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VITA
PONTIFICATO
D I
LEONE X.
DI GUGLIELMO ROSCOE
AUTORE DELLA VITA DI LORENZO De' MEDIC^
TEADOTTA E CORREDATA DI ^ANNOTAZIONI
E DI 4LCUNI DQCVMENTl INEDITI
DAL
CONTE CAV, LUIGI BOSSI
MILANESE
ORNATA
Del ritratto di Leone X, e di molte medaglie incise in rame*
TOMO VII.
MILANO
Dalla Tipografia Sonzogno e GoMf.
1817.
— Pfunc aurea condìtur aetas
Mars silei ^ e; posilis belli IVitonta sìgnis
^xercei calamo.s sopilacjue tempore long©
Excilas. ingfnia ad certamiua docla sorofum.
jind, FulvU f praef. &d Leon, X de antiquitatihus uriiV
s
VITA
E PONTIFICATO
ut
LEONE X.
SOMMARIO CRONOLOGICO
Anno i 5 i 8.
Incoraggiamenti dati agli uomini d' ingegno in Ro-
ma. - — Poeti italiani. — Sannazaro. — Tebaldeo. —
Bernardo Accolti detto l' unico Aretino. — Bembo. — •
Beazzano. — Molza. — ^ Ariosto. — Suo apologo re-
lativo a Leone X. — EfYetto dei di lui scritti sul
gusto dell' Europa. — Vittoria Colonna. — Veronica
Garabara. — Costanza d' Avalos. — Tullia d' Ara-
gona. — Gaspara Stampa. — Laura Battiferra. —
La poesia Bernesca. — Francesco Berni. — Carat-
tere dei di lui scritti. — Suo Orlando innamorato. —
Teofilo Folengi. — Suoi poemi Macaronici , ed altre
sue Opere. — ^ Imitatori degli antichi autori classi»
6
ci, — Tnssino. «^ Introcluce i versi sciolti , ossia
i versi italiani non rimati. ' — Sua Italia liberata dai
Ooti. — Giovanni Rucellai. — Suo poema didascalico,
le Api. — Sua tragedia di Oreste. — Luigi Ala-
manni. — Suo poema intitolato la Coltivazione. • —
Classificazione generale degli Scrittori italiani. —
Drammi italiani..
CAPITOLO DECIMOSESTO
SI-
Incoraggiamento dato in Roma agli uomini d' in^c-
gno. — - Poeti Italiani. .— Sannazaro.
Anno i5i8.
La tranquillità della quale allora goderà Y Italia ^
ed il favore e la munificenza del Supremo Pontefi-
ce , contribuirono al fine allo sviluppamento di quei
semi di dottrina , the sebbene fossero slati sparsi
dalla provida mano del di lui genitore sul finire del
secolo precedente , erano tuttavia sfuggiti a stento
ad una totale estirpazione sotto gli oscuri e burra--
scosi pontificati de di lui antecessori. Fino dal tem-
po della elevazione di Leon X la città di Roma era
divenuta il ridotto generale degli uomini dotati d'in-
gegno e di sapere , che vi concorreano da tutte le
parti dell'Italia, e che invitati tanto dalle attrattive
deliziose di quella società letteraria che vi si trovava j
quanto dalle disposizioni ben conosciute del Ponte-
fice ad incoraggiare , e ricompensare il merito distin-
to , sceglievano o di rimanervi stabilmente , o di trat-
tenervisi alcun tempo con visite lunghe , oppure fre^
quenti. Né solo esercitava Roma la sua attrazione
sulle persone più gravi , o sui letterati. Chiunque
eccellente era in qualche arte o in qualche profes-
2CÌ11S7
éione , cKe arrecar potesse piacere o dilello , chiau*
que in sonlraa fosse alto a divenir cagione , o og-
getto di gioja e d' allegria , era certo di trovare iri
Roma , ed anche nel palazzo pontificio una grata ac-
coglienza , e spesso ancora una splendida ricompensa.
In queir amena società , che solò esister potea nel
tempo della più florida prosperità , i poeti tenevano un
posto assai distinto ; ma la fontana della poesia era in
quel tempo divisa in due separati ruscelli j e mentre
alcuni beveano alla sorgente Toscana , il maggior nu*
mero si disettdva colle pure acque della fónte La-
tina. Fa d' uopo por mente a questa distinzione
ùel prendere ad esaminare \ó stato della bella lette-
ratura in quel periodo; e quindi la nostra prima at^
tertzlone sarà rivolta a quegli scrittori , che ora so-
no più particolarmente conosciuti per le poetìche^
composizioni scritte nella natia loro favella.
Fra que' pochi uomini di altissimi talenti, che dov
pò aver formato 1' ornamento dell' Accademia di Na-
poli sopravissero alla desolazione di qttel paese , e t
di cui sforzi contribuirono alla conservazione del buon
gusto nelle composizioni Italiane ^ Sannazaro non deve
essere obbliato (i). In alcuno del precedenti capitoli
noi lo abbiamo veduto in diverse occasioni impiega?
tutte le èue forze ad eccitare i suoi concittadini a
resistere alla invasione , o ad esprimere la sua indi-»
gnazione per l' avvenuto loro soggiogamento. Le su«
(t) Gap. II. Tom. I. §. IV. paq. 9?.
9
produzioDÌ italiane sembrano pubblicate per la mag-
p'ìOT parte avanti il pontificato di Leon X; eJ è stalo
altresì osservato che i maggiori applausi ottenuti da
Pietro Bembo coi suoi scritti italiani , indussero San-
nazaro ^ per quanto si suppone, a rivolgere i suoi
talenti al coltivamento della lingua latina. Può dirsi
tuttavia con ragione, che ss il Venesiano superava
il Napoletano nella ele£,anzi , e nella purità dello
stile, il secondo è generalmente più stimabile per il
sentimento, lo spirito e la forza dell'espressione (i^,
Né può mettersi in dubbio , che se egli avesse con-
tinualo ne' suoi sforzi , ed intrapresa un' opera degna
de' suoi talenti , egli come poeta Italiano avrebbe
guadagnata una riputazione della quale ditficilmentfr
sarebbesi ottenuta la maggiore da alcuno di quegli
scrittori, che in quel tempo vantava l'Italia (2).
(n) Una prova sufficiente di questo può reputarsi la di lui
.-anzone 17 , nella quale egli si lasjna degli ostacoli , che si
oppongono al di lui disegno di immortalizzare col mezzo degli
scritti il suo nome. Il leiioie troverà questa poesia nelT eie-
j;aute scelta fatta dal sig. Malhias dei Poeti Lirici d'Italia
ToJ. 1. pag. loS. (Non sono rare in Italia le oppre del San-
nazaro f ma noi ahhiamo uoluto riferire per intiero la ci-
tazione del sig. Roscoe , siccome onorri>ole all' Italia ).
(2) Le p oesie Italiane di Sannazaro sono state il più delle
«rotte publ)licate colla sua Arcadia , della quale si sono fatte
numerose edizioni; di queste la pii\ compita e corretta ^- quella
di Cornino in Padova del i^9.3 in \, ripetuta da Reniondini J»
^^<'.ne7Ìa. nel T':5a in 8.
r©
§11.
Tehaldeo.
Un altro membro superstite dell' Accaclemia Napo-
letana era Antonio Tehaldeo , dei di cui scritti si sono
già dati da noi alcuni saggi nei volumi precedenti.
Egli era nato in Ferrara nell'anno i463 (i), edera
stato educato alla professione della medicina , nella
quale tuttavia non appare eh' egli facesse molti pro-
gressi , mentre fino dalla prima gioventù dedicossi
allo studio della poesia , e si vede , eli' egli era ac-
costumato a recitare i suoi versi accompagnandosi
col suono del liuto. Una raccolta delle sue poesie
fu pubblicata da suo cugino Giacomo Tehaldeo a Mo
«lena nell'anno i499j contro il desiderio, per quanto
fu detto, dell'Autore, die si dolse della trascuratezza,
e dei difetti di quella edizione (2). Egli è probabile,
(i) Giornale de' Leu. d' italici f^ni III. p. 874.
(a) n Impresso in Modena per Dionysio Bertocho nel anno
» de la redemi.ione hntnana MCCCCLXXXXVIII. adi X.I1I,
n de Magio. Imperante lo sapientissimo Hercule Duca di Fer-
?? rara , Modena , et Regio : " un -volnine in 4- Questa edi-
zione dall' edi.ore medesimo è dedicata al marchese di Man-
tova. II malcontento dell'autore per ques(a pubblicazione vien
accennalo da Dfarni nel suo poema della morte del Danese
'ih. II. cant, 4 - dove egli rappresenta TeOaldeo , siccome
» Mesto alquanto ilell* opera sua prima. »
SfCno f Itole al Fontaiùiii BibU Ilal. Voi. II. p- iS^
Il
che per questa ragione si rÌToIgesse allo studio della
latina poesia , nella qnale si accorda generalmente ,
eh' egli riuscisse assai meglio, che non nelle compo-
sizioni italiane (i). Poco dopo l'elevazione di Zeo/r A',
Tebal leo fissò la sua residenza in Roma , e si rac-
conta che il Papa gli facesse regalo di una borsa con
cinquecento zecchini in ricompensa di un epigramma
latino fatto in sua lode (2^ Una testimonianza pia
autentica dell' alto favore che guadignato egli avea
presso al Pontefice, appare in una lettera, che tut-
tora si conserva di Leon X ai Canonici di Verona ,
nella quale si raccomanda loro certo Doin izio Pome-
d.lli scolare di Tehahìeo , che io , die' egli , parlando
del maestro ,, grandemente stimo, tanto pei grandi
,, progressi ch'egli ha fatto negli utili studj , quanto
„ pei suoi talenti poetici " (3). Egli espresse pura
fi) TiraboSchi , Storia della Leti. Iial. Tom. VI. par It.
pag t55.
(3) Gionmle dei Ictt. d' hai. Voi. III. pag. 376. — Tira-
fcoschi , Stor della Lea. Ilal. loc. cit.
(3) •>■> Qui qiiidem Domiiius alumnus sit Anionii Thehaldei,
» quetn ego virutn propter ejus praes'antem iu opi imarum
n artium studiis doctrinam , pangendiscpie caiminihiis mirifi-
« cam inditsiriam unire diligo. »t Benth. F.p. noni Leon. X.
Lìh. IX. Ep. 2. Q Quelle parole pangendisque cai minibus
ttiirifìram industriam ecc , unitamente a ciò, che nel testo ac-
cenna il stg. Roscoe , che Tehaldeo erx accottwnato a reci-
tare , Cini' egli dice . o piuttosto , coni' io credo , a cantare
t suoi fersi , accompagnandosi col liuto., ci mostrano eh' < gli.
cantava versi all' impminfiso. Egli sarehhe forse da annoverarsi
tra i primi improvvisatori ^ che esercitaronv questo laiento
J2
la sua approrazione in termini ^i eguale dolcezza ^
raccomandando Tehaldeo , perchè nominato fosse so"-
printendente del ponte di Sorga, impiego, che pro«
Labilmente non richiedeva una personale assistenza,
e produceva senza dubbio un lucro considerabile ,
giacché il Pontefice aggiugne , siccome motivo del-
l' intervento suo in quest'affare, il desiderio ,, che Te-
5, baìdeo possa con ciò mantenersi agiatamente " (i).
Dopo la morie di Leon X, Tehaldeo continuò a ri-
sedere in Roma ; ma sembra , che col suo protettore
perdesse ancora i mezzi di un convenevole sostenta-
mento , giacché Irovossi obbligato a ricorrere a Beni'
tutto Italiano. In Francia si è stampalo un grosso volume su-
gli improvvisatori , /lel quale in mezzo a mille errori dì fatto
si è riconosciuta la verità della massima di diritto , da m&
testé annunziata. Improvvisatore dovea essere anche Accolti j
dì cui si parlerà in appresso. Priigliore avvisamento sarebbe
il raccogliere le memorie dello svìluppamento avvenuto in Tial'a
di questo talento singolare ., che non. il cercare dì avvilirlo e
degradarlo , e togliere aWItaliu anche questo pregio privativo^
come qualche tristo genio ha tentalo di fare , non ha guari ,
in un' opera periodica _).
(i) Leo X. P. M Legalo Avinionensi.
'3 Antoniutn lliebakleum , probuui hominem , atqvie in bo-
»> narum artium , in priraisque poetices siuiliis tura nostra tum
« latina lingua facile praestanicm virum . niullos jam anno»
» unico diligo. Cui cum Portorii munus quod in ponte Sorgiae
j> flumiuis est AvinioneUsis dioceseos Lcgationis luae , con-
ìì ferri cupiam , ut eo scse alere, et susleniare liberaliier possit,
n peto abs te velis . ut homo egregius et excellens , et tnilii
» valde nharus eo munere per nos le libenle affioialur. Dat<
» nonis Aug. Anno secando , Roma*. »
i3
io, che gli accordò qualche trmporario soccorso (i).
Egli visse fino all'anno iBSy, o lungo tempo avanti
la sua morte si ridusse a guardare il letto ,, altro
,, male non avendo " come ci fa sapere uno dei di
lui amici ,, se non la perdita del suo gusto per il
j, vino. Al tempo stesso egli facea più che mai epi-
,, grammi , ed era circondato a tulle l' ore dai suoi
j, amici letterati " ; ma dopo le invettive che scritte
egli aveva centra i Francesi , di alcuna delle quali
ci si è presentata l'occasione di render conto, de-
ve arrecar sorpresa il sentire, che ,, divenuto egli
,, era uh ardente loro partigiano , ed un nimico im-
„ placabile dell' Imperadore (2) (a) Tehaìdeo accusalo
(1) Benibi Ep. 5. Voi. III. lìb. V. — Tiraboschi St. della
lett. It. Tom. VI. pan. li. pag. i55.
{2) » Il Tebaldeo vi si raccomanda. Sta in letto , ne ha
ti aliro male , che non haver gusto del vino. Fa epigrammi
n più che mai , nò gli manca a tutte l' ore compagnie di let-
M lerati. E fatto gran Francese, inimico dell' Imperatore , im-
» placabile. »> Girolamo Negro a Marc. Ant. Micheli : Let-
tere di Principi voi. III. pag. 38.
(a) Non dee cagionare sorpresa , che Tebaldeo guardasse il
letto per aver perduto il gusto del vino , giacché questo era
forse di una grandissima conseguenza pei poeti di qiie' tempi.
Mollo meno dee sembrare strano , che dopo di avere scritto
invettive contro i Francesi all'epoca della loro prima discesa
in Italia , allorché si sperava ancora di vedere questa bella
regione dominata dai nazionali., e non si conosceva lo spirilo
dei nuovi conquistatori 5 lì Poeta, che avea fatto eco agli altri
dell' età sua, cangiasse d' avviso , e divenisse . siccome fecero
pure molti altri letterati , partigiano de' Galli , che stabiliti si
erano nelle loro conquiste. Questi , e specialmente il Re Lui-
»4
da Muratori , cKe Io riguardava come altro de' corrom-
pitori del gusto letterario di quel secolo (i), è stalo
difeso da diversi autori , e tra gli altri da Bariiffaldi
a da Tiraboschi , \ ultimo dei quali , benché cono-
scesse i di lui difetti, gli rivendica il suo posto tra
i migliori poeti del suo tempo (2).
gi XII^ siccome noi abbiamo fatto osservare nelle note addizionali
al V. voi. di questa edizione not. VII pag. 172 incoraggiavano,
e proteggevano lo studio delle lettere ed i letterali , ed in,
questo si distinse anche Francesco I , ciò , che non aveano
allora fatto i Tedeschi , ed i fatti politici, o guerrieri dell'Im-
peratore non erano di tale natura da eccitare 1' entusiasmo ,
o la riconoscenza dei figlj delle muse.
(i) Muratori della pirfetta poesìa lib. IV. voi. lì pag. 3o3m
(2) » Ma questi difetti medesimi sono per avventura nel
n Tebaldeo assai più leggieri , che in altri , ed ci perciò S
»> ragione può aver luogo tra' migliori poeti, che vivessero a
»> que' tempi. " Star, della leu. It. T. VI. p. II. p. l56.
Sembra tuttavia che Tehaldco temesse l' imminente perfezio-
nami nto della lingua Italiana, ed il destino delle sue produ»
zioni , come appare dai versi seguenti.
jj So che molli verran nell'altra etate.,
« Ch' accuseranno le mie rime , e i versi ,
55 Come inornaù, rigidi, e mal icrsi.
55 E *ìen le carte mie forse slracciate.
Dolce Hint. Gjniifi. Ferr. in Mus. Mazzucehell. T. I. p. 18^.
liiuna collezione compita , eh' io <»ppia , delle opere di Te»
haldeo è stata finora pubblicata , benchJì il doliO ^postela
Zeno ., già da più di un mezzo secolo abbia iadica^o le fonti
alle (pali potea atiignersi il materiale per una nuova cdiziotter
.Wole alla Bibl. II. del Fonianini. T. li. p. 65.
!J
§. in.
Bernardo Aecolti , soppranomato T Unico Aretino.
Non meno celebre per la sua vena poetica , e molto
più distinto per il raro suo talento di accoppiare i
versi alla musica colla quale egli si accompagnaA'a ,
era Bernardo Accolti di Arezzo , detto comunemente
per r eccellenza sua nelle composizioni di quel genere
Z' unico Aretino (i). Egli era tra i figlj di Benedetto
Accolti , autore della Storia ben conosciuta delle CrOf
ciate (3) , ed il maggiore di lui fratello era stato da
Giulio II, inalzato al grado di Cardinale. Nella sua
gioventù molte visite egli avea fatte alla corte d' Ur-
bino , e da Casti^lioni viene annoverato tra quegli
nomini celebri eh' erano accostumati a riunirsi ogni
aera negli appartamenti della Duchessa per formar©
le delizie di una letteraria conversazione (3). Al suo
arrivo in Roma sotto il pontificato di Leon JT, egli fu
ricevuto con distinto favore dal Papa , il quale poco
dopo nominoUo altro de' Sfgretarj Apostolici, impiego
egualmente onorifico , quanto lucrativo. E' stato as-
(i) Ariosto lo nomina
» Il gran lume Arelin , 1' unico Accolti. «
Ori. Fur. cant \6. st. io.
(») Di Benedetto si è fatta menzione nella Vita dì Lorenzp
de'Med. Tom. I. p. 90
(3) Casti^lioni del Cortigiano lib, I. p. a6. 27.
te
gerito altresì, che Leone tanto diletto prendesse dei rari
di lui talenti, che perfino gli conferisse il Ducato di
Nepi (i), e sebbene ciò venga impugnato in una lettera
di Accolti , nella quale egli si lagna di essere stato
spogliato da Paolo III della sovranità (a) di quel
luogo , eh' egli avea col suo danaro acquistato , tut-
tavia non riesce molto importante il riconoscere, se
egli fosse debitore di quel dominio alla liberalità del
Papa , o acquistato lo avesse coli' ajuto della di lui
bontà , ed in fatti in quella lettera egli ne attribui-
sce l'acquisto tanto ai suoi proprj meriti, quanto al
danaro sborsato per quel motivo (2). Quel dominio
gli fu pooo dopo restituito, giacché a lui succedetta
nel possedimento Aìfonso di lui figlip illegittimo (3)=
(s) " Bernardus cognomento Uni'cus omni litterarum, atque
» nobili'simanira artium peritia insignis inter celebres ilio*
» ea lempesa'e Urbiuates Academicos adscitus a Leone X.
97 anno i5ao Nepesis dominatu donatus est. 'j — Vita di Be-
nedetto suo padre , in fronte al dialogo de praeslaniia uiro-
rnm sui aei>i , ap. Mazzucchell. Scritt. d' Italia Tom. L
pag. 66.
(a) O piuttosto del feudo.
(2) LfUcre scritte al sig. Pietro jéretiiio Lib. I. pag. \\ ap.
UlazzuLchel . loc. cit.
(3) lòid. pag. 67. »5 Ebbe la signoria di Nepi , e di altre
casiella nello s alo Ecclesiastico da Leon X , la quale poscia
dopo la morte di esso Bernardo segiia in Roma nel i534
da Cleiiieìite Vìi fu dao ad Alfonso suo figliuolo naturale. 'J
Mani hi. del Decamerone puri. II. cap 26. pag. 238. Si
■vede tuttavia qualclie incongruenza in questi racconii, per-
chè se Beruard't era stato spoglia; o de' suoi dominj da
J^aolo Ili , coflse potevano essi restituirsi a suo figlio -^^-^
>7
TTn particolare rag^aglio dei sorprenclenti effetti dal
talenti di accolti prodotti sui diversi ceti del popolo
di Roma , trovasi esposto dal licenzioso suo concit-
tadino Pietro Aretino , il quale ci assicura „ che
,, non sì tosto si sapeva in Roma che il celebre
,, Bernardo Accolti era intenzionato di recitare i suoi
,, versi , che le botteghe chiudeansl come in giorno
,, di festa , e le persone si affnltavnno di poter go-
,, dere di quel trattenimento. Egli era in quelle oc-
,, casloni circondalo dai prelati e dalle principali
,, persone della città, onorato con solenne i'Iumina-
., zione di torcle , e seguito da un numeroso corpo
,, di guardie Svizzere ". Lo stesso aiiìore aggiugne
altresì, che egli stesso fu mandato una volta dal Papa
a ricercare che Accolti si portasse da S. S. , coni' egli
aveva di già promesso , e che il poeta ,, appena com-
,, parve nella venerabile sala di S. Pietro , che il
,, Vicario di Cristo gridò : aprite tutte le porte , e
,, lasciate entrare la folla. Accolti recitò quindi un
,, temale (a) in onore della Vergine addolorata, del
fonso da Clemente'' VII , che occupò prima di Paolo III.
la Sede Pontificia, e mori nel iSS/j ? Il commentatore dei
Ragionamenti di Vasari riferisce questa circostanza nel modo
seguente : » Leone X. donò all' unico nel iSio col titolo di
»> Ducato la città di Ncpi posta nel patrimonio di S. Pietro ,
" la quale poi nel i536 , per la morte di lui senia succcs-
« sione, ritornò alla S. Sede, ^i Ragionam. p. 93. ed. d' Arez."
to 1761.
(a) Ossia un capitolo in tersa rima. Onesto ramonto serve
a prorare , che Accolli era uel numero degli improvvisatori ,
Lkonb X. Tom. VII 2
i3
^, quale tanto furono socitlisratll i di lui uditori, che
,, esclamarono unanimi: viva a lungo il divino poeta y
,, V incomparabile Accolti! " (i)
Essendo in tal modo onorato Accolti con illimitati
applausi , una sola circostanza mancò alla di lui glo-
ria... i di lui scritti non sopravvissero a lui medesimo.
Alcuni tuttavia si conservarono fortunatamente dopo
la di lui morte, ma benché non sieno interamente
privi di merito , ancora sono di gran lunga al di-
sotto dell' idea , che alcuno formar si potrebbe dal
ragguaglio di quegli effetti cosi maravigliosi , e quin-
selihocp dalla frase del sig. Rosene. , che parla sempre di re-
citi zione (li versi , appaja twll'' altra coFa. Altro è recitare
uu coiiiponiinenlo scritto , e studiato , ed aliro cantar versi
all'improvviso;, né mai il primo di questi esercizj avrebbe pro-
doti o i maravigliosi effetti accennati nel testo. La cosa si
rende ancor più chiara dalla seguente nota dell' Autore.
(i) Lt'ttere di Pietro Aretino Lib. V. p. 46. MazzucchcUi
Srriit. cV Italia T. I. p. 66. Se il lettore fosse bramoso di
sapere quali fossero i tratti sublimi ., e patetici, che produ—
ccvano un effetto cos'i maraviglioso sull'udienza , egli potrebbe
leggere i seguenti versi , diretti alla Vergine , citati nella let-
tera di Pietro Aretino come quelli appunto , che diedero
occasione a quegli straordioarj applausi:
j> Quel generasti di cui concepesti ,
Portasti quel di cui fosti fattura,
F di te nacque quel di cui nascesti. »»
Felici tempi , in cui i poetici onori cosi facilmente si guada-
gnavano ! Il Temale , ( o<:sìa il capitolo ^ intero è stampato
nella prima edizione delle opere d' ^cco/<«, che può essere cou-
•gultata da quelli tra i mici lettori ^ ai quali piacesse il saggio,
che si è di sopra esibito.
^9
eli detraff'Tono grandemente alla di luì ripulazioa^ ,
anziché accrescerla. Tra questi trovasi il suo poema
drammatico intitolato Virginia , scritto in ottava e
terza rima, e rappresentato per la prima volta in
Siena in occasione del matrimonio del magnifico An-
tonio Spannocchi (i). Questa rappresentazione, che può
annoverarsi tra le prime produzioni drammatiche Ita-
liane , è fondata sulla storia di Giletta di Nerhona ,
altra delle novelle del Boccaccio, ma la scena dalla
Francia è trasportata in Napoli , ed il nome di Vir-
ginia vien dato dall' Autore alla sua eroina per ri-
spetto alla di lui figlia, divenuta sposa del Conte
Carlo Malatesta , Signore di Sogliano (2) (a). Fra le
poesie liriche di Accolti , che non sono numerose , i
suoi strambotti sono state le più lodate (3) , e tra
(i) Siccome appare «lai li ola dulia prima edizione. Vedasi
ancora Marini Ist. del Decamermie Part. II. cap. 3i.p. 237.
(2) Mazzucchelli lo nomina il Conte Giambattistij. Malate-'
sta , ed aggiugne , che Virginia Y'orlo in dote al marito 10,000
corone che in quel tempo foi mavcino una dote cospicua. Sciiit.
d'Italia 7". /. pcg. 67.
(a) Osserverò in proposilo delia primaria accordata dal signor
Roscoe alla Virginia tra le produzioni drammatiche Italiane ,
che già esisteva una tragedia stampata fino dal 149I in Fi-
renze col titolo : Eustachio Romano , della quale ho parlato
nelle mie note al Tom. I. pag 256 , che già esisteva la Ca-
landra , commedia del Bibbiena , della quale pure ho fatto
menzione pag. i55 e 256; e che le rappresentazioni di Firenze
erano esse pure opere drammatiche. V. Tom. V. not. IV,
pag. 166 , e 167.
(3) » Tra qinflli strambotiÀ dello .■accolli ve ne sono molli
70
questi i rtilgliorl senza paragone sono i suoi Tersi
intitolati Giulia (i). Oltre gli scritti di Accolli , che
sono slati pubblicati , egli lasciò un poema mano-
scrttto intilolato la liberalità di Leon X, che un
illustre critico asserisce scritto con bello siile, e pieno
di notizie (2). Del suo stile ci rimangono saggi suf-
ficienti : ma noi possiamo ben compiangere la per-
dita di quegli aneddoti , che il poema di Accolti
trasmessi ci avrebbe relativamente alla persona di
Leon X, i (juali probabilmente sarebbero stati ono-
revolissimi per la di lui memoria.
il acutissimi , e sull' andare de' buoni epigrammi de' Greci ,
li e de'Latini. »> Redi Arinotaz. al suo ditirambo -^ Bacco in
Toscana — pag. 87. ed. di Firenze l685 in 4-
(t) Le opere di Accolti furono dapprima stampale in Firenze
ad istanza di Francesco Rosselli adì 6 di agosto i5i3 in 8 ,
e di nuovo a Firen?;e nel i5i4 in 12 ; a Venezia nel i5r5, a
Firenae ancora nel i5i8 , ed a Venezia nel iSig da Nicolò
Zoppino , e Vincentio compagno , col seguente titolo :
»5 Opera Nova del preclarissimo messer Bernardo Accolti
»» Aretino^ Scrìptore Apostolico, et Ahhreviatore. Zoe Soneti ,
»» Capitoli , Strambotti , et una Commedia con dui capitoli
»> uno in laude della Madonna , /' altro de la Fede.
Nella pagina del frontispizio di questa edizione vedesi la
figura d' Accolti in atto di meditare.
(2) » Oj>era di stile dolce , e piena di sostanza. » Dolce
Trattato sec. di sua libreria j presso Mazzucchellì Scritta
d' Italia Tom. I. p. 68.
VDIi . Vn. Tai'.M. pay.SJ.
SI
Bembo.
La persona tuttavia , alla quale i cntki Italiani
tinanimauiente attribuirono il merito di avere tanto
coi suoi precetti , che coli' esempio fatto rinascere il
buon gusto nella Italiana letteratura , era un Vene-
ziano , r illustre Pietro Bembo. ,, Egli fu quello che
,, sorger fece un nuovo secolo cV Augusto , che eoa
,, eguale successo imitò Cicerone e Virgilio , e ri-
,, chiamò ne suoi scritti l'eleganza, e la purità dello
,, stile del Petrarca e del Boccaccio " (i). La pri-
ma parte d?lla vita di Bembo era stata divisa tra i
piacevoli trattenimenti e gli studj , ma né le circo-
stanze della sua famiglia , né i propri di lui sforzi
lo aveano abilitato a provvedere al suo sostentamento
in una maniera proporzionata al suo grado ed al suo
metodo di vita. La nomina fatta da Leon X. dulia
di lui persona alla carica importante di St^gretario
Pontificio, gli diede non solo una stabile residenza,
ma gli assicurò un trattamento ragguardevole cogli
(i) » A lui devono la poesia ., come la lingua nostra ii Icr
» pregio più bello , avendo egli aperto il secolo nuovo d' An-
»> gusto , emulato Virglio e Cicerone, risuscitato t^etrarca,
» e Boccaccio , nell' eleganza , e purità del suo scrivere , senza
i> cui nou si scrive all' immortaliià. » Bcttinplli del nsorgi-
:f>ento dell' Italia negli sUidii , ecc. p^ol il. p,ig. io5,
23
emoluraenli a quella attaccali , essendo stato accréf»
sciuto il di lui onorario , che era originalmente di
1000 corone, colla concessione di rendite ecclesiasti-
che fino alla somma annuale di 3ooo (i). La società
che lìemho trovò in Roma , era sommamente conve-
nevole al di lui gusto ; e dalle di lui lettere appare ,
eh' egli ne godea con una straordinaria compiacenza.
Tra i suoi più intimi amici e compagni noi trovia-
mo i Cardinali di Bibbiena e Giulio de' Medici , i
poeti Tebaldeo ed Accolti , Y inimitabile artista Baf-
jaeìlo d' Urbino , ed il virtuoso gentiluomo Baldas-
sare Castiglioni (2). L' alla reputazione che Bembo
godeva in tutta l'Italia, indusse il Pontefice ad im«
piegarlo all' occasione in ambasciate importanti ; ma
Bembo era destinato dalla natura piuttosto ad essere
un elegante scrittore, anziché un destro negoziatore,
r le sue missioni furono rare volte coronate da fe-
lice successo (a). Nella esecuzione delle sue incom^
benze come Segretario pontificio egli acquistò tutta-
via molti diritti alla lode j e le lettere scritte da lui ,
(^f ") Mazzuccìn-lli Scrittori d' Italia 5 art. Pietro Bembo ,
'Tom. W. pag. 781).
(v.) Una delle lettere di Bembo scrìtta al Card, di Bibbiena,
nienlr' egli era trattenuto a Rubiera da una indisposizione
nella sua ambasciata all' Imperadore , e nella quale sono no-
minati diversi degli illustri di lui compagni in modo da poter
mostrare il grado d' intimila , che tra di essi sussisteva , tro-
vasi neir Appendice N. CI<XI.
(a) Vedasi a questo proposito il Tomo V. di questa edizione
pag. 5p, e la noti» iìiddisionale a quel volume n. VI. pag^ i63<.
95
e dal (11 lui compagno Sadoleto , mostrarono forse
per la prima volta , che la purità della lingua latina
non era incompatibile colle forme curiali , e colla
trattativa de' pubblici affari. Poco dopo la morte di
Leon X^ Bembo rltlrossl da Roma , a cagione , corno
generalmente si suppose , del debole stato di sua sa-
lute ; ma eravl ragione di credere , che oltre quella
causa , che serviva di pretesto , egli avesse altresì
qualche motivo d'essere malcontento del Pontefice,
e eh' egli lasciasse Roma con intenzione di non più
ritornarvi (i). Libero allora dalle pubbliche cure egli
fissò la sua residenza nella città di Padova. Egli avea
già scelta come compagna del suo riposo una giova-
ne donna , nominata Morosina , della quale egli fa
menzione sovente nelle sue lettere , e questa visse
con lui fino alla sua morte, accaduta nell'anno i535,
cioè per lo spazio di circa 23 anni. Dalla medesima
e{;ll ebbe due figli ed una fìijlla , alla di cui educa-
zlone egli prestò una singolare diligenza (aj Le ren-
(i) » Sallo Iddio, che io da Roma mi dipartii , et da Papa
» Leone, in vista chiedendogli licenzia per alcun biieve tempo
»> per cagion di risanare in queste contrade , ma in effetto
n per non vi ritornar più , et per vivere a me quello o poco
»> o molto che di vita mi reslava , e non a tutti gli altri pili
»> che a me stesso. »> Bembo Lettere a' sommi Pontejìci ecc.
Lib. V. ep. I.
("a) Lucilio , uno de' suoi figli , mori giovane nel i53i.T«r-
quato , che fu ammesso allo stato ecclesiastico , e divenne
canonico di Padova , si distinse coi suoi talenti nella lettera-
tura. Elena maritossi nel iSjS. con Pietro Gradenigo nobile
dite cV egli Irnpva dalle sue ecclesiasflicìie preìatitre,
lo abilitnrono allo?-a a vivere da privato liberamente,
dedicato tutto ai favoriti suoi studj , ai piaceri , ed
alla società de' suoi amici. Egli ibrmò quindi con
grandi spese ed assiduità, una collezione di antichi
lìianoscritti di autori Greci e Romani , che per il
numero , e per il pregio de' volumi era tra le prime
d' Italia. La maggior parte di quelle opere è stata
dappoi riunita alla biblioteca del Vaticano. A questa
egli aggiunse un gabinetto di monete e di medaglie,
arricchito con altri antichi monumenti dell'arte. Egli
passava una parte del suo tempo nella sua casa di
campagna di Villa-bozza nelle vicinanze di Pridova,
dove egli dedicavasi allo studio della botanica; e molti
Veneto. MazzucchelU Scritt. d' Ital. T. ÌV. p. 'j^i. Agostino
Beazzano celebiò le sue doli in uno de' suoi sonelli , che
cómin'^ia :
»♦ Helena , del gran Bembo ali ero pegno , « ecc.
Dicesi , che Moroiua sepolia fosse in una Chiesa di Padova
colla seguente iscrizioue : hic jucel Morosina , Petri lìembi
concuhiiia :; ma Mazzucchelli ha mostrato essere fittizio questo
epitafìo. Essa fu infatti sepolta nella Chiesa di S. Bartolomeo
in Padova ., e sopra la di lei loraba sia scritto :
»» Morosi nae ^ Torquati Bt/nhi M tri.
Obiit 8 Idus Augusti M. D. XX Xr.
Si dice , che Berubo la riguardasse come sposa legittima.
Ch'egli certamente 'a amasse con sincero, e cosante affé te ,
appare dal dolore, eh' egli soffri alla sua perdila, nella quaìe
occasione egli compose undici sonetti , che ancora ci riman-
gono . e che sono i più patetici di lutti i di lui scrini. — *
Èeinhi Ep. Farn. Lib, VI. Ep. Q6. 67. Lettere t'olgari Voi. IL
ììb. IL Ep. i\.
35
autori hanno dato notizia del giardino, ch'egli avea
in quel luogo disposto e fornito di piaute. La mag-
gior parte dei di lui scritti fu prodotta in questo
periodo di libertà e di independenza; e tale era la
felicità eh' egli godeva , che nel i SJg essendo stato
innaspettalamente elevalo da Paolo III. alla dignità
di Cardinale, si dice, ch'egli fosse per qualche tem-
po dubbioso se accettar dovesse quella carica (i) (a).
(i) IjC cure , che Bembo si prese poco dopo per riutiiizarc
le obbiezioui , che erano slate fatte contro la sua morale con-
dotta , e le lusinghiere sue lettere a Paolo III. sembrano tut-
tavia in contrasto colla relazione., autenticala da Beccatelli sno
Biografo , e da altri , che egli acconsentisse di mala voglia
alla sua promozione.
(a) Checché sia di questo aneddoto , in tutto questo tratto
di storia il lettore attento non potrà a meno di non ricono-
scere qualche imbarazzo, e qualche piccola contraddizione. Se
Bembo parti da Roma dopo la morìe di Leon X . e venne
a 8!abilirsi in Padova, ciò non accadde, che nel i522. giacché
quel Papa mori nel mese di decembre del t52l. M rosina
non sembra aver fissato con esso il suo soggiorno, se non
dopo la di lui residenza in Padova , giacche non si ha me-
moria , eh' essa convivesse con Betaho in Roma , men'r' egli
era Segretario del Pontefice. Essa mori nel i53ì , come sì
rileva dal suo epitafio surriferi-o. Com' è dunque possibile ^
eh' egli coniinuasse a viver eoo essa in Padova , come narra
1' \ut>re di questa storia, per il periodo di s?2 anni? Se
anche Morosina non fosse mancata ai vivi nel f '^3'"' . rome
avreblie potuto Berii'o gode e la di lei f-ompagnia per 2? anni,
Bp'^ibo ^ che nel i539 fu creato Caidinale e si trasferì di
nuovo in Roma ? Se quel periodo fosse s'ato ne 1' originale
espresso in cifra numerica , si potrebbe credere uno sbaglio
tipografico 3 che cangiato airesss ij «uxnoro m in 3» "=" Del
26
Al fine egli determìnòssi ad accettare per avere acci-
dentalmente udito nel celebrarsi la messa le parole:
Pietro seguimi {i) , ch'egli credette di dover applicare
a se stesso. Egli ricomparve dunque di nuovo ia
Roma , dove fu altamente favorito dal Papa , il quale
gli conferì molti pingui benefizj , e dove egli trovò
nel Sacro Collegio molti de' suoi antichi amici , par-
ticolarmente i Cardinali Contarini , Sadoleto , Cortese ,
e r Inglese Cardinale Eeginalclo Polo ^ che fece dappoi
una luminosa comparsa nel mondo politico , come
nel letterario. In quella città terminò Bembo ì suoi
giorni nel iS^y, avendo allora oltrepassata l'età di
anni 76 (2).
L'alta stima degli scritti dì Bemho fatta dai suoi
contemporanei , o almeno dalla maggior parte dei
resto la condotta di Bemho può apparire meno scandalosa
ove si rifletta , eh' egli non era a queir epoca vincolato da
ordini sacri , e quindi iion potea dare serio argomento di cen-
sura , il che si rileva dalla sua nomina medesima , improvvisa,
ed innaspettata , alla dignità Cardinalizia.
(i) Pelre , sequere me. Mazzucchdli Tom. IV. p. 746 sem-
hra metter in dubbio la cosa. (_ E assai probabile., che Bembo
accostumalo da qualche tempo ad una uita tranquilla , pre-
muroso della educazione de' suoi Jìi'lj , attaccato con passione
ai suoi studj , ai suoi libri , alla sua l'ina . al suo ffiardino ,
mostrasse qualche ripugnanza a tornar di nuouo nel vortice
del mondo , e degli affari , e che alla fine fi si risolvesse
indotto dai consigli degli amici , anziché da un moifìmento
soprannaturale., e da una specie di inspirazione^.
(^a} Bembo fu sepolto in Roma nella Chiesa di S. Maria
alla Miaerva dietro Taliar maggiore fra k tombe di Leon X ^
27
Jnedeslmi , è siala confermala dal migliori critici
delle età successive , ne può per avventura negarsi ,
rhe scegliendo , come suoi modelli Boccaccio, e Pc'^
trarca , e combinando le loro grazie col suo gusto
♦elegante , e corretto , egli non abbia in grado altis-
simo contribuito a sbandire quella rusticità di stile ,
che formo il carattere degli scritti di molti autori
Italiani al principio del secolo XVI. La sua autorità ,
il suo esempio, produssero un effetto sorprendente ,
e tra i suoi discepoli , ed imitatori trovansi molti
dei primarj leiterati , e dei più distinti scrillori di
quel tempo. Può tuttavia osservarsi che il merito
delle sue opere consiste piuttosto nella purità, e nella
correzione dello stile, che non nel vigore del sen-
timento , o nella varietà degli ornamenti poetici , e
che essi presentano pochissima diversità nelf argo-
mento , e nel carattere , essendo pressoché tutti de-
dicati a celebrare un' amorosa passione. E' stata al-
tamente commendata la di lui canzone in morte di
suo fratello Carlo , e si può accordare eh' essa abbia
qualche merito , senza che vi si trovi tuttavia quel
e di Clemente VII. colla seguente iscrizione: apposta da Tor-
quato suo figlio :
PETRO. BEMBO. PATRITIO VENETO. OB. EIVS
SINGVLARES. VIRTVTES
A. PAVLO. IH. PONT. MAX. IN. SACRVM
COLLEGIVM. COOPTATO
TORQUATVS. BEMBVS. P.
OBIIT. XV. KAL. FEB. M. D. XLVII.
VIXIT, AN. LXXVI. MEN. VII. D. XXVIH.
calore di sealimenlo naturale , clie può aspettarsi iri
una slmile occasione (i^. Nello apprezzare imparzial-
mente i talenti di Bernho , e ntell' assegnare cori
precisione i servizj , eli' egli rendette al pro""resso del
buon gusto , è necessario di fare una distinzione tra
r avanzamento della poesia Italiana , ed il miglio-
ramento della lingua; tra gli sforzi dell'ingegno, ed
il risultamento dell' industria. Le opere poetiche di
Benibo consistono principalmente in sonetti e canzoni i^
scritte nello stile Petrarchesco , e sono sovente piit
castigate , ^ma al tempo stesso meno appassionate ^
meno focose che il modello sul quale erano for-
mate. Nel leggere quelle poesie , noi non troviamo
punto quel sentimento originale , che nascendo dal
cuore dell'autore medesimo, esercita una azione di-
retta ed irresistibile su quello del lettore , e poco
ancora scorgiamo di quel carattere secondario del-
l' ingegno , che si spazia ne' campi della fantasìa , e
colle sue -vivaci, e rapide descrizioni, o pitture, che
dir si vogliano, diletta l'immaginazione; all'incontro,
mentre quelle produzioni pendono per la loro ap-
provazione da un più deliberato giu«lizio, noi ci tro-
viamo convinti , che qualunque persona di buon
gusto, che molto avesse letto , potrebbe , impiegando
la dovuta fatica , produrre opere di egual merito.
Che un tale convincimento sia ben fondato , lo prova
(^i) Questa poesia è slata sceli» dal sig. Maihiis neU*
sua Collezione dei Poeti Lirici Italiani Voi, l. pa^'. 86.
in maniera non efjuivoca F innumerabile schiera clegli
scrittori, che hanno imitatolo stile del Bembo, e che
appoggiandosi all' «esempio di quel modo scolastico
di comporre, hanno inondato l'Italia di scritti, che
non si distinguono né per il loro carattere , ne per
il reale loro mento. Non può dubitarsi , che 1 intro-
duzione di quella maniera di scrivere non sia riuscita
fatale alle più sublimi produzioni dell' ingegno. L' in-
ti'inseco dello opere era sacrificato agli esterni orna-
menti. Il "veicolo era dorato e pulito al sommo grado ,
ma spesso non conteneva alcuna cosa pregievole ; e
tutta r attenzione di quegli scrittori era rivolta non
pia a scoprire ciò che era a dirsi , ma come potea
lina cosa esser detta (a).
■"' f«'3 I' s'S- Roscoe scrittore., quanl' altri mai diligente, non
ha preso ad esaminar»» il merito di B:',iìibo , se non dal lalo
delle sue poesie , che non sono per verità le produzioni mi-
gliori della sua penna. Farmi , di' egli avrehbe potuto aceen-
Bare tutta V estensione de' di lui talenti in varj generi. Egli
era uno de' migliori Ellenisti de' suoi tempi ^ egli scrivea il
latino con una straordinaria eleganza; egli possedea un tesoro
di quella , che anche dagli Inglesi vien detta classica erudi-
zione ; le sue lettere sono modelli di stile, e piene di pro-
fonda dottrina ; le sue orazioni, la sua storia Veneta , le sue
pisiole familiari , il suo libro de imitatione , meritavano di
essere citate accanto alln sue poesie, ed allora si sarebbe am-
mirato l' uomo grande in varj generi di letteratura , e d' eru-
diiiooe. F, le note addizionai. '
3o
f V.
Beazzano.
Uno de' più intimi compagni di Bembo tanto nelle
■varie ambasciate, e nella gestione de' pubblici affari ,
quanto nelle sue occupazioni letterarie , era il suo
concittadino Agostino Beazzano , il quale bencbè di-
scendente solo da una famiglia dell'ordine de' cittadini
Veneziani , contava però tra i suoi antenati Francesco
Beazzano gran Cancelliere della Repubblica. Agostino
era cavaliere Gerosolimitano , ed era stato frequen-
temente spedito da Leon X. in missioni di grande
importanza (i). Egli era talmente informato delle cose
riguardanti la corte Romana , e destro talmente , e
sperimentalo ne' pubblici affari , eh' egli veniva con-
sultato in Roma come un oracolo. Dalla bontà di
Leon X. egli ottenne ricche prelature Ecclesiastiche,
(i) Una lettera di Leon X a Leonardo Ljoredano doge di
Venezia , non solo fa vedere P alta stima , che il l'onlefice
nodriva per Beazzano^ ma mostra altresì , oh' egli manteneva
la pratica ereditaria nella di lui famiglia , di combinare gli
affari dello stato colla cura di pioinuovere la letteratura.
» Ea de re Augustinum Bcatianum , familiarem meum , et ci—
J5 vem tuum, probum ipsum virum , et ingenio doctrinaque
s> praestantcm ad le mitto , <jui libi mentem meam latiu$
» explical)il. Cui eliam mandavi , lU certos Graecorum li])ros
>s quibiis egeo , Venetiis perquireret. j> Bemb. Epist, nont.
Leon. X. Lib. X. £p. 45.
3i
e Don è neppure improbabile , eh' egli aspirasse al
graJo di Cardinale -, benché in una delle sue poesie
latine indirizzala a Leon X. egli professi di non aver
portalo così allo le sue mire (i). Il cattivo stalo
della di lui salute lo obbligò poco dopo la morte di
Leone ad abbandonare la corte di Roma , e gli ul-
timi diciolt' anni della sua vita egli passò nel ritiro
a Trevigi , dove intraprese non senza riuscita di al-
legerire le sue pene , o di esilarare 1' animo suo nel
languore della infermità colle delizie dello studio , e
colla società dei suoi amici. Tra i varj tributi di
rispetto renduti alla di lui memoria (2) , basta l' ac-
cennare , ch'egli fu annoverato dall'Ariosto tra i più
celebri letterati del suo ternpo (3).
(l) » Non ego divitias regum , non anxius opto
>5 Quas Tagus auriieris in mare volvil aqiiis j
>} INec magnos ut considea.m spectandus aniicos
» Inter , purpureo ciaclus honore caput ;
>» Amplave ut inaumeiig slrepitent mea tecta minislris ,
»' Et vis mensa ferat, delitiosa dupcs.
>» O deciis , o nostra spes unica , vitaque sedi ,
» iNon minor hoc , placidus quem rt-gis , orbe Leo
» Foriunae , tantum dcderis , Leo maxime , quantum
» Parco sufficiat, si mihi , dives ero. »>
Lo slessiO sentimento yien ripetuto in altra lettera diretta a
Bembo , perchè lo raccomandi al Pontefice , la quale co-
mincia :
»? Cam le rector amet rector Leo maximus orbis « eie.
(a) Multi di questi trovansi presso Mazzucclidti Scrittori
d' u. Val. ir. p. 573.
(3) Oli. Fur. Cani. \6. St. il. Sulla tomba di Beazzarn
»cUa Chiesa di Tievigij è posto il segueule epiiafio :
32
Dalle opere di Beazzano si raccoglie , che egli
mantenne una continua corrispondenza letteraria coi
più dotti uomini del suo tempo. I di lui scritti latini
sono meritamente preferiti a quelli eh' egli lasciò
nella sua lingua nativa , i quali non sono spoe;lj in-
tieramente di quella rusticità che prevaleva nella pri-
ma metà del secolo XVI. All' Imperadore Carlo V.
è diretta una gran parte de' di lui Sonetti ; gli altri
«ono dedicati alle lodi di Leon X (i) , di Pietro
»> Hospes, Beatianus hic esi^ scis caelera :, iium lam
lì Durus es , ut siccis hinc abeas oculis ?
(t) Può essere considerato come un saggio vantaggioso del
suo sùle il seguente sonetto per maialila di Leone X :
5> Re del ciel , che quaggiù scender volesti
»> Vestito del caduco vel terreno ,
« E per mostrarli ben cortese a pieno
•» Togliendo a morte niiì te a morte desti ;
3» L' almo Leon , che già primo eleggesti
« Fra fanti a governar elei mondo il freno ,
»» Conserva tal , che se non d' anni pieno
»» Non torni ad abitar fra li celesti.
» Non vedi , che la gente sbt^TOtlita
» Gridando piange , e prega per chi tien*
»» In dubbio con la sua la nostra vita ?
n Perchè s' egli si tosto a morte viene ,
»? Vedrem d' ogni virtù per ini fiorita
i> n fiore , e il frutto in un perder la spene. "
Le opere Latine , eiì lialiane di Beazznno furono stampate ia
UQ volume in 8. sotto il titolo : De lf. cose volga^ri et i.atitb
r)EL BeatiAno. Venetiìa per Barlholorn. ds Zanettis d>^ Bri-
xia anno a natimlale Domìni x^^S die decima octoh. — 'L'edi—
sione , che porta in apparcnsta la data del i55i non fe chp la
itrima con una nuova data.
33.
Bembo , del Marchese del Vasto , ed altri distinti
personaggi. Tra essi ve n'ha alcuni indirizzati a Ti-
ziano celebre pittore in termini di grandissima stima,
e di alta ammirazione..
§ VI.
Molza.
Un altro autore egualmente celebre per le sue
opere Latine , ed Italiane , era l'elegante Francesco
Maria Mulza , i di cui scritti hanno un carattere più
distinto , che quelli di molti de' di lui contempora-
nei ; e colla particolare loro tenerezza , ed espressio-
ne , possono meritare al loro autore il nome del
Tibullo de suoi tempi. Egli era nato a IModena di
nobile famiglia nel 14^9, ed essendo stato mandato
da suo padre a Roma , avea avuto la sorte di esser
socio ne* primi suoi studj coli' eruditissimo Marc An-
tonio Flaminio , uno dei migliori poeti Latini di quel
tempo (i). Dopo aver fatto straordinarj progressi nel
Ct) » Fr. Mariam Molciam Mutinensem , et M. Aatonium
lì Flamiaium adolescentem adeo bonanim litLerariim studio
») inQammatos video , ut assidue ambo vel libios evolvant ,
»» vel aliquid ipsi componant. De utroque magua concipere
J5 possumus , nec solum hi humanilatis Uosculos Jcgunt , sed
»> ulierius studia sua proferunt. Franciscus euim posi verna-
»> cula , in qiiibus suàe jam eruditionis certa documenta de-
») dit , Latina Graecis et Hebraeis conjungit , et licet nimio
» plus mulierum amoribus insanire videatur , iater rarissima
Leone X. Tom. FU 3
S4
Greco, e nel Latino, ed aver ancte acquistata qual-
che cognizione dell' Ebraico , che cominciava allora
a studiarsi in Italia, egli fu chiamalo da suo padre
a Modena, dove nell' anno i5i2 egli si ammogliò,
e fissò quindi la sua residenza (i). Egli si era tut-
tavia già distinto con diverse produzioni che riscossa
aveano l' ammirazione ; ed avendo udito celebrarsi la
liberalità straordinaria di Leon X verso gli uomini
di talento , e quelli particolarmente, che distingue-
Tans! nella poesia , egli fu preso da un invincibile
desiderio di ritornare a Roma , cosicché ne le rimo-
stranze de' parenti , ne 1' amore della fftoglie , e dei
figlj poterono trattenerlo dalT eseguire il suo divisa-
jnento. Egli giunse quindi in quella città verso la
fine dell'anno i5i6 sotto il pretesto di attendere ad
una lite , nella quale era involta la di \\n famiglia ,
al quale oggetto poco dopo mostrò di prestare po-
chissima cura (a). Egli vi fece losto conoscenza 'con
Filippo Beroaldo Bibliotecario della Vaticana , Sado-
leto , Bembo ^ Caiacci^ Tchaldeo ^ e gli altri distinti
letterati, che allora trovavansi in Roma, alla di cui
società egli fu sommamente aggradevole. In quella
situazione sembrò , eh' egli avesse intieramente dimeo-
>» tamen ingenia connumerandus. >» Lil. Greg. Gyraldus de
Poeiis suor, tcnip, dial. I, Opp. toni. Jì. pug. 54^ ed Ltigd.
Bat. 1696.
(1) Serassì Vita del Molza , in fronte delle opere volgari e
Ialine del Molza pag. 4-
(3) lU. ibid, pag. 5 e 6,
35
ticata la patria, i parenti, ìa famiglia , e la consorte,
e che avesse altresì cangiato £;li slu Ij , e T amore
della letteratura collo sfogo di una licenziosa pas-
sione per una dama Romana , in conseguenza di che
egli ricevette una ferita dalla mano di un assas-
sino sconosciuto , che poco mancò non gli togliesse
la vita (i). Poco dopo la morte di Leon X egli ab-
bandonò la città di Roma, xiiiitamentt' a molti altri
grandi letterati , i t|uali trovarono in Adriano VI
successore di Leone un Pontefice , che le produzioni
della letteratura , e delle arti guardava col massimo
disprezzo (a). Invece tuttavia di tornare alla sua fa-
miglia , Molza ritirossi a Bologna, dove poco dopo
egli si innamorò altamente di Camilla Gonzaga donna
di gran condizione , e di grandissima bellezza , ed
ammiratrii-e appassionata della poesia Italiana. Dalle
di lei attrattive egli fu trattenuto in Bologna due
anni , benché si supponesse , che la sua passione
fosse puramente del genere platonico (ri). La vita di
Molza sembra essere stata intieramente divisa tra
la poesia, e la dis^iipazione (3). Durante lo splendore
passaggiero del Cardinale Ippolito de Aledici egli fu
(i) Id. pag. IO e IT.
(a) Eppure egli era slato il Precettore di Carlo V !
(a) Sul ritratto di quesa Dama M-ylza scrisse un poemetto
in due parli, ciascuua di 5o sianze ia ol'ava rima , che fu
pubblicato colle di lui opere Voi. I. p. i3ì. e coatieae molti
passi bellissimi.
(3) Egli ebbe la sforluua di trovarsi presente al miserando
36
uno de' più chiarì ornamenti ctella sua corte , e col
suoi talenti slraordinarj , e colla sua vivacità riscosse
r ammirazione , e si conciliò la slima , e Y affetto di
una numerosa schiera d'amici (i). Dopo di avere abbaa-
sacco di Roma , commesso dai banditi sotto il Duca di Borbone
nel iSa^; e ne fece menzione con isdegno in una delle sue elegie
indirizzale all' amico suo Luif^i Friuli :
»j His tecum decuil me polius vivere in oris,
»> Qaam spedasse urbis funera Romuleae ;
)> Quam saevas acies , truculenù et Teulonis iras,
» Usiaque ab Hispano milite tempia Deum.
» V'di ego Ves'ales foedis coulactibus actas
» INequicquam s. arsis exulularc- cornisi
» Collaque demissum ferro, gravibusque catenis
5j Romana sacra procubuisse via. «
Molzae Opp- torri. II. p. 169.
(i) Nojoso sarebbe il raccogliere tutti gli elogi che si so!i fatti
di Molza ^ avendo renduto testimonianza al di lui merito tutti
gli scrittori pii!i distinti di quel tempo. Alcuno però non ve
n' ha che pifi onorevole sia alla di lui memoria , di quello
del'a virtuosa e gentile Vittoria Colonna , la quale consacri
due dei suoi sonetti a compianger la morte de' genitori di
Molza ^ i quali mancarono di vita ambidue pressoché nel
tempo medesimo ^ e ad eccitare il figlio ad immortalare coi
suoi scritti le loro virtù :
» Opra è da voi con 1' armonia celeste
n Del vostro altero suon , che nostra etade
»> Già del antico onor lieta riveste ,
j» Dir com' cbber quesl' alme libertnde
)> Insieme a un tempo . e come insieme preste
j> Volar nelle divine aUe contrade. »»
Son. 118. Ed del Corin l558.
Non dobbiamo neppure omettere i seguenli eleganlissinu Tersi
del suo piirao amico Flanntào i
37
donata la moglie , ed i fi^li suoi , e di essere slato dal
proprio padre privato della eredità , egli terminò al
fine i suoi giorni per quella malattìa, che sommini-
strò a Fracastoro il soggetto del suo mirabile poema ,
al quale le lagnanze del Molza , espresse in \ersi
di eguale eleganza possono servire al tempo stesso di
supplemento, e di commentario (i) (a).
De Francisco Moha.
n Posterà dum numeros dulces mirabitur aetas ,
n Sive , Tihulle , tuos , sive, Petrarca, luos 5
»> Tu quoque, Molza, pari scraper celebrabere fama ,
n Voi potius titulo duplice major eris ^
» Quicquid enim laudis dedii inclita Musa duobus
» Valibus , hoc uni donai habere libi, n
Flain. Carni. Lib. II. \c).
La sua memoria fu anclie onorata dalla penna del Conte
Nicolò d' Arco col seguente Epiia'lo :
» Molza jaces. Musae te descendente Latinae
n Flerunt , et Tuscis miscueruut lacrimas. n
(i) In una delle Elegie indirizzate al Cardinale Benedetta
Accolti , noi troviamo i seguenti non equivoci versi , pieni
altronde di espressione :
» Tertia nam misero jampridem ducitur aetas ,,
« Ex qua me morbi tìs fera oorripuit ;
« Quam lectae nequennt , succisve potenlibus herhae j
» Peliere nec magico Saga ministerio ,
jj Vecta nec ipsa Indis nuper feliribus arbor
» Una tot humanis usibus api a juvat.
n Decolor ille mcus toto jam corpore sanguis
»' ' ruit , et soliius deserit ora nitor.
»> Quae si forte modis spectes modis pallantia miris ^
" Esse alium quam me , tu Benedicte . putas.
n Quid referam somni ductas sino munere nocte»
» Fugerit atque omnis lumina nostra sapor '
3Ò
La più celebre produzione di Moìza In lingna
Itahaaa è 11 suo poemetto pastorale intitolalo : ta
w Et to!.is liausturo frustra cereale papaver ,
il Misceri et aiedica quicqniJ ab arie solet ?
f» Saevit alrox morbi rabies i, tenerisque medullis
lì Haeret , et exhaustis ossibus, ossa voratl n
Mnha Opp. 1. i3i.
Porhi giorni avanti la sua morie egli indirizzò ancoi^ una
pia beila, e pateiica elegia ai suoi amici i, stampata nelle sue
opere *> >/. /, ptig. aia. Che Molzn non fosse da'.o per t'd modo
agli amori licenziosi , die riiiunzialo avesse perciò alle spe-
ranze di una fama durevole., egli è evidente solo che «i legga
uno de' suoi sonetti , che comincia :
»5 Alto silenzio , ohe a pensar mi tiri , » ecc.
•Opp. Voi. I pag- 43.
(a) Per quanto coniar si possa sul!' esattezza del diligentis-
simo Serassi , dal quale Y Autore di questa s'oria ha tratto
le notizie di Molza , poìrebbe nascere qualche dubbio sulle
cose , che si annunziano sulla fìus di questo paragrafo. Che
queir uomo di lettere poco curasse la faniig'ia . ed i legami
del matrimonio., è fuor di dubbio,- ma se «vesse del tutto
trascurato anzi in qualche modo ripudialo qualunque relaziona
di famiglia ,, se abbandonato avesse la prole , se fosse stato
diseredato dal padre, e dall' aulori'à paterna punito cosi se-
veramente del suo abbandono : come mai la prudcnlissima ,
e sapientissima Vil.luria Colcni.a avrebbe potuto nel suo so-
netto surriferito pubblicamenie eccitare il tìglio ad immortalare
co' suoi versi la memoria do' suoi gi?aitori contemporaneamente
defunti ?
Merita riflessione il passo dell' elegia riportato di sopra :,
nel quale si accenna 1' introduzione di una nuora pianta me—
diciu:de venuta allora dalle Indie . atta a moltissimi usi ^ la
quale noa può essere , the la diinarhina , o rinchoiia . uno
de' doiù più preziosi., che il uuovo mondo ha fatto all'aulico»
39
Ninfa Tiberina, scritto in lode di Faustina Mancini^
D.iiTia Romana , alla quale e^li area con-;acrato i
suoi ardenti , ma volubili affetti. A.lcune delle suo
canzoni hanno ancora un gran merito , ed accoppiano
lina rara forza di sentimento ad una g'rande sempli^-
cita, ed eleganza nell'espressione. Questo può suffi-
cientemente cortiprendersi da uno di qua' componi-
menti , il quale probabilmente era diretto ad Ippolito
de' Medici , e nel quale egli si duole , che il suo
giovane protettore non approfitti per segnalarsi co'suoi
rari talenti di quelle opportunità , che gli si presen-
tavano sotto il Pontificato di Leon X. Compiange
al tempo stesso la perdita improvvisa di quelle spe-
ranze , che ispirate aveano le virtù , e la munificenza
di quel Pontefice.
Il sig. Ru'z . che ha data la storia delP introduzione di quella
«lauta , avrebbe poluto approfiitare di quesLa noiizia.
Molza non fu solo licenzioso nella sua condotta , ma lo fu
ancora nei suoi scritti , e lo j)rova basianteraente il suo ca-
pitolo dei fichi ., ossia la Fichcidc del ptidre Siceo , che è
Stalo commentato dal Caro sotto il nOuie di Ser Agresto. •—
I Lessicografi Francesi dicono, eh' egli perdette la salute , e laf
vita per essersi abbandonato sregolai amen! e alle cor' giane di
Modena. Essi probabilmenLe s' ingannano , perchè egli dopo
aver lasciato Modena una seconda volta non tornovvi a sog-
giornare.
Tarquinia Mnìza di lui abbiatica fu celebre per la sua
belleiza , per la sua onestà , per la sua perizia nelle lingue
latina , greca ed ebraica , e per le sue poesie , che trovans?
stampale con quelle dell' avo suo nel 1760 in 2 voi. in 8
4o
§ VII.
Ariosto. — Suo apologo relativo a Leon X.
Mentre molti de' più distinti letterati d' Italia ,
condotti dalla generosità del Pontefice areano fissato
la loro residenza in Roma , il celebre Ariosto , il
primo favorito delle muse, e la gloria dell' età sua ,
rimaneva a Ferrara , attaccalo alla corte del Cardi-
nale Ippolito d' Este , al di cui servigio egli era en-
trato fino dall'anno i5o3 (i). Durante questo periodo
egli avea disimpegnalo molle importanti incombenze
per Alfonso Duca di Ferrara tanto in oggetti civili
che militari, ed avea corso in quelli egiial pericolo,
che in questi , particolarmente ndla sua ambasciata
a Roma nel i5i2 per calmare lo sdegno dell'ira-
scibile Pontefice Giulio 11 (2). La lunga amichevole
corrispondenza , che sussistito avea tra T Ariosto e
(i) Sopra Volume I. Capo II. p. lìo , e i3i. Nell'anno
i5o7 egli fu mandato dal Cardinale Ippolito a Mantova a con-
gratularsi con sua sorella Isabella ci' /isfe moglie del Marchese
Francesco Gonzaga sulla nascila di un Tglio. Una lettera di
Isabella a suo fratell.) . che ancora rimane , mostra che a
quel tempo Ariosto avea fatto progres-^i considerabili nel suo
gran Poema epi(;o , alcune parti del quale egli lesse per loro
tratteniraeulo. Onesta lettera h anche degna di no'izia , come
la produzione di una donna elegante, e gen ile, e cha era di
altissimo grado in l'alia. Appond N. CLXII.
(2) Sopra Volume HI. Capo IK. p. j59.
4i
Leon X prima della sua elevazione al Pontificalo
indusse il poeta poco dopo questo avvenimento a
recarsi a Roma eolla lusinga di provare gli effetti
di quella bontà , che tanto liberale facevasi ve-
dere con altri di merito molto inferiore. Leone ri-
conobbe r antico suo amico , ed alzandolo da terra ,
e baciandogli 1' una e 1' altra guancia , assicurollo
della continuazione del suo favore , e della sua
protezione (i). Il favore del Pontefice tuttavia in
questa occasione non si estese se non alla conces-
sione di una bolla , colla quale gli venivano assi-
curali gli emolumenti prodotti dalla pubblicazione
del suo celebre poema. Ma se deluse furono le aspet-
tative ardenti del poeta , il suo buon senso presto
lo convinse che la colpa non era del tutto imputabile
al Papa; e mentr'egli descrive colla maggiore vivacità
la demolizione delle sue speranze, somministra i ma-
teriali per un' apologia del Papa anche in mezzo
ai suoi sarcasmi. ,, Alcune persone , die' egli nella
sua satira epistolare ad Annibale Malaguzzl {2) , ,, non
„ lascieranno di osservare, che se io fossi andato a
p, Roma in cerca di benefi?zj , io avrei potuto accat-
,, tarne più d'uno avanti quelF epoca , essendo io
5, stato specialmente in gran favore presso il Papa
(i) >ì Piegossi a me da la beata Sede
» La mano , e poi le gole ambe rai prese ,
» E '1 sanie bacio in amendue mi diede. »
Ariosto satira IH, ad An. Malaguz^i.
(a) Jtriogto Satira HI
5, (la molto tempo , e collocato tra i suol antìcìiì
„ amici prima che le sue virtù, e li sua buona for-
j, luna Io esaltassero a quell'alta dignità, che i Fio-
5, rentini gli aprissero le porte , o che suo fratello
5j Giuliano si rlfugi;}sse alla corte d' Urbino , dove
„ egli alleviava le pene del suo esilio coli' autore
,, del Cortigiano , con lìcwho , e con allri favoriti
,, d' Apollo. Allorché poi j Medici alzarono di nuovo
,, la fronte in Firenze , od il Gonfaloniere fuggendo
„ dai suo palazzo trovò la sua rovina , e quando il
j, Cardinale de' Medici venne a Roma a prendere il
,, nome di Leone, egli mi conservò ancora il suo
,, attaccamento. Sovente egli parlavami allorché era
,, legalo , non altrimenti che s io fossi stato suo fra-
,, tello. Per questa ragione può riuscire strano ad
,, alcuno, che n di' atto ch'io gli feci una visita in
,, Roma , egli abbia umdiato il mi? orgoglio ; ma a
5, questi io risponderò con uà racconto. Leggetelo ,
5, amico mio , giacche il leggerlo è a voi meno in-
j,j coTnodo , che a me lo scriverlo.
,, Eravi un tempo , in cui la terra era cosi arsa
j, per r eccessivo calore , che sembrava che Febo
y^ avesse di nuovo abbandonate le redini a Fetonte.
,, Ogni pozzo , ogni fontana era secca. I ruscelli , ed
,, i torrenti, e perfino qualunque più celebre fiume
,, poteva essere attraversato senza che Ci cesse d' uopo
5, di ponte. In quei tempo viveva un pasloi'e , io
,, non so bene se ricco dovesse dirsi , o imbarazzato
5, di greggie , e d' armenti , il quale avendo per lungo
j, tempo cercato l'acqua in vano, le sue preghiere
4^
„ rivolse alfine a quell' Essere cKe mal nod aLban-
„ dona coloro che in esso ripongono la loro fede , e
,, per favore del cielo egli fu istrutto , che trovato
„ avrebbe 1' acqua in fondo ad una valle , che gli
„ era stata indicata col divino ajuto. Egli partì
,, dunque immediatamente colla moglie , i figlj , ed il
,, bestiame , e secondo la sua aspettazione trovò la
,, fontana. La sorgente però non era molto ricca ,
,, ed avendo egli un solo piccolo vaso per dispensare
,, l'acqua, richiese i suoi compagni che non avessero
j, a male se egli volea per se il primo sorso. Il
,, secondo, diss'egli, è per mia moglie, ed il quarto
,, pei miei cari figlj finche la loro sete sia soddisfatta.
,, Il resto sarà distribuito tra quegli amici miei, che
,, mi hanno prestato assistenza nell' aprire la sorgente.
,, Egli quindi ponea mente al suo bestiame pì'endendo
,, cura di soccorere quegli animali pei primi , la di
,, cui morte gli avrebbe cagionata una grandissima
,, perdita. Con quest'ordine essi passavano a bere
,, r uno dopo r altro. Alfine un povero pappagallo ,
,, che era mollo amalo dal suo padrone si pose a
,, gridare: Ohimè! Io non sono uno de' suoi parenti ,
,, né lo ho assistito nello scavare la fonte , ne io
,, posso essere di maggior servigio al padrone in fu-
,, turo di quello che io sia slato ne' tempi passali.
,, Altri , come ben veggo , sono assai più avanti di
,, me, ed io morrò di sete, se non posso ottenere
„ da altra parie soccorso. Con questo risconto voi
,, potete, mio buon cugino, far tacere ausili, i quali
,, si avvisano che il Papa dovesse preferirmi ai ISeri^'
44
„ ai Vanni, ai Lotti , ed ai Baci (i) suoi nipoti, e
,, parenti , i quali deggiono bevere prima , e quelli
„ dopo di loro , die lo hanno assistilo nel rivestirlo
^, del più ricco di tutti i mantelli. Quando questi
,, saranno soddisfatti » egli vorrà favorire coloro ,
j, che sposarono la di lui causa conlra Soderini al
j, di lui ritorno in Firenze. Alcuno dirà, io era con
5, Pietro in Casentino ed ho evitato a slento di
,, essere preso , ed ammazzato. Io, grida Brandino ^
„ lo ho assistito con danaro. Egli ha vissuto, escla-
j, ma un terzo , un anno intiero a mia spesa , nel
,, qual tempo io gli somministrava armi , vestiti ,
,, danari , e cavalli. Se io deggio aspettare finché
j, tutti questi sieno soddisfatti , io morrò certamente
j, di sete, o vedrò la fonte esausta. ,,
Si raccoglie tuttavia da molti altri passi delle sue
satiro , che Ariosto mostrò il suo malcontento , al-
ludendo in essi al suo viaggio a Roma con piacevo-
lezza insieme , e con una specie di cruccio. Egli è
certo , che la magnificenza del Pap^ non corrispose
in alcun modo a quel tenero , ed affettuoso ricevi-
mento , nhe il poeta avea sperimentato al suo arrivo.
La concessione di un privilegio Pontificio per assi-
curargli il solo diritto di slampare la sua grand'opera,
la Lolla della quale , come egli minutamente ci in-
(;) INon sono questi nomi di nobili famiglie Firentine come
alcuno ha supposto . ma bensì diminutivi di nomi comuni ,
come Gì vallili , B irtn/n'^?>rr, . Lan'r/;tfo ecc., dinotanti affe-
zione. (La co«a però sea)I)ra mollo dubbia).
45
forma fu spedita a spese sue proprie (i) , non era
sicuramente un grande sforzo della bontà di quel
Principe. EjììIì è tuttavia Len chiaro per gli scritti
medesimi dell' Ariosto , che egli avea una dose con-
siderabile di quella impazienza , ed irritabilità , che
sono i compagni soliti dell' ingegno. Dopo avere
aspettato porhi giorni in Roma nella lusinga, che ij
Paj|»a avrebbe liberalmente provveduto una persona ,
per la quale mostrava riguardi tanto straordinarj ,
egli partì in fretta con ferma risoluzione di non più
ritornarvi (2). Si ha tuttavia sufficiente motivo di
credere , che Ariosto sperimentasse in diversi tempi
la liberalità del Pontefice , ed in particolare che
Leone gli donasse alcune centinaja di corone per le
spese della pubblicazione del suo immortale poema (3),
^l) n Di mezza quella bolla anco cortese
» Mi fu , de la qual ora il mio Bibiena
J5 Espedito m'ha il resto, a le mie spese.
Satira JH.
(?) n Venne il di che la Chiesa fu per moglie
» Data a Leone , ed a le nozze vidi
'» A. tanti amici miei rosse le spoglie.
» Venne a calende, e fuggi innanzi a gli idi j
n Fin che me ne rimembra ^ esser non puote
n Che di promessa altrui mai pili mi fidi.
n La sciocca speme a le contiade ignote
" Sali del ciel , quel di che '1 pastor santo
n La man mi strinse , e mi baciò le gole. »»
Salirà VI.
(3) I favori conferiti da Leone all' 4riosto vengono riferiti
da Gabriello Siineo/U nella sua satira sopra 1' avarizia.
46
E' pure certo die il malcontento eia esso descritto
con frasi tanto vivaci non eccitò nel generoso petto
deW Ariosto alcuna specie di animosità verso il Pon-
tefice , che egli spesso rammenta ne' susseguenti suoi
scritti coi sentimenti della j>in alla venerazione ed
anche di applauso (i).
§. Vili.
Ariosto vìsita Firenze. — È privato di-i' suoi stipendj
del Cardinale Ippolito d Fste. — Stahdisce la sua
residenza in Ferrara.
Nel lasciare Roma Ariosto non tornò immediata-
mente a Ferrara, ma visitò Firenze, dove egli tro-
vossi presente alle feste, che in quella città ebbero
luogo per r elevazione di Leon X. Egli vi rimase
almeno sei mesi , e probabilmente più a lungo , al-
lettato dall'aria felice, e dalla situazione del paese,
»> Successe a lui Lian poi lume e specchio
j> Di cortesia , che ui la cagioa prima ,
>j Che aW Ariosio ancor porgiam orecchio. »
II che è spiegalo da una noia marginale in questa forma:
» Leon X donò all' Ariosto per fornire il suo libro più cen-
si linaja di scudi jr. Muzzucchelli Scritt. d'Ital. nell'Art.
Ariosto T. II. pi io63.
(i) Il suo aliaccamento alla famiglia de Medici in generale,
ed a Leon X ia particolare , apparo dalla sua bella canzone
in morte di Giuliano de' Meditai ^ già da noi prodotta nella
Appendice N. CXXXYL
47
dalla bellezza tlelle donne, e dalle maniere gentili
degli abitanli; ed iilla sua partenza celebrò in una
bella poesia i comodi ed i piaceri che goduto vi avea ,
che per quanto sembrava, erano sufficienti a bandire dal
di lui animo tutte le angoscio, eccettuate quelle del-
l'amore (i). Al suo arrivo a Ferrara egli si atLaocò di
nuovo al servigio del Cardinale Ippolito , il che tuttavia
non lo trattenne dal finire il poema , al quale avea
per sì lungo tempo dato opera , e che egli pubblicò
a Ferrara nell'anno i5i5. Se Y Ariosto era stato di-
sgustalo per la condotta di Leon JSC, egli ebbe mollo
maggior ragione di dolersi della illiberalità , e della
insensibilità del Cardinale suo principale protettore ,
al quale egli avea dedicato \ opera sua ia termini
di altissima commendazione. Questi invece di accor-
dargli qualche ricompensa per le sue fatiche , gli do-
mandò colla indeffereuza di una stupida curiosità, dove
avesse raccolto tante assurdità (2) (a). Questo segno
(i) » Gentil città , che oca felici auguri , eco.
Ariosto lì'une , ptjg. /(O , ed. T'^inegia iSS^.
(2) Dou3 diavolo messer Lodoi^ico auete pigliate tante co-
glionerie ? Mazzucclielli ha alterato ia qualche cìodo la fra-
seologia del Cardinale, il quale secondo il di lui racconio ,
cljiese air Ariosto : Dande mai ai^essc egli Irouate tante min-
chionerie? Srritt. d' halli T II. p. 1069. Ma si può cre-
dere, che l'aneddoto sia certo, e che i meriti HtW Ariosto y
siccome quelli di MiLon^ e di tutti gli altri , il di cui ingegno
era superiore al caialiere de' loro lem.pi , non fosse sufiicien-
temente riconosciuto durante la loro vita. » Cosi fa il raouJo
» degli huomini 5 non gli conosce mai 3 se bou quando gli ha
48
di disapprovazione, non compensato da alcun atto
di gentilezza per parte del Cardinale , affettò gran-
demente il poeta , il quale nella seconda edizione del
suo poema espresse il suo sentimento con una im-
presa , o divisa, nella quale egli rappresentò un ser-
pente verso il quale si stende una mano , che tenta
« perduri Vedi come stava il povero Ariosto, uomo excellente;
n leggi i suoi scriui , e vedi se il mondo lo conosceva. Se
risusci'asse oggi , ogni principe lo vorrebbe appresso , ogni
iì persona 1* onorerebbe. » Doni la Zucca p. io5. presso Maz~
zucchi'lli Scria. (V Ital. T. II. p. 1069. Pietro Aretino in
una lettera a Dolce riferisce , che una espressione simile a
quella usala dal Cardinale fu applicala da uno de^ suoi ser-
vidori alla pavafrai^i di Aretino medesimo dei selle salmi pe-
nitenziali, n Un mio servitor , sentendo leggere i miei salmi;
n disse : Mi non so u' diavolo il padron si catti tante baga^^
Ielle. » Bailli't jugemens de Scivants T. IV. p. 48.
(a) Il sig. Roscoe peritissimo nella lingua Italiana non ha ben
inleso il suono di questa frase, e di questa voce, che siccome scur-
rile, e disusa a dai buoni scrittori, egli non era obbligalo a cono,
srei e. Il Cardinale, che non era fornito ne di dottrina, né d'in—
geguo , con quella frase lasciala probabilmente sfuggire senza
riflessione , non volle già dire che il libro fosse pieno di as-
surdità . come ha tradolio il sig. Roscoe , ma bensì di stra-
vaganze , o di bagallelle , come più avvedutamente disse il
domestico di Aretino, seppure a questo scrittore può credersi
r aneddoto , che egli probabilmente ha inserito per mettere
maggiormente in ridicolo i salmi. Del rimanente il sig. Roscoe
ha credulo alterala la frase, o la maniera di dire , tal quale
è riferita da Mazzucchelli , che è la slessa slessissima del-
l' originale , se non che il casligatissimo Mazzucchelli ha
voluto ia qualche parte temperare la scurrilità delP ultima
parola.
49
con un pajo di forbici di tagliiro la sua testa, eJ
è circondala dal motto prò Boyo malu.v. Questa di-
visa , nella quale sembrava alludere alla supnost.i
TÌrtù medica del serpente, egli cangiò nella nuova
edizione in altra, clie forse credette più facile ad
intenflersi generalmente , e che rappresentava le per-
dute sue fatiche colf emblema di un' arnia d' api ,
che veniva distrutta colle fiamme ad Oiisetto di to-
gliere loro il miele (i).
Nell'anno i5i8 il Cardinale Ippolito d Este ìnln-
prese un viaggio in Ungheria , nel quale egli voleva
essere accompagnato dalle primarie persane della sua
corte, e tra le altre dnW Ariosto. Il poeta non era
tuttavìa inclinato a fare un simile sacrifizio del suo
tempo, del quale egli ben cnnoscea il valore, o della
sua silute, la quale era allora in uno stato molto
precario , per far piacei'e ad una persona , che noa
sembrava meritare il di lui attaccamento. Per questo
rifiuto egli non solo perdette il favore del Cardina-
le, ma incorse altresì il suo risentimento , il quale
si rese manifesto col privare il poeta del miserabile
stipendio di venticinque corone (a) , che il Cardina-
le, per quanto sembra, gli accordava ogni quattro
(i) Questi eaiblemi sono stati perpetuali nel rovescio di
due diverse Medaglie, rappresenianù l' immngine del poeta ,
ohe sono state inserite nel museo Diuzzuccheiù'ano V. I. pa-
gina 209 T. 37.
(a) Non so perchl- il traduttore Francese abbia apposto ;!
numero di sessantacincjue invece di venticiutjue.
LiONE X. Tom. ni. 4
5q
mesi , ma che il poeta non avea senmyre la buoni
sorte di conseguire. Questo avveaimento somministrò
ad Ariosto il soggetto della prima Sua satira , nella
quale egli si è esteso alla censura con molta piace-
volezza , colla più attraente semplicità , e con uno
spirito inimitabile ; in essa egli dichiara la sua riso-
luzione di conservare la sua independenza tanto della
persona che dello spirito , e di ritirarsi dalle turbo-
lenze della corte alla tranquillità della vita privata.
Egli lasciò quindi Ferrara , ed andò a risedere nel
suo paese natio di Reggio , applicandosi solo al suoi
Sludj ed al suoi piaceri , ed in quella situazione rv-
mase fino alla morte del Cardinale (i).
La perdita del suo protettore sembra che fosse il
principio della felicità dell' Ariosto. Immediatamente
dopo questo avvenimento egli fu chiamato di nuovo
a Ferrara dal Duca Alfonso , il quale volea apparen-
temente compensare la trascuranza di suo fratello,
ed accordò all' Ariosto un posto rispettabile nella sua
corte, senza esigere dal medesimo alcun servigio, che
turbare potesse o interrompere i di lui studj (2). La
(i) A questo felice periodo della sua fita egli allude uelloi
IV. Sati.a.
» Già mi fur dolci inviti a empir le carie
>j I luoghi ameni , di che il nosuo Reggio ,
ti II natio nido mio n^ ha la sua parte, n
j> Cercando hor questo et hor quel loco opaco,
j> Quivi in più d'una lingua, e in più d' uvj stile,
n Rivi trahea fin dal Gorgoni© laco.
(a) » Il servigio del Duca , da ogni [larte
» (>he ci sia buona , più mi piace in quesLa.
w Che dal nido ualio raro si parte, j--
5i
liberalità del Duca pose ben presto il poeta in istato
di fabbricarsi una casa nella città di Ferrara , nella
facciata della quale egli collocò una iscrizione con-
veniente alla modesta abitazione di un poeta, e con-
sentanea pure alla moderazione ed alla independenza
del suo proprio carattere (i). N;dla sua residenza, e
nei giardini a quella annessi egli si consacrò con
nuovo ardore ai suol lavori letterarj ; compose i canti
addizionali del suo Orlando , e pose in versi le due
commedie la Cassarla , ed i Suppositi , che egli avea
nella sua gioventù scritte in prosa. Poco dopo la
morte di Leon X i suoi piaceri furono per breve
tempo interrotti da una missione nel distretto di
Garfagnana parte del territorio di Ferrara (a) , dove
egli fu mandato dal Duca , affine di sedare colla sua
famigliarità , e coli' autorità sua un tumulto insorto
9) Perciò gli sludi miei poco molesta ,
>j Né mi toglie , onde mai lutto partire
J5 Non posso , perchè il cor sempre si resta, jj
(i) Il centro della tacciala della casa porla la seguenle
iscrizione :
Parva., seu afta mihi; sed nulli obsoxia ^ sed nqiv
Sordida 5 parta meo sed tamen aere domus.
Sulla più alta parte del frontespizio sta scritto.
Sic. Domus. Haec
Areostea.
Propitios.
Deos. Habeat. Ohm. Ut.
Pindarica.
(a) O piuttosto di Modena , che allora trovavasi sotto il
dominio dei Duchi di Ferrara.
Sa
tra gli abitanti, nel clie i suoi sforzi ottennero l'ef-
fetto desiderato (i) ; ma la città di Ferrara seguilo
ad essere la sua residenza fino alla morte , che av-
venne alli 6 di giugno i533 nel cinquantesimo nojip
anno dell' età sua.
§ IX.
Effetti prodotti dalle opere dell Ariosto sul gusto,
universale dell Europa.
Sarebbe superflua qualunque osservazione su di
un'opera tanto ben ronos iuta, e tanto universal-
mente letta, qual'è [Orlando furioso (2); e dt;i com-
(1) A questa missione alludi^ j4riri.<tn ne'Ia IV sua satira ,
nella quale si lagna dell' inlerroiiìpimenlo de' suoi studi dalla
medosima cagionato . e della lontananza, nella quale si trovava,
della sua amica. Egli amraeUe , che quella incombenza era
molto onorevole , e lucrativa ., ma dice trovarsi egli nella si-
tuazione del Callo , rhe rinvoniUo avea un diamante , o di
qu.l nobile Veneziano , al quale il re di Portogallo avea re-
galalo un cavallo arabo.
(2) Per avere un ragguaglio dtille varie edizioni di questo
celebre poema dopo la sua prima publìlicazione fatta in Ferrara
per Lodouico Mazzoccho nel i5i5 in l\ , si può ricorrere ai
bibliografi, ed agli scrittori della Storia Letteraria d' Italia ,
in particolare a Mazzucchelti , che ha registrato non meno
di ses^antasette edizioni, fatte fino all'anno i^SS , delle quali
si giudica la migliore quella , che h arricchita coi disegni di
Oirnlamo Porm stampata in Venezia appresso F'rancc'^co di
Franceschi iSS^ in /j. ( Questa è un'edizione rara, e che può,
53
|>onimeiili satirici e lirici deìY Ariosto qualche sa^jgio
si è dato , applicabile agli avvenimenti de' div( rsii
periodi di questa storia (i). Al pari di molti de' più
grandi letterati del suo tempo egli dedicò una por-
zione del suo ozio letterario alle composizioni Iali-
ne , ma sebbene alcune delle sue produzioni in quella
lingua abbiano molto merito (2) , egli è nelle opere
dirsi di lasso , ma non può dirsi la hiif;liore per ciò , che
spetta alla lezione corretta del testo, f'iggansi le note addi'
zio nuli )
Q\) Le Satire «ìell' Ariosto non furonf) ptihhlirale se nott
dopo la morte dell' Aulore nel i'Ì34. Qiiesla eclizione è inti-
tolaa ; Le Satire di M. Ijodnvir.o Ariosto , volgari i^ in terza
rima., di nuoi>o stampale:, nel mese di octobre , M. D. TiXXIIIIj
dal che si potrebbe inferire , che fossero slate stHriipale dap-
prima^ sfe non si sapesse esser questa una frase frerjuenn'ssima
è come uno stile degli stampatori di quel tempo , e che molti
esempj allegar si possono , nei quali quella f.ase è siala
usata, mentre l'opera non era s'ata giammai pubblicata colle
stampe. Qwelle salire sono stale inserile tra i libri proil)iti
dalla Roniana Sede , ma questo non ha impedito , che molle
edizioni se ne facessero in appresso , alcinie delle quali sono
state pubblicate in Venezia in diverse epoche tanto separaia-
meuie , quanto unite colle sue liriche poesie , ed altre opere,
t 2 ^ Le poesie la, ine dell' Ariosto di\ise in due libri, sonò
Sta e raccolte, è pubblicate da Gio. Battista Pigna uniiamen e
ai di lui proprj poemi , ed a quelli di Celio Calcagnini in
Venezia ex officina Erasmiana, da V^incenzo Val^risi nel
i '^3 in 8. Giratdi qualifica que' poemi siccome ingcniosa scd
d:iriuscula , de poel. suor, tempor. Dial. 1. ( Per convincers £
dt.'a verità di questa asserzione basta leggere f elegia ad
Ei ole Strozzi sulla morte di MaruUo, inserita nei documeiiii
di tjuesta storia sotto il num. LI. Tom. IV. pag. 2iJ4 di questa
54
scritte nella sua lingua nativa , che è fondata la sua
riputazione solida e permanente. Prendendo a con-
siderare in generale i poeti di quel periodo , noi tro-
viamo immediatamente che l'autore dell' Orlando fu-
rioso occupa il primo posto , e che molto si sarebbe
diminuita la gloria dell' età sua, se fosse stata priva
delio splendore de' suoi talenti. La fertilità della sua
invenzione, la vivacità della sua fantasia, la natu-
rale facilità e felicità della sua poetica elocuzione ,
danno una grazia alle sue composizioni , che ferma
r attenzione , ed interessa i sentimenti di chi legge
ad un grado non ottenuto ancora da alcuno de' suoi
contemporanei. Mentre gli altri scrittori d'Italia con-
sacravano 1 loro talenti alla stretta imitazione del
Petrarca, ed alla sola eleganza dell'espressione, egli
si apriva un campo più vasto , ed esprimeva le idee
della sua creatrice fantasia nella propria lingua , pie-
na ad uu tempo di grazia e di vigore. Il genio quin-
di dell' Ariosto non si presenta a noi abbigliato alla
moda di que' tempi , ma nel suo proprio abito na-
turale e decente , il quale sembra egualmente gra-
zioso , e convenevole a tutti i tempi , ed in tutti
i luoghi. Seguendo l'esempio di Bemho , gl'Italiani
avrebbero scritto correttamente e con eleganza , ma
sarebbero stati letti solo dai loro nazionali. Il dili-
cato ed attenuato sentimento che anima langnida-
edtzione ). Alcuno di quesie poesie troratrii ia varie colle*-
zioni , e specialmente nei Carni, ii/ust, Poe.t. ItaL Tom. I
pag. S'ia.
iiiente i loro scritti, è perduto ogniqualvolta si tenta
di trasportarlo in altro linguaggio , ma le ardite e
"vigorose idee àeiy Ariosto soffrono senza alcun danno
o
il cangiamento di clima, e le opere sue meglio di
quelle di alcun altro hanno contribuito a diffondere
neir Europa il yero spirito poetico (a).
("a) Partili , che 1' Autore , volendo ragionare degli effetti
prodotli dalle opere dell' Ariosto sul gusto universale dell' Eu-
ropa , avrebbe potuto toccare un punto , che per cpjanto a
me sembra, non è stato ancora da alcuno sufficientemente
rilevato, né messo nel suo vero splendore. Sia che le favole
si considerino come l'opera dei poeti, e come figlie delia
poesia , sta che i racconti delle favole , preesistenti in gran
parte alla poesia, ed ai poeti, abbiano prodotti, e formati i can-
tori degli Dei , e degli eroi; egli é certo, che la storia poetica',
la mitologia ò stata da Omero fino all'epoca della decadenza
delle lettere il campo vastissimo , nel quale hanno spaziato
tutti i grandi scrittori della antichiik, tutti i poeti della Grecia,
e di Roma. Diradata la caligine della barbarie, trovaronsi an-
cora i semi della pagana teogonia , e le favole poetiche , ma
trovossi pure sorla noirinterregno delle lettere una nuova rai-
tologir» , e questa era la storia dei paladini , e la serie delle
imprese cavalleresche , che i Francesi indicano col nome di
ancienne cfie'faleri'e. I poeti di tutte le nazioni entrarono in
rpiesto nuovo campo , che a primo aspetto parca sparso di
fiori; ma per la maggior parte non ne raccolsero, che triboli,
e non produssero se non poemi , o romanzi mostruosi , che
faceano torto al buon gusto non meno , che al buon senso ,
e spesso ancora offendevano la decenza e la morale. Basta
gettare una rapida occhiata sugli antichi poemi , o romanzi
in verso , Francesi , Provenzali , e Casligliani , ed anche sui
primi tentativi fatti in Italia per accomodare la mitologia
de' Paladini alla poesia, o questa, se si vuole, ai racconti del-'
56
§. X..
Donne letterate. — Vittoria Colonna.
Gli applausi tributati a coloro , die colle loro fa-»
tiche contribuivano a ristabilire la piu-ità della lin-
giia Italiana , non erano ristretti solo alle persone dì
tin sesso. In alcun periolo della società non era slato
r amica ravalleria , per convincersi , che non si conosceva
la retta via di qiies a applicazione , e che il buon gusto noa
prest'dcva alla composizione di quelle opere, il piìi delle volte
Slravagp.nli , e nojose. 11 primo che prese a battere quella
strada con felice riuscita , ( giacché Bojardo si era avanzato
anch' esso vacillando, ed il suo lavoro, che può dirsi appena
abbozzato, non passò cos'i glorioso alla posteri! à, come Y Or^
landò Furioso ).f fu realmente V Ariosto ., il quale fece vedere
qual paitito trarre si potea dalle g<'sta de' paladini , ossia da
questo nuovo genere , o nuovo periodo di storia poetica , e
fece immortali i nomi di quegli eroi, che probabilmente senza
il di lui poema peri i sarcbbono insieme colle opere nelle quali
erano celebrati. Questo a me sembra il tipo delP influenza
esercilata dalle opere òcAV Ariosto sul i,'enio leUerario dell'Eu-
ropa, giacché egli il primo depurò il gusto corro! to. col quale
si erano in addieiro tratiati soggetti paladiueschi o eavallercschi^
Cf^li sparir fece , o ritornare nelle tenebre delPobblio i mostri,
che fino a quell'epoca aveano alzata la fronte baldanzosi 5
egli insegnò come le grazie, la venustà, la leggiadria , l'eleganza,
il senlimento accoppiar si poi ossero con quel nuovo gemere
mitologico ; egli il primo produsse un giandioso . e mirabile
poema eroicomico di un genere inlieiamenie sconosciuto al-
l'anichiià. In ([uesto genere egli fu il primo classico; e lo
fu per tulle le JNazioni, Egli apri la strada a molli, che cor-
VOL.YIL. Tair. M.p<ip. ?7.
il
einmmal tanto generalmente Jiffuso lo spìrito della
letleratura, ed in alcun periodo le femuiine ammi-
ratrici di quello spirito mal non si erano tanto in-
noltrate ne loro progressi , ne mostrate rivali così for-
miflabili dei letterati. Fra quelle che a que tempi si
distinsero coi loro talenti , due sono singolarmente
illustri, non solo per 1" aUo loro grado, le loro doti
straordinarie, e le eccellenti loro produzioni lettera-
rie , ma anche per la inviolata purità del loro ca-
rattere, e per tutte le virtù che aggiungono lustro
al loro sesso. Sono esse Vittoria Colonna , marchesa
di Pescara , e Veronica Gamhara , contessa di Cor-
reggio (i).
Vittoria Colonna era figlia del celebre comandante
Fabrizio Colonna, gran contestabile del Regno di
Napoli , e di Anna di Montefeltro , figlia di Federigo
Duca d'Urbino. Essa era nata verso Tanno i490,
ed in età di soli quattro anni era stata destinata
sposa di Ferdinando J' Avalos , marchese di Pescara ^
poco più avanzato in età. Le doti straordinarie della
sero sulle di lui orme ; ed alcuni il tentarono con frutto, tra
gli altri l'autore del Fucc/ardetlo ^ ma niuuo giunse finora ad
emulare il suo merito sublime , o a dividere seco lui la sua
gloria immortale.
(i) »j Fuere pene non viris inferiores duae illustrcs principes
jj et poétriae, Victoria Columna Hiscariae, et Veronica Gam-
» bara Corrigiensis , quarum ulriusque prò sexus qualitat»
5j divina leguutur poemata , quae eo cupidius a plerisque Ic-
j> guutur , quod sunt ab illustribus matronis composita. i>
Lil. Ore^ Gjrald. de poet. fuor, tenii>. diai. IL pag. Syi.
j)ersona e della mente, colie quali era stata fiivorvia
dalla natura, ajutate aucora da una diligente e vir-
tuosa educazione , la rendettero oggetto dell' ammira-
zione generale , e la sua mano fu ricercata da diversi
sovrani indipendenti d' Italia. Felicemente tuttavia l;i
prima scelta fatta dai genitori fu confermata dal vi-
cendevole attaccamento dei giovani figlj , ed alia età
di diciassette anni essi divennero marito e moglie, e
colle singolari loro qualità , colla fedeltà inviolata ,
coir eroico valore, furono degni realmente l'uno del-
l'altro. Una perfetta conformità di umore, e di bontà
somma, era la guarentigia del loro affetto conjugale ,
ma lo contese che divisero l'Italia, trassei'o ben
presto il Marchese dalla sua domestica felicità , e il
condussero alla battaglia di Ravenna , dove egli ebbe
il comando della cavalleria , fu pericolosamente feri-
to, e condotto col Cardinale de' Medici, poco dopo
Leon Xy prigioniero a Milano. Chiuso nel castello di
questa città, e trattenuto dalle sue ferite da qualun-
que esercizio di corpo , egli consacrò le sue ore allo
studio, del che si vide chiaramente il frutto nel suo
dialo<jfo de Amore, indirizzato alla sua consorte , che
non si è fino a' giorni nostri conservato, ma che
abbiam motivo di credere essere stalo pieno di buon
senso, di eloquenza, e di tratti spiritosi (i) (a). Egli
(i) i> Dum esset in arce, vulneraque ciirarel, nec exercentlì
j> corporis nlla daretiir facultas, ingenium literis amaeuioribus
» ex Musephili pracceptoris doctrina liaud mediocriter im!)ii-
?•> tura , ita excrcuit , ul paucis diehus summae jucundiialis
59
fa liberato finalmente tlaìlii sua prigionia per Tamlclie-
Tole intercessione del maresciallo Trivuìzlo , o colla
parte attiva , eh' egli prese poco dopo nel fatti mili-
tari di quel tempo, e con molli parziali combatti-
menti nei quali ottenne la vittoria , acquistò In più
alta riputazione tra i condottieri d' Italia. Essendo
entrato al servizio dell' Imperadore , egli comandò alla
battaglia di Pavia , nella quale Francesco I fu fatto
prigioniero; e colà si distinse non solo colla sua ma-
gnanimità ed umanità , ma anche colla sua pruden-
za ed intrepidezza, alla quale fu comunemente attri-
buito il felice successo delle armi imperiali (i). Non
sopravvisse però egli lungamente a questo avveni-
mento, essendo caduto viltima delle fatiche militari ^
ed anche delle ferite ricevute. Egli mori in Milano
nel mese di dicembro iSaS, dopo una vita non
lunga , ma gloriosa , che ampia materia somministrò
» dialogum de amore ad Vicloriam uxorem conscripserit, qui
n libellus adhiic extat , cuai gravibus tuni exqtiisius salihas
" atque senteniiis , ad admiralionein ejus ingeiiii refertus. jj
Jovlus in v'ia Ferdìiiandi Duvalos Pise. lib. I.
(a) Di Fabrizio Colonna ho fallo qualche ccuno nella nota,
addiz. XVI. al voi. III. pag. 220; ed allrove pure si è parlato
di Ferdinanda d* Ai^alos e di Vittoria Colonna , non che
del dialogo dell' amore scritto dal primo.
(i) La sua generosità , e premura dimostrata verso il ce-
lebre Cavaliere Bajardo , che cadde in un combattimento
presso Abbiategrasso nel i52| , viene rammentata dal Dottor
Roòrrtson ucUa sua l'ita di Carlo V. Lib. IH. Voi. II- pa"
gina ao3.
^0
agli storici (i). Quel fatale avvenimento clislrussà
tutte le speranze della sua consorte ; ne la grave di
lei angoscia potè mai trovare alcun sollievo , se non
quello eh' essa andò cercando nel celebrare il carat-
tere e le virtù del marito suo , e nel rammemorare
ne suoi versi teneri ed elea;antissimi il loro affetto
TÌceudevole. Poco dopo la di lui morte essa ritirossi
nell'isola d'Ischia , rifiutando di aderire a quelle pro-
posizioni di altre nozze , le quali , non avendo essa
avuto prole, i di lei amici erano ansiosi a gara di
offerirle (2). Nel suo ritiro parve ch'essa acquistasse
tin carattere religioso ben determinato , il quale non
impedì tuttavia che essa esercitasse i suoi talenti
poetici , benché d' allora in poi li dedicasse per lo
più a soggetti sacri. La sua condotta esemplare ,
ed il merito straordinario dei di lei scritti , la resero
aggetto generale di applauso ai poeti e letterali più
distinti di quel tempo , con molti dei quali essa man-
fi) Gìouio scrisse la -vita di quel distinto oómandan'e in
sette libri , i quali comprendono la storia dei principali avve-'
ÉÌmcnti militari di quell'epoca,
{i) La nobile condotta di f^iltoria diede occasione ai se-
guenti veisi, non iudequamente attribuiti al celebre poeta la-
lino Marc' Anlonio Flaminio :
>j Non vivam sine te , mi Brute , exlerrita dixil;
n Porria ^ et ardentes sorbuit ore faces.
» Davale , te ex'incto , dixit Vittoria , vivam ,
» Perpetuo moestos sic dolilura dies.
SI Utra<[ue Romana est :, sed in hoc Victoria Major
Jj Nulla dolere pò est mortua , viva dolel. «
FLuni. Op. p. >6i. Ed, Coni. 1727,
6>
^enne amichevole corrispondenza epistolare (i); ess*
era pure ardente ammiratrice del grande artista Mi-
ehrlaiigeìo ^ che esegui per essa molti eccellenti la-v
vori, i disegni dei quali ci sono stati conservati per
mezzo della incisione (2) , e da ciò appare che quel
pittore godesse al più allo grado il di lei favore , e
la di lei amicizia , avendo essa lasciato più volte I4
sua residenza di Viterbo , dove erasi ritirata alcuni
anni prima della sua morte , e fatte diverse corse a
Roma solo ad oggetto di godere della sua società.
Questo attaccamento affettuoso, egualmente onorevo-
le alle due parti , mantenevasi in altri tempi per
mezzo di una corrispondenza pf^r lettere. Michelan-.
oelo indirizzò pure alla medesima alcuni de' suoi so-
netti, che ancora rimangono, e nei quali l;i sua am-
mirazione per la di lei bellezza, e per le rare di lei
(1) Fra questi erano B e azzano ^ Flaminio ^ M^lza . i cardia
nali Contarinì , Benito, e Polo , molli dei quali celeI)raroao
Vitioria ne' loro scritti.
(2) Uno di questi lavori rappresenta Cris'o appena levato
dalla croce , e giacente sulle ginocchia della sua madre.
(}ues'' opera è stala spesse volle copiata in pittura , e si à
^rro leameule supposto , che lavori fossero di Mihflan^elnt
Iì^sa è stata parimente incisa. Bonari Note al Vasari V. UT.
p 3i j. — Vedi Condifi uiia dì M. A. Bnonarotti p. .13.. dove
quest'opera è pienamente descritta; sembra pure, che 1' ar-^
lista scrivesse sulla croce il seguen'e verso,:
Non p»"' si pensa guanto sangue costa,
Egli disegnò ancora per la medesima una figura di Cristo
in croce . ed altra di Cristo al poEzo colla Samaritana , che
pure è stata incisa iu rame. Vasari come sopra.
62
doti viene temperala dal più profondo rispetto pei
suo carattere (i). Condivi ci ha conservato un sin-
golare aneddoto, clie quel grand' uomo fu a visitarla
negli ultimi momenti della di lei vita , e che poco
dopo espresse il suo dolore , perchè egli non avesse
in quella occasione baciato a lei la faccia o la fron-
te , come baciato ne avea la mano (2). Dopo avere
vissuto fino all'anno i547, essa chiuse i suoi giorni
in Roma, non avendo abbracciato alcuna religiosa
professione, e non senza aver dato luogo tuttavia
a qualche sospetto, che essa inclinasse alla dottrina
della Chiesa riformata (3).
(i) » In particolare egli amò grandemente la Marchesana
5> di Pescara , del cui divino spirito era innamorato : essendo
« air incontro da lei amato svisceratamente^ della quale ancor
»} tiene molte lettere d' onesto e dolcissimo amore ripiene , e
n quali di tal petto uscir solcano* avendo egli altresì scritto
« a lei più e più sonetti, pieni d'ingegno, e dolce desiderio, a
Condici 5 l'ila di 31. jÌ. Buonarroti , p. 53.
(2) J5 — Tanto amor le portava, che mi ricorda d* averlo
n sentito dire, che d'altro non si doleva, se non che quando
35 1' andò a vedere nel passar di questa vita . non cosi le ba-
3j ciò la fronte o la faccia , come baciò la mano, a Condii'i ,
come sopra.
(3) In una delle poesie di Michelangelo diretta alla Mar-
chesana di Pescara , egli si lagna dello stato fluttuante de'
suoi proprj religiosi sentimenti , e chiede di essere da lei di-
retto negli affari spirituali.
)ì Porgo la caria bianca
» Ai VOSI ri sacri inchiostri ,
}j Ove per voi nel mio dubbiar si scriva ,
sj Come quest'alma d'ogni luce priva <
63
Fra gli scritlori Italiani , che riviver fecero nelle
opere loro lo siile Jel Petrarca , Vittoria Colonna
tiene il primo posto, eJ i suoi sonetti , molli dei
quali sono indirizzati all' ombra del defunto suo ma-
rito, o relativi allo slato del di lei animo , hanno
molta forza di pensiero , molta vivacità di colorilo ,
ed un sentimento naturale di passione , maggiore
assai di quello che si trova tra i discepoli di quella
«cuoia (i). La sua canzone j o monodia alla memoria
» Possa non traviar dietro il desio
i> Negli ultimi suoi passi, ond'ella cade j
V Per voi si scriva , voi rhe '1 viver mio
>j Volgeste ai eie! per le più helle strade. «
Rime del BuoitarotU p- 69. ed. fioren. 172G. in 8.
f gli scrisse ancora un sonetto sopra la sua morte , il quale
niauifcsta il cordoglio , che ejjli provò in quella occasione , ed
il religigso affetto col quale egli riguardava la di lei memoria.
Rime p. 70.
(1) Quattro edizioni delle poesie di Vittoria Colonna furono
l'atte durante la di lei vita. Esse furono dapprima raccolte da
Filippo Pirogallo , e pubblicate senza di lei saputa in Parm^
nel j538 .. ristampate nel i539 , senza alcuna indicazione
d' anno o di stampatore, e di nuovo a Firenze nell' anno me-
desimo coli' aggiunta di 16 sonetti spirituali. La quarta edi-
zione è quella di Venezia del i?44» coli' aggiunta di 24 so-
netti spirituali , e delle sue celebri stanze. Esse furono pub-
blicate ancora dopo la sua morte , particolarmente <la Lodo—
t'ico Dolce nel iSSa in Venezia , e di nuovo nella città stessa
da Girolamo Ruscelli^ colla esposizione, o col commentario
di Rinaldo Corso nel i558. Il suo Pianto sopra la passione
di Cristo con altri sacri poemi , fu pure stampalo in Bologna
p«r Antonio Manuzio nel iSS^ ed in Venezia presso i fi~
filinoli d' Aldo nel i56i, Zeno ^ note ni Fontanipi /U'òl. Iixl.
JLq5,
€4
di suo marìfo, è infatti molto giustamente coram«R-
data , e non è per alcun riguardo inferiore a quella
del Bembo sulU morte di suo fratello Carlo (i) ;
jma forse il saggio più luminoso de' suoi talenti si
vede nelle sue stanze, o ne suoi versi in ottava lu-
ma (2) , le quali per la semplicità , Y armonia , e
r eleganza dello stile , stanno al pari delle produzioni
di tutti i di lei contemporanei , e nella vivace de-
scrizione e nella vera poesia , tutti li superano, quelle
gole eccettuate dell' inimitabile Ariosto.
§ xi;
Veronica Gainhara. — Costanza d' Avalos. — -
Tullia d Aragona , ed altre.
Veronica Gamhara era figlia del Conte Gian Fraru
tesco Gamhara , e di Alda Pia di Carpi sua consorte ,
e n«l I Sog fu fatta sposa di Giberto X signore di
Correggio, al quale essa sopravvisse moli' anni, con-
sacrandosi alla educazione dei suoi due figlj Ippolito,
e Girolamo , il secondo dei quali ottenne la dignità
("i) QMesta poesia è siala ultimamen'e pubblicata dal S. Ma-
thias nei Poeti Lirici d' Italia Voi. J. p. i\\.
i^i^ Questo companimento fu probabilineale indirizEato a
F'iiberla di Savoja , moglie di Giuliano de' Medici , e sem-»-
bra snriito nel primo periodo della vi a di quelT illustre au-r-
tore duian'e il Pon'ifìcato di Leon X j benché non iaserilQ
nelle prime edizioni delle sue opere.
6^
ài Cardinale della Chiesa Romana. La sua disposlzine
naturale , la sua educazione , e più di tutto ancora
le istruzioni , ed i consiglj di Pietro Bcinho , la con-
dussero a dedicare una parte del suo ozio giovanile
alla cultura de' suoi talenti portlici , i quali le forni-
rono una occasione di tratteniinento in mezzo a tutte
le vicissitudini della sua vita (i). Neil' anno 1328,
essa lasciò Correggio, e venne a risedere in Bologna
col di lei fratello Vherto , al quale Clemente VII
aveva conferito la canea di Governatore di quella
città. Quivi essa stabili nella propria casa una specie
di Accademia , che Irequentaia era da Bembo , da
Molza , da Mauro , da Capello , e da altri famosi
uomini, che prima risedevano alla Corte di Roma (a).
Kssa ritornò poco dopo a Correggio , dove essa ebbe
r onore di ricevere come suo ospite 1' Imperadore
Carlo V. La sua vita fu prolungata fino ali anno
i[(5o. 1 suoi scritti, sparsi in vane collezioni di
quel tempo, furono raccolti (b) e pubblicati in Bre-
(i) Tirahoschi , Storia della LeUerat. hai. Tom. f^JI.
par, HI. p. 47.
(a) Se è vero , come sembra non potersi mettere in dub-
bio , che Bembo subito dopo la mot le di Leone X ^ cioè nel
l522 ritrovossi in Padova , e vi si liaacmie , dedicato agli
stiidj , ed ai piaceri , iiuo alla sua elevazione al Cardinalalo ;
come poteva egli frecjueniare i' accademia di Veronica Gain-
bara , passata a soggiornar in lìologna nel 1626 , e riuìasta
per poco tempo in quella ciaà ?
(b) L' originale , forse per errore , dice correuì , corrected
per collected.
Leone X. Tom. VII. 5
66
scia nel iSSg; e benolìò infenorì in pleganza , e^
io accuratezza tli stile a quelli di fittoria Colonna ,
mostrano tuttavia una particolare originalità e viva-
cità, tanto nel senlimen'o, quanto nella liugut, cte
serve ad innalzarli al di sopra di quelle insipide
produzioni giornaliere , che sotto il nome di sonetti
inondarono in que'tempi \ Italia (i). La stima , e
l'ammirazione vicendevole, die sussisteva tra quirite
virtuose donne, viene ran^mputata ne' loro scritti. Il
loro esempio eccitò T ammirazione di molti compe-
titori tra gli individui del loro sessso medesimo , e
le rimatrici del XVI secolo possono riguardarsi come
ben poco inferiori ai rimatori tanto pel numero, quanto
pel merito. Di queste alcune delle più distinte sono Co-
stanza d Avalos , Duchessa d' Amalfi (2) , della quale
alcuni sonetti di un meritp non inferiore sono uniti
(t) Esse soli tali , »> dice Tirahnschi , cLe possono aver
s> luogo Ira quelle de' più colti poeti di quelP eia. « La sua,
vita fu seri! la da Rinaldi Corso , e pubblicata in Ancona
nel i556 Un ragguaglio più compito della sua vita è stato
«lato dal doti. Camillri Z inihoni , e premesso alle sue opere
da esso pubblicale nel ly'lg , alla quale edizione egli ha ag-
giunto le di lei lettere , molto stimabili , per quanto ci viene
assicuralo , per la naturale , e fa'iìe eleganza del loro stile.
Tirahoschi Tom. Vìi, par. I. png. jS.
(2) Figlia di Jiiico d' Avalos Marchese del Vasto. »» I po-
s> chi versi , che del suo leggiamo . ricolmi sodo egualmente
n di grazia , di vaghezzì , di purità e d' eleganza , e ricchi
!> di gravissimi sentimenii , e di pietà cristiana, a Crescim-
heni Stor. della fol^, poesia II. 480. —, Mazz-uchelU Voi. IL
alle opere di Vittoria Colonna nolla edizione del iSfib;
Tullia f/' Aragona ^ fii^ìia naturale di Pietro Ta^iUavia
Cardinale didla Chiesa , e discendente illegittimo
egli slesso della casa reale d" Arragona (i) •, Laura
Tjiracina , dama Napoletana , le di cui copiose poesie
SODO state più volte stampate (a) ; Gaspara Stampa
(i) Si dice , che Tullia . figlia dell' amo: e. aon fosse insen»
sibila alle sue dolci ipsiauaz o li. I.e di lei attrai ive tauto
della persona quanto dello s;>irito furono celebrale dai pid
distinti letterati di quel tempo , i quali pressoché tatti
erano soliecjii di entrare nella schiera de' di lei atntniratori.
L' opera principale di Tullia è il suo poema in ottm^a ri na ,
intitolato il iVIeschì'io , delio Gtiei ino ., (o piuttosto Giierino
detto il Meschino ^ romanzo che già da lungo tempo crreva.
per le mani del popolo in Italia)^ in ventisei canti, stampato
a Venezia nel i56o in j , il qiial poema è detto da Crescini-'
beta Voi. I. p. 3^1, rivale dell'Odissea nella disposizione
delle sue parti ; ma altri critici [han con i ag'one) ne hanno
giudicato diversamente. Il suo dialogo dell' infinità £ Amore,
fu stampato a Venezia nel iS^y. Tra i di lei ammiratori, che le
indirizzarono i loro versi , noi troviamo il Cardinale Ippolito^
figlio di Giuliano d';'' Medici , Francesco Maria IMolza , Er~
cole Renlivoglio , F lippo Strozzi , Alessandro Arrighi , Lat-
tanzio Belateci , e Benedetto Varchi ^ ma quello , che sopra
tutti adorolla , e che dedicòflrf di lei merito la maggior parte
delle sue composizioni , fu il celebre Girolamo IMazio Le di
lei poesie furono pubblicate a Venezia presso il Giolito nel
1647 ^ sono stale frequentemente ristampale , accompagnate
al fine di un egual numero di sonetti , e d' altre poesie in
lode di lei. Traquesii componimen'i uno de' sonati del (>ar-^
dinaie de' Medici h particolarmente commendevole ■ ma le di
lei peesic sono spesso inferiori per lo spirilo , e per V eleganza
p quelle dei numerosi di lei panegiristi.
i3) In Venezia nel i548 ^ if>')9, «^^o . e i55|, e di auoya
68
di Padova , collocata tra i migliori poeti del suo
tempo (i) ; e Laura Battifcrva d' Urbino (2), rappre-
correUe dal Domenichi nel i56o. Fra gli amici, e protettori ,
ai quali esse sono indirizzale , trovansi Ercole Bentiuo^lio ,
Jjuigi Tansillo ^ Lodovico Donenicht ^ Bernardino Rota , e
f^iiiorio Colonna , e molti di questi onorarono quella poe-
tessa di risjioste nianifcsianli la loio approvazione Nei rag-
guagli di Parnaso di Boccalini Ceni. II. Bug. 35. trovasi una
satirica relazione del supposto ma'rimonio di Laura Terra—
dna col poe'a Francesco Mauro ^ il quale poco dopo il suo
snairimonio divenne geloso della sposa per una legacela, ch'essa
portava guemita di gioje , e che ricevuta avea in dono da
JEdoardo f^l re d' Infjhillerra in ricompensa del dì lei at—
taccamen.'o per la di lui persona ^ la quale circostanza inasprì
per tal modo Mauro , che tagliò la gola alla moglie con un
perso proibito dì sei sillabe eh' egli portala al suo Jìanco.
INacqive un gran tumulto va Par"aso ^ che Apollo calmò cou
tin discorso . l'oggetto del quale sembra essere una sa ira
dell'ordine della giarettiera , ed il paragone dei favori con-
ferii dai Soviani ai s dditi di altre potenze coi regali fatti
dagli amaali alle mogli aLrui.
(i) » Una delle più eleganti rimatrici , che allora vivessero
»» e degna d'andar del paro co'piii illustri poeti, u TiraboscìU
jToih. f^ll. p. III. p g. \q. Molle delle sue poesie sono ia-
dii izzate al Conte di Collal'o , del quale essa era innamorata
perdu.amenle . ed al di cui matrimonio con un'altra dama
»on poife a lungo sopravvivere , e mori nel iSSJ nul trcn e-
simo anno iif circa dell'eà sua. Le di lei poesie furono pub-
blicate dalla superstite di lei sorella Cassandra, poco dopo la
di lei morte , ma ristampa' e non furono fino -al 1/38, nella
qua'e epoca esse furono di nuovo pubblicale da Antonio B'i'H"
laido de' Conti di Cnllalto . dis'-endenle del gentiluomo al
quale quu' versi erano sta'i infiuituosararnte diretti dallo sfor-
tunato loro autore.
.'a) Essa divenae moglie del celebre Scultore f ij:eQtiuo Bar»
aentata dai suoi contemporanei, come la rivale eli Siffo
Beli eleganza de' suol componi inr;nti , e moUo a quella
Superiore nella modestia, e nella deCenza della sua vita,
S XII.
Poesia Bernesca. —^ Francesco Derni. —
Carattere de' suoi scritti.
Air epoca del Pontificato di Leon X. deve riferirsi
il perfezionamento di quella scherzevole satira Ita-
liana (a) , che nata era in Firenze sulla fine del secolo
tolomeo Ainuiaiiatl. Lp sue opere furono pubblicate dapprima
a Firenze appresso i Giunti nel i?)6o. — Mazzuchelli , e Ti->
rabeschi hanno raccolto le numerose leS(imouianze dei cou«>
temporanei di questa poetessa intorno al merito di quelle
produzioni.
(a) Air autore è piaciuto di definire in tal modo la poesia
detta Bernesca ; ma la definizione non è affatto rigorosa. Ogni
nazione, ed ogni lingua ha forse avuto un gusto per la sa-
tira , ed una poesia satirica , ed alcuna anche ha vestito la
satira col manto della piacevolezza , e del gi loco , ma uoa
p*ir questo ha avuto una poesia bernesca. Questa altronde dai
primi suoi coltivatori , e dal Berni medesimo qualche volta
è stata applicata alla sa'ira , ma non ha servito esclusiva-
mente ai componimenti satirici , ed è st ita dal Berni mede-
simo impiegala in poemi , che aveano tutt'' al.ro oggetto. Se
la satira è stata molte voi. e 1' argomento delle poesie berne-
sche , non ha potuto tuttavia costituirne il carattere, consi-
stente in una certa naturale semplicità, e facili'à di siile,
che ben si adatta a qualunque racconto, o a qualunque altro»
preneclenle. Il meritò di aver fatto rivivere questo
modo capriccioso di comporre , e di averlo rendulo
vivace e piacevole iil sommo grado, è dovuto all'in-
gegno stravagante (;i) di Francesco Berni , d' onde
quel genere di poesia trasse il nome di Bernesca (i).
Egli ebbe tuttavia in questa impresa molti socj
dotali di talenti consiilcrabili , e particolarmente
Francesco Mauro ^ e Gian Francesco Bini ^ le di cui
opere vanno di solilo unite alle sue , alle quali rie-
scono però inferiori nella vivacità , e nf^lla piacevolez-
za. Il carattere del Berni era tan!o singolare quanto
i di lui scritti. Egli era nato a Lamporecch o , piccolo
villaggio dello .-ta'o To cano (vj), di una nobile, benché
ristretta famiglia , e fu mandato assai giovane a Fi-
renze, dove rimase fino all'anno diciannovesimo di I-
r età sua , e dove probabilmente s'imbevette colla
argomento scherzevole, seilza che la satira vi entri come parie
essenziale del caraltere del componimento. L' autore mede-
simo conviene in cfuesta massima , laddove pala in seguito
del carattere degli scritti de' Berni.
(a.) L* originale porta in questo luogo 1' rpilp'o di eccen-
trico , il quale comecché espiessivo, ed alto a dare Una giu-
sta idea della cosa , non si sarebbe forsu accomodato all' in-
dole della nostra lingua. Io ho usalo 1' addici tivo di stratta-
gante con tanto maggiore confidenza , che in questo pa' ag: afo
medesimo 1' autore parla della rccfutricità della condo ta del
Berni , che dalle cose in quel luogo esposte noil potrebbe
giudicai-si , se non somiiamonte stravagante.
(1) f^ila di Lorenzo de' M'- di ci V>L I. p 289. 'ic)\.
(2) Riguado al suo none , ed al 'uogo della sua nascit»
può vedersi Menagio Auii-Baill,'.t par. f. seci. 37.
