verde.
t) Concimaia.
PARTE SESTA
COLTIVAZIONE GENERALE
I.
Clima.
Gli elementi che concorrono a caratterizzare il clima sono quattro
e cioè: il calore, la luce, V acqua e Varia, ciascuno dei quali noi dob-
biamo ora prendere in considerazione in rapporto alle piante da frutto,
1. Calore. — Il calore favorisce fino ad un certo punto, la traspi-
razione e mantiene in attività la vegetazione, ma deve essere accom-
pagnato da un corrispondente grado di umidità dell'aria e del terreno.
In Italia, compresa la Libia, al periodo delle pioggie corrisponde un
abbassamento di temperatura dell'atmosfera ; ai tropici si ha il feno-
meno inverso e cioè colle pioggie coincide il maggiore sviluppo delle
piante di quelle regioni.
La frutticoltura è possibile soltanto nei paesi dove la temperatura
media annuale arriva almeno a 8 1" C. con una temperatura media
estiva di 15. 6° C. In Italia questi limiti vengono sorpassati in ogni re-
gione.
Sarebbe di grande importanza non solo teorica ma anche pratica,
sapere di quanto calore abbisognano gli alberi da frutta per compire
il ciclo annuale della loro vita, quanto calore sia necessario peichè i
semi germinino, perchè le gemme germoglino, e perchè la pianta
fiorisca e porti il frutto a maturazione. Se fosse possibile calcolare
con esattezza queste quantità di calore chiamate costanti termiche della
vegetazione, si potrebbe stabilire anticipatamente se in una località
possono vivere queste o quelle piante, se possono portare frutti ma-
turi e se la loro coltivazione è utile e raccomandabile.
L' esperienza ha dimostrato che l' accrescimento dipende princi-
palmente dalla temperatura misurata al sole, perciò si pensò, per deter-
minare le costanti termiche, di utilizzare le indicazioni di un termometro
205
a massima, esposto al sole. Si sommano le temperature diurne date da
questo termometro a cominciare dal 1" gennaio fino al giorno in cui
sopra una pianta, illuminata direttamente dal sole, si svolgono le foglie
dalla gemma, si aprono i primi fiori e maturano i primi frutti, e i nu-
meri ottenuti si considerano come le costanti termiche.
La tabella che segue dà le costanti ottenute nel modo indicato
dopo osservazioni di parecchi anni, eseguite a Giessen nella Ger-
mania centrale. Queste costanti superano di molto quelle che si leggono
nei comuni trattati, inquantochè di solito si fa la somma delle tempe-
rature medie giornaliere del periodo vegetativo e non si sommano le
temperature dal gennaio in poi.
Tab. IX.
Costanti termiche di alcune piante da frutte.
Nome
della pianta
Albicocco
Castagno
Ciliegio.
Corniolo
Crespino
Faggio
Mandorlo . . .
Melo
Nocciolo . . . .
Noce
Pero
Pesco ....
Ribes ....
Sorbo ancuparia
Susino ....
Uva spina . .
Vite . . .
3.^.96
.-.780
ti!»13
1 dati però hanno un valore molto relativo, poiché i raggi solari
agiscono sulle foglie, sui fiori, sui frutti, in un modo essenzialmente
diverso che sul mercurio del termometro. Bisognerebbe trovare uno
strumento che ci indicasse la quantità di calore effettivamente con-
sumata dalla pianta ed un altro che ci indicasse il calore utilizzato
del terreno e quello derivante dalla luce.
Con tutto ciò le comparazioni possono avere una qualche utilità,
specialmente se completate colle osservazioni fenoloifiche. Con queste si
registra il giorno in cui avviene il risveglio della vegetazione ed il
tempo impiegato dalla pianta per svolgere le sue diverse fasi. Si ca-
pisce che nelle osservazioni fenologiche, lo strumento di misurazione è
la pianta e non il termometro.
- 206 -
Finora però non sono stati organizzati degli osservatori a questo
scopo per una vasta regione o Stato. Le osservazioni fenologiche e
termometriche bisogna farle almeno per 5 anni di seguito, in una
stessa regione e sulle medesime piante per poterne trarre utili dedu-
zioni.
A mia conoscenza, soltanto il Wùrtemberg organizzò da 25 anni
ben 63 stazioni fenologiche. Il paese si presta, poiché sopra una super-
ficie relativamente limitata sono coltivate molte specie di piante da
frutto, situate nelle condizioni più varie.
Le deduzioni che si possono ricavare e che interessano la frutti-
coltura, coi dati raccolti nel Wùrtemberg, sono le seguenti :
a) Procedendo da sud a nord, le primavere si ritardano ma questa
perdita di tempo viene poi compensata dalle giornate lunghe e calde
d'estate.
h) Ad eguale altitudine e latitudine, la fioritura primaverile e la
caduta delle foglie viene ritardata andando da ponente a levante.
Ad ogni 122 Km. di distanza si ha il ritardo d'un giorno.
e) La fioritura estiva invece è più tarda a ponente che a levante.
d) Nelle regioni montuose di media altezza, la fioritura primave-
rile viene ritardata in primavera, mentre quella estiva rimane la stessa.
e) La maturazione delle frutta invece viene tanto più ritardala
quanto più si sale, poiché l'autunno comincia prima.
f) La maturazione a levante è più anticipata di quella a ponente.
g) Per ogni 100 m. di altitudine corrispondono giorni 1, 2 di
ritardo di vegetazione e giorni 4, 1 di ritardo di fioritura e di matu-
razione.
h) Ad ogni grado di latitudine verso Nord, corrisponde un ritardo
di vegetazione di giorni 2.6 e si prolunga di 2 giorni il periodo vege-
tativo.
ì) Nel Wùrtemberg, in una media di 25 anni, la fioritura del
ciliegio avvenne il 27 aprile, della vite il 25 giugno, e la maturazione
dell'uva il 15 ottobre. Il ribes fiori il 25 aprile.
l) Dalla fioritura alla maturazione, le piante sotto indicate impie-
garono i seguenti giorni :
albicocco giorni 133 fioritura 15 aprile
ciliegio „ 80 „ 27
lampone „ 83 „ — „
melo precoce „ 101 „ 12 maggio
„ tardivo „ 138 „ 22
pero precoce „ 100 „ 11 „
„ tardivo „ 147 „ 6
Per sapere se una pianta è adatta in un dato ambiente, è necessario
conoscere non soltanto la media temperatura dell'aria e del terreno,
ma anche le rispettive massime e minime che si hanno d'estate e d'in-
verno.
207
Gli estremi di temperatui
•a ai quali possono
resistere alcune piante
sono i seguenti :
Teni|)eratura in
gradi e.
niininia
massima
Agrumi
— 3.5 a — 5
40" C.
Banano
— 2
Castagno
— 34 a - 36
—
Ciliegio
- 37 a - 38
—
Fico
— 9 a — 11
_
Gelso
- 21 a - 23
_
Melo
- 39 a — 40
—
Noce
- 37 a - 38
—
Pero
- 39 a - 40
_
Pesco
- 34 a - 36
—
Vite
- 26
—
Gaspatin ha scritto che l'agricoltore deve per primo farsi amiche
le stagioni, il che vuol dire che non conviene fare una coltura se que-
sta non sopporta le condizioni di temperatura dell'ambiente.
Per alcune piante da frutto si conoscono i gradi di calore neces-
sari nelle diverse fasi di vegetazione. Questi dati sono riuniti nella
Tab. X.
Tab. X. Gradi di temperatura necessari
per alcune fasi di vegetazione delle piante da frutto.
Temperatura per la
PIANTE DA FRUTTO
germogliazione
fioritura
maturazione
del frutto
Aberia
Agrumi
Albicocco
Castagno
Ciliegio
Fico .
Co
10
6
8
11.2
8
11-12
2
7
10
C»
10
17
8
17.5
17.8
8
8
18
5.4
18
Co
.■50-40
19
20
17.8
21
(lelso
Lampone
Mandorlo
Melo
—
Olivo
Pero
Pesco
Ribes
Susino
Uva spina
Vite
21
20
17.8
18
22
Riguardo alla temperatura devo ricordare al lettore, che i rilievi
climatologici vengono fatti tenendo i termometri a m. 2,60 di altezza
— 208 -
dal terreno. Avviene però, specialmente nelle zone calde come in Sicilia
e nella Libia, che durante l'inverno sono non infrequenti degli abbas-
samenti di temperatura vicino al suolo, talvolta prolungati e dovuti
al notevole irradiamento notturno.
L' intensità e la rapidità dei processi di vegetazione, dipendono
dal grado di calore che si ha nei periodi decisivi per la vita della
pianta, quali sono la germinazione dei semi, la germogliazione delle
gemme, la tìoritutura e la maturazione dei frutti.
La temperatura media annuale di una data regione ha un valore
molto relativo, mentre è indispensabile conoscere la durata e l'intensità
dei periodi di gelo, il limite massimo della temperatura estiva e le
variazioni di temperatura che avvengono nelle giornate più critiche.
Per difendere le piante dal gelo si ricorre alle coperture, alle col-
tivazioni contro i muri, ai ripari nelle arancere e cosi via.
Col troppo calore e la conseguente aridità nel terreno, si arresta la
vegetazione, cadono le foglie ed i frutti, le piante si coprono di paras-
siti e l'albero infine deve morire. Se invece la temperatura è sempre
in aumento, mantenendosi il terreno umido, le piante prendono un ri-
goglio straordinario, ma portano poche frutta.
Si possono prevenire i danni dell'aridità del terreno e del sover-
chio calore coi seguenti mezzi :
a) coprendo il terreno con stranie o stallatico od altro materiale
che si abbia a disposizione, affine di limitare l'evaporazione del ter-
reno per un metro intorno alle piante, non già però quando il terreno
è già secco, ma bensì in marzo quando è ancora umido ;
b) irrorando con acqua le foglie alla sera dopo il tramonto ;
e) annaffiando con conci liquidi, come colaticcio allungato, il
quale influisce anche sulla grossezza e gusto delle frutta. L'annaffiatura
non si deve fare però più di due o tre volte durante la stagione, altri-
menti marciscono le radici superficiali ;
d) zappando e sarchiando di frequente ;
e) irrigando il terreno.
2. La luce. — Senza la luce non è possibile una sana alimentazione
e traspirazione della pianta.
Un albero che cresce all'ombra dà rami lunghi e sottili, produce
fiori, ma non frutti. Solo i rami esposti al sole possono portare frutto.
11 medesimo efletto lo abbiamo anche sulle piramidi o fusi, allevati
con rami troppo fitti.
La luce abbondante, viva, diretta deve avvolgere tutta la pianta.
Con ciò si favorisce lo sviluppo dei rami laterali, che sono sempre i
più fruttiferi. Si raccomanda, nelle località a luce scarsa, non soltanto
di tenere i rami più radi, ma di fare le piantagioni a maggiore distanza.
La luce influisce in grado eminente sulla fecondazione dei fiori,
sul sapore, sulla fragranza, sul colorito dei frutti e delle foglie, poiché
lo strato cellulare della buccia delle frutta funziona in eguale guisa
delle foglie. Per questo, prima che cominci il processo di maturazione,
- ^09 -
bisogna evitare che le pesclie e le albicocche delle spalliere vengano
adduggiate dalle foglie.
Dopo il calore, la luce è indubbiamente l'elemento che ha la mag-
giore influenza sulla quantità e qualità delle frutte. Soltanto dove ab-
bonda la luce si possono coltivare le varietà tardive. Nelle città, nei
giardini presso le case, dove di frequente l'aria è offuscata da nebbie,
da fumo o da pulviscolo, si raccomandano le varietà precoci ; le va-
rietà tardive si devono allevare soltanto contro i muri a spalliera.
Quanto più rigido è un clima tanto maggiore è il bisogno di luce
per la pianta. La luce convertita in calore supplisce alla delìcenza di
quest'ultimo ed è per questo che nei paesi nordici la coltivazione a
spalliera è molto estesa e le piantagioni vengono fatte a maggiore di-
stanza che da noi.
3. — L'aria è altro degli elementi indispensabili per la vita delle
piante; senza il suo concorso non può avvenire germinazione di semi,
elaborazione di succhi, sviluppo e vitalità nelle radici.
Se in un giardino non circola sufficientemente l'aria, le piante pe-
riscono oppure non portano alcun frutto.
Dagli impianti troppo fitti, non si può attendere molto prodotto;
così pure è necessario che il terreno attorno alle piante sia mantenuto
soffice, poiché l'aria penetrando, non soltanto serve per la respirazione
delle radici, ma serve anche a decomporre e rendere assimilabili i ma-
teriali inerti. Quanto più compatto è un terreno, tanto più piofondo e
di frequente bisogna lavorarlo.
Il movimento dell'aria agisce favorevolmente sulla pianta sia dal
lato meccanico che fisiologico. Meccanicamente, poiché una ventilazione
moderata favorisce la fecondazione ed impedisce i danni del secco o
della umidità eccessiva dell'atmosfera; fisiologicamente, perchè si
rende più attiva la vita della pianta.
4, — L'acqua è un elemento indispensabile per la vegetazione : nel
terreno ed allo stato liquido, quale solvente degli elemenli nutritiin ;
nelle piante, poiché vi costituisce un gran parte del succo; nell'aria
allo stato gazoso, perché oltre a servire da regolatore del calore, ci
procura le pioggie ed altri precipitati atmosferici.
Nel terreno deve però trovarsi nella dovuta quantità poiché, se
esuberante, le piante non fioriscono e il legno si costituisce male;
se invece é deficiente, le piante crescono poco rigogliose, sono poco
longeve, si caricano di fiori e frutti che non sempre portano a ma-
turazione. Si toglie la soverchia umidità al terreno, mediante lavori
speciali di miglioramento o col drenaggio ; all' aridità, come ho detto,
si rimedia coprendo il terreno in primavera, o coll'irrorare le fronde,
o somministrando concimi liquidi durante la vegetazione.
L'irrorazione delle fronde é forse il miglior sistema specialmente
pegli alberi coperti di polvere lungo le strade; bisogna però avere
l' avvertenza, che l'acqua abbia la temperatura piuttosto supcriore a
quella dell'atmosfera, altrimenti le foglie cadono.
14 - Tamaro - Frutticoltura.
— 210
In una atmosfera umida o che va soggetta a nebbie, le piante bensì
fioriscono molto, ma le frutta allegano poco. A questo inconveniente
non si può rimediare con alcuno artifizio.
Dal periodo della lìoritura a quello della maturazione, sono prefe-
ribili le pioggie frequenti ai forti acquazzoni, i quali scorrono via senza
che il terreno se ne possa imbevere. Le regioni delle colline che hanno
pioggie meno abbondanti, ma più frequenti del piano, danno anche per
questo dei maggiori prodotti.
Le regioni ricche di pioggia richiedono concimazioni e lavorazioni
diverse delle regioni asciutte.
Per r Italia, il problema dell'acqua è il più importante ed è di vitale
importanza per la nostra frutticoltura. L'irrigazione anche delle piante
da frutto, come vedremo in apposito capitolo, nella Parte sesta, si deve
estendere molto di più di quanto si è fatto finora.
5. Conclusioni. — Dopo quanto precede in questo capitolo dobbiamo
dire che lo studio del clima ha una importanza capitale per rendere
reddiliva la nostra frutticoltura.
a) L'albero da frutto richiede durante il periodo di attività vege-
tativa, temperatura elevata, buona aria, abbondante luce con una nor-
male freschezza del terreno.
b) Durante il periodo di riposo, la neve protegge le piante e gli
inverni miti, con frequenti giornate coperte, nebbiose o asciutte e fredde
con gelo, sono dannosi. Dannosissime sono poi le forti nebbie se
seguono i freddi intensi e lunghi.
e) Le primavere precoci, un maggio soleggiato ma non caldo, con
pioggie moderate, promettono buon allegamento dei frutti. I rapidi
sbalzi di temperatura, i jìeriodi lunghi di siccità o di pioggie, così pure
la persistenza di venti asciutti, sono quanto mai dannosi. Il prodotto è
tanto maggiore quanto più di frequente si alternano durante l'estate, i
periodi di tempo sereno con dei brevi periodi di pioggie abbondanti.
Nel primo mese dell'autunno, la pianta da frutto esige giornate
calde e serene per maturare i suoi frutti ; in novembre e in dicembre
invece, le pioggie sono propizie, perché nel terreno, si immagazzina
dell'umidità che va a vantaggio della vegetazione successiva.
d) Naturalmente il prodotto dipende anche dalla quantità di ma-
teriali di riserva che la pianta ha potuto immagazzinare dal tempo
trascorso dall'ultimo grande raccolto; dalle cure che si hanno avute
per mantenere sano e vigoroso l'albero; dai materiali nutritivi accu-
mulati nel terreno e dal loro grado di assimilazione. (ìeneralmente il
prodotto dipende da quel fattore di produzione che agisce in rapporto
massimo o minimo.
Più ancora però delle sostanze nutrienti accumulatesi nel terreno,
il prodotto dipende dall'andamento delle stagioni nell'anno precedente.
e) Per ogni specie di alberi vi ha una condizione speciale di
terreno e di clima che rappresenta il suo optimum, e tutte le variazioni
di questo sia per una temperatura più alta o più bassa, va a svantaggio
della fruttificazione.
— 211 -
Ogni pianta trovandosi nel suo optimum per un fattore, ha esi-
genza diversa per un altro fattore. Ad esempio se una pianta nel suo
optimum esige terreno fresco, nei climi più caldi lo esigerà umido e
nei climi più freddi, secco.
Gli agenti atmosferici che vi concorrono maggiormente sul risultato
dei prodotti dell'anno in corso sono: il calore, nel mese di maggio;
in giugno, l'umidità dell'aria; in luglio ed agosto, l'umidità del terreno;
in settembre-ottobre, il sole.
/) Quando nei mesi di giugno, luglio ed agosto si ha avuto un
tempo caldo, uniforme, con una media superiore alla usuale, si avrà
con molta probabilità, se l'autunno e l'inverno non danneggiano, un
buon raccolto nell'anno seguente.
Se invece il suddetto jieriodo è stato piuttosto freddo, incostante,
con una media inferiore a quella solita del paese, si avrà scarso rac-
colto nell'anno venturo, indipendentemente dall'autunno ed inverno più
o meno favorevoli.
II.
Terreno.
A parità di condizioni di clima, la riuscita di una coltura dipende
dal terreno.
I terreni di buona composizione e di buona preparazione hanno
un valore inestimabile, poiché da essi tutto si ottiene colla minor
spesa e col minor lavoro. Questi terreni però sono ben rari. La mag-
gior parte di quelli che possediamo sono mediocri, quindi per ottenere
dei prodotti rimuneratori occorrono miglioramenti meccanici e chi-
mici, occorre applicare la coltivazione più adatta, infine sono neces-
sarie tutte quelle intelligenti vedute che costituiscono la vera scienza
della coltivazione.
1. Composizione del terreno. — Gli elementi principali che costitui-
scono il terreno agrario sono quattro, e cioè: l'argilla, la silice, il cal-
care e l'umus.
Un terreno in cui prevale l'argilla, per la sua impermeabilità, si
mantiene costantemente umido. Gli alberi ivi piantati nei loro primi
anni di vita, hanno una vegetazione rigogliosa, ma più tardi poi si
arrestano nel loro sviluppo. Il legno cresce molle, mal conformato
e le piante sono poco fruttifere. Le frutta vengono voluminose, ma
poco succose e si conservano male. Durante l' inverno le piante sof-
frono per il freddo; nell'estate, screpolando il terreno, le radici sof-
frono per il caldo, e con questo alternarsi di caldo e freddo si ingenera
il marciume. I tronchi ed i rami si coprono di muschi e licheni, le
piante perciò presto si ammalano e muoiono.
Nei terreni silicei, che hanno proprietà opposte degli argillosi, le
— 212 -
piante da frutto si sviluppano lentamente, danno cacciate meno vigo-
rose ; fioriscono però molto, e danno frutta saporite, ma piccole.
I terreni calcari sono i meno adatti per le piante da frutto, perchè
troppo freddi, perchè trattengono molt'acqua e presto anche si asciu-
gano, screpolandosi. In questi terreni, le piante a granella non riescono
assolutamente ; soltanto le piante a nocciolo vi crescono ; però sembrano
sempre ammalate ; sviluppano molte frutta, ma giunte presso alla
maturanza cadono o rimangono di sapore disgustoso, amaro e piccole.
Meglio di tutte le altre piante a nocciolo nel calcare, riesce il ciliegio.
L'uraus non è altro che il prodotto della decomposizione di so-
stanze organiche vegetali ed animali. In un terreno costituito esclusi-
vamente di umus nessuna pianta riesce.
Come si vede, ciascuno di questi quattro elementi preso da sé solo
non costituisce un terreno fruttifero; una combinazione di due lo rende
mediocre, fertile in sommo grado se costituito da
silice 50 7o
argilla 25 „
calcare 15 „
umus 10 „
Concludendo, un buon terreno da frumento, è sommamente adatto
per tutte le piante da frutto ; se il calcare abbonda alquanto, allora
riusciranno meglio le piante a nocciolo di quelle a granella o viceversa.
Del terreno, più che la composizione immediata hanno importanza:
la sua profondità ; il comportamento delle sue particelle per trattenere
l'aria, il calore e l'umidità; la composizione chimica, per quanto questa
possa influire sulle proprietà fìsiche.
2. Profondità. — Per le piante da frutto è indispensabile che il
terreno sia profondo, perchè le radici possano estendersi, penetrare
negli strati sottostanti. Soltanto a queste condizioni si hanno delle
piante vigorose, ben sviluppate, longeve e fertili.
Difatti, lo strato superficiale del terreno è poco utilizzato dalle
radici di un albero, tanto più che esso va soggetto ad asciugarsi. Lo
strato veramente attivo è quello sottostante. Nel sottosuolo le radici
ordinariamente non penetrano, ma esso deve servire da deposito del-
l'umidità e quindi da sorgente di quella freschezza che nel capitolo
precedente abbiamo visto essere indispensabile per assicurare la pro-
duzione di frutta. La profondità più conveniente per questo imma-
gazzinamento di umidità sarebbe fra i tre e quattro metri.
E' ovvio aggiungere che per le piante da frutto in genere e spe-
cialmente quelle con radici molto profonde come il pero, ciliegio,
noce, castagno, sono molto dannosi nel sottosuolo gli strati imper-
meabili compatti di creta o marna.
Trattandosi soltanto di coltivare delle piante a cespuglio od a forme
nane, la profondità del terreno ha minore intluenza ; esse però esigono
un terreno ben fertile.
- 213 -
3. — Le pruprielà fisiche e specialmente la facollà di Iratlenere
l'aria, il calore e l'umidità dipendono oltre che dalla costituzione del
terreno, dalla sua profondità, dall'intensità di evaporazione, dall'espo-
sizione, dalla pendenza, dalla qualità e quantità di erbe che vi crescono,
dalla distanza fra le piante, dall'immissione di acque superficiali e
dalla sottrazione di acque mediante le affossature o drenaggio.
I terreni argillosi sono generalmente impermeabili, umidi, freddi,
tenaci, aderenti, diffìcili a lavorarsi, soggetti a sbalzi di temperatura.
I terreni calcari sono simili ai sabbiosi, ma sono più leggeri e più
freddi se bianchi.
I terreni sabbiosi sono molto permeabili, secchi, caldi negli strati
superficiali e freschi nei profondi, con temperatura relativamente co-
stante e facile a lavorarsi.
I terreni umiferi sono mobili, porosi, facili a lavorarsi, ricchi di
umidità e caldi.
Dai diversi rapporti in cui si troveranno l'argilla, la calce, la
sabbia e l'umus, in un terreno si potranno dedurre le rispettive proprietà
fìsiche.
L'aria è necessaria nel terreno per la respirazione delle radici e
per la vita dei batteri i quali, importati col letame, rendono molto più
attivo il terreno che i concimi chimici.
L'intensità di evaporazione dà alle frutta il loro gusto caratteristico.
4. — Mentre le proprietà fisiche servono a preparare un buon am-
biente alle radici, le proprietà chimiche, procurano a queste il nutri-
mento per la pianta.
Ogni terreno ha la proprietà di trattenere una maggiore o minore
quantità di sostanze nutritive sciolte o solubili nell'acqua, senza lasciarle
defluire nel sottosuolo.
Questo è il potere assorbente del terreno che è il vero regolatore
della fertilità.
La facoltà assorbente massima è per la potassa, ammoniaca, calce,
soda, acido carbonico, anidride fosforica ; media per la magnesia e
l'acido silicico ; molto debole per l'acido solforico e nessuna per il
cloro e l'acido nitrico.
Per questo il nitrato viene dato a piccole dosi, altrimenti l'acqua
lo disperde.
I terreni ricchi di calce trattengono gli acidi, quelli di acido sili-
cico le basi e quindi i terreni ricchi di questi due elementi hanno il
maggiore potere assorbente.
5. — Da quanto precede si capisce che come per ogni specie e
varietà di piante vi ha un optimum di terreno per ogni località.
Prendendo in considerazione le esigenze delle singole specie ri-
spetto al terreno ed al suo stato colturale, si può dire che.il melo
preferisce i terreni freschi, profondi e fertili delle vallate ; tuttavia nei
terreni poco profondi riesce meglio del pero. Le varietà a frutta grosse
esigono in particolar modo terreni ben fertili.
- 214 -
Il pero ha minori esigenze del melo rispetto alla fertilità del ter-
reno ed alla composizione mineralogica ; invece è più esigente rispetto
alla profondità, poiché è necessario che ad un certo punto trovi del-
l'umidità. Nei terreni asciutti, secchi, cadono facilmente i frutti ; oppure
questi diventano come si suol dire legnosi. Il pero sopporta anche le
acque nel sottosuolo.
Il ciliegio è ancora meno esigente del pero, e fa hene anche nei
terreni magri, sabbiosi, ciottolosi ed anche sulle colline rocciose.
I susini sopportano l'umidità meglio d'ogni altra pianta da frutto;
il noce è come il ciliegio, ma è forse un po' più esigente per il calore.
Il castagno pure -, ma ama i luoghi riparati.
II nocciuolo non sopporta troppo l'aridità del terreno e neppure
la poca fertilità; fa molto bene nelle località ombreggiate.
Il pesco, l'albicocco ed il mandorlo amano i terreni soffici, medio-
cremente asciutti, caldi e profondi. Il mandorlo, specialmente se inne-
stato sul susino, tollera un terreno anche più tenace.
Le piante da frutto cespugliose invece fanno bene in qualunque
terreno, sono però molto redditive se si trovano in terreno fertile.
E' indispensabile, per lo sviluppo della frutticoltura, che vengano
esattamente determinate le condizioni di terreno e di clima più favo-
revoli per ogni essenza fruttifera. Per quanto riguarda il terreno è in-
dispensabile che la sua determinazione venga basata sulla sua costitu-
zione geologica.
6. — I terreni torbosi sono i peggiori per le piante da frutto.
Causa la mancanza d'aria, rimangono acidi negli strati sottostanti e
quando vi arrivano le radici, le piante periscono. Poi vi ha un altro
inconveniente. Le buche che si fanno sempre all'impianto, funzionano
come sorgenti di richiamo d'acqua e quindi le piante appena piantate
ne hanno troppa.
Per l'umidità e freddezza del terreno, le piante germogliano tardi
ed i germogli stentano a maturare.
E' quindi necessario, per chi voglia piantare nei terreni torbosi,
dopo aver estratta la torba, procurare di emendarli con della calce e
della sabbia e l'impianto si faccia sempre superficiale, senza fare bu-
che ed impiegando esclusivamente concimi minerali.
Delle piante da frutto, le i)iante a nocciolo non riescono ; le va-
rietà più rustiche delle viti fanno discretamente, meglio fanno i peri
ed ancora più i meli.
Dei peri si possono raccomandare le seguenti varietà: Nuova
Poiteau, Squisita di Charnen, William, Bergamotta d'estate. Tutti i peri
bisogna che siano innestati sul cotogno, poiché se sul franco, avendo
radici profonde, deperiscono presto.
I meli riescono meglio dei peri, applicando delle forme basse. Le
varietà che riesono abbastanza bene sono le seguenti: Bella di Boskoop,
Mela di Boikev, Renetta Baumann, Renetta di Gonion, Renetta grigia
d'autunno. Regina Sofìa e Gharlamowsky.
III.
Altitudine, latitudine, situazione ed esposizione.
1. Altitudine. — Di mano in mano che ci eleviamo sopra il livello
del mare si ha, per ogni 173 metri di altezza, un abbassamento di 1° C.
di temperatura. Ciò naturalmente porta con sé una inlluenza varia sulla
vegetazione delle piante.
In Italia, la coltivazione delle piante da frutto ad oltre 700 m. di
altezza, anche nelle provincie meridionali come sull'Etna, è una ecce-
zione.
11 limite di altitudine a cui possono trovarsi in Italia alcune specie
di piante da frutto, è il seguente :
Agrumi m. 400
Azzeruolo ,,1800
Bagolaro „ 800
Carrubo „ 300
Castagno „ 600
Ciavardello .... „ 1800
Ciliegio „ 1200
Fico . „ 300
Gelso „ 800
Mandorlo „ 500
Melo ni. 1400
Nocciuolo „ 1600
Noce 1000
Olivo 550
Pero „ 1200
Pino da pinoli . . . „ 300
Querce ballota . . . „ ó(X)
Sorbo , 1500
Susino ,,1200
Vite , 600
Come abbiamo visto a pag. 206 per ogni 100 metri di altitudine
corrispondono giorni 1 . 2 di ritardo di vegetazione e giorni 4 . 1 di
ritardo di fioritura e maturazione.
La maturazione delle frutta avviene tanto più imperfettamente
quanto più si sale, poiché l'autunno comincia prima e si fa subito
piovoso.
2. — Anche la latitudine ha inlluenza notevole incjuantochè par-
tendo dall'equatore, ad ogni grado di latitudine corrisponde una dimi-
nuzione di ^2 grado di temperatura media. I limiti di latitudine per
alcune specie di piante da frutto, sono i seguenti :
Agrumi .
Albicocco
Anona .
Azzeruolo
Banano .
. . . 35-42«
... 52»
. . . :?9"
... 53^^
... 37°
Castagno 48-54"
Ciavardello 64"
Fico 45«
Fico d'India 25-45"
Mandorlo 45-50°
Melagrano 44°
Melo . .
Nocciuoic
Olivo.
Palma .
Pero . .
00°
64°
46"
37°
55"
Pesco 47-52°
Pistacchi(
Susino .
30»
()2"
L'va spina 35-47"
Vite
45°
— 216 - ^
Dalle osservazioni fenologiche finora fatte risulterebbe (pag. 206),
clie ad ogni grado di latitudine verso nord, corrisponde un ritardo di
vegetazione di giorni 2.6 e si prolunga di due giorni il periodo vege-
tativo.
3. La situazione. — Le piante da frutto si possono coltivare sulle
montagne od altipiani, sui colli, nelle pianure o nelle valli.
Sulle montagne od altipiani, le piante da frutto sono sottoposte alla
medesima iniluenza che abbiamo considerato riguardo l'altezza; di più
i terreni essendo generalmente poco fertili e molto dominati dai venti,
le piante crescono irregolarmente, vanno soggette a strappi di rami, le
frutta riescono piccole con buccia grossa, acquose, ed il prodotto è
meschino ed irregolare.
Sui colli, le condizioni sono molto migliori; difatti, anche se il ter-
reno è meno fertile che nelle vallate, e i prodotti non saranno tanto ab-
bondanti, sono però migliori e più regolari. Le piante meglio espo-
ste al sole, meglio illuminate per la loro superficie inclinata, risentono
maggior calore. La pendenza favorisce lo scolo delle acque e perciò il
terreno si mantiene più soffice, le radici possono estendersi di più e
quindi le frutta aumentano di volume, di fragranza e di sapore. Infine
i colli sono meno esposti ai geli, alle brine, alle rugiade, le quali ul-
time influiscono tanto sulla conservazione delle frutta. In generale le
frutta dei colli sono sempre più apprezzate di quelle del piano.
Le piante nella prima età, sui colli, sembrano crescere più vigo-
rose che nel piano, finché le radici si trovano in uno strato smosso
del terreno. Allora all'azione della freschezza del terreno, va com-
binata l'azione dell'aria, che quivi è molto più energica e quindi si ha
una grande attività nei batteri. Successivamente però il successo della
coltivazione dipende più che altro, dalla possibilità delle radici di esten-
dersi in un buon strato di terreno fresco e ricco di materiali nutritivi.
Nelle pianure le piante trovano generalmente terre fresche e fertili,
che favoriscono una vegetazione lussureggiante e danno delle grandi
rendite in annate favorevoli; ma le frutta sono meno saporite ed
hanno un aspetto meno attraente di quelle dei colli. Le pianure sono
inoltre soggette alle brine ed i frutti qualche volta sono poco conser-
vabili. Nonostante però tutti questi inconvenienti, la coltivazione delle
piante da frutta puossi benissimo consigliare al piano, poiché in realtà
si hanno ottimi prodotti e si possono coltivare varietà di frutta della più
straordinaria fertilità. L'abbondanza del prodotto supplisce ad usura
al sapore meno fragrante che hanno queste frutta in confronto di
quelle ottenute sui colli.
Le vallate presentano, in grado molto maggiore, gli inconvenienti
delle pianure. Il sole viene tardi alla mattina e scompare presto alla
sera ; le brine sono frequenti, le rugiade abbondanti, la colatura dei
fiori, la poca conservabilità delle frutta, l' infierire delle malattie crit-
togamiche, sono frequenti ; e soltanto le varietà più rustiche, di pomo,
susino, ciliegio, nocciuolo, castagno, vi possono riuscire.
- 217 -
Alcuni autori attribuiscono una influenza forse esagerala alla vici-
nanza delle foreste, delle grandi masse d'acqua, delle riviere, dei lìunii,
dei laghi o mari, sulle qualità delle frutta. Certo però un'atmosfera un
po' umida quale è quella presso alle foreste o vicino al mare non può
che favorire lo sviluppo delle frutta, rendendole più succose e sa-
porite.
Per concludere, diremo che per piantare un frutteto conviene evi-
lare i siti bassi, umidi e sottoposti alle brine od ai tardi geli come pure
le alture dominate dai venti, i quali sono svantaggiosi alle piante ; ma
scegliere piuttosto un luogo riparato, ai piedi di una collina, in una in-
senatura od in una pianura, dove non regni troppa umidità.
4. Esposizione. — L'orientazione di un frutteto, specialmente per
noi dell'Italia settentrionale, ha una certa importanza.
L'esposizione a mezzogiorno, per l'Italia settentrionale, può consi-
derarsi come la più vantaggiosa, poiché le piante godono al massimo
i benefizi del sole e sono riparate dai venti del nord. Nelle provincie
meridionali a mezzodì si ha l' inconveniente di essere troppo esposti
ai venti di scirocco, invece l'esposizione a tramontana è vantaggiosa e
si ottengono frutta più sviluppate e succose.
Il levante ha lo svantaggio di avere una lunga irradiazione notturna,
di ricevere al mattino molto presto i raggi solari, epperciò nei jìaesi
ove le brine sono frequenti, si hanno dei danni considerevoli.
A ponente all'ora del tramonto, è troppo rapido l'abbassamento
della temperatura, ma durante la notte si conserva ])iù caldo.
Come si vede in tutte le esposizioni si possono coltivare le piante
da frutto : sarà questione di scegliere una specie od una varietà piut-
tosto di un'altra. Neil' Italia settentrionale, si possono enumerare le di-
verse esposizioni in ordine decrescente di merito, come segue: sud, sud-
est, sud-ovest, est, ovest, nord-est, e nord.
Dalle osservazioni fenologiche (pag. 206) risulterebbe che le fioriture
primaverili ritardano di un giorno in direzione da ponente a levante,
ad ogni 122 Km. di distanza e così pure la caduta delle foglie. La fio-
ritura estiva invece é più tarda a ponente che a levante.
Per dimostrare l'influenza dell'esposizione sulla qualità dei frutti
basta riportare i seguenti dati ottenuti dal Prof. Passy nel clima di
Parigi.
Mele Calville Contenuto % di zucchero
esposizione a mezzogiorno 12.1.)
„ levante 10.07
Uva Chapelas dorato
ottenuta da due tralci di una
stessa pianta, uno esposto a
Nord 10115
Sud 17.025
- 218 —
IV.
Distribuzione geografica.
1. — F/ azione reciproca dell'aria, acqua, luce e calore, e l'intensità
diversa con cui esse agiscono, producono le diverse variazioni di clima,
da noi cosi frequenti. Questo fatto è dovuto naturalmente alla costi-
tuzione geologica dell'Italia, all'imponente giogaia delle Alpi la quale,
a modo d'anfiteatro, la cinge a settentrione, alla catena degli Apennini
che la scomparte in due, alla infinita serie di monti secondari e di
colli ed infine al vasto mare che la circonda quasi d'ogni lato.
Conseguenza naturale di cotante diversità di clima si è l'abbon-
danza delle specie fruttifere coltivate, e lo stragrande numero di va-
rietà che di ogni specie si sono formate.
Sarebbe prezzo dell'opera raggruppare le diverse specie di piante
fruttifere e le diverse varietà di queste entro certi confini per stabilire
cosi delle zone che demarchino i limiti necessari per la utile coltura
delle medesime. Procurerò di fare ciò rispetto alla specie, non cosi
posso dire rispetto alle varietà indigene, mancando ancora noi, di una
pomona italiana. Senonchè fa d'uopo premettere che le piante non
crescono sempre ed in modo assoluto entro una cerchia delimitata da
confini fissi ed immutabili; e che anzi le eccezioni diventano tanto più
numerose quanto più vasto è il paese che forma oggetto di studio, e
quanto più frequenti sono le cause che contribuiscono alle variazioni
del clima, come sono i venti, le esposizioni, le vicinanze di bacini
d'acqua o di foreste.
l limiti entro i quali un dato numero di piante prospera, viene
chiamato zona o regione. Per il frutticoitore possiamo distinguere in
Italia 3 regioni fruttifere e cioè la
1." Regione delle piante a granella.
2.» „ „ „ „ nocciolo.
;ì° „ degli agrumi.
La regione delle piante a granella è la zona più fredda ed ha i ca-
ratteri del clima continentale per eccellenza. Oltre il Piemonte, la
Lombardia, il Veneto e l'Emilia, comprende tutta quella parte interna
della penisola percorsa dall'Appennino e dalle sue diramazioni. Perciò
la parte interna della Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzi, Cam-
pania, Basilicata e Calabria.
La regione delle piante a nocciolo è la regione intermediaria fra le
regioni calde meridionali e quella del settentrione. Essa comprende
tutte le regioni costiere dell'Adriatico.
La regione degli agrumi o dell'olivo, e del niandorlo, comprende le
zone marittime mediterranee della Liguria, Campania, Calabria, Sicilia,
Sardegna ed Isole minori, nonché la Libia.
- 219 —
Delle 6(ì specie di piante da frutto coltivabili in Ilaiia. almeno una
quarantina si jìossono coUivare in tutte e tre (|uesle re^noni. Colia in-
dicazione sopra accennata io intendo caratterizzare la regione nella
quale le piante a granella, quelle a nocciolo ecc., prosperano e dove
la loro coltura non soltanto riesce redditiva costantemente ma dà an-
che i Trutti migliori della specie. Quindi, se nella prima regione, le
piante a granella trovano la loro zona oUima non viene escluso che si
possano coltivare, nelle zone meno favorevoli, altre piante da frutto e
che nelle zone più calde, meglio esposte, si possano coltivare delle
piante a nocciolo o degli agrumi, ecc. Da ciò la necessità di distin-
guere i)er ogni regione la zona ottima, che sarà la più estesa, la zona
fredda e la zona calda.
Nella Tab. XI sono indicati i caratteri meteorologici delle regioni
fruttifere sopra indicate e nella Tab. XII sono indicate le piante che
nella rispettiva regione si trovano nella zona ottima, fredda o calda.
Tab. XI.
Caratteri metereologiei delle regioni fruttifere d'Italia.
Elementi metereologiei
Val Padana e
zona peninsu-
lare interna
Zona
marittima
adriatica
Zona mariti.
mediterranea
e insulare
i
ì
annua
12.08 - 13
14.21
15.86 - 16.42
Temperatura media
di Gennaio
„ Luglio
1.19 - 4.21
22.75 - 22.91
4.49
24.47
8.29 - 9.49
21.41 - 24.70
E.scursione
18.54 - 21.72
19.98
15.21 - 16.12
(
l
minima
- 9.17 - 12.07
- 7.25
- 2.42 - 4.28
Temperatura estrema
massima
35.71 - .36.30
37.50
35.76 - 37..-.0
differenze
45.47 - 47.78
44.75
39.92 40.04
Umidità
66.6 69.4
70.9
65 9 - 66.8
1
quantità
1063.7 - 1095.2
750.9
601 - 873.4
Pioggia
frequenza
96,7 - 99.6
91.6
H-U - 92.8
Neve
8.1 - 8.0
44
1.2 - 1.8
2. — Nella regione Padana le nebbie sono più frequenti e predo-
minano le pioggie primaverili (maggio) mentre in febbraio si ha il mi-
nor numero di pioggie; i venti di nord ovest predominano neirinverno,
portando il bel tempo, invece i venti di levante d'estate, portano le
pioggie. Nel periodo estivo i temporali sono frequenti e violenti.
Nella regione peninsulare predominano le pioggie autunnali (no-
vembre-dicembre) ed il minor numero di giorni di pioggia lo si ha
in luglio. Nel versante prospiciente l'Adriatico predominano, durante
r inverno i venti N a NO e quello Tirrenico di SO, S e SE. Nell'estate
prevalgono nel versante Adriatico i temporali che assumono grande
— 220
Tab. XII.
Distribuzione delle piante da frutto in regioni e zone.
Regione delle
Regione delle
Regione degli
piante a
granella
piante a nocciolo
agrumi, olivo e mandorlo
Zona
ottima
Zona ottima
Zona ottima
Bagolaro
Albicocco
Aberia
Castagno
Azzeruolo
Agrumi
Ciavardello
Ciliegio
Anona
Corniolo
Corbezzolo
Asimina
Cotogno
Fico da consumo
Banano
Crespino
Giuggiolo
Carrubo
Faggio
Pesco
Eugenia
Gelso per
a foglia
Pino da pinoli
Feijoa
Lampone
Susino
Fico
Melo
Vite per uve mangerecce
Fico d' India
Mirtillo
d'autunno
Gelso da frutto
Nespolo
Noce
Zona fredda
Holboelia
Hovenia
Nocciuolo
Castagno
Kaki
Pero
Cotogno
Mandorlo
Ribes
Gelso per la foglia
Melagrano
Rovo
Melo
Nespolo del Giappone
Sorbo
Nespolo
Olivo
Uva spina
Nocciuolo
Pachira
Vite per uva da serbo
Pero
Palma
Ribes
Passiflora
Zona
fredda
Sorbo
Pavia dolce
Castagno
Uva spina
Persea gratissiraa
Ciavardello
Corniolo
Zona calda
Pistacchio
Psidio
Crespino
Fico da consumo e da
Querce ballota
Faggio
Lampone
serbo
Mandorlo
Vite per uve precoci
Mirtillo
Melagrano
Zona fredda
Nocciuolo
Nespolo del Giappone
Albicocco
Ribes
Olivo per olive da mensa
Ciliegio
Rovo
Vite per uve -precoci
Melo
Uva spina
Nespolo
Zona
calda
Nocciuolo
Pero
Albicocco
Pesco
Ciliegio
Fico
Pino da pinoli
Susino
Mandorlo
Melagrano
Zona calda
Nespolo de
Giappone
Aberia Holboelia
Pesco
Agrumi Hovenia
Susino
Anona Pachira
Asimina Palma
Banano Passiflora
Eugenia Pavia dolce
Feijoa Persea gral.
Ficodindia Psidio
- 221 -
violenza ed i venti di levante ; nel versante Tirrenico predominano
d'estate i venti di ponente ed i temporali sono distribuiti nelle varie
stagioni, senza essere intensi.
Questa zona è limitata per le piante da frutto (ino a circa 000 metri
di altitudine.
3. — Regione marittima adriatica ossia regione delle piante a nocciolo.
Il clima ha un carattere decisamente marino, per conseguenza più
uniforme e costante e perciò più adatto per le piante a nocciolo di
fioritura precoce, che temono gli sbalzi di temperatura in primavera.
E questa si può dire la vera zona intermedia colla mediterranea
che è per l'Italia la più vasta.
Il mese in cui piove maggiormente è l'ottobre poi a distanza il no-
vembre. La minor quantità d'acqua si ha in luglio o febbraio. L' in-
verno e la primavera hanno valori presso a poco eguali rispetto alla
pioggia.
Neil' inverno dominano i venti di nord e nord ovest mentre d'estate
dominano i venti di levante. I temporali si hanno nell'estate, come
nella valle Padana e sono violenti.
4. — La regione degli agrumi, delVolivo e del mandorlo abbraccia
tutte le isole, la costa mediterranea della Liguria, Toscana, Lazio, Cam-
pania, Calabria, Puglie e la Libia.
Se i geografi considerano la Libia, l'Algeria, la Tunisia e il Marocco
come appartenenti all'Africa, gli storici, gli economisti, i naturalisti ed
aggiungiamo ancora gli agronomi, devono considerare questi paesi
come facenti parte integrante dell'Europa. Essi appartengono al bacino
del Mediterraneo, alla medesima regione agricola, caratterizzata dalla
coltura dell'olivo, della vite, del gelso, del fico, del carrubo, degli
agrumi e nella Libia anche della palma.
I limiti non sono arbitrari ma segnati particolarmente dalla na-
tura e dal clima. L'Africa propriamente detta non comincia che al
confine nord del Sahara. Non è quindi esagerato il dire che la Libia
puossi considerare, anche agronomicamente, come una continuazione
del suolo italiano.
II clima del litorale mediterraneo è caratterizzato da una stagione
invernale piovosa, seguita da una stagione estiva con pochissima o
punto pioggia. Per questa alternanza dei periodi secchi cogli umidi noi
dobbiamo in particolar modo attenerci alle coltivazioni arboree, le
uniche che possano colle loro radici profonde, utilizzare durante l'e-
state, l'acqua immagazzinata nel sottosuolo. Altra caratteristica del clima
è la sua mitezza durante l' inverno, nel quale si hanno delle giornate
splendide, soleggiate, tanto da chiamare questi, i paesi dell'eterna pri-
mavera. L'agricoltore anche di questa circostanza deve saper trarre un
utile, coltivando sempre le specie e varietà di più rapido sviluppo e
precoci, per poter fornire di primizie non soltanto i mercati d'Europa,
ma anche per utilizzare meglio l'umidità immagazzinatasi nel terreno,
durante l'inverno. In tal modo l'agricoltore oltre assicurare la vendita
— 222 -
dei suoi prodotti a prezzi molto rimuneratori ha il vantaggio di rea-
lizzare una costante produzione.
In questa regione è indispensabile per alcune piante la irrigazione.
La temperatura ])erò è più uniforme, più elevata d'inverno che
in qualsiasi altra regione e pari d' estate, alla regione adriatica. Spesso
d' inverno, dopo le giornate serene, per irradiamento notturno, avviene
un notevole abbassamento di temperatura presso terra (vedi pag. 208)
che produce dei danni notevoli alle piante specialmente basse.
Tanto sulle coste del Mediterraneo che nelle isole, l'inverno è più
asciutto e l'estate |)iù umido che nelle altre zone, da ciò ne deriva che
d'estate si hanno rugiade abbondanti.
I mesi più piovosi sono l'ottobre ed il novembre.
Predominano nell'inverno i venti S.O, S e SE; nell'estate di O, nella
costa mediterranea. In Sicilia sulla costa di tramontana e di levante i
venti O nell'inverno e di N K nell'estate; in Sardegna prevalenza dell'O
e del N O.
I temporali sono distribuiti lungo tutto l'anno e sono poco intensi.
Nella Libia, d' inverno si ha raramente il Giùbili (scirocco) ed i venti
di Nord che alla costa fanno abbassare la temperatura. D'estate il vento
pernicioso è lo scirocco, perchè secco, caldo e bruciante.
5. Conclusione. — Come si vede, quanto più ci avviciniamo al Mez-
zogiorno tanto maggiore è il numero delle specie di piante coltivabili ;
e nella scelta delle varietà bisognerà preferire, per le regioni meridio-
nali, quelle varietà a maturazione precoce piutloslo che tardiva.
1 climi settentrionali, freddi ed umidi, non sono favorevoli alle
piante da frutto : i frutti sono acquosi, poco zuccherini, poco con-
servabili e le piante vengono attaccate troppo facilmente da malattie.
In queste località al più, riescono le piante da frutto a cespuglio, quali
sono il lampone, il crespino, oppure il susino e ciliegio.
Nei climi caldi, meridionali, le piante sviluppano poco; le frutta
però riescono mollo zuccherine, ma non tanto aromatiche, come, ad
esempio le pere, le mele, l'uva. Per le piante a nocciolo invece, e spe-
cialmente le varietà ])recoci di pesche, albicocche, un clima caldo è
favorevolissimo.
1 climi temperati sono i più favorevoli per le frutta pregiate e da
commercio, quali sono le pere, le mele e l'uva. Qui le frutta assumono
il loro sviluppo normale, acquistando la migliore fragranza ed appa-
renza; le piante alla lor volta crescono vigorose e sono longeve, senza
eccessiva produzione di legno. Di queste frutta si può coltivare un nu-
mero stragrande di varietà e specialmente a maturazione tardiva.
- 223 -
V.
Sviluppo e funzioni delle radici.
Piiiiia di trattare dell'impianto e delle cure necessarie al terreno
per ottenere un conveniente sviluppo delle piante è bene ricordare al-
cune nozioni generali che riguardano lo sviluppo e le funzioni delle
radici.
Le radici hanno, come è noto, quattro funzioni e cioè di respirare,
fissare la pianta, assorbire e digerire.
1. — Se la radice non può respirare, ciò che avviene quando il
terreno non viene lavorato od è imbevuto d'acqua, muore asfissiata e
cioè il glucosio contenuto dalle cellule si decompone in alcool, che
rimane nelle cellule ed in anidride carbonica che volatilizza. Da ciò
l'odore di spirito che emanano le radici infracidite.
Oltre favorire la respirazione delle radici, il terreno soffice, si
rende più attivo; i batteri funzionano maggiormente; viene immagaz-
zinata una maggiore umidità ; vengono allontanate le malerbe e viene
evitata la evaporazione e perciò ritardata la secchezza del terreno.
Questa sofficità oltre che coi lavori la si procura con le concima-
zioni a base di stallatico e col sovescio fatto in primavera.
Nei terreni concimati con sovescio le radici riescono sempre me-
glio sviluppate che in quelli concimati con stallatico. Questa maggiore
penetrazione delle radici nel terreno la si spiega col fatto che la pianta
sovesciata decomponendosi lascia dei canali per la penetrazione del-
l'aria e dell'umidità. Da ciò la convenienza, come vedremo parlando
della concimazione, di alternare la concimazione chimica col sovescio
per le piante da frutto.
Nei frutteti con la coltura intercalare ad ortaggi, conviene alternare
una pianta da sovescio con un ortaggio.
Un buon sovescio sono i piselli da foraggio seminati in febbraio-
marzo che si possono sovesciare in giugno. Si lasciano poi crescere
le malerbe le quali si sradicano con un estirpatore per seminarvi la
senape che sovescia il più tardi possibile, in dicembre. Nella primavera
successiva si possono coltivare gli ortaggi senza stallatico e soltanto
con concimi potassici e fosfatici.
2. — La fissazione della piante nel terreno per mezzo delle radici
le rende stabili in un luogo e resistenti ai venti.
3. — L'assorbimento dei materiali nutritivi avviene per mezzo dei
peli radicali, i quali si sviliuppano tanto di più quanto più attiva è la
traspirazione delle foglie. Se per effetto di una energica traspirazione
la umidità del suolo viene a mancare, allora i peli radicali si allungano
e moltiplicano per aumentare la superficie assorbente. Avviene quindi
che nei terreni freschi e ricchi le radici sono semplici e grosse mentre
nei terreni asciutti sono molto ramose e sottili ed hanno un maggior
numero di peli radicali.
— 224 —
Per questo quando si trapianta un albero, si mozza il fìttone per
rinvigorire le radici laterali, le quali essendo più sottili portano un
maggior numero di peli radicali.
4. — La digestione consiste nella escrezione di succhi acidi che
rendono solubili dei materiali nutritivi inerti nel terreno.
5. — La linfa assorbita dalla radice sale per mezzo dei peli radi-
cali per i fasci legnosi e, dopo elaborata dalle foglie discende per i
fasci del libro. Di mano in mano che la radice cresce, i peli radicali
delle prime radici scompaiono e l'assorbimento dei succhi nutritivi
viene effettuato dai nuovi peli radicali che si sviluppano sulle radici
di prolungamento. Così un po' alla volta le radici attive si allontanano
sempre più dal fusto sia nel senso della profondità che nel senso oriz-
zontale. È evidente per questo la necessità, di portare le sostanze con-
cimante sempre più lontane dal fusto.
6. — Lo sviluppo delle radici è sempre in proporzione a quello
della parte aerea. Quando questo non avviene bisogna artificialmente
o tagliare le radici o tagliare i rami.
Quando un albero vigoroso non dà frutti, molte volte è indizio che
le rispettive radici sono troppo sviluppate in confronto alla parte ae-
rea. Gli alberi che hanno i rami molto sviluppati in tutti i sensi ed
il fusto corto, grosso, raramente hanno un fìttone grosso. Quando
invece la maggior parte dei rami ha una direzione verticale ed il
tronco è relativamente sottile e lungo, si può essere certi che quella
pianta ha molte radici fìttonanti.
La vite, r olmo, il nocciuolo, il ribes, 1' uva spina, il lampone che
hanno radici a fibra larga come i rami, assorbono e fanno circolare
più facilmente una notevole quantità di linfa, perciò la crescita è più
rapida sia delle radici che dei rami. Lo sviluppo però dei rami è sem-
pre superiore a quello delle radici. Nelle piante a legno duro invece,
dove Io scambio della linfa è più lento, perchè limitato agli strati
esterni dell'alburno, avviene un maggiore sviluppo delle radici ed un
lento accrescersi dei rami. In queste piante le radici fìttonanti tendono
a scomparire per lasciar operare le radici laterali.
7. — In un albero possiamo distinguere le radici orizzontali, obli-
que e verticali. Le prime sono quelle che forniscono il maggiore nu-
trimento, le altre danno un debole e grossolano materiale di manteni-
mento che serve più che altro a sviluppare la parte legnosa. Difalti,
quando l'albero ha passato la prima età, nella quale ha bisogno di
sviluppare la sua armatura ossia i rami più grossi, i peli radicali co-
minciano a farsi più radi nelle radici fìttonanti ed un po' alla volta anche
scompaiono assieme alle radici.
8. — Le radici delle piante a foglie persistenti si sviluppano lungo
lutto l'anno meno nelle stagioni più secche e fredde. Gli alberi a foglie
caduche ma però giovani e vigorosi, sviluppano pure nuove radici
lungo tutto l'anno; mentre gli alberi adulti soltanto in primavera ed
autunno.
- 225 -
Le radici che si formano in primavera hanno lo scopo dì alimen-
tare il fiore, i germogli, il frutto ; quelle di autunno, (dall' agosto in
avanti) preparano gli alimenti di riserva per le gemme che daranno
fiori, foglie o rami nell'anno venturo e fanno anche maturare il legno
dell'annata. Il compito perciò di queste ultime radici é di assicurare
la vegetazione e la fruttificazione dell'anno venturo; quelle di prima-
vera, hanno influenza sulla vegetazione in corso.
Quando i frutti appassiscono in autunno o non maturano, è un
segno manifesto che manca l'equilibrio fra le radici e la parte aerea
della pianta; se ciò avviene in primavera ò segno che vi ha carestia
di alimento o eccessivo movimento di linfa. Quindi non bisogna sti-
molare in primavera il movimento della linfa per ottenere dei frutti
mentre non bisogna ostacolare lo sviluppo delle radici in autunno.
9. — Le radici sono di natura molto diversa a seconda che si sono
formate quando l'albero portava delle foglie giovani, di mezzo sviluppo,
adulte o quando erano cadute.
Le radichette più atte a far produrre dei frutti sono quelle che si
producono in autunno e cioè quando la temperatura dell'aria tende
ad abbassarsi. Allora il terreno mantiene ancora il suo calore e le ra-
dici riescono meglio costituite, più proporzionate che non quelle di
primavera, quando la temperatura dell'aria tende ad elevarsi ed il ter-
reno è più freddo. Le prime destinano una parte del loro nutrimento
a favore della parte aerea le seconde invece lo trattengono tutto a loro
profìtto.
Bisogna saper distinguere le radici che alimentano da quelle che
che si allungano. Le prime sono quasi tutte autunnali ; le seconde,
sono di primavera. Gli alberi giovani e deboli hanno molto bisogno
delle prime mentre i soggetti robusti non sviluppano che poche radici
per l'alimentazione e sì trovano superficialmente.
10. — E' necessario perciò studiare le radici per comprendere
quali sono le forze che determinano la loro direzione, la loro natura
e la loro durata, per interpretare la formazione, la persistenza o la
soppressione delle radici fittonanti e per apprezzare l'influenza del
terreno e del clima. Cosi è necessario studiare e conoscere la radice
della pianta allo stato selvatico poiché dal suo sviluppo e forma si
potrà regolarsi nell'allevare la pianta domestica.
VI.
Preparazione del terreno per l'impianto.
Scelta la locahtà e fatto il progetto dell'impianto colle norme sug-
gerite nella Parte V, bisogna procedere alla preparazione del terreno.
1. — La preparazione del terreno prima dell'impianto, non soltanto
deve avere lo scopo dì renderlo soffice con un'opportuna lavorazione,
1.-) - Tamaho - FriilticoUiira.
— 226 —
perchè le radici possano estendersi e trovare il dovuto nutrimento, ma
deve anche provvedere in molti casi a migliorare le proprietà fisico-
chimiche del medesimo, importandovi dei materiali dei quali si trova
deficiente, oppure nel liberarlo da una soverchia umidità, perniciosa,
come abbiamo veduto, alle piante da frutto in generale.
La lavorazione del terreno consiste in un dissodamento cliiamato
anche scasso, reale o parziale, per mettere alla portata delle radici e
rendere assimilabili molti materiali che si trovano nel sottosuolo.
Per scasso reale s'intende quello, per cui il terreno destinato per la
coltivazione delle piante da frutto viene rimosso completamente. Questo
è necessario se si piantano gli alberi ad una distanza inferiore ai 10 metri.
Quando invece trattasi di piantare dei filari distanti oltre 10 metri, con-
viene fare una fossa larga 3 metri lungo il filare e se le ])iante sulla
fila si vogliono piantare ad una distanza maggiore di 10 metri si fanno
delle buche quadre di m. 3 per lato. Facendo la fossa si mette la terra
migliore da un lato per metterla poi sotto, in contatto delle radici e
la terra mediocre dall'altro lato, che si metterà sopra alle radici delle
piante che si collocano. Anche facendo la buca si separano le due terre
e trovando della terra cattiva si mette sopra un terzo lato, per poi
esportarla coi carri.
2. — La profondità a cui si deve fare lo scasso, le buche o i fossi,
dipende dalla qualità del suolo, dal clima e dalla natura della pianta.
Nei terreni leggeri, silicei o calcari bisogna lavorare più profondo che
non nei terreni compatti, nei quali ultimi le radici, rimanendo anche
superficialmente, trovano sempre sufficiente umidità. Le stesse consi-
derazioni devonsi fare rispetto al clima. Nei climi caldi, dove gli al-
beri sono esposti molto di frequente alla siccità, occorre una lavo-
razione più profonda che nei climi freschi. Le piante che hanno radici
fittonanti come la vite, il pesco, il ciliegio, ecc.. esigono un lavoro più
profondo del melo, susino, delle piante a nocciolo in genere, che hanno
radici oblique ed orizzontali.
Ricordiamo sempre che la profondità favorisce lo sviluppo delle
radici verticali le quali fanno ritardare alle piante la fruttificazione.
Noi che vogliamo invece delle piante che producano presto e molto,
anziché estendersi col lavoro nel senso della profondità allargheremo
le buche, le fosse o meglio ancora si farà lo scasso reale. In tal modo
noi favoriremo lo sviluppo delle radici laterali che sono le più attive.
Io credo più conveniente una profondità media di 70 cm., in ogni
caso col lavoro non si deve mai intaccare il sottosuolo e neppure ar-
rivare a questo se esso è impermeabile. Specialmente trattandosi di
buche, se queste avessero per fondo un sottosuolo impermeabile fun-
zionerebbero come tanti bicchieri nel cui fondo vi ristagnerebbe l'acqua
e vi sarebbe una continua melma al contatto della quale, le radici
infracidirebbero.
Per la stessa ragione coi lavori non si deve andare mai più pro-
fondi al livello ordinario a cui arriva l'acqua nel terreno.
- 227 -
Soltanto in casi eccezionali conviene un lavoro profondo di 1 metro
Questa operazione conviene farla alcuni mesi i)rima dell' impianto,
perchè il terreno subisca l'inlluenza degli agenti atmosferici, e cioè
volendo fare l'impianto in autunno, conviene scassare in agosto, e vo-
lendo i)iantare in primavera, bisogna scassare nei mesi di novembre»
dicembre e gennaio.
3. — Se il terreno non ha una composizione adatta alle esi-
genze delle piante da frutto e se in particolar modo non contiene
una sutlìciente quantità di calcare, conviene, prima di operare lo scasso,
spargere sulla sua superficie dei calcinacci, delle spazzature dì strade.
Molti preferiscono di fare questo ammendamento durante l' opera-
zione dello scasso, e cioè di portare i suddetti materiali in fondo
alle fosse di mano in mano che si procede col lavoro. Questa pratica
non la consiglierei mai, perchè in questo modo non si ottiene una in-
tima e completa mescolanza dei materiali importati col terreno, e si
finisce coll'avere degli strati troppo ricchi di calcare e degli altri più
poveri, a danno alla vegetazione delle giovani piante.
Quando si tratta di impiantare un frutteto a coltivazione intensiva,
e cioè con molte piante vicine una all'altra, conviene anche, prima di
scassare, spargere dello stallatico grossolano sulla superficie, in modo
che questo si mescolerà bene colla terra.
Con questa concimazione, coll'aggiunta di calcinacci, e collo scasso
per se slesso, si provvede a migliorare le proprietà fisico-chimiche
del terreno. Ora prima di descrivere il modo di fare lo scasso, conviene
parlare del modo con cui si deve provvedere per allontanare l'umidità,
la quale talvolta viene soverchiamente trattenuta per l'impermeabilità
degli strati sottostanti.
4. — Per allontanare rumidità si provvede con fosse scoperte, con
fosse coperte, con tubi di drenaggio. Mediante fosse scoperte si occupa
troppo terreno, e rendesi meno comodo l'accesso ai diversi ap|)ezza-
menti del frutteto. Le fosse coperte si devono fare almeno alla pro-
fondità a cui si intende fare lo scasso, in direzione dell'inclinazione
del terreno, parallele fra loro, ed alla distanza almeno di 10 metri, con
una pendenza di mezzo centrimetro per metro. Scavata la terra, si fa
sul fondo una specie di canaletto, con delle tegole o con delle pietre
piane. Sopra a queste si mette della ghiaia, e poi la terra. Meglio ancora
di queste fosse coperte è il vero drenaggio con tubi di terra cotta, i
quali mettono capo in un emissario comune, che poi si scarica in una
roggia.
Il sistema più conveniente però per liberare il terreno di un frut-
teto da una soverchia umidità consiste, nel servirsi degli stessi viali
quali mezzi di drenaggio. Intanto, bisogna premettere, che in un terreno
soverchiamente umido non è consigliabile l'impianto di alberi da
frutto, e perciò è sempre relativamente poca l'umidità da allontanale.
Questo sistema che non ho trovato descritto ancora in alcun trat-
tato, ha il vantaggio di permettere una lunga durata, poiché le radici
- 228 -
delle piante sono lontane ; di più esso costa poco ed è di un effetto
sicuro.
Per applicarlo si opera nel seguente modo : destinato un appezza-
mento per frutteto, si comincia anzitutto, prima di scassare, a segnare
dove si vogliono fare i viali, ed in quel sito si scava tutta la terra fino
alla profondità a cui si intende scassare ed anche più sotto, facendo
tanti fossi con la dovuta pendenza e spargendo la terra di sterro sulla
parte del terreno destinata ad essere piantata e scassata.
Con questa semplice operazione noi cominciamo già ad alzare la
superficie del terreno, e renderla perciò meno umida. Sul fondo delle
fosse si mettono le pietre, che si raccolgono man mano che si fa lo
scasso, in modo che, quasi sempre, col semplice scasso si riesce a
trovare sul sito le pietre necessarie per fare il drenaggio e per fare il
fondo ai nostri viali. Per completare questi ultimi basta coprirli con
uno strato di 20 cm. di ghiaia un po' fina.
VII.
Scasso del terreno.
1. — Lo scasso si fa succedere a tutte le operazioni che abbiamo
or ora descritto.
Lo scasso si eseguisce generalmente a mano colla vanga e, dove
trovansi molte pietre o degli strati compatti di marna o di tufo, si
ricorre al bidente, al piccone, al zappone. A qualunque profondità si
voglia fare lo scasso, è conveniente sempre di non portare lo strato
superficiale, che è quasi sempre migliore degli inferiori, ad una pro-
fondità superiore ai 30 cent., perchè le radici delle nuove piante pos-
sano assimilare immediatamente i materiali nutritivi.
0,30 A
Fig. 201. — Sezione di uno scasso in preparazione.
Come si proceda lo scasso, è troppo noto. Si scava prima una
fossa in forma di gradinata ffig. 201), i cui gradini sieno eguali fra
loro, alti ciascuno quanto una fìtta di vanga e larghi il doppio. La ca-
vata si pone in E meno quella dello strato D che si lascia sul posto,
ma che pure viene smossa colla vanga o col piccone secondo i casi.
- 229 -
Si procede quindi al lavoro della gradinala, ponendo la terra C in t-,
la terra A in a e la terra B in b, in modo che lo scasso assumerà la
forma della fìg. 202.
Fig. 202. — Sezione di uno scasso in lavoro.
Alla fine rimarrà una l'ossa aperta che si deve colmare con la terra
scavata prima e che abbiamo collocato in E (fig. 201). Trattandosi di
un'estensione piuttosto grande ed allo scopo di diminuire la spesa
di trasporto di questa terra, si divide l'appezzamento da scassarsi in
un numero pari di regioni eguali fra loro (fig. 203).
e
1)
e
d
a
B
A
h
Fig. 203. — Disposizione per uno scasso di appezzamento grande.
Nella prima sezione si comincia il lavoro a sinistra in A per la-
sciarvi la fossa aperta in b, che viene colmata col cavaticcio B delh
seconda sezione dove si comincia lo scasso a sinistra.
- 230 -
Per la terza sezione si fa come per la prima, e cosi via. Se gli
operai hanno lavorato accuratamente, la superfìcie del terreno dovrà
presentarsi piana come prima, soltanto sarà sollevata di Va circa della
profondità a cui si è fatto lo scasso. Con tutto ciò, si notano sempre
dei piccoli dislivelli che bisogna togliere, mediante una vangatura ge-
nerale per appianare la superfìcie e cosi poter piantare tutti gli alberi
ad una regolare profondità.
Avendo da piantare degli alberi ad una distanza superiore ai 10 m.
da fila a fila, si può, come ho detto e senza inconvenienti, preparare
il terreno colle fosse. Queste devono essere della larghezza almeno di
3 metri, e della profondità di uno scasso reale. Le fosse si tengono
aperte, fino al momento dell'impianto, avendo cura di tenere separate
le due terre, quella superficiale da un lato, e quella del sottosuolo
nell'altro.
Anche col sistema delle buche, valgono le medesime considera-
zioni. Queste si fanno della dimensione di 3 metri in quadrato separando
le due terre e si lasciano aperte fino al momento dell'impianto.
Infine noteremo, che durante lo scasso si deve liberare il terreno
dalle radici di male erbe e dai ciottoli. Questo lavoro è adatto a donne
o ragazzi i quali, di mano in mano che si smuove viene rivoltata la
terra e la ripassano muniti di una piccola zappa.
2. — Ciglionatiira e riduzione a gradoni.
Per fare un impianto sopra un terreno inclinato, bisogna ridurlo
a terrazze o banchine. Dal lato economico questa spesa è più conve-
niente per la vite, anziché per le piante da frutto. Per le piante da
frutto conviene soltanto quando si ottengono delle banchine molto
larghe, o a meglio dire quando la pendenza è lieve e cioè da 25 a 30 7o-
La fig. 204 ci dimostra il modo di operare.
Si comincia col segnare mediante paline la linea di pendenza (AB),
quindi si apre in basso (B) la linea fondamentale di base, lungo la
quale dovrà aprirsi la fossa che raccoglierà tutte le acque.
Indi viene fissata la lunghezza totale del gradone (comprendendo
anche quella della scarpata) e la si riporta da E verso A, ponendovi
una palina. Da ciascuna palina, mediante lo squadro agrimensorio, si
innalzano delle perpendicolari alla linea di pendenza, individualizzan-
dole con altre paline, le quali segneranno perciò la linea longitudinale
mediana del gradone. La larghezza totale del gradone chiamata lenza,
è sempre eguale alla distanza che si intende lasciare fra filare e filare
delle piante oppure, trattandosi di viti, dal numero di filari che si in-
tendono piantare in ogni ripiano. Naturalmente quanto più erto è il
terreno, tanto più corte devono essere le lenze.
Per formare i gradoni, si comincia sempre dal basso, la terra che
si trova nella metà superiore si porta alla metà inferiore, e cioè la
terra scavata in a si porta in b, e quindi non si scassa che il terreno
che era sotto a. Bisogna badare che i ripiani abbiano una leggera pen-
denza verso il poggio, in modo che le acque si raccolgano tutte ai
- 231 -
piedi della scarpa, dove si fa anche un solchetto che le conduce in
un canale maggiore e le allontana. La pendenza da dare alla scarpa
dipende dalla sua altezza, ammenoché non si voglia farla di muro,
utilizzando le pietre del terreno. In cpiesto ultimo caso la faccia interna
del muro si deve farla verticale, e quella esposta inclinata, in modo
che il muro venga ad essere più largo alla base.
Fig. 204. — Disposizione a terrazze per 1" impianto di agrumeto.
Per il movimento di terra bisogna cominciare dal basso, mentre
per completarlo e affinarlo, come sono gli spianamenti dei ripiani,
l'accomodamento delle scarpate, la sistemazione degli scoli, devesi
procedere dall'alto in basso.
3. — Trattandosi di un terreno molto inclinato, non conviene ridurlo
a banchine, bensì bisogna piantare gli alberi a formelle, che poi si
allevano a pieno vento, od al ])iù a mezzo vento.
Le formelle si fanno col medesimo principio delle banchine, sol-
tanto si fanno quadrate di 1 metro o 2 per lato. La terra cavata contro
il poggio, la si porta subito al disotto, sostenendola con una palizzata
o con della cotica d'erba oppure con pietre, facendo un muro a
mezza luna.
Vili.
Chiusure dei terreni coltivati a piante da frutto.
(I muri di recitilo).
Se per tutte le coltivazioni è sempre stata riconosciuta la necessità
di chiudere i terreni, questa necessità è tanto maggiore per un terreno
coltivato a piante da frutto.
Le chiusure si possono fare con muri, siepi vive e siepi morte. In
questo capitolo tratterò soltanto delle chiusure con muri.
- 232 —
1. — I mari sono specialmente indicati per i frutteti. L'altezza più
conveniente è di 3 metri ; in ogni caso non meno di metri 2,50 sopra
al livello del terreno, per riparare il frutteto dai venti e per allevare
le piante a spalliera.
Il miglior materiale per questi iiiuri è la pietra per le fondamenta
e per circa 30 cm. fuori terra, il rimanente di mattoni. Le fondamenta
non devono farsi troppo larghe, per impedire alle radici di svilupparsi.
E' meglio rendere più solido il muro coU'approfondire le fondamenta
che non coll'allargarle. In ogni caso esse devono essere più profonde
di quanto si intende lavorare il terreno.
Una volta si costruivano questi muri della larghezza di 35 cm., ora
invece si usano molto più economici. Si fanno dello spessore di due
teste di mattoni, e cioè della larghezza di 25 cm., ed ogni tre metri e
mezzo si fanno dei pilastri larghi da 35 a 50 cm. per dare maggior
solidità.
E' bene, perchè i muri mantengano la dovuta solidità, che siano
unO' in congiunzione dell'altro e con le porte, non libere, ma intagliate
nel muro, e cioè che superiormente a queste, il muro possa continuare.
Occorre che il muro si mantenga sempre asciutto, e le sue faccie
sieno perfettamente a piombo e che le piante a spalliera non siano
investite direttamente dalla pioggia.
Per evitare questo inconveniente, tutti i muri saranno muniti alla
sommità di una specie di cappello fatto con tegoli, mattoni, lastre di
pietra, o lavagne, o cemento, in modo da riparare, a guisa di tettoia,
più o meno sporgente.
La copertura fatta con mattoni e con cemento è la migliore, per-
chè mantiene più serrato il muro ed impedisce all'umidità di penetrarvi.
La pendenza poi deve essere dalla parte opposta a quella in cui si
intende di utilizzare il muro, perchè l'acqua sgoccioli sul lato esterno
del frutteto.
Utilizzando, di un muro, tutti e due i lati, bisogna fare la coper-
tura a doppio pendìo.
In generale, per un muro alto 3 metri, la sporgenza del cappello
necessaria è di cm. 25. Al disotto del cappello vengono poi fissate delle
sbarre, alla distanza di un metro e sporgenti 50 cm., unite all'estremità
mediante un lilo di ferro per servire di sostegno alle tettoie mobili.
Queste tettoie riparano dalle brine e mantengono più alta la tempera-
tura evitando l'irradiamento del calore.
Le tettoie mobili consistono di tanti assiti larghi 50 cm. e lunghi
m. 1 a 3, fatti con sottili tavole oppure di lamiera di latta unita in-
sieme mediante intelaiatura di ferro o legno.
Al momento di adoperarle si distendono lungo le sbarre in modo
che stiano quasi orizzontali, perchè altrimenti porterebbero troppa
ombra alle spalliere e renderebbero la vegetazione irregolare.
Si possono fare anche ripari di stuoie o cannicci o con paglia di
segale ; le stuoie si fanno della larghezza sopi'a indicata e lunghe pa-
— 233 -
lecchi metri, percliè per levarle si arrotolano. Sono da preterirsi però
le tettoie in latta o quelle in legno, perchè trattengono minore umidità
e in esse non si annidano gli insetti.
Questi ripari sono molto utili specialmente per le spalliere di
peschi e viti, perchè riparano dal freddo da novembre a tutto maggio,
e anche a tutto giugno per le viti precoci.
Quando le piante sono giovani e non hanno per conseguenza rag-
giunta la sommità del muro, o quando si tratta di varietà molto deli-
cate di peschi, viti, limoni, ecc., e che la stagione corre fredda e pio-
vosa, e quando finalmente vuoisi arrestare la vegetazione di una branca
per rinforzarne un'altra, si dispongono questi ripari sopra speciali ca-
valietti di legno a diversa altezza.
Questi ripari o intelaiature, come avrà già rilevato il lettore, sono
indispensabili per avere delle belle spalliere di uniforme e sana vege-
tazione. Si possono chiamare le vere regolatrici del calore, e senza di
esse, almeno da noi dell' Italia settentrionale, non è possibile allevare
il pesco a spalliera.
L'intonaco dei muri deve essere liscio più perfettamente possibile
e fatto di cemento o gesso, perchè si possa pulirlo da muschi od altre
crittogame con la maggior facilità e perchè gli insetti non possano
alloggiarvisi.
Alcuni vorrebbero dare ai muri il color bianco, altri il nero. Il
color bianco ha la proprietà di riverberare il calore durante il giorno,
ma non durante la notte, poiché allora non avviene il processo di nu-
trizione mediante le foglie. E poi, anche l'opinione che i muri di color
nero si mantengano caldi per più lungo tempo non è esatta, impe-
rocché se il color nero ha la facoltà di trattenere molto il calore, ha
pure una gran forza d'attrazione per il freddo e quindi dopo il tramonto
del sole in pochissimo tempo i muri neri si raffreddano.
Io sono delia convinzione che il color bianco è l'unico colore
che si debba dare ai muri, per avere la massima concentrazione di
calore sulle spalliere. In una località dove temo le scottature dei gio-
vani germogli per etietto della troppa irradiazione del calore, non farò
neppure delle spalliere, o metterò delle varietà che non sottrano.
2. — Per utilizzare i muri da tutti e due i lati e potervi piantare
due spalliere, non si fanno i muri al confine del frutteto, ma più al-
l'interno lasciando al di fuori una striscia di terreno larga 2 metri
almeno, la quale alla sua volta si chiude al confine con una rete me-
tallica (fig. 205) A B G D.
Importante è la orientazione da darsi ai muri, per evitare la espo-
sizione peggiore che è quella a Nord. Invece di dare una orientazione
da Nord a Sud sarà meglio scegliere quella da nord est a sud ovest o
da nord ovest a sud est (fig. 205).
3. _ Volendo allevare delle spalliere anche nel mezzo del frutteto,
si costruiscono dei muri isolati, in modo da poter utilizzare da tutti e
due i lati delle spalliere. E' necessario, per evitare resposizione a Nord,
234
che essi abbiano un lato esposto a levante e l'altro a ponente od almeno
da SE a N O, come è indicato in g, h, i, nella fig. 205. Perchè l'aria
possa circolare nel frutteto, questi muri non devonsi fare in contatto
col muro di cinta, ma distanti almeno 3 metri ; si dispongono paralleli
e distanti uno dall'altro almeno 3 volte la loro altezza.
s-o
y-
g f.
Fig. 205. - Disposizione di un frutteto
per utilizzare esternamente i muri di cinta.
IX.
Siepi vive.
Le siepi vive possono servire di riparo ai venti intorno ai frutteti,
ma devono essere alte quanto un muro, e si fanno di castagno, di ro-
vere, di carpino, di leccio e cosi via. Queste siepi però si fanno più
nei giardini e quindi mi -intratterò soltanto delle siepi vive da difesa
dei broli e campi, in cui si coltivano le piante da frutto.
Moltissime sono le specie di piante che si prestano per fare siepi
vive. Qui sotto dò l'elenco, colle principali indicazioni colturali che le
riguardano. Nella scelta bisogna aver cura che l'essenza.
a) abbia una ramificazione fitta, cominciando dalla base, e possi-
bilmente munita di spine ;
b) che mantenga costantemente le ramificazioni in basso ;
e) che sia di rapida crescita e possa sopportare tagli frequenti;
dj che non invada colle sue radici il terreno circostante e cresca
bene in file serrate.
Le piante da siepe più adatte sono 1' acero campestre, il bossolo,
l'arancio trifoliato, il biancospino, la maclura, il fico d'India e la marruca.
Faccio seguire un elenco di piante che possono servire per for-
mare la siepe, colle principali indicazioni colturali (vedi Tab. XIII
a pag. 236-237).
- 235 -
X.
Impianto e cure relative
al mantenimento delle siepi vive.
1. — Prima di disporre per rimpianto di una siepe dobbiamo ri-
cordare che l'Art. 579 del Codice Civile prescrive, che non si possono
piantare siepi ad una distanza inferiore di 50 cm. dal confine del vi-
cino, cosi pure devesi ricordare, che le siepi devono distare dai fossi
di scolo almeno tanto quanto è profondo il fosso.
2. — Fissata la posizione della siepe, si scava una fossa larga un
metro, lungo tutto lo spazio che deve essere da essa occupato.
Al momento dell'impianto si impiegano i concimi indicati per gli
impianti in genere (Vedi Cap. XVII di questa parte) e poi si collocano
le piantine di almeno due anni d'età in doppia fila alternata, alla di-
stanza di 20 cm. per lato. Volendo invece fare un siepe con una lila sola
di piante, queste si collocano a 15 cm. di distanza.
Prima dell'impianto, si abbia cura di mondare le radici dalle ra-
mificazioni rotte e contuse e, dopo si tagliano le piante vicino terra.
Durante l'anno, si fa una zappatura nel mese di agosto, per mondare
il terreno dalle malerbe.
Nel secondo anno, durante l' inverno, si tagliano tutte le piante a
10 cm. dal terreno e si lavora il terreno fra mezzo alle piante ed almeno
50 cm. per lato della siepe. Nell'agosto si fa una zappatura.
Nel terzo anno si tagliano le piante 20 cm. sopra al taglio l'alto
l'anno scorso e così ogni anno, fino ad arrivare all'altezza a cui si
desidera la siepe.
Quando la siepe ha raggiunto l'altezza voluta le cure annuali con-
sistono in una zappatura e scerbatura accurata durante l'inverno ed
in luglio col forbicione da siepe si fa (vedi fig. 44, pag. 34) una tosa-
tura in alto e lateralmente, per mantenere la siepe nelle sue dimensioni.
Una siepe fatta in questo modo può durare a lungo, ma se non è
curata annualmente si formano facilmente spazi vuoti, per mancato
equilibrio fra pianta e pianta e perchè le piante si sguerniscono facil-
mente in basso, per deficienza di luce ed aria.
Un metodo migliore, che ha il vantaggio di far crescere più presto
le piante, di dare meno ospitalità agli insetti e di rendere più facile
e meno costosa la manutenzione, è la siepe a reticolato.
Per formare questa siepe, si adopera l'acero, il gelso, ed anche la
maclura ed il biancospino.
L'impianto si fa sopra una sola fila, collocando le piante alla di-
stanza di 15 cm., e tagliandole vicino a terra.
Nell'inverno del secondo anno si prendono i due rami migliori e
si piegano a destra e sinistra del fusto, secondo un angolo di 45°, e si
236
Le principali piant
Abies
Acer campestre
„ Monspessulanurn
Atriplex Halimus. . .
Berberis vulgaris. . .
Buxus sempervirens .
Carpinus betulus .
Cerasus Mahaleb . .
Clematis vitalba . .
Citrus triptera . . .
Cornus Mascula . .
„ Sanguinea
Corylus Avellana . .
Crataegus oxyacantha ,
„ Crusgalli . .
Evonimus vulgaris . .
Fagus sylvatica . . .
Genista sylvestris. . .
Gleditschia triacanthos
Hippophae rhamnoides
liex acquifollium . . .
luniperus communis .
Abete
Acero campestre
Acero minore
Atreplice di mare
Crespino
Bossolo
Carpino
Ciliegio di S. Lucia
Vitalba
Arancio trifogliato
Corniolo
Sanguinella
Nocciuolo
Biancospino
Lazzcruolo spinoso
Evonimo o Fusaggine
Faggio
Ginestra spinosa
Spinacristi
Olivello spinoso
Aquifoglio
Ginepro
Laurus nobilis Alloro
Ligustrum vulgare Ligustro
Lycium Europaeuni
Maclura aurantiaca .
Morus alba ....
Opuntia Ficus indica
Olea europea . . .
Paliurus aculeatus .
Parkinsonia aculeata
Pinus
Prunus
Prunus spinosa. . .
Punica granalum .
Quercus coccifera. .
Bamnus catharticus.
Robinia pseudoacacia
Rosa canina ....
Agutoli
Maclura
Gelso
Fico d' Inilla
Olivastro
Marruca
Parkinsonia
Pino
Susino selvatico
Pruno prugnolo
Melagrano
Querce spinosa
Ramno spin cervino
Robinia
Rosa canina
Rubus fruticosus ; Ro\
Ruscus aculeatus .
Tamarix gallica .
Taxus baccalà . .
Thuja occidentalis
Ulex europaeus .
Ulmus campestris
Rusco pugnitopo
Tamarice
Tasso
Tuja del Canada
Ginestrone europeo
Olmo
forte, fresco
tutti meno negli umidi
eccessivamente scioll
sterile e sassoso
fresco
qualunque
qualunque, di prefereii
calcare e non umido
scoglioso e secco
calcari e rocciosi
sabbioso, argilloso
in ogni terreno
id.
id.
leggei-o e fresco
qualunque
id.
id. :
qualunque, purché non e\
maraente umido o paluj
qualunque |
id. j
sulle spiaggie e sabbi
fertile e profondo
qualunque, anche dove >
sun albero potrebbe allig)
fertile e leggero
fertile ed umido
qualunque
sciolto e fresco
id.
qualunque
argilloso, calcare
qualunque
id.
sciolto
fresco
id.
asciutti e calcari
id.
indifferente
id.
id.
id.
id.
salsi
fresco
fresco e fertile
secco, arenoso
leggero profondo
ì e cenni colturali.
23:
Clima
Moltiplicazione
umido
seme
fresco
id.
caldo
id.
id. j
seme e polloni
jii:iliim|ue
id.
idifferente
seme
o per mazze
id.
polloni o seme
i.l.
id.
i<l.
polloni
id.
seme
id.
polloni e seme
id.
id.
freddo
id.
5iialiiin|iic
id.
id.
id.
id.
id.
piuUoslo
seme
freddo
qualunque
id.
id.
seme e polloni
id.
id.
caldo
seme
qualunque
id.
caldo
seme e polloni
fresco
seme e polloni
qualiuKiue
id.
temperalo
seme
id.
id.
caldo
articolazioni
id.
seme ed ovoli
qualunque
seme e polloni
temperalo
seme
k id.
id.
id.
seme e polloni
id.
id
caldo
id.
id.
seme
ndifferente
seme e polloni
temperato
id.
id.
id.
id.
id.
ndifferente
seme e polloni
caldo
seme e marze
temperato
, seme
id.
1 id.
marittimo
id.
temperato
id.
OSSERVAZIONI
Si adopera di rado nei frutteti.
E molto adoperato nelle siepi da campo e dei
broli.
Poco usato.
Idem.
j Non si usa perchè dannoso ai cereali.
Molto usalo per fruiteti e giardini.
Molto usato in Lombardia ma non tanto racco-
mandabile perchè si dirada.
Poco usato da solo, di più consocialo.
Idem.
Poco usata ma mollo da raccomandarsi.
Poco usala da sola ma consociata.
Idem.
Idem.
È una delle migliori essenze <la siepe.
Meno usata della ])reccdcnle.
Poco usata.
Idem.
Idem.
Abbastanza usata ma è invadente colle sue railici.
Poco usalo.
È poco u.salo ma merita di raccomandarlo.
Poco usato.
Poco usato o soltanto per ornamento.
Molto usato per siepe da ornamento.
Poco usalo.
Abbastanza esteso.
Abbastanza esteso in Londiardia.
Molto esteso nelle provincie meridionali.
Poco applicalo.
Molto eslesa.
Da poco tempo introdotta.
Poco usato.
Poco usato, i)erchè delicato al laslio.
Idem.
Poco usalo
Idem.
Abbastanza usalo, misto con allit- essenze.
Invade troppo il terreno e si spoglia in basso.
Idem.
Idem.
Poco usato.
Molto usato nel Litorale.
Usalo più per siepe dornamento.
Poco usata o soltanto per ornamento.
Usato più per siepe dornamento
Poco usato.
- 238 -
fissano opportunamente ad un sostegno provvisorio che dapprima si
avrà avuto cura di costruire lungo tutta la siepe, oppure si tendono
due fili di ferro a 40 cm. di distanza uno dall'altro. Nel punto di in-
contro si legano strettamente i rami uno coll'altro, perchè avvenga
l'innesto per approssimazione.
I rami convenientemente incrociati Ira di loro presenteranno cosi
l'aspetto di un reticolato a maglie romboidali.
Nella state successiva ogni ramo darà origine a nuovi getti; questi,
di nuovo si incroceranno fra di loro, legandoli.
Se la siepe ha vigoria, se al piede è ben guarnita di rami, i getti
di prolungamento delle piantine non si ridurranno se non quando esse
avranno raggiunto l'altezza voluta. Avendo invece scarsi rami meschini
durante l'inverno di ogni anno o di due anni, si raccorceranno i getti
principali di metà o due terzi della loro totale lunghezza.
Questo taglio, che ritarderà alquanto l'innalzamento della siepe,
provocherà un maggior sviluppo di rami basilari e gioverà alla solidità.
La siepe si arresterà all'altezza voluta con tagli che si praticheranno
nella stagione morta. Le pareti verticali richiederanno pure tosature
invernali per evitare un soverchio sviluppo nello spessore.
Quando la siepe avrà raggiunto un certo sviluppo, la potatura secca
si sostituisce colla potatura verde nel mese di luglio.
L'innesto per approssimazione interviene talvolta a dare una soli-
dità ancora maggiore ed un aspetto bellissimo.
Di queste siepi bellissime di acero ne vidi nella provincia di Padova.
Passati alcuni anni, specialmente le siepi doppie non mancano a
diradarsi. Allora conviene ringiovanirle, tagliandole al piede, scalzan-
dole bene, e portando della buona terra ben concimata.
XI.
Siepi morte.
Le siepi morte hanno il vantaggio sulle siepi vive, di occupare
meno spazio, di non ombreggiare il terreno, di non essere ricettacolo di
insetti e malattie crittogamiche che sovente vi ospitano, ma d'altro
canto costano notevolmente di più.
La siepe morta più semplice si fa, stendendo tre fili di ferro, uno
all'altezza di 15 cm. dal terreno, ed i due altri a 3,5 cm. di distanza
ciascuno, e fissando a questi, mediante filo di ferro cotto, dei regoli di
legno o dei paletti o dei rami di piante spinose come robinia, spina-
cristi, disposti a reticolato o verticalmente distanti 15 cm. fra loro.
A risparmiare questi paletti di legno si è pensato di preparare dei
fili di ferro armati di punte, ma sono più adatti per difendere i boschi
i prati, le campagne estese, dagli animali vaganti più che dalle persone.
- 239 -
La migliore siepe morta è senza altro quella a maglia di ferro,
che si pone in opera nel seguente modo.
Alle due estremità della siepe si collocano due solidi capi saldi,
elle possono essere colonne di pietra, ferro a j. ecc., alti quanto il re-
ticolato. Ogni 6-10 metri di distanza, a seconda dell'altezza, si collocano
altri paletti di ferro a T, più leggeri però dei capisaldi. A 5 cm. dal
terreno ed all'estremità si tendono due fili di ferro, meglio se armati
di punte, i quali fili si sostengono con dei piantoni ad ogni f) metri di
distanza, che possono essere di legno o di ferro a j.. 11 Ilio di ferro
superiore ed inferiore si fa scorrere prima entro la maglia di ferro in
modo che tendendo i fili, si tende anche la maglia.
Di queste siepi ne feci e consigliai parecchie. Tutta in ferro, alta
metri uno, viene a costare circa L. 1 il metro corrente.
XII.
Armature per le spalliere e materiale usato
per legare le piante.
E' indispensabile una armatura per dare alle piante quelle forme a
spalliera che si desiderano. Ogna branca richiede di essere guidata e
sostenuta, altrimenti è impossibile che essa si sviluppi regolarmente.
Fig. 20e. — Chiodo caposaldo Fig. 207. - Chiodo di mezzo
per legare un capo del filo di ferro. per sostenere il filo di ferro.
Una volta le armature si facevano esclusivamente con regoli di
legno in modo da formare un reticolato a maglie quadrale o romboi-
dali. Con queste armature però, che si devono rinnovare di frequente
e perciò costano assai, non sempre si raggiunge lo scopo, poiché le
singole branche non crescono diritte, se al più, oltre all'armatura, non
si voglia munire ogni branca di un regolo speciale.
Il filo di ferro zincato per le armature, corrisponde meglio di ogni
altro per la sua durata, per la poca spesa che per difendersi dagli
insetti.
Una armatura semplice è la seguente. Si fissano alle estremità del
muro e ben saldati con cemento, dei chiodi galvanizzati (fig. 206) alle
seguenti distanze : i primi a 40 cm. dal terreno e gli altri ad 1 m.
e l'ultimo almeno a 40 cm. distante dalla sommità del muro. Sulla linea
su cui deve passare il filo di ferro si conficcano alla distanza di 5 m.
- 24U —
dei chiodi galvanizzati e colla capocchia ricurva (fig. 207) che servono
di sostegno ai fili. Questi chiodi, collocati possibilmente a scacchiera
(b fig. 208), non devono opporre una grande resistenza, ma soltanto
sostenere i fili, perciò basta che siano infitti nel muro col martello,
mentre quelli dell'estremità bisogna che siano murati (a lig. 208). Tanto
questi chiodi che quelli in capo al muro devono sporgere dalla super-
ficie del muro 10 cm.
Il filo di ferro galvanizzato che si raccomanda è il N. 15 e per
tenderlo, si comincia a fissarlo fortemente al chiodo (a) dell'estremità
Fig. 208. — Armatura per una spalliera.
e quindi all'altra estremità si tende con delle macchinette apposite
quali sono il tenditore fisso (fig. 209) il tenditoio Panizzardi (lìg. 210),
(|uello Ariighetti (fig. 211), quello a carrucole, quello Barbero-Delodi,
tutti di semplice congegno. I tenditori fissi servono una sola volta do-
vendo restare sul filo e costano 15 centesimi l'uno. La macchina Ar-
riglaetti presso l'A. a Sesto Horentino costa L. 15, quella a carrucole
L. 1(3 presso l'Amministrazione del giornale // Coltivatore, quella Delodi
L. 15 presso il signor Barbero di Torino.
A completare l'armatura occorrono delle assicelle possibilmente di
abete, perchè più resistenti e perciò più economiche. Queste assicelle
devono essere ben liscie da tutti i lati, uniformi e diritte.
- 241 —
Non devono essere né troppo grosse, perchè allora vengono a co-
stare troppo ed all'armatura danno un aspetto poco elegante, ne troppo
sottili, perchè col lenipo si piegano.
Io consiglio tre dimensioni:
a) Per spalliere nelle quali le assicelle o regoli, come si vuol
chiamarli, devono stare verticali, si dà la grossezza di 18 per 24 mm.
b) Per quelle che devono stare orizzontali od oblique basterà la
grossezza di 15 per 20 mm.
cj Per quelle che servono per legare i rami laterali alle branciie
è sufficiente la grossezza di 10 per 12 mm.
Fig. 209. - Tenditore fisso.
Questi regoli si legano ai fili di ferro ben stretti mediante filo di
ferro sottile e cotto. Nella lìg. 208 abbiamo un'armatura preparata per
cordoni obliqui distanti fra loro 35 cm. ; volendo invece preparare
un'armatura per un candelabro, per una palmella, ecc., si collocano
queste assicelle, al momento dell' impianto, alla distanza e luogo pre-
ciso, dove si vogliono avere le branche, in modo che le assicelle stesse
formeranno perciò in precedenza la forma della i)ianla. Molli potreb-
bero ritenere inutile di fare l'armatura prima che le piante prendano
un certo sviliuppo. Niente di più errato, poiché mentre l' armatura
stessa serve di guida al potatore, facendola dopo, non si può fare il
Fig. 210. — Tendiloio Panizzardi.
lavoro tanto comodamente e molte volle lungo il corso di vegetazione,
non avendo indicala la direzione e la distanza, si dà alle branche una
direzione sbagliata.
Invece di adoperare delle assicelle di legno nel senso verticale, si
possono tendere dei fili di ferro galvanizzati del N. 10 a partire da
30 era. dal terreno e che distino fra loro 10 cm. per le spalliere del
pesco e cm. 30 per quelle del pero.
Per le controspalliere, ossia spalliere isolate, il miglior materiale
per l'armatura è il ferro a T, perchè con questo si ha solidità, eleganza
ed economia.
16 — Tamaro - Frutticoltura.
- 242 -
Le armature in ferro consistono di due parti : dei pali capisaldi e
dei pali di mezzo di sostegno del filo, che non devono avere fuori del
terreno, una altezza superiore di tre metri.
I capisaldi constano di un palo (a) e di una saetta (b fig. 212). La
saetta sta unita al palo mediante viti.
Per provvedere di una base pali, le saette, e acciocché possano
stare ben fermi nel terreno, o si impiombano nelle pietre, oppure si
opera nel seguente modo : si prepara uno stampo di legno o forma
di vaso rovesciato dall'altezza di 25 cm., che si apre a metà mediante
cerniera. Si prende quindi il palo di ferro e lo si mantiene verticale
nel centro dello stampo riempiendolo con cemento a rapida presa e
scaglie di pietra. Dopo un quarto d'ora il cemento ha fatto presa, si
leva lo stampo ed allora il palo rimane in piedi munito di una base
solidissima che diventerà poi più dura nel terreno (f).
Fig. 211. - Tenditoio Arrighetti.
A 40 cm. dal terreno stanno infisse nei pali, orizzontalmente, delle
sbarre di ferro (a) sporgenti 10 cm. da tutti e due i lati con all'estre-
mità un foro, che serve nei capisaldi per tenere fermo il filo di ferro
e per i pali di sostegno per farlo passare attraverso. All'estremità poi
dei pali trovasi una specie di architrave in ferro (d), la quale serve
per stendere i fili una copertura che di solito si fa di tela da vele per
riparare le due spalliere dalle brine e per concentrare il calore, come
abbiamo detto per i muri. Come si vede noi abbiamo in questo modo
un'armatura molto elegante che ci permette di allevare da due parti
delle spalliere.
Nella figura è anche indicato il modo per piantare i pali per i
cordoni orizzontali.
L'impianto si fa nel seguente modo. Si comincia a stabilire il silo
ove collocare i pali capisaldi e poi si scava una buca profonda da 40
a 80 cm. a seconda che si vuole l'altezza della spalliera a 2 od a 3 m.
E' meglio non superare i m. 2.
Sul fondo della buca si batte per bene il terreno e quindi si mette
dentro il palo già unito alla saetta. Nel caso che nel sottosuolo si tro-
vasse del terreno molle si possono mettere delle pietre.
- 243 -
Una volta messo a posto il palo caposaldo e la saetta, si interra
la buca, comprimendo per bene il terreno intorno alla base. Se adun-
que si vuole avere la spalliera dell'altezza di 2 m., i pali devono avere
la lunghezza di m. 2, 10, poiché 40 cm. vengono interrati. Anche la saetta
corrispondente deve essere più lunga.
Collocali i capisaldi si piantano i pali intermedi nello slesso modo
che abbiamo detto per gli altri, e devono trovarsi alla distanza di li ni-
Fig. 212. - Armatura
ferro di una conlro-spalliera e di un cordone orizzontale
quando trattasi di un'altezza della spalliera di 3 m. ; di 4 se l'altezza è
di soli 2 m. ,^
I ferri a T di minima dimensione devono essere di min. .iox.iUo
di mm. 25 x 25. Invece del ferro a T si può adoperare .1 ferro ad L
oppure il mezzo rotondo. Migliore ho trovato il lerro a_ T.
Del filo di ferro si adopera ordinariamente i N. !•>, ovvero K. m
ogni caso per potersi regolare sulla spesa valgono le seguenti due ta-
belle per il filo di ferro e per il ferro modulato da sostegni.
— 244
Tab. XIV. Lunghezza per kilogramma
e peso di m. 100 di filo di ferro.
Numero
del
lilo di ferro
Peso
di ni. 100 di
Lunghezza
di 1 Kg.
metri
Diametro
in decimi
Prezzo
variabile
lunghezza
Kg.
di
millimetro
di 100 Kg.
Uve
5
0,572
180
10
55
6
0,711
135
11
52
7
0,882
115
12
49
8
1,035
100
13
46
9
1,200
83
14
43
10
1,378
71
15
40
11
1,567
62
16
37
12
1,988
50
18
34
13
2,450
42
20
33
14
2,965
35
22
32
15
3,526
29
24
31
16
4,380
24
27
30
17
5,510
19
30
29
18
7,078
13
34
29
19
9,310
10
39
28
20
11,850
9
44
28
21
14,150
6
49
28
22
18,348
5
54
28
Tab. XV. Dimensioni e peso del ferro modulato per sostegni.
Dimensioni
Lunghezze metri
in
millimetri
1
Kg.
1,20
Kg.
1,40
Kg.
1,60
Kg.
1,80
Kg.
2
Kg.
20x20
23x23
25x25
27x27
30x30
35x35
40x40
45x45
23x20
27x25
30x25
.35 X 30
40x35
45x40
18x12
20x14
23x17
25x18
35x17
A Ferro ad
U.
0,660
0,790
0,925
1,050
1,190
1,000
1,200
1,400
1,600
1,800
1,200
1,430
1,700
1,950
2,100
1,350
1,600
1,900
2,150
2,450
1,900
2,280
2,650
3,000
3,400
2,450
2,950
3,450
3,900
4,400
2,900
3,480
4,050
4,650
5,250 j
3,350
4,000
4,690
5,350
6,000
B. Ferro a T.
1,140
1,370
1,600
1,850
2,080
1,450
1,680
1,960
2,250
2,550
1,750
2,100
2,450
2,800
3,150
1,950
2,340
2,750
3,150
3,500
2,450
2,940
3,430
3,900
4,400
3,600
4,320
5,050
5,750
6,500
G. Ferro semirotondo.
0,650
0,780
0,910
1,050
1,170
0,800
0,960
1,120
1,280
1,450
0,950
1,150
1,330
1,520
1,700
1,180
1,410
1,650
1,900
2,120
1,200
1,430
1,660
1,950
2,150
1,320
2,000
2,360
2,750
3,800
4,900
5,800
6,700
2,800
3,500
3,900
4,900
7,200
1,300
1,600
1,900
2,360
2,400
- 245 -
In questo capitolo trova ancora posto un arf^omenlo abbastanza
importante quale è quello delle legature.
Una buona legatura non deve subire le intluenze igromelriche,
deve essere dotata di una certa elasticità, che permeila facilmenle ai
rami o germogli legati di svilupparsi.
Le legature più usate sono:
a) I vimini, che servono specialmente per legare al tempo della
potatura secca tutte le branche sia principali clie secondarie.
bj I giunchi; servono molto bene al tempo della potatura verde;
sono elastici, costano pochissimo.
e) La corteccia del tiglio, gelso, le slìlaccialure di canape si im-
piegano per la legatura dei grossi rami, ma sono poco elastiche.
d) La paglia di segale è molto usata ed è utilissima. La segale
si taglia prima che abbia fiorito, si fa appassire all'ombra e cpiindi si
immerge in una soluzione di solfato di rame. Questa legatura è delle
migliori, però non è elegante.
e) La lana filata serve molto bene, così Io spago e la rafia, ma
è cara ed il lavoro riesce troppo lungo.
f) A Montreuil per le spalliere di pesco si pratica con vantaggio
la legatura fatta con lacciuoli di cimosa, fissali contro il muro con
apposito chiodo.
Questo sistema è molto elegante e si i)resta in parlicolar modo
quando si tratta di esporre una spalliera ad una pubblica mostra, per
attirare maggiormente l'attenzione dei visitatori. Difalti contro alla
spalliera si mette un tavolato bianco, si adoperano poi dei lacciuoli di
color nero di larghezza eguale.
Fra tutti i diversi legacci proposti, i più convenienli sono ancora
i vimini per l'inverno ed i giunchi per l'estate.
XIII.
Determinazione delle distanze nell'impianto.
Non si può procedere alla piantagione degli alberi se prima non
si è stabilita la forma che ad essi si vuol dare. .Sollanlo dopo (ìs.sala
questa e il soggetto sul quale si vogliono gli alberi innestati, si deter-
minano le distanze dell'impianto (vedi Tab. XVI a pag. 246).
La distanza deve essere tale da permettere lo sviluppo sufficiente
della pianta e che le rispettive ramificazioni si trovino ad una conve-
niente distanza fra loro, perchè l'aria e la luce possano circolare e
favorire la fruttificazione. Collo spazio non si deve essere, nò troppo
avari, né troppo generosi.Le piante destinate per spalliere devono essere
collocate a distanze tali, che dopo formale, coprano totalmente il .miro
Tab. XVI. Distanze alle quali si devono piantare gli alberi da frutto.
ALBERI DA FRUTTO
Agrumi
Aranci nei terreni in piano. . .
„ „ „ „ colle . . .
Limoni
Albicocco
Nei campi o broli a pieno vento
A ventaglio nei frutteti ....
Carrubo
Nei campi a pieno vento. . . .
Castagno
Nei castagneti a pieno vento . .
Ciliegio
A pieno vento
„ mezzo ,
Ad u semplice
„ U doppia
A palmella Verrier a 5 branche.
„ 6 „ .
„ forme basse
5
4
|5-0
!
j 5-6
I 4-5
I
n
I
12-15
i
i 6-10
I 5-6
I 0.80
I 1.60
2
2.40
3-4
Nano . . .
Forma libera
Cotogno
Fico
A ceppala m. 3,50 da fila a fila e
m. 2 sulla fila.
A pieno vento
Fico d'India
Si pianta a strisele distanti m. 6
una dall'altra.
Pieno vento
Gelseto nano
Ceppale . .
Gelso
Giuggiolo
Pieno vento
Lampone
A cespuglio, a file distanti m. l,3:i
e sulla fila m. 1.
Mandorlo
Pieno vento
Pieno vento
Melograno
Melo
Forme basse innestate sul dolcino.
Pieno vento innestato sul franco nei
broli
Pieno vento innestato sul franco nei
campi
Pieno vento innestato sul franco
lungo le strade
Mezzo vento innestato sul franco .
Mezzo vento innestato sul dolcino.
Cordone orizzontale semplice inne-
stato sul paradiso
6-10
2.5-3
2
6-8
3-4
3-4
,8-10
10-12
10-12
8-10
6-8
ALBERI DA FRUTTO
Nespolo e Nespolo del Giappone
Forme nane
Mezzi venti
Noce
Pieno vento
Nocciuolo
Ceppale
Olivo
Pieno vento
Mezzo vento
Pero
Piramide innestata sul franco. . .
„ cotogno . .
Fuso innestato sul cotogno ....
Pieno vento innestato sul franco
nei broli
^Pieno vento innestato sul franco
nei campi
Pieno vento innestato sul franco
lungo le strade
Mezzo vento innestato sul franco .
„ „ „ „ cotogno.
Cordone orizzontale semplice inne-
stato sul cotogno
Cordone verticale innestato sul co-
togno
Palmetta semplice innestata sul co-
togno
Palmetta doppia innestata sul co-
togno
Pesco
A vaso
Pieno vento
Forma ad U semplice
„ „ „ doppia
Palmetta Vernier a 6 branche. . .
,5 „ . . .
Alto fusto
Pino da pinoli
Forma libera
Ribes ed uva spina
Alberello .
Cespuglio
Sorbo
Pieno vento
Su ino
Regine Claudie ])ieni venti
Mirabelle „
Zwetschen
Susino a mezzo vento . .
„ a vaso
Vite
Sistema Guyot
Thomery
Cordone verticale permanente
- 247 -
o la superficie ad esse destinala. Per le forme libere, (|uali sono i pieni
venti, mezzi venti, piramidi, fusi, ecc., dopo il loro com|)leto sviluppo,
si deve poter comodamente girare intorno ad ogni pianta per po-
tarla e per lavorare il terreno.
Una distanza di 60 cni., fra i rami più esterni di una pianla t-
quelli dalla pianta vicina, è appena suflìciente.
In via generale conchiuderemo che è meglio piuttosto aumentare
che diminuire le distanze, poiché, costringendo la pianla a non pren-
dere uno sviluppo normale, questa indeiiolisce e perisce presto.
Trattandosi di frutteti con piantagioni uniformi, la disianza fra
pianta e pianta deve essere eguale almeno all'altezza massima che po-
trà raggiungere la pianta.
Cosi ad esempio in un frutteto a piramidi di peio, essendodiè le
piramidi raggiungono al massimo 4 metri di altezza, si fa l'impianto
collocando i soggetti a m. 4 di distanza.
E' evidente che le distanze quindi devono variare a seconda della
natura delle piante, della loro forma e della natura del terreno. I limili
maggiori delle distanze qui sotto indicate, si devono adottare nei ter-
reni buoni, profondi e fertili, lasciando distanze tninnri pei terreni
mediocri. Per le forme a spalliera si ha calcolato che il muro deve
avere un'altezza non inferiore a m. 3.
XIV.
Disposizione degli impianti.
L'impianto si può fare a file, a triangoli equilateri, detto a sel-
tonce, in quadrato ed a triangoli isosceli. Quello a setlonce consiste
nel collocare una pianta per ogni angolo di un esagono ed una nel
centro; in quadrato collocando una pianta agli angoli di un (juadrato: a
triangolo isoscele collocando in un quadrato olire una pianta agli an-
goli una anche nel mezzo.
Il numero necessario delle piante in un ettaro per gli impianti a
fila si ottiene moltiplicando il numero delle lìle i)er il numero delle
piante che stanno in una fila.
Per determinare il numero delle piante nelle piantagioni in trian-
goli equilateri ed in quadrato, valga la Tab. XVII a pagina seguente
che può avere utilità tanto per i vivaisti che per i frutticoitori.
Per avere il numero delle piante negli impianti a setlonce, bi-
sogna moltiplicare il numero delle file per ogni lato di (piadrato per
il numero delle piante nella fila e sommare il prodotto a quello otte-
nuto, moltiplicando il numero degli interfilari col numero delle piante
che si trovano in essi.
— 248 -
Numero di piante contenute in vin ettaro
a seconda delle distanze.
N." delle
N.o delle
Distanze
piante in un ettaro
Distanze
piante in un ettaro
collocate in
collocate in
delle piante
■" • ' ; — -^ ~~~
delle piante
' — -.^^ ■ _..— — --^
in metri
triangoli
equilateri
quadrati
in metri
triangoli
equilateri
quadrati
0,1
1,154,700
1,000,000
1,7
3,996
3,460
0,2
288,675
250,000
1,8
3,564
3,087
0,3
128,300
111,111
1,9
3,199
2,770
0,4
72,169
62,500
2
2,288
2,500
0,5
46,188
40,000
2,2
2,386
2,066
0,6
32,075
27,778
2,4
2,005
1,736
0,66
26,515
26,515
2,6
1,708
1,479
0,7
23,565
20,408
2,8
1,473
1.276
0,8
18,042
15,625
3,-
1,283
1,111
0,9
14,256
12,346
3,2
1,128
977
1
11,547
10,000
3,4
999
865
1,1
9,543
8,265
3,6
891
772
1,2
8,019
6,944
3,8
800
693
1,3
6,833
5,917
4,-
722
625
1,33
6,529
5,653
5,—
462
400
1,4
5,821
5,102
6,-
321
278
1,5
5,132
4,444
7,-
236
204
1,6
4,511
3,906
8,
180
156
1,66
4,190
3,628
La seguente tavola indica il numero necessario delle piante secondo
la distanza che si vuol tenere fra esse negli impianti a file :
Tab. XVII I. Numero dei soggetti in un'ara di terreno piantato a file.
Distanza
DISTANZA DELLE PIANTE NELLE LINEE IN CENTIMETRI
delle
(Le cifre qui sotto rappresentano
il numero dei soggetti
linee in
da pìantars
in u
75
n'ara).
centim.
5
10
15
20
25
50
100
125
150
175
200
5
40,000
20,000
13,333
10,000
8,000
4,000
2,666
2,000
1,600
1,333
1,142
1,000
10
20,000
10,000
6,666
5,000
4,000
2,000
1,333
1,000
800
066
571
500
15
13,333
6,666
4,444
3,333
2,666
1,333
888
666
533
444
380
333
20
10,000
5,000
3,333
2,500
2,000
1,000
666
500
400
333
285
250
25
8,000
4,000
2,666
2,000
1,600 t 800
533
400
320
266
230
200
50
4,000
2,000
1,333
1,000
800
400
266
200
160
. 133
114
100
75
2,666
1,333
888
666
533
266
177
133
106
88
76
66
100
2,000
1,000 666
500
400
200
133
100
80
66
57
50
125
1,600
800
533
400
320
160
106
80
64
53
46
40
150
1,333
666
444
333
266
133
88
66
53
44
38
33
175
1,142
571
380
285
230
114
76
57
46
38
33
28
200
1,000
500
333
250
200
100
66
50
40
33
28
25
- 249 -
Quando si vorrà conoscere il numero dei sog^^etli necessari per
piantare un'ara, si calcoleranno le distanze che si vogliono stabilire fra
le linee e fra le piante nelle linee; quindi si osserveranno le cifre che
rappresentano queste distanze in centinielri nella prima colonna oriz-
zontale all'alto della tavola e nella prima colonna verticale di sinistra,
il numero, che si trova nel quadrato di congiunzione, sarà (|ueilo
cercato.
Quando invece di un'ara si tratterà di un ettaro, basterà aggiungere
due zeri alle cifre della tavola per ottenere il totale desideralo. Per
considerare le cifre fattori che rappresentano le distanze delle linee o
delle piante nelle linee, come dei decimetri o dei metri invece dei
centimetri, bisognerebbe sopprimere nei numeri della tal)ella sia uno
zero trattandosi di decimetri, sia due zeri trattandosi di metri.
XV.
Epoca della piantagione.
1. — La piantagione si può fare durante lutto il tempo in cui le
piante sono in riposo di vegetazione, cioè dall'autunno alla primavera.
Se convenga piantare piuttosto in autunno che in primavera e stato
molto discusso; in ogni caso noi premetteremo che gli impianti non si
devono fare quando il terreno è troppo umido o durante i forti geli,
e perciò un impianto nei mesi di dicembre e di gennaio non è, in via
generale da consigliarsi. Adunque rimane da decidere se convenga
piantare piuttosto dalla seconda metà di ottobre alla metà novembre,
anziché in febbraio-marzo e perciò bisogna prendere in considerazione
il clima, la località, il terreno e la specie delle piante che si vogliono
piantare.
Nelle località dove di solito la primavera è asciutta e dove la tem-
peratura comincia presto ad elevarsi, mentre l'autunno è piuttosto mite,
conviene sicuramente l'impianto in autunno, poiché allora le piante
cominciano subito al principio della primavera a sentire i benelìci ellelli
del calore, attecchiscono facilmente e molto per tempo cominciano a
formare delle nuove radici. E' questo il caso che giuslilica il detto:
chi pianta in autunno ijuadagna un anno, oppure quello francese: a la
Sainte Catherine tout bois prende racine, caso che da noi si verilica in
molte località dell'Italia centrale e meridionale, .\nche coU'acqua le
radici si imbevono durante l'inverno di materiali nutritivi che in pri-
mavera subito, coi primi tepori, vanno a beneiicio della vegetazione.
Quindi, trattandosi di terreni asciutti, leggeri, soflici, conviene la
piantagione in autunno anziché in primavera, piantagione che si può
incominciare per ciascuna specie di mano in mano che cominciano a
cadere le foglie. Coli' impianto in autunno, se fatto per tempo, le piante
possono cominciare a formare nuove radici ancora prima dellinverno ;
- 250 -
mentre ritardando di troppo, e sopraggiungendo il freddo, le ferite delle
radici non hanno tempo di cicatrizzarsi e possono anche in parte
marcire. A questo fatto si deve attribuire qualche insuccesso negli
impianti di autunno.
L'impianto di primavera si fa quando il terreno è completamente
sgelato e quando la temperatura dell'aria comincia ad elevarsi, il che
equivale per noi dalla seconda metà di febbraio alla prima metà di
aprile. Quasi tutti gli impianti vengono fatti in quest'epoca, special-
mente trattandosi poi di climi rigidi, di vallale chiuse da monti, di
montagne dominate dai venti, di terreni umidi, tenaci, argillosi che
vanno soggetti a parziali sommersioni, di terreni scassati appena in
autunno, od anche in autunno avanzato.
L'impianto di primavera conviene però anticiparlo, il più possibile,
appena ci si accorge che il terreno comincia a sbricciolarsi in conse-
guenza del disgelo, e a riscaldarsi per effetto del sole, si proceda alla
piantagione.
Delle diverse specie di piante, il pero ed il susino avvantaggiano
in particolar modo se piantati in autunno.
2. — Da quanto ho detto risulta evidente, che quando il terreno è
sgelato, e la temperatura dell'aria è al disopra di zero gradi e il tempo
è asciutto, dal momento che cadono le foglie alla ripresa della vegeta-
zione noi possiamo in via generale piantare ciò che è appunto dal-
l' ottobre all'aprile. Perciò è sempre meglio piantare in ottobre che
in novembre, in novembre piuttosto che in dicembre e cosi via. Se
in ottobre si trovano ancora delle foglie, queste si levano prima del
trapianto.
3. — Molte volte si può aver bisogno di fare degli impianti fuori
tempo. Ciò succede quando muore qualche pianta che si vuole im-
mediatamente rimpiazzare o quando si vuole cambiarla.
Per questi trapianti bisogna scegliere il periodo durante la vegeta-
zione nel quale la pianta ha il minore movimento di linfa e cioè nel
mese di luglio. In questo mese il movimento primaverile della linfa
subisce una sosta, sia per esaurimento dell'umidità del terreno, sia per
il calore dell'aria. Tale periodo dura tino alle prime pioggie di agosto
e si può approfittare per fare il trapianto, il quale però ha sempre
meno probabilità di riuscita del trapianto fatto in autunno.
Avendo fatto parecchi trapianti anche fuori stazione ho constatato
quanto segue :
a) le piante di 5 a 6 anni, che non hanno più il vigore della
giovane età e cominciano già disporsi a fruttificare, si prestano meglio
delle piante giovani al trapianto fuori stagione. Ciò si spiega anche col
fatto, che le piante adulte hanno maggiori materiali di riserva ed arri-
vano maturare entro luglio le cime dei germogli dell'annata, il che
non avviene per le piante giovani ;
b) le piante più volte ripiantate da un luogo all'altro, si prestano
meglio al trapianto fuori stagione delle piante che sono rimaste sempre
allo stesso posto ;
- 251 -
e) le piante che non hanno maturate le cime dei Mermoj>li del-
l'annata, non si devono trapiantare Inori tempo ;
d) la sfrondatura parziale ed il taglio dei getti non lignilicati
favorisce l'attect-himento ma di più lo favorisce l'accorciamento con
dei buoni tagli, dei rami princii)ali;
e) fatto l'impianto occorre annaflìare abbondantemente lincile la
stagione si mantiene calda. Avanzandosi l'autunno gli annalìianienli si
possono fare sempre più radi.
XVI.
Scelta degli alberi e loro preparazione per rimpianto.
Nella scelta delle piante, molte volte si commettono delle inavver-
tenze i cui elletti si risentono più tardi, (juamlo non c'è più tempo di
rimediare, se non con sacrilicio di denaro e di rendita.
1. — Le piante devono essere possibilmente giovani, perchè allora
più facile ne è l'attecchimento e la durata; devono essere esenti da
malattie o da ferite, la scorza deve essere liscia, lucida, di colore nor-
male, il fusto diritto e bene sviluppato, le radici con molte ramilìca-
zioni specialmente sottili e che si distendano orizzontalmente ; - il
legno deve presentare una sezione lucida con anelli di colore giallo
chiaro, senza sfumature o macchie.
Si ordinino le piante — se non si hanno nel propri vivai, il che è
meglio di tutto — a vivaisti di lunga professione, di fama incontestata.
Prima della ordinazione è opportuna una visita al vivaio in autunno.
Bisogna diflìdare di quelle piante che hanno anticipato la caduta delle
foglie, che hanno le foglie non bene colorate in verde, e non sono
uniformemente sviluppate. Non bisogna mai lasciarsi adescare da prezzi
troppo miti in confronto di altri venditori, poiché allora si corre rischio
di non avere la qualità desiderata o di ricever piante cresciute in
fretta, forzatamente, per la grande quantità di concime e che poi diven-
tano troppo delicate. Un risparmio di denaro in questa oc<-asione può
cagionare delle perdite più tardi.
Riescono meglio le i)iante provenienti da vivai che si trovano in
terreno e clima, simili al luogo dell'impianto. Si preferiscano i vivai
più vicini, situati in luoghi aperti, sopra terreni di mediocre consi-
stenza e fertilità. Le piante cresciute in terreni troppo sciolti, sabbiosi,
diffìcilmente fanno buona prova nei terreni tenaci, se in questi non si
provvede ad una costosa lavorazione del terreno e ad opportuni am-
mendamenti. Le piante venute troppo sollecitamente, per le abbondanti
irrigazioni e concimazioni, diventano poi troppo delicate, ma d'altro
canto non bisogna esagerare in senso inverso. Se il vivaio si trova in
terreno troppo arido e povero di materiali nutrienti, anche le piante
- 252 -
saranno cresciute lentamente e avendo sofferto sino dalla prima età,
non si rimettono poi tanto presto.
In ogni caso, lo sviluppo delle radici e del fusto può dirci molto
sulla fertilità del terreno del vivaio. Le radici fittonose, con poche rami-
ficazioni sottili danno indizio di eccessiva fertilità ; radici brevi, tutte
sottili ci indicano troppa aridità del terreno, una giusta proporzione fra
le radici grosse e sottili ci indicano la condizione buona che ci
occorre.
Il fusto, oltreché avere le qualità sopra accennate, deve essere
completamente maturo, ossia la sua estremità e le estremità delle rami-
ficazioni non devono essere pieghevoli come se fossero erbacee, ed è
per questo che, di solito, conviene l'acquisto di piante provenienti da
vivai di paesi più caldi.
Abbiamo detto più sopra che, per l'impianto, occorrono piante
giovani, ma non per questo intendiamo di impiegare delle piante di
appena un anno d'innesto. Le piante di un anno d'innesto conviene
mettere a dimora se sono destinate a cordoni, ma se trattasi di pieno
o mezzo vento, di piramidi, di palmette, ecc., conviene che abbiano al-
meno un'impalcatura e perciò un'età che può variare da 2 a 5 anni
dopo l'innesto, ma non oltre perché il terreno non rimanga per troppo
lungo tempo infruttuoso.
Nell'estirpare le piante dal vivaio, bisogna aver cura di lasciare
intatto il maggior numero di radici ; poi devono essere piantate il più
presto possibile.
2. — Per spedii'le in luoghi distanti, bisogna imballarle convenien-
temente.
Anzitutto si legano assieme in maiwpoli da 6 a 12, secondo il vo-
lume, unendo assieme quelle di eguale sviluppo, e si fa una legatura
con vimini sotto al punto d'innesto, poi un'altra 20 cent, più in alto,
quindi una terza ed una quarta che unisca le estremità dei rami.
Trattandosi di spedire delle piante già formate, piramidi, palmette ecc.,
conviene anzitutto legare assieme le rispettive ramificazioni di ogni
pianta e poi riunirle.
Fra manipolo e manipolo di piante si mette del muschio, perché
non rimangano degli spazi vuoti, e cosi pure si avvolgono anche le ra-
dici di un buon strato di muschio leggermente umettato. Il tutto viene
poi rivestito con paglia di segale in modo da formare un rivestimento
completo e solido. In un imballaggio non conviene di mandare più di
50 piante.
Durante il transito bisogna tenere gli imballaggi riparati dal sole
e dalla pioggia. Appena arrivano sul sito, si piantano, e se il tempo
non lo permette, si projjagginano nel terreno fino sotto al punto d'in-
nesto. Se invece vi fosse del gelo, si portano le piante come sono im-
ballate, in una cantina o in un ambiente leggermente umido, ma non
freddo, e qui si lasciano per tre o quattro giorni, passato il qual tempo
si sciogliono e si propagginano una per una nella sabbia. Giunto il
- 253 -
momento della piantagione, quando cioè non si hanno più a temere i
geli, quando la terra è asciutta e non gelata e durante una giornata
serena e senza vento, si ritirano le piante ad una ad una dal luogo di
conservazione e si preparano per l'impianto.
3. — Questa preparazione consiste nel tagliare le radici rotte,
contuse, che hanno avuto qualche ferita quando sono slate estirpale,
nel tagliare eventualmente anche qualche lìllone, poiché le piante
che hanno il fittone sono le meno produttive. In ogni caso, deve essere
cura di mantenere la maggior quantità possibile di radici ed i tagli
devonsi fare con strumenti ben taglienti e possibilmente in senso
obliquo, poiché le ferite si rimarginano più iacilmente.
Se le radici hanno sofferto e ci si accorge che sono troppo secche,
conviene fare V inzaffardainento, che consiste nell' intingere o nel la-
sciare per mezz'ora le radici in un liquido composto di acqua, '/a ^'
terra argillosa, e -J3 di sterco bovino. La parte aerea della pianta si
lascia intatta, ammenoché non vi sia qualche ramo rotto da togliere.
Anche durante tutto il primo anno dell'impianto, gli alberi non bisogna
toccarli.
Su tale argomento però molti autori hanno espresso opinioni di-
sparate; cosi gli uni sostengono l'opportunità di lasciare inlatte le
radici ed i rami, gli altri la necessità di tagliare i rami in proporzione
alle radici. Dicono che bisogna tagliare irami per evitare lo squilibrio
fra la parte aerea e sotterranea, mentre i primi aifermano, che anzi un
maggior sviluppo della parte aerea costringe la pianta a svilupiìare
delle nuove radici.
Per decidere una tale questione feci parecchie esperienze (vedi le
edizioni precedenti di questo libro) e sono venuto alle seguenti con-
clusioni :
a) alle radici non conviene tagliare che il fittone e le radici
contuse.
b) alle piante a nocciolo bisogna tagliare i rami a! momento
dell'impianto, perché diversamente le gemme più basse dei rami o del
fusto abortiscano.
e) per le altre piante bisogna distinguere pel taglio dei rami, a
seconda delle circostanze nelle quali si opera.
d) i rami rotti, contusi, feriti, inutili bisogna semi)re toglierli.
e) dal punto di vista generale é meglio non abbattere alcun ramo
poiché in tal modo si favorisce lo sviluppo delle radici.
f) piantando però presto in autunno ed in un terreno buono,
dove presumibilmente si avranno forti gettate, conviene tagliare ad un
terzo i rami formatisi nell'anno precedente ed in tal modo si avvan-
taggerà la vegetazione di un anno. Le piante giovani si taglino sempre
più corte delle piante adulte.
q) Se al contrario si pianta tardi od in primavera e in un terreno
non buono, non conviene tagliare. Tagliati corti nell'anno successivo
o dopo due anni, saranno vigorosi. In questo caso converrà al più
- 254 -
qualche volta fare una leggera accorciatura per stabilire l'equilibrio
della parte aerea colla sotterranea.
h) Piantando degli alberi piuttosto adulti, bisogna tagliare sempre
nel secondo anno poiché altrimenti sviluppano dei rami infruttiferi
che indebolirebbero la pianta.
ì) Il taglio dei rami si faccia sempre dopo l'impianto e prima
che le piante entrino in vegetazione.
/) Se le piante hanno sofferto conviene tagliare corto le radici
ed i rami per facilitare l'attecchimento.
XVII.
Concimazione per l'impianto.
Colla concimazione al momento dell'impianto noi dobbiamo pro-
porci :
1." Dì mantenere bene la pianta da 2 a 5 anni.
2.0 Di mantenere la sofficità al terreno procurata collo scasso od
altri lavori fatti prima dell'impianto.
3." Di favorire lo sviluppo delle radici in modo, che queste cre-
scano numerose e possano estendersi anche sotto allo strato coltivabile.
Per ottenere tutto ciò è necessario quindi somministrare a larghe
dosi concimi complessi, voluminosi, di lenta assimilazione e ben di-
stribuiti nel terreno fino ad 80 cm. almeno di profondità.
Se noi ad esempio concimiamo il terreno per il granoturco in ra-
gione di 30 tonnellate di stallatico per ettaro (concimazione ordinaria),
noi diamo 3 kg. di stallatico per m.^ di superficie di terreno. Questi
3 kg. vanno a vantaggio dello strato coltivabile del terreno che non
arriva ad oltre 25 cm. di profondità.
Se si tratta invece dell'impianto, noi dobbiamo concimare fino a
70 cm. di profondità ed allora è naturale che bisognerà dare 3 volte
tanto di stallatico che corrisponderà appunto a 9 kg. per metro qua-
drato. Poiché la concimazione deve avere effetto almeno per 3 anni,
cosi per ogni pianta e per ra^ bisognerà darne (3 x 9) 27 kg. Ma lo stal-
latico non basta. Esso in due o tre anni è già decomposto, di più
esso é troppo povero di anidride fosforica e di potassa assimilabile.
Da ciò la necessità di aggiungervi dei concimi di lenta decomposizione
e dei concimi fosfatici e potassici.
Una buona concimazione per pianta al momento dell'impianto è
la seguente :
' Kg. .30 Stallatico ben decomposto o terriccio.
i „ 4 Lanino
Form. I gr. 500 Scorie
1 „ 100 Perfosfato al lG-1870
i „ 100 Kainite
- 255 -
Lo stallatico ben decomposto ed i terricciati convengono sempre
poiché danno origine alVnmns, il quale alla sua volta favorisce la de-
composizione di altri sali minerali. Di più agisce fisicamente, mante-
nendo soffice il terreno e ne trattiene l'umidità, di cui hanno bisogno,
in particolar modo, le giovani piante, per sviluppare le radici. Infine
fornisce il primo alimento alla pianta. Lo stallatico bisogna darlo ben
decomposto poiché altrimenti danneggia le radici e specialmente (|ui'lle
delle piante a nocciolo.
Non avendo stallatico si può adoperare con vantaggio ed in (|uaii-
titativo corrispondente alla composizione, della torba imbevuta di pozzo
nero, delle alghe e felci decomposte, spazzature, foglie morte decom-
poste, vinacce, ecc.
Le scorie Thomas, più di qualsiasi altro concime fosfatico, con-
vengono in particolar modo per gli impianti. L'azione però delle
scorie comincia quando esse vengono intaccate dagli acidi delle radici,
diversamente l'anidride fosforica resta sempre allo stalo insolubile. Il
perfosfato invece ha una azione pronta e mentre le scorie conviene
mescolarle al terriccio o stallatico, il perfosfato si dà da solo sopra
alle radici.
Nei terreni però ricchi di calcare conviene sostituire le scorie
colla polvere d'ossa o col perfosfato, applicando la seguente formola II.
Kg. 30 Stallatico ben decomposto o terriccio,
i „ 4 Lanino
Form. Il „ 0,400 Polvere d'ossa o perfosfato al 1(1-18 7o
I „ 0,400 Gelso
^ „ 0,200 Kainite
Essendo molti i terreni che mancano di solfali, specialmente i ter-
reni calcari, negli impianti si preferisce l'uso della kainite in confronto
del cloruro di potassio. Nel caso però che non si avesse la kainite
si adoperi il cloruro od il solfato potassico in proporzione del quarto
ossia applicando la seguente formola III.
Kg. 30 Stallatico ben decomposto o terricciato
i „ 4 Lanino
Form. Ili „ 0,400 Polvere d'ossa o perfosfato al l<i-18 7o
I „ 0,400 (ielso
„ 0,050 Cloruro o Solfalo potassico.
Così i cenci di lana si possono sostituire con eguale quantitavivo
di polvere e raschiatura di corna, polvere e cascami di corna, piume
e penne, crini e peli, coiattoli, rasatura di pelli e panelli, quantunque
di questi sia meglio farne, per gli impianti, uso il meno possibile.
Avendo invece a disposizione della polvere di sangue, o polvere di
carne, si potrà diminuire la quantità dandone in ragione di kg. 3.
- 256 -
Questa dose di concimazione vale per le piante d'alto fusto in ge-
nere, cosi pure per i gelsi e per gli olivi.
Trattandosi di viti, di piante da frutto allevate a cordone, a spal-
liera, a fuso, oppure di piante cespugliose, si limiterà il quantitativo
in proporzione allo spazio che essi occupano, ed allo sviluppo delle
radici.
Circa al modo di concimare al momento dell'operazione, l'ideale
sarebbe di mescolare le materie fertilizzanti 4 ovvero 6 settimane prima,
colla terra scavata fuori della buca. Allora si ottiene una intima me-
scolanza e durante questo tempo, le sostanze organiche comincieranno
a decomporsi. E' da condannarsi la disposizione del concime a strati,
poiché allora lo stallatico e le altre sostanze voluminose, formano uno
strato troppo rilevante di sostanze organiche in decomposizione, dove
non penetrano le radici, anzi le danneggiano per la reazione acida.
XVIII.
L' impianto.
Questo si deve fare soltanto in giornate senza vento, non fredde e
quando il terreno non è gelato e tanto meno coperto di brina.
1. — Ammettiamo di dover fare un impianto in un terreno nel ({naie
è stato fatto lo scasso generale.
Si comincia a segnare con paletti la posizione di ogni pianta in
base al disegno prima fatto, e poi, vicino a ciascun paletto, alla distanza
di circa un metro, si fa portare in un cumulo di terriccio. Se non vi
è sotterrato dello stallatico, conviene scavare intorno al palo della
terra e preparare una fossa profonda e larga quanto occorre per sot-
terrare comodamente le radici. Colla terra si fa un cumulo vicino,
mescolando ad essa il concime che si intende impiegare.
La principale preoccupazione nell'impianto deve essere di mettere
le piante alla dovuta profondità, che varia a seconda della natura del
terreno e quella del soggetto sul quale la pianta è innestata. In un ter-
reno soffice o ciottoloso, è meglio piantare alquanto più profondo che
in un terreno umido e freddo, poiché in questo ultimo le radici mar-
cirebbero e la vegetazione sarebbe poco rigogliosa. Nei terreni scoscesi,
queste regole hanno una eccezione, inquantochè, andando la terra di
frequente soggetta a corrosione, conviene piantare alquanto più profondo.
Le piante innestate sul franco ed in genere su soggetti vigorosi,
tollerano una profondità maggiore che se innestate su soggetti a radici
superficiali.
In ogni caso il colletto della pianta, col soprastante punto di inne-
sto, può servire di norma negli impianti. Il colletto deve trovarsi,
dopo assodato il terreno, a fior di terra e la prima impalcatura delle
— 257 —
radici deve rimanere coperta per 10 cm. Il punto d'innesto deve spor-
gere di poco dal terreno. Piantando più profondo, le radici non fun-
zionano bene per mancanza di aria e possono anche marcire, dando
piante tristi e frutta poco sviluppate e saporite; piantando i)iù su|)er-
ficialmente, le radici possono soflrire per mancanza di umidità.
Nell'impianto si deve aver presente che il terreno assodandosi, si
abbassa da 8 a 12 cm. per metro di profondità a cui é stato scassato, a
seconda se il terreno è tenace o meno. Per regolarsi intorno alla giusta
profondità, si segna sul paletto, infìsso nel mezzo della buca, il livello
del terreno circostante, quindi si prende la pianta e la si mette nella
buca, tenendo il punto d'innesto 8-12 cm. sopra a (juesto segno, segnando
pure sul paletto in punto fin dove si vuole che arrivi. Allora si leva
la pianta e si versa nella fossa la terra mista al concime, fino a che,
la pianta appoggiata su questa terra, viene a trovarsi all'altezza voluta.
Un operaio tiene quindi la pianta e ha cura di stender bene le radici,
ed un altro versa della terra asciutta, non mescolata al concime, la
ripassa con le mani e la mette fra le radici per evitare che rimangano
degli spazi vuoti. Quando le radici sono coperte, si comprime la terra
col rovescio del badile. Molti usano comprimere coi piedi la terra, ma
ciò non è ben fatto, poiché si strappano le radici. Al più, perchè la
terra aderisca bene, e trattandosi in particolar modo d'impianti tardivi
in primavera, conviene fare una annaffiatura. Indi si versa nella buca
la terramista al letame ancora disponibile. L'albero piantato sembrerà
a maggiore altezza, anzi bisognerà fare attorno alla pianta una specie
di rialzo di terra della medesima forma della buca, rialzo che poi scom-
pare coll'assodarsi del terreno.
2. — Trattandosi di terreni poco profondi, oppure di terreni
umidi, per evitare i danni alle radici, si può piantare fuori terra, ossia
facendo una banchina circolare attorno al fusto, in modo che artifi-
cialmente viene elevato il livello del suolo da cm. 20 a 2"). Questo
sistema d'impianto veramente da noi si può applicare di rado, al più
trattandosi d'impianto di alti fusti di meli, susini e ciliegi in vallale
eccezionalmente umide mentre nelle nostre esposizioni calde, le radici
vicine al colletto della pianta ne soffrirebbero.
L'operazione si fa nel seguente modo. Infìsso nel terreno il palo
dove si vuol piantare, si lavora per un metro in giro alla profondità
di cm. 25-30 ossia fino a che si ha della buona terra non umida. Ap-
pianato il terreno, si lega la pianta al palo, colle radici fuori e quindi
si vanga il terreno circostante portando la terra buona, che si può
mescolare con terriccio, contro le radici, coprendole per bene, in modo
da fare una banchina circolare a forma di cono tronco molto depresso.
Cosi le banchine non si disfanno per l'azione delle acque e favori-
scono lo sviluppo delle radici in senso verticale anziché in senso
orizzontale.
3. — Infìne resta a dire deìV impianto a buche ed a fosse, che si
pratica specialmente per le forme a pieno vento.
17 — Tamaro - Frutticoltura.
- 258 -
Le buche si fanno in autunno, per piantare in primavera; ed
in luglio, per piantare in autunno.
Si ha cura, nel preparare le buche, di separare le due terre e, quella
della superficie, si mescola subito col letame o cogli altri concimi che
si ha intenzione di adoperare, perchè prima dell'impianto, comincino
a decomporsi e ad amagalmarsi col terreno.
Giunto il momento dell'impianto, si conficca nel fondo della fossa,
ed in mezzo un buon palo, in modo che questo non si possa più muo-
vere; quindi si versa dentro la terra della superficie del terreno che già
abbiamo mescolata al concime e separata da quella dello strato inerte.
Giunti all'altezza su cui devono posare le radici, altezza che si deter-
minerà come ho scritto al principio di questo capitolo, si lega la
pianta al palo tutore, si distendono il più accuratamente possibile le
radici e si coprono con della terra fina ed asciutta. Fatto questo, si
versa l'ultima terra buona mescolata col concime e da ultimo si colma
la fossa colla terra rimasta dello strato inerte in modo, che intorno
alla pianta, si formerà una banchina quadrangolare della dimensione
della buca. Compiuto l'impianto, conviene sciogliere la legatura della
pianta col tutore, perchè diversamente, assodandosi il terreno, si strap-
perebbero molte radici. Al più conviene tenere una legatura, ma molto
larga, perchè il fusto non si inclini.
XIX.
Lavori complementari dell'impianto.
Compiuto l'impianto, non conviene andare intorno alle piante per
non comprimere il terreno. Quando questo però si è assodato sono
necessarie, nella maggior parte dei casi, alcune operazioni, che ora
descriverò.
1. — Trattandosi di pieni e mezzi venti, il palo si troverà di già
piantato dal momento della piantagione e quindi appena il terreno è
assodato si fanno tre legature con dei vimini e non ad co come si usa,
ma ad o per evitare delle strozzature, frapponendo fra il fusto ed il
])alo un cuscinetto di paglia. La prima legatura si fa vicino al terreno
per gli alti fusti, a cm. 20; la seconda a metà altezza e la terza a
cm. 20 sotto la estremità. Il palo deve essere sempre più basso del-
l'estremità e collocato a mezzodì nei paesi caldi, a nord nei paesi
freddi. Il nodo si fa contro al palo. Una legatura comoda è quella in-
dicata nella Fig. 213. Attorno al palo si fa prima un giro completo colla
corda di juta, poi nel secondo e terzo giro si avvolge palo e fusto, nel
quarto giro si avvolge soltanto il palo e poi si fa il nodo e si infila la
estremità del legaccio, fra il palo ed il fusto. Per quanto riguarda la
259
palizzuliira vedasi le norme dettate nella Parie III di (|iieslo trallato
al capitolo IX pag. 116.
Se vi sono rimasti dei muschi e dei licheni nei fusto, si lavano
con una liscivia composta di 1 Kg. di cenere, e '/•.. Kg. di kainite in un
litro d'acqua.
Volendo riparare la corteccia dei l'usti, si forma attorno al fusto,
con tre pali, una specie di gabbia che si riempie di spini. Fig. 21 1 op-
pure si prendono delle gabbie
■Ua- HJI^ìi''^ di ferro costruite appositamente
Jli^ iIl40<^-..i per gli alberi ornamentali lungo
i passeggi Fig. 21.').
Fig. 213.
Legatura con corda dei tronchi
S.>
Fig. 21t. — Palizzalura con pali
tn^
Fig. 215.
Cal.hia di ferro per prolexgerc H fusto
2. — Se un fusto non è diritto, non conviene raddrizzarlo forza-
tamente subito all'impianto, legandolo stretto al palo tutore. Conviene
invece lasciarlo a sé stesso per qualche tempo, anche per un anno,
perchè prenda vigore e si arricchisca di succhi; nell'anno succes-
sivo poi, essendo pilli elastico, si potrà drizzarlo a piacimento.
3. — Nei primi due mesi, si deve aver cura che le piante non
soffrano la siccità. Si provvede a questo colla irrigazione o coprendo
il terreno intorno al fusto e per tutto lo spazio occupato dalle radici,
con dello stallatico fresco, oppure con della paglia, delle foglie od
altri materiali grossolani che si hanno a disposizione.
- 260 —
4. — Per evitare invece che dissecchino i rami ed il fusto, con-
viene imbiancarli con una miscela di due parti di calce spenta ed una
parte di argilla. La miscela viene diluita con acqua per poterla appli-
care con un pennello.
Questo intonaco bianco è molto opportuno, anzi, in molti casi è
necessario per il trapianto, per varie ragioni.
Nel fusto si trovano, presso alla corteccia, le sostanze di riserva
(cambio) che servono alla formazione dei primi germogli, quando la
pianta riprende la vegetazione in primavera.
In un albero trapiantato, il cambio ha ancora maggiore importanza,
inquantochè per più lungo tempo esso deve mantenere le nuove pro-
duzioni erbacee, non funzionando subito le radici. Se in primavera
comincia presto il caldo, oppure se, come avviene di frequente, domi-
nano i venti, questi fanno evaporare il cambio, lo rendono meno dif-
fusibile e la pianta non può a meno di soffrire. L'intonaco serve
appunto a diminuire questa evaporazione ed è bene sia di color bianco
perchè rifrange maggiormente il calore, di più, spesso la calce ha la
facoltà di favorire la vegetazione e di essere anticrittogamica.
Si ottiene anche buon risultato, avvolgendo i fusti con della corda
di paglia, ma il riparo serve di rifugio agli insetti. Conviene in ogni
caso, al cessare dei forti calori dell'estate, di levare questo rivestimento.
5. — Se le piante, ad onta di queste cure, cominciano ad appas-
sire, si può ricorrere ad un ultimo mezzo e cioè alla spruzzatura dei
rami con dell'acqua dopo il tramonto del sole, mediante una pompa
irroratrice.
Quando entro la metà di giugno si trova che qualche pianta, pur
rimanendo verde non ha preso a vegetare, conviene strapparla, e la-
sciarla colle radici sommerse per una giornata nell'acqua in cui si
siano stemperate 2 parti di sterco bovino ed una di terra argillosa.
Quindi si rinnova il taglio delle radici, si tolgono quelle imbrunite e si
pianta con molta cura, con molto terriccio ed annaffiando abbondan-
temente ogni giorno e coprendo il terreno con stallatico.
XX.
Cure annuali alle piante da frutto.
// raddrizzamenlo delle piatile e la cura alle radici.
1. — Nel primo anno basta mantenere il terreno costantemente
soffice e mondato dalle malerbe almeno per un metro attorno al fusto.
Poi si cominciano a fare tutte le operazioni di taglio indicate nella
Parte IV, per ottenere la forma, nonché tutte quelle indicate nella
Parte 111, cap. IX, e cioè la slegatura dei tutori, le mondature, la gua-
— 261 -
rigione delle ferite, lo scortecciamento, i tagli di ringiovanimento e la
palizzatura, di mano in mano che la stagione e l'età lo richiedono.
2. ~ Molte volte avviene che, o per un impianto mal fallo, o per
il vento, o infine per il soverchio carico di frutta, il fusto dellL' piante
non rimane diritto. Bisogna provveder suhito a questo inconveniente,
altrimenti il colletto si indebolisce in modo da render la i)ianta meno
resistente ai venti.
Nel caso in cui il fusto si sia piegalo causa un impianto imperfello,
che può avvenire comprimendo il terreno sulle radici più da una parte
che dall'altra, si può facilmente rimediare nel primo inverno, levando
la terra attorno alle radici e quindi, a forza di braccia e con cura, per
non rompere le radici stesse, si porta il fusto nella direzione verticale
voluta. Fatto questo, si piantano nel terreno due pali in croce, inclinati
contro il fusto ed a questi lo si assicura. Si ricopre (piindi colla me-
desima terra che è stata levata.
La stessa operazione si deve lare quando gli alberi si sono |)iegali
per il vento; ma allora bisogna badare a togliere dal terreno le radici
rimaste rotte. Nel ricoprire, si abbia cura di adoperare anche del buon
terriccio, specialmente dalla parte in cui si sono rotte delle radici, e
ciò per favorire Io sviluppo di altre.
Una pianta, collocata a dimora, dimostra dal primo anno di svi-
luppo, se l'impianto è stato fatto bene. Le foglie di un bel colore
verde cupo, i germogli vigorosi, sono indizi certi che le radici si tro-
vano in un ambiente incco di materiali nutritivi e si possono espan-
dere. Ciò si ottiene con una profonda ed accurata lavorazione del ter-
reno, nonché con una appropriata concimazione.
3. — Successivamente, bisogna curare lo sviluppo delle radici.
Dopo tre anni, le piante avranno esplorato il terreno smosso colla
fossa per m, 1,-5 di lato, perciò bisogna scavare una fossa intorno di
cm. 50, profonda (50-70, che si concima e si migliora a dovere. Cosi si
continua di 3 in 3 anni.
Se fra le piante c'è (pialche coltivazione campestre (prato, ecc.)
bisogna lavorare il terreno intorno alla pianta per m. 1,."ì() e periodica-
mente concimarlo per impedire che le radici si dillondano.
4. — Finche le piante sono giovani, si può senza inconvenienti,
rispettando la distanza di m. \,nO, coltivare quali colture intercalari
delle piante erbacee e specialmente degli ortaggi. Le patate a rapido
sviluppo, precoci, si possono alternare con fagioli o piselli nani, fra-
gole, cavoli. Con questi prodotti si riesce a ricavare nei primi armi le
spese di mantenimento del frutteto.
— 262 —
XXI.
Trapianto di alberi adulti.
Si possono trapiantare con successo alberi già sviluppati qualora
però non abbiano un'età maggiore di 10 anni ed un diametro del fusto
non superiore di 20 cm. Si possono trapiantare anche degli alberi più
vecchi e di maggiore dimensione, ma per questi il risultato é più
incerto.
Le piante da trapiantare devono essere sane, rigogliose, avere una
bella fronda, delle radici sane, ben sviluppate e non intaccate da mu-
schi e licheni.
Gli alberi giovani oltre essere più vigorosi germogliano più presto,
ma trapiantando degli alberi adulti, si gode più presto il frutto.
JXM^
Fig. 216. — Preparazione della fossa per trapiantare un albero adulto
L'estirpazione e l'impianto si fa durante il riposo della vegetazione
e la preparazione della pianta per il trapianto in luglio od agosto.
1. — La preparazione della pianta che si vuol trapiantare consiste
(Fig. 216) nel scavare una fossa intorno al fusto in luglio o nell'agosto
precedente, ossia quando i germogli dell'annata si sono lignificati. Questa
fossa si fa un metro distante dal fusto e per una larghezza da 80 cen-
timetri ad un metro, in modo che possa penetrarvi comodamente un
operaio per lavorare. La profondità varia collo sviluppo delle radici.
In ogni caso mai inferiore ad 1 metro né inferiore a m. 1,30. Facendo
questa fossa si tagliano con buon potatoio lungo le pareti interne, le
radici che sporgono. Arrivati al fondo, con dei pali si vanno a trovare,
per tagliarle, le radici che sono verticali e che si approfondiscono.
Fatta questa operazione si riempie di nuovo la fossa con la terra
scavata mescolandovi però, contro la parete interna del buon terriccio.
Colmata la fossa si bagna abbondantemente.
— 263 -
Il lettore avrà compreso che si fa questo lavoro per provocare dal
luglio in avanti lo sviluppo di radici novelle le quali, essendo più at-
tive, faciliteranno l'attecchimento (Fi{|. 217).
2. — Preparazione del terreno destinalo al collocamento delta pianta.
Nel luogo destinato all'impianto, si scavano prima dell'inverno le bu-
che destinate a ricevere le piante, che saranno della dimensione di
due metri di raggio almeno, poiché devono trovar posto comodamente
tutte le radici anche nuove della pianta. La profondità varierà da 80
a 100 centimetri.
La terra scavata si stralifìcacon letame ed altri concimi di cui abbiamo
parlato nel Gap. XVll pag. 254 e si bagna con colaticcio o cessino.
fi
Fig. 217. — Kffetto della preparazione precedente
Sei od otto settimane prima del trapianto, si riversa la terra cor-
retta nella buca riempiendola a metà.
3. — In primavera, tosto che il tempo lo |)ermelta, e quando il
terreno è riscaldato si disotlerraiw gli alberi destinati al trapianto. Vo-
lendo fare un trapianto simile in autunno, bisogna operare presto
prima che il terreno si rallVeddi.
Si leva la terra della superlìcie e {|uella della fossa scavala nel-
l'agosto precedente e di mano in mano che si discende, con un bastone
acuminato si leva la terra fra le radici in modo da lasciarle un poco
alla volta completamente libere e intatte. Arrivati sul fondo, spostando
il fusto da destra a sinistra, si riesce ad estirparlo.
Ciò fatto si alza l'albero con carrucole o con stanglie legate al
tronco e lo si trasporta alla nuova dimora.
4. — Trattandosi di piante ornamentali o sempre verdi oppure
volendo trasportare delle piante durante il corso della vegetazione, si
fa il trasporto col pane di terra. A tal line si riveste il pane di terra
con della tela di sacco o si adoperano degli assiti speciali che si uni-
scono fra loro in modo da formare una specie di cassa, la «juale si
solleva dal fondo, facendola scorrere sopra un piano inclinato che
parte dal fondo della fossa e va alla superlicie del terreno.
5. — Prima di collocare la pianta nella buca, si taqliano le radici
che eventualmente si sono lacerate. Dei rami si tolgono quelli superllui,
- 264 -
rotti e si lasciano specialmente intatti quelli più giovani e vigorosi
che sono i primi a germogliare e facilitano con ciò l'attecchimento.
Dovendo accorciare molto le radici, bisogna anclie in proporzione
accorciare i rami, per stabilire l'equilibrio.
Si avrà cura di coprire le ferite con mastice mentre alle radici
si farà un inzaflardamento (vedi pag. 253).
6. — Fatto ciò si pone Valbevo nella nuova dimora badando che i
rami vengano a trovarsi nella medesima esposizione di prima e cioè
quelli che erano a mezzodì devono trovarsi pure a mezzodi.
A tale scopo è meglio segnare con calce prima dell' estirpamento
il ramo esposto a mezzodi e cosi pure il punto di livello del terreno
a cui si trovava la pianta, per collocarla alla stessa profondità.
7. — Messo a posto l'albero, si copriranno le radici con la terra
migliore ed asciutta, mescolandovi anche del terriccio ben decomposto.
Per evitare che fra le radici rimangano degli spazii vuoti, si me-
scola alla terra, se possibile, della torba imbevuta di urina e la si com-
prime bene contro le radici col piatto del badile. Infine si colloca la
rimanente terra scavata facendo una specie di rialzo, come abbiamo
parlato trattando dell'impianto in generale.
L'albero appena piantato non potrà rimanere verticale senza ap-
poggio ed a tal fine si legheranno con filo di ferro i suoi rami più
grossi a 3 picchetti equidistanti e collocati a m. 2,50 a 4 dal terreno.
Per impedire che il terreno inaridisca, è indispensabile di coprirlo
con dello stallatico o paglia.
Se il tempo si mantiene asciutto bisogna bagnare abbondantemente
il terreno in ragione di un ettolitro d'acqua per m.-' e per settimana.
Il fusto ed i rami bisogno poi imbiancarli come abbiamo già par-
lato a pag. 113.
XXII.
Lavori annuali del terreno. - Mezzi per evitare i danni
dell'aridità. - Sostituzione delle piante morte. - Cure
alle piante sommerse da alluvione. - Avvicenda-
mento e consociazione delle piante da frutto.
1. Come tutte le piante coltivate, anche quelle da frutto ricliiedono
che il terreno sia mantenuto soffice e mondato dalle malerbe.
Le fig. 218 e 219 dimostrano la differenza di sviluppo di due piante
di melo della medesima età, cresciute in terreno lavorato e non la-
vorato.
Lo sviluppo delle radici dipende non soltanto dalla qualità del
terreno ma anche dalla lavorazione a cui esso viene sottoposto. La
265 -
differenza di sviluppo delle radici dimostra l'importanza che ha per
l'alimentazione delle piante la cura al terreno. La cotica erbosa non
fa che impedire all'acqua di penetrare nel terreno ed aumenta levapo-
razione. La (ìg. 219 dimostra che
superficiale del terreno suflicienle
quantità di elementi assimilabili,
approfondi le sue radici lino dove
le radici delle erbe non arrivano.
pianta, non trovando nello strato
Fig. 218. — Pianta di melo cresciuta in
un terreno costantemente lavorato e
mondato da malerbe.
Fig. 219. — Pianta di melo della medesima
età della precendente. cresciuta in un ter-
reno non lavoralo e non mondalo da erbe.
Il terreno deve essere quindi costantemente lavorato per m. 1 a l,5()
intorno alla pianta. Specialmente importante é questo lavoro, come ho
detto, pei terreni sciolti che perdono facilmente l'umidità. Col lavoro
si rendono anche più attivi i bacilli del terreno.
Alcuni avrebbero ottenuto dei buoni risultati colla mcollimi ne,
vigneli. Io davvero non mi so spiegare questi buoni risultati. Per
- 266 -
((uanta esperienza io abbia fatta non mi è mai accaduto di verificare
dei casi simili e per mio conto ritengo che la incoltura è sinonimo di
abbandono del prodotto.
Naturalmente non tutte le piante risentono eguali vantaggi colla
lavorazione. Il pero, la vite, che hanno radici profonde ne risentono
meno del pesco, del susino, del fico, del melo, che hanno radici più
superficiali. Le piante vecchie, aventi radici profonde, in genere hanno
minor bisogno di lavori.
Nel fare la lavorazione del terreno bisogna aver cura di non offen-
dere le radici e perciò è consigliabile per le piante con radici super-
ficiali e per tutte le piante giovani, di lavorare con una vanga corta
oppure anche con una vanga tridente (fig. 6).
Alle piante da frutto occorrono tre lavorazioni all'anno e cioè una
vangatura (prima che le piante entrino in vegetazione ed a potatura
compiala) e due zappature.
Le zappature hanno per iscopo di distruggere le malerbe, mante-
nendo soffice la superfìcie del terreno evitando che si asciughi troppo
durante l'estate.
La prima zappatura si fa dopo la scacchiatura e prima cimatura
delle piante, e cioè intorno alla line di maggio o nei primi giorni di
giugno. La seconda zappatura si fa in agosto ed ha lo scopo di evitare
l'aridità al terreno e di distruggere le malerbe. E' bene farla due o tre
giorni dopo la prima pioggia di agosto.
2. Aridità del terreno. — Le piante da fruttò, specialmente i nuovi
impianti, soffrono molto per l'aridità del terreno, che si deve evitare.
Il mezzo più efficace perciò, è quello della preventiva lavorazione pro-
fonda del terreno destinato per l'impianto. Le radici, hanno l'istinto
di approfondirsi quanto più il terreno è secco, perciò è evidente, che
con uno scasso profondo, si estenderanno per trovare la necessaria
freschezza.
E' molto utile anche di evitare l'impianto di alberi innestati su
soggetti che soffrono per la siccità. Per i terreni secchi, bisogna te-
nersi al franco, abbandonare il cotogno per soggetto del pero, così
])ure il pomo paradiso pel melo ed il susino per le piante a nocciuolo.
Le loi-o radici stanno troppo alla superficie e perciò sono troppo
esposte alla siccità. Il pomo è meglio innestarlo sul dolcigno, il pesco
sul mandorlo, cosi pure l'albicocco ed il prugno. Quest'ultimo si può
anche iniìeslare sul mirabolano, che ha delle radici verticali e profonde.
Attorno alle piante di recente piantagione, è utile coprire il terreno
dopo la prima zappatura, con della paglia o della lettiera qualunque,
per trattenere l'umidità più che sia possibile. Nelle terre compatte oc-
corrono le zappature frequenti.
Infine, per combattere energicamente l'aridità del terreno, sono
utili gli annaffiamenti nel primo anno dell'impianto, tanto più fre-
quenti quanto più il terreno va soggetto, per propria natura o per po-
sizione, alla siccità.
- 267 -
Negli anni successivi si può ricorrere alla irrigazione la quale,
come vedremo in un espresso capitolo più avanti, è \ùù necessaria in
via generale di quello che si crede.
3. Sostituzione delle piante morte. — Trattandosi di sostituire molte
piante in un sito ristretto, quale sarebbe un frutteto, conviene lasciare
in riposo il terreno per 5 o 6 anni, coltivandolo con piante che
richiedono abbondanti concimazioni; — poi si potr;i ellettuare l'im-
pianto.
Invece di sostituire una pianta messa a posto da uno o due anni,
conviene rinnovare la buca in autunno, facendola più lar^a di (|uella
fatta al momento dell'impianto, ed in primavera si ripianta, poiiandovi,
se possibile, della terra nuova.
Volendo invece sostituire una pianta morta per vecchiaia o che
da lunghi anni si trovava in quel posto, è prudente di non mettere
in quel sito una pianta della stessa specie. Cosi, se prima era una
pianta a granella, converrebbe sostituirla con una a nocciuolo od al-
meno, se prima c'era, per esempio, un pero innestato sul cotogno, so-
stituirlo con uno innestato sul franco.
Non potendo far questo, in autumio si apre la buca sul sito in cui
si trovava la pianta, e, di mano in mano che viene portata fuori, si
deve pulire la terra da tutti i rimasugli di radici. La buca viene poi
lasciata aperta tutto l'inverno, e se la pianta è morta in primavera, si
deve fare la buca subito per lasciare esposta la terra anche al caldo
dell'estate.
Giunta la primavera, è molto utile di portare della nuova terra
riposata, almeno quanta ne occorre a formare un mezzo metro di
strato intorno alle radici. Si procede poi all'impianto nel modo che
ho già suggerito a suo tempo, adoperando mollo concime di costituzione
complessa.
In ogni caso avverto gli agricoltori, che la sostituzione delle piante
morte con altre di eguale qualità è una delle cose a cui bisogna pre-
stare la maggiore accuratezza per riuscire.
4. Care alle piante sommerse da alluvione. — Dopo le alluvioni il
terreno viene coperto da un limo il quale impedisce all'aria di pene-
trare rendendo inattive le radici. E' perciò necessario di fare appena
possibile una buona vangatura profonda e nel caso in cui piante aves-
sero manifestamente sofferto bisogna ricorrere ad una concimazione
complessa con concimi chimici.
Tre formole, che in un simile caso mi diedero buoni risultali, sono
le seguenti :
Per le piante a granella in un frutteto in cui le piante a mezzo
vento si trovavano alla distanza di 5 metri
i Kg. 550 di perfosfato
Form. IV „ 160 di cloruro potassico
( „ 200 di nitrato di soda
- 268 —
Se le ])iaiite non sono clorotiche ma vigorose, si può omnieltere
il nitrato di soda.
Per le piante allevate a vaso, a cordone, a fuso, a piramide si pos-
sono dare 300 gr. per metro quadrato, dalle seguenti tre miscele.
Per le piante a granella
Kg. 1,500 di solfato ammonico
„ 4 „ perfosfato 16-18%
Form. V { „ 1 „ cloruro potassico
gesso
solfato di fei"ro
ì'j
Per le piante a nocciolo
Kg. 1,500 di solfato ammonico
„ 2 „ perfosfato 16-18 7„
Form. VI / „ 1 „ cloruro potassico
gesso
\ „ 1 „ solfato di ferro
Per le jìiante a nocciolo giovani, molto deboli '
!Kg. 2 corna torrefatte
., 12 perfosfato 16-18 7o
„ 2 sollato di potassa
^ ., 5 nitrato di soda
5. Avvicendamento e consociazione. — Anche per le piante da frutto
occorre avere delle avvertenze nella successione e consociazione come
per le piante erbacee.
In via generale si raccomanda di non piantare una pianta dove è
stata estirpata un'altra della medesima specie, ammenoché non si tratti
di sostituirne una giovane deperita dopo uno o soli due anni di im-
pianto. Se muoiono delle piante isolate conviene lasciare lo spazio li-
bero perchè ne avvantaggeranno le altre.
Quando invece si deve rinnovare un intero appezzamento allora
conviene lasciare il terreno per tre o quattro anni in riposo, ossia
coltivandovi dapprima per uno o due anni del frumento, dell'avena, che
riescono molto bene e poi si fanno dei lavori più profondi per estir-
pare Io radici rimaste e per coltivare delle patate, barbabietole od altre
piante sarchiate.
Assicurati che il terreno sia ben mondato dalle radici delle piante
estirpate, si potrà procedere al nuovo impianto e sarà meglio piantare
delle piante a nocciolo dove erano delle piante a granella od a bacca.
La consociazione può farsi con le piante erbacee stabile o tempo-
ranea.
- 269 -
La consociazione stabile si fa nei broli, nelle piantagioni campe-
stri, utilizzando gli interfìlari con dei cereali, prati, avvicendati, ortaggi,
piante sarchiate, ecc.
E' temporanea come abbiamo visto nel Cap. \X pag. 2(il i|ii:indo si
utilizza il terreno nei primi anni dell'inipianlo. prima che le i)iniile da
frutto occupino tutto il terreno.
E' utile ed anzi mollo vantaggioso in una gran parte di casi, di
consociare più specie di piante da frutto nel medesimo appezzamento.
Cosi si assicura un buon prodotto medio poiché si utilizzano le pro-
prietà medie della maggior parte dei terreni e si rendoìio meno sensi-
bili i danni per le cause nemiche, le quali, raramente colpiscono con-
temporaneamente ed in eguale misura, tutte le specie.
Naturalmente bisognerà curare che le singole specie occupino cia-
scuna un filare, poiché come é dannoso di alternare sul medesimo
filare forme diverse cosi non è vantaggioso di alternare |)iii specie.
Nella mia pratica trovai vantaggioso nei frutteti con piante a
mezzo o pieno vento di fare degli interlìlari di peschi, di ribes, uva
spina, lampone che poi estirpavo dopo 10 anni quando, k- piante a
mezzo o pieno vento occupavano maggiore spazio.
XXIII.
Trasformazione in frutteto di un vigneto fillosserato.
La coltivazione delle piante da frutto in un vigneto colpito dalla
fillossera devesi fare in modo che venga a costare il meno possibile e
che il rispettivo mantenimento non procuri soverchio aggravio al |)ro-
prietario. Si devono infine produrre frulla di grande commercio, ri-
chieste dalla popolazione e che con facilità si possano trasportare e
conservare senza soffrir danni. In una parola si deve fare una coltiva-
zione estensiva ed é con tali criteri che ho dettato (|uesto ca|)itolo.
Le piante da frutto che possono convenire per sostituire la vigna
sono gli agrumi ed il mandorlo nell'Italia meridionale; il pero, il su-
sino, il pesco, l'albicocco nell'Italia centrale; il pero, melo, pesco e
susino nell'Italia settentrionale.
Quando l'infezione fiUosserica é stala constatata, si proceda al-
l'impianto negli interfìlari cosi che, nei loro primi anni avendo gli
alberi poca fronda, danneggiano poco le vili e quando (piesle per
la fillossera muoiono, entrano in fruttificazione le piante da frullo.
Nella fig. 220 è rappresentalo un vigneto da me ridotto a pescheto.
Le viti erano piantate (a) ad un metro di distanza su tutti e due i lati
ed a fdari da Nord a Sud. Appena apparve la fillossera piantai dei pe-
schi di un anno (in P) facendo delle buche nel mezzo di ogni terzo
inlerfilare, come si vede nella figura ed a distanza di m. 3 sulla fila.
— 270 -
In tal modo non disturbai punto le viti e, quando i peschi entrarono in
completo periodo di fruttificazione le viti pur troppo non esistevano più.
Ho creduto bene di allegare questa illustrazione per dimostrare
graficamente come si deve procedere nell'impianto di un frutteto in
successione di una vigna.
Naturalmente bisogna modificare le distanze a seconda della specie.
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Fig. 220. - Sistema tli riduzione di un vigneto lillosseralo in pescheto.
XXIV.
Le piante infruttifere.
Non si può negare, che anche fra le piante da frutto, come in tutti
gli esseri organizzati, sì possono trovare dei soggetti affatto sterili.
11 detto fenomeno però è ben raro e verificandosi conviene natu-
ralmente innestarlo.
Spesso però avviene, e specialmente negli impianti vecchi, fra le
piante di alto fusto o nelle piramidi, che per anni ed anni non si ri-
cavano che meschinissimi prodotti. Conviene quindi studiare anche
l'infruttuosità e vedere quali sono le cause che la possono procurare
e quali i mezzi per rimediarvi.
Le cause che possono rendere infruttifera una pianta sono multi-
ple e noi le passeremo in rassegna.
- 271 -
1. Clima e terreno non (ulcUli. — Noi sappiamo che ogni pianta ha
le sue esigenze dì clima e di terreno. i/ini[)ianto d'una specie e va-
rietà, senza aver fatto prima delle prove di adallaniento, può condurre
appunto a questi infelici risultali. Molte volte poi avviene, che il friil-
ticoltore ritiene coUarte, di procurare alla sua piantagione ìv dovute
condizioni di riuscita, ma non sempre riesce, e la lotta essendo all'alto
impari, il coltivatore ha quasi sempre la peggio.
Ad esempio, noi sappiamo che il melo esige un leri-eno :ibbasl:ni/.a
fertile, fresco e profondo; il pero un terreno asciutto, profondo e caldo;
facendo l'impianto in condizioni opposte, è ovvio il dire che quelle
piante non si distingueranno per pi'oduttività. Notisi poi, che nelle
piantagioni vecchie, si trovano delle varietà che riescono soltanto in
posizioni mollo privilegiate, mentre una volta riesci vano (iniicrliillo.
Fra queste le pere: Passa tutti, Virgolose, Spina Carpi.
Sotto questo riguardo devesi consigliare :
1." Di non introdurre delle varietà delicate per clima e U'rrenn.
se non si hanno larghi mezzi per difenderle.
2." Di scegliere sempre delle varietà piuttosto rustiche, che liori-
scono tardi e che si dispongono a fruttilìcare anche in seguilo ad
annate umide e fredde.
2. La forma, il taglio e lo soiluppo liato (din pianla. — Se noi vo-
gliamo ad ogni costo allevare una pianta vigorosa, innestata sul franco
o su altro soggetto pure vigoroso, dandogli una forma ristretta, è certo
che la produttività ne viene a soffrire. Ad esempio, sarebbe \\\\ errore
voler allevare a cordone verticale permanente l'uva lugliatica, mentre
è noto che questa varietà esige taglio lungo.
Così non si può pretendere che dei meli innestati sul franco, diano
dei cordoni orizzontali produttivi ; altrettanto succede volendo allevare
dei susini o ciliegi a forma nana. Hpperciò una data specie e varietà
di frutta, non si deve allevare che colla forma suggerita dall'esperienza
e con la quale si è sicuri di ottenere copioso prodotto.
3. La scella del aogijello sn cui si innesta. - Come per la scelta
della specie e della varietà, cosi bisogna essere accorti nella scella del
soggetto. E' evidente che se questo vien piantato in un terreno non
adatto, non può neppure dar vita feconda, alia varietà che vi si innesta.
4. L'impianto troppo fitto e profondo. - Nel primo caso le piante
mancano d'aria e di luce e si può fare il diradamento; nel .secondo
caso le radici non funzionano bene per mancanza d'aria, ed allora si
può tentare di sollevare la pianta (ino a che il colletto viene a livello
del terreno, o levare la terra attorno la pianta oppure Irapiantarlu.
5. L'impianto nel medesimo sito dorè è perita una pianta di cijuat
specie. - Le piante poste in questa condizione non soltanto rie.scono
infruttifere, ma anche poco vigorose. Abbiamo un esem|)io nei nume-
rosi rimpianti di gelsi che si fanno nelle campagne di Lombardia, h
ben raro trovare una bella riuscita, ammenocché la terra non venga
rinnovata del tutto e lautamente concimata.
— 272 —
6. Esaurimento del terreno di materie fertilizzanti. — L'infruilnosità
può dipendere dall'essersi esaurito il suolo dei materiali più importanti
per l'alimentazione vegetale. L'esaurimento lo si ha in particolar modo
negli strati inferiori, dove il concime dato alla superficie non può ar-
rivare, mentre da esso, le radici, che sono profonde, devono trarne il
nutrimento. A questo si rimedia :
1.0 Scavando delle buche dove si trovano le radici attive e ver-
sandovi dei concimi liquidi adatti.
2.0 Lavorando profondamente e concimando il terreno intorno alla
pianta, con stallatico decomposto corretto con concimi chimici, come
viene suggerito nella parte VII pag. 281 che tratta della concimazione.
7. Esuberanza nel terreno di un materiale fertilizzante piuttosto che
un'altro. — Noi sappiamo che gli elementi principali fertilizzanti a cui
deve provvedere l'agricoltore sono l'azoto, l'anidride fosforica, la po-
tassa e la calce. Dall'aspetto esterno della pianta si conosce se questa
difetta di uno od altro dei materiali, epperciò il frutticoitore deve
provvedere con appositi concimi supplementari, pag. 287.
8. Esaurimento della pianta per abbondanti prodotti precedenti. —
Questa può essere una causa momentanea a cui presto si provvede
con abbondanti concimazioni e tagliando corto.
9. — La pianta può essere troppo giovane. Specialmente le piante
innestate sul franco ritardano a portare frutti e per lo più la loro pro-
duzione normale comincia dopo 8-10 anni dall'impianto. Non è sempre
conveniente di affrettare la fruttificazione perchè la pianta si esaurisce
in anticipazione, però tagliando lungo i rami, lasciando intatti i brin-
dilli e diradando la fronda, si arriva a sollecitare la produzione di frutta.
10. Trascuranza nelle cure di coltivazione. — Le piante poco curate
si coprono per lo più di muschi e licheni, si ingombrano di rami inu-
tili, e vengono invase da una quantità di malattie ed insetti. Convien
diradare i rami, togliendo quelli inutili, accorciando gli altri, raschiando
dalla corteccia i muschi e licheni e curandoli delle malattie o ferite
che possono avere.
Tutte queste si possono chiamare cause esterne di infruttuosità.
Le cause interne si manifestano o con una esuberanza di vegeta-
zione legnosa o col deperimento ed esaurimento.
IL Esuberanza di vegetazione legnosa. — Questa si manifesta con
uno straordinario rigoglio della pianta che continua a dare delle get-
tate lunghe, grosse, a meritalli lunghi ma con pochi rami fruttiferi.
Meno la vite, tutte le piante da frutto troppo rigogliose danno po-
che frutta.
L'eccesso di vigore fa colare le gemme a frutto, i fiori, i dardi ;
trasforma in rami legnosi i brindilli. Questo avviene se le piante si
trovano nei terreni pingui e freschi, ricchi specialmente di azoto, nei
cortili delle case, nelle vicinanze delle concimaie, negli orti.
Il frutticoitore deve porre ostacolo alla straordinaria affiuenza di
linfa per ridurre l'attività vegetativa.
- 273 -
Questo si può ottenere :
(tj sopprimendo una buona parie dello branche centrali che im-
pediscono la circolazione dell'aria e della luce. Fatta questa operazione
nell'anno successivo si lasci la pianta senza tagliare;
b) tagliando le radici più grosse verticali e quelle laterali più
attive, facendo un fosso profondo e largo 50 cm. e distante m. 1 a ÌSti)
dal fusto ;
e; lasciando scoperte le radici all'aria per ima (|uindicina di
giorni nel mese di agosto ;
dj esaurendo l'azoto del terreno con delle coltivazioni come bar-
babietole, lattughe, cavoli, ecc.
e) se la fioritura è abbondante ed i frutti cadono subilo, questo
indica che mancano gli elementi minerali mentre abbonda l'azoto. Si
rimedia dando dei concimi fosfo potassici, con una delle segucnli
formole per metro quadrato di terreno occupato dalle radici.
i Scorie Thomas gr. 150
Form. Vili I Solfato potassico 60
( Calce spenta o sfiorila . . ., 1(X)
i Polvere d'ossa gr. l.")0
Form. IX j Kainite 210
( Calce sfiorila 150
nei terreni calcari
: Perfosfato 1(5-18 7, gr. 150
Form. X Gesso 150
' Solfato potassico ...... fio
Non riuscendo neanche colla concimazione, si ricorra al rimedio
radicale del trapianto.
12. — Potrebbe darsi il caso che un albero si arresti di fruttificare
ad una data età, i)erchè trova un sottosuolo cattivo, impermeabile od
acquitrinoso e le radici quindi sono costrette ad arrestarsi nello svi-
luppo e non più funzionare. Abbiamo in tal modo il deperimento.
Bisogna allora lavorare bene il terreno intorno, fare dei fossi pro-
fondi per allontare l'acqua stagnante e fare una concimazione ricosti-
tuente, applicando ad esempio la seguente formola per pianta adulta
di 3 metri di raggio :
/ Kg. 10 di stallatico ben decomposto
i „ 10 „ scorie
Form. XI ^ „ 4 „ solfato potassico
j „ lì „ nitrato di soda
V „ 0,5000 „ cloruro di sodio
Il nitrato di soda conviene darlo per metà in primavera e l'altra
metà in autunno assieme cogli altri concimi.
18 — TA^f.\no - Frutticoltura.
— 274 -
13. — U esaurimento può derivare dall'eccesso di fruttilìcazione. Si
rimedia favorendo l'attività e lo sviluppo delle radici, e curando con
opportuna potatura la ])arte aerea. Si favorisce l'attività e lo sviluppo
delle radici lavorando il teri*eno profondamente, procurando così di
allargare la zona di esplorazione delle radici stesse. Contemporanea-
mente a questo lavoro, si deve concimare lautamente con concimi
complessi, quali sono i terricciati e, durante la state, si deve usare il
colaticcio diluito in 10 parti d'acqua. Al sopraggiungere della prima-
vera si dà ancora la seguente miscela per m'''
1 gr. 55 di fosfato di potassa
Form. XII
' „ 25 „ nitrato di potassa.
Questa miscela si può impiegarla anche per la concimazione liquida
sciogliendone gr. 150 per ettolitro.
Quando invece il terreno è sufficientemente ricco d'azoto, può
darsi il caso, e questo anche avviene di frequente, che manchi l'acido
fosforico e la potassa, al che si può provvedere con concimi artifi-
ciali adoperando le formole IV, V e VI oppure soltanto il fosfato di
potassa in ragione di gr. 55 per m". Infine una pianta può trovarsi
in istato di deperimento per malattie particolari, quali sono la gomma
la rogna, oppure per ferite non curate, per colpi di sole, e allora si
curano le rispettive malattie. La potatura deve essere corta, e bisogna
impedire che la pianta porti frutti nel primo e secondo anno di rico-
stituzione.
14. — Riassumendo, chi ha delle piante infruttifere esamini:
1." se la qualità del terreno ed il clima sono confacenti alla
specie e qualità che coltiva, nonché al soggetto sopra cui è innestata;
2." se la forma e la potatura sono conformi alle esigenze
della varietà;
3." se il terreno è esaurito di materiali, sia per mancanza di conci-
mazione, sia perchè prima c'era una pianta identica nel medesimo sito;
4." se la pianta è esaurita per abbondanza di produzione;
5." se le piante sono state abbandonate a sé stesse senza potatura
e senza cura contro i parassiti ;
6.0 se le piante hanno una vegetazione legnosa troppo rigogliosa;
7.0 se le piante sono deperite per mancata attività delle radici o
per effetto di malattie.
Non presentandosi alcuno di questi casi, bisogna sacrificare la
pianta, o farvi dei sopra innesti, poiché é indizio che è sterile d'origine.
15. — Il frutticoitore deve sempre tenere in mente, che la produt-
tività di una pianta é assicurata quando :
a) le foglie possono funzionare normalmente, senza parassiti, e
l'aria e la luce possono circolare liberamente ;
h) le gettate non sono eccessive, ma in giusta proporzione fra la
produzione legnosa e la fruttifera.
275 —
e) il tempo di luf,'lio ed agosto dell'anno precedente è slato bello
e caldo, in modo da favorire la nutrizione delle gemine fruttifere. Ad
ogni buon anno di uino, segue sempre un buon anno di frulla.
d) la vegetazione della pianta è sana e normale.
XXV.
Impollinazione e fruttificazione.
(Nuove ricerche nel campo della /rutlicollura).
1. — Linneo, avendo trovato che nelle piante prevalgono i (lori
ermafroditi, li ritenne i più perfetti, cioè (|uelli che assicurano mag-
giormente la buona ed al)bondante frutlilìcazione. I-Igli credette di
spiegare la sua asserzione col fatto della più facile fecondazione es-
sendoché, in questi fiori, gli slami si trovano in immediata vicinanza
dei pistilli, mentre negli altri fiori unisessuali, i detti organi si trovano
distanti. E con ciò espose la legge detta deWaulogamia alfermando, che
la fecondazione è maggiorinenle assicurata, quando il pistillo riceve il
polline dello stesso fiore.
Le ricerche posteriori hanno però constatato, che molte piante
hanno soltanto in apparenza dei liori ermafroditi, poiché nei loro liori
si trovano bensì gli stami vicini ai primordi del frutto, ma le rispettive
cellule polliniche sono spesso abortite e non alle perciò a fecondare.
Viceversa, in molti altri fiori, si trovò il i)rimordio del fruito alteralo
e non atto ad essere fecondato. E Darwin anzi dimostro che la fecon-
dazioni migliori, quelle che danno i migliori frulli, i semi migliori e
le piante più fertili, più robuste e vigorose, sono quelle che avvengono
col polline apjjartenenle ad un'altra pianta della slessa specie. Questa
dicogamia o /econdazione incrociala la ritenne di molto superiore al-
Vautogamia e spiegò che il trasporto del polline avviene principalmente
per opera del vento e degli insetti. Per lo più, lìnchè i fiori sono ricchi
di nettare, e cioè al principio della fioritura, la visita degli inselli è
continua e perciò continua è la rispettiva fecondazione ; più lardi quando
manca questa attrazione del nettare, quando in una parola, il nettare
inaridisce, gli insetti fanno delle visite più rade ed è allora il vento
che supplisce alla loro azione.
La fecondazione incrociata non è da confondersi colla ibridazione,
la quale è un incrocio fra due piante appartenenti a specie diversa.
Si osservò pure, che mentre il suolo, il clima e le altre condizioni
esteriori hanno una influenza notevole sulla formazione delle varietà,
sulla distribuzione geografica delle piante e sulle loro immigrazioni,
non agisciscono però affatto come causa diretta a produrre dei carat-
teri nuovi, ereditari che caratterizzano le nuove specie o le specie
— 276 -
incipienti. Invece la generazione alternante, la separazione dei sessi
nello spazio, il meraviglioso processo della fecondazione il quale, al
principio della fìoi'itura favorisce l'ibridazione e soltanto in mancanza
di questa, l' incrociamento nella medesima specie, producono una quan-
tità sterminata di forme, le quali possono essere adattate alle più di-
verse condizioni del terreno e del clima. Finché non avvenga alcun
mutamento nelle condizioni climatiche, la maggior parte di queste
forme ha poco probabilità di conservarsi e di stabilirsi come specie
fra le forme vegetali che già occupano una località. Ma se avviene un
mutamento di clima cosi forte da diradare i rappresentanti delle specie
primitive, allora esse vengono sostituite dalle nuove forme che alle
cambiate condizioni si adattano ed abbiamo con ciò le nuove
specie.
Spiegata in tal modo la formazione delle specie, rispetto alle varietà
diremo, che queste mantengono i loro caratteri finché permangono
intorno a loro le condizioni esteriori in cui si sono formate. Cambian-
dosi queste cambiano anche le loro proprietà. Ed é cosi che ci pos-
siamo spiegare le degenerazioni ed anche i perfezionamenti delle varietà
quando queste vengono portate in ambienti più o meno dannosi. Il
frutticoitore, per ottere la trasmissione diremo così fotografica dei ca-
ratteri della varietà, ricorre alla riproduzione agamica.
Di queste leggi naturali il frutticoitore ha già un concetto sia
pure empirico poiché nella pratica egli è in lotta cogli efi'etti delle
medesime. Però in materia di ibridazione, di incrociamenti e di im-
pollinazione, sarebbero necessari degli studi ordinati e metodici : di
molti fenomeni creduti causali si potrebbe darsi una ragione ed in
base a questa, trovare i rimedi che avrebbero una importanza capitale.
2. — Nel campo della frutticoltura si sa ad esempio che per alcune
viti di uve da mensa é necessaria l'impollinazione con varietà diverse.
Negli Stati Uniti d'America del Nord, nel 1887 si cominciarono a
fare delle indagini anche nel campo di altre piante da frutto.
A Baltimora, nella proprietà del Signor Davide Franklin, c'era un
frutteto piantato con 20.000 piante di pero appartenenti tutte alla va-
rietà William. Per 18 anni questo frutteto non diede dei frutti ed il
fatto venne denunziato all'ufficio di patologia vegetale del Ministero di
Agricoltura di Washington perché cercasse di conoscere le cause che
potevano determinare questa sterilità. Dall' ufficio venne delegato un
patologo, il Signor Waite il quale da quell'epoca si dedicò esclusiva-
mente a questo genere di ricerche.
Egli subito espresse l'opinione che la sterilità di queste piante di-
pendeva dal fatto che i fiori della vai'ietà William dovevano avere la
particolarità di non rimanere fecondali col proprio polline. Portato
artificialmente su alcune piante del polline appartenente ad altra va-
varietà, queste piante portarono subito dei frutti. Con questa prova
egli dimostrò che per alcune varietà la frntlificazione é assicurata sol-
tanto quando vi concorre del polline appartenente a varietà diversa.
- 277 -
Fatta una rapida inchiesta nei territorio di Baltimora e linilinii.
egli ha constatato, che almeno un terzo delle varietà di peri ordina-
riamente colivati non fruttificano se fecondati dal proprio polline.
Fra le varietà di peri ordinariamente coltivati, hanno questa par-
ticolarità le seguenti: William, Anjou, Bonssock, Butirra, Clairgeau,
Favorita di Clapp, Easter, Howel, Lawrence, Luigia buona di lersey,
Sheldon, Ricordo del Congresso, Superfin e Nelis d'inverno,
Waile osservò che lo stesso avviene per alcune varietà di meli.
ma però in minor numero dei perì.
Dei ciliegi, non fruttificano i fiori fecondati col proprio polline, le
seguenti varietà: Napoleone, Bella di Choisy, Regina Ortensia; degli
albicocchi, la varietà: White Nicholas; dei susini le seguenti varietà:
Coè, Goccia d'oro, Prugna d'Italia, Frenclie Prune (Susino di Francia),
Kelsey, Marianna, Miner, Ognon, Peach, Satsuma, Wild (ioose. Come si
vede i susini hanno specialmente questo difetto e in modo paiticolare
quelli di origine giapponese ed americana, ad eccezione della varietà
Robinson.
La conseguenza di queste osservazioni è la seguente: é un errore
coltivare assieme e per una grande estensione una sola varietà di frutti
ma che conviene invece riunire più varietà, sia pur distinte, per
filari.
Queste prime deduzioni si possono considerare come punti di
partenza di ulteriori investigazioni d'importanza notevole per la frut-
ticoltura.
3. — Da ulteriori indagini è risultato al Waite, che vi sono (kl li-
varietà le quali possono fecondarsi per autogamia a seconda delle
condizioni esteriori e cioè a seconda del clima, del sistema di colti-
vazioni, del tempo che domina durante la Moritura ed inline dalla sa-
nità delle piante.
Ad esempio, se durante la fioritura vi ha un tempo rigido, coperto
da nubi, o piovigginoso e freddo; se le condizioni della località non
sono adatte e se le piante sono attaccate da malattie, allora niolte va-
rietà hanno bisogno, per portare frutti, di essere fecondate dal polline
di piante sane e cresciute in un ambiente favorevole. Questa snrehbe
una sterilità occasionale e fra le varietà di pere che può colpire sono :
Duchessa d'Angoulcme, Manning's Elisabeth, Rose, Bullum, Flemish
Beauthy Heatheote e Seckel.
Delle mele le varietà: Belfiore, Primala, Spilzenburg. Willow Twig.
Winesap.
Probabilmente ci sono delle varietà che per una o per l'altra delle
sopra accennate avversità sono più o meno sensibili. Ad esempio si
constatò che le varietà Le Coulc e Kieilen, nei climi caldi non abbi-
sognano di fecondazioni incrociate, mentre invece nei climi più freddi,
sono indispensabili. In California le varietà di pere: William, Favorita
di Clapp, Clairgeau al contrario che ni nord, non hanno bisogno di
impollinazione incrociata.
- 278 -
La malattia del marciume ai frutti, la Monilia fructigena, pare che
intacchi maggiormente gli organi femminili dei fiori e nelle piante
deperenti sulle quali si vede di frequente abbondare la fioritura, que-
sta rimane infeconda perchè sono i granelli del polline, non atti alla
fecondazione.
Cosi dobbiamo ritenere che dipenda da questa fecondità non sem-
pre sicura per una od altra causa, l'alternarsi periodico di due o tre
anni della fruttificazione per alcune varietà.
Studiando attentamente questi casi si deve in via assoluta trovare
il rimedio e si deve poter conoscere la ragione per la quale, alcune
piante cominciano a fruttificare quando si indeboliscono, mentre altre
fruttificano presto e poi diventano sterili. Il primo caso noi ce lo
possiamo spiegare soltanto in parte e cioè avendo le piante molta
affluenza di linfa esse tendono a produrre dei germogli legnosi anziché
dei fruttiferi. Nel secondo caso bisogna convenire che molto devesi
attribuire alla qualità del polline nella sua maggiore attività quando
la pianta è giovane.
Da questi ed altri molti fenomeni che noi pratici osserviamo quo-
tidianamente nelle coltivazioni si deve arguire la necessità di studiare
e di fissare per ogni specie e varietà di frutta le condizioni nelle quali
la fecondazione è più assicurata.
4. — Poiché il budello pollinico va in contatto soltanto coU'ovulo
e non coli' involucro dell'ovario, si è creduto che la natura del polline
non possa influire sulla qualità della polpa del frutto, derivando la
polpa appunto dall'involucro. E visto che il frutticoitore bada più alla
polpa che al seme, si credette che la scoperta del Darwin, della fe-
condazione incrociata, non avesse grande importanza per il frutticoitore.
Eppure il polline, anche indirettamente, ha una azione notevole
sulla qualità della polpa. Difatti, perchè nei fiori non fecondati la
polpa non si sviluppa tanto quanto in quelli fecondati ? Questo si
verifica specialmente sulla vite la quale dà degli acini meschini coi
fiori non fecondati. Waite ha notato che tutte le varietà che si possono
fecondare per autogamia, se fecondate con polline di altre varietà
daimo delle frutta più belle con molta polpa, ben colorate e molto
saporite. Ha esperimentato, che i fiori della mela Baldwin, se fecondati
col polline della mela Belfiore, danno della frutta migliore che se la-
sciati fecondare col proprio polline.
La fecondazione incrociata ha inflenza anche sullo sviluppo del
peduncolo del frutto. Le frutta che si ottengono per autogamia hanno
il peduncolo sempre più lungo e sottile; quelle ottenute per dicogamia
hanno le frutta più grosse con peduncolo corto e grosso. Finora io
avevo osservato soltanto un rapporto costante della grossezza del frutto
colla lunghezza e grossezza del peduncolo. Così si spiegherebbe anche
il fatto, di trovare talvolta sopra una stessa pianta delle frutta grosse
con peduncolo corto e grosso e delle frutta più piccole, ma con pe-
duncolo lungo e sottile.
- 279 -
La conclusione che possiamo trarre per ora è la se|{uenlc :
a) la fecondazione incrociala inlhiiscr nolevolmenlc sulla produlli-
vilà della pianla da frullo e sulla qualità dei frulli. La provenienza del
polline deve avere una azione decisiva ;
b) possono avvenire delle condizioni cliinaliclie duranle la /iorilura,
per cui anche le pianle che di solilo (ruUificano per autoijaniia, abbiano
bisogno della fecondazione incrociala, per dare dei frulli ;
e) ad una cerla eia, alcune pianle che prima si fecondarono da
sé stesse, possono aver bisogno della fecondazione incrociala, allrimenli
il loro prodotto diminuisce notevolmente ;
d) praticamente nei frutteti, conviene tenere le diverse specie riunite
a gruppi e tenere vicine, delle singole specie, tpiellf varietà die htuino
maggiore analogia per l'epoca della fioritura.
5. — Per la provenienza del polline si osservò, che non tutti
i pollini appartenenti a varietà diverse hanno ej^uale influenza ed è
qui che si apre un vasto campo di osservazioni che avranno per ef-
fetto, di poter consigliare al frutticoitore quali varietà convenga mettere
vicine per ottenere la scambievole fecondazione.
11 polline che ha sufficiente energia fecondatrice per gli ovuli del
proprio fiore, probabilmente avrà ancora maggiore energia, se portato
sopra altra pianta. La generazione è sempre più vigorosa e vitale,
quanto minore sarà la affinità fra le due piante che si incrociano.
Potrebbe però darsi, che con una parentela troppo lontana, il risul-
tato sia anche nullo.
Facendo degli incroci di fiori con polline proveniente da piantagioni
di clima e terreno diversi, si la una mescolanza diciamo cosi di sangue,
i cui efTetti non si palesano colla produzione in corso.
Non tutti i granelli di polline sono atti alla fecondazione. Il Signor
Waugh, isolando i granelli coll'aiuto di una soluzione al ó "/„ di zuc-
chero li ha analizzati e trovò, che è ben raro il caso che il 50 % dei
granelli pollinici siano atti alla fecondazione. Trovò poi che fra pianta
e pianta pur appartenente alla medesima specie e varietà vi sono delle
difTerenze notevoli e perciò consiglia sempre di unire alle varietà che
hanno bisogno della fecondazione incrociata, quelle che si fecondano
da sé, poiché può succedere qualche volta, che queste piante soffrano
e abbiano perciò bisogno del polline di altre piante.
S. A. Beach, ha fatto in proposito diverse esperienze col polline
della vite e verificò :
a) che il polline di piante che non si fecondano per autogamia,
non riesce a fecondare altre piante che pure non si fecondano per
autogamia ;
b) che le varietà sterili per autogamia si fecondano col polline
di piante capaci di fecondarsi col proprio polline e questo polline
trasmette al grappolo la forma e la proprietà dei grappoli che da la
pianta da cui proviene ;
e) che nella vite é necessario di estendere le varietà che hanno la
— 280 —
facoltà di fecondarsi per autogamia, inquanlochè trovandosi nei vigneti
([ualche ceppo sterile per autogamia trova nel polline di cjueste piante
il mezzo di produrre dei fruiti.
6. — Le esperienze ed osservazioni fatte in America sotto questo
riguardo, si inferiscono anche all'azione del vento e degli insetti sulla
fecondazione incrociata.
E' stato constatato ad esempio, che le piante da frutto, per il poco
polline che producono, risentono forte danno per il vento che lo di-
sperde. Da ciò la convenienza di non fare delle piantagioni in località
esposte ai venti frequenti di primavera ed al caso bisogna riparare la
piantagione con degli alberi frangiventi collocati dalla parte da cui
proviene il vento.
Gli insetti che hanno una parte più attiva ed importante sulla impolli-
nazione sono i coleotteri, le mosche ma sopratutto gli imenottori, le api,
che passano rapidamente da un fiore all'altro. L'ape ha una particolare
influenza sulla fecondazione del pesco, albicocco e susino. Bassford
riferisce, che nella valle Vaca in California, egli ottenne un notevole
prodotto da una sua estesa piantagione di ciliegi dal 1890 e cioè da
{{uando allevò nel frutteto delle api. Durante però la fioritura non bi-
sogna andare intorno alle piante per non disturbai'e la visita di questi
insetti. Ricordarsi del proverbio francese :
Vigne en jloraison — X'aime ni maitre ni servon.
PARTE SETTIMA
Concimazione ed irrigazione
I.
Importanza della concimazione e della irrigazione.
1. — Io credo che una gran parte del disagio in cui si trova la
frutticoltura in Italia sia dovuto alla mancanza di freschezza e di fer-
tilità del terreno.
Erroneamente si ritiene ancora che le i)iaiile da fruito, i-oIle loro
radici sviluppate, trovino umidità sufficiente negli strati sottostanti
del teri'eno ed il nutrimento, nelle concimazioni fatte alle piante erbacee
coltivate in consociazione a quelle da frutto.
A parte il fatto che ([ueste piante erbacee (patate, granturco, ce-
reali, prati) non sempre ricevono la concimazione a loro necessaria,
ma per di più i concimi ad esse ap|)Iicati non si adattano alle piante
arboree; in ogni caso rimangono negli strati supertìciali del terreno,
poco esplorati dalle radici delle piante arboree. Noi abbiamo oggi
molli esempi di agricoltori intelligenti che già da tempo riconol)bero
la necessità di concimare anche le piante da frutto come hanno sc/npre
fatto per la vite, l'olivo, gli agrumi, pochi però sono convinti, special-
mente nell'Italia centrale e settentrionale, della necessità di fornire
l'acqua colla irrigazione.
Difatti, gli agricoltori della Sicilia, delle Puglie e di altre regioni
meridionali, appena possono, irrigano gli agrumi e gli altri alberi
fruttiferi. Nell'Italia centrale a ciò non si pensa, eppure anche qui noi
possiamo constatare che nelle località dove più a lungo si mantiene la
freschezza del terreno, i prodotti sono più abbondanti e sicuri che nei
terreni meno freschi; il prodotto dipende cosi dalla frequenza delle
pioggie nel periodo che decorre dalla lìoritura alia nmlurazinne dei
frutti.
- 282 —
Basterebbe citare, ad esempio, i pescheti di Massa Lombarda, gli
impianti di ciliegi dell'Imolese che si trovano nei terreni irrigui da
orto, le piante da frutto del Pisano e di Lucca, ecc.
Nell'Italia settentrionale non si manifesta tanto il bisogno di acqua,
inquantochè durante l'estate, piove più di frequente, ma chi non sa
che il prodotto delle castagne sui contrafforti alpini e sull'Appennino
nove volte su dieci, viene compromesso dalla siccità durante l'estate?
Così noi riscontriamo più abbondali prodotti nei terreni pianeggianti
del Veneto, della Lombardia e del Piemonte, ed ivi abbiamo i frutteti
più belli.
L'irrigazione è ricosciuta già indispensabile per i paesi dell'Italia
meridionale : per i paesi dell'Italia centrale io la credo utile, anche se
non strettamente necessaria e vantaggiosa, in molte circostanze nel-
l'Italia settentrionale.
2. — La concimazione e l'irrigazione si compensano una coU'altra.
Tutti avranno osservato che le piante non concimate soffrono molto
di più per siccità, per gli improvvisi sbalzi di temperatura e sono meno
resistenti alle cause nemiche, siano queste di natura vegetale od
animale.
Fino ad ora però anche nei migliori trattati di frutticoltura si os-
serva che sull'argomento della concimazione gli autori si limitano a
tenersi molto sulle generali, e cioè sui concimi preferibili, senza indi-
care quando convengano gli uni piuttosto degli altri e sotto qual forma
ed in quale rapporto devonsi fare le miscele.
La causa di questa lacuna risiede nelle difficoltà di fare varii espe-
rimenti, dovendo basare il giudizio sopra l'aspetto della pianta, sulla
qualità e quantità di frutta e i risultati non si possono dedurre con
quella facilità che si ha esperimentando il frumento, pel quale si può
pesare la paglia ed il grano. Mentre per i cereali, pei prati e cosi via,
colla bilancia e coi mezzi che il chimico possiede, ha saputo darci
la composizione chimica dei rispettivi prodotti, per le piante da frutto
ben poche sono le analisi che egli ci ha dato ed anche quelle poche,
non sono state abbastanza ripetute per poterci basare su di esse con
sicurezza.
Però, specialmente all'estero, in questi ultimi anni si fecero studi
ed esperienze, frutto delle quali è la difì'usione sempre maggiore dei
concimi chimici anche nella frutticoltura.
Io, che faccio di frequente dei viaggi all'estero, constatai di anno
in anno dei notevoli progressi di applicazione, specialmente negli sta-
bilimenti di frutticoltura.
Se è difficile constatare gli effetti dell'esaurimento, altrettanto facile
però è discernere una pianta ben nutrita da una mal nutrita. La prima
avrà le gettate sue vigorose, la corteccia liscia, i rami diritti, vitali,
sani e la sua fertilità si manifesta sempre costante.
Alcuni osservano, che come le piante arboree dei boschi vivono
senza concimazione, cosi potrehbero resistere le piante da frutto. Ma
- 283 -
questo esempio non regge. Se in apparenza le foreste od i boschi fanno
eccezione a questa regola, non è men vero che anche esse devono
ubbidire alla legge fondamentale della nutrizione, in virtù della quale,
il prodotto è in rapporto con le risorse alimentari, che il terreno olire
ai vegetali. Tutti sanno che v'ha dilìerenza fra foresta e foresta e che
la produzione forestale è strettamente legala alla natura Tisica e chi-
mica del terreno, vale a dire a (luanlo vi ha di |)iù inlluente nella nu-
trizione degli alberi.
Da ciò deriva ad esempio, che le |)ianle laliloglie, perchè più esi-
genti non prosperano che nei terreni mollo l'erlili ; menile le conifere,
riescono anche nelle terre più povere. Bisogna poi lener conio della
differenza della raccolta. Al bosco noi domandiamo del legno ed espor-
tando questo, togliamo la parte della |)ianla, meno ricca di elementi
minerali. La concimazione naturale del bosco o foreste risiede nelle
foglie, frutti e ramoscelli che rimangono sul terreno dopo la loro ca-
duta e bastano a mantenere la fertilità, mentre noi, dalle piante da
frutto, esportiamo i fruiti e coi tagli, rendiamo la pianta più debole.
Non si deve escludere che se noi, malgrado delle condizioni favo-
revoli, concimassimo i boschi avremmo prodotti maggiori. Lo dimo-
strano le vigne convenientemente concimale le cjuali danno un pro-
dotto migliore, più abbondante e rendono le piante più resistenti alle
malattie. Ma anche per le vili dalla generalità non è riconosciuto ne-
cessario che l'uso dello stallatico ; mentre gli sludi moderni hanno
concliiuso, che collo stallatico da solo non si riesce ad avere molti
vantaggi, se non lo si completa con concimi arliliciali.
Infine un vecchio pregiudizio che la quantità del prodotto va a
scapito della qualità, contribuì a trallenere il frutticoitore dal fare una
concimazione conveniente. Una concimazione razionale non può dare
che dei prodotti perfetti sotto ogni rapporto. Se i prodotti riescono
inferiori per quantità o per qualità, vuol dire che il concime difettava
di qualche elemento fertilizzante, oppure che (|uesto elemento non è
stato assimilato.
II.
Elementi chimici che costituiscono la pianta, come
vengono assimilati e composti a cui danno luogo.
1. - Da quanto è stato detto nel precedente capitolo risulta evi-
dente, che l'arte della concimazione consiste nella razionale alimen-
tazione delle piante, basata su esatte cognizioni di lìsiologia vegetale.
La fisiologia vegetale ci insegna che le piante si nutrono dell'aria
e del terreno e possono considerarsi come laboratori, neirinlerno dei
quali si elaborano gli alimenti assorbiti per esser trasformati in nuovo
284
legno, nuovi rami, foglie, fiori, frutti e semi. E' evidente quindi la ne-
cessità di conoscere la composizione chimica della pianta, per deduri-e
i materiali di cui abbisogna per il suo nutrimento.
2. — Dalle analisi è risultato, che in tutti gli organi bisogna distin-
guere una parte combustibile ed una parte incombustibile la quale
ultima, doi)o l'abbruciamento, rimane nelle ceneri.
La parte combustibile formata di materia organica è composta di :
1." carbonio ; 2." idrogeno ; 3.° ossigeno e 4.° azoto con un po' di zolfo.
Le ceneri sono composte di: \° zolfo; 2." fosforo; 3." potassio;
4." calcio ; 5." magnesio ; 6." ferro.
Altri elementi contenuti nelle ceneri, in quantità discreta, sono il
silicio, il sodio, il cloro, il manganese ecc., ma le prove colturali hanno
dimostrato, che queste non sono indispensabili alla vita della pianta.
Le sostanze organiche assieme coll'acqua la quale costituisce il
30-35 7o del peso totale della pianta, formano la parte preponderante.
La parte minima è rappresentata dalla cenere, come si vede nel se-
guente specchietto :
Carbonio
Idrogeno
Ossigeno
Azoto. .
Totale sostanze organiche
Ceneri
Pianta intera Radici Fusti e rami
46,4
5,0
41,1
1,6
94,7 7o
5,3 7o
43,4
5,7
43,4
1,6
94,1 7o
5,9 7o
46,9
5,3
39,6
1,—
92,8 7o
7,2 7o
Semi
47,4
6
41,1
2,6
97,1 7o
2,9 7o
Perciò
a) ì rami danno circa il 3 % del loro peso in ceneri ;
b) le sole radici ne danno il 6 7o i
e) i soli fusti e rami circa il 7 7o ;
d) una pianta intera circa il 5 7o.
3. — Dunque colle coltivazioni erbacee, esportando le piante intere,
si esporta di ceneri il 5 y„ circa del loro peso in sostanze minerali,
mentre colla coltivazione degli alberi, esportandosi dal terreno la sola
frutta che fa parte dei rami, si esporta il 3 7o di sostanze minerali. Da
ciò si deduce che le piatile da frullo esauriscono il Icrreiio di soslanze
minerali meno delle pianle erbacee.
La proporzione degli elementi minerali è maggiore in tutte le {)arli
che si avvicinano alla condizione erbacea e cosi è maggiore :
a) nelle piante erbacee che negli alberi ed in questi ;
b) nell'alburno che nel vero legno ;
e) nella corteccia che nell'alburno ;
d) nel tronco che nelle radici ;
e) nei rami che nel tronco;
fj nei rami nuovi che nei vecchi ;
g) nelle foglie che nelle altre parti.
- 28.-)
Il costituente principale della pianta e che forma la base di oj^ni
sostanza organica, è il carbonio. Questo proviene unicamente dall'anidride
carbonica dell'aria, ed è assorbito dalle foglie e da tutte le paiti verdi.
L'idrogeno è dato dall'acqua insieme aWossigeno.
L'oro/o è preso dalle radici, in soluzione, sotto forma di nitrali o
di sali amnìoniacali. Questi ultimi, per essere assorbiti, devono trasfor-
marsi in nitrati. Lo zolfo entra nella pianta coi solfati od il fosforo coi
fosfati.
Il potassio viene assimilato coi sali di potassio (cloruri, solfali,
fosfati di potassio).
Il calcio è anche introdotto nell'organismo della i)ianla per mezzo
dei suoi sali, ed in quantità considerevole. Cosi si dica pel inaynesio.
Il ferro, viene assimilato sotto forma di ossidi, di cloruro e di sali
molto ossigenati.
I composti che danno luogo questi elementi nell'organismo della
pianta sono indicati nel seguente schema.
Carbonio
Idrogeno
Ossigeno
Carboiìio \
Idrogeno ;
Azoto )
Carbonio ,
Idrogeno f
Ossigeno
Azoto
Carbonio ]
Idrogeno I
Azoto i
Zolfo !
Carbonio
Idrogeno ,
Ossigeno I
Azoto j
Zolfo (
Fosforo
Potassio
Calcio
Magnesio
Ferro
I. Idrati di carbonio (zuccheri, cellulosio, amido).
II. Acidi organici e corpi pedici (mucilaggini).
III. Grassi.
IV. Le sostanze cerogeni (pruina).
V. Gli olii eterei (essenze e le canfore).
VI. Le gomme e le resini.
VII. In parte le sostanze coloranti.
Vili. Una parte di alcaloidi.
IX. Altra parte di alcaloidi.
Albuminoidi o Sostanze azotate (albumin:
lìbrina, glutine, legumina, caseina).
B. Sostanze minerali (ceneri).
286
III.
Distribuzione delle sostanze organiche e minerali nelle
diverse parti della pianta.
1. — Tanto le sostanze organiche che le minerali, sono distribuite
in proporzioni diverse nei singoli organi della pianta, a seconda della
specie a cui la pianta appartiene ed a seconda della sua fase di sviluppo.
Le principali sostanze organiche contenute nel legno delle piante
da frutto sono : la cellulosa, l'amido, l'acido tannico, l'ossalato di calcio,
il tartarato di potassio e di calcio ed infine le sostanze azotate. Queste
ultime sono contenute in maggiore quantità nei germogli, ed è per
questo che i concimi azotati favoriscono la produzione ei'bacea.
Nelle sostanze minerali che compongono la cenere del legno si
osserva, che l'elemento predominante è la calce, a questo segue la
potassa e l'anidride fosforica.
Nelle foglie troviamo una notevole quantità di sostanze organiche
sotto forma di amido, clorofilla, zuccheri, materie coloranti, materie
grasse e degli acidi ; le quali tutte poi emigrano nelle diverse parti
della pianta, per ricostituirle o formare le sostanze di riserva. Fra
queste meritano una speciale considerazione le sostanze azotate, per
l'azoto che concorre a formarle, ed al quale deve provvedere il frut-
ticoitore. La foglia è l'organo più ricco di azoto; da ciò la notevole
influenza dei concimi azotati sull'espansione delle foglie e sulla produ-
zione fogliacea in genere ; da ciò l'esaurimento di azoto notevole del
terreno quando si cima, si scacchia, si sfoglia intensivamente o quando
ad esempio utilizziamo per strame le foglie cadute nei boschi.
La cenere delle foglie è generalmente più ricca di silice, calce e
magnesia di quella del legno; mentre contiene molto meno di potassa
(meno della metà in media) e di anidride fosforica (la metà circa).
Colle frutta e semi non si esportano notevoli quantità di azoto ;
ma in ordine decrescente, rilevanti quantità di potassa, di anidride
fosforica e di calce.
Tutto l'azoto o la maggior parte di quello contenuto nei frutti si
trova concentrato nei semi, quale materiale di riserva, sotto forma di
sostanze albuminoidi. Anche nella polpa e succo si trovano delle note-
voli quantità di questi materiali azotati, e a questi si ascrive principal-
mente la loro facoltà nutritiva. Nelle frutta e nei semi, sì trovano an-
cora amido, zuccheri, mucilaggini, materie coloranti, gomme, acidi
organici sìa lìberi che combinati con delle basi, quali il ferro, la potassa,
la calce, la soda.
La potassa che prevale la troviamo sotto forma di tartarato, di
ossolato ; mentre l'anidride fosforica la troviamo sotto forma di fosfato
di calce e di ferro; la calce infine, sì trova combinata cogli acidi, sia
organici che minerali.
— 287
IV.
Ufficio speciale dei singoli elementi chimici della pianta.
L'assimilazione degli elementi di cui si compone la pianta, avviene
per l'attività simultanea delle radici e delle foglie; l'attività delle radici
dipende principalmente dalla quantità di materiali nutrilivi che esse
trovano nel terreno, quella delle foglie è sempre attiva, purché possano
avere a loro disposizione luce, aria e calore suflìcienli.
Le sostanze assorbite dalle radici sono il fosforo, lo zolfo, l'azoto,
la potassa, il ferro, la calce, il magnesio e l'acqua in gran parte.
1. — L'ufficio del fosforo e dello zolfo sembra essere ((nello di
concorrere alla formazione delle sostanze azotate e del i)rotoplasma.
Il fosforo influisce notevolmente sulla fecondazione dei Mori, sulla
formazione e maturazione del legno e sullo sviluppo e maturazione dei
frutti. Nei terreni poveri di fosforo, il legno ritarda a maturare, si
sviluppano pochi rami da frutto, con i)oche frutta, le quali anche ca-
dono facilmente. Per questo, come vedremo più tardi, è molto racco-
mandata pei vivai la concimazione fosfatica. Il fosforo manifesta più
energicamente la sua influenza sulla frutlilìcazione. nelle piante a
nocciolo.
Il fosforo, nei calcoli della concimazione ed anche per determinare
la ricchezza dei concimi e dei terreni, viene sempre calcolalo in base
all'anidride fosforica, ossia alia sua combinazione coU'ossigeno. Questa
alla sua volta, unita all'acqua, forma l'acido fosforico che. unendosi
alla calce, al ferro, ecc., forma i fosfati.
2. — L'azoto concorre coi due precedenti, alla formazione delle
sostanze azotate e del protoplasma. Esso contribuisce, come abbiamo
già veduto nel Capitolo precedente, alla vigoria della pianta e quindi
allo sviluppo del legno, delle foglie e sulla quantità di frutta. In un
terreno però troppo ricco d'azoto, le piante ritardano la maturazione
del legno, vanno soggette alla colatura dei (lori, si hanno le frutta più
colpite da parassiti, i)in voluminose ma insipide, meno zuccherine, e
maturano anche tardi. Se il terreno è deficiente, si hanno dei rami
deboli, a brevi meritalli, delle foglie poco sviluppate, poco carnose, di
color verde sbiadito.
Le concimazioni azotate non bisogna però darle troppo tardi in
primavera poiché allora la vegetazione della pianta si protrae troppo
in autunno e si ha una imperfetta maturazione del legno e dei
frutti.
Occorre anche consociare ai concimi azotati, dei concimi fosfatici,
potassici e calcici, altrimenti si ha un legno molle e non sano.
3. — Senza il ferro non vi ha formazione di clorofilla, e quindi le
piante crescono clorotiche.
- 288 -
4. — Oltre il ferro occorre poi la potassa, poiché senza la presenza
di questa, la clorofilla non è capace di formare del biossido di carbonio
e dell'amido. Se ad una pianta vengono quindi a mancare la potassa
ed il ferro, devesi anche arrestare la sua crescila poiché dall'amido si
forma il cellulosio, e cioè l'elemento fondamentale del tessuto erbaceo
e legnoso. La potassa concorre infine alla formazione delle sostanze
azotate e rende i rami più resistenti ai freddi ed alle malattie.
La potassa contribuisce notevolmente a mantenere bella ed appa-
riscente la vegetazione, facilita la fecondazione dei fiori, fa rinvigorire
il colorito, fa aumentare la fragranza, il sapore e la ricchezza zucche-
rina dei frutti, ed anticipa infine la loro maturazione.
Mancando la potassa le foglie si raggrinzano, prendono poco svi-
luppo ed i rami non crescono sani. E' per questo che la potassa ha
tanta influenza sulla produzione dei frutti.
5. — Il calcio ha una azione importante nel ricambio materiale
delle piante verdi. Non ha una azione immediata sulla formazione
del protoplasma, ma serve quale mezzo di trasporto ed è intermediario
di combinazione pei prodotti secondari. Mancando il calcio, vi ha un
arresto di sviluppo. Difatti, esso è necessario per la formazione e tra-
sformazione dell'amido in sostanze solubili che possano circolare. Senza
il calcio, si trova un agglomeramento di granelli d'amido nelle cellule
delle foglie. Esso infine influisce notevolmente sulla vivacità dei colori,
sullo sviluppo dei frutti, sulla loro ricchezza zuccherina e sul loro
allegamento. Specialmente le piante a nocciolo ne risentono molto
vantaggio. La calce favorisce anche lo sviluppo dei batteri e mantiene
il terreno in buon stato di mobilità.
6. — La funzione del magnesio non è bene definita ; è certo però
che senza questo elemento le frutta non attecchiscono ; se ne trova
in quantità notevole nei semi e nelle punte dei germogli.
7. — Infine l'acqua viene assorbita pure dalle radici, poiché entra
come solvente dei materiali nutritivi. Essa oltre rendere un servizio
alla pianta come suo costituente, influisce sulla elasticità dei tessuti,
sulla rapidità del loro sviluppo. Nelle annate asciutte si ha sempre
poco sviluppo dei rami e dei frutti.
8. — L'attività delle foglie avviene per mezzo degli stomi. Per questi
stomi penetra il biossido di carbonio od anidride carbonica dell'aria la
quale, cogli elementi dell'acqua, dà origine all'amido e poi allo zucchero.
Sotto questa ultima forma emigra coi grassi da cellula a cellula nei
frutti ed in tutte quelle parti dove vi ha bisogno di sviluppo erbaceo
o di agglomerare delle sostanze di riserva. Da ciò risulta evidente
l'importanza che hanno le foglie nello sviluppo di una pianta e nella
rispettiva fertilità. Quanto più essa è ricca di foglie ben sviluppate,
tanto più si sviluppano le radici.
- 289 -
V.
Riepilogo sulla composizione delle piante
e sulla loro nutrizione.
Riepilogando quanto è stato detto sulla nutrizione e sui materiali
di cui si compone la pianta deduciamo, che le radici assorbono lutti
i materiali costituenti meno il carbonio, che viene fornito dall'aria.
Questi materiali vengono assorbiti sotto forma di sali, sciolti neirac(|iia.
Gli acidi e le basi che costituiscono questi sali sono i seguenti:
Acidi Basi
1. Acido carbonico 5. Acqua 6. Potassa.
2. „ nitrico 7. Calce
3. „ fosforico 8. Magnesia
4. „ solforico 9. Ossido di ferro
Acidi -\- Basi = Sali nutritivi.
E' da notarsi, che questi sali non vengono assimilati dalle jìiante
con eguale energia. In ordine decrescente, vengono assimilati : la po-
tassa, la calce, l'azoto, l'acido fosforico, la magnesia, l'ossido di ferro,
l'acido solforico.
L'azoto e l'acido fosforico si trovano, in quasi tutti i terreni, in
piccolissima quantità. Da ciò la necessità di i)rov vederli colla conci-
mazione.
La potassa e la calce difettano specialmente nei terreni sabbiosi
ed umiferi; mentre nei terreni alluvionali ed argillosi, abbondano.
Considerato però che le piante da frutto esportano una notevole (pian-
tila di questi due elementi, bisogna somministrarne quasi costantemente,
tanto più che la calce, migliora anche fisicamente il terreno.
L'acido solforico, l'ossido di ferro e la magnesia si trovano sempre
in quantità sufficiente, quindi gli elementi più importanti che bisogna
restituire il terreno e su cui si basa la concimazione sono 1 e cioè:
Vazolo, l'acido fosforico, la potassa e la calce.
VI.
Materiali nutritivi necessari ad una pianta da frutto.
1. — Determinato che la concimazione consisterà nella restituzione
al terreno di azoto, anidride fosforica, potassa, calce ed al più magne-
sia, che vengono esportati coi prodotti ; si tratta ora di conoscere la
19 — Tamaro - Frutticoltura.
- 290 -
quantità media di questi materiali clie le singole nostre piante da frutto
esportano dal terreno.
In questi ultimi anni, i prof. dott. Steglich e dott. Barili fecero delle ricerche nelle
stazioni esperimentali di Dresda e Colmar per dare un responso a questo quesito, ed
essi ci diedero i seguenti risultati :
Tab. XIX.
Contenuto percentuale dei principali elementi nelle singole
parti di una pianta da frutto (in 100 parti di sostanza secca).
I. Piante da frutto
A GRANELLA (Steglich)
(Pero e melo).
Radice
Fusto e rami a legno
Rami a fruito
Foglie
Frutta
II. Piante da frutto
A NOCCIOLO (Steglich)
(Ciliegio a frutto dolce e 3iisi;io).
Radice
Fusto e rami a legno
Rami a frutto
Foglie
Frutta
Azoto
Ani-
dride
fosforica
Potassa
Calce
0.349
O.IOI
0.284
0.596
1 0.597
0.126
0.313
1.265
0.892
0.232
0.526
2-897
0.719
0.214
1.194
2.913
1 0.410
0.088
1.061
0.407
0.370
0.115
0.206
0.594
0.307
0,081
0.193
0.593
1.022
0.296
0.462
2.192
1.725
0.766
2.579
4.137
?
0.246
0.903
0.140
Magnesia
0.069
0.098
0.196
0.482
0.118
0.050
0.056
0.203
0.408
0.100
Per sapere poi la quantità di materiali nutritivi di cui necessita annualmente ogni
pianta per sviluppare i suoi rami, le sue foglie ed i suoi frutti, il prof. Steglich per
molti anni di seguito misurò le circonferenze del fusto di molte piante, pesando con-
temporaneamenle le foglie cadute, le radici, il fusto, i rami a legno ed a frutto.
Egli constatò che l'aumento periferico annuale di un :
a) melo i
b) pero
e) ciliegie dolci
d) susino
2 cm. con 328 g. di
1.5 , „ 158 „
2 „ „ 716 ,
1.6 „ „ 173 ,
foglie
La pianta comincia a fruttificare quando ha
una circonferenz.t
a) nei meli di 15 cni
b) „ peri „ 24 „
e) , ciliegi dolci „ 10 ,
d) „ susini „ 15 „
ed au
menta annualmente
1 diame
tro col peso di frutta
4000 g
di 2 cm. di 2000 g
5000 ,
„ 1.5 , „ 3000 ,
800 ,
„ 3 „ „ 1600 „
1250 „
.,1.5 „ „ 1875 „
Con questi dati analitici, il dott. .Steglich ha redatto il quadro seguente, che rias-
sume le esigenze di sostanze minerali di una pianta da fruito, avente una circonferenza
di 25 centimetri.
291 -
Quantità di sostanze che vengono fissato annualmente
dalle seguenti piante. '
SOSTANZE
Quantità
di sostanze
w
PRODUZIONE
contenute in 100 parti
di sostanza secca
necessarie
per anno
ANNUAI
.E DI UN ALBERO
cm. di periferia
in grammi
-S
di 25
NOME
fi
.2
2
1
JS
•s
^-
delle sostanze
S
1
é
&
1
^
Melo (Steglich)
Azoto
Anidride fosforica
0,46
1,80
0,46
12
36
11
59
Kg. 4,5 rami
= Kg. 2,7 sost. secca
0,14
0,26
0,10
4
5
2
11
„ 4,2 foglie
= ., 2,— .,
Potassa
0,33
UU
0,63
9
27
15
51
„ 14,- frutti
= „ 2,3 „
Calce
1,55
3,30
0,06
42
66
1
109
Pero (Steglich) ,
= Kg. 2.5 sosl. secca
Azoto
066
160
0,35
0,07
16
4
17
2
4
37
Kg. 4,7 rami
Anidride fosforica
0,16
0,16
7
„ 2,6 foglie
= „ 1.1 , , i
= n 1,2 „ „ '
Ciliegio (Steglich) j
= Kg. 2,3 .sost. secca
Potassa
0,41
1,00
1,48
11
11
18
40
„ 7,- frutti
Calce
160
2,48
1,40
0,18
?
40
15
27
61
2
69
Azoto
0,67
Kg. 4,2 rami
Anidride fosforica
0,13
0,48
0,27
3
21
6
30
. 2,- foglie
= , 4,4 „ , J
Potassa
o,;«
1,57
0,90
8
68
19
95
„ 12,- frutti
= , 2,1 „ „ f
Calce
1.30
4,00
0,13
30
176
3
20»
Susino (Steglich)
Azoto
0,.%
1.90
?
13
21
?
V
Kg. 3,3 rami
= Kg. 2,3 sost. secca
Anidride fosforica
0,15
0,24
0,22
3
3
5
11
„ 2,8 foglie
= „ 1,1 , , /
= „ 2,2 „ , '
Potassa
0,61
3,50
0,90
15
.{9
20
74
„ 13,5 frutti
Calce
1,13,
43)
0,14
2(i
(•;
•.\
7-.
' Nelle analisi e nei calcoli di concimazione, il fosforo
anidriile fosforica, la (|iiale combinandosi coli ai'i|iia dà ori;;!
delerminato come
292 -
La stazione esperimentale di Geneva (Stato di New-York) ha fatto simili ricerche
importantissime e ne riportò i dati, i quali si riferiscono soltanto alla parte aerea delle
piante prodottasi in un anno, trascurando perciò la crescita delle radici nonché l'in-
grossamento avvenuto dei rami di 2 e più anni. Non venne neppure tenuto conto del
materiale di riserva che in autunno, dalle foglie emigra nei rami.
Quantità di elementi nutritivi
contenuti nelle singole parti della pianta.
Specie
della
pianta da
frutto
Pero.
Parte della pianta
Frutta
} Foglie
r Gettata da 1 anno .
Totale
V Foglie
( Gettata di 1 anno.
614.741
36.526
3.191
654.458
73.202
10.581
2.948
In 100 parti di sostanza verde
520.989
837.11
98.753
603.331
561.963
0.333
10.746
4.538
0.180
1.711
1.233
14.921
5.945
0.469
7.044
2.940
0.182
1.172
1.080
1.131
4.271
2.827
0.101
11.218
7.688
0.135
5.794
2.201
I 1.02 I 0.27 I 1.08 I 1.12 I 0.45
0.130
2.795
1.306
86.731 829.48 1.29 0.34 1.33 1.67 0.47
Cotogno . / Foglie
f Gettata di 1 anno.
Frutta Spolpa) . .
(nocciolo) .
Foglie
Gettata di 1 anno.
/ Frutta (polpa) . .
1 „ (nocciolo) .
/ Foglie
Gettata di 1 anno.
34.927
4.382
1.220
766.255
1.202
0.543
2.405
541.305
8.671
1.825
4.335
517.213
4.918
1.638
4.098
0.171
19.853
24.590
40.529 i 783.78 | 2.12 | 0.71 | 2.66 | 3.(
73.352
843.529
0.738
4.516
374.351
2.870
20.752
644.864
9.070
5.821
552.148
4.861
104.441
790.73
2.70 1
0.395
0.741
1.296
1.063
29.886
1.853
6.691
2.184
459.998
287.520
635.587
464.778
1.031
5.177
7.270
0.460 I
1.391
1.732 I
1.584 I
41.073 I 777.(
0.314
4.792
3.278
0.8
1.854
0.085
0,145
0.855
0.801
0.626
5.793
15.919
5.286
2.121
12.615
1.897
0.75 2.66 4.13 1.27
1.899
0.125
1.010
1.010
8.586
16.676
2.842
16.839
0.200
1.010
5.187
2.759
2.70 I 0.81 I 3.47 | 3.76 | 1.17
293
Per calcolare la ((iiantilà di materiali che veiiRono c.s|)orl;ill ria un ellaro ili lerrono
si è calcolato che possono essere piantati per ettaro 100 meli :t(Kl peri. :t(Mi peschi.
300 susini, 600 cotogni, mantenendo le distanze fra pianta e pi:inl.i ctu- -.i s.>t;li.,iii« «hirc
in America.
L'esportazione sarebbe indicata dalla seguente taliolla.
Tab. XXll.
Esportazione di materiali nutritivi
da un ettaro di terreno nella coltivazione delle piante da frutto
Parte della
pianta
Esportazione per ettaro in chilograrami
della pianta
II
04
3
<
■<
■il
J_
38.4
123
0.8
8
5
1
61474
3653
319
53054
1575
167
26
39.3
1.5
11.1
6.3
0.5
5.1
&1.4
3.9
8.2
Melo . .
Foglie
2Ì2
Gettate dell'annata .
Totale
0.7
65446
54796
66.8
17.9
71.5
73.4
30.1
Pesco
' Foglie
/ GeUate
dell'annata .
21961
3174
884
19183
1949 !
5011
10.2
21
2.4]
Totale
26019
21633 i
33.6 1
3.9
3.3
0.9 I
Xi.ì 2.7
12.3 , :m.8
2.4 6 ,
37.8 1 43.5
Cotogno. . ' Foglie
/ Gettate
dell'annata .
20956 17258
2629 1423
732 379
25.2
22.8
3.6
Totale
243171 19060
51.6
11.4 1
4.8
1.2 I
17.4 I 64.8
3.6 {
52.2.
18 I
73.8
Foglie
I Gettate
Susino . . , Foglie
' Gettate
dell'annata .
Totale
dell'annata .
Totale
23361 i 19750:
6226 4022
1746 i lOM,
20.1
57.3
7.5 1
9.6
41.1 1
2.4 1
9
372
107.4
1.8
3.6 1
19.8 1
IJi
12J{
6.6
12.6
2.1
21.6
45
Sii
3
31333 1 247761 84.9 1 20.4 | 81.9 | 129.6 1 39.9
9849 8110 i
2007 1292 I
655 328 I
15.3]
5.4
^'^ 1
3.6
3.6'
1.2
21 J ( 5.1
20.1 I 30.6
2.1 ; 11.4
12511 i 9730 1 33.9: 10.2' 43.5.1 47.1 | 14.7
i s
Boijojso} apijpiuv
12,2
13,5
19,4
17,8
13,8
11,3
17,1
12,8
11,6
13,2
8,4
12,7
7.4
10,3
8,8
8,8
11,6
11,8
9,8
9,4
ì^
BisaugBK
S- %' S- Jr S- SJ S- S- Sf :5- ^' %' ^- Jr 5- ^' ?l S- 5- S
aoiGO
& S' ;S' s s- § ^- & ^ 5 s s- S' :S' 2- s- s- s- § ^-
BSSBtOd
52,3
47,9
42,-
44,1
36,1
32,8
35,3
32,9
52,7
45,1
40,0
50,1
51,8
47,7
46,-
50,-
57,5
38,6
39,0
44,7
BDiJojsoi apijpmv
■
' 0,046
0,056
0,118
0,104
0,132
0,069
0,105
0,041
0,065
0,058
0,044
0,053
0,046
0,033
0,038
0,034
0,045
0,029
0,019
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294
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inTfeoi> It-io->j<coo> leoa5«OJ^i>«>,TCco I
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IO «o ■* co I 02 ' cD^ i> Ti l_^ i> Ti T(<^ Ti_ co Tj< o i> l_^
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aoiBO
0,033
0.022
0,039
0.037
0,156
0.089
0,070
0,028
0.08
0,049
0,029
0,036
0,012
0,021
0,03
0,024
0,025
0,016
0,02
0,015
BSSB;Od
0,197
0,198
0,255
0,258
0,343
0.200
0,216
0,105
0,295
0,198
0,208
0.208
0,32
0,153
0,199
0,193
0,225
0,095
0,076
0,09
ajana3
a^BlOOlBO
aXBXOZB azuBiSos
oiozv
0,201
0,182
0,250
0,231
0,259
0,263
0,133
0,142
0,141
0,104
0,177
0,130
0,102
0,120
0,127
0,138
0,136
0,055
0,07
ooiXBin opioB ]XBnb
l'xBIOOIBo' ipiov !
0,51
0,99
1,70
2,15
3,61
1,35
1,73
1,09
1,44
1,76
1,23
0,52
0,50
1,04
1,29
0,60
1,16
0,21
0,61
0.48
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— 295 —
Il Prof. Kulisch della Scuola di (leissciihciin, ha pubblicalo le scKuenli analisi de
terminale con frutta raccolte nel medesimo terreno (Tah. XXIIl).
I dati più attendibili che si hanno sulla esportazione della vile, sono i se;;uenli :
1-sportazione per ettaro di
Anidride fosforica Azoto Potassa
a) colla produzione di 48 hi. di vino,
assieme colle vinaccie e feccie .... >•,.') 20,— .v.\,m
b) coi germogli verdi, legno m. da un
ettaro di terreno, che produce 48 hi.
di vino . 17,— '.»2,2 .'>2,(i
e) esportazione complessiva per ettaro
producendo 48 ettolitri di vino. . . 2G,.') 117,2 Hl.ti
II Prof. Doti. Hilgard di Berkeley (California) fece altre analisi mollo inlcrcssunli
di frutta di cui riporto i dati principali :
■Susine .\lbioocchc
Peso medio del frutto 2;i.<> (i2,j
Polpa p. % !>4.2 i«,K.1
Succo p. % della jìolpa 83,1 !W,—
Acidità % del succo <juale anidrifle solforica 0,31 0.68
Zucchero p. % del frutto fresco 18,.t3 11,10
Acqua , . 72,82 85,16
Cenere , . 0„->78 0,491
Anidride fosforica „ „ 0,081 0.064
Azoto , „ 0.182 0,11M
Potassa , , 0,37 0,21»
Calce . 0,027 0,016
Magnesia . 0,032 0.018
2. — Da tutte queste cifre risulta evidente quaiìto segue :
a) Il contenuto di elementi nutritivi aumenta dalle radici al fusto,
da questo ai rami e dai rami alle foglie. Nei frutti invece diminuisce,
Sulle foglie e sui rami a frutto si accumulano i materiali dcslinali a
costituire e sviluppare il frutto.
b) Il nocciolo contiene più sostanze nutritive della jjolpa <lel
frutto.
e) La massima quantità di acqua e di sostanze organiche è con-
tenuta nei semi e frutti e, dopo questi, nei fusti e rami, i quali ultimi
però contengono il massimo di ceneri. Da ciò la necessità di concimare
largamente le piante giovani, i vivai, poiché collo sviluppo erbaceo che
si esige, si ha la massima esportazione di materiali minerali.
d) Allo sviluppo delle frutta inlluisce notevolmente l'acqua od a
meglio dire la freschezza del terreno. In un terreno arido si hanno
sempre poche frutta e poco saporite.
e) Una pianta da frutto esporta dal terreno colla sua vegetazione
in ordine decrescente la calce, la potassa, l'azoto e l'anidride fosforica,
nelle proporzioni di circa 8: 4: 3: 1:
/) Non tutte le parti della pianta contengono in eguale i)ropor-
zione i suddetti elementi.
- 296 —
Per ordine decrescente d' importanza abbiamo i seguenti risultati
radice
rami a legno
rami a frutto
foglie
frutta
1. calce
1. calce
1. calce
1. calce
1. potassa
2. azoto
2. azoto
2. azoto
2. potassa
2. azoto
3. potassa
3. potassa
l potassa
3.) edanidr.
3. azoto
3. anidride
4. anidride
4. anidride
4. anidride
fosforica
fosforica
fosforica
f fosforica
fosforica
4. calce
L'ordine decrescente d'importanza di ogni elemento per le singole
parti di una pianta è il seguente per
l'azoto
le foglie
i rami a frutto
„ legno
la radice
le frutta
l'anidride fosforica
le foglie
i rami a frutto
i frutti
le radici
i rami a legno
la
le foglie
i frutti
i rami a frutto
la radice
i rami a legno
la calce
le foglie
i rami a frutta
la radice
i rami a legno
le frutta.
Da questo si deduce :
aa) che volendo favorire lo sviluppo fogliaceo, bisogna dare la
massima e completa concimazione ;
bb) che avendo da concimare piante di normale sviluppo, con-
verrà attenersi alle proporzioni del capoverso 3 precedente, ma quando
si tratterà di ottenere più frutta piuttosto che legno o viceversa, quando
si tratterà di rinvigorire una pianta, deve differire anche la qualità dei
concimi.
g) Confrontando la composizione della cenere del legno con
quella della cenere delle frutta si osserva :
aa) nella cenere del legno prevale la calce, poi viene la potassa
e da ultimo l'anidride fosforica;
bb) nella cenere delle frutta prevale la potassa dalla metà ai due
terzi, poi l'acido fosforico e quindi la calce.
■ Come si vede, tanto per la formazione del legno che delle frutta,
notevole è l'importanza che ha la calce, ed ammettendo pure che la
maggior parte dei terreni ne contenga a sufficienza con tutto ciò, trat-
tandosi di terreni poveri, non potrà essere trascurata nei concimi anche
raggiunta di calce.
h) La composizione di una pianta e delle singole sue parti può
variare colla specie e col clima.
i) 1 frutti a bacca (compresa la vite), contengono la maggior quan-
tità di sostanze organiche e di azoto ; poi vengono le frutta delle
piante a nocciuolo e quindi quelle delle piante a granella.
l) Maggiore è la esportazione di sostanze minerali colle frulla
delle piante a nocciuolo, j)oi viene la vite e (juindi le piante a granella.
Da questo e da quanto è detto nel capoverso precedente si può dedurre
in via generale che alle piante a bacca ed a nocciuolo occorre un terreno
pili ricco, più fertile, più profondo delle piante a granella.
ni) Il legno del cotogno contiene la massima (juantilà di calce:
((uello del susino e del pesco ne contiene ([ualcosa meno ma non di
molto ; quello del pero e melo, notevolmente meno.
n) Le foglie del cotogno sono le più ricche di calce : seguono
ma non con una grande ditTerenza quelle di susino, pesco e melo.
Quelle di pero contengono la minor quantità.
a) La massima (luantità di azoto si trova nelle foglie di melo,
minore nelle foglie di pesco, cotogno, susino e pero.
p) Per l'anidride fosforica c'è poca diversità Ira una e l'allra
specie ed in generale ne contengono poca.
Le foglie di cotogno sono quelle che ne contengono di più. (|uelk'
di pesco, meno di tutte.
Il rapporto in cui si trovano le singole sostanze nutritive fra di loro
si rileva meglio dalla seguente tabella, preparala in base alle ci Ire di
analisi ottenute dalla Stazione di (ieneva l'America).
Anidride fostorica Potassa Calce .MaKiicsia
/
' Melo . .
. . 0.13
2.2Ó
0.20
0.32
(
l Pero . .
. . 0.36
2.24
0.24
0.30
F'rutto
1
Cotogno .
1 Pesco . .
V Susino. .
. . 0.46
. . O.il)
. . O.:^.")
2.-
2.05
1.43
0.15
0.12
0.13
0.27
0.23
0.1«
Fruito
in media 0.42
2.-
0.17
0.26
/ Melo . .
Pero . .
. . 0.16
. . 0.16
0.31
0.58
1.64
l.()(i
0..54
0.10
Foglie <
1
^ Cotogno .
) Pesco . .
[ Susino. .
. . 0.20
. . 0.16
. . 0.22
0.50
0.65
1.33
2.26
l.iK)
2.(»3
0.51
0..56
0.64
Foglie in media 0.18
0.67 1.1>0 0.54
q) Nelle diverse frutta, la cenere delle susine è la più n^-ca^di
potassa (63.83 7o); le albicocche ne hanno 50.36 7o ; » •>t;hi 55.83 % ;
l'uva 50.95 % ; gli aranci e limoni 48 7o-
/•; La calce fa molti maggiori dilTerenze nella cenere delle frutta.
La cenere più ricca di calce è quella del limone, 29.87%; gli aranci
22 70 7o; i fichi 11.30 7o; l'uva e le susine, 4 7o e le albicocche .H.l/» .
s) L'anidride fosforica rimane pressoché costante m tutte le
frutta. La cenere di limone ne contiene al minimo: 11,09 7o; quella di
arancio e pino 12%; quella di albicocche 13 7»; di susine 14 7o. La
cenere dell'uva ne contiene la quantità massima di 21.24 "/o-
- 298 -
t) Rispetto all'esportazione per ettaro di terreno coltivato, si nota :
aa) che la massima quantità di sostanza verde viene prodotta
dal melo. L'esportazione dal terreno fatta col melo è inferiore a quella
col pesco, quantunque questo dia la metà della produzione vegetale ;
bb) questa maggiore esigenza del pesco trova la sua ragione nella
rapida crescita di questa pianta. Al pesco segue il melo. Per queste due
piante quindi, l'agricoltore deve provvedere con più lauta concimazione;
ce) il cotogno, il susino ed il pero non sono troppo esigenti. La
relativa piccola quantità di sostanze che si verificarono pel pero è
giustificata dal fatto, che a Geneva si sottoposero all'analisi, delle piante
troppo giovani. In generale però, le piante a granella, avendo una cre-
scita non tanto rapida, esigono concimazioni, specialmente d'impianto,
meno abbondanti ;
dd) il pesco esporta la massima quantità di calce ed è più esigente
dello stesso susino. E' per questo che il pesco, se allevato in terreni
non calcari, dà frutti per qualche anno e poi questi diminuiscono ed
anche perdono di valore. L'esportazione di magnesia corrisponde circa
alla metà di quella della calce ;
ee) di azoto e potassa ne richiedono presso a poco circa la me-
desima quantità. Il melo ed il pesco sono però i più esigenti ; il pero
susino e cotogno ne richiedono molto meno. Una grande quantità di
potassa è richiesta per la produzione delle frutta mentre l'azoto serve
per le foglie ;
fP l'esigenza delle piante da frutto per l'anidride fosforica è ge-
neralmente modesta. Il pesco ne adopera la maggiore quantità mentre
il susino ne richiede la metà. 11 melo ed il cotogno si avvicinano fra
loro per esigenza di anidride fosforica.
u) Questi dati servono per dare una base al frutticoitore allo
scopo di fissare la concimazione. Ma poiché gli effetti della concima-
zione variano colla qualità dei concimi, col clima e col terreno, è
necessario prima di tutto di conoscere la qualità dei concimi che il
frutticoitore può adoperare e poi procedere per via esperimenlale prima
di fissare in base a terreno, clima e natura della pianta, il definitivo
modo di concimare.
VII.
Concimi naturali. — (Lo stallatico. - I terricciati. - Le
foglie, i germogli, i rami di potatura, ecc. - Il co-
laticcio, la pollina, la colombina, il pozzo nero, ecc.)
1. — Lo stallatico è il principale ed in molte località l'unico con-
cime applicato. Esso contiene tutte le sostanze nutritive necessarie;
volume mantiene soffice il terreno, lo migliora fisicamente, poiché
QOÌVhiinius e colle sostanze umiche che in esso si formano rende
- 299 -
più legali i terreni sciolti e più sciolti i terreni tenaci. Aumenta poi la
freschezza del terreno, rende solubili molti sali minerali lucendoli di-
sgregare, infine le sostanze umiche trattengono una quantitii notevole
di potassa, acido fosforico ed azoto, cosi che impediscono il dilava-
mento. Per questo complesso di proprietà, oltre alla facilità di averlo
in ogni azienda, lo stallatico ha una cosi larga applicazione.
Un capo di bestiame dà in un anno circa 2") volte del suo peso
in stallatico. Naturalmente la composizione di questo varia a seconda
dell'animale che l'ha prodotto, della qualità del foraggio consumato,
della qualità della lettiera adoperata ed infine del modo col quale lo
stallatico è stato conservato.
Come risulta dallo specchio che segue, lo stallatico di pecora e
poi quello di cavallo sono i migliori, perchè contengono in proporzioni
più concentrate, l'azoto, l'anidride fosforica e la potassa.
Analisi di deiezioni animali.
Un quintale dei seguenti concimi contiene in Kg.
Nome
dei concimi
Azoto
Anidride
fosforica
Potassa
Calce
Sostanza
organica
20.-?
25.4
31,8
25.-
21.2
19.2
14.5
20.-
0,7
'22.5
19,8
■2.4
Acqua
F-etame fresco (compresa la
lettiera) di
aj bovini
b) cavalli
cj pecore
dj maiali
Letame di stalla misto:
uj fresco
bj semi-decomposto .
e) maturo
dJ composizione media
normale
Colaticcio di stalla ....
0,34
0,58
0,83
0,45
0,39
0,50
0,58
0,50
0,15
1,&3
0,16
0.28
0,23
0,19
0,18
0,26
0,30
0.25
0,01
1.S1
0,40
0,53
0,67
0,60
0.45
0,63
0,.50
0,55
0.49
0.85
0,31
0.21
0.33
0,08
0.19
0,70
0,88
0,70
o.a3
2.40
77,5
71.3
64.6
72.4
75,-
75.-
79.-
75.-
98,2
56,-
Escrementi umani freschi .
Orina umana fresca
Pozzo nero puro
1, 1 1,10
0,60 0,17
0.55 1 0,28
0.25 0.62
0,20 0,02
0,20 1 0.10
77,2
96,3
«J3/.
Di questi se ne fa però un uso limitato inquantoclié raramente se
ne produce a sufficienza. Di più essi si decom|)ono presto, sono pron-
tamente attivi, richiedono concimazioni più freciuenti e talvolta dan-
neggiano anche le radici delle piante, producendo una specie di scotta-
tura, dovuta all'azione diretta dell'ammoniaca e dei sali che si svilup-
pano. È meglio con questi due letami fare dei terricciati, oppure
adoperarli pei terreni umidi e perciò freddi.
Il letame vaccino è quello più comunemente adoperato.
— 300 —
Quanto più conceiilrati sono gli alimenti, e meglio nutriti sono
gli animali, tanto migliore è anche il letame prodotto. Nei paesi viticoli,
dove non si abbonda di paglia, si adopera per lettiera lo strame dei
boschi. Sarebbe più vantaggioso adoperare la paglia dei cereali, perchè
si decompone meglio e più sollecitamente, formando una buona amal-
gama colle feci solide. Le foglie delle conifere sono molto meno de-
componibili delle altre foglie di castagno e quercia; le quali son o
anche più ricche in azoto e più povere di potassa della lettiera di
palude.
Lo stallatico fresco non si dovrebbe dare mai alle piante da frutto.
Conviene invece che sia applicato in ragione di 50 a 70 tonellate per
ettaro a metà decomposto, ossia ridotto in modo da formare un tutto
omogeneo, così da non discernere la lettiera dal fieno. Allora sol-
tanto gli alementi fertilizzanti hanno acquistato una definitiva stabi-
lità di forma e rendono più duraturo l'effetto del concime. Al più, nei
terreni tenaci, si può applicare dello stallatico meno decomposto.
Lo stallatico deve essere adoperato specialmente per gli impianti.
Colla aereazione che procura al terreno, favoi'isce la ramificazione
delle radici e lo sviluppo delle radici sottili che sono le più attive.
All'impianto, come abbiamo parlato a pag. 254, conviene però una ag-
giunta di raschiatura di corna, unghie, cascami di lana, peli, ecc., cosi
pure bisogna aggiungere dei concimi artificiali per fare le concimazioni
di mantenimento.
2. / terricciati. — Molto è stato scritto e discusso sui vantaggi dei
composti o terricciati. In generale, col fare dei terricciati, l'agricoltore
si propone di diluire un ingrasso potente (fimo cavallino, pecorino,
cascami di lana, di sostanze animali in genere) con una materia inerte
o poco attiva, oppure si tratta (quando si aggiunge della calce) di affret-
tare la disgregazione delle materie dure e resistenti, il di cui impiego
sarebbe ])oco comodo, la distribuzione difficile e la decomposizione
troppo lenta.
Per i molti e svariati materiali che si adoperano e per il modo
con cui vengono preparati i terricciati è evidente che la loro compo-
sizione è molto complessa e le sostanze nutritive si trovano in uno
stato facilmente assimilabile.
Sotto tutti i rapporti, il terricciato è uno dei migliori concimi che
si possa adoperare in frutticoltura. Sia che si tratti di fare degli im-
pianti, sia nei vivai, sia alle piante adulte, il terricciato è il concime
che dà i migliori risultati ed è il più economico.
11 terricciato per le piante da frutto non sarà però fatto di solo
stallatico e terra, bensì bisognerà mescolarvi spazzature di strade di
case e cortili, materie fecali umane, ceneri, calcinacci, foglie d'alberi,
i prodotti della potatura, pollina, fuliggine, ecc.
Questi miscugli rivoltati bene e di frequente, disgregati e bagnati
con urina o pozzo nero, hanno una composizione migliore dello stal-
latico, e si dovrebbero applicare ogni anno in ragione di kg. 50 per
pianta.
— 301 -
3. — Le foglie, i germogli prodotto dalla cimatura e scacchiatura. i
rami e tralci, gli avanzi delle coiiscruc, devono essere pure tenuli da
conto dal frutticoitore, per usarli, decomposti, quali concimi. Conviene
far decomporre queste sostanze macerandole con pozzo nero Dove
non si difetta di legna, si possono utilizzare per concime i rami caduti
colla potatura secca. Si tagliano i delti rami a pezzetti di 10 centi-
metri e si sotterranno in fosse che si fanno intorno ad ogni pianta,
oppure longitudinalmente, se le piante sono vicine una all'altra. Onesti
rami tagliuzzati rendono il terreno più soffice, formano in sette o otto
anni un buon strato di humus, vantaggioso per la freschezza che man-
tiene e perchè rende più facile lo smaltimento delle acque nei ter-
reni umidi. Naturalmente l'effetto di queste concimazioni si fa sentire
molto tardi ed in quelle località in cui vengono applicate, si usa me-
scolarvi dello stallatico, oppure si alterna la loro applicazione coi
concimi chimici.
4. — // colaticcio, la pollimi, la colombina, il pozzo nero, ecc., sono
pure molto convenienti pel frutticoitore. Questi materiali servono per
formare i terricciati, o per migliorare lo stallatico, oppure per prepa-
rare i concimi liquidi, di cui si parlerà nel prossimo capitolo.
Vili.
Concimi liquidi.
1. _ Uno dei mezzi più energici per favorire lo sviluppo delle
piante da frutto è incontestabilmente l'aiìplicazione degli ingrassi li-
quidi al momento in cui la vegetazione è più attiva. In questo mo-
mento appunto, le piante, hanno maggior bisogno di trovare nei terreno
dell'umidità che tenga in soluzione dei materiali nutritivi.
Coi concimi liquidi si ha il vantaggio di un pronto assorbimento, si possono appli-
care in ogni tempo e si fornisce la pianta di (juegli eleinenli di cui direltaincnle ha
bisogno.
Come abbiamo già veduto, parlando della piantagione, le giovani piante hanno
bisogno molto di frequente di concio liquido nella prima estate dopo fatto rimpianto,
così pure è molto utile l'applicazione dei concimi liquidi anche alle piaiMc adulte
durante l'anno, quando improvvisamente ci si accorge che incominciano a deperire.
Non trovo però conveniente di consigliare solo l'applicazione di questo sistema di
concimazione nella generalità dei casi.
Dalle osservazioni che ho potuto fare e che già riferii nelle pas.sate e.lizioni mi
risulta che, continuando per una serie danni colla concimazione liquida, questa riesce
pericolosa, perchè esaurisce presto la pianta, la fa invecchiare anzi tempo.
La concimazione liquida può trovare forse una applicazione conveniente ne. Irutlel.
coltivati molto intensivamente, dove può essere sostenuta la sposa di trasporto d acqua:
ma da noi generalmente, dove la fruUicoUura non ci rimunera ancora abbastanza,
dove dobbiamo anzi abituare le piante a sostenersi ad onta della siccità dove è de-
siderabile che le radici approfondiscano anziché svilupparsi alla superiic.e, la concima-
zione liquida l'applicheremo soltanto in casi speciali e cioè, quando si vorrà evitare
che lungo l'anno, una pianta abbia a deperire per mancanza di special, iiialcnal..
- 302 -
2. — Questi ingrassi si applicano alla sera al tramonto, o meglio
dopo una pioggia, acciò il terreno abbia modo di imbeversene pro-
fondamente. È indispensabile anche, che l'ingrasso arrivi alla estremità
delle radici, ossia in contatto delle radici capillari, e non resti né alla
superficie, né vicino al tronco.