'
... ^*
lettura delle opere di Pulci , di Franco , e di Lo-
renzo de Medici, del primo gusle per (Juello stile ,
e per quel modo di comporre , nel quale poco dopo
tanto si segnalò. Verso l anno 1 5 1 7 egli recossi a
Roma , ed entrò al servizio del Cardinale Bernardo
da Bihiena , dtl quale egli era parente in qualdie
grado , e sul quale avea fondato speranze di promo-
zione , ed avanzamento , che non si realizzarono.
Dopo la morte di Bernardo egli ài attaccò a suo
nipote il Cardinale Angelo da Bihiena, ma non ne
ritrasse grande vantaggio , e fii alHne obbligalo ad
accettare l'uffizio di Segretàrio di Gìamma/?etì Ghiherti
Vescovo di Verona , il quale ottenne quindi il posto
importante di datario dolla Romana Sede. Avendo
allora assunto l' abito Kccleslastico , Bcrni fu occu-
pato in tlì verse occasioni da Ghibèrli in iriissioni ai
suoi benefìzj più. distanti , ed accompagnò frequen-
temente il Vescovo nei suoi viaggi per Y Italia ; ma
le cure degli affari, e l'abitudine della regolarità ad
esso riuscivano troppo fastidiose , ed egli cercò uà
sollievo nella società delle muse , che generalmente
conducevano al loro seguito Bacco e Venere. Es-
sendo stato al fine promosso al posto ricco , ed
agiato di canonico di Firenze , egli ritirossi in
questa città , dove egli si distinse maggiormente
per la stravaganza (a) della sua condotta, ed i modi
pungenti della sua satira , che non per la regolarità
(a) Eccentricità.
della sua vita. Tale era la sua avversione per lo
stalo di servitù , se noi possiamo prestar fede ai di-
versi passi fantastici, nei quali egli ha dipinto il suo
proprio carattere ; che non sì tosto ricevea qualche
comando dal suo protettore ^ che provava una in-
vincibile ripugnanza ad adempirlo. Egli non trovava
diletto nella musica , nella danza , nel giuoco o nella
caccia; il suo solo piacere consisteva nel non aver nulla
a fare , e nel tenersi sdrajato totalmente sul suo
letto. Il suo principale esercizio quello era di man-
giare alcun poco , e quindi mettersi a dormire , e
dopo di avere dormito tornar a mangiare. Egli non
osservava mai il corso de' giorni , né gli almanacchi,
ed i suoi servitori avevano ordine di non recargli
mai alcuna nuova nò buona né cattiva. Queste esa-
gerazioni con molte altre ancora più stravaganti ,
possono ammettersi almeno come una prova , che
Berni amava il suo comodo , e che gli scritti suoi
erano piuttosto il suo passatempo, che non l'oggetto
di una seria occupazione.
Si è detto , che la morte di Bevili fosse cagionata
dalla gelosa inimicizia , che sussisteva tra il Duca
Alessandro , ed il Cardinale Ippolito de Medici ,
ciascuno de' quali si pretende aver gareggiato a vi-
cenda , qual sarebbe il primo a far perire il suo ri-
vale col mezzo del veleno. Uno di essi , se noi pos-
siamo prestar (ede a questo racconto , bramava di
ottenere l'assistenza del Berni , ed avendo egli ri-
iiutato di concorrere all' esecuzione di un progetto
cosi detestabile > cadde vittima della vendetta del suo
73
protettore con una morte cagionata da un tradimento
di quel genere. Sopra di ciò basta 1' osservare , che
il Cardinale morì nel mese di agosto del i535 , e
Berni sopravvisse al medesimo almeno fino al mese
di luglio i536. Noi possiamo dunque concliiudere
con certezza , che avvelenato non fosse dal Cardinale,
e con un grado poco minore di certezza , eh' egli
noi fosse da Alessandro per non essere concorso al-
l' eccidio di un rivale , che già era morto da circa
dodici mesi (i).
Non è facile il concepire una giusta idea dello
stile , e del modo di comporre del Berni , e de' di
lui seguaci , perchè la sublimità di quello stile con-
siste piuttosto nella semplicità dell' espressione , e
nella dolcezza dell'idioma Toscano, che non in quello
spirito brillante, e in quel sentimento vigoroso, che
può essere in altra lingua trasfuso. Di tutti gli scrit-
tori quelli sono i più nazionali (a) , il di cui merito
dipende da ciò che si chiama capriccio , o bizzarria.
(l) Mazzucchelli Scrittori d' Italia Art. Berni Voi. tV,
pag. 986.
(a) Il testo dice i più locali , frase , che pochi avrebbero
bea intesa nella nostra lingua. L' V. ha voluto esprimere la
circostanza di quegli srrittori , che per una troppa stretta re-
lazione col carattere della loro nazione non possono essere
compresi perfettamente , e quindi non possono essere gustate
appieno le loro bellezze, se non dai loro connaziona'i f-e
loro opere infatti non possono essere trado'fe se non diffi(,il—
mente in altre lingue . e perdono colle traduzioni la maggior
parte della loro leggiadria.
7'* . .
Il componimffnto che in uti paese è ricevuto coti
ammirazione, e compiacenza, può essere considerato
in un altro come insipido, o dispiacevole. Per poter
gustare appieno quegli scritti , è d' uopo conoscere
fino ad un certo punto i costumi , e le circostanze
degli abitanti di tutte le classi più infime ; e tuttavia
la dilicatezza , ed il sapore gustoso di quelle produ-
zioni non può essere pienamente sentito se non da
qualche persona dui paese medesimo (a). Queste osser-
vazioni possono applicarsi in diversi gradi non solo alle
opere d<-l Berni^ del Bini , del Mauro , ma ancora
al capitoli, ed alle satire di Giovanni della Casa ^ di
Agnolo Firenzuola , di Francesco Maria Molza , di
Pietro Nelli , che prese il nome di Andrea da Ber-
(aT) Questo può applicarsi più rigorosamenie alle molle pio-
duzioai poetiche, che si sono vedute specialmente, e forse
unicamente , in Italia nei dialetti particolari <ii varj paesi. I
Milanesi., ì Veneziani, i Mapoleiani , i Piemoniesi ., i Berga-=
nascili , ed aliri popoli d' Italia , abitatori perfino di limitali
disti elti . ebbero grandi poeti , che s'".rissero nei dialetti par-
ticolari di que' paesi, ciò che non ebbero molte altre grandi
nazioni ; ma le bellezze di quelle poesie non possono essere
gustate perfeitamen(e se non dai loro concittadini, mentre le
poesìe bernesche dei Toscani possono esserlo da chiunque si
h dato a studiare profondamente la lingua Italiana. Quale
sciagura per le leMere, che i versi piacevolissimi e talvolta
sublimi di Cnpuccìo , di Odoardo Calvo , di Antonio Lam-
herti , di Fraiiresco Gritti , di Domeiùcn Balestrieri , di
Corto Porta , e di altri molli , varcar non possano i monti ,
ed i mari, e portare ovunque un'idea del valore de' loro
autori , e delia disposizione degli Italiani ad ogni genere di
poesia !
,75
game, e di ttna Innga serie di altri STillori, i qnalì
si segnalarono ia queslo genere di componimenti (i).
Non è improbabile , che queste facili composizioni
abbiano aperta la strada ad una simile licenza di
stile (i) in altri paesi , ed in Terilà può concepirsi
1' idea più caratteristica degli scritti di Bemi , e dei
di lui compagni o seguaci , col considerare essere
cpi-'!Ii in \ersi facili e vivaci la stessa cosa, che sono
le opere in prosa di Rabelais , di Cervantes , e di
Sterne (2).
(i) Le Op".re Èurlcsilic del Bcrni e di ala-i , dopo d'es-
sere slate separatamente pubblicate , furono raccolte da An^
ton Francesco Grazsini detto il La<ca^ e pubblicale di nuovo
dai Gufiti in Firenze nel i5|8 e iS'jo il 1. volume, ed il 3
tiel i555 in 8. Esse sono siate sovente rislampale. ma gene-
ralmente mutilale, ed imperfette. L'edizione migliore, e la
più compila è quella , della quale il I. e II. volume porJsna
la data di Londra dui i-23 , ed il IIL quella di Firenze del-
l' anno medesimo ^ ma in realtà sono stampale a Napoli , e
questa edizione è citata come testo di Imgua dagli Accade-»
Inici drlla Crusca.
(ai^ Eccentricità di stile . dice I' originale. — Jl peggio è che
questa eccentricità di stile non solo è passata ad altre na-
«ioni , ma si è troppo diffusa nell'Italia m<*desima, e coU'al-
letlativo di quella semplii i h . e fiit-iliià lusingh era , è slata
da molti adontata con passione ha distrai o mol i grandi
ingegni da canti più .sublimi , e gmeralraente Uà con'.ribuito
alla corruzione anziché alP ingentilimento della lingua , e
dello stile.
(2) »» Benedetto . <t dice Sin^ho , » que'lo che primo ha
» inventalo il sonno'. Questo inviluppa in u"!-io intieramente
» come un mantello, n 1 meuo uà secolo avanti Cervantes f
Bcrni scriveva in tal modo:
7^
Es;]! è tuttavia oj^^etto di Joìore, cìie una gran
parte di qu'^lle omposizioni sia riprovevole per uà
grado d' indecenza e profanità, che rende necessario
tutto lo spirito e l'eleganza dell'originale, ed anche
una simpatia coi soggetti loro , maggiore di quella
che provar può una mente pura ed incorrotta , per-
chè lette siono senza disapprovazione, e senza disgusto.
Non può dunque fare alnuna sorpresa il vedere, che
queste poesie, molte delle quali sono state scritte da
uomini posti in alto grado nella Chiesa, abbiano fatto
ricadere qualche sorta di vergogna sulla prelatura Ro-
mana. Una delle produzioni di questo genere di Gio-
vanni della Casa, Arcivescovo di Benevento, ed
inquisitore per qualche tempo a Venezia, fu indicata
come un particolare esempio di depravazione; ma
potrebbero prodursi molti esempj almeno egualmente
manifesti. Anche le op^re di Berni contengono passi,
e perfiao intieri componimenti , non meno grosso-
lani e licenziosi, che le opere medesime, che diedero
luogo alle più severe censure (i).
»> Quella diceva , eh' era la più bella
55 Arte, il più bel mestier che si facesse 5
55 II letto era una veste , una gonnella
55 Ad ognun buona che se la mettesse. «
Ori. Tnnam. lib. UT. cant. 7.
(1) L' opera di Glnuanni della Casa , alla quale si allude ,
è il suo r/ipit'ìlo del forno , p'ib]>linato colle sue terze rime
nelle Oprr" B.i''\icha di Ber/ti. e d'altri iu 3 volumi. Que-
sta poesia ha fatto nascere una quantità d' inganni .^ e di false
relazioni, che macchiarono, e rendettero singolarmente odiosa
§ XIII.
Suo Oliando Innamorato.
Non era tuttavia il Berni cosi dato all' indolenza ,
come noi potremmo essere indotti a credere dal ca-
la memoria di queir insigne letteraio, ed elegante scritrore.
Da quesie accuse egli fu difeso da Mei.a^io mW And-BaiUet
part. II sect. ui). Egli slesso era tui.avia esiremameme sen-
sibile ai rimproveri , che incorso aveva , il che appare dai
bellissimi versi Ialini , da esso indirizza i ad Gernianos , nei
quali egli in raprese di giustificarsi coll'allegare , che queVersi
colpevoli erano scritti nei momenti più spensierati della sua
gioventù, e ch'egli gli avea espiati colla regolarità, coll'al-
tività , e colla coniiuenza della sua vita , e condotta succes-
siva, per il che si appella alla testimonianza di B inhn ^ di
Flamini'^ , e degli altri suoi amici. Questo esempio può ser-
vire di lezione ai giovani scrittori , alTiachè si guardino dal
pubblicare
« Verso giammai che trista macchia imprima, «
Questa cautela viene ancora più nobilmente raccomandala
ne' versi medesimi dell' autore :
n Aniiis abbine trigiiita et amplius, scio
»> iNonulla me fonasse non castissimis
« Lusisse verbis quod ae as lune raea
)> Rerum me adegit inscia , ei semper jocis
»» Licentius gavisa ., coticessu omnium
n Juvenia , quod fecere et alii i em boni.
» At nunc abit juveola, lusus permanete
» Et carmini illi nomen adscribunt meum
i> Idem quod au e erai , nec adscribunt diera
» Eamdem , erat quae quando id olim lusimus i
« Sud quod puer peccavit , accusane senem. «
ratiere eli' egli affeltara ; e ciò appare 8uf(ici«ntè-
mente dai numerosi suoi scritti , e parlicolariiiente
dall' aver egli rifornuto, e nuovamenle raodellato il
diffuso poema dell' Orlando Innamorato del Conte
Bojardo. S è detto eh' egli intraprendesse quest' o-
pera in competenza coli Orlando Furioso <\A\! Ariosto ,
il che diede occasione di accusar Berni di presun-
zione e d' ignoranza ; ma Berni era troppo consci^
della natura de' suoi pronrj talenti , che involonta-
riamente trailo lo aveano verso il burlesco ed il ri-
dicolo , per supporre che in una composizione di
genio serio emular potesse quel grand' uomo. Egli
mostrò tuttavia in questa ed in altre parti de' suoi
scritti , eh' egli poteva all' occasione sollevare il suo
Stil^; ed i versi che servono d' introduzione a cia-
scun canto dell Oliando innamorato^ chi sono ge-
n'^ralm "nte di sua propria invenzione, non sono le
parti meno ammarale, nò le m^no pregevoli di quel-
r oprerà, D die varie edizioni di questo po^ma rifor-
mato , che uscirono dai lorchj poco dopo 1j sua pri-
ma comparsa , e che sono ancora avi.lamenle ricer-
cate (i), può congetturarsi che le alterazioni, o le.
Le opere del Casa furono raccolte, e pubblicale in 5 vo-
lumi in 4 in Veneaia nel (7<8. Tanto i suoi versi quanto le
sue prose possono essere colloca^e tra i più puri modelli del
collo scrivere Italiano.
(li La prima di queste edizioni è quella de' Giunti nel
i5^i in 4 Fu ancora pubblicato ia Milano nelle case d'An-
drea Calvo nel i542 in 4 con privilegio del Papa , e dello
n
riforme del Bernl , servissero a clare al poema di
Bojardo una maggiore celebrità. L'impresa, che Ber'
ni condusse a term'ne , era già stata tentata da varj
di lui contemporanei , e particolarmente da Teofilo
Folengi , e da Lodovico Dolce ^ dei quali alcuno noa
condusse a termine il suo lavoro. Sembra soltanto
che Pietro Aretino avesse Y intenzione di dedicarsi a
questa impresa , che tuttavia dopo qualche tempo
aìibandonò; e se noi dobbiamo giudicare dal siggio
4^' di lui epici talenti dato nel suo poema di Mar-
Jisa , il mondo non ha sofferto alcuna perdita per
questa sua determinazione.
§ XIV.
Teofilo Folengi. — - Suoi versi macaronici
ed altre opere.
Più stravaganti ancora degli scritti del Berni sono
q\ielll del suo contemporaneo Teqfilo Folengi di Maa-
Sìato Veneto , e di nuovo in Venezia nel i5f5 con la giunta
^i molle stanze , che sono tulLavia poco iinportaali. Si dice
che altra edizidne siasi puhblicaia in Venezia per Girolamo
Scolto nel i5j8. Quadrio Tom. Il'', p. 55 j. Muzziicchelli 1 1^.
992:, ma io credo, che questo sia T Orlando Innanuralo ^
riformato da Lod,n'ico Dorìieiilclù :, aìmeiu io posseggo una
copia di quest\dLÌma opera colla stessa indicazione d'anno, e di
stampatore. L' ultima edizione , che porta la data di fiienze
del 1725 , ma iufaiii è Scampala a ÌNapoli , vien riguardata
pome la più correità,
So
tova, meglio conosciuto sotto il nome ch'egli assunse
dappoi di Merlino Cocca/o. Egli era pure ecclesiasti-
co, essendo entrato fino dall' anno iSoy in età di
soli i6 anni nell' ordine de' Bmedettini , nella quale
occasione egli lasciò il suo nome di Girolamo , e
prese quello Ji Teojilo (i). I suoi voli religiosi non
estinsero però in esso le passioni amorose , ed un
■violento attaccamento che egli prese in seguito per
una giovane dama nominata Girolama Dieda lo in-
dusse ad abbandonare il suo monastero. Dopo aver
menato per diversi anni una vita sregolata e vaga-
bonda , egli pubblicò le sue poesie macaroniche , nelle
quali con una singolare mescolanza di latino e di
italiano insieme a varj dialetti del basso popolo , e
coir applicazione delle forme di una lingua alle frasi
di un' altra , produsse una specie di lingua mulatra
la quale per la sua singolarità; e per la sua varietà
capricciosa , gli conciliò ammiratori ed imitatori (2).
Non è facile a concepirsi come una persona dotata
(i) TiraboscM Storia della LetX, Ilal. T. T^II. p. I. p. 301,
(7.) Tiraboschi ci informa , che la prima edizione fu quella
di Venezia del iSig, ma Fontaninì^ e Zeno citano una edi-.
zione conlenenle le sue egloghe., e i primi sedici libri del poema
di BUldu^ stampala a Venezia nel iSi^ in 8. Essa fu poco dopo
ristampata a Venezia nel i52o 5 e da Alessandro Paganini
TuscvLANi APVD LACUM Benacensem nel t^ii , ornata di
grotteschi s'ampaii in legno col seguente titolo :
» Opus Meblini Cocaii Poetae Mantuani Macaronicorunt ,
totani ìnpristinamformaìii per me nuigistrum Acqiiarium Loiftt^
iam oplime redaclum , i/i his infra notatis titulis divisum.
»1
di talenti e di letteratura, per mezzo dei quali cer-
tamente FoIen§i si distingueva , potesse sacrificare a
queste composizioni una sì grande porzione del tem-
po, quale richieder poteano il loro numero e la loro
prolissità ; e senza dubbio un piccolo saggio avrebbe
ZanitoNELLA , quae de amore TonelU erga Zanitiani tra"
Ctat, Quae constai ex tredecint soiioiegiis , septeni eclogis ,
et una strambottolegia.
n Phantasias Macaronicon , dwisum in vigintiquinque
Maaaronicis , tractans de geslis magnanimi et pudentissinù
Baldi.
MOSCHEAB , Facetiis liher in trihus partibus dwisus ,
et tractans de cruento certamìne Muscarum , et Formica-
rum .
LiBELLVS Epistolarum y et Epigrammatum ad varias per-
sonas directarum.
» HexasticON Joannis Baricocotae.
j» Merdiloqui putiìdo ScardaJ/ì stercore nuper
jj Omnibus in bandis iniboazata fui.
n Me tamen Aquarii Lodolae sguratio lauit ^
« Surn quoque Savona facta goltinta suo.
i> Ergo me populi comprantes solfite bursas.
»? Si quis auurltia non emit, ille miser. «
Folengi poco dopo riformò ,^ ed alterò q-.iest' opera , ad og-
getto di correggere un* eccessiva .eudenza alla satira , ed una
nuova edizione fii pubblicata senza indicazione di anno , di
luogo, o di stampatore, ma usci in Venezia nel i53o. La
«dizione del iSai si considera tuttavia come la migliore, ed è
suta il modello di tutte le ristampe, che si sono fati e, in par-
ticolare di quella di Venezia Apui. Joan. Vuriscum et socios
nel i5;3. Una splendida edizione dei versi raacaronici di Fo-
lengi in due volumi in 4 fi^ pubblicata in Mantova nei 1768;
« nel 1771 colla vira dell'autore scritta da Gian Agostino
Gradenigo Vescovo di Ceneda.
Leone X. Tom. FU. 6
2^'
potuto soddisfare la curiosità dì molli de' suoi let-
tori. E' stato detto vemtnente , che la sua prima in-
tenzione quella fosse di comporre un poema epico
in latino , il quale superar potesse V Eneide ; ma che
trovando egli per la decisione de' suoi amici di ave-
re imperfettamente rlvalizzato col Bardo Romano ,
diede il suo poema alle fiamme, e cominciò a diver-
tirsi con questi stravaganti componimenti , alcuni dei
quali tuttavia mostrano talvolta una vivacità di im-
maginazione, e di arte descrittiva , e contengono passi
di un merito poetico tanto distinto , che se egli de-
dicato si fosse ad un genere più serio di composi-
zioni , probabilmente avrebbe potuto prender luogo
tra i primarj poeti latini dell' età sua.
Neil' anno 1S9.6 Folengi sotto il nome di Limer-
no Pitocco pubblicò in italiano il suo poema epico
burlesco di Orlandino , opera che s^uopre ancora più
evidentemente il vigore della sua immaginazione, e
la sua grazia, e la sua facilità nel comporre, e rhe
scritta non essendo nello stile grottesco e licenzioso
delle sue prime produzioni , può essere letta con molto
piacere (i). Dee tuttavia osservarsi, che tanto questo
(') Questo poema tliviso in otto canti è stato ristampato
diverse volle dopo la pritua edizione fatta da Sabbio in Ve-
nezia nel i5'2G; principalmente da Gregorio dei G reeuri nella
citlà medesima , e nello slesso anno ; in Rimini da Snncino
nel i5a7 ( ed'zione castrala ) , in Venezia dal S'ssa nel
' 53o e nel i53.), e di nuovo dal Biiuloni nel i55o:, delle
'^[uali edizioni 1' ultima ò stata contrafatta con una stampa
(iuta sotto la data medesima , ma di mia. esecuzione molto
8:»
poema, quanto le sue raacaroniclie abbondano di
passi osceni , circostanza clie in que' tempi sembr^
avere in qualche modo distinto le produzioni degli
ecclesiastici da quelle dei laici (a). Pentito però dei
pii^ infelice. Al fine trovasi un indirizzo apologelico dell'autore,
nel quale egli tenta di difendersi dall' accusa di empieU per
avere satirizzalo il clero soUo il carattere di Monsignore Grif-,
fiirosto ., e ciò che era molto piC» pericoloso per aver mo-
stralo qualche parzialità per la causa della riforma. Zeno An—
noU al Fonlan, T. I. p. 3o3.
(a) Questa osservazione , che l' autore ha fatto con piena
buona fede , sarebbe giusta , se in quel tempo molti laici si
fossero dedicati alla letteratura , ed avessero colle loro fati-
che , e cogli scritti loro promosso i buoni studj in Italia. Ma
è da riflettersi, che dal momento, che si sviluppavano dei
talenti in alcun giovane , che per la sua nascila , o pel suo
grado destinalo non fosse alla milizia , gli si facea vestire un
abito ecclesiastico, e si iucammin.iva per la via clericale. I
laici stessi , che erano dolati di talenli , e forniti di cogni-
zioni , correvano tulli a R,oma, massime dacché si rese cele-
bre la liberalità di Leon X verso i letterati, sigcome molti
(Bsempj ne abbiamo ; e <;.)la vésiivam da preti , o entra-
vano anche negli ordini sacri , affine di rendersi capaci a con-
seguire qualciie benclzio. Questo produsse adunque , che tutti
i letterati erano ecc!esiasii';i , o per lo meno ne vestivano l'a-
bito , e ben raro si troverà vm uomo celebre per dottrina in
que'' tempi, che non prendesse quelle inscgue per po,ter conse-
guire qualche prelatura , o qualche uffi'ùo nella corte del Papa,
Won può dunque asserirsi , che la licenza distinguesse gii
6criLti degli ecclesiastici da cjuelli de' laici ^ ma piutiosttO di-e
compiangersi lo spirilo dì quella età , nella quale tutti i mi-
gliori ingegni liberalmente eduriu , e traiti forse malgrado
loro allo slato ecclesiastico , portavano negli scritti loio quelia
licenza , che pur troppo si rendea osservabile aaohe oe' iorc»
eostumi.
S4
suoi errori , o stanco della sua condotta (JisorJlnala ,
Folengi tornò poco dopo alla sua cella , dove la sua
prima occupazione fu di scrivere un ragguaglio dei
suoi errori , e delle vicende della sua vita passata ,
che stampò sotto il titolo di Chaos del tri per uno ^
più capriccioso ancora e stravagante che non tutti ì
precedenti di lui scritti (i). Decrescendo quindi in
esso il fuoco della fantasia , o 1' ardore delle passio-
ni, rivolse i suoi talenti a soggetti religiosi, e com-
pose un poema dell umanità del Figliuolo di Dio ,
il quale probabilmente non si conciliò un sì gran
numero di lettori , come le prime sue opere (2). Es-
sendo stato nominato priore del piccolo monistero di
S. Maria della Ciambra nell' isola di Sicilia , egli
compose colà ad istanza di Ferrando Gonzaga, allora
Viceré, un poema in terza rima diviso in due libri,
intitolato la Palermita , ed inoltre tre tragedie in
^l "1 II suo Tri per uno h diretto ad esporre i Ire differenti
periodi della vita dell' aurore , e fu stampato la prima volta
ia. Venezia nel 1027 , e di nuovo nel i5^6.
(2) Stampato a Venezia da Aurelio Pinolo nel i533. Que-
Et' opera è divisa in dieci canti , nel primo de' quali Omero
e F'ì'r^ilio sono introdotti a conversare in favore di quattro
cristiani poeti , che scrissero sulla umanità del figlio di Dio ,
ì quali sembrano essere il Folgo , o sia Folengi medesimo ,
Sannazaro, Vidn^ e Scipione Copece. Folengi sembra essersi
imbevuto di alcune dottrine dei riformatori, che egli però non
era abbastanza ardilo per copfessaie più apertamente ^ e sem-
bra essersi finto pazzo come Dau'de davan'.i ad Achi-ih^ »> ed
»> essere andato tentone alla porta, ed aver lasciato cadere la
n ficialiva lungo il suo mento, o
verso sopra soggetti saci-I ; componimenti, cte noa
furono mal pubblicati (i). Molte altre opere di Fo-
lengi sono accennate dai di lui editori, o dagli scrit-
tori della di lui vita. Egli morì 1' anno 1 544 nel prio-
rato di Carapese non lungi da Bassano , e fu sepolto
nella Chiesa di S. Croce.
§ XV.
Imitazione degli antichi classici Scrittori. —
Tr issino.
BeacKè lo studio delle lingue antiche fosse già da
molto tempo risorto in Italia, sembra che alcuna idea
non si fosse concepita avanti 1' epoca di Leon X del
miglioramento dello stile nella Italiana composizione ,
ottenibile con una più stretta aderenza alla regolarità ,
ed cilla purità dei Greci e Romani scrittori. Eransi
fatti veramente alcuni sforzi per trasfondere lo spirito ,
o almeno il senso di quelle produzioni nella Italiana
favella. Le Metamorfosi d' Ovidio (2) , e Y Eneide del
Bardo Mantovano (3) , erano state per tal modo tra-
(i) La Cecilia , la Cristina , e la Caterina. Zeno note al
Fontan. V. L p. 3o2,
(a) Tradotte da Gioifanni Bunnsigiiore., come si suppone nel
XIV. secolo , e stampate a Venezia da Giovanni Rosso nel
1197. Morelli Bib. Pinel V. IV. art. 2069. Hajin lib. liaL
1 18 ., e i3
(3 ' L' Eneide ridotta in prosa per Alanagio Grec». Vi"
cerna per Ermandg di, Leyillapide 1476-
dotte in prosa ; e !a TeLaiJe di Stazio (i) ^ la Far-
Saglia di Lucano (2), le salire di Gioi>enale (3) con
alcuni frammenti separati degli scritti di Ovidio (4) 9
e di Virgilio (5), erano stali tradotti in versi Italia-
ni; ma in così rozza, e sdolcinata maniera, da pro-
durre come un cattivo specchio una caricatura piut-
tosto elle una somiglianza. Allorché i letterati Ita-
(1) Tebaide di Stazio , in oliava rima da Erasmo di Val"
i>asone. Ven. ap. Fran. Francesrhi i^^o-
(2) Lucano la Farsaglia, tradotti dal Cardinale Montichiello.
Milano , per Cassano (ìe Mantegazii \\cp. in \.
(3) Le satire di Giovenale in terza rima da Giorgio Soni"
maripa , in Trcvigi ., \!\^o in fol.
(\) De Arie Amandi in terza Rima , Milano per Filippo di
Mantegazii ^\^'\. Vi è pure un' altra edizione senza data, che
è probabilmedle la prima. Morelli lib. Pinell. T. IV. art.
2061.
(5) Bucoliche di Virgilio per Bernardo Pulci di latino ia
Tolgare tradoltte, stampate con alcune delle Bucoliche di Fran~
Cesco Arsochi , Hieronyino Benito e ni , et Jacopo Fiorino de
Buoninsegni. Fior, per Maestro Antonio Mis-hornini i494- ""'
f^ita di Lorenzo de'' 31 edici T. 1. p. 3o4' lo deggio osser-
Tare , che il S. U^arton non è corretto nell' asserire , che le
Bucoliche di Virgilio furono tradolle in Italiano da Bernardo
Pulci, Fossa di Cremona, Benivieìd ., e Fiorini Buoni nsegni.
Storia della poes. Inglese V. IT. p. aSG. I soli traduttori di
Virgilio furono Bernardo Pulci , ed Ei'angelista Fossa , es-
sendo composizioni originali Io Bucoliche di Beniuteni , e di
Buoniiisegni. La traduzioni di Fossa porta per titolo. Bu-
Cholica Vulgare de Virgilio composta per el clarissimo
poeta Frate Evangelista Fossa de Cremona dell' ordine dei
Servi M. ecce. LXXXX in Venetia. La traduzione é Ja
*eiza rima j ma somuìamente rozza , e scorretta.
8f
Uani furono più jprofondaraente istratti nelle opere
legli antichi, essi cominciarono a sentire l'influenza
lei loro gusto , e ad imbeversi in qualche parte del
loro spirito. Non più soddisfatti del lungo e penoso
lavoro di tradurre quegli autori , essi con lodevole
emulazione intrapresero di rivalizzare coi celebrati a*
fanzi degli antichi ingegni per mezzo di produzioni di
"guai genere nel natio loro linguaggio. Per giugnere ad
eguagliare i loro grandi modelli , essi si arrischiarono
jerfina a metter da parte i vincoli della rima , e ad
introdurre un genere di metro , che pel suo effetto
dipendea solo dalla elevazione ed armonia della lin-
gua, e dalla varietà delle pause, anziché dal conti-
nui ritorno di una eguale desinenza. Quello che a buon
diritto può dirsi aver formato il primo , ed eseguito
in |ualcho parie questo lodevole disegno , è il lette-
rato Gioan Giorgio Trissino \ e benché le sue facoltà
poetiche non fossero proporzionate all' impresa , che
egli 5Ì era assunta , tuttavia lo stile puro e classico
da esso per tal modo introdotto, diede origine ad
alcune delle più corrette e piacevoli produ/tioni , che
uscite siano in lingua Italiana.
8S
§. XVI.
Trissino introduce i versi sciolti Italiani.
Trissino nacque di una famiglia nobile di VicenzE
nell'anno 1478; e per alcun tempo ricevette istru-
zioni dal celebre greco letterato Demetrio Calcondilc
in Milano (1). Dopo la morte di sua moglie, che
perdette nei primi anni della sua giàventù , egli pass»
a Roma , dove ottenne parlicolar favore da Leon X ,
il quale lo impiegò in diverse missioni importanti ,
ed in particolare in una all' Imperadore Massimila-
no (2). I versi sciolti Italiani , o i versi senza rina j
furono la prima volta usati dal Trissino nella sua
tragedia della Sofonisha , e sono certamente milto
meglio applicati , che non la tei'za rima , o V ottava
ad opere di una certa lunghezza (a). Lo stesso me-
todo di versificazione fu tuttavia impipiiato verso il
tempo medesimo da diversi uomini celebri pei loro
(i) Trissino con lotlevole gratiuidijie eresse nella chiesa di
S. Maria della l^assione a Milano un elegante monumento
alla memoria del suo preoeUore merlo in questa città l'anno.
l5ii. Tirahoschi Stor. della T^ptt. hai. T. VI. p. II. p. i32.
(2) Trissino nella dedicazione della sua Ila.'iu liberata
all' Imperadore Carlo V.
(a) Poemi lunghissimi si hanno in terza , ed in ottava rima
vhe punto non annojano. Si sarebbe più acconciamente detto
in questo luogo , che i versi sciolti erano meglio calcolati per
r escrcwio dt?lla declamazione,
89
talenti , ed un famoso critico Italiano asserì „ che esso
,, era stato impiegato prima da Luigi Alamanni nella
j, sua tiaduzioae dell'Epitalamio di Peleo e di Tetl di
,, Catullo ; poco dopo d.-^ Lodovico Martelli nel tradurre
,, il quarto libro dell'Eneide, e dal Cardinale Ippolito
,, Je' ilf/eJ/ci nel tradurre il secondo, ad imitazione del
,, quale Trissino poco dopo compose in versi eguali il
,, suo epico poema àeW Italia liberata da Goti (i). "
Ma deve riflettersi che V Italia liberata non era la
prima opera , nella quale Trissino impiegato avesse i
versi sciolti , essendo stata scritta la sua tragedia di
Sofonisba almeno-dieci anni avanti , eh' egli comincias-
se il suo poema epico, e finita nel i5i5 (2). Egli è
certo tuttavia , che nell' anno medesimo Giovanni Ru-
celiai scrisse in versi sciolti la sua tragedia di Ros'
manda; ma siccome egli indirizzossi a Trissino , come
a suo precettore nelle lettere , e siccome le pretese
di Trissino alla precedenza per questo riguardo sono
confermate dalla confessione esprfìssa di Palla Ru-
(1) Lettere di Claudio Toloniei citate nel giornale de' lei'-
terati V XYFT. p. 290.
(2) Appare da una lettera di Giovanin Rucellai al Trissi-
no , scritta gli 8 novembre i5i5^ che Tris^inn avea pia finito
allora la sua tragedia ^ che egli intendea di far rappresentare
innanzi a Leon X, probabilmen.e in occasione del di lui viag-
gio a Firenze iu quel!' anno. Zeno note al Font. Bib, lied.
V. I. p. 4(J4' Essa non fu stampala tuttavia fino al i524, nel
qual tempo fu pubblicata in Roma per Lodoi'ico degli jitri"
ghi Vicentino , con una dedicatoria indiriizata dall' autore a
Leon X durante il tempo del suo pontificato , che il lettore
troverà nell* appendice If. CLXtlI.
celiai fratello eli Giovanni^ noi pcfssìarao ccwhfictefltc.
mente attribuire a Trissino Y onore della invenzio-
ne (i) ; a meno che non si credano sufficienti a
turbare i suoi diritti i reclami dello storico Fiorenti-
no Jacopo Nardi , il quale diede un saggio di versi
sciolti nel prologo della sua commedia intitolata VA-
micizia , che si suppone rappresentata innanzi ai Ma-
gistrati di Firenze verso 1' anno i494 (2). La trage-
dia di Sojonisha merita tuttavia una menzione, non
solo per avere introdotta la prima volta in uso piìi
generale i versi sciolti , ma ancora per essere la pri-
ma tragedia regolare , che comparsa sia dopo il ri-
nascimento delle lettere. Il nome di tragedia era stato
per verità adottato da prima, ed anche la storia di
Sofonisba avea formato il soggetto di un componi-
mento drammatico in ottava rima presentato da Ga-
leotto marchese tlel Garretto ad Isabella marchesa di
Mantova (3); ma questa produzione non altrimenli
(i) »» Voi foste il primo die questo mode» di scrivere iti
ìì versi materni liberi dalle rime poneste in luce eie. « Dedi~
cazione del poema delle Api al Trissino.
(2) Questa quistione ha fatto nascere una grande diversità
di opinioni tra Monsignore F'ontanini ^ ed il suo severo com-
mentatore Apostolo Zeno , che i lettori veder potranno nella
Biblioteca della eloquenza Itafiana. V. t. p. a\ , e seg.
Questo punto è stato ancora discusso dal sig. If^alker nel-
r Appendice alle sue memnrie storiche della tragedia Italiana,
N. IL p. 20.
(3) M affai Teatro Italiano V. I. pref. alla Sofonisba del
Trissino.
9»
CÌie la }^ir'^ìnia di Accolti , ed altre opere della atessa
natura , erano così imperfette nella loro disposi-
ci )ne , e così male adattate alla teatrale rappresen-
tazione , che accrebbero invece di diminuire 1' onore
dovuto al Trissino , il quale non seguendo l' esempio
de' suol contemporanei introdusse uno stile più cor-
retto , e classico di composizione drammatica (i). La
storia compassionevole di quesla tragedia , appoggiata
al racconto di Livio nel libro XIII della sua storia,
è già ben conosciuta avendo formato sovente il sog-
getto di rappresentazioni teatrali in questo paese Sarà
dunque suffi'.^iente l'osservare, che Tassino senza molto
allontanarsi dal racconto della storia , diede una dram-
matica forma agli incidenti , la quale rende la sua
produzione interessante; e vi si trovano sparsi molti
passi pieni di espressione .e di sentimento. Al tempo
stesso dee accordarsi , che la dignità dello stile tra-
gico non vi è sempre egualmente sostenuta , e che
r autore spesso vi lascia vedere una prolissità , un
laui^uore , ed una insipidità tanto di sentimento ,
quanto di stile, che fa molto torto all' interesse delti
composizione.
(i) Giraldi nel prolof;o al suo Orbecche lo chiama
" Il Trissino gentil , che col suo canto
«> Prima «r ognun, dal Tebro , e dall' Ilysso ,
n Già trasse la TrageJia a V onde d' Arao. <^-
92
§ XVII.
Suo poema^ T Italia liberata dai Goti.
Non fu tuttavia se non nell' anno 1 547 ' ^^^
Trissìno pubblicò i nove primi libri del suo poema
epico /' Italia liberata dai Goti , del quale gli altri
otto libri comparvero nel 1 548 (i). In questo poe-
ma, al compimento del quale Y autore spese circa
(i} Questo poema, come pure la seconda edisione della
Sofonisba nel 1^29, furono stampate colla introduzione fatta
in quella occasione delle lettere Greche per determinare con
una maggiore precisione il modo della pronunciazione Ita-
liana : di che 1' invenzione è dovuta al Tr issino , benché
l'autorità sua non sia riuscita a farne adorar l'uso general-
mente. Egli dedicò il suo poema alT imperadore Carlo V^
con un indirizzo, nel quale spiega i motivi, che lo hanno
ìadotto a tentare questa impresa , e rischiara alcune partico-
lari circostanze della sua vita. Diversi passi di questo poema
furono reputa;i offensivi, avendo l'autore censurato severamente
la condotta di alcuni Romani Pontefici, ed egli in conseguenza
li cancellò nelle copie, che ancora rimaneano invendute- cir-
costanza , che fece nascere molte discussioni tra i bibliografi
Italiani, Fontanìni Blhliot lial. T T. p. 268 ecc. Siccome
uno di que' passi tagliali fuori si riferisce particolarmente al
soggetto dei volumi precedenti di quest' opera , io ho voluto
presentarlo ai lettori tratto dalla prima rarissima edizione ,
siccome vien nominata da Tirahoschi. In questo estratto si
troverà parimenti un saggio del modo particolare , nel quale
Trissino ten.ò di introdurre 1' uso delle lettere Greche. Ap-^
pend. ly. CLXlf^, Vcdansi pure le noli addizionali.
93
yent'anni, egli si prppose di esporre agli Italiani un sag«
gio di vera poesia epica, fondata sulT esempio d O/ne/o,
e confermata dall'autorità d' Aristotele. Il soggetto è
la liberazione dell' Italia dai Goti fatta da Belisario
generale dell' Imperadore Giustiniano. Nella esecuzio-
ne di questo disegno Trissino asserisce aver egli esa-
minato tutti gli scrittori Greci e Romani , ad oggetto
di sceglitore i fiori della loro eloquenza , e di arric-
chirne le proprie di lui fatiche. Che Trissino fosse
un uomo di rari talenti, e di molta letteratura, egli
è evidente per gli altri di lui scritti ; e le varie di
lui cognizioni nelle matematiche e fisiche discipline,
e nella ai'chitettura sono altamente commendate dai
suoi contemporanei : pure di tutti i tentativi epici,
che si son fatti fino a quest' ora , Y Italia liberata
può riguardarsi come il più insipido, ed il meno
interessante. Negli scritti del Berni^ del Mauro .^ del
Folens^ì^ e di altri scrittori della poesia burlesca, una
affettata semplicità, o bassezza di stile si è adottata
apparentemente per il fine riconosciuto di dare il
maggior risalto alla satira loro, o ai loro tratti spi-
ritosi; ma lo stile basso , e pedestre del Trissino è
genuino e non affettato, e riesce sovente ancora più
disgustoso pel suo contrasto colla gravità del soggetto,
e dell' Autore. Più riprensibili ancora sono il dise-
gno, e la condotta del poema, nel quale la pagana
mitologia è confusa colla cristiana religione, ed una
invocazione ad Apollo, ed alle muse, introduce l'Es-
sere Supremo, e lo fa intervenire negli affari de'
Biortali ia un linguaggio tale, e con tali mezzi , ch&
94
nel giudizio della Tera pietà , o del gusto coiretto
comparir debbono affatto indegni del divino carat-
tere. Quindi è, che né 1' industria del Trissino, ne
r alta reputazione letteraria, che egli avea dapprima
ottenuta, poterono conciliar credito allo sfortunato
suo poema, il quale, siccome ce ne informa uno de'
suoi contemporanei, non ottenne molti lettori, ma fi\
in qualche modo sepolto il giorno medesimo, che
comparve in luce (i). Verso l'anno 1700 dai socj
dell' accademia del cardinale Ottohoni in Roma si
fece un debole tentativo per trasportare X Italia libe-
rata in ottava rima, avendo scello ciascun membro
un libro di quel poema per esercitare 1 suoi talenti,
ma benché alcuni di essi conducessero a fine la loro
parte del lavoro, 1' opera non fu compita. I critici
Italiani, bramosi di non far torto ad un uomo, i di
cui meriti per altri riguardi onorarono il loro paese,
non menzionarono sovente \ Italia liherata se non
in termini di rispello; ciò nulla ostante quel poema
non fu ristampato fino all'anno 17^9, ed allora fu
inserito nella raccolta generalo delle opere di quel-
r Autore.
(r) n Non si vedo che "I Tn'ssino , la cui dottrina nella
» nostra età lii degna di maraviglia, ed il cui poema non sarà
n alcuno ardilo di negare , che non- sia pieno d' £riidiiione ,
» e allo ad insegnar di molte belle cose , non fe letto , e
ti che quasi il giorno medesimo che è uscito a luce , è
» stato sepolto? u Bernardo Tasso ap, Tirab, Stona della
Utl. hai. V. VII. p. III. p. Ili,
95
§ XVIII.
Giovanni Bucellai.
Seguace del Trìssino nella adozione de' versi sciolti,
yna moltb più felice nel modo di adoperarli fu il dt
ìui amico Giovanni Bucellai^ il quale merita nna
particolare menzione tanto per la sua stretta paren-
tela col papa Leon JY, quanto pei di lui meriti straor-
dinarj. Fu egli uno de' quattro figli di Bernardo
Bucellai, e di sua moglie Nannina^ sorella di Lo-
renzo il magnifico, e nacque in Firenze nel \l\']S (i),
li' esempio del di lui padre, il quale viene annove^
rato giustamente tra i piìi famosi letterali, e tra gli
scrittori latini più corretti del suo tempo, e le istru-
zioni del giovane Francesco Cattaneo da Diaceto,
erano una sicura guarentigia dei pronti di lui pro-
gressi, e si dicea di esso^ come cosa fuor di dub-
bio, che egli fosse cosi perito nella cognizione delle
lingue Greca, e Lati na, come in quella della sua
lingua natia (3). Nell'anno i5o5 fu spedito come
Ambasciadore dalla sua patria allo stato di Venezia,
e fu presente allorcliè l'inviato di Luigi XII cliiese,
cbe il Senato permettesse al giurista Filippo Ledo
(1) Giornale de' l'tterati T. XXXIÌJ. p. 1, p. 2)0.
(2) » Triplici lingua elfga/uissime excuUiis. u Poccianù^
cotat. de' scritt. Fiorentini. — Giornale de' letlerati .^ ut
*upra.
96
di tornare come sito sùddito a Pavia per insegnarvi
la legge canonica, al che il Senato ricusò di aderire;
incidente , che sembra aver fatto una grande impres-
sione sopra Rucellai, siccome quello, che provava il
grandissimo pregio della letteratura, e la grande im-
portanza, che si attribuiva ad un uomo fornito di
talenti (i). Nel tumulto suscitato dai più giovani
cittadini di Firenze al ritorno de Medici nel i5i2,
che grandemente contribuì a facilitare quell' avveni-
mento, Giovanni Bucellai, e suo fratello Palla pre-
sero una parte primaria, nel che essi mostrarono di
agire in senso contrario delle brame del padre loro,
il quale costantemente aderiva al partito popolare (2).
All' epoca dalla elevazione di Leon JS", e dello sta-
bilimento del di lui nipote Lorenzo al governo di
Firenze, Giovanni rimase in quella città in un im-
piego ragguardevole, e si suppone, che egli accompa-
gnasse Lorenzo a Roma, quando questi venne ad as-
sumere le insegne di Capitano generale della Chiesa.
Poco dopo il suo arrivo Rucellai entrò negli ordini
Ecclesiastici , e seguì il Pontefice nel suo viaggio a
Firenze nel i5i5, ed allora Leone fu trattenuto nei
giardini di Rucellai colla rappresentazione della Tra-
gedia della Rosmonda , scritta da Giovanni in versi
sciolti Italiani. Ha fatto sorpresa ad alcuno, che
Leone non abbia conferito la dignità della porpora ad
(1) Giornale de' letterati T. XXXJII. p. J. p. 1^.
(a} Giornale de' letterati T. XXXlìl. p. J. p. S^S, e seg^
Cap. X. VoL IV > p. 24 di questa Storia.
97
un uomo legato a lui così strettamente in parentela,
al quale egli era in particolar modo attaccato, e che
per ogni riguardo sembrava degno di quell' onore.
Alcuni autori attribuirono questa circostanza alla ti-
mida gelosia di Giuliano de Medici, il quale dicesi
aver rappresentato a suo fratello il pericolo, che na-
scer potea per la famiglia loro in Firenze dall' in-
cremento del credito, e dell' autorità di quella de^
Rucellai , i quali potevano formare tra di loro un
numero di 1 5o uomini capaci di portare le armi;
mentre altri supposero, che siccome Leone non ama-
"va di promovere al grado di Cardinale alcuno dei
parenti a lui tanto prossimi quanto Rucellai, affine di
evitare l' opposizione che questi avrebbero potuto
mostrare alla di lui famiglia, per ijuesto solo egli
posponesse la nomina di Giovanni; ma qualunque
fosse il motivo della condotta del Papa, che proba-
bilmente non era alcuno di quelli, che si sono asse-
gnali, egli è certo, che la trascuranza non nacque
da alcuna mancanza di stima, o di confidenza, il che
può comprovarsi dall avere il Papa spedito Rucellai
in una crisi importantissima come suo legato a Fran-
cesco /, nel qual posto egli succedette a Lodovico
Canossa, e continuò fino alla morte del Pontefice.
Dopo questo avvenimento inaspettato Rucellai
tornò a Firenze, ed alla elevazione di Adriano VI
successore di Leone fu deputalo con cinque altri
de principali cittadini per recare al Papa le congra-
tulazioni sulla sua nuova disnità. Rucellai come ca-
pò dell' ambasciata indirizzò al Poutelice una orazione
Leone X. Tom. VIL 7
9^
latina, che ancora ci è rimasta. Al breve pontificato Ji
Adriano succedette ([nello di Clemente VII^ il quale
onorò Rucellai collo stesso grado di benlvolsnza co-
me Leon X^ ed immediatamente dopo la sua eleva-
zione diede una prova decisiva della sua bontà per
Hiicellaì, nominandolo comandante del castello S. An-
gelo, dignità elle d'ordinario si considerava come uà
passo prossimo al cardinalato, dui che Rucellai fu
detto comunemente il Castellano (i). Egli non go-
dette tuttavia a lungo di questo onore, avendo ter-
minato i suoi giorni verso il principio dell' anno
iSsG, prima del deplorabile sacco di Roma, che po-
co dopo avvenne.
(i) Il dialogo del Trissino sulla lingua Italiana intitolato il
Castellano è slato cosi iulilolato dell' autore a cagione del suo
amico Rucellai , il quale ò uno degli interlocutori , ed è
quindi caratterizzato da esso: » Uomo per dottrina, per bontà
»> e per ingegno non inferiore a nessun altro della nostra età. «
La stretta amicizia, che sussisteva fra Trissino^ e Rucellai,
mentre essi si emulavano l' un 1' altro nelle loro opere , è
molto onorevole al carattere di ambidne , come giustamente
osserva Muffai^ Teatro hai, T. t. p. 93,
§. XIX.
Suo poema didattico: le lépù — Sua
tragedia d Oreste.
Durante la residenza di lìucellai nel castello
S. Angelo, egli compì la sua tragedia V Oreste^ eà
il suo bel poema didattico le j4pi, delle quali pro-
duzioni però alcuna non fu stampata dìurante la sua
vita. La ragipne di ciò sembra potersi rilevare dalle
parole dell' autore indirizzate poco prima della di lui
morte a suo fratello Palla lìucellai (i). ,, Le mie
,, Api^ die' egli , Bon hanno ancora rlce^aite le mie
,, uhime cure per il loro perfezionamento, del che
,, è stato cagione il mio desiderio di rivedere, e cor-
j, reggere quel poema in compagnia del nostro a-
,, raico Trissino, quand' egli ritornerà da Venezia ,
„ dov' è ora legato del nostro cugino Clemente VII,
,, e quel poema^ come voi -vedrete, io ho già ad
,, esso destinato , e dedicato. Io dunque vi prego ,
,, perchè trovando una opportuna occasione, voi gli-
5, mandiate quel poema, affinchè egli lo legga, e lo
,, cprregga, e se lo approva, voi lo pubblichiate
,, senza alcun' altra testimonianza dei suoi meriti ,
5, che quella di un giudice tanto sublime. Voi se-
j, guirete il metodo medesimo col mio Oreste , se
(i) Mafjei pref. all' Oreste Teatro It^l. T. f. p. 92.
JIOO
,, egli non isJegnerà l' incomodo di sostenere tale fa-
,, tica per il vantaggio di persona, che gli è stata
,j cotanto affezionata ". Il poema delle Api fu quindi
pubblicalo nell'anno iSSg, ed assicurò al suo au-
tore un grado altissimo tra ì poeti didattici. Senza
assoggettarsi al carattere di un imitatore servile,
egli scelse un soggetto già nobilitato dall' ingegno di
Virgilio^ e diede a quello nuove attrattive, e nuove
grazie. La sua elocuzione è pura, e non insipida,
semplice, e non volgare , e nel corso di quest' opera
.egli ha dato prove decisive della sua istruzione nelle
scienze, e particolarmente negli oggetti della storia
naturale.
Non furono così puntualmente osservate le prescri-
zioni di Giovanni Rucelìai riguardo alla sua tragedia
dell' Oreste, del che tuttavia si rende ragione dal di
lui fratello Palla nella dedicatoria delle Api al Tris-
sino. ,, Per ciò che concerne 1' Oreste, io ho creduto
,, meglio di sospendere, finche il vostro Belisario, o
j, per parlare con maggiore accuratezza, la vostra
,, Italia liberata, opera di grandissima letteratura, e
„ quasi un nuovo Omero nella nostra lingua, possa
,, essere perfezionata, e data alla luce ". Questa tra-
gedia rimase manoscritta per quasi due secoli dopo
la morte dell'Autore, finché fu pubblicata dal Mar-
chese Scipione Maffci (a). Il soggetto di questa rap-
presentazione è simile a quello della Ifigenia ip Tau-
(a) E non Conte ^ come è scritto neir originale»
ride di Euripide-^ ma V Autore ha introdotto tali va-
riazioni, ed ha nobilitato la sua tragedia con tanti
grandi episodi drammatici, che può giustamente con-
siderarsi come sua propria, e non come una sem-
plice traduzione di un antico autore; cosicché Maffei,
il quale pe' suoi proprj lavori in questo genere può
essere ammesso come ottimo giudice, riguarda quella
trat^edia non solo come superiore alla Rosmoncla dello
stesso Autore, ma come una delle più belle produ-
zioni, che alcuno scrittore antico, o moderno abbia
adattato alle rappresentazioni teatrali (i).
g XX.
Luigi Aìamannì. — Suo poema intitolato :
La Coltivazione.
Un altro Italiano scrittore, che si distinse coli' e-
leganza e 1' armonia dei suoi versi sciolti , fu Luigi
Alamanni^ che nacque di nobile famiglia in Firenze
neir anno i^jS , e passò il primo periodo della sua
vita neir abituale amicizia e società di Bernardo e
Cosimo Rucellaiy di Trissino e di altri letterati , che
(t) M iffci Teatro Ilaliano Toni. I. pag g5. Queste , ed
altre tragedie di quel tempo iioo possono in oggi applicarsi
alla declamazione de' nostri Teatri per la loro prolissità e -«
cessiva , e per un certo languore . che ò forse la conseguenza
della prolissità medesima, e de^J' iiileiesse non sempre sosie*
Unto.
IP2
dedicati si erano più particolarmente allo studio della
classica letteratura (i). Molte delle satire e delle poe-
sie liriche di Alamanni , furono scritte durante il
pontificato di Leon X. Neil' anno i5i6 egli sposò
Alessandra Serristori , donna di grandissima bellezza ,
dalla quale ottenne numerosa prole (2). Il grado ed
i talenti di Alamanni gli procurarono la conoscenza
e r amicizia del Cardinale Giulio de' Medici , il quale
durante T ultimo periodo del pontificato di Leon X
governò in vece di quel Ponlefice la città di Firen-
ze. Lo restrizioni rigorose imposte dal Cardinale agli
abitanìi , dalle quali in mezzo ad altri indizj di su-
bordinazione, era loro vietato il portare armi sotto
pene severe , eccitato aveano lo sdegno di molti dei
più giovani cittadini di nobili famiglie , i quali mal
sopportavano la perdita della loro independenza , e
tra questi di Alamanni , il quale obbliando V amicizia
a cagione del patriotismo , non solo entrò in una
congiura contro il Cardinale immediatamente dopo
la morte di Leon X, ma intraprese altresì per quanto
djcesi, di assassinarlo colle sue proprie mani (3). I di lui
conip.igni erano Zanohi Buondelmonti , Jacopo da Dia-
celo, Antonio Jj tue ioli , e diverse altre persone di
distinti talenti , i quali sembravano voler tentare il
ristabilimento dell' antica libertà della loro repubblica
(i) MazzucclicUi , Scritl. d'hai. Art. Alamanni.
(2) Ido Ilnd.
(3) Varchi Star. Fiorent. Lih. V> pag. io8.
io3
senza riflettere sufficientemente al modo in cui que-
sto poteva ottenersi. I disegni dei cospiratori furono
tuttavia scoperti , ed Alamanni trovossi forzato a sal-
varsi colla fuga. Dopo molte avventure, e diverse
vicissitudini , nel corso delle quali egli tornò a Fi-
renze, e prese una parte attiva nei tumulti, che
a^jitarono quel paese, egli finalmente si ritirò iu
Francia, dove trovò grata, ed onorevole accoglienza
per parte di Francesco I , granle ammiratore della
poesia italiana , il quale non solo gli conferì Y ordine
di iS. Michele , ma lo impiegò in molte importanti
missioni (i). Air epoca del matrimonio di Enrico
(i) In un' ambasciala ali' Impeiadore Carlo V. per parie di
Francesco /, Alamanni diede un saggio singolare de' suoi ta-
lenti , e delia sua prontezza. Avendo egli nella sua orazione
air imperadore menzionato frequentemente V aquila imperiale ,
Curio dopo avere ascoltato a:tcu!araente tutto il discorso fino
alla chiusa, si Tolse verso 1' pralore , e ripeto con enfasi mi-
sta di sarcasmo questi versi tolti da una delle poesie dell' .4-
lamanni:
ìì V aquila grifagna ,
55 Che per più divorar due becchi porta, a
jiLimanni ascollò questo rimprovero senza punto scomporsi,
ed immediatamente soggiunse ;, s? dacchò questi versi sono noti
j) a Vostra Maestà, io posso dirle che all'epoca, che io gli scrissi,
» scrissi come poeta , al quale è concesso il fingere , ma che
i> ora io parlo come 1' amhasciadore di un gran Sovrano ad
» un altio, al quale disdicevcle sarchile il deviare dalla verità:
i> que' versi sono l'opera della mia giovenli'i , ma ora io parlo
s> colla gravità della vecchiezza. Que'versi erano provocali dal
H banilo, clje io aveva sofferto dalla patria; ma ora io mi
«> pi esento a Vostra Maestà libero da qualunque passione, m
io4
Duca d'Orleans, che fu dappoi Enrico II, con Ca-
terina de Medici, Alamanni fu creato suo maggior-
domo (a) , e la ricompensa de' suoi servigj lo pose
in istato di assicurarsi grandi emolumenti , e di sta-
bilire la sua famiglia in Francia in modo molto ono-
revole. Gli scritti ài Alamanni sono molto numero-
si (i) , ma la sua epera maggiormente ammirata , è
il suo poema didattico la Coltivazione , scritto in versi
sciolti, e da esso indirizzato a Caterina Je' Medici
con una lettera , nella quale egli la prega a presen-
tare queir opera a Francesco 1 (2), Questo poema ,
Carlo levandosi dalla sua sedia, e ponendo la sua mano sulla
spalla deir ambasciadore, dissegli cou molta dolcezza, che egli
non avea nioiivo di dolersi di aver perduto la sua patria,
trovato avendo un protettore come Francesco I , e soggiunse
che per un uomo virtuoso è patria qualunque paese. Maz-
zucchelli Scritt. d'hai. Art. Alamanni p. 253.
(a) O come i Francesi il chiamarono maitre d'hotel.
(i) Le opere di Alamanni consistenti nelle sue elegie, eglo-
ghe, satire , e poesie liriche , colla sua tragedia di Antigone^
furono dapprima stampate dal Grifio in Lione , il primo
volume nel i532 . il secondo nel l533 :, il primo volume fu
pure stampato dai Giunti in Fiienze nel i532,, ed i due vo-
lumi furono poco dopo pubblicati in Venezia nel i533 , e di
nuovo nel i5'j2. Non ostante queste frequenti edizioni , le
opere d' Alamanni furono proibite sotto il pontificato di Cle-
mente r^II tanto in Firenze , quanto in Roma , ed in Roma
furono anche pubblicamente bruciate. Mazzucchelli V. I.
V. 256.
(a) La Coltii'azionc fu stampala a Parigi da Rohcrto Ste~>
fiino nel \b\0 con una bella edizione corretta dall'autore- e
loS
che Alamanni stese in sei libri , e nel quale egli sem-
bra aver intrapreso di competere piuttosto colle Geor-
giche anziché di imitarle, è scritto non solo con grande
eleganza e cori-ezione di siile , ma ancora con una
cognizione molto eetesa del soggetto , che professa di
trattare , e contiene molti passi , che sostener posso-
no il confronto con alcune parti più celebri dell' o-
pera del suo immortale predecessore. La sua trage-
dia di Antigone tradotta da Sofocle , vien pure con-
siderata da Fontanini come una delle migliori pro-
duzioni drammatiche in lingua Italiana ; ma i suoi
romanzi epici \ Avarcìiide (i), e Girone Cortese {2) ,
dedicala a Francesco I. Fu ancora ristampata l'anno mede-
simo dai Giuriti in Firenze , e quin<]i frequcnleratnte ristami
pala , massime in una bella , e corretta edizione m '{ grande
fatta da Cornino in Padova nel 1^18 rolle yip:' del Ruceìlai ^
e gli epigrammi deW Alar/tanni , ed in lìolo£;na nel i']\6.
(i) Stampata la prima volta dopo la morte d'IPautore in
Firenze nella stamperia di FiUppo Giunti 1170 in 4- I' sog-
getto di questo poema , è 1' assedio della città di Rourges ca-
pitale del ducato di Berry, su[)posta V jéi>'iricurri di Giulio
Cesare. Il disegno , e Va condotta di quel jiocma sono cosi
slcetiamenle modellate siili' Iliade, che se noi eccettuiamo
solamente 1' alterazione dei nomi, troviamo essere quella una
traduzione piuttosto che m' ooera originale.
(2. Girone il Cortese fu stampa ro a Parigi da Rinaldo Cal-
der io , e Claudio swo figliuolo in 4 ^ ed ancora a Venezia per
Cnmin da Trino da Monferrato, nel ifi'.fi. Quest'opera è poco
pif> di una traduzione in ottava rima Italiana del Romjmzo Fran-
cese intitolato Gyrori le Couriols ^ che Alamanni in' 1 aprese
a richiesta di Francesco T poco tempo avanti la moru di
quel monarca, siccome appare dalla iaformazione fatta dal-
1&6
scritti r uno e 1' altro in ottava rinta non ebbero la
sorte di ottenere al loro autore considerabili applausi.
§ XXI.
Classificazione degli autori Italiani. — Drammi
Italiani.
Passati così brevemente in rivista i principali poeti
Italiani^ che scrissero sotto il pontificalo di Leon X
tìon sarà difficile Y accorgersi , cbe essi possono di-
vidersi in quattro classi distinte. I. Coloro che con-
tinuarono ad adotterà negli scritti loro , benché in
differenti gradi , lo stile ed il metodo di composizio-
ne rozzo ed imperfetto , usato sul finire del secolo
precedente. II. Gli ammiratori del Petrarca, i quali
lo riguardavano come il modello della vera elocuzio-
ne poetica , e strettamente imitavano la di lui ma-
niera nei loro scritti. III. Quelli , i quali approfit-
tando del vigore del loro proprio ingegno adottavano
quello stile ili composizione , che essi credeano atto
ad esprimerd nella maniera più convenevole e più
efficace i sentimenti che essi voleano comunicare.
IV. Quegli autori, i quali seguivano l'esempio degli
antichi non solamente nella maniera di trattare i loro
l'autore medesimo nella sua dedicatoria ad Eurico 11^ nella
quale teli descrisse 1' origine , e le leggi dei cavalieri erranti
Britanuiti , ossia A&' cai><heri della tavola rotonda^
107
Éc^^etli , ma anche nel frequente uso dei versi sciolti ,
e nella semplicità e purezza della loro elocuzione. Si
comprenderà facilmente, che un numero considera-
bile degli scrittori da noi menzionati , potrebbe an-
noTerarsi in ciascuna di queste classi ; ma V oggetto
limitato dell'opera presente sarà abbastanza raggiunto
col dimostrare gli incoraggiamenti , che i poeti di quel
tempo ottennero da Leon J5l, ed i progressi che durante
il suo pontificato fece questo ramo più popolare e più
piacevole della letteratm-a. A questo periodo noi dob^
hiamo riferire quelle abbondanti sorgenti, che si diffu-
sero per tutto il restante dell'Europa, e benché al-
cune di esse possano farci risalire ad una fonte più
antica , non l'u tuttavia se non in quell' epoca , che
esse cominciarono a zampillare, ed a prendere uu
corso aperto e sicuro. Le leggi della lirica composi-
zione , prescritte coli' esempio dal Sannazaro , dal Beni-
ho , dal Molza , e da Fittoria Colonna , furono in
appresso adottate dai due Tassi ^ dal Tansillo, tla Co-
stanzo , da Celio magno , da Guidi , da Filicaja . e
da una lunga serie di altri scrittori, i quali porta-
rono questo genere di composizione , e massime il
genere sublime delle odi ad un grado di eccellenza ,
al quale fino allora non erano giunte in alcun altro
paese. Nella poesia epica la grand' opera dell'/^rtoiYo
eccitò una emulazione, che nel corso del XVI se-
colo produsse un immenso numero di poemi sopra
simili soggetti , molti de' quali sono assai lunglii , ed
alcuni se non usruagliarono 1' Orlando furioso nella
fertilità dell'invenzione, e nella varietà delle descri-
jo8
zloni , lo superarono tuttavia nella regolarità , e nella
classica purità del disegno , e svilupparono tutte quelle
grazie poetiche, che senza sorprendere riempiono di
diletto il lettore. Se alle satire dell' Ariosto noi ag-
giugneremo quelle di Ercole Bentivoglio suo contem-
poraneo scritte su di un eguale modello , noi dovre-
mo riconoscere , che né quelle , né le singolari pro-
duzion i del Berni , del Bini , del Mauro , e de' loro
compagni , non hanno trovato ne' tempi successivi
scrittori ,. che le rivai izzassero in alcun grado. Né
coloro che scrissero posteriormente in versi sciolti,
tra i quali possono annoverarsi Annibale Caro , Mar-
chetti e Sahiniy migliorarono di molto il corretto e
grazioso esempio, che era stato dato negli scritti di
Bucellai ^ di Alamanni , dA Cardinale Ippolito Je'
Medici , e frequentemente in quelli del Trissijio.
Molto rimaneva tuttavia a farsi relativamente alla
poesia drammatica. Né la Scfonisha del Trissino , uè
la Rosnionda , o \ Oreste del Rucellai , benché degne
di grandissima lode in confronto delle opere, che
precedute le aveano , ed attesa ancora l' epoca nella
quale erano state prodotte , non possono riguardarsi
come perfetti modelli della tragedia adattata alla sce-
nica rappresentazione. D"ve altresì osservarsi , che gli
sforzi del Cardinale di Bihiena , ed anche dell'^no-
sto per introdurre uno stile migliore delle commedie ,
sono piuttosto tentativi scolastici per imitare gli an-
tichi scrittori, che non esempj di quella vera com-
media, che con ritratti al vivo rappresentale follie,
i vizj ed i costumi del tempo. Egli è soltanto negli
109
ultimi tempi , che le opere tlrammaticlie di Maffei ,
di Metastasio , di Alfieri e di Monti, hanno effettiva-
mente liberato quel paese dal rimprovero di essere
in questo gran ramo della letteratura rimasto al di-
sotto del rimanente dell' Europa. Nella commelia gli
Italiani sono stali ancora più negligenti ; perciò tra
le aride ed insipide produzioni dei primi scrittori , e
le composizioni stravaganti , basse e ridicole d: Gol-
doni. Chiari, ed altri simili autori di commedie mo-
derne, giace un campo spazioso , nel quale l'indegno
di Molière , di Goldsmith , o di Slieridan , non ha
mancato di scoprire innumerabili oggetti di censura,
o di piacevole trattenimento.
Ito
SOMMARIO CRONOLOGICO
Anno i 5 i 8.
Pròjressi della letteratura classica. — Jacopo Sado-
leti. — Scritti latini di Bembo. — Giovanni A-urelio
Augurelli. — Sua Crisopea. — Scritti latini di San-
nazaro. — - Suo poema de parta Virginis. — ■ Giro-
lamo Vida. — Sua Gristiade. — ■ Sua Poetica. —
Girolamo Fracasloro. — Suo poema intitolato Sifili-
de. — Andrea Navagero. — ■ Marc' Antonio Flami-
nio. — Suoi scritti. — Poesia platina coltivata in
Roma. — Guido Postumo Silvestri. — ■ Giovanni
Mozzarelli. — Poeti latini estemporanei. — Rafaello
Brandolini. — Andrea Marone. — Gamillo Querno
ed altri. — Baraballo di Gieta. — Giovanni Gorizio
protettore della letteratura in Roma. — La Coricia-
na. — Francesco Arsilli. — Suo poema latino de
Poeiis TJrbanis,
VOLATI TavlVp. J.
I
Iti
CAPITOLO XVii
§1-
Progressi della classica letteratura, — Jacopo Sadoleti.
Anno i5i8.
La poesìa volgare , o sia la poesia nelìa lingua
natia d' Italia avea provato molte vicende fino dal
tempo del rinascimento delle lettere , avendo in qual-
che periodo brillato con uno splendore singolare, ed
essendo stata in altri tempi oscurata da nubi dense
ed inaspettate ; ma la classica letteratura, e partico-
larmante la poesia latina avea fatto progressi unifor-
mi e costanti , ed era alfine giunta quasi A sommo
grado di perfezione nel corso di i5o anni, duranti
i quali una lunga serie di celebri letterati avea con-
tinuamente miglioralo il metodo dei loro predecesso-
ri. Il pontificato di Leon X era destinato a dare l' ul-
timo impulso a questi studj ; perchè se vi era alcua
ramo della letteratura, i di cui professori egli rlguar*
dasse con maggiore parzialità , e rimunerasse con mag-
giore munificenza , egli era quello senza dubbio della
poesia latina. Né questa parzialità avea egli manife-
stato solo alla sua elevazione al trono pontificio,
perchè mentre egli era ancora rivestito della dignità
di Cardinale, i letterati Italiani erano stali dalla di
112
lui condotta disposti a giudicare del favore e dell' in-
coraggiamento che loro sarebbono stati accordati qua-
lora avesse luogo quel fortunato avvenimento ; q noi
abbiamo di già veduto, che fino dal principio del suo
pontificato egli fu salutato da essi come una persona
destinata a ristabilire la letteratura in onore , ed a
far rivivere le glorie del secolo d'Augusto (i).
Le sperauze concepite da principio relativamente
alla futura condotta del Papa furono grandemente
incoraggiate dalla elezione all' importante ufficio di
segretari Apostolici di Bembo e di Sadoleti^ uomini am-
bidue distinti pei loro progressi in ogni ramo della
bella letteratura , ma che principalmente acquistato
aveano la loro reputazione con una singolare eleganza
nei loro scritti latini. Jacopo Sadoleti era originario di
Modena, nato nelf anno i477 {^)- Dopo aver compiti
ì suoi studj in Ferrara sotto la direzione di Nicolò
Leonicenò , e di altri famosi maestri , e dopo avere
fatto grandi progressi nella filosofia, nell'eloquenza,
e nelle lingue dotte , egli giunse in Roma durante
il pontificalo di Alessandro T/, dove egli trovò nel
Cardinale Oliviero Caraffa un protettore amoroso e
liberale, ed un eccellente istruttore nel dotto Scipione
Carteroniaco. Sadoleti fu uno dei membri distinti di
quelle società letterarie , che poco dopo si formarono
in Roma , e noi siamo debitori dei più particolari
(i) Voi. JP^. Cap. XI. p. go e seg.
(2) Tiraboschi Storia delia Letteratura [tal. T. VII. p. /.
p. 2j3.
ii3
ragguagli, che di esse ci rimangono, o che noi ab-
biamo già aTuto occasione di rammentare, alle anno-
tazioni , che egli ci ha lasciato di queste adunanze ,
Delle quali sembravano riunite insieme l' allegria e
la letteratura (i). L'abilità e la diligenza di A/</o/e?t
nel disimpegnare il suo ufficio soddisfecero talmente
LeojiX, che gli conferì il vescovado di Carpentrasso ,
i doveri del quale Sadoleti adempì nel rimanente
della sua vita non ostante le sue altissime prelature
in maniera, che provò sentir egli profondamente T im-
portanza della sua carica. In mezzo a' suoi doveri
ecclesiastici , ed alle sue politiche occupazioni , egli
non abbandonò tuttavia 1' esercizio de' suoi talenti
nella poesia latina ; ed i suoi versi sul gruppo del
Lacoonte , che era stato scoperto ne' bagni di Tito
durante il pontificato di Giulio li, sono degni di
quello squisito monumento dell' arte antica , che essi
erano diretti a celebrare (2). Non fu tuttavia se non
^olto il pontificato di Paolo III nell'anno i536, che
Sadoleti fu onorato della porpora , dignità che egli
avea per lungo tempo meritata , non solo co' servigi
da lui renduti alla Romana sede in molte importanti
ambasciate , ma anche colla temperata fermezza del
suo carattere , colle sue maniere gentili , e conci-
liative , ed anche colla sua 'sincera e non affettata
(i) rol. ir. Cap. XI. p 91.
(■j) Questi versi, che ollenncro all'autore mollissima repu-
laiioue , come poeta Latino , sono stampati nelle opere di
Sadoleti T. III. p. 2'|5 ed. di Verona del 173S in quattri^
volumi in 4 ^ ed anche nei Cannbìa ìlhistr. poet. Iiuf
Lione X. Tom. VII. 8
ii4
pietà, se cplesio può riguardarsi come un titolo alla
'ode in un tempo , in cui molti se ne dispensavano
tanto notoriamente (a). La moderazione che egli, mo-
strò nel!' opporsi al riformatori , le concessioni cli9
egli desiderava cLe loro si facessero , e la dolcezza colla
quale egli invitavali a tornare nel grembo della Chiesa,
formano un contrasto sorprendente colla condotta
della maggior parte degli ecclesiastici di lui colleghi ,
e diedero luogo ad un celebre scrittore di esporre
la sua opinione, che se molli fossero stati somiglianti
a Sacloleti , il danno arrecato dalla riforma non sa-
rebbe stato così grande (i). Egli fu probabilmente
per questi sentimenti liberali , che nel suo commen-
tario sulla epistola di S. Paolo ai Romani , egli in-
corse la censura della Romana corte ; e sebbene in
forza d^Ue sue rimostranze fosse tolta dal Papa la
proibizione , e l'opera con alcune correzioni fosse am-
nie'ssa siccome canonica, questo avvenimento tutta-
via sembra aver cagionato grandissima angoscia al-
(n) La sregolatezza dui costurai di molli ecclesiaslici di quel
tempo deve anzi riguardarsi come una circostanza , che dà a
Sadoleto un maggior dirilto alla lode per questo tilolo , il
quale altronde , malgrado la corruzione de' lemjii , k sempre
Sialo consideralo come oggetto di particolare coranrendazione,
(i) »» Ed io credo , che se molli avesse allora avuti la
jj chiesa a lui somiglianti , minore sarebhe stalo il danno da
w lei sofferto u Tìraboschi T. VII. p. I. p, 276.
(1) Tirahoschl ibidem p, 278, Erasmo amico, ed ammira-
tpre di Sadoleto fu informalo , che la pubblicazione del suo
commentario avca dato luogo a qualche n^alcoQlento. Dopo
II?
l'autore (ai. I svioi traftatì latini, e quello partico-
larmonte de Liheris instituendis sono stati grande-
mente ammirati. Quesl' opera è considerata da Tira-
loschi rome superiore a molti saggi, e sistemi di e-
ducazione, che ne' tempi più recenti si produssero,
mentre, come egli giustamente osserva, troppo è co-
mune l'insultare gli antichi scrittori, e il trattai*lì
4a barbari (i).
§ II.
Scritti latini di Bembo.
Gli scritti latini di Pietro Bemho tanto per !«
natura dei soggetti , quanto per le persone alle quali
di avere menzionato l'epistola di S. Paolo in una lettera a Da-
miano Gocs .^ egli aggiugue : '? In eamdem tres libros edidif.
»! illiid eximiiim hnjus actalis Hecus Jacobus Sadoletus, admi-
J5 rahili sermouis nitore, et copia piane Ciceroniana^ nec deest
»» affeclus Episcopo Christiano dignus. Fieri non potest , quii^
» tale opus a tali viro profeclura honorum omnium suffragiis
j' approbetur ; verror tamen ne apud compi ires ipse phra-
;» seos nitor nonnihii hcberet aculeos ad ])ietaiem. « Erasni.
Ep. Uh. XX Vìi. Ej). 38. Sembra pure , che Eraamr» avesse
ammonito Sadolrto di essere cauto nel pubblicare il suo com-
mentario. »? De cornmentariis Jacobi Sadoleti raìhi tale quid—
" dam praesagiehat animus. Admonui ilium literis quantum
" licuit tantum admqnere praesulem. Insump^it in hoc opus
'» immensos labores. Audio nec a Sorbonicis probari. <( Erasnft
Ep. /ih. XXX. Fp. 7'>.
il) Tiniboschi r. ini. p. 1. ì>. 577.
1 1 G
s5ono indirizzati , sembrano essere le produzioni del
primo periodo della di lui vita ; dopo il quale e^li
i'a indotto da cagioni , clie noi abbiamo di sopra ac-
cennate , a dedivarsi più particolarmente alla colti-
vazione della sua lingua nativa (i). A questa altera-
zione , ossia a questo caD£;iamento avvenuto ne' di lui.
studj, si allude nei seguenti versi premessi atta col-
lezione generale delle sue opere.
„ Tu con Virgilio pur lottavi , o Bembo,
,, Le gesta in celebrar de' grandi eroi.
,, Rapito Amor da insolita dolcezza
,, Ai Toschi carmi il plettro tuo converse '{&),
Ne gli scritti italiani , né 1 latini di Bembo sono
stati considerati come contenenti un pregio di origi-
nalità. Se nei primi egli maniFestò una stretta ade-
renza allo stile del Petrarca , nei secondi egli cercò
di seguire con passo troppo servile le traccia degli
antichi, e pensò d' imitare tanto nel verso, quanto
nella prosa lo stile di Cicerone. Può tuttavia osser-
varsi che questa imitazione non è così evidente nei
("i} Volume I. Capìtolo II. p. loo.
(^2} " Tu quoque Virgilio certahas , Bembe, Latino
» Magnanimum heronm Carmine facia canens.
» Audiit, e! Musae captus dulcedine , Thuscos
» Ad ciiharam versus condere jussit amor. «
{Siccome, il sig. Roscoe ha esposto questi versi in Inglese
nella sua edizione originale . ornmessi inferamente nelle altre
traàuzioìti . cosi io mi sono studiato di recarli alla meglio in
Italia io).
1 1^
•^iJOÌ -poemi latini , come nei suoi sonetti , e nelle sue
Jiriclie produzioni Italiane; e che i primi benché non
juolto numerosi , ne scritti sopra argomenti iuipor-
lanti , presentano in generale un maggiore interesse ,
ed una maggiore vivacità di fantasia , che i secondi (a).
§ HI.
Giovanni Aurelio Augweìli. — Sita Ciisouea.
Nel dare una breve notizia delle cure dimostrate
<la Giulio li pei letterati del suo tempo , noi abbia-
mo già avuto occasione di menzionare il poeta latino
Augwelìi (i) ; ma come egli visse anche durante il
pontificato di Leon X^ e sopravvisse a quel pontefice
molti anni , e siccome T opera sua più considerabile
versa sopra un soggetto particolare , ed è dedicata a
(a) Sembra strauo , che il siy. Roxcoe non abbia accennaig
il poema Ialino del Bembo iiiiiiolalo Aetx A ^ slani[>ato da
Aldo Manuzio fino dal 1 195 , che è una delle sue opere più
riregievoli , ed una delle produiioui più rare e più ricercale
di quella celebre stamperia. Io ne lio già fallo menzione nelle
mie noie addizionali al T. II. p. 199. Ora osserverò solo ,
che in un' epoca in cui non era ancora formalo il gusto della
buona latinità, né ancora erano ben conosciuti i principj delia
letteratura classica, non può ascriversi a biasim>, ma deve
anzi attribuirsi a grandissima lode di Bembo V aver egli mo-
dellalo il suo siile su quello di Cicerone 5 e potreblie anche
a ragione asserirsi , ohe uiollw delle sue lettere Ialine hanno
per questo 1 itolo un merito di originalità , essendo realuienlc
le prime , che sieno siale scritte con quel sapore.
(X) f^olumc IH. Cuj). FlI. fj. jSy e Capo JX. p:'^. iSa.
Leon X, sembra necessario in questo ludgò un plit
accurato ragguaglio della persona di quel poeta. Gio-'
Panni Aurelio Augurelli , o AiigureUo era nato verso
l'anno i54i (i) di una rispettabile famiglia in Ri-
mini , dal che egli fu detto sovente Giovanni Aurelio
da Rimini. I suoi primi studj fece egli nella celebre
università di Padova , dove egli risedette lungo lem-
jjo (3) , e dove è probabile che egli cominciasse a
dare pubbliche istruzioni nella bella letteratura , tro-
vandosi menzionato dal Trissino nel suo trattato in-
titolato il Castellano , come la prima persona che
osservasse le regole della italiana favella prescritte
da Petrarca (3).
Avendo poco dopo avuto la sorte di ottenere il
favore e la protezione di Nicolò Franco Vescovo di
(f) Maziucchclli fissa la sua nascila verso il i4'^i ^ ma iJ
conte Jìanibaldo degli Azzoni Avngarì nelle sue Memorie di
jiiigurelli p<ibl)licate nel VI. Volume della nunpa raccolta
d'opuscoli di Calogerà p. 163 , ha mostralo ad evidenza, che
«juesio avvenimento dev' essere riferito ad un' epoca più re-
cente.
(^7.) Dal seguente passo di una Ode di Augurelli risulta j
éhe egli soggiornò in Padova per vent' anni
>5 Dulcibus sic dnm teneor potentum
n Ipse musarum studiis., et oiì
»j Debiius , dudum pati iae duo bis
»> Lustra reposcor. u
Carmina Uh. Il, p. i^. ed. Aid. i5o().
(3) »» Le prime regola de la lingua di lui (Petrarca) comincia-a
tesi ad osservare in Padova , per M, Gioi-an Aure/io da Bl-^
mini, ii Trissìrto il Cnsieillano b. IV-
119
Trerìgi , egli passò a soggiornare con esso nella sua sede
Vescovile , dove fu fatto canonico , ed onorato della
cittadinanza come lo era stato dapprima in Padova.
Dopo la morte di questo suo fautore egli lasciò Tre-
vlgi , e passò circa quindici mesi a Fellre , ad oggetto
di dedicarsi senza interruzione allo studio della lin-
gua Greca (i), ed alfine si stabilì la Venezia, dove
egli si conciliò grandissima estimazione come prirato
precettore , ed ebbe l' onore di contare fra i suol al-
lievi Bembo , dìavagero ed altri , i quali poco dopo
acquistarono grande celebrità. Aurelio è rappresentato
da Paolo Giovio come il più dotto ed elegante pre-
cettore de' suol tempi (2). Si dice tuttavia che gli
studj di lui fossero interrotti da una violenta pas-
sione per r alchimia , la quale portoUo a consumare
il suo tempo presso una fornace nella vana aspetta-
tiva di scoprire una sostanza, che egli supponea do-
ver convertire i metalli più vili in oro (3). Sembra
però , che V aver vedute deluse le sue speranze non
lo distogliesse dal proseguire in questa vana specu-
lazione ; ma Invece di persistere nelle sue operazioni
clilmiche , egli risolvette prudentemente di esporre
questo astruso argomento in versi latini , nei quali
(i) Mazzucch'lli Scrittori d'Italia Art. Augurelli.
(1) n II pii dotto e caudido d' ogni altro , che a tempi suol
» insegnasse privatamente ( e però forse con guadagno mag-
» giore ) lettere greche, e latine. « Giovio Jscrit. lib. T,
p. 128.
(3) Jofius ut siipra — MaztUcchetli Art. Augurelli.
ira
V^li compose lai poema in tre libri , die intitcria
Criso'pea . ossia l'arte di far Toro. Quest'opera dedicò^
f-^li a Leon X in pochi versi eleganti, che servono
d'introduzione, e che sono degni di essere riferiti (i).
Per mezzo di questa produzione Jugiirellì si acqui-
stò molto credito; e fu giustamente osservato da al-
cuno contenere i di lui versi un più ricco raetallc-
©he non quello che egli pretendeva di insegnare a
comporre ai suoi leggitori (2).
E' degno altresì d'osservazione, ch'egli colse l' op-
portunità di dedicare 1' opera sua a Leon X, che tro-
Tavasi allora in bisogno di qualche risorsa , che le»
ixieltesse in istato di sostenere le grandiose sue spe-
se, e lo corapeuiasse delle somme immense da esso
sboi'sate nel rimunerare uomini d'ingesfno.e nel dare
magnificile feste e spettacoli (3). Non fu meno adat-
ti) Da questa introdiizii>ne, siccome pure da varj passi del
poema , si raccoglie che T opera era scritta soUo il poiilifi-
cato di Giulio IT nel tempo della guerra di Cambrai , e che
la dedicatoria a Leon X fu premessa qualche tempo dopo al
li])ro , allorciiè l' autore risolvette di puljblicarlo. Siccome
questa poesia non si trova comunemente , non esistendo nelle
raccolte ordinarie delle opere di quell' autore , la introdu-
zione si ^ in'ierita nell' Jlppend. N. CLXV.
Q"}.^ ?? Recto aurum ipse doccs fieri, sed rectius aurum
»> Efficis auralis tu modo carmini bns. <«
Doni. Onor. Caramella Ap. Mazzucchellì m Art. Augurelli
Il che potrebbe tradursi nel modo seguente:
» L'oro tu insegni a far: ma meglio a^sni
j> Cogli aurei carmi tuoi 1' oro tu fai. c-
(3} 5; U indirizza a pj'pa leeone , che era d'ogni ricchez.za
121
tato il premio che Leone accordò ad Augurelli , giac-
rhè , come è stato più volte riferito , gli regalò una
borsa grande e bellissima , ma vota , facendogli riflet-
tere , che ad un uomo che poteva far l' oro , altro
mancar non pelea se non la borsa (i). Un famoso cri-
tico moderno è d'avviso , che Augiirelli non iscrivesse
seriamente il suo poema , e che invece impiegasse il
suo tempo in migliori occupazioni che lo studio del-
l'Alchimia (2); ma potrebbe addursi in risposta, che
?> aperto disprezzatore^ acciocché sua bealiludine , la (pale
» prodigamenie visava l'oro nel sostenlare i belli ingegni, e
V nelle spese continove , festivole , e regali , senza ingiuria
») degli uomini sapesse onde ampiamente cavare licchezze in-
5> finite . il Joi'. Tscrit. lib. /. p. 129.
(i) » Ego quidem auro le donarem , sed cura tu ejus effi-
« ciendi ceriam scientiam polliceare , sat erit si habeas ubi
j> auram abs le confoctum reponas. n Fabron. in uita Leon JY",
p. 220. — Mazzucchelli in Art. Aiigurelli. A questo acci-
dente allude pure Lalonio {scritlore protestante estremamente
càustico) ne'seguenli versi presso Mazzuc citelli nel luogo citato.
» Ut quod minus collegit e carbonibus 5
» Avidi Leonis eriperet e deniilius. «
(2) Tirnboschi Storia della Lelt. Ital. V . Vi. p. II. p. 2jt
ed. di Modena i'j'^6. Egli osserva in questo luogo , clic -.^11-
garello medesimo confessa nel suo poema- di scrivere giocosa-
mente , e non mai di rendere ragione dell' arte pretesa di far
r oro. Se tuttavia noi eccettuiamo poclii versi alla fine , tutto
il poema sembra scritto molto seriamente , ed in questi ancora
egli accenna solo di avere mescolato le lezioni del sapere coi
tratti ingegnosi dello spirito.
" Doctos salilms sermoncs puri?
» Tentavi .....«(
129
uu tal poema non avrelibe potuto scriversi se non
da una persona, che avesse mollo atteso a quel sog-
getto , e che r opera è stata ricevuta come canonica
dai professori dell arte misteriosa (i). /iugurelli yissc
fino ad una età molto provetta , ed alfine morì im-
provvisamente nell'anno i524, mentre stava dispu-
tando nella bottega di un librajo a Trevigij nella
qual città egli fu sepolto , e fu apposto alla sua tom-
ba un epitaffio scritto da lui medesimo (2).
Olire la Crisopea , ed un altro poema latino inti-
tolato Geronticon , os«ia l' antica età , ci rimane un
volume di poesie di Augurelli sotto il nome di Jam-
hici Sermones et Carmina , il quale è stato sovente
ristampato. Il merito di queste poesie è stato varia-
mente apprezzato dai critici successivi, ma esse mo-
strano certamente una vena poetica facile e natu-
rale, una grande istruzione acquistata sugli scritti
desìi antichi, ed una purità e correzione di stile,
alla quale sono giunti pochi autori di quel tempo (3).
Per questa ragione un letterato Italiano , poeta egli
(1) Essa è slata stampata in varie collezioni di scrittori
di Alchimia , p-^rtirolarmenle nella Biblioteca chemica curiosa
di Mangelo V. lì. p. 371 Ginevra 170^2 in fol.
(2) » AURELÌI AnOURELLl ImAGO EST . QUAM VIDES ,
»> Uni ì^acaiutis Literarvm Serio
i> Studio et Jocoso . Dispari Cura Tamen ^
» Hoc Ut F'egetior Sic Fieret ad Seria ,
» ÌLLO UT JOCOSIS UtERETUR FlRMlOR '(
(3) Le poesie di Aui^ur,'/li :urono pubblicale da Aldo in un
bel volume iu S in Venei'.ia nel i5o5.
123
Stesso uon inelegante , dopo avere pienamente discus-
so i sentimenti dei precedenti scrittori , e partico-
larmente la sfavorevole opinione di Giulio Cesare
Scaligero su questo argomento, non ha dubitato di
asserire, che in una quistione di tale natura Scali'
gero non era buon giudice , e ch-e gli scritti di j^ìU
^urelìi degni erano della immortalità (i).
§. IV.
Sentii latini di Sannazaro.
Gli scritti latini di Sannazaro meritano una jwir-
ticolare considerazione , e benché non voluminose ,
lo tennero probabilmente occupalo per la maggior
parte della sua vita. Esse consistono nelle sue eglo-
ghe pescatone, in due libri d'elegie, tre di epigram-
mi , o componimenti di pochi versi , e nel suo cele-
bre poema de parta f'irginis. Tra questi lo egloghe
hanno il pregio di essere il primo saggio di un nuovo
genere di componimenti ^ nel quale il linguaggio della
poesia si è adattalo al Carattere ed agli esercizj dei
pescatori (a)-, e questo tentativo è stato eseguito con
',«) Giammalteo Toscano Peplus Ita!,,^ N. LXK. p. l\o. ed.
Par. 1578.
(2) Il merito della origiaaliìà in questo genere di composi-
zione può meramente essere aitrihuito a Teocrito , o allo scrit-
tore dell' egloga pcscaloria , che trovasi tra i suoi Idill j
{Pùtea dirsi dall' autore , che Sannazaro Oi^ea dato il prima
l'esempio di questo genere di poesia tra i mìderiii)^
124
tanto spirilo, lauta varietà, ed anche tanta elegan-
za, che alcuno in verità non ha fatto di più; ed
ancora può dubitarsi , se quegli argomenti , e quelle
lunghe descri:iioni di soggetti di natura non piacevole ,
alle quali essi danno luogo, siano adattati ad una se-
rie sistematica di poemetti , giacche il vario aspetto
delle montagne, delle valli e delle foreste, e le in-
nocenti occupazioni , ed i diversi trattenimenti della
vita pastorale sono mal compensati dalla monotonia
dell'umido elemento,, e dal miserabile e selvaggio
esenMzio di inseguire i suoi infelici abitatori.
Le elegie di Sannazaro sono invero più degne di
stima, tanto per le innumerabili loro bellezze poeti-
che, e per la espressiva semplicità ed eleganza dèi
loro stile , quanto per le circostanze interessantissi-
me, che ci hanno conservalo, relativamente ai tera*
pi nei quali visse il loro autore. Ma V opera alla
quale Sannazaro ha dedicato la maggior parte del
suo tempo, e sulla quale principalmente si fonda la
sua poetica immortalità, è il suo poema eie parta
Virginis , eh' egli riuscì a condurre a termine dopo
un lavoro di ventanni, e le correzioni apposte a
norma de' susseriraenti di vari letterati di lui amici.
Si ha bastante ragione di credere, che Leon X si
credesse onorato colla dedica di questo poema ; ma
Sannazaro avea per molivi politici lungamente pro-
fessato una specie di ostilità abituale verso la Santa
Sede , e si dice aver avuto luogo tra esso e Leon X
alcune circostanze , che per quanto si suppone , con-
tribuirono ad accrescere, anziché a diminuire la sua
anlipalla , e lo inclassero ad esprimere il suo riseti-
tiinenlo in una satirica poesia latina , nella quale ,
forse per mancanza di altri punti censurabili , oggetto
principale della satira sono la discendenza di fami-
glia, ed i personali difetti del Pontefice (i). Sia pe-
(2) Sembra che Alfonso Casrn'otto^ Marchese di Tripalda,
avesse stipulato un conlrallo di matrimonio eoa Cassandra
Marchese , Dama Napoletana , la quale , godeva nel più alto
grado la stima , e V amicizia di Sannazaro ; ma che essen-
dosi pentito dell' assunto impegno , ricorresse alla Corte di
Roma per una dispensa , che ne prevenisse gli effetti. San-
tiazaro oppose ivitia la sua influenza per impedire la conces-"
sione di questa dispensa ^ ed impegnò il suo amico Bembo a
prevenire in ogni modo la spedizione della bolla; ma il grado
e P opulenza del Marchese riuscirono a prevalere contro agli
sforzi della dama , e dei di lei amici , ed anche contro il va-
lore della sua propria promessa, l versi attribuiti a Sanno-*
zara in quella occasione sono i seguenti :
In Leonem X.
» Sumere matcrnis tilulos cum posset ab ursis
» Coeculus his noster , maluit esse Leo.
i> Qjì tilìi cum magno cornmunc est , talpa, Leone ?
n INon cadit in turpes noliilis ira feras.
j> Ipse licet cupias animos simulare Leonis ,
n Non Lupus hoc geni! or , non siniL ursa jiarcns.
n Ergo aliiid tibi prorsus habendum est , Caecule. uomcn,
5» Nam cuncta ut possis , non potes esse Leo. ?>
(Questo epigramma allude alla madre di Leon X , che era
della famiglia degli Orsini, ed alla abituale debolezza d Ha
di luì vista, già in altri luoghi di qucsìa storia accennata.
Non è tale tuttavia il merito di questo epigramma che possa
jjiudicarsi a tutta prima di Sannazaro ; nò potrebbe per av-
t2Ó
rò, che quella supposta coltiva iotelìigenza abbia »-
Tuto luogo, o non sia che chinrxerica; sia che i versi
attribuiti a Sannazaro sieno realmente usciti dalla di
lui penna, o da altri spacciati sotto il suo nome ,
come è stato non senza ragione asserite (i) ; egli è
fievlo che Leone tanto fu lontano dal mostrare alcun
malcontento contro il poeta , che anzi sulla notizia
avuta eh' egli avea compita la sua grand' opera , gli
ventura fargli onore , se realmente fosse uscito dalla dì lu»
penna. Capriccioso per lo meno , se non fantastico , è il mo-
tivo , che si assegna del di lui risentimento contro il Papa ^
r la condona posteriormente tenu'a da quel!' illustre poeta
non serve che a rinforzare i dubbj , che facilmente concepir
si potrebbono sulla autenticità di quello scritto. — Se quei
versi fossero realmente di Sannazaro , 1' omaggio , che questi
volea fare a Leon X della dedica del suo poema de partii
Virginis , basterebbe a provare , che la costanza e la fer-
mezza non ha formato sempre il carattere de' piii grandi
poeti. Molta ne mostrò tuttavia Sannazaro a riguardo degli
Arragonesi suoi Sovrani , e suoi protettori , cfie seguir volle
anche nelP infortunio ; e questa circostanza può servire di uu
nuovo argomento {>er dubitare eh' egli fosse 1' autore del sur-
riferito epigramma contro Leon X^.
(i) Questi , ed altri epigrammi del Stinnazarn contro i Ro-
mani Pontefici , stampati in diverse edizioni delle sue opere ,
vengono riguardati àa Fonlanini , come libelli scandalosi pub-
blicati dagli eretici autori delle pasquinate sotto il nome di
quel poeta , ed incautamente ammessi dai successivi editori
nella collezione delle di lui opere. Fontaniai Bibliol. llaf.
Tom. ì. p. 453. (Questo serue di conferma al dubbio da me
esposto nella nota precedente. Osscn'erò solo in questo luogo ^
che gli autori delle così delle pasquinate non tossono dirs^
in generale erelicij.
127
indirizzò ima lettera , lodando nei termini più posi-
tivi la sua pietà ed i suoi talenti , e sollecitandolo
a non ritardare più olire la pubblicazione del suo
poema , coli' assicurarlo al tempo slesso della prote-
zione e del favore della Santa Sede (i). Indotto da
queste rimostranze , Sannazaro immediatamente si
dispose a pubbliijare 1' opera sua con una dedica in
versi latini a Leon X; ma la morte di questo Pon-
tefice accaduta poclii mesi soltanto dopo la data della
sua lettera , impedi a Sannazaro di condurre ad ef-
fetto il suo disegno , e 1' omaggio di rispetto desti-
nalo a Leon X , fu rlserbato dall' autore a Clemen-
te Vili , al quale egli dedicò il poema in pochi versi
eleganti, i quali portano tuttavia seco loro una in-
trinseca evidenza , che diretti erano originalmente al
suo più illustre predecessore (2). Al ricevere l' opera
(ij Questa lettera, onorevolissima per il Ponlefice non meno^
che per il poeta, trovasi uell' Appendice n. CLXVI.
(i) Clementi Septimo Pontifici Maximo.
AcTius Syncervs.
13 Magne parens, cusioscjiie hominum , cui jus datur luii
»j (Jlaudere coelestcs , et reset are fores ^
53 Occurrent si quae in nostris male firma lihellis ,
)> Deleat errores aequa litura meos.
» Imperiis venerande luis submillimus illos ,
» Nam sine te recla non licei ire via.
P Ipse manu sacrisque polcus Podalyrius herhià
e Ulcera Paeonia nostra levaliis ope.
>3 Quippe milii tolo nulUis le praeler in orba
" Triste salutifera leniet arte raalum.
j> Katus honos summo se Piaesidc posse lucri ,
V Ratior a summo Prae$ide posse l^gi. «t
3 28
dalle mani del Carclinale Scrlpamlo (i) , Clemente^
che non era meno di Leon X ambizioso dell' onore
di essere considerato il protettore delle lettere , in-
giunse al Cardinale di ringraziare Sannazaro in di
lui nome per il 8uo bel poema , di assicurarlo del
favor suo , e di esprimergli il desiderio eh' egli avea
di vederlo in Roma tosto che fosse stato comodo al
Poeta di recarvisi. Non contento tuttavia di questa
verbale dimostrazione della sua approvazione , egli
indirizzò al poeta una lettera, nella quale espresse
l'alta soddisfazione che provato avea al vedere il no-
me suo unito ad un poema che destinato era a so-
pravvivere , e ad esser letto in tutte le età future ;
giustificando al tempo stesso questo amore della fa-
ma , siccome il risultamento di comraendevoli fati-
che, che egli riguardava come un'immagine o un ri-
flesso dell' immortalità promessa dalla religione Cri-
stiana (a). Egli si esibì quindi pronto a soddisfare
questa obbligazione in tutti i modi, eh' erano in di
lui potere , e si suppone che Sannazaro da queste
assicurazioni traesse qualche speranza di essere an-
Sannazaro avea scritto l'ultiino distico, (/^o/^ l'ultima stanza,
come scrive 1' autore,) nel modo seguente
» Rarus Lonos tanto se Principe posse lucri ;
j> Rarior a summo Praesidc posse legi. 55
Ma il consiglio del di lui amiro l^uderico lo indusse ad
adottare la lezione migliorata , che si trova nelle edizioni di-
verse del libro.
(i) Crispo Vita del Sunnuzaro p. 26, in fronte alle siift
»pere. Ed. di Veìi. 1752. in 8.
(2) Appendice n. CLXVII.
'^9
noverato nel sacro Collegio (i). Non è improbabile
eh' ef^li avrebbe potuto ricevere cpialche contrassegno
digiinto dell'approvazione del Papa, se le disgraziale
vicende di que' tempi, e particolarmente il terribile
sacco di Roma , richiamata non avessero V attenzione
di Clemente VII ad oggetti di più immediata rela-
zione alla propria sicurezza. Sannazaro ebbe tuttavia
la soddisfazione di ri(;evere una lettera da Egidio
Cardinale di Viterbo , al quale egli avea trasmesso
un esemplare del suo poema , la quale lettera con-
teneva i maggiori elogi tanto dell' opera , quanto del-
l'autore (2); e siccome la lode è la naturalo e corx-
venevole ricompensa della poesia, Sannazaro sarebbe
^i) Crispo loc. cit. e nota 68. Nocfjue forse a San-
nazaro il di lui attaccamento alla causa , od al partito degli
Arragonesi , il quale , mentre faceva un grandissimo onore al
di lui carattere , non lo rendeva forse accetto alle corti di
Francia, e di Spagna, che congiurato aveano a spogliare-
quella famiglia della Sovranità di Napoli. Vedi i Capi VI.
e VII. di questa Storia Tom. IT. e III. della nostra edizione.
(2) In questa lettera il Cardinale applica al poeia gli Ome-
rici uers/:
» IHe vero beatus quemcumque Musae
i> Amant : suavis ei ab ore tlnit vox, »
» Error di memoria.^ »> esclama f^olpi, cuin Hesiodum dicere
de'merat ^ haec emm legunlur in Ilesiodi Theogonia , t>. 96.
Ma il Cardinale probabilmente trovò ques'o passo nel fram-
mento deir inno ad Apollo , ed alle Muse attribuito da Onc-
ro , al quale si è potuto riferire per un simile passo , che tro-
vasi neU' Iliade :
» Cujus etiam a lingua melle dulcior fluebat vox. u
Iliad. I. 2^,
Leone X. Tom. VII. ^
i3o
stato estremamente irragionevole se non avesse mo-
strato una piena soddisfazione per la maniera in cui
veniva ricevuta la di lui opera (i).
■ § V.
Esame del poema De parta Virginia.
Non può negarsi , die il poema De partii Virginis
non contenga molli bellissimi passi , e non mostri
la facoltà che 1' autore aveva di comandare alla lin-
gua latina , e renderla molte volte pieghevole meglio
che in alcun altro de' suoi scritti ; ed egli è anche
probabile , che appunto scegliesse quel soggetto affi-
ne di sfoggiare quella straordinaria facilità , colla quale
applicar poteva il linguaggio e la mitologia del pa-
ganesimo alle verità della fede Cristiana. IMa pure
malgrado tutto questo è forza il confessare, che sfor-
tunato egli fu nella sua scelta , e che 1' opera , se
meritevole non era di riprensione per la sua empietà,
era almeno degna di censura dal lato del buon gusto,
del gusto rigoroso , e corretto. Il voler conciliare l'allen-
(i) Questo poema fu tradotto in versi sciolli Italiani da
Giovanni Giolito^ altro de'fìgli del celebre stampatore Gabriele
Giolito^ e pubblicato a Venezia nel i588, con una bellissima
edizione , che ha per titolo : » del parto della P^ehgikb
»» dt:l Sannazaro libri tre , tradotti in Ufrsi Toscani da G'o—
»> vanni Giolito de* Ferrari , al Ser. Sig. Don f^inceni»
>» Gonzaga -1 duca di Mantova , e di Monferrato eco.
t3i
jnone del lattore ia un poema di quasi 1 5oo Tersi
ad un avvenimento sopra il quale il oomuDe senti-
tnealo degli uomini si è accordato a gettare un velo
rispettoso, era per se slessa cosa poco giudiziosa se
non anche poco dilicata ; ma T esporre i mister) della
fede Cristiana nel linguaggio delta poesia profana ;
il discutere minatataente le circostanze della miraco-
losa concezione, e del parto della Vergine, ed il
chiamare le deità celesti a guidare la sua musa per
tutti gli arcani del rito misterioso (i) , non poteva
a meno di non cagionare disgusto , ed orrore ai veri
credenti, e fornire agli increduli un soggetto di ri-
dicolo , e di disprezzo. Quindi è probabile che le ele-
gie, e le altre poesie di Sannazaro^ dedicate a na-
turai e semplici argomenti , o alla ricordanza di fatti
e di caratieri storici , continueranno ad inleressa-
(i^ Queste incoaveuieiize non isfuggirono la censura di
Erasmo net suo Cicerotiiuuux " l*taefereiidiis est ^ Sanazariiis )
?» Poalano , quod rem sacram tractare non pigiiil , qiiod nec
n dormitaalem eam nec iuamoeue iraciavii • sed meo quidem
r> suffragio plus laiidis erat laturus , si niateriam sacram tra-
»> ctasset aliq audo saoratius. « — Nunc (juorsum attiaeJ)at hic
5» toiies invocare Musas et Phaebum ? Quid quod Virgioem
»> hugi' iuieu am peaecipue Sybill uis versibus, quod nou aptc
» Proteum iuducit de Christo valicinauieoi, quod iNympharum
»> Hamadriadum uc INereidum pieua iacit omnia? Quam dure
f> respoudet Chrislianis aiirib >s versus ille , qui , ui tallor ,
» Virgiai mairi dicitur : Tuijue {idei spcsjìda komiiiuiu , spes
» fida deoriun etc. » Ciceronian. pag. 90. ed, Totosae i63o ^
dove questo passo è accompagnalo da osservazioni moiio giù-.
«iiùo&e sulla atauiera di iraUi:rc poclicaiueate soggetti sacri.
l32
re , e divertire i lettori , mentre il poema de partu
Virginis sarà consultato soltanto come oggetto di cu-
riosità letteraria , o riguardato come un esempio di
fatiche perdute , e d' ingegno mal applicato.
Fra i seguaci delle muse Sannazaro può essere ri-
guardato come imo de' più fortunati. Si narra tutta-»
•via , che grandissimo dispiacere gli arrecasse la distru-
zione della sua villa favorita di Mergoglino , fatta sotto
Filiberto principe d' Orange , perchè era stata occu-
pata come stazione militare dai Francesi (i); ma ad
eccezione di questo avvenimento, in mezzo a tutti gli
sconvolgimenti di quel paese , i di lui talenti , e la di
lui integrità gli procurarono il rispetto generale, ed
egli potè godere fino alla fine dei suoi giorni un^
onorata independenza. Egli passò gli ultimi suoi gior-
ni nelle piacevoli vicinanze di Somma, e nella so-
cietà di Cassandra Marchese , che è sovente un sog-
getto di elogio nei di |ul scritti (2). Furono piena-
(i') Crispo , P'' ha del SaTinazaro pag. 28, e nata ^5
^1 ' Tu quoque vel fessae tcstis, Cassandi a, senectae,
5» Quara manet arbitrium funeris omne mei 5
« Composi OS tumulo rineres , alque ossa piato 5
j? Neu pigeat vati solvere jus'a tuo.
» Parre tamen scisso seu me, mea vita, capillo ,
» Sive sed . . . he\i prohibet diceie plura dolori «
Sannaz. Eleg- Lih. III. el. 2.
Alla stessa dama indirizzò pure Sannazaro la quinta delle
sue egloghe pes-iatorie. I poe'i di quel tempo, siccome quelli
forse di tutte le età , aveano bisogno , come si è già veduto
altrove , Tom. I. pag. i25 di un avversario, sul quale versar
i33
niente adempite le inteozlohi del poeta , eh' essa do-
vesse essere presente al suo chiudere o;ll orchi, ed
assistere ai suoi funerali ; e mediante le di l»^i cure
le sue spoglie furono deposte in una cappella , che
egli àvea eretto presso la sua villa di Mergoglino (a) ,
dove dopo alcuni anni fu eretto un superbo monu-<
mento alla di lui memoria , al quale furono apposti
i seguenti versi di Bembo.
,, Da sacro ciùeri flores , hic ille Maroni ,
,, Sincerus j Musa proximus , ut tumulo. ,,
Infiora il cener sacro ; a Maron presso
Nella tomba è Sincero , e sul Permesso.
I talenti straordinarj spiegati da Sannazaro ne' suoi
tomponimenti latini , non poterono tuttavia assicu-
rargli senza contrasto una preminenza sopra i di lui
contemporanei. Avanti ch'egli conducesse a flue l'opera,
sulla quale pensava di fondare la sua riputazione
poetica , sorsero diversi potenti rivali , uno dei quali
in particolare produsse sotto gli auspicj di Leone X
un poema di grandissimo merito , e di considerabile
estensione, atto a guarentire al suo autore una somma
riputazione tra gli scrittori latini dei tempi moderni.
Questo poema è la Cristiade del fida , uomo che
potessero tutte le contumelie, che la bile loro suggeriva, e cosi
pure di un caro , ed amato oggetto , col quale sfogar potes-
sero tutta la loro tenerezza , tutù i loro più dilicaii senli-
nieali ^ e questo diveniva pure il soggetto ordinario de' loro
elogi>
(aj O Mergellina, come vien detta piCi comunemente.
i34
può esspre considerato come uno dei primi luminari
della sua età , e della di cui vita , e dei di cui scritti
un più particolare ragguaglio non può lasciar di de-
stare l'interesso generale.
§ VI.
Girolamo Vida.
Marco Girolamo Vida era nativo di Cremona.
Qualche diversità di opinioni è insorta sul tempo
della sua nascita , la quale è stata generalmente col-
locata verso r anno 1470 (i) , mentre alcuni hanno
preteso , che riferir si dovesse al i490 in circa. (2).
Le l'atiionl addotte da diOerenti autori hanno servito
(^i) De vita, et scriptis uuctoris , in opp. Vidae f^ol. II.
App. pof;. i5|, i/i nnt. Ed. Comin. j^Si. in \.
(q.^! Marchesel'i Orazioni in difesa del Vida, presso Tira-
boschi Storia delia Lett. Ila/. Voi. f^tl. part. III. pag. 2^6.
II citalo autore ha aiirhe addoito un passo del primo libro
della Scaccheide , dedicato ad Isahella Gonzaga . marchesa
di Mantova , dal quale appare , che il poema sia stato scrit-
to, meulre suo figlio Federigo era nella prima gioventù. Que-
sti era nato nel i5oo , e Tiruboschi suppone , eh' egli potesse
essere dell' età di 9., o io anni, allorcliè Vida scrisse il suo
poema. Ora siccome Vida slesso e' informa , che egli scrisse
il suo poema ne' suoi primi anni . adolescentiae suae lusum ,
!o sforico congettura . eli' egli esser potesse allora dell' età di
circa 20 anni, e nato per conseguenza versoli iJQo. E degno
tuttavia d'osservazione., che quel poema non fu uno dei primi
sforti dei talenti poetici del Vida , siccome noi avremo occa-
sione di indicare in appresso.
i3S
a confutare le opinioni de' loro avversar) senza sta-
bilire la loro propria , e siccome f'ida era nato cer-
tamente , conne si vedrà in appresso , qualche anno
dopo r epoca stabilita dai primi , e qualche anno
prima di quella voluta dai secondi , la di lui na-
scita può essere con sufficiente precisione collocata
verso la metà del periodo corso tra il 1470 , ed il
1490. La sua famiglia era per condizione rispettabile,
e benché i di lui parenti non fossero ricchi, essi
poterono tuttavia dargli una buona educazione , pel
quale oggetto egli fu mandato successivamente a di-
verse scuole delle più illustri tra quelle, delle quali
l'Italia era allora cosi ben provveduta (i). Il primo
saggio dei talenti di Vida nella latina poesia apparve
in una raccolta di versi sulla morte del poeta Sera-
fino d Aquila , avvenuta nel 1 5oo , alla quale egli
contribuì con due componimenti , pubblicati a Bo-
logna in quella raccolta nel 1 5o4- In quella edizione
Vida porta il suo nome battesimale di Marco Antonio,
ch'egli cangiò al suo entrare in un ordine regolare
con quello di Girolamo. Il memorabile combattimento
tra tredici Francesi , ed altrettanti guerrieri Italiani
sotto le mura di Barletta nell'anno 1 5o3 , gli fornì
r argomento di un' opera più estesa , la perdita della
( ij » . . . . Vos claras me scilicel artes ,
15 Re licei angusta, potius voluis is adire,
« Quam genere indignis sludiis incumbere u ostro ,
<' Atque ideo doctas docilem misislis ad nrbee. <«
t^idii Manib. parent. in op. f^ot. II. p. i45-
i36
quale Jeve compiatìgersi , non solo percliè là prima
era quella delle produzioni di quell' elegante scrit-
tore j ma perchè riguardar si potrebbe come un do-
cumento storico curioso (l) (a.). Dopo ater fatto con^
siderabili progressi negli studj più serj della teologia^
e della politica , egli portossi a Roma , dove giunse
sul finire del Pontificato di Giulio 11 ^ e dove sembra ^
eh' egli seguisse costantemente quelle società lette-
fi) Voi. IH. Cf'p. 7. pag. 11. nota i. di quest'opera. —
Se noi adottiamo f opÌBÌouc di Tirahoschi , Vida all'epoca
della mòrte di Serafino Aquilano , era solamente dell' età di
IO anni , e di i3 in circa al tempo del combatiimenio di
Barletta , al (jual periodo della vita si pub difficiltnenle sup-
porre , eli' c£;li fosse capace di celebrare quell' avvenimento
in un poema latino : noi possiamo quindi presumere con fon-
damento , che epli fosse n^io alcuni anni prima dell' epoca da
questo autore assegnala.
(a) Il sig. Roscoe proverà senza dubbio una piacevole Sod-k
disfazione al vedere la notizia che noi ci troviamo fortunata-
mente in grado di dare ai suoi lettori , che non è intiera la
perdita di questo com]ionimento giovanile del Vida , eh' egli
giustamente compiangeva. Il cav. Giambattista Venturi, egie-*
gio coltivatore delle scienze non meno , che nelle lettere , ci
ha informati, che un frammento di quel poemetto preziosis-
simo, perchè relativo ad uno degli avvenimenti più gloriosi per
la nazione Italiana , è stato trovato dal sig. Càgnoli di Reg-«
gio , altro distinto letterato , il quale si dispone in breve a
renderlo pul)blico ^ e noi ci faremo premura di riferirlo per
intiero in seguito all'appendice de' dociunenii aggiunti da'
sig. Roscoe alla sua Storia , tra i quali questo frammento , e
per l'autor suo , e per la singolarità , e l'importanza dell'ar-
gomento , e per la novità del suo fortunato ritrovamento pO"<»
•rà figurare, come uno de' più cutitsi , ed ialeressaali.
k3f
farie , cKe si erano formate in quella città , e che
«ontinuarono al principio del Pontificato di Leon X.
Delle grandi opere, sulle quali si è fondata fino al dì
d' oggi la sua reputazione come poeta Latino , i suoi
tre libri de Arte Poetica furono probabilm-^nte le
prime cose pubblicate ; ed a questi poco dopo tennero
dietro il suo poema sullo schludimento de' bachi da
seta, intitolato ^oml^a;, e l'altro intitolato Scacchiae
ludus , relativo al giuoco degli Scacchi (i). Leon Xy
al quale fu mostrato 1' ultimo di que' poemi , si com-.
piacque oltre misura della novità del soggetto , e della
dignità, della facilità, del chiaro ordine , col quale
era trattato , che ad esso parvero oltrepassare i confini
dell' umano potere (2). Egli chiese dunque di vedere
r autore , il quale gli fu presentato da Giammatteò
Ghiherti vescovo di Verona (a) , che sembra essere
stato il suo primo Mecenate, e che egli ha celebrato
coi termini del più vivo affetto in diverse delle sue
opere (3). Vida fu ricevuto dal Pontefice con molta
(i) Faballi Orat. de Vida , in P'idae Op. -^pp. pag. i43-
(a) n Poema hoc tam festivum , lam elegans, quum Leo
» Decimus Pontifex forte legisset , vel polius singulas clau-
»> sulas , singulaque vcrba contemplalus esset , tanta fuit af-
» feclus admiratione non solum ex materie novitate. sed eliam,
» carminis majeslate , ut haud crederet talia a mortali fieri ,
s» pcrvesligarique posse , nisi divino aliquo mentis instinctu. h
/''aliali, ut Slip. p. 1^3.
(a) Quello siesso , che nel Capo precedente § XII fu indicato
come il mecenate del Berni.
(3) Singolarmente in due belle odi , ed iu un componi-
i3S
distinzione, e con singolare bontà , ammesso tosto
nella sua corte , e ricompensato con onori , ed im-
pieghi lucrosi ; ma quello , che maggiormente lusingò
r amor proprio del poeta , fu il veder lette le sue
opere , ed approvate dal Pontefice medesimo (i).
Fosse che Leone bramasse semplicemente di impegnare
Vida in un soggetto, nel quale sfoggiar potesse tutti
i suoi talenti; o piuttosto, ch'egli tendesse a susci-
tare un rivale a Sannazaro , che egli ragionevolmente
sospettata non esser troppo favorevole alla di lui
fama ; è certo che per di lui suggerimento Fida in-
cominciò la sua C ri st iade , eli e ^Vi poco dopo condusse
a fine in sei libri , ma che il Pontefice non potè
vedere comnila , essendo stato prevenuto dalla morte
innaspettata. Il patrocinio di quest'opera era riservato
in conseguenza a Clemente T//, sotto i di cui auspicj
lu pubblicala la prima volta nel i535, con un avverti-
mento apologetico al fine, nel quale l'autore scusa l' ar-
dire del suo tentativo, informando il lettore, che egli
era stato indotto a cominciare , ed a perseverare in
quest'impresa dalle istanze, e dalla munificenza dei
due Pontefici Leone X, e Clemente VII ^ alla di
cui sollecitudine , ed alla di cui liberalità egli attri-
mento in versi esametri , che trovansi tra i sugi Carotina
a. I. III. IV.
(i) »» Leo jam carmina nostra
>J Ipse iibens relegehat. Ego illi carus , et auclus
« Muneribiisque, opibusqu.e, et honoribus insi^n:tus. «5
Vida ^ Pareutum marùbus Opp. fol. II, p. 1^4*
«39
bulsce il rinascimento della letteratura dal suo lun-
go stato d' intorpidimento , e di degradazione (i).
Ad oggetto di stimolare il poeta a compiere V opera
sua , o di rimunerarlo pei progressi , che fatti avea
in quel lavoro , Clemente lo avea di già innalzato
al grado di segretario Apostolico, e nell'anno i53r>
gli conferì il Vescovado di Alba. Poco dopo la morte
di quel Pontefice , Fida si ritirò alla sua diocesi , e
fu presente alla difesa di quella città centro 1' at-
tacco dei Francesi nell' anno 1 542 , nella quale oc-
casione le sue esortazioni , ed il suo esempio ani-
marono gli abitanti ad opporsi con buon esito al ni-
mico. Dopo aver assistilo nella sua qualità di Ve-
scovo al Concilio di Trento , ed aver presa una
parte attiva negli aflari Ecclesiastici , e politici di
que' tempi , egli morì alla sua sede di Alba il giorno
(l^ QuiSQUrS ES , ACCTOR TE ADMONITDM VULT , SE NON
tAUDlS ERGO OPUS ADEO PERTCULOSUM CUPIDE AGGRESStJM : VE—
RUM ET PGNESTIS PROPOSITIS PRAEMIIS A DUOBCS 50MMIS PON-
TIFICIBUS DEMANDATUM SCITO , LeonE X PRIUS . MOX Ct E—
MENTE VII , AMEOBCS EX. HetRTJSCORDM MeDTCCM AMPLIS"- MA
FAMrLIA 5 CTJJCS LIBERAUTATI ATQtJE IHDTJSTRIAE HAEC AETAS
tlTERAS AC BONA9 ARTES , QUAE PLASE EX' INCTAE ERANT, EXCI-
TATAS ATQUE «EVIVreCENTES DEBET. Id VOLEBAM NESCIOS NE ES—
SEs. (Questo autore si vede sempre animato da un lodc\ole
spirito di riconoscenza 5 ma chi prendesse alla lettera il rife-
rito avvertimenlo , potrebbe dedurne la massima , che non il
desiderio della lode , ma 1" amor solo del premio eccitasse la
sua musa , il che è tanto lungi dal vero . eh' egli era total-
mente disinteressato, e mori povero, come appare dalla nota
"seguente ).
l/fÓ
27 di settembre dell'anno 1 566, più rispettato pe' suoi
talenti , per la sua integrità , e per la sua rigorosa
osservanza de' doveri pastorali , che non per le ric-
ctezze ammassate colle sue prelature ecclesiastiche (1).
Di tutti coloro , che scrissero in versi latini ià
quel periodo di tempo , Vida è stato il più general-
mente conosciuto fuori dei limiti d' Italia. Questo
dev' essrre attribuito , non solo alla fortunata scelta
de' suoi argomenti , ma ancora al ragguardevole suo
talento di riunire ad una grande eleganza e sovente a
molta dignità una singolare facilità , e chiarezza di
stile , cosicché le descrizioni più complicate , o le
più astruse dichiarazioni riescono facili , e familiari
al lettore. Delle sue egloghe Virgiliane la terza ed
ultima è diretta ad esprimere il rammarico di Vic-
toria Colonna per la morte dell' amato suo consòrte
Marchese di Pescara (2). Tra le sue piccole poesie ^
(i) 5j Io ho veduto, dice Tiraboschi^ 1' inventario dei
>>. mobili trovali nel suo palazzo Vescovile, il quale ci fa ve-
w dere, ch'egli moxi assai povero. » Storia della lellerat.
Jial. voi. VII. par. III. pag. 283. Vida fu sepolio nella cat-
tedrale di Alba , dove fu inciso sulla di lui tomba il seguente
epitafio :
HlC SITUS EST M. HlERONYMUS VlDA.
Cremonen. Albak Episcopus.
(2)^ » Conjugis amissi funus , pulcherrima NitE
>ì Flcbat 5 et in solis errabat montibus aegra 5
• n Alque homines fugieos ^ moeslo solatia amori
•5 Nulla dabat , luctu sed cuncla implebat amaro ,
i> Flens noctem , flens lucem ; ipsi jam funera montes
»> Lugebaut JDavali j Davalum omnia respondebant. »
Vidae Op. Voi. IL />. ili.
i4i
i versi eia lui consacrati alla memoria de' di lui ge-
nitori , che morirono ambidue pressoché nel tempo
medesimo , mentr' egli era intento con profìtto a
conseguire qualche prelatura in Roma, mostrano uno
squisito sentimento, e presentano bellissime immagia'
di afìetto filiale (i).
$ VII.
Poetica di Girolamo rida.
La Poetica del Vida , alla quale egli ya debitore
di una gran parte della sua riputazione tanto come
poeta , che come critico , fu indiri«zata dall' autore
all'epoca della prima pubblicazione fattasi nel 1627
al delfino Francesco , figlio di Francesco 1 Re di
Francia , allora prigioniero insieme a suo fratello
Enrico , come ostaggio del padre alla corte di Spa-
gna ; ma quella dedica non fu premessa ali opera se
non molti anni dopo il compimento della medesima ,
scritta da principio in Roma sotto il Pontificato di
(2) » Vos unos agilabam animo , vestraque fniebar
j> Laelilia exsultans , et gaudia vesua foveliam ,
iì Mecum animo versans quam voì)is illa futura
15 Laeta dies , qua me vcitiis amplexU)us urgens
)> Irruerem imjirovisus ad oscula • ■vis bene utrique
n Agaitus , insoliiis titulis , et lion'jribus auctus ,
» Scilicet et longo tandem post tempore visus ,
\ì Dum teuuit me Roma , humili vos sede Cremona. »
Ibid. pag. 14S.
l42
Leone X, ed originalmente indirizzata ad Angehy
Dovizia , nipote del Cardinale Bernardo di Bibiena ,
che poco dopo consegui esso pure \ onor della por-
pora (i). Si è supposto veramente , che questa pro-
duzione fosse dapprima stampata a Cremona nel iSao,
ed è certo , che i concittadini di Vida chiesero la di
lui permissione di far uso di quell'opera per l'istru-
zione della gioventù , ai quali' egli espresse il suo
consenso in una lettera , che ancora ci rimane (2) ;
ma benché si raccolga dalle carte degli archivj di
) Cremona, che essa era disposta per essere pubblicata
colle stampe , pure vi ha ragione di supporre , che
questo non si fosse effettuato; ne .alcun esemplare di
quella supposta edizione è mai giunto a notizia di
alcun bibliografo. La cagione può esserne attribuita
allo stesso Vida , il quale nella sua letter» stretta-
mente ingiunse , che T opera sua non dovesse pub-
li) Tiraboschi ha vedalo un bel manoscrilto di questo poe-
ma scritto ne'' primi tempi della sua composizione . ed indi-
rizzato a Douizio , e ne ha dato un particolare ragguaglio.
Storia della leti. Itat. Voi. VII. par. III. pag. 279.
(2) In (Questa lettera noi troviamo la seguente apologia, olitegli
si studia di fondare sulla difficoltà della sua impresa: » Scio
» enim quam pcriculosum sit de re tam varia , tam difficili ,
» atque ardua scribere , his praeserlim temporibus , quibus
» tot praeclai>a ingeuia liberalitate Leonis X Pont. Max. in-
» vitata , emerserunt , emergimtque in dies , ut arles mihi ipsa
n injuria temporum jamdudiim exlinctae videantur quodam-
M modo liujus auspiciis reviviscere. » Praef. ad. Uh. de Poe^
tica in Ed. Cornin,
i43
blicarsi (i);e coQ successive rimostranze, allorché
fu informato delle intenzioni dei magistrali di Cre-
mona, li trattenne, per quanto può supporsi, dal dare
queir opera alle stampe (2). L' approvazione , che la
Poetica di Fida ebbe la sorte di ottenere dai più
corretti , ed eleganti scrittori del nostro paese , la
fece vantaggiosamente conoscere dappertutto (3) , al
(i) » Hac tamen lege lios lihros vobis credimus , ut apiid
» vos in qiiopiatn loco aut publico, aut p^i^ato serventur, quo
>» tantum civibus nostris aditus sit , ne si forte in exterorura
V manus furto sublati devenerint, iujussu meo, librariorum ava—
i> rilia in -vulgus veuales prodcant, qua re medius fìdius, nihil
n mihi molestius accidere posset. «» Ibid.
(a) Alcune circostanze particolari a questo proposito possono
trovarsi in una lettera di GiroLitno Negri tra le Lelteie di
Principi f^ol. I. pag. 106.
(3) " Negli aurei giorni di Leon tu vedi
i> Fiorir le muse , e di beltà far pompa.
»> Il genio ancor della superba Roma
n Sorge dalle rovine , e 1* atra polve
j> Scuote, e solleva il venerando capo.
1» Rinasce la scultura , e 1' arti suore
?' Sorgon con essa , e per le* opra i sassi
>j Riprendon forma ancor , vita le roccie ,
n E in dolci note il nuovo tempio suona.
» Un Rafaele piago : un Vida, canta I
>» Immorlal Vida I D* onorato lauro
» Cingi la fronte ; e sol ne' campi alligna
» Edera trista al critico mordace.
»> Altiera il nome può vantar Cremona ,
" Vicina a Manto , e sua rivai per fama. »»
Pope Saggio sulla Crìtica ver. 697 dell' originale»
( Questa uersione è stata nummiiente tentata sul passo citata
in questa noia dal si§. Roscoe ],
che può aggiungersi , clie un eccellenle crìtico Iq .
glese la riguarda come la più perfetta di tutte le
produzioni dell'Autore, e come ,, una delle prime ,
,, se non pure la prima opera in genere di critica ,
,, che apparisse in Italia dopo il rinascimento delle
„ lettere (i). ,,
Nel suo poema la Cristiade^ Vida evitò 1' errore ,
uel quale era caduto Sannazaro col mescolare le fa-
vole profane della Pagana Mitologia coi mister] della
Cristiana Religione , ed al pari di Milton eb,be ri-
corso per ottenere la inspirazione alla sorgente mas-
sima della vita e della verità. Benché egli si ponga
davanti Virgilio , come suo modello singolare , e lo
riguardi a un di presso con sentimenti di venerazione ,
come può raccogliersi dalla conclusione del terzo li-
bro della sua Poetica , contultociò egli sa bene sta-
bilire i limiti della sua imitazione , e mentre egli
adotta lo stile , e le maniere , e talvolta anche la
lingua del celebre cantore Mantovano , egli non si
studia di dare ai suol scritti un aspetto classico
colla introduzione di quelle persone , e di quelle fan-
tasie , che possono violare la probabilità, la natura,
e la verità. Quindi , mentre il poema -di Sannazaro
sembra essere il parto di un gentile idolatra , il quale
non crede le verità, che pure affetta di inculcare,
e ben sovente si accosta all' indecenza , o alla in-»
congruità; gli scritti. di Vida spiegano una fervida,
(i) fV^arton Siiggio sul genio ecc. di Pope i^ol. I. p. '97..
i45
e sincera pietà , un disprezzo cV ogni meretricio or-
namenlo , ed una energica semplicità di elocuzione ,
che possono guarentirgli una non equivoca , e ben
durevole approvazione.
§ Vili.
Girolamo Fiacastore.
Nella prima classe de letterali Italiani di quel
tempo , noi possiamo collocare francamente Girolamo
Fracastoro ^ che si distinse non meno per il suo sa-
pere nella medicina, e per la sua rara dottrina nelle
scienze , che per i suoi grandi , e ben noti talenti
nella poesia Latina. Nacque egli a Verona , dove i
suoi antenati sogsiornavfino da lungo tempo in una
rispettabile condizione. L epoca della di lui nascita può
esser fissata con molta probabilità verso 1 anno i483.
Alcune particolari circostanze accompagnarono la sua
infanzia , le quali p'^r la di lui celebrità venuta ia
seguito furono giudicate degne di memoria. Al suo
n Do
nascere le di lui labbra erano per tal modo aderenti
r uno air altro , che appena gli era concesso a stento
di respirare , e fu necessaria una operazione chirur-
gica per rimediare a questo effetto. Questo accidente
viene rammemorato in un epigramma di Giulio Ce-
sare Scaligero (i).
(i) » Os Fracastorio uascenli defuit , ergo
» Sedulus atienia liuxil Apollo niauii.
Leone X. Tom. VII. \o
i46
Un terribile aweuimeiilo , clie eLl)e luogo durante
rinfanzia di Fracastoro,ò slato pure consideralo come
un presagio della futura sua celebrila. Mentre sua
madre lo portava nelle sue braccia , essa fu stesa
morta per un colpo di fulmine , ma il bambino non
ricevette la minima offesa. Questo fatto singolare è
attestato in modo così decisivo , clie si può ritenere
come indubitato (i).
Dopo di aver ricevuto una liberale educazione in
Patria , Fracastoro recossi a Padova, dove perqual-
clie tempo approfittò delle lezioni del celebre Pietro
Pvnpovazio ^ e legossi in intima amicizia con divevse
persone , che poco dopo salirono ad altissima ropu-
»> Inde hauri , Mi-dictisque ingens ., iHgeusque Poeta,
»> Et magno facies omnia piena Deo.
Questi versi sono stali parafrasati dal Cav. Marini nella dol-
cissima lingua Italiana :
fi Al Fracaslor nascente
»j Mancò la bocca ,• allora il Inondo Dio
»? Con arte diligente
'? Di sua man gliela f(>ce , e gliel' aprio ;
■>•> Poi di se gliel' empio ,
V Quinci ei divin divenne z, ed ugualmente
?» Di doppia gloria in un giunse a la meta,
?? E l'isico , e Poeta,
(i) ?? Fracastorius mira vitae ìncunabula a divina fataliqne
»? coeleslium numinum bcnignitate auspicatus est. Matrcm enini
»j infans adliuc , et tantum non vagiens , cum insa ei in siou
?» subsultanli gestirei jocos , ictu fulminis horribili confectain
5? illaesus seiisit , si modo sentire potuit. » Frane. Poi. .^P-.
JMenckcniwn i/i l'ita Fracastoi ii p. 3o.
i47
tazione. Tj* aulorltà del <n\o maestro non potè tuttavia
indurre Fracastoro ad abbracciare le sue opinioni
sinf^olari, ed erronee in melafisicn, alcune delle quali
egli conflilò poco dopo in «liro de' suoi dialoghi senza
nominare tuHavia espressamente il suo primo insti-
tulore (i) E;j1ì conobbe tosto la fulìlità della barba-
ra , e scolastica filosofia , clie Ponponnzio professava,
e diresse tutta la sua attenzione al roltivamento della
vera scienza, delle cognizioni naturali, e di osjni ramo
di b'ila letteratura. Ali'elà di diciannove anni egli avea
ricevuto non solo la laurea , emblema del più alto
jira lo accademico, che allora si ac'cordasse in Padova,
ma fu anche nominalo pvolessore di logica in quella
università , uiticio che ej;li abbandonò pocìii anni
ilopo alTine di j)oter altenJeve senza init-rruzione al
suo proprio miglioramento (3) Egli dapprima si ap-
plicò allo sfuilio della medicina , considerandola piut-
tosto come una scienza , che come una professione; ma
poco dopo si impegnò con grandissima assiduità nei la-
boriosi doveri di buon tisico, e fu riguardalo come uno
dei più sapienti pratici in Italia. Le sue cure però a
«"juesto riguardo non gli impedirono gli altri studj, e non
arrestirono i di lui pro^rc-ssl nelle inaleaialiche , nella
cosmoifrafia , nell'astrmiomia . e negli altri rami delle
scienze naturali , il che diede giusto motivo a sup-
(i) Tirabcschì ^ storia della l-'tt. llal. Toni. yiì. par. I.
noi;. af)3 .
fa) Mnffei Vcr^rtn V. III. p. IL p. ?,^-]. — Tùah. storia
del'clau. Ilal T. VI!, p. JI!. |). 2y3 nelle i^ot. ed. Rodi. i-85
i48
porre , che alcun altro in que' tempi non riunisse in
se stesso tanta varietà eli cognizioni (i). L'irruzione
deir Iinperadore eletto Massimiliano in Italia nell'anno
i5o7, e i pericoli, dei quali fu minacciata la città
di Padova, indussero Fracastoro , che ài recente avea
perduto suo padre , a stabilire la sua residenza ira
Verona sua patria , ma egli dovette cangiare questa
risoluzione sulle istanze del celebre comandante Bar-
tolomeo dAlviano , il quale tra i tumulti delia guerra,
e le continue occupazioni dell' attiva sua vita non
avea tralasciato giammai di coltivare , e di incorag-
giare gli studj delle buone lettere. A richiesta di
Alvi ano , Fracastoro diede pubbliche lezioni nella ce-
lebre accademia da quel comandante stabilita nella
sua città di Pordenone nel distretto di Treviso (a) ,
della quale piazza da Alviano medesimo presa nelle
guerre contra \ Imperadore , il Veneto Senato lo
avea creato signore independente , come infatti ad
<i»so in quel dominio succedette suo figlio [■?.). Allor-
ché quel gran Generale fu di nuovo chiamalo a pub-
fi) Tiraìioschi ìhid- p- 2g3.
(a) iNon so perchè l'autore abbia aggiiinlo a cjueslo distretta
I' epiteto di rig'do.
(<ì) n Pordenone , Portus Naonis dai Ialini addiniandato.
« Fti lungamente questo nobile , grande , e ricco cas'el!»
lì soggetto ai ducili (V Austria. Ma nei nostri giorni essendo
»5 stato pigliato da Bnrtolomeo Atviano capitano dai soldati
?j Veneziani , guerreggiando con Massimiliano Imperatore , fu
» donalo da i .«ignori Venetiani al detto ; et essendo lui morto,
»•> li successe il suo (igliuolo, >? Alberti Italia p, 175. 6.
i49
Lllclie imprese , Fracasioro seguillo come compa-
gno dei di lui studj fino all'anno 1609 ('l^ "^^
quale alla battaglia fatale di Ghiaradadda Alviano
(i) È degno d'osservazione, che Al^iiano avea al suo seguito
tre dei più grandi poeti Ialini, che l'età moderna abbia pro-
dotto , Aiidrra IVavagero , Gerolamo Pvacastoro , e 0-iovanni
Cotta , r ultimo de' quali fu spedito da Aluiano fatto prigio-
niero alla battaglia d' Agnadello., a Giulio IT per indurlo a pro-
curare la liberazione del suo Mecenate, nella quale spedizione
egli mori di febbre , essendo ancora in età assai florida. Le
poche poesie lasciate da ditta mostrano lo spirilo del suo
compatriotto Catullo , e sono ben cara terizzate nei seguenti
versi di Gioan Matteo Toscano :
j> Qui Musas , Veneremque Gratiasque
jj Vis coelu socias videre in uno ,
5> Hunc unum aureolum legas libellum,
j> Quo Musae ncque sunt politiores ,
jj Ipsa nec Venus est magis venusta ,
» Nec gratae Chari'es magis. Quod ulli
J5 Si fortasse secus videtur , ille
>5 Iratas sibi noverit misello
n Camoena'» , Veneremque , Gratiasque. »
Flaminio non ha dubitato di preferire queste poesie , o al-
meno di porle in egual grado con quelle di Catullo medesimo :
n Si fas cuique sui sensus expromere cordis,
»5 Hoc equidem dicam , pace. Ca'ulle, tua ,•
n Est tua Musa quidem dulcissima • Musa videtur
»> Ipsa tamen Cottae didcior esse mihi.
I versi suirassassinamenio dì Alessandro de' M dici ^ chiamato
comunemente il primo Duca di Firenze , atlribuiii a Cotta da
Gagiiet ., e da Volpi , Fracastoriì Cottae , et aliorwn Curm.
Patai>u 1^18 in 8., sono parto di quah-he autore più recente',
non essendo quel fatto avvenuto se non molti ajani dopo lo
bua morto.
1 5'o
fu ferito e l'alio prigioniero da' Francesi. Dopo questo
avvenimento Fracastoro ritirossi a Verona , e divi-
dendo il suo tempo tra la residenza in cUtà , ed il
ritiro ad una villa nello montagne di Incaffi dedicossi
tutto ai lavori scientilìoi , e letterarj , ed alla com-
posizione di quelle opere di vario genere , che tanto
tontribuirono ad onorare la di lui memoria.
Suo poema ii'tiluìato '?ìjìh(ìe.
A questo perio lo della vita ili Fracastoro può ri-
ferirsi il principio del suo celebre poema intitolato
SypliiUs , szVe de inorilo Gallico , d quale sembra
evid "nleirienie essere stato compito sotto il Ponli!ì-
calo di Leon X. IXeir adottare questo soggetto fu in-
tenzione probabilmente di Fracastoro dì unire i suoi
varj talenti , e tulle le sue cognizioni in una gran-
d' opera , la quale potesse ad un tempo sviluppare
r esteso di lui sapere nei varj rami della naturale
filosofia , la sua bravura , e la sua esperienza nella
medicina , ed il suo maraviglioso ingegno per la poesia
lat'na. 11 successo felice Jetle sue fatiche prova , che
egli non si era ingannato, né ollreiyassato avea le sue
facoltà , e che l' approvazione da ogni parte accor-
data alla Sifilide era tale , che ninna produzione
de' tempi moilerni l'avea dapprima ottenuta in egual
grado. Quest'opera è deilii;ataa Pietro Bemho, allora
segretario domestico di Leun X , col quale egli ave»
Sovente mantenuto amichevole corrispondensni (i). Al
principio del secondo libro egli particolarmente allude
al periodo , nel quale era scritto quel poema , e getta
un colpo d' occliio sulle circostanze di que' tempi ,
sulla calamità che aveano afflitto l' Italia , sulla sco-
perta delle Indie orientali , sui recenti miglioramenti
delle naturali cognizioni , in proposilo de' quali cita
con gran lode gli Si'.ritti di Fontano , e sulla tran-
quillità, della quale si godea sotto il Pontificato di
Leon X (2).
(i) »■> Detiihe dcciis clariim Ausoniac , si forte vacare
i> Consnllis Leo te a magnis paullisper ^ et alta
» Rerum mole shiit, totutn qua sustinet orbetn ;
>' Et juvat ad dulces paullum secedere miisas 5
" Ne nostros contcmne orsus , medicutiiqiie laborem ,
>j Quiccjuidid est. Deus haec quondam diguaLus Apollo est:
»5 Et parvis quoque rebus iaest sua saepe voluplas.
♦5 Scilicet hac tenui rerum suli iraagine multum
n Naturae, fatiquc subest , et grandis origo. v
Sy-pìiU. Uh. I. V. iT,.
(2) » Credo ecp^iidem , et quaedam uobis diviaitus esse
>5 Inventa , ignaros fatis duceiitibus ipsis.
ìt ]Nam quamquam fera teif(l^esias tt iniqua fue'ruiit
»> Sidera , non tamen omnino praesetllia divurn
« Abf'uit a nobis - placidi et clemantia coeH.
59 Si mor])um insolitum, si dura et tristia belli
»» Vidimus, et sparsos dominoruni caeda penai es ,
" Oppidatjue , iacensas({ue urbcs , subversaqué regna ,
» Et tempia , et rapiis temerata altaria sacris :
'5 Flumina dejectos si perrumpenlia ripas
'■■ Evertere sala , et mediis nemora crala in undis ,
" Et pecora , et domini , correptaque rura nalaruut ;
'> Obscdilqwe inimica ipsas penuria Orrras ;
i5
„ Io credo inver che molte cose a noi
,, Abbia scoperte la divina aita ,
»> Haec eadiim lamen , haec aelas ( quod fata negarunt
» Aatiquis ) tolum poluii sulcare carinis.
» Id pelagi , immensum quod circuii Amphitrile ,
i> Nec visiuu salis , exlremo ex Aliante repostos
»> Hesperidum peneirare sinus , Prassumque sub Arcto
j» Inspectare alia , praeruptaque lilora Rhap'i ,
•» Atque Arabo advehere , et Carmano ex aequore merccs;
« Aui'orae sed itum iu populos Titanidis usque est
» Supra lodum, Gaugemque supra, qua terminus olim
» Cal3"gare noti orbis erat ; superata Cyambe ,
95 Et diles ebeno . et felices macere sylvae.
j) Denique et a nostro diversum genlibus orbem ,
f> Diversum coelo, et darum raajoribus astris
?» Rcniij;io audaci attigimus , duv-intibus et Diis.
jj Vidimus et va'em egregium , cui pulchra canenti
n Parlcnope, placidusque cavo Sebethus ab antro
»> Plauseruut , umbraeque sacri manesque Maronis ;
5? Qui magnos stellarum orbes cautavit, et hortos
»> Hesperidum , caelique omnes variabilis oras.
» Te vero ut taceam ^ atque alios, quos fama futura
» Post niiitos cinercs , quos et venientia seda
» Autiquis couferre volent , at , Bem 'E , tacendus
ty Inter dona Deum nol)is da'a non erit umquara
i> Magrianiuius Leo, quo Latiuui quo maxima Roma
» AUollit caput alta , paterque ex aggerc Tybris
« Assurgit , Romaeque fremens gratulafur ovanti.
>? Cujus ab aus;=iiciis jau> nuno mala sidera mundo]
5> Cessere , et laeto regnat jam lupiler orbe ,
95 Puraque paratum diff-ndit lumina caelum.
« Unus qui aerumnas post tot longosque Ifdjores
» Dulcia jam profugos revocavit ad olia Musas ,
»> Et leges lalio antiquas , rectumque , piumque ,
f) Restituita qai justa animo jam coacipit arma
i53
„ La mente ignara condacendo i fati ,
,, Che se ree le stagioni , e gli astri iniqui
,, Furo, del tutto a noi propizj Numi
,, Pur non mancar , ne ciel placido e amico.
,, Se un insolito morbo abbiam veduto,
,, Se triste e crude guerre, e se del sangue
J3 Pro re Romana , prò relligione Deorum.
J5 Unde eliam Euphrates , elianti late ostia Nili ,
)5 Et tanturo Euxini nomen tremit unda refusi ,
» Atque Aegaea suos confugit Doris iu isthmos.
S'/jha. Uh. IL V. II.
È osservabile , die Menchi-nio nella sua vita di Frai-nstoro
ha asserito , ehe questo poeta non avea né nella Sifilile , né
in alcuna altra parte delle sue opere lodato , o menzionato
Pontano. » Ego vero , quantumvis diligeuter versatus in le-
55 ctione Sjphif.'dis , tantum abest ut hic laudes quasdam
«5 PoNTANT commemoratas invcncrim , ut ne ullain quidem
55 ejus injectam viderim menlionem. Est si scrìpta efus rrliqua
>■> perquiras , n'hil unquam de Pontnno in mc^item venisse
55 nostro , manifesto inlelliges. »? Mcnkenio avrebbe dovuto
certamente accorgersi, che'l poeta menzionato nel passo sopra
rilaio ,
» Qui magnos stellarum orbes cantavit , et horios
5» Hcspeiidum "
non potea essere altri che Pontano. In aggiunta a ciò dee
ancora osservarsi , che Fracastoro nel suo dialogo intiolato
Naugeritjs, sivf de Poetica^ non solo m'-nzionò espressamente
Pontano, ma citò ancora la di lui opinione relativamente all'og-
getto , ed al line della poesia , che egli quindi pienamente
discute, e conferma. Fracast. op. ap. Giunti p. \\Q.
(Il sig. /{o5coe ha tradotto in versi Inglesi il lungo passo so-
pracitato di Fracastoro. Noi lo abbiamo espos'o mlia tra-
duzione di Be/n'ni stampata dal Cornino medesimo iu Padova
in \. , e divenula ora rarissima ).
,, Degli anliclil sigiioi- le case sp'arse.
,, E castella , o citt;iJl arse , e dislrulti
,, Re^nl , ed i tempii violali , e 1' are
,, Con sacrileghi fiuti , e su le rotte
,, Sponde correndo traboccanti i fiumi
,, Volger sossopra i seminati e i campi ,
,, E le ville rapite , e svelti i boschi ,
,, E gli armenti, e i pastor nuotar per l'onde,
,, E la terra assediar fame nemica :
,, GoQtuttociò questa medesma etade
„ ( Quel che agli antichi dinegare i fati )
,, Questa potéo tutti solcar con navi
,, Quei eh' abbraccia Anfitrite immensi campi.
Né a lei bastò fin dall'estremo Aliante
,, Di penetrare in sono ai più riposti
,, Golfi d'Esperia , e sollo altr' Orsa il Prasso ,
,, E di Rapto mirar gli alpestri lidi ,
E di condur doviziiose merci
Dall' Arabico mare e dal Carmano :
,, Ma si stese pur anche in fra le genti
,, Della Tltania Aurora olirà Indo e Gange,
,, U' Catlgara al mondo allora noto
,, I confini poneva un tempo : e Ciambs
,, Lasciossi a tergo , e le felici selve
D' ebano ricche e di moscata noce.
Scorti dai Numi con remigio audace
,, Alla fine toccammo un nuovo mondo,
,, Vario d' abitator, vario di cielo ,
,, E rilucente per maggiori stelle.
,, Un jnsione Poeta anco vedemmo ;
i55
AI cui cantar dai cavi specìii applauso
Fé Partenope , e il placiJo Sfbelo ,
E il genio di Marone e l' ombra Sacra :
D(;IIe slelle costui ^V immensi globi,
Df ir Esperidi gli Orti , e i campi tutti
D(d cipI vario descrisse ed incostante.
Or benché te, Bembo, io qui taccia , e gli altri,
Lui dopo il muJo cenere la fama ,
E le tu Iure età mettere a paro
Cogli antirhi vorran , tacer non deggio
Quel fra i doni del Cielo a noi concesso
Mi£;nanimo Leon, per cui la fronte
Il Lazio estolle , e Roma augusta e grande ;
E dagli argini suoi sorgendo il Tebro
A lei festosa mormorando applaude.
Di cui sotto 1 impero ornai sicuro
Dagl'influssi maligni il mondo posa,
E in pacifico regno omai tranquillo
Alberga Giove, e rai di pura luce
Sparge sereno il Ciel. Egli fu solo
Dopo lunghe fatiche , e tanti affanni ,
Che richiamò le fu<rii;itive Muse
Agli ozj amati , e ritornò nel Lazio
L'antiche leggi, e la pietade, e 1 retto.
Egli è che giuste nel pensier rivolge
Guerre in favor della Romana gente ,
E del culto divino. Onde 1' Eufrate ,
L' ampie foci del Nilo , e '1 vasto Bussino
Tremano a sì gran nome: onde 1 Egea
Dori ver gV tstrai suoi timida fugge. ,^
i56
Il titolo di questo poema singolare è trailo dal
pastore Sifilo , il quale si suppone aver guardato le
gr-^nraie di Alcitoo sovrano dell' Atlantide , e d' aver
rifiutato con empie esprebsionl di sacrificare ad Apollo^
perchè sostener non potea i raggi cocenti del sole
estivo , ma avea innalzato un' ara ad Alcitoo adorando
quel sovrano come la sua divinità. Irritato Apollo di
questa indecenza infettò 1' aria con vapori maligni ,
per effetto del quali Sìfdo contrasse una malattia
schifosa , che empiè tulio il dì lui corpo di eruzioni
ulcerose. I mezzi adottati per la sua guarigione , e le
circostanze per le quali quel rimedio venne comu-
nicato all'Europa, formano la parte principale del-
l' argomento del poema , nella di cui tessitura si mo-
stra un grado di eleganza , ed un lusso di poetici
ornamenti, che appena aspettare si potrehbero in un
soggetto così straordinario, e cos^ poco lusinghiero.
Nel riferire la scoperta del gran rimedio minerale,
r attività del quale era allora ben conosciuta , sicco-
me a fondo ne vlen dimostralo l'uso, l'autore in-
trodusse un bellissimo episodio, nel quale egli espose
l'interna struttura della terra, le grandi operazioni
della natura nella formazione de' metalli , ed il cupo
splendore de' suoi tempj sotterranei, delle sue caver-
ne, e delle sue miniere. Egli popolò altresì quelle
regioni con esseri poetici, tra quali la ninfa Lipare
presiede alle sorgenti del mercurio, nelle rpali l' am-
malalo è consigliato a bagnarsi tre volte, e dopo il
suo ristablll.mento , ed il suo ritorno alle regioni della
lu(;e a non dimenticarsi di sciogliere i suoi voti a
Diana , ed alle caste ninfe di cpella sacra fonte (a).
Sarebbe nojoso , se non pure impossibile in que-
sto luogo il ripetere le numerose testimonianze di
lode , colle quali furono onorati tanto questo poe-
ma , quanto il suo autore alla sua prima pubblica-
zione , come ancora ne' tempi successivi (i) ; ma la
prova più decisiva del suo merito si può dedurre
dalla coafessione di Sannazaro^ il quale viene gene-
ralmente accusato di avere giudicalo gli scritti dei
suoi contemporanei con invidiosa severità; ma pure
al leggere la Sifilide confessò , che Fracastoro avea
in quelf opera superato non solo tutti gli scritti di
fa) Non so bene , se alcuno abbia esposto una riflessione ,
clie far si potrebbe sulla scelia del nome , e sul disegno pri-
mordiale del poema celebre di fracnsioro. Invece di scegliere
qualche soggetto più trito dell' antica niiiologia , quel poeta è
anda'o a cercare un pastore dell' Atlantide, uu Re dell'At-
lantide^ ed una vendetta dell'Apollo Atlaatico. Non potreb-
b' egli dubitarsi , che in questa preferenza accordala ad una
mitologia poco nota, o almeno poco comune, si ascondesse
una segreta allusione dell" autore alla scoperta dell' America
allora recentissima . ed alla malattia venerea , che si prelen-
dea essere stata di là portala dai primi navigatori ? Cerio è ,
che non si sarebbe meglio potalo indicare la provenienza di
quella malattia dal nuovo continente che colla introduzione
di una mitologia atlantica.
(i) Molte di queste testimonianze trovansi nelle Apae Fra-
CASTORiAE di Giulio Cesure Scaligero , stampate eoo altri
componimenti in lode del medesimo al fine del II. volume
delle opere di Fracastoro. pubblicate da Comino in Padova nel
1739 in 4.3 e nella vita di Fracastoro del Menkenio sea. IX.
i58
Pantano , ma anche il poemi ile parta Virgiiiis , al
c[uale egli slesso avea consacralo veni' anni eli la-
voro (i).
La rinomanza tnt'a\ia tli Fiacastcro come buon
fìsifto non era cresciuta meno cìeila sna fama come
elegante p«eta , ed infalli ricercato sovente da molli
della s\ia assistenza, era frec|ueniemente obbligalo a
lasciare il suo ritiro, ad ogi^etlo di servire ai suoi
amici particola! i, tra i (piali erano molti tiomini di
allo grado, e di gran nome in diverse parti d Ita-
lia (2). Seguendo il desiderio di Paolo 111 , egli do-
vette assistere nella qualità sua di medico al Conci-
lio di Trenlo , e fu ])riiicijtalinente per di lui avvi-
so, elle la sede del Concilio trasportossi da quella
città a Bologna (3). Le fatiche della sua vita pub-
blica furono tuttavia compensate dal piacere eh egli
provò nel tornare alla sua villa iu compagnia ,di
(i) »> Poeticsra ( .Ttem ) ita ( FracastoriiiE ) cxcoluit , ut ad
■»> Virpitianaui majestaiem pros-ime acrcssisse euni faterentur
n acmulj ,• ti m iis Jacobus Sanazzarius j al'oqui parens et
» amaruientiis alienae tTuditionis ìanda(or, qui -visa ejus iS^-
n pkilide. , non soluin Joanncm Joviaiium Pnnlanum . sed se
»? quoque ipsum , in opere accurata vifjin'J annorum lima
« perpoliio , trictuni cx-tamavit. u Tini ani ^ HisU lib. XH.
Toìii. 1. p. ,:j3o. ed. Bucklrj'.
(2) Se de Thoii non fu mal iufornialo , Prncar.tnro esercitò
la medicina senza ricavarne al(;una ricotnpi'usa pecuniaria.
n Medicinam iit. ìmiicslixshìui ac dira liunim , ila fclitissimo
t» fecit. »! Ibid.
(3) Tirabiisrìti Sior. dt-Ha Lei!. lut. Voi. \l\ Parf. Hi.
pag. ay/j.
Ciammateo Ghìhcrti , cbe allora risedeS'a a! suo ve-
scovado di Verona , e spendeva le doviziose sue ren-
dite neir incoraggiiire la letteratura ed i letterali, e
dalle visite eh' egli riceveva da diverse parti d'Italia
«legli scienziati j)iù celebri di quella età. Tra questi
erano Marc Antonio Fìamiitio , Andrea ISiivagero ,
Giovan Batista Ranusio , ed i tre ifatelli Torriani , i
quali tutli egli celebrò ne' suoi scritti , siccome lodò
pure in alcuni il Cardinale Alessandro Farnese , al
quale dedicò il suo trattato in prosa de rnorhis con-
tagiosis. Le poesie volanti di Fracastoro , nelle quali
allude spesso alla diletta sua villa , al suo modo di
vivere, alle sue società letterarie , ed ai suoi affari
domestici, sono singolarmente interessanti, e lo col-
locano nell aspetto più vanlags'ioso tanto rome uojtìo
che come autore (i). I componimenti isolati di pochi
versi , ad ognuno dei quali egli ha dato il titolo di
incidenti, possono riguardarsi come altrettante minia-
ture, disegnate con tutta la franchezza della scuola
Italiana, e finite con tutto lo studio più corretto
della Fiamminga. Il suo poema sacro intitolato Giù-
(i) Il sig Gresweìl uel suo ra!;£;i)aE;lio di Piloiini poeli ìalinr
d^ Italia del XVI. Secolo ha tradotto la descrizione farta da
Fiacastoro della sua villa (jafiùua , ( o di Inoalii ) , in una
bella leilera a Fiuncrsco Torvìaiio ; ma iu vero la più srrni-
£Ìta produzione di quel poeta Ì! la sua epistola suirimmatvra
morte de' suoi due Ff;lj , diretta a Cwio Ballista Torriajii .
che in genere di eleganza , di sentimento , e di vera subli-
mila, può sostenere il paraj'one cou qualunque produzioof. di
quella natura , cosi aalicaf, che moderna. iri'om ] p.)
j6o
seppe ^ clie egli cominciò in età già provetta, e non
visse abbastanza per terminare , basta a caratterizzare
i di lai talenti ; benché non si consideri come e^i^uale
alle più vigorose produzioni della sua gioventù. Trop-
po scarsi sono i di lui saggi nella poesia Italiana per
accrescere la di lui riputazione ; ma pure non dero-
gano punto a quel carattere sublime, che egli si è
così meritauiente formato colle altre di lui fatiche.
La morte di Fracostoro fu cagionata da una apo-
plessia , che lo sorprese nella sua villa di Incaffi
nell'anno i558, essendo egli verso il settantesimo
anno dell'età sua (i). Uno splendido monumento fu
eretto alla di lui memoria nella cattedrale di Vero-
na , oltredichè egli fu onorato con pubblico decreto
della città di una statua che gli fu quindi eretta a
spese pubbliche. Eguale testimonianza di rispetto fu
resa alla di lui memoria in Padova , dove la statua
di Fracastoro , e quella di Nava^ero furono erette
dall' amico loro superstite Gio. Battista Banusio (2).
(i) n Sed maxime omnium funesta, qiianivis non omniuo
« immatura , mors fuit Hieronymi Fracastorii , . . . qui
» ad exactam phiiosophiae , et malhrmaticarum arlium , ac
» praecipue Aslronomiae , quara et doclissimis scriptis illu-
»» stravit , cogniiionem , summum judicium , et adaiirabile
)» ingeaium atiulil, quo multa ab autiquis aut ignorala , aut
n secus accepla adinvenil, et esplicavil. . . . Obiit in Caphiis
» suis , villa am.oenissima ad Baldi montis radices sita , quo
)> saepc ab urbe secedcbat , sepluageuario major , ex apo-
» plexia Vili. Id. sextil. »> Thuani Hist. lib. XII. Voi. I.
pag. 43o.
(■2) I motivi di questo sono ben espressi da de Thoui » Ut
i6i
Nel corso Ji quest' opera avverrà di parlare del com-
poDimenli in prosa, e dei lavori scieiilifioi di quel-
1 uomo insigue.
§x.
Andrea Navagero.
Tra i letterali amici di Bembo , e di Fracastoro ,
che col loro carattere , e coi loro scritti onorarono
quella età , niuno salì a piìc alto grado di Andrea
jSavagero. Nato e^li di una famiglia patrizia di Ve-
nezia nell'anno i483, (i) sino dalla sua infanzia diede
ij cji\i arcta in'er se necessiludioe conjimcli vixerant , et pul-
» cherrìmarum rerum scieutias , ac politiores literas excolue^
»> rant. . eodem ia loco spectarenlur et a jiiventule Paiavina ,
15 uiiiversoque Cymnasio rfiiotidie saluiarentiir, jj fhid.
Dei numerosi ailesìaii di rispello tril)iilaii alla memoria del
Frncnslnro dai do'ti di fjiiel tempo, il più elef;ant.e si Vfde
forse nei scguen i versi di Adìino Fumarii ^ premessi all' edi-
zione delle opere di Fracastoro dei Giunti^ Veuez. iS^.J.. in 4»
>5 Longe vir unus omnium doctissimus ,
>j T^i'i-ona per rpiem non Marones Manluae
»5 Nec nostra piiscis invidcl jara secala,
»5 Virtute summam cdnsccndis gloiiam
» Jam grandis aevo liic rondilur Frastorics.
5? \d trislem acerl)ae morlis ejus nuntium,
>» Vicina flevit ora, flcrunt idiimae
" Cenlcs , periise musicorum candidiim
" Florem, opiiinarum et lumen artium onjnium. »♦
(l) f^u/ffius in l'ita Naui^f^rii , ejuscl. op. praef. pag. IO ej.
Comi II, 1718.
J/EONE X. Tom. VII. Il
»62
indizio di quegli straorrlinarj progressi , ai quali ar-
rivò poro dopo. Così felice era la sua memoria , e
tanto e2;li si dilettava cogli scritti de' latini poeti,
die mollo giovane ancora egli era accostumato a re-
citare componimenti assai lunghi , ai quali aggiugne-
■vano una grazia particolare la bellezza della di lui
Tocp, e la corretta fV\ lui pronunzia. Il primo suo
istilulore fu il cplnbre Antonio Cocci detto Sahel—
lieo , ed autore di una delle prime storie di Vene-
zia ; ma 1' assidua lettura degli antichi autori raffinò
il suo gusto , e migliorò il suo giudizio molto più
elle non i precetti del maestro, ed i suol progressi
si manifestarono col bruciare , che egli fece diverse
(Ielle sue poesie , che egli avea scritto nella prima
gioventù , ad imitazione delle Selve di Stazio , ma
che egli non potea approvare nella sua più matura
età (i). AH arrivo di Marco Miisuro in Venezia,
^avagero divenne uno de suoi scolari più assidui , e
(i) Navagero slesso ha rammemorato questo fatto ne' se-
guenti versi :
Vota. Acmonts Vclcanq..
ti Has , Vulcaae , dical Sylif(is tibi villicug Àcm.on ;
J5 Tu sacris illas ignibus ure pater.
t> Cresoebant duciae Statii propagine Syl^ae ^
n lamque erat ipsa bonis frugibus umbra nocens.
» Ure simu! Sylvas . terra sìmul igne soluta
»> Fertilior lai^o foenore mes«is eat.
*j Ure istas ; Phrygio nuper mihi consiia colle
s? Fac , pater, a flammis lura sii ilta tuis. »»
N^v^. Carni. T. XJ^'IL p. 19S.
1(13
corta sua infaticabile altenzione divenne tanto istrut-
to nel Greco , che abile trovossi ad intendere non
solo i Greci autori , ma a scoprire altresì le loro
più miaute bellezze , ed a farne uso ne' suoi pronrj
scritti (»). A quest'oggetto egli erasi accostumato
non solo a leggere ma a copiare le opere degli au-
tori, die studiava, e questo egli esegui più di una
volta cogli scritti di Pindaro, pei quali egli avea sem-
pre conservata la più alta ammirazione {■^). Non limi-
tandosi tuttavia allo studio delle lingue, ed al col-
tivamento del suo gusto, egli recessi a Padova ad
oggetto di ottenere istruzioni nella fdosofia , e nella
eliiquepza da Pietro Pomponazio , ed in quel distinto
seminario di letteratura , egli contrasse amicizia eoa
Fracnstoro , Bamusio, ed i Ire fratelli Tornarti ,. ed
altri uomini d' alto grado , e di gran nome , ami-
cizia che continuò non interrotta per tutto il rima-
nente della sua vita. Al suo ritorno a Venezia egli
divenne uno dei più abili , ed attivi sostegni dell Ac-
cademia di Aldo Manuzio , e fu infaticabile nel rac-
cogliere manoscritti degli antichi autori, dei quali di-
verse opere furono pubblicate colle sue emendazioni,
(i) f^u/pius in uila Natigervi p. i j,
(a) '■> — Sic dtólectaiis hoc poeta , ut saepe eun» tua uianu
'! accurate descripseris ;; puto , ut libi magis fieret familiaris ,
»5 tara ut edisceretur a te faciliiis , et teneretur mcmoiia te—
» nacius. Id rpiod describendo Thueydldem feoit DemoslheneSf
» qui , ut Lucianus ait in ''ndoctiuu , ooties illum descripsit,
i> idque ad suara ipsius uiilitatem. »> Aldi Mumitii Ep. a/ik,
{rauger. in Ed. Piad. Ven. i5i3 in 8=
i64
e le sue note in forma più correità, eJ elegante,
che non si eran vedute dapprima (i). .
Fu principalmente in forza delle sue esortazioni,
elle Melo si indusse in mezzo alle calamità di que'
tempi a perseverare nella sua utilissima impresa (2);
e quanto obbligato fosse quel gran letterato , ed ec-
cellente artista a Navagero , viene espresso in diverse
dedicatorie ad esso indirizzate con quell' ardore di
gratitudine, che mostra il vivo sentimento, che ^Ido
nutriva pei suoi meriti, e pei suoi servigi. Lo stato
della di lui salute indebolito per cagione de' continui
studj , rendette necessario qualche rilasciamento , e
JSavagero accompagnò quindi il suo gran protettore
Alviano alla sua Accademia di Pordenone , dove egli
ebbe occasione di godere ancora una volta la society
(i) Tra queste furono le orazioni di Cicerone .^ componenti
tre volurni della edizione di Cicerone in 8. uscita dai torchi
Aldini nel iSig; ed il secondo volume della edizione delle
opere stesse di Cicerone^ stampale dai Giund in Venezia nel
iSS'i in quattro volumi in foglio , edizione data da Pietro
f^ittor'o sotto il titolo: '1 ToMUs secundus. M. T. orationes
s» HAiìET , AB Andrea jNadgerio, Patricio Veneto, Summo
?> LABORE AC INDUSTRIA I5( HlSPANIENSI. GalLICAQUE LEGATIONE,
» EXCUSSIS PERMULTIS BlBMOTHECiS , ET EMENDATIORES MOLTO
J> FACTAS , ET IN SUAM INTEGRITATEM AD ExEMPLAR CODICCM
» ANTIQUORUM LONGE COPIOSIUS RESTITUTAS. » A queSlO pOSSOnO
essere aggiunte le sue f^ariue lcction.es in omnia opera Ofidii^
stampate nella edizione Aldina del i5i6 in ire volumi , e di
bel nuovo nel i533. Queste lezioni trovansi ancora nelle altre
«dizioni derivate dall' Aldina.
^2) uild. Ep, ad JYaug. Pindari ed- yraef. Vcn. i5i3.
del suo amico Fracasioro (i), e clìeJe poco dopo
pubbliche lezioni. Jj alta reputazione , che egli avea
allora acquistata indusse il Senato a richiamarlo a
Venezia, ed a confidargli la cura della libreria del
cardinale Bessarione (2), e 1' incombenza di conti-
nuare la storia della Repubblica Veneta, dal punto,
al quale quell' opera era stata lasciata dal suo Maestro
Sabellico (3). Si vide tuttavia ben presto, che i lav-
(i) A.11' epoca della riconciliazione, che ebbe luogo ira Giu^
Ho II ^ e la Veiieia Re|ìubblica nel l5og ; e che fu la prima a
rompere la famosa lega di Cambrai ( sopra voi. TU. Cap. I^IJI.
p. 95 ); y^at^agaro indirizzò a quel Ponlence in termini di altissima
lode ima ej^loga latina , degna di menzione tanto pel suo me-
rito intrinseco, come per le particolari circostanze di t^ueir av-
venimento , alle (juali il componimento si riferisce.
(2) Questa collezione, che'può dirsi la fondazione della celobre
biblioteca di S. Marco , fu donata nell' anno i^fiS da Bessa-
rione ai Veneziani. Kita di Lorenzo de' Medici T. T. p 5}.
(3) A. quest' opera allude Navagero nei seguenti versi ve-
ramente Oraziani mdirizzati :
t> Ad Rembum.
» Qui modo ingentes animo parabam ,
w Bernhe , bellorum strepiuisqu« , et arma
» Scribere , hoc vis exiguo male audax ,
Carmine sèrpo ,
» Nempe Amor magnos violentus ausus ,
»> Fregit iratus ; velut hic Tonantcm,
»j Cogit, et fulmed trifidum rubenti
n Pottere dextra.
» Sic eat ; fors et sua laus sequetur ,
»» Caudidae vultus Lalnges canentem , et
n Purius olaro radiautis astro
n Froniis hoaores.
lenti di Navagero non erano limitati allo studio dell a
ielteratura , ma erano egualmente disposti per il ser-
vizio del suo' paese negli impieghi più difficili, ed
onorevoli dello stato. Nell'anno iSaS, dopo la bat-
taglia di Pavia , nella quale Francesco l fu fatto pri-
gioniero, fu egli spedito come ambaaciadore della Re-
pubblica all' Imperadore Carlo V in Ispagna, e ri-
mase quattro anni asserite dal suo paese. Poco dopo
il suo ritorno a Venezia (i) fu inviato ambasciadore
a Francesco I , il quale tenea la sua corte a Blois,
dove egli morì nel i529, trovandosi solamente nel
quarantesimo sesto anno della sua vita (2). Della
causa della morte di Navagero^ del suo carattere, e
delle sue cognizioni , siccome pure della sorte dei di
.lui scritti, Fracastoro ha introdotto un particolare
ragguaglio nel suo trattato de morhis contagio^is (3),
Nota Lesboae lyra blanda Sapphus <,
Wotus Alcaei Lycus , altiori
Scripserit quamvis animosum HomeriLi
» Pectine Achiilem. «>
(i) Su questo avvenimento egli avea cominciato una poesia
Ialina . che fu interrotta , e della quale rimangono solamente
i seguenti bei versi:
» Salve, cura Deum , mundi felicior ora,
ti Formosae J^eneris dulces salvale recessus i,
}} Ut vos post tantos animi , raentisque labores ,
)j Aspicio , lustioque lil)ens 1 Ut munere vestro ,
V SoUicitas loto depello e pectore curas 1
»? Non aliis chariies perfundunt candida lymphis
»> Corpoia ; non alios conlexunt serta per agros. »
(2) f'^ulpiiis in i'Ua Niiiig. p. 24.
(3) Fracastorii op. p. 87 , ed, ap. Juntas \5'^t\-
ì6j
Iscl quale mentre si raranienla un fatto medico as-
i3ai singolare, si fa mollo onore al carattere dì quei
due illustri scienziati. Dopo di aver notalo una spe-
cie di lebbre putrida, che si manifestò in Italia nel-
r anno i5o5, ed ancora nel i528, alla quale veni-
va io seguito una eruzione di pustole efflorescenti,
ifracastoro osserva, che molte persone , che aveano
lasciato l'Italia, ed erano andate a viaggiare in paesi,
dove questa febbre non era ancora conosciuta, erano
State dopo la loro partenza attaccate da quella, come
se avessero già dapprima ricevuto 1' infezione di quella
malattia. ,, Questo avvenne, die' egli, ad Andrea Na-
j, vagero , ambasci adore della Veneta Repubblica a
,, Francesco /, il quale mori di questa malattia in uà
„ paese , dove una tale calamità non era conosciuta
,, neppure per il nome; uomo di tale abilità, e dot-
,, trina, che da molli anni il mondo letterato noa
,, avea fatta lina cosi grande perdila , perchè noa
,, solo egli era istruito in ogni ramo delle utili scien-
,, ze, ma si era altresì altamente distinto nel servi-
,, zio del suo paese nelle occasioni più importanti.
,, In mezzo ai più emineuti pericoli della Rtpubbli-
,, ca, e quando tutta l' Europa era imbarazzata nelle
,, guerre, Navagero era appena tornato dalla sua am-
„ basciata all' imperadore Carlo f\ dal quale egli
„ era altamente slimato per le distinte sue virtù,
„ che fu mandato ambasciadore a Francesco I. Lo
„ stato degli affari non ammetteva dilazione. L' im-
,, peradore dovea giugnere in Italia nella state per"
j, rinnovare la guerra, ed al principio doli' aono
i68
3, Navageio parli colle poste per (piella fatale spetlf*
j, zione in Fi ancia. Poco dopo il suo arrito a Blols,
,, dopo avere avuto una piccola conferenza col Re,
3, egli fu sorpreso dalla malattia, che cagionò la sua
,, morte , avvenimento che arrecò il maggior do-
j, lore a tutti i letterati, alla nazione Francese, ed
,, al Re medesimo, il quale era uno zelante promo-
,, tore della letteratura, e diede ordini, perchè i suoi
j, funerali fossero celebrati con gran pompa. Il suo
,, 'orpo portalo a Venezia, come egli avea disposto,
,, l'u Sv'^pollo presso i suoi antenati. La stessa buona
,, fortuna, che avea contrassegnato le sue pubbliche
,, negoziazioni, non seguì ISavageio nei suoi dome-
,, stici affari. Non ostanti i suoi grandi talenti, e la
,, sua grande attività, egli era tanto occupato degli
,, affari dello stato , che poleva appena scarsa-
,, mente dedicare qualche porzione di tr^rapo ai suoi
,, studj. Il suo gusle corretto lo abilitava a giudi-
5, care con severità delle sue proprie produzioni , ed
j, essendosi egli formato Videa, che esse non fossero
j, sufficientemente rivedute, e limate per potersi pub-
,, blicare senza detrarre a quell' alta reputazione ^
,, che egli erasi formata tra i letterati di quasi tutte
,, le nazioni; ordinò, che gli scritti, che trovavansi
,, con lui, fossero dati alle fiamme. Tra quesli erano
,, i suoi libri de Venadone^ o sia della caccia , ele-
,, gantemente scritti in versi eroici ppr far piacere
,, a Bartolomeo d' Alviano, ed un' altr' oppra , che io
,, ho veduto, de Sila Orhìs, e senza parlare della
,, sua orazione in morte di Cattcrina regina di Ci-
169
,j prò, sorella del senatore Marco Cornaro^ e d' altri
,, componimenh, che sono stati allora d'struUi, noi
„ abbiamo suffioiente ragione di dolerci della perdita
,, di quella eccellente storia, che e^\ avea intrapresa
,, a richiesta del S.-nato, e che egli avea con grande
,, assiduità condotta dall' arrivo di Carlo Vili in
,, Italia fino ai suoi proprj tempi. Noi non possiamo
,, tuttavia per questo presumere di biasimare i' au-
,, lore, ma possiamo almeno riconoscere col poeta,
„ che :
„ Ducunt volentem fata, nolentem trahunt. "■
Guida il destin chi vuol; restio il tragga.
,, Le orazioni di Navagcro per la morte di Alviano
,, e del doge Loredana^ che si distinguono per tutte
,, le bellezze de! gusto antico, e poche poesie, che
,, furono privatamente trascritte dai suoi amici, e
,, che possono riguardarsi come spiche salvate dalla
,, mietitura fatta col funereo suo rogo, furono tutta-
j, "via pubblicate, e serviranno a mostrare a tutte le
,, future età l'alto ingegno, e la estesa letteratura
,, di Navagero (i). ,,
(i I ]iorhi romponimenU ai quali Fracastoro allude iu
questo luogo , furono insieme raccolli poco dopo la morte di
Novdgi-ro , e Stampati nell' anno 1*30 , premesso un breve
indirizzo Iraito per la maggior parte dalle parole stesse soprac-
citate di Fracastoro , dal che noi possiamo ragionevolmente
conghielturare , che egli procurasse questa edizione degli scritti
nel suo amico , ed assistesse alla sua pubblicazione. Questa
€dizi<iae . divenuta ora rara a trovarsi, h intitolata: »> Andreae
« r»lADGERII PaTRICH VemETI OrATiOXE3 DDAE CJlRMISAQCE
1^0
Quanto alla reputazione di Navagero si può osser-
vare con tutta verità, che i di lui scritti sono per-
fettamente liberi da quella arguzia dell' antitesi, che è
il sotterfugio comune dei talenti inferiori, ma che it
sublime ingegno sprezza con sentimento di indegna-
zione. Non soddisfatto tuttavia dell' esempio da esso
dato ai suoi nazionali nei suoi proprj scritti, egli
diede una prova convincente della sua avversione
per un gusto falso, ed affettalo, col consegnare ogni
anno alle fiamme un esemplare delle opere di Mar^
NON^DLtA. Ed al fine si legge Impressum Venetiis Amicorum
» CURA QUAM POTUIT TiiiKi di1jIgz:^t:zr^ praelo Joha/i. Tacuiiti.
M. D. XXX. mi. id. Man.
Le ricerche de' tempi successivi, e parlicolarmente 1' indu-i
stria dei letterali fratelli Ginan Antonio, e Gaetano Volpi y
ai quali noi siamo debitori di molte preziose edizioni delle
opere dei primi risiauraiori della leMeratura, giovarono a rac-
cogliere poche altre poesie di Nai>agero , le quali non erano
state dapprima pubblicate , e procurarono al pubblico una
compita edizione delle sue opere, intitolata: *» Andreae Nau-
it GERII , Patricii Veneti , oratoris et Poètae clarissimi
»5 OPERA OMMA, qnae quidcm ma^na adhibita dili'^entia col—
" tif^i pntxierunt. Curanlibiis lo. Antonio J. U. D. et Cujetana
ìì Vulpiis Bergotiiensibus Fratrihus. Patauii ^ x-^l^. Exciidcbat
» Josepkus Cominus , Vulpioiuin aere , et sitperioiwn per-=
J3 missu. ;j
Tra queste opere sono le osservazioni fatte da J\tai>agera
nei suoi viaggi di Spagna , e di Francia , le quali portano il
carattere medesimo dello stile correilo , ed elegante dei suoi
scritti latini ; e diverse delle sue lettere prefisse alle sue edi-
zioni degli antichi autori , una in particolare , che è diretta
a Leon X , e nella quale si esorta quel Pontefice ad intra-*
prendere la spedizione ooutra i Turchi.
»7»
lìaìe (i), che egli probabilmente considerava come il
corruttore principale di quella classica purità, che
distingtieva gli scrittori del secolo d" Augusto.
§ XI.
Marc Antonio Flaminio.
Il nome di Marc Antonio Flaminio non può te-
nersi molto disgiunto dai grandi nomi di Fracastoro,
e di Navagero non solo per ragione della molta si-
militudine degli sludj, e del gusto loro, ma per quella
ancora di una non interrotta amicizia, ed affezione,
che continuò fra quei distinti uomini, che la poste-
rità dove riguardare come padri delle umane lettere-
Il nome di famiglia di Flaminio era Zarrahini, sta-
to cangiato da suo padre Gioan Antonio in quel-
lo di Flaminio al suo ingresso nella società let-
' *■>■
(l) Giovio presso Tiraboschi storia della lett. Ilal. V. Vìi.
p. IH. p. 23o. A questo alludouo i seguenti versi di Giovan
Matteo Toscano :
ì> Hic Nau^erius ille , Martialis
j> Lascivi petulantiam perosus »
n Et Musas sine fine prurienles,
» Laeso cuucta quibus licent pudore ,
»> Nou jam virgiuil)us , sed impudicis,
'» — At castas voluit suas Camaenas
» Hic Naugerius esse , sicque amores,
» Cantare, ut teuerum colant pudorem,
55 Hunc ergo pueri , puellulaeque ,
" Crebri volvite , quippe Martiale
« Nec doclum ininu« j et magis pudicum. >•>
«72 _
teraria Ji Venezia. Gìoati Antonio era esli stesso uà
nomo ciotto di merito riconosciuto, e professò le
belle lettere in diverse scuole di Italia, ma benché
egli lasciasse saggi favorevoli de' suoi progressi tanto
in prosa quanto in verso (i), la di lui reputazione
fu quasi assorbita dallo splendore aggiunto al suo
nome dal di lui figlio, del di cui onori egli visse
abbastanza per essere luQgameiite testimonio Poco
prima delia fine del XV secolo Giovanni Antonio
avea lasciato la sua patria di Imola, ed avea fissato
la sua residenza a Serravalle, dove Marco Antonio
nacque nel 1.498 (2).
(i) f'^edi sopra uol. 111. Cap. IX. pag. i8'|. Duraali le guerre
venute in conseguenza «Iella lega di Cambrai, Gioaii Antonio
fu spogliato de' suo: doiuiuj , e cacciato dalla sua residenza
di Serravalle , ma fu risLoralo dalla liheralilà di Giulio IT ^ e
del Cardinale Rafaello Kiario. Egli lasciò moke opere tanto
in verso , quanto in prosa , alcune delle quali sono slate
stampate, e tra le quali sono rimarchevoli dodici libri di let-
tere, che spargono un lume grandissimo sullo stalo della let-
teratura in que' leuipi . e ci iulormauo particolarmente de"' ra-
pidi progressi dei di lui figlio.
(2) Si è supposto generalmente , che Manj' Antonio fosse
nativo d' Imola , ma Gian Agostino Grade/iigo Vescovo di
Ceneda ha mostrato chiararaenie , ch'egli era nato a Serra-
valle. Si ammette bensì . che suo padre Gioun Antonio fosse
nato ad Imola , per lo chfe tanto egli , quanto il di lui padre
vengono ilelti s<*venle Foroc< rnelienscs. La famiglia era ori-
ginaria di Colignola, dove risedea Lodovico Zarrihini , padre
di Gi^uanni Antonio. T.citra di Grudcn'go nella nuova rac-
colta d'' opuscoli T. XXIf^. Vcnei. '773 pug- t> Tirubé
f. VII. p. IH. p. 25G.
17^
Sotto la continua cura, e le istruzioni del padre,
le felici disposizioni, ed il docile ingegno del figlio
furono cosi prontamente, e così perfeiramente coIti-i
Yale, che quand'egli fu giunto all'età di 16 anni
suo padre delerminossi di mandarlo a Roma ad og-
getto di presentare al pontefice Leon X un poema
esortatorio a far la guerra contra i Turchi, ed un' o-
pera critica sotto il titolo Annotatioimm Siìvae (i).
In questa occasione Gioan Antonio indirizzò una let-
tera al Papa, ed altra al Cardinale Marco Cornaro^
(^i~^ 59 Primus autem illiiis (^ Marci Antonii ) a me discessus
il non ail finilam urbein aliquam, sed Romani:, necjue ad an—
J5 tistitem aliqufm gregarinm, sed lotìus terrarura orbis priu-
>5 cipem , et virum doctissimum , Leowf.m X. Pont. Max. ,
jj ut epislolam illi nostrain de suscipienda expeditione adversus
» Turcas , elego versu scriplam , et in hac ipsa url)e cuoi
»} aliis nostris improssam simililius script.is, et pul'licaiam,
ìi redderet ,• et simul amplissimo patri M. Cornelio Sane ae
n Mariae in Via Luta cardinali opii<;culiini Sylvanim nosfra-
» rum, et epigrammatum illi a me dcdicalum fraderet. 11 Joaii.
Aiit. Flu'ìt. Epiit. in. op- M . A. Flam. Jlp. Cmnìn. 1727 in
8. p. 29G. Dal che si potrebbe supporre che 1' opera intitolata
Aiìììntatinnmn Silt^ae fosse par(o del padre. Non avvi tnttavia
alcun duì>bio , che non sia siala attril)uita al figlio , come
appare da una letlera di Giouituii AiUnnio scrina al Cardi-
nale Cornaro , nella quale [)arla di quelP opera in tal modo:
» Misi hac de causa M. Antoiiium Flaminium, l'^ilium meuni ,
" qui el ipse Syli'aruin suitrwn libellos^non insulsum fortasse
»5 munusculum, ad ipsum Honiificem Maximum delulit. »> Ci
rimane ancora un esem[ilare di questa opera , ed è posseduto
dal letterato Abate Jacopo Morelli bibliotecario di S. Marco
a Veuczia.
^74
^al quale eli conserva col cardinale di Arragona Marce
Antonio fu introdotto dal Papa, il quale Io ricevette eoa
molla bontà , e con apparente soddisfazione prestò 1' o-
recchio ai componimenti, cKe egli lesse. Dopo avere ac-
cordato a Marc' Antonio distinte prove della sua libera-
lità, egli ricercò a suo padre, che gli permettesse di rima-
nere in Roma, dove egli stesso Io avrebbe provveduto
di convenevoli maestri; ma Gioan Antonio, die per
quanto sembra avea atteso alla istituzione morale non
meno che letteraria di suo figlio, probabilmente il cre-
dette troppo giovane per essere emancipato dalla guida
paterna, ed è certo, che in quella occasione Marc An-
tonio ngn fece più lunga residenza in Roma. Egli fece
tuttavia poco dopo un' altra visita al Pontefice, e fa
da esso ricevuto alla sua villa di Malliana. Leone
espresse quindi la somma compiacenza che egli avea
per la visita di quel giovanetto, e promise di ricor-
darsene al suo ritorno a Roma. la conseguenza poco
dopo il suo arrivo in questa città egli foce doman-
dare Marc Antonio, e lo ricompensò pei suoi talenti
straordinarj, e pel suo rapido avanzamento nelle let-
tere con quella liberalità, che egli avea sempre mo-
strata verso i letterati, indirizzandogli al tempo stesso
le parole del poeta ;
,, Macte nova virtute, puer; sic itur ad astra (i). "
(i) Joan. Anton. Fimi. Epist. in op. M. A. Fiorii, p. 297,
alla qual citazione il Papa aggiunse: n Vitleo enim te brevi
jj magnum libi nomen comparaturum , ac non genitori , et
3j generi tuo solum, sed et teli Italiae ornameaium futurum,«%
Jhiàem.
175
Il Pontefice era ancora bramoso di accertarsi se
l'eleganza del gusto sfoggiato da Flaminio era accom-
pagnata da una eguale solidità di giudizio, ed a que-
sto fine gli propose diverse quislioni, le quali egli
lungamente discusse col Pontefice medesimo in pre-
senza di alcuni Gai-dinali. Durante questa conferenza
Flaminio diede tali prove del suo huoa senso, e dellai
sua penetrazione, che sorprese, e dilettò ad un tem-
po coloro, che lo ascoltavano (i), in conseguenza di
che il Cardinale d' Arragona scrisse a Gioan Antonio
Flaminio una lettera di congratulazione (2). Sembra,
che il vecchio Flaminio avesse intenzione di far ri-
tornare il figlio ad Imola, ma le finezze, e gli onori
procurali a Marc Antonio in Roma indussero suo
padre a permettergli di rimanere in quella città, do-
ve per ordine del Papa egli approfittò qualche tem-
po della società, e delle istruzioni del celebre Ra-
Jaello Franciolini (3). Questa indulgenza per parte di
suo padre diede occasione a Flaminio di fare una
corsa a Napoli, dove contrasse conoscenza personale
Q)n Sannazaro^ che egli di già altamente O'iorava, e
pn" di cui cagione egli fu principalmente indotto ad
intraprendere quel viaggio (4)-
(V J'ian. Ant. Flam. Ep -^ Tirahoschì stor, della leti,
hai. T. rn. p. 111. p. aSg.
(a) Ibidem.
(3) Questo vien dimostralo appieno dalle lettere del vecchio
Flaminio citate da MazzucrJielli nella sua vita di Brandolini.
Scritinri d' Ita Ha V. VX. p. aotg.
^\) Tiraboschi T. FU. p. III. p. aSg,
276
Nel I ?Ì 1 5 Flaminio accompagnò ad Urbino il conte
Baldassare Castiglione^ e stette alquanti mesi in quella
città, dove fu tenuto in grandissima stima da quel
"valoroso gentiluomo per le sue amabili qualità, e per
le rare sue doti, ma principalmente pei suoi sorpren-
denti lalenli nella poesia latina (1). Non avea tutta-
(i) Nello stesso anno , mentre Marc' Antonio ivea appena
l'età di 18 anni, pubblicò egl a Fano il primo saggio de' suei
versi con poche poesie di Marnilo , che non erano state dap-
prima stampate sotto il seguenle iitolo:
» IVIiCHAELis Tarchamotae Marulu a^^ik.^, EjusdeìH epi-
)5 gramata nunquam oliìs imprrssa. M. Antohh Flamini!
jj Carmbmrn libeUus, Ejusdein IUcliga Thjrsis.
ed alla fine si lepge :
» Itnpressum Fani in aedibus Ilicronynd Sondili. Idibua
35 seplein. M. D. XV. 1»
Siccome questo piccolo volume stampato in 8. è estrema-
mente raro , non riuscirà discaro nn pariicoiare ragguaglio
del medesimo. Esso è indirizzato dall' editore Flaminio eoa
una l)reve dedica ad yéchille Filerote Bocchi. Le poesie di
Marnilo consislono nelle sue Neniae . o sia ne' suoi lamenti
per la perdila del suo paese, e le disgrazie della sua famiglia,
in una elegia sulla morte di Giovanni figlio di Pier Francesco
de' siedici ., in un'ode a Ca lo ^, ed altra ad Antonio Bai—
dracano con pochi epigrammi. Quesii componimenti non si
trovano ne nella prima edizione delle opere di Murullo stam-
pata in Firefnze nel i:'|f)7, né nelP ultima e<lizione di Cripio di
Parigi del i5Gi, e non possono vedersi se non in questo solo
volume. Le poesie di Flaminio sono dedicale a Lodovico
Speranza ., per le di cui isiauze sembra , che egli avesse scello
alcuni de' suoi componimenti per essere stani[)a:i. In questa
dedicatoria Flaminio esprime i suoi timori di essere accusato
di presunzione nel pretendere che '1 mondo legga i poemi di
nn giovane, giunto al diciottesimo anno dell' età sua. Di queste
\ia il di lui padre rinunziato alle sue premure, perchè
Terso il fine di quelT anno egli richiamò suo fij^lio da
Urbino, e mandollo a Bologna ad attendere allo studio
della filosofia, preparatoria alla sct-lta, che egli farebbe
della professione, che dovesse addotlare. Né da questo fu
trattenuto per le istanze di Beroaldo^ il quale per parte
di Sadoleto proponea di associare con esso Marc An-
tonio neir onorevole uffi io di Secxetario Pontificio. Il
rifiuto di un impiego cosi rispettabile, e cosi van-
poi'sie alcune sono siate stampai e sovente eoa molle varia—
aiuni nelle edizioni successive delle sue opere:, ma Irovansi \jì.
queste alcuQÌ componiuienii , che non si veggono nella edizione
di Mancurti stampata in Padova dal Cornhio nel 1727 che si
riguarda come la più compila, perlochè semlira probabile , che
questa prima publdicaziooe di alcune opero di Flaniinio non
fosse conosciuta dagli editori. E osservabile , che i versi in lode
digli scritti di Nai/agero nella edizione Cnniiniana p, jo.
'? Quot bruma creat albicans [>fuinas
'5 Quot tellus Zephiro soluta flores etc. »>
sono applicati nella prima edizione agli scritti del padre
dell' Autore Gioait Antonio Flaiinnìo , essendo trasposti al-
cuni versi , e teruainando la poesia in qnesto modo:
n Tot menses , bone Flamini , tot annos
»> Pereunes maneaiU lui libelli, n
Tra i comptìiiinie); i. che non sono stati risl.^mpati Irovangi
due odi indirizzate a Gutd't Postwiio , del quale si parlerà fra
poco, e questi mostrano i talenti precoci dell'Autore, non meno
che gli ali ri suoi seiicii. Il volume si chiude con un" egloga
diretta ad esprimere la grati .idine dell' Autore al conte Bai-
classare Castiglione per i l'avori da esso ricevuti in Urbin».
Questi scriiii colle dediche, o lettere introduttorie , dalle
quali sono accompagnate , getiano un lume considerabile sui
primi periodi della viia , e degli siudj del loro Autore, e me-
ritano di essere generalmonle conosci ui.
JiEONfi X. Tvin. f 11. 12
178
taggloso per un giovane al momfìnto, clie egli entrava
nel mondo, dee parere singolare, e può indurre qual-
che sospetto, che o il padre, o il "figlio non appro—
Tasserò- la morale, e le pratiche dtlia Romana Corte,
o non fossero pienamente soddisfatti della condotta
elei Pontefice; sospetto, che sembra in qualche parte
confermato dal vedere, che Marc' Antonio in tutte le
sue opere poetiche non ha introdotto giammai le lodi,
e neppure il nome di Leon X. Sia come si voglia,
egli è certo che dopo la sua residenza in Bologna,
Flaminio tornò di nuovo in Roma, e legossl intima-
mente con quegli uomini illustri, che rendevano quel-
la città il centro della letteratura, e del' buon gu-
sto (1). Senza applicarsi ad alcuna professione lucra-
tiva , egli si attaccò per alcuni anni al Cardinale
de Sauli, che accompagnò in un viaggio a Genova ,
e con esso fu a parte della società di diversi uomini
dotti, che formavano una specie di accademia nella
sua villa. Dopo la morte del Cardinale, Flaminio
passò a risedere col prelato Gian Matteo Ghihertì^
lanlo a Padova, quanto alla sua sede vescovile di
Verona, dov' egli guadagnò T amicizia di Fracastoro^
e di JSavagero; amicizia del genere più disinteressalo
ed affettuoso, siccome appare da diversi passi de loro
scritti.
Verso il fine dell'anno i538 Flaminio recossl an-
cora a Napoli , indotto da una lunga, e pericolosa
(1) Tirahoschi ^ sLon'a della lett. Ilal. Tom. VII, par. Ili,
'pag. 260.
«79
malattia, e vi rimase circa tre anni, nei quali col
riposo dagli studj, e coli' alternativo godimento della
città, e della campagna ricuperò la sua prima sa-
lute (i). Mentre egli era a Napoli fu impegnalo a
spguire il Cardinal Contareno al congresso tenuto a
Worms nel i54o; ma le infermità sue non gli per-
misero d' intraprendere quel viaggio (2). Lasciando
Napoli egli recossi a Viterbo, dove il cardinale 7?e-
ginaldo Polo risedè» come pontifìcio legato , e dova
Flaminio visse nella più intima amicizia con quel
Prelato, che grandemente si distingueva col liberale
suo patrocinio verso i letterati di quel tempo. Egli
accompagnò altresì quel Cardinale al Concilio di
Trento, nel quale il Cardinale era destinato a pre-
sedere come uno dei legati pontificj. Colà fu offerto
a Flaminio V importante ufticio di Secretarlo del Con-
cilio, dal quale si scusò, e da questo, siccome pure
(i) A questo viaggio, durante il quale Flaminio fu onoralo
con molti favori dalla nobil'à „ e dai letterati di Napoli , egli
allude con compiaceuisa in molti de' suoi scritti , e particolar-
mente nella sua beila elegia. Cairn, lib. II. Car. FU. »> Pau-
silypi colles , et candida Mergellina , >j e nei suoi versi di-
retti a Francesco Caserti lib. VI. Carni. XX.
)> — Quid ? isla vestra
j> Tarn felicia , tara venusta rura ,
>5 Quem non alliciant suo lepore ?
95 Adde quod mihi reddidcre viiam ,
'J Cam vis tabifica , iutimis nieduUis
n Serpens lurida membra devoraret. n
(2) Tiraboschi , stpria della leti. Ital. Tom. FU. p. JU
p. 265.
i8o
da altri traiti tlella eli lui condotta, e dal tenore di
alcuni de' di lui scritti, nacquero de' sospetti, die
egli inclinasse alle opinioni de' riformatori. Questa
imputazione ha cagionato grandissime quistioni tra
gli scrittori pontifici, e protestanti, le quali al fine
non provarono se non 1' ardente desiderio mostrato
da ambedue le parti contendenti di annoverare tra i
loro aderenti un uomo di merito così distinto, la di
cui pietà, e la di cui virtù non erano men chiare
dei suoi talenti (i). Egli è certo, che niurio a quel
(i) ScheUiornio ha scritto espressamente su questo soggetto,
e piil)blicato nelle Amocnitales Hist. Eccles. voi. II. una dis-
sertazione, alla quale Tiraboschi lia pienamente risposto nella
sua storia della letteratura Italiana J^ol. VII. p. III. p. 263.
Da questa appare , elio l' opinione della eterodossia di Fla-
minio avea molto guadagnato . cosicché i di Ini scritti furono
per qualche tempo inseriti nelP indice espurgatorio di Roma,
dal di cui Pontefice Paolo IV ( Caraffa)., inclinato alla bac-
(^heitoneria , si dice che si volesse far dissotterrare il corpo
deir autore per darlo alle fiamme. Tiraboschi ha intrapreso
di confutare quest' ultima asserzione col rilerire i tratti di
amicizia , che erano passati Ira quel Poulelice ancora Cardi-
nale , e Flaminio 5 ma se '1 Papa avesse potuto contaminare
la memoria di Flaminio con quella orribile imputazione, dalla
quale veniva attaccato nella generale opinione , sembra non
improbabile, che egli volesse altresì mostrare il suo riseni imcnto
contro le inanimate sue reliquie. Quanto al fatto medesimo
Tiraboschi ammette pienamente, che Flaminio 3i{\oll2ile. avesse,
le opinioni dei rifoimaiori , e quesio per un motivo , che fa
il maggior oiioie al suo carattere: " (^he egli si mostrasse per
n qiiaiclie iiinpo propenso alle opinioni de'JNovatori non può
»> negarsi. E forse la stessa pietà del Flaminio 3 e 1' auster«
i8c
tempo condì lossl in così alto grado il rispetto, e
r affezione di tutti quelli che capaci erano di ap-
prezzare il vero merito, e la sincerità della loro sti-
» e innocente \ita , che ei condiicevà^ Io trasse suo malgrado
n in qiie' lacci ; perciocché essendo la riforma degli abusi e
»> r emendazione de' costumi il preteslo dì cui Taleansi gli
»j Eretici per muovere guerra alla Chiesa , non è maraviglia ,
» che alcuni uomini pii , si lasciassero da tali argoménti se-
»» durre. »5 Lo stesso Autore intraprende tuttavia di mostrare
poco dopo , che Flaminio era di nuovo tornalo alla vera fede
per le esortazioni del suo amico Cardinale Polo , nella di cui
casa egli mori da buon cattolico , e^ che quindi vaniossi di
aver renduto un gran servigio non solamente a Flaminio ,
ma alla Chiesa Romana nel dislaccarlo dalla causa de' rifor-
matori. Tiraboschi loc, cit. Non si vede ben chiaro per quali
avgomenii questo fatto sia provalo ,• n>a il dolce spirito di
Flaminio ditifìcilmente irritabile , non era certamente fatto per
resistere alle rimostranze de' suoi amici , e molto meno per
disporlo a sostenere i patimenti di un martire. Io osserverò
solo , che i versi di Flaminio intitolati de Hieroìiymo Sa-
ponarolu nella edizione Comiuiana p. 72 (e che noi abbiamo
altrove riferiti ) sono più probabilmente diretti per l'applica-
zione a Girolamo di Praga , il quale fu realmente bruciato
vivo per ordine del Concilio di Costanza , mentre il solo corpo
estinto di Savonarola fu consumato dalle fiamme.
n Dum fera fiamma tuos , Hieronymc , pascitur arlus ;
n fteligio , sancia» dilaniala comas ,
« Flevit,, et o , dixit , crudeles parcile flammae ,
)? Parcile ; sunt islo viscera nostra rogo, n
( Non è importuno di osscrt^are , che il solo abbniciamenlo
del corpo di Savonarola potea dare sufficiente motivo al poetii
per esprimere il concetto , che forma l' argomento di qucsln
epigramma, senza andar a cercare una lontana appficaziond
a. Girolamo da Praga , non appoggiata ad alcun ragionevole
1*2
ma viene sovente spiep;ala in alti amichevoli, clie o-
norano egualmente queir uomo grande come i di lui
protellori. Gli importanti benefizi ad esso conferiti
dal Cardinale Alcssaiuìro Farnese^ il quale lo ristabilì
neir eredità paterna, di cui era stato privato Ingiu-
stamente, sono menzionali con riconoscenza in molte
parli delle sue opere. Il Cardinale Ridolfo Pio ac-
crebbe ancora le sue rendite, ed egli ottenne eguali
con trassegni di bontà dai cardinali Sforza ed Accolti.
§ XII.
Opere di Flaminio. — Poeti contemporanei.
La morte di Flaminio avvenuta In Roma nel i55®
cagionò un vero dolore a tutti gli amici della lette-
ratura. Delle numerose testimonianze di affetto, di
rispetto, di ammirazione, e di dolore, che i dotti
d' Italia mostrarono in quella occasione, molte sono
slate raccolte dagli editori delle sue opere, ed a que-
ste molte altre polrebbono aggiugnersi tratte dagli
scritti dei di lui contemporanei. Ma rimangono le di
lui opere, e da queste sole la posterità può ricavare
un imparziale giudizio del di lui merito. La maggior
parte di queste sono raccolte in otto volumi di poe-
jiioti\'o. Da altra parie il poco attaccamento mostrato da Fla-
minio per la corte Papale , e per Leon X. rende mollo più
prohabìli: , chd l' epigramma suddetto applicar si debita a Sa-
vonarola, siccome nemico de"' Medici),
t83
sìe litirte, e consistono in odi , egloglie, inni, ele-
2;if, ed epistole ai suoi amici. Sembro, che egli non
abbia avuto ì ambizione di tentare alcuna opera di
lun^Ke/za considerabile; eppure se noi doldjiamo giù-'
dicare dal vigore, col quale sostiene sovenle il suo
stile, egli potea sicuramente accingersi ad un' opera
di lunga carriera. Egli è diffLiile il determinare ia
qual genere di poesia egli siasi magg'ormenle distinto.
McUe sue odi egli si è investito del vero spinto
Oraziano. Le sue elegie, tra le quali quella princi-
palmente sulla propria infermità, e quella sul suo
viaggio a Napoli sono di una straordinaria b llezza,
possono collocarsi colle jiiù belle che ci rimangono
di TihuUo; ma se una preferenza deve darsi ad al*
cuno de suoi scritti, questa si debbe ai suoi cnde-
cassìllabi, e giamhi, nei quali egli spiega una natura-
lezza, ed un sentimento, che scoprir sembra il ve-
ro carattere della sua mente. In questi componi*
menti non freddi e meditati, ma scritti con ca-
lore, e colla effusione del cuore, noi possiamo rico-
noscere quell' affetto |^ei suoi amici, quella gratitu-
dine pei suol benefattori, quella ohWigante tenerezza
di sentimento, che unita ad una viva naturalezza, ed
esposta colla masiiiore grazia ed eleganza, » i o^uada-
guò r amore, e l ammirazione di lutti i suoi con-
temporanei, o non mancherà di conciliare una stima
sincera alla di lui memoria in tutti quelli, che go-
dranno il piacere di leggere le di lui opere.
Tra gli amici particolari di Fracastoro , ISa^'nf^cro
^ Flaminio , molti dei quali contribuix'oao coi loro
i84
proprj compon imputi aJ aggingnere nuoTO splendor^
alla letteratura di quel tempo , possono annorerarsi
i tre fratelli Capillizi ,' Lelio , Ippolito e Camillo di
Mantova, i quali lutti si distinsero coi loro talenti
per la poes^ia latina , non meno che pei loro Yarj
talenti in altri generi di dottrina (i) (a) ; Trifone
Beinìo ili Jssisi , poeta Italiano , il quale colla e-
leganza de' suoi scritti , e colla fdosofica fermezza
della sua mente compensò lo svantaggio dèi suoi
difetti corporali {9.) ; achille Bocchi detto i'Herote ,
profondamente istruito nel Greco e nell'Ebraico,
Tl^ Le opere loro Furono rac<3oUe , e pubblicate nel iS'jO.
Molle di e?se souo pure inserite nei Carniìna illustrìian poet.
ìial. Voi III. Flaminio ha indirizzato ad essi alcuni versi
jicr accompagnare varie delle sue poesie;^ ed in que' versi li
^|iialiGta: Pratres optiini, et optimi po:tae. Fiam. Carm. 53.
(a II celebre Abate Andrcs. morto bibliolecario a Napoli ,
ebbe la compiacenza di mostrarmi in Manlova ^ dove sog-
giornò lungo tempo, alcuni bellissimi manoscritti di Autori
classici ialini del XIV, e XV secolo, che appartenevano ad
una nobile famiglia di rpiella ciltà , e clie erauo stali racco>lli
da Lelio Cap'lupi. Io ho pure veduo in ranella occasione al-
«i.ine memorie originali di quell' illus'.re lettera'o.
(2) Mazzucchelli scrìttoli d' Tt. T. II. p II. p. 900. —
Tirahoschi T. KII. parte TU. p. 19J. Flimiido^ mettendo in
contrasto la personale deformi a del suo amico Benzio colle
doli sul)limi della <li lui mente , gli diresse la segiienit?
apostrofe :
il O dentatior et lapis et apris ,
jv Et seìosior lurco olente, et idem
!? Tamen deliciae novem dearum
•5 Quae gilvam Aoniam coluuf , etc. »
Carni, Uh. K. carni. So
i85
e ben conosciuto pel suo elegante libro de' simboli
0 emblemi (i), e per altre poesie; Gabriello Faerno ^
le di cui favole latine sono scritte con tale classica
purità, che si dubitò perfino, che egli avesse scoperto ,
e destramente fatto uso di alcune opere inedile di
Fedro (2) ; Onorato Fascitelli (3) , e Basilio Zanchi (4) ,
due poeti latini, i di cui scritti sono meritamente
(i) Stampati dapprima iii Bologna nel i555 , e di nuovo
nel i5^^. Le figure di quesl' opera sono disegnale , ed incise
dal celebre artista Giulio Bonasone. Vario è il loro merito ,
ma molte sono assai belle , del che si rende ragioue in un
passo di Malvasia nella Felsina pittrice T. II. p. 72, dove
si legge che Bonasone frequentemente ricopiava le sue idee
da Michelangelo , e da Alberto Durerò , e che egli si pro-
curava disegni dal Parmegiano , e da Prospero Fontana ,
1' ultimo dei quali era iulimo amico di Bocchi. Secondo que-
sta informazione non riesce difficile 1' attribuire i disegui ai
respeitivi loro Autori. Nella seconda edizione i rami furono
ritoccati da Agostino Carocci, il quale incise altresì il primo
em!)leraa sopra un suo disegno , ria non ostante il gran me-
rito di questo artista , si preferisce sempre la prima edizione
di. quest'opera rarissima Le poesie indirizzale da Ftaninio
a Bocchi possono vedersi lib. I. Carni 3j, /jS , lib. IT.
Carm. ^.
(2) Ti rabeschi stor. della lett. T. Vi\ p. III. p. "ì^Cj.
( Tanto si avvicinano per la purità dello stilli le favole de
Gabriele Faerno a quelle di Fed o , eh" ''n molte edizioni, si
nono poste a fronte del flassico latino. -^ Le scoperte chf sé
son fatte recemer/iente di alcune favole in d te di Fedros pos'
sono servire a distruggere almeno in parte il sospetto di pia"
gto . che era caduto sopra Faerno).
(3) iNativo di Isernia „ e Vescovo di Isola. Molte sue poesie
sono unite a, quelle di Suunazaro nella ediiione del Cornino
i86
collocali Ira Je migliori produzioni di quel tempo ;
Beneiletto Lampiidio non meno slimato pei servigi
rendati alla causa della letteratura come eccellente
maestro , che per le sue poesie latine , nelle quali è
consideralo come il primo clie con qualche successo
emulasse i voli di Pindaro (i) ; Adamo Fiimani del
quaie rimangono molti componimenti in greco , in la-
tino ed in italiano, e il di cui poema sulle regole-
delia logica in cinque canti vien menzionato da Ti-
rahoschi con grandissima lode (2) ; ed i tre fratelli
Ternani , i quali benché non celebri pei loro proprj
scritti , furono promotori grandissimi della lettera-
tura , e legati in intima amicizia colla maggior parte
dei letterati di quella età (3).
Farebbe torto al carattere dei celebri letterati sum-
in Padova i^Si. Egli è dello da Brokhit^io j> Po€U purus
ac niiidus , '» elogio non superiore ai suoi meriti.
(?j) Nativo di Bergamo , e residente in Roma durante il
Pon'ificaio di Leon X. Le di lui poesie furono pubblicale a
Bergamo nel 1747 colla vita dell'Autore scritta dall' Abate
óerussi. Molte di esse sono pure inserite nei Carniina itlust.
poet. ha!., e possono sostenere il confronto colle ]iiù belle
produzioni di quei tempi. Tirahoschi storia della lelt. Iial.
T. VII. p. UT. /7. 22',.
(i) Jdern Jhid. p. 22 1.
(2) Questo poema ed altre opere di fumano sono stampale
con quelle del Fracasloio nella seconda edizione fatta da
Contino in due volumi in '\. Padova 1739.
(3) Fracast. Dialo^ cui tic. Turrlui sina de. intellectione
ili opp. p. i-xx.FA. Giutìtt i'Ì7i. Ejusd. Carni. II, III. Vili.
XIV. XV. XVI. XVir. in opp. Tom. I. Navageri ueris
dfiscripCio. in op. ed. Cornin. p. 199. Flamiiiii Carrn. passim.
i8t
mentoTali , e particolarmente di Fracastoro , di Flami-
nio , di Navagero e di Vida, il cliiudere questo breve
rafrtruaorlio senza accennare alcune circostanze die ad
essi tutti sono applicabili , e che servono ad onorare
e ran demonte la loro memoria. Benché essi consacras-
sero i loro talenti al coltivaniento di uno stesso ra-
mo di letteratura , erano tuttavia così lontani dal-
l'essere attaccali in alcun grado da quella invidia,
che infettò così sovente i letterali, e porloUi a ri-
guardare le produzioni dei loro contemporanei eoa
occhio appassionato ; che essi non solamente passa-
rono la vita loro nella più stretta amicizia , ma am-
mirarono, ed esaltarono a vicenda l' un l'altro le
loro produzioni letterarie con quella cordiale since-
rità , che provava al tempo stesso il retto loro giu-
dizio , e la liberalità della loro mente. Né essi erano
maggiormente disposti a sentire intimamente questa
ammirazione, di quello che il fossero ad esprimerla,
giacché le opere loro abbondano di passi diretti a
rammemorare la loro amicizia, ed a commendare vi-
cendevolmente i loro talenti ed i loro scritti. Questo
esempio si estese ai loro contemporanei , e raddolcì ,
e migliorò il carattere del secolo, cosicché i letterati
del tempo di Leon X erano non tanto superiori a
quelli del secolo XV nei progressi fatti negli sludj
liberali , di quello che il fossero nella urbanità delle
loro maniere, nel candore del loro giudizio, e nel
desiderio generoso di promovere l' vm Y allro la loro
letteraria reputazione. E' quindi degno d'osservazio-
ne j che quegli autori non tinsero le penne loro nel-
Y inclìioslro della satira, ne degradarono il loro in-
gegno col combinare i loro sforzi con quelli della
malignila, della gelosìa, dell' arroganza, o del ran-
core. Non limitando i loro talenti ne' ristretti cliioslrii
della letteraria indolenza , essi ottennero colla loro
condotta nella pubblica vita la stitua e ?j confidenza
dei loro c(Wicittadini, mentre le ore del loro ozio
erano dedicale al coltivamento delle più severe dot-
trine , e ravvivate da quelle poetiche produzioni , alle
quali essi debbono la maggior parte della loro fama.
Il merito Intrinseco , e la purità classica de' loro
scritti si rendono ancora più stimabili per la stretta
osservanza della decenza e della morale aggiustatez-
za, che essi costanlemenfe mantengono, la quale ag-
giunta al merito di quella facilità e naturalezza colla
quale sono stesi, può giustamente dar loro una pre-
ferenza sopra le reliquie di molti antichi autori, per
ciò massime che riguarda il promovere l' educazione
della gioventù.
§ XIII.
Poesìa latina coltivata in Roma. — ■ Guido Postumo
Silvestri.
Non si coltivava tuttavia in alcuna parie con mag-
giore assiduità che in Roma , la poesia latina , giac-
ché a quella città riduceansi per la maggior parte gli
uomini più dotti di tutta l'Europa, e molli vi fissa-
Tano la loro slabile direvora. Tra quelli che sembra-
i89
no aver goduto al maggior grado il favore e la con-
fidenza del Sommo Pontefice , noi possiamo distin-
guere particolarmente Guido Postumo Silvestri di Pe-
saro , nato in questa città di una nobile e ragguar-
devole famiglia nell' anno i479 (j)- Essendo il di
lui padre Guido Silvestri mancato prima del suo na-
sciinento, la madre gli impose il nome medesimo col-
r aggiunta di quello di Postumo. La prima di lui e-
ducazione fu diretta da Gian Francesco Superchio ,
proposto della cattedrale di Pesaro , meglio conosciuto
sotto il nome di Fdomuso (2), e da Gabriele Foschi y
eletto poco dopo da Giulio II arcivescovo di Duraz-
/o [S). lìgli quindi passò all' università di Padova ,
dove avendo continuato per due anni i suoi studj
sposò nella fresca età di diciannov' anni una dama ,
della quale era fortemente innamorato , e che egli
(e) Le ciicoslanze particolari della sua vita sono state rac-
«^olle dal Cav. Domenico Bonutniui sotto il titolo di Memorie
IsTORicnE di Guido PosUimo Sih>estre Pesarese.^ e pubblicate
nella IVuof'a Raccolta d' Opuscoli Tom, XX. Venezia 1770.
A quesl' opera , ed agli scritti di Postumo io sono debitore
principalmente delle notizie sue riferite in questo libro.
{■>.) Autore dei versi di congratulazione diretti a Leon X
sulla sua elevazione al grado di Cardinale , e poco dopo sul
suo avvenimento al Pontificato, f^ot. I. cap, I. png. 5o Voi.
JV. Clip. X. pug. 10 di questa edizione.
<3) A questo che fu uno de' suoi primi precettori. Postumo
imlirizzò la sua affettuosa , e patetica elegia , intitolata » ad
Fiiscutn F.piscopum Comadensem jj. Eleg. TAh. I. p. io, nella
quale egli riconosce la sua bontà , e si lagna delle sue proprio
disgrazie , e del s\io imprigionamento.
celebrò frequentemente ne suol scritti sotto il nome
di Fannia (i). La morte di questa amata consorte,
accaduta nel breve termine di tre anni dopo il ma-
trimonio, mentre gli cagionò un sincero dolore , gli
fornì un nuovo argomento di esercitare i suoi talenti
poetici (2). Egli lasciò allora la città di Padova , e
s'impegnò nel servizio di Giovanni Sforza Signore di
Pesaro , alla di cui salvezza si interessò con calore
allorché quel principe fu attaccato da Cesare Borgia.
In questa occasione Postumo espresse il suo risenti-
nienlo contro la famiglia Borgia in alcuni versi pieni
di sarcasmi, in conseguenza di che fu egli poco dopo
privato de' suoi possedimenti , e dovette ascrivere a
buona sorte di aver salvata la vita dagli effetti del
loro sdegno fS). Espulso della patria egli rifugiossi
a Modena , dove fu scelto a precettore dei nobili
(i) Elegia lib. lì. p. 46. 47. 53. etc.
(2) ^d illusirem Coiniteni Haìinibcdem Rangon. Prorempti—
con Eleg. lib. I. png. l.'\.
(3) L degno ti' osservazione, che in una delle poesie di Po-
stumo , direna ad eccitare i cittadini di Pesaro a resistere
alle armi di Borgia , 1' Autore riferisce non solo i' assassinio
del Duca di Gandia commesso da Cesare Borgia , ed il sup-
posto incestuoso commercio di cpella famiglia , ma altre ac-
cuse ancora, alle «juali, per quanto io sappia, non si è esteso
alcun altro scrittore, e le quali sono sufficientemenLe confutate
dalla loro propria enormità.
« Pellite vi vires , ferrumqne arccssite ferro »
>j Iu<|iie feros enses ohvius ensis eat.
■» Aspera dux vobis indivil praelia , cuju»
o Fraieiua poluit caede madere manus.
'9»
giovani clella fanfifgHa Rangone , figlj eli Bianca sorella
tli Giovanni Bentivoglio di Bologna , e mediante la
di lei raccomandazioQe fu nominalo altro de profes-
sori di quella celebre università, dalla quale tuttavia
fu poco dopo espulso , in conseguenza delle dissen-
zioni insorte tra la famiglia _BentÌA'oglio ed il Ponte-
fice Giulio il (2). Avendo egli preso una parte at-
tiva nelle guerre , che desolarono 1' Italia , e nel-
le quali si acquistò fama coi suoi talenti militari ,
nell'anno i5io, mentre comandava, un corpo di
Bolognesi al servizio de' Bentivogli , fu fatto prigio-
niero dalle truppe papali , e tenuto da Giulio II
sotto una stretta custodia. Siccome Postwho era stato
lungamente il nemico dichiarato della Sede Romana,
ed aveva ne' suoi scritti censurato il carattere di quel
Pontefice, conobbe egli stesso, che in quella occa-
sione trovavasl in grandissimo pericolo, ed intraprese
di calmare lo sdegno del Papa con una supplice ele-
gia , che ancor ci rimane , e che probabilmente con-
seguire gli fece la sua libertà (3).
95 Sede sub hac non est maLri sua filia pnllex ,
>7 Concubuitque suo noxia Mynlia patri.
5j Hic uefjue prò nato victurum in secula torrem
>5 Tcstiadera Uammis imposuisse feruiit ;;
>5 Solve Tyliesleae fugit-ns fera pocula mensae ,
» Pone dora'im celeres ire coegi' equos.
n Monstra niirus nos'rae non progenuere , tuliiqiie
n De bove semiviruin , de cane nulla canom. »>
Eleg. lib. Il', pug. 35.
(i) Bonamìiiì ^ JMzmor. di Guido Postumo p^g- )3.
(2) Ad Julium S cuiiduin Pont, ut su'ijectis j et victLs parcni
hostibus. Eieg, Lib, I. pag. i5.
Dopo queir epoca la -vita di Postumo fu in appa-
renza più tranquilla. Avendo egli alleso parlicolar-
mente alla medicina nel corso de' suoi sludj , fu nel
j5io eletto dal Duca di Ferrara professore di fdo-
sofia e medicina nell'università di Ferrara, dove ri-
mase circa sei anni (i). Kgli abbandonò quel posto
probabilmente ad oggetto di soprintendere alla edu-
cazione di Guulobaldo , figlio di Francesco Maria Duca
di Urbino ; come sembra pure , che essendo slato
quel territorio attaccalo da Leon X, Postumo fosso
mandalo col suo giovane allievo nella fortezza di
S. Leo , come in luogo di piena sicurezza. Si sup-
pone che Postumo avesse il comando di quella for-
tezza, allorché fu presa nel i5i7 cogli sforzi riuniti
delle truppe Pontificie e Fiorentine ; ma la cosa non
è abbastanza evidente per potersi riferire con fran-
chezza (2). Egli è tuttavia probabile che colà fosse
fatto prigioniero, dacché noi troviamo, ch'egli era
(1) Bo i tamil li ^ memorie isteriche p^g- •7>
(^2} Bonamini ha appoggiato quesla opinione ai seguenti
■versi di Postumo nel suo Epicedium sulla morte di sua madre:
)5 Crediius hoc cura ipso est saxo mibi regius infans
»> Guidus luHades , qui quamquam mitis , et ore
»> Bldndns , ut ex vultu possis cognoscere matrem ,
" Patremanimis taraen,et primis patruum exprimit aqnis. n
Ma questo è contr^deìto dalla evidenza della storia di Leoni^
il quale ci informa , che la diiesa della fortezza era confidala
a Sigismondo fiorano ^ il quale per cagione della sua gio-
ventù età assistito da Bernardino Ubaldino , e Hauìsta da
Venafro. Leoni^ V^ita di Frane. Maria Duca d'' Urbino. L. Il,
p. l83 , e sopra voi. FI. cap, ij §. IV. tX. X,
»93
In Roma in quell' anno medesimo ; ma in qualunque
carattere \ì facesse la sua prima comparsa, è certo
che da Leon X fu trattato con- particolare riguardo
e bontà , che egli studiossi di ricompensare , le lodi
rammentando di quel Pontefice in molte parti de' suoi
scritti (i). Tra le poesie in lode del medesimo me-
rita particolare notizia V elegia , nella quale egli pa-
ragona la felicità goduta sotto il Pontificato di Leon X
col calamitoso stato d Italia sotto i di lui predeces-
sori Alessandro VI e Giulio 11 (2). Dalla generosità
di Leon X Postumo fu abilitato a ristabilire il sog-
giorno della sua famiglia in Pesaro coli' antico suo
splendore , la quale circostanza egli non ha tralascialo
di rammemorare ne'. suoi scritti (3). Nel divertimento
della caccia , alla quale Leone prendea parte con tanto
ardore , Postumo era sovente il di lui compagno , ed
uno dei più eleganti componimenti di questo autore
è dedicato alla ricordanza dei varj incidenti , che ac-
compagnarono una escursione fatta dal Pontefice alla
sua villa di Palo ad oggetto di godere quel diverti-
mento , nella quale occasione trovavansi seco lui tutti
(1) >j Guido Posthumiis , Pisaurensis , lepido, et comi , ar-
n gutofjue iiigenio poeta , quiina elegias , et variis niitnerìs
» carmina factitaret , in aula Leonis conspicuus fuit. Paiebat
" enim ea liberaliter , meritlianis praesei tim hoiis , quum ci-
" iharaedi cessarent , his oauiibus , qui «ruditac suavitalis
» oblectamenta ad cieudam bilarilatem iutulissent. Jov. Elo-
>5 già LXIX.
('-*) Questa trovasi già inserita neW j4i>pendice JV. LXXtl.
(3) Appendice N. CLXFIIL
Leonb X. Tom. FU. i3
«94
gli ambasciadori e ministri esteri, e varj prelati e
nobili della sua corte (i). La tranquiUità e la felicità
che Postumo allora godeva , era sovente interrotta
dal debole stato della di lui salute , da alcuno dei
di lui contemporanei attribuito ai sontuosi banchetti ,
ai quali interveniva nel palazzo pontificio (:j), da al-
tri alle militari fatiche da esso sostenute con una
fjoraplesslone naturalmente debole (3). Sperando di
trarre qualche profitto dal cangiamento dell'aria, ri-
tlrossi egli alla deliziosa villa di Capranica in com-
pagnia del suo primo allievo il Cardinale Ercole
Eangone , d'onde indirizzò a Lson X una elegia, che
per quanto si congettura, fu l'ultima delle sue pro-
duzioni (4), giacché egli morì ia quel luogo poco
prima del Pontefice nell'anno iSai (5).
Diverse furono le opinioni intorno agli scritti à{
Postumo. Non può veramente asserirsi, che nierltjno
di essere collocati in egual grado colle produzioni
(i) Appendice J\. CI XIX.
('2) " Pracstal nounihii in Elegiis Cuidus Postumus Pisan-
w rensis , ausus ille at;gredi phalaeucios , et heroicos , parum
»> ulrura |ue recle; sapieiiliae, eL mediciaae studia amjdexatus,
»> nihilo plus quam in poetica profecit , seculus con^ivia , et
»» Kegum convictus , unje infirmam alqiic aegram valetu—
» dinem conliaxit. i> Gjrald. de poeùs suoru/n temporum j
Opp. Voi. IL p. 538.
(3) Bouainini ^ Alcmor. Istorichc ^ pag. 22.
(4) appendice xV. CLXX.
(5) ld)aldco ouoiò la Memoria di Poslumo col segueO-e
^piiafjo:
più eleganti cti Fraca storo ^ tli Vi^a e di Flaminio ^
ma essi presentano sovente p^ssi »li un merito rag-
guardevole, e meritano in questa occasione una men-
» Pos'humus hic situs est ; ne tlictutn hoc nomine credas
M In lucem extiuclo quod paire prodierit ;
» Morlales neqne enitn tales geiiuere pareulcs ,
•> Calliopeia fuit maler , Apollo pater. »
Joi>. Elog. LXTX.
Poco dopo la morte di Postumo^ i suoi scritti furono ad
istanza del Cardinale Rangm/e racco) li dal suo discepolo Lo-
dnuico Sìdernslrtmo ^ e pubblicali a Bologna nel 024 con una
dedica dell' editore a Pirro Qonzuga , protonotario della Ro^
mana Sede. La rarità esirema di queslo volume, di poche copie
del quale si conosce l'esisienxa, hanno dato luogo a qualche
congettura . che V edizione fosse soppressa per opera di alcune
<ii quelle ptrsone potenti ^ che sì videro attaccate dallo stile
satirico, e pungente dell'autore, ne è punto ijiverisimile, che
questa circosianza sia stata attribuita alla libertà t colla quale
egli aveva irattato i Romani Pontefici predecessori di Leon K.
Il volume porta questo titolo :
GUIOI POSTHVMI SILVES
TRIS PISAVREJNSIS
ELEGIARVM
LIBRI II.
CUM GRATI V ET
PRIVILEGIO.
» Questa edizione, dice Bìnwniri' ^ in brevissimo tempo
*> tanto rara divenne , che appena a' giorni nostri un esem-
» piare se ne conserva foituiiatamente nella nostra pallia ,
'; avutosi non è gran tempo dalla puhiìlica bil)lioteca di Pe-
»j rugia dall' eruditissimo sig. Uditore Passeri , e <lue altri ,
» che io sappia in Roma , nella libreria Alessandrina , noa
« contando fra questi i ire codici , che nella Vaticana s»!
» conservano >». Memorie Islor. di Guido Post. pag. aS.
196
zione particolare, essenclocì state conservate per que-
. sto mezzo molte circostanze della vita privala , e del
carattere di Leon X.
>
§ XIV.
Giovanni Mozzarella.
Tra quelli, che col loro spirito, e colla loro vi-
vacità contribuivano al trattenimento del Pontefice
nelle sue ore di riposo, era Giovanili Mozzarella na-
tivo di Mantova; ma Leone avea sufficiente penetra-
zione per discernere, che Mozzarella^ benché assai
giovane , possedeva talenti superiori, che in mezzo
alla sua apparente trascuratezza egli avea col-tivato
con una non ordinaria applicazione. Colle sue gentili
ed amichevoli disposizioni, e la facilità ed eleganza ,
eh' egli sfoggiava ne' suoi scritti tanto latini , quanto
italiani, egli conciliossi in alto grado il favore dei
più celebri letterati , che allora formavano l' orna-
mento della corte Romana (i). Dopo di avere per
qualche tempo osservato da vicino il suo carattere,
e sperimentato il suo attaccamento, Leone il tolse
(1) Bembo., scrivendo ad Oltaviaiio Fregnso , dice di esso:
)5 Magnae spei adolescens , ut scis, aut etiam majoris, quara
jj quod scire possis. Magis enira mapisque sese in dies com-
w parat , cura ad mores oplimos , et ad omueui virlulem ,
»» tum ad poelices studia , ad quae natus praecipue videlur. »
Ep. farn. Lio. V. cp, 7.
»97
dalla dissipazione della ciltà, e nominollo governa-
tore della fortezza di Mondaino (aj, ujfìzio, che gli
forniva una rendita assai pingue, e gli lasciava suffi-
ciente libertà per la continuazione de' suoi studj (i).
In quel posto egli cominciò un poema epico intito-
lato: Porsenna, che probabilmente non potè termi-
nare a cagione della sua morte immatura, e disgra-
ziata; giacché dopo essere stato in vano cercato per
un mese in circa, fu trovalo soffocato colla sua mula
in fondo ad un vallone (2), il che confermò i sospetti
già concepiti, che la morte sua cagionata fosse dal
risentimento, e dalla barbarie di quelle persone, alle
quali era deputalo a presedere. Questo avvenimento
produsse un vero rammarico nei numeiosi di lui
amici, e Bembo in particolare in diverse lettere scritte
al Cardinale di Bihiena compianse la di lui morte
ne' termini del più cordiale affetto, e del più sincero
dolore (3). Sotto il nome di Mutius Àrelius, col quale
(a) O di Mondolfo , come porla il leslo di Valerìaiìo.
(i) » IMutiiis Areliiis Manluanus , maguo et eleganti juvenis
J5 ingeuio , lingua prius nostri Lemporis Italica sese exciruit ;
)> mox la!iuan3 affectaas jam adulius , brevi aditjodum tem-
j» poris curriculo magnum poetam professits est , quam lu—
» venis prompliiudinem adiniralus heo X, ne tali deesset in-
»5 genio , arci eum TMondulphiae praefecit, quem locum Arelius
M studiis suis uecessaiia ubertim suppeditaturum arbitraba-
r tur. >? Valer'ian. de iif.eratorum infeiicitnte Lib. I. png- 34-
(2) Valer ian. ut siip.
(3) »5 Monsigiior mio , sapete bene , eh' io terao graiide-
n mente , che'l nostro povero Muzarello sia stalo morto da
n quelli di Mondaino J perciocché da uà mese in qu.i esso
»9S _
egli volle distinguersi, Mozzarello pubblicò diverse
opere, alcune delle quali coneervansi nelle librerie
d' Italia (i), mentre altre tanto in italiano, quanto
in latino , sono slate pubblicate in diverse raccolte,
ed hanno meritato in allo grado la comune appro-
vazione (2).
§ XV.
Improvvisatori, latini. — BaJJaeiìo Brandolini. — -
Andrea Ma rane.
Gli sforzi degli iuìprov\isatori Italiani ernul.^li ve-
nivano dalla recitazione estemporanea di versi latini,
« ,iion si trova in luoa;o alcuno : solo si sa che si parli Ji
j? rniella maledeiia rocca temendo di quelli iiomini , e fu na-
« scosamenle. INon mancò già , eh' io non gli predicessi qne-
V sto , che Dio voglia non gli sia avveiiuìo. O infelice giovane!
» non lo a^'essi io mai conosciuto se taa'o e sì raro ingegno
»> si dovea spegnere cos'i tasi), ed in tal raodo I » Se ubo Ep,
al Card, da Bi'ìienu Opp. torri. TU. p. IO.
^i) Nella libreria Ducale di Modena trovasi un' opera di
Mozzarello , da esso scritta , mcntr' era assai giovane , sul
gusto dell' \rcadia di Sannazaro , e dedicata ad Elisabetta
Gonzaga Duchessa d'Urbino. Tirahoschi St. della Leti. ItaL
Voi FU. par. UT. pag. 233.
(2) jériosto lo ha immortalato , annoverandolo tra i grandi
letterati del suo tempo:
« Uno elegante Castiglione , e na cullo
T» Mvitio Arelio. »> .
Ori. Fttr. Cani. ^7. st. 87»
ea allorché Leone trattenuto non era tlalle corrette ,
e classiche produzioni di Fida, di Bembo, di Fraca^
storo, o di Flaminio, egli poteva prestar orecchio con
compiacenza agli slanci estemporanei di Brandolini^
di Marone, o di Querno, i quali sovente il diverti-
vano ne' suoi trattenimenti dopo la mensa, e compo-
nevano i loro versi sui soggetti, che 1' occasione som-
ministrava, o che suggeriti erano dal Pontefice, che
talvolta egli stesso metteva da parte la sua dignità,
e prendeva parte a quell' esercizio (i) (a). Ne dob-
(t) »> Namcfue ad mensam accuinbere fere numquam visus
€St ( Leo X "^ uisi illustriorum poclarum corona circuni—
septus . quos subilarii* cartninibus quamlibet rem propositam
Vicissim persequi jubebat ;, quo honestissimi solatìi genere et
ipse rairum , inqiiam , in modum afficiebatur, et convivarum
pascebal animos , esemplo Attici , apud quem numquam sinc?
aliqua leclione cenatum legimus ; ut non minus animo quani
ventre convivae delectarentur». Fogliazzi in t'ita Ruph. Bran-
dolini p. 47 ed. ì^en. 1753.
(a) Nato in Italia può dirsi anche il metodo, l'artifizio, o
piuttosto r ardire di recitare o cantar versi all' improvviso in
latino; anzi questo fu forse I' origine, e per cos'i dire la ge-
nesi dell' a' te, o dell' esercizio d'improvvisare in italiano. I
primi poeti , che sorsero in Italia dopo il ristoramento delle
lettere , si diedero per la maggior parte a coltivare la poesia
latina , ed acquistarono quindi qniella maravigliosa facilità di
accozzare una quanlità di emistichj dei migliori classici , alla
quale si riduce in gran parte il talento degli improvvisatori
latini. Que'^ti probabilmente precedettero gli Italiani , e di-
Tenner rari dacché questi si fecero assai numerosi ; ma quel
talento si perpetuò tuttavia in Italia , e vi fu coltivato ad uit
grado, del quale ben rari si trovano gli esempj presso le
altre Nazioni.
ÌJOO
Liamo noi inferire Ja questo, come troppo general-
mente si è supposto, die questi fossero il più delle
Tolte sforzi «li uomini senza talento, e senza educa-
zione. Benché recitati fossero all'improvviso, richie-
deva il Pontefice, che i versi fossero non solo adat-
tati al soggetto, o al tema, ma corretti, e Brando-
lini in particolare ha lasciato diverse opere, che mo-
strano esser egli stato realmente uomo dotto (i). Noi'
abbiamo già avuto occasione di accennare i favori
ad esso conferiti a Napoli da Carlo FUI nell' anno
149S (2); e sembra pure, eh' egli si attaccasse al
Cardinale Giovanni de Medici avanti il suo innalza-
mento al pontificato (3). Poco dopo questo avveni-
mento Brandolini fissò la sua residenza in Roma,
dov' egli ottenne l'assegno di appartamenti nel pa-
lazzo pontificio, ed acquistò in grado eminente il fa-
(1) Brandolini era di una famiglia nobile di Firenze che si era
distinta al f'ne del XV. secolo col mezzo di due uomini grandi
in letteratura Aurelio , e Ruffa Ilo , ciascuno de' quali era
conosciuto sotto il nome di Lippo^ o Lippus Floreiitinus. Del
primo di questi scrittori , che mori nel 1497 , un ragguaglio
compito si trova in Mazzucchelli ^ Scria, d'hai. VI aoi3 ,
e nella vita di Lorenzo de' Medici si è inserita una poesia
latina, che onora i di lui talenti. Voi. IL App. p. lì.
(2) Voi. II. cap. IV. pag. 39.
(3] Egli raccolse alcune delle opere del suo parente Aurelio^
una delle quali intitolala de comparatione Rcipublicae ., et
Regni .^ egli dedicò al Card, de'' Medici., poco dopo Leon X^
con ima lettera ., che contiene molte circosianze particolari .
e curiose dcMa famiglia Medici , e si è quiadi inserita nel-
!' Appendice IN. CLXXI.
20I
vore, e r amicizia del Papa (i). Egli Studlossi di sod-
disfare in parte a queste obbligazioni nel suo ele-
ganle dialogo intitolato LEO, che noi abbiamo fre-
quentemente occasione di citare nel corso di que-
st'opera (2), avendo 1' autore conservato in quello
molte circostanze curiose relativamente al Ponteiìce, e
gettato grandissimo lume sulla storia di que' tempi
in generale.
Andrea Marone^ altro favorito, e cortigiano di Leo-
ne X, era nativo di Brescia, ed avea passato una
parte della sua gioventù alla corte di Ferrara sotto
la protezione del Cardinale Ippolito ci Este. Nel viag-
gio-, che fece il Cardinale in Ungheria, Marone mo-
strò desiderio di accompagnarlo, il che essendogli
slato rifiutato, lasciò Ferrara, e recossi alla corte di
Roma (3). La .facilità, e la prontezza, colla quale
(i) Per questa ragione egli vien dello da Glouii Antoni-t
Flaminio Ocidus Pontificìs , sel)bene Brandolini stesso fosse
quasi totalmente privo della \'ista. Si è detto pure , che ad
is'anza del Pontefice Brandolini istruisse il celebre 3/t/rc' ^/i-
tonio Flaminio figlio di Gioan Antonio , al che può aggju—
gnersi , che il padre avea molte •volte manifestalo la sua sod-
disfazione , perchè il figlio ottenuto avesse 1' assistenza di un
cos'i valente maestro, e si dice che questi trattasse il suo allievo
con tenerezza , ed affetto cosi grande, come se stato fosse il
proprio di lui figlio. /. A. Flamin. Op . Apud Mazzucchellì
Scriit. d' Tial. T. VI. p. aofg.
(1) Quest'opera si conservò manoscritta fino all'anno lySS,
nel quale fu pubblicata in Venezia da Francesco Fogliazzi
dottor di leggi , accompagnata dalla vita dell' Autore , e da
copiose noie.
(3) Cale-agnini Carra. p, 172. Ap. Tirab. Sior. della Ictr»
Ital. T. VII. p. UI. p. 211.
Marone sì spiegava iù versi l'Sitini sopra qualunqitó
argomento, che gli si proponesse, sorprendeva, e di-
lettava tutti gli ascoltanti. La sua recitazione era ac-
compagnata dal suono della sua viola, e di mano iti
mano, eh' egli progrediva in quest'esercizio, sembrava
guadagnar sempre in fa-ilità , in eleganza, in entu-
siasmo, in talento d' invenzione. Il fuoco dei suoi
occhi, l'espressione del suo contegno, il gonfiamente)
delle sue vene, tutto mostrava le commozioni , dalle
quali era ajjitato , e teneva i suoi uditori sospesi,
ed attoniti, (i). Essendo slato richiesto in un solen-
ne trattenimento dato dal Pontefice a diversi Amba-
sciadori esteri di cantare versi all' improvviso sulla
lega, che si and.iva a formare contra ai Turchi, egli
trattò queir argomento in tale maniera, che ottenne
X applauso di tutta \ assemblea, ed il Papa lo ricom-
pensò immediatamente con un benefizio nella diocesi di
(i) » Is , cum summa erudilorum a<iaiiralione , ex tempore,
n ad quatn jusseris quaestionein , laliaos versus variis modis
» et numeris fiindere consuevit. Aiidax profeclo aegotium , ac
»» munus impudea!iae , vel temeriutis plenum , nisi id a na-
j» tura, impetu prope divino, mira feliritas sequeretiir. Fidi})us
»> et canlu rausas evocai, et quiim semel coHJectam in numeros
n mentem alactiore spiritu inflaverit , tanta vi in torrentis
9> morem citatus ferlur , ut "fortuita et subitariis tractibus ducla,
» multa ante provisa , et mediraia carmina vidcanlur. Canenti
j» defixi exardeat oculi ; sudores manant ; frontis venae con—
»» tumesount ^ et quod mirum est , eruditae aures , tanquam.
» alienae et iatentae, omnem inipetum profluentium numero-
r} rum exactissima ratiane moderaalur. » Joi: in elog. LXXlf-
2o3
Capua (r). Nel giorno della festa de' Saul! Cosma e
Damiano ylulelari della famiglia de Medici ^ un tema fa
dato dal Papa, sopra il quale doveano esercitare i loro
talenti, e gareggiare per la preferenza tutti coloro, che
asi)iravano alla qualità di poeti latini estemporanei.
Non ostante il numero di molti dotti competitori il pre-
mio fu aggiudicato a Marone, ma la circostanza, che
gli fece maggiore onoro, fu quella che Brandulini mede-
simo trovossi in quella occasione tra gli impotenti di
lui rivali (2). Pochi saggi sono stati conservati della
poesia latina di Marone (3); ma le lodi straordinarie
date ai suoi componimenti estemporanei da Giono ,
(i"^ Qioi'ìo ^ ohe riferisce questo avvenimento, ci ha con-
servalo il prinri|iio dei versi recitati allora da Marone.
j> InfeliTs: Europa , dm quassata tumultu
" Rellorum »>
(2^ n Celebrabatur-magnificenlissimo spparatu Mediceorutn
n Cosraiana solemnitas ., quarii in magni Cosmi proavi memo-
» riam Leo X quotannis celebrandum stanierat. Itaqn-e ad il—
»> lius celebritatis dicra honcstaiidam plurimi fama celebriores
»> poetae convivio iutererant, qui proposita de more argumenta
♦> referebant ex terapore; vcrum ciim Andreas quidam Maro.,
» magni promptiquc vir iugenii , cmnes quasi eiingues feois-
55 set , cum Lippo nostre congredi a I-'on'.ince est jussus ^ el
» cum valide utrimque certatum essct, Lippum tandem vicluna
J» cessisse ferurit. >» Fog'ìiizzi in i^ka Brundoli/ii p .)8 .
(3) Due epigrammi la'iai di Marune , che non fanno torto
ai di lui talenti , veggonsi prcn.cssi all' opera singolare di
Francesco Colonna intitolata: La Hipnepotomachia di Poli-
PHiLo, stampata da Allo nel i (99 , f <^H nuovo nel i5i5 ,
della quale si trova un compito lagguag'io nella Moa^ aru*
T. ir. p. 70.
2"o4
da Valériano , e Ja altri , possono ammettersi come
una prova sufficiente della sua abilità singolare, e
dei maravigliosi effetti , che questa era solita a pro-
durre sulla dotta udienza^ dalla quale era d'ordinario
circondato (i).
§ XVI.
Camillo Querno. — Gazoldo e Britonio. —
Baraballo di Gaeta.
L' arcipoeta Camillo Querno era pure un improv-
visatore in versi latini , ed i suoi talenti in questo
esercizio sono stati altamente lodati da alcuni de' suoi
contemporanei (2) , mentre altri hanno attribuito gli
applausi che egli ricevea, piuttosto alla sua franchezza,
calla sua sfacciataggine, che non al suo merito straor-
dinario (3). Al primo arrivo di Querno in Roma egli
(i) >5 Q'-iid si illum audieris , velut sodales
»» Odo and vimus , opiimum sodalem !
j> Nos audivimus: audit lume et omnis
5> Doctorum manns in dies , canentem
n Mille ex tempore carmiua erudita ;
»j Quìs nil sit lutideniuin „ inexpolitutn ,
n INil absurdiim , et iuane , nil iiiulciim j
n Tanqnaiii Virgilii mora , et labore ,
» Tanijuam tempore culla sub novenni. »»
Pier. Viiìeriaii. ad Diitem III. Aligerum. Exani. etcp. il'].