A tale scopo, anziché aprire un fossatello intorno alla pianta, come si fa usual-
mente, è meglio fare, a perpendicolo dei rami estremi della fronda ed in giro al fusto,
tanti fori con dei pali di ferro, profondi 50 centimetri. In Svizzera e in Germania si
applicano dei pali iniettori appositi o delle trivelle. Di queste la più economica è quella
di Bohlken. Invece di adoperare dei pali si possono fare, alla medesima distanza dal
fusto, delle buche cilindriche di 20 centimetri di diametro e profonde 50 centimetri, in
modo che le pareti di queste buche rimangano porose ed il concio liquido passi un
poco alla volta nel terreno. Alla sera si riempiono di concio e poi si coprono con stra-
maglia, finché il liquido scompare dalla buca che poi si chiude. Di queste buche se ne
fanno da 4 a 5 a seconda dello sviluppo della pianta. Dovendo lungo l'anno ripetere la
concimazione, si possono tenere aperte le buche con dei tubi di drenaggio, i quali tubi
si riempiono con stallatico quando non sono pieni di liquido.
Il numero dei fori dipende naturalmente dalla quantità di concio che si deve dare.
Dovendo mantenere esclusivamente con concio in soluzione una pianta di 10 anni delà
che dà un quintale di frutta all'anno, bisognerebbe naturalmente darle .300 litri di so-
luzione.
La concimazione liquida si può fare in tre periodi e cioè: in pri-
mavera, quando la pianta entra in vegetazione, per favorire lo svi-
luppo del legno e delle foglie ; in agosto-settembre, per favorire la tras-
formazione delle gemme a legno in quelle a frutto; e intorno alla metà
di ottobre, per immagazzinare nei rami delle sostanze di riserva.
Non bisogna però mai dare tutto il concio in una volta, perché
andrebbe disperso; ma invece ad intervalli di una settimana per un
mese di seguito, acciò le radici abbiano tempo di assimilare le sostanze.
3. — Vediamo ora come si preparano i conci liquidi.
Per preparare i conci liquidi conviene avere a disposizione una
vasca di cemento.
Il concime per il primo periodo deve contenere dell'azoto e della
potassa per promuovere la formazione del legno e delle foglie.
A tale scopo si possono adoperare :
aj Kscrementi umani ed animali, così pure cascami di animali, pelli, sangue ecc.
Si mettono tutti nella vasca, vi si aggiunge della calce, dell'acido solforico per favorire
la decomposizione, e del solfato di ferro per fissare le sostanze volatili in ragione di
1 chil. per ettolitro. Quando hanno finito di fermentare, il che si sollecita mescolando
di frequente, si allunga con acqua in ragione di 25 volte il loro volume. Filtrando poi
il liquido attraverso una tela, lo si somministra alle piante.
b) L'orina fermentata, allungandola con acqua, nel rapporto di 1 a 25. Si conosce
che l'orina ha terminato di fermentare quando, mescolandola, non fa più schiuma.
e) Fimo bovino, aggiungendo dell'acqua nella vasca in rapporto di 1 a ^0. Si
mescola per bene ogni giorno, e dopo 12 giorni si può applicare direttamente alle
piante, purché abbia terminato di fermentare.
d) Fimo pecorino, nello stesso modo, soltanto bisogna metterlo in macerazione
in una maggiore quantità d'acqua e cioè nella proporzione di 1 a 40.
ej Per dare la potassa conviene preparare le soluzioni separate e mescolarle coi
concimi sopra indicati al momento dell'applicazione.
I materiali per dare potassa sono: la cenere (1 : 30 d'acqua), mancando cenere,
potassa del commercio (1 : 800 litri d'acqua), oppure solfato di potassa (1 : 1000 litri d'acqua.
Nel concime del secondo periodo, devono invece prevalere l'anidride
fosforica e la potassa. Per entrambe si adopera :
a) polvere d'ossa (1 : 400 litri dacc|ua);
b) farina di sangue (1 : 400 „
e) perfosfato (1 : 500 „
d) colombina (1 : 100 „
per la potassa come sopra.
Nel concime del terzo periodo devono prevalere nuovamente l'azoto
e la potassa, quindi si ripeterà la concimazione del primo periodo.
Considerando i concimi liquidi quali conipleuientari della concimazione normale
è evidente che i materiali, che devono essere contenuti nella soluzione, devono variare
a seconda dei casi e dello scopo che ci si prefigge.
Ad una pianta bene sviluppata, di 10 anni d'età e che dà un quintale di frulla, si
può dare un ettolitro in soluzione in 4 volte alla distanza di una settimana; trattandosi
di una piramide o di un mezzo fusto sono sufficienti iiO litri e cosi via, sempre in pro-
porzione alla produzione della frutta.
Da ultimo voglio ancora osservare, che non tutte le specie di piante
avvantaggiano egualmente colla concimazione li(|uida. Ho osservalo ad
esempio che il susino, la vite, l'avellano ne approlìttano meglio dei
ciliegi, dei peschi, degli albicocchi e dei mandorli. .\1 noce essa è dan-
nosa, poiché dà pochissimi frutti e nell'inverno e gelano facilmente le
ultime gettate, li pero ed il pomo ne approlìttano più di tutte le specie
di piante.
IX.
I concimi potassici.
La composizione di questi concimi, che sono di prima imi)oit:mza
Ira i concimi artificiali, è data dalla tabella XXV.
Abbiamo già visto che dopo la calce, la potassa è uno degli ele-
menti più importanti per la concimazione.
Nei terreni per le ordinarie coltivazioni a cereali, concimate in
rotazione con stallatico, vi ha di solito una quantità sufficiente di po-
tassa. Trattandosi però di piante da frutto come anche per le viti, che
hanno una maggiore esigenza, occorre importare della potassa, poiché
quella del terreno o non è sufficiente, o non si trova in uno stato as-
similabile.
1. - 1 sali, che possono servire a dare la potassa, sono anzitutto
i prodotti greggi delle saline di Stassfurt. Questi, come la kainite, la
carnallite, la silvinite, contengono dal 9 al 20 % di potassa, ma hanno
l'inconveniente di avere anche (vedi Tab. XXV) del cloruro di sodio,
del cloruro di magnesio, del solfato di magnesia, i quali, se dati nei
terreni aridi e leggeri servono a trattenere l'umidità e mantenerli più
freschi, ma nella generalità dei terreni, che non soffrono per umidità,
- 304 -
danneggiano le radici delle piante colle quali vengono in contatto. A
questi danni sembrano più sensibili le piante che si trovano in terreni
non leggeri : gli albicocchi e i peschi più dei ciliegi, peri e meli.
Ad evitare questi danni conviene somministrarli nell' inverno, per-
chè, prima della ripresa della vegetazione, abbiano modo di ripartirsi
e trasformarsi nel terreno.
Nell'acquisto, s'abbia cura di garantire la ricchezza in potassa so-
lubile e conoscere le proporzioni allo stato di carbonato, cloruro e
solfato.
L'applicazione dei sali greggi in Italia è cominciata appena da
qualche anno, perchè le spese di trasporto li rendevano troppo cari e
conveniva l'acquisto dei sali depurati. Ora però ne vengono inìportati
e la loro applicazione è consigliabile, specialmente per i terreni calcari
a sottosuolo permeabile.
Tab. XXV. B. Analisi completa dei sali di Stassfurt.
NOME DEI SALI
(in 100 parti sono contenute)
2 "
"o a-
C/2.-
o
£ 2
o o
•a
2 1
3 "3
.2°
i
si 1
^11
<
Conte
potass
luto di
garan-
tito
A. Nei prodotti greggi
1. Cainite
23
21,3
,6
2,0
14,5
12,4
34,6
1,7
0,8
12,7
12,8
12,4
2. Carnallite. . '
—
15,5 14,1
21.5
22,4
1,9
0,5
26,1
9,8
9,0
.3. Silvinite
5,2
28,3
3,6
1,8
51,3
1,8
4,2
3,8
20,7
15,0
B. Sali preparati (concentrati)
aj Sali fosfatici senza cloro :
1. Solfato di potassa al ! ^^Ij ' '
97,2
90,6
0,3 0,7
1,6 1 2,7
0,4
1,0
0,2
1,2
0,3
0,4
0,2
0,3
0,7
2,2
52,7
49,9
51,8
48,6
2. Solfato di potassa e magnesia .
50,4
- !34,0
—
2,5
0,9
0,6
11,6
27,2
25,9
b) Sali solfatici con cloro :
V 90-95 Y„ .
3. Cloruro di potassio - 80-85% .
_
91,7 0,2
0,2
7,1
—
0,2
0,6
57,9
56,8
—
83,5 0,4
0,3
14,5
-
0,2
1,1
52,7
50,5
(70-75% .
1,7
72,5 0,8
0,6
21,2
0,2
0,5
2,5
46,6
44,1
4. Sali calcinati col massimo . .
—
44,5 |22,5
4,6
12,4
2,9
5,3
7,8
28,1
20,0
5 „ „ col minimo. . .
—
25,6 31,1
6,3
10,3
3,5
10,6
12,6
16,2
15,0
Carbon.
doppio di
Carbon.
di ma-
Carbonato doppio di potassa e ma-
potassa
gnesia
.
gnesia
40
,-
X
5,6
1,0
25,4
18,8
18,5
NE. 1 Kg. di cloruro di potassio puro corrisponde a Kg. 0,63 di potassio : o inversa-
mente, 1 Kg. di potassa corrisponde a Kg. 1,585 di cloruro di potassio puro.
1 Kg. di solfato di potassa puro corrisponde a Kg. 0,54 di potassa ed inversamente.
Kg. di potassa corrisponde a Kg. 0,851 di solfato di potassa.
2. — I sali potassici preparati, sono depurati dai sali nocivi alla
vegetazione.
Di questi ne abbiamo tre: il cloruro di potassio che contiene in-
circa dal 44 al 57 % di potassa; il solfato potassico dal 48 al 52% di
- 305 -
potassa; il solfato doppio di potassa e magnesia (26% di potassa), il
quale, oltre la potassa, contiene la magnesia, clìe può essere utile per
molti terreni.
Nel cloruro di potassio noi abbiamo la potassa più a buon mercato,
ma per l'eccesso di cloro che contiene riesce talvolta dannoso alla
vegetazione. Nei terreni sprovvisti di calcare, il cloruro è più nocivo
che utile ; bisogna riservarlo ai terreni calcari con sottosuolo per-
meabile e per quelli che non soffrono ordinariamente di siccità. Si im-
piega di inverno.
Il solfato di potassa viene generalmente preferito, sia perchè non
contiene che pochissimi cloruri, sia perchè si adatta a tutti i terreni,
sia perchè per l'acido solforico che contiene, riesce più attivo e di più
pronto effetto. E meglio però evitare il solfato che contiene di meno
del 46 7o di potassa. Si sparge pure d' inverno. Del solfato doppio di
potassa e magnesia, si fa poco uso.
Di potassa si possono fare generalmente delle forti anticipazioni,
perchè il terreno, specialmente l'argillo-calcare, trattiene con molla
energia la potassa. Nei terreni sabbiosi, poveri di Imimis, ed in (|uelli
cretacei, o calcari, o torbosi, la potassa viene molto trattenuta.
La potassa per essere assimilata, deve trasformarsi in carbonaio,
ciò che avviene in contatto dei carbonati calcari. L'uso quindi della
potassa rende i terreni sempre meno ricchi di calcare, da ciò anche
la convenienza di unire ad ogni concimazione potassica, dei concimi
calcici. Questo spiega il danno, che possono arrecare i concimi potas-
sici, nei terreni poveri di calce.
Il danno che il cloruro arreca alle piante, lo si spiega nel seguente
modo. Il cloruro decomponendosi, mette in libertà il cloro, il (|uak'
combinandosi colla calce forma il cloruro di calce che se non viene
dilavato dall'acqua, danneggia le radici.
X.
Concimi fosfatici. — (Perfosfati. - Perfosfato doppio. -
Polvere d'ossa. - Scorie Thomas. - Fosfato d'am-
moniaca. - Fosfato di potassa).
1. - Quantunque le piante da frutto richiedano poca quantità di
anidride fosforica, tuttavia bisogna tenere conto di questo elemento
importante, non soltanto perché i terreni ordinariamente coltivali sono
esauriti, ma perchè anche l'anidride fosforica ha una nolevole influenza
sullo sviluppo ed attechimento dei frutti. Recenti esperienze hanno
dimostrato che i migliori vini si ottengono dai terreni più ricchi di
anidride fosforica.
20 — Tamaro - FrutticoUura.
- 306 -
In frutticoltura, per dare l'anidride fosforica, si sogliono adoperare
concimi indicati nella Tabella seguente.
Analisi dei pi'ineipali concimi fosfatici.
Perfosfato
Perfosfato doppio . . .
Polvere d'ossa normale
Scorie Thomas
Fosfato d'ammoniaca
„ di potassa. .
NB. 1 Kg. d'anidride fosforica corrisponde a Kg. 2,183 di fosfato di calce
puro ed inversamente 1 Kg. di fosfato di calce puro corrisponde a Kg. 0,458
di anidride fosforica.
I perfosfati convengono a tutti i terreni, meno a quelli acidi e
sono propri particolarmente ai terreni calcari — anche se calcari
puri, oppure argilloso — calcari o siliceo — calcari (basta che conten-
gano qualche centesima parte di calcare per dichiararli tali), oppure
nei terreni silicei puri ed aridi, privi di humus; o infine nei terreni
granitici, ina ad elementi grossolani friabili e inconsistenti.
L'epoca dell'applicazione non ha quella importanza che ha per i
concimi potassici ed azotati, poiché le pioggie non fanno disperdere i
perfosfati. Generalmente in frutticoltura si applicano durante od alla
fine dell'inverno.
2. — Il perfosfato doppio contiene in un piccolo volume una quan-
tità notevole di anidride fosforica assimilabile ed in molti casi, come
negli impianti di collina, può esserne conveniente l'impiego per dimi-
nuire le spese di trasporto. S'impiega circa la metà ed anche meno, in
proporzione del perfosfato semplice, ma la sua distribuzione è pii!i
difficile.
3. — La polvere d'ossa non sgelatinata contiene l'anidride fosforica
insolubile e perchè questo agisca sulle piante, bisogna che si decom-
ponga la gelatina. Da questa decomposizione ne derivano delle sostanze
umiche che agiscono sul fosfato di calce tribasico. Se invece si opera
con polvere d'ossa sgelatinata, conviene usar assieme dello stallatico,
poiché l'humus di questo, agisce come quello della gelatina.
L'anidride fosforica della polvere d'ossa ha poi la particolarità, di
non venire trattenuta negli strati superficiali del terreno come quello
dei perfosfati, ma invece passa negli strati sottostanti ; da ciò la note-
vole importanza della polvere d'ossa nella concimazione delle piante
da frutto, poiché con essa abbiamo il mezzo di alimentare anche le
radici più profonde.
— 307 —
Gli effetti della polvere d'ossa sono tanto più sensibili quanto più
finamente è macinata, e mescolandovi del gesso, il ([uale allVelta la de-
composizione delle sostanze organiche.
Si adopera di preferenza pei terreni sabbiosi, poco fertili.
4. — Le scorie Tlwiìias non devono contenere meno del ir)",„ di
anidride fosforica, della quale almeno il 75 % deve essere solubile
negli acidi. Secondo Wagner, il fosfato sarebbe qui telrabasico e for-
merebbe un composto di facile decomposizione in alcuni k'rreni, causa
la temperatura elevatissima colla quale si ottengono le scorie. Olire
all'anidride fosforica è da notarsi la considerevole quantitii di calce
(48.5 7o) che contengono, di cui una parte allo stato di calce viva.
L'azione delle scorie ha una durata di 3 a 4 anni, ('convengono
specialmente nei terreni non calcari, argillosi, argilloso-silicei o siliceo-
argillosi, più o meno comi)atti o d'origine granitica, di una sufficiente
consistenza anche se composti dì elementi fini ; oppure in terreni
sempre non calcari, ricchi di materia organica, torbosi, acidi ed umidi.
Difatti gli acidi umici dei terreni torbosi ed acidi, facilitano l'as-
similazione dell'anidride fosforica delle scorie; di più la calce che
contengono unitamente al carbonato e silicato di calce neutralizzano
l'acidità e facilitano la decomposizione della materia organica col favo-
rire la nitrificazione. Dunque le scorie oltre ad essere un elemento
concimante funzionano da ammendamento.
Le scorie si danno pure d'inverno in modo, che colle pioggie e
colla umidità della neve possano, prima della ripresa della vegetazione
venire in contatto delle radici capillari, le quali disciolgono ed assor-
bono il fosfato.
5. — Il fosfato d'ammoniaca ha il grande vantaggio, di portare con
un piccolo volume una notevole quantità di anidride fosforica e di
azoto prontamente assimilabili. Per la grande coltura, questo sale non
ha avuto fino ad ora una larga applicazione, ma bensì in frutticoltura
e specialmente per le coltivazioni in vaso, nella formazione dei cosi-
detti sali nutritivi. Ad esempio il sale nutritivo di Wagner è composto di
parti 30 di fosfato ammonico
„ 25 „ nitrato di soda
„ 25 „ nitrato potassico
20 „ solfato ammonico
Si scioglie nell'acqua nella dose di 1 grammo per litro
Per rifornire il terreno dell'anidride fosforica che csporlii una
pianta da frutto occorrerebbero ogni anno gr. 5 di anidride fosforica
per metro quadrato (vedi cap. VI pag. 289) eppcrciò per ettaro una
delle seguenti quantità :
Perfosfato kg. 300
„ doppio « 1^
Polvere d'ossa -^ 250
Scorio Thomas .... . WO
- 308 -
e. — Il fosfato di potassa è preparato dalla ditta Albert di Bibrich
e fino ad ora viene adoperato limitatamente, ma esso avrà un avvenire
nella frutticoltura intensiva, contenendo una notevole quantità assimi-
labile di anidride fosforica e potassa. Serve eccellentemente per cor-
reggere lo stallatico.
XI.
I concimi azotati.
1. Solfato aiumonico. — Esso proviene dalle acque di condensazione
del gas e contiene il 20-21 % di azoto ed una purezza di 94-99 %
(1 kg. di azoto ammoniacale corrisponde a kg. 4.714 di solfato). È molto
solubile nell'acqua e non si disperde facilmente, perchè viene tratte-
nuto dal potere assorbente del terreno. In tal modo rimanendo più a
contatto delle radici, queste possono assorbirlo per la quasi totalità.
Noi sappiamo che le piante assorbono l'azoto per mezzo delle radici
sotto forma nitrica, ma giova avvertire, che l'azoto del solfato ammo-
niaco nitrifica abbastanza presto, purché il terreno sia sufficientemente
umido (3-15 % di umidità) abbia una temperatura compresa fra i 10"
e 40*^ e contenga una certa dose di calcare.
11 terreno quindi più adatto per l'applicazione del solfato ammonico
è l'argilloso-calcare.
Per la proprietà che ha il solfato ammonico di non essere facil-
mente trasportato dalle acque, non si deve credere di poterlo spargere
fin dall'autunno in quantità molto forti, poiché se é vero che esso
rimane diffuso ed in buona parte inalterato durante l'inverno — nel
qual tempo non ha la temperatura sopra indicata — al sopraggiungere
della primavera, il solfato nitrifica prontamente e l'azoto nitrico si
disperde. Epperciò nella coltivazione delle piante da frutto, non con-
viene dare tutto l'azoto necessario in autunno col solfato ammonico,
ma in parte soltanto col solfato ed in luglio-agosto durante la vegeta-
zione, col nitrato di soda. Nei terreni poi molto leggeri od eccessiva-
mente calcari, nei quali la nitrificazione é rapida, il solfato ammonico
devesi dare in luglio agosto in modo che nitrifichi e possa essere
assorbito subito dalle piante durante l'autunno. Quest'ultima avvertenza
si deve avere specialmente pei paesi meridionali, dove la mitezza del-
l'inverno favorisce di più la nitrificazione.
Lo spargimento si fa assieme cogli altri concimi chimici, sotter-
randolo, purché i concimi non contengano della calce libera o calcare
(come le scorie) perchè in contatto col carbonato di calce si forma del
carbonato ammonico che volatilizza.
Si può anche mescolarlo con letame. Se ne possono dare fino a
kg. 300 per ettaro.
2. — Nitrato di soda o Salnitro del Chili, è il concime azotato per
eccellenza, che contiene dal 15 al 16 % di azoto nitrico, avente una
- 301) -
purezza del 91-97 7„ (1 kg. di azoto nitrico corrisponde a kg. 6.070 di
nitrato di soda puro, inversamente kg. 1 di nitrato di soda puro, cor-
risponde a kg. 0.165 di azoto).
II nitrato ha un'azione pronta ed è adatto per dare rapidamente
vigoria alle piante, specialmente se sono vecchie, ed hanno radici
profonde o se sono deperite per insufficienza di alimentazione. 11 ni-
trato rende anche assimilabili molti materiali del terreno, e mantiene
questo più fresco.
Lo si applichi contrariamente a quanto venne suggerito lino ad
ora, non in primavera, perchè le piante al risveglio della vegetazione
hanno sufficienti materiali di riserva per germogliare ma durante l'anno,
in giugno e luglio, a piccole dosi, in modo da dare agio alle piante di
poterlo meglio utilizzare. Non bisogna però che il nitrato venga in
contatto delle radici perchè, per la sua azione caustica, riuscirebbe
dannoso. Conviene sotterrarlo con leggera zappatura.
II nitrato devesi dare da solo e mai mescolato specialmente coi
perfosfati. Portato nel terreno, il nitrato forma dei nitrati di potassa e
di calce che sono direttamente assimilati dalle piante. Ciò spiega la
necessità, per avere un eflelto dal nitrato, di aver in antecedenza prov-
veduto sufficientemente il terreno di calce, potassa ed anidride fosforica.
Per gli impianti ; a complemento del solfato ammonico o di altri
concimi impiegati, per le piante deperenti ; per completare l'azione
dello stallatico, il nitrato di soda ha una larga applicazione nella frut-
ticoltura.
Sciogliendosi facilmente nel terreno, anche se dato alla superfìcie,
arriva in contatto delle ultime radici, anzi la sua azione sulle piante
vecchie non si può spiegare diversamente. Se ne può dare fino 4(K) kg.
per ettaro, ma si ricordi, che se dato in forti dosi incrosta il terreno.
3. Nitrato potassico. — Esso contiene 12-1;!.') 7„ di azoto nitrico e
42-45 7o di potassa solubile. Queste percentuali corrispondono ad una
purezza di 90-92 7o- (1 kg. di azoto nitrico, corrisponde a kg. 7.214 di
nitrato di potassa: 1 kg. di potassa corrisponde a kg. 2.149 di nitrato
di potassa pura; inversamente, 1 kg. di nitrato di potassa corrisponde
a kg. 0.139 di azoto nitrico ed a kg. 0,465 di potassa).
Non si usa troppo di frequente questo sale perchè troppo caro
(L. 50 al quintale), ma del resto con esso si hanno degli effetti sor-
prendenti, specialmente per le piante da frutto e le viti. Si adopera nello
stesso modo ed in quantità eguale a quella indicata pel nitrato di soda.
4. — La calciocianainide, contiene 11 % di azoto e 40-12 7» di calcio.
È efficace specialmente nei terreni umidi privi di calcare ed ha
una azione alquanto più lenta del solfato ammonico. In presenza del-
l'umidità si trasforma gradatamente in carbonato di calce ed ammoniaca.
Il costo dell'azoto sarebbe di '/s inferiore a quello del nitrato. La cal-
ciocianamide è il migliore concime azotato che si possa mescolare alle
scorie e che si può impiegare pei terreni non calcari.
5. — Il nitrato di calcio è un altro composto ottenuto artificialmente
ed ha eguale efficacia del nitrato. Finora ce n'è poco in commercio.
- 310 —
XII.
Concimi calcici.
1. — Le piante da frutto abbisognano molto di calce, come ab-
biamo già visto nei precedenti capitoli trattando della loro compo-
sizione. Le piante a nocciolo sono più esigenti di quelle a granella.
Delle piante a granella vi ha una notevole differenza fra le esigenze
del pero e quelle del melo. 11 melo richiede difatti quasi una quan-
tità doppia di calce in confronto del pero, con ciò si spiega perchè
noi troviamo molto di frequente nei terreni poveri di calcare e sciolti,
delle vigorose e bellissime piante anche adulte di peri, mentre i meli
nelle medesime località crescono stentati e vengono colpiti dalla rogna
o dal cancro. Dei peri poi, quelli innestati sul cotogno richiedono più
calce di quelli innestati sul selvatico.
Delle piante a nocciolo, specialmente le foglie contengono molta
calce. Le ciliegie dolci richiedono una quantità tripla di calcare in
confronto del susino. Praticamente anche si sa, che se noi nell'impianto
delle piante à nocciolo adoperiamo molti calcinacci, le preserviamo
per molti anni dalla gomma. Anche il noce è molto esigente per la calce.
È stata notata la notevole influenza della calce sulla qualità delle
frutta a nocciolo e sul contenuto di zucchero. Nei terreni poveri di
calce non è possibile avere varietà apprezzate, di pesche, susine, albi-
cocche. Esse per lo più rimangono piccole, acide e facilmente cadono
prima di maturare.
2. — In frutticoltura per dare la calce si adoperano i calcinacci,
la calce viva, il carbonato calcare ed il gesso. L'eft'etto dei concimi
calcici sulle piante da frutto è sempre subordinato alla presenza di
lutti gli altri materiali nutritivi nel terreno.
I calcinacci contengono del gesso, carbonato di calce e sabbia, una
certa quantità di nitrati di potassa, calce e di soda (2-10%) ed altri
sali solubili come fosfati, carbonati e cloruri. Si impiegano polverizzati,
alla dose di 150-200 ettolitri per ettaro, specialmente nel momento
degli impianti.
La calce, se è allo stato di calce viva, molto grassa contiene in circa
il 25 7o di calce pura. È meglio dare la preferenza per i terreni tenaci
alla calce grassa. La calce viva arresta per il momento la nitrificazione
dell'azoto organico, ma, dopo qualche tempo, gli dà una attività mag-
giore e favorisce anche l'assimilazione della potassa, che si trova nel
terreno. Si dà nell'autunno in ragione di 300 a 500 gr. per m.^ ogni
di 5-6 anni. SÌ può anche adoperare della calce sfiorita ed a questo
scopo si porta a cumuli la calce sul campo coprendola con terra.
Passato qualche tempo si distribuisce la massa sul terreno e si vanga.
Negli impianti, conviene pure mescolare della calce alla terra scavata.
- 311 -
Il gesso contiene, quando è crudo, in media 30% di calce, 41 "'„ di
acido solforico e 19% di acqua. La purezza del gesso viene determi-
nata in base all'acido solforico.
Per gli elletti non vi ha dillerenza fra il gesso crudo ed il gesso
cotto. Col gesso si jìorlano nel terreno due elementi importanti : la
calce e l'acido solforico. 11 gesso oltre portare la calce, favorisce la
nitrificazione delle sostanze organiche azotate del terreno e l'assimila-
zione della potassa. Per la sua azione eccitante, non conviene dare del
gesso da solo, ma mescolandolo ad altri concimi. Perchè le colture ne
profittino bisogna però che il terreno sia argilloso.
Si dà durante l'inverno ed in quantità variabile, lino a 1(1 (juintali
per ettaro.
Il carbonaio di calce o anche le marne calcari convengono pei lei-
reni sciolti. Bisogna perù che siano polverulenti e darne in (juanlilà
doppia della calce viva.
XIII.
Concimi animali diversi.
1. — Oltre il colaticcio, la pollina, la colombina, il pozzo nero, di
cui è stato trattato nel Cap. Vili, si adoperano, in frulticollura, altri
concimi animali, che sono indicati nel seguente quadro.
Tab. XXVII.
Analisi di concimi animali diversi impiegati in frutticoltura.
1. Carne secca
2. Cuojattoli
3. Crini e peli
4. Crisalidi di bachi da seta.
5. Guano di pesce
(5. Lanino
7. Letto dei bachi
8. Piume e penne
9. Polvere e cascami di corna . .
10. Polvere e raschiatura di corna
11. Polvere di sangue
12. Rasatura di pelli
13. Stracci di lana
7-14
8,0
12,7
0,8
7,5
4,0
1,63
14,17
5,2
10,2
11,8
5,6
8.0
Anidri-
de fo-
sforica
0,3-1
0,8-1,2
9,1 I
0,2
1,55 '
l"^ I
5,5 j
1^ I
0,3-0,8
1,4-1,6
3,28
0,3
0,7
0,15
Sosunù
org«nlc«
Aequa
%
84,6
86,26 12,96
1 _
i —
1 56,0
i 10,0
68,5
, 8,5
78;4
; 13,4
773
t 8.6
Tutti questi concimi sono di più o meno lenta decomposizione, in-
quantochè il loro azoto, quantunque in quantità rilevante, si trova allo
312
stato di combinazioni organiche (albumina e fibrina animale e vegetale)
e devesi trasformare in azoto ammoniacale e nitrico.
Rispetto alla prontezza della loro azione, si possono classilìcare
come segue, in ordine decrescente :
Tab. XXVIII.
Azione dei concimi animali diversi.
1. Crisalidi di bachi da seta
2. Letto dei bachi da seta
3. Polvere di sangue
4. Polvere di carne
5. Guano di pesce
1. Polvere e raschiatura di
di corna ed unghie
2. Polvere e cascami di corna
3. Lanino
4. Piume e penne
5. Crini e peli
1. Stracci di lana
2. Cuojattoli
3. Rasatura di pelli
Considerato perù che gli effetti di questi concimi possono variare
colla qualità del terreno, colla natura della pianta e col clima, questa
classificazione si può ritenere buona per norma generale, ma spetterà
al frutticoitore di provarne praticamente gli effetti nel suo terreno.
A priori, per le concimazioni straordinarie, quando si tratterà di
rimettere in vigoria una pianta, che sofferse specialmente per mancanza
di azoto, converranno i concimi di pronta assimilazione. La loro ap-
plicazione converrà pure quando si vogliono ripetere ogni anno le
concimazioni su ogni pianta.
Se si tratterà invece, di mantenere una pianta in ordinaria vege-
tazione (ossia per la concimazione di mantenimento) converrà l'appli-
cazione dei concimi di lenta decomposizione.
Infine, negli impianti, quando si vorrà dare una larga provvista al
terreno di elementi fertilizzanti che rimangono per molti anni a dispo-
sizione della pianta, si ricorrerà ai concimi di molto lenta decom-
posizione, i quali serviranno anche per rinvigorire una piantagione
trascurata. Allora questi concimi di lenta decomposizione, incorporati
nel terreno, coi lavori profondi che in tale occasione si sogliono fare
per togliere le malerbe e per aereare il terreno, unitamente a quelli
di pronto effetto, danno sicuro affidamento di buona riuscita.
Ed ora entriamo in particolarità sui singoli concimi.
2. — Le crisalidi ed il letto dei bachi da seta, si applichino mesco-
landoli prima con altrettanta terra asciutta, oppure meglio coi terricciati
o col letame. La concimazione si fa durante l'inverno.
3. — La polvere di sangue nitri fica un po' meno rapidamente delle
crisalidi, ma il suo effetto è più lungo. Si applica durante l'inverno.
Avendo del sangue fresco da utilizzare, conviene coagularlo prima
con solfato ferroso (5 %) o con calce viva, e mescolarlo con terricciati.
4. — La polvere di carne si dà in autunno e si seguono le mede-
sime norme indicate per i precedenti concimi.
5. — Il guano di pesce, ha un notevole potere fertilizzante. Esso
contiene, oltre l'azoto, una rimarchevole quantità di anidride fosforica
— 313 —
e di calce. Conviene specialmente pei terreni sciolti ed è di pronta
azione, cosi che si può impiegare oltre che per gli impianti anche per
le concimazioni di mantenimento. Conviene darlo in autunno.
6. — La polvere e le raschiature di corna ed luif/liie, la polvere e ca-
scami di corna, il lanino, le piume e penne, crini e peli, per la loro
lenta decomposizione, devono essere mescolale alcun tempo prima
dell'autunno con letame o terricciati, a cui si può aggiungere del per-
fosfato, della cenere, del colaticcio, del cloruro di potassio, deve
rimestare il tutto assieme, anche coi prodotti della cimatura delle piante
e della potatura (l'ami tagliuzzati, pampini, germogli, ecc.). Si mescola
di frequente questa massa ed in autunno, si fa la concimazione.
7. — Per gli stracci di lana, cuojattoli e rasature di pelli si opera lo
stesso ed essi servono specialmente per gli impianti. Dovendo adope-
rarli per concimazione di mantenimento, bisogna preparare i suddetti
miscugli un anno per l'altro e si applicano pure in autunno.
XIV.
Altre sostanze fertilizzanti
che si possono impiegare in frutticoltura.
Queste sono indicate nella Tabella XXIX a pag. seguente.
1. — Le alghe marine sono molto utili per gli impianti e per altre
concimazioni alle piante arboree ed i paesi lungo le sjjiaggie del mare
ne possono trarre profitto. A tale scopo, ammucchiate che siano, si
lasciano dilavare dall'acqua piovana e poi, asciugate, si adoperano come
lettiera.
Lo stesso dicasi per il falasco o piante palustri, che però non
occorre dilavare per togliere la salsedine.
2. — Le torbe, ridotte in polvere, possono essere anche utilizzate
direttamente per concime, ma in tal caso conviene prima slratilicarle
con della calce viva, per togliere loro lacidità. Lsse migliorano anche
le condizioni fisiche dei terreno, rendendolo più so Ilice e più alto a
mantenere la freschezza.
Meglio ancora impiegare la torba imbevuta di materie fecali, ciò
che si ottiene, usandola prima per lettiera.
3. - Come risulta dalle analisi, le comuni felci dei nostri twschi,
le eriche, le cjinestre, le foglie morte hanno una composizione complessa
e molto apprezzabile per la concimazione. Anche per queste conviene
usarle prima per la lettiera e poi darle imbevute di colaticcio, allo
piante da frutto, migliorando cosi le condizioni fìsiche del terreno.
Epperciò si impiegano nelle terre magre, sciolte sabbiose e marnose.
Se il terreno non è ricco di calcare, conviene, prima dello spargi-
mento, spolverarlo con calce viva.
314
Tab. XXIX.
Analisi di sostanze fertilizzanti diverse impiegate in frutticoltura.
Anidride
Sostanza
NOME
Azoto
fosforica
Potassa
Calce
organica
Acqua
»/o
%
%
%
y
%
1. Alghe marine
■
0.3-1,7
0,2-1
0,1-0,8
_
_
16,33
2. Cenere di piante frascate
3,5
10
—
—
—
3. , „ , agate .
2,6
6
—
—
—
4. „ „ carbon fossile.
—
0,05
0,15
30.1
—
—
5. „ „ lignite. . . .
—
0,10
0,37
31
-
—
6. „ „ torba ....
—
0,97
0,20
35
—
—
7. „ lisciviata ....
—
1,5-2,5
1,4-1,6
28-30
—
—
8. „ di legna mista . .
—
3,4
6-10
28-32
—
—
9. Falasco
0,893
0,279
0,856
— •
—
—
10. Felci, eriche e ginestre .
1
0,1-0,37
0,2-1,86
0,2-0,6
63,7
20,25
11. Foglie morte
0,8-1
0,1-0,2
0,16-0,35
0,4-2
—
13-14
12. Fuliggine
1,3
0,4
2,4
10
—
—
13. Panello di arachide. . .
5,5-7,5
0,6-1,8
1,4-1,6
—
—
10,4
14. , „ cocco ....
3,74
0,18
1,96
0,55
—
12,7
15. „ , colza ....
4-4,6
1,8-2,8
1,3-1,5
0,71
—
11,3
16. „ „ cotone. . . .
6,21
3,05
1,58
0,29
-
11,2
17. „ , lino
4,72
1,62
1,25
0,43
—
12,2
18. „ „ noce ....
5,53
1,53
2,02
0,31
—
13,7
19. „ „ olivo ....
0,96
0,25
0,79
0,61
—
13,8
20. „ „ ricino ....
3,67
1,62
1,12
—
—
21. Semi di lupino
5,66
1,42
1,14
0,28
13
22. Spazzature
0,39
0,45
1,06
5,34
—
35,92
23. Torba
0,33-2,64
0,173-0,75
0,07-1,88
_
24. Vinaccia fresca
0,95-1,55
2,08
4,94
1,30
95,96
4. — Le spazzature sono specialmente ricche di anidride fosforica
e potassa e con esse conviene fare i terricciati. Si possono considerare
come un concime un poco più povero dello stallatico di media decom-
posizione. Esse migliorano le condizioni fìsiche del terreno ed è note-
vole la quantità di calce che contengono. Si danno d'inverno.
5. — Le viiiaccie, specialmente quelle da cui non si è estratto il
cremor di tartaro, sono molto utili, perchè molto ricche di potassa e
di anidride fosforica. Per la concimazione della vite e delle piante da
frutto, che richiedono molta potassa, costituiscono uno dei migliori
residui che stanno a disposizione del viticoltore. La loro azione però
è molto lenta e quindi conviene stratificare anche queste in precedenza
con del letame, con della buona terra e decomporle, preparando un
terricciato da adoperarsi un anno per l'altro.
6. — In frutticoltura, la concimazione coi lupini, ha una larga
applicazione nelle coltivazioni in vaso. Essi, oltre a contenere una note-
vole quantità di tutti e tre gli elementi pricipali, servono anche come
insettifughi. Prima di spargerli conviene macinarli od almeno schiacciarli
o torrefarli o bollirli, perchè si decompongano più presto e perdono
la facoltà germinativa.
- 315 -
7. — Anche la fuliggine, quantunque abl)ia un valore concimante
inferiore di un quinto circa in confronto dei lupini, può avere una
larga applicazione nella concimazione delle piante da frutto, tenute in
vaso od a spalliera. La fuliggine è pure insettifuga e rende soflice il
terreno.
8. — Le ceneri hanno una larga applicazione in frutticoltura. Do-
vendo però fare degli actiuisti in grande, conviene fare il contratto a
base del loro contenuto, poiché vengono molto falsificate, essendo
grande e forse esagerata la richiesta.
Le ceneri si impiegano per il loro contenuto di anidride fosforica,
potassa e calce. La prima si trova allo stato insolubile, la potassa e la
calce per lo più sotto forma di carbonato.
Le ceneri migliori sono ([uelle comuni che raccogliamo dai foco-
lari. Quelle delle fornaci, delle stufe, ecc., hanno un valore inferiore
perchè, colla temperatura elevata, si formano dei conii)osti meno as-
similabili.
Le ceneri di carbon fossile, Ugnile, lorba e le ceneri lisciinale, agi-
scono più perla calce che contengono la quale, oltre a essere un elemento
concimante, serve come ammendamento. Di (jueste ceneri se ne pos-
sono dare in quantità rilevante; la cenere comune si dà quale concime
di mantenimento alle piante incorporandola ai terricciati o mescolan-
dola col letame e perfosfato.
9. — I panelli hanno una scarsa applicazione in Irutticollura.
perchè oltre ad essere di lento effetto, possono portare nel terreno
delle muffe che guastano le radici. Avendone a disposizione, conviene
forse stratificarli prima coi terricciati.
XV.
Sovescio.
1. — Il sovescio consiste nel sotterrare con un lavoro. (U-lle jùanlr
erbacee che sono state appositamente coltivale ((piali i lupini, i trifogli
e le piante leguminose in genere) o che crescono spontaneamente
(malerbe). Queste piante sovesciate ridanno al terreno le sostanze che
vi avevano preso, di più vi cedono molta materia organica, che migliora
le sue proprietà fìsiche. Fra le buone piante da sovescio sono da pre-
ferirsi le leguminose, perchè colla materia organica, oltre a dare tutti
i materiali assorbiti dall'aria delle altre piante (ossigeno, idrogeno, car-
bonio) danno anche dell'azoto, che esse sole hanno facoltà di assorbire
dall'aria, Essendo l'azoto l'elemento più costoso nella concimazione,
si comprenderà l'importanza del sovescio.
In frutticoltura, come in viticoltura ed olivicoltura, il sovescio
può sostituire la concimazione di stallatico purché, al momento della
- 316 —
semina della leguminosa, si faccia una concimazione a base di anidride
fosforica, potassa e calce.
Per sovescio bisogna adopei-are delle piante che si sviluppano
presto durante l'inverno ed in primavera. Adoperando delle piante che
si sviluppano durante l'estate, si sottrarrebbe alle piante da frutto del-
l'umidità. Per noi fanno benissimo i lupini invernenghi ed il trifoglio
incarnato; o le fave seminale in gennaio. Per i paesi meridionali, le
veccia e le fave.
Il sovescio poi può arrecare dei vantaggi incalcolabili nelle loca-
lità di collina, nei luoghi difficilmente accessibili per portare lo stalla-
tico o dove non è possibile estendere l'allevamento del bestiame.
Circa alla quantità e qualità di concime chimico che conviene dare
al momento della semina della pianta da sovescio, si possono ritenere
per buoni i seguenti dati.
Nei terreni non calcari :
Scorie Thomas quintali 8
Cloruro e solfato di potassa. . . „ 2-i
oppure
Perfosfato al 15 % „ 4
Gesso „ 4
Cloruro o solfato di potassa. . . „ 2-4
Questa ultima formola si può anche applicare per i terreni non
calcari.
Nei terreni umiferi o ricchi di sostanze organiche, il sovescio non
conviene.
XVI.
Esperienze di concimazione.
Nelle precedenti edizioni di questa mia opera, riferii dettagliata-
mente sulle esperienze di concimazione da me fatte. In questa edizione
mi limito a riportare le conclusioni generali a cui sono arrivato.
Nella parte speciale, trattando delle singole piante da frutto, si ri-
feriranno le conclusioni speciali.
1. — I concimi che non sono molto solubili devono essere inter-
rati e mescolati collo strato superficiale del terreno.
2. — Quelli che non sono solubili totalmente ma soltanto in parte,
devono essere pure mescolati colla terra superficiale e sotterrati avendo
cura però di non danneggiare le radici.
3. — I concimi molto solubili possono essere impiegati superfi-
cialmente o semplicemente coperti da terra.
4. — Certi concimi possono essere mescolati con altri, qualche
tempo prima del loro impiego; altri invece bisogna somministrarli
da soli.
- 317 -
5. — La concimazione si può fare sia in autunno, sia in primavera,
sia nell'agosto, però per ciascuna di queste epoche, sono diversi i
concimi da applicare.
6. — In estale (luglio) la più consigliabile è la concimazione liciuida
con colaticcio, mercè la quale le piante si dispongono meglio a frut-
tificare e nella ventura primavera entrano più presto in vegetazione.
L'azione però della concimazione liquida è momenlanea. e perciò vo-
lendola adottare costantemente, bisogna ripeterla annualmente e non
darla in una sol volta.
Non viene esclusa anche la probabililà che le piante, trattale a
lungo con questo nìezzo, si esauriscano invecchiando anzi tempo.
7. — Le concimazioni a base di cloruro di potassio, op|)ure di
cenere, o di terriccio o di perfosfato, danno migliori risultati in autunno
che in primavera.
8. Le formule contenenti cloruro di potassio o cenere sommini-
strate in autunno, hanno una marcata influenza per rinvigorire la ve-
getazione delle piante. Le formule a base di perfosfato invece fanno
aumentare la fruttificazione.
Così ad esempio col perfosfato solo, le piaiile più vigorose si
disposero a fruttificare.
9. — Le piante concimate in autunno entrano generalmenle in
vegetazione prima delle piante concimale in primavera.
10. — Le formule più complesse (cenere, perfosfato e cloruro;
perfosfato e nitrato di potassa; solfato d'ammoniaca, perfosfato e clo-
ruro) danno, durante la vegetazione, migliori risultali che in autunno.
11. — Concimando in autunno piuttosto che in primavera, l'ope-
razione è più economica e si ottiene maggiore allegamento di frulla e
frutta più voluminose.
12. — La concimazione durante la vegetazione è consigliabile quando
si adoperano concimi di pronto effetto e favorisce in parlicolar modo
lo sviluppo erbaceo.
13. — Dopo i concimi liquidi, le formole a base di nitrato e per-
fosfato sono di più pronto efletto.
14. — Durante la vegetazione volendo pronmovere la fruttilicazione,
le migliori formole sono quelle a base di solfato d'ammoniaca unito a
perfosfato e cloruro di potassio ; per rinvigorire una pianta, é utile
ancora la cenere. Siccome le piante in primavera hanno sufficienti
materiali di riserva per germogliare, la concimazione con concimi di
pronto efTetto è meglio ritardarla al luglio, quando la pianta ha esau-
rito i materiali di riserva e sta per sviluppare le gemme per produrre
rami e frutti nell'anno venturo.
15. — Per la quantità di concimi da applicarsi, bisogna prendere
in considerazione :
a) se le le piante si trovano in un terreno ben lavorato e pre-
parato, contenente a sufficienza della materia organica, della calce, della
potassa e dell'anidride fosforica ;
- 318 -
b) se si tratta di piante vecchie o giovani ossia di piante che
hanno già dato frutti o se ancora hanno da sviluppare dei rami per
raggiungere la loro forma e dimensione comune ;
e) se le piante sono esaurite per esuberante produzione fruttifera
negli anni precedenti ;
d) se le piante per loro natura hanno delle radici striscianti o
fittonanti ;
e) se il terreno in cui si trovano è di natura argilloso o siliceo;
calcare od umifero ; secco o fresco.
16. — Basandosi sull'esperienza acquistata, sulla conoscenza dei
concimi e del loro effetto sulla vegetazione, si può con una sufficiente
esattezza determinare la quantità, la qualità dei concimi necessari
nonché l'epoca ed il modo più conveniente di applicarli, tenendo anche
conto della specie delle piante, della loro età, della loro vigoria e della
loro produttività di frutta.
17. — I dati analitici servono a fissare le proporzioni nelle quali
devonsi trovare le materie fertilizzanti però sarebbe errato il ritenere,
che applicando strettamente i dati analitici nella composizione delle
miscele concimanti, l'albero possa essere sufficientemente nutrito.
E questo per il fatto che
a) non tutti gli elementi fertilizzanti sono assorbiti direttamente
dall'albero ;
b) molti dei materiali fertilizzanti non vengono in contatto com-
pleto colle radici ;
e) molti concimi come i fosfati, non sono egualmente diffusibili
nel terreno.
Bisogna quindi molte volte dupplicare e triplicare le dosi, poiché
bisognerebbe basare la quantità di concime sulla superfìcie del terreno
coperta dalla chioma dell'albero possibilmente sul volume della terra
esplorata dalle radici.
18. — Rispetto ai singoli componenti delle formole esperimentate,
si é potuto concludere quanto segue :
a) il terriccio è sempre un buon concime ed il più conveniente
dal lato economico, specialmente trattandosi di piante in vegetazione
normale.
b) al terriccio conviene l'aggiunta di concimi chimici quando si
tratta di favorire o la fruttificazione o la vegetazione erbacea;
e) il perfosfato dato in autunno od in primavera promuove la
fruttificazione ;
d) la cenere è un buon ricostituente della pianta, sia che venga
data in autunno, sia in primavera ;
e) lo stallatico ha sempre bisogno di essere corretto con del per-
fosfato e cenere, per avere efficacia sulle piante da frutto. Si può anche
adoperare 100 gr. di scorie e 80 grammi di solfato di potassa per m-.
fj il rapporto di valore che hanno gli elementi fertilizzanti nei
concimi diversi applicati alla frutticoltura, si rileva dalla seguente
Tabella XXX.
- 319
Tal). XXX. Valore degli elementi fertilizzanti
in rapporto al loro effetto sulle piante da frutto.
NOME DEI CONCIMI
Prezzo uninatario in Lire italiane
per Kilogramina di
Alghe marine, falasco, foglie, ginestre .
Carne secca e lupini
Ceneri
Cloruro, di potassio
Coiattoli, corna, unghie, crini, penne, peli
Crisalidi e letto dei bachi
Fosfato ammonico
Fuliggine. ...
Guani
Kainite j
Lanino e stracci di lana
Nitrato di potassa
, „ soda
Panelli '
Perfosfato d'ossa I
minerale 1
Polvere d'ossa
Polvere di sangue
Pozzo nero
Scorie Thomas
Solfato ammonico
di potassa !
Spazzature
Stallatico
Torba
Vinaccia
0,8
1,70
o,no
1,70
i.r>n
1,70
1,70
0,90
1,00
1,00
1,20
1,70
1,70
1.70
1,20
0,30
0,45
0,45
0,56
0,45
0,52
0,45
0,56
0,52
0,45
0,45
0,45
0,40
03
0,45
0,30
0,30
035
0.40
0,60
0,48
0/10
0,40
0,50
0,40
0,40
0,45
0,58
035
0,40
o;ì5
XVII.
Concimazione dei vivai.
1. — Per la concimazione del semenzaio rimando il lettore a pa-
gina 43 dove ho trattato diflusamente questo argomento.
2. - Nella piantonaia, nei neslai e barbatellai noi desideriamo avere
molto sviluppo di radici sottili e, specialmente nella piantonaia, svi-
luppo di rami a legno.
Per ottenere un ampio sviluppo di radici, occorre che .1 terreno
sia soffice, lavorato profondamente e che contenga i matenah nutnliv,
bene amalgamati e distribuiti. K necessario che i concimi siano co.n-
plessi, e prevalga la calce, poi la potassa, quindi l'azoto e anidride
fosforica. Ma siccome nella maggior parte dei nostri terreni, 1 anidride
- 320 —
fosforica si trova in piccolissima quantità, ed essendo essenziale la sua
influenza sulla maturazione del legno, cosi di questa conviene darne
in eccesso.
Per fare un vivaio e specialmente una piantonaia, si può utilizzare
(come ho già dello a suo luogo) in particolar modo un bosco dissodato
o un prato vecchio. Dissodandolo in autunno vi si mescola contem-
poraneamente della calce spenta all'aria, in ragione di q.li 10 per ettaro.
Questa calce nitrifica Vhiimiis immagazzinato e facilita la decomposi-
zione della cotica.
Se si tratta invece di un terreno coltivato ordinariamente conviene
in autunno fare pure lo scasso e, dopo terminato, sotterrare, con una
vangatura, dello stallatico corretto coi concimi, come ho indicato per
il semenzaio. Questo stallatico mantiene soffice il terreno, riparte bene
i materiali nutritivi, facendo sviluppare numerose le radici.
Si adoperi di preferenza dello stallatico composto di un terzo di
letame bovino, un terzo di letame cavallino ed un terzo di letame ovino.
La quantità di concime da spargere in autunno per ara di terreno
destinata a vivaio in genere, sarà quindi la seguente :
f Stallatico Kg. 500,—
Form. XIII. ì Scorie „ 0,900
( Solfato di potassa o cloruro di potassio „ 0,300-0,350
l Stallatico Kg. 500,—
Forra. XIV. ] Scorie „ 0,900
( Solfato di potassa e magnesia . . . . „ 0,600-0,700
, Stallatico Kg. 500,—
Forra. XV. ^ Scorie , 0,900
(Kainite , 1,200-1,400
Per le piantonaie, purché dati in autunno, si può sostiture, come
si vede, il cloruro ed il solfato di potassa, col solfato di potassa e
magnesia o colla kainite, perchè i cloruri dannosi che contengono
vengono dilavati dalle pioggie invernali.
/ Stallatico Kg. 500, -
„ ,„.. ) Polvere d'ossa „ 0,750-0,900
Form. XVI. ^^^^^ 0,750-0,900
( Solfato di potassa o cloruro di potassio „ 0,300-0,350
/ Stallatico Kg. 500,—
^,,,„ \ Perfosfato 14-21 , 0,725-0,750
Form. XVII. ; „ r^\-,^- « --r.
) Gesso „ 0,72o-0,7o0
\ Cloruro di potassio o solfato di potassa „ 0,300-0,350
/ Stallatico Kg. 500,—
Form. XVIII. j Fosfato di potassa „ 0,400-0,500
( Gesso „ 0,400-0,500
- 321 -
Anche applicando queste formole XVI e XVII, si può sostituire il clo-
ruro di potassio o il solfato di potassa, con altrettanta quantità di
solfato di potassa e magnesia o con una quantità (juadrupla di kainite,
come è evidente nelle formole XIV e XV.
Nelle località dove si difetta di stallatico, allo scopo di immagaz-
zinare dell'azoto nel terreno, si potrebbe far precedere un sovescio,
ma questo deve essere fatto per tempo in modo che prima dell'im-
pianto, il sovescio possa essersi completamente decomposto.
Dovendo fare la preparazione del teireno ajìpena in primavera
non conviene adoperare lo stallatico, ma invece dei terricciati, i (juali
si devono impiegare in quantità doppia di quella indicala per lo stallatico.
Non aveiìdo terriccio sufficiente, si può aumentare la sua ricchezza
fertilizzante, bagnandolo fino a che se n'è iml)evulo completamente,
con colaticcio o pozzo nero, nei quali prima si sciolgono una delle
seguenti 3 sostanze
Kg. 3 di scorie Thomas o
„ 3 „ polvere d'ossa o
.. 2,5 .. perfosfato al 14-16%
per metro cubo di terriccio.
Quando il terriccio è asciutto, lo si sparge sul terreno e Io si sotterra.
Invece di terriccio si può adoperare della torba pure asciutta, ma
stata prima imbevuta di orina o pozzo nero con l'aggiunta di una delle
suddette sostanze. ^
Se infine non si avesse neppure la torba allora soltanto in via
eccezionale, si può ricorrere ai concimi artificiali e precisamente alla
seguente formola per ara
/ Fosfato ammonico Kg- <l,30()
Form. XIX, | Scorie Thomas o polvere d'ossa - <M>()0
( Cloruro di potassio o solfato di i)olass;i 0,200
Questi concimi appena mescolati per bene devono subito essere
sotterrati mediante una vangatura. Bisogna curare che la distribuzione
sia ben fatta e ciò si ottiene allungando la miscela con molta terra-
Per la piantonaia invece e per il nestaio, nei quali le piante
rimangono due o tre anni, questa concimazione devesi ripetere ogni
anno ; cosi nei barbatellai.
Come abbiamo visto parlando del vivaio (vedi pag. VA) allo scopo
di mantenere un giusto equilibrio fra la spesa e la produzione, ogni
vivaio stabile si deve tenere in rotazione con delle piante erbacee,
altrimenti il terreno si esaurisce.
Tamauo - Frutticoltura
- 322 —
XVIII.
Concimazione di mantenimento.
Nella parte sesta pag. 254 sì ha già parlato della concimazione per
l'impianto, ora bisogna parlare della concimazione in generale per il
mantenimento delle piante, che deve essere guidata da criteri alquanto
diversi.
1. — Mentre nell'impianto noi dobbiamo aver cura di provvedere
la pianta di elementi nutritivi complessi ed a varia profondità per
parecchi anni ; colla concimazione di mantenimento noi dobbiamo
mantenere la pianta in costante vigore ed equilibrare lo sviluppo dei
rami a legno collo sviluppo dei rami a frutto.
La differenza poi essenziale della concimazione sta nel modo di
portare i principi nutritivi a contatto delle radici degli alberi. Negli
impianti, a questo si provvede con facilità ; non cosi quando le piante
sono adulte ed hanno delle radici talvolta a notevole profondità.
Il metodo più comune consiste nello scavare attorno alle piante
una fossa circolare, larga e profonda cm. 50, e distante dal fusto tanto
quanto è distante la periferia delia fronda. In questa fossa si mescola
sul fondo il concime con altrettanta terra e poi si copre. Trattandosi
di concimazioni liquide, invece che delle fosse, si possono preparare
dei fori profondi % distanti fra loro cm. 50, con un palo di ferro, come
è indicato nel capitolo Vili. Se il terreno è inclinato si fanno dei fos-
satelli interrotti.
Le molte esperienze hanno dimostrato a sufficienza che per man-
tenere una pianta adulta da frutto in giusto equilibrio occorrono con-
cimi complessi. La pratica ha dimostrato anche la convenienza di con-
cimare piuttosto a piccole dosi e di frequente che a grandi dosi e di rado.
I Professori Steglich e Barth hanno trovato che una pianta da
frutto adulta in produzione normale, avente un tronco della circonfe-
renza di cm. 25 e le cui radici si estendono per una media superficie
di terreno di m.^ 20 esporta annualmente per
metro quadrato Ettaro
Anidride fosfor. g. 5 Kg. 50
Azoto „ 17 ,,170
Potassa „ 22 ,,220
Calce „ 40 ,,400
Per restituire questi materiali bisognerebbe dare kg. 5 di stallatico
per anno e per metro quadrato, ossia Ivg. 100 per pianta. Ma anche qui
l'azoto è in quantità esuberante, perciò bisogna aggiungere dei concimi
fosfatici e potassici, tanto più che questi, come ho verificato nelle
- .-^23 -
diverse esperienze, inlluiscono notevolmente sulla produzione legnosa
e fruttifera.
Lo stallatico si deve dare in autunno ogni anno, sotterrandolo con
una buona vangatura i)rima dell'inverno, acciocché, prima della prima-
vera, possa decomporsi. Dopo la vangatura, il terreno lo si lascia irre-
golare, perchè possano meglio agire gli agenti atmosferici. Facendo
una concimazione ogni due o tre anni, bisogna darne in (|uanlità doppia
o tripla, e perchè colla vangatura non si può sotterrare questa quan-
tità rilevante, bisogna aprire delle fosse. Questa concimazione peiù ad
intervalli non è senza incovenienti, inquantoché nel primo anno la
pianta acquista eccesso di vigoria a scapito della fruttificazione. La
concimazione in copertura, come viene usala da molti, lasciando cioè
esposto all'aria lo stallatico coprendo il terreno, é da condannarsi,
poiché favorisce lo sviluppo delle malerbe, annida degli insetti ed una
gran parte delle materie fertilizzanti vanno perdute.
Il terriccio è un altro dei concimi utilissimi che si può dare nella
medesima quantità dello stallatico ed è molto vantaggioso, specialmente
per le piante giovani, poiché favorisce lo sviluppo delle radici. Con-
viene però applicarlo in febbraio anziché in autumio, facendo delle
fosse.
Non avendo né stallatico, né terricciato, é molto vantaggiosa la
torba che si lascia imbevere di spurghi di latrina in una vasca e poi
si lascia asciugare. Se ne adopera nella medesima proporzione dello
stallatico, kg. 5 per metro quadrato.
I concimi liquidi, per il mantenimento delle piante, si devono ado-
perare in via eccezionale, come ho detto nel cap. L\.
Adoperando tanto l'uno che l'altro dei concimi indicali lino ad
ora, bisogna sempre correggerli con dei concimi chimici. In quali
proporzioni lo si debba fare, ciò dipende dallo scopo che ci si propone
di ottenere colla concimazione, dalla qualità delle piante e dalla natura
del terreno.
Rispetto alla scelta dei concimi chimici, valga quanto ho detto in
particolare nei singoli capitoli ; diremo qui soltanto che :
a) dovendo dare della calce, si adopererà della calce spenta
all'aria che poi verrà interrata in autunno assieme allo stallatico;
b) dovendo dare dell'azoto, si adopererà del solfato ammonico o
del nitrato di soda ;
e) per dare dell'anidride fosforica si impiegherà in autunno delle
scorie o polvere d'ossa; in primavera dei perfosfati;
(/; per dare della potassa si può impiegare della kainite, del clo-
ruro di potassio o del solfato di potassa ;
e) per dare della calce, potassa ed anidride fosforica, si può im-
piegare della cenere.
Ogni frutticoitore deve studiare nelle proprie condizioni la formola
di concimazione più conveniente, ed è un errore quindi ritenere che
una formola possa valere per tutte le piante, siano queste più o meno
— 324 -
rigogliose, più o meno fruttifere ; siano esse di una specie piuttosto
die l'altra.
Ripetutamente io ho applicato la seguente formola di concimazione alle piante da
frutto in genere per il loro mantenimento, per verificare i dati ottenuti dai Dottori
Steglich e Barth. Questa quantità venne data per m.-
gr. 100 di nitrato al 15.5% in 3 volte: marzo, aprile, maggio e contenente
\ in totale gr. 17 di azoto ;
Form. XX. „ 25 di perfosfato al 20 % e contenente in totale gr. 5 di anidride fosforica;
I „ 45 di solfato di potassa al 48% e contenente in totale gr. 22 di potassa :
, 50 di calce viva.
Ho riscontrato nell'applicazione, che l'azoto era insufficiente pei meli mentre era
eccessivo pei peschi. I meli risentivano però grande vantaggio colla potassa. Per i
susini, peschi ed albicocchi, si mostrò deficiente la calce ed i peschi oltre che di calce
anche di potassa ed anidride fosforica.
Questa formola applicata ogni anno, specialmente nei terreni poveri di humus,
non è consigliabile se, ogni terzo anno almeno, non si fa un sovescio od una concima-
zione a base di stallatico.
I dati invece ottenuti dalla stazione di Geneva (Stati Uniti) sono più attendibili e
se in base a questi si faranno le miscele di concimazione, io credo che si otterranno
migliori risultati.
Nella parte speciale, trattando delie singole piante da frutto, verrà
indicata in apposito capitolo, la concimazione più conveniente per
ogni singola essenza fruttifera.
XIX.
Concimazioni diverse
a seconda dello stato in cui si trovano le piante.
1. Concimazione di piante deperenti. — Quando il deperimento di
una pianta dipende dalla deficienza di materiali nutritivi nel suolo,
allora bisogna ricorrere a delle concimazioni straordinarie ed a brevi
intervalli.
Conviene anzitutto scalzare la pianta in autunno e concimare colle
seguenti forinole XXI, XXII, e XXIII, per m.^
Form. XXI.
Kg. 1 di crisalidi di bachi da seta
„ 3 di terriccio
gr. 100 di Scorie Thomas
„ 25-30 di cloruro dì potassio o solfato di potassa.
Kg. 1 di crisalidi di bachi da seta
\ „ 3 di stallatico
Form. XXII. ■ gr. 200-400 di calce spenta
/ „ 100 di perfosfato al 16 X
, „ 25-30 di cloruro di potassio o solfato di potassa.
- 325 -
/ Kg. 1 di crisalidi di bachi da seta
L- vvirr ) " -^ di terriccio
Form. XXIII. ; .„,, ,.
j gr. 100 di calce spenta
l „ 400 di cenere.
Al sopraggiungere della primavera si dà ancora la seguente mi-
scela per m.^
Form. XXIV ] ^,"f ^'/^ ^'} P^'^'*^^' «■■ '^'^
I Nitrato di potassa 20
Se durante il corso della vegetazione non si avessero a rimarcare
i buoni effetti, si applicherà nel mese di giugno la concimazione li(|uida
sciogliendo nell'acqua gr. 1-1.5 per litro, la miscela XXIV.
Nell'anno successivo si potrà applicare una delle formole seguenti:
i Scorie Thomas o polvere d'ossa gr. 150
Form. XXV. \ Cloruro potassico o solfato di potassa „ 60
( Nitrato di soda 100
Totale gr. 310
Da applicarsi in autunno, meno la metà del nitrato che si dà in
primavera, sotterrandolo colla vangatura.
/Perfosfato 16-18 % gr. IfiO
1- x'viTT ) Cloruro potassico e solfato di potassa ., 60
torm. XXVI. { -.., , ,- ■ ^ ,,^
1 Nitrato di soda . „ 100
( Gesso ^ 150
lotale gr. -160
Da applicarsi in primavera
Scorie Thomas o polvere d'ossa gr. 15(»
Kainite .240
Form. XXVII. ' Solfato ammonico ..50
I Nitrato di soda ,50
1 Calce spenta .150
Totale gr. 640
Il nitrato si dà in primavera.
Nel terzo anno si ripeterà la concimazione colle formole XXI, XXII
e XXIII.
b) Concimazione di piemie troppo vigorose e poco fruttifere. Nella
maggior parte dei casi, questo fenomeno si deve attribuire all'eccesso
di umidità e di azoto nel terreno ed alla deficienza di elementi mine-
rali, principalmente potassa ed anidride fosforica, r.pperciò il frutti-
coitore deve somministrare dei concimi minerali che portino gli., ele-
menti minerali, principalmente potassa ed anidride fosforica, tpperciò
il frutticoitore deve somministrare dei concimi minerali che portino
gli elementi suddetti, i quali favoriscano in particolar modo la produ-
zi one della frutta.
- 326 -
Anche qui si possono applicare una delle formole XXV, XXVI, XXVII,
omettendo però i concimi azotati.
e) Concimazione delle piante molto fruttifere e poco vigorose. Que-
ste piante di solito fioriscono molto, ma portano difficilmente la frutta
a maturazione.
In questo caso bisogna dare una concimazione che ricostituisca
completamente la pianta, col fornirla dell'azoto, e degli elementi mi-
nerali, potassa, anidride fosforica e calce.
In questo caso bisogna concimare in autunno con del terricciato e
seguire quanto ho detto per la concimazione di piante deperenti.
XX.
L'irrigazione delle piante da frutto.
1. Azione dell'acqua sulle piante da frutto. — L'azione dell'acqua
è intimamente legata a quella del calore tanto da poter asserire che
essa non esercita tutta la sua utilità, od almeno tutta la sua azione se
non vi ha contemporaneamente una temperatura abbastanza elevata.
Una dimostrazione l'abbiamo nella interruzione della vita vegetativa
durante l'inverno. Nelle regioni temperate e fredde, l'interruzione è
dovuta alla mancanza di calore ; nelle regioni calde e intertropicali
alla mancanza di umidità. In queste ultime regioni però l'arresto di
vegetazione è meno apparente poiché le foglie non cadono e soltanto
le radici rimangono inattive.
Le piante da frutto soltanto nella loro prima età vivono degli ele-
menti che si trovano nello strato superficiale del terreno. Ma poiché
questo primo strato si essica nella stagione calda, così é naturale che,
per assicurarsi l'attecchimento negli impianti, si fanno delle buche
profonde, si adoperano molti concimi organici, si tiene coperto il ter-
reno con letame, si impianta presto in autunno anziché in primavera,
quand'anche non si ricorra alla irrigazione. E' certo che molti dei
nostri impianti, e non soltanto dell' Italia meridionale, riuscirebbero
molto meglio, se nel primo e secondo anno dopo l'impianto, si avesse
dell'acqua per inaffìare od irrigare.
Passato questo periodo di infanzia, l'albero approfondisce le radici
nel suolo inerte dove esse stazionano, per nutrirsi dell'umidità che si
accumula per le pioggie e per l'acqua che deriva dal sottosuolo.
Quest'ultimo deve servire da sorgente e l'umidità in esso deve trovarsi
fino a 2-3 metri. 1 terreni che non hanno queste sorgenti o che hanno
un sottosuolo impermeabile, sono assolutamente disadatti per le piante
da frutto. Le piante dopo un periodo di pochi anni muoiono improv-
visamente.
Queste sorgenti di umidità vengono alimentate annualmente dalle
pioggie. Pochissimo vi concorrono quelle estive sia perchè, ad esempio,
— 327 -
nei climi meridionali ((uesle pioj^gie sono rare, sia percliè, in i|ualsiasi
regione, o sono di ])oca entità brevi ed evaporano prontamente prima
che le radici ne ritraggano vantaggio ; opjìure sono torrenziali ed allora
l'acqua scorre via, prima che il terreno la possa trattenere.
Il maggior bisogno di acqua la pianta lo lia alla ripresa della ve-
getazione. In questo periodo, tutta l'umidità di cui si sono imbevute
le radici nell'autunno e durante l'inverno, passa alle gemme, alle foglie,
ai nuovi germogli.
Durante la fioritura il movimento dei succhi subisce una sosta, ma
subito dopo, |)er l'attecchimento dei frutti, è necessaria l'umidità ac-
compagnata da calore. In questo periodo le pioggie più frequenti sono
più utili dei forti acquazzoni. Nei mesi in cui avviene la maturazione
dei frutti occorrono giornate serene, ma, appena fatto il raccolto, é
bene che piova abiiondantemente, perchè si possa innnagazzinare del-
l'actjua nel terreno, per l'anno venturo.
La mancanza d'acqua nel terreno dopo la lioritura, fa cadere molti
frutti e, quelli che rimangono, non raggiungono lo sviluppo normale,
riescono colla buccia rugosa, ((uassa; colla polpa scipita, asciutta,
senza profumo; i rami della pianta rimangono corti, esili. In Sicilia ad
esempio gli agrumi irrigati danno in media, un terzo di più di prodotto.
Nei terreni freschi, i frutti riescono più sviluppati, succosi, di
sapore più delicato e contengono pochi senìi. La buccia riesce sottile,
elastica, con colorito normale; la maturazione è più regolare e piutto-
sto anticipata. I rami e le gettate dell'annata crescono vigorose ed entro
l'anno compiono completamente la lignificazione. Tutta la vita vegeta-
tiva viene prolungata e perciò le jiiante riescono più fertili ed anche
più vigorose.
Dalla freschezza del terreno dipendono anche gli elletti della con-
cimazione. Gli agricoltori sanno che nelle annate asciutte, le colture
risentono poco vantaggio dalle concimazioni, specialmente se queste
sono a base di concimi artilìciali. H difatti mancando lumidilà che
disciolga i materiali nutritivi, le radici non possono funzionare e la
pianta ne soffre.
Un eccesso di umidità produce i rami meno robusti, colle libre
più larghe, rendendosi meno resistenti ai freddi ed agli attacchi dei pa-
rassiti ; cosi le frutta riescono troppo acquose e meno saporite. L'acqua
eccessiva nel terreno rende infine inattive le radici per la mancanza
d'aria e se vi ristagna il terreno dà una reazione acida che danneggia
le radici.
2. Quantità d'acqua necessaria e modo di usarla. — Finora per
noi italiani le piante da frutto tipiche per l'irrigazione sono gli agrumi,
che si diiìusero ai due estremi dell'Italia: nella Sicilia e nella Hiviera
Ligure. In Sicilia vennero sempre irrigati e gli arabi ne perfezionarono
il sistema. Quivi si irriga anche il nocciuolo, nelle Calabrie il fico,
destinato per il consumo diretto dei frutti, mentre per i frutti da essic-
care la pianta si coltiva nelle alture non irrigabili.
- 328 -
Nell'Africa mediterranea bisogna irrigare tutti i fruttiferi dell'Europa
e della regione intertropicale, se si vuole assicurare il prodotto, e cosi
in Sicilia e Sardegna, specialmente lungo il litorale, conviene l'irriga-
zione degli olivi, dei gelsi, dei pistacchi, dei mandorli e di quasi tutte
le piante da frutto, specialmente nei primi almi, dopo la piantagione.
Stabilita l'importanza dell'acqua anche per le piante da frutto, non
è da ritenersi che queste si debbano irrigare come si trattasse di piante
erbacee. Come abbiamo visto, il maggior bisogno d'acqua si risente
nella stagione calda, che ricorre dal periodo dopo la fioritura fino alla
maturazione dei frutti. Nei paesi meridionali, durante questo periodo,
il bisogno d'acqua sarà maggiore che nelle regioni dell'Italia centrale,
e qui molto di più che nell'Italia settentrionale.
E' difficile poter stabilire la quantità d'acqua necessaria per le
piante da frutto. Questa naturalmente varia colla specie della pianta,
coll'andamento della stagione e colla natura e posizione del terreno.
Le piante sempreverdi, come gli agrumi, quelle ricche di fronda e di
succhi, come le piante a nocciolo, quelle che hanno l' apparecchio
radicale poco sviluppato richiederanno più acqua. Nei terreni sciolti,
permeabili, situati in pendio, esposti a mezzogiorno, le piante saranno
più esigenti di acqua di irrigazione.
Nella provincia Santa Clara in California, dove non piove mai e
dove, ciò malgrado, si sono fatti degli estesi frutteti industriali, por-
tandovi l'acqua artificialmente a mezzo di canali, si irriga sette volte
all'anno, impiegando per ettaro 1000 m^. d'acqua per volta.
Nella valle di Jakina, (Washington) dove si hanno in media ogni
anno 150 mm. di acqua, si irriga 6 volte all'anno, dando 1000 m^ d'ac-
qua per volta.
In tutti gli Stati occidentali dell'America del Nord le pioggie sono
scarse e quasi ovunque si irrigano anche le piante da frutto. Per im-
magazzinare l'acqua nel terreno, si irriga anche d'inverno. Durante
l'estate si fa di solito l'irrigazione ogni 20-30 giorni per quattro volte
cominciando dal maggio. L'ultima irrigazione si fa in settembre. Rara-
mente si adoperano più di 7500 m^ per ettaro e per anno. Durante la
vegetazione si ha cura di mantenere sempre il terreno soffice e mondato
dalle malerbe, per evitare la soverchia evaporazione.
In Sicilia si fanno negli agrumeti da 6 a 10 irrigazioni per anno,
impiegando nei terreni consistenti da 400 a 800 m^ di acqua per ettaro
e per anno, che equivalgono a m^ 1 a 2 per pianta. Nei terreni sciol-
tissimi, secondo il Prof. Savastano, si impiegano m^ 3 a 4000 e per ogni
albero da 7 a 10 m^. Il Prof. Alfonso vorrebbe 495 litri per pianta e
per ogni irrigazione che corrisponderebbe a circa 1200 m^ per anno e
per ettaro ; il Turrisi Colonna circa 840 m^', il Cusmano 480 m^.
Considerate le condizioni udometriche delle regioni in cui pro-
sperano le piante da frutto, io credo che per esse occorrano annualmente
(dalla caduta delle foglie in autunno alla maturazione dei frutti) 750 mm.
d'acqua corrispondenti a 7500 m^ per ettaro.
— ;i2y -
Nella Valle Padana (vedi Trallalo completo (li af^ricoltura. iloepli HH_>.
dell'A. nella parte: Climatologia) si hanno annualmente coi |)iecipitati
atmosferici 1095, 2 mm. d'acqua, pari a 10.'.>52 m-' d'acqua; nella zona pe-
ninsulare interna 10.637 m» ; nella zona marittima interna, 7509 m';
nella zona marittima mediterranea, 8734 m^ e nella zona insulare, ()012.
Da ciò si dovrebbe dedurre che soltanto nella zona insulare si ha
stretto bisogno di irrigare. Ma dobbiamo notare che queste medie
rappresentano lo stato udometrico della intera regione, non ([uello
speciale in cui si coltivano le piante da frutto. Kcco quindi la
necessità di indagare per ogni territorio la quantità d'acqua clie cade
dalla caduta delle foglie in autunno, poiché è da questo periodo che
si incomincia ad immagazzinare la magf^iore (|uanlilà d'acqua per
l'anno venturo, e provvedere colla irrigazione durante l'estate, al-
l'acqua che viene a mancare, per arrivare ai 7-7500 m' d'ac(|ua
che sono necessari. Questa è una cifra teorica, ma che i molli latti
pratici mi darebbero per quella che più si avvicina alla realtà.
Praticamente, se le foglie degli alberi al mattino appaiono legger-
mente avvizzite o cominciano ad impallidire, se cadono anticipata-
mente i frutti, questi sono gli indizi che le piante patiscono il secco.
Per ogni irrigazione, ogni pianta dovrebbe ricevere da 2 a .'i ettolitri
d'acqua e mai meno.
Perchè sia di giovamento all'albero, l'acqua deve penetrare negli
strati sottostanti del terreno e venire in contatto delle radici più sottili
che sono le più attive. Per questo conviene fare l'irrigazione a lunghi
intervalli, ma con acqua abbondante, anziché ad intervalli brevi e con
poca acqua. Le piante adulte necessariamente hanno maggiore bisogno
di acqua delle piante giovani e per queste ultime l'acqua non occorre
che arrivi a tanta profondità.
Le piante giovani possono avere bisogno di irrigazione già in
maggio, le più adulte in giugno ed anche in luglio; una volta comin-
ciata la irrigazione bisogna ripeterla, come ho detto, ogni 20 giorni,
un mese e più a seconda che si manifesterà il bisogno, (ili agrumi,
ripeto, si irrigano da 6 a 10 volte all'anno; per le altre piante bastano
3 a 4 irrigazioni dal maggio al settembre.
L'irrigazione bisogna farla nelle ore nelle quali la dilferenza fra la
temperatura del terreno e quella dell'acqua è minore. Perciò sono
preferibili le ore della sera e della notte e, dovendo adoperare del-
l'acqua di sorgente, bisogna disporre di vasche di raccoglimento, perchè
essa possa riscaldarsi durante il giorno. Par ottenere il medesimo in-
tento si può anche dirigere le acque nei siti più lontani alla sorgente e
poi farla ritornare, perchè intanto si riscaldi.
Durante l'irrigazione è bene che l'acqua si mantenga in costante
circolazione, facendola scorrere con moto lento ed uniforme. Nei siti
più alti bisogna dispensarne in maggior quantità che nei depressi ed
alle piante che si trovano nelle medesime condizioni bisogna distri-
buire l'acqua colla maggiore uniformità.
330
3. Come si irrigano le piante da frutto. — L'irrigazione delle
piante da frutto si può fare in vari modi a seconda della località e
della quantità d'acqua che si ha a disposizione.
Negli Stati Uniti, ad esempio, dove vi sono frutteti estesissimi irri-
gati, questi si piantano di solito sulla rottura di prato di erba medica.
La sistemazione del terreno si fa in modo da poter fare l'irrigazione
per fossatelli orizzontali e cioè tracciando un canale irrigatore lungo
la parte più elevata. Questo canale lo si fa di una lunghezza non su-
periore ai 200 metri e con una pendenza del 2 °Jqq. Lungo questo canale
si fanno le piantagioni, e collegate ad esse, a quinconce, si collocano
altre piante. I peschi si piantano a 6-7 metri di distanza fra loro ; gli
olivi da m. 7 a 9; i peri, meli, albicocchi, ciliegi ed agrumi da m. 9 a
11 ; i noci a metri 14-17. Quando si vuole irrigare, si fanno tanti fos-
satelli di presa quante sono le piante della prima fila che trasportano
l'acqua dalla irrigatrice. Attorno ad ogni pianta si fa un argi nello di
terreno per trattenere l'acqua. Da ogni pianta si diparte alla sua volta
un altro fossatello che la mette in comunicazione colla pianta imme-
diatamente sottostante, in modo che tutte le piante hanno due fossa-
telli di comunicazione : uno colla pianta superiore dalla quale ricevono
l'acqua e l'altro con quella inferiore alla quale la trasmettono.
Questo sistema di irrigazione è molto pratico quando la pendenza
del terreno è irregolare e quando supera il 6 %• Se la pendenza è re-
golare ed uniforme, inferiore al 6 Vo, si fanno dei fossatelli lungo curve
orizzontali, seguendo cosi l'andamento naturale della superficie.
V
Fig. 221. — Doccia pensile
trasportabile, di legno
incatramato.
Fig. 222. — Palo di so-
stegno per le doccie.
Fig. 223. — Cavalletto di sostegno
per le doccie.
Se invece l'impianto non è regolare per trasportare l'acqua si fanno
di tratto in tratto, lungo il canale irrigatore, delle saracinesche, dalle
quali, mediante doccie trasportabili di legno incatramato (fig. 221)
sostenuti da pali (fig. 222) conficcati nel terreno o da cavalietti (fig. 223)
l'acqua viene condotta presso ogni pianta. Si fanno anche dei canali
pure in legno, rivestiti di mattoni (fig. 224).
In questo modo l'irrigazione si fa per aspersione, trattenendo l'acqua
intorno alla pianta con un arginello di terra (figure 225-226).
Un altro sistema da me raccomandato che può servire anche per
la concimazione delle piante adulte, consiste nell'aprire dei fori nel
terreno con dei pali di ferro, (fig. 227j alla distanza circa di ^/g del
331
Fig. 224. - Canali pensili rivestiti di mattoni.
Fig.1225. — Pianta collocata in piano"con argi- Fig. 22(i —Pianta collocata su terreno indi
nello preparato per l'irrigazione. nato preparata per l'irrigazione
(5)
O
y.
-^^^^-
o e
Fig. 227. — Palo di Ferro per Fig. 228. — Irrigazione a fori veduta in sezione ed in
preparare i fori nel terreno. pianta.
- 332 -
raggio della IVouda. ed iniroducendo in (.juesti l'acqua. Questi lori s
fanno in numero di 4 a (ì a seconda dell'età della pianta (iìg. 228). Na-
turalmente la profondità dei fori deve variare coH'età della pianta da
un minimo di 50 cm., lino anche 80 cm., cioè tino all'incontro delle radici.
Poiché questi fori si ostruiscono facilmente, dovendo ripetere l'ir-
rigazione, si fanno delle buche più larghe, che si tengono aperte con
dei tubi di drenaggio. Nell'intervallo della irrigazione si riempiono con
stallatico.
Ora si costruiscono dei tubi appositi, lunghi Ho cm. e del diametro
di 10 cm. con 4 tìle longitudinali da 9 fori ciascuna, cosi che ogni tubo
ha 36 fori (lig. 229). Questi tubi si piantano nel terreno in modo che
la bocca arriva appena a sporgere dal terreno. Si versa dentro l'acqua
od il colaticcio diluito, quando si vuole anche concimare, ed i tubi si
Fig. 229. — Tubo in
terra cotta forato per
la irrigazione delle
piante da frutta.
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Fig. 230. — Irrigazione per sommersione.
coprono con un mattone. Essi offrono la comodità di irrigare in modo
sicuro e colla massima economia di acqua. Aggiungo ancora che gli
alberi concimati con questo sistema assumono un rigoglio straordinario:
essi vengono sottoposti ad una vera alimentazione intensiva e, come
si ottiene cogli animali, crescono, rapidamente. Questi tubi costano
circa L. 1,25 l'uno.
Si è constatato che il liquido si dilTonde per un raggio di m. 2,50
e per un metro di profondità. Per ogni albero grande bastano 3 tubi
e nei frutteti si calcolano 3 tubi per ogni due alberi, piantandoli alla
distanza di m. 2,50 dal fusto.
L'irrigazione si può fare anche come si usa in Sicilia per soiuiner-
sione. Attorno ad ogni pianta di agrumi si fa una conca la quale viene
riempita di acqua ogni volta che si irriga. L'acqua viene condotta per
mezzo di un canale apportatore A B (lig. 230), che ha una pendenza
del 5 al 10 per mille e la si costringe a mezzo di paratoie p, ad entrare,
:us -
per altri canaletti distributori Ci), EF die passano fra le (ile delle
piante. Da questi canaletti si passa in solchi (s) appositi, che condu-
cono l'acqua nelle conche scavale intorno al tronco di ogni singola
pianta.
Nel fare queste conche si deve avere cura di non denudare le radici
vicine al tronco e di lasciarle coperte con un buono strato di terra
(fig. 231). Quando si vuole irrigare col canale CD si mette la paratoia
in p ed allora l'acqua, costretta a deviare, riempie le singole conche e
e quando l'acqua arriva in D, si leva la paratoia p per chiudere l'a-
pertura C e se ne mette un'altra, in p\ per irrigare col canale K F e cosi
via. Il canale D F è un canale collettore il quale, alla sua volta, può
servire da canale distributore per altre file di piante sottostanti
Avendo degli alberi isolali, il canale distributore lo si fa lungo la
parte più alta del terreno e da ({ueslo si fanno dipartire dei fossalelli
distributori secondari che conducono l'acqua allo singole conche delle
piante (lìg. 232). L'acqua raggiunto
il fossatello a è costretta a passare
nella conca A, ostruendo in /' il ca-
nale con della terra. Quando la conca
ha ricevuto l'acqua sufficiente, si
chiude la bocchetta e colla stessa
terra collocata in /? e si passa ad ir-
rigare successivamente, collo stesso
metodo, la conca B e C.
Fig. 231. - Sezione di una conca intorno ad Fig. 232. - Irrlgailone di alberi isolati
un albero da irrigare.
Nei terreni non livellati, un metodo semplice consiste nel dirigere
le acque non seguendo una disposizione regolare, ma facendo seguire
le curve di livello, in modo da ottenere uno scorrimento graduale e
continuo. Seguendo l'acqua, facendola entrare in un fossatello. si con-
tinua a scavare questo fossatello per una linea pressoché on;tzonlale:
basta dare al suo fondo una inclinazione debolissima del 2 al 3"^. Si
arriva cosi a tracciare una curva a contorno qualunque, purché 1 acqua
arrivi presso ogni pianta, attorno alla quale si fa un arginello perche
l'acqua possa per qualche tempo arrestarsi.
Quando si ha poca acqua, si rivestono i canali apportatori e di-
stributori di mattoni o di uno strato di cemento, come si fa in America.
— 334 -
Il frutteto viene diviso in tante regioni corrispondenti ciascuna a date
quole dì livello e le conche si fanno rettangolari (sistema che l'itengo
introdotto dagli Arabi), divise da un arginello, aprendo il quale con
una bocchetta, l' acqua entra direttamente dal canale distributore.
Quando si irriga, la terra levata per fare la bocchetta a (fig. 233), si
mette di traverso b al canale distributore, per costringere l'acqua ad
entrare nella conca. Appena questa ha ricevuto l'acqua ritenuta neces-
saria, si leva la terra da b per ricollocarla 'in a e si passa all'altra
conca seguendo il medesimo metodo.
Nella fig. 234 abbiamo rappresentato il medesimo sistema di irri-
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Fig. 233. — Irrigazione per pjg 234. — Irrigazione per sommersione a'^conche qiia-
sommersione a concile qua- drangolari a fila doppia,
drangolari a fila semplice.
gazione, ma le conche sono a file doppie e quindi si irrigano due per
volta a destra ed a sinistra.
L'irrigazione degli alberi si può fare anche per infiltrazione ed
anzi le piante ne avvantaggiano di più poiché le radici non rimangono
sommerse, l'acqua si infiltra lentamente e non si produce intorno al-
l'albero un ambiente troppo umido che provoca tante volte lo sviluppo
di molte malattie, specialmente crittogamiche. Occorre però una note-
vole maggiore quantità d'acqua che cogli altri sistemi, si ha poi, lungo i
fossi, un eccessivo sviluppo di erbe e si va incontro ogni anno ad una
spesa non piccola per rinnovare i solchi irrigatori.
Il metodo più semplice consiste nel tracciare coll'aratro un solco
come si trattasse di una scolina, colla pendenza del 3 al 5 %> profondo
.30 cm. (fig. 235) vicino al fusto e se le piante sono giovani, più lontano
(fig. 236) se le piante sono adulte. Con tutti e due però questi sistemi
Xi'i
l'acqua viene portata da un solo lato ed ogni anno bisogna cambiare
il solco portandolo dall'altra parte. Per risparmiare questa spesa si
può fare la coltura degli alberi coll'aritico sistema del cavalU'tto. in-
troducendo l'acqua nei due fossi laterali (lig. 237 e 238).
rr^.
Fig. 235. — Irrigazione per imbibizione ili piante giovani.
Fig. 236 — Irrigazione per imbibizione di piante adulte.
I solchi irrigatori non si fanno più lunghi di 2()0 inclri.
Per ovviare rinconvonieiito che !'ac(|ua vi scorra troppo presto
Fig. 237. — Irrigazione di piantagione su cavalietti.
prima che il terreno si possa imbevere, ciò che avviene specialmente
quando l'irrigatrice è da un solo lato, si può far deviare il solco at-
torno ad ogni pianta (fig. 239) oppure si fa un solco più profondo a
fondo cieco (fig. 240).
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Fig. 238. — Distribuzione dell'acqua per irrigare filari di piante con
doppio canale irrigatore.
Fig. 239. — Irrigazione per imbibizione a solchi circolari intorno al fusto.
Fig. 240. — Irrigazione per imbibizione a solchi cicolari a tondo cieco.
Fig. 241. — Irrigazione di una spalliera.
- \VM -
Avendo da irrigare un frutteto con piante più lìtte, conviene portare
l'acqua per tutto il terreno e nelle figure abbiamo rappresentali sche-
maticamente i diversi metodi che si possono adottare a seconda delle
distanze. Anche questi solchi si possono tracciare coll'aratro, dando
loro una pendenza del 3 al S^/^o ed una lunghezza non superiore ai
200 metri.
Infine nella fig. 241 si vede come si possono irrigare le piante
coltivate contro i muri a spalliera.
Tamaro - Frutticoltura
PARTE OTTAVA
RACCOLTA, CONSERVAZIONE
ED UTILIZZAZIONE DELLE FRUTTA d)
I.
Sviluppo e maturazione delle frutta.
1. — Le buone e belle frutte da tavola, costituiscono in ogni sta-
gione, un articolo di commercio molto ricercato e perciò anche ben
pagato. Per ottenere però questo vantaggio occorre che le frutta ac-
contentino il gusto e l'occhio del consumatore ; in altri termini devono
essere saporite, profumate e belle di aspetto, condizioni queste, che non
sempre si verificano.
Naturalmente la colpa è del produttore il quale, sia perchè fa poco
calcolo su questa rendita, molte volte per lui secondaria, sia per igno-
ranza, trascura delle pratiche razionali facili ad applicarsi, che potreb-
bero avvantaggiarlo di molto. In questo riguardo è aperto per noi un
vasto campo, da cui, se ben studiato, si possono trarre notevoli gua-
dagni. Io credo che se l' agricoltore sapesse quanta maggior rendita
potrebbe trarre, raccogliendo e conservando più razionalmente le frutta,
non soltanto vi presterebbe maggiori cure, ma anche le stesse piante
verrebbero meglio coltivate.
Siccome la riuscita della conservazione dipende assai dallo stato
di maturità che viene colta la frutta, cosi è indispensabile che noi
permettiamo alcuni cenni sulla maturazione.
(1) G. Rovesti. — Conserve alimentari vegetali. Biblioteca Ottavi 1906.
M. Marval. — Ma pratique des conserves. Paris 1911.
G. Pellerin. — Denrées alimentaires. Paris 1911.
A. Rolet. — Les conserves de fruits. Paris 1912.
X. Roeques. — Les industries de la conservation des aliments. Paris WO.'j.
2. — Funzione del frullo. Avvenuta la fecondazione dell' ovario,
comincia subito nel medesimo ad aflluire le diverse sostanze nutritive
di natura organica e minerale elaborate dalle foglie e rami. Cosi av-
viene che il frutto a poco a poco si ingrossa e, lino che rimane di
color verde, assinmla e respira come le foglie
Coir assimilazione dell'anidride carbonica dell aria, di questa Iraltiene il carltonio
ed emette T ossigeno. 11 carbonio colle sostanze nutritive che hanno cniigrulo colla
linfa, ne forma di altre. Colla respirazione assorbe dell'ossigeno il quale combinandosi
con una parte delle sostanze nutritive, provoca la combustione o consumo di queste
sviluppando calore, calore necessario per fornire alle cellide l'energia per aumentare di
volume e per moltiplicarsi, a misura che il frutto ingrossa.
Trasformandosi o scomparendo la clorolìlla anche il processo di
assiinilazione si arresta ed allora rimane l'unica funzione della respi-
razione come nelle prugne e nelle ciliegie. La respirazione piti attiva
la si ha nel periodo della fioritura e dopo |)oco tempo diminuisce
continuamente fino a (juando il frutto comincia ad ammezzire. In
questo stadio la respirazione è i)ressocchè insensibile.
Perchè lo sviluppo delle frutta sia attivo occorre l'azione simul-
tanea dell' aria, della luce, dell' umidità e di un certo grado di calore.
L'aria come abbiamo veduto è necessaria per l' assimilazione e
respirazione; la luce ha veramente una minima influenza nella forma-
zione dei materiali componenti il frutto. Ciò e stato dimostrato dal
MuUer Thurgau coH'uva il quale ha constatato che i grappoli maturati
al coperto della luce contenevano eguale quantità di zucchero di quelli
soleggiati.
Tab. XXXI.
Influenza dei raggi solari sulla composizione dell'uva.
Uva del tralcio
completa- coperto da 1 coperto da
mente ' una tela i un» tr'-
soleggiato I bianca neri
per il frutto. ! .„ . ji • /•
Temperatura media m C"
conponenti trovati in un Icg. di foglie e , ^„™-;|,„ "-J^« [ ""^,lf
tralci che forniscono il materiale di riserva I °'' I
Glucosidi . . 12.'i01
Acido tartarico 3*'*^
Anidride carbonica delle ceneri . 3.071
Ceneri
Calce
15.412
2.181
Potassa '^^^
Anidride fosforica
0.215
•JT.Vi
:«.«J
8662
6.690
i 1.%-.
2.404
1 0.442
12.817
8.221
1.918
0,877
2.578
1 1.349
O.IW
0.072
- 340 -
Non così avviene se invece la pianta od anche soltanto il ramo che porta i frutti, ven-
gono tenuti riparati dalla luce. Allora si ha una notevole diminuzione di zucchero e di
tutti gli altri componenti utili. Il Dott. Maccagno ha ciò dimostrato, analizzando il con-
tenuto dei pampini uviferi; il Dott. Giorgio Ritter ha recentemente pubblicato i risultali
della sua esperienza, analizzando l'uva (Vedi Tab. XXXI).
L'umidità è necessaria costantemente specialmente nel periodo del maggiore svi-
luppo del frutto.
La temperatura ha sopratutto influenza nelle trasformazioni che subiscono gli
elementi organici del contenuto del frutto. A 5" C. il processo di maturazione si arresta,
mentre essa si compie fra un minimo di 15» C. ed un massimo di 30" C.
3. — Sintomi della maturazione. Benché sia indubitabile che un
frutto pervenuto allo stato naturale della sua intera crescita, possa
essere staccato dell'albero senza alcun inconveniente, non per questo
è vero che sia quello il momento della sua maturità. La pera, la mela
e molte altre frutta di questo genere si adattano a questa pratica, ma
non maturano che gradatamente dopo la raccolta. Dunque il completo
sviluppo delle frutta non indica uno stato assoluto di maturazione, ma
il momento possibile della raccolta. Ciò significa, che quando la frutta
è arrivata allo stato finale della sua crescita in volume, benché le ap-
parenze esterne siano contrarie, e la polpa, per es., sia consistente, e
l'epidermide sia di color verde più intenso, pure da quel momento
può essere separata dalla pianta madre, e in conseguenza passare al
fruttaio per esservi conservata. Ma tutto questo non costituisce la vera
maturazione della frutta.
La maturazione è uno stato totalmente diverso. La natura ce lo
insegna ogni giorno, e in un modo ben chiaro. Quando il momento è
arrivato, la frutta si distacca spontaneamente dal ramo e cade a terra.
Questo è il punto finale della compiuta maturità, e tutte le condizioni
vi si trovano riunite per provarla col fatto.
Dìfatti quando il frutto ha raggiunto il massimo del suo sviluppo,
staccandolo dalla pianta, porta seco tutti i succhi nutritizi che concor-
rono a formare la maturazione. Questi succhi sono rinchiusi in tante
cellule che costituiscono la polpa, la quale diventa molle, succosa, dolce;
le cellule si ingrandiscono rapidamente con notevole assotigliamento
delle pareti ; le fibre si riducono in filamenti delicatissimi. I succhi si
spandono, ne avviene un processo chimico interno mercé il quale,
coll'infiuenza dell'aria, della luce e del calore, i succhi che erano prima
succosi, aspri ed acidi, perdono gli elementi che li costituivano tali, e
diventano zuccherini ed aromatici.
Tali sono le fasi diverse delle maturazione, le quali sono piti o
meno apparenti secondo il caso, il tempo e le circostanze di calore,
luce ed aria a cui i frutti vengono sottoposti.
Profittando d'un tale insegnamento, si è imparato la possibilità di
protrarre la maturazione quasi a piacimento e di ciò parleremo in ap-
positi capitoli, che tratteranno della conservazione della frutta. Ora
veniamo a parlare dei segni indicanti lo stato finale della crescita della
frutta, e quelli della sua definitiva maturità.
- 341 -
La risposta a questo doppio quesito non può essere precisa in
quanto che, il punto fìsso della crescita finale, dipende dalle circostanze
locali, dal clima, dalle variazioni atmosferiche, e dalle varietà delle
specie coltivate, ciascuna delle quali può avere, secondo il silo, delle
abitudini particolari. In generale, quando la frulla cessa di crescere, si
comincia a trovare in terra qualche frullo precursore che richiama l'atten-
zione del pratico; è ([uesto un segno approsimativo di possibile raccolta.
Indipendelemente da questo segno; quando la parte del frutto
esposta al sole mostra colori più o meno vivi; quando il penducolo
comincia ad aggrinzarsi e senza sforzi si distacca dal ramo; (juando
le foglie dell'albero cangiano di colorito ed appariscono giallastre, è
allora il momento di pensare alla raccolta delle frutta. (C\ò vale spe-
cialmente per le pere e le mele autunnali e vernine;. Ma questo è il
primo grado della maturazione. Il secondo è quello in cui il frutto
conservato in fruttaio, divenuto molle, è arrivalo al punto vero della
commestibilità. Per questo, la prima regola é fondala sulla consistenza
del frutto; la seconda, sul colorilo dell'epidermide che, nella maggior
parte delle pere, ingiallisce.
Quando i succhi nutritizi contenuti nel frullo, dopo aver termi-
nato le loro funzioni cessano di essere attivi, il frutto è maturato.
Allora soprabbondandovi, non possono più slare al di dentro, né intorno
alle membrane che formano la polpa, senza impregnarle, immergerle,
ammolirle e far loro provare una specie di dissoluzione. Tale è la
causa della mollezza dei frutti la quale, giunta a un certo grado, è il
miglior segno della loro maturità.
Ma questo "segno non è generale per tutte Io fruita. Alcune pere
dette di polpa consistente, quasi tulle le mele rimangono dure, o si
ammolliscono pochissimo, mentre molle pere, tulle le prugne, le albi-
cocche, le pesche sono considerate mature, solo quando hanno acquis-
tato un certo grado di mollezza.
Un altro segno per conoscere la maturità di certi fruiti, come la
pera e la mela, è quello indicalo dal colore dei granelli che stanno
racchiusi. Quindi, prima di fare la raccolta, sarà prudente aprire alcuni
frutti e vedere se i granelli hanno preso la tinta nera o tendente al nero.
Finalmente si deve dire che ogni frutto ha un segno particolare,
che di rado inganna un occhio pratico, che l'abitudine insegna.
lì' questo un certo volume, una forma data, una gradazione speciale
nel colorito, una tal quale leggera flessibilità della polpa, la facilità più
o meno di distaccarsi dal ramo, che la pratica ed il paragone fanno
conoscere.
342
IL
Fasi della maturazione.
Componenti chimici delle frutta.
Nella fruttificazione conviene distinguere 4 fasi o periodi.
1. — I.o Periodo o fase acida. Queslo periodo dura fino a quando
la buccia rimane verde. Avviene in questo periodo che i frutti assimi-
liano e respirano, perciò producono della sostanza organica, ma la
maggior parte di questa viene portata dalla linfa elaborata dalle foglie
e dalle altri parti verdi della pianta.
In questo periodo i frutti aumentano notevolmente di volume, si
arricchiscano di acidi organici, di sostanze tanniche e di amido, tanto
che per il sapore che hanno i frutti, viene chiamata questa la fase acida.
2. — IL" Periodo o fase zuccherina. Esso comincia quando la buccia
perdendo la clorofilla prende un colorito diverso del verde. Perdendo
la clorofilla cessa l'assimilazione del carbonio ma continua attivamente
la respirazione, trattenendo l'ossigeno.
Mentre il frutto continua ad aumentare, ma di poco, il peso ed il
volume; gli acidi lentamente scompariscono e subentrano gli zuccheri,
si sviluppano gli aromi di cui alcuni sono idrocarburi, altri degli eteri.
Da questo ne segue che il frutto, dapprima acerbo, per l'eccedenza di
acidi e di tannino, con l' ossidazione di questi corpi si dolcifica ed
acquista profumo ed aroma.
In questo periodo di maturazione, i mutamenti che avvengono nella composizione
del frutto sono i seguenti.
11 succo del frutto mentre aumenta in qjiantità colla maturazione si arrichisce di
sali minerali ed organici aumentando naturalmente anche il suo peso specifico.
Lo zucchero viene in parte direttamente dalle foglie, in parte è dovuto alla saccari-
ficazione dell'amido ed in parte alla decomposizione degli acidi organici e sostanze
tanniche. Il saccarosio derivato dell'amido, in contatto dell'inverlina, si sdoppia in
glucosio e levulosio. Se l'invertimento è completo come nell'uva, nelle ciliegie, nel ribes
e nel fico, non rimane traccia di saccarosio, a maturazione completa. Per lo più però è
incompleto come nelle pesche, susine, albicocche, pere, mele, banane e arance.
Secondo Marcadante, lo zucchero può anche prodursi nelle susine verdi mediante
l'azione dell'acido malico sulla gomma, la quale perciò viene necessariamente a dimi-
nuire.
È specialmente il calore che favorisce la formazione dello zucchero il quale aumenta
lino alla maturazione.
Lo zucchero è pressocchè in quantità eguale nelle pere e nelle mele. Nelle mele
prevale il levulosio. In 100 cm.^ di succo si trovano da gr. 0.75 a gr. 6.27 di zucchero greggio
Sopra 100 parti di zucchero invertito si tovano parli 8.5 a 96.9 di saccarosio.
Naturalmente la composizione del succo e della polpa di frutta varia per la stessa
pecie, colla varietà, col terreno, clima, concimazione ed età.
- :u-A —
In 100 cm.^ di succo si trovano in medie lo seguenti ([uanlilà di /.ucchcro RrcRgio.
Nelle pere e mele . -r o.".'. a 0.27
pesche . . ,7.5
susine Mirabelle . (;i)«
R. Clandie . 6.0U
, „ Zwetschen . 5.5
La proporzione in cui si trova il glucosio col saccarosio varia cogli stadi di matu-
razione del frutto. Nelle arance, la materia zuccherina al principio del periodo di matu-
razione è costituita dal solo glucosio poi ad un rlalo momentn rimane quasi invarialo,
mentre subentra il saccarosio che aumenta sempre lino a maturazione tomplela
A differenza degli altri frutti nei iiuali al i)rinclplo della maturazione domina il
levulosio, nell'uva domina il destrosio o glucosio e soltanto a maturazione completa il
levulosio si pareggia col glucosio.
Gli albuminoidi emigrano coslaulemenle dai rami e dalle foglie lino al momento
che si concentrano nei semi. Successivamente diminuiscono.
11 cellulosio aumenta costantemente fino alla maturazione e nell'ultimo tempo di
questo periodo, probabilmente una parte si converte in zucchero.
Il pectosio che è associato alla materia legnosa, per l'azione combiiuita del calore
e degli acidi, si riduce in pectina solubile e j)oi in gelatina vegetale, <|uando la polpa
comincia a rammollirsi.
Le gomme, le miicilaggini, i gnissi, i quali devonsi considerare come materiali di
demolizione specialmente degli idrati di carbonio (cellulosa, amido, etc.) aumentano
lino alla fase del ranimollniento della polpa. 1 grassi si formano nei semi per meta-
morfosi dell amido.
Le sostanze lanniche che sono lauto abbondanti nel I Periodo, in questo secondo
periodo diminuisce tanto che nei frutti iiuituri non se ne trovano più A loro si deve
il sapore aspro delle frutta acerbe. Questa scomparsa pare che la si debba al fatto, che
le sostanze tanniche solubili diventano insolubili cristallizzando oppure formano dei
glomerati che si depositano sulle pareti delle cellule.
Di alcaloidi finora non se ne sono trovati nei nostri frutti
Gli acidi organici emigrano dalle foglie nei frutti, però pare che cambino il loro
carattere chimico. modiJìcandosi. L acidità aumenta lino che il frutto aumenta di volume.
Se in seguito si nota una diminuizionc. la si deve alle combinazioni che avvengono
colle basi, formando dei sali oppure alla loro combustione in contatto collosslgeno od
infine a reazioni diverse. Ogni specie di frutto ha un acido organico speciale. Cosi le
mele l'acido malico, gli agrumi l'acido citrico, i susini lacido succinico. eie Haramente
però si trova un solo acido, cosi nell'uva ne abbiamo parecchi ma principalmente
lacido malico, tannico e tartarico.
Neil uva lacido tannico e malico scompaiono colla maturazione mentre 1 acido
tartarico aumenta rimanendo in parte libero ed in parte combinandosi colla potassa,
formando il tartarato acido di potassa. Quando 1 uva è matura l'acidità dovuta all'acido
tartarico o tartarato non aumenta.
Delle materie coloranti, la clorofilla scompare in molte frutta e le altre materie
coloranti proprie ad ogni frutto si formano colla maturazione sotto lazione della luce.
Nell'uva, la sostanza colorante rossa (eritrofilla) si forma quando cessa l'assimilazione
del carbonio da parte dell'acino e deriva dal tannino.
In quasi tutti i frutti la materia colorante si accunuda nelle cellule epidermiche
mentre nelle ciliegie rimane sparsa in tutta la parte del frutto.
I sali minerali aumentano fino alla completa maturazione. K notevole nell'uva, la
costanza di un eccesso di potassa non combinala coll'acido tartarico, ad onta della pre-
senza di acido tartarico libero.
La fine quindi del II.» Periodo di maturazione, che per maggior
parte dei frutti è la maturazione commestibile, è caratterizzata:
- 344 —
a) della scomparsa dell'amido, delle sostanze tanniche e della
maggior parte degli acidi organici ;
b) dal massimo contenuto di zucchero.
La trasformazione delle sostanze componenti il frutto nei diversi periodi di svi-
luppo, si rilevano delle seguenti analisi fatle a periodi quasi eguali dalla fioritura alla
maturazione.
Tab. XXXII.
Contenuto percentuale di alcune frutta fresche (Ritter).
SPECIE E VARIETÀ
Solubili nell'acqua
Insolubili
neir acqua
A. Mele.
Ranetta d'Inghilterra. . .
Borsdorf
Pearmaine dorata d'inverno
Agostana
B. Pere.
Re del Wùrttemberg . . .
Sanguigna
Di Siegel
C. Susine.
Azzurra scura
Rosse scure
I). Ciliegie.
Duracina rosso chiara . .
Nera
Nera dolce
E. Lampone.
Di bosco
Da giardino ......
F. Ribes.
Rosso I
, II
Bianco
9.25
7.61
10.36
5
1.99
6.44
13.11
3.43
10.7
2.8
4.45
4.78
6.44
7.69
0.53
0.61
0.48
0.96
0.08
0.21
0.35
0.32
0.56
1.38
1.46
0.48
0.23
0.43
0.37
0.85
0.43
0.96
0.15
0.12
1.80 ]
6.85
5.11 !
5.37 i 0.5
2.07
3.18
2.31 0.45
1.84 0.49
2.26 0.30
2.27
0.47
2.8
0.45
0.09
0-64
0.08
0.69
0.72
0.24 I -
14.05
6.98
4.61
4.48
4.14
345
Tab. XXXIII.
Contenuto in grammi di una pera.
(Varietà : Pera di Salisburgo).
DATA
1
2
V
ì
1
Albu-
minoidi
Legnoso
Pectina e
Destrina
26 Maggio
0.108
0.001
0.0004
0.0066
0.002
0.0017
0.0103
5 Giugno
0.595
0.0027
0.0009
0,0298
0.04
0.0068
0.0448
15
1.62
0.0077
0.0017
0.0736
0.19
0.0198
0.1672
25 „
2.9
0.018
0.0031
0.123
0.42
0.026»
0349
5 Luglio
3.94
0.036
0.0(M2
0.121
0.68
».tM3
0.4358
15
1 6.26
0,095
0.0083
0.167
0.99
0.057
0.7627
25
; 11.38
0,218
0.0245
0.252
1.17
0069
1.3165
4 Agoslo
16.03
0.637
0.0657
0.207
1.21
0.068
1.7023
14
24.99
1.66
0.0763
0.229
1.34
0.079
2.0437
24
31.22
2.23
0.094
0.282
1.2«
0.098
2366
3 Settembre
1 36.14
3.59
0.138
0.242
1J>9
0.065
1.675
8
37.24
4.18
0.111
0.227
i.2:«
0.101»
2.37
c2
0.13
0.72
2.08
3.81
5.26
8.:{4
14.43
lo.iri
30.52
37.57
43.14
45.5
Tab. XXXIV
Composizione percentuale dell'uva spina fresca (Ritter).
- — ^
— ^
4»
DATA
1
S
1
■^1
^1
1.0«
£
-
II
7 Giugno
-
1.736
13
88.8
1.826
1.52
1.6
o.lòl
H.O-'l
.) Il
16
88-8
2.06
1.51
1.6
0.614
0.603
4.81
20
88.4
2.08
1..>1
1.87
0.813
0.626
4.67
23
88.3
2.50
1.61
1.92
-
0.614
—
27
88.-
2.54
1.76
1.95
0.84
0.624
4.:io
30
87.9
2.58
1.90
2.14
—
0.617
—
4 Luglio
87.7
2.62
1^
2.14
0.911
0.627
4.15
7
11
87.7
87.7
2.76
2.76
1.88
2.01
1.87
0.885
0.623
0.613
4.14
14
87.6
2.78
1.67
1.87
0.^
0.617
4.-57
17
87.7
2.80
1.66
1.84
0.744
0.541
4.71
21
87.3
3.02
1.68
1.84
—
0.553
25
86.-
3.14
1.78
1.84
0.838
0.565
5.80
28
85.7
3.30
1.70
187
0.84
0.553
6.03
1 Agosto
85.2
3.82
1.58
1.87
0.917
0.532
6.1
4
83.5
4.45
—
1.79
—
0.503
—
8
81.il
.-,:,!
I .':
1 cs
1 122
(1 1 1 '.
"HI
346
Tab. XXXV. Composizione percentuale della sostanza secca
dell'uva spina (Bitter).
DATA
Zucchero
Acido
malico
Albu-
minoidi
Grassi
Cenere
Sostanze
non azotate
13 Giugno . .
16.3
14.28
13.6
4.3
5.58
45.94
16 „
18.42
14.28
13.5
5.49
5.39
42.92
20 „
17.3
16.12
13.3
7.1
5.4
40.18
23 ,
21.3
16.39
13.8
—
5.25
—
27 „
21.1
16.25
14.7
1.-
5.2
33.75
30 „
21.3
17.68
15.5
—
5.1
—
4 Luglio . .
21.3
17.4
15.-
7.5
5.1
33.7
7 .
22.4
16.34
15.3
7.2
5.08
33.68
11 ,
22.4
15.2
—
—
5.03
—
14 ,
22.4
15.08
13.5
6.9
4.98
37.14
17 „
22.7
14.96
13.5
6.2
4.4
38.24
21 „
23.8
14.53
13.25
—
4.36
—
25 ,
23.8
13.85
13.25
6.21
4.19
38.7
28 „
23.5
13.42
12.18
6.-
3.95
40.95
1 Agosto . .
25.8
12.S
10.68
6.2
3.6
41.22
4 ,
26.9
10.85
—
-
3.05
—
8 ,
30.6
9.28
8.7
6.2
2.45
42.77
3. — II i//." periodo è quello nel quale il frutto diviene mezzo,
ossia uno stato che sta fra il maturo ed il fradicio e che per alcune
frutta come le nespole, sorbe, i kaki e qualche varietà di pere ricche
di tannino, questo stato ò necessario per renderle commestibili.
Nelle frutta secche invece (mandorle, noci ecc.), si dissecca il mallo
e rimane il guscio avvenendo una diminuzione di peso del 70-85 7o-
In questo periodo, nella frutta polposa si lia una notevole dimi-
nuzione di sostanze organiche e specialmente di acidi organici, di
amido, di tannino e di zucchero. Gli acidi si uniscono in parte alle
aldeidi in formazione per dare degli eteri a contatto dell'alcool, eteri
che danno il profumo ai frutti.
Questi processi avvengono indipendentemente dall'atmosfera in cui
tenuti i frutti ma hanno uno sviluppo più o meno rapido a seconda della temperatura. In
alcuni frutti ricchi di acidi e di amido, durante questo periodo si nota un aumento
progressivo di zucchero. Per questi bisogna concludere che i suddetti composti si tra-
sformano in zucchero.
Degli acidi, quello citrico ha bisogno di una temperatura molto elevata per scom-
parire ed è per questo che gli aranci maturano soltanto nei paesi molto caldi e l'uva
dei paesi meridionali è meno ricca di acido tartarico di quella dei climi temperati.
L'acido malico scompare ad una temperatura ancora più bassa ed è per questo che le
mele maturano in un clima meno caldo di quello della vite.
Da questo si deve concludere, che dopo raccolte le frutta, colla
temperatura dell'ambiente in cui si tengono, si può regolare la scom-
parsa dell'acidità e quindi regolare il tempo della maturazione.
- 347 -
Dopo gli acidi scompaiono i composti tannici a qualunque tem-
peratura. La peciosi o gelatina di fruita che si forma, riempie le lacune
dei tessuti avviluppando completamente le cellule. Queste, In tal modo
private dell'aria devono, per continuare a vivere, cambiare il loro
modo di esistenza. Da aerobiche che erano lino a questo momento
diventano anaerobiche e si comportano come veri fermenti, determi-
nano una leggera fermentazione dello zucchero che contengono pro-
ducendo dell'alcol, dell'anidride carbonica, degli eteri che si spandono
nei tessuti.
E' a questi processi che si deve attribuire la diminuzione del tan-
nino e dello zucchero il quale ultimo deve anche mantenere la re-
spirazione.
Ed è allora che il frutto diventa succolenlo, saporito, profumato,
vinoso, zuccherino. La buccia prende un colorito seducente, giallo
pallido o rossastro ed è questo il momento che bisogna consumarlo.
Esso ha acquistato in questo momento il suo massimo valore e dura
poco tempo per entrare poi nella disgregazione. A questo punto si
fanno arrivare specialmente le pere e le mele nei locali di conservazione.
Per alcuni frutti la scomparsa del tannino e la formazione della
pectasi produce l'asfissia immediata delle cellule per la privazione
dell'aria.
I tessuti dei frutti diventano di color bruno e si rammolliscono,
ammezziscono, come le nespole, le sorbe, i kaki.
L'ammezzimento per non confonderlo coli' infracidimento, comincia sempre dal
centro, perchè è nel centro che per primo risente la privazione dell'aria e poi in via
centrifuga si estende verso la periferia ed arriva da ultimo sotto alla buccia. Non è
dovuto quindi questo slato a malattia ma è uno stato finale di maturazione naturale
di alcuni frutti polposi ricchi di acidi e di tannino. I tessuti ammezziti non hanno
sapore ed odore disaggradevoli.
4. — // /F.» ed ultimo periodo è quello deW infracidimento, alla line-
dei quale i semi rimangono liberi.
L' infracidimento è dovuto a dei microorganismi, a dei batteri
venuti dall'esterno e penetrati nel frutto per le screpolature o ferite
della buccia. In questo caso il fracido comincia dall'esterno e va verso
l'interno. I tessuti emanano un odore disaggradevole ed in una parola
mentre l'ammezzimento devesi considerare come uno slato fisiologico,
r infracidimento è uno slato patologico del frullo provocalo mollo dalle
ferite che fanno gli insetti.
5. — La maturazione delle fruita raccolte anticipatamente. 1 frutti
raccolti anticipatamente hanno naturalmente una composizione diversa
da quando sono maturi. Se poi al frullo si lascia attaccalo il ramo che
lo portava e se per qualche tempo questo lo si mantiene in vita, con-
tinua l'immigrazione da questo e perciò il frutto andrà acquistando
una composizione che più si avvicina a quella della maturazione na-
turale sull'albero.
Anzitutto lo zucchero e l'amido passando dalle foglie al frutto,
producono un aumento di ricchezza zuccherina.
— 348 —
Però le frutta in genere se raccolte molto tempo prima sono più
piccole, hanno un peso specifico minore, e la polpa va soggetta a delle
alterazioni. I frutti carnosi invece, se tenuti in un ambiente asciutto, ne
guadagnano.
Ricerche sull'uva dimostrano che questa se raccolta ad un certo
grado di maturità, continua la sua maturazione, indipendentemente
dal legno che la portava. Così aumentano il cellulosio e le sostanze
gommose. 1 grappoli però maturati sul ceppo, acquistano una notevole
e maggiore ricchezza zuccherina e di acido tartarico non aumenta però
dopo l'ammezzimento. La gomma ed il cellulosio aumentano di poco
dopo r ammezzimento mentre l'acido tannico aumenta.
Le mele se raccolte immature o perchè cadute o ferite, collocate
in un ambiente caldo, diventano più dolci perchè una parte dell'acqua
evapora e perchè dell'amido si converte in zucchero. L'acidità tannica
invece diminuisce.
III.
Raccolta delle frutta.
1. — Questa è una operazione importante che devesi fare con
riguardo per evitare ammaccature, lacerazioni, che fanno andare a
male di solito le frutta.
Dobbiamo anche avvertire, che sopra una medesima pianta lo
sviluppo delle frutta non compiesi in modo uniforme e regolare. Da
ciò ne consegue che la raccolta deve essere successiva, graduale e fatta
a più riprese.
La raccolta di solito si comincia dagli alberi meno vigorosi, più
vecchi e più esposti ai raggi solari. 1 primi ad essere spogliati devono
essere i rami della cima, perchè più battuti dal vento.
2. — Le frutta a nocciolo e le varietà estive ed autunnali di quelle
a granella che devono servire per il consumo locale, si raccolgono
quando, con una lieve torsione, si staccano dal ramo. Se destinate a
lunghi trasporti, è necessario raccoglierle due o tre giorni prima della
maturazione, a seconda della distanza a cui devono essere spedite.
3. — Le pere e mele invernali si colgono quando hanno raggiunto
il pieno loro sviluppo, quando si stacca con facilità il peduncolo e
prima dei geli. Staccate troppo presto, queste frutta si raggrinzano
senza che avvenga la completa maturazione e la polpa si fa sugherosa
e scipita; colte troppo tardi, dopo aver sofferto per la brina, si con-
servano meno e la polpa si disfà agevolmente, rimanendo scipita e di
un colore sbiancato e pallido. Alcune varietà autunnali di pere, come
la Duchessa d'Angoulème e Clairgean, se raccolte alquanto immature,
restano è vero meno grosse, ma prolungano la loro maturazione.
— 34 i)
4. — Per quanto è possibile, si sceglie, per la raccolta, una gior-
nata di tempo asciutto, ventilato e bello. Per le piante a nocciolo, e
specialmente per le pesche, si raccolgano le frutta alla mattina quando
è scomparsa la rugiada, oppure alla sera, quando non fa molto caldo.
Per le pere e mele che si devono conservare nel fruttaio durante
l'inverno, è consigliabile di fare la raccolta dopo mezzogiorno lino
si portano in una rimessa
per
alle sedici. Dopo raccolte, si portano in una rimessa acciò si rallred-
dino, e si lasciano colà
una quindicina di giorni, come
vedremo in altro capitolo, per
allogarle poi nel fruttaio d'in-
verno.
Il miglior modo di racco-
glere le frutta si è quello di
staccarle ad una ad una e a
mano, torcendo il picciolo e
l)adando di non comprimerle;
poiché le ammaccature pro-
ducono delle macchie brune,
che determinano la putrefazio-
ne. Le pesche delicate delle
spalliere, per non guastare la
peluria, si raccolgono con la
mano munita di una foglia di
vite, per non toccare diretta-
mente il frutto con le dita.
Per le fruita della sommità de-
gli alberi, bisogna servirsi di
una scala doppia, oppure di appositi strumenti, chiamati
raccoglitori. Questi non sono che forbici a pertica, sotto ai
quali si trova una piccola rete a guisa di borsa, per rac-
cogliere il frutto spiccato dallo svettatoio (fig. 242).
Bisogna assolutamente bandire del tutto l'abbacchiatura
della frutta e lo scuotimento dei rami, e ciò non soltanto per
la ragione che le frutta, cadendo a terra, vanno soggette a
contusioni ; ma anche perchè operando in tal modo, si gua-
stano le borse e le lamburde che si formano alla base del picciolo.
Per questa ultima ragione raccomandiamo anche, nel raccogliere le
frutta, di torcere il picciolo e non di strapparlo.
Le frutta devono essere trasportate con somma diligenza epperciò,
appena spiccate, si pongono in larghi e bassi canestri, nei quali non
ci possano stare più di due od al massimo tre strati di frutta.
Il canestro usato dai frutticultori di Montreuil ha le seguenti
dimensioni : lunghezze 65 cm., larghezza 48 cm., profondità 25 cni. Prima
di porre le frutta nei canestri, è bene guernire
carta, di paglia o di muschio secco e.
il fondo di ritagli di
trattandosi di frutta delicate,
— 350 -
come le pesche ed albicocche, conviene frapporre anche fra le stesse
frutta delle foglie fresche dello stesso albero, oppure di vite.
Le frutta raccolte si portano coi panieri in un luogo asciutto, ven-
tilato, non abitato e riparato dal sole e dagli insetti, per i quali ultimi
consiglierei di difendersi, riparando le finestre con delle reti di filo di
ferro. Questo locale può essere una rimessa, un granaio, purché sia
ampio, né troppo freddo né troppo caldo. Deve essere anche arredato
di tavole o stuoie, sopra le quali si distendono le frutta di mano in
mano che vengono portate. Nel distenderle, si fa una prima separazione
delle frutta contuse, ferite o che cominciano a guastarsi.
In questo locale, chiamato fruttaio d'estate, si lasciano le frutta
invernenghe per 8 o 10 giorni, e l'uva da serbo anche per 20 e più giorni
fino che il peduncolo comincia ad avvizzire, acciò si asciughino dalla
umidità superficiale e per vedere se v'è ancora frammista della frutta
che minaccia di guastarsi. Passata quest'epoca, si portano nel fruttaio
propriamente detto, dove si tengono fino al momento del consumo e
cioè per tutto l'inverno e parte della primavera.
È ovvio aggiungere, che tutte le frutta d'immediato consumo e cioè
quelle estive, autunnali, si portano anche nel fruttaio d'estate dove si
imballano, per essere spedite alla loro destinazione.
Per la raccolta delle singole specie di frutta verrà trattato in par-
ticolare nella parte speciale di questo libro.
IV.
Importanza delle frutta nella nostra alimentazione.
1. — In ogni periodo storico, presso tutti i popoli, le frutta costi-
tuirono sempre uno dei cibi più ricercati. Oltre essere oggetto di com-
piacimento contribuiscono a rendere la nostra alimentazione più variata
e razionale.
Il consumo delle frutta é naturalmente maggiore nelle popolazioni
di campagna, meno intensivo é il loro uso negli abitanti di città dove,
in certe stagioni, le frutta costituiscono un alimento di lusso.
Mentre deve essere cura del frutticoitore di rendere sempre più
basso il prezzo di produzione per generalizzare il consumo delle frutta,
non è meno interessante di far conoscere e divulgare l'importanza che
esse hanno nella nostra alimentazione.
2. — Le olive, le mandorle, le noci e le nocciole sono le frutta più
ricche di grassi ; meno le banane e le castagne, sono generalmente
povere di amido ed abbastanza ricche di cellulosio, il quale però bi-
sogna considerarlo per l'uomo come una materia ingombrante ed assai
poco digerita.
L'elemento però che predomina é la materia zuccherina che con-
ferisce buon gusto al frutto e che é totalmente digerita ed assimilata
più dell'amido. Gli zuccheri sotto qualsiasi forma sono quindi elementi
di primo ordine.
- :sr>i -
Gli acidi vegetali sono vari. Nelle pere, mele, susine, albicocche e
ciliegie, troviamo l'acido malico ; nelle uve, l'acido malico e tartarico ;
nell'uva spina e nel ribes, l'acido citrico e malico; negli agrumi l'acido
citrico e cosi via. Questi acidi sono elementi calorigeni poiché intro-
doUi nel nostro organismo si decompongono in acido carbonico, svi-
luppando calore e producendo una certa energia che non è però pa-
ragonabile a quella prodotta dalle sostanze azotate, dai grassi e dagli
idrati di carbonio.
Di sostanze azotate le frutta sono generalmente povere. Kccetto che
nelle castagne e noci in cui arriva da 12 al 23 7^ della sostanza secca,
tutte le altre frutta ne contengono da 8,4 a 9,6 7(,. In media quindi le
frutta non contengono la quantità di sostanze azotate delle patate; il
riso, che è il seme farinaceo più povero di sostanze azotate, ne con-
tiene 8,9 7o; i cavoli fiori 18,9 7o;i piselli 29 7o ; gli spinacci 32,fi 7^
della sostanza secca.
Come si rileva dal seguente specchietto, le frutta contengono assai
poche sostanze minerali, meno ancora di qualsiasi ortaggio.
In M) PAini DI CENEHiv
tenere p. O/o — — — .^ ^ -
dellii sost. secca Potassa Soda Calce Mapsesia
Rape 10,55 17,5 11,6 14,2 8,5
Cavoli fiori .... 11,27 26,4 10,2 16,7 2,3
cappucci . . 10,80 37,8 14,4 9,4 3,5
Spinaci 16,50 16,6 35,:^ 11,9 6,4
Lattuga cappuccia . 18,— 37,6 7,5 11,7 6,2
Mele 1,7 41,8 — 8,8 5,0
Pere 1,G 58,6 — 6,5 5,6
Susine 2,1 69,4 2,3 4,0 4,9
Ciliegie 2,2 50,1 - 7,0 5,2
Fragole 3,4 45,5 6,9 12,5 4,7
Mirtillo 2,9 .37,1 5,2 8,0 6,1
Mandarini .... 2,7 47,1 2,8 22,8 5,7
Castagne 2,4 56,7 7,1 3,9 7,5
Noci 2,1 31,1 2,2 8,(i 13,0
L'inferiorità delle frutta per il loro contenuto in sostanze ntinerali
risulta ancora più evidente se si considera come qui appresso, le ceneri
contenute dai diversi cibi necessari per il mantenimento di un lavo-
ratore il ([uale ha bisogno di elaborare giornalmente 3080 calorie.
Col Ceneri Potassa Soda Calce Magneti» Acido fosfor.
Pane di frumento . . gr. 6,9 2,1 0,1 0,2 0,8 3,4
Noci 8,8 2,7 0,2 0,7 1,1 3,8
Pere „ 13,9 5,0 3,6 1,2 0,7 1,3
Cavoli cappucci . . . „ 104,5 39,5 15.0 9,8 3,6 13,8
Spinaci „ 198,6 33,0 70,1 23,7 12,7 20,8
- 352 -
Le cifre che si riferiscono alle noci possono ritenersi eguali per
tutti i frutti secchi e quelli delle pere, per i frutti freschi.
Come si vede, notevolissima è la differenza della quantità di ceneri
in confronto cogli ortaggi. Degli elementi minerali, la potassa è quella
che prevale. La maggior parte delle basi è combinata cogli acidi vege-
tali cosi da formare dei sali che nel nostro organismo poi si decom-
pono formando dei carbonati alcalini. Gli acidi solforico, cloridrico e
silicico, mentre abbondano negli ortaggi, nelle frutta sono in quantità
limitata.
Pur non attribuendo all'acqua contenuta un valore alimentare è
bene però far noto che l'uva ne contiene più delle patate ; le banane
come le patate ; le pere, mele, susine, ciliegie e lampone, contengono
molto meno acqua di molti ortaggi che si mangiano giornalmente.
3. — Come si vede, le frutta bisogna considerarle come alimenti
ricchi di zuccheri ed acidi vegetali ma poveri di sostanze azotate e di
elementi minerali. Colle frutta soltanto, l'uomo non può vivere ed è
errata la credenza che ci siano dei popoli che vivono di sole frutta.
Si dimentica che questi popoli selvaggi hanno a loro disposizione i
prodotti della caccia e della pesca.
Non per questo bisogna escludere le frutta dalla nostra alimenta-
zione e come l'uomo non può vivere di sola carne, latte, uova, spinaci,
ecc., così è necessario che nella sua alimentazione faccia uso anche
di frutta.
Le proprietà termodinamogene delle frutta ossia la proprietà di
produrre calore onde soppei'ire alle continue perdite di energia del-
l'organismo sono abbastanza notevoli, come si rileva dai seguenti dati
forniti dall'Istituto fisiologico della Università di Berlino :
Noci danno 707 calorie
Pane di frumento. . „ 252 „
Carne „ 98 „
Patate „ 98 „
Banane „ 97 „
Pere „ 69
Uva „ 68
Latte „ 67
Rape „ 57
Barbabietole .... „ 50
Cavoli verzotti ... „ 48 ,,
Spinaci „ 34 „
Ravanelli „ 12
Rispetto alla digeribilità, mentre noi sappiamo che gli albuminoidi
dei faiinacei e degli ortaggi vengono digeriti soltanto per metà, per le
frutta non sono state fatte ancora delle esperienze che meritino di
essere ricordate. Da alcuni dati raccolti dal Prof. Rubner dell'Istituto
sopra ricordato, sembra che ad esempio le ciliege vengano digerite
- 353 -
come e meglio delle barbabietole e del cavolo verzotto. Colle banane
si perdono nelle feci l'S % delie sostanze azotate.
In generale pare che l'assimilazione delle sostanze azotate dalle
frutta non sia inferiore a quella che si verifica cogli ortaggi, é eguale
a quella del granturco ed alquanto inferiore a quella del pane di fru-
mento e delle patate.
Nel calcolare la facoltà nutritiva delle frutta bisogna tener calcolo
dello stato di maturazione della loro freschezza e del modo con cui
vengono masticate. E' stato provato che nelle frutta immature assai
poche sostanze azotate vengono assimilate, che nelle frutta secche la
digeribilità di tutti gli elementi nutritivi viene notevolmente diminuita
e che ad esempio le molte sostanze azotate contenute dalle noci non
vengano assimilate se non sono bene triturate, macinale fra i denti e
bene insalivate.
Le sostanze però che facilitano la digestione, sono le cosidette
sostanze stomatiche contenute dalle frutta, quelle sostanze cioè appeti-
bili, che eccitano le secrezioni dell'apparecchio digerente e che rendono
anche le frutta più gradite. Queste sono gli zuccheri, gli acidi e
gli eteri.
Le frutta secche o conservate col freddo e collo zucchero, perdono
la loro fragranza e con essa la rispettiva digeribilità. Molti fruiti se
cotti come le castagne a 100", acquistano in digeribilità; le pere, mele,
susine, ciliegie la mantengono.
Le buccie ed i semi dei frutti non sono affatto digeribili e quindi
non conviene trangugiarli. Però si deve far notare che sbucciando
grossolanamente noi togliamo alle frutta delle proprietà stomatiche
poiché è precisamente sotto alla buccia che risiedono la maggior parte
delle sostanze aromatiche e che danno profumo al frutto.
Le frutta, al pari del thè, calle ed alcuni preparali alcoolici agi-
scono come disinfettanti dell'intestino per i loro acidi, come calmanti
e rinfrescanti ed hanno anche delle proprietà nervine, ossia aumentano
l'attività dei centri nervosi.
Riassumeudo si può concludere che le frulla pur non essendo
indispensabili per la nostra alimentazione e non essendo un cibo mollo
nutriente, sono un prezioso complemento. Mercé le fruTla si ha una sana
variazione di cibo, si evita di nutrirsi di troppo pane od ortaggi
che caricano soverchiamente lo stomaco. Gli igienisti ne raccoman-
dano l'uso specialmente nei pasti intermedi del mallino e del po-
meriggio.
Le frutta bisogna poi prenderle da sole e masticarle bene. Delle
bevande alcooliche da prendersi colle frutta e raccomandabile soltanto
il vino; la birra le rende indigeste e provoca la diarrea.
Per i malati, per i fanciulli, sono raccomandate molto, tanto le
frutta cotte che crude. Per coprire l'acidità conviene condirle con
zucchero. Le frutta più acide (1,6-2,2 7o; sono l'uva spina, le more di
rovo, il ribes; seguono per ricchezza d'acidi ( 1,1-1,5 %) le pesche, le
23 — Tamaro - Frutticoltura.
- 354 -
albicocche, il mirtillo, le fragole, il lampone. Le pere, mele, l'uva, le
susine contengono in media 1 % di acidità totale come molti degli
ortaggi.
Infine le frutta convengono di più nella stagione calda, quando
cioè bisogna diminuire l'alimentazione carnea e si ha bisogno di intro-
durre nello stomaco dello zucchero facilmente assimilabile per sosti-
tuire il regime carneo e di grassi che bisogna limitare.
4. — Molto si è esagerato in questi ultimi anni attribuendo alle
frutta il pericolo di diffondere delle malattie infettive. Nella polpa poi
i batteri patogeni non trovano un buon terreno per svilupparsi per la
reazione acida.
Le frutta sane e non ferite non contengono quindi affatto nel loro
interno dei batteri. Naturalmente se vengono contuse, o se un bruco
corrode la polpa fino ai semi, queste frutta possono essere infette, ma
basterà togliere la parte guasta.
In caso però di colera, di tifo, è molto facile che colle frutta si
comunichino queste malattie mediante i batteri che sì depositano sulla
buccia. Da ciò la necessità di far raccogliere le frutta da persone che
hanno le mani pulite, di conservarle dopo raccolte in locali non pol-
verosi, puliti. Lasciare le frutta esposte alle mosche, alle vespe, è anche
un mezzo per facilitare la diffusione di malattie.
Quando si hanno delle frutta di ignota provenienza, è sempre op-
portuno di lavarle con acqua abbondante, corrente e fresca possibil-
mente sotto ad una fontana. Immergere semplicemente un frutto in un
bicchiere d'acqua od in una tazza, è una precauzione pressocché
inutile.
5. — 11 consumo delle frutta non si potrà però generalizzare nelle
popolazioni urbane se noi non potremo offrirle più a buon mercato
specialmente in inverno e primavera e se noi non impediren^o le forti
oscillazioni dei prezzi per i mancati raccolti. Queste oscillazioni sono
forse minori oggi che una volta, per i migliorati mezzi di comunica-
zione ma non vi ha dubbio che il rimedio radicale consisterà nel co-
stringere le piante a dare frutta costantemente ciò che non si può
pretendere fino a che la maggior parte delle piante fruttifere non
vengono potate. Quando si conoscerà la potatura razionale ci sarà
anche il tornaconto di estendere la coltivazione delle piante da frutta
e potremo anche dare la frutta più a buon mercato.
Rispetto al valore nutritivo che hanno, noi oggi paghiamo le frutta
troppo care ed a ciò valga il seguente confronto di diverse cibarie che
si possono acquistare sui mercati attuali spendendo una lira.
35
Quantità Calorie roiileiiiito
che si acquista che produce ili
,ì^ì9}:'^}'^}:ì ■ "^o" ^P'* ''r:' la sostanze azotate
della cibaria Kg. , ietta quantità Rranuni
Patate 16,6(iG 19724 :VSÀ
Piselli 4,166 14747 9;i7
Pane 3,333 8402 2r)6
Zucchero 0,680 279 —
Cavoli cappucci ... 5 — 4000 200
Latte 5— 3280 16")
Ciliegie 5— 2900 60
Mele 5— 2700 20
Barbabietole da urto . 6,250 2843 !)1
Arringhe 0,832 2395 194
Susine 2,500 1550 25
Carne di bue . . . . 0,784 913 127
Come si vede ad esempio le ciliegie, le mele svihipijaiio egual nu-
mero di calorie del latte ma pure il latte si deve preferire per la no-
tevole quantità di sostanze azotate.
V.
Conservazione delle frutta allo stato naturale e gli
agenti principali che influiscono sulla loro maturazione.
Colla vendita delle frutta allo slato naturale, il frutticoitore ricava
il maggior utile, da ciò la necessità di studiare le cause che possono
deteriorarle.
Noi sappiamo che gli agenti principali che intluiscono sulla matu-
razione sono quattro e cioè: il calore, l'aria, la luce e l'umidità.
1. — Una temperatura piuttosto elevata fa aumentare gli scambi e
la decomposizione di materiali fra molecola e molecola, ed alfrettare
la maturazione delle frutta. (2oI gelo e susseguente disgelo, avviene
invece la disorganizzazione dei tessuti, che si dispongono poi alla pu-
trefazione. E' per questo che il frutticoitore deve evitare gli estremi di
temperatura e ricordare che la maturazione si compie fra i 15''e3(»"C,
mentre al disotto di 5" C si arresta ogni processo vegetativo, compreso
quello dei fermenti.
Alla temperatura di 5", conviene però tenere le frutta molto succose
e già mature, per impedire la putrefazione, quali sono le ciliegie, le
pesche, le susine e le albicocche che devono servire per uso locale o
di famiglia. Dovendole tenere per qualche tempo, esse perdono note-
volmente di fragranza.
Trattandosi però di pere e mele, di cui si vuol tardare la matura-
zione, una temperatura di 8" a 10" è sufficiente.
— 356 -
Per meglio conoscere i limiti di temperatura entro i quali le frutta
non si alterano, riproduco i seguenti dati, raccolti dal Ministero di
Agricoltura degli Stati Uniti, in seguito ad una inchiesta promossa per
fissare gli estremi con varianti per spedire le frutta a mezzo ferrovia.
Tab. XXXVI. Temperatura massima e minima a cui resistono le frutta.
Uva
Pesche fresche). .
Albicecche in ceste
Prugne
Fragole
Mele in cumulo
isolate . . .
Mandarini ....
Limoni
Aranci
Ananassi . . . .
Banane
Noci di cocco . .
Olive
Asparagi . . . .
Pomidoro freschi .
Temperatura in gradi
centigradi esterna'massima
a cui possono sottomettersi
le frutta
in refri-
geranti
ed altri
carri
speciali
Senza
imbal-
.laggio
in casse
alla
rinfusa
in
vagoni
0
- 6.67
0
- 6.67
1.67
- 4.44
1.67
0
0.56
- 3.89
- 6.67
- 12,22
- 2.22
- 9.44
0
- 6'67
0
- 6.67
- 2.22
- 6.67
0
- 3.89
10.-
0
- 1.11
- 6.67
-2.22
-3.89
-2.22
- 5.56
0.56
- 2.22
17.18
12.2
r2.22
17.78
23.33
23.33
23.33
17.78
12.22
17.78
17.78
17.78
17.78
23.33
uà-"
^a«
OSSERVAZIONI
In pacchi ed entro scatole.
In canestri, barili e scatole.
Avvolte con paglia.
In scatole avvolte con carta.
In canestri.
Coperte da paglia.
Avvolte da paglia.
Entro scatole.
Idem.
In canestri, scatole e barili.
In barili.
Entro scatole e barili.
In barili.
Idem.
Entro scat. coperte di muschi.
In barili.
2. — Le frutta per maturare hanno bisogno di respirare come tutte
le altri parti della pianta. L'ossigeno che assorbono serve ad affrettare
la maturazione; è troppo evidente quindi, che quanto maggiore sarà
la quantità di ossigeno in contatto colle frutta, tanto più rapida avverrà
la fermentazione. Da ciò la necessità che i fruttai stiano sempre chiusi.
3. — La luce è uno degli elementi che concorrono alla maturazione
dei frutti, difatti la parte più saporita è quella esposta direttamente
al sole.
Un'interessante esperienza ha fatto il prof. Sorauer per constatare
l'influenza della luce sulla diminuzione del peso. Su 4 mele (Renetta
dorata) esposte alla luce ottenne una diminuzione del peso iniziale in
4 settimane corrispondente a 8,97 %, allo oscuro di 10,8 %• H risultalo
sarebbe, che l'oscurità rallenta il processo di maturazione o a meglio
dire, quei processi che hanno bisogno dell'elemento acqueo.
Egli avrebbe anche constatato, che la luce bleu favorisce la vege-
tazione delle muffe più che la luce gialla.
4. — Se tutti si accordano nel dire che il fruttaio deve essere
— 357 —
tenuto all'oscuro od avere una luce dillusa, non lo stesso può dirsi
rispetto all'uinidilà.
Ci sono degli autori che raccomandano un atmosfera perlellamente
asciutta, altri invece la vorrebbero umida. Tanto gli uni che altri pos-
sono aver ragione, a seconda delle condizioni in cui fecero gli espe-
rimenti.
Sta il fatto che le frutta conservate in ambiente asciutto ritardano
la maturazione più che nell'aria umida, ma d'altra parte non si può
negare, che la frutta allora deforma per la soverchia evaporazione.
Nell'aria umida invece, il frutto conserva per piii lungo tempo la sua
forma come fosse fresco senza aggrinzirsi ; e la maturazione, purché
siano osservate le altre condizioni di calore, aria e luce, procede ab-
bastanza lentamente. Se le cose stessero in questi semplici termini, si
dovrebbe propendere piuttosto per l'aria umida che asciutta, ma c'è il
pericolo delle muffe. Se una parte delia fruita è contusa, ammaccata^
è certo che le mulle si propagano in modo spaventevole. Il meglio sarà
di mantenere un'atmosfera media, che non si scosti da 40 a 50" del-
l'igrometro.
VI.
Cause di deterioramento delle frutta raccolte.
1. — Queste possono derivare da una cattiva raccolta, dalla natura
del terreno, dai vari metodi di coltura, dalla potatura, da parassiti
vegetali^ed animali.
Se noi raccogliamo delle frutta in stato avanzato di maturazione e se noi. nel
raccoglierle, non abbiamo nessun riguardo di portar loro contusioni, ferite, lacerazioni.
è naturale che queste frutta non soltanto non si po.ssono conservare, ma comunicheranno
anche la loro putrefazione a quelle sane.
Quanto' più fertile, umido e ricco di sostanze azotate è un terreno, tanto più molli
riescono i tessuti e tanto più facilmente vengono intaccate dn parassiti anche le frulla.
Quelle provenienti invece da terreni secchi, ventilati, bene esposti, poco ricchi di so-
stanze azotate e da piante poco lussureggianti, sono le più adatte per la conservazione
Rispetto al metodo di^coltura, quanto piti questo è intensivo ed il
prodotto abbondante per eccesso di fertilità del terreno, tanto meno
quelle frutta sono atte a conservarsi.
Anche la potatura influisce notevolmente. Dalle piante ben potale
e sulle quali si ha avuto cura di conservare fra i diversi rami le di-
stanze necessarie per assicurare la ventilazione, si hanno le frutta più
sviluppate e meglio atte alla conservazione. Confrontando ad esempio
delle pere ottenute da spalliere non quelle ottenute da piante non ap-
poggiate, si ha sempre colle prime un migliore risultato.
Anche l'irrigazione ha una notevole inlluenza. Se questa viene data
con parsimonia e di mano in mano che le piante ne abbisognano, come
si tratta per gli agrumi nell'Italia-meridionale, allora l'irrigazione serve
— 358 -
a favorire l'allegainento del frutto ed il suo sviluppo. Neil' Italia set-
tentrionale tutte le piante da frutto non hanno bisogno di irrigazione
che in casi eccezionali. In ogni caso, le frutta dei terreni irrigui sono
meno atte alla conservazione.
2. — Se queste sono cause occasionali che cagionano la putre-
fazione, gli agenti però che la determinano sono delle crittogame, le
cui spore possono trovarsi nella stanza di conservazione, oppure sulla
buccia. Quando queste spore si trovano in condizioni favorevoli, ger-
minano e vivendo parassite al frutto, lo decompongono facendolo
andare a male.
Questi microorganismi difatti, decompongono le sostanze albuminoidi, provocano
nuove fermentazioni nei componenti delle cellule del frutto rimanendo poi infine, quali
prodotti ultimi, dell'idrogeno solforato, dell'ammoniaca, ecc., che si rivelano facilmente
all'odorato. Questi microorganismi sono dei batteri e delle muffe, le quali, nutrendosi
a spese del frutto su cui si posano, penetrano per le lesioni o ferite e determinano la
completa decomposizione.
I^e muffe parassite sono : Botrgtis cinerea, i Cladosporium, Gloeosporium, fructigenuin,
Helminthosporium carpophiluin, Leptothyrium pomi e carpophilum, Monilia fructigena,
Mucor, Oidiuin fitiictigenum, Penicilum glaucum, Phoma, Phyllosticta vindobonensis,
Sclerotiuni cifri.
3. — Infine gli animali che possono arrecare danno sono i miria-
podi, le formiche, i topi, i ragni, dei quali si può liberarsene coi mezzi
che vengono all'uopo suggeriti.
VII.
Precetti per la conservazione delle frutta.
Dopo quanto ho esposto nei precedenti capitoli, le norme per
riuscire nella conservazione si possono riassumere nei seguenti precetti:
1. Per le frutta da conservare, non si destinino quelle prove-
nienti da terreni eccessivamente fertili, poco ventilati, umidi. Conven-
gono invece le frutta ottenute da terreni sani, aereati, secchi, medio-
cremente ricchi.
2. Fare la raccolta con le maggiori cautele per evitare contusioni,
ferite, ammaccature. Le frutta guastate o intaccate da parassiti conviene
destinarle subito pel mercato o per fare conserve.
3. Proteggere le frutta da insetti ed altri animali, cosi pure dalle
muffe.
4. Mantenere una temperatura costante nei locali di conservazioni.
Per le frutta a granella, delle quali si vuol protrarre l'epoca di matura-
zione conviene la temperatura di 8-10° C; per quelle a nocciolo al disotto
di 5° C. Durante l'inverno non deve discendere al di sotto di 0*^.
5. L' esperienza ha dimostrato l'opportunità di esporre le frutta,
compreso l'uva, appena raccolta e per alcuni giorni, fino a che il
penducolo accenna ad appassire, nel fruttajo d'estate e cioè in un locale
- 359 -
ventilato, poco illuminato ed asciutto. ])er evaporare l'acciua che lascia
traspirare la superfìcie. Successivamente si collocano le frutta nel frut-
tajo nel quale si deve rendere possibile una ventilazione o«ni qual-
volta sia necessario di mantenere la tem|)eraUua e l'umidità enlro quei
dati limili. Cosi in autunno e d'estate conviene ventilare di notte
|)er abbassare la temperatura; d'inverno conviene ventilare di giorno
per elevare la temperatura.
6. Mantenere per l'uva e per le frutta a nocciolo raml)ieiiU' al-
l'oscuro. Per le frutta a granella conviene di |)iù una luce dillusa.
7. Evitare delle correnti d'aria nell'ambiente per manteneie un
atmosfera piuttosto stagnante. La ventilazione si faccia soltanto nel
caso indicato più sopra al numero .i.
8. Avere un'atmosfera media, cioè non troppo asciutta, né troppo
umida, che non si scosti da 40-50" dell'igrometro.
9. Impedire la maturazione oltre un dato limile conveniente per
ciascuna varietà di frutta.
10. Conservare le frutta lincile non perdono le pro|)rielà organo-
lettiche loro particolari.
11. Evitare il contatto di lìutta sane con quelle alterale e queste
ultime, allontanarle dal fruttaio il più sollecitamente possibile.
12. Evitare che nell'ambiente di conservazione si trovino delle
sostanze che emanano odori.
13. Negli ambienti, è bene che le frutta siano disposte ad un solo
strato senza toccarsi. Nel caso di esuberante quantità, non si devono
sovrapporre più di tre strati, avendo cura allora di isolare ciascun
frutto con della carta o delle materie isolanti quali sono la sabbia, il
sovero, la polvere di carbone di legna e cosi via.
14. Quando si ha poca quantità di frutta da conservare e che non
conviene costruirsi un fruttaio, allora si adoperino i cassettoni, gli
armadi di muro o delle casse isolate. In queste ultime si abbia cura
di conservare per ciascuna, le varietà che maturano contemporaneamente.
15. Nel collocare le frutta si abbia cura che il penducolo si trovi
in alto.
Vili.
Fruttaio.
Ogni proprietario potrà trovare forse nella sua abitazione di cam-
pagna una stanza collocata a nord, non abitala, chiusa da doppi ser-
ramenti, in modo che conservi costante la temperatura e non sia tropjìo
umida. Per chi non la possedesse e che avesse una quantità limitata
di frutta da conservare, adoperi delle casse, cassettoni, armadi di muro
purché asciutti, in cui le frutta si conservano mollo bene.
Per chi volesse costruire un fruttaio apposito per la sua fruita, dò
qui le norme generali in base delle quali il lettore potrà trarre anche
- 360 -
quei suggerimenti che sarebbero necessari per modificare e ridurre
una stanza secondo lui adatta per conservare la frutta.
1. Per costruire un fruttaio, si scelga un terreno ben asciutto, un
poco elevato ed esposto a tramontana. Le dimensioni del locale saranno
determinate dalla quatità di frutta che si vuol conservare. Si calcola
che ogni frutto occupi una spazio di cm. 10^
2. Onde difendere il fruttaio dalla temperatura esterna, è bene
che sia circondato da alberi sempreverdi e che il piano del locale
venga a trovarsi da 70 cm. ad 1 m. sotto il livello del suolo. Per
evitare che le acque piovane si accumulino sotto od ai lati, si dà alla
superfìcie del terreno circostante una inclinazione opposta ai muri, i
quali devono essere costruiti ed intonacati all' interno ed all' esterno,
accuratamente di cemento fino sopra al livello del terreno.
3. L'orientazione deve essere da nord a sud.
4. Il pavimento deve essere impermeabile e cementato con fondo
di calcestruzzo.
5. 1 muri, dello spessore di 30 cm., devono essere doppi, in modo
da lasciare uno spazio intermediario di 50 cm. per sottrarre l'ambiente
dalle influenze esterne. Conviene anche, intorno al muro interno, un
più largo corridoio, di m. 1 a 2, che può servire da ripostiglio di
attrezzi. (R fig. 243).
6. 11 fruttaio lo si faccia rettangolare, colle facciate più strette
esposte rispettivamente a nord e sud. Sul lato sud si fa la porta, per
la quale si deve accedere ad un vestibolo (V) illuminato da una finestra,
che serve per l'mballaggio e lo scarico delle frutta. Per mezzo di un'altra
porta si deve accedere dal vestibolo al locale di conservazione (F).
Sugli altri lati del fruttajo sì fa una finestra dell'altezza di m. 1.50 dal
suolo. Nel mezzo del soffitto si apre uno sfiatatojo (o) che comunica
con un camino che si eleva oltre al tetto. Sotto ad ogni finestra, ed al
livello del terreno si aprono dei sfiatatoj, muniti di doppia saracinesca
e di una rete metallica fitta, per evitare che entrino i topi.
Lo sfiatatojo del soffitto, pure chiudibile, dal basso all'alto, serve
per allontanare l'aria calda; i due sfiatatoj vicini al pavimento servono
per smaltire l'umidità e per attivare la ventilazione.
7. I muri, nell'interno devono essere intonacati di uno leggero
strato di gesso, perchè più assorbente dell'umidità.
8. Il suolo del corridojo passante fra mezzo ai due muri, deve
essere a livello del i)aviniento del fruttajo.
9. La porta e le finestre del muro esterno, devono essere in cor-
rispondenza con quelle del muro interno.
10. La porta del muro esterno si deve aprire per di fuori e deve
essere munita di controporta, che si apra per di dentro e snodata a
guisa di paravento. Quando ci sono dei forti freddi si riempie di paglia
lo spazio fra la porta e controporta.
11. Le finestre del muro esterno si fanno della dimensione di .50
cm. in quadrato. Ciascuna finestra è munita di due imposte, delle quali
- :{6i -
l'esterna si apre per di fuori e l'interna per di dentro. Diiranlc l'inverno,
lo spazio fra queste due imposte viene pure riempito di paglia.
La porta del muro interno è semplice; le due finestre interne sono
munite di imposte, come le finestre esterne.
12. Il soffitto si fa di legno doppio, dello spessore di M cm. e
riempito di polvere di sughero o di pula di riso. Questo soffitto allo
L
Fig. 243-244. — Sezione verticale e pianta di un fniUajo.
m. 2.50 dal terreno, è riparalo da un alto letto di paglia avente molla
pendenza. Lo spazio fra il soffitto ed il letto può essere utilizzato |)er
tenere della paglia.
Queste disposizioni concorrono non soltanto a mantenere costante la
temperatura dell'ambiente, ma anche per evitare che s'infiltri l'umidità.
13. Lungo le pareti all'ingiro, vengono collocali tanti piani di
legno (S) a guisa di scansie, della larghezza di .^)0 cm., sui quali poi si
distendono le frutta. Questi piani distano uno dall'altro 25 cm. A quello
più alto si dà una inclinazione di 45 gradi, e di mano in mano che si
- 362 -
discende si dà una minore inclinazione in modo che all'altezza di m. 1.50
dal terreno si trova orizzontale. Ai piani inferiori a questo si dà una
leggera inclinazione opposta.
Questa inclinazione è data, per rendere più facile e spedito, l'esame
della frutta durante la conservazione. Ogni piano è formato di tante
assicelle larghe 10 cm. e fissate a 3 o 4 cm. di distanza, per aereare la
frutta. Dalla parte verso il centro ogni piano è munito di un bordo di
3 cm., per impedire che le frutta cadono a terra.
14, Nel mezzo del fruttaio rimane uno spazio dove si può collo-
care una doppia scansia (S).
Nella fìg. 243-244 ho rappresentato un fruttaio che corrisponde ai
requisiti sopra indicati.
IX.
Cure relative al fruttaio
ed alle frutta che in esso si conservano.
Come l'enologo, prima di vendemmiare, appresta alla cantina tutte
quelle cure che sono necessarie per ottenere dei vini buoni e serbevoli,
lo stesso deve fare il frutticoitore per il fruttaio prima di collocarvi
le pere, mele od altre frutta per conservarle.
Se il fruttaio durante l'estate o meglio durante l'autunno è stato
trascurato, nel senso che non sia stata fatta una accurata pulizia subito
dopo tolte le frutta dell'anno antecedente, oppure se durante l'autunno
è stato tenuto sempre chiuso, è probabile che si conservino e traman-
dino dei germi di putrefazione, che possono trovarsi non soltanto in
sospensione nell'aria ma anche aderenti alle pareti, alle scansie od
altri oggetti del fruttaio.
1. — Le misure che tutti son d'accordo di prendere a questo riguardo
consistono: prima in una ventilazione durante l'estate ed in autunno
nelle giornate asciutte; quindi, quando si approssima il tempo della
raccolta, in una lavatura accurata del pavimento, nell'imbianchimento
dei muri con latte di calce, nel lavare tutte le scansie con una soluzione
al 5 per lOOU, di solfato di rame. Asciugalo l' ambiente dopo queste
lavature, si chiudono ermeticamente tutte le aperture e si abbruciano
nell'interno, per ogni 100 m. cubi di volume, 10 miccie di zolfo, di
quelle che si sogliono adoperare nella cantina, e cioè larghe 5 cm. e
lunghe 10, acciò l'anidride solforosa che si sviluppa, distrugga ogni
germe. Uopo 24 ore si riaprono le porte e finestrine per procurare un
energico aereamento. Una simile solforazione si potrà ripeterla con
vantaggio per due o tre volte, anche durante il tempo in cui si conser-
vano le frutta.
- 363 —
Molti temono, che la solforazione faccia perdere di colorilo le frutta, oppure che
queste acquistino un sai)ore disgustoso causa lanidride solforosa. Per verificar ciò ques-
t'anno lasciai sotto una capanjia di vetro per interi giorni della frutla delicata come la
pesca, immersa in un atmosfera di anidride solforosa, o non ebbi a rimunare alcun
inconveniente. .Scopo di «piesto mio esperimento era anche di provare se. una tale
atmosfera, poteva arrestare il processo di maturazione e di dissolvimento interno. Men-
trecchè il processo di maturazione veniva rallentato di un tempo trascurabile (un
giorno) il processo di dissolvimento interno continuò come nella frutta lasciata all'aria
libera.
Le pere e le mele prima di portarle nel fruttaio devono essere ben
pulite, asciugate delicatamente con un pannolino ; si devono scartare
tutte quelle che appaiono contuse, o che accusano la presenza di bruchi
nell'interno. Per fare uno scarto piti accurato si lasciano i)er 8 o 10
giorni distese su un tavolino ed in una stanza asciutta, acciò nel ripren-
derle per portarle nel fruttaio si possa conoscere mef»Iio (|uel!e dete-
riorate. (1) Nel fruttaio poi si dispongono sulle scansie in bell'ordine, in
file regolari, accoste l'una all'altra col picciuolo in alto e in modo che
non si tocchino. E' naturale che, facendo questa operazione, si separe-
ranno le frutta delle diverse varietà, di diversa grandezza e di diverso
ordine di maturazione.
Molti frutticoitori consigliano di distendere prima sulle scansie del muschio secco
o della paglia per facilitare l'aereazione. Ma ciò lo ritengo inutile e forse dannoso: è
vantaggioso soltanto di distendere sulla paglia le frutta raccolte molto umide ed in
quantità tale, da non aver tempo d'asciugarla col pannolino, come è stato detto poc'anzi.
In questo caso, per i giorni che precedono il momento di collocarla nel fruttaio, si |)uò
distenderle sulla paglia acciò la paglia assorba anche l'umidità.
Siccome la frutta nei primi giorni che si trova nel fruttaio è molto
satura d'acqua, nel primo tempo di conservazione si ha una rilevante
evaporazione, cosi è indispensabile nei primi giorni e nelle ore più
serene, ventilare il fruttaio, per una mezz'ora e poi richiuderlo erme-
ticamente.
Passati i primi 20 giorni, basterà fare una visita alla settimana, per
scegliere la frutta guasta o quella matura, e se il fruttaio è stato cos-
truito colle norme già descritte, anche le cure del frutticoitore si
risolvono in ben poca cosa.
In caso che si volesse togliere un eccesso d'umidità durante l'inverno,
se il tempo lo permette, si aprono le finestrine, altriiuenti si adoperi
della calce viva. Per regolare la temperatura, nel mezzo del fruttaio
bisogna collocare un igrometro ed un termometro.
Le norme che ho dato per la conservazione valgono specialmente
per i frutti a granella.
2. — La frutta a nocciolo si può conservare per lungo tempo, purché
venga tenuta in un atnbiente dove la temperatura sia molto bassa. La
(t) l.e mele renette fanno eccezione. Queste, appena raccolte, si devono portare nel
fruttaio, altrimenti la buccia avvizzisce troppo.
— 364 —
conservazione di questa frutta, come sarebbero le pesche, susine, ecc ,
solo è possibile disponendo di una buona ghiacciaia oppure di buone
credenze-ghiacciaie che si usano in molte famiglie per i legumi, le
conserve, ecc. Di questo si parlerà più avanti in apposito capitolo.
X.
Applicazione del freddo per la conservazione
e per il trasporto delle frutta.
Le applicazioni del freddo per la conservazione anche delle frutta,
ortaggi e fiori, hanno preso un enorme sviluppo in questi ultimi anni
ed è per questo che ritengo opportuno di farne un cenno in questo
capitolo speciale.
1. — Azione del freddo. Il freddo, come viene applicato industrial-
mente, paralizza l'azione dei microorganismi che alterano le sostanze
organiche, senza distruggerli. Nelle frutta, arresta o ritarda notevolmente
il processo di maturazione cosi da permettere la spedizione ed il con-
sumo di queste per un tempo più o meno lungo.
2. — Camere frigorifìche e vagoni refrigeranti. Per conservare per
pochifgiorni delle frutta destinate al consumo di casa, si possono ado-
perare le credenze-ghiacciaie comuni. In esse si possono conservare
per qualche giorno le frutta succose come le pesche, susine, ecc. Oggi
si costruiscono dalla Ditta Dyle et Bacalan, degli impianti Irigorifichi,
alla portata di piccoli proprietari, del costo a forfait di L. 3000. Questa
macchina può servire a refrigerare una camera isolata della capacità
di 12-15 m.^ che costa L. 1700.
Trattandosi invece di partile in grande, si ricorre alle camere o
depositi frigorifichi i quali sono ordinariamente allestiti e condotti da
società.
Questi depositi sono dei locali più o meno vasti, limitati da pareti
e porte di legno doppie dello spessore di circa m. 1, nel cui mezzo si
mettono delle sostanze isolatrici quali sono la pula di riso, la segatura
di legno, la polvere di sughero ecc. Nell'interno si trovano tanti scom-
parti quante sono le sostanze che si vogliono conservare.
Sotto al soffitto sono fissati dei tubi nei quali circola il lit[UÌdo
rallreddato prodotto da apposita macchina esterna frigorifica. Regolando
la circolazione di questo liquido è possibile di mantenere fìsso il grado
di temperatura.
Una macchina frigorifica (vedi Rocques pag. 2-13) della capacità di
100 m.'' ..utilizzabili, costa L. 30.000 per l'impianto e si ha una spesa
annua di L. 10.600 per farla funzionare che corrisponde quindi a circa
— 365 —
L. 100 all'anno per m.\ A Londra, dove sono piantati dei deposili fri-
gorifichi della capacità di 8000 m.» si ha una spesa annua di [.. IH al-
l'anno per m.^
Per il trasporto della frutta si costruiscono anciie dei vagoni
frigoriferi, nei quali viene mantenuta la temperatura bassa a mezzo del
ghiaccio o di una macchina frigoritìca. Generalmente però, la costru-
zione e la manutenzione di questi vagoni costano molto ed ora si
preferisce sottoporre le frutta imballate ad una prerefrigerazione di
0 a 1" e poi si collocano nei vagoni. Delle pesche e ciliegie sottoposte
a questo trattamento, arrivarono perfettamente a destinazione dopo un
viaggio di 10 a 12 giorni. Naturalmente che se il vagone avrà le pareti
doppie, e se, come si propone ora, il vagone slesso sarà raffreddalo,
collocandolo in un ambiente freddo per qualche ora, prima del cari-
camento, i risultati saranno ancora migliori.
3. — Condizioni di rinscila. Le frulla che si vogliono conservare col
freddo devono essere perfetlamente inlatte. La minima contusione, la
più piccola scalfìtura compromette l'esito sicuramente. In generale si
conservano soltanto le frulla con buccia grossa, più scelte e di pri-
missima qualità.
Nella camera si collocano di solito le frutta appena raccolte, già
imballate od avvolte in cotone o carta seta. Il materiale d'imballaggio
non deve comunicare alcun odore. L'uva si avvolge in un sacchetto di
carta seta.
Bisogna abbassare lentamente la temperatura, (8 giorni) mantenere
oscurità completa ed aria confinata.
La temperatura di conservazione varia colla specie, colla varietà e
col grado di maturazione. La temperatura di 0" costituisce il minimo
poiché i frulli non devono gelare, e 4" C. è la temperatura massima.
Quanto al grado di umidità, questo deve essere del 75 % per le frutta
a polpa molle e del 65 % per le altre che si aggrinzano più diftìcilmenle.
Delle precauzioni speciali sono necessarie specialmente per le frutta
delicate, quando si ritirano dalle camere frigorifiche. Se portate imme-
diatamente alla temperatura esterna, si deposita nella buccia dell'umi-
dità e talvolta la buccia stessa, screpola.
Perciò bisogna elevare a loro gradualmente (in 24 ore) la tempe-
ratura fino a 15«, portandole in stanze apposite mollo ventilate.
Le frutta sottoposte al freddo, perdono completamente il sapore
ed il profumo. Dopo portate a 15°, ci vogliono ancora 2 giorni e più
prima che rinvengano.
Si è notato che le frutta conservate col freddo si mantengono .sane
per un tempo mollo più lungo di quelle che vengono ordinariamente
raccolte e consumate, cosi ad esempio le pesche si conservano per
oltre una settimana ed è questo che permette poi la spedizione a note-
vole distanza.
4. — Conservazione delle diverse specie di/ ralla. Le pere e mele sono
le frutta che si conservano meglio. Si poterono conservare delle mele
— 366 —
per 2 anni. Le temperature più convenienti e la durata possibile di
conservazione sarebbero le seguenti per le singole frutta :
Mele
V, a 20
per
8-9
mesi
Pere
1 a 4"
„
3-4
„
Susine
2 a 4«
„
2-6
settimane
Pesche
0"
„
2-3
mesi
„
0» - lo
„
2-4
settimane
Albicocche
20
„
4
,,
Ciliege
V2 a 40
„
4
„
Uva
2 a 4"'
„
6-8
^
Ribes
1 a 30
„
3
„
Fichi
2 a 40
„
3-4
„
Aranci e limoni
5 a 70
„
2-3
mesi
Noci e frutta secche
2 a 50
„
3
„
Le mele si raccolgono quando cominciano a cadere le foglie.
Le pere d'estate conviene raccoglierle 8 giorni prima della matu-
razione ; quelle d'autunno quando sono ancora consistenti e cioè quando
comincia cadere spontaneamente qualche frutto dalla pianta ; quelle
d'invei'no quando hanno raggiunto il completo loro sviluppo. Se rac-
colte troppo presto si raggrinzano, se troppo tardi riescono scipite.
Le pesche sono molto delicate e bisogna raccoglierle quando hanno
ancora la polpa dura, come quando si tratta di spedirle. Si raccolgono
col penducolo e se possibile con un pezzo di ramo. Lo stesso dicasi
per le susine e ciliegie.
Gli aranci e limoni si raccolgono quando sono ancora immaturi.
Siccome sviluppano molti gas, è necessaria una continua aereazione.
5. — Conclusioni. L' industria del freddo può darci dei notevoli
vantaggi in quantochè le frutta imballate od avvolte in carta seta od
ovata, dopo essere state sottoposte alla refrigerazione, si mantengono
sane più a lungo per 8-10 giorni in modo da rendere possibile un con-
sumo graduale o la spedizione a grandi distanze.
Non credo però che l'industria della refrigerazione si debba spin-
gerla al punto da portare nel mercato delle frutta fuori stagione. Gli
acquirenti di queste sono ben in piccolo numero e non arrivano a
compensare la spesa.
Limitiamoci invece a piantare delle camere frigorifiche consorziali
nei centri di produzione di ortaggi, frutta ecc., e serviamoci del freddo
come un'eccellente preparazione per assicurare il trasporto e facilitare
la sicura e completa loro maturazione.
— S67
XI.
Conservazione delle frutta fresche
con materiale inerte od altro.
Collocando le frutta nelle materie inerti che perciò le riparano
dell'umidità, dall'evaporazione, dal freddo, dall'ossigeno dell'aria e dai
germi di alterazione, è probaliiie di conservare le frulla fresche per
un certo tempo.
Ancora nel 1896 io feci delle esperienze di conservazione con iiuesti nic/zì o eli
(jueste esperienze ne diedi relazione nelle precedenti edizioni di questo libro.
Qui riporto le conclusioni le quali sono ancora di attualità.
a) La qualità della frutta ha una grande importanza sull'esito della conservazione.
I,e frutta più succose sono le più difficili a conservarsi, e mentre le pesche si poterono
conservare al massimo per 10 giorni ad onta di una perdita percentuale nel numero
di 91,7/0' 1^ pere Passa Crassana, che hanno la buccia consistente e la polpa non deli-
quescente, si conservarono per 130 giorni senza verificare alcuna perdita.
b] Prendendo ad esaminare le specie di frutta tli cui e stata esperimentala In
conservazione, si osservò, che per le pesche il mezzo migliore è il freddo, mantenendo
la temperatura intorno a zero gradi. Rispetto all'uva, la minor perdita di peso e pre-
sumibilmente una più prolungata conservazione la si ottiene, lenendola in ima atmosfera
limitata, in un ambiente chiuso, e perciò quando si tratterà di conservare dclluva. una
volta posta nel locale di conservazione, bisognerà evitare il massimo possibile l'aerea-
zione. Stratificare l'uva coi mezzi polverulenti, non è consigliabile, e ciò non per il latto
di un soverchio essicamento, che anzi viene diminuito, ma perchè si ha una maggior
perdita per muffe, in quanto la muffa di un acino facilmente si trasmette a tutto il
grappolo.
cj Rispetto ai diversi mezzi di conservazione esperinienlali si trovò che, lasciando
le fratta all'aria libera ed alla luce, si ha la massima evaporazione (per l'uva l'i",, per
le pere da 10 a M%1 e quindi si possono conservare per minor tempo. Meglio converrà
tenere le frutta in ambienti chiusi e poco ventilati, come sono dei semplici cassettoni.
La stratificazione in generale delle frutta con mezzi polverulenti è il miglior mezzo
consigliabile e fra ((uesti (luello della sabbia asciutta è risultato miglioro. Dopo la sabbbia
asciutta, si può consigliare la segatura di legno, quindi la sabbia umida e poi l:i terra
1. — Mezzi polverulenti. Con questi si tratta di stratificare le frulla
con delle sostanze, che servano di sterilizzatori dell'aria prima che
venga in contatto alle frutte, di assorbire i prodotti gasosi di queste
ed infine di rendere meno sensibile la variazioni di temperatura.
A tale scopo si può adoperare la sabbia, la calce spenta, la polvere
di sughero, la polvere di carbone di legno e torba, la segatura di legno,
la pula, i cascami di cotone, la crusca, la cenere, il gesso.
Questi materiali si possono adoperare tanto per conservare le frutta
quanto per imballare.
La sabbia asciutta è uno dei materiali polverulenti piti raccoman-
dabili. Bisogna che prima venga abbondantemente dilavala con acqua
e deve essere adoperata asciutta. Per questa conservazione si adope-
rano delle casse di legno, nel quale sui fondo si stende uno strato di
- 368 —
cm. 1 di sabbia. Sopra questa si distendono le pere e mele avvolte
con carta di seta in modo da lasciare fra frutto e frutto uno spazio
sufficente che vi possa penetrare la sabbia. Completato uno strato, lo
si copre con la sabbia per 1 cm., sovrappondovi altri 6 ad 8 strati di
frutta. Nella sabbia si conservano per un tempo lunghissimo, ed è ap-
plicato soltanto alle pere e mele.
Col gesso cotto o colla calce spenta finamente polverizzati gli Ame-
ricani spediscono dall'America, in casse, moltissima frutta ben conservata.
Questi due materiali hanno però l'inconveniente in confronto della
sabbia, di avvizzire maggiormente le frutta e non sono cosigliabili
specialmente per l'uva e le pesche.
La polvere di carbone di legna, purché finamente polverizzata e
perfettamente asciutta, è un eccellente materiale di conservazione.
Essendo cattivo conduttore del calorico permette di conservare tanto
d'estate che d'inverno i frutti già maturi senza che si alterino. Difatti,
la polvere di carbone è anche antisettica ed antiputrida. Per ottenere
però lo scopo, bisogna che la frutta non si tocchi una coll'altra.
Anche la polvere di torba è utilissima, però durante la state bisogna
dilavarla abbondantemente coli' acqua per depurarla e poi essiccarla
completamente.
La cenere sola ben stacciata ed asciutta, o mista con della segatura
di legno, sono anche materiali utilizzabili ma si adoperano più per la
spedizione. Così in Spagna si adoperano i residui della lavorazione del
sughero e con questi, in barrili, si spedisce l'uva da tavola.
Nell'America del Nord si stratificano le frutta anche fra i cascami
della tessitura di cotone, materiale però che si può adoperare per locali
non esposti al gelo e comprimendo questi cascami contro le frutta,
perchè stiano aderenti.
La conservazione fra il grano è usato da noi nella provincia di
Imola; al Nord d'Europa si collocano le frutta sotto V avena, l'orzo, il
nìiglio, cosi pure la pula di frumento e di grano saraceno, quantunque
la pula viene più adoperata, per imballaggio.
2. — Materie isolanti. Queste servono per l'imballaggio, quantunque
si possa conservare anche le frutta, mai però tanto perfettamente che
colle materie polverulenti. Queste materie hanno lo scopo di riparare le
frutte dall' aria, dalla luce, dalla soverchia umidità, cosi pure dai funghi
ed altri parassiti. Quando poi, per sovrabbondanza di prodotto, non si
può tenere le frutta nel fruttaio separate e distese, si sogliono sovrap-
porle a strati, frammettendo delle materie isolanti.
Di queste materie, la più importante è la carta di seta bianca o
colorata, per fare risaltare meglio i frutti. Colla carta le frutte manten-
gono la fragranza, il marciume non si propaga, però appena che le
frutta sono liberate dall'involucro maturano subito completamente.
E' noto, che una gran parte degli agrumi vengono avvolti da carta
per imballaggio così pure le pesche, le pere, le mele più delicate.
Altri materiali che si possono adoperare al medesimo scopo sono :
— 3()9 -
lo sfagno, la borracina, le felci, la paglia, l'ooalla per le frulla da lusso,
avendo cura che siano bene asciutti. Con la boraccina si ollengono
buoni risultati stratificandola sulle Irutla in tante cassette, che poi
vengono sotterrate.
3. — Mezzi gasosi. Questi hanno più che altro lo scopo di mantenere
l'ambiente di conservazione disinfettato, in modo che alcun -^erme
dannoso possa svilupparsi.
Il più comunemente adoperato è il fumo di zolfo, (anidride solfo-
rosa) ed i vapori di alcool. Si abbruciano gr. 5 di zolfo per m^ L'alcool
è molto da raccomandarsi specialmente quando si conservano le fruita
in ambienti ristretti come sarebbero i cassettoni, gli armadi di muro.
In ognuno di questi si colloca un bicchiere ripieno di alcool e si lascia
che l'evaporazione avvenga da sé.
4. — Altri mezzi di conservazione. Fra questi posso accennare alle
materie coibenti, fra i quali venne proposta la cera e la paraffina. Le
frutta coinvolte di queste sostanze si conservano a lungo, però prendono
un sapore disgustoso e quindi si adoperano soltanto nel caso, che si
vogliono conservare a scopo di studio.
Cosi si possono conservare le pere e mele precoci, per li e 4 set-
timane ; le ciliegie per una settimana, immergendo i frutti e poi lascian-
doli appesi fino che si asciugano in una soluzione di gomma arabica
al 50 7o.
Il suggellamento dell' estremità del peduncolo con cera-lacca può
anche giovare, però è applicabile soltanto per quantità limitata di frutta.
Molti ritennero, che lasciando il peduncolo del frutto intatto, si
aveva una conservazione più lunga. Io avrei osservato piuttosto l'op-
posto, credo però sia indilferente sull'esito della conservazione che il
frutto abbia intatto il peduncolo o meno.
XII.
Imballaggio e spedizione delle frutta.
Per il commercio è di non poca importanza il modo con cui ven-
gono imballate e spedite le frutta, poiché da esso dipende lo stato in
cui arrivano al luogo di destinazione.
I difetti principali dei nostri sistemi d'imballaggio consistono
neir ammassare troppa frutta in una medesima cesta o cassa, la quale
poi non é sufficentemente solida da poter resistere ai disagi del
viaggio. Da ciò ne consegue, che la frutta arriva alla sua destinazione
contusa e non inditTerentemente deteriorata.
Se noi vogliamo che la frutta arrivi in modo che non abbia |)OÌ a
difettare né per bontà, né per qualità di conservazione, dobbiamo ap-
24 — Tamaro - Frutticoltura.
— 370 -
plicare diversi sistemi d'imballaggio a seconda delle diverse varietà e
e specie di frutta che si intendono spedire. Anclie sotto questo punto di
vista distingueremo dunque le frutta a granella, a nocciolo, a bacca
ed i frutti secchi.
Questi ultimi non richiedono speciali cure poiché se ben secchi,
si possono spedire in sacchi o casse. Delle altre tre specie, le frutta a
granella resistono meglio alla spedizione, poi vengono quelle a nocciolo
ed a bacca, per le quali due ultime bisognerà perciò apprestare la
maggior attenzione.
Le fruita in genere devono essere imballate in modo che le qualità
e perciò il valore non abbiano a sotfrire. L' imballaggio poi non deve
Fig. 245. - Casse smontabili.
essere privo di una certa eleganza, per attrarre l'attenzione del pubblico
sui mercati o di chi la riceve, come pure per far figurare meglio anche
le stesse frutta.
1. — Casse di legno. Di tutti i recipienti che si possono adottare
per spedire la frutta, la cassa di legno è ancora la migliore, purché
questa cassa non emani odore e non sia fatta con legno resinoide. Per
le frutta a granella le casse hanno una capacità tale da poter collo-
carvi da 24 a 30 kg. di merce. Riguardo alle dimensioni diremo essere
meglio che siano più larghe e lunghe che non alte, per non collocare
più strati di frutta uno sopra l'altro.
Le casse a gabbia, che possono contenere da kg. 3 a 5 di frutta
(fig. 245) smontabile, sono molto adottate oggi per la spedizione di
frutta di qualità corrente e di immediato consumo come ciliegie, uva,
mele, pere. Per le uve scelte e per le spedizioni fuori stagione si adope-
rano delle cassette di dimensioni più limitate (lìg. 246).
2. — Cesti. Dopo le casse vengono per importanza i cesti, che devono
essere preferibilmente di forma quadrata (panieri fìg. 249) anziché
rotonda ffìg. 247) come si sogliono fare, perché presentano una mag-
371 -
L-^^jifflfiJ^ff'
iimT>r>(i!mni|nt(
zionr^iù^accùriir^"'' '^^ ^'^°° '"''*'' ''''^" speditori italiani per spedi-
Fig. 248. — Panieri rettangolari.
372
giore solidità e si utilizza meglio lo spazio dei vagoni o dei carri, sui quali
si spediscono. Per i frutti a nocciolo ed a bacca, simili cesti non dovreb-
bero avere un'altezza superiore a 20 cm; per quelli a granella possono
essere anche di 40 cm.
3. — Cesti e panieri. Dopo le casse per importanza seguono i cesti e
panieri che hanno la forma quadrata, rettangolare e rotonda e sono in
vimini o liste di castagno.
I panieri rettangolari (fig. 248) sono a coperchio piatto e della capa-
cità di 8, 15, 18, 25 kg. Quelli da 8 kg. hanno le seguenti dimensioni
interne: lungh. cm. 32; largh. cm. 20; alt. cm. 15. Essi contengono
kg. 4.500 di albicocche ; kg. 5.500 di ciliegie, ed uva.
I panieri da 12 kg. (cm. 39x25x20) contengo kg. 7 di pesche e albi-
cocche; kg. 8.500 di ciliegie, prugne, uva, mandorle; kg. 8 di pere o
mele.
I panieri da 18 kg. fcm. 44x28x22) contengono kg. 11.500 di pesche
od albicocche; kg. 13.500 di ciliegie,
prugne, uva, mandorle; kg. 12.500
di pere o mele.
I panieri di 25 kg. si fanno di
varie dimensioni e contengono kg.
17 di pere o mele; kg. 19 di prugne
o mandorle.
I cesti quadrati (fig. 249) fatti di
vimini si adoperano per spedire le
frutta delicate e si fanno di due di-
mensioni. 1 piccoli (cm. 28x21x9)
contengono kg. 2 di pesche od albi-
cocche; kg. 2.500 di ciliegie od uva;
gli altri contengono (cm. 30x23x11)
kg. 3.800 di ciliegie od uva ; kg. 2.080
di pesche o albicocche. Il coperchio
di questi cesti è curvo.
In Italia di questi cesti quadrati
se ne fanno con liste di legno di castagno e senza coperchio, ma della
capacità di 15 a 20 kg. di frutta. La copertura si fa con della tela che
si cuce di volta in volta. Si spediscono specialmente le pere e mele.
4. — // materiale d' imballaggio, come abbiamo già fatto rilevare,
questo deve essere aggradevole all'occhio e tale da impedire qualsiasi
contusione. A quest'ultimo scopo devesi adoperare della carta perfet-
tamente inodora, senza colla, non umida e sufficientemente elastica. La
carta stampata non conviene. Altri buoni materiali d'impacco oltre la
carta sono : il musco ben secco, alghe marine pure bene asciutte, pol-
vere di sughero, paglia d'avena trinciata, pula di riso, segature e
trucioli di legno non resinoide, ritagli di carta, e l'ovatta per paesi
freddi.
5. — Imballaggio. Le pere o mele con polpa e buccia resistenti s'im-
Fig. 249. — Cesti quadrati.
— 373 -
ballano in cesti o casse, stendendo prima sul fondo uno strato di paglia
od altro materiale soffice, e quindi si dispone uno strato regolare
di frutta col picciolo orizzontale. Sopra queste si pongono altre fruita,
avendo soltanto cura che rimanga vuoto il minor s|)azio possibile
e, quando si arriva colle frutta a 15 cm. sotto al coperchio, si fa
un nuovo strato regolare, e sopra a questo del nuovo materiale sof-
fice che viene poi in contatto col coperchio. ì\ naturale che anche vi-
cino alle pareti si deve mettere del materiale per riparare le frutta dalle
contusioni. Per chi volesse raggiungere meglio l'intento di far comparire
le frutta ben imballate, riempia la cassa dal fondo, inchiodando per
primo il coperchio.
Per le pere o mele a buccia sottile ed a polpa deliquescente è meglio
avvolgere ciascun frutto con della carta di seta e frapporre fra frutto
e frutto dei ritagli di carta od altro.
Assai più diffìcile è l'imballaggio e la spedizione delle fruita a
nocciolo. Come abbiamo già fatto rilevare prima, queste bisogna spe-
dirle in casse basse, cosi che non ci possano stare più di due od al
massimo tre strati, e ciascun frutto si suole avvolgerlo con una doppia
carta, frammettendovi dei ritagli di carta od altro. Le pesche non si
dovrebbero spedire in quantità maggiore di 5 a 10 kg. per cassetta.
Per le pesche sopraffine si suole fare nel seguente modo. Si pren-
dono le cassette che non possono contenere più di uno strato di 12
frutti. Il coperchio non si tocca ; invece si leva il fondo, e contro al
coperchio si distende dell'ovatta. Sopra questa poi si distende un foglio
di carta bianca, senza colla e con altri fogli si coprono le pareli. Le
pesche si avvolgono per metà con carta di seta in guisa, che aprendo
la cassetta, possano far sfoggio dei loro leggiadri colori, (juindi si riem-
piono i vacui con ritagli di carta e si chiude il fondo.
L'uva da vino, viene imballata entro ceste robuste di vimini, lunghe
m. 0.72, alte m. 0.20, larghe m. 0.50 e capaci di ben kg. 50 d' uva. Per
il commercio di uve di immediato consumo convengono le ceste della
capacità di 20 kg. Bisognerebbe preparare delle ceste di forma paral-
lelepipeda, con tutte e due i fondi fatti a coperchio. Volendo fare
l'imballaggio, si chiude uno di questi coperchi e lo si fa funzionare da
fondo. — Si distende sopra uno strato di paglia, che si copre con un
loglio di carta bianca, bleu o rossa secondo che l'uva è bianca o rossa,
per farla risaltare. - Sulle pareti si distendono pure dei fogli di carta
della medesima dimensione, cosi pure ogni strato di grappoli viene
separato dall'altro con fogli di carta.
Gli strati di grappoli si devono fare in modo da lasciare meno
spazi possibili, che si riempiono di grappolini più piccoli. Nel collo-
carli si abbia poi l'avvertenza che il peduncolo guardi sempre in alto,
cosi che, contro la carta, non appoggino che gli acini.
Riempila la cesta, si distende un altro foglio di caria e sopra questo
della paglia e quindi si chiude. Portando l'uva sul mercato, la cesta si
apre dalla parte opposta a quella da cui è slata riempila; allora gli
acini si presentano serrati.
- 374 -
Per l'esportazione, durante l'estate ed autunno, l'imballaggio dell'uva
da mensa si fa ora esclusivamente con gabbiette e, quando cominciano
i freddi, con cassette di faggio. Una cassetta della capacità di kg. 2.50
ha le seguenti dimensioni interne: cm. 35x15x12. Queste cassette
(fig. 246) si riuniscono poi per 12 o 24 in casse più grandi, per facilitare
il collocamento nei vagoni.
Ed ecco ora come si fa l'imballaggio in queste cassette. Si inchioda
il coperchio e si capovolge la cassetta in modo da caricarla dalla parte
del fondo, il quale naturalmente si inchioda. Si fa cosi perchè quando
si aprono le cassette appaiono alla superficie soltanto gli acini riuniti.
Si comincia col collocare in fondo un leggerissimo strato di trucioli
di carta e poi si rivestono il fondo e le pareti con carta bianca a bordi
seghettati, se l'uva è rossa o nera ; con carta rosa o hleu, se 1' uva è
bianca. Si collocano quindi i grappoli uno vicino all'altro e naturalmente
per un strato solo, avendo cura di appoggiarli leggermente inclinati,
in modo che il peduncolo si trovi al di sopra. 1 vani fra grappolo e
grappolo si riempiono coi piccoli grappoli. Il riempimento si fa in modo
che l'uva sorpassi l'orlo della cassetta appena di 1 cm., perchè sop-
portino una leggera pressione di chiusura.
Poi si pone da parte la cassetta o la si sovrappone ad un'altra già
riempita, e così di seguito si ammonticchiano le cassette una sopra
l'altra per sottoporre a pressione le uve. Dopo qualche oi-a si ripren-
dono queste cassette, se qualche acino alla superficie si è contuso lo
si leva, quindi si prende un foglietto di carta, si copre con qualche
ritaglio, e si inchioda il fondo. Anche per questa ultima operazione
bisogna procedere con una certa cautela e cioè si inchioda prima il
fondo da un lato, e poi leggermente comprimendo, si arriva all'alti'o lato.
Avendo da spedire in tempo di gelo, si ripara l'uva con due fogli
di ovatta, che si collocano uno sul fondo e l'altro sotto il coperchio.
La cassetta deve portare sul lato del coperchio le istruzioni per
aprire, la marca dello speditore, la qualità dell'uva ed il suo peso netto.
XIII.
Conservazione delle frutta nell'alcool e nell'aceto.
La conservazione nell' alcool o nell' aceto si basa sulla proprietà
di questi due corpi di incorporarsi facilmente l' acqua ed inoltre di
essere antisettici in modo che, né muffe uè altri organismi parassiti,
si possono sviluppare sulle frutta. L'inconveniente principale di questi
due metodi di conservazione consiste in ciò, che le frutta dopo un po'
di tempo, per effetto di endosmosi, s'imbevono del liquido in cui
sono immerse, alterandosi il gusto, la composizione chimica ed anche
l'aroma.
- 370 -
Per recipienti di conservazione si sogliono adoperare dei vasi di
vetro, piuttosto piccoli o meglio di una capacità tale, che il rispettivo
contenuto possa venir consumalo in una famiglia nello stesso giorno
o poco più. La forma, deve essere delle più semplici per poter ottenere,
nel sciacquarci, la maggior pulizia nel più breve tempo.
La chiusura dei vasi, che deve essere ermetica, e anche di non
poca importanza.
Come è noto, per uso casalingo si sogliono adoperare delle vesciche
di maiale o bue, ben digrassate con ripetuti lavacri e frizioni di sale,
oppure si adopera della carta pergamena. Sia per (|ucsta che per le
vesciche, si rammolliscono prima nell'acqua tiepida e poi si stendono
sulla bocca del vaso i)er poi legarle con uno spago. Più sem|)lice è la
chiusura con turaccioli, suggellati poi con della cera lacca o con della
parafina.
In questi ultimi tempi si trovano in commercio dei vasi di vetro
appositi per conserve. Essi hanno il collo a vile ed il coperchio è fatto
a guisa di capsula di zinco, pure a vite. Siccome lo zinco del com-
mercio contiene anche del piombo, il quale in conlatto con le conserve
produrrebbe dei composti nocivi alla salute, gli inglesi inverniciano
interamente questi coperchi col silicato di soda, di potassa o calce.
La frutta destinata per le conserve deve essere di prima qualità,
di maturazione non troppo inoltrata, sana, priva di contusioni o macchie
e di polpa consistente.
Nell'alcool si sogliono conservare le frulla a nocciolo, le pere, le pe-
sche, l'uva ad acini grossi di preferenza moscata, (come è il Moscalel-
lone) i cedri, i limoni, i bergamotti, gli aranci; nell'aceto sollanto le
ciliegie e le prugne.
1. — Per conservare le frutta nell'alcool, quelle a buccia iiscia(ciliegie,
susine, pere, ecc.), si puliscono con un pannolino e quelle con buccia
tomentosa (pesche, albicocche) con una spazzola e si lascia ad ogni
frutto un mozzicone di peduncolo.
Per impedire che la buccia screpoli nell'alcool, si jìunzecchiano
le frutta con uno stecco di legno e poi si immergono per un giorno
in una soluzione zuccherina avente da óO-Wo di concentrazione. Pas-
sato questo primo giorno si levano le frutta, si fa la depurazione della
soluzione e, quando è ancora tiepida, si riversa sulle frutta.
Questa operazione di depurazione si ripete per tre volle, e quindi
l'ultima volta, colle frulla dentro, si porla quasi all'ebollizione. Dopo
raffreddate le frutte, si lasciano colare e si immergano nell'alcool a
55° avendo cura, come naturale, di chiudere poi i vasi ermeticamente.
I vasi si conservano al buio in locali piuttosto freddi.
Pere Si fa limbianchiniento iniinergendole neUacpua bollente per 3-4 minuti.
EstraUe, sì geUano nellacqa fredda, si sbucciano, si punzecchiano e si metlono neiralcool
aromatizzato con scorza di limone. (Rovesti).
2. - Nell'ace/o si conservano le ciliegie e le susine (.Zwetsche) che
servono poi di contorno alla carne come i soltoaceti.
— 376 —
Per ogni kg. di ciliegie acide si adoperano 3-4 chiodi di garofani,
10 gr. di dragoncello, 50 gr. di zucchero, ed 1 litro di buono aceto forte
Lo zucchero si fa bollire coU'aceto. Intanto si collocano le ciliegie
colle erbe aromatiche in un vaso e poi vi si versa l'aceto freddo. Si
chiude il vaso ermeticamente e dopo 20 giorni si possono conservare.
Le susine si preparano facendo bollire per 4 minuti e per ogni kg.
di frutta '/g litro di aceto, 450 gr. di zucchero, 2 gr. di chiodi di garo-
fano 3 gr. di cannella.
Le prugne si punzecchiano con uno stecco fino al nocciolo e poi
si versano nell' aceto bollente, zuccherata e aromatizzato. Le prugne
(mirabelle o regine clandie), si spaccano si ritirano dal fuoco vivo e
si lasciano raffi'eddare. Si mettono poi i frutti nei vasi ed il succo dopo
averlo un poco concentrato, si versa sopra, riempiendo poi il vaso con
aceto e otturandolo perfettamente. Dopo 8 giorni, si leva l'aceto, lo si
fa ancora bollire per rimetterlo nei vasi che si colmano con nuovo
aceto. Fatto questo, si chiude definitivamente di nuovo.
Per impedire la putrefazione alle conserve d' aceto, sarebbe bene
aggiungere qualche goccia di acido formico. Rendo attente le nostre
massaie, che se vogliono impedire le muffe dei cetriuoli o peperoni
conservati nell'aceto, facciano uso di questo acido. Se il miele non va
in putrefazione lo si deve alla presenza dell' acido formico.
XIV.
Conservazione collo zucchero.
(Confetture)
1. — Le confetture o conserve di frutta collo zucchero si ottengono
colla cottura di un miscuglio di frutta e zucchero, portato ad un tale
grado di concentrazione che la massa non possa più fermentare. Le
confetture si distinguono in :
a) confetture propriamente dette, nelle quali i frutti sono interi
o smezzati, cotti in un siroppo di zucchero ;
b) marmellate e composte, per le quali la polpa dei frutti viene
completamente disgregata e cotta con una forte porzione di zucchero;
e) i siroppi e gelatine costituiti di siroppo di zucchero e succo
di frutta.
2. — Gli utensili per cuocere preferibili sono quelli in rame non
stagnato, a una condizione che la pasta appena levata dal fuoco non
si lasci dentro a raffreddare. Non si devono adoperare pentole stagnate
poiché lo stagno altera il colore ed il sapore dei frutti rossi.
Cosi sono da preferire le marmitte in terra cotta purché siano
nuove, poiché coll'uso diventano assorbenti e non si possono pulire
perfettamente. Le pentole smaltate sono utilizzabili linché lo smallo
rimane intatto.
E' necessario anche avere uno staccio in crine e per lillrare, si
adoperino degli imbuti di vetro e della carta speciale da iillro.
Le schiumarole, i cucchiai, ecc., devono essere di legno, di osso
o di porcellana.
Per le gelatine e siro|)pi si possono adoperare per la conservazione
dei vasi di veti'o ordinari, o delle bottiglie chiuse con carta [)er^(aine-
nata e turacciolo di sughero paraflnato.
Le confetture al siroppo, le marmellate e composte o paste, si con-
servano nella grande industria, in scatole di metallo che hanno il
vantaggio di costare poco e di essere molto solide. Migliori ancora sono
i vasi in porcellana con chiusura ermetica.
I recipienti di vetro però sono i preferibili e specialmente per uso
casalingo. I vasi di vetro hanno è vero lincon veniente
della fragibilità ma hanno però il merito di potersi
pulire perfettamente, di potersi adoparare più volte, di
poterli verificare costantemente e di presentarsi con
molta proprietà.
I vasi di vetro più pratici, sono ciucili posti in
vendita dalla Ditta F. Weck di Ofilingen, cilindrici,
con apertura larga, a bordo piatto e liscio (lìg. 250)
sul quale si mette un anello di gomma e sopra questo
si posa alla sua volta un coperchio di metallo col-
r orlo piatto e liscio.
I^o stesso Weck ha costruito uno slerilizzalore dei
vasi ottimo per i bisogni della famiglia e che io mi
servo da oltre 20 anni. '^
Esso consiste in un pentolone cilindrico di ferro "^
zincato (flg. 251) munito di coperchio e porla un Fi|. 25a^ ^ J^o
termometro, il cui bulbo arriva a metà altezza della piatto per conser-
vare la frutta,
pentola.
I vasi da sterilizzare, che sono di diversa gran czza, si devono
riempire per due centimetri al disotto del coperchio e si collocano sopra
un sostegno (fig. 252) a base circolare fa; t:on una colonna centrale (ò/
lungo la quale si uniscono delle molle (d) oppure i supporti dei vasi (g).
Le molle si fanno scorrere in giù lino a toccare il coperchio del vaso,
esercitando su questo una certa pressione per tenere fermo il coperchio.
I supporti scorrevoli hanno lo scopo di poter piazzare nell'apparecchio
più vasi uno sull'altro.
Al momento di usare la pentola, bisogna versare tanf acqua che
basti a coprire i vasi di vetro immersivi. La temperatura del bagno
deve essere eguale a quella che ha il contenuto dei vasi. Posto l'ap-
parecchio al fuoco si riscalda l'acqua tino a portarla alla temperatura
prescritta e per il tempo pure indicato e di cui vedremo più avanti.
Compiuta la sterilizzazione, si leva la colonna sostegno coi vasi,
prendendola per il manico e si lascia raffreddare a se.
— 378 —
Durante la sterilizzazione è avvenuto, che l'aria rinchiusa nel vaso
per dilatazione solleva leggermente il coperchio che è tenuto fermo
soltanto dalla molla e ne esce. Ma quando si raffredda, il coperchio
spinto dalla molla ricade a guisa di valvola suU' anello di gomma e
non permette che l'aria rientri.
Compiuto il raffreddamento, la pressione stessa dell'aria esterna,
tiene chiuso il vaso.
Per aprire il vaso, quando si vuole consumare il contenuto, non
si ha che da tirare l'anello di gomma dalla parte che ha una specie
di orecchio. In tal modo si dà accesso all'aria ed il vaso si apre.
Con questa pentola si possono sterilizzare le confetture al siroppo,
le marmellate e quanto si desidera. E' questo uno degli apparecchi più
pratici che io conosca per uso di famiglia.
3. — Conservazione al siroppo di zucchero. La frutta destinata per le
conserve nel siroppo, deve essere sempre di maturazione non troppo
inoltrata, sana, priva di contusioni e di polpa consistente.
Fig. 251. — Pentola di ferro zincato per
sterilizzare.
Fig. 252. — Sostegno per tenere nella pen-
tola sterilizzatrice i vasi di conserva.
Si prestano mollo bene le mele piccole e mediane. Queste si sbuc-
ciano e si tagliano per levare i semi. Delle pere si scelgono anche le
mediane o piccole e si preferiscono quelle aromatiche e dolci. Anche
queste bisogna sbucciarle. Le pere e mele cotogne, si prestano in par-
ticolar modo. Dei frutti a nocciolo si conservano le albicocche e pe-
sche spiccagnole. Si raccolgono 10 o 12 giorni prima della completa
maturazione, sì immergono nell'acqua bollente per levarne la buccia e
poi si dividono per metà, onde levare il nocciolo. Anche le prugne si
preparano in tal modo, soltanto a queste non si leva il nocciolo. I
lamponi a frutto rosso, l'uva spina verde e della varietà pelosa, il ribes
a bacche grosse e rosse, si possono anche conservare senza una spe-
ciale preparazione, tranne il ribes che bisogna sgranare.
Sbucciate e preparate nel modo anzidetto le frutta, e non avendo
pronto il siroppo, per non lasciarle esposte all'aria che farebbe pren-
— 379 -
der loro un colorilo bruno, si immergono prontamente nell'acqua fredda.
Qualora avessero a stare più di un giorno nell'acqua, allora conviene
leggermente riscaldarla ed aggiungere una piccola dose di acido citrico.
Questa operazione dai tecnici viene detta iinhianchimento.
Veniamo ora alla preparazione del siroppo di zucchero.
Lo zucchero da adoperarsi deve essere raldnato e la concentrazione
della soluzione in ragione di 1 kg. di zucchero in 1 litro d'acqua pos-
sibilmente pura. (1) Di solito si adopera acqua di pioggia filtrala. Anche
adoperando dello zucchero più puro del commercio, bisogna sempre
sottoporre il siroppo ad un processo di depurazione. A tale scopo la
soluzione anzidetta si porta sul fuoco e, di mano in mano che si forma
la schiuma, questa si leva. Nel caso che si avesse uno zucchero non
tanto fino, si aggiungano anche delle chiare d'uovo, le quali servono,
bene sbattute, a chiarificare e depurare la soluzione. Bisogna continuare
a schiumare ed aggiungere dell'acqua con relativa porzione di zucchero
fino a quando non viene più a galla alcuna sostanza etereogenea.
Preparato in tal modo il siroppo, non si ha che da riem|)ire i vasi
colle frutta, colmarli col siroppo e quindi chiuderli ernìeticamente.
Una volta chiusi, si avvolgono con delia paglia e si immergono fino al
collo nell'acqua bollente a 105" C. Il ribes ed il lampone si lasciano
immersi per 15 minuti; le pesche, pere, mele, uva s|)ina per '20 minuti
e le cotogne per 30 minuti. I vasi si lasciano raffreddare nella stessa
caldaia.
CoU'apparecchio Weck, si seguono le norme indicale nella se-
guente tabella.
Tabella XXXVII. Norme per sterilizzare le frutta al siroppo
eoli' apparecchio Weck.
Densità Tem- ' Durata
del siroppo paratura della
Nome in ] jitro di sterilizza-
d' acqua sterilizza- zione
O.SSKKV.VZIONI
dei fruiti j zucchero i zione
I
j gr. : e," Mi
Albicocche . . MO 9t' ^" V<:y '«^H» bpez«ite
2.'> . , intere
Ciliegie dolci. 300 . -'o
acide 7.-,(i , -'<' volendo indolcirle
Lampone. . . . | 500 7.') '••
Mele I 750 I 90 ^
Pere I 600 KH) -'-SO
Pesche I 300 I 80 :20
Ribes I 750 »> ■■^"
Rovo j 500 ".') •■'
Susine 750 ' 80 20
Uva spina ... I 750 1 00 'iO
(D A7operando 1 apparecchio speciale Weck di conservazione, basta una soluzione
di gr. 300 al massimo 700 di zucchero in un litro d'acqua.
~ 380 —
4. — Le marmellate si preparano facendo cuocere il frutto nel-
l'acqua, tramenando sempre perchè non attacchi poi si passa al set-
taccio per togliere i semi e le parti dure. Per ogni chilogramma di
frutta netta dai noccioli, si prendono 700 gr. di zucchero che si fa
bollire con un bicchiere d'acqua. Quando lo zucchero comincia a filare
si aggiunge la polpa di frutta e si fa bollire ancora cinque minuti, poi
si mette nei vasi. Si adopera per dolci o si serve col burro all'ora del the.
5. _ Volendo fare invece la pasta di frutta, come specialmente si
usa colle mele cotogne (cotognata) o colle pesche (persicata) bisogna
sbucciar prima il frutto, tagliarlo in 4 e metterlo in un recipiente con
acqua. Poi si fanno bollire i pezzi e, ridotti teneri, si passano allo
staccio. Per ogni chilo di cotogne o pesche occorrono kg. ^|^ di zuc-
chero pesto che si fa bollire.
Si aggiunge il frutto e dopo ^4 o mezz'ora di bollitura si versa la
pasta nello stampo.
6. — Le composte servono più per il dessert e conservano forse
maggiormente l'aroma. Si fanno per lo più di pesche o d'albicocche.
Il frutto si punge prima con uno spillo poi si lascia cuocere per mez-
z'ora, ma non deve diventar troppo tenero.
Tolto dal fuoco si mette il tutto per 24 ore in luogo fresco. Poi i
frutti sgocciolati si mettono in vasi e si fa bollire lo zucchero finché
vien denso. Si copre la frutta e dopo due giorni si riempie il vaso
con spirito di Francia.
Un modo più semplice di fare la composta è il seguente. Far filare
lo zucchero e poi gettarvi la frutta tagliata in 4, lasciando bollire
pochi minuti. Mettere in vasi, coperti con carta pergamena e far bollire
a bagno maria.
7. — Gli stroppi di frutta sono una bibita eccellente per l'estate.
Si fanno di lampone, di ribes, di more e di ciliegie.
Bisogna lasciar riposare prima i frutti ben maturi almeno 24 ore.
Poi si spreme oltre un cencio e si lascia altre 24 ore. Indi si fa pas-
sare senza premere per un cencio più fitto.
Si pesa tanto zucchero, quanto è il succo del frutto e si mette a
bollire. Di mano in mano che si forma la schiuma bisogna levarla e
si confina a far bollire finché la schiuma cessa. Si toglie dal fuoco e
si mette in bottiglie.
8. — Colle frutta si possono fare anche gelatine, paste, liquori, aceti,
tinture, mostarde, canditi ecc., per la cui preparazione conviene che il
lettore si provveda di pubblicazioni speciali e raccomando special-
mente quelle citate nella Bibliografìa del presente capitolo.
- 381
XV.
Essiccamento delle frutta.
1. Generalità. — Anche le frutta, come molti altri prodotti alimen-
tari, si possono conservare per disseccamento.
Con questo mezzo si utilizzano le frutta appena raccolte epperciò
non si ha alcuna perdita; il processo dell'essiccazione non richiede
profonde cognizioni tecniche, nessun dispendio in apparecchi e vasi
di conservazione né in zucchero ed altri mezzi costosi che servono a
conservare le frutta. D'altra parie le fruita essiccate, conservano una
gran parte del loro aroma, si mantengono a lungo inalterate, possono
essere spedite colla minima spesa di trasporto nei paesi più lontani.
Il disseccamento si può ottenere per calore naturale del sole o per
calore artificiale. Da noi, che non sempre si può avere un costante
calore solare, conviene seguire per l'essiccazione un metodo misto e
cioè col calore solare completato dal calore artificiale. Il primo non
è privo d'incovenienti, i principali dei quali sono: a) di non poter
fare un sicuro assegnamento sul medesimo ; b) di avere un calore
irregolare ed interrotto ; e) le frutta esposte alia libera circolazione
dell'aria durante il disseccamento, per l'effetto dell'ossigeno, si deco-
lorano e diventano poco appariscenti.
Il disseccamento artificiale si ottiene con speciali apparecchi chia-
mali essiccatoi, forni o stnfe per frulla. Questi apparecchi devono essere
costruiti in modo da produrre e mantenere il massimo calore colla
minor spesa di combustibile e quindi di allontanare l'acqua dalle frutta
nel minor tempo, acciò la frutta non perda del suo aspetto e sapore.
Disseccando ad una temperatura troppo elevata si incorre nell'in-
conveniente, che la buccia scoppi o s'indurisca, ed i pori, non fun-
zionando più, impediscono l'evaporazione dell'umidità interna. Disse-
cando ad una temperatura troppo bassa si lasciano esposte le frutta al
calore per troppo tempo e quindi si hanno o delle frutta poco saporite
oppure imperfettamente essiccate. Tutta l'arte perciò di chi accudisce
al disseccamento consiste nel trovare il giusto calore necessario per
ovviare a questi inconvenienti.
E' naturale che i frutti acquosi richiedano un maggior calore dei
zuccherini. I primi non bisogna però sottoporli rapidamente ad una
temperatura elevata, quanto forse si può fino ad un certo punto per
quelli ricchi di zucchero.
Lo scopo dell'essiccamento non consiste soltanto nel conservare
la frutta, ma nell'ottenere anche che questa, mantenga il suo gusto e
aumenti il suo contenuto zuccherino. Difatti, l'amido contenuto nella
polpa, col calore si trasforma in zucchero, e questo aumento è sempre
— ;J82
relativo alla rapidità dell'operazione. La temperatura in genere non
deve mai oltrepassare i 100"^' C, (per le pere e mele 90^* C, per le pesche,
e luva e frutta a bacca e nocciuolo in genere 80-JH)" C.) e per ottenere
che il disseccamento avvenga nel più breve tempo, gli ap|)arecchi di
essiccazione sono costruiti in modo che intorno ai frutti circoli una
forte corrente d'aiùa calda.
2. — Le inucchinc occorrenti per preparare le frutta disseccate
consistono : in una macchina per sbucciare, in altra per levare il
nocciolo, trattandosi di ciliegie o prugne, ed
infine nell'essiccatoio.
Le macchine più raccomandabili per sbuc-
ciare sono quelle della fabbrica K. Herzog di
Reudnitz; cosi pure per levare il nocciolo.
Gli essiccatoi più importanti sono i se-
guenti :
a) A corrente d'aria verticale: Evapo-
ratore universale M. Tritschler; l' evapora-
tore di Geisenheini; l'evaporatore Vermorel
figura 2Ò3); l'evaporatore Alden ;
b) A corrente d'aria obliqua: Evapo-
ratore Ryder, l'essiccatoio Fouché, la stufa
Mayfart;'
ci A corrente d'aria orizzontale. Questi,
più che apparecchi sono delle camere di es-
siccazione come sono quelle costruite da
Cozens, Fouché ed altri.
3. — Scelta delle fruita. iNon tutte le frutta
si prestano per l'essiccamento; le une sono
soltanto dolci e prive di aroma, altre sono
troppo acide o troppo acquose, altre hanno
la polpa troppo deliquescente, altre infine
lianno la polpa a libra troppo grossolana.
Si scelgano le frutta con polpa soda e
con succo denso. Quelle acquose è meglio
riservarle per siroppi e confetture.
Le frutta mature disseccano più presto.
Dopo essiccate sono più gustose, hanno più
bell'aspetto e più bel colorito. Le frutta im-
mature si disseccano lentamente e perdono relativamente più di peso.
Per la medesima varietà e ad eguale stadio di maturazione, le frutta
più piccole disseccano più presto.
lutine prima dell'essiccazione bisogna separare le fruita per gran-
dezza poiché soltanto in tal modo si ottiene una uniforme disseccazione.
Le mele per l'essicamento devono avere polpa line, morbida, dol-
cemente acida (10% <^li zucchero 0°^ d'acidi) e tanto consistente da
poter togliere la buccia senza inconvenienti. Sono migliori le mele di
Fig. 253. — Evaporatore per
frutta ■• Vermorel , .
— ;jh;j —
media grandezza, di forma regolare rotonda o leggermente depressa.
Sono consigIiat)ili le varietà seguenti: Cardinale rossa, Nobile di liors-
dorJ', Imperatore Alessandro, Menetta giallo dorala d'estate, Renetta
grigia d'autunno.
Le pere non devono essere troppo dolci, devono avere una forma
regolare, allungala, con polpa aromatica e fondente quali sono la Lui-
gia buona d'Avranches, Ricordo del (Congresso, Rutirra d'Amanlis, Ru-
tirra bianca d'Autunno, Fondante des Rois, Catillac, Martin secco, ecc.
Delle prugne si preferiscono la Claudia imperiale, la Precoce di
Bavay, la Mirabolana e cosi via.
4. — Preparazione delle frulla per iessiccamenlo. Poche sono le
frutta che possono essiccarsi come vengono raccolte ; la maggior parte
richiedono una speciale preparazione.
Le mele ad esempio devonsi sempre sbucciare, tagliare in due o
|)iù pezzi, a seconda della grandezza, si levano i semi colla capsula che
li inchiude, poiché sono indigesti. Preparale in lai modo, per non la-
sciarle all'aria, che ne renderebbe il colorito ruggine o bruno, si im-
mergono in una soluzione di sale, '/2V0 di concentrazione, ossia 50 gr.
di sale in 10 litri d'acqua, oppure si mellono in una cassa dove si
bruciano delle miccie di zolfo (20 grammi per m').
(ìiunlo il momento di collocarle nell'essiccatoio, si levano dalla so-
luzione, si lasciano sgocciolare e quindi .si distendono sui graticci nel
modo che vedremo più innanzi. Se conservale coi fumi di zolfo, si
l)orlano direllamenle nel forno.
Le pere sono più facili a preparare e cioè dopo sbucciate e tagliate,
non si leva loro le granella : del rimanente anche queste, come qualsiasi
altra specie di fruita, bisogna toglierle dal contatto dell'aria e provvi-
soriamente si mettono nella soluzione di sale o in un'atmosfera d'ani-
dride solforosa come abbiamo visto per le mele. Se le pere non sono
completamente mature è consigliabile di sottoporle, dopo sbucciate,
all'azione del vajìore acqueo. A tal uopo si mettono in un canestro a
larga lessituia e ben coperte. Questo canestro lo si lascia in sospensione
sopra dell'acqua bollente fino al punto che una paglia si possa intro-
durre facilmente nella polpa. Di solilo ci vuole una mezz'ora. Con
(|uesla operazione, la polpa diventa quasi trasparente ed acquista alla
superfìcie un aspetto lucido per i cristalli di zucchero che si formano.
Le susine e ciliegie si disseccano tali e quali vengono raccolte, e,
trattandosi di qualità speciali, si sbucciano immergendole nell'acqua
bollente e si snocciolano con a|)positi congegni.
Le albicocche e le pesche si mellono nell'acqua calda o in una li-
scivia al(;alina bollente, per qualche secondo, allo scopo poi di sbuc-
ciarle. Levale dalla liscivia si pongono sopra un reticolalo di filo di
ferro zincalo. La liscivia si fa sciogliendo kg. 0,") ad 1 di carbonato di
potassa o kg. 1-1,5 di carbonaio di soda in 10 litri d'acqua. Si rinfre-
scaiìo poi le frulla con dell'acqua buona, si dividono per metà, per
levare il nocciolo e quindi si solforano lasciandole per 3 ore.
— 384 —
E' inutile aggiungere che tutte queste operazioni devonsi fare colla
massima pulizia e sollecitudine. Gli strumenti metallici devonsi pulire
frequentemente con liscivia e tenerli asciutti.
L'aria dell'ambiente e dei locali in prossima vicinanza al forno di
essiccazione, deve essere priva di polvere e di fumo.
5. — L'essiccazione. Le frutta non si devono introdurre nell'appa-
recchio essiccatore se prima la temperatura dell'interno non è stata
portata a 70° C. Di solito questi apparecchi consistono in graticci so-
vrapposti uno all'altro e tenuti assieme agli angoli mercè una catena
che serve ad abbassare od innalzare i graticci di mano in mano che
occorre.
Le frutta sul graticcio, se intere, si dispongono col picciuolo in
su ; se a pezzi, si distendono in modo che possa circolare l'aria fram-
mezzo.
Per le frutta a granella occorre una temperatura in media da 80
a 100° C, per quelle a nocciolo da 10 a 15° di meno. Una volta avviata
l'essicazione, si leva un graticcio ogni tanto tempo, che viene poi so-
stituito da un altro. Riguardo al tempo che si devono lasciare diremo
per norma, che le frutta essiccate, compresse fra le mani, non devono
lasciare umore. Ad esempio coll'apparecchio di Alden si cambia il
graticcio per le mele ogni 8 a 10 minuti, per le pere da 8 a 12 minuti,
le pesche 12-20, albicocche 10 a 15, susine 15 a 20, ciliegie 15 a 20, uva
da 15 a 20.
In Francia, le pere e mele finissime, si preparano nel seguente
modo. Dopo sbucciate, tagliate e levate le granelle, lasciandovi però il
picciolo, si immergono nell'acqua bollente fino a che lo strato esterno
della polpa diventa molle come la cera. Allora si portano nel forno e
si espongono alla temperatura di 80" C, lasciandole fino al momento
che si chiudono i pori. Estratte, vengono sottoposti ad una compres-
sione per riportarle poi nel forno dopo raffreddate, ad una temperatura
di 85-95° C. Così ripetono questa operazione per una terza volta ed
allora acquistano lo spessore di circa cm. 12. Ben essicate le mettono
in scatole eleganti spargendo dello zucchero su ogni strato.
Le frutta candite si preparano sbucciando le pere, o susine, o ciliegie. Con queste
si fa una gelatina nella quale si immergono le frutta da candire che poi si spolverano
di zucchero. Fatto questo si lasciano per un po' di tempo esposte all'aria e quindi si
portano nel forno dove si essicano a lento calore.
Chiudo questo capitolo col dare alcune cifre riguardanti l' es-
siccazione.
385
Tab. XXXVIII.
Dati generali sull'essiccazione delle frutta.
QUALITÀ DiìL FRITTO
Grado di
calore
per l'es-
sicazione ;
Co I intere
ore
Pere
Buon Cristiano William . . 60-70
Andrea Desporles i „
Zuccherina di Montliicon . ,
Duchessa di Berry ....
Monsallard
Butirra Hardy
d'Ainanlis ....
Luigia buona d'Avranches .
Duchessa d'Angouléme . .
Pero in inedia (iO-iXl
Mele
Susine .')0-7()-!l()
Albicocche S.'i-iM)
l'esche
Ciliegie (;()-8.'i
Vini Cid-'.Mt
Fichi |()-,S()
Durata
dell'essiccazione
cogli evaporatori
per fruita
Rendita %
<lel frutto fresco
12-48
diverse | frutta
ore ' essicata
Spesa di
zione per
, Qle
Lire
S-12
(1-7
11
11
10
14-15
2.%
2.00-.
12-15
30-35
.
:tii
—
2.70
20
—
3.10
18
—
:».io
17-2.-S
2
XVI.
Il sidro o vino di frutta.
1. — Generalilà. Sino dai leinpi piti antichi e presso (ulti i popoli,
si prepararono delle bevande, col succo fernienlato delle frulla. Il sidro
è appunto una di queste bevande, e si ottiene sol succo spremuto dalle
mele e talvolta anche dalle pere. Nei paesi dove alligna anche la vile,
si unisce alle pere e mele anche una certa {[uaiilifà di uva, la (juale
rende il sidro più aromatico e conservabile.
Come bevanda alcoolica il sidro può slare a lato della birra, sia
per la quantità di alcool (da 4 ad 8%) «ia per le sue qualità. Uifalti il
sidro viene raccomandato alle balie per acquistare una mngfjiore ab-
bondanza di latte, alle persone inclinale alla |)inguedine, all'idropisia ecc.
E' una bevanda sanissima, rinfrescante e della (juale si fa largo uso
nella Normandia, Piccardia e nella (lermania meridionale. Da noi, in
Italia, la fabbricazione del sidro è mollo limitata. Pochi sanno prepa-
rare convenientemente il sidro e buona parie ne ignora |)ernno il nome
tant'è, che in molte località ove si fanno degli abbondanti raccolti di
mele, invece di convertirle in sidro a tempo opportuno e ricavarne
25 — Tamaro - Frutticoltura.
— 386 -
perciò un discreto profitto, le trascurano al punto di doverle dare al
bestiame come foraggio.
2. — Scella delle frulla. La qualità e serbevolezza del sidro dipende
in particolar modo dalla scelta delle mele o pere e del rispettivo rap-
porto con cui si uniscono le diverse varietà destinate a farlo.
Tre sapori difìerenti caratterizzano tutte le specie di mele e cioè :
l'acido, il dolce e l'amaro.
L'abilità del fabbricatore sta appunto nell'opportuna miscela di
queste tre qualità. La prima concorre a fornire il sidro dell'acidità che
lo rende serbevole, la seconda lo rende ricco in alcool e le mele amare
rendono il sidro stomatico ed aromatico.
Le mele da sidro non si distinguono soltanto pel loro sapore, ma
anche per l'epoca di maturazione e difatti abbiamo: le mele precoci o
tenere che maturano nel mese di settembre ; le mediane e seraitenere,
che si raccolgono a metà ottobre ; le tardive che maturano al principio
di novembre. Dalla pi'ima categoria deriva un sidro alquanto debole^
e che, quantunque gradevole, è di breve conservazione. Dalla seconda
categoria si ottiene un sidro più forte e serbevole, dalla terza si ha un
sidro generoso che si conserva anche per 5 o 6 anni.
Ecco alcune ricette di miscele che vengono raccomandate dai princijiali autori
francesi per ottenere i sidri migliori.
Sidri di Mele puecoci (settembre).
Doux a l'Aignel . . . V3 Doux à l'Aignel . . . V4 Rouge Bruyère .... V.i
De Vermeille V:ì Rouge Bruyère .... '/j D'Ognonet '/.,
(ìros amer doux . . . ','3 Blanc Mollet '/i Douce-Morelle .... '/a
Sidri di mezza stagione (ottobre).
De Rouget V4 Peau de vache precoce '/a Doux aux vespes . . . '/a
De Sonnette '/4 Gallot '/ 1 Rambour doux .... '/:i
Gres amer doux . . . '/j Doux amer '/;ì Petit Amerei '/:>
Ozanne ',"
Peau (le vaclie tardive V. Peau de vache tardive ','3
Roquet blanc . . . . '/4 Marin Onfroy Vs
Bec-d'àne '/4 Bec-d'àne '/:)
Oltre alla qualità delle mele bisogna tener conto anche della natura ed esposizione
dei terreni in cui vennero coltivati, ed a tal uopo servano le seguenti norme.
1. Le mele provenienti da terreni argillosi, elevati, aprichi e riparati dai venti
marini, danno un sidro assai generoso, ricco di colore e che si conserva a lungo.
2. Dai terreni pure argillosi, ma poco profondi, si ottiene un sidro meno ricco
di alcool, di colore e meno conservabile.
3. Nei terreni sciolti si ottiene un sidro sapido bensì, ma debole e poco conser-
vabile ; così pure nei terreni marnosi e calcari.
4. I terreni delle valli profonde ed umide danno sidri deboli, di difficile chiari-
ficazione e di poco gusto.
5. Infine i terreni elevali, aprichi, argilloso-silicei, producono le migliori mele
da sidro.
— 387
Una buona varietà di mele da sidro conliene da 10 a 15% di zucchero o dal 4 al 5 "io
(li acidi (tartrico, nialico e tannico). Lo zucchero colla fermentazione si trasforma in
alcool, gli acidi concorrono a rendere il sidro più sapido e serbevole In Kenerale le
pere contengono più zucchero e tannino, ma meno aciflo tartarico e malico delle mele.
Di grandissima iiiduenza sulla qualità e serbevolezza del sidro i'
il tempo ed il modo con cui si raccolgono le mele. Raccogliendo troppo
presto, si ha un mosto troppo acido e si danneggiano anche le piante,
perciò anche per questa raccolta seguiremo cjuelle norme che abbiamo
già descritte ])arlando della raccolta delle frutta in genere.
3. - Fabbricazione del sidro. Le mele che hanno raggiunto il mas-
simo di zucchero bisogna subilo ammostarle poiché, lasciate a se stesse,
perderebbero dello zucchero, ])er alcune varietà invece, bisogna lasciarle
ammonticchiate a strati di 20 a 30 cm. d'altezza, affinchè per una spe-
cie di lenta fermentazione saccarina che subiscono, i principi saccari-
ilcabili abbiano tempo di elaborarsi a sufficienza.
Le mele jìer ammostarle si sottopongono ad una triturazione che
ha per scopo di ridurle in una polpa omogenea per estrarne poi il sugo.
La triturazione si fa in diversi modi a seconda dei mezzi |)ecuniari di
cui si dis|)one, si pestano o si grattuggiano. Per pestarle si adoperano
dei trogoli a maglio, oppure dei trogoli circolari nei quali si fa circo-
lare una pesante macina verticale a guisa di ruota, od infine due mulini
a due cilindri scandali di ghisa, disjiosti parallelamente ed orizzontal-
mente al disotto di una tramoggia. Per gralluggiarle invece, si adope-
rano delle macchine simili a ([uelle che si adoperano por le barba-
bietole.
La triturazione devesi fare colla massima cura j)er ottenere poi la
massima ((uantità di succo. Le polpe ben macinate devonsi piesentare
senza grumi di sorta e formare una pasta omogenea.
Se le mele erano completamente mature, allora si passa subito la
jiolpa alla torchiatura, se invece non erano completamente mature, si
lascia la polpa per una mezza giornata in recipienti ben coperti e
rimestandola di quando in quando per impedire la fermentazione. Lo
scopo di questo riposo è di rammollire i tessuti e per sciogliere meglio
le sostanze aromatiche.
L'estrazione del mosto dalle polpe, si ottietie sottoponendo la ma.ssa
alla pressione di un torchio. Nella gabbia del torchio le polpe si di-
spongo a strati di 10 a 12 cm. di spessore separati uno dall'altro da
una tela, la quale serve a facilitare lo sgocciolio del mosto. Dopo una
prima torchiatura si leva la massa, la si spappola con dell'acqua (10
litri per quintale di inele) indi si lascia in riposo per una giornata, per
poi ripetere la torchiatura. Il mosto di questa seconda torchiatura si
può benissimo unire con quello della prima.
La fermentazione del mosto la si fa subire in botti, le quali devono
essere conservate e preparate con quelle medesime cure che si sogliono
applicare alle botti per vino.
— 388 —
Nelle botti, o tosto o tardi comincia la fermentazione e perciò
comincia a notarsi una modificazione. Trasformandosi lo zucchero in
alcool, il mosto non solo diventa meno dolce ma anche acquista un
frizzante speciale dovuto all'anidride carbonica. La temperatura più
adatta per la fermentazione è dai 17 a 20" C. la quale alla sua volta
dura in media da due o tre settimane. Fino a che la massa è in fer-
mentazione, bisogna lasciarla in completo riposo; quando poi è ben
chiarilìcata, allora si travasa per separare il sidro dalle fecce.
Per norma del lettore diremo che un mosto abbastanza denso, di sapore agro
dolce piuttosto aspro, con vena di amarognolo è quello che produce il miglior sidro.
Anche questi mosti si possono correggere come quello d'uva, con aggiunte di zucchero,
acido tartarico, cremortartaro e così via.
Nei travasi e nelle ulteriori cure di conservazione non si ha che
da seguire quei precetti che ci vengono dettali per ottenere del vino
l)uono, sano e serbevole.
Il sidro di solito si consuma nello stesso anno che viene prodotto.
Volendolo conservare oltre al secondo anno bisogna metterlo in bottiglie.
Anche il sidro, come il vino, va soggetto a delle malattie, delle
quali le più frequenti sono: T acidificazione, l'amaro, il grassume e
l'annerimento. Per la cura di queste si seguono i medesimi metodi che
sono suggeriti pel vino.
PARTE NONA
MALATTIE E CAUSE NEMICHE
DELLE PIANTE DA FRUTTO
I.
Malattie e loro classificazione. '•)
Per inalallia intendo quella (jiinliiiuiiic itllcraziunc clic m>i>iciic nvlln
funzione normale dctjli oiyani della pianta.
In questa nuova edizione della mia Frullicollura, mi sono |)ro|)oslo,
come avrà già rilevato il lettore che conosce le |)recedenli edizioni,
di riassumere ciò che è stato dillusainenle trattato nella 111' l%(lizione
e quindi anche in (|uesta jìarte mi son limitato a seguire il seguente
schema di classificazione:
'piante'
Schema di classificazione delle malattie
consociate nel terreno
\
■ ■ ■ ■)
' parassite
1.
Malerhe
p;i«-
:{'.»()
2.
Fanerogame ....
„
IVI
3.
Muschi e licheni . . .
„
.{91
A.
Crittogame
„
:v.r2
Animali
\u
6.
Cause meteoriche
IT'.l
7.
Ferite
„
INI
Regime colturale. .
l'.ll
.^
Cattive condizioni del
terreno
IVI
/
Cattive condizioni del-
l'atmosfera .
IVI
U.
Sostanze nocive Iro-
vantisi nel terreno o
nell'aria
..
Il (7
(1) V. Peglion. - Le malattie crittogamiche delle piante coltivale. Biblioteca A. Ottavi.
1913. - P. Voglino. - Patologia vegetale - Enciclopedia Agraria Italiana. - Torino V.m.
(Vedi Trattato completo di Agricoltura del Prof. D. Tamaro pag. 349).
-sgo-
li.
Malerbe - Vischio - Cuscuta.
1. — Tutte quelle erbe che crescono nel terreno dove non si
vorrebbe, si chiamano malerbe.
Queste assorbono una gran quantità di nutrimento dal terreno e,
mentre non danno nessun utile, impoveriscono il suolo, producono
ombra e soverchia umidità. Il maggiore danno che ne risente il frut-
ticoitore è nei vivai, ma anche nei frutteti e broli, se trascurati i lavori
del terreno, si risentono dei danni notevoli.
Le malerbe appartengono tutte alle fenerogame e ne sono di annuali
e perenni. La maggior parte di queste ultime, oltre che per seme si
moltiplicano per rizoma.
Si previene l' invasione delle malerbe adoperando semi puri per
le colture intercalari e impiegando stallatico ben decomposto. Per
distruggere le malerbe annuali il miglior mezzo consiste nel non lasciar
maturare il seme, strappando le piante in piena fioritura. Più difficile
è mondare il terreno degli organi sotterranei. A ciò si provvede con
accurati rivoltamenti del terreno per esporre le radici e rizomi ai
calori d'estate od ai freddi dell'inverno; con accurati lavori successivi
mediante estirpatori e coltivando poi una pianta sarchiata. Tutte le
malerbe o parti di esse che vengano strappate dal terreno bisogna
bruciarle oppure si mettono in macerazione con del colaticcio e pozzo
nero, rivoltandole di frequente in modo, che dopo un anno, si ottiene
una massa decomposta completamente, che è molto utile per conci-
mare i vivai e per gli impianti.
Se il terreno è invaso dal Raphanus raphanistruiu, dalla Sinapis arvensis, con
delle pompe irroratrici, si bagnano tutti le parti verdi delle piante e quando queste
sono asciutte dalla rugiada, con una soluzione di solfato di ferro al 15-20"/,,.
Questa irrorazione si faccia quando le piante hanno sviluppata la quinta foglia,
e dopo qualche giorno, se non si ha avuto 1' effetto desiderato, si ripete l'irrorazione.
Cosi si può distruggere anche la Cuscuta, il Cirsiuni arvense, il Polygonum persicaria
ed il papavero.
Perchè la soluzione aderisca meglio alle foglie, si suole aggiungere 5 "/o di melassa
oppure kg. 1-1 '/j di sapone molle per ettolitro. Si impiegano circa 600 litri per ettaro.
2. — Il vischio e la cuscuta sono le due fanerogame parassite delle
piante, da frutto. Il (Viscum album L.) lig. 254 nasce da un seme por-
tato eventualmente dagli uccelli che sono ghiotti delle bacche, sopra un
ramo, germina fra la fessura della corteccia di ([uesto e, mentre emette
il fusto, interna nel ramo la radichetta, la quale sviluppa degli austori.
Questi si arrestano al cambio e persistono in aderenza continua con
esso, per quanto il tronco della pianta nutrice continui a crescere.
Fiorisce in giugno e le bacche sono mature dall'ottobre in avanti. Le
piante danneggiate sono il pero, melo, noce, nespolo, susino, carubbo,
391
mandorlo. Il vischio si presenta con folti mazzi di'rami sempreverdi,
evidenti specialmente d'inverno, sul tronco e
gna strappare igeili di vischio escavare con
un ferro tagliente nel ramo lino a scoprire
il legno vecchio, per levare tutte le radici-
La cuscuta è una (]onvolvulacea (Cu-
scuta lupuliformis Krocker), mollo co-
mune nei prati di erba medica, che av-
volge la pianta come il vilucchio, priva
di radici e di foglie: ha invece dei suc-
chiatori o austori che infigge nei tes-
suti delle piante per succhiarne il nutri-
mento.
I grappoli della vile sono talvolta in-
laccati e per difenderli basta allontanare
i focolari di infezione dal campo sot-
tostante, con una soluzione al 20 7o di
solfato di ferro.
ami. Pei- difendeili biso-
•'"?^.
h
Fig. 2S). -
hit ni) sopra i
Viscliio ^\7ici;;)i al-
I tronco (li un albero.
111.
Muschi e Licheni.
1 muschi sono crittogame fornile di clorolìlla e di Toglie, i licheni
sono piante tallolite risultanti dall'unione simbiotica di algiie e di lunghi.
Queste piante preferiscono i luoghi umidi e di luce limilata. Si
trovano in quantità sui tronchi degli alberi nei terreni umidi, spe-
cialmente dal lato di tramontana e formano un rivestimento chia-
mato col nome generico di borraccina.
Tanto i muschi quanto i licheni non sono parassiti nello slrello
senso della parola, perchè vivono sulla scorza, cioè su zone disorga-
nizzate; ma coll'involucro formato intorno ai rami ed ai fusti impe-
discono la respirazione e la traspirazione producendo un danno in-
diretto. Di più, essi trattengono molta umidità la quale è un elemento
di disorganizzazione delle parli sane e vegetative, specialmente se queste,
per una ragione incidentale, vengono ferite.
La presenza di questi muschi e licheni è dovuta alla imperfetta
nutrizione delle piante, causa il sottosuolo umido, impermeabile e la
poca fertilità del terreno. Quando una pianta si nutre imperfeltamenie
allora è limitata la sua crescita, la scorza si indurisce, non si rinnova
e quindi i muschi e licheni hanno modo di prendere stanza e di svi-
lupparsi. Anche l'acquisto di piante da vivaio aventi licheni o muschi
non devesi fare, poiché la loro presenza è sicuro indizio che le piante
hanno patito nella loro prima età.
— 392 —
I mezzi che si consigliano per combattere i muschi e hcheni sono:
a) Lavorazione profonda del terreno attorno alle piante e conci-
mazione abbondante e complessa.
b) Drenaggio del terreno.
e) Dopo le pioggie d'autunno, raschiare con spazzole e raschiatoi
i tronchi e rami e poi imbiancarli con latte di calce e solfalo di
rame al G^j^.
IV.
Crittogame parassite e saprofite
delle piante da frutto.
1. — La caratteristica delle crittogame consiste nell'essere sprovviste
di clorofilla; quindi, per nutrirsi, hanno bisogno di assorbire da altre
piante le sostanze elaborate, necessarie al loro sviluppo. Perciò i funghi
hanno la facoltà di attaccare gli organi o le sostanze organiche, di dis-
solverle e poi di assimilarle. Le crittogame chiamansi parassite, se questa
azione viene esercitata sopra piante vive; se sopra piante morte, chia-
mansi saprofite. Ksiste poi un'altra categoria di crittogame, che trae la
vita da organi viventi, ma lesi da qualche anormalità dell'ambiente. Cosi
il bacillo del cancro si sviluppa la maggior parte delle volte sopra una
ferita lacera prodotta dal gelo o da una qualsiasi intemperie ; in questo
caso il bacillo non provoca il male ma lo aggrava. Bisogna perciò bene
assodare, nella constatazione di una malattia, se il l'ungo è la causa o
l'effetto della medesima. Nel primo caso, bisogna lottare contro il fungo,
nel secondo bisogna rimuovere la causa della malattia.
I funghi possono essere costruiti da una sola cellula, per esempio i bacteri, gruppo
molto importante per noi: nella maggior jiarte vi si distingue l'organo vegetativo chia-
mato micelio, che provvede alla nutrizione, e l'organo riproduttore.
2. — Come le piante superiori si possono riprodurre per talea,
così anche i funghi si possono moltiplicare per divisione del micelio.
La riproduzione però comune a tutti i funghi è a mezzo di spore.
Le spore corrispondono ai semi delle i^ianle superiori: sono cellule microscopiche
aventi una protoplasma ed una parete. Talora la spora si forma per divisione della
estremità di un micelio, in (juesto caso si chiama conidio: o altre volte due lile di un
micelio si riuniscono assieme, si aggrovigliano e si ha la oospora od uopo, o producono
un concettacolo speciale, alla cui superfìcie si generano dei sacchetti chiamati asclie che
rinchiudono le ascospore.
- 35)3 -
Le spore conservano per più anni la facoltà gerniinaliva e possono tollerare anche
un forte calore, l'er germinare richiedono aria, aci|ua, ed tin certo «rado di calore che
varia da lo a 20" C. La luce viva ostacola la «erniinazione: con luce debole cmI al buio,
la germinazione e vegetazione dei funghi è (ìiìi rigogliosa. Dalla geniiiiia/ioMe della
spora derivano uno o più tubi di germinazione che costituiscono poi il micelio.
Questo si fissa alla superficie della pianta mediante gli austeri : allora abbiamo i funghi
epi/iti. o penetra neUinterno dei tessuti della pianta attraverso gli stomi o perforando
le cellule, e abbiamo i funghi endofiti.
Le malattie causate dai funghi possono pio|)a<<ai-si o per loniie uii-
celiche o per conidi, o per spore, [/infezione niicelica avviene (juasi
esclusivamente sotto terra per il conlatto di radici sane con radici am-
malate. Le infezioni per spore e conidi sono dovute in parte ai vento,
in parte agli animali ed all'uomo. L'uoiuo può coi semi, con marze di
innesto, passando da una pianta ammalala ad una piatila sana, tras-
portare i geriui delle malattie.
3. — Un fungo parassita altera il protoplasma della pianta attaccala.
Esso può perforare le pareti cellulari col suo micelio, e allora attra-
versa la cavità della cellula assorbendone i succhi e esce da altra parte:
in questo caso si nota esternamente soltanto un iiiyiiilliiiieiilo delTepi-
dermide o dell'organo intaccato. Può invece penetrare nella cellula
cogli austori, e allora questi, mercè un fermento diastasico, digeriscono
completamente l'amido e le sostanze organiche contenute nelle cellule
che vengono combinale coH'azoto e col fosforo e vanno ad ingrossare
il fungo: in questo caso sull'organo della pianta si osservano chiazze
di vario colore ; il tessuto poi si disuitutnizza complelamenU' e mdrciscc.
Alcune volte i funghi fanno sviluppare irregolarmente una parte
di un organo in confronto ad un altro. In ((ueslo caso il fungo agisce
per irritazione. Altre volte agiscono iiiline per inlilliamenlo di sostanze
estranee nel protoplasma e producono una specie di fermentazione, la
quale fa aumentare il volume delle cellule e le rende più lumescenli,
gonfiando i tessuti.
V.
Rimedi anticrittogamici e loro applicazione.
1. — // solfato (li rame e le poltifilie. Il solfato di rame è il rimedio
anticrittogramico più dilluso e più raccomandabile per la maggior parte
delle malattie crittogamiche.
L'azione del solfato di rame non è ancora stala ben ciiiarila. L'opi-
nione più generalizzata è questa: il solfalo di rame eccita il processo
vegetativo della pianta, rendendola più vigorosa e perciò più resistente
alle malattie. Infatti si osserva che, dopo il trallamento, le foglie ac-
quistano un colore più intenso e diventano più consistenti. Da ciò
una più intensa assimilazione, un miglioramcnlo generale della nulri-
— 394 -
zione della pianta, onde, naturalmenle, frutti più abbondanti e più
zuccherini. Il soliato di rame si adopera in semplice soluzione nell'acqua
o nelle cosi dette poltiglie. Nella frutticultura si adoperano di prefe-
renza le poltiglie, le quali devono possedere 3 qualità; conlenere un
sale dì rame perfetlainente solubile, avere una buona aderenza e ripartirsi
facilmente sugli organi delle piante.
Un sale di rame completamente insoluliile non ha alcuna azione
fungicida mentre quello sciolto ha un' azione immediala. La semplice
soluzione presenta pei'ò tre inconvenienti : aderisce poco agli organi
della pianta, facilmente viene dilavata dalle acque, ustiona le foglie
delle piante.
Per questo la semplice soluzione di solfato di rame non viene
mai adoperata o solo raramente (100-200 gr. per hi. d' acqua : si ripe-
tono i trattamenti a brevissimi intervalli e dopo ogni pioggia).
Adoperando invece poltiglie questi inconvenienti si evitano.
2. — Poltiglie bordolesi : sono composte di solfato di rame e calce
spenta.
Per preparare queste poltiglie, bisogna avere le seguenti avvertenze:
1. Non si adoperino mai né vasi di ferro o di zinco, né strumenti di ferro, bensì
di legno o di terra.
2. Il latte di calce sia perfettamente freddo, altrimenti si deposita ossido di
rame che rende inefficace la poltiglia.
3. Non si adoperi una poltiglia avente notevole reazione acida: ciò indicherebbe
la presenza del solfato di rame indecomposto, che produce scottature sulle parti verdi
della pianta.
4. Si versa sempre il latte di calce, molto allungato, nel solfato di rame e non
viceversa
1^'aggiunta del latte di calce all'acqua contenente solfato di rame produce un intor-
bidamento dovuto alla decomposizione del solfato di rame, depositandosi il rame allo
stato di idrossido. Se la qualità di calce aggiunta è sufficiente per scomporre tutto il rame
disciollo, l'idrossido di rame precipita sollecitamente e l'acqua sovrastante diventa limpida.
Se la calce vien data in eccesso, allora alla superfice si forma un velo dovuto al carbo-
nato di calce. Se la calce non é sufficente, lacqua rimane piìi o meno colorata in azzurro.
Oltre allidrossido di rame ed al solfato di calcio, che depositano, si formano altri
composti speciali e cioè solfato basico doppio di rame e calcio. Una parte di rame
rimane disciolta e questa agisce direttamente sulle crittogame ed é in quantità inversa
a quella di calce usata nella ))reparazione. Quindi quanto più calce si adoprerà tanto
meno rame sciolto conterrà la poltiglia e la sua azione non sarà cosi sollecita. I com-
posti rameici insolubili nell'acqua sono destinati a sciogliersi lentamente ed esercitare
perciò un'azione prolungata sui germi dei parassiti.
Un eccesso di calce nell'impiego della poltiglia non fa aumentare 1 aderenza della
poltiglia stessa.
La calce che si deve adoperare deve essere completamente spenta e per quanto è
l)ossibile pura, cosi il solfato di rame deve avere un titolo non inferiore al 98 "/o-
I.a poltiglia bordolese più comunemente impiegata è quella aH'l"/,, di calce spenta
(P'ormola Cuboni). Per preparare la miscela si sciolga 1 kg. di solfato di rame in 5 litri
di accjua calda in un recipiente di legno.
Si prenda poi 1 kg. di calce spenta, mondata da pietruzze e da impurità, e si spap-
j)oli in altri 10 litri di acqua in modo da ottenere un buon latte di calce. Quindi si
versi questo latte di calce, facendolo passare per uno staccio, nella soluzione di solfato
di rame, agitando ben bene ed allungando con S.'i litri di acqua fino ad ottenere un
bel liquido color celeste che, lasciato in riposo, diventa incolore, depositando la poltigia.
- 395 -
Per assicurarsi che la poltiglia sia perfeltaiuenle neutra, si fa uso rielle carte alla
fenolftaleina che sono bianche e rimangono bianche nella soluzione di solfalo ril
rame, diventano rosse nel latte di calce. Si può anche adoperare la carta di tornasole.
Si preferisce generalmente che la poltiglia riesca lievemente acida
Volendo avere una poltiglia che agisca immediatamente ed in modo energico contro
i germi, si può consigliare la poltiglia al cloruro aniiiionico (Formola Sostegni) A tale
line si prepara nel modo sopraindicato una poltiglia all' 1 '/."A, di solfato di rame e di
calce spenta e vi si aggiungono 125 gr. di cloruro ammoniaco, sciolto a caldo, o di solfalo
ammonico. Questa poltiglia appena fatta dovrà essere adoperata.
Per combattere contemporaneamente anche gli insetti, in America dapprima ed
ora anche da noi, si aggiungono G()-1(K) gr. di verde di Parigi (aceto arsenito di rame per
ettolitro). Con questa miscela si combatte la ticchiolatura del pero e melo e le torlrici,
oppure la peronospera e la Cochylis della vite. Bisogna avere l'avvertenza di preparare
la poltiglia cupro calcica con eccesso di calce.
3. — Ln poltiglia boryognona si prepata come la pollif^lia bordolese,
soltanto si adoperano 2 kg. di solfato di lanie ed 1 kg. di carbonaio di
soda Solvay. Ha il vantaggio che il carbonaio di soda non si altera
colla conservazione come avviene per la calce.
Tutte queste poltiglie devono esseie date in modo che tulle le pai li
verdi le ricevano allo stato massimo di divisione, o meglio polveriz-
zazione. I trattamenti devonsi perciò fare con pompe che agitino co-
stantemente la poltiglia polverizzata al massimo grado nella irrorazione.
4. — Le due poltiglie precedenti non sono aderenti che alla condi-
zione di essere adoperate fresche, ossia appena preparale.
La poltiglia al sapone oltre ad essere aderente è anche inalleiabile
se conservata in recipienti chiusi.
Il Prof. Francesco Senise, Vice Direttore della Scuola di S. Ilario Ligure mi riferisce
di avere ottenuto splendidi risultati nella lotta contro la peronospera adoperan<lo le
seguenti poltiglie al sapone.
Formola generale .
Forinola per le acque dure, scie- \
Solfalo di rame gr. 500
Sapone di Marsiglia kg. 2.—
Solfalo di rame gr. .50»
nitose o torbide . . . ( .sapone «li Marsiglia kg. 2..50(
Solfalo di rame gr. .500
Formola per le acque piovane
Sapone di Marsiglia kg 1 .VKM.WtO
Egli sperimentò delle poltiglie nel Napoletano, nella lta-.ili,:.i:i .■ npll:i (Mhil.i i:i
e trovò i seguenti vantaggi:
al aderenza perfetta:
b) conservazione perfetta delle jìompe:
e) minima esportazione per efletto delle |)ioggie dovuta alle particelle finissime
che aderiscono a tutte le anfrattuosita anche microscopiche delle foglie;
d) pochi trattamenti:
e) irrorazione completa dei grappoli ed allri frutti con buccia liscia o pruinosa :
fi risparmio di mano doperà e di materia prima:
g) risparmio di calpestare il terreno, danno rpiesto non piccolo avendo delle
raccolte sottostanti.
Ha l'inconveniente di non essere visibile come il traltamento borrlolese o il bor-
gognone.
— 396 -
Si scioglie sempre il solfato di rame in 50 litri d'acqua. Separatamente si scioglie il
sapone nell'acqua calda in altri 50 litri d'acqua.
Si versa, contrariamente alla preparazione della poltiglia bordolese, la soluzione
del solfato di rame in (juella saponosa, agitando fortemente. Facendo il contrario, l'acqua
resta limpida e nel fondo si ha un precipitato spugnoso, mentre invece si deve avere
una soluzione colloidale, leggermente azzurra, non limpida, senza precipitato.
5. — Zolfo. Lo zolfo viene impiegato pei- coinbatlere V Oidiuni e
molte altre crittogame che vivono alla superficie delle piante. Lo zollo
dev' essere fine e puro e dev'esser dato in modo da avvolgere la pianta
con una polvere lìnissima senza grumi. La sua azione è meccanica
e chimica: meccanica, perchè, come tutte le polveri, ostacola l'estendersi
delle crittogame; chimica, per la derivazione di anidride solforosa e
di acido solforoso e solforico, i quali ultimi morti lìcano i miceli dei
funghi. Lo zolfo, per agire, ha bisogno d'una temperatura di 25» a 35" :
a questa temperatura la sua azione si può esplicare anche in 24 ore.
Lo zolfo agisce anche sulla vegetazione; il fogliame delle viti acqui-
sta maggior consistenza, fa anticipare la maturazione dell'uva e del
legno, favorisce in sommo grado la fecondazione.
Per dare lo zolfo si devono adoperare le solforatrici che devono
getlare lo zolfo molto minutamente, in modo da avvolgere la pianta
in una nube.
6. — Lo zolfo raiìialo viene ora molto usato, specialmente quello
al 3%, per combattere contemporaneamente l'oidio e la peronospora.
7. — Polliglia zolfo -calcica. Facendo bollire nell'acqua della calce e
dello zolfo, si formano dei tetra e pentasolfuri di calcio i quali si
sono trovati efficaci per combattere le cocciniglie, gli Eriophyes, il Tet-
ranichus, l'Exoascus deformans, i Fuscicladium, la Sphaerotheca mors-
uvae, la S. paunosa, il Cladosporium carpophilum, la Monilia fructigena
ed altre crittogame che andremo citando, quando si tratterà delle sin-
gole malattie.
Questa poltiglia applicata ai rami colpiti da cocciniglie agisce come
caustico, corrodendo le uova e gli scudetti sotto ai quali si riparano
gli insetti e mettendoli a nudo. Agirebbe anche come asfissiante: i poli-
solfuri infatti, sotto l'azione dell'anidride carbonica dell'aria, si de-
compongono, formando carbonato di calcio, zolfo molecolare e idro-
geno solforato, che é velenosissimo. Il carbonato di calcio e lo zolfo
rimangono fortemente aderenti ai rami e per lungo tempo, impedendo
cosi che altre cocciniglie vengano a stanziarsi.
La preparazione si fa nel seguente modo:
«) Si prendano 3 lig. di calce viva, ancora in i)ietruzze. fresca e pura più che sia
possibile. Si fa l'estinzione lentamente con pochissima aciiua. (juando è ridotta in una
poltiglia omogenea, si slaccia per levare le impurità.
b) A parte si pesano 3 kg. di zolfo puro più che sia possibile e con questo si fa,
aggiungendo acqua un po' alla volta, un impasto omogeneo, in una specie di polenta
tenera.
.Siccome è difficile stemperare omogeneamcnle lo zolfo coH'acqua, conviene aggiiui-
gere 40 cm.' di alcool denaturato.
- :v.)7 -
e) Si prenda poi una riiarniilla di terra (od ima pentola di ferro, non però di rnmei
della capacità di 30 litri. In i(uesla si versino 2(1 litri dac.|iia, poi i :t kf- di .-alce stem-
perati nell'acqua e da ultimo la polenta di zolfo, mescolando sempre atlivaiiienle con
un bastone di legno e con diligenza, per ottenere un tutto omogeneo.
lì) Ottenuto questo, si metta la marmitta al fuoco, si faccia bollire la miscela
per un ora. mescolandola vivamente per evitare che si formi deposito.
Passato «pieslo tempo si levi la marmitta dal fuoco, si filtri il tidto attraverso
una tela grossolana, lavando la marmitta con ac(pui calda, per portar via lutto il sedi-
mento (costituito in massima parte di solfito e monusolfnro di calcio) rimasto ade-
rente alle pareti. Se la operazione è stata fatta bene, la poltiglia avrà un colore
giallo bruno.
e) Si porti la poltiglia al volume di 20 litri, aggiungendo acqua fredda e Iole si
conservi in recipienti chiusi di vetro. Non potendo conservarla in recipienti ben chiusi,
bisogna avere lavvertenza di ricoprirla di un leggero strato di olio, allo scopo di evitare
che avvengano delle decomposizioni al contatto dell'aria.