{2) In par: (colare Francesco ArsìUi nel suo poema de Poetis
Urbanis , che noi avremo occasione fra poco di citare.
(3) Gyraldi de poet. suor, te/np.
2o5
portò seco da Monepoli nel regno di Napoli, d'onde
era nativo, un poema epico intitolato Alexias , com-
posto di ventimila versi. Con questo , e la sua lira ,
pnìsentossi alle letterarie società dei dotti di Roma, i
quali ben presto compresero che egli era ben disposto
a somministrare loro ampia materia di trattenimento.
Si fissò un giorno , nel quale Querno recitar dovesse il
«no poema , pel quale oggetto 1' udienza si raccolse in
una isolfttta in mezzo al Tevere. In quel luogo egli
provossi alternativamente a bevere ed a cantare , e do-
po che egli ebbe mostrato di essere egualmente distinto
in ciascuno di questi esercizj , gli fu preparata una
corona di nuovo genere , nella quale erano frammi-
schiate foglie di vite , di cavoli, e d' alloro , e questa
collocata tosto sul di lui capo , egli fu salutato dalla
compagnia col titolo di Arcipoeta (i). Giunse ben
presto la notizia di questo all'orecchio del ^Pontefice,
il quale ne provò grandissimo dilelto, e volle che
r arcipoeta fosse a lui condotto senza ritardo. Da
queir epoca in poi egli divenne uno dei seguaci più
frequenti dei trattenimenti papali nelle ore del pranzo ,
ed il Papa mandavagli spesso dalla sua tavola mede-
sima una porzione di cibo , che egli inghiottiva con
una voracità eguale a quella degli eroi di Omero;
ma il vino gli si portava soltanto a condizione, che
(i) » Salve brassica viren-i corona
»> Et lauro, Archipoeta , pampinoqiie ,
» DigQus principis aurihus Leonis. »>
Jofj, in Elos. LXJCXII,
206
recitasse un certo numero «li stanze , e se eg\l carle-
Ta In qualche errore o nel senso , o nella misura ,
il vino veniva mischiato con una dovuta proporzione
di acqua (i). In alcuna occasione si racconta, che
Leone si divertisse col rispondere a Querno. Alcuni
esempi di questo ci sono stati conservati , e se que-
sti sono autentici , mostrano a sufficienza cLe il Pon*
iefice nel recitare versi latini all'improvviso posse-
deva una facilità non inferiore a quella della quale
prendea tanto diletto , vedendone da altri praticato
r esercizio (2).
Nella classe medesima di Ouern» possono collocarsi
(i) In una tli queste occìsioni vergognose si dice, che
Qu< rno si volgesse al Poutefice colla coppa nelle sue mani ,
e gli indirizzasse i seguenti versi Leonini 5
»> In cratere meo Thetis est conjuncta Lyaeo,
»5 Est Dea juncta Deo ; sed Dea major eo.
foresti , Mappamondo Islortco T. ILI.
(1) Tra qucsli csempj è sialo sovente citato il seguente
eaggio. Compiangendo Qtierno il laborioso suo ufficio, esclamò:
»5 Archipoera facit versus prò mille poelis I v
Al elle Leone rispose alP isìanle :
» Et prò mille aliis Archipoeta bibil. ?»
CXuerno che trovò necessaria qualche replica , soggiunse poco
dopo :
« Porrlge quod faciaot mihr carmina docta Falernum. »
Ma Leone rifiutò , e soggiunse come motivo del riliuto :
» Hoc vinum euervat dcbilitalque pcdes '^ »>
Nel che si h supposto, che egli alludere volesse alla gotta, dalla
quale dicesi , che Querno fosse tormentato ; ma egli sicura-
mente intese di applicare la parola pedei ai piedi del verso ,
i «juali non si sarejjhouo migliorati coH'aggiugnere una nuova
porzione di viuo.
Giovanni Gazvldo , e Girolamo Britonio , i quali l u-
ni) e 1' allro aspiravano alla qualità di latini improv-
visatori, e se pure non riuscivano ad ottenere gli
ar)plausi , provocavano sovente le risa del Papa e dei
suoi cortigiani. Questi scherzi tuttavia erano portati
talvolta al di là dei limiti della burla. Si narra che
Gazoldo ricevesse per ricompensa de' cattivi suoi vergi
una seria bastonatura a lui data per ordine del Poa-
iellce ; e 1' arcipoeta fu talmente sfigurato per una
ferita ricevuta nella faccia da <pialche persona , che
egli avea offesa colla sua intemperanza e gliiottone-
ria , che dovette astenersi dall' intervenire ai banchetti
del Papa così sovente , come dapprima solea (i)^
Diversi altri sono menzionati da Giono per avere
contribuito alla ilarità del Pontefice nelle ore di so-
lazzo , tra i (juali altro dei figlj di Poggio Bracciolini
per nome Gian- Francesco (2). tlssi erano tuttavia più
distinti per la loro devozione ai piaceri della tavola ,
(1) Cosi si esprime Gii aldi alia fine del suo dialogo de
Poel. suor, leinp. op. p. Sj^. n Si- hujusmudi ìiircoiies verius
« (juam poetas vobis atTeriera, ihgraluni potios (jiiam . gralum
» arbiirarer me facturura. An nesciùs Gazoldum saepiiis ., ob
n iiiepios versus , eL claudicauies male raulclatum a Leoxe
J5 ilagris , et fabulam 'omnibus lacium? Archipoelam vero im-
?> mania ingurgitaulenr pocula a gaiicone Alex, auribus et pene
J' i»aribns defoimatum? Uude uuuc parciiis Ponlilìcis mensam
5> adit. * * Cura quil)ua et Ilierouyuiiis Briionius posset ad-
» scribi , de quo no issimum illud Jaiii!)ii:um P.aptisl. Saugae
y exlat,, et legilur : Praetor giai'cscus initlitur Britoriius etc, »j
^iuzzucchclU V. VI. p 2112.
|ij òlit^fieid uita di Poggio Bracciolini cap. XI. p. -j83.
208
che non per le doti del loro spirito ; ed il frugale
Olandese Adriano VI, il quale per una straordinaria
combinazione di circostanze succedttle a Leon X nella
cattedra Pontifìcia , non potea che altamente maravi-
gliarsi al vedere il lusso del suo predecessore , e par-
ticolarmente le spese fatte per le salsiccie di pavone ,
che sembravano la vivanda favorita di que' voraci
assistenti alla mensa Pontificia (i).
Ma r esempio più singolare di pazzia e di assur-
dità ci è slato conservato nel ragguaglio dato di Ba-
raballo abate di Gaeta , altro degli individui di quella
classe sfortunata ma pure numerosa , che senza ta-
lenti pretende alla poesia, il quale al par di tutti i
suoi confratelli era pienamente insensibile ai suoi
proprj difetti. Le lodi date per ironia alle assurde sue
produzioni aveanlo tuttavia sollevato ad una cosi alta
opinione di se medesimo , che egli credeasi un altro
Petrarca, ed al pari di questo aspirava all'onore di
(i) »? Mire quoque favit Pogio seni , Pogii his'orìci fllio ,
»> itemque Moro nobili a gulae inlempcrauLia arlicularihiis do-
»> loribus distorlo, et Brandmo equiii . Mariauoque san. doni
»> cuculialo , facelissiiuis helluonibus . et in oiani genere po-
» pinalium deliiiarum erudilissimis. Nam inier alia portenla
»» insanicnlis eorum gulae, lucauicas concisis pavoaum pulpis
n fartas commenti fueranl : quod obsonii genus , mox successor
>j Hadrianus , vir Balavae frugalilaùs , mirabundum expavit ,
55 quum sumptuarias raliones Leouis inspioeret. Verum fesii-
55 -vissimis corum facetiis , et perurbanis scommatibus , magis
55 quam uUis palati lenociniis oblectabalur. » Joi^, in t^ita
Leon. X Uh. IF. p. 85.
2^9
essere coronalo in Campidoglio. Questo diede una
troppo favorevole occasione di divertimenlo per es-
gerf trascurata dal Pontefice, e dai suoi cortigiani;
e:l il giorno de' Santi Cosma e Damiano fu fissato
i):!r compiere i desiderj del poeta. Affine di acci-escere
il ridicolo , fu risoluto che V elefante , che era stato
regalato al Pontefice dal Re di Portogallo , dovesse
essere in quel giorno tratto fuori , e splendidamente
ornato , e che Barahallo ammantato di un abito trion-
fale come un Romano conquistatore, montar dovesse
queir animale , ed essere così condotto in trionfo al
Campidoglio. I preparativi per questa occasione fu-
rono grandemente splendidi e dispendiosi (i), ma
mentre non erano ancora compiuti giunse una depu-
tazione da Gaeta , dove i parenti di Barahallo lenea-
no un grado rispettabile ad oggetto di dissuaderlo
dal rendersi l' oggetto pubblico delle risa di tutta la
città : Barahallo tuttavia riguardò la loro tenerezza
come un' amara gelosia della sua buona fortuna per
aver egli ottenuto il favor del Pontefice , e congedò
i deputati con rancore e con rimproveri. Avendo
quindi recitato varie delle sue poesie piene delle più
(i) » La iucoronazioue del nostro Ahale di Ghaeta per le
'> poste vien via et le veste di velluto verde , di raso cre-
" misi , ornale di armelliui , et altri belli veslimeuti per
» lui et per lo Elephanle sono già quasi facte; et molte belle
5j reciialioni da farsi dinanzi al M.ro sig.nore ( Leon X) si pre-=
«3 parano etc. » ex Mss. ined,
LroNE X. Tom. VII. i4
210
ridicole assurdità , finché i suoi uditori non furono
più capaci di mantenere la loro gravità , fu portato
alla piazza del Vaticano , dove salì suU' elefante , e
con grande corteggio passò attraverso le pubbliche
vie In mezzo ad uno strepito confuso di trombe e
di tamburi, ed alle acclamazioni del popolaccio (i).
j, Io potrei appena meritar fede , dice Giono (2) ,
,, se non fossi io medesimo stato presente , e non
,, avessi veduto co' miei occhi un uomo di età non
,, minore di 6p anni, venerabile per la sua statura,
,, ed i suoi capelli canuti soffrire di essere vestito
,, colla toga palmata , e col lato davo degli antichi
,, Romani, imbrattalo tutto d'oro e di porpora, e
,, tratto con un corteggio trionfale in pubblico al suo-
,, no delle trombe ,,. Non fu tuttavia il di lui trionfo
di lunga durata. Giunto al ponte di S. Angelo il sa-
gace quadrupede rifiutp di contribuire più a lungo
al giubilo illiberale del popolo, e l'eroe del giorno
(i) A questo avvenimento allude Angelo Colocci in uno dei
suoi epigrammi intilolaìo :
J}e Ahaiite Barahalla.
j> LiKore de ourvo vicina cadeniibus Eiiris
»> Cajela hu<ì celebre» misit alumna viros ,
»> Aenean mentem Trojae , et te maxime vatum ,
>' Qui nunc Assarici nomen Abantis bal>es.
» Clarus Abans cantu , ter destra clarus , et armis j
J5 illum pax redimit , hiinc girave Martis opus.
»5 At nos Nutrici taiilum debebimus omnes ,
n Quanium Roma snac debet alumna Lupae. »
Colocci op. lat. p. log.
(2) Jou. in i^it. Leon. X. lib. IV. p. 85.
21 I
fa ben contento di scendere salvo da quella elevata
situazione (i). La rimembranza di quel singolare aV'
Tenimenlo fu par ordine del Papa perpetuata coq
ima scultura in legno (2) , che ancora rimane sopra
Ja porta di una delle camere interne del Vaticano,
§ xvw.
Giovanni. Gorizia protettore della letteratura in Roma. —1
Fucsie intitolate Coryciana.
Tra gli abitanti di Roma uno dei più distinti pra-
tettori de' letterati era un nobile e ricco tedesco pei'
nome Giovanni Gorizia , o co^ie diceasi comunemente
Giano Concio , il quale sotto il pontificato di Leon X
coprì r ufficio di Giudice per gli affari civili della
città. Per diversi anni la casa ed i giardini di Cori-
eia erano il consueto ridotto degli accademici Roma-
ni. Nel giorno di S. Anna, che era la sua tutelare,
(i) Diversi scriliori hanno supposto per errore , che Bara-
ballo , e l' Arcipoeta Quer/io fossero la sicssa persona. Cosi
Bottali nelle note al frasari T. II. p. 120, e Lancellolto nelle
note alle opere latine di Angelo Colocci p. log. Burafiallo epa.
naùvo di Gaeta, Querno di Monopoli nella Puglia. Qiie'due
srriuori si appogf^iano alla autorità di Giouio negli elogi, che
veramente non ha asserito lai cosa. Bottnri si è pure ingan-
nato nel riferire, che Leon X coronò effettivamente Baraballa
iì Fece la funzione d' incoronarlo , n per la qvial cosa cita.
pure l' autorità di Giovio-.
(2) Da Gloan Barile " artefice nel genere suo exc^lIentisSt^
ì^o, ?• Bottari note al frasari T, IL p, 120.
ai2
solea egli preparare vino splenilicto banclietlo , al quale
accorrevano i dolli più celebri , f{ gli abiUnli pia
rispettabili Ji Roma e del vicinato , e presentavano
così una favorevole occasione per quelle letterarie
contese, e per quelle presentazioni de' loro compo-
nimenti , che sogliono aggiugnere nuovo vigore allo
studio. La liberalità di Concio era compensata dalle
lodi dei letterati di lui amici , molti dei quali per-
petuarono nei loro versi il di lui nome. Verso 1 an-
no i5i4 egli eresse a sue proprie spese nella chiesa
di S. Agostino in Roma una magnifica cappella di
famiglia, nella quale egli collocò una bella opera di
scultura , lavoro di Andrea Contucci del monte Sanso-
vino , che rappresentava Gesù bambino colla Vergine e
S. Anna. Queste figure benché fatte tutte di un sol
pezzo di marmo, erano quasi di grandezza naturale,
e dallo storico delle arti vengono menzionato come
lina delle più belle produzioni di quel tempo (i).
In quella occasione i letterati amici di Coricio ga-
regoriavano 1 un V altro nel rendere un tributo di
OD
rispetto alla sua munificenza , alla sua pietà ed al
(i) »> Fece ( Andrea J di marmo , in Sant'Agostino di
?j Roma , cioè in un pilastro a mezzo la Chiesa , una Santa
w Anna, che tiene in collo una nostra Donna con Cristo , di
5> grandezza poco meno che il vivo ; la qual opera si può fra
»> le moderne tenere per ottima. *** Onde merilò, che per tanti
3> anni si frequentasse di appiccarvi sonetti , ed altri varii e
55 dotti componimenti, che i frati di quel kiogo ne hanno un
»3 lìhro pieno , il quale ho veduto io con non piccola mara-«
■j> viglia. » yasuri^ vite de' Pittori f^ol. 11.
5r3
9tìo buon gtisto ; ed i componimenli mimerosl al quali
diede luogo questa circostanza . possono riguardarsi
come la prova più decisiva dei grandi progressi che
fatti avea in Pionia il coUivamento della latina poesia.
Uno dei più celebri letterati, che contribuivano al
cimelio di S. Anna , era Biagio Pallai nativo di Sa-
bina , che preso avea il nome accademico di Blosia
Palladio^ sotto il quale trovasi sovente menzionato
ne^ìi scritti de' suoi contemporanei (i). Nel i5i6 egli
fu onorato coli' ammissione alla Romana cittadinanza
per pubblico decreto (2). Quest' uomo dotto era non
meno distinto per la sua ospitalità , che pe' suol ta-
lenti, e la di lui casa, e i di lui giardini sono stati
parimenti celebrali per aver dato luogo sovente alle
adunanze ed ai trattenimenti dei letterati di lui a*
mici (3). Dopo d' essere slato uno de principali or-
namenti della Romana accademia durante il pontifi-
cato di LéDii X^ egli salì ad un posto ragguardevole ,
e coprì r ufficio di segretario pontificio sotto Cle-
mente VII e Paolo III ^ l'ultimo de' quali ricompensa
i di lui servigi col nominarlo al vescovado di Foli-
(1) Parlicolarmc\ife nei versi di Marc' Antonio Flcwiinio ,
nei quali semljra , che le più triviali circostanze dessero ori-
gine a componimenti , che Orazio , e Catullo non avrebbero
sdegnato di appropriarsi. Flam. Carni, lib. I. Carni. 56 ^ Sj ,
;)8 , 69 , ecc.
i-ì) Tiraboschi T. VII. p. III. p. 2o3.
(3) FUunin. Carni, lib. I. carni. 55.
?•> Blosi villula ter quaterqiic felix. »
2.4
gno (i). ]\oi siamo debilori ti Palladio della ediziorir;
dello poesie indirizzate a Concio , che quest' ultimo
uvea diligentemente conservato , ma che ben compren-
dea che lo avrebbero fatto accusare di vanità, se egli
date le avesse alle stampe. Le istanze di Palladio
tolsero alfine di mezzo queste obbiezioni , e quell'?
pofsie cojnparvero nel i524 in un elegante volume,
ora divenuto rarissimo, intitolato Coryciana (2). Que-
sta raccolta contiene oltre diversi componimenti ano-
nimi un sagf^io delle produzioni di centoventi latini
poeti , i quali trovavansi entro i conlìni di Roma ,
e molli de' quali tennero un allo grado negli annali
della letteratura (3). Sembra che fosse costume di
(l) Fahrotii uda Leon. X. /^.'9'|.
(al Alla fine si legge: imprcssiun Roiìiae opud Ludni/icwn
P'icentiiiiuii^ et LaatUiuin Perusinn'ii. Meme Julio M. D.
XXIK. La dedicatoria di Palladio premessa a qiiesl' opera ■>
e le letlere di Coricio , e del di lui amico Cajo Silvano ,
altro de' suoi patriolli letterati allora residente in Roma , che
contribuì va^ie poesie a qnosta collezione , gettano un f,'ran-
dissjmo lume sullo sfato della letieratura in Roma durante )>1
pontificato di Leon X , per la qual cosa , e per la rarità del
Volume si sono inserite nvW' Append. JY. CLXXIL
(3) Della natura di ijueste composizioni possono dare una
sulìicicnle idea i seguenti vefsi di Ftamiido , cìie pr.'^senlano
una singolare mescolanza di Cristiana pina, e di scùbualióà gcu-
tilcsca :
De Sacello Cory ciano.
5> Dii , quibus lam Corycius venusta
)5 Signa , tarn dives posuit sacellam ^
?3 Ulla si veslros animos pioruin
i> Gratia tangit ,
2l5
presentare quelle poesie cerne cloni votivi all' altare
di S. Anna , ma le offerte divennero così numerose j
che Coricìó fu alfine obbligato a chiudere le porte
«> Voj jocos risusqiie senLs faceti
« Sospiles servate diu; senectam
» Vos date et semper viridem , et Falerno
» Usque madentem.
ti Al simul longo saliatus aevo
» Li juerit tenas , daj.ibus Deorum
J5 Laetus iniersit , potiore mutaus
» Néclare Bacchura. »>
Carm. lib. I. Car. VU.
( Il si'g. Roscoe h(i giudicato opporiu/ìo di inserire una fra"
duzione di questa Ode assai lihera in versi I< glesi rimati a
foggia di quarcine. Io ho creduto meglio di espor.ie una
traduzione egualmente, liberà , da me fatta in Italiano , cou''
iérvando a un dipresso il metro deW originale \ :
»j Voi , Numi , a cui Coiicio
j» Si ricco tempio eresse ,
»> E le cui forme in noliili
ti Sculture espresse ;
5? Se alta pietà nell' animò
» 11 nostro culio accende,
» E de' divoli assidui
lì Cura vi prende 5
n Voi d'un faceto vecchio
» In lieta turba assiso
>5 iserbate ognor propizii
j> I giuochi , e 'l riso.
■n Ed a lui verde , e florida
'» La tarda eia sia data ,
>J E di Falerno esimio
» Sempre irrorata !
2i6
della cappella , ed a por fine a questo cullo poco
meno che idolatrico (i).
§. XVIII.
Poema di Francesco Arsilli intitolato de Poetis Urbanis.
La raccolta intitolata Coryciana si chiude eoa un
poema di Francesco Anilli , de Poetis Urbanis , nel
quale si celebrano i nomi, e si caratterizzano le opere
di molti poeti latini residenti in Roma nel tempo di
Leon X. L' autore era nativo di Slnigaglia, e mem-
bro di una fjimiglia rispettabile, essendo stato depu-
tato suo fratello Paolo dai suoi concittadini a com-
plimentare Lorenzo de Medici Duca d' Urbino per
r acquisto da esso Tatto di quello slato. Dopo aver
n Che se di viver sazio
» Ei lascerà la terra ,
»> Sciolta la frale spoglia ,
>j Che 1' alma serra ;
»> Possa alle mense assidersi
j> De' Numi in riso eterno ,
)> E cangi ìh miglior nettare
il II suo Falerno. »>
(i) 4 questa circostanza si allude ne* seguenti versi di Fa-
bio Figlie :
« Tandem , Jane , oculjs aufer Miracula Divura ,
» INam decet arcanis sacra latere locis.
»> Ni facis , accurrent vario tot ab orbe poelae
» Quot Pcrsarum iniere agmina Thcrmopyl^s.
» Nec libi , quot scita populo statuere Quiritum
'? Bissenae ad versus sat luerint labulae. u
317
finito ì suol sluclj a Padova, ed ess'^rsl dedicato alb.
pratica della medicina , Francesco fissò la sua resi-
denza in Roma (i). Sembra tuttavia clie egli non
acquistasse il favor del Pontefice , né ottenesse Ij di
lui amicizia , del che si rende ragione col dire , che
egli era troppo amante della sua propria libertà per
seguire la corte , e che quindi la corte lo trascurò (2).
(l) Tì'raboschi T. VII. p. ìli. p. 200, dove si vede, chie
ArsìUi rilornò a Sinigaglia nell' anno i527 non più ricco di
quello che era partito, e visse colà fino al i?:Jo. Diverse altre
opere di questo autore giacciono ancora manoscritte , tra la
quali Tirahoschi fa menzione delle seguenti: Amorwnlih. IIl^
Pirmillieidns Uh. ITI:, Piscatio • Ile'uctiaclos Uh. Il Prae~
dictioìium !ib. IH. Onoralo Fascitclli ha celebrato la memo-
ria di Arsila co' seguenti versi :
In bbilu Ars'llij Medici , et Poetae.
Ergo videmus lamine hoc spirahiii
» Cassum jacere te quoque ;
»> Ut plebe quivis unus e vili jacet ,
»> Arsille , magno Apo'Iini
)> Novemque musis care ? Sive poculis
>5 Piaesenlibus morbi graves
j> Essrnt levandi , sive dulci f::rminc
>? Direuda mater aurea
n Cupidinum , iususquc fnrtorum leve?,
» O vota nostra iuania!
35 Quid dura faii non potest necessitas ?
55 I , da lyram mihi , puer ,
w Manuque funde proniore Caecubura.
» Nunc sunt Lyaci munera ,
« Nunc plectra cordi , nunc juvat leclissirao
» Cinxisse flore tempora.
»> Sieri , tenebris obsiti . tristi in styge
" Portasse cras sitebimus. »5
p) » Natura enim frugi , et aurae libsrtatis custos , Vali-
2l8
Arsilli fu dunque uno dei pochi esempi che in quel
tempo si viddero del merito non ricompensato ; ed il
suo malcontento yiene acutamente espresso nel prin-
cipio del suo poema indirizzato a Paolo Giovio , nel
quale egli entra nel paragone seguente tra la prote-
zione accordata ai poeti dell' antichità , e quella ac-
cordala ai poeti del suo tempo :
Se più 1' onor dell' Apollinea fronda
La prisca arroghi , o la recente etade ,
Spesso', Paolo , tra me librai pensoso.
Fiorir le muse , allor che prence Augusto
Il fren reggea della potente Roma;
E i cantor Mecenate , e i chiari ingegni
Con largo premio incoraggiar solea.
Facondo Orazio il mostra , e quel che 1' arme
Cantò del Frigio duce, e Ovidio, e molti,
Che di divino spirto ridondanti
Fama immortai per tutto l' orbe onora.
Cesare a lor solea porger benigno
1/ orecchio : ai sordi a^ nostri dì si canta.
Ben rozza era la mente , a cui non fosse
Sprone di sì gran prence il sol desìo !
Ora, tai cose nel pensier volgendo,
Cedan , gridio, i di recenti ai prischi!
Ma se i dì nostri , e se l' avara tempra
Del secolo contemplo , onde troncato
Vedi il varco alle muse , e del Parnassi
55 canam aulam , et potentium limina , contumaci quadara
'5 siiperKia devitabat. >j /op-. iii elog. ArsUlii.
ax9
Giacer V alloro di ■vii fango Intriso ;
Più la gloria non cedo ai di vetusti.
Solo amor di virtute i rati or muove j
Ne risuonar fa i plettri alta mercede.
Oh ! se alcun quel gregge agli ubertosi
Paschi guidasse di Minerva , e i Lupi
Rabbiosi ne cacciasse , digrignanti
11 vello a lacerar sacrato a Febo ;
Quai di nettareo. gusto aspersi canti
Udremmo allor , invidia ai prischi , ed onta i
Cospira or tutto a disseccar la vena;
Eppur r estro poetico ribolle,
E '1 celeste furor nell' alme infuso
I vati accende di lor sorte ignari ! (a)
A questi sfoghi lamentevoli possono servire di ris-
posta sufficiente i numerosi esempj della liberalità
del Pontefice verso i professori di ogni genere di let-
teratura , e la testimonianza uniforme de' suoi con-
temporanei (i) ; ma per quest'oggetto non fa d' uopo
(a) Io mi sono studiato di tradurre alla meglio sulF origi-
nale latino quesi due squarci del poema di Risiili , che il
sig. lìascoe avea tradotto con maggiore lilierlà , o almeno più
diffusamenìe in Inglese.
(i) Anche Giovio al quale il poema di ^rsilli era indiriz-
zato, attribuisce Y improvviso miglioramento della bella lette-
ratura alla liberalità di Leone X: n Sc'ìpsi't (Arsillus) Icpi-
j> dum libellum de Poetis Urbanis , mihi , tanquam veler'
»5 sodali, dedicatum, quum Leone ingeuiis liberaliter arri—
n dente , multi undique poetae illuslres, nequaquam ad inanes
ty spcs in uil)em couflu.\issent j et pulcherrimo quodam cer-
220
di ricorrere se non al poema medesimo , il quale e-
spone nel più chiaro punto di veduta i maravigìlosi
progressi , che nel corso di pochi anni eransi fatti
nella città di Roma. Questi progressi veramente Tau-
tore vorrebbe riguardare come un risultamento spon-
taneo dell' ingegno , dei talenti , e delle virtù, di co-
loro , che egli ha preso a celebrare ; ma egli avreb-
be potuto egualmente darci ad intendere , che in quel
giorni i fiori della primavera spuntavano nel cuore
del verno , come tentare di nasconderci una vei'ità ,
che è dimostrata in ogni verso del suo poema , tro-
vandosi appena alcuna persona di merito da esso men-
zionala , che debitore non fosse a Leon X della sua
situazione , e quindi del credito che godeva. Questo
autore si è esteso con particolare compiacenza sui
meriti di Sadoleto e di Bemho.
Tanti or vati nel seno accoglie Roma ,
Ch' anzi la tomba illustre oltenner fama !
Non fia mai , ohe '1 tuo nome , o Sadoleto ,
O mai tua gloria scemi il tempo edace;
n tatuine a singulis in una tantum statuae materia scribe—
j> retar, qua carminum farragine Corjtius, homo Trevir j
»> humani juris libellis praeposilus , uli perbumanus poetarum
» hospes , ac admirator inclaiuit ; ea scilicct statua insigni
» marmorea , Aureliano in tempio dedicata , iiivitaiisqne va—
V tibus , ut tria numina Chrisli Dei , et Matris , ac Ariae
5» uno in signo ceìebrarent. » Jof, in Arsilli Elog. CUT.
Q Dal testo di Giovio sì raccoglie^ che Gorizìo non era pro-^
priarttente Giudice , ina piuttosto lut referendario delle suppli-
che ^ che si presenUii'aao al Pontefice per affari cit^ili. }
22 1
Mentre del sasso Laoconteo i sommi
Prodigi narri , e come in marmo spiri
Stretto da serpi il genìtor sui figli;
E come Curzio in la fatai vorago
Ratto si slanci, d'amor patrio ardente!
Crederlo il deggio ? Il Tosco stile infiora
Bembo, nell'onda Veneta nutrito;
Che vanto egual nel latin carme impetra ,
E in fuggir Pane Galatea 1' attesta.
Canta gli Eroi , ma rivai lor nel canto
Passi , e la palma ai prischi di contende ;
Che se angusto confine ai carmi è dato ,
Il destrier frena, e a breve corso il piega.
Oive' due d' Idalii fiori onusto il seno
Tornano a gara; e per lor opra al fonte
Mentre seggon le Muse Aganippeo ,
Del sol fuggendo le cocenti rote ,
Tempra sull'auree corde eletti carmi
Calliope intenta a dilettar le suoi'e ;
Cui tutto ad una vooe il divin coro
Risponde , e al canto in dotti carmi applaude.
Onesto poema siccome ei'a riferito nella Corjciana
non consisteva che in cento uovantadue distici ; ma
Tirahoschi ebbe la sorte di ottenere un altro esemplare
scritto di mano dell' autore , il quale trovasi accre-
sciuto coir aggiunta di molti altri nomi , e si esten-
de fino a trecento ventisette distici. La lettura di que-
sto poema può somministrare agli ammiratori della
poesia latina un' idea caratteristica dei numerosi au-
tori in esso menzionati ; e la ristampa di quest' opera
S2S
nel presente volume può dispensarci diil continuar*.
le nostre ricerche sopra di un soggetto , che ci por-
terebbe olire i limiti, ai quali deve necessariamente
restringersi questa pgrte della presente opera
FRANCISCI ARSILH
SENOGALLIENSIS
DE POETIS URBANIS,
AD PAULUM JOVIUM
LIBELLUS.
aa:
FRANCISCI ARSILLI
SEiNOGiLLIEiNSIS
DE POETIS URBANIS,
AD PAULUM JOVIUM
L I B E L L U S.
X EMPORI Apolllneae praesentia frondis hoaorem ,
Illius ao laudent saecula prisca ferant ,
Paule , diù mecuna demorsis uuguibus acqua
Sub trutinà examea. judioiumque traho.
Felices Musae ; felix quas protulit aetas^
Cura foret Augusto principe Roma potens.
Maecenas Vatum ingenti mercede solebat
Elicere iagenia Pieriamqne manum.
Testis erit nobis nuraerosus Horatius , et qui
Jam cecioit Phtygio praelia gesta duci.
Et Naso , atque alii , vastuui quos fama per orbeiu
Nunc celebrat , multo uumine piena cohoi-s.
Adde quod bis aures solitus praestare benigaas
Caesar erat : surdis tempora nostra canuiit.
Ad laudem rude pectus erat , cui calcar inerti
Non posseot tanti Priucipis ora dare.
Leone X Tom. FU. i&
2 2&
Talia dum tanitus dnbia sub mente rerolvo ,
Temporibus priscis cedere nostra reor.
Sed quoties aevum boc , peravaraque temporis hujus
Saecula , quae M'isis occnluere fores ,
Obruta et ut jaceal coeno Parnassia laurus ,
Nostra ego nil illis esse minora puto.
Nuuc miseri taotùm Vate» virtutis amore ,
Non pietio indacti pleclra sonora movent.
Quos si Pastor ag<^ns ad piaguia oulta Minerva*
Ducerei , et rabidos pelleret inde Lupos ,
Pascua mordaci rictu qui cuncta vai;autes
Phoebei laniant veliera eulta gregis ,
Qualia nectarei caperes modulamina cantus j
Forsan et antiquis invidiosa viris!
Plurima nunc qnaravis Vatum conatibus obstent ,
Attamen bis oestrum niculid inesse vìdes ,
Quos furor ille animis coelo dilapsus iubaeret ,
Et propriae iramemores conditionis agit.
Hioc tua nescio quid pectus praestriugìt , et urgeS
Ut snperet Joviae glo 'ia gentis avos.
Ao mca nescio quid molli dicai olia Pboebo ,
Meque j etiam invitun» muuera ad ista rapii.
Hinc fovet alma siuu sacros tot Roma Poetas
Fama , quibus cineres contigit apte suos.
Aetas nulla tuum raiuuet, Sadolete, deoorem , (i)
Gloria nec longo tempore vieta cadet,
Laocoontei narras dum marmoris artes ,
Concidat ut natis vinctus ab angue pater.
C]urtius utque etiam patriae succensus amore j
Et specie et forti conspìciendus equo j
Fervflda duin virlua foret in juvenllibus aunis
Praecipitem sese tristia ia antra dedit.
Bembus , et hoc mirum est, Venelis natritu* ia uudis (2)
Elhrusco hunc taatutia quis putet ore loqui ?
Nec minus est Elegis Latio sermone disertus.
Hoc Pana ostendit dura Gala.ea fugit.
Di'' caoit Heroas , atque illos versibus aequat 3
Et superai cantu tempora prisca novo.
la breve sive opus est spatiaaa deflectere Carmen ,
Gurrioulo effraenis colla retorquet equi.
Hi simul Idalios Damascai e gramine ruris
Unanimi flores saepè tulere sino ;
Horum opera , ad fonlis dam Muiae Aganippidos umbram
Phoebei evitaat torrida plaastra jugi ,
Ut sociis vacuas oblectet carniiac meates
Ad cilhafae pulsum Calliopea refe; t ; ^
Unisonàque illi responsaut voce Scrores ,
Et plauduut uum^ris turba canora Daae.
Est sacer a docto celebralus Carmine Vida , (5)
Vida , Cre(noneasÌ3 candida Musa soli.
Panthoiden Samii corpus si credere fas est
latrasse, et clypei pondera uoiise sui;
Altiloqui Geniuin Vaterri himc adamasse Maronis
Qnis negat, ut Juli graa.lia gesta canat ?
Grandia gesta canal ; canal ut confectus ab aunis
Ausoaii moleni sustinet imperii.
Sperulus est Elegis cultus, dum cantat amcre's ^ (4)
Arduns j heroum dum fera bella canit ;
Nec minor est Lyricis , cum barbitos aemula Vali
Aeolio molles ccncinit iota ciodos
•228
Nota erit Hesperiis ; atque Indfs noia puella ,
Felsineus mullà quam colit arte Plus, (5)
Idem prisooram reserans enigraata ^atum
Conspicuo reddit lucidiora die.
Est Gasa raolliculi Vales Nova carminis Auctor , (6)
Cujus amai placidos blaada Camoena sales;
Huic decor , et cultus astant Veaeresque , Jooique,
Hunc fovet in tenero gratia trina sinu.
Galle, tuae passim resonant per compita laudes , (ij)
Scena graves numeros te recitante probat.
Vivet in aeternum facnndi Musa Camilli ,
Quem peperil genitrix Portia stirpis honor. (8)
Cèrtat Romano tua pagina eulta Tibullo ,
Laurea nunc culli carminis aoibigua est.
Nonne reus Musis fierem , si nostra Cataui , (g)
Et Magni Angusti laudibus ora vacent ? (io)
Namque siraul penitus scrutantur Numina Cyrrhae
Argivasque docent verba Latina Deas.
IJst vafer , et facilis peracuto dente reuidens
Laelius , austero toxica corde gerens (ii)
Huic quamvis libeat verbis petulaatibus uti ,
E&t tameo ingeuio mitis et arte potens.
Quique supereilii rigidi Lunensis , ab annis (i2) ■
Assuetus teneris scindere cuncta Tomos,
Inde sibi metueas , vigili sic cuocta lucerna
Lustrati ut a nuUis unguibus ictus eat.
Pindarus auritas sylvas testudine mulcet ,
Dulcisoiiàque trahil concava saxa fide.
At modo quis Tham^rae cytharam non nescit amatque^
Aurea cui nitido pectore vena fluit. (i3)
229
Fluctibns iramerget sese ante Lycaotiii5 arcto3
Afquoreis , Phoebi currus ad ima ruet ,
Quam tua , Fauste , cadat nitidi oandoris avena ,
Cui levat Ismeni Qumiuis uuda sitim.
Castilionum annumerera quos inter? Martis acerbi, (i{)
Num Phoebi, an Veneris te rear esse decus ?
Miles in arma ferox , peramatà in Virgine cnitis ,
Hiiio molles Elegos , bine fera bella cane.
Et tu nomen habes ab nectare mollis Hyrnetti ,
Melline , A.oniduin culmen et urbis amor. (i5)
Pene mihi exciderant animo tua carmina , Blossi , (i6)
Cui nova Acidaliae vincula oectit amor.
Utque Gupidineos confuudens pul^ere currus,
Semper anhelautes verbene tundis equos.
At modo ne tantum priscorum insultet hoaori
Inter doctiloquos Lesbia sola viros ,
laclyta Pisaeo , et praestanti sanguine creta ,
Foeminei splendor Deiaaira chori : (i^)
Prompta venit nostris non indignata choreis ,
Virgineos facili plaudere fronte pedes ,
Imparibus cedit praesens cui versibus aetas ,
Quamque novam Sapoho Tibridis ora colit.
Dura gravidae nubis fugient A (uilonis ab ortu *
Dum madidas referet turbidus Auster aquas ,
Sidsra percutiet fulgor, titulusque Severi, (i8)
Pandulphi pandens inclyta gesta ducis.
Suggerii assidue nomen tibi grande Gasali (19)
Melpomene aeternae posteritatis opus.
Dulcis Apollineo demulceos pectore chordas
Aonius Phileros agmina tanta premit. (20)
23o
*ra quoque sea Flacci , scd per ncraora alta Próperli
locedis , libi habes , Valeriane, locum. (21)
Fiondibus Aoniìs tCj Pimpinelle , decorura (22)
Vidimus , et racrilis laurea serta comis.
Dum recinent volucres , tundent dum Httora Quctus ,
Impluraes foctus dum ferct unda maris ,
Huic aderis semper mollis , Beroaldp , trophaeo , (23)
Blanda Venusinae cai favet anra Lyras.
Est Marius versi! , pergrato et scoravate notus , (2+)
Cui virìdes colles ruraqiie amoena plaocnt.
Saepiìis itidè novetn vocat ad vineta Sorores
Munifica impendens» ritria poma manu ;
Promiltitqne rosa? , vioìa!=; , vaccinia , et alba
Lilia , cùtiì primo vere tepescet humus. «
tìis scelus est, magmim non asseruis-e Gapellam, (25)
Rorls Apollinei cui rigat ora liquor.
Non le 3 Amiterne , sinam , dubias sub nocfe sileoli (2G)
Per tenebras nullo lurnine ferre gradum.
Nara tu Pegasidum juvenes deducis ad undas ,
Quos fovet ingenti Marlia Roma siau.
Lippus adest caro natali sidere mancus (27)
Lumiae 3 sed docto Carmen ab ore morens.
Delius huic lucis dedit haeo solatia ademptae ,
Ne misera ex omni sors sua parte foret.
Nam subito revocat blanda in cerlamina Divas ,
Dum movet Ausoniam dulciùs arte chelym.
Cyrrhaeas latpbi-as , et amoena j Maroslicus , antra, (28}
Visit , et huic Erato pranvia signa tulit.
ìudè raiser dominae tactus dnlcedioe amandi
Demulsit placidie ferrea corda modi».
23 1
llliim tu blandis aeqnas, Vallate, CamoaDÌs , (29)
loffenio j inventa, Carmine, judicio ;
Quem peaes arguto scribendi Epigrammata sensu
Laus fait , et gratos tingere felle saies.
His te cui Charites adsnnt , Agalhine, choreis (3o)
Insere et aurata carmina funde lyrà,
Pbiléticum haud Lucam sileo , qui nomen ab ipsà (5 1)
Luce tcoens , tenebra» dispulit ingenii.
Èst et Flaminius nimium sibi durus et atros , (^2)
Cujus avena potest scribere quidquid avet.
Unica spes genti et languentum Djaxiraa cura
Scipio, qui Ghoa est clarus ab arte reuex. (33)
Hunc quamvis A.rvina preraat , ^igil iotus oberrat
Spiritus, et sacro pectore multa fovet.
Noscìt sic montes , sylvas, maria, oppida et amnes j
PoIIus, ac solidis viderit illa oculis (ÒA)
Te, si Colloti, 6 Musarura candide alumne, (35|
Praeteream , Vates invidiosus ero ;
Urbis deliciae , dictant cui verba lepores ,
Lactens a dulci cui fluit ore liquor ;
Felix exactae est sic Carteromachus arlis (3G)
Ut nihil adscribi diminuivo queat.
Éuterpen trahit hic sociasque e Phocidos ora ,
Romuleique jabet littus amare soli.
Sospite Parrhasio, Romana Academia , opacis (ò-j)
Occultum in tenebria nil sinit esse diù.
Hunc circum urbanus latrando livor oberrat ,
Et fessa externara voce reposcit open.
Ille velut Daaaes turri munitus iu alta ,
Ridenti imbelles despicit ore rainas.
Tocibns «l placìcìis, placido et modnlarnine , Sircn
Fallaci nautas mersit et arie rates ,
Sic modo, Parthenope erudiit quem docta , Vopisci(38)
Decipilur blaadis cauta puella modis.
Idem Gardonis magni dum forti a in armis
Gesta canitj grandi fertur in astra sono,
Cecropiaeque imos linguae Latiaeque recessus
Scrotatus , nyraphis muuera rara tulit.
Ut volucrum Regina sapervolat aethera , et airi
Immotum lumen solis io orbe tenet ,
Sic illà genitus darà Mariangelus urbe, (3 9)
Alite quae a Jovià nobile nomea habet ,
Felici ingeaio solers speculatur in antro
Gorycio , unde referl carminis omne genus.
Quantum Ramatio tellus Fulginia , tantum {4o)
Arcade grandisono Narnia terra nitet.
Imponnra prisci donec tenuèie Quiriles
Dum stelit Augusto maxima Roma Duce,
Vix latiae linguae Soyhicas penetravi! ad oras
Nomen et iilius fama sinistra fuit.
At modo quae latos glacialis Vistula campos
Abluit, et gelidum per mare fiodit iter,
Sucihenium ingenio praestanti misit ad Urbeoj, C^*^)
Qui modo lege sui carminis urget avos.
Explicat ardores, et amicae ventilat ignes,
Praebeat ut victas dura puella manus.
Alta supervolitans Ursinus tecta Quirini (^s)
Fertur Parrhasii Gaspar ab axe poli
Barbariem inoultam patriis de fioibus arcet,,
Ducit et Ausooias in uova tempia Deas,
233
Aemulns huic, concors patria, jnreniìlbas anni»
S^-lvanus nurneris certat et arte pari (43)
Auspice germanas hoc jam fluxére per oras
Attica Romano conflua mella favo.
Hqnc puer Walià doctum cum matre Cupido
Mirautur Vatem duin sua farla canìt.
Praecipiti quoties cestro nova carmina di(5tat
Pierio tolies dignus honore frui.
Pannonia a forti Celebris jam milite tantum
Exlitit ; at binis Vatibns aucta modo est.
Nam Latium Piso sitibundo ita gutture rorem (ii)
Hausit , ut Ausoniis Carmine certet avis.
Nec minor est Jano , patrium qui primus ad Istrum
Diixit laurigeras ex Helicone Deas.
Fulvius a septem descripsit montìbus Urbem , ((5)
Rf^ddit et antiquis nomina prisca locis ,
Fulminerà est adeò lingua Syllanus, ut illi (4^)
Aonium facili murmurc flumen eat.
Flava Tibaldeum placidis sic Flavia ocellis (4^^)
Incitat , occultis praecipitatque dolis,
Aptior ut oullus malesani peotoris igne»
Explicet , et lepida comptior arte sales.
Urbs Patavi foret orba suo ne semper alumno ,
Cujus opus tantum blanda Colomba fuit,
Illius Elysiis fato revocatus ab umbris
Spiritus , in lucem nunc redivivus agit,
Pectora nam tribuit facilis Bonfilius illi, (i8)
Nec minor ingenio^ nec minor arte valet.
Nec mea Calliope Paleotum fessa silebit, (49)
Cui fons irrorai pectora Castaliue.
i34
Laeta (laftntisoao reraeabat ab aeqaore Cy^rh ,
locipit , et taato carminp conflat opus.
Quis Pbaedrnm ignorai, Vjgilisque poemata magni? (5fl»)
Maxima Romani lumina Gyranasii.
Sacceus invidi celebrai nuno gesta Triulti , (5l)
Invictasque aquilas , roagnanimumque senem.
Fortunate senex , qnis te furor impius egit ?
Car geris in patrios arma nefanrla lares ?
Phoebus ad externas peregrìnaque regna sorores
Duclurus Cyrrhae quae juga summa coluut ,
Incoia barbarica fierel ne collis amati
Foeda timens , coeptum distulit aactor iter ,
Atque agilem viridis cetrara de stipite lauri
Fabricat , hoc circura cui breve carmen erat.
Miles erit Phopfei , et Musarum railes , honestuna
Quisquis barbanco rulmen ab hoste teget ,
Turba pavet , tantaeque timens discrimina molis,
Pensitat atque humeris non leve credit onus.
Tum subito juvenes inter proiuplissimus omnes
Exilit , intrepida sumit et arma manu.
ToUitur applauRu sociorum clamor , et illi
Ab Cetra impositum uomen inesse volunt.
Dexter in omne genus scripti Getrarius inde est; (52)
Neo facile agnosces , aptior unde fluat.
Infantem quae cura regat , quis cultus habendus
Sii puer» , et Juveni qualia , quidve seni,
Optiraus ut qi:eat hic Civis sine fraude vocari ,
Jureque cui res sit publica danda viro ,
Tempora qui placìdae pacis siae fraude gubernet ,
Wec timeat mortem , cùm fera bella premunì ,
33S
Fulgina» Ventarns agit , praeceptaque in unum (53)
Golligit j et culto Carmine promit opus.
Jaous, et expertus Macsr est depellcre raorbos, (5^)
Pieridum tenero cultor ab nngne chori ,
Fulvia quem fallax mcdicis substraxit ab Aris ,
Jnssii , et Idalii vulnera amare Dei.
Hansisti , Crnciger , «^aoros Heliconig hooores : (55)
Hiijc venit ad calamos prornpta Thalia tuos.
Et cantal Leges , sanotique edicta Senatiis,
Ac duce le iosolitas audet adire vias.
£xprimit affectus aaimi sic Carmine verog,
Postumus , nt lecfor cuno'a videre putet: (56)
Cùm libet ad lacrymas ndeotis lumina amicae
Flectit , et ad risum cùm gemit , ora movet.
Marce Aganippoeos lalices qui e fonte Caballus (5 7)
Eruitj ille tibi nomina sacra dedit.
lode tuis Cbarites numeris haerere videntur
Nnmen et Idalium , Pegasidumque chori.
At modo Bombasi quo non vaga fama refulget ? (58)
Coi reserant Musae Phocidos anlra novem.
Jjittoris Adriaci nuper dehta per agros
Perque Ravennatis pinguia culla soli 3
Gentis Aquitanae turmas 3 et gentis Iberae
Agmina , ad iafernos agmina pulsa iacus ,
Marcellus cecinit primaevo in flore juventae, (Sq)
Praeliaque intrepido Carmine saeva gcrit ;
Romuleae genlis longè indignatus, et idem
Auctorcm per tot saecnìa nocte premi ,
Hiades magni genus arraipotentis , ut urbera
Fà'lalcm aclernnm struxit io orbe caput..
236
Et landpm ut palrium meritò jam possidel astram ,
Utque ipsum indigetem Martia Roma colit ,
Coòcitus Aonio reseral Palonius cestro
Unica Romuleae spesque decusque togae.
Hiiic mihi se offerì Parmensi missns ab urbe (60)
Dardanus Aoniis peotora Ictus aquis.
Hic canit Ausonias quoties irrumpat in oras
Barbarus , et quanto fulmine bella fremant.
Idem sollicitos Elegis solatur amores ,
A'qne gemit Dcminae tristior ante fores ;
Qua Padus ingenfes Vesuli de vertice pinus
Volvit et occultis exerit ora vadis ,
Idem contractis Epigrammata condere verbis
Gaudet , et argutos promere ab ore sales , -
Cui dum Caesareas percurrit Carmine laudes
Continuit rapidas Renus et Ister aquas.
Hnnc merito Gaesar Lauri dignatns honore est ,
Huicque Palatini miiitis arma dedit.
Monstra quid Hpsperiis portendant urbibus, acri
Ingenio et quidquid exta resecta notent ,
Jane j Pancrmeae telluris gloria, narras , (61)
Cui vix iu vultu prima juventa nitet ;
Tuque etiam ingenio scandis super ardua primuE
Sidera , olympiacas ausus adire demos.
Aftlatusque animis aeiemis couciuis hymnos
Aetherei reserans claustra veranda Jovis.
Vergilii hie manes semper sub nocte silenti
Evooat, et Musis cogit adesse suis.
Te Maro non ausim , prisco cui Musa Maroai (62)
Aemula dat Latio nomina nota foro ^
Immemor ob^curas-inter.liqui^se tcnebras ,
Et sinere ignavo deluuisse sita.
Exiiis huniaQos exteraplò è pectore sensus,
Fatidioiqae fureas iadiiis ora Dei ;
Pulcher inaurata quoties testudine Jopas
Personal, et placido murnoure fila movet.
Hauriretque Helicona priùs , Dircesque Quanta,
Desereret caeptum quàm tuus ardor opus.
Liviani audentis narrai fera bella Modeslns, (65)
Quotque homiuuru dederit millia multa neci,
Inter ut arma illi mens imperterrita mansit;
Hujus opus Seres j Autipodesqae legent.
Ille opifex rerum ooeli qui lapsus ab Arce
Filius aeleroi maximus ille Jovis,
Orbe pererrato , cùm quid bene gesserai olìoa ,
Describi insolito carmiue vellet opus ,
Musarum infantem subirà xit ab ubere sacro
Aooio assuetum fonte levare sitim ;
Nomea et imponeus peramalae a stipite frondis
Dixil , Queruus eris , tu raea gesta canes. (04)
Inde sacrosaucto celebrai sic omnia versu
Diviaum ut cuncti numen ioesse puteut.
At quibus e doctis doraus est ignota Goiyti ? (65)
Thespiadum curae est cui bona ne pereaul:
Vatibus hic sacris Maecenas spleudidus^ illi.
Si foret Augustus , tempora avara uoceut,
At tua, quod potis es , suut Pboebi teda sacelluoaia
Cumque uovem Musis illa frequentai Amor.
Verticis Aonii Musarum in culmine lemplum
Desertum stabal , jam siue boaore iocus :
a38
Annaa poenllult Phoebuna pia sacra Sororuna
Jatndudùm ^ aruisso flamine , nulla fore ;
Quaesitumque dil!i juvenem renovare quotaonis
Mytica sacra jnbet , Flaminiumque vooat.
Inile Elfgos . blanrlosque sales , seu fortia bella ,
Pangit , habet venerea , nec decor ullus abest»
Invidit "Vati Spartanus Railius Umbro (06)
Te gravibus recinens pulchra Licina modis ,
Et patria Eurotas licet hunc iostruxerit arte ,
Te tamen ausonio Carmine ad astra tulit.
Delie, ni vires nosset sibi conscia virtus , (C7)
Ipse tnas laudes band timide exequerer.
Sed quoniam praestat molem evitasse perieli ,
Quam grave curvato poplite fundere onus ,
Cùm tua Romulidum volitet vaga fama per urbem ,
Ne male coepta caoam , sit voluisse satis.
A patria j a Musis, Phocboque urbique Quirituna j
Ac reus a populi publicus ore ferar ,
Ni tua multiplici studio praestantia , Ulysse , (08)
Pectora sacratis Vat bus aunuoaerera.
Notitia in tenebris nulla est adeo abdita rerum
Ingenìo fuerit quin bene eulta tuo ;
Omnia nana septam reserasti arcana sororura ;
Libera quaruin Arfes noscere corda decet.
Nec tibi deficiunl ( bisseptem tempora lustri
Cùm supcres ) vires corporis atque animi.
Clareli ingenua elligies frontisque serenae {Gg)
Blandus bouos Musas ad sua castra vocat.
Jllius ex hiiari genium dignoscere vultu
JEit nienieoi . et sensus, cordaque aperta licpt.
Sullae unquam poterunt fraudes se inferrc Camoenis,
Quas tibi lascivo muriuure dictat amor.
Hoc duce , Nyoipha olim V'euerisque perislera custos
Fit volncris 3 voIutì quae vehit a\e Deam.
Per sylvas quolies nemorosis saìtlbus errai ,
Calliope acternum sola mioistrat opas ,
AiTnaqae grandiloquo resonantia carinine Phaebus
liigerit , et gravibns verba sonora niodis.
Fellpque mordaci brevibus senteatia dictis
NoQ caret, hosùli cùm vomit ore sales.
Atque Atriae liic nostri doctissima pectora sedi
Non silet, armati nec fera bella ducis.
Pactius Ethrnscae modo plurima gloria gerilis (70)
Petrus adest , clivo raaximas Aonio ,
Ncbilitas qupra clara fovet Geaiusque Gharisque ,
Et prudens fraudum nescia siinplioitas.
FortuDaraque super generosa mente vagatur ,
Illius baud unquam territus insidìis.
Non rapit in prasceps lete ambitiosa cupido
Intra fortunara vivere docte tuan».
lagerit huio mirum nil sors inopina , tiovuraque
Omnia qui immoto pectore adire polest.
Candida sublimem te vexit ad aethera virtua
Fclicem reddens assimilemque Deis.
De grege qnis posset , posset quis credere inerii
Quem mona praepingui rure Casinus alit ,
Solus honoratus vigilanti mente Sacerdos (71)
Aonidum cantus post sua vota colit ?
Fascitella doraus priscorum è fascibus orla ,
Quos velcri imperio stiips generosa tulit.
ii4o
Eilirlit iafantem , nascenti Aeneia natrir
Affuit , exoepit , cumposaitque caput ,
Ubeiaque admovìt pieno turgentìa succo :
Auoiori arrisit muaeris ore puer ;
Intrejjidàque manu pressit , suxitque papillas ;
Lacte reduudanti cessit aahela sitis ;
Musarumque ipsam altrici commendat , ut Inter
Pierides Ciarli disceret acta Dei.
Exjepere Dpae uuaoimes, et mistica Phoebi
' Sacra docent patriis restituuntque focis.
Cecropiae Line caecas latebras arcanaque liuguae
Aufractusque omnes multiplicesqae dolos ,
Et quocumque olim veterum invidiosa propaga
Liquit in obscuris semisepulta locis ,
Paulatim explorans fulgeuti luce reoessus
Discutit , et nitido tramite monst"at iter.
Nam brevibus longas ambages legibus aafert ,
Et parvo immeusum codice stringit opus.
Spntibus evulsis nudo jam calle per amplos
Ire licet montes Pieridumque nemus.
Hoc duce , Parnassi pubes petet Itala culmea
Altaque securo oonleret arra pede.
Daphni , tibi Sjdus nascenti afflavit Apollo, (72)
Inge-ssitque libens numina et artis opem.
Hinc Elegos promptosque sales eultissime pangis^
Nec desit nuraeris Dorica lingua tuis.
Te quoque Romulidum et cultae spes altera lingaae
latexam chartis , caadide Sanga , meis. (7 3)
Vos animae , aelerni quos ingens nominis ardor
Sollicitat noctu , sollicitalque die ,
24l
Quas stimuHs agitant lauflum praeconia , qaasqae haec
Poenitet haud vatum celsa trophea seqai.
Laurea deponat vobis moHò serta capillas ;
Surgite ira amplexns , jam Deus alter adest.
Namque Gaìedonio Paceus ab axe Secerdos
Cortinarn ingreditar ad pia Tempia fereiis ,
Cortiaam , qua riie iitat libi , Delphice , quando
Attica Romulidum ac inclyta sacra colit.
MuIsHis aotiquum nitido candore nitorera (^4)
Possidet , et prisca simplicitate viget ,
Sincerusque fluit, nec fuco nobile adumbrat
Carmen , sed casto pectore sacra colit ,
HuQC quoaiana illius canta oblectantur ainoeno
Gypris , et aurato gratia blanda siuu ,
Semper dulcisonos ut lameutenlur amores
Perpetuis flammis ini()robus urit Amor.
Fortunate bonis animi felic bus aucte
Pracsagi merito nomen ab ingenio .
Gratulor , ingeminat tibi quòd malefida dolore?
Julia, quae aurìcomi nomina solis habet.
Namque nisi ex allo sic dissimularet amores ,
Non foret a canta tam bene nota tuo.
Quis raeliùs doctum te, Alexandrine , GatuUum , ('j5)
Jam promptis numeris le insinuare potest ?
Eiige quibus Daphuem lamentis , aut quibus olim
Foroiosum iadoluit Gynthius Aebalidem ,
Ac veluti jecur aeternum sub vulture moerens ,
DeQeat Japeti viscera hiulca satus ,
Qualibusaut lacrymis Geyoem in gnrgite vasto
Siibinersum flevit tam misera Alcyone,
LfiONE X. Fai. ni. 16
Candide lector , aves si noscere , si vacat , enge
Da raoestis aures vocibus Euryali ,
Dum queritur fastus iratae Juliae , et artes,
Illecebras , fraudes , jurgia , farla , dolos.
Calliope buie dextram tribuit Dea sponte papillam ,
Threicio Vati mamma sinistra data est.
Centelles gemini fralres slirps inclyta, aviti ('jG)
Post habila Siculi nobilitate soli,
Illecti paritcr linguae dulcedine ad urbera
Migrarunt, Glarii bina tro[)hea Dei;
Quorum pectoribus sic mutuus ardor inhaeret,
Altpr ut alterius pectore corda ferat ;
Concordesque animo Pboebei gramina campi ,
Antraque solhcito trivit uterque pede.
Hos inter natu major viridante capillum
Lauro Hieroa cinctus tempora nixa gerii ;
Heroumqne canit laudes ingentiaque acta ,
Acla quibus jaslo murnaure p'ectra movet ;
Mellift*rae inventuin segetis , dulcemque liqaorem ,
Ut trahit e molli canna palustris humo ,
Et quis arundiiiibas cullus , quae tempora messis
Dalcia quin etiam saccara ut orbis babcl.
Franciscus minor enodat Centello propago ,
Et leges strinxit juraque certa dedit.
Non adeo in specubus lalitans borrenlis Eremi ,
Damnatus voti dum bona sacra novas ,
Illorum ut careaut ritu , Stephane alme , Quiiites
Obscoenae nulli sacra adeunda pede.
Hos quoque qui ad Tanaim penetrai gcnus usque uivalerai
Insequitur dexliis Nerlius alilibus : (-)''))
a43
Non le divitiae» faslus, praecepsque juyenta
Elevai, ii)geQÌnra 5 nobilitasve preaiit ,
Olla quin Elegosque colas , Phoebique recessus ,
Carmioaque arguto tingere felle juvel.
Praemia , Calve, tuis quae digna laboribiis unquanij (78)
Tarn bene prò meritis lingua latina dabit ?
Tu peregrè errasti sublata voluuiiua quaerens
Quantum Europaeo lingitur Ojeano.
Namque Caledonii te dives terra Britaanì
Novit j et auratis dives Iberus aquis ;
Galliaque et latis Germania frigida campii?,
Panaoniosque secans turgidus Istcr agros.
Quidquid Barbarici Martis furor impius elim
Absiulit , ad patriae limiua grata refers.
Ecce iterura antiquum le porrigilante nitorem,
Roma lenet, candor pristinus ilie redit.
Madalius placido immitem dum murmare amicam (nn)
Dedet, et assiduo murmuie mosslus hiat ,
Multifulo Aonii silvàs in vertice mentis
Piantai, et errantes mulcet Hamadryadas.
Quin eliam interduui mordax re^onante susurro
Ridet, et argutos ingerii ore sales.
Si tua non fictos Eralo descripsit amores ,
Miror quod nouduiu es , Augoriane , cinis, (80)
Annua Pierides celebrant Phoebeia Nyaiphae,
Solemnemque nolani munera rara diem ,
Quo miser Admeti pecudes armenlaque Pastor
Deàierit tandem tristia vota sequi ;
Succinctaeque siuus niveo et circumdalae amìctii
Gratautur reducem lata per arva Deum :
244
Duraque ragae huc illuc cursant per florida Tempe,
Texentem pueruni moìlia seria vident ,
Dulcia cerlalim dant oscula , lacte perungunt
Albenti , Albineo nomeu et inde fluit. (8i)
Collis et Aonii secreta per omnia ducunt ,
luslillantque sacri nuniina cnncta loci.
Haud igitur miruin est , si quidquid coacipit alto
Iiigenio , aequali Carmine , et arte refert.
Oceano in magno veluti slat saxea moles
Immota , as.siduìs (luctibas icla maris ,
Sic caput objectat fortunae interritus acri
Coufisus Diis Gloelius auspicibus ; (82)
Desinit illa unquam ut valido intorquere lacerto
Spieula , in huac solutn spicula ouucta ferens ;
Sic animo invictus constanti pectore scraper
Imperturbata vulnera mente subii ;
Solaturque suas Phoebeo murmurc curas ,
Murmurc cui Latii plaudit avena chori.
Ca^^talii foutis nisi Bevazanius undas (85)
Hausissel solitus pellere ab ore sitim ,
Non adeo felix hederae super alta coryrabis
Parnassi ornatus monlis adisset iter.
Aeteruos scripsit cultus Lampridius hymnos , (8{)
Terreni laudes concinuitque Jovis.
Carmina Romano tantum placuere Tonanti ,
His nulla ut nostri temporis aequa putet.
Si vetus obstupuitj praesens itidem obstupet aetas
Excultum Carmen j eulte TibuUe , tuum :
Haud mirura hoc doctae genitricis ab ubere sacro
Hausisli , et casios parvulus ante Lares.
345
Inde tibi genioque tno peramica fnere
Saecnla , et Augusti uumina grata ducis,
At modo bis denos floreali aeiate decerabres
Vix uumerans quaoto pectore Zanchus ovat ! (85)
Phoceases pariter Musae Latiique Garaoenae
CoDCordes una liunc spoate tulere sinu.
Certatim accurruat Cbarites^ numerosaque dictant
Garmiaa j juncturas, pondera, rerba , souos.
Ponderibus rerum meotem hic bene pascit et aures
Selectis verbis mulcet et exhilarat.
Bine , lui ingenti vires , quibus omnia amussim (8G)
Patigere , vel genio nil renuente potes ,
Si modo ab honorum cultu divellere Musas ,
Ferrea quas semper ducere rastra piget ;
Atque alio illarum mentem divertere et aures
Quo se humili extollant sidera ad alta solo.
Jamque tuis velles humeris injungere munus
Grande aliquod , quantus quantus in urbe fores !
Dura Celebris Vates circurafert pompa ^ Molosse , (8'j)
Ipse iudicta feris horrida bella cane ;
Queis cecidere apri cervornraque agmina longa,
Et damae imbelics , capreolumque genus ,
Cùm Leo venandi Palieti lustra Ganinum
Oppidulura lassus moenia parva subit.
Illic ubi hospitio exceptum Pharnesius heros
Gonvivam nulla non fovet arte Jovem.
Thespiadum erudiit prima incunabala nutrix
Euphemes , natus cui, Grote , solus erat ; (88)
Unde genus , nomenque trahens ab origine avita
Altera Musarum pst maxima cura Grotus.
2/j6
Batte , melos tliilci genifrix te Amcrioa liquore (8g)
Imbuii . et primis imbnit oberibns.
Quàm bene mellifluo suscpptum neclar ab ore
Diffundis semper Mania gp<;ta canens !
0nae tuus anticfuae prò moenibns ille Ravennae,
Et quac prò Laribus , docte Caiulle, tuis
Marcus honos patriae , slirpisque Columnicae , et almae
Italiae centra Gallica signa dedit.
Grandiloquis gerit ille raodis celebranda per orbem
Praelia , tuque pari pectore bella rcfers.
Digna tuis beros numeris facit omnia , tuque
Factis digoa suis carmina semper habes.
Ad Vatum coetus propera, blandissime Carsi , {9*^)
Ne taceas clausas tristior ante fores ;
Nam data carceribas citiùs si signa quadrigae
Contingant ^ frustra vocibus astra peies.
Sufitque aiii celebres , qnos ingens gloria toUit ,
Et quorum passim carmina Roma legit.
Horura si quÌ5 avet cognoscere nomina amussim
Prolinùs Aureli terapia superba pelai, (qi)
Illic marmorea pendent suspensa coluraoà ,
Atque eliam haec Goryli pietà tabella docet.
Illos novit Arabs , illos novera Sabaei ,
Et nigri Aetbiopes , arvaque adusta geln.
Vaticinorj Dis grata cohors , felicius aevum
Pectora fatidico murmure Phoebus agit;
Venturus novtis Augustus , ventnrus et alter
Maecenas , Divùn candida progeaies.
Aurea princìpibus uovaque illis saecula fieni .
Saecula queie aetas ferrea viota cadet j
Pacificae grave Martls opus tunc cedet olivae ;
Romano cedeut arma ortienta foro.
Pingràs humus passim nuUis cuUoribns , ultrò
Et Cererera 5 tuaque muaera , Bacche ^ dabit.
Ar^-a ptde incarto pessundare saucta profanos
Non sinet , arva sacris caste adeuada choris.
TuQC virides lauri sndabunt roscida mella ^
Flnraioa perpetuo nectare lenta fluent ;
Altricemqne uovus quando instaurabitnr orbis,
Tellnrem repeteot numina prisca Deùm.
Felioes animae , qaibus illa io tempora Carmen
Singula sub proprio pendere verba cadent.
His ego , si poterò meritum snbscribere nomea ,
Forsitao Arsilli fama perenois erit ;
Et mea tunc totnm felix Pirmylla per orbem
Vivet in exitinm nata pnella meum.
Ast ego non tantum mihi nunc temerarios angnr
Polliceor , nec me tara ferus ardor agit ,
Corvus ut his ausim crocitare per arva Caystri
Cyencumque rudi fingere voce melos. (93)
s47
24S
NOTE
Del Traduttore Italiano al Poemetto di Francesco
Arsilli de Poetis Urbanis.
(i) Giacomo SaJoleto Cardinale. Dei dì lui versi sul
gruppo del Laocoonte, allora di recente scoperto, come
pure sulla statua di Qu Curzio, si parla ia questo vo-
lume medesimo alla pag. ii 5. Questo squarcio del poema
di Arsilli , come pure il primo principio del poema di-
retto a Paolo Giovio, sono stali da me tradotti suH' ori-
ginale, ed inseiiti nel testo, siccome avea pur fatto il
sig. Boscoe , Iraducendoli in versi Inglesi.
(2) Pietro Bemho , del quale si è lungamente parlato
nel corso di quest'opera, ed in questo stesso volume.
C^^oesto squarcio pure trovasi nella mia traduzione.
(3) Gìrolaino Fida Cremonese , che fu poi Vescovo
di Alba. Di esso pure si è fatto menzione in questo vo-
lume.
{{) Francesco Speralo di Camerino , buon poeta latino
di que' tempi. Si irovano alcuni di lui versi nella rac-
colta intitolata Carmina ìllustrium poefarum Italorum ^
ed .alcuni io ne bo veduti ne' codici manoscritti di quel
tempo , che meriterebbono di essere pubblicati. Nel mio
codice di Callimaco era detto Spirala.
(5) Giovanni Bat'isia Pio Bolognese , scrittore di versi
erotici. Egli si diede anche ad interpretare i versi Si-
billini , de' quali si fecero in que' tempi molte edizioni.
(0) Marc' Antonio Casanova j che alcuni dicono Ro-
roano , ed altri reputano nativo di Como s ra» figlio di
un padre Romano, il che viene anche accennalo da
Giovio. Passò per buon poeta in Roma a" tempi di Leon X;
compose per lo più epigrammi , ed in questi si diede
alla imitazione di Marziale ; in qualche elegìa dicesi aver
egli imitato Catullo , e in queste cantò d' ordinario gli
uomini illustri dell' antica Roma. Egli fu protetto dai
Coloiinesi ; e si narra che per compiacere il Cardinale
Pompeo Colonna , suo mecenate , scrivesse versi satirici
contro il Cardinale Giulio de' Medici , ai quale il primo
era avverso. La cosa venne a notizia del Papa, ed ognu-
no giudicò , che Casanova provar dovesse gli effetti del
suo sdegno;. ma Leone con grandissima magnanimità gli
accordò il perdono. Morì nel l52-) poco dopo il sacco
di Roma, ed essendo slato spogliato in quell'incontro
d' ogni suo avere , sarebbe morto , dicono gli storici di
fame , se non moriva di peste. Si trovano molti suoi
versi nelle Delìciae Poetarum Italorum.
(7) GalLo Comico Romano. Così è scritto in margine
ai testi a penna d' Arsilli. Ma se Comico fgli era , come
poteva egli inehiudersi tra i foeti urbani ? Non credia-
mo tuttavia di doverlo confondere con Fdlenio Gallo ,
poeta, del quale si è parlalo nel Voi. I di quest' opera.
(8) Camillo Porzio , storico e poeta elegantissimo. Le
di lui elegie sembrano scritte ad imitazione dello stile
di Tihullo. Scrisse egli pure una storia iniaressarjte delle
turbolenze suscitate dai Baroni in Nipoii sotto Ferdi-
nando 1, che dev'essere stu'a recentemente ristampata,
e fu aiifhe tradotta iu Francese tempo fa da ceno de
Cordes.
fo) Gio. Maria Cattaneo , Novarese, Imparò le lin-
2f>0
gue dolte «olio Menila , e sotto ITfmetrio CaìcondUa , e
nel i5o6 pubblicò in Milano le lettere di Plìifo il gio-
vane con buoni commentari. Passò quindi in Roma ,
dove fu segretario del Cardinale Banflmello Sauli ( quel-
lo stesso, che fu involto nella congiura di Petrucci , e
di cui 8Ì parlò lungamente nel Tomo VI. ), e a di luì
istanza compose un poema in lode della città di Ge-
nova. Altro ne compose sulla presa di Gerusalemme fatta
da Goffredo Buglione; intitolato de Sola/tis; ma non si
trova che quel lavoro ottenesse applauso. Tradusse dal
Greco quattro dialoghi di Luciano , e scrisse altre opere
in prosa che furono lodate Mo'ì in Roma nel i52f) nel
tempo in cui si trovava colà Clemente V^l; e si narra
che alcuno avido di continuare a percepire le rendite
do' di lui benefit), lo facesse seppellire di nascosto, af-
fine di occultare la di lui morte, al che ali ode un epi-
tafio non ignobile . fattogli alcun tenjpo dopo da Mirteo.
(io) Augusto di Padova, poeta di qualche nome.
(il) Antonio Lelio Romano, poeta elegante , scrittore
di satire , e di epigrammi assai pungenti.
(i2) Tommaso da Pietrasanta , detto da Arsillì Lu-
nense per la vicinanza di quel paese alla Lunigiana;
uomo dotto, ed elegante poeta lirico.
(i3) E'-'angelista Fausto Matalena Romano. Non so,
perchè ArsiUi faccia dissetare questo poeta nelle onde
dell' Ismeno , fiume della Beozia che bagnava la città di
Tebe.
(l'i) Il Conte Baldassare CastigUoni Mantovano, del
quale si è parlato più volte nel corso di quest'opera, e
del quale si parlerà ancora lungamente nel Capo XX ,
Volume IX. Allude ArsìUi al suo valore nella milizia,
25l'
6 si è già veduto In questa eloria , clie egli comanda
tina compagnia di cavalleria, alla testa della quale fu fe-
rito, e condotto ad Urbino, dove poi contrasse io lima
amicizia coi principi , e massime colle principesse di
quella casa regnante.
(i5) M'il/ni Molti Mellìni trovansi nominati in quel
tempo come letterati. Vi ebbero due nipoti del celebre
Cardinale MpIUìiì , che si distinsero co' loro scritti , e
salirono alle piti alte dignità. Era pure in quel tempo in
Roma Domenico Mellìni Fiorentino, dottissimo, che fa
poi Segretario del deputalo della Toscana al Concilio di
Trento , del quale si trovano molte opere stampate.
(i6) Biasio Romano, che deve distiugersi da Luigi
Blosio e di Blois gran letterato Francese , che vivea in
que' tempi. Questo Blosio era della società di Coricio ,
ed amico singolare di Marc' Antonio Flaminio , nominato
sovente con onore dai suoi contemporaneij e lo/Jato anche
da Giraldi. Viene talvolta menzionato anche in questa storia
cotto il nome di Biagio Pallai, o Palladio; Gap. XVII § VII.
(1-5) Dejanira. Qual fosse questa D janira non è age-
vole il determinarlo. Trovossi in quel tempo in Roma
una Dejanira di altissima famiglia , alla quale veg-
gonsi indirizzate molte composizioni di que' poeti , e
tra gli altri di Callimaco. Si parla pure spesso di una
Dejanira in una poesia degli Strozzi. Ma ciò che fa du-
bitare di qual Dejanira parli in questo luogo Arsilli ,
si è , che molte donne illustri di que' tempi venivano
capricciosamente decorate di nomi antichi , come di Les-
hia , di Silvia , ecc. , costume che si è propagato nella
moderna Arcadia.
(18) Severo Sacerdote. Nei codici di ArsìUi non «i
25?
, trova apposta altra indicazione se non quella di Severo
Sacerdote.
(19) Battista Casalìo Romano, poeta celebre, impie-
gato spesso da Clemente VII iu diverse missioni io Fran-
cia , in Germania, ed in Inghilterra. Nel 162^ recitò
innanzi a quel Papa una latina orazione , che fu grande-
mente applaudita j scrisse pure alcuni trattati in latino ,
e vien lodato da Giraldr.
(20) Achille Bocchi detto Filerote, Bolognese , del
quale si è fatta menzione alcuna volta in questa storia,
e massime in questo voi. p. i'j6, 184 e i85. Egli era
della società di Fbiviinio.
(21) Pierio Valeriana , del quale si è sovente parlato
in questa storia , e più a lungo se ne parlerà nel capo
XXI. T. X.
(22) Pimphiello Romano.
(23) Filippo Bprcaldo il giovane, Bolognese, del quale
si è parlato in qupsta Storia nel Volume IV. Capo XI.
§ XII j ed IO pili lungamente ho ragionato nella nota
addizionale XI. a quel volume p. l 'j 1 e seguenti.
(2^) Mario Volaterra'no , che non deve confondersi
con due altri Morii letterati e poeti , che fiorirono al-
lora in Roma.
(25) Capello, forse Galeazzo, di Narni.
(26) Am'itevnino. Non ben si conosce, qual fosse que-
6to Poeta da Amiterno , che insegnava in Roma , e che
da varj scrittori contemporanei non è indicato se non
col nome delia patria
(■;2) Lippa Brandolini, ossia Baffaele del quale più volte
si è fatta menzione in questa Storia. Alcuno ha messo in dub-
bio la totale sua cecità, che sembra provata da questi versi
253
d' Arsìllì. Paolo Gìovio parla dell' amore grandissimo ,
che Lpoìi X portava a questo poeta.
(28) Giovan Antonio Marostica j 0 da Marostica, terra
del Padovano.
(2f)) In margine al poema di Arsili i si è scritto Laur.
Vallatiis Rornanus. Sarebbe mai Lorenzo Valla ?
(5o) Non ben si conosce, chi sia (\uq\\' Agatino , di
cui è parlato in questo distico , non trovandosi pure al-
cuna indicazione al margine.
(3i) In questo distico si nomina Luca File/ico ; e nel
margine è scritto Marc' Antonio Elatano , Medico. Noa
so bene j se questi sieno «na sola persona, né qual me-
rito avesse 1* FAatano per la poesia.
(52) Di Marc' Antonio Flaminio si è molto parlato in
questo stesso volume nel Capo XVII. Non si sa bene ,
per qual ragione Flaminio , amante della tranquillità ,
delle società piìi deliziose , e dei piaceri , sia detto ia
questo luogo : nimium sili diirus et atrox.
(55) Filippo Lancelhtto , Medico Romano. Sembra,
che egli fosse della famiglia de' Lancellotti di Perugia ,
che ha dato molti uomini celebri nelle lettere.
(3^) Donalo Poli , che dall' elogio di érsilli sembra
essere stato grandissimo naturalista , o per lo meno gran-
dissimo geografo.
(35) Angelo Colocci j del quale più volte occorre
menzione in questa storia , e del quale si sono anche
riferiti molli versi.
(5G) Scipione Carteromaco , del quale si è lungamente
parlato uel Capo XI. § X. T. IV. p. 128 , e seguenti.
(315) Giano Parrasio. Di questo pure si è alcuna
•volta fatta menzione io quest'opera. Nato a Cosenza, e
254
ealito alla reputazione di famoso grammatico , ìasegnò
lungamente le umane lettere a Milano j d' onde però sì
dice, che cacciato fosse per le calunnie contra di lui
intentate da alti! maestri della facoltà medesima, oli©
nella di lui dottrina vedevano una censura perpetua
della loro ignoranza. Recossi in seguito a Roma, d'onde
ritirossi nella vecchiaia a Cosenza tormentato dalla gotta ,
e vi morì. Egli avea sposato, probabilmente in Milano,
una figlia del celebre Bm^trit Calcondila. Forse all'in-
vidia de' suoi rivali allude col dire
» Huoc circura urbauus latrando livor oberrat. »
Egli fu uno de' primi ornamenti dell' accademia Ro-
inana , nella quale riconciò , come dice elegantemente
Y Ariosto ^ il nome suo di Giovanili in qneUo di Giano.
(38) Govanni Luigi Fopisco Nipoletano. Cantò i fatti
di Don Raimondo di Cordona Generale degli Sjiagnuoli.
(5f)) Mariangela da Aquila , poeta nominato con lode
dai suoi contemporanei , ed ornamento della società Co-
riciana.
({o) Non ben si conosce questo Ramaz'O da Foligno,
né quello che Arsilli voglia indicare sotto il nome del-
Y Arcade di Narni.
(^40 Suctenio porla Tedesco amico e compagno di
Corrcio.
(42) Gaspare Ursino , parimenti Tedesco.
(i~)) Cajo Silvano , altro porta Tedesco , che ebbe
inolio nome in Roma in que' tempi. Grande amico di
Coricio fu pure membro della Socirtà Corìciana , e si
vedono molli suoi versi nella raccolta , che porla quel
titolo r ad essa dedicata da Palladio.
»55
(J|) Pisane Pannonìo « sia Ungarese, cLe *1 poeta
qui paragona con Giano Pannonìo
(^5 ) Il margine ìq questo luogo è scritto Andraeas
Fulvius Sacerdos. Questo Andrea Fulvio nativo di Piene.
ste pubblicò cinque libri delle antichità di Roma, e fece
iacidere una serie di ritratti d'uomini^ e di donne illustri .
{{(j) Sfilano da S;.oleti.
(S-j) Antonio Te' aideo , del quale si è lungamente
parlato in questo Volume medesimo Capo XVI. § II.
p. 10 e seguenti.
(^8^ Luca Bonfilio di Padova.
C^q) Camillo Paleuito Bologoese. Molti dei di lui
versi trovansi nelle collezioni di quel tempo. Egli era
parente del Cardinale Gabriele Paleofli , che molto pure
si di.stin.se per la sua letteraiura.
(5o) Fedro In ghirami da Volterra, e Fabio Fidile da
Siioleti, Poeti r uno e l'altro di gran nome. Del primo
si parlerà nel capo XXI. ^ IV. Del secondo si fa men-
zione in questo volume alla pag 2rO.
(5i) Cesare Sacco, o Sacchi, Milanese, non so per
qual ragione detto dall' autore Sacoeo. Il sig. Cav. Rosmini
ha parlato di questo lettore abituale j e poscia cautorft
del magno Trivuhio pag CiG V. I.
' (52^ Francesco Cetrano. Sembra , che questo noa
fosse il vero nome del poeta indicato in questo luogo ,
ma che per una straondiuaria occasione gli sia stato im-
posto per avere eccitato i socj a difpndere la patria , ed
a farsi soldati di Febo e delle Muse.
(53) Mich'ìe Fentarì da Foligno. Scrisse in versi
della educazione, delle regole per ben vivere, dei do-
veri dei cittadini, dei magistrati ed anche dei guerrieri.
(5^) Giovanni da Macerata, medico e poeta.
a56
(55) Niccolò della Croce Sacerdote , che cantò pnr lo
più soggetti sacri.
(5G) Guido Postumo Silvestri di Pesaro , del qaale
lungamente si è parlato in questo Volume medesimo Ga-
pit. XVII § XIII.
(5'^) Marco Caballo Anconitano, spesso menzioDato
da Flamhìio , e da altri poeti di quel tempo.
(58^ Gahrìple Bombasio di Reggio , grandissimo amico
i}ie\\' Ariosto Scrisse alcune commedie in verso, ed aa-
clie alcune orazioni latine , che provano molta erudizio-
ne. Passò gran parte della sua vita alla corte dei Duchi
di Parma , ma non si avanzò molto , forse perchè egli
era libero nei suoi detti, ed alquanto «satirico. Fu tut-
tavia inviato a Venezia dal Duca Ottavio Farnese, e fu
precettore del di lui figlio Odoardo , che fu poi Car-
dinale. — Forse Arsilli parla di un altro Bomhasio per
nome Paolo, nativo di Bologna , dotto nelle lettere Gre-
che e Latine, che insegnò pubblicampnte in Napoli,
e passò quindi in Roma Segretario del Cardinale Antom
nio Pucci Questo visse più a lungo in Roma, e fu più,
vicino a Leon X ; ma non si sa , che' egli fosse poeta ,
siccome il Reggiano , che pure visse in Roma col suo
alunno Odoardo Farnese.
(5q) Marcello Palonio , o Palloni Ftomano, che cantò
le guerre d' Italia di que^ tempi
(6o) Bardano Parmense. Questo elegante scrittore di
elegìe e di epigrammi , spesso lodato negli scritti di quel
tempo, cantò egli pure ie guerre d'Italia. Fu tra i poeti
laureali , ed ebbe da Cesare grandi onori.
(Ci) Giovanni Vitali, detto talvolta Giano Vitalio
Palermitano , nominato anche in questa Storia. Caatò
soggetti astronomici sul gusto di Fontano.
(62) Andrea Marone Bresciano , M quale si parla a
lungo in questo Volume medesnno Capo XVII. § XV.
(65) Francesco Modesto di Riruiui , che fu al seguito
del famoso generale de' Veneziani Alviano , e ne cantò
le gesta.
(6i) Camillo Querno , del quale troppo a lungo si è
parlato nel Capo XVII. § XVI. In nnargine di questo
scritto vien nominato come l'arcipoeta di LeonX, tutto
che sembri , che questo titolo dato gli fosse da una so-
cietà scherzevole di letterati.
(65) Di Ginvar.ni Gorizia, o Coricio può vedersi
quanto è scritto nel ciato Capitolo 5 XVII. Arsilli lo
ehiama giustamente Mecenate splendido de' poeti , ma
anche in questo luogo si duole dell'avarizia de' tempi,
come doluto si era nella introduzione a questo poema
da me tradotta.
(GC) Si accenna qni un Ballo , o Rallìo poeta del-
l'Umbria , emulo di Man.iu) /?o//o Sjiartano, felice se it-
tore di epigrammi latini j del quale si è parlato nel To-
mo IV di quest'opera pag. io5. Nota (1).
(6'^) Pìptro Delio , prcb.ibilm'-nte di Cortona.
(68j Ulisse da Fauo , poeta celebie, che avea già ol-
trepassati i settanta anni allorché ArsUli scrivea.
^6f)) Aurei' 0 Clar-lìo Lupo Spoletino.
(70^ Pietro df' Pazz' , della iliustre famiglia Firen-
tina di questo nome , spesso celebrato dai poeti di quel
tempo.
(^i) Onorato FascHeUi Monaco Cassinense, già men-
zionato con lode in questo volume p. i85. E singolare la
fantasia di Ars i Ili , il quale fa le maraviglie, che questo
valente poeta sia uscito dal gregge inerte di Monte Cassino»
Leone X Tom. f'Il. 17
358
{^2) Bartolomeo Dafni di Jesi.
(73) Antonio Sanga , al quale sono diretti molti versi
da Filelfo , da Callimaco , da Roherto Orso , e da altri.
(^lij Francesco Maria Moka Modoaese , del quale sì
è parlato nei Capo XVI. §. VI.
("jS) Non è ben chiaro qual sia V Alessandrino , di
cui parla Arsilli in questo distico. Sembra , che questo
fosse uno degli improvvisatori in versi latini di quel
tempo.
(■jC) S' indicano in questo luogo i due fratelli Cen»
lelli , Francesco, e Stefano, eleganti scrittori di poesie
georgiche.
(-57) Antonio Nerlìo.
(78) Francesco Calvo. Arsilli loda la somma diligenza
di quesl' uomo nel ricercare in ogni parte i dotti vo^
lumi , che erano stati altrove trasportati dall' Italia.
(r|f)) Giovanni Battista Medalio , Toscano
(80) Girolamo An^criano Napoletano, Di questo si è
parlato alla p 1 1 5 del Torno I. di quesl' opera , e le
di lui poesie sono state stampale con queliti di Marullo
e di Giovanni Secondo.
(8ij Albineo di Pai ma. Questo è nome Poetico. Sa-
rebbe mai indicativo dfil celebre Basmìo , del quale ab-
biamo una bella edizione in tre Volumi in quarto, fatta
per le cure del dottor Drudi Bibliotecario di Rimmi ?
(82) delio, nome pur esso Accademico, sotto il
quale s" asconde un poeta, che era stato bersaglio del-
l' avversa fortuna. Ffequeuti sono questi nomi poetici ,
arcadici, o accademici ni quella età, pei che recente era
la memoria, e forse molti membri esistevano tuttora delli»
Romana Accademia , dirotta iu ultimo da Pomponio Le-
.... '^^^
<<J , nella quale era entrata la mania di cangiare il nome
a tutti i socj di queir A.ccaderaia , e di questo costume
si è parlato dal sig. Roscoe Gap. II. ^\l. Tom. I. p. 89
ed io pure ne ho fatto menzione nella nota addiziona-
le Vili. Tom. IV, pag. iSg.
(83) Agostino Beazzano , o Beaziano , non Bevazano,
come è scritto in margine del Poema d' Arsilll. Di que-
sto si è parlato nel Capo XVI. § V. pag. 3o e seguenti
di questo Volume.
(8i) Benedetto Lamprldio Cremonese. Seguì a Roma
Giovanni Lascaris , e si distinse sotto il Pontificato di
Leon X. per la sua^ perizia nelle lettere greche e la-
tine, che insegnò pubblicamente. Morto Leon X, Lam-
pridio ritirossi a Padova , nella quale città continuò pure
ad istruire la gioventìi. Federico Gonzaga Marchese di
Mantova chiamollo presso di sé , affinchè fosse precet-
tore del di lui figlio. Scrisse odi , ed inni stampati in
Venezia nel i55o, che ottennero molta lode; morì nel
xCt/^o. Si dice, che timidissimo fosse, ed evitasse con
ogni studio di parlare in pubblico. Di esso si parla alla
p. i8G. — Mi si perdonerà^ io spero, l'essermi talvolta
esteso in queste noie più dell' ordinario , laddove Arsilli
fa menzioiae di qualche poeta originario della Lombardia.
(85) Pietro Zanqhi , Bergamasco. Da molti è detto
Basilio j sotto il qual nome è pure lodato alla p. ìiq del
Tomo I. , ed in questo stesso p. i85 e 186. Si fece in gioven-
tù canonico regolare , e si distinse nelle umane lettere , nella
filosofia e nella teologia , per il chp meritò di essere as-
sunto alla custodia della Biblioteca Vaticana. Visse fino
all'anno i56o; e lasciò oltre un commentario sui Pa-
ralipomeni, e SUI libri dei Re, un Dizionario Poetico ^
d6o
e molle poeiie latine , inserite nelle Delicìae Poetarum
Italorum. — Egli era nativo probabilmente d'Alzano,
giacohè in Alzano nacque pure verso quel tempo il ce-
lebre Girolamo Zanchi , fattosi e?so pure canonico re-
golare ; che abbracciò poi il partito della Riforma , andò
ad insegnare la filosofia e la sacra scrittura a Ghiaven-
na , aBasileaj a Strasburgo , a Spira e ad Heidelberga ,
scrisse molte opere Teologiche , ed ottenne se non al-
tro la reputazione di coutroversista prudente e moderato.
È singolare l' errore di Movevi , ohe promovendo il dub-
bio , se Girolamo Zanchi fosse nativo di Bergamo , op-
pure d'Alzano, colloca Alzano alla distanza di quattro
leghe da Venezia ! — - ArsUli loda Pietro , o piuttosto
Basilio Zanchi, come amico delle muse greche e latine.
(86) Gian Francesco Bini , del quale il sig. Roscoe
ta fatto menzione alle pagine 70 e -j^ di questo Vo-
lume. Fu uno dei più illustri coltivatori della poesia
Bernesca , e le di lui produzioni in questo genere si
trovano con quelle del B^rni medesimo. ArsilU allude
forse alla inclinazione del Bini per questo genere piìi
umile di composizione , allorché lo eccita a ritirar le
muse dagli orti , albergo di Priapo , e de' Satiri , e di
volgerle alle più sublimi sfere stellate, accertandolo, che
grandissimo sarebb' egli in Roma , ove un tale incarico
si assumesse. Egli avea però già lodato V ingegno del
Bini, che si prestava a pingere qualunque oggetto, del
che avea forse dato prova ne' suoi componimenti Ber-
ueìchi , mirabili per la facilità della elocuzione, e dei
versi.
(8'j) Tranquillo Molosso, di Casalmaggiore poeta elegan-
tissimo , aiiaccato ai Farnesi. Egli cantò in uu bellissime
26l
Poemetto j al quale allude ArsìW , un magnifico tratte-
nimeiilo di caccia , dato dai Farnesi a Leon X nelle
vicinanze di Canino. Questo poemetto, del quale forse
poco più si sapeva di quello , che ce ne lasciò scritto
Arsìllì , è stalo ora tratto dai polverosi codici , e pub-
blicato recentemente per intiero dal celebre Abbate An-
dres , che le lettere hanno poco dopo con sommo loro
danno perduto , nel suo Prodromo degli aneddoti della
Biblioteca R^ale di Napoli, stampato in quella città nel
i5i5. Io mi riservo a dare qualche squarcio di quei
poemetto nelle mie note al XII ed ultimo volume di questa
opera, laddove si parla dei divertimenti favoriti del Pon-
tefice , e del gusto eh' egli avea per la caccia.
(88) Crofo , o Croia , poeta nominato talvolta negli
epigrammi di Callimaco.
(89) Non ben s' intende qual sia il Poeta indicato ia
questo luogo sotto il nome di Batto. Questo cantò , per
quanto appare , fatti guerrieri , e massime le gesta dì
Marc Antonio Colonna in difesa di Ravenna, che sem-
bra essere la patria del poeta medesimo. Arsilli lo ono-
ra ,' nominandolo un nuovo Catullo.
(go) Celebre letterato , e poeta di que* tempi , il di
cui nome era forse originariamente quello di Corso. Se
ne trova frequente menzione negli scrittori , che fiori-
rono al principio del secolo XVI. — Allorché Giulio II
oonchiuse la pace col Re di Spagna, Cursio scrisse una
orazione iafitnlata : Cursori Panegyris de foedere inter
Julium II et Hispaniarum Rpgem , che io posseggo stam-
pala con altri opuscoli in Norimberga nel 1312.
Potrebbe anche indicarsi in questo luogo Lancino Cur-
ZIO s poeta Milanese di gran nom^ in que' tempi, lodata»
anche da Giratali, e eia Giovlo , ì quali però ccnsaràno
l'asprezza, e l'oscurità dei di lui versi. Scrisse due vo-
lami in foglio di epigrammi, ed uno pure intitolato Sy"'
ione, stampati in Milano nel i52i , è giada molto tempo
rarissimi. Come autore di molti epigrammi in lode del
Magno Trivulzio , viene rapnzionato con lode dal Cav.
Eosmini nella sua Istoria Tom. I. pag. 629 ed altrove;
(gì) Allude in questi versi ArsìlU alla cappella Co-
riciana , della quale si è fatta menzione nel § XVII del
Gap. XVII. — E singolare che quel poeta , non amico
certamente di Leon X , e costante nel deplorare 1' infe-
licità delle lettere in quel periodo , mentre annunzia
l'esistenza non infelice di tanti letterati in Roma, chiu-
de Questo squarcio allusivo a Gorizin , 0 Coricfo , col
predire o coli' augurare la venuta di un nuovo Augusto,
e di un nuovo Mecenate. Ma qual Mecenate migliore dì
GorizTO ! Quale Augusto migliore di Leon X !
(gz) Questo poemetto non manca di eleganza e di ve-
nustà _, e vi si scorge un certo brio non comune nei
poeti latini , anche più corretti di que' tempi. La serie
de' poeti urbani è esposta con molta maestria , e non sì
può che ammirare l'artifizio, per cui novanta e piìi
soggetti eguali a un di presso, sono trattati tutti in ma-
niera differente , e con diversi colori , il che allontana
la monotonia e la noja. Due cose però possono essere
notate in questa composizione; l^una che Arsilli ad og-
getto di impinguare la sua serie ha inchiuso tra i poeti
anche i nomi di alcuni che si acquistarono fama per
tutt' altro genere di studj ; 1' altra , che forse per l' og-
getto medesimo, o per nobilitare maggiormente il suo
scritto , inehiuse tra i poeti urbani aleuni , che non
263
nacquero , non vissero , o non fionrono in Roma. Noa
può tuttavia trovarsi , se non commendevole il di lui
zelo di promuovere Io splendore dell' alma città , e solo
si potrà a quel poeta rimproverare di essersi mostrato
avverso, ed anche ingiusto con Leon X, protettore trop-
po noto dielle lettere e de' letterati.
«6-4
NOTE ADDIZIONALI.
NOTA I.
Alla pag. 8 Un. 23, dopo le parole .
59 Sannazaro non deve essere obbliato. «
Capo XVI. § I.
Non riascirà inopportuno in questo luogo 1' inserire
alcune particolari notizie intorno a qn^^l celebre poeta.
Moreri y e dietro a lui lutti gli altri biografi Isssicisti ,
accordando che egli nato fosse iu Napoli nel 1^58, lo
fanno originario di San Naza''0 nel territorio di LumellOs
nome che essi hanno storpiato tutu d'accordo in quello
di Lamosso , situato tra il Po , ed il Ticino. Se questa
notizia aresse alcun fondamento , che rynvb non si vede
assegnalo da quegli scrittori , questa sa^e bbe una nuova
gloria pei Lombardi.
Che Sannazaro amasse la galanteria , si rileva dalla
di lui vita scritta da Crixpo^ e da molti passi di questa sto-
ria medesima; ma non so bene, dove que' lessicisti abbiano
pescato l'aneddoto, che tanto la galanteria egli amasse,
che anche ncU' ultima sua vecchiezza egli si mostrasse
in pubblico cogli abiti , e colle maniere di un giovane
effeminato cortigiano. Quest' asserzione « tanto pooo fon-
data j, quanto quella degli scrittori medesimi , che que''
265
poeta fosse poco filosofo , e tanto poco il fosse , che si
lasciasse morire di dolore per cagione che Filiberto , dì
Nassau principe d' Grange , generale de' Tedeschi , avea
saccheggiato la di lui casa di campagna. Nel corso di
questa storia medesima , ed in questo stesso volume , si
vedrà , che Sannazaro mori già consolato di questo av-
venimento , e tranquillamente dispose tutto quello , che
far si dovea dopo la di lui morte. Forse è egualmente
privo di fondamento il racconto dell' allegrezza da esso
concepita al ricevere la nuova, che il principe d'Orange
era stato ucciso in una battaglia , nella quale occasi<nie
si dice , che esclamasse : «;i Ora morrò contento, perchè
Marte ha punito quel barbaro nimico delle muse. 55
Poiché abbiamo parlato della origine di Sannazaro ,
giova pure riferire la stravagante idea di un altro scrit-
tore Francese , il sig. le Diiehaf , il quale appoggiato
sopra non so qual passo di /Alessandro ab Al^xai dro ,
ha fatto nascere Sannazaro in Etiopia , e supponendolo
catturato in un viaggio , e fatto schiavo nella sua gio-
ventù , lo ha fatto vendere ad un Napoletano della fa-
miglia Sannazaro , che gli donò la sua libertà , ed es-
sendo lettorato egli pure lo fece i-fruire nelle lettere.
Le poesie Italiane di Sannazaro furono stampate a
Napoli nel i5o2 in 4^.*^ Se ne ha pure una buoia edi-
zione della citf'i medesima f*el ì-)20 in 12 , altra del
i'j23 in 4^, ed altra pure di Padova dell'anno mede-
simo.
Panormifono racconta, che trovandosi un giorno Sanna-
zaro con varj fisici alla presenza d°t re Federico di Napol!,
e nata essendo quistione su di queì'o che meg'io con-
tribuir polea alla perfezione della vista, alcuni propeselo
àé'6
l'odore del finocchio", altri 1' uso degli ocoliiali , e Sana
nazaro rispose , che la migliore droga per qneU' effptto
era l' invidia , che facea vedere le cose assai più grandi,
che esse non erano. Questo potrebbe servire di risposta
a quegli scrittori , che asserirono quel poeta mancante
di filosofia.
II.
Alla pag. 1 5 Un. 8 dopo le parole :
,, Italia Storia ben conesciuta delle Crociate. "
Gap. XVI. § III.
Questo libro , ottimamente scritto , ha per titolo : De
dello a Christ'ranis contra Barbaros , prò Chrìsti Sepul -
ohro, et Judaea recaperandis libri tres. Venet. i552j^.'''
Questo libro merita una speciale menzione , perchè di-
cesi, che abbia servito di testo al Tasso nella composizione
del suo poema della Gerusalemme liberata, del quale
forse gli fece anche nascere l'idea. — Benedetto Accolli
giurisconsulto celebre , e segretario della repubblica Fi-
renliua , succeduto io quell'ufficio al Pof^gio , pubblicò
anche un libro intitolato : De praestantia virorum sui
nevi, che fu ristampato in Parma nel i68f) in 12, e
dal quale si possono trarre utilissime notizie per la sto-
ria letteraria di quel tempo. Dicesi , che egli fosse do-
tato di una memoria tanto felice , <^he avendo un am-
basciadore del re d' Ungheria pronanziato una orazione
latina innanzi al Senato di Firenze, egli non ebbe diffi-
coltà di ripeterla parola per parola.
267
Osserveremo ia questo luogo, che gli autori ^el nuovo
Dizionario Storico pubblicalo in Lione in tredici volumi
in 8.** sono caduti in un grandissimo errore, nominando
Benedetto anche il figlio , ohe si rendette; celebre collo
sue poesie, e che divenne Duca di Nepi , essendo que-
sto invece Bernardo, del quale parla a luogo il sig. /?o-
scoe. Que* lessicisti , che alquante pagine hanno donate
alla famiglia Accolti , non hanno parlato che di passag-
gio , e come per incidenza di Bernardo coli' occasione
di esporre le notizie del di lui fratello cardinale ; non
hanno mostrato di conoscerlo sotto il nome dell' unico
Aretino ; non hanno fatto menzione de' suoi talenti , e
della sua abilità nel cantar versi all' improvviso , e noa
hanno accennato di volo se non la sua Virginia , che
a torto hanno supposta stampata solo nel i55 5, quando
lo era stata fino dal i5i3, e gli altri suoi versi, che
stampati nell'epoca medesima essi suppongono pubblicati
a Venezia solo nel iSSg.
III.
Alla pag. 26 Un. i3 dopo le parole:
5, Avendo allora oltrepassata \ età di anni 76- *'
Gap. XVI. § IV.
Bembo avea sempre goduto buona salute, se non che
avea provato qualche accesso di gotta. Si dice, che la
di lui morte fosse cagionata da una contusione ricevuta
nel capo nel passare , che egli facea per una porta , e
che questa producesse una febbre lenta , che a poco a
poco lo condusse al sepolcro.
268
Le prelature, clie gli conferì Paolo III furono spe-'
cialmente il vescovado di Gubbio, e quello di Bergamo^
e gli scrittori sono d' accordo nel confessare , che egli
si condusse come un degno, e zelante pastore.
S'ingannano gli scrittori Francesi, che collocano il
suo ravvedimento, o sia la riforma de' suoi costumi, al-
l' epoca della sua nomina alla carica di segretario Pon-
tificio, supponendo che dapprima egli avesse coltivata
l'amicizia di quella , che essi dicono sa Maitresse , et
sa muse, e ne avesse di già avuto tre figli, ed una fi-
glia. L'epoca degli amori di Bembo dee piuttosto collo-
carsi nel periodo di tempo , che passò tra la morte di
Leon X , e la di lui elevazione al cardinalato sotto
Paolo III. S'ingannano pure que' lessicisti , che dopo
la morie di Leon X suppongono, che egli si ritirasse a
Venezia anziché a Padova, ov' egli stabilì realmente il
suo soggiorno.
Sul punto degli amori di Bembo, sui quali il sig. Ho-
scoe si è esteso forse un pò troppo , gioverebbe 1' os-
servare, che tutti quasi i poeti, tutti i letterati di quella
etàj comecché residenti in Roma, ed insigniti ancora di
prelature , di dignità , e di ufficj nella Chiesa , erano
infelli dello stesso vizio, o come altri direbbe, tinti della
pece medesima. Lo spinto di quella corte , il costume
di que'tempi, la liberalità delle idee dei coltivatori delle
xetleie , la continua lettura degli antichi poeti, non tutti
commendevoli per la loro modestia , la familiarità già
radicala per non dire introdotta , ed il perpetuo consor-
zio tra le Muse, e Bacco, e Veaeie ; l'esempio fatal-
mente dato da alcuni Cardinali , ed anche da qualche
Pontefice tra i predecessori di Leone, dei quali la prò!»
2%
era pubblicameiile riconosciuta , sono cose tutte , che se
non servono a scusare manifestamente il libertinaggio di
alcuno , possono almeno servire ad attenuarne la colpa
all' occhio de' più severi censori , ove ben si considerino
le circostanze de' tempi, senza che faccia d'uopo di ri-
correre 5 siccome fecero i lessicisti Francesi , alla asser-
zione , che Bembo nato fosse con un temperamento vo-
luttuoso. Sannazaro , come si raccoglie da questa storia
medesima , non era indifferente , e forse più del dovere
si interessava per le attrattive di Cassandra Marchese ;
Teòaldeo vicino a morte si lagnava solo di aver perduto
il gusto del vino; Accolti lasciò pure un figliuolo natu-
rale , che fu erede della Signoria di Nepi ; troppo sono
noli i disordini della vita lussuriosa del Molza , per ca-
gione dei quali egli ebbe pure a morire; il divino Ario-
sto non isdegiiava egli pure di dormire colla servente ,
ed in altra delle sue satire indirizzossi a Bembo per la
educazione letteraria di un di lui figlio naturale; il Berni
era ben lungi dall'essere castigato, ed il sig. Boscoe
medesimo lo fa entrare in una società delle Muse , che
traevano Bacco , e Venere al loro seguito; di Giovanni
della Casa basta menzionare il troppo noto capitolo del
Forno ; Folengi abbandonò il chiostro per seguire la
sua bella Dieda ; né migliori forse pei costumi loro
erano gli improvvisatori latini di Leon X j tra i quali
r arcipoeta Querno altra lode non avea che di un so-
lennissimo bevitore. Giraldl li chiama iu generale : Lur-
cones verius , guam poe/as. Non abbiamo riferito questi
esempj per fare l' apologia di Bembo , ma solo per mo-
etrare , che difficilissimo era in que' tempi , e massime
nella capitale del mondo cristiano^ il tenersi lontano dalla
corruzione , e dal libertinaggio , e che grandissima lod»
si acquistarono per questo titolo coloro, che oon si la-
sciarono strascinare dal torreute. Tra questi si distinsero
in particolar modo le poetesse di que' Icnapi , sebbene
Tullia d' Arragona sia stata creduta non insensibile ai
dettami dell' anatre.
IV.
Alla pag. 29 clopo la nota (a) alla fine del % IV. Capo 1.
Poiché abbiamo accennalo in quella noia il valore di
Bembo come illustre grecista , inseriremo is questo luogo
la notizia , che i! sig. cavaliere Morelli bibliotecario di
S. Marco in Venezia, e membro del R. I. Istituto delle
Scienze, lettere , ed Ani, ha presentato alla Veneta Se-
/!;ione dell'Istituto medesimo due opuscoli, che provano
ia perizia di Bembo in quel ramo di Letteratura , oltre
quello che già se ne sapeva per le di lui opere pubbli-
cale. La prima è una Memorie intorno ad una orazione
Greca inedita del cardinale Pietro Bembo alla Signo"
ria di Venezia , con la quale la esorta a promovere , e
conservare lo studio delle Greche lettere. La seconda è
la Notizia di una traduzione latina sconosciuta fatta dal
cardinale Pietro Bembo di una Orazione di Gorgia in-
torno al rapimento di Eìena. Si spera , che fra non
molto que' due opuscoli vedranno la pubblica luce»
2Ji
Alla pag. 3g dopo la nota (a) della pag. precedente.
Osserverò , che Moreri , non so perchè , ha trasfor-
malo il nomo del Moìza, che era Francesco Maria, in
(juello di Mario. — Di là da'raonti è stata molto lodata
la di luì poesia sul divorzio di Enrico VI lì re d^ In»
ghiherra con Caterina d' Arragona. — Giovio , indotto
forse dalla scostumatezza di quel poeta , non ha parlato
di e?so favorevolmente. — Tarquinia di lui abbiatico
era figlia di Camillo cavaliere dell* ordine di S. Gia-
como. Questa donna corteggiata pel suo sapere dai primi
letterati del suo tempo, ritirossi alla corte di Alfonso li
duca di Ferrara, ove trovò due abre dame illustri pel
loro sapere , Livia Preparala , ed Orsina Cavallela , o
forse Cavallera , pres.*o le quali coli* assisteoia di Tar'
(juiiiìo teuevausi conferenze letterarie.
VI.
Alla pag. 44 ^"■*- * 5 dopo le parole :
,, Vedrò la fonte esausta. "
Gap. XVI. 5 VII.
I lettori di quest'opera non saranno forse scontenti
di trovare iu questo luogo inserita per intero la satira IV.
AeW Ariosto , (e non III come vien citata dal sig. ^o-
scoe) copiata esallameate fuUa rara edizione di quelle
satire del iSS'j.
272i
A M. ànihaìle Malegucc'o.
M Poiché Aniballe Intendere Tuoi come
99 La fo j col duca Alfonso, e s'io mi sento
■»- Più grave, o men , delle mutate some.
ss Perchè, se ancho di questo m^i lamento,
55 Tu mi dirai e' ho il guidaresco rotto
55 0 eh' io son di natura un rozzon lento.
w Senza molto pensar dirò di botto
5? Ch' un peso, et l'altro ugualmente me spiace,
» Et fora meglio a nessun esser sotto.
5» Dimmi hor e' ho rotto il dosso, et s' el te piace,
5? Dimmi eh' io sia una rozza , et dimmi peggio,
» In somma esser non so se non verace.
55 Che sai mio genitor tosto e' ha Reggio
« Daria mi partorì , facevo il giuoco
55 Che fé Saturno ^1 suo nel alto seggio.
55 Si che fosse mio sol stato quel poco
v> Nello qual dieci , tra fratri , et sirocchie
95 E bisognato ohe tutti habbin luoco.
99 La pazzia non havrei delle ranocchie
59 Fatto giamai , de ir procacciando , a cui
55 Scoprirmi il capo , et piegar le gioocchie.
99 Ma poiché figliuol unico non fui ,
59 Ne mai fu troppo a miei Mercurio amico ,
59 Et viver son sforzato a spese altrui.
59 Meglio e se appresso il Duca mi notric« ,
99 Ch' andar a questo , et quel del huniil volgo
9» Accuttandomi il pan , come mendico.
99 So ben che dal parer dei più mi telgo ,
j> Che 'I stare in Corte stimano grandezza
M Ch'io (per contrario) a serTitù rivolgo.
» Stiaci voluntier dunque chi lapprezza ,
55 Fuor ni uscirò ben io , sua di il figliuolo
59 Di Maia , vorrà usarmi gentilezza.
55 Non si adatta u.ia sella , o un basto solo
5» Ad ogni dosso , ad un non par che lo abbia.
59 Ad altro stringe , et preme , et gli da duolo.
55 Mal può durar il Rosignuolo in gabbia
95 Più vi sta il Gardelino , et più il Fanello,
59 La Rondine in un dì vi muor di rabbia.
» Chi brama honor di sprone, e di cappello ,
99 Serva, Re, Duca, Cardinale, o Papa,
59 Io non , che poco curo , et questo , et quello.
» In casa mia mi sa meglio una rapa
95 Ch' \o cuoca , et cotta sua steccho m' inforco ,
99 Et mondo , et spargo poi dì aceto , et sapa.
99 Che air altrui mensa tordo , s^rua , o porco
59 Selvaggio , et così sotto una vii coltre
99 (Come di seta , o d' oro) ben mi corco.
95 Et più mi piace di posar le poltre
5» Membra , che di vantarle eh' agli Sciti
^9 Sien state , agli Indi , agli Ethiopi , et oltre.
55 Degli huomioi son varii gli appetiti ,
55 A chi piace la chierca , a chi la spada 3
99 A chi la patria, a chi li strani liti.
99 Chi vuol andare a torno , a torno vada ,
99 Vegga Inghilterra, Ongheria, Francia, e Spagna,
99 A me piace habitar la mia contrada.
95 Visto ho Toscana , Lombardia , Romagna j
Leone X Tom. VII. 18
374
5? (^)ael monte che divide, et qnel che serra
5- Italia , e un mare , et V altro che la bagaa.
pi Questo mi basta , il resto della terra
5» Senza mai pagar l' oste andrò cercando
55 Con Tolomeo , sial mondo in pace , ou guerra,
3» Et tutto il mar senza far voti ne quando
51 Lampeggi il ciel , sicuro in su le carte
55 Veirò più che su i legni volteggiando.
9» Il servigio del Duca, d'ogni parie
55 Che ci sia buona più mi piace in questa s
» Che dal nido natio raro si parte.
95 Per questo i studj miei poco molesta
55 Né mi toglie , onde mai tutto partire
55 Non posso , perchè il cor sempre ci resta.
95 Farmi vederti qui ridere , et dire ,
55 Che non amor di patria , né de' studi
55 Ma di donna è cagioti che non voglia ire.
95 Liberamente tei confesso, hor chiudi
55 La bocca , che a difend'M- la bugia
S9 Non volli prender mai spade , uè scudi.
5.5 Del mio star qui , qual la cagion si sia
>•> Io ci sto volontieii . hma nessuno
55 Habbia a cor più di me , la cura mia.
» Se io fossi andato a Roma , dirà alcuno,
55 A farmi uccella tor de' benefici ,
55 Preso alla rete o' havrei già più de uno.
13 Tanto più ch'ero degli antiqui amici
55 Del Papa , innanzi che virtute , o sorte
•»» Lo sublimani al sommo degli uffici,
95 Et prima che gli aprissero le porte
275
w I Fiorentini j quaudo il suo GIuHaa©
59 Si riparava in la Feltresoa corte.
» Ove col fortnator del conigiano
s» Gol Bembo, e gli altri sacri al divo Apollo,
5» Face» lo esilio men duro , et strano-
3} Et dopo anclior , quando levaro il collo
5» I Medici in la patria , el Gonfalone
" Fuggendo del palazzo hebbi gran crollo.
>3 Et fin che a Roma si andò a far Leone ,
w Io gli fui grato sempre , e in apparenza
55 Mostrò araar più di ine poche persone.
» Et più volte, legato, et in Fiorenza,
» Mi disse , che al bisogno mai non era
55 Per far di me , al fra tei suo differenza.
5» Per questo parrà altrui cosa leggiera ,
99 Che stando io a Roma , già mi havessi posta
59 La cresta dentro verde, et di fuor aera.
» A chi parrà cosi , farò risposta ,
99 Con uno esempio , leggilo che meno
99 Leggerlo a te , che a me scriverlo , costa.
59 Una stagioa fu già , che sì il terreno
59 Arse , che il sol di nuovo a Phaetonte
B9 Di suoi corsier parea haver dato il freno.
K Secco ogni pozzo , secco era ogni fonte ,
99 Li rivi , i stagni , e i fiumi più famosi ^
99 Tutti passar si potean senza ponte.
y> la quel tempo de armenti , e de lanosi
99 Greggi , non so s' io dica ricco , o grav^
99 Era un pastor fra gli altri bisognoso.
99 Che poiché l'acqua per t^tte le cavQ
376
55 Cercò indarno, sì volse a quel signore
5» Che mai noa suol fraudar eh* in lui fede have.
5» Et hebbe lume , et inspiration di core ,
95 Gh' indi lontano troverìa nel fondo
55 Di certa valle il disiato humore.
s> Con moglie et figli , et con ciò eh' avea al mondo
55 La se condusse, e con gli ordigni suoi
55 L' acqua trovò , ne molto andò profondo.
» Et non havendo con che attinger poi
55 Se non un vase piccolo , et angusto ,
5» Disse , che mio sia 'l primo non vi annoi.
9» Di mogliema il secondo , el terzo è giusto
55 Che sia de' figli, el quarto, et fia che cessi
55 L' ardente sete , onde è ciascuno adusto.
9» Li altri vuo ad un, ad un, che sian concessi
55 (^secondo le fatiche) agli famigli
ss Cho meco in opra a far il pozzo messi.
M Poi sa ciascuna bestia si consigli ,
55 Che di quelle eh' a perderle è più danno ,
55 Innanzi a 1' altre la cura si pigli.
95 Con questa legge un dopo 1' altro vanno
5» A bere , et per non essere i sczzai
99 Tutti , più grandi i lor meriti , fanno.
3* Questo , una Gaza che già amata assai
55 Fu dal padrone , et in delitie havuta
99 Vedendo , ed ascoltando , gridò , guai.
99 Io non gii son parente , ne venuta
39 A far il pozzo , né di più guadagno
95 Gli son per esser mai , eh' io gli sia suta.
'* ^^gg'® ^^^ dietro agli altri mi rimagno ,
277
55 Moro di sete quando non procacci
9ì Di trovar per mio scampo altro rigagno.
55 Cugia , con questo esempio , vuo che spacci
5? Quei, che credon , che '1 Papa, porre innanzi
9» Mi debba a Neri , a Vanni , a Lotti , e a Bacci.
95 Li Nepoti e i parenti che son tanti
95 Prima hanno a ber , poi quei che lo ajutaro
55 A vestirsi il più bel dì tutti i manti.
55 Bevuto eh' abbian questi , gli fia caro
59 Che quei bean , che centra il Soderino
55 ('Per tornare in Firenze^ si levare.
55 L* un dice j io fui con Pietro Casentino ,
55 Et d' esser preso , et morto , a rischio venni ^
55 Io gli prestai danar grida Brandino ;
55 Dice un altro a mie spese il frate tenni
95 Uu anno , et lo rimessi in veste , en arme.,
99 Di cavallo et d* argento lo sovenni.
5? Se fin che tutti beano , aspetto a trarme
» La volontà di bere, o me di sete
95 0 secco il pozzo d* acqua veder parme.
99 Meglio e starmi in la solita quiete ,
55 Che provar s* egli è ver , che qualunque erge
99 Fortuna in alto , il tuffa prima in Lete.
99 Ma sia ver se ben gli altri vi sommerge
99 Che costui sol non accostasse al rivo ,
99 Che del passato ogni memoria absterge.
95 Testimonio son io di quel eh' io scrivo
99 Ch* io non 1' ho ritrovato quando il piede
95 Gli baciai prima, di memoria privo,
99 Piegossi a me da la beata sede.
3^8-
» La mano , et poi le gote ambe mi prese ,
55 El santo bacio in l' ona , e l' altra diede<
j» Di mezza quella Bolla anco cortese
55 Mi fa j la qual bora il mio Bibiena
5» Ispedito m' ha il resto alle mie spese.
9» Indi col seno , et con la falda piena
s» Di speme , ma di pioggia , et fango brutto
9» La notte andai fino al Montone a cena.
9> Hor sia vero , che '1 papa atttenda tutto
55 Ciò che già offerse , et voglia di quel seme
5» Che già tanti anni sparsi , hor darmi il frutto.
«9 Sia ver, che tante Mitre , et Diademe
55 Mi doni ^ quante Iona di capella
55 Alla messa papal non vede insieme,
» Sia ver, che di. oro m'empia la scarsella,
5» Et le maniche , el grembo , et se non basta ,
5? Mi empia la gola , il ventre, e le budella.
S5 S' era per questo piena quella sasta
55 Ingordigia di baver ? rimarrà satìa
55 Per ciò la sitibonda mia cerasta ?
» Dal Marocco al Catai j dal J^lo in Dalia ,
55 Non che a Roma anderò , se di potervi
55 Satiar i desiderj , impetro gratia.
i> Ma quando Cardinale , o de li servi
55 Io sia il gran servo , et non ritrovino anco
}5 Termine i desiderii miei protervi.
» In che util mi risulta essermi stanco
55 In salir tanti gradi? Meglio fora
55 Starmi in riposo , o affaticarmi manco.
S3 Nel tempo che era nuovo il mondo anchora ,
379
3j Et cbe mesperta era la gente prima ^
'jì Et non eran 1* astutie , che son hora :
35 A pie di un al'o monte , la cui oima
55 Parca toccasi il Cielo , un popul quale
55 Non so mostrar, vivea nella valle ima.
9» Che più volte osser^'ando la ineguale
55 Luna , hor con corna^ hor senza, hor piena, hor scema^
55 Girar il cielo al corso naturale.
55 Et creden'lo poter da la suprema
55 Parte del monte giungervi et vederla
»• Come si accresca, et come in se si prema ^
n Chi con canestro , et chi con sacco per la
55 Montagna, cominciar correr in su,
57 Ingordi tutti a gara di tenerla.
55 Vedendo poi non esser giunti più
95 Vicini a Lei caddeno a terra lassi
55 Bramando invan di esser rimasi giù.
j5 Quei che alti gli vedean da poggi bassi
99 Credendo che toccassero la luna
55 Dietro veuian cdu frettolosi passi,
fe Qnes»o monte e la ruota di fortuna ,
55 Nella cui cima il volgo ignaro pensa
55 Ch'ogni quiete, sia , ne vene ignuna.
99 Se in r honore , il contento, o ne la immensa
95 Ricchezza si trovasse , i lodarei
•)? Non haver se non qui la voglia intensa.
55 Ma si io veggio li Papi , et Re che Dei
55 Stimiamo iu terra star sempre in travaglio,
55 Che sia contento in lor , dir non saprei.
55 Se di ricchezze al Turco, e se io me aguaglio
28o
5> Di dignìtate ai Papa , e\ ancor brami
» Salir più in alto, mal me uè prevaglio.
» Convenevol è ben che ordisca, e trami.
?? Di non patire alla vita disagio ,
» Che più di quanto ho al mondo, è ragion ch'ami.
5» Ma se l' huomo è si ricco , che stia adagio ,
5!» Di quel che la natura contenlarse
53 Dovria , se fren pone al desir malvagio ;
» Che non digiuni, quando vorria trarse
<>■> Liogor da fame , et habbia fuoco et tetto ,
5' Se dal freddo o dal sol vuol ripararse
w Ne gli convenga andare a pie , si astretto
5» E' di mutar paese , et habbia in casa
9» Chi la mensa apparecchi , e acconci il letto.
■w Che mi può dare , o meta , o tutta rasa
'^ La testa più di questo ? ei ci misura
?« Di quanto pon capir tutte le vasa.