Nella operazione non si devono adoperare recipienti o spatole di rame, perché
vengono intaccate. I vapori che si sprigionano durante l'ebollizione, attaccano facilmente
i metalli, sicché è prudente allontanare, prima dell'operazione, orologi o altri oggetti
che potrebbero essere danneggiati.
Si faccia l'applicazione delia poltiglia con un pennello. Dovendo
adopei'are pompe iiroi-atrici, bisogna averne con iccipienti di legno ;
ai)pcna adoperate si sciacciui bene la cannula ed il getto.
L'inverno è la stagione piti propizia per il Iraltatnento.
Trattandosi di piante a foglie caduche, si pennellano i rami ed i
tronchi con 3 litri di soluzione concentrala diluiti con 7 litri di ac(|ua.
Per gli olivi, aranci, evonimi e altre piante sempre verdi bastano
2 litri di soluzione concentrala diluiti con N litri di ac(|ua.
Durante la vegetazione si adojiera una soluzione ancora piti diluita
(litri 1, 5 e litri 8, ó di acqua;, specialmente in primavera, (piando ap-
pariscono le ])rime foglie, e le prime cocciniglie.
Una settimana dopo il primo trattamento, se ne faccia un secondo,
per distruggere le cocciniglie scampate dal primo o nate dopo.
8. — Miscuglio Slaiu'insclaj. Serve per combattere 1' antracnosi
della vile e per disinfettare le ferite. Si pennellano le parli aeree della
pianta con ballulfoli di stracci in cima ad un bastoncino.
Si prepara, ponendo 10-.')0 kg. del solfato ferroso in commercio in un recipiente di
terra cotta o di legno, e versan<lo a poco a poco 1 litro <leiracido solforico in com-
mercio al Mi" B. Si lascia che il sale assorba l'acido solforico e poi si versano KMi litri
di acqua bollente mescolando tino ad ottenere la completa soluzione del sale.
Non bisogna mettere metalli in contatto con questa miscela.
(Lon questo miscuglio si curano anche, con buonissimo elicilo, le
piante colpite da clorosi, pennellandole durante rinverno.
398
VI.
Malattie dovute a crittogame.
1. — Rogna e lubercolosi. Con tali termini volgari si sogliono de-
signare malattie dovute al parassitismo dei batteri.
«; La Rogna e tubercolosi della vile {Fig. 255 e 257) si manifesta con deformazioni
del ceppo, dei tralci, e dei grappoli, ricoperti da tubercoli numerosissimi, addossati, in
modo che gli organi intaccati assumono un aspetto fungoso. La malattia è causata da un
bacillo (Bacillus tumefaciens, E. Smith)
che penetra nei tessuti per qualche ferita
prodotta al ceppo, a fior di7,terra, colla
vanga o colla potatura ai tralci.
È meglio svellere ima vite colpita e
bruciarla; non si ricorra alle propaggini
j)er la moltiplicazione.
bj Rogna o tubercolosi dell'olino (Ba-
cillus .Savastanei E. Smith) (Fig. 2.5() e 2.58).
Si manifesta sotto forma di tubercoli sparsi
sui rami, sui virgulti, sul tronco e sul pe-
dale, prima di consistenza carnosa, lisci, poi
Fig. 255. — Tralcio di vite
colpito dalla rogna.
Fig. 2.5fi. — Ramoscelli di olivo
colpiti dalla rogna.
screpolati, legnosi, foggiati a crateri. Il continuo accrescersi del tubercolo produce screpo-
lature e spacchi nel periderma, indi disfacimento dei tessuti esterni (carie del legno).
I tubercoli possono anche colpire le foglie ed il frutto (Peglion).
I rimedi da consigliare sono i seguenti:
aaj non ])ropagare gli olivi per ovoli o per polloni ;
bbj moltiplicare le varietà più resistenti alla malattia ;
— ÒW
ce) non potare gli olivi sani con arnesi usati nella potatura di lineili malati,
senza averli prima disinfettati col fuoco:
dd) rigorosa scelta delle marze di innesto, prelevandole da piaiilc assoluta-
mente sane;
eej nei casi di infezione leggera, si taglino i rami attaccati e si bruciano:
If) se l'infezione è estesa si asportino i tubercoli con un pennato, trattando le
ferite col miscuglio SUawinsky (pag. 'MÌ7).
Fig. 257. — Grappolino di vite deformalo dalla^rogn:!
Fig. 2.')<S. — Tumori prodotti dalla rogna su un ra
2. — Bacteriosi del gelso, del fico e Mal nero della vile. (Ascobaclc-
rium luteum). Sulle foglie del gelso si iiianifesla con macchie nera-
stre, a contorni irregolari, più piccole di quelle della fersa, di colore
più scuro e prive di orlatura rosso brunaslra. Le foglie poi riman-
gono perforale ed i rami si mostrano ricoperti di ulcerette ovali che
dapprima si sporgono e poi si avallano, assumendo una colorazione più
oscura, corrodendo il ramo fino al midollo.
Sul ramo di lieo si osservano chiazze brune che mettono a nudo
le zone legnose dando loro un colore ocraceo. II Cavara attribuisce
anche all'Ascobacteriuni luteum il mal nero della vile.
- 400 —
Non si conosce alcun rimedio diretto contro queste malattie. Si
possono consigliare i medesimi rimedi suggeriti per la rogna.
3. — Gommosi delle piemie a nocciolo. Questa malattia è dovuta allo
stimolo o reazione della pianta alle ferite, all'azione del gelo, alla con-
cimazione non completa, a parassiti vegetali.
Secondo il Prof. Comes, un batterio, Bacleriiim gummis^ si noterebbe
nella mucilaggine che precede la gummi/icazione delle cellule amilifere
nelle piante affette da gommosi.
La gommosi avviene tanto nel legno quanto negli strati corticali.
Quando una parte del legno è degenerata in gommosi, la degenerazione si pro-
paga, da un ramo passa all'altro, fino al tronco, senEa avere influenza negli strati cor-
ticali, cosi che della malattia ci si accorge solo tagliando il ramo.
Fig. 259. — Sezione di un ramo di un anno di ciliegio
con una ghiandola gommosa nel corpo legnoso.
M, midollo - li. strato legnoso - rf, ghiandola gommosa - ni, raggi midollari
assottigliati e degenerati dalla gommosi - a, masse di gomma sparse per il
legno che impescono lo sviluppo delle fibre legnose - b. cellula di libro defor-
mata dalla gommosi - /). cellule di legno che cominciano ad essere intaccate.
Come questo avvenga si rileva dalla fig. 259 in cui è rappresentala la sezione di un
ramo di un anno di ciliegio, colpito internamente da gommosi.
\el corpo legnoso H si osserva in d) un agglonieramento di cellule degenerate in
gomma che chiameremo ghiandola goniinosa, p un agglomeramento, appena al prin-
cipio del suo sviluppo. Avvenuta la degenerazione, si ])ropaga alle cellule situate alla
periferia di queste ghiandole, dissolvendo in gomma prima le pareti cellulari, poi il loro
contenuto. In questo stadio della malattia, avviene uno strano modo di ricostituzione
dei singoli elementi dei tessuti. Le cellule dei raggi midollari, quantunque l'amido che
contengono venga trasformato in gomma, si allungano e penetrano nella ghiandola
gommosa in ; lo stesso avviene per le cellule del libro b. In tal modo il ramo resta senza
sviluppo per tutto il tratto di degenerazione. I.e cellule vicine, rimaste sane, producono
bensì un tessuto rimarginante, che si accresce sotto il i)eriderma e dovrebbe sostituire
il mancato sviluppo di legno e corteccia, ma questo tessuto non arriva che in rari casi
ad unirsi e porre riparo alla degenerazione patologica. 1 rami in tal modo langui-
scono sempre più e finiscono col perire.
101
4»*f^^-^
Qualche volta, dalla parte opposta del ramo colpito, si sviluppano nuovi strali di
legno, come si vede nella fig. 26().
Quando la gommosi intacca la corteccia, allora su questa appaiono piaghe esterne
come nella iìg. 261. Qui si vedono i tessuti del lloeiua. del cambio ed anche del paren-
chima corticale, colpite dalla degenerazione. K degno di nota però il fallo che il peri-
derma non viene inlaccato nei rami giovani: quindi se non avviene il dellusso della
gomma, la gommosi, che si trova immediatamente sotto
air epidermide, rimane inavvertita.
Da quanto precede noi possiamo concludere che
la gommosi la si può inoculare facilmente colle marze
di innesto, poiché queste possono contenere, senza che
subito apparisca, ghiandole goiuiiiose o noduli gom-
mosi. Quand anche non vediamo sgorgare della gom-
ma, la degenerazione interna dei tessuti può essere
molto diffusa negli strali sottocorticali e fino e<l oltre
al legno.
Come abbiamo sopra accennalo. i)arecchic sem-
brano essere le azioni concomitanti a provocare la
gommosi: le principali sono tre e cioè: i tagli molto
energici, il gelo ed una iiuperfella nutrizione. Queste
diverse azioni raccolgono nelle singole parli materiali
esuberanti in quel dato organo : si ha perciò una
rapida formazione di nuovi tessuti senza però che i
materiali siano completamente adatti per portarli a
completo sviluppo.
La malattia .si mani festa con masse di
gomma che sgofgano dal tronco e dai fami;
tali masse si liquefano nell'acqua e non nel-
l'alcool.
Fig. 260. — .Sezione trasversale del fusto di un ciliegio
di 8 anni, il quale da un lato in 3 e da :> anni è stato
alterato per la gommosi e che potè sviluppare dei nuovi
circoli legnosi dalla parte opposta in n - a. ramo che
si diparte dal fusto - i. una faccia del fusto.
l'ig. 261. Ferita prodotta
dalla gommosi sopra un
tronco di una pianta da
fruito a nocciuolo.
I rimedi sono più di ordine preventivo che curativo :
aa) non concimare con molto letanie ed evitare i terreni argil-
losi umidi ;
bb) difendere con diligenza le piante da qualsiasi i)arassita ani-
male o vegetale ;
ce) arare superficiamente il terreno per non intaccare coll'aralro
le radici :
Tamaro - Frutticoltura.
— 402 —
dd) Recidere la parte degenerata fino alla parte sana, formando
così una ferita che la pianta possa rimarginare senza pericolo di disfa-
cimento. Si ripari la ferita con un mastice ;
ee) Moderare la letamazione delle piante, impiegando concimi
chimici, esclusi gli azotati e con prevalenza di calcari e fosfatici.
ff) Privare le piante dei rami più deperiti.
gg) Moderare le irrigazioni.
hh) Aereare il terreno con profonde lavorazioni e con fossi di scolo.
ii) Non adoperare per la moltiplicazione piante o parli di piante
affette da gommosi.
Il) Evitare la potatura invernale.
4. — Gommosi degli agrumi. La causa deve essere simile a quella
della precedente malattia, soltanto intacca gli agrumi e specialmente il
cedro ed il limone.
Si manifesta con un intristimento generale della pianta, ingialli-
mento e poi caduta delle foglie, sviluppo esile dei rami. Sui rami si
osservano macchie nere, da cui sgorga, dopo alquanto tempo, la
gomma. Quando la malattia colpisce in giro tutto il fusto, la pianta
muore in 3-4 anni. Dal 1865 al 1870 questa malattia infierì tanto in
Sicilia da distruggere tutti gli agrumi.
Mezzi di difesa: a) Innestare sul melangolo ad un metro di altezza.
b) Non adoperare mai per soggetti piante ottenute per talee o per
margotte.
e) Non scegliere le marze di innesto sopra piante colpite da
gomma.
d) Rinunciare alla moltiplicazione per talea, barbatella o margotta.
e) Applicare i mezzi di difesa indicati più sopra per la gommosi
delle dupracee.
5. — Anche sulle radici dell' o//j'o e del fico si sviluppa una ma-
lattia simile della gommosi.
6. — Marciume radicale parassitario. Tutte le piante da frutto pos-
sono essere intaccate da questa malattia, tanto nei vivai quanto a
dimora.
Il marciume, chiamato anche mal bianco o putredine delle l'adici
viene prodotto daWAgaricus (Armillaria) melleus, Rosellinia aquila che
colpisce specialmente le radici del gelso e la Rosellinia (Dematophora)
necatrix (1).
Questi funghi hanno cordoni miceliali chiamati rizomorfe, consistenti in tanti
filamenti bianchi (fìg. 262), che si internano nei tessuti della radice, uccidendoli e for-
mando delle falde biancastre.
Poco prima o poco dopo la morte della pianta, avviene la fruttificazione dei funghi.
Le fruttificazioni dell'Agarico compaiono di solito dopo le pioggie di settembre od
(1) Nei tessuti alterati o morti per il marciume, si trova anche un altro fungo la
Raesleria hypogea la quale in autunno si palesa esternamente con dei cappelli piccoli,
emisferici bianchi, portati da un piede ancora più bianco, lungo 5 a 6 mm.
403
in ottobre, alla base del ceppo della pianta colpita, a gruppi: sono conosciute comune-
mente col nome dì fungo chiodino, famigliola, ecc.. fungo mangereccio (lig. 2<>:t).
I frutti della Dematophora hanno l'aspetto di aggregali di sferoline pedicellnle. ncl-
r interno trovansi le spore, che sitrovano pure
alla base dei tronchi, al colletto.
La inolli|)licazione quindi dei due lunghi
è affidata non solo alle rizomorfe, ma anche
alle spore: (pielle procurano le infezioni a de-
corso sotterraneo, da radice a radice, queste
invece producono a fior di terra ed invadono
direttamente il colletto e le grosse branche delle
radici.
La eslesa diffusione del marciume radicale
è dovuta alla vitalità delle rizomorfe, che pos-
sono adattarsi per un tempo assai lungo alla
vita saprofìtaria, vivendo a spese dei materiali
organici che abbondano nel terreno. Questa fa-
coltà unita alla spiccata resistenza del micelio
e delle rizomorfe in ispecie, all'azione degli
agenti fisici, fa si che i parassiti stessi si mol-
tiplichino sopratutto per mezzo degli avanzi
miceliali rimasti nel terreno. La penetrazione
del micelio nelle piante ospiti è indubbia-
mente agevolata poi dalle lesioni che eventual-
mente presentano le parti sotterranee delle
piante ospiti : le ferite prodotte durante i lavori
del suolo, le erosioni causate dagli insetti, le
alterazioni che susseguono alle punture della
fillossera sono altrettante vie d' accesso alla
Fig. 262. — Ceppo di vite morto per
1 invasione della Dematophora necatri.v.
a. Micelio filamentoso - b. cordone ri-
zoido che poi si ingrossa o differenzia
in rizoforme - e, in d ed e. si vedono
dei piccoli sclerozi che spuntano alla
superficie della corteccia della pianta e.
tanto su questi quanto direttamente sul
micelio, in condizioni opportune, si for-
mano dei filamenti fruttiferi conidiofori.
Fig. 263. — Agaricus melleus.
Il micelio abbraccia in parte la base
del tronco morto del fungo.
Le fruttificazioni escono in copia dalla
corteccia del tronco.
malattia, indipendentemente dalla facoltà che hanno
genere di invadere anche i tessuti sani
tubi [germinali e il micelio in
Il marbia^n^o Infierisce specialmente nei terreni forti che -«'-« ^f «,« J,°^°°
quindi soggetti a ristagni d'acqua. Nei punti in cui questi sono frequent., .1 male è
— 404 -
endemico poiché il micelio del parassita non risente alcun danno neppure da una
prolungata sommersione.
Nelle sabbie ove diffìcilmente v'è umidità stagnante, il mal bianco è rarissimo (Peglion).
Aspetto della lualaltia: Le piatile amiiialate iiiostfano sintomi di
sofferenza dopo 3-6 anni dall'infezione; questi sintomi si possono
riassumere in una vegetazione stentata, in un aspetto languente, in uno
sviluppo delle foglie spesso inferiore al normale ed inlltie in un lento
e graduale disseccamento. Quando la ])ianta è per perline, appariscono
a fior di terra i corpi fruttiferi dei parassiti, dei quali s])ecialinente è
comune l'Agarico.
Fig."2f>4. — Foglia di vite intaccata dalla Plasniopuia oitis.
Mezzi di difesa: Non si possono consigliare contro questa malattia
che cure preventive, e cioè:
a) Allontanare i funghi che compaiono alla base delle piante
prima dello maturazione delle spora;
bj Appena conosciuta la malattia estirpare tutte le piante che non
ne siano perfettamente immuni ;
e) Disinfettare il terreno con calce o solfato di ferro, abbruciando
o iniettando 120 gr. di solfuro di carbonio per metro quadrato ;
d) Non fare nel medesimo posto altri impianti per 3 o 4 anni,
cambiando poi le linee dei filari;
e) Usare nell'impianto piante sane provenienti da terreni asso-
lulainente immuni ;
f) Drenare il terreno.
7. ~ PeroiiosiHìre. Alle infezioni peronosporiche sono sof^gelU la
vile (Feronospora o Plasniopara viticola Buch. e De Ton.) il ribes
(Pei'onospora ribicola Schraet; ed il lampone (I*. rubi Bbli.)
La più iniportanle è la peronospora della vite che intacca lutti ^li
organi aerei, erbacei della vile. Le prime Iraccie coinpaionc» sulle fof^lie
in maggio, sotto torma di macchie tondeggianti, di color bruno nel
centro, che sfuma in giallastro alla
periferia ed inleriormenle si noia
una efiloresccnza bianca, cristallina.
Conlluendo più macchie, l'intera
^. f foglia dissecca e si distacca (lig. 2<)l).
I grappolini, se colpiti prima,
durante o dopo la lìoritura, si ricur-
vano, diventano giallognoli e poi
bruni (lig. 2(55) con una leggera ef-
iloresccnza bianca. L'acino imbru-
nisce (lig. 2(56), prende una linla
cuojo e talvolta si copie di una ef-
llorescenza. Sui Iralci, lìnchè sono
verdi, si notano macchie giigie o
livide.
Si può prevedere ogni conlaminazioiie
(iella peronospora cogli elementi seguenti :
II) (li primavera : pioggie generali
fredde e prolungate ; pioggie l)revi ma
fredde in terreno già umido
l'ig. 26.'). — Grappolo nel primo periodo
di sviluppo, intaccato dalla Peronospora
uilicola. — £1, acini sani - b, acini legger-
mente colpiti - e, acini molto danneg-
giali - rf. peduncolo colpito.
l-ig. IW..
:iiii d' uva in grandezza naluralc
colpiti dalla /Vroiios/ion/
b) in estate; pioggie generali fred.le e prolungale, pioggie brevi ma .fredde in
terreno arido :
e) arresto della vegetazione, eziolamento delle foglie:
d) scomparsa dell'amido dagli internodi erbacei, arresto di sviluppo nelle radi-
cene (Peglion). ,. . ,,
Ora in Francia si stanno organizzando osservatori per avvertire i viticoltori sulle
epoche in cui fare i trattamenti.
La poltiglia bordolese e gli zoHÌ-ramali sono i rimedi di ordine
preventivo.
— 406 —
Il primo trattamento si fa a partire dal primo periodo piovoso
susseguente alla comparsa dei grappoli fiorali. Durante la fioritura
bisogna star sempre pronti per un secondo trattamento, specialmente
quando si hanno rapidi abbassamenti di temperatura e nebbie.
Talvolta occorre un terzo e quarto trattamento. Per il primo trat-
tamento si può usare la poltiglia bordolese all' 1 7o di solfato di rame
e calce; nei successivi trattamenti, specialmente occorrendo intensificare
la difesa, si potrà usarla all'I '/aVo? aggiungendovi anche gr. 125 per hi.
di cloruro o solfato animonico. Nelle annate piovose si adoperi la
poltiglia al sapone (pagina 395).
Per la difesa dei grappoli si ado-
pera il zolfo-ramato al 3 7o invece di
impiegare lo zolfo solo.
La peronospera del lampone e
del ribes si combatte nel medesimo
modo.
Fig.1267. — Foglia di pesco Fig. 268. — Foglia di pero
colpita dall' Exoasciis deformans. colpita dalla Taphrina ballata.
8. — Lebbra, bolla, scopazzi, accarlocciainento delle foglie. Malattia
molto comune a tutte le piante a nocciolo ma specialmente al pesco e
al mandorlo (Exoascus deformans Fuck), al susino (E. pruni Fuck), al
ciliegio (E. cerasi Fuck) oltre che al noce e al nocciuolo (E. jnglandis
Berck). Sul pero e sul biancospino si ha pure un'alterazione delle foglie
prodotta dalla Taphrina bullata Fuck.
Queste crittogame intaccano le foglie (lìg. 267-268) ed i giovani rami
(fig. 270). Le foglie intaccate ingialliscono, poi diventano rossastre,
vescicolose, si arricciano, si torcono ed al principio dell'estate cadono.
Avviene lo stesso sulla corteccia dei giovani rami, cosi che questi
formano colle foglie, specialmente sul ciliegio e prugno, una massa
arruffala (scopazzi).
Sul susino intacca specialmente i frutti giovani, ipertrofizzandoli-,
li allunga, li schiaccia lateralmente e spesso li incurva e contorce tra-
sformandoli in bozzacchioni, che cadono al suolo (fig. 269).
407
Tulle queste alterazioni sono dovute ni luioelio degli Kxoascus il c|iialc. invadendo
le foglie o l'ovario dei fiori, passa poi ai rami e alle gemme ove sverna. La mnlattia
procede sempre dall'alto al basso e la sua intensità è sempre in correlazione colle
condizioni tìsiche deiranibienle. I rapidi sbalzi di temperatura durante la primavera o
l'estate, accompagnati da venti freddi u da nubi e da acccpiazzoni freddi, favoriscono
in particolar modo la intensità della malattia mentre una forte elevazione della tem-
peratura ed un abbassamentodello stato igrometrico, possono arrestare o indebolire il
decorso.
Fig. 269. — Ramo e frutto di susino colpito
dall'ExoascHS pruni o malattia della lebbra.
per la quale i frutti si sono trasformati
in bozzacchioni.
Fig. 27(1. — Ramo di ciliegio de-
formato dair£roa.scMS cerasi. — Il
prolungamento i)rìncipale ò niorlo
lino all'estremità e si svilupparono
ranulicazioni laterali.
Mezzi di difesa, a) Abbondante polatura dei rami inlarcali, tagliando
specialmente tutte le estfemità dei rami delle piante colpite. Conviene
addirittura capitozzare le piante molto colpite.
b) Prima che le gemme sboccino, dal novembre al marzo, irro-
rare tutta la pianta in 3 o 4 volte colla poltiglia bordolese al 4 % d>
solfato di rame e calce. Questo rimedio io lo raccomando già da una
ventina d'anni: il Prof. Peglion, iper^ottenere una maggiore aderenza
della poltiglia, consiglia di aggiungervi 400J gr. di cloruro ammonico.
Lo stesso professore raccomanda anche la miscela zolfocalcica, im-
piegando 3 Kg. di zolfo e Kg. 4 di calce. Si operi sempre in giornate
asciutte, perchè la poltiglia essichi sollecitamente.
- 408 -
e) Concimare le piante colpite con cenere od altro concime po-
tassico minerale.
d) Ripetere la irrorazione ad ogni rapido abbassamento della
temperatura.
e) Visitare accuratamente ogni tanto, dal marzo all'ottobre, le
piantagioni, per impedire la maturazione dei corpi fruttiferi. Se una
pianta viene colpita per la prima volta, raccogliere e bruciare le foglie
di mano in mano che vengono colpite.
f) Applicare il trattamento anche ai pruni selvatici.
g) Non innestare con marze provenienti da piante infette.
Il) Coltivare varietà resistenti come molti peschi americani.
i) Badare di non confondere questa malattia coll'arricciamento
delle foglie prodotto da afidi. In questo caso si devono combattere
gli afidi.
9. — Maremme, muffa o mummificazione delle frulla.
a) Abbiamo la Sclerotinia Fuckeliana (De Bary) che produce la
cosidetta muffa grigia della vile chiamata anche marciume nobile. E' una
muffa che si attacca sulla pagina inferiore delle foglie e produce delle
macchie rugginose con ciuffi di filamenti grigio-cinerini che hanno
l'aspetto e l'odore di mufta. Se attacca gli acini e si limita ad invadere
la buccia, questa si aggrinza ed acquista un colore bruno. Essa al-
lora concentra il loro succo, fa diminuire l'acidità assorbendo molti
acidi, aumenta la ricchezza zuccherina e rende insolubile una parte
delle materie azotate, tutti fenomeni che rendono più pregevole il mosto:
da ciò il nome di marciume nobile. Se invece il parassita penetra
nell'acino, questo si copre di uno strato uniforme di muffa e bisogna
scartarlo dalla vinificazione.
Peglion ha trovato che le uve Aglianico, Cabernet Sauvignon, Tiaiiiiner, Merlot
sono più resistenti a questa malattia del Moscato, dell'Aleatico, della Sanginella, del
Gamay, del Trollinger, del Teinturier; vi sono oltremodo soggetti il Dolcetto, il Sangio-
vese, il Hressana, il Malbech, il Sciasinuso, il Sirah, il Pinot.
Non si conosce un rimedio specifico, bisogna però combattere
le tignuole poiché i loro bruchi, perforando la buccia, danno accesso
alle muffe.
La stessa muffa intacca anche le pere e mele (fig. 271).
b) La Sclerotinia cinerea (Bonn) o muffa delle ciliegie, intacca
anche le pesche e le prugne (fig. 273), la S. laxa soltanto le albicocche
e la S. fructigena la maggior parte delle frutta polpose (fig. 272), coin-
prese le nocciole (fig. 274).
La loro diffusione è favorita dalla puntura degli insetti o da altre
lesioni.
Formano sulla buccia cuscinetti emisferici, confluenti, sparsi, ovvero disposti a
zone concentriche, di colore dapprima bianco grigio, poi carnei e alla fine ocracei e
nerastri. Contemporaneamente, nell'interno, la polpa si raggrinza ed ispessisce, formando
una zona dura intorno al nocciolo. 11 micelio intacca tutto o parte della polpa e poi
- -10!) -
passa la buccia per frullilicaie. I.e spore alla lor volta, se favorite dallimiidilà e dalla
temperatura di 'Ò2' C, germinano subito dove cadono, inoltrandosi nelle spaccature o
ferite dei frutti e inlaccando anche le buccie sane
I danni aumentano :
a) Col vento, che la sbattere le frutta contro i rami;
b) Colle ferite prodotte dalla grandine ;
e) Colle ferite prodotte da larve di insetti che ro(h)ii() la polpa
e sulle quali la muda prende stazione volentieri ;
(/; Colla presenza di molle crittogame, che dispoiigoiio le frutta
a contrarre (juesta malattia ;
Fig. 271. — Mela colpita da Sclerotìiia Fu-
ckeliana che si potrebbe dire intaccata da
un marciume nero. Difalti il frutto diventa
nero-carbone, da principio rimane lucente
poi si raggrinza ed in tale stato può rima-
nere per più anni. Esaminando al micro-
scopio si trova che tutto il frutto è invaso
dal micelio, altre volte il micelio traversa
la buccia e la copre di macchie grigie fun-
gose come da flgura.
Fig. 272.
Mele colpite dalla Moniliii frm-tiijfim
che sono rimaste attaccale alla pianta
per tutto r inverno
e) Quando seguono delle giornate secche ad un periftdo di
lunghe pioggie, le frutta screpolano eppercio la .Moiiilia intacca più
fortemente.
Mezzi di difesa. Queste Sclerotiiiie arrecano mollo danno alle pesche
in America; ma da alcuni anni sono penetrate anche da noi ed io ho
notato delle forti invasioni nel territorio di Itnola. In America hanno
anche intaccato i giovani germogli. Rilevante è poi il danno che arreca
alle frutta ammassate durante il trasporlo.
Appena ci si accorge dell'invasione, bisogna fare la raccolta di lutti
i frutti, prima che il fungo arrivi a frullilicaie, e poi separare e
bruciare le frutta guaste. Le fruita inlaccate e lasciate sulla pianta
disseccano, rimangono appese per tutto T inverno ed il parassita vi
sverna dentro.
HO
Si raccomanda ancora
a) Irrorare le piante, prima che sboccino le gemme, con poltiglia
bordolese al 2 % di solfato di rame ed 1 Kg. di carbonato di soda.
b) Irrorare ancora, prima e dopo la fioritura. Per combattere
anche gli insetti, gli Americani aggiungono 1 % di arseniato di piombo
alla poltiglia data all'epoca della caduta dei petali. Un mese dopo, fanno
una seconda irrorazione con la poltiglia zolfo calcica aggiungendo 1 7o
di arseniato di piombo. Un mese prima della raccolta delle pesche
tardive, fanno un terzo trattamento con la poltiglia zolfo-calcica (pa-
gina 396).
e) Amputare i rami colpiti fino
al legno sano e raccogliere e distrug-
gere i frutti colpiti.
d) Dare accuratamente il latte di
calce a tutta la pianta, durante l'inverno,
lino all'estremità dei rami.
Fig. 273. - Susina colpita da
Sclerotinia Monilia cinerea.
Fig. 274. — Nocciuola colpita
dalla Sclerotinia fructigena.
10. — Albugini o Bianco. Queste malattie sono caratterizzate da un
denso e candido strato lanugginoso che il parassita produce sulle
foglie, sui germogli e sulle frutta.
Tutte le albugini colpiscono in parlicolar modo le piante esposte
a sbalzi di temperatura, come quelle coltivate a spalliera. Da ciò la
necessità di ripararle alla sera con stuoje e di procurare un ambiente
umido con irrorazioni alle foglie la sera. Tutte le albugini si sviluppano
meno in un ambiente umido. Tutte ibernano sulle piante, per Io ])iù
nelle gemme.
Queste malattie possono arrecare gravi danni poiché impediscono
alle foglie di funzionare. Esse anche disseccano o rimangono perforate;
ancelle i frutti non arrivano a maturare o rimangono deformati.
aj II bianco del pesco è prodollo dalla Sphaeroteca pannosa Lev, che si combaUe
(secondo Arthur» con varie irrorazioni, in luglio e agosto, di una soluzione di solfuro
potassico al 0,5%; nello stesso modo si combatte la nebbia o bianco del ribes. (S. mors
- 411 —
uvae Herk); il bianco del nespolo e òia/(cos/>»Ho. U'o'losphaera Oxyacaiilae I) C. ; il bianco
del susino, albicocco e ciliegio. (P. tridaetyla de Uaryi. 11 bianco del melo chiamalo anche
nebbia del melo è determinalo dalla Podosphaera leiicotricha che si comhaUe colla sol-
forazione.
bì La crittogama od oidio della vite (Lncinula americana llowj lig. 27j si ma-
nifesta negli internodi inferiori dei giovani germogli, indi sulle foglie e sui grappoli,
e produce delle macchie minutissime, che poi, allargandosi, conlluiscono, diventano li-
vide e si ricoprono di una polvere bianco-giallastra, dovuta alle ile ed alle spore del
parassita. Gli acini avvolti dal fungo, epperò soffocati, si arre-
stano nello sviluppo, screpolano, si atrofizzano e spesso anche
animuffiscono.
Comincia a svilupparsi (juando la temperatura media è
di 12"; si sviluppa rapidamente con una temperatura media
di 20'. arresta lo sviluppo a 38" e muore a 4.>''.
Aspetto della malattia. Macchie brune con polvere bian-
castra superficiale.
Mezzi di difesa: Contro l'oidio abbiamo un rimedio pre-
ventivo e curativo ; lo zolfo, lisso agisce meccanicamente pro-
teggendo la superficie delle parti verdi con uno strato di
polvere lina; chimicamente, perchè col calore (25 ■ C. . sviluppa
r anidride solforosa che è micidiale al fungo.
Lo zolfo deve essere finissimo e dato prima della liuri-
lura, quando i germogli non sono più lunghi di .'. cm. Al mo-
mento in cui le corolle dei fiori cadono a terra deve essere
fatta una seconda solforazione molto importante, poiché la Mg. /7.->. — Utdio
,. ,,. . - , ,, ., , , sul grappolo,
temperatura di quell epoca e favorevole allo sviluppo del-
l'oidio. Quando gli acini hanno raggiunto la grossezza di
un pisello, si fa la terza solforazione, che non è sempre indispensabile.
Le solforazioni devonsi fare nelle ore più calde ed in giornate senza vento. Le viti
non devono essere bagnate, né da rugiada, né da pioggia.
.Vlternando le solforazioni con zolfo ramato ed irrorazioni C()n poltiglie ciipro cali-
che, si combattono efficacemente l'oidio e la peronospora.
V albuggine del carubbo è prodotta dall' Oidiiim ceratoniae Comes, che si combatte
come l'oidio.
11. — Fiinuu/gini, inorfee, mal del cenere. Sotto questi nomi è cono-
sciuta una serie di malattie le quali si manifestano con rivestimenti
ed incrostazioni cenerognole o nere che si distendono sulle parti
malate, deturpandole ed alterandole. Sono queste prodotte da fuiif^hi,
appartenenti alle Perisporiacee, per molti dei quali però, a causa del
loro poliniorlìsnio, la biologia non è ben chiara.
Di solito queste fumaggini si sviluppano (juandt» le piante sono
colpite da cocciniglie, si nutrono colle dojezioni di <pieste oppure
colle secrezioni che la pianta emette in condizioni anormali (melala i.
Quando si palesa la lumaggine per la presenza delle cocciniglie,
si combattono queste, e la malattia si arresterà nel suo sviluppo. Du-
rante l'inverno convengono le lavature dei ceppi o rami colla solu-
zione acida di solfato ferroso del SkaNvinsky (i)ag. :W7).
a> La fumaggine della ulte è prodotta dalla Fumago vagaiis Pers, che è una torma
della Capnodium salicinum ed è a compagnata dalla presenza della cocciniglia della
vite. (Dactylopius vitis).
b) La fumaggine degli agrumi è prodotta dalla Liniacinia (Mcliola/ Pezigi Sacc.
che si nutre di un essudato morboso della pianta (Melata, e delle dejc/i..?ii <li .-...winigli.-
e gorgoglioni.
- 412 -
Questo fungo, per (juaulo non i)enetri nei tessuti, ò tuttavia dannoso e, oltre ad un
manifesto languore (iella pianta, produce una notevole mancanza di frutti. Siccome la
umidità e la mancanza di luce favoriscono lo sviluppo della malattia, si consiglia,
oltre ai mezzi suddetti, di :
1. Fare dei drenaggi.
2. Rimuovere il terreno lavorandolo profondamente.
3. Diradare la chioma degli alberi.
i. Trattare i rami con latte di calce o con cenere liscivata nell'acci uà per distrug-
gere il fungillo.
5. Bagnare i rami con forti spruzzi d'acqua la sera delle giornate calde.
Siccome i frutti degli agrumi vengono anche molto deturpati dalla fumaggine,
prima di mandarli in commercio in America, si usa pulirli. A tale scopo, come rife-
risce il Peglion, si collocano i frutti in una botte con segatura umida di legno. Mediante
un asse munito di manovella, si dà un movimento rotatorio alla botte e la segatura
inumidita funge da spazzola.
e) La fumaggine del pero, castagno, ciliegio, susino, ribes e melo è prodotta dal
Capnodium salicinum Mont ; la fumaggine dell'olivo dell' Antennaria elaeophila Mont,
alla quale si provvede sempre combattendo le cocciniglie, concimando le i)iante, fa-
cendo una buona potatura e lavando i rami.
d) Le altre piante colpite da fumaggini sono: l'albicocco (Capnodium arraeniacae
Thiim.): il pero e pesco (C. elongatum Berk); l'Eugenia (C. Eugeniarum Cook) ; il fico
(G. Footh Berck); il nocciuolo (C. personii Berck); il gelso (Meliola mori Sacc).
12. — Funghi della nebbia. Le piante colpite da questi funghi pre-
sentano sulle foglie, sui frutti e su tutta la parte erbacea macchie per
lo più bianche che poi itnbruniscono, facendo disseccare, in tutto od
in parte l'organo intaccato.
Gli effetti cagionali da questi funghi sono piuttosto gravi. Il micelio
vive sulla trama degli organi a spese delle materie plastiche in esso
contenute; perciò, non trovandosi il sistema vegetativo alla superlìcie,
non si può combattere coi comuni metodi che distruggono le specie
epifite, aventi cioè i loro organi esternamente alla pianta.
Il rimedio migliore per queste malattie è l'irrorazione preventiva
delle foglie e delle parti verdi con la poltiglia bordolese all' 1-2%
nonché la raccolta e l'abbruciamento delle foglie dissecate, sia durante
la vegetazione che durante l'inverno.
a) Blackrot e marciume nero dell'uva. (Guigardia Bidwellii KUis). K una delle
malattie più gravi della vite che però fortunatamente in Italia non si riscontra.
b) Le altre piante che di solito sono colpite dalla malattia della
nebbia, sono indicate nel prospetto a pagina seguente.
13. — Cancro e malaltia delle pustole rosse. A. Sotto il nome di cancro
il pratico intende denominare quelle ferite, prodotte per lo più per gelo,
che per l'azione irritante di qualche fungo (Nectria ditissima, Nectria
cinnabarina) od altra azione esterna, non si cicatrizzano ma si ingran-
discono, formando dei rigonfiamenti allungati che poi si sjniccano in
modo che il legno rimane allo scoperto.
Si distingue il cancro aperto (fìg. 280-2<S4 e 292) nel quale si nota di
solito, nel mezzo della piaga, una discreta superfìcie di legno scoperto
e per lo più annerita, limata da parecchi cercini, spesso screpolati,
rigonfi.
ÌVA
Tab. XXXIX.
Prospetto delle malattie della nebbia.
Piante
Nome volgare
Nome
l'orme diverse sotto cui
intaccate
(Iella mal:
ittia
del parassita
Spliaerella cinerescens
si conosce il parassita
Azzeriiolo
Xebl)!:.
j C_\ lindrosporinan casla-
Castagno
Seociiiiie
S. inacnliformis ,
1
! nicolum
1 Phyllosticla maculiformis
Castagno
—
S. punctiforinis
S. pomaceornm
Cotogno
Nebbia
Imbrunini
eniod.
S. sentina
Scpioria piricola
foglie Ili:
!?. 270)
Sligmatea mespili Sor.
l'^ntoinospnrinm nicspili
Arancio e li-
mone
Nebbia
.Si)haerella (".ibclliana
1
macnlatnm
l'hleospora Mori
1 Seploria Mori
Celso
Nebbia o 1
[orsa
S. inorifolia
1
l'iisariumMori
1 Cylindrosporinm Mori
Scptogloenm Mori
Molo
Nebbia
S. pomaccornMi
S. sentina
Pero
-
S. pomaceoruTii
Dcpa/ea piricola
) Septi ria nigerrima
j . Cyd(miae
[ Phoma pomorum
,
S. sentina
1
Macchie del pero
S, Bellona
Phylloslicta pirina
Ini brini ini
enio
Stif^niatea mespili
1 l'.ntomosporium mespili
1 . macnlatum
(Ielle foc
;lie
\ Septoria piricola (lig. 277)
'
I.cptosphaeria Lucilla
Ilendcrsaania piricola
( Ascocliyta piricola
—
I.eptosphaeria l'omona
1 Pyllosticta pninicola
Nocciiiolo
Nebbia
S. punctiformis
Gnomoniella Coryli
Ribes
_
Sphaerella ribis
Sorbo
^
sentina
Nespolo
Inibrunimento
1 delle foglie
Sligmatea mespili
Ciliegio
Nebbia
! Gnomonia ervthros-
tonia
Noce
_
Gnomoniella pruni
Snsino
,
Gnomoniella I-eptos-
tyla
1 Marsonia juglaiulis ilign-
1 ra 27S'.
Albicocco (1)
Gnomoniella pruni
1
Vite
Nebbia
Spaerella vilis l'riik
Marciume
bian-
Metasphaeria diplo-
> Charrinia diplodiella
1 co della
vile
diella
> Coniothvrinin diplo-
/ diellà
(1) Sullalbicocco se si notano sulle foglie e sul frutto delle macchie bruno grigie,
che acquistano poi un aspetto suberoso, si tratta di un altro fungo Phglloslicla windo-
bonensix Thiim fig. 279).
414
Fig. 27(;. — Imbruiiimento delle fo-
glie del castagno, pesco e nespolo.
Fig. 278. — Noce colpila
dalla Marsonia jiighindis.
Fig. 277. — Imbrunimento
delle foglie del pero.
Fig. 279.
Phyllosticta Windobonensis.
415
Fig. 280. — Sezione trasversale di un tronco di melo di (i anni colpito dal cancro per gelo.
Il fusto è stato colpito dal gelo, nella parte contro la quale il midollo si estendeva
contro una gemma. K per questo che il gelo ha potuto entrare cosi profondamente da
quella parte, trovandosi abbondante il tessuto parenchiniatico del midollo. -- g, Parte
bianca di un anello legnoso. - /{, Anello legnoso con macchie bianche per dove passano
i raggi midollari ,'i b, ed i quali in B li' sono morti e disseccali. Lo stato sugheroso K è
laceralo e disseccato assieme airanello legnoso. I.a pianta è stata colpita dal gelo quando
era già formato l'anello legnoso / ed ha danneg-
giato l'anello legnoso sottostante h r col (^uaVe
era in comunicazione a mezzo dei raggi midol-
lari. - /, Nuovo anello di legno che si (orma
sotto al cambio che in B B' si assottiglia.
Fig. 281. — Ramo di ciliego che mo-
stra il primo stadio della screpolatura
del cancro aperto per gelo.
Fig. 282. — Cancro aperto
sul tronco di melo
in stadio avanzato.
— 416 -
Si ha il cancro chiuso (fìg. 285) quando nel ramo si rinviene un
ingrossamenlo globoso o tuberiforme, superiormente spianato e, nella
punta, incavato ad imbuto. Questa forma si trova di preferenza nei
rami più giovani.
Nella lig. 286 abbiamo una biforcazione di nocciuolo coli' infezione
della Neclria Coryli, le cui spore hanno germogliato all'estremità (a b h,
limiti deirinfezione coperte di pustole rosse, e e, parte sana.)
Quando si forma ])er il gelo una screpolatura (fig. 280) o una placca
(lig. 287), il micelio dei funghi sopranominati attraversa la zona gene-
Fig. 283. — Sezione di una piaga prodotta dal cancro aperto sul fusto di un melo.
Ili, Midollo del fusto. - ii\ li-, ir, iv, it, ti'', sono gli anelli di legno annuali
che si sovrapposero. - r, Anello di legno ultimo ancora vivente mentre
gli altri sono morti pel gelo. Se fosse morto questo ultimo anello e per
tutta la ciconferenza dovrebbe perire tutta la parte superiore del fusto.
ratrice, penetra nei raggi midollari, indi nel legno, Il micelio del fungo
si fa strada attraverso le ferite della corteccia e attraverso le lenticelle,
produce una piaga, che può a poco a poco risanarsi in seguito alla
formazione dei tessuti di rimarginamento, ma che spesso rimane in-
vece sempre aperta.
La regione della corteccia intaccata si colora in nero.
Le piante più danneggiate sono il melo, il gelso, il nocciuolo, il
pero ed il ribes.
Mezzi di difesa: a) Evitare le ferite sulla corteccia dell'albero o,
quando ve ne siano, spalmarle con un mastice o carbolineo.
41:
lì) Recidere tutta la parte cancrenosa fino al sano, e spalmare"
la ferita con mastice o con carbolineo.
e) (!loncimare con calce.
ci) C.ollivare varietà, specialmente nei terreni ricchi di sostanza
orj*anica, resistenti ai cancro. Le calville, il cardinale rosso, la re-
netta di Champagne e del (-anadù sono
poco resistenti. Mollo resistente è la va-
rietà (iravenstein.
e) Drenare i terreni compatti.
^*A
Fig. 284. — Ceppo di vile di :5 anni
colpito da cancro i)er gelo.
Fig. 28.'). — Cancro chiuso
sopra un ramo di melo.
B Sotto il nome di pustole rosse delle foi/lie si designano due
malattie prodotte dalla Polystigma ochraceum sul mandorlo e della
P. rubrum ((ìgura 288) sul susino, funghi appartenenti alla famiglia
delle Ipocreacee cui appartiene anche la Nectria.
27 — Tamaro - FrnUicoltura.
— 418 -
Le pustole si formano d' estate ; dal color aranciato passano al
bruno e fanno cadere in luglio le foglie.
Mezzi di difesa: a) Raccogliere e bruciare le foglie cadute sul terreno
l'ig. 280. ~ Pollone di nocciuolo coHinfezione
della Neclria Conjli, le cui spore hanno ger-
moglialo alla estremità di una biforcazione.
a-h-b, Limiti della infezione coperte di pe-
riteci rossi. - C-C, Parte sana.
Fig. 287.
P.amo di melo
con placche di gelo.
Fig. 288. — Foglia di susino colpita dalla Polystìgwa rubrnni.
Le macchie nere che si notano sul disegno sono le pustole
prodotte dalla crillogama. Le macchie chiare sono perforazioni
prodotte dal C.ltistero'iporiuin anuigdaleaniiìì.
b) Irrorare in primavera, allo sbocciare delle foglie, con poltiglia
neutra bordolese al Va 7o se fatta colla soda, oppure al 1 "/„ se colla calce,
mantenendo sempre la reazione neutra.
• - 119 -
14. — Ruggini. Le crittogame che producono le rubigini vivono sotto
l'epidermide delle Toglie o dei rami determinando gravi malattie o delle
Fig 289. — Ruggine del pero (Gymnosporangiuin fascimi).
1. - G, Macchie di ruggine sulla pagina superiore delle foglie di P"«J»* ^^'^''^j' '
G\ Ecidi sulla pagina inferiore della foglia di pero. - ■^; " '^«'.'•'«"^ ''V rS dVLi^in-
„,òflon.o sulla pagina superiore; B, Ecidio sulla pagina inferiore. 3. - Ramo di Sabina
colfe pustole T !he hanno una notevole quantità di leleulospore o spore invernali ,4).
ipertrofie degli organi. Si palesano all'esterno mediante pustole di forma
rotondeggiante eliltica o lineare, di color rosso ruggme, da ciò il
nome generico di malattie della ruggine.
420
Fig. 290.
Rami di Sabina colpiti dal Gyiiinosporanghinì fiiscum.
Fig. 291.
Foglie di pero colpite da Gypnosporangiiim ftiscitiii.
- J21 -
La parlicolarità di questi funghi consìsle in ciò clic i diversi stadi
di sviluppo non si tro-vano sempre so|)ra una stessa specie di pianta,
ma in piante diverse. Ciascuna di «luesle forme lia un noiiìi' diverso.
Fig. 292. — Ramo di lampone
col cancro e delle foglie colpite
dal l'Iìragiììidiiinì Hubi-Idaei.
Fig. -Mi.
Aecidiitm penicillalt
sul Sorbus aria.
Il mezzo principale di lotta consiste nell' allontanare o distruggere
le piante vicine ai nostri alberi da frutto, che ospitano, specialmente
durante l'inverno, (fuesle crittogame.
La raccolta delle foglie e dei frutti intaccati, il terreno mon-
dato da malerbe, lirrorazione, prima che le piante entrino in vegeta-
zione, colla poltiglia bordolese, sono mezzi di Iplta che possono
- 422 -
avere una certa efficacia. Per la ruggine del lampone si raccomanda
anche la calce caustica mista a zolfo.
Dò in una tabella, l'elenco delle ruggini (Tab. XLI) che danneggiano
le piante da fruito, coll'indicazione delle piante sulle quali la crittogama
vive in parte e che bisogna allontanare dai frutteti e dalla loro vicinanza.
Fig. 294. — Aecidium grossiilariae.
Prospetto delle malattie delle ruggini
e delle piante che la possono ospitare.
Piante
intaccate
Nome
della crittogama
della ruggine
Nome della pianta | Nome della crittogama
che la ospita sulla pianta ospite
Cotogno
Ribes ed uva
spina (lìg. 294)
Nespolo
Pino da pinoli
Ribes
Melo
Melo e Sorbus
aria (fig. 293)
Cotogno e
sorbo
Lampone
ilig.292)
Ciliegio e pesco
Susino, albi- !
Aecidium cydo-
niae
A. grossulariae
A. mespili
A. pini
Cronartium ri-
biculum
Aecidium Roes-
telia lacerata
A. penicillata
Roaestelia can-
cellata
Phragmidiuni
Rubi-Idaei
Puccinia Cerasi
Pruni
Iberna sulla stessa pianta
^ Pinus .Strobus
', „ Cimbra
Lambertiana
(iinepro comune
( luniperus Sabinae
' I. inacrocarpa
1 I. virginiana
I. oxycedrus
(ìinepro comune
Periderminum strobi
Gymnosporangium cla-
variaeiormis
G. tremelloides
/ G. .Sabinae (Fig. 289-291
I G. juniperinum
Iberna sulla stessa pianta
15. — Fniu]hi a cappello. Sotto questo titolo intendo pallaio dei molli
lunghi che producono dei corpi fruiti (eri in forma di rij^ontiamenti
sul fusto e sui rami degli alberi. Il micelio di (|uesti funghi non pe-
netra nel legno giovane ma emette in suo contatto una sostanza spe-
ciale detta diastasi, che ne uccide lentamente gli elementi costitutivi,
passa quindi nelle parti morte, ove
si svilu|)pano in particolar modo i
lìlamenli miceliari.
La propagazione avviene per
mezzo delle spore che, portale dal
vento in una screpolatura del tron-
co, germinano. Avviene anche per
mezzo di rizomorfe che si produ-
cono nella corteccia : é necessario
([uiiidi estirpare e bruciare le piante
maiale od esportarle. Facendo ferite
() tagli alle piante vicine, bisogna
ripararle con mastice o catrame,
l)ei- impediie l'infezione delle spore.
Fig. 295.
Tronco d'albero colpito
dal Polyporus igniarius.
Kig. 2'Jl,. — Sc/ioiic li;i.s\ci.salc di un l ronco
d'olivo. A sinistra ed a destra si notano delle
ferite prodotte dal Pol\n>orits fulviis oìeae.
Accorgendosi presto di una infezione, si può salvare la pianta, allon-
tanando tutta la parte guasta, raschiando bene i contorni lino ai tessuti
sani e dando una pennellata di carbolineo.
1 principali di questi funghi che inlaccano le piante <la frutto sono:
l'ohjporus igniarius (fig. 295) che si trova sull'albicocco, sul ciliegio, sul susino, sul
pero, sul melo, sul mandorlo, sul carrubo, sul gelso e sul noce:
P. fiiìvus (fig. 2961 sul castagno e sull'olivo;
/'. foiiientariiia (fungo da esca) sul noce e sul pesco;
- J2I -
Polyporiis sidijluiieus (Marciume rosso del legno) sul castagno, sul pero, sul noce,
sul ciliegio, sul mandorlo e sul carrubo :
P. cìnnabarinus sul ciliegio e uva;
P. hispidiis sul gelso, melo e pero. Conunieniente chiamasi Lingua del gelso.
16. Vajiiolo o Antracnosi. a) Sotto ([uesto nome si comprendono
malattie causate da crittogame clie producono in primavera,sulle parti
verdi delle piante, pustole circolari per lo più grigie od oscure, or-
N^i
Fig. 297. — Antracnosi wucidata
della vite.
Fig. 298. - Giovane germolio
di vite colpito dall' A/i(rac/iosi.
late di rosso e poi nero, le quali si allargano e mettono a nudo i
tessuti interni, cosi che i giovani getti facilmente si spezzano ed i
rami rimangono deformati.
Queste pustole invadono anche il picciuolo e le nervature delle
foglie e, sulla vite, anche il grappolo in modo da ridurre in brandelli
le foglie e disseccare il grappolo (Hg. 297-301). Sui rami deformati e
forse anche sulle gemme rimangono gli organi destinati a conservare il
fungo da un anno all'altro.
I trattaiuenli per dil'eiulere la vile devono esseie prevenlivi e curativi.
D'ordine preventivo sono le pennellazioni o bagnature per niezzo
di un batulolo di stracci legati in cima ad un bastoncino, lon la se-
guente soluzione :
Solfato ferroso
Acido solforico
Acqua
Kg. -if)
3
litri 100
un secchio di legno
si aggiunge a poco
Si versa prima in una marmitta di terra od
l'acido solforico sopra il solfato di ferro, jiosc
a poco l'acqua. (Vedi quanto è detto
a proposito del miscuglio Skavinski
pag. 397).
La prima pennellazione si fa a po-
tatura secca finita, bagnando anche il
ceppo, specialmente dove' sono stati
fatti i tagli; successivamente, alla di-
stanza di 15 giorni, si fanno due al-
tre bagnature, se si tratta di ])ianle
molto colpite.
Durante la vegetazione, appena ci
si accorge della comparsa della ma-
lattia, bisogna ricorrere alla irrorazione
colla poltiglia bordolese corretta col
cloruro ammonico.
b) Oltre alla />//e (Manginia (ileo-
sporium ampelophaga) vanno soggette
al vajuolo le piante a granella: abbiamo cosi l' aiitntcnosi del ih'io
(Gieosperium pyriuum Pegl; del cotogno (G. Cydoniae Mont.;, del
Fig. 21t9. — Gruppoliiio
colpito dall' Anlracnosi.
Fig. 300. — Tralcio di vite <ioformato dall' .In/racnos/.
cotogno e nespolo (G. minutulum), del melo iC frucligenuni Herk), del
l'mm spina (G. Ribis Mont.) del ribes {G. curvatum), (ìg. 302 del .s//.s//io
(Cylindrosporium Padi Karst.) lìg. .303 che perfora le foglie, del noce
(Marsonia juglandis Sacc), fig. 278, degli (Uirumi e del mandorlo (Pe-
stalozia Guepinii Desm.). Queste antracnosi, si combattono abbastanza
efficacemente colle irrorazioni preventive, prima della ripresa della vege-
tazione, con poltiglia bordolese al 3-5 % con aggiunta di cloruro am-
moniaco e durante la vegetazione, con irrorazione al 1-2%.
17. — Ticchiolatura o brnsone. a) Questa malattia fa considerevoli
danni sul melo (Fusicladium dentriticum che è una forma della Ven-
turia inaequalis), sul pero (Fusicladium pirinium che è una forma della
Venturia pyrina).
— 426 -
Anche il ciliegio viene intaccato dal t'usisladiuni cerasi che è una
forma della Venluria cerasi.
Si manifesta con macchie superlìciali, hruno-plumbee, rotondeg-
gianti, a margine minutamente fi'angiato, talora poche ed isolate,
tal'altra in grande numero o confluenti, si da coprire la massima parte
della foglia. Invecchiando, divengono arsicce e la porzione di organo
attaccato si lacera e si stacca.
Oltre alle foglie (tìg. 305) può attaccare i giovani rami (hg. 307-309)
ed anche i frutti (fig. 304 e 306). In questi casi la pianta soffre fortemente.
Non sempre però i rami colpiti dalla Venturia, comunemente nota
col nome di Fnsicladiiim muoiono ; possono anche guarire. Se nel
Fig. 301. - Vite (varietà Greco» deformata dall' Antracnosi.
primo inverno non fa tanto freddo, durante la vegetazione, la scorza ha
tempo di rimarginare ed allora appare come nella fig. 308, cioè colla
scorza sollevata. La mortalità delle vette è dovuta all'azione del gelo.
Mentre il Fusicladiiim dentrilicnm, forma imperfetta della Venturia
inaequalis, colpisce maggiormente le foglie ed i frutti e raramente i
rami tanto del melo e del pero, quanto la Venturia pyrina colpisce in
particolar modo i rami.
Nelle (fig. 309-310) vediauio come il fungo attacca i rami. In A: tro-
viamo la corteccia sollevala dallo stroma del fungo, che poi si ma-
nifesta sotto forma di macchie nere.
Se viene intaccato il frutto (fig. 300), allora pure screpola, ma
427 -
([uesla screpolatura è diversa da (juella prodotta dalla malattia cosi-
detta itvepo/a de/ /"ra///, perchè con questa le fruita marciscono, col Fu-
sicladiuiìi rimangono mummificate.
Questo fungo si moltiplica molto anche nei vivai, per mezzo delle
marze di innesto. Si nota anche che esso colpisce di preferenza certe
varietà: p. es. Decana d'inverno, Butirra bianca d'autunno, Spina
carpi, Virgolosa, Curato, Olivier des Serres.
Mezzi di difesa: La poltiglia bordolese è un rimedio i)revciiliv(» e
Fig. 302. - Foglia di ribes col pi la dal Gloesporimu rihis.
(|uindi bisogna applicarla prima della germogliazione, al 4 7o <!' solfalo
di rame ed altrettanto di calce spenta, corretta con 2o() gr. di solfai*.
() cloruro ammonico.
Subito dopo la fioritura, si fa una seconda irrorazione con una
poltiglia al 1 7o e dopo altri 10 giorni una lerza.
Siccome questo trattamento con temperatura alta può produrre
delle macchie di ruggine sulle frutta, specialmente se di qualità deli
cale, cosi esso si deve fare nelle ore fresche della giornata, alla mat-
tina od alla sera, oppure in giornate coperte.
428
Questi Iraltamenli devono essere com-
l)letati con una accurata mondatura delle
piante durante T inverno, levando i rami
in letti.
18. — Perforazione e caduta delle fo-
glie, a) In questo gruppo di malattie com-
Fig. 303. — l'oglie di susino forate
dal Cylindrosporiiim Piidi.
.pP^:
^l0j^
Fig. 304. — Mela colla buccia intac-
cata dal Ventiiriu inuequalis. - u. Mac-
chie vecchie - ^, e, Macchie recenti.
b'ig. 305. — Foglia di melo
colpita dalla Venturia inaequalis.
Fig. 306. — Pera con macchie
di Venturia pyrina.
prendiamo per primo la malattia dell'olivo detta occhio di pavone pro-
dotta dal Cijcloconiuni oleaginum Cesi.
Questa crittogama colpisce tutti gli organi verdi dell'ulivo compreso il frutto. Sulle
fòglie forma delle macchie rotondeggianti, talora conlluenti, gialle nel centro e di color
- I2!t -
verde scuro a gradazioni di linta cosi spiccate da giustificare il nome della uialallia
Le foglie intaccale si rivoltano ai margini e si staccano.
Sui germogli, sui peduncoli, sulle infiorescenze forma delle efiloscen/e oscure, fulig-
ginose: i frutti colpiti rimangono atrofizzati e chiazzati di grigio chiaro.
Linvasione avviene dal mese di luglio a tutto marzo
Il fungo si conserva colle foglie cadute, di (|ui la nccessilà di sollcrraric coi
lavori del terreno.
l'iia irrorazione colla poltiglia boido-
lese all' 1 7o fatta in agosto-settembre, è il
rimedio speeilìco di (|uesla malattia.
Fig. 307. - I^amo di pe- Fig. :508. - Ramo di pc- Fig. .W.l.
ro di un anno colpito ro di tre anni colpito l-.stremità di un ramo di pero
dalla Venttiria pyrina. dalla Ventiiria piirinu. colpito dalla Veiiliiriti purinu.
Le principali malattie che producono la perloiazione e laivolla la
caduta delle foglie sono le seguenti :
/)) Seccume, nebbia o vaiolaliira del fico (Cercospora bolleana Speg.).
In agosto-settembre le foglie di lieo presentano macchie olivacee difTuse.
che cominciando da un lato, si estendono poi a tutto l'organo, che
intristisce, si accartoccia e si stacca dalla pianta madre. Provoca la
caduta anticipata delle foglie e dei frutti.
Si può provare per rimedio r irror;v/inne delle foglie con poltiglia
bordolese.
- 430 -
e) La perforazione delle foglie delle piante a nocciolo è determi-
nata da una specie unica ((^lasterosporium carpophilum Ader) che
intacca anche i frutti ed i germogli. Non sempre si riesce a prevenire
la malattia coi trattamenti cuprici.
Fig. 310. — Sezione di ramo di pero colpito dalia Venturia pyrina.
st, .Stroma isolato del lungo, che fece rialzare la .scorza k.
VII.
Danni e malattie prodotte da animali.
1. — I danni e le malattie prodotte da animali sono di varia natura:
a) Alcuni animali danneggiano meccanicamente le piante rosic-
chiando tutti o parte dei loro organi. Questi animali sono provveduti
di organi boccali masticatori coi quali rodono le radici (larva del mag-
giolino); la corteccia (calabrone); le foglie; (i bombici); // libro, l'alburno,
il legno, scavando delle gallerie (gli scoliti); le gemme (il punteruolo del
melo); i fiori (cochylis); la polpa del frutto ed il seme (la tignuola del-
l'olivo).
b) In altri casi l'animale vive sulla pianta come i parassiti vege-
tali. Esso fissa un apparecchio succhiatore nei tessuti e ne sugge
l'umore per suo nutrimento (la fillossera, tutti gli afidi, le cocciniglie),
producendo Yavvizzimento e disseccazione dei tessuti e degli organi interni.
e) Infine l'animale può recare guasto provocando, mediante ferite,
deformazioni morbose e allora :
— 4M -
aa) per irritazione si formano dei hiloizoli, nesciche, (jittlle. fascia-
zioni, distorsioni, ecc.
bb) Per infiltrazione di umori che l'insetto slesso emette, può av-
venire la decolorazione parziale o totale degli organi cosi da provocare
la clorosi, Vitterizia, l'arrossameiilo e cosi via.
2. — Alla straordinaria proli licita, che in generale |)ossiedono tali ani
mali, si deve la facile trasmissione e la rapida ditlusione delle malattie
da loro causate, ma se questa prolificità è costante in ogni specie,
altre sono le cause per cui in alcuni anni ed in alcune regioni avviene
un'invasione straordinaria di un dato animale. 1/ alterna irruzione di
cavallette, di maggiolini è spiegala colla durata della loro metamorfosi,
ma per la maggior parte degli animali le cause sono determinate dalle
condizioni di clima, di vigoria in cui si trovano le piante che li ospitano
ed infine nel maggiore o miuore sviluppo che prendono i nemici degli
stessi animali parassiti.
Noi artificialmente possiamo lare abbastanza per combattere i paras-
siti animali e si farà sempre più col progredire della scienza, ma dob-
biamo però riconoscere che le cause naturali che limitano il loro dif-
fondersi, sono di gran lunga più potenti.
La causa naturale prima è quella della lotta per l'esistenza tanto bene svelata ed
illustrata dal Darwin. Questi ha dimostrato, ed evidentemente ci persuade, che ogni specie
ha una zona limitata d azione fuori della <iuale non può estendersi che per poco, perchè,
per non togliere questo equilibrio, sorgono altri animali o parassiti che dislrugfjono il
maggior numero possibile di individui della specie invadente per non esserne sopraf-
fatti, alla loro volta.
Altra causa naturale è il nutrimento i)iii o meno adatto al loro sviluppo. Nelle
località dove una data pianta, che fornisce alimento ad un animale e maggiormente
estesa, è evidente che si svilupperanno i rispettivi nemici. Cosi, quanto più vigorosa <>
una pianta tanto più essa resiste ai parassiti, invece una pianta, passando dallo stalo
selvatico a quello colturale, diventa meno resistente. La resistenza poi <^ ancora minore.
se la pianta non viene coltivata in un clima per essa adatto. Queste <lue cause «li di-
minuita resistenza vengono spiegate col fatto che una pianta selvatica è provveduta di
(luegli organi che servono per la sua conservazione, perciò anche per resistere ai parassiti;
mentre invece, col cambiamento di clima e colla coltura, questi organi di difesa perdono
la loro forza di resistenza.
Assai poco, e mollo meno di (piello che comunemente si crede,
agiscono il clima e le inlemperie per ostacolare lo sviluppo degli
animali parassiti.
Vili.
La lotta contro i parassiti animali.
1. - La lotta contro i parassiti animali è mollo più diflìcile di quella
contro i parassiti vegetali. Gli animali, oltre avere una vita molto più
complicata, hanno anche maggiori organi di difesa e quindi l'agricol-
tore che si accinge a combatterli, deve conoscere la loro biologia, nonché
quei parassiti animali o vegetali utili che evenlualmenle contranino
l'esistenza dei dannosi.
- 432 -
La lotta consiste o nel combattere l'animale dannoso in un dato
periodo di vita o nel favorire lo sviluppo dei parassiti suoi nemici.
Pur troppo lo studio di questi ultimi non è ancora tanto avanzato
da poter oggi fare un largo assegnamento, è certo però che col progre-
dire della parassitologia questa via appare non soltanto la più naturale
e la più logica ma anche la più sicura.
Come l'uomo, cosi gli animali vanno soggetti a malattie dovute
all'azione disorganizzatrice di certi funghi che si svilluppano nel loro
organismo. Un esempio l'abbiamo nella malattia del calcino nei bachi
da seta, dovuto al fungo : Bolritis Bassiana. Abbiamo anche animali che
vivono a spese di quelli a noi dannosi, sia cibandosene direttamente,
sia vivendo nell'interno del corpo. Questi animali sono quindi preziosi
per l'agricoltura e si deve favorire il loro sviluppo con ogni mezzo
possibile. Ausiliari veri, in questo senso, dell'agricoltura se ne trovano
in tutte le classi, come si rileva dal seguente elenco.
A. Mammiferi: pipistrelli, riccio, toporagno, donnola, ermellino.
B. Uccelli: rapaci che distruggono una quantità di rosicanti dan-
nosi ed anche di insetti; passeri, rampicanti, eralle.
C. Renili: lucertole, ramarro, orbettino.
I). Batraci: rana e salamandi-a.
K. Insetti: a) Coleotteri: Carabo dorato, Calosoma sicofanta, Cici-
della campestre, Stafilino odoroso. Coccinella;
bj Ortotteri: Mantide religiosa e Libellula;
e) Imenotteri: Anomalon circomflesso, Ryssa persuassoria. Icneu-
moni, Microgastro glomerato, Alisia, Calipto, Pteromali, Crabro, Cinipe,
Ibalia cultellatur;
d) Neurotteri: Formicaleone e Emorobio perla;
e) Ditteri : Tachina larvarium ed altre specie, Sturmia atropi,
Melopia bisignata, Masicera gen., Palies bellierella, Echinomya gen.
F. Aracnidi: Scorpioni e ragni.
G. Anellidi : Lombrici.
H. Miriapodi : Scolopendra.
2. — I rimedi per combattere direttamente i parassiti animali sono
ordine preventivo ed offensivo.
Di ordine preventivo sono :
a) tutte quelle precauzioni che deve usare il frutticoitore per
non importare il nemico con vegetali od altro. Pur troppo i principali
nemici delle nostre piante coltivate sono stati diffusi dall'uomo stesso
per inscienza o per incuria.
La storia della invasione della fillossera ci dà un esempio. Perciò
l'agricoltore deve anzitutto, prima di importare nei suoi terreni qualsiasi
vegetale o parti di vegetale, assicurarsi della immunità od almeno pro-
cedere alla disinfezione. Il miglior modo di disinfezione è quello della
scottatura coll'acqua calda. La temperatura più conveniente per disin-
fettare le talee e barbalelle di viti èdiSl-iiS» C. mantenendole immerse
per 5 minuti. Il prof. Danesi ha rilevato che questa temperatura può
m
essere elevala a 58« C. per le viti, però per le piante da i'rullo in {,'enere
comprese le viti, non conviene i)assare il limite di 53" C. in modo che
alla loro estrazione l'acqua abbia una temperatura di 52° C
b) tutte quelle cure che si devono prestare alle piante per evi-
tare che esse possano daie asilo ai parassiti K qui cade in acconcio
far rilevare la necessità di mantenere sempre sane, vij^orose le piante
applicando quelle operazioni colturali che venj^ono consigliate, quali
le periodiche lavorazioni del terreno, la concimazione razionale, la
potatura e mondatui'a annuale, la puliluia dei tronchi e rami in au-
tunno, e cosi via.
3. — I rimedi d'ordine o/Jeiisii>o possono essere:
a) Meccanici, che consistono nel catturare ed uccidere gli animali
La raccolta degli animali si fa a mano, raccogliendo uno per uno gli
insetti come il maggiolino, oppure
scuotendo le piante e raccogliendo
i parassiti in un lenzuolo o in un im-
buto di latta come per le altiche. Si può
giovarsi anche di animali insettivori
come i tacchini per far divorare le
larve (come quelle del maggiolino)
a mano a mano che vengono scoperte
dal terreno niercè l' aratura o vanga-
tura. Di molto giovamento riesce il
recidere le parti di pianta offese, rac-
coglierle in sacchi e distruggerle poi
al fuoco. Cosi si fa pei rami, foglie,
frutta. Ai mezzi meccanici appartiene
anche la raccolta dei nidi, delle uova.
Talvolta giova disporre degli agguati:
si lasciano sul lerreno rami morti
perchè si sa che in ([uesli annidano
larve che in altra generazione danneg-
giano le piante vive; o])pure si fanno
degli anelli di cartone (fig. :511j od altro,
perchè le larve si incrisalidino, poi si
Altri mezzi sono:
b) Fisici: col fuoco, intaccando gli insetti o le ova colla lampada
di un piroforo; colla scottatura per mezzo d'acqua calda; aslissiando con
dei vapori velenosi o inlinc colla sommersione del terreno come si fa
contro la fillossera.
e) Chimici: sostanze che servono a distruggere gli insetti e perciò
chiamate insetticide.
Gli insetticidi si possono distinguere in tre gruppi :
1« i cosidetti insetticidi esterni che uccidono gli insetti per sem-
plice contatto femulsione di benzina o petrolio e sapone nell'acqua,
emulsione di olio pesante di catrame ecc.);
2h — Tamaiio - Frutticoltura.
l-ig.:Ml
Anello eli cartone con cui
si avvolge una parte del fusto, per-
chè sotto vi incrisalidano dei bruchi.
raccolgono e distruggono.
- 434 —
2" insetticidi interni, che impediscono il nutrimento agli insetti.
Con questi si devono bagnare tutti gli organi della pianta che sono
oggetto di distruzione rendendoli velenosi. L'arsenico ed i sali di bario
sono i migliori insetticidi interni colla nicotina ed il piretro;
3° insetticidi misti, sono quelli che agiscono per via interna ed
esterna.
Questi sono per lo più a base di nicotina, che allontana le farfalle
])er il suo odore, (azione insettifuga); se assorbita dall'apparato dige-
rente (azione interna) e se lo bagna (azione esterna) avvelena l'iiiseUo.
l)o])o la nicotina viene il piretro.
IX.
Mammiferi, Uccelli e Molluschi dannosi.
1. — Dei mammiferi, conviene ricordare la volpe, il tasso, la martora
che si nutrono, se possono, di frutta; la talpa che fa danni colle sue
gallerie (è d'altra parte utile perchè insettivora); i topi campagnnoli ed
altri topi delle cloache, che rodono le radici, la corteccia dei tronchi.
Si combattono spargendo sul terreno dei chicchi di granoturco infranto
mescolato col 2 % di fosfuro di zinco. La lepre si nulre delle corteccie
degli alberi quando il terreno è coperto di neve; quindi bisogna ripa-
l'are i tronchi con degli spini. Il ghiro, il moscardino, lo scojattolo si
nutrono di frutta. A questo si fa la caccia diretta; per i due primi si
fanno prima dell'inverno delle tane artilìciali, mettendovi musco e
molte frutta. 1 ghiri si raccolgono in queste tane e passano in letargo.
Allora è facile a prenderli,
2. — Gli uccelli più dannosi sono: il frosone che si ciba di gemme e
di ciliegie; il montanello, \l verdone, \\ fringuello (di semi e di piantine
in embrione); il crociere (di olive); la nocciolaia (di noci, nocciole e
susine); il beccafico (di ciliegie, lampone ed uva); i passeri (di gemme
e di frutti); gazza (pere e ciliegie); il ciuffolotto (gemme); lo storno
(ciliegie e uva); il merlo (olive, uva e ciliegie); il lordo (ciliegie).
3. — I molluschi dannosi sono la limaccia che danneggia le piantine
nel semenzaio.
1 rospi e gli uccelli distruggono le limaccie in quantilà; l'agricol-
tore può giovarsi anche delle anitre e dei polli per distruggerle. Altri-
menti si può ricorrere:
1. Alla polverizzazione con calce viva delle foglie e delle parli
colpite,
2. All'irrorazione delle terreno e delle piante con una soluzione
di calce viva 1 '/2^ 7o-
Siccome l'acqua di calce ha una azione immediata, per colpire le
limaccie non ancora uscite dal terreno, bisogna ripetere l'irrorazione.
- 435 -
Le irrorazioni e polverizzazioni vanno fatte di notte o di sera alle
ore 20-21, perchè a quell'ora le lumache si trovano in maggior quantità
sulle piante. Applicando la calce viva in polvere bisogna seguire la
direzione del vento; per le irrorazioni si jiuò ripetere 1" operazioni'
nella stessa notte.
X.
Grillotalpa, Forfecchia e Pidocchio dell'olivo.
1. — Grillotalpa (Gryllotalpa L.) (lìg. 312). K" un insetto comu-
nissimo, che scava molte gallerie per cibarsi di insetti. Si accop-
pia in giugno-luglio, poi la femmina depone da .") a 20() uova in una
cella ovale nel terreno, donde partono numerose gallerie.
Fig. .312. — Gnillotalpii vnlqiiri.
Dopo ló giorni i giovani crescono, svernano tre anni profonda-
mente nel terreno.
I danni che arreca sono specialmente nei semenzai, e nei vivai in
genere.
Si combatte distruggendo i nidi in luglio e iniettando nel terreno,
quando le larve sono nate, 40 gr. per m.' di solfuro dì carbonio in
4-5 fori.
Può dare buoni risultati la caccia mediante agguati. .\ tale scopo,
alla fine di settembre si fanno fossatelli tortuosi alla distanza di
3-4 m. e profondi 25-30 cm. Si riempiono lino al livello del terreno
con letame paglioso di cavallo o vaccino e poi si copre con terra.
Durante l'inverno le larve si rifuggiano in questo luogo caldo, favo-
revole anche alle mute. Nel mese di maggio si aprono questi fossatelli
e si schiacciano le larve che vi si trovano.
2. — Forfecchia (Forfìcula auricularia L.), (lìg- 313) anche questo e
un insetto che si ciba di altri piccoli insetti però durante la notte dan-
neggia le frutta ed i giovani germogli degli innesti.
— 436 -
Mezzi di difesa: a) Se le piante sono in vaso, met-
tere il vaso dentro un altro contenente acqua.
b) Collocare vicino dei cannelli di canna, rami
di sambuco, vuotati dal midollo, tubi di carta, masse
di letame, ritagli di cuojo, cinghie, corna, paglia,
fieno umido, vecchie granate di saggina, ecc. dove
durante il giorno accorrono per nascondersi.
Prese in agguato si abbrucciano.
Fig. .313. — For/ìc/(/f( c) Spazzolare durante l'inverno i tronchi delle
aiiricniaria. piante ed i pali di sostegno.
3. — Pidocchio dell'olivo (Phlaeothrips oleae Co-
sta). Questo insetto ha recato e reca molti danni agli olivi special-
mente nella Lucchesia.
È un insetto nero, lucente, (il maschio lungo mni. 1-3 e la femmina mm. 1-,")) che
ha 3 generazioni. Le larve della prima succliiano specialmente le giovani foglioline ed
i boccioli dei fiori; quelle della seconda, le foglie ed i piccoli frutti; quelle della terza,
le foglie ed i frutti. Le foglie in corrispondenza delle punture mostrano depressioni cir-
colari, poi si deformano e cadono. Cosi pure i fiori ed i frutti rimangono piccoli, defor-
mati, neri e cadono. Nei casi di forte invasione gli alberi si presentano coi rami intristiti
Per combattere questo insetto bisogna:
a) diradare la chioma e tagliare i rami secchi ;
h) pulire i tronchi e i rami con raschiatoi, imbiancare i rami e
incatramare tutti i tagli ;
e) bruciare tutti i rami e parte di rami tagliati ;
d) lavorare profondamente il terreno;
e) irrorare nella prima decade di luglio, appena lìnita la nascita
delle larve della seconda generazione, piti numerosa e pili nociva, ado-
perando la seguente formola del Del (luercio :
Estratto fenicato di tabacco kg. 1.500
Polisolfuro di sodio e potassio .... ,, 0.350
Acqua litri 100
XI.
Tingiti e Psillidi o falsi gorgoglioni.
1. — Tingile o cimice del pero e del melo. (fìg. 315) (Tingis pyri
Fabr.) è lunga 3 mm. quasi trasparente, col capo nero, dotato di antenne
sottili, poco ingrossate all'apice; corsaletto a lati membranosi, espansi,
arrotondati ; parte posteriore del corsaletto carenata, arrotondata ed
articolata; elitre espanse e arrotondate ai lati, vescicolate nel mezzo,
trasparenti, ornate di una fascia traversale bruna e di una grande
macchia apicale dello stesso colore.
— \M
Si moltiplicano slraordinariameiile, vivono a colonie sulla pagina
inferiore delle Toglie dal luglio in avanti. Secondo il Costa, (juesto
insetto impiegherebbe soltanto 15 giorni nelle sue metamorfosi.
Le foglie ingialliscono per le punture; sulla pagina inferiore si
trovano gli insetti ed una grande quantità di escrementi, (ili albeii
hanno un aspetto malaticcio.
Mezzi di difesa: a) All'invasione delle tingiti vanno soggette le
piante poco alimentate, quelle che soffrono per siccità o per im|)erfelta
l)reparazione del terreno. Bisogna quindi togliere (juesli inconvenienti
sopralutto per prevenire forti invasioni.
b) Per distruggere le tingiti ibernanti fare, d'autunno, una forte
spazzolatura e raschiatura ai tronchi ed ai rami ed una imbiancatura.
e) Lavare con acqua saponata in primavera tutta la pianta.
d) Raccogliere le prime foglie inlaccate e bruciarle.
e) In caso di invasione, irrorare la pagina inferiore delle foglie
colla seguente emulsione :
Sapone molle .... Kg. O.-'UM)
Petrolio ().5(M)
Acqua litri 10. —
Fig. 314.
Larva di Eupliijllura olivina.
Fig. :{l,x
Tingis pijri.
1-ig. 3ir,.
Ninfa di Eiiphylìttru tìlinina.
2. — Le psillidi o falsi (jorgoyliuiii allo stato perfetto hanno 1 ali e
sono foinite di zampe atte al salto. Sono agilissime perhè volano, saltano
e camminano rapidamente. Le larve succhiano gli umori delle piante
e secernono dall'addone un umore a goccioline che produce poi la
fumaggine sui rami e sulle foglie. Sono poco agili e sono per lo più
coperte di sostanza cotonosa o cerosa bianca. Le punture col loro
rostro e più ancora le incisioni fatte dalla femmina coli' ovoposi-
tore, causano spesso delle escrescenze a guisa di galle. Metamorfosi
incompleta.
Abbiamo delle psillidi che intaccano il fico (Psylla ficus), «1 castagno,
il melo, il pesco, il pero (Psylla pyri L. fig. 317), il ciliegio che guastano
le gemme, i germogli, le foglie ed i peduncoli dei fiori.
Mezzi di difesa: a) D'autunno lavare i tronchi e rami con acqua
saponata e poi imbiancarli con latte di calce.
b) In primavera, al primo apparire delle larve, sopprimere i ger-
mogli e bruciarli.
438
e) Se l'invasione è forte, spazzolare la base dei germogli, dove
si raccolgono per lo più le larve. Per uccidere poi le larve cadute a
terra, irrorare il terreno con una soluzione di zolfocarbonato potassico
al 10 Vo o con dell'acqua calda.
d) Spolverare le piante con polvere di piretro e stendere sotto
alle piante un lenzuolo per raccogliere le psille che cadono.
e) Irrorare le foglie e germogli con la seguente soluzione :
Acido fenico .
Sapone molle .
Acqua ....
litri 0.500
Kg. 0.500-0.750
litri 100.
Fig. :{17.
PsijUa pijri. — 1. Poco ingrandita; 2-."?. Molto ingrandita.
Sulle foglie in grandezza naturale.
3. — Euplujlluid oliuina (O Costa) o psilla dell'olivo, Colonello,
Bambacella dell'olivo, Eufìllura dell'olivo (fig. 314 e 316).
Corpo tozzo, addone triangolare, colore giallo-verdognolo; elitre
biancastre e leggermente verdiccie, ornate di punti neri. — Larve
depresse, ovali quasi rotondeggianti, fittamente rivestite di sostanza
bianca cotonosa. Le larve nutronsi di fiori o dei teneri peduncoli, im-
pedendo il loro sviluppo.
Sverna la psilla allo stato adulto sui ramoscelli alla base delle foglie. In niaggio,
avviene l'accoppiamento e le femmine depongono le uova sulle foglioline apicali dei
germogli oppure alla base dei racemi floreali. Dopo pochi giorni nascono le larve le
quali rivestendosi di un involucro cotonoso sono facilmente visibili.
Pare che compia in un anno 3-4 generazioni.
Mezzi di difesa: Si consiglia la seguente emulsione saponosa di petrolio:
Petrolio greggio .... litri G.5
Sapone duro Kg. 2.5
Acqua litri 4
- 4['AÌ -
Si scioij;lie coiii|)lelaiiieiile )ieiriK-(|iia calda il sapone duro, layliaii-
dolo prima a piccoli pezzi. Indi si versa la soluzione ancora calda,
allontanandola però dal luoco, nel jielrolio, agitando per bene in modo
da ottenere una specie di crema che si può conservare in vasi.
Per adoperare questa pasta contro la psilia, si sciof,'lie in '_'.')() litri
d'acqua.
Si usa questo rimedio con cautela, in modo che non abiiiano a
risentirne danni gli organi più delicati della pianta.
Rimedio più radicale sarebbe quello di raccogliere annualmente
tutti i rametti fruttiferi che hanno, all'ascella delle giovani foglie, la
nota sostanza cotonosa. Si jìerde cosi, è vero, una parte del rac-
colto, ma si evita l'attacco dei rami sani e si distrugge una glande
quantità d'insetti.
XII.
Afidi (pidocchi o gorgoglioni).
1. — ("ili a/idi costituiscono una famiglia ricchissima di insetti, poco
vivaci, di piccole dimensioni, [)oichè non superano i 6 mm. di lunghezza.
Si moltiplicano anche per partenogenesi, ossia la femmina depone delle
uova feconde senza l'accoppiamento del maschio. In un anno per via
partenogenica si contano più generazioni.
Intaccano sempre le parti più tenere delle piante, però sulla stessa
pianta alcuni alìdi preferiscono le estremità dei germogli (lig. 'MH),
altri le gemme, altri le foglie, i lìori, i frutti ed infine anche le radici,
i rami ed il fusto. Vivono sempre in grandi colonie ed intai-cano le
parti più riparate, cioè la pagina inferiore delle foglie, le parti riv(»lte
a terra dei rami e le parti inferiori delle radici.
Gli afidi inlaccano la pianta col loro ro.stro succhiatore e fanno si che gli organi
si atrofizzano od ipertroflzzano ; i tessutisi disfanno nei punti lesi e muoiono. I.e foglie
si increspano e diventano vescicolose. i rami giovani si incurvano o si deformano. Queste
deformazioni sono dovute non soltanto alla irritazione dei tessuti prodotta dalle pun-
ture, ma anche dal succhiamento degli umori della pianta e dalla inoculazione di un
li<Iuido che emettono dall'apparato boccale e che avvelena i tessuti.
Gli afidi, quando non trovano sufficiente nutrimento sopra una pianta od un organo
da essi preferito, dalla forma attera passano alla forma alata, ed emigrano. .Vvvicne
allora che una stessa specie nelle diverse stagioni vive sopra piante di natura diversa
e su organi diversi, dando luogo anche a variazioni di forma.
La diffusione artificiale però è la più temibile, e la fa luomo slesso trasportando
piante o parti di piante o terra infetta
Contemporaneamente alla distruzione degli alidi bisogna pensare a <(uelle delle
formiche. Ln presenza di queste ultime so|)ra una pianta indica già nella maggior parie
dei casi la i)resenza di afidi. Le formiche allevano e proleggono gli afidi poiché ghiotte
di succhi dolci, lambiscono i loro escrementi che non sono altro che i succhi delle
piante diventati dolci o meglio più concentrati, passando per l'apparecchio digerente
dei pidocchi. Onesta melata che gli afidi producono, offre un eccellente substrato alla
fumaggine (vedi pag. 411).
440 -
Per impedire che le loriiiiche salgano sul tronco, sarà opporUino isolare le piante
ed impedire la salita con una striscia larga 10 cm. di carta pergamenata, legata ad
anello all'altezza di 30 cm. dal terreno ed unta ogni 3 giorni da una sostanza vischiosa.
Questa sostanza vischiosa può essere identica a quella consigliata per la Cheimatobia
brumata (pag. 45(5), oppure si ottiene facendo sciogliere
a caldo kg 1 di pece nera in 1 litro di olio di cotone
o di sesamo.
Molti icneumoni, la Cocinella septempiinctata, neu-
rotteri e ditteri, distruggono una quantità di afidi.
Le piante più colpite dai pidocchi sono anche le
più estenuate per cattiva coltura; quindi il frutticoitore
deve concimare e lavorare razionalmente il terreno,
tenere sempre puliti i tronchi e rami, e d'inverno la-
varli con acijua saponata al S% di sapone nìoUe; rac-
cogliere e bruciare i ritagli dei rami di potatura.
Fig. 318.
Ramoscello di rosa
coperto da afidi.
Fig. 319. — Germoglio di pero intaccato dall' Aphis sorbi
che col suo pungiglione fece accortocciare le foglie
i'., grandezza naturale). - II. Individuo non alato del
Myzus cerasi. - III. Individuo alato del Myziis cerasi.
Quando si hanno piante in ambienti chiusi come nelle serre, è facile liberarsi
dai pidocchi facendo dei suffumigi: si brucia circa 1 grammo di avanzi di sigaro
dissecato per ogni metro cubo d' aria, in modo che le piante rimangono avvolte dal
fumo per 5 o Ci ore. Nelle serre calde si possono spargere succhi di estratto di tabacco
sui tubi del calorifero.
Nella lotta contro gli alidi, dovendo ricorrere alle irrorazioni insetticide, si devono
usare miscele deboli, atle ad uccidere gli alìdi vulnerabilissimi perchè non protetti da
cera, ma non tanto forti da compromettere gli insetti che li divorano. Bisogna fare con
molta diligenza le irrorazioni con insetticidi, adoperando dei polverizzatori finissimi
che avvolgano la pianta come una nube. .Si opera sempre in giornate senza vento e
pioggia, al mattino od alla sera o con cielo coperto.
Una sola irrorazione non è sempre sufficiente: bisogna ripeterla alla distanza di
10-15 giorni, per colpire i nuovi nati e quelli che eventualmente sono sfuggiti o che hanno
emigrato. Siccome, a seconda delle specie o dello stadio di sviluppo, hanno diversa resi
stenza ai liquidi insetticidi, così enumero le principali soluzioni che vengono adoperate :
a) Soluzione saponosa ('/.-2 parti) nell'acqua calda di sapone molle, diluita con
acqua fredda fino a portare al volume di 100.
- Ili
(".ontro l'atide del ribes e dell'uva spina:
i Saponefinolle . . 2 parli
hj Acqua 9.')
' Spirilo denaturalo 15
l'er combattere gli alidi del ciliegio e susino:
^ Sapone molle .... 2 parli
e) j Estratto di tabacco . . 1 , conlencnlc S-'.i"„ di nicotina
' Acqua 97
l'er combattere gli afidi del susino e melo :
k Sapone molle 2 parti
</; I.ysolo . . . '/.. -
' Acqua . .
Fig. 320. — Galle prodotte dall.l/f/jjs pistaci
Fer combattere gli afidi del pero :
( Estratto di tabacco 1-2 parli conlenenlc S-it^ di nicolina
^^ I Acqua 99-98 „
Per combattere gli afidi del pero e melo ed il Fusicladium :
\ Estratto di tabacco 2 parti contenente 8-9% di nicotina
^'' ì Poltiglia bordolese 98
gì Infusione al legno di quassio. A questo scopo si mettano in macerazione per
2 giorni, Kg. 5 di legno di quassio in 20 litri d acqua. Si decanta il liquido e lo si porla
a 100 litri, che si applica colle solite pompe
Questo rimedio è da raccomandarsi specialmente per combattere gli alidi del pesco,
quantunque possa servire anche per quelli del melo, pero e susino. K raccomandalo
specialmente per il pesco poiché le foglie di i)esco sono piuttosto delicate per gli altri
insetticidi e quelli poi a base di estratto di tabacco macchiano le pesche.
Il) Contro gli afidi del ribes e dell'uva spina è indicala la seguente miscela : Si
prepara a caldo una soluzione di 125 gr. di sapone molle in 'i, litro d" acqua e questa
soluzione si versa lentamente, agitando di continuo in 2 litri di petrolio. Quando si ha
ottenuto una specie di crema aggiungendo un altro litro di acqua, si diluisce il tutto
con acqua fredda fino ad avere il volume di 100 litri.
I principali afidi che si combattono con queste miscele sono quelli della Tab XI, Il
- 442 -
Afidi delle piante da frutto.
Nome
scientifico
Piante
intaccate
Caratteri
alata
della forma
attera
Apliis auiyg-
dali
Mandorlo e
pesco
giallo ferrugineo
giallo bruno tendente al
rossiccio
A. avellanae
Sch.
Nocciuolo
verde
A. coryli Gaetz
»
gialla
bianco-giallognola pelosa
A. grossulariae
Kaltb
Uva spina e
ribes
nera con addone verde
verde erbaceo o bleu
A. mali Fb.
Melo, pero e
cotogno
nero con addome verde
verde con capo rosso
A . pei-sicae
Kaltd
Pesco ciliegio
e susino
nera lucente con zampe
nere
giallo verdastra con fascie
traversali nere e al di
sotto verde oliva
A. pyri Fb.
A. pistaciae
(fig. 320)
pero e melo
Pistacchio
giallo verdognola
dorso nero con fascia longi-
tudinale bianca
A pruni Kocli
Susino e pesco
bruno polverizzato in
bianco, addome verde
giallastro
verdastra con una linea dor-
sale e due punti brunaslri
all'addome
A. ribis L.
Ribes
giallo verdognolo con
macchia bruna sul
corsaletto
giallognola con macchie
brune
A sorl)i Kaltb
(Hg. :ì1!I)
Sorbo
bruno scura; gialloros-
sastra al di sotto
sferica, giallo verdognola
Hyalopterus
pruni Koch
(afide farine
so del i)esco)
Mandorlo, pe-
sco, e susino
verde chiaro con fasce
traversali scure
elittica 0 coperta di polvere
di cera
Lachuns jug-
landicola
Kaltb
Noce
gialla con anelli ed
antenne nere
giallo pallida, appiattita
Myzus cerasi
Ciliegio e
pesco
nero brinia come il capo
rosso bruna con macchie
bianco giallognole
M. pyrarius
Pero
nero bruno il capo e
torace; giallo bruno
l'addome
nero pece e zampe bian-
castre
2. — Fillossera della vile (lìg. ;{21-322) (Phylloxera vaslalrix Planch).
Si manifesta con un deperimento delle viti che si dillonde come una
macchia d'olio. Nodosità alle l'adici e galle talvolta sulle foglie.
Mezzi di difesa: a) Distruttivi: iniezioni nel terreno di solfuro di
carbonio.
- 4i:{ -
Fig. 321. — Phyllo.veni vdstutri.r (molto iiifjrandila .
a-b. Larve e madri altere gallicele e radicicole. - e. Ninfa di lìllossera alata.
d, Fillossera alala o madre parlenogenica. - f. Femmina. - ni, Maschio. - o, Uovo.
Fig. 322. — Radice di vite colpita dalla fillossera
liK 321.
(,ailosii:i e i)rotuberan/e
rognose sopra un ramo
di melo, dovute alla
Scliizonetira lanigera.
— 444 —
b) (durativi : solfuro di carbonio, solfocarbonato potassico e la
soiniuerslone.
e) Si ricostituiscono i vigneti con viti americane resistenti oppure
colla coltivazione nelle sabbie.
3. — Schizoneura o pidocchio lanigero del melo (Scliizoneura o
Myzoxylus lanigera Hausmann). É un afide molto dannoso e diflicile a
distruggei'si che intacca specialmente il melo (fìg. 323), quantunque io
r abbia trovalo anche sul pero e castagno.
La forma attera è ovale, depressa, lunga mm. 2-5, col dorso gibboso, di color rosso
bruno brillante volgente al nero e col corpo cosparso di materia cotonosa, di cui si
serve per ripararsi d'inverno.
La forma alata è di color f osco-bruno con corsaletto più pallido, addome carenato
con 4 ali.
Dallovo d'inverno nasce in autimno la larva, che iberna nelle screpolature. In
primavera si ha la forma attera che si moltiplica per 8-12 generazioni per partenoge-
nesi. La forma attera per diventare madre subisce 4 mute. La forma alata appare in
autunno, si riproduce pure per partenogenesi e depone da ,3 3 6 uova, da cui nascono
maschi e le femmine, le quali ultime, dopo accoppiate, depongono l'uovo d'inverno.
In vicinanza dei tagli, presso le gemme, alla ascella dei rami, delle foglie ed al
colletto e sulle radici della pianta, si notano delle macchie candide, cotonose, che schiac-
ciate lasciano un umore sanguigno. Se la malattia è avanzata si notano tumori, come
si vede nella fig. 323.
L'effetto si manifesta con la incessante sottrazione di linfa epperciò un grave spos-
samento della pianta nel mentre la irritazione suscita delle innumerevoli punture,
conduce allo sviluppo di nodosità e di tumori al tronco e rami. Un poco alla volta
({uesti tumori generano una specie di cancro che occupa anche tutta la circon-
ferenza dei rami così da impedire la circolazione della linfa e perciò la nutrizione
dei frutti.
Non tutte le varietà di meli vengono egualmente intaccate. 'Vanno più soggette le
varietà dai frutti più dolci come la Rambour d'inverno, la Calvilla rossa d'inverno, la
Renetta di Cassel, ecc . così pure quelle che hanno la scorza dei rami poco consistente.
La mela Gravenstein è delle piti resistenti.
La quantità di generazioni, il riparo della cera, la formazione delle croste sulla
corteccia, tutto questo impedisce che la lotta riesca completamente.
Mezzi di difesa : La migliore epoca per combattere questo insetto è
la fine di marzo ed aprile, prima che comincino le nuove generazioni.
I mezzi di difesa che si possono consigliare sono i seguenti :
a) All'epoca della potatura e non più tardi del mese di marzo,
si poli largamente la pianta, si mondino i tronchi col pennato e coi
raschiatoi; poi si distenda per mezzo di pennello una miscela di olio
pesante di catrame dal 5 al 10 "/o, sapone 3 a 5 Voi acqua 97 a 9"), miscela
fatta stemperando prima il sapone nell'olio di catrame, ed aggiungendo
l'acqua gradatamente e agitando.
Un rimedio molto pratico che provai ultimamente ad Imola è il
carbolineo solubilizzato preparato in Francia e del quale è rappre-
sentante per la vendita la Ditta Bonhglioli di Bologna. Per i trattamenti
invernali si fa una soluzione al 0-4% e per i trattamenti estivi al 1-1 '/^Vo-
Si abbia cura di far penetrare il liquido nei crepacci della scorza,
nelle fenditure del fusto e dei rami, e dovunque vi siano ferite con
cercini di cicatrizzazione o meno.
— Ilo -
b) Si bruciano, (|u:uido cadono sul terreno, i rilaj^li di scorza e rami.
e) Operala (juesta prima cura d'inverno, alla primavera non sarà
dilTicile di veder coni[)arire qualche colonia dell'alide, che l)isof»ner:'i
(lislruff^eie prima che si dill'onda, ed asparj^ere su lutla la chioma della
pianta una soluzione di sapone al li",,, per colpire f»li alìdi che even-
lualmente si l'ossero sparsi su di essa, ojjpure la soluzione sopraindi-
cata di carboliiieo solubilizzato.
cij Per combattere la infezione sulle radici, conviene ricorrere
all'uso dei solfocarbonali alcalini sciolti al U) 7„ nell'acqua, od ad inie-
zioni ili solfuro di carbonio in raj^ione di IS-'iO cm.-' per m.'-
11 Sig. A. Cadoret nel N. 2 del Proj^rés aj^ricole WH'A, raccomanda
la seguente soluzione:
Olio di lino ..... gr. 700
Biacca 1">0
Bianco di zinco 100
Si la bollire |)er 10 minuti e poi vi si aggiungono, dopo rallVeddata
la massa. 100 gr. di essenza di trementina.
La miscela si applica con un pennello su tutte le parli iiilelU'. In
solo trattamento generalmente basta. Per maggiore sicurezza si jìossnno
l'are due pennellazioni, in autunno ed alla line di giugno.
XIII.
Cocciniglie.
1. — Le cocciniglie formano un gruppo ricco di ollic 1000 sjìecie
con i segueiìti caratteri comuni.
Maschio con due ali, lunghe antenne e lunghe zampe, senza ro.stro.
Femmine senza ali e spesso senza antenne e senza zampe, ma con
un rostro breve. Dopo poco tempo si fissano sulla pianta succhiandone
gli umori. In questo stato, per difendersi dai nemici esterni, o la pelle
del dorso si indurisce, diventando coriacea (Lecunium Kermes), o si
copre di cera in forma di polvere bianca (Duclylopius) o si copre di fila-
menti cotonosi o di squame larghe di cera (Ceroplasles).
La maggior parte depongono ova, da cui nascono le larve prive
di ali, eliltiche, munite di zampe e di antenne con ó o 0 articoli. Molte
volte le larve stanno riparate per qualche tempo sotto il ventre della
madre poi diventano mobilissime e sono esse che dillondono il male.
Le cocciniglie hanno molti insetti predatori che le divorano oppure vivono sopra
di esse parassitarie. Gli insetti predatori sono specialmente i Cocinellidi, i Dilter. e.l
luche piccolissime vespe che comport;
mdosi come la Prospaltelhi herlesei. consigliat
dal Prof. Herlese per distruggere la Diaspis pentagona. divorano internamente le coc-
ciniglie, lasciando di esse soltanto le spoglie.
— 446 —
I mezzi {generali di difesa contro le cocciniglie consistono:
(i^nel favorire ia propagazione dei nemici naturali delle cocciniglie;
b) nel curare le piante dalle fumaggini, le quali di solito accom-
pagnano ogni invasione di cocciniglie;
e) nel tagliare i rami molto colpiti, nel curare le ferite, nel dira-
dare i rami troppo lìtti e nel calcinare quelli che rimangono. Tutti i
brandelli di corteccia e tutti i rami tagliati devonsi bruciare sul sito;
(/) nella spazzolatura dei rami meno colpiti con spazzole d'acciaio,
per levare lo scudetto che ditìende le femmine ibernanti e farle cadere
a terra. La spazzolatura si deve cominciare dai rami più alti;
e) nel fare irrorazioni nell'inverno e durante la vegetazione con
la miscela zolfo calcica nelle proporzioni indicate a pag. 3%.
Fig. 325.
Diaspis pcntagoiKi
I femmina 1.
(Irandezza naturale.
/>, Ingrandito.
Fig. 324. - Ramo di gelso
colpito dalla Diaspis pentugotui.
a, Scudetti delle femmine. - <(', .Scudetto ingr.
/>, Follicoli dei maschi. - b'. Follicolo ingr.'
Fig. ;?26.
Diaspis pentagona (maschio)
a, In grandezza naturale.
b. Ingrandito.
2. — Cocciniglia del gelso. (Diaspis pentagona (fig. 324-326) La fem-
mina è gialla, pentagona, riparata da un scudetto di colore bianco bigio
ed i maschi sono riparati nell'interno di follicoli che formano dei
fiocchetti candidissimi. Si hanno 2-3 generazioni.
I rami di due e più anni si presentano coperti da una crosta costituita dall'inva-
sione di innumerevoli dischetti di color cenerognolo dalla lungh. di 1-5 mm.
Per combatterla, oltre ai mezzi sopra indicati si ricorra alla disseminazione della
Prospaltella berlesei, una piccolissima vespa che ha 5 generazioni, la cui larva succhia e
vuota la diaspis.
— -147 —
Durante l'inverno si possono applicare due delle seguenti emulsioni, dopo la
spazzolatura:
a) Sciogliere in 1(1 litri d' acqua un ettogrammo di Soda Sohvay, aggiungervi
2 ettogrammi di olio di pesce e per ultimo 9 ettogrammi di petrolio grigio o nero.
b) Sciogliere in 10 litri d"ac((ua 1 ' ,. ettogrammi di Soda Solway. aggiungendovi
!t ettogrammi di olio pesante di catrame ; agitare Ijene ed adoperare la miscela in giornata.
Fig. .327. Fig. :{28. Fig.."?20. — Femmina di A/y/j/asp;.'!
.Scudetto di Miililasiiis Larva di Mijtilaspis fiiltxi fiilixi adulta, veduta dal ventre
l'iihxi molto ingrandito. molto ingrandita. ed ingrandita IO volle.
:ì:{0. — Maschio di Mijtilaspis fulòa
ingrandito 40 volte.
Fig. 331. — Ramo di melo intac-
cato dalla Mijtilaspis poiiìoriim.
3. — Pidocchio il oiryold (Mytilaspis fulva o Lepidosaphes citricolaj.
Lo scudo della femniiiia ha forma di viigola (fìg. 327) ("lunghezza
2 3 mm.) di color rosso-bruno lucente: la larva (lìg. 328) è di color
giallo-aranciato scuro. Tutto lo scudo è circondato da uno stretto orlo
4-1 .S
ceroso; la femmina (Mg. 229) è di color bianco; il maschio è rappre-
sentato nella lìg. 830. Il MijtiUispis e V Aspidiotiis arrecano i maggiori
danni agli agrumi.
Per combatterlo, 2 o 3 irrorazioni ogni 10 giorni, colla miscela
zolfo calcica (formola estiva), all'epoca della nascita delle larve della
prima generazione. I rametti defogliati si tagliano ed abbrucciano.
Sul melo abbiamo la Lepidosaphes
ulmi L. denominata anche Mytilaspis
pomorum, (fig. 331) che intacca il pero,
nespolo, susino, ribes ed olivo.
Fig. y^2 - Scudetti AéiX Aspidiotm
limona (femmina) sopra un fram-
mento di foglia di limone.
Ingrandimento di 18 diametri.
Fig. 333.
Femmina di Aspidiotns limonii
vista di sotto ed ingrandita
23 diametri circa.
4. — Bianca degli agrumi. (Aspidiotus limonii). Lo scudetto è cir-
colare, giallastro, circondato da largo anello ceroso, bianco (fig. 332).
Femmina gialla, discoide, convessa, senza zampe ed antenne (lìg. 333).
Maschio alato, lungo 0.7 mm. con un lungo stiletto all'estremitàTaddo-
minale. Larva elittica, ristretta alquanto alle due estremità, con antenne
lunghe e pelose; apice dell'addone munito di piccole appendici coniche.
Color giallo- verdiccio. Lungh. 0.3 mm.
Alla fine di marzo si ha la prima uscita di larve e poi la schiusa
dura tutto l'anno.
I frutti si fanno bruni, si raggrinzano nei punti lesi e cessano di
crescere.
Si raccomanda la cura invernale ed estiva colla miscela zolfo-
calcica.
5. — Laspidiolus perniciosus, la cocciniglia S. José tanto dannosa
nel Canada e Slati Uniti a tutte le piante da frutto, per fortuna non è
stata ancora riscontrata in Europa.
e. — Cocciniglia del fico. (Geroplastes rusci L.) si distingue come
tutti i Lecaniti, perchè le femmine non si coprono di scudi protettori,
ma o segregano lacca o cera, oppure la loro pelle semplicemente si
indurisce al dorso e per lo più diventa bruna.
Appartengono ai Lecaniti le seguenti specie:
a) Pidvinaria della vite (Pulvinaria vitis L.) lig. 334.
h| Filippia dell'olivo o cocciniglia cotonosa dell'olivo (Philippia oleae Costa).
cj Cocciniglia dell'olivo (l.ecanium oleae Fabr) fig. 33').
— 449 —
d) Cocciniglia cerifera del chinotto (Ceroplastes sinensis).
e) Cocciniglia del pesco (Lecanium Persicae) che intacca anche il gelso, il susino
e la vite.
f) Cocciniglia delle esperidi (Lecanium hesperiduni Biirmeisteri lig. 337-3.59).
.Si combatte con i mezzi generali già indicati.
Fig. 335.
Scudetti del Lecanium
oìettf. ingrandito 3 volte.
Fig. 336. — Femmina di l'ar-
latoria xizii>hy. vista dal ven-
ire ed ingrandita 10 volte.
Fig. 331,
Tralcio di vite colpito
diilla Pnhniutriu nitis.
Fig. 337. — Lecanium hespe-
ridnin, visto dal dorso ed
ingrandito circa 6 volte.
Fig. 338. — Lecaninm hespe-
ridnni, visto dal ventre
ed ingrandito 6 volte.
Fig. 339. — Larva di Lecanium
hesperidum, vista dal ventre
e molto ingrandita.
7. — Pidocchio nero degli agrumi. (Parlatoria zizyphi Lucas) flg. 336.
La femmina si copre di uno scudo bruno o cfuasi nero, lucente, di
l'orma rettangolare, con carene longitudinali rilevate, circondate da una
sostanza cerosa bianca.
XIV.
Papilionidi.
(Farfalle diurne i cui bruchi rodono le foglie).
1. — Sono farfalle con antenne relativamente corte, terminanti a
clava, con le (5 zampe abbastanza sviluppate, tanto da essere atte a
camminare, in ambo i sessi. Ali grandi coli' arco interno delle poste-
riori alquanto concavo.
I bruchi presentano due tentacoli carnosi, retrattili, iiosti sul ])rimo
segmento.
29 — Tam.^uo - Fnitlicolliira.
- 450 -
Le crisalidi si sospendono mediante un filo passato attorno al
corpo ed hanno il capo diretto in alto.
2. — Aporia Cralaegi L. (Farfalla del biancospino e del sorbo). I
bruchi rodono le foglie anche del pero, del melo, del ciliegio e del sorbo.
La farfalla (lig. 340j è bianca con nervature brune; in maggio-giugno
Fig. 340. - Aporia Crataegi.
depone le uova; dopo due settimane nascono i bruchi i quali co-
prono le foglie con una ragnatela, se ne nutrono e vi ibernano.
Mezzi di difesa: a) Raccogliere e distruggere i nidi clie si presen-
tano come tele al principio dell'inverno e che sono facili a scorgei'si
sui rami spogliati delle foglie.
Fig. 3 ti. — l'apilio Po lì aliar US.
Fig. 342. — Vanessa pohjchloras.
b) Quando i bruchi sono appena nati ed ancora riuniti, spruz-
zarli con una soluzione al 0.7 "/o di arseniato di piombo.
e) Cacciare direttamente le farfalle la sera, quando stanno in-
torpidite sui (ìori.
— 451 —
3. — I bruchi del Papilio Podaliiiriis L. (fig. 341) e quelli della
Vanessa pohjchlonis L. (fig. 342) rodono pure le foglie del pesco, del
melo, del susino, del mandorlo, del ciliegio e del castagno; si combat-
tono come la precedente.
XV.
Farfalle grosse i cui bruchi (tarli) rodono il legno.
1. — Rodilegno. (Cossus cossus L.) (fig. 343). Questa grossa farfalla
e la seguente hanno bruchi che scavano gallerie larghe e lunghe nei
tronchi degli alberi vivi, che vanno dal basso all'alto. All'ai^ertura delle
gallerie si notano dei detriti di legno espulso.
Il bruco è nudo, lucido, giallastro e misura lino a oltre 10 cm. di
lunghezza.
Fig. 343. — r.osxii/ì cossus.
Le farfalle, durante il giorno, stanno immobili (giugno-luglio) sui
tronchi, a poca altezza dal terreno e depositano le uova nei crepacci
del tronco.
Le larve appena nate penetrano subito nella scorza ma solo nella
primavera dell'anno seguente entrano nel legno e vi fanno gallerie;
dove rimangono per 3 anni.
Bisogna uccidere il bruco nella galleria sia introducendo un filo
di ferro acuto sia iniettando la seguente miscela :
Solfuro di carbonio parti 9
Creosoto 1
Se ne imbevono piccoli batuffoli di cotone che si introducono nella
galleria chiusa poi ermeticamente con un mastice.
I bruchi muoiono asfissiati.
^ 452 -
2. — Zen-era pyrina. L. (Tarlo bianco degli alberi da frutto (ìg. 344).
Questa farfalla predilige gli alberi da frutto; la precedente invece si
trova anche su {|uelli da bosco.
La farfalla è alquanto più piccola, bianca, con molte macchie dis-
Fig. 3M. — Zeiizera piiriun.
seminate, rotondeggianti, di color bleu. Depone le uova in luglio, alla
base delle gemme; il rispettivo bruco passa poi nel tronco.
Produce molti danni specialmente nei vivai ; si combatte coiìie il
precedente.
XVI.
Farfalle grosse i cui bruchi rodono le foglie (Bombici).
1. — I bombici sono per lo più di forma tozza, di grandezza media,
col corpo coperto di peli più o meno fìtti e lunghi; le antenne sono
piuttosto sottili ed allungale nelle femmine, pettinate invece nei maschi.
Le loro ali sono generalmente bene sviluppate. Sono quasi tutti pretta-
mente notturni ed i loro bruchi fìlano bozzoli.
2. — Lijmaniria (F^iparis o Ocneria) dispar L. Bombice dispari : è
uno dei più temibili per la sua grande prolificità e per la sua poli-
fagia divorando il fogliame di un gran numero di piante da frutto.
I.a femmina (flg. H45) è bianca con una screziatura bruna a zig-zag: il maschio
è più piccolo, giallo terreo, marmorizzato in bruno (fig. 346'.
In estate le femmine stanno sui tronchi o sui grossi rami o sotto le pietre, immo-
bili, e depositano le uova sulla scorza dei tronchi in mucchietti ovali del diametro di
t-.5 cm. che copre con la peluria gialla dell'addome. Si vedono bene sulle corteccie
degli alberi dal luglio in avanti.
Nella primavera successiva nascono i bruchi, i quali, dapprima uniti e poi separati
rodono le toglie e passano da un ramo all'altro fino a che il bruco, alla fine di giugno,
raggiungendo la lunghezza di 10 cm , si incrisalida. Dopo 15 giorni nasce la farfalla.
Per combattere questo nemico occorre dare la caccia alle uova, sia
raschiando le placche di uova raccogliendole in un sacco e poi bru-
ciandole, o meglio ancora incatramando i mucchi di uova con un
- 453 -
pennello adoperando 15-20 % di olio di catrame emulsionato. In tal
modo le uova vengono asfissiate.
3. — Euproctis clìrijsorrhoea. (Liparis o Porthesia chrysorrhoea)
(fìg. 347). E' chiamato bruco peloso degli alberi da frutto. La farfalla è
Fig. 345.
ì.ijiiianlrìa \Ocnerìa) dispar (femmina).
Fig. 34(j.
Limantria (Ocneria) disiìar ( maschio i
bianca, soltanto l' estremità posteriore è color
come la seta. Le larve sono pelose e metà più
precedente.
giallo d' oro, lucido
piccole della specie
In luglio, le farfalle depongono le uova sulle foglie a striscie larghe un centimetro
e lunghe parecchi centimetri, tortuose, rivestite di peluria dell'addome
Dopo 15 giorni nascono i bruchi,
che si raccolgono subito a centinaia,
rodendo il parenchima delle foglie e
avvolgendole con molti tili serici, fra i
quali ibernano. Neil' anno successivo, i
bruchi si separano divorando ancora le
foglie, fino al jteriodo dell' incrisalida-
mento (giugno l
Fig. 347.
Hiiproctis chrysorrhoea (l'orthesiaj.
Fig. 348.
Orgijd antiqua (femmina, maschio e bruco)
Per difendersi durante l'inverno, bisogna raccogliere e bruciare i
nidi che sembrano macchietti di foglie dissecate.
4. — Orc/yia antiqua L. (fìg. 348). Il maschio ha le ali bene sviluppate
mentre le femmine hanno due monconi.
Le ali anteriori del maschio sono brune con alcune fascie trasver-
sali nerastre più o meno spinate ; le posteriori sono bruno-nerastre.
— 454 —
I bruchi sono pelosi, grigi, con lince e disegni giallognoli e con
ciuffi di peli sul dorso, posti sopra verrucosità.
Hanno due generazioni, in maggio e sulla (ine di agosto, e si cibano
di foglie. Le ])iante danneggiate sono l'albicocco, il cotogno, il melo,
il lampone.
Mezzi di' difesa : a) Raccogliere e distruggere ,i bruchi scuotendo
i rami.
b) Distruggere durante l'inverno le ova]che si trovano sui bozzoli
attaccati^ai tronchi o sulle Toglie disseccate.
5. — Melacosoma (Gaslropaclia o Bomhyx neiistria L.) (lig. 34y-350j.
Farfalla di colore uniforme giallo-ocraceo con due linee trasverse oblique
sulle ali anteriori. Lunghezza 13.5-18 mm.
Fig. 349. — Bombijx netistria.
Fig. 350. - Bruco della Bombix neiistria.
Bruco di color turchino-grigiastro con una linea longitudinale
bianca e 6 strie, 3 per lato, interrotte, di color giallo-rosso.
La femmina depone' le uova ad anello sui rami; in primavera nascono i bruchi
che fino alla 3* muta vivono insieme entro "una tela formata di fili ove si rifugiano du-
rante la notte.
Ai primi di giugno incrisalidano e tessono un bozzolo fra le foglie od i crepacci
della corteccia. In luglio si ha la farfalla.
I bruchi vivono delle foglie di quasi tutti gli alberi da frutto.
Si combatte tagliando i rami cogli anelli delle uova e bruciandoli.
In giugno si raccolgano i bozzoli e si distruggano i bruchi, in pri-
mavera, alla notte, quando sono raccolti fra i fili serici.
6. — Lasiocampa qiiercifolia L. (fig. 351) Farfalla foglia morta o foglia
di quercia, chiamata così per il suo colore.
Ha 4 ali dentate, bruno-rossiccie con qualche riflesso violaceo
air apice, ornate di tre linee trasversali nerastre, ondulate. Corpo
bruno-rossiccio. Durante'il riposo tiene le ali anteriori piegate a tetto-
Bruco grigio-bruno, con due colaretti siti tra il primo e il secondo
e fra il secondo e il terzo anello.
I bruchi danneggiano dall'aprile al giugno e in settembre, le foglie
del pero, del melo, dell'albicocco, del pesco, del ciliegio e del susino.
Mezzi di difesa: Raccolta dei bruchi in un lenzuolo scotendo la
pianta al mattino.
7. — Dasgchira piidibunda L. (lig. 352). La farfalla ha un' apertura
d'ali di 45-50 mm. Le ali anteriori sono grigie con tre strisele trasversali
scure; ali posteriori bianche con una fascia nebulosa brunastra.
455
Bruco giallo-zolfo, con molli ciuffi di peli, dei quali uno rosso,
all'apice dell'addonie. Lungh. 40 nini.
Le ova vengono deposte in maggio, sui rami. I bruchi rodono le
foglie meno le nervature ed in estate si incrisalidano nascondendosi
fra le foglie od all'ascella dei rami,
ù.^j^ìZ^r^ \ u formando un bozzolo serico, bianco-
v^ !-• - ^ \ A&S ^ Danneggia i rovi, i meli, i nocciuoli,
le noci, i castagni.
351. — Lnsiociiinpa guercifolia
Fig. 352. — Dusijchiru ìutdibiinda.
Mezzi di difesa: a) La caccia al bruco è l'unico mezzo pratico
eflìcace, e si fa al solito scotendo di prima mattina le piatite per farlo
cadere sopra una tela.
b) Tenere sgombro il terreno sottostante, levando le foglie e le
vecchie corteccie, che vanno abbruciate.
XVII.
Geometre o Misurine.
1. — Corpo medio, piuttosto esile, ali relativamente molto ampie;
la femmina non raramente manca di ali oppure le ha monche.
I bruchi portano 3 paia di zampe vere e solo poche (pei
due ventrali posteriori e due anali spingitrici) zampe false
per camminar.e devono spingere il
corpo in avanti, poi, fermatisi sulle
zampe toraciche, inarcare il corpo
e portare la parte posteriore di esso
in modo che l'ultimo paio di zampe
tocchi o quasi l'unico jiaio di zampe
ventrali. Questi bruchi, se toccali, si
drizzano appoggiandosi suH' ultimo
paio di zampe cosi da sembrare ra-
moscelli.
2. — Abraxas yrosstilaricda L. (fig. 353). La
giallo-biuuo e con una macchia nera nel mezzo
lo più
perciò
Fig. 353. — Abraxas grossulariala.
farfalla con corsaletto
capo nero con antenne
brune; addome giallo- fulvo con macchie nere sul dorso e sui lati; ali
— 456 —
anteriori a fondo bianco; ali posteriori con una serie di macchie nere
lungo il margine e grossi punti sparsi. Lunghezza 17 mm.
Bruco bianco cereo, con una macchia nera sopra ogni segmento.
Lunghezza. 28 mm.
Verso sera, in luglio ed agosto, la farfalla depone delle ova gialle sulle foglie. I
bruchi all'inverno si ritirano al piede delle piante, si avvolgono nelle foglie cadute per
risalire nella primavera successiva a rinnovare i guasti. In giugno si hanno le crisalidi
attaccate con fili ai rami. I bruchi rodono le foglie, i germogli, i fiori dell'albicocco,
susino, ribes, uva spina, mandorlo.
Mezzi di difesa: a) Raccogliere e distruggere le foglie cadute in
autunno.
b) Vangare d'inverno il terreno.
e) Distruggere sulle foglie le ova depositate che si conoscono
facilmente pel colore giallo.
dj Uccidere i bruchi al mattino, quando le piante sono ancora
bagnate di rugiada, polverizzandole con polvere di tabacco oppure
lìori di zolfo, cenere, calce viva, fuliggine fresca.
e) Irrorare le foglie dopo la raccolta dei frutti colla seguente
miscela:
, Arseniato di piombo .... gr. 800-1000
Fior di farina o melassa . . „ 1000
Acqua litri 100
Si impasta la farina in poc'acqua e vi si aggunge l'arseniato di piombo rimesco-
landolo bene; poi si versa il tutto nel recipiente contenente il resto dell'acqua. La
miscela si deve mescolare ogni volta che la si mette nella pompa.
Se l'arseniato di piombo è in pasta, come è da preferirsi, allora lo si scioglie in poca
acqua e poi si versa la soluzione nel resto dei 100 litri di acqua, senza bisogno di me-
lassa o di farina (Silvestri).
3. — Cheimatobia briimula L. (Ilg. 8.54). 1! maschio ha le ali anteriori
rosso-grigie con linee ondulate scure sfumate e le posteriori di colore
più chiaro. La femmina ha mozziconi di ali.
Il bruco da grigio diventa giallo-verdognolo.
Le femmine appaiono in novembre-dicembre e, salendo dal terreno
sul tronco, depongono le ova sulle gemme. La larva appare ai primi
di maggio e divora le foglie legandole assieme a due a tre formando dei
gomitoli. Divora anche i fiori e le gemme di quasi tutte le piante da
frutto ma in special tnodo il melo, il pero ed il ciliegio.
Mezzi di difesa: a) Prima dello sfarfallamento, dalla metà di ottobre
a metà dicembre, si fa intorno all' albero, all' altezza del terreno di
m. 1.50, un anello di sostanza vischiosa largo 10-15 cm. oppure si lega
strettamente intoi'no al tronco una striscia di carta i)erganienata,
resistente alle pioggie, che si spalma con la sostanza vischiosa.
Per sostanza vischiosa si può adoperare il goudron oppure una miscela in parti
eguali di goudron ed olio di pesce, oppure una delle seguenti miscele.
Si scaldano assieme 500 gr. d'olio di colza e altrettanto di strutto di porco, fino alla
fduzione di V3. Poi si aggiunge un eguale peso di trementina e di colofonia e si
mescola semj)re fino a fusione completa. La massa deve ridursi come quella di un
sciroppo concentrato. Se è troppo liquida, si prolunga la cottura, se è troppo densa si
allunga con un po' di olio. Ben preparato questo vischio dura per tre mesi.
Il vischio cosidetto di Oberlin si prepara, pesando in parti eguali olio e colofonia
I pece ragia). Si fonde la seconda in un vaso di terra, si aggiunge l'olio e si mescola
tino a che la massa sia completamente rappresa.
lutine si può preparare un buon vischio, riscaldando con precauzione, in un reci-
piente di ferro, 700 grammi di catrame (goudron) di legno e .")00 grammi di pece ragia,
agitando continuamente. Quando la fusione è completa, si aggiungono ,500 gr. di sapone
nero molle e poi ;iOO gr. di olio di pesce. Si leva
dal fuoco e si continua a mescolare fino a che
la massa sia raffreddata.
Fig. K4. — C.heimatobia briinnitii.
a, maschio : b, femmina : e, bruco.
Fig. 355. — Hiberiiiii defoliaria.
a. maschio : />, femmina : e, bruco.
E' prudente, ogni 10 giorni, rinnovare l'unguento e levare ogni
giorno le farfalle che si sono attaccate.
b) Distruggere le uova sui rami specialnienle in vicinanza alle
gemiue od alla base dei germogli. Si può applicare la seguente miscela:
Calce viva . .
Sale comune
Silicato di soda
Acqua . . . .
Kg. 6.795 a Kg. 9.0(50
0.906 „ 1.;ì')9
0.227 „ 0.453
litri 36.344
Si spegne la calce in poca acqua, circa la metà (hS litri); nell'altra
si scioglie il sale e il silicato, (juindi si uniscono i due liquidi.
Con questo miscuglio si pennellano i gruppetti di 20 a 40 uova,
facilmente riconoscibili per il color rosso -arancio. Dopo poco tempo
le uova scompariscono.
Con questo miscuglio si distruggono anche le uova delle Psylle.
e) Irrorare le foglie con l'insetticida indicato per i bruchi del-
l'Abraxas.
4. — Hibernia defoliaria (llg. 355). 1 bruchi di questa farfalla come
quelli della precedente distruggono le foglie, i fiori e le gemme di
quasi tutte le piante da frutto.
La farfalla ha le ali anteriori di forma triangolare di color bruno giallo-chiaro,
con due grandi fascie brune e nerastre, che dividono la superficie dell'ala in tre campi,
— 458 —
di cui il basilare è quasi del tulio bruno, il mediano ò carallerizzato da un grosso punto
nerastro. Orlo bianchiccio con macchie nere. Ali inferiori giallo pallide con piccoli
punti neri o bruni. Apertura alare 40 mm. ; lungh. 11-12 nini. Le femmine sono attere.
Bruco <li color rosso bruno più o meno scuro.
Appare in ottobre e la femmina depone le ova sui rami in vicinanza delle gemme.
1 bruchi nascono in aprile e si nascondono fra le gemme sboccianti, avviluppandole
con fili serici. Nel terreno incrisalidano in luglio.
Si combatte come la precedente.
XVIII.
Tortrici.
1. — Le lortrici hanno antenne lìlil'orini nei due sessi. Palpi labiali
soltanto visibili. Succhiatoio corto e non sviluppato. Addome conico-
cilindrico, terminato da un ciulfo di peli nei maschi. Zampe corte, le 4
posteriori armate di 4 spine corte. Ali inclinate a tetto, le anteriori più
grandi delle posteriori. Bruchi con 16 zampe, sparse di tubercoletti
piliferi poco distinti.
Le tortrici hanno, per le dimensioni, molti rapporti cogli altri
Microlepidotteri, ma la loro struttura le ravvicina specialmente ai
Noctui. Nello stato di larva, molte involgono con seta le foglie o i fiori
delle piante; altre vivono insinuandosi nei tessuti molli, in particolare
in quelle dei frutti. Ordinariamente solitaiie, queste larve incrisalidano
nel viluppo formato da ciascheduna, nei cunicoli o si gettano in terra.
La maggior parte ha una sola generazione nell'anno, e sverna come
larva o crisalide.
Le farfalle vivono di giorno al coperto, nascoste e quiete, ma sono
facili a muoversi e prendere il volo. La maggiore attività loro è la
sera o la notte.
2. — Coclujlis (Cochylis ambiguella). Tignola o verme
dell'uva (fig. 356). Ali di color giallognolo; quelle anteriori
sono attraversale da una larga fascia bruna e circondate
Q f. ,■ danna trangia più lunga nelle posteriori.
ambiguella. Bruchi dapprima grigi, poi rosso-carne od anche
verdognoli.
Alla metà di maggio quando i germogli sono lunghi 10 cm., nascono le farfalle
dalle crisalidi che ibernano sul ceppo o sui pali della vite e depongono in maggio da
30-40 uova sui grappolini - dopo 10 giorni nascono i bruchi che formano un groviglio
di grappolini con fili serici, divorandoli. La seconda generazione si ha nella i)rima de-
cade di agosto: i bruchi danneggiano gli acini internandosi in questi e facendoli poi
avvizzire. Una terza generazione si ha sugli acini in corso di maturazione. Le crisalidi
della seconda generazione si trovano sui margini delle foglie e nei racimoli; quelle
della terza negli acini disseccati.
Mezzi di difesa: a) Vendemmia anticipala e raccolta accurata dal-
l'agosto in avanti degli acini guasti o caduti in terra. Distruzione di
questi fuori della vigna.
450 —
h) Nei locali dove si conserva l'uva, anticipare in l'ebbraio lo
slarrallaniento delle crisalidi che si trovano sulle pareli, mediante il
calore e chiudere le finestre con tele per impedirne l'uscita.
e) Allontanare durante l'inverno tutti i residui della potatura,
dopo aver scortecciato accuratamente i tronchi delle viti, spuntate le
canne e passati sulla lìamma i pali tutori. Si noti che la parte inleriore
del fusto è più coperta di solito di crisalidi. Se ci sono screpolature
tanto sul ceppo quanto sui pali, bisogna ripassarle col coltello e dis-
infettarle. A tale scopo si versa dell'acqua bollente sui ceppi come per
la i)irale.
d) Caccia alle farfalline della prima età per lutto il mese di
maggio, finché se ne trovano.
e) Raccogliere in agosto gli acini guasti e poi bruciarli.
3. — Polychrosis (Endemis) bolrana Schilf. Tortrice del grappolo
d'uva. Presenta costumi analoghi alla Gochjiis, ed a questa si sosti-
tuisce nelle regioni meridionali Ha con questa anche una certa rasso-
miglianza, soltanto le ali anteriori hanno un colore fondamentale
giallo-terreo, con macchie scure e nella parte submediana una macchia
trasversale rossastra. Le ali posteriori sono grigie.
Si comballe come la Cochylis.
4. — Sparcjanolhis pilleriaiia
Schilf. (Oenophlira pilleriana, Oe-
nectra pilleriana). Pirale della vile
(Mg. 357).
■■y:.r^
inseUo perfetlo ; b] insetto e larva.
.\li anteriori di color giallo-cannella-chiaro, con rillessi dorati e verdi con tre
strisele strette, rugginose: le posteriori sono grigie, iridescenti. Apertura alare 22-30 mm.
e lunghezza del corpo 1,5-16 mm.
Bruco verde sporco con (re strisele longitudinali scure o giallastre e con i bitor-
zoletti bianchicci in due serie longitudinali, ciascuno dei quali porta un pelo setoloso.
Testa grossa e nera.
Appare alla fine di maggio e solo al tramonto. La femmina depone circa 60 uova
sulla pagina superiore delle foglie della vite. Uopo 10 giorni nascono i bruchi che rosic-
chiano leggermente le foglie e poi si lasciano cadere giù per un filo e vanno sul tronco
<love, tessendo un bozzoletto <lelicato. serico, si incrisalidano. Nella primavera succes-
siva risalgono il fusto rodono le gemme e le estremità dei germogli aggrovigliando le
foglie e cibandosi di esse fino alla (ine di giugno epoca in cui si incrisalidano. Il danno
non è sollanlo direUo ma anche indiretto, perchè impediscono lo svilup]io delle foglie e
dei grappoli a causa dell'aggrovigliamento.
— 460 -
Mezzi di difesa: Per il fatto, che a difFei-euza delle due precedenti
l'nrfalle, questo insetto passa l'inverno sui tronchi allo stato di larva
adulta lievemente protetta da un involucro sericeo, cosi uno dei mezzi
più raccomandali è quello di dare la caccia ai bruchi ibernanti sui
ceppi e sui sostegni, ira il mese di gennaio o quello di marzo.
Dopo aver fatto una accurata pulizia del tronco e dei pali con
spazzole d'acciaio che possano penetrare anche nelle fessure si può
fare una aspersione di insetticidi specialmente dell'emulsione fatta colla
forinola Targioni, cosi da lui enunciata:
" Prendi da un lato : solfuro di carbonio (o petrolio) parti 10 in
peso e olio di pesce parte 1, e dall'altro potassa del commercio parti
2 e acqua parti 10. Mescola le due soluzioni agitandole in un vaso di
legno o altro e aggiungi 50 parti d'acqua.
" Adopera l'emulsione che, per operare sui rami più giovani e sulle
foglie, potrà essere maggiormente diluita con acqua. „
Un'altra eccellente pratica ])er sbarazzarsi della pirale è quella
(line luglio o principio agosto) di ricercare le placche di uova sulla
pagina superiore delle foglie, e distruggerle.
In Francia ove l'invasione della pirale assume talvolta i caratteri
d'un vero flagello, è molto usata la caldaia a pirale e cioè una caldaia
portatile in cui si porta 1' acqua all' ebullizione, e che è munita d' una
catìettiera per spandere quest' acqua sui tronchi durante l' inverno,
disinfettando anche i tutori e sostegni della vite.
5. — Vermi dei frulli. Sotto questo nome si intendono quei bruchi
che si trovano nell'interno dei frutti del pero, del melo, del noce, del
susino, del lampone, del pesco e del castagno.
Anche ciuesti sono bruchi di piccole farfalle, appartenenti alla
medesima famiglia delle precedenti, che svernano allo stato adulto
entro bozzoli situati tra le screpolature o sotto la scorza degli alberi.
Fig. 3.j8. — Carpocajìsa jiomonelìa. Fig. 'AVd. — Carpocapsa pruniamt.
Alla line di aprile o ai primi di maggio si hanno le farfalle che depon-
gono le uova nei giovani frutti. Le larvette penetrano per il calice e
scavano una galleria divorando la polpa. In giugno ed in luglio si
hanno di nuovo gli adulti.
Si hanno ordinariamente due generazioni.
I danni possono essere gravi poiché le frutta bacate cadono a terra.
II verme delle mele e pere è il bruco della Carpocapsa poiiwnella L.
(lig. 308); quello delle susine della C priiniana Hb. (fig. 359;; quello
del lampone della C. /oòo/ana ; quello delle castagne della C. splendami
Hb. ; quello del noce della C. amplana.
— 461 -
Mezzi di difesa: 1. Raccolta e distruzione giornaliera dei frutti
bacati e caduti.
2. Irrorazioni arsenicali.
I fiori e i frutti devono essere coperti preventivamente con una
soluzione di solfato di rame 1 Vo- di calce 1 % e di arseniato di piombo
1 7o. Si prepara prima la poltiglia bordolese e poi vi si aggiunge per
ogni hi. 1 kg. di arseniato bene sciolto preventivamente nell'acqua.
Si spruzzerà (piesta miscela su tutta la pianta, specialmente sui fiori,
con una irroratrice che polverizzi bene il liquido, avendo l'avvertenza
di ripararsi il viso con un velo sottile, perchè illiquido è molto velenoso.
Le irrorazioni si faranno abbondaiìti in tre riprese:
a) quando i fiori sono ancora chiusi in bottoni ;
b) alla fine della fioritura ;
(•; una quindicina di giorni dopo il primo trattamento.
3. Disporre dei stracci per rifugio ai bruchi, alla biforcazione
dei rami, in autunno.
4. Raschiatura dei fusti e dei rami per uccidere il massimo nu-
mero di larve il)ernanti e dare poltiglia bordolese densa al 4%, du-
rante l'inverno.
XIX.
Tignole.
1. — Le tignole hanno le antenne semplici in ambo i sessi; suc-
chiatoio mancante o rudimentale. Addome corto, cilindrico. Zampe
lunghe e speronale. Ali nel riposo coprenti il corpo a guisa di tetto
arrotondato, le superiori lunghe e strette, le iiìferiori ancora più strette,
frangiate e coperte dalle superiori. Bruchi lisci con 1(5 zampe.
Le larve vìvono raramente libere, o spesso sono minatrici delle
foglie, scavaiìdo gallerie fra le due pagine di esse, o le avvolgono in
forma di tubo aperto a una estremità, o formano con bave di seta,
con frammenti e tritumi una specie di fodero, o avviluppano fiori e
foglie formando groviglioli. entro i quali si nascondono solitarie oppure
in colonie numerose, prima vivendo in comune, poi ciascuna da sé,
in un bozzoletto più fitto, per trasformarsi.
Altrimenti, la trasformazione si compie da ciascuna separatamente,
nel luogo stesso dove la larva ha vissuto o si è stabilita all' ultimo,
dentro il fodero suo o in luogo riposto.
2. — HijponomeiUa inalinella L. Tignola del melo (fig. 360). In
aprile appaiono i bruchi che hanno svernato e si costruiscono un nido
serico col quale avvolgono le gemme e le foglie novelle del melo. Con-
sumate queste, passano ad altra parte del ramo cosi da sfogliare comple-
tamente una pianta. Si incrisalida in giugno ed in luglio si hanno le
farfalle che depongono le ova alla base o dei rami o delle gemme o
dei piccioli delle foglie.
— 462 —
Mezzi di difesa : a) Abbruciare i nidi con una fiamma.
b) Schiacciare i bruchi quando sono piccoli, avvertendo che si
lasciano cadere facilmente appesi ad un lilo serico.
e) Irrorare tutta la pianta nella prima settimana di maggio colla
poltiglia arsenicale preparata sciogliendo 1 Kg. di arseniato di piombo
in 10() litri di poltiglia bordolese all' 1 7o
Quest'ultima viene usata per lissare larseniato di piombo e per otte-
nere una maggiore aderenza sulle foglie.
Bisogna usare i composti arsenicali con precauzione, trattandosi
di sostanze molto velenose. Bisogna lavare le pompe accuratamente
e le mani, appena l'operaio ha iìnito di operare. Sarà bene anche che
r operaio sia munito di una
sottile maschera di velo.
Fig. 360. — Hijponomeiita malinella. Fig. 361. — Hyponomenta cognatella.
3. — Altre tignole simili che danneggiano egualmente le piante da
frutto sono : V Hi/, padelliis L. che intacca il susino ; VHi/. evoni/melliis L.
che intacca il ciliegio-, VHy. cognatella Uh. (fìg. 361) che intacca il
susino ed il ciliegio.
4. — Tignola dell'olivo (Prays oleellus F.). La farfallina ha le ali
anteriori bianco-cineree, lucenti, variegate di nerastro; ali posteriori di
color cinereo-cupo.
Bruco lungo 8-9 mm., di color cenere-gialliccio.
Appare per 3 volte in un anno. I bruchi danneggiano l'olivo, intro-
ducendosi nel parenchima delle foglie e scavando gallerie sia ro-
dendo le gemme fiorali sia penetrando nei frutti per cibarsi del seme
contenutovi facendoli poi cadere. Sugli olivi colpiti si notano le foglie
con macchie rossiccie e semitrasparenti e si ha la caduta in settembre,
delle olive bacate.
Mezzi di difesa: a) Raccolta e distruzione delle foglie danneggiate
in febbraio-marzo.
lì) Raccolta precoce delle olive bacate per molirle subito.
cj Irrorazione dei fiori,, in maggio od ai primi di giugno, colla pol-
tiglia bordolese all' 1 7„ a cui si aggiungono grammi 700 di arseniato
di piombo.
5. — La Tignola degli agrumi. (Prays ci tri Mill.) è una piccola far-
fallina, con apertura d'ali di 10-12 mm. Le ali sono di colore cenerino,
sparso di macchie e punteggiature brune sulle ali anteriori e nel
margine cubitale delle ali posteriori.
Larva lunga 6-8 mm. cilindrica, verdognola-chiara se giovane, poi
diventa bruna o giallognola, con linea stigmatica più chiara ; linea
dorsale bruna.
- 463 —
La femmina depone poche uova fra il calice ed i petali dei limoni ;
il bruco si insinua poi fino all'ovario e guasta tutti gli organi llo-
rali, avvolgendoli con una ragnatela. Pare che abbia 5 generazioni :
aprile, maggio, agosto, ottobre e novembre. Danneggia lutti gli agrumi
ma specialmente il cedro e il limone.
Mezzi dì difesa : Raccogliere e bruciare le infiorescenze intaccate.
Irrorare preventivamente, all'epoca in cui si hanno le generazioni
con la poltiglia raccomandata per la tignola dell'olivo.
6. — Tignola minalrice del sorbo. (Lyonetia clerkella) (fig. 362).
Oltre al sorbo intacca il pero, il melo, il nespolo, il susino, l'albicocco
e il ciliegio.
La farfallina ha le ali anteriori grigio-pallide, percorse longitudi-
nalmente da una stretta fascia bruna. Ali posteriori più scure munite
di larga frangia. Lungh. 3 mm.
Le uova vengono deposte sulle foglie il
bruco scava nel parenchima una galleria ser-
peggiante. Quando è maturo ne esce e forma il
bozzolo sulla foglia stessa o su qualche ramo.
Le foglie intaccate presentano solchi traspa- ,
renti, tortuosi.
Si combatte raccogliendo e bruciando le
foglie. ;:^^f
7. — Tignola del fico. (Simaethis nemorana '^^Mi
Hb.) Questa tignola, che oltre alle foglie intacca y^fM
i frutti del fico, ha le ali ad orlo sinuoso, di v^ '
color bruno-cannella, più chiare alla base e i~.
con due linee trasversali ed il margine di co- ^^'
lor bruno ferruginoso; ali posteriori giallo- ^\^ ^
grigie. Lunghezza 6 nmi. "^ f -^
Bruco verdiccio, lungo 14 mm. con capo t-
giallastro, macchiato ai lati, tubercoletti neri H
muniti di peli sui segmenti. Lungh. 14 mm. l\
In luglio i bruchi rodono le foglie non la- %
sciando che le nervature e intaccano la buccia Fig. 362. — Foglia di ciliegio
j . ~ ... P j ,. . j t^- u j con gallerie prodotte dalla
dei frutti, facendoli poi cadere. Si hanno da L,,onetien clerkella.
una a tre generazioni. Le foglie vengono ac-
cartocciate e legate con fili serici, dentro l'insetto compie le meta-
morfosi.
Mezzi di difesa: a) Levare ed abbruciare le foglie intaccate.
b) Irrorare le foglie, colla poltiglia bordolese al sapone. Spe-
cialmente la prima volta, in luglio, bisogna fare questa irrorazione
con molta cura.
I
— 464 —
XX.
Scarabei.
1. — Maggiolino. (Melolontha melolonta L.) (fig. 363). E' un insetto
molto comune , che esce in aprile-maggio ed in 8 giorni distrugge
le foglie di tutti gli alberi. Appare di solito ogni tre anni, poiché la
femmina depone le uova nel terreno a 9-12 mm. di profondità ; le larve
si cibano di giovani radici nel terreno per compire nel suddetto
tempo il loro ciclo vitale.
Mezzi di difesa: a) Caccia diretta agli insetti perfetti scotendo gli
alberi al mattino e dandoli poi ai maiali.
Fig.
Maggiolino.
Z;^ Caccia alle larve in primavera, facendo seguire l'aratro da
tacchini, polli, ecc.
e) Iniezioni nel terreno di solfuro di carbonio in ragione di gr. 30
per m-, in due dosi, nei mesi di novembre e marzo seguente all'annata
della deposizione.
dj Innestare alle larve il fungo del calcino (Botr(/tis tcnella) perchè
co! contagio si moltiplichi il calcino.
2. — Carruga delle vile. (Anomala vitis Fabr.). Insetto perfetto
di un bel color verde-metallico brillante, rare volte dorato, azzurro
o violaceo; protorace marginato di giallo; addome verde, bronzato
o violaceo. Lungh. 12-17 mm.
Larva con capo giallo-rossiccio ed il rimanente del corpo bianco-
gialliccio, con macchia gialla sui lati de primo segmento. Lungh. 11 mm.
~ 465 —
La larva vive sotterra in luoghi sabbiosi ed umidi per un anno e
mezzo, distruggendo radici, specie quelle della vite. Verso la metà di
maggio esce l'insetto perfetto che danneggia le foglie delle viti, del ci-
liegio e del mandorlo, come fossero devastati dalla grandine, lasciando
intatte le nervature.
Mezzi di difesa: La caccia diretta, eh' è facile durante il giorno,
perchè stanno immobili aderenti alle foglie.
3. — Anche la Carruga degli orli. (Phyllopertha horticola I^.), dan-
neggia in egual modo le piante da frutto.
XXI.
Buprestidi, Bostricidi e Crisomelidi.
1. — Le uova di questi insetti vengono deposte in agosto-settembre
sul colletto delle radici. La giovane larva si interna sotto alla corteccia
e scava una galleria nella quale vive fino che ha bisogno di nutrirsi.
Uitorna poi sul suo cammino depositando le feci e viene all'apertura
Fig. 364.
Invasione dell' Agr il us sinuatiis
in un fusto (li pero
(i) insetto perfetto :
e) larva ;
/■| parie posteriore della larva:
gì parte anteriore della larva :
/)) galleria dapprima stretta |)oi
in « ed a ]3iù larga ;
d) screpolature e prominenze del-
la corteccia in corrispondenza
alle gallerie, sotto alle (|uali
vivono :
Ili un nascondiglio di crisalide
coll'insetto ;
Il il medesimo vuoto :
/>■) un toro sulla corteccia:
presso II ed i si nota un colorito
più scuro del legno dovuto
alla galleria della crisalide.
della galleria al principio di giugno dell'anno successivo, epoca in cui
si trasforma in insetto perfetto.
2. — Sul pero abbiamo di frequente la specie Agrilus siniialus Oliv.
(fig. 364), il cui dorso ed il ventre sono color di rame, colle elitre senza
macchie e senza peluria. La malattia si manifesta con screpolature e
prominenze tortuose della corteccia in corrispondenza alle gallerie.
30 — Tamaro - Frutticoltura.
— 466
3. — Il Capnodis tenebrionis L. intacca il nespolo, il mandorlo e
molte specie fruttifere. Ha il capo ovale, capo e corsaletto rugosi,
accuminati verso l'estremità con strie e punteggiature longitudinali
di color nero piceo- opaco. Lungh. 20 mm.
Larva stretta verso l'estremità posteriore, simile a quella del Corebo,
ma distinta per due solchi mediani contluenti sul primo segmento e
per i minuti e fitti peli sulla pelle che è giallastra. Lungh. ."^O-SS mm.
Per combattere questi due insetti si raccomanda di rintracciare le
gallerie e distruggere le larve. Conviene distruggere le vecchie piante
invase.
Si spalmi poi con catrame il tratto dei tronchi sospetti.
4. — Ai bostricidi appartiene il Sinoxi/lon sexdenlatnin Oliv. Apale
della vile, assai simile al S. muricatum rappresentato dalla fig. 365.
La femmina, profittando della inserzione di una gemma di un
tralcio di vile, più sposso sopra che sotto, penetra dentro e scava, 1
o 2 mm. di profondità, una
galleria cilindrica circolare, o
una loggia più o meno cen-
ti'ale. Qui depone le uova e vi
poi più lontano sullo slesso
ramo o sopra altri, per fare
Fig. 365. — Sinoxylon tmiricatìtm.
a, coleottero adulto, ingrandito -
b, antenna - e, parte inflessa
della antenne - d, fronte.
Fig. ."566. — Bromius vitis.
altrettanto. Le larve dal canto loro, partendo dal punto dove son naie,
scavano cunicoli tortuosi ed irregolari, generalmente discendenti, in
modo che, incontrandosi, formano dei vuoti, in parte riempiti da escre-
menti o detriti.
La metamorfosi e l'accoppiamento degli insetti perfetti avviene
nei cunicoli.
Vi è una sola generazione annuale dall'aprile all'agosto, ma vi sono
diversi ritardatari che compaiono in altri tempi dell'anno.
— 467 —
Oltre alla vite, colpisce l'olivo ed il fico.
La malattia si manifesta con un deperimento e sussej^uente dis-
seccamento dei rami.
Fino dalla primavera si nota alla base delle gemme un forellino.
Si combatte tagliando e bruciando i rami colpiti.
5. — Ai Crisomelidi appartiene il Bromìiis vitis Fabr. (tìg. 366)
chiamato Scrivano perchè l'insetto, in giugno, rode le foglie, lasciando
su queste delle traccie caratteristiche. Vola raramente ed al menomo
sospetto si lascia cadere a terra.
D'estate vengono deposte le uova sul colletto della pianta; le larve
che nascono vivono parassite sulle radici fino alla ventura primavera.
Si hanno quindi dei danni, oltre che sui germogli, sui fiori e sulle
foglie della vite, anche sulle radici.
Mezzi di difesa: Raccolta degli adulti: si fa al mattino scotendo
la pianta e raccogliendo gli insetti entro un imbuto. Si raccomandano
le zappature o sarchiature autunnali e primaverili, per cui si espon-
gono le larve e le ninfe agli agenti atmosferici.
In caso di forti invasioni, iniezioni di solfuro di carbonio nel ter-
reno come per la fillossera.
6. - Altica della vile. (Haltica ampelophaga Suer) (fig. 367 a). Forma
oblunga, superiormente convessa, ordinariamente di color verde-bluastro
metallico, lucente, ma spesso di color bleu puro. Corsaletto con solco
trasversale ; elitre finamente e fittamente punteggiate, an-
tenne e tarsi neri : l' insetto adulto vola e salta. Lungh.
4,5-5 mm.
La larva dapprima di color gialla-sporco, più tardi gri-
gio-scuro, ha la testa nera, lucente: cosi ogni anello, meno
l'ultimo che porta ai lati un bitorzolelto nerastro armato
di una setola. I tre anelli anteriori portano 6 zampe nere
e l'ultimo due false (Lunardoni).
Appare alla 2^ metà d'aprile, si accoppia presto e depone da 15 a 30
uova sulla pagina inferiore e lungo la nervatura delle foglie. Le larve
cambiano molte volte di pelle ed in 15 giorni sono mature, lasciandosi
cadere a terra dove si trasformano in ninfe. Gli insetti della 2^ gene-
razione appaiono in luglio e quindi in settembre si ha una 3^ genera-
zione. Gli adulti di quest' ultima generazione svernano fra i crepacci
della scorza, nella fessura dei muri, sotto le foglie cadute. Si ciba di
molte piante, ma specie delle foglie di vite, sia come larva sia come
insetto perfetto : delle foglie rode il parenchima ed il danno è notevole
specialmente nella L^ generazione, quando le foglie sono tenere.
11 mezzo più pratico per combattere questo insetto consiste nel
difendere le foglie dagli attacchi della 1^ generazione, alla seconda
metà di aprile, irrorandole con la soluzione seguente :
Acetato di piombo, gr. 600; Arseniato di soda, gr. 200; Acqua, litri 100.
Si può mescolarla alla poltiglia bordolese. Le soluzioni di acetato
ed arseniato si fanno separatamente e poi si mescolano.
— 468 -
XXII.
Curculionidi o Punteruoli.
1. — Inselli piccoli e piccolissimi, che si distinguono principal-
mente per la forma del capo, che si prolunga anteriormente in mag-
giore o minore grado, a forma di rostro, simile ad un becco o ad una
proboscide.
I curculionidi sono lutti dannosi. Allo stato larvale vivono nelle
radici, nei tronchi, nei rami delle piante, oppure rodono le gemme,
1 frutti, i semi e le foglie.
2. — Anlonomo 0 Piinteniolo del melo (fig. 368) (Anthonomus pomo-
rum L.) è un insetto lungo appena da 3 a 5 mm. dalla tinta bruna-
picea e per avere una fascia pallida obliqua sulle elitre.
Dainieggia il melo e il pesco:
altri autonomi simili danneggiano
il pero, il ciliegio, il lampone e
il rovo.
Larva tozza, apode, più gros-
sa verso il capo, colla cute a
pieghe trasversali, bianco - gial-
liccia; capo piccolo e nero. Lun-
ghezza 6 mm.
In maggio esce l'insetto per-
fetto dopo aver ibernato sotto la
corteccia : le uova vengono de-
poste sulle gemme a fiori, prati-
candovi un foro. Le larve si ci-
bano delle parli interne della
gemma; gli insetti perfetti escono
alla Une di giugno.
Le gemme rimangono chiuse
ed assumono un color bruno con
macchia livida alla base; poi pen-
dono avvizzite e si distaccano.
Mezzi di difesa: a) Coltivare, nelle regioni molto invase, varietà di
fioritura precoce e di {rapido sviluppo.
b) Polare e concimare bene la pianta, per ottenere un rapido
sviluppo in primavera.
e) Scuotere le piante di buon mattino e quando fa ancora fresco,
cominciando dai rami dell'estremità e raccogliere con un lenzuolo gli
insetti che cadono.
d) Raccogliere e distruggere nelle spalliere le gemme colpite
prima che sboccino.
Fig. 368. — Authonomus pomoruni.
1) larva - 2) insetto perfetto ingrandito.
m) -
ej Dalla Fine di marzo lino alla metà d'aprile, si lega attorno al
tronco e vicino alla base, un anello di carta consistente che poi si
spalma con catrame, come è indicato a pag. 45(3, rinnovando la spal-
matura quando perde la sua proprietà attaccaticcia. In questo modo
si impedisce che molte lemmine fecondale (quantunque alcune pos-
sano anche volare) salgano a deporre le uova.
/> Siccome gli insetti ibernano volentieri anche sotto le screpo-
lature della corteccia, conviene, d'inverno, raschiare per bene i tronchi
e pennellarli con una soluzione di 6 kg. di zolfaio di rame e 10 di
solfato di ferro in 100 litri d'acqua.
3. — Apioii pomonae Fbr. (fìg. 369; Apione del melo, anche ([ueslo
piccolo insetto lungo 3 mm. si trova dall'aprile all'autunno sugli alberi
da frutto danneggiando i fiori e
i germogli. Ha le elitre di colore
turchino.
Si combatte come il prece-
denle.
4. — Balaiìiìius niicuni L. (fi-
gura 370) Piiiileruolo delle noc-
ciuolc. Corpo nero, coperto da
Fif?.
Apion pomonae.
Fig. .370. — Balaninus iiiiciini e sua larva
una peluria bianco-gialliccia. Antenne lunghe e piegale con alcune
macchie chiare sparse sulle elitre. Lungh. 7-8 mm.
Larva lunga 6-7 mm., semicilindrica, ricurva, di color bianco-gial-
liccia, carnosa, rugosa, apode.
(Compare alla fine di maggio: la femmina depone l'uovo nell'invo-
lucro follare dell'ancor tenero guscio delle nocciuole, facendo il danno
sopradescritto. La larva rode anche le gemme e le foglie del nocciuolo.
Le nocciuole colpite cadono ordinariamente prima delle sane ed
al posto della mandorla si trova una materia nerastra formata da
escrementi.
Mezzi dì difesa; a) Caccia all'insello collo scotimento degli arbusti
in aprile e maggio.
b) Raccolta delle nocciuole cadute da sé anzi tempo o scolendo
le piante di buon mattino, e loro distruzione.
e) Uccisione delle larve nel terreno da settembre a marzo, span-
dendo calce adoperata nelle officine del gas, oppure ceneri o segatura
di legno imbevuta di acido fenico.
6. — Oliorinclìi (Otiorrhynchus sp.; sono inselli appartenenti a
470
diverse specie clic intaccano quasi tutte le piante da frutto e sono
simili alle precedenti s[)ecie, soltanto sono lunghi da 6 a 1) mni. e per
lo più bruno-scuri.
In primavera l'insetto perfetto danneggia le parti giovani della pianta,
i germogli, le gemme, le foglie, i fiori, cagionando grandissimi danni.
Le larve che nascono in luglio dalle uova deposte al piede delle piante,
si sprofondano nel terreno e guastano le radici, in modo da recare
danni notevoli specialmente alle giovani piante. La malattia si mani-
festa con un indebolimento generale della pianta.
Si fanno ninfe nel terreno dove passano l'inverno.
Mezzi di difesa: a) Dare la caccia (muniti di una lanterna) all'insetto
scotendo le piante di notte e facendolo cadere entro una tela.
b) Applicare una specie d'imbuto ad ombrello rovesciato intorno
alla base del fusto, perchè di giorno sta nascosto nel terreno.
_ cj Fasciare il tronco degli al-
beri con una materia vischiosa quale
il bitume.
d) Provare la pennellazione col-
l'unguento di Balbiani cosi composto :
si sciolgono ;50 parti di naftalina in
Fig. ;571
Foglie «li \ite aci artocciate
dal Rhynchites betuletì.
Fig. :572. — Rhynchites betuletì.
20 parti di olio pesante di catrame,
si versa questa soluzione sopra 100
parti di calce viva, si aggiunge poi
tanta acqua lino a che si ottiene la
soluzione completa. Al momento di
adoperare l'unguento si allunga con altra acqua lino a raggiungere
complessivamente 400 parti d'acqua.
6. — I sit/arai o rinchiti (Rhynchites) sono molto conosciuti, per
esempio quelli della vite (fig. 371-372). Le femmine depongono, in pri-
mavera le uova sulle foglie e rotolano le stesse a guisa di sigari, ta-
gliando la nervatura principale. In tal modo le larve vivono per 4-5
settimane cibandosi delle foglie che poi api)assiscono e cadono a terra,
dove le larve si trasformano in crisalidi. Oltre alle foglie, l' insetto
danneggia i giovani germogli e le gemme. Dalle varie specie di rinchite
vengono intaccate quasi tutte le piante da frutto.
Mezzi di difesa: Raccolta e distruzione dei sigari e scotimento della
pianta (juando e tempo piovoso, avvertendo che gli insetti cadono molto
facilmente.
— 471 -
XXIll.
Scolitidi.
1. — Gli scolitidi dei quali oggi si la una iamiglia chiamata Ipidae,
sono coleotteri piccoli (3-ó mm.) tozzi, roljusti, talvolta villosi e per lo
più di colore scuro. Capo globoso, incassato nel protorace munito di
forti mandibole. Protorace ampio, con-
vesso; elitre spesso striate; zampe brevi.
Le larve sono apodi, cilindriche, molli,
di colore bianco o gialliccio o roseo e
somigliano a quelle dei curculionidi.
Queste larve scavano delle gallerie
tortuose più o meno regolari ai lati di
una galleria mediana più profonda, nel
legno dell'alburno, nel libro e nella scorza
dei rami e tronchi.
La copula avviene nella galleria.
Si hanno più generazioni in un anno.
Fig. 373. — Sezione longitudinale
di un fusto di melo intaccato
dal Bostryciis dispari G, gal-
lerie collapertura esterna in E
(grandezza naturale).
Fig. 374. - Phloeolhribiis scarahaesides.
A, ramo infetto - li, tronco secco con galleria
principale e 2 individui (ci - dd', gali, larvali.
2. — Abbiamo diverse specie: Boslrf/ciis dispai- (Mg. 373) che
intacca molte piante da frutto (melo, pero, susino, albicocco, pesco,
melagrano). Hypoborus ficus Er. che intacca il fico.
Phleotribas scarabaesides Beni, o Fleotribo dell'olivo (lig. 374);
Hyelesinus oleiperda F. Ilesino perdi olivo o Struggiolivo ; Eccoplu-
gaster o Scoli/lus piri. Hatz. che intacca il pero; Scolylus pruni Ratz.
(flg. 375) che intacca oltre il melo e pero, anche le piante a nocciuolo ;
Scolijlus riHiiilosns Hatz. che intacca pressoché tutte le piante da frutto.
— 472 —
I rami colpiti si presentano deperiti, sono fragili e disseccano presto.
3. — I mezzi di difesa sono i seguenti :
a) Mantenere le piante in buona vegetazione.
h) Tagliare e distruggere i rami colpiti.
e) Dal luglio al settembre scortecciare i punti colpiti e distrug-
gere le larve della seconda generazione.
d) All'operazione precedente si
Q faccia seguire una irrorazione della
fronda giovane colla seguente solu-
ti zione:
Sapone molle di po-
tassa
Estratto fenicato di
tabacco ....
Poli solfuro di pa-
tassio e sodio . .
K^'.
1.500
4.400
(Grandezza naturale).
Fig. 375. — Pezzo di tronco di susino in-
taccato dal Scohjtus pruni e di cui è stata
levata una parte della scorza: LL, larve
del coleottero - GG, gallerie scavate dal
coleottero nell'alburno - EE, ingresso
nella galleria dell'insetto - A', un in-
setto sviluppato avvolto nella crisalide.
Acqua litri 100. —
Questo trattamento, seguito nel
Lucchese per distruggere il Fleo-
tribo dell' olivo, risparmia i tagli
molto energici degli olivi invasi.
e) Per catturare le larve della 3"
generazione si facciano attorno ai
rami principali anelli vischiosi, lar-
ghi 10 cm. Il vischio adoperato nel
Lucchese è composto di :
Ragia di pino secca
non distillala . . parti 50
Cera gialla .... „ 4
Olio di lino cotto „ 36
„ ricino . . „ 10
Ogni 8-10 giorni e per 4-5 volte bisogna rinnovare questo vischio.
XXIV.
Imenotteri.
1. — Cefo compresso - laims coinpressus Fabr. o Cephiis compressiis.
Ha le antenne filiformi, lungh. 6-10 mm., capo e torace neri; addome
giallo o rossastro coi due primi segmenti neri e parimenti nero al-
l'apice.
- 473 —
Le uova vengono deposte in maggio vicino alle gemme. Dopo 10
giorni nascono le larve che si internano lino al midollo dei germogli,
dove poi svernano.
Intacca il pero: la malattia si manifesta col disseccamento delle
estremità dei rametti oppure si notano delle brevi depressioni nere
sulla corteccia.
Si combatte tagliando e distruggendo i rami attaccati.
2. — Tentredine del pero, nespolo, ciliegio e susino (Neuroloma o
Lyda flaviventris Klug. Lungh. 12-13 mm. Corpo depresso, capo nero
con macchia frontale gialla, antenne sottili e brune; torace nero. Ali
jaline con una fascia mediana trasversale bruno-giallastro; nervature
e stigma di color bruno ; addome depresso nero, con macchie laterali
su di ogni segmento; zampe gialle colla base di femori neri. Apertura
d'ali 24 mm.
La larva ha un corpo allungato e depresso, gialliccio, antenne a
due placche cornee sul primo segmento, nere, sull'ultimo segmento
due piccoli cornetti ; lungh. 25-30 mm.
L'insetto perfetto esce in maggio e depone le uova sulla pagina
inferiore delle foglie. Le larve tessono poi una tela con cui avvolgono
i rami e le foglie di cui si nutrono: spogliati i rami più alti, discendono
a quelli più bassi: in agosto sono mature e si lasciano calare per mezzo
di un filo serico sul terreno, dove, in primavera, si convertono in ninfe
od insetti perfetti.
Si combatte come la tignola del melo.
3. — Tentredine delle piante a iiocciuolo. (Neurostoma nemoralis L.)
Si combatte come la precedente.
4. — Tentredine nera del ciliegio (lig. 376) (Caliora cerasi L. - Ten-
thredo limacina.) Intacca oltre il ciliegio anche le altre piante a noc-
ciuolo e quelle a granella. La piccola vespa è di color nero lucente,
lungh. 4-5 mm., colla parte anteriore giallo-sporco, torace bruno ; ali
con nervature brune, incolore ed in mezzo leggermente allumicate.
La larva assomiglia ad una limaccia lunga 10 mm. con zampe assai
brevi; pelle liscia e coperta di una sostanza limacciosa, (dolore giallo-
bruno.
Le larve rodono il parenchima delle foglie, e s'incrisalidano nel
terreno. Le piante danneggiate sono il cotogno, il ciliegio, il susino e
l'albicocco.
Mezzi di difesa: a) Aspergeie sulle foglie calce viva in polvere
oppure polvere di tabacco e zolfo.
b) Irrorarle con emulsione di petrolio e sapone, o con una solu-
zione 0.7 7o di acetato di piombo.
e) In settembre aspergere il terreno con una soluzione concen-
trata di zolfo carbonato potassico.
d) Dopo aver zappato il terreno dal novembre al maggio com-
primere la terra per distruggere le pupe.
5. — Tentredine del susino (Hoplocampa minuta Christ.) Insetto
474
nero, lungo 4-5 nim. ; antenne brune nella parte inferiore. Zampe giallo-
brune e gli ultimi articoli neri; ali trasparenti con venature brune e
macchie giallo-brune.
La larva è ingrossala in avanti, di color bianco-rossigno, con 20
zampe, capo giallo-bruno. Emana odore di cimici.
La piccola vespa appare in a-
prile e depone un solo uovo in
ciascun lìore del susino, facendo
un piccolo foro; dopo 14 giorni na
sce la larva. Il frutto, quando ha la
\i»""~5/ grossezza di un granello, viene per-
/
^^^»f***<
Fig. 377. — Tentredine nera del ribes.
Fig. 37(5.
Larva della Caliorti cenisi.
forato dalla larva, la quale penetra
e ne corrode il contenuto. Si rico-
nosce il fiore colpito per l'odore di
cimici e perchè dal foro esce una
bollicina di umore. Dopo 5-6 set-
timane, i bruchi passano spesso da
un frutto all' altro, inline cadono
coi frutti a terra e si interrano per
fare la crisalide.
Scuotere le piante per raccogliere i fruiti bacali che si distruggono
immediatamente.
6. — Tentredine del melo (H testudinea Klug.) come la precedente
ma sul melo.
7. — I frutti del pistacchio, vengono colpiti da un altro imenotlero,
Magastigmus balleslrerii Rond , la cui larva nasce nell'interno del frutto
da un uovo deposto dalla femmina perforandolo alla base del peduncolo.
8. — Tentredine nera del ribes (fig. 877) (Nematus ribesii Scop.). La
larva è di color bleu-grigio, con una striscia verde longitudinale sul
dorso ; col primo e penultimo anello giallo.
Distrugge in pochi giorni tutte le foglie: si combatte con la solu-
zione di arsenialo di piombo (0.800 7o)-
9. — Vespe. Le vespe comuni danneggiano molto le frutta mature
o che stanno per maturare.
Le vespe si riproducono durante l'estate e sono in massimo numero,
quando le frutta stanno per maturare.
Si può difendere le frutta proteggendole con un sacchetto, ma è
meglio distruggere i nidi durante la notte.
- 475 -
Se il vespaio è sotterra, si chiude il foro d'ingresso e se ne apre
un altro introducendo lateralmente 50 gr. di solfuro di carbonio o di
benzina e chiudendo ermeticamente con terra.
Si raccolgono e distruggono i nidi fuori terra con miccie di zolfo
o con batuffoli di cotone imbevuti di petrolio a cui si dà fuoco.
Se il vespaio è nella cavità di un albero si opera come se fosse
sotterra.
Si distruggono molte vespe, specialmente al loro apparire in giugno-
luglio, appendendo bicchieri o bottiglie (fig. 378), riempiti per metà
Fig. 378. Piglia vespe.
di acqua, sui rami delle piante ed ungendo l'orlo del bicchiere con
miele per attrarre le vespe, che poi cadono nell'acqua.
10. — Formiche. Le formiche, come è noto, fanno vita sociale e
guastano i legnami, i germogli, le frutta e danno la caccia a piccoli
insetti, da alcuni dei quali (afidi) estraggono gli umori dolci, di cui
sono ghiotte.
Il danno è quindi dato in tre modi distinti :
1." Costruendo dei nidi nell'interno del tronco e facendolo cosi
andare a male.
2.° Favorendo lo sviluppo e la moltiplicazione di insetti dannosi
— 476 -
alle piante da Irutlo in genere. Questi insetti sono specialmente afidi
e cocciniglie.
3." Intaccando le frutta mature per succhiarne l'umore zuccherino.
La lotta si fa direttamente :
1.° Distruggendo le formiche di mano in mano che escono del nido.
2.0 Versando nei nidi acqua bollente o meglio petrolio in emul-
sione di sapone e acqua.
3." Scoperchiando il nido con un badile, gettandovi dentro calce
viva ed una secchia d'acqua, indi ricoprendo di terra. Per il calore
intenso che si sviluppa, le formiche muoiono.
4° Introducendo nei nidi solfuro di carbonio.
5." Attirando le formiche ed avvelenandole. A tale scopo si pi-e-
para un siroppo dolce con miele o melassa e vi si scioglie 1 gr. per
litro di arseniato di soda. Si mette questa soluzione in un piatto che
si copre con tela metallica perchè gli animali domestici non vadano
a leccare. Dopo 2 o 3 Ire giorni si trovano le formiche morte nei nidi.
Indirettamente si lotta :
1." Distruggendo gli afidi e le cocciniglie che si trovano sulle
piante.
2." Impedendo alle formiche di salire. Ciò si ottiene avvolgendo
con stoppino a corda il fusto del ramo: una delle estremità dello
stoppino viene immersa in una bottiglietta contenente petrolio, cosi
da imbeverlo. Si impedisce in questo modo che le formiche salgano.
Si può ricorrere anche agli anelli di vischio (vedi pag. 472).
XXV.
Mosche.
1. — Moscerino delle pere. Gontarinia pyrivora Riley o Diplosis
pyrivora. Sono minuscoli moscerini, lungh. 2 mm., coU'addome rosso-
nero e col dorso e zampe nere, che, al tempo delia fioritura, depongono
da 10 a 15 uova sui petali. Le larve che nascono, si internano nel-
l'ovario producendo da un lato un rigonfiamento anormale del frutto,
della cui polpa si nutrono rendendolo bacato. In maggio, la larva è
matura, cade col frutto e si incrisalida nel terreno: il moscerino ricom-
pare nel marzo venturo.
Questo insetto arreca notevoli danni: bisogna raccogliere con dili-
genza tutti i frutti bacati e distruggerli.
2. — Mosca delle ciliegie. Rhagoleclis cerasi L. Ortalis cerasi (fig. 379).
La mosca è un po' più grande della jìrecedente e depone un uovo
nella polpa di ogni ciliegia matura. La larva che ne nasce divora l'in-
terno, la fa marcire e cadere. Caduto il frutto, la larva ne esce, si
incrisalida nel terreno e vi rimane fino ai primi di maggio dell'anno
successivo, epoca in cui nasce l'insetto perfetto. La larva è anche
— 477 -
ghiotta delle bacche delle Loiiiceid xi/tosleum e tavlarica nonché del
Berberis.
Mezzi di difesa : a) Estirpare dalla vicinanza dei ciliegi le Loniceve
ed il Berberis.
b) Coltivare le varietà precoci delle ciliegie nelle località più
colpite dalla mosca, perché le frutta maturino prima che nasca la
mosca.
e) Raccogliere precocemente le ciliegie e distruggere quelle
colpite o cadute a terra.
d} Dopo la raccolta delle ciliegie, per distruggere le pupe, spruz-
zare il terreno intorno alla pianta con acqua calda, o con decotto
Fig. 379. — Sezione di una ciliegia
avente fra il nocciolo e la polpa
la larva L della Rhugoìectis cerasi.
Fig. 380.
Olive attaccate dal Daciis oleae.
caldo di foglie di noce, o con una poltiglia al 8-10 % di cloruro di
calce nell'acqua, o con una soluzione al 10% di zolfo carbonaio potas-
sico od infine injettando del solfuro di carbonio.
e) Lavorare profondamente il terreno in autunno per esporre al
gelo le crisalidi.
Nessuno però di questi mezzi é veramente efficace.
3. — Mosca delle olive. Dacus oleae (fig. 380) La mosca com-
parisce al tempo della maturazione delle olive, e depone una grande
quantità di uova, ma affidandone di solito uno solo a ciascun frutto.
Dopo circa due settimane , nascono le larve che divorano esca-
vano la polpa con irregolari gallerie; fattesi adulte, o abbandonano
il frutto per celarsi al piede delle piante, o entro il frutto stesso si
fanno pupe.
- 478
Hanno luogo più generazioni, per ciò lino a novembre si rinven-
gono insetti perfetti, larve e pupe.
Sui metodi di lotta non è detto ancora l'ultima parola.
4. — Mosca delle arancie. Ceratitis capitata Wied., C. hispanica.
Oltre agli aranci fa danni al pesco, al fico, al susino, al fico d'India e
al lazzcruolo.
La mosca è variegata di giallo e bruno, lunga 4-5 nini. 11 maschio
porta sulla fronte due appendici a forma di peli, allargate a spatola al-
l'apice. Larva conica, lunga 8 mm. Pupa ovale, rosso bruna, lunga 5 6 mm.
L'insetto ha più generazioni annue. Le uova vengono deposte sotto
la buccia delle frutta; la larva in 15 giorni altera totalmente la polpa
e poi si porta nel terreno dove incrisalida. Dopo j)ochi giorni, ven-
gono fuori gli adulti, che succhiano i liquidi zuccherini e depongono
nuove uova.
Mezzi di difesa: a) Raccogliere le frutta infette e stratificarle con
calce, per utilizzarle poi quale concime. Bisognerebbe che tutti i pro-
prietari d'accordo operassero in tal modo.
bj Irrorare il terreno intorno alla pianta
con una soluzione al 10 "/„ di solfocarbonalo
potassico.
XXVI.
Acari.
1. — Gli acari, non più grandi della quinta
parte di millimetro, depongono sulla pagina su-
periore delle foglie un uovo; la rispettiva larva
perfora la foglia e passa nella pagina inferiore,
dove si moltiplica per partenogenosi e produce
un feltrato bianco o nero o giallo rossastro, a
seconda della specie, mentre in corrispondenza
sulla pagina superiore si jiroducono tanti rigon-
Piamenli.
D'inverno questi acari ibernano sotto alla
corteccia.
2. — La malattia prodotta si chiama erinosi: cosi abbiamo la eri-
nosi del pero, (fig. 381) del melo, del susino, del nocciuolo. del noce,
della vite, del cotogno, prodotta da diversi acari appartenenti al genere
Phyloptiis; sulla vite abbiamo anche un altro genere, il Telraiii/chus
lelarins L. che produce la malattia del rossore.
Se l'infezione è limitata, le foglie continuano a funzionare e non
sì ha un grande danno, ma quando comincia a svilupparsi molto, ciò
che avviene specialmente con tempo asciutto, in maggio e giugno, può
anche far cadere le foglie.
Fig. .381. — Foglia di pero
col Phijtoptus pijri.
— 479 —
Si raccomanda come mezzi generali di lotta la pulizia generale,
durante l'inverno, dei fusti e rami, facendo seguire una incalcinatura
ed una scottatura con acqua bollente. Raccogliere le prime foglie
intaccate e quelle cadute a terra, bruciandole.
XXVII.
Malattie prodotte da cause meteoriche.
1. — Eccesso 0 difello di luce. Il primo produce l' incurvamento
dei rami (eliotropismo) verso la parte donde viene la luce; il secondo,
r eziolamenlo, per il quale le foglie rimangono liianche o sbiadite, non
raggiungendo la grandezza normale, mentre i rami si prolungano più
dell'ordinario.
2. — Eccesso di calore produce l' avvizzimento delle foglie e dei
frutti. Vi si rimedia con irrorazioni dopo il tramonto; al colpo di sole,
alla scoi tatara ed a\V insolazione dell'uva, si provvede preventivamente
evitando di toccare l'uva nelle ore più calde.
3. — Gelo invernale. I danni prodotti del gelo si manifestano quando
la temperatura media dell'aria si aggira intorno a zero gradi. Dico
intorno a zero gradi, inquantochè, in circostanze speciali di irradia-
zione ed evaporazione, le piante si raffreddano talvolta più dell'aria, e
cosi si hanno danni per gelo anche a temperatura d'aria di uno o due
gradi sopra zero.
E' bene premettere che gli alberi da frutto in genere resistono molto ai freddi,
fino a 15 e 18 gradi sotto zero, purché lo sgelo avvenga gradatamente. Questo si spiega
col fatto che, quando avviene il congelamento, l'acqua del contenuto cellulare passa
attraverso la parete della cellula e negli interstizi cellulari si congela. Se il disgelo
avviene lentamente, quest'acqua può venire lentamente riassirailata e dare nuova vita
alla cellula, altrimenti questa muore. Una volta invece si riteneva che il contenuto cel-
lulare, congelandosi ed aumentando perciò di volume, intaccasse la parete cellulare
rendendola inattiva. Se quest'ipotesi fosse vera, i danni del gelo si manifesterebbero
per tutto il fusto uniformemente, mentre ciò non avviene.
Non tutte le piante, anche se appartenenti alla stessa varietà, soffrono in iegual
misura per il gelo. La loro provenienza, lo stato di sviluppo, il sistema d'allevamento,
il metodo di coltura, l'andamento dell'autunno precedente, il clima, il terreno, l'espo-
sizione, influiscono notevolmente sui danni del gelo.
Tutti i frutticultori pratici avranno osservato che le piante provenienti da vivai di
paesi più caldi soffrono di più di quelle provenienti da paesi più freddi. Per esempio,
in via generale, ad un frutticultore dell'alta Italia non conviene l'acquisto di piante pro-
venienti dai paesi meridionali: così dicasi per la scelta delle varietà originarie.
Le piante giovani, oppure quelle che hanno portato molte frutta e che perciò si
trovano molto esaurite, quelle che hanno dato molti germogli tardivi in autunno, sono
le piante più danneggiate dal gelo.
Rispetto al sistema d' allevamento, le forme a spalliera, specialmente se giovani,
hanno bisogno di essere più riparate delle altre.
Se l'autunno è stato piovoso e caldo, se il legno d'agosto non ha potuto maturare,
allora la linfa, più acquosa, rende la pianta meno resistente al gelo.
Nei climi umidi, poco arcati, nei terreni umidi e poco fertili si notano i maggiori
— 480 —
danni i)er il gelo, mentre sulle colline aereate, con terreni profondi, asciutti o fertili,
raramente lo si deve temere.
Riguardo allesposizione, le piante poste a nord, dove cioè lo sgelamento avviene
lentamente, si rimettono più facilmente che non quelle poste a mezzogiorno.
L' inconveniente delle piante poste a mezzogiorno ed allevate a spalliera sta ap-
punto nel fatlo, che vanno soggette a forti sbalzi di temperatura: la notte sono esposte
ad un freddo intenso, mentre nelle ore di sole la temperatura può anche salire sopra
lo zero.
Le piante più danneggiate sono anche le più deboli per età, per costituzione o
per malattia.
1 danni causati dal gelo non si riconoscono tanto facilmente.
Per conoscere le parti colpite dal gelo, basta raschiare la corteccia fino all'alburno.
Anche se la corteccia è disseccata o morta si può ancora sperare di guarire la pianta,
tagliando la corteccia fino all'alburno ed applicando im mastice come ho detto, per le
;)..H).
Fig. 382. — Azione del gelo sui rami.
rt) ramo sano - b) ramo in parte danneggiato dal gelo
e) ramo morto per il gelo.
.Screpolo per gelo
di un ramo di melo.
ferite. Ma se il gelo è entrato nell' alburno, il che si riconosce dal colorito bruno, è
difficile di poter guarire la pianta.
Molte volte però le cellule della scorza dei giovani rami (fig. 383) vengono disgre-
gate : r epidemia si stacca dai tessuti sottostanti e nell' interno del tessuto legnoso si
formano spaccature più o meno profonde. Col ripristinarsi di una temperatura più ele-
vata si rimarginano in parte tali spacchi ; cioè l'assorbimento dell'acqua da parte delle
cellule fa riaccostare gli orli delle ferite, mentre all'estremità viene a formarsi un orliccio
dovuto a tessuto ricostituente.
Il danno del gelo si può riconoscere solamente in aprile o maggio, a meno che
non si voglia (fig. 382) sezionare gemme e rami.
Se le foglie sono state danneggiate, come sarebbe il caso dell'olivo e degli agrumi,
basta diradare in quell'anno un po' più del solito i giovani rami per dar campo alla
pianta di rimettersi.
Se sono colpiti i rami dall'annata, bisogna amputarli al di sotto degli ultimi punti
colpiti, evitando così non solo un indebolimento maggiore della pianta, ma anche i
— 481 -
danni derivati dalla decomposizione dei punti morti e la formazione della rogna, specie
sui rami grossi.
Se è colpito anche il tronco si tagli alla base si rimetta a nuovo la pianta colla
potatura di formazione. Però se le piante sono di 20 a 30 anni d'età, conviene estirparle.
In tutti i casi ad una gelata invernale devesi far seguire una copiosa e complessa
concimazione, per rimettere in forze la pianta.
Quando una parte del tronco o dei rami viene colpita, e ciò avviene per lo piìi
dalla parte esposta al sole, conviene asportarla tutta, intonacare la ferita con un
mastice e ripararla con paglia fino a che si rimargina.
Meglio di lutto è però prevenire il male del gelo ed a tale scopo possono servire
le seguenti norme:
1." Non ordinare le piante nei paesi più caldi.
2.° Non piantare specie e varietà che danno getti tardivi in autunno.
3.° Innestare in testa e non al piede.
4." Drenare il terreno.
5.° Concimare e tenere le piante sempre in buon stato di nutrizione.
Quali mezzi di difesa:
l.o Cimare le piante in autunno tardi, specialmente dal legno d'agosto, per arre-
stare per tempo il movimento della linfa.
2." Fare la potatura sempre in primavera.
3." Coprire il terreno attorno al fusto prima dell'inverno con foglie ed anche
lavorarlo.
4.» Avvolgere di paglia il fusto, oppure dargli il bianco con latte di calce.
5.» Coprire con stuoie interamente le piante a spalliera, ed aver sempre cura, in
particolar modo, delle piante giovani in genere e deperenti.
Se il gelo si manifesta in primavera od in autunno, è accompagnato dalla brina:
per questa rimando il lettore all'apposito capitolo.
Conseguenza del gelo è il cancro (fig. 280-286), le placche di gelo
(fig. 287 pag. 418), la rogna (fig. 255-258), il seccume della vette, la stri-
scia (fìg.'383).
4. — Brina. La brina è pi'odotta, come la rugiada, dai vapori con-
tenuti neir atmosfera che si condensano sulle foglie, sui germogli, sui
rami, in tutte le parti aeree della pianta ad una temperatura inferiore
a zero. I lìocchi, che talvolta formano i piccoli cristalli di cui è for-
mata la brina, dimostrano che i vapori si congelarono immediata
mente, senza passare allo stato liquido. Questo rapido raffreddamento
è dovuto a correnti fredde oppure ad eccessivo irradiamento notturno
delle piante nelle notti serene. Le parti piti colpite sono quelle rivolte
all'alto.
Le brine si hanno nel tardo autunno, d'inverno ed in primavera.
Mezzi di difesa: Si basano sul principio di diminuire per quanto è
possibile la dispersione del calore ed il rapido disgelo. Ciò si ottiene:
a) Coprendo con stuoie le piante o munendo i muri contro i
quali si allevano le spalliere, di sporgenze larghe almeno 30 centimetri,
a guisa di tetto, fatte di tegole o di un impiantito su cui si possa
stendere una stuoia.
bj Colle nubi artificiali, che si ottengono dalla combustione imper-
fetta di sostanze catramose miste a radici, a paglia, a steli di granturco,
ad erbacce e a tutte quelle sostanze che si trovano in una azienda e pro-
ducono fumo abbondante e pesante. La sera, quando si teme la brina,
31 — Tamaho - Frutticoltura.
— 482 -
si fanno questi mucchi a circa 15 metri di distanza e si accendono
durante la notte, quando il termometro vicino a terra segna un grado
sopra zero. Ci sono dei termometri avvisatori elettrici, che si collocano
vicini al terreno e di cui dovrebbero essere provveduti tutti i viti-
coltori e frutticoitori di una certa importanza. Sul far del mattino
bisogna quasi sempre rinnovare i fuochi per impedire il rapido disgelo.
Invece di fare mucchi con queste sostanze si sogliono anche met-
terle entro botti usate di catrame : si ha allora il vantaggio di spo-
starle in caso di vento ; l'effetto delle nubi artificiali è nullo se la
temperatura disce)ide a 4 gradi sotto zero.
e) Spolverizzando le piante con gesso, calce, talco, polvere di
strada, ecc., per impedire una eccessiva irradiazione.
Avvenuto il danno della brina, cura dell' agricoltore deve essere
di sostenere la pianta in modo che non abbia ulteriormente a soffrirne.
Questo si ottiene:
1.° Sulla vite, tagliando dopo 2 o 3 giorni con potatoio ben affilato
sul nodo più prossimo al tralcio a frutto, e ciò per favorire lo sviluppo
di un nuovo germoglio.
2.° Sul pesco tagliando soltanto i brindilli ad una gemma.
3.« Facendo regolarmente la cimatura e la spollonatura.
4.° Concimando in copertura con nitrato e perfosfato e contem-
poraneamente facendo energiche solforazioni e solfatazioni. Queste si
fanno anche per tutte le piante da frutto.
5. — La grandine (fig. 384) è il più terribile degli
accidenti meteorici che può colpire le piante. Può col-
pire in tutto l'anno, ma è più frequente in primavera ed
in estate, più rara in autunno e più ancora nell' in-
verno. In Italia la Valle del Po è la più colpita.
Se viene in primavera si hanno i maggiori danni. Fa
cadere i giovani germogli, i frutti in via di formazione
e lacera le foglie. Se colpisce la vite entro giugno, con-
viene rinnovare la potatura sulla prima gemma buona
di ciascun ramo, per provocare da essa un germoglio
e un nuovo ramo vigoroso destinato a portare frutti od
a formare l'impalcatura della pianta. I vegetiili colpiti
Fig. 384. dalla grandine sono poi sensibilissimi agli attacchi dei
Ramo di melo parassiti vegetali ed animali e quindi si devono ap-
prodotte^ plicare i rimedi con cura e diligenza,
dalla grandine. Se la grandine viene più tardi, allora non si deve
toccare le piante ma si ripetano i rimedi anticrittoga-
mici e la caccia agli insetti. Durante l'inverno si opererà poi sulle
piante a seconda dei casi.
6. — Un eccesso di pioggia caduta a forti scrosci, può danneggiare
meccanicamente giovani foglioline o piccoli germogli ; cosi può far
cadere i petali ai fiori, disperdere il pollime e disturbare la fecon-
dazione. Se la pioggia poi continua per un periodo troppo lungo.
- 483 -
impedisce un normale sviluppo delle piante, per l'eccessiva umidità e
per la mancanza di calore. Se questo avviene durante la fioritura, 1
granelli pollinici si gonfiano, si aprono le antere, prima che possa
avvenire la fecondazione degli ovuli nell' ovario. L' umidità favorisce
anche in modo particolare lo sviluppo delle crittogame; i frutti rie-
scono più scipiti, molti vanno a male, altri scoppiano (come i fichi,
le pesche, le ciliegie ed altri frutti carnosi) per eccessiva turgescenza
delle cellule parenchimatiche.
7. — La nebbia, oltre che favorire lo sviluppo delle crittogame,
priva le piante di luce e di calore e riesce specialmente dannosa al tempo
della fioritura, per le medesime ragioni dette per la pioggia prolungata.
8. — I venti agiscono diversamente secondo la loro intensità, la
natura della pianta e la qualità del suolo.
I venti impetuosi causano la caduta dei fiori, rompono i rami,
lacerano le foglie e sbarbicano financo i tronchi. I danni maggiori si
hanno però nelle piantonaie : da ciò la necessità che queste si trovino
in località riparate. Se il vento è accompagnato da pioggia e grandine,
i danni evidentemente sono maggiori.
Un vento leggero favorisce invece la traspirazione, la fecondazione
dei fiori e le piante acquistano maggiore attività. Se però si prolunga,
riesce di danno perchè le piante, traspirando eccessivamente, finiscono
coll'estenuarsi ed anche col dissecare. I venti continuati sono parti-
colarmente dannosi dopo gli impianti. Le piante che più ne soffrono
sono le sempreverdi : agrumi, olivo, ecc.
Riguardo al suolo, le correnti d' aria lo prosciugano, cosi da
formare alla sua superfice una crosta che impedisce lo sviluppo delle
giovani pianticine nei semenzai, e, negli impianti recenti, priva il ter-
reno della freschezza necessaria per l' attechimento. Questi danni si
riscontrano di frequente negli imboschimenti.
II vento porta con sé talvolta anche materiali dannosi alla ve-
getazione. Così i venti marini portano in sospensione sostanze saline
che danneggiano molte piante, dando loro apparenza di bruciate. In
altre località avviene che i venti portino seco onde di terra e sabbia,
depositandole dove meno invece ne sarebbe bisogno, privandone la
vegetazione in altri punti.
In Italia le regioni più colpite sono quelle littoranee e le isole
nonché molte vallate e gole fra le nostre Alpi, dove si contrastano le
correnti d'aria calda del sud con quelle del nord prodotte dai corsi
d'acqua e dai ghiacciai.
9. — La folgore danneggia più o meno a seconda della natura degli
alberi ed a seconda della direzione nella quale cade il fulmine.
E' bene notare che non sempre le piante alte vengono colpite, ma
alcune pare abbiano la specialità di attrarre il fulmine. I selvicoltori
per esempio lo hanno osservato per la quercia e per gli olmi ; delle
piante da frutto io avrei notato il ciliegio, la vite, il pino da pinoli
ed il pero.
- 484 —
XXVIII.
Malattie dovute a ferite.
Le ferite son scissure o interruzioni anormali di tessuti che deri-
vano da tagli, schiantamenti, contusioni, ammaccature, fratture, sfre-
gamenti, urti, per cui le piante cominciano a soffrire.
Conseguenze delle ferite sono:
A) Una alterazione nello sviluppo della pianta, mancando quella
parte amputata colla ferita.
BJ Una reazione dell'organo ferito per guarire.
C) La decomposizione dei tessuti, non riuscendo completa la
guarigione.
A. — Alterazione nello sviluppo della pianta.
1. — Quando si conosce la funzione che ha l'organo o la parte di esso
che viene amputata, si possono trovare con facilità i rimedi relativi.
Nei trapianti bisogna quasi sempre recidere qualche parte delle radici e con ciò,
oltre a levare un numero di organi indispensabili alla nutrizione, si espone la radice
monca all'azione devastatrice di qualche fungo o all'azione disgregatrice dell'umidità
del suolo. A questi inconvenienti si provvede colla disinfezione del suolo, al momento
dell'impianto con calce viva o con solfuro di carbonio.
Col taglio (li rami o parte di rami, che si fa colla potatura secca, si priva la pianta
non solo di organi nutritori, ma la si impoverisce, tanto più che essa deve impiegare
una parte di succhi a rimarginare la ferita. Quanto più grande è la ferita, tanto mag-
giore è la perdita di materiali per cicatrizzarla; va cosi perduta una parte di umori
destinati alle gemme sottostanti.
Finché le ferite interessano gli strati corticali ed arrivano fino al cambio, le con-
seguenze sono meno gravi, perchè, anche se la spaccatura della corteccia si apre sempre
più, non viene interrota del tutto la continuazione dei tessuti.
Nelle ferite fatte quando i rami sono in corso di vegetazione, per esempio colla cima-
tura, la cicatrizzazione avviene più rapida ed i danni che la pianta risente sono minori.
Le foglie hanno la funzione di elaborare i succhi, che poi vanno a benefizio del-
l'accrescimento della pianta, di aumentare la ricchezza zuccherina dei frutti, di fecon-
dare le gemme da frutto. Perciò la sfrondatura, che si fa per esempio per il gelso,
produce uno straordinario squilibrio nella pianta ; i succhi necessari a dare nuove
foglie e l'impulso della linfa sono tali da determinare lo sviluppo dei germogli anche
da tutte le gemme avventizie. I.a sfogliatura delle piante da frutto è in generale da
condannarsi (vedi pag. 123).
Molte volte la grandine sfronda le piante ed il danno evidentemente è tanto minore
quanto più colpisce in stagione avanzata, perchè allora il legno è abbastanza maturo e
non si incorre nel pericolo che la pianta sperperi i suoi succhi in nuovi germogli che
non arrivano a maturare prima dell'autunno.
Colla sfrondatura infine si limita l'accrescimento della pianta.
r.a scortecciatura prodotta da topi, conigli e lepri avviene particolarmente intorno al
colletto della pianta (fig. 385). Se la corteccia non è stata rosicchiata tutta all'intorno,
allora la pianta riprende la vegetazione in primavera. Durante l'estate però quella parte
del legno che rimane scoperta, dissecca, e si ha una notevole evaporazione della linfa,
che porta per conseguenza la disseccazione delle parti della pianta al disopra delle
ferite.
- 485
Per evitare questa disseccazione conviene riparare le ferite. Con un coltello ben
tagliente si lisciano i margini e poi si coprono con un mastice il quale sostituisce mo-
mentaneamente la corteccia. Buoni mastici sono quelli indicati a pag. 70. Con questi
mastici si sviluppa il callo e le radici avventizie, come si vede nella lìg. 385.
Gli schiacciamenti avvengono per incauto governo delle piante ; vi sono special-
mente soggette le piante dei pubblici passeggi, per l'urto con rotabili.
Non di rado vengono prodotti per stroz-
zamento delle legature (lig. 386) o dal pota-
tore, o dal sfrondatore, o dal raccoglitore
delle frutta, che salgono sugli alberi con
scarpe bullettate (vedi fìg. 130).
Cogli schiacciamenti si ha una ferita
lacera che mortifica interi tratti di tessuti,
talvolta fino ed oltre il legno. Rare volte
Fig. 385. — Tronco d' albero
rosicchiato dai topi.
Fig. 386. — Ferite dovute a strozzamento
delle legature del fusto.
dopo questi schiacciamenti si riesce ad avere una completa callosità, spesso anzi, i
tessuti schiacciati si imputridiscono e comunicano il marciume alle altre parti del
tronco. In ogni caso bisogna prestare la cura indicata più sopra e, se la ferita è pro-
fonda fino al legno, così da non sperare nella guarigione, si impedisca la putrefazione
del legno, spalmando la ferita, dopo pulita, con catrame, che è un ottimo disinfettante.
Così si guariscono le ferite sulle radici prodotte da topi, le fratture e stroncamenti e
così via.
B. — La reazione delle piante per guarire le ferite.
2. — Questa reazione ha di solilo due conseguenze : s'ingorgano gli
umori plastici mettendo in azione la forza vitale della pianta per cica-
- 486
e) g.S
- 487 -
Irizzare la ferita e, raccogliendosi in troppa grande quantità, formano
calli legnosi, oppure gli umori si corrompono, l'esercizio delle funzioni
si arresta guastando profondamente il tessuto interno della pianta.
La cicatrizzazione più completa si ha quando si fa il taglio nell'epoca del massimo
movimento di succhi. Essa è dovuta allaltività del cambio. Quando la lesione intacca
la^corteccia, comincia una proliferazione nelle sue cellule, le quali costituiscono un tes-
Fig. 391.
Ramo di ribes, con dei porri,
la cui costituzione è simile
a quella del marezzo.
Fig. 392.
Marezzo sul ramo di pero
che ha prodotto una spe-
cie di piccoli rigonfia-
menti a guisa di porri.
Fig. 393.
Radice di una piantina
di pero con marezzo.
suto che protegge gli strati interni, mentre nello stesso tempo vengono prodotte delle
cellule suberose che rivestono e cicatrizzano gli orli.
Questa cicatrizzazione che si limita ad una incrostazione sugherosa è chiamata
normale.
Se il tempo è asciutto questa cicatrizzazione è lenta o non avviene, perchè i sottili
strati del cambio disseccano. Allora il meristema dei raggi midollari supplisce colla sua
attività e dà origine ad un tessuto protettore del legno cicatrizzante.
Questo tessuto — dapprima omogeneo si differenzia in seguito per produrre dal
— 488 —
A
Fig. 395. — Radice di susino con
marezzo : a) ingrossamento iso-
lato ; b) ingrossamenti agglome-
rati ; e) screpolatura della cor-
teccia ; d) rigonfiamenti appena
sensibili; ri ingrossamento in
formaz. di colorito più chiaro.
Fig. 394. — Ramo di susino sopra cui si sono for-
mate delle protuberanze a guisa di porri la cui
costituzione è identica a quella del marezzo.
Fig. 396. — Parte di fusto di melo
col marezzo della grossezza di
una ciliegia. Queste callosità
o sono coperte dalla corteccia
nonnaie K' oppure vennero sco-
perte, facendo la raschiatura
del tronco K. Molte volte si tro-
vano in vicinanza di queste cal-
losità dei getti brevi, appuntiti Z.
Fiff. 397.
Radice ni lampone
affetta di marezzo.
Radice di cotogno
con marezzo.
lato interno le cellule dette xilematiche, dal lato esterno le cellule floematiche, man-
tenendo sempre poi fra le due categorie una zona ristretta di cellule cambiali. Se il
cambio dissecca affatto, senza poter venir sostituito dal cambio dei raggi midollari,
allora non si avrà più una rimarginatura della ferita, ma una semplice cicatrizzazione
dei suoi orli, dovuta a produzione di tessuto protettore per parte delle cellule cambiali
vive, sotto alla corteccia, a qualche distanza dalla ferita. Questo tessuto cicatrizzante
(callo», si spinge fuori, man mano che si forma, facendo la ferita sempre più boccheg-
giante in modo che non si chiude più, come avviene nei casi precedenti.
11 legno posto a nudo dissecca le cellule su tutta quanta la superfìcie esposta; ma
è posto in balìa dagli agenti atmosferici e di eventuali infezioni miceliche.
La cladomania od eccesso di rami è la produzione eccessiva di succhioni che va a
scapito del normale svolgimento dei rami ordinari di una pianta. E' provocata dagli
improvvidi tagli : per rimediare bisogna spuntare i succhioni mano mano che sorgono,
meno quelli che servono a rimpiazzare qualche ramo ordinario.
Le fasciazioni sono causate (fig. 387) da una pletora di umori che si manifesta ai
nodi con tumefazioni circondate da numerose gemme atrofiche. Ciò si verifica di fre-
quente nella vite. Nel ciliegio invece, la malattia si manifesta nei rami, che, perdendo
la forma tondeggiante, diventano piatti.
Si rimedia colla amputazione dei rami e col non adoperare per marze di innesto
i rami che hanno le fasciazioni.
L' idropisia, (idrope, pletora, ripienezza fig. 388-390) è una malattia cagionata da
sovrabbondanza di succhi , e può manifestarsi o per la continua ed intempestiva
sfrondatura o per terreni ricchi eccessivamente o umidi, o per insufficiente permeabi-
lità del terreno alle radici. Le piante che più vanno soggette sono il gelso, il pero e
il ribes. La malattia si manifesta con un lento intristimento della pianta. I^a foglia di-
venta piccola, giallognola, rara e cadente, si osserva una lacrimazione abbondante dai
tagli o ferite e la scorza acquista un aspetto lucido.
Mezzi di difesa: Vicino a terra nel tronco con una trivella si fa un foro fino al
midollo, inclinato al basso, perchè la linfa scorra in basso e rivolto a nord. Si suole
fare questo foro anche con scalpello a mezzo cerchio, e si tiene sempre netto dalle
ostruzioni. Se non bastasse uno, se ne farà un altro superiormente, in direzione tras-
versale al primo.
Per il ribes si amputa al piede il ramo colpito.
Il marezzo al fusto ed alle radici (391-398) è effetto di una imperfetta nutrizione
e di tagli eccessivi che determinano una straordinaria pullulazione e diramazione
subcorticale dei caudicini delle gemme latenti, irritate da qualche lesione esterna.
Nella fìg. 396 si vede un tratto di marezzo, con dei getti, brevi, appuntiti. Sui rami
del pero (fig. 392) del ribes (fig. 391) e del susino (fig. 394) si osservano talvolta delle
protuberanze, conseguenti ed aggruppate, la cui costituzione è simile a quella del marezzo.
C — Decomposizione dei tessuti
non riuscendo la guarigione delle ferite.
3. — La cancrena consiste in un abbruni mento della massa legnosa.
Se questo abbrunimento è accompagnato da gommosi si chiama can-
crena nmida, altrimenti si chiama cancrena secca.
L'abbrunimento è forse dovuto a scomposizioni chimiche. Comincia nell'astuccio
midollare e prosegue poi lungo i raggi midollari, lasciando intatte le cellule del legno.
Se la decomposizione non arriva fino alla periferia della massa legnosa, e se il cambio e
la corteccia restano intatti, allora la pianta continua a vegetare normalmente e produce
nuovi strati legnosi. Neppure l' abbrunimento si estende, ma lascia nella massa del
legno tracce visibili dopo degli anni.
- 490 -
Questa malattia si manifesta in estate, all'epoca dei forti calori. Le foglie comin-
ciano ad ingiallire, avvizziscono e poi cadono o disseccano per lo più coi germogli che
le portano.
La cancrena prosegue dali'estremità dei rami al tronco ed alla radice, giunta alla
quale la pianta muore. Per questo in febbraio e marzo si raccomanda una spuntatura
delle gettate dell'anno decorso, per togliere la parte estrema dei rami, che per lo più,
durante l'inverno, dissecca perché il legno non era maturo.
La cancrena è molto comune e molto vigorosa nelle viti vecchie e nei gelsi. Per lo
più è provocata da tagli male eseguiti, non lisci e dal succedersi durante o dopo la
potatura di tempi incostanti, freddi ed umidi.
E' facile conoscere la cancrena all'inizio della malattia, esaminando il legno presso
1 tagli delle potature. A tal uopo si debbono praticare i tagli stessi nel tronco. Se la
pianta è sana, i tagli vecchi si presentano perfettamente cicatrizzati ; se è ammalata,
si mostrano affetti da macchie brune di seccume.
Mezzi dì difesa: allontanasi con ferro tagliente tutte le parti dei
rami intaccati fino che si trova il legno sano, e poi si copra la ferita
con un mastice o con catrame.
4. — La Carie centrale o Lupa, Lupa del gelso, Lupa dell' olivo,
Carie del castagno.
E' una corruzione degli strati piti riposti della base del tronco,
dai quali progredisce verso i piti lontani fino al cambio. Lo spessore
delle pareti cellulari del legno, crescendo di anno in anno, acquista
tali dimensioni da impedire ogni circolazione di umori e di umidità
tra gli strati esterni ed interni, perciò il centro del tronco si asciuga
e restringe e, restringendosi, si fonde e produce screpamenti, che
i pratici chiamano quadrati, perchè seguono i raggi midollari. Essi
sono propri a tutti gli alberi di età molto avanzata, cui non apporte-
rebbero molto danno se non fossero vie per le quali gli umori degli
strati esterni, tornando ad insinuarsi nel centro, iniziano un processo
di fermentazione putrida, che li rende cavi.
La decomposizione dei tessuti può essere causata oltre che dalla
vecchiaia, dal parassitismo di alcuni funghi, ad esempio da Basidiomiceti
(vedi pag. 423), dalla sterilità del terreno e dalla sua compatezza, da
eccesso di umidità, dalla svettatura di grossi rami, da troppo energiche
potature, dall' innesto, dal freddo o da una eccessiva siccità.
Mano mano che per queste diverse cause la malattia progre-
disce, la pianta diminuisce di vigoria, la linfa si decompone, i tessuti
prendono un colore fosco e perdono la loro elasticità. In un se-
condo stadio della malattia, il tessuto legnoso inaridisce ed imputri-
disce. Le piante più danneggiate sono il gelso, l'olivo, il castagno,
il noce.
Mezzi di difesa : a) Evitare gli impianti in luoghi umidi.
b) Non propagare l'olivo per ovoli.
e) Fare tagli ben netti alle piante e spalmare le ferite con ca-
trame.
d) Trovato il male, amputare la pianta fino alla parte sana.
e) Se il male è nel tronco, mondare internamente il legno guasto
e riempire la cavità con malta e cemento.
- 491 -
5. — Altre malattie derivate dalla decomposizione dei tessuti sono:
la gommosi (vedi pag. 400); la filloptosi (perdita precoce delle foglie che
diventano giallognole e biancastre); la gommosi alla radice dell'olivo: il
marciume o pinguedine del fico che si mani lesta nelle radici ed intorno
al colletto ; il marciume delle pale del fico d'India, la resinosi e l'ulcera.
XXIX.
Malattie dovute al regime colturale,
ed a cattive condizioni del terreno o dell'atmosfera.
1. — Aborto dei fiori, degli acini, e colatura. Queste malattie pos-
sono essere naturali, quando sono dovute alla qualità intrinseca della
pianta (per esempio alcune uve da tavola, il Gamay, il Pinot vi
vanno molto soggette); accidentali, quando sono prodotte da una ve-
getazione troppo vigorosa o troppo debole dovuta ad intemperie.
I fiori rimangono sterili se il gineceo od androceo abortiscono il
che può avvenire se non arrivono uno o l'altro a completo sviluppo al
momento della fecondazione. Allora avviene che gli stami o pistilli si
trasformano in foglie o capreoli come nella vite.
Mezzi di difesa : a) Non innestare con marze provenienti da sog-
getti sterili, o da piante di eccessivo vigore dovuto anche a giovinezza.
b) Applicare tutti i mezzi che servono ad arrestare il movimento
della linfa (incurvatura dei rami, incisioni anulari, intaccatura ecc.).
e) Riparare le piante dai freddi primaverili nonché dalla nebbia
ed umidità in genere, all'epoca della fioritura.
d) Concimare con concimi potassici e fosfatici.
2. — Rossore. Arrossamento repentino delle foglie di vite d'estate
dovuto all'azione di forti venti e subitanei abbassamenti di temperatura.
Si provveda con una abbondante nutrizione.
3. — Apoplessia delle viti. Molte volte è causata dai venti nei terreni
umidi.
4. — Aspermia (fig. 399-401). È un fenomeno patologico.
Nella figura 399 abbiamo si può dire un frutto (pera) sorto dal calice di un'altro,
oppure concresciulo con un ramo (fig. 400). Per spiegare il fenomeno noi possiamo
considerare il frutto del pero e del melo come un ramo che si è straordinariamente
ingrossato per un tratto, il quale porta all'estremità le foglie ffoglioline del calice),
mentre il fiore si sviluppa nella capsula del frutto che poi racchiude i semi. Vedasi
la figura 401. In g) si vedono i vasi che trasportano il succhio del peduncolo e che si
aprono a calice per dar posto agli organi del fiore, di cui in bl) si vedono i petali; stj
stami; nj lo stimma, il quale si piega posteriormente e racchiude la capsula dei semi
in K). Tutto questo è esterno alla capsula ultima che costituisce la polpa del frutto. In
fondo, in pj si trova un nucleo di cellule apicali del peduncolo, capaci di prolungarsi
come nella fig. 399 e formare un secondo frutto (fig. 401).
Si manifesta di sovente sugli agrumi, e talvolta sul pero e melo. I
frutti sono senza semi.
492
Si rimedia colle concimazioni fosfatiche.
5. — Clorosi. Con tal nome si chiama il fenomeno dell'ingiallimento
delle foglie che può essere cagionato :
a) dalla natura chimica del terreno e sopratutto, per le viti ame-
ricane, dall'eccessiva l'icchezza in calcare finamente diviso e polveru-
lento quando di argilla vi sia al disotto di Vs di quantità del calcare. In
un terreno che contiene 30 % di calcare ed
appena il 15% di argilla si ha comunissima
la clorosi ;
b) dall'eccesso di umidità nel terreno ;
e) dallo stato di deperimento di certe
, ffl piante ;
^i ^m d) dal freddo tardivo in primavera;
^^k, H^^^Éw/ ^^ dalla compatezza del terreno.
/^yé*"'^^ Si rimedia togliendo queste cause e ado-
perando solfato di ferro per promuovere la
formazione della materia verde nelle foglie.
Il solfato di ferro si può applicare nei
seguenti modi : •
a) In cristalli posti ai piedi dei ceppi
in autunno : da gr. 300 ad 1 chilogramma per
piede. L'azione di sale di ferro è, in queste
condizioni, assai lenta.
b) In soluzione : gr. 100 a 130 sciolti in
12 litri di acqua per ogni ceppo, alla
fine di febbraio o ai primi di marzo
(M. Tord).
e) Con polverizzazioni al si-
stema aereo di una soluzione con-
tenente da kg. 0.3 a 1 kg. di vetriolo
verde in 100 litri di acqua (Gris,
Roupelier ed altri).
d) Con pennellazione del ceppo e dei tagli della potatura (che
giova anticipare) col miscuglio Skawinsky (pag. 397),
I Prof. G. Rivière e G. Bailhache pensarono di sostituire al solito solfato ferroso
nella cura della clorosi degli alberi fruttiferi, il perfosfato di ferro citro ammoniacale.
Il motivo di questa sostituzione è d'impedire la formazione di precipitato coi tan-
nini, e quindi l'ostruzione dei vasi della pianta. Infatti come è noto, introducendo il sale
ferroso in una cavità praticata nel tronco di un albero, molte volte l'azione del rimedio
resta localizzata alle branche più vicine.
Gli autori provarono ad introdurre il pirofosfato, praticando una cavità cilindrica
con una trivella a 10 cm. d'altezza del fusto, penetrando orizzontalmente fino al midollo.
Poi chiusero questo foro con un turacciolo attraversato da un tubo sottile di vetro, pie-
gato all'esterno ad angolo retto, e terminante con una allunga mantenuta verticale e
lunga circa un metro. In questa allunga si mette la soluzione del sale.
L' esperienza ha dimostrato che la migliore concentrazione della soluzione è di
gr. 50 per litro d'acqua. A tale concentrazione, il sale, senza precipitare il tannino, si
diffonde facilmente in tutte le parti della pianta, con buoni risultati senza determinare
alcun disturbo alla pianta trattata.
Fig. 399. — Un frutto di pero
che sorge dal calice di un altro.
— 493 —
6. — Imbriinimento delle foglie di vile ed il male di California. Tutte
e due queste malattie venivano attribuite al parassitismo di due Mixo-
miceti, ma il Ravaz ha dimostrato che l'inibrunimento è una causa
particolare d'impoverimento del ceppo determinato dalla produzione.
Si rimedia limitando la produzione dell'uva specialmente alle viti gio-
vani e dando incremento con cimazioni potassiche alla vegetazione.
In Italia non abbiamo ancora queste due malattie.
Fig. 400. — Pera in via di sviluppo senza
seme. .Si conosce che la polpa del frutto
non è altro che l'anello carnoso d'un ramo.
Fig. 401. — Figura schematica di una
gemina fiorifera di melo. Il pendacelo
del fiore possiede: g) i vasi; bl) petali:
st) stami; n)lo stimma: A') capsula dei
semi; p) nucleo apicale del penducolo.
7. — Rachilismo, viti vizze, fraslagliamenlo delle foglie. Tutti questi
nomi servono a designare manifestazioni patologiche della vite che i
Francesi chiamano Roncet, il cui carattere, secondo il Pantanelli è " la
frastagliatura delle foglie,,, a cui sembra doversi aggiungere "la mac-
culatura pallida delle foglie stesse „ che, per analogia con la ben nota
malattia del tabacco, il Pantanelli chiama mosaico della vite.
Altro carattere del Roncet è il raccorciamento degli internodi
(Court nouc) con la corteccia escoriata, con fenditure rognose; e per il
- 494 —
legno più compatto e più duro del sano. Germogli brevi, affastellati ; i
fiori cadono prima di fiorire, foglie piccole, grinzose, giallastre.
Non si conoscono ancora bene le cause di questa malattia ma si
sa soltanto che specialmente in alcune specie di viti come le Rupestris
si trasmette coll'innesto, si propaga per talea, e che si comunica nelle
talee sane quando si piantano in terreni dove si trovano viti amma-
late di Roncet.
Sono accertate fino ad ora, le seguenti cause predisponenti dalla
malattia :
1. I freddi nel periodo della germogliazione della vite.
2. Il disporre la vite a fruttificare troppo presto e troppo abbon-
dantemente dopo l'innesto.
Fig. 402. — Rami a frutto di pero con scabbia : r) screpola-
ture della corteccia che vanno in giro intorno al ramo;
*) estremità morta; b) sollevamento di scorza prodotta
dal callo; u) placca di gelo; sp) dardo sotto al quale si
forma un anello inciso che lo fa cadere coll'estremità ;
a) squama di scabbia sotto alla quale si torma il callo.
Fig. 403.
Cellula di pera
presa da Farinosità.
La cellula contiene
dello zucchero.
3. Il prolungamento esagerato dello stato di vita attiva dei ceppi
nella stagione autunnale.
8. — Scabbia (fig. 402). E' dovuta alla esuberanza di umidità e di
elementi nutritivi nel terreno con deficenza di calcare.
Il pero va soggetto a questa malattia e si manifesta con delle scre-
polature sulla scorza dei rami che si cicatrizzano poi con delle produ-
zioni sugherose cosi da far apparire il ramo squamoso.
Bisogna drenare il terreno e concimare con elementi calcari, eli-
minando gli altri.
9. — Farinosi delle fruita (fig. 403). 11 processo della maturazione
della frutto è un processo di fermentazione, in conseguenza del quale
le materie zuccherine si convertono in alcool che, combinandosi cogli
- 495 -
acidi vegetali, dà luogo alla formazione degli eteri, che danno l'aroma
alle frutta.
Se questo processo avviene coi forti calori, gli acidi volatilizzano
prima di reagire sull'alcool, ed allora la polpa rimane farinosa, insipida
Ciò avviene nelle pere e mele precoci.
Nelle pesche tardive avviene il medesimo fenomeno, ma per causa
opposta. E cioè in queste frutta, anche se rimangono a lungo esposte
sulla pianta, non avviene la fermentazione e manca quella produzione
d'alcool necessaria per far agire gli acidi e produrre, per reazione di
essi, degli eteri.
Si manifesta la malattia nelle pere e mele precoci quando si hanno
dei caldi eccessivi d'estate e nelle pesche tardive, quando l'autunno è
freddo. La polpa diventa farinosa, insipida e prendendola fra le dita
forma una pasta.
Mezzi di difesa : a) Non piantare in località molto calde le varietà
che hanno questo difetto.
b) Scegliere per spalliere innesti di piante trovantisi in paesi più
freddi e possibilmente da pieni venti.
e) Raccolta anticipata della frutta.
10. — Siiberosi. E' una sovrapposizione di tessuto suberoso sulle
lenticelle della corteccia, in modo che toccando colle dita si stacca una
farina gialla ocracea. Le cause della malattia sono l'eccessiva umidità
ed eccessivi elementi nutritivi nel terreno, che determino soverchio
turgore dei tessuti mancando una traspirazione proporzionale. Di fatti
si nota specialmente su quei rami ai quali cadono precocemente le
foglie. Le piante più danneggiate sono: pero, pesco, melo, ciliegio,
susino e vite. Nella fig. 404 abbiamo un tronco di melo sul quale sotto
alle squame esterne, più dure della scorza, si formò una massa sughe-
rosa, dapprima di color bruniccio chiaro, poi nerastra, e polverulenta.
Anche le radici del susino e della vite possono venire colpite dalla
suberosi, cosi gli acini della vite (fig. 405). Nelle primavere umide
quando succedono rapidamente delle giornate molto asciutte e calde,
avviene che alcune cellule della epidermide, non trovantisi sotto gli
stomi, si ingrossano in senso radiale, cosi da sporgere dalla super-
fice e producono poi un rivestimento sugheroso che imbrunisce, inol-
trandosi la stagione. Questo fenomeno viene anche provocato molte
volte dall'azione meccanica dello zolfo.
Mezzi di difesa: Scuotere le piante dopo la pioggia, perché asciu-
ghino presto.
Suir uva spina si ha la suberosi anche sulle foglie.
11. — Malattia dell' inchiostro del castagno. Non si conosce la causa
determinante la malattia che fa molto danno, però ultimamente il
Prof. Briosi avrebbe accertato che trattasi di malattia crittogamica.
Sul fusto e sulle radici si notano delle macchie nere in seguito
alle quali le piante avvizziscono ed ì frutti rimangono piccoli. Nelle
cellule si trovano delle concrezioni con reazione di tannino.
— 496 —
Anche il noce va soggetto ad una malattia simile chiamata mal nero
del noce.
12. — La malatlia del nocciuolo si manifesta col deperimento gene-
rale della pianta; le foglie delle estremità ingialliscono; i rami dell'an-
nata avvizziscono all'estremità. Le nocciuole all'esterno non presentano
alcun carattere anormale, soltanto cadono al primo urto e se aperte,
presentano i cotiledoni abbruniti e secchi. Si ha quindi una precoce
caduta di frutti, i quali, fin dal luglio e dall' agosto, si staccano ; tal-
volta il prodotto è interamente distrutto.
f%
^
Fig. 404. — Suberosi fari-
nosa nel tronco di melo.
Fig. 405.
AciniTd'uva in doppia grandezza del naturale
colpiti da suberosi al pendicello.
Il Dott. Brizi ha trovato nelle radici galle nelle quali scoperse
un forellino per il quale potrebbe penetrare od uscire un insetto.
Questo insello però è sconosciuto e quindi è bene ancora considerare
questa malattia nel presente capitolo.
13. — Melata o manna. E' un trasudamento del succhio che si
mostra sulla pagina superiore della foglia, con un'apparenza vischiosa
e di sapore dolce. Lo si scorge ordinariamente nel mese di maggio,
dopo alcuni giorni di pioggia, al comparire del sole.
Ecco come il Peluso spiega la ragione di questa malattia per il gelso.
" Ridotto il succhio in molta coppia nelle cellule, dilatalo dal
calore del sole, al sopravvenire della notte serena, per un subilo res-
tringimento delle pareti, è spinto fuori dagli stomi superficiali, e il
sole di nuovo evaporando l'acqua che contiene, lo riduce in uno stalo
- 497 -
più denso, mantenendo quella porzione' di glucosio che ordinariamente
va con esso.
" Perchè il fenomeno succeda, è necessario che l' albero sia ben
nutrito e vigoroso, che avvengano quelle vicende atmosferiche che
possono condurre il tessuto a manifestare gli effetti in quella guisa. „
Il prof. Comes che concorda in questa spiegazione della malattia,
consiglia specialmente i lavori profondi e la lavorazione del terreno
per aerearlo, senza fare alcuna coltivazione sottostante.
Questa malattia è di solito anche accompagnata da invasioni di
afidi i quali si nutrono di alcune goccia di un liquido vischioso, in-
colore, dolciastro che appare sulle foglie. Le piante danneggiate sono
vite, gelso, agrumi, melo, susino, olivo.
Mezzi di difesa : a) Annaffiare ripetutamente le foglie ed il terreno.
b) Combattere i pidocchi che eventualmente possono essere la
causa del male.
Il Dott. Petri, per quanto riguarda l'olivo, è pure del parere che si
deve attribuire la malattia a disturbi fisiologici od a parassiti animali.
14. — Brusca dell'olivo, così si chiama quell'alterazione per la quale
d'un tratto le frondi dell'olivo, da verdi e rigogliose, diventano abbruciac-
chiate e secche.
Il Petri attribuisce la malattia alle seguenti cause:
a) Nebbia e rapidi passaggi dal freddo al caldo.
b) Vento marino.
e) Marciume radicale seguito o no da gommosi.
d) Parassitismo della Stictis Panizzei De Not.
Pare che si tratti di disturbi funzionali delle foglie determinati indi-
rettamente da alterazioni dell'apparato radicicolo (Petri) e quindi viene
consigliato di rinnovare questo con una scalzatura delle piante, seguita
da una buona sbarbettalura, tagliando le radichette, sostituendo poi la
terra con altra, buona, fertile e mista a concimi.
XXX.
Malattie dovute a sostanze nocive trovantesi
nel terreno o nell' aria.
Generalmente queste sostanze vengono chiamate veleni, ma vi sono
anche delle sostanze non velenose che, se si trovano in eccesso o
difetto, possono recare nocumento alla pianta. In questo capitolo
citiamo le principali.
1. — Anidride solforosa. Questa si trova nel fumo delle fonderie
e di quelle officine che bruciano la lignite o la torba contenente
della pirite di ferro, cosi pure vicino alle fabbriche di acido solforico,
danneggia le piante, facendo contrarre il protoplasma delle cellule le
32 — Tamaro - Frutticoltura.
quali perciò perdono il loro turgore. In conseguenza la clorofilla viene
decomposta rimanendo soltanto la xantofilla. In una parola le foglie
perdono il colore, diventano gialle o brune ed avvizziscono, disseccano
e ciò appunto perchè vengono alterate la circolazione e la traspi-
razione.
2. — Gas iUiiminante. Nelle città, lungo i passeggi, non di rado
per qualche lieve spandimento delle condutture di gas, impossibile ad
evitare, si hanno danni agli alberi. Il gas è venefico per le sostanze
eterogenee che contiene, rende le radici bluastre e inattive. I danni
sono maggiori durante il periodo vegetativo.
3. — Gas aminoniacaii. Questi pure son dannosi alle piante, tanto
che, per esempio, si sono verificati danneggiamenti in serre che erano
in comunicazione con stalle.
4. — Cloro e vapori d'acido cloridrico. Arrecano eguale danno del-
l'anidride solforosa.
5. — Acido fluoridrico. Nelle vicinanze delle fabbriche di concimi
chimici dove si lavorano fosforiti, specialmente se il tempo è umido,
si hanno danni notevoli per questo gas, che danneggia tutte le piante
colle quali viene in contatto, sia arboree sia erbacee, intaccando il pro-
toplasma delle cellule e decomponendo la clorofilla. Siccome in molte
di queste fabbriche si ottiene l'acido solforico colle piriti, anche da
questo processo si ha un altro inquinamento d' aria per l'anidride
solforosa, come abbiamo già detto
6. — Acido solfidrico, solfuro di carbonio, esalazioni vulcaniche,
vapori d'olii eterei, producono macchie brune sulle foglie.
7. — Vapori di catrame e bitume, vapori di acido prussico, fanno
perire in brevissimo tempo le piante.
8. — Acidi liberi, sono pure dannosi.
9. — Soluzioni alcaline. Le soluzioni di soda o cenere della densità
di 1.01 danneggiano le piante, facendo imbrunire prima le radici, poi
le foglie, che muoiono. Di questo bisogna prenda nota il frutticoitore,
che adopera tanto di frequente la cenere per concime.
10. — Arsenico. E molto velenoso anche per le piante. È sufficiente
una soluzione all'uno per mile per far periie in poco tempo una pianta.
11. — Sali mercuriali. Specialmente il cloruro di mercurio è molto
dannoso.
12. — Sali di rame. Adoperandosi il solfato di rame per distruggere
le spore dei parassiti vegetali, è evidente che anche le semplici solu-
zioni di questo sale possono danneggiare una pianta. Difatti una solu-
zione semplice oltre l'uno per mille danneggia generalmente la parte
erbacea. Fino a che limite le radici possono tollerare questa soluzione
non è stato ancora constatato.
13. — Sali di piombo. Se le soluzioni rimangono a lungo in contatto
colle radici, queste vengono danneggiate.
14. — Sali di zinco. Sono relativamente poco dannosi: mentre le
piante ritardano il loro sviluppo, tollerano una soluzione fino al 2.78 %.
- 499 —
15. — Sali di ferro. Sono specialmente dannosi il solfato acido ed
il carbonato.
16. — Sali di litio, solfuri, bromuri, joduri, borati, cianuri. Sono
tutti nocivi.
17. — Cenere dei vulcani. Si sono verificati più volte danni alle
vigne ed ai giardini intorno al Vesuvio per effetto delle pioggie di
cenere eruttate dal vulcano. Tutte le parti imbruniscono, ma questo
imbrunimento è diverso da quello che potrebbe avvenire per scotta-
tura. Cosi pure le pioggie di fango danneggiano la vegetazione. Il Prof.
Pasquale attribuisce questo danno ai componenti della cenere, che
agisce sulle piante come l'acqua salata.
18. — Cloruri. Quantunque il cloruro di sodio, potassio e calcio
siano elementi nutritivi delle piante, se in quantità esuberanti le danneg-
giano: sopratutto il cloruro di sodio, in soluzione nel terreno, o in
sospensione nell' aria, come lungo le spiaggie del mare. Nel terreno,
danneggia la pianta se in una soluzione superiore al 0.5 7o-
19. — Acido fenico. Anche questo è dannoso e, quantunque venga
consigliato e faccia parte di molti insetticidi, pure 1' agricoltore deve
adoperarlo con prudenza e non oltrepassare i limiti prescritti per il
rimedio.
Il Carbolineo, che viene adoperato per conservare i pali di sostegno
e per spalmare i cassettoni dei semenzai, può anch'esso recare qualche
danno ai rami ed alle foglie.
20. — Petrolio. Il petrolio danneggia seriamente le piante sia alle
radici che ai rami. Il terreno bagnato da petrolio perde ogni vegeta-
zione fino a che tutto il petrolio non evapori. Sui rami l'effetto è lungo,
poiché i tessuti se ne imbevono ed avviene che anche dopo uno, due
anni se ne risentano gli efletti.
Ho sempre consigliate le emulsioni di petrolio per combattere gli
insetti con una certa prudenza, in causa di questo fatto.
21. — Catrame, vapori d'asfalto, prodotti della distillazione del catrame
sono meno dannosi del petrolio però anche loro producono delle
alterazioni.
22. — Alcaloidi. La nicotina, la morfina, la stricnina danneggiano
soltanto le foglie -, disseccandosi sopra, disorganizzano le cellule del-
l' epidermide,
23. — Acido ossalico. Danneggia le radici.
— 500 -
XXXI.
Guida per determinare le principali malattie
delle piante da frutto.
I. Deperimento generale della pianta.
A. Danni dovute a malerbe
B. Danni dovuti al
a) vischiol il quale spunta qua e là dalla corteccia dei
rami, a ciuffi sempre verdi, ramificati a forchetta
b) alla cuscuta che avvolge i grappoli d'uva con filamenti
e) ai musclii e licheni che si trovano sul tronco e rami
C Danni dovuti ad intemperie
D,, „ a ferite
E. „ „ regime colturale
P- n , cattive condizioni del terreno .
^- " » ,. „ dell'atmosfera
^- « » sostanze nocive trovantesi nel terreno
o nell'aria
^- » » alla sfrondatura
L. Malattie che si manifestano
a) colla mortalità repentina di un tralcio o di tutta la
pianta: Apoplessia
b) coU'intristimento generale, le foglie diventano piccole,
giallognole, rare, cadenti e con una lacrimazione ab-
bondante dalla ferite : Idropisia
e) colorazione meno intensa che poi diventa giallo ocracea
delle foglie, le quali imbruniscono dalla periferia al
centro e poi cadono: Clorosi
f) le foglie delle estremità ingialliscono, i rami dell'an-
nata avvizziscono all'estremità, le nocciuole portano
i cotiledoni abbruniU e secchi : Malattia del nocciuolo
II. Danni e malattie delle radici.
A. Scavano delle gallerie guastando le radici
1. le Talpe
2. un insetto perfetto : Grillotalpa
B. Rodono le radici
1. animali superiori : Topi
2. larve di coleotteri
a) bianche, lunghe 40-50 mm. al massimo e larghe
13 mm., grinzose, sul di dietro alquanto ingrossate:
Maggiolino
b) simili alle precedenti ma più piccole : Bromins vitis
e) idem : Carruga degli orti (Phylloperta horticola)
d) allungate, cilindriche, alquanto compresse ai lati,
più grosse posteriormente : capo carneo, giallo ros-
siccio, con robuste mandibole brune. Colorito bianco
gialliccio, una macchia gialla sui Iati del primo
Nome delle piante
intaccate
pero, melo, noce, car-
rubo, nespolo, susino,
mandorlo
vite
tutte
gelso, pero e ribes
vite
tutte
479
484
491
491
491
497
484
434
435
464
467
501
Nome delle piante
Pag.
intaccate
segmento. Pelle rugosa con peli giallicci: Anomala vitis
vite, ciliegio,
mandorlo
464
e) piccole, bianche, apodi, lunghe 10 mm. : Othiorhijn-
chus gen
susino, vite, pero,
pesco, olivo, melo.
lampone, ciliegio
469
C. Succhiano gli umori
1. afidi e loro larve
a] che producono dei rigonfiamenti sulle radichette a
forma di uncino : Fillossera
vite
442
b) che schiacciati lasciano un umore sanguigno; Schi-
zoneura lanigera
cotogno, melo, pero
444
c) di color verde : Aphis aoellanae
nocciuolo
442
D. Sulle radici di piante deperenti si notano
a) placche bianche, brune, cordoni bianchi con odore
di fungo e marcescenza di radici: Marciume radicale
tutte
402
b) macchie nere in seguito alle quali le piante avviz-
ziscono : Mal dell'inchiostro
castagno
495
e) ingrossamenti, tumori duri e legnosi : Tubercolosi
olivo
398
idem : Rogna
vite
398
d) callosità : JVfarezzo
albicocco, cotogno,
lampone, mandorlo.
olivo, pero
489
ITI. Danni e malattie del tronco e rami
A. Alterazioni per le quali la corteccia muore o screpola.
senza rigonfiamenti o spaccature profonde
1. muore a larghe chiazze ed in lunghe strisele dalla
parte più illuminata dal sole : Screpolature solari o
Scottatura
tutte
479
2. strisele larghe che si sfaldano un po' per volta: Colpo
di sole al 'fusto
481
3. strisele che si sollevano longitudinalmente e ad ogni
striscia corrisponde una spaccatura del legno : Striscia
^
481
B. Alla base del fusto si notano delle macchie nere, in
seguito ;alle quali la pianta avvizzisce ed i frutti ri-
mangono piccoli
a) Mal dell'inchiostro
castagno
495
b)'Mal nero del noce
noce
595
C. Imbrunimento e screpolature sulla corteccia : Cancro
tutte
412
D. Rigonfiamenti e pullulazione di protuberanze
1. al fusto : Marezzo al fusto
cotogno, pero, ribes,
susino
489
2. tuberosità molli e spugnose finché sono in formazione.
poi compatte o legnose, bernoccolute, connuenti, che
sollevano la corteccia, riducendola a brandelli: Rogna
gelso, olivo, vite
398
3. sui rami giovani la corteccia si screpola e poi cica-
trizza con produzioni sugherose, così da far apparire
il ramo squamoso: Scabbia
pero
494
4. rigonfiamenti allungati , che vanno ingrandendosi e
qua e là si spaccano, lasciando margini irregolari :
Cancro per gelo
tutte
481
502
5. placche più o meno regolari: Placche di gelo.
E. Dalla corteccia o dalla massa legnosa sgorgano
1. degli umori linfatici
a) accompagnati da imbrunimento del legno : Cancrena
umida
b) senza inbrunimento : Ulcera
2. della resina : Resinosi
3. un liquido gommoso : Gommosi
F. Intristimento generale della pianta e formazione di
cavità nel tronco : Carie centrale
G. Anormali produzioni e disposizioni di rami
1. produzione eccessiva : Cladomania
2. appiattimento dei rami : Fasciazioni
3. i giovani rami disseccano all'estremità: Seccume delle
vette
4. il fusto ed i rami si piegano dal lato meglio esposto
alla luce : Eliotropismo
H. Malattie dovute a crittogame
1. Macchie diffuse fuligginose : Fumaggine ....
2. Colorazione rosa del tronco; macchie brune sulla
parte alta, annerimento del legno : Batteriosi del fico
3. Sviluppo di ramificazioni affastellate e rami sottili e
diritti: Scopazzi
4. Funghi con cappello sporgente dai rami e putrefa-
zione del corpo legnoso
a) a forma di unghia di cavallo, legnoso, di color
bruno ruggine: Polijporus igniarius o Marciume bianco
del legno
b) di forma assai varia, suddivisa in molte parti emer-
genti da una comune prominenza, larghi, a polpa
succosa, glabri, di color giallo rossigno : Polyporus
sulphureiis o marciume rosso del legno ....
e) le cui spore germinano fra le ferite della corteccia
fatte di recente ed il micelio poi penetra per i raggi
midollari ed inducono una colorazione rossigna al
legno : Polyporus fulous
di cappello annuale composto di una sostanza suberosa,
rosso bruna, più tardi lucida, coperta di una mem-
brana che più tardi diventa grigia: Polyporus fo-
mentarius
e) cappello con sostanza carnosa interna rossa: Poli-
porus cinnabarinus
Nome delle piante
intaccate
gelso, vite
tutte
pino da pinoli
agrumi e piante
a nocciuolo
castagno, gelso,
noce, olivo
tutte
ciliegio
agrumi, albicocco,
castagno, ciliegio.
Eugenia, fico, gelso,
melo, nocciuolo, olivo,
pero, pesco, ribes,
susino, vite
fico
ciliegio
albicocco, carrubo,
ciliegio, gelso, man-
dorlo,noce,pero,susino
carrubo, castagno,
ciliegio, mandorlo,
noce, pero
olivo, castagno
noce, pesco
ciliegio, vite
f) massa carnosa bruno giallastra a cuscinetto sporgente
del diametro di 15 cui. molle al tatto: Pohjporns hispidus
5. Croste di color giallo rancialo o rosso brune, di con-
sistenza gelatinosa, elittica o lineare : Ruggine
6. Macchie plumbee superficiali che invecchiando fanno
screpolare la corteccia: Ticchiolatura
/. Malattie e danni prodotte da animali
1. Rosicchiamenlo della corteccia prodotta da topi, co-
nigli, lepri
2. Danni alle gemme
a) prodotti da uccelli, di cui si cibano: Frosone, Passero,
Ciuffolottto
b) da larve apodi che le vuotano: Anthonomus pomorum
e) corrosione totale
aa) prodotta da coleotteri: Ottiorinchi
bb) prodotta da bruchi di tignole che per ripararsi
avvolgono di ragnatele le gemme colle foglie vicine
d) prodotte da lumache specialmente nei semenzai
3. Succhiano gli umori forando la corteccia delle cocci-
niglie che hanno
a) lo scudetto a virgola : Myiilaspis fulva ....
b) lo scudetto alquanto più grande] e ;più panciuto e
della forma a virgola: Lepiidosaplies ulmi
e] lo scudetto circolare, giallastro, circondato da largo
anello ceroso, bianco : Bianca degli agrumi o Aspi-
diotus limona
(/) la femmina lunga 4 mm. è coperta di 8 piastre
marginali nel cui mezzo vi ha una depressione
cera che diventa bruna : Cocciniglia del fico o Cero
plastes rusci
e) la femmina di color terreo, piriforme, con solchi tras
versali sulla linea mediana del dorso che è convesso
Cocciniglia della vite o Pulvinaria vitis .
f) si circondano di una materia cotonosa: Philippia oleae
g) la femmina di color marrone fosco e lungo 4 mm
Lecanium oleae. '
h) la femmina ovale appuntita alle due estremità e molto
convessa, di colore bruno rossastro lunga 5-8 mm
Lecanium persicae
i) la femmina di color rosso vinoso, convessa e coperta
di cera: Ceroplastes sinensis
/) la femmina giallo ocracea cosparsa di macchie brune:
Lecanium hesperidum
m) la femmina con uno scudo bruno quasi nero lucente,
di forma rettangolare, con carene longitudinali circon-
date da cera: Par/afora zfzypTii (pidocchio nero degli
agrumi)
Nome delle piante
intaccate
gelso, melo, pero
albicocco, ciliegio,
melo, nespolo, pero,
pesco, ribes, uva spina
melo, pero
ciliegio, lampone,
melo, pero, gelso
quasi tutte
agrumi
agrumi, nespolo, olivo
ribes, susino
vite
olivo
agrumi, albicocco
gelso, pesco, susino,
vite
504
4. Sui rami dell'annata e di 2 anni si formano delle
protuberanze elittiche. gibbose, a superficie grigio
rossigna, dapprima molli ed in seguito si lignificano
e si spaccano, così da formare delle tumefazioni ulce-
rose. Si debbono alle punture della Schizoneura lani-
gera che vive in numerose colonie ed il corpo è coperto
da una lanuggine bianca, cerosa
5. Bruchi di farfalle che rodono il legno scavando gallerie
a) di colore bruno rosa o carnicino a pelo lungo,
lunghi 2 cm. un po' appiattiti sul dorso bruno o nero:
Cossus cossus
b) di IG zampe, più piccoli, giallognoli, testa e primo
segmento neri : Zeuzera pyrina
6. Gallerie sotto la corteccia in corrispondenza delle
quali si hanno screpolature, prodotte da
a) larve apodi, molto allungate, depresse, col capo
piccolo, nero 'ed il primo segmento toracico molto
largo : Agriliis siniiattis
b) larva allungata biancastra coperta da una fine pube-
scenza corta bianca : Capnodis tenebrionis
e) larva, biancastra piegata ad arco, lunga 4-5 mm. :
Sinoxylon sexdentatiim
7. Larve cilindriche molli, poco pelose, apode con testa
coriacea e retrattile che scavano gallerie tortuose attor-
no ad una escavazione mediana più grande
a) Bostrychus dispar
b) larva bianca, con pubescenza rossa curvata ad arco
Hypoborus ficus
e) larva biancastra curvata ad arco e capo arrotondato,
ferrugineo lucente : Phleotribus scarabaesides
di simile alla precedente e si forma sulla corteccia
una macchia fosco rossiccia in corrispondenza all'a-
pertura della galleria : Hglesinus oleiperda .
e) la larva vive nella galleria coU'insetto perfetto. La
galleria è sempre fra il legno e la corteccia: Sco-
lytus pruni
Scolytus piri
Scolgtus rugulosus
IV. Malattie e danni sulle foglie
A. Malattie dovute a crittogame
1. Depositi polverulenti o priunosi bianco grigi, effusi :
Crittogame della vite
Albuggine del carrubo
2. Depositi filamentosi in forma di feltro lanugginoso o
cotonoso bianchiccio anche sui germogli; Bianco.
3. Placche o croste
Nome delle piante
intaccate
cotogno, melo, pero
tutte
quasi tutte
pero
quasi tutte
vite, fico
albicocco, melagrano,
melo, pero, pesco,
susino
fico
olivo
melo, pero e piante
a nocciuolo
pero
tutte
vite
carrubo
albicocco, ciliegio,
melo, nespolo, pesco.
ribes, susino
451
452
471
471
471
471
471
471
505 -
a) polverulenti superficiali, nere anche sui germogli :
Funiaggini, Morfee, Mal del cenere
b) compatte superficiali con verruche di colore
aa) aranciato : Polystigma ochraceum ....
bb) rosso : Polystigma rabruni
ce) rossastre sulla pagina superiore, cui corrispondono
tubercoletti sulla pagina inferiore, prominenti, rosso
bruni : Ruggine del pero
4. Pustole
a) minute bianchiccie, numerose, compatte : Ruggine
del ciliegio
b) nere polverulenti : Ruggine del lampone e del susino
e) piccole, rotonde, di colore rosso ranciato : Ruggine
del ribes
h. Vesciche gialle o rossiccie: Lebbra, bolla o accartoc-
ciamento delle foglie
6. Macchie di diverso colore
a] sulla pagina superiore da prima gialle poi rossastre,
indi color foglia secca; sulla pagina inferiore ed ai
lati delle nervature una efflorescenza cristallina :
Peronospera
b) gialle seguite da semplice accartocciamento indi
disseccamento' delle foglie e germogli, senza essere
bollose né ispessite: Nebbia, Seccume, Persa, Imbru-
niinento delle foglie
e) bruno plumbee, superficiali, tondeggianti, a margine
minutamente frangiato. Invecchiando diventano arsic
eie e la porzione della foglia, del ramo o del frutto
intaccati si lacera, screpola e si stacca : Ticchiolatura
d)oìiyacee diffuse, che fanno intristire ed accartocciare
le foglie : Seccume del fico
e) grigie ed oscure, circolari orlate di rosso e poi nero,
le quali si allargano e mettono a nudo i tessuti
interni di tutte le parti verdi della pianta : Vajolo o
Antracnosi
f) rosso cuojo, irregolari, situate verso l'apice ed ai lati
del lembo : Brusca degli oliui
7. Screpolature, corrosioni o perforazioni :
a) i piccioli e le nervature fogliari solcate da striature
ed ivi con spaccature più o meno profonde: Mal
nero della vite
b] macchie nere piccole, lucide, depresse, irregolari poi,
confluenti e perforate: Batteriosi del gelso
e) macchie bruno ocracee, rotondate con orlo rossastro,
al centro poi perforate : Perforazione delle foglie.
d) perforazione seguita dalla caduta delle foglie: Cy-
cloconium oleaginum
Nome'delle piante
intaccate
quasi tutte le piante
da frutto
mandorlo
susino
pero
ciliegio, pesco
lampone, susino
ribes, uva spina
tutte le piante a
nocciuolo
lampone, ribes, vite
quasi tutte le piante
cotogno, melo, pero
fico
agrumi, cotogno,
mandorlo, melo,
nespolo, noce, pero,
ribes, susino, uva
spina, vite
olivo
vite
gelso
piante a nocciuolo
olivo
506 -
B. Malattie fisiologiche
1. Dalla pagina superiore trasuda un succhio vischioso:
Melata
2. Perdita precoce delle foglie che diventano giallognole
e biancastre in causa di lesioni ai rami e fusto : Fil-
loptosi
3. Le foglie arrossano : Rossore
C. Malattie dovute ad animali
1. Succhiano gli umori delle foglie
a) le lumache specialmente nei vivai
b) un pidocchio la cui larva bianca colle estremità di
color castagno, produce colle sue punture delle de-
pressioni circolari di mm. 0,6 di diametro, che fanno
poi cadere le foglie : Phleothrips oleae . . . .
e) piccole cimici che fanno ingiallire le foglie e coprire
la pagina inferiore di minutissimi punti neri: Tingis
pyri
d) larve di falsi gorgoglioni che secernono un umore
dolce che produce poi la fumaggine: Psillidi
e) larve che secernono della cera bianca di aspetto
bambagino: Eiiphhllura olivina
/) afidi, pidocchi o gorgoglioni che non superano 6 mm.
di lunghezza, che succhiando gli umori della pagina
inferiore fanno accartocciare le foglie e secernono
anche un umore dolce
2. Erosione di bruchi grossi con 16 zampe e con verruche,
i cui peli sono disposti come i raggi di una sfera
a) grigio scuri, con due strisele dorsali, longitudinali
di color rosso e con striature bianche trasversali ai
lati del dorso : Euproctis chysorrhoea ....
b) grigio terra, con 2 macchie trasversali celesti e con
numerosi ciuffi di peli: Lasiocampa quercifolia .
e) grigi, con linee e disegni giallognoli con dei ciuffi
di peli sul dorso posti sopra delle verrucosità : Orgia
antiqua
d) grigio pallidi variegati di nero, con una linea me-
diana bianco giallastra sul dorso e sui tubercoli :
Lymantria dispar
e) azzurro grigiastri, con una linea longitudinale bian-
castra e con 6 linee per lato, di color giallo rosso,
interrotte : Malacosonia neustria
f) giallo zolfo con molti ciuffi di peli, dei quali uno
rosso, all'apice dell'addome : Dasychira pudibunda
g\ con fascia mediana bruna superiormente; di 2, una
per lato dorsali brune e interrotte ; di quattro altre
giallastre. Lunghezza 38 mm. : Aporia crataegi .
Nome delle piante
intaccate
agrumi, gelso, melo,
susino, vite
tutte
vite
melo, pero
castagno, ciliegio, fico
melo, pero, pesco
quasi tutte
tutte
albicocco, ciliegio,
melo, pero, pesco
susino
castagno, melo, noce,
nocciuolo, rovo
ciliegio, melo, pero,
sorbo
Pag.
437
438
ó()7
h) verdastri con strie oblique giallastre: Papilio poda-
liurus
i) nero azzurri, con spine giallastre e fini peli bianco
giallicci con 3 strisele ranciate : Vanessa polyclhorus
3. Erosione di bruchi che portano oltre le 3 paja di
zampe nere, 2 ventrali posteriori e 2 anali e che per
camminare inarcano il corpo, di colore
a) bianco cereo, con una macchia neia sopra ogni
segmento : Abraxas grossulariata
b) verde gialliccio con linee longitudinali dorsali verdi
scure, avvolgono le foglie e le gemme con una ra-
gnatela : Cheimatobia bruiiiata
e) fulvo castano con linee longitudinali nerastre ; ai
lati ed il ventre giallo verdastro. Avvolgono anche
queste le foglie e le gemme con ragnatela : Hibernia
defoliaria
-1. Erosione di piccoli bruchi che avvolgono le gemme,
le foglie ed i germogli, verdastri con macchie punti-
formi sul dorso: testa nera ed il primo segmento rosso :
Pirale della vite
5. Piccoli bruchi lisci con 16 zampe, viventi in società, mi-
natori delle foglie, scavando delle gallerie fra le due
pagine o avvolgono delle foglie e fiori in forma di tubo
aperto ad una estremità o formano con bave di seta una
specie di fodero «d un groviglio. Colore
o) giallo bruniccio, verdastro sul dorso : capo nero :
Hyponomenta malinella
b) giallastro con una macchia Jnera ai lati di ogni
anello : H. padellus
e) giallognolo con punteggiature nere: H. evonymellus
o H. cognatella
d) color terra dombra, colla parte posteriore del capo
nera. Tutto il corpo ha setole brevi e sottili. Scava
gallerie nel parenchina. Lungh. 7-8 mm. Tignuola
dell'ulivo
e) larva minatrice che scava la galleria partendo dalla
ners'atura mediana e poi ad arco va fino al lembo per
ritornare alla nervatura mediana : Lyonetia clerkella
f) verdiccio, lungo 14 mm, con capo giallastro, mac-
chiato in nero ai lati e con tubercoletti neri. Copre
le foglie con una ragnatela sotto alla quale vive :
Tignuola del fico
6. Distruzione completa delle foglie prodotta da coleotteri
a) Melolonta vulgaris
b) scarafaggio lucente, lungo 9-10 mm., collo scudetto
di color bruno cupo : Carruga degli orti.
e) di color verde metallico, brillante, talvolta azzurro
con riflessi 'dorati. Lungh. mm.;8-10; Anomala vitis
7. Erosione del parenchima delle foglie rimanendo la
Nome delle piante
intaccate
castagno, ciliegio,
mandorlo, melo, pesco,
susino
albicocco, mandorlo,
ribes, susino, uva spina
ciliegio, melo, pero
susino, ciliegio
albicocco, melo,
nespolo, pero, susino
fico
463
tutte
464
.
464
vite
467
Pag.
461
462
462
508
sola nervatura, intaccando anche i germogli e le gem-
me. Anche questi sono coleotteri di forma
a) cilindrica, neri, poco lucenti, con elitre rosso brune :
Bromius vitis
b) oblunga, convessa superiormente, di color verde
bluastro metallico, lucente: Haltica ampelophaga
8. Piccoli coleotteri il cui capo si prolunga anteriormente
a guisa di proboscide
a) le gemme, le foglie, i germogli vengono divorati da
curcolionidi per lo più neri o scuri: Ottiorinchi
b) le foglie vengono arrotolate e guisa di sigaro :
Sigarai
9. Piccole larve di vespe o mosche, quasi senza zampe
o con 6 zampe rudimentali, che si internano nel mi-
dollo dei germogli o rodono il parenchima delle foglie,
riparandosi con una ragnatela
a) larva con 6 piccole zampe che si interna nel mi-
dollo dei germogli facendoli appassire : Cephus coni-
pressus
b) la foglia o le foglie coi rami vengono avvolte da
fili serici che proteggono delle larve
aa) gialle colla testa e le placche cornee del primo
segmento toracico, nere : Neurotoma flaoiventuis
bb) verdi colla testa nera : Neurotoma nemoralis.
cc) giallo brune coperte da muco violaceo, da asso-
migliare a delle limacele : Caliroa cerasi .
dd) bleu grigie con una striscia verde longitudinale
sul dorso, col primo ed ultimo anello gialli, capo
nero e zampe nere : Nematus ribesii . . . .
10. Sulla pagina superiore dei rilievi tondeggianti che
corrispondono a dei ciuffi di peli della pagina infe-
riore, dapprima gialli, poi rossicci e neri
a) Brinosi
b) simile alla precedente, però le toglie si presentano
di color rosa camino sulla pagina inferiore e poi
finiscono col cadere: Tetranycus telarius
e) Galle quasi chiare aprentisi al di sotto e formatesi
per di sopra una borsa diritta: Fillossera gallicola
V. Malattie e danni dei fiori e frutti
A. Prodotte da crittogame
1 Depositi pelverulenti bianchi: Peronospera .
2 Cuscinetti emisterici, confluenti, sparsi, ovvero disposti
a zone concentriche sulla buccia : Marciume, Muffa o
Mummificazione
3. Depositi filamentosi in torma di efflorescenza bianco
grigiastra con sferette nere e successivo imbrunimento
della buccia del frutto e dei fiori : Abuggine o Bianco
Nome delle piante
intaccate
tutte
quasi tutte
ciliegio, nespolo, pero
susino
piante a nocciolo
piante a nocciolo
ed^ granella
ribes
melo, pero, vite
vite
vite, ribes, lampone
vite, nocciuolo e tutti
i frutti a nocciolo
albicocco, ciliegio,
nespolo, susino, car-
rubo, pesco, vite
Pag.
509
4. Croste nere, fuligginose, facilmente staccabili coU'unghia
sulla buccia: Fumaggine
5. Chiazze feltrose, fìtte, di color bruno, che fanno poi
disseccare la buccia ed 1 frutti: Nebbia . . . .