93 Convenevole è anchor che si habbia cura
95 Del honor suo : ma tal , che non divenga
»> Arabitione, et passi ogni misura.
»? Il vero honore è , che uom da ben ti tenga
5» Ciaschuno , et tu sia ; che non essendo
5» Forza è , che la bugia presto si spenga.
5» Che cavaliero , o conte , o reverendo
v> Il populo te chiami , io non t' honoro ,
5j Se meglio in te che '1 titol non comprendo.
M Che gloria ti è vestir di seta , e d* oro ?
5? Et quando in piazxa appari , o no la Chiesa
55 Ti si levi il capuccio il popnl soro ?
*? Foi dira dietro , ecco chi diede presa
28l
s> Per danari a Francesi Porlagìone
5? Che '1 suo Signor gli havea data in difesa ?
K Quante collane, quante cappe nove
55 Per dignità sì comprano, che sono
» Publici vituperi in Roma , e altrove ?
?5 Vestir di Romagnuolo , et esser bono ,
w Al vestir di oro , et haver nota , o macchia ,
w Di barro , o traditor , sempre prepouo.
i-> Diverso al mio parere il Bomba gracchia ,
55 Et dice habbia io pur robba , et sia lo acquisto
59 Venuto , o per il dado , o per la macchiai
55 Sempre ricchezza riverire ho visto
55 Più che virtù , poco il mal dir mi noce ,
55 Si rinnega , ancho , e si bestemia Christo.
55 Pian piano Bomba , non alzar la voce ,
55 Bestemmian Christo gli huomini ribaldi
59 Peggior di quei che lo chiavaro in Croce.
s9 Ma gli honesti , et li buoni , dicon mal di
95 Te, et dicoQ ver, che carte false, et dadi
55 Ti danno i beni eh' ai mobili , et saldi.
•3 Et tu dai lor da dirlo , perchè radi
59 Più di te in questa terra straccian tele
55 D* oro , et broccati , et veluti , et Zendadi.
j5 Quel che dovresti ascondere rivele
59 A furti tuoi , che star devrian di piatto ,
95 Per mostrar meglio allumi le candele.
55 Et dai materia che ogni savio , et matto
s> Intender vuol , come ville , et palazzi
55 Dentro , et di fuor in si pochi anni bai fatto.
r5 Et come cosi vesti , et così sguazzi ,
à8i?
n Et risponclere è forza ^ et a te e vfso
M E'ser jira,ide huomo , et den'.ro ne cavaz^l ?
M Par che non se lo veglia dire in viso ,
?» Non stima il Berna ohe sia biasmo , sode
w Mormorar dietro, ch'abbia il frate ucciso.
5» S'» ben A sta'o in bando un pexzo , hor gode
5» L* h^reditate in pace , et che gH agogna
« Mal , fiera*» indarno , e indar io se ne rode.
55 Qin^llo altro va se stesso a porre in gogna,
95 Facendosi vedur con quella aguzza
55 Mitia , acquistata cor» tanta vergogna.
5» Non havendo più pel d' una cuccuzza
55 Ha meritato con brutti servisi
o
55 La dignilate 3 el titolo che puzza,
59 A spirti humani , à li celesti , à stigi.
lì poeta parla di questo stesso argomento in molti
altri passi delle sue satire , alcuni dei quali ha rifprilo
il sig. Roscoe nelle sue note. Tra questi può vedersi il
passo della satira VI. citato alla pag. 4^5 , che coraincias
55 Venne il dì che la chiesa fu per moglie 5»
e Goisce
5» La man mi strinse , e mi baciò le gote. 5»
Daremo (jui la continuazione di questo squarcio , cho
altrimenti rimarrebbe tronco, ed imperfetto, tanto più
che nelle terzine seguenti molte cose si contengono , che
singolarmente illustrano i fatti del pontificato di L''on X^
e le relazioni della sua famiglia , e de' suoi amici Da
esse El rileva , che anche il Bihìena , tutto che innal-
zato a grandissima dignità non dovesse mostrarsi moU»
contento. Le terzine sono le seguenti :
233
S5 Ma falle In pochi giorni poi (di quanto
55 Fotea ottener ) le sperienze prime ,
?» Quanto andò in allo , in giù tornò allrettanlo.
'.-) Fu già nna zucca, cbe montò sublime
5> In pochi giorni tanto , che coperse
55 Ad un pero suo vicio l* ultime cime.
55 II pero una mattina gli occhi aperse
w (Ch'avea dormito un lungo sonno) et visti
» Li nuovi frutti sul capo sederse.
VI Le disse , che sei tu ? come salisti
s» Qua su , dov* eri dianzi ? quando lasso
55 Al sonno abbandonai questi occhi tristi.
55 Ella gli disse il nome, et dove al basso
5» Fu piantata mostrolli , et che in tre mesi
w Quivi era giunta accellerando il passo.
5> Et io ( l' arbor soggiunse) a pena ascesi
M A questa altezza , poiché al caldo al gelo ,
55 Con tutti i venti trenta anni contesi.
5» Ma tu che a un volger d' occhi arrivi in ciele
55 Rendite certa , che non meno in fretta
55 Che fia cresciuta mancherà il suo stelo.
55 Così alla mia speranza , che a staffetta
55 Mi trasse a Roma potea dir chavuto
55 Per Medici sul capo havea la cetla.
99 0 chi ^li havea in lesilio sovenuto ,
99 O chi a riporlo in casa , o chi a crearlo
55 Leon, d' humil Agnel gli diede aiuto.
39 Chi havesse havuto il spirto di don Carlo
99 Sosena allhora , havria a Lorenzo forse
99 Detto , quando seDt\ duca chiamarlo.
a84
59 Et havria dello al duca di Namorse ,
?5 A.1 Cardinale d • Rossi , et al Bibiena ,
95 A cui meglio era esser rimaso a Torse.
5j Et detto a Contessina , e a Maddalena,
Si Alla nora , alla socera , et a tutta
» Quella famiglia d* allegrezza pieoa.
5» Questa similitudine fia iadutta
5? Più propria a voi , ohe come vostra gioja ,
95 Tosto raoatò tosto sarà distrutta.
:? Tutti morrette , et è fatai che muoja
5? Leone appresso , prima che otto volte
55 Torni in quel segno il fondator di Troja.
55 Ma per non far (se non bisognan ) molte
55 Parole, dico che fur sem||re poi
59 L' avare speme mie tutte sepolte.
55 Se Leon non mi die j eh' alcun de' suoi
95 Mi dia non spero , cerca pur questo hamo
99 Coprir d'altra esca, se pigliar mi vuoi.
55 Se pur ti par che io vi debba ire, aodiamo,
sr Ma non già per honor , ne per ricchezza ,
55 Questa uoa spero , e quel di più noa bramo. ;"
VII.
Alla pag. 52 alla fine del § Fili Cap. XVI
Molte preziose notizie intorno la vita dell' Ariosto pos»
sono ricavarsi dalla satira VI, diretta a Pietro Bembo,
nella quale il poeta si volge all' amico suo onde ottenere
direzione per V educazione nelle lettere di uà di lui fi-
gliuolo detto Virginio. Mostra egli di bramare, che que!
385
giovanetto sia istrutto nel Greco , né però intende , che
1' amico debba fare :
55 L' ufficio di Dimetrio , o di Musura , •>*
cioè di insegnar egli il greco , come faceaiio Marco Mu-
savo , e Demeirio Calcondila. Lo richiede però di cer-
care in Padova , o in Venezia alcun Greco , y> Buono
s? in scipntìa , et ■più in costumi •>■> il qnale voglia
istruir qael fanciullo , e tenerlo seco in casa. Molto in-
siste sopra i costumi 3 accennando che in quella, come egli
dice , male avventurosa etade , pochi erano grammatici ,
et umanisti , che infetti non fossero del vizio abboraine»
▼ole della sodomìa. Questo vizio essere dovea infatti molto
esteso , perchè 1* Ariosto continua colla seguente terzina :
55 Ride il volgo se sente un eh' abbia vena
55 Di poesia , et poi dice è gran periglio
55 A dormir seco, et volgergli la schiena. 55
Parlando in seguito dei dubbj , che cader possono sui
precettori in materia di sana credenza , nomina fra Mar-
tino , sotto il qual nome probabilmente intende Lutero.
Dopo di aver molto ragionato de' poeti del tempo ,
dei membri dell' accademia Romana , che affettavano no-
mi capricciosi , e dei buoni studj in generale , racconta,
che mentre egli era anoora imberbe , suo padre cacciollo
«t forza , e lo ritenne cinque anni allo studio delle leggi,
dopo di che il pose in libertà ; ma egli trovossi a quel-
l'epoca cosi poco addottrinato, che a fatica potea inten-
dere le favole di Fedro. Fortunatamente si incontrò eoa
un eccellente maestro, dotto in greco, ed in latino, che
era Gregorio da Spoletl, e di questi tesse un elogio sen-
timentale. Dice però con frasi assai nobili , che non
curossi allora di saper di greco , e tutta rivolse la sua
286
cura alle lettere lalÌDe; che perHelte quJnrli roncasion»
proprizia , perchè Gregorio fu dalla Duchessa di Milano
dato per precettore a quel figliuolo:
59 A chi havea il zio la signoria levata. »
e reputa una vendetta del cielo le sventure , che cad-
dero su quella famiglia , nomando pure ohe Gregorio morì
seguendo il suo discepolo.
Narra da|ipoi , che morto il padre fu in gran pensiero
per maritar le sorelle ; che dovette fare 1' officio di pa-
dre coi piccioli fratelli ; che queste cure furono di grande
impedimento ai dì lui studj ; che altamente fu commosso
per la perdita di suo fratello Pandolfo ; che in seguito
passò sotto al giogo del cardinal d' Este , che durò dalla
sua creazione fino alla morte di Papa Gtu^^o, e sett' anni
ancora del Pontificato di Leone ; che molto fu turbato
pure pe' continui viaggi, pe' quali dice gentilmente:
5-' Et di poeta cavallar mi fco. 5»
Chiude finalmente la satira epistolare col pregar Bembo,
che ponga cura al suo Virginio , affinchè giunga in Par-
liasso , ove per tempo egli non seppe andare.
Dalla settima satira diretta a Bonavventura Pistofilo ,
segretario del duca di Ferrara , sì raccoglie , che negli
ultimi suoi anni gli era slato offerto di andare per un
anno , o due Ambasciadore del duca a papa Clemente.
farla a lungo della sua dimestichezza coi Medici :
» Quando eran fuor usciti et quando foro
» Rimessi in stato , et quando in su le rosee
» Scarpe Leone hebbe la croce d* oro. »
Sì scusa tuttavia dall' accattare la carica, che gli ve-
niva offerta j e parlando delle alletattive, che avrebbono
287
potuto iaflurlo a recarsi in Roma^ inserisce due terziae^
che me- itauo di essere riferite :
» Dimmi ch'io potrò aver ozio talora
» Di riveder le mu,-e, et con lor sotto
» Le sacre frondi ir poetando ancora.
» Dimmi, che al Bembo, al Sadoleto , al dotto
» Giovo, al Cavallo, al Blosio, al Molza, al Vida
» Potrò ogni giorno, e al Thybaldeo , lar molto. »
La satira quinta elegantissima a Messer Gismondo Ma'
legaccio versa tutta sulla missione , che egli avea avuta
nella Garlagnaua : vi si si descrive la natura alpestre di
quella regione , il mal costume , e 1» barbarie di quegli
abitanti ; ed il poeta fa le sue proteste , che non per
alcuna voglia avara accettò quella carica. Egli non fa
tuttavia menzione di un aneddoto , che trovasi riferito
da alcuni scrittori della di lui vita, ed è , che perse-
guitando egli per ufficio i banditi , i contrabbandieri , ed
i briganti , uscito una mattina in veste da oamera im-
prudentemente dalla fortezza, cadde nelle loro mani , ma
riconosciuto, e nominato da uno di essi, tutti gli altri
gli furono intorno rispettosi dicendo, che più veneravano
la qualità di poeta, che il titolo di governatore, e lo
ricondussero al castello. Se questo aneddoto fosse vero ,
onorerebbe ii gusto, ed il giudizio di que' malaudnui.
a88
viir.
Mia pag. 53 aZ fine della nota (2) della pagina
antecedente.
Gap. XVI. § IX.
L' edizione del Porro del iSS^. ta «u merito Biblio-
grafico per la sua bellezza , per le figure ^ delle quali è
ornata j per la sua rarità, massime se una delle figure >
che sono apposte a ciascun canto non si trova ripetuta
in pregiudizio del numero totale, e della serie delie fi-
gure medesime, il che avviene molto sovente; ma è bea
lungi dal vero , che quella edizione possa giudicarsi la
mìgliorp.
Dopo le prime edizioni del i5i6, l52l , e del
l552, le lezioni del Poema cominciarono ad alterarsi j
ed a guastarsi sensibilmente. Il Guadagnini si studiò dopo
il i55o di porre qualche riparo alia licenza , ma 1' opera
di lui riusci poco meno , che infruttuosa , e 1* argine
da esso posto alla corruzione non durò molto tempo.
Questa nel i556 per opera del mal augurato Ruscelli
fu portata all' eccesso colle stampe Valgrisiane , alle quali
non sono per la correzione preferibili quelle di Giolito.
Si sparsero a larga mano gli errori , che poi si perpe-
tuarono nelle edizioni successive ; si sostituirono alle
vere lezioni false e capricciose ; si cangiò ben sovente, si
alterò, o si travolse il senso dello scritto originale.
L'edizione del Porro, modellata essendo sulle Rusceliiaae
3%
o Valgrìsiane , n'uscì una delle più scorrette , e difettose
quanto al testo ; e questo disordine continuò in tutte le
«dizioni , che se ne feoero fin verso la mela del Secolo
XVIII.
Nel 19 il dapprima, poi nel 176G , Barotti si studiò
di rimediare a tanto male j e di restituire in qualche
parie la genuina lezione, nell'edizione dell' Or/artc/o Fu-
rioso fatta in Venezia in /{. volumi in 12; poi in quella
fatta colà pure di tutte le opere del divino Poeta in 6
volumi parimenti in 12 , ma per verità fece assai poco.
Progredirono così su quest'ordine le edizioni successive
fino ai nostri tempi , e cogli slessi difetti , e colle stesse
macchie si pubblicarono le edizioni più pregievoli pep
lusso tipografico j quella di Parigi del i-jH in quattro
volumi in 12 , che è stata per qualche tempo ricercata con
premura, quella pure di Parigi di Panckoucke del i'58'j
in dieci volumi , come sopra , e quella di Basherville
di Birmingham , procurata da Molini. Quest* ultima ha
il pregio d'essere adorna di bellissime figure incise in
parte dal celebre Bartolozzl ; ma alcune delle indicate
edizioni non presenta una lezione genuina , e corretta.
La benemerita Società , che ha pubblicato in Milano
un'edizione non inelegante dei classici autori Italiani,
u«l ristampare il poema AeW Ariosto sull'ordine mede-
s;imo, ha avuto l'accorgimeuto di accompagnare l'edizione
del i532 colle varianti respeltive delle due anteriori
edizioni del i5i6, e del i52i , nel che merita molta
lode. Attendiamo ora con impazienza una nuova edizione
già disposta in Milano per le cure del dotto sig. Pro-
fessore Morali , Bibliotecario della C. Regia Biblioteca
pubblica, e non dubitiamo, che questa per la sua au-
lilOM X. Tom. VII. 19
29»
tenticità , ed esatta correzione del te6to potrà soddisfare
ì voti degli amici delia Italiana letteratura , non avendo
l'editore risparmiato né spese , né fatiche, né viaggi per
istituire gli opportuni confronti colle prime , e più rare
edizioni, e coi testi a penna di quel poeraa immor-
tale.
Chiuderemo questa nota coli' avvertire , che nel testo
originale dell* opera , e particolarmente nella nota ( 2)
«Iella pag. 53 , è caduto un errore, che forse potrebbe
essere tipografico, essendosi registrata sotto all'anno i5l5
la prima edizione dell' Orlando Furioso , che con com-
parve se non nel i5i6.
IX.
Alla pag. 54 al fine della nota (2)
della pagina antecedente.
Cap. XVI. § IX.
Si narra da alcuni biografi AeW Ariosto , che Bemho
si studiasse di dissuaderlo dallo scrivere in Italiano , ad-
ducendogli per motivo , che la lingua latina offeriva un
maggior campo di gloria , siccome più sonora , e più
estesa, ma che \' Ariosto rispondesse ; io amo meglio es-
sere il primo tra gli scrittori Italiani , che il secondo
tra i latini.
Poiché diversi aneddoti abbiamo riferito , che sparsi
si trovano nelle sue vite, accenneremo ancor questo,
che egli di mala voglia tollerava , che i suoi versi fos-
sero letti in modo iudecente, e che avendo un giorno
agi
udito un vasaio, clie storpiava nel cantare alcune stanze
dell' Orlando Furioso , entrò nella di lui bottega , e
ruppe alquanti vasi , del che chiedendo la ragione l'ar-
tefice , r Ariosto disse : » Questo è ancor poco , perchè
95 io non ho spezzato se non pochi vasi , che non vai-
n gono una lira , e tu guasti le mie stanze , che sono
9» di molto maggior valore, s?
X
Alla pag. 62 Un. 9 dopo le parole :
„ Essa chiuse i suol giorni in Roma. "
Gap. XVI. g X.
Non possiamo tralasciare di riferire la stravagante opi-
nione di Morerì , il quale sulT autorità di Jlarione de
Coste in una sua storia delle donne illustri fa morire
Vittoria Colonna nel monastero di S. Maria, (forse nel
monastero maggiore di Milano) dove egli dice , che si
era già ritirata da varj anni. Egli la fa pure morire nel
i 5^.1 ; mentre il sig. Roscoe la fa vivere sino al iS^^j
siccome pare assai più probabile.
Si attribuisce alia magnanimità di questa donna vir-
tuosa l'avere dissuaso il marito dall' accettare il regno
di Napoli , che il Papa Clemente FU , ed i principi
d'Italia gli offrirono dopo la vittoria di Pavia, della
quale egli avea riportato il maggior onore. Altri perà
sostengono , che l' imperadore Carlo V mandasse a voto
quel progetto , allegando che la proposizione fatta su
tale argomento altro non era se non uno stratagemma
per iscoprire i segreti disegni de' suoi nimici.
E pur singolare , che Moreri invece di Marc' Antonio
Flamini» ella come autore dell'epigramma, riferito dal
sig. Roscoe alla pag. Co nota 2 , Giovanni Tommaso
Musconio, che egli dice celebre poe<a di quei tempi.
Egli pure ha inserito l'epigramma medesimo, ma 1' ulti-
mo distico è alterato nel modo seguente:
35 U'raque Romana est ; sed in hoc Victoria victrix
5) Perpetuo haec luclus sustinet; illa semel, a
XI.
Alla pag. 64 Un. i4- dopo le parole :
,j Sua Consorte. "
Gap. XVI. § XI.
Veronica Gamhara si crede nata in Brescia nel i^85,
ed avea no fratello Cardinale per nome Uberto. Essa
rimase vedova assai presto. Moreri , ed altri biografi si
sono espressi mollo male col dire , che essa col merito
delle sue poesie si rendette tanto celebre nella città dì
Correggio, come Vittoria Colonna \\\ Roma. Sì 1' una
che l'altra di queste donne illustri ebbe tutta Italia per
teatro de' suoi taleati , e della pubblica ammirazione.
29^
XII.
Jlla pag. 66 Un. 1 5 dopo le parole :
„ Costanza d Avalos duchessa d'Amaltl. "
Cai-. XVI. § XI.
Alcuni scrittori Francesi, tralasciando di parlare della
sua letteratura , ledono grandemente il suo co aggio , ed
il suo valore j e la dipingono come una dama guer-
i'iera.
XIII.
AUa pag. 68 Un. a dopo le parole :
„ Laura Battiferra d'Urbino. *'
Gap. XVI. § XI.
Essa nacque nel i523, e mori nel i58f), dal che
può inferirsi, che essa non appartenesse realmente ai
tempi di Leon X, e troppo lungo sarebbe il catalogo dei
poeti , e delle poetesse , se io esso comprendere si vo-
lessero tutti gli ingegni illustri in poesia del secolo XVI.
Tra le opere di questa donna , quella che è stata mag-
giormente commendata , è la traduzione da essa fatta ia
?ersi Italiani dei Salmi Penitenziali.
Alla pag. yo ìiv. 12 dopo le parole:
,, Nato a Lamporecchio. "
Gap. XVI. § XII.
Alcuni autori suppongono il Berm nato in Casentino
9oir appoggio dei seguenti versi, nei quali egli parla di
se medesimo :
5> Era quivi per sorte capitato
Un certo buon compagno Fiorentino j
Io dico Fiorentino ancor che nato
Foss' el padre, e nudrito in Casentino; m ,
dal che potrebbe fors' anche raccogliersi , che egli nato
fosse in Firenze.
XV.
Alla pag. 74 dopo la nota (a)-
Cap. XVI. § XII
Altra osservazione è da aggingnersi in questo lungo ,
ed è , che gli Italiani ingegni vivacissimi per loro na-
tura, e ricercatori di ogni genere di novità, non solo
furono condotti dalla lussuria della loro immaginazione
a scriver versi nei particolari dialetti delle proviucie,
che gustar non potevansi fuori d' Italia , ma si studia-
rono ancora di inventare ^ e di formare nuovi dialetti
capricciosi^ afCme di servirsene talv«Ua in argomenti scher'
«evoli , ed anche ia lunghi poemi. Di questo potrebbero
allegarsi moltissimi esemp) ; ma basterà solo in questo
luogo l'accennare i Mattaccini del nostro Lomazzo , trai
quali si trovano sonetti scritti io dialetti studiati ia
parte nelle montagne soprastanti al Vcrbano , ed altri
inventati , o formati a bella posta , le Prodezze di Ma-
noli Blessif poema in quattro canti di Domenico Malìa
Veneziano detto il Burchiella , scritto in una lingua ca-
pricciosa con mescolanza di parole Greche, e Schiavooe
eoa desinenze stranissime ; la vita di Cola da Rienzo
scritta nel linguaggio della plebe piii vile di Roma del
secolo XVII. con molte poesie uè Ilo stiU modesirao eco.
XVI.
Alia pag. 80 Un. 12 dopo le parole t
,, Le sue poesie maccaroniche. "
Gap. XVI. § XIV.
A-Uche queste possono riguardarsi come un ritrova--
mento degli ingegni Italiani, dati al lussureggiare ne'loro
componimenti , e ad introdurre nuovi modi di scrivere.
Questo genere non può tuttavia considerarsi come parti-
colare affatto degli Italiani , sebbene Folengi sia stato
forse il primo a farne uso nel suo paese. I Tedeschi
ne hanno dato un luminoso esempio colle loro Celebri
Epistolae ohscurorum virorum y stampate sotto il nome
di Ortuìno Grazio nel secolo XVI in occasione delle
controversie teologiche , che si erano suscitate tra i faa«
tori di Reuchlino , e i di lui avversar/. Quelle lettere
6000 state pili volte ristampate , ed aoohe nel passato
fcècolo ia Germania , e nella Svizzera con molte note,
é molte figure. I Francesi pure hanno prodottò varie
opere in istile maccaronico , e ne' catalojrhi de* libri pia
rari si registrano alcuni scritti di certo Antonio de Are-"
JìO, 3 o di alcun altro sotto questo nome , scritte a uq
dipresso nello stile di Folengio. Si trovano pure delle
salire scritte nello stile medesimo , ed una tra le altre ,
nella quale sotto il nome di Bragardissima si mette ia
ridicolo la infelice spedizione guerriera fatta da un gran
principe, cum venìret in Franzam bene courrozatus, etc.
nel che si vede il macaronismo applicato anche all' in-
dole della lingua Francese.
Pretendono alcuni, che Folengi avesse preso il so-
prannome di Coccajo aggiunto al nome di Merlino da
tm Viraro Coccajo y o da Coccaglio Bergamasco, che
lo instrul il primo nelle umane lettere. Passò in seguito
sotto Pietro Pomponazio in Padova , e non in Bologna 5
come si è scritto per errore nel dizionario degli uomioj
illustri , e per ordine del di lui padre Coccajo lo ac-
compagnò a quella scuola, dove però non riuscì a fargli
cangiare lo studio , e la inclinazione per la poesia ia
quello della filosofia. Si ingannano però i lessicisti sud-
detti , i quali suppongono , che la prima produzione
poetica di Folengi fosse l' Orlandino , pubblicato soli*?
>,] noriae di Li memo pitocco.
-''97
XVII.
Alla pag. 81 dopo la nota (2) della pagina precedente.
Gap. XVI. § XIV.
L'edizione di Toscolano del 1621 , che gli editori
Francesi del nuovo dizionario storico hanno registralo
per errore come del 1G21, è ornata di alcune figure.
Se ne ha pure una buona edizione di Venezia del iLói,
che non è indicata dal sig. Boscoe. Merita pure una
particolare menzione l' edizione , che delle opere macca-
roniche è stata fatta da Wan Someren in Amsterdam
nel iCq2 in 8., perchè stampata con bellissimi caratteri,
ed ornata di molte belle figure. Si osserva dai biblio-
grafi, che questa edizione, che frequente trovasi in talia,
rarissima è divenuta di là da monti, ed in Olanda spe«
cialmente , essendosene probabilmente spedite tutte le
copie in Italia.
XVIII.
Alla pag. 85 allajme della nota (i) della pag. precedente.
11 sig. Roscoe avrebbe potuto notare , che qnesto
poema fa ristampato in Londra nel 1*77^ io ^.s ^^
in 12.
298
XVIII.
Alla pag. 85 alla fine del § XI V. Cap. XV t.
Morerì , che si è divertito ad empire alcune pagine
degli epitaffi di Folengì, in alcani dei quali si paragona
quel poeta ad Omero , ed a Virgilio , ha registrato tra
le sue opere il poema Be parta Virginis , al quale ha
fallo succedere immediatamente la Z anitonella !!! Egli
ha pure menzionato un libro Della Gatta , che noe si
trova nominato da alcun altro scrittore.
XIX.
Alla pag. 88 Un. g, dopo le parole :
j, AirimperaJore Massimiliano. "
Cap. XVI. § XVI.
La cortesia di un dotto , e rispettabile amico , il
aig. Francesco Testa di Vicenza , egregio collettore di
libri rari, e di altri monumenti della erudizione lettera-
ria , ci pone fortunatamente io grado di illustrare in
questo luogo un tratto della vita del Trissino , e dì
pubblicare per la prima volta cinque preziose lettere
ìnnedite di ura delle persone più ragguardevoli di quel
tempo, di una principessa, della quale si è luagameute
parlato nel corso di questa storia medesima , della cele-
bre Lucrezia Borgia duchessa di Ferrara , colla quale ,
siccome da queste lettere si raccoglie , ebbe il Trissino
«99
le più amichevoli relazioni , e la più intrinseca dinaesti-
chezza. Queste cinque lettere autografe della duchessa
medesima esistono in un volume di lettere al Trrssìno
scritte da varj ragguarde*^oli personaggi , che conservasi
presso li nobili conti fratelli Trissino dal <?rUo d' oro in
Vicenza, sotto i numeri IX , XH , XV, XVI, e XXIV
di quel volume, e sono state dall'erudito Testa fedel-
mente ricopiale , ed a noi trasmesse coli* esatta ortogra«
fia deli' originale.
Oltre che queste lettere costitniscono da loro stesse
una serie di documenti diplomatici pregievolissimi tanto
pel merito di chi le scrisse , quanto per quello dell' al-
tissimo letterato a cui furono dirette, contengono al-
tresì notizie preziose intorno al carattere di que' due
personaggi , intorno agli studj , ed alle occupazioni del
Trissino, ed intorno alla storia letteraria d'Italia di
que' tempi. Si vede dalla prima, data alli 23 settembre
i5i5, che Lucrezia Borgia premurosissima era della
istraziene letteraria del duca Ercole suo figliuolo ; che
per questo essa si appoggiava intieramente ai lumi , ed
alla saviezza del Trissino, che a questo essa domandava
la scelta di un precettore di grammatica. Dalla seconda
scritta nel susseguente novembre si raccoglie , ohe la
•celta del Trissino era caduta sopra Nicolò Lazzarino ,
nome non oscuro tra i letterati di quel tempo ; che il
Trissino era già deputato nunzio a Cesare, che però
ancora trovavasi in Roma , e che per mezzo suo racco-
mandavasi la duchessa al cardinale di Gnrck. La terza
delli 26 di marzo i5iG mostra il desiderio, che il
duca , e la duchessa aveano di poter accogliere il Tris-
sino in Ferrara ;, i! che ancora viene espresso tielU
3oo
quarta , e nella quinta , ^alla prima delle quali del
1 giugno i5iG si raccoglie, quanto al Trissìno fossero
a cuore le premure di que' principi , e quali progressi
facesse il giovane Ercole sotto il suo nuovo precettore ,
come può dedursi dalla quinta , che il Trissino fosse
già passato in Germania, ed a Ferrara si attendesse nel
suo ritorno.
Daremo intanto sotto i numeri respettivi il testo delle
dette lettere.
N.'
» Magnifice Amice Nr. Carissime : havendo facto inten-
der allo III. mo Signor Nro. Consorte tutto el ragionamento
bavessimo de lo Illmo. D. Hercule uro figliolo carissimo^,
Sua Ex. ne ha riceputo grandissimo contento , et per-
chè lei desideraria chel puto iutertanto nò perdesse
tempo la seria contenta, che per vro mezzo segli ri-
trovasse uno M.ro in gramatica. Così ha detto de par-
larvine , et noi havemo voluto anticiparvi cum questo
adviso pregandovi , conoscendo maxime che questo non
torna a disonore né incommodo altrimenti vro a volervi
disponer a satisfar al P.to S.or N.ro et a noi princit
panda cum questo il pigliare del governo et cura del
P.to N.ro figliolo, e quanto più presto l'bavererao tanto
più grato , et se non simo stata più presta a darvi tal©
adviso r è proceduto , che prima di adesso non havemo
potuto ritrovarsi col P.to S.or nro. il quale questa setta
è partito de qui , et offerimone di boa core alli Tri be«
neplaciti.
Belriguardi XVIII. sept. i5i5.
3oi
A nra. et vra. satisfaclione havemo parlato col S.r Her-
cule da Camerino , che viene a Ferrara ^ il quale più
particalarmeate vi dirà di ciò lo ano nro.
Lucretia Ducìssa Ferrariae.
Tergo.
Mag. Amico Nro. Car.mo Duo. Io. Georgi© Trissiae.
N.« a.
Mag.ce ac doctissime Vir amica N.r Car.me. Mandas-
6Ìmo la vra. ira per nro. Cavallaro a posta a quel D.
Nic.o Lazarino ; et aprissimo la resposta , eh' esso man-
dava p. sapere quel che diceva , e poi la rimettessimo
air Illmo. S or Nro. Consorte , dal qaale non sapemo se
vi fu mandata: essa contenia solo, che ditto D.Nic.o pi-
gliava certo termino breve a venir a nostri serviti! : il qual
passalo noi bavemo rimandato altro nro. Cavallaro a sol-
licitarlo : et esso ha risposto a Noi io manera, che
d'ora in bora lo expettamo : et a voi scrive la qui al-
ligata , pensando forsi , che voi fussi a Ferrara : havemo
voluto eh' el tutto vi sia noto : havemo piacer intender
per vre Ire come state ; et a vri beneplaciti ci offerimo
gempre. Ferrae XXII. Nobris i5i5.
Pregovi , che vi pi acqua raccomandarmi al R.mo
Car.le Gurcensis.
Lucretia Ducissa Ferrariae.
Tergo.
Mag co ac Doctiss.o Amico Nro. Carmo.
Duo Joan. Georgi© Trissino S. D. N. Nuntio apud
Gaesareoi.
3o2
N.<» 3.
M co Mess. Jo. Geòrgie N ro Car.mo Havpnclo Integr
da vro Cognaio exhibitore di una vra a noi la diligeole,
el amorevole opera falta da Voi a nra safisfaclioue , è
Hata allo lllmo S.re N.ro , al quale lungaraeule j el mi-
nutamente habbiamo comunicato el tutto, e parimeule a
Noi di rariss o contenlo , et Tcramente meritoria col di-
dimostrato buon animo vro di quella obbigalione , che
l'uno e r altro di Noi ve ne sente Et pei che haveres-
eimo anco molto desiderio di poter partLalmente parlar
cum Voi nel ritorno vro di cose , che sarebbe di molta
opera, e di poco contento vro el scriverle, mi fareste
piacer molto singulare ad trasferirve 8Ìo qua ; il ohe fa-
cenòo Voi sera piìi presto passata, ohe dimora. Et d^
mo restando Noi io expectatione j di naolto cor vi si
offeriamo. Et bene valete.
Tergo.
Mag. Amico Nro. Car.mo loanni Geòrgie Trissìuo.
Romae.
In Ferrara XXVI di Martio MDXVI.
La vra Duchessa di Ferrara.
N.«» 4.
Magoifice Amìce Nr. Carissime : stando in expectatione
di haver qualche nova di voi havemo havuta la vra , la
quale mi è slata gratissima. E' vero , che mi scrìa stalo
molto più la persona , la quale speravamo dovesse esser
più presto di quello voi significasi per la vra , se beo
poi con molta humanità , et cortesia la remettete io nro
arbitrio, del che n. polemo si n. ringraliarvene gran»
3o3
dem.e; Qtunelie a noi non para licito discootiarvi tanto
quanto mostrati, che ve ne importi certe ?re cose He:
havemo bea ultra modo gratissimo , che quando el tem-
po non sia superfluo lungo , expediti che siano quelli
Tri negotii vogliati omnino venirvene qua , et conservar
non voglio dire la promessa , ma la speranza , che ci
deste , quando ultimamente fusti qua , di havervi qual-
che tempo; et in quel raezio pigliarvi quella cura del-
l'lUmo nostro figliolo, che Noi cura tanto afecto vi rao-
coaìandassimo , et di che lo Ilimo. S.or N.ro , ed Noi
non ne poliamo star con raagiore desiderio : et in questo
proposito a vro contento vi advisiamo come el suo pre-
oeptore fino adesso non potria restare di lui più satisfacto,
né cum magiore speranza de reportarvi honore , et cuna
facilità , secundo che pensiamo habiate anche inteso per
sue Ire, per il che non ci estenderemo altrimente si
non recordarvi , et certificarvi , che non siamo mai per
mancar del nro boa amo verso di voi , et così ce vi
offeriamo di bon core. Belriguardi p.o Junii i5i6.
La vra Duchessa di Ferrara.
Tergo
Mag.co Amico Nro Car.mo Joanni Geòrgie Trissino.
Komae.
W.9 5.
M. Giovan Giorgio mio Car.mo Ho ricevuto 1* ultima
▼ra la quale per haverme dato scientia di Voi , quel
che sommamente desiderava , mi e stata gratissima , po-
eto che molto più mi sarebbe stata la prese nlia vra. Ma
come ho havuto dÌ8|iiacere , ch'Ella mi sia stala dalli
allegali negotii nel vro ve.ìire contesa , co»ì faavrò caroj
3o4
che mi sia nel vro ritoruo da voi concessa. Alle altre
parte de detta vra , et a quanto me ha referto a bocca
satisfarà vro Gogaato nel riporto vi farà di me , la quale
di molto cuore me vi offcro , et racco
Di Ferrara el di XV di Ottobre MDXVIII.
La vra Duchessa dì Ferrara.
Tergo.
Mag.co Dno. Jo. Georgio Trissino Amico Nro Carmo ».
Poiché siamo stati condotti dalla gentile comunica-
zione fattaci di queste lettere , a parlare di Lucrezia
Borgia , della quale così a lungo ha ragionato il signor
Bosoe nella sua dissertazione da noi posta alla fine
del II. Volume , riferiremo pure alcuni sonetti di un
poeta quasi ign«fo , che ci sono stati trasmessi dalia
fonte medesima. E questo Marcello Filosseno , frate Ser-
vita di Trevigi , indicato troppo succintamente dal Qua-
drio e dal Tiraboschi , i di cui versi furono pubblicati
in Venezia nel i5o'5 in due piccoli Volumi per le stana-
pe di Nicolò Brenta, edizione divenuta ora rarissima , e
da pochissimi veduta. Quel poeta era un cattivo imita-
tore del Petrarca , ed era perdutamente innamorato dì
Lucrezia , della quale egli avea fatta la sua Laura. La
maggior parie de' suoi sonetti , delle sue ottave , e delle
sue terzine , versano sopra le bellezze , e le virtù dì
quella principessa , e sugli amori suoi. Il generoso ami-
co , che ce gli ha comunicali , crede , cha il maggior
merito di qne' versi fosse quello della estemporaneità ,
il che servirebbe a scusare iu gran parte la loro roz-
zezza, ed a rendere al tempo stesso ragione del motivo
per il quale sono stati dimenticati. Servono però mol--
3oS
tissimo que' vergi ad illustrare 4a storia cfi qae* tempi ,
ed il laborioso sig. Testa ha scelto opportunamente quei
sonetti , che riferiscooo la catastrofe di Lodovico il Mo-
ro j la morte di Paolo Vitelli , la magnificenza di AleS'
Sandro VI, la fortuna del Duca Valentino, ed i tìzj
della corte di Roma. Altri ve n'ha pure in lode dei
Bentivogli , dei Petrucci , dei Gonzaga , di un celebre
fabbricatore d* organi Veneziano , nominato Francesco
del Pittore Beltrajìo , del quale non so che alcuno ab-
bia parlato , ed appena ne ha fatto menzione il diligen-
tissimo sig. Serasti nelle sue lettere su questo argo-
mento ; di un Porto letterato Vicentino ecc. Diamo in-
tanto i sonetti , che ci sono stati comunicati.
» Godi Ferrara poiché il Ciel disserra
Bel dono in te, che al tuo sceptro provede
Locando ora Lucretia in la tua sede ,
Lucretia in cui suo ben natura serra.
Quanto hoggi Roma eccede ogni altra terra
Per esser d' alla gloria eterna erede ,
Tanto il chiar lume , che in costei si vede
Ogni altra illustre al paragone atterra.
Lucretia instaurò Roma con sua morte ,
Questa che in viltà aggrada al re superno
Instaura il mondo , e la celeste corte.
Se Roma a ogni città tolse il governo ,
Tu gloriar li puoi con miglior sorte ,
Gh* or spogli Roma di un splendor eterno «.
hrom X. Tom. VII. sq
3o6
, ir.
5i De' gran Poeti or taccia la caterva ,
Che di Fallacie , e Cipria ha tanto detto ,
Favole finte son d'alto intelletto.
Ma vera istoria in lor non si conserva.
Lucretia Borgia è Venere , e Minerva
Non finta in verso, ma con vero effetto:
Chi il roseo volto mira , e il niveo petto
Di un subito desio si strugge j e enerva.
Dunque per gloria col giudizio intero
Lei tanto eccede 1* altre in ogni parte.
Quanto dal finto è differente il vero.
Chi brama di Cupido intender l'arte
Miri il bel sguardo mansueto , e altero.
Che mostran gli occhi il ver , più che le carte ««.
m.
?» Mantoa felice , e gloriosa terra ,
Eterno specchio , e lume a tutto il mondo ,
Già producesti 1' ingegno facondo ,
Che cantò il gregge , i prati , e l^ alta guerra :
Et hor il gran Francesco in te si serra ,
Un Cesar, anzi un Marte furibondo,
Qiial servò Italia in suo stato giocondo ^
Et ogni palma da lui si disserra.
E il ciel con il suo dono ancor te onora
Che d'ogni gran beltà la miglior parte
Ha collocato in tua gentil Teodora ??.
Ben puoi Mantoa in eterno gloriarte ;
E tal trionfo conterassi ognora ,
Che Apollo havesti in Te , Venere , e Marte «.
3o7
IV.
5» L* altrier mirando l' inclito , e bel nido
Della virtù , che Alessandro immortale
Instaura , talché mai più non fu tale
Scontrai senz' armi il fanciullia Cupido ;
E pien d'immenso gaudio, onde ancor rido,
Addimandai dov' era 1' arco , e il strale ,
Dal quale ho già sofferto tanto male ,
Che risanarmi mai più non confido.
Allor quei mi rispose lagrimando
Lucretìa Borgia con sue forze altere
Ha me spogliato , e da se posto in bando.
Hor con Diana , e 1' altre sacre schiere
Van per li boschi , e selve sagittando
L' una gli uomini , e Dei , V altra le fere s».
Questi sonetti possono servire di luminosa conferma
a quanto ha scritto intorno a Lucrezia il sig. Roscae
nella sua dissertazione sul carattere della medesijna , e
specialmente a ciò che si dice di quella Principessa alla
pag l'ji e seguenti del Voi. II. Lo stesso può dirsi
del sonetto , che trovasi sotto il N.** XI , scritto in oc-
casione della morte del marito di Lucrezia.
V.
Già mi credea , che molto argento , ed oro
Facesse ogni mortai viver contento ,
Che tutto il vulgo ha gran sete d'argentò,
E per pecunia fassi ogni lavoro ;
3oa
Ma poicf io vidi quel sublime Moro ,'
Che iu cumular tesor fu sempre attento
Fuggir dal suo bel seggio in un momento.
Non ho più certa speme in tal ristoro.
Questo è ben di fortuna ; e lei eh' el porge
Di ricco Crasso fa miser mendico j
E tal volta un sommerso al cielo scorge.
Hor col suo esempio mostra Lodovico ,
Che dee fociarsi ognun , che in alto sorge
Farsi di amici ^ e non d/ argento rico «,
Della catastrofe di LodoAco il Moro si è parlato nel
Capo VI. § V di quest'opera T. IL p. ii5 e seguenti.
VI.
j5 Per contemplar il Mondo e sua possanza
Cercato ho più città , paesi , e gente ,
E trovo dall' Occaso , alT Oriente
Varie lingue , vestir , costumi , e usanza.
Ma benché ciascun sogna la sua danza
A un sol lavoro il mondo pur consente ,
Che ognun d' acquistar oro ha il cor fremente
Nò trovo alcuno fuor di tal speranza j
Cerca ogni legge , nation , e fede
Che tutte l' opre , consigli , e facende
Aspettan di tesor qualche mercede :
Finga chi vuol : ciascuno a questo attende ,
E più nel gran tesor , che in Dio si crede ,
(Hhe in ][loma per tesor il Ciel si ven^^e sj.
Vii.
33 Ferma gentil riatore alquanto il passo j
Perchè leggendo questo empio flagello j
Vedrai , che il Mondo di beltà ribello
Ogn' inclita viriate spinge al basso:
Sepolto è Paolo sotto questo sasso ,
Di feor Leone , fe di nome Vitello ,
Qual creò Marte in città di Castello,
Che or piange il car patron di vita casso.
Con aspra guerra in gran pioggia , e tempesti
Molto sudò servando fede pura ,
E in premio le fu poi tronca la testa.
Benché per fama ogni beli' opra dura
Pur questo acerbo caso manifesta.
Che virtù poco vai senza ventura ««.
Può vedersi nel Capo V. § XIII di quest' opera 1»
etoria della morte di J'iteW. T. II. p. 102 e io3.
Vili.
jj Ahi ! bella Italia già sublime e diva ,
Come ti pon'in man de' tuoi ribelli.
Che ti daraon' ognor aspri flagelli,
E di ciascun tuo ben resterai privi;
Hor ogni alta virtute in te fioriva ,
Arme, dottrine, sculture, peoelli ^ ., ,
Architetture , fabriche, e martelli :
La prisca età tant' allo non saliva.
OIO
Già tulli i stuoli barbareschi , e rei
Furono soggetti al suo felice scanno ,
Et or t' inclini a lor come a' tuoi Dei :
Adunque piangi con perpetuo affanno ,
Pensando a quel che fosti j e a quel che or sei ,
Che quanto è il ben eh' è perso è lauto il danno ».
IX.
5J Non m' invitar più a Corte , né a suoi scanni
Provato ho quel superbo Consisterò :
Pover viver voglio , e in tal lavoro
Che poi la morte i viva ancor moli' anni.
Seguan lai signorelli , over tiranni ,
Quelli che bramaa stato , o gran tesoro ,
E pascansi di speme per ristoro
Sempre in travagli, invidie, oltraggi e affanni.
Solo iguorantia , e pompa in lor discerno ,
Ma chi segue virtute ha un tal valore ,
Che un uom mortai può far per fama eterno.
A quest* io porto riverenza , e amore ,
Stimando i ben dell' alma , e non 1' esterno ;,
Che chi è di virtù ricco , è ver signore u.
X.
5j Non ti abbisogna far tant' accoglienza
Di gran macchine , e arme per cammino ,
Che al tuo valore invitto Valentino
^oa è chi possa far più resistenza.
3ii
Tal forza ha poi la tua giusta olenaeuza
Che ogni popol lontan' over vicino
Te iuvooa per padron , come uora divino;
Nella Romagna appar la esperienza.
TSè sol s' inclina a te 1' umana gente ,
Ma par che il Ciel cortese a te si spanda ,
Che a ciascun tuo desio lieto consente.
Però senz'armi, e sol con tua domanda
Va per r Italia ormai sicuramente ,
Che ciascun griderà : Cesar comanda «.
Questo ha relazione con quello che il sig. Roscoe ha
più volte accennato ne' Capi VI, e VII di quest'opera
Voi. II, e III.
XI.
Ad Bivam Lucretiam Borgìam.
55 Se il Ciel da terra ha tolto il tuo car pegno
Per collocarlo in seggio più perfetto,
Non ti doler, né lauiarti il petto.
Come r ignobii vnlgo senza ingegno.
Che c'\b non fece il Ciel per odio o sdegno ,
Ma per mostrare a ognun con vero effetto ,
Che tua prudenza , e il tuo sommo intelletto
Non à bisogno più d' altro sostegno.
Dunque nel tuo saper or ti consola ,
Se il crudel fato or 1' aureo Bove abbassa ,
Gh' ogni tua gloria ormai fia di te sola.
Fortuna or ci lusinga, ed or ci lassa,
Lucrelia eccelsa , e in questa mortai scola
Ogni creata alfin com' ombra passa «.
3l2
xif.
In honorem urèià.
53 L* esperio illustre tuo mi persuade ,
Inclita Roma , che ia tanta bellezza
Giamai non fosti , quando alla tua altezza ^
Se inclinò il mondo per forza di spade.
Véggio adornarsi i tuoi palazzi, e strade.
Portici , e piazze con gentil vaghezza ,
E di Adrian la mole in tal foptezza.
Che mai temer non può di avversa clade.
In le congionti son Cora' io discerno
Due spirti illustri , oh' il seggio di Evandro
Adorneran di gloria , e pregio eterno.
Materia da stancar Maro, e Monandro,
Poiché in un solo tempo hai il governo
Di un magno Cesar, d'un divo Alessandro «.
Mentre professiamo la nostra gratitudine alla persona j
che ci ha somministralo questi documenti diplomatici e
letterari , non dissimuleremo ai nostri lettori y. che uuo^i
aneddoti speriamo di ottenere per questo mezzo anche
rapporto alla persona , ed agli studj del Trissìno , e che
in tal caso non mancheremo di inserirli in alcuno dei
seguenti volumi.
3i3
XX.
Alla pagina medesima , linea medesima.
Gap. XVI. § XVI
I lessicografi Franfjesi più moderni, non so veramente
su qual fondamento , hanno supposto il Trissìno ammo-
gliato due volte , lo hanno fatto passare tutta la sua vita
come laico, ed hanno fatti molti rimproveri a Voltaire,
perchè questi lo abbia sovente nominalo come prelato.
Che il Trissìno si ammogliasse per la seconda volta , non
si raccoglie da alcuno degli scrittori delle sue memorie;
che il Trissìtio si impegnasse negli ordini sacri , non f;
ben certo; ma certo egli è, che dopo la morte della
moglie ritirossi a Roma, che sempre dappoi servì quella
corte, e la servì in nunziature ed in cariche luminose ,
e di tale natura , che portavano se non altro , che egli
vestisse 1' abito ecclesiastico. Anche Morerr è caduto nel-
l'errore del suo secondo matrimonio, e di più glielo ha
fatto contrarre in età assai provetta. — Tutti que' lessici-
sli si accordano a dire, che Carlo V. e Ferdinando suo
fratello gli accordarono il titolo di conte a contempla-
zione tanto della sua nobiltà originaria , quanto de' suoi
meriti. Alcuni soggiungono che in vecchiezza ebbe a so-
stenere una lite acerba con Giulio suo figliuolo , il quale
reclamava i beni della sua madre. — Si dice, ohe Tris-
sìno , il quale nella sua gioventù avea fatto molti pro-
gressi nelle matematiche , portasse grande amore alle
3i4
arti , e massime alla architettura , e che coi suoi cod^
siglj j coi suoi suggerimenti , molto contribuisse alla ce-
lebrità che si acquistò in seguito Andrea Palladio. —
Moreri si è ostinato , non so per quale stravaganza , a
scrivere Trissìono in luogo di Trissino.
XXI
Alla pag. 8f) dlota (2) lìnea 5. Dopo le parole ,, ia
occasione del di lui viaggio a Firenze in quel-
8' anno ".
Gap. XVI. § XVI.
Gli sforici Francesi , che probabilmente non hanno
posto mente al viaggio da Leon X fatto in quell' epoca
a Firenze ed a Bologna , dicono tutti d* accordo che
Leone X fece rappresentare per la prima volta quella
tragedia in Roma. — Diacono , che quella tragedia
è scritta secondo il gusto più rigoroso del teatro Gre*
co ; gusto , soggiungono essi , che dopo V introduzione
del teatro Francese in tutta V Europa non è pili tolle-
rabile. Non ci fermeremo ad esporre alcuna osservazione
su questa asserzione per lo meno precipitata , giacché i
Greci possono considerarsi come i primi modelli , ed i
fondatori di qualunque teatro tragico regolare ; e solo
noteremo, che essi altro non hanno riconosciuto di gusto
Greco nel Trissino, se non la introduzione del coro alla
foggia degli antichi. E però vero , che troppo lunghe ,
e per conseguenza nojose sono talvolta le declamazioBi
messe in bocca al coro medesimo.
3i^
XXII
Mia pag. 92 dopo la nota (i) della pag. medesima.
Gap. XVI. §. XVII.
S'ingannano gli Autori del nuovo dizionario s'oi-ico ,
i quali supporigouo , che il poema epico : L' Italia li-
berata dai Goti sia stato stampato per la prima volta
a Venezia nel i54^7, ® iS^S. S'ingannano pure Del-
l'asserire, che i due volumi di quel poema coateDgano
nove libri ciascuno; alcuno ha anche asserito, che i
volumi fossero tre , divisi ciascuno in nove canti. Io pos-
seggo quella rarissima edizione , che realmente è stam-
pata in Roma negli anni suddetti dallo stampatore Dorico,
ed il primo volume contiene nove libri , otto ne contiene
il secondo. Il titolo è : L' Italia liberata dai Gotthì. —
Oltre r indirizzo , o sia la dedicatoria all' Imperadore
Carlo V j della quale parla il sig. /?o*coe in questa nota,
esiste pure stampata separatamente una epistola de le
lettere nuovamente aggiunte ne la lingua Italiana del
Trissino medesimo , eh' io posseggo , e che è stampala
in Vicenza da Janiculo nel lóZQ ia ^^ . Nello stesso
anno fu pure stampato dallo stampatore medesimo col.
l'aggiunta delle nuove lettere, o sia delle lettere Greche
per determinare con una maggiore precisione il modo
della pronunciazione Italiana ; il Dante della volgare elo-
cjuenza , e così pure il Dialogo del Tr issino intitolato il
Castellano , che io posseggo uniti alla epistola suddetta.
Alcun' altra edizione fu fatta in que' tempi anche di ©per»
3i6
estranee a quelle del Trìssìno colla iatroduzione delle
lettere Greche suddette , ohe però non fu adottata dal
molti > e cadde ben presto ia disuso.
xxiit
Alla pag. 98 alla fine del §. XrUl. Cap. XVL
Poiché abbiamo riferito , e corretto alcune stravaganze
dei lessicografi Francesi , non Onaraetteremo di notare
quella del nuovo Dizionario storico , che fa morire Ru'
celiai, come infatti morì verso il lóaG, ma lo fa pri-
ma abbandonare la carica di Castellano, o Governatore
del castello di S. Angelo , per rammarico forse di non
aver potuto ottenere il cappello cardinalizio , che tanto
si snpponea dal medesimo desiderato , e lo fa andar par-
roco di una piccolissima parrocchia nella diocesi di Lue»
ca. Bucellai morto appena nel cinquantesimo anno del-
l'età sua, fini realmente i suoi giorni in Roma, occu-
pando tuttavia !a carica di Governatore del castello , che
condotto Io avrebbe alla porpora , se egli avesse soprav-
vissuto. — Gli stessi scrittori suppongono falsamente che
egli partisse della legazione in Parigi per essersi il Papa
collegalo coir imperadore Carlo V contro Francesco I,
mentre Rucellai rimase colà nella qualità di legato fino
alla morte di Leon X. — E' pure falsissimo , ciò che
dicono quegli scrittori , che la tragedia la Rosimonda fosse
rappresentata davanti ai Papa Leon X, allorché questi
passò nel i5i2 a Firenze. Il viaggio del Pontefice ebbe
luogo nel I 5 1 ?i . conio si rileva da questa storia mede»
3,7
•ima Tom. V. Cap. XIU. § -XX ^ag. i33 , e seg. ,
ed in quella occasione egli onorò di una sua visita la
casa di campagna di Rncelìaì , dove la Eoxmonda fu
rappresentata. •— Moreri , che non parla se non di Ber'
noi do , autore della storia, e padre di Giovanni, lo no-
mina Riicellari , forse tratto in inganno dal nome latino
OriccUavius. — Questa tragedia fi^ stampata nel i525.
XXIV.
Mici pag. loi Un. 17. Dopo le parole t ,, In Firenze
nell'anno i^y^..
Cap XVI. § XX.
Nasce fn questo luogo una disparità dì opìnioai tra il
sìg. Eoscoe , ed altri scrittori delle memorie di Alamari'
ni. Egli lo suppone nato nel i^^^j mentre altri lo fan«
no nascer solo nel 1^95. Se è vero, che egli passò il
primo periodo della sua vita nella società e nella fami-
liarità di Bernardo Bucellai , e del Trissino , che nati
erano l'uno nel li^S, e l'altro assai prima, pare, che
r epoca assegnata dal sig, Roscoe possa riguardarsi come
la più esatta. Ma se riQettiamo alla circostanza che egli
entrò con varj giovani di Firenze in una rivolta , ed in
una congiura centra il Cardinale Giulia de' Medici , e
che questi non assunse il governo di Firenze se non nel
l5if); sembra più probabile, che Alamanni nascesse in
un'epoca posteriore a quella dal sig. Roscoe accennata,
pprcl^è allora sarebjjesi trovato nella età di ventiquattro
3i8
o venticinque anni , che è quella appunto delle passioni
violente. Di più essendo egli morto il 18 aprile del i556,
egli sarebbe stato più che ottuagenario a quelT epoca ,
se nato fosse nel li'^o, il che non è dai suoi biografi
accennato. Egli fu pure spedito ambasciat*>re a Carlo V
60I0 nel iS-f^ , e se nato fosse nel i4'j5 sarebbe stalo
già in una età , che permesso non gli avrebbe probabil-
mente i tratti spiritosi, che di lui in quella occasione
si raccontano. — • Egli ebbe un parente poeta, le di cui
poesie burlesche furono stampate a Firenze nel i552
con quelle del Burchiello , e di altri in 8- , ed un figlio
per nome Battista che diventò Vescovo di Macon.
XXV.
Alla pag. 106. al fine della nota (2) della pag. antec
Gap. XVI. § XX
Oltre le opere accennate di Alamanni si citano pure
ima commedia intitolata Flora , oh' io non ho veduta
giammai , ed un discorso sulla milizia di Firenze. —
S'ingannano gli autori del nuovo dizionario storico, i
quali credono che le opere toscana di Alamanni siano
state f»er la prima volta itampate il i.^ volume dai Giunti
in Firenze nel 1 5 52, il 2.*' in Lione dal Grifto oelT an-
no medesimo. E' vero , che il primo volume fu stampato
dai Giunti in Firenze nel i552; ma è altresì vero, che
tjeir anno medesimo comparve in Lione lo stesso primo
▼olume stampalo dal Grijìo , che poi pubblicò il secondo
nel i555.
ÓI9
XXVI.
Alla pag. 107 Un. 3 0 dopo le parole ,, da Guidi,
da Filicaja, etc. *'
Gap. XVI. § XXI.
Il sig. Roscoe , che parlando dei lirici , e dei pro-
gressi loro sulle leggi, e sull'esempio del Sannazaro, del
Bembo, del Molz» j e di Vittor'ia Colonna, è disceso
fino a nominare il Guidi ed il Filicafa , avrebbe potuto
opportunamente nominare Gabriele Chiabrera nato nel
i552 , e che da alcuni fu detto il principe dei lirici Ita-
liani , da altri il Pindaro dell' Italia. — E' pure strano
il non trovare che di passaggio menzionato in quest' o-
pera il celebre Annibale Caro , che in quel secolo me-
desimo , e nato anche e cresciuto a' tempi di Leon X
tenne un luogo distinto tra' primi letterati , che fiorirono
in Roma , tra i poeti lirici , e tra quelli che co* loro
scritti contribuirono maggiormente a ripurgare ed ingen-
tilire la bella lingua d' Italia.
XXVII.
Alta pag. 118 al fine della nota (i).
Gap. XVII. § III.
Se vero fosse , ciò che accennano molti scrittori ,
che AiigurelU morì a Treviso nell'anno 162^ ( come
Radica il sig. Roscoe ) , la età di ottantatrè anni , V epg»
ca della di lui nascita anziché ravvicinarsi dovrebbe ri»
portarsi verso il i458.
xxviir.
Alla pag. 123 alla fine del § 111 Cap. XVIL
Dopo quello che è stato giudiziosamente scritto dal
sig. Roscoe , dee riuscire stranissimo il vedere il giudi-
zio portato da alcuni scrittori francesi , che probabilmeute
non aveano alcun gusto per la poesia latina , e forse
ijon l'intendevano neppure, m Aup-urelli , così sta scritto
9> nel nuovo dizionario storico , ha fatto odi senza entu-
sj siasrao , elegie senza dilicatezza di sentimento, giambi
w senza grazia , arringhe , o orazioni , dove non si tro-
»» vano che parole « , ed in proposito di que&l' ultime
6Ì cita Scaligero , di cui però si dice troppo mordace la
critica. I giambi di Au^urello sono foiàe dei migliori ,
che si siano scritti in que' tempi. — Moreri, scordandosi
interamente che Aiigurelli fosse poeta, e solo ponendo
mente all'argomento della sua Cjlsopea , lo h% indicato
come un celebre chimico.
XXIX.
Alla pag. i35 Un. 20 dopo le parole ,, al suo
entrare in un ordine regolare ".
Cap XVIL $ VI.
Girolamo Vida entrò in età immatura nella congre-
gazione de' canonici regolari d'\ S, Marco a Mantova ;,
3si
ma ne uscì ben presto , e fu poi ricevuto in Roma ia
quella de' Canonici regolari lateraneiisi.
XXX.
Alla pag. i38 Un. 3 dopo le parole : „ ricompensalo
con onori ed impieghi lucrosi ".
Gap. XVn § VI.
Leon X gli conferì il priorato di S. Silvestro di Ti-
voli , e si dice , che in quella residenza ponesse mano
al poema della Crìsfiade , intrapreso per suggerimento
del Pontefice medesimo.
XXXI.
Alla pag. i4o Un- I dopo le parole ,, il giorno
ventisette di settembre dell'anno i566. ,,
Gap. XVII 5 VI.
Se vero fosse, ciò che comunemente si narra, che
egli morì in quell'epoca all'età di novantasei anni, egli
sarebbe nato realmente nel i^-jo , ed inutili riuscirebbero
tutti gli sforzi fatti dai critici per far comparire più re*
oente l'epoca della di lui nascita.
Leone X. Tom, VII. 21
3^s
XXXII.
Alla pag. 1^3 al fine della nota (3).
Gap. XVII § VII.
I! sig. Eoscoe avrebbe potuto aggiugnere a quanto ha
detto molto eruditamente in questo paragrafo , una te-
stimonianza ancora più autentica, la quale ronde ragione
al tempo slesso del grat^dissimo conto che gli scrittori
inglesi hanno fatto delle opere del Vida ; ed è , che la
sua arte poetica , la sola forse tra molte opere di poesia
latina pubblicate in Italia , fu ristampata con grandissima
cura j e con lusso ad Oxford nel 1920 in 4^. — L'abate
Batieux, che nel i'^'Ji ha stampato quattro poetiche in
due volumi in 8. , a quelle di Aristoiele , di Orazio e
di Poikaii ha aggiunto quella pure del F^ìda. — Si è
detto in Francia, e si è detto molto malamente, che la
poetica del Vida insegnava piuttosto V arte d' imitare
Virgilio, che non quella d'imitare la natura, quasiché
Virgilio non fosse un cantore della natura — - Lo stesso
giudizio dee portarsi di altri scrittori Francesi, che rina»
proverarono a Vida di aver mescolato troppo sovente il
sacro col profano nella sua Cristiade, mentre invece il
Mg. Eoscofi mostra giadiaiosamente , ohe egli evitò il-
difetto , sul quale era caduto Sannazaro , impastando
troppo spesso le finzioni della iritologia colle verità rii-
velate. 0 quegli scrittori non han letto la Cristiade , o
ne hanno fatto una stranisbima confusione coi poemi ò^
Sannazaro e di Folengi.
323
Oltre la poetica , il poema sui Bachi da seta , l'altro
sul giuoco degli scacchi 3 e la Crlsriade , si trovano aa-
cora (lei Vida alcuni Ioni sacri oiolto eleganti , eh»
sono stati ristampati a Lovanio nel l552 ; alcuni dialo-*
ehi sopra ki dignità della repubblica ^ stampati in Gre*
mona nel i556, molte lettere, ed alcune costituzioni
sinodali. Si cita come libro rarissimo un suo discorso
contra i Pavesi ^ stampalo a Parigi nel 1 56^ in 8., chs
io non ho veduto giammai. Le sue poesie stampate ia
Cremona nel i55o in due volumi in 8., sono pure
state ristampate ad Oxford io tre volumi similiueote
ia 8. nel i';22 , 25 , e 33.
XXXIII.
Alla pag. 1^7 Un. 2 dopo le parole :
„ Alle caste ninfe di quella sacra fonte. *'
Gap. XVJI. § IX.
Giorgio Sommaripa Veronese , del quale io ho nel
primo volume di quest'opera accennati varj opuscoli,
avea pure stampato un capitolo contra il morbo gallico,
unito ad alcuni sonetti , ed epigrammi , fra' quali due a
Cassandra Fedele , ed uno , che ha seco la risposta del
celebre antiquario Ciriaco Anconitano. Questi opuscoli
rarissimi sono stampati in Venezia fino dal 1^87. Ciò
che v'ha di più singolare è, che il Sommaripa fino da
quell'epoca, primo certamente tra lutti, fa menzione
4ella applicazione dell' argento vivo ^ o ^ia del merourio
324
alle malattie veneree. Questa preziosa notizia 3 che io
debbo alla gentilezza del sig. Francesco Testa , da me
altrove con lode nominato , serve a provare in questo
luogo due oggetti importantissimi ; il primo, ohe il Fra-
castoro era stato preceduto se non altro da un infelice
poeta nel trattare , sebbene in modo assai diverso, 1' ar-
gomento della Sifilide ; il secondo , che 1' applicazione ,
e r uso del mercurio nelle malattie veneree , dovea es-»
sere già molto antico a' tempi del Fracastoro ,se ^là era
stato menzionato in uno scritto pubblicato fino dal i^S") -
XXXIV.
Alla pag. i58 Un. 3 dopo le parole „ al quale egli
stesso avea consacrato veiit'anni di lavoro. "
Gap. XVII. § IX.
Un erudito Italiano che nel 181 3 ha pubblicato il
vulgarizza mento in versi delle Pescatorìe dì Sannazaro
col testo a fronte, e che ora attende alla illustrazione , e
traduzione delle opere di questo insigne poeta, si è com-
piaciuto di esporci i suoi dubbj sul punto di questa di-
chiarazione, che di'^esi fatta da Sannazaro; dichiara-
zione ohe quand'anche vera fosse, altro non proverebbe
se non il merito sommo di que'due grandi poeti San*
nazaro , e Fracastoto , e la modestia in pai-ticolare del
primo.
Osserva giudiziosamente il sig Filippo Scolari, che
nessuno degli sisrittori della vita di Azio Sincero ha par-
lato di questo aneddoto ; che la Sifilide aoa uscì ìa Ivte*
325
)a prima volta se noa nel settembre , o nel novembre
del i53o, epoca nella quale il Stìz/nozaro era già morto;
che da alcuni scrittori ( non però dal Thuano nel passo
citato del sig. Roscoe ) , dicesi fatta la supposta cotifes-
sidne del Sannazaro alla presenza del Cardinale Ippolito
de' Medici , che questo non fu elevato alla porpora se
non un anuo avanti a quello della morte di Sannazaro e
che il supposto abboccamento del Sannazaro col Car-
dinale in Napoli meno probabile si rende per la circo-
stanza j che Napoli era in quel tempo in grandissime
agitazioni per la guerra ardente in quel paese. Questo
farebbe dubitare della verità del racconto, che però oltre
la storia citata del Thuano trovasi nelle memorie del
Pala, e dell'Anonimo inserito nella edizione Cominianas
e nel tesfo , non che nelle note del sig. Roscop.
Altro Italiano illustre, che scrisse non ha guari uà
elogio del Fracastoro , ha giudicato di poter opporre a
queste osservazioni , i.° , che il Sannazaro potea aver
letta la Sifìlide manoscritta , giacché dalle lettere di
Bembo si raccoglie , che prima ancora della sua pubbli-
cazione colle stampe andasse per le mani di tutti j
2.^ j che per poter supporre realmente seguito 1* abboc-
camento col cardinale de' Medici , basta il sapere che
questo fosse cardinale un anno prima ; 3.*' , che quanto
ar luogo di detto abboccamento il solo Anonimo della
edizione Cominiana lo fissa in Napoli , ma che gli altri
scrittori parlano dell'abboccamento in generale, senza
indicarne il luoi^o ; cosicché potrebbe supporsi , che
quell'incontro avesse avuto luogo in altra città, o in
una villa , qualunque ella fosse , sapendosi altresì che il
Sannazaro ritirato si era da Napoli.
326
Uon faremo difìScoltà «ul primo assunto, clie 51 San-
nazaro possa aver veduto la Sifilide manoscritta ; ma
quanto alla seconda j e terza obbiezione dell'autore del-
l'elogio, osserveremo imparzialrueate , che il Sannazai'o
era allora negli ultimi suoi giorni; che egli non pertossi
giammai a Roma, benché invitato vi fosse da Clemente Fll\
che sul fine della £ua vita ritirossi bensì da Napoli , ma
non si scostò dalle piacevoli vicinanze di Somma , che è
quanto a dire da' contorni di Napoli , e che non abbia-
mo memorie, che il cardinale Ippolito de' Medici iàcesse
allora alcun viaggio in quelle parti , il che si renderebbe
anche più improbabile per la circostanza, che egli era
stato di recente assunto al Cardinalato , in un tempo
altresì che richiedeva lutla 1' assistenza , e tutto l' impe-
gno de' membri più illuminati del Sacro Collegio.
Noi non ci faremo giudici di questa controversia dì
Storia letteraria , che tende solo ad onorare la memoria
di due celebri letterati, e la intera nazione; ma non
possiamo dissimulare , che di grandissimo peso troviamo
il silenzio di tutti gli scrittori della vita del Sannazaro^
e ohe questo ci fa dubitare sommamente della verità
dell'aneddoto, immaginalo forse da uno de' citali scrit*
lori , e dagli altri , e massime dall' oltramontano confi-
dentemente ripetuto. Sembra impossibile , che il Crispo ,
minutissimo scrittore di tutti gli accidenti della vita di
Sannazaro, e lodato, e citato piìi volle anco dal signor
Boscoe , abbia dimenticato, O trascurato un fatto, che
per più titoli avrebbe arrecato onore al suo protagonista,
e che tanto meno dovea tacersi , quanto che avrebbe
dovuto essere già noto a tutti i letterati d' Italia. Sembra
impossibile ^ che il Bembo , che nelle sue lettere tuttora
esistenti fra le sue opere ^ si studiava sempre eli ia^urre
il Frùcastoro a pubblicare la sua Sifìlide , non si ser-
visse giammai dell' argomento più convincente, che tratto
si sarebbe dal giudizio di un emulo, di un uomo repu-
tato parco lodatore , di un Sannazaro , col quale avea
Bembo , non meno che col Eracaitoro , là più intima
familiarità.
11 silenzio de' biografi del Sannazaro , più assai che tutte
le ragioni addotte di sopra , ci tiene incerti sulla ge-
nuinità di queir aneddoto , in proposito del quale osser-
veremo solo , che nella storia letteraria frequente è
r esempio di detti , che prelendonsi raccolti dalla bocea
dell'uno, o dell'altro degli uomini , massime più celebri j
e che essendo appoggiati solo ad equivoche relazioni,
non possopo dirsi con certezsa dai medesimi proferiti.
XXXV.
Alla pag. i58 Un. i5 dòpo le parole: ,j
La sede dei concilio trasportossi da quella città
a Bologna. ,,
Cap. XVII. § IX
Fracastoro temette in quella occasione , o nlostr^ di
temere lo sviluppamento di una malattia contagiosa ìn
Trento, ma quasi tutti gli scrittori convengono nell' as -
seri re , che egli simulasse quel timore, e fosse a ciò
indotto dalle istanze di Paolo IV , il quale non essendo
troppo bene d'accordo coli' Imperadore Carlo V , era
bramoso di trasferire il Concilio in qualche città d' Ita-
lia soggetta alla Santa Sede. — ■ Dicesi , che FracaUoro
328
parlasse pochissimo , e non esponesse i suoi sentìmenù
ee non allorobè si trovava nella società de* suoi più in-
timi amici. Id generale egli era più portato alla lode ,
che al biasimo, e seppe molto lusingare l'amor proprio
de' suoi contemporanei. Dicesi pure , che nella pratica
della medicina egli affettasse di impiegare le sue cure
alla guarigione delle malattie straordinarie.
XXXVL
Alla pag. i66 Un. 12 dopo le parole: ,, .
Nel quarantesimo sesto anno della sua vita. ,,
Gap. XVII. § X.
Strano è l' errore di Morerl , che suppone Navagero
morto nel i5i6 al ritorno da un'ambasciata di Spagna.
mentre si sa , che trovavasi ancora presso Carlo V
dopo la battaglia di Pavia , e che rimase presso quel
principe 6no al i528, non essendo stato se non l'anno
vSCguente spedito in Francia, dove morì. — Si narra,
che egli avesse realmente scritto la storia della sua pa-
tria dal i^^86 in avanti, come continualore di Saòellico„
ma che nella f5ua ultima malattia coman-lasse espressa-
mente 3 che queir opera fosse dala alle fiamme.
329
XXXVIl.
Alla pag. 182 al /ine della nota (i) della pag. 180.
Gap. XVII. § XI.
In aggiunta a quello , che è stato detto dall'autore in
questa nota, è bene di osservare, che ne' primi principi,
anzi ne* primi monienli ne' quali si udì in Italia parlare
di riforma, essendo questa riconosciuta universalmente
necessaria, anzi indispensabile, e dovendo essa con-
durre, per quanto appariva, alla emendazione de' costu-
mi , ed al ristabilimento dello splendore della Chiesa
Cattolica , giacché non potea conoscersi , fin dove si sa*
rebbe innoltrata l'animosità dei riformatori ; tutti gli
uomini più probi, tutti i migliori ingegni d'Italia ap-
plaudirono all'istante, se non pubblicamente , almeno
tacitamente , ed in segreto, alla prospettiva, che andava
ad aprirsi di un nuovo , e miglior ordine di cose. Gli
«omini più istrutti furono i primi a favor re nella loro
mente il tentativo, ed a pascersi delle lusinghe di una
felice riuscita. Quindi nacque, che essendosi i,i appresso
formato lo scisma, i riformatori, e più di tutti gli
scrittori protestanti, che vennero in seguito, impingua-
rono i cataloghi de' loro aderenti coi nomi di tutti
quelli, che in Italia aveaoo fama di sapere. Dal mo-
mento, che i riformatori furono condannati, l'invidia,
la gelosia, le private animosità, tutte in una parola le
passioni aprirono il campo agli uni di investigare , di
censurare, di accusare le opiuioni degli altri j ed allora
33o
molti furono tacciati di eresia, die forse non pensa ^
vano punto diversamente dai loro accusatori. Le accuse
8Ì »ono dirette anche contro i nomi più illustri , e nel
corso di questa storia medesima si vedono dati come
sospetti alcuni grandi poeti , e perfino la stessa VittoTÌa
Colonna. Quindi grandi controversie tra i protestanti ,
ed i cattolici , quindi grandissime contese tra i cattolici
medesimi , come fra il Caro , ed il Castehetro ; giac-
ché colui , che avea una lite letteraria, o d* altra mate-
ria a discutere , credeasi ben felice , ove potesse invol-
gere il suo avversario in alcun sospetto , o in alcun
dubbio intorno alle opinioni religiose. Per ben rischia-
rare questo argomento basta il riflettere soltanto , che
noti sono i nomi di que' pochi Italiani che apertamente
favorirono la riforma , o che pertinacemente vi aderi-
rono anche dopo la condanna dei riformatori ; che tutti
gli uomini forniti di ingegno , e di probità , furono da
principio amici della riforma, o almeno dell' aspetto j
delle speranze , del nome della riforma , e tra questi
furono fors' anche persone dottissime, costituite in altis-
sima dignità nella Chiesa , le quali , come opportuna-
mente osserva il sig. Roscoe , si teonero silenziose , e
stettero prudentemente ad osservare come la cosa pro-
cederebbe nel suo sviluppamento; che però ingiustissimo
sarebbe il tacciare tutti questi come fautori delle eresie,
e neppure delle opinioni pregiudicate, perchè altra cosa
è il pensare alla necessità di una riforma , il gustarne i
progetti, il desiderare sinceramente il bene della Chiesa,
ed altro è il farsi complice dell' errore , ed il resistere
all'autorità della medesima. Se la qiiistione , tante volle
agitata per l'uno, o per l'altro di que' grand' uomini ,
33 f
sì fosse ridotta a questi termini sempllcissioii , si sareb-
bero forse risparmiali de* Tolurai , e non sarebbero stati
esposti nomi illustri aà vitupero , ed allo scandalo. Io
non sono lontano dal credere, che Bembo , e Sodaleto ,
e Beozzano , e 1' Ariosto , e il Trissino , e Marc Anto»
n'io Flaminio , e quani' altri o liberamente scrissero , o
mostrarono coi loro discorsi , e colla loro condotta di
disapprovare i disordini della corte Romana , pensassero
tutti ad un modo medesimo , qual più , qual meno ,
mostrandosi , come dice Tirabosehì j per qualche tempo
propensi alle opinioni dei novatori ; ma da questo non
nasce, che essi facessero torto alla cattolica verità, né
che essi potessero in alcun modo sospettarsi partigiani
della eresia»
XXXVIII.
Aìla pag. 182 Un. 11 dopo le parole:
5^ Avvenuta in Roma nel i55o. „
Gap. XVII. § XI.
Se Flaminio nacque , come dice il sig. Roscoe , nel
3Ì98, e mori nel principio del i55o, "non visse cin-
quantasptte anni , come asseriscono tutti i dizionarj sto-
rici. Più angora s* inganna de Thou , che lo fa morire
assai giovane. Questa asserzione contrasta stranamente
con alcuni componimenti poetici del medesirho , chie si
trovano nelle sue opere, e nei quali talvolta scherzevol-
mente Flaminio si qualifica egli stesso ii,o vecchi© faceto,
0- '^hiedp , che gli sia data sempre verde la più tarda età.
XXXIX.
Mia pag. I S8 alla fine del § XII. Capo XIII.
Le poesie latine di Flaminio furono anche raccolte
con quelle di altri quattro grandissimi letterati , e poeti
distinti di quel tempo, stretti tutti in amicizia coU'au-
tore , Bemho , Navagero , Castiglione , e Cotla , dei
quali tutti si è parlato , e si parlerà ancora in quest'o-
pera. Quella collezione preziosa , eh' io posseggo , porla
per titolo : Carmina quinque iUusfrium Poptarum. nempe
Bembi , IVaugerii , Castìlloni , Cottae , et Flaminii Ve-
rte tiis 1548 in 8.
Parleremo in questo luogo di alcuni illustri letterati,
nominati in questo capitolo come particolari amici di
Navagero , e di Flaminio , con che verranno ad essere
piìi compile le illustrazioni da noi fatte della storia let-
teraria di quel periodo di tempo. De Thou ha lunga-
mente, e con molta lode parlato di Lelio Capilupi ,
amico di Gioachijno di Dellay . Egli fa menzione della
destrezza esimia di Lelio nel servirsi dei versi , o piut-
tosto degli emistichi' di Virgilio suo compatriolto per
formare de' centoni , nella quale arte , dice de Thou
oscurò la gloria di Ausonio , di Proba Falcoiiia , e di
altri , che si esercitarono sul medesimo genere di com-
ponimenti. Si'mbra , che Lelio componesse centoni snl-
1' origine dei monaci, sulle loro regole , e sulla loro
vita ; sui costumi delle donne , sulle cerimonie della
Chiesa , e sulla stor a del morbo venereo , che allora
apparentemente occupava le penne di varj letterati. li
333
centone ex Virgilio de vita monachorum , e I* altre con-
tro le femmine s ed i disordini della loro vita , sono
stati pubblicati a Venezia nel i55o io 8., e Giulio Ro^
scio riunì tutte le poesie di Lelio in un volume in 4^.,
stampato in Roma nel i5qo. I centoni contengono le
satire più amare, al qual proposito osserva un moderno
scrittore , che il dolcissimo Firgdio non si sarebbe mai
aspettato di vedere lacerali i di lui versi per formarne
le satire più pungenti. Lo stesso potrebbe dirsi degli
scrittori agiograB ecc.
• Si dice da alcuno che Ippolito e Giulio, non già //)-
polito , e Camillo , come accenna il sig. Roscoe , fos-
sero rivali del fratello Lelio nello scrivere poesie latine,
e si assicura parimenti, che avessero lo stesso talento di
scora porre, e raccozzare i versi di Virgilio per formarne
centoni. Camillo, nominato dal sig. Roscoe, ottenne fama
per tutt* altro genere di scritti; egli pubblicò un libio
intitolato: Stratagemmi di Caro IX cantra gli Ugonot-
ti , libro che ebbe gran voga , e che fu tradotto ia
Francese , sebbene i Francesi medesimi lo dicano pieno
di esagerazioni , e di calunnie.
Benzio fiorì dall'anno i53o fino al iS'^o; e fu se-
gretario di molti Pontefici Per la sua deformità , niea-
zionata dal sig. Roscoe nelle note , non meno che per
la sua probità austera , fu detto il Socrate di Roma.
Egli amava tuttavia le conversazioni scherzevoli, i baa-
chetti , ed i piaceri. Le sue poesie tanto latine , quanto
italiane sono state raccolte da Pallavicino , da Grutero ,
e da Varchi. Atanagio ha pure registrato nella sua rac-
colta alcune lettere facete di quello scrittore.
Gabriele Faerno era nativo Cremonese , ed ebbe in
334
quel secolo reputaBÌone di eccell«n{ft poeta. Egli tra-
dusse in versi latini cento favole d' Esopo , distribuite
in cinque libri , e si dice , che lo facesse ad istanza di
Pio IV. Non furono però pubblicate se non nel i56^
in Ruma circa tre anni dopo la di lui morte eoo una
dedicatoria a S. Carlo Borromeo. Quelle favole furono
molte volte ristampate , e specialmente a Londra nel
11^45 io ■^•j con moltissime figure. De Thou è stato
forse il primo a spargere il sospetto , che quelle favole»
fossero un plagio fatto a Fedro. Faerno dottissimo critico
illustrò alcuni classici , e specialmente Cicerone , e Te»
renzìo f i di cui commentar) però non furono stampati
se non dopo la di lui morte da Pietro Vettori, grande
amico , ed ammiratore di quel critico. Egli fece pure
una specie di censjora delle emendazioni apposte da Si-
gonio a T'ita Livio, ed alcune osservazioni sopra Ca-
tullo. Si trovano sotto il nome di Faerno altre opere
di diverso genere , alcuni dialoghi sulle antichità « ed
anche aa trattato contra i protestanti di Germania.
Di Fasci telli , di Za :chi , e di Lampridio si è par-
lato abbastanza dal sig. Roscoe , e se ne è pure parlato
di bel nuovo nelle note al poema di ArsitU ^ ^e poetis
Vrhanis.
335^
XL.
Alla pag. 194 lì"- IO ^opo le parole:
„ Alla deliziosa villa dì Gapranica. ,,
Gap. XVII. § XIII.
Il Moreri ha cangialo il nome di Capranica in quello
)di Coprea ^ o di Capri,
XLI.
Mia pag. medesima al fine della nota (2),
Troppo severo dee dirsi da chicchessia il giudizio di
Giraldi ; e se Postumo fosse slato così infeHce ia varj
generi di poesia da esso tentali , e negli sludj medici e
filosofici poco pivi fortunato che nella poetica , tante
lodi non avrebbe riscossa dai letterati suoi contempora-
nei, né dai principi , che gli accordarono favore. Gli
elogi di Tebaldeo , e di Giovio , se non servono a con-
trobilanciare la censura di Giraldi , servono almeno a
far dubitare, che questo critico non sempre fosse libero,
ed esente dalle passioni ne' suoi giudiz^*
336
XLIL
Alla pag. 198 dopo la nota (1) della pagina medesima.
Cab. XVII. § XIV.
Io ho veduto ilo alcuni Codici del secolo XV poesie
latine col come solo di Arellio. • — Non si sa bene , se
giusta l'uso di que' tempi, ed il costume prinoipalmeate
dell' Accademia Romana, il nome di MozzarelU sia stato
cangiato in Mutìus Arelius , o se dei due nomi si sia
formalo viceversa quello di Mozzarella , o come scrive
Bembo , Muzarello.
XLIII.
Alla pag. 201 Un. 8 dopo le parole :
„ Sulla storia di que' tempi in generale. „
Gap. XVII. § XV.
In proposito di Brandolini osserveremo soltanto che ì
lessicisti storici hanno fatto una strana confusione di
Brandolini con Bracciolini , (il casato di Poggio ,) come
66 questi due nomi fossero una cosa medesima. Non
saprei neppure determinarmi ad ammettere senza più
ciò che vien detto dal sig. Roseoe alla pagina antece-
dente , nota (1), che tanto Aurelio ^ quanto Raffaele
erano contrassegnali ciascuno col nome di Lippa. Di
Raffaele sì conosce per relazione degli scrittori con lem-
33;
poranei 1' imperfezione della vista , dalla quale era af-
fetto ; e solo si muove quistione , se cieco fosse total-
mente, o malveggente i e se divenuto fosse cieco nel
primo caso, oppure il fosse Gao dalla nascita. Ma nulla
di consimile è stato detto riguardo ad Aurelio. — Fiorì
anche sulla fine del secolo XV" uà Aurelio Bracciolini
di Pistoia , Frate Agostiniano , letterato , e teologo , che
scrisse molte opere latine , dedicate in parte al celebre
Mattia Corvino , Re d' Ungheria , dal quale otteane
grartdissimo favore.
XLIV.
Alla pag. 206 Un. 1 1 dopo le parole :
,, Vedendone da altri prallcato l'esercizio. ,,
Gap. XVIL § XVI.
Querno rimase in Roma dopo la morte di Leon X .,
e solo dopo il celebre sacco di Roma ritirossi a Napoli,
dove ebbe molto a soffrire nelle guerre di quel paese ,
nel i528 , e fu anche per quanto sembra perseguitato
da suoi nazionali. Per questo egli ebbe a dire, ohe tro-
vato avea mille lupi in cambio di un leone che avea
perduto. Se si può credere a Pìer'o Valeriana scrit-
tore talvolta più amante della piacevolezza , e della
satira , che non della verità , Querno mori all' ospe-
dale , fine ben degna di un poeta suo pari. Altra dote
egli non avea se non quella di una straordinaria faci-
lità , che ben sovente fa torto al buon gusto , e diverte
i giovani poeti dalla strada, che li condurrebbe alla
gloria.
Leone X. Tom. VII. aa
336
jUa pag. 218 dopo la nota (i)
della pag. antecedente.
Gap. XVII. § XVIII.
Oltre le opere di Arsilli menzionate in questa nota,
si annunzia da qualche scrittore, che il naedesimo tra'
ducesse in versi latini alcuni scritti d' Ippocrate.
XLVI.
Jlla pag. 220 Un. i4 dopo le parole:
,, Del credito che godeva. ,,
Cap. XVII. § XVIII.
Questa osservazione giustissima dell' autore può servire
di risposta anche a tutti coloro, e multi ve n'ha tra gli
oltramontani, che si studiarono di diminuire la gloria di
Leon X come ristoratore delle lettere. Che i buoni sludj
fossero già rinati avanti il suo pontificato; che già si trovas-
sero in Italia ingegni illustri, e uomini dotati di sapere; che
molte circostanze concorressero in quella età allo sviluppa-
xneulo de' lumi j che l'accademia Romana avesse presen-
tato un'immagine, sebbene molto imperfetta, di ciò ohe
Roma divenir potea sotto un principe protettore della
lettere , e delle arti ; che molti dei piccoli principi d'!|-.
339
iialia avessero dal canto loro foii()ato scuole , protetti i
grandi ingegni , e mostrala la loro premura per 1* incre-
mento de' buoni studj ; che i Francesi medesimi nell»
spedizioni da essi fatte io Italia , mentre portavano ia
ogni parte il fuoco della guerra , facessero il dovuto
conto della istruzione , e de' letterati , e molli ne pre-
miassero , ed incoraggiassero , invitandone perfino alcuni
a passare di là da monti; sono cose tulle che il sig. Ro-
scoe slesso ha accennato in parte, e che proverebbero ia
qualche modo l'assunto di quegli scrittori; che già gli
ingegni Italiani avessero ricevuto quell' impulso verso
i buoni studj j e verso le più olili istituzioni , che li
porlo quindi al più alto grado di gloria. Ma come io
ho già fatto altrove osservare , e come abb^ndanteiDente
risulta dal poema stesso di A-silU , a Leon X si ideve
una pubblica , e solenne protez.oue accordala indiìtiuta-
m^nte ad ogni genere di letteratura ; a Leon X si deve
la riunione di molti letterati in un sol punto ceoirale ,
poriata dalla sua straordinaria liberalit^l; a quel Po:ite-
fice quindi si deve la gara , e la emulazio le nata fra
que' letterati, e quindi debbo isi riconoscere nati per di
lui opera gli sforzi che molti fecero per giugnere al
più sublime grado dell'eccellenza nell'aite; ad es?o sì
deve ii merito di aver promosso con ogni mezzo lo stu-
dio della classica erudizione ^ e quindi quella tinta clas-
sica data io generale a tutta la letteratura ; ad esso fi-
nalmente si deve se non il primo ed il totale ristora-
mento delle lettere , la formazione aliqeoo del buon gu-
6to , ohe si creò appunto sui grandi originali, e sui
modelli della anliohità , renduti per di lui opera più
aooiuni , e più facili per conseguenza «d aversi soU* ec<>
34o
ctio , e perfezionoàsi per la riunione al tempo slesso dì
molti graoHi ingt'gni , e di molli uomini dotti in ui»
luogo medesimo , la quale produsse , che le opere dì
ciasctiDO fossero a vicenda esaminate , paragonale , cea-
Buraie , migliorate , assoggettate in somma a quel severo
giudizio, che ripurgar li dovca tanto dai barbarismi,
trista eredità del secolo precedente , quanto da quelle
antitesi , e da que' forzali concetti , che maravigliosi sem-
brano agli ingegni non maturi , e non ancora formati
sui grandi esemplari dell' antichità.
3/it
Nota particolare intorno al poeta
Gìoan Giorgio Trissino.
Zelanti della storica verità , ci affrettiamo ad emendare
alcuni errori , ed alcune espressioni poco accurate , che
jnlorno a questo illustre poeta erano corse lauto nel te-
sto , quanto nelle note , e specialmente nelle addizionali ;
non avendo noi lavorato in addietro se non sopra varie
memorie stampate, e manoscritte, e non avendo veduto
una vi(a d'I Trissino ia ^.'^ , stampala per quanto ere-
desi in Venezia verso il 1'jt2, giacché manca di uà
frontesplTiio cou data ; e composta da certo Pier Filippo
Castelli Vicentino , che non fu mai veduta dal si^j. Ro'
•scoe , e che ora solo ci è stata gentilmente comunicata.
La detta vita conviene intieramente con quanto è stato
da noi scritto suU* epoca della nascita dtd Trissino , sui
di lui studj fatti per qualche tempo in Milano , massime
nelle lettere Greche, e sull'attestato di gratitudine, che il
Trissino diede in Milano al suo celebre maestro Deme-
trio Calcondlla, e solo si rammenta , eh» in Milano (>nre
ebbe compagno in quegli studj Lilio Gregorio Gira/di.
Parlandosi dei di lui studj fatti nelle matematiche , e
della di lui applicazione alla architettura , si nota , che
egli scrisse pure un trattato di quest'arte; si conferma,
che alcuni ammaestramenti, ed alcuni lumi fornisse al
celebre Andrea Palladio , e si accenna , che tutto diì
•uo disegno è il palazzo della sua villa di Cricoli , di»
stante poche miglia da Vicenza.
Non è esatto il cenno , che si è fatto dal sig. JRoscoe
sul passaggio del Trissino a Roma dopo la morie della
342
prima moglie , Hove àleesi impiegato in raissioni imporr
tautissime da Leon X; e mohn meno esatto è ciò che
▼ieu detto nelle note addizionali , che egli dopo la morte
della moglie ritirassi a Roma , che sempre dappoi servi
(quella corte ec. ( pag 3i5). Andò bensi a Roma il
Trissino, secondo Io scrittore della vita, poco prima della
morte di Giulio IT, cioè verso Iranno i5i5, e fu
amato , e favorito parricolarmente da Lpoti X , godendo
egli in (j'iella corte tutti gli agi , e gli onori tutti ,
che a un personaggio diletto al Pontefice si oonvenis>ano;
ma tornò a Venezia, ed in patria nel i5i4^, o al più
al cominciare dftU' anno i5i5 per una lite intentata alla
di lui famìglia da alcune comunità. Di là , e non già
da Roma , fu deputato da Leon X nunzio al re di Da-
nimarca , ( se pure per Dacia deve intendersi la Dani-
marca , come afferma lo scritlore della vita nella nota
32), e quindi nunzio all' iraperadore Massimiliano. Tor-
nò nel i5i6 a Roma, invece di andare nella Dacia,
con carattere di legato di Cesare stesso al Papa. Nel-
r anno medesimo il Papa lo spedì suo nunzio alla re-
pubblica di Venezia, e nel i5i^ riohiamollo di nuovo
a Roma , e rimandolo a Teuezia io qualità di nunzio
apostolico.
Dubita l'autore della vita della rappresentazione della
Sofon'sba , fattasi in Firenze, che il sig. Roscoe accen-
na sulla fede di Ruccellaì ; non dice neppure , che que*
sta tragedia fosse finita di scrivere prima del iSiSj
come avvisa il sig. Roscoe , e cominciata molti anni pri-
ma ; ma asserisce bensì , che egli si era dato a tesserla
appena giunto in Roma nel i5i2, o nel i5i3; parla
solo della sua pubblicazione nell'anno i5ai in Roma 5
343
È delle locli che tributate furotlo da varj letterati a questo
componimento.
Tornò il Trisslno , secondo 1* autore della vita , a
Vicenza dopo la morte di Leon X nel i52ij dove
in mezzo a molte onorevoli magistrature non lasciò di
eorivcr versi, fioche nell'anno i52^ tornò a Roma as-
secondando r invito di Clemente VII. In Roma pubblicò
la sua tragedia, ed in Roma oocupossi pure di arricchire ,
0 per dir meglio di alterare col suo metodo della in-
trusione delle lettere Greche, l'alfabeto Italiano; beUé
intenzione , dice il Salvini , che gli venne fallita , e nella
quale fa combattuto acremente da Lodovico Martelli , e
da Agnolo Firenzuola.
Dopo il i52 5 si vede il Trìssino spedito da Papa
Clemente oratore alle repubblica di Venezia , e poscia
all' imperadore Carlo F", e nella coronazione, che dovea
farsi in Bologna dell* imperadore suddetto nel i53o, sì
vede destinato a portare lo strascico Pontificio. Si con-
ferma pure dall' autore della vita ciò che si è accennato
nelle note addizionali, che dall' imperadore fa il Trissìno
creato conte , e cavaliere. Ma nelle note addizionali si è
suscitato dubbio inavvedutamente sul secondo matrimo-
nio del Trìssino , e si è creduto , che avesse continuato
a servire nell'età sua provetta la corte Romana , mentre
invece lo scrittore della vita riferisce il suo secondo
matrimonio, del quale sebbeae non assegni l'epoca pre-
cisa , pare tuttavia , che questa cader debba non oltre ii
l53i. Ed in tal caso sarebbe ancora un errore di Mo*
reri il supporre il Trìssino ammogliato la seconda volta
in età senile, giacché essendo egli nato nel li"}^ non
avrebbe avuto allora pii'i di cinqnantatrè anni. Non si è
344
però difesa a torto nella nota aclilizioualp XX, l'asser-
zione di Voltaire, che il Trìsslno occupato avesse qual-
che grado nella prelatura , perchè questo viea compro-
Tato dalla di lui qualità di Nunzio , e specialmente di
Nunzio apostolico alla repubblica di Veaezia, dall'ono-
revole ufficio impostogli di portare lo strascico Pontificio,
e più ancora dall'asserzione dell' autore della vita appog-
giala al Museo istoiico dì Giovanni Imppriaìi , che Leon X
conferir gli valeva la dignità di Cardinale, ohe fu da
lui ricusata.
Il rimanente della sua vita trovasi tutto ingombro dì
liti sostenute col di lui figliuolo Giulio , come si è ac-
cennato nelle note addizionali alla pag. Sia; e solo si
trova in quel periodo, che egli diede mano al compi-
mento della Italia liherata , cominciata fino dal i525.
Qualche disparità si trova tra la indicazione della pri-
ma edizione dell' Italia liberata , inserita nella nota ad-
clizionale XXII , e quella che vien fatta dallo scrittore
della vita nel catalogo delle opere del Trissino. Nella
nota accennata si è rilevato giustamente 1' errore di alcuni
scrittori, che quel poema epico sia stato stampato per
la prima volta in Venezia nel i54'3 e i54^8 ; ma si è pure
rimproverato ai medesimi , che supponessero i due volumi
contenenti nove libri ciascuno, e che alcuno accennasse tre
volumi divisi ciascuno in nove canti. In quella nota non si
è posto mente se non ai due primi volumi, e si è sup-
posto , che 11 secondo contenesse solo otto libri. L' au-
tore della vita accenna un volume stampato nel i547
nel mese di maggio contenente i primi nove libri ; e
questo è il rarissimo volume stampato in Roma per
Valerio e Lui^i Dorici a petizione di Antonio Macr»
345
Vicentino ; accenna un secondo nontienenle altri nove
libri stampati in Venezia per Tolomeo Janiculo da Bressa
nell'anno i548 di novembre; ed accenna altri nove libri,
che sono gli ultimi , stampati anch' essi in Venezia da
Janiculo lo stesso anno i548, ma nel mese di ottobre,
cosicché il terzo volume si vede stampato prima del
secondo.
Dallo scrittore della vita si registra la morte del Tris-
sino , che non fu menzionata dal sig. Roscoe , come
seguita in Roma nell' anno i55o Tra le opere stampate
del Trissino si accennano varie opere grammaticali , i
Bìtralti de le bellissime donne d' Italia , un trattato
della poetica più volte ristampato, alcune orazioni, un
volume in 4'' di rime, una commedia in verso sciolto
intitolata i SimiUimì , tratta dai Menecmi di Plauto ,
alcune Echghe pastorali , tra le quali una in morte di
Cesare Trivulzio , ed alcuni volgarizzamenti di antichi
classici. Un poemetto intitolato Pharmaceuiria ci porge
motivo di indicare in questo luogo qual fosse il poeta
accennato da Arsìlli sotto il nome di Batto , sul quale
argomento siamo rimasti dubbiosi nella nota (89) al poema
di Arsilli p, 261. Il Butto y che vien celebrato in uà
suo componimento da Trissino , e che forse è il mede-
simo di Arsilli, indicandosi come celebre poeta , era Gioan
Battista dplla Torre, o Torriano , altro di quei letterati
fratelli , de' quali ha parlato il sig. Boscoe in questo vo-
lume medesimo pag. 1 69, lodandoli come uomini virtuosi,
ed amici intrinseci di Fracastoro. Tra le opere inedite del
Trissino si registrano alcune orazioni , ed alcune let-
tere , odi , canzoni , epigi ammi ecc. , gli si attribuiscono
pure una Rettorica , un Compendio delle cose Vicentine,
ed alcuni scritti di morale.
346
Emendate eosV le piccole dlsson^lnze , clie trovar si
poteano per avventura nel testo , e nelle note in pro-
posito di quel!' uomo insigne , annaazieremo ora , che
non avendo potuto inserire ìu questo volume il suo ri-
tratto , lo daremo giusta un bellissimo esemplare nel
volume seguente ; è così pure in calce ai documenti esi-
biti dal sig. Foscoe nella sua appendice , speriamo di
poter pubblicare alcune lettere inedite al Trìssino scritte
da Leone X , dà Isabella d' Arragona moglie di Galeazzo
Sforza duca di Milano , da Andrea Alctati , da Demetrio
Calcondila , da Giano Parrasio , e da Giovanni , e da
Palla Ruccellai , nominati con onore in questo volume
medesimo, da Veronica Gamòara , e da Vittoria C(*'
lonna , pure in questo volume altamente lodate.
34;
Ag^unta alia nota X^I. pag. 39 5 ,
intorno a Teofilo Folengi.
fSeW* Notizia dei Novellatori Italiani, posseduti dal
Conte Borromeo di Padova , stampa'a in Bassauo nel
i'}f)i 1 e nel Catalogo de' suoi libri pubblicato in Lon-
dra in quest'anno noedesiuio iBi'j , trovasi in una nota
al nuoi. 8a pag. 28 contrastato al Falangi il vanto di
essersi il prinao servito in Italia dello stile maccaronico.
Si citano infatti un* operetta di certo Giorgio Alione
Astigiano, che scrisse verso il 1^965 la quale oltre ad
alcune farse, commedie , e canzoni in dialetto Astigiano^
contiene una Maccharonea contro maccharoneam bassuni,
scritta in maccaronico stile in risposta ad altro macca-
ronico componimento di certo Bo^^o/JO studente in Paviaj
ed un Poemptto Maccaronico di Tif dfgli Odasi/ , gen-
tiluomo Padovano , contemporaneo deW Alioni , stampato
due volte verso la fine del secolo XV. Questi due scrit-
tori maccaronici sono Italiani , e se per avventura tolgono
il primato a Folengi in quel genere di composizione , lo
asseriscono , e lo aggiudicano indubitatamente ali* Italia.
Aggiugoerò a questa notizia , che io ho posseduto lun-
go tempo un grosso codice cartaceo in 4.'' che conteneva
poesie maccaroniche ; che quelle non erano dell' Alioni ,
né dell' Oc?a«/o, e che quel codice per la forma de' ca-
ratteri doveva al XV secolo assegnarsi anziché al XVI.
I© non ne ho mai fatto menzione ne' miei scritti per Ifi
«eurrìlità e laidezza , delle qtuli era ripieno.
343
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
DEL TOMO VII^
Tavola I. Ritratto di Sannazaro. — Questo è copiato
da un originale dipinto in tavoli , posseduto dal
Traduttore Italiano di quest' opera , e lavoro di
un artista contemporaneo certamente del Poeta.
Si vede questo vestito di una spezie di toga con
ampio collare , il che può servire di bastante
confutazione di que' biografi Francesi , che hanno
voluto far credere che Sannazaro in età provetta
affettasse le maniere di vestire di un giovane cor-
tigiano. In questa llgura si vede il Poeta già vec-
chio , ed in una attitudine grave e dignitosa.
Sopra la testa si leggono le parole ; lACOBVS.
SANA.ZARIUS. POETA. NEAPOLIT. Dietro pure
si legge scritto su di una carta di mano di que' tempi,
Jacobus Sanazarius . . . is ( forse equestrìs ) ordinis
Poeta NeapoU na . . . s { probabilmente natus ) ;
il rimanente è cancellato. E' singolare , che in
questa tavola ben conservata si trova sempre il
nome di Jacopo , e non quello di Azzio Sincero ,
che si vede in tutti gli altri monumenti di quel-
Fuomo illustre ........ Pag. 7
349
Tavola II. N.° i. Medaglione di Antonio Tehaldeo ,
col di lui nome intorno alla testa. Nel rovescio
Alceo coronato da due Genj , Tritone , un Cocco-
drillo , ecc. Avvi altra medaglia di quel Poeta
con una testa quasi simile alla riferita ; intorno
Je parole ANTONS THEBALDS , e nel rovescio
una figura muliebre nuda , e velata solo da una
cintura alla metà del corpo, con un corno d'ab-
bondanza , e sotto le parole EAIIIZEI.
N,^ 2. Medaglia del Cardinale di Ravenna fratello
di Bernardo Accolti, detto \ Unico Aretino. Questa
medaglia è tolta del Museo Mazzucchelliano. Vi
si leggono intorno alla testa le parole : BE. AG-
COLTUS. CAR. RAVENNAE, Il nome del Car-
dinale era Benedetto , ( sebbene in un luogo il
sig. lìoscoe lo abbia detto Pietro ) , ed alcuno ha
dubitato perfino , che a Bernardo appartenesse la
medaglia. Questo altronde era Scrittore, Protonotaro
Apostolico , Abbreviatore della Curia Romana , e
finalmente Segretario Pontificio , per il che bea
gli sarebbe convenuta quella berretta , che tiene sul
capo. Il rovescio rappresenta un faro con due
fiaccole accese, un Nettuno sedente sulle onde col
tridente, e l'epigrafe: BONIS. ARTIBUS, cose tutte
che meglio assai si converrebbero a Bernardo , che
non al di bii fratello Teologo , e Cardinale.
N.'* 3. Medaglia di Pietro Bemho giovane. Testa im-
berbe scoperta con capelli tagliati circolarmente ,
e la leggenda : PETRI. BEMBI. Nel rovescio una
Najade.sdrajata presso un fiume j o uno stagno
35o
con un cannaio dietr» le spalle. Protabitment»
fa coniala questa medaglia allorché egli Irovavasi
in Ferrara , in quel periodo della sua vita , del
quale si parla nel Voi. II. di quest' opera alla
pagina 167 e seg.
N.** 4- Medaglia di Pietro Beniho vecchio , e già
Cardinale. Testa dignitosa barbata, poco dissimile
da quella , che colla scoria di una tavola origi-
nale abbiamo esposta nel Volume V. alla pag. 186.
Intorno le parole: PETRUS. BEMBUS. CAB.
Nel rovescio il Cavai Pegaso. Questa medaglia è
etata esposta anche dal sig. Roscoe nella prima
edizione di quest'opera P-'g- 2|
Tavola III. N.*^ i. Immagine dell' ^nosfo, che può
credersi la più genuina, essendo stata adottata
in varie edizioni stimabili delle sue poesie.
N.? 2. Medaglia dell' Ariosto medesimo colla testai
del Poeta da un lato, e le lettere : LVDOVICUS.
ARIOSTUS ; dall' altra la mano colle forbici ,
che sta per ta:^liare la testa di un serpente , e la
leggenda: PRO. BONO. MALUM. In altra simile
medaglia si trova la stessa leggenda intorno ad
un'arnia circondata d'api, con fiamme al disotto.
Di queste due medaglie fa menzione il sig. Roscoe
in questo volume medesimo alla pag. 49-
N.*^ 3. Medaglia di Vittoria Colonna ancora giovane,
e sposa del Marchese Davalos. Da un lato lesta
della suddetta senza alcun ornamento , ed intorn'.»
le parole : VICTORIA. COLUMNIA. DAVALA.
Nel rovescio la teslii del marito , coperta dall' eL
35i
mo ; ed intorno le parole : FER. FRA. PISG.
MAR. GAP. DUX. MAX.
K.^ 4. Medaglia di Vittoria Colonna Vedova , e già
d' età molto provetta. Testa coperta da un velo ,
colle parole all'intorno: VICTORIA. COLUMNA.
DAVALA. MAR. PISCARIAE. Nel rovescio Pi-
ramo , e Tisbe. Questa medaglia è stata riferita
anche dal sig. Roscoe Pag. 67
Tavola IV. N.** i. Effigie genuina di Sadoleti,
N.° 2. Medaglia di Marco Girolamo Vida. Testa se-
nile barbata col suo nome all'intorno-, nel rovescio
il Pegaso colla leggenda : QUOS. AMARVNT.
DII. — Trovasi pure altra medaglia di Vida colle
insegne vescovili dietro la testa , e nel rovescio
varj momumenti , la virtù con una corona in mano
nel mezzo, ed un uomo seduto in atto di studia-
re. Intorno le parole: NON. STEMMA. SED.
VIRTVS.
N.** 3. Medaglia d\ Fracastoro. Busto del letterato
con testa coperta dalla berretta dottorale , ed in-
torno HIERONIMUS. FRACASTORIUS. Nel ro-
vescio ara in mezzo con fuoco , dalla base della
quale esce un serpente ; da un lato cetra , e co-
rona , dall' altra globo , con libro al di sopra , ed
uno stromento , che sembra un tubo ottico , o un
canocchiale. Intorno la leggenda : SACRVM. MI-
NERVAE. APOLL. ET. AESCVLAP.
N.* /i. Medaslla di Marc Antonio Flaminio. Intorno
alla testa senile del Poeta si legge ; M. ANTO-
KIL'S. FLAMINETJS, PROBVS. ET. ERV. VIR.
352
Nel rovescio figura femminile seminuda dal vaerzo
in su , che colla sinistra tocca una cetra posta
su d' un termine. Intorno la leggenda : COELO.
MVSl. BEAT. Sotto le parole OR IV. TV. in-
dicanti l'artefice incisore della medaglia. Pag. iii.
Fine del tomo setiiho.
353
INDICE
DEI CAPITOLI
CONTENUT I
NEL PRESENTE VOLUME.
Òo
MMÀRio Cronologico. Anno i5i8 . . pag.
CAPITOLO XVL
§ I. Incoraggiamento dato in Roma agli uo-
mini d ingegno. — Poeti Italiani. —
Sannazaro . . ,, j
II. Tehaldeo ' • 35 10
III. Beimardo Accolti ^ soppranominato V unico
Aretino ,, 1 5
IV. Bemho j) 21
V. Beazzano ,, 3o
VI. Molza „ 33
VII. Ariosto. — • Suo apologo relativo a
Leone X m 4o
VIII. Ariosto visita Firenze. — E privato
III de' suoi stipendj dal Cardinale Ippolito
' d Este. — Stabilisce la sua residenza
in Ferrara ,,4^
Leone X. T»m. VII. 23
.) >4
§ IX. Effetti prodotti dalle opere dell Ariosto
sul ^usto universale dell' Europa, pag. 5 a
X. Donne letterale. — Vittoria Colonna. ,, 56
X[. Veronica Gamhara. — Costanza d' Ava-
los. — Tullia d' Aragona , ed altre. ,, 64
XII. Poesia Bernesca. — Francesco Berni. —
Carattere de' suoi scritti ....,, 69
XIII. Suo Orlando Innamorato. . ,, 77
XIV. Teofilo Folengi. — Suoi versi Maccaro-
nici ed altre opere 5> 79
XV. Imitazione degli antichi classici Scrit-
tori. — Tr issino ,, 85
XVI. Trissino introduce i versi sciolti Ita-
liani ,,88
XVII. Suo poema., T Italia liberata dai Goti. ,, 92
XVIII. Giovanni Hucellai ,, q5
XIX. Suo poema didattico: le Api. — - Sua
tragedia d' Oreste ,,99
XX. Luigi Alamanni. - — Suo poema intito-
lato : La Coltivazione ,, loi
XXI. Classificazione degli autori Italiani. —
Drammi Italiani ,,106
Somiiiario Cronologico. Anno i5i8 . . . ,, iio
CAPITOLO XVII.
I. Progì-essi della classica letteratura. —
Jacopo Hadoleti „ 1 1 1
II. Scritti latini dì Bemho . . . ,, li5
355
§ III. Giovarmi Aurelio Augureìli. — Sua
CHsopea . pag. 1 1 7
TV. Scritti latini di Sannazaro . . . ,, i2Ì^
V. Esame del poema De parlu Virglnis. ,, i3o
VI. Girolamo Vida ,, i.34
VII. Poetica di Girolamo Fida . . ,, i4i
Vili. Girolamo Fracastoro ,, i45
IX. Suo poema intitolato Sifilide. . . ,, 1 5o
X. Andrea Navagero ,, 161
XI. Marc Antonio Flaminio . . . ,,171
XII. Opere di Flaminio. — Poeti contem-
poranei ,,182
XIII. Poesia latina coltivata in Roma. —
Guido Postumo Silvestri . . . . ,,188
XIV. Giovanni Mozzarella ,,196
XV. Improvisatori latini. — Raffaello Bran-
dolini. ' — Andrea Marone . . . ,,198
XVI. Camillo Querno. — Gazoldo , e B rito-
rno. — - Baraballo di Gaeta. . . ,, 2o4
XVII. Giovanni Gorizia protettare della lette-
ratura in Roma. — Poesie intitolate
Goryciana 5i2ii
XVIII. Poema di Francesco Arsilli intitolato de
Poetis Urbanis ,,216
Francisci Arsilli Senagalliensis de Poetis Vrhanis
Lihellus ,,225
Note del Traduttore Italiano al Poemetto di
Francesco Arsilli de Poetis Urbanis. ,, ^48
iVofe Addizionali. ,,264
356
dlota partlcolore intorno al Poeta Gìovan Giorgio
Trissino pag. 34 1
Aggiunta alla nota XV J. pag. 29 5 intorno a
Teofilo Folengi >> ^47
Spiegazione delle tavole del Tomo VU . . ,,348
ERftOUt
CORKEZIOKJ.
Tomo V.
Pag- 323 tit. lin. 4- promessa
334 lin. 18 un' falsa
ivi lin. 3i crede
335 lin. 14 sarebbe
336 lin. 27 siccomo
346 lin, 19 regligione
Tomo VII.
16 nota (3) lin. 5 Mani
65 nota (a) lin. 3 rilrovossi
^4 nota (a) lin. i3 Capaccio
84 nota {2) lin. 6 Copeco
96 lin. 14 dalla
98 nota fi) 1. 2 deir autore
Ii3 lin. i5 Lacoonte
ii5 nota lin. 8 heberet
118 lin. 4 i-^i.
125 nota (i) lin. 17 Qui
127 nota liQ, 3 (1)
ivi nota (2) lin. i3 Ratus
ivi lin. 14 Pvatior
i33 nota (2) lin. 9 I poeti
139 nota (1) 1. 3 POINESTIS
145 lin. 22 effetto
1.^8 nota (2 1. 4 dai soldati
i58 nota (1) lin. 3 pareus
160 lin. 9 Fracostoro
161 note lin. 16 periise
173 nota lin 9 in Via Luta
i85 nota (2) lin. 5 Fedros
186 nota (3) lin. 3 INavageri
ao3 nota 2) 1. 3 celebrandum
23i lin. i3 distingersi
ivi lin. 14 Blosio e di Blois
promossa
una falsa
crede il
sarebbero
siccome
religione.
Marini
ritirossi
Capaccio
Capece
della
dall' autore
Laocoonte
hebetet
i45t.
Quid
(2)
Rarus
Rarior
( I poeti
HONESTIS
difetto
dei soldati
pareus
Fracastoro
periisse
in via lata
Fedro
Raugerii
celebrandam
distinguersi
JBlosio o di £l@i?
Errori
CoBRÌfzìoia
Pag. 261 lin. 2 Farncesi Farnesi
362 Ha. 3-4 Sylone Sylvae
ivi ivi è già e già
271 1ÌQ. i3 Tarquìnio Tarquinia
286 lin. 2 proprizia propizia
293 lin. 5 lodono lodano
298 Un. 19 inuedite inedite
3oo lin. 11. 22 principando principiando
Sol lin. 7 obbigatione obligalione
3 IO lin. 9 Pover Povero.
321 lin. 20 sul quale nel quale
336 liu- 2 còme noóae
VITA
B
PONTIFICATO
DI
LEONE X.
VITA
PONTIFICATO
1) 1
LEONE X.
DI GUGLIELMO ROSCOE
AUTORE DELLA VITA UI LOBENrO De' MEDICI
TRADOTTA E CORREDATA DI ANNOTAZIONI
E DI ALCUNI DOCUMENTI INEDITI
DAL
CONTE CAV. LUIGI BOSSI
MILANESE
ORNATA
Del ritrailo di Leone X, e di molte medaglie incise in rame.
TOMO Vili.
MILANO
Dalla Tipografia Sonzogno e Coki*
1817.
■A Y V E R T i M E N T O
DEGLI EDITORI;
e
hiunque avrà lello i volumi eli quest'o-
pera fino ad ora pubblicati , avrà potuto
facilmente comprendere, che l'oggetto del
sig. Roscoe non tanto è stato quello di scri-
vere la storia della vita , e del pontificato
di Leon X, quanto di mettere nel suo mag-
gior lume lo stato della religione , della po-
litica , della letteratura in quel periodo di
tempo, famoso egualmente per i progressi
maravigliosi dell' umano ingegno , quanto
pier le guerre , e le discordie religiose, che
sgraziatamente lo contrassegnarono.
Alla illustrazione di queslo triplice slato
delle umane istituzioni , seguendo le trac-
eie dell' illustre Autore , ha pure rivolto
le sue cure il traduttore Italiano di que-
st' opera ; e dalle cure, che egli si è preso
per arricchire dì note istruttive, di monu-
iriènti inediti , ed anche di figure, che non
trovansi nell' originale , i precedenti volu-
mi , si potrà agevolmente giudicare, se egli
ha raggiunto il suo scopo, e se egli non è
pervenuto a dare per così dire all'Italia
un' opera , che può considerarsi come in
gran parte nuova , ed originale , rettifican-
dosi in essa , ed estendendosi molte idee
dall" Autore troppo succintamente esposte ,
e rischiarandosi massimamente tutti quegli
occetti che hanno una relazioni^ immediata
coi progressi delle scienze , e dell'arti , coi
principi della riforma , e con tutti gli av-
venimenti grandiosi , che particolarmente
caratterizzarono il secolo di Leon X.
Il Volume VII presenta un ampio saggio
di queste cure del traduttore , giacché le
di lui fatiche riempiono presso che la metà
del volume; e nel IX, oltre una copia di
note importantissime, si troverà pure una
serie non piccola di nuovi documenti ine-
diti , che il sig. Roscoe medesimo si sareb-
be reputato ben felice di poter agcjiugnere
ai documenti da esso registrati nella sua
Appendice. Si vedranno in quella lettere
dello stesso Leon X, della duchessa di Mi-
lano Isabella Sforza , di Demetrio Calcon-
dila , di Girino Parrasio ^ di Giovanni^ e
Palla R uccellai ^ di f^ittorla Colonna <, di
P^eronica Gamharn ^ à\ Andrai Alciato ecc.
Così pure il Volume XI , che versa intie-
ramente sulla storia dell'arti del disegno,
e sullo stato loro al cominciare del seco-
lo XVI , sarà arricchito di nuove , ed in-
teressanti notizie , e di quelle necessarie il-
lustrazioni , delle quali forse mancava in
questa parte T opera originale.
Ma l'affluenza di queste note medesime,
unita alla copia dei documenti inseriti nella
sua Appendice dal sig. Roscoe , che noi re-
Vili
li^iosamente abbiamo Toluto riferire pef
intiero , deviando così da quanto era stato
arbitrariamente praticato nelle ripetute edi-
zioni della versione Francese , ed ai nuovi
documenti inediti , dal traduttore Italiano
a£;giui.li ; ci ha costretti ad aumentare il
numero dei volumi , che avrebbe dovuto
a' termini del manifesto chiudersi coli' ot-
tavo • e ci lusinghiamo, che l'importanza
delle materie , l' ampiezza delle note ag-
giunte, alcune delle quali possono conside-
rarsi come altrettante nuove , ed originali
dissertazioni sopra gli argomenti più curiosi,
e più interessanti; la produzione dei docu-
menti inediti , che per la prima volta ora
si pubblicano, e la scrupolosa nostra fedeltà
nel dare 1' originale nella piena sua inte-
grità , ed il numero de' foglj di stampa , e
delle figure , più copioso d' assai di quanto
si era promesso nel manifesto ; ci serviranno
di facile scusa presso i nostri associati , se
noi siamo dall' abbondanza delle materie
costretti ad estendere il numero de' volumi
iié
lilsinò a dodici , pt-omettendo altresì di dare
ù\ fine dell' ultimo volume un indice ge-
nerale delle materie , che da molti sappia-
mo essere desiderato.
E giacche ci si è presentata Ora occasione
di parlare del nostro primo manifesto di
quest' opera , coglieremo con piacere que-
st' opportunità per correggere un errore ca-
duto nel detto manifesto , nel quale siamo
stati inavvedutamente trascinali dalla pre-
fazione premessa dal si^. Heniy alia sua tra-
duzione Francese. Quest'uomo, che essendo
della comunione medesima, dovea pur es-*
sere irieglio informalo della persona deìl' Aut
tore , e di una circostanza, che poteva a*
vere con esso qualche relazione ; ha suppo-
sto , e noi abbiamo credulo con esso , che
il sig. Guglielmo Roscoe fosse ministro del
culto Anglicano , il che non sussiste in fatto.
Ma siccome chi legge un'opera grande,
e voluminosa , contrae in qualche modo co-
noscenza coli' autore , ed ama il più delle
volte di averne qualche notizia ; così noi
crediamo di fin- cosa gi'ata ai nostri leggi-
tori , trascrivendo per intiero quello , che
sulla persona , e sulla famiglia di quest'uo-
mo rispetta'jile, e già per due opere gran-
diose benemerito della letteratura , e della
storia in particolare della Italia , ha recente-
mente pubblicato un Francese , che si cre-
de essere certo sig. Simon , nel suo Viag^
gio in Inghilterra duranti gli anni 2810 e
1811 , Fot. I. p. 326.
M Una delle mie lettere commendatizie
>3 era per il sig. Roscoe , vantaggiosamente
M conosciuto in Europa come lo storico dei
>3 Medici, lo sono stato sorpreso al voJere,
53 che il sig. Roscoe era alla testa di una delle
» prime case di commercio, e di banco a Li-
>3 verpool, e che inoltre era grande agricol-
>3 lore, e grande architetto. Ecco molti tratti
M di rassomiglianza col suo eroe. Il sig. Roscoe
M ha una famiglia numerosa, sette ligi] ; ma
>3 alcuno di questi non sarà Papa, giacché non
>3 vai pili la pena di aspirare a quel posto.
>5 Noi abbiamo fatto colezione , e passata
» tutta la mattina di jerl ad AUerton Hall in
jj compagnia dei consorti Roscoe , e di due
» dei figlj ; famiglia tutta degna di consi-
>j derazione per la cultura dello spirito, la
w semplicità de' costumi, e la totale man-
» canza di ostentazione. Nella statura , e
» nella fisionomia il sig. Roscoe ha qualche
« rassomiglianza con Tfashington.