6. Macchie rotonde, numerose, a contorno ben marcato
scuro, da principio di color bruno scuro poi grigio
cenere: Antracnosi o vajolo
7. Macchie circolari sugherose, di color bruno, che da
principio sono circondate da una zona nera, limitata
da un circolo bianco: Fusicladium o Ticchiolatura
8. Macchie giallo rossastre sulle quali si sviluppano dei
tubercoli conici, lunghi alcuni millimetri : Ruggine
B. Animali superiori che danneggiano i frutti
1. Mammiferi: Volpe, Tasso, Martora, Gliiro, Moscardino,
Scojattolo
2. Uccelli: Frosone (ciliegie), Crociere olive), Nocciolaja
(susino e nocciuolo). Beccafico (fico, uva, ciliegie, lam-
pone), Passeri (più o meno tutti i frutti). Gazza (melo
e pero), Storno (ciliegio e uva). Merlo (ciliegio, olivo e
uva). Tordo (ciliegio)
C. Insetti dannosi
1. I frutti rimangono piccoli, deformati, neri e cadono :
Pidocchio dell'olivo
2. Larve di falsi gorgoglioni che succhiano gli umori
delle infiorescenze : Psillidi
3. Cocciniglie come quelle che si trovano sulle foglie
degli agrumi
4. Erosioni di fiori da parte di bruchi che portano oltre
le 3 zampe vere, 2 ventrali e 2 anali e che per cam-
minare inarcano il corpo, di colore
a) bianco cereo con una macchia nera sopra ogni seg-
mento : Abraxas grossulariata
b) verde gialliccio con linee longitudinali dorsali verdi
scure che avvolgono i fiori con una ragnatela: Chei-
matobia bramata
e) fulvo castano con linee longitudinali nerastre: Hi-
bernia defoliuria
d) piccoli bruchi grigi poi rosso carne od anche verdo-
gnoli, che avvolgono i grappolini con fili serici in
modo da formare un groviglio : Cochyllis .
e) simili ai precedenti, di color verde: Polychrosis botrana
5. Bruchi che si trovano nell'interno dei frutti e che di-
vorano la polpa
a) di color giallo paglierino tendente più o meno al
roseo ; capo bruno : Carpocapsa pomonella
b) simili ai precedenti ma più piccoli: Carpocapsa
splendana
Nome delle piante
intaccate
nespolo, ribes, uva
spina
albicocco, pesco, vite,
melo, pero.
melo, pero
cotogno, ribes, uva
spina, melo, pero,
nespolo, sorbo
agrumi
albicocco, mandorlo,
ribes, susino, uva spina 455
ciliegio, melo, pero 1 456
tutte 457
Pag.
noce, susino, pesco,
melo, pero
castagno
- 510
Nome delle piante
Pag.
intaccate
e) Carpocapsa pruniana
susino
460
d) Carpocapsa roborana
lampone
460
6. Bruchi che avvolgono le foglie assieme colle infiore-
scenze, cibandosi anche di queste ultime (vedi pag. 507
sub. 5) nonché il bruco della tignuola degli agrumi
agrumi
463
7. Larva apode di un coleottero : Anthonomus pomorum
pesco, ciliegio, lampo-
ne, melo, pero
468
8. Un coleottero lungo 4 mm. che corrode i fiori, bleu
nerastro con elitre profondamente solcate ed occhi
molto sporgenti : Apion pomonae
tutte
469
9. Larva semicilindrica, ricurva, di color bianco giallic-
cio, carnosa, rugosa, apode: Balaninus nucum
nocciuolo
469
10. Larva ingrossata apode, di color bianco rossigno, con
20 zampe di color giallo bruno che perfora i frutti
quando sono molto piccoli e poi li fanno cadere:
Tentredini
melo, susino,
pistacchio
473
11. Vespe e formiche che rodono i frutti
tutte
474
12. Larve apodi di mosche che internandosi nell'ovario
producono un rigonfiamento anormale del frutto : Mo-
scerino delle pere
pero
476
13. Larve gialle : Mosca delle ciliegie
ciliegio
476
14. „ „ Mosca delle olive
olivo
477
15. „ , Mosca delle arancie
agrumi, fico, fico
d'India, pesche, noci.
pere
478
FRUTTICOLTURA SPECIALE
PARTE PRIMA
PIANTE DA FRUTTO A GRANELLA
PERO
(Pirus communis L. — Fam. Rosacee).
Nome volgare italiano del frullo — Pera.
Nomi volgari stranieri della pianta — Francese: Poirier — Tedesco:
Birnbaum — Inglese : Pear tree.
Nomi volgari stranieri del frutto — Francese: Poire — Tedesco: Dirne
— Inglese: Pear.
1. Origine. — Gli antichi Greci coltivarono poco il pero perchè il
loro clima non vi confaceva. I Romani invece, secondo Columella e
Plinio ne fecero una larga coltivazione. Comunque sia, il pero è una
pianta originaria dell' Europa centrale, dove anche ora si trova allo
stato selvatico.
2. Caratteri botanici della pianta. — Albero piramidale, arrotondato
in gioventù, poi ovale, che arriva fino a 20 m. di altezza e raggiunge
in media l'età di 65 anni.
Radice profonda, con fittone molto sviluppato.
Fusto alto, grosso (può avere perfino 1 m. di diametro) a corteccia
screpolata, grigia, da cui si distaccano di sovente delle placche lenti-
colari; col tempo anzi la scorza si fende e diventa molto rugosa. Il
coloi-e di questa serve molte volte a caratterizzare una varietà. Il tes-
suto del legno è duro, line, sei-rato e pesante, molto pregiato per lavori
al tornio e perchè può essere ben levigato.
I rami sono inseriti ad angolo acuto nel tronco (45°), hanno la scorza
liscia, verde prima poi grigio violacea, qualche volta brunastra con
numerose lenticelle. I rami sono diffusi, spinosi in gioventù poi inermi
e fragili, poco pelosi con gemme conico-allungate, accuminate, ricche
di squame, glabre o leggermente pruinose, discoste dai rami. Le gemme
sono disposte in modo che ogni 5 gemme se ne trovano due sovrapposte
Ogni gemma porta alla base una gemma latente.
33 — Tamaro - Frutticoltura.
— 514 —
Le foglie sono ovali, finamente dentate od intere, coriacee, glabre
o raramente tomentose, lucide sulla pagina superiore; lunghe quanto
il picciolo, pendute con 10 o più minute nervature. Il picciolo, più o
meno lungo, è portato da un cuscinetto ed ha alla base due stipule
ben sviluppate.
11 pero fiorisce in aprile alla temperatura di 10°. I fiori sono bianchi
(raramente tendenti al rosa), ermafroditi solitari od aggruppati in un
corimbo composto da 9 a 11 fiori. Il calice del fiore è composto da
5 sepali persistenti; la corolla è dialipetala; gli stami sono in nu-
mero di 20 aggruppati sui loro filamenti per 10 e per 5. L'ovario è
infero ed ha 5 logge racchiudenti ciascuna 2 ovuli.
Il pero selvatico dà frutti nell'ottavo anno d'età. Questi sono piccoli,
con picciolo lungo e di sapore aspro. Maturano dal luglio all'ottobre.
I semi, racchiusi in logge cartilaginose, sono di color nero, non
lucenti.
II pero si distingue dal pomo per i seguenti caratteri:
Il pero, in primavera, entra prima in vegetazione, perciò fiorisce
prima e prima perde le foglie in autunno.
I fiori del pero sono quasi sempre bianchi mentre quelli del pomo
sono rosei.
I suoi semi sono di color nero, non lucidi, mentre quelli del pomo
sono lucidi e di color bruno.
II legno del pero è più duro e più scuro di quello del pomo.
In molti casi si trova nel pero una relazione fra il volume del
fruito e la sua forma regolare col numero e colla posizione degli ovuli
fecondati. I piccoli frutti o non racchiudono semi o solo in piccolo
numero; se presentano un ineguale sviluppo nei loro tessuti, si può
constatare che la parte atrofizzata corrisponde alla parte dell' ovario
non fecondala e che non porla semi. Certamente alla mancata fecon-
dazione si deve attribuire lo scarso numero dei frulli nel pero in
confronto al gran numero di fiori.
3. Classificazione e scelta delle varietà. — Le pere si possono
classificare secondo il seguente sistema naturale :
I. Biilirre. — A questa classe appartengono tutte quelle che hanno
la forma tipica della specie, indipendentemente dal colore, e cioè ben
tornila, senza protuberanze, più lunghe che larghe, oppure di eguale
lunghezza della larghezza, e non tanto incavate intorno al picciolo,
anzi appuntite. La polpa affatto liquescente.
II. Semibulirre.— Eguali alle precedenti, maapolpasemiliquescente.
III. Bergamotte. — Pere con polpa affatto liquescente come le
butirre; differiscono però per la forma, che è piatta o tonda, pianeg-
giante al picciuolo.
IV. Semibergamotte. — Eguali alle precedenti, ma a polpa semi-
liquescente.
V. Verdelunghe — Pere con polpa liquescente o quasi, di forma
allungata (ossia col diametro longitudinale almeno quattro volte più
515
Fig. 406. — Butirra d'Amanlis (-/a).
Ficr. (07. — Monfsallard
Fig. 408. -■ Coscia:(
Fig. 409. - Willianc (Vs).
— 516 —
lungo del trasversale) con buccia verde con poca o senza ruggine, e
anche mature conservano il loro color verde leggermente ingiallito.
VI. Caravelle o Ampolliformi. — Pere di polpa liquescente o
quasi, bislunghe o lunghe (col diametro longitudinale almeno un quarto
più lungo del trasversale), buccia verde-giallastra o gialla, coperta inte-
ramente o quasi da una ruggine color cannella o rosso-bruno.
Fig. 410. — Moscalelline Cls)
VII. Campane o Buoncristiane. — Polpa liquescente o semilique-
scente, forma irregolare, di frequente gibbose, di eguale od ineguale
diametro.
Vili. Rossette. — Polpa liquescente, o semiliquescente, con aroma
di cannella (perciò chiamate da noi anche cannellinej, forma bislunga
e, vicino al picciolo, con una parte più sviluppata dell'altra, quasi a
formare una curva cosidetta a collo di cigno. La buccia è colorata per
lo più in rosso più o meno intenso dalla parte del sole con qualche
traccia di ruggine.
— 517 —
IX. Moscate. — Pere piccole o mezzane, estive od al massimo di
ottobre, di forma varia, per lo più bislunga, e con aroma pronunciato
di moscato.
X. Grosse. — Appartengono pure a queste delle pere da taglio,
ma di grandezza straordinaria, con polpa liquescente o semiliquescente,
e che non si possono ordinare nelle classi precedenti.
XI. Aromatiche. — Tutte quelle che non si possono ordinare nella
classe precedente, però più piccole e di forma più tondeggiante.
Fig. 411. — Duchessa d'Angouléme (V;i)-
Fig. 412.
Buona Luigia d'Avranches (Va)-
XII. Pere lunghe da cuocere. — A questa classe appartengono
tutte le pere aventi una polpa croccante, non aspra, bensi scipita e dolce
col diametro longitudinale più lungo del trasversale.
XIII. Pere tonde da cuocere. — Eguali alle precedenti soltanto coi
due diametri quasi eguali, oppure col longitudinale più corto del
trasversale.
XIV. Pere lunghe da sidro. — A questa famiglia appartengono
tutte le pere con polpa croccante oppure semibutirrosa, di sapore
aspro e di forma allungata.
XY. Pere tonde da sidro. — Eguali alle precedenti soltanto di
forma rotonda od appiattita.
— 518 -
Non essendo mio intendimento di fare un trattato di pomologia, mi
limiterò per il pero e per tutte le specie fruttifere che descriverò e
Fig. 4Vlbis. — Pera Curato (grandezza naturale).
tratterò nel presente volume, di descrivere e citare le varietà più adatte
per l'Italia in generale e che dalla mia pratica risultarono migliori.
Naturalmente questo è l'argomento più difficile che imprendo a
trattare, perchè, per quanta conoscenza si possa avere di coltivazioni
— 519 —
in vari climi, non sempre è possibile spogliarsi delle convinzioni
acquistate nel luogo dove si ha maggiormente praticato la coltivazione
delle piante da frutto, come pure è impossibile, citando delle varietà,
non trovar dei lettori che dissentano sulle proprietà di alcune, perchè
nei loro terreni si comportano diversamente.
In ogni caso io espongo le mie convinzioni ; al benevolo lettore
il ricavarne il profitto per le sue condizioni speciali.
Il numero delle varietà di pere è certamente superiore a 1000, però
ad esempio la società poraologica di Francia, nel 1903, ridusse a 134
quelle raccomandabili.
Di primo merito per l' Italia, secondo me sono quelle indicate
nella Tab. XLII.
Tab. XLII. Quadro sinottico
delle varietà di pero di primo merito consigliate (Tamaro)
Nomi della
specie
tipica della pera,
più lunghe che
larghe o almeno
i due diametri
eguali
tonda o piatta,
pianeggiante al
picciolo
allunagta lunga
4 volte la sua
lunghezza
ampolla
diametro longitu-
dinale più lungo
del trasversale
coi diametri qua-
si eguali o più
largo che alto
liquescente o
quasi
liquescente o
quasi con aroma
di cannella
Nome delle varietà
1. Butirra Hardy
2. „ d'Amanlis
3. , Diel
4. Decana d'Alengon
5. „ d'inverno
6. Giuseppina di Ma-
lines
7. Passa Colmar
8. Bargamotte Es-
I)eren
9. Oliviero de Serres
10. Passa Crassane
Verdelunghe 1 11. Curato
1 12. Butirra Clairgeau
1 13. Duchessa d'Angou-
] lòme
Caravelle "j 14. Butirra d' Harden-
pont
15. William
16. Buona Luigia
d'Avranches
Buon cristiane
Lunghe
17. Martin secco
Tab
XLIII.
Quadro sinottico indicante le principali proprietà
i|
3 P
NOME
Maturazione
Qualità
Fertilità
Vigoria
1 1 II
A- — Pere del primo periodo di maturazione dette d'estate (giugno-settembre)
1
Butirra d'Amanlis
(fig. 406)
luglio-agosto
prima da tavola e
per mercati locali
straordinaria e
sollecita
notevole
2
Montsallard
(fig- 407)
agosto-settembre
prima da mercato
grande e regolare
media
3
William (fig. 409)
id.
la regina delle
pere d'estate
straordinaria
perfetta
B. — Pere del secondo periodo di maturazione dette d' autunno (ottobre a
4
Duchessa d'An-
goulème (fig. 411)
settembre - no-
vembre
prima da tavola e
da mercato di lusso
notevole e stra-
ordinaria
poca
5
Butirra Hardy
(fig. 413)
metà ottobre
la migliore delle
pere da tavola
autunnali
notevole però la
pianta fruttifica
tardi
media
6
Buona Luigia
d' Avranches
(fig. 412)
Butirra Clairgeau
settembre - no-
vembre
prima da tavola e
per mercati locali
straordinaria e
sollecita
media
7
novembre-dicem-
bre
seconda da tavola
prima per orna-
mento
straordinaria
poca
8
Butirra Die!
(fig. 414)
id.
prima per tutto
notevole
media
C. — Pere del terzo periodo di maturazione dette d'inverno (dicembre-marzo)
9
Butirra di Har-
denpont (fig. 415)
novembre-marzo
prima per tutto
notevole
media
10
Decana d' Alen-
?on (fig. 416)
dicembre -feb-
braio
prima da tavola
e da mercato
media
media 0 poca
11
Decana d'inverno
(fig. 414)
dicembre-aprile
prima delle pere
invernali da serbo
notevole
poca
12
Oliviero de Ser-
res (fig. 420)
V2 febbraio a tutto
marzo
prima da com-
mercio
media
perfetta
13
Passa Colmar
(fig. 419)
dicembre - feb-
braio
prima da tavola
notevole
id.
14
Passa Crassana
gennaio-aprile
id.
media
id.
D. — Pere del quarto periodo dette tardive (marzo-maggio)
15
Giuseppina di Ma-
lines
gennaio-marzo
prima di com-
mercio
notevole
id.
16
Bergamotta Espe-
ren (fig. 4l8)
febbraio-maggio
prima da tavola e
da esportazione
alternata
media
E. — Pere da cuocere.
17
Catillac
dicembre all'e-
state
prima da cuocere
e da commercio
straordinaria
straordinaria
18
Curato (fig. 412 bis)
novembre alla
primavera
prima da cuocere,
seconda da taglio
id.
id.
19
Martin secco
(fig. 421)
novembre-marzo
prima da cuocere
e da commercio
id.
media
olturali delle pere consigliate (Tamaro).
Clima
Terreno
Località
Forme più
adatte
Soggetto da
innesto
Sistema di
coltivazione
indifferente
soffice
levante
pieno e mezzo
vento
cotogno
frutteti casalinghi
e industriali
la vigna dell'Ita-
buono
indiffe-
medie o basse
cotogno e franco
nei campi e nei
lia centrale
rente
frutteti industriali
nditferente
indiffe-
rente
id.
tutte
id.
qualunque
metà dicembre
da vite
buono
buona a
palmella, cordoni
franco o soprain-
nesto sul Curato
frutteti casalinghi
E od W
verticali, fusi
0 di speculazione
temperato
sano fresco
molto ri-
parata
alto fusto, pira-
mide, cordone
verticale
franco ©cotogno
id.
anche freddo
fertile e
indiffe-
tutte
franco o cotogno
frutteti casalinghi
fresco
rente
e in aperta cam-
pagna
frutteti casalinghi
caldo
soffice e
levante e
tutte meno il
franco o cotogno
caldo
anche po-
pieno e mezzo
0 di speculazione
nente
vento
presso le città
indifferente
fresco
indiffe-
tutte meno la pi-
id.
frutteti casalinghi
rente
ramide
e di speculazione
caldo
fertile e
calda,ripa-
piramide e spal-
liera
franco e cotogno
frutteti casalinghi
non sab-
rata a mez-
e di speculazione
bioso
zogiorno
temperato e
ÌIÌT'
indifferen-
id.
id.
frutteti casalinghi
freddo
te a S o E
e industriali
da vite
molto
buona a
piram., palmetta.
soprainnesto sul
frutteti casalinghi
buono
E od W
cordoni verticali
Curato
e di speculazione
caldo
fertile,
buona an-
pieno vento, cor-
franco e cotogno
frutteti di specula-
sciolto
che se es-
posta ai
venti
done, piramide
zione e casalinghi
caldo
id.
calda buo-
na esposi-
zione
spalliera e cor-
doni
cotogno
frutteti casalinghi
riparato
fertile
riparata a
tutte
cotogno e franco
frutteti casalinghi
e di speculazione
temperato e
fresco di
fredde
pieno vento e
franco
frutteti casalinghi
freddo
medio im-
pasto
spalliera
e nei boli
caldo
fertile e
calda
pieno vento, cor-
doni e spalliere
franco e cotogno
frutteti casalinghi,
fresco
aperta campagna
e frutt. industriali
qualunque an-
che molto rigide
id.
anche freddo
indiffe-
rente
fresco
mediocre
dovunque
dove alli-
gna il pero
id.
aperta
pieno vento
franco
pieno vento, pira- [ franco e cotogno
mide e spalliera
pieno vento franco
nei campi
id.
nei campi
Bergamotta Esperen (fìg. 418).
Frane: Bergamotte Espéren — Ted : Esperens Bergamotte.
Origine: Belgio.
Maturazione: dai primi di febbraio a tutto maggio. Si conserva molto bene senza
alterarsi, soltanto non bisogna toccarla di frequente nel fruttaio.
Qualità: prima, da tavola e per esportazione.
Cliiua caldo e terreno fertile e fresco.
Località calda e in tutte le esposizioni.
Forme più adatte: pieno vento nei climi caldi, cordoni verticali e spalliere.
Fertilità: alternata.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi, industriali ed in aperta campagna
Descrizione della pianta: albero piramidale, di bella apparenza e ben proporzio-
nato. Ha rami grossi, che formano un angolo molto aperto col fusto. I rami dell'annata
abbastanza lunghi, numerosi, un poco arcuati, flessibili, di color marrone. Le gemme
a legno, coniche, acute, depresse alla base. Le gemme a frutto medie, ovali, acute. Foglie
grandi, abbondanti, elittiche, ondulate, coi lembi dentati. Picciolo lungo, grosso, con sti-
pule bene sviluppate, lineari.
Descrizione del frutto: frutto medio, di poca apparenza, di forma arrotondata,
appiattito alla base, mammelliforme all'estremità. Quasi mai solitario, ma a due o tre.
E' più largo che alto. Peduncolo grosso di lunghezza media. Calice grande, svasato.
Buccia rugosa, grossa, verde erbacea sfumata di giallo dorato, marmorizzata e striata
da macchie rosse. Polpa bianca o leggermente rosea, semifina, succo abbondante, molto
zuccherino, leggermente profumato, delizioso.
Osservazioni: innestato sul cotogno ha un bel vigore, ma ancora meglio sul franco.
La sua fertilità è alterna, riposa cioè un anno a causa dei molti getti anticipati che si
sviluppano sui rami dell'annata. E' quindi necessario evitare colla potatura verde che
questi si sviluppino, per non indebolire le gemme della base dei rami. Ama i terreni
leggeri e caldi, ricchi di materie nutritive ; se il terreno è tenace od umido o poco
concimato, le estremità dei rami marciscono, e le pere si macchiano. Oltre che a pieno
e mezzo vento, si può anche allevare a fuso, a piramide ed a spalliera in tutte le espo-
sizioni, meno che a nord.
La fioritura dura 15 giorni e resiste alle intemperie.
La pianta è molto resistente alle malattie.
Buona Luigia d'Avranches (lig. 412).
Frane: Louise-bonne d'Avranches — Ted.: Gute Luise von Avranches —
Ingl. : Louise bonne of Jersey.
Origine: Francia.
Maturazione: settembre-novembre.
Qualità: prima, da tavola e da mercato.
Clima anche freddo e terreno fertile.
Località ed esposizione: indifferente.
Forme più adatte: tutte, però per la forma a piramide, per i fusi e per le palmette,
bisogna ricorrere al sopra innesto.
Fertilità: strordinaria ed in giovane età.
Sistema di coltivazione: frutteti industriali, coltivazione nei campi.
Descrizione della pianta: albero abbastanza vigoroso sul cotogno, molto fertile, che
forma delle belle piramidi. Branche forti, senza spine, che formano un angolo poco
aperto col fusto. Rami obliqui, medi in lunghezza e grossezza, cotonosi all'estremità,
rosso porpora dalla parte del sole, oliva dalla parte dell' ombra, con sfumature ver-
dognole. Lenticelle piccole, rotonde, grigie e molto salenti. Gemme a legno coniche.
— 523 —
corte, triangolari, acute, coU'estremità distaccata del ramo. Gemme a frutto medie, coniche
acute, con borsa di color bruno, corte. Dardi corti ed articolati alla base. Foglie elitliche,
lanceolate leggermente tomentose, acute, arcuate o piegate a gronda, dentatura irrego-
larissima. Picciolo grosso, corto, verde biancastro tendente al rosso bruno. Stipule
lineari, acute, piegate a lira.
Descrizione del frutto: frutto per lo più solitario, medio, di forma ovoidale allun-
gata, con un lato sempre più sviluppato dell'altro. Peduncolo abbastanza grosso, legnoso
sottile nel mezzo e più grosso all'estremità piantato obliquamente nel frutto. Calice
medio, rotondo. Buccia verde giallastra, coperta di punteggiature bruno chiare, e tinta
di rosso vivo dalla parte del sole. Polpa bianca, line, liquescente. Succo abbondante, zuc-
cherino, leggermente acidulo e dotato di un profumo particolare.
Osservazioni: questa varietà ha uno svilupo molto rapido, prospera bene tanto sul
cotogno quanto sul franco. Per mantenere la sua grande fertilità bisogna tagliare corto,
se si innesta sul cotogno. Si adatta a tutti i terreni ed esposizioni, pur preferendo
quelli freschi e non tanto forti. Ha una riuscita straordinaria. Si può allevare sotto tutte
le forme ed è adatta sia per la coltura intensiva sia per l'estensiva.
Fig. 413. - Pera Butirra Hardy.
E' una delle varietà migliori che si conoscano, quantunque il frutto forse non sia
di gran pregio. Non bisogna lasciar passare l'epoca della maturazione per consumarlo,
poiché perde molto. Non si fa maturare nel fruttaio.
E' poco intaccata da malattie e l'unico diletto che si può notare in questa varietà
è che i frutti si conservano per poco tempo.
Butirra d'Araanlis (fig. 406).
Frane.: Beurré d'Amanlis — Ted.: Amanlis Butterbirne.
Origine : Francia.
Maturazione: alla fine di luglio e per tutto agosto nei paesi meridionali. Nei ter-
reni molto fertili ritarda a settembre e ottobre.
Qualità: prima da tavola e da commercio.
Clima e terreno: qualunque, quantunque preferisca un terreno soffice.
Località ed esposizione: preferisce l'esposizione a levante.
Forme più adatte: tutte, specialmente il pieno e mezzo vento.
Fertilità: produce presto e costautemente in quantità notevole.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi ed industriali.
Descrizione della pianta: albero mollo vigoroso e fertile sul cotogno, però prende
diffìcilmente la forma di piramide. Branche forti, poco diritte. Rami grossi, lunghi,
irregolarmente disposti, flessibili, di colore rosso-grigio, con lenticelle molto fitte, pro-
minenti, di color grigio-bruno. Gemme a legno medie, depresse, angolose, coniche ed
Fig. 415. — Butirra d'Hardenpont C^/;,).
Fig. 417. — Butirra Dielil^/s).
525
acuminate all'estremità. Gemme a' frutto ovali, acute. Dardi corti, articolati, borse pic-
cole. Foglie di un bel verde, liscie, brillanti, grosse appuntite, ovali, con dentatura pro-
fonda ed acuta. Picciolo medio od un poco corto.
Descrizione del frutto: frutto voluminoso, di forma rotonda allungata, ottusa e
ventricolata. Peduncolo abbastanza corto, orifizio grande, semi-aperto, buccia giallo
erbacea, punteggiata, leggermente sfumata di rosso bruno. Polpa bianco citrina, verde
sotto la buccia, semilique.scente, succo molto abbondante, leggermente acidulo, zuccherino
e profumato.
Fig. 418. — Bergamotta Espéren C/g).
Fig. 419. - Passa Colmar (VJ.
Osservazioni : innestato sul cotogno è molto fertile, ha anche un vigore straordi-
nario. Non forma belle piramidi se non sottoposto a molte cure. Bisogna impiegare
dei tutori pel fusto e per le branche. Innestato sul franco, tarda molto a dare il frutto,
ad onta anche di un taglio lungo, delle torsioni e cimature. Con tutto ciò dà belli alti
fusti. Questa varietà è molto usata per innesto intermediario. Per posticipare la ma-
turazione conviene anticipare la raccolta. 11 frutto quando è maturo ha lo stesso co-
lore di (juaudo viene raccolto, perciò conviene sorvegliarlo nel fruttaio, perchè, tras-
corsa r epoca, non ha più valore.
Butirra Clairgeau.
Frane: Beurré Clairgeau — Ted.: Clairgeau's Butterbirne.
Origine : Francia.
Maturazione : dal novembre al dicembre. Conviene però raccoglierla alla fine di
settembre o ai primi di ottobre. Si conserva benissimo nel fruttaio, ma se non viene
presa in buon punto, perde le sue migliori qualità.
— 526
Qualità: seconda da tavola e da mercato, prima per ornamento sulle tavole.
Clima buono e terreno leggero e caldo.
Località riparata ed esposizione di levante o ponente.
l'orme più adatte: tutte, meno il pieno e mezzo vento. Per la piramide e pal-
mella, innestare sul franco.
Fertilità : slraordinaria.
Sistema di coltivazione: frutteto casalingo o di speculazione presso le città.
Descrizione della pianta: albero piramidale, di liell'aspetto, fertilissimo, ma delicato
sul cotogno. Le liranche formano un angolo acuto col tronco. 1 rami sono numerosi
regolarmente eretti, grossi, corti, giallo bruno chiari, con lenticelle allungate. Le gemme
sono molto voluminose, appuntite, coniche, generalmente piantate a sperone. Le foglie
sono leggermente coriacee verde cupo, grosse lanceolate, finamente dentellate, un poco
arcuate. Picciolo medio e abbastanza grosso,
con stipule lineari corte e pendenti sul ramo.
Descrizione del frutto : frutto il più so-
vente a due a due, talvolta a tre o quattro,
di grandezza considerevole, forma rotondeg-
giante, eccessivamente allungata, rientrante
da un lato verso il picciuolo. Si potrebbe con-
fondere con un Colmar, ma è più rigonfio
da un lato presso l' inserzione del peduncolo.
Calice medio, rotondo, aperto, appena infos-
sato, bruno rosa nell' interno. Buccia giallo
grigia, punteggiata verde o bruna, bronzata
dalla parte dell' ombra; dalla parte del sole
tinta di rosso carmino. Polpa bianchissima,
semifina, liquescente, gustosa, succosa, zuc-
cherina, acidulo vinosa, e profumata. Queste
qualità variano a seconda del terreno, espo-
sizione, ecc.
Osservazioni : è di una fertilità prodigiosa,
anche se innestata sul franco, perciò viene
raccomandato l'innesto su questo soggetto:
sul cotogno dura poco e si esaurisce. Fa molto bene in U!i terreno leggero e caldo a
piramide, a spalliera, a fuso e a cordone. La pianta ha una debole vegetazione.
Qualunque sia la forma ed il terreno quello che più importa è che non venga
esposto ai venti, poiché i frutti, avendo un peduncolo molto corto, cadono facilmente
Come tutte le qualità molto fertili, richiede un taglio corto e cimature fatte con pru-
denza e discernimento. Per avere piante vigorose con questa varietà, si ricorre al so-
prainnesto.
La pianta si mantiene sana, esente da malattie.
Per la necessità di raccogliere le frutta in giusta maturazione perdendo diversa-
mente del loro valore commerciale, si raccomanda di estendere limitatamente questa
pera alle esigenze della vendita locale od in vicinanza al luogo di produzione.
Fig. 420. — Oliviero de .Serres
Butirra Diel (fig. 417).
Frane: lìeurré Diel — Ted. : Diel's Hutterbirn -
Ingl.: Beurré Vert.
Origine: Belgio.
Maturazione: questa bella pera molto interessante si conserva molto bene nel frut-
taio e si mangia durante i mesi di novembre e dicembre. Nei paesi del Nord si raccoglie
tardi e si mangia in gennaio, nei paesi meridionali invece matura in settembre e si
conserva fino al novembre.
Qualità : prima, delle più rimarchevoli.
Clima indifferente; terreni freschi.
Località ed esposizione: indifferente.
527 —
Forme più adatte : tutte meno la piramide.
Fertilità : notevole.
Sistema di coltiuazìoiie : frutteti casalinghi e di speculazione.
Descrizione della pianta : albero vigoroso e fertile, con base larga e la chioma rego-
larmente conica. Branche mollo forti, rami dell'annata numerosi, di lunghezza media,
abbastanza grossi, di color grigio bruno, con lenticelle larghe. Gemme a legno grosse,
ovali, coniche, a punta acuta, mollo divergenti al ramo. I.e gomme a frutto abbastanza
dardi corti e borse medie.
Foglie di color verde carico bril-
lante, leggermente coriacee , ovali
acute. Picciolo alquanto corto e sti-
pule molto lunghe.
Descrizione del frutto : quasi
sempre solitario, di grandezza \nii
che media, forma arrotondata, ot-
tusa, ventricolata. Peduncolo forte
medio di lunghezza. Calice medio,
aperto. Buccia ruvida al tatto, di co-
lore verde pallido, sfumata in giallo,
molto punteggiala e marmorizzata
di rosso bruno. Polpa bianca semi-
fina, butirrosa, a seconda della na-
tura del suolo e della grossezza del
frullo. Succo abbondante, zucche-
rino, acidulo vinoso e leggermente
profumato.
Osseru:izioni : si innesta tanto
sul cotogno quanto sul franco, ma è
preferibile sul primo, perchè è più
fertile. Si alleva sotto tutte le forme,
per il pieno vento però le trutta sono
troppo grosse : il cordone, la spal-
liera ed il fuso sono preferibili alla
forma piramidale, che non dà sem-
pre delle belle piramidi. Riesce a
tutte le esposizioni, ma semi)ra pre-
ferire il levante od il ponente. Riesce
bene nei terreni argillo-sllicei, fre-
schi e non umidi ed in generale in
tutti i terreni leggeri, aventi umus. Piantando a mezzogiorno, bisogna ricordarsi che
i venti del sud caldi, secchi e violenti fanno disseccare facilmente le toglie in prima-
vera e durante 1' estate.
La fioritura non è tanto precoce e dura a lungo, ciò che assicura una costante
fertilità.
Fig. 421. — Marlin secco (-
Butirra di Hardenpont (fig. 415).
Buerré Hardenpont — Ted.: Hardenponfs Winterbutlerbirne
Ingl. : Gol Lue de Cambron.
Origine: Belgio.
Maturazione: matura da novembre a marzo. E' facile a conservarsi.
Qualità : prima.
Clima caldo e terreno granitico, fertile e non sabbioso.
Località ed esposizione: soltanto per località calde e riparate, esposte a mezzogiorno
levante.
Forme più adatte: piramide e spalliera.
Fertilità: notevole.
— 528 —
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi e industriali.
Descrizione della pianta: albero piramidale, slanciato, vigoroso, fertile. Branche di
color bruno nerastro, con lenticelle grigio brune. Rami abbastanza grossi, diritti, con
direzione obliqua ascendente. Corteccia di color grigio e cotonosa all'estremità. Gemme
a legno medie, corte, depresse alla base. Gemme a frutto ottuse: borse e dardi medi.
Foglie di color verde brillante, ovali, lanceolate, crespate, dentate. Picciolo medio.
Descrizione del fruito: solitario, caduco, grande, turbinato, incavato dalla parte del
calice. Calice medio. Peduncolo arcuato, medio. Buccia fina, poco liscia, verde pallido
quasi glauco, unicolore, con qualche macchia grigia. Ombreggiata di rosso attorno al
calice od al punto dinserzione del peduncolo. Polpa bianca, fina, liquescente, succosi-
sinia, zuccherina, delicatamente acidula e dotata di profumo molto piacevole.
Osservazioni: prospera tanto sul cotogno quanto sul franco. Nei terreni freddi, umidi
e grassi, i fiori diventano infecondi, ed i frutti cadono prima della raccolta. Le forme
migliori sono la piramide e la spalliera esposta a levante o a mezzogiorno o a ponente.
Si possono fare anche dei bei fusi e cordoni. Non è adatta per la forma ad alto fusto
perchè lascia cadere facilmente i frutti. Vegetazione moderata e regolare.
Per la facile caduta dei frutti, per la difficoltà di trovare una esposizione ed un
terreno adatto, non è consigliabile per la generalità dei frutticoitori. Trovate però le
condizioni in cui prospera, conviene estendere notevolmente questa varietà, perchè è
sempre ricercata.
E' abbastanza soggetta alla ticchiolatura ed ai danni della mosca.
Butirra Hardy (fig. 413).
Frane: Beurré Hardy — Ted.: Gellert Butterbirne — Ingl. Beurré.
Origine: Boulogne (Francia).
Maturazione: prima metà d'ottobre. E' meglio raccoglierla una settimana prima
della maturazione, perchè diventa farinosa.
Qualità: prima da tavola. È la migliore delle pere autunnali.
Clima temperato e terreno sano, profondo, né troppo secco, né troppo umido.
Località ed esposizione: molto riparata.
Forme più adatte: alto fusto, piramide e cordone verticale.
Fertilità: notevole, però fruttifica tardi.
Sisteiiìa di coltivazione: frutteto casalingo e di speculazione.
Descrizione della pianta: albero piramidale, fertile, vigoroso sul cotogno ed ancora
più sul franco. Branche fortissime, lunghe. Rami numerosi, lisci, con corteccia liscia
disseminata da lenticelle grandi, sporgenti, rotonde e grigie. Gemme a legno piccole,
ovoidali, appuntite, cotonose, alquanto rilevate dal ramo. Gemme a frutto medie, ovali,
appuntite. Foglie di color verde chiaro con denti profondi, arcuate. Picciolo grosso,
diritto. Stipulo lineari corte, diritte.
Descrizione del frutto : frutti da tavola appaiati, di grossezza media, di forma arro-
tondata, ottusa, ventricolata, sempre più rigonfia da una parte che dall'altra. Peduncolo
corto, grosso. Orifizio, medio e aperto. Buccia grossa, ruvida al tatto, verde bronzata e
alla maturazione diventa rosso bruna, con delle macchie di colore ancora più scure
e puntini piccoli bruni. Polpa bianca, finissima, deliquescente, talvolta un poco granu-
losa, molto succosa, zuccherina, e leggermente moscata, al. cm. 10, diam. cent. 8.
Osservazioni: per allevare questa varietà a piramide ed a cordone, si innesta sul
cotogno. Non dà però sempre belle piramidi, essendo alquanto deficiente di rami. Sul
franco si presta per mezzo ed alto fusto.
Non è delicata nella fioritura, che è prolungata.
La varietà ha un solo difetto : che i frutti cadono con qualche facilità e non si
possono conservare. Bisogna raccorglierli una settimana prima, dovendoli spedire, poiché
appena maturi si macchiano.
— 529 —
Catillac.
Frane. : Catillac — Ted. : Grosser Katzenkopt
Origine: Francia.
Maturazione: dicembre fino al principio d'estate.
Qualità: prima, tanto da cuocere quanto da esportazione.
Fertilità: straordinaria, la pianta produce presto.
Vigoria: straordinaria.
Clima : pochissimo esigente, resiste ai freddi più intensi, anche in montagna.
Terreno: pochissimo esigente.
Esposizione e situazione: ovunque dove alligna il pero.
Forme più adatte: pieno vento.
Soggetti da innesto: franco.
Sistema di coltivazione: pieno vento nei campi.
Descrizione della pianta: forma conica, irregolare, rada, rami molto lunghi fino
a m. 1.50. con gomme rade, grosse: foglie cotonose sulla pagina inferiore, molto grandi,
le più grandi di tutte le varietà di pero ; fiore molto grande, fiorisce tardi e resiste ai
freddi.
Descrizione e forma del frutto: grosso o grossissimo, largo quanto è alto (80-100 mm.),
panciuto in basso, a rilievi e verso il peduncolo si assottiglia ; colore verde chiaro poi
giallognolo, cosparso di macchie piccole brune: buccia grossolana, dura, peduncolo
legnoso, lungo 25-35 cm., grosso, curvo, disposto in una cavità regolare, poco pro-
fonda: calice aperto, grande; polpa granulosa, grossolana, dura, di color bianco giallo-
gnolo, abbastanza succosa e dolce, non commestibile che cotta; semi appiattiti e incur-
vati a tegola, terminanti in punta acuta; capsula dei semi relativamente piccola.
Proprietà del frutto: occupa il primo posto fra le pere invernali da cuocere. 11 frutto
è dei più grandi che si conoscano. Nel fruttaio acquista un colore giallognolo cosi che
sulle tavole può servire da frutto ornamentale. Ha uno speciale valore se cotto, acquistando
un colore rosso ed un sapore dolce acidulo gradito. Avendo la buccia molto grossa e
la polpa consistente, si conserva senza difficoltà in qualunque fruttaio. Dove non domi-
nano i venti, si può lasciare a lungo sulla pianta ed allora acquista più presto quel
colorito giallognolo, che lo rende più apprezzato sui mercati. L'imballaggio è facile e di
poco riguardo.
Difetti della varietà: sconosciuti.
evirato (lìg. 412 bis).
Frane: Cure — Ted.: Pastorenbirne — Ingl.: Paternoster.
Origine: Francia.
Maturazione: dal novembre alla primavera. Per conservarla lungo tempo, conviene
raccogliere questa pera alla fine di settembre. Riesce succosa e saporita nelle annate
calde ed umide, altrimenti resta insipida e poco succosa.
Qualità: secondaria per fare composte e da tavola, ma primaria da cuocere e per
mercato.
Clima senza esigenze, terreno un po' fresco.
Località ed esposizione: indifferente.
Forme più adatte: pieno vento, spalliera e piramide.
Fertilità : notevole e precoce.
Sistema di coltivazione: frutteti di speculazione e nella coltura campestre.
Descrizione della pianta: albero vigoroso e fertile sul cotogno, forma piramidi
strette alla base. Le branche formano un angolo poco aperto col fusto, molto forti, lunghe,
senza spine, con poche lenticelle grigio brune, grosse, rotonde e salienti. 1 rami
abbastanza grossi, non diritti, ma piegati a ciascun nodo, obliqui orizzontalmente, di
colore verde grigio all'ombra, bruni tinti di rosso dalla parte soleggiata ed all'estremità.
34 — Tamaro - Frutticoltura.
- 530 -
Lenticelle rade e rossiccie, prominenti. Gemme a legno abbastanza grosse, allungate,
coniche, distaccate dal ramo, coperte da lanugine bianca. Gemme a frutto abbastanza
grosse, ovoidali, laniborde corte, rigonfie, di color bruno rossastro, articolate alla base.
Foglie grandi, di un bel verde lucente, grosse, ovali, debolmente accuminate, i lembi
con dentatura marcata, acuta specialmente all'estremità. Picciolo lungo e molto grosso.
Descrizione del fruito: frutto mollo grande. Sovente solitario od a due od a tre,
odoroso all'epoca della maturazione. Forma molto allungata, mammelliforme all'estre-
mità, leggermente incurvata. Peduncolo abbastanza grande, grosso alla base, legnoso
nel mezzo, di colore bruno chiaro, e piantato sempre a lato della sommità del frutto, in
modo da imitare il becco d'un uccello. Calice grande, arrotondato, aperto. Buccia
abbastanza grossa, di colore verde chiaro coperta da punti rossicci; qualche volta è
coperta completamente intorno all'orilìzio e lungo un lato longitudinale da macchie
rossastre. Dalla parte del sole si colora rosso chiaro, nel mezzo appariscono dei pun-
teggiamenti grigio nerastri contornati da una aureola verde; una linea grigio rossiccia
parte ordinariamente alla base del peduncolo e si prolunga fino all' orifizio. Questa
linea, sovente molto stretta, è talvolta larga da 2 a 3 mm. ed è questo un carattere
molto distintivo della varietà. Polpa bianca, semi fina, semi deliquescente, con succo
abbastanza abbondante e zuccherino, leggermente muschiata.
Osservazioni : innestala sul cotogno è varietà mollo vigorosa e produttiva; innes-
tata sul franco, si sviluppa pure prontamente e si fanno dei pieni venti; però è meglio
preferire il cotogno, specialmente per le forme a spalliera e piramidi, che le sono molto
confacenti. In primavera bisogna fare la cimatura presto e corta. Si impiega anche quale
pianta intermediaria per i soprainnesti. E' molto resistente alle malattie.
Sulla bontà del frutto ha molta influenza il clima, il terreno e la raccolta antici-
pala. Si conserva molto bene nel fruttaio.
Decana d'Alen9on (fìg. 416).
Frane: Doyenné d'Alen^on — Ted.: Dechants-Birne von Alen5on.
Origine: Francia.
Maturazione: dal dicembre al febbraio. Nel fruttaio si conserva molto bene, però
se raccolta troppo presto non matura e dissecca. Si raccomanda per la maturazione
lenta e prolungata.
Qualità : prima, da tavola e da mercato.
Clima anche freddo. Terreno leggero e caldo.
Località ed esposizione: indifferente, esposizione a mezzodì o levante, piuttosto ripa-
rata dai venti.
Forme più adatte: piramide, spalliera e mezzo o pieno vento.
Fertilità : media.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi e industriali.
Descrizione della pianta: albero piramidale e fertile, più vigoroso sul franco che
sul cotogno, perciò si innesta di preferenza sul primo. Le branche formano un angolo
aperto col fusto, sono coperte di molte lenticelle grigio-rossastre, rotonde e salienti. 1
rami di grossezza media, numerosi, ascendenti, leggermente arcuati, rigonfi all'estre-
mità. Scorza di color grigio-bruno, con lenticelle rotonde od ovali, grigie e promi-
nenti. Gemme a legno abbastanza grandi, corte , conico appuntite. Gemme a frutto
medie, ovali, coniche, bruno-marrone. Dardi corti, esili; borse corte, grasse specialmente
nel mezzo. Foglie verde-pallide, grandi, elittico-allungate, finamente dentate. Picciolo
lungo, grosso.
Descrizione del frutto: frutto per lo più solitario, di grandezza media, di forma
ovoidale arrotondata, irregolare, un poco più alta che larga, e più prominente da una
parte che dall'altra. Peduncolo cortissimo, ma forte, inserito obliquamente al frutto. Ori-
fizio piccolo: buccia molto rugosa, squamosa, molto grossa, di colore giallo rosso forte-
— 531 -
mente macchiata di rosso, di bi-uno e di grigio e punteggiata del medesimo colore nelle
parti verdi, che diventano gialle a maturazione. Polpa bianco-giallastra, eccessivamente
liquescente : succo abbondante, vinoso, leggermente acido ed aromatico.
Osservazioni: .Si raccomanda l'innesto sul franco.
Si raccolga il frutto piuttosto tardi perchè non aggrinzi.
Decana d'inverno (lig. 414).
Frane: Doyenné d'hiver — Ted.: Winter Dechantsbirne.
Origine: Belgio.
Maturazione: dicembre-aprile.
Qualità: prima, da tavola, nei migliori terreni.
Clima : da vite e terreno molto fertile.
Località : buona a levante o ponente.
Forme più adatte: palmetta, cordoni verticali e piramide.
Fertilità: notevole in buone condizioni.
Sistema di coltivazione : frutteti di speculazione e di famiglia.
Descrizione della pianta : albero molto fertile, specialmente adatto per spalliera. Bran-
che forti, rami numerosi, di grossezza media, lunghi, lisci, di color giallo bruno, con
rare lenticelle. Gemme a legno grosse, larghe, corte. Gemme a frutto medie, ottuse. Borse
molto grosse, di color grigio verdastro. Foglie di colore verde carico, ovali allungate,
dentate irregolarmente, incurvate ai lembi a guisa di gronda. Picciolo abbastanza
lungo, con stipule lanceolate.
Descrizione del frutto: frutto per lo più solitario, voluminoso, di forma varia fra il
globoso appiattito e l'ovoidale un poco ventricolato. Peduncolo corto e grosso, calice
grande ed aperto. Buccia liscia, verde gialla, punteggiata o fregiata di bruno e
qualche volta tinta di rosso scuro dalla parte del sole. Polpa bianca, abbastanza fine,
liquescente. Succo abbondante, zuccherino, leggermente acidulo e profumato.
Osservazioni: questa varietà comincia in primavera tardi ad entrare in vegeta-
zione. Se innestata sul cotogno ed allevata a spalliera o piramide, si sviluppa bene,
produce delle buone e belle frutta, ma la pianta si esaurisce molto presto. Piantata in un
terreno magro e caldo, produce poco : le frutta sono piccole, rugose e grinzose. Le
branche sono deboli, i rami sottili e sofferenti, le foglie piccole. Innestata sul franco
e piantata in un terreno ricco, profondo, leggero e fresco, la pianta acquista un grande
vigore, ma riesce poco produttiva, quantunque longeva. Meglio di tutto è farcii soprain-
nesto sul Cure. 11 più delle volte questa varietà fiorisce abbondantemente, ma i fiori abor-
tiscono per le circostanze atmosferiche. Si raccoglie nei primi giorni di novembre sulle
spalliere esposte a mezzogiorno e matura allora alla fine di gennaio. Le frutta raccolte
a metà ottobre si conservano più a lungo, ma anticipando ancora, appassiscono senza
maturare. Ciò avviene di frequente, quando questa varietà viene coltivata in terreni
troppo leggeri ad esposizioni calde.
Indubbiamente questa è la regina delle pere invernali, se colta a tempo e portata
a giusta maturazione.
11 legno, i rami ed i frutti soffrono molto per la rogna e per il cancro.
Estendere molto (juesta varietà, dove però si è sicuri che le condizioni naturali
sono adatte.
Duchessa d' Angonlème ((ìg. 411>
Frane: Duchesse d'Angouléme — Ted.: Herzògin von Angoulème —
Ingl. Beurré Soule.
Origine: Francia.
Maturazione: Di solito matura dal settembre a tutto novembre. Si conserva molto
bene nel fruttaio anche fino a metà dicembre. Bisogna raccoglierla quando incomincia a
cambiare di colore. Allora si conserva più a lungo e si gustano tutte le sue preziose
qualità. Nel mezzogiorno e nei terreni caldi, comincia a maturare ancora in agosto.
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Qualità: prima.
Clima caldo da vigna e terreno siliceo-argilloso-calcare, fresco, ma drenato.
Località riparata, a levante o ponente.
Forme più adatte: piramide, cordoni verticali, fusi e mezzo vento.
Fertilità: straordinaria.
Sistema di coltivazione: frutteti di speculazione e casalinghi.
Descrizione della pianta: albero molto fertile, poco vigoroso, piramidale a testa
conica slanciata a base stretta. Branche abbastanza grosse. Rami poco numerosi e leg-
germente divergenti e incurvati, grossi, lunghi. Corteccia giallo chiara con punteggia-
ture di color cenere. Gemme a legno abbastanza grosse, lunghe, coniche, acute. Gemme
a frutto medie, cilindriche all'estremità, molto rigonfie alla base, dardi corti aggrinziti.
Foglie di color verde chiaro, brillante, grosse, con nervature pronunciate, abbastanza
grandi, ovali, con denti profondi. Picciolo sottile, lungo, gracile, di color un po' vinoso ;
stipule lineari fine.
Descrizione del frutto: frutti solitari, raramente appaiati, odorosi, voluminosi, qualche
volta enormi, forma ovoidale leggermente cilindrica e molto arrotondata. Orifìzio piccolo,
peduncolo grosso, legnoso, più rigonfio all'estremità che alla base. Buccia ruvida, grossa,
giallo verdastra punteggiata e marmoreggiata di rosso grigio. Polpa delle più lique-
scenli, bianca un po' nevosa (neigeuse) secondo la natura del suolo e dell'esposizione, fina
o semi fina. Succo molto abbondante, molto zuccherino, vinoso, con aroma squisito.
Osservazioni: si può innestare indistintamente sul cotogno e sul franco e si può
allevare sotto tutte le forme, ma è preferibile la piramide al pieno vento, attesa la gros-
sezza dei suoi frutti. Nelle terre forti e abbondanti di ingrassi organici i frutti vengono
molto grossi, ma sono poco buoni e si conservano male. A nord sono freddi e senza
sapore ; a mezzogiorno sono pastosi. Richiede un taglio corto in considerazione della
sua fertilità : bisogna tenere i rami superiori sempre corti finché gli inferiori assu-
mono un buon sviluppo, perchè si sprovvede facilmente alla base.
In tutta Italia si può raccomandare questa varietà, innestata sul franco, nei terreni
piuttosto secchi che umidi e allevarla a piramide o cordoni verticali.
La vitalità della pianta è piuttosto limitata.
I fiori sono piuttosto delicati pel freddo; i rami ed i fusto vanno soggetti alla
rogna ed al cancro.
Giuseppina di Malines.
Frane: Josephine de Malines — Ted.: Josephine von Mecheln.
Origine: Francia.
Maturazione : gennaio-marzo.
Qualità: prima.
Clima anche freddo e terreno fresco, di medio impasto.
Località fredde ma riparate.
Forme più adatte: pieno vento e spalliera.
Fertilità: notevole.
Sistema dì coltivazione: frutteto casalingo e nei broli.
Descrizione della pianta: albero vigoroso, con rami sottili e confusi, non lunghi, di
colore marrone chiaro e punteggiati abbondantemente. Gemme voluminose, ovoidali,
arrotondate. Foglie di grandezza media, elittico-rotonde, regolarmente seghettate; pic-
ciolo corto e grosso.
Descrizione del frutto: frutti riuniti, medi di grandezza, turbinati verso il pedun-
colo. Altezza e diametro di cm. 8. Calice piccolo, aperto, con sepali corti, duri, che si
trovano in una insenatura profonda. Peduncolo grosso e quasi diritto, lungo più o meno
a seconda che il frutto è piccolo o grande. Buccia ruvida di color verde che poi diventa
giallo pallida a maturazione, con una sfumatura nocciola intorno al peduncolo. Polpa
bianca, finissima, molto liquescente e gustosissima, dolce e profumata di rosa. Granella
di color castagno cupo, speronate.
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Osseruazìoni : cresce lentamente, bisogna innestarla in testo sul franco per ottenere
dei pieni venti. Per la potatura si applichino le medesime precauzioni suggerite pella
Bergamotta Esperen. Si innesti sul cotogno per le forme da spalliera.
La pianta è vigorosa, sana, rustica, resistendo anche ai freddi intensi.
MontsaUard (Pig. 407).
Sinonimi: Monchallard.
Origine: Francia.
Maturazione: agosto-settembre. Va colto prima della maturità.
Qualità: prima da mercato.
Fertilità: grande e regolare.
Vigoria : media.
Cliiiia: da vigna dell'Italia centrale.
Terreno: buono, asciutto.
Esposizione e situazione: indifferente.
Forme più adatte: qualunque, di preferenza piramide.
Soggetti da innesto: franco e cotogno. Sul franco pei terreni ciottolosi, aridi e pel
pieno vento.
Descrizione della pianta: rami lunghi, forti, diritti, di color bruno-olivastro. Lenti-
celle piccole e rade. Gemme piccole molto, depiesse, coniche. Foglie grandi, ovali, allun-
gate con lungo picciolo.
Descrizione del frutto: forma a campana, media; colore verde giallastro, punteg-
giata di verde; buccia sottile: peduncolo grosso di media lunghezza; polpa bianco-
citrina, fina, fondente, profumata, a sapore zuccherino, rinfrescante.
Osservazioni: bisogna tagliare un po' lungo specialmente nei primi anni. In Toscana
questa varietà ha dato e dà dei buonissimi risultati. Ritengo questa varietà più conve-
niente specialmente per la produttività, della pera Coscia.
Oliviere de Serres (fig. 420).
Frane. : Olivier de Serres — Ted. : Olivier de Serres — Ingl. : Olivier de Serres.
Origine: Francia.
Maturazione: dalla seconda metà di febbraio a tutto marzo.
Qualità : prima, da commercio.
Clima caldo e terreno fertile e sciolto.
Località ed esposizione: buona anche se esposta ai venti. Esposizione a mezzogiorno.
Forme più adatte: pieno vento, cordone verticale o piramide.
Fertilità: notevole soltanto nelle località adatte.
Sistema di coltiuazione : fruiteti industriali e casalinghi.
Descrizione della pianta : albero di corte dimensioni, ben ramificalo, con rami
quasi eretti, grossi, brevi, verde-bruni con minute lenticelle. Gemme voluminose, ovoidali,
acute scostate dal ramo. Foglie ovali od ovali allungate, medie, con dentatura pro-
fonda. Picciolo lungo e grosso.
Descrizione del frutto: ItuHo di grandezza meno che media, di forma sferica molto
appiattita. Peduncolo corto, arcualo, grosso nel mezzo e molto rigonfio all'estremità che
sta attaccata al ramo. Calice grande, regolare. Buccia sottile, giallo olivastra, coperta
da macchie e punteggiature fulve e leggermente rossastre, dalla parte del sole. Polpa
biancastra, liquescente abbastanza fina e succosa, di un sapore dolce agretto, soavemente
profumata.
Osseruazioni: è di un vigore perfetto, tanto sul cotogno quanto sul franco, ed è pure
molto fertile. I suoi frutti resistono bene ai venti, quindi si presta per l'alto fusto,
purché però innestato sul franco e con terreno ricco. Del resto il pieno e mezzo vento
sono le due forme che meglio si prestano.
La raccolta dei frutti si faccia tardi, alla fine di ottobre. I frutti non si conservano
bene nel fruttaio, aggrinziscono se raccolti troppo presto o se conservati in località
troppo asciutte.
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Martin secco (fig. 421).
Frane: Martin sec — Ted. : Trockner Martin — Ingl. : Dry Martin.
Origine: Francia.
Maturazione : novembre a marzo.
Qualità : prima, da cuocere e da mercato.
Clima anche freddo ed in terreno mediocre.
Località ed esposizione: aperte.
Forme più adatte: pieno vento.
Fertilità : media.
Sistema di crtllivazione : campestre.
Descrizione della pianta : crescita normale ; rami sottili, allargati alla base, diritti
in alto, tomentosi all'estremità, con lenticelle piccole e rare. Gemme piccole, sferoidali,
poco prominenti. Foglie allungate od ovoidali alla base dei rami, piegate a gronda,
appuntite, finamente seghettate. Picciolo rossastro, tomentoso al disotto e di media
lunghezza.
Descrizione del frutto: frutto medio o piccolo, del diametro di 6 cm. ed alto cm. 7,5,
a forma di pera o di fiasco, portato da un peduncolo lungo, diritto o leggermente
incurvato di color rosso scuro. Calice aperto, cotonoso. Buccia sottile, dura, liscia, con
fondo di color giallo coperto da una ruggine rossastra punteggiata di grigio e molto
più rossa dalla parte del sole. Polpa biancastra, granulosa, di sapore acidulo e dolce.
Osservazioni: si innesti esclusivamente sul franco. Pianta alquanto delicata per
malattie però specialmente in Piemonte è sorgente notevole di ricchezza per le località
in cui si adatta.
Passa Colmar (fìg. 419).
Frane: Passe Colmar — Ted.: Regentin — Ingl.: Chapman's Passe.
Origine: Belgio.
Maturazione : da dicembre a febbraio, quantunque molte volte arrivi a maturare
prima e talvolta anche dopo. Ha il merito di conservarsi per molto tempo senza mac-
chiarsi, però se il frutto viene colpito dai primi freddi, sulla sua buccia compaiono
delle macchie nere e la polpa diventa amara.
Qualità : prima, da tavola.
Clima caldo, terreno fresco e mediocremente fertile.
Località calde e buona esposizione.
Forme più adatte : spalliera e cordoni verticali od orizzontali.
Fertilità: notevole.
Sistema di coltivazione frutteti casalinghi.
Descrizione delli pianta: è di debole vegetazione e prende naturalmente la forma
di cespuglio. Ha una straordinaria fertilità : branche un pò deboli, che formano un
angolo poco aperto col fusto. I rami dell'annata sono abbastanza numerosi, di media
lunghezza, molto salienti, di color giallo verdastro, con lenticelle piccole, salienti, di
color grigio. Le gemme a legno sono medie o grosse, coniche, quasi ottuse che all'estre-
mità si scostano dal ramo. Le gemme a frutto medie, acute, di color grigio biancastro.
Borse corte, rigonfie nel mezzo, di color grigio nerastro. Dardi grossi, rotondi. Foglie
piccole ed abbondanti, unite a 3 o 4, ovali, acuminate, grosse, regolarmente seghettate,
Picciolo forte ed abbastanza lungo, stipale lineari disposte ad ali.
Descrizione del frutto: frutto di solito appaiato; cade facilmente dall'albero, è medio,
turbinato, largo ed appiattito verso il calice. Peduncolo di lunghezza media, gracile,
molto grosso alle due estremità.
Calice medio, aperto. Bu -eia grossa, verde chiaro quando si coglie ma diventa colla
maturazione giallo dorata debolmente marmorizzata di rosso dalla parte del sole,
punteggiata di ruggine intorno al picciolo e al calice. Polpa liquescente, bianco gial-
— 535 —
lastra, piena di succo di sapor vinoso e di profumo molto delicato. I semi, due per
loggia, molte volte incompleti, sono bislunghi e di colore castano.
Osserwaz/on j; sul cotogno ha abbastanza vigore specialmente dopo il secondo anno.
In ogni caso non bisogna applicare dei tagli troppo corti, specialmente nella potatura
secca. Si può piantare tanto a levante, quanto a ponente o a mezzodì, in un terreno non
troppo leggero e fresco, purché non troppo fertile. A riparo dei venti si può allevarla
anche a mezzo vento. Meno che nei terreni eccessivamente secchi, cjuesta varietà è
molto produttiva. Per la sua straordinaria fertilità, molte volte bisogna diradare i frutti,
oppure togliere alcuni fiori. Volendo avere dei mezzi venti, conviene il soprainnesto.
Fassa Crassane.
Frane. : Passe Crassane — Ted. : Edel Crassane.
Origine : Francia.
Mritnra'.ione : questa varietà tanto preziosa, specialmente nei paesi meridionali,
matura durante i primi quattro mesi dell'anno. T.e frutta raccolte dalle spalliere delle
piante innestate sul cotogno e piantate in esposizioni calde, maturano in gennaio. Si
conserva benissimo nel fruttaio, ed è molto adatta per la spedizione. La raccolta si
faccia il più tardi possibile.
Qualità : prima, da tavola.
Clima: riparato e terreno fresco purché non argilloso.
Località : riparata ed a mezzogiorno.
Fornip più adatte: piramidi, fusi, vasi, pieno o mezzo vento.
Fertilità : non sempre abbondante.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi e di speculazione.
Descrizione della pianta: albero piramidale abbastanza vigoroso che si mette presto
a dare frutto. Branche abbastanza forti, con spine che scompaiono col tempo. Rami
medi o grossi, diritti alla sommità, a gomito alla base, di colore bruno rossastro
dalla parte del sole e bruno verdastro dall'altra, punteggiati abbondantemente da
lenticelle bianche, rotonde, prominenti. Gemme a legno grandi, enormi, schiacciate,
angolose, coniche, appuntite, f.e gemme a frutto abbastanza grandi, ovali arrotondate.
Dardi e borse piccole. Foglie molto grandi, coriacee, più larghe da una parte, di color
verde carico brillante, lanceolate, acute, orizzontali, pendenti ed arcuate a gronda, a
lembi interi, meno all'estremità. Picciolo corto e ben nutrito. Stipulo filiformi, corte.
Descrizioni del frutto: frutto medio, molte volte a due, a tre insieme, di forma
ovoidale fortemente arrotondata e schiacciata, sovente più largo che alto. Peduncolo
sottile, abbastanza lungo, orifizio grande. Buccia grossa, ruvida, verde, giallo-chiara a
maturità, con maruìoreggiature rosso brune. Polpa bianchissima, molto fine, lique-
scente, butirrosa. Succo abbondante, zuccherino, profumato, acidulo vinoso, alquanto
aspro, ma squisito.
Osservazioni: può essere innestato tanto sul cotogno che sul franco. Se sul primo,
richiede un terreno ricco e convengono le piccole forme, per conservare le quali biso-
gna applicar il taglio corto e cimare ripetutamente Si presta anche pel pieno vento,
specialmente nei paesi caldi.
Per le sue esigenze di clima e terreno, bisogna procedere con cautela nell'estendere
questa varietà, che è indubbiamente delle migliori per conservare.
WUliam (fig. 409).
Frane. : Bon-Chretien William — Ted. : William's Christbirne — Ingl. : William's bon
Chrétien.
Oriqine: Inglese.
Maturazione : questa pera, che viene considerata giustamente fra le migliori d'estate,
matura dalla fine d'agosto a tutto settembre. Per gustarla in tutta la sua perfezione,
bisogna raccoglierla, quando la buccia dal colore verde erbaceo passa al verde paglie-
— 536 —
rino. Portata nel fruttaio, la polpa acquista il massimo grado della sua finezza, con-
servandola oltre al punto di maturazione, si macchia e perde tutte le sue buone qua-
lità. Bisogna quindi sorvegliarla tanto sull'albero che nel fruttaio.
Qualità : prima, da tavola e da mercato.
Clima e terreno : qualunque.
Località ed esposi-ione: qualunque anche a nord e nord-ovest.
Forine più adatte: piramide, alti fusti e tutte le forme.
Fertilità: straordinaria.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi e di speculazione, nonché aperta cam-
pagna.
Descrizione della pianta : albero piramidale notevole per la bellezza de] suo porta-
mento e per la sua grande fertilità. F.e branche formano un angolo aperto col tronco.
1 rami sono numerosi, grossi, corti, obliqui, un poco arcuati, lisci alla base striati e
tomentosi all'estremità. Lenticelle grigio-verdastre, irregolari. Gemme a legno triango-
lari, appuntite, medie o voluminose. Le gemme a frutto sono piccole, ovoidali, quasi
ottuse. Le foglie di color verde gaio, grandi, ovoidali, acute, dentate a sega. Picciolo corto.
Descrizione del frutto : quasi mai solitario, ma appaiato, di grandezza media ed
anche ragguardevole, di forma oblunga ovoidale, poco regolare, ben rigonfia a tre
quinti del peduncolo verso il calice. Peduncolo corto o di lunghezza media. Buccia sottile,
morbida, giallo paglierina con punteggiature grigie e presso al peduncolo di color
fulvo. Polpa bianca, fina liquescente, butirrosa e molto succosa. Calice medio, semi
aperto. Succo molto abbondante, zuccherino, acidulo, moscato.
Osservazioni : innestata sul cotogno nei terreni silicei o schistosi, misti di umus o
di argilla, getta molto vigorosamente e produce in abbondanza delle buone e belle
frutta; se invece pure innestata sul cotogno, si trova in un terreno argillo-siliceo, si
esauris:e molto presto. Sul franco riesce molto bene, specialmente nei terreni sciolti
e vive molto più a lungo, semprechè sia sottoposta a cure intelligenti. I rami fruttiferi
di questa varietà hanno la tendenza particolare ad allungarsi e a denudarsi alla base,
per questo bisogna applicare le cimature, appena i germogli raggiungono la lunghezza
di 8 a 10 cm. e le torsioni ai germogli anticipati.
Qualità eccellente anche per fare conserve. Non sarà mai abbastanza raccomandato
di estendere questa varietà.
Il lettore avrà notato che nelle varietà di primo merito da me citate, non figura
alcuna varietà italiana. Non si può negare che abbiamo in Italia delle varietà origi-
narie nostre pur essendo ancora buone, inferiori però di merito a quelle dianzi
proposte.
Le migliori varietà italiane attualmente coltivate sono le seguenti.
1. Allora (Gallesio) invernenga (novembre a febbraio); albero vigoroso, fertile, sul
franco nell'aperta campagna della Toscana.
2. Angelica (Gallesio) chiamata anche pero fico, pero cedro nel Modenese, pera limona
nel Faentino è simile alla Forellenbirne dei tedeschi. Matura dalla fine di settembre
a tutto ottobre.
3. Bruita e buona di Giaveno fGallesio): in Toscana la chiamano Bugiarda o Inganna
villani. Frutto piccolo, tondeggiante, matura alla fine d'estate. Vigore mediocre.
4. Bugiarda (Gnocco di Parma', pera estiva, oblunga, cucurbiforme, verdastra, av-
vizzisce presto. Si alleva a piramide o ad alto fusto, sul cotogno e franco nei frutteti
casalinghi (Molon).
5. Campana (Buoncristiana d'estate) chiamata anche Battocchia o Battaglio nel
Bolognese; la trovai coltivata molto diffusamente nel territorio di Imola, come, del
resto si trova anche nel Veneto, sempre allevata ad alto fusto. La sua produzione è
saltuaria, va soggetta alla ticchiolatura. Forma a campana, grossa, di colore verde gial-
lastro, matura in agosto.
6. Anche il Buon Cristiano d'inverno di forma simile anzi eguale alla precedente si
trova molto diffuso nell'lmolese ed è un'ottima pera da cuocere. La sua fertilità è però
incostante.
7. Butirra bianca d'autunno, forse dì origine italiana, matura in settembre, molto
pregiata una volta, ma l'albero è così delicato e debole da dovere sconsigliare la col-
tivazione.
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8. Cedrata romana abbastanza diffusa in Istria negli orti di famiglie signorili dove
è tenuta a spalliera, a Torino è conosciuta per Butirra Reale. Ha una forma ovale,
appiattita agli estremi, buccia giallo-citrina con polpa zuccherina acidula molto piace-
vole. Matura alla fine di settembre. Si può allevare anche a piramide ed a pieno vento.
Secondo me non è tanto apprezzata sui mercati perchè nel suddetto mese si hanno
altre varietà di pere e frutta diverse che possono farle concorrenza. La pianta è sana
e vigorosa.
9. Cento doppie o Pera del lìnea l'Gallesio) si trova in Toscana, a Napoli ed a Roma
secondo il citato autore. Frutto piccolo, sferico, 5-6 cm. di diametro, verdastro, con
polpa molto succosa, vinosa, dolce. A maturazione la buccia diventa giallastra con stri-
sele rugginose. Pianta molto delicata. Matura in gennaio-febbraio.
10. Coscia, molto diffusa questa pera in Toscana. Frutto piramidale, sessile, in parte
giallo ed in parte rosso, che matura a metà agosto. Merita di essere estesamente colti-
vata, perchè adatta per l'esportazione. Sul franco è soverchiamente vigorosa e poco fer-
tile. Conviene l'innesto sul cotogno e si allevi a piramide o meglio a mezzo vento (fìg. 408).
11. Frattino iMolon) è un piccolo frutto, a forma turbinata, mm. 48X37, comune sul
mercato di Vicenza nel mese di luglio. Buccia gialla con macchia di colore rosso.
12. nipinlo (Molonl che matura dalla metà alla fine di luglio, colorito di rosso
carmino. Molto profumato e di buon sapore.
13. Limone, pera estiva, (agosto i allungata, verdastra, leggermente striata di rosso
verso il sole. Diffusa nel Bolognese e nell'Abruzzo.
14. Madama (Zasso) frutto piccolo, piriforme, giallo, finissimo, eccellente. Albero
vegeto, fertile, per alto fusto e commercio. Luglio-Agosto. Diffuso nel Veronese.
15. MoscateUina (fig. 410) diffusa in tutti i paesi dove si coltiva il pero. Ha il
pregio della precocità (giugno), però ha poca durata Buccia verdastra, coperta in gran
parte di rosso bruno. Coltivasi ad alto fusto. Bisogna spedirla 8 giorni prima della
maturazione. Con questa varietà si possono fare delle piantagioni lungo le strade e
viali. È molto produttiva e di grande commercio.
16. Passa-tutti (novembre-febbraio^ si trova nel Veneto, molto delicata e di poca
fertilità, però è eccellente. Ha la forma di una piccola bergamotta.
17. Perla, frutto estivo della Liguria (Gallesio).
18. Regina Margherita (novembre-dicembre;.
19. Re Umberto (novembre-gennaio).
Queste due varietà ottenute da Borsani a Milano sono raccomandate dal Prof. Molon,
per gli amatori. Sono frutti voluminosi e buonissimi.
20. Scipiona, pera comune nel Bolognese, che matura durante l'inverno. Coltivata
a pieno vento nei campi, è migliore per cuocere che per mangiarsi cruda. È resi-
stente alle malattie, però di produzione incostante. Non è da confondersi colla S. Ger-
mano. Ha il gran vantaggio di conservarsi a lungo inalterata (Tamaro).
21. Spinacarpi (Trentossoi (gennaio-aprile) varietà antichissima italiana che rara-
mente si può assaggiare perfetta come viene descritta dai pomologi. Molto di frequente
la polpa impietrisce in parte: la pianta ed il frutto sono soggette alla ticchiolatura.
Con tutto ciò questa varietà è conosciuta in commercio durante l'inverno ed i proprie-
tari degli alberghi se ne servono per far apparire il dessert. T^a maggior parte di
queste pere, dopo aver figurato per parecchio tempo nelle tavole, finiscono coU'essere
cucinate ed allora, convenientemente dolcificate, sono veramente gustose. Varietà da
abbandonarsi. È molto coltivata nel Veneto e specialmente nel Veronese (Tamaro).
22. Gentile d'estate, comune nella Toscana. Matura alla fine di luglio. Per pieni
venti. Il frutto è piramidale, lungo 6-8 cm. a base rotonda. Colore verde giallastro con
polpa bianca.
4. Coltivazione nei paesi caldi. — Come il melo e. le altre piante
a granella, la coltivazione del pero non è raccomandabile nei paesi
caldi, perchè soffre durante le siccità estive.
Generalmente le frutta che si ricavano hanno poco sapore e sono
poco succose. Sono da raccomandarsi quasi esclusivamente le varietà
— 538 -
precoci e fra queste le seguenti: Gitron desCarmes; Butirra d'Amanlis;
William ; Decana di luglio ; Moscatellina.
Per l'autunno si potrà coltivare la Butirra grigia, la Butirra d'Har-
denpont e per l'inverno : Buona cristiana d'inverno, la Bergamotta
Esperen.
In ogni caso la coltivazione deve essere limitata ai bisogni della
famiglia.
5. Importanza della coltivazione. — Il pero è un albero adatto per
eccellenza alla coltivazione speculativa. Indubbiamente è un albero
dei più preziosi perchè può fornire per tutto l'anno la mensa di frutta;
produce in abbondanza con cure relativamente limitate e dà frutti
squisiti. Se la pera non ha il bell'aspetto della pesca, si presta però
meglio di questa a confezionare delle eccellenti conserve. Già accen-
nammo all'importanza che ha il suo legno.
6. Sistemi di coltivazione. — Si presta a tutti i sistemi.
7. Clima ed area di coltivazione. — Prospera nei climi temperati,
alquanto umidi, dando frutti succolenti, gustosi e di bell'aspetto.
Il pero teme meno il freddo del caldo, perciò la sua coltivazione
si estende in Europa fino a 55' di latitudine e fino a m. 1200 di altitu-
dine. Gli sono molto nocive l'umidità e le rugiade abbondanti durante
la fioritura. Fiorisce a 7» G., resiste anche alla temperatura di 40°
sotto zero.
L'area di coltivazione del pero in Italia è quella da noi chiamata
(pag. 218) regione delle piante a granella, la quale comprende, oltre al
Piemonte, la Lombardia, il Veneto, l'Emilia, la parte interna della
Toscana, delle Marche, dell'Umbria, del Lazio, degli Abruzzi, della
Basilicata, della Campania e della Galabria.
Dalla fioritura alla maturazione le varietà precoci impiegano in
media 100 giorni e quelle tardive 147 giorni.
Le costanti termiche del pero sarebbero le seguenti :
dalla caduta delle foglie alla fioritura 1304'' G.
,, „ „ „ „ maturazione del frutto 5024" G.
„ caduta delle foglie 6788" G.
8. Esposizione e situazione. — Le vallate riparate ma aperte con-
vengono al pero meglio degli altipiani troppo esposti ai venti. La luce
viva non gli è necessaria per colorare i frutti, ma ha bisogno di una
moderata aereazione. Si accontenta anzi di una luce dolce e non teme
i cieli grigi.
Nei paesi caldi bisogna coltivare varietà primaticcie e scegliere
località fresche, ventilate, esposte a N.W. e N.E. ed anche a N., ma
sempre a riparo dal vento di Maestrale.
Quanto più si va al Nord tanto maggiore è il numero della varietà
che si possono coltivare. Nell'alta Italia, nelle località volte a mezzo-
giorno, non riservate ai peschi, si coltivano le varietà di pere più
delicate e di tarda maturazione, quali la Bergamotta Esperen, la Bu-
— 539 -
tirra d'Hardenpont, la Decana d'inverno ecc. Del resto le esposizioni
a S.E. S.W. E. e W. sono molto indicate.
Vi sono naturalmente anche nel pero delle varietà che si prestano
soltanto per limitate località e che quindi hanno una ristretta area
di espansione, mentre ve ne sono altre che hanno un'area estesissima,
da un capo all'altro dell'Italia. Bisogna quindi stare attenti alle condi-
zioni dell'ambiente nella scelta delle varietà.
Lo stesso dicasi per la scelta del soggetto poiché ad esempio il
cotogno non resiste tanto alla siccità quanto il franco.
9. Terreno. — Il pero è molto esigente per il terreno. Nelle argille
fredde e compatte dà lunghe gettate, ma poche frutta, scipite e di
colore verdastro. Nei terreni silicei si sviluppa presto, è fertile, ma
si esaurisce presto. Nei terreni contenenti un eccesso di calce, special-
mente sotto forma di gesso, il pero non ha vigore ed è di breve durata,
la corteccia dei rami si indurisce, screpola e diventa cancrenosa. Non
di rado le estremità dei rami disseccano per mancala maturazione. Ma
le frutta riescono abbastanza saporite ed acquistano una intonazione
giallastra, molto pregiata sul mercato.
Riesce bene il pero in un terreno che contenga, pressoché in eguali
proporzioni, silice, calcare ed argilla. Un buon terreno per frumento é
un buon terreno per peri, quindi un terreno fresco e profondo, di
natura argillo-siliceo-calcare, con una certa quantità di umus, é il
più adatto.
Il terreno arido non favorisce la vegetazione, l'eccesso di umidità
nuoce alle qualità dal frutto.
Il pero riesce bene anche nelle terre franche, argillo-silicee, nelle
sabbie argillose contenenti del ferro, nelle sabbie dove l'umus domina
sul calcare, purché il sottosuolo sia profondo, permeabile e l'acqua
non ristagni. La profondità del suolo é molto importante in vista della
lunga radice a fittone che ha la pianta, specialmente se innestata sul
franco. Se innestato sul cotogno, soffre molto per il calcare, le foglie
ingialliscono, prendendo la clorosi.
Rivièr e Bailhache hanno dimostrato che
10 gr. di calcare per Kg di terra non provocano la clorosi;
40 ., „ „ ., ., ., -, determinano una clorosi leggera;
170 „ „ „ « ^ „ „ determinano una clorosi pro-
nunciata.
280 „ „ -, ., „ „ „ fanno perire la pianta.
10. Moltiplicazione. — Si moltiplica per seme e per innesto. Alla
semina si ricorre per avere nuove varietà, oppure per avere soggetti
d'innesto.
È meglio seminare in autunno e presto. In questa epoca si ottiene
circa il 71% di attecchimento; più tardi il 60%; in primavera soltanto
il 6%.
— 54U —
I semi si collocano a 2-3 centimetri di profondità. Mantengono la
facoltà germinativa per 6 mesi. Si stratificano appena raccolti. Un litro
di semi contiene in media 16.200 semi ; ogni litro pesa grammi 543.
L'innesto si può fare sul
a) pero selvatico proveniente dai boschi ;
b) franco, ossia sul pero ottenuto da seme nei semenzai;
e) cotogno ;
d) bianco spino ;
e) corniolo, nespolo, sorbo e pomo.
Non conviene l'innesto sui selvatici di bosco perchè di difficile
ripresa; le piante stentano a fruttificare e la corteccia si copre sovente
di macchie nere.
Al franco si ricorre ogniqualvolta si hanno dei terreni nei quali
non riescono le piante innestate sul cotogno, oppure quando si vogliono
avere delle piante vigorose, a pieno o mezzo vento o delle piramidi
a grandi dimensioni. Per avere delle spalliere non si ricorre a questo
soggetto, se non quando lo strato superiore del terreno non sia ecces-
sivamente secco.
Avendo il franco la radice a fittone che si approfonda molto, gli
è necessario un terreno profondo, piuttosto tenace che sciolto. Un
sottosuolo inerte, poco profondo, gli è contrario ; il calcare non gli
nuoce ed il secco gli è meno dannoso dell' umidità stagnante. Per
questo il franco si adopera per gli impianti nelle colline e nei climi
meridionali.
II pero sul franco, nei suoi primi anni, ha poco sviluppo specie
nei vivai, fruttifica tardi, almeno 8 anni dopo l'innesto, però dà le
piante longeve e di maggiore sviluppo. Delle diverse foggie di innesto,
il più conveniente, sul franco, è quello a spacco, trattandosi special-
mente di formare piante di alto fusto. Si innestano di solito le varietà
a frutto piccolo per cuocere, oppure le varietà estive.
Il cotogno è il soggetto preferito dai frutticoitori per ottenere tutte
le forme da frutteti e cioè il mezzo vento, la piramide, la spalliera, i
fusi, i cordoni. Esige un terreno fresco, di media profondità, non
eccessivamente umido. I terreni troppo secchi o troppo freddi ed
umidi non gli convengono, potendo le radici soffrire pel gelo. Quest'ul-
timo inconveniente è molto grave pei vivai nei terreni umidi. Il cotogno
deperisce facilmente, e più presto che il franco nei terreni calcari. In
questi, all'inserzione dell'innesto, si forma un ingrossamento enorme,
le foglie ingialliscono e l'albero è poco fertile e di breve durata. Un
buon terreno argillo-siliceo, una sabbia argillosa leggermente ferrugi-
nosa, un terreno alluvionale sono i più adatti.
11 cotogno conviene in particolar modo ai frutti autunnali e d'in-
verno. Quantunque vivano meno che sul franco, nei terreni fertili
l'albero vegeta convenientemente, specialmente nei primi anni. Ha una
- 541 -
vita abbastanza lunga ed ha, relativamente presto, una fruttificazione
bella, abbondante e regolare 5 i frutti poi sono sempre più grossi, più
belli, più pregiati pel gusto che quelli ottenuti sul franco. Tutti quelli
quindi che vogliono raccogliere presto o hanno un terreno poco pro-
fondo o di importazione, o che infine sono incerti sulle qualità del
sottosuolo, ricorrano al cotogno.
L'innesto da applicare sul cotogno è a gemma dormiente.
Le varietà tardive ed alcune a frutto molto sviluppato con legno
dolce, non hanno molta simpatia pel cotogno tanto che sovente si
manifesta un cercine al punto d'inserzione dell'innesto, ciò che rende
la pianta fragile e di poca durata. A questo si rimedia col soprin-
nesto e cioè innestando sul cotogno una varietà vigorosa come le
varietà: Curato, Hardy, Jaminette, Trionfo di lodoigne e su queste
alla loro volta, dopo che la pianta è sufficientemente ingrossata, si
innesta la varietà di più difficile attecchimento. Col soprainnesto si
ottengono dei buoni mezzi venti e spalliere delle varietà Duchessa
d'Angoulème e Decana d'inverno, Buon Cristiano William, Butirra Clair-
geau, Decana del Comizio, Passa Crassana, Oliviero de Serres, Butirra
Bachelier, Passa Colmar.
Sul bianco spino il pero si innesta soltanto in via eccezionale,
quando trattasi di terreni eccessivamente secchi, dove non fanno bene
né il franco, né il cotogno. Si hanno piante di vita breve e di poca
fertilità.
In Inghilterra e nello Champagne, viene molto impiegato questo
soggetto per le varietà per cuocere.
Non si innesta mai il pero sul corniolo, sul nespolo, sul pomo, sul
sorbo perchè forma degli ingrossamenti straordinari al punto d'innesto ;
li ho citati per pura curiosità scientifica,
I peri ornamentali si innestano sul franco ; le varietà giapponesi
mal riescono sul cotogno.
II Prof. Molon nella sua Pomologia, osservando che il pero nei
" paesi caldi non si può innestare sul cotogno e vegeta male anche
" sul franco, trova un buon soggetto nel Pirus salicifolia PalL del
" Caucaso, usato già da tempo dalla Scuola di Agricoltura di Atene.
" Questo soggetto è lento a svilupparsi nei primi anni; ma poi riprende
" vigore, e si hanno delle belle piante, adatte specialmente per i ter-
" reni calcari, secchi, pietrosi „.
10 non ho avuto campo di sperimentare questo soggetto, ma non
per questo faccio a meno di raccomandarlo per esperimento ai nostri
coltivatori del meridionale.
11. Caratteri vegetativi. — li pero domestico, in confronto del sel-
vatico, ha rami più vigorosi, foglie più ampie, fronda non tanto
slanciata, piramidale ed è più pronto a fruttificare.
11 clima, il suolo e le ibridazioni sia naturali che artificiali, hanno
contribuito alla produzione di oltre 1000 varietà di pere, varietà ben
distinte che presentano caratteri propri sia rispetto al frutto, sia rispetto
— 542 -
alla vegetazione. Non bisogna escludere che siano avvenuti incroci fra
specie e specie. Cosi ad esempio nelle pere Buon Cristiano, chi non
vede una forma che ricorda il frutto del cotogno ?
II pero in generale tollera molto i tagli, anzi questi tendono a
rendere voluminoso il frutto. Se questi tagli però non vengono fatti
continuamente e col giusto discernimento sulle varietà a frutti grossi, i
frutti rimangono piccoli ed aggrinziti. Alla trascuranza del taglio si
devono attribuire molte degenerazioni delle varietà antiche più rino-
mate, quali sono la spadona, la spina, le butirre, ecc. Il taglio coi'to
e costante si deve raccomandare soltanto per le varietà a frutto volu-
minoso ed allevate a pieno vento, alli'imenti si diminuirebbe il prodotto.
Le piante a pieno vento danno frutti con intermittenza, fatto dovuto
più all'esaurimento momentaneo delle branche a frutto che alle intem-
perie. Le piante invece sottoposte al taglio regolare danno frutta conti-
nuamente , quantunque per eccezione (la Passa Colmar) ci siano di
quelle che producono semjjre saltuariamente.
Le varietà con pochi rami, grossi e corti sono molto fertili, danno
frutta grosse, però vanno soggette all'esaurimento ed hanno vita rela-
tivamente breve. La grossezza dei frutti è quindi in rapporto inverso
colla rusticità e longevità della pianta.
La gemma a frutto si sviluppa, come è noto, in tre vegetazioni.
Nella prima si ha una foglia, nella seconda una rosetta di foglie, nella
terza il fiore. Ciò può avvenire anche in due anni, specialmente fra
le varietà precoci o molto fertili, o sulle piante vecchie trapiantate.
Cosi può avvenire che dalla gemma terminale dei rami di un anno si
sviluppino dei fiori, ma riescono mollo imperfetti. La gemma fruttifera
si sviluppa in autunno e specialmente alla metà di novembre che pre-
cede la sfogliatura, e sorge dal mezzo di una corona di foglie. Durante
l'inverno si ingrossa sempre più, ed in aprile avviene la fioritura, prima,
contemporaneamente o dopo lo sviluppo delle foglie. Anche questo è
un carattere da non trascurarsi nella classificazione delle varietà.
Rispetto alle qualità delle frutta bisogna notare che le pere ecces-
sivamente precoci o tardive sono sempre mediocri, migliori di tutte
sono quelle a maturazione autunnale. La grandezza del frutto non ha
alcuna influenza sulla qualità, anzi, contrariamente all'opinione invalsa
nel volgo, le pere migliori si trovano generalmente fra le voluminose.
12. Potatura. — Vediamo intanto, di qual sorta di gemme e rami
è formato il pero.
1. Gemme a legno. Ogni foglia porta alla sua base una gemma, la
quale ha lateralmente due gemme stipulari, chiamate così perchè nascono,
all'ascella delle due stipule che hanno le foglie. Esse rimangono di
solito latenti ma ce se ne può giovare sia per ottenere dei frutti sia
per ottenere dei nuovi rami, se la gemma principale perisce. Per farle
sviluppare basta far affluire ed arrestare alla loro base la linfa, facendo
al di sopra della loro inserzione una intaccatura. Ogni gemma a legno
può dar luogo allo sviluppo di un ramo a legno o di un dardo infrut-
- 543 -
tiferò (pag. 93) il che diventerà fruttifero nell'anno successivo (fìg. 112).
2. Il brindino (fig. 114) è di solito sottile, lungo talvolta fino a 25
cm. Se è più lungo allora è un ramo a legno. Esso non porta delle
gemme ben formate che nella parte media e all'estremità. La parte
inferiore porta delle gemme a legno appena apparenti. Il brindillo
è un eccellente organo di fruttificazione e sovente termina con una
gemma a frutto.
3. La borsa (fig. 115) nasce come sappiamo alla base di ogni frutto.
La lamborda (fìg. 116) è quel complesso di rami che si formano col
succedersi della frutlifìcazione.
4. Dei rami a legno abbiamo sul pero i rami ordinari, che hanno
una lunghezza superiore a 25 cm., i succhioni ed i rami anticipati.
Nei rami ordinari, le gemme più lontane sono quelle destinate a
dare del legno, dunque più si taglierà corto più si disporrà il ramo
a dare dei rami a frutto. Partendo da questo principio, se noi ta-
gliamo sulle gemme latenti alla base dei rami, otterremo rami ancoi*a
più deboli e perciò ancora meglio disposti a dare frutti.
La potatura di formazione consiste nell'ottenere anzitutto un bel
fusto diritto (pag. 143). Da questo devono dipartirsi le branche le quali
devono provenire esclusivamente da gemme a legnò. Da un ramo debole
come sarebbe un brindillo, non si ottiene mai una buona branca vigo-
rosa. Le branche devono essere isolate; se vi ha una biforcazione, biso-
gna toglierla lasciando un solo ramo, il meglio disposto. Ogni branca
deve essere mantenuta di eguale vigoria e sviluppo di quella che sta
inserita ad eguale altezza o quasi sul tronco e deve sempre terminare
con una gemma a legno.
La potatura di produzione consiste nell'allevare e mantenere lungo
le branche, esclusivamente dei rami a frutto.
Si possono presentare diversi casi, che noi ora passeremo in
rassegna.
1. Da una gemma trovantesi sul ramo di un anno si può svilup-
pare nel secondo anno un dardo infruttifero, che nell'anno successivo
diventa fruttifero. Se questo dardo ha una lunghezza non superiore a
5-6 cm. si lascia intatto. Se invece si è allungato (fìg. 422) lo si taglia
in B ossia a tre gemme sopra le ultime grinze del dardo, per far svi-
luppare da queste gemme dei nuovi dardi. Questa trasformazione di
dardi fruttiferi in dardi infruttiferi e legnosi avviene per troppa affluenza
di linfa.
2. Sul pero bisogna distinguere due sorta di brindilli e cioè quelli
che terminano con un dardo {a fìg. 423) e che non si allungano e
quelli che si allungano e che si potrebbero chiamare (però non tanto
propriamente) brindilli a legno.
I primi hanno di solito una lunghezza di 10 a 15 cm. e si lasciano
intatti. Dopo due anni, portano frutto all'estremità. Dopo raccolto, si
taglia sopra alla borsa in a (fig. 424), per provocare al di sotto lo svi-
luppo di nuovi dardi alle gemme inferiori.
- 544 -
3. I brindilli a legno possono avere invece una lunghezza anche di
25-30 cm. Questi si tagliano sopra la terza gemma.
Dalle gemme sottostanti si possono avere nel secondo anno 3 dardi
(fig. 425), che si lasciano intatti ; al più se ne recide uno che si taglia
in a, se il ramo è troppo debole.
4. Nella fig. 426 abbiamo invece il caso, in cui, per eccessivo vigore
del brindino, la gemma superiore si è sviluppata in legno ed ha rice-
vuto due cimature in n, per moderare il vigore. In questo caso si taglia
in a, per concentrare la linfa sui dardi della base.
Fig. 422. Fig. 423.
Dardo allungatosi Brindino di pero
in via normale. che termina con un dardo.
Fig. 424.
Brindino precedente
dopo avere fruttificato
a) indicazione del taglio.
Se invece tutte e due le gemme terminali si sono sviluppate in
rami a legno (b b fig. 427) si ha per lo più dalla prima gemma un
brindino fruttifero. In questo caso si taglia in a.
5. La fig. 428 rappresenta un brindillo a legno visto al terzo anno
di potatura. Esso si taglierà in a, al disopra del secondo dardo, che è
infruttifero. Intanto fruttificherà il dardo inferiore, il quale alla sua
volta darà origine ad una borsa e poi a nuovi dardi. Quando avrà
fruttificato anche il dardo superiore si taglierà in b. Come si vede
questo taglio ha Io scopo di avere per due anni successivi della frutta.
6. La fig. 429 rappresenta un ramo a frutto molto vigoroso, che
— 545 —
porta alla sua estremità due rami a legno già cimati edìinferiormente
due dardi. Questi rami si trovano molto di frequente negli alberi gio-
vani, vigorosi, poco fruttiferi. Se noi avessimo a tagliare immediata-
mente sopra il dardo e, noi provocheremmo una soverchia affluenza
di linfa nei due dardi e questi si trasformerebbero in getti a legno,
ossia si avrebbe la cosidetta colatura dei dardi. Invece si deve bensi
tagliare in d il ramo a legno superioi'e, ma il ramo b conviene tagliarlo
in n, sopra due gemme. Da queste due gemme si svilupperanno due
germogli più o meno vigorosi, che attireranno la linfa e quindi impe-
diranno la colatura dei dardi infruttiferi. Quando i due dardi saranno
diventati fruttiferi, allora si taglierà sopra il dardo e.
Fig. 425.
Conseguenze del taglio precedente.
Fig. 426.
Brindino vigoroso la cui gemma su-
periore si è sviluppata in legno.
7. Il taglio delle borse consiste nel lisciare col coltello la parte a
cui erano attaccati i frutti, perchè sovente è un ricettacolo di uova
deposte da insetti.
Il frutticoitore deve avere per scopo principale la produzione di
lamborde provvedute di borse, dardi fruttiferi; infruttiferi e brindilli.
Il taglio di queste lamborde devesi regolare in modo da ottenere
costantemente frutti più vicini che è possibile alla branca , senza
esaurire soverchiamente la pianta. In generale non si conservano più
di due o tre gemme a fioii per lamborda.
Si abbia cura di abbassare i dardi fruttiferi un po' alla volta e
successivamente, per evitare la loro colatura. Cosi, ad esempio, data
35 — Tamaro - Frutticoltura.
546 —
Fig. 428. — Brindino
nel terzo anno di potatura.
Fig. 427. — Brindino ancora più vigoroso
nel quale anche le due gemme laterali
si svilupparono in legno.
^tt^
Fig. 429.
Ramo a frutto molto vigoroso.
Fig. 430. — Potatura di una lamborda.
- 547 —
una lamborda come si vede nella fig. 430, dopo aver ricavato i frutti
dalle borse d, si taglia in n per aver frutti dai dardi fruttiferi b, mentre
diventeranno fruttiferi gli altri dardi.
8. Infine data una branca con dei rami laterali a legno, come si
potranno ottenere da questi dei rami fruttiferi?
È indispensabile risolvere questo quesito, poiché ogni branca deve
portare dei rami a frutto.
Per ottenere dei rami a frutto dai rami laterali a legno, bisogna
tagliare questi ultimi alla distanza appena di 1 cm. alla base, oppure
sopra la seconda o quarta gemma. Si taglia ad un centimetro o sopra
due gemme, quando si hanno delle piante poco
vigorose e trovantisi sopra branche orizzontali o
piessochè orizzontali. Si taglia a 4 gemme per i
r^S^i^^is^
Fig. 431. Fig. 432. Fig. 433.
Fig. 4.'?l-433. — Potatura per ottenere da un ramo a legno dei rami a frutto.
pieni venti e per le piante vigorose in genere. Scopo di questi tagli è
di provocare l'emissione di nuovi germogli, dai quali, colla cimatura,
si procura di avere dardi o brindilli.
La flg. 431 rappresenta un ramo a legno tagliato in a a 4 gemme.
Da queste 4 gemme si possono ottenere 4 dardi infruttiferi (fig. 432)
che si lasciano intatti. Si possono avere 3 dardi ed un ramo a legno
terminale (fig. 433) ed allora si taglierà in o sopi'a la seconda gemma
del ramo a legno, come ho spiegato per la fig. 429. Se invece si hanno
due dardi e due rami a legno (fig. 434) ; si taglierà il primo ramo a
legno in a ed il secondo in b sopra la seconda gemma. Avendo 3 rami
a legno fig. 435, si recidono i due primi in a ed il terzo in b. Avendo
tutti 4 rami a legno (fig. 436) si tagliano i 3 primi in a e quello della
base si taglia in b. Infine può avvenire, fig. 437, che dalla gemma della
548
Fig. 435.
Fig. 436. Fig. 437.
Fig. 434-437. — Potatura per ottenere da un ramo a legno dei rami a frutto.
— 549 —
base e dall'ultima si ottengano due germogli legnosi e dalle gemme di
mezzo due dardi ; si taglia in a il getto della base ed in b, sopra la
quarta gemma il ramo legnoso dell'estremità.
Anche al pero, a completamento della potatura secca si possono
applicare tutte le operazioni accessorie indicate a pag. 110.
Riguardo alla potatura verde, oltre alla scacchiatura per togliere i
germogli inutili o fuori posto, bisogna applicare la cimatura spe-
cialmente alle forme ridotte.
Colla cimatura, bisogna fare affluire la massima quantità di linfa
sui dardi, perciò conviene cimare i germogli crescenti lungo un ramo
a frutto sopra la quarta o quinta foglia (A fìg. 438). Se questa cimatura
Fig. 438.
Fig. 438-439. — Cimatura del pero.
viene negletta, si allungano troppo i rami da frutto, spogliandosi alla
base dei dardi. Se un germoglio è molto vigoroso e verticale, conviene
cimare lungo, per evitare la colatura delle gemme sottostanti.
Se lungo un ramo a frutto (fìg. 439) si avessero, per eccessivo vigore,
due germogli A e fi, si lascino tutti e due per evitare la colatura,
cimando però il più alto sopra la quarta foglia ed il più basso sopra
la settima od ottava. Queste operazioni si fanno nella prima metà di
maggio.
Sul pero, volendo trasformare un germoglio a legno, che cresce
lungo una branca, in germoglio a frutto, si cima nella seconda metà
di maggio a 20-25 cm. di lunghezza e cioè sopra l'ottava o nona foglia,
- 550 -
non contando le foglie della base, che ordinariamente sono sprovviste
di buone gemme (lìg. 440).
In conseguenza di questa cimatura, oltre che convertire le gemme
della base in gemme a frutto, si vedrà sorgere dall'ultima (fig. 440) e
talvolta anche dalla penultima (vedi (ìg. 441) e terza ultima gemma, dei
falsi germogli. Se ve ne è uno solo, quando questo ha raggiunto la
lunghezza di cm. 10, si cima tra la terza e quarta foglia (a fig. 440), se ve ne
sono due, si sopprime il germoglio più alto (A fig. 441) e si cima quello
più basso fra la sesta ed ottava foglia. (B). Se vi sono tre germogli, si
sopprimono i due superiori e si cima quello più basso, fra l'ottava e
la nona foglia. Questa seconda cimatura si fa intorno alla metà di
luglio e mai prima che tutti i germogli abbiano raggiunto la lunghezza
di cm. 10.
Fig. 440. Fig. 441.
Fig. 440-441. — Cimatura per avere da un germoglio dei rami a frutto.
Dal luglio all'agosto, si possono avere degli altri germogli antici-
pati o falsi : se deboli, si svettano, se rigogliosi si cimano a due foglie.
Tutti 1 germogli che si trovano lungo le branche e che hanno
appena una lunghezza di cm. 10-15 si lasciano intatti.
Le altre operazioni complementari della potatura verde, che si appli-
cano al pero (Vedi pag. 120) sono: V infrangimenlo, la torsione, l'incur-
vamento, la legatura in verde e V insaccamento dei frutti.
14. Forme. — Il pero si può prestare a tutte le forme ma le più adot-
tate sono le seguenti : pieno e mezzo vento, piramide, fuso, cordone
verticale, cordone oi'izzontale semplice, palmella semplice e palmetta
doppia.
Nelle località a clima caldo sono da preferirsi le forme libere e
particolarmente i mezzi e pieni venti e, se troppo soggette a venti, le
piramidi e fusi. Cosi pure nei terreni molto ricchi e profondi si pre-
feriscono le forme libere alle appoggiate. Trattandosi invece di climi
- 551 -
umidi, esposti a geli tardivi di primavera ed anticipati di autunno,
convengono le forme appoggiate, cosi pure tutte le forme piccole in
genere, quando il terreno è poco fertile e profondo.
In una parola, quanto più andiamo al sud d'Italia, tanto maggiore
sviluppo devesi dare al pero.
1. Pieno vento. Questa forma viene adottata per gli impianti in
aperta campagna, lungo le strade e viali, raramente nei broli. Al fusto
viene lasciata l'altezza di m. 2 a 2.50 ed alla chioma si lascia prendere
la forma naturale a pii'amide od ovoidale, in modo che la pianta
raggiunge l' altezza di m. 10 a 12. Naturalmente per questa forma
si prendono i soggetti innestati sul franco e varietà rustiche, a frutto
piccolo.
Sui pieni venti si fa di solito soltanto la' potatura secca, di forma-
zione nei primi 5 o 6 anni (pag. 145) tanto per dare sviluppo ed equi-
librare le diverse branche. Successivamente non si fa che la mondatura
dei rami secchi, contusi o rotti, si sopprimono le branche inutili o che
eventualmente fanno confusione, si modera la vigoria di quelle che
stanno vicine.
2. A mezzo vento, si possono coltivare indistintamente tutte le
varietà ; sarà meglio preferire però le più vigorose ed a rami poco
divaricati.
Il mezzo vento viene applicato specialmente pei frutteti di famiglia
e pei broli. Il fusto viene lasciato a m. 1.20 di altezza, lasciando prendere
alla pianta la forma sua naturale, che è quasi sempre piramidale od
ovoidale, guidandola specialmente nei primi anni coi criteri indicati
pel pieno vento.
3. Delle forme libere le migliori per il pero sono la piramide ed
il fuso. Naturalmente la piramide serve per le varietà più vigorose ed
il fuso per le altre di minor vigore e di grande produzione.
Come si ottengono queste forme, è indicato a pag. 127 e 137).
4. Alla forma a cordone verticale si presta splendidamente il pero,
specialmente nelle varietà poco vigorose. Con questa forma si fanno
delle spalliere e contro spalliere. Poiché il pero richiede ventilazione,
per il cordone verticale e per tutte le forme appoggiale convengono
di più le contro spalliere. Volendo allevarle contro i muri, bisogna
tenere le piante distanti dal muro almeno 20 cm.
Per ottenere il cordone verticale si procede come è indicato a
pag. 156.
5. Il cordone orizzontale semplice è meno usato pel pero che per
il melo. Con questa forma si fanno delle bordure alle ajuole dei frut-
teti casalinghi, si fiancheggiano i viali.
Si scelgono anche per questa forma le varietà poco vigorose ed
innestate sul cotogno. Al cordone si lascia uno sviluppo di m. 2, al
massimo 3 metri (Vedi pag. 152).
6. Per le piante di maggior vigore, ma pure innestate sul cotogno
o sul franco con soprainnesto, sono molto da raccomandarsi per le
- 552 -
varietà fine da tavola e per frutteti di speculazione, la palmetta semplice
e la palmetta doppia (pag. 159) lasciando alle branche la distanza di
30 cm.
15. Impianto e cure di coltivazione. — Il pero essendo una pianta
essenzialmente coltivata a scopo speculativo essa prepondera nei frut-
teti industriali. In questi, volendo ricavare la massima quantità di
frutti nel più breve tempo possibile, si fanno prevalere le forme
ristrette quali sono le piramidi, i fusi, i cordoni verticali ed orizzontali,
o le pai mette. Naturalmente adottando queste forme si hanno delle
piante di breve durata e non è raro il caso di dover ripiantare dei
nuovi frutteti per sostituire i primi dopo 20 o 25 anni. Sul sito dove
si avevano delle piante di pero non conviene per molti anni ripiantare
altre piante a granella. Converrà coltivare degli ortaggi e dovendo
ripiantare alberi da frutto, si ricorrerà alle piante a nocciolo.
Le distanze che si devono osservare neir impianto sono le se-
guenti :
Pieno vento innestato sul franco lungo le strade m. 12
n " "
nei broli
„ 8
« n „
„ „ campi
„ 10
Mezzo
„ „
„ 6-8
« « «
„ cotogno
„ 4-6
Piramide „
„ franco
« 4
« 57
„ cotogno
« 2-3
Fuso „
,, „
„ 1,50
Cordone verticale
„
„ 0.30
„ orizzontale
semplice „
„ 2-3
Palmetta semplice innestata sul cotogno
„ 4-5
„ doppia
« 1, «
„ 4-5
^
„ „ franco
„ 6-7
Il pero, come è esigente per la scelta del terreno richiede anche
una buona preparazione del medesimo per l'impianto e delle costanti
cure per mantenerlo fertile, soffice e mondato da malerbe.
Per le sue radici profonde occorre un lavoro profondo ed una
buona concimazione (Vedi pag. 254) all'impianto.
Per le forme a pieno e mezzo vento, conviene piantare il pero col
fusto già formato e cominciare la potatura di formazione della chioma
nell'anno successivo all'impianto. Per tutte le altre forme, conviene
piantare a dimora le piante di un anno.
Le cure di coltivazione intorno alla pianta devono essere assidue
poiché il pero va soggetto a molte malattie crittogamiche ed ai danni
di molti insetti. Il pero ha il vantaggio sopra moltissime altre piante
di tollerare molto i tagli e di poter protrarre di molto la sua vita,
mediante tagli di ringiovanimento.
— 553 —
16. Concimazione. — Una pianta di pero esporta in media, coi dati
delle Tab. XXI e XXII la seguente quantità di materiali fertilizzanti per
ogni anno e per metro quadrato di superficie occupata, secondo :
Steglich Stazione Agraria di Geneva
Azoto gr. 3 gr. 3,36
Anidride fosforica „ 0,55 „ 0,81
Potassa „ 2,55 „ 3,78
Calce „ 3,45 „ 4,35
Come si vede, le cifre della stazione agraria di Geneva sono
alquanto superiori e a queste io ritengo si debba attenersi tanto più
che feci in proposito delle prove che lo confermano.
Adoperando dello stallatico decomposto di composizione media,
bisognerebbe darne ogni anno per m.^ Kg. 0,700, facendo la concima-
zione ogni 3 anni, Kg. 2,100 equivalenti a poco più di 20 tonnellate di
stallatico per ettaro.
Conviene però alternare lo stallatico coi concimi chimici appli-
cando il seguente turno di concimazione:
per m.'
per ettaro
per pianta che occupa 20 m
I anno Stallatico Kg. 1.5 tonnellate
TT
15
Kg. 30
III „ Solfato ammonico gr. 25
Kg. 250
Kg. 0,500
Scorie „ 20
„ 200
„ 0,400
Solfato di Potassa „ 8
„ 80
„ 0,160
IV „ -
—
—
Una buona formola di concimazione, dovendo adoperare esclusi-
vamente concimi chimici è indicata nella Tab. XLIV che si può appli-
care ogni due o tre anni. Lascio al lettore di modificarla a seconda
delle sue condizioni particolari, avvertendo che questa io la considero
come una formola di generale applicazione.
Tab. XLIV Formola di concimazione pel pero di applicazione generale,
allevato a pieno vento e da applicarsi ogni 2-3 anni.
ETÀ DELL'ALBERO
Applicazione prima dell'inverno
Applicazione dopo
l'inverno
Scorie
Thomas
Kg.
Solfato di
Potassa
Kg.
Solfato
Ammonico
Kg.
Nitrato di
soda
Kg.
Calce
Litri
a) innestato sul franco.
anni 5
1.800
0.600
0.150
0.650
1
, 10
4
1.250
0.375
1.125
3
, 20
6
2.500
1.100
1.400
5
bj innestato sul cotogno.
anni 6
2.500
0.700
0.200
0.400
\'i
. 12
3.750
1.-
0.400
1.—
1V2
17. Raccolta e conservazione dei frutti. — Le pere si raccolgono
sempre quando si staccano senza sforzo; le pere d'estate quando
cominciano a ingiallire e cadere, facendo poi loro raggiungere la matu-
razione completa in locali appositi, chiamati fruttai d'estate. Queste
pere d'estate, marciscono presto, se colte immature e se molto amuc-
chiate. In ogni caso sarà meglio sbarazzarsene il più presto possibile.
Anche le pere autunnali devono essere raccolte immature, appena
cioè hanno raggiunto il loro massimo volume. In tal modo acquistano
in fragranza. Negli alberi a pieno vento la prima caduta dei frutti è il
segnale della raccolta. Allora si osserva un leggero ristringimento alla
base del peduncolo del frutto , che acquista un colore più vivo,
più chiaro e lucente e diventa diafano.
Alcune varietà, la Clairgeau, la Duchessa, se raccolte acerbe, pro-
lungano la loro maturazione.
Le pere invernali si raccolgono quando cominciano a cadere le
foglie. Se raccolte troppo presto la buccia avvizzisce, la polpa diventa
legnosa ; se troppo tardi, la polpa diventa farinosa ed insipida.
In ogni modo raccomando molta precauzione per l'epoca della
raccolta. La pratica locale vale più di quanto si possa consigliare
collo scritto.
18. Composizione chimica dei frutti. — 11 Kònig, dà le seguenti
composizioni delle pere :
Acqua 83,03
Zucchero 8,26
e . , , ... ,„ Acidi liberi 0,20
Sostanze solubili nell acqua . . e x lu • j- oon
^ I Sostanze albummoidi . . 0,36
' Sostanze pectiche . . . 3,54
Semi e bucce 4,30
Generi 0,31
Azoto 0,31
Zucchero 48,49
Secondo il Ricliardson, le pere contengono:
Acqua 83,55 7o Cenere 2,43%
L'analisi della cenere sarebbe la seguente :
Impurità 5,91 Calce 7,98
Anidride carbonica. . . 11,06 Magnesia 5,22
Cenere pura 1,97 Ferro 1,04
Potassa 54,69 Anidride fosforica . . . 15,20
Soda 8,52 „ solforica . . . 5,69
Anidride silicica 1,49.
19. Usi. — La pera è incontestabilmente uno dei migliori frutti
per la bellezza, per la varietà della forma, del colore, del sapore e della
fragranza. Si possono avere delle pere dal giugno al maggio successivo.
Sostanze insolubili .
Nella sostanza secca
— 555 —
Le pere oltre ad ornare le tavole, servono a preparare dei piatti
speciali, a fare delle conletture, degli scii-oppi, delle composte ed anche
a fare il sidro.
La pera si digerisce più difficilmente della mela, ed i medici
sconsigliano di darla ai bambini. La polpa delle pere è sempre più o
meno granellosa ed astringente. In alcune varietà è morbida e butirrosa,
in altre è soda e croccante. Generalmente è più gustosa, più abbondante
di sugo, di principi zuccherini e di profumo, di quella delle mele,
11 valore nutritivo delle pere è più basso di quello delle mele.
Secondo Fresenius, per surrogare una parte di albumina anidra, in
rapporto alla sua azione come alimento plastico, sarebbero necessarie
385 parti di pere.
20. Prodotti secondari. — Il legno del pero è molto pregiato per
la sua compatezza e per la suscettibilità alla levigatura. Serve perciò
a fare mobili di lusso ed a diversi lavori di intaglio.
21. Dati economici. — Il pero a pieno vento raggiunge in media
l'età di 65 anni, dei quali i primi 15 sono improduttivi.
Durante il periodo di vita produttiva, 50 anni, si può calcolare la
seguente produzione :
1. Nei primi dieci anni, ossia dall'anno 16. " al 25.°, Kg. 15 di frutta in
media all'anno, quindi in totale Kg. 150
2. Nei trent'anni successivi (dall'anno 26.» ai 55." di vita), in media
all'anno Kg. 48 e quindi in totale „ 1440
3. Negli ultimi dieci anni di vita (dall'anno 56.» al 65.") Kg. 18 in
media all'anno, ossia in totale , 180
Totale nella vita Kg. 1770
che a L. 8 al quintale equivalgono a L. 141,60
Aggiunto l'aumento di valore dell'albero coll'età 3,—
Totale imporlo produzione L. 144,60
Le spese si possono calcolare come segue :
1. Valore d'acquisto della pianta L. 1,25
2. Impianto e concimi „ 0,25
3. Palatura „ 0,20
4. Sorveglianza e custodia per anni 65 a L. 0,20 per anno „ 13,—
5. Raccolta e conservazione delle frutta in ragione di L. 1,80 per
quintale e sopra quintali 17,70 „ 31,86
6. Interesse del capitale d'impianto e di coltivazione, composto
come segue :
a) Spese (sub. 1, 2, 3) equivalenti a L. 1,70 al 5% e per 30 anni . . „ 2,55
b) Interesse del capitale per la sorveglianza e spesa, nonché la
perdita di rendita che si verifica nel terreno circostante all'albero „ 4,35
Totale Spese L. 53,46
Rendita lorda L. 144,60
Totale Spese , 53,46
Restano L. 91,14
Da detrarre un risico del 5% „ 4,55
Rendita totale netta L. 86,59
- 556 -
Un pero dà quindi un prodotto netto, nei suoi 65 anni di vita, di
L. 86,59, per un anno L. 1,33, ossia la rendita di L. 33 impiegata al 4 7o-
Nei frutteti, il valore di una pianta può aumentare e dare una
rendita corrispettiva superiore del 25 al 200%; mentre ci sono delle
piante la cui rendita può essere inferiore della media esposta del
25 al 75 7o-
Questi dati economici possono valere anche per il melo.
Un frutteto di speculazione piantato con peri a piramide distanti
4 m. e con meli a vaso, piantati alla distanza di m. 2,50, conterrà per
ettaro N. 1250 piante delle quali N. 500 peri e N. 750 meli.
Le entrate e le spese si possono calcolare come segue :
Entrate.
Ogni pianta può dare in media Kg. 10 di frutta perciò in media un
prodotto annuo di (1250X10) Q.» 125 che a L. 40 L. 5000,—
Spese di impianto.
a) 1250 buche della dimensione di cm. 40 in quadro e 50 cm. dì
profondità a L. 0.15 L. 187,50
h) Acquisto di 1250 piantine di 1 anno di innesto a L. 0,40 500,—
e) Impianto 1250 X L. 0,10 „ 125,—
d) Acquisto di N. 1250 paletti a L. 0,10 • . . „ 125,—
e; Lavori complementari dell'impianto (1250 X L. 0,05) „ 62,50
Totale spesa di impianto L. 1000,00
Spese di coltivazione.
Nei primi 10 anni si può calcolare che le colture intercalari (ortaggi) pagano le
spese di manutenzione, danno l'interesse del capitale d'impianto e l'ammortamento.
A partire dal decimo anno, e cioè dal momento che non si possono fare le colture
intercalari, le spese annue sono le seguenti :
a> Interesse del capitale di impianto (L. 1000) al 5% L. 50
h) Ammortamento del medesimo in 40 anni , 25
e) Affitto del terreno ,272
d) 7 operazioni annuali colturali (sarchiatura, zappatura, vanga-
tura, ecc.) a L. 54 ,378
e) Potatura secca ("j ora per albero) ossia 63 giornate a L. 5. . . „ 315
f) Potatura verde (^^ ora per albero) ossia giornate 32 a L. 5 . . „ 160
g) Cure per la malattia, 25 giornate a L. 5 „ 125
h) Raccolta delle frutta 15 „ „ „ „ „ 75
i) Imballaggio di 500 ceste 10 „ „ . „ ,50
l) Trasporto sul mercato 20 viaggi col carro ad 1 cavallo a L. 12,50 , 250
Totale spese L. 1700
Entrata L. 5000
Spese 1700
Rendita L. 3300
Detratto un risico del 5% .... L. 165
Totale Rendita netta . . . . L. 3135
Hardy calcola il prodotto di pere da una pianta a pieno vento dell'età di 20 anni
2 hi. e cioè una rendita di L. 12,50.
— 557 —
22. Varietà giapponesi e chinesi di pero. — Von Siebold, il celebre
introduttore di piante dal Giappone, ha notato nei suoi viaggi molte
varietà di pero, appartenenti ad una specie interamente distinta dalle
specie europee.
Sono piante più vigorose e più robuste delle varietà chinesi con
foglie grandissime. Le frutta sono bellissime, di forma e colore parti-
colare, con peduncolo molto lungo ; polpa muschiata, buona quando
è cotta. Tutte queste varietà si distinguono per la straordinaria e co-
stante fertilità ; si devono innestare esclusivamente sul franco. Sul
cotogno non attecchiscono.
Le varietà principali importate, sono le seguenti : Daimyo, con
frutto giallo che matura nei mesi di ottobre-novembre; Madame de
Siebold, con frutto bronzato ; Mikado simile al primo ; Sieboldi, che
matura in dicembre, pure bronzato e la Pera miracolo giapponese.
Le varietà chinesi sono meno apprezzate. Il Pirus Simonii ha il
frutto di grandezza media, subsferico, con polpa molto acquosa e di
un sapore tutto affatto particolare, che forse potrebbe servire per fare
qualche sidro.
23. Malattie e danni. Vedi pag. 500.
MELO
(Pirus Malus L. — Fam. Rosacee).
Nome volgare italiano della pianta — Pomo.
Nome volgare italiano del frutto — Mela.
Nomi volgari stranieri della pianta — Francese: Pommier — Tedesco:
Apfelbaum — Inglese: Apple tree.
Nomi volgari stranieri del frutto — Francese: Pomme — Tedesco: Apfel
— Inglese: Apple.
1. Origini. — Il melo è originario delle parti temperate d'Europa,
delle regioni del Caucaso e dell'Asia centrale. Si trova sopratutto nelle
parti montuose poco elevate dei nostri boschi; non ama l'aria secca ed
i forti calori, quindi lo si trova più al nord del pero.
2. Caratteri botanici della pianta. — Pianta meno slanciata di
quella del pero. Può arrivare al massimo a 10 m. di altezza ed ha una
chioma globosa, svasata; radice piuttosto strisciante, meno ramosa
che nel pero.
Fusto diritto, arriva ordinariamente all'altezza di m. 2-2.5 con cor-
teccia cosparsa di lenticelle, liscia, unita, di color cenerognolo-verdastro
sui ramoscelli; scagliosa e grigio-bruna sulle vecchie parti dell'albero.
Ha una vita lunga in media da 60 ad 80 anni, quindi circa V età di
un uomo, e arriva all'altezza complessiva di m. 15. Il legno è di color
bruno pesante, compatto, forte, suscettibile di pulimento; i circoli
- 558 -
legnosi dei rami e del fusto sono di colore bleu-oscuro e diventano
compatti abbastanza presto.
I rami sono inseriti ad angolo aperto col fusto, di colore verde-
bruno, talvolta tendenti al nerastro o violetto, con gemme appiattite e
tomentose, mentre sul selvatico sono glabre. I giovanni getti terminano
spesso in una spina.
Le foglie sono ovali, brevemente acuminate, seghettate a denti
ottusi, tenere; sulla pagina inferiore verdechiaro e tomentose o glabre,
a seconda se il pomo è domestico o selvatico, lunghe due volte il pic-
ciolo, con 4 a 8 nervature alterne e ben sviluppate.
I fiori sono grandi, quasi sessili o brevemente peduncolati; sboc-
ciano pochi giorni prima delle foglie. Sono ermafroditi, di color rosa-
pallido, di rado bianchi, ed in numero di 3 a 6 uniti a corimbo.
1 frutti sono globosi, con breve peduncolo e contengono molti
semi di color bruno lucenti.
3. Classifleazione delle varietà. — Seguendo il sistema Diel-Lucas,
le mele si possono classificare in 15 famiglie, ogni famiglia in 3 classi
e cioè: in estive piatte, tonde, appuntite, oblunghe; autunnali piatte,
tonde, appuntite, oblunghe ed invernali piatte, tonde, appuntite, oblunghe.
Ognuna di queste classi dividesi in tre ordini secondo il colore della
buccia e cioè : unicolori, colorate o striate ; gli ordini poi [si suddivi-
dono in tre sotto-ordini, secondo l'apertura del calice : a calice aperto,
semi-aperto e chiuso.
Le 15 famiglie sono le seguenti:
Fam. 1.» Calville. — Mele a polpa molle, con sapore che ricorda quello della tragola
o del lampone, con capsula aperta o semi aperta, buccia morbida che diventa untuosa
colla maturazione. La forma è per lo più irregolare, cioè molto costoluta.
Fam. 2.» Caravelle o Batlocclne. — Polpa molle a tessuto grossolano, senza partico-
lare aroma o quasi. Capsula sempre aperta. Forma simile a quella delle calville, qualche
volta più cilindrica e altre volte più appuntita, come nelle cosidette Musellone. Buccia
liscia e di solito senza ruggine.
Fam. 3." Calville bastarde. — Polpa soda, con tessuto compatto di gusto vinoso-
acidulo che ricorda quello delle renette; capsula aperta e molto larga con semi rotondi.
Forma varia, però si avvicina a quella del cotogno.
Fam. 4.Ì' Mele rosa. — Con polpa assai molle facilmente cedevole alla pressione delle
dita; buccia fine, delicata, lucente, fragrante come la polpa, che ha un sapore fine,
dolcemente armonico che ricorda quello dell'anice o del finocchio. Forma varia, però
per la maggior parte sono costulute sulla metà superiore.
Fam. ,5.» Mele colombine. — Polpa meno molle delle mele della famiglia precedente,
però fine e leggera che ricorda le renette. Forma allungata oppure ovoidale allun-
gata; polpa bianca nivea; buccia molto fine, lucente, delicata.
Fam. 6.» Mele da libra o librali o raiiìbour. — Polpa grossolana, farinosa, dolce-aci-
dula, senza il profumo delle calville e delle rose. Fruiti molto grossi, piatto-rotondi od
anche sferoidali; di frequente con una metà diversa dell'altra. Buccia liscia, dura e
per lo più senza ruggine.
A questa famiglia seguono altre 6 famiglie di renette, i cui caratteri comuni sono;
polpa specificamente più pesante, ma che colla maturazione diventa più leggera o croc-
cante; profumo rimarchevole ed infine di gusto vinoso più o meno dolce, tutto affatto
speciale, detto appunto di renetta.
.Secondo i loro caratteri esterni abbiamo <> famiglie di renette, delle quali dò i
caratteri principali.
— 559 —
Fam. 7.» Renette da libra o librali. — Unicolori, di grandezza considerevole e forma
irregolarissima piuttosto tendente alle calville.
Fam. 8.» Renette cerine od unicolori. — Di forma regolare, piccole o medie senza
protuberanze o coste.
Fam. 9.» Renette bastarde. — Piccole, unicolori o colorate o striate, regolari, coniche
o sferico appiattite, con buccia per lo più liscia, spesso con verruche, di raro macchiata
di ruggine.
Fam. 10. Renette rosse. — In parte colorate ed in parte striate, col colore di fondo
giallo pallido, senza ruggine. La sfumatura giallognola e la tinta rossa senza ruggine,
fanno distinguere una renetta rossa da una dorata.
Fam. 11.» Renette ruggini e grigie. — Con la buccia in tutto od in parte macchiata
di ruggine.
Fam. 12." Renette dorate. — Con la buccia a fondo di color giallo-dorato con delle
striature rosse a leggere sfumature dalla parte del sole, striature miste con qualche
punteggiatura di ruggine a differenza della famiglia precedente.
Bisogna notare che i caratteri citati da queste 6 famiglie di renette si riferiscono
al frutto che ha raggiunto la sua maturazione, diversamente potrebbe accadere di ascri-
vere ad esempio una renetta cerina ad una dorata e cosi via.
Per tutte le mele che non si possono ascrivere ad alcuna delle sopracitate famiglie,
si sono create altre tre famiglie come segue:
Fam. 13.» Mele striate — Senza tener conto dei caratteri esterni od interni. Appar-
tengono tutte le mele striate, non comprese nelle precedenti famiglie.
Fam. 14.» Mele non striate appuntite.
Fam. 15.a Mele non striate piatte.
4. Scelta delle varietà. — Data un'idea della classificazione ab-
bastanza complicata di Diel-Lucas, faccio seguire due tavole, nelle
quali sono indicate le varietà di primo merito di mele clie consiglio
(Tab. XLV, XLVI).
Tab. XLV. Quadro sinottico di classificazione
delle varietà di mele di primo merito consigliate (Tamaro).
Caratteri della polpa
Nome
della famiglia
molle a sapore di
di cotogno irrego-l fragola o lampone
lare, costoluto
allung. con polpa
grossa, piatto-ro-
tonda con polpa
a sapore vinoso
yo ■! j- ■
f o y a sapore di anice
" ( o finocchio
soda a odore rosmarino
farinosa, dolce-acidula
varia con polpa croccante di gusto
vinoso detto di Renetta
Calville bastarde
Mele rosa
Mele colombine
Mele da libra
Renette da libra
Renette unicolori
Renette rosse
Renette dorate
Nome delle varietà
1. Calvilla bianca
d'inverno
2. Gravenstin
3. Belfiore gialla
4. Astracan rosso
5. Carla
6. Rosmarina bianca
7. Imperatore Ales-
sandro
8. Drappo dorato
9. Renetta Ananas
di Cham-
pagne
11. Renetta del Canada
12. , dei Carme-
litani
13. Carpendola Reale
14. Pearmain dorata
d'inverno
1.'). Renetta d'Orleans
16. , di Monfort
10.
Quadro sinottico indicante le principali proprietà
o "
NOME
Maturazione
Qualità
Fertilità
Vigoria
/. Mele d'estate
1
Astracan rosso luglio
(fig. 442 e 442 bis)
II. Mele autunnali.
per mercato
id.
media
2
Imperatore Ales-
sandro (fig. 443)
settembre-ottobre
prima da orna-
mento
poca
media
3
Gravenstein
(fig. 444)
id.
la migliore delle
mele autunnali
id.
molta
///. Mele invernali.
4
Belfiore gialla
(fig. 445>
novembre-marzo
primissima da
tavola e per com-
mercio
costante e note-
vole
media
5
Pearmain dorata
d'inv. (fig. 446)
ottobre-febbraio
id.
id.
id.
6
Renetta Ananas
(fig. 447)
novembre-feb-
braio
primissima da
tavola
straordinaria
id.
7
Rosmarina bianca
(fig. 448)
novembre a pri-
mavera
buona da tavola
molta
media
8
Carla
(fig. 419)
id.
buona da tavola e
per l'esportazione
id.
molta
9
Drappo dorato
(fig. 450)
novembre-marzo
buona da tavola e
per cuocere
notevole
molta
10
Calvilla bianca
d'inv. (fig. 451)
da novembre in
primavera
regina delle mele
id.
media
11
Renetta di Cham-
pagne (fig. 452)
dicembre-feb-
braio
prima da cuocere
seconda da tavola
notevole e cos-
tante
id.
12
Renetta di Mont-
fort (fig. 453)
dicembre- maggio
prima da tavola e
da cuocere
id.
molta
13
Renetta d'Orleans
(fig. 454)
dicembre-aprile
prima da tavola e
da mercato
notevole
poca
14
Renetta del
Canada (fig. 455)
id.
prima da tavola e
per l'esportazione
id
media
15
Carpendola
Reale (fig. 456)
dicembre-marzo
id.
notevole e presto
id.
16
Renetta dei Car-
melitani
(fig. 457)
novembre-marzo
id.
notevole
id.
>ltiirali delle mele consigliate (Tamaro).
Forme più
adatte
Soggetti da
innesto
Sistema di
coltivazione
indifferente vaso o pieno
vento
franco o dolcigno I frutteti di specu-
lazione
indiffe- I indifferente! vaso, mezzo vento,
rente . . , .i cordone orrizz.
riparata dai
id. venti vaso, alto fusto
iso, dol-
cigno
frutteti casalinghi
dolcigno e franco nei campi
indifferen-
te di pre-
f er. fresco
non umido
e buono
calda
id.
riparata
da venti
aperta e non
ombregg.
profondo e riparata e
fertile
indiffe-
rente
fertile
id.
id.
indiffe-
rente
calda
indifferente
prot. dai ven-
ti non freddi
piano e
colle
anche in lo-
calità vent.
fresche ed
elevate
vaso, alto fusto
ed a cordone
vaso o mezzo
vento
pieno e mezzo
vento
pieno vento o
forine ridotte
dolcigno, franco
o paradiso
id.
dolcigno, franco
franco
id.
paradiso, dol-
cigno e franco
dolcigno o para-
diso
franco innestando
in testa o dolcigno
id.
alto fusto e vaso | franco e dolcigno
alto fusto e cor- franco e para-
done I diso
alto fusto e vaso ^ franco e dolcigno
qualunque franco, dolcigno
e paradiso
frutteti casalinghi
e di speculazione
id. ed anche
lungo le strade
frutteti casalinghi
e di speculazione
frutteti di specu-
lazione
frutteto casa-
lingo
frutteto di spec. e
casal, da lusso
nei campi e lungo
le strade
id. e nei frutteti
di speculazione
frutteti casalinghi
e di speculazione
frutteti indus-
triali
id. e lungo le stra-
de e nei campi
36 — TAsrARO - Frutticoltura.
- 562 -
Astracan rosso (fig. 442).
Frane: Astracan rouge — Ted.: Rother Astrachan.
Maturazione: dalla metà di luglio a metà agosto.
Qualità: seconda da tavola, però la migliore delle varietà precoci di mele.
Clima rigido e terreno fertile.
Località ed esposizione: indifferente.
Forme più adatte: alto fusto e vaso.
Fertilità : molta.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi ed anche di speculazione.
Descrizione della pianta : pianta alquanto debole con rami numerosi, diritti, di gros-
sezza e lunghezza media, tomentosi, verdi-grigiastri, talvolta con sfumature rosso-bruno
chi;ire. Lenticelle piccole, rare, allungate; gemme abbastanza grosse, conico ottuose,
tomentose. Foglie di media grandezza, ovali allungate, debolmente accuminate, con
denti rilevati a gronda. Picciolo breve con stipule corte e strette.
Fig. 442. — Astracan rosso.
Descrizione del frutto : piccolo, del diametro di 52 mm. per 42 d' altezza, rotondo.
Calice chiuso, verde, con sepali larghi, dentro un'insenatura mediocremente profonda.
Peduncolo legnoso, lungo ed arcuato dentro un'insenatura abbastanza profonda ed
ampia. Buccia grossa, giallo verdastra, marmorizzata, e tinta da punteggiature e stria-
ture di color carmino, nonché da altre ancora molto larghe e grigie. Polpa bianca,
fine, semitenera, mediocremente succosa, molto zuccherina, leggermente profumata e
di un sapore acidulo.
Osservazioni : è poco vigorosa, bisogna innestarla sul franco.
Abbastanza diffusa in Italia è anche la varietà Astracan bianco (fig. 442 bin). Il frutto
è rotondo, appiattito al peduncolo e leggermente rialzato alla corona. La buccia è co-
perta in totalità di un bianco latteo ed ha la polpa bianca, croccante, gentile e di un
gusto mediocre. Matura alla fine di agosto ed è apprezzato sui mercati per il suo aspetto.
563
Belfiore giaUa (fig. 445).
Frane: Bellefleure jaune — Ted. : Gelber Bellefleure —
Ingl. : Linneous Pipping o Seck-no Further.
Origine: Americana?
Maturazione : novembre-marzo.
Qualità : primissima, sia per tavola sia per l' esportazione. Si conserva a lungo ;
l'albero è poco esigente.
Clima e terreno: per tutti i buoni climi e terreni. Resiste abbastanza al freddo.
Località ed esposizione: umide.
Forme più adatte: tutte.
Fertilità : costante e notevole.
Sistema di coltivazione: per frutteti casalinghi a cordone orrizzontale innestata sul
paradiso e per frutteti industriali innestata in testa sul franco.
Fig. 442 />is. — Astracan bianco.
Descrizione della pianta : l'albero ha la forma piramidale un po' allargata con rami
lunghi e sottili più o meno tomentosi. Lenticelle rotonde od allungate, abbondanti;
gemme piccole, ovoidali, appiattite, aderenti alla scorza e leggermente cotonose. Foglie
ovali, allungate o lanceolate, coriacee, di color verde chiaro,
Descrizione del fruito : grande e medio dell'altezza di 8 cm. di forma per lo più a
cuore, col calice pendente da un lato. Peduncolo abbastanza corto, nerastro, serrato in
una cavità ristretta, profonda e rugginosa. Calice aperto o semiaperto, quasi nascosto
dalle protuberanze dell'insenatura. Huccia fina liscia, alquanto odorosa e quasi untuosa,
colorata d'un bel giallo brillante, cosparso di rari punti grigi e con una sfumatura rosso
carmino dalla parte del sole. Polpa bianco-giallastra, tenera, finissima, molto succosa, di
- 564 —
sapore zuccherino, vinoso, profumato, che ricorda il sapore delle migliori renette. Logge
molto ampie, contenenti pochi semi.
Osseruazioni : fiorisce tardi, e la pianta vegeta con forza quantunque si presti alle
piccole forme anziché per l'alto fusto. Volendo avere di questi ultimi si innesta in testa.
Fig. 443. — Imperatore Alessandro C/j).
Fig. 444. — Gravenstein.
Nei terreni leggeri e siti elevati, il frutto acquista uno speciale profumo. Nel piano, le
frutta vengono molto voluminose ma le piante tardano a dare frutto. Si applichi la
potatura corta. 1 germogli vanno cimati, non si aspetta che si siano lignificati, poiché
le migliori gemme a frutto vengono all'apice.
565
Calvilla bianca d'inverno (fìg. 451).
Frane. : Calville blanc d'hiver — Ted. : Weisser Winter Calvill — Ingl. WhLte Calville.
Maturazione : questa varietà matura dalla fine di ottobre al principio di novembre,
e si mantiene buona, se ben conservata, fino in primavera ed anche fino all'estate ; perde
però a poco a poco della sua bontà.
Qualità: è una delle migliori mele da tavola che si conoscono e sopporta i viaggi
più lunghi. Si può chiamare la regina delle mele.
Clima mite, terreno profondo, fertile.
Località calda e riparata. Esposizione buona.
Forme più adatte: si presta per le piccole forme, a cordone od a vaso, innestando
sul dolcigno. Si può anche innestarla sul franco in testa per avere degli alti fusti; però
sotto quest'ultima forma non è mai tanto fertile.
Fertilità : molta.
Fig. 445. — Belfiore gialla (-3).
Fig. 446.
Pearmain dorata d'inverno (^ J.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi e di speculazione per frutta da lusso.
Descrizione della pianta : non è una pianta di grandi dimensioni. Ha una fronda
appiattita formata da rami molto divergenti. I germogli non sono molto robusti, diritti,
verde-bruni, con punteggiature bianco-giallognole ed alquanto cotonosi intorno alle
gemme. I brindilli ed i rami a legno sono bianco-argentei. Le foglie sono grandi,
ovoidali od elittiche, tomentose sulla pagina inferiore. Picciolo medio e gemme piccole,
appiattite.
Descrizione del frutto : è il frutto che corrisponde più perfettamente alla forma
delle calville, di solito è grosso o medio, di forma schiacciata e talvolta allungata con
cinque o più coste ben pronunciate. Un frutto medio misura mni. 72 ed ha un diametro
di 87 mm. Calice verde abbastanza lungo con petali appuntiti, ora chiuso ora semi
aperto, tomentoso, come la cavità profonda nella quale si trova, l-a cavità costoluta è
parzialmente rugginosa, lìuccia giallastra, liscia, sottile con alcuni punti rugginosi. Dal
lato dell'ombra ha un colore giallo-paglierino, molto pallido con qualche sfumatura
bianca, mentre dalla parte soleggiata ha un color giallo più marcato con qualche sfu-
matura rossa. I frutti che possiedono quest'ultimo colore sono i migliori e più pregiati.
— 566 -
La buccia, fino a che il frutto si trova sull'albero, ha un colore che si avvicina all'az-
zurro e nel fruttaio diventa giallo-dorata ed emana un aroma di fragola. Loggia dei
semi ampia, cuoriforme e contiene uno o più semi per loggia. Polpa fina, giallo-bianca-
stra, tenera, succosa, dolce acidula, dolcemente profumata, con sapore leggero di cannella.
Osservazioni: molto soggetta al Fusicladium ed al cancro.
Carla (fig. 449).
Frane: Carle — Ted.: Kostlichste.
Origine: Finale (Liguria).
Maturazione: novembre, si conserva fino in primavera senza perdere alcuna delle
sue qualità.
Qualità: prima, da tavola e per l'esportazione.
Clima caldo e terreno protondo, sciolto e fresco.
Località ed esposizione: riparate dai venti.
Forine più adatte: alto fusto con chioma ovale.
Fertilità: molta.
Sistema di coltioazione: frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta: l'albero germoglia tardi in primavera, cresce molto vigo-
roso e forma una fronda piramidale molto allargata. Tarda a produrre frutti e questi
sono pochi, ma belli e molto sviluppati. Foglie grandi, verdi scure, lucenti, picciolo
•\
F'ig. 447. — Renetta Ananas (-
Rosmarina bianca [- ■■).
alquanto rosso. Fiori abbastanza grandi, prima di sbocciare giallo rosei e poi perfetta-
tamente bianchi, calice appuntito molto tomentoso. Germogli e rami robusti, bruno
scuri con grosse lenticelle rotonde chiare.
Descrizione del frutto : misura 58-60 mm. in altezza e 70-80 di diametro, pesa in
media 100 gr. La forma è alquanto varia, per lo più rotonda e regolare, talvolta marca-
tamente appuntita così da ricordare le musellone. Calice chiuso, stretto, con petali
appuntiti e lunghi, con insenatura irregolare, costoluta. Peduncolo molto lungo mm. 20-22,
molto sottile, alquanto tomentoso, in una cavità liscia, profonda, stretta, senza ruggine.
Buccia finissima, liscia, lucente, giallo-verdognola colla maturazione giallo-chiara e dalla
parte del sole dipinta di rosso carmino. Punteggiature fine ed odore molto forte. Polpa
bianca, molto fine, tenera e delicatissima, succosa con aroma speciale che ricorda quello
della rosa. Logge chiuse o semi chiuse, con 2 semi per loggia.
- 567 -
Osseruazioni : chiamata nel Trentino Cosenza gentile e nel Tirolo Kòstlichste. Fio-
risce tardi. Va abbastanza soggetto al Fusicladium ed anche i giovani rami disseccano
facilmente alla estremità.
In causa dei peduncoli troppo lungi del frutto, bisogna cercare le località riparate
dai venti per coltivarlo, altrimenti cadono facilmente. Questa varietà è una delle più
estesamente coltivate oggi nel Trentino e Tirolo ; però, essendo la polpa molle, richiede
molta precauzione nell'imballaggio.
Carpendola reale (fìg. 456).
Frane: Court pendu plat — Ted.: Kòniglicher Kurzstiel
Ingl.: Wise appiè.
Maturazione: dicembre-marzo. La buccia increspa molto sensibilmente, conviene
perciò anticipare al massimo la raccolta.
Qualità : prima, da tavola e per il grande commercio.
Clima mite ed anche freddo. Terreno argilloso, fresco e fertile.
Località ed esposizione: anche nelle località più esposte ai venti.
Forme più adatte: alto fusto sul franco, per le forme piccole sul dolcigno.
Fertilà: notevole e la pianta da anche presto frutta.
Sistema di coltivazione : per impianti lungo le strade e viali nonché per frutteti
industriali.
Fig. 449. — Carla (^3).
Fig. 450. — Drappo dorato (- 3).
Descrizione della pianta: albero robusto di medio sviluppo. Rami numerosissimi,
corti, abbastanza grossi, molto tomentosi, di color bruno verdastro ed aventi i meri-
talli cortissimi. Lenticelle piccole, rotonde, fìtte. Gemme rotonde, grosse. Foglie piccole,
arrotondate, di color verde carico sulla parete superiore, tomentose e bianco grigiastre
al di sotto, molto accuminate. Picciolo grosso e breve. Stipule strette di media lun-
ghezza.
Descrizione del frutto: misura da 6 a 7 cm. in altezza e da 8 a 9 di diametro. Forma
schiacciata. Peduncolo legnoso e sottile. Calice aperto con sepali larghi. Buccia inodora,
che al momento della raccolta è a fondo verde dilavato, ma maturando passa al giallo
d'oro e si copre quasi interamente di una tinta ruggine, chiara. Polpa giallastra, un
poco verdognola vicino alle logge. Ha un sapore squisitissimo, dolce acidulo vinoso di
renette, ed è tenera. I semi sono piccoli, chiusi in logge piccolissime.
- 568 -
Osservazioni: fiorisce tardi, quindi si può coltivare in località esposte a brina. Dà
chioma tondeggiante, larga. Va poco soggetto a malattie.
Il frutto si lascia sulla pianta il più tardi possibile in autunno e poi lo si stratifica
nella torba, per avere una lunga conservazione che si può protrarre all'aprile.
Drappo dorato (fig. 450).
Frane: Vrai Drap d'or — Ted, : Golzeugapfel — Ingl. : Bay Apple.
Maturazione: da novembre a marzo.
Qualità: è una delle migliori mele da tavola; si presta anche per cuocere. A ma-
turazione inoltrata diventa insipida e farinosa.
Clima caldo e asciutto. Terreno fresco ordinario.
Località ed esposizione: aperte e non ombreggiate.
Forme più adatte: alto fusto a vaso sul franco; a cordone sul paradiso.
Fertilità: notevole.
Sistema di coltiuazione: frutteto casalingo.
Descrizione della pianta: pianta di grande sviluppo con fronda molto fitta e chioma
sferoidale con rami alquanto pendenti. Fruttifica presto ed è molto fertile. I germogli
sono sottili, abbastanza lunghi, bruno rossastri con lenticelle numerose 5e piccole. Le
Fig. 451. — Calvilla bianca^dinverno {'j-j).
foglie sono caratteristiche; sottili, lunghe e strette con punta lunga. Picciolo abbastanza
grosso, lungo. Stipule lunghe e sottili.
Descrizione del fratto: grande a sufficenza, sferoidale e regolare. Talvolta è legger-
mente costoluto. Altezza 61 mm., diametro 81. Peduncolo corto e sottile, che non emerge
dalla cavità. .Sepali grandi e biancastri. Buccia liscia, lucente, di color giallo sbiadito
dalla parte dell'ombra e più chiaro da quella del sole, con qualche punteggiatura grigia
dal contorno biancastro. Talora, ma di rado, ha delle macchiette bruno-chiare. Polpa
bianco-giallastra, fina, semi-croccante, profumata, succosa, saporita, zuccherina-acidula
con odore piacevolissimo che ricorda quello del cedro: i semi sono numerosi e perfetti.
Osservazioni: germoglia e fiorisce tardi e perciò dà quasi sempre prodotti copiosi
- 569 -
Gravenstein (fig. 444).
Frane: Gravenstein — Ted. : Gravenstein — Ingl.: Gravenstein appiè.
Origine: Trentino o Schleswig-HolsteLn.
Maturazione : settembre-ottobre.
Qualità: è una delle migliori mele autunnali.
Clima freddo. Terreno anche un po' umido, purché non dissecchi troppo d'estate.
Località ed esposizione: riparate dai venti.
Forine più adatte: alto fusto innestando in testa, piramide e vaso.
Fertilità: molta, ogni due anni.
Sistema di coltivazione: campestre.
Descrizione della pianta: quest' albero cresce rapidamente, divlen grande ed è molto
longevo. Forma un'ampia chioma sferoidale. I germogli sono bianchi, cotonosi, con pic-
cole punteggiature rotonde e bianche. Foglie grandi, ovoidali, tomentose sulla pagina
inferiore, con dentatura profonda. Questa varietà si distingue perchè fiorisce molto
presto e tuttavia i fiori non soffrono. Fruttifica tardi, anche dopo 15-20 anni.
Descrizione del frutto: di forma e grandezza varia per lo più sferoidale, con un
diametro medio di 75 mm. Coste pronunciate. Calice aperto con sepali verdi anche a
maturazione. L'insenatura del calice profonda e stretta, così pure la cavità del pedun-
colo. Buccia liscia, lucente, giallo-paglierino o giallo dorato. Dalla parte del sole ha delle
punteggiature rosso carmino e brevi striature che mancano del tutto dalla parte opposta.
Ha un odore aromatico molto sentito ; la polpa ha un sapore di fragola ed è di color
giallo, tenera e molto succosa. La camera dei semi è molto grande e le loggie sono
ripiene di semi.
Osservazioni: varietà vigorosa e rustica, non troppo produttiva. Dopo un buon rac-
colto, riposa per 2-3 anni.
Bisogna raccogliere le frutta alla fine di agosto o primi di settembre. Per spedirle
sui mercati bisogna curare l'imballaggio, perchè sono piuttosto delicate.
Pianta vigorosa fino dalla prima età, in qualunque terreno ma predilige le località
littorane. Si pianti nei campi a pieno vento alla distanza di almeno 12 metri e per la
piramide o vaso a 4-5 m.
Imperatore Alessandro (fig. 443).
Frane: .\lexandre — Ted.: Kaiser Alexandre — Ingl.: Emperor Alexander.
Origine: Russia.
Maturazione: settembre-ottobre.
Qualità: prima, d'ornamento.
Clima: Resiste ai forti freddi. Fa bene in qualunque terreno, di preferenza in
quello sciolto.
Località ed esposizione: Indifferente.
Forme più adatte : cordone orizzontale, vaso e mezzo vento.
Fertilità: poca.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi o d'amatori.
Descrizione della pianta: albero slanciato con rami numerosi, espansi, di grossezza
media, cotonosi all'apice, di color rosso-verdastro chiaro. Lenticelle piccole, numerose.
Gemme grosse, coniche, cotonose. Foglie molto grandi, ovali, di color verde-scuro supe-
riormente, chiaro al disotto, un po' cotonose, doppiamente seghettate. Picciolo lungo,
scannellato. Stipule corte, lineari.
Descrizione del frutto: molto grande, talvolta enorme, conico, arrotondato e pan-
ciuto, alto 85 mm. e del diametro di 108 mm. Calice semi-aperto, verde o bruno. Pedun-
colo legnoso, medio, dentro un'insenatura molto profonda, abbastanza ampia e costoluta.
Buccia liscia, lucente, verde-giallognola, ricoperta di rosso carminio a macchie ed a
striature. Polpa bianco-verdastra, semi-fine, tenera, morbida, leggermente profumata,
dolce, con un lontano gusto vinoso.
- 570 —
Osseruazioni: vegeta vigorosamente nei primi anni, anche nei terreni mediocri.
La raccolta si fa per tempo per accontentare i consumatori immediati, però, volendo
conservare il frutto a lungo (anche fino a dicembre), bisogna fare il raccolto il più tardi
possibile.
Fioritura molto prolungata e resistente alle intemperie.
Unico diletto è che i frutti marciscono con facilità sulla pianta.
Pearmain dorata d'inverno (fig. 446).
Frane; Pearmain dorée — Ted.: Winter Gold Parmaene
Ingl.: King of the PippLns,
Maturazione : ottobre-febbraio.
Qualità : prima da tavola e per il grande commercio.
Clima e terreno: per ogni clima e terreno, meno; troppo secchi.
Località ed esposizione: pochissimo esigente.
Forme più adatte: alto fusto o vaso innestando sul franco od a cordone.
Fertilità: straordinariamente fertile e fruttifica molto presto.
Sistema di coltivazione: per frutteti industriali o casalinghi ed anche lungo le strade.
Descrizione della pianta: l'albero cresce molto rapidamente in gioventù e divien
grande. Forma una chioma sferoidale o piramidale con rami numerosi, inseriti ad
angolo acuto, tomentosi all'estremità. Le gemme, distanti alquanto le une dalle altre
sono piccole, appiattite, tomentose. Foglie piccole ovoidali a punta contorta dentate. Pic-
ciolo corto, di color carmino.
Descrizione del frutto: forma regolare, sferoidale, alto 90 mm. e largo 105. Insena-
tura al calice profonda, larga e leggermente tomentosa. Calice aperto. Peduncolo corto
o medio, sottile, legnoso, raramente sporge fuori della cavità. Buccia liscia, sottile, di
color giallo-verdognolo che, maturando, diviene giallo-d'oro o giallo-arancio e dalla
parte del sole presenta belle striature color carmino punteggiate di ruggine. Polpa finis-
sima, succosa e un po' croccante, con gusto vinoso, squisitissima, profumata. Logge
spaziose, contenenti molti frutti.
Osservazioni: si raccoglie in ottobre. Fiorisce e matura tardi in modo da poterla
raccomandare anche per le località più elevate. Comincia a produrre già nel 3.° e 4."
anno dopo l'impianto; abbisogna di frequenti tagli di ringiovanimento. E' una pianta
poco esigente e dà frutti pregevolissimi, di facile conservazione e spedizione.
Siccome fruttifica molto presto, conviene togliere i fiori finché la pianta non è suf-
ficentemente robusta.
La fioritura non è tanto precoce e non è delicata per le intemperie.
Si può applicare il ringiovanimento a 10-16 anni alle piante esaurite per la sover-
chia produttività. In ogni caso si ricordi che la pianta ha poca durata se non si inco-
mincia bene ed a tempo, quando si hanno molte frutta. La pianta si mostra esaurita
con la produzione di piccole mele, che cadono presto. Se il terreno non è sufficiente-
mente fertile, la pianta viene colpita da malattie.
Renetta Ananas (fig. 447).
F'ranc: Reinette Ananas — Ted.: Ananas Reinette.
Maturazione: matura in novembre e si conserva, senza avvizzire, fino a metà feb-
braio ed oltre.
Qualità: questa mela è una delle più belle e fine renette che si conoscano, ed è
ottima da tavola. Si conserva bene.
Clima caldo e terreno discreto, non umido.
Località ed esposizione: calde ed umide.
Forme più adatte: a vaso od a mezzo vento.
Fertilità: molta.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi e di speculazione.
- 571 —
Descrizione della pianta: l'albero si conserva facilmente per i suoi rami straordi-
nariamente grossi e robusti, per le gemme molto fìtte e per la chioma pure fitta e larga.
L'albero raggiunge un medio sviluppo. Foglie abbastanza grandi, larghe, ovoidali, verdi
lucenti, alquanto ondulate, tomentose sulla pagina inferiore e col lembo seghettato.
Descrizione del frutto: grandezza media, alto e largo 75 mm. circa. La sua forma è
costantemente ovale, più o meno depressa alle estremità. Calice aperto o semi aperto
Fig. 452. — Renette di Champagne.
ed il picciolo sonile, corto e legnoso. Le due cavità si dell'uno che dell'altro sono rego-
lari, abbastanza profonde, qualche volta leggermente costolate. Buccia liscia, lucente,
del color giallo-dorato al giallo-citrino, senza traccia di tinta rossa. Caratteristiche per
la buccia sono delle punteggiature regolari di ruggine a forma di stelle cosparse qua e
là. Polpa bianco giallognola, molto succosa, croccante, profumata, che ricorda l'odore di
Ananas, e di sapore vinoso dolce, dei più deliziosi e profumati. Le logge grandi ed
aperte contengono semi numerosi e perfetti.
- 572 -
Osservazioni: porta presto frutta — fiorisce generalmente nella prima metà del mese
di maggio ed i fiori soffrono poco per le intemperie. La prima pianta in vivaio è facil-
mente riconoscibile per i suoi rami corti e grossi e per 1' ampio ciuffo di foglie alla
loro estremità.
Va soggetta alla mosca ed ha il difetto clie il fruito è piuttosto piccolo.
Renetta del Canada (fig. 455).
Frane: Reinette du Canada — Ted.: Pariser Rambour Reinette
Ingl.: Canada Reinette.
Origine: Francia.
Maturazione: da dicembre a marzo-aprile, però a maturazione un po' avanzata
diventa farinosa e dolciastra.
Qualità: prima da tavola, sia per la grandezza sia pel gusto e per la durata, tanto
che si raccomanda per la grande e piccola coltura. Prima anche di commercio.
Clima buono e terreno fertile piuttosto fresco.
Località ed esposizione: qualunque, perchè fiorisce tardi ed a lungo.
Forme più adatte: alto fusto e cordone.
Fertilità: molta e costante.
Sistema di coltivazione : frutteti industriali.
Descrizione della pianta: in gioventù l'albero cresce rapidamente ed assume una
grandezza abbastanza ragguardevole. La fronda è ampia, rotonda, talvolta conica; i
rami sono robusti, fitti, e producono una quantità di ramoscelli secondari, brevi, frutti-
Fig. 453. — Renetta di Montfort.
feri, cotonosi, di color bruno o grigio-argenteo, lucenti e poco punteggiati. Le gemme
sono piccole, appuntite, tomentose, le foglie sono ovoidali, tondeggianti, lucenti, verdi-
brune, appuntite e profondamente dentate. Picciolo corto, grosso, ricurvo, dilavato di
carmino con debole scannellatura.
Descrizione del frutto: ampiamente angoloso, di grossezza superiore alla media,
diametro 90 mm. ed altezza 65 mm., di forma tondeggiante che si assottiglia più o meno
verso il calice e non sempre regolare. Le mele di '/.^ kg. non sono rare. Il calice lungo,
573
per lo più chiuso o semi-aperto, stretto con sepali appuntiti, si trova in una cavità profonda'
con lievi sporgenze. Buccia ruvida, di color verdastro che, colla maturazione, diventa
giallo-citrina, con una sfumatura rossa dalla parte soleggiata, avente ancora delle pun-
teggiature stellate, rugginose, colore questo che si diffonde fra una punteggiatura e l'altra
in modo da far apparire qua e là delle macchie brune. Peduncolo cortissimo, grosso e
legnoso, collocato in una cavità stretta e profonda, rugginosa, quando il frutto è pure
coperto di ruggine. Questa mela emana un odore piacevole, ha la polpa bianca con una
vena di giallognolo; è finissima,
soffice, tenera come tutte le re-
nette, quasi liquescente e piena
di un succo vinoso dei più squi- "V
siti e profumati. Logge chiuse
o semi-chiuse, piccole, con un
seme per cadauna e qualche
volta abortito anche questo.
Fig. 454.
Renette d'Orleans C
Fig. 455. — Renetta del Canada ("/a)-
Osservazioni: l'albero cresce rapidamente e torma alberi con corona irregolare che
bisogna sistemare colla potatura. Ordinariamente però l' albero non ha vita lunga e
va soggetto alla rogna.
11 frutto cade facilmente dall'albero e dà molti scarti nei primi giorni dopo il rac-
colto. Per rimediare a questo inconveniente è molto opportuno portare le mele ap-
pena raccolte in un luogo fresco e non levarle da là fino al momento del consumo.
Si presta tanto per l'alto fusto che per cordoni. Per questi si innesta sul paradiso.
Renetta dei Carmelitani (fig. 457).
Frane: Reinette des Carmes — Ted. : Carmeliter Reinette — Ingl. : Old Pearmain.
Maturazione: novembre a marzo.
Qualità: prima, da tavola e da commercio.
Clima e terreno: indifferente.
Località fresche ed elevate.
Forme più adatte: alto fusto, piramide, spalliera.
Fertilità : molta.
Sistema di coltivazione: lungo le strade e i viali nei climi miti e ordinari.
Descrizione della pianta: l'albero ha una mediocre vegetazione e si distingue per
possedere un bel fusto diritto e una chioma sferoidale. Rami sottili, lunghi poco nume-
rosi, bianchicci all'estremità e rossastri più sotto. Lenticelle grandi, arrotondate, nume-
rose; foglie coi lembi incurvati sulla pagina superiore, di forma elittica, di color verde-
scuro, lucenti superiormente e grigio-verdastro sulla pagina inferiore, con lembo den-
tato: picciolo di color verde, alla base rossigno, scannellato, porta due stipule ineguali.
- 574 -
Descrizione del frutto: ci sono due sottovarietà e cioè quella con frutti appiattiti e
foglie larghe ed un altra con frutti più alti e foglie più strette. Grandezza superiore
alla media; altezza e diametro di mm. 75; calice aperto con sepali grandi, disposto in
una insenatura poco profonda; peduncolo sottile, legnoso, piantato in una depressione
ristretta che sarebbe imbutiforme, se una protuberanza a collo di cigno, più o meno
rilevata non ne rompesse la regolarità. Buccia liscia, lina e quasi untuosa con fondo verde,
coperta da una tinta rosso cupo più o meno dilavata e caratteristicamente punteggiata
picchiettata o tratteggiata. Attorno al picciolo havvi qualche leggera tinteggiatura di
ruggine. Polpa bianco-giallognola, carnosa e fina, con succo aromatico, di gusto dolce,
vinoso, eccellente. Logge di ampiezza varia, leggermente striate ed aperte; i semi che
vi contengono sono perfetti, appuntiti, nerastri.
Fig. 456. — Carpendola reale f 3).
Fig. 457. — Renetta dei Carmelitani 1 ' .).
Osservazioni: Y albero cresce sollecitamente ed è molto produttivo. Nelle buone,
terre, in posizioni difese riesce molto bene. Innestato sul pomo paradiso può dare dei
cordoni ed innestato sul franco anche dei bei alti fusti.
I frutti appaiono all'estremità dei brindilli, quindi è neccessaria più la cimatura
verde che la potatura secca.
Eenetta di Champagne ffig. 452).
Frane: Reinette de Champagne — Ted.: Champagner Reìnette —
Ingl. : Champaigne Reinette.
Origine: Francia.
Maturazione: dicembre-febbraio.
Qualità: prima da cuocere, seconda da tavola.
Clima e terreno: poco esigente.
Località ed esposizione: poco esigente.
Forme più adatte: a pieno vento innestando in testa sul franco; e sul dolcigno per
cordoni e vasi.
Fertilità: notevole e costante.
Sistema di coltivazione: nei campi e lungo le strade.
Descrizione della pianta: sviluppo medio, di vegetazione stentata; forma una chioma
sferoidale; rami grossi con rami fruttiferi corti; di color rosso bruno, con corteccia
a sfumature cenerognole e con molto tomento; finamente punteggiata. La fruttifica-
zione si nota talvolta anche sul legno giovane. Geiimie grosse, rossastre. Foglie di medio
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sviluppo, ineguali, nervatura sottile, doppiamente seghettate, nella pagina inferiore
tomentose.
Descrizione del frutto: frutti a due ed anche tre; con insenatura poco marcata al
peduncolo ed al calice. Grandezza media, altezza mm. 68 e larghezza mm. 53. Il calice
rimane verdastro. Peduncolo sottile e corto, attorno al quale la buccia è rugginosa. Buccia
da giallo verdastra al giallo limone, con qualche sfumatura rosea e rade punteggia-
ture. Il frutto è senza profumo: polpa bianca, molto succosa, aggradevole, acidula-vinosa.
Osservazioni: germoglia in primavera abbastanza tardi. Le frutta stando molto
aderenti, e la pianta essendo rustica, si presta per le piantagioni lungo le strade. Il
frutto si conserva benissimo per tutto l'inverno : si preferisce consumarlo in marzo.
Renetta di Montfort (fig. 453).
Sinonimi: Bella di Boskoop.
Frane: Belle di Boskoop — Ted.: Schòne von Boskoop.
Origine: Olanda.
Maturazione: dicembre-maggio.
Qualità : prima da tavola e da cuocere. E' la mela dell'avvenire per commercio.
Fertilità: costante e molto presto comincia a fruttificare.
Vigoria: molta.
Clima: anche freddo.
Terreno: anche in quelli magri non tanto secchi.
Esposizione e situazione: in piano.
Forme più adatte: alto fusto, vaso o piramide.
Sistema di coltivazione: lungo le strade, nei campi, nei frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta : alta con chioma arrotondata.
Proprietà della pianta: resistente a tutte le malattie. Fioritura tardiva resistente a
tutte le intemperie. Fruttifica talvolta sul legno di un anno.
Descrizione del frutto : forma tondeggiante, media ed anche grande, mm. 20 x 67,
sferica un po' appiattita; buccia rugginosa striata di rosso; peduncolo medio di gros-
sezza, abbastanza lungo; calice chiuso, verde coi sepali piegati in fuori, piantato in una
cavità stretta, abbastanza profonda e rugginosa; polpa giallo-biancastra, ricca di succo
con gusto finissimo di renetta; semi 1 o 2, medi, poco appuntiti; capsula dei semi a
forma di cipolla.
Proprietà del frutto: poco profumato è però, dopo la Pearmain dorata, la migliore
mela che si conosca. La raccolta si faccia non prima della fine di ottobre. Le frutta
si conservano bene nel fruttaio.
Renetta d' Orleans (fig. 454).
Frane: Reinette d'Orleans — Ted. Orleans Reinette — Ingl.: Pepping Pearmain.
Origine: Francia.
Maturazione: dicembre-aprile.
Qualità: prima, da tavola e da mercato.
Clima temperato e terreno profondo, argilloso un po' umido.
Località ed esposizione: protette dai venti e non troppo fredde.
Forme più adatte: alto fusto e vaso.
Fertilità : molta in terreno e località adatte.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi e di speculazione.
Descrizione della pianta: pianta generalmente di poco sviluppo, con rami nume-
rosi, grossi, diritti, molto tomentosi, rosso-grigiastri, cosparsi di piccole lenticelle rare.
Gemme piccole, tomentose, piatte: foglie ovali, appuntite; picciolo lungo scannellato.
Descrizione del frutto: mezzano, leggermente depresso, quasi sferico; calice aperto
e sepali corti e larghi, trovantisi in una cavità grande. Peduncolo corto, legnoso; buccia
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liscia, quasi lucente, di color giallo-oro alla maturazione e dalla parte soleggiata scre-
ziata di carmino, talvolta con una macchia rossa e con dei punti rugginosi. Polpa gial-
lognola, tenera, succosa, dolce delicata e ben profumata.
Osservazioni : per avere degli alti fusti si innesta sul franco o si soprainnesta ad
esempio sulla Pearmain dorata.
Bosmarina bianca (fig. 448).
Frane: Romarin blanc — Ted. : Weisser Rosmarinapfel — Ingl.: White Romarin.
Origine: di Bolzano e Merano.
Maturazione: matura alla fine di novembre e si conserva, mantenendo intatte le
sue qualità, fino a tarda primavera.
Qualità : è una delle migliori mele da tavola, conosciuta si può dire universal-
mente, e che diede rinomanza ai mercati del Tirolo e Trentino in ispecie a Bolzano.
La bontà del frutto dipende molto dalla situazione e dell'andamento delle stagioni.
Clima caldo, terreno buono, fresco e profondo.
Località ed esposizione: calda, riparata dai venti.
Forme più adatte: pieno e mezzo vento con chioma piramidale.
Fertilità: molta.
Sistema di coltivazione: per frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta: le foglie son grandi con lungo picciolo, elittiche, poco
tomentose, mentre invece lo sono i germogli. Fiori grandi, del tutto bianchi, petali
larghi, ovoidali e sepali appuntiti, tomentosi. Rami di color bruno chiaro, gemme lunghe
ed appuntite, aderenti al ramo e quelle del fiore tomentose.
Fig. 4.58. - Mela Borda.
Descrizione del frutto: misura in media dai 63 ai 65 mm. di altezza e da 56 a 63 di
larghezza. Ha un peso medio dai 115 ai 120 gr. È di forma ovoidale allungata o conica. La
parte centrale è alquanto al disotto della metà del frutto. Calice aperto o semiaperto
colle foglioline verdi-brune, tomentose, sottili e lunghe. Peduncolo legnoso, abbastanza
lungo, 16-18 mm., alquanto tomentoso e grosso all'inserzione ; sta infisso in un'insenatura
profonda, stretta, per lo più leggermente rugginosa. Buccia sottile, lucida, liscia, fine,
bianco -gialla, talvolta dorata o leggermente rosea dalla parte del sole con finissime
punteggiature. Odore abbastanza forte. Polpa bianca, fine, molto profumata, tenera,
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succosa, di sapore acìdulo molto grato. La sua composizione sarebbe : 13,17 di sostanza
secca; zucchero 8,75% ed acido malico 0,32%. La capsula dei semi alquanto aperta, le
celle ampie che racchiudono da 2 a 3 granelle ovoidali.
Osservazioni: germoglia presto in primavera ed è molto soggetta al bianco ed al
Fusicladium. Abbisogna di frequenti solforazioni e trattamenti con solfato di rame.
La pianta non diventa molto vecchia.
Vi ha una varietà, e cioè il rosmarino rosso, la quale oltre che per il colore del
frutto, si distingue per la forma più cilindrica, più lunga e meno larga — germoglia
più tardi ed è più vigorosa quantunque meno esigente pel terreno. Va però molto
soggetta alle malattie crittogamiche ed è di produzione media. 11 frutto occupa il primo
posto sul mercato dopo la mela rosmarina bianca, è però meno aromatico, meno acido
e meno succoso.
Varietà italiane.
Come feci per le pere, cito le principali mele italiane, coltivate nelle nostre cam-
pagne e che formano specialmente oggetto di commercio.
1. Annurca, del mezzogiorno d' Italia, sferica, appiattita, rosso-carnino con fondo
giallo-verdastro. Polpa bianca leggermente croccante, zuccherino-acidula. Matura d'in-
verno.
2. Api piccolo, bello per il colore (fìg. 459), matura durante l'inverno ma è poco
produttivo. Per frutteto d'amatori a forme piccole.
3. Attalino, frutto comune del mercato di Vicenza. Matura d'inverno.
4. Borda o Mela ruggine di Toscana, frutto da commercio descritto dal Gallesio
(Kg. 458). Matura d'inverno.
5. Calamana Trevigiana, comune sul
Veneto (Treviso), bella, ottima, lunga
75-76 mm. conico-allungata, giallo-do-
rata, marmorizzata di carminio. Varietà
invernale e da esportazione.
Fig. 459. — Api piccolo (-3). Fig. 460. — Renella vera (V3).
6. Campanino, matura d'inverno ed è oggetto di esportazione dal Modenese.
7. Decio. matura da gennaio a maggio e si trova nel Veneto e Modenese.
8. Bianco di luglio, Flabewy, Angelo Longone, sotto questi diversi nomi si ha in
commercio una buona varietà di mela precoce che a Voghera maturava nella seconda
metà di giugno. E' preziosa per la sua precocità, poco per il gusto. Sul mercato si
riusciva però sempre a venderla molto bene.
9. Frascona, mela d'inverno del circondario di Voghera e di Varzi.
10. Gelata, mela dall'olio. Bianco-verdognola, semi trasparente che colla maturazione
(dicembre gennaio) appare ed è identica alla Apiona di Sardegna. E' propria anche
questa delle provincie meridionali, però ha un'importanza locale.
37 — Tamaro - Frutlicolluia.
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11. Liinoncella, preziosissima mela invernale da grande commercio delle provincie
meridionali. La sua produzione però è molto incerta. Le frutta riescono piccole nelle
annate asciutte ed è molto soggetta alla ticchiolatura.
12. Lesa, varietà Piemontese, rosso-carniino.
13. Mela di Norcia o Panaia, delle provincie meridionali. Varietà invernale da mer-
cato descritta ancora da Gallesio.
14. Paradiso, frutto comune nell'Istria e negli Abruzzi, da commercio.
15. Renella vera (fig. 460). Sotto il nome di Renetto Bianco venne descritta dal Gal-
lesio. Matura dal dicembre all'aprile ed è chiamata la regina delle mele carnose.
16. Rosa, sotto questo nome si trovano in commercio durante l'inverno nel Veneto,
nella Romagna, nell'Emilia e per tutta l'alta Italia una quantità di mele di forma varia,
che hanno come carattere comune la resistenza ai trasporti e un colorito, almeno dalla
parte del sole, rosso-cremisino.
17. Verdiso, mela del piacentino e del parmigiano.
18. Zanibone, del modenese.
19. Zitella di Somma, del mezzogiorno.
5. Coltivazione del melo nei paesi ealdi. — Questa coltivazione
deve essere limitata ai soli bisogni della famiglia.
Si potrà coltivare l'Api rosa, la Calvilla rossa d'estate, la Calvilla
di S. Saveur, la Carla, la Renetta grigia, la Renetta del Canada e Ram-
bour d'estate.
6. — Varietà ornamentali.
Il Carrière, nel suo studio sui meli d'ornamento, descrive le seguenti principali
varietà :
Malus microcarpa spectabilis in francese : Pommier à bouquet o de la Chine — in
tedesco: Pràchtigen ApJelbaum.
Originario della China e Giappone; fiorisce in maggio. È un piccolo albero che si
innesta sul franco, ha rami diritti, ma un po' pendenti all'apice con corteccia nerastra
lucente, punteggiata di grigio. Foglie grosse coriacee, lucenti, di un bel verde scuro,
con denti corti, simili a quelli del M. Prunifolia Wild., ma con picciolo più corto (Kock),
Bottoni subsferici, di color rosso-vinoso scuro. Fiori grandi, semi-doppi, dapprima di
un color rosa scuro o rosso poi rosa carneo pallido. Frutti subsferici o più spesso
allungati, attenuati agli estremi, di 15-18 mm. di diametro. Calice irregolarmente saliente,
spesso disposto in modo che pare fuori del frutto, a sepali persistenti, numerosi, irrego-
lari. Peduncolo molto lungo che raggiunge anche i 5 cm. rigonfio alla sommità in modo
da confondersi colla polpa del frutto. Buccia gialla, lucente, quasi verniciata, qualche
volta più o meno colorata di rosso dalla parte più esposta al sole. Polpa bianco-gial-
lastra, dolce e zuccherina, finamente e gradevolmente acidula. Logge in numero varia-
bile, da 5-9 ed anche più. Maturazione settembre o ottobre. 11 frutto, colto e messo nel
fruttaio, ammezzisce come le nespole e diventa brunastro o rosso-scuro, qualche volta
pastoso e farinaceo. Gustato al momento opportuno è di buon sapore.
Malus microcarpa spectabilis grandissima. Carr. La pianta è di origine sconosciuta,
somiglia assai al M. spectabilis, ma lo supera in vigore e fiorisce più tardi. 1 rami sono
grossi, molto lunghi, diritti, a corteccia rosso-nerastra, lucente con molte lenticelle
grigio-bianche. Foglie, fiori e gemme più grandi, e petali più grandi del M. spectabilis.
Frutti sub-globulosi, spesso assimetrici, irregolarmente allargati in alto, a forma di fico,
larghi 4 cm. alti 3. Calice posto a lior di buccia, piegato, chiuso, a sepali irregolari,
persistenti. Peduncolo lungo 3-4 centim., assottiglialo alla base, molto rigonfio dove si
unisce al frutto, con una specie di mammellone. Buccia verde-erbacea, lucente, liscia,
lavata di rosso mattone nella parte molto soleggiata, dove spesso mostra anche delle
striature più scure. Polpa bianca, succosa, fondente, dolce, un po' mancante di sapore,
a grana grossolana e tessuto poco consistente, con punteggiature più oscure presso le
logge. .Semi grossi, neri. Logge da 5-9 e più. Maturazione in ottobre. Va mangiata a
tempo debito, cioè quando sia ammezzito convenientemente, ma non troppo.
— 579 —
Malus lììicrocarpa fioribunda. Carr. Arbusto originario del Giappone, assai vigoroso
a branche lungamente espanse, molto ramificate, cosi da formare una testa largamente
arrotondata. Gettate con corteccia bruna, quasi nera, unita, lucente. Foglie ravvicinate,
piane, regolarmente ovali, coriacee, lucenti, di color verde-scuro al di sopra. Fiori ecces-
sivamente numerosi di color rosso-porpora, quasi bianchi all'interno, più oscuri al-
lesterno, ciò che produce un gradevole contrasto. Frutti abbondanti, subsferici spesso
più alti che larghi, leggermente assottigliati all'apice con un diametro di 10 mm. Logge
1-,'). Calice piccolo (quasi ridotto a un punto! che si denuda presto per la scomparsa
dei sepali. Buccia liscia, unita, giallastra, qualche volta rugginosa, di color più o meno
intenso, prontamente liquescente, di sapore fortemente acido. La maturazione comincia
nella prima quindicina di ottobre, ed i frutti ammezziti sulla pianta cadono distac-
candosi dal peduncolo.
Malus iiticrocarpa tetniiflora. Carr. Arbusto simile al precedente, ma coi fiori più
piccoli e più delicati. Bottoni di color rosso-scuro vivo. Fetali distanti, diritti, stretti,
color rosa-grigiastro. Frutti ovoidali, turbinali, di circa 10 mm. di diametro. Calice
molto ridotto che si denuda presto per la caduta dei sepali. Peduncolo sottile; lungo
;?ó mm. Buccia lucente come venata, giallo-chiara, leggermente lavata di ruggine alla
maturazione del frutto.
Logge 4, raramente 5. Polpa bianco-giallastra, dura, ma che in seguito diventa
presto liquescente anche sulla pianta. Maturazione dal principio alla fine d'ottobre. Il
frutto, colto prima che maturi, si conserva a lungo in fruttaio.
Mitliis lììicrocarpa Kaido. Carr. Viene dal Giappone. È un arbusto vigoroso a rami
diritti e corteccia lucente, nera, a lenticelle grigio-bianche. Foglie elittiche, coriacee,
lucenti e quasi verniciate, lungamente e regolarmente attenuate alla base, a denti corti,
e picciolo fortemente colorato. Bottoni di color rosso vivo. Fiori molto numerosi, di
color rosa vivo, leggermente striato, petali distanti, obovali, concavi. Frutto depresso,
costoluto, appiattito alle due estremità, spesso più largo che alto di circa 2 cm. (Calice
piccolo, suborbicolare. un po' infossato.
Peduncolo villoso di 25 mm. circa. Buccia lucente, giallastra, lavata di rosso-fulvo
sulla i)arte soleggiata. Polpa bianco-giallastra che ammezzisce assai presto e prende un
colore fuligginoso-brunastro, che ricorda quello delle nespole, delle quali questo frutto
ha il sapore. Maturazione da settembre a ottobre. È graziosa pianta d'ornamento, che
fiorisce assai bene e presto ed i cui frutti si distaccano dal peduncolo quando ammez-
ziscono sulla pianta: ma anche in fruttaio i frutti ammezziscono bene ed hanno poi
buon sapore.
Malus microcarpa haccata. Carr. Arbusto di medio vigore. Rami diffusi con corteccia
verde-rugginosa. Foglie elittiche col picciolo assai lungo, largamente e sensibilmente
dentate, ma non serrate, che si accorciano bruscamente, cuspidate, glabre, lucenti,
glaucescenti di sotto. Bottoni di color bianco-zolfo un po' sciupati (chiffonés). Fiori
bianchi piccoli e petali distanti, concavi, lungamente ungiuculati. Frutti piccoli di circa
10 mm. di diametro, quasi bianchi agli estremi ; ammezziscono assai presto e diventano
poi ac(iaosi: allora si distaccano dal peduncolo e cadono. Hanno sapore eccessivamente
agro Peduncolo corto, disposto quasi a fior di frutto. Calice piccolo, orbicolare, concavo
a sepali eccessivamente caduchi.
1 frutti che maturano durante il mese di settembre, colti e messi in fruttaio si
raggrinzano ed ammezziscono a partire dal gennaio; questo fenomeno si prolunga
poi a limgo.
La pianta si mette in vegetazione presto e fiorisce tardi. È senza dubbio una delle
più belle piante da ornamento : si raccomanda di innestarla sul franco, perchè su altri
soggetti produce al posto dell'innesto un cercine troppo voluminoso.
7. Importanza della coltivazione. — Meno esigente del pero per il
clima e il terreno, nella grande coltura è l'albero dei terreni erbosi,
dei pascoli arborati di montagna, dei terreni inclinati che hanno il
benefìzio di avere d'estate pioggie e buone concimazioni.
In molte delle nostre vallale alpine e dell'Appennino si dovrebbe
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coltivare il melo che dà dei fruiti cosi ornamentali, così bene accolti
da tutte le classi della popolazione per il loro buon sapore e per la
loro fragranza. Contengono il 12-137o di zucchero e principi mine-
rali utilissimi, quali sono l'anidride fosforica e la potassa.
È un frutto sempre richiesto perchè di facile consumo per tutte
le famiglie e per tutto l'inverno. Coll'avanzarsi della stagione acquista
sempre maggiore valore.
8. Sistemi di coltivazione. — Tutti, ma specialmente nell' aperta
campagna :
Il melo è una specie che molto si presta per fare dei prati arborati, special-
mente dove il terreno è profondo e fertile. Naturalmente attorno ad ogni pianta bisogna
tenere il terreno lavorato, serza erba, per uno spazio di circa 2 m.'^
Conviene però, prima di estendere questo sistema di coltura, fare degli assaggi
impiantando alcuni alberi ed osservando la loro riuscita.
Le condizioni principali di riuscita sono ;
1, terreno profondo (almeno 50 cm.) lavorato all'impianto almeno a 60 cm. di
profondità ;
2, sottosuolo permeabile perchè le radici possano estendersi e perchè non vi
ristagni l'acqua :
3, qualunque esposizione meno quella di levante : potendo scegliere, si prefe-
risca quella di S.W. ad W., riservando l'esposizione meno soleggiata, per altre piante
fruttifere ;
4, lavorazione accurata del terreno e poiché le piante si collocano a 10-12 metri
di distanza l'impianto si fa a buche ;
5, scegliere delle piante perfettamente sane e di varietà a frutto piccolo o medio,
ben aderente ai rami e ricercato dai grandi mercati e per l'esportazione ;
6, per concimazione d'impianto impiegare per m.^ di superficie smossa:
Kg. 6 di stallatico :
„ 1,200 di scorie ;
, 0.500 di solfato di potassa.
Non avendo stallatico si possono impiegare:
Kg. 5 di panelli ;
„ 1,500 di scorie ;
, 0,500 di solfato di potassa.
7, curare nei primi anni la potatura di formazione e difendere costantemente
le piante dalle malattie ed altre cause nemiche.
8, concimare ogni secondo anno le piante, adoperardo di preferenza dei concimi
chimici.
9. Clima ed area di coltivazione. — Anche pili del pero, il melo è
proprio dei paesi del centro e del nord d'Europa e delle notevoli
altitudini, temendo meno per il freddo e non avendo tanto bisogno di
calore e di luce, per maturare i suoi frutti.
Le costanti termiche del melo sarebbero le seguenti :
Somma di temperatura necessaria dalla caduta
delle foglie in autunno allo sbocciare dei primi fiori 1423° C.
Idem, fino alla maturazione dei frutti 4730° G.
Idem. ,,. „ caduta delle foglie 6999° C.
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Dalla fioritura alla maturazione impiega da 101 a 138 giorni e fio-
risce dal 12 al 22 maggio.
È meno sensibile ai grandi freddi che ai grandi calori ; sopporta
senza soffrire delle temperature invernali di 39 a 40" sotto zero tanto,
che i colpi di sole un poco ardenti, in primavera, fanno aggrinzire
gli stami e nuociono alla fecondazione.
In Norvegia arriva fino a 67" di latitudine. Il suo limite meridionale
è la Sicilia e la Sardegna, ma i suoi paesi prediletti sono l'Europa
centrale temperata. In Inghilterra, in Francia, nei paesi bassi il melo
è molto esteso ; in Svizzera, ed in Germania si coltiva lungo le strade
e nei prati ; in Austria famose sono le coltivazioni del Tirolo.
La rusticità è tale che la sua coltura sulle nostre alpi è possibile
fino a 1400 m. di altitudine.
In complesso è un albero dei climi temperati, freschi, ed anche
un po' umidi, mentre le regioni secche e calde gli sono poco favore-
voli. In queste regioni le mele non raggiungono lo sviluppo, la bellezza,
la succosità, la fragranza ed il gusto delle regioni temperate e fredde.
Nei paesi del Nord, ad esempio in Svezia e Norvegia, si hanno delle
mele Gravenstein squisite ; anche nei paesi montuosi è raccomandata
la coltivazione del melo, purché l'esposizione sia riparata. Quivi sono
da raccomandarsi le varietà precoci, però ad un'altezza non supe-
riore ai 750 metri.
10. Esposizione e situazione. — Il melo può dare prodotti conve-
nienti anche ad una esposizione poco soleggiata, là dove il pero non
riuscirebbe; soltanto esso richiede che il luogo sia aereato. È per
questo che generalmente il melo non riesce a spalliera, eccetto qualche
varietà di Calvilla ed Api.
Preferisce le esposizioni di levante o ponente, non esposte ai venti.
Nell'Italia meridionale è sensibile ai venti d'estate e nella scelta della
località, si deve avere di mira che le piante non siano esposte a troppo
calore : in alcuni luoghi anzi si può esporlo anche a Nord.
Sulle Alpi e lungo gli Appennini bisogna preservarli dai venti
violenti, regolari, persistenti, perciò nelle vallate è meglio coltivarlo
lungo i pendii riparati anziché alla sommità od anche in piano. E
sopratutto produttivo nelle vallate fresche, strette, orientate da N. a S.
e da O. ad E. Le vallate profonde hanno un'atmosfera più fresca che
gli altipiani. L'umidità si mantiene più a lungo ed il melo cresce egre-
giamente. Nelle vallate orientate dal ponente a levante é un errore
piantare nell'esposizione a mezzogiorno.
11. Terreno. — Il melo esige terreno meno profondo del pero; le
piante di melo più belle e più produttive si trovano nei buoni terreni
argillo-calcari od argillo-silicei, freschi, con sottosuolo permeabile.
Nei terreni troppo silicei o calcari non fa bene, deperisce ; riesce
meglio del pero nelle argille nere ricche di umus.
Nei terreni umidi ed argillosi acquista una straordinaria vigoria,
ma più tardi si copre di cancrene, di muschi e fruttifica irregolarmente.
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In complesso il melo non ha preferenze particolari per il ter-
reno, però riesce meglio nei terreni di formazione ignea, contenenti
argilla, umus e potassa. I terreni granitici, meno però quelli secchi e
rocciosi, gli confanno molto anche se compatti purché profondi e
freschi. Le terre di gneis, i terreni vulcanici di recente formazione, le
terre di alluvione, le terre franche, purché profonde e fresche sono
ottime, per poter estendere le sue radici.
Meno sensibile del pero e del cotogno al calcare, ne sopporta una
dose abbastanza elevata ciò che gli permette di riuscire nei terreni di
più svariata formazione geologica. Molto sensibile all'acqua stagnante
che rende l'albero meno longevo e dà frutta più acquose.
Ama tutti i terreni umiferi perciò si coltiva anche nei prati e
tollera meglio di qualsiasi altra pianta la cotica erbosa. Preferisce il
prato alla terra lavorata coll'aratro.
12. Moltiplicazione. — Il melo si può moltiplicare per seme, per
innesto ed anche per talea, quantunque quest'ultimo mezzo non si
possa consigliare.
Alla semina si ricorre per avere dei soggetti franchi di piede e per
ottenere delle nuove varietà. I semi conservano circa per 6 mesi la
facoltà germinativa, quindi appena raccolti bisogna stratificarli e semi-
narli in marzo. Un litro di semi pesa kg. 0,575 e contiene in media
19.500 semi.
L'innesto si fa :
1." Sul franco, per avere piante di grande vigore da allevarsi
ad alto fusto, che fruttificano all'ottavo o nono anno.
Le piante sono poco esigenti per il terreno, preferiscono località
poco soleggiate e terreni profondi, freschi e piuttosto argillosi.
2.° Sul dolcigno, per ottenere delle piante di mezzo fusto, che
hanno un mediocre vigore ed adatte per frutteti.
Per le forme a vaso si impiega per soggetto il dolcigno.
La pianta resiste però poco alla siccità e preferisce i terreni freschi,
piuttosto argillosi e profondi. La fruttificazione é più sollecita che sul
franco. Per le forme medie a vaso e terreni freschi si sceglie il dolcigno ;
cosi pure per le forme piccole (cordoni) e per i terreni aridi.
3.<' Sul paradiso, le piante si mettono prontamente a fruttificare
e si adotta per le piccole forme a cordone orizzontale ed a vaso. La
fruttificazione é pronta ed i frutti acquistano in volume e qualità. Si
richiede un terreno molto fertile, fresco.
I soggetti di paradiso e dolcigno non si ottengono per seme, ma per
propaggine e per polloni.
L'innesto più conveniente é quello a gemma dormiente ed a spacco.
Si innesta anche a corona.
I prof. Berti e Gavazza, nel loro Saggio di frutticoltura, danno la seguente descri-
zione del melo paradiso e del melo dolcigno, tanto importanti perchè servono da sog-
getti del melo.
— 583 —
• Il dolcigno è una pianta vigorosa con radici a fittone, con tronco poco ramificato
e assai diritto, rami corti, grossi, ricoperti nelle parti adulte di una scorza di color
bruno scuro, molto tumidi e biancastri invece nei giovani getti ; le foglie sono larga-
mente ovate, lucenti alla pagina superiore e pubescenti al di sotto, largamente dentate,
appena accuininate all'apice e rotonde alla base. Il picciolo è grosso, a])pena canalicu-
lato. Il calice ha divisioni libere, aperte talvolta, ripiegate ed assai larghe. I petali
subovali, molto carenali e portali da un'unghia grossa ed assai corta. L'ovario sopra
un ricettacolo grosso è ricoperto di lanuggine tomentosa e bianca. Il frutto è depresso,
senza costole, con buccia colorata di un verde intenso, picchiolata qua e là da macchie
brunastre, polpa di un sapore addetto piacevole e matura in agosto.
' Secondo alcuni questa specie sarebbe come il tipo primitivo di tutte le varietà
dette da coltello.
" Il melo paradiso è una pianta a radici tenui, molto ramificate, rami esili e nume-
rosi, di lunghezza media, leggermente curvati e ricoperti di una buccia liscia di color
marrone e rossastro, appena pubescente nei giovani getti. Ha corti meritali!, occhi medi,
ovali, allungati debolmente, applicati sulla corteccia con scaglie rossastre, cotonose e
disgiunte.
' Le foglie sono piccole, numerose, ellittico-lanceolate, di un verde vivo al disopra,
vellutate al di sotto, assai finamente dentate e molto accuminate all'estremità.
" Il picciolo è sottile, canaliculato, il calice ha divisioni accuminate, ripiegate,
spesso contornato e lungo quanto il peduncolo. I petali sono strettamente allungati,
debolmente carenati alla base e portati sopra un'unghia sottile. L'ovario è situato sopra
un peduncolo esile e pubescente, il frutto somiglia ad una calvilla, cioè più lungo che
largo e leggermente costoluto con buccia bianca lucente e polpa dolce. Questa pianta
fiorisce assai più abbondantemente che il dolcino : i suoi frutti sbocciano circa 8 giorni
più presto, e matura i frutti in luglio ,.
13. Caratteri vegetativi. — Nelle singole parti il melo somiglia
molto al pero. Non devesi però da questo concludere che la coltiva-
zione dell'uno sia eguale a quella dell'altro.
Le radici del pero sono profonde a fittone, quelle del irtelo sono
striscianti e superficiali ; la chioma del pero tende alla forma pirami-
dale, quella del pomo è globosa; nel pero bisogna tagliare continua-
mente per avere dei rami vigorosi i quali solo portano i buoni frutti.
Sul melo al contrario sono i rami lunghi e flessibili che portano i
migliori frutti. Per questa ragione il taglio sul melo ha molto minor
effetto che sul pero per ottenere uno sviluppo in volume dei frutti.
Talvolta avviene di trovare dei rami deboli e senza foglie con fruiti
voluminosissimi mentre sui rami robusti non si trova alcun frutto.
Da ciò la conseguenza, che al melo non occorre una potatura annuale
tanto regolare come al pero, meno che il melo non sia stato innestato
sul pomo paradiso, specie che fa indebolire anziché rinvigorire.
Le gemme che si trovano lungo i rami del pero sono generalmente
tutte disposte a germogliare, meno quelle latenti; sul pomo invece,
essendo le gemme più appiattite, si sviluppano quelle dell'estremità
soltanto, meno che i rami non siano inclinati. Perchè i rami princi-
pali siano guerniti di rami per tutta la loro lunghezza, bisognerebbe
applicare il taglio corto, ma, poiché, tagliando corto si hanno rami
troppo vigorosi ed infruttiferi, cosi si preferisce applicare al irtelo il
taglio medio per ottenere rami medi.
Più comunemente che sul pero, le varietà di melo danno i loro
frutti all'estremità deij-ami deboli e dei brindilli, quindi tagliando con-
- 584 -
tinuamente le estremità, si sopprime una notevole quantità di frutti.
Soltanto al melo innestato sul paradiso , essendo foi'nito di molte
gemme a frutto, si può applicare il taglio alle estremità.
Le ferite sul melo si rimarginano molto meno. Facili quindi sono
le cancrene nei meli e di difficile riuscita sono i tagli di ringiova-
nimento.
I rami fruttiferi del melo fruttificano più prontamente di quelli
del pero, e le loro gemme, specialmente le terminali che sono più
grosse, si trasformano più presto in gemme fruttifere; mentre d'allra
parte molte lamborde, specialmente se deboli e non bene rischiarate,
danno talvolta esclusivamente delle foglie. Avviene non di rado di
trovare frutti sui rami formatisi l'anno precedente.
Giova notare che le buone varietà da tavola, sono numerose e
molto antiche, il che ci dimostra che colla semina si sono ottenute
assai poche nuove varietà. Rispetto al pero invece è l'opposto. La
maggior parte delle migliori varietà, che sono anche molto numerose,
sono recenti ed ottenute per via di seme.
Generalmente la fioritura precede di qualche giorno la fogliazione,
come risulta dal seguente quadro :
Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le principali fasi di
vegetazione del melo nelle diverse regioni d'Italia.
Regioni
I. Piemonte
II. Lombardia ....
III. Veneto
IV. Liguria
V. Emilia
VI. Marche ed Umbria
VII. Toscana
VIIL Lazio
IX. Meridionale Adria-
tica
X. Meridionale Medi-
terranea
XI. Sicilia
XII. Sardegna
Maturazione
del frutto
De-
cade
Caduta
delle foglie
Dicem.
Ottobre
Ottobre
- - IH
I Novemb. ! Ili
. I II
II Ottobre
III „ I
Entra in vegetazione prima della vile, quando la temperatura me-
dia della giornata è di 6-7" G. Fiorisce subito dopo il pero e poco dopo
aver sviluppato qualche foglia.
Naturalmente l'epoca della fioritura varia colla varietà ma rara-
mente sotìre per le brinate.
Nel melo però vi ha un inconveniente nella fioritura.
Lo stigma del fiore diviene atto alla fecondazione prima che le
585 —
^ Ó8(ì --
antere dello stesso fiore si aprano. Quindi succede che se non vi ha
una fecondazione incrociata, si hanno molte fallanze di attechimento.
A questo si rimedia col piantare più varietà riunite nel medesimo
terreno, coll'allevare le api e col ricorrere anche alla impollinazione
artificiale con un pennello. Il polline mantiene la sua facoltà feconda-
trice per 5-6 giorni.
potatura.
14. Potatura. — La potatura del melo è nel suo complesso identica
a quella del pero nei suoi principi. Qui però voglio ricordare alcune
leggere differenze sul modo di vegetare dell'albero per le quali biso-
gna fare qualche modificazione alla potatura.
1. Le gemme a legno sono disposte come quelle del pero seguendo
il ciclo 2/5 ma sono più avvicinate e restano più a lungo latenti se
non vi si là concentrare la linfa. Il taglio quindi dei rami, pur la-
sciando un eguale numero di gemme come nel pero, apparirà più corto.
2. La borsa sul melo facilmente si disorganizza e quindi conviene
tagliarla, dopo la fruttificazione sopra le increspature che ha alla
sua base.
3. Il brindino porta frutto di sovente all'estremità e nell'anno suc-
cessivo alla sua formazione. Dopo la fruttificazione conviene tagliarlo
sopra la terza gemma dalla base.
15. Forme. — Nell'aperta campagna, il melo si alleva a pieno vento
con la chioma a vaso ; nei broli o frutteti, a mezzo vento ed a vaso
basso. Nei futteti casalinghi si alleva a cordone orizzontale. Il melo
fa meglio del pero a pieno vento innestato sul franco. L'altezza del
fusto si lascia da m. 1,50 a 2 ricordando che quanto più basso è il
fusto, tanto più protetta è la pianta dai venti. Gli impianti coi pieni
venti si fanno nell'aperta campagna.
Flg. 4Gt. — Melo precedente dopo la polaliira.
Una volta assicurata la forma alla chioma, potando cioè per i
primi 4 e 5 anni, conviene lasciare la pianta a sé stessa e di anno in
anno non si farà che togliere eventualmente quei rami che si incro-
ciano, che si adombrano o sono contusi.
Nei broli e nei frutteti di speculazione si alleva invece il melo a
mezzo vento, col fusto alto m. 1 a 1,20. Per ottenere questa forma si
adoperano piante innestate sul franco e talvolta sul dolcigno (fìg. 461-462).
Nelle piantagioni industriali o per frutteti anche casalinghi la forma
molto usata è quella bassa a vaso a branche verticali od oblique
(flg. 463 e 464).
Anche per queste forme, provveduto alla formazione e disposi-
zione delle branche principali, si ha da curare soltanto al loro mante-
nimento con qualche scacchiatura, diradamento e mondatura.
Nei frutteti casalinghi o d'amatori conviene la forma a cordone
orizzontale semplice ottenute con piante innestate sul melo paradiso.
Al cordone si dà uno sviluppo di m. 2 a 3. Questi cordoni hanno biso-
gno di una potatura annuale e si ricordi che conviene tagliare i rami de-
stinati a produrre brindilli a V3 ed è raro che occorra cimarli d'estate.
I brindilli d'inverno si tagliano a 20 cm. ed i getti che ne sorgono
si cimano in giugno a 3-4 foglie oppure si fa la torsione o la scapez-
zatura sulla sesta foglia.
16. Impianto e cure di coltivazione. — L'impianto nell'aperta cam-
pagna o nei prati e pascoli si fa a buche, essendo notevole la distanza
fra pianta e pianta. Mentre in questi impianti estensivi, trattandosi di
ciliegi o peri, che hanno radici profonde, si può utilizzare il terreno
degli interfilari con impianti di ribes, uva spina, lampone, che hanno
radici superficiali, per il melo, che ha radici superficiali, convengono
le colture erbacee e specialmente il prato.
Le distanze da osservare per le singole piantagioni sono le seguenti:
Pieno vento innestato sul franco nei campi m. 10-12
„ lungo le strade „ 10-12
Mezzo „ „ „ „ nei frutteti o broli „ 8-10
„ „ „ „ dolcino „ „ „ „ 6-8
Forma bassa a vaso innestato sul dolcino nei „ „ „ 3-4
Cordone orizzontale semplice innestato sul paradiso „ 2-3
17. Concimazione. — L'esportazione che fa il melo (vedi Tab. XXII)
di materie fertilizzanti è doppia di quella del pero e perciò il lettore
può regolarsi nella concimazione raddoppiando le dosi raccomandate
pel pero (vedi pag. 553).
Di fatti Mimtz e Gerard consigliano la seguente concimazione per
anno e per ettaro contenente 100 piante:
Scorie al 14 7o Kg. 500
Nitrato di soda „ 200
Cloruro potassico ,, 500
Per chi volesse fare delle esperienze, consiglierei le formole di
concimazione indicate nella Tab. XLVII.
Tab. XLVII. Formola di concimazione pel melo di applicazione generale.
Applicazione in autunno
Applicazione in
primavera
SUPERFICIE
Scorie
Thomas
Kg.
Solfato 0
Cloruro
Kg.
Solfato
ammonico
Kg.
Nitrato
di soda
Kg.
Calce
Litri
per metro quadrato
per ettaro, nei primi 10 an-
ni, trovantesi 100 piante di
alto fusto
idem, per alberi adulti
0.200
1200
1500
0.075
600
800
0.050
375-400
300
0.150-0.200
1000-1200
800
0.500
1000
1400
- 581) —
Le scorie ed i sali potassici si diano ogni 2 o 3 anni. I concimi
azotati devonsi dare ogni anno e bisogna variare la loro quantità a
seconda dalle condizioni delle piante. Naturalmente in primavera biso-
gna ripartire in 2-3 volte. Un quarto della dose circa, si dia prima del-
l'inverno. Ad onta delle Scorie, la calce è indispensabile ogni 2-3 anni.
Nei prati arborati, si deve diminuire notevolmente il nitrato di soda.
18. Raccolta e conservazione dei frutti. — Le mele si raccolgono
ordinariamente al tempo della vendemmia, in settembre ed ottobre,
ad eccezione ben inteso delle varietà più precoci che si raccolgono
in luglio ed agosto.
La raccolta delle mele è meno minuziosa di quella delle pere,
essendo le mele di natura più robusta ed avendo un periodo di matu-
razione più lungo. Difatti molte varietà sono buone da mangiare tanto
al momento del raccolto quanto nella primavera successiva.
Le mele sono di più facile conservazione delle pere e possono
fornire la tavola per tutto l'anno.
Stratificate sulle tavole di un fruttajo con della paglia bene asciutta
di segale oppure, non avendo un fruttaio, in una buona stanza asciutta
che si possa mantenere chiusa ed al buio, con una temperatura di 8" C,
le mele si possono conservare per 5 e 6 mesi. L' umidità dell' aria
e le correnti d'aria fanno il maggior danno per la conservazione. La
prima mantiene i funghi di decomposizione, le seconde fanno avviz-
zire il frutto perdendo molte delle sue qualità commerciali.
L'America, che ha organizzato specialmente nei Canada i più gran-
diosi mercati di mele del mondo, divide le mele da commercio in 4 classi.
a) Mele scelte il cui diametro non deve essere inferiore a 62 mm.
b) „ di I qualità „ ,. „ „ „ 56 mm.
e) „ „ Il „ „ „ „ „ „ 56 mm.
d) Rifiuto, che serve a scopi industriali o per alimentare gli animali.
In Inghilterra, le mele da tavola devono avere il diametro di
62 mm. ; le mele da cucina 75 mm.
19. Composizione chimica dei frutti. — La loro composizione è
la seguente, secondo Fresenius :
Acqua 84.650
Sostanze secche 15.350
Azoto 0.730
Cenere greggia 2.130
Potassa 0.796
Soda 0.086
Calce 0.152
Magnesia 0.162
Ossido di ferro 0.011
Fosfati 0.053
Sostanze insolubili 0.015
590
Materie solubili
Zucchero 7.22
Acido libero 0.82
Sostanze albuminoidi 0.36
Sostanze pectiche 5.81
Materie insolubili ;
Semi, buccie, eco 1.51
Pectosio e cenere 0.49
Nella sostanza secca:
Azoto 0.37
Zucchero 47.50
Il sapore delle mele varia moltissimo, a seconda delle varietà e
del grado di maturazione. L'acido malico, che abbonda nel frutto
acerbo, va gradatamente diminuendo col progredire della maturazione a
vantaggio dei principi zuccherini, ma non scompare mai completamente;
cosi che il sapore dominante è il dolce acidetto o il vinoso, rilevato
in alcune varietà, da un profumo che in alcuni casi ricorda la fragola
o l'ananasso.
Secondo l'Americano Dott. Scarles, una mela di gr. 100 contiene :
Proteina gr. 0.3
Materie grasse „ 0.2
Idrocarbonati „ 11.2
Cellulosa „ 0.6
20. Usi. — Le mele si mangiano crude, secche, cotte o preparate
in diversi modi, sotto forma di composte, marmellate, gelatine, canditi,
ecc. Servono pure a diverse preparazioni di cucina, a fabbricare il
sidro ed a fare liquori. Lo zucchero di mele forma la base di cara-
melle speciali, raccomandate per la tosse.
La mela, se non è dei fruiti più delicati è però piacevole, salubre
e rinfrescante. Colla cottura perde in parte l'acidità e si trasforma in
una morbida polpa mielosa, di facile digestione anche per i convale-
scenti. Per le loro qualità acidule, zuccherine e mucilagginose passano
per emollienti e leggermente lassative, e vengono usate per le irrita-
zioni dell'apparato digestivo e nelle infiammazioni degli organi respi-
ratori.
Il Dott. Scarles sopra citato afferma che la mela è il frutto più
ricco di acido fosforico. Egli consiglia prima di coricarsi di mangiare
una mela per facilitare le funzioni del fegato e dei reni. Gli acidi dello
stomaco assorbiti procurerebbero un sonno calmo e regolare. Dopo
il limone e l'arancio, la mela sarebbe il migliore frutto disinfettante
della bocca ed il migliore preservativo delle malattie della gola. Calma
la sete ai bevitori ed ai fumatori.
— 591 —
Gli Americani, sempre pratici, hanno costituito la Società dei
consumatori di mele " Apple consiimesrs „ che conta 100.000 aderenti
ed ha lo scopo di favorire il consumo delle mele. Ognuno dei suoi
soci, deve consumare almeno due mele al giorno e reclamarle in tutti
gli alberghi, restaurants e bufFets.
Le mele secche costituiscono un alimento concentrato che sviluppa
2500 calorie per ogni Kg.
21. Prodotti secondari. — Il legno del melo è fine, poco lucente,
pesante, discretamente duro, poco fissile, molto meno compatto di
quello del pero, e di poca durata. Potere calorifero 77. Ha alburno
bianco rossiccio ; legno rosso-bruno chiaro. Peso specifico del legno
verde 0.95 ad 1.25 e se stagionato 0.66 a 0.84.
22. Dati economici. — I dati forniti per il pero valgono anche per
il melo. Secondo Baltet, un melo a
5 anni paga le spese
10 „ dà una rendita di L. 4 annua netta
20 „ „ „ „ 10
25-40 „ „ „ „ 12
Hardy ammette che un melo a 20 anni dà 4 hi. di mele in media
all'anno corrispondente ad una rendita di L. 16.
23. Malattie e cause nemiche. Vedi pag. 500.
COTOGNO
(Cydonia vulgaria luss. e Persoon — Fani, Rosacee).
Nome volgare ilaliano del frullo: Cotogna.
Nomi volgari stranieri della pianla: Frane: Coignassier; Ted.: Quitten-
baum; Ingl.: Quince tree.
Nomi volgari stranieri del frullo: Frane: Coing; Ted.: Quittenapfel;
Ingl.; Quince.
1. Origine. — Sembra indigeno dell'Europa meridionale. Oggi si
trova ancora selvatico nell'isola di Creta e gli antichi lo coltivavano
nella Cydonia. Si trova pure spontaneo nei boschi del Caucaso (regioni
meridionali) e nell'Anatolia, così pure nel nord della Persia. E' una
pianta coltivata dai tempi più antichi. I Greci dedicarono il suo frutto
a Venere e veniva offerto quale simbolo della felicità, dell'amore e della
fecondità. Plinio e Virgilio, fecero l'elogio di questo frutto, però i
Romani dovevano avere delle varietà con frutto meno aspro di quello
d'oggigiorno.
2. Caratteri botanici della pianta. — È un alberello che si alza poco
da terra, 2 a 4 metri al massimo, a forma cespugliosa, col fusto sovente
torto, sempre nodoso e coi rami divaricati. La scorza è grossa, bruno
- 592 -
cinerea al di fuori, rossastra internamente; invecchiando screpola e si
stacca a scaglie. Legno abbastanza duro. Gemme a legno piccole, brune,
tomentose. Gemme a frutto uniflori, che non si distinguono da quelle
a legno altro che al momento di sbocciare. Le foglie sono alterne,
decidue, intere, picciolate, ovali, verde cupo sulla pagina superiore e
tomentose sulla pagina inferiore. I fiori sono larghi, solitari, quasi
sessili; sorgono dall'ascella di una foglia ed all'estremità dei rami
brindili] ; sono abbastanza grandi, di color rosa pallido o bianchi, con
cinque petali. Il frutto è grosso, rotondo o piriforme, ombellicato,
- 593 -
tomentoso, verde se immaturo, giallo dorato a maturità, ed allora svi-
luppa un profumo aromatico assai pronunciato, che è una delle sue
caratteristiche. Le logge interne sono 5 e portano ciascuna 8-12 gra-
nella, (per questo carattere si distingue dal pero) poste in doppia fila
longitudinale, circondate da membrana mucillagginosa.
3. Specie coltivate. — Del cotogno si coltivano tre specie:
Cydonia vulgaris, Cydonia sinensis e Cgdonia japonica.
38 — Tamaho - Frutticoltura.
594
La prima, Cijdonia vulgaris, è la specie tipica e selvatica, che diede
origine a tutte le varietà coltivate da noi. Resiste al freddo; il frutto
è di media grandezza, molto cotonoso, pieno di granella, acerbo, un
poco allungato.
Le altre due specie si coltivano più a scopo ornamentale.
La Cydonia sineiisis o Cotogno della China, ha il frutto bislungo,
eguale ai due estremi, con superficie unita e non bernoccoluta, di polpa
dura e mollo odorosa a maturazione. Si mangia cotto. E' poco fertile
- 595 -
ed è sensibile ai freddi. Si innesta a gemma ed a spacco sul cotogno
d'Algeri o sullo spino bianco. Introdotto nell' Europa temperata nel
1796. Foglie seghettate, non tomentose con tìoritura molto prolungata,
perciò coltivato per ornamento. Fiorisce metà aprile.
Il Cotogno del Giappone o Cydonia japonica è un alberello di due
metri d'altezza, con foglie ovali, stipulate; fiorisce in maggio. I fiori
sono di color rosso carico, più piccoli di quelli del cotogno comune.
Ce ne sono due varietà : a fiori bianchi ed a fiori semidoppi. Anche
questo cotogno è molto delicato pel freddo. Volendolo coltivare bisogna
- 596 -
esporlo a mezzogiorno ed all'inverno impagliarlo. Fiorisce ai primi
di maggio.
4. Classiflcazione delle varietà. — Della Cydonia vulgaris si sono
avute diverse varietà non bene definite e classificate, in causa della
incostanza della forma, poiché il cotogno in genere cambia di forma
facilmente a seconda del clima, del terreno, dell'età e del sistema di
allevamento. Talvolta, sopra una stessa pianta si riscontrano delle
forme notevolmente diverse.
Le varietà meglio definite e che si devono riprodurre esclusivamente
per innesto, sono le seguenti:
■ Di Anger (fig. 465).
Proprietà della pianta: questa varietà è quella che viene adoperata anche per
porta innesto.
Descrizione del frutto: forma di mela sferoidale, colore giallo chiaro, buccia coperta
da tomento giallo grigio, peduncolo inserito all'estremità di una prominenza conica, la
quale alla sua volta diparte da una insenatura abbastanza profonda: calice verde con
sepali piegati all'infuori indipendenti, in una cavità stretta.
I Arancio.
Proprietà della pianta: poco fertile.
Descrizione del fruito: forma rotonda o rotonda-appiattita, talvolta anche piri-
forme, colore giallo citrino, buccia con fine tomento, con qualche incavatura bruno-ros-
siccia; peduncolo piantato sopra una piccola prominenza; calice molto lungo, con sepali
appuntiti, eretti in una cavità conica; dimensioni cm. 7-7.5.
Bereczky (fig. 466).
Proprietà della pianta : di origine ungherese, molto vigorosa con foglie larghe.
Descrizione del frutto: forma molto grande, panciuto a pera o cilindrico, che si
restringe rapidamente al peduncolo, con qualche costola; peduncolo inserito sopra una
prominenza rotonda coperta di ruggine che si estende sulla buccia; calice con sepali
divaricati in una insenatura non tanto profonda ma molto costoluta, dimensioni cm. 11x8,5.
Di Bourgeant.
Proprietà della pianta : vigorosa con foglie grandi.
Descrizione del frutto: forma grande a mela raramente piriforme, verso il calice
troncata e verso il peduncolo si arrotonda; peduncolo in una cavità stretta ; calice con
sepali piccoli, divaricati, in una insenatura a imbuto, dimensioni: cm. 7x7.5
Champion (fig. 467).
Descrizione del frutto: forma di pera raramente rotonda-ovale. Superfìcie irrego-
lare, panciuta, colore giallo citrino, buccia con tomento grigio e vicino al peduncolo
rugginoso ; calice verde, con sepali divaricati in una cavità costoluta di media profon-
dità: dimensioni: cm. 8.7.
597 —
Cotogna mela (fig. 468).
Proprietà della pianta: non dà che piante cespugliose, molto fertili.
Descrizione del frutto: forma rotonda a mela, schiacciata al peduncolo, colore
giallo citrino: buccia con peluria grigia, peduncolo piantato sopra una superfìcie piana;
calice con sepali larghi e lunghi, robusti, eretti in una cavità irregolare; polpa soda,
molto tenera alla maturazione, di un sapore perfetto; dimensioni: cm. G >c 6.5.
Proprietà del frutto: matura metà autunno. Viene ritenuta da molti superiore al
Portoghese.
Gigante di Lescowatz (fig. 469).
Proprietà della pianta : cresce rapidamente e dopo 2 anni di innesto fruttifica. Pianta
anche ornamentale per la bellezza ed abbondanza dei suoi fiori e per il bel fogliame.
Descrizione del frutto: straordinariamente grande, di foriiìa rotonda od a mela, arro-
tondata alle due estremità, pesa talvolta fino a 1500 gr.; buccia di colore giallo perfetto,
con striature più chiare: peduncolo corto, calice medio con sepali piccoli, verdi; polpa
molto aromatica eccellente per marmellate e confetture.
Mammouth di Rea (lig. 470).
Descrizione del fruito: forma a pera arrotondata, niammellonata al peduncolo;
buccia di colore giallo citrino chiaro, con leggero tomento, peduncolo inserito sopra
un mainniellone sferico; calice con foglie erette in una cavità profonda formata da
5 costole; dimensioni: cm. 8x7.5.
Di Metz.
Descrizione del frullo : piccola o media, ovale arrotondata, ristretta sentitamente
verso il peduncolo, talvolta piriforme, di colore giallo citrino: peduncolo inserito sopra
una prominenza sferica: calice mezzo aperto, contornato da insenature: dimensioni
cm. 7.5 X ().5.
Moscato.
Descrizione del frutto: forma ovale od oviforn\e, mammellonato vicino al peduncolo
buccia di colore abbastanza carico giallo verdognolo, coperta da tomento grigio ; pedun-
colo inserito sopra una prominenza carnosa abbastanza sviluppata; calice stretto, co-
stoluto e non profondo : dimensioni : cm. 8x7.
Cotogno del Portogallo o Portoghese, (lìg. 471).
Proprietà della pianta: rustica e fertile. Forma un albero di 6 a 7 ni. di altezza,
con fusto diritto più che in altre varietà, ma resiste meno al freddo. Le foglie sono
più grandi del cotogno comune.
Descrizione del frutto: forma allungata a pera od a campana, con superlìce ine-
guale, panciuta: buccia di colore giallo paglierino, coperta da tomento giallastro calice
con foglie erette in una insenatura stretta e mammellonata ; polpa molto pregiata per-
chè tenera e profumata: dimensioni: cm. 9x7.
Proprietà del frutto: maturazione tardiva. Mollo stimato per la sua bellezza.
Da questa varietà sono derivate le seguenti due sotto-varietà :
aj Melacotegna di Spagna, che è un frutto grosso, rotondo, di sapore meno aspro
della precedente e che si può mangiare talvolta anche crudo.
— 598 —
b) Melacotogna di Algeri, pregiata sotto varietà, per i suoi frutti, coi quali si fanno
le famose cotognate. E' molto ricercata per porta-innesti, per la sua vigoria e rusticità.
I frutti sono più piccoli, più arrotondati e più verdastri della varietà precedente. Se la
buccia non screpolasse, si potrebbero mangiare anche crudi.
Prolifico di Meech.
Proprietà della pianta : poco vigorosa.
Descrizione del frutto : forma piccola o media, piriforme, costoluto, buccia di colore
giallo verdognolo, con peluria grigia, peduncolo piantato su una prominenza carnosa :
calice con sepali eretti in una insenatura non tanto protonda; dimensioni: cm. 6".2 ^tì.
Zuccherino di Persia o di Costantinopoli (Fig. 472).
Proprietà della pianta: vigore medio. Foglie non grandi, ovali o rotonde.
Descrizione del frutto: forma sferica, talvolta piriforme o oviforme con qualche
costola; buccia di colore giallo chiaro, con peluria grigia, calice con sepali corti, verdi,
in una cavità media; dimensioni: cm. 7.5x6.5.
5. Clima ed esposizione. — La sua origine indicherebbe l'esigenza
d'un clima molto caldo, ma invece lo troviamo non soltanto nelle regioni
più fredde d'Italia, ma anche nelle regioni al nord della Francia e Ger-
mania. E' pregiato anzi per resistere ai geli e per il frutto; lo possiamo
coltivare a qualunque esposizione meno che a nord. Resiste anche ai
forti calori.
6. Terreno. — Nei buoni terreni da peri fanno bene anche i cotogni.
Prospera nei terreni mezzani, alquanto calcari e freschi, e fa molto
bene lungo le ripe dei corsi d'acqua. In generale però è poco esigente
rispetto al terreno, meno che questi non siano aridi e cretacei
7. Moltiplicazione. — Si moltiplica per seme, talea, margotta, pol-
loni ed innesto.
Per seme si moltiplica raramente. La semina si fa nello stesso au-
tunno della raccolta. Si moltiplica invece sempre per talea, margotta e
polloni, per avere soggetti diversi da innesti. Per margotta e polloni
si ottengono sicuramente soggetti piti vigorosi che per talea. A tal scopo
si sogliono tenere nei vivai delle piantine a ceppala, tenute a fior di
terra od al più a 2 cm. dal colletto; le quali poi si rincalzano, quando
i numerosi germogli che sorgono, hanno la lunghezza di 40 cm. 11
sistema di innesto preferibile è quello a gemma.
Si può innestare anche sul biancospino.
8. Caratteri vegetativi. — Le gemme a frutto, come sul nespolo,
non sorgono mai sui rami principali, i quali non portano che gemme a
legno, ma sebbene sull'estremità dei brindilli, formatisi nell'anno pre-
cedente. Questi brindilli non sono mai più lunghi di 12 cm. E' una
pianta che produce irregolarmente causa la fioritura precoce che viene
danneggiata dalle brine.
9. Coltivazione. — E' un albero rustico, che ha bisogno di poca
lavorazione del terreno. Generalmente è coltivato per avere soggetti da
innesto, ma lo si coltiva anche per i suoi frutti.
- 599 —
A questo ultimo scopo, si scelgano le località distanti dalle abita-
zioni, inquantochè l'odore dei frutti è troppo acuto.
Ordinariamente lo si alleva a mezzo vento (fig. 473) e per avere
dei fusti diritti bisogna munire di sostegno la pianta sin dal vivaio. La
potatura nei primi anni consiste nell'agevolare la formazione regolare
della fronda, "^sopprimendo i rami troppo vicini o che si incrociano o
.^Jfù ^ ì/:
H
<^\
Fig. 473.
Cotogno a mezzo vento.
quelli deboli. Formata la pianta, basta accorciare i rami terminali,
impedire che alcuni tolgano la regolarità della fronda e si levano i
rami morti, contusi o rotti. Si sopprimono anche tutti i getti che facil-
mente si rinnovano alla base, per cui è raccomandabile il taglio di
rinnovo, quando ci si accorge che qualche branca è in deperimento.
Quantunque si possa coltivare il cotogno anche a spalliera questo
modo è poco usato, tutti preferiscono il mezzo vento piantando alla
distanza di 4 metri.
— 600 -
La concimazione del cotogno devasi fare come per il melo, soltanto
meno azotata.
10. Prodotto. — E' una pianta generalmente poco produttiva e tar-
diva perchè i frutti maturano alla fine d'autunno. La maturazione si
conosce dall'odore penetrante che emanano e quando il tomento dei
frutti si distacca. E' indispensabile di fare la raccolta con molta cautela,
non procurando ammaccature e quando la rugiada si è asciugata.
Oltre il novembre il cotogno non si conserva.
Le cotogne crude, causa il loro sapore crudo ed acerbo e la durezza
della loro polpa sono quasi immangiabili ma vengono adoperate per
fare conserve gradevoli, delle migliori che si conoscano, note sotto il
nome di cotognate nonché per fare composte, gelatine, soi-betti, liquori
da tavola ; servono inoltre a diverse usi di pasticceria e frequentemente
in medicina.
Il sapore aspro ed astringente si affievolisce in parte col tempo
della conservazione del frutto e si trasforma colla cottura in un sapore
zuccherino, aromatico, piacevole. Il loro odore penetrante, per alcuni
è troppo forte ed intollerabile. Ha proprietà astringenti, toniche e
stomatiche.
11. Malattie e cause nemiche. (Vedi pag. 500 e seguenti).
SORBO
(Sorbus domestica L. — Pam. Rosacee).
Nome volgare italiano del frutto : Sorbo comune.
Nomi volgari stranieri della pianta : Francese; Sorbier domestique —
Tedesco: Speierlingbaum — Inglese: Sorb-apple-tree.
Nomi volgari stranieri del frutto: Francese Gorme — Tedesco: Speier-
ling — Inglese: Sorb-apple tree.
1. Origine. — Nell'Europa meridionale ed orientale, così pure nel-
l'America del Nord, il sorbo è indigeno, mentre in Germania lo si trova
inselvatichito.
2. Specie botaniche coltivate. — Da alcuni si vorrebbe distinguere
due sottospecie : Sorbus domestica malifera (Hayne) che ha il frutto a
forma di mela ed il Sorbus domestica pirifera (Hayne) col frutto a forma
di pera, quantunque non sia escluso di poter trovare delle sorbe sulla
medesima pianta, aventi la forma di pera e di mela.
3. Caratteri botanici del sorbo pero e melo. — Il sorbo melo forma
un albero piramidale nella sua prima età, che arriva ad un' altezza
massima di 1.5 metri, e acquista poi una chioma regolare, sferoidale,
formata da rami numerosissimi, abbastanza eretti. Il sorbo pero (fìg. 474)
ha i rami più pendenti e non arriva a questa altezza, cosi pure è meno
vigoroso. La radice è fittonosa. Le gemme sono conico-allungate; verde-
gialliccie, lucide, glabre, viscose. Foglie irapari-pennate {<ò-S paia) con
— 6U1 -
foglioline bislunghe, quasi biserrate, di sopra venose, rugose, di sotto
pelose, col picciolo comune peloso. Sono seghettate a denti ugualmente
cuspidati, di color verde-carico di sopra, di sotto bianco-pubescenti. I
fiori sorgono dalla estremità dei rami, sono ermafroditi, piccoli, bianchi,
costituenti dei corimbi. Emanano un odore disaggradevole, hanno un
diametro di cm. 1,5 ed hanno alla base delle foglioline pelose, rotonde.
I cinque o più stami sono alla base molto pelosi. I frutti sono riuniti
da 5 a 10 in un mazzetto e sono a forma di mela sorbo melo (fìg. 476)
o di pera sorbo pero (fìg. 475) del diametro longitudinale di cm. 1 Va a 3.
Variano anche pel colore, grosezza a seconda delle varietà. General-
mente sono di color verde e a maturazione diventano di color rosso-
bruno. Allora si mangiano.
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Fig. 474. — Pianta di Sorbo-pero.
Senza i fiori ed i frutti è difficile distinguere le due sottospecie.
4. Varietà. — Le varietà della sorba- mela sono le seguenti:
1. Sorba lazzeriiola selvatica otlobrina (Marconi).
2. Sorba-mela ottobrina maggiore (Marconi).
3. Sorba-mela ottobrina mezzana (Marconi).
Queste varietà citate dal Canevazzi e Marconi nel loro Vacabolario
d'Agricoltura, hanno di comune l'epoca di maturazione e si distinguono
per la dilferenza di sviluppo del frutto.
Altre varietà della sorba-mela sono :
4. Sorbo a Panelle (Pasquale) della montagna di Somma. 11 frutto
matura in agosto.
5. Sorba agostino (Pasquale) Suorvo agoslegno a Napoli. Frutto
piccolo, quasi rotondo; da un lato rosso. Matura in agosto.
- 602 -
6. Sorbo autunnale; snervo a Panella (Pasquale). Frutto quasi
rotondo a trottola, da un lato giallo, dall'altro rosso, tre volte più
grande del precedente. Matura in settembre.
7. Sorbo capitano (Pasquale) di Somma. Il frutto è ovato a ro-
vescio, matura da dicembre a gennaio.
8. Sorba tardiva (Pasquale) con frutto obovato a trottola. Matura
in inverno.
Sorba-pera.
9. Varrecchiare (Pasquale), si trova presso Somma. Matura da
dicembre a febbraio.
Della sorba-pera Ganevazzi e Marconi citano la :
10. Sorba-pera maggiore settembrina.
11. Sorba lunga mezzana.
12. Sorba-pera ottobrina rigata.
Il Pasquale cita semplicemente la Sorba-pera che caratterizza per
un frutto piccolo, con epidermide bruna, coperta da una polvere resi-
nosa. Matura d'inverno in dispensa. Da febbraio a marzo maturerebbe
una sottovarietà chiamata Sorba-pera Tortona.
- 603 -
Per la scelta delle varietà io raccomando in particolar modo la
sorba-mela, perchè la più grossa, la meno aspra e di color rosso. Le
varietà a pera od a zucchetta di color bianco o rosso-pallido sono
generalmente troppo aspre ed in Germania si utilizzano per conciare
il sidro.
5. Importanza della coltivazione. — Poca da noi per il frutto men-
tre in Germania ha una certa importanza, specialmente intorno a Fran-
coforte per il sidro.
6. Sistemi di coltivazione. — Aperta campagna.
7. Clima ed esposizione. — 11 sorbo domestico abita le pianure, le
colline ed i monti. E' più esigente del selvatico, però resiste bene ai
Fifi. 170. — Sorba-mela.
venti e geli, mentre soffre per il caldo e per siccità. Quantunque faccia
bene anche in altitudini elevate, è consigliabile la sua coltivazione nei
colli esposti a levante o ponente.
8. Terreno. — Indifferente però preferisce i terreni profondi, ricchi,
non umidi.
9. Moltiplicazione. — Si moltiplica per seme e per innesto. I semi
germinano dopo due anni e durante questo tempo si conservano stra-
tificati.
Si ricorre al seme quando trattasi di ottenere delle piante orna-
mentali, ma quando la sua coltivazione ha per scopo di ottenere dei
frutti, oppure quando si vuole affrettare la fruttificazione, si ricorre
- 604 -
all'innesto. A questo ultimo scopo si innesta sul biancospino a gemma,
mentre volendo ottenere delle piante molto vigorose si innesta sul
Iranco. Oltre l'innesto a gemma si applica quello a corona ed a spacco.
Si può innestare anche sul pero franco, ma non si ha una pianta
robusta.
10. Caratteri vegetativi. — E' di lentissimo sviluppo e per questo
viene abbandonata la sua coltivazione. Appena dopo 20 anni si fa una
raccolta passabile. Rimette bene dal ceppo e dalle radici.
Nell'Italia settentrionale, fiorisce in maggio-giugno, i frutti matu-
rano in settembre e le foglie cadono durante l'inverno. Comincia a
dare un prodotto soddisfacente a 30-35 anni di età.
11. Coltivazione. — Essendo un albero di bello aspetto, il più delle
volte viene coltivato per ornamento nei giardini.
Le piante soffrono poco pel trapianto e quindi, per non lasciare
degli spazi vuoti, infruttuosi, conviene fare gli impianti con soggetti
di almeno 10 cm. di diametro che hanno 10 anni di età.
Come ho già detto, il sorbo cresce lentamente, epperciò lo si lascia
a se stesso ; prende una forma maestosa, piramidale, senza soccorso
del potatore.
12. Prodotti. — Le sorbe, ricche di acido sorbico, malico e gallico,
d'un sapore acerbissimo anche alla loro maturità naturale, come le
nespole, non sono mangiabili che dopo essere divenute mezze. Anche
in questo stato costituiscono un alimento mediocre, poco nutritivo,
indigesto, che produce spesso delle coliche e non conviene che agli
stomachi robusti. Godono di proprietà astringenti e rinfrescanti. Come
frutta possono stare allo stesso livello delle nespole, e, per la mancanza
dei grossi noccioli ossei, sono anzi a queste superiori.
Si possono conservare anche secche. A tale scopo si raccolgono
immature, si spaccano in due, ed i pezzi o si infilzano ad un filo facen-
done de rosari, oppure si stendono sopra graticci e si espongono al
sole per 15 o 20 giorni.
Le sorbe servono anche alla preparazione di un sidro, poco diverso
da quello di pere e mele, molto ricercato in Germania e serve special-
mente per correggere quello delle mele e pere. Allora il sidro defeca
più facilmente, si conserva di più ed acquista colore e sapore pia-
cevoli. Da un quintale di sorbe si ricavano 20 litri di sidro. Serve
anche per preparare un liquore che si adopera per medicamento.
11 legno è pesante, compatto , suscettibile di bel pulimento. E
ricercato dai tornitori ed incisori per tutti quei lavori che devono
avere una grande solidità ed essere esposti a sfregamento.
La scorza e le foglie si adoperano nella concia delle pelli, e dai
rami si ricava una tintura nera bellissima.
Sul sorbo si può anche innestare il pero.
13. Malattie. (Vedi pag. 500 e seguenti).
PARTE SECONDA
PIANTE CON UN SOLO NOCCIOLO
MANDORLO (D
(Amygdalus communis F. — Fam. Rosacee)
Nome volg. in italiano del frutto — Mandorla.
Nomi volg. stranieri della pianta — Francese: Amandier — Tedesco:
Gemeiner Mandelbaum — Inglese: Common Almond.
1. Origine. — È originario dell'Asia, In Europa lo si trova allo
stato selvatico nel Caucaso e in Grecia. È stato importato dai Romani.
Presentemente è diffusissimo nel bacino del Mediterraneo, accanto
all'olivo. Lo troviamo quindi estesamente coltivalo in Sicilia, sul Lito-
rale mediterraneo, sulle coste meridionali della Francia, nella Spagna
e nell'Algeria.
2. Caratteri botanici della pianta. — Albero di prima grandezza (ar-
riva anche all'altezza di m. 8-10), con radici fittonanti; fusto (fig. 477)
grosso, rare volte diritto, con scorza scagliosa nell'età adulta e nei rami
giovani, di color cenerognolo, sparsa di lenticelle trasversali.
Le gemme a legno sono coniche, le fiorifere ovate; le foglie sono
semplici, stipolate, lanceolate, seghettate, penninervie, con picciolo
munito di 1 a 3 ghiandole. Filotassi in spirale a 5.
Infiorescenza semplice, a fiori solitari o in gruppi di 2 a 4 (fig. 478).
Fiori regolari, ermafroditi, con calice libero, gamosepalo, con tubo
a lembo e partito ; corolla dialipetala con 5 petali a margine eguale o
sub-ondato, di color bianco puro o leggermente roseo, sempre però
con l'unghia rosea o almeno carnea. Stami numerosi da 20 a 40, ma
sempre in numero divisibile però; ovario unico, uniloculare, stilo
semplice. Il frutto è una drupa verde, uniloculare, carnosa, ovoidale
(1) V. Flores. Coltivazione del mandorlo. Biblioteca Ottavi 1905. — V. Estelrich.
El Almendro. Madrid, 1907.
— (iU(i —
od allungata, compressa, e pelosa. Contiene un nocciolo legnoso nel
quale si trovano una o due mandorle senza perisperma, aventi un
integumento bruno e rugoso.
3. Classificazione delle varietà. — Le varietà del mandorlo sono
tante, da rendere difficile, direi impossibile, una descrizione siste-
matica.
I fiori, le ramificazioni ed i frutti stessi diversificano nella stessa
varietà sensibilmente a seconda dell'età della pianta, dell'altitudine,
Fig. 477. — Albero di mandorlo.
dell'esposizione, della località, delle condizioni igrometriche dell'aria e
dell'andamento delle stagioni, nell'annata stessa.
Relativa importanza hanno la forma del frutto, la rugosità del
guscio ed il suo spessore. È accertato, ad esempio, che nelle annate
piovose, il guscio delle varietà tenere è molto più fragile che non
nelle annate asciutte. Da ciò la confusione di denominazioni nelle
singole varietà, a pochi chilometri di distanza.
In Italia, E. Bianca, ci ha dato la più completa monografìa sul
— ti07 -
mandorlo coltivalo in Stcilia (1), ed ha adottato una classificazione
molto minuziosa, elencando nientemeno che 752 varietà.
Io ritengo che l'unico carattere costante, che può essere preso per
base generale di classificazione, sia quello della consistenza del guscio
della mandorla matura, del quale ci serviremo pel seguente schema
di classificazione.
l d lei i ^ guscio tenero I Glasse
Mandorle < ( ^ guscio duro II Classe
/ amare III Classe
Ogni classe ha varie suddivisoni , a seconda della forma del
guscio: bislunga, appuntita, sub ovata, sub rotonda.
5'Fig. 478. — Ramo di mandorlo in fiore.
4. Scelta delle varietà. — Le norme per la scelta delle varietà sono
le seguenti :
a) La varietà deve essere coltivata in condizioni di clima e di ter-
reno eguali e se possibile migliori a quelle nelle quali si trova nel
suo luogo di origine. Il mandorlo prospera quando trova nel terreno
con facilità, gli elementi nutritivi di cui ha bisogno.
b) Una varietà che si trova in condizioni normali fruttifica ogni
anno od almeno ogni secondo anno, dà un prodotto notevole.
(1) Manuale della coltivazione del iiiandorlo in Sicilia — Palermo — Lorsneider, 1872.
- 608 -
Se ad un anno di abbondante raccolto segue una produzione ecces-
sivamente limitata, la pianta non vive normalmente.
e) Sulla resistenza alla bassa temperatura nel periodo della fiori-
tura ha più influenza lo stato di nutrizione della pianta che la preco-
cità di fiorire. Le piante meno nutrite resistono meno al freddo.
d) Il mandorlo in generale ama i terreni freschi e non umidi,
lavorati bene e profondamente.
e) Le varietà a frutto troppo minuto o troppo grosso sono da
scartarsi, perchè di poco pregio. Le prime danno poco prodotto uni-
tario per pianta; le seconde, danno troppo mandorle con doppio
seme.
/■) Si scartino pure le varietà a frutto corto o sub rotondo e si
preferiscano quelle a frutto allungate ed a guscio piuttosto tenero,
senza rughe, di colore giallo mattone e con la mandorla bianchissima
e pesante. Si scartino pure le varietà a seme leggero; anche per questa
ragione non si allevi le varietà di mandorle a seme doppio, perchè
hanno una percentuale bassa di materiale utile.
g) Non si coltivino estesi mandorleti con una sola varietà. È meglio
associare più varietà per assicurare la fecondazione e perchè quando
viene a mancare la produzione di una varietà possa venire supplita
da un'altra.
Il) I mandorli che danno mandorle dolci con guscio tenero (man-
dorle premici o mollesche), hanno le foglie larghe con picciolo grosso.
La mandorla è sempre acuminata, i fiori hanno i petali larghi e smar-
ginati profondamente.
/) Quelli che danno mandorle dolci con guscio duro, hanno le
foglie più chiare, il frutto è ovale o tondeggiante, variamente compresso
e più o meno acuminato.
j) I mandorli da frutti amari, hanno i fiori grandi, con petali
bianchi con una macchia rosea alla base. Gli stili sono lunghi quasi
quanto gli stami e cotonosi alla base. Raramente si trovano delle
mandorle amare con guscio tenero o semi tenero.
5. Varietà raccomandabili. — Le varietà meglio definite e più rac-
comandabili sono le seguenti :
' dolce
Mandorla
CI. I a guscio tenero <
CI. II a guscio duro
amara CI. Ili
1. Principessa
2. Dama
3. Rotonda fine
4. Grossa tenera
5. Comune
6. Razza
7. A mazzetto
8. Pistacchio o rotonda
9. Grossa verde
10, Piccola verde
11. Comune amara
— 609 —
a) Principessa (Sultana o Regina). Guscio sottilissimo; frutto grosso,
appiattito ; mandorla bianca, dolce, con pellicola giallo carica.
Varietà pregiatissima, di vegetazione e maturazione precoce.
Ha il difetto che i rami inferiori presto si sguerniscono e disseccano.
b) Dama (Mandorla semifina, M. Abelan, M. Aberanne fig. 479). Somi-
glia alla precedente, però essendo la parte interna del guscio alquanto
consistente, non si rompe tanto facilmente colle dita.
Guscio coperto di anfrattuosita molto pronunciate. Mandorla grossa,
molto apprezzata ma di sapore più ordinario della precedente.
Fiorisce presto, perciò viene molto danneggiata dalle brine.
Fertilità mediocre. Matura alla fine di agosto.
Una sotto-varietà della Dama pare sia la mandorla Sultana, la quale
è però più piccola, ma di sapore molto delicato ed a guscio fragilissimo.
e) Rotonda fine, frutto medio, arrotondato quasi come una nocciuola.
I confettieri la preferiscono alle nocciuole pel suo buon sapore. E
molto coltivata in Sicilia e nelle Puglie.
'^
Fig. 47!t. — Mandorla Dama (gr. nat.)- Fig. 480. — Mandorla amara (gr. nat.).
(/) Grossa tenera, frutto abbastanza grosso, ovoidale con guscio
molto sottile e tenero. Varietà tardiva per la vegetazione e maturazione.
Si consuma molto fresca col mallo che non è spiacevole. K comune
in tutta l'Italia meridionale.
Affine a questa varietà è quella detta di S. Caterina, comune nel-
l'Italia centrale.
e) Comune dolce, caratterizzala pel frutto grosso, allungato, con un
piccolo mammellone all'estremità del pericarpio. L'albero è dei più
vigorosi e produttivi. Si vendono i semi nudi, avendo il guscio duro.
f) Razza o Mollerà ; frullo abbastanza grosso, allungato, con guscio
semi duro, facile a rompersi, Mandorla buona, di forma regolare, dolce,
con pellicola liscia. Albero vigoroso che fruttifica però tardi. Queste
mandorle sono molto ricercate dai confettieri ed anche per estrarre
l'olio.
g) A mazzetto o grappolo, chiamata cosi perchè le mandorle stanno
riunite sull'albero a guisa di grappolo. Questa varietà ha il frutto di
una grandezza media e di forma perfetta. Mandorla molto buona e
39 — Tam.iro - Frutticoltura.
- 610 -
molto ricercata dai drogliieri. La fioritura è tardiva e molto produt-
tiva. Le sue branche sono di colorito chiaro e molto slanciate. Matura
in settembre.
lì) Pistacchio o rotonda. Il frutto è piccolo, un poco allungato ma
molto rigonfio nel mezzo. Il guscio è semi duro, contenente una man-
dorla dolce, che si utilizza come le nocciuole.
L'albero ha il difetto di fiorire presto perciò non è consigliabile
nelle località che soffrono per i geli tardivi. 1 rami poi si sguarniscono
facilmente alla base.
/) Grossa verde; fiorisce tardi e perciò coltivata nelle località
esposte alle brine. Matura in settembre. La mandorla però è di qualità
secondaria, quantunque grossa.
j) Piccola verde; l'albero è molto rustico e di grande sviluppo.
Fiorisce tardi perciò raccomandabile nelle località meno calde. Horisce
abbondantemente però ogni due anni. Frutto di grandezza media col
guscio molto duro.
/) Comune amara, ha il frutto di grandezza media, con guscio duro.
Fiorisce tardi e la sua produzione è costante (fig. 480).
6. Specie e varietà ornamentali. — Le specie e varietà ornamentali
del mandorlo sono abbastanza ricercate perchè hanno la fioritura
[)recoce e perchè resistono relativamente alle intemperie.
Del mandorlo comune Amygdalus communis L. abbiamo le seguenti
varietà ornamentali :
a) A. e. a flore pieno Harb. Albero vigoroso, robusto, forse più
rustico dell'A. communis, con fiori molto grandi, rosa, doppi, che
rivestano completamente i rami.
Fiorisce circa 8 giorni prima del pesco.
b) A. e. foliis variegatis Carr. con foglia variegata. La scorza dei
rami è sovente striata, gialla; le foglie sono largamente striate di giallo,
di un bel elTetto. Contrariamente alla varietà precedente, è poco
vigorosa.
e) A. e. persicoides Ser. è considerato come ibrido col pesco, poiché
ha il frutto molto carnoso e della grossezza di una pesca, ma poco
saporito.
Questo albero curioso è notevole per l'ampiezza, abbondanza e
bellezza dei suoi fiori rosa.
Un'altra specie ornamentale è VA. Davidiana Dieck. d'origine chi-
nese più resistente ai freddi dell'A. communis ed è più precoce. Si
adatta a tutti i terreni meno clie ai compatti, però preferisce le terre
calcari, secche e leggere.
Questa specie è esclusivamente ornamentale. L'albero ha un'altezza
di 6-8 metri con rami diffusi, cadenti, con scorza di colore giallastro
che diventa poi bruna sui rami adulti, così da scambiarla con quella
del ciliegio di S. Lucia.
Foglie molto grandi, ovali lanceolate.
Fiori abbondanti bianchi o rosa carmino. Frutti radi e non com-
mestibili.
- 611 -
Ainygdalus nana L. Si trova spontaneo nella Siberia, Caucaso,
Armenia. È un arbusto con molti rami fìtti, sottili alto non più di m. 1
a 1.50. Le foglie sono glabre, piccole, oblunghe, lanceolate, finamente
dentate. Fiori rosa o rossi ; fruiti piccoli, cotonosi, ovali ; nocciolo
liscio, molto duro con mandorla molto amara.
Il mandorlo nano viene coltivato isolato, nei parterre dei giardini
e qualche volta lo si innesta anche in testa sul mandorlo comune, per
avere degli alberelli a chioma rotonda, riunita. Si moltiplica per polloni.
Di questa specie sono interessanti le seguenti varietà :
1. A. n. georcjica Desf. originario del Caucaso e dà le piante più
alte della specie ;
2. A. n. speciosa Carr. il quale non arriva a 50 cm. di altezza. Molto
fiorifero; gemme rosse con punteggiature cremisi; fiori grandi di color
rosso intenso. È la varietà più tardiva ma la più ornamentale.
Abbiamo ancora le varietà a fiori bianchi, a fiori rossi, e cosi via.
Un'ultima specie ornamentale è VA. orientalis Ait. originario della
Persia, molto decorativo per il suo fogliame argentato ma delicato pel
freddo più del mandorlo comune. Richiede una buona esposizione ed
una terra sana, leggera.
L'albero arriva all'altezza di 3-4 metri ; ha i rami divaricati, bian-
castri, con qualche spina. Foglie ovali, allungate, argentate su tutte
due le pagine. Fiori rosa, piccoli, poco ornamentali, che si aprono
molto presto in febbrajo. Frutti piccoli, ovali, a mandorla commestibile
quantunque sia un po' amara.
Per avere dei fiori di mandorla negli appartamenti basta cogliere
i rami prima della fioritura ed immergerli per la base in un vaso di
acqua o di terra umida e portarli in un appartamento caldo.
7. Importanza della coltivazione. — Nelle nostre provincie meridio-
nali, la coltivazione del mandorlo, viene per importanza subito dopo
gli agrumi.
Si calcola che il prodotto delle mandorle ha un valore di 42 mi-
lioni di lire del quale circa per la metà viene esportato.
8. Sistemi di coltivazione. — 11 mandorlo nella coltivazione ordi-
naria in pieno campo, si suole consociare
a) colle colture erbacee
b) colla vite
e) colla vite e coU'olivo.
Nel primo caso il mandorlo si pianta a m. 10 da fila a fila ed a
m. 6 sulla fila. Gli interfilari si coltivano a fava od altre sarchiate,
che si alternano, specialmente nei primi anni con frumento, orzo od
avena, lasciando però intorno ad ogni mandorlo uno spazio libero di
1 metro di raggio. Delle leguminose e graminacee sono perferibili quelle,
che anticipano la loro maturazione in primavera ed estate, per la-
sciare libero il terreno quando le mandorle cominciano a maturare.
Consociato il mandorlo alla vite, si può piantare contemporanea-
mente a questa, collocandolo alla distanza sopra indicata e piantando
- 612 -
le viti negli interfilari a m. 1 di distanza. Di mano in mano che il
mandorlo si sviluppa, si estirpano le viti danneggiate dall'ombra pro-
dotta da esso.
Trattandosi invece di vigneto vecchio, di 25-30 anni d'età o di
vigneto deperito per la filossera, conviene seguire il sistema suggerito
a pag. 269 piantando i mandorli giovani alla conveniente distanza ed
estirpando le vili attorno a questi di mano in mano che i mandorli si
sviluppano.
Infine nella provincia di Bari il mandorlo è consociato alla vite
ed all'olivo collocando una fila di mandorli alternata con una fila di
olivi alla distanza di 7 ad 8 metri. Le viti vengono piantate a m. 1 di
distanza e, mano a mano che si esauriscono o che sono danneggiate
dall'ombra, vengono estirpate per lasciar posto al mandorlo, il quale
alla sua volta dopo 60 anni, (vitalità media del mandorlo) viene estir-
pato per lasciar posto all'olivo secolare.
Queste coltivazioni consociate riescono tanto meglio quanto più
fertile e ben preparato è il terreno e quanta maggior cura si avrà di
lasciare libero di ogni coltura il terreno intorno ad ogni mandorlo
ed olivo.
9. Clima ed area di coltivazione. — La coltivazione del mandorlo
a scopo industriale è una delle principali lungo tutto il littorale me-
diterraneo ed accompagna l'olivo e gli agrumi.
La pianta però è rustica e si estende sino alla latitudine di 45" circa
tollerando le gelate invernali. È per questo che in Italia lo troviamo
diffuso da per tutto. Le regioni nelle quali trova le sue condizioni più
lavorevoli sono la Sicilia, la Sardegna meridionale, le Calabrie e Puglie
con parte dell'Abruzzo.
È necessario però che la temperatura nel periodo della fioritura,
specialmente quando cadono i petali e comincia la allegazione del
frutto sia costante anche se piuttosto bassa, poiché gli sbalzi di tem-
peratura, le nebbie persistenti, i venti freddi ed umidi, sono in questa
epoca esiziali al mandorlo.
Secondo Alfonso de CandoUe, l'epoca nella quale avviene la fiori-
tura del mandorlo è abbastanza capricciosa. A Smirne avviene al
principio di febbraio; in Inghilterra in marzo; nella Germania centrale
alla fine d'aprile; a Cristiania al principio di giugno in modo che il
frutto non arriva che a metà maturazione ed anche nelle estati più
calde. Al Capo di Buona Speranza il mandorlo fiorisce nel mese di
agosto, epoca che nell'emisfero australe corrisponde alla nostra pri-
mavera.
In Algeria, come pure da noi in Sicilia, anche le esposizioni a nord,
purché riparate da venti, sono al mandorlo favorevoli.
Il mandorlo entra in vegetazione quando la temperatura media
giornaliera raggiunge 8*' G. e quando dalla caduta delle foglie ha avuto
una somma di llOo^ C. di temperatura. Mantenendosi questa tempera-
tura per 7-8 giorni, comincia a fiorire ed a 15° C. comincia la foglia-
— ars —
zione. In Italia la fioritura può cominciare anche alla line di dicembre
nei paesi caldi ed appena ai primi di aprile in quelli più freddi. La
fioritura dura da 10 a 15 giorni.
L'epoca inedia nella quale avvengono in Italia le principali fasi di
vegetazione è indicata nella seguente Tab. XLVIII.
Tab. X(.VIII.
Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le principali fasi di
vegetazione del mandorlo, nelle diverse regioni d'Italia.
^. .. Maturazione Caduta
Fioritura del frutto delle foglie
I. Piemonte
II. Lombardia . . . .
IH. Veneto
IV. Liguria
V. Emilia
VI. Marche ed Umbria .
VII. Toscana
VIII. Lazio
IX. Meridionale Adriat.
X. Meridionale Mediter.
XI. Sicilia
XII. Sardegna
Ili Ottobre III
II I . j I
I j , I II
I I Ottobre 1 III \ Novem. j „
10. Esposizione e situazione — Gli altipiani, le colline, bene aereate,
purché non soggette a brinate primaverili all'epoca della fioritura,
sono i siti più adatti pel mandorlo. Nelle località soggette a brine pri-
maverili è meglio scegliere una esposizione fredda anche a Nord, come
in Algeria, perchè ritardi la fioritura.
Si evitano le località basse, umide e soggette a nebbie od a venti
umidi.
11. Terreno. — Poco esigente, generalmente parlando, rispetto al
terreno. Predilige i terreni asciutti, leggeri, ciottolosi, profondi e per-
meabili. Rifugge dai terreni umidi, argillosi, poco profondi, con sotto-
suolo impermeabile.
Gol mandorlo si mettono in valore le costiere pietrose, ciottolose,
siliceo calcari, poiché avendo radici profonde non soffre per l'aridità.
Prospera anche nei terreni granitici o di alluviane silicei e nei
terreni calcari. Questi ultimi sono però i preferiti.
I terreni più fertili e più adatti per il mandorlo, sono per lo più
coltivati colle varietà a guscio tenero; i terreni di fertilità ordinaria
sono riservati alle varietà a guscio duro.
12. Moltiplicazione. — Si moltiplica per seme e per innesto.
- 014 —
La semina si fa colle mandorle amare da guscio duro, perchè
danno piante più robuste, longeve e perchè anche sono meno danneg-
giate dai topi.
Si scelgono le mandorle più belle, i)iù piene, quelle sopratutto
cadute spontaneamente dall'albero per perfetta maturità. Sgraziata-
mente le mandorle più gonfie tengono anche due mandorle, perciò
danno due piante che si pregiudicano alla nascita. Per ottenere una
sola pianta robusta si scelgono le mandorle appiattite, piccole, di qua-
lità superiore e presentanti i caratteri di precocità, di grossezza, di
gusto, ecc. che si vogliono ottenere.
Appena raccolte in settembre, si stratificano nella sabbia poiché,
in capo a due mesi, perdono la facoltà germinativa. Si collocano due
strati per cassetta, colla punta in basso. Le cassette si mantengono in
un locale possibilmente alla temperatura costante di 7-8» C. e la sab-
bia si mantiene fresca. In febbraio o prima, quando il mandorlo ac-
cenna a fiorire, si bagna la sabbia per affrettare la germinazione.
Quando le mandorle mostrano la radichetta, si collocano a file
nelle ajole del semenzajo, coprendole con 5-6 cm. di terra e seminando
da fila a fila e sulla fila alla distanza di cm. 65-75.
Il trapianto a dimora dal semenzaio, deve essere fatto a 3 anni
d'età delle piante, e durante questo tempo si abbia cura di svettare i rami.
In molte località la semina si fa sul posto, collocando due o tre
mandorle già germinate per buca, lasciando poi nell'anno successivo
una sola pianta. Con questo sistema si hanno le piante ancora più
robuste.
L'impianto a dimora si suol fare in novembre con tutte le cure,
poiché il mandorlo è una pianta che soffre molto del trapianto.
Per l'innesto il soggetto preferito è il mandorlo stesso, poiché si
hanno le migliori piante. Per i terreni umidi e climi freddi si può
consigliare il susino Damas e S. Julién e per i terreni eccessivamente
aridi ma in climi caldi, l'albicocco ma è adoperato raramente.
L'innesto si fa a gemma dormiente alla fine dell'estate che segue
la semina dei soggetti. Quando non attecchisce questo innesto, si fa
nella primavera successiva l'innesto a gemma vegetante. Si suole fare
anche l'innesto a dimora ed allora si fa in testa appena è possibile,
pure a gemma dormiente o vegetante.
13. Caratteri vegetativi. — La fioritura di questo albero avviene
prima della fogliazione, ma ciascuna varietà ha un'epoca determinata
pella fioritura che in Italia, varia dal gennaio al marzo. Le piante
franche fioriscono sempre prima ; poi seguono le varietà precoci ed
ultime le varietà di tardiva maturazione.
Quando i petali si staccano e cadono a terra, comincia la fogliazione.
La fioritura del mandorlo è sempre abbondante ed anche notevole
è la fecondità. I fiori si trovano sempre sui rami prodottisi nell'anno
antecedente e resistono ai venti e ai freddi, più di qualsiasi altra pianta
fruttifera in tali condizioni. Per questa loro resistenza, avviene anche
tardi l'allegazione del frutto.
— tìló —
Gli alberi innestati si dispongono a dar frutto prima dei selvatici.
Generalmente il mandorlo comincia a Morire a 4-5 anni di età.
Il mandorlo è mollo longevo (50-60 anni); in circostanze ordinarie
un mandorlo perisce quando i muschi ed i licheni invadono i suoi
rami ; quando il cancro corrode il tronco.
14. Potatura. — Come abbiamo fatto per le altre piante da frutto,
prima di parlare della potatura distingueremo le diverse sorta di rami
che si trovano sul mandorlo.
Abbiamo come per tutte le piante a nocciolo i rami a legno ordi-
nario, i rami a frullo, i rami misti ed i rami a mazzetto.
/ rami a legno ordinari di un anno hanno la corteccia verdognola
le gemme sono accuminate, semplici alla base, talvolta doppie o triple
nella parie mediana ed all'estremità. Possono avere anche qualche
gemma a lìore, la quale però diffìcilmente fruttifica.
Questi rami sono numerosi specialmente nelle piante giovani. Sono
di lunghezza varia (ino a 30 cm. e nell'anno successivo alla loro forma-
zione si rivestono di rami a frutto. Se si trovano all'estremità delle
branche servono a formare l'impalcatura e quindi vi si applicherà il
taglio richiesto per la formazione della chioma. Se invece si trovano
lungo le branche allora, se fitti, si diradano così che fra loro vi sia
uno spazio di circa 30 cm. e se troppo lunghi (oltre 25 cm.) si accor-
ciano della metà o di un terzo a seconda che si trovano a metà altezza
delle branche od in basso.
Sarebbe bene fare questa potatura in verde per evitare i tagli sec-
chi che sono sempre dannosi alle piante a nocciolo. Ma siccome il
mandorlo viene allevato a mezzo o pieno vento, questa operazione
diventa difficile durante la vegetazione epperciò la si fa appena sono
cadute le foglie.
Bisogna evitare che i succhioni e le vermene si ingrossino perciò
bisognerebbe scacchiarli appena cominciano a germogliare. Tuttavia
alla caduta delle foglie bisogna ripassare ogni albero per svettare dalla
base quelli rimasti, ammenoché non occorra lasciarne qualcuno per
ringiovanire la pianta.
I rami misti nel mandorlo sono molto abbondanti e raggiungono
fino 40 cm. di lunghezza. Alla base non portano che delle gemme a
legno semplici, doppie o triple, nel mezzo e fino alla cima hanno per
lo più due gemme a frutto consociate ad una gemma a legno o vice-
versa. La gemma terminale è sempre tripla e cioè fra due gemme a
frutto si trova sempre una gemma a legno la quale serve a produrre
il germoglio di prolungamento del ramo.
Se questi rami vengono lasciati a se stessi si allungano sguernendosi
alla base. Perciò conviene accorciare anche questi, se hanno una lun-
ghezza superiore a 25 cm., tagliandoli sopra delle gemme doppie o
triple, fra cui si trovi una gemma a legno. In tal modo si provoca
dalle gemme della base la produzione di nuovi rami misti che sosti-
tuiranno nell'anno venturo quello, sul quale si ha operato.
- 616 —
I rami a mazzetto deL mandorlo sono simili a quelli del pesco
soltanto sono più lunghi, portano fino ad 8 gemme a frutto ed hanno
nel mezzo, raramente anche alla base, una gemma a legno. Questi sono
i rami più preziosi, essi sorgono lungo le branche di due a quattro
anni. Bisogna conservarli poiché danno le mandorle più grosse e
formano delle gemme a legno che portano dei prolungamenti che
continuano a dare frutto per due o tre anni. Passato questo tempo
disseccano ed allora vengono amputati alla base colla mondatura. Si
tagliano sopra qualche rimessiticcio che eventualmente si può trovare
alla base.
Come ho già detto, molte di queste operazioni si potrebbero evi-
tare se si potesse applicare la potatura verde che è la più confacente.
Difatti il diradamento dei rami a legno, la soppressione dei suc-
chioni si può evitare, facendo a tempo una graduale scacchiatura
quando i rami sono nel primo periodo di germogliazione. Successiva-
mente con una cimatura fatta a 25 centimetri, si evita che i rami a
legno e quelli misti si allunghino. Infine quando si vede che un ramo
a mazzetto comincia ad esaurirsi, si cura che dalla sua base sorga un
germoglio che lo sostituisca.
II mandorlo soffre molto per la carie e per la gomma e quindi,
come bisogna evitare i tagli forti in secco; cosi bisogna aver cura che
i tagli vengano fatti con ogni diligenza, coprendoli con mastice, per
affrettare la rimarginazione delle ferite.
Oltre questa potatura di mantenimento è necessaria naturalmente
la mondatura dei rami secchi e fuori posto; cosi alle piante che accen-
nano ad esaurirsi non sempre indarno, è consigliabile la capitozzatura
applicando anche, sulle nuove gettate, l' innesto , come si consiglia
pel pesco. Naturalmente perchè (juesto taglio riesca a rinvigorire la
pianta, non conviene aspettare che la pianta sia completamente esaurita.
E necessario rinvigorire la vegetazione, con una buona concimazione
ed una profonda lavorazione del terreno intorno alla pianta.
15. Forme. — Per il mandorlo, le forme più convenienti sono quelle
a mezzo o pieno vento. Per la prima forma, per cui al fusto si lascia
un'altezza di m. 1.20 ad 1.3U viene applicata per i broli, nei contorni
delle vigne e nei frutteti. Per l'aperta campagna si adotta il pieno vento,
col fusto alto da m. 1.50 a m. 1.80.
Essendo il mandorlo una specie vigorosa, abbondante di succhi,
acquista da sé una forma simmetrica, naturale, e facilmente raddrizza
anche i rami che per un accidente vengono storpiati. È per questo
che il potatore può essere molto parco di tagli anche per il periodo
della potatura di formazione. Alcune volte si ha una semplice biforca-
zione, altre volte si ha il tronco ripartito in tre o quattro branche, le
quali coi loro rami secondari e terziari danno alla fronda una forma
tondeggiante, rare volte svasata, mai piramidale.
Il coltivatore abbia cura di assecondare le forme naturali delle
piante, sopprima sin dal loro primo sviluppo i rami che si incrociano,
- 617 -
e non attenda che diventino grossi, per non fare delle ferite che riescono
poi di nocumento alla pianta.
Formata l'impalcatura in quattro o cinque anni dopo l'impianto si
lascia la pianta a se stessa, facendo ogni anno quelle operazioni indi-
cate nel capitolo precedente.
16. Impianto e cura di coltivazione. — Per l'impianto si ricorra ai
soggetti non trapiantati dal semenzaio ed innestati da due anni, in
modo che la pianta non possa avere oltre tre anni d'età.
Nella scelta delle piante si deve essere molto rigorosi. La pianta
anche se non è eccessivamente vigorosa deve essere assolutamente
sana il che si conosce dalla corteccia liscia, di colore violaceo con
strisele traversali grigiastre ; dalle radici numerose e dal fusto diritto
senza cicatrici o ferite minute, senza traccia di muffe.
Siccome il mandorlo è facilmente intaccato dal marciume delle
radici, bisogna accertarsi che il vivajo non abbia questa infezione.
Nello strappare le piante si abbia cura di lasciare il maggior nu-
mero possibile di radici capillari e si mondano soltanto con taglio
ben netto.
Anche la preparazione del terreno deve essere accurata, sia per la
lavorazione sia per allontanare qualsiasi traccia di radici che poi pos-
sono marcire.
Il terreno si prepara in estate od almeno entro l'ottobre, poiché
per S. Caterina (come dicono i francesi) ogni mandorlo deve essere
già piantato (25 novembre).
I lavori annuali oltre quelli intorno alla pianta e di cui ne ab-
biamo già parlato nella potatura, sono i lavori del terreno e cioè una
buona zappatura in autunno ed un'altra in primavera. Bisogna aver
cura poi che intorno alla pianta per un metro almeno di raggio, non
vi siano altre piante, specialmente viti e cereali.
17. Concimazione. — Del mandorlo, mentre si hanno analisi dei
frutti, mancano quelle del legno e delle foglie, perciò non si possono
fare calcoli che ci permettano di fissare chimicamente le dosi di
concimazione.
Indiscutibilmente l'elemento più importante è la potassa a cui se-
guono l'anidride fosforica e l'azoto. Io ritengo che noi ci accosteremo
al vero dando per ogni metro quadrato e per anno
gr. 2 di azoto
6 „ anidride fosforica
„ 10 „ potassa
Ammesso che ogni pianta occupi m-. 30 di superfìcie bisognerà
dare per pianta
gr. 60 di azoto sotto forma di nitrato .... Kg. 0.400
gr. 180 di anidride fosforica nei terreni calcari sotto
forma di perfosfato Kg. 1.200
gr. 300 di potassa sotto forma di cloruro potassico Kg. 0.600
— 618 -
Nei terreni non calcari si sostituisca il perfosfato con Kg. 1.5U0 di
scorie.
Io credo ciie al mandorlo convenga il nitrato sodico piuttosto che
il solfato aminonico, avendo esso radici profonde. Le esperienze che
ho in corso dimostreranno la convenienza della suddetta concimazione,
intanto posso dire, che
a) i mandorli concimati si rendono oltre che più vigorosi, più
resistenti alle gelate e danno mandorle più grosse, più saporite ed in
maggiore quantità ;
b) la concimazione di mantenimento si può fare colle ordinarie
sostanze indicate per l'impianto, ma bisogna evitare più che sia possi-
bile lo stallatico poco decomposto, si adoperi in sua vece terriccio
misto a cenere in ragione per metro quadrato di
Kg. 3 di terriccio
Kg. 0.200 di cenere.
Questa concimazione può essere ripetuta ogni 2-3 anni ;
e) la concimazione chimica deve essere fatta presto in autunno
prima delle pioggie (ottobre-novembre) spargendo i concimi alla su-
perficie del terreno entro un raggio di 3 metri (per le piante adulte)
attorno al tronco e facendo seguire una buona zappatura o vangatura.
Anche se non si può fare subito la zappatura il danno è lieve,
poiché la rugiada e le pioggie si incaricano di trattenere i concimi,
evitando la dispersione. Però entro 15 giorni è opportuno fare il lavoro.
d) non si dimentichi che qualsiasi concimazione favorisce lo svi-
lujjpo di erbe e che quindi, nell'anno della concimazione, bisogna ripe-
tere le sarchiature per tenere mondalo il terreno.
18. Raccolta e conservazione dei frutti. — La raccolta si fa al prin-
cipio dell'autunno, quando si apre il pericarpio e cade la mandorla. In
Italia ciò avviene nei mesi di agosto e settembre. Prolraendo troppo
la raccolta, il guscio perde il suo colore naturale giallo dorato, apprez-
zato tanto in commercio ed annerisce.
Le mandorle più grosse cadono generalmente le prime.
La raccolta delle mandorle a guscio duro si fa abbacchiando con
delle canne. Si raccolgono in terra e insaccate si trasportano alla fat-
toria dove alla sera si liberano dell'involucro feltroso che può essere
ancora rimasto aderente.
Le mandorle così liberate dall'involucro si espongono al sole per
due o tre giorni per liberarle completamente dal mallo e perchè pren-
dano un colore biondo.
Quando la mandorla è secca sufficientemente, cioè quando non
aderisce più al guscio, si ripone in un locale asciutto o si venda subito.
Di solito si vende appena fatta la raccolta.
Le mandorle a guscio tenero si raccolgono a mano e liberate deli-
catamente dell'epicarpio si essicano al sole come le alti-e.
Prima di venderle, le mandorle sogliono venire selezionate per
grandezza.
10"
al
150
16^»
„
25»
26»
„
35°
36«
.,
650
66"
„
70°
- 619 -
Quando non c'è convenienza di vendere le mandorle inimediata-
niente, si possono conservare un anno per l'altro in locali bene asciulU
e ventilali, come sarebbero i granai.
Si conservano o in cumuli sul pavimento che si rivoltano di quando
in quando oppure in una specie di cestoni cilindrici fatti di canne
o di tifa, del diametro di m. 1 e dell'altezza doppia. Questi cestoni
hanno un portello in basso, dal quale si fa lo scarico delle mandorle
quando si vuole rivoltarle o spedirle.
La conservazione però è sempre pericolosa poiché anche con poca
umidità, il guscio perde il suo colore caratteristico ed i semi possono
irrancidire.
11 Prof. V. Flores, nella sua opera citata, dà i seguenti dati sul rac-
colto del mandorlo.
11 mandorlo comincia a dare una produzione apprezzabile verso
il 10" anno, successivamente dà
dal 10" al 15" anno litri 12-16
„ 20-25
„ 28-35
„ 15-20
8-10
Le mandorle se raccolte col mallo, perdono colla soleggiatura 12-
15 7o del loro peso; se senza mallo, 3-3.50 "/(,• La perdita di sgusciatura
è del 2-3 Vo-
100 litri di mandorle in guscio danno 1. 19 di semi sgusciati
100 Kg. „ „ ., 32
100 litri „ „ pesano Kg. 60
100 „ „ „ danno 10-16 Kg. di mandorle
100 Kg. „ „ corrispondono a Kg. 1.36 di
mandorle
100 „ semi netti corrispondono al volume di 120 litri
100 litri „ pesano Kg. 73
1 litro „ ne contiene N. 612
1 ., „ pesa Kg. 0.750
1 Kg. „ ne contiene N. 816
Le mandorle dopo sgusciate perdono per essiccamento e per la
manipolazione 2-3 "/o in peso.
Un Kg, di mandorle premici contiene da 400 a 600 mandorle. Ciascuna
mandorla col guscio pesa circa da gr. 1.600 a gr. 2.300. 11 peso del gu-
scio per le prime è di gr. 0.580 e per le seconde di gr. 0.920.
Un litro di mandorle premici col guscio, pesa in media Kg, 0.645 e
ne contiene in media N. 320.
Secondo il Prof. Bordiga, nella provincia di Bari una pianta di 30
anni dà 30-38 litri di mandorle col guscio per discendere a soli 7 ad 8
litri, nel 60" anno.
- 620 -
19. Commercio ed usi. — I coltivatori di solito vendono le mandorle
a misura ed i commercianti a peso.
Le mandorle si spediscono in ceste.
II. commercio distingue le mandorle in più categorie.
Vende in gusci le mandorle a guscio tenero che si mangiano come
frutta secche mentre quelle a guscio duro si vendono sgusciate, divise
anche queste in tante categorie a seconda della grandezza.
Anche le mandorle verdi si vendono facilmente per dessert. Spe-
cialmente della varietà detta S. Caterina. Colle mandorle verdi si fanno
anche canditi o si conservano nella mostarda.
Le mandorle dolci sgusciate si adoperano per fare siroppi, lattate
e anche per l'estrazione di un olio da toilette. Le lattate sono rinfrescanti,
raddolcenti, estinguono la sete, moderano le febbri, facilitano le escre-
zioni.
Il pasticcere le ricerca per le paste secche, per le confetture, per
i mardorlati, per le cassate e per la fabbricazione del cioccolato.
Le mandorle amare servono a fabbricare l' olio e l'essenza di
mandorle ed il profumiere le adopera anche per fare degli unguenti e
delle farine emolienti della pelle.
Il legno del mandorlo è poco impiegato per legname d'opera,
quantunque abbia delle belle venature rosse. È duro, pesante, compatto ;
la sua densità varia da 0.933 a 1.141. I gusci di mandorli servono a
colorire le acquaviti.
L'olio di mandorle dolci ed estratto a freddo dopo avere levate
anche la pellicola, è inodoro, molto fluido, giallo chiaro, di sapore
aggradevole.
Ha la densità 0.917 a 15" e non si intorbida che alla temperatura
di 20» sotto zero. L'olio estratto dai panelli di mandorle amare, svi-
luppa un odore di liore di pesco, ciò che dimostra dover contenere
dell'acido prussico. Bisogna quindi impiegarlo con precauzione.
Le mandorle sottoposte a pressioni a freddo danno il 35-40 7o del
loro peso di olio.
20. Composizione chimica. — Le mandorle , come tutti i frutti
ricchi di sostanze oleose, sono indigeste ; quindi bisogna mangiarne
con parsimonia.
Secondo il Ruley, le mandorle dolci avrebbero la seguente compo-
sizione centesimale:
Acqua 39
Pellicole 3.5-5
Parte fibrosa 4-5
Albumina (emulsina e amigdalina) . . 20-25
Olio grasso 40-60
Zucchero 5-6
Gomma 3-3.50
Acidi e perdita d'analisi . . . 0.3-0.5
— 621 —
Secondo Zedeler, contengono 4.90 di cenere pura nella quale avrebbe
trovato :
Potassa 27.95
Soda 0.2;?
Calce 8.81
Magnesia 17.6(5
Ferro 0.55
Anidride fosforica 43.63
solforica 0.37
Perdita e sost. indeterminate . . . 0.80
Le mandorle amare contengono un glucoside, Vamigdalina, ed un
fermento solubile, emiibiiia o sinaptosi, che si trova anche nelle man-
dorle dolci.
Vamigdalina, che si trova nelle mandorle amare, è locatizzata nel
parenchima dei cotiledoni, e Vemulsina o sinaptosi nella parte assile
dell'embrione e nei fasci fìbro-legnosi, dei cotiledoni. Secondo il
.lohannen sarebbe questa la ragione, per cui Vemulsina non può agire
sopra Vamigdalina nel periodo di sviluppo della mandorla, uè in quello
di maturazione, né in quello di conservazione del seme allo stato secco.
Ma invece se si rompono i tessuti, spremendoli a conlatto dell'acqua,
la emulsina provoca una decomposizione deWamigdalina e cosi forma
deWacido cianidrico, deìVessenza di mandorle amare e del glucosio.
21. Dati economici. — E' difficile dare una media sul raccolto del
mandorlo — il suo prodotto varia come anche è variabilissimo il prezzo.
Riguardo al prodotto, si veda quanto é scritto nel capitolo 18
pag. 619 e riguardo al prezzo notiamo che le mandorle premici si
vendono da 50 a 70 lire al quintale ; quelle dolci a L. 20 circa l'etto-
litro che corrisponde a L. 150 per quintale di semi netti. Le mandorle
amare si pagano circa L. 160 al quintale.
Da una pianta in piena produzione si può calcolare di avere, ogni
5 anni, un prodotto scarso, tre prodotti medi ed uno pieno.
Il prodotto pieno si può ritenere ecjuivalente a litri 35 per pianta;
il prodotto medio litri 20; il prodotto scarso a litri 5 e quindi in un
mandorleto consociato, contenente circa 200 piante per ettaro, si rica-
vano nel quinquennio :
nell'anno di scarsa produzione 200 x 5 = hi. 10
nei tre anni di media „ 3x200x20= „ 110
nell'anno di prodotto pieno 200x35= „ 70
Totale hi. 200
media annuale del quinquennio hi. 40 a L 20 L. 800.
Ogni pianta darebbe in media un prodotto lordo di Q^^ L. 4. La
spesa di coltivazione compreso l'ammortamento e l'interesse del capi-
tale impiegalo, si può calcolare circa della metà e jierciò il prodotto
netto si riduce a L 2.
22. Malattie e cause nemiche. — fV. pag. 500).
622
PESCO
(Amygdalus Persica Limi. — Fani. Rosacee).
Nomi volgari italiani della pianta — Persico, adottalo specialmente per
il pesco noce.
Nome volgare del fruito — Pesca.
Nonìi volgari stranieri della pianta — Francese: Pecher — Tedesco:
Pfirschbaum — Inglese: Peach Tree.
Nomi volgari stranieri del frutto — Francese: Pòche — Tedesco: Pfir-
sche — Inglese: Peach.
1. Origine. — Il pesco sembra provenire dal centro della China
anziché dalla Persia, come da molti è stato ritenuto fino ad ora, tanto è
vero che in quest'ultimo paese non si trovano peschi selvatici. In China
il pesco è un albero venerato; è l'albero del bene e del male; è molto
coltivato, ma i suoi frutti sono mediocri. Pare che sotto il regno del-
l'Imperatore Claudio i Romani ricevessero il pesco dalla Persia, ma
la sua attuale diffusione in Italia è dovuta ai Crociati, che l'importa-
rono in gran copia dall'Oriente.
Nelle Gallie pare che il pesco sia stato introdotto molto prima che
in Italia e gli autori francesi ne attribuiscono l'introduzione ai Fenici.
2. Caratteri botanici della pianta. — .Albero di terza grandezza
(3-5 m.) con cima conica poi ovale o appiattita. Non è molto longevo,
dura da 20 a 50 anni, radice (ìttonosa, grossa; fusto mai troppo grosso
con una scorza che si stacca a grosse lamine, di colore cenerino, quasi
liscia. Rami radi e divaricati, perciò la fronda fa poco danno colla sua
ombra alle piante sottostanti. Rami dell'annata dapprima verdi, con
corteccia liscia, lucente, e poi si tingono in rosso bruno o vinosi dalla
parte soleggiata.
Quanto più vecchio è un albero e quanto meno vigoroso, tanto
più brevi sono i meritalli dei rami. Foglie sparse, piuttosto strette,
lanceolate, alterne, seghettate, a piccoli denti acuti; lamina liscia un
po' ondulata, di color verde chiaro e fino al chiaro. Spesso alla base
del lembo portano delle glandole reniformi o globose, in numero di
2 a 4, più o meno vicine le une alle altre, e di cui non si conosce
ancora l'ufficio. I pomologi si servono di queste ghiandole per carat-
terizzare le varietà. Il picciolo è sempre più corto della lunghezza della
lamina. Foglie isolate o unite per due o tre, In questo ultimo caso,
quella di mezzo è più sviluppata delle altre due.
Come in tutte le piante a nocciolo, ogni gemma da frutto non dà
che un fiore, è ascellare, completo, ermafrodito. Compare prima della
fogliazione.
Si fanno due categorie di fiori: grandi e piccoli, e di questa dis-
tinzione se ne vale il pomologo, per distinguere alcune varietà. Le
varietà a fiori grandi sono per lo più precoci.
- G23 -
Il calice è gamo-sepalo, caduco, di colore più o meno carico; la
corolla è rosa o porporina o talvolta bianca; è composta di 5 petali,
alterni, colle dentature dei sepali. Gli stami sono da 25 a 30, in-
seriti neir orlo del ricettacolo che presenta la forma di una coppa
poco profonda. Il carpello è unico e sorge dal fondo di questa
coppa di cui l'ovario alla maturità diventa una drupa supera, mo-
nosperma.
Il frullo è sensibilmente sferico, con un solco longitudinale più o
meno marcato ; buccia glabra o pubescente di colore verde o gialla
con sfumature Carmine o porporine specialmente dalla parte del sole
più o meno marcate a seconda del clima, terreno e modo di coltiva-
zione. Polpa succolenta, bianca gialla o rossatra specialmente vicino
al nocciolo in alcune varietà, licca di zucchero e profumala. E' ade-
rente al nocciolo o no.
Il nocciolo è allungato, depresso, acuminato ad una delle estremità
con un guscio molto duro e con solchi sinuosi, talvolta molto nìarcati.
La mandorla è sprovvista di albume e contiene i due cotiledoni e
l'embrione.
3. Varietà. — Oltre duecento sono le varietà di pesche descritte
ed elencate in Europa ed altrettante sono quelle dell'America. Questo
è avvenuto non soltanto per la mania dei vivaisti di elencare delle
nuove varietà, ma anche per la facilità di riscontrare delle variazioni
fra pianta e pianta come avviene per tutte le specie che si propagano
facilmente per seme.
Anche qui giova però ricordare, che nella riuscita di una varietà,
ha molta influenza il terreno, il clima e l'esposizione. Queste condi-
zioni naturali possono rendere pregevolissima una varietà in un dato
sito e di poca riuscita in un altro. Scelta poi la varietà bisogna assi-
curarsi che essa sia inchiesta anche dal mercato.
Le dilferenti varietà di peschi, si possono distinguere per le foglie,
per le gemme, per i frutti e molte volte anche dall'aspetto dell'estre-
mità dei rami. Sulla presenza o meno di ghiandole alla base delle
foglie, sulla loro forma rotondata o reniforme e cosi via, si può anche
basare una classificazione. Così dal colore complessivo del fogliame,
se apparisce bianco o giallognolo o rossastro, un bravo frutticoitore
discerne se un pesco dà frutti bianchi, gialli o rossi.
Una classificazione si potrebbe basare anche sui fiori, i quali, in
alcune varietà sono grandi, rossi al centro e sbiaditi ai margini dei
petali-, in altre sono piccoli, color cremisi e cosi via. Infine il compor-
lamento dell'albero può darci un indirizzo di classificazione. In alcune
varietà i rami si distendono orizzontalmente, in altre verticalmente o
in senso obliquo. I primi danno la fronda rotonda, i secondi terminano
in punta come i ciliegi, i terzi si aprono come un ventaglio.
Per la somma facilità con cui si ottengono delle varietà di pesche,
avviene che una data varietà stimata da un frutticoitore in un' epoca
viene poi bandita e sostituita da un' altra dopo brevissimo tempo.
— 624 —
La classificazione delle pesche più usata è la seguente:
Pesche
vellutata ( Glasse I. Spiccagnole
(Pesche vere) r „ II. Duracine
con buccia \ jj^^j^ jjj Spiccagnole (Nettarine)
' (Pesche noci) ( ., IV. Duracine (Brugnons)
Alla Classe I e cioè alle pesche vere con buccia vellutata spiccac/nole
appartengono tutte le migliori varietà coltivate a spalliera in Francia
e da noi, e che si distingono per la loro finezza, freschezza e soavità
del profumo. Si fanno poi delle sottoclassi, a seconda del colore
della polpa bianca, gialla o rossa. Quelle a polpa bianca sono le più
ricercate.
Le pesche vere a buccia vellutata duracine, esigono climi caldi. La
polpa è consistente e fibrosa, molto dolce e profumata. Questa classe
comprende le cosi dette Pavie dei Francesi e molte varietà bianche e
gialle coltivata in Italia a pieno vento e che si riproducono per seme.
I frutti sono talvolta enormi, per lo più tardivi e le piante non si
prestano per la spalliera.
Le pesche noci si adattano anche a pieno e mezzo vento ed anzi
in via generale sono meno esigenti pel clima delle pesche vere. Richie-
dono un terreno fresco e sono di produzione costante. Si chiamano,
in Inghilterra, Nectarines le spiccagnole e Brugnons le duracine.
In Italia sono chiamate pesche noci per la somiglianza che hanno,
quando sono ancora verdi, al mallo verde della noce.
La polpa delle pesche noci è liquescente, vinosa, di sapore mai'cato,
che la fa stimare. Il frutto è generalmente più piccolo delle vere pesche.
Più piccole ancora sono le pesche noci duracine la cui polpa è però
più rada, fibrosa, zuccherina e moscata.
Tutte le pesche noci hanno il vantaggio di potersi conservare nel
fruttaio per qualche giorno e sono più atte al trasporto.
Rispetto alla maturazione, si distinguono 5 periodi :
Precoci — prima del mese di luglio
I. periodo — mese di luglio
II. „ — „ „ agosto
III. „ — ., „ settembre
Tardive — „ ,, ottobre
Uno schema di classificazione pratico per le singole varietà è indi-
cato nella Tab. XLIX e nella Tab. L sono indicate le principali qualità
colturali delle varietà di primo merito. ^
- tì2i
Tab. xi.ix. Schema di classificazione
delle varietà di pesche di primo merito consigliate (Tamaro).
Caratteri
Polpa
Ghian-
dole alle
foglie
Colore della
l'i
Nome delle varietà
della classe
buccfa
raccomandate
\
senza
ì
rosso porpora
verdognole mar-
morizz. di rosso
li
11
1. Maddalena rossa
2. di Malta
rubino
tardiva
3. Uallet
l
rosso scura
j)recoce
4. Amsden
1
1
porpora
I
5. Mignonne e becco
carico
1
6. Precoce di Hale
„ violacea
II
7. Galande
bianca
globu-
' bianca
II
8. Burrona bianca
1
lose ^
i
carmino
rosso porpora
11
11
9. Mignonne grande
precoce.
10. Mignonne grande
ordinaria
1
[
„ violacea
III
11. Bella Bausse
spicca-
gnole
leggermente ar-
I
12. Precoce di Rivers
1
]
renifor- 1
mi '
rossata
i
rosso sanguigna
I
13. „ Beatrice
\ ì
giallo biancastra
III
14. Regina dei frutteti
2
I
senza
rossa
III
15. Damaschina bur-
9
rona
gialla
renifor-
mi
giallo carico
tardiva
16. Salwey
f
bianca
bianca ondeg-
III
17. Biancona di Ve-
„
giata di rosso
rona
duracine
gialla
gialla sfumata
di rosso
II
18. Giallona di Ve-
rona
N
rosso violaceo
III
19. Damaschina du-
rona
, spicca-
\ gnole
bianca
_
violetto
II
20. Pesca noce violetta
f.^
gialla
-
gialla
II
21. Vaga Loggia Spic-
cagnola
B
] duracine
gialla
_
gialla con sfuma-
II
22. Vaga Loggia Dura-
ture rosse
cina
Frane. : Amsden
Amsden (fig. 481).
Ted. : Anisden's lunipfirsich
Ingl. : Arasden's lune.
Origine: E' stato ottenuto da seme nel 1872 dal sig. Amsden a Carthago nel Missouri.
Maturazione: dal 22 al 29 giugno.
Qualità : prima da mercato.
Clima: qualunque anche rigido ; terreno fertile.
Località ed esposizione: indifferente, ma di maggiore precocità in l)uon terreno.
Forme più adatte: vaso e spalliera.
Fertilità : straordinaria.
Sistema di collioazione: qualsiasi.
Descrizione della pianta: rami lunghi sottili e radi: anelli legnosi bruni. Foglie me-
die, verdi chiare, con punta allungata. La nervatura mediana ha una leggera sfumatura
rossa sulla pagina inferiore, fiori grandi, rosa chiari. Ghiandole abbastanza grosse una
o due per lato.
Descrizione del frutto: diametro trasversale 58 mm. ed alto .')2 mm., rotondo con
solco marcato: l'estremità appena marcata e la base profonda e stretta.
40 — Tamaiìo - Frutticoltura.
Tab
L.
Quadro sinottico indicante
1
le princip
zi
3 ^
NOME
Maturazione
Qualità
Fertilità
Vigoria
SJ.
I. — Pesche vere
spiccagnole gialle.
1
Amsden (fig. 481)
precoce giugno-
luglio
))rimada mer-1
calo
straordinaria
media
2
Mignonne a becco
20 luglio al 5 agosto
seconda
costante, buona
notevole
3
Precoce di Halefìg. 491
15 luglio
id.
molta
moderata
4
„ di Rives fig. 492
1-15 luglio
id.
media
moltissima
5
, Beatrice fig. 489
id.
prima
notevole
notevole
6
Maddalena rossa (fi-
gura 488)
15-30 agosto
id.
id.
id.
7
Di Malta
25 agosto al 30 sett.
id.
media
id.
8
Galande
id.
id.
id.
media
9
Burrona bianca fig 483
agosto
id.
id.
notevole
10
Mignonne grande
precoce
1-15 agosto
id.
moltissima
sufficente
11
Mignonne grande
ordinaria
15-30 agosto
da commercio
notevole
id.
12
Bella Bausse
1-8 settembre
prima
id.
notevole
13
Regina dei fruiteti
id.
id.
id.
id.
14
Baltet
//. - Pesche vere
1-15 ottobre
spiccagnole gialle.
ìd.
id.
id.
15
Damaschina burrona
(fig. 485)
settembre
prima
notevole
notevole
16
Salwey
///. — Pesche ver
15-30 ottobre
e duracine bianche.
id.
media
id
17
Biancona di Verona
(fig. 482)
IV. — Pesche ver
settembre-ottobre
3 duracine gialle.
1 id
id.
id.
18
Giallona di Verona
(fig. 486)
agosto
id.
notevole
id.
19
Damaschina duraci-
na (fig. 484)
V. — Pesche noci
settembre
spiccagnole bianch
seconda da ta-
vola e prima
da comm.
3.
id.
id.
20
Pesca noce violetta
Ifig. 490)
VI. — Pesche noe
agosto
i spiccagnole gialle.
prima da or-
namento
straordinaria
..
21
Vaga Loggia spic-
cagnola (fig. 494)
VII. — Pesche no
15 agosto
3i duracine gialle.
prima da ta-
vola
media
id.
22
Vaga Loggia dura-
cina (fig. 493)
15 agosto
prima
molta
.a.
jprietà colturali di pesche consigliate (Tamaro).
Terreno \ Località 1 Forme più adatte
Soggetti j Sistema
da innesto ! di coltivazione
fertile
buono
mediocre
buono
id.
id.
indifferente
id.
fertile
id.
indifferente j vaso e spalliera j franco
id. id.
qualsiasi
I campi e frutteti
I casalinghi
id. qualunque | campi
vaso ! — I frutteti casalinghi
spalliera I ~ i id.
spalliera e vaso qualunque frutteti casalinghi
e di speculazione
j spalliera — frutteti di specul.
indifferente spalliera e vaso j mandorlo id.
if'- i a vaso franco campestre
buona
; buona
! media
ripar. ed a lev.
a S od E
inedia
a S
a S
a vaso e spalliera | id. j frutt. indus. e cas.
id. ! indifferente frutteti industr.
id. I - I
a vaso
spalliera
I id.
indifferente j id.
id. frutteti casalinghi
I buona e ripa-l vaso e pieno I franco e I campi
rata vento mandorlo
buona | spalliera j id. | frutteti di specul.
id.
id. I id. riparata
differente ! indifferente I indifferente
vento
id.
1 campi
id.
id.
id
id.
id.
i id
id. vaso e spalliera id. j frutteti casalinghi
buonissimo riparata
qualunque
628
Buccia completamente staccabile, leggermente tomentosa, bianca verdastra, rico-
perta da una sfumatura rosso-scura dalla parte del sole.
Polpa bianca, leggermente arrossata sotto alla buccia, molto succosa e poco fibrosa,
ben zuccherina, che si stacca completamente dal nocciolo a perfetta maturazione.
Osservazioni: Varietà prege-
volissima per spalliera e pieno
vento e per ottenere delle frut-
ta precoci. Straordinariamente
produttiva , quantunque non
tanto vigorosa. Per la coltiva-
zione a spalliera si innesti sul
franco; pel pieno e mezzo vento
meglio sul mandorlo, special-
mente nei terreni e climi caldi.
Questa pesca è molto ricer-
cata sui mercati e deve essere
coltivata in ogni frutteto.
Baltet.
Origine : è stata ottenuta
questa varietà una trentina di
anni fa dal sig. Baltet.
Maturazione : prima quin-
dicina di ottobre.
Qualità : è la più saporita
delle pesche tardive. Qualità
primissima.
Clima : Temperato.
l'orme più adatte: spalliera
Fertilità : notevole.
Sistema di coltivazione: frut-
teti casalinghi.
Descrizione della pianta : al-
bero fertile e vigoroso, abba-
stanza ramificato. Foglie senza
ghiandole, dentatura fine. Fiori
medi, a campana, di color rosso
vivo.
Descrizione del frutto: pesca
grossissima, ovoidale gonfiata,
mammellonata; di color rubino
dalla parte del sole sopra un
fondo pallido.
Polpa bianco giallastra leggermente tinta vicino al nocciolo; fine, liquescente, suc-
cosa, dolce vinosa, profumata. Eccellente. Nocciolo medio, allungato con lungo mucrone
Osservazioni: .Si innesti sul franco. E" una delle migliori pesche tardive.
Fig. 481. — Amsden (grandezza naturale).
Sella Bausse.
Frane: Belle Bausse — Ted. : .Schòne von Baus
Origine: Montreuil presso Parigi.
Maturazione: nella prima settimana di ottobre.
Qualità: prima.
Clima: moderato.
Forme più adatte: pieno vento e spalliera.
— 629 -
Fertililà: notevole.
Sistema di coltivazione: frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta: legno forte: rami abbastanza numerosi ed eretti, di gros-
sezza media, verdi aironil)ra, arrossati in carmino dalla parte del sole. Lenticelle rade
e piccole. Gemme quasi sempre accompagnate da gemme a tìore. Foglie poco numerose,
grandi, acuminate, poco profondamente dentate. Picciolo grosso e lungo. Ghiandole
globose. Fiori grandi rosso scuri.
Descrizione del frutto: grossezza al disotto della media, globoso appiattito all'estre-
mità; cavità al peduncolo larga e profonda.
Buccia sottile, che si stacca con facilità, con tomento abbondante, a fondo bianco
verdastro giallognolo, rosso violastro dalla parte del sole.
Polpa bianco-verdastra, un poco grossa sotto alla buccia, finissima, liquescente, molto
succosa, dolce acidula, iirofumata.
Nocciolo medio, non aderente, ovoidale.
Osservazioni: pianta di mollo vigore, che si presta per ottenere bei pieni venti. Si
innesta sul pesco, sul susino, sul prugno, sul mandorlo. E' una varietà affine alla grande
Mignona. Il frutto però maturando, si fenile, specialmente nei terreni umidi. E' molto
coltivata a Montreuil.
Biancona di Verona (Mg, 482).
Frane: Pavie blanc gross.
Origine: Italia.
Maturazione: è una varietà che viene moltiplicata per seme, perciò l'epoca di
maturazione varia fra luogo e luogo, ma si può ritenere in media fra settembre ed
ottobre.
Qualità: prima.
Clima: caldo e terreno fertile.
Località ed esposizione: buona.
Forme più adatte: pieno e mezzo vento.
Fertilità: media.
Sistema di coltivazione: coltivazione campestre.
Descrizione della pianta: l'albero è vigoroso, ingrossa assai, dura niolto. I suoi liori
sono piccoli, quasi apetali, e coloriti di un rosso chiarissimo ; spuntano in abbondanza
sulle piante giovani ed allegano con facilità, ma nascono rari nelle piante vecchie e la
loro allegazione su queste è meno sicura.
Descrizione del frutto: il frutto è uno dei più grossi; la buccia è bianca, qualche
volta sfumata di rosso dal Iato battuto dal sole, coperta da una lanuggine leggera e
linissitiia, non difficile a slaccarsi dalla polpa, e che bisogna levare per non guastare la
squisitezza del sapore. La polpa è duracina, aderente al nocciolo, ma il tessuto non è
carnoso e compatto come nelle altre duracine: è molle, gentile, pieno di sugo, sicché
quando si mangia non si distingue dalla polpa delle spiccagnole: ha un poco meno di
morbidezza, compensata però da una abbondanza di sugo, che la rende liquescente. 11
colore della polpa è bianco, ad eccezione di una zona presso il nocciolo, ove è ondulata
di rosso ed il suo gusto non è tanto zuccherino delle gialle ma molto gradevole e leg-
germente acidulo.
Osservazioni: la Biancona di Verona è, si può dire, la regina delle pesche duracine
Affine a questa ci sono, nelle varie località e nei vari paesi, una quantità di pesche
duracine, più o meno precoci e tardive. Ho descritto questa varietà, perchè essendo
essa una produzione essenzialmente italiana ha una straordinaria importanza per la
coltivazione a pieno vento nell'aperta campagna, riproducendosi bene anche per seme.
E' molto diffusa nell'Alta Italia, specialmente nell'Istria e nel Veneto.
La descrizione di cui sopra è presa dall'opera di Gallesio.
— 630 —
Fig. 482. — Biancona di Verona (-/j).
Fig. 483. — Burrona bianca (V.j grandezza!
()31 —
Burrona bianca (lìg. -iH'A).
Sinoniini: Pesca spiccagnola bianca agostenga.
Origine: Italia.
Maturazione : agosto.
Qujiità : prima.
Clima e terreno: caldo.
Forme più adatte: pieno vento.
Fertilità: media.
Sistema di collimazione : coltivazione campestre.
Descrizione della piar.ta: pianta molto vigorosa, che ha bisogno di frequenti dirada-
menti Il suo fiore è brevipetalo.
Descrizione del fratto: variabilissimo di grandezza, per lo più medio; buccia bianca
velata, nella parte che guarda il sole, con qualche macchia rosso paonazzo che la distingue
dalle specie gialle, nelle quali il rosso è piìi roseo, e spicca assai meno. La polpa è
bianca, gentile, di pasta finissima, punto aderente al nocciolo: in bocca la polpa si
scioglie in un sugo abbondante e un poco acidulo.
Ossemazioni: La varietà descritta rappresenta uno dei migliori tipi di pesche spic-
cagnole bianche italiane che possediamo. Ha il pregio anche nella precocità, quantunque
ora abbiamo delle varietà forestiere più precoci. Essendo sempre slata moltiplicata per
seme, ogni regione ne ha, si può dire, una propria varietà affine a questa, e che cor-
risponde ai suddetti caratteri.
La descrizione della pianta e del frutto l'ho tratta dal (iallesio.
Damaschina duracina ((ìg. JS]).
Sinomini: Duracina gialla serotina a buccia paonazza o Uamaschina durona,
Pesche da vigna, Pòches de vigne.
Origine: Italia.
Maturazione: principio di settembre.
Qualità: da tavola e prima da commercio.
Clima e terreno: indifferente, piuttosto clima caldo.
Località ed esposizione: indifferente.
l'orme più adatte: pieno o mezzo vento
Fertilità : notevole.
Sistema di coltivazione: campestre.
Descrizione della pianta: le damaschine sono le pesche del mese di settembre: e
tengono uno dei primi posti fra le pesche dei paesi meridionali. Ve ne sono parecchie
varietà duracine e alcune spiccagnole.
Descrizione del frutto: la caratteristica delle damaschine è di avere una sutura che
taglia dal picciolo alla punta, presentando come due labbri, uno dei quali è più rile-
vato dell'altro, in modo che sembra una costa che principia alla base del frutto e finisce
alla cima ove si prolunga un poco, ritorcendosi in punta come un becco. La buccia è
gialla, dalla parte del sole di color rosso violaceo, denso, che dà nello scuro, e nella
parte chiara di un rosso a fiocchetti, che somiglia a tante pennellate. I,a polpa è car-
nosa, giallo carico, che si tinge di rosso presso al nocciolo: non ha la liquescenza delle
pesche cotogne ma e dolce, senza acido e non manca di sugo.
Osservazioni: le damaschine sono le pesche più spontanee che si conoscono. Nel
mezzogiorno d'Italia non si innestano e cosi nella Liguria, dove si trovano nelle vigne.
1-; la i)esca che piìi si adatta ai terreni di montagna: viene bene anche nelle valli, vicino
o lontano del mare.
Damaschina burrona (lìg. 4cSr)).
Sinomini: Pesca spiccagnola gialla serotina a buccia paonazza, Marasina a Genova,
Moscadella serotina in Toscana. In Provenza: Pavie rouge d'automne ed a Valenza: Priscos
de autunno.
632
Fig. 484. — Damaschina duracina (^ j).
Fig. 485. — Daniascliina burrona (Vj).
— 633 —
Origine: italiana.
Maturazione: settembre.
Qualità: prima.
Clima: caldo.
Località ed esposizione: buona e riparata.
Forme più adatte: pieno vento.
Fertilità : notevole.
Sistema di coltivazione: campestre
Descrizione della pianta: anche questa pianta come la sua omonima duracina, è
propria dei paesi meridionali, dove viene moltiplicata per seme e coltivata tramezzo
ai vigneti. Viene estesa la sua coltivazione, perchè sopporta i trasporti. E" molto fertile
e vigorosa.
Descrizione dei frutti: se ne trovano di varia grandezza, ma per lo più sono grandi,
dolci, carnose, che si coloriscono di un rosso vivo carico.
Osservazioni: La descrizione è presa dal Gallesio.
Galande.
Frane: Galande — Ted : lìaland-Pfirsich — Ingl.: IJreuKord Mignonne.
Origine: Normandia.
Maturazione: dalla fine di agosto ai primi di settembre.
Qualità : prima.
Clima: temperato.
Forme più adatte : spalliera.
Fertilità: media.
Sistema di coltiintzione: frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta: rami un po' deboli ma numerosi, di vigore medio, con
poche foglie alla base, rosso scurì dalla parte del sole. Gemme divaricate, ovoidali,
acute: foglie numerose, grandi, con dentature fine e con piccole ghiandole globose.
Fiori piccoli color rosa intenso.
Descrizione del frutto: pesca voluminosa, di forma un po' incostante, mammelli-
forme con solcatura profonda. Insenatura al peduncolo variabile, estremità sporgente.
lUiccia sottile che si stacca difficilmente dalla polpa, molto tomentosa, a fondo bianco
verdastro, rosso violacea dalla parte dell'ombra e marmoreggiata di nero porpora dalla
parte del sole. Polpa bianco giallastra, fine, liquescente, sanguigna al centro, succosis-
sima, vinosa, molto dolce e delicatamente profumata. Nocciolo ovoidale, grosso con
estremila poco appuntita.
Osseruazioni: Si innesti sul mandorlo per pieno vento. Vigore moderato.
Giallona di Verona (fìg. 486).
Sinumini: Pesca cotogna duracina massima. Cotogna durona massima.
Origine: italiana.
Maturazione: agosto.
Qualità: prima, se prodotta in località calde. La giallona di Verona è la regina
delle pesche-cotogne duracine, alle quali appartengono tutte le pesche di color giallo,
che hanno un sapore dolce e molto sugo.
Clima: caldo.
Località ed esposizione : riparata.
Forme più adatte: pieno o mezzo vento.
Ferfi// ù: notevole.
Sistema di coltivazione: campestre.
Descrizione della pianta: albero vigoroso, di lunga durata. I fiori sono brevipetali,
carnicini, piccolissimi.
634
Fiff. 48(5. — Giallona di Verona (-
Fig. 487. - Maddalena bianca (.',■).
- 635 -
Descrizione del frutto: grossissimo, tondo, appena solcato, coperto di una buccia
gialla, nitida, quasi senza peluria, rare volte leggermente sfumata di rosso. La polpa è
gialla sino al nocciolo che è sempre giallo, è morbida, fina, gentile e si scioglie tutta
in un sugo dolce, fresco e senza ombra di acido.
Osseruazioni: si moltiplica per seme abbastanza fedelmente.
Pesche Maddalena.
Queste pesche, molle delle quali sono di origine italiana, pare che debbano il loro
nome all'epoca della loro maturità che cade fra il Vy e 22 luglio, giorno di S. Madda-
lena. .Vdesso però abbiamo delle Maddalene che maturano anche più tardi.
1 caratteri generali di questa famiglia sono i seguenti: frutto spiccagnolo non
sempre perfetto con polpa bianca; medio o grande; allungato, raramente sferico con solco
leggero. Fiori medi o grandi, di colore rosa o rosso scuro, ghiandole alle foglie man-
canti. ,\lbero vigoroso adatto per la grande coltura nei campi, fertilità incostante e
nelle annate abbondanti i frutti sono piccoli; ranfi a frutto piuttosto grossi.
Le varietà più conosciute sono;
aj Maddalena bianca di origine italiana che matura a metà luglio. Molto diffusa
in tutta la regione dove domina il pesco (fig. 487).
hj Maddalena rossa selezionata in Francia ed è una (jualità di primo merito che
matura a metà agosto che descrivo più innanzi.
cj Maddalena a fiori medi o rosso tardiva che matura nella seconda metà di
agosto.
dj Maddalena grande od a grossi frutti che matura nella seconda metà di agosto.
Molto esigente per il terreno.
fj Maddalena nobile che matura alla fine di agosto. Delicata pel clima e terreno.
gj Maddalena Heriot che matura nella seconda metà di agosto, molto sana ma
frutti di mediocre valore.
Maddalena di Courson o Maddalena rossa (Mg. 488).
Frane; Madeleine de Courson — Ted.; Hothe Magdalenc — Ingl.; P.ed Magdalcn.
Origine: Francia.
Maturazione: dalla metà alla fine di agosto.
Qualità: prima.
Clima: moderato e terreno mediocre.
Forme pili adatte: spalliera od a vaso.
Fertilità : notevole.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi e di speculazione.
Descrizione della i>ìanta: rami fortissimi, grossi, verde-giallastri ali ombra, rossastri
dalla parte del sole.
Foglie grandi, sottili, ovali allungate, molto acuminate, con dentatura sentita.
Picciolo senza ghiandole, medio di grossezza e corto.
Fiori grandissimi, rosa pallidi o rosa violacei chiari.
Descrizione del fruito: pesca voluminosa, sferica o leggermente allungala, regolare,
con solco poco marcato Cavità al peduncolo stretta e profonda.
Huccia abbastanza grossa, che si stacca facilmente, mollo tomentosa, verde-giallastra
all'ombra e rosso-porpora dalla parte del sole.
Polpa bianco-verdastra, liquescente, rossastra dalla parte del sole. .Succo abbon-
dantissimo, dolce acidulo, delizioso, profumato.
Osservazioni: pianta vigorosa si può innestare su lutti i soggetti, si può allevare
anche a pieno vento.
Colla potatura bisogna moderare la vigoria.
Fig. 488. — Maddalena rossa (mezza grandezza^
Fig. 489. — Precoce Beatrice (grandezza naturale).
- (i37
Pesche Mignonne.
Queste pesche di origine francese, maturano dal 20 giugno al 20 agosto.
1 caratteri di questa famiglia sono i seguenti :
Frutto spiccagnolo, fiori grandi, ghiandole alle foglie piccole, rotonde e talvolta
mancanti: albero di medio vigore, che porta presto frutto; fertilità costante e notevole:
rami a frutto sottili, verdi dalla parte dell'ombra, rosso violetti nelle altre parti: loglio
finamente dentate: frutti molto colorati, quasi perfettamente sferici con depressione
all'apice ed all'inserzione del peduncolo ad eccezione della Mignonne a becco.
-Vbbiamo 3 varietà:
a) Mignonne a becco che matura dal 20 luglio al 5 agosto.
b) Mignonne grande precoce che matura nella prima metà di agosto.
cj Mignonne grande ordinaria: che matura nella seconda metà di agosto
Mignonne a becco.
Nomi stranieri: Frane: Mignonne a bec — Ted. .Schnabel Pfirsich.
Origine: Francia.
Maturazione: 20 luglio al 5 agosto.
Qualità: seconda.
Fertilità: buona e costante.
Vigoria : notevole.
Esposizione e situazione: a S od E
Forme più adatte : pieno vento e spalliera.
Sistema di coltivazione: nei campi e nei frutteti casalinghi.
Descrizione della pianta: rami a frutto sottili, produttivi all'estremità: foglie grandi,
piane, con dentatura poco sensibile, ghiandole globulose; fiore fra i più grandi dei peschi,
rosa scuri e nello sfiorire prendono un colore carnicino.
Proprietà della pianta : non tollera il taglio corto.
Descrizione del frutto: rotondo, medio, talvolta più panciuto da un lato, il solco
taglia il frutto in due parti ineguali e termina con una specie di prominenza ^beccol
la cui cima è sovente bipartita, quasi sempre incurvata a sciabola
Buccia sottile che si stacca, dalla parte dell'ombra giallo-verdognola, dalla parte
del sole rosso bruna, piìi scura della Mignonne grande, ma la polpa è meno (ina di que-
sta, verdognola, ben profumata, rossa vicino al nocciolo, il quale è di media grandezza.
Mignonne grande ordinaria.
Frane: Grosse Mignonne ordinaire — Ted.: Grosse Mignone Pfirsich.
Origine: ottenuta nel 1677 in Francia, molto coltivata a Montreuil.
Maturazione : seconda metà di agosto.
Qualità, da commercio.
Fertilità: notevole.
Vigoria ; suf ficente.
Clima e Terreno: indifferente
Forme più adatte: spalliera e pieno vento.
Soggetti da innesto: indifferente.
Sistema di coltivazione: per frutteti industriali.
Descrizione della pianta: albero vigoroso e molto produttivo; germogli molti, grossi
e lunghi, giallo-verdognoli e dalla parte del sole rosso bruni; gemme distantì, grosse,
ovoidali, appuntite, leggermente tomentose; foglie medie, lancettiformi, di frequente
ondulate, brevemente dentate, con piccole ghiandole tondeggianti; fiori grandi, rosa,
petali rotondi con breve stilo.
Proprietà della pianta : si riproduce bene per seme. Tollera il taglio corto.
— 638 -
Descrizione del frutto: frutto grande o grossissinìo, largo in media 80 mm. ed alto
70 min , di forma sferoidale appiattita, con leggera solcatura e breve prominenza alla
parte opposta del picciolo: cavità del peduncolo larga e poco profonda: buccia sottile
che facilmente si stacca dalla polpa, giallo verdognola, cotonosa, e dalla parte del sole
color rosso porpora; polpa bianca, rosea presso il nocciuolo, succosissima, liquescente.
squisita al gusto: nocciolo, ovale, color ruggine, rotondo alla base; all'estremità ter-
mina con una punta ben marcata.
Proprietà del frutto: dei più saporiti.
Mignoline grande precoce.
Frane: Grosse Mignonne hàtive — Ted.: Friihe Mignon Pfirsich
Ingl. : Early grosse Mignone.
Origine: Francia.
Maturazione: progressiva, dalla prima metà di agosto.
Qualità: prima da tavola.
Fertilità: moltissima.
Vigoria : sufficente.
Clima e terreno: indifferente.
esposizione e situazione: a mezzogiorno o levante.
Forme più adatte: spalliera ed a vaso.
Sistema di coltivazione: frutteto casalingo e di speculazione.
Descrizione della pianta : legno forte, rami abbastanza numerosi, grossi e lunghi,
sprovvisti di foglie alla base, leggermente rossi dalla parte del sole. Gemme grosse,
distanti una dall'altra, foglie abbondanti e grandi, incartate ovali, allungate con denta-
tura larga. Ghiandole piccole, globulari, picciolo corto e grosso. Fiori grandi, rosa intenso.
Descrizione del frutto: abbastanza grosso (larghezza 67 altezza 73) più o meno
ovoidale con solco poco marcato. Seno al peduncolo profondo.
Buccia fine, che non si stacca tanto facilmente, mollo tomentosa a fondo giallo-
pallido con molte punteggiature purpuree e dalla parte del sole colorata in carmino vivo.
Polpa bianca con sfumatura verde, liquescente, sanguigna intorno al nocciolo.
Succo abbondante, molto dolce, leggermente acidulo e profumato.
Nocciolo alquanto aderente per qualche filamento ovoidale.
Difetti della varietà: poco vigorosa
Pesca di Malta.
Frane: Pèche de Malta — Ingl.: Italian.
Maturazione: dalla fine di agosto ai primi di settembre.
Qualità: prima.
Clima e terreno: caldo.
Località ed esposizione: riparata ed a levante.
Forme più adatte : spalliera.
Fertilità : soddisfacente.
Sistema di coltivazione; frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta: rami medi, lunghi, numerosi con poche foglie, medie,
grosse, poco acuminate. Picciolo grosso, cortissimo, senza ghiandole. Fiori grandi,
rosa-pallidi.
Descrizione del frutto : frutto medio, schiaccialo alle due estremità a forma di mela.
Buccia verdognola, marmorizzata di rosso dalla parte del sole.
Polpa bianca succosissima, molto dolce, vinosa profumata.
Nocciolo medio ovoidale.
Osservazioni: Varietà vigorosa.
(539
Pesca noce violetta dìjf. 490).
Origine: italiana.
Malurazione: agosto.
Qualità: prima dornanieuto. ma seconda per sapore,
Clima: temperato e terreno fertilissimo.
Località ed esposizione: riparata.
Forme più adatte: spalliera.
Fertilità: notevolissima.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi.
Descrizione della pianta: frutto spiccagnolo, il quale si distingue pel violaceo vivo
che ne copre la buccia. La pianta è vigorosa, fecondissima. 1 fiori hanno i petali corti
e spiccano pel carnicino carico che. nella specie dei peschi, distingue la massima parte
delle razze gentili.
Pesca-noce violetta C',).
Descrizione del fruito: è la più grossa delle pesche noci, è tonda e ben tornita.
La buciia è colorita di un violaceo carico, il quale copre quasi per intero il bianco
giallognolo, che forma il fondo del suo colore.
La polpa è bianca, delicata, molto sugosa, ma con ima vena di acido. Il nocciolo
si stacca facilmente dalla polpa, rimane asciutto e si tinge di un rosso-violetto analogo
a quello della buccia.
Osservazioni: questa pesca è molto diffusa, anzi si può dire che si trova in tutta
Italia, da un capo all'altro. \l ciò per il suo aspetto molto attraente. Ma le pesche noci
gialle dette cotogne sono migliori. Si presta questa varietà, specialmente nelle località
temperate, anche per le forme a spalliera: nei paesi caldi fa però anche degli alberelli.
Essendo una i)ianta assai produttiva, molte volte bisogna diradare i frutti.
- 640 -
Precoce Beatrice (fig. 489).
Frane: Beatrice precoce — Ted. : Frùhe Heatrix — Ingl.: Early Beatrice.
Origine: questa varietà è stata ottenuta da un seme di una pesca del sig. Rivers,
nel 1865, che la dedicò alla principessa Beatrice.
Maturazione: quindici giorni dopo l'Amsden.
Qualità: prima.
Clima e terreno: buoni.
Località ed esposizione: buone.
Forme più adatte: spalliera.
Fertilità: notevole.
Sistema di coltivazione: frutteto casalingo.
Descrizione della pianta: pianta vigorosa, con chioma abbastanza fitta e germogli
alquanto rossi.
Foglia media, verde-scura, con dentatura appena sensibile. Ghiandole una o due
per lato, grosse, reniformi. Fiori grandi, rosso-scuri.
Descrizione del fruito: lunghezza e altezza 47 mm. Di forma sferica, con solco pro-
fondo, dalla cavità del peduncolo all'estremità. Cavità del peduncolo stretto e profondo.
Buccia molto fine, che si stacca dalla polpa, con tomento breve ma fìtto, bianco,
rosso sanguigno dalla parte del sole e dalla parte dell'ombra macchiato a strisce e
punteggiato.
Polpa bianca, talvolta fino a metà rossa, quasi del tutto liquescente, molto succosa,
e si stacca facilmente dal nocciolo.
Nocciolo piccolo, molto solcato.
Osservazioni: varietà che soffre per la malattia dell'accartoccianienlo. Per questa
ragione e per la piccolezza del frutto molti coltivatori 1' abbandonarono. Si può però
allevarla ad alberello con discreto successo ma più che tutto a spalliera, ed allora, per
per la costante fertilità, non teme rivali. In ogni frutteto d'amatori non deve mancare.
Precoce di Hale (fig. 491).
Frane : Precoce di Hale — Hales Early.
Origine: americana.
Maturazione: metà luglio.
Qualità: seconda.
Fertilità : molta.
Vigoria : moderata.
Clima: temperato.
Terreno: fertile.
Esposizione e situazione: buona.
Forme più adatte: vaso ed anche spalliera.
Soggetti da innesto: qualunque soggetto.
Sistema di coltivazione: campestre.
Descrizione della pianta: sana, di mediocre sviluppo: foglie strette e lunghe; ghian-
dole globulose, piccole; fiore rosaceo, molto grande.
Descrizione del fruito: forma media, ben colorato, striato di rosso verso il sole e
porta all'estremità del punto pistillifero, un mucrone incurvato. Polpa bianco-giallo-
gnola, molto saporita e spiccagnola. Semi rigonfii con mucrone ben pronunciato.
Precoce di Bivers (fig. 492).
Frane: Precoce de Rivers —Ted.: Rivers Friihpfirsich — Ingl. Early Rivers.
Origine: ottenuta da seme dal famoso selezionatore Th. Rivers di Sawbridgeworth.
Maturazione: nei primi 15 giorni di luglio ed è si può dire l'anello di congiunzione
fra le pesche americane e la Mignonne precoce.
- 641 -
Qualità : seconda.
Fertilità: media
Vigoria: moltissima.
Forme più adatte: pieni e mezzi venti.
Sistema di coltiimzione: frutteti casalinghi.
Descrizione della pianta: albero vigoroso che porta frutto anche sui rami deboli.
Foglie grandi con ghiandole reniformi. Fiore rosa, medio.
Proprietà della pianta: molto sana e resistente alle intemperie. Richiede jiotatura
lunga.
Fig. 491. — Precoce di Hate (grandezza naturale).
Descrizione del frutto: la più grande pesca delle precoci, rotonda: colore giallo-
pallida, leggermente arrossata dalla parte del sole ed all'estremità alquanto incavata;
solco appena pronunciato. Buccia molto tomentosa. Polpa bianco giallognola alquanto
arrossata intorno al nocciolo che si stacca con facilità, fondente, molto succosa e
fragrante
Difetti della varietà: quando è maturo, il frutto si spacca col nocciolo.
41 — Tamaro - Frutticoltura.
— 642 -
Regina dei frutteti.
Frane: Reine des Vergers — Ted.: Kònigin der Obstgarteu.
Origine: Francia.
Maturazione: nella prima decade di settembre.
Qualità: prima o seconda secondo la località.
Clima: buono e terreno fertile.
Località ed esposizione: riparata ed a mezzogiorno.
Forme più adatte: pieno e mezzo vento.
Fertilità: notevole.
Sistema di coltivazione: frutteti di speculazione.
Descrizione del frutto: albero con rami grossi, molto fitti, eretti, lunghi eccessiva-
mente, con poche foglie alla base. Foglie grandi, consistenti, abbondanti, ovali allungale,
molto acuminate, dentate. Picciolo cortissimo con piccole ghiandole reniformi, una per
lato. Fiori piccoli, di color rosa intenso.
Fig. 492. — Precoce di Rivers (L;rau<!e//a naturale).
Descrizione del frutto: pesca di grossezza considerevole, di forma ovoidale accor-
ciata, con la insenatura al peduncolo larga e profonda.
Buccia sottile che si stacca facilmente, molto tomentosa, giallo biancastra all'ombra,
jtunteggiata di rosso-porpora dalla parte del sole.
Polpa bianco-verdastra, rossastra sotto alla buccia ed intorno al nocciolo : abbastanza
consistente e molto succosa. Sapore zuccherino acidulo, profumato.
Nocciolo abbastanza grosso, ovoidale.
Osservazioni: si può innestare su (pialunque soggetto.
Saiwey.
Frane: Pòche de Saiwey — Ingl.: Sahvey,
Origine: è una varietà ottenuta dal colonello Saiwey (inglese) da un nocciolo pro-
veniente dall'Italia.
Maturazione: seconda metà di ottobre.
- 643 —
Qualità: prima, tenuto conto che è la pesca più tardiva.
Clima e terreno: temperato e terreno fertile.
Località e esposizione: riparata ed a mezzogiorno.
Forme più adatte: spalliera.
Fertilità: media.
Sistema di coltivazione: frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta: rami forti, numerosi, sfogliati alla base. Foglie numerose,
generalmente grandi, ovali allungate, con picciolo corto, flessibile, di color rosso san-
guigno e con ghiandole voluminose e reniformi. Fiori piccolissimi, rosa-scuri.
Descrizione del frutto: pesca di grossezza considerevole, di forma sferica, più o meno
gonfiata da un lato. Cavità al peduncolo aperta.
Buccia abbastanza sottile, che si stacca facilmente, coperta di molto tomento;
giallo biancastra dalla parte dell'ombra e giallo carico qualche volta macchiata di
rosso violaceo dalla parte del sole. Polpa bianco-ranciata, compatta, sanguigna presso
il nocciolo. Succo abbondante, dolce acidulo, profumato.
Nocciolo medio, elissoidc.
Osservazioni: albero vigoroso che però bisogna riparare dalle prime pioggie fredde
autunnali.
Vaga Loggia Duracina f(ìg. 493).
Sinomini: pesco noce Cotogno,
Area di coltivazione: Ferrara. Bologna, Firenze, Hste, Romagna.
Maturazione: metà agosto.
Qualità: la più preziosa delle pesche noci.
Fertilità: molta.
Sistema di coltivazione: campestre.
Descrizione della pianta: fiore piccolo, rosso vinoso.
Proprietà della pianta: si riproduce facilmente per seme.
Descrizione del frutto: forma media, depressa al peduncolo, tondeggiante alla cima,
colore giallo, sfumato di rosso; polpa gialla, duracina, sugosa, dolce profumata, senza
acidità, seme giallo con mandorla amara.
Osservazioni: chiamata Vaga-Loggia dai Toscani perchè era coltivata nel giardino
Medici della Vaga Loggia fuori Firenze. Chiamata anche Albeages nella Romagna e
questo indicherebbe la sua origne, dove queste pesche noci gialle si chiamano Mhergidos.
Vaga Loggia Spiccagnola (Og. 4i)4).
(Pesca noce cotogna sjìiccagnolai.
Origine: italiana.
Maturazione: metà agosto.
Qualità: prima
Clima: caldo e terreno molto buono da giardino.
Località ed esposizione: buona e riparata.
Forme più adatte: pieno e mezzo vento.
Fertilità: mediocre.
Sistema di coltivazione: coltivazione campestre.
Descrizione della pianta: non differisce dai peschi comuni. Il fiore ha i petali corti,
coloriti di un carnicino chiaro, e si spiegano solo dopo che gli stami sono sbocciati.
Descrizione del frutto: il frutto non ha una grossezza ben distinta, ma è aggraziato
nelle sue forme, ed è quasi sferico. La solita sutura che lo taglia da un lato, è appena
sensibile, e perciò non ne rileva quasi punto i lobi; la base ove è impiantato il pedun-
colo, sebbene un poco compressa si arrotondisce però colle labbra dell" incavamento,
che sono rilevate. La cima finisce in una specie di punta, che è un residuo del pistillo,
ma questa è piccolissima e non ne altera la rotondità. La buccia è gialla ed ha soltanto
(544
'Fig. 493. - Vaga Treggia duracina ('!■.).
Fig. 494. — Vaga T.oggia spiccagnola (';,).
— 645 —
una leggera sfumatura di rosso. La polpa gialla è butirrosa, mediocremente morbida,
di un sapore dolce profumato, punto acido.
Osseruazioni: Si trova particolarmente in Toscana — quantunque anche all'estero
sia conosciuta dai pomologi, con nomi diversi.
Si riproduce abbastanza fedelmente per seme.
4. Varietà di secondo merito.
Varietà di secondo merito ma che hanno pure una notevole importanza per certe
condizioni, sono le seguenti:
Sneed (fig. 495). varietà americana che matura 8 giorni prima dell'Amsden. Indub-
biamente è una varietà che ha avuto in questi ultimi anni una certa diffusione, però
il suo frutto più duracino dellAmsden, di sapore è molto inferiore. Conviene dare a
questa varietà quell'estensione sufficiente per produrre delle pesche per 8 giorni prima
che maturi l'.Vmsden. I.e qualità colturali sono simili a quella dell'Amsden.
Duracina bianca estiva (lìg. t9C), varietà italiana, molto diffusa un tempo, che si
riproduce fedelmente per seme. Matura alla line di luglio ed è forse la genitrice della
lUancona di Verona. Molte piante riprodotte in Toscana, Piemonte e Lombardia sono
diventale tardive.
Precoce di Croncels. — Ottenuta da IJaltet da un seme di Amsden, e messa in
commercio nel 18S9. Matura in agosto nel clima di Parigi. È una qualità d'amatori e d'av-
venire per il commercio. Buonissima, di grande fertilità e media vigoria. Adatta per le
forme a spalliera e pieno vento.
La pianta ha portamento divergente, coi rami di lunghezza e grossezza media,
rosso bruni dalla parte del sole. Lenticelle piccole ed abbondanti ; nodi poco rilevati ;
meritalli medi, gemme piccole, ovali ottuse, con lembo grande : picciolo medio e fragile,
ghiandole reniformi; fiore grande rosa pallido. Fioritura tardiva.
11 frutto è grosso, ovoidale, panciuto più o meno arrotondalo: punto pistillare
poco inarcato, insenatura del peduncolo leggera; buccia sottile, rosso-porporina, non
aderente; polpa biancastra o con leggera sfumatura rosea, fine, zuccherina, succosa,
d'un profumo aggradevole e pronunciato; seme abbastanza grande, ovoidale, panciuto,
non aderente.
Natalina fig. 497), che matura tardissimo dalla metà di novembre alla metà di
dicembre. E di grandezza mediocre con buccia gialla velata di rosso. Polpa duracina,
piena di sugo dolce, non acida. Molto profumata.
Si coltiva tuttora a Somma di Napoli sotto il Vesuvio ed a Salerno, dove il calore
dell'autunno asciutto, garantiscono dal guasto delle pioggie dando ai frutti quella" con-
sistenza di tessuti che li rende più forti e diffìcili a corrompersi.
l'esca noce spiccagnola gialla a buccia paonazza (fig 498). Questa non differisce che
l)er il colore, dalla pesca noce spiccagnola gialla o Vaga Loggia. Matura in agosto e fa
bene nei paesi meridionali. Eccezionalmente si trova in Lombardia e Toscana.
liurrona di Savona o Spiccagnola gialla agostenga (fig. 499) che si trova anche a Pisa
ed a Napoli. È molto esigente pel clima e terreno. Matura in agosto.
5. Varietà pei paesi caldi. — Per avere una conveniente suc-
cessione di pesche dal giugno all'ottobre, si possono consigliare le
seguenti varietà, a scopo industriale.
1. Sneed coltivato in qualità limitata, fino alla maturazione del-
l'Amsden e cioè fino alla terza decade di giugno.
2. Amsden, terza decade di giugno alla metà di luglio.
3. Precoce di Hale metà di luglio all'agosto.
4. Chevreuse precoce seconda metà d' agosto. Varietà vigorosa,
molto produttiva anche a pieno vento. PYutto sferico, oblungo, colore
rosso chiaro verso il sole. Polpa bianco verdastra.
64()
Fig. 195. — Sneed (grandezza naturale).
Fig. 496. — Duracina bianca estiva.
— G47 -
Fig. i!)7. — Natalina (- ;,).
Fig. 498. - Pesca noce spiccagnola a buccia paonazza C i)-
- 648 -
La Chevreuse potrebbe essere sostituita dalla Mignonne grande
precoce.
5. Maddalena rossa, seconda metà di agosto ai primi di settembre.
6. Regina dei frutteti prima decade di settembre.
7. Bella Bausse prima decade di settembre.
8. Poppa di Venere fine settembre (fìg. 500).
9. Baltet prima decade di ottobre.
10. Salwey seconda metà di ottobre.
6. Varietà ornamentali di pesco. — Demouilles. Varietà notevole
per il colore giallo carico dei suoi rami e delle foglie in autunno, come
pure per i suoi frutti grossi, giallo-scuri e rosso-porpora, molto buoni.
Fig. 499. — Burrona di Savona ('
Maturano nella seconda metà di settembre. Albero fertilissimo, di bel-
lissimo aspetto quando ha i frutti. I fiori hanno la forma campanu-
lacea e sono piccoli. Ghiandole reniformi.
Pesco a foglie rosse. È una varietà americana molto interessante,
introdotta in Europa nel 1873. Il frutto ha la buccia e la polpa comple-
tamente rossa. Le foglie sono ornamentali e di color rosso-sanguigno.
L'albero è molto vigoroso e robusto. Si presta benissimo per la colti-
vazione a pieno vento, ciò che permette di utilizzare questa varietà al
duplice scopo di avere dei frutti e di servire per ornamento. Fiori di
colore rosa-pallido. Ghiandole reniformi.
649 —
Pesco nano Aubinel. Albero molto vario con rami grossi e corti,
con foglie molto lunghe, ondulate e cadenti, verdi scure. Fertilità molta.
Frutto abbastanza grosso, di forma regolare, giallo d' oro con sfuma-
tura rossa. Spiccagnolo, con polpa giallo-ranciata, molto deliquescente
e dolce, di prima qualità. Per seme si riproduce fedelmente. E' varietà
molto vantaggiosa per la coltivazione in vaso.
Pesco Clara Mayer. Varietà a fiori doppi, di color rosa. Frutto
abbastanza grosso, ovoidale arrotondato, giallo verdastro, leggermente
colorato dalla parte del sole a pol-
pa giallo-verdastra succosa, spicca-
gnola, aromatica. Le frutta si uti-
lizzano per composte. Albero fertile
e d' ornamento.
7. Importanza della coltiva-
zione. — E" un albero di primaria
importanza poiché i suoi frutti
sono i migliori ed i più ricercati
da tutte le classi della popolazione.
La pianta alla sua volta produce
presto ed abbondantemente con re-
golarità quando è curata e razio-
nalmente piantata in località adatte.
Il pesco è il compagno della
vite e quindi da noi si può colti-
vare quasi da per tutto e, dalla
introduzione dei peschi americani
(1880), la coltivazione ha preso un
indirizzo veramente industriale.
8. Sistemi di coltivazione. — In tutti i sistemi di coltivazione il
pesco deve occupare un posto ragguardevole purché il terreno ed il
clima siano confacenti. Non deve quindi mancare nei frutteti casalinghi
con diverse varietà in modo da fornire di frutta la mensa del proprie-
tario dal mese di giugno a quello di ottobre. Cosi si può consociare
colla vite; nei broli, cogli ortaggi (cipolle, aglio, fagioli da cornetti
tardivi, piselli primaticci, asparagi) piantando i peschi a file distanti
8 metri e sulla fila a metri 4. Non é conveniente la coltivazione nei
campi molto estesi, perchè il pesco ha bisogno di essere molto curato
ed assistito colla potatura. Gli impianti industriali si fanno in buona
esposizione, allevando i peschi a mezzo vento e piantandoli a quin-
quonce di 4 metri di distanza, oppure nei frutteti chiusi, a spalliera
e contro spalliera.
9. Clima ed area di coltivazione. — Il pesco è più sensibile al clima
che alla natura del terreno. Esso esige molto calore ed abbondante
luce per maturare e colorare i suoi frutti e così la sua coltura in
grande, con indirizzo industriale non può essere fatta con vantaggio
che nel mezzogiorno e nella regione temperata occupata dalla vite.
Fig. 500. — Poppa di Venere (- J.
— (350 —
La sua coltura si è estesa più al nord grazie a delle varietà otte-
nute da seme ottenute sul luogo e che si sono acclimatate; oppure
perchè riesca, bisogna ricorrere a dei ripari artificiali.
I climi caldi o temperati ma regolari, gli convengono; le correnti
d'aria fredda, gli sbalzi di temperatura in primavera, le frequenti brine
danneggiano la fioritura ed il normale sviluppo dei rami.
Esso vegeta a 2", fiorisce a 5.4° e matura i suoi frutti a 20° Si può
coltivare fino a 47" di latitudine a pieno vento. Dalla caduta delle
foglie in autunno, allo sbocciare dei primi fiori, impiega in media
1100° C. di calore e per arrivare alla maturazione dei frutti 6004° G. Il
pesco può sopportare il freddo di 34 a 36" C. sotto zero.
Al pesco sono dannosi i venti, le rapide alternative di umidità e
di sole, le pioggie prolungate, le brine e i geli tardivi, in una parola
le sue esigenze per il clima sono quelle della vite. Nelle contrade molto
soggette alle brine bisogna rinunciare alla coltivazione del pesco a
meno che non venga riparato coltivandolo a spalliera.
Le diverse fasi di vegetazione del pesco avvengono in Italia nei
periodi indicati nel seguente quadro.
Tab. LI. Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le
principali fasi di vegetazione del pesco, nelle diverse regioni d'Italia.
Regioni
Pieinonle
Lombardia
Veneto .
Liguria .
Emilia
Marche ed Umbria
Toscana .
Vili. Lazio
IX. Meridionale Adriatica
X. Meridionale Mediterr.
XI. .Sicilia
XII. .Sardegna
^ ,. . 1 r- -x I Maturazione i Caduta
Fogliazione | Fioritura [ ^jgl frutto ! delle foglie
De-
cade
Aprile II Aprile
I • Marzo
II Aprile
Ottobre III
Marzo
III
Marzo
II
Luglio
III
Ottobre
I
Aprile
I
„
„
li
,
III
Marzo
III
III
Agosto
III
'_
II
Marzo i III Marzo III Sett. , 1 I Ottobre
I I I „ I Luglio III I Nov.
Febbr. Ili j Febbr. j II „ ! „ | Ottobre
» I !. I » i Giugno! „ I Nov.
10. Esposizione e situazione. — Per le spalliere è preferibile l'espo-
sizione a sud-est e sud-ovest. Il pesco dà migliori frutti e più sicuri,
se riparato dalle pioggie fredde della primavera, i fiori si conservano
più facilmente ed i frutti acquistano un bel sviluppo. A sud-est i ripari
non sono quasi necessari.
L'esposizione a mezzogiorno conviene meno, specialmente se il
clima è secco. Si riserva questa esposizione per le varietà molto pre-
coci o tardive. A mezzogiorno il pesco viene molto intaccato dagli
insetti e dura poco.
— 651 —
A ponente non conviene in via generale fare l' impianto percliè il
pesco ne soffre per i freddi, la fioritura riesce poco abbondante ed
incerta. Nei terreni caldi ed aereati però si può utilizzare anche
questa esposizione.
Le località migliori sono le vallate ben ventilate non soggette a
brina e riparate dai venti di maestrale oppure quelle leggermente
inclinate.
11. Terreno. — Come per il clima anche per il terreno il pesco si
assomiglia alla vite. I terreni leggeri, sabbiosi, siliceo calcari, sono i
più indicati, quantunque nel complesso non sia una pianta tanto esi-
gente. Nei terreni freddi, cretacei, troppo argillosi, si nota una tendenza
maggiore a contrarre la malattia della gomma ed un ritardo nella ligni-
ficazione. Nei terreni troppo aridi e poco profondi, dà frutti piccoli,
amarognoli, poco succosi, che cadono facilmente; invece nei terreni
umidi si hanno frutta acquose, insipide, di poca conservazione.
E' essenziale che il terreno sia profondo e sopratutto fresco e
soffice, affinchè le radici possano estendersi facilmente ed approfon-
dirsi, senza essere costrette a rimanere troppo alla superlìce e soffrire
per il calore e la secchezza.
12. Moltiplicazione. — Molte varietà di peschi, specialmente fra
quelli coltivati estensivamente nelle nostre campagne a pieno e mezzo
vento, si moltiplicano abbastanza fedelmente per seme. Siccome però
vi ha una generale tendenza ad allontanarsi dal tipo, converrà scegliere
i noccioli sulle piante più robuste, più franche di tipo, aventi le frutta
con noccioli piccoli i quali danno poi le frutta più grosse.
In via generale però, per non andar incontro all'incertezza di otte-
nere le piante desiderale, si ricorre all' innesto a gemma dormiente,
oppure a spacco. 11 primo è sempre preferibile al secondo.
I soggetti su cui si può innestare il pesco sono:
a) il franco, ossia il pesco ottenuto da seme;
b) il mandorlo;
e) il susino;
il) Y albicocco.
La scelta del soggetto è molto importante, perchè sotto questo
riguardo il pesco non è di facile adattamento.
La maggiore affinità 1' ha per il franco. Si sviluppa rapidamente e
fruttifica presto però a condizione che il terreno sia leggero, fertile,
profondo e fresco. E' per questo che vegeta tanto bene nelle alluvioni
della Romagna, dell'estuario Veneto, dove volendolo si può anche
irrigare.
La vegetazione sul franco si prolunga troppo in autunno, perciò
non conviene nei climi piuttosto freddi.
La pianta riesce vigorosa ma viene facilmente intaccata dalla gom-
mosi e dall'accartocciamento.
Le frutta riescono voluminose e saporite.
- 652 -
Per ottenere i soggetti si ricorre alla scelta dei semi come ho dianzi
eccennato. Siccome perdono assai presto la facoltà germinativa, è
necessario seminarli entro il mese dopo la raccolta od altrimenti
bisogna stratificarli entro sabbia e seminarli in aprile dell'anno ven-
turo, umettando prima la sabbia per una ventina di giorni, allo scopo
di affrettare la germinazione. La semina si fa a righe distanti 70 cm.
e 35 cm. sulla fila, collocando il seme alla profondità di 3 a 5 cm.
Nello stesso anno in agosto, ad 8 o 10 cm. dal terreno si fa l'innesto
a gemma dormiente, ricordando che sopra qualunque soggetto è
sempre meglio farlo quando la vegetazione sta nel declinare. Per
norma 1 kg. di seme contiene 400 noccioli.
Nel ferritorio di Gruniello, pel franco la miglior epoca è 1' ultima
decade di agosto; pel mandorlo la prima di settembre; pel susino la
prima metà di agosto e per l'albicocco la seconda decade di agosto.
L'innesto sul franco si fa sul posto per le forme a spalliera.
Il mandorlo è un soggetto di molto valore, poiché dà delle piante
vigorose, specialmente dopo il terzo anno di vita, e longeve. E' adatto
specialmente per i climi caldi e per i terreni calcari, profondi, fertili,
senza umidità stagnante. Si preferiscano per soggetti le piante ottenute
da mandorle dolci a guscio duro, provenienti da paesi caldi. Danno
delle piante più longeve e robuste che quelle a guscio tenero. Per
pieni venti e specialmente per le pesche noci, sono preferibili le man-
dorle amare a guscio duro.
11 pesco innestato sul susino ha radici non molto grosse e super-
ficiali, è perciò adatto per le località fredde, umide dei terreni argillosi,
poco profondi e dove ricevono l'irrigazione come negli orti. E' il sog-
getto più comune delle provincie settentrionali, e la pianta avendo poca
vigoria, si presta per i mezzi venti, cordoni e forme da spalliera in
genere. Sul susino si sogliono innestare le varietà precoci. Buoni sog-
getti di innesto sono i Dumas Noir e S. Julien. Sul primo ha maggiore
affinità, però la pianta si sviluppa lentamente. Il susino mirabolano
non è da raccomandarsi, poiché dà piante che nei primi due o tre
anni hanno un gran vigore e poi rimangono stazionarie e periscono
presto.
L' albicocco è un soggetto da preferirsi nei terreni aridi, magri, poco
profondi, dove non riescono i soggetti sopra accennati. Lo si pratica
molto per le forme libere.
Il pesco innestato sull'albicocco acquista precocità e le pesche
riescono più grosse e più saporite.
Tanto sul mandorlo che sul franco e sul susino, si ricorra sempre
a soggetti ottenuti da seme. Non si ricorra ai polloni perché si hanno
piante con tendenza ad esaurirsi emettendo continuamente polloni.
13. Caratteri vegetativi. — Il pesco, come del resto tutte le piante
da frutto a nocciolo, differisce da quelle a granella, per avere i fiori
ascellari e perché le gemme da fiore non possono trasformarsi in
gemme a frutto.
— 653 -
Sulle piante a nocciolo, le gemme a legno ed i fiori, si trovano
soltanto sul legno dell'anno precedente, mentre invece sulle piante da
frutto a granella, le gemme da fiori abbisognano di due e tre anni
per costituirsi.
Il pesco è molto fiorifero. Le piante fioriscono a soli tre anni d'età
e successivamente le fioriture si seguono anche in modo eccessivo,
cosi da asaurire la pianta molto presto. La fioritura avviene soltanto
sui rami formatisi l'anno precedente e i rami giovani non si svilup-
pano che sul legno d'un anno, perciò il pesco ha la continua ten-
denza di portare la vegetazione all' estremità dei rami rimanendo la
parte inferiore denudata.
E' questa una delle ragioni che rendono difficile la coltivazione
del pesco a spalliera e tutto lo studio del frutticoitore è rivolto spe-
cialmente a combattere questa tendenza e a mantenere la vegetazione
in basso. A ciò serve la divisione del fusto in rami e la teoria del
taglio di rinnovo.
Lasciando il pesco a se stesso, succede che nei primi anni esso
dà delle gettate molto vigorose e poi di anno in anno sempre più
deboli fino a ridursi esclusivamente a rami da frutto. Dopo questo
momento, succede non di rado che uno o l'altro dei rami ed anche la
pianta intera perisce per mancanza di vegetazione fogliacea. Quanto
più vecchia e debole è una pianta, tanto più fiori essa dà, perciò come
per tutte le piante ma molto di più per il pesco che si esaurisce
presto, occorre che il frutticoitore sappia bilanciare la produzione
fogliacea colla foglifera. Preponderando la prima si ha un fruttifica-
zione incerta e di poco buona qualità; colla seconda si esaurisce la
pianta.
14. Gemme e rami. — Più sopra, nei caratteri botanici generali
della pianta del pesco, ho fatto notare che le foglie sono isolate o
unite per due o tre.
All'ascella di ogni foglia si trova una gemma e quindi quando ve
ne sono due o tre si hanno anche due o tre gemme riunite.
aj La geiìuna semplice si trova alla base o all'estremità dei rami
vigorosi, nonché lungo i rami a frutto e sui rami anticipati. Queste
gemme isolate si trovano distanziate fra loro, condizione opportuna di
cui il frutticoitore si vale per rinnovare i rami. Queste gemme non
hanno mai delle gemme lalenli, così che, se per una causa qualunque
abortiscono, il ramo per quella porzione rimane denudato. Da questa
gemma semplice può derivare tanto un ramo legnoso che fruttifero.
La tendenza di queste gemme a trasformarsi in fruttifere è tanto più
grande quanto più è sottile il i-amo e quanto meno linfa esso riceve.
Alla base di qualche foglia, specialmente sui rami molto vigorosi, la
gemma può abortire.
b) La gemma doppia è molto rara, mentre invece è frequente la
tripla, specialmente lungo i rami a legno più vigorosi ed anche alla
stessa loro estremità. Il frutticoitore taglia di solito sopra queste gemme
— 65i —
triple quando vuol avere un getto vigoroso di prolungamento, accec-
cando le due gemme laterali. Se invece vuol avere una biforcazione
mediocremente vigorosa, sopprime la gemma di mezzo e lascia intatte
le due laterali.
Le gemme a legno sono piccole, appuntite, allungate; quelle a fiore
sono globose, quasi sferiche e fra le squame, quando cominciano entrare
in succo in primavera, lasciano scorgere i primordi rosa dei petali.
Anche le gemme a fiore possono essere isolate, aggruppate o ac-
compagnate da gemme a legno.
e) La gemma a fiore isolata si trova sui rami deboli, lungo i brin-
dilli e predomina nei peschi deboli o su quelli allevati a pieno vento.
Generalmente però non dà frutto, se sopra ad essa non si trova una
gemma a legno che attiri la linfa.
d) Raramente si trovano le gemme a fiore doppie e triple. Invece
molto di frequente si trovano 2 gemme a fiore unite ed una da legno
posta nel mezzo. Questa produzione è la più perfetta, dà un buon getto
di prolungamento ed i frutti migliori. Non si trova che sui rami meglio
costituiti.
Sopra un nodo di ramo di pesco si possono quindi trovare:
1 2 3 gemme a legno riunite.
12 3 „ „ frutto
1 gemma a legno ed una gemma a frutto
2 gemme a legno ed una gemma a frutto nel mezzo
1 gemma a legno nel mezzo e 2 gemme da frutto laterali.
Se una gemma non dà alcun germoglio nell'anno successivo alla
sua formazione, si atrofizza, perchè come abbiamo già detto, le gemme
latenti mancano o sono rare nel pesco.
a) I veri rami a legno, cioè senza gemme a fiore si trovano sol-
tanto sulle piante giovani; del rimanente ogni ramo a legno ha, almeno
air estremità qualche gemma a fiore. Di solito ha una lunghezza di
m, 0.50 ad 1.
b) Abbiamo anche i succhioni o vermerne, i quali sono più vigo-
rosi (arrivano anche a m. 1.50 e non portano che gemme a legno, rara-
mente qualche gemma a frutto verso 1' estremità. Su questi sono fre-
quenti le gemme a legno triple.
e) Infine si hanno i cosidetti ranìi anticipati, i quali sorgono sul
prolungamento dei rami o germogli cimati e sono per lo più sprovvisti
di gemme alla base. Anche su questi si può trovare le gemme termi-
nali, qualcuna a frutto.
I rami da frutto del pesco sono dunque in parte comuni con quelli
da legno. Di questi rami bisogna distinguere:
aj 11 dardo a mazzetto (Vig. 113). Esso è corto (3-6 cm.) eretto, ed è
frequente sulle branche. Porta da 4-5 gemme a frutto con una gemma
a legno nel mezzo all'estremità e raramente alla base. E' un buon ramo
— 055 —
che dà delle frutta grosse ma da questo è difficile allevare un ger-
moglio che lo riuipiazzi dopo che ha fruttificato.
b) Nel pesco i brindilli sono sottili, lunghi 10-20 cm. e si svilup-
pano sulle branche poco vigorose e ombreggiate.
Talvolta il legno non riesce a maturare, rimanendo tenero in modo
che durante l'inverno facilmente dissecca o se arriva a riprendere la
maturazione, ha una breve durata.
Il brindino non porta che delle gemme a frutto isolate od a due
od a tre, però non sono mai accompagnate da gemme a legno. Porta
soltanto una gemma a legno all'estremità e talvolta un'altra alla base.
11 brindino devesi considerare come un buon ramo a frutto ma
avendo raramente delle gemme alla base è difficile sostituii'lo.
e) I rami misti misurano da 3 a 6 mm. di diametro ed una lun-
ghezza che varia da 25 a 50 cm. (fig. 117).
Il migliore ramo misto è quello che ha la grossezza di una penna
d'oca. Se è grosso come una matita è già troppo forte e dà pochi frutti.
I rami misti, chiamali anche ramuli sono indubbiamente i migliori
organi della fruttificazione del pesco. A partire dalla l)ase, hanno sempre
prima da 2 a 6 gemme a legno; successivamente, delle gemme a frutto
isolate e binate con una gemma a legno nel mezzo.
15. Potatura. — Si è sempre sentito dire che il pesco teme il col-
tello, poiché si dice che i tagli provocano la malattia della gomma.
E' un fatto, che il pesco tagliato durante l'inverno si rimette più
difficilmente dei tagli e che se nell'interno dei tessuti del legno c'è già
della infezione di gommosi, questa si manifesta poi esteriormente con
una copiosa colatura di liquido gommoso. Sta anche il fatto, che noi
passando col potatoio da una pianta infetta ad una sana, possiamo por-
tare la malattia a quest'ultima.
In ogni caso si può affermare che sul pesco è preferibile di ope-
rare colla potatura verde perchè i tagli si rimarginano più sollecita-
tamente ma che anche la potatura a secco è indispensabile.
1. Potatura secca. Passiamo ora in rassegna i diversi rami sui
quali si opera la potatura secca
a) 11 ramo a legno ordinario se è destinato a formare la impal-
catura della pianta Io si taglia a quella lunghezza che lo richiede la
forma. Se invece da questo si vogliono ricavare dei rami a frutto, lo si
taglia a 2 gemme se debole, a 4 se vigoroso, perchè da queste vengano
dei rami fruttiferi.
b) I succhioni, si svettano alla base se deformano la pianta oppure
se da questi si vogliono ricavare dei rami a frutto, si tagliano più lunghi
dei rami precedenti e cioè a ()-8 gemme, perchè se tagliati più corti
darebbero dei rami infruttiferi.
e) Rami anticipati. Volendoli conservare si tagliano sopra alle due
gemme della base per avere due germogli; se hanno delle gemme a
frutto si tagliano a 15 cm.
d) I dardi si lasciano intatti e si sorveglia che dalla gemma termi-
- 656 -
naie a legno sorga il germoglio che li rimpiazza. Se il germoglio del-
l'estremità perisce, periscono i frutti. Talvolta abortiscono le gemme
a frutto ed allora il germoglio dell'estremità si converte in un dardo
allungato, che darà frutto nell'anno venturo. Se si sviluppa invece un
germoglio dalla base, allora si taglia il dardo sopra questo, appena
esso ha fruttificato.
e) Brindilli. Quelli che non hanno gemme a legno alla base, si
tagliano sopra la quarta o quinta gemma a frutto e, dopo la fruttifi-
cazione si tagliano alla base.
Quelli invece, provvisti di una gemma a legno alla base, se interessa
in quel punto di avere un germoglio di sostituzione, allora si sacrifi-
cano i frutti, tagliando il brindillo sopra alla gemma a legno. Se il
brindino è sprovvisto di gemme a frutto, allora non dà che un ger-
moglio all'estremità.
f) I ramuU se lasciati a se stessi, producono tanti nuovi germogli,
quante sono le gemme a legno, i quali a loro volta daranno frutti nel-
l'anno venturo, lasciando denudato il ramulo. In questo modo il ramo
si allungherebbe portando frutti soltanto all'estremità.
Bisogna quindi opporsi a questo esquilibrio e ciò si ottiene col
rinnovare ogni anno e vicino ad esso il ramo che ha già dato frutto.
Sappiamo anche che la distanza fra le gemme a frutto è molto varia-
bile e secondo della varietà della pianta e del terreno. Ad esempio nei
terreni secchi, ciottolosi, le gemme a frutto sono molto più avvicinate
che nei terreni compatti ed umidi.
Per queste ragioni non è possibile dettare una regola assoluta sulla
lunghezza a cui si devono tagliare i rami misti. Bisogna preoccuparsi
delle seguenti regole:
a) Che ogni branca porti alla distanza di 10 a 15 centimetri cos-
tantemente dei rami a frutto.
b) Di far produrre ad ogni ramo un numero di frutti propor-
zionato al suo vigore.
e) Di assicurare lo sviluppo delle due prime gemme a legno, che
si trovano alla base di ogni ramulo.
Se il ramulo è vigoroso conviene lasciare a 6-8 gemme a frutto; se
il ramulo è medio, si tagli sopra la quarta o sesta gemma a frutto; se
è debole, se ne lasciano soltanto due o tre; se infine fosse debolissimo,
si taglia sopra la seconda gemma a legno e cioè si fa uno sperone per
assicurare lo sviluppo di due germogli pel prossimo anno. Come si
vede, il taglio bisogna regolarlo in base al numero delle gemme che
si lasciano e non in base alla lunghezza del ramulo.
Non è raro di trovare sul pesco dei rami a frutto aventi soltanto
delle gemme a fiore isolate e all'estremità una o due gemme a legno.
Ciò si riscontra più sugli alberi adulti che sui giovani e sui rami
più ombreggiati. In questo caso, dovendo tagliare sopra una gemma a
legno, bisognerebbe lasciarli intatti. Siccome però questi rami riescono
raramente a portare frutti, conviene addirittura sopprimerli facendo
uno sperone.
— 657 -
Sui peschi giovani molto vigorosi e specialmente su quelli innestati
sul mandorlo, si lianno talvolta dei rami sviluppatissimi a guisa di suc-
chioni. Essi possono servire a rimettere una pianta. Alcuni suggeriscono
di speronarli a due gemme per provocare dei getti nuovi che potreb-
bero diventare fruttiferi ma quest'ultimo caso è quasi sempre impos-
sibile per la soverchia affluenza di linfa, ed allora conviene tagliare
invece a cm. 15-20, per ottenere dei ramuli di vigore medio adatti per
portare frutto.
Nella fìg. 501 abbiamo un ramulo di pesco che si taglia sopra 4 gemme
a frutto in a. In conseguenza di questo taglio si cimano (fig. 502) in b i
Fìg. 501.
Taglio di un ramulo
di pesco.
Fig. 502.
Taglio verde dei germogli
sorti dal ramulo precedente.
Fig. 503.
Potatura secca
del ramo precedente.
due germogli dell'estremità e i due germogli sottostanti si scacchiano
in a), mentre si allevano i due germogli della base e e d, che daranno
frutto l'anno venturo.
Nell'inverno del secondo anno, se le gemme a frutto del primo
germoglio sono abbastanza vicine (fig. 503) si taglia in a il ramo di due
anni, ed in b il ramo di un anno che porterà frutto.
Nel caso però che questo ultimo germoglio avesse le gemme a
fruito troppo distanti, come si vede in A nella fig. 504, lo si sperona
in a, e l'altro ramo si lascia a frutto tagliandolo in b.
Nella fìg. 505 è rappresentato il ramo precedente durante la vege-
tazione coi segni in cui si devono cimare i germogli e cioè i germogli
U si schiacciano ed il germoglio dell' estremità del ramo a frutto, si
cima in a.
Raccolto il frutto, nell'inverno successivo (fig. 506) si recide alla
base in a il ramo che ha dato frutto; dei due altri germogli, il più
42 — TAM.\no - Frulticoltitra.
- 658 -
lontano semplicemente si taglia sopra 4 a 6 gemme da frutto in /) ed
il più vicino si sperona in e.
Nel caso che si trovassero dei brindilli senza gemme a fiore, questi
si speronano addiritura.
Nella pratica agricola, la soppressione del ramo che ha dato frutto,
si chiama taglio del passalo; l'accorciamento di quello che deve darlo,
taglio del presente; il taglio per fare lo sperone, si chiama taglio del-
l' avvenire.
Le operazioni di cui abbiamo parlato fino ad ora riguardano in
gran parte la potatura secca che si opera durante il riposo della vege-
tazione ossia durante tutto l'inverno. Per alcune varietà sulle quali
Fig. 504.
Potatura d'un ramo a frutto
collo sperone.
Fig. 505.
Potatura verde
del ramo precedente.
Fig. 506.
Potatura secca
del ramo precedente.
male si distinguono nel tardo autunno le gemme a legno da quelle a
frutto, conviene ritardai-e la potatura nella seconda metà di febbraio in
modo da terminare tutte le operazioni 15 giorni prima che avvenga la
fioritura.
2. La potatura verde riguarda le seguenti operazioni : la scacchia-
tura, la cimatura, il diradamento dei frutti, la legatura in verde e la
irrorazione delle piante con acqua.
aj Colla scacchiatura si sopprimono i germogli inutili, per assi-
curare un buon sviluppo a quelli che devono diventare dei rami a
frutto o dei rami di formazione della pianta.
La scacchiatura si fa quando i germogli hanno la lunghezza di
5-10 cm. e si opera in più volte per non arrestare tutto d'un tratto la
linfa e che provocherebbe la gommosi.
Sui rami di formazione si scacchiano tutti i germogli fuori posto
lasciando quelli di prolungamento e quelli destinati a dare delle branche
da frutto.
- 659 —
Sui rami da frutto si conservano:
i germogli della sommità che attirano la linfa (b fig. 502);
quelli che sorgono a lato di un frutto ;
i due germogli della basse che devono dare i rami di sostitu-
zione (e e d fig. 502).
I rami che portano le gemme a legno producono specialmente
all'estremità tre germogli. Per il prolungamento si lascia quello di
mezzo ed i due laterali si scacchiano.
bj La cimatura regola lo sviluppo dei germogli.
La cimatura del pesco differisce notevolmente da quella delle altre
piante. Difatti, oltre di avere i rami a frutta organizzati diversamente,
si ha anche nel pesco un continuo movimento vegetativo dalla prima-
vera all'autunno, cosi che la cimatura bisogna farla più di frequente
e non deve farsi neppure tanto corta. Nelle piante a granella invece il
massimo sviluppo dei germogli lo abbiamo in maggio ed agosto.
Intanto i germogli che si sviluppano lungo i rami di prolunga-
mento non si devono lasciare a sé stessi, poiché il loro vigore è nocivo
ai germogli terminali e di più, porterebbero delle gemme a frutto solo
all'estremità. Bisogna quindi lungo l' estate, seguire il loro sviluppo
colla cimatura, per impedire che abbiano a prolungarsi troppo.
Difatti, quando questi germogli laterali hanno passato la lunghezza
di cm. 40 si cimano a cm. 30-35, ossia sopra la decima foglia (fig. 507)
e si legano, nelle forme appoggiate, alla intelaiatura.
Se invece ci si accorge già in primavera presto, che il germoglio
crescerebbe molto vigoroso, ciò che avviene di frequente sui peschi
innestati sul mandorlo e sulla parte superiore delle branche, conviene
allora fare la cimatura quando il germoglio ha appena cm. 15 di lun-
ghezza e si cima sopra la quarta o la quinta foglia, il che equivale fra
i cm. 10 e 15. Questa cimatura che si fa nella prima metà di maggio,
ha lo scopo di provocare lo sviluppo di due germogli sottostanti, che
saranno meno vigorosi del germoglio da cui sorgono. Anche questi
germogli, raggiunta la lunghezza di cm. 30-35 si cimano.
In seguito alla prima cimatura, avviene quasi sempre alla estremità
lo sviluppo di uno a due germogli. Se ve ne sono due, si taglia il più
alto ed il più basso si cima a cm. 10-15 (sopra la quarta o quinta foglia);
se ve n' ha uno solo, si cima sopra la terza foglia in a, oppure in e,
fig. 508 se il germoglio è molto vigoroso. Questa operazione si fa in
luglio.
Occorre di sovente una terza cimatura e precisamente nei primi
giorni di agosto, poiché si ha una seconda generazione di falsi ger-
mogli da quelli cimati in luglio o dalle gemme inferiori. In questo caso
conviene svettare col potatoio addirittura alla base, sopra il primo falso
germoglio in e fig. 509, per conservare un solo brindillo per frutto.
Queste cimature si devono fare gradualmente mano a mano che
i germogli raggiungono la lunghezza voluta, ossia nella prima metà
di maggio, nella prima metà di luglio ed ai primi di agosto.
- 660 -
La cimatura dei rami a frutto si opera nel seguente modo.
Colla potatura secca noi abbiamo lasciato i ramuli distanti cm. 15
uno dall'altro, tagliandoli a diversa lunghezza (a fìg. 501). In conse-
guenza si hanno sei germogli (fìg. 502). Di questi i due più alti perchè
accompagnano il frutto ed allo scopo di ingrossarlo si cimano sopra
la quarta o quinta foglia b b (a cm. 10); i due germogli inferiori si
Fig. 507. — Prima cimatura
di un germoglio di pesco.
Fig. .508. — Seconda cimatura.
scacchiano in a a, e ciò per rinvigorire i due germogli della base e
e d che devono dare frutto il prossimo anno. Questi ultimi si cimano
a cm. 30-35.
Se invece dei ramuli si sono fatti degli speroni, si trattano i ger-
mogli che usciranno come quelli che crescono lungo le branche e che
si vogliono avere fruttiferi.
Nella fig. 510 ho rappresentato la cimatura di un ramo misto, che
porta due frutti.
— 6G1
Le gemme a vennero accecate, perchè si sviluppino soltanto due
germogli bb della base che daranno i rami di sostituzione ed un ger-
moglio solo all'estremità, per attirare la linfa.
Le due gemme miste della metà del i-amo hanno dato ciascuna un
frutto ed un germoglio laterale, il quale venne cimato dopo l'allega-
mento del frutto sopra la terza
foglia. Nel medesimo tempo, si
cima il germoglio di prolunga-
mento sopra l'ottava foglia.
In luglio si fece una seconda
cimatura a due foglie sui ger-
mogli sorti dalla gemma termi-
nale e e si accorciò il germo-
glio b al punto indicato con li-
neetta trasversale, e cioè sopra
r ottava foglia, mentre l' altro
germoglio vicino venne lasciato
intatto perchè meno vigoroso.
Infine in d è indicato il punto
che si fa il taglio in verde, alla
raccolta dei frutti.
e) Diradamenlo dei frulli.
Questo si fa quando il nocciolo
è formato e si lasciano tante pe-
sche quante si vede che possono
essere alimentate conveniente-
mente dalla pianta godendo aria
e luce.
Chi deve fare il diradamento
deve essere molto esperto, cono-
scere la vigoria della pianta e lo
sviluppo che prendono i frutti a
maturazione.
Generalmente si lasciano due
pesche per ogni ramo misto, una
per ogni dardo a mazzetto ed
una per ogni brindillo.
Il diradamento si fa con una
forbice accuminata e si applica specialmente nelle forme addossate.
d) La legaliira in verde si fa quando i germogli hanno la lun-
ghezza di 30 a 40 cm.
e) Taglio in verde si fa per sopprimere quei rami che hanno i
liori abortiti, tagliandoli sopra i germogli di sostituzione della base.
Nelle varietà specialmente precoci ed a pieno vento, consiglio anche
di tagliare, alla raccolta dei frutti, il ramo che li porta sopra i ger-
mogli di sostituzione.
Fig. 509. — Terza cimatura.
- 662 -
f) Il pesco ha molto bisogno di freschezza per sviluppare il suo
frutto nei mesi caldi di luglio ed agosto. Se in questo periodo per-
mane un tempo secco, i frutti diventano pietrosi, si arrestano nello
sviluppo, i tessuti induriscono e ritardano la maturazione.
Si rimedia a questo colle sarchiature, coprendo di paglia o di le-
tame il terreno circostante, colla irrorazione od anche colla irrora-
zione della fronda delle spalliere alla sera tardi o durante la notte.
g) Taglio di ringiovanimenlo. Questo taglio si può applicare con
vantaggio nel pesco specialmente a mezzo vento ed a vaso. Avviene
difatti con facilità, che le branche rimangono sguernite di rami in
basso dopo 12 o 15 anni di vegetazione. Allora conviene nel mese di
maggio, alla ripresa della vegetazione, tagliare le branche principali a
Fig. 510. — Cimatura di un ramo misto.
20-30 cm. dalla loro prima biforcazione. Si ottengono subito nell'anno
dei germogli i quali nell'agosto stesso conviene innestarli a gemma
alla base.
Non conviene mai ringiovanire poche branche per volta.
L'operazione dell'innesto ha il vantaggio di assicurare una migliore
e più pronta fruttificazione semprechè la gemma sia stata presa da
pianta sana e da germogli di rami ben fruttiferi.
Questa pratica seguita a Massa Lombarda dà degli ottimi risultati.
16. Forme. — Il pesóo si può allevare a forme diverse prestandosi
molto la natura della pianta. Le forme però più pratiche sono fra le
libere, la forma bassa a vaso; fra le appoggiate: /' U semplice e doppia
e la palmella Verrier a 5 od a 6 branche.
1. Forma bassa a vaso a branche oblique, col fusto alto da 30 a
60 cm. (pag. 140) in media 50. V. lìg. 511 e 512.
I peschi giovani danno gettate più forti dai rami laterali, perciò
prendono naturalmente la forma a vaso.
Si piantano intanto a dimora esclusivamente delle piantine di un
anno di innesto non tanto vigorose, perchè abbiano tutto il fusticino
663
Fìg. 511. — Pesco, forma bassa a vaso.
Fig. 512. — Pesco, forma bassa a vaso.
- 664 —
ben provveduto di gemme. Questo fusticino si taglia a 50 cm. ossia al-
l'altezza a cui si vuole la biforcazione.
Durante il primo anno si allevano (re germogli all'estremità diri-
gendoli a 35° di inclinazione.
Nel secondo anno si tagliano questi germogli divenuti rami a
40-50 cm. sopra due gemme laterali e situate ad eguale livello delle
gemme terminali degli altri due rami.
Durante l'anno si scacchiano i germogli che crescono all'interno
ed al di sotto; si applica la cimatura a quelli situati a destra ed a
sinistra per ottenere dei rami a frutto; si lasciano intatti i germogli
di prolungamento.
Nella primavera del terzo anno la pianta si presenterà con 6 branche
avente ai lati delle borse, dei brindilli, dei rami misti o dei rami
a legno.
Colla potatura secca si tagliano intanto i prolungamenti delle bran-
che a medesimo livello, alla distanza di altri 40-50 cm. sopra al taglio
fatto nell'anno precedente e sopra due gemme laterali. I rami che si
trovano lungo le branche, se si trovano verso l' interno si svettano ; a
quelli laterali ed in fuori si applicherà la potatura dei rami a frutto.
Se sono dardi si lasciano intatti ; se brindilli si applicherà la potatura
indicata a pag. 656 e cosi se sono misti. Se invece si tratta di rami a
legno questi si speroneranno (pag. 655), per avere dei rami più deboli
che porteranno frutto nell' anno venturo. Lungo le branche si abbia
r avvertenza di sviluppare dei rami fruttiferi a 25 cm. di distanza in
posizioni alternate.
Lungo l'anno si avrà cura : di allevare i germogli di prolungamento
inclinati di 35o; si scacchiano i germogli che crescono all'interno e
che si trovano in cattiva posizione, sempre allo scopo di aereare la
pianta; agli altri rami si applicherà la cimatura coi criteri suggeriti a
pag. 659 per mantenere i frutti sui rami che si trovano e per ottenere
dei nuovi rami che li possano surrogare.
Nella primavera del quarto anno la pianta porterà 12 branche,
numero questo sufficiente per un vaso. Queste branche si tagliano a
metà del loro prolungamento e sopra una gemma che guarda in fuori.
I rami che si trovano lungo le branche si tratterranno come nel-
l'anno precedente.
Durante il quarto anno si curerà un solo prolungamento per ogni
branca, avendo l'attenzione che ogni prolungamento disti da quello
della branca vicina, di 50 cm. Ai germogli e rami sottostanti si appli-
cherà quella potatura verde che abbiamo già descritto per gli anni
precedenti.
In quattro anni, come si vede, noi abbiamo la pianta già formata
che avrà un'altezza ed un diametro di circa 2 metri.
Negli anni successivi si farà la cosidetta potatura di mantenimento,
la quale consiste :
a) nel curare che le branche si mantengano fra loro alla distanza
di 50 cm. :
— 665 —
b) nel tagliare ogni anno il loro prolungamento a medesimo livello
e ad una distanza varia equivalente a V21 ^/a ed anche soltanto a 5-10 cm.
a seconda della vigoria. Se il prolungamento è molto vigoroso, con-
viene tagliare a Vs. se mediocremente vigoroso, come di solito avviene
fra il quinto e l'ottavo anno, si taglia a metà; successivamente basta
tagliare sopra 5-10 cm. Il taglio si faccia sempre sopra una gemma a
legno e si lasci sempre il prolungamento isolato ;
e) le cure intorno ai rami laterali ad ogni branca devono avere
lo scopo di mantenere la fronda bene aereata nelT interno e di procu-
rare che questi rami laterali siano fruttiferi ;
d) V aereazione si ottiene scacchiando i germogli e tagliando i
rami che vanno all' interno ;
e) per ottenere lungo le branche dei rami a frutto, si deve avere
cura di allevarli alla distanza di 25 cm. uno dall' altro, cominciando
colla potatura verde. Nella potatura secca, i brindilli, i dardi si lasciano
intatti; i rami misti si tagliano come è indicato a pag. 656; i rami a
legno se vigorosi, si tagliano a quattro gemme, se deboli a due, per
ottenere quattro o due rami che daranno frutto nell'anno venturo;
f) se un ramo laterale alle branche porta due o più rami ;
aaj se il ramo inferiore è a legno ed il superiore a frutto, si
taglia a due gemme il primo (speronandolo) ed a 6-10 gemme a frutto
il secondo ;
bb) se i due rami sono misti, si conserva soltanto il più vicino,
lasciandoci 6-10 gemme a frutto;
ce) se il ramo più lontano è a legno ed il più vicino a frutto, si
conserva quest' ultimo soltanto con 6-8 gemme a frutto ;
dd) se alla base si hanno dei dardi a mazzetto o dei brindilli ;
si tengono due di queste produzioni per il frutto e se una d'esse, ben
collocata, porta un occhio alla base, si taglia al di sopra di questo;
y) nelle forme libere il taglio a sperone raramente riesce, e perciò
bisogna limitarsi al taglio sopra un solo ramo misto;
hj nelle varietà fertili, come nell' Amsden, tutte le gemme dei
rami anticipati, comprese le stipulari, possono essere fruttifere ;
i) nella forma a vaso il rischio della perdita dei (ìori e dei frutti
è maggiore, perciò, il taglio dei rami a frutto, si fa più lungo;
l) nelle forme a vaso pur non potendo sempre applicare rigoro-
samente la potatura verde e secca indicata, bisogna procurare almeno
di fare una scacchiatura, una cimatura ed una mondatura d'inverno.
2. Forma a vaso ottenuta colla sola potatura verde. — Per evitare
i tagli in secco, i quali se non sono ben fatti e riparati da mastice,
provocano facilmente la gommosi, già dal 1896 (1), raccomando per
ottenere dei vasi di limitare la potatura secca alla sola mondatura dei
rami morti, deperiti, disseccati e di attenersi esclusivamente alla pota-
ci) Vedi Conferenze di Frutticoltura tenute a Milano nell'anno 1896.
Società Agraria di Lombardia.
- 666 -
tura verde, sia per ottenere l'impalcatura della pianta, sia per mante-
nere la fruttificazione.
Questo sistema ha incontrato il favore di molti pratici agricoltori
ed anche dei contadini i quali in generale sono ritrosi a tagliare il
pesco durante r inverno. Una larga applicazione l'ab-
biamo nelle campagne di Massa Lombarda. Che le
piante arrivino ad acquistare una bella forma con questo
metodo e che diano una abbondante fruttificazione lo
dimostrano le due fotografie che riporto di due piante
da me ottenute (fig. 511 e 512).
Piantati i soggetti di un anno di innesto, non troppo
vigorosi (lig. 513), questi vengono lasciati intatti.
Quando la pianta comincia a dare dei germogli,
cioè circa alla metà di giugno, si scelgono tre di questi,
i migliori ed equidistanti, che si dipartono possibilmente
dall' altezza di cm. 50 (fig. 514 /) e tutti gli altri si ta-
gliano via compresa l'asta di prolungamento fig. 514 A).
Fig. 513. Ciò ha lo scopo di concentrare i succhi della pianta
^d^^nnesfo^"*' Sopra tre branche sole, le quali, nel primo anno, si la-
sciano intatte.
Nel secondo anno, durante il riposo della vegetazione, le piante
non si toccano; al più si leva qualche ramoscello secco.
Quando però incominciano ad entrace in vegetazione e quando i
germogli hanno raggiunto la lunghezza di cm. 15, il che avviene alla
fine di maggio, bisogna operare un taglio verde. Questo consiste nello
scacchiare tutti i germogli che nascono al centro della pianta e che
lasciati si trasformerebbero in succhioni (fig. 515 C). Si sopprimono
pure quelli nati lungo le tre branche, meno i due che sorgono lateral-
mente e distanti dalla loro inserzione almeno cm. 30 (fig. 515 B).
Fatte queste operazioni, la pianta avrà la forma a vaso com-
posta di sei branche, le quali si lasceranno sviluppare fino al mese
di luglio.
Nella seconda metà di questo mese (fig. 516) i germogli laterali
delle branche tendono ad avere uno straordinario vigore a scapito dei
sottostanti.
Questo s' impedisce mozzando l'asta di prolungamento a 40 cm. di
distanza (fig. 516 C) della loro inserzione e cimando i germogli laterali
ad 8-10 foglie (fig. 516 rf). Cosi noi concentriamo la linfa nelle gemme
sottostanti e diverranno fruttifere.
Nel terzo anno si lasci pure intatta la pianta durante l' inverno.
In primavera i brindilli laterali sulle branche non mancheranno di
portare fiori. Non conviene lasciarli tutti; in ogni caso nel terzo anno
si può ricavare una certa quantità di frutta.
Quando i frutti hanno allegato ed i nuovi germogli hanno acqui-
stato la lunghezza di 15 cm., ossia alla fine di maggio o ai primi di
giugno, si fa la potatura verde.
Bisogna allora prendere in considerazione la potatura per ottenere
l impalcatura della pianta, quella per i rami a fruito pemienti, quella
Fig. 514. — Pianta precedente
dopo un anno.
Fig. 515. — Primo taglio verde
della pianta precedente nel secondo anno.
Fig. 516. — -Secondo taglio verde della pianta precedente.
per provocare la formazione di nuovi rami a frutto per il prossimo
anno, ed infine quella che serve a liberare dai succhioni.
608
Per la prima si scelgono due rami laterali che si dipartono almeno
a 30 cm. dall'inserzione e si tagliano a metà. Gli altri germogli si scac-
chiano e si cimano a 10 foglie a seconda che con la loro posizione
convenga sopprimerli o trasformarli in rami a frutto.
I rami che portano frutto si cimano a 4 foglie sopra l'ultimo frutto
(fìg. 517) e quelli che non ne hanno o non si vogliono lasciare, si
tagliano sopra due foglie dalla base (fig. 517 /). Si lasciano queste due
gemme, perchè da queste vengano
due germogli i quali, trasformali in
brindilli, dovranno poi dar frutto.
Nello stesso anno, in luglio, bi-
sogna potare nuovamente.
Si comincia col sopprimere i
succhioni.
Se dalle foglie lasciate sopra i
frutti, si è sviluppato qualche ramo
anticipato, si cima sulla seconda
foglia. Dall'accorciamento dei rami
fatto a due foglie nel mese di giu-
gno si saranno sviluppati due ger
mogli. Se non si sono ramificati si
cimano sulla decima foglia ; se si
sono ramificati, si tagliano sopra il
germoglio più vicino alla branca.
Le branche terminali infine porte-
ranno dei nuovi rami specialmente
all'estremità. Bisogna tagliarli in modo che dalla base all' estremità
vengano sempre meno in lunghezza cosi da lasciare la pianta con sole
12 branche.
Nel mese di agosto e settembre si raccolgono i frutti e si prendono
col ramo che li porta tagliandolo però a due gemme dalla base.
Da queste due gemme, prima ancora che termini la stagione, si pos-
sono sviluppare due buoni germogli.
In agosto conviene anche pensare agli ultimi germogli. Nel caso
che ve ne siano molti, se ne lasciano uno o due soli, quelli più vicini
alla branca e i rimanenti si tagliano (fig. 509). 1 rami laterali che pos-
sono essersi sviluppati alle estremità delle branche si accorciano, e la
estremità delle branche si taglia a due terzi.
E con ciò siamo arrivati al quarto anno.
La pianta si presenterà a vaso formata da 12 branche, ciascuna
delle quali porterà dei rami da frutto.
Anche su questi durante l'inverno non si tagliano che i rami
secchi. In primavera si lasciano allegare i frutti, ed essendo questi in
minor numero dei fiori, cosi non conviene tagliare d'inverno nessun
brindino.
Quando i fiori hanno allegato, si tagliano i rami a 4 foglie sopra
Fig. 517. — Potatura verde nel terzo anno.
- 669 -
r ultimo frutto, quelli che non ne hanno si speronano a due gemme.
Si procura il prolungamento delle branche, tagliando sopra una gemma
elle guarda in fuori.
3 Le forme ad U semplice, U doppia, a palmette Verrier (fig. 518
e 519) a ') e 7 Ijranche si ottengono come è stato descritto a pag. 158;
soltanto si deve avere l'avvertenza di tenere le branche a 50 cm. di
distanza e quindi bisogna piantarle ad una distanza multipla di50cm.
quante sono le branche.
Nella potatura di produzione si avrà cura di tenere le branche
costantemente fornite di rami a frutto disposti a destra ed a sinistra
delle branche verticali. F"atta la potatura secca, i brindilli ed i ramuli
si legano inclinati, alla intelajatura. Dopo la prima cimatura, si legano
Fig. .')18. — Palmetta Verrier
a 5 branche.
Fig. 519. — Palmetta Verrier
a 7 branche.
inclinati anche i germogli quando hanno raggiunto la lunghezza di
40 cm , disponendoli in modo che coprano tutto il muro.
Va da sé che nelle forme appoggiate bisogna curare tutte le ope-
razioni di potatura secca e verde che abbiamo già descritto.
17. Impianto e cure di coltivazione. — Il pesco, più dai geli
invernali, ha bisogno di essere protetto dalle brine di primavera e
dalle pioggie fredde che possono colpirlo durante la fioritura. Perciò,
in molle località dell'Italia settentrionale, dove queste e quelle sono
frequenti, è possibile soltanto la coltivazione del pesco allevato a spal-
liera, mentre nella generalità dei territori della vite il pesco si può
allevare a forme libere con pieno successo, come nell' Italia centrale
e meridionale.
Per le forme libere bisogna scegliere delle piante innestate sul
mandorlo o sul pesco, di non più di un anno d'età. Il mandorlo è
preferibile piantarlo in autunno. Trattandosi di pieno vento si fanno
- (Ì70 -
dei filari distanti 20 m. e sulla fila si pianta a 10 m. Per mezzo vento
queste distanze si possono ridurre alla metà ed anche meno. Dopo 15
o 20 anni, quando le piante deperiscono, si pianta un nuovo filare nel
mezzo. Il pesco ordinariamente lo si coltiva lungo i margini dei vigneti
senza fare loro danni sensibili, oppure lungo le strade e i viali.
L'esperienza mi ha dimostrato che è molto conveniente la forma
a vaso, il cui fusto si biforca a 50 cm. dal terreno. Colla chioma svasata
si asseconda di più la natura della pianta che tende, anche se abban-
donata a se stessa, a biforcarsi appunto a quell'altezza; poi si ha il
vantaggio di avere minori danni per l'ombra. In questo caso si pian-
tano in quadrato alla distanza di ni. 3,50 a 4 nei frutteti industriali. Sulle
costiere secche e mezzane, a 5 metri o meglio a quinconce alla di-
stanza di 4-5 metri.
Volendo lavorare il terreno con un aratro, o volendo intercalare
la coltura di ortaggi (fagioli, piselli, pomidoro, ecc.), si fanno dei filari
distanti 8 metri e le piante si collocano a 4 metri sulla fila.
Ho già detto che al pesco è preferibile fare i tagli in verde, ossia
durante il corso della vegetazione. II taglio in verde si comincia nei
primi giorni di giugno e successivamente colle cimature e scacchia-
ture devesi operare in modo da limitare il più possibile le operazioni
della potatura secca.
18. Concimazione. — Le più importanti esperienze sulla concima-
zione del pesco sono quelle del sig. S. Dayton di New-Jersey, il quale,
dopo 10 anni di prove, è venuto alle seguenti conclusioni ;
1. Lo stallatico influisce sul rigoglio della pianta e sulla quantità
del prodotto, fa ritardare però la maturazione dei frutti. Lo stallatico
decomposto oppure i terricciati, migliorano considerevolmente le pro-
prietà fisiche del terreno e sono di molta efficacia negli impianti. Una
loro applicazione abbondante e continuata può però essere di danno,
poiché il legno non arriva a completa maturazione e le piante sono
più soggette a malattie. II colaticcio ed il pozzonero si devono adope-
rare ancora con maggiore precauzione.
2. I concimi chimici possono sostituire completamente Io stalla-
tico ed applicandoli, si realizza una notevole economia di spesa. Il
vantaggio consiste essenzialmente in ciò, che i tre elementi principali:
azoto, anidride fosforica e potassa, si possono somministrare nelle
proporzioni richieste dalle più svariate condizioni del terreno.
3. La potassa agisce specialmente sulla produzione legnosa della
pianta e sulla quantità e sviluppo delle frutta. Che il solfato di po-
tassa — come succede di frequente — sia preferibile al cloruro di
potassio non è stato ancora sufficientemente dimostrato. Il quantitativo
necessario per ogni pianta sarebbe gr. 300-500, oppure per ettaro con
450 alberi kg. 135-225 di cloruro di potassio o solfato di potassa. 1 sali
greggi di potassa (compresa la kainite) bisogna adoperarli con precau-
zione, perchè i diversi sali contenuti nelle impurità, danneggiano il
pesco che è molto delicato.
- 671 -
4. L'anidride fosforica favorisce l'allegamento dei frutti e la loro
maturazione. Annualmente ne vengono richiesti gr. 80-160 per albero,
oppure kg. 36-72 di anidride fosforica in un ettaro, contenente 450 piante.
Del perfosfato al 18 % se ne richiedono quindi da gr. 450 a 500 per
albero, ossia kg. 200-400 per ettaro. Con eguale risultato si possono
applicare anche le scorie Thomas, specialmente negli impianti.
5. L'azoto favorisce lo sviluppo delle foglie, del legno e dei frutti.
Ad una concimazione fosfo-potassica è indispensabile un' aggiunta di
azoto; però un eccesso di azoto è dannoso, inquantochè le frutta allora
ritardano la maturazione e le piante vengono colpite facilmente dalla
gommosi. Annualmente dando gr. 65 di azoto con gr. 400 di nitrato,
oppure kg. 30 di azoto con kg. 180 di nitrato per ettaro, si fa una con-
cimazione sufficiente.
Quando si tratta di rinvigorire delle piante adulte, o quando si
hanno dei terreni poveri, conviene aumentare questa quantità.
6. La potassa e l' anidride fosforica devono costituire la base
della concimazione del pesco e devono esser portati sul terreno possi-
bilmente d'autunno o durante l'inverno, e si sotterrano perchè vengano
a trovarsi vicino alle radici. Tutte e due queste sostanze, danno alla
pianta un aspetto più vigoroso ed il prodotto aumenta di quantità e
migliora di qualità. L'azoto, a seconda del bisogno, si dà in primavera
ed in estate.
7. La calce è indispensabilissima per le piante a nocciolo, e fa
aumentare notevolmente la ricchezza zuccherina dei frutti. Non è con-
sigliabile la calce viva, poiché sovente danneggia le piante, ma invece il
carbonato di calce o la marna calcare. Nei terreni abbastanza ricchi di
calce, è sufficiente la calce che si importa coi perfosfati o colle scorie.
8. Per ottenere un completo successo dalle concimazioni, bisogna
che a queste facciano seguito diligenti lavorazioni del terreno ed una
appropriata potatura.
Queste conclusioni andrebbero d'accordo coi dati analitici forniteci
dalla stazione sperimentale dì Geneva (Stati Uniti) , meno però per
quanto riguarda l'azoto e la calce.
lo ho visto sempre i migliori peschi nei terreni fertili, ricchi di
azoto e di calce.
Una buona formola di concimazione è la seguente, per pianta che
occupa 20 m^ di superficie:
Solfato ammonico o calciocianamide grammi 120
Nitrato di soda ,,120
Scorie Thomas o perfosfato ... ., 600
Solfato di potassa „ 400
Dando le scorie conviene adoperare la calciocianamide e dando il
perfosfato bisogna impiegare il solfato ammonico. Il nitrato di soda si
dà separato in primavera, mentre il solfato ammonico e la calciocia-
namide si danno in autunno cogli altri concimi.
— 672 —
19. Raccolta e conservazione dei frutti. — Le pesche si raccolgono
quando comincia a schiarirsi il fondo verde della buccia ; quando il
colore ed il profumo sono più accentuati; quando l'epidermide non è
più tanto tesa. Le pesche destinate per la spedizione devono essere
raccolte prima che raggiungano la loro maturazione assoluta. Le pesche
duracine si prestano meglio delle altre ai trasporti pei paesi lontani e
le pesche mai acquistano un sapore migliore se raccolte immature e
poi lasciate qualche giorno sopra una tavola distesa come avviene per
le mele.
Per favorire il colore brillante delle pesche si può fare qualche
sfogliatura parziale, tagliando le foglie sopra il picciolo. Questa sfo-
gliatura non si deve fare però che quando comincia il periodo di
maturazione. Si operi gradatamente in modo da conservare sempre
almeno tre foglie sopra il frutto e togliendo di preferenza quelle che
al frutto danno ombra.
Le pesche non si devono raccogliere nelle ore più calde ; si avvol-
gono colla mano o con un pampino di vite, si fa un leggero movimento
di torsione senza comprimere la polpa e poi si collocano, avvolte dal
pampino, in cesti bassi aventi nel fondo del fieno o paglia. A Montreuil
la raccolta si fa dalle 5 alle 8 ore di mattina, dovendo raccoglierle
nelle ore calde, si fanno raffreddare all'ombra prima di imballarle.
L'imballaggio (vedi anche a pag. 373) si fa in panieri rotondi, se-
parando le pesche a seconda della loro grandezza e destinando per le
piccole, canestri diversi di quelli delle grandi. Si imballano col fieno
o coi truccioli di carta, avvolgendo ogni pesca con una foglia di
vite o carta. Delle pesche grosse si fanno strati da 8 pezzi; delle piccole
da 15, facendo poi fuori del paniere una specie di cono che si avvolge
con della tela. Ogni canestro di pesche grosse ne contiene 4 dozzine e
di piccole, 8 dozzine.
Questi canestri ripieni, si chiudono poi dentro a grandi cestoni in
numero di 6 a 9 per ogni cestone-, si possono caricare sul cavallo,
oppure spedire per ferrovia.
Trattandosi di spedizioni in grande si possono mandare entro
cestoni alla rinfusa, avendo cura di collocare le pesche meno mature
al di sotto. Questi cestoni sono per lo più rotondi con coperchio con-
vesso ed il fondo e le pareti si rivestono con paglia di segale.
Se le pesche sono destinate ad essere consumate subito si suole
levare con una spazzola fine, la peluria che le ricopre.
20. Usi. — La pesca è il frutto più fine e delicato e, sotto molti
rapporti, è migliore dell'uva. Accontenta l'occhio, costituisce uno dei
migliori ornamenti da tavola, ha un profumo soave, un gusto squisito
ed il solo suo difetto è di conservarsi poco. Per prolungare la sua
conservazione si tengono le pesche nelle ghiacciaie.
Si serve la pesca al suo stato naturale, oppure con essa si fanno
conserve, canditi, marmellate, sorbetti, paste ed altre confetture.
Mangiate in quantità notevole, le pesche sono rilassanti e non facil-
— 673 -
mente digeribili da tutti gli stomaci. La polpa è molto succosa, zuc-
cherina, leggermente acidula e profumata.
Secondo Fresenius la loro composizione sarebbe :
Acqua 80,24% Gomma .... 4,85%
Sostanze albumi- Acido malico . . 1,10 „
noidi 0,93 „ Calce 0,06 „
Cellulosa .... 1,21 „ Zucchero .... 11,61 „
Le persicate, le marmellate, ecc., si fanno colle pesche duracine;
colle pesche a polpa molle e profumate si fa anche un vino. Negli anni
di abbondanza si può far fermentare la polpa ed ottenere colla distil-
lazione un'acquavite ricercata, di gusto particolare. Le pesche si so-
gliono anche essiccare e la California si distingue per questa industria.
Le foglie di pesco in infusione nel latte caldo, sono ricercate per
la confezione di una crema ed in infusione nell'acqua calda si adope-
rano per sciacquare le botti.
I fiori di peschi si adoperano per fare uno sciroppo medicinale e
le mandorle servono come condimento aromatico a diverse sostanze
alimentari.
21. Dati economici. — Inizia la sua produzione al 3.''-5." anno
dall'impianto con 3-5 kg. di frutti per pianta, acquista e conserva la
sua produttività massima, in media 10-12 kg. sino a 25-30 kg., dal-
l'anno 8. "-IO." sino al 18."-20.«
II conto colturale di un pescheto, nel quale sono state collocate
le piante a m. 8 di distanze da filare a filare ed a m. 4 sulla fila, con
coltivazione intercalare di ortaggi, sarebbe il seguente per ettaro:
Prodotto.
Piante N. 312 per Kg. 30 di pesche a L. 20 . L. 1872,—
Piselli Kg. .3.500 a L. 20 „ 700,—
Pagi u oli da cornetti Kg. 2500 a L. 30 . . „ 750,—
Totale prodotto L. 3322,—
Spese.
Acquisto del terreno L. 5000, —
Scasso e sistemazione „ 2000, —
Acquisto di piante N. 312 a L. 0,50 . . . „ 156,—
Impianto N. 312 a L. 0,20 ,. 62,40
Imjìoste, lavori, trattamenti, cure per 3 anni
prima della produzione , . . . „ 450,—
Concimazione di 3 anni „ 600,—
Totale spese L. 8268,40
ì — Tamaro - Frutticoltura.
— 674 —
Quindi un ettaro di pescheto, quando comincia a fruttificare costa
circa L. 8300.
Ritenuto clie la metà dei prodotti vadano in spese, si avrebbe
sopra un capitale di L. 8300 la rendita netta di circa 1600, che rappre-
senta l'interesse del 19% sul capitale impiegato.
22. Malattie e cause nemiche. (V. pag. 500).
ALBICOCCO
(Armeniaca vulgaris Juss — Fam. Rosacee).
Nomi volgari italiani della piatila — Albicocco comune, Pesco ar-
meniaco, Armeniaco, Meliaco, Umiliaco, Armellino.
Nomi volgari italiani del frutto — Albicocca, Albercocca, Arme-
niaca, Pesca armeniaca, Meliaca, Armellino, Umiliaca, Moniaca, Biri-
coccola.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane: Abricotier — Ted. :
Aprikosenbaum — Inglese: Gommen Apricot.
Nomi volgari stranieri del frutto — Frane: Abricot — Ted. Aprikose
Ingl. : Apricot.
1. Origine. — L'albicocco è originario dell'Asia (China) e dell'Africa
specialmente delle coste del Mediterraneo. Nella China e nel Giappone
è consumato allo stato selvatico.
Sembra che i Romani 1' abbiano importato dalla Siria ed Armenia
ai tempi di Plinio. In quest'ultimo paese, allo stato domestico, il frutto
raggiunge la sua massima perfezione.
2. Caratteri botanici della pianta. - E' un albero che può arrivare
all'altezza di oltre 6 metri, nella regione mediterranea, colle ramifica-
zioni divaricate da formare una chioma tondeggiante. >
Radice fìttonosa.
La scorza del tronco è bruno- violacea screpolata; i rami sono ros-
sastri e distesi in gioventù; i rami secondari sono corti, divergenti e radi.
Internodi corti; gemme piccole, appuntite, multiple, portate sopra
un cuscinetto abbastanza sporgente. Gemme latenti frequenti special-
mente sui rami vecchi. Gemme a frutto unifloii.
Foglie accartocciate se giovani, liscie, lucenti, dentate irregolar-
mente, ovate, un po' cuoriformi alla base, accuminate all' apice, colla
pagina superiore di color verde scuro e più pallide sulla pagina infe-
riore. Picciolo lungo, solcato, glanduloso.
Fiori grandi solitari con calice rosso e petali bianchi o rosei, con
gambo breve. Appaiono nella primavera prima delle foglie.
Il frutto è una drupa globosa complessa su due faccie, gialla e
molto saporita. Buccia più o meno ranciata, tinta di rosso nella parte
che guarda il sole, ricoperta di una sottilissima lanuggine, e con un
solco molto marcato, più che nella pesca, che dal gambo si stende
— 675 —
fino airestremilà opposta. Polpa più o meno aderente al nocciolo, più
o meno succosa e profumata.
Nocciolo di figura globosa ed alle volte un poco compressa o cuo-
riforme rotonda, liscio ed alato.
3 Classificazione delle varietà.- La classificazione più usata e quella
basata sul seguente schema (vedi Tab. IJl) e nella Tab. LUI mdico le
principali qualità colturali delle varietà raccomandate.
Tab. LII.
Schema di classificazione delle varietà di albicocche.
Grandezza
Mandorla del
frutto
Mu-I
dolce
gnaghe)
grande
piccolo
grande
piccolo
Forma del
frutto
rotondo
< ovale
( allungato
^ rotondo
ovale
( allungato
i rotondo
ovale
f allungato
; rotondo
' ovale
( allungato
■ rotondo
, ovale
( allungalo
rotondo
ovale
allungato
N. progr.
(fella
famiglia
I
li
IH
IV
V
VI
VII
Vili
IX
X
XI
XII
XllI
XIV
XV
XVI
XVII
XVlll
Varietà Consigliate
\ Alessandrina lucente precoce
' Alessandrina lucente tardiva
Liabaud
\ Romana, di Nancy, di Tours
ì Alessandrina gialla precoce
Reale
Alessandrina gialla precoce (lìg.
DAlexandrie Ted.: Friihe gelbe Alexandrinische
520).
-[ Ing. : Early Moorpark.
Desrrizione della pianta (Leroy): legno forte, rami abbastanza numerosi grossi e
lunghi, eretti alla sommità, di color rosso bruno. Lenticelle piccole, rotonde, gialle.
" Gemme di color bruno, grosse, ovoidali, ottuse, aggruppate a tre fino ad otto.
Foglie numerose, grandezza media, cordiforme arrotondate, brevemente accumi-
nate, grosse, di color verde carico brillante al disopra. Picciolo corto, grosso e rigido,
leggermente scanellato, ghiandoloso, di color verde sanguigno e generalmente accom-
pagnato da una o due orecchiette.
Fiori grandissimi, bianchi, con petali rilevati fra le nervature ed il calice rosso.
Frutto meno che medio, ovale rotondo, con solco largo e rotondo all' estremità e
stretto nel mezzo. Cavità al peduncolo larga ed il punto pistiUare saliente o legger-
mente rientrante. Buccia tomentosa, giallo-citrina con sfumature grigie e con macchia
rossa sfumata dalla parie del sole; polpa giallo-pallida, consistente, non aderente al noc-
ciolo. Succo abbondante, zuccherino, molto profumato, un poco acidulo. Nocciolo pic-
colo, ovoidale-rotondo. Mandorla amara.
Vegetazione: pianta di mediocre vigore e di fertilità soddisfacente. Fiorisce subito
dopo il mandorlo ed è il più precoce degli albicocchi.
Maturazione: fine giugno.
Qualità: prima.
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Fig. 520. — Alessandrina gialla precoce (a mandorla'.amara - '/s grandezza).]
Fig. 521. — Alessandrina lucente precoce {'j, grandezza).
— 678 —
Coltivazione: per la sua straordinaria precocità e pel suo sviluppo limitalo questa
varietà si coltiva esclusivamente a spalliera ed in buona esposizione, riparata dai venti
freddi e dalle intemperie. Esige terreno buono e si può innestare tanto sul franco che
sul susino. È diffuso nell'alta Italia nonché sulla costiera Ligure e nel Pisano. Gallesio
descrisse questa varietà cai nome di Alessandrino o mandorla amara.
Fig. 522. — Alessandrina lucente tardiva ('/a grandezza).
Alessandl'ina lucente precoce (fìg. 521).
Sinomini: Albicocco lucente, Albicocco precoce, Alessandrina gialla precoce.
Questa varietà è stata descritta dal Gallesio che così ne parla:
Albero assai vegeto, ricchissimo di messe prima verdognole poi rosso-brune, con
fogliette rossiccie alla cima, che poscia divengono verdi. Fiori abbondanti, raggruppati,
come a mazzetti. Frutto piccolo, orbicolare, leggermente solcato da una sola parte;
buccia bianchiccia, poi di un bianco-giallo men carico di quello dellalbicocco di Ger-
mania, da noi descritto sotto il nome di albicocco di Nancy, e meno carico di quello
delle Alessandrine comuni; qualche volta si colora di una leggiera velatura di rosso:
polpa giallognola, delicata, gustosa: nocciolo, tondo rilevato, contenente una mandorla
— 67i) —
dolce Matura verso la metà di giugno. L' albero è feracissimo nel Napoletano, nella
Sicilia, nella Liguria, nella Sardegna a neir Isola di Malta. Nelle restanti provincie
d'Italia non riesce che con grandissime cure.
Alessandrina lucente tardiva (fig. 522).
Sinomini: Alessandrino di Sardegna, Alessandrino di Malta, Alessandrinetto, Mas-
simin, Mognaga o Mugnaga dei Lombardi, Umbeliaco dei Bolognesi.
Gallesio cosi la descrive:
È una sotto-varietà dell'albicocco lucente precoce, dal quale differisce solo per
l'epoca diversa in cui giunge a maturità. È la migliore delle albicocche dopo la lucente
precoce. Si ottiene per innesto ed anche per seme; coltivasi a pieno vento, ed a spal-
liera con maggior sicurezza di buon successo, verso levante nei paesi meridionali, ed
a mezzogiorro altrove. È questo il meliaco o mognaga di Lombardia o del Piemonte,
coltivato con tanto profìtto dai «ttaiuoli e dai proprietari a pieno vento nei campi di
tutto il Siccomario, vasta tenuta fra il Gravellone, il Ticino ed il Po, nelle vicinanze di
)>avia. Il frutto è spiccagnolo, buonissimo, fragrante allorché si coltiva a piena aria
ed al sole, nel qual caso sviluppasi a mezzana grossezza, acquista un color giallo d'oro,
ovvero di carota e spesso diviene rognoso da una parte: all'ombra rimane giallo-ver-
diccio, insipido. La polpa ne è di un bel giallo come la buccia dolce zuccherina a
mandorla dolce. Matura a metà luglio.
Comune o romana.
Frane: Abricot Commun — Ted.: Gemeine Aprikose - Ing.: Common Apricot.
Descrizione della pianta; legno forte; rami numerosissimi, orrizzontali, verde-bruni
alla base, eretti e rosso-scuri all'estremità, con macchie verdi, grossi, lunghi. Lenticelle
rotonde, di grandezza varia, salienti, grigie e molto avvicinate.
Gemme abbastanza grosse, ovoidali-ottuse, nerastre aggruppate a tre.
Foglie numerose, piccole, tondeggianti, più larghe che lunghe, verdi-giallastre
superiormente e verdi-biancastre sulla pagina inferiore. 1 lembi sono dentati a sega.
Picciolo corto, di grandezza media, rigido e con molte ghiandole, con leggera scannel-
latura, rosso al disopra e verde al disotto.
Fiori bianchi, globulosi, di media grandezza, col calice rosso-verdastro.
Frutto men che medio di grandezza, di forma ovoidale leggermente appiattito ai
lati, solco stretto e profondo ed una metà più sviluppata dell'altra. Insenatura al pedun-
colo media, l'estremità opposta mammelliforme. Buccia grossa, leggermente tomentosa,
giallo biancastra dal lato dell'ombra, giallo-aranciata dalla parte del sole, con sfuma-
ture rosse e puteggiature nere, rugose. Polpa giallo-ranciata, liquescente, non aderente al
nocciolo. Succo abbondante, acidulo-zuccherino, leggermente profumato. Nocciolo abbas-
tanza grande, ovoidale-rotondo; mandorla amara.
Vegetazione: di molta vigoria e di grande fertilità.
Maturazione: metà luglio.
Qualità: È una delle migliori per fare composte ed è delle più ricercate pel grande
commercio.
Coltivazione: per il suo vigore, rusticità, e per la sua fioritura tardiva si racco-
manda pel pieno vento. Sottoposta a forme ristrette si rende meno produttiva ed anche
i frutti perdono di profumo. Sopporta bene le intemperie.
È una varietà molto coltivata all'estero ed in Italia. Fra le varietà comuni dell'alta
Italia non è difficile trovarne.
Frutto da conserve.
Liabaud.
Descrizione della pianta (Leroy): legno forte, rami abbastanza numerosi, eretti al-
l'estremità, lunghi, di color bruno rossastro con sfumature verdi. Lenticelle rade, grandi,
giallastre e prominienti. Gemme piccole o medie.
— G80 -
Foglie grandi o inedie, cordiformi, brevemente accuminate, verdi-scure-brunastre
sulla pagina superiore e verdi-chiare sull'inferiore. Dentatura fine. Picciolo rosso-vivo,
lungo, con ghiandole, scanelato con qualche orecchietta.
Fiori piccoli, bianco rosati col calice rosso-amaranto.
Frutti voluminosi, ovoidali allungati, con solco stretto, ma profondo. Insenatura al
peduncolo poco sviluppata. Buccia leggermente tomentosa, giallo-aranciata, punteggiata
di rosso-porpora e lavata di rosso-chiaro brillante dalla parte del sole. Polpa molto
gialla, consistente, aderente al nocciolo. Succo abbastanza abbondante, acidulo più o
meno profumato. Nocciolo grossissimo, ovoidale allungato, appiattito. Mandorla amara.
Vegetazione: pianta vigorosa che fiorsice tardi ed è molto fertile.
Maturazione: prima metà di luglio. Varietà delle più precoci.
Coltivazione: è una varietà adatta pei nostri paesi meridionali. Si alleva ad alto
fusto, va soggetta ai danni delle brine, perciò si scelgano località riparate.
Luizet (fìg. 523).
Frane. : Luizet — Ted. ; Luizets Aprikose.
Descrizione della pianta: legno forte, rami robusti, eretti alla sommità, debolmente
abbassali alla base, lunghi, un po' fragili, coli' epidemia sfogliato, di color bruno-ros-
sastro con sfumature verdi. Lenticelle rade, grandi, giallastre e prominenti. Gemme
brevi, rotonde, per lo più unite a tre.
Fig. 523. Fig. 521.
Albicocca Luizet (Vs grand, nat.) Albicocca di Nancy ('/^ grand, nat.i.
Foglie grandi, cuoriformi, tondeggianti, brevemente accuminate, con dentatura
grossolana: verdi-cupe al disotto e verdi chiare al disopra; picciolo rosso-vivo, lungo,
di grossezza media, incanalato con ghiandole.
Fiori tardivi, grandi, bianchi e prima di cadere leggermente rosati col calice di
color rosso-amaranto.
Frutto molto grande, di forma ovoidale (largo mm. 58 ed alto 62 mm), con solco
stretto e profondo al peduncolo: buccia leggermente tomentosa, giallo-citrina, punteg-
giata di rosso-porpora e dalla parte del sole rosso-chiara brillante; polpa finissima,
giallo-citrina, consistente non farinosa, non aderente al nocciolo. Succo abbondante,
dolce, acidulo e straordinariamente fine. Profumo gradito.
Nocciolo grossissimo, ovoidale-allungato, appiattito. Mandorla dolce.
Vegetazione: vigorosa, produttiva.
Maturazione: alla metà di luglio.
— 681 -
Qualità : è una delle migliori albicocche da tavola, e delle preferite per conserve
e per l'esportazione.
Coltura: Questa varietà viene raccomandata per la sua vigoria e fertilità nonché
per la facilità di adattamento al clima e terreno. Nell'alta Italia è delle preferii)ili : nel-
r Italia meridionale si hanno varietà indigene migliori. Conviene esclusivamente la
forma dell'alto fusto. Fiorisce lardi. Varietà di primo ordine pel commercio.
Di Nancy (fig. 524).
Frane: Pi-che di Nancy — Ted.: Aprikose von Nancy.: Ingl.: Hroom Park.
Descrizione della Pianta: legno forte, rami abbastanza numerosi, eretti, grossi, lunghi,
poco flessuosi, di color bruno scuro con lenticelle numerose, rotonde e leggermente
sporgenti.
Gemme ben marcate, grosse, conico-appuntile unite in gruppi di tre.
Foglie grandi, tondeggianti, con estremità a punta molto lunga, di color verde
brillante sulla pagina superiore e più pallide sulla pagina inferiore. I.embo dentato.
Picciolo grosso e lungo, debolmente scanellato, un poco ghiandoloso, rosso sangue al
di sopra e rosso sbiadito al di sotto, talvolta munito di una o due orecchiette all'estremità.
Fiori grandi o medi, coi petali bianchi leggermente rosati vicino al punto d'inser-
zione. Calice rosso verdastro.
Frutto di grandezza media, di forma ovoidale arrotondata, ipiasi regolare, con
solco molto largo, ma poco profondo. Cavità al peduncolo vastissima, la punta del frutto
saliente. I?uccia leggermente tomentosa, giallo aranciata, punteggiata, con macchie di
color camino dalla parte del sole. Polpa ben colorata in giallo, tenera, delicata, che si
stacca dal nocciolo. Succo abbondante, profumato delicatamente e molto zuccherino,
punto acidulo. Nocciolo gonfio, ovale arrotondato, con un foro da poter far passare un
ago, nella costa. La mandorla è amara.
Vegetazione: pianta molto vigorosa e produttiva. Fioritura precoce.
Maturazione: fine luglio, al 15 agosto, si può lasciare il frutto più a lungo degli
altri sulla pianta, senza che diventi farinoso. La maturazione è progressiva.
Qualità: prima sotto tutti i rapporti.
Coltii>azione: riesce bene con tutte le forme, ma è la varietà preferita per le spal-
liere. Avendo la fioritura precoce ed essendo molto produttiva, esige la migliore espo-
sizione ed un buon terreno.
In Francia si chiama albicocca-pesca, perchè raggiunge la grossezza di una pesca.
È originaria di Pegenas e fu introdotto a Parigi intorno al 1743.
Tiene il primato per le albicocche a polpa gialla.
Questa varietà è molto diffusa all'estero: in Italia è stata illustrata dal Gallesio col
nome di Albicocco di Germania. Egli dice di averla trovata soltanto nel Genovesalo, nel
Piemonte e nel Pisano. Io l'ho trovata anche in Istria e specialmente nelle Isole Quar-
naro. A Napoli è chiamata crisomniolo Peres o Peres.
Qualità prima per conserve e per candire.
Reale.
Frane: A. Royal — Ted.: Kónigs Aprikose — Ingl.: Grange.
Descrizione della pianta (Leroy) : legno forte, rami numerosi più o meno eretti, di
color olivastro all'ombra e rossi dalla parte soleggiata. Lenticelle numerose alla base,
di color bianco e prominenti. Gemme voluminose, conico arrotondate, unite a gruppi
di tre.
Foglie molte, piccole o medie, rotondo accuminate, verdi-chiare al disopra e gial-
lastre al disotto, con dentatura irregolare. Picciolo medio, scanellato, con ghiandole;
rosso dalla parte del sole e rosa alla parte opposta.
Fiori grandi, apparescenti, bianchi al disotto e rosa al disopra col calice di color
rosso sanguigno.
- 682 —
Frutto men che medio, irregolare, con solco ben marcato. Seno al peduncolo, largo
e profondo. Buccia tomentosa, bianco-giallastra dalla parte dell'ombra, giallo aranciata
dalla parte del sole con punteggiature di color rosso porpora.
Polpa giallastra, liquescente, molto fina, che si stacca molto bene dal nocciolo. Succo
abbondante, molto dolce, di sapore vinoso ed acidulo profumato, dei più graditi. Noc-
ciolo ovoidale quasi appiattito. Mandorla amara.
Vegetazione: pianta molto vigorosa e fertilissima. Fioritura piuttosto precoce. Rustica.
Maturazione: seconda metà di luglio.
Qualità: prima.
Coltiuazione: nei luoghi riparati conviene allevare questa varietà ad alto e mezzo
fusto. Xeir Italia settentrionale a spalliera fa abbastanza bene, ma non è mai tanto pro-
duttiva sotto questa forma.
Proviene dal giardino di Lussemburgo. Varietà non mai abbastanza raccomandata.
Ad alto fusto forma una testa irregolare per cui è meglio tenerla a forme piccole, tanto
più che allora la fioritura, che è precoce, è meno compromessa dalle brine.
Di Tours.
Frane: Alberge — Ted.: Aprikose von Tours — Ingl.: Albergier.
Desrizìone della pianta (Leroy): legno debole; rami numerosi, eretti, leggermente
arcuati, gracili, molto lunghi, appena flessibili, bruno scuri alla base, rosso violacei
all'estremità. Lenticelle rotonde, piccole, numerose, bianche, squamose, prominenti.
Gemme a gruppi di tre a cinque, piccole ovoidali, ottuse.
Foglie molte, piccole, ovali arrotondate, lungamente accuminate, con dentatura
fine, coriacee, verdi intenso sulla pagina superiore e verdi-rossastre al disotto. Picciolo
abbastanza corto e grosso, quasi flessibile, con scanellatura larga, con molte ghiandole,
colore cremisi alla base e rosso sanguigno alla inserzione del lembo, con una o due
orecchiette.
Fiori piccoli, bianchi, leggermente rosati, col calice rosso carico.
Frutto piccolo, globoso, compresso leggermente, con solco stretto e poco pro-
fondo. Cavità al peduncolo sentita. Buccia sottile, giallo-verdastra dalla parte dell'ombra,
giallo-biancastra con macchie verrucose, salienti, bruno rossastre sulla parte opposta.
Polpa gialla, fine, tenera. Succo abbondante, dolce, profumato, tendente all'amarognolo.
Nocciolo non aderente alla polpa, abbastanza grosso, rotondo. Mandorla amara.
Vegetazione: fiorisce tardi ed ha una vigorìa piuttosto limitata. Molto fertile.
Mataiazione: principio di agosto.
Qualità: prima.
Coltivazione: per la sua straordinaria fertilità e per il buon sapore, questa albi-
cocca viene preferita a molte aire varietà più grosse. Si coltivi a pieno e mezzo vento,
quantunqe si possa allevare anche a spalliera. Ha la particolarità di riprodursi abba-
stanza fedelmente per seme. Per la sua fioritura tardiva è preferita nelle località meno
calde.
4. Albicocche da primizie. — In Italia la regione vesuviana è la
pili rinomata per le albicocche primaticcie che vengono spedite in
tutti i paesi d'Europa. Si distinguono per la loro ricchezza in zucchero
e per il loro profumo.
Si trovano alberi di 40-45 anni d'età, i quali però fino al declino
anno producono poco.
Le varietà pricipali coltivate sono due : la Mazzese e quella di
5. Francesco, che si innestano sul franco.
1. Mazzese. Albero alto e robusto; frutto medio, schiacciato; buccia giallognola,
chiazzata di puntini rossi, che formano una sfumatura rossiccia; polpa giallognola, deli-
— 6h:ì -
cala, spiccagnola, non molto gustosa; mandorla tiniara. Matura tra la line di maggio e
primi (li giugno. È la piìi precoce. Richie.sta per lesporlazione. Coltivata specialmente
a Boscoreale.
2. S. Francesco. Frutto medio un pò" arrotondato, solco appena marcato ; la faccia
rivolta al sole è a^iuanto più convessa: buccia pochissimo pubescente, sottile, morbida,
colore giallo arancio jìallido su di una faccia sola: polpa gialla con profumo abbastanza
spiccato: mandorla dolce, che al retrogusto diventa amara per una ben nota reazione
chimica.
Fiorisce alla fine di febbraio e matura ai primi di giugno.
5. Varietà per i paesi ealdi. — Nella Francia meridionale si colti-
vano le seguenti varietà:
Reale precoce per l'esportazione che nel Varo matura il 15 giugno,
Di Nancy per la polpa \
Boncarande I
Alessandrina gialla precoce ' 10 - 15 luglio
Precoce di Sardegna l
Comizio di Tolone e S. Giovanni
Nella Valchiusa:
Precoce di Boulbon per il grande commercio
Luizet per il grande commercio
Moscato per le marmellate
Nei Pirenei:
Rosa precoce e Bianco rosalo per canditi
In Corsica:
Albicocca grande
Moscato
In Algeria:
Moscato
Reale precoce
Commun du Lac
Precoce d'El Biar.
6. Specie Giapponese di albicocco. — Armeniaca Marne, notevole
pel suo straordinario vigore, per la fioritura precocissima e per i bel-
lissimi frutti, quantunque piccoli, che nel Giappone si preparano per
confetture. Questa specie ha molte varietà, di cui alcune hanno i fiori
doppi e odorosi.
7. Importanza della coltivazione. — L'albicocco è una pianta ru-
stica, poco meno del mandorlo; poco soggetta a malattie, dà regolar-
mente e abbondantemente frutti che sono molto ricercati dai mercati
e per fare confetture. Essendo anche poco esigente per il terreno e
per le cure di coltivazione, esso può sostituire con vantaggio il pesco
che è molto piti delicato, nelle colture estensive e sulle costiere
aride purché però siano bene esposte.
— 684 —
8. Sistemi di coltivazione — Si colli va nei fruiteli, nei broli, rara-
mente nell'aperta campagna perchè esposto troppo alle intemperie, e
si dà alla coltivazione un indirizzo industriale allevando a mezzo vento,
oppure a vaso. Le forme addossate non convengono ed anche per l'uso
casalingo dei frutti si suole allevare qualche pianta a pieno o mezzo
vento nei cortili delle case rustiche, al riparo dalle intemperie. Nei
frutteti casalinghi conviene allevare qualche pianta a vaso, isolata ed
esposta a mezzogiorno.
Per i paesi caldi, questa è una coltivazione di primo ordine, per
le industrie della conservazione della frutta.
9. Clima ed area di coltivazione. — All'albicocco è necessaria, per
fruttificare, molta aria, calore e luce; perciò conviene sia piantato iso-
latamente, dove possa formare una bella chioma arrotondata. In un
giardino-frutteto lo si pianta da solo nel mezzo di una aiuola, oppure
a riparo di un muro bene esposto a mezzogiorno.
Fiorendo molto presto in primavera, l'allegazione dei frutti è incerta
perchè viene compromessa da geli tardivi, molto frequenti nell'Italia
settentrionale. L'Italia centrale e meridionale offrono migliori condizioni
ed ivi si hanno difatti le migliori albicocche.
L'albicocco è l'albero del bacino del Mediterraneo, perciò la sua
coltura può avere un indirizzo industriale soltanto lungo le nostre coste
e nell'Africa.
Le varie fasi di vegetazione avvengono nei seguenti periodi in Italia :
Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le principali fasi di
vegetazione dell' albicoeeo nelle diverse regioni d'Italia.
Foglia
!Ìone
Fiori ura
Maturazione
Caduta
del frutto
delle foglie
Regioni
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Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
I. Piemonte
Aprile
II
Marzo
III
Luglio
II
TSIov.
I
II. Lombardia
„
„
Aprile
I
„
III
,
„
III. Veneto ....
,
I
„
II
„
„
Ottobre
III
IV. Liguria ....
Marzo
II
Febbr.
III
—
—
—
—
V. Emilia ....
Aprile
II
Marzo
III
Luglio
III
Ottobre
II
VI. Marche ed L'iiiliria
__
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II
I
VII. Toscana ....
Marzo
III
III
II
^
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VIII. Lazio ....
_
_
_
_
_
_
IX. Meridionale .Vdriatica
Marzo
III
Marzo
III
Luglio
III
Nov.
I
X. Merid. Mediterranea .
II
,
II
Giugno
^
^
III
XL .Sicilia ....
,
III
„
III
Luglio
„
Ottobre
II
XII. Sardegna ....
,
I
Febb.
^
Giugno
„
Nov.
,
10. Esposizione e situazione. — Le costiere elevate ed esposte a
mezzogiorno oppure a levante ed a sud-est, sono le più adatte per le
coltivazioni industriali a forme libere. Nelle vallate l'albicocco non
fiorisce quasi mai, meglio nelle alture auche se battute da venti purché
- 685 -
secchi. È certo però che nelle colline riparate si hanno i maggiori
raccolti.
11. Terreno. — L'albicocco ama i terreni leggeri, caldi, permeabili,
sabbiosi, ciottolosi, poco fertili. Nei terreni calcari fa meglio che nei
vulcanici, anzi ivi acquista un colorito e fragranza superiori. È anche
l'albero delle costiere secche e coltivandolo nei cortili conviene for-
margli un terreno con molti rottami di demolizione.
Le terre forti, argillose, umide, fredde, gli sono contrarie. Dà vigo-
rose gettate, ma facilmente viene colpito dalla gomma. I frutti allora
sono rari, e quei pochi, riescono insipidi ed infracidiscono presto.
In generale però è poco esigente. Pare preferisca la silice, ma non
teme i calcari-marnosi, purché drenati, caldi ed aereati.
12. Moltiplicazione. — Si propaga per semi e per innesto.
La maggior parte degli albicocchi che si trovano nelle provincie
meridionali d'Italia provengono da seme, caduto qua e là da qualche
pianta vicina.
In Francia l'albicocco pesca di Nancy, quella d'Olanda e l'Alberge,
si propagano per seme.
Per la semina si scelgono i migliori noccioli e si stratificano imme-
diatamente dopo la raccolta. All'autunno si seminano a 5 cm. di pro-
fondità. Si può seminare direttamente in posto quando vogliansi alle-
vare piante d'alto fusto; per le forme basse e spalliera, è preferibile
la semina in vivaio, onde poter sopprimere il fittone col trapianto.
L'innesto può farsi sul franco, sul susino, sul pesco e sul mandorlo.
L'innesto in agosto a gemma dormiente è il più adatto e con questo
si assicura naturalmente più che per seme, il carattere della varietà.
Si innesta sul franco per i pieni venti e per i terreni leggeri adatti
all'albicocco (vedi più sopra). Non si ottengono però cosi belle piante
che vanno molto soggette alla malattia della gomma. Lo stesso si dica
dell'innesto sul pesco.
Più consigliabile è l'innesto sul mandorlo, ma allora, oltre che calore,
per riuscire si richiede un terreno molto profondo asciutto, sciolto. Sul
mandorlo si ha l'inconveniente che il nesto si stacca. Allora si ricorre
al sopra-innesto, ossia si innesta il pesco sul mandorlo e sul pesco in
lesta, si innesta l'albicocco. Si adatta per le forme a vaso.
Il susino è il migliore soggetto per l'albicocco. Il susino (Damas-
nero, bianco, S. Giuliano) conviene per le terre forti, umide e fredde,
però la pianta ha l'inconveniente di rigettare dei polloni alla base. Su!
susino mirabolano ciò si evita. Si adoperi il primo per i pieni venti ed
il mirabolano per le spalliere.
13. Caratteri vegetativi. — La pianta dell'albicocco si distingue
per il suo rapido sviluppo e per la sua fioritura abbondante e precoce.
Nei paesi caldi in 12 anni essa raggiunge il completo sviluppo e la
fruttificazione è generosa e costante.
Nell'Italia settentrionale e nella regione peninsulare interna, la
vegetazione viene spesso contrariata dagli sbalzi di temperatura, spe-
G8G -
eialnieiile in primavera. Da ciò una vegetazione capricciosa, molte volte
contrariala dalla gommosi; certi rami clie si sono sviluppati con vigore
straordinario, colpiti improvvisamente si guastano; altri invece mal
situati attirano la linfa dando delle cacciate vigorose, che deformano
la pianta.
Per questa ragione non si dà all'albicocco una forma regolare,
ma bisogna notare che questo albero sviluppa facilmente dei novelli
germogli sul legno vecchio e anche sui rami più grossi. Questi germogli
sorgono da gemme dormienti, e molte volte rimangono cortissimi e
da una gemma, l'anno venturo può svilupparsi il fiore. Con ciò è
spiegata la ragione per cui da alcuni frutticoitori è ritenuto, che l'al-
bicocco, a differenza di tutte le piante a nocciolo, possa portare frutto
anche sul legno vecchio, mentre con attenta osservazione si nota che
questa anormalità non esiste, ed il frutto che sorge in apparenza sul
vecchio, viene invece da una gemma latente.
Per questa sua proprietà di germogliare sul vecchio l'albicocco
dillerisce notevolmente dal pesco, nel quale ben raramente si notano
dei germogli avvenlizii. L'albicocco non ha però, come il pesco, la
proprietà di far sviluppare regolarmente le gemme della base dei rami
tagliali corti, sulla cui proprietà si basa la teoria del taglio a speroni
del pesco.
L'albicocco differisce sensibilmente dal pesco anche per un'altra
proprietà singolare e cioè che la linfa affluisce maggiormente nei rami
leggermente irregolari che nei rami tenuti perfettamente diritti. Da ciò
deriva la difficoltà di ottenere coli' albicocco delle forme regolari che
in ogni caso vanno a scapilo della fruttificazione e longevità della pianta.
Come nel pesco, la fruttificazione avviene sul legno formatosi l'anno
precedente ed anche qui, le gemme a fiore sono unite a quelle a legno,
soltanto invece di trovarsi al massimo due gemme a fiore unite ed
una o due a legno, nell' albicocco sono parecchie. 11 numero delle
gemme da tiorc unite va aumentando verso l'estremità fino ad un mas-
simo di cinque. Non però tutte queste gemme riescono a dar frutto;
la maggior parte dei fiori abortiscono, come molte volte anche le gemme
a legno.
Quando la pianta entra in vegetazione, è difficile distinguere le
gemme a legno da quelle a fiore. Le prime sono più larghe alla base
e meno gonfie. Appena comincia il movimento della linfa, le gemme
si gonfiano enormemente cosi da essere molto ravvicinate. Le gemme
della base dei rami sono latenti, non apparenti e non si sviluppano
che raramente.
Le gemme di un ramo d'albicocco danno:
aj all'estremità, due o tre rami a legno. Questi di solilo sono
arcuati, provvisti di gemme a legno e di un maggiore o minor numero
di genune a fiore. Questi rami si tagliano corti poiché di solito non
germogliano che il terzo od il quarto;
b) nella parte mediana preponderano i brindilli. Questi, come
- 687 —
nel pesco, hanno una o più gemme terminali riunite a legno, dalle
quali si sviluppa un germoglio, che nel prossimo anno dà frutto. Tutte
le altre gemme del brindillo sono a fiore ed alla base si trovano molte
gemme latenti ;
e) nel terzo inferiore, danno dei dardi a mazzetto, formati da più
gemme a frutto con nel mezzo una gemma a legno. Essi fruttificano
abbondantemente, ma si esauriscono presto e quindi bisogna lasciare
a loro il germoglio dell'estremità;
d) intorno al punto d'inserzione si trovano infine delle gemme
latenti.
14. Potatura. — Già nel primo anno di impianto, ralbicocco deve
essere tagliato convenevolmente come richiede la forma. Nei due anni
Chioma di un albicocco a mezzo vento.
successivi, per dare^ la forma, si tagli piuttosto corto, ma nel |terzo
anno, si facciano dei tagli lunghi oppure ci si accontenterà di accor-
ciare leggermente qualche ramo, per mantenere le branche in equilibrio.
Fruttifica sul ramo di un anno come il pesco, perciò si potrebbe
applicare il taglio di produzione giada noi spiegato per il pesco, avver-
tendo però, che avendo l'albicocco gli internodi più brevi, per lasciare un
eguale numero di gemme a frutto, bisogna tagliare più corto (10-12 cm.).
In realtà, i rami fruttiferi dell'albicocco richiedono di essere la-
sciali un poco a sé stessi. I dardi a mazzetto sono tanto abbondanti e
le gemme latenti, dalle quali sorgono i rami di sostituzione, sono tanto
— 688 —
numerose, che la natura stessa provvede meglio di ogni potatore a
far fruttificare. Si abbia cura soltanto che i rami da frutto o quelli
che sono distanti a darlo, non si allunghino troppo. Si scacchiano 1
germogli inutili e iuori posto; si cimano eventualmente, quando co-
minciano a legni Picare, i germogli troppo lunghi e destinati a portare
frutto nel prossimo anno.
Il diradamento dei frutti in molti casi è più necessario che nei
peschi e si fa col medesimo sistema.
Il ringiovanimenlo delle branche è più facile, ma bisogna farlo
più di frequente che nel pesco. Dico più facile per le molte gemme
latenti che si trovano su questa pianta.
15. Forme. — Nei broli, nei campi aperti, purché bene esposti si
alleva a pieno vento (col fusto alto m. 2) od a mezzo vento (col fusto
alto m. 1.20). Il mezzo vento fig. 525 si applica nelle località più esposte
al vento. Nei frutteti di speculazione e casalinghi conviene la forma
bassa a vaso (vedi fìg. 511).
Nei primi tre anni, per ottenere queste forme, si cura la potatura
di formazione procurando che le branche abbiano una razionale dis-
posizione a vaso. Ottenuta la forma si lasciano le piante a sé stesse,
tagliando i succhioni, i rami mal situati ed accorciando i rami troppo
lunghi.
Nei frutteti d'amatori o casalinghi si può allevare l'albicocco anche
a palmetta Verrier da 6-8 branche, ricordiamo però che queste forme
è difficile mantenerle bene e regolarmente fruttifere.
16. Impianto e cure di coltivazione. — Per i pieni venti si applica
la distanza di m. 6, per i mezzi venti m. 5; per le forme basse a vaso
m. 4. Le palmette Verrier a 6 branche si piantano alla distanza di
(6x0.40) m. 2.40 e quelle da 8 branche (8x0.40) a m. 3.20, poiché le
branche fra loro devono distare 40. cm.
L'albicocco va poco soggetto alle malattie e quella che dà maggiore
danno è la gommosi.
Dopo ogni raccolto si abbia cura di accorciare le branche troppo
lunghe per formare una fronda più accorciata ed arrotondata.
La concimazione si può fare identica a quella del pesco.
17. Raccolta e conservazione dei frutti. — Il frutto si raccoglie
qualche giorno prima della completa maturazione e, dopo esser stato
completamente raflìeddato si fa immediatamente la spedizione. La spe-
dizione delle albicocche riesce facile.
18. Composizione chimica ed utilizzazione dei frutti. — L'albicocco
é un eccellenle frutto da tavola e le mandorle dei suoi noccioli, spe-
cialmente le amare, servono in pasticceria.
Questo frutto è più nutriente e meno lassativo del susino. Come
tutti i frutti dolci acidi, ha delle proprietà diverse, a seconda del grado
di maturazione. Quando é verde, é indigesto oltremodo ed astringente.
Ai bambini ])uù provocare la febbre. È per questo che gli antichi non
lo apprezzavano. Se ben maturo però si digerisce facilmente, soltanto,
le persone poco robuste e malate di stomaco non devono abusarne,
perchè la polpa a alquanto fibrosa.
Secondo Frésenius, il valore nutritivo delle albicocche è inferiore
a quello delle pesche e la composizione sarebbe la seguente:
Albicocche di grandezza
inedia piccola
Acqua.
Componenti solubili nel-
l'acqua
Sostanze insolubili
Nella sostanza secca
84,97
1,14
82,01
1,53
83,55
Zucchero . .
2,74
Acido libero .
0,89
0,77
1,60
Sostanze azotate
0,79
0,36
0,38
Sostanze peptiche 5,93
9,28
5,57
Cenere . . .
0,82
0,75
0,72
Nocciolo . .
4,30
3,??
3,42
Buccia . . .
0,97
0,94
1,25
Peptosi . . .
0,15
1,—
0,75
Cenere . . .
0,07
0,10
0,16
Azoto ....
. 0,84
0,32
0,37
Zucchero . .
. 7,58
8,12
16,66
Più apprezzate sono le albicocche per fare le composte, marmel-
late, che acquistano un sapore delizioso ed un profumo delicato. Si
fanno anche i sorbetti, dolci diversi e mostarde. Nell'aceto alcuni con-
servano le albicocche verdi.
Secche e compresse, avvolte in carta e in cassette, viaggiano colla
più grande facilità e si conservano per più anni.
Nel sciroppo in scatole chiuse, sì conservano benissimo e questa
industria è molto lucrativa. Eccellenti riescono i canditi e ne fanno
prova le albicocche candite rinomate di Genova e della Ditta Stringa di
Voghera.
In Persia e nell'Armenia, si disseccano le albicocche al sole. In
Siria si fa una pasta che si dissecca al sole stesa sopra una tela pre-
viamente spalmata con olio d'oliva. Si ottiene così un foglio di pasta,
dello spessore di 1-2 mm. che si vende a pezze come la tela. Si con-
serva così per molto tempo pur di preservarla dalle tignuole e dagli
acari.
Prodotti secondari. — Il legno ha meno valore di quello del susino,
però viene adoperato per fare delle minuterie. Ha un colore grigio-
scuro con sfumature rosso e gialle.
Malattie e cause nemiche. — (Vedi pagina 500).
41 — Tamaro - Frulticoìtura.
CILIEGIO
(Cerasus di Jussìer — Fani. Rosacee).
Nome volgare italiano del frutto — Ciliegia.
Nonìi volgari stranieri della pianta: Francese: Cerisier — Tedesco:
Kirschbaum — Ingl.: Cherry tree.
1. Origine. — I ciliegi si trovano spontanei nei nostri boschi ed in
tutti i paesi dell' Europa centrale. Ma non si esclude che dall' Asia
centrale, e specialmente dai paesi occidentali, provenga il ciliegio viscio-
lone. Secondo G. Ferrerò (vedi Grandezza e decadenza di Roma pag. 339)
" LucuUo aveva fatto ritorno in Italia, portando dal Porto conquistato,
insieme con molto denaro, un dono più umile e più prezioso, un albero
ancora ignoto, il ciliegio, che, dopo lui, si cominciò a coltivare in Italia
(65 anni a. Cristo). „
2. Specie botaniche coltivate per il frutto. — I. Ciliegio proprio
Cerasus avium Moench) coltivato per il frutto, chiamato anche: Ciliegio
di Monte, Gandiolo, C. montanaro, C. montano, Ciregiuolo, C. agreste,
C. dolce; in Francia: Merisier; in Germania: Sùsskirschbaum; Wild
Cherry or Gean in Inghilterra,
Pianta indigena dei boschi d'Europa e comune in Italia.
È un albero che pareggia in altezza i più grandi d'Europa. Le sue
radici sono lunghe, forti , ramose , piuttosto profonde , con fittone
perpendicolare.
11 fusto è alto da 15 a 20 metri, diritto, con molti rami quasi dis-
posti a palchi, che sono corti, poco ramosi, eretti o quasi orriz-
zontali, mai pendenti e colla sola cima elevata. La scorza nei vecchi
tronchi è coriacea, di un grigio-scuro, staccantesi in lamine circolari;
nei giovani rami è riunita, lucida, liscia, di color grigio-bruno, con
macchie bianche trasversali. 11 legno è mediocremente duro e forte,
pieghevole, di color giallo-rossigno venato.
Le foglie sono alterne, grandi, ovali, pendenti, lanceolate, doppia-
mente dentate, d'un verde-cupo nella pagina superiore, glabre appena
pelose nelle nervature. La nervatura è rilevata sulla pagina inferiore.
Sortono dalle gemme in un coi fiori in aprile e, prima di cadere, in
autunno, ingialliscono e diventano rossastre ,
I fiori sono grandi, di color bianco, odorosi, disposti ad ombrelle
sessili, di 7 ad 8 fiori al più per cadauna.
I frutti sono drupe, succose, globose a cuore, colla buccia aderente
alla polpa, della grossezza di un grosso pisello, di color rosso-nereg-
giante, con succo rosso, a polpa dolce e non acida. Nocciolo aderente
alla polpa.
Le varietà appartenenti a questa specie si dividono in due gruppi:
1. Ciligie tenerine (Cerasus luliana D. G.) di frutto approssimati-
vamente rotondo, polpa morbida, abbondante di sugo più o meno co-
lorato.
- 691 -
Queste ciliegie si chiamano in Italia: Lustrine, Tenerine, Acquaiole,
Ciliegie dolci, Tenerine dolci; in Francia: Guignes noirs; in Germania:
Hezkirschen; in Inghilterra: Geans.
Ve ne sono di tutte le grandezze e dai colori variati. A queste
appartengono le varietà più precoci (Acquaiole). L'acquaiola comune è
piccola, di color rosa sfumato, con poca polpa. Si raccomanda per la
precocità e per la facilità di adattamento al clima e terreno.
Gli alberi hanno radici fittonose, e si innalzano lino a 10 o 12
metri; rami quasi verticali nella loro gioventù, poco divaricati nella
loro vecchiaia; foglie grandi, profondamente seghettate, liscie su
ambedue le superfici; fiori non diversi da quelli delle duracine; frutti
cordati o rotondi, di color rosso o nerastro, non mai acidi, coperti
di una buccia molto aderente alla polpa, che è molle ed acquosa,
2. Ciliegie duracine (Cerasus duracina D. C.), di frutto ovato-glo-
boso, quasi coriforme, molto grosso, di color rosso o misto di giallo
e rosso e spesso picchiettato di punti rossi, con polpa soda, ordina-
riamente scolorata.
Queste^ciliegie si chiamano in Italia; Duracine, Graflìoni, Fratac-
chioni, Duroni, Ciliegie croccanti; in Francia: Bigarreaux; in Germania:
Knorpelkirschen ; in Inghilterra: Heart Cherry.
Le piante di questo gruppo di varietà sono diritte e vigorose, si
aprono in rami prima raccolti e poi sparsi, vestite di foglie larghe con
gemme grosse. I fiori sono disposti a mazzetti grandi. Frutto di gros-
sezza mezzana, di forma più o meno regolare e solcata. Buccia di vario
colore, dal bianco al nero ; polpa carnosa, dura e dolcissima. Nocciolo
bislungo con mandorla amarognola e bianca.
L'albero si presta per la forma ad alto fusto e non tollera tanto i tagli.
Volendo tenerlo sotto forma più ristretta, bisogna innestarlo sul Mahaleb.
Il ciliegio dalle frutta duracine si distingue da quello delle tene-
rine: a) per il portamento dell'albero che è sempre più grande, meno
ramificato conia chioma più slanciata; òj per i nuovi rami che son meno
numerosi, ma molto più grossi e lunghi; e) per le gemme più volu-
minose; d) per le foglie raramente erette e molto più grandi.
II. Ciliegio visciolo (Cerasus Caproniana D. C), chiamato anche:
Agriotto, Ciriegio romano, Ciriegio agerotto. Ciliegio amarasco, Visciolo;
in Francia: Griottier; in Germania: Sauerkirschen; in Inghilterra:
Common Cherry.
È un albero meno forte e molto meno elevato del ciliegio proprio.
Arriva da 6 ad 8 metri di altezza e talvolta è piccolissimo. Rami sottili,
gracili, orizzontali, pendenti e divergenti; foglie meno grandi e non
pendenti, quasi piane, liscie fino dal loro comparire, di forma elittica,
dentate, con lungo picciolo senza ghiandole.
Fiori con lungo pedicello, che appaiono prima delle foglie (fig. 526).
Frutto di colore rosso più o meno cupo, con buccia che si distacca
dalla polpa, sugosissima, di sapore acidulo, talvolta amarognolo; noc-
ciolo con guscio sottile ed orlo ottuoso, che si stacca dalla polpa.
— 692 -
È più sensibile ai freddi del ciliegio proprio.
Le varietà coltivate che provengono da questa specie si dividono
pure in due gruppi :
1. Ciliegio visciolone, propriamente detto (C. Caproniana pj'rami-
dalis Carr. e André), il di cui frutto è di color rosso corallo, quasi
sempre più largo che lungo, ombellicato, a polpa acidula, leggermente
amara.
La pianta ha i rami corti, duri, irti, con internodi brevi e foglie
grandi. I fiori sono disposti a mazzetti, ed avendo i meritalli brevi, sono
tanto vicini da coprire il ramo.
Fig. 526. — Visciolo - 1, ramo fiorito - 2-3, fiori in sezione longitudinale
1, sezione del frutto - 5-6, seme sezionato - 7, seme - 8, stami.
Queste ciliegie si chiamano in Italia: Viscide dolci, Marasconi; in
Francia: Griottes douces; in Germania: Weichseln; in Inghilterra: Egriot.
L'albero non ha l'elevazione degli altri ciliegi, ma neppure i rami
flessibili come il Visciolino. Anzi questi sono corti, diritti con le gemme
avvicinate, in modo che, quando fioriscono, hanno l'aspetto di tanti
mazzetti. Le foglie sono larghe e corte; i fiori molto avvicinati a maz-
zetto che coprono quasi il ramo. I frutti hanno un picciolo corto e
grosso ; di forma rotonda, compressi all'inserzione del picciolo, rilevati
appena alla cima, più alti che larghi. La buccia da prima rossa, di-
venta nera purpurea a maturazione, e spicca singolarmente sul lucido
della sua superficie. La polpa è tenera, carnosa, delicata, colorita, con
- 693 -
un sugo sanguigno, quasi senza acido, leggermente amarognolo, che la
rende gradita. Per grandezza compete colle duracine. Matura dopo le
tenerine ed è contemporanea alle duracine.
La fioritura è sempre molto abbondante; i fiori però non allegano
tanto bene.
Le ciliegie visciolone sono le più pregiate sia per mensa, sia per
conserva.
2. Ciliegio uisciolino (Cerasus Caproniana acida Dura.), il cui
frutto è quasi tondo, più grosso, di un colore rosso porporino scuro
a polpa acidula.
La pianta ha dimensioni medie o piccole; i rami sono pendenti,
lunghi, sottili, flessibili, con lunghi internodi e quindi non tanto avvi-
cinati come nel visciolone.
Queste ciliegie si chiamano anche Marasche, Agriotte ; in Francese:
Griottes; in Tedesco: Amarellen; in Inglese: Small egriot.
3. Classificazione delle varietà. — In seguito alla descrizione fatta,
le varietà delle ciliegie si possono classificare come è indicato nella
Tab. LIV. Nella Tab. LV, sono indicate sommariamente le qualità col-
turali delle varietà raccomandate, alle quali faccio seguire in ordine
alfabetico una particolareggiata descrizione.
Tab. LIV.
Quadro schematico della classificazione delle ciliegie.
Caratteri
della specie
Nome della specie
dolce; foglie pen-
denti e frutto con
l)olpa (Cerasus
vium Moench.)
i la-i]
grandi: ra-
mi eretti
T3 B ipiccole ; ra-
■3 u 3 f mi pen-
Tenerine
(Cerasus luliana
D. C.
Duracine i
(Cerasus duracina'
D. C. i
Visciolone
(Cerasus Capronia-
na piramidalis
Carr. e André)
Viscioline i
(Cerasus Capronia-j
na acida) Dum). (
nera o scura
colore vario <
nera con \
succo colo- l
rato I
colorate con
succo inco-
lore
nere o scure
di colore vario
nere
di colore vario
Nome delle varietà
1. Tenerina nera grande
2. Tenerina nera grande lue.
3. Tenerina nera precoce
4. Elton
5. Tenerina porpora precoce
6. Tenerina prec. di maggio
7. Duracina d'Italia
8 Duracina nera grossa
9. Duracina rossa
10. laboulay
11. Duracina bianca grossa
12. Esperen
1.3. Gialla di Buttner
14. Napoleone I
1.5. Imperatrice Eugenia
16. Inglese precoce
17. Rossa di maggio
18. Regina Ortensia
19. Bella di Montmorency
20. Visciolina del Nord
21. Gobet grande
Tab
I-V.
Qadro sinottico indicante le principali qu
1
NOME
Maturazione
Qualità
1
Fertilità
Vigor
/. - Tenerine nere.
1
Grande nera giugno 1 sett.
da mercato
notevole
molta
2
Nera grande lucente id.
da ornamento
media
notevole
3
N'era precoce maggio i sett.
da tavola
notevole
-
//. — Tenerine di colorazione varia.
4
5
Elton
Porpora precoce
maggio 4 sett.
maggio 3 sett.
id.
prima da tavola
sufficente
media
id.
id.
6 Precoce di maggio
da mercato
Duracine nere.
8
D'Italia
N'era grossa
giugno 2 sett.
giugno 4 sett.
id.
da mercato e
da tavola
sutficiente
ordinaria
buona
media
9
10
Rossa grossa
laboulay
IV. — Duracina d
maggio 3 sett.
maggio 4 sett.
colore vario.
prima da tav.
e da mercato
id.
notevole
ordinaria
notevole
id.
11
Bianca grossa
giugno 3 sett.
seconda
scarsa
12
Esperen
giugno 4 sett.
prima da mer-
cato
notevole
notevole
13
14
Gialla di Buttner
Napoleone I
id.
id.
seconda
prima da mer-
soddisfacente
notevole
limitata
notevole
cato e da espor-
tazione
V^. — Visciolone nere
Imperatrice Eugenia
Inglese precoce
maggio 4 sett. prima da tavola eccessiva
e da conserve regolare
Giugno 1 sett. id. notevole
media
debole
Rossa di maggi
maggio 4 sett.
ma irregolare
Vf — Visciolone di vario colore.
18 Regina Ortensia giugno 3 seil.
VII. — Viscioline nere.
10 Bella di Montmorency giugno 4 sett.
20 j Del Nord luglio-agosto
' Viri — Viscioline colorate.
21 Gobet grande giugno 4 sett.
seconda da tav. poca
e da conserve
prima da con- notevole
serve e confett.
per conserve notev. e cosi
da m. cons. nel- moderata
l'acquavite, conf.
normale
notevole
media o
bole
Iturali delle Ciliegie consigliate (Tamaro)
Forme
più adatte
Soggetti
da innesto
Sistema
di coltivazione
Osseruazioni
lido
_
pieno vento
id.
ciliegio
proprio
id.
campestre
frutteti di spe
cui. e amat.
riparata da
brine
indifferente
id. e Maha-
leb
id.
SI conserva
molto bene
fioritura pre-
coce
idiffercnte indifferente indifferente
pieno vento] id.
id. id.
id. id.
i
id. 1 id.
frut. di specul-ì resis. alle piog.
id. i pregev. per la
precocità
fertile
buonissime id.
id.
id.
campestre
resiste ai freddi
tardivi
poca potatura,
resistente ai
trasporti
ecco
ndifferente
id. j
indifferente
piccole
ristrette
ciliegio vero
e Mahaleb
frutt. di fam.
frutteti di
speculazione
frutt. di fam.
frutteti di
molto rustica,
la migliore
delle duracine
per curiosità
sopporta l'im-
speculazione ball, la spedi
ricercatissima
Mahaleb
frutteti casa-
linghi
id.
ndifferente indifferente indifferente pieno vento, ciliegio vero id.
, vaso e pi- e Mahaleb
ramide
i fiori resistono
alle intemper.
tollera i tagli e
screp. i frutti
colle pioggie
non tollera i
trasp. tollera i
tagli, rustica
juonissimo ' secco e ma- collina mezzo vento] id.
I grò I forme ristr.l
frutteto casal. 1
e da amatori]
_ I — : — I qualunque I id. ' id.
Indifferente indifferente indifferente id. | id. 1 campestre
hall vantaggio
di matur. tardi
buona
ristrette
id.
frutteti casal. 1
e da amatori
- 696 -
Bella di Montmorency.
Frane: Cerise Montmorency. Ted.: Kirsche von Montmorency.
Origine: sconosciuta, ma la sua coltivazione rimonta a tre secoli addietro.
Maturazione: giugno, IV settimana.
Qualità: prima per conserve e confetture. Pregiata perii succo fine ed abbondante.
Richiesta dai mercati locali.
Fertilità: notevole.
Vigoria: normale.
Forme più adatte: pieno vento sul ciliegio proprio e spalliere sul Mahaleb. Anche
mezzi venti sul ciliegio proprio e piramidi sul Mahaleb.
Soggetti da innesto: ciliegio proprio e Mahaleb per le forme ridotte. Su questo
ultimo e per le forme ridotte è più produttiva.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi.
Descrizione della pianta: forma bella, sferica od appiattita, rami fìtti, lunghi, gracili
e piegati, gemme piccole o medie, foglie numerosissime, verdi scure; picciolo corto e
Descrizione del frutto : isolato, voluminoso, globuloso, schiacciato ai poli e solcato
profondamente da un lato, colore rosso chiaro più o meno carico, buccia sottile che si
distacca facilmente dalla polpa, peduncolo corto o cortissimo, grosso, inserito in una
cavità profonda, polpa filamentosa, tenera, giallo verdastra, succo abbondante, legger-
mente camino, dolce, aggradevolmente acido e rinfrescante, semi pochissimi, rotondi.
Proprietà del frutto: eccellente per conserve.
Duracina bianca grossa.
Frane: Bigarreau blanc gros — Ted.: Gemeine Marmorkirsche.
Maturazione: giugno, III settimana.
Qualità: seconda.
Fertilità: scarsa.
Vigoria ; straordinaria.
Clima: secco.
Fsposizione e situazione: calde.
Forme più adatte: pieno vento.
Soggetti da innesto: ciliegio proprio.
Sistema di coltivazione: frutteto di famiglia.
Descrizione della pianta: rami pendenti, sottili, foglie piccole.
Proprietà della pianta: vegeta con forza.
Descrizione del frutto: grandissimo, cuoriforme, colore bianco giallastro, leggermente
rosato verso il sole, polpa soda, zuccherina, buona.
Duracina d' Italia.
Frane: Bigarreau d'Italie.
Maturazione: giugno, II settimana.
Fertilità: sufficiente.
Vigoria: buona.
Forme più adatte: pieno vento
Soggetti da innesto: sul ciliegio proprio dà una bella chioma arrotondata. Rami
numerosi, grossi, corti, non flessibili; con gemme medie, foglie medie, dure, verdi
biancastre sulla pagina inferiore, picciolo grosso e lungo, fiore grande.
— 697 -
Descrizione del frutto: forma globosa molto schiacciala, colore porpora carico mac-
chiato da chiazze più chiare. Buccia dura, consistente, peduncolo corto, grosso, attaccato
a due, polpa rossa consistente, croccante, succo abbondantissimo, rosso, molto dolce e
profumato, semi medi, ovali.
Duracina nera grossa (fìg. 527).
Frane: Bigarreau noir — Grosse schwarze Knorpelkirsche.
Maturazione: giugno, IV set-
timana.
Qualità : da mercato e da
tavola.
Fertilità: media.
Clima : caldo.
Forme più adatte: pieno vento
Soggetti da innesto: ciliegio
proprio.
Sistema di coltivazione: cam-
pestre.
Descrizione della pianta : for-
ma irregolare, rami arcuati, di-
varicati , grossi , di lunghezza
media con lenticelle rarissime,
gemme voluminose, divaricate,
ovoidali appuntite ; foglie poco
numerose , grandissime , verde
giallastre, picciolo grosso e lungo.
Proprietà della pianta : resi-
stente ai freddi tardivi.
Descrizione del frutto : uniti
per due, voluminosi, di forma in- ^V p. -™
costante per lo più cuoriforme ^
ottusa, colore rosso porpora quasi Jl Duracina nera grossa ('/» grandezza),
nera a maturazione, peduncolo,
medio polpa croccante, filamentosa, rosso-violacea, succo sufficiente, porporino dolce
acidulo, molto aggradevole.
Proprietà del frutto: non riesce sempre bene in tutte le località.
Duracina rossa grossa (fig. 528).
Frane: Bigarreau roux gros — Ted. : Gross Bigareau.
Maturazione: maggio, III settimana.
Qualità: prima da tavola e da mercato.
Fertilità : notevole.
Vigoria : notevole.
Terreno: molto fertile.
Esposizione e situazione: luoghi aprichi
Forme più adatte: pieno vento.
Sistema di coltivazione: campestre innestando sul ciliegio proprio.
Descrizione della pianta: forma grande, diritta; rami sparsi; foglie lunghe, lanceolate.
Descrizione del frutto: grosso, oblungo, cordato; colore rosso vivo; polpa giallo-
gnola, soda, sugosa, eccellente ; semi ovali e bianchissimi.
^ 698 -
Elton (fig. 529).
Frane: Guigne Elton — Ted.: Elton Kirsche.
Origine: inglese.
Maturazione: maggio, IV settimana.
Qualità: prima da tavola
Fertilità: sufficiente.
Vigoria: notevole.
Terreno: fertile.
Forme più adatte: pieno vento.
Sistema di coltivazione ; frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta: forma allargata, rami lunghi, sottili con poche diramazioni,
fiore grande un po' rosato.
Proprietà delia pianta : fioritura precoce.
Descrizione del frutto: grosso, appuntito, piatto all'inserzione del peduncolo; colore
giallastro lavato di rosa, a punteggiature: buccia sottile trasparente; peduncolo lungo,
non tanto grosso, inserito in una piccola insenatura; polpa gialla, fine, semi-tenera,
succosa; semi grandi, appuntiti, con sporgenza laterale.
Proprietà del frutto: sapore delizioso. Molto bello per il colore e per il volume.
Richiesto dalle tavole signorili, si presta per la spedizione. Può servire anche per conserve.
Esperen (530j.
Frane: Bigarreau Esperen — Ted.: Esperen' s Knorpelkirsche.
Maturazione: Giugno, IV settimana.
Qualità : la migliore e la più bella delle duracine. Prima da mercato.
Fertilità: notevole.
Vigoria: notevole.
Clima: qualunque.
Forme più adatte: tutte, da preferirsi però il pieno vento innestato sul ciliegio vero.
Soggetti da innesto: ciliegio vero e Mahaleb.
Sistema di coltivazione: frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta : forma grande, semi-sferica ; rami numerosi, grossi, lunghi,
cosparsi di piccole e numerose lenticelle; gemme grosse; foglie numerose, grandi con
picciolo molto grosso.
Proprietà della pianta: vantaggiosa su tutte le duracine, molto rustica.
Descrizione del frutto : attaccati per uno, cordati, grandi ; colore giallo biancastro e
rosso cremisi dalla parte soleggiata; buccia dura; peduncolo grosso di media lunghezza,
polpa bianca o leggermente rosea, croccante, non filamentosa; succo abbondante, in-
colore, molto dolce e saporito: semi grossi, ovoidali, appuntiti.
Proprietà del frutto: squisito per sapore.
Gialla di Buttner (fig. 531).
Frane: Bigarreau jaune de Buttner — Ted.: Buttner's gelbe Knorpelkirsche.
Origine: in Sassonia.
Maturazione: giugno, IV settimana.
Qualità: seconda da tavola, per curiosità.
l'ertilità soddisfacente.
Vigoria: limitata.
Forme più adotte : piccole.
Soggetti da innesto: Mahaleb.
Sistenui di coltivazione: frutteto di famiglia.
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Fig. 528. — Duracina rossa grossa (' , grandezza).
Fig. 531. — Gialla diìButtner (V^ grandezza).
- 700 -
«cscrii/o/ie rfe//<( /«an^a rami numerosi, quasi eretti, gracili, di lunghezza media.
Lenticelle piccole e numerose: gemme divaricate, medie; foglie poco numerose, medie
o piccole, verde pallide, sottili ovali con picciolo corto e sottile
Proprietà della pianta: tardiva.
Descr zione del frutto: unUi per tre, medi, cuoriformi; colore giallo brillante; buccia
dura, consistente; i)eduncolo lungo; polpa giallastra, dura, croccante, leggermente traspa-
rente nel centro; succo abbondante, giallastro, acidulo, zuccherino più o meno profu-
mato; semi piccoli, rotondi.
Proprietà del frutto: uno dei migliori.
/
F"ig. 529. — Elton (2/3 grandezza naturale).
Fig. 530. — Esperen (grand, naturale.»
Fig. 532. — Gobet grande (■'/a grand, nat.).
Qobet grande (fig. 532).
Frane: Gros Gobet o de Montmorency a gros fruits. Gobet à courte queue.
Origine: antichissima, da tre secoli.
Maturazione; giugno, IV settimana.
Qualità ; d'amatore, per confetture e per conservare nell'acquavite.
Fertilità: moderata.
Vigoria: media o debole.
Kiposizione e situazione: buona.
Forme più adatte: piccole.
Soggetti da innesto: sul ciliegio di monte o sul Mahaleb. Su questo è
duttivo, innestando al piede.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi e, moderatamente, frutteti di
zione.
più pro-
specula-
- 701 -
Descrizione della pianta: forma confusa, schiacciata, sferica; rami abbastanza lunghi,
orizzontali, sottili e gracili; foglie piccole, verdi-scure; picciolo corto e grosso.
Descrizione del fruito: grande, solitario od appaiato, sferico, depresso ai due lati
e solcato profondamente da un lato: colore giallo ambra marmorizzato di rosso;
buccia sottile, trasparente, tenera; peduncolo corto o cortissimo, grosso, inserito in una
cavità profonda; polpa giallastra, line: succo abbondante, zuccherino-acidulo, un po'
aspro se il frutto non è maturo.
Difetti delle varietà: soggetta alla colatura nelle
stagioni non buone. w
Imperatrice Eugenia (fig. 533).
Frane: Impératrice Eugenie — Ted.: Kaiserin Eugenie.
Origine: ottenuta da Varennes nel 1850 in una vi-
gna di Belleville.
Maturazione: maggio, IV settimana.
Qualità: prima da tavola e da conserve.
Fertilità: eccessiva e regolare.
Vigoria: media.
Clima: buono
Terreno: fertile.
Esposizione e situazione: buone.
Forme più adatte: ristrette a spalliera, per lorzare,
a piramide. ^^8- ^^^•
Soggetti da innesto: Mahaleb e visciolo. Imperatrice Eugenia ('I, gr. nat.)
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi.
Descrizione della pianta: fusto e rami numerosi, eretti, corti e di forza media:
gemme grosse; foglie numerose.
Proprietà della pianta: somiglia all'inglese precoce, i fiori resistono alle intemperie.
Descrizione del frutto: forma più grande dell'inglese precoce. Frutti solitari, globosi,
grossi, compressi ai poli; colore rosso porporino, unico-
lore: buccia sottile, peduncolo lungo; polpa bianco-carne,
filamentosa e tenerissima ; succo abbondante deliziosis-
simo, acido, di color rosa; semi piccoli, rotondi.
Proprietà del frutto: somiglia all'inglese precoce.
Inglese precoce (fig. 33 J).
Frane: Anglais hàlif — Ted.: Frùhe englische
Ingl.: May Duke.
Origine: Inglese.
Maturazione: giugno, I settimana.
Qualità: prima da tavola e da conserve.
Fertilità : notevole.
Vigoria : debole sul Mahaleb e mediocre sul cilie- Fig- 534.
gio vero. Inglese precoce (^'g gr. nal.).
Esposizione e situazione: buone.
Forme più adatte: ristrette, riparate dalle pioggie. Aiti fusti imperfetti a cono
rovesciato. Vaso, piramide, spalliera.
Soggetti da innesto: Mahaleb e ciliegio vero.
Sistema di coltivazione: frutteti casalinghi.
Descrizione della pianta: forma e altezza media, regolare; rami numerosi, eretti,
lunghi, poco ramificati e grossi; gemme molto grosse: foglie numerose, medie; picciolo
corto: fiori grandi, numerosissimi.
— 702
Proprietà della pianta: poco vigore, però tollera i tagli.
Descrizione del frutto: per uniti '.i o 4, grossi, ovoidali, arrotondati sensibilmente;
colore rosso intenso: buccia sottile; peduncolo medio; polpa rosso granata, tenera, fila-
mentosa ; succo abbondante, vinoso, zuccherino, eccellente.
Difetti della varietà: frutto screpola colle pioggie e la
pianta ha poco vigore.
Osservazioni : (jucsta varietà si può considerare come
un ibrido del ciliegio dolce coU'amaro (Mahaleb).
labovilay (fig. 535).
Frane: Bigarreau laboulay.
Maturazione: maggio, IV settimana.
Qualità: prima da mercato e da figura.
Fertilità: ordinaria e costante.
Vigoria : notevole.
Forme più adatte: pieni venti.
Sistema di coltivazione: campestre.
Descrizione della pianta: forma non regolare; rami
radi, arcuati o pendenti, lunghi, di media grossezza, flessi-
bili; gemme medie; foglie poco numerose, molto grandi,
ovali allungate, colore verde chiaro : picciolo lungo e
molto grosso; flessibile con glandole enormi.
Proprietà della pianta: precoce di sviluppo in prima-
vera. Richiede poca potatura.
Descrizione del frutto: uniti per tre, piuttosto piccoli,
arrotondati o cuoriformi appiattiti dalla parte del pedun-
colo; colore rosso vivo con sfumature porporine a matu-
razione; buccia grossa; polpa rosso bruna, con succo ab-
bondante, rosso intenso, dolce: semi grossi ovoidali.
Proprietà del frutto: eccellente per spedizione.
Napoleone I. (fig. 536).
Frane: lUgarreau Napoleon I. — Ted.: Lavermann's
Knorpelkirsche.
Origine: Germania.
Maturazione: giugno, IV settimana.
Qualità: prima da mercato e da esportazione.
Fertilità: notevole.
Vigoria: notevole.
Terreno: indifferente.
l'orme più adatte: tutte, però meglio forme ristrette.
Soggetti da innesto: ciliegio vero e Mahaleb.
Sistema di coltivazione: frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta: forma allargata; rami nume-
rosi, grossi, lunghi, con lenticelle grigie, numerose; gem-
me voluminose; foglie poche, grandi o grandissime; pic-
ciolo lungo; fiori grandi, precoci.
Descrizione del frutto: attaccati per due, voluminosi,
irregolari a cuore; colore rosso chiaro dalla jiarte del-
l'ombra e rosso intenso dalla parte del sole; buccia dura;
peduncolo grosso, lungo, puntato in cavità vasta e profonda; polpa biancastra, molto
consistente; succo abbondante, quasi incolore, dolce, saporitissimo; semi piccoli ovoidali.
Proprietà del frutto dei migliori per bontà e bellezza. Sopporta l'imballaggio ed
il trasporto.
Fig. 535.
laboulay (grand, naturale).
Fig. .536.
Napoleone I (grand, nat.).
— 703 —
Regina Ortensia.
Frane: Reine Hortense — Ted.: Kònigin Hortensia.
Origine: ottenuta dal giardiniere dell'Imperatore a Neuilly nel 1807 dalla semina
di un ciliegio dolce ottenuto da un seme dell'Inglese precoce.
Maturazione: giugno, III settimana
Qualità: per consumo di famiglia e per conserve.
Fertilità: poca
Vigoria: notevole.
Clima: delicato per le brine e pei venti freddi ed umidi.
Terreno: secco e magro.
Esposizione e situazione: collina.
Forme più adatte: piccole forme libere e mezzo vento.
Soggetti da innesto: ciliegio proprio e Mahaleb.
Sistema di coltivazione: frutteto casalingo o d'amatori.
Descrizione della pianta:
rami fìtti, piegati in basso e
gracili come i ciliegi acidi,
ma il frutto è dolce. I brin-
dilli portano i frutti all'estre-
mità ; gemme medie, conico-
allungate ; foglie numerose,
grandi.
Descrizione del frutto : for-
ma voluminosa, frutti isolati,
ovoidali; colore rossa-chiaro
con fondo chiaro ; buccia uni-
colore, sottile ; peduncolo me-
dio, colorato intensamente ;
polpa giallastra, tenera, fine
con succo abbondante, zuc-
cherino, acidulo, saporitissi-
mo ; semi medi, ovoidali al-
lungati.
Proprietà del frutto: ha
il gusto delle ciliegie dolci.
Difetti della varietà: non
si può trasportare perchè de-
licata e non si può coltivare
industrialmente.
Osservazioni : è un ibrido del ciliegio dolce col ciliegio acido.
Rossa di Maggio (fig. 537).
Frane: Rouge de Mai: Ted. Rothe Mai Kirsche.
Maturazione : Maggio, IV settimana, ma irregolare.
Qualità : prima da tavola e da conserve. Non si può spedire, non tollerando il trasporto.
Clima : indifferente.
Terreno: indifferente.
Esposizione e situazione: indifferente.
Forme più adatte : pieno vento a corona piramidale e piramide.
Soggetti da innesto: ciliegio nero e Mahaleb.
Sistema di coltivazione : frutteti casalinghi e di speculazione per mercati locali o
per uso casalingo.
Descrizione della pianta : Forma piramidale, abbastanza grande.
— 701 —
Proprietà della pianta : tollera il taglio, rustica, di lunga durata e resistente alle
malattie.
Descrizione del frutto: Forma grande, appiattita all'inserzione dello stelo; tondeg-
giante nell'altro lato ; colore rosso vivo e dalla parte dell'ombra più scuro : buccia sot-
tile ; peduncolo lungo cm. 4.5-5 ; semi piccoli tondeggianti, appiattiti ai due lati.
Proprietà del frutto: dei più precoci fra le viscioline ed eccellente fra tutte.
Difetti della varietà : irregolare nella maturazione e poco resistente ai trasporti.
Tenerina nera grande (fìg. 538).
Frane. : Guigne noir à gros tuit.
Sinonimi: Tenerina a frutto grosso nero.
Maturazione: Giugno, I settimana.
Qualità: da mercato.
Fertilità : notevole.
Vigoria: molta.
Terreno: caldo.
Forme più adatte : pieno vento
Soggetti da innesto: ciliegio proprio.
Sistema di coltivazione : campestre.
Descrizione della pianta : albero grande.
Descrizione del frutto : grosso ; colore nero porporino
molto carico ; polpa nerastra, dolce, gradita con succo
molto colorato.
Tenerina nera grande lucente.
Frane: Guigne noire grosse luisante.
Maturazione : Giugno, I settimana.
Qualità: prima per ornamento da tavola. Si conserva
molto bene.
Fertilità: media.
Vigoria : notevole.
Pig- -^^^ Forme più adatte: alti fusti.
Tenerina nera grande Soggetti da innesto: ciliegio proprio.
(grand, naturale). Sistema dì coltivazione: per frutteti di speculazione e
di amatori.
Descrizione della pianta: Forma diritta; fusto e rami lunghi e fragili; gemme pic-
cole, ovoidali, appuntite ; foglie : grandi, sottili ; picciolo medio.
Descrizione del frutto: Forma incostante, voluminosa; colore porpora-nerastro ; buc-
cia dura, grossa, lucente ; peduncolo lungo, unito per tre ; polpa granata carica, semi
consistente; succo abbondante, violastro appena acidulo, molto dolce e saporito.
Difetti della varietà : matura troppo tardi per essere una tenerina.
Tenerina nera precoce.
Frane. : Guigne noire hàtive.
Maturazione: Maggio, IV settimana.
Fertilità: notevole.
Forme più adatte : tutte.
Soggetti da innesto : ciliegio proprio.
Descrizione della pianta : rami grossi e lunghi, con molte lenticelle grigie ; gemme
grosse, ovoidali; foglie numerose grandi, verdi-giallastre, ovali allungate; picciolo
lungo, flessibile, rosso violaceo.
Proprietà della pianta: fioritura precoce.
- 705 -
Descrizione del frutto: Forma ovoidale, sensibilmente arrotondala, voluminoso, at-
tacato per tre; colore rosso intenso con sfumature rosso nerastre; buccia grossa; peduncolo
lungo ; polpa gi-anato carico, filamentosa, semi tenera con succo abbondante, violastro,
acidulo e dolce ; semi medi, ovoidali.
Fig. 539. — Tenerina porpora precoce (V3 grandezza naturale).
Tenerina porpora precoce (fig. 539).
Frane. : Guigne pourpre hàlive.
Maturazione : Maggio, 111 settimana.
Qualità: prima da tavola.
Fertilità : media.
V'jgroria.- notevole.
Forme più adatte : alto fusto.
Soggetti da innesto: ciliegio proprio.
Sistema di coltiuazione: frutteti di speculazione.
Descrizione del frutto: abbastanza grosso, arrotondato a cuore; colore bello, rosso
brillante ; polpa buonissima.
Proprietà del frutto: non si deteriora colle pioggie.
45 — Tamaro - Frutticoltura.
— 706 -
Tenerina precoce di Maggio.
Frane: Guigne precoce de Maj ; Ted. Friihe Mai Herzkirsche.
Maturazione : Maggio, III settimana.
Qualità : pregiata per la precocità, da mercato.
Fertilità : notevole.
Vigoria ; notevole.
Clima : indifferente.
Terreno : indifferente.
lisposizione e situazione: indifferente.
Forme più adatte : pieno vento.
Soggetti da innesto : ciliegio proprio.
Sistema di coltivazione: frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta : Forma grande.
Descrizione del frutto: medio a cuore arrotondato; colore rosso porporino piuttosto
carico; buccia sottile; peduncolo lungo; polpa di sapore abbastanza buono.
Visciolina del Nord (fig. 540).
Frane: Griotte du Nord; Ted. Grosse lange rolh Kirsche.
Sinoniiììi: Agriotta del Nord.
Origine: Germania.
Mutui azione: Luglio-Agosto.
Qualità: per conserve.
Fertilità : notevole e costante.
Vigoria : rapida crescita e vigorosa.
# Clima : indifferente.
Terreno: indifferente.
Esposizione e situazione: indifferente, anche a Nord.
Forme più adatte: pieni venti o piccole forme.
Soggetti da innesto: ciliegio o Mahaleb.
Sistema di coltivazione: campestre.
Descrizione della pianta : rami sottili pendenti, grossi
fiore tardivo.
Proprietà della pianta: ha il vantaggio di maturare
molto tardi.
Descrizione del frutto: Forma molto grande, rotonda allungata. I frutti sono per due
o tre; colore rosso vivo, poi porporino o nerastro; peduncolo molto lungo; polpa molto
colorata, vinosa acida, sapore zuccherino.
Proprietà del frutto: serve in Piemonte a fabbricare il Ratafià e conserve nello spi-
rilo, confetture, sciroppi.
Fig. 540.
Visciolina del Nord
(grand, natur.).
4. Ciliegie pei paesi ealdi. — Le varietà più consigliabili sono le
seguenti: .laboulay, Duracina di Maggio precoce, Regina Ortensia, Tene-
rina porpora precoce.
5. Importanza della coltivazione. — Il ciliegio è una pianta pre-
ziosa anche per la sua rusticità. I suoi frutti sono sempre graditi spe-
cialmente perchè sono i primi dell'annata. Si prestano anche per conserve.
6. Sistemi di coltivazione. — In particolar modo il ciliegio è
adatto per l'impianto nei campi, nei broli, dove conviene l' alleva-
mento a pieno vento. Negli orti conviene la forma a vaso. È anche
- 707 -
una delle piante più consigliabili per gli impianti lungo le strade e
i viali; mentre per i Irutteti casalinghi non è consigliabile.
7. Clima ed area di coltivazione. — Si acclimatizza in tutte le regioni
d'Europa, anzi si può dire che è la pianta da frutto più estesa, poiché
dalla Svezia e Norvegia il ciliegio è coltivalo lino in Sicilia.
Questa facilità di acclimatarsi è dovuta alla sua poca sensibilità
alle variazioni di temperatura ed alla sua resistenza ai venti.
Nella regione della vile si hanno però i frutti migliori.
8. Esposizione e situazione. — 11 ciliegio ama il colle o, a meglio
dire, tutte le alture, le pendici, gli altipiani, dove circola bene l'aria e
la luce. Vicino ai boschi, dove predomina l'aria umida, il ciliegio è
poco fruttifero, ma vigoroso.
Le esposizioni fredde, soggette a brine, qualche volta nuociono
alla fioritura, mentre le esposizioni troppo calde spossano la pianta.
Lungo le coste del mare non ha vegetazione, né ha fruttificazione
normale. Con tutto questo l'esposizione è la cosa meno importante per
il ciliegio, Pùesce bene a ponente come a nord e, anzi a nord si colti-
vano specialmente le visciolone e, meglio, le viscioline.
Tab. I.VI.
Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le principali fasi
di vegetazione del ciliegio, nelle diverse regioni d'Italia.
Fogliazione
Fioritura
Maturazione
del frutto
Caduta
delle foglie
Regioni
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
I.
Piemonte . . .
Aprile
II
Aprile
I
Maggio
III
Novenib.
I
II.
Lombardia. . .
,
„
„
„
Luglio
II
Ottobre
111
Ili.
Veneto ....
„
,
,
li
„
„
„
II
IV.
Liguria ....
Marzo
III
Marzo
li
_
—
-
—
V.
Kmilia ....
Aprile
II
Marzo
III
Giugno
I
Ottobre
II
VI.
Marche ed
Umbria. . . .
„
Aprile
II
II
„
,
VII.
Toscana ....
"
.
„
,
Luglio
„
.
,
vili
Lazio
-
—
_
—
-
—
—
IX.
Meridionale
.Vdrialica . . .
Marzo
I
Marzo
l
Maggio
II
Ottobre
Ili
X.
Merid. Mediter-
ranea ....
,
II
„
II
Giugno
^
Xovenib.
I
XI.
Sicilia
„
,
Aprile
,
,
.
Ottobre
„
XII.
Sardegna . . .
Aprile
I
»
III
.
Novemb.
HI
9. Terreno. — Il ciliegio è pochissimo esigente per il terreno. Lo
troviamo nei calcari più ptiri, nei terreni più ciottolosi o sabbiosi o
ferruginosi ; soltanto nei terreni soverchiamente umidi con sottosuolo
impermeabile non ha vita lunga, le foglie ingialliscono, e dà frutti
imperfetti e va soggetto alla gommosi.
- 708 ^
M. Ervert è venuto alle seguenti conclusioni nel suo studio sui terreni più favore-
voli alla coltura del ciliegio;
aj II ciliegio è una pianta che si presta in particolar modo pei terreni profondi
e leggeri. Riesce particolarmente bene nelle sabbie alluvionali di grande potenza e
nelle terre limose.
bj Non riesce nelle terre forti, ricche di argilla come le marne cretacee.
cj Un terreno contenente 1*80% di terra lina esportata con la levigazione non
è conveniente per il ciliegio, cosi pure se ha un contenuto del 40-45% di carbonato di
calce, anche se questo calcare si trova nelle parti fine.
d) La riuscita del ciliegio è indipendente dal contenuto in calcare, riuscendo anche
in un terreno che ne contenga 0.04-0.05%.
e) La produttività del ciliegio non dipende dall'avere il terreno elementi deter-
minati dall'analisi chimica, ma subisce particolarmente l'intluenza dello scheletro del
terreno più o meno preponderante e dalle proprietà fisiche del terreno stesso.
fj II ciliegio non tollera l'acqua nel sottosuolo sia stagnante che corrente.
g) Le radici si possono accomodare in uno spazio relativamente ristretto e per
conseguenza la pianta riesce bene anche in un terreno superficiale con sottosuolo calcare,
conchiglifero in parte oppure se marnoso cretoso.
hj 11 ciliegio riesce perfettamente nei terreni e località secche.
Il ciliegio acido predilige in particolar modo i terreni calcari o
sabbiosi di buona qualità, riesce meno del ciliegio a frutti dolci nei
terreni eccessivamente calcari, marnosi o sabbie secche.
Il ciliegio innestato sul Mahaleb si pianta nella maggior parte dei
terreni, anche calcari, tollera però meno del ciliegio di monte le sabbie
secche ed i terreni troppo umidi.
10. Moltiplicazione. — Si moltiplica per seme, polloni ed innesto.
Alla molliplicazione del seme si ricorre per avere soggetti franchi.
Alla moltiplicazione per polloni si ricorre per le viscioline.
I soggetti sui quali si vuole innestare il ciliegio sono tre: il cilie-
gio proprio o dolce (Cerasus avium) ; il ciliegio di S. Lucia (Cerasiis
Mahaleb) e sul visciolo (Cerasus Caproniana).
Questi soggetti si ottengono da seme.
I semi del ciliegio mantengono appena per un mese la facoltà
germinativa, in luglio bisogna quindi stratificarli o nelle provincie
meridionali seminarli. Seminando in primavera si opera nel mese di
marzo. Un litro di semi ne contiene circa 1500 ed un Kg. 2200. A
questo mezzo generalmente è meglio non ricorrere perchè non si
ottengono soggetti tanto robusti.
II ciliegio dolce o proprio è il pili usato ed i soggetti si ottengono
seminando delle ciliegie dolci da bosco con frutto rosso, perchè piti
vigorosi di quelli con frutto nero. Generalmente le visciole si innestano
sui primi ; le tenerine e duracine sopra i soggetti ottenuti dalla semina
dei frutti neri.
Questi soggetti si adoperano per ottenere le piante più vigorose,
allevate ad alto fusto, riescono bene specialmente nei terreni né troppo
aridi, né troppo asciutti, freschi e sciolti.
11 visciolo franco si adopera per soggetto nei terreni piti ricchi,
profondi, calcari o calcarei marnosi e nelle esposizioni più calde ed
aeieale, in una parola nei terreni da vigna. Specialmente le visciolone
- 701) -
e le viscioline vengono innestale su questo soggetto, ma la pianta diesi
ottiene è sempre di mediocre sviluppo.
Il ciliegio di S. Lucia o Mahalcb chiamato anche Pruno maleho,
Megalepa, Ciliegio canino, Pruno odoroso, si trova nei nostri boschi,
nei luoghi soleggiati, sassosi e nei cespugli. È una pianta cespugliosa,
a corteccia grigio-bruna, con foglie ovato-arrotondate, cuspidate, dentel-
late, liscie, di color verde-scuro; fiori bianchi, odorosi, in racemo pe-
duncolato, che si sviluppi dopo le foglie. Frutti ovoidali, piccoli quanto
un pisello, neri o rossi, aniarissimi, non mangiabili.
Fiorisce in aprile.
È un soggetto più rustico dei precedenti ma è meno vigoroso. E
adoperato specialmente nei climi freddi e nei terreni umidi come anche
in quelli irrigati, quantunque riesca anche nei terreni molto magri,
ghiaiosi e secchi. Dà piante nane o di mediocre sviluppo quindi si
presta per le forme da spalliera e vasi, specialmente innestando le
visciolone. Avendo radici superficiali non si faccia l'impianto tanto
profondo. Bisogna fare l'innesto tardi, in settembre, poiché in agosto,
essendo il soggetto troppo in linfa, l'innesto annegherebbe.
Il ciliegio è l'unica pianta a nocciolo, sulla quale riesca perfetta-
mente l'innesto a spacco. Per gli alti fusti si fa in testa e sul posto,
quando la pianta è completamente in succo e quando le foglie sono
sviluppate, cioè dalla metà d'aprile a quella di maggio.
Generalmente conviene fare l' innesto a dimora. Dovendolo fare
nel vivaio, si abbia cura di trapiantare dal vivaio nell'anno successivo
e tagliare corto, altrimenti le piante non crescono tanto vigorose.
Si può anche innestare a gemma vegetante o dormiente sopra sog-
getti di un ainio e facendo una settimana prima l'innesto sul ciliegio
dolce dell'innesto sul mahaleb.
Innestando sul mahaleb se la varietà non si presta per formare il
fusto, si ricorre al soprainnesto.
Le varietà ornamentali si innestano sull'amarasco, meno quelle
derivate dal mahaleb che si innestano sul franco di questo.
11. Caratteri vegetativi. — Generalmente il ciliegio è ben fornito
di rami che formano una bella e ionia (fìg. 541 e 542). Bisogna con-
servare questi rami nel più gran numero possibile. Essi sono sempre
di eguale vigore e tendono ad elevarsi mentre i rami inferiori ten-
dono ad esaurirsi.
Le ciliegie tenerine e le duracine hanno gli alberi con rami nume-
rosi, vigorosi, verticali , che nel primo anno portano solo foglie ;
nel secondo anno delle rosette di foglie e si coprono di frutti nel terzo
anno. È una eccezione se si trovano dei fiori alla base dei rami della
seconda vegetazione. Portato il frutto, le branche cominciando dalla
base vanno lentamente denudandosi, non perù cosi rapidamente come
nel pesco.
Anche l'albero delle visciolone fruttifica sui rami di 3 anni di ve-
getazione, però la pianta è meno vigorosa e dà rami più brevi.
— 710 -
11 visciolino frulli lìca sui rami nel secondo anno della loro vege-
tazione. È un albero di taglia media, ha rami sottili, fragili, pendenti
ed a branche divergenti.
Per lo più nei ciliegi la gemma è solitaria, senza sotto gemme
latenti e racchiude in sé, come nel susino, i primordi del germoglio
legnoso o dei fiori. Se ad esempio la gemma si trova all'estremità del
ramo dove la linfa afiluisce abbondantemente, abortiscono i primordi
floreali e si sviluppa soltanto un germoglio. Se la linfa affluisce non
in tanta quantità, si sviluppano lìori (in numero sempre di 2 a 4) ed
un germoglio Ciò avviene specialmente se la gemma si trova a metà
Fig. 541. — Ciliegio di 25 anni.
lunghezza del ramo ; se invece trovasi verso la base, dà fiori ed
abortisce il primordio del ramo a legno Talvolta si sviluppa qualche
foglia, ma (juesta non porta alcuna gemma alla sua ascella.
Tagliando su qualunque gemma del ciliegio, si fa sviluppare un
germoglio. La gemma terminale del visciolino è sempre a legno.
Dei rami a frutto abbiamo :
a) il brindino, il quale può trovarsi lungo le branche e lungo
gli altri rami a legno. Esso porta delle gemme più avvicinate alla base
ed all'estremità che danno frutto nell'anno successivo;
b) i dardi a inazzetlo. Questi hanno nel mezzo, fra le gemme a
flore, una gemma a legno. Questi dardi si possono trovare anche sulle
branche e, portando dei frutti, sviluppano nello stesso anno un germo-
glio colla gemina terminale il quale alla sua volta, nel secondo anno,
porterà frutto ;
- 711 -
e) i dardi allungati che si formano pure nella terza vegetazione
del ramo che li porta, ma differiscono dai precedenti perché termi-
nano con una sola gemma, dalla quale spuntano i fiori e la gemma
che darà un nuovo germoglio. Questi dardi allungati sono produzioni
particolari dei ciliegi duracini.
Dal modo in cui si formano questi rami a frutto si rileva la ra-
gione per la quale il ciliegio porta frutto soltanto sui rami nel terzo
Fig. 542. — Ciliegio Duracino d'Italia di 10 anni.
anno di vegetazione: nel primo si forma soltanto la gemma, nel se-
condo il dardo a mazzetto, nel terzo questo dardo fruttifica. Contempo-
raneamente alla fruttificazione, dalla gemma terminale a legno del
dardo si sviluppa un germoglio. Questo germoglio lignificatosi nel-
l'anno successivo si fornisce di dardi i quali, alla loro volta, nell'anno
seguente daranno frutti. Un ramo quindi che ha dato frutto non ne
porta nell'anno successivo ma due anni dopo e cosi si spiega l'alternanza
della fruttificazione del ciliegio lasciato senza potatura.
- 712 -
A differenza poi del pesco, i rami a fruito si allungano più lentamente.
12. Potatura. — Ad eccezione di alcune visciolone come l'Inglese
precoce, la Regina Ortensia, l'Imperatrice Eugenia ed altre varietà con-
simili che hanno delle branche forti e diritte ma brevi, la potatura
del ciliegio in genere deve essere moderata poiché il taglio regolare è
nocivo allo sviluppo, alla durata ed alla fruttificazione dell'albero.
Il ciliegio in genere non sopporta i tagli; le ferite si rimarginano
difficilmente e lo fanno presto deperire.
I rami del ciliegio si forniscono facilmente di produzioni fruttifere
per tutta la loro lunghezza e quindi, lasciandoli anche senza potatura,
si hanno delle produzioni fruttifere continuate per una serie di anni.
Le tenerine, le duracine e le viscioline si allevano, come si vede nella
Tab. LV, per la maggior parte a pieno vento. Per la loro formazione
si curerà quanto è detto nel prossimo capitolo sulle forme npa in ge-
nerale, qui si può notare, che nei primi 2-3 anni, quando la pianta
non presentasse una buona disposizione dei rami, si può anche appli-
care un energico taglio per formare l'impalcatura della pianta. Negli
anni successivi basta sorvegliare che le branche crescano regolarmente,
equilibrandole in caso con qualche taglio, per ottenere una solida rami-
ficazione. Va da se che occorrerà anche talvolta diradare la fronda dai
rami inutili o deperenti.
Per i frutteti di famiglia, di speculazione, si possono allevare dei
ciliegi a forme basse a vaso o nane, oppure a spalliera, ricorrendo a
delle varietà più docili, innestate sul mahaleb. Le varietà indicate per
queste forme sono: Gialla di Buttner, Napoleone I, Imperatrice Eugenia,
Inglese precoce. Regina Ortensia, Bella di Montmorency, Gobet grande
(Vedi Tab. LV).
Per mantenere queste piante nelle forme ristrette bisogna ricorrere
alla potatura verde e secca.
La gemma del ciliegio può produrre, sviluppandosi, dei brindilli,
dei dardi o dei germogli legnosi.
I brindilli si lasciano intatti perchè fruttificano anche all'estremità
nell'anno successivo, cosi pure i dardi.
I germogli legnosi possono essere dei succhioni che si scacchiano
e per gli altri bisogna curare la loro trasformazione in rami a frutto
procedendo nel seguente modo :
Nella fig. 543 abbiamo un germoglio di ciliegio lungo una branca
che si vuole trasformare a frutto. Lo si cima alla fine di giugno
quando comincia a legnificare in a) sopra la ottava foglia; si hanno
per conseguenza due falsi germogli, delle gemme terminali (fig. 544).
Se questi due falsi germogli sono molto vigorosi, si cima il più lontano,
sulla sesta foglia in a ed il secondo sulla quarta foglia in b; se invece
non sono troppo vigorosi, si sopprime il germoglio più lontano in e
e quello più basso si cima fra la sesta ed ottava foglia.
Nell'inverno del primo anno si taglierà questo ramo a 3-4 gemme,
non calcolando quella della base.
- 713 —
Nella primavera del secondo anno dalla gemma terminale si avrà un
germoglio che eveiilualmenle si cima. Le due o tre gemme immedia-
tamente inferiori sviluppano dei dardi a mazzetto aventi nel mezzo
una gemma a legno. Le gemme della base si allungano brevemente
ma senza costituire delle gemme a frutto.
Nell'inverno del secondo anno, il ramo si presenterà come nella
fig. 545. Si applica il taglio secco come è indicato nella figura stessa
e cioè immediatamente al di sopra dei 2 o 3 dardi a mazzetto che si
trovano sviluppati.
Durante il 3" anno, dopo la fioritura dei dardi, si sviluppa dal
mezzo di questi e precisamente dalla gemma terminale a legno un
Fig. 543. — Cimatura del
ciliegio per avere un
ramo a fruito.
P'ig. 544. — Conseguenza
della cimatura prece-
dente. - 2=> cimatura.
Fig. 54,5. — Ramo a frutto
di ciliegio ottenuto colle
cimature precedenti.
germoglio il quale, se cresce troppo lungo, va cimato per favorire lo
sviluppo del ramo di sostituzione che sorgerà da una gemma della
base {(j). Questo ramo di sostituzione può essere un dardo o un ramo
sterile.
Il terzo taglio secco consiste :
aj nella soppressione del ramo che ha portato frutto al di sopra
del ramo di sostituzione ;
bj in un raccorciamento del ramo di sostituzione se vi ha biso-
gno. Se è invece un dardo a mazzetto lo si lascia intatto, avendo però
l'avvertenza di ottenere alla sua base, durante la vegetazione, un germo-
glio che possa nel venturo anno sostituirlo.
- 714 -
Se al contrario ù sterile, bisogna aspettare che fruttifichi nell'anno
successivo per sopprimerlo.
Comesi vede, il taglio dei rami a fruito del ciliegio, come del resto
anche del susino, dilFerisce da quello dell'albicocco e del jjesco, poiché
in questi ultimi il taglio si fa nel secondo anno, mentre nel ciliegio
la maggior parte delle volte nel terzo anno.
Qualche volta se si hanno dei dardi a mazzetto molto deboli sulle
branche bisogna rinforzarli. E ciò si ottiene levando i fiori e lasciando
le foglie intatte.
13. Forme. — 11 ciliegio viene allevato, come ho ripetuto più volte,
specialmente a pieno vento col fusto alto da m. 1.80 a 2. Si lascia che
Fig. .^46. — Chioma di visciolone a pieno vento, potata.
prenda da sé la sua forma naturale, soltanto nei primi tre anni si ha
cura di guidare i rami principali. I graffìoni di solito formano degli
alberi con la fronda a tronco di cono o quasi piramidale e col fusto
alto 1 metro; le viscioline prendono una forma a vaso, globosa,
schiacciata e meno ridotta ; le tenerine e le viscioline una forma glo-
bosa grande. Per cjueste due ultime specie si può lasciare un mag-
gior numero di branche che per le prime.
Nella fìg. .546 riproduco la fotografia di una chioma di visciolone
a pieno vento, da me potato nella colonia agricola del manicomio
di Imola.
— 71;-) —
Nei frutteti casalinghi e negli impianti industriali convengono
invece del pieno vento le forme basse a calice con o senza fusto, A
vaso si prestano in particolar modo le visciolone : Inglese precoce,
Hegina Ortensia ed Imperatrice Eugenia. Il ciliegio in genere non si
presta alla forma piramidale.
Si taglia il fusto a 40 cm. da terra e nel primo anno si allevano
due germogli.
Nel secondo anno i due rami si tagliano a 15 cm. ad uguale altezza
per allevare alla loro estremiti 4 germogli che diventano 4 branche
secondarie.
Nel terzo anno, queste branche secondarie si tagliano ancora a
15-20 centimetri, sempre sopra due gemme che guardano ai Iati, per
avere 8 germogli.
Ridotta la pianta con 8 branche, per un pajo di anni si fa il taglio
del loro prolungamento a metà, sempre ad eguale altezza e sopra una
gemma che guarda in fuori.
Negli anni successivi si taglieranno a 2/3 e sempre sopra una
gemma in fuori.
Già nel 3° anno le prime branche cominciano a portare frutto e,
successivamente, tutte le altre branche dal basso all'alto vanno co-
prendosi di rami a frutto.
La potatura annuale consiste nello scacchiare in giugno i germogli
che vanno contro al centro e gli inutili, quando essi cominciano a
lignificare. Gli altri, se sono lunghi e se non sono brindilli, si cimano
per trasformarli in rami a (vedi pag. 712) frutto. I dardi naturalmente
non si toccano.
Del resto anche senza potatura particolare queste forme continuano
a dare fruiti par oltre una trentina d'anni, avendo cura soltanto di
mantenere in equilibrio i singoli rami e di tenere in basso la vegeta-
zione. Ciò si ottiene tagliando sempre ad eguale altezza e sopra una
gemma a legno i rami di prolungamento ed accorciando qualche ramo
troppo lungo che ha dato frutto.
Avendo da coprire dei muri esposti a Nord, nei frutteti casalinghi
si possono fare delle spalliere di ciliegi ad U doppia ed a palmella
Verrier a 6 branche. Le varietà che si prestano sono l'Inglese precoce,
la Visciolina del Nord e la Bella di Montmorency ; la Regina Ortensia
avendo i rami troppo diffusi, non si presta.
Per formare queste spalliere si segue la potatura di formazione
indicala a pag. 158 soltanto si avverta di lasciare il fusto alto 40 cm.
e la distanza fra le branche pure di 40 cm.
La potatura di produzione consisterà di conservare lungo le branche
i rami a frutto, provvedendo che ognuno, dopo la fruttificazione, venga
sostituito da un nuovo ramo. Ciò si ottiene applicando le norme di
potatura indicate a pag. 712.
14. Impianto e cure di coltivazione. — 11 ciliegio viene coltivato
per Io più da noi nei broli, nelle ortaglie, o nei campi a pieno o
- 7l(i —
mezzo vento ed è abbandonalo alla libera crescila. Non convengono
gli impianti falli nei prati e pascoli poiché per la colica erbosa le
piante solì'rono per la siccità e sono poco produttive.
Non avendo radici tanto profonde, non richiede neppure uno
strato di terreno tanto considerevole per prosperare, perciò anche la
preparazione del terreno non richiede molta spesa. Per concimazione
di impianto si suol dare al ciliegio della terra vergine mista a coliche
erbose in decomposizione, inquantochè lo stallatico fa spesso putrefare
le radici , provoca la gomma e fa anche qualche volta ingiallire le
foglie.
Quando si hanno dei terreni aridi, leggeri, calcari e sassosi, si
preferisca per soggetto il mahaleb ; il quale si impiega anche per
imboschire le frane, le pendenze e per fare siepi.
I ciliegi dolci (tenerine e duracine) vengono sempre coltivati a
pieno vento e si piantano alla distanza di 6 a 10 metri. Per i giardini
raccomando il ciliegio duracino che è veramente ornamentale, lasciato
a pieno vento ed a se slesso.
Le viscioline si allevano pure esclusivamente a pieno o mezzo
vento ed isolale, avendo dei rami pendenti. I pieni o mezzi venti in-
nestati sul mahaleb si piantano a 5-6 metri di distanza.
Le forme basse sul mahaleb si piantano a 3-4 m. di distanza ; le
spalliere e contro spalliere naturalmente pure innestate sul mahaleb
si collocano alla distanza corrispondente al niultiplio di 40 cm. ossia
della distanza che si deve lasciare fra le branche moltiplicata per il
numero delle branche.
Riguardo alle colture che si possono fare fra i filari dei ciliegi
bisogna ricordare che essi soffrono e periscono presto coi lavori pro-
fondi e sopralutto coi lavori d'estate. Sono raccomandabili perciò gli
ortaggi in particolar modo e quelli a radici superficiali come sono le
fragole, le cipolle, l'aglio.
II ciliegio tollera poco i forti tagli di ringiovanimento quindi a
questi raramente si può ricorrere con vantaggio.
15. Concimazione. — Il ciliegio è molto sensibile alle concimazioni
nella sua prima età. Più tardi, quando le radici si sono estese, l'infiuenza
è molto più lenta.
Si può ricorrere alla concimazione con stallatico molto decomposto
poiché è slato anche dimostrato che i concimi di composizione com-
l)lessa hanno la maggiore efficacia. Coltivando nei broli, negli orti, nei
campi il ciliegio riceve il nutrimento dal letame che viene dato alle
colture sottostanli.
Questo però non esclude che anche per il ciliegio si debba ricor-
rere ai concimi chimici.
- 717 —
Pliche e Grandeaii fecero l'analisi chimica delle foglie di ciliegio dolce raccolte in
diversi periodi dell'anno e pubblicarono i seguenti dati analitici:
Analisi delle foglie raccolte il
28-29 aprile
3 luglio
7 settembre
2 ottobre
Ani<lride fosforica ....
Calce
Magnesia
Potassa
Ferro
Silice ....
1.5.80
30.57
7.82
32.78
1.89
1.41
8.20
38.06
18.38
17.80
C.44
1.76
5.93
44.70
14.29
12.15
9.33
2.73
3.81
44.05
17.79
11.82
5.—
2.30
Non si possiedono ancora dati che riguardano l'azoto.
Basandoci anche sui dati generali fornitici dal Steglich, (Vedi Tab. XX)
io sono dell'opinione che bisogna dare delle concimazioni complesse
e più abbondanti di quello che Io richiederebbero i dati delle analisi.
Le forinole di concimazione che mi diedero i migliori risultati per
i ciliegi a pieno vento dell'età di 20 anni, producenti in media 1 Q.'''
di frutta, sono le seguenti, applicate ogni secondo anno.
Per i terreni contenenti più del 30 % di calcare
Nitrato di soda
Solfato ammoni co
Form. / Perfosfato 18-20 %
Solfato potassico
Cloruro
Per i terreni poveri di calce
Form.
Nitrato di soda
Solfato ammonico
Scorie 18 7o
Solfato potassico
Cloruro
Kg.
1.500
1.500
7.500
2
"
2. -
Km
1.500
„
1.500
„
IL —
„
2.-
„
2.-
Con queste forinole si risparmia lo stallatico che lo ritengo pe-
ricoloso per il ciliegio.
Naturalmente bisogna ridurre questa concimazione a seconda della
quantità di prodotto che si ricava dalle piante.
16. Raccolta e conservazione dei frutti. — La raccolta delle cilie-
gie si fa quando sono a perfetta maturazione , prima che il colore
diventi sbiadito. Esse non maturano tutte nello stesso tempo quindi
la raccolta si protrae da noi ad esempio dal primo maggio a tutto
giugno e metà luglio.
Le ciliegie non si conservano bene che sull'albero e dopo raccolte
non continuano il processo di maturazione, quindi non bisogna rac-
- 718 -
coglierle prima, come si fa per gli altri frulli. Si conservano pochi
giorni dopo raccolte, al massimo 5 a (5 giorni.
Se non venisse danneggiato dalle brine il ciliegio darebbe costante-
mente un buon prodotto abbondante.
Le ciliegie più precoci maturano 30 giorni circa dopo la fioritura.
Per le altre varietà questo periodo varia da 38 a 50 giorni.
Le prime ciliegie in Italia si raccolgono nella prima settimana di
Maggio. La raccolta si fa a mano, adoperando, se è possibile, delle scale.
Un operajo in una giornata di 8 ore può raccogliere 15-30 Kg. di
ciliegie precoci e Kg. 80 di ciliegie in maturazione ordinaria. Si mette
più tempo per le prime perchè sono poche e rade sull'albero. Natu-
rahnenle quanto più è carico l'albero e maggiore è il numero dei
frutti maturi contemporaneamente, tanto più rende il lavoro.
La raccolta deve essere favorita dal bel tempo. Le pioggie fanno
gonfiare le ciliegie che si spaccano, rendendole improprie per il mercato;
allora bisogna destinarle per l'essiccazione o per fare composte.
Le migliori ciliegie si ricavano dai terreni più fertili e meglio so-
leggiati. Le ciliegie più carnose, zuccherine e ben colorale si hanno
nelle terre franche esposte a mezzogiorno. Le argille fredde, i terreni
umidi danno delle ciliegie insipide. I terreni secchi danno delle cilie-
gie con poca polpa ma resistenti ai trasporti.
L'imballaggio per le primizie si fa in cassette di Va kg. ; per le
tardive in cesie di 10 a 15 kg. Tutte le altre si spediscono in panieri.
17. Composizione chimica dei frutti. — La composizione chimica
delle ciliegie, dataci da Fresenius è la seguente:
CILIEGIE
Dolci
Rosse Nere Acide
Acqua 75.37 79.70 82.4(ì
Sostanze solubili nell'acqua :
Zucchero 13.11 10.70 8.57
Acidi liberi 0.35 0.5(5 0.90
Sostanze albuminoidi .... 0.35 0.96 ) ^
Sostanze peptiche 2.27 0.(30 )
Genere 0.60 5.73 0.83
Sostanze insolubili nell'acqua:
Nocciolo 5.48 5.73 3.24
Bucce 0.45 0.37 (5.46
Peptosio 1.45 0.66 0.40
(tenere 0.09 0.08 0.07
Nella sostanza secca:
Azoto 0.55 0.76 —
Zucchero 53.23 52.71 48.86
- 719 —
Secondo Richardsoii, le ciliegie contengono 82,48% di acqua, 2,46
di cenere greggia e 2,20 di cenere pura.
Quest'ultima si comporrebbe di :
Potassa 51.85
Soda 2.19
Calce 7.47
Magnesia 5.46
Ferro 1.98
Anidride fosforica 15.97
Acido solforico 5.09
Acido silicico 9.04
Cloro 1.35.
18. Usi. — Si preparano le ciliegie seccate al sole ed al forno,
ovvero infuse nell'alcool od acquavite, spesso aggiungendovi zucchero
ed aromi. Se ne fanno sciroppi, conserve, marmellate, composte e confet-
ture piacevolissime. Con esso si prepara il famoso liquore Kirschen-Wasser
della Selva Nera, che si fabbrica pure anche in molte parti della Francia.
A Grenoble si prepara il famoso Ratafià ed in Dalmazia l'ancora più
famoso Maraschino.
Il legno, massimamente quello del ciliegio selvatico, è suscettibile
di bella pulitura. È duro abbastanza, di color rosso vivace e si impiega
nella costruzione di mobili ed altro.
19. Dati economici. ~ Un ciliegio visciolo dà in 30 anni, tale è la
durata media della sua vita :
1. dal 6." al 10." anno annualmente Kg. 12 = Kg. 60
2. „ 11." al 25." „ „ „ 27 = „ 405
3. „ 26." al 30." „ „ „ 16 = „ 80
Totale .... Kg. 545
Produzione totale Kg. 545 a L. 0.08 L. 43.60
Valore della pianta per legna ... „ 1.—
Totale prodotto L. 44.60
Le spese sono le seguenti :
1. Valore d'acquisto dell'albero all'impianto. . . . L. 0.60
2. Spesa d'impianto „ 0.20
3. Spesa di palatura e potatura „ 0.15
4. Spesa di custodia e coltivazione in ragione di
L. 0.08 per pianta e per 30 anni „ 2.40
5. Raccolta di Q. 5.45 di ciliegie a L. 4 „ 21.80
- 720 -
Riporto L. 25.15
6. Interesse del capitale in circa 20 anni; consistente:
qj nella spesa (sub 1, 2, 3,) = a L. 0.95 al 5 % e
per anni 20 , 0.95
b) nell'interesse del capitale per la sorveglianza e
spesa di conservazione in ragione di L. 0.08 al 5% e per
20 anni „ 0.76
Totale Spesa L. 26.86
Riossunto
Totale Entrata lorda . . . . L. 44.60
Spesa „ 26.86
Rendita. . . . L. 17.74
Da aggiungersi il rischio per impreviste
in ragione del 8 y» , 0.89
Rendita netta. . . . L. 16.85
Un ciliegio quindi in 30 anni dà in media una rendita netta totale
di L. 16.85, ossia per anno (16.85 : 30) di L. 1.56, che rappresenta il
capitale di L. M al 4 %•
' In condizioni speciali questa rendila può aumentare dal 25 al 100 7o
come può diminuire dal 25 al 75%.
Un ciliegio a frutti dolci, allevato a pieno vento della durata me-
dia di 35 anni, dà in media il seguente prodotto :
1. Daini." al 15.« anno. Kg. 16 all'anno di frutta = Kg. 80
2. „ 16.» al 30.« „ „ 40 „ „ „ = „ 600
3. „ 30." al 35." „ „ 24 „ „ „ = „ 120
Totale Kg. 800
che a L. 10 il quintale importa L. 80. —
Valore dell'albero per legna „ 2.50
Totale prodotto . . . . L. 82.50
Le spese sono le seguenti :
1. Valore d'acquisto dell'albero all'impianto . . . L. 1.—
2. Spesa d'impianto ,, 0.20
3. Spesa di palatura e potatura „ 0.15
4. Spesa di custodia e coltivazione in ragione di
L. 0.08 e per 35 anni „ 2.80
5. Raccolta di quintali 8 di frutta a L. 4 „ 32.—
- 721 -
Riporto L. 36.15
6. Interesse del capitale di circa 20 anni consistente:
a) nella spesa (sub 1, 2, 3) = L. 1.35 al 5% e per
20 anni „ 1.35
b) nell'interesse del capitale per la sorveglianza e
spesa di conservazione in ragione di L. 0.08 (sub 4) al 5 %
e per 20 anni „ 0.76
7. Rischio per impreviste, mortalità 5 7o « 2.21
Totale Spesa L. 40.47
Riassunto :
Totale Entrata L. 82.50
Spesa „ 40.47
Rendita . .*. L. 42.03
Questa rendita, suddivisa in 35 anni, dà un prodotto annuo di L. 1.20,
ossia la rendita di L. 30 al 4 7o.
In condizioni speciali questa rendita può aumentare del 25 al
200 7o come può diminuire del 25 al 75 7o-
Nelle Romagne, dove si ha la maggiore coltura del ciliegio per
l'esportazione, si ricava da un ciliegio duracino di 20 anni d' età, un
prodotto da 75 a 100 Kg. per pianta.
Attualmente si vendono in media queste ciliegie a L. 20 il Q.'" e si
realizzano i seguenti dati economici, nelle annate buone :
Colla coltivazione specializzata a pieno vento avendo 100 piante
per ettaro, col prodotto di 100 Kg. per pianta ossia in totale Kg. 10.000
a L. 20, rendita lorda L. 2.000.
Colla coltivazione specializzata a forme basse, con N. 200 piante a
Kg. 50 che danno Kg. 10.000 a L. 20 L. 2.000.
Colla coltivazione consociata con 36 ciliegi a pieno vento
a Kg. 100 con un prodotto di Kg. 36.000 a L. 20 .... L. 720
3.000 piante di vite Chasselas a 2 Kg. per pianta Kg. 6.000
a L. 20 „ 1.200
Totale . . , . L. 1.920
La coltivazione consociata dà quindi un reddito presso a poco pari
della specializzata ed è anche la più raccomandabile perchè assicura
di più la rendita che viene di frequente danneggiata dalle brine. Invece
della vite si consocia la coltura delle fragole, delle cipolle, dell'aglio,
degli asparagi, dei piselli. Le circostanze economiche attuali sono contro
la monocoltura e tutte in favore delle coltivazioni consociate.
Nella Valchiusa e nel Card, colla Regina Ortensia si ottengono
colle piante di 30 anni di età fino 200 Kg. per pianta.
Colle forme basse, innestate sul mahaleb si ottiene il 50 7o di
meno di frutti.
46 — Tamaro - Frutticoltura.
- 722 -
Colla duracina laboulay nella vallala del Rodano, si hanno in media
i seguenti prodotti :
5 anni di età Kg. 5 10 anni di età Kg. 25
15 ., .. „ 50 20 „ „ „ 80
25 ., „ „ 120 30 „ „ „ 160
20. Specie e varietà ornamentali. — Abbiamo il Cerasiis serru-
lata flore pieno, il Cerasus Sìboldi, il Cerasiis flore pieno , poi molti
Mahaleb ornamentali, il più importante è però il Cerasus semperflorens
D. C. descritto dal Gallesio per Ciliegio progressifloro, chiamato dai
Francesi Cerisier de la Toussaint e dagli Inglesi Ali Saint's Everfloverlng
or Weeping Cherry.
Sinonimi italiano sono : Ciliegio di S. Martino, Ciliegio sempre in
liore, Ciliegio d'Ognissanti, Ciliegio pendalo.
È una pianta cespugliosa, a rami lunghi pendenti, sottili e lunghi.
Foglie ovali, lanceolate, dentate, glabre. Fiorisce dalla primavera a
S. Martino, da ciò anche il suo nome. I fiori sono bianchi e danno dei
frutti piccoli, acidi, discreti anche per mensa.
21. Malattie e eause nemiche. — V. pag. 500.
SUSINO
(Prunus — Fani. Rosacee).
Nomi volgari italiani della pianta — Prugno, Pruno, Susinello.
Nomi volgari italiani del fratto — Susina.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane: Prunier — Ted.: Pflau-
menbaum — Ingl.: Plum-tree.
Nomi volgari del frutto — Frane: Prune — Ted.: Pflaume — Ingl.:
Plum.
1. Specie coltivate. — Si conoscono tre specie di susino:
Prunus domestica L. (Susino Damaschino o Damas) non spinoso,
con rami eretti e glabri, frutto oblungo a sapore dolce.
Prunus insititia L. (Susino di S. Caterina) raramente spinoso, con
rami giovani pubescenti, piegati ; frutto globoso o leggermente elis-
soidale, a sapore dolce.
Prunus spinosa L., spinoso con fruito globoso e acido, aspro
(fig. 547).
Le varietà dei susini coltivali, sembrano derivare dalla selezione
o dall'incrocio delle due prime specie.
2. Origine. — Secondo il De-Candolle, il Prunus domestica cresce
spontaneo nel Caucaso, in tutta l'Anatolia e nella Persia. L'importa-
zione in Europa risalirebbe a oltre 200 anni.
Il Prunus insititia è spontaneo nell' Europa meridionale ed al sud
del Caucaso.
723 -
Del resto la coltura del susino è antichissima. Gli autori latini
citano molte varietà. Gli abitanti delle città lacustri della Svizzera, della
Savoia e del Delfinato si cibavano di questi frutti.
3. Caratteri botanici della pianta. — É un albero di media gran-
dezza, che arriva al massimo all'altezza di 5 a 6 m., mentre alcune
varietà rimangono allo stato di arbusto.
Ha radici lunghe, forti, pieghevoli, tortuose, poco ramose e poco
profonde nel terreno, anzi striscianti; rimettono molto frequentemente
dei polloni dalle loro nodosità.
11 fusto è diritto verso la cima, e getta molti rami alterni, diritti e
ramosi. La scorza del tronco è bruno-azzurrógnola, lucida, liscia o
screpolata pel lungo e non di traverso come nei
ciliegi. 11 legno è mediocremente duro, di color
rossigno, venato, capace di ricevere pulimento; è
Fig. 547. — Prunus spinosa.
Fig. 548-549. — Rami a frutto del susino.
molto flessibile, e si contorce con facilità. I rami sono generalmente
piccoli, gracili, alcune volle lisci, glabri, altre volte pubescenti, vellutati.
Le foglie sono oblunghe, seghettate, di color verde carico, liscie
di sopra e pubescenti di sotto. Sbocciano appena fiorita la pianta e
cadono in ottobre e novembre.
I fiori sono portati da piccoli rami corti, di un anno d'età, che si
possono paragonare a piccoli dardi , a bottoni multipli o a brevi
brindilli (fig. 548 e 549).
I fiori sono bianchi, solitari, con peduncoli un po' più brevi di
quelli dei fiori del ciliegio, pubescenti ed appaiati a piccole gemme a
squame scabre. Hanno un talamo a coppella, sull'orlo del quale sono
inseriti i sepali, i petali e gli stami, mentre in fondo alla coppella sta
il gemmulario. I sepali sono cinque, i petali, alternati con essi, sono
pure cinque, perfettamente liberi, ristretti alla base, col margine ondu-
lato. Gli stami sono numerosi con antere bilobe. Il gemmulario è di
- 724 -
forma ovale ad una sola casella conlenente due gemmule, e porta uno
stilo sottile con stimma a capocchia.
Il frutto, che è una drupa, è rotondo od ovale, ricoperto da una
pruina biancastra; esso è di color giallo, rosso o violaceo, a pedun-
colo mediano, pelosetto, con nocciolo bislungo, compresso un po'
scabro, che presenta da un lato una sola costola.
Dentro al nocciolo si trovano due semi, o più spesso uno solo, per
aborto dell'altro. Il seme è amaro, senza albume, e con due grossi
cotiledoni.
I semi perdono dopo un mese la facoltà germinativa.
4. Classifleazione e scelta delle varietà. Nella Tab. LVII riporto
lo schema di classificazione; nella Tab. LVllI, sono indicate in quadro
schematico le proprietà colturali delle varietà di susine di primo me-
rito, che consiglio.
Tab. LVII. Schema di classificazione delle susine (Tamaro).
Qualità della
polpa
molle da mensa
e per essicare
semi consistente
da mensa e con-
fetture
consistente per
essiccare o per
marmellate
Famiglia
j Prugne
Forma del
frutto
rotonde
Damaschine < oblunghe
ovoidali
oviformi,
lungate
piccole
tonde
allungate
grandi
Nome delle varietà consigliate
1. Kirke
2. Precoce di Rivers
3. D'estate
4. Settembrina
5. S. Caterina
6. Goccia d'oro di Coé
7. Toscana verde
8. Gialla o Buon boccone
9. Violetta o Vecchietti
10. Regina Claudia grande
11. „ „ violetta
12. , „ d'Althan
13. Precoce
14. Gialla grande
15. Grande di Nancy
16. D' Italia
17. Di Germania
Catalana Toscana verde (fig. 550).
Maturazione: fine di luglio metà agosto.
Qualità : inferiore alla Claudia, da tavola.
Ferinità : molta.
Vigoria: media.
Clima : caldo.
Terreno: buono.
Forme più adatte: pieno vento.
Sistema di coltivazione: campestre.
Descrizione del fruito : grosso, oblungo, ovale alla cima e degradante in un collo
quasi insensibile verso il pedimcolo. Buccia verdastra, opaca; polpa verde, molle di
gusto gentile, con succo abbondante e saporito.
Proprietà del frutto: bisogna consumarlo appena raccolto.