53 Esiste una manifesta antipatia tra i ne-
>3 gozianti , e i letterati. Non è certo que-
M sta una rivalità ; ed io non veggo , co-
53 me coloro, che corrono dietro alla fama,
53 debbano lagnarsi , perchè non giungono
53 alle ricchezze , o come quelli che si stu-
33 diano di ammassare danaro, debbano do-
33 lersi , perchè non giungano alla ce]?e-
33 brilà : Voltaire ha detto:
33 Dell' aver suo ciascun contento sia ,
33 Ne di ciò, ch'egli tien , vanto si dia. »
33 Ella è pure una sorte poco commune
» quella di aver percorso unitamente l'una
53 e r aUra carriera con eguale riuscita.
Iti
. 53 II slg. Róscoe possiede alcuni buòni qua-
ti clri,ed uno ne ha acquistato recentemente,
j la di cui storia è molto singolare. RdJ"
Jaello avea fatto il ritratto di Leon X suo
j protettore ; salito al trono pontificio il se-^
j con do della famiglia Medici^ (^cioè il card,
3 Giulio^:, il duca di Firenze ( probabilmente
> /'/ duca Alessandro ) mostrò desiderio di
i aver quel ritratto , ed il Papa ordinò ^
3 che gli fosse spedito; ma sia all'insaputa
3 del Pontefice , sia eh' egli ne fosse pre-
3 venuto, fu sostituita all' originale una co-
0 pia. Dopo alcuni anni la superchieria fu
scoperta , e sulle lagnanze del duca di
Firenze 1' originale fu realmente mandato;
se ne fece però dapprima una seconda
copia , che fu conservata , o che forse
non lo fu , essendo stato il duca una se-
conda volta burlato. Uno di questi qua-
dri passò dalla Galbria di Firenze a quella
del Louvre; quello, elisio vidi presso il
3 sig. Roscoe , è un altro simile. Originale
3 ch'esso sia o no, è certo un quadro ec-
2111
ii celiente. Leone di grandezza naturale è
« seduto presso una tavola; davanti a lui
» sta aperto un messale riccamente mi"
» niato , e si vede vicino un grosso cam-
>3 panello d' argento ; egli tiene in mano i
» suoi occhiali , e sappiamo infatti , che egli
« era di corta vista. L'atteggiamento è sem-
33 plice , e naturale , e V espressione del ca^
5i rattere di Leone è precisamente quella ,
« che si potrebbe supporre : instrutto , ma-'
« nieroso , generoso , senza uno straordina-
» rio ingegno, di età poco più di qua-
» rant' anni , grosso , e grasso , e con un
33 doppio mento. Il di lui parente , che a
33 lui succedette nel pontificato sotto il no-
33 me di Clemente VII ^ sta accanto a lui,
33 ed ha una fisionomia più vivamente ca-
33 ratteri zzata,
33 II sig. Boscoe ebbe la compiacenza di
33 mostrarci la sua collezione preziosa di
33 schizzi all' acqua forte (i) originali de'
(i) Detti dagl' Inglesi etcliin^.
irv
5j più grandi artisti , che cominciano dai
5:> jDadri dell' arte , Leonardo da Vinci , Raj'
w faello , ecc. , e finiscono , per quanto io
» credo , con Van-Djck, Alcuni di questi
« pittori non hanno lasciato se non due o
« tre di quei disegni all' acqua forte , 6
« l'ardor? Ò.Q dilettanti diviene per questo
» maggiore nel farne ricerca. Il prezzo , che
»j essi attribuiscono ai veri originali , gli
ti inganni , i maneggi , e le querele de' di*
>j Iettanti relativamente a queste dotte graf-
» fiature ( alcune delle quali sono certa-
i3 mente cattive ) , formano una vera cari-
w calura del gusto genuino dell'arte. Ella
>j è questa come la fede alle reliquie , pa*-
>3 ragonaia alla vera pietà. Il sig. Roscoe è
>j superiore a lutto questo; egli mi ha par-
li luto di un' opera in tre volumi pubbli-
>j cata da un Tedesco, che presenta la sto-
M ria di tutte queste incisioni dW acqua forte
M con rami indicativi , ad oggetto di poter
M riconoscere gli originali : quelli di Ber'
» }^hem, e di Van-Vjck^ con un piccolo
X»
3> numero di qiwìlli di Salvator Rosa ^ mi
» sono sembrati i migliori «.
Senza convenire nel senlimenlo di que-
sto scrittore , per ciò che riguarda una certa
licenza , colla quale ei parla degli oggetti
di culto, ed una apparente superficialità,
colla quale tratta le opere deli' arte non al-
trimenti che alcuni argomenti morali, e po-
litici, noi siamo ben contenti di aver trovato
il ragguaglio di queste particolari circostanze
intorno al sig. Roscoe , e di averne fatto par-
te in questo luogo ai nostri lettori. Il signor
Roscoe nella sua prima edizione della vita
dì Leone X avea fatto incidere il disegno
del quadro , di cui parla il viaggiatore
Francese ; e siccome questo per l' atteggia-
mento della persona , e per gli acccssorj ,
si stacca in gran parte da quello che noi
abbiamo esposto nel primo volume di que-
st' Opera , che pure è tratto da un disegno
di Raffaello y per non defraudare neppure
di questo i nostri associati , ne esporremo
lieir ultimo volume un esatto contorno.
Crediamo finalmente non inutile dì av^
verlire di bel nuovo i lettori , che tutte sor
no nuovamente aggiunte dal traduttore Ita-
liano le note contrassegnate colle lettere (a)
(b) ec. , e le parole chiuse tra i due se-
gni (), che trovansi talvolta in fine delle
note dell' Autore , indicate coi numeri (i)
(a) ecc. ; non che le note addizionali api
poste a ciascuno dei volumi di <juesta edi"
jpione.
yoj.xm /au/.p 1
OIOVA^^ O'DUSrl'tD TRU^SIFO
VITA
E PONTIFICATO
DI
LEONE X.
SOMMARIO CRONOLOGICO
Dal 1 5 1 8 al 1 5 1 g.
J^ellm usurpa il trono ottomano. — Sconfigge II
Sofi di Persia. ■ — Conquista l'Egitto. — Timori che
si concepiscono perla sicurezza dell'Europa. — Leon X
intraprende di formare un' alleanza delle potenze cri-
stiane. — Egli pubblica una tregua generale per cin-
que anni. — Progetto generale di un'alleanza offensiva
centra i Turchi. — I sovrani della Cristianità s'im-
pegnano soltanto in un'alleanza difensiva. — - Matri-
monio di Lorenzo de' Medici con Maddalena de la
Tour. — Munificenza del Papa in quella occasio-
ne. — Carlo d'Austria cerca di ottenere il titolo di
Re de' Romani, e l'investitura del regno di Napo*
Leone X-. Tom. FUI. i
2
]I. — Morte dell'Imperatore eletto Massimiliano. —
Carlo d' Austria e Francesco I. vengono a contesa
per la corona imperiale. — Disegni e condotta di
Leon X. — Elezione dell' Imperatore Carlo V. —
Morte di Lorenzo Duca d'Urbino. — Ippolito de*
Medici. — Alessandro de' Medici. — Conseguenze
della morte di Lorenzo. -- — Stato del governo Fio-
rentino. — Memorie di Machiavelli. — Il Cardinale
de' Medici dirige gli affari della Toscana. — I do-
minj d' Urbino sono riuniti a quelli della Chiesa.
CAPITOLO DEGIMOTTAVO
5 I.
Selim uswpa il trono Ottomano. — Egli sconfigg»
il Soffi di Persia , e conquista V Egitto.
Anno i5i8.
Gli Stati ci' Italia ei-ano allora liberi dalle calamiti
di una j^uerra interna, ma i timori generati dal cre-
scente potere , e dalla ferocia desolante de' Turchi ,
diminuivano quella dolce soddisfazione die i loro abi-
tanti cominciato aveano a sperimentare. j\è potea forse
darsi un' epoca in cui i loro timori fossero me2;lio
fondati. Il trono ottonano era allora occupato da u;i
IVIonarca , il quale univa al coraggio più ardente e
più ostinato la sete più. iusaz. abile di conquista , e
le maggiori disposizioni alla crudeltà. Per mezzo di
una fortunata ribellione, e dell' assassinio di suo pa»
dre Bajazet , Scimi avea preso in mano anzi tempo
le redini dell' impero ad esclusione del suo fratello
Acìimet , quale dopo avere di là a non molto scon-
fitto in una battaglia, egli pubblicamente mandò al
supplizio. I due figli di Acìiinet , ed un più giovane
fratello di Selim , con molli altri della famiglia pro-
varono una eguale sorte ; e tale era 1' odio straordi-
nario che quel mostro nutriva contro il suo proprio
sangue , eh' egli facea disegno di priyare di yila Som
Umano suo unico figlio, il quale visse tuttavia ab-
bastanza per ereditare la sanguinaria gelosia del di
lui padre ; e per compiere 1' esempio di un oltraggio
alla natura colla distruzione della propria sua prole (i).
AveiMlo con questi mezzi intrapreso di assicurarsi
contro tutti i di lui competitori in Turchia, Selim
diresse gli sforzi suoi verso gli stati, che lo circon-
davano , e per qualche tempo fu dubbioso, se 1' A-
sia , r Europa , o l' Africa , dovesse sostenere per la
prima il fur.)i-e del suo attacco. Un' ombra di diffe-
renza nella interpretazione delle leggi del grande pro-
feta , e l'offesa cagionata coli' aver presfato assistenza
allo sfortunato di lui fratello Achmet , lo determinaro-
no alfine a rivolgere le sue armi contro Ismaele soffi
di Persia , che egli sconfisse in una battaglia decisi-
va , ed essendosi impadronito della città di Tauris ,
la abbandonò al saccheggio della sua soldatesca, a-
Tcndo spedito dapprima come schiavi a Costantino-
poli i principali abitanti. La sterilità di quel paese ,
che lo inabilitò ad ottenere i viveri per il sostenta-
mento della numerosa sua armata , sforzollo tuttavia
ad abbandonare le sue conquiste-, ma Selim non tro-
(i) SoUiiuuio mise a morte due tle' suoi figlj , Miistafà , e
Baj'azet colla loro prole innocenle. n I principi «li questa ca-
n sa nascono , dice Sagredo , Come i giovenchi al coltello ,
« per essere ifiuime scannali , e sacrificali all' idolo della am-
» bizione. 15 Meni. Storiche de' yionarchi Ollomani lib. It.
p. 119. lib. IH. p. 122. Uh. f^JI. p. 3)3, 3J9. — RobertfQ'z
Storia di Carlo V, Uh. XI. F, IH, p. 289.
vava diletto che ne^la strage, e non godeva riposo
se non nel preparare una nuova spedizione. Dopo
essersi impadronito di una gran parte del paese po-
sto tra il Tigri e l'Eufrate, egli attaccò il sultano
d' Egitto , e non ostante il potere e le risorse di quel
sovrano, ed il coraggio e la fedeltà dei Mammelucchi ,
cali riuscì a sog^ioo-are quel rei^no , e riunirlo ai do-
minj ottomani. In cpiesta guerra il Sultano Ca/npson
perì in una battaglia , ed il di lui successore Tou-
momhej , ultimo sovrano dei Mammelucchi, essendo
stato fatto prigioniero, fu mandato a morte da Seliin
con circostanze singolarmente ignominiose, e che an-
nunziavano una slraoi'dinaria crudeltà (i).
§ II.
Timori concepiti per la salvezza clelV Europa. — Leon X
intraprende di formare un alleanza delle potenze
Cristiane. — Egli pubblica una ti-egua generale per
cinque anni.
La caduta dì un impero così potente , e da si
lungo tempo stabilito , il quale era stalo sostenuto
da un sistema militare di un vigore senza esempio
per circa trecent' anni , sparse in tutta l' Europa un
terrore , che certamente non erano atti a sminuire
i preparativi che facevansl in Costantinopoli per un'al«
(t^ Sagredo Mem. Istor, lib. III. p. i4i-
6
tra spedizione apparenlemenle di molto maggiore im-
portanza. Lo spavento generale era accresciuto dalle
notizie che si aveano del carattere personale di Seliin ,
il quale cei'cava di coprire 1' enormità de' suol delitti
collo splendore de' suoi trionfi. E' stalo detto altresì
che egli avesse infiammato la sua passione per le
conquiste collo scorrere i racconti delle imprese di
Alessandro e di Cesare , che egli avea fatto tradurre ,
e che si faceva leggere. Così il mondo è destinalo a
pagare il fio della sua cieca ammirazione per coloro ,
che egli qualifica col come di eroi. Nel tempo stesso
si supponea , che 1' isola di Rodi , ed i cavalieri di
S. Giovanni di Gerusalemme , che allora la possede-
vano, e che veniva riguardata come il baluardo della
cristianità ; sarebhono il primo oggetto de' di lui at-
tacchi. Da altra parte si concepivano de' timori che
il regno d' Ungheria governalo da una Reggenza du-
rante r infan;iia del suo Sovrano , eccitar ptitesse pro-
babilmente la sua ambizione; mentre altri credevano
più probabile , che egli potesse essere indotto a ten-
tare la conquista dell Italia dallesempio del suo avo
Maometto, che nel i48o avea preso Otranto, e messo
il piede nel regno di Napoli.
In quella occasione Leon X reputò essere del suo
particolare ufficio e del dover suo l' intraprendere
di formare tra i Sovrani dell' Europa un' alleanza,
che non solo reprimere potesse le incursioni di quei
nemici formidabili , ma portando altresì la guerra nei
dominj degli ottomani , potesse scacciarli da que'paesi
che di recente aveaDo occupati, © dar loro motivo
7
«li bastante occupazione nel provvedere alla propria loro
difesa. Ma benché le circostanze di que' tempi fossero
gì' immediati motivi , che inducevano il Pontefice a
prendere una parte attiva nella opposizion^e al potere
de' Tuvchi , pure erano da lungo tempo conosciuti il
di lui spavento , ed il di lui abborrimento per quella
nazione. Dal principio del suo pontificalo i di lui
sfoi'zi erano stati impiegati ad impegnare i Sovrani
della cristianità a collegarsi per un comune attacco
contro gl'infedeli; e 1' armonia che allora sussisteva fra
quelli sembrava presentare una prospettiva più fa-
vorevole pel compimento di quel grande oggetto , che
egli si era inaddietro proposto. Le istanze del Pon-
tefice ricevettero un nuovo stimolo dalle rappresen-
tazioni a lui fatte per la salvezza de' Sovrani di quei
paesi , che confinavano co' doininj Turchi ; e parti*
colarmente dalle rimostranze dei Governatori , ed a-
bitanti delle provincie di Croazia e Dalmazia, i quali
obbligati erano a mantenere la loro independenza ooa
una guerra continua e crudele (i). Egli era pure ec-
citato a perseverare in questi tentativi da molti nor
bili , e letterati greci residenti in Italia , i quali an-
cora si lusingavauo con deboli e lontane speranze di
riguadagnare la loro patria (a) , e da molti celebri
(i) Al>pé^ld. N. CLXXIII.
(a) Questi sentimenti possono facilmente riconoscersi in varj
passi dei documenti riferiti in questa storia; nelle lettere dj
Musarci à Leon X ; nelle poesie di Marullo , e più di tutto
ancora ncUa dedicatoria degli Apofiemmi di Arsenio Arcive-
8
dotti d Italia , 1 (juali erano siali dai loro precettori
imbevuti di un odio singolare contra i Turchi , come
nemici egualmente del sapere , delia libertà , e della
religione (i). Nò invero potrebbe pegarsi che Leone
non fosse stimolalo a questo tentativo dall' ambiziosa
brama di essere consideralo come 1' autore di quella
lega generale dei polentali cristiani , e di yedersi col-
locato alla loro testa come supremo direttore del loro
movimenti.
La prima risoluzione pubblica adottata dal Ponte-
fice fu quella di adunare i Cardinali in pieno Con-
scovo di Morembasia , che io ho riferito nelle noie addizionali
T. IV. p- i63 e seg.
(^i) Tra (picsli era Andrea JViwageró , il quale nella sua
lettera dedicatoria premessa al I. volume della sua edizione
di Cicerone , impiega tutta la sua eloquenza ad eccitare ìì
Pontefice a questa grande impresa , e gli promette un trionfo
compiuto sopra i di lui nemici. >5 Erit, erit profecto dies illa»
1? quum te longissime prolatis flnihus,, devictis omnibus , quae
» Christiano uuquam nomini infensae fuerint nationibus , cum
r' insigni laurea redeuniem intueri liceat ;, quum tota te Italia,
»» totus lerrarum orbis , ut quemdam ad levanda nostra in—
J5 commoJa e caelo delapsiim Deum , venerelur; qnum tibi
« obviam cunctis ex oppidis , omnium geuerum , omnium aeta-
'> tum , multitudo S2 omnis effundat ^ tfbi patriam , tibi pe-
» nates, tibi salutem., ac vitam denique depulso crudelissimorum
j> hoslium metu , acceplam referal. »> lYattg. Ep. ad Leon X.
Più ai)passioii3to ancoia è il lingaaggio di Vida , il quale in
quella occasione indirizzò al Pontefice una Ode Saffica , ed in
ossa come un altro Ossian offre i suoi servigi personali nella
guerra , ed esulla alla vista di quella immortalità, che dev' es-
sere il frutto delle sue miiiiari imprese, yìppend, N. CLXXIV'
9
cistoro, dove egli espose loro il vasto suo progello ,
e pubblicò una tregua generale tra i potentati del-
l' Europa , che durar dovesse per lo spazio di cinque
anni , assoggettando ne' piìi severi termini tutti quei
Principi o Stati , che fossero per contravvenire alle
pene della scomunica. Egli spedì quindi come suoi
legati ai principali Sovrani dell'Europa que' Cardi-
nali , che slimati erano maggiormente pei loro ta-
lenti , e che teneano un posto principale nella sua
confidenza. Bernardo da BiLiena fu mandalo in Fran^
eia, Lorenzo Campeggio in Inghilterra (i) , i'o^/J/o da
Viterbo in Ispagna , ed ^/ewanr7/o Farnese all' impera-
dore eletto Massimiliano ; muniti tutti di ampie istru-
zioni per r oggetto della loro missione, e di com-
missioni per dare ai diversi Sovrani le piti positÌA'e
assicurazioni che 1' oggetto primario che 1 Pontefice
avea in vista era la salvezza generale dell' Europa , e
la protezione , e 1' onore della Chiesa Cristiana. Affine
di promovere il buon esito di queste insinuazioni, o
di dare un maggior grado di solennità , e d' impor-
tanza alle disposizioni , che egli intendea di adotta-
li ) TV olsey si uni con Campeggio in questa commissione ,
senza di che Leone hen conoscea , che non avrebbe avuto
speranza di riuscita. Rapin Sior. d' Inghil. l'tb. XV. T. I.
p. ySg. La bolla di Leone a JVolsey trovasi nell' opera d{
Rymer^ Foedera V. VI. p. \\o. Una lettera originale su que-
sto soggetto del Vescovo di Worcester, allora Arabasciadore
jn Roma a ÌVolsej , che mostra al vivo la grandissima
premura del Papa in quella occasione, si conserva nel Musec
Britannico , ed è inserita nell' Jppend, JY. CLXXV.
10
re , Leone ordinò che si facessero in Roma puLbliclie
preghiere per tre giorni conaecutivi , nel corso delle
quali egli intervenne alle pubbliche processioni colla
testa scoperta , e i piedi nudi , recitò personalmente
i divini uffizj , distribuì limosine a' poveri , e con
tutte le dimostrazioni di umiltà e di divozione intra-
prese di conciliarsi il favore del cielo , o almeno di
provare la sincerità delle sue intenzioni. In quella
occasione altresì Jacopo Sadoìeti recitò una pubblica
orazione per incoraggiare ognuno alla proposta impresa,
altamente lodando il Pontefice per la pietà , lo zelo,
e r attività, colla <^uale erasi dedicato alla causa co-
mune, é i diversi Sovrani dell'Europa per l'ardore
che essi aveano di già manifestato per sostenerla (i).
§ in.
Disegno genefale di una alleanza óffefisivà contro
i Turchi.
Leone era tuttavia ben consapevole , che là fitìscità
di questa impresa non potea appoggiarsi puramente
a disposizioni di questa uatura. ,, E' una pazzia ,
j, diceva egli , 1' acquietarsi , ed il supporre che quei
,, feroci nimici possano essere conquisi solamente
,, colle preghiere. Noi dobbiamo disporre le nostre
,, armate, ed attaccarli con tutto il vigore, che ci è
(1) Jppénd, ìT. QLXXVL
II
5, possibile (i) ". Egli consultò adunque tatti i mi-
litari più sperimentati d' Italia ; egli cercò ed esanai-
nò (juelle persone, che meglio erano informate della
forza militare dei Turchi ; le dispasizioui degli abi-
tanti dei diversi paesi , che essi teneano soggetti, e
delle piazze più esposte ad un attacco ; ed avendo
ottenuto le più compite informazioni , che egli aver
potea, abbozzò il grandioso disegno della sua impre-»
sa. In questo si proponeva , che una irameosa somma
di danaro «,i leverebbe per le volontarie contribuzioni
dei sovrani d' Europa , e per una tassa forzata sopra
i loro sudditi ; che V Imperadore di Germania mette-
rebbe in campo una numerosa armala , la quale unita
con grandi corpi di cavalleria forniti da^li Uogaresi ^
e dai Polacchi, si avanzerebbe lungo il Danubio nella
Bosnia, e quindi per la Tracia verso Costantinopoli;
che al tempo stesso il Re di Francia con tutte le sue
forze , le armate de' Veneziani , quelle di altri Stati
d' Italia , ed un numeroso corpo di fanteria Svizzera
si riunirebbe al porto di Brindisi sul golfo Adriati-
co , d' onde esso passerebbe facilmente nella Grecia
abitata tuttora da uu gran numero di Cristiani stan-
h) Fabfon. in vit. Leon X. p. 73. Questa può sembrare
fina ardila verità nella bocca di utl Papa. Ma Sagrdo Io Sto-
»ico professa il senliinento medesiino. » I digiuni , le indul-
»J ganze , sono sempre giovevoli ; ma come non bisogna scor-
»> darsi della rassegnatione al cielo , cosi conviene sovvenirsi
n del proprio coraggio • frequenlare l' oratione , ma non di—
» menlicarsi la spada al fianco. » Mem, Istor. de' Monarchi
OU9m, p. i44>
12
chi di soffrire la tirannia elei Turchi ; che le flotte
della Spagna, del Portogallo, e dell'Inghilterra si
incontrerebbero a Cartagena e ne' porti adjacenti ,
d' onde duecento vascelli si spedirebbono muniti di
soldati Spagnuoli ad attaccare i Dardanelli , ed a
congiungersi cogli alleati per minare la capitale dei
Turchi. Al tempo stesso il Papa , che bramava di
prendere una parte personale all'attacco, si proponeva
di partire da Ancona accompagnato da cento vascelli
ben armati , cosicché venendo i Turchi attaccati tanto
per terra, quanto per mare da un immenso numero
di assalitori , poteva nascere la lusinga , che la spe-
dizione sarebbe terminata felicemente , e eoa solle-
citudine (i).
§ IV.
1 Sovrani della Cristianità si impegnano solo
in uri alleanza difensiva.
Seinbrava per tal modo questa grande impresa pro-
gredi^re con favorevoli auspicj , e Leone avea forse
di già preveduto nella sua mente il tempo , in cui
sarebbe stato celebrato come il ristoratore dell' im-
pero d' Oriente, il liberatore della terra Santa , ed
il vendicatore delle atrocità commesse dai Turchi
contro la cristianità. Ma queste grandiose aspettative
(i) Guicciardin. Slor, d' Ital, lib, X///. eoi. IL p. la.
i3
non erano destinale a realizzarsi. La tregua generale
per cinque anni, ch'egli avea proclamata tra i so-
vrani dell' Europa , fu veramente accettata da essi
con un' apparente contentezza , ed essi rivalizzarona
tra di loro nel mostrai'e la loro buona disposizione
a promuovere un' impresa cosi giusta ed importan-
te (i). Fu pure concliiuso un trattato tra i Re d'In-
ghilterra , di Francia e di Spagna , a norma delle
richieste del Papa, nel quale egli fu dichiarato capo
della lega (2); ma benché T oggetto pubblico di que-
sta unione fosse la vicendevole difesa dei dominj ri-
spettivi , e la protezione della Cristianità contro i
Turchi , era essa tuttavia semplicemente difensiva ,
e non sistemata in alcun modo per l' adempimento
del disegno , che Leone avea in vista. Come poteva
mai aspettarsi infatti , che tanti slati diversi , molti
dr^i nuali immediatamente , ed altri solo da lontano
i; Tessali nella causa, potessero concorrere nel por-
■^ in regioni discoste una guerra attiva ? Dopo gli
sempj che si erano presentali fino dal principio del
secolo , di un ambizione senza limiti , di as'o'ressioni
' ' DO
non provocate , di sconvolgimenti di stati e di re-
(1) La dichiarazione di Enrico Vili in quella occasione h
stata conservata Ira i MSS. Cottoniani nel Museo Britannico,
e trovasi nel!' Appendice N. CLXXVII.
(a) Questo trattalo in data dalli 1 ottobre i5i8 è esposto
da Dumont Corp« diplomai. T. TK. pari. J. pag. 266. Ma nel
titolo l' editore ha nominato per errore Carlo d'Austria l'Ira,
Carlo V, La ratificazione di (Jarlo è delli 1} gennajo iSig,
gni, e della Tiolazi'one dei più solenni trattali, no*
teva egli aspettarsi cha la voce del Pontefice riuscisse
l\ tempo slesso a distruggere tutti i sospetti, e soffo-
care quelle passioni sanguinarie, che allora covavano
sotto la cenere per acquistare nuovo vigore ? Si ag-
giunga a questo, che l'orizzonte politico dell' Euro-
pa, benché tranquillo, non era senza nubi, il giovane
sovrano della Spagna avea già dato indizj di un ca
rattere energico e decisivo, e l'avanzala età del suo
avo Massiniiliano dava luogo a supporre che fra non
molto sarebbero insorte contese della maggiore ina
portanza per la pubblica tranquillità, in mezzo a tali
circostanze appena poteva supporsi che i prlmarj So-
vrani dell' Europa abbandonar volessero le loro re-
sidenze, o impegnare tutte le loro forze in lontane
pericolose spedizioni , che ninna speranza presenta-
vano di un adequato compenso, e potevano esporre
j più sinceri agli aniljiziosi diseo;ni di coloro , che
forse non avrebbero esitato a prevalersi di qualunque
circostanza , che contribuir potesse al loro proprio
ingrandimento. La ratificazione del trattato di allean-
za difensiva tra i principali potentati dell' Europa, che
fu poco dopo confermata dal Papa, gli impedì tutta-
via dall' arrestarsi sulla riflessione umiliante, che era-
no state spese invano tutte le sue insinuazioni \ e la
notorietà di quella lega formidabile poteva infatti
produrrò un favorevole effetto , nel trattenere l' Im-
perador Turco dall' attaccare i territorj Cristiani. I
Legati Poiilificj alle diverse corti continuarono an-
cora a promuovere, per quanto era in poter loro, il
i5
grande oggetto della loro missione, verso il quale essi
affettavano di riguardare come un primo passo pre-
paratorio il trattato di già concliiuso , ed ottennero
alfine la lode di aver fatto il loro dovere con vigi*
lanza, e con destrezza (i) ; ma non ostanti queste pra-
tiche , non si adottarono dai principi dell' Europa ul-
teriori disposizioni per condurre ad effetto i progetti
del Pontefice, e mentre i di lui inviati si studiavano
"di promuovere una causa, che non presentava alcu-
na speranza di buona riuscita , ebbero luogo avveni-
jnenti tanto nelle orientali che nelle occidentali re-
gioni , che cangiarono 1' aspetto dei pubblici affari ,
e diedero a Leqjie medesimo in altre parti sufficienl©
occupazione.
: § V.
patrimonio di Lorenzo de Medici con Maddalena
de la Tour. — - Munificenza del Papa in quella
occasione.
Se tuttaivia gV inviali di Leon X non riuscirono
nelV adempiere ji principale oggetto della loro missio-
ne, essi gli rendettero per tutt' altro riguardo uà
(i) Queste trattative sono grandemente illustrate dalle let-
tere confidenziali tra il Card, da Bibbiena , ed il Card. Gm«
Ih de' Medici nelle lettera di Principi. Voi. I. pug. 27 , 34?
35 ecc.
i6
considerabile sei'vizio, ècT il pontifìcio tesoro fu riem-
pito colle contribuzioni ottenute tanto dai laici ,
quanto dal Clero sotto i varj pretesti , die quegli a-
stuti Ecclesiastici sapevano metter in opera (i). Alla
Corte di Francia il cardinale di Bihiena , il quale al
carattere di amabile letterato , e di fino politico , ac-
coppiava maniere facili ed insinuanti , guadagnò per
tal modo il favore della duchessa d'Angouleme, ma-
dre del Re , che grandissima influenza esercitava so-
pra suo figlio , che ottenne col di lei intervento la
presentazione al vescovado di Costanza , al medesi-
mo accordato in aggiunta a molte altre prelature, le
rendite delle quali tuttavia erano tanto insufficienti
al suo modo di vivere dispendioso ed improvido ,
che si diceva esser egli sempre imbarazzato dai de-
biti (2). Ne Leone trascurò \ occasione ad esso offerta
dalla residenza del Cardinale alla corte di Francia ,
per ingrandire la sua famiglia , con un nuovo vincolo
(i) L' esazione di queste contribuzioni cagionò un grandissimo
malconleuto , massime in Germania , dove le dottrine dei ri-
formatori aveano di già fatto considerabili progressi. L' orazione
recitata in quella occasione dai Legati Apostolici innanzi alla
dieta Impcpale , fu poco dopo fatta stampare dai uimici della
Sede Romana , ed accompagnata da una s\ ecie di risposta ,
o di esortazione a non aderire alle richieste del Papa. Questo
scritto , che si attribuisce ad Ulrico Utt.eno , contiene molti
maligni sarcasmi contro Leone ^ , e la famiglia de Medici 5
esso h inserito nelP appendice , tolto dalla edizione originale
pubblicata nel iSig., sotto il num. CLXXVIII.
(2) : undiiii il Bibiena p. ^^7. 60.
>7
con quell a del Monarca Francese. A questo fine egli
propose un trattato di matrimonio tra Lorenzo Duca
d' Urbino^ di lui nipote , e Maddalena de la Tour^ fi-
glia di Giovanni , Conte di Bologna e d' Alvernia , e
parente della famiglia reale di Francia per mezzo (K
sua madre Giovanna , figlia di Giovanni Duca di Van-
dome. Questo matrimonio fu infatti approvato dal Re,
e fino dal principio dell'anno i5i8 Lorenzo recossi
con sollecitudine a Firenze , dov' egli fece i più son-
tuosi preparativi per le vicine sue nozze. Nel tempo
stesso si ricevette notizia della nascita di un figlio
del Monarca Francese, il quale fece conoscere il suo
desiderio , che il Sommo Pontefice volesse tener quello
al sacro fonte , in conseguenza di che Lorenzo fu
spedito con tutta la maggiore sollecitudine a Parigi,
come rappresentante in quella occasione S. S. La ce-
rimonia fu celebrata alli aS di aprile, e gli altri pa-
drini furono il Duca di Lorena, e Moìgherita Du-
chessa di Alencon,poco dopo regina di Navarra , so-
rella di Francesco I ; ma questo primogenito di quel
Sovrano , al quale fu pure imposto il nome di Fran-
cesco , non sopravvisse abbastanza per godere dell' au-
torità, alla quale la sua nascita lo avrebbe portato di
diritto (i). Quella solennità fu tuttavia celebi^ala con
(i) »5 Era in questo lempo nato a Francesco I. Re di Francia
»> un figlio maschio , che fu poi Fraiieesco II. n Muratori
Ann. iV [tal. Torri. X. p. l36. E cosa sorprendente, che quel
celebre Storico sia caduto in questo errore j giacché France-
sco II, era figlio di Enrico II., ed abbiatico di Francesco T.
Leonì \. Voi riij. 2
i8
splendidi hanchetli , e festa grandiose , cìie continua-
rono per dieci giorni , e con magnifici tornei , nei
quali si i-iconobbe , che Lorenzo de Medici erasi con-
dotto con onore , ed avea mostrato molto coraggio e
molla destrezza.
La celebrazione delle nozze tra Lorenzo de' Medici
e Maddalena de la Tour, fornirono un nuovo motivo
d'esultanza, ed il Re, ed il Pontefice gareggiarono
a vicenda nel colmare di favori lo sposo e la sposa.
Per pnrte del Re Lorenzo fu investito di un' annua
rendita di 10,000 corone (1). Ma i regali mandati
dal Papa alla sposa , come pure alla Regina di Fran-
cia , oltrepassavano qualunque reale munificenza , e
fu d^tto ohe eccedessero in valore l'enorme somma di
3oo,ooo zecchini. Trentasei cavalli portarono a Parigi
questi magnifici regali, tra i quali era un letto pomposo
tutto lavorato di tartaruga, madreperla, ed altre ma-
terie preziose (a). Né questo avvenimento fa meno
contrassegnalo dalle vicendevoli dimostrazioni di te-
nerezisa , che il Pontefice ed il Monarca si prodiga-
vano 1' un r altro , e che fortunatamente essi Irova-
yano i mezzi di mostrare non a spese loro , ma a
spese dei loro sudditi , o dei loro alleati. Leone ac-
cordò al Re ìq aggiunta alle decime tratte dai bencr
lìzj di Francia , tutte le contribuzioni che dovevano
ottenersi in Francia per la crociata progettata contro,
(1) AmmiratOy Ritratto di Lor. Duca d' Urh. opusc. voi. Ili*
p. 106. — Guicciardin. Lib. XI il. Fol. II. p. i55.
(3) Fabranì f^it. Leon. X. adi tot. 6cf, p. 291»
'9
i Turclil, promettendo il Re dal canto suo di sbor-
sarne il valore qualora la spedizione avesse effettiva-
mente principio. Dall' altra parte il Re trasmise a
S. S. uno scritto che la medesima autenticò , colla
quale s' impegnava di restituire al Duca di Ferrara
Je città di Modena e di Reggio (i). In questo stato
di cose fu celebrato il matrimonio , il quale benché
non destinato a durar lungo tempo, riuscì fatalmente
di infelice auspicio per la Francia , e preparò la stra»
da alle maggiori calamità che 1 Europa provasse
giammai.
§ VI.
Carlo d' Austria intraprende cT ottenere il titolo di Re
de' Romani , e / investitura di Napoli.
Questo periodo nel quale Y Europa godeva uno
stato di tranquillità comparativa, potea considerarsi
come il termine di quella lunga serie di avvenimen-
ti, che cominciò coli' arrivo di Carlo Vili in Italia,
ed era continuata in mezzo a' tutte le vicissitu-
dini della lega di Gambrai , finché le cause produt-
tive del loro effetto cessarono di operare. Ma men-
tre la scena si chiudeva sulle operazioni del passato ,
si apriva alla vista il prospetto del futuro , e disco-
priva il principio di una nuova serie d'affari, non
(i) Guicciardih. Storia (V hai. lib, XIll. Voi, lì p- i55.
20
iftétio sorprfndcnli nelle loro relazioni , non meno
■importanti nelle loro conseguenze, di quelli, che
sì sono in addietro conciliata la nostra attenzione.
Carlo ^ il giovane Re di Spagna, avea di già rivolte
le sue mire ad assicurare , ed unire nella pro-
pria di lui persona il governo di quegli estesi doniin»
ai quali avea diritto per la sua nascita, o poteva
acquistarne alcuno come rappi-esentante delle case So-
vrane di Spagna , e d' Austria. La di lui successione
a questi doininj non era tuttavia libera da qualunque
difficoltà. Nella Castiglia , e nell' Aragona i maneggi
refrattari delle Cortes , o delle assemblee rappresen-
tative della Nazione, aveangli cagionato non leggieri
imbarazzi. Il di lui diritto alla corona di Napoli non
era stato per anco giudizialmente riconosciuto dalla
Santa Sede , la quale per espresso consenso godeva
della facoltà di decidere qual fosse il Sovrano , che
maggiori titoli avesse al possedimento di quel Regno ;
e la di lui successione al trono Imperiale alla morte
del suo Avo MassiiniUano dovea dipendere dalla vo-
lontà degli Elettori , dal quali l' ampia estensione
dei di lui possedimenti ereditar] potea considerarsi
piuttosto come un ostacolo , ed un motivo d' obbie-
jrione , che come un impulso a renderlo oggetto della
loro scelta. In queste circostanze Carlo reputò con-
venevole di attaccarsi a Leone X, affine di ottenere
da esso una bolla d' investitura dei suoi stati di Na-
poli , e di procurax'e il conseguimento del titolo di
Re de' Romani , durante la vita di suo avo , titolo ,
che assicurata gli avrebbe la successione alla digita
21
Imperiale. Il compiacere Carlo nella concessione di
questi grandi oggetti non era tuttavia ben consenta-
neo alle viste ed ai desiderj del Pontefice , il quale
mentre riguardar non poteva senza pena lo stabili-
mento di alcuna potenza estera in Italia , potea giù»
stamente paventare l' unione della corona Imperiale
con quelle di Spagna , e di Napoli nella stessa per-
sona. Egli dunque per mezzo del suo Legato Bibiena
comunicò le domande di Carlo a Francesco /, il
quale bencbè avesse di recente conchiuso con quel
prinripe una stretta alleanza , ed avesse trattato di
dargli in matrimonio altra dcdle sue figlie , fu gran-
demente spaventato al vedere le mire ambiziose , e
le attive disposizioni di quel giovane sovrano, e pre-
murosamente sollecitò il Pontefice di non compiacérlo
nelle sue richieste. Alla nomina di Carlo come Re
de' Romani si opponeva , che il suo avo Massimiliano
non aveva ricevuta la corona imperiale , e che noa
eravi esempio nella storia della costituzione Germa-
nica di un successore designato in simili circostan-
ze (i). A quest'oggetto Carlo indusse Massimiliano
a rivolgersi al Papa , ed a chiedergli , che mandar
volesse un nunzio per coronarh) in Vienna. Egli si
studiò pure d' impegnare il Re di Francia a favo-
rire i suoi disegni presso il Pontefice, ma Fran-
cesco , invece di prestarsi a questa domanda , si op-
pose con grandissimo calore , e consigliò il Papa a
(i) Td. Ibid. p. i58. — Robertson Slor. di Carlo V. Uh. L
Fot. 3 />ag. 49.
93
dichiarare a Massimiliano , cte confórmemente agli an-
tichi costumi egli investir noi polea della corona im-
periale ^ a meno che non volesse ad esempio dei suoi
predecessori reéai'si personalmente a Roma, fee MaS'
nimiliano avesse consentito a questa proposizione ,
non era verisimile, che intraprender volesse vin;i ìAe
spedizione senra una scorta considerabile , e questa
avrebbe somministrato a Francesco un ragionevole
pretesto per opporsi ai di lui progressi, al qual fine
egli dichiarò , che non solo avrebbe impegnato i Ve-
neziani a prendere una parte attiva , ma si sarebbe
tenuto pronto egli pure a marciar in Italia con gran-
dissima forza tosto che avesse riconosciuto necessario
un tal passo (i). I progetti di Francesco rendevansi
abbastanza manifesti dalla resistenza da esso mostrata
in questa occasione. Affine però di impegnare più
solidamente il Papa ne' suoi interessi , il Re gli diede
le più solenni guarentigie del suo attaccamento , della
sua obbedienza , del suo affetto , e gli fece intendere
eh' egli era allora pronto ad unirsi a lui in una
lega offensiva contro i Turchi , ed avrebbe intrapreso
di fornire come suo eontingente tre mille uomini
d' ai-mi, quaranta mille uomini di fanteria, e sei mille
cavalli leggieri -, che a questi egli aggiugnerebbe uA
treno formidabile di artiglieria , ed accompagnerebbe ,
(i) Qaeste circostanze risultano da una lettera del Cardinale
da Bibieua al Card. Giulio de' Medici, Lettere di Principi
Voi. I. pag. 5G.
93
qualora fosàe richiesto la spedizione ìil persona (i).
Queste maoralfiche offerte furono tuttavia , pel* quanto
sembra, giustamente valutate dal Papa , il quale tro-
vossl obbligato a non tardare ad opporsi all' ingran-
diuiento di Carlo (2). Le ragioni che Leone allegò
per giustificare la Sila opposizione, erano che per ri-
spetto a Napoli , una legge fondamentale di quel Re-
gno portava che la sovranità di quel paese non po-
tesse essere unita colla dignità imperiale, che Carlo
evidentemente cercherebbe di ottenere (3) ; e che per
rispetto al titolo di Re de' Romani , rltenevasi esso
di già dallo stesso Massimiliano , e conseguentemente
non poteva ad altri conferirsi. Inefficaci furono pure
gli ultimi sforzi tanto di Carlo , quanto di Massimi-
liano , fatti per togliere le difficoltà della successione
Germanica nella Dieta dell' Impero , e siccome Leone
perseverò nel rifiuto di accordare la bolla per la co-
ronazione di Carlo come Re di Napoli , quel monar-
ca fu obbligato in allora di rinunziare alle speranze
di conseguire gli oggetti , eh' egli avrebbe tanto ar=
dentemente desiderati.
(i) Lettere di Principi voi. 1. p. S^.
(2) Sembra che relativamente a queste prortìesse fatte fossero
le riflessioni , che trovansi in una delle lettere del Cardinale
Giulio de^ Medici al Cardinale da Bihiena: » Di lauti sogni
5? che fanno il Re , la Regina , e Madama , par gran cosa a
99 N. S. e a tutti questi signori;^ benché non sia da prestar l«r
9» fede alcuna, n Leti, di Princ. i. 66.
(3) Questa legge era fondasa sopra uaa bolla di Clemente ÌK-
Seckendor lib . 1, Scct- 33 pag. i'>,ì.
»4
Egli è tuttavia probabile , cbe Francesco sarebbes".
ingannato , se supposto avesse Leone guidalo da al-
cun desiderio di favorire i di lui disegni. I due Mo-
narchi eraoo ugualmente oggetto di timore del Pon-
tefice; e lo spogliarli dei loro possedimenti in Italia
sarebbe stato da esso riguardato come un trionfo su"
periore a quello di una vittoria riportata sopra il
Sultano della Turchia. Ma implacabile era tuttora la
«di lui avversione per Francesco , che privato lo avea
degli Stati di Parma e Piacenza. In mezzo a tutte
le sue dimostrazioni di stima per il Monarca Fran-
cese, egli non avea rinunziato un solo momento alla
determinazione sua di cogliere la prima opportunità,
che gli si presenterebbe, di spogliarlo del Ducato di
Milano ; ed in quel tempo medesimo i di lui agenti
erano occupati ad assoldare grossi corpi di Svizzeri
mercenari che riuniti si erano sotto var| pretesti , e
tenevansi pronti ad agire in servizio del Pontefice ,
dtcondo che le circostanze potrebbero richiederlo (i).
(x) Lclt. di Princ. Voi. l. pag. 38. 6.
2;>
§ VII.
Morte delT hnperadoì^ eletto Massimiliano. — Carlo
iV Austria , e Francesco l. vengono a contesa per
la corona Imperiale.
Anno iSig.
Affine di togliere le differenze insorte contro l'ele-
zione di Carlo d'Austria alla dignità di Re de' Romani ,
Massimiliano risolvette finalmente di intraprendere il
■viag£;lo a Roma , onde ricevere dalle mani del Ponte-
fice la corona imperiale. Egli comunicò al Papa questa
intenzione, sotto il pretesto di mostrargli un attestato
di rispetto, col quale non avea giudicato opportuno
di onorare i suoi predecessori Alessandro e Giulio (i).
(i) i> Sua majestà s' è fatta intendere , che vuol far quel
» honore a Papa Leone , che non volle mai far ad AL ssan-
j> dio , ne a Gmlio ^ et che vuol venire a ce onarsi a Roma
»5 per mano di sua Santità. Il Legato commenda questa sen-
» tenza di Cesare et dice , che ella si debba accettare per
>j non metter questa usanza di mandar la corona agi' Impera-
jj dori . ma servar la vecchia, che vengano per essa a Roma, n
LeUera del Card. Giulio de' iVf edici al Cardinal ■ da Bibiena.
Leu. di Principi Kol. I. p. 6S. ( Si vt-de , che il Legato ra-
gionava solo coi principe curiali , ed anche storici , e disci-
plina;! , se si vuole ; ed era affatto estraneo alle viste politi-
che , che guidato aveano il Papa nelle sue risposte , ed a
quelle fors' anche che guidavano allora l'Imperatore nella sua
risoluzione ).
La dì lui proposta imbarazzò il Pontefice, il quale
mentre da un lato non avrebbe voluto secondare i
disegni del Monarca Spagnuolo , era dall' altro sen-
sibile alla dignità ed ali importanza, che alla Roma-
lia Sede avrebbe potuto derivare dal ristabilimento
dell'antico costume, che il capo del corpo Germa-
nico si recasse a Roma per ricevere la corona im-
perlale. Ma mentre slava deliberando sulle dispo-
sizioni che avrebbe creduto più opportuno di adot-
tare, egli fu tolto d'impaccio da un avvenimento,
che cangiò in un istante la situazione de' pubblici af-
fari , e preparò la strada a nuove politiche turbo-
lenze. Questo fu la morte dell' Imperadore eletto MaS'
similiano , che avvenne li 12 di gennajo i^ig. Nel
corso di quest' opera si sono già esposti sutticienti
esempj del carattere debole, e sempre oscillante di
cruel monarca. Una vanità piena d'ostentazione, ed
un desiderio smoderato di rinomanza , erano accom-
pagnate da una imbecillità di mente, che mandava
a -voto tutti i di lui disegni, e rendeva disprege-
\ole la sua magnificenza, ed assurde le pretese sue
all' eroismo. Tutta la di lui vita fu impegnata a di-
mostrare quanto insignificante divenir potesse la pri-
ma monarchia della Cristianità per la mancanza, o
per il difetto d'applicazione dei talenti personali del
Sovrano; e la di lui morte non riusci per alcun ti-
tolo importante , se non perchè aprì la strada ad un
successore , che redimer potea la dignità imperiale
dall' avvilimento , e hstabiliroe quell' influenza sugli
«7
affari deU' Europa j che Massimiliano avea perdu*
ta (a).
I dominj riuniti nella persona di Carlo per un
slnorolare concorso di fortunati avvenimenti , erano di
una grandissima estensione ed importanza. Da suo
padre Filippo Arciduca d' Austria av«a ereditato il
ricco patrimonio dei Paesi Bassi , che Filippo stesso
avea acquistati per diritto di successione di sua ma-
dre Maria di Borgogna. Il suo diritto alle corone di
Castiglia e d' Aragona derivava da Ferdinando e da
Isabella per mezzo della loro figlia Giovanna , madre
di Carlo ^ la quale ancora vivea^ ed il di cui nome
era infatti unito col suo proprio nella sovranità , hen-
chè essa fosse resa incapace da uno sconvolgimento
dell' intelletto a prendere alcuna cura della ammini-
strazione. La corona di Sicilia era passata m pacifica
successione per diverse generazioni , e Carlo la assu-
meva allora come rappresentante il ramo legittimo
della casa d'Arragona. Ferdinando d' Arragona avea
recentemente spogliato di quella di Napoli il ramo
illegittimo di quella casa , che n' era stalo investito
da Alfonso /; ma benché quel regno fosse allora con-
servato colla forza delf armi piuttosto che per diritto
riconosciuto , Ferdinando era' morto tuttavia nell' e-
eercizio dell'autorità reale, e Carlo era investito di
mezzi siifGcienti per far valere le sue pretese. Colla
fa) Del carattere leggiero , e volubile di quel monarca si
h parlato anche nelle N«le Atkli/.ioBali al voi. IH. Net. VIU-
pag. ao5 3 e ao6.
ad
morte dì Massimiliano egli entrava allora in posses-
sione de' dominj ereditar) della casa d'Austria; ed a
questi egli avea la lusinga di unire la dignità impe-
riale , per la quale si propose immediatamente per
candidato. Egli trovò ciò non ostante in Francesco l
uà pronto e determinato competitore , e le pretese
respettive di que' potenti rivali divisero i voti degli
Elettori , e sospesero per luugo tempo l' importante
decisione , ch'essi erano chiamati a pronunziare.
§ VII!
Progetti e condotta di Leon X. — Elezione
delV Imperatore Carlo K
La condotta di Leone in quella occasione era con-
sentanea al di lai desiderio di mantenere un conve-
nevole equilibrio fra gli Stati d'Europa, e di prov-
Tedere alla sicurezza ed alla indipendenza dell' Ita-
lia (i). Egli avrebbe veduto con compiacenza alcuna
(i) È stato riferito sul!' autorità di un manoscritto, attri-
buito a Spalaiino , che dopo !a morte di Massimiliano i Ire
Elettori Ecclesiastici , e 1' Elettore Palatino , si riunirono per
avvisare ai mezzi della comune loro difesa durante la vacanza
delle funzioni Imperiali ; che il Cardinale di Gaeta , legato
del Papa , intervenne a questa adunanza , e domandò tre cose
in nome del Pontefice: i. che essi dovessero rivolgere le loro
mire alla elezione di un Imperadore , che fornito fosse di
grandi talenti e di grandi facoltà: 2 che essi non eleggessero
Curio d' Austria ^ essendo egli di già Re di JXapoli , U di cui
^9
altra persona preferita a que' due candidati ; ma bea
comprendeva che un aperta opposizione per di lui
parte sarebbe riuscita infruttuosa, e per alcun conto la
di lui politica non doveva incorrere il risentimento
deir uno o dell'altro dei Sovrani rivali, molto meno
manifestare verso alcuno una decisa ostilità. In quella
situazione egli ebbe ricorso ad un progetto , il quale
se fosse stato dai di lui agenti eseguito con quella
abilità medesima colla quale era stato concepito ,
avrebbe potuto produrre una variazione incalcolabile
nello stato politico dell'Europa. Era ben facile a com-
sovranità non poleva riunirsi colla corona Imperiale, essendo
ima tale unione vietala dalla bolla di Clemente ÌV: 3. che
€ssi dovessero esplicilamenle informare il legato delle loro
intenzioni. A queste domande gli EleUori risposero , die essi
non erausi riuniti per la elezione dell' Imperadorc , ma per
discutere ì loro proprj affari ^ che tuttavia essi noa dubita*
vano , che sarebbe slata scelia una persona ben accetta alla
Sede Pontifìnia , siccome a tuiia la Cristianità , e formidal>ila
ai lor(» nemici^ ma che essi erano mollo sorpresi al vedere,
che il Papa in cosi insolita maniera volesse attentarsi a pre-
scrivere leggi agli Elettori. Questo an«ddoto è probabilmente
genuino , e può servire a mostrare la parte attiva , che Lcoìio
Voleva prendere per esercitare la suar-iniluenza sulla elezione.
Seckendorf Comment. de Luther. Lib. J. Seat. XXXIII.
png. 123. ( Qualche cenno di questi Pontificii attentati trovasi
fatto anche negli scritti de' Cattolici , e specialmente nell' opera
di Sleidano de stata Rrlìgiónis , et Reip. Carolo V . Caesare.
Quei teataiivi erano però consentanei alla politica del tempo,,
su di che possono vedersi le Noie Addizionali a questo Va-
iarne , nelle quali si ragiona appunto delle relazioni poliiich»
di quella età , e di quelle specialmente dei Papi coi diversi
Stati dell' Europa J.
3*
prendersi , clie (ìel due competitori Carlo era quello
che più facilmente avrebbe ottenuto la palma , per la
qnale essi contendevano. La sua origine Germanica, i
suoi dominj estesi oltremodo nell Impero , ed il lun-
go periodo di tempo , durante il quale la dignità
imperiale era stata quasi ereditaria nella di lui fami-
glia , sembravano escludere le pretese di qualunque
altro candidato , comencb© potente pei suoi dominj ,
o distinto per il suo merito personale. Il primo og-
getto di Leone , mentr' egli sembrava mantenere una
perfetta neutralità fra le parti , era quello adunque
d'incoraggiare Francesco a perseverare nelle sue pre-
tese, al qual fine spedi come suo inviato confiden-f
ziale Roherto Orsino , Arcivescovo di Reggio , con i-
slruzioni di esortare il Re a sostenere i suoi diritti ,
ma con segreti avvisi , che qualora si presentasse una
occasione opportuna , intimorir dovesse il monarca
Francese , movendo dubbj sulla riuscita del di lui
maneggi , ed intraprendesse di persuaderlo a ricorrere
ad un estremo partito per attraversare l' elezione di
Carlo , col proporre alla scelta degli Elettori , e so-
stenere con tutta la sua influenza alcuno degli infe-
riori principi dell' Impero Germanico. Né potea di
fatto impugnarsi, che se Francesco consultato avesse
i suoi veri interessi , non avrebbe potuto adottare
una migliore condotta. Sovrano di un regno ricco ^
potente , e circondato da un popolo leale e guerrier
ro , egli avrebbe potuto godere un grado di conside-
razione e d' influenza superiore a quello, che Carlo,
derivar potea dai suoi divisi possedimenti , o un priq-.
3'
cipe Tedesco subordinato dal semplice splendore dell^
corona imperiale. Orsini non trovò difficoltà nell' ese-
guire la prima parte della sua commissione ; ma l'am-
bizione didficilmente può essere frenata nella sua car-
riera , e maggiore spirito , maggiore destrezza di quella
cVegli aveva, sarebbe stata necessaria per prevenire
che si eccedessero i proposti confini. In vece di ascol-
tare la voce della prudenza , Francesco prese ad m^
fluenzare gli Elettori in di lui favore coi mezzi più
aperti della seduzione (i). Ma siccome più critiche
(t) » Siccome il metodo pifl spedito di Irasmeltere il da-
*? na:o , ed il più decente modo di far regali con lettere di
f» cambio era ancora poco conosciuto , gli amhasciadori Fran-
« cesi viaf;giavano con un numero di cavalli carichi di leso-
»> ri ; equipaggio non onorevole per quel principe , che sì
*p serviva di un tal mezzo , ed infame per coloro, che erano
»? da esso spedili. " Jio'ertsnn Vita di Carlo V. Uhm I.
Voi II. p. 52. INè Carlo pure si fece scrupolo di promuovere
collo sles.so metodo la sua causa = Egli mandò iu parti(;olare una
grossa somma di danaro a Federico Elettore di ."Sassonia ,
creduto proiettore di Lutero, al quale la corona Imperiale era
Stata offerta dai suoi Colleghi ; e questi dopo di avere con
magnanimità rifiutato quella dignità , e dato il suo voto a
Carlo , non volle neppure avvilirsi coir accettare quella ri-
compensa. 55 Hieri non so come , o per q\ial nuovo motivo ,
»? fu dato 1 Imperio al Duca Federico di Sassonia , il quale
n magnanimamente lo ha rifiutato , et dao il suo voto a
»> Carlo , rilìuiando parimenti una gran somma di danari ,
»> che alcuni ministri tli Carlo gli aveano portato a do.Tore
»? per gratitudine di questo suo si buon ainmo , et altissimo
»» servigio ; ed ha comandato strettamente a lutti i suoi . che
»? non piglino cosa alcuna ancor essi , per quanto temono ia
32
ed incerte si rendevano le deliberazioni degli Elet-
tori , Cario adottò un metodo più efficace. Sotto il
pretesto di assicurare , e guarentire la libertà della
elezione , egli fece marciare all' istante un corpo po-
tente di truppa nelle vicinanze di Francoforte , dove
riuniti erano i membri della Dieta. Dopo questa di-
sposizione le loro discuss ioni non furono più di lun-
ga durata, ed il giorno 28 giugno i5ig Carlo in
età di soli 19 anni fu proclamato Re dei Romani ,
o Imperatore eletto ; titolo che egli tuttavia cangiò
con quello di Imperatore eletto de Romani^ nel che
fu imitato dai suoi successori , eccetto che essi omi-
n sua disgrazia, n Lettera a Papa Leone X. Luglio tSiQ.
Lettere di Principi VoL I. pag. 75. Enrico P^III , che si
era esso pure lusingato con qualche lontana speranza della
dignità Imperiale , mandò il suo agente Riccardo Pace alla
dieta , il quale si rivolse all' elettore di Sassonia , e gli offri
tutto l'interessamento del suo padrona, se es/li accettar voleva
la corona Imperiale , richiedendo in caso diverso il suo volo
per il Re suo padrone. Ex HIS. Spalaiini ap. Secke/idorf
Lib- I Sect. XXXÌII. pag. i23, e Lord Herbert. Star, dì
Enr. VlIL p. 74- C Merita qualche esame la circostanza, che
la dignità Imperiale era stata offerta all' Elettore di Sassonia ,
gran protettore di Lutero. Nasce da questa naturalmeiiie il
prohleraa storico di ciò , che sarebbe ai'vcnuto della rtJTjr-'
via , se quel Principe avesse accettato quella digmta , e fossa
diuenulo re-al/nente il capo deW Impero. Noi che abhiamo discus»
so 1' altro quesito di ciò, che avvenuto sarebbe, se in vece di
Leone X avesse seduto qualch' altro Pontefice, toccheremo
pure questo punto di questione , e ne faremo qualche cenno
aelle Note Addizionali a questo volume medesimo J.
33
aero in seguito come superflua la frase derogatoria
4i Eletto.
§ IX.
Morte di Lorenzo Duca di Urbino. — Ippolito
de' Medici. — Alessandro de Medici.
II segreto , ma grandissimo disgusto , clie I^one
ebbe a provare per il risultamenlo di questa elezio-
ne , fu preceduto da una sventura domestica , che gli
cagionò pure grande angoscia. Il giorno 28 d'aprila
iSig il dì lui nipote Lorenzo Duca d'Urbino morì
in Firenze di una malattia , che fu giudicata una
conseguenza degli amori licenziosi, ai (juali si era ab-
bandonato durante il suo soggiorno in Francia. Sua
moglie Maddalena di Tour era morta in conseguenza
del parto solo da pochi giorni , lasciando una figlia
per nome Caterina , la quale per un concorso di
avvenimenti che non potrebbero dirsi fortunati , salì
alla dignità di Regina di Francia , e divenne madre
di tre Re, di una Regina di quel paese, e di una
regina di Spagna. La morte di Lorenzo sconcertò
grandemente i progetti del Pontefice, il quale Iro-
vossi allora il solo maschio legittimo superstite del
ramo primogenito della casa de' Medici , siccome di-
scendente da Cosimo padre della patria. Non man-
cava in vero una serie di illegittimi. Di questi il
maggiore era il Cardinale Giulio de' Medici , che
traeva la sua origine da Giuliano il vecchio , che era
Leoni X Tom. VllL ?»
34
caduto vittima della congiura de' Pazzi. Il giovane
Giuliano f fratello del Pontefice, detto comunemente
il Duca di Nemours, avea pure lasciato un figlio ,
nato di una dama d Urbino verso 1' anno i5ii , e
nominato Ippolito. Si era creduto generalmente , che
la madre inumana avesse esposto quel figlio ; ma dai
pericoli della sua situazione era stala preservata dalle
cure di Giuliano , il quale dicesi tuttavia non essere
stato libero da ogni sospetto , che la prole fosse di
un rivale (i). All' età di tre anni il fanciullo fu
mandato a Roma , dove fu ricevuto sotto la prote-
zione di Leone X , e diede prestamente indizj di
\ivaci ed attive disposizioni. Il Pontefice prendea
grandissimo piacere uell' osservare la sua vivacità fan-
ciullesca, e a di lui richiesta il ritratto di Ippolito^
occupato ne' suol trastulli , fu dipinto da Raffaello ,
e collocato in uno degli appartamenti del Vaticano (2),
(i) Ammirato ^ Ritraili d' uorni/ii di casa Medici (Dpusc.
Voi. ITI. pag. i3\.
{2) Ques(o singolare favonio dellp foriuna viene sovente
menzionalo nelle lettete del Card, di Bibiena scritte a Gm—
lia/io de' Medici verso ì' anno iSi5. • Hippolilo si degnò
9» pur venire stamane a desinar meco , ed habbiam fatto la
9> pace insieme. Dio vi conceda gratia di aver presto di Ma-
»> dama un figlinolino , acciocché Hippolito resti del tutto
9> libero a me. n Ed in altra lettera .si legge : » Htppolilino
n sta bene , et dice ad ogni nomo che lo domanda , ove è
»» andato il signor suo padre: è andato a condurre qua Ma~
w donna mìa viadrc. Rispose cosi al Papa , et Sua Santità fu
» pei- crepar delle risa, n Lrtterp di Principi Voi. I. pag. i6,
fi ^y. { Jjc cos*^ narrate Ual Cardinale di Bibiena potrebbero
35
ÌJ educazione che Ippolito ricevette in Roma , porlo
al più alto grado di perfezione i talenti , che rice-
vuti egli avea dalla natura , ed apri la via a quella
celebrità , c!'e poco dopo ottenne sotto il nome del
Cardinale Je' ilier//ct tanto come protettore, che come
professore della letteratura.
Più ancora equivoca era 1' origine di Alessandro
Je' Medici , comunemente detto il primo Duca di
Firenze. L' epoca della sua nascita può essere collo-
cata verso il i5i2 j ed egli veniva generalmente
riguardalo come figlio di Lorenzo Duca d' Urbino ,
e di una schiava mora , o di altra femmina di bassa
condizione; ma era mollo più probabile, eh' ei fosse
figliò del Cardinale Giulio de' Medici , che fu in se-
guilo Papa sotto il nome di Clemente FU; e la sol-
lecitudine ansiosa dimostrata da quel Pontefice di
elevarlo a quelT alto posto , eh' egli di là a non
molto occupò ; può riguardarsi come un non leg-
giero indizio della fondata sussistenza di quest'ultima
opinione.
far dubitare , che Ippolito fosse in quelP epoca nell' età di
soli quattro anni. Prohabilmenie egli era nato qualche Enno
prima del i5it . epoca iudirata nel tesio solo per appros-
simazione. Giuliano ■ da 31 dici altronde varj anni prima
si era recato ad Uihino . dove fece un lungo soggiorno , il
che serve a rinforzare la nostra cougetliifa. Quel fanciullo
sarà svaio spedilo a Roma all'eia di tre anni , come vien detto
nella storia ^ ma per lo meno uel i5l3 dopo l' innalzamento
òk Leon X, e non alla vigilia del matrimooio di GivUann con
FUiberla di Savoja ).
36
• ■ ^ X.
Conseguenze della morte di Lorenzo.
I Funerali di Lorenzo furono celebrali a Firenze
con magnificenza proporzionala all' alta di lui situa-
zione , come capo dello stato della Toscana , e Duca
di Urbino ; ma gli uffizj rispettosi che si rendevano
alla memoria del trapassato erano in fatto un tri-
buto ai viventi , e quegli onori slraordinarj si face-
vano ad esso solo per ragione della stretta di lui pa-
rentela col sommo Pontefice. In conseguenza dell' e-
ailio , e della morte immatura del di lui genitore ,
r educazione di Lorenzo era stata per la massima
parte abbandonata alla di lui madre Alfonsina , la
quale gli avea iustillato tali idee, ed a tali maniere
ed abitudini lo avea accostumato , che meglio sareb-
baro convenute ad un barone Italiano di alto grado,
cbe ad un cittadino Fiorentino. Quindi egli erasi
dedicato intieramente a progetti di ambizione , e di
ingrandimento, nei quali mediante la parzialità e
r assistenza di Leon Xy egli lusingavasi colle piii ar.
dite speranze di riuscita. Si supponeva, e forse non
senza ragione , che con questi mezzi, e col concorso
del Monarca Francese egli intendesse d' impadronirsi
di Siena e di Lucca , ed unendo a questi Stati il
Ducato d Urbino , e Io Stato pure di Firenze, sta-
bilire volesse per tal modo un dominio esleso da una
all'altra costa dell'Italia, ed assumere quindi il ti-
tolo di Re della Toscana, Con queste viste egli fece
sul ^nlre dell'anno i5i8 un viaggio a Roma, cre-
dendosi di poter persuadere il Pontefice ad accon-
sentire agli ambiziosi suol disegni ; ma trovò che
Leone non inclinava a favorire quel tentativo (i).
Dai veri amici dell' onore e del carattere del Ponte-
fice, la notizia della morte di Lorenzo fu ricevuta eoa
soddisfazione anziché con rammarico. La tenerezza
che Leone avea mostrata nel promuovere l' avanza-
mento del di lui nipote, ed i metodi ingiusti o ine-
scusabili, dispendiosi e pericolosi, ai quali avea tal-
Tolta ricorso per quest' oggetto , erano da que' fidi
amici attribuiti al di lui affetto per una persona ,
che gli era carissima non meno per una somiglianza ,
ed una comunione d'infortunj, che per i legami del
sangue; e generalmente si nudriva la lusinga, che il
Pontefice più non avendo altro oggetto della sua
parziale affezione , consulterebbe solo la dignità del
suo proprio carattere , ed a' ciò solo porrebbe mente ,
che fosse atto a promuovere l* onore ed il vantaggio
della Sede Romana. Queste aspettative furono in
qualche modo confermate dalla condotta del Ponte-
fice medesimo , il quale in quella occasione fece ve-
d^ere la sua sommessione ai voleri del Cielo , e parve
riassumere la rettitudine naturale del suo carattere.
Ch' egli altronde non in tutte le occasioni corrispo-
sto avesse alle speranze che di lui si erano conce-
pite, chiaro abbastanza lo mostra il linguaggio ardi-
(a) JYerli Commentar. Uh. VI. pag. i3i.
•3.8
to , e (leoffio di osservazione di Canossa^ Vescovo di
Baveux (a) , il quale nel dichiarare i suoi sentimenli
8u queiravvenimento al Cardinale di Bibieiia , consi-
dera (fuello siccome oggetto di aniversale soddisfa-
L OD
zione, ed esprime le sue speranze ,, che Sua Santità
volesse allora divenire quale si aspettava oh esser
dovesse il giorno che fa creato Papa " (i)-
§ XI.
Stato del Governo Fiorentino. — Suggerimenti
di Macchiavello.
La morto dì Lorenzo obbligò il Pontefice ad adot-
tare nuove risoluzioni per il Governo dello Stato
Fiorentino, divenuto allora intieramente subordinato
alla famis^lia de Medici^ benché tuttora ritenesse il
nome, e le esterne forme di repubblica. Quésta im-
presa era accompagnata da considerabili difficoltà,
Leone invero avrebbe potuto in quei momento as-
sumere la sovranità, ed estinguere qualunque vesti-
gio di libera governo ; mi sebben possa supporsi ,
eh' egìi provato non avrebbe in questo oggetto al-
ctina ripugnanza, egli era tuttavia informato , che
(a) O, come egli su-ssa scrive iialianameiile , tf? B ijus a.
(i) »>.... . Mostrando sua Santilà del tutto volersi ac-
comodare al voler di Oio , ed al naturale instiiito suo. U
che ci dà speranza , che sua BeaLituIine si possa ancora ve-
dere tale , quale si sperò che dovesse essere il giorno chr fu
creata. » Lettere di Prùipipi Voi. I, pag. 5"^.
la dignità sua di sommo Pontefice era diffic.ilmenles
compatibile colla assunzione, e coli esercizio di un
potere monarchico. Egli poteva ancora ragionevol-
mente sospettare, che un tal p'asso non sarebbe stato
riguardato senza gelosia dai principali sovnini della
Cristianità,^ e temer poteva che non ostante la de-
vozione, e la subordinazione de' Fiorentini, egli po-
tesse con una oppressione troppo rigida dar origine
id una specie d' elasticità, e ad una resistenza, che
rovescierebbe forse la di lui autorità. Il rislafcilirtj
dall' altro canto i Fiorentini nel pieno godimento
delle antiche loro libertà, benché il tentarlo solo
avrebbe fatto grandissimo onore al Pontefice, sarebbe
stato equivalente ad un ' totale abbandono di quel
potere, e di quella influenza, che la sua famiglia
avea mantenuto per tanti anni e conservata con tanti
sacrifìzj, né poteva con certezza presumersi, che i cit-
tadini di Firenze sarebbono capaci di conservare il
palladio della loro libertà, anche ove il Pontefice si
fosse mostrato inclinato a render loro questo dono.
In quella circostanza . Leone giudicò opportuno di
ricorrere al consi<ilio di Niccolò Maccìilavelìi. le di
cui cognizioni estese nelle .cose politiche, e la di cui
piena e perfetta informazione dello slato della sua
patria, lo indicavano siccome la persona più propria
a consultarsi in quella occasione. Lo scritto, che Mac'
chiavelli presentò al Papa su quell' argomento, ancora
ci rimane, (i) ed al pari delle altre sue opere con-
(i) Discorso sopra il riformar io stato in Firenze. Fati*
4©
tiene molle acute osservazioni, senza somministrare
tuttavia quelle eslese viste, che la natura dell' inda-
gine, e le circostanze di que' tfmipi sembravano ri-
cliiedére. Nel presentare un quadro dello stato antico
di Firenze, egli osserva, che tutte le oscillazioni spe-
rimentate dal medesimo debbono attribuirsi al non
essere stato giammai né strettamente una repubblica
sé nn governo dispotico assoluto. Egli considera
quello stato misto, o intermedio, come il più diffi-
cile di tutti a mantenersi, perchè, come egli asseri-
sce, un dominio assoluto, è solamente in pericolo di
essere disciolto per una cagione, cioè per la sua ten-
denza verso la repubblica, e per egual modo una re-
pubblica trovasi solo in pericolo per la sua tendenza
verso la monarchia, mentre un governo misto è sem-
pre in un pericolo costante per due cagioni, e può
essere distrutto per la sua eccessiva tendenza tanto
Terso il repubblicanismo, quanto verso il dispotismo.
Per queste ragioni egli consiglia al Pontefice di a-
doltare p l' una o l' altra di queste forme definite
di governo, e di erigere un'. assoluta sovranità, o di
stabilire una perfetta repubblica.
Egli passa quindi a mostrare, che la scelta di una,
o d' altra di queste due forme può dipendere dalla
condizione, e dal carattere del popolo; e particolar-
mente, che una sovranità assoluta può solo maute-
ad istanza di Papa Leon X- Sta nelle Opere dì Macchia-
velli puhblicate da Bareni : f^ol, JiJ. png. i.
4«
nei'si dove si tr«va una grande d"iversità di ricchezze
e di gradi, mentre una repubblica al contrario ri-
chiede un grado considerabile dij eguaglianza tra ì
suoi cittadini, del che egli adduce; vari eserapj. Sotto
r ultima categoria egli inchiude gli abitanti di Fi-
renze, e quindi prende occasione di delineare la forma
di governo, alla quale egli dà il nonae di Repubbli-
ca, nella quale accorda una influenza cosi prepon-
derante al Pontefice, ed al cardinale de Medici colla
nomina durante la vita loro delle persone investite
della suprema autorità, che questa avrebbe indubita-
tamente impedito l' esercizio di quella libertà, che
solo si sarebbe trovata in un governo popolare. Sem-
bra tuttavia, che Macchiaveììi avesse in vista come
oggetto principale il ristabilimento della libertà della
repubblica; ma vedendo egli l'assoluta improbabilità
che il Pontefice, ed il Cardinale potessero indursi a
rinunziare volontariamente alla loro autorità, egli si
determinò a moderare il suo divisamento, ed a pro-
porre, che la repubblica non dovesse godere se non
dopo la loro morte della sua piena libertà (a).
(a) È bea chiaro a vedersi , che l'astuto politico Tolle sor-
prendere il Papa , ed il Cardinale. Dopo di aver mostrato
coi più fondati principj dt-lla filosofia , e della storia , che
di altro governo non era suscettibile Firenze per le partico-
lari sue circostanze , se non se del go-vcrno Repubblicano ,
*d esclusa per tal modo V idea , o rin<u2zato il desiderio
di un governo dispotico assoluto , ben s' accorse lo scal-
tro consigligre , che rimandar non si potevano i Medici à
bocca asciutta , e die gualche pascolo accordar si dovea
4^
,, Se questo progetto, die' egli, venisse consitlerato
,, senza alciiaa relazione all'autorità di Vostra Saa-
„ tità, si troverebbe per ogni riguardo sufficiente a
,, rispondere all' oggetto proposto; ma durante la vitn
„ di Vostra Santità, e del Cardinale, ella è questa
„ una roonarchia, a cagione che voi comandote 1' ar-
„ mata, voi vet^liate sui giudizj criminali, voi det-
„ tate le leggi, voi fate insomma a mio credere tutto
„ quello, che può farsi in uno stato. ,, Nel tempo
stesso eh' egli intraprendeva di accontentare il Papa
riguardo alla continuazione del suo potere, si stu-
diava egli pure di eccitare in quello il desiderio di
essere considerato come il restitutore della libertà
della sua patria. ,, Io m'immagino, die egli, che un
„ uomo goder non possa di un onore più grande di
,, quello, che volontariamente gli vlen dato dalla
alla loro ambizione. Immaginò quindi di accordar loro la no-
mina durante fa loro vi: a dei principali funzronarj della Re-
pubblica , calcolando probabilmente sulla durata di questo
periodo , che non sarebbe assai lunga , e fors' anche sulla
necessaria assenza di quegli individui da Firenze, e sulle gra-
vissime loro occupazioni, che diminuita avrebbero senza dubbio
la loro influenza su quel Governo. Passò quindi a magnificare
agli occhi loro tanto gli effetti di questa disposizione, quanto
la gloria, che sarebbe ad essi derivata dal ristabflimcnto della
libertà della loro patria ; e quell'uomo di acutissimo ingegno
credette di poter rendere il più utile servigio ai suoi concit--
ladini f e di lusingare ad un tempo 1' amor proprio , e di
cattivarsi la benevolenza de' Medici. Ma a Roma il di lui pro-
gei io fu considerato sotto altre viste, o forse si trovarono
in quella città polilici piCi raffinali che il segretario Fioreutin*.
43
,, sua patria, e credo, clie sia la cosa più accetta a
,, Dio quel bene, che noi facciamo per la patria no-
,, stra. Per questo motivo non vi sono persone, clie
,, sieno tenute in maggiore onore di quelle, che collo
,, loro istituzioni, o le loro leggi riformarono una
,, repubblica, o un regno. Queste son quelle, che
„ vicine agli Dei, si sono credute meritevoli del più
„ alto premio. Ma siccome rare volta si presentano
,, le c^casionl per quest' oggetto, e scarsissimo è il
„ numero di quelle persone, che sappiano far uso
,, di questi mezzi , così noi troviamo, che quella
,, grande impresa è slata rare volte compiuta. Tale è
,, tuttavia l'onore, che ad essa va congiunto, che
,, indusse molte persone, che compierla non poteano
,, in fallo, a tentarla ne' loro scritti, siccome /insto-
„ tele, Platone, e molti altri, i quali bramarono di
„ mostrare al mondo , che se essi non erano stati ca-
„ paci, come Solone, e Licurgo, di stabilire una so-
,, cietà civile, ciò non nasceva da mancanza di ahi--
j, lità , ma solo dalla mancanza di una occasione
j, opportuna per condurre ad effetto le loro idee (a). '■■
(a) 11 traduttore Francese ha esposto piTi a lungo questo
squarcio di ^laccìdavello . e noi non *nau<herenio d' inserire
in queslo luogo un periodo da esso aggiunto „ che meUe mag-
giormente in chiaro 1* artifizio lusinghiero col quale quel po-
litico Yolea .sedurre il Pontefice, ed il Cardinale de' Medici,
j> Non può infatti il cielo accordare ad un uomo maggiori
^ì henefzj_ né aprirgli più nobile strada a)\a gloria,- e di lutti
>5 i favoli , dei quali ha colmato la vostra femigla, e la per»
1 sona di vostra Santità, questo è .«enia dubbio il pia proiosw.
44
§. XII.
7/ Cardinale de Medici prende la direzione
degli affari della Toscana.
Il sistema di governo proposto in tal modo da
MaccJiiavelli, non fu tuttavia adottato dal Pontefice. Pei
cangiamenti importanti avvenuti in Europa, e special-
mente in Italia, lo stato della Toscana non era sem-
plicemente considerato come un governo independente,
ma come affetto singolarmente dall' influenza potente
delle sue estere relazioni, e come combinato in quel
tempo colla Sede Romana ad oggetto di aggiugnere
forza ed importanza al Pontefice nei grandi tentativi
che egli allora meditava. Egli è assai probabile, che
per ragioni facili a presentarsi alla mente, né LeonCy
ne il Cardinale giudicassero opportuno che il princi-
pio della libertà della Repubblica dipendere dovesse
come un avvenimento simultaneo dalla cassazione
delle proprie loro vite. In queste circostanze Leone si
determinò a permettere ai Fiorentini di continuare
Beile forme già stabilite del loro governo; ma al temr
pò stesso egli ritenne quella sorveglianza sidla loro
condotta, che credette necessaria non solo a repri-
mere le interne loro dissensioni, ma anche ad as-
n perchò vi presenta e l'occasione e i mezzi di immortalare il
» vostro nome, e di superare per tal modo la gloriosa reputa-
» alone del padre vostro , e del vostro avo. «
45
sùcurarft la conformità loro colle viste, e cogli inte-
ressi della famiglia do Medici^ e Jella Sede Piomana.
Pochi giorni avanti la morte di Lorenzo, Leone avea
spedito a Firenze il Cardinale de Medici il quale as-
sunse allora la soprainlendenza dello Stato, e sotto
gli ordini del Pontefice stabilì quei regolamenti, che
si erano reputati opportuni ad assicurare la tranf[uil-
lità della città senza portare, alcun turbamento nei
suoi diritti municipali (i). La condotta del Cardinale
durante la sua residenza in Firenze, che continuò
quasi per due anni, somministra una prova convin-
cente tanto del suoi talenti, che della sua modera-
zione; e non ostante 1' altissima dignità, alla quale
fu elevato in appresso, può riguardarsi come il pe-
riodo pili luminoso della sua vita. Coli' intima cogni-
zione, che egli avea dello stato della città, e col te-
nere d' occhio, e temperare all' uopo le opposte fa-
zioni, egli riuscì a toglier di mezzo le loro dissen-
sioni, o a distruggere i loro progetti. Senza imporre
straordinarie gravezze sul popolo, egli diminuì il de-
bito pubblico, e riempì il tesoro di somme conside—
rajjili. Sotto la di lui influenza risorse il commercio
della città, e gli abitanti cominciarono cou confidenza
ad impiegare i loro capitali nell' acquisto di nuove
ricchezze. Mentre con queste disposizioni il Cardinale
si guadagnava il rispetto , e 1' attaccamento de' Fio-
rentini, egli diede prove della sua prudenza, e della
(i) Ncrli Comment. Lib. VI. p. x33.
46
sua fedeltà col mantenere una conliniia corrispon-
denza colla corte di Roma, ed una dovuta sommes-
sione al Sommo Pontefice, al di cui consiglio egli
ricorse costantemente in tutti i punti dubbiosi, ed
ai di cui ordini egli strettamente, e fedelmente si
conformò.
§ XIII.
/ domili) di Urhino sono riuniti a quelli
della Chiesa.
Il potere, del quale Leon X era investito sopra
il ducato d' Urbino, era ancora più assoluto cbe non
quello che egli esercitava sullo stato Fi/wenlino. la
forza dell'investitura quella sovranità era stata estesa
in difetto di maschi alla discendenza femminile di
Lorenzo, e la sua siovane figlia aveva allora diritt»
allo scettro ducale; ma facilmente poteano prevedersi
gli svantaggi, che nati forse sarebbero da un tale go-
verno, e Caterina sotto la cura dei di lei potenti con-
sanguinei era riservala a più alti destini. Le animo-
sità, che insorte erano tra l'antico Sovrano di quello
stato, e Leon X nel coi-so delle contese nelle quali
erano stati impegnati, aveano opposto un ostacolo
insuperabile a qualunque riconciliazione tra di loro ;
e se anche il Pontefice si fosse mostrato inclinato
ad un accomodamento, la restituzione dello stato di
Urbino al Duca sarebbe stata considerata come una
confessione per parte del Papa, che nell' espellere i
Duca dal suol domlnj egli avesse commesso un alto
ti' ingiustizia. Avendo adunque smembrato dapprima
il ducato d' Urbino dal'a fortezza di S. Leo, e dal
tlistretto di Montefeltro, che egli diede ai Fiorentini
come un compenso per le spese da essi fatte, e pei
servigi da essi rendali nell acquisto di que dominj,
egli riunì il rimanente di quel territorio cogli siali
da esso dipendenti di Pesaro, e i\\ Sinigaglia ai do-
Yninj delia Chiesa.
NOirE ADDIZIONALI.
NOTA I.
^Aìla pag. 3 Tin. io del testo ^ dopo le parole:
„ le maggiori disposizioni alla crudeltà. „
Gap. XIX. § I.
Quello dì cui sì parla ^ è Selim J, seoondo figlio di
Bajazet II , che rivoltata essendosi coatra il padre per-
dette dapprima una battaglia nel i5ii; ma pure riusci
%tel)' aano seguente a detroaizzarlo 3 e tanto validamente
fu sostenuto dai Giannizzeri , che fu preferito ad Achmet
suo fratello maggiore. Questo avvenne nell'anno i5i2;
e Selim dopo avere avvelenato suo padre tolse pure la
vita ad Achmet, ed a Korkud altro fratello minore , che
dicesi fosse uomo pacifico j ed amico delle lettere. Si
narra pure , che quest' ultimo avesse fenduto grandi
servigi a Selim nel tempo delle sue sventure.
Oltre il padre, ed i fratelli, Selim fece pure mettere
a morte otto de' suoi nipoti, e varj Bassa , che lo aveano
fedelmente servito in diverse occasioni. Gli storici tutti
lo dipingono nonostante come pieno di virtù, coraggioso ,
infaticabile nelle sue occupazioni, sobrio, liberale, aman-
te della giustizia, e dicono che oltre il farsi leggere le
storie , siccome accenna anche il sig. Roscoe , egli com-
ponesse versi nella sua lingua assai eleganti.
voli Ain TaoJIp 4^ .
49
La disgrazia de' Persiani fa cagionata dall' aver essi
accordato asilo ad Amuraf , figlio dell' eslinto suo fratello
maggiore Achmft. Quella guerra fu sfortunata al prin-
cipio per Seìim , ma in appresso egli guadagnò la bat-
taglia di Zalderano nel i^i^ , la quale vittoria dicesi
essergli costata più di cinquanta mila uomini , e molli
ancora ne perdette nel ritorno al passaggio dell' Eu-
frate.
Le armi contro l'Egitto portò egli nel i5i6; prese
Alpppo , e Damasco ; e si impiidrouì di tutta la Pale-
stina. Il Cairo non fu preso se non nel i5i^, e l'in-
felice Sultano Tomembey , creato da poco dai Mameluc-
chi , fu trovato in una palude , dove si era nascosto , e
fu appiccato ad una porta della citlà.
Il pensiero di portare le sue armi contra i Cristiani ,
e di attaccar forse 1' Italia , fu concepito da Sellm iti
Egitto , ma poco potè durare lo spavento dell' Europa ,
perchè appena nel iSlQ egli parli dall'Egitto, e nel
l520 morì di peste nella Tracia , mentre portare si
faceva ad Andrinopoli. Non si vede adunque ben chiaro^
come gli Italiani , e specialmente il Papa potessero allar-
marsi pei preparativi guerreschi , che anche secondo il
sig. Roscoe , Selim faceva in Costantinopoli per una
nuova spedizione j se egli nel ritorno dall'Egitto a Co-
stantinopoli fu attaccato dal bnbone pestilenziale. Forse i
Veneziani furono i più intimoriti , e sparsero lo spevento
iu tutta r Italia ; ed infatti il sig. Roscoe non cita che
le memorie di Sagred(f , scrìnove il più delle volte esa-
gerato.
Si dice, che Sellm mantenesse una disciplina severis-
sima nelle sue truppe; che non si lasciasse governare
Leone X Tom. Vili, 4
5o
dai suoi Visir ; che si facesse radere , q che dicesse :
55 Io non porlo barba, come i miei predecessoii , perchè
» non voglio , che i miei ministri mi afferrino per il
99 mento 55. Egli fu il primo a fondare una biblioteca
nel serraglio 5 la quale diceasi composta di circa quattro
mille volumi. Turchi, Arabi, e Persiani. I libri Greci
ne erano esclusi.
IL
Mia pag. 9 Un. 6 dopo le parole
,, alla pena della scomunica , ,.
Gap. XIX § II.
Riuscirà strano a molti lettori il vedere un Papa, che
comanda a tutti i potentati d' Europa , e che loro in-
giunge sotto la comminatoria delle pene canoniche ciò
che far debbano negli affari più gravi concernenti i loro
stati, e specialmente per riguardo alla guerra, ed alia
pace. Queste idee sono tanlo loutane del sistema della
politica attuale , che è forza di ricercarne 1' origine , e
qualche rimoto vestigio nei tempi di mezzo. I primi
Pontefici furono conlenfi di presedere alla Chiesa Cri-
stiana , e non si occuparono che degli affari della reli-
gione , e del culto. Ne' tempi di mezzo, dopo che la
religione Cristiana divenne in quasi tutte le provincie
dell'Europa religione dello Stato, ed i principi si gloria-
rono di fare omaggio alla Sede Romana dell' autorità loro
e del loro potere , i Pontefici cominciarono a prender parte
jpegli affari tetaporali , e col consiglio dapprima, poi
9i
anche coi precetti , e colle peue canoaiche turbarono
spesse volte 1' autorità temporale uell' esercizio delle sue
fiiuziooi. Le crooiate produssero una graadiissima eslen*
siooe dei diritti usurpati dal potere ecclesiastico sul
laicale; e quelle guerre coasiderate come guerre di re-
ligione, furono spesse volte ordinate, organizzate , dirette,
o per lo meno influenzate da' Papi. Quindi nacque , che
molte imprese non si cominciavano senza l'assenso dei
Romani Pontefici , e che anche ne' tempi successivi i
Sovrani , che aveano tra loro qualche dissensione , si
rimettevano spesso alla decisioiic dei Pontefici , e studia-
vansi di avere il loro conseniiraeuto , e la loro appro-
vazione prima di portare in uno o in altro luogo le armi
loro. Questa pratica durò fino alla fine del XIV secolo ,
e se ne veggono gli esempj anche nei pontificali di
Alessandro VI , e di GiuUo II, predecessori di Leon X.
A questo principio di una subordinazione della podestà
civile alla ecclesiastica , se non altro tacitamente consenc^
tita, debbono pure riferirai le concessioni delle pro-
vincie oltremarine nuovamente «coperte, fatte da Euge-
nio IV , da Niccolo V, da Sisto ÌV ^ àA Alessandro VI,
e da Leon X medesimo , delle quali si farà menzione
nel capo XX di quesi' opera.
Ma non era questo in allora il solo fondamento , al
quale si appoggiassero le prelese papali sulle disposizioni
relative alla pace , o alla guerra nei diversi stati dell'Eu-
ropa. Il bisogno di un equilibrio tra le diverse potenze
non fu mai tanto intimamente sentito, quanto nel se-
colo XIV, giacché dapprima non potè sussistere se non
per caso , e si vide più volte rovescialo. In quel secolo
ii volle formare di quel necessario equilibrio un sistema
02
politico, e non mancano scrittori, ì quali pretendono,
che in Italia sia nata l'idea, e siansi posti i fondamenti
di un tale sistema. Questo abbisognava necessariamente
di un centro, massime al momento della caduta del re-
gime feudale j e della formazione di molti piccoli slati,
che tutti ricorrer doveano alla protezione de' grandi ; e
centro di quel sistema parve , che altro non potesse
essere se non la Sede Romana , alla quale lutti i prin-
cipi, e tutti gli stati tributavano rispetto , e venerazione.
Quindi nacque , che anche Leon X esercitò una influen-
za grandissima sul temporale governo degli slati ; che
egli cominciò il suo Pontificato coli' esortare tutti i prin-
cipi alla pacificazione generale , il che in vero era pie-
namente consentaneo alla sua dignità, al suo uffizio, al
suo ministero ; che Leon X trattenne alcuna volta i piiì
grandi Sovrani dal portare le loro armi in Italia ; che
egli fece conchiudere la pace tra i monarchi di Francia
e d'Inghilterra; che egli cercò di intervenire anche alla
elezione dell' Imperadore ; che egli finalmente stese la
sua autorità sulle Indie, e cercò di migliorare la con-
dizione politica degli Indiani.
Non è dunque maraviglia se sn queste basi , e eoa
questi principi, egli occupato del grande oggetto di preve.
nire una invasione de' Turchi, e forse di liberare la Gre-
cia , di ricuperare le terra Santa, di rovesciare il potere
de* Turchi , e di fondare un nuovo impero d' Oriente ,
cominciò dall'ingiugnere forzatamente una tregua, affine di
poter rivolgere le armi dell'Europa tutta contra il comuna
nimico della Cristianità. Sussisteva in apparenza il motivo,
per il quale la Sede Romana avea più volte dii^posto
delle armi dei potentati d'Europa; sussisteva l' iuflueuza^
53
che i Papi acquistata aveano sopra gli affari particolari ^
e politici delle potenze medesime ; sussisteva il conceduto
diritto di iuterveuire uelle loro disseusioni , e sussisteva
quella venerazione straordinaria , che al capo della Chiesa
si prestava come a centro del sistema polìtico ^d' equili-
brio tra i diversi stati.
Sebbene però la politica di que' tempi tanto lontana
fosse dai principi della politica odierna, si vede tuttavia,
che i gabinetti de'principi s'accorsero del pericolo, che forse
il Papa non avea scoperto , che una guerra di tutte
le potenze , e la spedizione di tutte le forze dell' Europa
contro gli infedeli avrebbe per avventura cagionato la
rottura di quell'equilibrio medesimo, che la raaofgior
parte degli stati interessati erano a conservare. Quindi
mentre fu concordemente accettata, e consentita la tre-
gua , r alleanza proposta non fu ritenuta se non come
difensiva ; il Papa non fu nominato che iu apparenza ,
e quasi illusoriamente , capo della lega j non si mise ia
campo alcuna armata contro i Turchi ; e questo fu forse
r ultimo esempio dell' intervento de' Romani Pontefici
nelle relazioni puramente politiche degli stati , e nelle
disposizioni della pace , e della guerra colla comminato'
ria delle censure ecclesiastiche,.
in.
Alla pag. 1 2 alla fine del § IV Cap. XVUl
Dopo quello che si è detto nella nota antecedente ^ non
parrà tanto strano, che il Papa calcolasse sopra una
immensa sonnma di danaro , che si sarebbe in occasione
della guerra contra i Torchi raccolta colle volontaria
contribuzioni dei Sovrani dell' Europa , e con una tassa
forzala imposta sopra i loro sudditi; che il Papa assegnasse
a ciascun Sovrano il suo contingente in danaro, ed in ar-
rni , e fino il numero, e la qualità delle armi, o sia
delle truppe , che fornir si doveano , e perfino che il
Pontificio tesoro si fosse riempito colle contribuzioni ,
che realmpnte si ottennero tanto dai laici , quanto dagli
ecclesiastici , per mezzo degli Agenti Pontifici , spedili
alle varie corti , comft si vede nel successivo § V. 11
conseguimento di quelle somme, delle quali Leon X
trovavasi sempre a cagione della sua liberalità , e de' suoi
impegni , nel più urgente bisogno, fecero nascere il pen-
siero non solo nei nuovi riformatori, che commentarono
r orazione pronunziala dai legati Pontificj alla Dieta
dell'Impero, ma anche in alcuno dei cattolici medesimi,
che tufo quel grande edifizio , quel grandioso disegno
di rivolgere contra i Tnrchi tntte le forze dell' Europa ^
non fosse tanto prodotto dallo spavento , o da un ragio-
nevole timore , che si avesse della invasione desili infe-
deli , quanto da un timore e da uno spavento simulalo
per avere cosi il loro pretesto di ricavare dai diversi stati
dell'Europa quelle somme, che forse prodotte non a^ea la
55
promulo;a7iione delle ioJuìgenze. Abbiamo infatti vedu-
to Della nota I. l' iaiprobabilità , che S'^imi attaccato
dalla peste nel suo ritoruo dell' Egitto , ed ansioso di
farsi portar subito ad Andrinopoli , nel qnal viaggio morì,
facesse in Costantinopoli grandiosi preparativi per una
spedizione coutra l' Italia , o contro alcnna altra parte
dell'Europa; e le lagnanze per gli attentati de* Turchi
non erano forse appoggiate , che all' eccessivo timore
de' Veneziani , ed alle lettere di alcuni governatori della
Dalmazia , i di cui paesi limitrofi ai domioj Ottomani
erano sempre stati soggetti alle scorrerie de' Turchi ,
senza che questo oggetto interessar potesse tutti i mo-
narchi dell'Europa.
IV.
Alla pag. 22 Un. 4 dopo le parole ,, recarsi
personalmeate a Roma. ,,
Gap. XVIII § VI.
Da tutto il conlesto di questa storia si vede , quanto
in quel tempo la politica dei diversi stati dell'Europa
fosse tenace di quel sistema d' equilibrio delle potenze ,
del quale si è parlato nella nota II , e del quale si ri-
guardava come centro la Santa Sede. Questo , unitamene
ad altri diritti rappresentativi a poco a poco guadagnati
dai Pontefici sugli Imperadori, dava ai primi la facoltà di
immischiarsi nelle elezioni de' secondi , e quindi sempre
maggiore diveniva l' influenza della corte di Roma sugli
affari dei diversi stati , e sul sistema politico dell'Europa.
56
Si vede però dalla storia medesima , cbe i Sovrani co-
minciavano già ad illaminarsi sui loro veri interessi ; e
che lungi dal rimettersi ciecamente a quello che vene-
ravano per capo della Religione , e riguardavano per
comune consenso come centro di un sistema politico ,
cercavano a vicenda di influenzare questo centro mede-
simo j e di rivolgerlo alle loro viste pel bene loro pri-
Tato, o pel pubblico, siccome avvenne in questo caso,
nel quale senza un concorso straordinario di circostanze^
mantenuto si sarebbe l'equilibrio politico, e Carlo V
non avrebbe riunito tanti stati sotto il suo dominio ^ ne
tante dignità nella sua persona.
Alla pag. 20 dopo la nota (2).
Gap. XVIII § VI.
E cosa singolare il vedere come il Papa , Francesco /,
e Carlo d* Austria , che fu poi Carlo V 3 cercavano a
vicenda di ingannarsi 1' nn 1' altro , facendo anche oggetto
intermedio de' loro politici stratagemmi l* Imperatore
Massimiliano. Il Papa cercava di tener a bada Carlo
d' Austria, e burlava Massimiliano ; Carlo invocava 1' ajuto
di Francesco presso il Papa ; Francesco prometteva al
Papa quello che mai uon intendeva di tentare; il Papa
era egualmente avverso all' uno , ed all' altro ; Massimi-
liano prendeva nelT aspetto piìi serio le proposizioni sub-
dole , che gli si facevano; alcuno non dubitava del Papa,
ed il Papa burlava tutti Questo complesso di
57
maneggi , e di intrighi politici non avrebbe potuto tornar
in onore della corte Romana , né del Papa , né della
santità del suo ministero, se non si fosse potuto stac-
care r idea del Sovrano temporale , e del centro del
sistema politico ^ da quella del capo della Chiesa Cri-
stiana , e del centro della ecclesiastica podestà. — Il
seguito di questo paragrafo spiega più evidentemente la
ragionevolezza di queste operazioni, e mostra all'evidenza
con quali fini di politica puramente umana , ( per noa
dire anche bassa, e viziosa ) agissero in que' tempi i
Papi, e tra questi un Pajia illuminato, e generoso.
VI.
Alla pag. 24 alla fine del § VI Cap. XVIII.
Col paragrafo sesto si chiudono i fatti dell'anno t5i8ì
ma noi non dobbiamo lasciare , che si tronchi questo
periodo senza registrare un avvenimento , il quale es-
sendo di sua natura interessante non tanto pej* Milano ,
quanto per tutta l' Italia , lo diviene ancor più io questo
ludgo per la relazione immediata che ha colla stona di
Leon X , e per 1' onore , che fa riflettere sulla di lui
memoria.
Più volte si è parlato in quest'opera del celebre ma-
resciallo Gìoan Jacopo Trivulzi,e noi lo abbiamo V ultima
volta veduto impegnato a difendere la sua patria centra
le armi imperiali, resistere con coragf;io alle losinuaz'ouì
dei Francasi medesimi intimoriti , prender*' !e disoosui<"ii
più savie per la difesa della città , ed indurre con in-
gegnoso stratagemma l'Imperadore ad una fuga vergo»
58
giiosa , per lo che il magno Trhulzìo fa fletto padre ,
e conservatore della patria. Questo graod' uomo governò
alcun tempo Milano , nel quale ufficio mostrò il dolor
suo di dovere per soddisfare V esigenza del monarca
Francese imporre gravose tasse ai suoi concittadini ; in-
dusse quindi gli Svizzeri alla pace col re di Francia ,
né fu questo forse il più piccolo de' servigi , che egli
rendesse a quella corte ; assestò in seguito i suoi dome-
stici affari , e si diede a vivere in patria splendidamente.
Ma l'invidia e la calunnia seguono sempre davvicino il
merito j e la fortuna, e non si trattengono dal perse-
gnitare anche V uomo tranquillo , che già si è distolto
dai pubblici affari. Il sig. de Lautree , aggravato da de-
biti straordinarj vole.i sotto colore di bisogni pubblici
imporre una tassa straordinaria alla città di Milano ; bra-
mava per ciò il consentimento de' magnati , e quello
pure del Trivulzio ; ma questi amante del bene della sua
patria si oppose con coraggio alle sue domande. Irritato
il Francese giurò la sua perdita , e mise in campo cen-
tra il buon vecchio una quantità di accuse. Era tra
queste la imputazione di aver favorita la fuga del car-
dinal de' Medici dopo la battaglia di Ravenna , avveni-
mento , che quand' anche fosse stato prodotto dalla di
lui sola autorità, sarebbe tornato in di lui onore, non
Tenendo per tal fatto compromesso il servigio del Sovrano,
ai di cui stupendi egli militava ; e si aggiugneva , che
il Trivulzio nairasse ad usurpare il dominio delia sua
patria , e che in ciò prevaler si volesse dell' ajuto degli
Svizzeri , e fors* anche della protezione de' Veneziani .
-il servigio de' (piali militava Teodoro Trivulzio di lui
cugino. Raro avviene, che le calunnie non trovino ac-
59
desso presso ai troni ; ed il maresciallo fa costretto mal-
grailo la grave sua età , malgrado la sua non ferma
salute, di andare alla corte di Francia a giustificarsi ,
rosa che il cardinale di B'ibhifna scrivea nel mese di
luglio i5i8 a Lorenzo de' Medici duca d'Urbino in
termini della piìi grande maraviglia. Gli storici Francesi
medesimi , e tra gli altri il sig. Gaillard , che la storia
scrisse dì Francesco I , si sono interessati a mostrare
r insussistenza di quelle accuse ; pure è costante , che
egli fu alla corte mal ricevuto, e che oppresso dal-
l'afflizione , e dal rammarico, si ammalò presso Char-
tres. Di questo accidente mostrò dispiacere anche il Re ,
ed il Pontefice Leon X col mezzo del suo nunzio , e
con sua lettera, il tenore della quale è stato conservato
dal Murallo , laguossi del modo , con cui quel re avea
trattato , forse per dar retta alle calunnie degli invidiosi
e maligni uomini, un personaggio della condizione, e
dell'età del Tr/\>iilzio, e tanto benemerito della Francia.
Bello è il vedere un Papa interessato ad esaltare il me-
rito , ed a vendicar l'innocenza di un uomo illustre!
Il re spedì medici a visitare 1' infermo , e gentiluomini
a consolarlo , ma non era più tempo. Il magno 'Trìvitl-
zìo dopo avere adempiti tutti i doveri della religione ,
morì il giorno 5 dicembre i5i8 all'età di 'j8 anni.
Né qui si arrestarono le cure , e le sollecitudini pa-
terne di Leon X a favore di quel grand' uomo , e della
di lui famìglia ; giacché pochi mesi dopo egli spedi da
Roma un breve a Francesco Trivuhio Marchese di Vi-
gevano , e Conte di Musocco , dal quale si raccoglie,
quanto grande fosse la stima che quel Pontefice nudriv?
pel di lui avo , le consolazioni , che egli bramava (\\
6o
dare alla famiglia, T interesse , che prendeva ad una
tal perdita , e le pratiche , che egli facea pregio la corte
dì Francia onde premuoverne i vantaggi. Noi crediamo
opportuno di inserire questo breve tanto onorevole pel
Papa , quanto per la memoria del maresciallo Trivulzio,
che serve in qualche modo a completare questo tratto
di storia , intieramente onimesso dal sig. Roscoe. Il breve
è del tenore seguente :
Leo P. P. X.
3, Dìlecte fili salutem et Apostolicam Benedictionem. ,,"
55 Acceptis litteris tuis quibus obitum B. M. Joannis
35 Jacobi Trivultii avi lui nobis significasti , non potui-
sn mus secundum cameni non commoveri praecipua enim
I? charitate illum prosequebamnr , et intimo animi affectu
w cura diligebamus uti nostri et apostolicae sedis observaa-
55 tissimum et familiae nostrae mutua benivolentia devin-
55 ctum j ac omnibus dotibus tum animi tum corporis,
55 quae in egregio militiae duce , tum Domi quam foris
55 desiderar! possunt praestantissimum , cujus praeciara
w gesta sibi gloriam , tibi vero ac posteris tuis decus
?5 compararunt. Sed ubi a dilecto (ilio nostro Angustino
55 Sancti Adriani S. R. Ecc. Diacono Cardinali Trivultio
5» qui tuas nobis litleras dedit de illius catholico transitu^
5» deque tua optima indole certiores facti fuimus, magna
55 ex parte lenita est molestia nostra speramus enim
59 illnm apud Jesum Christum ( quem religione coluit)
55 mercedem gratiaraque inventurum^ et te in conservan-
55 da augeodaqae familia Trivultia illius omnibus in re-
6i^
n bas virlutem afqne prudentlam esse sequuturum. Ve-
59 rum quia haec est humani generis condilio ut omnes
5? moriamur , eaque lege in hunc raundara venimus ,
55 ut ab ilio exeamus , nobilitatem tua horlamur in I)o-
5» mÌDO , ut aniraum a maerore revoces et aequo animo
99 feras , quod necessitati naturae tributum est , divine-
5? que voluntati acquiescas. Diu etenim ac satls vixit avus
99 tuus , quoniara semper cum virtute vixit, neque eum
99 libi perpetuo, sed ad tempus concesserat deus, qui
99 ncque quicquam abstulit tuum , quoniam repetere di-
99 gnatus est suura. Illeque ea jani erat aetate ut imma-
99 tura non sit morte subtraclus , ejusque propterea ab
^99 hac vita discessus non admodum gravis esse debuit.
99 Tametsi avus tuus mortuus non est , dilccte Oli , sed
,59 ab hac mortali ad imraortalem vitara migravit. Qui et
9» in animis ac memoria hominura ob res magnas a se
39 gestas quas nulla aetas obsolelura est, vivit , et Deo
99 Salvatorique suo vivit. Quarum rerum cogitatio , mae-
99 rorem tibi demere potest. Quamobrem dilecte fdi tu
99 in quo charo Nepote et spes et omnis avi tui cura
99 erat posila , cum Dei ac beaedictione nostra praestan-
99 les semitas clara vestigia, insigues virtutes illius , quas
i) tibi cumulatissime ostendit , non lacrimis , sed meritis
99 laudibus , et animarum suffragiis persequaris , teque
?» tali avo dignura praebeas. Nos quidem prò ea charitate
99 qua illum prosequebamur , cammodis et honori tuo ,
99 quantum cum Deo licebit nunqnam deeriraus et qnic-
9» quid per nos cum hujus Saootae Sedis decere fieri
•9 pcterit, nobilitali tuae poUicemur , omnia enim a nobis
59 sperare potes , quae a pienlissimo patre in filium prae-
» stari possunt. Jam,que Charissimo in Chrislo Clio no-
62
i* stro Fraaeorum regi Christianisslmo res tuas commen-
M davimus. Animan) vero Avi tui assiduis praeclbus al-
55 lissirao etiam comraendavimus. Qui sicat illura ea lori-
99 gitudiae dierum opplevit, qua pauci repleri merueruatj
w et eum non mediooriler honestavit et ornavit in ter-
si ris , ita et ejus animae majore in caelis sua pietate
» indulgere dignetur. s»
i» Datura Romae apud Sanctum Petrum sub annulo
55 piscatoris die XXIV. decembris M. D. XVIII, Pontifi-
55 catus nostri anno sexto. n
Evangelista.
A tergo.
9» Dilecto fìlio nobili Firo Francisco Trivullio Mar^
99 chioni Figlevani j et Misochì Cornili, s?
VII.
Mia pag. 32 dopo la nota (i) della pagina precedente.
Gap. XVIII § Vili.
Tutti colerò, che avranno gustato l'esame del proble-
ma storico , se la riforma promossa da Lutero avrebbe
avuto luogo nel caso , che invece di Leon X avesse al-
cun altro occupato la sede pontificia , da noi inserito
nel volume VI. pag. 323 ; non potranno lasciare d' in-
teressarsi all'esame di al'ro piobleuja naturalmente na-
scente dalla nota (i) apposta dal sig. Roscoe alla pag.
3i , e che potrebbe concepirsi in tal modo : se la rifor^
ma medesima avrebbe avuto luogo nel caso j che invece
4i Carlo V , avesse Federico di Sassonia occupato il
63
frano Imperiale. Rammenta inratti 1* Autore in quella
nota uua circostanza beu osservata da tutti gli storici di
quel lempo, che la corona imperiale era stata dagli altri
eletiori olferta a quel Duca , e che egli magnanimamente
la rifiatò. Il re d'Inghilterra mostrava egli pure desiderio,
che Federigo accettasse quella dignità ; il re di Franciaj
non potendola ottener per se stesso , sarebbe convenuto
in questo sentiraentOj e non era forse lontano da un tal
voto il Papa medesimo j al quale solo stava a cuore,
che r impero non fosse conferito a Carlo V, o al re di
Francia.
Sembra a tutta prima doversi supporre, che essendo
Federigo elettore di Sassonia il Sovrano immediato , fd
il protettore di Lutero , egli avrebbe potuto , assumendo
la dignità imperiale, sostenere la di lui causa, promuovere
i di lui iutpressi , rinforzare ed estendere il di lui par-
tilo , e rendere più formidabile alla corte di Roma , ed
a tutta la Chiesa cattolica 1' opposizione di Lutero , e
de' suoi seguaci. Questo infatti è quello, che si immagi-
navano i cattolici di quel tempo, e specialmente i par-
tigiani più zelanti di Roma, i quali , per quanto era in
poter loro, si studiavano di favorire, e di promuovere
la nomina dell' imperadore Carlo V. Eppure, ove si entri
in questa discussione coi veri principi <lplla filosofia, ac-
compagnati dai lumi della storia , si vedrà , che l'unico
mezzo di evitare gli effetti disgraziati , ed incalcolabili
della riforma, di impedire lo scisma, di troncare forse
radicalmente quelle mal augurale controversie , che lace-
rarono per sì li»ngo tempo il mondo Cristiano, sarebbe
state appunto 1' eicvazione di quel principe alla imperiale
diluita.
64
Federico ài Sassonia ì soprannominalo il Saggio , che
durante 1' impero di Massimiliano fu capo sovrano del
suo consiglio, e suo Vicario generale; che governò per
lungo tempo con moltissima prudenza gli affari politici
della Germania , che all' epoca stessa della elezione di
Carlo V molta cura si prese per mantenere la libertà
degli stati ; nomo illuminato e giudizioso , era al tempo
stesso buon cattolico , e lo provano evidentemente le sue
lettere a Leon X , scritte in occasione de' primi movi-
menti dei riformatori, che il sig. Roscoe ha accennate.
Si dice comunemente , e si mette in avanti , massime
dagli scrittori di quel tempo parziali della Romana cor-
te , che egli proteggesse Lutero , i di lui seguaci , e le
di lui opinioni. Questo non potrebbe provarsi in alcun
modo dall' esame degli atti , che passarono tra la prima
opposizione fatta da Lutero alla promulgazione delle in-
dulgenze , e la sua finale condanna ; e tanto è vero que-
sto , che Leon X mandò ancora sul finire dell* anno 1 5 iq
la rosa d'oro benedetta all'Elettore di Sassonia, come
a principe benemerito della Santa Sede Apostolica. Il
»ig. Roscoe medesimo , il quale ha più volte parlato
della protezione accordata da quel Sovrano a Lutero ,
confessa egli stesso nel seguente capitolo XIX, che egli
non aveva apertamente sposato la causa della riforma , né
de' riformatori , e che soltanto non aveva opposto osta-
colo ai progressi delle nuove opinioni. Federico non pro-
teggeva Lutero avanti la sua condanna , non proteggeva
il teologo, non proteggeva l'autore di nuove opinioni:
«gli proteggeva soltanto l'uomo, il suddito, lo scrittore :
e la protezione sua a questo oggetto lin)itavasi, come si
(ì già veduto di sopra , che condannato non fòsse senz?
6S
essere senlito , e senza cbe ad un convenevole esame, e.
ad uà solenne giudizio fossero sottoposti i di lui scritti.
Questo egli fece intendere al Papa colle sue lettere,
questo egli dichiarò agli agenti pontifici , né mai si op-
pose ai mezzi di conciliazione, ohe con Lutero furono
adoperati. Se egli non ricevette con molto favore l'in-
viato Miltilz , ciò fu prodotto da altre cagioni, che quelle
non erano del suo amore per la riforma ; né a M'dtìtz
fu impedito nella capitale medesima di intavolare le con-
ferenze con Lutero , onde condurlo ad amichevole com-
ponimento. Se Federigo altronde prestò orecchio ai ri-
formatori , se egli permise loro di scrivere , e di pub-
blicare ne' suoi slati i loro scritti , se egli permise al-
cune pubbliche conferenze, se e;gli non si oppose ai pro-
gressi delle loro dottrine, e non permise egualmente,
che compressi fossero i loro primi sforzi, e soffocata nel
suo nascere la riforma ; ciò fu solamente , perchè la ri-
forma era in que* tempi da tulli desiderala , ed invocata;
perchè troppo notorio ne era il bisogno ; perchè tulli
bramavano una estirpazione deg'li abusi , che punto non
attaccasse le materie della cristiana credenza ; perchè così
pensavano tutti i più chiari ingegni , e le persone più
illuminate della Italia medesima ; perchè finalmente uou
eravi alcuno , che applaudir non potesse ad un tentativo
lodevole di porre riparo ai gravissimi disordini , propa-
lati dagli scrittori di tutte le nazioni.
Questo era lo stato delle cose al principio della ri-
forma , e questo durò fin dopo la condanna di Lutero
portala dalla Dieta Imperiale sotto Carlo V. Che sareb-
be egli dunque avvenuto, se invece di Carlo V , Fede-
rigo di Sassonia fosse montato al trono imperiale ? Egli
Leone X. Tom. Vili. 5
66
è ben cliiaro a teclersi, che Federigo conserrara ancora
a queir epoca una devozione al Romano Pontefice , che
Federigo non amava le controversie , e che egli avrebbe
voluto o il giudizio nelle forme pronunziato sulle naov»
opinioni j o un accomodamento tra la corte di Roma,
e gli oppositori ; che egli , che avea con tanto accorgi-
mento condotti gli affari della Germania , e durante il
regno di Massimiliano , e nella vacanza dell' Impero ,
non avrebbe voluto giammai esporre quel paese al peri-
colo di divenire il teatro delle guerre , e molto meno
delle guerre religiose ; che egli per conseguenza , tute-
lando da una parte i diritti dell' uomo , la libertà delle
opinioni , e di quelle massimamente , che condurre po-
tevano ad una saggia , e salutare riforma del clero , e
conservando dall'altra inviolata 1* integrità della fede cat-
tolica ,, rivestito della nuova dignità avrebbe promosso
r o£;getto della riforma desiderata , ed avrebbe troncata
la via alla produzione , e propagazione delle eresie , al
nascimento delle sette , all' urto de' partiti , alle contro-
versie indecenti , all' origine , ed alla formazione dello
scisma.
Si può conghietturare con fondamento sul carattere
di quel principe, sulla osservazione delle circostanze,
e sull'esame de' monumenti storici di quel tempo che
egli ben fermo nella sua determinazione , che alcuno
condannare non si dovesse senza, essere dapprima ascol-
talo , avrebbe come imperadore mantenute le più ami-
chevoli politiche relazioni col. Sommo Pontefice , e che
se anche avesse avuto qualche segreta propensione per
le nuove dottrine , egli non avrebbe tuttavia compro-
messo la dignità imperiale per appoggiarle , ed avrebbe
rivolto ogni suo stadio a mantenere la benivolensa ed il
favore del capo della Chiesa, tanto oecessariaineDte conoesiso
Belle sue relazioni col capo dell'Impero. Egli avrebbe pro-
babilmente imposto dapprima silenzio ai furibondi con-^
troversisti , che tanto promossero le disseosioui , e tanto
infiammarono i partiti iu Germania ; egli avrebbe chiuso
r adito a' libellisti di spargere amare ingiurie invece di
sodi argomenti ; egli non aspirante agli onori teologici ,
non avrebbe portato alcuna decisione sulle opinioni
emesse dai novatori , siccome fece all' opposto Cerio V.y
egli avrebbe apparentemente concertato col Papa i mezzi
eli sopire le quistioni , di pronunziare un ponderato
giudizio, e dì separare principalmente ciò che avea re-
lazione semplicemeule cogli oggetti disciplinari , da cip
che involgeva materie di fed»?; egli avrebbe, per quante
può credersi , combinato col Papa le disposizioni neces-
sarie per la convocazione di un concilio , al quale libe-
ramente potessero presentarsi anche le deduzioni dei
dissidenti ; e da questo sarebbe nata la riforma deside-
rata della Chiesa senza danno della cristiana credenza ,
e risultato ne sarebbe onore grandissimo alla (Jhiesa ipe-
desima , e tranquillità al mondo cristiano.
Importantissimo era , che alcuna cosa si concedesse ai
riformatori , giacché la riforma era da tutti desiderata ,
e provocala dagli stessi cattolici più zelanti; e non po-
lca facilmente mandarsi a voto un tentativo incominciato
coir applauso di numerosi fautori: ma Carlo V non
parve disposto ad accordare cosa alcuna neppure alla
forza degli argomenti , ed alla necessità delle circostanze.
Importantissimo era , che non si pregiudicasse e non si
portasse, massime 4a «alcuna autorità laica, alcuna de-
63
cisione su ^i un argomento puramente teologico, e spi-
rituale : e Carlo V decise. Importantissimo era , che
troppo non si comprimessero i partiti già potenti e nu-
merosi, per non eccitare reazioni fui>esle e forse fatali , i
per non ingrandirli, per non irritarli : e Carlo V piegò
subitamente alle vie del rigore , e della violenza. Impor-
tantissimo era il tenere aperte le vie di riunire al grembo
della Chiesa tutti i figlj sviali , e dissidenti : e Carlo V
troncò la strada a qualunque successiva riconciliazione.
Importantissimo era il tenere almeno in sospeso gli ef-
fetti delle disposizioni delia Corte Romana , e le succes-
sive sue operaiioai , finché si fosse potuto nelle debite
forme convocare un concilio : e Carlo V nulla ebbe di
più premuroso che di spedire a Roma la sua dichiara-
zione centra Lutero. Ma Carlo V, oltre la sua naturale
propensione alla religione , ed oltre la sua grandissima
venerazione per il capo della Chiesa, aveva altresì biso-
gno dell' assistenza del Papa ; avea bisogno del suo in-
tervento in molti affari politici, ed anche nella recente
occupazione delle Indie; avea bisogno della investitura
di Napoli , del qnal regno gli si contrastava il possesso
pel supposto ostacolo della bolla di Clemente 1V\ bi-
sogni tutti , e circostanze , alle quali era intieramente
estraneo l'Elettore di Sassonia, il quale colla sua sa-
viezza , colla sua prudenza conosciuta non avrebbe avuto
in vista in quel grande affare se non i vantaggi in ge-
nerale della Chiesa, e dello Slato.
Si opporrà forse da alcuno , che le opinioni , e le
dottrine di Lutero erano già state condannate in Roma,
e che r imperadore Carlo V ^ e la Dieta dell'Impero ,
adunata poco dopo il suo coronamento , altro non si
$9
pensarono Hi fare eco a quella condanna. Ma può rispou-
dersi, che da tutte le bolle Romane, in qualunque forma
esse fossero concepite, Lutero avea appellato al Concilio
generale; e se T imperadore non era giudice competente in
materia di fede, (che certamente non poteva esserlo ) lo
era bensì per decidere a norma delle libertà Germaniche
della validità di quella appellazione. Tale era oltre ciò la
gravità, e l'importanza dell' argomento, che anche per la
conservazione della pubblica tranquillità degli stali, l'im-
peraiJore avrebbe potuto intervenire ail oggetto, che nuo-
vamente si discutesse la controversia, e fosse pronunziato
un solenne giudizio, al quale tutte le parti si rimettes-
sero , del che si potrebbero allegare ben molti esempj.
Basta consultare le storie di quel tempo per vedere ,
che non mai presero tanto vigore le nuove opinioni, non
mai prevalse tanto Io spirito di partito, non mai di-
ventò così generale la lotta , non mai i riformatori sì
portarono a co;ì grandi eccessi , tanto nelle loro opi-
nioni , come ne' loro maneggi , e nel carattere de' loro
scritti ; non mai si reòe inevitabile lo scisma , se non
dopo che Lutero fu condannato dalla Dieta, perseguitato,
costretto ad occultarsi , attaccato in somma coi mezzi
della violenza. Da questi sarebbe stato ben lontano l'e-
lettore di Sassonia , ove assunto avesse la dignità impe-
riale, ed infai'i invece di proleggere apertanoente la per-
sona di Lutero, dacché si era contro di esso proceduto
in modo contrario al di lui avviso , egli non fece che
ordinare il di lui arresto , e tenerlo per lungo tempo
come prigione io un castello tanto per sottrarlo alla
persecuzione minacciata , ed al furore di qualche fana-
tico, quanto per troncare la via a nuove più scand»"
7*
lose contestazioni. Se quel principe avesse accettate rìm-
pero ad esso deferito, la Romana Corte uon si sarebbe
forse illusa sai suoi veri interessi , e su quelli della
Ohiesa in generale ; non si sarebbe lusingata di vedere j
colla violenza compresso il partito , é soffocato quel ter- '
ribile incendio ; non avrebbe creduto opportuno di insi*
stere più lungamente sui punti puramente disciplinari ^
o giurisdizionali ; nulla avrebbe perduto dell' onor suo ,
della sua dignità , del legittimo awo potere , ed avrebbe
probabilmente accordato quelle concessioni , che sostau-
zialmente formavano il primo oggetto della rrforraa al
suo nascere , e che senza punto compro-nnettere le verità
rivelate , avrebbono conservato l' integrità della Chiesa ^
e la tranquillità del mondo cristiauo. Al che è pur ne-
cessario di aggiugnere , che il primo e massimo oggetto
dei novatori era quello della riforma disciplinare , e che
ove questa si fosse accordata , si sarebbe facilmente ri*
«uaziato , massime dai cristiani laici, o non istrutti,
ebe erano i più numerosi alle quistioni teologiche, astrai-
te , e speculative.
Può dunque ragionevolmente conchiudersi , che sic-
come l'elezione di Carlo V ^ la Dieta convocata poco
dopo quell* epoca , e la successiva condotta di quel
Principe, produssero sgraziatamente 1* incremento straor-
dinario del partito della riforma , e la formazione dello
scisma; cosi l'elevazione dell'Elettore di Sassonia alla
imperiale dignità sarebbe forse stata la sola, che avrebbe
troncata la strada a tanti disordini , che avrebbe conci-
liati gli interessi della Chiesa coi desiderj di tutti i «avj
amici della riforma , che avrebbe impedito la propaga-
Ktone di nuove opmioui coatrarie alla fede cattolica j,
7"
che avrebbe impedito in scisma ^ e coDservata la pace
universale , e la libertà della Chiesa cristiana.
Noi abbiamo nel VI. volume esaminata la qnislione ,
se la riforma promossa da Lutero avrebbe avuto luogo
nel ceso, che invece di Leon X avesse seduto iutt' al-
tro Pontefice ; in questo abbiamo parlato di ciò che
forse avvenuto sarebbe se invece di Carlo V fosse *a-
Uto all'impero l'Elettore di Sassonia; nel nono volume,
parlandosi dello slato della filosofìa in Italia in quel tempo
6Ì esaminerà pure guai carattere avrebbe vestito la riforma^
e quale sarebbe stata verisimilmente la sua rìuscii'a , se
in Italia nata fosse e non nel fondo della Germania.
Vili.
Alla pag. 3 5. Un. 6. dopo le parole :
„ professore della letteratura. "
Gap. XVIII. § IX.
Ippolito de' Medici fu nominato cardinale nel 1329
da Clemente VII , che lo spedì tosto legato in Germa-
Dia presso l' Imperadore Carlo V. Gli storici conven-
gono che egli era dotato di uno spirito marziale, e che
amava talvolta di vestire da guerriero, ed in tale abbi-
gliamento dicesi , che egli venisse in Italia precedendo
r Imperatore coi più valenti gentiluomini della sua corte.
Questo cagionò qualche gelosia a Carlo V , che dubitò
non forse il Cardinale lo precedesse affine di disporre il
Papa contro di lui ; egli lo fece dunque arrestare , ma
sentendo , che la precursione non procedeva , se non da
un tratto ^puiloso di qnel giovane , dopo cìi^que giornj
lo rimise in libertà.
La spedizione del Cardinale Ippolilo in Germania im-
mediatarneute dopo la sua elevazione , serve a mostrar*
j>iù improbabile^ se non manifestamente falsa ^ T asser-
zione di alcnni scrittori , che Sannazaro in prese.iza dei
Cardinale Ippol'to si dicesse vinto dal Fracasioro nel
poema della Sifìlide , Sannazaro che morì solo un anno
dopo cioè nel i53o. Questa osservazione serve ad illu-
strare, e confermare ciò che noi abbiamo detto nella
nota addizionale XXXIV. del precedente Volume p. Zzj,
e 026.
Confidando nello spirito guerriero del Cardinale Ip-
polito , il sacro Collegio spaventato per lo sbarco fatto
in Italia dal corsaro Barharossa negli ultimi giorni di
Clemente Vii , pregò qnel proporato di andar sulle
coste per difenderle centra il furore de' barbari. Il Car-
dinal* partì infatti da Roma , ma giunto sulle coste
trovò, che i nimici si erano ritirali, e tornò glorioso
da (juesla spedizione senza aver incontralo alcun peri-
colo.
Le rivalità , che insorsero tra esso , ed Alessandro
de Mediti , e delle quali si è fatto cenno anch° dal
sig. Boscoe ^ laddove ha parlalo del Derni; (Tomo VII.
p. 72 , e ij5 ) ebbero per motivo la preferenza accor-
data dal Papa Paolo III ad Alessandro de Medici nel
principato di Firenze , al quale lo portava la sna smo-
derata ambizione. Comecché dubbio possa sembrare ciò
che si dice nel passo citato di questa storia in ptopo-
jito del Berni , A certo però, che il Cirdinale congiurò
''Pntra la vita di Alessandro ; che si narra perfino , che
il
egli disponesse centro del rivale una mina , che non
riuscì; e che il Cardinale medesimo intimorilo per il
seguito arresto di una delle sue guardie, ritirossi in un
castello presso Tivoli, e (li là fuggir volendo a Napoli,
eadde malato a Itri , dove mori nel i535 in età solo
di ventiquattro , o venticinque anni , se vera crediamo
r epoca , che assegnasi alla sua nascita , sulla quale
nelle mie note al testo ho mosso qualche dubbio.
Dicesi , che egli lasciasse un figlio naturale nominato
Asdrulale de Medici , che fu fatto cavaliere di Malta.
Dii;esi , che portasse abitualmente la spada , e non
prerìdesse gli abiti cardinalizj se non nelle occasioni di
solenni cerimonie. Quello è certo, che la di lui casa
era l' asilo degli infelici di tutte le nazioni , talvolta an*
xìora di uomini coperti di delitti ; che essa era aperta
ai letterati, massime ai poeti , e che egli divideva il suo
tempo tra il divertimento delle caccia , gli spettacoli
drammatici, e la poesia.
IX.
Alla pag. 35 alla fine del § IX. Cap. XVllI.
Sebbene si attribuisca l'elevazione di Alessandro de' Mc'
dici ai maneggi di Clemente VII , che senza dubbio vi
ebbe alcuna parte; sembra tuttavia, che quella fosse
opera particolarmente dell' imperadore Carlo V. Questo
sovrano essendosi impadronito di. Firenze dopo m/ osti-
nata resistenza , credette di po'er disporre liberamente
della sovranità di quel paese, ed accordella ad Alessan-
dro, al quale diede pure in moglie Margarita d'Austria^
74
sua figliuola naturale. E vero bensì , che secondo la ca*
pitolazione convenuta coi Fiorentini , il nuovo Duca noa
avrebbe dovuto essere se non come un Doge ereditario,
e la di lui autorità sarebbe stata temperata da alcuni
consigli , che conservavano in qualche modo un sima-
lacro della loro antica independenza. Ma Alessandro ,
sostenuto dall' Imperadore , e dal Papa , governò piutto*
sto da tiranno che da buon principe , altra regola non
proponendosi che i suoi capricci , e dominar lasciandosi
dalle più brutali passioni. Si dice , che egli si compia*
cesse dì disonorare le più illustri famiglie , e che i
chiostri non fossero on asilo bastevole contra la di lui
libidine.
Non essendo riuscito il tentativo fatto dal Cardinale
Ippolito per torlo di vita, Lorenzo de' Medici, altro dei
di lui parenti , e compagno delle di lui crapule , ecci-
tato da Filippo Strozzi, uno de' più zelanti repubblicani
di Firenze , lo pugnalò nel mese di genoajo del i53^ ,
mentre Alessandro non aveva che veatisei anni. I Fio-
rentini non recuperarono per questo la loro libertà ; ed
essendo prevaluto il partito de' Medici , Cosimo succe-
dette ad Alessandro , ma con un giusto , e moderato
governo seppe riguadagnare 1"" affetto del popolo.
L' intervento potente di Carlo f^ a favore di Alessan-
dro , che realmente lo condusse ad essere principe di
Firenze , può rendere in qualche modo dubbiosa la
supposizione accennata anche dal sig. Roscoe , ohe Ales-
sandro fosse figlio di Clemente VII , giacché quella
supposizione non si appoggia se non all' interessamento
preso da quel Papa per inalzarlo al grado di Duea.
>5
X.
Mia pag. 38 alla /ine del § X. Capo XFIII.
Si tede ben cliiaro da questo tratt» di Storia , o
dalle citazioni del sig. Roscoe , che i Prelati Romani
più giudiziosi avevano già censurato la condotta di
Leon X j e ne temevano ancora effetti più riprovevoli , e
più disgustosi , per titolo del Nipotismo propriamente
detto 3 che l'autore non ha voluto nominare. Questo vi-
zio infatti, o questo difetto ^ questa tendenza a bene^-
care , a favorire j ad inalzare i nipoti , o altri pros«
8Ìmì parenti , con danno spesse volte dell' ordine pub-
blico, della regolare disciplina , e dello stato Pontificio,
e della Chiesa medesima , è stata più volte notata nei
Papi, e con qualche acrimonia rimproverata a diversi
negli scritti de' Protestanti non solo , ma de' Cattolici
medesimi , ed alcuni volumi circolano ancora sotto il
titolo del Nipotismo di Roma , scritti da penna infelice,
ed oscura , ma contenenti molti fatti pur troppo veri 3
ed incontrastabili.
A Leon X può veramente rimproverarsi lo studio ,
mostrato fino dal principio del suo PoatiQcato, di ele-
vare il di lui uipote Lorenzo ad una sovranità ; pQò
rimproverarsi la guerra violenta , mossa forse con que-
sto fine , e difficilmente scusabile sotto altro pretesto
qualunque, contro il Duca d'Urbino; ma ad eccezione
di questi fatti , altri allegare non si potrebbero , che
infetto il provassero di Nipotismo. Checché dica poeti-
camente r ArUst» nella sua satira ^ da noi riferita per
7-6
intiero nel preoedenle volume ; egli fa assai parco hpÌ
promuovere alle prime dignità della Chiesa i di Ini
prossimi parenti , e quelli promosse soltanto j ohe rive-
stiti erano di un merito reale ; egli non si prestò giam-
mai alle viste ambiziose di Lorenzo ; egli no^i attentò
alla libertà , é ad un cangiamento nella forma del go-
verno di Firenze , che forse avrebbe potuto operarsi
senza ^ravi difficoltà ; egli procurò bensì al nipote con
mezzi importuni j se non illeciti j il ducato d'Urbino,
ma non aderì alle proposizioni , né diede retta ai fanta-
stici disegni, che da Lorenzo diceansi concepiti al fine di
riunire alia sovranità di Uibino quella pure di Firenze,
di Siena,, e di Lucca, e formarne un regno, che con-
tribuito avrebbe forse alla felicità dell'Italia; egli final-
mente dopo la morte di Lorenzo nulla tentò , che dir
si potesse diretto alT ingrandinaento della sua famiglia, o
-di alcuno de' suoi parenti , e rigettò 1' assoluto dominio
di Firenze , che ad esso , o al Cardinal Giulio de' Me-
dici era stato proposto , sebbene con una maliziosa al-
ternativa 5 da Niccolò Macchiavelli.
Non abbiamo inserito questo cenno affine di liberare
intieramente il nouìe di Lpon X da quella taccia ; ma
solo ad oggetto di far vedere , che se qualche fonda*
mento ha nella storia la censura contro del medesimo
portala per questo titolo, di eiso non può dirsi tuttavia
giastatneule ciò , che dissero varj scrittori eterodossi , e
Latomo specialmente , ohe scherzando sugli attributi del
Leone, parlò sempre della sua avidità; e molto meno
può dirsi senza dubbio di quello , che rinfacciare pote-
vasi ad alcuni dei di lui predecessori , dei quali abbia-
mo anche parlato altrove , e di quello che divenne o^-
gelco di ceo&ura in varj de' di lui successori.
77
XI.
Alla pag. 4o li'^- 3 e 4 dopo le parole :
„ le circostanze di que' tempi sembravano richiedere. *'
Gap XVIII. § XI.
Lo scritto di Macchiavelli è pieno di filosofia, di
profonda politica , ed anche di erudizione. Ma ciò che
potrebbe desiderarsi in quel discorso, ed a che forse
ha posto mente il sig. Boscoe , è la mancanza di viste
relative allo stato di Firenze , e dell'Italia in generale a
froute delle potenze estere , e dell'Europa, e la mancanza
pure di calcolo dell'effetto politico, che la disposizione
in uno o m altro modo dello stato di Firenze avrebbe
portalo su quel sistema d'equilibrio, che in Europa
erasi di recente stabilito, e di cui sembra che si fosse
piantato il centro in Italia , siccome noi abbiamo altrove
accennato. Macchiavelli sembra non essersi occupato ia
quello scritto se non dello stato attuale della città di
Firenze in que' tempi , e delle sue immediate relazioni
colla famiglia de* Medici ; ma non sembra aver posto
mente alle circostanze , nelle quali trovavasi la persona
del Pontefice, alla doppia sovranità, che in esso si sa-
rebbe cumulala, ove il governo di Firenze si fosse di-
chiaralo dispotico , alla incongruenza di questa riunione
di autorità^ di diritti, di poteri, di rappresentanze in
una sola persona, alla gelosia, che la sola mutazione di
forma di quel governo avrebbe destata nei sovrani tutti
dell' Europa , all' «ffetlo , che avrebbe potuto produrr©
78
r interrento lero in un afrore di tal natura , ed il spio
dissenso di alcuno dei grandi potentati dalla massima
politica, che adottata si fosse a questo riguardo. Per
convincersi dell^ importanza di questi oggetti , basta il
riflettere, che i più potenti Sovrani avevano allora gU
occhi aperti sul!' Italia ; che ognuno portava su questa
regione sfortunata viste d'interesse, e d'ambizione, sic-
come infatti vi scesero di là a non molto Carlo V y e
Francesco I ad una lotta sanguinosa , e memorabile ; e
che mai venuti non erano sovrani esteri coi loro eserciti
in Italia , che contato uoa avessero sulla debolezza ,
«ulla suscettibilità di essere influenzato, insomma sullo
stato sempre incerto , ed oscillante , sullo stato nel
quale allora trovavasi il governo di Firenze. Ma questo
portato alla forma di un governo assoluto, questo in-
grandito , come potea ragionevolmente congetturarsi, col-
r aggiunta di tutta la Toscana, fors' anche di altri stati
limitrofi, e del ducato d'Urbino, che riunito non era
ancora ai dominj della Chiesa stessa, questo riunito nella
persona medesima alla sovranità di tutti gli stati della
Chiesa , ai numerosi fendi della Chiesa , agli stati di
Parma , e Piacenza , che allora non sarebbe forse riu-
scito difficile il ricuperare ; questo confidato con tutti i
suoi accessori ad un Pontefice iiluaiiuato , sagace, at-
tivo , intraprendente , che già avea lottato coi primarj
sovrani , e predicando la pace si era mostrato disposto
a guerreggiare ; costituito avrebbe una monarchia po-
tente , e formidabile , situata nel centro dell' Italia , e
nel punto più essenziale per 1' Europa , circondata di
tutti gl'ingegni più pronti, e più valorosi, fornita di
tytti i mezzi per sosleuere i suoi diritti | e queBtaj,
79
sebben lontana dai confini, traendo necessariamente tulli
gli slati d'Italia al suo parlilo, ed assoggettandoli alle sue
disposizioni, avrebbe chiuso a qualunque estera potenza
l'accesso all'Italia, e forse private le avrebbe di quegli
stati, che in essa possedevano. Meno pericolosa, e meno
soggetta ad opposizione sarebbe stata la restituzione dì
Firenze alla sua Ubcrtà , e massime lo stabilimento di
una temperala democrazia, come Macchiavello l'insinuava,
ma questa pure avrebbe fatto nascere de'dubbj sulla sua
successiva costituzione, sul suo possibile ingrandimento,
e sulla forma, che vestita avrebbe dopo la morte dei
tlue Medici 3 l'uno Pontefice, l'altro Cardinale. Né altre
forse furono le ragioni, per le quali Leon X fa indotto,
probabilmente col consiglio dei politici di Roma più av-
veduti , a non accettare né l' uno né l' altro partito da
Macchiavelli proposto, ma a lasciare il governo di Fi-
renze nello stato nel quale allora si trovava. In Roma
probabilmente si ponderò la cosa sotto tutte le viste , e
si fece attenzione alle relazioni esistenti cogli stati esteri
più potenti , e più lontani , ed agli effetti , che avrebbe
potuto produrre la loro gelosia , e la loro opposizione.
Macchiavelli f che in questo più che in altri suoi
scritti sembra aver fatto conto dei grandi prlucipj della
politica d'Aristotele, s'attenne alle generali teorie; esa-
minò i pericoli , che correr possono i governi monar-
chico , e repubblicano; escluse ben con ragione qualun-
que forma intermedia , e dopo di avere proposto al
papa i due estremi, si diede a considerare le partico-
lari circostanze della città di Firenze, e dal principio
dell' eguaglianza , che già vi esisteva di gradi , e di ric-
chezze , partì per insinuare al Papa di ristabilire in Fi-
8o
renze una libertà temperata, senza farsi alcun carico di
altri oggetti, o di altre viste, che entrar potevano in
quella discussione. Forse al Segretario Fiorentino fu
fatta la domanda in termini più precisi, e più ristretti,
che non sono a noi noti ; e v' ha motivo di dubitarne
al vedere , che il titolo del discorso si limita solo al-
l' oggetto del riformar lo stato in Firenze. Forse il de-
stro politico non vide alcun pericolo nella sua democra-
zia temperata ; che avrebbe per avventura ricondotto
Firenze allo stato nel quale allora si trovava, e credette
di insistere con argomenti tratti dalla storia, e dall' elo-
quenza su questa seconda proposizione , e non dubitò
nemmeno , che si potesse discutere , non che abbrac-
ciare la prima , quella cioè di un governo dispotico ; e
questo motivo lo trattenne dairesamiuarne a fondo gl'io-
convenienli , gli ostacoli , e le conseguenze pericolose.
Il punto politico del pericolo imminente alle repub-
bliche per una tendenza del popolo verso la monarchia,
accennato da Macchiavp.lli , è stato io modo singolare
trattato da Ciriaco Lentulo, o forse da alcun altro sotto
quel nome , in un libretto curioso , che ha per titolo :
Cyriaci LentuU Jugusfus , sive do convcrtetida in
Monarchiam /ìppublica , stampalo in Olanda verso la
metà del secolo XVII. Vi si trova l' argomento illu-
strato con moltissima storica erudizione.
Di Maofhiavelli , e degli altri di lui scritti, si par-
lerà lungamente nel Tomo X di quest'opera. Gap. XXL
^ XI. Xil . e XIII.
XII.
Alla pag. 4^ lì^- 14-15 dopo le parole:
,, il periodo più luminoso della sua vita. *•
Gap. XVIII. § XII.
Il sig. Roscoe ha fatto un quadro molto onorevole
<^ei talenti , e della moderazione , sviluppata dal Cardi»
pale Giulio de' Medici nel suo governo di Firenze. Pur
tuttavia egli affettò , per quanto appare , un rigore
straordinario, diminuì a tutto potere que' languidi re-
sidui di libertà , coi quali il popolo si illudeva ; com-
presse con qaalolie violenza le fazioni , e diede motivo
in un breve periodo a sollevazioni , e congiure , di una
delle quali ha fatto menzione anche il sig. Roscoe ,
parlando delle avventure , che condussero Luigi Ala^
manni in Francia. Gli storici F"iorentini non sono ben
d' accordo sulle lodi ^ che si sono date da alcuni al di
lui governo , ed altronde non sarebbe difficile il ricono-
scere tra questi i partigiani dichiarati dei Medici.
Può essere , che quell' uomo , che tutti hanno carat-
terizzato 3 come falso politico nel corso del suo Pontifi-
cato , e solilo ad ingannarsi ne' suoi calcoli ; incapace
fosse di raggiugnere col suo pensiero i grandi sistemi ,
e le viste sublimi della scienza di governo, ed atto fosse
all'opposto alla amministrazione limitala di un municipio ,
0 di un piccolo slato, diretta anche e sorvegliata di conti-
nuo, come il sig. Roscoe lo ha espressamente fatto sentire
^alla corte di Roma. Quanto all' aver egli diminuito^
Leone X. Tom. 7111. ^
83
sensibilmente la somma del debito pubblico , ed all'aver
riempito il tesoro, titoli di lode dal sig. Roscoe annun-
ziati ; questi fatti non debbono generar meraviglia , giac-
che si sa , eli' egli era per carattere d' una straordi-
naria economia , che quasi arrivata alla sordidezza. Si
narra, che un giorno gli si parlasse, come di cosa ma-
ravigliosa , di un cittadino di Roma , che passali avea
Tenti giorni senza prender cibo: n peccato , diss' egli,
che non si possa formare un* armata d' uomini di que-
sta fatta : <■<- il che veramente egli avrebbe potuto dire
per sola piacevolezza , ma alcuni storici , fanendooe una
applicazione al noto suo carattere j lo interpretarono per
un sentimento d'avarizia.
Dal resto noi lo abbiamo veduto nel corso di questa
storia spedito dal Papa a comandare l'armata diretta
contro il duca d' Urbino . dopo che Lweiizo de' Medici
era rimasto ferito sotto la fortezaa di Momlolfo CTom. VI.
pag. 4^0 e \')j' Il Cardinale Giulio sopì, è vero, o piut-
tosto impedì le contese , che suscitate eransi tra diversi
corpi di truppe, e tra i soldati di diverse nazioni, che
militavano al servizio del Papa, ma scontentò tutti ,
produsse una diserzione fatale , per cui i corpi interi
paìsavaao al servizio del Duca nemico , disorganizzò
tutta r armala , e f u egli stesso in grandissimo pericolo
delia vita.
XIII.
Alla pag. l\Q Un. 19 dopo le parole :
„ riseibata a più alti destini. "
Gap. XVIII. § XIII.
Non sono ben chiare alcune enunciative di questo
paragrafo. Dice T autore , che la giovane figlia di Lo-
renzo avea dopo la morte del padre diritto allo scettro
ducale ; ma che si prevedevano gli svantaggi, che de-
rivar potrebbero da un tale governo , e ohe Cattarlna
era riservala a più alti destini. Che essa succeder dovesse
a Lorenzo nel ducato , non risulla veramente dai docu-
menti inseriti nei codici diplomatici , ed improbabile
sembra che si accordasse il trapasso nelle femmine di
un dominio conceduto colla riserva del vassallaggio verso
la Chiesa^ ad un principe ch'era iu quel tempo capitano
generale dell* armi Pontificie. Che si potessero altronde
prevedere degli svantaggi da una reggenza , che si sa«
rebbe dovuta inslituire durante la minorità di Cattarlna
ed alla testa della quale si sarebbe posto il Cardinale
de' Medici, o altra persona benevisa al Papa; sembra
affatto improbabile , ne saprebbe ragionevolmeule spie-
garsi quali svantaggi si temessero , giacché quel governo
sarebbe proceduto in uno siile medesimo , e forse an-
cora con ordine migliore , che n«n era sotto Lorenzo-
Più improbabile è ancora, che di Cattarlna, che allora
non avea più di un anno d' età , si pensasse già di fare
«na Regina di Francia, e che es^a potesse dirsi in quel-
r epoca riservata a più alti destini. Niente implicava
ioeltre per quest'oggetto, che invpstita essa fosse de'
84
ducalo (\\ Urbino; anzi dotata di tin titolo di sovranità,
si sarebbe forse considerata più disposta, più adattata,
più vicina a divenire la sposa del figlio di un poteutc
Monarca
Il ()iù verisimile è che allora punto non si pensasse allo
stabilimenio di Caf tarino , che non fu fatta sposa del
Duca d'Orleans, se non negli ultimi anni del Pontificato
di Clemente VII, cho morì nel iSó^: e che essa non
fosse abilitala a succedere al ducato d'Urbino, accordato
in pieno concistoro al di lui padre, allora generale del-
l' armi della Chiesa ; dominio , che i Medici non si sa-
rebbero lasciati cosi facilmente sfuggire dalle mani , se
{osse stato possibile il conservarlo; che la giustizia, l'e-
quità, fors' anche la pubblica voce riclamassero alta-
mente la riunione di quel dominio al territorio della
Chiesa , perchè colle armi della Chiesa era stato con-
quistato, e dissipati si erano i tesori della Chiesa in
quella mal intesa spedizione ; e che quindi il Papa , ri-
chiamato fors' anche dalla morte del nipote a più gravi ^
ptù scrii , e più giudiziosi pensamenti , dopo aver asse-
gnato una porzione di quel territorio in compenso ai
Fiorentini per le spese da essi fatte nella guerra , cosa
alla quale non si era avvisato dapprima , riunisse il ri-
manente, affine di chiuder la via a qualunque reclama-
zione ai domi) j della Chiesa,
Non entreremo nella quistione troppo dilicata , se più
onorevole non sarebbe stato per il Papa la restituzione
di ffiiegU stati al legittimo loro Sovrano , di quello che
sarebbe slata umiliante per il Papa medesimo la confes-
sione , che fatta avrebbe colla restituzione suddetta , d^
«ver commesso un atto d' ingiustizia uelT espellerlo..
APPENDICE.
DOCUMENTI RARI O INEDITI
CHE ILLUSTRANO
LA VITA ED IL PONTIFICATO
DI
LEONE X.
87
CONTINUAZIONE DE' DOCUMENTI
CHE ILLUSTRANO
IL SESTO VOLUME.
N. CXXXVIL
( Voi VI. p. 9. )
R^mer , Foedera. tom. VI. par. I. p. 109.
Promissio Spcretarli Ducis Medìolan'' prò 10000 Ducei.
soh'eridis singulis Annis Cardinali Ehoracensi.
Ego Michael de Ablatis Secretarius Illustrissimi Ducis
Ulediulani promitto et obligo Me, ex parte dicti Illu-
strissimi Ducis Domioi mei , quod Decem Milla Duca'
torum fideliter in Anglia persolventur Revereudissimo
Domino Cardinali Eboracnsi j secùndum promissuiu
quod ex commissione dicti Illustrissimi Ducis mei Domi*
nationi ejus Reverendissimae feci.
Persolventur autem singulis annis vivente praefalo II-
lustrirsirao Duce , et succedente in Principatu ipsius Pi-
llo vel Fratre.
Et prima solutio inclpiet postquam praefatns Illustris-
aimus Dux meus sit liberatus a qaolestiis Gallicis, et sit
«ecuras de Statu suo.
Et dictus Reverendissimus Dommus Cardinalis prt,-
KÌttet quòJ erit perpetua et iaviolabilis araioitià ioler
Invinti>8Ìmura AngUae et Franciae Begem , et dictnru
Illustrissimum Dominwm meura , mediante praefato Re*
Terendissiaio Domino Cardinale.
In cu)us rei Fidem haac Cedulam manu propria scripsi
et subscripsi.
Ita est , idem Michael mauu propria scripsi et sub-
scripsi.
N.« CXXXVIII.
( Voi. VI. p. 36. )
Leoni j vita di Francesco Maria Duca J' Urbino.
Ven. i5o6.
Lettera di Francesco Maria Duca d' Urbino , al Sacro
Collegio da Cardinali , a Roma.
RevereDdissimi Domini mei osservandìssimi. Io mi son
persuaso sempre che la mia così lunga perseculione ,
che m' ha posto in tanti pericoli , non habbia però mai
havuto forza di mettermi io disgrazia delle SS. VV. Re-
Tcrendissime , e farmi gli animi loro nemici : anzi sott
ben cerio 5 che elle sempre m'habbiano havuto compas-
sione , e sonsi dolute delle mie disgralie. Et io in tante
mine non ho sentito refrigerio alcwno , se non la opi-
nione ferma tra me stesso , che cotesto sacro Collegio
(i) Manca la data in questo, come io molti alici atti di /!/-<
mcj-j ma può credersi del i5i5, o j3i6.
89
giudicasse , che io non fussi degno io modo alcuno di
tal perseoulioae. Però esseadoli io humilissimo servo et
ubidiente come sono stato sempre, e sarò finché mi
duri la vita, mi tengo obligato a render loro conto di
ogni mia attiene , et escusarmi di quello di che forse
dai malevoli miei io potessi essere imputato appresso le
Signorie Vostre Reverendissime, nelle quali ho posto la
speranza di ogni mio presidio. Penso adunque , eh' elle
havranno inteso questo mio nuovo movimento con genti
verso lo Sialo mio : il che è causato non da voler di-
sturbare né travagliare le cose della Chiesa, né esserle
mai molesto in parte alcuna ; ma più tosto per com-
mettere la vita mia all' essito della Guerra, la quale ia
questo caso spero , che sarà Ministra di Dio , et egli la
governerà con la briglia della ragione in modo , che sì
come la mia ionocentia è nota al cospetto di Sua Di-
vina Maestà , così sarà ancor manifesta a tutto il mon-
do. E con questa confidentia mi movo non per teme-
rità , o presontione , che ben posso esser certissimo ,
che non che le mie forze , le quali hora son quasi nulle,
ma ne ancor quelle di qual sia grandissimo Rè non ba-
sterieno per resistere alla po-tentia di N. S. collegato con
tutti i Potentati , et Re Christiàni. Ma Dio che è Rè
dei Rè , e può ogni cosa , potrà ancor soccorrere me in
questa calamità , e così spero sarà mio defensore : per-
chè esso il quale vede 1* intrinseco de' cuori degli huo-
mini sa , che uiun' altra via né di riposo né pur di vita
m' era restata. Però che essendomi ridulto in Mantoua
appresso l' illustrissimo Signor Marchese mio suocero , e
quasi postomi volootariameote in prigione , havendo per-
dale tutte le fortezze dello Slato, e quaato io teneva al
90
Moneto , e volcntlo anco promettere a Nostro Signore Ai
non innovar cosa alcuna neilo S ato mio p-er disturbat-ne
il Nipote a cui Sua Santità l' haveva dato, ma solanaente
defiderando di vivere, mai non ho potuto ottenere, che
le censure mi sieno levate , anzi sempre contra me sono
usciti novi , et acerbissimi Interdetti , et espressi com-
mandamenti all'Illustrissimo Signor mio Suocero, e Pa-
dre j che non mi tenga nello Siato suo. Et oltre a ciò
ogni di mi si sono scoperte insidie di veneno, e di ferro^
le quali «ulte attribuisco ai miei malevoli , non alla San-
tità di Nostro Signor , che so bene essere impossibile ,
che con la clementia, e bontà sua fosse congiunta una
così ardente scie del sangue mio , et una cosi perfida
ingratitudine contra di me j dal quale (lasciando le cose
più vecchie, che facilmente si scordano) Sua Santità,
e tulli i suoi hanno ricevuti infiniti benefici in quei
tempi che la Casa sua era ne' termini , in che bora ha
posto me. Ma quelli che hanno procurato, e tuttavia
procuravano la mia ruina , procurano ancora 1' infamia
di Sua Santità; e credendo lor quella tanto come fa,
à me era necessario per vivere di andare in Turchia,
Sforzato io dunque da queste cause mi son posto à ve-
nire verso Ca?a mia con opinione che se bene la morte
me ne seguisse, non me ne debba seguire almeno in-
famia. Che se à Sua Santità essendo Cardinale con isti-
niation grandissima , e con modo di vivere in dignità fit
lecito far una tanta, e così crudele occisione in quella
povera Terra di Prato per entrare nella Patria sua com©
Cittadino, della quale egli era in esilio; molto più debba
esser lecito à me, esule non d'una Città ma di tutta
Ghristianilà , e privo non che delle Dignità temporali ^
9^
ma quasi del vivere , e de' Sacranienli della Chiesa , e
del Commercio degli huomini in tina così atroce perse-
cutione , nella quale centra Io Stalo, e la vita, e l'A-
nima mia si adopfrano T Armi Temporali, e Spirituali,
essermi lecito (dico) cercare d'andar nella Patria, della
quale, e per giudizio di tutti i miei popoli , e d'ogni
altro , eccetto che di Sna Santità , sono legittimo Signore.
Supplico adunque le Signorie Vostre Reverendissime per
quella misericordia, che si deve à coloro, i quali sono
posti in calamità senza colpa , che si degnino trovando
qualche modo, ò via di mitigare 1' animo del sommo
Pontefice , essere mie protettrici , eh' io non posso sti-
mare l'autorità loro, e la naturai bontà di Nostro Sig,
con la innecenlia mia non debbiano spez7,ar la durezza ,
che neir animo di Sua Santità hanno edificata le labbra
inique, e le lingue dolose de' miej avversari. Et io per
ricuperare la gratia di quella nou ricusare sorte alcuna
di sommissione, o ancor di pena sopportabile. E se pure
io non merito di ottenere da lei misericordia , degninsi
almeno le Signorie Vostre Reverendissime favorirmi taci-
tamente con gli animi, e pensieri loro, a raccomnian-
darmi con ef&cacia alla infallibile bontà, e giustizia dì
Dio. E se li miei successi saranno prosperi ( com' io
spero) riconoscerò lo Stato , e la Vita dalle Signore
Vostre Reverendissime , eoa opinione , che la Maestà
Divina habbia esaudito i loro giusti desideri , e per li
loro meriti m* habbia havutQ in protettione. E cosi pa-
rimcnte se le mie picciole forze non saranno oppresse
dal gran cumulo della Potentia di N. Signore accompa-
gnata dall' Arme spirituali , e da quelle di tanti altri
Prencipi , sarà miracelo espresso , e biaoa testimonio che
k
r innocentia mia , condannata da gli huoniiói io Terra j
sia da giudice maggiore e più giusto assolata nel Cielo.
Et alle Signorie Vostre Reverendissime humilmente ba-
ciando le mani, di continuo in buona gratia loro mi
raccommaado.
N.C' CXXXIX.
( ni FI. p. 38. )
Hjmer Foedcia. Tom. FI. p. i35.
Papa ad Regein , prò Subsidio contra Hostes Ecclesiaet
Charissime in Christo Fili noster, sahifem et Aposto-
ììcam Eenedìctioiìem.
Non veremur ne Majestas tua nostram , quam de ea
capimus fìduciam , in optimam partent non accipiat ejus-
dem Fidei et maximi amoris quo illam semper prosecuti
sumus :
Et quia esistimamus prisliuum illum suum animurn
Sedi Apostolicae durisslinis in rebus subveniendi perstare
iu eadeni voluntate , auctaraqùe potius ejus animi ma-
gnitudinem fructu tautae gloriae quantana ex similibus
actionibus alias consecnla est quàm diminutam esse ;
Nos quidem certe , quamquam maxiuiis nostris et ejas-
dem Sanctae Sedis angustiis difficultatibusque pressi ad
Lune diem usque , nihil Tibi oneris imponere , uullam,
Majestati tuae iuferre molestiara susliauimus , non de
93
tua volnnlale , pietate erga nos et eandem Se(!em bene*
volentìa Hubitanfes, sed quod in Te oertissimuoi rerum
nostianim perfugium usqne ad extremam necessitatem
volnimus esse illibatum atque intactinn.
Wunc vero cuperemus le cernere ocuMs, quibus rapinig
et depopulalionibus j quanto furore et scelere perditoranj
et nefariorum Horainuni Status Ecjclesiasticus hujusque
siiDuI Sanctae Sedis Dignità» vexetur , laceretur, diripia-
tur : ciìna nihil Latronum avaritiae libidini crudelitati
obstet ; non pudor a slupris iiefariis , non Reb'gio a Sa-
cris et Locis et Rebus violandis , non naisericordia a
caedibus Eos cobcrceat, qnae Nos ut reprinoereraus ex-
hausitnus jam omnia fere et hujus Sanctae Sedis et eo-
ruin qui communem Rem Ecolesiasticam ita afflictam
dolent subsidia , né quid de nostra Dignitate decedere-
mus , né sceleratis Hostibus facilem cursura guae impro-
bitatis faceremns.
Sed cùm, si volumus salvam Ecclesiaslicam esse Rem-
publicam majore conatu et viribus nobis opus sii , uni-
que , inler Reges Chrislianos Principes , tuae Majeslatì
praecipuè confidamiis, petimus a te et hortamur lìlaj'e-
statein tuam in Domino, summoque affectu requirimus,
ut , quod alias consuevisti , tuique praestanlissimi Animi
est propriuin , subvenire in lautis angustiis , difficultati-
busj indignitatibus buie Sanctae Apostclicae Sedi communi
Matri Fidelium cunctorum tua cura, prudentià , opibug,
facuìtalibusque quampiimùm velis.
Qucm autem in modum et qua polissimum ratione vi-
4eatur expedire et tua Majcstas prò sua prudentia cogi*
tabit , et Dilectus Filins jVicoIaus ScoTnber Ordìais Prae-
^icaterum nosler Familiaris j i»tuo hac praecipuè de causa
94
missus 3 cum eadem communicabit ; cui eam nostro No-
mine alloquenti Majestas tua fidem suramam adhi bendo
ita secum reputabit , neque hoc majus erga Nos beoefi-
cium ab ea prolloisni posse neque ipsins laudi et nomini
inagis honorificnm foce quioquam, qnàm si ad suam pe-
culiarem Virtutem et Gloriam se converterit , praestare
Sanctam Romaaam Ecclesiam ab Insidiis et Latrociaiis
Impiorum Salvam atque Tutara.
Dat Eomae apud Sanctum Petrum , sub annulo Pi-
scatoris, die vicesimo Junii millesimo quingentesimo de-
eimo septimo , Ponlificaiùs nostri anno quinto.
Ja. Sadoleius.
Carissimo in Christo Filìo nostro Henrico Regi Àngliae.
N°. GXL.
( Voi ri. p. 42. )
Leoni , Vita di Fr. Maria Duca d' Urhino.
Commissione à voi Capitano Suares, et Oratio Florido
tli quanto in nome mio harrete à procedere , e far in-
tendere all'Illustrissimo Signor Lorenzo de' Medici.
E prima. Essendo che non poca laude si conceda à
ciascuno Preucipe , che per qual causa si vogli farci
Guerra, quando si sforza che con meno sangue, e danno
del Paese, che possibile sia, si ponga fine alla sua in-
t'entione ; e tanto più quello, che pure si persuade do-
9^
verne restare patrone. Nel qsal concetto persuadendomi,
eh* el prefato Signor Lorenzo sia , ingannalo forse più
presto dalla fama , che dalla conscienza ; ho pensato cosa
all'uno, et all'altro di noi convenientissima. Perche se
tanto lui desidera questo Stato , come la passata e pre-
sente Guerra mi dimostra , gli sia carissimo trovare mo-
do j che con prestezza , senza piìi grave peso di questi
popoli, mostrando il valor suo, e delle sue genti à sa-
tisfarsi. E però per tal rispetto a voi Capitano Suares ,
et Oratio, commetto, che espeditamente lo dobbiate chia-
mare à combattere in luogo qual voglia à IIll. mila per
mi mila ; o III. mila ; o II. mda ; o mille ; o cinque-
cento; o cento; o venti, o quattro, et il minore nu-
mero che gli piaccia, purché ciascuno di noi ci intra-
vengbi , e che siamo a piede con arme da Fanti e [)iedn,
come vanno alla Guerra. Et in ultimo se vuole ambfdui
noi soli eoa arme , che con prestezza trovar si possa ,
più mi f:a caro; e dove, o per la prigione, o per la
morte di uno di noi il vincitore con più satisfatlione
d'animo darà fine al suo disio, et al languire di molti.
Giudico dunque che per il valore di sua Signoria , e
<li molli che gli sono appresso, ohe fanno la medesima
professione di honore , queste ragionevoli offerte gli sa-
ranno carissime ; però al vostro ritorno mi riportarete à
qual più esso si risolva, acciò possa dal canto mio espe-
ditamente provedermi. Mando il termine di tre giorni
per la risoluta disposta aggiongendo ancora al combattere
del numero grosso piacendogli fare combattere CCC
Cavalli Leggieri con altritanti delli suoi pure alla leg-
giera accappati dalle Compagnie, cioè che ogni Capitano
«e elegga tanto numero della compagnia propria e noa
96
d' altrove , cL* arriva alla somma Helii CCC. con Lancia ,*
Spada, Fagliale, e Mazza. E quando le sopradette con-
^itìoni non gli piacossero ( il che non credo ) vi ricor-
darete offerire, combattendo con detti CCC. Cavalli ^ e
con tutte I nostre Fanterie, et altrilanti delli suoi Fanti,
di vantaggio gii darò cinquecento, e mille Fanti più,
armati però tutti secondo il costume della Guerra tra
Fanti à piedi. Et il presente memoriale in mano di Suq
Signoria lasciate.
( Voi VI p. 44. )
Ex Orig. in Arcliiv. Bei puh. Florent.
Reverendissimo in Cbri^to Patri , et domino D. Julio
Diacono Cardinali de Medicis S. Romane Ecclesiae Vice
Cancellario observandi'?si(no.
Reverendissime io Christo Pater, et Domine D. pla-
rimum obàervandissime. Lo exliibitore presente sarà el
nostro M. Jacopo Silvestri , quale farà intendere a V. S.
R. el desiderio mio , et quanto mi occorra, che in sum-
ma è , che quella se degni consentire , che 1* nostro Prete
Francesco da Civitella habbia un certo beneficiolo posto
in fra le nostre possessioni sopra L' Olmo a Capello ,
come particularmente dal prefato M Jacopo essa inten-
derà. Il perchè prego V. S. R. gli piaccia non solamente
prestarci io ciò ci suo consenso , ma ancora pigliara»
•I
97
per amor mio cura particulare , perchè in vero la fede,
et servitù sua verso di me ricerca oioUo più , et se beae
el beneficio predecto è di pocho momento , lo estimo
nondimeno quanto fussi de valuta per ogni rispecto , et
però quanto più efficacemente io posso , la supplico me
ne facci grafia , ascrivendolo al cumulo degl' altri obbli-
ghi , ho cum quella infinitamente.
Per commissione del nostro Illustrissimo Signor Duca,
io questo momento mi parto alla volta di Cortona per
conferire cum la nostra compagnia j dove sua Excellentia
mi ha ordinato , che a Dio piaccia per tutto darci Vi-
ctoria , quale col suo benigno ajuto s' bavera indubitata-
mente, se ciascuno farà el debito suo. Prego V. S. R.
se degni dì core ricomendarmi alla Santità di Nostro Si-
gnore e alla Excellentia Madonna Alfonsina , et a V. R.
S. quanto più posso humilmente mi raccomando , quam
Deus , etc.
Florentiae ii. Junii mdxvii.
E. V. R. Servitor et filius '
Joaones Jo, Medicea,
hìLom X. Tom mi
98.
N.° CXLII.
( Vul VI. pag. 55. )
Bjmer , Foed. toni. FI. part. I. p. i34-
Carissime in Christo Fili noster , Salatem et Aposto-
licnm Benedictionem,
Cam cornperiisseimis Dilectos Filios nostros, Bpndi-
nelluin t'ituli Saiictae Maria" trans T'òeri/n Preshiterum,
et Aljonsuin Sancti Theodori Dìaconuin , Cardinales ia
vilam uostram conspirasse, deqiie nobis dolo malo occi-
di'udis tractavisse , hodiè detiaere eos jussimus j detea-
to-que in A oc nostra Sancti Angeli asservari , dùm au-
tentici processus super eo scelere juste ac legitiiriè for-
mari conficique possent ;
III volu'nus Majeslaù tane nofnna bis nostris Literis
facere ; ut sciat qua de causa ad Deteniionem islam de-
venerimns : cui etiam processus ipsos transmitti curabi-
mns , cùiD primùm erunt ooufecti ; quemadmodum cum
Venerabili Fratre Episcopo fVigorniensi , Oratore apud
DOS tuo , loquuti sumus.
Datum Romae apud Sanctum Pelrum , sub Annnlo
Pjscaforis j die decimo nono Maii , millesimo quingente-
gimo decimo seplimo , PoatiGcatiìs nostri Anno quinto.
Bembus.
Carissimo in Christo Filio nostro Jienrico Angliae
Regi Illustri.
99
N. CXLIII.
( Voi FI. p. 6i. )
Rymer, Foed. toni. FI. pari. I. p. i4i.
Cardinalis de Medicis Litera super Privatione
Hadriani.
Reverendissime in ChrJ.^to Pater et Domine mi Colen-
dissime humillimns Commendatinnes.
Quanti semper j prae caeleris , fecerit Sprenissiraani
AvgloTum Regis Majeslatera Sanctissimus Dvminiis no-
iter , quamque cupiat ut mutua inter Se benevolentia et
ìs amor , quo praedic/us Bex uuiversam Fainiliam no-
strani semper est prosequulus , non conservetur modo^
verùm «tiam in dies augeatur , niullis et illis non obsoa-
ris argumentis hactenus cognoscere licuit, quorum i?e-
verendissima Dominatio vesfra bona in parte conscia egre-
giara Majestatis suae Fidena facere poterit.
Quoniam vero in amovendo ex Collegio nostro Do-
mino Hadriano olini Cardinali aliquanto seriiàs quàm for-
tasse sua Majestas voluisset Res peracta fuit , si quis
forte minùs redo sentiens interpretetur noluisse Sanctis-
s'imum Dominum nostrum , Serenissimo h'egi Morem ge-
rere , is tota prorsùs veri aberrai via, neque vero ua^
quam Sanctiss/mus Domina<: nosttr alterius mentis fuit,
sed magni momenli negotiura non erat nisi mature et ut
Juris forma postulai conducendnm est.
Igitur hgdierno Consislorio Domìnus Hadrianns nuper
JOO
Cardlnal'S » S?cratÌ88Ìinfiram Patrnm grernio sevulsus,
et ob sua tara mala merita jure Exaucloralus , in quera
quia nou nisi legitimè Processum fuit , idei reo nullus
quaralibet maligaus aestimator poterit objicere Hadrianuni
SiUt Sanctlssimi Domini nostri , suapte natura clemeutis-
6Ìmi , odio aut Serenissimi Regis cestri extimulatione ,
ged propriis suis raeritis poenas dedisse,
Ipsius vero Ecclesiae Provisio differelur , donec Maj'e-
stas sua id quod Re'^erend'ssima Dom'natlo vestra opù-
B\è novit Sanctissimo Domino nostro signirieaverit.
Haeo fuit^ Reverend s<!ime Domine, hujus tàm neces-
8ariae qnàm prudentis cunclalionis causa ; quàna , etsi
puto Reverendura Patrem Dominum Fpiscopum fVigor"
niensem , qui majoreve cuti prudentia an gratia et de-
xteritatp prò Serenissimo Rege in Vrhp Oraiorem agit, ple-
niù- sig iific^turum, Oratam famen velim R "verendi ssnuain
Dovi nationem ve s tram , dign^tur ptiam ipsa Sanctissìmi
Dimini nostri et meo Nnmiue Serenissimo Regi , apud
quem pluriiiuTn et Gratia et Auctoritate pollet , decla-
rare ; Et iusupe'- uihil esse in quo Sanrtìssimus Domi-
nus Ipsi satisfaoere non sit paratus ; Domum vero no-
stram esse ita Mijestati suae addictam , Ht non minus
de ^ob s quàm de ?uis Siblitis disponere possit.
Benevateat Dom'nat'O vestra Reverendissima , cui Me
burnii me commendo et ofiero.
Romae in Palatio Apostdico , quinto JuHi , Millesime)
aniogentesimo decimo octavo.
Reverendissimae Dominationìs vestrae
Eumilimus Servitor ,
Ju. VjCECANCEi
fot
N". CXLIV.
( Voi VI. p. 65. )
Lettere di Principi, voi. I. p. ai.
Al Cardinal de' Medici.
Il Christianissimo oii comanda , eh' io voglia ia nome
suo raccoramandare a N. S. et a V. S. Reverendissima,
Il Reverendissimo Cardinal de Sauli , parendogli impos-
sibile , per l'iuformationi , che ha havute sempre, della
buona qualità , et virtù di sua Sìg. che quella possi ha*
ver pensalo , non che tentato , cosa che non meriti et
raccommendatione da sua Maestà , che sempre 1' ha te-
auto per buon'amico, et perdono da Nostro Signore ^
al quale s' è mostro sempre obediente servitore ; et che
quando anco vi fosse qualche parte d'errore, pure che
non fosse maggior di quello può essere la misericordia
di sua Santità, che la preghi, per esser d'una patria
subietta, et di famiglia tanto grata a sua Maestà, che
gli lo voglia per amor suo perdonare , mostrando gran-
dissimo desiderio d' ottenere tal gratia da sua Santità ,
et infendere, mediante 1' auttorità di Vostra sig. che'I
detto Reverendissimo sia reintegrato nell'amore, et gratia
di Sua Beatitudine , etc.
Da San Quintino, alli I2. de Giugno, m.d.xvii.
Di V. Illustrissimo et Reverendissimo Sig. Devotissimo
•Servitore ,
Il Vescovo di Baiusa.
]N°. CXLY.
( Voi. VI. p. 68. )
lijmer^ Foecl. tom. VI. par. I. p. i34.
Pro Cardinali Sancii Gcorgii , de intercedendo.
Sacra Regia Majestas , post hutT^iliimas Commendatioae&.
Pridie , prò ea fide , observantia , et devotione , qua
Sublimitatem veslram seruper prosecnli sunius , proque
ea Pielate atque animi magniludiue qnà eandcm exoellere
ac pollere nou ignoramus , scripsimus Celstitiidini ve-
strae Patrunm nostrum Pieverenriissimnm Dominum Car-
dìnalem Sanct'is Georgli , Saactissimì Domini nostri Pa-
pae ac Sanctae Romanae Eadesiae Gamerarium, fuisse
Delentura in Palalio a saa Beatitudine , neque causarti
idlain tantae rei esplicare potuimus, cum eodem momento
quo detenlus fuit, scribere coacti fuerimas.
Nuac aulem né, quod postea successerit, praeteriisse
•videamur, causam «sse intelligimus quò.l quaedam ver*-
ba , quae coram ipso Cardinalcs Senensis , uli juvenis
nec in loquendo satis pensi habeos, adver^sus Pontificem
protulerat , non illicò Saaclitati suae , uli debeat , re-
nunliaada cuiaverit.
Quod certe, quando ita sit , non possnmas nisi erra»
tum et peccatura esse , et dicere et fateri ; unum tamen
Dobis persuademus et prò indubitato affirmare et asserere
posse non dubiìamus , Ipsum non ex malitia et Aaim*
lo:>
Vbluntatè , seci ex inconslcleratione el quadam potiùs ne-
gli<Tenti5 perràise ac prolapsum esse.
Quid oempe minus verisimile est , quidve minus credi
debel ? qnàm quod Gardinalis jam Senex , et opibus gra-
tià et auctoritate non infimus , ncque etiani humanarum
rerum expers et imperitus, eum Pontificem laedete ac
provocare voluerit, qui secum in Cardinalatu coujua-
ctissimè et amantissime vixerat , et io Pontificatu tanta
secum lenitale , benignitate et liberalitate usus fuerat ,
ut nihil ab eo desideraverit quod non prius impeti asse
quàm petiisse videri potuerit; quid inquam miuns cre-
dibile 3 quàm quòd hunc Ponlificem , tàm de se tamve
de universo Christiane orbe Benemeritum laedere vo-
luerit ?
Is Gardinalis , qui olim junior et multis quoque in-
commodis affeclus , Alexandri Tempora et Julii Secuudi
difficultatem ac morositatem patientissimè innocenlissimè
et summa cum animi aeqaitate transegit?
Quoque modo res se habeat , eum ncque ex'^usamug
ncque etiam condemnamus; sed cùm nih;l sit quod im-
primis de divina pietate et gratia deinde de clementia et
mansuetudine Sanctlssìm'r Dommi nostri sperare posse
non videamus . rogamus Screnitateni vesirara ut etiam
ipsa , prò Regia bonitate , proque invicta animi ma-
gnitudine , prapfa'um Pairuum nostrum apud Saricfiss!'^
mum Dominum nostrum comm^ndatum habere dignetur.
Nam , ut omittamus quàm proprium e» peculiare sit
bonorum Regum magnorumque Principum esse pietatf^ni
clementiamque exercere , uique etiara taceamus quanta
Beiieficiorum magnitudine Rcverendissimum praefatum Do'
minum Cardinaìem «t nos ipsos Majestas vesta sit d««
ito4
tinctura , licei minìmos et inutiles ServoS , noa tamtftì
praeteribimus commemorare Sublimitatem vestram et
apud Homiaes perpetuara laudem , et apud Omaipoten-
tem Deum gratiam magni meriti , ex coaservatione et in-
oolumitate hujus Horainis , per errorem niagis quam per
Toluntatem lapsi , sibi vendicaturam esse.
Quod tanto speramus facilius futurum esse , quanto
res est in nianibus illius Pontiflcis , cujus bonitatis, eie-
mentiae ^ misericordiae et raansuetudinis uerainem hacte-
nus expertum esse aut vidimus aut audivimus ; Quae fae«
licissima sit^ et cui iterum et Lrumillimè nos commeu-
damus.
Romae , quinto Juuii Millesimo quingentesimo decime
septirao.
Serenìtatìs véstràe
Humillimi Servìtores ,
CàBS. Archiepiscopus Pisanus Patriarcha Alex.
OCTAVIANUS EpISCOPUS VlTERBIENSlS.
GaLEACICS VlCECOMES DE ReARIO.
FkANCISGUS SfORTIA VlCECOMES DE ReARI*.
N.o CXLVI.
( Fol VI. p. 92. )
Fascio, rerum Expetend. et Fugiend. tom. I. p. ^ly.
Johannes Franciscus Ficus , Mirandulae Dominus , etc,
Bilihaldo Pii'c^heimero suo , Salutem.
Cura ad póatera Oeni_, tu quidem Reipub, tuae Legalus^
ego vero ob propria negotia Caesa rem sequens, casu qno«
dam convenissemus , coràtn petisti.. ut Orationis ejus ad
Leonern Pontificem Maximum et Goncilium Lateraueo,
destinatami te compotem facerem , et literis tnis j post*
quam ia Italiam redii^ id ipsum postulasti. Nunc eam tib^
babere poles , quam tum noa potuisti j ncque enim fas
erat j uti prior uUus eam haberet sibi , quam is ad quem
naittenda erat ; sed mirae expectationis , aliquam Jubanni
tuo Cochliti usuram , cuoi oraliooe ipsa Bononiam misi,
Hymais tribus comprehensam Martino, Magdalenae , An-
tonio; qui postquam ex Germania in Italiam, indeque ia
patriam ditionem perveni, praeter qoinqae alios, diversis
in locis olim formis stanneis excusos , editi sunt. Caeterùm
si me amaveris 3 ad communem amicum Johannem Reu-
chlin alligalam epistolam curabis perferendam , et inte-
rim bet>e vale nostri memcr. Mirandulae Calend. Aprilis.
Anno Salutis , mbxvii
ìoG
Ad Leonem Deciml'm Pontificem Maximum, et Con-
ciìium Lateranen. Johannis Frmicisci Pici , Mirari'
didae Domini , de Refonnandis Morihus , Oratio.
Si quis fortasse cuperet ia Sacratissimo N " Christia-
Bae Rpipub. conventa atque cousessu de ferendis Ies;ibu6
ad fraenaiidain malorum hoininum audaciam nt verba
fiereot j ipse secucn cogitet prius , quo pacto sit opus
eos plecti , qui eas quae à majoribus nostris ritè posi-
tae , maximoqne babiiae in prelio suat ^ et babucre con-
templai et nuuc maxime habeant. Nec dubitabit de rao-
ribus hominum qui tam diu collapsi jaoent , instauran-
dis , ed ad normam positarum jam legum redigendis
orationem ante omnia haberi oportere. Kam tametsi non
duxerim in controversiam referri debere ad sacrosan-
ctam islam Sjnodum de legibiis quibusdam fereadis ,
praestare tamea exislirao , ut à priacir)ibus viris , nt a
Cardmibus ipsis , quibas tota nostrae Chrislianae Rei-
publicae raoles , rerli rcgique convenit, sanclissima an-
tiquorum Df^creta patrum , et honestissima instituta cu-
stodiantur. Quod si Gat , populi facile Antistites ipsos
tauquam aniraatas et vivas leges sequentur , atque ad
normam piptatis et verae disciplinae revooabantur. Nora
consulta aique decreta neutiquam aspernor , sed veterum
custodiam sanctionum in primis duco necessariam , ad
ea quae jam prolapsa defluxerunt piis primùm instaa-
randa moribns , severis deinde legibus vincienda , adeo
ut censoribus , ut vindicibus legum ipsarum atque as-
sertonbus magis quàna legislaloribus opus esse non ne-
IO'*
Ititatein io neqniliam ^ liheralitatera et parsimoniam ia
luxuru et avaritiatn convellere. Apud plerosque religionis
uostrae primores , ad quorum exeiuplum componi atqae
formar! plebs ignara debuisset , aut nullus , aut certe
exiguus Dei cultus , nulla bene vivendi ratio atque in-
fititutiu , nullus pudor, nulla modestia: justitia, vel in
odium, vel in gratiam dcclinavit, pietas in superstitlonem
pene procubuit , palamque omnibus in hominum ordini-
bus peccalur, sic* , ut saepenumero virtus probis viris
vitio vertatur j vitia loco virtutum honorari soleant , ab
bis qui snorum crimiuum quasi sepia , et tanquam moc-
nia , et inauditam petulantiam et diuturnam impunitalem
esse putàverunt. HI tibi morbi , baec tibi vulnera sa-
nanda sunt. Maxime Pontifex ; alioqni si raederi ( quo-
niam id ad te multis de causis potissimum spectat ) re-
cusaveris ,• vereor ne non foraentis Jam , sed igne ferro-
que Ì8 cujus vices geris in terris , membra ipsa affecla
dissecet alque disperdat , signa jam dedisse illum e^ur,
futnrae medicinae piane crediderim. An puellae Deo di-
«atae in Brixiana direptione à religìosissimis abstractae
templis cesserunt militibus loco praedae ? An in Raven-
nati excidio sacerdotes trucidati ? An in Pratensi clade
sanctimonià olim celebratae virgines proslitutae ? Qnid
alind Pater sanctissime ? Quidnam aliud nobis intelligi
dedere, quàm sacras aedes et tempia lenonibus et cata-
mitis antea commissa , quàm nefariis lupis optimi pa-*
storis ovilia demandata , quàm virginibus olim dicala
plerisque in urbibus sepia in meretricios fornices et ob-
scoena latibula fuis^e conversa ? Sed initia illa malorum
et praeguslationes, vereor , propinandae uobis à perfidie
Dostrae religionie deeertoribas potionis amarae et luotuo-
«o8
gem. Et qaanquàm haè ^e re ,disseren(li majus esjè
onus , quàm ut ferre facile queara non sura nescius ;
nam valentioribus egeret hnmeris , et vires robustiores
éxposceret ; tamen qiiori suapte natura pertinet ad omnes,
id à me alienum esse non cogito. Quod si ad hanc diem
in tanta eruditissìmorum hominnm turba vet unum quem<
piani conspexissem , qui hoc idem exactè sibi adsaivis-
6et j mihi omiiino ccssandum putassem. Sed quum de
statueodis legibus saepenumero «ermouem habitum no-
rim , de legum custodia , vel nullum , vel tenuem , ut
sunt homiiium varia judicia variis rerum occasionibus
mola, non abs re mihi visum est fore , si quaepiam af-
ferrem , ut facilius ad memoriam revocarentur sanctis-
sima priorum institula , quibus observatis , nostra Chri-
stiana respublica et aucta est semper et conservata ; p»-
sthabitis vero atque contemptis , innumerabiles jacturas
fecit ; et nisi es^et servata divinitus , eò miseriae et ca-
!amitatis prolapsa faisset , ut frustra nuuc , Pater saa-
ctissime Leo Decime , et vos ecClesiae Gardines et An-
tislites Conventuin haberelìs , ut in meliorem siatum re-
digi quiret. Optaham certe ut ex doctissimorum homi-
nnm numero aliquis hanc sibi provinciara desumpsisset ,
ut majorem authoritatem et potestatem in audìentium
animis habitura esset oraiio , sed rjuda fortasse verilas ,
puraque simplicitas viribus non carebit. De hixu , de
libidine, de avaritia vitanda, positas esse leges ab an-
tiquis patribus , nemo est qui nesciat. De pietate , de
jnstitia , caeterisque virtntibus traditas esse normas, vel
iuernditi novere ; eas partim negligi partim jacere phis
etiam quàm voluraus , experimur. Multi uostrae Frinoi-
pc8 reipublicae priscam simplicitatem in asluliam ^ ca-
sae , ni bonis eam mnribns avertamns , ni preclbus et
supplicationibus , non ex summis labris , sed intimis ex
animi penetralibus iratum placemus Deum , cujus ad haeo
monita et lanquam coeleslia to.iitrua non aures modo
arrigere visi simus ut resipiscamus , sed deprimere 3 visi
tanquam AEihiopes ad prolabeotis Nili strepitum obsur-
descere , prava consuetudine affeoti sic , ut audiamus
suadenlibus viliìs , obaudiamus moueuli Deo Optimo Ma-
ximo, sapientissimo 3 qui se contemni amplius à nostro
serulo noUe satis arbitror indicavit , sig.iis atque por-
tentis non parura multis , pestilentia , fame , cruentis-
6Ìmis paulo ante preiiis. Quid eniui aliud ? aut si quid
aliud , cur hoo tamen nostris insiiiuatum mcutibus piane
n">n rear ? p<>r tot caesorum hominum millia j quorum
cadaveribus et contecti sunt campi, et remorati fluvio-
rum cursus , eorumque cruore superum mare et infe-
i-um quasi quadam purpura infeciura , nisi ut memo-
riam subeat innumera ia nos coliata beneficia nobis noti
debere esse ludibrio; s<"ilicet Christus iìle S<"rvator bu-
ina: i generi'! tintura san2»iinis effuderit , ut qui eo san-
gnir e non redivivi solùm fanti , sed ditali eliam sunt ,
delicientur in plumis ? Quid plunurum feci montioaem ,
et scortorum praeterii catervas et greges exoletorurii ? et
coempta et diven ita saceido'ia? Sperare poieraai , Pater'
Sanotissime , postqoara ad suprcmum sacerdotii culraec
eveclus es, ncn malis artibus, non pud n li^, ut plerique
olim pactionibus et mercimoniis, qni per suiimum dedécus
summum dccus ap:);^livere ; sed tua (ita imhi, ita non parum
Hiullis visum ) gratis5Ìma hiiraanitatp fore aliquindn, uti
nieliorem in statum reformaretur Christiana respub. sed
oec oainiuo desperarim, si adniti volueris^ et tuae isti
I IO
luimanitali, lenitali, facilitati, aliquid siipercilii, aliqnid
rigoris , Donnihil poenarum adraisoere. Daada est opera ,
Maxime Pontifex j ne quid defrimehti nostra respub. pa-
tiatur; bellum enira tibi cum raultis ; bellum , inquaiu ,
inteslinum , pcrioulosnna , grave, quod avortendura est
severitate disciplinae. Luxura cohihe cujuscunqne ordi-
dÌs , raodum pone ambitioni , conjpesce indomitos et ef-
fraenatos libidinis obscoenae furores , suspectis sacerdo-
tum (quod et legibus ecclesiae caulura est) contuberniis
fraena consiitue , avidilati et sceleralae habeadi oupidi-
lati terminum praefige. Non coacredita et commendata
fulei sacerdotura , sed comesta veriùs ab illis et devorata
piorum virorum patrimonia vindica , et efGce ut in bo«
nos disperlianlur usus , ne amplius ab impuris helLuoai-
biis , ab omnium scelerum gurgitibns absorbeantur. Qui
auetionibus saGrorum pucleadisque lir^itationibas invigila-
verint , dent poenas temerariae mercaturae. Qui non pros-
pexerint commisso gregi , qui vanitati sluduerint innu-
iiierae , superstitionibus, comessatioaibus , pudendis exer-
citiis et familiaribus oblectati , re\ corrigantur omnjuo ,
Tel amoveantur à sacris , quandoquidem omnia foedant
exemplo , et pravae consuetudine vitae eos qui bene mo-
rati et egregie institnti sunt , piane corrumpunt , ut bine
non piebis modo, sed omnis ordiais fiat lapsus in cri-
mina. Nec sane mirum , quando maluni omne prodire
de tempio Johannes Chrysostomus censet , et Hierony-
mvis scribit se invenisse neminem qui seduxerit popiilos
]>raeterquam sacerdotes , quos quidem si vel probe insti-
tneris , volentes, vel nolentes coercueris , universo Chri-
stiano orbi ad bene de omni reforraalioue sperandum
quasi signora aliquod sustulisse videbere. Potes , sumnie
Ili
Ipontlfex , nec in terris alias polest ^ et quura possis ,
debes j et cum debes , nisi volueris et curaveris ut fiat,
quid sit periculi ex probalissirais eisdenjque divìuis exera»
plis animadverte. Snocurrat , quaeso , tibi velustus ille
Sacerdos , in quein fiiiorum non vindicata sederà ma-
gna ex parte reciderunt: etenira qui praesunt aliis, non
modo est opus ut siut innoceotes ipsi , sed ut resistant
noceotibus , eorunique mala facinora compescant , et tara
quidena ex Lebete carnes tridenti fuscinulà sublraheban-
tur ab illis j quod peccalum sacra Reguno testalur hi-
fi toria nimis grande fuisse 3 quin bomines à Dei sacrificio
rclraheret. Nunc autem cnalorum catervis exeraploruni
plebs ignara et a diviuo cultn et ab omni pielate de-
terretur. llli cum raulieribus ea tempestate dormiebaot
ad ostium labernaculi Nostra vero et in saoras aedes fit
irruptio, et ab dlis eliam ( proh pudor ! ) foeminae abi-
gu itur ad eorum libidines expleadas , et meritorii pnerì
à parentibus coramodantur^ et condoaantur bis qui ab
omni corporis eliam concessa voluptale sese immaculatos
custodire deberent , hi postea ad sacerdotiorum gradus
promoventurj aetalis flore transacto jam exoleli. Non
ìgitur rairemur si dejerant et falsò utruraque se nosse
sacrarum literarum instrumentum profiteaotur. Quoniam
nec quid ejus nomen significet pernovere.
Ao memini puerum quendam io episcopi locum asci-
tum , qui quoniam literas penitus ignorabat , per jocuni
cium rogaretur, an raagnos fecisset progressus in disci-
plinis, respondisse ingenue, nondum se didicisse exor-
dium ejus oralionis quam de more sacerdotes praefari so-
lent divina facturi. Novi et quiannuas sacerdotii pecunias,
commeadatas eorum fidei ^ spurcissimis voluptatibus et
jmpentlanl et impendisse glorientur. Haec tu monstra ,
Leo Decime , tolerabis ? haec et videbis et patieris ? pa-
tieris ( inquam ) ut ignari literarum , ut ad omnia magis
apti quàm ad tractanda sacra , per ignominiam et coniu-
meliam abutanlùr divinis , et opes ad tempia vel tuenda
vai iristaaranda paratas , ad sublevandam pauperum mi-
seriam 3 à piis hominibus qui jam vita ■ sunt functi de-
slinatas, in alienos et prophanos usus convertaot ?
Scribit Hieronymus eos qui rebus ecclesiae abatuntur ,
sirailes scribarum esse et pharisaeorum , et sacertìotura
Christi Servatoris sanguinem mendacio redimentium. Equi-
dem nec Dioojsii mysticam Theologiam , et divinorum
dogmata nomiuum , ncque subtilitates hypostaseon , no-
tionum , originum et caeterarum disoeptatioaum, quae
in Lutetia Farisiorum exagitatae ad nos manarunt , ab
omnibus , exquiro sacerdolibus ; si se tameo dederent
sacris literis , et praecellenlium ooslrae religioais Anti-
$titum doctrinis navarent operara , multa sane commoda
ad bene beateqiie vivendum consequi possent. Non eò
solnm quòd multa disoerent, et prò se magna et ipsis
utilia, sed quooiam ejusmodi studiis preslaretur illis ,
uti facllins illecebris sensunm nunoium remillerent^ cuna
honestissimo in officio occupati , tura ab ipsis studiis
adoiooiti, ad raeliorem vitam nos esse natos , et haac
quam vivimus plenam esse ignorationis tenebris^ si sen-
«u.TQ , si humana solùm piacila sectari volumus, plenam
aerumnarura , plenam calamita'um , si huraanis fidem
Tolis velimus , cujus eiiam vitae incommodis et tanquacu
etimulis invitamnr , ut ad eam quae futura est libentius
properemus. Quis (quaeso) mente paiilò vegetiore noij
advertat , prima ì^ac in vjta wagif ad dolorem bomU
n3
neS 5 qnàm ad voluptalera natas ? Tanto enim spano
nunquam aut bibere, aut co meri ere , ani vacare proli
qaisqaam potuit , quanto aut sitiunt febrìpntes , aut raea»
«liei et obsessi esuriunt , ant rei criraiouni torquentur.
1(1 etiam emolnmeuli nancisci facile pos=ieat , ut fraina-
reut anabitionem malorum omnium raatiem afque autri-
cem , quaodoquidem omnia quae magna corporeis et hu-
mana tantum intuentibus oculis apparent , exigua viden-
tur spiritualibus oculis et aeteina contemplantibiis. Idque
ipsum jure oplimo,' quandoqaidem terrae raoles oollata
coelo, instar est puncti, raris habitata locis, sterili areaa
noxils seppenlibus silique deserta , vastis invia paludi*
bus, altissimis intersecta montibus, profundissimis in-
terpolata fluctibus. In liac exigua uaturae porlione lu-
multuatur humanum geuus , brevis et incertae vitae etiam
si diuturna, si longissima , si stabili nis.a fundamento
videatur. Quid enim diuturnura morlalibus si aelernitati
futurae et immortalis vitae ad ipsu.u couferatur ? Quid
certuni et slabile in homine , in quo nutant omnia? ia
quo ut externas taceam et circumjaceates molestiarum
moles , ipse coiiQictus pugaantium inter se qualitatura
corporei temperamenti, bellum intestinura illi ipsi ciet
idenlidera , et confeclo bello miuatur excidium. Adde
tenebras quibus humana mens sibi relieta circumfundi-
tur , unde et variarum opinionnm praelia cnorìnntur ,
et votorum sibi succedenfinra , subindeque fluctuantiuni
aestus piane continui. Adde impetus hostiles , dolos ,
fraudes , injurias: Adde et snperiorum mentium et in-
sultus et aestus , ut verissimum sit illud elogium , Vita
hominis militia super terram. Miliiia dubio prooul , sed
qua et victoriam et eoronani et regnum , uobis in coelo
Leone X. Tom. T'JJJ. 8
ii4
comparare ppssimus , ejasmorli , ut nec animo capere ^
DPC concupisnere votis piane qiieamus , qnando et animi
et corporis foelioitas qnae illic reposita Dei amicis ,
ejusque legis custodibus post hujus vitae cursnm asser-
vatur , omnino superet captum hiimanae mentis , nec
nisi Dho docente hominibns patefiat nihilque omnino sint,
si ei conferantur foelicitati : quae vanae vetustatis illu-
stratores Poetae atque Philosophi commenti sunt de for-
tunatis insulis , de fluminibus neciaris , de via lactea ,
de reditu ad compares stollaSj et caeteris quae ad ven-
tatem hallucinantes sais lucubrationibus inseruere. Haec
illi et similia de sacro litterarum otio nanoisei facile pos-
sent. Sed ea ab omnibus non cxforqueo sacerdotibus ; at
ne lileras omnino ignorent , ne salis evanidi , ne lucis
extinctae notam gerant , et noscant qnae ad eorum per-
tinent officium ^ hoc exposoo , hoc exigo , et ni praestent
piane detestor. In primis autem et vitae innocentiam et
mornm disciplinam , non exactissimam illam quidem et
praeceUentissimam , sed mediocrem. Non pelo ut instar
Hierojiymi saxo pcclus identidem verberent , sed nec uì
nneretricnm peclora baccatis mouilibns , nec crepidas
Hydaspeis gemmis exoroent. Ncque etiam postulaverim ,
ut Hilarionis inediae assuescaut, sed ne Sybaritarum
coenas aut aemuleutur, aut superent. Mmus etiam ef-
ClagHaverim, ut in spiuis et nive volutentur, more Fran-
fisci et Benedicti , sed quuna mollem cygnorum phimam
ingenti pecunia mercantur , aut redimendis capti vis .
aut vu'ginibus nuptui tradendis jure optimo dedicata id
planò damuaverim. Mediocritatem suadeo ; praecpUeotiam
jllam virtutenij quam derairari facilius quàm imitari pia-
fimi pu^sanì , si sequi cliani malueriut ^ et laudabo eì.
ii5
praeclicabo. Sed ncque ila rem ad vivum reseco , ut
quum eos et largos et faciles esse ad tribuendum mo*
neo , ita moneam , ut velina eos omoino imitari egregium
illud Martini et celebratissiraum facinus scindendae ve-
stis , uti raendicus et frigore treniebundus pauper ami-
ciretnr. Veruni eos quibus abandant acervi pecuniarum,
monitos velim Martini esemplo , nudis vestes tribuendas .,
potius quàm coccineis atqne purpureis paonis cooperien-
da jumenta. Neque itera esigo in sacrarum sumptibus
aedium censum ut emnem dispertiant, aemulenturque
aut Sybillina Guinis olini extructa delubra , aut Simaa-
dii et Artemisiae praeruptas niurorum moles et minas ,
aut Salomonia terapia , aut etiam nostrae tempestatis
Julia aedificia. Sed libenfer postulaverim^ ne sinant cor»
ruere quae ab illis struota suot tempia , à quibus ipsi
opes tautas nacti suut , ut multo auro dicantur Salma-
cidas uectes coemere. Postulaverim ne Sacella à priscis
olim frequentata patribus permittant histricum iatibula
conbtitui , foedeque adeo haberi et negligenter , ut sif:
saepenumero videre ferarum lustra equorumque praesepia
et mundius et honestius asservari. Quum nihilominuR
ipsorura cabicula interim auro epiendeaut , et substrata
etiam purpura lougè pretiosissima sint , mensarum vero
et coquinarum instrnmeuta opere caelato refnlgeant. His
incommodis cum aliarum benefìcio sanctionum , tum il-
lius maxime custodia legis consuleres , Maxime Poatifex,
qua sanctissimè cavetur , ne multa ab uuo sacerdotia ,
quibus annexa sit animarum cura , possideantur. Dis-
pensatio, ita solet appeiiari ^ effecit, ut jam noa multa,
non plura, sed innumera teneant multi, qui ne diaconi
quidem mererentur officio defuogi, at ejusmodi rerum
ii6
dissipationem non ego , sed Bemardus tot autea secaìts
appellavit. Oppone te buie petulaatiae. Pater beatissime ,
et unum hoc infer alia negolium et numvis egregie su-
scipe , ut qui hixu diTAunot , qui ambitione dcfervent ,
qui vel coemptis vel ejus'nodi dissipationibus paratis sa-
cerdoliis lasciviutat , qui leges deniqne riiè posila» non
observant , sentiant tuae vini justitiae atque intrepidae
virlutis j ut si aUqua culpa teneantur erroris hunaani ,
ab ejusmodi tamen scelerum imnaanitate liberentur. Li-
ceat bonis et modeslis vivere j quibus nec otiosis ia
communi olio iam licet esse ; illis ipsis omnia arripien-
tibus , et servitntem indicentibus maximam bis qui eo-
rum indigent opera ad famem tolerandam. Hoo ei non
egeris , Autistitum Summe , si raaHs hominibus fraena
laxaveris , si iamdiu multumque laxata non cohibueris ,
verfor ne , te Pontifice , decidat eò nostra respub. ut
dici non falsò |)ossit, à libidine pudorem , ab audacia
timorem . ab amentia rationera penitus esse devietara ,
et in te bellum à nostrae religionis bostibus ante audias
geri quam parari. Si egeris , et utilitatem omnibus , et
tibi etiam gloriam non hanc solùm momeulaueauì et ca-
ducam , quae parvi temporis angusliis coercetur , sed
et stabilem et perpeluam, non in terris modo, sed in
coelesti sede c<'mparabis. Nec modo timendum tibi ab
exleris erit , sed intrepide sperandum , ventnros uoslrae
religionis bostes , ad nostrae fidei disciplinam , boni»
exemplis facilms qaàm vi et armis invitatos. Redactuni
olim ad nostrae pietalis instituta terrarum orbeni per
Apostolos efficacius sanctissimis eorum vitae moribus ,
quàm non modo Conslantini Caesaris legibus , praeliis
atque triumpUis , sed eliam peraclis ipso Apostolorum
minìslerin siipra vim ìiiUirae itiiraculis , praeclarissimì
nostrae firlei assertores jiidicavere. Et qnis , rogo, ncbis
assentirelur bonos mores suadenlibus , sì pravis ipsi abu-
teremur? Quis religioni quam colimus initiari per nos
cuperel , quos videret qnod ore asserimus faolis perne-
gare ? Praestat itaque in reducendis hoslibus et deser-
loribus ad nostrae fidei pietatem , ut collapsos mores ad
normam priscae virtutis inslaureraus ^ quàm quod multi
ambiunt , ut classe petamns Euxinum , et exposito ia
Continentem milite , ooncussaque maximis confectis prae-
liis Colchica Trapezunte , cruentata vexilla iuferamus
Armeniae. Ejaigitur, Pater Sanctissime , et naturae lege
non scripta, sed nata et revelata divinitas disciplina,
et majorem tuorum sanotionibus atque decrelis , et uti-
litate siinul et gloria excitatus, indue sauctissumim ia
deserlores et ìmpìos saluberrirnumque furorem , quo di-
scant poenarura agere formidine , quod virtutis amore
deberent. Moses iile legislator , quanquam imitissimus,
terrifica tamen percitus et ira , qnum posthaberi Deum
agnovit , et severam in deserlores poenam exe; cuit. Deus
et homo Chrislus Jesus omnium virtutum excmplar irro*
gaìas in se contumelias patientissimè tulit. Non tulit Pa-
terni honoris notam , qnnra sacrilegos venditores empio*
resque rx tempio expulit et flagello discussit. Et ille
quidera vìluli uuius aurei cnltores maxima est caede
persequutus ; et hic columbas veiiales et turtures è
tempio voluit ejeclas. Tu vero earum cuhores vitularum,
quae maximo numero in urbe nou slabulantur modo
sed dominanlur , et auro, purpura, raargaritis, more re-
gio incedunt ornatae, ut ad eoruui adspectum , neduia
cougressum plurimi et obbrulescant 9\, pereaal , esili»
^altem et hononJm omnium muleta non compesces? Ta
6aoras aedes sceleribus omnifariara propbaiiari , et in cis
tot moQstra Gircaea gruunire permiseris ? Tot Sjrenes,
et veriùs , tot Syreoum millia patieris , naviculae libi
divinitus oommissae , quantum in ipsis est , procurare
naufragium ? Tu Dei Optimi Maximi templorum , ta
Christi sanguinis mercatum sustinueris , cujus supremum
sacerdotium nuUìs raercimouiis es cousequutus ? Si cle«
mens videris pontifex , id pietati facile adscribetur. Si
nimis placidus , naturae tuae consuetudiai, corporisque
temperameoto. Sed si posthaberi Deum ejnsque legem
patieris , et immania scelera passim et nulla prorsus ve-
recundià peragi , nullus erit tam iujustus rerum aesti-
Malor j qui vereatur id tribuere vel malitiae vel negli-
gentiae. Quapropter si attendere diligeoter et aestimare
Lac ornai de re, de qua disseruimus , voluerJs, Pater
Sanctissime 3 sic (ni lallor ) piane coustitues , ut ieges
jam ritè positae , poenae saltem formidioe custodiantur ,
dabisque operam esemplo non solùm et ionocentià vitae,
sed animadversioni in alios , ne quicqoid collibituni
fuerit impune fecisse audeant ìmprobi, atque ita et tibi
eimul et omnibus consules , et collabenleni jam ac prope
intermoriturara Christianam Rempublicam ab iuteritu
vendicabis. Hoc omnis ordo , hoc consensio honorum
omnium exposcit et obsecrat. Qaae ubi per Te acta fue-
rint , ubi pessimae viiae moostra vel edomueris vel extia-
xeris , ne postea repulluleut, adhibenda erit legum cau-
tio , et severior aliquanto disriplina. Non in vestibus
modo et sumptibus , sed in studiis sacrae litterae ulrius*
que lustramenti recognoscendae , et cum antiquis et ca-
«tigatis primae originis eiemplaribus coaferendae , ut ab
119
errati» quae villo teraporum et librarioram iacurlà , in
illas irrepserunt j oinuino pur^eutur ; solemnes caereino-
niae de quibus fuere olim qjaepiain difricultates , prio-
ribus oblatae Syaoilis , slatuendae finnaadaeque suiit ;
quotidiaaae preces redigendae in statura et probatuiQ
ordinatum ordiuem ; et verae hisioriae ab apocryphis aa-
gis segregaudae , praesfiribeuda principibus viris officia j
ut scelerata illa et oostrae Reipublioae deletrix opioio ,
licere quae placeaiit, et à vulgi aaiinis oramuo amovea-
tur et peaitus exulet. Sit inter ips<»s Priucipes pax et
discordiaruin fitiis , ut à diuturois disseusio;iibus aliquaudd
quiescamus , daturi operana eis officns , quae morlales
evebunt ad immortalena vitam et excedentem auimautiuru
omnium vota foelicitatem (i).
Comitis Miraiidulae de Moribus reformandis Ora-
tiouis Finis.
(i) Singolarissima dee ripu'arsi per lutii i LÌ:oIi ques'a ora-
zione, siccome quella che coaliene espresse con mollo vigore,
e eoa qualche acrimonia, quelle lagnanze medesime, che for-
marono V oggello dei primi reclami de^ riformatori. K pure
singolare il vedere queste querele proposte al Papa , e ad uà
pieno concilio da una persona laica , e merita particolare os-
servazione la libertà, colla quale questa persona parla al Papa,
ed ai padri riuniti , e dice al primo essere la riforma un affare
di maggiore importama, che non la spedizione progetta- a contro
i Turchi. Pili di luUo merita considerazione T enunciativa . che
si trova nella pagiixa precedente: hoc omuis orcio, hoc cousensio
bonorwn omnium exposcit ,, et obsecral. Può vedersi a questo
proposi'© ciò che si è scritto nelle noie addizionali al Voi. IX,
laddove si parla di Già. Francesco Pico. — Molti scritti a
questo somiglianti irovansi nella stessa racco! ^.a di Oriuina
(Jra^/o, pubblicata da Browi: Fiiscìculas rerum e.ipcteiularuin^
et fugieridaruni j e nelle opere di Niccolò de Clcman^is.
X30
N.o CXLVit
( T'oi ri p. 98. )
Fìme Sacre Hi Lorenzo He Medici, p. ^S.
Ed. Fir. i68o.
ORAZIONE.
Magno Dio, per la cm constante legge,
E sotto el cui perpetuo governo ,
Questo Universo sì conserva, e regge 3
Del tutto Creator, che dallo eterno
Punto comandi corra el tempo labile 3
Come rota farla su fisso perno.
Quieto sempre j e giammai non mutabile.
Fai e muti ogni cosa , e tutto muove
Da te fermo Motore infafigabile.
Ne fuor di te alcuna causa truove ,
Che rimuova a formar questa materia ,
Avida sempre d' aver forme nuove.
JfoD indigenzia , sol di bontà vera
La forma forma questa fluente opra ,
Bontà , che sanza invidia o malizia era.
Questa bontà sol per amor s'adopra
In far le cose a guisa di modello ,
Simile allo edificio eh' è di sopra.
Bellissimo Architetto el Mondo bello j
Fingendo prima nella eterna mente ,
Fatt' ai questo all' imagiue dì quello.
121
Ciascuna parte perfetta esìstente
Ntl {;rado suo, alto SigHor , comandi.
Che assolva el tutto ancor perfeltaruenle.
Tu gli clementi a' propri luoghi mandi ,
Leccandoli con tal proporzione ,
Che r nu dall'altro non disgiungi, o spandi,
Tra '1 foco e' 1 ghiaccio fai cognazione ,
Così tempri insieme il molle e '1 duro.
Da te fatti contrari anno unione.
Così non fugge più leggiero e puro
El foco in alto , né giù el peso affonda
La terra in basso Fotto '1 centro oscuro.
Per la tua provvidenzia fai , s' infonda
L' anima in mezzo del gran corpo , donde
Conviene in tutti e me rabri si diffonda.
Ciò che si muove , non si muove altronde
In sì bello animale ; e tre nature
Quest'ainma gentile in sé nasconde.
Le due più degne più gentili e pure.
Da sé movendo , due gran cerchi fanno ^
In se medesme ritornando pure;
E' intorno alla profonda mente vanno.
L'altra va dritta mossa dall'amore
Di far gli effetti , che da lei vita anno.
E come muove se questo Motore
Movendo el Cielo, il suo moto simiglia ,
Come le membra io mezzo al petto el cor€>
Da tè primo Fattur la viia piglia
Ogn* animale ancor di minor vita ,
Beachè più vii ; questa è pur tua famlgiia.
122
A questi dà la tua bontà ioRnita
Curri leggier di puro fuoco adorni ,
Quando la Terra e'I Giel gli chiama in vitft.
E dipoi adempiuti e mortai giorai ,
La tua benigna legge allor concede.
Che il curro ciascua monti , et a te torni.
Concedi , o Padre , l* alta e sacra sede
Monti la mente, e vegga el vivo fonte.
Fonte ver bene , onde ogni ben procede.
Mostra la luce vera alla mia fronte ,
E poiché conosciuto e '1 tuo bel Sole ,
Dell' Alma ferma in lui le luci pronte.
Fuga le nebbie , la terrestre mole
Leva da me , e splendi in la tua luce ;
Tu se' quel sommo bea , che ciascun vuol*.
A tè dolce riposo si conduce,
E tè come suo fin , vede ogni pio ;
Tu se' principio , portatore, e duce.
La vita, e'I termia. Tu sol Magno Dio.
133
N.9 CXLVIII
( Voi. VI. p. 107. )
Lutheri Opera. Tom. I. p. i.
Revsrewdissimo in Chrtsto Patri, Illustrissimo Do-
mino , Domino Alberto , Magdeburg. ac Moguntinen.
Ecclesiarum Archiepiscopo Primati , Marchioni Bran-
dehurg. etc. Domino suo et Pastori in Christo , Fc'
nerahiliter metuendo ac gr atiosissimo.
Gratiam Dei , et quicquid potest et est.
Farce mihi , Reverendissime iu Christo Pater, Pria-
ceps illustrissime, quod ego, fex homiaum , tantum ha»
beo temeritatis , ut ad culmen tuae sublìmitatis ausus
fuerim cogitare Epistolam ; testis est mibi Domious Je-
sus, quod meae parvitatis et turpitudmis mihi consciuSj
diu jam distuli, quod nunc perfriiHa fronte perfìcio
permotus quam maxime officio fìdelitatis meae , quam
T. Revereudissimae Pat. in Christo debere me agnosco ,
digoetur itaque tua interim Celsitudo oculum ad pulve-
rem unum intendere , et votum meum prò tua ponliE-
cali clementia intelligere.
Circumferuntur Indulgeutiae papales , sub tuo prac-
clarissimo titulo , ad fabricam S. Petri , in quibus noa
adeo accuso Praedisatoruoa esclamationes , quas ooa
124
audivi , sed doleo faUìssImas ìntelligenlia? popnli ex ilHs
coDceptas , quas vulgo unflique jactant , videlicet , quod
creduat iufelices aniiuae^ si literaa Indnlgpntiarum re-
demerint , ,se securas esse de salute sui. Item , qnod
Aniraae de Purgatorio siatim evolent , ubi contributionem
in cistam conjecerint. Deinde, taatas esse has gratias j
tìl nullum sit adpo tnagnurn peccatum , eliara (ut aiunt)
si per impossibile quis Matreiii Dei violasse!, quin pos-
sit solvi. Itprii , quod homo per istas iudulgentias liber
sit ab onini poena et culpa.
0 Deus optime ! sic erudiuntur Animae, tnis curis ,
©ptitne Pater , oommissae , ad mortem , et fit atque ere*
scit durissima ratio tibi reddenda super omnibus istis. Id
circo tacere haec amplius noa potui , non enim (ìt homo
per ullum munus Episcopi securus de salute, cum nec
grat'am Dei nos operari salutem nostrara Apos'olus. Et
juslus , iaquit Petrus , vix salvabitur. Deaique tam arcta
est via, quae ducit ad vitam , ut Domiaus per Prophe-
tas Amos et Zachariam , salvandos appellet torres raplos
de incendio , et ubique Dominus difficullatem salutis de»
uunciat.
Cur ergo ppr ìUas falsas veniarum fabulas et promis-
sìones , praedicdtores earum faciunt populum securum et
FÌiie timore? cum Indulgeutiae prorsus nihil boni con-
ferant Animabus ad salutem aut sauctitatem , sed tantum*
modo poeoam externam ^ olim canonicè impoui solitara ,
au fera ut.
Dcuique , opera pietalis et charitatìs sunt in infinitnm
meliora indulgentiis , et tamen haec non tanta pompa
nec lauto studio praedicant, imo propter Venias prae-
dicaudas illa tacent, cum tamen omnium Ejiiscoporum
125
^nc sit officinm primum et solum , ut populus EvangR-
limi Hisoat , et chariiatem Christi , nusqnam eoim prae-
cijiit Chrislus lodulgeutias praedicari. Quautus ergo hor-
ror est, quantum periculum Episcopi, si tacito Evan-
gelio, non nisi strepitus indulgenliarum permittat in pò.
pulum suum spargi , et has plus curet quam Evaage-
liura ? nonne dicet illis Ghristas , Golantes culicem , et
glulienles caraelnin ?
Accedit ad hoc. Reverendissime Pater in Domino,
qnod iu Instruclione illa commissariorum , sub T. Reve*
rendissimae P. nomine edita , dicitur ( utique sine T. P.
Reverendissimae et scientia et cousensu) unam prinoipa-
liuui gratiarum esse donum illud Dei inaestimabile , quo
reconcilietur homo Deo, et omnes poenae deleantur Pur-
gatorii. Item , quod non sit necesàaria contritio his , qui
Animas vel Gonfessionalia redimunt.
Sed quid faciam , optime Praesul et illustrissime Pria-
ceps, niài quod per Dominum Jesnm Christum T. Re-
■verendissimam P. orem , quatenus oculum paternae cu-
rae dignetur admitlere , et eundem Libellum peuitus tol-
lera, et praedicatoribus veaiarum iraponere aliam prae-
dicandi formara , ne forte aliquis tandem exurgat , qui
editis Libellis , et illos, et Libellum illum confutet, ac
vituperium summum Illustrissimae Tuae Sublimilatis ,
quod ego vehementer quidem fieri abhorreo , et tameu
fulurum timeo , nisL cito succurratur.
Haec meae parvitatis fidelia officia , rogo , tua illu-
strissima gratia dignetur accipere, animo principali, et
«piscopali , id est, olementissimo , sicut ego ea exhibeo
corde fidelissirao , et T. P. Reverendissimae deditissimo.
196
quando et e^o pars ovilis tui sum. Domious Jesus cu-
stodiat T Reverendissimam F. in aeternum , Amen.
Ex Wiltcmberga j in Vigilia omnium Saactorum ,
Anno Moxvil.
Si T. Reverendissimae P. placet , poterit has raeas
Disputatione$ videre , ut ìntelligat , quam dubia res sit
Indulgentiarum opinio , quam illi ut certissimam se-
minaut.
T. Reverendissimae P.
MARTinus L(;therv<;:
N.« CXLIX.
( Fol. FI. pag. ii3. )
Lutlieri op. tom. 1. p. 65,
Beatissimo Patbi Leoni Decimi, Pont. Lax. F.
Martinus Lutherus Augustinianus , aeternam salutem.
Auditum audivi de me pessimum , Beatissime Pater,
qto intelligo , quosdam amicos fecisse uomen roeum gra-
vissime corara te et tuis foetere , ut quia autoritatem et
potestatem clavium et Summi Pontificis minuere moli-
tus sim. Inde Haeretious, Apostata , perfidus et sexcentis
nominibus , imo ignominiis acousor. Horrent aures et stu-
pent oculi. Sed unicum stat fiduoiae praesidium , inno»
cens et quieta oonscientia. Nec nova audio; talibus enira
iasigoìbus et in nostra Regione me ornaveruat , homi-
«27
oes isti hoDestisstmì et veraces 3 id est^ pessime sibì con^
scìi, qui sua portenta mihi cotiantar iinpouere, et mea
ignominia , snas ignominias glorificare. Sed rem ipsam ,
Beatissime Pater, digneris audire ex me iofaate et iu-
culto.
Coepit apud nos diebus proximis praedicari Jubileus
ille Indulgentiarum Apostolicarum, profecitque adeo , ut
praecones illius, sub tui nomiais terrore , omnia sibi li»
cere putantes , impiissima haereticaque palam auderent
docere, io gravissiraum scandaium et ludibrium Eccle-
siasticae polestatis, ac si Deoretales de abusionibus quae°
^torum uihil ad eos pertinerent. Nec contenti , quod li-
berrimis verbis haec sua veneua diffunderent , insuper
Libellos ediderunt , et in vulgnm sparserunt. In quibus,
ut taoeam insatiabilem et inauditam avariiiam , quam
singuli pene apices olent crassissime , eadem illa impia
et haeretica statuerunt , et ita statuerunt , ut Confesso-
res juramento adigerent , quo haec ipsa fidelissime instaa-
tissimeque populo ioculcarent.
Vera dico, nec est, quo se abscondant à calore hoc.
Extant Libelli, nec poasunt negare. Agebautur tum illa
prospere , et exugebantur poputi falsis spebus , et ut
Propheta ait , Camera desuper ossibus eorum 'ollebant.
Ipsi vero pinguissime et snavissime interim pascebantur.
Unum erat, quo scandala sedabant , scilicet , lerror
uominis tui , ignis comminalio et Haeretici nominis op-
probriura. Haec enim incredibile est quara propensi sint
intentare, quandoque etiam sit , in meris ojiiniosisqne
nugis suis contradictionera senserint. S- tamen hoc est
scandala sedare , ac non potius mera tyranuide , schis-
mata et sedilionep tanrlem suscitare.
128
Vprum nihilominns crpbrcscebant Fabulac per tabernas
de avantia sacerdotum , delractioaesque clavium , sum-
mique Pontificis , ut testis est vox totius hujus terrae.
Ego sane ( ut faieor ) prò zelo Christi , sicut mihi vi-
clcbar, aut si ita placet, prò juvenili calore urebar, nec
tamen menni esse videbana, ia iisquicquam statuere aut
facere. Proinde monui privatim aliquot magoates Eccie-
siarum. Hic ab aliis acceptabar , aliis ridicuhim , aliis
aliud Tidebar ; praevalebat eniui nominis lui terror et
censurarum iutentatio. Tandem, cura nibil possem aliud>
TÌsum est , saltem , leniuscule illis reluctari , id est ,
eornm dogmata in dubiuin et disputationem vocare. Ita»
que Schedulam disputal'driam edidi , invitaas tantum do-
ctoreSj si qui vellent tnecum disceptare , sicut mauife-
stum esse etiam adversariis oportet, ex Praefalione ejus-
deni disceptationis.
Ecce , hoc est iacendiura, quo totum Mundum quae-
rnntur cooDagrari , forte quod indignanlup me unum ,
autoritate tua Apostolica Magistrum Tbeologìae , jus ha-
bere , in publica S -boia disputandi , prò more omninm
Universilatum et totius Ecclesiae , non modo de indul-
gentiis, vprum etiam de potestate , remissione, Lidulgen-
tiis divinis , incomparablliter majoribus rebus. Nec tamea
multum moveor, quod hanc mihi facultatem invideant ,
à tua B. potestale concessam , qui eis falere cogor invi»
tu?, multo majora , scilicet, quod Arislotelis soinnia , in
inedias res Thcologiae miscent , atque de divina Majestate
oaeras nugas disputant, con ira et citra facultatem eis
datam.
Porro , quod nam fatum urgeal has solas meas Dlspu-
tationes prae caeleris , non solum eis, fied omnium Ma-
gìstpornm , ut io oranem terram pene exierlnt , nalhi ipsi
miraculum est. Apud nostros et propter nostros tantum
sunt editae : et sic editae , ut mibi incredibile sit, eas
ab omnibus fntelligi , Disputationes enim sunt, non do-
«trinae , non dogmata , obscurius prò more, et aenigma-
ticos positae. Alioqin si praevidere potuissem , certe id
prò mea parte curassem , ut essent intellectu faciliores.
Nunc quid faciam ? Revocare non possum , et mirara
mihi invidiam ex ea invulgatioae video conflari ; invitu»
venio in pubUcum , periculosissimumque ac varium ho-
minum judicium praesertim ego indoctus , stupidus in-
genio , vacuus erudilione , deinde nostro florentissimo se-
culo , quod prò sua in literis et ingeniis foelicitate eliaca
Gioeronem cogere possit ad aogulum lucis et publici ,
alioqui non ignavum sectatorera ; sed cogit necessitas, me
anserera strepere inter olores.
Itaque quo et ipsos adversarios mitigem j et desideri»
multorum expleara , emilto ecce meas uugas, declarato-
rias mearum Dispulationera; emitto autem , quo tutior
si ni 5 sub tui nominis praesidio, et tuae protectionis um-
bra , Beatissime Pater, in quibus intelligent omnes , qui
voleat , quam pure simpliclterque Ecclesiasticam potestà-
tem et reverentiam claviura quaesierim et coluerim , si-
inulqne quam inique et false me tot nominibus adver-
sarii foedaveriot. Si enim talis essem, qualem illi me vì-
deri cnpiunt, ac non potius omnia disputandi facultate,
rectè a me tractata fuissent , non potuisset fieri, ut II-
lustr. Princeps Fridericus Saxouiae Dux , Elector Ini»
perii, etc. haoc pesiera in sua perniitleret Universitate ,
cum sit Gatholicae et Aposlolicae veritatis unus facile
iimantissimus , nec tolerabilis fuissera viris nostri studii
Lfone X Tom. mi. 9
i3o
acerrimis et sludiosissimis. Verum actum ago, quando
illi suavissimi homines non verentur niecum et Princi-
peni et Universitaiem pari ignominia confic^-re palam.
Quare j Beatiàsirae Pater, prostratum nae pedibus tuae
B. offero CUOI omnibus quae sum et habeo. Vivifica ,
«ccide, vcca , revoca, approba, reproba ut placuerit ; vo-
cem tuanij vocem Christi , in te praesidenlis et loquentis
9gnoscaa]. Si mortem memi, mori non recusabo. Domini
enim est terra , et plenitudo ejus , qui est benediclus io
secula , Amen , qui et te servet in aeternum , Amen.
Die S. Trinitalis : Anno Mnxvni.
NO. CL.
( Voi. VI. p. 1 1 6. )
Lutheri. op. toni. I. pag. 1 60.
Epistola Imperatoris Maximiliani Atigusti; Mìssa ex
conventu Ali gusiiniano , anno mdxviii. de Controversus
Lutiteli ad Leonem X , Pontijìceni Romanum.
Beatissime Pater, Domine Reverendissime, Accepimns
non adeo muUos ante dies , quendam Fratrera Augu-
stinianum , Martinum Lutherum , nonnullas Conclusiones
in materia ludnlgenliarum , scholastico more disoutien-
das , disseminasse . nec non in Concionibus suis et ea
de re, et de vi Apostolicarnm Excommunicalior.um plu-
rima docuisse , in quibus damnosa et haeretica pleraqua
i3i
videanlur; atque ea mine per Magistrum Sacri vestri
Palali! notala esse. Quae res nobis eo magis displicuit ,
quo pertinacius clicius frater^ nt e locti siimus, doclriiiae
suae inhaerere j alque complnres errornrn suornni Defeo»
sores et Patronos , etiam potenles , consequutns esse di-
citur.
Verum , cuin suspectae adserlioops , et periculosa do».
mala à nemine meliufj rectius et verais dijiidicari queant,
quam à Beatitud !<e vestra , quac sola ^ ut poteste ita
debet, vanarum quaestiouuni, sopbisticarnm ràtionurrij et
verbosarum conteiitionuin autores compescere , quibus
peslilentiores Christianae pielati nulli coiitigerunt , Iiac
tantum spectantes , ut quod ipsi didicertiot, id soluin
habeatur io precio , quod prescntis secali^ et eruditio-
rum consensus , et pie anlea iti Christo defuiictoruua
candida et solida doclrina comprobat.
Extat pervetustunn Pontificii Senatus Decretum , de
coastituendis Docloribns, in quo de sophislica uusquatn
unqugm quicquara cautunn est, nisi qnod i?ta in Decretis
vocantur in dubium , utrum fas sit , ea discere nec ne,
alqiie horum sludium , à innltis et magnis autoribus im-
probatur. Cur igilur, quod Ponlificum autoritas jiissit,
uegligitiir 3 et de quo dnbitatum , imo improbatnm est,
id solnm recipilur , neresse est interdura Iiallucinari ,
somniare et caecutire Magislros istos, qnibus debelnr ,
quod non solnm haclenus Doctor-^s ab Ecclesia recepii
solidiores non ledi , sed pleriqae depravati suiit , atqne
mutili redditi.
Tacemus iis Autoribus piiUnlasse longe plures , quam
unqiiam damnatas fuisse haerses. Tacemus Renchlinia-
nam infamationein , et nunc praesentem liane periculq^.
l32
sìssimam de Indulgcntiis atque censurìs ApostoHcis di—
sceptationem, bis perniciosis Autoribus in muodum enia-
rasse. Quibus nisi Beatitudinis vestrae et Pteverendissi-
morum Palrura aulorilas legem fiiiemque imposuerit ,
brevi non solum imperitae imponent mnllitudini , sed et
Principum virorum sibi auratn et favorem in nantuam
perniciem compaiabunt. Quibus , si conniventibus oculis
campus apertus atque liber dimittatur , futurum est , ut
quod omnium maxime in votis habent, ut prò oplimis
et sanctissimis Docloribus istorum nenias prae oculis ha-
bere cogatur totus mundus.
Haec prò singulari nostra in sedem Apostolicara reve-
rentia Beatitadini vestrae significavimus , ut sinceritas
Christiana , hujusmodi teraerariis Disputationibus et cap-
tiosis Argumeotis , non laedatur et scandalizetur. Nos
enim quidquid super bis sanclè statuerit in Imperio no-
stro , ad laudem et honorem Dei omnipotentis , et Christì
fidelium salutem , ab omnibus observari faciemus. Datum
in civitate nostra imperiali Augusta , die quinta mensis
Augusti , Anno MDxviii. Regnorum nostrorum , Romani
tricesimo terlio , Hungariae vero vicesimo nono.
i33
N.° CLI.
( Fol. VI. p. 117. )
Lutheri op. toni. I. p. 161.
Leo Faxa X. Dilecto nostro FilioThomae, Tituli
S. SiXTi , Presbytero Cardinali nostro , et Aposto-
licae Sedis de latere Legnato.
Dilecte fili noster j Saluiena et Apostolicam b^aedictio-
nem. Postquam ad auì-es nostras perveoerat, quendam
Martinuin Lutherum , Ordinià Ereinitarum S. Augustìrii
Profcssorem , in reprobum sensum versum , nonnulla
haeretioè , et ab eo , quod sancta Romana tenet Eccle-
sia 3 diversa asseverare, et super hoc Gonclusiones , nec
non famosos Libellos temeritate propria , et erecta cer-
vice , laxatis obedientiae frenis , inconsulta Romana Ec-
clesia , fidei Magistra , in diversis Germaniae parlibus
publicare ausum fnisse , Nos lemeritatem suam paterne
corrigere volentes , Venerabili Fratri nostro Hieronymo
Episcopo A-Sculano , Curiae causarum Canierae Aposto-
licae generali auditori , commisimus , ut ipsum Luthe-
rum ad compareudum personaliter coram eo , et se su-
per praemissis examiuandum, et qualiter de fide sentiret
respondendum , sub certis poenis moneret, Ipseque Hie-
ronymus auditor, centra dictom Marlinum Lutherum
monitorium hujusmodi , ut accepimus , decrevit.
Nuper aatem ad notitiam noslram devenit , quod di-
tìtus Martinus benignitate nostra abusus , et audacior tt-
fectnSj mala malis addendo, et pertinacller , io haeresì
persistendo , nonnullas alias Conclusiones ac famosos li-
fcellos similiter publieavit , in quibus nonnulla alia hae-
relica et erronea continentur, quod quidem mentena no-
2tram non modicum perturbavit.
Quare, prout pastorali nostro incumbil officio, in prae-»
missis occurrcre j et ne pestis hujusmodi adeo invaleat,
tJt simpiicium animos inficiai, providere volenles , cir-
cumspectionis tuae , ( de qua lum ob singalareoa doctri»
nam et rerum experientiam , tura ob in nos , et banc
sanctam Sedem , cujus honorabile membrum existis , sin-
ceram devotionem plurimum in Domino confidimils) per
praesentes mandamus , ut eisdera praesentibus receptis ,
absque ulla mora, quoniam res apud nos, luna ex fa-
ma , tura ex facli permanentia , notoria et inexcusabilis
est, dicium Lutberum hacreticum per praediclum audi-
toreni jam declaratum ad personaliler coiam te compa-
rendam , invocato ad hoc tàm clarissimi in Christo filii
nostri Maximiliani Ronianorum Imperatoris Electi, quam
reliquorum Germaniae Frincipura , Communitatum Uni-
versitatum et Polentatuum , tara Ecclesiasticorura , quam
secularium , brachio , cogas atque compellas , et co ia
potestale tua redacto , eum sub fideli custodia retineas ,
donec à nobis aliud habueris in mandatis , ut coram no-
bis et Sede Apostolica sistatur. Ac quod si coram te ,
Eponte ad petendam de hujusmodi temeritafe veniam , ve-
nerit , et ad cor reversus poenitentiae signa ostenderit,
Tibi eum ad uniialera sanclae matris Ecclesiae , quae
ttunquam claudit gremium redeunti, benigne recipiendi
concedimus facultatem.
Si vero in pertinacia sua pergeverans et braehinm se-
i35
calare contemnens, in potcstatcm tuam non veaeril, Tibi
in omnibus Germaniae partibus eum ao onines ipsias
adhaerentes et sequaces , etiara per edicta publica , ad
instar illornm , qui olirtì in Albo praetorio scribebantuPj
prò haeretioisj exconaraunicatis , anathematizatis , et raa-
ledictis publicandi , et ab omnibus Ghristi fidelibus ,
tanquam tales evitari faciendi , concedimus similiter fa-
cultatera.
Et ut celerius et faciìius morbus hujusmodi exlermi-
retur , universos et singulos Praelatos j el alias Eccle-
siasticas personas , tara secnlares quam quorumvis Ordi-
num , etiam raendicantium regulares j nec non Daces ,
Marchiones, Comiles, Barones ac quascunque Communi-
tates , Universita'es et Potentatus (praefato Maximlliano
electo Imperatore excepto ) aiitoritale nostra etiam sub
Excommunieationis latae senteotiae , et aliis infra di-
cendis poenis moneas , et requiras , ut sicut reputari
cupiunt , et baberi fideles ^ dictuui Martinura , et ejus
adhaerentes et sequaces capiant , et ad raanus tuas trans-
mittant.
Quod si, quod absit , quod nobis persuadere non
possaraus , praedicti Principes , Coramunitates , Uni-
vcreitates 3 et Potentatus, aut aliquis eorum , Marti -
num , aut adherentes et sequaces praedictos quomo-
dolibet receplaveriut , seu eidem Lulhero auxilium ,
consilium , vel favorem publice vel occulte , dircele
Tel indirecte , ex quavis càusa quomodolibet dederint ,
eoruudem Principnm , Comraunitatum , Universitatuni ,
et potentaluum , ac cujuslibet eorum civltates, oppi-
da , tcrras et loca , nec non civiiates , oppida , ter-
ras , et loca ad quae praedictum Martinura declinare
i36
contigerit , ùoaec «iictus Marlin ws ibidem permanse -
rit 3 et per triduum post, ecclesiastico subjicijnus iu-
terdicto.
Mandantes niliilomÌDus omnibus et siogulis Principi-
bus , Comrannitatibus , Uoiversitatibus et Potentalibus
praediotis , ultra prefatas poeoas , quo ad ecclesiasticos
et regulares piediclos sub privatiouis Ecclesiarum , Mo-
nasteriorum , et aliorum Beneficiorum Ecclesiasticorum ,
nec non inhabililatis ad ea in posterum obtinenda , pri-
vallone quoque Feudoruni. Quo vero ad Laicos , dempto
praedicto Imperatore , infainiae , et inhabililatis ad omues
actus legitiraos Ecclesiaslicae sepullurae , privationis quo-
que Feudorum , à nobis et sede Apostolica , vel qui-
busvis aliis etiam secuiaribus obtentorum poenis , eo ipso
incurrendis , quatenus mandata reqnisitionis et hortatio-
uis et hortationes tuas sine exceptione , coufradietione
et replicatione aliqua illieo exequanlur, et à Consilio,
ausilio, favore, et receplatione predictis omnioo absti»
neant.
Obedientibus vero Indulgentiam eliara plenariara , seu
retributionem aliquara , aut gratiam arbitrio tuo conce-
dendi, tenore praeseutium libi tribuimus facnltalem. Non
obslanlibus cxemptionibus , privilegiis , et indullis , ju-
rauiento , confirmaiione Apostolica, vel quavis firraitate
alia , roboralis , quibusvis Ecclesiaslicis seu cujusvis Or-
ilinis et mendicantiura regularibus , Ecclesiis , Monaste-
riis sive lo^s , aut persouis etiam secuiaribus, quomo-
dolibet concessis , etiam si iu eis caveretur expresse,
quod excommunicari , suspendi , interdici nullo modo
possint , cum irrilantis decreti appositione , quibus eorum
tenores , ac si de verbo ad verbum praesentibns insere*
reotur, prò expressis habenles , ad effectura praesentiuai
specialiter et expresse derogamus , et derogatum esse vo«
lumus , oaeterisque contiariis quibuscuuque. Dalum Ro-
mae a()ud S. Petrum , sub annulo Piscatoris, Die xxiii.
Aususti j Anno mdxvIii. Pontificatns nostri anno sexto.
o
Jacobus Sadoletus.
N.« CLII.
( Voi ri. p. ii8. )
Lutheri. op. p. i6o.
Leo Papa X. Dilecto Filio Nobili Viro Friderico,
Duci Saxoniae, Sacri Romani Iinperii Principi EleC'
tori., S.
Dilecte fili j saluterà et Apostolicatn Benedicliooem.
Cum memoria recolimus nobilissimam Familiara tuam ,
teque ipsum caput et ornamentum familiae y ad caeteras
laudes proprias generis vestri hanc primam et putissimam
esse voluisse, ut per vos Dei fides ac religio, et hujus
sanctae Sedis honor ac dignitas, quemadmodnm quidem
decet et fas est , salva alque illibata manerent , non pos-
sumus existimare errautem quempiam à fide, vel adver-
sus eam potius oblatrantem , luae nobilitatis favore aut
gratia fretum , superbiae et iniquitati suae frena tam au-
dacter laxare.
Cum vero audimus, et ad nos undique defertur, quem^
dam iniquitatis filium , Fratrem Martinum Lutherum j
i38
ordinis Eretnìtarum , S. Auguslial congregalionis Ale -
manniae , immemoreru habitus , professioaisque suae ,
quae in humilitate et obedientia consistita praevarican-
tera , io Ecclesia Dei jactare se , tanquam tuae nobili-
latis praesidio niuuilus , nullius autoritatem repreheasio-
nemque vereatur. Etsi cognoscimus falsnm hoc esse , ta-
naca eidera nobilitati tuae scribendum duximus , horlan-
tes eam in Domino, ut prò nomine et dignitate boni
catbolicìque Principis, qualis tu es 3 retinere splendorem
oplimae famae generis tui immacntatum ab hac oalum-
uia velis. Ncque solum culpam evitare, quod facis , nul-
la enim adhuc in te nostro judicio culpa est , sed etiam
suspicioneni fugere hujus culpae, quam tibi illius teme-
rilas inferre conatur.
Et qaouiara ex doctissimorum ac reìigiosissimorora
hominum relatione , ac praeserlim dilecti fdii Magistrì
sacri Palatii nostri , nobis constai , multa , dictum fra-
trem Martinum Lutherum , impia et haeretica , audere
asserere , et publice affirmare , Nos et eum citari ad res-
peudendara jussimus, et dileclo filio nostro Tbomae 5
lituli S. Sixli Presbytero Cardinali nostro, et hujus
sanctae Sedis de latere Legalo , homini omnis Theolo*
giae Philosophiaeque consultissimo , quid cum agere opor-
teat , commisimiis.
Cura auiem haec res Dei Catholicaeque fiuei sinceri-
tatem omnino concernat , sitque proprium officium Sedis
Apostolicae , fidei raagistrae cog'ioscere , qui recle sen-
tiant aut perperam ; horlamur denuo nobililateiu tuam ,
et in virtute sanctae obedientiae raandamus , ut et Dei ,
et nostri, et sui honoris causa, dare operam et efficere
•velit 3 ut is Martinus Lulherus in potcstatem et judiciuui
ìiujus sauctae Sedis, sicut k te Legatus praeclictus re-
quisirerit, dedacatnr. Qaod erit fidei caiholicae gralum
*t salutare munus , tuae nobilitati ob pietalis et religionis
cultura, la primis hooorificum. Siquideoa ad honorena
nomiais tui et aaimae salutem in primis pertiaet , ne
praesens et futurum seculura ullo tempore commemorare
possit, haeresio perniciosissimam io Ecclesia Dei, fa-
vore domus tuae nobilissimae , fuisse exorlam , cui te
periculo occurrere tua sapientia decet.
Quod si forte aliqnid tibi de eo in bonam partem
persuasum est, re apud Sedem Apostolicam discussa , et
ventate indicala , aut is , si erit innocens , cum bona
nostra gratia remittetur; aut si pravae mentis inveotus
fuerit, meus tua ab oranì errore liberabitur. Nos et paterno
affecfu, et ex pastorali officio, neque innocentiae poe-
nani ullam propouimus, et poenitentl clementiae noslrae
gremium largiter aperiemus. Datum Romae apud S. Pe-
trum , sub annnlo Piscatoris , Die xxiii. Augusti, Anno
za.a.xviii. PontiGcatus nostri anno sexto,
Jacoeus Sadoletus.
f4o
N.« CLIIL
, ( Voi. VI. p. 119. )
Luiheri op. tom. I. p. 162.
Epistola Academiae Wirtemeeugensis ad Leonem X.
RoMANUM PoNTiEicEM , Testimoniiiin praehens de iii-
tegritate D. Martini Luthcri , et excusans euin , cjuare
Humam proftcìsci non possit.
NoQ temei itati neque impudeutiae nobis vertetj Bea-
tissicie Pater, slavissima illa tua et vere pastoralis Cle-
mentia, quod Sanctitatera tuam bisce nostris Literis adire
praesumpsimos , Pietas ipsa et veritas vice nostrae vere-
cutidiae abande (speramus) nobis conciìiabit patientissi-
niam tuain , et passim omaibns munifice exposilam be-
nevoleiitiam.
Frater quidam , Martinus Lutberus , Artium et sacrae
Theologiae Professor, nostri studii fidele gratumque mcm-
briim , (ut vocant ) nobis supplex factus, fiducia nostrae
intercessionisj Literas ad Bealitudinem tuam postuìavit,
quibus testimonium perbiberemus et doctriaae et famae
ejus , quam à quibusdam iniquius damnari et accusari
quaeritur.
Denique et nunc auloritate Beatitudinis tuae^ per Gnm-
mis?ionem propter disputatas aUquot apud nos Proposi-
tiones de Lidolgentiis , citatus , et personaliter comparere
in Urbe jussus est. Quia vero et corporis valetudo , et
itiueris periculum , non paliuutur eum facere quod de-
beret et vellet , haec res supra vires suas esse videtur;
Idcirco nos ejus et necessitati et petitioni compassi, ne-
gare non voluimus id , quo sibi opus esse credit , lesti-
nionium nostrum.
Quare , Beatissime Pater , humiliter et obnixe oraraus^
«Jevotì deditique filii Sanctitatis tuae , ut hunc Virunx
cum credere digaetur , cujus apud nos opiuio usque
adhuc nuUius perversi et quod a sacrosanctae Roraanae
Ecclesiae sensn aberret , dogmatis labe respersa aut con-
taminata sit. Nisi quod ritu et facilitate disputandi libe-
rius forte quaedam posuerit ( nihil asserendo ) quam ferre
potuerint quidam adversarii sui. Nam nec nos ipsi tales
Tinquam videri voluimus, qui pertinaciter adversus ca-
iholifìum Dogma quidquam sapere statuerent. Parati per
omnia , tuis et sanctae Ecclesiae v«oluntatibus parere in
Ghristo Jesu Domino Deo nostro , qui et sanctitalem
tuam nobis faciat propiciam et exorabilem , et gratia sua
hic praeveniat, et illic gloria aeterna subsequatur, Amea.
Datura Wittembergae xxv. Septemb. Anno mdxviii.
Tuae Sanctitatis devoti deditique Filii , Rector , Ma-
gistri, et Doctores Academiae Wittembergensis.
i4^
N.o CLIV.
( J'oi ri. p. 121. )
Liitherì op. torri. I. p. i63.
Martinus Lutherus, Philippo Melancth. S.
Niliil novi aut miri hic agitar , nisi quod mei nominis
rumore Civjtas piena est, et omaes cupiunt videre ho-
minem tanti inceadii Hcrostratum. Tu age virura , sicut
agis, et adolescentcs recta doce. Ego prò vobis et illis
vado immolari, si Domino placet. Malo perire, et quod
unum mihi gravissimum est , etiam vestra couversalioae
dulcissima carerà in aeternum , quam ut revocem bene
dieta , et studiis optirais perdendis occasio fiam , apud
hos , ut insipientissimos , ita acerrimos lilerarum et stu-
diorum hostes.
Italia est in jEgypli tenebras palpabiles projecta , adfio
ignorant omnes Christum , et ea qnae Christi suat Hos
tameo Dominos et Magistros Labemus fide! et raorum.
Sic fmpletnr ira Dei super nos , quae dicit : Dabo pue-
ros Principes eorum j et elfoeminati domioabuntur eis (i).
Vale, mi Philippe, et Dei iram castis precibus averte.
Angustae feria secunda post Dionysii , AuQO m.d.xviii.
F. Martinus Lotherus,
(0 la queste parole malignamenle allude Lutero alla giovi-
nezza di Papa Leone , eil al ili lui carallere periato alla ma-
giiificetua , alla lil)eraliu'i , £il buon gusio.
i43
K'' CLY.
( Voi ri. p. 128. )
Luiìieri op. toni. 1. p. 169.
Revibendissimo in Crristo Patri et Domino Thomae,
TnuLi S. SixTi , Praesbilero Cardinali., Sanctae
Sedis Apostolicae per Germaniam de Intere legato ,
eie. In Christo metuendo et colendo , salutem et
omnem Subjectioneni sui.
Reverendissime io Cbristo Pater. Itpram Venio , sed
per literas ; dignetur Reverendissima Paternitas tua me
clementissimè audire.
Egit mecum P».everendus , mihiqne duloissimus , Pater
meus in Christo , Vicarius noster Johannes Stupicius ,
ut humililer sentirem , et opinioni propriae cederem , et
censura meum submitterem, commeudaviiqne ao esube-
rantissime persuasit Paternitatem tuam Reverendissimara
mihì esse galiosissimam. Ea res , et nuncius pariter me
inirum in modum exhilararunt , Est enim homo hic ta-
lis et tautus in oouiis meis, ut nalliis sit in mundo cui
libentius audirem et obsequerer. Nec minus egit dulcis-
simus frater meus, Magister Venceslaus Lincus , qui ab
ineunte aetate pari meoum studio adolevit. Breviter, non
potuit Reverendissima Paternitas tua fortius et dulcius
me movere , quàm bis cucbus Viris mediatoribus . quo-
rum ulerque in solidum me habet in manu sua. Tanta
est tua finìul humanitas et piuderlia^ qua video tuam
i4/»
Reverendissiraam Paternìtalem non mea , sed me quae-
rere, cuoi potuisset sola polestate in me dominari. Ita-
pue jam tiojor meus sensim transit, imo mutatus est, in
singularem erga Reverendissimam Paternitatem tuam amo-
rem , et veram filialemque reverentiam
Nunc j Reverendissime in Christo Pater, fateor, sicui
et alias fassus sum , me fuisse certe nimis ( ut dicunt )
indisorelum , acrem et irreverentem in nomen summi
Poatificis. Et licei acerrime fuerim in hanc irreverentiam
provocatus , taraeu meum fuisse nunc intelligo , mode-
stiuSj humilius et reverentius hanc materiam tractare ,
et non ita respondere stulto , ut ei similis efficerer , de
quo sincerissimè doleo , et veoiam peto , et per omnia
Pulpita in vulgus promulgabo , sicut et saepius jam feci,
Daboque deinceps operara , ut alius sim , et aliter lo-
quar , Deo miserenle. Imo promptissimus sum, atque
facilliraè promitto , me poslhac materiam de Indulgentiis
non tractare, atque bis litiitis quiescere , modo illis quo-
que modus imponatur, aut serraonis aut silentii , qui
me in hanc Tragoediam suscitaverunf.