725 -
Fig. 550. — Catalana Toscana verde.
Fig. 551. — Catalana gialla (Buon boccone).
- 726 -
Quadro sinottico indicante le principali pr<
^
. — ::::=
2
a
NOME
Maturazione
Qualità
Fertilità
Vigoria
A — Damaschine
1
Precoce di Rivcrs
luglio
per cucina ed es-
notevole e
moltis-
siccazione
presto
sima
-
D. d- estate
luglio settemb.
seconda da tavola
notevole
notevole
:{
Kirke
1-15 settembre
prima da tavola
e da mercato
ìd.
molta
»
S. Caterina
15-30 settembre
da essiccazione e
per confetture
molta
id.
5
(ìoccia d'oro di Coè
fine settembre
seconda da tavola
e per essiccare
moltissima
id.
t)
I). Seltembrina
B - Catalane.
settembre-ott.
per essiccazione
molta
-
Catalana gialla
luglio
da tavola
molta
8
violetta
agosto
id.
id.
id.
1)
Toscana verde
C - Claudie.
fine luglio metà
agosto
id.
id.
media
IO
Regina Claudia verde
15-30 agosto
la migliore da
tavola e per con-
fetture
notevole
molta
R. C. d'Althan
settembre
primissima da
tavola e da mer-
cato
id.
id.
12
R. C. violetta
Z> - Mirabelle.
15-30 settembre
primissima da
tavola, da mer-
cato e per con-
fetture
media
id.
13
M. precoce
fine luglio
la migliore delle
susine precoci
da tavola
moltissima
media o
poca
M
M. gialla grande
15-30 Agosto
prima per tutto
id.
id.
15
M. grande di Nancy
E — Prugne.
id.
id.
notevole
moderata
IG
F. di Germania
fine settembre
prima per essic-
care
id.
notevole
17
F. d' Italia
15-30 settembre
prima per essic-
care
id.
id.
- 727 -
colturali delle susine consigliate (Tamaro)
Terreno
Località
Forme
più adatte
Soggetti
da innesto
Sistema
di coltivazione
indifferente j indifferente
fertile collina
pieno vento
-
campi
id.
si moltiplica
per pollone
id.
campi e broli
id.
-
broli
libere ed ap-
poggiate
-
frutteti casalinghi
pieno vento
id.
campi
buono e te- 1 i)uona
nace
fertile e fresco
fertile
riparata
indifferente
id.
id.
campi e frutteti
di speculazione
piccole
indifferente
piccole
broli e frutteti
casalinghi
broli e frutteti
casalinghi
frutteti di specu-
lazione
indifferente
fertile e te-
pieno vento
id.
campi e broli
id.
- 728 —
Catalana gialla (fìg. 551).
Sinoniini: Buon boccone, Genovese.
Maturazione: luglio.
Qualità: da tavola.
Fertilità: ricca e costante.
Clima: caldo.
Terreno: fertile.
Esposizione e situazione : collina.
Forme più adatte : pieno vento.
Sistema di coltivazione: campi.
Descrizione della pianta: Forma rotonda, alta; rami lunghi con gemme frequenti e
grosse; foglie ovali e puntile che assomigliano a quelle delle Claudie, peduncolo
colorito di rosso.
Descrizione del frutto: grosso, oviforme; buccia dapprima verdognola che poi de-
grada in giallo sudicio opaco alla maturità, velato da una parte da una sfumatura rossa ;
polpa gialla, delicata, deliquescente, però inferiore alla Claudia.
Catalana violetta (fig. 552).
Sinonimi: Susino Vecchietti.
Origine: molto diffusa in Toscana.
Maturazione: agosto.
Qualità: da tavola.
Fertilità : molta.
Vigoria : molta.
Clima : caldo.
Terreno: buono.
Esposizione e situazione: collina.
Forme più adatte: pieno vento.
Sistema di coltivazione: campi.
Descrizione della pianta : forma media; rami: sottili con gemme rade; foglie : cene-
rine, oblunghe, lanceolate, seghettate.
Descrizione del fruito : forma come quella di tutte le catalane, grossa, oviforme ;
colore violaceo chiaro dalla parte dell' ombra ; buccia tagliata da una sutura leggeris-
sima da un lato; polpa giallognola, gentile, rugosa e di un sapore zuccherino rilevato.
Damaschina d'estate (fig. 553).
Sinonimi: Zuccherina a Napoli.
Maturazione : luglio-settembre.
Qualità: seconda da tavola.
Clima : caldo.
Terreno: fertile.
Esposizione e situazione: colline.
Forme più adatte: pieno vento.
Soggetti da innesto : si moltiplica per pollone.
Sistema di coltivazione: campestre.
Descrizione della pianta : forma alta, piramidale ; rami sottili, diretti al centro e
vigoro.si, con molte foglie ; fiori piccoli, bianchi, sbocciano a grappoli che allegano
facilmente.
Descrizione del frutto : ovale-oblungo, di color giallo intenso con poca pruina ; polpa
gialla, carnosa e piena di sugo grazioso.
Proprietà del frutto: dura lungo tempo sull'albero e può fornire la tavola per un mese.
— 729
Fig. 552. — Catalana violetta (Vecchietti).
Fig. 553. — Damaschina d' estate.
- 730
Damaschina settembrina.
Maturazione : settembre-ottobre.
Qualità : ottima per essiccazione. Si conserva a lungo sull'albero ; in Liguria si
moltiplica per pollone.
Fertilità : molta.
Clima: caldo.
Terreno: pingue.
Esposizione e situazione : colline.
Forme più adatte : pieno vento.
Soggetti da innesto: si moltiplica per pollone.
Sistema da coltiuazione: campi.
Descrizione del frutto: più piccolo della Damaschina d'estate, ma ovale-oblunga ;
l)uccia liscia, giallo oro e velata da pruina bianca; polpa carnosa, abbastanza sugosa.
Proprietà del frutto: persiste sull'albero fino ad avvizzire.
Goccia d'oro di Coé (fìg. 554).
Frane: Goutte d'or de Coe; Ted.: Coe's rothgefleckte Pflaume: Ing. : Coe's Golden Drop.
Origine : Inghilterra.
Maturazione: fine settembre. Raccogliere
tardi e lasciare appassire.
Qualità: buona da tavola e per essiccare.
Fertilità: moltissima.
Vigoria: molta.
Clima : freddo, ma non umido.
Terreno: indifferente.
Esposizione e situazione ■ indifferente.
Forme più adatte : libere ed appoggiate.
Sistema di coltiuazione: frutteti casalinghi.
Descrizione della pianta : rami molto sud-
divisi.
Descrizione del frutto : Forma ovale, grossa,
mammellonata ; colore giallo dorato moschet-
tato di carminio; polpa abbastanza consistente,
succosa, di un sapore che ricorda quello del-
l'albicocco; semi liberi.
Frane. : Kirke ;
Kirke.
Ted. : Kirke' s Pflaume ;
Kirke' Piume.
ingl.
Fig. òTA. — Goccia d'oro di Coè.
Origine : Inglese.
Maturazione: 1-15 settembre.
Qualità : prima da tavola e da mercato. Si
fanno delle buone marmellate.
Fertilità : notevole.
Vigoria : molta.
Forme più adatte : pieno vento.
Sistema di coltiuazione : campestre e nei broli eccezionalmente per frutteti.
Descrizione della pianta : chioma allargata.
Descrizione del frutto: forma rotonda, grossa; colore nero-rossastro, bellissimo;
buccia molto pruinosa; polpa giallo verdastra, consistente, molto succosa, zuccherina,
piacevole, che si stacca facilmente dal nocciolo.
— 731 -
Mirabella gialla grande ((ig. 555).
Frane; Petit Mirabelle; Ted. : Gelbe Mirabelle.
Maturazione: 15-30 agosto.
Qualità : prima da tavola, per essiccare e per marmellata. Ottima anche per canditi
Fertilità : straordinaria.
Forme più adatte : piccole e grandi.
Sistema di coltiuazior.e : frutteti casalinghi.
Descrizione della pianta : piccola con rami sottili e brevi.
Descrizione del frutto: Forma oviforme, piccola, arrotondata; colore giallo pallido
con macchie resse polpa che si stacca dal nocciolo, profumala, dolce, buonissima.
Fig. 55,5. — Mirabella gialla grande.
Mirabella grande di Nancy (fig. 556).
Frane: Grosse Mirabelle; Ted.: Mirabelle von Nancy; Ingl. : Gloth of Gold.
Origine: fra Nancy e Metz.
Maturazione: seconda metà di agosto. Maturazione prolungata anche di 3 settimane.
Qualità: prima da conserve e marmellate.
Fertilità : notevole.
Vigoria : sufficiente.
Clima : resiste ai freddi.
Forme più adatte: pieno vento ed anche piccole forme.
Sistema di coltivazione: frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta: altezza notevole con la fronda larga anche 7 metri ; germo-
gli lisci ; foglie medie.
732
Descrizione del frutto: forma piccola, ovale arrotondata, appiattita alquanto al-
l'inserzione del peduncolo; buccia giallo chiara con sfumature bianche e punteggiature
rosse specialmente vicino al peduncolo ; peduncolo lungo ; polpa giallo chiara, ricca
di succo, consistente, di sapore eccellente, finissimo ; semi bruno chiari, ovali appuntiti,
che si staccano facilmente dalla polpa.
Osseruazioni : Vi ha una sotto varietà la Mirabella di Metz, che è alquanto più pic-
cola e di colore più sbiadito.
Fig.
Fig. 556. — Mirabella grande di Nancy.
Mirabella precoce (fig. 557)
Frane: Mirabelle precoce. Ted. ; Frùhe von Bergthold
Maturazione: fine luglio.
Qualità : buona, ma esclusivamente da tavola. È una
delle migliori susine precoci.
Fertilità : moltissima.
Vigoria : media o poca.
Forme più adatte : piccole e grandi.
Sistema di coltivazione: broli e frutteti casalinghi.
Descrizione del frutto : forma piccola, quasi rotonda
colore giallo ambra, leggermente o molto colorato e carminato dalla parte del sole;
polpa melliflua, dolce, buona, che si stacca dal nocciolo.
Mirabella precoce.
— 733 —
Precoce di Rivers.
Frane: Precoce de Rivers; Ted. : River' s Friih Pflaume; Ingl.: River' s Early.
Maturazione: luglio. Delle più precoci.
Qualità: per cucina e per essiccazione.
Fertilità : notevole e la pianta produce molto presto.
Vigoria: moltissima.
Clima: anche freddo.
Forme più adatte: pieno vento.
Sistema di coltivazione: campi.
Descrizione del frutto: forma rotonda, media, bruno scura; polpa che si stacca dal
nocciolo, molto succosa, zuccherina, acidula.
Prugna di Germania (iìg. 558).
Frane. : Quetsche d'AUemagne ; Ted. Hauszwetsche ; Ingl. German Quetsche.
Origine: Germania.
Maturazione- fine settembre.
Qualità: buona per l'essiccazione e per la distilleria.
Fertilità : notevole.
Vigoria: notevole.
Clima: indifferente.
Terreno: indifferente.
Esposizione e situazione: indifferente.
Forme più adatte : pieno vento.
Sistema di coltivazione: in broli e campi.
Descrizione della pianta: rami sottili, rosso bruni, glabri, con macchie bianche dalla
parte dell'ombra. Gemme brevi; foglie medie, elittiche od ovali, superiormente glabre,
di sotto tomentose : picciolo senza ghiandole.
Descrizione del fruito : forma ovale allungata, lateralmente compressa, lunga 60
min. e largo 45, con collo lungo; colore bleu scuro con molta pruina dello stesso colore
e con alcune punteggiature fine, grigie; peduncolo medio, sottile, peloso, con insenatura
stretta e piatta; polpa giallo verdognola, di frequente giallo dorata, consistente, succosa,
di sapore squisito, dolce vinoso; semi ovali allungati che si staccano dalla polpa.
Difetti della varietà: è molto danneggiata dai forti venti.
Prugna d'Italia (fig. 559).
Frane: Quetsche d'Italie; Ted.: Italienische Quetsche; Ingl.: Fellemberg.
Origine: Italia.
Maturazione : seconda metà di settembre.
Qualità : prima da essiccare, per distilleria e marmellate.
Fertilità : notevole.
Vigoria : notevole.
Clima : indifferente.
Terreno : fertile e tenace.
Esposizione e situazione : indifferente.
Forme più adatte : pieno vento.
Sistema di coltivazione: campestre.
Descrizione della pianta : altezza notevole, germogli sottili, fragili, di color verdo-
gnolo e superiormente violacei; gemme piccole, appuntite ed aderenti al ramo; foglie
medie, caratteristicamente sottili, spesso lancettiformi, per lo più pendenti, raramente
pelose; picciolo debole con due ghiandole.
Proprietà della pianta: molta sana e rustica.
- 734 -
Descrizione del frutto : forma piti grande della Prugna di Germania : colore come
quello della Prugna di Germania con punteggiature gialle; buccia sottile; peduncolo
breve, peloso, verde, diritto, in una insenatura poco profonda, pendente da im lato;
polpa poco sviluppata, giallo verdognola con delle venature a completa maturazione,
mollo ricca di succo, di sapore dolce vinoso: semi come quelli della Prugna di Germania,
un po' aderenti alla polpa.
Fig. 558. — Prugna di Germania.
Fig. 559. — Prugna d' Italia.
Regina Claudia d'Althan (fig. 560).
Reine Claude d'Althan; Ted. : Graf Althan'
Ingl. : Count Althan' s Gage.
Reine Claude :
Origine: Boemia, da un seme di Regina Claudia verde.
Maturazione: settembre, dopo la Regina Claudia verde.
Qualità: primissima da tavola e da mercato, per le tavole di lusso si avvolge anche
in carta velina.
Fertilità: notevole e la pianta fruttifica molto presto.
Vigoria : molta.
Clima: moderato.
Terreno: fertile e fresco.
Esposizione e situazione: piuttosto riparate.
Sistema di coltivazione: nei campi e nei frutteti di speculazione.
Descrizione della pianta: più alta della Regina Claudia grande verde: chioma sfe-
rica depressa.
Proprietà della pianta : molto sana, fiorisce presto.
Descrizione del frutto : forma sferica 40-45 mm. di diametro, grossa, regolarmente
depressa; colore rosa violaceo coperto da pruina bluastra, molto bella; peduncolo
robusto, piegato soltanto all'estremità superiore, verde con macchie rugginose, in una
cavità poco profonda; polpa giallo dorata, fine, molto succosa, profumata e molto dolce.
Consistente abbastanza, non aderente al nocciolo.
- 735 —
Regina Claudia grande (fig. 561).
Frane: Reine Claude dorée; Ted. : Grosse Reine Claude; Ingl. : Aloise' s Green Gage.
Origine: Siria.
Maturazione: 15-30 agosto.
Qualità : la migliore per tavola, per confetture, per cucina e per conservare nello spirito
Fertilità: notevole.
Vigoria: molta.
Clima: caldo ed anche freddo.
Terreno : permeabile, profondo, fresco, fertile. La natura del terreno ha una influenza
notevole sul volume, colore e gusto del frutto.
Esposizione e situazione: buona.
Forme più adatte: indifferente.
Sistema di coltivazione: tutti.
Descrizione della pianta: altezza media, chioma appiattita. Rami rosso-bruni con pun-
teggiature bianche. Gemme corte, appuntite e divaricate; foglie eliltiche, grandi e supe-
riormente glabre. Picciolo grosso con ghiandole ineguali.
Proprietà della pianta : resistente alle malattie.
Fig. 560. — Regina Claudia d'Althan.
Fig. 561. — Regina Claudia grande.
Descrizione del frutto: forma rotonda, grossa, alta e larga 40 mm. con un solco
profondo; buccia giallo verdognola, sottile e trasparente, dalla parte del sole punteg-
giata di rosso, coperta da pruina bianca; peduncolo medio, grosso, ricurvo, verde chiaro
con macchie rugginose; calice leggermente tomentoso, in una insenatura poco profonda;
polpa giallo verdognola con delle venature bianche, molto succosa, dolce ed aromatica;
aderente alla polpa ; semi corti, ovali.
Regina Claudia violetta.
Frane. : Reine Claude violette ; Ted. : Violette Reine Claude ; Ingl. : Purple Gage.
Maturazione : 15-30 settembre.
Qualità: primissima da tavola, da mercato e da confetture.
Fertilità : media o grande.
Vigoria : molta.
Clima: caldo.
Terreno : fertile.
Esposizione e situazione: aereate.
Sistema di coltivazione: nei broli.
Descrizione del frutto: Forma sferica, grossa; buccia violetta con delle sfumature
verdastre; polpa verde, consistente abbastanza, eccessivamente succosa e molto dolce;
semi non aderenti alla polpa.
73b
S. Caterina (fig. 502).
Frane. : Sainle Catherina : Ted. : Gelbe Catharinen Pflaume.
Sinonimi: Torlo dovo.
Maturazione : 15-30 settembre; si conserva (ino alla metà novemlire e da ciò deriva
il suo nome.
Qualità: da essiccare e per confetture.
Fertilità: molta.
Vigoria: molta.
Clima : caldo.
Forme più adatte: pieno vento.
Sistema di coltivazione: broli.
Descrizione della pianta: forma slanciata; rami, sparsi, guarniti di pochi rami
secondari.
Descrizione del frutto: forma ovoidale, media; colore giallo ambra brillante, pic-
chiettato di rosso ; polpa gialla, succosa, molto dolce.
Proprietà del frutto: il frutto si lascia sulla pianta fino a novembre, a completo
avvizzimento. Di queste varietà sono le famose prugne di Tours.
5.
Fig. 562. — Santa Caterina.
Specie di susino chinasi, giapponesi ed a fiori doppi.
Prunus Simona, specie chinese che forma un alberetto con foglie
molto grandi, elitticoallungate, lucenti, verdi-scure. Fiori piccoli, bianchi.
Fruiti bellissimi, grossi, con breve peduncolo, di colore rosso cinabro
scuro, più larghi che lunghi, con una profonda insenatura alle due
estremità. Polpa gialla come quella dell'albicocco, consistente anche
quando è matura, di sapore tutto affatto particolare, aromatica.
- 737 -
Prunus Plantiriensis flore pieno (Pruno di Plantinier a fiori doppi).
Anche questo è un arboscello con rami a scorza rosso-violacea. Foglie
larghe, cordiformi, arrotondate. Fiori molti, bianchi, larghi 25 millimetri.
Frutti riuniti a due o tre, obovali, con un solco profondo da un lato.
Buccia violetta, nera a maturazione e coperta da pruina. Polpa spicca-
gnola, verdastra. Matura alla fine di agosto od al principio di settembre.
I susini giapponesi sembrano derivare dalla specie Prunus triflora
Barb. Hanno per lo più lo sviluppo di un alberetto a chioma pirami-
dale; foglie elittiche, ricordanti quelle del pesco. I rami, lunghi gene-
ralmente, si coprono di una grande quantità di fiori e poi di frutti,
sotto il cui peso alle volte si piegano. 1 frutti sono curiosi, molto belli,
di colorito brillante, a polpa molta sviluppata, consistente, di sapore
particolare, gradevolissimo; maturano da luglio alla fine di settembre.
Sono generalmente piante vigorose, resistenti alle malattie, straordi-
nariamente fertili ed i frutti si possono conservare per una intera sta-
gione. Sono da raccomandarsi nei climi caldi (Sicilia, Sardegna) dove
non allignano i susini nostrali.
Tre varietà principali di susini giapponesi sono ora coltivate in
Europa ed in Amei'ica e cioè le varietà Botan, Burbank e Kelsey.
a) r.a Botan si distingue per la sua precocità, per il frutto grosso, giallo dalla
polpa giallo-ranciata, molto profumata.
L'albero è vigoroso, rustico, molto produttivo, a germogli allungati, grossi a scorza
lucente, liscia, fortemente violacea; gemme cortissime, piccole, sopra un cuscinetto
saliente. Foglie grandi, distiche, ovali elittiche, dentate leggermente ; di color verde
appariscente, lucenti sulla pagina inferiore; nervatura poco saliente al di sopra, pro-
nunciata al di sotto.
Frutto sub-sferico o leggermente ovale, arrotondato, che termina con una sporgenza
conica nel mezzo, cui segue da un lato una costolatura sporgente. Diametro 4-5 cm.
Buccia sottile, liscia, lucente, tenera a toccarsi, molto aderente alla polpa, di color
rosso ciliegia carnio. Polpa molto aderente al nocciolo, di color rosso giallastro, di-
venta presto molle, mucilagginosa e quasi siropposa. -Succo abbondante, zuccherino,
mieloso, con sapore speciale, forte, che lascia un po' di asprezza sul palato. Nocciolo
durissimo, obovale-elittico, lungamente convesso, lungo 22 ram. per 14.
Matura nella seconda metà di agosto.
Varietà ornamentale, più resistente al freddo della varietà Kelsey ma poco racco-
mandabile perchè i frutti soffrono pel trasporto. Potrebbe servire per la distillazione.
b) La varietà Burbank è la meno caratteristica e piìi si avvicina alle varietà no-
strali, da cui probabilmente proviene.
cj La varietà Kelsey è di straordinaria produzione ; è rimarchevole lo sviluppo
della polpa. I frutti sono grossi e talvolta grossissimi, cordiformi più o meno rego-
larmente; hanno la polpa soda e succosa, la buccia di un giallo vivace, tinta di rosso
scuro dalla parte del sole. Questa varietà preferisce i luoghi di media temperatura.
Altre varietà poste in commercio sono le seguenti :
dj CItabot. Chiamata in America comunemente col nome di Chase, ha anche per
sinonimi Baileij e Yeìloiv Japan. In essa i rami a legno sono eretti e sottili, rosso scuri
sfuuìati di verde, mentre i rami da frutto sono più grossi di un violetto olivastro e
bianchicci. I frutti, abbondanti, sono leggermente cordiformi, a buccia liscia, rossa,
punteggiata di giallo verso la base e coperta dì una pruina bluastra : la polpa aderente
al nocciolo, ha color giallo e un sapore dolce leggermente acidulo che ricorda l'albicocca.
ej Varietà pregiate sono la Berckmans, coi frutti di un bel rosso ; 1' Abundance a
frutti precoci e tardivi.
47 — Tamaro - Frutticoltura.
- 738 -
f) Una varietà molto raccomandata è la Georgeton, i cui frutti sono un poco
variabili nella forma cioè talvolta arrotondati, talaltra un poco appuntiti. Bailey dice
che è la miglior susina gialla che egli conosca, essendo di buon sapore e di lunga
conservazione.
La varietà Hale è molto pregiata. I suoi frutti globosi hanno un aspetto elegante,
sono a buccia rossa e a polpa piuttosto morbida, sugosa, alquanto addetta, con un leg-
gero sapore di pesca. La pianta non si allarga molto, ma vegeta bene ed è produttiva;
la maturazione e tardiva.
La Hunn ha i frutti piccoli di un rosso vinato con piccoli punti gialli: la polpa è
sugosa, dolce e di mezzana qualità. Ciononostante può in qualche luogo essere apprez-
zata, per la vigoria e fertilità.
La Wickson è molto pregevole e ricercata in America. La pianta è di aspetto simile
al Priintis Sinwnii ; il frutto è grosso, a buccia di un rosso marrone cupo colla polpa
gialla scura, soda, di lunga conservazione, con un gusto speciale che si avvicina a quello
della mandorla.
La sasina Kanaiva è particolare per il suo fogliame, che assomiglia a quello di un
pesco : i frutti hanno la grossezza di una grossa ciliegia ed hanno un sapore particolare ;
dentro ad una buccia rossa trovasi una polpa buona, che ricorda l'uva spina molto
matura.
La coltivazione dei susini giapponesi non presenta alcuna difficoltà.
La moltiplicazione per seme, come del resto si può prevedere, non dà
buoni risultati, fornendo dei selvatici che si avvicinano al mirabolano;
conviene perciò ricorrere all'innesto, il quale riesce tanto sul susino
stesso quanto sul pesco e sul mandorlo.
L'innesto sul pesco ha dato i migliori risultati, procurando nello
stesso anno piante abbastanza vigorose, capaci poi di fruttificare fin
dal secondo anno.
I susini giapponesi si adattano a preferenza nei climi caldi e nei
terreni profondi e freschi, ovvero irrigui; la varietà Botan resiste
meglio all'asciutto, la Kelsey è la pivi esigente rispetto alla freschezza e
alla fertilità del terreno. Volendo praticare l'innesto sul franco conviene
tener conto di tutto questo.
La coltura dei susini giapponesi è tuttora, si può dire, in esperi-
mento. In Italia, e specialmente nelle provincie meridionali, potrebbe
acquistare una importanza notevole; onde la necessità di avviare un
serio esperimento.
A Imola, nell'Azienda Agraria annessa al manicomio provinciale,
ho avuto campo, per 4 anni consecutivi, di seguire la vegetazione e di
sottoporre a potatura questi susini Giapponesi.
e. Importanza della coltivazione. — Il susino è un albero prezioso
per la facile raccolta dei suoi frutti, per l'abbondante fruttificazione
e perchè i frutti hanno una larga applicazione sia per il consumo,
come cibo ordinario da tavola, sia per preparare confetture, conserve,
acquaviti.
Nelle località adatte, è raccomandabile la sua diffusione come
quella dell'albicocco.
7. Sistemi di coltivazione. — Tanto nei campi quanto nei broli e
frutteti di speculazione, si allevano le piante a pieno o mezzo vento ed
a forma bassa a vaso.
— 739 -
8. Clima ed area di coltivazione. — Il clima che più conviene al
susino è quello della vite. Come questa, soffre in primavera per le brine
e per l'umidità che produce la colatura dei fiori.
Quantunque sia originario dei paesi caldi ed abbia una fioritura
precoce, ci sono delle varietà abbastanza resistenti ai freddi, tanto è
vero che lo troviamo diffuso anche nel Belgio, nel Lussemburgo e
nella Germania del Nord.
In Italia si può coltivare il susino, e con successo, da per tutto.
I paesi più rinomati per questa coltivazione sono quelli Balcanici
(Bosnia, Erzegovina, Serbia e Rumenia).
Nell'Asia e negli Stati Uniti d'America, specialmente in California,
la coltura del susino è molto diffusa.
Le costanti termiche del susino sarebbero le seguenti :
Dalla caduta delle foglie allo sbocciare dei fiori 1423" G.
Fino alla maturazione dei frutti .5780° C.
Temperatura a cui matura il frutto 18° C.
Faccio seguire il solilo Quadro indicante l'epoca nella quale av-
vengono le principali fasi di vegetazione del susino.
Tal). MX. Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le princi-
pali fasi di vegetazione del susino in alcune regioni d'Italia.
REGIONI
Fogliaz
Mese
ione
De-
cade
Fioriti
Mese
ira
De-
cade
Maturaz
del fri
Mese
ione
tto
^D^
cade
Cada
delle fo
Mese
ta
glie
De-
cade
I. Piemonte. . . .
Aprile
II
Aprile
II
Luglio
III
Novemb.
I
II. Lombardia. . .
„
,
,
,
Settemb .
1
„
„
III. Veneto ....
„
„
„
„
„
,
Ottobre
II
IV. Liguria ....
V. Emilia
Aprile
II
Aprile
I
Giugno
II
Ottobre
II
VI. Marche ed
Umbria . . .
III
,
II
Luglio
„
„
VII. Toscana ....
Marzo
„
,
„
„
III
„
Vili. Lazio
—
—
—
—
—
—
—
—
IX. Meridionale
Adriatica . . .
Marzo
I
Marzo
I
Agosto
I
Novemb
I
X. Merid. Mediter-
ranea ....
„
II
„
II
,
„
„
II
XI. Sicilia
„
III
„
„
„
III
„
„
XII. .Sardegna . . .
-
-
. -
-
-
-
-
-
9. Esposizione e situazione. — Sono da scegliere per il susino le
esposizioni a sud-est e sud-ovest, poste in collina, riparate dai venti,
per evitare la caduta dei frutti e la rottura dei rami, che sono sottili.
Nelle regioni molto calde, se esposto a mezzodì, il frutto si essica, i rami
screpolano e la pianta ha vita breve. In queste località si può anzi
coltivare il susino a nord.
— 740 —
Nelle regioni più elevate di quella delia vite il susino si alleva
soltanto nelle località più riparate e meglio esposte.
10. Terreno. — Il susino fra le piante da frutto è delle meno esi-
genti per il terreno.
Difatti gli convengono tutti i terreni coltivati purché non siano
eccessivamente argillosi od umidi in questi va soggetto al cancro e dà
bensi delle vigorose gettate ma pochi frutti. Nei terreni eccessivamente
sciolti i frutti sono imperfetti e la pianta solTre per clorosi.
Avendo delle radici striscianti, non esige terreno molto profondo ma
è necessario che il sottosuolo mantengala freschezza. Per conseguenza
si escludano i terreni con sottosuolo cretaceo, tufaceo, impermeabile.
Si potrà dare un indirizzo industriale alla coltivazione del susino
soltanto nei terreni permeabili, profondi freschi, fertili. Per gli altri
terreni, conviene la coltivazione di qualche pianta per il solo consumo
locale o della famiglia.
11. Moltiplicazione. — Il susino si moltiplica per seme, per polloni
e per innesto. Si può anche moltiplicare per divisione di radici, ma si
ottengono soggetti poco vigorosi. Non è consigliabile neppure la molti-
plicazione per polloni.
Per seme si riproducono abbastanza fedelmente le varietà: Hegine
Claudie, Mirabelle, Prugne e le Damaschine.
Si stratificano i semi appena raccolti, poiché conservano soltanto
per un mese la facoltà germinativa. La , semina si fa in marzo. Nei
paesi caldi la semina si fa appena raccolti i frutti.
In un litro sono contenuti 1280 semi in media ed un seme pesa in
media grammi 4,4.
I trapianti dal semenzaio e gli impianti a dimora del susino franco
si fanno sempre d'autimno e dopo un anno od al massimo due anni
di permanenza nel vivaio. Cosi anche per i soggetti innestati.
Per fare l'innesto si scelgono i soggetti franchi, ottenuti cioè da
seme delle varietà a frutto piccolo e nero. Si preferiscono le varietà
Damaschine, S. Giuliano ed il Mirabolano quale soggetto intermediario
nel soprainnesto per le mirabelle, che hanno un legno sottile per
cui si stenta ad avere un bel fusto. Il S. Giuliano è ottimo per le colture
ordinarie ed il P. Myrobolana (Susino Mirabolano) pei terreni calcari.
II S. Giuliano si semina sul posto dove si vuol fare l'innesto, col-
locando i semi alla distanza di 60 cm. sulla fila e 70 da lila a (ila per
ottenere degli alti fusti. Per le forme basse basta la mela delle suddette
distanze.
Il Mirabolano si riproduce pure per seme e per talea.
Si innesta a gemma dormiente od a spacco, sia al piede sia in
testa. L'innesto sul mirabolano si fa in stagione più avanzata che non
sul susino comune.
L'innesto al piede si applica ai soggetti rachitici e poco vigorosi,
l'innesto in testa alle varietà poco vigorose, come le Mirabelle.
Questi innesti si possono praticare al coperto sopra soggetti pre-
- 741 -
cedentemente sbarbati o direttamente sul posto. In (luest'ultimo caso
sarà utile spuntare i soggetti qualche settimana innanzi.
I susini ornamentali come il Pniniis iaponico, Iriloba, piimila, spinosa,
a fiore doppio, ecc. s'innestano a scudo o all'inglese sopra i soggetti
già descritti.
I susini giapponesi e le specie ornamentali si innestano sul Mira-
bolano ed anche sul susino franco (Quetsche) o sul S. Giuliano.
II susino Pissard, ornamentale derivato dal Mirabolano, si innesta
su questo : si ottengono così belle piante rapidamente.
Il P. triloba e sinensis e tutti gli altri a fiore doppio, etc. si innestano
sul loro tipo o sul susino franco.
12. Caratteri vegetativi. — Il susino getta vigorosamente in gioventù
e dà una notevole quantità di rami. Passati però i primi tre o quattro
anni ha una produzione fruttifera così abbondante che Io spossa.
I rami a legno sviluppatisi nell'annata precedente, diritti, lisci e
talvolta molto lunghi, si coprono, quasi per tutta la grandezza, di un
gran numero di dardi, di un minor numero di rami a legno, i quali
all'estremità, portano dei brindilli ed alla base, delle lamborde.
Nella terza vegetazione, questi rami a frutto portano fiori e frutti;
poi si allungano, formando dei nuovi germogli dalle gemme dell'estre-
mità. Eccezionalmente, in alcune varietà si possoso trovare dei frutti
sui rami di due anni e sui germogli che si sono lignificati per tempo.
La vegetazione del susino è abbastanza regolare. La linfa si distri-
buisce egualmente sulle branche lacerali e perciò la forma a piramide
non è assolutamente adatta.
II modo di vegetazione del susino è il seguente :
1. All'ascella di ogni foglia si forma una gemma a legno appuntita,
conica, larga alla base, di solito solitaria e senza sott'occhi (fig. 563).
Questa gemma può trasformansi in germoglio od in gemma a fiore
a seconda che riceve una maggiore o minore quantità di linfa.
Se il ramo è vigoroso o di un anno sviluppa un germoglio ; se il
ramo è di vigore medio o di due anni, produce una rosetta da 2 a 4
gemme a fiore con in mezzo una gemma a legno (dardo a mazzetto)
(Bm fig. 564).
La gemma a legno del susino è isolata come quella del ciliegio, può
quindi dare dei fiori o dei germogli a seconda della quantità di linfa
che riceve. Nel pesco e nell'albicocco invece, le gemme a fiore sono
assilari e distinte dalle gemme a legno.
Quando si taglia sopra una gemma a flore isolata del pesco, questa
non sviluppa un germoglio, mentre se si fa questo taglio sopra una
gemma a fiore del susino o del ciliegio, ne esce un ramo a legno
perchè la gemma a fiore contiene i primordi del fiore e del germoglio.
2. La gemma a frutto del susino è leggermente gonfiata a cuore
con una strozzatura alla base (b fig. 563).
3. Se la gemma a legno è abbinata come si verifica nelle Mirabelle
e nelle Zwetschen, la seconda gemma può essere pure una gemma a
legno od una gemma a fiore. Si possono anche trovare Ire gemme
riunite, una a legno nel mezzo e due laterali a frutto (fig. 565).
I rami che portano queste gemme si chiamano rami misti, hanno
per lo più la grossezza di una matita e sono più lunghi e più grossi
del brindino (fig. 563).
4. 11 brindino (fig. 565) è un ramo sottile, tlessibile che porta
delle gemme più avvicinate verso la cima e la base che non nella
parte mediana.
I brindilli portano delle gemme a legno che si trasformano in
gemme a frutto ; ciascuna gemma ha dei sottocchi.
Bm
Rm
Fig. 564.
Dardo a mazzetto del susino.
Fig. 566. — Dardo di susino.
Fig. 563. — Ramo misto di susino.
Fig. 565. — Brindino di susino.
Tanto il brindino quanto i rami misti hanno alla loro inserzione
un aggruppamento di gemme embrionali latenti, grosse come la capoc-
chia di uno spillo, che entrano in vegetazione quando noi recidiamo
alla base i rispettivi rami o quando questi si esauriscono.
5. I dardi nel susino hanno la lunghezza cm. 1 a 3 e sono in-
seriti verticalmente sul ramo (fig. 566).
Nei dardi, la gemma terminale serve a dare un breve germoglio
di prolungamento, quelle laterali nel primo anno producono solo un
ciuflelto di foglie e nel secondo, fruttificano (fig. 564).
- 74o -
6. Dopo che il dardo ha fruttificato, si sviluppa sul prolungamento
un secondo dardo e poi un terzo, in modo che un po' alla volta si
forma una lamborda (fìg. 548).
7. Il susino dà una abbondante fruttificazione soltanto se è prov-
visto di rami vigorosi di 3 anni e munito di una considerevole quantità
di dardi e brindilli formatisi nell'anno precedente. Le produzioni più
vecchie e divise non fruttificano perfettamente, se non hanno riposato
nell'anno precedente. Se si tagliano troppo energicamente le piante
vigorose, avviene la colatura delle gemme a frutto.
L'avveduto potatore, per avere frutti costantemente, ricorre invece
ad una specie di rotazione nella jiroduzione dei rami a frutto, alternando
sulla medesima pianta la potatura di formazione di nuovi rami a frutto
con quella che dispone i rami a fruttificare immediatamente.
13. Potatura. — l. Per la potatura di formazione, si procederà nei
primi anni come è prescritto per le singole forme, di cui si parlerà
nel prossimo capitolo.
Ottenute le branche primarie e secondarie, sorgeranno ai lati di
queste dei dardi e brindilli che si lascieranno intatti. Solo se questi
ultimi fossero troppo lunghi cosi da ingrombare si accorciano.
2. Dei rami laterali a legno o rami misti che sorgono lungo le
branche secondarie si lasciano soltanto quelli situati a destra e sinistra,
distanti fra loro 50 cm. sopprimendo quelli che si trovano al di sotto
della branca o che hanno una direzione verticale. Questi rami laterali
alla loro volta se occorre si accorciano in modo che la loro lunghezza
equivalga ad '/g della distanza che passa dalla loro base all'estremità
della branca che li porta.
3. Sul susino, come in tutte le altre piante a nocciolo, bisogna evi-
tare il più possibile i tagli in secco, per non provocare la gommosi,
valendosi della potatura verde e specialmente della scacchiaUira. Questa
si faccia in due volle, a metà maggio ed alla fine di giugno. Colla
scacchiatura si tolgono , con un potatojo affilato : i germogli che
sorgono verticali, quelli che hanno una direzione contro il centro della
pianta e quelli che sorgono al di sotto delle branche. La cimatura è
meno applicabile sul susino specialmente trattandosi di piante a vaso
od a pieno o mezzo vento.
4. Durante l'anno, dalle gemme inferiori dei rami tagliati a '/s si
sviluppa una coroncina di foglie che dà origine poi, alla base, dai dardi
a mazzetto (fig. 564) ; dalle gemme intermedie si formano dei dardi più
lunghi (lìg. 566) o dei brindilli (fig. 565) ; [dalle due gemme terminali
si sviluppano due rami di prolungamento a legno.
Nell'inverno del secondo anno, questi due rami di prolungamento
si accorciano lasciando intatte tutte le altre produzioni meno qualche
brindino che bisogna accorciare, se troppo lungo.
Nella vegetazione del terzo anno, si avranno frutti dai dardi e dai
brindilli suddetti, i prolungamenti si disporranno per produrre altret-
tanti dardi e brindilli mentre dalle due gemme terminali si avranno
altri getti di prolungamento.
744
Come si vede i rami fruttiferi anche nel susino tendono a portarsi
sempre più lontani dal centro della pianta.
Per ritardare ([uesto inconveniente si accorciano i brindilli appena
hanno fruttificato.
I dardi non si toccano. Colle successive fruttificazioni formano poi
delle lamborde tendenti ad allungarsi a cui bisogna applicare qualche
taglio di ringiovanimento.
Se i dardi sono spinosi e lunghi, come avviene in alcune piante
provenienti da seme, si accorciano (fig. 567) e
negli anni successivi si tagliano come è indi- A/lci
cato nelle (ìg. 568 e 569.
Fig. 567. — Ramo a frutto
di susino (1» taglio).
Fig. 568. — Ramo a frutto
di susino (2" taglio;.
Fig. 569. — Ramo a frutto
di susino (3° taglio).
14. Forme. — 1. Le forme più convenienti per il susino sono: il
pieno e mezzo vento ed il vaso. Alcune varietà si possoso coltivare
anche a forme appoggiate come è la palmetta.
Nella nostra coltivazione campestre, dovendo lavorare il terreno
coi buoi si darà al fusto del pieno vento l'altezza di m. 1.20 e si avrà
cura che la biforcazione delle branche secondarie avvenga a m. 1.60
dal terreno. In caso diverso converrà tenere il fusto ad un'altezza
inferiore anche ad 1 metro, poiché la pianta riesce più solida e più
resistente ai venti.
2. Pieno vento con la chioma a tronco di cono. Per i susini viene
raccomandata specialmente questa forma che si è molto diffusa nella
F'rancia meridionale. Essa ha il vantaggio della massima solidità della
pianta, di una buona aereazione dei rami e di una più razionale ri-
partizione delle branche e dei rami fruttiferi. La fig. 570 rappresenta
questa pianta in forma schematica.
Al fusto viene lasciala l'altezza di m. 1.20; alla sua estremità si alle-
vano tre sole branche primarie (p) le quali, cominciando dalla loro
745
inserzione, vengono piegate ad U invece che a V, per una lunghezza
di 1 ni. , in modo che le loro estremità vengano a trovarsi al vertice
di un triangolo equilatero avente un metro di lato (ppp). Questa altezza
viene raggiunta in 2 o 3 anni, tagliando ogni anno le tre branche a
30-40 cm. sul loro prolungamento in modo che la gemma terminale
guardi in fuori e venga a tro-
varsi al medesimo livello delle
gemme terminali delle altre due
branche.
p
/
P
r'
/
\
/
/
^ \^
/
4-
Is
/
/
/
-T-l
3 \
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\
\
: )
2
\
\
S P'
P f
Fig. 570. — Figura schematica
di un susino a pieno vento con chioma
a tronco di cono.
\
Fig. 171. — Figura schematica
della disposizione dei rami laterali
del susino.
Durante questi 2-3 anni, si scacchiano i germogli che crescono
verso l'interno e quelli più grossi. Nella potatura secca si accorciano
i brindilli tagliandoli ad 8-10 cm. di lunghezza; i dardi si lasciano
intatti. Contemporaneamente all'altezza di m. 1.60 dal terreno si alleva
una branca secondaria (ps) diretta in fuori in direzione del raggio.
Questa branca secondaria si taglia nella potatura secca sopra una
gemma che guardi in basso e ad una lunghezza equivalente ad Vs della
distanza che passa dalla sua inserzione all'estremità della branca pri-
maria che la porta.
Quando le tre branche primarie hanno raggiunto la lunghezza di
1 m. in p, si dà loro la direzione verticale fpp'), prolungandole ogni
anno di 30 a 35 cm. e tagliandole sopra una gemma in fuori. Dei
germogli laterali si scacchiano quelli che vanno nell'interno, si accorciano
eventualmente i brindilli, e ad ogni 50 cm. di distanza, si alleva una
branca secondaria. Si veda ad esempio le branche p p' lunghe 3 metri,
che portano ciascuna 6 branche secondarie in p, 2, 3, 4, 5 e 6.
— 746 -
Nella scelta delle bianche secondarie bisogna avere l'avvertenza
da non sovrajìporle le une alle altre. La prima sotto branca p s si fa
quindi sviluppare in direzione del raggio; dalla gemma 2, a 50 cm.
di distanza da p, si lascia una sottobranca che vada in fuori e nella
direzione a destra della ps; dalla gemma 3 un'altra sottobranca pure
\
Fig.
ino vento svasai
in fuori e nella direzione a sinistra della ps; infine dalla gemma 4, si
farà sviluppare una sotto branca 4s che sarà parallela e sovrapposta
alla p s. Procedendo in questo modo la fronda della pianta prenderà
la forma di un tronco di cono.
Dalle sottobranche alla loro volta si alleveranno, a destra ed a
sinistra, alternati, dei rami laterali di terzo ordine, situati orizzontalmente
ma mai guardanti in alto o in basso. Questi rami laterali vengono
accorciali in modo che la loro lunghezza equivalga ad '/^ della distanza
- 747
748 -
i'Si»-
- 749
Fig. ri77-r)78. — Susini a basso fusto.
- 750
che passa dalla loro inserzione alla estremità della sotto branca che li
porta. In tal modo la sotto branca avrà i rami laterali disposti come
una foglia di felce (Jig. 571).
L'albero dopo formato acquista una chioma a tronco di cono che
presenta la massima solidità.
Fig. 579. — Susino a ceppala.
Tanto le branche primarie quanto le secondarie si prolungheranno
ogni anno, tagliandole sempre sopra una gemma a legno. I rami la te-
rali si taglieranno come è indicato nel capitolo precedente.
3. Pieno vento con la chioma arrotondata a vaso. Nella fig. 572
riporto la fotografìa di un filare di susini da me allevati seguendo il
metodo descritto nella parte generale per la forma a vaso. Le piante
sono in piena produzione.
A differenza della forma precedente, le branche si biforcano dal
— 751 -
fusto a V invece che ad C7 e le estremità delle branche vennero perciò
tagliate sopra due gemme laterali.
Nella fig. 573 abbiamo la fotografia di un susino di 5 anni da me
pure allevato e riprodotto prima della potatura. Nella fig. 574 è ripro-
dotta la stessa pianta dopo la potatura.
Una volta che il pieno vento è formato, basterà fare la mondatura
annuale; soltanto quando la chioma tende a perdere la forma od a
sguernirsi in basso di rami laterali fruttiferi, bisogna tagliare in dietro
le branche secondarie e primarie, per rinnovarle.
4. Per gli impianti industriali nei campi aperti e per le varietà
poco vigorose nei frutteti, molto conveniente e produttiva è la forma
bassa con chioma svasata (fig. 575-578) oppure senza fusto e colle
branche che partono dal livello del terreno divaricandosi a V e for-
mando un calice (fig. 579). Anche per queste forme si cura la pota-
tura di formazione per i primi 5 e 6 anni regolando contemporanea-
mente l'equa ripartizione dei rami a frutto. Negli anni successivi si
tiene la chioma ben mondata all'interno e si accorciano solo le estre-
mità, tanto quanto occorre per mantenerle di eguale altezza.
15. Impianto e cure di coltivazione. — La coltivazione del susino è
facile, poiché non richiede le cure assidue di potatura del pero e del pesco.
Per la sua coltivazione è meglio scegliere località isolate, poiché
esso soff're della vicinanza di altri alberi. L' unica pianta colla quale
simpatizza é la vite. Nei frutteti o broli, sarà bene scegliere per il su-
sino spazi isolati, nei luoghi più ventilati, poiché la chioma prende
una forma sferoidale. Uno o due alberi cosi isolati daranno più frutti
che una fila di piante troppo vicine fra loro.
Intorno alle piante bisogna essere parchi di zappatura, anzi non
conviene zappare durante la vegetazione, specialmente in primavera
per non provocare l'emissione dei virgulti. Del resto é noto che zap-
pando in primavera si provoca la colatura dei fiori, causata dall'umi-
dità immagazzinata nel suolo.
Il susino si alleva come abbiamo visto, a mezzo vento ed a vaso.
A pieno vento si colloca a 4-6 m. di distanza, a seconda della
vigoria della pianta. (Per le distanze vedi Tab. XVI).
A tale scopo si innesta al piede od in testa e si procura, nei primi
anni, di assecondare colla potatura secca la forma che si vuol ricavare
e che più si avvicina a quella che naturalmente viene a prendere la
chioma della pianta. Negli anni successivi si pratica la mondatura.
Il susino essendo una pianta dai rami gracili che lascia cadere
con facilità i frutti, meglio gli convengono il mezzo vento e la forma
a vaso. Questa ultima é da raccomandarsi specialmente per i frutteti
di speculazione. Il susino non conviene per le forme a spalliera.
Ripeto ancora che conviene giovarsi della potatura verde piuttosto
che di quella secca nel susino, se si vuole mantenere le piante sane.
Benché suscettibile di lunga vita (in media 33 anni) il susino si
esaurisce presto ed allora dà frutta piccolissime; si tenta di ringiova-
— 752 -
nirlo, facendo un taglio presso le branche principali. Nuovi getti poi
escono dal legno vecchio che possono servire a ricostituire l'albero.
Perchè la pianta però non soffra, bisogna coprire le ferite con un
mastice ed operare in autunno.
Anche gli impianti del susino si fanno di solito in autunno.
La concimazione si può fare seguendo le medesime regole indicate
pel pesco, soltanto il susino avendo minori esigenze di questo, si po-
tranno ridurre le dosi di concimazione.
Si ricordi però la massima che nella coltura di questa pianta il
punto essenziale a cui si deve mirare è l' ottenere grossi frutti ; ciò
non si ha che con piante giovani, trovantisi in terreno adatto e ben
concimato.
16. Raccolta e conservazione dei frutti. — Le susine annunziano la
loro maturazione con un profumo speciale che emanano ; sono mature
quando, scuotendo leggermente l'albero, qualche frutto comincia a cadere.
Le susine destinate alla spedizione e destinate per le tavole, devono
essere raccolte a mano, lasciando intatta più che si può la pruina, tor-
cendo leggermente il peduncolo e non rompendolo. Si separano subito
le susine buone dalle alterate e si trasportano dalla campagna entro
panieri imbottiti.
La raccolta anche per una stessa varietà si fa in ordine diverso, a
seconda del modo con cui si intendono utilizzare le susine.
Prima si raccolgono le susine che si intendono conservare nel-
l'acquavite o nello spirito; poi vengono quelle da conservarsi col si-
stema Appert; poi quelle da candirsi, poi quelle da confetture, poi
quelle per fare marmellate e paste diverse, ultime quelle per l'essicca-
zione o per la fabbricazione dell'acquavite. La raccolta delle susine
da conservarsi fresche si fa a metà circa di tutto questo periodo.
E preferibile raccogliere le susine al momento in cui si possono
poi impiegare. Bisogna scegliere giornate asciutte in cui gli alberi
non siano bagnati da pioggia o rugiada. È evidente che per le susine
destinate alla distillazione, alle pasticcerie, eccettera, occorrono meno
riguardi che per quelle da mensa, tuttavia bisogna sempre tener conto
della durata del trasporto, della dimensione dei colli, dello stato dei
frutti e dei patti conchiusi coll'acquirente.
Evidentemente le susine da mensa devono arrivare più fresche che
è possibile, devono conservare la loro pruina sulla buccia, il peduncolo
deve essere intatto. Per questo si deve avere la maggior cura nella
raccolta e nell'imballaggio.
In Francia le susine da mensa si mandano entro ceste, il cui fondo
e le cui pareti si rivestono di paglia; fra questa e le prugne si collo-
cano delle foglie d'ortica, colla pagina inferiore contro le prugne. Le
foglie d'ortica hanno fama di preservare la pruina delle susine. Si spe-
discono di solito entro ceste di vimini col rispettivo coperchio con-
cavo, delia capacità di 10 o al massimo di 20 kg.
Le susine nel fruttaio non si possono conservare oltre 5 giorni.
— 753 —
17. Composizione chimica dei frutti. — Il valore nutritivo delle
prugne, secondo R. Fresenius, sarebbe poco più della metà di quello
delle ciliegie e delle albicocche; 210 parti di prugne, come alimento
plastico, equivarrebbero ad una parte di albumina anidra.
La composizione è indicata nella Tab. LX.
18. Utilizzazione dei prodotti. — La susina è il frutto che trova
il maggior impiego nella economia domestica. Se qualche varietà non
piace al gusto, può servire per confezionare conserve, per fare acqua-
vile ecc. Difatti le susine fresche forniscono le nostre tavole di un
frutto eccellente, vengono anche disseccate, si fanno marmellate, torte,
composte, altre vivande squisite; i confettieri le preparano nei siroppi
e liquori, o ne fanno paste e confetture per usi da tavola. In alcuni
paesi della Croazia, nei Balcani, nella Selva nera, si fabbrica un liquore
(Slivovitz o Zwetschen-Wasser) ; l'industria principale è però sempre la
preparazione delle prugne secche tanto per uso da tavola quanto per
medicinale. 1 paesi più rinomati per le prugne secche sono la Bosnia,
la Boemia e l'Alsazia.
La polpa delle susine è zuccherina, profumata, gode di proprietà
rinfrescanti, dolcilìcanti e leggermente lassative, perciò si adoperano
in medicina. Mangiate acerbe possono cagionare dissenterie.
11 legno dell'albero è poco utilizzabile per essere lavorato, perchè
screpola e si contorce. Vale anche poco come combustibile.
19. Dati economici. — Il susino allevato a pieno vento, arriva, come
ho detto, in media all'età di 33 anni e comincia a produrre nel sesto anno.
Nel periodo di produzione:
a) (dal sesto al dodicesimo anno) produce in media ogni anno 14 kg.
che per 7 anni = Kg. 98
bj (dal tredicesimo al ventiseiesimo anno) produce in media ogni
anno 28 kg. e per 14 anni = . . . „ 392
e) (dal ventisettesimo al trentatreesimo anno) produce in media
ogni anno 14 kg. e per 7 anni = „ 98
Produzione totale nella vita kg. 588
Circa 600 kg. di prugne a L. 6 rappresentano un'importo di L. 36,
vi si aggiunga il valore dell'albero (L. 1.20) e si ha un'entrata lorda
per albero di L. 37.20. Le spese sono le seguenti:
1. Valore della pianta all' impianto L. 0.60
2. Spesa per l'impianto „ 0.20
3. Spesa per palatura „ 0.15
4. Spesa per sorveglianza e governo nei 33 anni di vita in ragione di
L. 0.08 per anno ,. 2.G1
5. Raccolta delle frutta in ragione di L. 1.50 per quintale (Q. (i; . . , 9.—
0. Interesse del capitale d'impianto e d'esercizio, composto come segue:
a) Spese (sub. 1, 2, 3l equivalenti a L. 0.95 al 5% e per anni 15 . . „ 0.71
b) Interesse del capitale speso per la sorveglianza, nonché la perdita
di rendita che si verifica nel terreno circostante all'albero „ 0.42
Totale Spese L. 13.72
Riassunto
Rendita lorda L. 37.20
Spese , 13.72
Restano .... L. 23.48
Rischio per imprevedute 5% . . . . 1.17
Rendita neUa . . . L. 22.31
48 — Tamaro - Frutticollura.
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— 755 —
Un prugno in 33 anni di vita dà una rendita totale di L. 22.31 ossia
una rendita annua media di (L. 22.31: 33) L. 0.67 che rappresenta l'inte-
resse di L. 16.75 al 4 Vo-
Nei fruiteti, questa rendita può aumentare dal 25 al 100 "/o, mentre
anche può diminuire, in condizioni sfavorevoli dal 25 al 75"/„.
20. Malattie e cause nemiche. — (Vedi pagina 500 e seguenti).
OLIVO
(Per la produzione delle olive da mensa).
(Olea europaea L. — Fara. Oleacee)
Nomi volgari stranieri della pianta: Frane. Olivier — Ted. Oliven-
baum — Ingl. Oliven-tree.
1. Origine. — Sembra originario dell'Asia minore da dove venne
poi portato in Grecia, Sicilia e Sardegna. È una delle piante più anti-
camente coltivate in Italia.
2. Caratteri botanici della pianta. — L'olivo comprende due sotto-
specie-, l'olivo selvatico od olivastro e l'olivo domestico. Quest'ultimo
è quello coltivato pei suoi frutti, ha statura più alta e ramoscelli più
flessibili dell'olivo selvatico. Sprovvisto di spine, ha foglie più lunghe
e larghe; frutti più grossi, più polputi e cresce più presto. L'infiore-
scenza è a grappolini, avente da 15 a 30 fiori muniti di peduncoli de-
licatissimi e di corolla bianco giallognola, ermafroditi. Avvenuta la
fecondazione la corolla cade e non rimangono più di 4 o 5 olive.
Le foglie crescono a due a due sui ramoscelli, cosi anche i ramo-
scelli che sono opposti uno all'altro.
3. Caratteri generali delle olive da mensa. — Le olive da mensa
generalmente sono voluminose, ricche di polpa e con piccolo nocciolo.
Sono relativamente poco ricche di olio, perciò la polpa ha un gusto
delicato, poco marcato di olio.
Le piante che le producono sono' per lo più di grandi dimensioni,
con rami flessibili. Le foglie sono di un bel colore verde chiaro o
cenerognolo.
In quasi tutte le regioni dove si coltiva l'olivo, si trovano delle
varietà da mensa : per queste vengono destinate le migliori esposizioni,
riparate dai venti, con terreno fertile, a clima costantemente mite.
Citerò le varietà principali italiane e qualcuna delle Spagnuole e
Francesi.
Il prof. Antonio Succi, in una sua pubblicazione intitolata: Contributo allo studio
degli olivi neli Umbria. {aHa nel giornale Le stazioni esperiiuentali Agrarie Italiane, volume
XXXIX fase. Vili, cita le seguenti varietà da concia in uso nell'Umbria stessa:
1. Corniolo o Roggio da concia. — Questo olivo non è molto esigente per clima
ed esposizione, non essendo mollo danneggiato dalle brine eccezionali. Ha pure limitate
esigenze iu qualità di terreno, si avvantaggia però dei concimi piuttosto abbondanti,
specialmente se non sono di troppo rapido effetto.
— 756 —
l.a vegetazione è. rigogliosa, a fogliame ricco. Sopporta male i tagli, ma non viene
attaccato dalla rogna.
Le fasi vegetative si succedono alquanto precocemente, l'alligameuto dei fiori è un
poco difficile sicché la ])rodu/,ione riesce incerta e quasi sempre povera.
L'oliva si raccoglie ancora verde per essere addolcita e conservata in salamoia.
La coltura di <iuesto olivo è assai limitata nella località, dato l'uso assai specioso
al quale si presta, quasi esclusivamente, il frutto.
Per molti caratteri questa varietà ricorda (niella Da curare e Franloia del Laurenzi.
Kaiììificazioni: Rami dell'impalcatura, grossi, sostenuti, dritti a corteccia liscia; rami
delle palraette abbondanti, allargati, non molto sostenuti; rametti di un anno meno
abbondanti, piuttosto arrotondati di media grossezza, di colore bruniccio, ad internodi
medi, nodi j)iuttosto ingrossati, gemme ascellari piccole.
Foglie: Medie o grandi non molto larghe, spesso con leggiera incurvatura a doccia,
ad angolo ascellare medio. La pagina superiore è di colore verde normale lucente, la
inferiore bianco verdetto.
l'iori e piante: Migne medie o grosse bianchiccie; grappoli di media lunghezza
aventi per lo più un solo acino persistente sul peduncolo.
Frutti gibbosi, leggermente ovali e pontuti, buccia resistente, polpa abbondante,
poco carnosa, poco succosa. Nocciolo allungato molto appuntito, acuto liscio, di media
grossezza relativa.
Dimensioni uìedie :
Frutti: Lunghi cm. 2.4, larghi cm. 1,4, vot. cmc. 2,1.
Noccioli: „ „ 1,70 , , 0.7.5 „ „ 0,43.
Rapporto della polpa al volume totale: 0,80 a 1.
2. Olivo da concia. — L'olivo da concia si adatta nìediocremente ai climi ed
esiiosizioni poco buoni; resiste abbastanza bene alle brinate forti. Vuole buone terre
fertili ed ama le ricche concimazioni. Sopporta abbastanza bene i tagli e non viene molto
facilmente attaccato dalla rogna.
La vegetazione è rigogliosa, a fogliame piuttosto ricco.
11 germogliamento, come le altre fasi vegetative, si succedono alquanto precoce-
mente. L'allignaniento dei fiori succede abbastanza facilmente e la fruttificazione è rada,
ma quasi sempre sicura.
L'olivo per addolcire, si utilizza raccogliendo quando ancora non è avanzato il
colorimeulo in bruno.
La coltivazione di quest'olivo è assai rara e limitata: è alquanto più nota la sot-
tovarietà ad acino alquanto più piccolo.
Questa varietà sembra corrispondere a quella indicata col nome di dolce dal Laurenzi.
Ramificazioni: 1 rami dell'impalcatura sono grossi, un pò" allargati, ma sostenuti,
a corteccia liscia; i rami delle palmette sono abbondanti, lunghi, non molto sostenuti,
cosi pure sono i rametti di un anno; questi hanno colore bianco verdastro, internodi
medi o lunghi, quadrangolari, a nodi poco pronunziati e gemme ascellari di medio
sviluppo.
Foglie grandi, allungate, spianate od assai leggermente incurvate a doccia rovescia ;
l'estremità è un poco arrotondata. La pagina superiore è di color verde puro, la infe-
riore bianco verdetto.
/•7or/ e frutti: Migne grosse, biancastre, in grappoli di media lunghezza o lunghi,
(piasi sempre con un sol acino persistente.
Fruiti eccezionalmente grossi, a forma ovale regolare, buccia resistente, polpa
abbondante, carnosa, poco succosa. Noccioli elissoidi, allungati, puntati, relativamente
piccoli, lisci. Dimensioni medie.
Frutti : Lunghi cm. ,3,1, larghi cm. 2,5, voi. cmc. 8,4.
Noccioli: , „ 2,3, „ „ 1,0.5, „ „ 0,7.
Rapporto della polpa al volume totale 0,91 a 1.
Oltre a questo olivo, se ne ha un altro pure da concia, da ritenersi sottovarietà di
esso e che sopralutto si distingue per avere i frutti alquanto più piccoli.
- Ihl —
I frutti di quest'oliva da concia mezzana hanno le seguenti dimensioni medie:
Frulli: Lunghi cni. 2,35, larghi cni. 1,07, voi. cnic. 2,6.
Noccioli: , „ 1,7 , , 0,9, „ „ 0,6.
Rapporto della polpa al volume totale 0,78 a 1.
3. Corniolo dolce o Corniolo da curare. — 11 Corniolo dolce vuole clima mite e buona
esposizione resistendo male alle brine eccezionali: ama terre buone e ben concimate.
La vegetazione è rigogliosa, ma non molto ricco il fogliame. Resiste abbastanza
bene ai forti tagli : va molto soggetto agli attacchi della rogna.
II germogliamento, la mignolatura, la fioritura e la maturanza si riscontrano in
epoca inedia. L'alligamento dei fiori non riesce troppo facile e quindi incerta e poco
abbondante risulta la produzione.
L'uliva che produce serve principalmente per essere conservata in salamoia. Il
reddito al frantoio è scarso e l'olio riesce morchioso.
Ricorda il Corniolo o Raggio da concia di Perugia.
lUiniiflcazioni: l rami dell'impalcatura non sono molto grossi; sono sostenuti, diritti,
lisci : i rami delle palmette non sono molto abbondanti e sono eretti ; i rametti di un
anno sono poco numerosi, quadrangolari ad internodi medi o corti, nodi poco ingros-
sali, gemme ascellari normali.
Foglie: Medie, allungate, strette, ad estremità alquanto acuta mucronata, ad angolo
ascellare poco aperto.
La pagina superiore è di colore verde normale, l'inferiore bianca lavata leggermente
in verdetto.
Fiori e fruiti : Migne medie o grosse, di colore biancastro verdognolo, grappoli brevi
o medi per Io più con un sol frutto persistente.
Frutti grossi ovoidali arrotondati, buccia piuttosto resistente, polpa abbondante,
carnosa a poco succo acquoso.
Noccioli quasi regolari ovoidi.
Dimensioni medie :
Frutti: Lunghi cm. 2,5 larghi cm. 1,6, voi. cmc. 2,3.
Noccioli: „ „ 2 „ „ 0,75 „ „ 0,5.
Rapporto della polpa al volume totale 0,78 a 1.
4. Grasso o da Guazzo. — L'ulivo grasso o da Guazzo prospera nel clima del
lago Trasimeno in tutte le esposizioni.
Ha vegetazione alquanto stentata, in ramatura gracile, fogliame di media ricchezza.
È pressoché immune da rogna.
Il germogliamento, la mignolatura, la fioritura e la maturanza del frutto sono pre-
coci. L'alligamento dei fiori è abbastanza sicuro ma la produzione riesce scarsa a causa
del limitato numero di grappoli che porta.
L'oliva al frantoio dà poco olio morchioso, si usa sopratutto per conservare in
salamoia (i Toscani dicono in guazzo).
L'ulivo grasso ha poca o niuna importanza nella località : per alcuni caratteri
sembra avvicinarsi al Puntarolo descritto del prof. Caruso fra gli olivastri.
Ramificazioni: I rami dell'impalcatura non sono molto grossi, i rami delle palmette
sono molto lunghi, poco sostenuti; i rametti di un anno presentansi relativamente grossi,
quadrangolari o rotondi, con intermedi medi o lunghi, modi spianati, gemme piccole.
Foglie: Grandi, larghe, spianate, puntute, mucronate, con angolo ascellare strette,
picciolo alquanto allungato. La pagina superiore è di colore verde scuro.
Fiori e frutti: I grappoli sono brevi o medi, rari, con uno o, più di rado, con due
frutti persistenti fino alla maturanza.
Frutti grossi, elissoidi arrotondati, lievemente puntuti, buccia poco resistente, polpa
consistente, poco succosa, acquosa.
Noccioli di forma un poco tozza, leggermente gibbosi, a superficie rugosa.
Dimensioni medie :
Frutti: Lunghi cm. 2,3, larghi cm, 1,5, voi. cmc. 2,4.
Noccioli: „ . 1,8, „ . 0,8, , „ 0.5.
Rapporto della polpa al volume totale 0,79 a 1.
- 758 -
f). Boce o Voce o Corniolo od Olivo da pasto - Questo ulivo resiste abbastanza
tiene anclie nei climi rigidi e nelle esposizioni meno favorite; è poco sensibile alle
brinate straordinarie. Si adatta anche nelle terre poco buone ma si avvantaggia util-
mente dei concimi.
La vegetazione è assai rigogliosa, il fogliame ricco a disposizione aperta. Sopporta
male i forti tagli, ma non viene facilmente attaccato dalla rogna.
Sono precoci tutte le fasi vegetative; difficile e incerto è l'allignamento dei fiori,
per cui scarso ed incerto è il prodotto.
L'uliva si utilizza sopratutto conservandola in salanìoia.
Ricorda per molti caratteri il Corniolo o Raggio da concia di Perugia.
Ramificazioni: I rami dell'impalcatura sono grossi, divaricati, dritti, a corteccia
liscia: i rami delle jialmette sono abbondanti, sostenuti: i rametti di un anno sono
(juadrangolari, di color normale, ad internodi medi, nodi poco ingrossati, gemme normali.
Foglie medie, piuttosto allungate ed acute, mucronate. Lembo spianato o legger-
mente incurvato, a doccia sulla pagina inferiore : buccia resistente, polpa abbondante,
non molto succosa, acquosa.
Noccioli allungati, puntuti, gibbosi, rugosi.
Frutti: Lunghi cm. 2,45, larghi cm. 1,60, voi. cmc. 2,2.
Noccioli: , , 1,85, „ „ 0,8, „ „ 0'6.
Rapporto della polpa al volume totale 0,77 a 1.
C. Oliva spagnuola o di Spagna. — F'rutto grossissimo, quasi rotondo, un po' bislungo,
ottuso. Pare essere la Orcliis di Columella e la Olea fonetu maxima di Garidel e Tournefort.
Nelle Puglie abbiamo di questa due sotto varietà :
Santagostino di Bari, lunga 31 mm. e larga 23 nim. liscia con peduncolo corto. Sotto
questo nome si coltiva anche a Piedimonte ed a Cerreto.
Uliva grossa sanginesca de' Pencezii (Bari).
Sempre al gruppo delle Olive di Spagna appartengono gli Olivoni dei territori di
Francavilla, Cerchiara etc. e le Oliue di Ascoli, dove si è creata una industria di primo
ordine per la preparazione delle olive in salamoja. •
Indubbiamente, per chi volesse estendere la coltivazione dell'olivo per produrre
delle olive da mensa, è preferibile a tutte l'oliva di Spagna.
7. Oliva d'Andria. — Frutto massimo, bislungo, più largo verso l'apice, lungo 42
mni. largo 24 cm. Nocciolo lungo 32 mm largo 10 mm., un po' curvo, profondamente
solcalo.
8. Oliva di Cerato. — È delle più diffuse e grosse, di Cerato e Ruvo. È buonis-
sima per mangiare.
Nelle Calabrie si coltivano le seguenti varietà.
'J. Muso di corvo, lung. 26 mm. largh. 20 ram.
10. Rotondello, lung. 24 mm. larg. 20.
11. Tubercolosa, lungh. .30 mm. largh. 22.
l'i. Cumigana che si coltiva altresì sul versante Tirrenico. Di questa si hanno i
seguenti dati :
dimensioni mm. 28X21
peso della drupa gr. 4.5-8
„ „ sola polpa „ 4-7
„ „ „ nocciolo „ 0.75
Rapporto "/„ della polpa col nocciolo 84 a 16.
13. Olivone coltivato oltre che a Cosenza, anche nei territori di Francavilla, Cer-
chiara, ecc. Di questa varietà si hanno i seguenti dati :
dimensioni mm. 31X21
peso della drupa gr. 8
sola polpa „ 6.7
„ nocciolo „ 1.3
Rapporto % fra la polpa ed il nocciolo 8 2.5-17.5.
Nella Basilicata.
- 75i» -
14. Uliva dolce di Roccanuova. — Frutto con polpa dolcissima, con >m piccolo
senso di amaro, gustosissima. È di forma ovoidale, lunga ram. 21 e larga mm. L'i : con
nocciolo costato, tondo, alquanto ristretto alla base.
Nel Napoletano :
1.'). Uliva la rustica (rostica a Sorrento). — È tonda, mezzana, nera, con punteggia-
ture bianche; l'albero ha rami pendenti.
16. Uliva la vajana, che ha la forma e la grandezza di una ghianda.
In Sicilia ;
17. Oliva neba. — Sinonimi: Oliva di Mazzara, Marmorigna di Catagna, Uliva
bariddara di salarisi, Scarmazzata. Secondo il Caruso corrisponde alla oliva Cellina dei
Fig. 580.
Oli
di Ascoli
Leccesi. 11 frutto è più largo alla base, assai polputo. Nocciolo piccolo : maturazione
anticipata.
18. Oliva giarraffa. — Le olive sono bislunghe, più ristrette verso la base, acumi-
nate da ambo gli estremi. Sono le olive più grosse della Sicilia e raggiungono la gros-
sezza delle susine. È la varietà Picena di Plinio, l'oZea maxima hispanica di Bacchino
ed è simile alla L7ji;a di Andria.
Sottovarietà della giarraffa sembra siano la giarra/fella di Castelbuono, la ceresola,
la prunara, la caloria o reale di Messina e Catania, il Corregiolo di Toscana.
19. Oliva becco o pizzo di corvo. — Con rami pendenti e foglie lunghissime. Il
frutto è mezzano, arcuato, di color nero. È la Cornajola di Terra di Lavoro o Corniola
di altri luoghi. Oliua storta in Istria.
— 7«iO -
20. Oliva patornese. - Kassoiiiiglia all'o/ea racemosa di Gonan. Il frutto è rotondo,
ovale, di color nero sparso di punti bianchi.
Le varietà francesi che servono per uso commestibile sono Liicqiies, Picholine
Ventale e Anienhio. Quelle spagnuole Madritena. Siuigtiana, Picudo e Manganitto.
Delle varietà indicate più sopra presento in un quadro i dati princi-
pali che si conoscono, perchè il lettore possa regolarsi sulla scelta.
Tab. LXI. Prospetto delle principali olive da mensa.
Diametri
Peso
Rapporto
della drupa
centesimale
NOME
deir inte-
della
del solo
fra la polpa
mm.
ra drupa
gr.
sola
polpa
nocciolo
ed il nocciolo
A. Olive italiane
1. Corniolo o Roggio da
concia (Umbria! . . .
24-14
80:20
2. Olivo da concia
31-25
91:9
3. Corniolo dolce
25-16
78:22
4. Grossa o da Guazzo
(Umbria)
23-15
79:11
5. Boce 0 Voce (Umbria)
(Corniolo od olivo da
pasto)
24.5-16
77:23
6. Grossa di Spagna (Ascoli
e Puglie) (fìg. 580) . . .
34-23
84:16
7. Oliva d'Andria (Puglie)
42-24
8. Muso di corvo (Calabria)
26-20
9. Rolondello. . .
24-20
10. Tubercolosa . .
30-22
11. Cumigana ...
28-21
4.5-8
4-7
0.75 ,
84:16
12. Olivone ....
31-21
8
6.7
1.3
92.5 : 17.5
13. Oliva di Corate.
14. Dolce di Roccanuova
.
(Basilicata)
15. Rustica (Napoli) ....
16. La Vajana „
17. Nera (Sicilia)
18. Giarraffa
19. Becco o Pizzo di Corvo
(Sicilia)
20. Patornese
R. Oliue francesi
21. Lucques
31-9
78:22
22. Picholine
25-75
88:12
23. Verdale
24-10
86: It
24. Amenlaon
34-12
72.2 : 27.80
C. Olive spagnuole
25. Madrilena
35-28
12
11
1
91.66:8.34
26. Savigliana
28-20
6
5
1
83.34 : 16.66
27. Piendo
30-18
5.2
4.2
1
80.77 : 19.'i3
28. Manganino
23-25
8
7
1
87.50 : 12.50
- 761 -
5. Importanza della coltivazione, — In Italia dove la coltivazione
dell'olivo ha una slraoidinaria importanza, si dovrebbe dare una mag-
giore estensione alla coltura per le olive da mensa poiché anche colle
nostre varietà, potremo con facilità competere a quanto si produce e
si commercia per l'estero in Grecia, Spagna, Portogallo e Francia.
Da noi la regione nella quale l'oliva da mensa è oggetto di una
importante esportazione è l'Ascolano seguono Messina, Palermo, Cata-
nia, Reggio Calabria, Bari, Benevento, Caserta, Cosenza.
6. Sistemi di coltivazione. — Come pei comuni oliveti.
7. Clima ed esposizione. — Richiede clima temperato e costante;
viene molto danneggiato dagli sbalzi di temperatura. Predilige la vici-
nanza dei laghi e del mare perchè questi bacini acquei rendono la
temperatura più costante.
Soffrendo per gli sbalzi di temperatura, rifugge i terreni esposti a
levante; migliore è l'esposizione a ponente e migliore ancora quella a
mezzogiorno.
Rispetto all'altitudine, in Sicilia raggiunge la massima altezza di
1000 metri ; da noi non va oltre i 250 metri.
Infine l'olivo ama il colle purché riparato dai venti.
8. Terreno. — Richiede un terreno calcare-argilloso, soffice, permea-
bile e fresco ma non umido. Se è umido la pianta dà pochi frutti e
molta foglia, sviluppando rami vigorosi.
9. Moltiplicazione. — La moltiplicazione si può fare per semi, ovoli,
talee, polloni, olivastri e per innesto.
Nel semenzaio le piantine si lasciano per due anni per poi tra-
piantarle nella piantonaia dove si innestano dopo tre anni.
Le piante che si ottengono per ovoli, avendo radici superficiali
soffrono più per la siccità; sono poi meno rustiche e meno longeve.
Gli stessi inconvenienti si hanno moltiplicando l'olivo per talea e
polloni.
La moltiplicazione per olivastri é la preferibile dopo quella per seme.
Ricorrendo alla moltiplicazione per seme o per olivastro é indispensa-
bile l'innesto, così pure quando la moltiplicazione é avvenuta per ovoli
e polloni derivati da piante innestate alte. Si applica per l'olivo l'in-
nesto a gemma vegetante, in aprile-maggio, quello a spacco in marzo-
aprile e quello a corona in maggio-giugno.
10. Caratteri vegetativi. — Se l'olivo proviene da seme allora la
pianta ha un grosso fittone che si allarga all'intorno per uno spazio
quasi tanto largo quanto la chioma ; se invece proviene da ovoli o
talee o polloni, le radici sono più superficiali.
Ordinariamente l'olivo domestico ha una altezza da 6 ad 8 metri
ed é una pianta delle più longeve. Si trovano non di l'ado degli oliveti
di 2 e 3 secoli, perché le piante si rimettono naturalmente a mezzo
degli ovoli.
Ogni 2 o 3 anni si rinnovano le foglie ed i frutti si sviluppano
generalmente sui ramoscelli sviluppatisi nell'anno precedente ; mentre
— 762 -
il Trullo sta malli rancio, i germogli del frullo successivo già sono in
via di sviluppo. Da ciò il danno dell'abbacchialura.
In primavera, ai primi calori, l'olivo si rivesle di leneri germogli
che sorgono dalla ascella delle foglie e dalle cime dei ramoscelli. Poco
dopo compariscono le infiorescenze (dall'aprile al giugno) e dall'olto-
bre al dicembre comincia la malurazione. Questa, come la fioritura,
non avviene simultaneamente; gli olivi meglio esposti, i rami più esterni
sono i primi a portare il frutto a maturazione. La stessa maturazione
avviene lentamente e dura persino 5 mesi.
L'olivo comincia a vegetare a 11" C; mignola, ossia si formano i
grappolini, a 15"; fiorisce a 18"; fruttifica a 21" e richiede una somma
di calore complessiva di 3800" G.
Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le principali fasi di
vegetazione dell'olivo in alcune regioni d'Italia.
Fogliazione
Fioritura
Maturazione
del frutto
Caduta
delle foglie
Regioni
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Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
I. Veneto ....
Maggio
II
Maggio
III
Ottobre
III
_
_
II. Marche ed
Umbria . . .
Aprile
II
,
II
Dicenib.
I
—
—
III. Toscana . . .
„
I
Giugno
I
Novemb.
,
Aprile
I
IV. Meridionale
Adriatica . .
„
III
Maggio
III
„
II
—
—
V. Merid. Medi-
terranea . . .
Maggio
„
,
„
„
„
Novemb.
I
VI. SiciUa ....
Aprile
„
Aprile
I
Settemb.
„
—
VII. Sardegna . . .
Marzo
»
»
»
Novemb.
I
Novemb.
I
11. Coltivazione. — L'olivo si pianta alla distanza da 12 a 16 metri
a seconda dei terreni : cioè si pianta più vicino nei terreni poveri e
più distante nei terreni ricchi e profondi.
Durante i primi tre anni, dopo la piantagione, si mantenga il ter-
reno soffice e mondo da malerbe; alla fine del terzo anno si cominci
il taglio di formazione della pianta.
La forma che si dà all'olivo è quella a vaso col fusto alto da metri
0.70 a metri 1.50.
Nelle colline si dà alla pianta un maggiore sviluppo, ma nel piano,
per utilizzare anche il calore del terreno, gli olivi si tengono più bassi.
Per la potatura di mantenimento bisogna ricordare :
a) che gli olivi non potati danno dei frutti piccoli, poco carnosi,
diffìcili a raccogliersi ;
h) che le vermene, se lasciate, crescono a detrimento dei rami
fruttiferi ed impediscono a ({uesli la libera azione dell'aria e della luce;
- 763 -
e) che è indispensabile, per produrre olive da mensa grosse, ben
mitrile, una potatura assidua ed accurata, tendente ad avere delle
branche diradate, guernile di rametti fruttiferi fino alla base;
d) che nell'olivo, le branche verticali portano sempre pochi rami
fruttiferi fino alla base;
e) che l'olivo porta frullo solo sui rametti di un anno svilup-
patisi nell'anno precedente e che questi rametti, dopo la fruUificazione
diventano sterili ;
f) un olivo lascialo a se slesso senza potatura, dà frullo ab-
bondante ogni secondo anno. Ciò è dovuto al fatto che nell'anno della
fruttitìcazione dovendo nutrire molli frutti, non può dare contempo-
raneamente dei novelli germogli. Concludendo, l'olivo ha bisogno di
un anno di riposo per rifarsi e produrre dei rami che fruttificheranno
nell'anno successivo.
Per costringere la pianta a dare frutto ogni anno bisogna applicare
una potatura annuale.
Questa consiste :
a) nel tagliare i rami di due anni che hanno portato frutto, per
far sviluppare dalla loro base dei nuovi germogli, che daranno frullo
nell'anno successivo ;
b) nel conservare le gettate giovani dell'annata che daranno frutto
nell'anno in corso.
La raccolta naturalmente è meno abbondante colla potatura annuale,
ma i frulli diventano più grossi. Questo modo di tagliare ha anche il
vantaggio di mantenere la pianta nei giusti limili della forma evitando
le forti amputazioni di rami, che sono sempre dannose alla pianta.
La potatura annuale ha però l'inconveniente di essere alquanto
dispendiosa e difficile nella sua applicazione. Si richiede da parte del
potatore la conoscenza esatta del modo di vegetare di ogni singola
varietà sopra la quale si opera e di saper discernere con sicurezza i
rami che hanno fruttificato da quelli che fruttificheranno.
Ordinariamente la potatura di produzione sopra indicata si fa ogni
due anni e cioè subito dopo un raccolto abbondante.
Contemporaneamente si fa un giudizioso diradamento della fronda,
si svettano le vermene.
Le operazioni di potatura si fanno dopo raccolte le olive (da dicembre
a febbraio) evitando le giornale fredde e prima che le piante si rimet-
tano in succo.
Nella slessa epoca si fanno anche le scalvature delle piante che
hanno lo scopo di ottenere un parziale o un totale ringiovanimento
della pianta.
11 parziale ringiovanimento si ha, tagliando qualche ramo grosso
cresciuto fuori posto, sopra un pollone che lo può sostituire.
Il ringiovanimento totale è consigliabile per quegli olivi che da
anni ed anni non sono stati mai potati e sui quali la produzione dei
frutti è limitala a qualche ramoscello che si trova sulla cima della pianta.
- 764 -
Di olivi in questo stato se ne trovano una quantità sul litorale
Ligure; per utilizzarli il miglior mezzo è quello di scalvarli al piede,
levando tutto il legno vecchio, e lasciando sviluppare dal ceppo 3 a 4
virgulti che si manterranno bassi in modo da far figurare le piante
come tante ceppaje.
Oltre la trascurata potatura, la mancanza di una adeguata conci-
mazione ha influito suU'intristimento di estesissimi oliveti in Italia.
II Prof. V. Francolini ha scritto sulla " Concimazione chimica dell'olivo,,
(Piacenza — 1911) una buona monografìa pratica dalla quale riporlo i
seguenti dati :
Da un ettaro di terreno olivato, si può calcolare una esportazione
annua di Kg. 3150 di olive e di Kg. 1910 tra rami e foglie. La quantità
di elementi nutritivi che si devono quindi restituire annualmente colla
concimazione, è la seguente :
Azoto Kg. 29.37
Potassa „ 16.48
Anidride fosforica „ 9.19
Calce „ 14
Occorrerebbero annualmente Q.'^ 60 di stallatico che è molto dif-
ficile a provvedere nei terreni olivati dove si difetta di bestiame.
Migliore partito è il ricorrere al sovescio ogni due anni di piante
leguminose (fave, veccia, lupina, ecc.) Nelle terre sabbiose e secche,
sono da preferirsi i lupini ; nelle terre argillose le fave o le veccie
che si seminano coll'orzo e coll'avena e si sovesciano assieme al mo-
mento della fioritura ; nei terreni calcari, il fieno greco ; nei terreni
aridi, non convengono le leguminose con radici profonde come la
lupinella e l'erba medica. Il sovescio deve essere naturalmente sus-
sidiato con concimazioni fosfo-potassiche o fosfo-calciche a seconda
dei terreni.
Cosi ad esempio nei terreni calcari conviene la seguente concima-
zione sussidiaria del sovescio:
Q." 3 di perfosfato
„ 3 „ gesso
„ 2 „ cloruro o solfato potassico
Nei terreni non calcari :
Q." 4 di scorie Thomas
„ 2 „ cloruro o solfato potassico
Quando non si possa fare il sovescio, per provvedere l'olivo di
materia organica, si sotterrano intorno alla pianta le frasche degli
olivi stessi, le ramaglie ed il fogliame di bosco, le acque d'inferno, le
morchie (disacidificale prima con della calce), i panelli di olive, a cui
si aggiungono i suddetti concimi chimici.
- 765 —
Infine dovendo adoperare esclusivamente concimi chimici, il che
si fa quando si tratta di rimettere prontamente un oliveto deperito, si
diano per ogni pianta :
( Kg. 5 di scorie Thomas
ui autunno ? o ir i » •
^ 2 „ solfato potassico
n primavera Kg. 2 di nitrato di soda.
Naturalmente tutte queste cifre sono date per norma generale. Sta
al coltivatore il modificarle a seconda delle condizioni in cui si trova
il suo oliveto, soltanto qui ricorderò che l'olivo è molto sensibile alla
concimazione fosfatica e che il prodotto in olive è in relazione colla
quantità di anidride fosforica che riceve. Le dosi elevate di azoto
rendono l'olivo molto vegeto e vigoroso, ma poco produttivo di frutta;
infine la calce, oltre a favorire la nitrificazione delle sostanze organiche,
rende assimilabili gli elementi potassici che si trovano nel terreno.
12. Raccolta, conservazione ed usi delle olive da mensa. — La
raccolta devesi fare a mano con bel tempo e nei mesi di ottobre e
novembre, quando le olive sono ancora verdi. Bisogna inoltre scegliere
i frutti più carnosi, assolutamente sani e non contusi.
Perchè l'olive siano commestibili bisogna togliere l'asprezza ed
amarezza loro propria. A questo si provvede :
1." indolcendole;
2." confettandole;
S."* essiccandole.
11 metodo seguito nell'Ascolano per indolcire è il seguente, descritto
dal Prof. Giuseppe Castelli nel suo pregevole opuscolo: Le olive bianche
ascolane. Ascoli 1888.
" Si ottiene anzitutto una soluzione satura di calce e di potassa,
facendo filtrare acqua di fonte da un ricipiente (tino, secchia, ecc.)
ripieno di un miscuglio di calce in polvere e cenere, nella proporzione
di ^4 della seconda ed 74 della prima. Per misurare poi la saturila
della soluzione, adoperasi un areometro, molto semplice e di poca
spesa, la cui origine è di molti secoli anteriore alle invenzioni degli
scienziati. Legasi ad un filo un uovo fresco e si immerge nel liquido.
Se l'uovo galleggia appena appena, la soluzione è giusta, se invece
parte della sua superficie rimane fuori, ciò significa che la soluzione
è troppo forte ed in tal caso conviene diluirla con altra meno satura,
quale è appunto quella che si ottiene dal miscuglio nelle successive
filtrazioni. Le olive si lasciano immerse nella soluzione dalle 6 alle 12
ore, secondo che il liquido è più o meno saturo. La parte oleosa delle
bacche si combina colla calce e colla potassa e resta sciolta nell'acqua.
Dopo questa prima operazione, le olive vengono immerse in un bagno
d'acqua di fonte, e per parecchi giorni sono sciacquate diligentemente,
sino che, assaggiandole, si sentono prive dell'amaro loro proprio e del
— 760 -
sapore degli alcali adoperati nel prepararle ; passano poi in un bagno
d'acqua salsa, la quale vuole essere cambiata almeno ogni mese. Poi
immerse nella salamoia, con dei fascetti di finocchio silvestre, unico
aroma che entri nel condimento delle olive ascolane „.
Al finocchio si suole in alcune regioni aggiungere del regamo, in
altri luoghi noce moscata con coriandoli o legno rosa o garofani con
cannella.
Il Prof. Bracci, nel Bollettino del Ministero di Agricoltura N. 26 anno
1911, riferisce colle seguenti parole sugli esperimenti da lui fatti per
indolcire delle olive Cnmignane della provincia di Cosenza.
" Le olive vennero poste in un mastello di legno e quindi ammol-
late con una liscivia preparata col metodo comune, cioè a cenere di
nocciolo d' oliva e di legno, previamente setacciata, venne aggiunto
circa '/4 di calce viva, nel centro del mucchio della cenere slessa, e
quindi, dopo aver spruzzata la calce con acqua per ridurla in polvere,
si fece una miscela intima che venne messa in un mastello di legno.
Vi si versò sopra dell'acqua sufficiente per sorpassare il livello della
miscela solida e dopo 5 ore di riposo si decantò l'acqua contenente
in soluzione l'alcali, aggiungendo nel mastello nuova acqua limpida,
che dopo altrettanto tempo si decantò, aggiungendola alla prima lisci-
via, fino ad ottenere un ranno di 7" a 8° B. Dopo 11 ore le olive erano
già indolcite quasi completamente e si tolsero dal bagno. Indi furono
sottoposte ai lavaggi con acqua fresca e pura per 4 o 5 giorni, cambiando
l'acqua due volte al giorno. Dopo di che si passarono in un recipiente
di creta verniciata, sommergendole con acqua salata e aggiungendovi
alcuni fascetti di finocchio selvatico ed alcune foglie di lauro.
La salamoia venne preparata sciogliendo circa gr. 60 di sale da
cucina per litro d'acqua.
Dopo pochi giorni erano già pronte per essere mangiate. Avendole
tolte dalla liscivia ancora non perfettamente indolcite, conservavano
un leggero retrogusto amarognolo, molto piacevole, che però persero
col tempo. Si conservarono a lungo mantenendosi verdi e di buon
sapore.
Per un altro saggio si preparò la liscivia sciogliendo ivg. 1.500 di
soda commerciale in cristalli, in acqua calda, versando la soluzione
su di un miscuglio di kg. 6 di cenere e 3 di calce viva, in un mastello
di legno e procedendo il tutto come sopra.
Per l'indolcimento delle olive si richiesero 12 ore. Dopo, vennero
trattate come nel saggio precedente, ottenendone gli identici risultati
favorevoli.
Dopo 7 mesi le olive del 1" e 2" saggio erano benissimo conservate,
quantunque ve ne fosse qualcuna un po' maltrattata, a causa della pic-
cola galleria scavata dalla larva della mosca olearia.
Pesate un litro di olive in numero di 250, e quindi spolpate, dettero,
per ogni 100 gr,, parti 82 di polpa e 18 di nocciolo e si vede anche da
ciò l'esito buono della concia.
- 767 -
Considerando il lato economico, si hanno i seguenti risultati :
Valore o costo di 100 kg. di olive verdi (massimo) L. 14.—
Raccolta, trasporto, nettatura, ecc „ 4.—
Cenere kg. 100 a 125 oppure cenere kg. 20 e soda kg. 5 (massimo) „ 2.—
Calce kg. 25 a 30 „ 0.75
Mano d'opera per preparare la liscivia, trattare le olive,
conciarle, ecc. (massimo) ,, 6.—
Sale kg. 4 a 5 « J^
L. 28.50
A cui è da aggiungere la spesa d'ammortizzamento dei mastelli,
recipienti di terra verniciata, ecc., e l'interesse delle spese fino al
momento della vendita, che non si possono precisare, per un complesso
di circostanze, e che noi valuteremo in un massimo di lire 2.50.
Per cui la spesa massima per la concia di un quintale di
olive ammonta a L. 31.—
Ricavo minimo delle vendita a lire 75 il quintale „ 75.—
Benefìcio minimo netto. . . L. 44.—
Dalle stesse olive, se destinate all'oleificazione, si ricaverebbe al
massimo :
Olio kg. 17 a lire 1.10 al kg L. 18.70
Sansa « 0-80
L. 19.50
Spesa di raccolta, trasporto, oleifìcazione, ecc. (minimo) . . „ 3.50
Beneficio netto massimo. . . L. 16.—
Dal confronto delle cifre del risultato finale si vede quanto più
proficua riesca la preparazione delle olive per uso commestibile, nelle
condizioni suaccennate, per le varietà ciimigiiane e olivoni.
Con ciò non vogliamo dire, bene inteso, che si tralasci di servirsi
di queste olive per farne olio, ma sibbene che, ove si voglia, si ha un
rilevante tornaconto a sottoporre alla concia quelle olive che per i
caratteri loro speciali (grossezza notevole, carnosità abbondante, pic-
colezza del nocciolo, ecc.), si prestano bene a questo scopo.
Senza dubbio per riuscire bene nell'intento si richiedono molte
cure minute, per esempio evitare ammaccature alle olive nell'atto della
raccolta, del trasporto e dell'acconciamento, usare la massima pulizia,
preparare a dovere le liscivie e la salamoia, tenere in luoghi aereati
e freschi le olive in conservazione, rinnovare, ove occorra, la salamoia,
travasare le olive, ove in alcune si verificasse qualche guasto, scartarle;
evitare di aggiungere alla salamoia aromi rozzi, troppo forti, come
peperoni rossi, ruta, menta, ecc., che dai più non sono tollerati.
— 708 —
Volendo poi aggiungere maggiore pregio al prodotto si può fare lo
scarto delle olive prima della concia, mettendo a parte le più grosse
e perfette e facendo delle rimanenti una seconda qualità.
Ricordiamo a questo proposito che in California adoprano per la
scella delle olive ordegni appositi e che, trattandosi di un prodotto
che deve figurare sulla tavola del povero, ma specialmente del ricco,
è necessario mettere in opera tutto quanto possa soddisfare insieme il
gusto e la vista.
Io seguo il seguente metodo: Per 50 kg. di olive, si prendono 2 kg.
di calce, 2 kg. di carbonato di soda, 8 kg. di cenere di legno e si fa
sciogliere il tutto nell'acqua fino ad ottenere una soluzione della den-
sità dL 8° al pesa-sali. Le olive si mettono nella liscivia per 5 a 6 ore
fino a che, tagliando la polpa delle olive, si vede che è stata intac-
cata fino al nocciolo. Arrivato questo punto, si levano le olive e si
mettono nell'acqua pura per 4 giorni, cambiando l'acqua mattina e
sera. Passati detti giorni si mettono le olive nell'acqua a 5" del pesa-
sali e si mantengono costantemente le olive sotto acqua. Si può aro-
matizzare questa acqua facendovi pi'ima bollire delle buccie d'arancio,
qualche foglia di lauro, qualche chiodo di garofano o altre spezie. Le
olive non si devono però collocare che quando l'acqua è fredda.
Un'ultima raccomandazione ho da fare e cioè che le olive durante
queste manipolazioni e durante la conservazione, non si devono mai
toccare colle dita. La manipolazione devesi fare con colatoi di ferro
smaltato o meglio dei mestoli di legno.
Un modo di confettare le olive è il seguente :
Levate dalla salamoia si fendono, si leva il nocciolo e lo si sosti-
tuisce con un cappero ed un pezzo d'acciuga salata. Così preparale
queste olive si racchiudono in una bottiglia piena d'olio fino e diventano
gustosissime. Si conservano in questo modo per due o tre anni ossia
lino a che l'olio non si guasta.
Si disseccano invece le olive già mature cioè annerite. L'essic-
cazione si fa al sole, lasciandole esposte da 15 a 20 giorni e cospargendole
di sale. Si possono anche trattare nel seguente modo: si pongono in
un paniere a strati coperti di sale; a capo di 24 ore cominciano a tra-
sudare acqua, ma dopo 4-5 giorni si possono mangiare, purché ogni
giorno si scuota il paniere in modo da rimescolarle, e sopra spargasi
un pizzico di sale.
Le olive hanno proprietà lassative ed emollienti.
Sopra 1000 parti di olive si trovano:
571,43 di polpa e buccia
480,96 di noccioli
47,61 di mandorle.
Le materie proteiche nella polpa rappresentano ril,75 %.
Malattie e danni. — Vedi pag. 500 e seguenti.
- 769 -
PISTACCHIO
(Pistacia vera Linn. — Fara. Anacardiacee).
Nome volgare ilaliano della pianta — Pistacchio vero, Pistacchu.
Nome volgare italiano del frutto — Pistacchia o mandorla del
pistacchio.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane: Pistachier — Ted.:
Echte Pistazie — Ingl.: Pistacchio nut-tree.
1. Origine. — Il pistacchio è indigeno della Siria e venne impor-
tato da Lucio Vitello, governatore di quel paese sotto l'impero di Ti-
berio, nell'anno 30 dell'era volgare.
Da Roma si diffuse nel Napoletano, nel Genovesato, in Provenza.
Nella Spagna venne importato da Fiacco Pompeo nella medesima epoca
in cui s'introdusse a Roma.
Attualmente il pistacchio ha una vera importanza agricola soltanto
in Sicilia e in Spagna; la diffusione in questi due paesi è dovuta agli
Arabi.
2. Specie botaniche coltivate. —
Pistacchio vero che si coltiva per il frutto
Terebinto che si coltiva per il legno
Lentisco che si coltiva per il legno.
3. Caratteri botanici della pianta. — Il pistacchio domestico non
supera quasi mai l'altezza di 15 metri e forma una testa, all'altezza di
m. 1.50, voluminosa, con rami lunghi, sottili e divaricati, che ricorda
sotto certi aspetti la quercia.
La pianta è divisa, ossia si hanno dei soggetti maschi e femmina.
Naturalmente per il frutto si coltivano soltanto queste ultime allevando
solo qualche pianta da fiori maschili, per avere la fecondazione.
Il fusto (fìg. 581), è di grossezza regolare con legno molto duro,
venato di fulvo.
I rami dell'annata sono giallo rossastri, gli adulti sono di color
cenere e la loro base è coperta da una corteccia dura, sugherosa, scre-
polata, di color bruno.
Le gemme sono sempre all'estremità dei rami. La terminale, che è
di solito piccola e di color fulvo, dà origine al prolungamento. Sotto
alla gemma terminale pei rami fruttiferi si trovano due gemme laterali,
raramente tre, di forma allungata compressa. Queste sono le gemme
da fiore. Nei rami infruttiferi invece, le gemme laterali sono più allun-
gate e meno imbricate.
I rami sono quindi nudi, coronati all'estremità da un ciuffo di
foglie composte in numero impari (3-5) ovali, coriacee, decidue, verdi
lucenti sulla pagina superiore e più chiare sulla pagina inferiore.
49 — Tamaro - Frutticoltura.
- 770 -
Le foglie dell'albero maschio sono più piccole e più scure di
quelle dell'albero femmina.
I fiori sono piccoli di color porpora, unisessuali, dioici come già
si è detto. L'inlìorescenza è a grappolo composto di molti racemi, rari
e ascellari, ed è inserito sempre sulla penultima gemma della porzione
Fig. 581. — l'ianta di l'istacchìo
(Fot. presa nell'orto del Sig. Bastianich a Lussingrane).
del ramo, prodottasi l'anno precedente. Il fiore maschio è un perigonio
semplice, piccolo, con 5 divisioni e caduco; gli stami sono inseriti nel
perigonio in numero di 5. Il fiore femmineo porta un perigonio 3-4-5
fido, uno stilo brevissimo, tre stimmi, ovario unico, con due logge ed
un ovicino.
- 771 -
I frutti hanno la forma di una grossa oliva, ottusi alla base, pun-
tati alla cima e rilevati nel mezzo. Sono drupe il cui pericarpio con-
siste in una membrana di color rosso che racchiude una capsula legnosa
e sottile, la quale a sua volta contiene una mandorla verdastra, dolce,
aromatica, che costituisce la parte edule del fruito. Le drupe si divi-
Fig. 582. — Ramo a frullo del Pistacchio.
dono in due valve eguali. La mandorla è allungata, vestita da una
membrana in parte bianco giallognola ; nel resto di color porporino
più o meno bruno. Quando la mandorla è ben sviluppata, le valve si
aprono all'apice, e questo è un segno di maturità (fig. 582).
4. Classificazione delle varietà. — In commercio si conoscono tre
specie di pistacchi: Il pistacchio gentile o di Sicilia, che ha la mandorla
verde, ed è il più ricercato. I migliori pistacchi di questa varietà pro-
vengono da Bronte Bisogna sceglierli pieni, verdi ed alquanto grossi.
Se sono ancora nel guscio, bisogna fare un saggio per stabilire la
percentuale dei vuoti.
11 pistacchio di Barbiera o di Tunisi che ha la mandorla più piccola
del precedente, però è egualmente ricercato.
11 pistacchio di Levante, che si ritira ordinariamente a Smirne, Ha
la mandorla giallastra, più grossa delle specie precedenti, ma è meno
ricercata perchè non tanto saporita.
5. Scelta delle varietà. — Le varietà di pistacchio coltivate in
Sicilia si distinguono per la forma e la grossezza del frutto. Rispetto
alla forma, quella rotonda è più apprezzata.
Le varietà si possono ridurre a due sole:
1. Varietà a frutto un pochino convesso molto esteso alla base
e con piccola punta all'estremità. È di color giallo minutamente pun-
teggiato di bianco. Questa varietà è poco ricercata : ne abbiamo la sot-
tovarietà Fastuca fimminedda allevata nei contorni dell'Etna e la Min-
nnlara allevata a Pietraperzia e a Gastrogiovanni,
2. Varietà a frutto di forma elittica, quasi cilindrica, con la su-
tura di un lato più convessa, la punta più accuminata, di color giallo
con un lato rosso, col punteggiamento bianco più marcato e colla
mandorla più grossa della varietà precedente. La pellicola è biancastra
dove ha un infossamento, nella parte più convessa ha una grande
macchia color porpora a bordi sfumati di rosso. Questa è la varietà
coltivata più comunemente: ad essa appartengono le sottovarietà Fastuca
Napolitana della campagna intorno all'Etna e la Nucidarra di Pietra-
grazia e Gastrogiovanni.
6. Clima ed esposizione. — 11 pistacchio trova il suo clima più
naturale in Sicilia e in Spagna. In Sicilia la media temperatura di
gennaio-febbraio è di 10° G. la minima di 3° G. Se qualche anno in
Sicilia la temperatura discese a 3° G. il pistacchio vegeta ma non lus-
sureggia; si dice che nella Linguadoca resistè anche alla temperatura
di —9» G. Alcuni autori ritengono che anche a Parigi si possa tenere il
pistacchio all'aria libera purché in situazione riparata.
Gome ho detto fin dal principio, in nessuno di questi luoghi con-
viene economicamente la coltivazione del pistacchio ; la Sicilia sola
per noi italiani è la regione veramente adatta per quest'albero.
11 pistacchio resiste alle siccità estive più ostinate e predilige na-
turalmente le esposizioni a mezzogiorno.
7. Terreno. — 11 pistacchio allo stato selvatico si trova nel calcare
compatto o nelle marne o nei tufi o infine nelle lave vulcaniche, dove
sono terre aride e secche. Gonsiderato che i pistacchi naturali si fanno,
innestando il pistacchio vero sul terebinto, comprenderà il lettore quale
è la natura del terreno desiderata. Però si possono fare anche dei pis-
tacchieti artificiali ossia si possono piantare dei polloni barbicati di
terebinto o piantine di 4-5 anni venute da seme di pistacchio, in terreno
convenientemente preparato. Allora abbiamo i cosidetti pistacchieti ar-
tificiali, per i quali si preparerà un terreno proveniente da detriti di
- 773 -~
marne, da sedimenti di rocce vulcaniche, silualo nelle basse colline o
nelle pianure con sottosuolo permeabile.
8. Moltiplicazione. — Si moltiplica per seme, per innesto ed in
via eccezionale per margotta. Conviene fare le semine in vasi appena
raccolti i semi, che germinano però nella successiva primavera. La
piantina sviluppa fino a giugno-luglio 2-5 internoidi, poi si arresta
per maturare il legno. In agosto riprende la vegetazione e dà un'altra
breve cacciata, la quale dopo pochi giorni si arresta.
I soggetti si piantano a dimora apppena dopo 4 o 5 anni. Passati
due anni a dimora, e cioè quando le piantine hanno raggiunto il dia-
metro almeno di 3 cm. si fa l'innesto a gemma vegetante in maggio o
l'innesto dormiente in agosto all'altezza di 20 cm. dal suolo. Per i sog-
getti più grossi si può fare anche l'innesto a corona, all'altezza da 40
a 50 cm. dal suolo.
Raramente però si fanno dei pistacchieti artificiali, si suole invece
mettere a profìtto il terebinto {Pistacia Terebinthiis), chiamato anche
spaccasasso, il quale forma dei boschi. Su questi terebinti si innesta il
vero pistacchio e si fanno i cosidetti pistacchieti maturi.
Si può praticare anche l'innesto a corona, ad anello ed a spacco.
9. Caratteri vegetativi — In ambo i sessi la fioritura precede la
fogliazione. 1 fiori si hanno in aprile, allegano in maggio. 1 frutti rag-
giungono la massima grossezza in agosto e compiono la maturità in
settembre. Allora la membrana esterna avvizzisce, perde il colore ros-
siccio ed il frutto cade.
Anche nei pistacchi abbiamo 2 movimenti vegetativi della linfa: dal-
l'aprile al giugno e dal luglio all'agosto. Nel secondo periodo si pre-
parano le gemme terminali che daranno frutto nel prossimo anno.
E' un albero di lenta crescita, a 12 anni appena comincia a frut-
tificare ed a 30 anni dà un prodotto normale.
II pistacchio è di produzione incerta dovuta non soltanto alle al-
ternative comuni di sterilità e produzione, ma anche al fatto che gli
organi di riproduzioni si trovano sopra piante separate. Per questa
ragione, si innesta un albero maschio ogni 10 femmine. Siccome l'albero
a fiori maschi fiorisce qualche volta 15 giorni prima dell'albero a fiori
femmine, gli agricoltori sogliono fare anche la fecondazione artificiale,
A questo scopo mettono i rami fioriti del maschio appesi all'albero
femmineo quando è fiorito; altri invece raccolgono il polline in sac-
chetti di tela rada, li conservano in luogo secco e poi li scuotono sui
fiori femminili mano mano che apronsi. Il pollime si conserva anche
per un anno, sarà meglio però adoperarlo entro un mese.
La fronda degli alberi femmine è sempre più copiosa degli alberi
a fiore maschi, l'agricoltore però deve sempre ricordarsi facendo la
potatura, che le gemme da fiore si trovano all'estremità dei rami del-
l'annata precedente e precisamente sotto alla gemma terminale.
Rispetto alla vegetazione naturale del pistacchio devo ancora no-
tare, che è una pianta lucivaga, che ama la libera circolazione dell'aria
ma che e sensibile ai tagli, tanto che una pianta lasciata a se slessa
raggiunge anche i UK) anni d'età.
10. Impianto e cure di coltivazione. — Stabilita la differenza fra
pistacchieto naturale ed artificiale, vediamo come si provveda a for-
mare l'uno e l'altro.
Il terebinto nei luoghi anche più sterili, rocciosi, purché abbondino
di calce e di detrito vulcanino, forma allo stato naturale delle ceppaie
che coprono l'intera superficie del terreno soffocando tutte le altre
piante e colle radici penetra fra sasso e sasso, da ciò il nome di spac-
casasso. Da queste ceppaie si elevano dei tronchi robusti, i quali ven-
gono lasciali in numero di 2 a 4 per ceppala e tutto il superfiuo viene
reciso. Contemporaneamente si libera il terreno dai rovi di tutti gli
altri cespugli, smovendo il terreno intorno alle ceppaie almeno una
volta ogni anno.
Quando gli allievi hanno raggiunto la necessaria grossezza si in-
nesta col pistacchio vero, avendo, come ho detto, cura di innestare una
pianta maschio sopra dieci femmine.
Fatto l'innesto, si abbia cura di allevare la gettata dell'innesto, si
tenga poi pulito il ceppo dai rimessiticci ed una volta all'anno, in gen-
naio, si lavori il terreno, per pulirlo dalle erbe e dai cespugli.
In questo modo è fatto il pistacchieto artificiale, al quale, oltre alle
cure annuali del terreno, si farà, pure ogni anno, una accurata mon-
datura dei rami secchi, dei monconi e dei rami tortuosi. E questa, si
può dire, è l'unica operazione di potatura che desidera il pistacchio,
il quale è una pianta che teme i tagli secchi ed in verde.
Per il pistacchieto artificiale, scelta la località si fa lo scasso, si ri-
ripulisce il terreno dalle erbe, dai ciottoli e dai cespugli, e nel mese di
gennaio si fa l'impianto con polloni barbicati di terebinto oppure con
piantine di pistacchio vero, ottenute da seme ed allevate nel vivaio.
L'impianto si fa a quinconce alla distanza di 4 metri almeno; in aprile
si fa la zappatura, che si ripeterà in maggio ed in autunno.
La coltura successiva consiste in una zappatura al finire di ogni
inverno, una sarchiatura in maggio ed un'altra zappatura dopo le
pioggie autunnali. Dopo il quarto anno si tagliano i rami laterali per
formare il tionco, secondo la forza vegetativa della pianta. Quando le
piante hanno acquistato lo sviluppo desiderato, si innestano all'altezza
di 1025 cm.
Il rimanente della coltura consisterà nel mantenere una buona di-
rezione al tronco, nel tenere un tutore affinchè l'innesto cresca diritto
e robusto, nel mondare il soggetto da tutti i rimessiticci, nel dare una
forma possibilmente aperta all' albero e nel tagliare i rami secchi
o rotti.
Le foglie del pistacchio vengono di sovente intaccale da un afide :
Aplìis pislaciae e da un crittogama Septoria pistaciae che produce delle
macchie irregolari, aride, di colore fosco ocraceo.
Il fruito è colpito da un imenotlero: Magastlgnuis balleslrerii Rond.,
— 775 -
la cui larva nasce nel frullo da un uovo deposto dalla femmina, per-
forando alla base il peduncolo.
11. Raccolta e conservazione del prodotto. — Il raccolto si fa in
settembre, a mano, per evitare le contusioni ai rami inevitabili colla
bacchiatura. La maturità è indicata quando le valve cominciano aprirsi
all'apice e quando il colore del frutto è bianco tendente al rosso por-
porino.
I frutti che prendono un colore bianco roseo, che hanno la scorza
levigala, che sono molto convessi sono sempre pieni ossia fecondali
colla mandorla; quelli invece che restano bianchi o vei'di o porpora
scuro, con drupa poco sviluppata sono sempre vuoti ossia non fecon-
dali e senza mandorla. Per separare i frutti pieni dai vuoti si gettano
nell'acqua, dove quelli vuoti galleggiano e si scartano. Nei giorni se-
reni il frutto si stende sull'aia, rimuovendolo almeno due volte al
giorno in modo da sollecitare il disseccamento, altrimenti i frutti in
massa si riscaldano e la mandorla prende il gusto di rancido.
Quando il prodotto è secco si vaglia, si stacca la corteccia e lo si
conserva in magazzini asciutti e ventilati rimuovendo ogni 15 giorni
per evitare il riscaldamento. Dovendo conservare a lungo i pistacchi
conviene lasciarli col guscio.
12. Usi e commercio. — Nelle provincie meridionali si servono le
mandorle di pistacchi in tutte le tavole colla frutta secca. Si impiegano
altresi per condire delle confetture, per fare i gelali. Sono molto nu-
trienti e di ottimo sapore tanto in un modo quanto nell'altro. Si fanno
anche delle emulsioni, e si eslrae anche un olio che viene impiegato
per toilette.
I pistacchi sgusciati valgono circa L. 10 il kg., quelli col guscio
circa L. 1 il litro.
Una pianta di 6 metri d'altezza dà in media kg. 27 di pistacchi
freschi del valore di circa L. 13.50
GIUGGIOLO
(Zizyphus vulgaris Wild. — Fani. Rainiiee)
Nomi volgari italiani della pianta — Zizzole, Allié, Zinqueli, Zingolar,
Spin rosso, Zizzolaro, Simlar, Zizzoa, Zizla, Zinzarcu, Giuggeto, Zinzulu.
Nomi volgari italiani del fratto — Zizzola, Giuggiola.
Nomi stranieri della pianta — Frane: Jujubier — Ted. : Brustbeerbaum
— Ingl. : lujubetree.
1. Origine. — È originario probabilmente del Nord della China :
si sarebbe naturalizzato nell'Asia 2500 a 3000 anni or sono. I Greci ed
i Romani lo ricevettero in principio dell'era nostra; passò poscia in
Barberia ed in Spagna. Secondo Plinio sarebbe stato portato dalla Siria
in Roma dal console Sesto Papinio, verso la fine del regno d'Augusto.
- 776 -
Presentemente si trova naturalizzalo nella regione Mediterranea,
nonché nella Adriatica (Istria), dove viene coltivato, ma non estesamente.
Nell'Italia centrale e meridionale, lo si trova più frequente.
2. Caratteri botanici della pianta. — Il Giuggiolo non prende in
Europa che una grandezza media da 2 a 4 metri. È un albero spinoso,
(fig. hS3 e 584) con rami tortuosi, guerniti di spini che stanno a due a
due; una diritta e l'altra curva. D'estate l'albero si copre di una foglia-
Fig. 583. — Fioritura del Giuggiolo.
zione ricchissima, che offre una bella massa di verde, pendente verso
terra come un Salice Babilonica, e che risulla dalla quantità straordi-
naria di foglie che escono a ciuffi da ogni nodo unite da ramicelli
flessibili e pendoli. Le foglie sono semplici, disposte in due serie, liscie,
lucide, ovaio-lanceolate, coriacee, dentellate nel contorno, smussate
nell'apice. I fiori sono piccoli, verdastri, a forma di stella col calice
intagliato a lobi puntuti, nel quale si spiegano 5 petali piccolissimi,
concavi, inseriti fra le divisioni del calice, dentro a questi sono 5
stami opposti ai petali. I filamenti degli stami sono brevissimi e portano
le antere rotonde. Nel mezzo sorge il pistillo con l'ovario superiore
- 777 -
avvolto da un disco carnoso. L'ovario forma poi il frullo, che è una
drupa ovale e rotonda, contenente sotto una polpa carnosa un nocciolo
biloculare a logge monosperme.
3. Varietà. — Il (iiuggiolo ha frutto oblungo, della forma e gros-
sezza di un'oliva, cioè lungo ^quasi 3 centimetri e grosso Equanto l'e-
Fig. 584. — Fruttificazione del Giuggiolo.
stremila del dito mignolo, da principio è verde, poscia giallognolo ed
infine rosso ; la polpa è biancastra, dolce e zuccherina.
Gallesio descrive anche una varietà della Toscana a frullo tondo,
ma questa non differisce che per la conformazione del frutto.
4. Clima, esposizione e terreno. — Ama clima temperato come
il nostro in Italia. In suolo secco ed arido viene basso ; ma in suolo
profondo, fresco, e sopralutto bene esposto, raggiunge l'altezza anche
di 7 ad 8 metri, e dà degli abbondanti raccolti.
— 778 —
5. Moltiplicazione. — Si può moltiplicare per seme; se ciò si fa-
cesse in grande si otterrebbero forse delle nuove varietà.
1 semi geniiinaiio nel secondo anno. Si trova più comodo molti-
plicarlo per polloni. Questi si tengono nel vivaio fino a che il fusto
non abbia raggiunto l'altezza di metri 1.50, e poi si trapiantano a dimora.
6. Vegetazione. — In primavera germoglia tanto dai rami formatisi
nell'anno precedente come da quelli più vecchi. Di questi germogli alcuni
sono legnosi, altri, anzi la maggior ]iarte, sono fruttiferi.
I germogli legnosi sortono di rado, non ogni anno, ed uno o due
soltanto per ogni ramo principale. Sono grossi, cilindrici, prima verdo-
gnoli e poi di colore rosso bruno, piegati a zig-zag, divisi in nodi
spessi e guarniti di due spine ineguali.
I germogli fruttiferi sono coperti di foglie, che rendono l'albero
fronzuto. Nell'anno della cacciata essi si svolgono sui nodi che si vanno
formando sul prolungamento ed hanno per nutrice una foglia e per
custodi due spine. Negli anni successivi essi spuntano a fascetti da 2
a 4 nei nodi delle cacciate anteriori, ove sono nate e perite le loro
sorelle del primo anno e sopra una protuberanza legnosa che contiene
le gemme estinte degli anni antecedenti. La forma e la fìsonomia che
presentono le confonde con i ramicelli, e tutti le considerano per tali.
Sono composte di un nervo lungo, sottile, verde-biancognolo, diviso
in nodi alterni come i rami, e guarnito in ciascun nodo di una foglia
ovale-oblunga, liscia, verde, rilevata da tre nervature e leggermente
dentellata nel lembo, nella cui ascella si formano le gemme fiorifere,
nello stesso modo in cui si formano dei nodi delle messe ramose. Queste
gemme si svolgono in tanti bottoncini piccolissimi, giallicci, qualche
volta solitari, più spesso riuniti a due o più insieme, ed attaccati al
picciolo comune della foglia con due peduncoletti appena visibili.
Questi bottoncini si aprono poi e danno il fiore. Queste foglie fiorifere
sbocciano in aprile, si allungano in maggio, sbocciano i fiori in giugno,
allegano in luglio, ed i frutti maturano in settembre.
Maturati i frutti, i rametti che li postano si distaccano, soltanto
rimane la cicatrice della loro inserzione nella protuberanza che li portava
ciò che ne aumenta il volume. Questa cicatrice si dissecca come quella
delle foglie degli alberi ed ha al suo lato le nuove gemme formatesi sotto
la protezione del germoglio che ha fruttato all'ascella del suo gambo,
e che, cresciute nella state e da essa nutrite, compariscono già mature
nell'autunno, rinnovando nella successiva primavera il corso naturale
della vegetazione fruttifera di questa pianta.
In tal modo, la protuberanza che la natura ha messo nei nodi fra
le due spine va ingrossando ogni anno, e forma col tempo un tubercolo
legnoso e rilevato che contiene le cicatrici secche delle gemme estinte
degli anni antecedenti e le nuove gemme che vi si formano ogni anno.
Con tale sistema si rinnova continuamente nel medesimo punto, senza
allungarsi, la vegetazione annua dell'albero, sino cli'ei vive.
Ed ecco la ragione per cui il giuggiolo ha una crescita cosi lenta.
— 779 —
Egli fruttifica ogni anno sul medesimo luogo, e può lussuieggiare di
una fogliazione ricchissima e di una fruttificazione abbondante senza
crescere una linea in lunghezza.
La crescita in dimensione è riservata ai rami propriamente detti,
i quali sortono annualmente in pochissimo numero : in certe annate
non ne sorte alcuno. Ordinariamente essi crescono dalle punte delle
grosse branche più forti e specialmente dalla centrale, più di rado dalle
laterali, qualche volta ancora dal legno, come i rami succhioni. Quando
li mettono, essi sortono con molta forza e si suddividono nell'allungarsi
in molte branche; ingrossano straordinariamente nell'anno medesimo
della cacciala e si guarniscono subito ai nodi di gemme e di foglie
fiorifere che compiono nella state medesima tutta la evoluzione delle
altre.
È degno di nota, formando un'eccezione, questo modo particolare
con cui segue il Giuggiolo la sua vegetazione.
Tutte le piante rinnovano annualmente la loro testa ; il punto le-
gnoso che ha frondeggiato in un anno, resta nudo nel successivo o
serve solo di base alla prolungazione ramosa, destinata esclusivamente
alla nuova fogliazione e all'emissione del fiore. Il giuggiolo non segue
questo sistema che negli anni che precedono la pubertà. Appena la
sua testa è compiuta e i suoi rami sono capaci di fruttificazione, egli
arresta la sua crescita, o la limita a pochi punti dall'albero, e restringe
la sua vegetazione a mettere delle fronde e dei frutti. Cosi la testa
dell'albero non si rinnova mai intieramente né in una volta : essa si
estende a riprese e lentamente, mentre la porzione che ha frondeggiato
nei primi anni della sua virilità continua a frondeggiare fino alla
morte, e le foglie fruttifere che si rinnovano ogni anno, come nelle
altre piante, escono sempre nel medesimo punto, e guarniscono sempre
il medesimo ramo.
7. Coltivazione. — Si piantano i giuggioli a dimora alla distanza
di circa 6 metri. 11 prodotto di questi comincia a farsi considerevole
appena all'età di 20 anni e più, quindi fra mezzo si possono coltivare
dei peschi, susini ed altre piante di più rapida crescita e di vita più breve.
Le cure di coltivazione, oltre a quelle comuni alle altre piante ri-
spetto al terreno, si riducono a liberare dai rami morti o contusi la
pianta, che del rimanente si può lasciare a sé stessa.
8. Raccolta, prodotti ed usi. — Se le giuggiole sono destinate ad
essere consumate fresche, si raccolgono quando cominciano a diventare
rosse. Quando invece si vogliono conservare secche, si aspetta che
avvizziscano, ed allora la polpa diventa molle, floscia e viscosa. Il
succo si cangia in una specie di miele; l'acidità sparisce e la parte
zuccherina si concentra, in modo da potersi conservare tali e quali
per qualche mese, essiccandole al sole per qualche giorno dopo la
raccolta.
Il legno é durissimo, pesante, di color rosso, suscettibile di bel
pulimento.
PARTE TERZA
PIANTE DA FRUTTO CON PIÙ NOCCIOLI
NESPOLO
(Mespilus germanica Limi. — Fam. Rosacee).
Nome volgare italiano del frutto. — Nespola.
Nonìi volgari stranieri della pianta — Frane: Nellier — Ted.: Mis-
pelbaum — Ingl. : Mediar tree.
1. Origine. — E' indigeno d'Italia. Lo si trova da per tutto nei
boschi, specialmente nei climi temperati e freddi.
2. Caratteri botanici della pianta. — Arboscello che raggiunge
l'altezza da 3 a 5 metri; il tronco arriva al massimo diametro di 30 era.
Ha radici lunghe, nodose, molto ramificate, ma poco profonde. Il tronco
è raramente diritto, con molti rami, pure tortuosi, poco ordinati ; con
spine alle estremità che scompaiono poi colla coltivazione e nei buoni
terreni. La corteccia dei giovani rami è liscia, biancastra e molto to-
mentosa; quella dei rami più vecchi è liscia, lucida, scagliosa, talvolta
di color grigio. Le foglie sono grandi, intere, ovali, seghettate princi-
palmente alla punta, brevemente peziolate, per lo più leggermente vel-
lutate su tutte e due le parti, ma segnatamente di sotto, e di color
verde-gialliccio carico.
Il fiore è grande, bianco, ha il calice irsuto con 5 divisioni, i petali
sono grandi, semi-rotondi, smarginati alla cima, ondeggianti, larghi e
di color bianco, screziato di rosso.
Frutto quasi rotondo, coperto di peluria in gioventù, globoso di
color cannella carico; porta alla base per lo più due bratteole. E' ter-
minato da un ciufio o corona di 5 foglie anguste, le quali non sono
altro che le 5 divisioni del calice. Racchiude 5 semi.
3. Varietà. — Le principali varietà sono le quattro seguenti:
1. Nespolo primaticcio. — Buon frutto di mediocre grossezza ed a
polpa delicata.
— 781 -
2. Nespolo a frutto grosso rotondo. — Il suo frutto raggiunge tal-
volta il diametro di 6 cm. E' la varietà migliore e più generalmente
coltivata.
3. Nespolo a frutto lungo. — Con frutto ovale e di grossezza media.
4. Nespolo a frutto senza semi o aspiremo. — Con frutto di me-
diocre bontà e piccolo.
4. Importanza della coltivazione. — Ha un'importanza limitata. Di
solito si innestano i biancospini delle siepi oppure si piantano i nes-
poli lungo i corsi d'acqua. Essendo piante non del tutto prive di bel-
lezza, specialmente nella fioritura, si metta qualche pianta isolata
anche nei parchi.
5. Clima ed esposizione. — 11 nespolo cresce nei boschi delle nostre
colline e montagne, come pure nelle siepi. Generalmente riesce meglio
nei climi temperati che nei caldi. Si può piantare in qualunque espo-
sizione, ma nei siti freschi ed ombrosi produce frutti più saporiti e
più grossi.
6. Terreno. — Non è delicato neppure pel terreno, purché non sia
soverchiamente umido, magro o tenace. Nei terreni secchi e magri dà
frutti piccoli e molto austeri, i terreni sciolti e freschi sono i più
adatti al nespolo.
7. Moltiplicazione. — Può farsi per seme e per innesto.
I semi si affidano al terreno nello stesso autunno in cui si raccol-
gono i frutti, scegliendo un terreno fresco e mettendoli alla profondità
di 5 cm. La germinazione è lenta. Le piaiUe riescono nella primavera
del secondo anno e si trapiantano fra il terzo e il dodicesimo anno. I
semi mantengono la facoltà germinativa per 18 mesi.
Per avere delle piante a più pronta fruttificazione, si innesta sul
biancospino. Si innesta e spacco a fior di terra, si può anche innestare
sul cotogno a gemma dormiente.
Le marze da innesto si scelgono con gemme salienti, scartando
quelle della base dei rami.
Per ottenere dei fusti alti, si innesta sul biancospino il nespolo di
Smith e sopra questo, si soprainnesta la varietà voluta all'altezza del
mezzo vento.
8. Caratteri vegetativi. — La chioma dell'albero prende natural-
mente la forma arrotondata e la pianta vive molto a lungo. A 30 anni
ha il suo massimo sviluppo. Neil' Italia superiore, le foglie sbocciano
intorno alla metà d'aprile, fioiisce nella prima decade di maggio, i frutti
maturano nella terza decade di ottobre e le foglie cadono ai primi di
novembre. I frutti, come nel cotogno, si trovano all'estremità dei brin-
dilli formatisi nell'anno precedente.
9. Coltura. — Avendo il nespolo una vegetazione ancora più irre-
golare del cotogno e producendo, pure come il cotogno, i frutti al-
l'estremità dei brindilli, gli si lascia prendere la sua forma naturale.
L'opera del coltivatore consisterà quindi ad avvicinare col taglio
qualche branca che si scosta, per mantenere una forma regolare alla
— 782 -
chioma, oppure mondare la pianta di qualche ramo secco, contuso o
mal situato.
Coir innesto intermediario della varietà di Smith si fanno dei bel-
lissimi alberelli per ornamento dei giardini.
10. Prodotti. — Viene coltivato specialmente pei suoi frutti, i quali
vanno lasciati sulla pianta più che si può, fino ai primi geli. La polpa
delle nespole, anche a completa maturazione naturale, è durissima ed
ha un sapore sommamente astringente e di una acerbità insopportabile.
Però conservate fra la paglia ammezziscono, ossia subiscono una fer-
mentazione, prendono un colore bruno, la polpa rammollisce, assume
la consistenza mielosa ed un sapore zuccherino acidulo, gradevole.
È in questo stato che sono commestibili. Costituiscono un alimento rin-
frescante, ma troppo ricco di tannino, perciò è soverchiamente austero
ed indigesto. Bisogna mangiarne con moderazione, altrimenti possono
produrre coliche, ventose e tenesmo.
Le nespole vengono anche candite ; si fa con esse anche una specie
di sidro.
Il legno è molto duro, forte, compatto, bianco-rossastro, capace di
bel pulimento, ma facile a contorcersi. Viene chiesto per piccoli lavori
da tornio.
La scorza dei rami ed i frutti immaturi si possono adoperare nella
concia delle pelli.
La pianta può servire da porta innesto del pero e dell'azzeruolo.
11. Malattie. — Vedi pag. 500.
NESPOLO DEL GIAPPONE
(Eriobotrya japoniea Lindley — Fam. Rosacee).
Nome volgare italiano del frutto — Nespola del Giappone.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane: Bibassier — Ted.: lapa-
nesischer Mispelbaum — Ingl.: Loguat-tree.
Nomi volgari stranieri del frutto — Frane: Bibasse — Ted.: lapa-
nesische Mispel — Ingl.: lapan mediar.
1. Origine. — Proviene dalla Cina orientale. Fu importato nel-
l'Isola Maurizia dai gesuiti e da qui venne introdotto in Francia, dove
il primo esemplare fiorì nel 1797. (Prof. De Rosa (1).
2. Caratteri botanici della pianta. — Allo stato selvatico nella
Cina, il nespolo è un albero non tanto alto, cespuglioso, con forte
ramificazioni spinose. Ha le foglie grandi, lunghe. La pianta coltivata
(1) Prof. F. De Rosa. - Il nespolo dei (uappone. - Napoli. 1913.
— 783 —
è un albero medio (5-6 metri di altezza) a chioma piramidale o sferica,
di magnifico aspetto (fig. 585).
Radice molto ramificala, superficiale, di notevole forza di penetra-
zione anche fra i muri e nelle roccie. Fusto diritto, talvolta diviso alla
base cosi da formare dei cespugli; rami dell'annata grossi, tomentosi,
crassi che si sviluppano a serie formate di due, più raramente di tre
tt.-
-.^*-^
Fig. 585. — Nespolo del Giappone.
ramificazioni ; i rami di due e più anni sono diritti, scagliosi, poco prov-
visti di foglie. Le foglie si trovano di preferenza sui rami dell'annata e
sono grandi, lunghe 20 cm., coriacee, di forma lanceolata, con breve
picciolo, cotonose sulla pagina inferiore, lucide superiormente. Fiori
riuniti in pannocchia all'estremità dei rami, (fig. 586) di grato odore di
mandorla, molto gradita anche alle api. Calice campanulato, gamo-
sepalo ; corolla con 5 petali ; stami 20; ovario intero aderente al calice.
I frutti sono pomi, coronati dal calice, raramente solitari ma aggrupati
- 784 -
a 4-5, di color giallo, un po' vellutati, della grandezza e forma di una
piccola nespola. Racchiude da 1-3, raramente 5 grossi semi, i quali sono
tanto riuniti da formare quasi un nocciolo voluminoso.
3. Classificazione delle varietà. — La pianta del Nespolo del Giap-
pone è dotata di una grande variabilità di forme ; è suscettibile perciò
di un grande perfezionamento a mezzo della selezione e del meticcia-
mento.
Fig. 586. — Infiorescenza e fruttificazione del Nespolo del Giappone.
Il signor Sprenger, nel Bollettino della R. Società Toscana di
Orticoltura del 1912, descrive le seguenti varietà da lui trovate nei
giardini e frutteti di Palermo e d'Alcamo:
1. Palermo. Frutto grossissimo, allungato, con 3 semi angolosi a
polpa giallo-chiara zuccherata, deliziosa. Buccia sottile, giallo-dorata,
scarsamente punteggiata di bruno. Albero robustissimo a larghissima
chioma, sempre verde e con foglie ben fatte, regolari e poco ondulate.
2. Linioncello. Frutto a forma di limone, grossissimo, allungato,
con la buccia sottile, di color giallo-limone o sulfurea, punteggiata
- 785 —
scarsamente di bruno. Polpa quasi bianca, deliziosa, copiosa, con 3
semi allungati.
Fiorisce in dicembre e matura i suoi frutti in aprile-maggio.
Albero grandissimo, un poco irregolarmente ramificato.
3. Conca d'oro. Frutto in grossi grappoli, medio, quasi piriforme,
giallo-dorato, bellissimo e dolcissimo. Polpa color giallo -pallido, con
2 o 3 noccioli.
Albero piccolo, ben fatto, fiorisce sin dal novembre e matura
presto i suoi frutti.
Questa varietà ha un profumo di Iragola, perciò si chiama ad
Alcamo. ed a Castellamare di Sicilia: Nespola-fragola.
4. Monreale. Frutto completamente rotondo o alle volte più lungo
che largo, medio, giallo-cupo-dorato e brunastro al sole. Polpa suffi-
cientemente abbondante, sugosa e deliziosa, con 3 noccioli piccoli.
Fiorisce in dicembre e matura in aprile.
Albero ben fatto e vigoroso.
Questa varietà nella provincia di Palermo si chiama anche Vainilia,
per il suo odore soave.
5. Nespolo a un seme. Frutto medio, giallo dorato, rotondo e ben
fallo con un solo nocciolo e qualche volta anche senza; polpa deliziosa.
Albero medio, ben fatto, fiorisce tardi e matura in maggio.
6. Sanla Rosalia. Frullo medio, rotondo od allungato, giallo-do-
rato, dolcissimo, sugoso e soave, con semi piccoli.
Albero ben fatto, foglioso.
Fiorisce tardi in dicembi'e e matura al principio di giugno. E'
l'ultimo dei nespoli a maturare.
11 Prof. De Rosa, nella sua citata monografia, cita e riporta le se-
guenti varietà perfezionale in Algeria e ottenute dal Dott. Trabut.
Quelle coltivate per l'esportazione, poiché i frutti sopportano bene i trasporti, sono:
1. Telesiaj precoce. Frutto grosso, allungato. Buccia spessa, colorata; polpa giallo-
carico. Sapore profumato e squisito. Precoce (Arkwight)
2. lìrunel. Frutto grosso, rotondo allungato. Buccia spessa, pelosetta. Polpa giallo
chiara. Sapore dolce, profumato.
3. Gelos. Frutto grosso, ovale-allungato. Buccia spessa, poco colorata; polpa suc-
cosa, dolce.
4. Don Carlos. Frutto grosso ( 4-5x4), di bella apparenza, rotondato. Buccia spessa;
polpa giallo chiara, molto dolce, poco profumata.
5. Scala. Frutto rotondo, medio, buccia spessa, colorata; polpa gialla, molto zuc-
cherina.
6. S. Michel Long. Frutto grosso, piriforme, del peso di circa 50 gr. e delle dimen-
sioni di cm. 5-5 per 4-5. Buccia fina, giallo pallida, polpa-gialliccia, profumata, con
pochi e piccoli semi.
Da queste varietà sarebbero derivate le seguenti due varietà:
a) Meffsre, frutto rotondo, medio.
bj Dauphin, precoce.
7. .Merendai. Frutto elitico, piriforme (cm. 5x.^-5j. Polpa bianca, succosa. Semi
piccoli e numerosi.
8. Amiot. Frutto ovale allungato, buccia spessa, giallo chiara.
50 — Tamaro - Frutticoltura.
- 786 —
9. birrone/. Frutto medio, rotondo, allungato. Buccia fine, colorata. Polpa suc-
cosa, sapore dolce, profumato. Eccellente pel mercato.
Pel consumo locale, ma eccellenti per la qualità del frutto, in Algeria si distin-
guono ancora le seguenti varietà:
1. Miss Archwright. Fruito grosso (cm. 6x4-5, polpa da 40-50 gr.). Polpa fondente
gialla che racchiude da 5 a 6 semi abortiti.
2. l'ornine. Si dà questo nome perchè il frutto ha la forma ed il profumo di
mela. Frutto medio (cm. 4x4-5), polpa bianca, soda.
3. Miss li. Halle. Frutto subrotoedo (cm. 4-5x4; buccia spessa, cotonosa, pallida.
Occhio grande, aperto: polpa molto soda e sapore dolce.
4. Borée. Frutto corto, subrotondo, depresso; buccia resistente, polpa bianca, soda,
dorata sotto la buccia, molto profumata e succosa.
5. Olivier. Frutto allungato in grappoli radi; buccia fine; polpa bianca, molto
profumata, succosa, acidula. Semi piccoli.
6. Longue. Frutto allungato, medio; polpa molto gialla, soda profumata. D'ordi-
nario contiene un solo seme.
Il Dott. Taft M. ha ottenuto in California le seguenti varietà:
1. Advance. Frutto a grappoli radi, grosso (5x7 cm.), piriforme, molto zuccherino
a maturità completa.
2. Premier. Frutto ovale, grossissimo con polpa salmonata, zuccherina, dotata di
un profumo speciale.
3. Eulalia. Frutto ovale o piriforme, di color aranciato. Polpa succosa, giallo-aran-
ciata, acidula. Albero vigoroso e produttivo.
4. Victor. Frutto grossissimo, allungato, ventricoso, fortemente colorato, rossastro.
Polpa soda, noccioli ridotti. Non adatto per l'esportazione.
P. L. Vilmorin, in un suo articolo sul nespolo del Giappone pubblicato dalla Revue
Horlicole, anno 1912, N. 15, dice, che nel Giappone si conoscono piii varietà di nespoli
e cioè:
1. Nespolo comune, a piccoli frutti e acidi (Biiva.)
2. Nespolo bianco. (Shiro-Ko-biva).
3. Nespolo a frutti ovali (Naga-tò-biwa). Questa varietà fu trovata a Nagasaki.
I frutti sono eccellenti, a polpa consistente, dolce e motto succosa.
4. Nespolo a frutti grossi (Fò biwer). Questa varietà corrisponderebbe secondo Vil-
morin alle varietà coltivate attualmente nella Francia meridionale.
Successivamente l'orticoltore giapponese I. Oinque, ha fatto cono-
scere (vedi Revue llorticole A. 1915 N. 5) le seguenti varietà, molto
distinte, coltivate ora nei giardini al Giappone.
1. Dohi a Tokio chiamata Shino-Biwa ottenuta nel 1888. Questa varietà si alleve-
rebbe a piramide, piantando 75 alberi per ettaro.
2. Gekkéikan (fig. 587). Frutto molto dolce, gustosissimo, grande, ovale, di colore
bianco giallastro ; con 4 noccioli.
Albero vigorosissimo e molto fertile ; di forma piramidale un poco nana.
3. Mogi liitva (fig. 588). Frutti ovali, generalmente 5 per grappolo, un poco più ro-
tondi di quelli della varietà Tanaka. Colore giallo-ranciato; molto succosi e dolci.
Albero molto vigoroso ed abbastanza fertile.
4. Téraoutchi-Biwa (fig. 589). Questa varietà, ottenuta dall'orticoltore Sasaki di
Tèraoutchi Kosonè (provincia di Osaka) produce dei frutti grossissimi, rotondi, dolci^
eccellenti.
Contengono un solo nocciolo; colore giallo biancastro.
5. Tamoura-Biwa. I frutti sono abbastanza grossi, molto dolci e succosi, di color
giallo. Albero molto vigoroso, poco fertile nei teiTeni calcari.
787 —
6. Tanaka Biwa. Questa varietà è stata ottenuta dall'orticoltore Senatore Barone
Tauaka.
Per la forma del frutto si distinguono due sotto-varietà e cioè una a frutti elittici
(cni. GX •">•'') e l'altra a piriformi (cm. 6.5X55).
r^^i
Fig. 587. — Gekkéikan.
Fig. 588. — Mogi
Fig. 589. - Téraoutclii-Biwa.
Buccia molto resistente ai trasporti, di colore aranciato : polpa molto soda, giallo-
albicocca, tlolce, con profumo piacevole. Noccioli pochi. Matura in maggio.
La pianta è vigorosa, molto fertile, resiste alla siccità. Ha le foglie più strette delle
altre varietà.
Questa varietà ha un valore notevole quale frullo di esportazione.
— 788 —
7. Vasé-Biiva o nespolo precoce. Frutto piccolo ma molto precoce, un pò acido.
8. Vasé-ó-Biu>a o nespolo grande precoce. Varietà nuova. Frutto grosso, molto dolce,
di colore giallo.
Albero mollo fcrlile e molto stimato.
9. Sangalscti-Iiitua o nespolo di marzo. È la varietà più precoce. Il frutto comincia
a colorarsi alla fine di febbraio ed in marzo matura. Frutto piccolo di colore giallo
carico.
Albero molto vigoroso e fertile.
4. Scelta delle varietà. — Ho citato tutte queste varietà per invo-
gliare gli agricoltori italiani delle regioni calde a introdurle ed espe-
rimentarle, poiché per noi questa coltivazione va assumendo una
sempre maggiore importanza.
Nella scelta delle varietà si abbia sempre cura, per gli impianti
industriali, di tenersi alle varietà con buccia consistente ed a polpa
soda, resistente ai trasporti. Si scelgano di preferenza quelle con pochi
noccioli, di sapore dolce, leggermente acidulo. Rispetto alla grandezza,
si possono tollerare anche i frutti piccoli per le varietà precoci.
5. Importanza della coltivazione. — É molto apprezzata la preco-
cità di maturazione dei frutti e perciò la coltura va acquistando una
sempre maggiore importanza commerciale.
6. Sistemi di coltivazione. — Tanto nei frutteti di speculazione
quanto nei campi e giardini per ornamento e per frutto.
7. Clima ed esposizione. — Soffre pel freddo specialmente se franco
di piede, perciò lo si innesta sul biancospino. Riesce nella regione
dell'olivo ; nei climi più rigidi si pianta contro i muri di mezzogiorno.
Non coltivandolo per i frutti, basterà scegliere una buona esposizione
a mezzogiorno. Le foglie resistono alla temperatura di — 10" C.
Nel Veneto i frutti maturano alla fine di giugno, a Napoli ai primi
di maggio, sulla riviera Ligure, la fioritura comincia in ottobre ed
i frutti maturano a metà maggio.
8. Terreno. — Prospera in tutti i terreni meno quelli molto aridi
o argillosi freddi, tanto del piano quanto del colle. F'rutta abbondanti
non dà però clie nei terreni soffici, molto fertili, freschi e non umidi
durante l'inverno.
Nelle regioni littoranee riesce molto bene.
9. Moltiplicazione. — Può farsi per seme, per margotta e per in-
nesto. Alla moltiplicazione per seme si ricorre nell'Alta Italia per avere
delle piante alte, ornamentali più che da frutto. Raccolti i frutti maturi,
si seminano i noccioli in cassette, appena liberati dalla polpa, e d'inverno
si portano a riparo nelle aranciere. 1 semi due settimane dopo raccolto
il frutto perdono la facoltà germinativa.
Allo scopo di avere presto frutti si ricorre alla moltiplicazione per
margotta, ma allora si hanno piante cespugliose.
Lo stesso elletto si ottiene per innesto. Si può innestare sul cotogno,
sul biancospino e sul franco. 11 soggetto da preferirsi è il cotogno,
poiché i frutti maturano più presto.
Nei paesi meridionali si moltiplica da sé, coi frutti che cadono.
— 789 -
Si applica l'innesto a corona od a gemma, possibilmente raso terra.
Si fa dopo la maturazione dei frutti quando la pianta riprende la ve-
getazione e cioè circa alla fine di giugno.
La marza si sceglie sui rami di due anni. Si tolgono le foglie
lasciando il picciolo.
Nei climi un po' freddi come nell'Alta Italia, invece che all'aperto,
l'innesto si può fare sotto vetrata. In tal caso si conserva al resto una
porzione di foglie.
Sul cotogno il nespolo del Giappone prende poco sviluppo, resta
basso, forma una pianta cespugliosa, ma anticipa la sua fruttificazione.
Sul biancospino dà dei frutti più profumati e più grossi. La Scuola
Agraria di S. Ilario Ligure ha sul biancospino la più bella pianta della
sua collezione.
Concludendo, l'innesto più usuale è quello sul franco; per ottenere
precocità di maturazione si ricorra al cotogno e per le varietà più
grosse e delicate, di nìaturazione tardiva, sul biancospino.
10. Caratteri vegetativi. — È una pianta di magnifico aspetto a
chioma piramidale o ad ombrello. Il legno è tenace, difficilmente si
dirama ed è di lenta crescita.
Il nespolo del Giappone fruttifica abbondantemente, ma fiorendo
molto presto, qualche volta la fruttificazione sofire pei geli tardivi di
marzo. A 4 o 6 anni porta frutto.
Fiorisce dal novembre al febbraio a seconda delle latitudini. Porla
i frutti da maggio alla fine di giugno. Dopo la fruttificazione cominciano
a svilupparsi i nuovi germogli dalla cima dei rami prodotti nell'anno
precedente. Questi germogli portano alla loro volta all'estremità un
bottone dal quale si sviluppano poi i fiori in novembre-dicembre.
11. Potatura. — 11 nespolo del Giappone, come il fico, ramifica
facilmente, perciò non occorrono dei tagli per la potatura di formazione.
Quella di fruttificazione è semplice e consiste nel sopprimere, dopo
la raccolta dei frutti, l'asse della infiorescenza, che li ha portati.
Pel rimanente a questa pianta bastano le cure comuni alle altre.
Non è necessario alcun taglio eccetto che pei rami rotti, contusi, sec-
chi e l'amputazione eventuale di qualche succhione.
12. Forme. — Si lascia prendere alla pianta la sua forma naturale.
13. Impianto e cure di coltivazione. — Il nespolo del Giappone
oggi trovasi in tutta Italia e dove non prospera come albero da frutto
è coltivato come albero d'ornamento. Anzi per questo scopo è stato
importato in Europa ed è un esempio del vantaggio che arrecò l'arte
del giardinaggio.
Con questa pianta in Liguria si fanno notevoli impianti specializ-
zati, scegliendo le località meglio esposte dove non si può fare l'ir-
rigazione. Le piante si collocano a 5 metri di distanza.
14. Raccolta e conservazione dei frutti. — Le nespole del Giappone
sono oggi molto ricercate per frutta da tavola, per confetture o per
mostarda. La loro polpa tenera, zuccherino acidulata è molto grade-
— 790 —
vole, tanto più che e uno dei primi frutti eduli che si hanno in pri-
mavera. Sono frutti che non soffrono per il trasporto; si usa imballarli
in cestine di K{*. 5, con ritagli di carta.
I noccioli, disgustosi di per sé, contengono dell'acido prussico e
quindi bisogna guardarsi dal cibarsene.
All'età di 10-12 anni il nespolo può dare un prodotto di 12 kg. di
frutta; successivamente, fino oltre il ventennio, dà un prodotto triplo.
15. Composizione chimica dei frutti. — Borntraeger A., già diret-
tore della R. Stazione Agraria di Palermo, ha analizzato due campioni
di frutti uno immaturo ed uno maturo. Nel succo trovò, in 100 e.'*:
dei frutti immaturi dei frutti maturi
I Campione II Campione III Campione
Zucchero invertito gr. 2.74 4.20 6.70
Saccarosio „ 4.30 2.47 4.94
Acidi liberi (espressi in acido
malico) „ 1.75 0.84 0.60
Acido citrico „ 1.12 1.37 —
16. Usi. — Oltre gli usi sopra ricordati, la nespola serve anche a
fabbricare una specie di acquavite, avvertendo però di togliere i noc-
cioli, prima che i frutti fermentino.
17. Prodotti secondari. — Le foglie vengono vendute ed esportate per
ornamento e [)er preparare corone.
18. Malattie. — Vedi pag. 500.
LAZZERUOLO
(Crataegus Azarolus L. — Fani. Rosacee)
Nome volgare italiano del frutto — Azeruola o Lazzcruola.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane. : Azerolier — Ted. :
Azarolenbaum — Ingl. : Thorn Apple.
1. Origine. — È una pianta della Francia meridionale, che si trova
ora estesa lungo tutto il littorale mediterraneo d'Italia ed anche nel-
l'isola di Malta.
2. Caratteri botanici della pianta. — È un albero (fig. 587 e 588)
che raggiunge 7 od 8 metri di altezza, con molti rami grossi, corti, ri-
torti, ascendenti, coperti da una corteccia nera, screpolata, e, se gio-
vane, leggermente pubescente. Allo stato selvatico i rami sono spinosi,
ma la maggior parte delle varietà coltivate sono senza spine. I rami
di queste sono grossi, ritorti, corti, divisi in nodi spessi e rilevati,
coperti di una corteccia nera, grezza, screpolata, ineguale, e terminati
da una messa laterale, viva, e da un resto di ramo secco, che è la punta
su cui l'anno antecedente posavano i frutti. Le foglie hanno la lamina
leggermente dentata e divisa in tre lobi profondi, piegata a forma di
791
cuneo ed un poco tomentosa. I fiori sono bianchi, grandi, odorosi, riu-
niti in piccoli corimbi che si trovano all'estremità dei rami, come nel
biancospino, con peduncoli e calici tomentosi. Il frutto è di vario co-
lore a seconda della varietà, e i-acchiude da 3 a 5 noccioletti ossei più
duri di quelli del nespolo. Ha l'aspetto di una piccola mela Paradisa,
sferica, ineguale e gibbosa, un poco compressa alla cima, sormontata
dai resti squammosi del calice che formano come una corona portata
da un piccioletto legnoso, che esce dalle gemme terminali della messa
e s'impianta nella cavità inferiore del frutto, come nelle mele. La sua
buccia è liscia, di color cana-
rino chiaro e aderente. Polpa
croccante e insieme butirrosa,
di una grana finissima.
3. Varietà. — Le principali
varietà coltivate per il frutto
sono le seguenti :
1. Azeruola bianca o mo-
scatella. — Somiglia ad una
piccola mela di S. Giovanni,
sferica ineguale, compressa al-
la cima, ed ivi sormontata da
resti squamosi del calice, che
formano come una corona.
Buccia liscia, di color canari-
no chiaro, aderente alla polpa.
Questa è croccante, butirrosa,
piena di un sugo acidulo, grato,
qualora sia perfettamente ma-
tura (fig. 590).
2. Azeruola rossa. — È più
piccola e meno buona della
precedente. Il frutto è un po'
più grosso di una avellana, la
polpa è acidula e ricorda la fragola. Come dice il
eia è rossa. È più rustica della bianca (fig. 591).
3. Azeruola gialla. — È la migliore di tutte od almeno sta alla
pari della prima. Sui mercati di Napoli si paga il doppio della rossa.
Somiglia molto alla bianca e non difi"erisce che pel colore.
Danno pure frutti commestibili le seguenti specie di azzaroli, da
noi specialmente coltivate per ornamento :
1. Lazzeruolo d'America (Crataegus coccinea L.). — Dell'America
settentrionale : dà frutti rossi della grossezza d'una ciliegia.
2. Lazzeruolo perino (Crataegus pyrifolia Ait.). — Pure dell'America
settentrionale. I suoi frutti hanno la forma d'una piccola pera.
3. Lazzeruolo puntato (Crataegus puntata Ait.). — Anche questo
dell'America settentrionale. I suoi frutti contengono noccioli troppo
grossi.
Fig. 590. — Azzeruolo bianco.
SUO nome, la bue-
4. Lazzeruolo sanguigno (Crataegus sanguinea Pali). - Della Russia
e della Siberia: i suoi frutti vengono mangiati, ma sono poco polposi.
5. Lazzeruolo Uirco (Crataegus tanacetifolia Pers.). — Dell'Oriente:
i suoi frutti lianno presso che il gusto delle nostre lazzeruole e vengono
mangiati dagli Armeni.
Fig. 591. — Lazzeruolo rosso.
4. Importanza della coltivazione. — Si coltivano delle piante iso-
late nei frutteti casalinghi, nei giardini. È un albero assai rustico che
non ha bisogno di cure speciali pel terreno. Alcuni consigliarono la
spalliera, ma non c'è convenienza di coltivare in tal modo una pianta
tanto rustica.
5. Clima ed area di coltivazione. — Abbonda in tutti i paesi caldi,
da Nizza a Napoli e Palermo, perù in Italia si può coltivare e fruttitìca
- 793 -
da per tutto. Dopo la vite è l'ultimo a fiorire delle piante da frutto,
cioè nella prima settimana di giugno.
Nell'Italia settentrionale conviene la varietà rossa e l'esposizione a
mezzogiorno, altrimenti i frutti non hanno né un buon sapore, nò un
buon aroma.
6. Terreno. — Convengono tutti i terreni, ma specialmente, gra-
nitici o i vulcanici. Teme le terre fredde, argillose, umide. La sua radice,
approfondendosi poco, non ha bisogno di lavori profondi.
7. Moltiplicazione. — Si moltiplica per seme e per innesto.
I semi durano 2 anni nel terreno prima di germinare ; se ne otten-
gono delle piante resistenti al freddo e rustiche, ma la loro crescita è
tanto lenta e fruttificano tanto tardi, da far preferire sempre l'innesto.
L'innesto si fa ad occhio dormiente sul biancospino di tre anni.
Si impiega per soggetto anche il cotogno, il nespolo, il pero, ma in via
eccezionale e soltanto quando si vuole avere delle piante di rapida
crescita e delle varietà a frutta grosse. La varietà bianca non avendo
semi, si moltiplica esclusivamente per innesto.
8. Caratteri vegetativi. — Fiorisce in maggio e matura i frutti in
settembre. La pianta fruttifica fra il decimo ed il quindicesimo anno.
L'azzeruolo è una pianta di lentissimo sviluppo ; la sua ramificazione
procede quasi come quella del pero.
Se noi prendiamo ad esaminare un ramo di un anno dell'azzeruolo
e se lo lasciamo a se stesso, nel secondo anno si osserva che esso si
prolunga mediante il germoglio che sorge dalla gemma terminale. Si
osserva ancora che le gemme del terzo inferiore di questo ramo non
danno alcuna produzione e le altre sviluppano dei dardi o dei rami
misti, oppure dei rami a legno. Naturalmente questi ultimi sorgono
dalle gemme di mezzo (fig. 592).
Nel terzo anno questi dardi sviluppano un germoglio fiorifero più
o meno lungo, il quale, a seconda del vigore, sviluppa una o due gemme
a fruito ed una o due gemme a legno-, all'estremità porta il corimbo
dei fiori e dei frutti. Quando questi ultimi sono maturi, dissecca la
cima del germoglio fino alla prossima gemma a legno e quindi sulla
pianta rimane un mozzicone secco. Le gemme a legno servono a pro-
lungamento del ramo, le due gemme e frutto si trasformano in dardi
e nel secondo anno producono un' altro getto consimile, portante
all'estremità i fiori e nel mezzo altre gemme a legno ed a frutto.
Come si vede, lasciando l'azzeruolo sempre a se stesso, si incorre
nel pericolo di avere delle branche da frutto più o meno lunghe ma
sguarnite alla base.
9. Coltivazione. — Per il modo di vegetare dell'azzeruolo, bisogna
applicare una potatura onde non avere le piante coi rami sguerniti di
frutti alla base. A questo scopo si tagliano i rami di prolungamento a
due terzi. Dei rami a frutto, i dardi naturalmente si lasciano intatti.
Quelli misti ed a legno si cimano d'estate a 7 cm., per far disporre a
frutto le gemme della base, taglio che si ripete anche d'inverno.
Quando i rami a Irulto sono bene costituiti, non si lia che da
lasciar agire la natura ed è sufficiente di avvicinarli costantemente ai
dardi inferiori. Dopo un certo numero di anni le lamborde si esauriscono,
ed allora sorgono dalla base dei germogli, che servono a sostituirle.
Quanto riguarda la potatura di formazione si procede come per
tutte le piante a granella, allevando a mezzo vento e dando la forma
a vaso, (ieneralmente dai nostri agricoltori la pianta viene lasciata a
Fig. 592. — Ramo a frutto di Azzeruolo rosso.
sè stessa. È certo che chi non conosce il sistema di vegetazione di
questa pianta non deve mettersi a potare, perchè farà più male che
bene; ma con un taglio intelligente si ha un utile non indifferente.
10. Raccolta e conservazione dei frutti. — Le azeruole si rac-
colgono in due volte. Nei primi giorni di settembre, quando sono
ancora verdi, per fare delle confetture; nella seconda metà di settembre,
si là la raccolta per mangiarle in stato naturale, fresche.
Le azeruole si conservano poco ; presto avvizziscono ed ammez-
ziscono ; dovendo spedirle a distanza, bisogna raccoglierle alquanto
immature.
— 795 —
Si raccolgono le azeruole gialle quando acquistano un color bianco
dalla parte del sole e le rosse, quando hanno un colore rosso più
intenso. Raccolte con precauzione e con le mani, perchè la più piccola
contusione le pregiudica, si distendono sulla paglia, dove completano
la maturazione, acquistando cioè in fragranza ed un sapore meno acido
e più dolce.
L'azeruola è un frutto con polpa sugosa, acido-vinosa, dolciastra,
morbidissima, croccante, saporita e per alcuni piacevole.
11. Malattie. — Vedi pag. 500.
PARTE QUARTA
PIANTE DA FRUTTO CON SEMI SUCCOSI
MELOGRANO W
(Punica Granatum Linn. — Fani. Mirlacee)
Xonii volgari italiani della pianta — Melograno, Granato, Melogra-
nato, Pomogranato.
Nomi volgari italiani del frutto — Melagrana, Balausta, Balausto,
Melagranata.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane: Grenadier — Ted.:
Granatbaum — Ingl. : Pome granat-tree.
Nomi volgari stranieri del frutto — Frane: Grenade — Ted.: Granat-
Apfel — Ingl. : Pomegranate.
1. Origine. — Pare originario dall'Africa e precisamente dei dintorni
di Cartagine, quantunque, secondo il Bertolini, sull'autorità di Catone,
sembra che questo albero sia antichissimo anche in Italia. Presente-
mente è diffuso in tutta Italia, ma specialmente è coltivato nelle regioni
bagnate dal Mediterraneo. Sono rinomate le melagrane di Provenza,
Malta, Spagna, Sicilia, Calabria, Lecce, Salerno e sopratutto quelle del
circondario di Gaeta.
11 melograno è coltivato anche per siepe e quale pianta da orna-
mento. Qui mi occuperò in particolar modo della sua coltivazione
come pianta da frutto.
2. Specie coltivate. — Oltre al melograno comune vi ha un'altra
specie di melograno, il melograno nano (Punica nana L.), originario
dell'America del Sud, che fiorisce dal maggio all'agosto. Esso viene
(1) Una diligente monografia sul melograno : La coltivazione del melagrano nel
circondario di Gaeta (Caserta), è stata pubblicata dal Prof. Doti. G. Zambrano, Napoli, 1898.
Con questa ho completato le notizie che avevo raccolte sul melograno nelle precedenti
edizioni.
- 797 -
coltivato per ornamento, per la sua fioritura continua ed avendo varietà
a fiori doppi, a fiori rossi, a fiori bianchi ed anche gialli.
3. Caratteri botanici. — È un arbusto che si innalza anche ad
albero, di 2 in. di altezza (fig. 593).
Albero di melograno.
Radice nodosa, consistente, con corteccia rossastra, e racchiudente un
alcaloide, chiamato pellettierina, che avrebbe proprietà vermifughe.
Fusto rotondo, eretto, molto ramoso, con corteccia, che, invecchiando
screpola, e diviene cenerognola ; rami opposti od alterni, aperti, spi-
nosi all'apice ; foglie opposte, verticillate o sparse, intere, rosseggiane
da principio, poi d'un verde gaio nella pagina superiore, pallidetto
nell'inferiore; liscie, caduche.
— 798 -
Fiori terminali quasi sessili, solitari od in gruppi da tre a cinque,
con calice di un bel vivo scarlatto o porpora, turbinato, colle lacinie
ovato-lanceolate, acute ; petali da 5 a 8, dello stesso colore del calice,
in numero da cinque a sette, obovati, più lunghi del calice ; stami
numerosi, più corti dei petali, lìliformi, con antere biloculari (fig. 594).
Il frutto è una bacca grossa sferica (balausta), coronata dal calice,
di bellissimo aspetto anch'essa e contenente un grandissimo numero
Fig. 594. — Ramo a frutto, fiore e frutto di melograno.
di semi rinchiusi in nove logge membranose, avvolte da una polpa
sugosa, in cui per lo più domina l'acido malico.
4. Varietà. — 1. Melagrana acida. — Ha semi rosei e frutti acidis-
simi ; la si ritiene specie selvatica.
2. Melagrana dolce ordinaria. — Ha i semi mezzani, dolci, subacidi.
3. Melagrana dolce a denli di cavallo. — Ad acini grossi e bislunghi,
dolcissimi e subacidi, la più pregiata di tutte le varietà.
Il prof. Zambrano, descrive le seguenti varietà coltivate nel circonda-
rio di Gaeta :
VarieUì amara, verace. — Scorza molto grossa, liscia, lucida, verde
e rossiccia. Semi mediocri, rosso-sbiaditi e alquanto acidi.
- 799 -
Varietà amara, ferace a dente di cavallo. — Come la precedente
ma con semi molto più grossi, allungati a mo' di dente di cavallo.
Varietà dolce, alappia. — Frutto non molto grosso, scorza sottile,
semi molto acquosi, porporino-sbiaditi e dolcissimi.
Varietà dolce, alappia a dente di cavallo. — Come la precedente,
ma con rami più allungati.
Le varietà alappia, essendo molto acquose, si devono consumare
subito, perchè non infracidiscano.
5. Importanza della coltivazione. — Nelle jjrovincie meridionali
questa coltura ha una certa importanza e la pianta viene allevata ad
albero (tìg. 590) in pieno campo.
Nell'Italia settentrionale e centrale, si alleva invece a cespuglio
come ornamento nei giardini o per siepe.
6. Clima. — Il clima suo proprio è quello della regione attorno al
Mediterraneo nei luoghi bassi e di mezzana costa. Volendo allevarlo
nei climi temperati, bisogna porlo contro i muri, ad alberello od a
spalliera, riparato dai venti ed esposto a mezzogiorno.
7. Terreno. — Il melograno è poco esigente rispetto al terreno. Si
sviluppa convenientemente anche nelle terre più aride, ma dà frutti
più abbondanti nelle terre ricche, di consistenza media. Esso soffre
soltanto per la umidità eccessiva.
8. Moltiplicazione. — Si moltiplica per semi, margotta, polloni,
talee ed innesto.
Seminando in autunno o in primavera dopo aver stratificato i semi,
nel terzo anno le piantine si trapiantano a dimora ed ivi si innestano,
perchè le piante da seme danno frutti acidi. I semi mantengono per 6
mesi la facoltà germinativa.
La moltiplicazione per talea si fa raccogliendo dei rami di metri
1 di lunghezza, nel mese di marzo, dai rami migliori della pianta ; dopo
due anni, le barbatelle si collocano a dimora. Occorre però innaffiare
il barbatellaio.
L'innesto più adatto è quello a spacco od a gemma dormiente. Si
innesta quando il fusticino ha la grossezza di cm. 1,5 e lo scudetto si
oppone immediatamente sopra un nodo della foglia.
Ma conviene moltiplicare le buone varietà per polloni, per margotta
o per talea.
9. Caratteri vegetativi. — Coltivasi il melograno tanto sotto forma
di albero quanto di cespuglio, ma tanto in un modo quanto nell' altro
cresce lentamente, impiegando più di 30 anni per raggiungere il suo
ordinario sviluppo di 5 metri. Sopporta il taglio del tronco e dei rami
finché è giovane.
A quattro anni, comincia a fruttificare.
Le foglie spuntano alla metà aprile ; in maggio o giugno si hanno
i fiori che continuano per un mese, e nel mese di settembre-ottobre si
raccolgono i frutti, quantunque i frutti si possano lasciare sulle piante
fino ad inverno inoltrato. Danno frutti soltanto i primi fiorì e quelli
più sviluppati.
— 800 -
10. Coltivazione. — Coltivando ad albero, le piante si collocano a
3-1 metri di distanza. I.a sua coltivazione e le cure, specialmente per
quanto riguarda la potatura, sono simili a quelle adottate pel cedro.
Bisogna quindi tenere vuota la chioma nell'interno, troncare in prima-
vera tutti i rami deboli, giacché si moltiplicano abbondantemente, moz-
zare i germogli quando sono arrivati alla metà od ai due terzi della
loro lunghezza, onde mettano i fiori.
Se la pianta è troppo esposta al sole, giova ripararne i frutti, perchè
diversamente restano poco colorati ed acquistano un sapore meno grato
Infine quando la pianta mostrasi debole o mette pochi fiori, conviene
scalzarla intorno alle radici e mutarne la terra, ponendone della ripo-
sata e concimata.
Coltivando il melograno a spalliera, considerando che porta i frutti
sui rami di medio vigore, si avrà cura di distendere i rami sul muro
di mano in mano che si sviluppano, in modo da coprirlo completamente,
perchè lungo questi si sviluppino i rami fruttiferi. Si applicherà anche
qui la cimatura sopra ricordata.
Continuamente si avrà poi cura di mondare le piante dai polloni.
Nei paesi meridionali il melograno si irriga come gli agrumi.
11. Raccolta e conservazione dei frutti. — Le melagrane raccolte
troppo presto si aggrinzano e non hanno alcun valore, bisogna quindi
lasciarle sull'albero fino alla completa maturazione. Ma allora screpo-
lano facilmente ; per evitare ciò, si abbia cura di ombreggiare i frutti
colle stesse foglie dell'albero.
Una volta raccolte, si espongono al sole per 2 giorni, poi si avvolgono
con carta e si conservano in un luogo asciutto oppure si stratificano
in una giarra nuova con arena ben secca. In questo modo si conservano
lino a metà inverno e si possono spedire imballate in casse come gli
aranci.
12. Composizione chimica dei frutti. — Il citato prof. Zambrano
avrebbe ottenuto i seguenti risultati di analisi :
Peso del frutto gr. 486
Corteccia „ 160
Semi ,,326
Nei semi trovò :
Zucchero 12.50%
Acidità complessiva 2.56 „
Secondo i prof. A. Borntraeger e dott. G. Paris (Vedi: Le stazioni
sperimentali agrarie, Voi. XXI, fase. 1 e 2 1898), 1000 parti di melegra-
nate danno:
parti 3;}3 di corteccie e midollo
„ 050 „ acini
„ 450 „ succo
quindi quasi la metà in peso di succo.
^ 801 —
I semi avrebbero la seguente composizione percentuale :
Acqua 35.02
Cenere grezza 1.54
Grasso 6.85
Amido 12.64
Fibra grezza 22.41
Albumina 9.38
n mosto conterrebbe di acidità totale da 0.37 7o a 3.36, costituita
di acido citrico e malico ed avrebbe solo una ricchezza zuccherina
dal 7.81 7o al 13.69 %, così che bisogna mettere molto in dubbio la
convenienza di vinificare i semi delle melegranate, ottenendosi un
mosto molto debole.
13. Usi. — La polpa che avvolge i semi tempera l'arsura e la sete
perchè ha un sapore zuccherino agretto, piacevolissimo. Il sugo è
rinfrescante e grato. Si adopera per far siroppi (la granatina), confet-
ture, gelati.
II pericarpio, ricco di tannino, e di materie coloranti, viene ado-
perato nelle concerie delle pelli, dà il giallo ai marocchini e serve in
genere per tingere. Viene pure usato nelle farmacie, per le sue pro-
prietà astringenti, sotto il nome di maUcovium.
Le bevande preparate col sugo della polpa tegumentale del seme,
allungate coll'acqua, sono molto igieniche e rinfrescanti.
Coll'infuso della corteccia si combatte la tenia ; serve a ciò spe-
cialmente la corteccia della radice.
' Coi fiori si fa un inchiostro rosso.
Le piante e specialmente le specie a fioi'e doppio servono di orna-
mento nei giardini ; col melograno selvatico si fanno siepi, che rie-
scono sempre folte e di bell'aspetto ; si tendano regolarmente colle
forbici.
Il legno è di un colore paglierino, duro, compatto, suscettibile di
un bel pulimento.
14. Dati economici. ~ Il prof. Zambrano riferisce, che una
pianta di
4 anni dà.
, in media,
40 frutti
5
„
70 „
6
„
100 „
7
„
140 „
8
„
180 „
9
„
200 „
10
„
240 „
30
„
700 „
Pel circondario di Gaeta, dà il seguente conto colturale, riferentisi
N. 100 piante.
51 — Tamaro - Frutticoltura.
— «02 —
Aniniontare per spesa d'impianto e rinnovazione . . . L. 2.00
N. 12 giornate di due operai a lire 1.(50 „ 15.60
Un potatole per due giornate „ 4.80
Letame (4(K) corbelle a L. 0.04) „ 16.00
Irrigazione, 400 botti di acqua, tiiala con la noria, a L. U.15 „ 60.00
Quota di Ulto dell'orto da addebitarsi al granatelo . . . „ 20.00
Totale spesa annuale L. 118.40
11 prodotto di 100 melagranati adulti è il seguente :
Da 100 melagrani si hanno in media 24.000 frutti.
Numero 20.000 di P qualità a L. 21.50 il migliaio . . . L. 430.00
Numero 4.000 di 2^ qualità a L. 12.00 „ 48.00
Fiori caduti , 2.00
Totale entrata L.
„ uscita „
480.00
118.40
Profìtto annuo L.
361.60
per ogni pianta L.
3.61
Da ciò risulta che questa è una coltura abbastanza redditiva.
15. Malattie e cause nemiche. — Vedi pag. 500.
PARTE QUINTA
PIANTE DA FRUTTO A BACCA
VITE (1'
(Vitis vinifera L. — Fani. Ampelidec).
Nome volgare italiano del frullo — Uva.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane: Vigne — Ted,: Wein-
slock — Ingl. : Vine.
Nomi volgari stranieri del frutto — Frane: Raisin — Ted.: Wein-
traube — Ingl: Grape.
1. Origine. — La vite è originaria delle regioni meridionali del Mar
Caspio.
In Europa, viti selvatiche se ne trovano nei boschi del Caucaso,
nonché in Sardegna, dove la moltiplicazione deve essere avvenuta per
opera degli uccelli, che dispersero dei semi. Queste viti selvatiche sono
per lo più sterili o danno grappoli meschini, verdi, di sapore aspro
spiacevole.
La vite quand' è coltivata in climi più temperati di quelli del paese
d'origine, dà la miglior uva sia per vino, sia per la mensa. I climi del
mezzogiorno ed in genere i climi caldi, favoriscono lo sviluppo dei
sarmenti, la grossezza degli acini, lo sviluppo dei grappoli e fanno
aumentare la ricchezza zuccherina. Le regioni discretamente calde sono
le più adatte ed hanno le migliori varietà di uve da tavola.
2. Caratteri botanici della pianta. — La vite è un arbusto sarmen-
loso, i cui rami tendono ad arrampicarsi per mezzo di cirri, chiamati
anche viticci o capreoli.
Nella radice conviene distinguere le radici vere che producono
abbondante alimento, dalle radichette che si trovano a fior di terra, e
forniscono una linfa che favorisce la fruttificazione.
(') Tamaho, Uue da tavola, Manuale Hoepli, IV. Edizione — Molon, Ainpelografia,
Manuale Hoepli — N. Mahzotto, Uve da mensa, Vicenza, 1913.
— 804 -
Il fusto è torluoso, con corteccia che si sfalda. Se la vite è tenuta
bassa, il tronco prende il nome di ceppo.
1 rami sono nodosi e pieghevoli (fig. 121-122)-, quelli di un solo
anno si chiamano sormenti, e sono i soli capaci di produrre germogli
fruttiferi. Nella vite dunque i rami a frutto sono i sarmenti e si devono
considerare come rami misti, poiché danno origine anche a germogli
erbacei. Kssi hanno un midollo (m, fig. 122) grosso e rilassato, il quale
fa sempre parte della gemma inferiore ed è diviso dalla superiore da
un tramezzo legnoso, chiamato diaframma (d). Per questa ragione, il
potatore accorto taglia sempre sull'occhio immediatamente superiore
a quello che vuol lasciare, e precisamente nel diaframma. Questo taglio
viene chiamato a gemma franca.
Le gemme od occhi si trovano lungo il sarmento ed eccezional-
mente sul legno più vecchio.
Dalla gemma fruttifera esce il germoglio, chiamato anche pampino
finché é erbaceo, il quale, cominciando dalla parte opposta della terza
foglia, porta i frutti (fig. 505).
Le foglie sono distiche cioè si alternano sopra due faccie opposte
del sarmento. Sono intere, 3 o 5 lobate.
I viticci si sviluppano contro ogni foglia che non porta il grappolo.
Nella coltivazione delle uve da mensa si suole addirittura sopprimere
i viticci, come produzioni inutili,
I grappoli, da uno fino a quattro, sono opposti alle foglie e sono
disposti come i viticci. La prima diramazione del grappolo per lo più
è una specie di viticcio.
I fiori sono piccoli, verdastri, ermafroditi, con calice piccolissimo,
cinquedentato; corolla di 5 petali, inserita sull'orlo esterno del disco
ipogino (fig. 596-598).
I petali sono saldati fra loro per l'apice, restando liberi per tutto il
resto ; cosicché, nella schiusa del fiore, cadono saldati assieme a modo di
un piccolissimo cappello e lasciano scoperti i 5 stami. Antere biloculari
versatili, ovario libero, a due logge che racchiudono ciascuna due ovuli.
II frutto è una bacca carnosa, succolenta, racchiudeiìte da 1 a 4*
semi; a seconda della fecondazione. I semi si chiamano vinaccioli.
Quando si trovano delle bacche più piccole, è indizio che il budello
pollinico non è arrivato fino sotto agli ovoli. Questi acini sono dolci,
ma senza seme. Esempio: l'uva di Corinto, il Bicane, l'Ughetta.
Seme con buccia crostosa, coperta da epidermide sottile e colla
radichetla rivolta in giù cioè verso la base del frutto.
3. Classificazione e scelta delle varietà. — Per ogni varietà delle
uve da mensa consigliate in questo libro, ho avuto cura di indicare :
1.^ l'indirizzo che si deve dare alla coltura;
2," la qualità dell'uva ;
3.0 il clima più confacente;
4." l'epoca di maturazione ;
5." il sistema di allevamento.
— mi) —
1. Indirizzo della coltura. Questo può essere industriale ossia a
grande coltura ed a piccola coltura. Nella scelta da me fatta, prevalgono
le uve alla cui cultura si può dare un indirizzo industriale, che in Italia
può avere un forte impulso.
Per la grande coUura sono indicate le seguenti: Angiola, Bermestia
bianca e rossa, Besgano nero, Bicane, Chasselas dorato e rosa. Lacrima
Germoglio di vite con due grappoli.
di Maria, Luglienga bianca, Menna di vacca bianca. Moscato bianco,
Moscato d'Alessandria, Paradisa, Pergolona bianca di Pescara, Regina
bianca di Firenze, Trebbiano di Montesilvano, Verdea, Lattuaria bianca.
Per la piccola coltura : Agostenga, Bellino, Dorona di Venezia, Fran-
kenthal, Garganega, Moscato di Amburgo, Pergolese rossa, Pizzutello
bianco, Maddalena Angevine.
2. Per indicare le (nutlilà dell' uva ho distiiilo le uve:
a) di iinnu'diido consumo: Agostengn, Bellino, Dorona di Venezia,
Frankenlhal, Luglienga bianca, Moscaio bianco, Bicane, Trebbiano di
Montesilvano, Laltuaria bianca, Lacrima di Maria, Maddalena Angevine.
b) poco scrbevoli ma che possono formare oggetto di esportazione;
Chasselas dorato, Chasselas rosa, Luglienga bianca, Moscato bianco,
Bicane, Trebbiano di Montesilvano, Lattuaria bianca, Moscato di Ales-
sandria, Lacrima di Maria.
e) da serbo: Garganega, Pergolese rossa, Besgano nero, Paradisa
Regina bianca di Firenze, Verdea, Bermestia bianca, Menna di vacca
bianca. Moscato d'Alessandria, Pergolona bianca di Pescara.
Fig. 597. Fig. 598.
Fig. .596. Fiore di vite la cui corolla Fiore di vite dopo caduta
Fiore di vite chiuso. sta per staccarsi. la corolla.
d) di apparenza: Angiola, Besgano, Paradisa, Regina bianca di
Firenze, Bicane, Bermestia bianca e rossa. Moscato d'Alessandria, La-
crima di Maria.
e) da forzare: Moscato d'Alessandria, Frankenthal, Moscato d'Am-
burgo, Chasselas dorato e rosa.
/■) da passire: Moscato d'Alessandria e Trebbiano di Montesilvano.
<)) da conservare nell'acquavite od alcool : Pizzutello bianco, Ber-
mestia rossa.
3. Nella designazione del clima ho creduto bene distinguere per
noi in Italia i seguenti climi:
fl) clima delle piante a granella (pero, melo e ciliegio duracino)
che comprende la zona Padana del Piemonte, della Lombardia, del-
l'Kmilia e del Veneto. Appartengono a (lueste le seguenti uve: Agos-
lenga. Bellino, Dorona di Venezia, Frankenthal, Garganega, Maddalena
Angevine, Chasselas dorato e rosa, Luglienga bianca. Moscato bianco.
b) clima dell'albicocco e del pesco a pieno vento che comprende
la zona |)eninsulare interna delle seguenti regioni : Toscana, Marche,
Umbria, Lazio, Abruzzi, Campania, Basilicata e Calabria. Le uve indi-
cale per(|uesle regioni sono: Angiola, Besgano nero, Paradisa, Regina
bianca di Firenze, Verdea.
c) clima del mandorlo e del fico che comprende la zona marittima
del Veneto, deirF:milia, delle Marche, degli Abruzzi e delle Puglie. Le
uve di (|uesle regioni sono : Bicane, Pergolese rossa e Pergolona bianca.
(/) clinm dell'olivo che comprende le cosle Mediterranee della
Liguria, della Toscana, del Lazio, della Campania, le coste Tirennica e
Jonica della Calabria e la costa Jonica delle Puglie. Per queste regioni
sono le seguenti varietà : Bermestia bianca e rossa, Trebbiano di Monte-
silvano, Lattuaria bianca, Menna di vacca bianca, Moscato di Alessandria,
Pergolona bianca di Pescara, Pergolese rossa, Pizzutello.
e) clima dell'arancio che comprende la Sicilia, la Sardegna e le isole
minori. Per queste regioni oltre a gran parte delle uve citate per il clima
dell'olivo, bisogna aggiungere la Lacrima di Maria e il Moscato d'Amburgo.
4. Per fissare l'epoca di malurazione ho seguito il metodo di Pulliat,
il quale prende per punto di partenza la maturazione del Chasselas dorato.
Questo vitigno matura nel clima delle piante a granella come in
Lombardia fra il 15 ed il 18 agosto ed in Sicilia (clima dell'arancio)
nella prima settimana di Agosto. Come media si può quindi prendere
per l'Italia dal 10 al 15 di agosto e quindi le uve si classificano come :
n) Uue precoci, quelle che maturano prima del 15 di agosto :
Agostenga, Luglienga bianca, Maddalena Angevine.
h) Uve di I epoca, che maturano dal 15 al 30 agosto : Chasselas
dorato e rosa. Moscato bianco. Bellino.
e) Uue di II epoca, che maturano dal 1 al 15 settembre: Fran-
kenthal. Moscato di Amburgo, Angiola, Bicane, Trebbiano di Montesil-
vano, Lattuaria bianca.
d) Uve della III epoca, che maturano nella seconda quindicina di
settembre : Besgano nero, Lacrima di Maria, Menna di vacca bianca.
Paradisa, Regina bianca di Firenze, Verdea, Dorona di Venezia, Garga-
nega, Pizzutello bianco.
e) Uve della IV epoca che maturano durante il mese di ottobre :
Bermestia bianca e rossa, Moscato di Alessandria, Pergolona bianca di
Pescara e Pergolese rossa.
5. Pel sistema di allevamento si è distinto la coltura della vite
maritata agli alberi, da quella a pergola, a cordone e ad alberello.
Per comodità del lettore riporto in due tabelle LXII e LXIII le pro-
prietà delle uve da mensa da me consigliate.
4. Importanza della coltivazione. — La coltivazione della vite in
genere è indubbiamente la coltivazione più importante dell'Italia. Quella
delle uve da mensa potrebbe con facilità diventare la prima d'Europa.
L'uva da mensa che viene annualmente esportata si può calcolare
circa di 2,30 a 2.50.000 quintali dei quali la Sicilia compresa l'isola Pan-
telleria ne esporta circa 120.000 quintali. (Moscato d'Alessandria, Insolia,
Bermestia, Gerosolimitana); Lecce per 20000 quintali) (Marchesa, Pergo-
lese e Moscati); Piacenza pure per 20.000 quintali; Besgano Verdea,
Agostenga), Bologna per 20.000 quintali, colle uve Angela, Regina, Para-
disa e Verdea; Torino e Cuneo per 15.000 quintali coi Moscati, Agostana,
Favorita, Erbaluce e Barbarossa; Napoli 12.000 quintali (Moscati e Cata-
lanesea): Cosenza per 10.000 quintali (Sanginella, Olivetta, Rosa, Pizzu-
tello); Pisa per 8000 quintali (Colombana bianca de' Peccioli, Regina
Bianca, Luglienga); Verona per 3000 quintali colla Luglienga. II valore
medio complessivo si calcola di circa 4V2 niilioni di Lire.
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mente nell'Abruzz
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mente nel Lazio
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Calabria e le isole
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come sopra ma da
comprendersi an-
che la Toscana,
l'Umbria e l'Abruz.
conviene in tutte le
buone esposizioni
calde dall'Abruzzo
in giù.
da diffondersi spe-
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potatura media a
cordone orizzon-
tale alla Guyot.
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spalliera ed a
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te le forme an-
che per forzare
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loso, calcar.
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maturazione
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(15-30 settem.)
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prima di esportazione per
l'immediato consumo
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prima da serbo, d'aspetto
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per l'apparenza e per con-
servare nell'acquavite
prima da serbo e per l'es-
portazione
prima sotto tutti i ri-
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eccellente da serbo, per
bontà e per l'esporta-
zione
prima per il gusto e per
l'apparenza, si esporta
per r immediato con-
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5. Sistema di coltivazione. — L'uva da mensa per esportazione si
dovrebbe coltivare in vigneti specializzati. Per il consumo locale o
della famiglia, la vite non dovrebbe mancare in ogni brolo, orto
o giardino casalingo, coltivata a pergola o spalliera ed a contro
spalliera.
L'uva si presta molto anche per la forzatura. Per questo riguardo
rimando però il lettore al mio Manuale sulle Uve da tavola, del mede-
simo Editore.
6. Clima ed area di coltivazione. — Il clima ha maggiore influenza
del suolo sulla riuscita della vile.
Essa prospera nella regione dell'ulivo, e da per tutto dove riescono
a piena aria il mandorlo ed il pesco.
Quanto più si va al nord, tanto più vigorosa è la vegetazione, maggiore
è la (juantità di germogli che si sviluppano, maggiore perciò è il
consumo dei succhi e quindi tanto più tarda avviene anche la matu-
razione.
Riassumendo, la vite ama un clima caldo e secco; non ama i ra])idi
sbalzi di temperatura, né i venti freddi di tramontana e ponente, né le
brine tardive, né le pioggie prolungate.
Un clima umido dà uve serotine, acquose, di poco sapore; quello
mediocremente asciutto dà uve che si conservano a lungo; un clima
secco dà uve zuccherine, poco acide e molto saporite.
Le varietà a frutto bianco sono meno esigenti di quelle a frutto
rosso; per la germogliazione occorrono 10,5" C. di calore giornaliero;
per la fioritura 18,4" C. e perla maturazione 22,5" C. Dall' incominciare
della germogliazione alla completa maturazione, occorrono in media
3200-4000° di calore distribuiti in 180-200 giorni.
7. Esposizione e situazione. — Nei paesi meridionali la migliore
esposizione è a ponente, perché a nord è troppo fredda; a levante,
specialmente per le uve da tavola, l'alternativa repentina del freddo e
della rugiada col calore del sole al mattino, produce non piccoli danni.
Nell'Italia settentrionale, le migliori esposizioni sono il sud-est e
sud. In queste i grappoli si conservano più a lungo.
Per giudicare di una esposizione più o meno favorevole, bisogna
considerare dove le piante sono meno esposte ai geli primaverili. Le
vigne più rinomate della Champagne e del Medoc, hanno una pen-
denza a nord.
Si deve anche tener calcolo della direzione che hanno i venti
umidi e temporaleschi. Per le uve da tavola, conviene scegliere espo-
sizioni riparate da questi venti.
Le viti da uve da tavola bisogna coltivarle quasi esclusivamente nei
dolci declivi e colline, ove circola l'aria e la luce; nei luoghi troppo
elevati e ripidi si hanno venti frequenti e nelle pianure invece v'ha
difetto di circolazione d'aria e troppa umidità.
8. Terreno. — La vite è poco esigente rispetto al terreno. Le
terre leggere, permeabili, silicee, ciottolose, calcari, schistose, giuras-
— 812 -
siche, vulcaniche, infine tutte quelle che asciugano facilmente, che si
riscaldano presto e mantengono il loro calore, ed un certo grado di
freschezza, si prestano per la produzione delle uve da mensa. Le terre
rosse convengono meglio delle gialle e queste più delle bianche.
La vite rifiuta le terre argillose e fredde; nei terreni torbosi e cre-
tacei ed in quelli freschi e molto ricchi, spiega tutta la sua forza di
vegetazione e tutta la sua rapidità di sviluppo, ma l'uva riesce scipita,
malgrado la sua bella apparenza, e la maturazione, nella maggior parte
delle annate, è compromessa.
I terreni profondi sono generalmente preferibili, specialmente
quando il sottosuolo è composto di detriti di roccie, oppure di ciot-
toli. Nei terreni ciottolosi, magri e di poca profondità, 1' uva matura
più presto e si conserva più a lungo che in quelli ricchi e profondi,
ma si ottiene meno prodotto.
A Thoméry, il paese classico per le uve da tavola, si piantano le viti
in terreno ricco, che si riscalda facilmente, di natura sabbioso-argilloso
misto a ciottoli, mediocremente profondo.
Lungo tutta la nostra costa dell'Adriatico, nelle sabbie che manten-
gono nel sottosuolo un certo grado di freschezza, si ottengono delle
uve da mensa molto migliori che lungo le coste rocciose del nostro
Mediterraneo. Osservo questo poiché noi potremo estendere con molto
vantaggio la coltivazione della vite nelle oasi della Libia, dove nel sot-
tosuolo non manca l'umidità.
9. Riproduzione e moltiplicazione. — La vite si riproduce per
seme, e si moltiplica per gemma, talea, e barbatella, propaggine ed
innesto.
10. Caratteri vegetativi. — Nella vegetazione della vite distingue-
remo (ì periodi: 1. Pianto della vite; 2. Germogliazione ; 3. Fioritura
4. Maturazione ; 5. Lignificazione ; 6. Riposo.
La ripresa della vegetazione della vite, in primavera, si mani-
festa col cosidetto pianto. Esso è provocato dalle bollicine d' aria
e di anidride carbonica, che si trovano nel sugo acquoso di cui si
sono imbevute le radici durante l'inverno. Goll'elevarsi della tempe-
ratura in primavera, le bollicine si dilatano e costringono il detto
sugo a sgorgare dai vasi, che sono stati tagliati trasversalmente colla
potatura.
Poco dopo il pianto, aumentando la temperatura, si ha il periodo
della germogliazione che comincia nella terza decade di aprile. Dalle
gemme sorgono i germogli o cacchi, i quali si nutrono coi materiali
immagazzinati dalla vite nell'agosto precedente. Indi, riscaldandosi
il terreno, la vite rinasce nelle radici, le quali cominciano a fun-
zionare.
II terzo periodo è quello della fioritura, che comincia circa dopo
14 giorni dall'inizio delle germogliazione e dura da 8 a 10 giorni. Du-
rante la fioritura è necessario un tempo caldo, asciutto, leggermente
ventilalo e senza sbalzi di temperatura.
— .si;^ -
Passata la fioritura comincia il periodo di sviluppo e maturazione
del grappolo.
Il grappolo entra nel periodo di maturazione quando gli acini co-
minciano a cambiare di colore (invaiaUira) e ciò avviene 30-40 giorni
prima della maturazione completa. Dalla fioritura alla maturazione la
vite impiega 123 giorni nell'alta Italia (a Palermo 116 giorni).
Contemporaneamente alla maturazione del grappolo avviene la
lignificazione ossia la pianta immagazzina, alla base delle gemme gli
elementi nutritivi che serviranno ad alimentare i grappoli nell'anno
successivo. Un tempo umido durante questo periodo, che decorre dal-
l'agosto a tutto ottobre, produce una lignificazione imperfetta e quindi
lascia poca probabilità di buon raccolto successivo.
Da ultimo le foglie ingialliscono e cadono. Allora abbiamo il pe-
riodo di riposo e la vite prende il suo aspetto invernale.
7. La durata media di questi singoli periodi è la seguente :
Germogliazione fino alla fioritura, circa 70 gionii.
Fioritura, durante la quale la vite esige una temperatura media
giornaliera di almeno 15" C, 15-20 giorni.
Sviluppo del grappolo, periodo nel quale necessita dell' umidità
nel terreno (nei paesi caldi si ricorre anche alla irrigazione), 45 giorni.
Maturazione dell'uva, 45 giorni.
In totale, per un vitigno che matura nella prima epoca come il
Chasselas dorato, occorrono 180 giorni di vegetazione e 210 giorni,
per arrivare alla maturazione del legno e caduta delle foglie.
Il periodo di riposo è quindi di circa 5 mesi. Le uve tardive nelle
Provincie meridionali impiegano 200 giorni per maturare e 240 giorni
per arrivare alla caduta delle foglie.
,11. Potatura. — Nella potatura della vite bisogna ricordare che i
primi rudimenti del grappolo si formano nella gemma durante l'au-
tunno che precede la messe; perciò è un errore il ritenere che il taglio
secco più o anticipato possa predisporre ad una più o meno abbon-
dante fruttificazione. Per norma bisogna ricordarsi, che le buone gemme
danno i buoni sarmenti; i buoni sarmenti producono i migliori grap-
poli e questi danno, a peso eguale, la massima quantità di sugo. Non
basta che un sarmento sia vigoroso, che abbia uno sviluppo proporzio-
nato a quello del ceppo, dei frutti e getti che porterà; bisogna pure
che sia ben costituito e maturo. Quando in una vite, come succede nei
terreni freddi ed umidi o in fredde ed umide annate, si osservano dei
tralci di diverso vigore, di sviluppo sproporzionato, c'è fortemente da
dubitare sulla vendemmia dell'anno venturo.
Soltanto la gemma che si trova sul legno formatosi nell'anno pre-
cedente, cresciuto alla sua volta sul legno di due anni, può dare dei
germogli fruttiferi ; altrimenti si hanno dei succhioni o delle femminelle.
I succhioni crescono per lo più da qualche gemma latente, che si
trova lungo il ceppo. Per due vegetazioni sono sterili, ma sono molte
volte utili al viticoltore che vuol ringiovanire una pianta.
- 814 -
Le femminelle sono sarmenti deboli ed irregolari, lunghi in media
cm. 40 e che escono dai sotl'occhi lungo la vegetazione. Per lo più
sono infecondi e durante l'inverno periscono per il freddo, poiché
nella maggior parte delle varietà non arrivano a maturarsi. Dalle fem-
minelle escono anche delle sottofemminelle (getti anticipali), che subis-
cono egual sorte delle femminelle.
Dalla gemma fruttifera esce il germoglio, chiamato anche pampino
fino che è erbaceo, il quale alla parte opposta della terza foglia porta
il primo grappolo; contro la quarta vi ha il secondo e raramente vi
ha un terzo e quarto grappolo. 11 primo grappolo è sempre il migliore
sotto tutti i rapporti (vedi lìg. 595); contro la quarta e quinta foglia, se
non vi è grappolo, vi ha un viticcio; contro la sesta nulla e cosi di
seguito, in modo che ogni due foglie vi è la terza provveduta di viticcio
o di grappolo. Per questa ragione il viticcio viene considerato per un
grappolo abortito.
I germogli che escono dal tronco e da altri sott'occhi, fino che
sono erbacei si chiamano cacchi, più tardi succhioni; mentre i getti che
escono dalla base delle foglie, dalle sottogemme, si chiamano femmi-
nelle o sottofemminelle quelle che sorgono dalle stesse femminelle.
2. Da questo emerge, che per procedere alla potatura secca, bi-
sogna anzitutto fare una mondatura, allontanare cioè tutte le femmi-
nelle, i succhioni, lasciando soltanto i tralci sviluppatisi nell'anno pre-
cedente e che si trovano sopra il legno di due anni. Questi sono i veri
tralci uviferi, i quali devono essere mondati dei loro viticci.
3. Su questi tralci si opera la potatura di produzione, nella quale si
dislingue il taglio del passato, quello del presente e quello dell'avvenire.
II primo consiste nel tagliare quel sarmento che ha portato già
frutto e che non conviene più lasciare sulla pianta.
11 taglio del presente si fa tagliando ad una certa lunghezza quei
tralci che hainio dato frutto, perchè sviluppino i germogli uviferi per
l'anno in corso.
11 terzo taglio consi.<>te di solito, nel tagliare a due gemme (spero-
natura) quei tralci che hanno già dato frutto, per far sorgere dalle due
gemme due germogli, che daranno frutto nell'anno avvenire.
Un esempio pratico servirà a dimostrare quanto ho detto.
Dato un sarmento, se le viti esigono taglio corto, si taglia a due
gemme franche, senza contare le gemme latenti.
I due germogli che si svilupperanno porteranno frutto e, dopo ca-
dute le foglie, si presenteranno come nella fìg. 599.
Allora il taglio consisterà nel sopprimere in (a) il sarmento più
allo (taglio del passato), mentre si taglia l'altro a due gemme (b), per
avere nell'anno prossimo altri germogli che portino il grappolo.
Ma se la varietà esìge taglio lungo, allora si taglia, a 4-5 gemme il
sarmento più alto, e si fa in tal modo il taglio del presente, coli' altro
sarmento si fa lo sperone per avere due germogli, che porteranno
frullo nell'anno avvenire. Difatti nell'anno successivo, il sarmento che
- «lo -
ha dato frutto si sopprime (taglio del passato); dei due germogli dello
sperone, il più alto si lascia a frutto f/a^//o del presente) ed il più basso
si sperona (taglio dell' avvenire).
Tagliando costantemente in questo modo, si riesce di mantenere la
produzione fruttifera vicina alla branca. Perù non di rado, per una
inavvertenza la produzione si allontana troppo; allora conviene allevare
dalla base un cacchio o germoglio avventizio, il quale servirà a sosti-
tuire lo sperone troppo allungato. Questo è il cosidetto taglio di ringio-
vanimento, che è mostrato nella lìg. 600.
4. Nella potatura verde, l'operazione più importante è la cimatura.
La mia convinzione in materia della cimatura della vite è la
seguente.
1. Chi non cura lo sviluppo degli acini e dei grappoli, ma vuol
avere uva dolce, aromatica che dia anche buon vino, non cimi.
Fig. 599. Fig. 600.
Secondo taglio dello sperone. Ringiovanimento dello sperone.
2. Quello che vuol ottenere grappoli sviluppatissimi con acini
grandi, cimi come fanno gli inglesi; ma l'uva però riescirà scipita ed
il vino debole.
;i Per riunire questi due vantaggi si cimi a due foglie sopra il
secondo grappolo e si sopprima anche il secondo grappolo per avere
ben sviluppato il primo.
1. Alle uve da tavola in generale, la cimatura è indispensabile.
La cimatura può variare secondo il clima, il terreno e la varietà.
Essa non deve farsi mai contemporaneamente sopra tutti i germogli
di una pianta, ma gradualmente, e cioè si cimano prima i germogli
più vigorosi dell'estremità; quelli della base si cimano più tardi. La
prima cimatura si fa quando sono comparse tre o quattro foglie sul
secondo grappolo. Ciò accade negli ultimi giorni di maggio e primi di
giugno, quindi qualche giorno prima della fioritura. Bisogna poi ripe-
- 816 -
terla una seconda e terza volta e cioè in luglio od agosto e nel mese
di ottobre, mano mano che lo sviluppo dei diversi getti lo richiede.
Nella prima cimatura, oltre che cimare a due foglie sopra il secondo
grappolo, si tagliano tulli i viticci e le femminelle però solo sopra la
prima foglia, per non danneggiare la gemma della loro base. Si tolgono
tanto i viticci che le femminelle, per non rendere improduttive le
gemme della base del germoglio.
Nella seconda e terza cimatura si opera egualmente sulle femmi-
nelle e sulle soltofemminelle che eventualmente sono sorte.
I rami destinati al prolungamento dei cordoni si accorciano quando
hanno raggiunto m. 1-1,50 di lunghezza.
La cimatura non si deve assolutamente fare quando l'uva comincia
a cambiare colore e si avvia alla maturazione.
Fig. 601. — Legatura fatta dopo la potatura precedente.
.'). Altre operazioni imporlanli di potatura sono l'incisione anulare,
la legalura in verde, il diradamenlo dee/li acini r insaccamento dei grap-
poli, la sfoglialnra, per le quali rimando il lettore alla parte generale
pag. 118.
12. Porrne. - 1. Per produrre le uve da mensa convengono quasi
esclusivamente le forme a palo secco, che portano i grappoli alti.
Questo per evitare che i grappoli risentano l'influenza dell'umidità
del terreno che nuoce alla loro conservabilità, e li rende anche meno
resistenti alle malattie crittogamiche.
La forma ad alberello bisogna perciò proscriverla e cosi i pergolati.
- 817 -
Bisogna tenersi specialmente al sistema Guyot, al sistema Thomery
ed al cordone verticale permanente.
2. Cordone orizzontale annuo o sistema Gnyot. Questa è la forma
più pratica, più facile ad ottenersi e più adatta alla maggior parte
delle uve da mensa. Con questa forma si fanno dei vigneti a (Ilari pa-
ralleli oppure delle contraspalliere.
La distanza che ho trovato più conveniente è di m, 1,30 a 1,50 da
pianta a pianta sulla Illa e di metri 1,50 a 2 da fila a fila.
Lungo il filare, disposto da N a S, si stendono tre fili di ferro, il
primo alla distanza di 50 cm. dal terreno,
il secondo a 25 cm. dal primo ed il terzo
a 45 cm. dal secondo (fig. 601).
Per ottenere questa forma, si procede
nel seguente modo.
Piantata la barbatella, si lasciano due
sole gemme fuori terra. Durante l'anno si
avrà cura di allevare i due getti, tenen-
doli affidati ad un palo tutore. Nell'anno
successivo si sopprime il getto meno jo-
busto e l'altro lo si taglia all'altezza del
primo filo di ferro, ossia a 50 cm. Molte
volte avviene che nel secondo anno dopo
l'impianto della barbatella, non si possa
tagliare il getto all'altezza del filo di ferro,
perchè i due rami riescirono troppo esili.
Allora conviene sopprimere il più debole
ed il più forte si taglia sopra due sole
gemme per rinforzare la pianta.
Questa operazione si può ripetere
anche l'anno successivo, fino che si ot-
tengono due bei sarmenti vigorosi all'al-
tezza del tilo di ferro (fìg. 602).
Si piega lungo il primo filo di ferro
il più alto di questi (l)J e da esso sorge-
ranno i pampini fruttiferi che vengono
legati al secondo filo di ferro; l'altro
(a fig. 602) si sperona a due gemme. Dalle due gemme si sviluppano
due germogli i quali si lasciano crescere verticalmente lungo il tutore,
fino al terzo filo e poi si piegano lungo questo Nell'anno prossimo si
taglia alla base il ramo che ha portato già frutto e dei due sarmenti
sorti sullo sperone, si piega il più alto (sempre verso mezzogiorno)
lungo il primo filo di ferro e quello più basso si sperona a due gemme.
Si procede ogni anno sempre nello stesso modo, notando però che, se
dallo sperone non si ha un getto vigoroso da rimpiazzare convenevol-
mente nel prossimo anno quello a frutto, si deve allevarne uno dalla
base di quest'ultimo.
52 — Tamaro - Frutticoltura.
1
1
a 1
r 1
Fig. 602. — Potatura nel terzo anno :
b) tralcio che viene legato lungo
il primo filo di ferro (potatura
del presente); a] tralcio che viene
tagliato a sperone in r (potatura
dell'avvenire).
— 818 —
La potatura verde con questo sistema alla Guj'^ot, consiste:
(i) nella scacchialnra di tutti i getti inutili che crescono lungo il
fusto e di tutti i germogli uviferi che non portano frutto-,
b) nel togliere ai due sarmenti sorti dallo sperone i viticci e tutte
le femminelle sopra la prima foglia;
e) nel legare i germogli uviferi al secondo filo di ferro, levando
loro i viticci, le femminelle e cimando il germoglio stesso a 2 foglie
sopra il secondo grappolo;
d) nel cimare una seconda ed eventualmente una terza volta le
femminelle che si sviluppassero in luglio ed agosto, in modo da lasciare
i grappoli bene esposti al sole e distanziati fra loro.
3. Cordone Thoinery. Se, appena fatto il cordone orizzontale annuo,
si sopprime lo sperone, e si scelgono sul cordone medesimo i tralci
che hanno dato frutto o che dovevano darlo, distanziandoli uniforme-
mente a 30 cm. e tagliandoli a due gemme franche per formare dei
cursoncelli, si avrà un cordone permanenle orizzontale semplice o doppio
se il sarmento destinato a sperone viene piegato orizzontalmente dalla
parte opposta.
Principale esempio di questa forma è quella detta alla Thoméry,
dal nome del paese ove è più in uso, e si applica per fare delle con-
trospalliere isolate o delle spalliere contro i muri, che in tal modo
restano totalmente coperti con cordoni orizzontali doppi permanenti.
Le condizioni di riuscita per avere cordoni orizzontali permanenti
sono le seguenti:
a) Le due braccia del cordone devonsi conservare esattamente
di eguale lunghezza, per non permettere che il braccio più lungo attiri
una maggiore quantità di linfa a detrimento dell'altro,
b) I cursoncelli da frutto devonsi lasciare sempre sulla parte
superiore del tralcio e distanti uno dall'altro 30 cm. circa.
e) I bracci non devono essere lunghi più di m. 1 ciascuno.
d) Un medesimo ceppo non deve portare più di un doppio cordone.
La distanza fra cordone e cordone deve essere tale, che i getti
possano svilupparsi sufficientemente, senza danneggiarsi per l'ombra.
L'esperienza ha dimostrato essere necessaria una distanza di m. 0,50
a 0,80 secondo che la varietà esige taglio corto o lungo. Per i Chasselas,
Pinot, bastano 50 centimetri; per il Frankenthal e la Luglienga ne
occorrono almeno 80.
Fra cordone e cordone deve essere teso a metà distanza un altro
filo di ferro per poter assicurare i germogli uviferi.
In seguito conviene misurare l'altezza del muro, allo scopo di ren-
dersi conto del numero dei cordoni che si potranno sovrapporre. Ani-
melliamo di avere un muro di solita altezza, ossia di m, 2,50 (flg. 603).
Il primo cordone bisogna stenderlo distante dal terreno 50 cm. e sopra
l'ultimo cordone occorrono 50 cm. ancora di muro, per stendere un
filo di ferro a cui legare i getti uviferi; non rimane quindi che uno
spazio di ni. 1,50, spazio sufficiente per altri tre cordoni, quindi per
coprire il muro occorrono quattro cordoni.
- 819 --
La distanza fra ceppo e ceppo, varia colla lunghezza che si vuol
lasciare alle due braccia del cordone. Volendo la solita misura di m. 1
per braccio ossia m. 2, si divide questa per l'altezza del muro (m. 2,50)
ed il quoziente dà la distanza fra ceppo e ceppo ossia di 2: 3 = ra. 0,66.
Fatto l'impianto, è evidente che colla prima vite si farà il primo
cordone orizzontale doppio presso terra a m. 0,50, la seconda vite
bisognerà bìforcarla al terzo filo di ferro, ossia a m. 1. la terza a metri
1,50 e la quarta a 2 metri dal terreno.
Nei primi 2, 3 o 4 anni si taglia la vite, fino che raggiunge il punto
sul quale si vuole la biforcazione a 4 o 5 gemme, raccogliendo i frutti
che vengono e curando sempre il getto dell'estremità per avere il pro-
lungamento, mentre quelli inferiori, che danno pure frutto, si recidono
appena fatto il raccolto.
Quando la vite raggiunge l'altezza a cui deve essere biforcata, si
taglia il sarmento soi)ra due gemme, trovantesi immediatamente sotto
il filo di ferro e collocate una destra e l'altra a sinistra. Lungo l'anno
Fig. 603. — Intelaiatura per il sistema Thoméry.
si allevano soltanto i due getti che sorgono da queste due gemme
mantenendoli verticali, e tutti gli altri si scacchiano e, se portano
frutto, si lasciano fino a che lo hanno maturo. E importante ottenere
una buona biforcazione per avere una eguale distribuzione della linfa,
sempre da preferirsi, per la difficoltà che l'altro presenta di mantenere
poi l'equilibrio.
Nel secondo anno di potatura, si piegano i due tralci uno a destra
l'altro a sinistra, lungo il filo di ferro, tagliandoli ad egual lunghezza
e cioè sopra la terza gemma (fig. 604), avendo cura che l'ultima gemma
guardi possibilmente in basso (a). Questa deve servire a prolungare la
branca, la seconda dà il cursoncello, che poi si manterrà per la produ-
zione fruttifera, ed il getto della prima si sopprime colla cimatura.
Nel terzo anno, si taglia a sperone, e cioè a due gemme franche,
il sarmento della seconda gemma {b fig. 605), ed il prolungamento si
lega al filo di ferro tagliandolo ad altre tre gemme ed avendo la pre-
cauzione che l'ultima guardi sempre in basso (a).
Lungo l'anno si lega al filo di ferro immediatamente superiore il
getto uvifero, che deve guardare in alto, si scacchiano tutti gli altri
- 820 -
getti, meno quelli che sorgono sulla seconda e sull'ultima gemma del
sarmento di prolungamento.
Si continua in questo modo prolungando ogni anno i cordoni di
15 a 20 centimetri circa, con l'avvertenza ogni anno di non formare
più di uno sperone (fìg. 606-609).
La potatura verde col sistema Thoméry, deve essere molto accurata.
Fig. 604. — Primo taglio del cordone
orizzontale doppio alla Thoméry
Fig. 605. — Secondo taglio.
Fig. COlj. — La pianta precedente
dopo la potatura secca
Fig. vm.
Pianta precedente dopo la potatura secca
Fig. 609. — Quarto taglio.
La scacchiatura bisogna farla piuttosto presto, sopprimendo i ger-
mogli che non danno frutto e le foglie nonché i germogli che crescono
contro il muro. 1 germogli uviferi si cimano, come abbiamo indicato
parlando della cimatura (pag. 815).
- 821 -
Quando la branca ha raggiunlo la lunghezza voluta, ci sono due
vie di soluzione. O si lascia j^er ultimo uno sperone, oppure si piega
oi'izzontalinente un sarmento da prodotto, sarmento che naturalmente
deve essere rimpiazzato ogni anno da un altro. Questo ultimo sistema
è il preferibile (lìg. 610).
Fig. tilO. — Kiniiovamento dell'estrennlà ad una vite col sistema Thoméry.
Questa forma tanto ingegnosa non ha però tutti quei meriti che si
potrebbe ritenere per la grande difficoltà di mantenere in equilibrio le
due branche. Credo quindi preferibile, per produrre abbondantemente,
il cordone verticale permanente.
'mgm^^^mmm
Fig. 611. - Muro isolato rivestito di viti a Thomery con cappello di riparo.
La fig. 611 dà una idea di una spalliera tenuta col sistema ora
descritto ed usato a Thomér}'.
't. Cordone verticale permanente. Per fare delle controspalliere, per
allevare le viti nelle serre, e per coprire i muri specialmente dell' al-
tezza superiore a m. 2,50, si alleva la vite a cordone verticale per-
822
manente. Nella lì{^. (!12 abbiamo rappresentato una spalliera che copre
un muro alto oltre m. 2,50, con cordoni alternati di diversa altezza.
Il cordone verticale permanente porta dei speroni a frutto, alternati
a destra ed a sinistra, alla distanza di 25 a 30 centimetri.
L'impianto si fa a metri 1 di distanza, e sul muro si assicura ogni
vite a tante assicelle mentre, e cominciando a 50 centimetri dal terreno,
si stendono orizzontalmente dei fili di ferro o dei regoli di legno.
Nel primo anno di potatura si taglia il
tralcio a tre gemme e possibilmente l'ul-
tima che guarda in avanti e che si trova
immediatamente sopra il primo filo di
ferro. La prima gemma serve a dare il
prolungamento, la seconda, cominciando
sempre dall' alto, dà il frutto ; dalla terza
inferiore cresce pure un germoglio, che
nel primo anno si lascia perchè attira una
maggior quantità dì linfa, ma nell'anno
successivo si sopprime (fig. 613). Tutti e
tre i germogli si legano ai fili di ferro, il
primo verticalmente, gli altri due obliqua-
mente e, se hanno un eccessivo vigore,
raggiunta la lunghezza di metri 0,50, si
cimano e si legano all'assicella.
_, , , . ^ _ . . . j Nella primavera del secondo anno, si
/ ì \S ~f~l \\ ^ sopprime il tralcio inferiore (a), il secondo
U 1/ ' ^' sperona a due gemme (h), ed il terzo lo
si lega verticale tagliandolo sulla gemma
immediatamente superiore al secondo filo
di ferro (e). Si ottengono così sul ramo di
prolungamento 3 o 4 germogli, di cui non
se ne conservano che due, e cioè uno per
prolungamento che si tiene legato vertical-
mente, l'altro per dare lo sperone a frutto.
Nella scelta di questo, si abbia cura che disti 25 centimetri almeno
dal sottostante e sì trovi dal lato opposto. Durante la vegetazione,
lo si lega a 15" al filo dì ferro e lo si cima solo se arriva a toccare i
germogli della pianta vicina.
Alla primavera del terzo anno, i cordoni si presenteranno come si
vede nella fig. 614, e si fa allora la potatura indicata dalle lineette
nella figura. H cioè, dei due getti dello sperone fatto nell'anno precedente,
si sop|)rime il più lontano e il più vicino si sperona a due gemme.
Dei due tralci dell'estremità poi, uno, il più basso si sperona a due
gemme, ed il più alto, ossia quello di prolungamento, si taglia sopra
una gemma immediatamente superiore al vicino filo di^ferro.
Nel quarto anno si avranno i cordoni come nella fig. 615, nella
potare. Proseguendo cosi, in
Fig. (il2. — Spalliera di cordoni di
viti alternati per altezza per
coprire un muro alto oltre
ni. 2,50.
((uah
5ura si vede anche il modo di
823
tanti anni quanti sono i fili di ferro od assicelle orizzontali a 25 cm.
di distanza, si ha un muro coperto da viti, come nella fìg. (512.
Raggiunta l'estremità, bisogna sempre rinnovare la punta in modo
d'avere sempre un sarmento
dell'anno precedente.
Fig. 613. —bordone verticale
dopo il primo anno.
Fig. 614. — Cordone verticale
dopo il secondo anno.
Per mantenere la forma a questi cordoni occorre applicare sempre
le scacchiature le amputazioni dei viticci e la cimatura dei tralci uviferi,
con tutte le regole già ricordate.
Non si deve alzare mai la pianta oltre uno
sperone per anno e non si deve pensare al pro-
lungamento della pianta se prima i tralci infe-
riori non sono bene sviluppati.
Perciò bisogna applicare con maggior rigore
la potatura verde sui germogli degli speroni
più alti, che non su quelli più bassi.
Se il muro ha un'altezza superiore di m. 2,50,
si fanno dei cordoni alternati, come è indicalo
nella lìg. 612 ed allora le viti si piantano a
metà distanza, cioè a m. 0,50.
13. Impianto e cure di coltivazione. —
L'impianto si fa a mezzo di barbatelle o mar-
gotte, possibilmente in autunno ed in terreno
molto ben preparato e concimato.
/ lavori aiiniiali del terreno consistono in una vangatura nel mese
di marzo o aprile, dopo la potatura secca e in due zappature fatte
l'una in maggio-giugno, prima della fioritura, e l'altra in agosto.
Fig. 615. — Cordoni verticali
nel terzo anno.
- 824 —
11 concime generalinenle più usitalo per le viti è lo stallatico, il
(piale si adopera, ollrecliè all'impianto, anclie ogni due anni in ragione
di kg. 10000 l'ettaro. Sono molto utili i composti di stallatico cogli avanzi
delle viti, colle vinaccie, col calcinaccio, colla terra vergine, collo spurgo
dei fossi.
A Thomery usano coprire con stallatico il terreno al momento del
risveglio della vegetazione e, per evitare il disjierdimento dei materiali
utili, si spolverizza poi con del gesso. Questa copertura serve anche a
mantenere fresco il terreno.
Per le uve da mensa bisogna impiegare più concimi che per l'uva
da vino.
Senza abbondanza di elementi nutritivi, i grappoli non acquistano
bell'aspetto, la vite non si mantiene vigorosa, anzi è poco resistente ai
tagli ed alle molte operazioni di potatura nonché alle diverse cause
nemiche.
La vite richiede molto Vazolo, che associato convenientemente al-
l' anidride fosforica accellera la maturazione dei gi'appoli ed insieme
alla po/a.ssa facilita l'allegamento e inlluisce sul colorito dei grappoli
e sul loro buon gusto.
Conviene correggere lo stallatico con della cenere, oppure con
kg. 200 di cloruro potassico ogni 10 tonnellate.
Non potendo concimare con stallatico, si faccia il sovescio ogni
due anni con trifoglio incarnato, o lupini, oppure veccia o fava, con-
cimando contemporaneamente ogni ettaro in ragione di :
Kg. 400 di perfosfato o Kg. 500 di scorie
„ 200 di cloruro potassico o meglio solfato potassico.
Si adoperi il perfosfato nei terreni calcari o sciolti.
Trattandosi infine di viti deperenti, conviene dare in autunno la
seguente formola di concimazione per ceppo :
grammi :}0 di perfosfato
15 di cloruro potassico o meglio solfato potassico
„ 15 di solfato ammonico
„ 30 di gesso.
In primavera, dopo fatta la prima zappatura, si aggiungono per ogni
ceppo grammi 15 di nitrato di soda.
Nei terreni non calcari invece di impiegare del perfosfato si diano
grammi 45 di scorie Thomas.
Nel mezzodì, nelle regioni calde, quando la siccità è insistente nel
periodo di sviluppo del grappolo e più ancora nel periodo dalla inva-
jatura in avanti, l'irrigazione e utile, anzi vorrei dire è necessaria.
Potendola fare si assicura un bel sviluppo del grappolo, una bella
apparenza. Ne scapita sicuramente la qualità, ma per le uve da mensa,
ha più importanza la bellezza che non la bontà del frutto.
14. Il processo di maturazione dell'uva. — K importante conoscere
i fenomeni chimici che avvengono nel processo di maturazione dell'uva.
1. Lo zucchero deslrosio domina in principio ed è sempre destrogiro anche
quando il succo delle foglie è diventato sinistrogiro.
2. L' acido tannico va diminuendo tanto che al momento della colorazione quasi
è scomparso.
3. L'acidità dovuta all'acido tartarico e al bitartrato di potassa aumenta fino al
rammollimento dell'acino.
4. L'acido malico invece aumenta da questo momento.
5. Gli albuminoidi, eliminabili coll'alcool, in massima parte le sostanze pectiche,
come pure i materiali che rimangono insolubili nel mosto, aumentano sebbene assai
lentamente fino alla vendemmia.
C. La clorofilla scompare quando gli acini si colorano.
7. Dal principio del rammollimento dell'acino fino alla vendenìmia aumenta il
diametro dell'acino e il peso rimane quasi lo slesso. 11 titolo di zucchero aumenta pro-
babilmente per fenomeni di emigrazione dagli organi verdi dei tralci. Nei racimoli non
esiste traccia di zucchero al contrario vi si trova molto amido. 11 succo d'uva coll'inva-
jatura diventa levogiro — aumentano sempre piti il levulosio. L'uva quindi si distingue
dagli altri frutti, nei quali già da principio domina il levulosio. L'acido tartarico libero
si trasforma in tartarato acido a spese della potassa che arriva nell' acino. Quindi il
cremore aumenta fino alla vendemmia. La somma di acido tartarico libero e combinato
rimane immutato dal momento del rammollimento.
L'acido malico scompare colla maturazione.
1 sali minerali aumentano fino alla completa maturazione. È notevole la costanza
di un eccesso di potassa non trasformata in cremore ad onta dell'acido tartarico libero.
8. 1^'uva maturando svolge incessantemente dell'anidride cartionica, tanto al buio
che alla luce, nell'aria o in un gas inerte e la quantità di anidride carbonica prodotta
è sempre superiore alla quantità di ossigeno consumato.
9. I grappoli recisi sono capaci di assorbire o di perdere dell' acqua quando si
tengano in un ambiente umido o secco. Inoltrandosi la maturazione, l'acidità dimi-
nuisce e lo zucchero aumenta: gli acidi poi e lo zucchero sono forniti all'uva dall'or-
ganismo della vite mercè la linfa elaborata. Da ultimo quando la maturazione è di
molto avanzata, lo zucchero viene ad essere a mano a mano bruciato.
10. La maturazione dell'uva è caratterizzata:
a) dalla scomparsa dell'amido nei pedicelli;
bj dalla strazionarietà dello zucchero;
e) dal trovarsi in eguale quantitativo il glucosio ed il levulosio;
dj dalla pochezza di acido tartarico libero combinandosi colla jìotassa;
ej dalla scomparsa delle materie coloranti verdi dalla buccia dell'uva.
11. Staccando il grappolo avviene:
a) evaporazione d'acqua:
l'J gli acini verdi si colorano anche con poca luce;
e) lo zucchero rimane costante, però se ammuffisce o si altera scompare;
d) l'acido tartarico rimane eguale, però immergendo il tralcio emigra la potassa
e ne neutralizza una parte;
eJ l'acido malico scompare completamente
15. Raccolta ed imballaggio. — 1. La raccolta devesi fare mano
mano che i grappoli raggiungono quel dato grado di maturazione che
li rende più accetti sul mercato.
Le uve da serbo soltanto si raccolgono il più tardi possibile prima
però che possano venire colpite da brine, ammenoché non si ricorra
a dei ripari.
Non tutti i grappoli, del medesimo ceppo, hanno eguale valore. In
•ijenerale i grappoli dell' estremità dei tralci e delle viti vecchie sono
più belli, meglio luilrili e perciò si raccolgono separali, per quotarli
di più sul mercato, o per destinarli alla conservazione. Per questa
ragione, si raccoglie prima l'uva dalle branche inferiori, che viene
subito portata sul mercato.
La raccolta si fa a mezzo di cesoje , per evitare lo sgrana-
mento.
Spiccati i grappoli dalla pianta, con cesoie affilate si levano, gli acini
guasti, alterati o di brutta apparenza, e poi si collocano uno ad uno
nelle ceste, nelle quali non si devon porre più di due strati di grappoli.
Le ceste più adatte sono quelle a fondo convesso, molto basse e
divise in due parti dal manico, epperciù indipendenti una dall' altra.
Per le uve da serra si adoperano i cesti imbottiti.
Questi cesti, coperti da foglie di viti, si collocano sopra una inte-
lajatura apposita sulla quale ne possono stare 12, e si fanno portare
a spalle alla prossima stazione ferroviaria od al vicino mercato.
2. All'imballaggio conviene prestare molta cura, per non avere
perdile rilevanti di merce e realizzare un maggior prezzo sul mercato.
L'uva ai consumatori deve arrivare in stalo perfetto, senza lesioni
od ammaccature sugli acini, i quali perciò debbono conservare tutta
la loro pruina L'imballaggio poi deve essere anche elegante, cosi da
far figurar bene la merce.
Nei momenti di maggiore richiesta e quando le uve sono più a
buon mercato, ossia da agosto a lutto ottobre, la spedizione viene falla
in gabbie di legno (fig. 245 j, che contengono da kg. 10 a 20 d' uva e
sono facilmente smontabili.
Quando l'uva è cara e diventa perciò un oggetto di lusso, le spe-
dizioni si fanno in piccole cassette capaci di contenere kg. 1 ed anche
kg. 0,.500, le quali alla lor volta si chiudono a dozzine e doppie dozzine
in casse i)iù grandi. Queste cassette variano di grandezza a seconda
della varietà dell' uva.
In Italia l'imballaggio si fa in scatolette di faggio lunghe cm. 25,
larghe cm. 12, alte cm. 11. Queste scatolette hanno capacità di kg. 1,500
l'una. Dodici di queste cassette vengon poste in una cassa di legno (fig. 246).
16. Conservazione dell' uva. — Le norme principali che devono
servire di guida a chi vuol ben conservare l'uva sono le seguenti :
u) non conservare uve guaste, lacerate, contuse e contaminate
da malattie incipienti o da animali ;
b) evitare le putrefazioni e fermentazioni nell'ambiente ;
e) rallentare la completa maturazione mantenendo i locali chiusi
in perfetta oscurità ;
d) mantenere una temperatura costante di 8" a 10° ;
e) evitare rapidi cambiamenti di temperatura;
f) evitare il contallo con frutti alterati, dai quali potrebbe deri-
vare una generale infezione;
g) mantenere un grado di umidità che non si scosti da fi7" a 72«
dell'igrometro.
L'uva si può conservare col peduncolo secco o col |)C(iuncolo
verde.
Il primo sistema olire maggior garanzia di riuscita, quantunque
il grappolo non mantiene allora completamente il suo turgore. Di
solito nella camera di conservazione si lamio dei castelli, si adoperano
anche quelli dei bachi, e su questi, dopo aver stesa della paglia, si col-
locano i grappoli, senza che si tocchino uno coll'altro.
11 sistema di conservazione a peduncolo verde, che consiste nel met-
tere il sarmento a cui è attaccato il grappolo, dopo averlo sfogliato,
entro bottiglie piene d'acqua e contenenti un cucchiaio di polvere di
carbone per evitare la putrefazione dell'acqua.
Questo sistema è il più i)ericoloso inquantochè si mantiene l'am-
biente molto umido. Per rimediare a ciò si tiene nel locale del cloruro
di calcio o della senqjlice calce viva.
La raccolta dell'uva si fa tagliando il sarmento che porta l'uva, a
tre occhi sotto il grappolo e ad uno sopra. Si tagliano poi subito le
foglie per diminuire revajjorazione, e si trasportano i grappoli nel
fruttajo con grande precauzione, collocando subito il sarmento nelle
bottiglie
17. Proprietà dell'uva da mensa e sua composizione. — L'uva
è il frutto più ricercato per la mensa e serve anche per fare
una cura.
Dalle analisi risulta che 1' uva è il frutto più zuccherino - le ciliege,
ad esempio, che vengono ritenute le più dolci, arrivano appena al
107o — è però povera di sostanze proteiche, cenere e sostanze secche;
armonico invece è il rapporto dello zucchero cogli acidi.
La cura dell'uva agisce quindi:
a) come sostanza alimentare di natura essenzialmente vegetale,
per le sostanze albuminoidi e proteiche che contiene;
b) come medicamento dolcificante, eccitante, lassativo degli
intestini ;
e) per gli alcali, diminuisce la plasticità del sangue rendendolo
più fluido;
d) per i diversi elementi minerali, quali solfati, cloruri, fosfati,
può sostituire le acque minerali;
e) infine introduce nell'economia una quantità notevole d'acqua
che passa nel sangue, circola con esso, entra nelle urine ed attiva po-
tentemente le trasformazioni organiche.
Per giudicare la composizione complessa sull'uva, riporto a pagina
seguente l'analisi di Herbei-ger.
Tab. LXiv. Composizione del mosto di alcune uve straniere.
Analisi di Herberger.
SOSTANZE CONTENUTE
in 100 parli di mosto filtrato
Zucchero
Materia albuminosa e gelatinosa
(ìomnia, deslrina
Resina
Principio colorante estrattivo
Tannino
Acido tartarico libero
citrico
raceiiuco ...
malico ....
Bilarlralo di potassio
Tartrato con racemato di calcio
di magnesio
d alluminio .
„ di protossido di ferro
Cloruro di calcio ....
di sodio ....
Solfato di potassio
Fosfato d'alluminio
Acqua
Sylvaner
Chasselas bianco
di due provenienze
dì due provenienze
130.975
132.105
122.105
127.497
17.142
19.850
15.427
18.547
6.910
5.425
9.143
6.520
tracce
tracce
tracce
tracce
0.108
0.117
0.097
0.125
tracce
tracce
tracce
tracce
2.210
2.205
2.207
2.246
0.098
0.246
tracce
tracce
0.311
0.227
0.287
0.299
1.289
1.352
1.007
1.127
1.208
1.215
1.341
1.3.56
0.224
0.239
0.226
1.521
0.049
0.125
tracce
tracce
0.068
0.115
0.105
0.110
tracce
tracce
tracce
tracce
„
„
0.910
0.923
0.847
0.991
tracce
tracce
0.947
1.211
0.845
1.027
0.024
0.028
0.017
0.021
837.610
816.283
846.283
838.71
18. Dati economici. — Il costo di produzione di un quintale d'uva
nelle varie regioni d'Italia, secondo l'Ottavi, è il seguente:
Monferrato .
Altre plaghe del Piemont
Oltrepò Pavese
Modenese
Bolognese
Polesine
Colli Euganei
Pisano .
Fiorentino
Lazio
Avellinese
Puglia .
Catania .
Trapani .
9-10
12-13
13-14
9-9,50
6,5-7
6,5-7
12-13
6,5-7
9,5-10
9,4-10
6-6,5
6,5-7
8-8,5
5,5-6
Quando si considera che le uve da mensa si possono vendere in
media da L. 15 a L. 20 il (puntale sarà facile arguire quale enorme
vantaggio ne potrebbe Irarre il coltivatore.
Perchè il lettore possa farsi una idea della rendita a cui si può
- .S2!) —
arrivare, riporto il conto colturale di un ettaro di terreno a Thomery
(paese classico per la produzione delle uve da tavola).
Conto colturale
di un ettaro di terreno dedicato esclusivamente alla produzione
delle uve da tavola.
Entrate
m* 6000 di muro coperti da spalliere producenti kg. 0,6 di
uva per m^ dà kg. 3600 a fr. 2 al kg fr. 7200
m- 4200 di controspalliere producenti kg. 0,4 di uva per m-
dà kg. 1680 a Ir. 1.10 al kg „ 1848
Totale entrata Ir. 9048
Spese
Interesse al 4 % di fr. 50000, capitale necessario per la cos-
truzione dei muri fr. 2000
Mantenimento muri „ 300
contro spalliere 180
Concimazione , 200
N. 4 sarchiature a fr. 45 , 180
Lavoro annuale di due uomini a fr. 1500 „ 3000
N. 150 giornale di donne a fr. 3 „ 450
Spese per attrezzi e per combattere i parassiti 120
Totale spesa fr. 6430
Rendita netta fr. 2618.
19. Malattie e cause nemiche. — (Vedi pag. 500).
FICO D'INDIA
(Opuntia Ficus indica Mill. — Fani. Coclee).
Nomi volgari ilaliani delta piatila — Fico indiano, Fico di Barberia,
Fico Moresco, Figa morisca.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane. : Figuier d'Inde o Ba-
guette — Ted. : Gemeiner Fackeldistel — Ingl. : Prikly Pear.
1. Origine. — Il lieo d'India, come tutte le opunzie, è originario
dell'America tropicale e cresce anche spontaneo sulle coste settentrio-
nali dell'Africa. È stato trasportato in Sicilia, Sardegna e Corsica, dove
si è naturalizzato. Presentemente si trova anche nell'Italia meridionale
continentale.
2. Caratteri botanici. — Questa pianta è di dimensioni assai varie,
talvolta umile, prostrala, tal altra arborescente, legnosa, con rami com-
posti di articolazioni carnose (pale), di forma obvoidale, di colorilo
— 8:{o —
verde glauco, di consislenza alquanto lenera e succulenta. Ha il fusto
ramoso sino dalla base, loniiato dalle primitive articolazioni, portanti
varie strozzature nei punii delle loro reciproche inserzioni. Queste
articolazioni col tempo acquistano una consistenza legnosa, e formano
un tronco pressoché cilindrico e grigiastro.
Le articolazioni non sono che veri rami e le foglie, se pure si pos-
sono chiamare tali, si rivelano come uncinetti carnosi o meglio squa-
mette, che ordinariamente nascono alla base di vari bottoni sparsi
sulle pale ed ove stanno inserti degli aculei. Le foglie sono caduche
dopo due mesi.
Le gemme si distinguono in attive ed inerti. Le prime sono poste
sul lembo superiore delle pale e danno origine ai fiori ed alle nuove
articolazioni ; le seconde si trovano sulla lamina delle articolazioni.
I fiori sono ermafroditi, a sepali numerosi sovrapposti, giallo-verdo-
gnoli; i petali pure numerosi quasi confusi coi sepali, di color giallo
paglierino. Stami numerosissimi, ovario intero sormontato da uno stilo
allungato, diviso in parecchie branche stigmatiche. Esso è iniloculare
con tante placente nel suo interno, quanti sono i rami dello stigma,
portante ciuscuna di esse numerosi ovuli.
L'ovario fecondato diventa una bacca ovoidale, ombelicata all'estre-
mità, provvista di pericarpio coriaceo, sparsa di fascetti di aculei,
contenente in un'unica cavità molti semi reniformi, disposti con ordine
in una polpa densa e mucilagginosa, dolce al gusto ed aromatica.
3. Specie e varietà. — Oltre all'Opuntia Fiens indica, abbiamo due
specie, poco importanti però per il frutto e cioè VOpimtia Amyclaea
Ten. e VOpiintia Dillenii.
Sulle rupi calcaree del Napoletano e delle Isole, la prima è spontanea.
A Messina la chiamano Ficudinnia masculina ed a r>atania Ficadinnia
selvcujgia. Ha aculei robusti, divergenti, disegnali, bianchicci, quasi
senza lanuggine. Frutti piccoli, poco saporiti. Pale allungate di color
verde cupo. È spesso coltivata per fare siepi, e risponde perfet-
tamente allo scopo.
L'Opiintia Dillenii, è molto più piccola. Chiamata anche questa
Ficudinnia saervaggia. Nasce spontanea nella provincia di Messina. Il
suo asse centrale non è diritto ma a zig-zag; le pale sono provvedute
di molti aculei, lunghi, rigidi, di colore giallastro. Anche questa pianta
si coltiva per siepe. I frutti sono a forma conica.
4. Varietà del fico d'India. — Abbiamo della specie Opuntia Ficus
indica, 4 varietà ordinariamente coltivate per il frutto :
1. A frullo giallo (Ficudinnia surfarina) la più pregiata, perchè
molto fertile e dà frutta dolci ed aromatiche.
2. A frullo bianco (Ficudinnia uìuscaredda), anche questa molto
fertile ma i suoi fruiti sono meno pregiali per la dolcezza ed aroma.
Viene ora sostituita ([uasi totalmente dalla varietà a frutto giallo.
?>. A frullo rosso (Ficudinnia sanguigna), che è poco produttiva e
jiialura tardi.
— 831 -
4. A frullo senza semi (Ficudiniiia senza ariddari), coltivata sì
può dire soltanto per ornamento. I frutti sono piccoli.
Il Burbank degli Stati Uniti, è riuscito ad ottenere un fico d' India
senza aculei, da lui chiamato opunlia inermis. 11 frutto somiglia ad un
cetriolo del diametro di 6 cm. e lungo 9 cni., di colore giallo e cremi-
sino. Ha un sapore buonissimo, affatto nuovo che ricorda la pesca, il
mellone, il cotogno, il lampone. Le pale si possono utilizzare larghis-
simamente per foraggio al bestiame. Non so se in Italia questa varietà
sia stata introdotta.
5. Importanza della coltivazione. — La coltura del fico d'India è
molto estesa specialmente intorno ai centri abitati della Sicilia e Sarde-
gna, per utilizzare i suoi frutti, cibo gradito per la popolazione e og-
getto di esportazione. Le sue pale, private degli aculei, si danno affet-
tale come alimento al bestiame bovino ed ovino.
K una pianta ottima per formare siepi che diventano pressocchè
inaccessibili all' uomo ed agli animali, mentre di esse si utilizzano
anche i frutti.
Nelle località esposte ai venti sciroccali e salmastri, queste siepi
consociate colle piante di agave, servono a riparare i vigneti egli agrumeti.
Con questa pianta infine si utilizzano tutti i terreni rocciosi e di
lave non disgregate; per le sue radici molto estese e robuste, si imboscano
i terreni in forte pendio, per impedire le frane.
6. Sistemi di coltivazione. — Raramente si fanno dei ficheti d'India
specializzati al più, vicino alle case di abitazioni, si fanno delle macchie
di alcune piante, perchè le famiglie possano comodamente utilizzare
i frutti.
11 fico d'India oltre che per siepe serve a disgregare i terreni roc-
ciosi per renderli poi adatti alla coltura del carrubo, del mandorlo,
del fico e dell'olivo. Dopo 6 a 10 anni di coltura a fico d'India, nei
punti dove si può accumulare della terra, si sovesciano con questa
delle pale che servono per concime, si piantano gli alberi suddetti.
Raramente quindi si rinnovano le piantagioni di fico d'India.
7. Clima ed area di coltivazione. — Predilige il clima caldo; a 40
gradi di latitudine sembra sia il limite massimo per la sua coltiva-
zione. Prospera quindi nella regione degli agrumi, ove la mitezza del
clima permette la coltivazione del Pistacchio, del Cotone, del Frassino
da manna, della Sulla e del Sommaco. In tutta la zona marittima della
Sicilia, delle Puglie, della Calabria e della Sardegna prospera egregia-
mente, non però dove avvengono nevicate o rapidi disgeli.
Nella Libia, nella Tunisia, nell'Algeria, cresce spontaneo. Anche
nella Basilicata, nella Campania, negli Abruzzi e nel Barese si trova il
fico d'India, ma limitatamente. Più al nord non porta sempre a matu-
razione i frutti.
I venti di tramontana gli arrecano molto danno ed anche quelli
marini danneggiano colla loro salsedine le gemme fioreali. Gli altri
venti, no.
- 8:r2 —
Resistentissimo alla siccità, dà però frutti più succulenti e più grossi
se è benencalo da qualche pioggia nei mesi di luglio ed agosto.
11 lieo d'India liorisce in maggio e matura i suoi frutti dalla fine
di luglio in avanti.
8. Esposizione e situazione. — L'esposizione più conveniente è
(|uella di mezzogiorno. Sulle coste del Mediterraneo può elevarsi fino
a 500 m. di altitudine.
9. Terreno. — Ama terreni calcari e sciolti, quantunque prosperi
anche nel terreno calcare argilloso. È però in generale di facile accon-
tentatura, tanto che lo si trova nelle lande più sterili, fra le rocce e
persino sui muri. Non riesce nei terreni compatti ed umidi.
Nelle roccie vulcaniche si ha la migliore e più abbondante produ-
zione di lìchi d'India.
10. Moltiplicazione. — Il lieo d'India si riproduce per seme e per
talea. Quest'ultimo mezzo è più usato perchè produce buone piante
che si formano e fruttificano in minor tempo che non quelle riprodotte
per seme.
Le pale si scelgono pochi giorni prima di fare l'impianto, fra un
licodindieto vigoroso e sulle piante migliori e verdeggianti. Esse devono
avere due anni, evitando tanto le più giovani che le più vecchie, e si
staccano dalla pianta tagliandole all'inserzione con un apposito coltello.
Prescelte le pale si espongono al sole per qualche giorno, aspettando
così che i tagli si asciughino onde la ferita non marcisca.
La moltiplicazione colle pale si fa in maggio.
11. Caratteri vegetativi. — In Sicilia il fico d'India è proprio la
pianta provvidenziale, poiché anche senza ninna cura si moltiplica da
sé per mezzo delle pale, che mettono tosto radice. Vive quasi di aria
come le altre piante della stessa famiglia, servendosi della terra quasi
per solo sostegno, e fruttifica abbondantemente cominciando dal terzo
anno.
A seconda dei terreni più o meno fertili, il flco d'India raggiunge
l'altezza di 2 a 3 metri e come caso eccezionale giunge fino a 5 metri.
La vita media può ritenersi di 30 anni ed a L5 ha il suo massimo
sviluppo.
Le radici sono striscianti, ma penetrano nelle fessure per nutrirsi
e sono sempre robuste.
Le pale hanno eguali funzioni delle foglie nelle altre piante e si
possono anche considerare come serbatoi d'acqua per i periodi di siccità.
12. Potatura. — Bisogna diradare ogni 5-(3 anni, tutte quelle rami-
ficazioni articolale che, a conoscenza dell'agricoltore, si mo.strano su-
perflue per la loro posizione o perchè poco produttive. Dippiù in pri-
mavera ed anche durante l'anno, si tagliano tutte quelle piccole pale
che sorgono nel tronco o presso al terreno e che agiscono come succhioni.
Uopo una ventina d'anni, in maggio, bisogna fare il taglio di rin-
novo, ossia bisogna tagliare tutta la ramificazione annosa, fradicia o
morta, perchè in sua vece ne sorga una nuova.
— 833 -
Tra le pratiche adottate dagli agricoltori siciliani per migliorare le
frutta del fico d'India, havvi quella del capilozzamento o scoccolamento
o scuzzalatnra (scozzolatura), mercè la quale, eliminando la prima fiori-
tura, si obbligano le piante ad emetterne una seconda dalla quale si
ha frutta sempre superiore alla prima, sia perchè il frutto è più sapo-
rito, più voluminoso, più facile a conservarsi, sia anche perchè matu-
rando più tardi anche per il Natale, si realizza un prezzo superiore
sul mercato.
L'epoca oppurtuna per abbattere i fiori è il mese di maggio, quando
sono già in pieno sviluppo. Questa pratica viene eseguita con molta
destrezza da uomini muniti di una pertica o con le mani inguantate
di cuoio. Notisi però che ciò non si deve fare prima che le piante
abbiano raggiunto l'ottavo anno e anzi è meglio alternarla un anno
per l'altro, poiché le piante si indeboliscono, e se alla operazione segue
un tempo umido, le piante anziché dare nuovi frutti danno delle misere
articolazioni.
13. Impianto e cure di coltivazione. — La piantagione si può fare:
a bosco od a macchia, quando cioè si piantano le pale alla rinfusa in
terreni montuosi ; a vela, cioè disponendo le piante lungo un solo
filare per formare siepe; a filari comuni, quando la piantagione viene
fatta a linee equidistanti e parallele fra loro.
Per impiantare un bosco di fichi d'India, si piantano le pale negli
spacchi delle roccie, nelle fessure o buche ed altri siti che possono
darvi ricetto.
Volendo invece piantare una siepe, si fa uno scasso largo 70 cm.
e profondo 35, si concima con letame paglioso e si dispongono le pale
in senso longitudinale, in maniera che non si tocchino ed incalzando
la terra fino a coprirle per due terzi.
Per fare una regolare piantagione, si fa uno scasso del terreno a
strisele parallele di ni. 6 una dall'altra, larga ciascuna un metro, in
direzione da nord a sud. Fatto lo scasso si scavano trasversalmente
in ciascuna striscia, dei solchi profondi circa 20 cm. e larghi quanto
lo zappone, distanti fra loro circa un metro ed in ciascun solco si
dispongono 4 pale, equidistanti. Contro le pale si incalza la terra fino
a coprirle per due terzi.
L'impianto si fa in primavera od in autunno ; dopo si avrà cura
di rendere sempre mondato il terreno da malerbe, facendo almeno due
zappature all'anno.
Alla concimazione si provvede dando di quando in quando del
letame ordinario. Sarebbe interessante fare delle esperienze di conci-
mazione. Sicuramente le Scorie dovrebbero avere un buon effetto sulla
fruttificazione.
14. Raccolta e conservazione dei frutti. — Nella raccolta si notano
3 qualità di fico d'India. I primi detti agostani o latini sono provenienti
dall'ordinaria fioritura, e maturano in agosto ; gli scuzzulati maturano
in settembre e sono più voluminosi dei primi e più atti alla conserva-
53 — Tamaro - Frutticoltura.
— 834 —
zione; una terza, iiatui-ale produzione è quella di frutti ritardatari, in
rapporto all'epoca della fioritura normale. Questi ultimi sono d'ordi-
nario più stretti ed aggrinziti, di color sbiadito e, presso al picciolo,
di color rossastro. Per ciò sono deprezzati.
Durante i mesi di agosto, settemtire ed ottobre si effettua in parec-
chie riprese il raccolto e, secondo l'uso cui viene destinato, si scelgono
diflercnti gradi di maturità, così laddove serve pel consumo giornaliero
basta raccogliere al punto preciso di maturazione; conviene anticipare
invece di qualche giorno per i frutti che si devono spedire.
I.e bacche sono mature anche quando hanno acquistato un colore
giallo dorato oppure cremisino in quelle sanguigne.
Per raccogliere i fichi d'India bisogna difendersi la mano con una
foglia di agave o con un guanto di cuoio, per non infiggersi gli aculei
nelle dita. Colla mano cosi riparata, si prende il fico d'india torcendolo
e piegandolo, in modo da staccarlo senza comprimerlo.
Volendo conservare i frutti in magazzino, si scelgono gli sciizziilati
più belli e prima che abbiano raggiunta la maturazione, si staccano
dalla pianta con un pezzettino di pala. Unitamente a questo pezzo di
pala si portono poi in un magazzino asciutto e ventilato dove si col-
locano a file colla corona al suolo ed in modo che non si tocchino.
Così si possono conservare fino a gennaio.
15. Composizione chimica dei frutti. — 11 Prof. Mancuso Lima ha
fatto le analisi dei frutti che vennero pubblicate nei Nuovi Annali di
Agricoltura Siciliana A. 1905 e che riporto nella Tab. LXV.
Tab. LXV.
Composizione dei frutti di fico d'India (Marcuse Lima)
Coiiiponenli
Acqua . .
Polpa secca
Semi . . .
Scorza . .
Ac<|iia
Sostanza secca. . .
<ìrasso
(ilucosio
Amido e destrosio .
Azoto totale . . .
proteico. , .
Materie Albuminoidi
Cenere
Frutti agostani
Frutti scoccolati
Compos
izione percentuale
Composizione percentuale
chimica
chimica
chimica
chimica
fìsica
della
della
fisica
della
della
polpa
scorza
polpa
scorza
.53.5'10
_
57.006
_
_
4 060
—
—
6.184
—
—
2.950
—
—
3.410
—
—
39.4,->0
-
-
33.400
-
-
__
91.956
86.1900
_
90.2136
88.400
—
7.049
13.8100
—
9.7863
11.760
0.074
0.0830
—
traccia
0.0529
0.020
0.9480
—
5.60215
0.1581
—
0.169
5.5460
—
2.6918
4.1240
—
0.080
0.1010
—
2.2455
0.1615
—
0.058
0.0640
—
0.1755
0.0505
—
0.366
0.4000
_
1.0973
0.3154
—
0.253
0.1540
-
0.3307
0.4028
- 835 -
16. tisi. — Il fico d'India in Sicilia è come il Banano a Rio Janeiro
come il Dattero nel Cairo, il pane del povero ed il companatico dell'agiato.
E' un frutto facilmente digeribile, nutriente e saporito.
Dai frutti che rimangono invenduti si può estrarre anche dell'alcool ;
così pure si fanno estratti e conserve alimentari.
Colle bucce e colle frutta scadenti si ingrassano i maiali e bovi, e
le pale tenere servono per mangime. Delle pale più dure si suole fare
concime, oppure combustibile.
Rispetto all'uso delle pale per mangime il Tucci osserva che biso-
gna darne in quantità limitata e mai da sole poiché " rilasciano molto
l'apparato gastro-enterico, producono diarrea ed al più delle volte se
adoperati e in quantità, denutriscono l'animale „. Bisogna quindi mes-
colarle con cascami di ortaggi, con fieno, fave etc.
Per la quantità notevole di zucchero contenuto nelle frutte, meri-
terebbe che venisse studiata la sua estrazione od eventualmente la
fermentazione per estrarne 1' alcool, poiché non si é trovato ancora il
fermento più adatto.
17. Dati economici. — La fruttificazione può cominciare nel se-
condo anno dopo l'impianto. Un prodotto apprezzabile lo si ha però
dopo il 4'' anno ; fra il 5° e il 20° si ha il massimo })rodotto. Fra i 20
e 25 anni le piante si estirpano.
Una pianta in piena produzione può dare da 400 a 500 fruiti del
peso medio di 120 grammi ciascuna.
I frutti si possono anche spedire all'estero, imballati in cassette,
avvolti da carta, come i limoni od aranci. Sarebbe bene imballarli in
cassette contenenti non più di 50 frutti in uno solo strato, avvolti con
carta di seta e colmando gli interstizii con polvere di sughero.
Secondo il Cuppari un ettaro a fico d'India dà una rendita netta
media di circa L. 400.
18. Malattie e cause nemiche. — Le pale vanno soggette a marciume
quando le ferite non si sono cicatrizzate prontamente.
Parassiti del Fico d'India sono ancora la :
Phyllosticta opimtiae, Sacc. crittogama che produce delle macchie
minute, circolari, giallastre, che formano poi placche estese bianchiccie
sulle pale.
Ceratilis capitata che é una mosca, la cui larva intacca la frulla,
cibandosi dell'interno del frutto.
RIBES ED UVA SPINA
(Ribes gen. — Fam. Ribesiacee)
1. Origine. — Il ribes allo stato selvatico ciesce rigoglioso nel-
Europa settentrionale, nella Siberia e nel Canada.
Sulle nostre Alpi si trova fino a 1600 m. di altezza.
- 836 -
L'uva spina cresce spontanea nell'Europa centrale e meridionale,
nelle siepi e nei boschi dal Sud della Svezia al Nord Africa.
2. Specie botaniche coltivate. — Distinguonsi tre speci di ribes a
fruiti commestibili :
1" Il ribes comune a grappoli rossi (Ribes nibriim L.).
2.» Il ribes spinoso o uva spina (Ribes grossularia L.).
3." Il ribes nero o cassis (Ribes nigriim L.).
Tulte e tre queste specie sono indigine e la loro coltura data
dal 1571.
3. Caratteri botanici delle specie. — 1. Il ribes comune a grappoli
— (Frane: Groseillier — Ted. : Johannisbeer — Ingl. : Currant). Si
eleva naturalmente a cespuglio di metri 1-1.20 d'altezza. Le radici sono
Fig. 616. — Arbusto di ribes comune.
ramose, corte e poco profonde. I getti principali sono fragili, ramosi,
poco divergenti -, i rami vecchi sono bruno rossastri e quelli di un
anno grigio-biancastri con lenticelle scure (fig. 616).
Le foglie sono palmate, piccole, alterne, picciolate a 5 lobi; dentate
liscie al di sopra e tomentose al di sotto. I fiori sono piccoli, fascico-
lati semplici a seconda della varietà, pendenti, muniti di brattee assai
brevi. Sono portati dai rami prodottisi nell'anno precedente (Mg. 617)
ma che si trovano su branche di 2 a 3 anni, raramente di 4. L'occhio
terminale dei fusti e dei rami è sempre una gemma a legno.
I frutti portano il calice persistente del flore, sono bacciformi,
lisci, globulosi, uniloculari, polposi con semi trasparenti. Hanno sapore
acidetto piacevole e sono ricchi di acido citrico e malico. Il colore
del fruito nella pianta tipica è rosso ; può però essere rosa, anche
bianco leggermente perlaceo od ambrato.
- 837 —
2. L'uva spina o ribes spinoso (Frane: Groseiller a niaqueron —
Ted.: Stachelbeer — Ingl.: Gooseberry) di ITerisce dal precedente perchè
forma dei cespugli più bassi (fig. 618) e piùcompatti; i rami sono più corti,
Fig. 017. — Ramo fruttifero
di ribes rosso.
Fig. 618.
Arbusto di uva spina.
grossi, tortuosi, con ramificazioni frequenti e coperti di lunghi e forti
aculei, molto pungenti disposti per due o per tre alla base delle foglie.
La corteccia è ruvida, bianco grigiastra. Il legno è verdognolo,
compatto, pieghevole. Le foglie lobate, tomentose, rotondate con 3 a 5
V
Fig. 019. — Ramo fruttifero di uva spina.
Fig. 620. — Cassis di Napoli
lobi, verdi lucenti al di sopra e pubescenti al di sotto con picciolo
peloso. Le bacche sono per lo più solitarie (fig. 619) od a 2 o 3, quasi
sempre gialle, diafane, odorose, coperte di peli capitati aurei, con
brattee bifesse.
Tab. LXVI.
- 838 -
Quadro sinottico indicante le principali i
NOME
Malurazione
Qualità
Vigori
A. — A grappoli rossi,
llosso comune
Precoce di Berlino
Regina Vittoria
Rosso ciliegia
Versagliese rosso
Rosso d'Olanda
Chenanceaux
Prolifìque Fer-
tile d' Angers
Hàtive Rouge
de Boulogne
Belle de Fon-
tenay, Frauen-
dorl
B. — A. grappoli bianchi.
Bianco comune
Bianco d'Olanda
Macrocarpa
Bianche d'An
gleterre
A feuilles
bordces
primi luglio
metà giugno
fine luglio più
tard. di tutti
primi luglio
primi luglio
metà luglio
fine giugno
luglio
seconda
id.
notevole
straordin
prima per
mercato e
speculaz.
C. — A grappoli neri.
Cassis comune
Cassis di Napoli (fig. 620)
luglio
luglio
fine luglio
prima da
mercato
primis-
sima
seconda
prima
strordi-
naria
straordi
naria
mediocre
moltis-
sima
moltis-
sima
839
di Ribes a grappoli consigliate (Tamaro).
Caratteri del
grappolo
Caratteri
dell'acino
Sistemi
di coltivazione
Osservazioni
piccolo e unito a
mazzi mediocri
bello, lungo mol-
to spargolo
lunghissimo con
acini radi
irregolari, lunghi
comparti
medii e mazzi
copiosi
piccolo, acidulo, giardini e friit-
rosso chiaro leti casalinghi
grosso rosso ca-
rico con pedi-
cello allungato.
Succo abbon-
dante, acidulo.
medii, rosso pal-
lido, abbastanza
acidi.
grossissimi, rosso
carichi, brillanti
di un'acidità pia-
cevole
grossissimo molto
bello di colore
rosso carico
medio, rosso bril-
lante, piacevol-
mente acido
per frutteti ca-
salinghi e per
coltivazioni in-
dustriali
per la grande e
piccola coltura
impianti indu-
striali
raccomandabile per
la rusticità e per qua-
lunque esposizione
adatto per località
fredde ed ombreg-
giate
raccomandabile sotto
ogni rapporto
derivato dal ribes or-
dinario rosso. Il le-
gno è soggetto a fen-
dersi
raccomandabile sotto
ogni rapporto
piccoli con buccia
fine e traspa-
rente. Sapore
dolce
grandi, chiari, di
sapore dolce ag-
gradevole
grande, chiaro di
sapore dolce ag-
gradevole
per frutteti casa-
linghi
coltivazioni in-
dustriali
coltivazioni in-
dustriali
conveniente per la
facilità di adatta-
mento e per la
vigoria
molto rustica
raccomandabilissima
varietà sotto tutti i
rapporti
corto con poche
branche
orti e frutteti
casalinghi
per impianti di
speculazione
da raccomandarsi
sotto tutti i rap-
porti
— 840 —
Il frutto, dapprima acido ed astringente, poi diventa dolcissimo. Se
è troppo maturo diventa scipito.
lì. Il ribes nero chiamato Cassis dagli stranieri, allo stato naturale
raggiunge l'altezza di 3 ra. È senza spine, con le foglie rugose di 3 o 5 lobi,
irregolarmente dentate, liscie, punteggiate di giallo nella pagina inferiore,
])er effetto di glandulette diafane. I fiori sono a grappoli, piccoli, di
pochi fiori; i peduncoli alquanto villosi; i petali bianco rossicci.
Il frutto maturo è una bacca nera con qualche punteggiatura come
le foglie, di poco più grossa di quella del ribes rosso. Acerbo è verde,
prima, poi rossastro di sapore acidulo, non troppo piacevole, simile al
gusto del ginepro. Contiene un olio volatile, amaro che si ritrova in
tutta la pianta, la quale emana odore di orina di gatto.
4. Classificazione e scelta delle varietà. — Le varietà di tutte e
tre le specie di ribes ora citate hanno caratteri molto instabili poiché
molto influisce sulla forma del grappolo, la natura del clima, del
terreno e le cure di coltivazione,
1. Per semplificare la ricchissima nomenclatura del ribes a grap-
poli rossi e bianchi, la Società d'Orticoltura d'Inghilterra, dove la coltiva-
zione del ribes ha una notevole importanza, anche per le belle varietà
che produce, ha preso in esame nel 1892 le più scelte varietà inglesi
e francesi ed ha riconosciuto che per la classificazione non conveniva
prendere come base l'apparenza e la qualità del frutto molto variabili,
ma, la forma generale dell'arbusto e la forma ed il colore delle foglie,
che presentano caratteri più costanti.
Sopra 24 varietà di ribes rosso che figuravano nei cataloghi del
2892, se ne riconobbero 16 soltanto veramente caratteristiche, le altre
erano insignificanti sotto-varietà. Cosi sopra 19 varietà di ribes bianco,
soltanto 6 furono riconosciute.
Le varietà elencate sono le seguenti :
Ribes a grappoli
rossi
1. Champagne
2. Rosso di Chiswick
3. A foglie laciniate
4. Gloria de Sablous
5. Goudonin rosso
13.
14.
15.
16.
rossi
A foglie variopint
Rosso di Verrière
Wallace
A foglie dorate
6. Houghton Castle
7. Versagliese rosso
8. A foglie di malva
1.
2.
bianchi
Comune
A foglie laciniate
9. Rosso antico
10. Rosso ciliegia
11. Rosso d'Olanda
12. Regina Vittoria
3.
4.
5.
6.
Bianco grosso
Macrocarpa
Bianco d'Olanda
Impei'iale bianco
In Italia viene coltivato sopratutto il ribes comune a grappoli rossi,
molto slimato per la sua rusticità, per la sua fertilità e per il sapore
— 841 —
gradevolmente acido degli acini. Volendo degli acini più grossi, e per
gli impianti industriali speciali, si può ricorrere a varietà forestiere ma,
sempre rosse, poiché le bianche conservano poco il loro frutto sulla
pianta e facilmente si macchiano.
2. Il cassis o ribes nero più che da noi è coltivato in Francia,
Germania ed Inghilterra e con questo si preparano liquori confetture etc.
Nell'Italia Settentrionale io credo che converrebbe estendere anche
questa specie.
Il ribes nero è sempre meno produttivo del rosso.
Nella Tab. LXVl sono indicate le varietà a grappolo bianco, rosso
e nero che consìglio.
3. L'uva spina matura 15 giorni prima del ribes e, specialmente
in Inghilterra, la sua coltura è molto difìusa in ogni orto o giardino.
In Italia la coltivazione è limitata e ordinariamente si coltiva la
varietà cornane a buccia giallo-verdastra.
Le varietà inglesi più coltivate sono le seguenti :
A. Bianche da conserve :
1. Shanon (Hopley), fertilissima, ovoidale.
2. Trionfo, fertilissima.
3. Soaivdrop, con buccia coperta di peli.
4. Qaeen Carolina.
B. Gialle da conserve e da mercato :
1. Precoce da mercato.
2. Gigante a limone da conserve e da mercato.
C. Verde per conserve :
1. Precoce di Nenioied.
2. Green Oceau.
3. London city con buccia glabra e bacche grosse.
D. Rosse da mercato.
1. Grossa rossa precoce, vigorosa, rustica, coltivata nelle regioni
temperate.
2. Grossa rossa tardiva, derivata dalla precedente.
3. London, bacca molto grossa ed una delle più belle.
4. Whiahani's industrie (fig. (321).
5. Importanza e sistemi di coltivazione. — In Italia questa colti-
vazione è limitata agli orti e giardini di famiglia, però nell'Italia set-
tentrionale si potrebbe dare un indirizzo industriale per fabbricare
liquori o confetture. Allora si potrebbero coltivare dei campi o come
coltura intercalare nei frutteti estensivi a pieno vento.
6. Clima, esposizione e situazione. — Il ribes è rusticissimo e
viene coltivato anche per bordura nei luoghi più abbandonati di un
podere. Riesce meglio nelle posizioni semi ombreggiate che in quelle
a mezzogiorno. A tramontana ritarda la maturazione dei frutti. Nei
climi temperati prospera, mentre in quelli caldi le bacche riescono
poco succose e piccole.
— 842 —
7, Terreno. — Riesce si può dire in ogni terreno, però preferisce
(juello leggero, un po' fresco e calcare.
Il Cassis più che il ribes rosso, riesce nei terreni aridi, però se lo
piantiamo in terreno da vigna o siliceo-argilloso, limoso con sottosuolo
anche argilloso, le bacche acquistano maggiore profumo.
8. Moltiplicazione. — La moltiplicazione si fa per seme, pollone
e talea.
Per seme allo scopo di ottenere delle nuove varietà ; per pollone
si moltiplica specialmente l'uva spina.
'libito.
Fig. tl'il. — Whinham's industry.
Le talee si fanno in autunno od in primavera, coi rami ben ligni-
ficati, facendo tanti maglioli. Nel barbatellajo si piantano alla distanza
di 8 cm. sulla fila e 25 cm. da fila a fila, acceccando prima le gemme
che devono essere interrate, onde non escano dei germogli radicali.
Fuori terra non si lascia che una sola gemma.
Per avere degli alberetti (fig. fi22) si usa anche l'innesto in luglio,
per approssimazione od a gemma, sul Ribes aiireum o palmatiim.
Le barbatelle del Cassis e dell'uva si)ina avendo meno vigore si
devono lasciare per due anni nel vivajo, mentre quelle del ribes rosso
si lasciano per un solo anno.
Si scelgano le talee dai cespugli più vigorosi e produttivi.
9. Caratteri vegetativi. — 1. Nel ribes a grappoli rossi i rami di
un anno non hanno ramificazioni, sono biancastri e portano delle
- 843 -
gemme semplici, che contengono nel medesimo tempo i primordi di
un germoglio e di fiori.
Nel secondo anno, le gemme che si trovano all'estremità, ricevendo
la linfa in maggiore copia producono dei rami legnosi; quelle di mezzo
ricevendone meno producono brindilli ; quelle del terzo inferiore,
ricevendone meno ancora, sviluppano un mazzetto di foglie per dare
origine ad un dardo a mazzetto. Talvolta questo ciuffo di foglie è ac-
compagnato da un grappolo. Alla fine del secondo anno, il ramo si
presenterà quindi come nella fìg. 623.
Fig. 622.
Alberello di ribes.
Fig. 623.
Potatura di un ramo di
ribes nel terzo anno.
Fig. 624.
Potatura di un ramo di
ribes nel quarto anno.
Prendendo in esame i dardi a mazzetto, si osserva, che quasi tutti
hanno all'estremità una gemma a legno la quale ha la proprietà di far
allungare il dardo, formando un brindillo. Le gemme fiorifere portano
ciascuna un grappolo ; ed i grappoli del ribes sono riuniti a ciuffi. I
grappoli prodotti dai dardi sono i più belli ed hanno gli acini meglio
sviluppati.
I brindilli sono pure ottime produzioni fruttifere. Oltre alle gemme
a fiore che prevalgono verso all'estremità, portano sulla cima una
gemma a legno che dà il germoglio di prolungamento ed alla base
hanno delle gemme latenti dalle quali derivano dei dardi e dei brindilli
di sostituzione. I rami a legno hanno sempre copiose gemme latenti.
Nel terzo anno, il ramo diventato branca, si presenta come nella
fig. 624, nella parte superiore si hanno le ramificazioni dei rami a legno ;
— 844 —
nella parie media, i brindilli che hanno fruttificato coi loro prolunga-
menti e con qualche brindillo di sostituzione sorto dalla base; nella
parte inferiore i dardi che hanno pure fruttificato, con i loro prolunga-
menti. Nel terzo anno, si sviluppa anche dalla radice un pollone (a fig. 624)'
Nel quarto anno il ramo si indebolisce, dà frutta più piccola in mi-
nore quantità, in modo che nel quinto anno deve essere tagliato e
sostituito col pollone sorto alla base.
Nella fig. 025 abbiamo rappresentato in B i rami di un anno; in C,
quelli di due ed in A, quelli di tre anni.
B A
Fig. 625. — Cespuglio di ribes.
Nel ribes rosso quindi, i migliori grappoli sono dati dalle branche
giovani e vigorose.
Per avere dei grappoli belli con acini grossi, si tagliano con una
forbice ad impugnatura lunga, tutte le branche di 3 e 4 anni subito
dopo la raccolta del frutto, rinnovandole coi polloni sorte alla base.
Le branche rimiovate di sovente, danno abbondante fogliame di un
bel color verde cupo e danno la migliore e più abbondante fruttificazione.
E importante non lasciare sulle branche di 2 o 3 anni più di due
rami a legno di prolungamento, altrimenti si ottengono solo pochi
grappoli imperfetti.
Pel ribes rosso che fruttifica di preferenza sui brindilli, bisogna
lasciare intatti questi e fare un taglio corto ai rami a legno.
2. 11 ribes bianco dà pochi grappoli sui brindilli mentre questi si
trovano sui rami laterali a legno di un anno. Perciò in questa specie, si
lasciano all'estremità delle branche possibilmente tre o quattro rami.
— 845 -
3. Il cassis o ribes nero ha i rami più forti e dà frutti soltanto
dalle gemme che si trovano sul ramo dell'anno precedente, compresa
la gemma terminale.
Le sue branche intristiscono prima che nel ribes rosso perciò biso-
gna sostituirle dopo il terzo anno.
In complesso il cassis ha vita più breve.
Esso produce più copiosamente sui rami medi e precisamente sui
brindilli tro vantisi a metà lunghezza delle branche. Quindi i brindi Ili
non devono essere toccati.
4. Uua spina. Le branche di questa hanno più lunga durata che
nel ribes a grappoli.
I polloni e tutti i rami vigorosi si guerniscono nella seconda vege-
tazione, d'una ghirlanda di frutti isolati o accoppiati nella medesima
gemma. I fiori sono uniti al massimo a 2 o 3 e formano dei grappoli
cortissimi. Coi frutti appare talvolta sulla medesima gemma, un germo-
glio foglifero che si sviluppa in ramo ma più spesso in un corto
brindino. E' accompagnato da 1 a 3 aculei che cadono in seguito. Questi
aculei non sono altro che delle foglie trasformate.
I brindilli o dardi che si sviluppano sui rami di due anni, frutti-
ficano alla loro volta e producono contemporaneamente brindilli deboli
che finiscono coll'esaurirsi.
In una parola l'uva spina dà i frutti più belli e più numerosi sui
rami vigorosi di uno o due anni (di solito leggermente incurvati).
10. Potatura. — Della potatura di formazione, parlerò diffusamente
nel prossimo capitolo.
Quella di produzione, come ho detto nel capitolo precedente, con-
siste nel sopprimere tulli i rami di 'i e più anni di eia, rimpiazzandoli
con novelli polloni che sorgono dalla base.
Durante i 4 e più anni di vegetazione dei singoli rami, si accorciano
ed eventualmente si diradano i rami a legno dell'estremità; si lasciano
intatti i brindilli, ma dopo la fruttificazione si sopprimono alla base,
se si ha un altro brindillo che lo sostituisca.
Per la potatura si adoperano delle forbici con manico lungo.
Mantenendo il cespuglio in questo modo si ha una produzione
abbondante e costante-, con la vegetazione in basso ed il cespuglio si
conserva vigoroso, bene aereato a branche riunite.
La cimatura verde si applica soltanto alle forme ad alberello,
sui germogli che devono diventare brindilli. Accorciandoli sopra la
terza o quarta foglia, le gemme alla base delle foglie si trasformano
in dardi.
Anche per il ribes bisogna diradare i rami troppo fìtti, male situati
e aver cura che le branche rimaste siano bene aereate e soleggiate. In
ogni caso si sopprimano le branche deboli.
Generalmente sopra ogni branca si lasciano da 6 a 9 produzioni
fruttifere delle quali 4 o 5 produzioni nuove o di un anno e 2 a 4,
produzioni di due anni.
- 846 -
11. Forme. — La forma naturale più adatta, è quella a cespuglio.
1. Cespuglio a branche semplici. K' usato principalmente pel
ribes rosso.
Al momento dell'impianto la barbatella di un anno si taglia a 10 cm.
per avere 4 getti (fìg. 626).
Nell'anno successivo, si taglia ciascuno di questi 4 rami a 40 cm.
Lungo l'anno, dalle tre gemme terminali di ciascuno di questi getti si
svilupperanno tre germogli legnosi, dalle tre gemme immediatamente
Fig. 626.
Potatura di formazione del ribes
nel primo e secondo anno.
>^W^$^^^
Fig. B27.
Potatura di formazione del ribes
nel terzo anno.
sottostanti dei brindilli e dalle ultime vicine al piede, dei dardi. Nella
fig. 623 e nella fig. 626 è rappresentato uno di questi rami.
Nel terzo anno, si tagliano i 3 rami dell'estremità a 10 cm. (fig. 627),
se vi sono altri rami a legno si accorciano a 3 cm. ; i brindilli ed i
rami si lasciano intatti.
Nel quarto anno ogni branca del cespuglio si presenterà come nella
fìg. 624 ed avrà alla base un pollone (a). Questo ultimo si taglierà a
40 cm. in b, ed il ramo da frutto di 4 anni si lascierà intatto per rac-
cogliere il frutto.
11 quinto anno si sopprime questo ultimo in e, poiché già col pol-
lone abbiamo provveduto alla sua sostituzione. E difatti il pollone si
presenterà come nella lìg. 625.
Alternando cosi la sostituzione con rami giovani si mantengono le
piante in costante produzione.
- 847 -
I cespugli non devono avere più di 8 o 10 branche (fig. 625).
In questa figura, i rami A sono quelli di 1 aimi che si sopprimono:
i rami B sono quelli di due anni che si accorciano; i rami C sono quelli
di tre anni che danno il massimo di frutta.
2. CespiHjli formati da due piante. Nella coltivazione industriale
del ribes rosso, si piantano di solito due barbatelle abbinate alla
distanza di 10 cm.
Al momento dell'impianto si tagliano le due barbatelle ad una sola
gemma fuori terra; si alleveranno due o tre polloni (fig. 626). ed il
germoglio che sorge da questa gemma.
Nel secondo anno si avrà per ogni pianta tre o quattro branche
le quali si tagliano a 15-20 cm. di lunghezza in modo che le estremità
vengano a trovarsi ad eguale altezza (fig. 627)>
Nel terzo anno, ogni branca sarà fornita all'estremità, di rami a
legno, si accorcia di Vs quello di prolungamento, si tagliano alla base
gli altri che stanno al di sotto per provocare, lungo il terzo anno, la
formazione di altrettanti brindilli dalla gemma latente che si trova
alla base.
Nel quarto anno si ripete l'operazione, accorciando sempre di '/a
il ramo di prolungamento ; tagliando alla base gli altri rami a legno
inferiori ; si lasciano intatti i nuovi brindilli e dardi dell'annata ; si
sopprimono alla base quei brindilli o dardi che hanno già dato frutto
e non hanno emesso alla base od alla loro estremità un nuovo ramo
di sostituzione.
Nel quinto anno si continua la medesima potatura, ma poiché le
branche fruttifere cominceranno ad esaurirsi, si avrà cura di allevare
qualche pollone, per sostituirle. Nel primo anno questi polloni si
lasciano intatti, nel secondo si tagliano a 15-20 cm. ed allora servono
per la sostituzione.
Le branche di solito raggiungono l'altezza di un metro e se ne
lasciano, circa 14 a 15 per ogni cespuglio formato da due piante, com-
presi i polloni di sostituzione.
Le branche, quando hanno fruttificato per 4-5 anni devono essere
sostituite, non è escluso però che qualche branca si esaurisca prima.
3. Cespuglio di ribes bianco. Come abbiamo già detto, il ribes
bianco ha la particolarità di portare molti frutti più che sui brindilli,
sui rami a legno di un anno trovantesi all'estremità.
Nella potatura quindi dei cespugli di ribes bianco, si accorcia ogni
anno, tagliando a 6-8 cm. il ramo di prolungamento di ogni branca,
ma non si sopprimono i rami sottostanti.
Nell'anno successivo, si sopprimono completamente i rami che hanno
fruttificato, si lasciano intatti i 4 o 5 rami nuovi che si saranno svi-
luppati dal ramo di prolungamento ad eccezione dell'ultimo che si
taglia a 6-8 cm.
Come si vede, col ramo terminale tagliato corto si provvede alla
nuova produzione di rami fruttiferi.
- 848
Di solito i cespugli di ribes bianco sono di 8-10 branche, aperte
a vaso. Quando stanno per esaurirsi sul 5° o 6° anno, si provvede
alla loro sostituzione con un pollone della base.
4, Cespugli di ribes nero. Anche pel ribes nero si fanno i cespugli
con due barbatelle abbinate. I cespugli però rimangono più bassi
(45 cm.) perchè la pianta è meno vigorosa e le branche di 4 anni de-
vono essere soppresse.
La barbatella al momento dell'impianto (fig. 628) si taglia ad una
gemma. Questo primo taglio fa sviluppare due o tre rami dalla base
(fìg. 629).
Nel secondo anno si ta-
glia cortissimo per costringere
le gemme sotterranee a svi-
lupparsi (fìg. 630). Alla fine del
secondo anno, la pianta si
presenterà come nella fig. 631,
provveduta anche di polloni.
Fig. r)28-(i29. ^
Taglio di formazione del ribes nero. Primo
secondo anno prima della potatura.
7T'7^:~ p/r
7VT7
^i /■'
;^0 / V^-
Fig. 630.
Taglio di formazione del
ribes nero
Secondo anno dopo la
potatura.
Nella fig. 632 abbiamo rappresentala una branca isolata nel terzo
anno con 3 diramazioni. Di queste, le due superiori si tagliano a 25-30
cm. e l'inferiore si sperona a due gemme.
Nelle fìg. 633 è indicato il taglio del quarto anno ; nella fig. 034, il
taglio di abbassamento della branca nel quinto anno ed infine nella
fig. 6.35, il taglio di soppressione totale della branca, per sostituirla con
un pollone che si sarà lasciato crescere dalla base, nell'anno precedente.
Come si vede, le branche hanno dato frutto nel terzo, nel quarto,
nel quinto e nel sesto anno dalla piantagione e cioè per 4 anni, dopo
i quali bisogna inesorabilmente sopprimerle.
Naturalmente nella scelta delle branche per formare tutti questi
— 849
cespugli, si avrà cura di preferire quelle che formano un cespuglio
svasato con i rami tagliati alla stessa altezza. Di solito si sopprimono
ogni anno una o due branclie per rimpiazzarle con altre più giovani
ed in questo modo si assicura ad ogni pianta l'aereazione e la luce, si
favorisce la fecondazione e si rende più facile la raccolta (lìg. 636).
5. A scopo special-
mente di ornamento tanto
il ribes che l'uva spina si
possono allevare ad albe-
rello (flg. 622j.
Per formare degli albe-
relli che ai'rivano circa al-
l'altezza di m. 1, si scel-
7W'
Fig. 631. — Taglio di formazione del ribes.
Terzo anno prima della potatura.
Fig. 632.
Branca isolata di ribes nero di
3 anni colla indicazione della
potatura.
gono nel vivaio le piantine giovani più robuste e si tagliano vicino terra
in primavera. La pianta allora sviluppa dal colletto parecchi getti che
per lo più sono vigorosi. Di questi si sceglie il migliore e lo si man-
tiene verticale mediante un paletto, mentre si recidono tutti gli altri
nel mese di maggio. Questo ramo lasciato solo raggiunge già nel primo
anno la lunghezza di 1 metro.
Nella primavera del secondo anno, si lascia intatto il giovane
fusticino od al più ne viene recisa l' estremità ; si tolgono quindi
tutti i getti laterali e nella primavera successiva si ha già il fusto
all'altezza voluta per venir trapiantato sul posto e per formare la
corona.
54 — Tamaro - Frutticoltura.
850
In questi ultimi anni poiché col ribes e coll'uva spina si ottiene
diffìcilmente un fusto diritto, si adopera per porta-innesto, il ribes a
';y^^y^^f^)9;;^/W//WM
Fig. 633. — Branca isolata di ri6es nero
coli" indicazione del taglio nel 4" anno.
Fig. 034. — Taglio di ringiovanimento della
stessa branca nel 5» anno.
Fig. G35, — Taglio di
rinnovo nel 6" anno.
Fig. 636. — Cespuglio completo di ribes nero.
fiori {gialli, ribes doralo (Ribes aureiim o palnmtum). L'innesto vien
fatto all'altezza di ni. 0.90 a m. 1.20 e viene adottato quello a gemma
- 851 —
capitozzando il frutto in marzo e scacchiando i rimessiticci più tardi
possibile.
Gli alberelli si piantano alla distanza di m. 1 e vengono sempre
protetti da un palo. Bisogna sottoporli ogni anno al taglio il quale
consiste, nel recidere tutti i rami giovani a metà lunghezza, avendo
sempre l'attenzione di dare alla corona la forma sferica e di diradare
i rami che si intrecciano, sopprimendo quelli di 4 e più anni.
Nelle diverse varietà di ribes, non ci sono delle rimarchevoli dif-
ferenze sul modo di vegetare ; — nell'uva spina ci sono invece delle
varietà le quali tendono a produrre di preferenza dei rami lunghi ed
in senso orizzontale, altre in senso verticale ed altre ancora pendenti
in basso. Per la forma ad alberello si scelgano queste ultime varietà.
6. Cespugli di uva spina. Anche per l'uva spina si applica la me-
desima potatura del ribes, soltanto si abbia cura di rinnovare più di
frequente le branche per ottenere dei rami vigorosi di uno o due anni,
che portano i frutti più belli e più abbondanti.
Bisogna perciò per ogni branca, conservare un piccolo numero di
brindilli lunghi e ben distanti, x^ppena si vede che le branche si sud-
dividono in eccesso all'estremità, si tagliano corte per far sviluppare
dei lunghi rami incurvati, i quali alla lor volta si tagliano lunghissimi,
per profittare dei frutti che si sviluppano per tutta la loro lunghezza.
I polloni, se forti, si tagliano nel primo aniìo a 3 gemme per avere
tre ramificazioni cha vengono poi tagliate lunghissime, le quali ser-
vono per 3 anni e poi si sostituiscono.
12. Impianto e cure di coltivazione. — Nei frutteti casalinghi si
sogliono fare delle macchie di ribes ed uva spina, collocando le piante
a m. 1.50 di distanza. Cosi pure nei frutteti in vicinanza delle città o
nei luoghi di cura, convengono filari di cespugli per bordura.
Per gli impianti industriali nella grande coltura, si fanno come
abbiamo detto delle piantagioni intercalari fra le file dei pieni e
mezzi venti.
II ribes rosso e l'uva spina si piantano a m. 1-1.40 sulla fila ed a
m. 1.60-2 da fila a fila. Il ribes nero a m. 1-1.50 sulla fila ed a m. 1.90-2
da fila a fila. Le distanze maggiori servono quando si fanno i lavori
coU'aratro ; le minori, facendo il lavoro a mano.
Il lavoro d'impianto consiste in una lavorazione del terreno a 50
cm. di profondità, concimato con stallatico ben decomposto. Di solito
si collocano in autunno 2 barbatelle distanti 10 cm. fra loro, inclinate
una contro l'altra e tagliate a fior di terra. Dopo l'impianto si lascia
intorno una leggera incavatura del terreno per poi in luglio rincalzare
i germogli e provocare da loro l'emissione di nuove radici, le quali
assicureranno meglio l'attecchimento.
Ogni anno occorrono da due a tre zappature. Nella coltivazione
campestre si fa un primo lavoro con un aratrino in marzo ; un altro
colla zappa Planet, dopo il raccolto ed un terzo in autunno con un
doppio orecchio, per rincalzare le piante.
— 852 —
Questo arbusto di coltura facile e rinumeratrice, richiede però una
conci niazione regolare e jìiultosto abbondante.
Le esperienze di concimazione fatte finora (vedi Kdiz. Ili di questo
Trattato) hanno dimostrato :
a) che il ribes nero è il meno esigente per la concimazione, poi
segue il rosso e l'uva spina ;
b) per il ribes, sono particolarmente indicati i concimi fosfatici
ed azotati ;
e) l'aggiunta di potassa è specialmente necessaria all'uva spina,
perchè diversamente dà dei ranìi deboli ;
d) Io stesso effetto si verifica nel ribes, quando manca l'anidride
fosforica ;
e) le concimazioni fosfo-polassiche fanno anticipare la matura-
zione dei frutti ;
/■) le concimazioni fosfatiche rendono le banche più succose e
più zuccherine;
g) i migliori risultati si ottengono dando simultaneamente, tutti
e tre gli elementi.
Buone formole di concimazione sono le seguenti per il ribes e per ara:
I Anno Kg. 300 di stallatico
[ „ 5.500 „ perfosfato doppio
, 7 „ solfato ammonico
, 2.500 „ farina di corna
, 1.800 ., nitrato di soda
II Anno
per l'uva spina e per ara :
I Anno Kg. ,300 di stallatico
„ . ( „ 5.500 „ perfosfato doppio
II Anno J " " ^ ^*^
9 „ solfato di potassa
Nelle coltivazioni industriali, dopo il raccolto, si suole seminare
dei lupini ogni secondo anno, che vengono sovesciati in primavera. II
sovescio viene alternato con la seguente concimazione per ettaro :
Q." 8 di Kainite
„ 4 „ Scorie
„ 6 „ Solfato ammonico
Un impianto di ribes dura da 15 a 20 anni. Il cassis è quello che dura
meno, poi viene il ribes rosso. (Ili impianti di uva spina durano di più.
16. Raccolta e conservazione dei frutti. — II raccolto si comincia
nell'uHima settimana di giugno e dura per 4 a 6 settimane. La raccolta
viene fatta dai ragazzi o dalle donne e si calcola che ogni ragazzo può
raccogliere 15 Kg. di grappoli all'ora. Il prodotto si imballa in ceste
- 853 -
da 4 Kg. per uso da favola e da Kg. 30-35, quando deve servire a pre-
parare liquori od altro.
Si può lasciare il frutto per qualche giorno di più sulla pianta,
anzi aumenta allora di contenuto zuccherino. Per ripararli dalle pioggie
che farebbero screpolare le bacche, in Inghilterra si sogliono coprire
i cespugli con cappelli di paglia.
La raccolta del cassis è più lunga e costosa, perchè i grappoli sono
più corti e dispersi. Gli acini poi cadono facilmente quando sono ma-
tui'i. Un ragazzo ne può raccogliere Kg. 8.5 per ora. 11 cassis si spedi-
sce in ceste cilindriche di Kg. 11, chiuse sui due fondi da una carta,
sostenuta da due traversi.
Per l'esportazione non si raccolgono le bacche a completa matura-
zione. Sono atte al trasporto quando travasandole da un paniere all'altro
si sente un suono secco.
Il Prof. Vercier ha fatto delle determinazioni per fissare l'epoca
più conveniente del raccolto. Dai dati qui sotto riportati si rileva, che
raccogliendo presto o tardi si perde in peso e quindi bisogna fissare
la giornata del raccolto, facendo degli assaggi giornalieri.
Densità
Peso medio di un acino
Proporzione del peso col succo 762 gr.
Volume del succo per Kg. di
cassis
Zucchero per litro di mosto
Acidità in S O 4 II 2 per litro
di succo 27.2 27.7 27.0 31.1
17. Composizione chimica dei frutti. — L'analisi delle bacche sa-
rebbe la seguente :
Acido malico 2.43 7o
citrico 0.81 „
Zucchero 6.24 „
Gomma 0.78 „
Materia azotata 0.85 „
Calce 0.29 „
Legnoso 8.01 „
Acqua 80.59 „.
18. Usi. — Il ribes serve specialmente per confezionare sciroppi e
conserve da solo o misto con lampone e ciliegie. Si fanno anche
marmellate, sorbetti, confetture e liquori, e si può usare come frutto
Raccolto il
16 giugno
24 giugno
1 luglio
5 luglio
1041
1052
1063
1063
0.36
0.54
0.85
0.58
co 762 gr.
a:
761
841.6
819.6
750
740
800
776
) 52.4 gr.
67.3
83.1
96.6
- 854 -
da tavola. Mangiato fresco o in conserva, costituisce un alimento salu-
bre, molto temperante e rinfrescante. È poco nutriente.
La polpa di queste bacche è sempre acida, epperciò si serve a
tavola con zucchero o mista con lampone o fragole.
Col ribes nero si fabbrica il liquore detto Cassis, che è di profumo
delicato e di colore ambrato. Il frutto naturale invece è muschiato e
non troppo piacevole; è discreto se conservato nello spirito.
L'uva spina viene impiegata specialmente in Inghilterra per fare
delle confetture o si mangia allo stato naturale.
19. Dati economici. — Il ribes rosso nel terzo o quarto anno co-
mincia a dare Kg. 0.500 di grappoli per cespuglio e dal quinto al vente-
simo anno, Kg. 2 a 4 per cespuglio. Il ribes nero dà un prodotto infe-
riore di un terzo.
20. Malattie e cause nemiche. — (V. pag. 500).
PARTE SESTA
GLI AGRUMI
Regioni di coltivazione.
Nelle regioni meridionali d'Italia, fra le piante arboree il primato
spetta agli agrumi, sia per le qualità estetiche ornamentali, sia per i
j)rodotti svariati ed abbondanti, il cui profitto non viene superato
da nessuna altra coltivazione arborea.
I paesi nei quali si diffuse l'agrumicoltura si possono riunire in
(juattro regioni (vedi Memoria del prof. Savastano letta nell'Istituto
d'Incoraggiamento di Napoli nella seduta del 20 maggio 1897, Sulle con-
dizioni agrumarie italiane ed estere) e cioè nella :
1. Regione Mediterranea, che comprende le contrade meridionali
europee, africane ed asiatiche, bagnate dal Mediterraneo. Sono comprese
perciò in questa regione l'Italia, la Spagna, il Portogallo, la Francia,
Tripoli, il Marocco, l'Egitto, Malta, la Grecia, la Turchia europea ed
asiatica.
2. Regione dell'America centrale, che avendo per centro le Indie
Occidentali, comprende la California, le Antille, il Messico, gli Stati
dell'Equatore ed il Brasile.
3. Regione asiatica, che fa entrare le contrade dalla Persia al
Giappone, quindi le Indie inglesi, la China, il Giappone, le colonie
francesi e portoghesi.
4. Regione australiana, che componesi oltre che dell'Australia,
della Nuova Galles del sud, della nuova Zelanda, delle isole del Paci-
fico, delle colonie del Capo, dello Zanzibar, dell'Argentina, dell'Uraguay,
Paraguay, ecc., ecc.
L'Italia conserva ancora il primato per questa coltivazione, su tutti
i paesi del mondo. Gli agrumi si coltivano in ((uasi tutta la penisola
e, dove la coltivazione non è possibile in piena terra, la si fa nei
giardini o nelle serre.
— 856 -
La ripartizione della coltura agrumaria e l'importanza clie essa ha
in Italia, si rileva nella Parte I di questo libro nel Capit. II della Sta-
lislica pag. 9.
Origine.
Gli agrumi si ritengono originari della Media e dell'Asia meridio-
nale, quantunque siano indigeni nella Guyana inglese sulle riviere
di Ponieroon e Sapiana.
La loro rinomanza rimonta ai tempi più antichi. Si sa che gli
agrumi erano i principali ornamenti dei giardini delle Esperidi, di
Babilonia e della Palestina.
Il limone, sarebbe stato importato dagli Arabi in Europa ed entrato
in Italia prima del 1270. Così trasportarono in Sicilia, l'arancio amaro
o forte, tanto che lo si coltivava prima del 1002.
L'arancio a frutto dolce, sembra originario della China meridionale
e importato in Europa dai Portoghesi. Da ciò il nome di Portogallo.
Non esclude però che sieno state introdotte ancora prima delle varietà
a frutto dolce, forse meno pregiate, inquantochè, secondo M. Sylvaticus,
l'arancio aveva acquistato una certa importanza nel XIII secolo a S. Remo.
Il mandarino fu degli ultimi importali e pare al principio del XIX
secolo. Sembra originario della Cocincina o di alcune altre provincie
della China.
Caratteri botanici.
Gli agrumi ajipartengono al genere botanico Citrns, che è compreso
nella sottofamiglia, e per alcuni botanici, famiglia delle Auranziacee.
La radice è a fìttone, con numerose radici secondarie che nascono
si può dire a capriccio, diportandosi come fossero avventizie. Questa
è una caratteristica degna di nota.
Il fusto è diritto, di altezza diversa e di varia ramificazione nelle
singole varietà. I fusti ed i rami vecchi hanno in generale la sezione
rotonda, la loro corteccia è poco ruvida, di color grigio e presenta
delle minutissime fessure longitudinali. I ramoscelli giovani invece
sono alquanto angolosi, a sezione irregolare e la ramificazione si fa
normalmente per lo sviluppo di gemme che nascono solitarie all'ascella
delle foglie. Il corpo legnoso dei fusti e dei rami non mostra gi'an dif-
ferenza dal tipo più comune delle piante dicotiledoni. Nei rami più
vecchi è difficile trovare un'apice intatto, giacché di solito esso si
stacca immediatamente sopra l'inserzione dell'ultima foglia, lasciando
che il ramo ascellare di questa, contiimi la vegetazione. E se anche si
conserva, la pianta appare come troncala, perchè l'accrescimento si
forma tutto ad un tratto sopra l'ultima foglia. Mentre i rami vegetativi
terminali in tutte le Auranziacee sono nudi, cioè non hanno l'organiz-
zazione di vere gemme protette da perule, nelle ascelle fogliari nascono
— 857 -
delle vere j^eiimie, provviste di questi organi prolettori. I rami ascellari
di qualunque Auranziacea, prima delle vere foglie, producono un numero
vario (almeno due, nel più dei casi tre o quattro) di perule protettrici,
che in parte ravvolgono il cono vegetativo della gemma, in parte pos-
sono trasformarsi in spine più o meno forti. Tali spine vennero rite-
nute trasformazioni della gemma ascellare mentre invece hanno una
natura fogliacea , sono squame raetamorfizzate , non possedendo le
Auranziacee delle gemme secondarie.
Le foglie sono disposte a spirale, secondo la formola ^s» cioè: ogni
ciclo si compone di otto foglie, disposte in tre giri attorno all'asse, ed
Fig. 637. — Fiori, frulli e rami di arancio.
in modo che la nona foglia si trova nel medesimo ortositico della pri-
ma. La forma è semplice, più o meno elittica, col margine più o meno
crenato.
L'infiorescenza (fig. 637) è una cima semplice, terminale o situata
all'ascella delle foglie ordinarie di un ramo che in generale portano
pochi fiori. In molte varietà di lutto il corimbo non viene a pieno svi-
luppo che il solo fiore terminale. I singoli fiori hanno peduncoli corti,
nudi, articolati, carnosi.
I fiori (fig. 638) sono regolari, con calice gamosepalo a cinque lobi;
la corolla composta di cinque petali liberi, alternanti coi lobi del calice.
L'androceo è costituito in apparenza da un solo verticillo di stami, di
cui il numero e la disposizione sono variabilissimi. L'ovario è polimero,
con logge variabilissime di numero, sempre più di cin([ue, ed in alcuna
relazione coi petali. L'impollinazione ha luogo generalmente in prima-
vera, nei mesi di aprile e maggio; però nelle specie rifiorenti è impos-
sibile fissare l'epoca.
858
Il fruito è una bacca con 7 a 12 logge (chiamate spichi) contenenti
ciascuna uno o più semi; qualche volta questi semi abortiscono (fìg.639).
Un carattere generale nella specie del genere Citriis, è la presenza
in tutti gli organi eli un olio etereo ed essenziale, che si trova tanto
nel protoplasma cellulare della radice, come in alcune ghiandole dei
rami, delle foglie, fiori, frutti e semi.
Fig. 638.
Diagramma del fiore di arancio.
Fig. 639.
Sezione orizzontale del frutto di arancio.
Altra particolarità del genere Cilrus, è l'intensa colorazione rosso-
purpurea dei giovani germogli, colorazione propria delle piante dei
paesi caldi che indica la traspirazione molto attiva della pianta.
Vegetazione.
Le piante degli agrumi hanno generalmente una vita molto lunga
e nella loro prima età hanno un lento sviluppo. Nei paesi tropicali
arrivano fino all'altezza di 10 a 14 metri; in Europa non sorpassano i 10
metri anche nelle regioni più favorevoli, e l'albero prende una forma
piramidale.
Fruttificano dopo 5 o 6 anni e la fioritura avviene in aprile-maggio
ed anche in autunno ma, questi ultimi fiori, sono sempre meno pro-
fumati di quelli in primavera.
Generalmente i frutti degli agrumi maturano dal novembre in avanti.
Se lasciati sull'albero non si alterano e quindi dalle piante si riesce
ad ottenere fiori e frutti tutto l'anno.
Classificazione degli agrumi.
Gli agrumi si possono ordinare in tre gruppi caratterizzati come
segue :
I. Gruppo. — Piante con foglie a picciolo alato e coi giovani
germogli biancastri. Fiori completamente bianchi. Frutti giallo-ranciati
o giallo-pallidi, con buccia non aderente alla polpa.
— 859 -
Apparlengono a questo gruppo le seguenti specie:
1. Arancio dolce (Cilriis aurantiiim L.).
2. Arancio forte (C. Bigaradia Risso).
3. Chinotto (C. sinense Wild.).
4. Mandarino (C. deliciosa Ten.).
5. Pompelmo (C Pompelmos Risso).
6. Bergamotto (C. Bergamina Risso).
7. Limetta (C. Limetta Risso).
8. Lumia (C. Lumia Risso).
II. Gruppo. — Foglie con picciolo lineare, poco o punto alato. Gio-
vani germogli violacei. Fiori bianchi, violacei o rosa al di fuori. Frutti
giallo-pallidi, buccia aderente alla polpa.
9. Limone (Citriis Limomim Risso).
10. Cedro (C. medica Lin.).
III. Gruppo. — Foglie trifogliate, caduche. Fiori completamente
bianchi.
11. Arancio trifogliato (C triptera Lin.).
Specie e varietà coltivate per il frutto.
Arancio dolce comune (fig. 640). Citrus aurantium. — Nomi volgari
italiani del frutto — Arancio, Arancio comune, Portogallo, Melarancio.
Nomi volgari stranieri — Frane: Grange commun — Ted.: Pomeranzen-
baum — Ingl. : Sweet Grange.
L'arancio dolce ha un fusto arboreo, coi rami forniti di spine ;
le foglie sono ovali od oblunghe, acute, qualche volta dentate, con pic-
ciolo allargato ed alato; fiori terminali bianco-puri: frutti rotondi od
ovali o ottusi, che raramente terminano in punta o sono mammello-
nati, di colore giallo-dorato leggermente arrossati, la cui buccia ha delle
vescichette convesse. Polpa abbondante, succosa, dolce, zuccherina e
gradevolissima.
Questa specie, se proveniente da seme, dà un albero rusticissimo,
che si porta fino all'altezza di m. 10 a 12 a Sorrento.
Per la sua vigoria serve per innestare le varietà di agrumi a frutto
dolce. E' spinoso, abbastanza precoce ed è meno sensibile al freddo
delle varietà che producono dei frutti rimarchevoli di grossezza e
di sapore zuccherino.
L'arancio è coltivato in Liguria, in Sardegna, in Sicilia e nelle Calabrie.
Tutte le varietà d'aranci derivate hanno frutti dolci ed una buccia
con delle vescicole convesse. Quelle portate in commercio oltre che
l'arancio comune sono le seguenti :
a) Arancio di Malta sanguigno (Citrus aurantium Melitense Risso
€ Poileau).
— 860 -
Chiamalo anche Arancio rosso di Porlojjallo, Arancio sanguigno di
Spagna.
Fusto di color grigio-scuro che termina con una chioma forte,
com])osta di rami corti, glabri ed angolosi ; raramente muniti di spine
cortissime.
Foglie ovali, oblunghe, appuntite, grosse, dentellate leggermente, eoa
picciolo abbastanza lungo.
Fig. 610. - Arancio dolce comune di Genova.
Fiori numerosi, soavi, portati da un pedicello lungo e sottile; petali
larghi di un bel color bianco; stami da 20 a 22; ovario arrotondato;
stilo diritto.
Frutti sierici, di grandezza media ; esteriormente colorali di giallo
con slumature porporine-sanguigne più o meno intense e con polpa
color rosso di sangue. Succo dolce ed aromatico mollo superiore a
quello di altre varietà.
- 8()1 -
Lunghezza del frutto millimetri 64 a 70; larghezza millimetri 76 a 80.
b) Arancio della China. Ha il fusto coperto da una scorza glabra
e grigia; 1 rami sono corti, irregolari; i giovani germogli gracili, ango-
losi, giallo-pallidi ; foglie ovali, oblunghe, qualche volta leggermente
ondulate ai lembi, portate da un picciolo lungo, pochissimo alati. I fiori
sono riuniti, bianchi, di media grandezza, frutti medi, rotondati, pesanti,
duri, riconoscibili particolarmente per la loro buccia liscia, fnie e lu-
cente. Il loro interno è diviso in 9 ad 11 logge; succo dolcissimo.
Lunghezza del frutto millimetri 56-60; larghezza millimetri 60-65.
L'albero raggiunge un'altezza da 4 a 5 metri; i suoi rami sono tal-
volta poco spinosi. La fioritura è quasi sempre biennale e mai molto
abbondante. I frutti non soffrono tanto per il gelo ed in commercio
passano per aranci di Portogallo. Sono stimati per la loro buccia sottile
ed unita; per il succo eccellente meno dolce però dell'arancio comune.
Questo arancio ha qualcosa di comune con quello di Majorca; ma
si distingue per il minor sviluppo della pianta, per i frutti meno colo-
rati, molto più lisci e per la buccia anche abbastanza dolce.
e) Arancio di Genova (fìg. 640). Forma un albero con chioma ar-
rotondata, perchè ha rami piccoli, corti, tozzi ; le foglie sono ovali
oblunghe, di color verde-carico, lucenti intere, alcune piane, altre pie-
gate a gronda con picciolo talvolta alato.
Fiori disposti a mazzetto, col calice a 3 o 5 denti ; petali ineguali,
talvolta in numero di 3 soltanto nei fiori più alti, che perciò restano
più piccoli e poco sviluppati.
I frutti sono rotondi, regolari, qualche volta un poco depressi alle
estremità, mammelliformi alla base, con buccia unita, rugosa, di color
giallo-rossastro ; l'interno è diviso in 10 o 12 spicchi, con polpa gialla
al centro e rossastra alla periferia, contenente molto succo dolce. •
Diametro longitudinale del frutto mm. 60-75; diametro trasversale
millimetri 67-72; spessore della buccia millimetri 6.
Questo arancio coltivato in Liguria si è esteso notevolmente nel
litorale Mediteri-aneo.
dj Arancio di Nizza. Fusto diritto e vigoroso, con chioma ampia
e fronzuta.
Foglie grandi, ampie, di color verde cupo, lucenti, le une ovali
appuntite, le altre oblunghe e più ristrette; la maggior parte con pic-
ciolo lungo, leggermente alato e sensibilmente articolato, meno quelle
vicino al frutto.
Fiori numerosi di un bel colore bianco e d'odore soave.
Frutti sferici un poco depressi alle due estremità, consistenti, pesanti,
di un bel color giallo carico tendente al rosso; buccia grossa sensi-
bilmente rugosa, un poco squamosa internamente, che si distacca
facilmente dalla polpa, la quale è di color giallo carico, divisa in 10 o
12 logge. Succo eccellente e semi numerosi di due grandezze.
Diametro longitudinale mm. 70 a 86; trasversale mm. 80 a 90; spes-
sore della buccia mm. 5-10.
— 862 —
E' uno dei migliori aranci che vanno in commercio sotto questo
nome o sotto quello di arancio di Provenza.
e) Arancio di Majorca. Fusto elevato, vigoroso, con molti rami
diritti, lunghi, muiiili di piccole s])ine, che nel legno vecchio poi dispaiono.
Foglie grandi, ovali allungate, appuntite, grosse, lucenti colorite di
un bel verde; qualche volta leggermente ondulate ai lembi; picciolo
leggermente alalo.
Fiori grandi, belli, molto fragranti riuniti a mazzetto, formato da
1 o 5 petali oblunghi, un poco acuti.
Frutti sferici, abbastanza grossi con buccia liscia, lucente, sottilis-
sima, di color giallo rossastro. La polpa è divisa in 9 o 10 spicchi,
pieni di vescichette gialle conlenenti molto succo, dolcissimo e piace-
vole. Semi molti, oblunghi ed acuti.
Diametro longitudinale del frutto mm. 78-86; diametro trasversale
inni. 76-80; spessore della buccia mm. 3 a 5.
Questa varietà dà degli alberi che arrivano fino a 6 metri di altezza
e ordinariamente produce frutto ogni due anni.
Matura presto e la pianta abbastanza rustica, si presta per la colti-
vazione in vaso.
d) Arancio di Portogallo. Albero slanciato, con rami sottili, diritti.
Foglie piccole, ovali, acute, di un bel color verde carico, liscie, la
più parte erette verticalmente e portate da piccioli sottili, lunghi ed
appena alati.
Fiori piccoli, numerosi, di un bel color bianco.
Frutti medi, gli uni arrotondati, un poco depressi alle due estre-
mità, con leggera costolatura lungitudinale ; buccia sottile, di color
giallo carico, male unita, rugosa. Succo leggermente acidulo. Raramente
si trovano semi. Talvolta si notano anche dei frutti oblunghi.
Diametro longitudinale mm. 50-60; trasversale mm. 54-58; spessore
della buccia mm. 4-5.
Vi ha una varietà con polpa rossa, egualmente pregiata jìer il profumo.
Si deve coltivare nelle esposizioni meglio soleggiate e nei paesi caldi.
g) Degli altri aranci che si trovano in commercio ; merita di es-
sere distinto Varando di Napoli e di Sorrento che si raccoglie dal luglio
all'autunno ed è molto pregiato per l'aspetto e pel suo sapore. Affine
a questo è l'arancio di Reggio Calabria, precocissimo, i cui frutti sono
molto grossi, ma non troppo delicati. Migliore è Varando di Messina
che viene spedito in Germania. Varando di Palermo è apprezzato per
la bellezza e bontà, ed anche perchè tardivo.
In Inghilterra sono specialmente conosciuti gli aranci di Valenza.
molto dolci e grossi che maturano più tardi dell'arancio di Portogallo,
(Ili aranci delle Azorre sono piccoli o medi, con buccia sottile e polpa
mollo succosa. Anche questi sono apprezzati in Inghilterra.
Gli aranci della Tunisia, Algeria, Egitto ed Asia Minore, sono gene-
ralmente più piccoli dell'arancio di Nizza, ma molto più stimati per il
loro succo dolce ed aggradevolissinio.
- 863 -
Le varietà del Brasile, dell'Isola Taiti e della Malesia sono pure
rinomale. In China e (iiappone non si hanno varietà meritevoli di spe-
ciale menzione.
Gli aranci di Ja/fa sono fra i più grossi che si conoscono sono
senza semi e vennero specialmente importati in California.
Arancio forte o Melangolo (fìg. 641) (Citrus Bigaradia Risso). —
Nomi volgari italiani del frutto — Melangolo, Cedrangolo, Arancia forte
Fig. Wl. - Melangolo.
(il frutto), Arancio agro, Arancio amaro, Citrangolo. Nome volgare stra-
niero del frutto — Ingl. : Common Seville.
I melangoli di solito sono più piccoli degli aranci. Il fogliame è più
fìtto, i piccioli hanno l'ala più larga; i fiori sono più grandi ed odorosi.
11 frutto assomiglia all'arancio, con buccia più scabra e più rossastra
a maturazione e la polpa contiene un succo acido tendente all'amaro.
Albero di media altezza , ma vigoroso. I rami sono spinosi ed
hanno un legno compatto e duro. Le radici sono ramose, poco allungate
molto abbondanti di barbe, di color giallo all'esterno ed interno.
Foglie larghe, acuminate, di colore verde- cupo, col picciolo larga-
mente alato.
Fiori bianchi, grandi, disposti a mazzetto, odorosissimi.
Frutto di color giallo- rossastro, di media grandezza e rotondo,
con buccia grossa, cotonosa, non aderente alla polpa, la quale è acida
— 864 -
ed amara, impossibile a mangiarsi. E' divisa in 12-11 spicchi. Diametro
di ()0 a SO millimetri.
Il melangolo è il più robusto albero del suo genere, ed è più or-
namentale dell'arancio dolce. Resiste meglio delle altre specie ai freddi
e nei paesi del nord, viene coltivato in vaso appunto per ornamento.
I fiori hanno un odore più soave di quelli dell'arancio dolce, e si
adoperano per preparare l'acqua di fiori d'arancio. Si raccolgono i
fiori a mano quando la rugiada è scomparsa. Un melangolo di 20 a 30
amii può (lare da 15 a 20 kg. di fiori che si pagano da L, 0.50 a L. 1
il kg. Da 100 kg. di fiori si ricavano 40 kg. d'acqua distillata di fiori
oppure 100 grammi di essenza.
Dalla buccia del frutto si ha la più pregiata essenza che si possa
ottenere dagli agrumi e coi frutti si possono fare delle confetture, hi
tutto il Levante, colle arancie amare si preparano le limonate.
II melangolo è apprezzato in agricoltura perchè i suoi semi danno
dei forti piantoni da porta-innesto dei diversi agrumi.
Le varietà preferite per la coltivazione sono :
a) Melani/olo a frutto cornuto (lìitrns Bigaradia corniculata Risso).
Il fusto è diritto con scorza liscia e grigia che termina con una
chioma ampia, fronzuta, coperta di foglie grandi, ovali, lanceolate, leg-
germente dentale, di un bel color verde-cupo, portate da un picciolo
munito di ali cordi formi.
Fiori grandi, numerosi, sovente disposti a due a due assilari e termi-
nali. I petali sono bianchissimi, oblunghi, consistenti, odorosi; slami
corti ; lo stilo molte volle diflbrme, qualche volta suddiviso, portante
ciascuna ramificazione una parte dello stimma.
Questa varietà dà frutti dopo 6 anni dall'impianto. I fruiti sono
rotondi, più larghi alla sommità che alla base, muniti lateralmente
d'appendici in forma di corna di diversa grandezza e spessore; la buc-
cia è rugosa, consistente, di color giallo tendente al rossastro, talvolta
spugnosa. La polpa è divisa in più spicchi ineguali di numero vario.
Diametro longitudinale del frutto mm. 55-70; diametro trasversale
75-86; spessore della buccia 8-12.
Questo albero arriva all'altezza di 6 metri e lo si coltiva in parti-
colar modo per i suoi fiori che servono a preparare delle pomate ed
a fabbricare degli olii essenziali e delle eccellenti acque di melangolo.
b) Melangolo di Spagna {CU ras Bigaradia H ispanica).
Questo melangolo si riconosce per il suo fogliame ampio, cresputo
ed abbondante e perchè ha la proprietà di fiorire più volle in un anno
in modo che oflre in ogni stagione bell'aspetto, perchè la pianta porla
contemporaneamente dei fiori in lutti i loro stadii di sviluppo, dei
frutti verdi e dei bei frutti giallo-aranciati.
Fusto mollo allo, liscio, di color grigio-scuro, con rami corti, verdi,
angolosi sulle giovani gettate.
Foglie grandissime, ovali, oblunghe; arcuate indietro, increspate,
di color verde -chiaro, portate da un lungo picciolo, munito di ali larghe.
- 865 —
Fiori grandi con peduncolo cerio, ordinariamente riuniti da 2 a 4
sul medesimo punto; lianno il calice piccolo a ó denti allungali; i pe-
tali sono oblunghi di un bel color bianco, esalano un odore che ricorda
quello del gelsomino -, gli stami in numero di una trentina hanno la
lunghezza del pistillo.
Frutto grosso, rotondo, depresso alle due estremità, di color giallo
leggermente rossastro ; buccia grossa e spumosa, aderente alla polpa
che è di color giallo-scuro, divisa in 8 o 10 spicchi tondeggianti e
contenenti una piccolissima quantità di succo dolciastro. I semi sono
oblunghi, piccolissimi e per lo più abortiti.
Diametro longitudinale del frutto mm. 7G-8Ì-, diametro trasversale
mm. 96-106 ; spessore della buccia mm. 12-16.
Questo melangolo viene coltivalo più che altro per la rioritura
prolungata, e per l'ampiezza e singolarità del suo fogliame.
e) Melangolo fiammalo (Cilvus bigaradia fasciata).
Albero attraente per le numerose variazioni che presenta colla
grandezza ed il colore delle foglie, colla forma, colore e grossezza dei
frutti che si modificano all'infinito. Il suo fusto è di media grandezza,
con rami numei'osi, glabri, rotondi, qualche volta vellutati in bianco o
in verde, specialmente le giovani gettale.
Le foglie variano estremamente di forma e di grandezza; le più
grandi sono ordinariamente oblunghe, acute, tutte verdi — le altre
sono screziate di giallo o verde.
Frulli rotondi, un poco oblunghi, qualche volta depressi all'estre-
mila dove spesso si rimarca una piccola aureola a forma di stella;
buccia liscia, di color giallo-pallido, marcata da strisele longitudinali
prima verdi e poi rosso-aranciate. La polpa è giallo-scura, divisa in 7
od <S spicchi che contengono un succo abbastanza acido, ma insipido
alla nìaturazione.
Diametro longitudinale del frutto mm. 56-62; diametro trasvei'sale
mm. 65-70; spessore della buccia mm. 5-7.
Chinotto (Gitrus sinense Wild) (fjg, 642). — Nome volgare ilaliano
del frullo — Melangolo della China. Nome volgare slraniero del frullo
— Frane. : Bigaradier Chinois.
L'albero non arriva i due metri d'altezza, ed è molto elegante
d'aspetto per la sua fronda ed i fiori. Da questi ultimi si ricava una
essenza deliziosa e coi frutti si fanno delle confetture.
Fusto scabro, rami diritti, avvicinati di colore verde-pallido.
Foglie fitte, piccole, leggermente dentate, di color verde-brillante,
picciolo corto poco o punto alato.
I fiori formano dei tirsi all'estremità dei rami, bianchi, soavissimi,
con calice corto, petali oblunghi; stami da 25 a 30, poco aderenti fra loro.
Fruiti piccoli, rotondi, appiattiti alla base leggermente allargati
all'estremità, della grossezza di una prugna mirabella e con buccia
grossa, spugnosa, poco aderente alla polpa. La polpa è gialla, acida,
amara, divisa in 8 o 10 spicchi. Semi piccoli od alfatto abortiti.
55 — Tamaro - FrutlicoUnra.
— 8G6 —
Diametro longitudinale mra. 24-30; diametro trasversale mm. 30-36.
Si coltiva in vaso e resiste abbastanza ai freddi ; è però molto
soggetto alla lumaggine. Nelle provincie meridionali e nella Liguria è
coltivato in piena terra. I frutti si raccolgono a metà agosto, si vendono
verdi e sbucciati, e servono per preparare confetture Non sono com-
mestibili direttamente. Si riproduce per seme.
Si distinguono due varietà :
a) A fot) He di mirto con rami corti, fìtti, diritti. Foglie fìtte,
appuntite all'estremità, rotonde alla base, di colore verde carico, lu-
i,Fig. 642. — Chinotto.
cente, un poco piegate a gronda. Picciolo corto, nudo o leggermente
alato (fig. 642).
Fiori piccoli, odorosi, bianchissimi, formanti dei mazzetti all'estre-
mità dei rami.
Frutti rotondi, lunghi tnm. 20-40, larghi mm. 25-50; di color giallo-
rossastro, lucenti ; polpa gialla divisa in 6 od 8 spicchi, contenenti un
succo leggermente acido.
E' un albero grazioso, coltivalo tanto in piena terra che in vaso
per ornamento dei giardini e delle abitazioni.
- 867 -
Si coltiva specialmente nel circondaiio di Savona per fare i chi-
nolli candili od al siroppo.
b) A foglie di salice si distingue dalla precedente per la forma
delle foglie e per avere i rami più slanciati.
Mandarino (Citrus deliciosa Ten.) (fig. 643). — Nomi volgari slra-
nieri del frullo — Frane: Mandarin — Inglese: Mandarin orange.
Fig. C4,3. — Mandarino.
Comparandolo all'arancio, il mandarino è un arboscello. Alto da
2 a 3 metri, ha le foglie più piccole, più lanceolate, di color verde meno
carico dell'arancio e di un odore forte, speciale.
I fiori sono più piccoli di quelli dell'arancio e bianchissimi.
I frutti piccoli, arrotondati, globulosi, appiattiti, della grossezza
d'una mela Api. La buccia è rosso-ranciata, sottile, che si distacca
facilmente dalla polpa, la quale è rossastra, zuccherina, profumata ed
aggradevole.
- 868 -
Maturazione in gennaio.
Il mandarino, introdotto a S. Renio nel 1848, si estese notevolmente
in Liguria rimpiazzando l'arancio, la cui coltivazione è meno conve-
niente per la concorrenza degli aranci di Spagna, di Malta, ecc.
Oltre che in Liguria, il mandarino è molto esteso e matura molto
bene in Sicilia, in Sardegna e Corsica, anzi i mandarini di queste due
ultime isole sono molto pregiati per profumo e dolcezza.
Il mandarino è più rustico e più pioduttivo dell'arancio comune ;
pr^oduce anche prima, ma è meno longevo.
Si innesta sul franco di mandarino, oppure sul melangolo per
avere delle piante più vigorose. Se innestato sull'arancio franco si
hanno frutte più saporite, se sul limone o sul cedro si ha abbondante
frutti lìcazione e le piante acquistano in precocità.
Si alleva a mezzo vento collocando le piante a 4-5 m. di distanza.
Solfre molto per la cocciniglia e per gli afidi avendo la fronda fitta
e perciò il diradamento dei rami bisogna farlo più di sovente che
sull'arancio.
Il mandarino rende di più dell'arancio, perchè dà fruttificazione
più abbondante.
Matura dal 15 dicembre al 15 marzo. I frutti si conservano poco
sull'albero, e la raccolta, per le spedizioni lontane, bisogna anticiparla
e cioè appena si ha ottenuto la colorazione della buccia.
La spedizione si fa in piccole casse di 2 a 5 kg. e l'imballaggio
deve essere accurato.
Il mandarino non si conserva come l'arancio.
Le varietà di mandarino sono molto poche. Secondo la località
si hanno dei frutti di diversa grandezza, ma questo è un carattere
acquisito per l'influenza del clima, del terreno e dell'andamento delle
stagioni e non è un carattere di varietà.
In America si sono ottenute delle varietà a frutto grossissimo, come
sarebbe quella denominata Re del Siam. Si potrebbe cercare di intro-
durla per esperimento in Liguria.
Nella Provenza si troverebbero qua e là delle piante che producono
dei frutti senza semi. Anche questa è una varietà non bene delìnila.
Pompelmo (Gitrus pompelmo Risso). — Nomi volgari slranieri del
fruito — h'ranc. : Pompoléon — Inglese : Shaddoc.
E' coltivato a Giammaica, nella Gocincina, nelle isole Mollusche,
nell'India, nel Brasile, in Algeria, ed ora in Italia lo si coltiva nelle
Provincie meridionali per la sorprendente grossezza dei frutti.
Albero di taglia media, meno rustico dell'arancio, con rami lunghi,
senza spine, formanti un angolo acuto col fusto e coi germogli, appena
sviluppati, leggermente tomentosi.
h'oglie grandissime, ovali, oblunghe, acute, grosse; picciolo alato.
Fiori grandi bianchi con petali grossi.
I frutti sorprendenti, hanno la grandezza di un melone (diametro
di 2U a 30 centimetri), arrotondati o piriformi, di color giallo-pallido
869
con buccia liscia avente le vescicole piane o convesse; polpa verdastra,
spugnosa, con poco succo acquoso poco zuccherino, anzi amaro.
I pompelmi sono generalmente poco noti. L'albero si alleva per
abbellimento e per la curiosità del frutto. Il frutto non è commestibile
direttamente, ma serve a preparare confetture.
Le varietà principali sono :
a) Citriis pompelmiis decumaniis, Risso. Pompelmo maggiore.
Piccolo alberetto con foglie ovate, molto più larghe alla base che
all'apice, il quale è ottuso; talvolta le foglie sono crespe ed irregolari
per mostruosità; picciolo molto alato. Frutto massimo.
b) C. P. campaiiiformis (Pompelmo campaniforme). Si distingue
pel frutto quasi piriforme ristretto alla base. Polpa verdastra.
e) C. P. mammosa. Si riconosce dal largo capezzolo all'apice,
circondato da un solco.
(/) C. P. Clutdeck. E' una sottovarietà del campaniforme e dilferisce
soltanto pel frutto più corto. Ha polpa verdastra, acidula, abbastanza
grata a mangiare.
In Europa ed anche nel Nord Africa,
il frutto non raggiunge quella perfezione
a cui arriva nell'India, dove ha un sapore
dolce acidulo gradevole.
Si niolliplica per talea o per innesto
sul melangolo.
Bei'gamotto (Citrus bergamina Risso)
(figura 644). — Nome volgare italiano
del frullo — Bergamotta. Nome volgare
slraniero del frutto — Frane. : Berga-
mottier.
Da molti botanici questa specie è
stata ritenuta per un ibrido dell'arancio
col limone, avendo difatti le foglie ed i
fiori che rassomigliano a quelli del primo
ed il frutto che si avvicina per il sapore
acido a quello del limone. Il bergamotto
è però più rustico del limone, ma meno
dell'arancio. Viene coltivato nelle regioni
ed esposizioni migliori pegli agrumi. In
Italia, la Calabria ha il primato ove si coltiva per l'essenza ; nell'India
i bergamotti sostituiscono il limone.
E' un piccolo alberetto, che porta frutti senza semi (o quasi senza)
per cui non si moltiplica che per innesto.
I rami sono senza spine o molto piccoli ; le foglie oblunghe, acute
od ottuse, aventi un picciolo alato o semplicemente marginato; fiori
piccoli, bianchi, di odore soavissimo. I frutti sono piriformi o depressi,
lisci o torniti, di colore giallo-paglia, con vescichette concave conte-
nenti un olio essenziale. Polpa leggermente acida con un aroma aggra-
devolissimo.
Fig. 644. — Bergamotto.
- 870 -
I fruiti non sono commestibili per il sapore troppo acido. Si rac-
colgono prima della maturazione per confettarli. La loro buccia dà
l'essenza di bergamotto.
Le varietà coltivate sono :
a) Citrus Bergamina viilgaris, Risso. Bergamotto comune. E' il
tipo della specie.
Alberetto piccolo, alto 2-3 metri, con ramificazione irregolarissima
e divaricata. Rami armati di spine e inermi ; foglie bislunghe acute od
ottuse; fiori bianchi, piccoli, soavissimi; frutto di media grandezza,
all'apice depresso ed in cima acuminato con assai corto acumine; alla
base attenuato in assai corto peduncolo, e perciò alquanto piriforme;
diametro longitudinale massimo mm. 75 e trasversale mm. 70. Buccia
liscia, di color giallo pallido ; vescichette concave, pregne d'olio es-
senziale proprio, odorosissimo e soavissimo (essenza di Bergamotto) ;
polpa poco acida e profumata di soavissimo odore.
h) Il inelorosa o melarosa verace. fCitriis Bergamina var. melarosa
.Risso).
Fusto diritto con rami grossi e rotondi, di color verde giallastro
i più giovani.
Foglie ovali-allungate, molto ottuse, leggermente ondulate e piegate
a gronda, dentate, di color verde pallido sulla pagina superiore, spes-
sore notevole. Picciolo corto, articolato ed appena alato.
Fiori a mazzetto all'estremità dei rami; i terminali sono per lo più
sterili ; calice corto con 4 a 5 denti ; corolla bianca, piccola, di un
odore soave ; qualche stame talvolta si trasforma in petalo.
Frutti medi, rotondi, depressi, divisi a setti longitudinali cor-
rispondenti a 12 o 15 spicchi. Buccia consistente, abbastanza sottile,
molto aderente alla polpa di color grigio-giallastro contenente un succo
leggermente acido ed aromatico. Semi grossi ed abbastanza numerosi.
Diametio longitudinale mm. 40-60; trasversale mm. 56-70.
L'albero arriva appena a 3 metri d'altezza ed è molto ornamentale.
Si chiama melarosa perchè l'essenza che si ricava dai frutti emana
un odore soave di rosa.
e) Citrus Sijriacum. Albero di media grandezza, più rustico del
limone.
Foglie grandi di color verde cupo.
Fiori simili a quelli del limone, ma i frutti sono più grossi, globu-
lari, depressi, gialli, a buccia più sottile.
I frulli si confettano quando sono ancora verdi. A maturazione
completa non riescono.
E' una varietà di bergamotto a frutti voluminosi.
Si riproduce per talea o per seme e si innesta anche sul me-
l:111'ToIo.
Limetta (Gilrus limetta Risso). — Nomi volgari stranieri del frullo
— Frane: Limeltier — Ing.: Swel Lime or Lemon Bergamotte.
Ma il portamento e le foglie del limone, con rami ascendentali.
- 871 -
Fiori bianchi, piccoli, con un odore piacevole e particolare, ma
poco profumati.
Frutti più o meno grossi secondo la varietà, di forma poco diversa
da quella del limone, di color giallo-pallido, ovali od arrotondati, prov-
visti di un capezzolo cinto più o meno da un solco. Hanno un profumo
delicatissimo. Le vescicole dell'olio essenziale sulla corteccia sono
concave. La polpa è dolce, un poco acida ma profumata ed aljbastanza
piacevole.
Questa specie, da molti ritenuta per un ibrido dell'arancio col
limone, è anche chiamata arancio dolce. Nel Brasile è comunissima ed
i frutti si mangiano allo stato naturale o confettati.
In Italia abbiamo coltivate le seguenti varietà :
a) Limetla ordinaria (Citrus Limetta viilgaris) chiamata anche dai
Napoletani e Calabresi, Linwncello di Spagna.
11 frutto è piccolo, sferico, all'apice depresso, portante un capez-
zolo ottuso e cinto alla sua base da un solco profondo, che rende il
frutto assai riconoscibile. E' di colore giallo-verdino; la polpa è dolce,
poco sapida, ma deliziosissima pel suo profumo particolare.
Si moltiplica per seme, per talea e per innesto.
b) Limetta acida (C. L. acida) o Limone a frutto acre.
Si distingue dalla precedente per la sua polpa acida.
La coltivazione è molto limitata e più che altro la si fa per il pro-
fumo dei suoi frutti. Si coltiva come il limone.
Lumia (Citrus lumia Risso). — Anche questa specie ha forme in-
termedie fra il limone e l'arancio e viene considerata come un ibrido.
Ha difatti il fusto, rami e foglie quasi identici a quelli del limone ;
i fiori di fuori rossi ; i frutti per la forma, per la corteccia e per il
colore sono identici a quelli del limone però sono più grossi, ma la
polpa è dolce anziché acida.
I frutti da noi non sono commestibili come ai tropici.
Differisce dalla limetta soltanto per i fiori rossi al di fuori.
Le varietà più coltivate in Italia sono le seguenti :
a) Lumia arancio (Citrus Lumia aarantiaca).
In Calabria chiamato Limone-portogallo. Ha foglie ovato-bislunghe.
acute, dentate; frutti oblunghi, all'apice mammellati; corteccia alquanto
sottile ; polpa gialla rosseggiante, dolce.
Si distingue pel frutto che esternamente ha l'aspetto d'arancio
dolce e dentro ha la polpa acida.
Si coltiva a Reggio Calabria.
h) Lumia pera del Commendatore (C. lumia pijriformis).
II Risso fa la seguente descrizione :
Foglie ovali terminate a punta accorciata, con leggerissima denta-
tura, portate da un picciolo alato come nell'arancio.
F"iori violetti esternamente, molto grandi con 30 a 36 stami. Ovario
verde, allungato, sormontato da uno stilo violetto.
Frutto grosso, piriforme, liscio di color verde-pallido con polpa
— cS72 -
bianca molto grossa, simile a quella dell'arancio non maturo. Granelle
abbastanza numerose, corte, aggrinzile, rossastre dalla parie della calaza.
Si coltiva poco e si riproduce per talea o si innesta sul melangolo.
Limone (Cilrus Limonum Risso) (fìg. (345-646). — Nomi volgari slra-
iiieri del frnllo — Frane: Limonier — Ted.: Citronenbaum.
Fig. 645. — Pianta di limone.
luslo arborescente, dà legno tenero, con rami pieghevoli, allun-
gati, pendenti, llessibili, talvolta spinosi.
Foglie di color verde più chiaro di quello delle foglie degli aranci ;
ovali od oblunghe, la maggior parte dentate; picciolo nudo, semicilindrico.
(ieiinogli di color rosso-violaceo.
Fiori medi, più piccoli di quello dell'arancio, con sfumatura rosea
— 873 —
al disotto, bianchi di dentro, cinque petali, slami poliadelfi e talvolta
liberi ; ovario prima verde, poi rosso, infine verdastro, sormontato da
uno stilo cilindrico (lìg. (i4fi).
Frutto ovoidale appuntito da ambe le estremità, colla buccia giallo-
verdina (color limone) o giallo chiaro, liscia, rugosa o solcata, termi-
nante in una sporgenza mammelliforme più o meno lunga. Buccia ordi-
nariamente sottile coriacea colle viscichette d'olio essenziale concave.
Ramo fruttifero di limone.
Polpa abbondante, contenente un succo acido, aromatico, gratissimo.
Seme più piccolo che negli altri agrumi e coperto da una membrana
giallastra.
La pianta vive circa 70 anni. Cresce rapidamente fino a 20 anni.
Sono molte le varietà di limoni, poiché si moltiplica per semi. Di
ibridi ve ne sono parecchi.
Risso e Poiteau nella classica loro opera Hisloire natiirelle des
orangers descrivono una cinquantina di varietà di limoni illustrandoli
contemporaneamente.
— 874 -
Le varietà principali che meritano d'essere citate sono le seguenti:
a) Limone selvatico. È il tipo delia specie i di cui frutti, quantunque
piccoli (6 a 7 centimetri) sono molto apprezzati per la loro bontà. È
poco coltivato causa le molte spine che portano i suoi rami.
h) Limone incomparabile. Chiamato così dal Ferrari per la beltà
e qualità del frutto.
Fusto di media grandezza, rami divaricati ed i germogli rossastri.
e) Limone di Calabria. Chiamato cosi perchè pare che in questa
regione lo si coltivi da più lungo tempo. Fusto poco elevato, rami pic-
coli, confusi, divergenti e muniti di piccole spine.
Foglie medie, ovali arrotondate, di un bel color verde, dentate.
Peduncolo leggermente alato.
I fiori si trovano per lo più all'estremità dei rami ed espandono
un leggero odore di mughetto. Portano 5 o 6 petali, stretti, oblunghi,
appuntiti.
Frutti piccoli, ovoidali, quasi arrotondati, glabri, consistenti, pesanti,
di color giallo pallido e di un odore aggradevolissimo. La buccia ab-
bastanza sottile, aderisce alla polpa che è divisa in 8 o 10 logge, conte-
nente un succo acido.
Questa varietà è affine al limone piccolo, soltanto la pianta è più alta,
il frutto più grosso. Lunghezza 4-5 centimetri.
d) Limone piccolo. E' si può dire, la pianta nana della specie dei
limoni e lo si coltiva per curiosità. I frutti sono piccolissimi, lunghi
da 3 a 4 centimetri, quasi rotondi, di color giallo-verdastro, con un
succo acido molto piacevole.
Viene coltivato per ornamento.
e) Limone Bignetta. E' la varietà più apprezzata in commercio
perchè sopporta i trasporti; i frutti sono molto succosi e la ])ianta è
assai produttiva.
Scorza dell'albero liscia, rami corti ed i giovani rami hanno una
sfumatura rosea.
Foglie ovali, oblunghe, appuntite, dentate di un bel color verde,
portato da un picciolo non alato.
Fiori sovente disposti a corimbo, con sfumature rosee al di sotto,
con 5 a 6 petali.
Frutti ovoidali, o rotondi lunghi 6-7 centimetri, abbastanza lisci,
giallo-verdastri, terminati da una sporgenza mammelliforme ottusa,
corta. Buccia sottile, aderente alla polpa, la quale è divisa in 10-22
logge, contenenti molto succo.
Si presta molto anche per la coltivazione in vaso.
/) Limone Ponzino. Ha il fusto alto, vigoroso, con molti rami spi-
nosi e coi germogli rosso-porpora.
Foglie ovali, terminanti a punta accorciata, dentata, un poco crespata,
di color verde-gaio, con grosso picciolo.
I fiori, talvolta riuniti a mazzetto all'estremità dei rami, rosei al
di sotto, hanno fino a 6 petali.
— 875 —
Frutto grosso, obovale, lungo cm. 11 a 13 e largo 8 a 9, niainmel-
lonato all'estremità, striato da un lato. Buccia di color giallo, grossa,
compatta, poco aderente alla polpa che contiene un succo poco acido,
ma abbondante.
Di solito il frutto non porta semi.
g) Limone ordinario. Fusto slanciato con scorza liscia, grigia con
rami lunghi e corti.
Foglie grandi, ovali, oblunghe, appuntite alle due estremità, dentate
irregolarmente, portate da lunghi piccioli.
Fiori grandi, violacei al di fuori con 25 a 30 stami.
Frutti medi, lunghi cm. 8-9 e larghi cm. 5, ovali-oblunghi-lisci, di
color giallo-pallido, terminati da una sporgenza mammelliforme acuta.
Buccia sottile, molto aderente alla polpa che è giallo-grigia, e contiene
un succo acido, abbondantissimo.
I semi sono oblunghi, più o meno perfetti.
I frutti di questa varietà nella prima fioritura sono più allungati
di quelli 'della seconda e terza.
E' la varietà più coltivata in piena terra per il commercio.
h) Limone, a grappoli. Si distingue perchè i frutti a grappoli rag-
giungono tutti la completa maturazione.
Fusto con corteccia grigio-scura; rami molto numerosi, divergenti,
muniti di qualche spina cortissima.
Foglie ovali, corte, di color verde-gaio.
Fiori grandi, riuniti a mazzetto, porporini al di sotto.
Frutti medi, lunghi cm. 9-12, larghi cm. 6-7 riuniti in gran numero
sul medesimo grappolo od aventi ciascuno un peduncolo particolare.
Forma ovale, allungata, panciuti, leggermente rugosi, terminati da una
appendice mammelliforme all'estremità, molto allungata e curva. Buccia
sottile, polpa di color grigio, giallastro, divisa in 8-10 logge, contenenti
un succo abbondante, acidissimo.
Tutti i semi ordinariamente abortiscono.
Varietà molto produttiva.
i) Limone d'Amalfi. Fusto alto con scorza cenere ; rami numerosi,
fragili ed armati di lunghe spine.
Foglie oblunghe, appuntite, un poco ondulate ai lembi, leggermente
dentate, di color verde-pallido, con picciolo lungo, giallastro.
Fiori leggermente porporini al disotto, ordinariamente riuniti a
grappoli, calice tubercoloso, corolla composta di 5 a 10 petali ineguali.
Frutto grosso, oblungo, molto appuntito ed avente verso l'estremità
un capezzolo molto sporgente ed acuto. Buccia di spessore medio, te-
nera, di color giallo-pallido, aderente alla polpa che contiene molto
succo acido. Di rado si trovano dei semi.
Dimensioni del frutto: lung. cm. 10-16; largh. cm. 4-8.
l) Limone di Messina. Frutti ovoidali, rugosi, spesso tubercolati,
i quali portano all'apice una mammella conica, e nella base un mam-
mellone ottuso. Membrane delle logge forti e spesse, le cellule contengono
— 876 -
mollo succo acido. Buccia grossa e compalla, giallo-chiara. Resisle
ai lunghi Irasporti.
Il limone è dilVuso lungo tutla la costa del Mediterraneo, è meno
esigente dell'arancio per il terreno però più delicato per le intemperie.
Nelle buone condizioni è molto fruttifero e la maturazione dei
frulli è progressiva quasi continua per tutto l'anno. Difatti, la fioritura
è pressoché continua.
I limoni che si hanno in Liguria si distinguono specialmente per
il loro profumo, mentre sono più abbondanti di succo, i limoni della
Sicilia.
II limone non è tanto esigente per il clima, ma gli è quasi neces-
saria la irrigazione durante tutto l'estate.
Si innesta sul limone franco e sul melangolo.
Secondo la natura del terreno e l'esposizione, si alleva a spalliera
contro i muri oppure a mezzo vento, alla distanza di 3-4 metri. Occorre
un diradamento annuale dei rami facendo degli speroni, poiché dalla
estremità dei germogli che nascono nell'annata, si sviluppa nella sta-
gione successiva l'infiorescenza.
Cedro (Citrus medica L.) (fig. 647). — Nomi volgari sUanierì del
fruito — Frane. : Cedratier — Ingl. : Gitron or cedrai.
Differisce dal limone pei rami più corti e rotondi ; per le foglie più
strette, i frutti [)iù grossi e verrucosi a buccia più tenera e con la polpa
meno acida.
Non si eleva ad albero, né si può conservare a spalliera perchè ha
rami brevi, rigidi, inermi o spinosi.
Foglie verdi chiare, bislunghe, almeno tre volte più lunghe che
larghe, coriacee e dentate. Picciolo nudo, rigonfio.
Fiori esternamente violacei. Stami 30-40.
Frutto grosso, oblungo, tubercoloso-rugoso, di fuori di color giallo-
chiaro. Sarcocarpo abbondante, bianco, dolciastro, mangiabile, aderente
alla polpa, che è acida, biancastra e poca o quasi nulla, relativamente
alla massa.
I semi sono coperti da una membrana rossastra con mandorla bianca.
Del cedro, col tempo si sono formate delle varietà, ma poche in
confronto alle altre specie di agrumi. Le principali sono le seguenti :
a) Cedro ordinario. Radice grossa, ramosa, gialla alla sezione.
Fusto diritto di color grigio-biancastro, con dei rami rari, divisi,
muniti di lunghe spine. Germogli angolari e rosso-violacei.
Foglie oblunghe, di grato odore, quasi egualmente larghe agli estremi
e nel mezzo, grosse, di color verde-carico, qualche volta arrotondate
alla base; più o meno dentate; picciolo corto, non alato.
Fiori con 5 petali rossi o violacei di fuori come quelli del limone.
Pistillo spesso abortito.
ImuIIo di varia grandezza; nello sviluppo è di color rosso -porpora;
poi inverdisce ed a maturazione acquista un bel colore giallo-zafferano,
lucido. Forma oblunga, più gonfia all'estremità che alla base, e termi-
nante a capezzolo allungalo. Buccia tubercolata, aromaticissima ; sar-
cocarpo grosso, dolciastro, aderente alla polpa biancastra, acida.
Semi numerosi, appuntiti, arcuati, rigonfi all'estremità.
Si moltiplica per talea e per innesto sul melangolo.
II frutto si manda nei paesi orientali per uso degli Ebrei, per cele-
brare la loro Pasqua nel mese di agosto. Se ne coltiva a Reggio-Ca-
labria ed in Sardegna in gran quantità.
E' molto coltivato in Italia, dove è possibile la coltivazione degli
agrumi ed è apprezzato anche per ornamento essendo una pianta sempre
Fig. 647. - Cedro.
bella, in continua vegetazione e che porla sempre simultaneamente e
fiori e frutti.
b) Cedro ciiciirbitalo. Con foglie quasi crespe, frutti grandi a fog-
gia di zucca, donde il suo nome. Si può ritenere per una subvarietà
della pi-ecedente.
e) Cedro di Salò. Albero medio, con rami diffusi e muniti di spine.
Foglie oblunghe, spesse, dentate, di un bel color verde, con piccioli
corti, non alati.
Fiori porporini, abbastanza grandi.
Frutti di media grandezza, lungh. 8-10; largh. 6—5-9, ovali un poco
a trottola, con all'estremità un grosso capezzolo lungo da un terzo ad
un quarto del frutto. Buccia abbastanza consistente, bianca e saporita,
polpa secca, leggermente acida e divisa in 8 a 10 logge.
Semi numerosi, grossi, oblunghi.
Pianta abbastanza resistente ai freddi.
d) Cedro di Firenze. E' molto ricercato per la bella forma, per la
sua fertilità, per i fiori molto profumati e per i frutti eccellenti.
Fusto poco elevato, grigio, con rami diritti, spinosi.
- 878 —
l'oglie ovali, denlale, di color verde-pallido, con picciolo non alato.
l'iori porporini all'esterno, riuniti a mazzetto all'estremità dei rami,
in parte sterili.
Fruito giallo-dorato, lucente, lungo N-10 cm. e largo 6, 5-8 cm. Si
distingue dagli altri cedrati per la piccolezza e per la forma del frutto
che è più larga alla base che all'apice, dove termina in punta. Sarco-
carpo piacevole ; polpa verdastra, leggermente acida, divisa in 8-10 logge.
I semi ordinariamente abortiscono.
e) Cedrino di Reggio. Si distingue dal cedro di Salò per la forma
del fruito che é gibboso da un lato. Uippiù ha polpa acida e piacevole.
Fornisce una essenza delicata e pare provenga da Salò. Si coltiva nelle
nostre riviere.
II frutto non è commestibile direttamente, ma serve specialmente
per preparare confetture.
In Italia, i più bei cedri si hanno dalla Sardegna e dalla Calabria.
Richiede buonissima esposizione e clima caldo. Nei terreni compatti
e freddi, va soggetto facilmente al marciume delle radici.
Si moltiplica facilmente per talea. Non vi ha interesse di inneslarlo
sul melangolo.
Arancio trifogliato (Citrus triptera L.). — Frane: Oranger à trois ailes.
Originario della China. Forma un albero cespuglioso di m. 1,50 a 2,
molto frequente nei giardini dell'alia Italia; è rusticissimo e spinoso.
Foglie sino a tre, lunghe, molto dure e caduche.
Fiori grandi, rosacei e bianchi, che danno dei frutti sferici e glo-
bulosi, cosloluli, giallo-pallidi, non aventi alcun valore alimentare. Ema-
nano un odore non molto gradito.
Questo albero si può utilizzare per fare delle siepi insormontabili
ed impermeabili. Tollera bene il taglio. Le lunghe spine sono molto
dure. E un eccellente porla innesto per tutti gli agrumi.
Sopporta bene il freddo della Lombardia.
Clima per gli agrumi.
Gli agrumi richiedono un clima costantemente caldo, umido, alti-
tudine moderala e situazione difesa dai venti. Vegetano bene nella zona
torrida e sotto 1' equatore, quando trovano nell'aria e nel terreno l'umi-
dità che a loro è necessaria.
Per il nostro emisfero, la zona degli agrumi è circoscritta fra il
35° ed il 42° di latitudine; essa quindi comprende oltre la Sicilia e
Sardegna, tutta l'Italia meridionale e parte della centrale. In Europa si
coltivano lungo tutta la riviera del Mediterraneo ed in parte dell'Allan-
lico. In Spagna non passa i 37" di latitudine.
Sono piante delicate, le quali resistono ad una temperatura mas-
sima estiva di lU", e ad una massima invernale di -f 2» C. Alla tempe-
ratura di 3 1" C. sotto zero perdono le foglie ed a — 9» C. muoiono.
— 879 -
Di tutte la regioni italiane, la Sicilia è la più adatta per la coltivazione
degli agrumi, dove si ha una temperatura media invernale di 10 a 14" C.
Se noi vediamo prosperare gli agrumi sulle nostre riviere del Mediter-
raneo, lo si deve alla costanza di temperatura ed alla loro posizione
riparata dai venti di tramontana e ponente. Sul lago di Garda, le col-
tivazioni in piena terra, vengono riparate durante l'inverno da apposite
invetriate.
L'arancio è più resistente ai freddi del limone.
Nell'Italia meridionale, gli agrumi non oltrepassano l'altitudine di
m. 100 in Liguria arriva a m. 200 ed in Algeria e nelle isole Azzorre,
arriva a m. 600.
Terreno.
Gli agrumi richiedono un buon terreno profondo e permeabile ;
perchè le loro radici possano allungarsi, bene esposto, perchè non
soffrano per il gelo; fertile ed irrigabile per alimentare l'attività con-
tinua delle piante in tutte le stagioni, essendo piante sempre verdi. Oc-
corre che il terreno sia fresco, ma non umido perchè l'umidità ecces-
siva è causa di malattie e spesso della morte della pianta.
Nei terreni eccessivamente sabbiosi gli agrumi non fanno, cosi pure
in quelli ai'gillosi o calcari. Un terreno composto per metà di sabbia, un
terzo di argilla ed un quinto fra calcare ed Imnius, è il più conveniente.
Fra diverse specie di agrumi i bergamotti tollerano i terreni più
compatti ed argillosi; i limoni ed i cedri i terreni più sciolti.
La giacitura più conveniente è quella leggermente inclinata, dove le
acque anche dei terreni circostanti si smaltiscono con facilità. Seguono
poi la pianura con sottosuolo permeabile e dopo i terreni molto inclinati.
L'esposizione più propria è generalmente quella a mezzogiorno,
meno in alcune località della Sicilia, come nel territorio di Siracusa,
dove non essendo riparati dai venti africani, troviamo su quel versante
l'olivo, il carrubbo invece degli agrumi.
Moltiplicazione.
La moltiplicazione si può fare per seme, per talea, per margotta e
per innesto.
Le semine si fanno in piena terra, purché questa sia buona, franca
e ben preparata ed in un'epoca nella quale non si temono più i danni
del gelo. Si prendono i semi dalle frutta più belle, più mature e di
piante esenti da gommosi. Questi si collocano alla profondità di 3 cen-
timetri ed a righe distanti 20 cm. fra loro, e 6 cm sulla fila. Si coprono
con terra ed il terreno si mantiene fresco con annallìature e coperture
di stramaglia. L'epoca più opportuna per la semina è dalla fine di
marzo a tutto aprile.
- 880 -
Nelle primavere calde, i semi germinano presto — incirca dopo 15
giorni — se la temperatura si mantiene ira 15 e 16 gradi. Ogni seme
produce 3-4 piantine ma se ne mantiene una sola, la migliore. Questa
operazione si fa quando si è sicuri dell'attechimento della pianta che
rimane. Contemporaneamente si leva la stramaglìa, si raschia e si ha
cura di mantener il terreno sempre fresco con irrigazioni.
Il trapianto si fa nella primavera successiva e le piantine, alle quali
si spunta il fittone, si collocano nella piantonaia a 90 cm. di distanza,
avendo cura che abhiano luce, calore e freschezza nel terreno. Nel
secondo e terzo anno, si spuntano i germogli laterali, per lasciare solo
il prolungamento, da formare il fusto. Nel quarto anno o si trapiantano
ancora, accorciando tutte le radici, lasciandole un paio d'anni nel
nuovo vivaio, oppure si innestano se hanno la grossezza di un centimetro.
Si usa molto anche la moltipicazione per margotta a ceppala e per
mezzo di vasi, si margottano in autunno ed in primavera e sempre i
rami giovani che sorgono dal centro della pianta e fra i più fruttiferi.
Le margotte a ceppala si staccano dopo due anni dalla pianta madre.
La talea è solo usata per il limone e cedro. Si adoperano rami
belli, robusti, dì almeno due anni e con questi si fanno la talee di
50 cm. di lunghezza che si sotterrano totalmente meno tre gemme. Le
talee non devono portare spine e le foglie si levano lasciando soltanto
la base del picciolo. Le piantine che si ricavano dopo tre anni di vi-
vaio, sono però poco robuste, poco longeve e per questa ragione, la
moltii^licazione per talea non è consigliabile.
(ili agrumi si possono innestare suW Arancio amaro o melangolo
(Cilriis Bigaradia), suìV Arancio dolce (Cilrus auranlium) sul Limone
(Cilrns Limonnm). Questi diversi soggetti si ottengono per seme.
L'arancio amaro o melangolo è il soggetto più frequentemente ado-
perato : è quello che dà le piante più vigorose, di maggior sviluppo e
più longeve ed è perciò preferito dove gli agrumi si allevano ad alto
fusto. Questi soggetti resistono alla malattia della gomma.
L'arancio dolce dà soggetti robusti ed assai resistenti al freddo: la
fruttificazione del nesto avviene sollecita ed abbondante; i frutti sono
di miglior qualità di quelli innestati su melangolo. È riservato per le
forme basse.
11 limone non si adatta che per le piante di limitato sviluppo quali
sono quelle che si allevano in conca.
Anche il cedro di Corsica si adopera talvolta con vantaggio: si mol-
tiplica per talea; come pure per talea sì può moltiplicare il limone.
Nel Giappone e nella China si adoperano come soggetti il Cilrus
japonica e il C. trifogliato.
L'innesto migliore è quello a gemma dormiente, sopra soggetti di
due anni quantunque si possa usare anche quello a gemma vegetante,
e per le piante di 5-H anni, quello a spacco, a corona e cosi vìa. L'innesto
si fa wA vivaio e poi si trapiantano a dimora ì soggetti già innestati.
Uua pianta franca non arriva a fruttificare che a 10-12 anni d'età.
— 881 —
Coltivazione e Malattie.
L'iinpianfo degli agrumi a dimoi'a in piena terra, si fa di solito in
quei terreni che per alcuni anni sono stati coltivati ad orto o che
hanno avuto una accurata preparazione e concimazione. La migliore
epoca dell'impianto è dal marzo all'agosto. L'impianto si fa, lasciando
ai soggetti il pane di terra intorno alle radici.
Fig. 01<S. — Agrumeto di mandarini in Sicilia.
Per i limoni conviene tenere la distanza da metri 5 a 10; gli aranci
da metri 4 a 7 ed i mandarini da metri 4 a 5. La disposizione migliore
è quella a quinconce.
Piantato l'agrumeto (fig. 648), il terreno ha bisogno di almeno due
lavori annuali, in novembre e in marzo, per essere mondato dalle ma-
lerbe e per mantenerlo soffice; gli abbisogna poi, una concimazione
annuale, o una potatura e, nella maggior parte delle località, del-
l'acqua di irrigazione.
Per le malattie vedi pag. 500.
56 — Tamaro - FruilicoUura.
— 882 —
Irrigazione.
In generale gli agrumi hanno bisogno assoluto di irrigazione, da
praticarsi dalla fine della primavera all'autunno inoltrato. E questo, non
soltanto perchè si coltivano nei paesi caldi, ma anche essendo gli
agrumi seuìpre coperti di foglie ed in continua produzione di fiori e
frutta, devono avere una costante dose di umidità, per alimentare la
loro traspirazione.
Il prof. Aloi riferisce che negli aranceti di Paterno e Francofonte,
che si possono considerare come i migliori della Sicilia, si prodigano
ogni settimana litri 400-500 di acqua per pianta.
Come regola generale, per ogni irrigazione conviene dare a ciascuna
pianta di
aranci da litri 300 a 600
bergamotti .... „ 250 a 500
cedri „ 200 a 400
limoni „ 150 a 300
mandarini .... „ 100 a 200
Le acque di irrigazione vengono condotte di solito a mezzo di ca-
naletti, ai piedi delle piante, attorno alle quali si scava una conca.
Meglio però irrigare per imbibizione, facendo cioè entrare l'acqua in
canaletti fatti fra pianta e pianta e lasciandovi l'acqua Uno che tutto
il terreno vi è imbevuto.
L'acqua si può correggere con della orina ó colaticcio di stalla;
bisogna poi che l'acqua abbia la temperatura che si avvicini a quella
dell'aria. Nelle giornate calde la pratica ha dimostrato che è meglio
irrigare di sera ed abbondantemente, che con poco e di frequente. L'ir-
rigazione si fa di solito coll'intervallo di 8 a 15 giorni. Le piante di-
mostrano la necessità d'acqua quando, osservate al mattino, le foglie
danno accenno ad un avvizzimento.
Conciraazione.
Il prof. Aloi nel suo Manuale Hoepli sugli Agrumi, calcola che ogni
pianta di agrume esporta le seguenti quantità di materie fertilizzanti.
Anidride
NOMK
DELLA SPECIE
Azoto
Calce
Potassa
fosforica
gr.
gr-
gr.
gr.
1^ Classe
■ ■ ■ ( :
1
606,89
789,46
513,60
1.35,98
Arancio
2
423,42
742.17
386,28
102,20
3
209,77
514,44
191,98
54,62
' ' ' ì :
1
450,24
681,85
511,42
135,52
Maiiilarìno
2
289,41
533,79
325,73
90,58
3
144,99
366,43
160,81
49,06
\
1
67.5,27
895,63
523,12
134,01
Limone
] '
2
457,42
605,41
351,09
85,90
i
3
235,20
482,91
192,05
52,22
— 883 —
E ritenuto che in ogni ettaro si coltivano in media 400 piante di
'rumi, la asportazione totale sarebbe la seguente per ettaro:
NOME DELLA SPECIE
Azoto
Calce
Potassa
Anidride
fosforica
in Kg.
in Kg.
in Kg.
in Kg.
1 Classe 1
242,72
315,78
205,44
54,35
Arancio . . . . s ,2
169,30
296,86
145,51
40,88
' , 3
83,50
205,77
76,79
21,84
\ ' ^
182,49
272,74
204,.56
54,20
Mandarino , ^
115,76
213,51
130,29
36,23
' „ 3
57,96
140,57
64,32
19,61
\ ' ^
270,10
358,01
209,24
.53,60
Limone ... ,2
182,99
242,16
140,43
34,36
' , 3
91,08
193,16
76,82
20.88
Parlando della applicazione dei concimi agli agrumi, egli dice che
l'agrumicoltore può valersi di quattro metodi: o di soli concimi natu-
rali, o di soli concimi artificiali, o di concimi chimici misti allo stal-
latico, o di concimi chimici accoppiati al sovescio.
Generalmente parlando sono da preferirsi questi due ultimi metodi,
come li consiglia il prof. Olivieri, colle seguenti parole:
Prendiamo un agrumeto di un ettaro. Si dispone il terreno, in
autunno, a piccole fossette, equidistanti cni. 60, nelle quali si spargono
per ettaro 600 kg. di scorie Thomas al 18% di anidride fosforica-, e per
i terreni privi, o quasi, di calce, kg. 800 di gesso ad uso agricolo misto a
terriccio o terra crivellata, e quindi vi si semina il lupino o la favetta.
In dicembre si dispone il terreno a porche, si zappa a travi.
In febbraio, o meglio alla fioritura delle leguminose si falciano le
piante e si distribuiscono nei solchi e quindi si zappa il terreno a tra-
verso ed in piano, in modo da sotterrare le piante falciate.
In aprile o in maggio si dispone il terreno per le irrigazioni estive.
Nell'anno successivo, febbraio o marzo, si sparge attorno ad ogni
pianta di agrume, per un raggio di cni. 80, praticandovi una conca pro-
fonda cm. 10, gr. 800 di solfato ammoniaco al 21 % di azoto e gr. 800 di
cloruro potassico al 35% di potassa; coprendo il tutto con un leggiero
straterello di terra. Indi si attende il tempo opportuno per la irrigazione.
Nel terzo anno non si pratica alcuna concimazione.
Nel quarto anno si riprende la rotazione con la semina delle legu-
minose e cosi successivamente.
Dai calcoli fatti, con la concimazione minerale associata al sovescio
e con la spesa di L. 422,70 abbiamo fornito ad un'ettara di terreno:
1.0 Anidride fosforica . . . -Kg. 108,—
2.0 Ossido di potassio . . . . „ 258,80
3." Azoto minerale . . . . „ 110,80
4.0 Azoto organico delle leguminose
sovesciate „ 73,66
5.0 Materia organica . . . . „ 24555,—
— 884 -
Nella concimazione con il solo stallatico, ammettendo che ad ogni
pianta di agrume si assegnino 3 corbe di 20 chilogrammi ciascuna di
stallatico, si darebbero al terreno:
1.0 Anidride fosforica .... Kg. 90,—
2." Ossido di potassio . . . . „ 115,20
3." Azoto totale „ 127,80
4." Materia organica .. . . „ 21,60
Da questo specchietto si rivela che lo stallatico con una maggiore
spesa, dà minore quantità di materia organica e di sostanze fertilizzanti.
Per l'uso dello stallatico consociato ai concimi chimici devonsi
praticare le conche profonde.
In novembre o dicembre si distribuisce ad ogni pianta di agrume,
per un raggio di m. 1,50, praticandovi una conca profonda 25 a 30 cm.,
kg. 30 di stallatico, misto a gr. 600 di scorie Thomas ed a gr. 1200 di
gesso ad uso agricolo, se il terreno è privo o quasi di calce.
In febbraio o marzo del secondo anno, si distribuiscono attorno
ad ogni pianta di agrume, come si è detto nella concimazione col me-
todo precedente gr. 800 di solfato ammoniaco, e gr, 500 di cloruro
potassico.
Nel terzo anno non si pratica alcuna concimazione.
Nel quarto anno si riprende la rotazione.
Con questo sistema di concimazione si spendono L. 563,80 in più
della concimazione con lo stallatico e L. 114,10 in più della concima-
zione con il metodo del sovescio.
Le materie utili che si forniscono ad un ettaro di terreno, sono:
1." Anidride fosforica .... Kg. 109,80
2." Potassa „ 216,60
3.0 Azoto totale „ 164,70
4." Materia organica . . . . „ 108,—
Da questo quadro si rileva:
1." che le qualità di anidride fosforica, dell'azoto e di potassa
sono quasi eguali a quelle fornite con il solo stallatico;
2." che la materia organica è inferiore alla quantità fornita dai
due precedenti sistemi di concimazione.
La scelta dell'uno o dell'altro metodo è subordinata, secondo il
prof. Olivieri, alle condizioni locali ed alla maggiore o minore facilità
di procurare il letame da stalla.
Usandosi lo stallatico, la concimazione si deve praticare al prin-
cipio dell'inverno, per dar campo alle materie organiche in putrefa-
zione in esso contenute, di smaltirsi i)ria del sopraggiungere dei calori
estivi, ed impedire, in tal modo, lo sviluppo dei germi parassitari che
purtroppo funestano in malo modo gli agrumi.
Dal Giornale " l'Agricoltura moderna „ N. !), Anno 1912, riporto le conclusioni a cui
è venuto il Dott. !.. Calabro colle sue esperienze di concimazioni degli agrumi per la
— 885 —
produzione dei verdelli. Le conclusioni sono importanti perchè si riferiscono anche
all'applicazione della calciociananiide.
1 ■ La massima |)roduzionc dei verdelli che una pianta può dare lino ad arrivare
al massimo del 100% si ottiene in quegli appezzamenti che ricevettero una razionale con-
cimazione invernale con stallatico e concimi chimici, fatta però astrazione dal solfato
ammoniaco e dal nitrato che è bene somministrare due volte non appena finita la secca
e durante le ordinarie irrigazioni.
2." Le concimazioni invernali, siano o no complete, in confronto di quelle estive
j)ure complete od incomplete, dimostrano luminosamente come le piante destinate a
coltura forzata meglio si valgono del primo metodo che del secondo.
Questa conclusione è importantissima ed interessante più di quanto appare a prima
vista, jìoichc producendosi i verdelli sui rami giovani dell'anno stesso, è prudente met-
tere le piante nelle condizioni accennate per ottenere abbondante e rimunerativo pro-
dotto. A raggiungere felicemente lo scopo, ben si adatta il metodo della concimazione
razionale suesposto.
:i° L'azione del solfato ammonico, specialmente nei terreni sciolti, è superiore
all'azione dispiegata dal nitrato sodico, sia perchè meglio risponde ai bisogni della cul-
tura, sia perchè mentre per il primo il terreno esercita un potere assorbente, per quanto
abbondantemente irrigato, il contrario avviene per il nitrato che viene disperso dalle
acque negli stati profondi.
1.» La concimazione supplementare dei concimi chimici azotati di pronto effetto,
(piella cioè che meglio risponde allo scopo, è la concimazione con solfato ammonico
e nitrato sodico, in proporzione di 800 gr. del primo e 200 gr. del secondo e ciò perchè
essendo il nitrato direttamente assimilabile, esercita uno stimolo d'immediato effetto
che è i)oi continuato dal solfato. La calciocianamide (800 gr.) in presenza a nitrato so-
dico (200 gr). raggiunge quasi ugualmente lo scopo del solfato ammonico, accoppiato al
nitrato sodico.
,'j." l>a concimazione sola di calciocianamide confrontata con quella di nitrato
sodico e di solfato ammonico, dà risultati discreti ed esercita un'azione più duratura.
6." Facendosi la concimazione con stallatico, unitamente alla concimazione chi-
mica, come generalmente usasi nelle diverse regioni agrumarie a fine di secca, si viene
ad ottenere un esito poco felice essendo pochissima la zagara prodotta, e ciò per natu-
rale i.stiiito di conservazione e non di riproduzione. Dopo una sì lunga secca, non tro-
vando le piante gli elementi necessari a nutrire i frutticini ed a favorire 1' allegamento
di essi, pensando a provvedersi deira|)parato vegetativo e non di quello riproduttivo,
massimamente in presenza di concimi azotati di pronto effetto.
Dalle esperienze fatte è da notare anche che i verdelli prodotti da piante conci-
mate in inverno si presentano ben proporzionati in grossezza e non molto sbiaditi,
mentre che i verdelli raccolti dopo la secca, si presentano all'epoca del raccolto imma-
turi, sbiaditi e sproporzionati in grossezza, a causa d" un rapido e maggiore accresci-
mento in confronto di quelli concimati in inverno, e tutto ciò in dipendenza del fatto
di avere a disposizione molti materiali assimilabili in un periodo di massima attività
vegetativa.
Grande è dal lato economico l'importanza del colore, poiché i verdelli che più a
lungo si mantengono verdi sulle piante, sono ricercati e meglio pagati. Il colore dei
verdelli si deve essenzialmente all'azoto, il quale essendo indispensabile alla forma-
zione della clorofilla, ne conserva il verde nella foglia e nel frutto. Qualche agricoltore
conscio dell'importanza di quanto abbiamo detto, per raggiungere bene lo scopo, ado-
pera per le piante destinate a verdelli e nell'annata di massimo prodotto, una conci-
mazione supplementare primaverile di kg. 100 di nitrato sodico per ettaro ed in ragione
di 250 gr. per pianta.
Quindi possiamo concludere che nelle formule di concimazione da usarsi è neces-
saria la presenza di tutti e tre gli elementi: azoto, potassa e fosforo, e il difetto di uno di
essi e più specialmente dell'azoto, può esser causa principale della scarsa maturazione.
Infine le piante di limoni destinate a coltura forzata, debbono concimarsi nella
stagione autimno-vernina con stallatico, perfosfato minerale, solfato potassico e gesso e
questa concimazione deve essere completata con l'estiva di solfato ammonico e nitrato
sodico.
- 886 -
Questo metodo farn produrre in primavera molti germogli nuovi sui quali verrà
in estate molta zagara Hi verdelli, slimolerà le piante a produrre abbondante frutto fa-
vorirà l'allegamento di esso, ostacolerà la cascola dei frutticini ed alimenterà il frutto
invernale pendente: fattori tutti questi indispensabili per ottenere dalla coltura forzata
ottimi ed abbondanti i)rodotti.
Potatura.
1. L'opei-azione del taglio è indispensabile agli agrumi, lìia bisogna
che venga fatta con un certo discernimento ed abilità. Col taglio si
deve proporzionare la parte produttiva di frutta della pianta con quella
legnosa, e si deve favorire la forma che prende naturalmente la chioma.
Il taglio si applica do])o il grande raccolto dal marzo all'aprile.
2. Si comincia con una accurata mondaliira, tagliando i rami su-
perflui per facilitare il prolungamento delle branche, destinate a dare
raiìii fruttiferi.
A questo scopo si recidono 1 succhioni ed i rami sterili, tortuosi,
quelli troppo ombreggiati o ritorti nel centro; si allontanano tutti 1
rami rotti, contusi, deboli, deperenti o che si incrociano. Infine se la
pianta ha emesso delle radici superficiali, si svettano anche queste
perchè la pianta non abbia a soffrire per la siccità.
3. La potatura di formazione varia naturalmente a seconda della
specie.
Per lo più, l'arancio, il mandarino, il melangolo, ed i pompelmi,
si allevano a pieno vento, col fusto alto da m. 1.50 a 2. Alla chioma si
suole dare una forma globosa, emisferica od ovoidale, piena, guarnita
anche esteriormente, libera, aereata e vuota quanto si può nell'interno.
I limoni, le limette, i cedri, le lumie, inendono per lo piij la forma
a mezzo o pieno vento con la chioma allungata ovoidale o cilindrica.
Anche per queste specie bisogna curare lo svasamento nell' interno
della chioma per quanto è possibile e la si fa terminare in superficie
piana, orizzontale.
Lungo il littorale Ligure, si allevano 1 limoni a spalliei'a contro i
muri che sostengono le terrazze del terreno. La spalliera non ha una
foriTia determinata, lìia si ha cura soltanto di allevare i rami e di
stenderli a conveniente distanza in modo da coprire tutto il muro. Non
si deve naturalmente alzare di una impalcatura la pianta, se prima non
si è provveduto di cojM-ire il muro in basso. Durante l'estate si de-
vono dirigere ed allevare soltanto i germogli meglio situati, esposti
in fuori e trovantisi almeno ad una distanza di 20-25 cm. uno dall'altro.
Allungandosi troppo, si accorciano col potatoio, sempre durante l'estate,
sopra la cjuinla foglia.
4. Potatura di produzione. I rami a frutto degli agrumi sono tanti
brindilli flessibili, di color verde, lunghi da 5 a 20 cm., formatisi nella
stagione precedente e che si trovano sul legno di due anni. Essi por-
tano i fiori soltanto all'estremità. Un'altra particolarità degli agrumi è
quella, che essi sono provveduti di molte gemme latenti in modo, che
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amputando dei rami di due e più anni, vicino alla loro inserzione, si
ottiene facilmente il ramo di sostituzione.
La potatura di produzione consiste:
a) neir allevare dei rami laterali , convenientemente distanti
10-20., cm. lungo le branche, di mano in mano che si allungano, per
ottenere da questi, costantemente dei getti che daranno frutto;
h) dopo la raccolta dei frutti, di provvedere alla sostituzione del
brindino, che li ha portati.
Il primo scopo si raggiunge non permettendo mai che la branca
si allunghi se prima non è guernita di rami laterali.
Tagliate le branche principali in marzo-aprile, ad una medesima
altezza e sempre sopra una gemma che guarda in fuori lungo l'estate
(luglio-agosto) si avrà cura di scacchiare i germogli che crescono fuori
jiosto lungo la branca, lasciando sempre intatto il germoglio di prolun-
gamento. I germogli laterali lasciati, si cimano col potatoio, e mai
coir unghia, al di sopra della settima od ottava foglia.
Dopo questa cimatura, nei mesi di agosto-settembre, dal germoglio
cimato si sviluppano dei nuovi germogli, i quali se arrivano a raggiun-
gere una certa maturità, nella primavera successiva possono fiorire e
portare frutti.
I/anno seguente, dopo la raccolta dei frutti, si asportano i rami
diventati improduttivi, rimpiazzandoli con nuovi brindilli sviluppatisi
alla base.
La pratica di raccogliere i frutti col ramo che li porta non è quindi del tutto da
condannarsi quando però essa venga fatta con un certo discernimento, come ho rac-
comandato per il pesco e cioè, tagliando il ramo sopra un brindillo che si trova alla base.
Questa potatura si ripete ogni anno e nel caso che qualche brin-
dino troppo vigoroso si disponesse a diventare un succhione, si arre-
sterà nel suo sviluppo, tagliandolo a 5 foglie.
Per i limoni, la cui raccolta continua per diversi mesi, la potatura
dei rami fruttiferi si pratica mano mano che si asportano i frutti.
Quando l'albero ha raggiunto l'altezza voluta, il ramo di prolun-
gamento si sottopone alla potatura verde e secca come gli altri ger-
inogli e rami laterali.
Questa branca fruttifera, che per la sua posizione è sempre vigo-
rosissima, dovrà potarsi piti lunga in modo che dia una quantità mag-
giore di frutti, non preoccupandosi punto che si elevi alquanto al di
sopra della forma del vaso, alla quale è stata allevata la pianta.
Raccolta dei frutti.
1. Fra il quinto ed il sesto anno della piantagione a dimora, si
comincia a raccogliere dal novembre all'agosto, a seconda delle regioni
e delle località, nelle quali si consumano. Le specie rifiorenti, come il
limone ed il cedro, possono dare frutti in differenti periodi dell'anno.
— 888 —
2. U arancio fiorisce ordiiiarianienle una sola volta ed i frutti si
raccolgono in tre volte nella Sicilia, Sardegna e Calabria. Nella Liguria
in due volte, dal 10 al 15 novembre e dal 20 al 28 febbraio.
La prima volta in novembre, si raccolgono 30 a 40 giorni prima
della maturazione, quando cioè i frutti cominciano a colorarsi. I frutti
sono ancora acidi, ma essendo destinati alla spedizione in paesi lon-
tani, compiono la maturazione durante il trasporto ed arrivano al
nord per Natale e Capo d' anno.
La seconda raccolta si fa dal 15 dicembre al 15 gennaio, ed allora
i fruiti sono colorati, dolci, succosi ed eccellenti. Questa è la cosidetta
grande raccolta, quantunque i frutti ancora non siano completamente
maturi.
La terza raccolta si fa a maturazione completa e cioè dal marzo
all'aprile. In quest'epoca i frutti sono deliziosi.
3. Prima degli aranci maturano 1 mandarini, che si raccolgono
dalla prima quindicina di novembre in avanti. Non bisogna lasciare a
lungo il mandarino sull'albero perchè, essendo molto delicato, deteriora;
cosi ripeto dovendo mandare i mandarini a distanza, conviene piuttosto
anticipare la raccolta e cioè quando dal colore verde accenna a passare
al colore aranciato.
4. Il limone è rifiorente, ma le epoche principali di fioriture sono
però in sul finire dell'inverno, in aprile e dal luglio al settembre.
I pochi fiori che sbocciano in sul cadere dell'inverno alla cima dei
rami, si trasformano in frutti sfoggiati, ossia in frutti che eccedono gli
altri in grossezza e bellezza.
I limoni che fioriscono in aprile ofiVono i frutti in novembre;
questi frulli sono i migliori, i più succolenti e di bel colorilo giallo-
chiaro.
I fiori dell'ultimo periodo, si svolgono soltanto dopo 10 mesi, ep-
perciò si raccolgono o nell'aprile-maggio e si hanno i cosidetti bian-
cucci. perchè sono giallo-pallidi, oppure più tardi in giugno-luglio, e
si hanno i cosidetti verdelli, che sono piccoli, verdastri.
Essendo i limoni molto ricercati in luglio-agosto, cosi è sorta la
pratica di produrre i verdelli artificialmente. Questo si ottiene non
irrigando la pianta in maggio-giugno ed anche parte di luglio, per ar-
restare la vegetazione e far cadere i frutti appena allegati. La pianta
intristisce ma intanto si dispone a prepararsi delle belle gemme da
frutto. In luglio, riprendendo l'irrigazione e facendo abbondante con-
cimazione, fiorisce e da questa fioritura si ha il verdello nell'anno suc-
cessivo. Le piante cosi trattate danno un prodotto interiore di un terzo,
che viene però compensato dal maggior valore dei frutti.
5. Riguardo all'epoca del raccoUo dei frutti degli altri agrumi, in
settembre si cominciano a raccogliere i cedrali primalicci, e la raccolta
si i)rotrae fino in gennaio; 1 chinotti ed altri si colgono in agosto-set-
tembre, come pure le arance fortiy il cui raccolto si protrae fino a
marzo. I berijamolti si staccano in febbraio.
6. La raccoUa si fa a mano, rompendo col pollice o tagliando
con una forbice il peduncolo e posandoli con 'garbo entro panieri im-
bottiti, sospesi ai rami. I frutti che completano la maturazione sulla
pianta, sono sempre i più saporiti.
Appena raccolti si portano in un magazzino sopra un letto di paglia,
dove si taglia il peduncolo rasente il frutto e si fa la scelta e divisione
per grandezza. Quelli avariati e deformati si vendono subito.
Per separarli i)er grandezza, di solito si fanno passare per anelli di
ferro di tre dimensioni, poiché tre sono le gradazioni poste in commercio.
I più grossi si avvolgono con una carta velina di seta e si imbal-
lano in casse capaci di 200 pezzi o 20 dozzine, con un tramezzo verticale
nel mezzo e nel senso trasversale.
Gli aranci di seconda qualità si avvolgono pure con carta di seta
e si mettono da 160 a 200 per cassa.
Quelli di terza qualità non si avvolgono con carta e vengono spe-
diti a 460-560 per cassa.
7. Una pianta adulta produce da 600 a 1000 frutti all'anno.
Ogni pianta produce in media all'età di 15 anni kg. 130-15Ò di frutti,
quindi si ha un prodotto medio di 30,000 kg. per ettaro, perchè am-
messo che in un ettaro si trovino 250 piante, queste danno 800 frutti
del peso medio di gr. 150 e quindi un prodotto totale di kg. 30,000.
II bergamotto produce per albero da 400 a 500 frutti.
Prodotti secondari degli agrumi.
Oltre i fruiti, che costituiscono senza dubbio il prodotto principale,
si hanno dagli agrumi altri prodotti utili e cioè i fiori, le foglie ed
il legno.
1. I fiori sono apprezzati non solo per il loro profumo, ma anche
per le loro proprietà medicinali.
Il melangolo è specialmente coltivato per i fiori che si aprono in
maggio e giugno. Sono molto più numerosi di quelli degli agrumi a
frutti dolci.
La raccolta dei fiori si fa a mano ed è una operazione molto lunga.
Si suole appendere sotto, distendendola, una tela ed i fiori si staccano
dal loro pedicello, facendoli cadere nella tela. E questa operazione
bisogna ripeterla quasi giornalmente quando è scomparsa la rugiada
ed i fiori sono asciutti. Si portano poi subito alla distilleria in gran
panieri rivestiti internamente di tela.
Un melangolo adulto di 10 anni può dare da 6 ad 8 kg. di fiori; se
di 15 a 20 anni si può arrivare a 12-15 kg. I fiori di melangolo si ven-
dono da L. 75 a L. 125 per quintale e quelli d'arancio da L. 30 a 40.
I fiori disseccati costano L. 6 al kg.
2. Le foglie specie quelle del melangolo e dell'arancio, hanno un
sapore amaro e sono aromatiche ed un poco resinose. Sono toniche
ed eccitanti.
- 890 -
Le foglie si raccolgono esclusivamente dai rami che si tolgono colla
potatura che si fa appena i fiori o frutti sono raccolti. Questa è una
potatura in verde, molto vantaggiosa per dare aria alle piante e forzare
la linfa a sviluppare meglio le branche esistenti. Bisogna farla ogni
anno dove le i)iante crescono vigorose, altrimenti basta ogni due anni.
1 rami vengono poi comperati a L. 8-15 al quintale e si realizza una
rendita di L. 20 a 140 per ettaro.
3. Acqua di fior d'arancio. Se ne fanno due qualità e cioè coi
fiori e colle foglie. La prima è superiore per aroma e qualità; il suo
odore è soave e dolce; la seconda ha un sapore amaro e di solito si
fa una miscela colla prima nella proporzione del 15-20 7o-
Ricavando 2 kg. di acqua da un kg. di fiori si ha la cosidetta acqua
doppia e quando non si ricava che un litro d'acqua da kg. 1,500 di
fiori si ha l'acqua quadrupla.
L'acido nitrico colora in rosso vivo l'acqua pura dei fiori, mentre
non colora affatto quella delle foglie e se è stata fatta una miscela in
parli eguali, prende un color rosa.
L'acqua pura di fiori d'arancio acquista un colore rosa dopo l'anno.
L'acqua di foglie alla luce ed al calore deposita una sostanza bruna
ed è per questo che la si conserva in bottiglie colorate verdi o violette,
avvolte in carta bianca. I filamenti bruni che formano il deposito sono
il parenchima delle foglie.
La migliore acqua di fiori d'arancio si ricava dal melangolo.
L'acqua di fiori e foglie si paga da L. 50 a L. 80 per ettolitro, a
seconda se è semplice, doppia o tripla.
L'acqua di soli fiori costa da L. 100 a L. 120 l'ettolitro.
4. Essenze. Dagli agrumi si ricavano le seguenti essenze:
11 Neroli che si fabbrica coi fiori di melangolo. Questa essenza
è volatile e gialla, ma all'aria arrossa. La sua densità è 0.888. Si scioglie
nell'acqua, ha un sapore acre, ma è molto odorosa.
11 Petit grain si ricava dalle foglie di melangolo e dai frutti
caduti dagli alberi, poco dopo la fioritura. Da 100 kg. di foglie si rica-
vano 125 grammi di grain che si vende a L. 80-100 il kg. Serve a
preparare le acque di fior d'arancio.
Essenza di Portogallo, che si ricava degli aranci o a meglio dire
dalle buccie dei medesimi. Si vende a L. 25 il kg. ; 4000 kg. di frutti
danno 1 kg. d'essenza.
V Essenza di melangolo ha un sapore amarissimo, ma l'odore che
esala è soave, penetrante. La sua densità è 0,855 e si vende a L. 450-500
il kg. In commercio è anche conosciuta col nome di essenza di
arancio amaro.
L'Essenza di Bergamotto si ricava dalle buccie. Da un ettaro a
Reggio se ne ricava da 25 a 40 kg.
Buccie disseccate. Le buccie disseccate del melangolo vengono uti-
lizzate in Germania, Olanda e Francia per la fabbricazione dei li-
quori e specialmente pei Curagao e Bitter. La polpa viene data alle
vacche ed il latte diventa molto saporito.
— 891 -
Il legno degli agrumi è molto apprezzalo nella ebanisteria, per la
sua finezza di fibra e per la sua durezza. Coi rami più belli si fanno
bastoni da passeggio ; vengono pagati da L. 18 a L. 20 al quintale.
Dati economici della coltura degli agrumi.
Il prof. Aloi nella sua citata opera sugli agrumi, dà il seguente
rendiconto per l'impianto di un agrumeto nel territorio di Francofonte
(Siracusa) posto in terreno alluvionale-vulcanico. Ogni ettaro contiene
525 piante, poste alla distanza di m. 4,32 fra loro.
Primo periodo dal I. al V. anno.
a) Spese d'impianto per ettaro:
Scasso reale del terreno alla profondità di cm. 75 ed
estrazione di qualche masso vulcanico . . . L. 643.20
Apertura di 525 fosse a cm. 20 l'una . . . . „ 105.—
Costo di 525 piantine innestate di 3 anni a L. 1 . . „ 525.—
Trasporto delle piante „ 60.—
Trapiantamento ,. 46.—
Pali o canne per sostegno degli alberetti . . . „ 35. —
Concime per i primi 5 anni 270.—
Totale spesa d'impianto L. 1684.20
b) Spese di coltura annuale.
Non si tien conto delle spese annuali di coltura dal I. al V. anno,
dappoiché nel territorio di Francofonte è invalso l'uso di cedere a degli
agricoltori il terreno, dove si è impiantato l'aranceto, i quali coltivatori
coltivano a loro esclusivo benefizio a piante ortalizie, gli spazi inter-
posti fra gli aranci piantati e godono anche delle poche frutta che i
medesimi producono, con l'obbligo però di prodigare al crescente
aranceto tutte quelle colture che si richiedono per essere ben gover-
nato e per farlo prosperare.
Sicché le spese dal I. al V. anno sommano a L. 1684.20 + L. 750 di
fitto del terreno calcolato a L. 150 all'anno, in complessivo L. 2434.20
e le entrate zero.
e) Spese di coltivazione annuale dal 6" al 40° anno:
Prima zappatura, giornate 45 a L. 1.25 . . . . L. 56.25
Seconda zappatura per disporre il terreno in aiuole
giornate 36 a L. 1.25 „ 45.—
Terza zappatura, idem . „ 45.—
Tre sarchiature, giornate 28 a L. 1.25 ...... 35.40
Concime ovino, carichi 140 ogni biennio a L. 50 il ca-
rico e per un anno carichi 70 ,; 105.—
Rimonda annuale, giornate 28 a L. 1.50 . . . . „ 42.—
Irrigazione „ 56.50
Totale . . . . L. 385.15
- 892 -
l.e spese perciò di un ellaro di aranceto del territorio di Franco-
fonte, possono essere così riassunte:
1) Conto collurale di un aranceto.
Spese di coltura annuale L- 385.25
Quota di ammortizzamento delle L. 2434.20 spese per
l'impianto e fitto del terreno nei primi cinque anni
con relativi interessi al 5% .i 142.—
Fitto del terreno „ 150.—
Quota d'assicurazione „ 26. —
Imposte „ 12.—
Custodia „ 5.—
Totale . . .' .~T 72025
Introiti dal ó"» al W" anno.
Produzione degli aranceti in media, dal 6" al 40'> anno
300 per pianta e per 525 piante, formano 157-500
a L. 15 il mille importano L. 2362.50
Bilancio.
Entrata . . . . L. 2362.50
Uscita .... „ 720.25
Utile net^to . . ' L. 1642.25
L'utile di L. 1642.25 si ricaverebbe dal 6 al 40 anno di vita dell' a-
grumeto, mentre nei primi 5 anni dell'impianto nessun utile si ottiene
e perciò per potere rendere il conto esatto, bisogna moltiplicare le
L. 1642.25, per anni 35 di produzione e dividere il totale per 40 anni
della durata dell'agrumeto, e perciò :
1642.25x35 . ..__
j^ = L. 1436.96
profitto netto e per anno di un ettaro di aranceto coltivato in terri-
torio di Franco fonte.
Il signor Platania d'Antoni Rosario dà il seguente conto colturale
di un aranceto di Acireale.
a) Spese d'impianto.
Le spese d'impianto possono calcolarsi in media, quando trattasi
di un aranceto il quale si formi con il sistema dello scavo delle sem-
plici fosse, a L. 1.50 per ogni pianta messa a dimora tutto compreso e
per 400 piante contenute in un ettaro la spesa diventa L. 600, più L. 150
per anno di fitto del terreno e per anni 5 L. 750, in tutto le spese che
s'incontrano dal 1" al 5° anno sono L. 1350.
Le spese di coltivazione sono largamente compensate dalle colture
erbacee che si consociano all'aranceto nei primi 5 anni, e delle arance
che producono le piantine.
b) Spese annuali di coltivazione da 6" al 40° ani
Arature 3 " . .
Zappatura intorno alle piante
Rimonda biennale L. 50, e per anno
Concimazione triennale L. 1050 e per anno
Irrigazione .... . .
Totale
o per ettaro.
L. 30.—
12.50
25.—
„ 350.-
100 —
L. 517.50
Le spese quindi da aggravare su di un ettaro di aranceto per ogni
anno sarebbero:
2) Conto coUiiraie di un aranceto del territorio di Acireale.
Spese di coltivazione annuale ....
Quota di amniortizz. delle L. 1350 per l'impianto
Fitto del terreno
L.
517.50
„
78.66
„
150.—
„
30.-
„
12.-
Infortuni
Imposte
Totale . . . . L. 788.16
Introiti.
Numero 400 piante di aranci producenti in media dal
6" al 40'^ anno frutti 400 per pianta ed in complesso
160.000 frutti all'anno che a L. 15 il mille importano L. 2400.00
Bilancio.
Entrata per anno . . L. 2400.—
Spese per anno . „ 788.16
Utile netto . . L. 1011.34
Le L. 1611.34 ricavabili annualmente dal 6" al 40° anno e ciò per
35 anni, bebbono essere scompartite per 40 e perciò:
, ""'t^x^^^L. 1409.82
40
profìtto netto ricavabile dall'aranceto ogni anno dal 1° al 6" anno di vita.
Se l'aranceto invece d'impiantarsi col sistema delle fosse, si fa pre-
cedere da uno scasso totale del terreno, allora le spese d'impianto sal-
gono da L. 500 a L. 1800 e con le spese di fitto del terreno da L. 1350
a L, 1850, e perciò la quota annua di ammortamento da L. 1611.34 scende
a L. 1558.10 e l'utile annuale dal 1° al 40" anno da L. 1409.92 scende
a L. 1363 33.
Lo stesso proprietario riferisce al prof. Aloi per un limoneto in
Acireale:
a) Spese d'impianto.
Se il limoneto si impianta, come nel caso dell'aranceto scavando
semplicemente le fosse, le spese compreso il costo di 300 piante som-
— 894 —
mano a L. 45U, alle quali aggiunte L. 750, fitto dei primi 5 anni del
terreno, le spese per i primi 5 anni sommano in tutto a L. 1200. Le
spese annuali di coltivazione, durante i primi 5 anni sono suflicente-
mente compensale, come nel caso dell'aranceto, dalle coltivazioni an-
nuali che si consociano al limoneto e dalle frutta che se ne ricavano.
b) Spese annuali di coltivazione dal 6» al 40" anno:
aj Tre arature L. 30.—
bj Zappatura inforno agli alberi „ 10.—
e) Rimonda „ 20.—
d) Concimazione — quota annuale „ 450.—
e) Irrigazione ,,100.—
f) Fitto del terreno „ 150.—
Totale . . . L. 700.—
Le spese totali e per anno di un ettaro coltivato a limoneto si pos-
sono così riassumere:
Spese annuali L. 760.—
Quota di ammortizzamento delle L. 12U0 di spese di
impianto „ 69.26
Fitto del terreno , 150. —
Quota d'infortuni „ 21.—
Imposta „ 12.—
Totale . . . l7~1012.26
Introiti.
Da piante 300 di limoni, producenti in media dal 6° al
40"^ anno 900 frutti per pianta, in complesso per
l'ettaro frutti 270.000 che al prezzo di L. 8 il mi-
gliaio importano L. 2160.—
Legno della rimonda „ 20.—
Totale . .^^~2m^
Bilancio.
Entrata . . . . L. 2180.—
Uscita . . . . „ 1012.26
Profìtto netto . . L. 1167.74 dal 6° al 40° anno.
E per 40 anni:
H^^-^-^^L. 1.21.77
40
Pel territorio di Giarre, le spese annuali di un limoneto vengono
cosi riassunte:
Spesa di coltivazione L. 753.—
Quota di ammortizzamento delle L. 1600 spese per
l'impianto ^ 93.24
Fitto del terreno ,, 150.—
Spese diverse 21.—
Totale . . .~L. 1U17.24
895
2160.
20.
2180.
Introiti.
Numero 300 piante producenli in media frulli 900 per
una, formanti frulli 270.000, che al prezzo di !.. 8
il mille importano L.
Legna da rimonda „
Totale . . L.
Bilancio.
Entrata . . . . L. 2180.—
Uscita . . . ■ „ 1017.24
Profitto nello . , L. 1102.76
Le quali L. 1162.76 di profitto annuo dal 6" al 40° anno, riferiti a
tutti i 40 anni, porta un profitto netto di
1162.76x35
40
1017.41 per anno.
Il prof. Aloi ritiene che in media un limoneto posto in Sicilia ed
in piena produzione dà in media un'entrata di L. 2400 ed un'uscita di
L. 881.70 quindi un profitto netto di L. 1518.30.
Sempre in Sicilia un aranceto in piena produzione darebbe una
entrata di L. 3000 da cui, detratte le suddette spese, si avrebbe una
rendita netta di L. 2118.30.
Nelle Calabrie un aranceto di 400 piante darebbe una rendila netta
di L. 1729.53 ed un limoneto di L. 1029.53.
Secondo il Mancini, a Sorrento, gli aranceti danno una rendita
netta di L. 1065.75 per ettaro, ed i limoneti di 1265.75.
In Ligura la rendita netta per ettaro sarebbe da L. 500 a L. 600.
A Formica, nella provincia di Caserta si calcola che un limoneto
renda L. 800 e più di profitto netto per ettaro e l'aranceto L. 600 a L. 700.
II prof. Bordiga nel suo Trattato di estimo dà i seguenti dati per
le diverse classi di agrumeti :
Classe
Fri
per t
Aranci
Itti
ianta
Limoni
Fri
_pere
aranci
piante
500
Itti
ttaro
limoni
Reddit
medio p
Aranci
Q lordo
er ettaro
Limoni
I ottima ....
800
900
400.000
495.000
6000
9900
II buona ....
600
700
300.000
385.000
4500
7700
Ili discreta
400
500
200.000
275.000
3000
3500
IV mediocre
200
275
100.000
151.000
1500
3020
V scarsa .
100
150
50.000
82.000
7.50
1740
VI infina ....
50
75
25.000
41.000
575
870
Malattie e cause nemiche. — (Vedi pag. 500).
PARTE SETTIMA
PIANTE CON FRUTTI AGGREGATI
LAMPONE
(Rubus Idaeus. Unii. — Fain. Rosacee).
Nomi volgari italiani della pianta — Lampone, Rovo ideo o del
monte Ida, Lampomella, Ampomella, Amponiola, F'rambosa, Aponi,
Frambò, Lampone.
Nome volgare italiano del frutto — Lampone.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane: Framboisier — Ted.:
Himbeerstrauch — Ingl. : Raspberr}'.
iYo/ji/ volgari stranieri del fratto — Frane. Frambois — Ted.: Him-
beer — IngL : Raspberry.
1. Origine e specie coltivate. — Il lampone è stato trovato dai Greci
allo stato selvatico sul monte Ida (da ciò il nome di Rubus Idaeus) e
dalla Grecia passò in Italia, nei Paesi Bassi, in Inghilterra e poi
nell'America del Nord. Qui, per le variazioni del clima, le varietà rosse
e bianche importate, non producevano abbastanza cosi gli Americani
si diedero a coltivare la specie a frutto nero (Rubus occidcntalis) che
da loro era indigena nonché la specie a fruito rosso pure indigena
(Rubus strigosus) la quale venne trovata nelle regioni più fredde fino
a m. 2200 d'altezza ed a 62» 17' di latitudine.
2. Caratteri botanici della pianta. — Frutice di 40 a 60 cm. di
altezza che cresce nei luoghi sassosi delle montagne a terreno grani-
tico. Ha un fusto sotterraneo, corto, che emette ogni anno dei rami
aerei, (polloni) della durata di 2 anni. Essi si sviluppano nel primo
anno; fioriscono e fruttificano nel secondo e subito periscono per essere
rimjnazzati dai nuovi polloni.
Il fusto sotterraneo è molto ramoso ed i molti rami aerei (polloni)
che la pianta emette dal colletto e dalle nodosità, sono deboli, poco
ramosi, con scorza grigio-giallognola, coperta di molti peli giallo dorati.
- 897 -
Nel secondo anno la loro corteccia diventa grigio-scura, i fusti riman-
gono deboli, sottili, molto midoliosi, fragili sjìarsi di aculei sottili, folti
o radi, che facilmente si staccano.
Le radici sono sottili e superficiali.
Foglie impari pennate o ternate, a seconda se la pianta è vigorosa
o meno -, foglioline più o meno variate per la grandezza ed anche per
la forma, essendo ovate, più o meno allungate, acuminate, seghettate,
verdi nella pagina superiore e biancastre, vellutate nell'inferiore. Ra-
chide spinoso.
Gemme piccole, appiattite.
Il fusto aereo dell'anno precedente porta specialmente verso l'estre-
mità, dei germogli laterali fioriferi, misti, guarniti di un certo numero
(fig. 649) di foglie. In certe varietà, i fiori appariscono nello stesso anno
in cui si sviluppò il fusto aereo e sempre all'estremità.
Fióri scarsi in racemo terminale semplice, piccoli, bianco-verdastri
o screziali di rosa, portati da un peduncolo abbastanza lungo, spinoso.
r ./^' '-.
Fig. 049. — Jlanii e frutti del lampone.
Calice a .1 sepali, lunghi e persistenti ; ò petali caduchi. Stami molto
numerosi come nella rosa. Pistilli pure numerosissimi, completamente
separati, inseriti sopra un ricettacolo molto convesso. Ogni pistillo ha
un ovario con una loggia che rinchiude un ovolo, dal quale si sviluppa
una piccola drupa che racchiude un piccolo nocciolo.
11 frutto, detto lampone, è quindi formato da molte drupe o bacche,
convesse, depresse, rugose, unite a pigna, che si staccano anche facil-
mente, li colore più comune è quello rosso o giallastro; vi sono delle
varietà a frutto bianco e nero non coltivate da noi. Ogni bacca ha
attaccato un pelo colore giallo-oro.
3. Classificazione delle varietà. — Le varietà di lampone che si
trovano attualmente in commercio, sono provenienti dal lampone selva-
tico dai frutti di color rosso (Rubus Idaeus) che si trova in Europa, e
dalle specie e varietà di color rosso e nero dell'America del Nord. Le
57 — Tamaro - Frutticoltura.
- 898 -
varietà a frullo pori^orino, si devono considerare quali ibridi delle
varietà a frullo rosso con quelle a frutto nero.
Le varietà si dividono in due gruppi :
o) rimontanti o Infere, i cui polloni danno frutto all'estremità,
nell'autunno dello stesso anno della loro formazione ed anche nell'anno
successivo in luglio. I frutti dell'autunno sono derivati da germogli
anticipali.
Queste varietà sono preferite per i giardini e fruiteli di famiglia e
degli amatori, perchè fruttificano nell'estate ed in autunno. I frutti però
sono piccoli, poco profumali, poco zuccherini, e danno un prodotto
complessivo poco rilevante.
b) non rimontanti o ad un solo prodotto. Queste varietà sono ge-
neralmente più rustiche, più produttive quantunque fruttifichino una
sol volta in luglio, perciò sono più adatte per le coltivazioni industriali.
I loro frutti sono anche più pregiali perchè più grossi, più dolci e più
profumati. A scopo industriale si allevano esclusivamente le varietà a
frutto rosso.
4. Scelta delle varietà. — Per la scelta delle varietà si ricordi,
che sono preferiti sui mercati i frutti rotondi a quelli ovali; quelli
rossi a quelli gialli, perchè più profumali.
Le varietà a scopo industriale, devono avere i seguenti caratteri :
a) resistenza alle malattie;
b) i polloni devono essere diritti, possibilmente verticali, per
lasciar lavorare più comodamente il terreno fra mezzo alle file e per
facilitare il raccolto ;
e) le piante devono rimettersi con dei polloni al piede ;
(/) i frutti devono essere aromatici, succosi, con un bel colore vivo.
e) i frulli anche maturi devono stare bene aderenti, per resistere
ai venti ed alle pioggie;
f) i frutti devono essere grossi ed a polpa soda per poterli spe-
dire e presentarsi bene sul mercato ;
g) la pianta deve resistere ai geli e non essere troppo esigente
per il terreno.
Le varietà più consigliabili che si trovano in commercio in Europa,
sono indicate a pag. 900-901 nella Tab. LXVII.
5. Importanza della coltivazione. — La coltivazione del lampone
è molto semplice e rinunieratrice. Per le frequenti zappature che ri-
chiede, allo scopo di tenere il terreno mondo dalle malerbe, e per la
mano d'opera necessaria per la raccolta, essa conviene alla piccola
proprietà, al più modesto vignajolo che ha una pìccola superfìcie di
terreno.
6. Sistemi di coltivazione. — Si coltiva tanto nei campi per dare
alla coltura un indirizzo industriale, quanto nei frutteti casalinghi.
7. Clima ed area di coltivazione. — E' una pianta dei paesi tem-
perati piuttosto che caldi e da noi riesce bene nelle regioni alpine e
dell'alto Appennino.
— 899 —
8. Esposizione e situazione. — Essendo una pianta originaria dei
paesi freddi ed elevati, non si adatta al clima delle pianure specialmente
delle zone temperate o calde. In queste regioni si destinano gli appez-
zamenti a nord; ma se il caldo non è troppo forte e la posizione poco
soleggiata, convengono meglio le esposizioni di ponente. E' utile però
anche piantare a mezzogiorno per avere frutta precoci, dolci, aroma-
tiche, profumate ed anche per assicurare a tardo autunno la matura-
zione dei lamponi delle varietà bifere.
Nei frutteti si suole destinare al lampone un'esposizione a Nord,
molto ombreggiata, ma in queste condizioni si hanno pochi frutti, piccoli
e poco profumati. Le esposizioni troppo bruciate dal sole, sono dannose.
Per le colture industriali si destinano le costiere bene esposte, le
posizioni accidentate e le piccole valli, con terreno discretamente prò
fondo e fresco.
9. Terreno. — Sulle nostre Alpi, nei terreni granitici in particolare,
il lampone cresce spontaneo nelle località ombreggiate, ma dà pochi
frutti, piccoli, però ben profumati.
Per questa ragione è invalso l'uso di destinare pel lampone nei
giardini, le località meno favorite dal terreno e dal calore senza pre-
stare alcuna cura. Ma i polloni riescono meschini, sensibili al freddo,
poco fruttiferi perchè al tempo della fioritura, per mancanza di aria
e luce, i fiori vanno soggetti alla colatura oppure anche se fecondali
danno frutti di poco colore e di poco profumo. Anche per questa
pianta dunque nei giardini si deve destinare un posto aereato, soleg-
giato e bene concimato.
Tutte le buone terre da vigna, contenenti ferro e calcare, sane, pro-
fonde, fresche e fertili, che si riscaldano bene, convengono al lampone.
Se si trovano delle piantagioni vigorose nelle costiere secche signi-
fica che le radici poterono penetrare nelle fessure fra le roccie e tro-
varono freschezza. Quando ciò non avviene, il lampone deperisce presto.
Nelle annate secche e se il terreno non conserva una certa umi-
dità, la vegetazione del lampone si arresta in luglio, le foglie e l'ultima
parte del raccolto disseccano, perdendone talvolta per un terzo. I rami
dell'annata si sviluppano poco e vengono poi danneggiati dal freddo
dell'inverno.
Le varietà europee a frutto rosso richiedono un terreno più fresco,
più profondo, più ricco e consistente delle varietà americane.
Essendo il lampone un arbusto vigoroso con molte radici, il ter-
reno si esaurisce presto se non è di natura molto fertile e se non viene
abbondantemente concimato.
10. Moltiplicazione. — Le migliori piante si ottengono dai polloni
più robusti che crescono nell'annata ed il trapianto conviene farlo in
autunno. Al momento del trapianto conviene tagliare il pollone a 15-
20 cm. di altezza, lasciandogli naturalmente una sufficiente quantità
di radici. I polloni bisogna sempre prenderli dalle piante più sane e
più produttive.
— 900 -
Quadro sinottico indicante le principali proprie
s
a.
NOME
Maturazione
Qualità
Fertilità
Vigoria
\
I. — Varietà rimontanti.
a) fi frutto rosso.
1
Bella (li Fontenay
fine giugno ed in au-
tunno dal 15 agosto
alla fine di selleuih.
prima fra le
bifere
notevole spe-
cialmente in
autunno
notevole
2
Meraviglia rossa delle
4 stagioni
fine giugno ed iu au-
tunno fino ai primi
prima da ta-
vola
notevole
id.
3
Perpetiielle de Billard
id.
delle migliori
fra le bifere
id.
id.
4
Superlnlivo
tardiva (IH luglio) e
rimontante in tar-
do autunno
prima da mer-
cato
media i^O-tJO kg.
per ara)
id.
"
Stirpasse Falstoff
l>) a fnitlo giallo
luglio ed ottobre
delle migliori
fra le bifere
notevole
id.
1
Sorpresa d autimrio
//. - Varietà
a) a fruito rosso.
ìd.
non rimontanti.
prima fra le bi-
fere gialle
notevole spe-
cialmente in
autunno
id.
1
Hornet
molto precoce
(I luglio)
prima per T in-
dustria
notevole (70-80
kg. per ara)
molta
2
Inglese superlativo
if) luglio e in 4
volle si completa
il raccolto
buona anche
da tavola
straordinaria
poca
3
Filale
9 luglio
prima da ta-
vola
notevole (70-7.^)
kg. per ara)
media
4
Prolitico (li Carter
12 luglio
seconda
notevole (70-85
kg. per ara)
straordi-
naria
h) a frutto giallo
1
Giallo d'Olanda
l.'S luglio
da mercato e
industriale
notevole
id.
901 -
turali delle varietà di lampone consigliate (Tamaro).
Descrizione e propriel
della pianta
Descrizione e propriel
del frutto
Sistema
coltivazione
Osservazioni
inllosto nana, con rami ros-
sastri aventi aculei corti e
radi
ami numerosi, spossa rapi-
rlamente il terreno per le
molle diramazioni del fusto
sotterraneo
ami eretti o leggermente
obliqui con foglie chiare
composte di ^-f) foglioline
convesse
)olloni di colore rosso vivo,
troppo pendenti
assai grosso e quasi rotondo,! giardino e frutteto
di colore porpora scuro casalingo
buonissimo, di media gran-
dezza, rotondo, rosso vio-
laceo
assai grosso, sferico, rosso
scuro, portato da grappoli
allungati
rosso carico, di forma coni-
ca, a polpa zuccherina, deli-
ziosa, sopporta i trasporti
troncato, rosa poi
rosso bruno, profumato,
buono
grossissimo, ovale appun-
tito, abbastanza profumato
e di un bel colore giallo
dorato
^i ha una sotto-
varietà a frutti
bianchi. Esige
terreno molto
fertile
di origine ameri-
cana per terreni
leggeri, molto
fertili e freschi
rami eretti, deboli, nume- grosso, dei migliori i)cr fab-
rosi, quasi inermi, verdi e bricare siroppi. Forma ot-
poi violacei. Foglie con tre fusa, di colore rosso bruno.
foglioline abbastanza gran- Peso medio gr. 2-8. Di facile
di, piegate e rilevate i raccolta
emette pochi polloni, viola- 1 rosso vivo, bello, grosso
cei, appena spinosi, alti
m. 0.90. Foglie con 4 foglio-,
line con contorno verde cupo
polloni deboli, fragili, poco
eretti, di colore cenerognolo,
con aculei che cadono facil-
mente: foglie verdi bron-
zate: fioritura prolungata
polloni grossi, lunghi m. 1.60
colore violetto scuro, nume-
rosi: foglie larghe con tre
foglioline; gemme grosse e
sporgenti |
polloni sottili con molti
aculei
grosso, consistente che sop-
f)orta i trasporti; rosso vio-
aceo, abbastanza zucche-
rino
abbastanza grosso igr. 2-5i,
un po' allungato, rosso vio
lacco, abbastanza consis
tente, profumato, zuccherino
abbastanza grosso, ovoidale,,
giallo paglierino, zucche-
rino e molto profumato
nei campi per le
coltivazioni in-
dustriali
Irutteli
glia
frutteti di fami-
glia e industriali
frutteti industriali
terreno molto
buono e ben con-
cimato
simile alla va-
rietà Hornet
origine inglese, si
raccomanda spe-
cialmente per la
prolificità : terre-
ni argillosi
varietà molto
rustica
U02 -
Le varietà a frutto nero si propagano per propaggine, piegando
nel terreno i germogli perciiè si abbarbicliino. Questa operazione si fa
dalla metà di settembre alla metà di ottobre, oppure subito dopo il
raccolto. Per queste varietà conviene fare gli impianti con soggetti di
un anno.
Si possono adoperare per la moltiplicazione anche le radici delle
vecchie piante, suddividendole. Non è però metodo consigliabile in-
quantochè non s'ottengono mai piante robuste.
Non si ricorre alla moltiplicazione per semi che per ottenere delle
nuove varietà. A questo scopo, raccolti i frutti migliori, se ne estrag-
gono i semi che si stratificano subito. A primavera si seminano, assai
radi, in terreno ben preparato, usando successivamente tutte le cure
richieste per gli altri seminati. Le piantine
si lasciano per un anno nel vivaio e nella
primavera successiva si trapiantano a dimora
in linee distanti circa 50 cm. in tutti i sensi.
La fruttificazione però non incomincia che
al quarto anno.
11. Caratteri vegetativi. — Come abbia-
mo visto, il lampone ha un fusto sotterraneo
che sviluppa dalle sue gemme dei polloni che
costituiscono i rami aerei della pianta, for-
mando un cespuglio. Questi rami, nel secondo
anno (C fìg. 650), sviluppano all'ascella delle
foglie delle piccole ramificazioni fruttifere (B)
che maturano in luglio. Nelle varietà bifere,
si ha anche una fruttificazione anticipata
nell'autunno precedente. Nell'inverno del se-
condo anno lutti i polloni che hanno frutti-
ficato periscono.
Durante la fruttificazione del secondo
anno, però la pianta sviluppa contempora-
neamente dal colletto e dalle nodosità del
fusto sotterraneo dei nuovi polloni, i quali (A) sostituiscono i rami
che hanno fruttificato. Anche questi, nel secondo anno, dopo portato
il frutto, subiscono la stessa sorte dei rami (B).
12. Potatura. — Niente di più facile della potatura del lampone.
Se prendiamo in considerazione una pianta si osserva in autunno,
dopo cadute le foglie :
a) una serie di fusticini ramificati brevemente, che hanno portato
frutto e che si sono disseccati ;
b) una serie di rami aerei o polloni sviluppatisi nell'anno. Gli
uni lunghi e forti, gli altri sottili e corti, talvolta lontani dal centro
della pianta e talvolta nel centro stesso.
La potatura consiste :
a) nel tagliare raso terra i primi e cioè quelli che hanno fruttificato;
Fig. 650.
Piantina di lampone.
- 903 -
b) dei secondi, se ne scelgono da 4 a 8 secondo il vigore della
pianta, ira i più robusti e più vicini al centro e si tagliano a 60 cm. Tutti
gli altri si tagliano al piede.
Ogni cespuglio deve avere un numero di rami proporzionale al suo
vigore. Se questo è eccessivo, i rami si tagliano a 80 cm. Quanto più
lungo si taglia, tanto più si anticipa la fruttificazione. Se tutti i rami
sono deboli, se ne lasciano soltanto 2 o 3 tagliandoli corti a 50 cm.
Col taglio corto si posticipa la fruttificazione. In questo modo da
una medesima piantagione possiamo anche prolungare il periodo di
raccolta.
Si può prolungare la raccolta applicando anche il taglio luisto cosi-
delto airinglese.
Con (juesto taglio, dopo aver soppresso i rami che diedero frutto,
potendo ad esempio conservare 8 nuovi rami, di cjuesti 4 si tagliano
ad 1 metro e 4 a 25 cm. In tal modo i rami tagliati lunghi fruttificano
per primi alla fine di giugno ed in luglio ; gli altri dalla fine di luglio
per tutto l'agosto.
Dopo il taglio, per facilitare i lavori del terreno, e per evitare i
danni della neve, si legano in un fascio i rami lasciati per lasciarli
liberi o legarli come vedremo nel prossimo capitolo, prima che cominci
la vegetazione.
13. Forme. — Per ottenere il cespuglio, si pianta un pollone con
radici e lo si taglia a 20 od a 50 cm. a seconda del suo vigore. Lungo
l'anno si lascieranno sviluppare 3 a i polloni dalla base.
Nel secondo anno, si taglia alla base il pollone piantato, ed i tre
o quattro polloni nuovi si tagliano a 60 cm. Essi daranno nello stesso
anno, il primo prodotto. Durante l'anno si lascieranno sviluppare dei
nuovi polloni.
Nel terzo anno, si sopprimono i polloni che hanno dato frullo e
dei nuovi, se ne lasciano 4 o 5, i migliori ed i più vicini al centro del
cespuglio, accorciandoli a 80 cm.
Di anno in anno si aumenta il numero dei polloni fruttiferi fino
ad arrivare ad 8, applicando il taglio indicato nel capitolo precedente.
Per dare maggiore aereazione al cespuglio, i rami fruttiferi si pie-
gano ad arco ai due lati, legandoli a dei paletti (A fig. 651) od a dei
lili di ferro, tirati a 50-60 cm. d'altezza del terreno. Questo sistema dei
fili di ferro viene chiamato sistema olandese. Esso assicura un buon
sviluppo dei polloni ed i frutti ricevono più luce. PYa i fili di ferro si
lascia un sentiero largo 50 cm. per poter fare i lavori e la raccolta.
Per le varietà bifere o di 2 stagioni o rimontanti, che hanno la
particolarità di dare frutto nell'autunno dello stesso anno di loro forma-
zione, non ommettendo di produrlo anche nell'anno successivo, bisogna
curare la scacchiatura di polloni inutili e cioè per ogni pianta non se
ne lasciano più di 4 forti da frutto.
14. Impianto e cure di coltivazione. — Si può piantare dalla fine
di ottobre a tutto aprile, però il mese più favorevole è quello di no-
- 904 -
vembre. Ed è bene, all' impianlo, di concimare abbondaiitemenle il ter-
reno con stallalico, soltcrnindo collo scasso a 40 cm. la seguente
concimazione per ara:
500 Kg. di stallatico decomposto
8 „ „ scorie
() „ ., Kainite
Il lavoro di preparazione del terreno si fa per tempo in agosto-
settembre.
(iìunto il momento dell'impianto si segnano sul terreno delle linee
parallele longitudinali distanti m. 1.40, e traversali ad angolo retto
distanti m. 1.10. Al punto d'incontro si fa una buca profonda 10 cm.
sul fondo della quale si mette in ciascuna un pollone con radice.
Fig. 651. — Coltivazione del lampone (sistema olandese).
Nell'impianto, la piantina si taglia a 50 cm. di altezza e le radici si
coprono con 5 cm. di terra. E' soltanto nell'anno successivo che si
colma completamente la buca.
Se la piantina venne tagliata a 50 cm. si ha la probabilità di avere
qualche frutto nell'anno successivo, ma da piante bene attecchite e molto
vigorose. Le piantine piuttosto deboli conviene tagliarle a 20 cm.
Piantando il lampone sul confine, bisogna collocare 1' ultima fila
a 50 cm. e meglio ancora a m. 0.80-1, dal limite della proprietà
slessa i)er non danneggiare il vicino avendo cura di estirpare ogni
anno i polloni che crescessero oltre il suddetto limite e di lavorare
profondamente il terreno per estirpare anche quella parte del fusto
sotterraneo.
Volendo piantare a filare isolato, si fa una doppia fila a m. 0.80
|)er m. 0.80 ed allevando col sistema Olandese si pianta una sola fila,
collocando le piantine a m. 0.60 sulla fila. Fra un filare e l'altro si fa
un sentiero di 50 cin. di larghezza perciò la distanza fra i filari è di ra. 1.50.
Nei primi due anni gli intei'filari si possono utilizzare coltivando dei
fagioli da cornetti, delle cipolle, aglio, carote. Non facendo la coltivazione
intercalare bisogna sarchiare accuratamente ed eventualmente irrigare.
- 905 -
11 lampone viene mollo danneggialo dalle malerbe e perciò occor-
rono delle lre(juenli sarchiature. Duranle le sarchiature si strappano
anche i polloni che crescono troppo lontani dal cespo.
Una copertura con foglie o paglia, nei terreni secchi o nelle annate
calde, mantiene la freschezza del terreno e favorisce la grossezza dei
frutti.
Un impianto di lampone esaurisce presto il terreno, perciò dopo
8 o 10 anni talvolta bisogna strappare le piante. Occorre sempre una
forte concimazione all'impianto ed una concimazione di mantenimento
ogni due anni, con concimi artiliciali.
Le esperienze fatte di concimazione hanno dato i seguenti ri-
sultati:
1. Concimazioni frequenti e generose sono indispensabili per il
lampone.
2. Concimando abbondantemente, un impianto di lampone può
durare anche 20 anni.
3. Se manca uno dei tre elementi fertilizzanti, la produzione dimi-
nuisce subito notevolmente.
4. L'azoto influisce sullo sviluppo dei polloni; mancando l'anidride
fosforica o la potassa, i rami crescono pure brevi, le gemme rimangono
poco sviluppate, il legno matura male e si rende delicato pei freddi.
5. L'azoto e la potassa influiscono principalmente sullo sviluppo
e produzione dei frutti. I frutti ne contengono in quantità quadrupla
dell'anidride fosforica e della calce.
6. L'azoto si può dare sotto forma di nitrato, di panelli e di farina
(li sangue. Questi due ultimi hanno maggiore effetto sulla fruttificazione,
mentre l'hanno eguale sulla vigoria di vegetazione.
7. L'anidride fosforica si può dare sotto forma di scorie nei ter-
reni non calcari, altrimenti si adoperi perfosfato.
8. La potassa si può dare sotto forma di cloruro potassico o di
Kainite.
La formola che mi diede migliori risultati in un terreno contenente
il 20 Vo di calce è la seguente :
( Kg. 932 farina di sangue
per ettaro ì „ 166 di perfosfato
( „ 332 „ cloruro potassico
Vercier consiglia le seguenti formole :
l panello Kg. 600
ogni due anni per ettaro ^ Kainite „ 700
f scorie „ 700
, j . ,. ,1 Kainite Kg. 700
( I anno in dicembre le- -aa
Scorie „ /OO
oppure nel „ ^^^^^ ;„ 3 volte \
{ al 1 e 30 maggio /
Nitrato di soda Kg. 250
- 906 -
II lampone si può coltivare anche nei frutteti nei primi 10 anni,
quale coltura intercalare, prima ciie le piante arboree abbiano raggiunto
il completo sviluppo. Si pianta negli interlilari, lasciando una distanza
di 2 a 3 metri dalla fila delle piante.
15. Raccolta e conservazione dei frutti. — I frutti del lampone
si raccolgono (|uando sono ben maturi, ed hanno perduta tutta la loro
acidità, non però prima che le bacche si sgranino.
Per la raccolta dei lamponi da mensa bisogna aver cura di non
schiacciare i frutti. A tale scopo si portano sul campo dei cestelli con
coperchio caj)aci di contenere Va Kg. di frutti e l'operaio piega il ramo
del frutto nel cesto che si colloca in terra, taglia colle forbici i fruiti
lasciando un po' di gambo, e li fa cadere direttamente nel cesto. Ap-
pena questo è riempito si mette il coperchio e lo si porta in luogo
fresco, dove lo si lascia fino al momento di portare il prodotto sul
mercato.
I frutti destinati all'industria si raccolgono pure maturi e collocati
in cesti della capacità di 2 Kg. che la donna tiene legati alla cintura
quando raccoglie. Quando sono pieni, si mettono sopra un tavolato
per raccogliere eventualmente il succo che cola.
II frutto maturo si riconosce dal colore più intenso, dal profumo
più marcato e dalla tendenza che esso ha di staccarsi dal peduncolo.
Prendendo il frutto con le mani se si stacca facilmente, è giunto il
momento del raccolto.
Una donna può raccogliere in una giornata da 25 a 40 Kg. di
frutti. 11 raccolto completo si fa in Sol volte e possibilmente al
mattino.
16. Composizione chimica dei frutti. - Il loro valore nutritivo è
alquanto minore di quello delle fragole, come risulta dal seguente
confronto secondo Fresenius.
Acqua
' Zucchero
Sostanze solubili ) Acidi liberi ....
nell'acqua \ Sostanze albuininoidi
Sostanze insolubili
Sostanza secca . .
, Sostanze pectiche
t Cellulosa . . . .
( Cenere
\ Azoto
( Zucchero . . . .
impone
Fragola
85.74
86.833
3.86
3.818
1.42
1.491
0.40
0.554
1.44
0.127
7.44
—
0.48
—
0.48
—
28.19
E. Durand avrebbe trovato per Kg. di frutti :
Acidità in acido solforico gr. 12.20
Glucosio ^^ 55.70
Saccarosio g.95
— 907 —
17. Usi. — I lamponi come frutto da tavola si servono come le
fragole con zucchero , vino e liquori. Si fanno con essi conserve,
confetture, siroppi, ghiacciate e gelati. Servono anche a profumare vini
e liquori ed in Russia e Polonia si adoperano per fare acquaviti. Sono
usati anche in medicina.
I lamponi sono pregiati come frutto da tavola per il loro aroma
speciale nonché per essere zuccherini, aciduli. Non possono però stare
al paragone delle fragole, avendo le bacche un leggero tomento sulla
superlicie che fa un' impressione non a tutti gradevole al palato. I
lamponi e specialmente le loro bevande godono proprietà rinfrescanti
e si dice che favoriscono la traspirazione e la secrezione urinaria.
In troppa quantità però diventano lassativi e possono cagionare delle
coliche.
Mettendo in rifusione dei frutti nell'aceto bianco, si prepara una
bevanda che con aggiunta d'acqua e di zucchero è piacevole, dissetante
e rinfrescante.
L'uso dei siroppi di lampone è ancora poco diffuso in Italia causa
il prezzo troppo elevato dello zucchero.
18. Dati economici. — Un impianto di lampone comincia a dare
frutti normalmente nel 3° anno e dà un prodotto per ara di 40 a 70
Kg. di frutta.
La sua durata varia secondo la qualità del terreno, le cure di
coltivazione e la concimazione. Un impianto può durare 12 anni.
ROVO
(Rubus fruticosus Linn. — F'am. Rosacee).
Nomi volgari iUiliani della piatila — Kogo, Rogo di macchia, Rovo
montano.
Nomi volgari ilaliani del frullo — Mora, Mora prugnola, Mora di
macchia.
Nomi volgari stranieri della piatila — Frane: Ronce coinmun — Ted.:
Gemeiner Brombeerstrauch — Ingl. : Black-berry.
Nomi volgari stranieri del frullo — Ted. : Bromberee.
1. Origine. — E un frutice comune nelle siepi, nei luoghi incolli
e ne- oschi di tutta Italia.
2. Caratteri botanici della pianta. — Come il lampone ha un
fusto sotterraneo, molto lungo, ramosissimo. Le diramazioni sono fili-
formi, nodose e profonde. Queste diramazioni emettono dei polloni
che costituiscono i fusti aerei i quali sono pure biennali, lunghi,
deboli, striscianti o ripiegantosi ad arco, con cinque costole più o
meno rilevate. Sono poco ramosi e sortono in gran numero ogni
-- i)08 -
anno dalla radice. Meltono i lìori nel secondo anno e poi abortiscono
(fìg. 652).
La corteccia è bruno-rossigna, coperta di molti aculei adunchi,
giallo-rossigni.
Le foglie variano sovente d'aspetto, tanto in rapporto alla forma
e dentellatura dei bordi quanto ancora pel tomento.
FiS- 'J'>2. — Fiori e frutti di rovo.
Sopra simili accidentali cambiamenti, nonché su quelli della infio-
rescenza si basa la classKìcazione delle varietà, di cui vedremo in
seguito.
Nel Rubns fniticosiis le foglie sono alterne, picciolate, quin e o
ternate, con foglioline variabili di grandezza e figura, ovate-oblii -
ghe, ecc. più o meno rotondate, seghettate finamente, glabre e lucide
sulla pagina inferiore e di color verde-cupo. Sulla pagina inferiore
sono tomentose e biancheggianti.
Il fiore ha la corolla o bianca o screziata di rosso, oppure è carni-
cina ; sboccia in maggio-giugno-luglio.
— 909 -
Il frutto matura in agosto e settembre, passando del verde al rosso
poi al nero. K composto di molli acini, disposti a cupola (mora),
di sapore dolce (lìg. 653).
Fig. 653. — Fruttificazione del rovo.
Cresce per lo più vicino o sotto ad altri alberi ai quali molte volte
appoggia i suoi rami talmente, che quelli vengono depressi dal suo
peso se sono deboli o in tenera età.
3. Classificazione e scelta delle varietà. — Queste si possono riunire
in 5 classi secondo gli autori inglesi.
1. Rovo a grappoli lunghi (Rubus lùllosiis). — E' la varietà più
diffusa a frutti più grossi, il grappolo è lungo, spargolo, aperto, senza
— 910 -
foglie, con un lungo peduncolo. La pianta è vigorosa con foglie ab-
bastanza sottili. Frutti cilindrici. A questa classe appartengono le va-
rietà: Early Cluster e Ancient Briton.
2. Rovo a (jvappoU corti (Rubiis villosus var. salivus). — Con le
le varietà: New Rochelle, Kattatinny, Suyder, Agawan, Erie, Minnewaski
e Mersereau. II grappolo tipico ha pochi frutti, tondeggianti.
:ì. Rodo frondoso {Riibns villosus var. frondosiis. — Si trova nei
terreni aridi e forma dei frutici con molte ramificazioni. I grappoli
sono brevi, le foglie piccole, rotonde, sbiadite, rimangono a lungo
aderenti in autunno sui rami.
Il frutto matura presto, di media grossezza e rotondo. Appartengono
a (juesla classe le varietà: Early Harvest e Brunton's Early.
4. Rovo a grappoli spargoli {Rubus villosus x Rubus Canadensis). —
Appartengono le varietà : Wilson Early, Wilson Junior, Sterling Tho-
ruless , Rathbun e probabilmente la Thompson's Early Mammotb.
Questa classe è caratterizzata per i rami molto coricati formanti un
cespuglio largo.
5. Rovo delle sabbie (Rubus cuneifolius). — Questo rovo cresce
selvatico nelle sabbie intorno a New York e raggiunge l'altezza di ni.
0.60 a 1. Le foglie hanno una dentatura larga, sono intagliate e molto
pelose. I frutti sono radi, rotondi, molto neri, dolci, eccellenti.
Le varietà più importanti poste in commercio dagli americani
sono le seguenti: Snyder, Minnewaski, Kittatinny (precoce), Ancien!
Hriton, Agawan, Erie, Early.
Queste due ultime sono molto precoci.
In generale tutte queste varietà americane sono molto sensibili
ai freddi.
In Europa si distinguono due sole classi: rampicanti e striscianti,
alle quali ultime appartengono quasi tutte le varietà americane che
sono state introdotte.
Le varietà più comuni sono: il rovo tomentoso colle foglie vellu-
tate su ambe le pagine; il rovo senza aculei; il rovo a foglie frasta-
gliate; il rovo irto, cioè colle foglie irsute; il rovo glanduloso colle
foglie glandulose; ed il rovo ibrido.
4. Importanza della coltivazione. — Da noi in Italia questa colti-
vazione non è slata ancora tentata a mia conoscenza con una certa
estensione per le molte altre specie di frutta più pregevole che si pos-
sono avere in agosto, ma non credo che sia conveniente a diffonderla.
In (lermania dove è slata tentata la coltivazione anche di varietà ame-
ricana, non si conseguirono buoni risultali.
5. Sistemi di coltivazione. — Come il lampone, richiede però più
sole e più spazio.
6. Clima e terreno. — In tutta Italia è possibile la coltivazione
del rovo che cresce spontaneo. Oggetto di cura è soltanto in Inghil-
terra ed America, dove si fanno le distinzioni delle varietà, delle
quali ho citalo le più meritevoli.
— 911 -
Il miglior terreno per il rovo è quello profondo, soffice, alluvionale,
con preponderanza di calce ed argilla e con molto iimiis.
7. Moltiplicazione e coltivazione. — L'impianto devesi fare su
terreno scassato, perchè le radici possano approfondirsi e le piante
non abbiano da soffrire per la siccità dell'estate. Si adoperino per la
moltiplicazione dei getti di un anno, robusti, e si piantino alla profon-
dità di 15 a 20 cm. in aiuole ben concimate con stallatico. L'impianto
si faccia a file distanti fra loro m. 2.50 e sulla fila metri 0.6-1. Gli
spazi fra le piante vengono presto occupati nei venturi anni coi nuovi
germogli. Non conviene lasciarne molti inquantochè occorre poter la-
vorare il terreno intorno alle piante per mondarlo dalle malerbe.
Nel primo anno si può utilizzare l'interfilarc con un impianto di
fragole o patate.
Nel primo anno alle piante vigorose si lasciano 3 a 4 getti per
pianta, i quali daranno frutto nell'anno successivo ; se però questi
getti hanno una lunghezza di m. 0.60 ad 1, bisogna accorciarli.
Le cure di coltivazione del rovo sono semplicissime ed identiche
a quelle del lampone. Bisogna ricordare che soltanto i getti formatisi
nell'anno precedente e che sortono dalla radice, possono portare
frutto.
Occorre quindi sopprimere alla base tutti i getti , di mano in
mano che i frutti maturano (fine agosto), per provocare dalla radice
dei nuovi.
Una buona radice di rovo può dare annualmente da 10 a 20 getti,
però di questi, come abbiamo detto, per ottenere delle belle frutta
se ne lasciano soltanto 5 o 6 in terreni buoni e sopra piante vigorose;
ancora meno in circostanze poco favorevoli. 1 polloni che non hanno
una lunghezza superiore a 10-13 cm., devonsi soppi'imere. I polloni
che raggiungono una lunghezza di 80 a 90 cm., si cimano di 5 a 10 cm.
ed a questo scopo conviene visitare di frequente la piantagione, per
praticare anche durante la vegetazione questa cimatura. 11 frutticoitore
attento anzi deve fare questa operazione di mano in mano che vede
assicurato un buon prodotto, già allegato ed in via di maturazione,
allo scopo di rinforzare i polloni nuovi che nella prossima annata
porteranno frutto.
11 rovo non richiede alcun sostegno e soltanto nei terreni più
freddi, abbisogna di una rincalzatura in autunno per ripararlo dai
danni del gelo.
Il terreno deve essere mantenuto sempre soffice e deve essere
lavorato profondamente.
La concimazione con stallatico e concimi supplementari a base di
azoto ed acido fosforico, si è dimostrata la più confacente.
8. Prodotto. — I frutti sono commestibili e con essi si può fare
anche un liquore o delle conserve.
Hanno un sapore dolce smaccato con qualche profumo specialmente
fra le varietà nuove.
- 912 -
Secondo l'resenius la loro composizione sarebbe la seguente
Acqua.
Sostanze solubili
nell'accina
Sostanze
nell'acqua
Sostanza secca
insolubili \
80.11
Zuccbero 4.14
Acido libero Oli)
Sostanze albuminoidi 0.51
Sostanze pectiche 1.44
Cenere 0-41
Cellulosa 0.21
Pectosio 0.:ì8
Cenere 0.07
Azoto 0.42
Zucchero 32.07
Le foglie del ros'o sono gradite alle pecore e capre, le quali ul-
time mangiano anche i teneri polloni.
Dai tronchi si ricavano delle tinture per colorire i panni e la ce-
nere dei tronchi contiene molta potassa.
Un impianto di rovi può durare in media circa 20 anni e sempre
convenientemente rimunerativo, ricavando intorno a 120 hi. l'ettaro
di IVutti.
PARTE OTTAVA
PIANTE DA FRUTTI COMPOSTI
FICO (')
(Ficus carica Limi. — Fani. Urlicacee).
Nome volgare italiano del fruito — Fico.
Nonìi volgari stranieri della pianta — Pranc. : Figuier — Ted. : Fei-
genbaum — Ingl. : Fig-tree.
1. Origine e distribuzione geografica. — Originaria dell'Ori en le,
questa pianta è coltivata in tutte le regioni d'Italia, fino a 1000 metri
di altitudine.
La storia del fico presenta molta analogia con quella dell'olivo, per
quanto riguarda l'origine e la distribuzione geografica. Come specie
spontanea, ha dovuto estendersi facilmente per efletto della dispersione
dei semi, potendo questi attraversare il tubo digerente dell' uomo e
degli animali senza essere digeriti. Vi sono pertanto dei paesi dove il
fico viene coltivato senza mai essere inselvatichito, come l'India, il
mezzogiorno degli Stati Uniti, l'isola Borbone ed il Cile.
Oggi il fico cresce spontaneo o quasi spontaneo in una vasta re-
gione di cui la Siria occupa presso a poco il centro e cioè dalla Persia
Orientale o dall'Afganistan, attraverso tutta la regione del Mediterraneo
fino alle isole Canarie; e si arresta come l'olivo, ai piedi del Caucaso
e delle montagne d'Europa che limitano il bacino del Mediterraneo.
2. Il fico e il caprifico. — Da tutti viene ammesso che il fico do-
mestico deriva dal caprifico, fico selvatico della regione del Mediterraneo
che pare originario delle regioni montuose dell'Arabia meridionale.
Da qui si propagò per seme, trasportato dagli uccelli. Per coltiva-
zione o per selezione operata dall'uomo si formarono diversi tipi di
(1) F. Vallese. // fico. Catania 190'J. — P. Esteiìlich. La Higuere. Palina de Mallorca 1910.
58 — r.\MAito - Frulticolliira.
caprilico che vengono coltivali più che per il frutto, per l'abbondanza
di fiori maschi i quali servono a fecondare come vedremo i fichi do-
mestici.
3. Caratteri botanici della pianta. — Alljcro, che si eleva fino a
7-10 metri di altezza, e quando è selvatico, rimane allo slato di arbusto.
Fig. 654. — Albero di fico Albo.
Cresce rapidamente, se è isolato, i rami si estendono mollo, curvandosi
verso terra e dando alla pianta un aspetto irregolarmente rotondalo
(lìg. f)ó4). Radice robustissima, dotata di un potere straordinario di
penetrazione anche nelle minime fessure delle roccie.
Tronco torlo e ramoso, con la scorza cenerina e liscia. I rami sono
contorli, di color diverso secondo l'età, e contengono, come tutte le
parli della i)ianla, un latticelo bianco, gommoso.
915
Sul fico, le gemme vegetanti fiorifere, si trovano esclusivamente sui
rami di un anno e verso l'estremità. Sui rami di due e più anni si tro-
vano delle gemme foglifere (a legno) che germogliano soltanto se il
prolungamento del ramo formatosi nell'anno precedente viene dan-
neggiato dal gelo o amputato.
Alla base dei rami vecchi, alle biforcazioni, alla base del tronco,
non mancano gemme avventizie che danno i |)olloni.
I rami di un anno sono provveduti sempre di una o due gemme
terminali a legno. Queste sono acuminate e coperte da due squame. In
prossimità alla gemma terminale si possono trovare delle gemme fio-
rifere, che sono subrotonde e sporgenti.
Sotto la gemma teruìinale, a brevi internodi, si notano delle larghe
cicatrici sormontate da una o due cicatrici pure tondeggianti, ma più
piccole. La cicatrice maggiore, segna il punto dove nell'anno precedente
era inserita la foglia; le cicatrici minori, indicano il punto in cui erano
inseriti i fichi. Fra queste cicatrici è inserita una piccola gemma, ovale,
appuntita, la gemma foglifera (a legno). Talvolta in sua vece può tro-
varsi una gemma a frutto che ha la forma di bottoncino tondeggiante.
Le foglie sono grandi, consistenti, scabre, pubescenti di sotto, cuori-
formi alla base, raramente intere, quasi sempre divise in tre a sette
lobi disuguali, grossamente dentale nel margine.
Le nervature principali si dipartono con disposizione palmata dalla
base, raramente intere, quasi sempre divise in tre a sette lobi disuguali,
grossamente dentate nel margine, le secondarie sono a disposizione
pennato reticolata.
II picciolo è lungo un terzo o la metà della lamina. Due grandi
stipole intere, acute, avvolgono come in un cartoccio la gemma termi-
nale e cadono quando questa gemma germoglia
ed apparisce la foglia successiva. Anche le stipule
lasciano sul ramo la cicatrice. Quando invece si
arresta lo sviluppo del prolungamento, ciò che
avviene in giugno o luglio, coll'apparire dei fichi
estivi, le stipule dell'ultima foglia non cadono,
ma si induriscono, diventano prima di color
rosso poi bruno e formano le due squame di
protezione della gemma terminale di cui abbiamo
già parlato.
Se si osserva un frutto di fico sezionato ver-
ticalmente, quale è rappresentato dalla fig. 655,
si vede che esso non è un semplice frutto ma
un ricettacolo fiorale, un rametto verde iiigrossoto
e cavo, proveniente dal ramo corrispondente della
pianta, e contiene nella sua cavità un grande
numero di fiori. Questo rametto che ha la forma di clava, chiamato
dai botanici, siconio, è in realtà una tazza od urna, dalla cui parete
interna sorgono le ultime ramificazioni del germoglio colla forma di
Fig. 655. — Frutto di
fico sezionato.
- 916 -
peduncoli fiorali. La bocca dell'urna, chiamata orifizio, è molto piccola,
ristretta da piccole fogliette squamose.
I (ìori che riempiono quasi tutta la cavità interna, sono molto pic-
coli e di 4 specie :
a) fiori maschi, che si trovano presso l'orifìzio, formati da un
peduncolo che si allarga in tre foglioline squamose (il perigonio)
e portano da 3 a 5 stami (vedi illustrazione a sinistra della fìg. 055).
I fiori maschi si trovano sul caprifico; molto raramente sul fico
domestico ;
b) fiori femminili, con stilo lungo (vedi illustrazione a destra della
fig. 055), producono il seme che è considerato botanicamente, il vero
frutto. I fiori femminili si trovano tanto sul caprifico quando sul fico;
e) fiori gciHicoli, sono fiori femminili con stilo assai breve, ove
dimora e si sviluppa un moscherino, Blaslophaga (jrossoriim che, come
vedremo, favorisce la fecondazione del fico. I fiori gallicoli si trovano
solo sul caprifico ;
d) fiori ibridi. Sotto questa denominazione intendo chiamare lutti
quei fiori del fico domestico, che arrivano a maturazione, ossia a
diventare carnosi, senza il concorso del polline dei fiori maschili del
caprifico. Nel caprifico non si trovano i fiori ibridi. Questi fiori ibridi
non producono semi fecondi, si sono formati nel fico domestico in
seguito alla continuata loro coltivazione in un ambiente dove mancava
la fecondazione per mezzo della Blastophaga. Per inerzia l'ovario si
andò trasformando; lo stigma scomparve, lo stilo diventò più corto,
l'ovulo si è atrofizzato. E' avvenuto perciò in questi fiori una degene-
razione come si manifesta in molti fiori ornamentali moltiplicati esclu-
sivamente per divisione della pianta.
Non tutti i fichi domestici sono costituiti esclusivamente di fiori
ibridi. Cosi ad esempio il fico di Smirne ha soltanto' fiori femminili e
per maturare ha bisogno della impollinazione o come si suol dire della
caprificazione. Altri fichi, come quello di S. Pietro, il Gentile, il Porto-
ghese, secondo quanto dice l'Esterlich nell'opera citata, contengono
esclusivamente fiori ibridi nei fioroni e fiori femminili nei frutti estivo
autunnali.
Affinchè questi maturino è indispensabile quindi la impollinazione,
che non è necessaria per i fichi fiori.
Le infiorescenze ossia i fichi, si formano successivamente in diversi
periodi dell'anno.
Così nel caprifico abbiamo :
a) Le mamme, (Gratitires dei greci) o fichi d'inverno, attaccati per
tutto l'inverno al di sopra delle cicatrici lasciale dalle foglie cadute
nell'autunno. Sono tondeggianti, di colore verde-bronzo, con sfumature
violacee e racchiudono fiori gallicoli.
In aprile, quando escono i moscherini, questi frutti cadono.
- 917 -
b) I profichi (orni dei greci, grossi dei latini), si sviluppano al di
sopra delle mamme, sulla estremità del ramo ; racchiudono vicino
all'orifizio dei fiori maschili, e nei due terzi inferiori circa, fiori fem-
minili gallicoli. In tre mesi maturano e disseccano, raramente si arri-
vano a mangiare.
e) I mammoni (fornites dei greci), si sviluppano in numero limi-
tato durante l'estate e contengono tutte e tre le sorta dei fiori. I mammoni
sono buoni a mangiarsi in qualche varietà di caprifico.
La coltivazione del caprifico come si vede non conviene per il
frutto, ma solo per la caprificazione.
Nel fico domestico si riscontrano una o due specie di infiorescenze,
[n questo ultimo caso il fico è chiamato bifero:
a) fiorone o fior di fico (colummo) il quale corrisponde al profico.
Si sviluppa come questo in primavera, da quei bottoni tondeggianti
che abbiano veduto trovarsi assieme alle gemme a legno sull'estremità
dei rami dopo cadute le foglie.
Contiene esclusivamente dei fiori ibridi.
b) Fico propriamente detto, o frutto eslino autunnale. Contiene a
seconda delle varietà dei fiori femminili o dei fiori ibridi od anche
simultaneamente tutte e due le specie di fiori. È ben raro trovare sul
fico domestico, dei fiori maschili.
Quando i fiori femminili sono stati fecondati, l'ovario si trasforma
in una piccola drupa, (è il vero frutto dei botanici), che racchiude il
seme. Naturalmente nei fiori sterili la drupa rimane senza seme come
anche nei fioroni. Quindi la parte edule del fico è composta di una
([uanlità di drupe la cui polpa è molle, zuccherina e succosa.
Per quanto i fichi fiori del frutto domestico siano molto stimali
per la loro precocità, nella grande coltura sono più apprezzati però i
fichi estivo-autunnali, essendo più dolci, più profumati ed i soli atti
dell'essiccazione.
4. Caprificazione. — La fecondazione del fico avviene come ho
citato più sopra per mezzo di moscherini della famiglia degli Imenol-
leri, gruppo dei Calcidi e particolarmente della specie Blastophaga
grossorum Grev. che nascono nella galla dei fiori gallicoli del capri-
fico e viene chiamata caprificazione.
Aprendo durante l'inverno una mamma del caprifico, si trova il
ricettacolo ripieno di fiori gallicoli, i quali invece di portare dei
semi, portano uova della Blastophaga. Queste uova sono affatto simili
ai semi.
Sul finire dell'inverno dall'uovo nasce una larva, che rimane
racchiusa nella galla. Dopo due mesi si ha l' insetto perfetto (fine
aprile).
Allora il maschio, esce dalle galle e va a fecondare le femmine ;
c[ueste alla loro volta si avviano verso l'orifizio, escono dalle mamme,
e procurano di penetrare per l'orifizio nel primo profico che incon-
- <)18 -
trano, perdendo anche le ali. Nel profico depongono le ova nell'ovario
dei fiori giallicoli.
Le larve che nascono (verme dei fichi) riempiono l'ovario, il pro-
(ìco si ingrossa ed in capo ad altri due mesi si ha una seconda
generazione, che accade di solito nella seconda metà di luglio.
Le femmine nell'uscire, in contatto coi fiori maschili che si tro-
vano presso l'orifizio e colle antere aperte piene di polline, vengono
da questo quasi completamente coperte e lo trasportano nei mammoni
o fichi estivo autunnali. Il polline in contatto coi fiori femminili, li
feconda ed intanto la Blastofaga depone le uova. Prima dell'inverno
vi ha una terza generazione, la quale depone le uova (in settembre),
nelle mamme del caprifico.
Essendoché la maggior parte dei fichi domestici contiene esclusi-
vamente dei fiori ibridi, è sembrato ad alcuni per molto tempo che la
caprifìcazione fosse inutile. In realtà invece è necessaria per alcune
varietà.
Difatti abbiamo visto che ad esempio il fico di Smirne, il quale è
unifero, non matura i suoi fiori femminili se non vengono fecondati;
cosi si dica per il fico di San Piero, per il Gentile, per il Portoghese,
se da questi si vogliano avere i fichi estivo-autunnali ; cosi di molte
varietà delle regioni meridionali come il Faccio descritto dal Vallese,
il Fico deir Abate, il Fiacazzano, ecc. E' stato poi anche dimostrato che
la capri ficazione rende i frutti più succosi, affretta la maturazione ed
impedisce la caduta anticipata. In ogni caso è necessario pel coltiva-
tore di conoscere le varietà di fichi la cui caprificazione è necessaria, a
{|uali è utile ed a quali è indifferente. Questo è un programma di studi
(li altissimo interesse.
In Italia è usata la caprificazione nelle Puglie, in Calabria ed in
Sicilia. In Spagna, Algeria, Grecia, Asia minore ed in generale nei paesi
caldi, la caprificazione è una pratica ordinaria.
La caprificazione si fa alla fine di giugno, quando cioè la cavità
interna dei profichi è piena di blastofaghe maschi, mentre i fiori maschili
che si trovano verso l'orifizio sono aperti e lasciano cadere il polline.
Si colgono allora questi profichi interi e si infilano a 4 o 6, perfino 20
ad un giunco o fil di spago, e si appendono ai rami della pianta che
si vuol caprificare.
Questa operazione si ripete due o tre volte, per fecondare i piccoli
fichi di mano in mano che si sviluppano. Dovendo trasportare i pro-
fichi, bisogna raccoglierli quando appena qualche blastofaga incomincia
ad uscire dalla boccuccia.
Naturalmente per la caprificazione, si devono scegliere quelle piante
i cui protìchi contengono molti fiori maschi e perciò producono
abbondante polline.
Per questo il coltivatore di solito seleziona e alleva una pianta
apposita di caprifico che ha i suddetti requisiti e con questa innesta le
altre piante.
- 919 -
5. Classificazione delle varietà. — Essendo il capri lieo coltivato
soltanto per la fecondazione, ci occuperemo del fico domestico.
Le varietà principali di questo sono classificate in base allo
sciiema Tab. LXVIII e nella Tab. LXIX sono elencate le varietà con-
sigliate.
6. Scelta delle varietà. — Per gli orti e per la coltivazione casa-
linga conviene allevare più varietà di fichi che maturino dal giugno
all'ottobre.
Quando si coltiva invece allo scopo di disseccare i frutti, bisogna
scegliere una o due varietà, possibilmente precoci, che producano
frutti abbondanti ed uniformi. Si preferiscano le varietà a frutto bianco
e grosso per ottenere dei fichi secchi, bianchi, polposi, zuccherini.
Tab.
LXVIII.
Schema di classificazione
delle varietà del fico domestico (Tamaro).
Caratteri
generali
del
Forma
Famiglia N.
Varietà raccomandate
gruppo
sferica
I
_
appiaUita
II
Albo
'
•u
trottola
ovoidale o cucurbiforme
III
Brogiotto bianco
o
IV
—
i
1 ampolliforme, cilindrica
od
1
Dallo, Dottato, Fracazzano
\
' a pera
V
bianco, Monaco, Verde
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1
(
gentile
l
conica
VI
Paradiso
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1
sierica
VII
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ia
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„ appiattita
vili
Dell'Abate, Faccio
f 1
1 trottola
IX
Di Smirne
e
^ ovoidale, cucurbiforme,
X
Pissalutlo, Brianzolo
3
j ampolliforme, cilindrica
od
XI
XII
lì
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Albo ((ìgg. 654 e 656).
Sinonimi: Bianchetla, Hiancoletta, Albinello, Mattano, Fico dorato a Pavia, Bollo in
Istria, Biancolino a Milano, Moscadello a Como, Gentile a Venezia e Bologna.
Area di coltivazione: Italia Centrale e Meridionale.
Maturazione: Bifero. I fioroni in giugno-luglio i fichi in luglio.
Qualità : prima specialmente per i fioroni, molto pregiati perchè più precoci, co-
minciando a maturare nella prima metà di agosto. I fichi che si raccolgono nella se-
conda metà di agosto si essiccano.
Vigoria: molta.
Fertilità : molta.
Clima : fresco. Le pioggie lo ren-
dono insipido.
Terreno : fertile, leggero.
Esposizione e situazione: calda.
Descrizione della pianta: medio-
cre grandezza: fronda tondeggiante:
foglie pubcscicati, larghe, fli un
verde cupo ; fioroni di color giallo
Fig. 656. — Albo.
6.i7. — Brianzolo.
canarino vivo, colla forma a campana compressi alla corona; buccia sottile con polpa
bianchiccia involta in un miele giallognolo, gentile, di sapore grazioso, non caustico :
fico tondeggiante, piccolo senza collo, attaccati per un piccolo peduncolo legnoso ;
buccia quasi bianca, bianca è pure la polpa nuotante in un miele giallo chiarissimo.
Brianzolo (fig. 657).
Sinonimi: Passin, Passet.
Area di coltivazione : tutta l'alta Lombardia.
Maturazione ■ unifero, settembre.
Qualità: eccellente per mercato, perchè resiste ai trasporti K il migliore dei fichi
lombardi.
Fertilità : normale.
Vigoria : media.
Descrizione del frutto: Fichi piccoli, cucurbiformi, a buccia verde, dura ed a polpa
consistente, del colore del vino. Molto saporiti e appassiscono sulla pianta.
Proprietà del fruito: resiste al trasporto.
— 922
Brogiotto bianco (lìg. 058).
.Smo;ii/iu . Hroj^iollo genovese.
Area lìi coltitmzione : nelle regioni calde e meridionali d'Italia.
Mitlunizione : bifero ma non porta i fioroni a maturazione. I fichi maturano dalla
metà di agosto a novembre.
Qualità : prima da tavola e seconda per essiccare.
Fertilità: notevole e costante.
Vigoria : straordinaria.
Clima: caldo, senza sbalzi di
temperatura.
Terreno: fertile, tresco.
Esposizione e situaz. : littoraneo.
Descrizione della pianta : albero
di notevole dimensioni, anzi il più
grande fra 1 fichi, alto, grosso, con
rami divaricati, grossi: foglie gran-
dissime, trilobate, qualche volta in-
tere, di un verde tendente al gial-
lognolo.
descrizione del fico: grossi, com-
pressi alla corona, degradanti verso
il ])eduncolo ma quasi privi di collo :
colore verdastro ; buccia sottile che
staccasi facilmente, con screpolatu-
re ; polpa saporita, rosso vinoso.
Brogiotto nero.
Sinonimi: Brogiotto lìorentino.
Africano, Brosciotti, Barnisotti.
Origine: dicesi importato dall'A-
frica, ora è esteso in tutta Italia.
Maturazione: unifero, dal princi-
pio di settembre alla fine di oltol)re.
Qualità: prima da tavola e da
seccare.
lertilità: abbondantissima e co-
stante ;
Vigoria: straordinaria.
(.Unta: caldo meridionale ed anche con tuia temperatura media.
Terreno : fertile e fresco.
lisposizione e situazione: non tanto secche.
Descrizione della pianta: simile al brogiotto bianco, grande con rami tortuosi, por-
tanti un gran numero di messe corte, con nodi approssimati; fogliame ricchissimo, che
arriva lino a terra. Foglie medie, intere o con lobi corti ed ottusi, che si tingono di un
verde bruno-cinereo.
Fichi grossi abbastanza, bruno violacei, simili per forma e per qualità al Brogiotto
bianco : buccia verde cinerea, listata da coste rilevate che svaniscono ; peduncolo colla
maturità e la buccia diventano di colore bruno violacea che screpola ; polpa con miele
rosso e denso.
Fig. ().')8. - Brogiotto bianco.
Cuore o Rubado (C.allcsio) (lìg. 6:)9).
Area di coltiuazione : Marche, Umbria, Roma, Liguria e nelle migliori posizioni.
Maturazione: unifero, agosto-settembre.
Clima : caldo umido.
Terreno: fertile e tenace.
- 923 -
Descrizione della pianta: piccola; rami rari e sottili ; fogjie piccole, per lo più tri-
lobate, verde carico : non produce lìoroni.
Descrizione del frutto: frutti oblunghi, larghi alla corona, appuntati verso il pe-
duncolo, imitanti la forma a campana o di cuore. Buccia dura, compatta, di color ver-
dastro cenerognolo e dalla parte del sole di una tinta di secco nella massima maturità.
Polpa rosso vinosa assai carica : sapore molto dolce, caustico.
Fig. 6.59. — Cuore o Rubado.
Batto (fig. 6(i0).
Sinonimi : Madama a Milano, Genovese a Pavia, della Madonna a Bergamo ed in
Istria, Rossetto a Voghera, Avarengo a Torino, Laude ad Alessandria.
Area di coltioazione: tutta Italia e specialmente a settentrione.
Qualità : seconda da tavola.
Fertilità : media.
Vigoria : media.
Clima: caldo, nellUalia settentrionale è soltanto il fiorone che raggiunge la per-
fezione.
— 1)24 —
rami lunghi a
(li distanti : loglie 5 lobate con
Descrizione della pianta : alla
lobi piccoli e lunghi.
Descrizione del frullo: fiorone grosso, quasi cilindrico, lungo. Buccia gialla sfumata
di rosso marrone speciale. Polpa bianco brillante involta in un miele rosso, dolce, de-
licato se matura bene. Fico più piccolo del fiorone, corto, largo alla corona e quasi
piatto: colore verdastro sfumato in rosso; polpa bianchiccia, mielosa.
Fig. 660.
Dattero (lìg. (561).
Sinoniini: Vezzoso l)ianco. Cortese, Coasco, Bezzoso.
Area di cnlliuazione : tutta Italia.
Maturazione : unitero, settembre-ottobre.
(Jualitù: prima da commercio per essiccare,
poca.
Fertilità :
Descrizione della pianta: piccola con fronda mollo larga; ram
asi toccanti il suolo, corti, fitti; foglie 5 lobate, sottili con seni ii
inclinali in
seni molto profondi
Proprietà della pianta : molto longeva.
Descrizione del fico: di mezzana grandezza, a campana, ascellare: colore bianco e
giallo velato-misto, con leggera sfumatura rossa; buccia carnosa e delicata, screpola a
- 925 -
maturità; polpa bianca, involta in un miele giallognolo, dolcissimo, né piccante né
caustico.
Proprietà del frutto: sapore troppo mieloso perciò viene più apprezzato per sec-
care che fresco.
Osseruazioni : vi ha una varietà a buccia nera chiamato Dattero nero.
Dell'Abate (Va li ose).
Area di coltiuazione : Terra d Otranto.
Maturazione: seconda metà di agosto.
Qualità: prima per i frutti freschi.
Buono anche per l'essiccazione.
Fertilità: unifero.
Vigoria : notevole.
Terreno : buono ma non arido, perchè
altrimenti perde presto le foglie.
Descrizione della pianta: foglie medie,
scabrose, verde intenso ; picciolo lungo,
grossetto : lamina trilobata con seni pro-
fondissimi: denti piccoli, irregolari.
Descrizione del frutto: forma roton-
deggiante, leggermente compressi alla co-
rona: colore giallo verdastro sporco; buc-
cia con screpolature, sottile che si stacca
facilmente; peduncolo cortissimo; polpa
abbondante, bianco-giallastra con sfuma-
ture violacee. Fiorellini carnosi, numerosi,
bianchi inmiersi in un miele di colore roseo tendente al violaceo ; semi numerosi.
Proprietà del frutto: sapore piacevole, dolcissimo, richiede la caprilìcazione.
Fig. 661.
Dattero.
Dottato (fìg. 662).
Sinoniini: Ottato, Rinello. Binellone, Gentile, Napoletano, di Calabria, Dattarese,
della goccia d'oro.
Area di coltivazione: in tutta Italia ad eccezione della Lombardia e del Veneto.
Maturazione: bifero, i fioroni per lo più cadono: i lichi maturano dalla metà di
agosto alla metà di settembre.
Qualità : prima da tavola e per essiccare.
Fertilità: straordinaria.
Vigoria : straordinaria.
Clima : caldo.
Terreno : profondo, fresco, molto fertile.
Esposizione e situazione: soleggiata.
Moltiplicazione : per talea, polloni ed innesto.
Sistema di coltiuazione: a pieno vento; bisogna però di quando in quando fare dei
tagli di rinnovo.
Descrizione della pianta: fusto e rami diritti, torti con gemme approssimate; foglie
grandi, trilobate o quasi intere ; verde carico con leggera peluria.
Oescr/zione rfe/ /"ru^o: liorone a fiasco ; lichi abbinati per lo più all'ascella delle
foglie, ovoidali o rotondeggianti e compressi alla corona ; colore verde giallastro o ca-
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nariiio: buccia verdastra poi lucida: peduncolo cortissimo; polpa bianco giallastra, ab-
bondante, sugosa con sugo color miele roseo : semi poco numerosi.
Proprietà del frutto: sapore gradevolissimo, molto dolce. Molto pregiato per il
consumo diretto ma anche per l'essiccazione, jioichè conserva la morbidezza.
Fracazzano bianco (Vallese).
Area ili coltivazione: Terra d'Otranto.
Maturazione: bifero. Dalla seconda ciuindicina di agosto ai primi di ottobre.
Qualità: prima da freschi, discreta per disseccamento.
Fertilità: ha bisogno della caprificazione.
Terreno: fresco e fertile.
Descrizione della pianta: grande: foglie di media grand, verde vivo; lamina 3 o .') lobata.
l'ioroni a fiasco, rotondeggianti alla corona, terminanti con un collo che va leg-
germente restringendosi al peduncolo cortissimo. Buccia verde giallastra con rare pun-
teggiature bianche e qualche screpolature alla maturazione. Polpa abbondante, bianco
giallastra con miele dolcissimo, saporitissimo, squisito.
Descrizione del lieo: rotondeggiante, compresso alla corona; colore giallo-verdastro,
picchiettato da punii chiari; la buccia si stacca facilmente; peduncolo corto: polpa
bianco crema, dolcissima.
Gentile (lìg. 663).
Sinoninìi: Fico d'oro. ^
Area di coltiuazione: Italia centrale e meridionale al di là dell'Appennino.
Maturazione: produce soltanto fioroni in agosto-settembre.
Terreno: fertile e fresco.
Jisposizione e situazione : meglio al piano che sulle colline.
Moltiplicazione: per talea e polloni.
Descrizione della pianta : forma e altezza grandi : rami molti, riuniti ; foglie trilobate
di un verde che cangiasi in giallognolo.
Descriijone (/e/ /Jorofie; oblungo, ovato alla cima, rigonfio nel corpo e degradante
appena vicino al peduncolo dove fiorisce quasi senza collo; buccia sottile di un bel
canarino, screpolala nella maturità: polpa grassa, mielosa di un giallo sfumato di rosso
e di un gusto squisito, fina, gentile, leggera.
Melagrano.
Sinonimi: Unico, di .Spagna, di .S. Francesco.
Area di coltiuazione: (ienovesato.
Maturazione: unifero line agosto e tutto settembre.
Qualità: da tavola e da seccare.
Fertilità : notevole.
Clima: dolce, umido.
Terreno: fertile, fresco.
Descrizione della pianta: non molto alta ma a chioma assai ampia; foglie trilobate
con lobi corti, ottusi.
Descrizione del frutto: forma ovata, grosso; colore verde violaceo; screpola in tutti
I sensi : polpa grossa, involta in un miele denso di colore sanguigno simile al succo di
melagrano. Gusto vivo, saporito.
Monaco (fìgg. 661 e 66;")).
Area di collioazione: f.unigiana e Liguria.
Maturazione: bifero, liorone in estate: fichi tardivi.
Qualità: prima da tavola ed anche per seccare.
Esposizione e situazione: calda.
— ;)2« —
Descrhione della pianta: grandissima con rami grossi, diritti con nodi spessi;
foglie larghe appena lobate a lobi ottusi.
fioroni : escono dalla seconda messe dell'anno precedente : oblunghi, ovali alla
corona, allungali al collo ; buccia verdastra, punteggiata in bianco, molle, violacea di
dentro. Polpa lina, mielosa, delicata, squisita.
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Fig OGt. — Albero di fico Monaco.
Descrizione delfico: esce dalla prima messe dell'anno, sessile, campaniforme, com-
presso alla corona; colore verdastro; buccia dura ed avvizzisce alla maturità; polpa
densa, rosso rosea, dolcissima, caustica.
Faccio (Vallose
Sinonimi: Pazzo.
Area di c:^llivazione: Terra dOlranto.
Maturazione: nella seconda n»età di agosto.
Qualità: prima da tavola e per l'essiccazione.
Fertilità: unifero.
Vigoria : molta.
Clima : caldo.
Terreno: profondo, ciottoloso.
— 929 -
Descrizione della pianta: foglie grandi, verde intenso, picciolo lungo, grosso; la-
mina rotondeggiante, 5-7 lobata; lobi grandi; denti irregolari; ottusissimi; nervature
grosse, sporgenti.
Proprietà della pianta: richiede la caprificazione.
Descrizione del frutto: forma rotondeggiante, compressa alla corona; colore verde
giallastro sporco buccia con scre|)olature bianche, esile, che si stacca facilmente : pedun-
Fig. 665. — Monaco.
colo cortissimo : polpa bianco-giallastra con sfumature paonazze. Fiorellini carnosi, nume-
rosi, biancastri, immersi in un sciroppo; seme roseo, livido che spesso geme dalla boccuccia.
Proprietà del frutto: sapore grato, dolcissimo.
Difetti della varietà : il frutto soffre per le pioggie autunnali, spaccandosi.
Paradiso.
Sinomini: Fico di Berlo.
Origine: Napoli.
Maturazione: bitero, fioroni in agosto e fichi in settembre. Durano poco.
Qualità: pregiata per i fioroni.
Fertilità: poca.
59 — Tamaro - Frutticoltura.
Descrizione della pianta : lorma e altezza media con chioma sparsa, irregolare;
rami, sottili con inlernodi lunghi.
Fioroni lunghi, niedii, verdi pichiettati di bianco. Il parenchima che avvolge la
polpa è violaceo : lintcrno della polpa è bianco velato di rosso, con un miele squisito.
Somigliano al fiorone del Monaco.
Descrizione del fico: forma diversa dal fiorone, piccoli, a fiasco, colore giallo cereo:
buccia sottile: polpa bianca appena sfumata di rosso, molle, delicata, non caustica
ma di poco sapore.
Pissalutto (Gallesio) (lìg. 066).
Sinonimi : Liviano dai Romani.
Origine ed area di coUiuazione: Genovesato dove è molto esteso. Corsica e Sardegna.
Maturazione: unifero, fine agosto e tutto settembre.
Qualità: è il più gentile dei fichi. Ottimo da tavola, afjbastanza precoce, termina
alla line di settembre. Ottimo anche per seccare avendo una buccia sottile.
Clima : teme i freddi autunnali.
Esposizione e situazione: littoranea in luoghi aprichi.
Descrizione della pianta: forma e altezza mezzane; rami raccolti e vigorosi; foglie
trilobate, con lobi pronunziati larghi ed ottusi. Il loro verde vivace nei terreni freschi,
si scolora nei luoghi aprichi.
Descrizione del frutto: forma bislunga, ovale sulla cima, degradante verso la base
che si allunga in un collo aggraziato e che lo foggia a zucchetta. Buccia sottile, nitida,
verde slavata e nei luoghi aprichi color carnicino chiaro, colore suo caratteristico La-
sciato a lungo sulla pianta avvizzisce, diventa livido scuro, la buccia non si stacca. Co-
gliendo a maturità la buccia non screpola. Polpa grassa quasi deliquescente, molto
gradita nù troppo dolce né caustica. Polpa rosso-vinosa.
Osservazioni: vi ha una varietà a buccia nera: Pissalutto nero.
Portoghese (fig. 667).
Area di coUiuazione: secondo il Gallesio, lungo il Mediterraneo, si trova però a
Padova, sui Laghi di Lombardia. Piacenza, sempre però nei luoghi caldi.
Maturazione: unifero, produce soltanto fioroni, al principio di luglio.
Qualità: da mangiarsi fresco.
Fertilità : notevole fra tutte le varietà precoci.
Descrizione della pianta : forma e altezza medie ; rami corti, sottili ; foglie piccole,
.') lobate.
Descrizione del fruito: grosso, oblungo a fiasco e terminato da un collo lungo e
sottile: colore verde giallastro al fondo con sfumatura violaceo-rossa : buccia con scre-
polature longitudinali ; polpa molle, piena di miele fluidissimo, roseo vivo, morbida,
gentile, gradita.
Regina (fìg. ()68).
Origine : Poma.
Maturazione : unifera tardiva, settembre.
Clima : ealdo.
Descrizione delta idanta : alta : fusto elevalo con chioma frondosa sospesa : foglie
.'■ lobate.
Descrizione del frutto: grosso, oblungo ovato alla corona, rilevato nel centro e de-
gradante verso il picciolo; colore verde chiaro con velatura violacea: si screpola col-
runiidità e talvolta si apre allestrennlà: polpa grossa con miele abbondante, rosso
melagrano, di gusto gentile.
- 931 —
932 —
San Piero (fig. 669).
Sinonimi: Corbo, Piombinese. Nero, Rubicone, Arbicone, Pittilonga, Minna di
schiave, Fallagiana.
Nomi xlranieri: Frane. Aubiqiie noire ; .Spag. Hreva negra.
Maturazione: il fiorone dalla seconda settimana di luglio alla fine del mese; il
lieo dalla fine di agosto a tutto settembre.
Qualità: il pid gustoso dei fioroni neri, non così delicato dei fioroni bianchi. Di
gusto acerbo. I fichi sono migliori e convenienti ])er essiccare.
Fertilità : molta. F'ruttifica a 5-0 anni.
Vigoria : molta.
Clima : caldo.
Terreno: buono e fertile.
Esposizione e situazione: buona, soleggiata.
J'orme più adatte: pieno vento (di vegetazione scomposta, poco regolare).
Moltiplicazione : pollone.
Sislenìa di coltiuazione : pieno campo.
Descrizione della pianta : alto, con rami fìtti, aggrovigliati, non molto lunghi anzi
medii nelle partì meno vigorose delle piante con internodi lunghi in media 5 cm.
Foglie di colore verde carico (ne ho misurato diverse delle dimensioni di cm. 44 per
:Wn), larghe a grandi lobi ottusi.
Fiorone grosso, lungo 85 mra. e largo 47, ampolliforme, con buccia bruno violacea,
vellutata che maturando diventa quasi nera, e forma due o tre screpulature longitu-
«linali, caratteristiche. Polpa piuttosto asciutta, bianchiccia esternamente e verso l'in-
terno si colora in rosa. Sapore leggermente acerbo, ma in prevalenza dolce. Succo non
tanto abbondante, denso, leggermente colorato di rosso, dolce, delicato.
1 fichi (frutti estivo-autunnali) sono un terzo più piccoli dei fioroni, ma più dolci
e più succosi. Sono eccellenti per essiccare.
Difetti della varietà ; Difetti veri e propri non possono addebitarsi a questa va-
rietà. Maturando i fioroni molto presto occore che sia piantata ad ottima esposizione,
soleggiata e calda. In queste condizioni favorevoli, i fioroni raggiungono prima un
grado di maturanza più avanzato e vanno a perdono quel leggero gusto di acerbo che
è caratteristico di questa varietà.
Osseruazioni : assai ricercata dai mercati per la precocità del suo prodotto, questa
varietà non si trova diffusa in I.iguria quanto lo dovrebbe. Credo che, meritatamente,
possa annoverarsi fra le migliori.
Smirne (di) (fìg. 670).
Origine : Smirne.
Maturazione : mese di luglio.
Qualità : jìrima da tavola. Unifero. È il fico tipico per la mensa ; è abbastanza re-
sistente ai trasporti. Secco, è un prodotto di primissima qualità.
l'ertilità : molta, richiede la caprifìcazione.
Vigoria : molta.
Clima: caldo: si può estendere su tutte le coste del Mediterraneo.
Terreno : calcare.
Esposizione e situazione : a mezzogiorno in collina.
Forme più adatte: a pieno vento, ma si presta molto anche per l'allevamento a
ceppala.
Moltiplicazione : talea, polloni ed innesto.
Sis/ «na dj coZ/iwazione: nei campi, negli orli e giardini. Si presta molto per la
forzatura.
tìfscWrione rfe//a pian/«: altezza 5-6 metri, forma globosa divisa fino dalla base ;
rami a meritalli l)revi molto ramificati alla cima sulla quale portano 2 o 3, raramente
- 933
— 1)34 -
■t frutti; foglie grandi, venie cupo sulla pagina superiore e giallastre al di sotto; 3 e 5
lobate ; nervature rilevate sulla pagina inferiore. Le foglie 5 lobate predominano nei
polloni.
Proprietà della pianta : rimette facilmente al piede. I rami sono piegati ordinaria-
mente in basso.
Descrizione del frutto :loTma a trottola allargata, compressa al peduncolo, leggermente
gibbosa a un lato; colore dal verde al giallo citrino dalla parte del sole ; buccia ruvi-
detta, che si screpola e si stacca facilmente dalla polpa ; peduncolo corto ; polpa bianca
con liorellini carnosi, bianchi alla base e rosa all'estremità. Siroppo abbondante, dol-
cissimo, color miele.
Dimensione del fratto : alt. in media mm. 73 larg. mm. 69.
Fig. 670. — Fico di Smirne.
Proprietà del frutto: possiede soltanto fiori femminili e per giungere a matura-
zione richiedono la caprificazione. In origine sembra che la pianta fosse bifera ma in
Italia porta a maturazione un solo fiore corrispondente ai fioroni.
Ossernazioni : questa varietà poco diffusa in l>iguria, è assai ricercata per la sua
proiocilà. K il (ico che meglio si presta per la coltivazione a scopo industriale.
Trojano (fìg. 671).
Sinonimi : l'icus Livia.
Origine: Asia minore. Da qui i Greci pare l'abbiano importato nel loro paese ed
ili Italia, sotto il nome di lieo di Troja, da cui deriva il nome Trojano (vedi l'articolo
del Sig. C. Sprenger nel Hollettino della R. Società di Orticoltura, anno 1902, pag. 210). Il
lieo Troiano non ha sinonimi ed ora è diffuso a Napoli, Caserta, Salerno e nella Terra
d'Otranto.
Maturazione: da .settembre a novembre. L un fico dei più lardivi. Produce rara-
ramentc fioroni.
— 935 -
Qualità: prima da consumo diretto.
Fertilità: notevolissima. A Napoli usano la ca[>ririca/,ioiie per anticipare la matu-
razione (Sprenger).
Vigoria : molta.
Clima : caldo
Terreno : indifferente.
Descrizione della pianta : Albero di media altezza, tronco diritto, con corona lar-
ghissima ; rami lunghi, contorli, irregolari; foglie trilobate, ottuse, di media larghezza.
Picciolo lungo : lembo dentellato, cordiforme alla base con venature biancastre ; di
color verde chiaro nella jìagina superiore e glauche, rugose nella pagina inferiore.
Descrizione del frutto: forma a fiasco o piriforme, lungo 85 mm. e largo 47 mm., del
eso medio di 65 grammi. Simile al Pissalutto, soltanto è meno allungato e più grosso.
Fig. 671. — Troiano.
Colore giallo-biancastro ; buccia tenera, sottile, liscia, che si distacca con facilità e si
screpola a maturazione: peduncolo legnoso, lungo, olivastro. A maturazione si stacca
con facilità dal ramo ; polpa biancastra, velata di un leggero color rosa, sugosa, sapo-
rita, delicata.
Proprietà del frutto: resiste alle pioggie, alle nebbie ed è molto pregialo per con-
sumo diretto, perchè è anche dei più tardivi. Come ho detto, non si presta per es-
siccare.
Verdeccio (fìg. fi72).
Sinonimi : Verdolino (Piacenza), Zigarino verde (Padova).
Area di diffusione: Emilia.
Maturazione: unilero, metà agosto e tutto settembre.
Qualità: delle più stimate nel Bolognese.
— '.m —
ilsposizione e situazione : luoghi aprichi.
Descrizione della pianta ; piccola, quasi nana ; rami corti, sottili : foglie piccole, 5
lobate e lobi profondi.
Descrizione del frutto: piccolo, piriforme, compresso alla corona, terminante in un
collo quasi insensibile rigato da coste longitudinali fino che è acerbo e che perde matu-
rando. Colore verde ; peduncolo corto ; polpa verdognola presso la buccia e giallo chiara
di dentro.
Proprietà del frutto: resiste all'umidità e non si screpola.
Fig. f)72. - Verdeccio.
Verde gentile.
Sinonimi: Fiore della goccia.
Maturazione: bifero, fiorone alla fine di giugno; fichi dall'agosto all'ottobre.
l'ertilità: ì frutti serotini sono abbondantissimi.
Vigoria: straordinaria.
Descrizione della pianta: molto alta; rami grossi, estesi; foglie grandi, 3 lobate.
Fiorone: grosso e lungo quanto un uovo di gallina, quasi cilindrico, rotondo alla
cima un po' degradante verso il peduncolo. Buccia liscia, verde come le foglie, sottile,
contiene una polpa finissima , di un colore rosso dilavato , dolce , leggera , niente
caustica.
Descrizione del fico : i primi a maturare sono grossi quanto la metà dei fioroni, poi
maturano sempre più piccoli: lunghi, rotondi alla cima e degradanti verso il peduncolo
a guisa di un cono. Verdi con una leggera tinta giallo-canarino, screpolati e internamente
come i fioroni.
II Piof. Vallese, nella citata sua opera descrive ancora le seguenti
principali varietà, coltivate nella Terra d'Otranto :
a) Varietà precoci. — Fichi bianchi:
Sesso, unifero, bianco, tondeggiante, adatto per l'essiccazione. Ma-
tura dalla metà agosto a tutto settembre.
— 937 -
Rìzzeddii o Rizzello, unifero, bianco, tondeggiante da essiccare. Ma-
lura come il precedente.
Columnone o Colombone, bifero, bianco, tondeggiante da essiccare.
Matura come il precedente.
Seioiito, ha molta analogia col Dottato.
Poppa, Paneltano, Rosa, bianchi, compressi alla base ed anche
alla corona.
Fichi neri : Fico nero, varietà molto diffusa che non ha che fare
col San Piero già descritto, essendo il frutto tondeggiante, irregolare.
Oliato rosso, il quale non ha nessuna analogia col Dottato. Varietà
hi fera da conservarsi fresco dalla seconda metà di agosto a tutto set-
tembre.
Fico della signora, eccellente per tavola e da essiccare.
b) Varietà tardive :
Processotto, unifero, medio, bianco, giallognolo a trottola com-
presso. Matura nella prima decade di settembre fino a metà d'ottobre.
Melonceddha (meloncello), ottimo per consumarsi fresco o per es-
siccare. Unifero, conico, giallo-limone.
Verdescone, unifero — Del Vescovo — Arneo bianco.
Dei fichi neri tardivi il prof. Vallese illustra le seguenti varietà :
Turco, Scancaniso, Della Penna, Cnmpini, Verneo nero.
7. Importanza della coltivazione. — Il fico è un albero da frutto
dei più interessanti, che acquista tanta maggiore importanza quanto
più si va al Sud. Oltre che per i frutti, l'albero ha un certo pregio per
il suo portamento, per il suo bel fogliame abbondante, che dà un'om-
bra gradita la rapida crescita e la sollecita e costante produzione
di frutti richiesti sempre dal mercato; le poche cure colturali che ri-
chiede, rendono il fico una delle piante da frutto più importanti e
redditive del mezzogiorno.
Nella Terra d'Otranto, nelle Calabrie, esso viene dopo l'olivo e la vite.
8. Sistemi di coltivazione. — Ordinariamente è consociato alia
vite, all'olivo, al mandorlo, agli agrumi, al melograno, od è posto ai
lati dei vigneti e dei campi.
Nell'Italia centrale non è raro trovare dei filari interi di fichi a cui
è associata la vite.
Si potrebbero però anche fare dei ficheti a filari, distanti m. 20, e
piantando i fichi a m. 10 sulla fila. Gli interfilari si possono coltivare
a leguminose da seme alternate con grano.
9. Clima. — Il fico resiste fino alla temperatura di 10° sotto zero.
Dove la temperatura media non discende sotto 12° C, il fico ha, si
può dire, una vegetazione continua. Nel Belgio, in Olanda, in Inghilterra,
si fanno le coltivazioni allevandolo a ceppala, riparato da vetri. Però
si possono ottenere soltanto i fioroni.
Nei climi caldi, i raccolti sono sempre più abbondanti ed i fichi
sono più dolci e più facili a conservarsi.
— i)38 —
La pioggia, purché non abbondante, è necessaria per la matura-
zione. Le pioggie autunnali sono molto dannose. Al lieo occorre una
costante termica dalla caduta deUe foglie alla maturazione dei fichi
estivi di 350() a 40()()'' C.
10. Esposizione e situazione. — L'esposizione più confacente è
([uella a mezzogiorno od a levante. Occorre anche una posizione ven-
tilata, perciò se è a spalliera contro i muri, è poco produttivo.
11. Terreno. — Vegeta bene in tutti terreni (meno forse negli ar-
gillosi, dove va soggetto al cancro ed è poco produttiva) specialmente
ijuando sono sassosi, leggeri, calcari, caldi e piuttosto profondi, tanto
in pianura quanto in collina. Nei terreni umidi cresce pure bene, purché
siano permeabili, e giunge a grandi dimensioni. Può vivere però anche
in terreni asciutti, anzi in questi, i frutti riescono più saporiti.
12. Moltiplicazione. — Si moltiplica per propaggine, per polloni,
per talea e per innesto. Alla riproduzione per seme si ricorre per la
ricerca di varietà nuove. Le piante ottenute da seme, fruttificano dopo
10 anni.
La moltiplicazione per talea é la più usata nell'ordinaria coltura.
Le talee si fanno coi rami più giovani, della lunghezza da 45 a 60
centimetri, interrandole per 30 cni., nelle terre forti e per 40 nelle
terre leggere e soffici ; lasciando non più di due gemme fuori
terra.
Le piante radicate soffrono per il trapianto, perciò si sogliono pian-
tare le talee a dimora, preparando per bene una buca muovendo il
terreno lino a 10 cm. di profondità e concimandolo.
Si sogliono piantare due talee per buca per lasciare nell'anno suc-
cessivo una sola barbatella.
L'impianto si fa d'autunno od in febbraio. Le talee si piantano
appena raccolte.
Nel vivaio si collocano invece a 50 cm., da fila a fila ed a 30 cm.,
sulla fila.
1 polloni servono a ringiovanire una pianta. Levando invece il
pollone, la pianta che si ottiene é poco robusta, ha vita breve ed ha
una tendenza a dare continuamente polloni.
Meglio é la margotta o propaggine, alla quale si ricorre per ripro-
durre varietà rare. La propaggine si fa radicare in un cesto o cassa e
poi si trapianta col pane di terra.
L'innesto si fa in febbraio o marzo a corona, sopra rami di 3 a 4
aimi ; meglio a gemma vegetante in aprile sopra soggetti di 2 anni.
13. Caratteri vegetativi. — Il fico è in generale un albero fertilis-
simo, di rapido sviluppo, a radici orizzontali, forti, vigorose.
Nel mese di aprile entra in vegetazione. Per le prime si svolgono
le gemme apicali che danno luogo alle foglie ed al germoglio di pro-
lungamento. Alle volte si svolgono due, più raramente tre germogli. Indi
si aprono le gemme laterali che danno delle foglie, alla cui base nelle
varietà bifere si sviluppa il fiorone.
Intanto i nuovi germogli continuano a crescere, danno alla base di
ogni foglia un fico il quale matura dall'agosto in avanti e sono i veri
fichi estivo- autunnali. Questa maturazione successiva è provvidenziale
poiché assicura un buon raccolto tutti gli anni.
Le foglie laterali cadendo in autunno lasciano il fiorone in abbozzo
(vedi pag. 915) al di sopra della loro cicati'ice, della grossezza di un
piccolo seme di cece ; e le gemme invece, che sono più lunghe ed a
punta, sono destinate a dare rami.
Si le une che le altre di dette gemme, rimangono inattive fino in
primavera, ma nei paesi caldi, la vegetazione è continua, poiché ap-
l)ena cadono le foglie, le gemme terminali cominciano a muoversi.
14. Potatura. — Bisogna ricordar quanto ho detto parlando dei ca-
ratteri botanici del fico, cioè che le gemme vegetanti regolarmente, sia
lìorifere sia da legno, si trovano solo sui prolunga-
menti dei rami, formatesi nell'anno precedente. Questi /j |^,
prolungamenti hanno al loro apice una (A fig. 673) o )^^- ^ g
due gemme a legno; sotto si trovano altre gemme ìw'
a (B) legno accompagnate talvolta da qualche gemma ^ '^1
a frutto (C). Più sotto ancora si trovano delle gemme '\J e
a legno isolate (D).
Le gemme a frutto che si vedono durante l'in- ^
verno formano i fioroni, mentre il germoglio che si ^
sviluppa dall' estremità o dalle sottostante gemme a
legno alla base di ogni foglia, danno i fichi estivo- .
autunnali.
Quindi, quando si tratta di prolungare un ramo,
per esempio allo scopo di avere un fusto diritto, si
lascia la gemma terminale e si accecano le gemme
sottostanti a legno. Non volendo il prolungamento
ma la biforcazione o la produzione di rami laterali, si
acceca la gemma terminale e si lasciano le gemme "^
sottostanti. l-'ig- 673. - Ramo
o. -j-j .. ••. ,,, a frutto di fico.
Sui rami di due e più anni si trovano delle gemme
a legno inerti o laterali, le quali ordinariamente non
germogliano od al più danno succhioni o rami fuori posto che si
possono levare o lasciare a seconda che si voglia diradare i rami o
rimpiazzare qualche spazio vuoto nella fronda.
Quantunque il fico sia una pianta provveduta di abbondante
succo lattiginoso che dovrebbe favorire la cicatrizzazione delle ferite
come il gelso, pure le rimargina con una certa difficoltà. Quindi
bisogna evitare finché é possibile i tagli forti in ogni caso, si deve
procedere accuratamente e spalmarli subito con catrame. Ma é molto
meglio prevenire i tagli in secco, con l'accecatura delle gemme e colla
spollonatura.
15. Forme. — Al fico viene lasciata la forma sua naturale che é a
pieno ed a mezzo vento colla chioma più o meno arrotondata.
— 940 —
Per ottenere il fusto, si lascia germogliare soltanto la gemma ter-
minale ; le gemme sottostanti si accecano. Così si procede nel secondo
e terzo anno fino che il fusto ha raggiunto l'altezza voluta.
Nel 4" anno si comincia a formare la fronda ed a questo scopo si ac-
ceca la gemma terminale e si lasciano sviluppare tre germogli dalle
tre gemme immediatamente sottostanti.
Nel f)" anno si accecano le gemme terminali delle tre branche pri-
marie, per ottenere la biforcazione ossia due o tre branche secondarie,
dalle gemme sottostanti alla gemma apicale.
11 ()» anno è l'ultimo di formazione, si accecano le gemme termi-
nali delle branche secondarie, per avere due o tre branche terziarie.
Naturalmente se durante questi anni si sviluppano dei germogli e
rami fuori posto, si scacchiano colla potatura verde.
Dal 6" anno in avanti la pianta entra nel periodo di piena produ-
zione e quindi si fanno soltanto delle operazioni di mondatura e di
ringiovanimento quando le branche cominciano ad esaurirsi.
Nei paesi freddi, il fico si alleva a ceppata sotto vetri od a riparo
dei muri, esposti a mezzodì, mai però a spalliera.
A tale scopo, le piantine abbarbicate si piantano col pane di terra
isolate od a file distanti fra loro sulla stessa linea m. 3,50 e da fila a
Illa m. 2. Appena piantate, si tagliano sopra la seconda gemma. Le
radici del fico amano il calore e l'aria, quindi bisogna fare gli impianti
superficiali.
Alla fine di marzo del secondo anno si taglia ancora a due gemme,
ciò che fa sviluppare qualche germoglio dalla base. Bisogna procurare
che ogni ceppala di fico non abbia né più né meno di 8 rampolli, a
30 cm. di distanza fra loro.
Nel terzo anno si lasciano intatti i rami e si comincierà a racco-
gliere i frutti (fig. 674).
Nel quarto, ogni ramo avrà nel suo terzo superiore una gemma
lerminale a legno A (fig. 673) e tre o quattro gemme a frutto accom-
pagnate ciascuna da una gemma a legno B: lungo la metà si hanno
delle gemme a legno D ed alla base delle gemme abortite. Per abbas-
sare questo ramo, si accecano tutte le gemme a legno fino in D, com-
presa quella dell'estremità. In conseguenza si avrà lo sviluppo dei fichi,
ina anche lo sviluppo di uno (fig. 675) o due polloni, alla metà ed alla
base del ramo.
Del primo pollone si utilizzano i fichi e poi si taglia alla base
del secondo pollone, come è segnato nella fig. 675, il quale sostituirà
nel venturo anno l'intera branca.
Come si vede la potatura del fico ha una certa rassomiglianza con
quella del pesco.
Durante la vegetazione, i germogli che non portano frutti si scac-
chiano. Questa operazione si fa in maggio.
Nella prima metà di novembre, nei paesi freddi si coprono le cep-
pale di lena, per ripararle dal freddo.
- 941 -
16. Impianto e cure di coltivazione. — Il fico si pianta a dimora a
ra. 6-7 di distanza, e dopo tre anni si cominciano a raccogliere i frutti. Si
faccia r impianto di preferenza in autunno.
Nei climi favorevoli, si lascia crescere la pianta senza alcuna po-
tatura, soltanto si tolgono i succhioni ed i rami deperenti.
È meglio però praticare la potatura di formazione di cui abbiamo
già parlato.
Per forzare una pianta a dare maggiori quantità di frutta, special-
mente nei climi non tanto favorevoli, convengono la mozzaliira, la
sgemmatnra e la spollonatiira.
In maggio, non appena terminata la germogliazione, si procede alla
mozzatura e cioè si sopprime la gemma terminale di ciascun ramo, senza
danneggiare il piccolo fico posto a lato di ognuno di questi occhi.
Fig. 674.
Ramo di fico di 3 anui
Fig. 675. — Ramo fruttifero
con pollone di sostituzione.
In seguito, coll'unghia del pollice, si tolgono i bottoni a legno posti
accanto ad ogni fico (si conoscono queste gemme della loro forma al-
lungata e dal colore verde giallastro, mentre il fico è rotondo e verde
cupo). Questa sgemmatnra si pratica non appena può distinguersi l'oc-
chio a legno dal fico che gli è per cosi dire, accoppiato. Nel tempo
stesso si levano tutti i succhioni che veggonsi sviluppare sui rami di
impalcatura della pianta ; ma si lasciano crescere quelli che possono
servire alla sostituzione dei rami ammalati.
Sui rami d' impalcatui'a, come nel pesco, non si lasciano mettere
che due gemme a legno, le più basse possibili, che vengono destinate
a dare i rami di rimpiazzo.
Non appena raccolti i fichi, si sopprimono i rami che li hanno
prodotti, proprio al disopra delle due gemme che si sviluppano e che
fruttificheranno a loro volta.
Verso il 15 di giugno si pratica la spollonatura, che consiste nel
togliere tutte le gettate avventizie, sviluppatesi al di fuori delle due
gemme di rimpiazzo.
17. Concimazione. — La pianta del fico ha la particolarità di avere
delle lunghe radici che si ramificano in tutte le direzioni e per una
notevole estensione. Adattandosi la pianta a terreni poco fertili, ne viene
di conseguenza che il fico è forse una delle piante meno esigenti in
fatto di concimazione.
1 dottori Rossi e Carlucci trovarono che le foglie di fico conten-
gono in media 4.146 % di ceneri; i frutti disseccati 2.825%.
Le analisi riguardanti il fico le riporto dalla monografia citata del
prof. Vallese ed i rispettivi dati di concimazione dai suddetti profes-
sori Rossi e Carlucci.
Tab. Lxx. Composizione della pianta del fico.
.Sostanze
nei frutti
nelle foglie
nel legno
Azoto. . .
0.09
0.03
0.19
0.018
0.5.5
0.1.5
0.451
0.6C
0.270
0.110
0.360
1.33
Anidride fosforica ....
Potassa
Calce
Una produzione di 50 Q." di fichi secchi corrispondenti a Q." 150
di fichi freschi, esporta per ettaro:
con i frutti
colle foglie
Azoto
Kg. 13.600
„ 27.500
„ 41.100
Anidride fosforica
Kg. 7.500
„ 7.500
„ 15.000
Potassa
Kg. 28.500
„ 22.500
51.000
Calce
Kg. 2.700
„ 33.000
„ 35.700
Questi materiali possono essere restituiti da
2 Q.'' di solfato ammonico per ettaro o 20 gr. per m.
1 Q.'-' di perfosfato o scorie
1 Q.'' di solfato di potassa
2 Q." di gesso
Come si vede ù una quantità mollo esigua di concimi, che dimostra
le poche esigenze di questa pianta.
Essendo il fico una pianta che soffre di frequente la siccità, è bene
che la concimazione venga fatta con del materiale che arricchisca il
terreno di sostanza organica quindi sono raccomandabili i concimi
- 943 —
organici complessi come lo stallatico, i terricciati, le spazzature, i stracci
di lana, il sovescio, ecc. Calcolato che le foglie rimangono sul terreno,
possiamo ritenere sufficiente, ogni tre anni, una concimazione di 10 tonn.
di stallatico per ettaro.
Non potendo disporre di stallatico si ricorre al sovescio delle fave
o lupini concimate con perfosfato e solfato di potassa come è indicato
a pag. 315 e spargendo prima di sovesciare, da 5 a 10 Q." per ettaro
di gesso. Mancando il gesso, si possono adoperare con vantaggio i cal-
cinacci, in proporzione relativamente maggiore.
18. Raccolta ed utilizzazione dei frutti. — I fichi freschi costitui-
scono una delle migliori e più ricercate frutta da tavola; disseccati,
formano un articolo di commercio importantissimo.
La polpa siropposa e mielosa è un alimento piacevole, rinfrescante
e di facile digestione, ma alquanto lassativa.
I fichi, rispetto agli altri frutti, sono molto nutritivi, e, specialmente
secchi, hanno non poca parte nella alimentazione del popolo italiano.
La raccolta si fa successivamente dal mese di luglio a tutto no-
vembre e può durare anche oltre, nelle regioni calde e per alcune
varietà. Si può far anticipare la maturazione ungendo la boccuccia
con paglia intrisa nell'olio di oliva. Questa operazione si fa verso sera
e quando l'occhio stesso si mostra decisamente rossiccio.
Volendo conservare i fichi freschi per più giorni a scopo di ali-
mentazione, bisogna riporli in un frigorifero alla temperatura di + 2» C.
Per seccare i fichi si adopera il calor del sole che non fa perdere
il sapore epperciò si raccomanda la coltivazione di varietà precoci.
II disseccamento deve essere fatto il più rapidamente possibile. A
tale scopo si raccolgono i frutti col peduncolo, di mano in mano che
raggiungono la completa maturazione ; si tengono separate le varietà
e si dividono i fichi per grandezza.
La disseccazione si fa stendendoli su graticci, colla boccuccia in
alto e comprimendoli leggermente. Se dalla boccuccia emettono del
succo, non si rivoltano, prima che il succo non si è condensalo. 11 ri-
voltamento deve farsi ripetutamente per afi"rettare la disseccazione.
I fichi piccoli o sbucciati si sogliono disseccare ai sole, infilandoli
al peduncolo con del refì'e grosso facendo una specie di corona che
si appende e si ritira ogni sera.
I fichi disseccati si collocano a strati in cassette o ceste metten-
dovi anche frammezzo delle foglie di lauro, si coprono con una tela
pulita e si comprimono con qualche peso.
In questi recipienti, tenuti in luogo asciutto e caldo, avviene
l'efflorescenza dello zucchero sulla buccia. Quando i fichi sono bianchi
si imballano ben pressati in scatole, cassette, ceste di paglia, botti, a
seconda della loro finezza. Cosi imballati si conservano in luogo fresco
ed asciutto.
I fichi più fini, quelli bianchi, prima di essere esposti al sole ven-
gono imbiancati sottoponendoli per un quarto d'ora ad una sufFumi-
— i»44 -
gazione di zolfo, entro una cassa. Cosi pure prima di imballarli nelle
cassette per la spedizione, si immergono per due minuti secondi in un
bagno d'acqua salala bollente, allo scopo di distruggere le larve e le
uova di insetti che eventualmente possono essere depositati sulla buccia.
Se la stagione è avanzala, per alìrettare il disseccamento, si spac-
cano i fichi longitudinalmente e si riuniscono dopo spaccati. In Cala-
bria e nelle Puglie si mette in mezzo una mandorla od una nocciola
sgusciala.
In Toscana si usano anche decorticare i fichi.
Coi fichi secchi trinciati finamente, imi)astati con uva, mandorle,
pistacchi, cioccolatto, si fa il famoso pane di fichi e il torrone di fichi.
II torrone si prepara specialmente a Giulianova nella provincia di
Teramo e ad Ascoli Piceno.
Infine ricorderò che coi fichi secchi più ordinari, imballati in sacchi
contenenti 50-100 Kg. si prepara il surrogato del cafi'è chiamalo caffè
di fichi.
19. Composizione chimica dei frutti. — La composizione che si co-
nosce è la seguente fatta se non erro a Parigi, da Payen, e messa in
confronto con quella del pane comune :
Pane Fichi freschi Fichi secchi
0/0/0/
Acqua 35.700 83.158 20.030
Sostanze albuminoidi 8.760 1.142 6
Zuccheri ed altri idrati di carbonio. 53.993 15.146 70.540
(irassi 0.297 — 0.980
Ceneri 12.50 0.053 2.450
Azoto in 100 parti di sostanza fresca. — 0.179 —
secca. — 1.066 —
Da questo si vede che circa Kg. 1.500 di fichi secchi e Kg. 4.500 di
fichi freschi contengono tante sostanze albuminodi e molto di più di
zucchero di un Kg. di pane.
Si spiega quindi l'importanza del fico nei popoli dei paesi meridionali.
20. Prodotti secondari. — I fichi secchi e le foglie fresche, pos-
sono servire anche per alimentare il bestiame. Le foglie fresche che non
si possono utilizzare immediatamente, si infossano. La loro composi-
zione è di poco superiore a quella della paglia. I fichi mal disseccati
si utilizzano per fabbricare dell'aceto o si distillano per ricavare l'acqua-
vile di fichi (Araki degli arabi).
21. Dati economici. — Una pianta a pieno vento comincia ad es-
sere produttiva nel settimo anno d'età. Secondo Berti Pichat, una pianta
la cui chioma ha un diametro di 2 metri, può dare Kg. 60-80 di fichi
freschi corrispondenti a circa 20-27 Kg. di fichi secchi. Occorrono di-
fetti circa 3 Kg. di fichi freschi per avere Kg. 1 di fichi secchi.
Nei centri di |)roduzione i fichi secchi comuni si pagano da 20 a
30 lire il quintale.
22. Malattie e eause nemiche (vedi pag. 500).
- 945 -
GELSO DA FRUTTO
(Morus nigra L. — Fain. Moree).
Nomi volgari italiani della pianta — Moraro, Morer, Moro, Morene.
Nome volgare italiano del frutto — Mora.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane: Murier — Ted. : Maul-
beerbaum — Ingl. : Mulbery-tree.
1. Origine e diffusione. — Abbiamo due specie di gelso : il gelso
bianco : Morus alba, proveniente dalla parte temperata dell'Asia cen-
trale, particolarmente dai monti del nord della China, che si coltiva per
l'allevamento dei bachi, ed il gelso nero, Morus nigra, che si coltiva
per i suoi frutti, proveniente dalla Persia.
Il Morus nigra è sfato coltivato in Italia per i suoi frutti, prima
che venisse introdotto l'allevamento dei bachi. Presentemente è pochis-
simo coltivato, poiché è preferibile il gelso bianco per dare alimento
all' industre insetto. Del Morus nigra troviamo soltanto piante isolate
nelle provincie meridionali e nell' Istria.
Per notizie più dettagliate, rimando il lettore al mio Manuale di
Gelsicoltura dello stesso Editore.
2. Caratteri botanici. — Il gelso nero è un albero (fìg. 676) di
minor grandezza e di vegetazione più tarda del gelso bianco. Il tronco
raggiunge dimensioni maggiori, dividesi in rami e ramoscelli un po'
tortuosi, ma però abbastanza regolari per produrre una chioma ro-
tondata e di bell'aspetto come pianta d'ornamento, mentre quella del
gelso bianco è più divaricata ed irregolare. — Le foglie fornite di un
picciolo lungo, sono cuoriformi, intere, raramente lobate, dentate a sega
con larghi denti ottusi, consistenti, coriacee, molto ruvide al tatto
e di color verde carico. I fiori sono comunemente dioici; i maschili di-
sposti ad amento allungato, coi fiorellini distanti dall'asse, che è pube-
scente come il perigonio. Frutto più grosso di quello del gelso bianco,
ovale, oblungo, assai più lungo del gambo che è brevissimo, di color
rosso nerastro, lucido e di un sapore piacevole.
3. Varietà. — Del gelso nero sono state classificate rispetto alla
forma delle foglie le seguenti quattro varietà:
1. Morus nigra dentata che ha il contorno delle foglie a larghi
denti, ma conserva la forma intera, non mai lobata.
2. Morus nigra lobata colle foglie più o meno profondamente sol-
cate o lobate, oltre ad essere dentate, specialmente nei giovani ramo-
scelli che escono dal colletto della pianta.
3. Morus nigra laciniata.
4. Morus nigra scabra.
Rispetto al frutto non vi ha alcuna distinzione di varietà.
4. Importanza della coltivazione. — La coltivazione per il frutto
ha un' importanza limitata.
60 — Tamaro - Frutticoltura.
— 94ti —
5. Sistemi di coltivazione. — Si coltivano delle piante isolate nei
broli, nella vicinanza delle case di campagna.
6. Clima, esposizione e situazione. — Le colline e gli altipiani sono
le situazioni migliori.
Conviene evitare i siti bassi, umidi ed esposti alle brine od ai tardi
geli, come pure le allure dominate dai venti, che danneggiano le piante;
Fili. 'J7C. — Gelso nero.
si scelga piuttosto un luogo riparato o ai piedi di una collina, in una
insenatura, od in una pianura, dove non regni troppa umidità.
L'esposizione migliore è quella di mezzogiorno. A questa segue
quella di levante e poi di ponente.
7. Terreno. — Occorre un terreno i)iuttosto profondo, mediocre-
mente sciolto, di natura calcareo-argilloso, permeabile all'acqua ed alle
radici e facile a riscaldarsi.
- 947 -
8. Moltiplicazione. — Il gelso nero si moltiplica raramente per seme.
Si innesta sul gelso bianco o si fanno margotte.
9. Caratteri vegetativi. — Rispetto alla vegetazione, il gelso nero
essendo meno precoce del bianco sembra più adatto pei climi freddi ;
è anche più rustico, più robusto, la corteccia è più grossa e legnosa,
le fibre del legno sono più compatte.
Comincia a pi'odurre i frutti assai presto e vive lungo tempo.
1 rami di un anno non danno che foglie, cominciano a dar fruiti
nel secondo e più ancora nel terzo anno.
I geli sono dannosi nella prima età.
Nell'Alta Italia, le epoche nelle quali avvengono le principali fasi
di vegetazione del gelso, sono le seguenti :
Primo movimento della vegetazione, III decade di aprile
Germogliazione I „ maggio
Fioritura I „ „
Maturazione del frutto III ,, giugno
Caduta delle foglie III „ ottobre
10. Coltura, potatura e forma. — Data la forma a mezzo vento od
a pieno vento a vaso per 3 o 4 anni, si lascia poi la pianta a sé stessa
e soltanto si ha cura di mondarla dal seccume.
Si coltivano, come si è detto, piante isolate ed allevandole nei cor-
tili, non hanno bisogno di speciale concimazione.
11. Raccolta e uso dei frutti. — Produce frutti gustosissimi, i quali
si raccolgono di mano in mano che vengono a maturazione e cioè lungo
un intero mese.
Appena raccolti si devono consumare. Hanno un sapore agrodolce
e sono ritenuti nutritivi e rinfrescanti. Se ne fa uno siroppo che calma
la tosse e mitiga le infiammazioni di gola. Si può anche preparare una
bevanda alcoolica e dell'aceto.
II legno del gelso nero rassomiglia molto a quello del gelso bianco,
ma non è tanto compatto.
12. Composizione chimica dei frutti. — L'analisi del frutto del
gelso nero è la seguente :
Acqua 84.71
Zucchero 9.19
Acido libero 1.86
Sostanze solubili nell'acqua ' Sostanze albuminoidi . . 0.36
Sostanze proteiche . . . 2.03
Cenere 0.57
( Cellulosa 0.91
Sostanze insolubili nell'acqua < Pectosio 0.35
( Cenere 0.09
Sostanza secca 60.10
13. Malattie (vedi pag. 500).
PARTE NONA
PIANTE DA FRUTTI SECCHI
CASTAGNO (')
(Castanea sativa Mill. — Fani. Capulìfere).
Xome volgare ilitliano del frutto — Castagna.
Nomi volgari stranieri del frutto — Frane: Chataignier o Maron-
nier — Ted.: Kastanienbaum — Ingl.: Ghesunttree.
1. Origine. — Molli autori sono concordi nel ritenere che il casta-
gno sia originario della regione Mediterranea. Plinio lo ritiene im-
portato in Italia dalla Sardia nell'Asia Minore e lo Zanibaldi dalla
I.idia. (Comunque sia, il castagno lo troviamo coltivato in tutta Italia
e per ordine decrescente, nella Liguria, nella Toscana, nel Piemonte,
nella Meridionale Mediterranea, nell'Emilia, nella Lombardia e nel
Veneto. Poco esteso in Sicilia ed in Sardegna.
In Francia il castagno si diffuse dall'Italia; in Germania le poche
varietà coltivate si trovano lungo la Mosella-, in Austria nella Garniola;
più estesamente il castagno è coltivato in Spagna e Grecia.
Il nome castagno sembra derivi da Kastanea, regione della Tessaglia.
2. Caratteri botanici. — (fig. 677) Albero alto ordinariamente da
10 a 15 metri ed anche da 25 a 30, con tronco grosso, sovente tor-
tuoso, con la scorza di color grigio-scuro, profondamente solcata nel
senso della lungliezza del fusto. I rami sono pur essi tortuosi, e talora
anche quasi orizzontali, ma sempre disposti in guisa da formare una
chioma estesa e tondeggiante.
Le radici sono composte di un fittone e di robuste radici laterali
non lunghe, ma molto ramificate che si estendono più o meno obliqua-
mente nel terreno, penetrando anche a considerevole profondità.
(1) Piccioli !.. Monograpa del castagno. iMreiize 1902. — Vigiani D. // Castagno. Bi-
blioteca (3ttavi.
- 949 —
Chioma ricca, conica od ovale con rami numerosi, abbastanza grossi
con corteccia di color verde carico che si screpola in età piuttosto
avanzata. Gemme glabre, ovate, coperte da due squame abbastanza
grosse, appuntite.
Foglie semplici, disposte sul tronco secondo la fillotassi ^/^ e sui
rami 'j., decidue, grandi, consistenti, fortemente nervate, lanceolate o
bislungó-acuminate, più ristrette e talora cuoriformi alla base, intere
verso il picciolo, nel resto del margine più o meno grossamente dentate
a sega e colle punte sottili rivolte verso l'apice delle foglie, glabre da
Fig. 677. — Ramo fruttifero di castagno
1, ramo da frutto - 2, fiori maschili - 3, fiore maschile isolato colla sua brattea
4 fiori femminili - ."), frutto colla sua cupola spinosa - 6, frutto.
ambedue le parti, lucide e di un bel verde nella faccia superiore, più
pallide nell'inferiore. Appena si schiudono queste foglie sono bianchic-
cie o leggermente lanuginose, almeno negli angoli delle nervature
principali. Il picciolo è breve.
I fiori sono monoici. I maschili, uniti in amenti lineari, gracili,
eretti o alquanto ricurvi pel peso, stanno riuniti in mazzetti alla estre-
mità dei rami o presso l'ascella delle foglie terminali e portano i fiori
o sparpagliati sul loro asse o, più frequentemente, riuniti in gruppetti,
collocati a brevi intervalli gli uni dagli altri e quasi verticillati: si pre-
sentano tutti insieme di un color bianco-sudicio, più o meno tendente
al giallo-paglierino. I fiori femminei sorgono pur essi all'ascella delle
foglie terminali alla base o in prossimità degli amenti maschili, e sono
- 950 -
in numero di uno a tre con un pedicello grosso e breve, raccolti
entro un invoglio unico, persistente, quadrifido, fornito di un gran
numero di bratleole lineari o lanceolate, ottuse o acuminate. Questo
involucro coll'accrescersi diventa coriaceo, completamente fasciato al-
l'esterno, con spine acutissime e pungenti, rivolte in vario senso ed
intrecciate fra loro, all'interno è vestito di una peluria molle, sericea e
bianchiccia; costituisce colle noci, che prendono il nome di castagne,
il frutto o riccio, che dapprima verde, verso la sua maturità si fa gial-
liccio ed apresi in quattro divisioni. Le castagne sono di forma ovoidale,
raramente quasi globose, piano-convesse o piane da ambedue le parti,
con una larga cicatrice di un bianco-scuro alla base, ossia nel luogo
corrispondente alla inserzione sull'invoglio e coronate all'apice dagli
stili fatti rigidi e disposti a modo di raggi.
3. Varietà. — Una classificazione sistematica delle varietà di casta-
gne coltivate è impossibile. Ogni provincia, ogni territorio che coltiva
il castagno vanta qualche varietà, la quale anche se simile a quella del
vicino non si i)uò chiamare che col nome vernacolo del paese. I com-
mercianti classificano questi frutti distinguendoli col nome del paese
da cui provengono.
Praticamente si distinguono due gruppi soli di varietà: il castagno
a frutto grosso detto marrone e quello a frutto piccolo, che è la casta-
gna propriamente detta.
I. Castagna marrona (Castanea sativa major Mich.). Ha i rami co-
lor nocciuola, meritalli lunghi, lenticelle biancastre, rade; scorza sot-
tile ; gemme ovali, giallo-verdognole.
Foglie di color verde-cupo, lucenti, strette e con nervature rossastre.
Fiori di color bianco-rossastro.
Riccio quadrangolare, molto sviluppato, con spine poco rigide.
Frutto semi-elissoidale, quadrangolare alla base; pericarpio bruno-
rossiccio, liscio, lucente, con cicatrice biancasta; tegumento dei cotile-
doni dello stesso colore, ma grosso che si stacca facilmente.
11 fusto è meno sviluppato di quello del castagno comune e la
pianta è meno longeva.
Ama luoghi freschi, terreni siliceo-argilloso-calcari, profondi; espo-
sizione a mezzogiorno o a sud-ovest, riparata dai venti. Come frutto
da mangiarsi fresco è il più pregiato per la sua grossezza e sapore.
Abbiamo del marrone molte varietà: alcune primatìccie che ma-
turano 10 a 12 giorni prima del comune castagno, altre tardive come
il marrone tardivo che matura quasi un mese dopo. Rinomati in Italia
sono i marroni di Belluno, di Lovrana d'Istria, il marrone di S. Croce
con frutto grossissimo, pelle fina, di color chiaro, molto zuccherino;
quelli della Valtellina, il marrone della Valle del Serrino, di Antrodoco,
li marrone di Cuneo e cosi via. I marroni non si adoperano per otte-
nere farina
II. Castagna propriamente delta (Castanea sativa minor Mich.). Il
frutto è più o meno globoso, sferoidale, con buccia alquanto più scura
— 951 —
di ({uella dei marroni, con pellicola poco pelosa, che si stacca diffì-
cilmente dal seme. Il sapore è dolce e gradevole, però meno che nei
marroni. Sottovarietà coltivate in Italia ve ne sono parecchie; citeremo
le principali. (Vedi D. Vigiani — // Castagno — Biblioteca Ottavi)
Provincia di Torino: Neirana o Neiranda, Pelouse, Gite, Boccias etc.
Provincia di Cuneo: Gabbiana, Siria, Giapastra, Gaggia, Rossetta,
Butale, Fuse, Basse, Frantuna, Gornera, Garruna, Riara, Roéne, Bellevite,
Verdai, Gavot, Solenghe ecc.
Valli della Bormida e del Tanaro: Gabbiana.
Savona: Girla.
Friuli: Piccole, Obiaki.
Emilia e Romagna: Molane, Carraresi, Pastinese, Lizzanese, i?osso/a,
Biancola, Fronzola, Raggiolana, Borgavola, Lojola, Mascherina, Bustana,
Ceppa, Pelosa, Moretta, Nerattina, Grossolana, Bastarda, Silvana ecc.
Piacenza: Garbelle, Sisiastiche, Domestiche, Vezzolana (Zago).
Appennino Pistojese: Grossaga, Pfls//nese, Lucignana, i?osso/a, Carpi-
nese o Carrarese ecc.
Casentino: Pistoiese, Raggiolana, Perella, Fragonese, Giuggiolana,
Tigolese, Mondistolli ecc.
Montagna Cortonese: Villorina, Pastorese, Roggiolana o Ruggiolana.
Monte Amianta : Bastardo, Domestico, Marron picciolino, Pazzo,
Luccichente, Pastinese, ecc.
Varie località della Toscana : Rossole, Biancane, Marzuole, F"ocetto
Bragazzino, Brescianino, Fastellino, Pinacchione, Montanine, Romagnolo
o Grappoluto, Selvatico faggino ecc.
Monti Cimini : Luciani, Primaticci, Fiorentini, Lanacei, Porcini, Pe-
loselli ecc.
Caserta: Peloselle, Conche, Fiane, Montellesi, Verzolone.
Avellino: S. Mango o S. Manguli, Montellesi, Veraci o Yonnole,
Setarze, Verdole o Virdole, Corniole ecc.
Salerno : Marroncelle, Fergolesi.
Riporto dalla III^ Edizione di questa opera, la descrizione di
alcune varietà :
1. Castagna calabrese, carpinese o carrarese con fogliame verde-
chiaro, lucente. È il castagno più comunemente coltivato dai monta-
nari; produce frulli in abbondanza, saporiti e delicati; ha buccia di
color rossiccio, liscia, pellicola dello stesso colore, sottilissima, facil-
mente staccabile. Ama terreni freschi e profondi ; prospera benissimo
anche in luoghi elevati ed in esposizioni fresche. Questo frutto mangiato
fresco sostituisce il marrone e da esso si ricava la miglior farina di
castagne; ma si conserva male.
2. Castagna pastinese. — Ha grandi pregi non inferiori alla va-
rietà sopracitata; ama luoghi freddi ed elevati, resiste ai venti e tollera
anche un terreno compatto. Dà frutti piccoli e nericci, coperti di pe-
luria, con pellicola assai grossa, aderente. 1 frutti seccati e macinati
danno una farina che si conserva a lungo e sotto questo riguardo è
più pregevole di quella della varietà precedente.
— 1)52 —
3. Castagna rossola. — Simile al marrone ma più piccola, prospera
anche in luoghi elevati e freddi; i frutti danno un'eccellente farina.
Dal \M}^iani riporto la descrizione delle seguenti varietà:
4. Pislolcse: Legname giovane color rosso-scuro. Meritalli molto
lunghi, gemme rossicce. Inlìorescenze poco sviluppate; fioritura assai
tardiva. Foglie allungate di color verde-chiaro. Riccio grosso, oblungo,
munito di spine poco numerose. Spesso i ricci sono riuniti in grup-
petti di 6-8. Achenio bislungo, assai acuminato, pericarpo scuro, cica-
trice di mezzana grandezza; cotiledoni poco solcati; tegumento sottile
e facilmente separabile.
Fusto molto contorto ed irregolare; sviluppo limitato.
E' meno esigente del marrone. Ha fioritura assai tardiva e matura-
zione jirecocissima; perciò è apprezzato nei luoghi in cui le castagne
si possono smerciare come primizie. Fruttifica abbondantemente e dà
prodotto pregiato.
5. Raggiolana: Tronco assai dritto, che rammenta spiccatamente
il selvatico; giovani rami di color scurò con lenticelle biancastre ab-
bondantissime; meritalli brevi ed irregolari; gemme giallo-chiare; infio-
rescenze maschili in amenti cilindrici, eretti, lunghi e numerosi. F'oglie
corte, larghe e quasi ovoidali. Riccio più piccolo che nelle varietà
precedentemente descritte e rotondeggiante fornito di spine assai fitte
e lunghe. Frutto di mezzana grossezza, rotondeggiante; pericarpo ros-
siccio, con larga zona di peluria verso l'apice; cicatrice assai svilup-
pata, tegumento spesso, rosso-chiaro, aderente ai cotiledoni.
E' poco esigente e perciò viene coltivata nei luoghi elevati, esposti
ai freddi, ai venti, alle intemperie. Ha maturazione tardiva. E' fertilis-
simo e le sue castagne, poco indicate per altri usi, sono eccellenti per
farne farina.
6. Villorina: Fusto di medio sviluppo: foglie di un bel verde-ca-
rico; ricci rotondeggianti, di colore verde scuro; achenio di forma
globosa che rassomiglia a quella del marrone, ma è assai più piccolo;
tegumento molto spesso e aderentissimo.
E' la varietà maggiormente diffusa nella montagna Cortonese; è
molto rustica e perciò viene coltivata in luoghi poco favorevoli. Non
è sdegnata sul mercato anche fresca, ma generalmente si fa seccare
per farne farina.
111. Castagna selvatica (Castanea vnlgaris Lamk). Tronco dritto,
alto e regolare; rami color giallo verdastro; meritalli corti; gemme
molto grosse e rosse. Infiorescenze maschili bianche, appariscenti, ab-
bondantissime e lunghe circa 20 centimetri. Foglie sottili e morbide;
di color verde chiaro. Riccio piccolo, un po' allungato verso l'apice. I
ricci sono costantemente raggruppati in numero di 8-10. Spine fitte,
resistenti, di color giallo-scuro. Frutto piccolo, cordato, con cicatrice
come nel marrone; cotiledoni molto solcati e tegumento aderentissimo.
Matura tardi. Il frutto è poco ricercato perchè il tegumento si
stacca difficilmente e le castagne hanno un sapore amarognolo astringente.
In compenso la pianta è molto rustica.
— 953 —
4. Scelta delle varietà, — La importanza colturale di ciascuna di
queste varietà, come insegna il prof. Caruso, dipende dalla rustichezza,
dalla precocità, dallo spessore del tegumento, dalla grossezza del seme
e dalla resistenza alle malattie parassitarie.
1. Considerata la rustichezza ossia resistenza al freddo le varietà
che tengono il primo posto sono, senza dubbio, la Selvatica e la Kag-
giolana, che prosperano anche a considerevole altezza ed in esposi-
zioni poco favorevoli. Seguono, in ordine decrescente, la Pistoiese e
la Marrona, le quali esigono luoghi più riparati dai venti ed esposi-
zioni più soleggiate.
2. Riguardo alla precocità della maturazione possono così ordi-
narsi: Pistoiesi, Tigolesi, Marrone, Maggiolane con una distanza di 7 a
10 giorni dalle prime alle ultime.
3. Per lo spessore della buccia certamente la Pistoiese tiene il
primo posto, avendola assai sottile e poco aderente; segue poi la Mar-
rona il cui seme si sbuccia assai facilmente. Meno pregiate a questo
riguardo sono la Raggiolana e le Selvatiche.
4. Rispetto alla grossezza del seme la Marrona è la varietà che
fornisce i semi più grossi e per questo ed altri pregi (tegumento poco
aderente, precocità nella maturazione, abbondanza e bontà della polpa)
è tenuta in grande considerazione specialmente per essere consumata
per frutto. Seguono la Pistoiese e la Raggiolana-, in ultimo vengono le
Selvatiche le quali sono destinate per far farina e, in casi speciali, per
la alimentazione dei suini.
5. Varietà nuove di castagno. — Del Giappone. — Albero di pro-
porzioni medie, a foglie brillanti, dentate irregolarmente e rimarchevoli
pel loro aspetto. E' più rustico del castagno d'Europa, tollerando anche
un freddo di 25" gradi sotto zero. Ha una fertilità eccessiva.
Numbo. — Varietà pure rusticissima e molto produttiva. Fruttilìca
presto, settembre, e le castagne sono grosse e buone.
Paragon. — Varietà molto produttiva che dà frutti eccellenti e grossi.
6. Importanza della coltivazione. — Per i paesi di montagna, il
castagno è una vera provvidenza. Nella regione della vite si coltiva a
ceduo semplice o composto specialmente col rovere, per produrre pali;
nella regione immediatamente superiore si coltiva per il frutto e per
il legname.
La produzione annua complessiva in Italia si calcola di 5 a 6 milioni
" /ii quintali di castagne di cui 150.000 Ql. vengono esportali,
7. Sistemi di coltivazione, — Il castagno da frutto ordinariamente
è coltivato da solo ed allora si ha il cosidetto castagneto ad alto fusto.
8. Clima ed esposizione. — Il castagno da frutto si trova al limite
immediatamente superiore a quello della vite, perciò arriva a 600 me-
tri sulle Alpi, a 900 metri sugli Appennini, a 1300 in Sicilia. Rispetto
alla latitudine non oltrepassa i 48" dì latitudine nord.
E' una pianta dei climi temperati, perciò non tollera i calori intensi
e la ostinata aridità. Raramente il castagno domestico si trova in pia-
— 'Jòi —
nura o in luoghi chiusi perchè le brine ed 1 geli prolungati gli fanno
mollo danno. Predilige i colli esposti a levante oppure le montagne di
media altezza non esposte ai venti. Soltanto nell'Italia meridionale ed
in qualche localilà dell'Italia centrale lo si trova esposto a tramon-
tana. Nelle località fredde il legno è meno compatto ed i frutti sono
più rari.
Fiorisce alla temperatura di 17" e matura i suoi frutti con 2100" a
2200° di calore, a partire dalla germogliazione in primavera. Dalla ca-
duta delle foglie alla lìoritura richiede 3660" C. di calore.
La pianta resiste ai freddi più intensi, anche a 34-36" C. sotto
lo zero.
Il castagno germoglia quando per alcuni giorni la temperatura e
costante ad 8" G.
Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le principali fasi
di vegetazione del castagno in alcune regioni d'Italia.
Località
Fogliazione
Fioritura
Maturazione
del frutto
Caduta delle
foglie
Epoca in
decadi
temp.
Epoca in
decadi
temp.
Epoca in
decadi
temp.
Epoca in
accadi
temp.
Belluno
Pesaro
Caserta
Catanzaro. . . .
Maggio I
Aprile III
„ III
Marzo III
10.9
16.2
15.6
12
Giugno III
Maggio III
Giugno I
Maggio I
19.5
19
19.9
16
Ottobre II
„ II
I
Settem. Ili
10.1
15.3
16.9
22°
Novemb. I
II
I
Dicemb. I
7.7
8.4
13.3
13
9. Terreno. — Predilige i terreni sciolti, freschi, di medio impasto,
l)rofondi, ricchi di materia organica. Perciò gli convengono i terreni
siliceo-argillosi profondi , quelli granitici e vulcanici , sempre però
provveduti di una certa quantità di umus. Il castagno è una pianta
eminentemente calcifuga. I migliori castagneti si trovano nei terreni
che contengono non oltre l'I % di carbonato calcare; in quelli che ne
contengono oltre il 6 7o, il castagno deperisce.
Hi fugge pure i terreni compatti ed umidi. La presenza dell'erica e
delle felci è un sicuro indizio dell'adattabilità del castagno.
10. Moltiplicazione. — Si moltiplica per seme e per innesto.
La moltiplicazione per seme si fa nel semenzaio, in marzo-aprile,
conservando prima le castagne stratificate nella sabbia. Le piantine si
trasportano nella piantonaja dove, dopo 6 anni, si innestano oppure si
collocano a dimora. Per l'impianto a dimora la pianta deve avere
l'altezza di m. 2.50 ed un diametro di 4 cm.
L'innesto si fa di solito dopo 3 anni dall'impianto a dimora. Vo-
lendo adoperare polloni per fare un castagneto, il che non è consi-
gliabile perchè questi hanno radici troppo profonde, bisogna che essi
presentino j)ure le suddette dimensioni per essere piantati stabilmente
e poi innestati.
- 955 —
Pel castagno si pratica riiinesto ad anello, a gemma (dormiente
dal luglio al settembre ed in maggio a gemma vegetante), a spacco, a
corona ed all'inglese.
Il castagno si può anche innestare sulle querele Qnerciis sessiflora
e Querciis Mirbeckii.
11. Caratteri vegetativi. — Il castagno è l'albero che in Europa
raggiunge le maggiori dimensioni ed è dei più longevi. In media dura
150 anni, quantunque vi siano degli alberi ai quali viene attribuita
un'età di alcuni secoli. Cresce lentamente fino al decimo anno circa,
poi abbastanza rapidamente, ma rallenta presto e allora cresce più in
diametro che in altezza. A 60 anni arriva all'ordinaria sua altezza e
continua ad ingrossare fino quasi alla morte, acquistando una dimen-
sione prodigiosa. Ha corona espansa, querciforme e discretamente fron-
zuta. Tollera qualunque taglio. I ricci cadono appena maturi e le
castagne conservano la facoltà germinativa per 6 mesi. Le fruttificazioni
abbondanti avvengono ogni 2 o 3 anni ; la pianta comincia a fruttificare
fra i 15 e 20 anni.
12. Impianto e cura di coltivazione. — Il castagno da frutto si
coltiva da solo in terreni speciali. A seconda della fertilità del suolo
si pianta alla distanza di 8 a 14 e 17 metri tra pianta e pianta. Quanto
più fertile e quanto più adatto è il terreno alla coltivazione tanto più
rade devonsi collocare le piante. Non si dimentichi che il castagno
ama la luce e non fruttifica se è sacrificato da piante vicine. Qualche
volta col castagno si fiancheggiano le strade ed i viali, oppure si con-
tornano i campi.
In quest'ultimo caso, l'impianto si fa soltanto lungo il lato di tra-
montana.
Fatto l'impianto a dimora, quando i castagni hanno alla base un
diametro di circa 7 centimetri si capitozzano all'altezza di metri 2,50,
per provocare la formazione dei rami secondari. Fra questi, si scelgono
dopo un anno i 5 o 6 più vigorosi e si innestano. Ciò fatto si soppri-
mono i getti non innestati e si rimonderà il fusto di tutti i getti av-
ventizi.
I nesti portano frutto dopo 5 o 6 anni.
Le cure successive consistono nel taglio annuale dei succhioni e
rimessiticci affine di dare alla fronda una forma sferica. Allorquando
la pianta è adulta, basta fare la rimonda ogni 3 anni, colla quale si
tolgono i succhioni, i rami secchi, contusi, oppure troppo vicini uno
all'altro.
Questa operazione si suol fare nel mese di luglio ed agosto.
Ai rami da frutto non occoi're alcuna potatura. Quando però questi
ultimi sono esauriti, durante il riposo della vegetazione, si fa un taglio
di ringiovanimento, che però è necessario soltanto una o due volte
durante la vita della pianta.
13. Concimazione. — Concimazioni speciali al castagno non se ne
fanno. Dovendo però concimare è bene conoscere la quantità di eie-
tiRMili nulrilivi che veiif^ono esportati da un ettaro di terreno, coltivato
a caslaf*neto.
Per mezzo delle
Azoto
Anidride
fosforica
Potassa
kg-
Calce
kg-
castagne tresche ... kg. 2200
legna 710
foglie „ 200
16.56
6.24
1.60
1.23
17.04
4.12
2.16
3.36
26.-
4.53
Totale esportazione
1().56
9.07
23.32
33.89
Come si vede il castagno è una pianta poco esigente. È bene
fare la concimazione a base di letame fresco, adoperando anche quello
di pecora che abbonda sempre nella regione del castagno. I concimi
chimici sono pure efficaci: si danno seminando lupini o trifoglio in-
carnato che ])oi si sovescia.
14. Raccolta e conservazione del prodotto. — Le castagne giunte
a maturità cadono spontaneamente per la deiscenza del riccio, che ha
luogo secondo due linee che si tagliano a perpendicolo nel punto op-
posto alla inserzione del peduncolo col riccio stesso; se i ricci cadono
a terra chiusi la raccoglitrice con un colpo di falcetto, dato dalla parte
della costola li costringe ad aprirsi violentemente, ed il frutto esce
fuori. Quando sulla pianta sono rimasti pochi ricci, questi si abbac-
chiano, si scuotono cioè fortemente i rami con una lunga pertica di
acacia o castagno, per farli cadere forzatamente.
Durante la raccolta, si fa una scelta delle castagne trovate nude in
terra, le (juali se non sono cadute per causa di malattia, hanno un
valore superiore alle altre.
I ricci chiusi si ammassano in un luogo asciutto e si coprono con
uno strato di 20 centimetri di foglie di castagno. Cosi le castagne si
conservano fresche per un paio di mesi. Quando si vuole protrarre la
conservazione ai mesi di marzo e aprile, si scava una fossa profonda
da 70 a 80 centimetri, in terreno asciutto, nel fondo di essa si pone
della paglia ed uno strato di 10 a 15 centimetri di foglie di castagno
secche e bene asciutte. Nel centro della buca si pongono i ricci, circon-
dandoli con altra paglia e foglie per 20 o 25 centimetri. Miglior sistema
però è quello di scegliere le castagne più sane e grosse, farle ben
asciugare e poi stratificarle nella sabbia secca in un luogo ben asciutto.
Altro mezzo di conservazione consiste nel collocare le castagne in
cantine a strati sottili di 25 centimetri, rivoltandole e maneggiandole
di frequente con un ruvido sacco per togliere l'umidità e quella mufla
I)articolare che a guisa di patina ne riveste la superficie.
1 marroni si conservano anche immergendoli per una settimana
nell'acqua corrente, dopo di che si asciugano al sole, e quindi si col-
- 957 -
locano in cantine ben fresche a strati sottili, prodigando loro le cure
più sopra indicate.
La maggior parte delle castagne si essicca nei così detti inetali.
Il melato può essere scavato nel terreno, ma per lo più è fatto in
muratura. E' una grande stanza, vasta quanto occorre ed alta quanto
il casamento, coperta con una tettoia a due pioventi dalla quale possa
uscire il fumo e l'umidità.
A due metri e mezzo dal fondo sono poste delle travi incastrale
nel muro e ben murate, le quali sostengono un pavimento formato da
pali di castagno diritti e robusti, vicini tanto l'uno all'altro, da non
lasciar passare al disotto le più piccole castagne. Sopra questo pavi-
mento, all'altezza di un metro, c'è una finestra per la quale si accede.
Per accedere nella parte terrena vi ha una porta. Nel centro del pavi-
mento terreno o in tre o quattro punti nei grandi melati si accende il
fuoco per seccare le castagne.
Di mano in mano che le castagne vengono raccolte si collocano
sul pavimento di una stanza per asciugarle, quando cominciano ad av-
vizzire si portano nel melato. Quando in questo si comincia ad avere
uno strato di 20 centimetri di castagne, si pone il fuoco, che deve es-
sere lentissimo, poiché da questo dipende la bontà della farina. Tutti
i giorni si raccolgono le castagne e tutti i giorni si stendono castagne
sul melato, dopo averle tenute stese sui pavimenti per 3 o 4 giorni.
Finita la raccolta si rivoltano le castagne in modo che quelle che si
trovano al disopra vadano sotto. Dopo 15 giorni si fa una seconda ri-
voltatura, raramente ne occorre una terza. Quando le castagne sono
prossime ad essere secche si raddoppia il fuoco per tre o quattro giorni.
Lo strato di castagne nel melato si fa alto un metro. Il tempo oc-
corrente per l'essiccazione è da 25 a 40 giorni ; si tolgono le castagne
quando si trovano secche le ultime postevi quando cioè si rompono
al dente con frattura netta.
In media HI. 5 di castagne verdi del peso medio di kg. 300 si ridu-
cono a HI. 4 di secche, che, private dalla buccia si riducono ad un
po' meno di HI. 2. Il peso medio di una castagna è di gr. 18 a 60.
Con questo sistema di essiccazione si impiega molto tempo, e non
si può regolare la temperatura e, perciò le castagne non riescono tutte
essiccate bene e spesso prendono di fumo. Per evitare questi incon-
venienti il Prof. Donati di Bastia e il Prof. Mingioli della Scuola
Superiore di Agricoltura di Portici, hanno ideato dei tipi di essiccatoi
ad aria calda. Per avere notizie di questi, il lettore può ricorrere all'o-
pera citata del Doti. D. Vigiani.
Le castagne secche si liberano dalla buccia colla battitura che si
fa in un mortaio di legno, oppure nel sacco battendolo contro il ter-
reno. In questo modo si ottengono le cosi dette castagne bianche, le
quali sono liberate oltre che dall'involucro esterno anche dell'interno.
Anche per questa operazione sono state costruite delle macchine
sgusciatrici le quali vagliano e ventilano le castagne bianche.
- 958 -
Un ettolitro di castagne conservate col guscio pesa da 70 a 80 Kg.
La produzione media per ogni pianta in piena produzione varia
da mezzo a Ire ettolitri.
15. Composizione chimica dei frutti. — Le castagne contengono
una considerevole quantità di amido e di sostanza zuccherina. Secondo
Payen, l'azoto vi è rappresentato in ragione del 0,99 7o delle materie
organiche, di 0,50 del frutto fresco e di 0,96 del frutto secco. I marroni
sono più ricchi in azoto. Allo stato fresco ne contengono 0,53% ed
1,17 7o allo stato secco. Le castagne fresche del commercio hanno il
48,00 % d'acqua, i marroni 54,21 % ; e le castagne secche ne hanno
ancora dal 10 al 12 7n-
Secondo le analisi di 1. Nessler e Fellenberg, le castagne secche
contengono :
Castagne Castagne
Marroni primaticcie tardive
Sostanze azotate 14.50 15.75 12.70
Grassi 2.61 2.61 2.51
Amido 76.73 74.50 77.76
Legnoso 3.— 3.63 3.34
Cenere 3.16 3.51 3.69
Nella sostanza secca :
Azoto 2.52 2.52 2.03
1 marroni danno 4,04 7^ di cenere e le castagne 3,20 7o. Secondo
K. Dietrich le castagne forniscono 3,02 7o di cenere greggia e 2,38 7o di
cenere pura. Secondo le sue analisi, la composizione della cenere pura
è la seguente:
l*olassa 56.69
Soda 7.12
Calce 3.87
Magnesia 7.47
I^'erro 0.14
Allumina 1.15
Acido fosforico 18.12
Acido solforico 3.^5
.\cido salicilico I.54
Manganese 0.10
^'•oro 0.53
16. Usi. — l marroni consumansi lutti allo stato fresco, le casta-
gne invece, fresche e secche.
I marroni si fan l)ollire colla buccia nell'acqua leggermente salala
con qualche foglia di lauro (ballotte, succiole) oppure senza buc-
cia (hgliate, mondine); se queste ultime, dopo lessate, si fanno asciu-
gare e disseccare nel melato si hanno le cosi dette castagne secche,
- 959 -
che si conservano tali e quali e si mangiano senza altra cottura. Anseri
o vecchioni si dicono le castagne disseccate nei melati, mantenute colla
loro buccia. Infine i marroni si cuociono arrosto, in padella bucherel-
lata, e diconsi bruciate od arrostite se incise col coltello; biscottale
sono le castagne con buccia non incisa ed arrostite a lento fuoco nel
forno. Le castagne allesso servono poi a preparare i marrons glacés.
Le castagne disseccate nel melato si possono mangiare crude, cotte
nell'acqua, mescolate al riso nella minestra, ma generalmente riduconsi
in farina, con la quale si fa polenta, focaccie, biscottini ed anche pane,
mescolandovi farina di altri cereali. La farina di castagne ha un sapore
dolce particolare ed è molto astringente. Impastata da sola non lievita
perciò volendo far pane bisogna mescolarvi altre farine.
Dalla farina di castagne si può estrarre dello zucchero e perciò
anche dell'alcool.
Le castagne apprestate in qualunque modo, sono buone, ma di dif-
ficile digestione. Crude vengono digerite solo in parte, mangiate in
quantità possono produrre peso allo stomaco, mal di ventre e diarrea.
Le sostanze astringenti contenute nella pellicola che riveste il seme
e nei peli, irritano la mucosa, producendo escoriazioni nella bocca,
talvolta infiammazioni di gola. Le castagne cotte ed i dolciumi fatti
colla farina sono più facili a digerirsi, ma non convengono alle persone
gracili e deboli di stomaco. Specialmente per chi beve vino, le casta-
gne arrosto e secche producono bruciori allo stomaco.
In ogni caso, per la popolazione della montagna le castagne costi-
tuiscono un alimento di primo ordine sia per le sostanze azotate che
contengono, di molto superiore a quelle contenute dalle patate, dalla
segale e dal grano, sia per le materie grasse che danno calore.
17. Prodotti secondari. — Fra i prodotti del castagno domestico
devesi annoverare per primo il legname. Oltre alla legna che si ricava
colla mondatura e che è ottima per bruciare, devesi considerare il
legname che è molto pregevole per opere, quando la pianta viene ab-
battuta. Questo legname è semi-forte, di color giallo-bruno, assai duro,
quantunque non tanto compatto ma ricercato per costruire botti, tini,
mastelli. Una particolarità del legno di castagno consiste nella sua re-
sistenza all'umidità. Per ciò il castagno viene quasi esclusivamente ado-
perato per fare le botti destinate alle cantine umide o per fare delle
palafitte od infine per fare pali di sostegno per le viti.
La scorza del castagno si usa per la concia delle pelli contenendo
4-9 7o di tannino; le foglie allo stato fresco costituiscono un buon
mangime per i bovini, e secche una discreta lettiera : il terriccio che
ricavasi dai vecchi tronchi cariati, viene usato utilmente dai giardinieri.
In questi ultimi anni l'industria dell'estrazione delle materie tanni-
che e coloranti dal legno di castagno si è molto intensificata poiché
quantunque la corteccia di quercia contenga dal 5 al 10% di tannino,
questo non viene estratto tanto bene quanto dalla corteccia di casta-
gno. Da ciò la notevole distruzione che si è fatta in Italia in questi
^ 960 -
ullimi anni dei castagneti e sulla quale il prof. Giglioli dell'Università
di Pisa colla sua autorevole parola ha dato l'allarme.
17. Dati economici. — 11 prof. Niccoli nel suo Trattato di Economia
rurale, estimo e computisteria agraria, (Torino, Unione tipografico-edi-
trice) dà la seguente analisi di spesa relativa alla costituzione di un
fltaro di castagneto da frutto:
Anno I.
I. Kscavazione di N. 100 fosse I-. 7.50
II. N. 10 selvaggioni, trasportati a dimora „ 12.50
III. Piantamento „ 150
IV. Fasciature con spine di selvaggioni „ 7..50
V. Spese impreviste, infortuni, ecc , 2.90
VI. Vigilanza ed amministrazione , 10.00
VII. Interessi a riportare ((ueste spese al termine dell'anno , 2.09
Anno IL
Vili. Sostituzione di piante perite ' .,o della spesa occorsa ai N. 1-4. . . L. 1.45
IX. Spese impreviste ed infortuni „ 3.00
X. Vigilanza ed amministrazione , 10.00
XI. Interessi al 5% su L. 58,44 „ 2.92
.1/1/10 ///.
XII. Spese generali e diverse L. 13.00
XIII. Interesse al 5 % su L. 74.36 „ 3.72
Anno lY.
XIV. Innesto e ripulitura I>. 3.00
XV. Spese generali e diverse e. s 13.00
XVI. Interessi al 5% „ 4.70
Anno V.
XVII. Ripulitura L. .5.00
XVIII. Spese generali, diverse, interessi „ 20.93
.4n/io VI.
XIX. Hi|)iilitura, spese, interessi L. 27.23
^1/ino VII.
XX. Spese diverse e interessi L. 23.35
^fino Vili.
XXI. Ripulitura, spese generali, interessi L. .32.29
Anno IK.
XXII. Spese diverse ed interessi I.. 2C.13
i4/i/io X.
XXIII. Spese generali e diverse, interessi L. 27.44
Anno XI
XXIX. Spese generali e diverse, interessi L, 28.81
Anno XIL
XXV. Ripulitura, spese generali, interessi L. 45.48
L. 335.54
- 961 -
Cioè L. 3,35 per pianta. Ma tenuto conto della produzione che può
conseguirsi, durante questo decennio, dal suolo, produzione che il
dottor Ghiricozzi computa, al netto, in annue L. 11.50, il passivo della
stazione improduttiva si riduce a L. 335.54 diminuite dell'accumula-
zione finale di 12 annualità a L. 11.50, cioè a L. 152.50 che dà un
importo di capitali investiti al netto di circa L. 1.50-1.55 per pianta.
NOCCIUOLO
(Corylus Avellana Lin. — Fani. CiipoUfere).
Nomi volgari ilaliani della pianta — Noce pontica ; Noce barbuta ;
Nocella ; Nocciolaro ; Noce pontico ; Avellano, Nocello ; Nosello ; Nizo-
laro ; Coralo ; Nocciuolo comune ; Nosellaro ; Bapiccola.
Nomi volgari italiani del fratto — Nocciuola ; Avellana; Nucella;
Avolana; Ninzola; Noci pontiche ; Nocella; Nosella; Nizzola; Nisciola.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane. : Noisetier commun —
Ted. : Haselnussstrauch — Ingl. : Hazel.
Nomi volgari stranieri del frutto — Frane. : Noisette — Ted. : Ha-
selnuss — Ingl. : Hazel-nut.
1. Origine. — Pare che il nocciuolo tragga origine dal Ponto nel-
l'Asia Minore, d'onde venne poi portato dai Greci anche in Italia. Certo
si è, che questa pianta si trova attualmente diffusissima in tutte le
regioni d'Italia, sia allo stato selvatico sia coltivata. Coltivata è in
particolar modo nel Principato Ulteriore (Avella ed Avellino da cui
il nome).
In Sicilia il centro più importante di produzione è Piazza Ar-
merina.
2. Specie botaniche coltivate. — Delle varietà coltivate, alcune ap-
partengono alla specie Corylus tubulosa ed altre alla specie Corylns
avellana.
3. Caratteri botanici del Corylus tubulosa. — Il Coryllus tubulosa,
in italiano chiamato Nocciuolo selvatico arborescente oppure Nocciuolo
tuboloso; in francese: Noisetier commun en arbre ; in tedesco: Lam-
bertsnussbaum ; in inglese ; Lamberts Filbertree ; si distingue dal noc-
ciuolo comune per avere gli stami e bratteole superanti la brattea, nonché
l'involucro del frutto molto lungo, cilindrico, tuboloso, che copre to-
talmente il frutto. Nel nocciuolo comune invece l' involucro è campa-
nulato ed allargato superiormente ; gli stami poi e le bratteole sono
quasi eguali alla brattea.
Il nocciuolo selvatico arborescente si distingue anche dall'altro co-
mune per il l'usto più diritto, più grosso, più ramificato. L'albero ar-
riva quasi sempre all'altezza di 5 a tì metri ed i frutti sono più lunghi
e rossigni, le foglie più corte, più grandi e meno pelose.
61 — Tamaro - Frutticoltura.
~ 962 -
4. Caratteri botanici del Corylus avellana (figg. 678-679). — Ar-
busto od alberetto allo da 2 a 5 metri con la chioma espansa ed irre-
golare.
Le radici sono poco profonde, molto diramate, lunghe, nodose, e ri-
mettono sovente dei polloni dalle loro nodosità.
Getta dal colletto molti fusti, i quali sono sollevati, tortuosi, se vecchi
molto ramificati; i rami giovani sono diritti. La corteccia dei rami vecchi
Fig. (178. Rami a frutto, inriorescenza e fiori del nocciuolo.
è liscia, unita o soltanto screpolata e di colore grigio-biancastro o grigio-
rossigno; quella dei rami di un anno è rossigna, coperta di peli ros-
sicci e ruvidi.
Le gemme sono piuttosto piccole, sessili, ovali, un po' schiacciate
da avanti indietro, ottuse, verdi o verdognolo-rossiccie, pubescenti.
Le foglie sono grandi, alterne, ovato-rotonde. picciolate, rugose, pe-
lose, ruvide, con pochi peli nella pagina inferiore, di color verde-gial-
lognolo, doppiamente seghettate. 11 picciolo è brevissimo e le stipole
sono bislunghe, ottuse, verdi e caduche.
Il nocciuolo è monoico, cioè sopra una stessa pianta si trovano i
fiori maschi e femmine separati.
963
I fiori maschili sono disposti in amenti cilindrici, lunghi 4-6 cm.,
pendenti, giallognoli e collocati verso la parte esterna del ramo. Ogni
fiore maschile ha una squama trilobata, embriciata, nella cui faccia in-
terna sono attaccati gli stami, in numero di circa 8, e senza traccia di
pistillo.
Le squame sono cotonose, trilobate, di color verde-chiaro, con la
estremità acuminata.
I fiori femminili, sono pure riuniti in un amento cortissimo. Questi
amenti sorgono o solitari, all'apice di piccoli rami laterali o riuniti in
numero da 2 a 4, alla base del
peduncolo che porta gli amenti
maschili. I fiori sono foggiati a
guisa di gemme ovali o bislunghe,
ottuse all'apice, e si compongono
di molte brattee o squame peru-
liformi, strettamente embriciate,
larghe , concave. All' ascella di
queste si trovano i fiori riuniti
in numero di due, ciascuno dei
quali è circondato da un calice
persistente peloso, chiamato cu-
pola, che avvolge a guisa di sacco,
l'ovario. Dall'ovario sorge lo stilo
piuttosto lungo, che sorpassa il
calice e lascia scorgere superior-
mente gli stimmi rossi, a guisa
di ciuffo sporgente.
II frutto è un achenio, ossia
una ghianda colla cupola fogliosa,
gamosepala, persistente, aderente,
eri)acea, irregolare, pelosa, vasei-
forme, partita. La nocciola è quasi
rotonda, con una piccola punta
all'apice, da prima verdognola e pubescente, poi di un color rossiccio.
Il pericarpio è osseo (guscio). La testa è liscia, quasi di color cannella.
Avvolge per lo più un solo seme. I cotiledoni sono emisferici, piani nella
faccia interna con la quale si toccano, convessi nella parte esterna,
bianchi, oleosi. La radichetta è piccola, posta all'apice del seme e na-
scosta dai cotiledoni.
5. Classificazione deUe varietà. — A) Varietà del coryliis avellana,
— Si possono riunire in tre gruppi, appartenenti alle seguenti tre sot-
tospecie:
1. Corylus avellana racemosa (Lam.). — Volgarmente Nocchiolo ra-
cinante. — Il frutto ha la forma orbicolare, rami obliqui, foghe ampie
e numerose, amenti maschili lunghi, nocciuole aggregate, racemose,
rotonde, spesso striate, molto voluminose, dal diametro di circa 25 mm.
Fig. 679. — Rami a frutto, infiorescenza
e fiori del nocciuolo.
- 964 -
Sottovarietà sarebbero: S. Maria di Ges/i di Palizzi generosa, 5. G/o-
uanni di Mantonica, S. Nicola e S. Cono.
K il tipo più gentile, più vantaggioso e rimuneratore. Annualmente
emette un numero considerevolissimo di polloni.
Questa sottospecie è chiamata racemosa, perchè generalmente allo
stesso peduncolo stanno attaccate, a guisa di grappolo, da tre a sei noc-
ciole. Questo corilo non ha dato luogo a molte variazioni, però è molto
coltivato nelle provincie meridionali.
2. Conjliis avellana glandnlosa (Lin.). — Volgarmente Jannosa. —
11 frutto è grosso, medio o piccolo a forma di ghianda (da ciò il nome
di ghiandulosa), mitrale, conica, con base più stretta ed apice acumi-
nato o depresso. Guscio meno duro.
Sottospecie molto rustica, che cresce con molto vigore anche nei
terreni rocciosi ed assume uno sviluppo quasi arboreo. I rami sono
radi ed eretti.
Resiste ai parassiti.
Il nocciuolo ghianduloso forma moltissime varietà che si distin-
guono tutte dal nocciuolo racemoso per avere il fusto più diritto, più
allo, meno nodoso; rami più lunghi e fruttiTicazione meno precoce.
A questo gruppo appartengono le seguenti varietà :
Ghiannnsa. — Coltivata a Castigione corrispondente alla Jannnsa
di Piazza Armerina, e molte altre elencate nell'opera del professore
F. Alfonso.
Cannellina. — Coltivata ad Avellino, molto pregiata, perchè i ghe-
rigli riempiono totalmente il guscio. Ha una tinta pallida, che talvolta
volge al verde sulfureo. Il guscio è piuttosto opaco e molto tomentoso.
Corrisponde alla Minnnlàra di Messina.
Altre varietà coltivate a Messina sono : Minnalara, Panullara, Bac-
cilara, Mnddisi con guscio tenero, Agghirara a guscio esile e poco re-
sistente, Piattiddara, la quale ultima si distingue per la sua straordinaria
produttività.
Avellano comune. — Dà frutto ovale ed è quello dei nostri boschi.
Avellano ordinario. — Se ne distinguono due sottovarietà una di
colore bianco l'altra di colore rossastro. 11 frutto è ovato, grosso, con
guscio non tanto duro.
Nocciuolo di Provenza. — Frutto grosso, arrotondato, con guscio
non tanto consistente, mandorla rossastra. Una sottovarietà è il Noc-
ciuolo Romano.
Nocciuolo di Piemonte. — Frutto grosso, più allungato che il pre-
cedente. Buonissimo.
Nocciuolo di Barcellona. — Frutto grosso, arrotondato, involucro
poco sviluppato.
Nocciuolo gigante Cob. — Frutto grossissimo, allungato.
Imperiale di Trebisonda. — Varietà notevole a frutti grossissimi
con un involucro curioso per il suo sviluppo. Fertilissima, nana e
vigorosa.
- 965 -
Nocciuolo di Spagna. — Frutto abbastanza grosso, a guscio semi-
duro. Ci sono due sottovarietà : una a frutto oblungo e mandorla rosa
e l'altra a frutto rotondo con mandorla bianca.
3. Corylliis avellana maxima (Lam.). — Volgarmente Napoletana o
Nocciuolo a frutto globoso. — Le piante adulte assomigliano molto al
Nocciuolo racemoso. Crescono molto alte e rapidamente, con ramifica-
zioni e foglie rade ; polloni radi.
Il frutto è globoso o rotondiforme, grosso, medio, a guscio duro,
cordone ombellicale diritto; involucro del frutto campaniforme, riccio.
A questo gruppo appartengono le seguenti varietà coltivate alle
falde dell' Etna : Baddara ubertosa, Cerro, Pigra, Privitera, Balzanotto,
S. Giorgio, Reganati, Rizzo, S. Elmo, Terramiceli, Nociare, Stericle, Lit-
trata e tante altre che sono state classificate dai signori dott. Ignazio
Nicolosi ed Antonino Previtera di Linguaglossa e Castiglione. (Vedi Mo-
nografìa del Nocciuolo del prof. F. Alfonso. Palermo, 1887).
Il prof. Alfonso inscrive in questo gruppo anche la varietà Napo-
letana coltivata a Piazza Armerina.
Altre varietà sono ; la Nuciàr coltivata a Messina, la Scritta, Grossa
o Vovolona, Rossa, Rossa piccola coltivate ad Avellino.
Probabilmente appartengono anche le seguenti varietà, citate nei
cataloghi dei frutticoitori e nelle collezioni :
Nocciuolo d Inghiterra. — Frutto grosso, eccellente per dessert, fer-
tilissimo.
Nocciuolo striato. — Frutto grosso, quasi globosa, striato di bruno
e di giallo.
Nocciuolo meraviglia di Bolliviller. — Frutto grosso arrotondato,
un poco compresso.
B) Varietà del Coryllus tubulosa. — 1. Barbarella o Varvarella. —
Frutto ogivale, guscio levigato, debolmente striato, con peli esilissimi
e translucidi. L' involucro del frutto e lunghissimo, carnoso, intero ed
irregolarmente laciniato.
Matura precocemente ed è comune nell'Avellinese. I frutti si rac-
colgono verdi alla fine di luglio e si adoperano esclusivamente per uso
mangereccio. Il gheriglio è molto delicato ed aggradevole. Contiene
poco olio.
2. Sant'Anna. — Probabilmente è una sottovarietà della prece-
dente, pure coltivata ad Avellino e che si mangia verde. Ha un gusto
più delicato.
Dagli scrittori francesi e tedeschi di pomologia si trovano ancora
raccomandate le seguenti varietà:
3. Nocciuolo a frutto bianco. — Frutto abbastanza grosso, allungato,
col guscio semi-duro e pellicola bianca. Vi ha anche una sottovarietà
rossa.
4. Nocciuolo de Céret. — Frutto ovoidale, appuntito, col guscio
rossatro, semi-duro, mandorla bianca, gustosissima, fina, ricercatissima
per dessert e per le confetture.
— y66 —
ó. \occiuole a fo(jlie porporine. — Frutto abbastanza grosso, di un
bel colore bruno-rossastre o violetto. Mandorla purpurea.
6. Altre specie di nocciuoli coltivati. — 1. Nocciuolo di Coslanli-
nopoli (Coriilus Collima L.). — Da questo deriva probabilmente il noc-
ciuolo di Trebisonda. In francese si chinia Noiselier deBysance; in te-
desco : Baumhaselniiss ; in inglese : Coslantinople Iiuaz.
È un albero di grandi dimensioni con foglie ovali, arrotondate, in-
taccate a cuore alla base, ristrette alla sommità, dentate ai margini,
nella pagina inferiore pelose. I frutti grossi quasi il doppio della specie
comune, sono rotondati ed avviluppati da un calice doppio ; l'esterno
partito, r interno diviso in tre parti laciniate o più propriamente pal-
mate. Cresce in quel di Costantinopoli.
2. Nocciuolo di Bisanzio (Coryliis Bizantina Port.). Questa specie
dilFerisce poco dalla precedente ; è meno alta.
3. Nocciuolo cornuto {Conjliis rostrata Lin.). — I ramoscelli gio-
vani sono villosi, guerniti di foglie ovali, bislunghe, intaccate alla base
a cuore, acuminate alFapice, dentale ai margini, ma in modo disuguale,
pubescenti di sotto, glabre di sopra. 1 fiori maschili sono disposti in
amenti isolali, colle squame cigliate ai margini. L' involucro che cir-
conda il frutto è pubescente, coi margini dentati irregolarmente. Alligna
nell'America setlentrionale e segnatamente nella Florida e nel Canada.
Il frutto assume la forma di un corno da cui il suo nome. Il nocciuolo
cornuto è alto pressoché due metri ; cresce bene anche in Francia, dove
dà delle noci buone a mangiarsi.
4. Nocciuolo d'America (Corylus Americana). — Le foglie sono molto
più larghe di quelle delle altre specie ; il calice del frutto è campanu-
lato, di forma arrotondata, più lungo della nóce che racchiude, munito
di peli glandolosi, dilatato al margine, che è dentato irregolarmente.
Cresce nel Canada e si coltiva con buon successo, come il precedente»
in Francia.
5. Nocciuolo nano {Corylus hiimilis). — Questa specie è cosi chia-
mata perchè ha i fusti poco elevati. Foglia arrotondata, calice dei frutti
campaniforme, dilatato ai margini, e spartito in divisioni quasi penna-
tifidi. Altechisce negli Stati Uniti d'America, Canada ed Europa.
7. Importanza della coltivazione. — La coltivazione industriale a
noccioleti specializzati si fa specialmente nelle provincie meridionali,
dove questa coltura ha una notevole importanza.
8. Sistemi di coltivazione. — Intensivo nei noccioleti, ma nell'Italia
settentrionale e centrale si fanno per ornamento macchie di nocciuoli.
9. Clima ed area di coltivazione. — Il nocciuolo è proprio dei
climi temperati, quantunque abbia un'area di distribuzione notevole.
Dall'Asia settentrionale passa in Russia, in Austria, Germania, Francia,
Spagna ed Italia.
In tutta r Italia noi troviamo il nocciuolo nella zona del castagno
e cioè neir Italia settentrionale all'altitudine di 400 a 700 metri ; nel-
r Italia centrale da 430 a 900 metri ed in Sicilia ad una altezza supe-
— 967 -
riore a 1000 metri. In Sicilia i frutti migliori si hanno ad una altitudine
di 400 a 800 metri.
La zona del nocciuolo è compresa fra il 37" e 60" di latitudine ; ma
dal 37" al 41" abbiamo la zona migliore dove il nocciuolo dà prodotti
cospicui col suo frutto, prodotti che superano quelli della vile e del-
l'ulivo ; da 42" a 60", (tranne qualche regione privilegiata, come è 1* Istria)
il prodotto del frutto diventa secondario e si consocia al faggio, alla
quercia, alla betula, per formare dei cedui da legna.
10. Esposizione e situazione. — Il nocciuolo ama le posizioni ae-
reate, ma non ventose, perchè il vento disturba la fecondazione. Nelle
località molto declivi ha una vegetazione stentata, ma nei terreni pia-
neggianti di collina riesce meravigliosamente.
Una temperatura elevata congiunta ad un certo grado di umidità,
favorisce in particolar modo la fruttificazione e lo sviluppo delle avel-
lane. È per questo che in Sicilia i noccioleti più rinomati sono irrigati.
Rispetto all'esposizione, l'avellano le tollera tutte, ma coltivandolo
per il frutto sono preferibili quelle a mezzogiono, a sud-est ed a sud-ovest.
Nelle località soggette a brine è da scartarsi l'esposizione a levante.
11. Terreno. — Senza essere soverchiamente esigente, il nocciuolo
richiede un terreno profondo, fresco, soffice, di natura siliceo-calcare-
argilloso o calcare-siliceo-argilloso, con sottosuolo permeabile.
Se il terreno è secco o compatto, la pianta fiorisce poco e dà frutti
meschini insipidi e poco sviluppati. Cosi non fa bene nei terreni so-
verchiamente sabbiosi, ciottolosi, nei quali soffre per mancanza di fre-
schezza o nei terreni argillosi, cretosi, dove soffre per l'acqua stagnante»
acquistando la pianta uno sviluppo limitato.
12. Moltiplicazione. — II nocciuolo si moltiplica per seme e per
polloni. Si può anche moltiplicare per margotta, per talea e per innesto,
ma questi due ultimi metodi sono pochissimo usati. Si fa l'innesto a
gemma dormiente o per approssimazione da maggio a luglio, quando
hanno la grossezza di un mignolo. Per le forme ornamentali si innesta
sul nocciuolo di Bisanzio (Cloryliis collima).
Dove il nocciuolo si coltiva per la legna, la riproduzione si fa
per seme, allo scopo di ottenere le piante più rustiche e più longeve.
A tale fine si raccolgono le nocciuole a completa maturazione, nei
mesi di agosto e settembre, e si conservano fino in primavera stratifi-
cate nella sabbia fresca in una cantina o locale in cui non possa ge-
lare. Per Io più si sogliono stratificare in vasi, che poi si sotterrano a
20 cm. di profondità.
Nel mese di marzo si collocano le nocciuole nel semenzaio, lungo
dei solchi profondi 10-12 era. e distanti 30 cm. Poi si coprono con della
buona terra o terriccio per 5 cm. I semi non tardano a germinare (15
giorni) e, dopo il primo anno, le piantine arrivano all'altezza di 10 a
15 cm. e si collocano nella piantonaia.
Per 4 o 5 anni le piantine crescono lentamente, ma intanto svilup-
pano delle radici molto robuste ed un lungo fittone. Le piante ottenute
- 968 —
da seme danno quasi sempre delle nocciuole piuttosto ogivali, con
guscio mollo duro. Le varietà a frutto grosso e tondeggianti, si ripro-
ducono abbastanza fedelmente.
La moltiplicazione per polloni è la più usata, essendo il nocciuolo
una pianta eminentemente pollonifera.
Per ottenere da una pianta dei buoni polloni, la si scalza d'inverno
liberandola cosi dalle radici andate a male e deperite, dai rimessiticci
contusi o feriti. Con buona terra mista a terriccio, si fa poi una rin-
calzatura.
Nell'anno successivo, dalle gemme della base del fusto vengono
fuori dei polloni i quali abbarbicano e dopo due o tre anni al massimo,
si staccano e sono atti a ripiantare nuovi nocciuoleti. È superfluo ag-
giungere che i polloni si devono ricavare dai ceppi più vigorosi e sani,
che danno le nocciuole più belle ed in maggiore quantità. A tale scopo,
al momento del raccolto, conviene segnare le piante.
13. Caratteri vegetativi. — Questo arbusto dalla forma ampia ed
irregolare se ottenuta per seme dà frutto nel decimo anno ed a 15-20
anni è nel suo massimo sviluppo; vive al massimo da 60-70 anni.
Cresce come si vede abbastanza rapidamente, rigetta vigorosamente
dal ceppo, però è meglio non praticare tagli grossi.
La fruttificazione comincia sulle branche di quattro anni ; e conti-
nua per 7 a 10 anni. Passata questa epoca i rami si esauriscono e
(juindi si sopprimono. Sulla conoscenza di queste particolarità si basa
la potatura.
I fiori appaiono già nei mesi di agosto, settembre ed ottobre, si
aprono perù appena dal gennaio al marzo. Le epoche nelle quali avven-
gono le diverse fasi di vegetazione nelle diverse regioni d' Italia, sono
indicate nella seguente Tab. LXXI.
Tab. LXXI. Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le princi-
pali fasi di vegetazione del nocciuolo, nelle diverse regioni d'Italia.
I.
II.
HI.
IV.
V.
VI.
VII.
vili
IX.
X.
XI
Regioni
Piemonte
Lombardia
Veneto
Liguria
ICmilia
Marche ed Umbria . .
Toscana
Lazio
Meridionale Adriatica .
Meridion. Mediterranea
Sicilia
Fogliazione
Mese c?de
Aprile
Marzo
Aprile
Marzo
Maggio
Aprile
Febbr.
Marzo
Febbr.
Marzo
Aprile
Febbr.
Marzo
De-
cade
Maturazione
del frutto
De-
cade
Agosto
Agosto
Settem.
Agosto
Settem.
Caduta
delle foglie
De-
cade
Ottobre
1
II
I e II
I
III
- 969 -
14. Potature e forme. — Il nocciuolo è una pianta a cespuglio, e
quindi la forma più conveniente è indicata dalla stessa sua natura.
Per piantare un noccioleto si adoperano dei polloni di due anni
che si collocano a file, ed in questo anno si lasciano intatti.
Nel marzo del secondo anno invece si tagliano vicino terra per
provocare l'emissione di nuovi polloni.
Nel terzo se ne lasciano 7 od 8 per ceppala, i meglio sviluppati e
meglio disposti.
Nel quarto anno si raccolgono i primi frutti dai polloni lasciati, che
diventano perciò branche fruttifere, le quali continueranno a dar frutto
per altri 4 o 5 anni. Durante questo tempo ed operando in marzo si
avrà cura, di svettare sempre tutti i nuovi polloni che avessero a
sorgere dalla base.
Nel nono anno bisognerà cominciare a sostituire le branche frutti-
fere, poiché si esauriscono.
Questa sostituzione si fa gradualmente, allevando cioè un pollone
alla base della branca che comincia ad esaurirsi. Assicurato lo svilu])po
di un anno di questo nuovo pollone, si taglia alla base la branca vec-
chia. In questo modo si assicura la vigoria costante del noccioleto,
senza andare incontro a saltuarietà nella produzione.
15. Impianto e cure di coltivazione. — L'impianto di noccioleti
si fa scassando prima il terreno e collocando le piante in media a 4
metri di distanza fra loro, a quinconce. Nei terreni poco fertili la distanza
si può limitare a 3 metri, ed in terreni eccezionalmente favorevoli si
può portare anche a 9 metri.
Durante i primi tre anni si fa nell'inverno una accurata vangatura
e lungo l'anno una o due zappature, per sradicare le malerbe. In se-
guito si fa almeno una vangatura all'anno.
Fino che i noccioleti non danno frutto, si può intercalare con van-
taggio qualche coltivazione di ortaggi.
L'avellano in Sicilia ha bisogno di irrigazione. A questa si prov-
vede come per gli agrumi. La potatura e la mondatura si fanno alla
fine di autunno od al principio dell'inverno.
Per la concimazione bisogna notare che il nocciuolo è molto esi-
gente di calce, in minor grado di potassa e di anidride fosforica.
Secondo Grandeau, 100 parti di legno contengono :
Cenere 0.423
Anidride carbonica 30.16
Potassa 8.99
Soda 2.8
Calce 73.33
Magnesia 2.23
Ossido ferroso 1.80
Anidride fosforica 5.46
„ solforosa 1.8
Silice 4.33
— 970 —
Il concime più approprialo è naturalmente quello proveniente dalle
sue foglie, rami, ecc. ben decomposti. Non avendo a sufficienza di questi
materiali si ricorre ai calcinacci, alle spazzature di strada, alla marna,
al gesso, alternando ogni due anni con sovescio di lupini o fave con-
ci nìate con scorie di Thomas.
16. Raccolta e conservazione delle nocciuole. — Le avellane si rac-
colgono quando il loro involucro ha cambiato di colore e comincia
ad aggrinzirsi e sopratutto quando si stacca facilmente. Raccogliendo
più presto, la mandorla non riempie completamente il guscio ed è
più insipida.
La raccolta si fa a mano e con un rampino per attrarre a sé i rami
più lontani. Le nocciuole vuote cadono a terra col solo scuotimento e si
distinguono dalle altre, perchè l' involucro non si stacca. Un operaio
può raccogliere in media 50 Kg. al giorno di nocciuole.
Appena fatta la raccolta, le nocciuole si distendono in un granaio
asciutto, non disponendole però per uno strato superiore a 40 cm. Ogni
2 o 3 giorni devono essere accuratamente rivoltate ed in capo a 15 giorni
o tre settimane al più, si battono per separai'e la cupola oppure si scuo-
tono in crivelli perchè acquistino un bel colore rosso lucido. Dopo
battute, si separano con apposito rastrello. Le nocciuole che rimangono
ancora coli' invoglio attaccato dimostrano di essere imperfette o secche
e perciò si scartano subito. Anche dopo private dell'invoglio devono
essere rimestate ogni 2 o 3 giorni, per evitare che prendano la muffa.
17. Composizione chimica dei frutti. — Il Church dà la seguente
composizione delle avellane fresche:
Acqua 40 7o
Albuminoidi 8.4 „
Zucchero, amido, mucillaggini H.l „
(Irassi 28.5 ' „
Cellulosio 2.—
Cenere L5 „
11 Kònig, dà la seguente composizione delle nocciuole secche:
Acqua 3.77
Sostanze azotate 15.62
(''•assi 66.47
Cellulosio 903
Legnoso 3.28
Cenere I.33
Sostanza secca i ^^^^« 2.29
( Grassi 69.07
18. Usi. — Le nocciuole si mangiano fresche, secche, torrefatte,
senza guscio o confettate in diversi modi. Come si rileva dalla loro
— 971 -
composizione il loro valore nutritivo è molto elevato e superiore a
quello delle noci.
Fresche si vendono al minuto nell'estate; secche se ne fa un gran
consumo durante l' inverno assieme alle noci e mandorle. A Partana,
Noto, Piazza Armerina, si fanno con esse dei famosi torroni.
In Germania, i gherigli immaturi si mangiano in insalata oppure si
conservano in salamoja e, aromatizzati con aceto e foglie di lauro, ser-
vono per far salse.
Si può estrarre dai gherigli maturi anche un olio bianco, di buon
sapore, che serve ad usi alimentari e combustibili, a fare saponi finis-
simi e cosmetici di profumo delicato, l panelli che avanzano della tor-
chiatui'a, possono surrogare in medicina la pasta di mandorle.
Questi frutti molto oleosi sono di difficile digestione, specialmente
se verdi.
Le nocciuole secche si spediscono in sacchi, se verdi in casse
o cesti.
19. Prodotti secondari. — I gusci servono per combustibile.
Le foglie sono mangiate tanto fresche o secche dagli animali.
Il legno, essendo flessibile, si usa per far cerchi, corbe, gabbie e
simili lavori. Abbruccia bene quantunque scoppietti. Dà poco calore. La
cenere è ottima per concime. Il carbone di questo legno è molto leg-
gero e combustibile. Si adopera per fabbricare la polvere da sparo e
per la fabbricazione dell'acciaio.
20. Dati economici. — I professori Savastano e Bordiga ammettono
per r impianto di un noccioleto le seguenti spese :
Anno I.
I. Scavo di N. 800 fosse, giornate 16 a L. 1.50 L. 24.-
II. Costo di N. 2500 polloni a L. 4 % „ 100.-
III. Piantagione e potatura, giornate 6 a L. 1.50 „ 9.—
IV. Letame compreso il trasporto „ 80.—
V. Improduttività di 600 m.^ circa di terreno, spese generali e diverse,
interessi, eco „ 27.—
Totale capitali investiti del termine del I anno L. 240.—
Per i tre anni consecutivi le varie spese annue possono raggua-
gliarsi in L. 30. Ne deriva che un noccioleto condotto a frutto (anno IV)
rappresenta circa L. 375 di capitali investiti, cioè per ogni pollone
L. 0.15.
La costituzione di un ettaro di noccioleto nel Viterbese porta, se-
condo un'analisi del dottor Vincenzo Chiricozzi, le seguenti spese:
— '.)?> -
Anno I.
I. Sistemazione del terreno I- 25.—
II. Impianto di siepe viva limitante il terreno 38.—
III. Kscavazione di X. .iOO fosse 20.—
IV. Piante N. KMK) compreso il trasporto a L. 2 il % 32.—
4.—
7.50
V. Piantanienlo
VI. Potatura e zappatura
VII. Impreviste e infortuni " ^^
Vili. Vigilanza ed amministrazione » ^0.—
IX. Interesse su queste spese anticipate » 7.17
Anno II.
X. Sostituzione di piante morte 1 '/-o delle spese dei nn. 3 e 6. . . . L. 3.27
XI. Spese generali " ^^'T
XII. Spese di coltura » 13.50
XIII. Interessi al 5 % su L. 182.44 » 912
Anno III.
XIV. Spese culturali e generali '- 28.50
XV. Interessi 5 % su L. 220.06 » H -
.4nno IV.
XVI. Spese culturali e generali I- 30.50
XVII. Interessi al 5 % su L. 261.56 » 13.07
Anno y.
XVIII. Spese e. s. al netto del piccolo prodotto in nocciole e vermene. . L. 27.—
XIX. Interessi al 5 % su L. 301.63 „ 1505
Totale L. 314.68
Tenuto conto delle culture erbacee che possono trovar luogo nel
terreno libero durante questi 5 anni, il dottor Ghiricozzi riduce l'im-
porto dei capitali direttamente investiti a termine del quinto anno a
L. 236.93.
Per l'Avellinese il prof. Savastano espone come nel 1, II e III biennio
possa nel terreno ricavarsi pressoché completo l'ordinario prodotto
delle colture erbacee e come la fruttificazione s' inizi nel terzo con circa
4 quintali di frutti secchi per ettaro -, nel IV e V biennio la produzione
delle colture erbacee si riduce pressoché alla metà, ma i frutti secchi
conseguiti, anno per anno, raggiungono in media gli 8 quintali nel IV
biennio e 16 quintali nel V; nel VI biennio 28 quintali di frutti secchi 5
40 quintali nel III; circa 60 quintali nell' Vili e nei seguenti. AI netto
dalle .spese di raccolta, vendonsi i frutti secchi a circa 20 lire il quin-
tale : quindi la produzione raggiunge, nella stagione di maturità, che ha
durata lunghissima, 1200 lire circa per ettaro.
Il prof. Alfonso per la Sicilia ammette che un noccioleto senza
colture intercalari ed in condizioni medie di fertilità può produrre da
500 kg. a 1500 kg. di avellane, ossia in media circa 800 kg. che a L 0.60
risulterebbe una rendita di L. 480.
- 973 -
Le spese per ettaro sarebbero le seguenti :
Potagione e rimonda in autunno, giornate 10 a L. 1.70 L. 17. —
Vangatura e zappatura in autunno, giornate 5 a L. 1.70 „ 8.50
Due zappature, giornate 8 a L. 1.70 „ 13.60
Scalzatura e disposizione per l' irrigazione, giornate
12 a L. 1.70 „ 20.40
Irrigazione „ 13.60
Concimazione „ 100. —
Raccolta, giornate 8 a L. 1.70 „ 13.60
Totale spese L. 186.70
Come si vede il noccioleto dà una rendita media di circa L. 300.
21. Malattie e cause nemiche (vedi pag. 500).
NOCE C)
(luglans regia Linn. — Fani. InglandeeJ.
Nomi volgari italiani della pmn/a — Nus, Nogliero, Nogher, Noghera,
Nojara, Noera, Nojar, Cocolar, Nos.
Nomi volgari italiani del frutto — Nus, Nosa, Nuce, Nociara.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane: Noyer commun —
Ted.: Wallnussbaum — Ingl.: Valnut-tree.
1. Origine. — Originario della Persia, (regione dell'Hymalaja) venne
trasportato in Grecia e quindi in Italia, da cui si diffuse negli altri
paesi d'Europa, ove al presente si è reso indigeno.
2. Caratteri botanici. — Albero vigoroso, (fig. 680) alto da 24 a 27
metri ed il cui tronco può raggiungere la circonferenza di 3 a 4 metri.
Chioma ramosa, espansa, di forma sferica compressa. Tronco diritto,
coperto di una scorza cenerognola, grossa; nei giovani rami liscia e
di color rosso-scuro, nei vecchi screpolata e bruna.
Le radici sono notevolmente espanse sia orizzontalmente sia in
senso verticale.
Foglie grandi, imparipennate, di color verde-opaco, glabre, di odore
acuto e disgustoso, assai ricche di tannino, come del resto tutte le
parti della pianta. Le foglioline sono da 5 a 9, ovate, per lo più intere,
a nervature sporgenti inferiormente, con picciolo breve, opposte o
quasi, lunghe da 6 a 12 cm. e larghe da 3 a 6 cm. (fig. 681).
Gemme di grandezza variabile, ovato-rotondate, finamente tomentose
e coperte esternamente da due squame che rinserrano più o meno
interamente le più interne. Le gemme terminali sono erette, le laterali
patenti e tutte poste sopra una larga cicatrice follare rilevata.
(1) F. Peneveyre — // noce — Biblioteca OUavi.
_ 974 —
Fiori monoici per aborto. I maschili disposti in amenti lunghi 6-8
CHI. per lo più solitari, di color verde-bruno, ed inseriti nella parte
superiore dei ramoscelli nati nell'anno precedente, che al tempo della
lìoritura sono privi di foglie. I fiori femminili sono solitari o riuniti
in numero da 1 a 5, in spighe terminali in cima ai ramoscelli dell'anno
in corso e sono portati da un breve e grosso peduncolo. Il ricettacolo
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1
Fig. 680. — Albero di noce.
fiorale porta un piccolo perigonio con 3 a 4 piccoli denti; ovario infero
aderente ad un ovulo sormontato da due stili cortissimi.
3. Specie coltivate. — La famiglia delle luglandee ha due generi :
luglans ed Hicoria.
Al primo appartengono le seguenti specie:
1. luglans regia che è la noce europea ;
'-• .. cinerea o noce burro ;
^ " nigra o noce nera;
4. ,. Oalifornica o noce della California.
- 975 -
II genere Hicoria ha 10 specie, originarie dell'America delle quali
se ne coltivano, per i frutti, soltanto tre :
1. Hicoria pecan o noce Pecan ;
2. „ ovata ;
3. „ laciniosa.
4. Classificazione delle varietà. — Le varietà coltivate in Europa
per il frutto appartengono alla specie luglans regia.
Una classificazione delle varietà non è stata ancora proposta. Si
potrebbero formare due gruppi: a germogliazione precoce ed a germo-
Fig. 681. — Fruttificazione del noce.
gliazione tardiva. Di ciascun gruppo si potrebbero formare due classi
dal guscio tenero e dal guscio duro, distinguendolo in sotto classi
quelle che danno frutti a scopo mangereccio e quelle che servono per
estrarre l'olio. Ma siccome queste proprietà sono molte volte comuni
nella stessa varietà, cosi le sottoclassi si potrebbero distinguere per la
forma del frutto.
5. Scelta delle varietà. — Nella scelta delle varietà si preferiscano
quelle a germogliazione tardiva. Bisogna tener conto della rapidità
di sviluppo e della fruttificazione sollecita della pianta e del gusto del
gheriglio. Le noci più ricche di olio sono le meno pregiate per dessert,
l^sse hanno per lo più un guscio molto duro e molto ripieno.
Per dessert si preferiscano le noci a guscio tenero o semi tenero,
che abbiano una certa apparenza e che siano piuttosto grosse. Si ri-
cordi però che le noci molto grosse sono poco ripiene ed hanno il ghe-
riglio meno saporito.
Le varietà più usuali sono le seguenti:
1. Noce comune. — Ha in media un diametro di 28 mm. ed una
lunghezza di 36 mm. È dunque una noce non tanto voluminosa, ovale,
tondeggiante, ma la cui mandorla è
eccellente, ricca di olio. L'albero
è molto produttivo, cresce rapida-
mente e la coltivazione conviene in
particolar modo per estrarre l'olio
dai frutti (fig. 682).
2. Noce a frutti grossi. — Il
legno è di qualità inferiore; il frutto
ha la grossezza di un uovo di gal-
lina, 6 a 7 cni., ma non pieno : la
mandorla si mangia fresca o serve
per confetture. L'albero cresce molto
rapidamente. I gusci si impiegano
per fare giocattoli (flg. 683).
3. Noce premice o stiacciamano.
— 11 guscio di questa noce si stiaccia
facilmente e contiene una mandorla
che lo riempie quasi tutto, bianca,
buona, ricca d'olio. Questa varietà
è la più adatta per seminare. L'al-
bero stenta a dar frutto e nei primi
anni dà delle forti gettate, ma più
tardi ricompensa il proprietario. La
scorza dell'albero è fine e bianca,
il legno non è molto forte, ma ha delle belle venature nere (fig. 684).
Le noci sono di grandezza media, elittica, appuntite. Sono molto
ricercate per dessert.
4. Noce tardiva o di S. Giovanni. — Lq foglie di questa varietà non
spuntano che in giugno ed i fiori non compaiono che alla fine del
mese, e perciò molto adatta alle località esposte ai geli tardivi. Il frutto
è allungato, con una punta pronunciata, medio ; il guscio è un poco
duro, la mandorla è buona, un po' giallastra, ricca d'olio e riempie tutto
il guscio. La scorza del tronco è bruna, rugosa; il legno è disseminato
di venature scure. La pianta vegeta rapidamente, ed è molto fertile. E'
una varietà da raccomandarsi molto per l'olio. Generalmente è poco
produttivo (fig. 685).
Fig. 682. — Noce comune.
977
5. Noce a grappoli. — E' una varietà coltivata in Francia, ma che
converrebbe introdurre anche da noi. Dà le noci della grossezza delle
nostre comuni, ma soltanto si trovano riunite a grappoli m numero di
10 a 12 e persino 20. Il prodotto è addirittura straordinario (fig. 686).
6. Noce nialccia volgarmente streccerà. — L'albero è il più grande
del genere; il legno suo è durissimo e ben venato, si apprezza più di
ogni altro. I frutti ne sono angolosi, mediocri di grandezza, a guscio
assai duro ed a mandorla eccellente, difficile da estrarsi, atta a fornire
un olio molto gustoso.
7. Noce avellana. — Chiamata cosi perchè non raggiunge la gros-
sezza di una avellana. Il guscio però è ben pieno di una mandorla
bianca, molto ricca di olio e sapo-
ritissima. Albero molto produttivo.
Fig. 683. — Noce a frutti grossi.
Fig. 685.
Noce tardiva
di San Giovanni.
8. Noce a frutti grossi e lunghi. — Questo frutto ha 3 cm. di dia-
metro e 6 di lunghezza. Ha un guscio tenero, ben pieno, mandorla ec-
cellente. Albero fertilissimo e legno di buona qualità (fig. 687).
9. Noce di Sorrento. — E' la migliore delle varietà italiane da
dessert. E' di forma allungata quasi cilindrica, arrotondata alla base e
leggermente appuntita all'estremità; guscio semi tenero, poco scabroso,
di bell'aspetto; gheriglio eccellente, pieno. La noce si conserva bene
per molto tempo ed occupa il primo posto nella esportazione.
In Francia abbiamo le seguenti varietà rinomate :
10. Noce Franqiiette. — Varietà ottenuta da un certo Franquette
nel dipartimento dell'Isère. Frutto grosso o più che medio, ovale, al-
lungato, un poco appuntito e compresso. E' una eccellente varietà per
frutta e per l'olio (fig. 688). Albero vigoroso, specialmente adatto per
terreni secchi, tardivo, fertilissimo.
11. Noce May ette. — Dal nome del suo principale coltivatore.
Frutto dittico, più che medio di grandezza, un poco compresso
ed eccellente per dessert. Si distinguono due sottovarietà a mandorla
bianca ed a mandorla rossastra.
62 — T.VM.VRO - Frutticoltura.
— ii/S —
Guscio semi-tenero. Albero vigorosissimo, tardivo, molto fertile.
Richiede un buon terreno. È la migliore noce francese (fig. 689) e va
in commercio sotto il nome di noce di Grenoble.
12. Noce Meijlanaise. — Frutto grosso o grossissimo, arrotondato,
guscio tenero, ruvidità poco pronunciata, quasi liscio. Albero vigoro-
Fig. 686. — Noce a grappoli.
sissimo e molto produttivo, a vegetazione tardiva. Originario del paese
di Meylan, nell'Isère.
13. Noce Parigina o tardiva di Parigi. — Bel frutto arrotondato
con solchi accentuati. Guscio tenero, a mandorla bianca che lo riempie
totalmente. Adatta anche per estrarre l'olio (fìg. 690).
6. Varietà ornameiitali. — 1. Noce a foglia intera (luglans regia
monophylla). — Molto curiosa per il suo fogliame ed i suoi piccoli
frutti che assomigliano a nocciuole.
2. A'oce a foglie frastagliate (luglans regia laciniata). — Frutto bello,
grosso, ben pieno, di gusto particolare ma di prima qualità. Albero
di aspetto magnifico per il suo fogliame elegante.
3 A'oce eterofdlo (luglans regia heterophylla). — Frutto grosso
con guscio tenero, per lo più aperto all'estremità. Foglie a forme dise-
guali ed irregolari.
4. Noce piangente (glulans regia pendala). — Questo noce ancora
raro e molto ricercato ha un largo e maestoso fogliame. Produce dei
belli e buoni frutti.
Una specie notevole che è stata importata dall'America è il A^oce
nero delta Virginia (luglans nigra), sul quale si fanno anche gli innesti
delle varietà particolarmente ornamentali.
- 979 -
E' un noce pregevole anche per il bel legno venato in bianco e
nero, per la sua rusticità e per la sua rapida crescita.
Infine merita d'essere citato il luglan porcina che ci'esce nei ter-
reni umidi e dà il legno più duro
e tenace di questa specie.
Fig. 687. — Noce a frutti
grossi e lunghi.
Fig. 688.
Noce Franquette.
7. Importanza della coltivazione. — E' un albero di grande im-
portanza sia per la produzione dei frutti sia per il legno. In Italia
è ancora troppo poco coltivato anche come pianta d' ornamento.
Fig. 690. — Noce tardiva
di Parigi o Parigina.
8. Sistemi di coltivazione. — Si pianta nei campi come in Puglia,
lungo i confini oppure nei cortili vicini alle case, anche lungo strade,
però molto radi e piantando da una parte sola.
9. Clima ed area di coltivazione. — Il noce tenie del pari il gran
freddo come il gran caldo. Di fatto muore spesso, allorquando durante
— 980 —
rinverno la temperatura s'abbassa a 10-12 gradi sotto zero; e non
prospera giannnai nelle esposizioni caldissime o molto soleggiate. Le
località di montagna (lino a 1000 m. di altezza) o intersecate da colline,
sono più favorevoli della pianura. All'aperto ed isolato si innalza vigo-
roso, robusto; si guarnisce di ampia, rotonda chioma e produce frutti
abbondanti, saporiti ; pel contrario vicino ad altri alberi e da loro
ombreggiato, si eleva di più, ma mette pochissimi rami, non forma una
chioma egualmente maestosa, e dà pochissimi frutti, che d'ordinario
cadono avanti la maturità.
Riguardo all'esposizione predilige l'ovest ed il nord-ovest.
Si preferiscano le località riparate dai venti di tramontana e di
levante.
Dalla caduta delle foglie alla germinazione sono necessari 1854» C.
di calore.
10. Terreno. — Il noce è una pianta piuttosto diffìcile per terreno,
non tanto per la sua composizione chimica quanto per la sua costitu-
zione fìsica. Questo albero dalle lunghe radici richiede terreni per-
meabili, anche nel sottosuolo, perciò profondi, che conservano la fre-
schezza durante l'estate. Difatti i terreni calcari, sabbiosi, silicei, ar-
gillo-calcari, ma secchi, gli sono più convenienti, quantunque riesca
bene anche nelle sabbie fresche, nei terreni pietrosi, profondi ma
ricchi.
Teme l'umidità stagnante. Nei terreni argillosi, compatti, freddi,
dove non porta i suoi getti dell'anno alla completa maturazione, si ha
una scarza fruttifìcazione, il legno non riesce tanto compatto e non ar-
riva all'ordinario suo sviluppo.
I noci non si devono piantare in pianure nebbiose, in terreni palu-
dosi ed in località fredde. Sono sensibilissimi alle gelate primaverili.
Ottime sono le colline e montagne con terreni profondi, permeabili,
anche se rocciose, dove la pianta possa estendere le sue potenti radici,
nei terreni pietrosi il legno riesce migliore e più conservabile.
Predilige i terreni calcari essendo la calce indispensabile per
formare il guscio.
11. Moltiplicazione. — Il noce si moltiplica per seme e per innesto.
Per la moltiplicazione si scelgano le noci da un albero ben cono-
sciuto per la sua adattabilità alla regione nella quale si coltiva e per
per la qualità del suo prodotto. L'albero deve essere anche nella sua
piena vigoria.
Delle noci si scelgano quelle che sono prime a maturare, le più
grosse, piene e ricche di olio. Appena raccolte e liberate dal mallo, si
stratificano nella sabbia ed in febbrajo si cominciano a bagnare per
sottoporle ad una macerazione che facilita l'apertura del guscio.
Le noci si affidano direttamente a dimora 2-3 per buca o meglio
nel vivaio. Nel collocarle si abbia cura di metterle coricate a 5-6 cm,
di profondità perchè la radice esce dalla base. Si osservi nel vivajo
la distanza di m. 1 da fila a fila e 30 cm. sulla fila.
— 981 -
Durante l'anno si avrà cura di tenere sempre mondato il terreno
dalle malerbe.
Nel secondo anno si diradano e si possono innestare a gemma od
a corona, al piede. Con questo sistema si ha il maggiore attechimento
degli innesti.
Volendo invece innestare a dimora, nel terzo anno d'età si rico-
minciano a tagliare via i rami laterali bassi, perchè il fusto si elevi in
modo da poterlo piantare a dimora dal 5" al 6° anno d'età.
11 trapianto devesi fare con ogni cura per non alterare le radici.
E' bene farlo col pane di terra. Dovendo fare qualche taglio alle radici
ed ai rami laterali, bisogna pulire le ferite e ripararle con mastici.
Il noce si può innestare oltre che sul franco ottenuto dalla noce
comune anche sul noce volgarmente chiamato d'America: liiglans nigra.
Gli innesti più usati per le piante a dimora sono quelli a corona
e ad anello. Si innestano ordinariamente in maggio e sopra i rami
della impalcatura. E' buona precauzione fare il salasso sotto il punto
di innesto con una trivella.
Sul noce d'America si innestano tutte le varietà ornamentali e tutti
i noci destinati ai paesi freddi.
11. Caratteri vegetativi. — E' una pianta rigogliosissima, che cresce
molte volte spontanea lungo i campi, le vigne, le siepi, sugli orli dei
boschi ed anche nei luoghi incolti delle colline e montagne.
Malgrado i vantaggi che si hanno coltivando il noce, non bisogna
dimenticare che non si può consigliarlo da per tutto, anzi la sua vici-
nanza alle vigne è nociva. Difatti colla sua fronda tanto fìtta e colle
sue numerose e lunghe radici, rende quasi improduttivo un buon tratto
del terreno che lo circonda. Pei'ciò non si deve piantare un noce in
mezzo ad un campo, sul lato sud ma solo sul lato nord.
Poiché attorno al noce le altre piante non acquistano una rigo-
gliosa vegetazione non mancarono nel popolo dei pregiudizi su questo
albero, il quale ha pure tante buone qualità. Si arrivò a dire che
l'acqua di pioggia che sgocciola dalle sue foglie è nociva alle altre
piante, anzi le fa morire, che la pianta esala dei vapori insalubri e cosi
via. E' vero che si resta sbalorditi quando si rimane addormentati o
fermi per lungo tempo sotto un noce; ma ciò avviene sotto tutti gli
alberi molto frondosi, dove manca la ventilazione e dove naturalmente
esala un odore resinoide, odore del resto comune al pioppo, al casta-
gno, alla quercia e cosi via.
I freddi primaverili molte volte danneggiano questo albero in mo-
do che ordinariamente si ha un prodotto buono ogni secondo anno.
Comincia a fruttificare nel decimo anno. Le piante possono pro-
durre fino oltre 100 anni. A Beckensried sul lago di Costanza, si conta-
no dei noci di 300 anni, il cui tronco misura m. 1.50 di diametro e la
periferia della fronda m. 35 a 40 e producono Q.'' 1.50 di noci.
II noce cresce sempre più rapido della quercia, perciò come legno
rende di più.
— !KS2 —
In Italia, le diverse Tasi di vegetazione del noce avvengono nelle
seguenti epoche.
Tab. LXXII.
Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le principali fasi
di vegetazione del noce comune nelle diverse regioni d'Italia.
Regioni
Foglia
Mese
zione
De-
cade
Fiorii
Mese
ura
De-
cade
Matura
del fr
Mese
zione
atto
De-
cade
Caduta
delle foglie
Mese °^-
™®^® cade
I. Piemonte
II. Lombardia
III. Veneto
IV. Liguria
V. Emilia
VI. Marche ed Umbria . .
VII. Toscana
Vili. Lazio
IX. Meridionale Adriatica .
X. Id. Mediterranea . . .
XI. Sicilia
XII. Sardegna
Aprile
Maggio
Aprile
Aprile
Aprile
Marzo
Aprile
Marzo
II
in
II
ITI
I
III
II
III
Aprile
Maggio
Aprile
Aprile
MaVzo
I
III
II
II
III
l
II
III
II
Agosto
Settem.
Settem.
Ottobre
Settem.
Agosto
III
III
II
I
II
1
II
Novem.
Ottobre
Ottobre
Novem.
Novem.
Ottobre
Novem.
I
III
I
III
I
III
II
12. Potatura e forme. — Il noce non tollera né la forbice, né il
pennato, né la sega. È molto delicato per le ferite le quali si rimar-
ginano diffìcilmente. Occorrendo qualche taglio lo si faccia alla ri-
presa della vegetazione. In ogni caso bisogna sempre ripararle con un
mastice.
Del resto il noce forma naturalmente la sua corona. Anche al mo-
mento del trapianto è meglio non fargli subire alcuna amputazione. Se
cresce qualche ramo fuori di direzione, il che avviene di rado, conviene
cimarlo lungo o deviarlo artificialmente con speciali legacci.
Quando la pianta è adulta, tollera qualche taglio di ringiovani-
mento, ma quando vi sia questa necessità, conviene piuttosto abbattere
l'albero, jier utilizzare il legno, perchè esso, dopo un taglio di ringio-
vanimento, lentamente va perdendo le sue preziose qualità.
13. Impianto e cure di coltivazione. — E' meglio fare l'impianto
d'autunno, a buche, poiché come abbiamo visto, il noce si coltiva iso-
lalo, nei cortili delle case di campagna, lungo i confini etc. Dovendo
fare qualche filare, si colloca a m. 12-17 di distanza.
Intorno all'albero l'erba cresce pochissimo e perciò anche if ter-
reno intorno alla pianta richiede poco lavoro ed anche poca concima-
zione, se non si considera quella per l'impianto.
Di fatti il noce ha radici molto profonde e se il terreno é fertile e
ben provveduto di umus, come si richiede, ha alimento sufficiente per
parecchi anni.
- 983 -
Del noce non vengono esportati che i frutti i quali ogni 100 Kg.
contengono :
Kg. 43.7 di gherigli che contengono: Azoto Kg. 1.—
„ 56.3 „ gusci „ „ „ „ 0.20
Totale Kg. 1.20
Anici, fosf. Kg. 0.28; Potassa Kg. 0.27
„ 0.05; „ „ 0.09
Totale Kg. 0.43; Kg. 0.36
Ammesso che ogni albero dia Kg. 150 di noci, bisognerebbe per
pianta provvedere ogni anno :
Kg. 1.80 di azoto ossia Kg. 12 di nitrato al 15 % ;
Kg. 0.495 di anidride fosforica ossia Kg. 3.530 di perfosfato al 14 % ;
Kg. 0.440 di potassa ossia Kg. 0.900 di cloruro potassico.
14. Raccolta e cura di coltivazione. — Si raccolgono le noci allor-
quando vedesi che il mallo si fende spontaneamente e le abbandona.
Degli uomini muniti di una lunga pertica sottile e flessibile, vanno
scuotendo e bacchiando tutti i ramoscelli, all'estremità dei quali si
trovano le noci. E' necessario raccomandare che percuotano legger-
mente, e si guardino dal rompere i ramoscelli da fiori e legnosi. Le
noci col mallo ancora aderente si pongono ammucchiate in luogo
asciutto, e dopo averle rivoltate 2 o 3 volte al giorno, passata la setti-
mana, si estraggono dal mallo, battendo leggermente con una mazza
di legno quelle dalle quali non si fosse ancora staccato. Successiva-
mente si espongono per altri 8 o 10 giorni al sole, perchè dissecchino,
indi si conservino in una stanza bene asciutta ed ariosa finché giunga
il tempo per romperle, estrarne le mandorle che poi tosto si torchiano
per ottenere l'olio.
Per uso commestibile; si collocano a strati bassi (8 cm.) in un gra-
naio ventilato, rimuovendole però di quando in quando. Le noci si
possono conservare per 7 ad 8 mesi.
15. Composizione chimica dei frutti. — La composizione centesi-
male delle mandorle delle noci è la seguente :
Materie grasse ed olio 55
Sostanze azotate o proteiche 14
Azoto 2.25
Anidride fosforica 0.56
Potassa 0.67
Materie minerali diverse 1.75
Acqua, cellulosa, ecc 25.77
Totale 100.
— [m —
Il guscio contiene per cento:
Azoto - • 0.3
Anidride fosforica 0.09
Potassa 0.15
Legnoso o cellulosa 54. —
I panelli contengono il 5 % di azoto.
16. Usi. — Vi sono pochi alberi dei quali come del noce si possa
utilizzare tutto, persino i gusci del frutto.
II suo legno è uno dei migliori d'Europa, essendo duro, assai forte,
vagamente venato e suscettibile di bellissimo pulimento.
Le noci sono i frutti più ricchi di olio che si conoscono. L'olio che
si estrae, quando è depurato e preparato a freddo, ha un sapore dolce,
aggradevole ; la qualità inferiore viene adoperata dai pittori. I panelli
che rimangono dall'estrazione dell'olio vengono somministrali con
grande vantaggio al bestiame.
La medicina impiega il decotto di foglie e di mallo come astringente,
vermifugo e contro l'itterizia.
Le radici, la corteccia ed il mallo verde dei frutti vengono impie-
gate dai tintori per farne una tinta bruna indelebile.
Le mandorle contenute nel guscio si mangiano tanto verdi che
secche; servono per comporre emulsioni, entrano in molte vivande e
se ne fanno confetture. Col mallo si prepara un liquore apprezzato
nelle case borghesi, chiamato nocino, al quale si attribuiscono delle
proprietà febbrifughe. Infine, come è noto, le noci si adoperano anche
per ingrassare i polli e specie i tacchini.
La noce, come si rileva dalla composizione, è assai nutriente. Basta
considerare che contiene 4.5 7o di acqua mentre le frutta comuni ne
contengono 72-80 %.
17. Dati economici. — Inizia la sua produzione intorno i 10 anni
però appena dai 15 ai 20 anni dà un prodotto che rinumera le spese.
Raggiunge la massima produzione intorno ai 40 e la conserva pressoché
stazionaria sino 70-90. Nel Sorrentino secondo il prof. Muzii, il prodotto
annuo medio per pianta è di litri 20 di frutti dall'anno 25° al 40°; di
litri 50-60 dal 40« all'HO".
Questi dati sono molto bassi poiché mi consta che degli alberi di
50 a 60 anni d'età danno persino 5 ettolitri di noci, e quindi produ-
cendo ogni secondo anno, si avrebbero in media 2.5 hi. per anno.
Un ettolitro di noci pesa da 40 a 50 Kg. e rende circa 16-20 Kg. di
gherigli da cui si possono ricavare 9-10 Kg. di olio. Un quintale di noci
dà Kg. 36 a 40 di gherigli e 100 Kg. di gherigli danno circa 50 Kg. di olio.
Le noci si vendono a circa L. 8 l'ettolitro e l'olio da L. 120 a 150
il quintale.
Ammesso che un noce di 100 anni produca 2,5 ettolitri di noci a
L. 8 sarebbe una rendila di L. 20, ossia l'interesse di L. 500. Occupando
— 985 -
la pianta 150 m.^ di superficie anche se su questa non si ricava altro»
si ha egualmente una rendita non indifferente.
Il legno poi costa da L. 80 a 100 il m.^ e dopo 100 anni L. 150.
Una pianta da 60 a 80 anni dà :
legname d'opera m.^ 0.6 a L. 90 L. 54. —
legna da bruciare „ 1.9 a „ 12 „ 22.80
Totale L. 76.80
Ammesso di avere in un ettaro 66 piante, queste dopo 30 anni
danno una rendita annua di L. 660 di frutti.
Ogni anno successivo, la crescita del legno è di mm. 7.50.
Un albero di 60 anni è grande quanto una quercia di 120 anni, il
legno della quale costa circa la metà.
18. Malattie e eause nemiche. — (V. pag. 500).
CARRUBO
(Ceratònia siliqua Linn. — Fani. Leguminose).
Nomi volgari italiani della pianto. — Carrubbio, Carùbo, Carobbio,
Carrobbio, Guainella, Sciuscella, Siliqua.
Nomi volgari italiani del fratto. — Carùba, Carruba, Siliqua, Siliqua
dolce, Cornacchia marina. I semi si chiamano Carati e diedero il nome
al peso dell'oro.
Nomi volgari stranieri della pianta. — Frane: Caroubier — Ted.: lo-
hannisbrotbaum — Ingl.: Carob-tree.
1. Origine. — Pare che la Siria e le montagne della Palestina sieno
i luoghi d'origine del carrubo.
Attualmente si trova in tutti i luoghi selvatici della regione Medi-
terranea. L' Egitto, la Barberia, la Grecia colle isole ne possiedono in
quantità. Non si può precisare l'epoca in cui passò in Italia. Palladio è
il primo che descrive questo albero, se ne deduce che a' suoi tempi
fosse già conosciuto nel regno di Napoli, in Sicilia e forse in Sardegna.
Attualmente è coltivato in esteso nel Napoletano, nelle Puglie, nella
Campania e nella Sicilia. Si trova lungo tutta la Liguria spontaneo e
serve anche ad ombreggiare i viali.
2. Caratteri botanici della pianta (fig. 691). — 11 carrubo è un albero
di media grandezza, assai folto di rami con scorza cenerognola, i quali
compongono col fogliame una chioma tondeggiante, che va più in largo
che in alto. Le sue foglie sono persistenti durando più di un anno; quindi
l'albero è sempe verde. Le foglie sono composte, pari pennate, ordina-
riamente le foglioline sono di numero pari 4, 6, 8, senza l' impari in
— 986 —
cima al picciolo principale. Le foglioline sono rotonde, coriacee, di co-
lore verde cupo, lucide, senza intaccature sul contorno. I fiori sono
piccoli, verdi, incompleti, disposti in piccoli grappoli laterali sui rami
di più anni. Sono poligami, trioci ; cioè si trovano individui i quali non
portano che fiori maschili (fig. 692), e quindi sono essenzialmente ste-
rili, per tutta la loro vita; altri femminei (fig. 693) che portano solo fiori
Fig, (>i)l.
iLiiimiiici e (|uindi sono fruttiferi; ed altri i quali portano su ciascun
racemo fiori maschi e fiori ermafroditi.
11 calice è piccolo, appena percettibile ad occhio nudo, cinquepar-
lito, deciduo. In ambi i sessi il fiore è senza corolla; gli stami sono 5
e stanno solfo un disco ipogino cinqueangolato, che supera il calice. I
fiori durano mollo, circostanza questa che favorisce la fecondazione, ed
emanano un odore disaggradevole acutissimo.
I fiori non cangiano colle varietà, ma i frutti che ne risultano pre-
— 987 —
sentano tutte quelle difFerenze di lineamennti e di forme, che costitui-
scono le fisionomie vegetali.
Il frutto (fig. 693) consiste in una siliqua, lunga 1-2 decimetri, larga
2-3 cm., cinta da suture crassissime, coriacee, che non si apre, con tra-
Fig. 692. — Fiori maschi del carrubo.
mezzi polposi nell'interno, che dividono il legume in altrettante caselle,
contenenti una polpa zuccherina, mucillagginosa, mangiabile e nutritiva.
I semi sono duri, elittici e compressi.
3. Varietà. — Queste sono poco numerose. Secondo il prof. Pasquale
le varietà coltivate in Italia, in Grecia, in Spagna e nel mezzogiorno della
Francia, si riducono alle seguenti :
1. Carrubo selvatico. — Maschio e quindi sterile e non serve che
da soggetto o per fecondare gli individui femmine.
- 1)88
2. Carrubo franco. — Pure selvatico, con siliqua corta e sottilis-
sima, arcuata, acuminata, lunga cni. 15, larga cm. 2.2; matura più pre-
cocemente delle altre varietà.
3. Carrubo mascolino.
i cavalli.
Dà frutti fibrosi, buoni per alimentare
?^mQ k^
Fig. 693. — Fiori femminei e frutti del carrubo.
1. Carrubo femminello o zuccherino. — Dal Risso chiamato Cera-
Ionia sili<iua latissima, forse corrispondente al Carrubo di Spagna del
(iallesio, meno fruttifero del precedente, porta silique grosse e lunghe,
polpose e dolci, di cui si fa commercio, anche per cibo dell'uomo.
In Sicilia, secondo Gallesio, se ne conoscono 4 varietà : la prima
lunga e grossa; la seconda più corta, meno grossa ma con più granelli;
la terza con frutti vari, alcuni lunghi, torti e magri, ed altri brevi
- 989 —
molto carnosi e gustosi ; la quarta con frutto magro e di poco buon
sapore.
Sempre secondo il Gallesio, in Liguria se ne coltivano di tre sorla
e cioè :
1. Carrubo di Spagna, con siliqua grossa e carnosa.
2. Carrubo nostrale, con siliqua poco carnosa, ma di maggior pro-
duzione.
3. Carobba sonaglina, che è una siliqua cosi asciutta che i semi
si muovono dentro quando si scuote.
A Valenza, secondo le osservazioni dell' illustre Cavauilles, se ne
coltivano tre qualità distinte :
I Lindars e i Costelates, hanno le foglie più grandi e le silique della
lunghezza di 30 cm., ma asciutte. I Melars hanno le foglie più grandi
e di eguale lunghezza delle silique, ma queste sono polpose, ricche di
un miele dolcissimo.
4. Importanza della coltivazione. — Per la sua lenta crescita, è una
coltivazione poco estesa, che si fa solo allo scopo di produrre alimento
pel bestiame. È un alimento ricco di zucchero il quale si può ora sosti-
tuire coi foraggi melassati. Forse potrà acquistare importanza nella Libia.
5. Sistemi di coltivazione. — Ordinariamente lo si coltiva lungo le
strade per ombreggiarle oppure in linea nei campi alla distanza di 8-10
metri.
6. Clima ed area di coltivazione. — 11 carrubo appartiene piuttosto
al clima marino africano però lo troviamo nella maggior parte della
costa italiana, da Nizza a Napoli dove cresce spontaneo in mezzo agli
scogli riscaldati dall'aria marina, purché un po' riparati dalle montagne.
Segue in linea generale, per quanto riguarda il clima, l'arancio e
l'ulivo, quantunque quest'ultimo si possa coltivare ad una maggiore al-
titudine e sia più resistente al freddo. Siccome la sua vita vegetativa non
cessa mai e si trova in fruttificazione appunto nel cuore dell' inverno,
cosi il gelo offende le piccole silique appena allegate, e qualche volta
anche la pianta.
In Sicilia, in Sardegna, in Spagna, nelle isole di Creta, Cipro, nelle
posizioni specialmente marine, il carrubo prospera.
7. Terreno. — Ama i terreni sassosi, rocciosi, specialmente calcarei,
come presso Gaeta, Amalfi, Puglia ; ed i vulcanici come a Torre del
Greco ; ancora alligna benissimo nei terreni marnosi del littorale Jonio.
Noto però che nel Valenzano vegetano e prosperano benissimo i car-
rubi framezzo agli ulivi e le viti, quindi puossi conchiudere che ri-
guardo al terreno, se pure è poco esigente, prospera meglio nei terreni
profondamente lavorati e ricchi di calcare.
Soffre molto e va soggetto al marciume delle radici nei terreni ar-
gillosi, umidi con acqua stagnante durante l' inverno.
Anche riguardo al terrero, il carrubo è più esigente dell'ulivo.
8. Moltiplicazione. — Si moltiplica per seme e per innesto. I semi
si conservano colle silique e raramente si affidano a dimora, ponendone
— 990 -
tre o quattro e lasciando poi una sola piantina. Generalmente si fa la
semina nel semenzaio, dopo aver tenuto i semi in macerazione nel-
l'acqua per quattro giorni, cambiando ogni giorno l'acqua. La semina
si fa in aprile, quando è cessato il pericolo dei geli, collocando i semi
alla profondità di 2 cm. e distanti 15 cm. Le piantine si trapiantano
nel secondo anno, a 50-60 cm. di distanza per lato.
V innesto è di una riuscita facilissima e si fa a gemma dormiente,
nel mese di agosto, nel terzo o quarto anno dopo la semina, su ciascuno
dei rami che formano l'alberello. Se il soggetto è un piede femmina,
si innesta un solo ramo con nesto di carrubo maschio. L'innesto si
può fare anche a gemma vegetante nel mese di maggio, oppure a corona.
Per norma un buon ramo maschio, può bastare per 5 alberi vicini.
9. Caratteri vegetativi. — Il carrubo cresce lentamente; in un buon
terreno in 6 o 7 anni le pianticelle posso raggiungere l'altezza di 6 metri
e la grossezza di un manico di vanga. Fra i 10 o 12 anni l'albero è nel
suo massimo sviluppo; le piante da fiori femminili raggiungono uno
sviluppo maggiore di quelle da fiori maschi. Quando la pianta comincia
a produrre, dal decimo al dodicesimo anno d'età i fiori sbocciano in
autunno, e nascono, meno che nel primo anno, sempre a lato dei frutti
maturi e della cicatrice da essi lasciata.
Il carrubo, come si è detto, è a foglie persistenti, in primavera però
la sua vegetazione riceve un forte impulso, che determina lo sviluppo
dei nuovi germogli all'ascella delle foglie. Queste ultime cadono lenta-
mente, ma contemporaneamente avviene la formazione delle gemme
fiorifere, che restano protette dalle foglie. AI cadere di queste, le gemme
fiorifere diventano fronde e tendono a svilupparsi. Nel mese di agosto
i rami cessano di allungarsi, il frutto diventa maturo. Altri fiori allora
si schiudono, allegano con lentezza; più lento ancora è lo sviluppo dei
frutti. Al sopraggiungere dell'inverno i frutti rimangono stazionari e non
riprendono lo sviluppo che in aprile, per maturare all'avvicinarsi del-
l'autunno, mentre avviene lo schiudimento dei nuovi fiori.
Le gemme fiorite nascono sempre ai nodi, anzi, ogni nodo è capace
di produrre per moltissimi anni, e la continua emissione di queste gemme
fiorali forma una specie di tubercoli che coprono i rami per tutta la loro
lunghezza.
L'aspetto del carrubo adulto è per conseguenza quello di una pianta
che alla sua estremità porta esclusivamente dei germogli fogliferi, mentre
nel suo interno è coperta da una quantità di tubercoli che portano fiori
o frutti, non sprovvisti anche di foglie. Questo è un aspetto veramente
ridente e mentre ogni anno si rinnova la cacciata, si rinnova nell'albero
un nuovo sistema di infiorazione.
Fiorisce in settembre-ottobre.
10. Coltivazione. — Nel quinto o sesto anno di semenzaio, le piante
si portano a dimora. Il trapianto non è privo di difficoltà e non sono
mai sufficienti le cure per ottenere una buona riuscita. Ad tal uopo
conviene sradicare le piante con tutte le loro radici, collocarle in un
- 991 -
terreno ben preparato a m. 15 di distanza, e durante la prima state bi-
sogna annaffiarle e tenere ben mondato il terreno.
La potatura devesi cominciare già nel semenzaio, avendo cura di
formare una fronda di 4 rami principali, regolarmente disposti; e più
tardi bisogna evitare che il ramo da fiori maschi si sviluppi a detri-
mento degli altri, ciò che avviene di sovente ; bisogna ancora, quando
la pianta è a dimora, togliere i rami superfiui danneggiati e vecchi. Sic-
come i frutti si trovano sul legno vecchio, mal si adattano i contadini
a mondare i rami anche se decrepiti, eppure lasciandoli si ha sempre
una diminuzione crescente di prodotto.
11. Raccolta e conservazione dei frutti. — Due o tre anni dopo il
trapianto a dimora, si cominciano a raccogliere le carrube, le quali sono
abbondanti in particolar modo ogni due anni.
La raccolta si fa in settembre, quando i frutti cominciano a cadere
spontaneamente. Allora si abbacchiano con delle canne, si stendono in
un granaio bene aereato ove si lasciano fino a che siano ben secche;
altrimenti fermenterebbero prendendo un color nero. Tavolta si essic-
cano mediante i forni.
12. Composizione chimica dei frutti. — Rivière e Baillache hanno
determinato gli elementi seguenti :
Carrube
Composizione percentuale sec^h^^ Tecch^ h^esdì^
senza semi con semi con semi
Acqua 1.40 1 13
Materie azotate 2.10 2.50 2.30
Azoto corrispondente
(0.332) 0.40 0.35
Saccarosio 21.46 19.— 16.69
Glucosio 19.62 17.— 14.94
Amido 4.60 9.60 8.43
Cellulosa 19.50 23.40 20.58
Materie grasse 0.25 0.50 0.44
Materie estrattive indeterminate . . 31.07 27 23.74
Muntz avrebbe trovato delle cifre più elevate : 30 % di zucchero di
canna e 14 7o di glucosio. Questa analisi corrisponderebbe a quella ot-
tenuta colle carrube di Cipro.
13. Usi. — Le carrube vengono mangiate dagli uonìini e special-
mente dai ragazzi pel dolce sapore della polpa; la medicina se ne serve
per rinfrescante o le fa entrare nelle infusioni pettorali. Gli egiziani ne
estraggono un miele che serve a condire dei frutti (Tamarindi, Mirabo-
lani) e fabbricano anche una bevanda spiritosa.
Servono poi le carrube di cibo eccellente pei cavalli, poiché oltre
ad ingrassarli li rinfresca. Può servire anche per l'ingrassamento degli
ovini e bovini. Non si diano però le carrube fresche, poiché provocano
coliche pericolosissime.
— 092 —
La carruba è un alimento ricco di sostanze zuccherine mentre di
materie azotate scarseggia, perciò è un cibo che bisogna mescolarlo con
semi o foraggi azotati come i fieni di sulla, erbamedica, lupinella, ecc.
Kg. 147.5 di carruba corrispondono per valore alimentare a 100 kg. di
frumento ed a 74.1 di fava.
Le carrul)e potrebbero servire per estrarne l'alcool e per preparare
farine per ingrasso agli animali.
In Sicilia questa coltivazione è importante; basti dire che la pro-
vincia di Siracusa ne esporta annualmente per lo più Inghilterra in-
torno a 200 mila quintali di carrube.
14. Dati economici. — Una pianta di carrubo di mezzana grandezza,
in buone condizioni, dà circa 1 a 3 quintali di carrube. Specialmente
all'estero le carrube hanno un prezzo elevato (L. 7).
Quando si consideri che molti terreni rocciosi, relativamente im-
produttivi, potrebbero essere coltivati col carrubo, non si può fare a
meno di richiamare l'attenzione degli agricoltori meridionali, su questa
essenza fruttifera.
Calcolato che in un ettaro di terreno a carrubeto si possono col-
tivare circa 40 piante della reiìdita media di L. 20, si avrebbe un pro-
dotto lordo di L. 800.
15. Malattie e eause nemiche (vedi pag. 500).
PINO DA PINOLI
(Pinus pinea Linn. — Fam. Conifere).
Xomi volgari italiani della pianta — Pino, per eccellenza; Pino do-
mestico, Pino gentile. Pino da pinòli. Pino d' Italia.
Nomi volgari italiani del fruito — Pigna, Pignàra, Pina ; dei semi:
Pinocchi, Pignòli.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane. : Pin pinier — Ted. : Pi-
nienbauin — Ingl. : Parasol Pine.
1. Origine ed estensione. — Il pino domestico cresce spontaneo
lungo i litorali del Mediterraneo ed Adriatico, nella Francia meridio-
nale (Provenza), nella Spagna, nel Portogallo, nelle isole Canarie, a Ma-
dera, nell'Algeria, nell'Asia Minore, nella Grecia e nella Dalmazia. Esso
costituisce da solo la rinomata Pineta di Ravenna, i Tomboli ed i bo-
schi (li S. Rossore presso Pisa.
2. Caratteri. — È un albero di prima grandezza caratteristico per
la sua ramificazione ad ombrello (fig. 694), colle radici lunghe, poco
ramose, grosse e profonde; il tronco raggiunge fino l'altezza di 30 m.)
è cilindrico, diritto, con scorza dapprima liscia e bruna, coli' invec-
chiare, poi, grossa, screpolata a scaglie rossastre quadrangolari. Re-
cidendo i rami inferiori la chioma prende una forma di parasole, mentre
da sé slessa prende una forma globosa. Il legno è tenace, biancastro,
- m -
forte, dì molta durata. Le gemme son quasi cilindriche, brevemente
acuminate, con tegumenti un po' rilassati, bianco-rossicci. Le foglie
sono disposte a fascetti, ciascuno di due, con guaina comune alla base,
lineari, piano-convesse o semicilindriche, rigide, appontite, della lunghezza
di cm. 8 a 18 e larghe circa 1 mm. ; lucenti, llessibili, linamente seghet-
Fig. 60^. — Tino da pinoli
tate agli orli, di color verde-chiaro, con punta gialliccia, persistenti
3 a 4 anni sull'albero. I fiori mascolini sono amenti lunghi 10-12 nini.,
di color giallo, oblunghi; costituenti una spiga all'estremità dei gio-
vani rami.
I fiori femminili sono stroboli ovali, verde-rossigni, larghi da 8 a
10 cm. e lunghi da 10 a 15, ripiegati od orizzontali, generalmente soli-
tari ed a due o tre, collocati all'estremità dei rami dello stesso anno.
63 — Tamaro - FiutticoUura.
- 994 -
Il frutto o pigna è un grande cono, di colore rosso bruno-cannella,
lucido, quasi sessile, più o meno orizzontale. Le squame sono molto
ingrossale e legnose, bislunghe, superiormente arrotondate, con scudo
rosso-bruno, lucente, romboidale. Ciascuna squama porta nella faccia
interna, in due fossette, i semi o pinòli, i quali sono assai grandi (lunghi
15-20 mm. e larghi da 7-8 mm.), ovali, bislunghi, con guscio osseo,
ottuso, di color bruno-cannella, coperto di una efflorescenza nero-
violetta, delicata; ala assai breve e caduca. La semente porta un
secondo involucro interno, cartaceo, rossastro e sottile. In esso trovasi
la mandorla, che è la parte commestibile, costituita dall'albume co-
pioso, oleoso, bianco; e dall'embrione diritto, clavato, fornito di circa
12 cotiledoni.
3. Importanza della coltivazione. — Si coltiva per i suoi semi e
per ornamento.
4. Sistemi di coltivazione. — Forma anche da solo degli estesi bo-
schi e si può consociare col pino marittimo.
5. Clima, esposizione e situazione. — Il pino da pinocchi si trova
principalmente nella regione del litorale, cresce anche nelle pianure e
nelle basse colline. Ama la luce e l'esposizione a mezzogiorno, rifugge
quella a nord. Oppone valida resistenza ai venti.
E sensibilissimo ai geli ed ai rapidi sbalzi di temperatura. Si trova
fino a TìOO m. di altitudine. Esige clima caldo o temperato.
6. Terreno. — Predilige un terreno di alluvione sciolto, umido e
profondo. È indicatissimo per imboschire le sabbie del litorale e per
fissare le dune ed i terreni mobili. Prospera anche nei terreni vulcanici.
7. Moltiplicazione. — L'unico mezzo di moltiplicazione è quello per
seme, che si affida al semenzaio; dopo due anni si trapiantano a di-
mora i giovani soggetti col loro pane di terra.
In via eccezionale si può innestare a spacco con marza erbacea in
maggio.
8. Caratteri vegetativi. — Come abbiamo visto è un albero di grandi
dimensioni, il quale raggiunge la sua virilità a 25 anni e vive oltre i
150 anni. Fiorisce dal febbraio all'aprile e matura il frutto in dicembre
dell'anno appresso. 1 semi non conservano la facoltà germinativa oltre
l'anno, e la germinazione avviene dopo 4-5 settimane, sviluppando per
lo più 10 cotiledoni. Nei primi 3-4 anni cresce più rapidamente degli
altri pini, ma poi rallenta restando però sempre fra i pini la pianta di
|)iù rapida crescita.
Verso il ventesimo anno comincia a produrre frutti, ma il tempo
migliore per la loro raccolta incomincia dal venticinquesimo anno.
Haggiunge il massimo sviluppo ad 80 anni.
I semi restano molto tempo sulla pianta prima di maturare.
9. Potature e Forme. — Non si applica alcuna potatura, si lascia
che la pianta prenda la forma naturale.
10. Coltivazione. — Il trapianto si fa in aprile, quando incomincia
la vegetazione, e le piantine si collocano a 25 m. di distanza. Dopo la
- 995 -
presa del piantone, negli anni avvenire, si ricurveranno in basso i ver-
ticilli dei rami laterali, acciocché non si dilunghino a spese della cima.
Si evitino i tagli, per non rendere il fusto troppo esile; si tagliano i
rami inferiori di mano in mano che il fusto acquista in robustezza.
11. Prodotti. — Il prodotto principale lo danno i semi che sono
mangerecci e servono per certe confetture e per estrarne olio. Le pine
si raccolgono d'inverno, prima che il calore della primavera le faccia
aprire lasciando cadere i pinoli. Si possono trovare 60 e più semi per
pigna.
11 legno del pino è molto stimato per costruzioni sott'acqua. Ab-
brucia mediocremente, ma le pine vuote danno un ottimo combusti-
bile. Gli antichi facevano con questo legno le tede, che accendevano
negli sposalizi e ne' funerali. Ancora oggi si adoperano per torce.
PARTE DECIMA
PIANTE ESOTICHE PER I PAESI CALDI
ABERIA
(Gen. Aberia — Fani. Bixacee).
Nome i)ol(/(irc inglese — Kej'-apple — Frane: Abérie de la Caprerie.
Bibliografia — I. Dybowski — Traile pratique des cultures tropi-
cales - Paris 1902.
1. Diffusione ed importanza della coltura. — Del genere Aberia si
coltivano due specie per il frutto: Aberia caffra Hooiv e Aberia Gaer-
dueri Clos.
Sono degli arbusti sempre verdi, poco diffusi, ma che potrebbero
essere coltivati più estesamente con vantaggio, per le loro poche esi-
genze di coltura e per la grande produzione di frutti. Nel Madagascar,
nel Sudan e nel Nord Africa sono molto coltivali. Nell'Algeria si tro-
vano dei belli esemplari e qualche rara pianta la troviamo da noi nella
Liguria. Perla resistenza alle siccità più ostinate, sarà raccomandabile
la loro coltura nella Libia.
Sono piante dioiche perciò i fiori maschili si trovano sopra piante
diverse da quelle sulle quali si trovano i femminili. Per ottenere una
buona fruttificazione si raccomanda di coltivare queste piante a gruppi
in cui si trovi un corrispondente numero di piante maschili.
2. Aberia caffra Hook (fig. 695-696). — La pianta è cespugliosa ed
arriva a 4-5 metri di altezza. Le foglie sono rade, coriacee, lucenti,
elittiche e piccole. I rami secondari si convertono in spine; per questo,
l'Aberia caffra può servire anche per fare delle ottime siepi vive.
1 fiori dioici appajono iu maggio-giugno, il frutto matura in agosto-
settembre. Le piante fruttificano a 5 anni.
L'Aberia preferisce i terreni sciolti, ricchi di elementi vegetali quan-
tuncjue riesca in qualunque terreno purché abbia una buona espo-
sizione a mezzogiorno.
— 997 —
L'alberello è rusticissimo, tollera i tagli e le tosature.
I semi somigliano alle granelle della pera, perdono presto la facoltà
germinativa e quindi bisogna seminarli subito, in terrine, appena rac-
colti. Le giovani piantine si trapiantano nel secondo o terzo anno, in
lebbrajo, ed il loro attecchimento è facile. Le piante a dimora si col-
Fig. 695. - Aberia caffra.
locano a 3 m. di distanza. Per formare delle siepi, le piante si collocano
a 80 cm. di distanza.
Il frutto è una bacca globulosa, liscia, gialla, della grossezza di una
susina Regina Claudia. La polpa è zuccherina, acidula, succosa, profu-
mata, non tanto piacevole se cruda. E' meglio utilizzarla cotta in
marmellata colla quale si preparono dei buoni dolci.
3. Aberia Gaerdueri Clos. — Differisce dalla specie precedente per
il colore del frutto che è rosso porpora pallido, vellutato e poco più
grosso di una susina Mirabolana.
— yy8 -
E' originaria dell'isola di Ceylan.
Le conviene un terreno argilloso-siliceo.
La coltura ed usi sono identici come per l'Aberia caft'ra.
4 Malattie e cause nemiche. — La Ceratis hispanica intacca i frutti
come (luelli di pesco. Raccogliere ogni giorno i frutti caduti a terra.
ANONA
(Anona eherimolia Lamark — Fani. Anonacee)
Nomi volgari — Cerimoya, Girinoia.
Nome volgare straniero della pianta — Tranc. : Gherimolier; Tedesco:
Flaschenbauni; Ing.: Custard apple-tree.
Bibliografia — I. Dybowski — Traile pratique des cultures tropi-
cales - Paris 1902.
1. Origine. — Le Anonacee coltivate sono tutte originarie della zona
intertropicale dell'Africa e dell'America. L'Anona eherimolia è origi-
naria del Perù dove la si coltiva fino a 1500 m. di altezza.
2. Diffusione ed importanza della coltura. — Delle diverse specie
coltivate per il frutto, la sola Anona eherimolia è quella che trova
nel litorale settentrionale dell'Africa, il calore sufficiente per maturare
i suoi frutti. Piante se ne trovano coltivale anche a Reggio Calabria,
ma, per esempio a Napoli, soffrono per la bassa temperatura. Nell'isola
di Madera sono abbastanza diffuse.
Questa pianta potrà avere importanza nella Libia, in località ripa-
rale, poiché i frutti sono veramente pregevoli ed una volta fatti cono-
scere sui nostri mercati, potranno incontrare il favore del pubblico.
3. Caratteri botanici e descrizione della pianta. — E' un alberetto
di 5 a 6 metri di altezza, con fronda (fig. 697) divaricata e rami pendenti,
appuntiti e lunghi. Le foglie sono ovate, ottuse, intere, leggermente aro-
maliche, di color verde intenso con leggera peluria sulla pagina infe-
riore. Per questo carattere si distingue dalle altre specie. La pianta
perde le foglie dopo la maturazione del frutto verso giugno, sosti-
tuendole con altre di un bel color verde vivace.
Fiori bianchi, solitari, pendenti, con 3 petali e 3 sepali. I primi sono
verdi al di fuori e bianchi verso l'interno. Esalano un odore aggrade-
vole, che ricorda quello del fiore della Magnolia fuscata. Fiorisce in
luglio.
Frutto grande quanto una grossa pera, cordiforme, largo a fiasco
alla base e terminante a cono appuntito di colore verde, che poi alla
maturità passa al grigio, diventando rosso porpora e quasi nero a
completa maturazione, (fig. 698) La superficie è scagliosa. 11 frutto è
costituito di molte bacche saldate insieme in sincarpio, liscio di fuori,
ma portante altrettante impressioni quante sono le bacche che lo
compongono. Buccia abbastanza grossa, polpa bianca, butirrosa, succosa.
Fig. 696. -.|
ia caffra.
— yui) —
di sapore dolce soavissimo, i)rofuiualo. Il frullo può raggiungere il
peso di 500 grammi.
I semi sono numerosi, rispondenti al numero delle bacche, lisci,
ovali, lucenli, di colore bruno-scuro.
Fiorisce come ho dello in luglio quanlunque in Algeria si siano
osservati dei fiori anche in giugno. Matura i suoi frulli durante l'inverno
fino a marzo aprile. Nell'isola Giammaica matura dal luglio al settembre
e nelle isole Canarie, al principio dell'inverno.
Fig. 697. — Albero di Anona cherimolia.
4. Coltivazione. — L'anona esige una località calda, un buon ter-
reno fresco, irrigabile.
Moltiplicandosi per seme si sono ottenute in Algeria diverse forme.
Alcuni alberi sono addirittura sterili, altri danno il frutto di poco valore.
Il Doti. Trabul, direttore del servizio botanico dell'Algeria, fa rile-
vare specialmente due varietà: una col frutto verde, grosso e liscio;
l'altra pure con frutto grosso, ma più conico ed a superfìcie scabra,
tanto che venne scambiata coU'Anona muricata.
- K)U() -
Secondo il Trabul, in Algeria queste Anone maturano in novembre-
dicembre e si vendono a centesimi 30 e persino un franco per frutto.
La coltivazione della anona non è più difficile di quella delTarancio
nell'Africa settentrionale.
Si moltiplica per seme e la germinazione è facile in aprile. I semi
perdono presto la facoltà germinativa e quindi si affidano al semenzaio
Fig. 698. - Fniltificazioiie dcllAnona cherimolia.
appena raccolti i frutti. Per le piccole piantagioni si semina nei vasi
e si trapianta col pane di terra all'età di 2 anni.
Dal semenzaio, quando le giovani piantine hanno emesso la seconda
foglia si trapiantano sempre col pane di terra alla distanza di 50 cm.
Dopo un anno si piantano a dimora in primavera, alla distanza di 34
metri.
L'albero dà raramente una fronda Mtla, avendo i rami, divaricati.
- 1001 —
La riproduzione per talea è difficile e bisogna farla nelle serre.
Frequente e invece l'uso di innestare a spacco i soggetti di due
anni ottenuti da seme, per assicurarsi la varietà. Si può innestare
anche sulla Asiniina triloba (vedi pag. 1002).
Da noi l'anona, quantunque tolleri qualche grado sotto zero, si
può coltivare solo contro i muri, formando delle spalliere.
La pianta comincia a fruttificare nel 6'^ anno.
I frutti si raccolgano quando sono ancora verdi e duri, una setti-
mana prima che compiano la maturazione. In tale stato si possono
spedire. 11 frutto però non si deve consumare che a maturazione perfetta
diversamente è spiacevole.
Fig. 699. — F'rutlo e sezione del frutto dell'Anona reliculata.
La polpa si mangia come quella delle pere e si digerisce facilmente.
Secondo Sagot, si può preparare anche un liquore.
Durin ha trovato che la polpa contiene :
67.8 % di acqua
9.4 7o di saccarosio
11.75 7o di glucosio
5. Altra specie di Anona. L'Anona reliciilala L., coi frutti a forma
(li cuore (fig. 699); VAiiona miiricaia L. con frutti verdi ed a superficie
mammeilonata (fig. 700); V Anona sqnamosa L. (fig. 701) con frutti ovi-
formi, scagliosi. Ha le foglie liscie, oblunghe, verniciate un po' glauche
al di sotto. 11 frutto è chiamato pomo di cannella.
- 1UU2 —
Tulle queste specie danno Irutti eccellenti nella zona intertropicale
ma da noi e sul litorale Libico, non si possono coltivare che in loca-
lità eccezionalmente calde e riparate.
l.'Anona cinerea Dem. dà pure dei frutti eccellenti ed è meno esi-
gente pel clima. Ha un frutto molto voluminoso, con buccia a scaglie
butirrosa, delicatamente profumata.
Fig. 700.
Frutto e sezione del frutto dell'Anona imiricata.
g. 701.
Frutto di Anona squamosa.
6. Malattie e cause nemiche. — Le foglie vengono sovente colpite
da un fungo, Ascoclujta cheriinoliac Thom., che produce delle chiazze
irregolari brune e nel mezzo grigie, sulle quali poi più lardi appaiono
dei puntini neri.
ASIMINA
(Asimina triloba l)ur. — Fani. Anuiuiccc).
Nome volgare straniero della pianta — Frane: Asiminien.
Bibliografìa — Gh, Rivière e H. Lecq. — Cultures du Midi — Paris
1906.
1. Origine e descrizione. — È una pianta rusticissima, originaria
della Pensilvania (Stati Uniti). È l'antica specie Anona triloba del Linneo.
All)ero con portamento simile a quello di una magnolia, di 3 a 4 m.
di altezza, a foglie caduche, oblunghe, cuneiformi, di color verde gaio,
che appaiono contemporaneamente ai fiori in primavera. I fiori sono
pendenti, belli, grandi, bruni o rosso nerastri. Fioritura in aprile-maggio
ed i frutti maturano in settembre ottobre.
I frutti persistono sulla pianta anche dopo cadute le foglie. Hanno
l'aspetto del frutto del banano, lunghi 5-8 cm. giallo pallidi, lisci, a
— 1003 —
buccia sottile e mollo odorosa. Ad ogni peduncolo si trovano attaccati
da 3 a 5 frutti. La polpa è bianco giallastra, molle, pastosa, zuccherina,
piacevolmente profumata ; ricorda il profumo dell' albicocca. Contiene
4-7 semi, grossi, ovali, appiattiti, lisci e bruni.
2. Coltivazione. — In Algeria si coltiva con successo l'Asimina e
cosi pure nei dintorni di Nizza ed in piena terra.
Richiede un terreno soffice, fresco e non umido.
Le radici sono striscianti ed emetteno dei polloni fruttiferi sulle
radici sui quali si possono innestare le Anone.
Si moltiplica anche per seme in vasi in autunno ; i semi perdono
presto la facoltà germinativa.
BANANO
(Musa Linn, — Fani. Miisacee).
Nomi volgari italiani della pianta — Musa per eccellenza, Banano,
Fico d'Adamo.
Nome volgare italiano del fratto — Banano.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane : Bananier — Ted. : Ba-
nane — Ingl. : Banantree.
Bibliografia — Ch. Rivière e H. Lecq. — (^ultures du Midi — Paris
1906. — I. Dubowski — Traité pratique des cultures tropicales — Paris
1002.
1. Origine. — Il banano cresce spontaneo nell'Asia meridionale e
da qui deve essersi diffuso come le razze dell'uomo, nell'Africa ed in
America, dove costituisce per alcune regioni la coltura fondamentale.
2. Specie botaniche coltivate. — Dal punto di vista colturale, noi
possiamo aggruppare senza inconvenienti le varietà coltivate del ba-
nano in tre forme tipiche : Musa sapientium, Musa paradisiaca e Musa
chinensis o Cavendishii (Lamb.).
1. Musa sapientium L. o Fico d'Adamo, ha i frutti piccoli, con
stipo alto.
2. Musa paradisiaca L. (fig. 702) è pure un banano allo con dei
regimi enormi, composti di frutti grossi, che nelle regioni tropicali
vengono consumati cotti come i legumi quando sono verdi, e maturi
offrono un eccellente cibo, facilmente digeribile.
3. Musa Cavendishii Lamb. con fusto molto grosso e relativamente
corto (m. 1.50). Frutti allungati, cilindrici con regime portante fino a
200 frutti (fig. 703).
I frutti che vengono portati sui nostri mercati appartengono a questa
specie, così pure quelli che vengono coltivati in Europa, nella Cire-
naica, nella Tunisia, Algeria, Marocco, al Capo Verde, a Madera e nelle
isole Canarie.
10U4 —
3. Caratteri botanici. — Il banano è una pianta erbacea gigan-
tesca, distinta per la maestà delle forme e per le dimensioni delle
foglie.
Ha un rizoma corto ed un fusto ai)parente, risultante dalla riunione
della guaina delle foglie, conico, alto da 3 a 6 m. Esso termina con un
ciulfo di foglie molto grandi, lunghe m. 2 a 4, larghe fino mezzo metro,
con picciolo di 1 m. e più, elittico-allungato, con la lamina leggemente
scorrente lungo il picciolo, un poco ondulate, glabre. Quando sono vec-
chie si strappano facilmente per traverso, all'urto dei venti.
Da questo ciuffo sorge, al tempo della fioritura, uno scapo pube-
scente, di 5 a 6 cm. di diametro, terminato da un grappolo pendente,
Fig. 702. — Musa paradisiaca.
lungo 1-2 m. Esso porta una ventina di brattee ovali-allungate, acute,
di color rosso porporino, coperte all'esterno da un pulviscolo bianco
farinoso; dall'ascella di queste brattee sorgono altrettanti fiori.
I fiori sono giallicci, irregolari, con sei stami dei quali uno sterile,
ridotto a staminodio petaloideo. Il gineceo ha tre pistilli, con gemmu-
lario infero, dal quale deriva un frutto bislungo della forma di un ce-
triolo triangolare, diviso in tre logge polisperme, contenente una polpa
carnosa e nutriente.
L'insieme dell'infiorescenza costituisce il regime del banano. Cia-
scun grupo di fiori riuniti dentro la brattea forma un insieme di frutti
chiamati mano, che uniscono 3, 4 fino 20 frutti. Un regime non può
- 1005 —
portare più di 3 o 4 mani, meno nelle varietà molto fruttifere, che ne
possono contare lino a 12 o 14.
Il frutto del banano dapprima è verde, a maturazione diventa giallo
e quando comincia ad annerirsi, cade dall'albero.
Dalla grossezza del frutto, dalle qualità della polpa, dal loro nu-
mero sui regimi, si basa la distinzione delle forme coltivate.
Nei paesi originari fruttifica nel secondo anno di vita e poi pe-
risce, mentre nelle nostre serre, la mancanza di calore gli fa ritardare
la frutliiìcazione lino al terzo e quarto anno, ed è per questo che da
noi assume l'aspetto di un albero.
Fig. 703. — Musa Cavendishii.
4. Diffusione e importanza della coltivazione. — La coltivazione
del banano per il fruito nelle nostre provincie meridionali è una ecce-
zione. Sulle coste settentrionali dell'Africa, quantunque rado, si trova
all'ultimo limite della sua vegetazione. Esso dà qualche risultato eco-
nomico in vicinanza delle città come a Tunisi, Tripoli, nella Cirenaica,
e la sua coltura si potrà estendere in zone limitate.
Difatti i regimi di banano che si ottengono nel nord Africa non
raggiungono lo sviluppo e la fragranza di quelli che ci vengono man-
dati dall'America e dalle isole Canarie.
Il banano in Italia riesce a dare dei frutti all'aria libera soltanto in
Sicilia. Nelle altre regioni calde, ha bisogno di essere piantato in loca-
lità riparate o contro i muri e durante l' inverno bisogna proteggerlo
dal freddo.
- 1006 -
5. Clima ed area di coltivazione. — Esige un clima caldo ed una
costante umidita dell'aria. Per la coltivazione in grande e per la pro-
duzione di frutta da dessert occorre una media annuale di temperatura
di 26''-27« C. con piogge prolungate e regolarmente distribuite. Questo si
ha, non allontanandosi dalla latitudine di 30o-31 N. o S. e dai 1000 a
2000 m. di altitudine. Sono da preferirsi le pianure umide, vicine al
mare riparate dai venti ed irrigabili.
Nel bacino del Mediterrano, la sua coltura è possibile, non perù
per produrre delle frutta scelte, nelle località dove la temperatura media
annuale è fra i 14° e 20° C ed ove, col più grande freddo d' inverno, la
temperatura non discende al di sotto di 2° C.
Da noi nella Liguria, raramente il frutto raggiunge all'aperto la
completa maturazione.
Nella Somalia italiana, nella Libia (specialmente nella Cirenaica) si
potrà dare una certa estensione a questa coltura come si fa in Algeria,
scegliendo delle bassure umide, calde, irrigabili e riparate dai venti
con piantagioni di alberi o con stuoie.
6. Terreno. — È poco esigente per la natura del terreno, poiché
prospera tanto nei terreni argillosi, calcari o silicei purché siano fertili,
permeabili, profondi e ricchi specialmente di materie azotate. Predilige
però i terreni ricchi di potassa, argilloso-silicei calcari o quelli ottenuti
per dissodamento dei boschi, suscettibili di irrigazione nell'estate ma
che d'inverno non trattengono l'acqua.
Il terreno deve essere poi privo di altri alberi. Se il banano potesse
vivere consociato alla palma, il problema della coltivazione del deserto
sarebbe risolto. Il banano esige molta aria libera, piuttosto umida, sole
e freschezza nel terreno.
7. Moltiplicazione. — La moltiplicazione si fa quasi esclusivamente
a mezzo dei rampolli che la pianta produce in abbondanza, quando è
adulta.
Quando un fusto ha portato frutto, ha anche compiuto il suo ciclo
vegetativo e quindi perisce. La pianta però essendo vivace, rimette dei
polloni al piede, dei quali appunto ci si serve per le nuove piantagioni.
Per la moltiplicazione é bene servirsi dei polloni ben sviluppati
aventi almeno m. 1.50 di altezza e raccolti dalle piante che si ap-
prossimano a portare il frutto. Se invece si ha da spedirli lontano, con-
viene utilizzare i rampolli quando hanno appena la dimensione di un
grosso bulbo e ciò avviene quando il fusto non é ancora formalo.
Allora tagliando il fusto poco al di sopra di questo rampollo, esso emette
all' ingiro altri rampolli che si distaccano, di mano in mano che rag-
giungono la lunghezza di 3 a 4 m. In questo modo da ogni pianta si
possono ricavare in poche settimane 15 a 20 piante.
Nelle condizioni ordinarie di coltura, conviene tagliare i rampolli
ad 1 m. di altezza tagliando anche le foglie e si piantano nel terreno
a dimora a m. 3 di distanza per tutti i lati. In 2 o 3 settimane i fusti
hanno già emesso le radici e cominciano a comparire le nuove foglie.
— 1()()7 -
8. Coltivazione. — L'impianto si fa nel nord Africa dal 15 aprile
alla fine di maggio, nel terreno lavorato profondamente.
Alla distanza di 3 m. o 3.50 in quadro si fanno delle buche profonde
60 cni. un po' sollevate sul fondo, dove si collocano due piantine di
banani una accanto all'altra, una più piccola l'altra più grande e tutte
due sprovviste di foglie. Si colma la fossa con terriccio e si copre poi
con terra sino a 10 cm. sopra il punto d'inserzione delle radici, Si la-
scia una cunetta intorno alla pianta perchè trattenga l'acqua di irriga-
zione e si spande anche del letame sulla cunetta perchè il terreno non
abbia ad inaridirsi.
Appena fatto l'impianto bisogna irrigare. A tale scopo, le cunette
si mettono in comunicazione con un fossatello irrigatore, che si fa
nel mezzo fra una fila e l'altra.
Dopo due mesi, le piantine cominciano a gettare dei polloni. Allora
delle due piantine si lascia la migliore, ed a questa si lasciano due
soli polloni, i migliori e più distanti l'uno dall'altro.
Negli anni successivi se ne lasciano invece quattro ma non più.
La coltivazione è semplice.
Una zappatura in primavera, rifacendo le cunette attorno le piante
ed i fossatelli di irrigazione, qualche sarchiatura per estirpare le erbe,
sono operazioni indispensabili. Non si deve mai fare alcuna coltura in-
tercalare.
Il banano è molto esigente per la concimazione e lo stallatico ed il
terriccio, sono i concimi più convenienti.
Il Dugast, della Stazione agraria di Algeri, ha calcolato che i re-
sidui di fusti e foglie che si possono interrare ai piedi delle piante
ogni qualvolta si abbattono ammonta al peso di 30 tonn. circa per et-
taro contenti :
Azoto Kg. 120
Anidride fosforica „ 50
Potassa ,,670
Calce 330
Questa concimazione però non è sufficiente e conviene dare dello
stallatico in ragione di Kg. .'ÌO per pianta, scalzandola a 30 cm. di pro-
fondità e correggendo lo stallatico con 500 gr. di solfato o cloruro pò
tassico.
È meglio concimare ogni anno al piede che distribuire il concime
su tutto il terreno, perchè il banano ha radici poco estese.
I concimi fosfatici hanno un grande efl'etto per la fruttificazione.
La coltivazione però del banano non è possibile dove non si può
sussidiarla colla irrigazione.
In Egitto occorrono m.^ 100 di acqua per settimana e per ettaro
durante l'estate e di autunno m.^ 50. In gennaio non si irriga ; in feb-
braio una sola volta. L' irrigazione si rallenta quando i frutti sono
prossimi alla maturazione.
- 1008 —
Alla fine di certi inverni ventosi non rimangono che poche foglie
o del loro lembo qualche brandello.
Nel giardino sperimentale di Algeri, i regimi vengono protetti du-
rante r inverno da una foglia di lalania che viene legata al fusto.
Nelle seri'e, il banano non riesce bene e fruttifica poco.
Nelle Canarie e nella Guinea, la pianta del banano si sviluppa in
4 mesi, in Egitto in 5 La piantina che fu collocata a dimora dà di so-
lito dei frutti imperfetti ed i frutti migliori si hanno dai polloni sorli
al suo piede i quali fruttificano dopo 9 mesi dall'impianto. Ne avviene
quindi, che facendo l'impianto in marzo, in agosto si hanno i polloni
in fioritura ed in novembre (90 giorni circa dopo la fioritura) si là il
raccolto.
Appena raccolto il frutto, si recide la pianta al piede, lasciando i
polloni alla base. Questi opportunamente diradati, dopo 4 mesi frutti-
ficano in modo che in un anno, si possono fare 3 raccolti. Nelle piante
giovani si lasciano soltanto 2 polloni per avere dei regimi molto ca-
richi di frutta e dopo qualche anno se ne lasciano al massimo 4,
sempre proporzionatamente alla fertilità del terreno.
Piantando 1000 banani per ettaro si hanno quindi 3000 regimi al-
l'anno, del peso medio di Kg. 20 portanti in media 160 frutti. Si arriva
perciò al considerevole prodotto di Kg. 60.000 ossia di N. 480.000 frutti.
La durata della piantagione è di 6 a 15 anni; e dipende molto dalla
feracità del terreno, dalla concimazione e dalla mondatura costante
della pianta tagliando i polloni inutili.
9. Raccolta ed impiego dei frutti. — I frutti del banano si possono
raccogliere tutto l'anno e sono più o meno abbondanti secondo la sta-
gione.
Si recidono i frutti quando hanno raggiunto il loro completo svi-
luppo e quando cominciano ad ingiallire ed i rispettivi angoli longitu-
dinali acquistano una certa convessità.
Ma sovente e specialmente d' inverno, si anticipa il raccolto e si
fanno maturare i frutti appendendoli, in un locale chiuso, asciutto
e caldo, tenuto al buio.
La spedizione bisogna farla in tempo opi)ortuno perchè i frutti
arrivino a destinazione maturi. D' estate si alterano presto ; d' in-
verno bisogna spedire i frutti che hanno già acquistato una colora-
zione gialla.
Si spediscono i regimi completi, opportunamente liberati dalle
brattee e dai frutti contusi, avvolti in ovatta e quindi in carta, rac-
chiusi ciascuno in una gabbia di legno od in panieri. Bisogna evitare
le contusioni fra i frutti, perchè nei punti colpiti anneriscono.
Giunti alla destinazione, bisogna allontanare subito i frutti avariati
e conservare gli altri in ambiente secco e caldo.
I banani si prestano a vari usi. La maggior parte dei frutti si con-
suma cruda per dessert. Per questo consumo che va sempre più au-
mentando; l'importazione dei banani ha preso un grande sviluppo ed
— 1009 —
acquista sempre maggiore importanza tanto per l'Europa che per l'Ame-
rica settentrionale.
Di fatti coi banani si possono fornire le mense per tutto il tempo
dell'anno; se si tratta di varietà poco zuccherine, si cuociono.
I frutti che non si arrivano a vendere, si sogliono disseccare, espo-
nendoli prima al sole per un paio di giorni ossia lino a quando la
buccia comincia ad aggrinzire. Quindi si sbucciano con un coltello non
ossidabile (di legno, di osso) i)er non alterare il gusto, e tagliati i frutti
a dischi o lasciati interi si essiccano al sole od in essiccatoi in modo
che lo zucchero cristallizza alla superficie. Si imballano quindi in cas-
selle, della capacità di 2-3 kg. di frutta, avvolti in foglie di banana.
Coi banani secchi si può fare una farina lattea, ed allora i banani
non devono contenere più 5-10 7o di acqua mentre i banani secchi or-
dinari ne contengono 25-30 7o-
Dalle frutta mature si ricavano 19.1 % di frutta secche contenenti
il 50 % di umidità.
Le banane secche da mensa devono conservare il loro gusto ed
aroma, essere molli e non appiccicaticele. Si possono anche candire
come le banane fresche.
Altro mezzo di utilizzare i frutti è quello di schiacciare la polpa e
farla fermentare per ottenere poi una specie di vino di banano od anche
l'acqiuwile di banano.
Di farina se ne ricava il 9-10 7o del peso dei regimi ed ha la se-
guente composizione :
Amido 52.900
Cellulosa 8.290
Sostanze gommose e pccliche 8.180
Glucosio 6.820
Materie estrattive 5.(500
Sali mineiali 3.—
Sostanze albuminoidi 2.801
Grassi 1.—
Sostanze resinose 0.400
Acqua 11 —
Colla farina di banana si può preparare amido, sagù, zucchero,
bevande.
Da 60 frutti di banano si ricavano 2 litri di acquavite. Da 20 litri
di mosto si ricavano 3 litii di alcool 71-5".
Oltre come frutto, le banane, specialmente la buccia, si può utiliz-
zare per foraggio. Anche la buccia si dissecca.
Degli steli recisi si può estrarre una filaccia. Disseccati e macinati
possono servire da foraggio.
Nei piroscafi muniti di frigoriferi, per spedire i banani, si tengono
ad una temperatura di 4.4-7.2" C.
64 — Tam.\uo - Frutticoltura.
- 1010 -
Nei magazzini di conservazione, per raggiungere la maturazione,
occorre una temperatura non inferiore a 10" C.
10. Malattie. — Sul banano, si sono riscontrate fino ad ora, due
crittogame parassite: il Coniothijriuin Gaslonis ed il Gleosporiiim Miisarm.
11 primo produce delle macchie brune sulle foglie ed il secondo sui
fruiti.
Le radici i)ossono essere danneggiate da un nematode: Hclorodera
radicicola che le può far marcire Si combatte iniettando nel terreno
del solfuro di carbonio.
EUGENIA
(Eugenia sp. Fam. Mirlacee).
Nome volgare italiano della pianta — Jambolano.
Nomi volgari stranieri della pianta — Francese: Jamrose, Jambosa,
Pomme rose — Tedesco: Jambuse — Inglese: Rose Apple.
1. Generalità. — A questo genere appartengono degli alberi od
arbusti, i cui frutti globulosi od ovoidali aromatici, sono gradevoli.
Da noi in Italia queste piante sono poco diffuse. Si coltivano in
serre ed a Napoli anche all'aria libera, purché a spalliera e riparate
da un muro. Richiedono una buona terra da giardino, ricca di umus e
con frequenti annaffiature. Le cure di coltivazione sono identiche a
quelle degli agrumi. Si moltiplicano per seme, per talea in serre e per
margotta. Nell'Algeria e Tunisia son abbastanza diffuse.
2. Specie. — Si hanno le seguenti specie importate in Europa:
1. Eugenia myrtifolia (E. australis Wendl). Chiamata Mortella del-
l'Australia, perchè proveniente di là.
È arbusto tendente ad alberetto, sempre verde, piccolo (2 o 3
metri) a foglie lanceolate, acute, lunghe circa 4 centimetri, lucide. I suoi
frutti sono bacche rosse, ovoidali o piriformi, dolci, acidule ed abba-
stanza aggradevolì (per la Sardegna inferiori al mirto). La pianta è
anche ornamentale.
Resiste bene nei terreni secchi, si sottopone a potatura. Fiorisce in
ottobre-novembre e matura i frutti nell'inverno a periodi successivi j
Si riproduce per seme nelle serre, utilizzando i semi non più tardi
di 2 anni dopo che si è utilizzato il frutto. Il seme germina in 5 set-
timane e le piantine si collocano a dimora dopo il secondo anno. Si
può anche moltiplicare per talea semierbacea in serra temperata nel
mese di giugno.
Si trova di frequente nei giardini di Napoli, Nizza e Tunisia. Coi
suoi frutti si fa il cosidetto vino di mirto ed i fiori vengono venduti per
ornamento, sotto il nome di Mirto sempreverde (Myrtes toujours verts.
2. Ciliegio di Cajenna (Eugenia Michela Lamk.). — Francese: Ce-
risier de Cayenne o Cerise carrée (fig. 704).
- 1011 -
Proviene dal Brasile ed ora è molto diffuso in Algeria e Tunisia.
È un alberello con fusto diritto, che può arrivare a tre metri di
altezza; a rami gracili, numerosi, formanti un cespuglio arrotondato, di
facile coltura.
Le foglie sono lunghe 3-4 cm., persistenti, opposte, di colore verde
cupo che arrossano in autunno, con picciolo sottile e breve, ovali, leg-
germente acute, intere, ondulate, molto liscie e lucenti. Le stipole sono
piccole e caduche.
Fiori bianchi riuniti a cima, con peduncoli fragili, un po' più corti
delle foglie, ermafroditi; calice con 4 petali bianchi, oblunghi, più
grandi dei sepali, numerosi, gialli.
11 frutto è una bacca di un bel color rosso vivo, della grossezza
di una grossa ciliegia (25 mm.), costoluta in 8 o 10 parti e portata da
Fig. 704. — Eugenia Micheli!.
Fig. 705. Eugenia .lanibosa.
un peduncolo lungo 2-3 cm. La polpa è rossa, succosa, consistente,
rinfrescante, profumata, acidula cosi da ricordare il ribes. Contiene
uno o due noccioli.
Questo frutto non è da tutti gradito, per il suo profumo e per la
sua acidità.
I frutti sono talvolta solitari, altre volte uniti a due o tre e matu-
rano successivamente nei mesi giugno e luglio.
La coltura di questa pianta è facile.
Si riproduce facilmente per seme il quale mantiene abbastanza a
lungo la facoltà germinativa. Si semina in terra e le piantine si tra-
piantano in vaso od anche in terra, all'età di 4-5 mesi.
- 1012 -
L'impianto a dimora si fa nell'autunno successivo, collocando le
piante alla distanza di 2 metri per tutti i lati. La fruttificazione comincia
nel terzo e talvolta nel secondo anno.
L'arbusto è molto coltivato nelle Antille.
3. Eugenia Ugni Hook. — Francese: Goyavier du Chili.
Arbusto cespuglioso, sempreverde, con fiori bianco rosei. Fiorisce
in marzo-aprile. Frutti rossi, globosi, simili ad una azzeruola; polpa
zuccherina, liquescente, con retrogusto resinoso. E una bellissima pianta
ornamentale che si trova abbastanza di frequente nella Provenza. Come
albero fruttifero è di mediocre riuscita perchè soffre delle siccità
prolungate.
4. Jambosa volgare {Eugenia Jambosa Linn.) — (fig. 705).
Importato dalle Indie, questo albero elegante arriva da 4 a 6 metri
di altezza, con foglie grandi lanceolate, persistenti, coriacee. Fiori
bianco-giallognoli, uniti in panocchia, a stami lunghi, formano delle
nappe leggere di bell'effetto. Fiorisce in marzo-aprile.
I frutti sono bacche del diametro di 25-50 mm., sormontate come
nella nespola da 4 lobi del calice.
La forma è ovoidale o piriforme della grossezza di una noce.
Sono giallastri, leggermente rosati dalla parte del sole e con involucro
quasi secco.
II frutto è molto stimato per la polpa molto dolce, abbastanza
consistente, che lascia in bocca una fragranza di rose. Matura dal
giugno all'agosto. Si mangia come le nespole del Giappone e con esso
si fanno conserve e liquori.
Nell'Algeria e nella bassa Provenza matura perfettamente; a Napoli
si trova in molti giardini allevato a spalliera. Del rimanente si coltiva
nelle serre come i limoni, ma molto più di questi richiede dei fre-
quenti annaffiamenti durante l'estate.
D'inverno l'umidità gli è nociva.
Si moltiplica per semi, che si seminano appena che i frutti matu-
rano. Nelle serre si può moltiplicare anche per talea. I semi germinano
circa dopo un mese e le piante si collocano a dimora dopo 2 a 3 anni.
L'albero entra in fruttificazione fra il sesto a 1' ottavo anno d' età od
anche più presto.
5. Eugenia Jambolana Lamk. — Francese: Jàmelongue.
Proviene anche questa specie dalle Indie. È un albero fruttifero
molto bello, alto m. 1(5-18, ornamentale per le sue magnifiche foglie
disposte a mazzetti, molto grandi, (8-16 cm), ovali, persistenti e coriacee.
Fiori bianchi uniti in pannocchia, odorosi.
Nel giardino di Hamma ad Algeri vi ha un albero alto 15 metri
che si distende a guisa di ombrella.
II frutto è inferiore per qualità a quello del pero delle Indie, è
piriforme, lungo 3 cm., di color rosso vinoso che diventa nero a matu-
razione. Matura dall'ottobre al gennaio.
La polpa è zuccherina, acidula.
lUlo —
Vegeta molto bene nei climi temperati e si coltiva come la Jambosa,
soltanto si pianta a maggiore distanza e si scelgono terreni più pro-
fondi e fresclii.
3. Malattie e cause nemiche. — Si possono notare delle macchie
iuligginose sulle foglie, dovute ad una fumaggine. Capnodiiim Eiigenia-
riiin Gook.
FEIJOA
(Feijoa sellowiana Berg. — Fani. Mtjrtacee).
Lelteralura — I Dybowski - Traile pratique des cultures tropicales.
— Paris 1912.
1. Origine della pianta. — Questo alberello è stato introdotto in
Europa da E. André, professore nella scuola di orticoltura dì Versailles.
Lo importò dalla Piata, ma il paese d'origine di questa pianta è il
Brasile australe e ^Uragua5^
La sua coltivazione esperimentata nella Francia meridionale è
pienamente riuscita e quindi si potrà estendere anche da noi e nella
Libia.
2. Caratteri botanici e descrizione della pianta. — E un alberello
di 3 a 4 metri di altezza, con rami tomentosi nei primi anni, portanti
foglie opposte, elittiche con breve picciolo, grosse, coriacee. La pagina
superiore è di colore verde brillante, l'inferiore è biancastra con tenue
tomento.
I fiori sono solitari od a mazzetto e sorgono alla base delle foglie.
11 calice è composto di 4 sepali alternati da 4 petali obovali, carnosi,
bianchi al di fuori e rosso violacei al di dentro.
II frutto ha la forma di un piccolo limone, carnoso con 4 logge. La
buccia è rugosa, di colore verde carico anche a maturazione. La polpa
è bianca, di un sapore zuccherino molto profumato, e molto piacevole.
Il frutto intero esala un odore soave che ricorda quello dell' ananas.
Matura durante l'inverno.
3. Coltivazione. — La Feijoa è una pianta che resiste al freddo
più della Persea e cioè a 16° C sotto zero. Si moltiplica per seme o
per talea. 1 semi mantengono abbastanza a lungo la facoltà germinativa
e si ottengono delle piantine molto rigogliose nei primi mesi.
Si semina in terrine, si trapianta col pane di terra e non si mette a
dimora che dopo 6 mesi fino ad un anno.
La pianta emettendo dei rami alla base, prende una forma cespu-
gliosa e, fra pianta e pianta è sufficente uno spazio di 2 a 3 metri.
La fruttificazione non comincia che a 4-5 anni.
Per seme non si riproducono fedelmente i caratteri della pianta
madre, così, per le buone varietà, si ricorre all' innesto sopra soggetti
robusti ottenuti da seme.
- 1014 -
Si può anche moltiplicare per talea, impiegando le estremità dei
rami lignificanti. Si fanno delle talee di 10 cm. di lunghezza e dopo
aver tolte le foglie della base si pianta la talea in un vaso che si mette
P"ig. 706. — Ramo e frutti di Feijoa sellowiana.
sotto una capanna di vetro. Le piante ottenute per talea fruttificano
più presto di quelle ottenute per seme.
4. Usi. — li frutto si può consumare crudo o può servire per pre-
parare confetture e paste come il psidio.
HOLBOELIA LATIFOLIA Wellich.
(Fam. Lardizabalee).
Originaria dell' Imalaja. Magnifica liana decorativa, vigorosa, che
produce dei frutti grossi, decorativi, aggradevoli, che arrivano a com-
pleta maturazione anche in Liguria (Alassio).
- 1015 -
Si trova di frequente nei giardini del litlorale di Nizza, dove è
ricercato per le sue foglie ornamentali, sempre verdi, brillanti e per i
suoi fiori bianchi monoici o dioici riuniti a corimbo, poco ornamen-
lali, ma che emanano un delicato profumo di fiori d'arancio.
Fiorisce in aprile-maggio.
Le piante fertili sono rare.
Il frutto somiglia ad un grosso banano, lungo da tì ad 8 centimetri,
di color rosa violaceo vivo con polpa bianca e molti semi. Ila il sapore
di pera ammezzita. Matura in novembre-dicembre.
Gli conviene un terreno leggero, ben fertile ed una esposizione ripa-
rata, calda. Copre in poco tempo delle muraglie, delle pergole e si slancia
a 10-15 metri d'altezza. Per ottenere una maggiore fruttificazione, bi-
sogna ricorrere alla fecondazione artificiale dei fiori femminili.
Si moltiplica per seme.
HOVENIA
(Hovenia dulcis Thumb. — Rcimnee).
1. Origine e caratteri. — Originaria della China e del Giappone, è
una pianta molto rustica che prospera nella Riviera nonché neirx\lgeria.
L'albero arriva a 3-4 m. di altezza, è molto fronzuto, di decora-
zione. Le foglie sono ovali, abbastanza grandi, di color verde brillante
e sono caduche.
La parte commestibile di questa pianta non è il frutto ma il suo
peduncolo il quale, dopo la fioritura diventa carnoso, dolce, (22-80 %
di zucchero), di colore bruno rossastro. A completa maturazione (ot-
tobre) ha il gusto di uva secca.
Il vero frutto è una capsula ovoidale, secca, contenente delle granella.
2. Coltivazione. — Fa bene nei terreni sciolti e profondi. Sopporta
abbastanza il freddo del littorale Mediteraneo.
Si moltiplica per seme e per talea.
Il seme mantiene per alcuni mesi la facoltà germinativa.
La semina si fa in terrine e poi le piantine si mettono in vivaio.
Dopo un anno di vivaio si collocano le piantine a dimora.
La sua fruttificazione comincia all'età di 3-4 anni.
KAKI (Diospiri)
(Gen. Diospyros — Fani. Ebenacec).
Nome volgare italiano del frutto — Kaki.
Nomi volgari stranieri della pianta — Francese: Plaqueminier
Tedesco: Persimonen o Dattelpflaume — Inglese: Date Plum.
— lUltì —
1. Origine, — I diospiri sono oiiginarii della China e del Giappone.
Sono alberi della regione calda e temperata.
Vennero introdotti da circa 30 anni in Europa nella l'egione Medi-
terranea e con successo, poiché queste piante sono utili per il loro
legno bruno-verdastro, ricercato dall'ebanista; alcune specie, per i loro
fruiti commestibili che si distaccano tardi dalla pianta. Tutte sono
ornamentali per il frutto e per le foglie, le quali d'autunno acquistano
un bel colorito rosso.
2. Specie botaniche coltivate. — Dal punto di vista della frutticol-
tura, questi alberi od alberelli, si possono distinguere a seconda della
loro taglia in due gruppi :
a) Diospiri diversi, in parte originari della China e che produ-
cono dei piccoli frutti. Ordinariamente formano degli alberi belli nelle
regioni meridionali ma, se per la loro rusticità si possono coltivare
anche abbastanza al Nord, essi danno pochi frutti, di maturazione
incerta, molte volte assai aspri.
A questo gruppo appartengono le seguenti specie:
1. Diospyros sinensis. Thumb. (Fico-Kaki) o Diospiro della China;
2. Diospyro lotiis. Lin. , dell'Asia occidentale, chiamato anche
Diospiro d'Italia, a piccoli frutti mediocri;
3. Diospyros pnbescens Pursh. grande albero dell'America setten-
trionale. Frutto abbastanza grosso, con polpa vischiosa ed aspra;
4. Diospyros Yirginiaiia Lin. Grande albero americano, a frutti
appena passabili.
Tutte queste specie sono difettose per il frutto, ma hanno però il
vantaggio di riprodursi facilmente per seme e sono i migliori porta
innesti del Kaki,
b) Kaki del Giappone. Sotto questo nome si comprendono tutte
le specie e varietà di Diospiri, che vengono coltivate esclusivamente
per il frutto e di cui noi dobbiamo occuparci particolarmente. Queste
piante sono state ottenute dai frutticoitori del Giappone, maturano i
loro frutti nelle zone meno calde delle specie precedenti.
Essi appartengono alla specie Diospyros Kaki di Linneo.
3. Caratteri botanici dei Kaki. — L'albero delle diverse specie di
Kaki, può raggiungere l'altezza di 11 a 12 m., ha le foglie di un bel
verde, grandi, abbondanti, che cadono in autunno, diventando rossastre
e lasciano scoperta una quantità considei'evole di frutta di vario colore
secondo le specie. I peduncoli che sostengono le frutta sono robusti
e non le lasciano cadere anche coi venti più forti (figg. 707-708).
I frutti conviene lasciarli sulla pianta fino ai primi geli.
Essi sono delle bacche, accompagnate dal calice, di varie dimensioni
dalla grandezza di una nocciola a quella di una arancia.
La polpa dei frutti è molle, succosa, molto dolce; aperta ha l'aspetto
di marmellata di albicocco, e si mangia col cucchiaio.
4. Classificazione delle varietà. — Le forme tipiche e le varietà
più coltivate sono le seguenti;
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1. Diospijros Si Tche Bungl. o Kaki del Giappone propriamente
detto. Sembra questo essere il tipo botanico delle numerose varietà
orticole coltivate da secoli nell' Asia meridionale e specialmente nel
Giappone.
2. Diosyros costala Garr. — Con frutto molto grosso, diviso alla
superficie a coste, di color giallo arancio e dalla grandezza di una mela
Albero di Kaki.
ordinaria. Foglie verdi-cupe; gialle o rosse prima di cadere. Matura in
novembre. Il frutto è senza semi. Adatto per mezzo vento.
3. D. lycopersicon Garr. (Loto rosso) — Kuro Kaki dei Giappo-
nesi. Frutto grossissimo 8-10 cm. di diametro, color pomodoro, arro-
tondato, depresso. Polpa molto dolce, giallo-bruna senza semi. Foglie
giallo rossatre prima di cadere in autunno. È raccomandabile per la
forma e dimensione dei due frutti.
4. D. Mazeli Garr. — Diospiro di Mare/. — Frutto globoso i)iù o
meno depresso, giallo aranciato brillante; polpa siropposa quasi lique-
- 1018 -
scente con pochi semi. Foglie rosso scure in autunno. Adatto per
mezzo vento.
Altre specie introdotte in Italia sono:
5. D. Gruboihi. — Frutto grosso, allungato da 18 a 20 cni. di cir-
conferenza su 9 cm. di lunghezza, polpa squisita, molto zuccherina e
consistente come quella della pera butirra. Adatto per mezzo vento.
6. D. Knmosu-Maro. — Frutto piccolo, piuttosto oblungo, rosso
pallido, colle strisele di rosso vivo, interrotte e convergenti sulla parte
inferiore, polpa rossa, fondente e succosissima.
Fig. 708.
Albero di Kaki coi frutti in dicembre, dopo cadute le foglie.
7. D. Tsouroii. — Varietà di primo merito, i suoi frulli quasi
rotondi sono rosso scuri, misurano 20 cm. di circonferenza su 6 cm.
di lunghezza, hanno polpa assai fondente zuccherina. Per mezzo vento.
8. D. Kiombo. — Varietà a fogliame ben distinto.
9. D. Kirakaki. — Varietà coltivata su grande scala al Giappone
per la sua fertilità; frutto dolce, sferoidale appiattito, della piriferia
di 18-20 cm.
10. D. Ochirakaki. — Frutto medio, allungato, misura 15 cm. di
circonferenza, ha polpa rossa intensa, molto succosa e zuccherina,
liquida, da mangiare col cucchiaio.
11. Toyama. — Frutto enorme, quasi sempre sterile, polpa aran-
ciata ed a pelle rossa, periferia 9-10 cm. (fig. 709).
12. Nachi-nO'tan. — Frullo medio, bianco giallo, colle coste leg-
germente segnale di rosso più carico, polpa delicatissima, consistente.
Periferia 25 cm.
— loiy -
13. D. Yoshihito. — Frutto grosso, leggermente allungato, giallo
citrone e rosso bruno a niaturanza perfetta.
14. D. Zendji-marii. — Frutto medio, quasi rotondo, da 15 cm. di
circonferenza su 5 di lunghezza, a polpa rossa più zuccherata e suc-
cosa di una pera butirra.
15. D. Kyakame. — Frutto grosso come una bella melarancia e
di buccia bizzarissima; dai sepali alla metà dei frutti è di color carneo
a tratti con chiazze vermiglie, la metà superiore è di color bianco-carnea
ricamata di bruno. Polpa dolcissima e soda.
16. D. Halchuya. — Fruito grossissimo e magnifico, ha la forma
di un'enorme fragola; il colore della buccia è scarlatto cupo e la polpa
Fig. 709. — Kaki Toyania.
Fig. 710. - Kaki Tiodemon.
di un giallo rosso bruno. Misura 25 cm. di circonferenza e 9 cm. di
altezza, con la polpa zuccherina rossa, melliflua al punto che è neces-
sario il cucchiaio per mangiarla. Per mezzo vento.
17. D. Konroukouma. — Frutto grosso, appiattito, della periferia
di 20 a 22 cm. e 5-6 cm. di altezza. Polpa dolce, molle, straordinaria-
mente succosa, con semi.
18. D. Guìbotchy. — Bellissima varietà, con frutto allungato, lungo
8-9 cm. e della pirifera di 20 cm.; polpa rossa, di sapore squisito, pro-
fumata e della consistenza di una pera deliquescente.
Gli autori francesi consigliano ancora le seguenti specie o varietà :
19. D. Saluili. — Con frutto grosso molto buono e con semi.
- 1020 -
20. D. Touroukoii Kaki. — Con fruito grossissimo, arrotondato,
rosso dorato ed eccellente. Per mezzo vento.
21. D. Tiodemon. — Con frutto grossissimo, di 20-22 cm. di cir-
conferenza. Polpa soda, dolce, buccia quasi nera alla maturazione.
Molto produttiva ed è ritenuta per una delle migliori varietà (flg. 710).
6. Importanza della coltivazione. — Nella regione Mediterranea
può acquistare una certa importanza, poiché i frutti vengono sempre
più apprezzati.
7. Sistemi di coltivazione. — Estensiva a pieno e mezzo vento.
8. Clima ed area di coltivazione. — La coltivazione dei diospiri
non è diffìcile. Fino a tempo addietro si credeva possibile la loro col-
tivazione soltanto nella regione degli olivi e degli agrumi, la pratica
però ha dimostrato che anche nella regione temperata, producono bensì
meno frutti, ma resistono ai freddi più intensi (lO-lS" sotto zero) a con-
dizione di non trovarsi in vallate umide, dove l'azione dei geli è più
intensa.
Nella Liguria, specialmente nel territorio di Neroi, S. Ilario Ligure
([uesla essenza fruttifera ha acquistato una notevole estensione. In tutta
la costa Mediterranea, compresa quella dell'Africa la sua coltivazione
ò raccomandabile.
9. Esposizione e situazione. — Esposizione di mezzogiorno in col-
lina di elevazione non maggiore ai 200 m. bene riparata dei venti del Nord.
10. Terreno. — Anche per il terreno i diospiri sono poco esigenti.
Sarà meglio però preferire i terreni profondi e freschi, argillosi, non
troppo compatti, che si possono irrigare nelle regioni secche.
11. Moltiplicazione. — I Kaki del Giappone non producono la mag-
gior parte semi e quindi si moltiplicano per innesto sul:
a) Diospiro d'Italia (Diospyros lotus) per i climi temperati;
b) Diospiro della Virginia (D. Virginiana) per le zone variabili.
La maggior parte di questi soggetti, riprodotti per seme, danno
molte piante maschili.
Si seminano in piena aria, in luogo aereato e soleggiato in primavera.
Si innestano nel secondo anno, a spacco ordinario avvertendo che
bisogna prestare grandi cure per il difficile attecchimento. Gli innesti
devonsi proteggere col mastice ed i giovani innesti si tengono sotto
vetro od in vaso. Si può anche innestare a gemma dormiente in lu-
glio-agosto.
12. Coltivazione. — Per gli impianti a 4-5 m. di distanza, si pre-
feriscano soggetti di un anno di innesto ; le piante assumono natural-
mente la forma piramidale di un magnifico aspetto.
1 Kaki si possono anche sottoporre ad una potatura di formazione
per ottenere delle piramidi, dei vasi e dei pieni venti o si possono al-
levare a spalliera, e perciò, si applicano le regole delle altre piante
da frutto.
Sui Kaki non si vedono durante il riposo della vegetazione le gemme
a frutto, poiché queste si sviluppano di mano in mano lungo il ger-
— 1021 —
moglio che nasce in primavera, come nella vite. Queste gemme si se-
guono in numero di 2 a 4 per germoglio. Per la potatura dei kaki'
bisogna ricordarsi che dalle gemme terminali dei rami formatisi
nell'anno precedente, nascono i migliori germogli fruttiferi, e che
i rami incurvati fruttificano più dei verticali.
La fioritura dei kaki avviene al principio di giugno.
Le piante, dopo due o tre anni di innesto, cominciano a caricarsi
di frutta e questa fertilità continua si può dire quasi sempre. Per
questa straordinaria quantità di frutta, i rami della base si piegano ed
allora è vantaggiosa una cimatura dei rami superiori, a scapito della
produzione, per mantenere la pianta in equilibrio.
13. Raccolta e conservazione dei frutti. — La maturazione dei
frutti avviene in ottobre e novembre, quando sui nostri mercati ci
sono molte altre frutta più apprezzate. Perciò nei paesi caldi si lascia
il fruito ammezzire sulla pianta dopo cadute le foglie, oppure si rac-
colgono quando la polpa comincia a farsi tenera e si stendono in una
stanza asciutta, perchè ammezziscano.
I frutti che rimangono aspri e non arrivano ad ammezzire, i Giap-
ponesi sogliono sottoporli al seguente processo. In un barile mettono
della pula di riso, degli steli verdi di patate e del carbone di legna. Vi
aggiungono dell'acqua tiepida, scuotono bene il barile e, dopo avere
agitato mettono dentro i kaki, lasciandoli per 5 o 6 giorni in infusione.
Con tal processo i frutti sono pronti per il consumo.
Per spedirli a distanza, sogliono sbucciarli e dissecarli.
14. I diospiri chinesi. — Le varietà di questo gruppo sono fornite
dalla specie Diospyros sinensis Thumb.
I frutti sono verde-giallasti*i, della grossezza di un'albicocca coperta
di brevi peli. Se l'estate è fredda, i frutti cadono a terra ancora verdi
nei mesi di ottobre e novembre.
Questi diospiri sono molto meno diffusi dei precedenti e non rie-
scono che nelle località molto calde di mezzogiorno, non soggette a
lunghe siccità.
Si moltiplicano per seme e per innesto.
15. Diospiri a frutti piccoli. — Appartengono ad essi due specie
e cioè il Diospyros Lotus ed il Diospiros Viryiniana.
II D. Lotus o Legno santo, albero di S. Andrea Armellino, è un
albero alto da 12 a 15 m. con fiori ascellari, poligamodioici, quasi
solitatari, rosso pallidi e pubescenti di sotto; calice con 4 lobi ottusi-,
stami da 6 a più; ovario con stili distinti.
Il frutto è una bacca globosa, grande quanto una nocciola e co-
perta di una leggera pruina. È commestibile ma di poco pregio.
Foglie alterne, picciolate, bislunghe-accuminate e pubescenti di sotto.
Fiorisce in maggio e giugno.
Proviene dall'Asia minore, ma è coltivato in tutta Italia. Serve per
porta-innesto delle altre specie a frutto commestibile.
Si moltiplica per seme nel mese di febbraio o marzo.
- 1022 -
Il D. Virginiana o Diospiro della Virginia, è un albero piramidale,
vigoroso, dell'altezza di 8-10 ni.; con fogliame abbondante che in au-
tunno si carica di molti frutti rotondi, di color giallo più o meno scuro
e della grossezza di una susina Regina Claudia.
La polpa è più o meno zuccherina, a seconda del clima e della
varietà. In Italia le frutta di questa pianta non maturano che nei ter-
ritori più caldi, però la pianta resiste ai freddi e si riproduce per
porta-innesto. Si alleva a pieno vento.
16. Malattie e cause nemiche. — Un fungo può intaccare le foglie:
Cercospora Diospyri. Cooke.
PACHIRA
(Pachira sp. — Fani. Malvacee).
Sono dei begli alberi che sono rappresentati nelle colture, da due
o tre specie delle quali sopratutto la Pachira insignis Sav. presenta un
interesse particolare.
La Pachira insignis è un albero chiamato anche Castagno della
Gugana o Cacao selvaggio, poco elevato, a rami eretti, formanti una
fronda rada. Le foglie sono digitate, composte; i fiori sono grandi,
bianchi, eretti, portanti un ciuffo di stami eretti.
Il frutto è una capsula carnosa, verde, della forma e grossezza di un
uovo di tacchina, che a maturazione si apre in 5 o 6 valve dalle quali
cadono al suolo altrettanti semi, grigio-giallastri, della grossezza di una
nocciola, rigati da linee bianche orizzontali.
La pianta si coltiva per questi semi che hanno un gusto gradito,
e si consumano freschi o secchi. Facilmente però arrancidiscono e
quindi bisogna consumarli presto.
La moltiplicazione si fa con semi freschi poiché se secchi perdono
la facoltà germinativa. Dovendo spedirli a distanza, si raccolgano i frutti
prima che si aprano e si spalmano con paraffina. Allora i semi con-
servano la facoltà germinativa per 2 mesi.
Il seme racchiude più germi embrionali e quindi si ha da ognuno
nel semenzaio o nel vaso un ciuffo di piante. Nel trapianto naturalmente
si separano.
L'albero fruttifica a 3 o 4 anni.
PALMA DEL DATTERO
(Phoenix dactylifera Linn. — Fani. Palme).
Nomi volgari italiani della pianta — Palma dei datteri, Palma dat-
tilifera, Palmizio, Dattoliere, Dattero.
Nome volgare italiano del frutto — Dattero.
- 1023 -
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane. : Dattier — Ted. : Dat-
telpalme — Ingl. : Date palm-tree.
Bibliografìa — I. Dybowski — Traité pratique de cultures tropicales
— Paris 1902.
Schweinfurt — Ueber die Kullur der Dallel Palme — Gartenflora
act. 1901.
Swiiigle — Le dattier et sa culture. Annuario del dipartimento di
agricoltura degli Slati Uniti, 1900.
Masselot — Les dattiers des oasi du Djérid — Tunis 1901.
Caupet — Culture de dattier à Gardaia — Algerie agricole 1902.
Hubleaux — Culture de dattier au Mzab et à Quargla. Bull. Soc.
gègr. — Alger 1903.
Charlet — Les Palmiers du Mzab — Id. 1905.
Fischer — Die Dattelpalme — Gotha 1881.
1. Origine. — La coltura della palma rimonta ai tempi più antichi.
I nocciuoli dei suoi frutti si trovarono negli antichi monumenti egi-
ziani e tutti gli autori dell'antichità ne parlano.
Essa venne coltivata specialmente nella zona arida e calda com-
presa fra il Senegal e il bacino dell' Indo.
Le coltivazioni più importanti si trovano nella valle del Nilo, in
Arabia e in Persia.
2. Diffusione ed importanza della coltura. — La palma del dattero
è fra le palme, la più utile ed ornamentale. È coltivata lungo tutte
le nostre coste del Mediterraneo e specialmente la troviamo in Sicilia
e Sardegna. Raramente però il suo frutto matura completamente ma
serve per seminare i frutti fecondi.
Nell'Africa boreale la palma fornisce all'uomo tutto ciò che è ne-
cessario per vivere. 1 paesi nei quali maturano i datteri si trovano si
può dire fra il 15» e 30» di latitudine.
Le foglie servono per la fabbricazione delle stuoje e per coprire
le capanne, le grosse nervature di esse forniscono i canestri e tutti
quegli oggetti alla cui fabbricazione viene impiegato da noi il giunco.
Le fibre servono per la fabbricazione dei cordami, il legno trova im-
piego nell'arte edilizia. 11 succo, che si raccoglie dall'estremità del tronco,
viene fatto fermentare e dà il vino di palma (tagmi). L' indigeno
scava alla sommità dello stipo o tronco della pianta, a mo' di una pic-
cola tazza e leva le foglie ; il succo vi si raccoglie, durante un periodo
di 12 a 15 giorni, nella quantità di 2 a 3 litri, che si consuma subito o
si fa fermentare. Le giovani gemme si mangiano come da noi i ca-
voli fiori e talvolta si adoperano anche le infiorescenze. 11 frutto costi-
tuisce nella Persia, nell'Arabia, nell'Egitto ed in generale nei paesi della
costa settentrionale dell'Africa, il cibo principale della popolazione e
quindi nelle oasi della Libia, dell'Algeria, della Tunisia, la palma co-
stituisce l'elemento essenziale della proprietà fondiai'ia. È per questo
che un detto arabo chiama il dattoliere : il padre nutritore dei figli del
deserto. Infine i semi macinati si danno al bestiame e forniscono anche-
un surrogato al caffé.
— 1024
3. Caratteri botanici e vegetazione. — La pianta si eleva a 15-20 m.
di altezza. Le radici sono carnose, fusiformi, e si approfondano a pa-
recclii meti-i di profondità. Il tronco è uno stipite (fig. 711), che non si
ramilica, soltanto alla base emette dei germogli quando la pianta ha rag-
giunto l'età di circa 15 anni e dei quali ci si serve, come vedremo, per
la riproduzione.
All'estremità il fusto è coronato da grandi foglie (3-6 ni. di lun-
ghezza), pennato-partite, picciolate, guainanti alla base.
I vecchi fusti delle palme sono coperti dalle cicatrici delle foglie
caduche oppure portano ancora gli avanzi delle foglie sotto la forma
di squame ridotte in fibre. Queste
fibre formano una borra filamen-
tosa abbondante, chiamata dagli
Arabi col nome di Uff che serve a
confezionare delle corde e per fare
dei tessuti.
Il dattero è una pianta dioica e
cioè ci sono le piante a fiori ma-
schili (gialli) ed a fiori femminili
(giallo -verdastri) separate. I fiori
sono disposti in grandi pannocchie
racchiuse da una spata semplice,
quasi legnosa la quale, alla fecon-
dazione, si apre lasciando scoperti
e pendenti a fascio chiamato re-
gime, le diramazioni della pannoc-
chia (fig. 712).
11 frutto è una drupa di colore
giallo dorato o bruno rossiccio, elit-
tica di 5-6 m. di lunghezza con un
diametro di 2-3 cm. All'interno si
trova un solo nocciolo, allungato.
Quando germina un nocciolo di
dattero, la giovane piantina ha sol-
tanto delle foglie semplici, lunghissime, parallelinervie. Più tardi, lungo
la nervatura mediana, si staccano perpendicolarmente a questa dei seg-
menti di foglia, che si allungano e formano la grande foglia pennato
partita.
I frutti per Io più sono abbondanti e la pianta può cominciare a
fruttificare a 3 anni, però questi regimi conviene sopprimerli alla fio-
ritura per rinforzare la pianta. Il raccolto normale comincia a circa
10 anni.
4. Clima e terreno. — II clima caratteristico per la palma è quello,
che dal mese di marzo (epoca nella quale avviene la fioritura) lino al
settembre (nel quale avviene la maturazione dei datteri) la temperatura
si mantiene elevata e l'aria secca. L'umidità dell'aria durante questo
Fig. 711.
Viale delle Palme nella ciUà di Nervi.
— 102Ó -
periodo è dannosa mentre è indispensabile che la pianta trovi nel
suolo e nel sottosuolo una costante umidità. Un detto arabo dice che
la palma vuole avere i piedi nell'acqua e la testa al sole più cocente.
Così avviene che le palme i)iù fruttifere non si trovano sulla costa
dell'Algeria, Tunisia e della Libia ma nelle oasi interne, dove c'è
deirac(|ua nel sottosuolo.
U lUv
Fig. 7V2. — Spadice della Palma.
La palma preferisce quindi i terreni freschi, profondi, molto fertili
e dove l'acqua si può dare in abbondanza mediante l'irrigazione. Dove
si difetta di acqua la palma cresce stentatamente e fruttifica poco. I ter-
reni sciolti sono preferibili. La palma da dattero é, come le palme in
genere, una pianta molto rustica. Il tronco è molto elastico e quindi
pieghevole, relativamente alla sua altezza e allo spessore, ogni foglia
è suddivisa in molte foglioline, fra l'una e l'altra delle quali il vento
G5 — T.\ir\RO - FrutticoUura.
— 1026 —
passa senza trovare resistenza : perciò la pianta può resistere anche ai
venti più l'orti. E poiché le foglie sono formate d'un tessuto molto fìtto
e forte, esse possono tollerare benissimo i terribili acquazzoni delle
pioggie tropicali, che distruggerebbero in un attimo il fogliaine delicato
delle piante dei nostri paesi. Il carattere di durezza di codeste foglie
rende anche piuttosto diffìcile l'evaporazione dei succhi, che circolano
nelle foglie stesse, sicché la pianta può resistere ai calori torridi degli
estati del deserto subtropicale senza perdite eccessive dell'acqua di cir-
colazione.
5. Varietà. — Le varietà del dattero sono parecchie e si classi-
ficano in tre categorie, distinte per la consistenza della polpa del frutto.
Si hanno i datteri molli, seminìolli e secchi.
a) I primi sono ricchissimi di zucchero, ma non si possono espor-
tare. Gli Arabi sogliono raccogliere il loro succo entro otri di pelle di
capra e li portano con sé colle carovane per nutrirsi durante i loro
viaggi. Viene chiamato miele di dattero.
b) I datteri semi molli quando sono ben maturi diventano translucidi
e sono quelli di cui si fa attivo commercio di esportazione ed il cui con-
sumo quale frutto da dessert va prendendo sempre maggiore importanza.
Per noi sono queste le varietà che meritano una speciale conside-
razione per la Libia. I cosidetti datteri della Tunisia e dell'Algeria, sotto
il qual nome ci vengono sui mercati, sono i datteri semi molli prove-
nienti dalle oasi interne del Sahara e la varietà è chiamata Deglet-Nour
o Deglat-Ennonr (dattero della luce).
Non sono molte le varietà di questa categoria, ma questa è sicura-
mente la migliore. I^e piante si distinguono per il loro portamento più
allungato, affilato, eretto e di un colore verde giallastro. Lo stipite è
slanciato e diritto: le ramificazioni del regime sono di colore giallo
jiallido. Il nocciolo del frutto non è aderente; la polpa a maturità, di-
venta di color giallo-bruno, traslucida. È molto zuccherina e di un
gusto piacevole.
A questa categoria appartiene la varietà Dalle Rhars, i cui frutti
piccoli, bruno rossastri, vengono pressati e servono all'alimentazione
delle carovane. La pianta è di rapido sviluppo (a 4 anni comincia a
fruttificare), con fogliame abbondante, di colore verde carico. Il succo
che si ricava torchiando i frutti viene consumato fresco dagli indigeni
oppure si fa fermentare e si distilla, ricavando un buon alcool.
Talvolta vengono pressati ma non tanto fortemente anche i datteri
Deglot-Noiir e si mandano in Europa.
e) I datteri .secchi hanno una importanza locale grandissima poiché
servono per l'alimentazione principale dell'arabo. Le due varietà più im-
portanti si chiamano Dalle Degla beida e Dalle Mekenlichi degla. La
polpa è poco zuccherina, secca al punto da poterla macinare e fare una
farina colla quale preparano il pane.
6. Moltiplicazione. — Si moltiplica con molta facitilà per seme o
per polloni erbacei.
- 1027 -
Naturalmente per avere dei soggetti che riproducono fedelmente
i caratteri della pianta madre bisogna ricorrere alla riproduzione per
divisione con polloni.
Anche per la palma, i soggetti ottenuti da seme ritardano a frutti-
ficare fio anni) e prevalgono i maschi.
Volendo ricavare delle nuove varietà perfezionate è evidente che
l)isogna ricorrere alla riproduzione per seme, scegliendo questo dai
soggetti migliori più vigorosi, più fruttiferi e che hanno il regime più
numeroso. Prima di seminare, ì semi si tengono in macerazione per un
4:k
Fig. 71.3. — Pollone
o Ributto di Palma.
Fig. 714.
Palma giovane attecchita a dimora.
mese. Nella selezione poi delle piantine si avrà cura di scegliere le più
vigorose, le più sollecite di sviluppo, le più precoci di maturazione.
La riproduzione per seme devesi quindi considerare una eccezione
e la regola sarà per pollone erbaceo.
I polloni erbacei vengono emessi intorno al 15" anno d'età della
pianta. Gli Arabi questi polloni li chiamano djabard (fig. 713). Essi si
sviluppano lentamente ed appena nel terzo anno dal loro sviluppo si
possono adoperare per la riproduzione.
II distacco dei polloni per ottenere il maggiore attechi mento, de-
vesi fare durante la stagione calda e cioè si comincia in marzo per
terminare in luglio. Bisogna tagliarli più vicino possibile alla loro in-
serzione poiché la pratica ha dimostrato che il maggior numero di ra-
- 1028 -
dici si sviluppa vicino al taglio. Questa operazione si fa coU'aiuto di
un falcetto. Appena distaccato, al pollone si ripulisce il taglio, si tagliano
tutte le foglie alla base, lasciando soltanto quelle poche centrali e quindi
lo si pianta subito in un vivajo irrigabile, a m. 1.50 per lato riparando
il ])ollone dal sole, con dei ripari trasversali.
Fig. 71Ó. — Palma del dattero dopo 4 anni dell' impianto a dimora.
Il pollone si lascia nel vivajo per un anno od un anno e mezzo e
quindi si colloca a dimora.
7. Coltivazione. — L'impianto a dimora si fa collocando le giovani
piantine a m. 5 o 6 per lato (figg. 714-715). Gli indigeni sogliono collocare
i polloni direttamente a dimora appena tagliati, senza tenerli prima nel
vivajo. Questa è una pratica sbagliata per quelli che devono tener conto
- 1029 -
della spesa di mano d'opera, poiché avendo le piante a distanza le cure
per ottenere l'attechiniento vengono a costare molto.
Il collocamento a dimora si fa interrando tutta la base del soggetto
poi, per proteggerlo dal sole, si piantano nel terreno contro il sole
2 o 3 foglie legandole al soggetto. Questo riparo gli Arabi lo chiamano
djerid. Le foglie si disseccano ma non marciscono per oltre un anno.
Si levano soltanto quando la pianta comincia emettere delle nuove
foglie.
Appena fatto l'impianto bisogna provvedere all'irrigazione. A tale
fine si fanno dei canaletti lungo le file delle piante per condurre l'acqua
dentro ad una cunetta del diametro di 80 cm. che si fa intorno ad ogni
pianta. Nei primi 15 giorni si irriga ogni giorno successivamente ogni
due giorni e si va cosi un po' alla volta diradando di mano in mano che
la pianta attechisce fino da arrivare al turno normale di irrigazione
che è di 15 giorni. Ne risulla che si pianteranno in una sola volta sol-
tanto tante piante quante si possono irrigare colla capacità di acqua
disponibile del pozzo vicino. Ed è perciò che si raccomanda il vivajo,
a risparmio di acqua, poiché alla pianta già radicata occorre l'irriga-
zione intensiva per un tempo molto più bi-eve.
Quando le piante sono adulte, l'irrigazione assicura i prodotti. In
alcuni luoghi dall'ottobre al gennaio si fanno due sole irrigazioni con
3 m.^ di acqua per pianta, da febbraio a maggio, si irriga 5 volle con
la stessa quantità d'acqua e da giugno a settembre, si irriga anche 15
volte, impiegando 70 a 75 m.^ per pianta all'anno.
Oltre l'irrigazione sono poche le cure di coltivazione. Gli Arabi
usano levare le foglie della base di mano in mano che il fusto si eleva.
Questa è una pratica errata poiché le foglie sono gli organi che con-
tribuiscono maggiormente alla vigoria della pianta. Sarà bene limitarsi
invece ad allontanare le foglie secche.
Le culture intercalari di erba medica, orzo, ecc. non sono vantaggiose
se al più non si hanno a disposizione dei concimi che provvedono ge-
nerosamente a mantenere la fertilità del terreno. La concimazione del
resto è sempre vantaggiosa anche colle sole palme ma il migliore con-
cime é lo stallatico corretto con dei perfosfati poiché generalmente le
sabbie del deserto sono povere di anidride fosforica.
Le varietà Rhars fruttificano prima delle altre cioè all'età di 3 a 4
anni, mentre le Deglet-Nour soltanto a 6-7 anni. I primi fiori sono per lo
più imperfetti, i regimi sono piccoli e conviene strapparli per non inde-
bolire la pianta. E' meglio lasciare fruttificare le piante soltanto all'età
da 8 a 12 anni, a seconda delle varietà più o meno precoci. A partire
da questa età comincia la fruttificazione col suo ciclo normale di un
anno di raccolto ed uno di riposo.
Quando in marzo-aprile cominciano a spuntare i fiori femminili
dalle spate, l'Arabo segue il loi'o sviluppo con attenzione. Appena il
regime si mostra libero egli provvede alla sua fecondazione.
In questa epoca si tagliano i regimi maschili dalle piante rispettive
— 1030 —
e si mettono in un locale asciutto, perchè si possano conservare per
tutto il periodo della fecondazione. Si dice che il polline si può ado.
perarle anche dopo due anni. In ogni caso è bene sapere che nel pe-
riodo della fecondazione si trovano da acquistare sul mercato dei re-
gimi maschili e questo è vantaggioso per i proprietari che hanno poche
piante.
La fecondazione si fa quando i fiori femminili sono apparenti e
fissando fra i regimi femminili due o tre ramificazioni del regime ma-
schile. Queste ramificazioni si fissano mediante una legatura che riu-
nisce tutti i rami del regime fecondato e si levano quando i datteri
cominciano a formarsi.
Essendo continua la fioritura questa operazione bisogna ripeterla
di mano in mano che appaiono dei nuovi regimi da fecondare.
Gli Arabi sogliono lasciare tutti i regimi femminili che nascono ed
allora avviene che all'anno successivo di abbondante fruttificazione
ne succede uno di poca produzione ed un terzo aff'atto nullo. E' meglio
invece avere una fruttificazione costante ogni anno e ciò si ottiene to-
gliendo una parte dei regimi femminili nell'anno dell'abbondanza. Cosi
si hanno anche frutti più grossi e le piante si spossano meno.
8. Raccolta ed uso dei prodotti, — La raccolta dei frutti si là a
mano, facendo salire un uomo sul fusto il quale poi dall'alto cala giù
i regimi carichi di datteri mediante una cordicella. I regimi si disten-
dono poi paralleli in una cesta. Quelli non perfettamente maturi si col-
locano separati e si portano in una stanza appendendoli al soffitto e ri-
scaldando a 25°-30'' C. In tal modo si affretta la muturazione.
Gli Arabi conservano i frutti appendendoli alle pareti, quelli desti-
nati all'esportazione si imballano in cassette.
I datteri quando sono freschi hanno un sapore più piacevole di
quando arrivano da noi.
Fra i frutti, il dattero è uno dei più ricchi di sostanze alimentari.
Contiene il 4 7o di sostanze proteiche e grassi ; il 71 % di idrato di car-
bonio, per la maggior parte in forma di zucchero. Queste cifre equi-
valgono ad un valore energetico di 300 calorie circa per ettogrammo,
pari a quello delle lenti, del miele, del pisello e maggiore di quello
del pane. La carne magra fornisce a parità di peso un numero di ca-
lorie 3 volte minore ed è meno digeribile ; la carne grassa possiede un
valore energetico eguale ma è pure meno digeribile.
II dolt. Clerici a proposito del dattero ha scritto un brillante arti-
colo sul Corriere della Sera (1° febbraio 1!)12; del quale riporto la con-
clusione .
" Ha grande importanza anche il fatto che la maggior parte del
valore alimentare del dattero è costituita dalla presenza dello zucchero.
Lo zucchero è fra gli alimenti quello che più facilmente provvede la
energia muscolare mentre dà assai poco da fare alle funzioni della co-
sidelta terza digestione; in altri termini le trasformazioni ch'esso su-
bisce nell'organismo per diventare atto a fornire l'energia muscolare
- 1031 -
sono rapide e semplici. Ne segue che il dattero è specialmente indicato
per la nutrizione di quelle popolazioni che, come le popolazioni no-
madi, devono sopportare gli sforzi delle lunghe marce pur risparmiando
insieme l'attività degli organi interni e soprattutto degli organi digerenti.
Ma le qualità igieniche del dattero sono d'applicazione generale, sicché
esso potrebbe figurare con vantaggio nel regime di qualunque popola-
zione, in qualunque plaga del globo.
'■ Vi sono due specie di datteri, quelli molli e quelli secchi. I dat-
teri, che vengono importati in Italia, sono molli. Ma i più molli son
cosi delicati, che non sopporterebbero lo strapazzo del trasporto, quindi
vengono consumati sul posto, e pur colà costituiscono uno dei cibi più
lussuosi.
" 1 datleri secchi, detti così perchè diventano secchi subito dopo
che sono stali colti, contengono una quantità di zucchero un po' mi-
nore di quella contenuta dai datteri molli, ma sono anch'i ssi assai nu-
trienti ed hanno il vantaggio di essere assai resistenti. Son dessi che
formano il fondo del regime degli abitanti delle oasi, che se ne servono
come noi facciamo col pane.
" Delle tradizioni culturali eccellenti hanno dato luogo nell'Africa
settentrionale alla produzione di un numero enorme di varietà distinte
— più che un centinaio — , che presentano i caratteri più squisiti di
adattamento alle condizioni di clima e di irrigazione delle varie oasi.
Parimenti il dattero stesso vien preparato in modi molto diversi a se-
conda che dev'esser consumato sul posto o deve servire di provvigione
durante un viaggio di carovana o ad una spedizione militare. Cosi i
datteri vengono non di rado preparati in focacce, le quali diventano
cosi dure che devono venir fatte a pezzi con una piccola scure: in
questa forma condensata essi assumono una ricchezza nutritiva, che li
rende assai adatti come provvigione di scorta per le lunghe corse nel
deserto.
" Naturalmente i datteri conservano tutte le loro qualità intrinseche
anche se vengono importati nei nostri paesi, dove possono benissimo
— quanto a salubrità e a ricchezza nutritizia — entrare in concorrenza
così colle specie più pregiate dei frutti indigeni, come cogli altri fruiti
d'importazione, ad esempio colle banane. Per questo rispetto è certo
che la conquista tripolina verrà a diffondere grandemente l'uso di essi
anche nelle popolazioni nostre, con vantaggio non piccolo dell' igiene
dell'alimentazione „.
Nelle condizioni ordinarie, per stimare la produzione media annuale
della palma, bisogna tener conto del prodotto di un triennio. Natural-
mente la quantità del prodotto dipende molto dalla varietà.
Per esempio per la varietà Deglet-Nour (dattero della luce) l'anno
della fruttificazione abbondante dà almeiio 5 o 6 regimi che pesano in
media ciascuno 4 kg., quindi in totale 20 kg.
Nell'anno successivo il prodotto si riduce della metà, ossia 10 kg.
Nel terzo anno il prodotto è nullo.
— 1032 -
In tal modo il prodotto medio per anno si può calcolare di 10 kg.
Ci possono essere dei soggetti che danno prodotti più rilevanti ma
sono eccezioni.
I datteri secchi danno un prodotto triplo, valgono però meno. Di-
fatti i datteri secchi si pagano in media 20 L. il Q.^'^ e quelli molli
L. 50 e più.
Tenuto conto della mano d'opera, si può calcolare che ogni palma
in produzione dà un prodotto medio per anno di L. 3 a 4.
Degli altri prodotti della palma, abbiamo già parlato nel Gap. II.
a) Malattie e danni sulle foglie. — 1. Annerimento delle foglie:
Coniothy riunì palmarnm.
2. Le foglie prendono un colore grigio e poi bruno, con delle
pustole aventi dei concettacoli neri, emisferici: Peslalozia plioenicis.
b) Malattie e danni sui fiori e frutti. — Boslrichus daclyliperda,
la cui femmina depone le uova nella infiorescenza o sul frutto ancor
verde, ed il bruco si nutre poi dei fiori o del nocciolo.
PASSIFLORE A FRUTTI DOLCI
Nome volgare francese — Grenadille comestible.
1. Origine. — America intertropicale.
2. Specie botaniche coltivate. — 1. Pasiflora qnadrangolarts, la
Barbadine dei F'rancesi, produce dei frutti della grossezza di una noce
di cocco. Somigliano a delle piccole zucche. Si riconoscono per il frutto
angoloso, per le foglie intere verdi pallide e per la grossezza dei
frutti, i più grossi del genere, che fanno un beli' efletlo ornamentale.
Si adopera la polpa che avvolge i semi alla quale si aggiunge del
vino Madera o del vino bianco. La polpa serve anche a fare delle
composte.
2. Passiflora laiirifolia, si distingue dalla precedente per le foglie
trilobate, di color verde carico, lucente nella pagine superiore. I frutti
sono sferici, hanno la grossezza di un uovo di gallina, gialli a matura-
zione. Il pericarpio è grosso ed abbastanza duro. L'interno racchiude
una grande quantità di piccoli semi, contornati da polpa gialla di un
gusto un po' acido piacevole.
I frutti si consumano spappolando i semi colla polpa che li av-
volge, nell'acqua zuccherata, facendo una specie di limonata che è rin-
frescante.
Questa pianta dà ogni anno una notevole quntità di frutti.
L'illustrazione che riporto è presa da un frutto colto sopra piante
denominale Passiflora edidis (fìgg 716-717) dello stabilimento di fiori-
coltura Ballini di S. Ilario Ligure. Esso aveva la buccia coriacea di co-
lore rosso violetto leggermente fragrante, grossa 2-3 mm., con semi
— 1033 -
neri, ovali non più lunghi di 2 mm. Il gusto piccante della polpa
ricorda quello delle fragole, ina un po' astrigente. I semi stanno uniti
Fig. 716. — Passillora ediilis: Ramo col fruito e fiore.
lungo un asse mediano, e lateral-
mente sono attaccati alle pareti
della cavità interna del guscio, di-
visa in 3 carpelli.
La varietà conosciuta sotto il
nome di Passiflora lanrifolia vai:
linifoUa è migliore ; il pericarpio
è più sottile , la poli)a più fra-
grante.
3. Coltivazione. — Le passiflore
si coltivano per ornamento, quali
piante rampicanti e per il frutto.
Poco esigenti per il terreno, si
mol'" ^licano per seme e per talea
Vege.alio rapidamente e fruttificano
alla fin*' del primo anno. Sono mollo
produttive ed i frutti maturano dal-
l'agosto al novembre.
Iva pianta può vivere sino a 3') anni.
Fig. 717. — Spaccalo del
e flore della Passiflora
- 1034 —
PAVIA DOLCE
(Pavia dulcis — Fani. Sapindacee).
Nome uolfiure francese — Pavier doux, à grand épis, naiii.
Questa pianta ci viene dall'America settentrionale. E' un albero che
Tia molta analogia col castagno d'India e dà in luglio ed agosto i suoi
fiori bianchi odorosi a grappoli. A questi succedono delle castagne che
sono buone crude e cotte.
Il Pavia ama un terreno fresco e leggero, un'esposizione fra mez-
zogiorno e levante o ponente. Si può moltiplicare per margotta, per
polloni rimessiticci delle radici e per seme. Le margotte si fanno in
primavera per incisione ed attechisctmo con facilità; i polloni si stac-
cano in autunno o primavera. La semina si fa come per il castagno,
ossia si stratilicano le castagne in autunno per seminarle in primavera.
Nell'anno successivo si separano le piante ben riuscite, trapiantandole
col pane di terra e si mettono a dimora.
Collocate nel posto definitivo, queste piante non reclamano cure
particolari; al più conviene riparare le radici dai freddi troppo intensi,
coprendo il terreno con paglia.
Il Pavia produce i frutti all'estremità dei rami dell'anno precedente;
quindi qualsiasi potatura andrebbe a danno della produzione.
PERSEA GRATISSIMA
(Persea gratissima Goertu. — Fam. Lauracee).
Nome voUjare francese — Avocatier, Persee.
Bibliografia — I. Dybowski — Traile pratique des cultures tropicales
— Paris 1902.
1. Origine della pianta e sua diffusione. — Originaria dell'America
tropicale e delle Antille. Ora però si è difl'usa in tutte le colonie e si
sarebbe diffusa anche di più se i semi non perdessero tanto presto la
facoltà germinativa. Vi sarà un grande interesse di propagare questo
albero su tutta la nostra costa Mediterranea, dove anche la temperatura
discende d' inverno intorno a zero gradi, perchè rusticissima, di fa-
cile riproduzione per seme ed i frutti saranno sempre più ricercati sul
mercato nazionale e internazionale qualora si saranno fatti conoscere
ed apprezzare.
2. Caratteri botanici e descrizione. — E' un bell'albero di 8 a 15
(fìg. 718) metri di altezza, di rapida crescila. Il suo tronco è diritto con
corteccia verde chiara quando è giovane e poi grigia diventando adulto,
ma sempre liscia. Rami (lìg. 719) eretti con foglie persistenti, lunghe
1035 -
20-30 cm., larghe 8 a 10, alterne, coriacee, interne, ovali, accuminate, di
color verde carico formante una fronda ovoidale e raramente globu-
losa. Infiorescenza a panicolo assilare o terminale, con fiori picoli (fìg. 720).
I frutti sono drupe, globose o allungate, liscie della grossezza e forma
di (fìg, 721) una pera (Poire d'avocat) e sono, secondo le varietà, di color
verde carico o violacee a maturazione, il che avviene dall'ottobre al gen-
naio. La polpa, abbastanza consistente, è protetta da una pellicola sot-
tile, verdastra. Di sapore finissimo che ricorda quello delle nocciuole,
butirrosa, liquescente, si può com-
parare al burro vegetale. Il frutto
racchiude un solo nocciolo, grosso,
globuloso e protetto da un guscio
sottile ma duro, ripieno di un succo
m:r
Fig. 718. — Albero di Persea della R. .Scuola
Agricola coloniale di .St. Ilario.
Fig. 719.
Dettaglio della fronda.
lattiginoso. Questi frutti si mangiano come antipasto. Nelle Antille i
creoli li mangiano colla carne e sugo di limone.
3. Varietà. — Esistono più varietà di Pemea: a frullo violetto uerde,
rosso e verde a fruito grosso. Si preferiscono le varietà dal frutto più
voluminoso. Vi sono delle varietà il cui frutto pesa 400-450 gr. Nell'Al-
geria si consiglia la varietà a frutto rosso.
4. Coltivazione. — E' necessaria una esposizione calda e riparala;
un terreno fertile e profondo ; irrigazioni frequenti durante l'estate e
delle sarchiature.
Si può moltiplicare per seme e talea.
II seme mantiene per 3 settimane la facoltà germinativa, ma doven-
- 1036 —
dolo spedire si deve usare molta precauzione stratificandolo colla
segatura di legno. Si abbia cura che arrivi presto.
Fig. 720. — Ramo a frutto e spaccato del frutto di Persea.
Fig. 721. — Frullo di Fersea.
Si può riprodurre anche per talea, adoperando dei rami semi-le-
gnosi, sotto vetro.
Le piantine ottenute sia per seme che per talea si trapiantano nel
vivajo dove si lasciano per 2 anni. Giunto il momento del trapianto si
- 1037 -
scava intorno alla pianta ad una distanza di 25 cm. un fossatello per
tagliare le radici e poi si riempie il fossatello con acqua. Due settimane
o tre dopo si fa l'estirpazione e l' impianto a dimora.
Se r impianto ha uno scopo ornamentale, la distanza che si lascia
fra pianta e pianta è di 10 m. Se invece la sua coltura ha uno scopo indu-
striale allora si fanno dei frutteti collocando le piante a 5 m. di distanza.
L'albero cresce rapidamente e comincia a fruttificare dopo il quarto
o quinto anno. Non si distingue per una copiosa fruttificazione come i
nostri peri e meli, ma questa è però costante.
Nei paesi tropicali comincia a fiorire prima della stagione delle
pioggie ed i frutti maturano in 4-5 mesi.
5. Raccolta dei frutti e usi. — La raccolta dei frutti devesi fare
quando questi cominciano a cambiare di colore, per le varietà violette
e quando diventano più chiare di colore, quelle verdi. Bisogna evitare
che i frutti cadono a terra poiché sono delicati e se contusi marci-
scono presto.
Alle Antille il raccolto si fa dall'agosto a novembre, nella regione
mediterranea dall'ottobre al gennaio.
Il prezzo dei frutti varia secondo che l'albero è più o meno cono-
sciuto. Nell'isola Giammaica e Trinità si pagano Fr. 6 il cento mentre
a Parigi, dove si cominciano ad importare, si pagano da 1 a 2 Fr. l'uno.
Potendo anche realizzare un prezzo di 50 centesimi, si avrebbe un buon
reddito.
il frutto devesi consumare quando è ben maturo, il che si conosce
quando cede alla pressione del dito.
Come abbiamo visto, la polpa ha un sapore che ricorda la nocciola
e la mandorla fresca e il frutto lo si serve per antipasto. Legger-
mente salata e peppata, si stende sul pane e costituisce un alimento
gradito. Volendo servire per dessert, i fruiti bisogna zuccherarli ed ac-
comodarli con del rhum, Kirschwasser, o vino di Madera. Ha fama di
essere afrodisiaco ed avere proprietà abortive.
In America con l'olio estratto dalla polpa si fabbrica un sapone.
Contiene il 17 % di grassi.
I frutti si imballano, avvolti con carta, in cassette basse ad uno
strato, con della segatura di legno. Per ritardare la loro maturazione
si possono tenere nei frigoriferi alla temperatura di -f- 2" C.
PSIDIO
(Psidium sp. — Fani. Mirlacee).
Nomi volgari slranìeri della pianla — Frane: Goyaviere — Ted. Gu-
javabaum — Ingl. Guava.
Bibliografia — I. D3bo\vski — Traité pratique des cultures tropicales
— Paris 1902.
— 1038 —
H. lunielle — Les cullures coloniales — Paris 1900.
D/ G Sauvaigo — Les cultures sur le lìttoral de Mediterranée —
Paris 1894.
1. Origine. — Indigeno dell'America centrale, si trova dal Messico
al Brasile. Appartiene quindi alla zona intertropicale ma si estende anche
più al nord.
2. Specie botaniche coltivate. — Le specie più raccomandate per
i loro frutti e che danno i migliori risultati sul bacino del Mediterraneo
sono le seguenti : Psidium Cattlej^anum Sabin. e P. Guyava Raddi.
a) Psidium Catileyanum Sabin. (Psidio di Cattley, Psidio a frutti
purpurei, Psidio della China). Piccolo albero con chioma ricca o ce-
spuglio, rusticissimo, più di tutti i suoi congeneri. 1 suoi frutti che ma-
turano in Liguria alla fine di luglio, sono di color rosso vinoso, della
forma e grandezza di una ciliegia duracina. La polpa è rosso purpurea,
più chiara verso il centro, del sapore di prugna, dolciastro, mucillagi-
noso intorno al nocciuolo che ha la grossezza di quello della ciliegia.
Può servire per preparare delle confetture. Si moltiplica facilmente
per talea. Le foglie persistenti, assomigliano a quelle del pesco, però
ingrandite, e sono piuttosto consistenti. La pianta ha un beli' aspetto
può servire anche per ornamento nei giardini.
b) Psidium Guyava Raddi. (Psidio giallo, Psidio comune, Pero delle
Indie, Psidio bianco). Si trova nelle Antille e nel Brasile, allo stato spon-
taneo.
Linneo ed altri autori dopo il Raddi che fece degli studi speciali
sul genere Psidium, ammisero l'esistenza di due specie di Psidium pro-
priamente detto o Guyava e cioè il (fig. 722) Psidium pomiferum L. in
italiano chiamato da alcuni Pomo delle Indie ed il Psidium pyriferum L.
o Pero delle Indie ((ìg. 723).
La differenza principale tra queste due specie risiede nella forma
del frutto come lo indica la stessa denominazione e nel colore della
polpa. Il Psidium pomiferum ha i frutti associati a 2 o 3. Il frutto è
arrotondato, ovoidale con polpa rossa profumata leggermente di fragola,
il Psidium pyriferum ha il flutto più isolato, più allungato, in forma
di pera, con polpa bianca o rosea.
Ma questi non sono caratteri sufficienti per formare due S])ecie di-
stinte, sono due tipi (issi appartenenti alla medesima specie. Del resto
anche il Raddi alTerma, di avere trovato nel Brasile dove l'albero cresce
selvatico e si moltiplica da sé, dei soggetti promisqui che danno dei
frutti con tutte le forme e caratteri intermediari fra i due tipi.
Lo psidio può raggiungere anche (5 m. di altezza (nell'Italia meri-
dionale però raggiunge 3 m.) e prende una forma di arbusto, con rami
piuttosto divaricati. La scorza del tronco è liscia, verde-rossastra, sot-
tile, molto aderente ma che poi si distacca facilmente, appena abbattuto
r albero.
I rami portano delle foglie opposte specialmente all'estremità, (juasi
sessili, ovali e cordiformi alla base, grosse, intere, persistenti per poco
— 1039 -
più di un anno, poi le foglie vecchie cadono. Superiormente sono di
un bel colorito verde, disseminate da pori trasparenti e nella pagina
inferiore sono di colore più sbiadilo e leggermente tomentose lungo
le nervature.
I fiori solitari o per 2 o 3, crescono all'ascella delle foglie. Sono
bianchi o leggermente rosati, col calice aderente all'ovario più o meno
odorosi. (Hi stami sono molti, inseriti su di un disco che parte dall'asse
e tappezza l' interno del calice. Il frutto è una bacca giallastra o rossa,
mollo odorosa, della grossezza circa di un piccolo limone, coronato
dal calice come la nespola. La polpa è zuccherina, acidula, profumata
Psidiuin pomiferuni.
Fig. 72.'?. - Psidium pyrifeniiii
e succolenta. I frutti si trovano raramente a due a due riuniti all'ascella
delle foglie ed all'estremità dei rami, irregolarmente messi.
I semi sono numerosi, durissimi.
In America si sono formate molte varietà di questo Psidio, che si
distinguono per lo più per la grossezza del frutto, per il suo sapore e
per il colore.
3. Importanza della coltivazione. — Per la facilità della sua col-
tivazione, per la rapidità ed abbondanza della fruttificazione, per le
buone qualità dei suoi frutti i quali, senza essere di primissima qualità
pure meritano di figurare in qualunque tavola, lo psidio si diffuse anche
nel bacino del Mediterraneo. Lo si coltiva con successo nell'Algeria ed
in alcune località riparale della Provenza, a S. Remo, a Napoli, in Si-
cilia ed in Sardegna.
4. Clima ed area di coltivazione. — Nella Guadelupa lo psidio si
trova fino a 700 m. di altitudine. E' un albero molto rustico, ma dà
1 frutti migliori nelle zone con pioggie moderate.
- 1040 —
Da noi in Liguria, il Guyava fiorisce in luglio ed il frutto matura
dal seltembre-ollobre al gennaio.
In Liguria non è tanto esteso quanto al di là di San Remo lungo
la Costa Azzurra.
Come riesce bene nel"Algeria e Tunisia, dove ha una fruttificazione
abbondante e regolare, così si potrà coltivarlo con vantaggio nella
Libia.
5. Coltivazione. — Per prosperare nella Liguria, in Sardegna e Si-
cilia é necessario un terreno sciolto, caldo, molto fertile, da giardino,
irrigatorio, ed una esposizione molto calda. Anzi bisognerà seminarlo
in vasi e trapiantarlo in marzo, in piena terra.
Nella Libia si potrà seminarlo all'aperto nel semenzajo ; quando le
piante hanno emesso il terzo pajo di foglie, si trapiantano nella pian-
tonaja, collocandole alla distanza di 25 cm. in tutti i sensi.
In un anno si ottengono già delle piante di 1 m. di altezza ben ra-
mificate alla base, che si possono collocare a dimora alla distanza di
4 m. per lato.
La fruttificazione comincia nel terzo anno ed è sempre abbondante
e regolare.
Si può anche moltiplicare avendo qualche varietà speciale da ri-
produrre per talea e per innesto, sopra dei soggetti ottenuti da seme
o sul mirto.
Quando le pioggie sono abbondanti, è necessaria la concimazione.
Per T irrigazione è meno esigente degli agrumi.
La pianta tende generalmente ad elevarsi e perciò conviene, sic-
come non tollera i tagli forti, abbassarla ogni due o tre anni. Questo
taglio di ringiovanimento si fa un mese prima della fioritura.
6. Eaccolta dei frutti ed usi. — A cominciare dal terzo anno, si
può calcolare sopra un prodotto di 6-8 kg. di frutta per pianta.
La produzione però aumenta in seguito e può arrivare alla media di
25 kg. per pianta.
I frutti si mangiano crudi, dopo averli sbucciati e tagliati per eslrarre
i semi. Si servono in tavola zuccherati e conditi con del cognac o kirsch,
come si trattasse di fragole.
Si preparano anche confetture, gelatine e mostarde.
I frutti, tanto poco conosciuti in Europa, si possono agevolmente
spedire, curando l'imballaggio, avvolgendoli cioè con carta velina e
frammettendo fra i frutti della segatura di legno.
PARTE UNDECIMA
PIANTE DA BOSCO A FRUTTO
COMMESTIBILE
BAGOLARO
(Celtis Australis Linn. — Fani. UlinaceeJ.
Nomi volgavi italiani della pianla — Fraggiracolo, Giracelo, Spac-
casassi p. err., Arcidiavolo, Bagatto, Buceràta, Fraggiraco, Frassignuolo,
Legno da racchelle, Loto p. err, Loto ciliegino, Perlaro.
Nome volgare italiano del frutto — Bagole.
Nomi volgari stranieri del frutto — Frane: Micocoulier — Ted. :
Ziirgelbauni.
1. Caratteri botanici della pianta. — Albero assai grande che rag-
giunge l'altezza di 15 a 18 metri con un diametro di 50-60 cm. ed anche
di m. 1. Chioma folta, ricca di rami e di ramoscelli che producono
molta ombra.
Radici molto robuste, profonde, estese anche superficialmente e
capaci di dare molti polloni, se il tronco viene reciso.
Tronco diritto, assai ramoso; l'ami grossi, tortuosi, molto divergenti.
Corteccia unita e cenerognola, qua e là tubercolosa o che si fende in
slriscie longitudinali quando è adulta.
Gemme conico-schiacciate, riunite a tre a tre all'ascella delle foglie,
aderente ai rami.
Foglie distiche, con picciolo breve (5-10 mm.) ovali-lanceolate,
lungamente acuminate, irregolarmente seghettate, ma con base intera,
non simmetrica, percorse da 3 nervature principali, scabre sulla pagina
superiore, pubescenti e molli nella pagina inferiore.
I fiori sono solitari, posti su di un lungo peduncolo, piccoli, bianco-
giallognoli, e si trovano all'ascella delle foglie dei ramoscelli dell'anno
in corso.
CG — Tamaho - Fnitticolliira.
- 1042 -
Il fruito è una drupa piccola come un pisello, rotonda, di color
nero a maturità, con polpa zuccherina, mangiereccia, con nocciolo
osseo.
2. Importanza della coltivazione. — 11 bagolaro è una pianta della
quale si utilizzano i frutti soltanto in via secondaria; si coltiva pel suo
legno.
3. Sistemi di coltivazione. — Si educa tanto ad alto fusto come a
ceduo. Forma boschetti e lo si moltiplica seminando od anche trapian-
tando le piantine nei vivai. La coltura del bagolaro è da raccoman-
darsi ai piccoli proprietari, come la più proficua. Si presta ad arborare
margini di boschi e colti per sostegno, alle viti e per abbellire parchi
e giardini. Nell'Italia settentrionale, specialmente nel Bresciano e nel
Bergamasco, viene abbastanza estesamente coltivato.
Con questo albero si fiinno dei filari di ornamento nei pubblici
passeggi esposti ai venti marini.
Il ceduo viene tagliato ogni 10-12 anni, ed a capitozza ogni 3-4 anni.
Da solo non forma mai dei boschi.
4. Clima ed esposizione. — È una pianta lucivaga, che resiste ai
freddi ed alla siccità, ma non ai geli. Predilige le pianure e le basse
colline, però riesce anche nelle montagne. Prospera nelle esposizioni
solatie, ma fa bene anche nelle esposizioni a bacìo.
5. Terreno. — Vive in qualunque terreno, perfino nelle fessure
delle rupi, ove arriva a fruttificare. Ama un terreno fertile e profondo,
con elemento calcare o sabbioso prevalente, ma si accontenta sempre
purché non vi sia troppa umidità.
6. Moltiplicazione. — Si propaga coU'affidare i semi nel semenzaio,
oppure anche per mezzo dei rimessiticci delle radici. Si moltiplica
anche per innesto a gemma in agosto.
7. Caratteri vegetativi. — Seminando in autunno, i semi germi-
nano nella primavera successiva; mn, seminando in primavera, rimangono
nel terreno uno o due anni prima di germinare. La pianticella riesce
robusta fin dal primo anno. Fruttifica precocemente, ma le fruttifica-
zioni abbondanti si seguono intermittentemente e senza regola. Il siste-
ma radicale è potente ed esteso, si rimette vigorosamente si dal ceppo
che dalle radici. Le ceppale sono longeve. La pianta impiega circa 150
anni per arrivare al suo intero accrescimento ; nei primi 40 anni cre-
sce con molta prestezza, ma poi lentamente e diventa antichissimo. Le
gemme germogliano in aprile e maggio, e cioè in un'epoca che precede
poco quella della fioritura. 11 frutto matura in ottobre e novembre,
diventando nero, e cade a terra durante l'inverno. Le foglie cadono
nell'autunno avanzato.
8. Prodotti. — Il bagolaro non possiede alburno distinto. 11 suo
legno è di un color bianco-sordido, duro, compatto, pesante e, dopo
l'ebano ed il bossolo, è preferibile ad ogni altro per purezza e beltà.
Non va soggetto ai danni del tarlo, resiste lungamente anche se esposto
alle intemi)erie e si piega con facilità senza rompersi. Queste qualità
— 1043 —
si adoperano per fare ottimi timoni àa carri, pezzi di ruote, cerchi,
pali, tridenti e manichi di fruste. La mancanza di questo legname si fa
sempre più sentire.
I frutti sono mangerecci, ma alquanto lassativi. Alcuni hanno cre-
duto che fosse il cibo degli antichi Lotofagi. Dai noccioli si può estrarre
un olio dolce da tavola.
La scorza e le radici si adoperano per tingere in giallo.
Le foglie somministrano un buon foraggio.
CIAVARDELLO
(Sorbus torminalis Crantz. — Fam. Rosacee).
Nomi volgari italiani della pianta — Baccarello, Mangiarello, Sorbo
tonninale del Mattioli.
Nomi volgari italiani del frutto — Brincola nell'Istria, Ciavardella,
(^liabardella, Sorba delle Alpi.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane. : Alisier des bois —
Ted. : Essbeerbaum — Ingl. Wild Servicetree.
1. Origine. — Il sorbo ciavardello è pianta dell'Europa centrale e
non va più in su dell'Inghilterra. In Italia è piuttosto raro e si trova
nella regione del faggio ed anche nei quercili del Veneto.
2. Caratteri botanici della pianta. — D'ordinario è un arboscello;
ma cresce anche ad albero, e in circostanze favorevoli oltrepassa i 10
metri di altezza (fig. 724).
Radici lunghe a fittone, ramose e molto dilatate oltre che profonde.
Il fusto è diritto, molto ramoso, coi rami alterni, lunghi, disordinati.
Ha il tronco e i rami vecchi colla corteccia grigia, finemente screpo-
lata, di color bruno rossigno macchiato di bianco. I rami giovani sono
coperti di una corteccia rosso-bruna, leggermente lanugginosa. Legno
bianco-giallognolo, assai compatto e pesante.
Le gemme sono grandi, ovali-ottuse, verdi, lucenti, glabre ; gli orli
delle perule color castano e bianco tomentose.
Le foglie sono alterne, picciolate, larghe, ovate, divise in 7 a 9 inci-
sioni a cuspide, dentate a sega e inegualmente al margine, d'un verde
scuro e lucido di sopra, pallide di sotto, lanugginose in primavera ed
in autunno rosseggianti.
I fiori sono ermafroditi, bianchi, di odore disaggradevole (fig. 725),
uniti in corimbi composti che si trovano all'estremità dei rami.
I frutti sono di forma elittica, umbilicati alla sommità, di color
ruggine di ferro, punteggiati di bianco e somigliano alle sorbe. 600
bacche pesano 1 kg.
3. Clima ed esposizione. — Vegeta in tutte le esposizioni, e così
pure fa bene in piano, sul colle e sulla montagna. Sopporta più
- 1044 -
ombra del sorbo domestico, resiste ai venti ed ai geli, ma soffre per
il caldo e per i colpi di sole.
4. Terreno. — Più esigente è per il terreno. Rifugge il suolo sili-
ceo ed umido, ama i terreni forti e freschi, predilige i calcari e con-
chigliferi.
Fig. 724. — Ciavardello.
5. Moltiplicazione. — Si fa per seme, affidandolo al terreno appena
raccolti i frutti, altrimenti perde la facoltà germinativa. I semi si met-
tono profondi 15 cm. almeno e dopo 0 mesi, e più comunemente dopo
18 mesi, nascono le pianticelle, che indi si possono trasportare dal
quinto al quindicesimo anno. Si può moltiplicare anche per polloni.
6. Caratteri vegetativi. — Fiorisce in maggio, matura in settembre
e le foglie cadono dall'ottobre in avanti II Ciavardello è una pianta
- 1045 —
di lenta crescita, impiega più di 60 anni per arrivare al massimo suo
sviluppo e vive molto più lungamente. Dà frutto dopo 25 o 30 anni.
7. Coltivazione. — Questa è più una pianta da bosco che da frutto,
e nessuno la coltiva a quest'ultimo scopo. L'ho descritta perchè i suoi
frutti sono commestibili ed abbastanza apprezzati.
Non forma mai da per sé sola dei boschi. Soffre il taglio del tronco
e dei rami, e come ceduo, deve essere tagliato ogni 15-20 anni. Si ri-
mette modestamente e solo dal ceppo.
Per la sua lenta crescita e per la sua esigenza riguardo al terreno
viene poco coltivato.
Fig 725.
Fiori e frutti del Ciavardello.
8. Prodotti. — Il SUO legno avendo il vantaggio di non contorcersi
allatto, è molto stimato dai fabbricanti di istrumenti musicali e d'arnesi
di precisione.
I frutti, ammezziti, hanno un sapore dolce, gustoso, ma sono indi-
gesti. Coi frutti fermentati e distillati si ottiene uno spirito di ottimo
gusto ed anche dell'aceto. Le foglie si danno fresche e secche alle capre.
Colla corteccia e col legno si possono ottenere varie tinture pei panni.
1046 -
CORBEZZOLO
(Arbutus unedu Limi. — Fani. Ericacee).
Nomi volgari italiani della pianta — Albatro, Arbuto, Arbutello,
Albatrello, Albatresto, Grossale rosso, Pomin rosso, Cornolaro, Armon,
Cerasa marina, Cuccumarra, Miriaculi, Olioni, Orscello.
Nomi volgari italiani del frutto — Albatrella, Corbezzola, Ciliegia
marina, Uva d'orso, Uva orsina, Pan d'orso, Albatra.
Nomi volgari stranieri della pianta. — Frane: Arbousiet commun —
Ted. : Gemeiner Erdbeerbaum — Ingl. : Strawberry tree.
1. Caratteri botanici. — Arboscello di 5 a 6 ni. di altezza, sempre
verde, molto ramoso.
Le radici si dilatano in largo e approfondiscono poco.
Rametti numerosi, di color rossiccio e cotonosi, con scorza scabra,
screpolata, rossastra e con macchie di color bigio-bruno.
Foglie alterne, con picciolo breve, rosso, molto vicine fra loro,
ovate, lanceolate, ottuse, dentate, glabre, coriacee, di un verde scuro
e lucide al di sopra, più pallide nella pagina inferiore. Lunghezza 6-9
cm. ; larghezza 2-3 cni.
Fiori ermafroditi, foggiati a campanellini, bianchi o leggermente
rosei, raccolti in racemi pendul all'estremità dei rami. Calice a cinque
denti, corolla ovata colla base luccicante.
1 frutti consistono in bacche globose, verrucose, superiori al calice
con 5 lobi e molti semi. Quando hanno raggiunta la completa maturità
sono di un bel color rosso vivo. Da principio sono verdi e poi gialle
(fig. 726).
2. Moltiplicazione. — Si affidano i semi in autunno in un terreno
soleggiato, sciolto, posto in situazione ove non geli che poco o di rado
alla profondità di 2 cm. Nel principio del successivo estate, e molte
volte soltanto nella seconda primavera nascono le pianticelle, le quali si
possono trapiantare dal terzo e settimo anno. Si può seminarlo anche
nella primavera. I semi mantengono per 6 mesi la facoltà germinativa.
Si propaga pure molto facilmente, come fanno i Provenzali, per mezzo
delle messe delle radici e per marze, alle quali si lascia sempre attac-
cato un poco di legno vecchio. Si innesta per approssimazione d'estate
con soggetti di due anni.
3. Caratteri vegetativi. — È un frutice comunissimo nella Pro-
venza e da noi vegeta assai bene ne' luoghi soleggiati di collina, par-
ticolarmente nella Liguria, nel Friuli, in Carniola, al monte Fosca o
altrove. Molto dilluso è in Istria e Dalmazia.
Matura in agosto e settembre e fiorisce d'inverno.
- 1047 -
4. Coltivazione. — Cresce nei luoghi aridi e secchi delle regioni
più calde del nostro paese, e siccome non raggiunge che rarissime
volle delle dimensioni considerevoli, l'uso anche del suo legname è
molto limitato.
5. Prodotti. — Le capre amano moltissimo le giovani messe; varie
specie di uccelli si cibano delle bacche, le quali vengono consumale
Fig. 726. - Fiori e frutti del Corbezzolo.
anche da noi per frutti, ma riescono di difficile digestione. Il legno
può servire per minuti lavori; abbruccia bene, dando bella fiamma.
Tutta la pianta potrebbe venire messa a profitto per conciar le pelli
e per estrarre varie tinture.
1 frutti vengono anche fatti fermentare e poi si distillano per rica-
varne un'acquavite.
— 1048 —
CORNIOLO
(Cornus mas L. — l'am. Cornee).
Nomi volgari italiani della pianta — Cornio, Grognolo, Sanguine
maschio, Gorgnolo.
Nomi volgori italiani del frullo — Corniola, Gorniuola, Cornia.
Nome volgare straniero del fruito — Frane: Cornouiller comun —
Ted.: Cornei Kirschbaum — Ingl.: Cornel-tree.
1. Descrizione. — Arboscello di 2-4 m. d'altezza, con radici assai
lunghe, nodose, ramose, che vanno poco profonde nel terreno.
Tronco assai ramoso, mai diritto, con rami opposti, assai moltipli-
cati, irregolari, nodosi e disposti in varie direzioni. Nei giovani rami
la corteccia è verde, nella state è rosso-sanguigna; invecchiando diventa
grigia e screpolata.
Le foglie sono opposte, picciolate, ovali, appuntate, alquanto bian-
cheggianti, nella pagina inferiore, scabre e ruvide al tatto.
I fiori sono a mazzetto ombelli forme, di color giallo, provveduti
di breve peduncolo e spuntano prima delle foglie.
II frutto è una drupa oliviforme d'un bel rosso vivo all'interno,
racchiudente uno o due semi ossei. 11 sa|ìore del frutto è aspro dolcigno.
2. Vegetazione. — I semi del corniolo conservano per due anni la
facoltà germinativa. Nei primi 10 anni esso cresce con celerilà, ma dopo
assai lentamente. Impiega dai 30 ai 60 anni per arrivare al massimo
suo sviluppo, e vive oltre i 100. I frutti si trovano per lo più all'estre-
mità di brevi dardi che sorgono ai primi nodi dei rami di due o tre
anni, raramente su quelli di un anno.
Tab. LXXIII.
Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le
principali fasi di vegetazione del corniolo in alcune regioni d'Italia
Regioni
Fogliazione
Fioritura
Maturazione
del frutto
Caduta
delle foglie
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
I. Piemonte . . .
II. Lombardia . .
III. Veneto ....
IV. Emilia ....
V. Marche, Umbria
VI. Toscana . . .
VII. Merid. Mediter.
Aprile
Maggio
Aprile
Marzo
I
II
III
I
II
Marzo
Aprile
Marzo
Maggio
Febbraio
III
II
1
II
III
II
Settemb.
Agosto
Agosto
Settemb.
Ottobre
11
ni
II
I
Novemb.
Ottobre
Novemb.
I
111
li
3. Moltiplicazione. — Il corniolo si propaga tanto per mezzo dei
polloni delle radici, i quali si svellono in autunno, quanto affidando i
- 1049 -
semi in autunno ad un terreno qualunque, purché sciolto, ed alla por-
fondità di 3 cm. Le piantine non compaiono che nella primavera del
secondo anno. Le piante giovani si possono trapiantare con profitto
dal terzo all'ottavo anno d'età.
Le varietà a frutto commestibile, si innestano sul franco così le
varietà a frutto giallo a frutto grosso, a foglie strette o crespe appli-
cando l'innesto a corona.
4. Coltivazione. — Il corniolo può contarsi fra le piante più rus-
tiche e cresce a qualunque esposizione ed in ogni terreno. Nondimeno
preferisce i fondi calcarei, leggermente umidi ed i luoghi alquanto
ombrosi.
Si coltiva ad albero da fusto tanto pel suo legno che pei frutti.
Soffre il taglio del tronco, e lo tollera soltanto da giovane, cioè
prima che oltrepassi i 10 anni d'età. Soffre anche il faglio dei rami. 11
taglio si dei rami che del tronco si fa sempre in autunno, i)oichè la
pianta va in succo nei primi giorni di marzo.
Si fanno con esso delle siepi, le quali non si valutano gran fatto.
5. Prodotto. — Il legno è molto ricercato per lavori da tornio, dai
falegnami, dagli ebanisti, ecc. e si preferisce ad altri legni pei denti da
ruote dei molini, filatoi e simili lavori di forza. È pochissimo soggetto
al tarlo, ma non vuole l'umido. Colorito in giallo, viene venduto per
legno di bosso.
Le foglie sono buon foraggio per le capre e per le pecore. In alcuni
paesi si suol fare con esse del thè, il quale non riesce disgustoso.
I frutti immaturi, infusi nella salamoia, come le olive, sono abbas-
tanza buoni ed i tedeschi comunemente li sostituiscono a queste.
In Garniola gli abitanti raccolgono i frutti in principio di settembre,
e, dopo avervi aggiunto una sufficente quantità d'acqua, li pongono a
fermentare come le uve ed ottengono una bevanda spiritosa, piccante,
salubre.
Le foglie ed i rami si possono adoperare nella concia delle pelli e
la corteccia viene adoperata nelle tintorie delle lane, del cotone e
della seta.
6. Malattie. — (Vedi pagina 500).
CRESPINO
(Berberis vulgaris Linn. — Fam. Berberidacee).
Nomi voUjavi ilaliani della pianta — Berberi, Berbero, Crespino.
Nomi volgari italiani del fratto — Uvetta di spino, Spino acido,
Lendinina, Spina acuta. Spina santa, Spina vinella.
Nomi volgari stranieri del frutto — PYancese: Vinettier o Epine
vinette comune — Tedesco: Sauerndornstrauch o Gemeine Berberit-
hestrauch — Inglese: Berberry.
— 1050 —
1. Origine. — Cresce spontaneo nelle contrade montuose meri-
dionali e temperate d'Europa. In tutta Italia è comune nei boschi di
collina e montagna, nelle siepi e luoghi simili, in qualunque terreno
ed a qualunqe esposizione. Da noi si trova raramente coltivato nei
giardini e frutteti.
2. Caratteri. — È un frutice alto 2 m., colla radice lunga, nodosa,
assai ramosa che si espande molto profondamente nel terreno.
11 tronco è diritto, molto ramoso; i rami giovani sono diritti, va-
riegati ed incurvano invecchiando portando il frutto.
La corteccia è rugosa o liscia, di color grigio-lepre esternamente,
nell'interno carnosa, giallo-verdastra sui rami, giallo-dorata sul tronco
e sulle radici. Fra gli strati dell'alburno e della corteccia esiste una
materia estrattiva di color d' oro assai bello. La corteccia dei rami, e
segnatamente dei giovani, è armata di lunghi aculei, pungenti, solitari,
o più frequentemente ternati uniti alla loro base.
Il legno è di color giallo-dorato, specialmente al colletto ed impal-
lidisce all'aria o diviene giallo-verdastro; è duro, compatto, forte, facile
a fendersi ed a contorcersi, come pure è suscettibile di un bel pulimento.
Le foglie sono di color verde-chiaro e molte volte verdi-rossastre,
liscie superiormente e venate al disotto.
I tìori sono gialli, di odore acuto disaggradevole, hanno i petali
concavi.
I frutti sono piccole bacche unite a grappolo, ovali, oblunghe, suc-
cose, rosse o bianche o violette secondo le varietà quando sono mature,
di sapore subacido grato; contengono per lo più due semi ovato oblunghi.
3. Varietà. — Il Du Breuil accenna alle seguenti varietà di crespino :
1. Crespino comune. — Frutti poco voluminosi, rossi, molto acidi,
specialmente al Nord.
2. (Crespino bianco. — 1 cui frutti sono di colore bianco- giallastro.
3. Crespino violello. — 1 cui frutti sono di colore violetto, ed un
po' meno acidi della varietà precedente. Questa varietà verrebbe con-
sigliata ai paesi del Nord, dove il crespino comune dà frutti troppo
acidi.
4. Crespini) a foglie larghe. — I cui frutti sono di colore rosso
corallino, acidissimi ma più grossi dei precedenti.
4. Clima e terreno. — Il crespino non teme né il freddo né il caldo,
però nei climi freddi od esposizioni a nord da i fruiti più acidi.
Lo troviamo nelle terre più secche, aride, ciottolose, calcari o mar-
mose come in pianura. Preferisce i terreni leggeri e secchi.
5. Moltiplicazione. Il crespino si moltiplica per seme, per margotta
e per polloni. I semi non conservano la facoltà di germinare oltre l'anno.
La semina si fa in autunno affidando i semi in un terreno mezzana-
mente leggero e sostanzioso, e quasi supertìcialmente. Le pianticelle
spuntano nella successiva primavera, e poi possono essere trapiantate
dopo il secondo anno.
6. Caratteri vegetativi. Questa pianta nella Lombardia germoglia
— 1051 -
in aprile ed in novembre cadono le foglie. Fiorisce alla fine di maggio
e nella prima decade di giugno; i frutti maturano dalla fine d'agosto a
tutto settembre, stando sulla pianta anche fino ad autunno avanzato.
La pianta cresce con prestezza nei primi sei anni e ne impiega da
15-25 per arrivare all'intero sviluppo, vive però molto più lungamente.
Tab. LXXIV.
Quadro indicante l'epoca nella quale avvengono le principali fasi
di vegetazione del crespino, in alcune regioni d' Italia.
Regioni
Fogliazione
Fioritura
Maturazione
del frutto
Caduta
delle foglie
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
Mese
De-
cade
I. Lombardia . .
II. Veneto ....
III. I-milia ....
IV. Marche, Umbria
V. Toscana . . .
VI. Merid. Adriatica
VII. Merid. Mediterr.
Aprile
Marzo
Febbraio
I
III
lì
1
III
Maggio
Maggio
Aprile
II
_
III
lì
I
III
Settemb.
Settemb.
111
1
11
III
Novemb.
Ottobre
Settemb.
Dicemb.
Ottobre
1
HI
III
,i,
7. Coltivazione. — Quasi nulla è la cura che si ha di questa pianta
anche nelle località dove i suoi frutti sono oggetto di speculazione. Da
noi in Italia non viene coltivato tanto estesamente per il fatto che
abbiamo i limoni i quali ci forniscono un succo acido molto più gra-
dito. Non cosi avviene nei paesi del Nord.
Questa pianta soffre il taglio del tronco e dei rami, e forma dei
cespugli: in ogni caso una mondatura dei rami contusi o morti, un
accorciamento dei rami dell'annata fortificano i rami della base. Coi
crespino si possono ottenere anche delle piramidi ed allora bisogna
ricordarsi ciie le gemme a fiore si trovano sui rami formatisi l'anno
precedente. Quindi il taglio dei prolungamenti successivi delle branche
dev'essere fatto in modo da determinare lo sviluppo di questi piccoli
rami i quali alla lor volta vengono rimpiazzati come si fa sull'albicocco.
Si deve svettare con cura ogni anno i numerosi rimessiticci che
appaiono al colletto della radice e che ben presto spossano il fusto
principale. Del resto i lavori di coltura, le concimazioni devono essere
fatte al crespino coinè agli alti'i alberi fruttiferi, se si vogliono ottenere
dei buoni prodotti.
8. Prodotti. — La pianta è buona per la costruzione di siepi, ma
non si jìossono consigliare queste siepi in vicinanza ai campi di cereali
in quanto che sopra questa pianta completa la sua fase vegetativa la
Piiccinia gianiinis (Ruggine dei cereali).
Il legno è usato per vari lavori di tornio, d'intarsi e simili. I cal-
zolai fanno con esso dei cavigliuoli che conficcano nei talloni delle
scarpe. Con esso si danno anche molte tinture ai panni, giallo verde, ecc.
- 1052 -
La corteccia è ricercata per tingere in giallo i marocchini, ed in
Polonia, dopo d' averli coloriti cosi in giallo, li fanno cangiare in verde
colla soluzione d' indaco e tal colore è molto permanente. Se essa si
cuoce colla liscivia, dà alla lana una tinta, d'oro e con vari metodi si
danno varie gradazioni di giallo e di verde alle stoffe.
L'estratto cavato dalle radici è un giallo molto migliore che la
gomma gotta per miniature.
Coi frutti si fanno conserve. Nel Nord il loro succo viene sostituito
ultilmente al limone, col quale ha molta analogia. Sono essi suscetti-
bili di fermentazione vinosa, e colla successiva distillazione danno un
alcool analogo a quello che si ricava dal vino. Colti immaturi e pre-
parati alla foggia dei cappelli, si possono sostituire a questi nelle salse.
Maturi, son capaci di dare, mediante vari processi, varie tinte rosse
alle stoffe, che però son poco stabili.
Le foglie giovani, che sono addette, possono essere mangiate in
insalata tanto crude che cotte.
9. Malattie. — (Vedi pagina 500).
FAGGIO
(Fagus sylvatica. — Fani. Amenlacee).
Nome volgare italiano del fruito — Faggine o Faggiuole.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane. : Hètre des bois, Fa-
yard, Fau, t'onteau — Ted. : Buche — Ingl. : Beechtree.
1. Origine e caratteri botanici. — È un albero indigeno, che arriva
all'altezza di 15 a 30 metri, ma che può ridursi alle dimensioni di un
frutice, ha scorza liscia, biancastra, chioma vasta, rami snelli, brunastri
e gemme fusiformi.
Le foglie ovate sono quasi intere; da giovani sono di un verde
delicato e cigliate nel margine, più tardi diventano scure, consistenti
e glabre, d'inverno cadono.
Anche il faggio non porta veri fiori, ma amenti che si sviluppano
insieme con le foglie e sono di due sorta. I maschili sono globosi,
peduncolati di un verde giallognolo ; quelli femminili sono circondati
da un involucro rossiccio; più tardi si forma un altro involucro interno
che prende l'apparenza di un frutto cassulare, riccioso di quattro valve.
In questo involucro stanno racchiusi gli acheni, a tre spigoli, appuntati
e bruni, ossia le faggiuole o faggine.
2. Clima ed esposizione. — Il faggio si trova in collina e sui bassi
monti, specialmente sui pendii settentrionali ed orientali, e sulle Alpi
occupa le posizioni solatie. Teme poco i freddi invernali, ma moltis-
simo i geli tardivi ed i venti.
3. Terreno. — Ama i terreni ricchi, freschi, mediocremente sciolti
e di media profondità; prospera nei terreni argillo- calcarei e non ri-
— 1053 —
fugge neppure gli arenosi purché siano fresclii. K poco esigente rispetto
al calore, però non tollera l'umidità.
4. Moltiplicazione. — Il miglior mezzo è per seme, quantunque
nei boschi lo si propaghi per propaggine e per polloni. Questi due
ultimi metodi però non vengono adottati che per ripiego, inquantochè
le piante che si ottengono hanno breve esistenza.
5. Caratteri vegetativi. — Questo albero fiorisce in maggio e porla
i suoi frutti a maturità in ottobre; cadono dalla fine di ottobre alla
prima metà di novembre. I semi conservano la loro facoltà germina-
tiva per 6 mesi e si seminano più presto che è possibile in primavera.
La virilità dell'albero comincia dopo 60 anni di età, quindi ha un ac-
crescimento lento. 1 frutti si hanno ogni 5 anni ed in circostanze sfa-
vorevoli appena ogni 5 a 10 anni. Le radici penetrano a mediocre
profondità.
6. Coltura. — Il faggio viene regolato a fustaie che vengono rin-
novate naturalmente, e forma da solo dei bellissimi boschi. Per le fu-
staie l'epoca del taglio cade fra l'SO" ed il 120° anno, mentre il frutto
Io si raccoglie a lunghi intervalli.
7. Prodotto. — Questa pianta dà dei bellissimi boschi chiamati
faggete, che danno ottima legna per far carbone e legname da co-
struzione specialmente per utensili, per fare remi, cerchi da botte,
stanghe, pali, manichi da vanghe, taglieri, fusi, mestoli, cucchiai, ecc.
Dal frutto, chiamato volgarmente faggiola, si estrae un olio che si
fa servire per l'illuminazione, e che non rancidisce tanto facilmente
quanto gli altri olì. Del frutto si può servirsi anche per ingrassare i
maiali.
Come si vede è una pianta che arreca molti vantaggi dal lato fo-
restale, ed affatto secondari sono gli utili che si ricavano col suo frutto.
MIRTILLO
(Vaccinium Myrtillus Linn. — Fani. VaccinieeJ.
Nomi volgari italiani della pianta — Bagole, Baceri, Baggioli, Lo-
rioni, Ghiassarelle, Uva orsina, Baccole.
Nomi volgari stranieri della pianta — Frane: Airelle mirtille — Ted. :
Gemeiner Heidelstrauch — Ingl. : Bleaberr}'.
1. Caratteri. — E' un piccolo frutice di circa 30 cm. d'altezza, che
cresce molto comunemente nei boschi e pascoli di montagna e delie
Alpi, in terreno sabbioso e sciolto.
Le radici sono lunghe, nodose, ramose, profonde circa tre pollici
nel terreno ed emettono molti getti dai nodi ; sono inoltre legnose e
pieghevoli.
Il fusto per lo più è diritto, ramoso ; i rami sono corti, alterni,
angolosi come il tronco. La corteccia è verde, liscia, riunita; da ogni
1054 —
gemma si allungano verso la radice delle linee prominenti, le quali
rendono il tronco ed i rami angolosi. II legno è sottilissimo, bianco-
rossiccio, pieghevole.
Le foglie sono alterne, di color verde-carico, brevemente peziolate,
glabre; sbocciano in aprile e maggio, e cadono in ottobre.
I fiori sono bianchi, solitari, peduncolati, sortono dall'ascella delle
foglie dal maggio al luglio, secondo la elevatezza del luogo ove cre-
sce la pianta ; la corolla è fatta ad oriuolo, di color rosa-carico, il calice
ha lembo intero (fìg. 727).
II frutto è una bacca rotonda ombellicata, che dal color verde
passa al rosso e da questo al nero, maturando, e si copre, come l'uva,
dì una pruina bianca insolubile nell'ac-
qua, che gli fa prendere l'aspetto come
se fosse di color celeste. E' succoso,
di sapore dolce subacido, ed ha un
leggero suo odore particolare. Matura
durante l'estate.
2. Moltiplicazione. — Da sé natu-
ralmente si propaga con somma faci-
lità e prestezza ; ma per mezzo dell'arte
la cosa riesce difficile assai. 11 mezzo
più sicuro per ottenere ciò è quello
di svellere nell' autunno avanzato le
messe delle radici, o le piante intiere,
e dividerle secondo il numero dei tron-
chi in vari individui, e ripiantarli di
poi in terreno sciolto. Coi semi, i quali
perdono dopo 2 mesi la facoltà ger-
minativa, si ottiene difficilmente buon
risultato, ])erchè pochissimi ne nasco-
no; quando però si voglia propagare
con tal mezzo, si affidano i semi ad
un terreno sciolto e fresco in autunno :
se entro dieci mesi non ispuntano le pianticelle, si deve abbandonare
la speranza che abbiano a spuntare.
3. Coltivazione. — Si trova nei boschi delle Alpi, nelle parti ele-
vate delle colline.
Forma da sé solo delle antichissime macchie, e vive sotto l'ombra
la più opaca degli abeti, de' pini, de' larici, de' faggi, o di altri alberi
di simile natura.
Soffre il taglio del tronco. In sei anni circa arriva al massimo suo
sviluppo.
4. Prodotti. — La pianta intiera, eccettuata la radice, serve a
conciar pelli. Le bacche si mangiano; colla fermentazione si fa un vino
di cattivo sapore, che colla distillazione dà un alcool di un odore parti-
colare. I panni di lana, dopo essere stati messi nella soluzione di al-
Fig. 727. — Mirtillo: 1, ramo fiorito ■
2, fiore spaccato - 3, stame - 4, frutto
- 1055 —
lume di rocca, se si pongono nel succo di questi frutti, acquistano un
color violetto slabile. Col succo si tinge la carta, e per frode il vino.
Le api raccolgono miele dai fiori. Molti uccelli si cibano dei frutti,
le foglie non sono appetite dalle bestie. Con vari processi si danno
varie tinte alle stoffe.
5. Specie coltivate. — Oltre il Vacciniuin Mijrtilliis L. indigeno
delle nostre montagne, vengono coltivate j)er il loro frutto le seguenti
specie:
Vacciniuiìi uitis idaea, indigeno della Germania. E' un arbusto
alto 50 cm. molto ramoso ; con foglie alterne, intere senza dentatura,
strette, accorciate ai lembi; punteggiate di nero sulla pagina inferiore ;
sempre verdi. Fiorisce dal mese di maggio a luglio; infiorescenza a
grappolo bianco-rosea.
Si trova particolarmente nei terreni torbosi.
Vacciniiim oxycocciis. Piccolo arbusto con rami striscianti, sottili;
foglie alternate, piccole, ovali-allungate, sempre verdi e sulla pagina
inferiore colorite in verde chiaro. I fiori rossi, sono isolati, sostenuti
da un pedicello lungo e sottile ; le bacche sono rosse.
Questo mirtillo si trova spontaneo nel Nord d'Europa ed è ab-
bastanza diffuso nella Germania centrale.
Anche questo arbusto si trova nei terreni torbosi.
Vacciniuin macrocarpum. E' la specie che è oggetto di coltura
estesissima per i frutti nell'America del Nord e specialmente nello
Stato Wiscousin. Introdotta in Europa per i suoi fiori ornamentali,
ora in Germania si vorrebbe difTonderla anche per i frutti che sono
molto grossi, buoni per fabbricare conserve. La pianta è molto pro-
duttiva ed esige di essere collocata su terreno libero, completamente
soleggiato.
In America si utilizzano con questa pianta tutti i terreni torbosi,
sabbiosi, umidi nel sottosuolo, che hanno pochissimo valore.
Il terreno viene preparato un anno prima, facendo una fossa intorno
profonda 80 cm. per allontanare l'acqua superficiale. Poco dopo si fa
un'aratura superficiale per svellere le malerbe.
L'impianto si fa in aprile, collocando delle barbatelle a 60-90 cm.
di distanza in quadrato e nel primo e secondo anno si ha cura di le-
vare le malerbe. Nel terzo anno i cespugli di Vaccinium hanno già
coperto tutto il terreno in modo che le malerbe non crescono più.
Quindi le cure colturali si riducono a qualche irrigazione nel caso di
soverchia secchezza. Per irrigare si introduce l'acqua negli stessi fos-
sati preparati per smaltire all'impianto, l'acqua superficiale.
Si producono circa 200 quintali di bacche per ettaro le quali servono
a fabbricare gelatine od altre conserve.
Il solo Stato di Wiscousin, produrrebbe di questi frutti per un
milione di dollari.
— 1056 —
QUERCIA BALLOTA
(Quercus ballota Desf. — Fam. Cupiilifere).
Nome volgare italiano della pianta — Quercia castagnola ?
Nome volgare straniero della pianta — Chéne à gland doux, Ballotte.
Originaria dei dintorni di Algeri, le sue ghiande vengono servite a
tavola in Spagna e specialmente sui Pirenei, quali frutti da dessert.
Sono dolci, mucilagginosi ed il loro gusto si avvicina a quello della
nocciuola.
Le radici di questa pianta sono lunghe e profonde, quindi deside-
rano un terreno profondo. Si moltiplica per seme, per lo più sul posto.
Questa specie riesce quasi esclusivamente nei paesi caldi, e volendola
allevare nell'Italia settentrionale bisogna riparare il suo fusto ed il
terreno con della pai^lia, specialmente quando è giovane. Del resto
anche questa pianta è più pregiata pel suo legno che [)el suo frutto.
INDICE ALFABETICO
(I numeri indicano la pagina)
Aberia caffra, 996.
Acari, 478.
Accartocciamento delle foglie, 406.
Accecamento, 110.
Aceto (conservazione nell'), 374.
.Vceto di frutta, 463.
Afidi, 439.
.\grumi, 855.
Alberello, 151.
Albicocco, 674.
Albuggini, 410.
Alimentazione con frutta, 350.
Alluvione (cure alle piante sommerse da), 264.
Altitudine, 215.
Animali (malattie prodotte da), 430.
Anona, 998.
Antracnosi, 424.
Arancio dolce, 859.
forte, 863.
trifogliato, 878.
Aridità del terreno, 264.
Armature per spalliere, 239.
Asimina, 1002.
Attrezzi, 26.
Avvicendamento, 261.
Bagolaro, 1041.
Banano, 1003.
Barbatella, 47.
Batteriosi, 399.
Bergamotto, 869.
Bolla, 406.
Borsa, 94.
Bostricidi, 465.
Branche. 91.
Brindino, 92.
Brolo, 171.
Brusone, 425.
Buprestidi, 465.
Cancro, 412.
Carrubo, 985.
Castagno, 948.
Cedro, 876.
Ceppala, 151.
Cespuglio, 151.
Chinotto, 865.
Chiusure, 281.
Ciavardello, 1043.
Ciliegio, 690.
Cimice del pero e melo, 486.
Clima, 204.
Cocciniglie, 445.
Coltivazione lungo le strade e viali, 169.
Composizione delle piante da frutto, 283, 286,
287, 289.
Concimazione, 281, 324.
„ di mantenimento, 322.
Concimi animali diversi, 311.
azotati, 308.
„ calcici, 310.
diversi, 312.
fosfatici, 305.
liquidi, 301.
naturali, 298.
Confetture di frutta, 376.
Conservazione delle frutta nell'aceto, 374.
(precetti), 358.
, „ , nel sciroppo di
zucchero, 376.
Conservaz. delle frutta allo stato naturale, 355.
, (materiali usati, 367
1058
Consociazione, 264.
Controspalliera, 157.
Corbezzolo, 1046.
Cordoni, 152.
Corniolo, 1048.
Cotogno, 591.
Crespino, 1049.
Crisomellidi, 465.
Crittogame parassite, 392.
saprofite, 392.
Curculionidi, 468.
Cure annuali, 260.
Cuscuta. 390.
Dardo, 92.
Deterioramento delle frutta (cause), 357.
Diospiri, 1015.
Diradamento, 122.
Distanze nell'impianto, 245.
Distribuzione geografica delle piante da
frutto, 218.
Economia della frutticultura.
Esposizione, 215
Eugenia, 1010.
Faggio, 1052.
Falsi gorgoglioni, 436.
Falsirami, 91.
Farfalle grosse che rodono le foglie, 452.
„ , » » il legno, 451.
Feijoa, 1013.
Femminelle, 91.
Ferite, 113, 484.
Fico, 913.
„ d'India, 829.
Forfecchia, 485.
Forme, 125.
da controspalliera, 1.57.
„ spalliera, 157.
basse, 138.
Formiche, 475.
Fruttaio, .359, 362.
Frutteti misti, 189.
casalinghi, 175, 177.
di speculazione, 186.
Frutticultura da pieno campo, 166.
„ estensiva, 165.
intensiva, 105.
Furaaggini, 411.
Funghi a cappello, 423.
Gemme, 89.
Geometre, 455.
Giuggiolo, 775.
Gommosi, 400.
Gorgoglioni, 43S
Grillotalpa, 435.
Holboelia latifolia, 1014.
Hovenia, 1015.
Gelatina di frutta, 4.53.
Gelso, 945.
Imballaggio frutta, 369.
Imbianchimento dei fusti e rami, 114.
Imenotteri, 472.
Impianto, 247, 249, 251, 254, 2.56, 258.
Importanza della frutticultura, 7.
Impollinazione e fruttificazione, 275.
Incisione, 110, 120.
Incurvamento dei rami, 116, 120.
Infrangimento, 120.
Innesti erbacei, 86.
Innesto, 56, 59, 85.
Innesto a corona, 73.
ad anello, 79.
„ a gemma, 79.
a spacco, 66, 71.
„ condurse, 86.
inglese, 74.
per approssimazione, 78.
Zerboni, 86.
Insaccamento delle frutta, 123
Intaccatura, 111.
Irrigazione, 281, 326.
Kaki, 1015.
Lamborda, 94.
Lampone, 896.
Latitudine, 215.
Lavori annuali del terreno, 264.
Lazzcruolo, 790.
Lebbra, 406.
Legature, 116, 120.
Licheni, 391.
Limetta, 870.
Limone, 872,
Lotta contro i parassiti, 393, 431.
Lumia, 871.
Macchine del frutticoitore, 20.
Malattie, 389.
Malattie dovute a cattive condizioni dell'at-
mosfera, 491.
dovute a cattive condizioni del ter-
reno, 491.
dovute al regime colturale, 491.
1059
Malattie dovute a sostanze nocive, 407
meteoriclie, 179.
Mal nero, 399.
Mammiferi dannosi, 434.
Mandarino, 867.
Mandorlo, 605.
Marciume delle frutta, 408.
radicale, 402.
Margotta, 51.
Marmellate, 376.
Mastici, 70.
Materiali nutritivi, 289.
Maturazione delle frutta, 338, 342.
Melagrano, 796.
Melangolo, 863.
Melo, 557.
Mezzovento, 143.
Mirtillo, 1053.
Misurine, 455.
Moltiplicazione, 24.
Molluschi, 434.
Mosche, 476.
Mondatura, 111.
Muschi, 391.
Piante deperenti, 324.
infruttifere, 270.
„ molto fruttifere e poco vigorose (con-
cimazioni), 326.
vigorose e poco fruttifere (conc.\ 325.
Pidocchi, 434.
Pieno vento, 143.
Pino da pinoli, 992.
Piramide, 127.
Pistacchio, 769.
Pompelmo, 868.
Potatura secca, 102.
verde, 118.
Precetti di potatura, 88.
Preparazione del terreno per l'impianto, 225.
Principi di frutticoltura, 13.
Propaggine, 54.
Psidio, 1037.
Psillidi, 436.
Punteruoli, 468.
Querce ballota, 1056.
Nebbia (funghi della), 412.
Nespolo, 780.
del Giappone, 782.
Nocciuolo, 961.
Noce, 973.
Pachira, 1022.
Palma, 1022.
Palmette, 1.57.
Papilionidi, 449.
Passittore, 1032.
Pasta di frutta, 376.
Pavia, 1034.
Perforazione delle foglie, 428.
Peronospore, 405.
Pero, 513.
Persea, 1034.
Pesco, 622.
Piante con frutti aggregati, 896.
„ un solo nocciuolo, 605.
da bosco a frutto commestibile. 1041.
, frulli composti. 913.
secchi. 948.
„ frutto a bacca, 803.
» - » , granella, 513.
„ con più noccioli, 782.
„ „ „ . semi succosi, 796.
„ esotiche per i paesi caldi, 996.
Raccolta delle frutta, 348.
Radici (funzioni), 322.
Rami anticipati, 91.
„ a frutto, 92.
„ misti, 94.
Ramo, 91.
a legno, 93.
Ramuli, 94.
Ribes, 835.
Rimedi anticrittogamici, :
insetticidi, 434.
Ringiovanimento, 114.
Riproduzione, 24, 39.
Rogna, .398.
Rovo, 907.
Ruggini, 419.
Sarchiatura, 260.
Scacchiatura, 118.
Scortecciamento. 113.
Scarabei, 464.
Scasso, 228.
Scolitidi, 471.
Scopazzi, 406.
Sidro, .385,
Siepi morte, 234.
. vive, 234, 235.
Siroppi di frutta, 376.
Situazione, 215.
Slegatura dei tutori, 123.
Soggetti da innesto, .56, .59.
Soprainnesti, 82.
1060 —
Soppressione bottoni, lìori e frutti, 122.
Sorbo, tJOO.
Sostanze nocive, 497.
Sostituzione piante morte, 2(Vt,
Sotto femminelle, 92.
, gemme, 90.
Sovescio, 315.
Spalliere. 157.
Spedizione frutta, 369.
Statistica della frutticoltura, 9.
Stima alberi da frutto, 14.
Succhione, 91.
Susino, 722.
Taglio verde, 121.
Talea, 47.
Terreno per le piante da frutto, 211
Ticchiolatura, 425.
Tignole, 461.
Tingiti, 436.
Tinture di frutta, 380.
Torsione, 120.
Tortrici. 458.
Trapianto alberi adulti, 262.
Tubercolosi, 398.
U semplice e doppia, 1.58.
Uccelli dannosi, 434.
Uva spina, 835.
Vajolo, 424.
Vespe, 47.5.
Vigneto fìUosserato itrasformazione in frut-
teto), 269.
Vino di frutta, 385
Vischio, 390.
Vite, 803.
Vivajo, 20, 319.
Zampa di cavallo, 47.
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New York