Caeterùm , mi Reverendissime in Christo , ac jam dul-
cissime Pater, quantum ad sententiae veritatem perti-
net, libentissimè omnia revocarem , tam tuo, quam Vi-
carii mei jussu et Consilio , si ullo modo conscienlia mea
perraitteret. Ego enim scio, nullius praeoepto , nullius
Consilio, nullius grafia, me tantum debere permittero ,
ut aliquid conlra conscientiam dicam, aut faciam. Dein*
de narrationes divi Thomae et aliorura tantae non sunt,
xit mihi in hac Quaestione satisfaciant , cum dedita opera
contra eas disputarira ^ ut optimè perlectas et percogni-
tas, visae eoim sunt non satis firmo niti fundameuto.
i45
Hoc aulem unum superest , ul meliorì superer ratione ,
quae est : Si Tocem sponsae audire merear , hanc enim ,
certuiu est , vocem sponsi audire.
Ideoque omni hnmilitate supplico , Reverendissima Pa-
ternitas tua dignetur ad Sanctissimum Doniinum nostrum.
Leonem X. istam causam refcrre , ut per jecclesiam haec
dubia determinata , ad juslam vel revocationem \e\ cre-
dulita'em possit compelli. Nihil enim aliud cupio, quam
Ecclesiam andire et sequi. Nam mea super dubiis et in-
detcrmioatis Revocatio quid faciat , ignoro , nisì quod
Hierito mibi objici posse timeo , me , nec quid asserue-
rim. Dee quid revocarim ^ scire. Sascipiat Reverendissima
Faternitas tua bauc humilitatis et parvi»ati« meae suppli-
cationem j ut in filii vicem clementer commeiidatum me
Labere dignetur. Dalum pridiè Lucae Evangelistae. An-
so mpxviii.
Keperendissimae tuae Paterni tati».
Deditus filius
F. MijRTIUflS LVTHERUS AuGPSTlNlAJf Ug.
I/RJNB X. Tom. mi IO
t46
N.-^ CLTI.
( Voi ri. p. 128. )
Lutheri op. tom. 1. p. 170.
jf^ETlBINDISSIMO IN ChrISTO PaTRI ET DOMINO, ThOHAE
T ITILI S. SixTi , Pieshjiero Cardivalì, Sanctae
Sedis Aposiolicae per Gennaniam de latere Lega-
to^ eie. In Christo rneluendo et colendo, F. Marti-
vus Lutherus salutern et seipsum.
Vidit Reverendissima paternitas tua , Revereddissime
in Chrislo Paler , vidit, ioquam , el satis cognovil meam
obedientiara, qua per taatuin iter , ac per tot perioula,
imbecillis corpore , et pauperrimus sumptu , huc me con-
tali ; et ad mandatura SaBClissimi Domini nostri Leo-
nis X. corani Reverendissima Paternità te tua comjiarui ,
«t me obtuli. Praeterea edito libello Resolutionura , me
et omnia mea sub pedibus suae Sanctitatis projeci , ex-
pectans acceplurusque quidquid sive damnanti sive ap-
probanti visura fuerit. Et piane nihil me omisisse mihì
oonscius sura , qaod ad deditum obedientemque Eccle=
siae filium pertinere possit.
Quare frustra bio tempus terere nolo, neque possum^
quia et sumptus deficit et Patribus bis Carmelitis satis
superque fuerim et sira onerosns , maxime cum reveren-
dissima Paternitas tua mihi viva voce mandarit , ut si
Bollem revocare , nou ledirem in conspecluiu Reverendis
»47
simae Pai. luae. Revocar» quid et quantum valeam, priori-
bus literis sigoavi.
Itaqne nuiio abeo, ed alio me loco provisnrns mi^ro.
Et quaoquam mihi cousul'um est, ab bis eliam,quivel
majores me movere possntit , ut a Re\erend. Paternitate
tua, imo à Sanctissimo Domino nostro Leone X male
informato, ad melius iuforinanrlnni (scio enim qnod Prin-
cìpi nostro Illustri<:simo , ^ratnm facturum appellantlo ma-
gis qiiam revocando) appellem. Tamen quantum in m©
fuisset , uon appellassem , Prima n , quod mihi non vi-
deatur necessaria A.ppellatio vA commi'isio ad partes. Cam
ego , ut dixi , omnia in jndiciùn Ecnlpsiae retulerim , et
non nisi seotentiam pjus pxpeUem. Qui enim ultra facere
debeo , aut facere possum? Neque enim me reo aut res-
poiisore opus est , qui non quid ego dixi , seil quid Ec-
clesia dictura sit, attendo, nec AJversarius contendere,
sed Discipulus audire volo.
Deinde , quod mihi pe.ie p^rsuasum est , hanc causam
Reverendissimae Pateruiiali luae esse molestam , et Appel»
lationem gratissimara , Meoque sicut non mereor , ita
nec timere habeo censuras. Et si ego Dei gratia talis
6Ìm , ut censuras longè rainus timeam , qnàm errores et
inalam in fide opinionem , sciens , quod censura non
nooet 5 imo prodest , si sana fides et veritatis sensus me-
cum fuerit.
Qnare per Christi viscera , et insignem tuam mihi
exhibitam Gleraentiam , rogo , dignetur hanc meam obe-
dientiam hucusque praesiitam et compietam , gratiose
agnoscere , et sanctissimo Domino nosno Papae brnii^ni-
ter commendatam facere. Atqne hanc meam abitionem
et Àppellationem , prò mea uccci^silate et amicorum aa^
i48
toritate parataiu , boni cDnsulere. Nam eorum vox et ra-
tio mihi insuperabilis est haec : Quid tu revocabis ? Nnn-
quid tua Revocatioae nobis legem Gdei statues ? Damnet
Ecclesia prius , si quid damaatidurn est, et ejus tu ju-
dicium sequere j non Illa tuum sequatur judicium,. atque
ita victus cedo.
Valeat itaque Reverendissima Paternitas tua, in Chrì-
sto, m\hi observantissimo , Ex Carmelo Augustensi , dio
S. Lucae Evang. Aono M.n.xviii.
Reverendii5simae Palernitatis tuae
Deditas filius,
MARTlNtJS LUTHERUS AuGUSTINIASTUS.
N.« CLVII.
( Voi. FI. p. 129. )
Luiheri op. tom. 1 pag. i^'ò.
Epistola ThOxMAe Gajetani tituli S. Sixti Presbyteri
Caruinalis, ad D. Fridericum, Saxoniae Ducem,
Sacri Iinperii Electorein , etc. De Lutheri causa ,
poat discessum ejusdeni Lutheri, ex Augusto , Anno
5IDXVIII.
Illustrissime et Exnellentissime Princeps. Venit Frater
Martinus cui» literis Excellentiae vestrae, et antequam
nos adiret, voluit se munire salvo conductu , quem ab
JHis Douiinis , Cacsareae Maestatis Consiliariis ^ vestrae
«49
lllustrissitnae Dominationls intuitn et favore impetravit.
Non tamea sine scitu mpo. Noluerunt enim hi Domini
quidquam illi concedere, nisi me permittente. Qn bus
respoodi , Facerent quidquid eis piacerei , dummodò no-
mea raeum non misceretur. Et hic coepi mirari ; nana,
si Excellentia vestra in me confidebat , n©n erat opns
salvo conduclu ; si non confidebat , non erat mittendus
ad me, ut Patrem.
Adiit deinde nos Frater Martinus , primiim excupaos
se super inapetratione salvi coaductus propter ininiioi-
tias, etc. Deinde dicens, se venisse, ut nos audiret, et
veritatem à nobis agnitam profiteretur. Nos hominem li-
bentissimè ac humanissimè excepimus , paterneque com-
plexi sumus. Dixi ante omnia , quod secundijm soiidani
•Scripturam sacram et sacros Canones interrogandus es-
set, et qnod si se cognosceret , et de caetero caverei j
possemusque secare dormire, ne reverteretur ad vomi-
tum , omnia componerera , saactissimi Domini uostri Pa-
pae Leonis X. autorilate.
Ostendi deinde, monuique paterne, Dispatationes et
Sermones ejus esse centra ApostoHcam doctrinam , ma-
xime super ludulgeniiis , citaviqiie Extravagantem Gle-
mentis VI. aperte contra ipsum stantem , tam super cau-
sa, qùam cfiectu Indolgentiarum, A.dduxi praeterea an-
tiquam et communem Romanae Ecclesiae consuetudinem,
ac interpretationem super alio etiam Articalo de fide
Sacramentorum aperui ; ailmoniiique opmionem ejus non
esse sanara , sed manifeste dissentire à sacra Scriptura
et recta Ecclesiae doctritia , quae illi omniuò repugnat.
Is ad Extravagantem claram et apertam dixit nescio quid
relalione indignum , et petiit diem ad deliberandum , re-
i5o
diturumqne se affirmavit. Ego illum Borfalus, ìli se co.-
gnosreret , dimisi.
Rediitque poi^trìdiè , una cum Paire Vicario generali
congregationis Observanlinm ^ multisque stipatus. Et cam
esipef 'areni , ut se vere agnosceret , coepit coram Nota-
rio, qiiem secunn duxerat, protestari. Ego id subridens,
ìterum linmaoissimè hominem hortaius som , ut relioto
lìijjiiscemocli inani Consilio, ail cor et sanitatem rediret,
du7um esse illi contra stimulnm calnirare. Addi(!it dem-
ceps 3 in Sciiptis se velie niihi respondere , et cansam
suam agere , me anteriore die salis diglad'iaium verbis
oum ilio fuisse. Ego audaciam hominis miratns Hixi ,
FJi , neque tecum digladiatus sum, neque digladiari
volo Tantum paratus sum , intuilu Illustrissimi Ducis
Friderici , te paterne ac benigne ( non disputandi con-
tendendivè gratia ) audire, ac prò veritate raonere ae
«decere , conciliare etiam ( si voles ) sauctissimo Domino
nostro Papae Leoni X. et Romanae Ecclesiae.
Rogavit ine tum is , tuni Vicarius ejus , ut illum in
Scriptis audire vellem. Disi me libentissimè auscultaUi-
jum et facturum omnia paterne non tainen judicialiter.
Ifaque abiit , reversusque postea tertio est , et longam
Soripto exhibuit | hylacieriam , in qua fatue admodum
respondet ad cosliha'ionem Extravagautis Papae, nec
|>arcit etiam suae Sanotilali , quam dicit abuti au'orita-
'àbus sacrae Scripturae. Ad illìid vero de fide Sacia-
luentorum implet papyrum locis sacrae Scripturae ornai»
UÒ impertinentibus et perperam inlellectis.
Ego poslqnam ostendi i:on ita esse intelligendnm ,
qnod in illa Extravagante et sanris literis scriptum est ,
àlerum atque ilerum Fratrem Marlinura ut filiura moussi
i5i
€t oblestalus surn , nollet plus sapore, quàm oporteret,
)oec nova doginata ia Ecclesiarn iutrudere, sed seipsum
cogiiosoere , et salvare animain suam,
Veiiit ad me deinde Pater Vicarius congregalloi^s j
curo quo praeseate Ma;.'nir!co Domino Urbano Oratore
Monlisferrati , et uno Magistro Theologiae dicti Ordinia
niultasque Loras traotavimus de negocio hoc, ut lolleretur
scaadalum , salva reverentia Apostolicae Sedis , et sinc
ulla nota Fratris Martini. Venit postea solus ifle Theo-
logiae Magister , socius Fratris Martini , qui probavit et
collaudavit tractatum.
Jactis his fundamentis , cura bene sperarem omnia ,
profeclus est hinc idem Vicarius ^ insalutato hospile; ac
me omninò inscio subseqnutus est deinde Frater Marti-»
nus et Socii ejus , mihique omninò ^ imo sibi , perbellè
illuseruDt, Accepi interea Fratris Martini literas , quibus
petiit fucatam veniam , Non ideò vero revocai maledicta
et scandala , quae calholicae Ecclesiae inoussit.
Ego, Illustrissime Princeps , fraudnlentum Fratris Mar-
tini et sequacium consilium , non solàm admiratus sum,
verùm eliam prorsus perhorrui et obstupui. C«m enim
de bona illius valetudine maxime sperarem , maxime
sum frustralus. Non video lameu cujus fiducia haec agat.
In causa vero tria alfirmaverim Primo ., dieta Fratris
Martiui in Gonclusionibus suis disputative esse posita. la
sermonibus tamen ab eo scriptis, affirmativè et assertive
esse posita, et confirmata in vulgari germanico , ut ajunt.
Ea autpm snnt partim contra doctrinam Apostolicae Se*
dis , partim ver® damnabilia. Et credat mihi Illustrissima
Dorainalio vestra , quia vera dico el loquor ex certa
scientia, non ex opiaionibus>
i -J'2
Secondò , Illuslrissioiam illam vestrara Domina tioDero
hortor et rogo, consulat honori et conscienfiae suae, ve!
mittendo Frairera Martinum ad Urbem , vel ejiciendo
extra terras saas , postquam non vult paterna via erro,
rem suum cognoscere et cum universali Ecclesia bene
sentire.
Postremo, illud sciai Illustrissima Dnmiaatio vcstra ,
uequaquam hoc tàm grave et pestilens negocinm posse
din haerère, Nam Romae proseq'ientur Causam , qnando
ego lavi mauiis meas , et ad sanctissimum Dominum ,
Domìoum nostrum hujusremodi fraudes scripsi. Bene et
felìciter valeat Excellentia vestra cui me intime com-
mendo. Ex Augusta Vindelicorum , 25 die Octobris.
Anno i5i8.
Iterum atque iterum rogo , ut Dominatio vestra Illa-
strissima non permittat se decipi à dicenlibus, Nihil
mali contineot Fratrls Mattini Lutberi dieta ; Nec ponat
maculain in gioriam Majorum snorum , et suam , propter
niiuin Fraie^culum , ut tolies promissit. Ego loquor pu-
ram veritatem , et servabo Jesu Christi regulam : A fra
elibus eoruu] cognoscetis eos. Haec panca manu prò-'
pria.
E. V. et Illustriss. D.
ad obsequia ,
Thomas, S. Six.i Caroinalis ,
Legatus Jpostolìcae Sedis,
i53
R*> CLVIII.
( Voi FI p. 129. )
Lulheri op. tom. 1. pag. ijS.
Ilustrissimi Prikcipis, D. Friderici, Ducis SaxoniAEj
Romani IsiPtRii Electoris, Responsio ad literas D.
Thomae , tituli S. Sixti Cardinalis praecedentes.
Reverendissime in Christo Patfr Singnìariter nobis di.
delissime Domine , et Amice ; Vestrae Charitatis litera';
die 25 Oclobr. Augastae datas , die ir) Novemb. per ta-
bellarium non peculiarem, sed fortuitum , redditas, ac-
cepimns, ad D.Martinum Lutherum Augustinianum per-
tinentes , quas nodccunque cura toto earum argumenlo
percepimus atque intelleximus.
Quoniam ergo dictus Martinus coram pietate vestra apud
Augustam comparuit , sicut cura charitate vestra collo-
quuti Augustae poUicebamur , nostrae satisfecimns prò-
missioni. Praeterea , persuaseramus nobis, vestram pie-
tatem , audito Martino, secundum vestrae Reverentiae
promissionera multiplicem , eum paterne et benevole di-
missuram fuisse , ncque quamvis nondum cognita causa
el sufficienter discussa , ut Martinus refert , coacturam
ad revocationem et palìnodiam. Sunt enim plurimi eru-
diterum , in nostris principatibus et terris , et alibi ia
Universitatibus studiorum , à quibus hacteaus et in ho-
diernum usque diem constanteret irrefragabiliter certiores
fiori noB potuimuSp Martiii doctrinam inapiaoa, H»n Giiri-
<54
stianam , et haerplioarn esse; exoeptls nonnullii? , quoram
rei pricalae et utilitati pecuniariae eruditio ejus non pro-
fuit , qui ut propriae coiumoditati consulerent , Martino
sese advppsanos opposuppunt , suo tamen proposito cen-
tra Martinum ooirdum probato. Naui si aliquo constanti
fundameato et ratione intelligeremus , 0. Martini Luther!
doctrinam impiaoi et instabileni esse , Dei omnipoteotis
auxilio et graiia , ipsimet ila nos doceremus , ut nulla
indigereinus exhortatione atque admoniiione. Noster eninf»
animus, nostra voluotas, nostra meas , in hoc tota est,
ut ad Christiani Priacipis offinium sit paratissiraa , et
qui Deo adjutore, et houori et conscieotiae suae cupiat
consultura.
Quaproptep modis omnibus speravimus , non futurum ^
ut in hoc rerum statu , hac afficeremur oomminatione ^
scilicet Rom. curiam id causae prosequuturam , et Re-
terentiam vestram manus lavisse, vel ut à nobis postU'
laretur , ut Martinum Lutherum sive Romam raitteri-
mus , sive ex nostris Rp<jionibus expelleremus , Nora ta-
men oh alia , quam quod Martinus Lutherus crimiais
haereseos nondum oonviotus est. Pplleretur enim incora-
modo nostrae Universitalis , sicut in haoc diem nolum
est, Ghi-istianae , et multos bonos et doctos et stadiosos
homines habentis.
Neque o:BÌsiraus D. Martino vestrae oharitatis literae
exhiberc , ad qnas nob s spcunlum tenorem exemfdi ,
his noslris litpris inclusi , respondit.
Gum ifaqiie D. Maftinus sese orfpralr-a4 aliquarum
Universitaliitn judiciutu , et in iocis tutis disputationera ,
et coirnita causa permissurum se obftdienter . ut docea-
lur et simul ducalur, arbilramur euiu meritò admittea-
i55
dum , aut saltem ei ostendenclos in Scriptis errores , Id
quod et dos petimus ^ ut sciamus ^ quauiobrem taiuea
haereticus esse dehcat , et babeamus quod spqnamur et
faoianius. Neque eiiim nos ita ( noudnm couvictum ) prò
haeretico reputaoduui et scribendum seolimus. Deuique
non libenter permitleremus , nos in errores pertrahi , ne-
qne ut inobedieutes a Sancta Sede Apostolica inveniri.
Hoc vestram charitatein ( quam Deo onaaipo'enti dia
feliciler conservandam commendamus ) celare nolniuius.
Daluin Aldeoburgj die 8. Decembris j Aquo l5i8.
N.o CLIX.
( Voi VI. p. i3i. )
Lutheri op. tom. I. pag. 177.
Nova Decretalis Leonis X. Pontifices Maximi : de
Indulgentiis Anno mdxviii. condita.
In nomine Domini. Amen.
Univer?is et singuWs praesens Transumptum seu pu»
blioum Instrumentum inspecturis, pateat , et eviilentf-r
sit Dotum , Quod anno à IVativitate ejn^deni Doiiiiiii ,
millesimo, quingentesimo decimo celavo, inditione sex'a,
die vero decima terfia raeusis Decemb-is . PoiitificaMis
Sanctissimi io Christo Patris et Domini nof tri , Domini
Leonis, divina provideotia Papae decimi, anno sexto.
Ego Petrus Antonius Berrus Parmensis , publicus Apo-
stolica autoritate Notarins , ac in Romano Archivio de-
scriptas , constilatus in Liatz oppido j Arcbidacatus Au-
x56
striae, in Camera Reverendissimi la Christo Palris €i
Domini, D,omiai Thomae Tituli S. Slxti S. R. E. Pre-
sbyleri Cardinalis , ad Gaesaream Majestatem , etc. Sedis
Apostolicae de latere Leccati , sila in Monasterio Fra-
trum Conventualium S. Francisci , oppidi praedicti ad
infrascripta per Reverendi«simum Dominum , Dominnm
Cardinalem , Legatum ibidem persoiialiter constitntum
requisitus , ut exemplum seu Transumptum literaruni
Apostolicarum , de quibus infra fit mentio, et quarum
tenor subinseritur , in forma anthentica conficerem , eas-
que transumerem , et earundem veram copiam sive Tran-
sumptum facerem , et cura originalibus mihi Notarlo in
fra scrlpto per praefatum Reverendissimam Dominuui
Legatum praesentatis et Iraditls collalionarera , et facla
coUatlone Transumptum , sive copiam hujusmodi in pu-
Hicam formam redigerem , Quarum literarnm Apostoli-
Carum post Reverendissimi Domini , Domini Cardinaliè:
Legati earundem insinuationis exordium infra scriptum j
tenor subsequltur 3 et est talis :
Thomas miseratione divina , Tituli S. Sixti , sacrae
Roraanae Ecclesiae Presbyter Cardinalis , ad Caesareani
Majestatem , «te. Apostolicae Sedis de latere Legatus ^
Universis et siogulis Dominis , Archiepiscopis , Episcopis _„
eaeterisque locorum Ordinariis , Salutem in Domino, 6Ìu«
oeraeque dllectionis affectum , et praesenlibus fidem ia«
dublam adhibere. Sanctissimus in Christo Pater et Do-
mlnus noster , Domious Leo , divina providentia Papa
decimus, suas nobis transmislt literas , cum vera Bulla
plumbea cum Cordulis ex Canopo, more Romanae Cu-
riae buUatas, sanas siquiJem et integras, non vitiata:^
non cancellatas , nec in aliqua sui parte suspectas j sec'
«nroì prorsns vitlo ac suspicione carentes, Tcnorem qui
sequitur j de verbo ad verbum continentes,
Leo Episcopus : Servus Servorum Dei 3 Dilecto filio
Tbomae tituli. S. Sixtì , ad charissiraura ia Christo (ì-
liura nostrum Maxitnilianum in Imperatorem electum ,
nostro et Sedis Apostolioae Legato , Salutem et Aposlo.
licaoi benedictionem.
Cum postquam Gircumspectio tua Germanlam appli-
cueratj ad aures noslras pervenisset , quo(i nonnulli Re-
ligiosi, etiam ad evangelizandum verbum Dei depateti ,
super Indulgentiis . à nobis et Romanis Pontificibus prae-
decessoribns nostris , ab immemorabili tempore citra con-
cedi solitis, pubiicè ppaedicando , muhorum cordibus
imprimerent errores , idque nobis iotelligere nimis grave
et molestum esset , Aliis nostris Literis cidem Gircum*
speclioni tuae , de qua propter ejus singlarem doctrinara,
et in rebus agendis experientiam specialem , io Domino
fiduciara obtinemus , commisiraus , ut autoritate nostra
approbatione digna approbares , Ea vero , qiiae niinus
rectè dieta essent , etiara per eos , qui Rom. Ecclesiae
doctriuam se sequi paratos asserent , reprobare et dam-
mare curares.
Et ne de caelero quisquam ignoranliam doctriuae Ro-
naanae Ecclesiae circa bujusmodi Indulgentias, et illarum
efficaciam allegare , aut ignorantiae hujusmoJi praetextu
se exeusare , aut proteslatione confida se juvare , sed ut
ipsi de notorio mendacio ut oulpabites convinci , et meritò
damnari possint, per pracsentes libi signiBcandum duxi-
mus , Bomanam Ecclesiam , quam reliquae tanqnam Ma-
Irera sequi tenentur, tradidisse , Romanum Pontificem ,
Fetri Clavigeri successorem , et Jesu Christi in terris Y\>-
i58
catium , potestate claviurn , qnarum est aperire tollendo
illius in Christi fìHelibns impeclifuenta , culpam scilicet
et poenam pio aolualibus peccatis debitam , culpana qui-
dem mpdia.ite S-jcraraento poeDÌteutiae , poenam vero
temporalein prò actualibus peccatis seoiindum divinami
posticiam debitam , mediante ecclesiastica Indulgentia ,
posse prò rationalibns causis concedere eisdem Christi
fidelibns , qui cbaritate jungente, membra sunl Christi,
6Ìve in hae vita sint , sive in Purgatorio , Indulgentias
ex suberabundanlia meritorura Christi et Sanctorum , ac
tàin prò vivis quàm prò defunctis Apostolica autorilat©
lodulgentiara concedendo, thesaurum meritorum Jesu
Christi et Sanctorum dispensare ; per modum absolu-
tionis Indulgentiam ipsam conferre, Vel per modum suf-
fragii illam transferre consnevisse. Ac propterea omnes
tàm vivos quàm defunclos , qui veraciler omnes Indul-
gentias hujusmodi consecuti fuerint ^ à tanta temporali
poena , secundum divinam jiisticiam prò peccatis suis
actualibus debita liberari , quanta concessae et aequisitao
ludulgentiae aequivalet. Et ita ab omnibus teneri et prae«
dicali debere sub excommunicationis latae sententiae poe-
na , à qua illam incurrentes ab alio, qnàm à Romano
Pontifice , nisi in mortis articalo , neqneant absolutionis
beneficium obtinere , autoritate Apostolica j eartìndem te-
nore preseolium decernimus.
Et ne quispiam d© praemissìs valeat ignorantiam alle-
gare , Circurnspectioiii tuae maodamus , Quatenns uoi-
versos et siugulos Germauiae Arohiepiscopos . Episcopos,
et alios locorum Ordinarios, in virtute sanctae obedieo-
tiae , et sub suspen^ionis à divinis poena, raoneas , eis-
que dislrioiò praecipieodo mandesj ut pra«sentes literaS;,
sive earum Tpausurnplum , infra tempus per Circam-
spectioDem tuam eis praeri{;etidum , in eoriira Ecclesiis ,
dum inibi populi niultitudo ad divina convenerit , pn-
blicare, et circa Indulgentias praedictas supradicta sub
simili excoranaunicatioois latae sententiae poena tenere et
praedicare debeant. Et nullus centra ea qnovis noodo
directe vel indirectè venire praesumat. Tibi nihilominus
centra praesumetìtes et incbedienles procedeudi , illosque
debilis poenis, quibus tibi videbitur , puniendi pleaam et
liberam etiam per praesentes concedimus facuitateoi , ia
contrarium non obstantibus quibuscunque
Et quia difficile foret easderu praesentes literas ad sin-
gola qnaeque loca , in quibus expediens fuerit , deferre
Volumus , et dieta aulori'ate decerninius , illarum tran-
suuiptis mano publici Notarii inde rogati j subsciiptis ,
et sigillo alicujus Praelati seu Personae in dignilate Ec-
clesiastica coDstitulae munitis, vel Guriao Eccfesiasticae ,
ea prorsus in judicio et extra , ac alias ubilibet fide»
adliibeatur , quàe praesentibus adhiberetur , si fnissent
exbibitae vel osteusae. Datum Roraae apud S. Petrum,
Anno Inearnalionis Dominicae , Millesimo, ^uingentesi-
JDO , decimo octavo j quinto Idns Novembris. Pontificatua
jiostri anno sexto>
Bembus.
i6o
N.« CLX.
( Voi ri. p- i3i. )
Luthen op. tom. I. pag. 1 79.
Appellati© F. Martini Lutheri: a Papa
AD CoNciLiuM, etc.
In nomine Domini. Amen.
Anno à Nativitate ejusdem , mdxviii iuditione vi. die
vero Solis xxviii. mensis Novembris Poatifìcatus Saa-
elissimi in Gbrislo Patris et Domini nostri , Domini Leo-
DÌs divina providentia Papae X. anno VI. In mea No-
larii pubiici testiamque infra Scriplorum ad hoc spe-
cialiter vocatorum et rogatorura , praesentia , Coostitut.
R. Pater D. Martious Lutherus Augustinian. Wilteraber-
gen. sacrae Theol. Magister , ac ibidem Leclor ordina-
rius Theologiae , priacipalis , ac principaliter prò seipso,
citra tamen quorumcunque Proouratorum suornm quo-
modolibet haclenus per eum coostitutorum revocationem^
habens et tenens suis in manibus quandam Provocationis
et Appellationis papyri scliedulam , animo et intenlione
provocaudi et appellandi, Apostolosquc petendi , dicens ,
oarrans , provocans et appellans ^ certis et legitimis de
eausis , in eadem schedula contentis et compraehensis ,
ad Goncilium proximè et imofiediatè futurum , saltem io
Spirita sanato legitiraè congregatum , aliis vero congre-
gationibus , faciioaibus et concionibus prìvatis penitus sc-
elusis , protestans aliaqiie faciens , prout in dieta Appel-
»6i
htionis sclieclula plpnius continetar , habetur et descri-
bitur , Cujus tenor sequitur , et est talis :
Cum Appellatioais rempflium in subìiJium et releva»
meo oppi'essorurn à Jiirium conditonbus sit adinveiiturn ,
et uora holùra ab illatls , verìun etiam ab infenenHis , et
inferri comminalis , gravammibus et injanis , Jiira ap'
pellare peroaittaat ; aHeò , quò.l iufer.or de noa appel-
lando ad «uperiorena statuere non possit , et rnanus sa-
perioruTi damiere ; sed cum satis si» in professo , sa-
crosanctum Goaciliuin in Spirim sanco Ipgitimè congre-
gai una , sanotan» Eoclesiain lialbohoa'ii repraesentaus , sit
in causis Cdeni conceraentibus sup.a Pipam ; evenit ,
quod nec Papa in causis hujusmodi , n^ ab po ad Con»
cilium appelletar , statuere possit , tauquam id a^ons ,
quod ad officium suunj non spectet ullo modo , Siique
Appellatio ipsa defeusio quaedatn , qnae jare divino ,
uaturab , et humano cuique competit , ueque per Prin-
cipera auferri possit.
Idcircò ego Frater Martinus Lutherus , Ordinis Ere-
mitarum S. Augustini Wutembergens. sacrae Theologiae
Magister indignus , ejusdemque ibidem Lector Ordinaiius
principalis , principabter et prò me ipso, corara vobis
Notano publico tanquam publica et authentica persona,
ac teslibus hic praesenlibus animo et inleotione provo-
caudi et appeliandi , Apostolosque peteadi , et accipiendi,
praernissa taraen expressa ha ; et soleniiii prolesialiooe ,
Quod contra unam sanctam et Calboiicam et Aposiolicam
Gcclesiain , quam totius orbis esse magistram , et oblinere
principatum non ambigo , sanctaeque Sedis Aposlobcae
autoritatem , ac sanctissimi Domini nostri Papae bene
consulti potestatem , nihil dicere intendo. Si quid autem
Leone X. Tom. T'olii. u
t62
ex lubrico forsan linguae, sed adversariorum potiùs ii-
ritamento, minùs rectè, et non ea , qvia debeat, reva-
rentia dictum fuerit, paratissimus snm illud emendare.
Sed qnoniam is , qui vicem Dei in terris gerii, quem
Fapam dicimus j cnrn sii homo, simiiis nobis , ex ho-
minibus assumptus , et ipse ( nt Apostolus dicit ) circuii'
datus infirmitate, potens errare, peccare, mentiri , va-
nus fieri, uec sit exceptus ab illa Prophetae generai'
sententia I Omnis homo mendax. Nec S. Petrus, primus
et sanctissimus omnium Pontificum , ab hac infirmitate
liber fuit, quin noxia simulalione contra veritatem Evaa-
gelii incederei. Ita, ut rigida quidem , sed sanctissima
repiehensione Aoostoli Pauli opus habuerit oorrigi , ut
ad Galatas scribitur. Quo nobilissimo exi^raplo per Spi^
litum saoctum in Ecclesia monstrato, et in literis sa--
cratissiniis relicto : fideles Christi erudi mup, et certi su-
nias. Quòd si sururaus Pontife)^ eadem Patri, vel simili
infirmitale lapsus, quid pPcCceperit vel decreverit, quod
contra divina mililet mant4ata , non solàio obediendum
ei non esse, verùm etiara cum Apostolo Paulo in fa-
ciem ei resisti posse, imo debere, ac velut per inferiora
membra infirmitati capitis , pia totius corporis sollicitu-
dine succurri. Et in hujus exempli praesentem ac per-
petuam memoriam , non sioe siogulari Dei Consilio fac-
tum esse, non obscurè iutelligitur , ut non solùm S.Pe-
trus, sed etiam salutaris ejus reprehensor Paulus , san»
ctae Romanae Ecclesiae jnxta et simul patrocinarentur ,
et praeessent , ne soilicet solùm literis, sed sensibili
quoque monumento bujns summè necessarii ac saluber-
rimi exempli , assidue moneremur , tàm ipsa capita, quàm*
pos membra. Quod si qua poteutiutn vi armalus 3 \.au-
i63
tùm praevaUierit , ut resisti ei nbn possit , nauna ceftà
illud praediotum AppeUaliouis remeJium reliquuca est ,
quo oppressi releveuiur.
Ad quod et ego Frater Martinus Lutherus praedictas,
raodo et animo praedictis confngiens , dico et propono.
Quod cum diebus snperioribas laciulgealiae à quibusdara
Coinniissariis ( ut asserebant ) Apostolicis iodiscretissinaè
praedicareatur , in regione nostra Saxoniae, adeò ut ad
exugeudas populi pecunias incipereut, absurda^ haere*
tica , blasphema quaedam praedioare , in seductionenti
animarum fidelium^ et summum ludibrium Ecclesiasticae
poteslatis , praesertim de potestate Papae ia Pnrgatorium,
ut continet eorum bbellus , qui summarJa institutio vo«
catur , cum tamen certum sit ex Abasioaibus , Papana
non habere prorsum uUam polestalena in Purgatorium.
Deinde una totius Ecclesiae seuteutia , oraniumque Do-
ctorutn cougensu 3 Indulgentiae eint nibil , nisi remismones
satiàfactionis poenitentialis à suo Judice impositae j ut
est clarus textus , Quod autem. Salisfantio aulem poe-
nitentialis ab Ecolesiaslico Judice imposita, aliud non sit,
quàm opera jejanii, oratioriis, eleeniosinae , etc. Ideoqu©
clavibus Ecclesiae reuiitti non possit, quod eisdeiu noti
fueril impositum. Itero quod certum est ex distinct. XXXV.
e. Qualis 3 quod in Purgatorio non solùra poena , sed et
culpa renaitlitur. Culpani autem Ecclesia reinitlere non
potest , sicut nec gratiaiu couferre.
Istis auturitalibus nixus , onoi disputandi more (mì-
Sem reluctatus impuris et iusulsis illoruiu dogmatihus j,
ooeperunt illi , lucri studio furenles , Primùm publicis
(ieclaruationibus ad populutn declarare me haerelicuoa te»
meritate impudentissima ; deinde apud Saiictissiatuu) Di)<i
t64
minum nostrum Lconcm X. per qncndam Dorainum Ma*
riuin de Perusiis , Procuratorem Fiscralem accusare , tan»
quam hacresi suspectum El per eundeni Dominura taa-
dem impetrautes Gommissioneiu oitandi mei in personas
Revereudissimorum Dcminorum et Pairum , Hieroii. de
Genu. Episcop. Asculani, causarum Camerae auditoris
et S^'lvestri Prieria. Palatii Magistri j per eosdeni me
citari curaruat ad urbem , arni personaliter compaienjum.
Cumque ego nec Wiltembergae tutus ab iusidiis, tan-
tum iter peiTioere non possem , nec Romae luto consi-
stere 5 et paupetcnius et imbecillis corpore ; deiade Ja-
dices praefati raihi muliis causis fuissent suspecii , prae*
geriim quod R. P. Sylvester adversarius mihi fuerit , et
dialogum conlra me jam ediderat , et in sacris literis
miuùs eruditus , quàm ista causa ferre possit , Dominus
antera Hiero. in Jurib. quoque plus quàm Theologia do-
rttus , merito limebatur Sylvestrinae Theologiae conces-
surus , et extra modùm suae professionis hanc rem ba-
bele, solicitavi per Illusiriss. Principem D. Fridericuna
Ducem Saxouiae , sacri Rom. Imperii Arcbiraaresohal-
3um , Laudgravium Tfauringiae, Marchionem Misniae, ut
causa ad partes committeretur , non suspectis , sed ho-
nestis et bonis viris.
Tuno Illa crassa quadam et insulsa astulia instrneti,
apud sanotissimum Dominum Leonem , etc. egeruiit, ut
causa in seipsos , hoc est in personam R. Domini Tho-
mae , S. Siiti Gardiualis, tunc in Germania Sedis Apo»
stoìicae Legali , trausferretur , ut qui de Ordine Prae»
dicatorum et Thomisticae factionis j i. e. adversariae vel
primariae, facile speraretur , contra meae ipsis definitar,
aut, ut verisimile est, oei'lè ut hujus facie Judicis ab-
y65
aterritus recasarem oomparere , et contumaciam incurre-
rein. Ego taoien veritale Dei T'-etus ad Auguslam multo
labore et maguis peiiculis veuiens , hucnaiiiter quidom
à praei'aio R. Domino Thoma S. Sixli Card. etc. su-
sceptus sima. Qui cum posthabita protestatioue mea et
obligalione , qua vel publicè vel privatim me re?pon-
Eui-utn obtuli , coram Notario et testibus denique jn-ae»
seulibus quatuor iosiguibus viris , Caesarcae Majestatis
Sf'naloribus , simulque subjioerem me meaque dieta saa-
ctae Sedi Apostolicae , et judicio quatuor Illustriuna.
Uiiiversitatum , Basiliensi , Friburgensi , Lovanieusij tan-
dem et studiorum Parenti, cobilissimae Parisiensi , me
simpliciter ad revocationera urgeret , nec vellet esten-
dere mihi errores meos , et quibus rationibus , vel au-
toritatibus error à me intelligi posset , uimio scilicet
suae factionis fratribus affectus , et iuiquiiatis facieoa
assumens , tandem uisi revocarem , abjeciis precibus
et votis discindi , et informationis pelilionibus , mi-
nas diras ac crudelissimas vigore cujusdam Apostolici
Brevis in'.entavit ^ ac ne redirem iu faciem suam , im-
peravit.
Quibus gravaminibns laesns , tuoe ab ejns iniqua et
violenta praesnmptione et praetensa sibi Commissione ,
appellavi ad Sanctissimnm Dorainum nostrum Leonem X„
melius informandura, prout in schedula hujusmodi Ap-
pellationis plenius continetur. Nuac vero etiam ista Ap»
pellatione (ut dixi ) contempta , cum usque hodiè cu»
piam , non nisi ut ostendantur mihi errores mei , qui-
cunque tandem id possit praestare, de quo denuò legi»
timè protestor , pa''atissimusqne sum revocare , si quid
male dixisse fuero edoctus. Delude totani disDutationejxj
t6g
meam subjecierim Silmmo Ponlirici , Ita ut nec ego ani*
plius aliquid in ipsa facere habeam , qaàm expectare
sententiam, quam et usque hodiè expecto.
Nihilominuf» f amen , ut audio , et idem Reverendissr-
mus Dominus Thomas S. Sixli Gardinalis , scribit ad
Illustrissimam Priocipem D. Fridericum , etc. in Ra-
raaaa Curia procedi oontra me, et autoritatera ejusdem
sanctissimi Domiui no«tri , etc. Jadices praetensos cau-
>am prosequi in damnationera meam , non atteudentes
meam fidelem et superabundantem obedientiam, qua tanta
diffìcultate comparui Augustae , nec curantes oblationem
meam honestissiraam , qua me ad responsionem pubi!»
Cam et privatara obtiili , denique contemnentes ovem
Chrisli peteotem humiliter doceri veritatem , et redut^n
ab errore | sed simpliciter nec audiia , nec reddita ra-
tione , mera au(em tyranoide et pleniludine potestatis
urgere ad Revacatiouem sentenliae, qiiara ex coiiscienlia
verissima^B judico » et ad abnegandam fidera Chrisli
ex veram apertissimae Scripturae iiitelligenliam ( quan-
tum mea capii cousoientia ) seducere volentes , cum pò-
teslas Papae non conlra nec supra, sed prò et infra
Scripturae et veritatis majestatem sit , nec potesfatem
Papa acceperit oves perdeodi , in Luporum fauces proji-
ciendi , et in errores errorumque Magistros tradendi , sed
ad veritatem ( sicut Paslorem et Episcopum , Vicarium
Christi decet ) rerocandi. Ex quibns me laesum , gra-
■vatumque sentiens, cura tali violentia videam futurum
esse, ut nullus eliam ipsum Cliristura audeat confileri ,
nec Scripturas sacras in Ecclesia sua pròpria profileri ,
atque ita me quoque à vera , sana , Christianaque fide
et inteiiigentia , in vanas et niendaces hominuna epinii»-
nes violenter protrudì , et in sedactol-ias pòpnli Chri-
sliani fabulas urgeri.
Idcirco à praefalo Sanclissimo Domino nostro Leone
noa rectè consulto , supraqne dictis praeleasis Gommis-
sioue et Judicibus , et eoraoi citation» ac processa , et
omnibus inde secufcs et secuturis , et quolibet ipsoram ,
ac à quibusvis excommunicatione, suspensione et inter-
dicti sententiis , censuris, poenis et mulctis , atque aliis
quibuscunque denuaciationibus et dcclaralionibus ( ut
praetenduat ) haeresis et apostasiae per eos vel alterum
eorum quoraodolibet attentatis , factis et raolitis, attentan-
dis, faciendis et moliendis, ipsarumque nuliitate ( suis
honore et reveientia semper sai? is ) tanquam iniquis et
injustis mere tyraunicis et violeulis, Nèc non à quolibet
futuro gravacnine , quod mihi ex eo venire poterit , tàm
prò me , quàm prò omnibus et siugalis mihi adbaeren-
tibus , et adhaerere volentibus , ad futurura Conciliuni
legilimè , ac in loco luto, ad quem ego, vel Procuratop
per me deputaudus , libere adire poterò vel poterit , Et
ad illum , vel ad illos , ad quem , seu quos de jure ,
privilegio, consuetudine, vel alias mihi provocare et ap-
pellare licet j provoco et appello in iis Scriptis , Apo-
stolosque primo ^ secuudò , tertiò , instauler , instaulius,
et instantissime mihi dari peto. Si quis sit, qui mihi
dare hos voluerit et potuerit, et praesertira à vobis Dominò
Notario , testimoniales , Et prolestor de prosequendo hanc
meam Appellationem per viam nullitatis, abusus , iniqui-
latis vel injusticiae , et alias , prout melius poterò , op-
tione mihi reservata , addendi , minuendi , corrigendi, et
in melius reformaudi , omnique alio juris beneficio, mibi,
ao mihi adhaerentibus pt adhaerere volentibus semper salvo-
Qua q;uidlem schedlula coram ine et teslibus infra scrip-
tis , ut pratmittitur 3 ioterposita prolestatus fuit , et pro-
testabafur espresse se , per se vel Procuratorena , noa
posse ari eum accedere, à quo extitit appellatum , tara
propter metum plurimoruni , sibi , et vitae suae iosìdiaa-
tium, ac ejiis , à quo appellavit , tuoi propler viarum
discrimina. Idenqne petiit sibi a me, Wolario PnblicOj,
cum debita ios'antia \postolos t'ales , quaìes sibi de jure
debefentur dari a'que concedi. Cui quidem petenti dedi
Aposlolos tàles , quales sibi debentur , vel saltem testi-
moniales praesertli Instrumento publico ex tunc exaraa-
dos. Super quibus omnibus et singulis petiit à me No-
tano infra scripio unum vel pluia confici atque fieri
publicum vel publica Instrumentum vel Inslruraen*a.
Acta sunt baec Witlembergae , Brandenburgensìs Dice-
cesis , sub anno , ioditioue , die , mense , et Pontifica-
ta , quibus supra. Regnante Divo Maximiliano Romano-
rum Imperatore, bora tertiarum , vel qnasi , in Capella
corporis Christi , io Parochiali ibidem cemeterio situata.
Praesentibus ibidem Chrislophoro Bechr , sacris Aposto-
lica et imperiali auloritate vicecomite Constantien. Et
Hieronj^mo Papiss. Guriensis Dioecesis Clerico , teslibuR
ad pracmissa vocalÌ3 rogatisque pariter et requisitis.
169
DOCUMENTI CHE ILLUSTRANO
IL SETTIMO VOLUME.
N.« CLXI.
( Voi ni. p. 22. )
Eemhi Ep. Pam. Lib. IL in op. Voi. II J. pag. 11.
Al Cab. di S. ]\Lvria is Portico, in Ruberà.
Intendendo V. S. bavere un poco di raffreddamento
et febbre in Ruberà: il che all'animo mio ha dato ri-
scaldamento et dispiacere assai. Priegola ad attender*» à
ribavere la intera sanità sua , che io non posso essere
sano altramente. Non voglio dire, che vi guardiate da
disordini ; che so bene quanto siete continente et ordì*
nato in tutte le cose , dal curar le facende publiohe et
lo scrivere in fuori , et suole questo avenirvi molto spes«
so. La vostra Emigrania ne fa fede. Dunque sarete con-
tento travagliar meno che si può, alm**no fino aitante j
che abbiate scacciata da voi la freddura , et la febbre ;
la quale non credo però sia altro , che freddura. La S.
Duchessa d'Urbino, la quale visitai bieri , come che io
però faccia questo officio assai di rado , à voi si racco-
manda , et Madonna Emilia altresì Le loro Signorie
«nuo cortiggiate dal S. Unico molto spesso: et esso è piìt
1*0
caldo neir ardore antico suo , che dice essere ardore dì
tre lustri e mezzo , che giamai : et più che mai spera
hora di venire a prò de' &uoi disii , massimameate es-
sendo statò richiesto dalla Signora Duchessa di dire im-
proviso j nel quale si fida muovere quel cuor di pietra
intanto, che la farà piagnere, non che altra. Dirà fra
due ò tre dì; detto, che egli habbia , vene darò aviso.
Beo vorei che ci poteste essere, che son certo dirà ec-
cellentemente. Raphaello, il quale riverentemente vi si
raccomanda , ha ritratto il nostro Thebaldeo tanto na-
turale , eh' egli non è tanto simile à se stesso , quanto
gli è quella pittura. Et io per me nOo vidi mai sem-
bianza veruna più propria. Quello, che ne dica e se ne
tenga M. Antonio , V. S. può stimare da se ; et nel
vero ha grandissima ragione. Il ritratto di M. Baldassar
Castiglione , ò quello della buona et da me sempre bo-
norata memoria del S. Duca nostro , à cui doni dio
beatitudine , parrebbono di mano d' uno de' Garzoni di
Raphaello , in quanto appartiene al rassomigliarsi à cora-
paratione di questo del Thebaldeo. Io gli ho una grande
invidia , che penso di farmi ritrarre ancor io un giorno.
Hor hora havendo io scritto fin qui , m' è sopra giunt»
Raphaello, credo io, come indovino, che io di Ini scrives»
si, et dicemi che io aggiunga questo poco ; cioè , che gli
mandiate le altre historie , che s' hanno à dipingere nella
vostra stufetta, cioè la scrittura delle historie, peroio-
chè quelle , che gli mandaste saranno fornite di dipin-
gere questa settimana. Per DfO non è burla , che hora
ora mi sopragiugne medesimamente M. Baldassar , il quale
dice eh' io vi scriva , che esso s^è risoluto di stare que-
sta state à Roma , per uon guastare la sua buona usaoza..
toàssJftiamente volendo così M. Antonio ThebaMeo. A.
V. S. bascio riverentemente la mano et nella sua buona
gratta mi raccomando. A. 19 d'Aprile mdxvi. Di Rom»>
N.'' CLXII.
( Val ni. p. 4o. )
Tirahosclii , Storia della Letter.
hai. voi. VII par. HI. p. i o i .
Illustrissimo Domino Fratri osservandissimo , Doni.
fiippoLiTo, i!?. Lucìae in Silice Dine. Car. Esten, et
Rever. et IllusirisS. Monsignore mio Comen. Et pef la
lettera de la S. V. Reverendissima , et a bocha da M,
Ludovico Ariosto , ho inteso quanta letitia ha conceputa
del felice parto mio : Il che mi è stailo summamente gra-
to , cussi la ringrazio de la visitazione ; et particolarmente
di havermi mandato il dicto Monsignore Ludovico ; per
che ultra oh' el mi sia stato accetto^ represenlando la
persona de la S. V. Reverendissima, lui anche percento
suo mi ha addulta gran salisfazione , havendomi cum ìa
narratioD de T opera eh' el compone facto passar questi
due giorni ; non solum senza fastidio , ma cum piacer
grandissimo ; eh' in questa , come in tutte le altre actione
sue j ha havuto bon judicio ad eleggere la persona io
lo caso mio. De gli rasonamenti, che ultra la visitacione
taverne facti insieme, Monsignore Ludovico renderà cunto
alla S. V. ReverendisEinsa ; alla quale mi raccemando.
Mantue , lertio Februani , M. D. vn. Prego la S. V. che
per mio amore prò vedi al Gabriele , che ha tuoi io per
moglie la servitrice de la Fé. Mt^. de Ma. de quello of-
ficio che la gli ha promesso. Revert^ndi.ssima V. S.
Obseq. Òoror ^ Isa&ella Marchionissa Mantuae.
N.<' GLXIII.
( Voi FU. p.8 9. )
Al Santissimo Nostro Signore Papa Ijeone Decimo^,
GiovAN Giorgio Tbissino.
Avendo io già molti giorni , Beatissimo Padre , com-
posto una Tragedia, il cui titolo è Sofoiiisba , soao stato
meco medesimo lungamente iu dubbio 3 s'io la dovessi
mandare a Vostra Beatitudine, o «o ; Perciò, che da
Tuo de* lati considerando l'altezza di quella, la quale
è tanto sopra gli altri uomini , quanto che il grado, che
tienp , è sopra ogni altra dignità, e rimembrando ancora
la grandissima cognizione, ohe ha, così de la lingua Gre-
ca , come de la Latina, e di tutte quelle scienzie, che
in esse scritte si trovano , et appresso vedendo quanta
oocnpazione continuamente le reca il governo universale
di tutti i Cristiani , io stimava non essere coovenevol cosa
il mandare a sì alto luogo , et a si dotte , et occupate
orecchie questa mia operetta io lingua Italiana composta.
Ma poi da l'altro lato pensando che sicome vos'ra B-^a-
titudiae avanza ogni mortale di grandezza , così da oes"
'7*
sono 5 di mansuetudine superata , e che per qnantunqae
gravi, e necessarie occupazioni, mai noa si lasciò tal-
mente impedire , che non scegliesse tanto spazio di tem-
po , che potesse leggere alcuna cosa ; e sapendo ezian-
dio che la Tragedia , secondo Aiistofele , è preposta a
tutti gli altri poemi , per imitare con suave sermone
una virtuosa , e perfetta azione , la quale abbia gran-
deza ; e come Polignoto antico pittore ne l'opere sue
imitando faceva i corpi , di qnello che erano migliori ,
e Panson peggiori , cosi la Tragedia imitando fa i co-
stumi migliori, e la Comedia peggiori, e perciò essa
Compdia moove riso, cosa, che partecipa dì bruttezza,
essendo ciò, che è ridicnlo , difettoso, e brutto; Ma la
Tragedia muove compassione , e tema , con le quali , ©
con altri amaestramenti arreca diletto a gli ascoltatori,
et utiliiate al vivere umano ; le qnali cose tutte ( com' io
dico) da l'altro lato pensando, mi davano tanta coufi-
deazia , et ardire a mandarla, quanto quell'altre m' in-
ducevano a ritenerla. Così ailunqne tra sì fatti dubbiì
dimorando , avvenne , che queste ultime ragioni ajntate
tla i soavissimi costumi di Vostra Beatitudine, e da la
inefabile bontà di Quella , rimasero vincitrici ; La onde
mi diedero tal ardire, ch'io feci deliberazione di offe-
rirle e dedicarle , la predetta mia fatica. A la quale non
credo già, che si possa giustamente attribuire a vizio,
r essere scritta in lingua Italiana , et il non avere aa»
Cora secondo l' uso comune accordate le rime , ma la-
sciatele libere in molti luoghi. Perciò che la cagione , la
quale m'ha indotto a farla in questa lingua, si è; che
avendo la Tragedia 6ei parti necessarie, cioè la Favola,
ì Costumi , le Parole , il Discorso ^ la Rappresentazione,
J74
«t il Canto ; manifesta cosa è , che avendosi a rappre-
sentare in Italia, non potrebbe essere intesa ria tutto il
Vopolo , s'ella fosse in altra lingua, obe Italiana , com-
posta; et appresso i Costumi , le Sentenzio, et il Di-
ecorso non arreccherebbono universale utilitate , e diletto
se non fossero intese dagli ascoltanti. Si cbe per non le
torre la Rappresentazione , la quale ( come disse Aristo-
tele ) è la più dilettevole parte de la Tragedia, e per
altre cagioni, che sarebbono lunghe a narrare, elessi dì
scriverla in questo Idioma. Quanto poi al nou aver per
tutto accordale le rime non dirò altra ragione; perciò,
ch'io mi persuado, che se a Vostra Beatitudine non
«piacerà di voler alquanto le orecchie a tal numero ac-
commodare , che lo troverà , e migliore , e più nobile ,
e forse men facile ad asseguire di quello , che per av-
ventura è riputato ; E io vederà non solamente ne le
narazioni , et orazioni utilissimo , ma nel muover com-
passione necessario ; Perciò che quel sermone , il quale
«uol muover questa , nasce dal dolore; et il dolore manda
fuori non pensale parole , onde la rima , che pensamento
dimostra , è veramente a la compassione contraria. Adun-
que , Beatissimo Padre , essendo ( come dice Plutarco )
non minor laude ad un gran Signore l' accettare lieta-
mente le cose picciole , di quello, che si sia il donare
agevolmente le grandi ; ardirò di pregare Vostra Beati-
tudine , che si degni di prendere questo mio picciol
dono; il quale da sincerità di mente, da fermissima fe-
de , e da ardentissimo amore accompagnato le porgo. Et
in questo già non ardisco di dire , che Quella debbia
imitare Xerse Re de i Re ; al quale un povero villa-
{iel)o , che passare lo vide , (loa avendo altro , che dO'
'75
>4are , corse ad un fiume vicino, e raccolse de l'acqua
cr^n ambe due le palme , e donogliela ; la quale Xerse
molto allegraraeute accettò ; e feeegli dimostrazione , che
tal dono gli fosse stato gratissimo j Ma ben la esorto a
fare , come fa il Re de I' Universo , di cui è Vicario in
terra, il Quale risguarda sempre a l'amore, a la sin-
cerità , et a la fede del donatore , e non a la qualità
del dono.
N/> CLXIV.
( Voi. VII. pag. 92. )
Trissìno , Italia liberata da' Gotthi. Uh. XV f*
Anchor vi vol^« dir, quel cbe mi disse
Un amic« di dia, ch'era profeta.
Di alcuni Papi , che verran» al m<iind«
E queste fur le sue parole impresse
La sede in cui sedete , il maggij^r Vììtsi^
Usurpala sarà da tai past^yri
Che fian vergogna eterna al christanesmcv
Ch' avarizia , luxyria , s Tirannia
Farau ne' petti ]ar T ultima pruova ,
Et baran tutti e I«r pensieri intenti
Ad aggrandire i suoi bastardi , e darli
Ducadi , e siguiarie, terre, e paesi,
E Cis»ncÌÉdere anchor senza vergogna
Prelature e capelli a i l<s»r cynecfi ,
E a i propinqui de la lt»r bagasciej
E vender vesc«'vadi , « benefici ,
nflìci , 8 privilegi , g (lignìtai^I ,
E ^«Ueva^ li ìnfarni , s per denari
Rompere, e dispensar tutte le l*ggi
Diviue , e buone , e non servar mai fed»
E ti a veneui e tradinaenti , et nlrre
Male arti l^r mr^nar tutta la vua ;
E seminar tra i principi Christianì
Tanti scand&»li £ risse , s tante guerre
Che farau grandi i Saraceni e i Turchi,
E tutti li avversari de la fede ;
Ma la l^r vita sceleiata s lorda
Fia conosciuta al fin dal vauvuìa» errante
fìndc corregera tutta» '1 g<uverno&»
De i mal guidati popoli di ChristAi
N.'> CLXV.
( Voi ni p. 120. )
Mangeti , Biblìotlieca Chemìca Curiosa.
Tom. 11. pag. 371.
JoANNis Aureli Augurelh Chrysopoeia ad
Leonem X.
Auriferam parvis animi prò viribus arlem ,
Qnaesitam nobis , et longo tempore partam ,
Ut rerum involucris tantarum evolvere moles
Se potuit, claro perbibeotes Carmine oappr
*77
Lusimus , et Musis hanc coinraendavimus almis ,
Qnod nulli ex omui numero fecere priores.
Cumque operi autorem cujus sub nomine tutuna
Pei'geret optaretn , foret et res pr-aeside di»na
Ipsa ex se magno , variàque hiuc mente tenerer
Cui merito cuncta haec , et non ingrata dicarem'j
Interea nobis tute velut aediere ab alto
Missus ades mundi fe«tis sucourrere rebus ,
Qui belli scelerumquc; faces , incendia tanta
Extinguas 3 placidamque piis sperare guietem
Des populis , solidamque per aurea saecula pacem.
Cuive etiam , si parva licet componere magnis ,
Ad sanctos haec nostra pedes ars aurea teudat :
Ut quo te Gdei sac'ae nuoc coetus bonore
Proscqui-tur cuiictus hoc te veiieretur , et omni
Ipsa tuum prò me eulta sic numen adoret.
Hanc igitur, si non immensa negotia prorsus
Impediunt, perniitte precor se prodere tantum
Quo libi, detracto veluti velamine virgo
Nobilis ingenio vultum p&rfusa rubore ,
Oocultura iacipiat semel ostentare decorem.
Qaec etenim prima quauquam se fronte legenti
Non adeò ostendat , pauluai tamen ipsa reciusis
Detecta arcanis mira et gratissima paudit.
Quam si forte legens interdum nomina divùm
Qffeudes quos vana olim coluisse vetustas
Dioitur , extem()lò haud reuuas^ sacra optiraa quanquaiu
Exerces, veramque fidem , cultumque luèris.
Illa etenim tanquam priscis consueta vocari
Vatibas enixè quos lune imilabar adivi
Supplex , et paribus curis in vota vocavi,
Leone X. Toin. FUI. 12
17^
Materies eliam solitum conquirere Solis
Et Lunae ausilium , neo non Viilcaiiia velie
Arma videbalur quorum implorare favorein
Fas erat: et mihi jam per te licuisse sit id nunc
Coucessura , et venia dignum peccasse fatemi.
Mox tamen bine aliud quaesilUm ad carmirja numen ,
Et precibus solura cunclis quandeque vócatura.
Forte aderii, praesens fuerit gì gratia coelo
Tanta mibi ; magnum multo seu Carmine Mosen ,
Seu qiiem flagranti vectum super aetbera curra
Mirati vìdere patres , oculisqne sequuti
Apra per punim coeli disciudier oras ,
AsUoruùique glnbos iatro aspcxore miodates :
Spu qui voce palam porrectoque indice prodit
Yenisse auxilio jam tura mortalibus agnum
Ipse canam , vatem quamprimum matris in alvo
Exnltanfpm , et adhuc puernm ad deserta ferentem
Aulra pedes , puri mox et Jordanis ad uiìdam
Dignatum caput illius eontingere limpha
Qui proprio antiquam nobis sic sanguine labem
Abluit , ut scelerum niaculas absterscrit omnes.
Nomine cujus item libi quondam et moti bus aucto
Defuit haud uuquam favor ac caeleslis abuudè
Gratia, qua tantum merilis consccndere culmen
Posses , et juslas mundi regere unus habenas :
Mng'.ianimos aequans propria virlule Leones,
Foulificura decus egregium jam saepe repertos
Esse, nec Italiae sa}» iniquo tempore, et iisquam
Cbrislicolis ullo piorsum in discrimine depsse.
Haec sed erunt mibi cùm dicendi faela ppicslaa
»7g
Jam Inerii, dabiturqae Icqul quae jusseris ijìse
Sanctp Pater, oujiis nobis sfant onniia nutu.
Iiiferea certis homimiru vis ulla-ae possit
Itulic'.is aurum faoere , et mutare inetalla
Perci|jias priinuin : dehioc qaae secreta laboret
Ars id peiTicere , et natnrara acquare potenti
logenio irispicìafi , demnm quis rite spquatur
Hinc modus assidais doctisqae laboribus artem
Pervideas, et quo tandem experientia ducat.
Omnia quae gnaro passim libi certa pa'ebunt.
Si quo hac inter se nexù , quóve ordine congtapt
Ipse ade qua cuncta soles disoeruere mentis
Inspeclans , parvum non dedignabere mnnuSj
Quod libi non parva offerri super arte laboro.
N.*» CLXVI.
( ni ni. p. 127. )
DiLECTO Fiuo ACTio Syscero Sannazario, Leo Papa X.
Dilecte fdi , salutem et Aposlolicam benediolionera,
Quum forte de claris ingeniis aetatis nostrae apud nos
verba fierent , affoere qui quum te, tum opus tuum De
Partu Vìrginis divinis prope laudibus cura admiratione
attollerent, atque praedicarent. Quae res expectata quidera
diu nobis (nihil enim iiou excultum , non elaboratum ,
non singulari tuo iugeoio dignum proficisci a te possp
i8o
arbitramur) verum eo nunc carlor et jucnndior vìsa est,
tum quod qnae futura exspfclabamus , acoepimus jain
facta esse, et quae superent, omnem exspectalionem ,
tum quod etsi nullo non tempore fuissent acoeptissinia ,
bao praecipue tempestate erunt longe gratiora. Qua ut
quidam , quo doctiores videantur , Ecclesiam siilo iniquo
petuat , qui exactissima eruditione commendent , non de-
eiderentui-. Dici noti potest , quum haec audiremus, quan-
tum volnptatis acceperimus , et quum ipsi legemus , ac-
cepturi simus ; quod persuasi simuSj divina factum prò*
videnlia , ut divina sponsa tot impiis oppugnatoribus ,
lacerato ibusque lacessita , talem , tantumque uacta sit
propugtiaiorem ; et quum illi impia facundia abusi fran-
gant in rem sacram genuinum , tu unus opus edideris
quo rem sacram omnibus (ut dici solet ) nervis attol-
leodam , exeolendamque procuraveris sanclo concilio ,
eveiUu feliciore j quum dictiteat qui legere, si rem quae-
ramus , nihd nisi Ghrislura atque ejus sponsara sonare :
£Ì pietatem , undique religionis enitere studium ; si ju-
dicium , nihil ungue siguandum reìiuquere ; si figuras
artisque conatus , veterum valum nulli cedere, multos
auteire. Gratulamur itaque tibi , quod tantum unus prae-
stes 5 quantum antea nemo; Enclesiae , quod quum ve-
xetur tacineturque ab aliis , a te uno in caelura effera-
tiir ; nostro saeculo , quod fiet tui carminis luce celeber-
rimum , nobis denique ipsis quihus imminente bine Go-
liade armato, bine Saule a fuciis agiiato, affuerit pius
David illum fuuda a temerifate , hunc Ivra a furore com»
pescens. Hortamur itaqne te , jam opus edas , ut qui
doletit , quum illa Isguut quae adversus pietatem venena
fieli Christiaui evouiuerc , ad tua couferant sese , quae
i8i
velutl praesens anticlotum sint oppositiiri. Tu ita libi
persuadcas volumus , nos te et tua omia periude ac
nostra oomplexu''os esse , nec nos , nec hanc Sa.ictana
Sedem umquain tui vel affectus vel operae imnaemores
futures. Datum Romae apud Sauctuni Petrum , sub aa»
nulo Piscatoris die VI. Augusti M.d.xxi. Poutilìcalus ao-
etri auDO dodo.
Bembus.
Per Favonium de mandato.
NO CLXVII.
( Voi VII. p. 128. )
DiLECTO Fino AcTIO SynCERO SanNAZARIO , ClEMENS
Papa VH.
Dilecte fili, salutem et Aposlolicanj benedictionenic.
Accppimus librum gratissimo nuiuere , qaem tu ad dos
de Dei, et Domini nostri Jesu Christi rebus scrip'utn
misisti , cujus argumentum praeclarum , atque nobile
quum in te parerai ostendat auiiui pietatem , atque iu-
genii gloriam , sitque iu eo oomen quoque uostrura ad
meinoriam eorum qui lecturi sunt , qui quidam iunuraiti-
rabiles futuri sunt ia louga posteritate, iminortalitati quasi
coramendatuni , muneris tui magnitodiuem hoc niagis
SPQlimus, quod quouiodo parera reffiramus ^raliarn, ha-
bere nos dou arbitramur. Si eniin iinraortalitas optata,
et grata est omnibus , qui praesertim animo vegetiore at-
que erecliore sint , permagnae sunt illius partes nobis a
te tributae. Quamquam euio» ea est appeteuda maxime _,
j8a
inique elaborandarn praecipuc , quae post dlscegsum e»
hac vita, in illa altera vita felici et sempiterua nos cum
DEO ipso collocat j tarnea ne haec quideua non libentcr
adsciscenda , quae producit ad posteros nostri nominis
perpetuitatem , prò qua, qui iliain caelestem et divinam
ìmmortalitatera non piane cognoverunt, maximis saepe
tamen eontentionihus, et acerbissirnis discriminibus vi-
tam , et caput suuai objecere , quod profecto non fecls-
sent , nisi a natura ipsa admoniti , eummum quoddam
bonum exìstere coujectati fuisseut , cujus in imagiue et
simulacro tam raultas parles experirentur esse delecta-
tionis , et gloriae. Est enim profecto haec famae et laudis
ad comnienioralionera hominura celebritas , imago illius
■verae immortalitatis quae esimio dono Omnipotentis Dei,
tini Cbristiano generi, per Dominum Nostrum Jesuivi
Cbristum proposita est ; ad quam potissimum aspirare
dcbemns, banc vero ita oaram , jucnndamque dncere ,
si proborura et prudentium teslimonium nobls deferatur,
quod qnidem in te nobis egregie conligit. Non enim in-
genio solum tuo honorati , illustratique sumus sed (quod
nobis etiam gralius est ) judicio comprobati ; et sì enim
ìngenii gloria concedis nemini , vel omnibus polius prae-
stas qui in hoc scribendi genere cum laude versati sunt,
lamen quum ipso scriptionis argumento ostendas , qua
9Ìs pietale , sapieutìa, religione praeditus, jncundius eliam
accepimus tcstimoaium optimi , et religiosissimi viri ,
quam studinm doctissimi. Qnapropter macie virtute tu
quidem ; id enim es consecutus , quo oullura niajus ho-
mini bonum in hac vita exislere posse videatur , maxi-
morum enim donorum quibus te affecerat Deus , gratia
illi (quoad mortali liomini iicuit) relata, ìllud jam sum-
i83
mum , et incomparabile rerae immortalitatis cloaum es
promeritus, cui deinde jam gratia nulla esse par potest,
qui talentutn acceptum niultiplicatis mercedibos , eidern
domino reddidisti a qiao acceperas. Ex quo quum fru-
ctnm quoque non mediocrem tui libri dicatione , ad no-
minis nostri laudem , ac memoriaoi redundare volueris,
tantam tibi babemus graliam, quantam capere grati, et
meraoris Pontificis tanto devincta officio mens potcst ,
sicut le re ipsa tibi estendere parati sunius, et ut ex-
periarc etiam adbortamur. Datnm Romae apud Sanctum
Petrum , sub annulo Piscatoris die V. Augusti. M.D.xxvi.
Fontificatus nostri anno tertio.
Jac. Sadoletus.
N.° CLXVIII.
( Voi. VII. p. 193 )
Guidi Postumi Silvestri Eleg. Uh. i
pag. j. Ed. Botion. ìSa^.
Pro AEDIBU3 PaIERNIS a se INSTAURATIS OpE LeOMS X
Pont. Opt. Max.
Quam cariosa aelas , quatnque hoslicus hauserat ignis ,
Exuit en seniuna Posthumiana Domus,
Scit tamen haac longo perituram Posthuoius aevo ,
Ergo aliud loage firraiu? egit opus.
Qu(>(^ ( pum liaec vieta sito i^omus et lapis iste jacebnat )
Vivet , eritque alfae posteritatis honos.
¥rc oytharae mei itis tribuit Leo Maxiraus aarura ,
Jussit et hiiic vatis teota nitere sni.
Quippe Araphionii non ficta est fabula muri ,
Si domus haec blandae strucla canore lyrae est.
N.o GLXIX.
( Voi ni. p. 194. )
Guidi Postumi Silvestì-i^ Eleg. Uh. II. p. gì.
Ad Petrum Pactium.
Absentem dura te Florenlia , Maxime Pacti,
Implicitura et cnris te tua terra tenet ;
Ille tuae panisque honiiuum Leo Maximus auolofj
AEternnm iile et honos ^ sanguis , amorque tuuSj
Sollicitus Dominae , liquit fastidia Rnmae ,
Atque dioata bonae cessit in arva Pali.
Hic ubi majoruni inolem extruit arte, novatqae ,
Nec sinit ex toto saeoula prisca mori.
Arcet arenosos mafjno molimine Quctus,
Ipsae ubi mox multo pisce natentur aquae.
Huc quoque longinquo descendere monte jabetar ^
Cogitur et faciles currere Ijmpha rias.
Atria pulsa freto , spaciosam extruit arcem ;
Qua procul Hetruscae stet populalor aquae.
i85
Quin et equis stabula alta solo jaoiuntur , et ipsis
Miiitibns sfruitur magna capaxque doraus.
Ne tamen illuni ipsos penitus sic condere soles ,
Neve putes solo hac decipere arte diera ;
Ipse suas crebris mensas venatibus auget ,
Coenaqne de proprio parta labore venit.
Accipe quot nuper nemorosa in valle , vel una
Luce perhorrentes straverit ille feras.
Est nemus et piceis frondosaque abiete densuni
Ipsam ubi fama refert saepe babitare Palem j
Quo ncque secretis jucundior ulla Napaeis ,
O'-aque semicapro gratior ulla Deo est.
Cujus in exfremo tot frondea lecfa reoessu
Aspicias , magnae quot lucus urbis habet.
Fingit in hnnc silvas niorem natura , nec ulla
Diva laboratas extruit arte domos.
Hic nulla violata virent myrteta secnri ,
Multaque odoratam laurus obumbrat humum ;
Dianam hic r^ferunt visam , ac saepe alta petentena
AEquora, Tyrhenum hic nara prnpp liftus adest-
Haec domus atque feris statio crraiissima capris,
ITic locus agppstps quo stabulentur apri.
Hnc Leo venantes decrevit in aspera cogi
Praelia , et armigera bella cieie manu.
Primus et ante omnes ip<'e albo insignis amictu
Carpsit iter , va^tnm sepe obiitque neraus.
Proxirnus et magno fiatri comes ibat Julus ,
Quamlibet illi atra in sorte fidele caput.
Cernere erat magna eicitos Mavortis ab urbe
Saeva galerltos sumere tela patreg.
t86
E qaibns iivi^lae refereiis denomina genti s
(!aesar Cabici terga premebat equi ;
Ille qnidcm multa cor Pallate praedìtus , idem «t
Clarus luleae nobilitale domas.
Hinc Germana phalanx campis s<» laeta ferebat.
Illinc Romanae robora gontis eqaes.
Pars agitare feras corno properabat adanco ,
Pars armillatos toiìc ciere canes.
Hos ioter quoque Septimius Rangona propago ,
Frena recasanti fervidas ibat equo ;
Septimius , Leo cai raagnus posita oppida laetis
lu lumulis , dono nuper habere dedil.
Hunc adeo validis venabula torta lacertjs ,
Nec ininns egregius ferver in arma decet ;
Ut non iillus aper silvis stabuletur in altis ,
Qui non illius optet ab ense mori-
Talenti olim Hippolytum ripas prope Thermodoonti» ,
Stryooiiias memorant soUioilasse feras;
Ant oum Chironis sese referebal ad anlrum
Pelidem ianuaieris perdomuisse Leas.
Inde pnellarum pulcberrima cura Galesus ,
Dextra idem promplns forma atavisque potenSj
Charnm dileclae pignus geslabat araicae ,
Veste tef»ens niveum versicolore latu?,
Optabat decus usqae aliquod meruisse , suaeque
Parvum hinnulum doroinaf ferre : caputve suis ;
Qaae fera ab bis animam ed'dp-it tranifiica lacertis ,
Sacraqui^ et in libris rota ei-it usque raei«.
Hunc unum comes iasequitur Choriaeas eunlera ,
Saucius et oura paliidus ora gravi ;
88;
tTnns qui teneri speclalum facla Gaìesì
Juoxerat arma , canes miscueratque suos.
Ille quidein ducens alieno in pectore vitam ,
Sanandura uulla vulnus alebat ope.
Ibat acerba frenaens maguumque bastile gerebat
Ffpgusus , Lygurnm nobilitatis honos.
Cui Comes Insubrumque decus splendorque Ricardns
Quassabat. vaìidam pristina tela sudem,
Mellinus , Laurensqae Cibo, bine socia agmina jungnnt,
Conjugii hic foelix prosperitale novi ;
Pullato praevectus equo raoestissimus alter ,
Fratris et indigni funeris usque memor ;
Qnem vorticoso modo raptum in gurgite Apollo
Vidit , et occiduis flevit ab usque frelis.
His gladiura clavaoaqae ferentibus nsque trinodem
Moris erat praedas lustra per alta sequi. .
Quin Lusitano orator quoque missus ab orbe
Sjlvius Hispani terga onerarat equi.
Ibat suspense similis , qnem magna pulares
Concipere , ac Begi mox referenda suo ;
Aut si quod musis gratum accepturaque canebat
Corrigere , aeternae posleritatis opws.
lo comitem Gibertuin altis de rebus agentem
Junxerat , et Phoebi Castiliona decus ;
Armatam ferre cornum de more gerebat ,
Missile tellina illi fulmiais instar erat.
Unicns huuc celebrera coetuoi Aretinus obibat ,
Quo naonilore omnìs laeta juventa fuit :
Ille hominnm captns super et super aethera vectu»
Ingenio , aslrum ali([uod , non hominem ore aonat ;
x88
Quafumque inceellt divìnum inspirat orlorera ;
Ne moriturum bomineui credile, numca habet;
Ille eanps , et eqnos Euri, atqne aquilonis alumoos ,
Ille babet et famalos Marte et Amore satos.
Intexia ille lanodis miris se in veste fr-rebat ,
Et cuju.s nondum cognitns usus erat ;
Ferre uni Arcilenens dederat sua tela Cupido ,
Et pharetiam ipsam humeri pondus Labere sui.
Pars quota et ipse aderam , quin cuspi je laetus Ibera
(^ertus crani rabidos Goraminus ire sues.
At clarns Serapina jugis , domitorque feraruna
Guidus , el inde ipsas explicuere plagas.
Magnus utrumque Leo teneris sibi legit ab anoìs
Praesidium , et thalami speraque fidemque sui.
Quisque sui cupidus vestiga'orque perieli
Pressa diu quaerit signa inimica pedum.
Pluribus in niorem curio coma pressa galero^
Pars bona coelata casside aperta caput.
Huic intertexti per collum it flexilis auris
CirculoSj et rauliis balthea caesa notis.
Cursitat hic auro fulgeus ostroque deoorus,
Nec polis est longae taedia ferre morae.
At peditum le^io sibi quisque ingpntia nodis
Robora prò sculis tegminibusque legif.
Pronunibunt taciti , atque hastilia longa re^linan?,
Nani minus auritis voce oavetur apris.
losfinuere tubae , et picea Marianus ab alta
Elato oapitis termine signa dedit;
Termine, qnod nuper rabido aesrhilns ore momordit ,
Dimidiumque avidae niersit in anira gulae.
189
Protinus admovete canes , stabula ista subite.
Inulte , bue omnes hoc terebrate nemus.
Latrantumque borainurnqHe geaus ceu nimbus in uaara
Mox colere, altisque obstrepuere sodì.
Exi aper bue , campo te te mihi delega aperto ,
Exere aper frendens hac luihi ab arce caput.
Heu , ohe , seu silva capreae latitatis in ista ,
Sive lupi in nostras bue fugitate manus.
Vidi ego , vos vidi , vestris prodite latebris ,
Huc Dromas, euge sagax , bue boue Theron ades.
Prima ego , quis credat , belli discrimiua sensi ,
In me unum ut promptum est vel geaus orane mali!
Prima pericla adii , nam post fruticosa latebam
Vimina , et hirsutis tesqua adoperta rubis.
Cousliteramque loco qua se fera plurima agebat.
Et qui non ullo robore septus erat.
Clamabat plus usque Leo, ut loca fortia adirem,
Usque adeo cordi valem habet ille SHum ;
Verura ego seu virtus , seu me mea sidera agebant,
TJon illa potui voce referre pedem.
Ecr'e canum extemplo magnis latratibus actus
Pene mihi fregit crus violentus aper.
Prostratum berboso proceres risere fruteto ;
At non Septimius taiia visa tulit ;
rfam memor altoris , nostrae et pietatis aluranus
Fredentem certa cuspide fixit aprum.
Utque puer facto foelix laetissimus esset,
Pnncipis ante oculos concidit ille sui.
Foelix interilu ac tali fera vuluere foelix,
Quae per tam pulcbras corruit icla manus.
S'^pUintiTm Facli sic nobilis ira cocgit ,
Altorem ulcisci justa per arma suum.
Ac si prò capile hoc fuerit , quo parva redeinpto
Gloria j in agrestes vel puer ivit apros ,
Quem fore prò sceptro speresque animaque Leonis ,
Acceptnm ille refert cui decii8 oniDe suum?
Interea inci^rlutri exoritur per devia murmur ,
Quale sonai dubii cum strepit aura noli ;
Admonfti ergo omnes haerent , cursumque retorquent ,
Innumeri strepitu qua coiere novo.
Glamabat celsa speoulator ab ilice Calvus ,
State viri , innuraeras sllva habet ista feras.
Dixerat . ac volucres diclo ocius aequora cervi
Percurrere , iterum huc pergite Calvus ait.
Cervus adest , properate citi, capite arma, propinquat ,
Huc properate j huc bue pergite, cervus adest.
Obvius hunc jaeulo pariter cauibusque Galesus
Stravit, cornigerumque abstulit ense caput.
Moxque sui mouumeutnin ictus late ardua cervi
Romani dilectae cornua misit heiae.
Prospectare feran) immanem stratam usi^ue juvabat
Et pueri niveas taui valuisse maaus.
jNfoii jam degenerei» aiebant virtutis avitae ,
Neo jam animi aut palrii sanguinis esse ruJem.
Multa igitur puero super, et super indole multa
Commemorant, blandis multa iteraatque sonis.
Cum foncepta lupo sed naribns utiles Alce
E silvis ab apro laesa gemensque redit.
Ergo lupus Alce male eredita , prolinus omnes
|nque suum veitit tela inimica caput»
»9<
Tuao nuiAen Lycabas eqaitum auxiliare precatus ,
Suppliciier tremula talia voce dedit.
Hoc bene si telum direxeris alme Georgi ,
Quale libi muuus , qualia dona fcrara !
Dixit et amento inseruit digilosque manunàqne;
Trausadigit dubiam fraxinus acta oanem.
Pars voti rata , pars vacuas male cessit ia auras ,
Quadrupedem fixit non tamen ille feram.
Iiisere , atque Aloem stratam ostf^alare liCoaì
Lnciorum iuvenum plurimus ardor erat.
Tum Lycabas j vos ne baco miracula credilis inquit.
Cernite, lam similis non lupus ipse sibi est.
Non te Scipio ait, non te pudet aguiioe in isto
Formidare feras et dare terga fugae ?
Non ego te vidi trepidum et diversa petentem >
Gum nuper veri fiximus ora Lupi ?
TJempe cani atque Jupo tu non discrimina pones j
O pecus arcadicum , ridiculumque caput.
Addidit bis quidam et risum pater auxit Aquinas
Namque ait , 0 Lycaba, dieta joco ista putes ?
Jam lupus iste quidem est , quem tu gladio asper et acer
Venatu, sed nos turba jocosa sumus.
Vade age , et hoc ipsa caput a cervice resectuna
Postibus hoc ipso in vespere fige luis.
Tale aliquod mea si patrarit dextera factum
Inter venantes non leve nomen erit.
Scipio ait, Lycabas mihi parcius ista memento
Objcienda , at at te graviora iaanent.
BuDC libi caedo , hoc est quod saepe fideliter olire
V ilalis BQODuit me fugere astrologus.
'92
Mi Lycaba j Lycaba , parce , atque absiste movere ;
Dispeream nisi tu vel Maleagron agis.
Hactenus audieris certamina ^ maxime Paoli ,
Bellaqiie non magno sollicitata meta.
Wunc libi mira caaam, discrimina Marfeis anheli ;
Herculeas possiat quae deouisse manus.
Nec mirere sonem quod giandius arma , qaod ausim
Magna per cxiguos bella tonare modos.
Est aliquid placuisse Jovi , et Jovis auribus, ille
Magna referre humili dat mihi posse sono.
Sus erat , armenlorum horror, pecorumque ministrisi
Pastorum dominae maxima cura Pali;
Cui non Ida parem , cupressifer aut Erimanthus ,
Nec tulit io siculo silva Erycina jugo j
Dorsum immane, ingeos , setis riget horrida cervixj
Sanguine et igne oculi spirilibusque micaut ,
Fulmeu ab ore venit , ipsisque afflalibus ardent
Gramina , et inccssu steruitur omae nemus;
Primus in hanc mediis silvae et peuetralibus actam
Irruit , exclamans fette Ricardus opem :
Et procul , 0 quicunque illac conceditis inquit,
Immanis sus est , claudite euutis iter.
Verte feram , verte huo libi dico Caballe , Caballe,
Huc libi dico, eja , o verte, Caballe, feram.
Clamantem illa sacer vates non audiit, ergo
Irae ut erat juvenis praeda fareulis ait ;
Huic te apruni ludo non te tua protulit Ancua
Sed levibus studiis , vade age et illa cole.
Hac celer accurrit ao stricta cuspide Julus
Trasadigit vaslum setigerutpque latur.
19^
Al fugiente fera magna vi hastiie revalsuiu
Pone snb intrantis perculit ora Lyce.
Illa dia elactata canesque virosqne trahebat
Vulnificum torqnens iu sua colla caput.
Mox quoque diutius frustra cervam nsquc seqnutas
Hao indefessi frena retorsit equi ;
Praeveriitque feram , ac jaculum in cervice recondìt ,
Quam mox telorum est magna sequuta seges.
Laesit bunanm tandem , ac terrae sera prccubuit sus ,
Una grunnitumquo edidit , atque animam ;
Quo nemus intonnit , remugiltque recessus ,
Ipsaque Tjrrrheni mugiit unda freti.
Distraxit tamen ante Dapem , Domadenqne molossos ,
Atque Thoum , atque Labron , eresse Albainone satos.
Vix hoc ediderat canipis speetacuìa monstrura
Cura vaslam exolamant fige , age , fige lupum,.
Frpguso ille gravi sua vulnere terga sequuto ,
Distinsi» validflna fulmineo ore manum.
ExcussHsque ultorque sui properabat in agmea ,
Qua pia sacrati sigaa Leonis eraat.
Tunc Saliatus , amansque Cibo , invjctusque Rodulphus
Lecta manus raissa prosilnere mora ,
Omnes Medicibus cousaoguinitate propinqui,
Omnes terreno stirps bene fida Jovi.
Mox et fraxinea Cornelius affuit basta ,
Ursinusque agitaas jam grave Martis opus.
Alter praedatorque avium et vastator aprorum ,
Alter ponendis duxque caputque plagis.
Dehinc jaculis Rango , ac slricto bonus eose Triujca»
Caesar et ipse sui nominis asque memori
Leone X. Tom. FUI. i3
194
Te quoque peltatuna Egydi accurrisse loqiaunlur ,
Npc niinus ore tnas lune valnisse manus ;
Una omnes ruere , atqne in aperta pericla videres
Praecipites domini prò capile ire sui.
Impiger at quadrupes et telis mille petitus
1 1 se ooiiversus dissipai ore canes.
Turri domini vitae cuslos haerensque timensque
Haiinibal illi avidum transigit ense latus ;
Increpitansque fero morientem inspexit, et ì nunc ,
Beliua dira j inqnit , dente feri, ungue seca.
ÌVIarrte animis , Leo magnus ail , custode gradivo
Non poterai nostrum tutius esse caput.
Diverso interea cflmpletur silva fumulln
Glamantum , immaois bpUna Tanrus adest.
Tanrns erat qui forle jugi de colle propinqui
Terga fugae bue diro victus ad hoste dabat.
Ille suos ignes, regnaiaque liqnorat arva
Saucins , et raptae conjngis usqne memor ;
Mulia gemens, vasto implebat nemora alta boalu ;
Vjetorem ignarus ferre , paremque pati.
Quid non oogit amor? quamvis puer imperai astris
Idem et in borreates jus babel ilio feras.
Ibat atrnx , non ille canum , non ille ruentum
In sua telcrum terga virumque memor ;
Obnixus trunco cornn exacuebat in iras,
Respiciens patrii iesqua adamata jugi.
Victori cerlus plagam ingeminare superbo
Moxque sibi erepto rursus amore frni,
Exercentem iras perque agmina tota fremenlem
Latrantum atqiic bumiuuin est magna sequuta cobors.
193
Oclus exsiluere A.rge Ichnobalesqne , molossi,
Nehropbanosq\ie fiirens, praevalidusqiie Lacon ,
Tum bonus Ispelles, Mendocius , Emiliusque
Accurrpre , cilo qua furit ille pecle.
Dehioc Serapica sequens canibus vulpera iisque dolosam
Huc quoque ad haec properans murmura vertit iter.
Mox Valerus Venetae dccus et nova gloria terrae
Excussus foelae nuper ab ore lupae.
Et nunc crura instant sefuijse bipeonibus, et nuns
"Vulnificum sagulis implicuisse caput.
AltoUenlem animos irascentemque juvebaiit
Hac amor , bac turpis damna dolorque fagae.
Ergo furens Serapicam adiit, uncisque rotatum
Cornibus , adverso praecipitem ore dedlt.
Ille ut erat parvos breviter concretus in artus,
Fertur in offenso procubuisse genu.
•\Ioxque animos rursum atlollens, viclnsqne resorgens .
Colla securigera persecuisse manu.
Concidit , ac raugiuim alto de pectore daceas ,
Sanguine foedatam prcssil inultus huraum.
Illura indignantem aspiceres , seque usqne dolenlem
Ulciscique iras non potuisse suas.
Ne tameo hunc ipsara vita spoliasse bipcnnem 3
Neu vicisse hommes , credile vicit amor.
Spectantem dum me haec immania visa morantnr,
Vulnerat enee anres vox inopina meas.
Nam meus AEueas mibi per nemora avia anbelans.,
Huc precor, bue genitor, si vacai, inquit, adeSo
Illa vides myrtos in ter prooul arma moveri ,
Pugnai prò fibris \ix dam obeuntis apri ?
196
Agnovi nostri galeam rooemque Faloppi ;
Ille pater strido scilicet ense furit.
Cessi , et turbam illani nato conaitante petivi ,
Indolui et socium rixara agitasse caput.
Forte aderat genus hic Mutinense Faloppius acer ,
Dextera Rangono fitla comesque duci.
Venerai bue patriis nuper de finibus exul ,
Ultus ibi offensas justa per arma graves.
Hic ubi purpureum primis galeaque coruscum
Vidit apri testes subsecuisse Lycham ,
Illuiu deberi soli sibi ciamat houorem ,
Nostrorumque , minax , praeda ait ista canuru est.
Moxque fureus stricto incessit oava tempora pugno ,
Icjgemioans testes noa giue teste feree.
Addidit et facto haec quia tu istam age pone securim .
Arma viri fortes et fera bella gerant.
Semivir et palrium in morem caput oblile myrrba ;
Nostra Padi in ripis , vade age , faeta refer,
Fulsatae gonuere genae , mox lividus olii
Sanguig, et informis polluit ora tumor.
Brgo dolens ignomioiam , vastam ille securim
Suslulit^ ut forti praesto erat illa manu.
Jamque per adversumque hostera perque ora ruebat
Laetalis dirum exitium basta ferens j
Cura saltu foelix juvenis Mutiuensis ab islu ,
Et latus 3 et mira retulit arte pedera.
Mox propiusque hostem increpitans, validum exigit eneem.
Qua radiai , dexlro et lumen ab orbe venit.
Effosso paluere ooulo penetralia^ et orbis
Spirameata , ater proluit ora cruor,
Ì97
Hic mihi jam vitam expira prò lumiae adempto
Hostis amare , ait ^ et haec cape dona Lvcbas.
Dixit et arrecta rursuoi iti sublime bipenne ,
Obiectum ensem hoslt fregit in ora suo ;
Dissiliens mucro faciem distrinxit , at illi
Caede cruentatae subrubuere genae.
At non illa ferens indigna Faloppius, hostem
Comminus amplexum dextra obeunte rotat.
Non secus Alcides procul a tellure premebal
Antaeum , vires maire ferente novas.
Luctatusque diu tandem pede cruna reourvo
Implicai, atque gravi stratum agit usque solo j
Seminecemque fureos stricto pugione sequutus ,
Impetit ipsnm oculum qui super unus erat.
Calcitrat , atque uculo usque cavet cervice reflexa
Et prò luce neci dat sua colla Lychas.
Ocius accurrere ipso in discrimine vitae
Braodinus, et Calabro vectus Helenor equo;
Impiger et Decimo bellis spectatus Helenor ,
lUe Deis Rhodia religione sacer.
Hic subito exoritur studiis nova rixa faveutum ;
Scinditup in partes ipsa caterva duas.
Quid probibetis ait justura certaraen Orodes ?
AEquore quin medio cedile signa cauaut.
Venantum densa septos certare corona
Convenit , affectu pugnai ulerque pari.
Cedam ego . Helenor ait , vincat quem vincere maltt
Jupìter, aut socias miliget ille maiius.
Unum illud scitote , feras agitare fugaces
YenimuSj hoc ultra ne scelerate maaus.
»98
Mox proceres Hiero , et juvetais Galiiieus , et Ipse
Decessit Rhodiae Brandinus urbis eques.
Ergo Lychatn multa lurpaluni tempora arena
Torpor iners , mortis corripuitque raetus ;
Atque ait: 0 sumnia mundi regnator in aethra ,
Excipe soUicito quas damus ore preces.
Si merui videorque nocens succense mercati f
Sin miuus , immeritae da superessc ueoi.
Vota bonum meruere Jovein , nanque Albicus acri
Eripuil procerum priinus ab hosle Lycham.
Dehinc vidi magna testalus voce salateni ,
Speclacla ipse, inqnit, non probat ista Leo.
Teslis abesse ipsa jussus gladiator ab urbe
Ptoma .. et ab hoc ipso libera facta metu.
Luce Lycham destra aspiceres , miserabile , oassuni 3
Sanguinoleatutn j ipsos et male ferre pedes ;
At testantem ira stimulante Falloppion aras
Viclum hostem , et captum nou potuisse capi.
Hos virtus Rangona, potes hos ferre minislros ?
Clanjarunt fremitu sydera adusque novo.
Serva raanus Rangona Lycliaoi curaeque medeatuiR
Tradidit j artifices applicuitque raanus,
Haanibalisque aegrum nota ad tentoria ducuat ,
Conjiigis et mira testa operosa manu .
Namque suos molli casus effmxerat auro ,
Rapta olim in patri is pene puella tocis,
Qain matiem lo igo subteserat argume nto
Sanguinolenlam ipsos coramaaulasse lares.
JNou procnl bine famulasque manus pubemque suarano
Irruere et palrinm caede abolere caput.
i99
Clauslra reìaxat male cieJita prodilor arcis ^
Noxque faveiis tautis texta erat ipsa doiis.
Ipsa videbatur praeceps demissa fenestra ;
Moeuibus et patriae peudula ab arce suae.
Seque diu davo praelixa veste teneri
Fecerat , et teneios iruplicuisse pedes ;
Et oe audita queri rapido traheretur ab hosle 3
Conatam nullos prodere voce raetus.
Finxerat et servatam ipso se numine divani;
Numine ^ nana patriae concideratis opes.
Haaaibalem haeo inler fausto sibi foedere junctam
Fervere et ulcisci justa per arma patrera.
Illum cernere erat stricto petere agmiua ferro;
Ipsaque prò cara conjuge iu arma rapi.
Postremum ipsa humlli votum immortale sacello
Visa erat ante ipsos persoluisse deos.
Si poteras tanti aspectu caruisse duelli ,
Laocettum saltem visere dignus eras j
Lancettam Pacti quo non vinosior alter
Huc puer Aroloi venit ab axe poli.
Ouae te animi fratremque luum tenuere procellae
Debuit haeo omuis cedere cura joco.
Insignis fuerat caaibus Lanceltus alendis j
Idem ille et domini cura jocusque sui.
^ternum cai versanti cratcras abenos,
Vina dabaut vitam , vina dedere necem.
Non nisi potura illum exoricns aurora vid^bat.
Pura rejectantem vina , merumque merum.
Praecipites clamore feras quoque potus agebat^
Nare sagax, canibus nou miuus ille suia.
300
Hic jaculam iatorsìt quod detulìt error in Argem ^
Argem iasignem agili mobilitate canem ;
Quae fugieotcni aprnm cursu prae?erterat et jana
Villosam valido fregerai ore cutio».
Lancettum iode pudoi- vioumqne iraeqne coquebaat^
Congiessusque trucern cominus ibat aprura.
losilieosqac ferae dorso iiunc dentibus aures ,
Nunc feiit insana colla ferina mano,
Verum illuiu tergo excussum male ^ praeoipiteraque
Trux fera ad usqoe inaos fregit ab ore pedes.
SangniDolentura et bnmi vioam crasso ore vomeDlem.
Et nemora et fidi mox gemuere canes.
Stratum herus efferri Cnrnelius agnaine ab ipso
Jussit, et annoso perluere ossa mei-o.
Inscribiqae dedit tumulo; Hic Lancettas ab apro
Sed magis a vino saucius ora jacet.
Hunc libeat Chorioeo astom , et quam Braccius artem
Slruxerit , bio certa commemorare fide.
Ille ut mille jocos semper sub pectore versat,
Obfius buie celeri per nemus , inquitj equo.
Quid struis hic Chorinee ? oranes per lustra Galesuna
Quaerimus in tantis casibus uuus abes.
Aul equus illuni alta in silva per iniqua locorura
Excussit , rupit aut ferus inguen aper.
Dixit et amentem Ghorineum et multa querenlem
Transiit, in mediis deseruitque sonis.
Ergo hac alque illao infoelix currit amator,
Secretumque nemus qua magis horret adit.
Et uunc voce tonat , nunc cornu multa recurve
lategrat , el eocios admoiiet inde canes.
Syl'aj Galese , ebeu , quo te abditlit ista recessu
Verte , Galese , ttios , verte age , verte pedes.
Heii frustra 3 Chorinee, hie labor , ille agmiae ab ipso
Cessit , babetque suuoi molliler uada lalus.
Impatieas aestns et multa in caede volutus ,
Torrida seposilis fontibus ora levai.
Ergo ubi nulla miser per devia vidit^ amici
LoDgum quesiti, signa adamata pedum ;
Ilicis acounibens sub tegmine ferlur ab imo baec
Pectore flebilibus verba iterasse souis.
Silvae laurcDtes j silvae quas crimiois hujus
Ignaras, tanti et fuaeris esse velim ,
Vosque ignota ferae quas per n»^mora ista vagantea
Maluerim nostros non agitasse canes ,
Dicite si latebras Testras amor aitigli umquam ,
Per nemus hoc carpsit qua mens ignis iter ;
Dicite, sic stabuiis aevnm peragatis in islis,
Vestraq^ue in hac placide peclora valle eubent.
Heu, male caute poer , quis te casusve dolusve
Perdidil ? 0 medio e pectore adempie mihi !
Soilicet hoc saevo io nemore et nigrantibus umbris ,
Praeda feris trucibns alitibusqae jaces.
Reddite eum , Nymphae , nemorum secreta colentes ,
Reddite fors vestro si latet ille sion.
Quia totum ipsum illum proprias habeatis io usns ,
Credila si per vos sit sua vita niibi.
Ah puer j et frustra misero dilecte sodali ,
Exstiocti ipse tuum vita meumque caput !
Clamabam cave ne haec virtus tibi fiat amara .
la gyrum b«i^ rapido eum trahereris equo ;
20»
Et cuna apros jaculo praeoops sequerere furentes 5
Claiwabani , lateri , lux inea , parce tuo.
Quo siae me diversus ia Laec loca perfida abisti ,
Ea quo perduxit te tuus ille vigor.
Certum est hic , atque hic inter loca piena pavoris ;
Natn quo lux mihi sit te sine velie mori.
Ilaec et plura ferunt illum ingeminasse sub alta
Ilice, et bis ipsas illachrymasse feras.
Parte alia uemore ex ipso , quae ibi plurima turba est
Ibat aper rapida clara per iniqua fuga.
Huc genus Ursina Vaierus de gente proleclum 3
Ferrata celerem calce fatigat equum.
Ille quidem primis malas vestitus iulis ,
Publica cura hominum , publicus arder erat.
Plurima fronte Veuus sensusque animosque IraheLat ,
Sed mage nescio quis gralus in ore vigor.
Sic per lustra vagus teneris praelusit in aanis
Mars puer , et coelo tuac quoque dignus erat.
Venantum ergo aoimos in se converterat omnes,
Immemores illac praetereunli;» apri.
At fera praevalido fugiens vorat aequora cursu.
Transiliitque cito rlielia summa pede.
Indoluit medias puer evasisse per enses,
Totque per arma capi non potuisse feram.
Tura Marianus ibi picea speculator ab alta
Dicitur hos tenui voce dedisse sonos.
Ne geme, blande puer, lachrymis ne pollue vullas^
Hoc tibi nam facies hoc tibi forma dedit.
Quid mea vita feras amor est fixisse nocentes ?
Nonne hominum satis ea san/juice habere manns ?
303
Dlxit et hÌDC pueri , slabat nam ibi canlharns unus.
Nomea, cogooraea , matrem aviamqae bibit;
Duin bonus inlerea risum movet ac Marianus
Totum ibi se et pieno proluit ora cado,
Uuice , clamabant , damam , Uoice respice damam ,
Respice en ante luos se se agii illa pedes.
Ille alio licei excultas inlenderat aures ,
Àudiitj inque feram talia versus ait ,
Sic rogo nostra tuuni figant renabula pectus
Foeniiua ceu princeps perdidit uaa menm.
Olii arcani dextram usque Deus lunavit ad aureoo^
Et levuoi dixit sic mihi claude oculum ;
Corda per et fibras perque ilia venit arundo
Figier in jusso ductà vel illa loco.
Clamavere omnes : 0 nostri gloria saecli
0 decus , 0 vere nomine digne tuo.
lUe feram super incumbens, semel inquit obisli,
At mihi mille uni sunt in amore neces.
Longa referre mora est quae saucia diffugeruut
Secretisque procul monstra obiere locis.
Quaeque Thebaldeus jaculo eminus et bonus arcu,
Maltelenes alta in valle dedere neci.
Quaeque modo adveniens aocinctus acinace Pioma
Lilius , usque gradum pone sequutus beri.
Forte aberat rebus missus Sadolettus a^cndis ;
Hoc camere uno gaudia nostra bone.
Dui ce caput Damino et patribus Sadoiettus, et idec-
Promplus Ariouia monstra movere fide.
Sed votum hoc rainuit stirps Portius alta Camillus.
Arbì ter Ausoniae maxinjus ille togas
3e4
Nec non Christiados Tida ipse sacerrimus aucior
Cui par nullum aetas pristina vidit opus.
Affuit arnaatusque Sparo , et quis crederei j audaa
Per medias vates tam pius ire tubas,
Molsa comesque aderat , volucri gratissinaa cura
Molsa Dpo ^ Phoebi Virginibusque saoer ;
Qui nisi quod saevam grave suspirabat in Mglem ,
Gloria venantum prima futurus erat.
Vertitur ioterea , nec dum tameu occiduus Sol ,
Farcite jam ferro cura Leo magaus ait.
Ergo omnes propere inde plagas et lina relìgunt,
Festinosque vocaut ad sua vincla caaes ;
Bue te, bue verte, hoc te. ingeminant, bue verte Melampe,
Huc Terela , bue Ladon , ad tua vinela redi.
Icùnobates ades ^ bue ades, huc cum Lelape Tberon,
Huc Dromas , huc Leucoa , bue bona Tigris ades.
Clamantum fremilu rauci canor astrepit aeris,
Ex'remnsque rcferl garrula Nympba sonos.
At ( "nDtur aquae et fracto longum aggemit aesta 5
J-i'saque vicinis fervei arena fretts.
Terga sunna excisasqoe feras congessit in unnm
Monstra \dimas miris sancia facta modis.
Huc lepores etiara imbelles dania.sque fugaces
Congessere , avidi quo* rapuere canes.
Cernere vas'a omnes nec jam semel ora fuvabat
Rostraque adbuc bosti pene tremenda suo.
Quae postquam Leo conspexit , veuantibus inquit ,
Proveniant alti sic mibi saepe dies.
Corpora delude jubet tolii quae strata jacebant:
Imponique altis antefereada rotis.
3o5
fu numeruna jumenta ibant, onerataque pìaiistra ,
Gaedibus et multa turpia facta nece.
Ipse domuni usque suo grailitur comitatus lulo ,
Laetanij Ille iiigeminans , terque qiiaterque diem !
At vix dum exicrant castris cum se iiiter eundum
Milvius aetberea prodit ab usque plaga ;
Hic nova inox dederant speetacula , seilicet huju3
Aucupii veteres dod meministis avi.
Tura falco rostro atque auimis spectatus , in astra
Mittitur, et gyris coelum obit usque suis ,
Nec prius absistit quatn nubila et aethera traaet ,
Uode suam incursit praedam inimicus atrox ;
Ille hostem agnoscens resupious pandere rostrum
Vulnificum atque uncos vertere in astra pedes ;
At falco volucres praeceps diverberat auras ,
Seque ruens missi fulminis instar aglt j
Itque reditque viam , inqne ipsum arietat hostem ,
Et miserum varlis vexat agitque inodis ;
Evasit tamen ille, ac dissiliente sagilta
Ocior aversum saucius ibat iter.
Insequitur falco jam jam tenetene feritque
( Ileu quas ferre solet vel brevis bora viees ! )
Ecce fureas pone aelherjo Jovis ales ab ax.e ,
Non expectati vuloeris auctor adest.
Ac jara victoretn in medits miserum excipit astris.
Et validum saevo sauciat ungue caput.
Discerptum diroisit ( agit geuus oaiae aaimantum
Invidia ipsa) animos non luiil lile pare-.
Clamabat , sed frustra illum ad sua viacla magister ,
Usque adeo miserum laudi» agebat amor.
3o6
Quem morlbun^um alta poli e regione cadentem
Excepit trunci versicoloris acer.
Lapsum herus ingemuit , hacque illuni est voce sequulus.
Te tua vis dedit et fraus aliena neci.
Ergo illi aeria in turri statuere sepulchrum
Ursinusqne pater Ausouidumque maaus.
Rostra super busto et posuere iagenlia coelo
Caesarutn in mediis syderibusque avium.
Exculplaraque ursani domioique insigne superbum
Et validorum olim vincla operosa pcdum.
Insignern hanc pietalem olim miratus et haerens
Tale gravi Carmen voce Capella dedit.
Quid non patre sub hoc polerunt spedare Qiiirìles?
Cum tumuli merilis obliget unus aves.
His aclis petiere domos , meusisque frequentes ^
Et picturatis accubuere ihoris.
Multa iuter mensas iiiterque liquenlia vina
Narravere sacri fortia facta patres.
Eie jactat rapidi oris aprum, hio taurum usqae furenteraj
Hic cecidisse uno se feriente lupura;
Ille suos memoratque metus ut robore fido
Vitarit fulmen fata minantis apri.
Ille ut ob hoc ipsum sibi magno oplaverit emptum
Arraorum illa ipsa in luce fuisse rudero.
Me quoque narrarunt foelicem a morte redemptura.
Et medium quod non subsecuissct aper.
Laelilia plausuque fremii Romana Juventus;
Auguslumque suum vivere rursus ait.
Sed procerum nihii aeque animis risumque Leoni
Movitj Mantoe quam sacer urbis Abas.
207
Naraqae ferunt inter voccs homioumque cannmque
Totam illaru in sotnnis accubuisse diem ,
Slertentemque altum sub odore et tegmine lauri
Collectis multa nocte redisse plagis;
Miratumque din ac longum stupido ore morantem
Tot domini excisas mensam onerasse feras.
Divini interea recitantur carmina Bembi ,
Venantum validas quae cecinere manus.
losignis cjtbara , Phocbique idem ipse saoerdos
Tbyresias , miris retulit illa modis;
Donec stellifero delapsus somnos ab axe
Admonuit tacita membra quiete fruì.
Haec ego veoatnque super siUisque canebam
Postbumus, Elhrusci qua strepit unda sali;
Cura Palis autiquam cessit Leo manus in arcem ,
Jussit et intaclae virginis arma coli;
Quo duce^ Jane, tuam per sa^oula clausimus aedem ,
Romaque oliviferae commoda pacis agit.
Quo duce, nunc colitur pietas, habet ocia ferrum,
Fraus poenam , virtus praemia , jura locam ;
Per quem acri impatiens livor sibi pectora telo
Fixit , et hoc uno numine vincer, ait.
Ipsa ego forte ilio snb tempore lustra seqnatus.
Desueta polui tela agitare manu ,
Qui prius imbelles elegos , dominumque potentena .
Et cecini una malas quot dedit illa craces.
ao8
N.'* CLXX.
( Voi ni. p. 194. )
Guidi Postumi Silvestri, Eleg. Uh. IL p. 89
Leoni. X, Pont. Opt. Max.
Heu quam nostra levis , qoam non diuturna voluntas,
Quam juvat ingratum saepe quod ante fuit.
Quaoa placitis , Pater Alme , adsunt fastidia rebus I
Ut minus id gratum quod fuit ante, probes.
Urbis opes, moresque olitn, sioe fiae placebaBt,
Nunc praeferre urbi commoda ruris amem.
Credideram nihil esse Remi conspeetius urbe ,
Inque suis tantum gaudia nata jugis,
At magis ora , ubi nane mihi torrida docitur aestas «
Et placet , et sensus abstulit una meos.
Hic , de more, dies , non jam mihi stare videntur,
Quos placidum faciunt frigus et aura breves.
Sublevat arentemque sitim , ebibitumque remordet
Insilieusque oculis , frigidulumque merum ;
Legitimum hic labens non ullo tempore desit,
Garrulaque algentis vena perennat aqaae.
Capripedes alibi Panes , non jam aptius , ora
Fervida, fontanis immadnistis aquis ;
Noe hic aura calet , non hic plaga noxia coeli,
Hic vcl Erylbreae saecula valis agunt.
209
Hue Boreas gelido non jara bacchatnr ab axe ,
Sei! leve nescio qnid Ijinguidulumque sonai}
Al IVofus aeternum sqiiallentia comprirnit ora ,
In latus oppositi personat ille jugi ;
Qnin et nox , et lux somnos habet ipsa salubres ,
Gonveniens populìs illa vel illa venit.
^iiam juvat hic , qa^tn oon seroper •ublimia taogaot ,
Agreslura tennes excoluisse casas,
Dnlce pruinosis spatiatur mane frutetis ,
Diilce Hiera special sole cadenle mori ,
Dolce videi fessos operosi cultibus agri
In sua ruricolas tecta redire boves ,
Silvestruraque gregem impaiibns cerlare cicutiss
Moxquc inter pecudes accubuisse suas.
Al festum venerata diem j perfunctaque vino.
Saltai amatori fusca coIona suo.
Vernai laela , tbvmum populataque mane rubentì
Corlicibusque cavis naulta snsurrat apis ,
Plurima et hic perdix , et plurima phasidis ale»
Rangoni volitant grata rapina meo.
Qiiarum oottìdie praedam libi destinai omaem ,
Ingemioans , nostro caepiraus ista Jovi.
Excipe pacalo silvestria munera vullu ,
Qnantulaouuque aniniis nec satis aequa suis.
Ipsa vices libi inox virtus fraterna rependet.
Unica nata tuo est prò capite illa mori.
Praeside ab bac , Lepidi uuper summotus ab urbe est
Gallus j el in primo limina terga dedit.
Laeta libi belli dedil incljtus emina Guido ,
Hic vìfj hic est palmae summa caputque luae.
Leone X. Tom. VllJ, l4
2 10
Hoc duce j iniqua tuis quondam Victoria castris.
Mqua libi terris aequa fu ima mari est.
]Non procul hinc rabidum eiigoues vitaatibus aurum
Illicibus dcnsum verberat aura nenius ;
Quo velit ipsa libens juga permutare Lycaei ,
Silvanusqae paler, semicaperque deus.
Mdlta ubi froodet acer , ubi ponto natus arando j
Aurea Fagineus sydera tangit apex.
lUic dolce cubani sera sub nocte palumbos ,
Illio rore madetis plurima garrii avis ,
Illic venatu accumbit perfnncla Juventus.
Membraque frondosis ponit anbela jugis :
Apta cohors , Saljris .«altantibus , ordine longo
Visa modo est rudibus carmeo hyare sonis,
Materiam quaeris ? Nymphas celebrabat amatas j
Missaque virginca Naica doua manu.
Sciiicet iirigui fontes , nou autra j nec umbrae 3
Nec faciuDt silvae , quo minus urat amor.
Est et Seplimio quiddam teneroque Gaieso
Carius , hoc unum sed latuisse veliin.
Sciiicet aeoos brevis occulit arca lapillos
Incustoditae ne rapiautur opes.
Judioe me 5 Siquis gemmara ostentarit et aurum ^
Ille reus fatuae siaiplicilatis erit.
M.'gne pater, rerum atque hominum justissime reclor^
Idrm honor , et saecli rexque deusque tui.
Si sniat hoc discors qui nunc libi supplicai orbis j
Non alibi soles occuluisse velis.
Si liceal tua l'aiata rudi mihi claudere versu.
Hoc nemus , hi fontes denl Helycona tpibi.
aii
N.o CLXXI.
( Voi. VII p. 200. )
Rapii. Brando! ini Leo, p. iSg^
Raphael Brandolinus Junior Lippus , Joanni Med
DiAG. Card. Sanctak Mariae in Navi Nyscup. S. D.
Quum niillutn tnajus j atque praeclarius iodicium de-
fuQClorum memoria conferri beaeficiuin possit , qiiam si-
quid assutnatur, quod eorum laudi sempiteruae coosulaì,
et per eos posteritalem maxime ad virtù tara accendat ,
statui Lippi Germani lucubratioues iti uuum redactas ia
lucem proferre , ut ex hac ejus industria, exactaque di-
ligenlia , in summa praesertim rei familiaris angustia , et
miserabili, qnae raihi cura ilio communis est, caecitate,
et quam ipsaui rerum , ac temporum vario confliclatio
reddit miserabdiorem , illi quidem nomen et gloria quara
merelur , mihi saltem hujus Incis aliquid comparetur j
quippe quod ille non in fortunis , quas ad usus vilae
necessarias non multum cupivit, vel in corporis venu-
State , cujus caruit emirienlissimo sensu , sed in virtute,
ac honeslate , et diviuarum rerum conlemplatioue felici-
tatem omnem esse ponendam existimavit. Ego , etsi ejus
in hoc genere laudis assequendi spem mihi effulgere non
videam , imitandi tamen , ejusque vesligiis inbaeremli
studio semper incumbo. Quare cum ejns tres libros de
comparalione Popularis , et Regii status in Rerapubli-
312
cam , qnos Pannoniae ìncoeplos, Florenliae per Dialogog
absolveratj nuper evolvissena, tuo Nomini dicanHos mul-
tis rie canssis mihi proposni tura quod eos ille , inter-
veniente Mathiae Corvini optimi , ao sapientissimi Pan-
noniorum Regis obitu (cujus maxime hortatu opus ag-
gressus fueraJ ) Laurentio Medioeo Parenti tuo, unico se-
cnli nostri virtolum ac literarum omnium praesidio ,
summoque non Florentinae modo Rcip. to^iusque Re •
gionis Etrnscae _. sed universae Italiae ornamento , oen-
suerat cfferendos ; ut qui , justissimo ac munificentissimo
nosirae tempestatis Rege amisso , eum civem (If^ligendum
videbat , cui tam praeolarum opus merito debebatur,
Cujusque vel judicii gravitalis, vel ingenii acumini, vel
rerum peritiae posset maxime coafidere ; lum quod ipse
Teracissimam prudentiae , pietatis, munificentiae , fortilu-
diniSj innocentiae , caeterarum Parenlis virtutum ima-
giuem referens , dignissimus procul dubio videris^ qui
super jus quoque haereditarium pateruae laudi , immor-
talitatique succedas. Quandoquidem tute tibi ab ineunte
aetate vitae formulam praescripsisti , ut sive publice sive
privatim in sumrao rerum discrimine versareris , perop-
portunum ^t prope divinum consilium capfares, quo Fra-
tres, atque propinquos omnes difficiliimis temporibus su-
blevasti ; quique sic eliara in te pietalem semper babai -
sii, ut omnibus praedilus virtutibus non immerito judi-
carerisj quibus ea inopes beneficentia es conipiexus , ut
qui tuae rei l'arailiaris angustiam raeliretur , te Parenlem
quoque Laurentium in eo virtulis genere facile crederei
superasse; qui auiem ignoraret^ illura in te revixisse
arbitraretur. At domeslicas per exilium oalamilates , quae
muliiplices , ac prope infinitae fuere , acerrimos quoque
2l3
ÌHvidorum morsus qua animi celsitudine ac ianocentia
pertuliàti ? ea oempe , qua uaus ex fortissimis , innocen-
tissioiisque nostrorum temporum viris posses jare optimo
judicari. Accipe igitur. Pater humaDissime , Parentis
prias lucubratum , deiade tuo nomiui recognitum opus ,
quod uni libi , et gratissirao Filio , et unico Familiae
Medicuta fulcimcnto , et viro optimo , et pientissimo Car-
dinali j et denique paternae laudis haeredi merito debe-
batur accipe ; accipe , inquam ac una mecum exislima ,
hanc libi dedicationem optimum revisendae Patriae omen,
ac certissiraura esse. Quod si tibi tandem aliquando , ut
ego quideni , et optimus ^uisque civis maxime sperat ,
conligerit j et illa per te pristinum decus, ac veterem
dignitatem , et tu per illam incredibilem gloriam , sera-
piternamqne ad posteros memoriam propagabis. Vale.
si4
N.° CLXXII.
( Voi ni pag. 21 4. )
Corycìana. Ed. Rom. i524.
Blosics Palladius romanus. Jano Corycto Luccmbxir-
GEN. A LlBELLIS JuST. V. C. S. P. D.
Coryciutn senem libi quaclantenus cognominem j Jane
Coryci , P. Vergilius ( ut scis ) mnltis versihns collau-
<3at , facitque eiim ad Galesnm flumcu , sub altis Tarenli
turribus , bortorum cultui baerenlem , vilamque felicem,
atque otiosam ruri degeutem. Itaqne bac una hortensi
industria nieruit velulus cilix divinis carminibus inter—
seri 3 et vita longaevus , longaevior fieri Carmine, quod
iìli prò aelerno monumento a poeta omnium maxirao
statutnm est. Atque ille quidcm boc summi poetae mn-
uere aeternus jam est , suasque arbores , et plantas vi-
vacitate vinnit , parique perennitate hujus memoria cura
poetae gloria proleuditur , tantum iili felicitatis attuili
P. Vergilium in ejus horlos incidisse. Quid autem te
Jane Coryci dicam , bujus senis cognominem , annìs
aequaevum , ab hortorum cullu non abhorrenlem? Qiec;
omnes nostri tenijioris llrbani Poetae, uno ore conotle-
brant ? Quid hoc an fatum aliquod est, Corjcios scra-
per poelis populares? Corycium crocura atque adeo aro-
mala omnia , ad aeternilatem clentes ? Nisi te eliam ilio
longe piestantioreui ., et ex Parnasso iuon4e , ac Coryci»
spccu , Mnsarnm dono uobis Hatnm orediderim , ac ( si
poetice magis fìoqui licci) ab Goryciis gcnilum NjmpJiis,
atqne educatum. Quod omnia bujus aevi iwgeuia in urbe
excitaveris, et ad virtutis, laadisqne ainorem miro ar-
dore snccenderis. Nam tu cura ab bine ferme decetinio
prò tua piatale aram cum sacello ia aede Divi Augu—
stini , Cbristo Deo , Matrique et Aviae ejus , Marne , et
Annae statuisses , treisque statuas , suani cuique e Lu-
nensi illas marmore erexisses , ad haec picturam iouge
inclytam , et priscae aemulam^ addidisses , srnlptorem-
que , et pictorem quam eximios adhibuisses , praeterea
sacrificio quolidano perpetuo, vasa , vestem, pecuniata
legasses. Tura Pofitae urbani omnes , velut oestro perciti,
tuamque fum pielalem , tum operis ipsins excelleiitiara
admirati j te certatim extuleruntj tuamque animi magni-
tudinem , statuarura nilorem, artificum pracstantiaini, suis
carmiuibus texuerunt. Praeclare illi quidem , et ut in di-
vinis rebus j prope divine. Qua sane io re , nescio ari
potius ubertatem ingeniorum , copiamve seatentiarum, an
carminum genera et varietates , laudandas puteni , cuui
in omnibus j quanquara inveutione, stylo, cietro, diversis,
unus tamen ac prope idem decor conoentusque eniteat. Alius
elegis , alius heroicis, alius Ijriois numeris , aut phalaejiis
agit, aeque ] ulohre omnes. Adde rei ipsius ac maieriae
dignitatem, cum non ut priscì eoacervatim in licentiosis
Lampsaceni jocularibus, sed in Dei ac divorura laudibus
oanendis, ingenium exercuerint. Ergo ut in plurirais, quo-
vam Pandectae sunt, Jurisconsultis, praeter rei ipsius quam
ilocent, ulilitatem , uuus prope sfylus in tnt diversissi-
mi fi , tum aetatc, tum patria, ingeniis elucet, sic in hoc
•.ino libello, praeter ipsam rem, «juae (ut non Diajns^di'
caca) divina est, et de Deo, ac dlvis contexta , ctìarn
Btyli eleganfia, etiaiii irigeuiorum ubertas , etiam iovea-
tionis carminumque varietas , admiranda uobis est. Sta-
pendum est praeterea , quondam in bis pene pueros es-
se , Romanamque pubeculam tam praecox , et frngife-
rum iDgeoium divis suis couseorasse. Felix igitur tu,
Coryci , Drin tit Tarenfinos incola de suis bortis , sed
de tnis slatuis ^ de tua pietate , de dirino cultu,deper-
pelno sacrificio, de tot poetis, de tot oaiiuinibus, de tua
perenni gloria j niarsnraqoe aeternilate. Nam quanquana
tnae laudes ionge plures ac potius innumerae sìnt, tamea
sic velina , Corjci , existimes , tuam felicilatem hoc uno
iibello contineri. Etenim hae libi statuac , praeterquam
qtiod carminibus et monnmenlis tot poetarum perenni-
latera tibi contulerunt, etiam statuairl in coelo statue-
innt , aut certe locura ac sedera pepererunt , in quibus
tu resideas sempiternus. Quod si P. Vergilius in tua ,
àut tu in illius tempora incidisses , habuisset ille quideia
quid de te , praeter hortense sludiunj conciueret ; prae-
dicasset in hominc nalione externo , Roraanum iogeniura,
nrbanani dexlerifateni, litteraria studia, litteralorura com-
mercia , festivam nrbanitatem , exteniporariam dioendi fa*
caltalera , antiquitatis et inarmorura vetuslorurh amorera,
tum vero rigidam in justitia et supplicibus libellis, qui-
bus jara sub sex Ponlificibus praesides , severitatem ; at-
que etiam islam tuam caniciem , corpusque teres et vi-
vidum , istamque tunicara tenuem atque expeditam in
frugi horaiiie , et ab omni ambitione semoto, cum niteas
alioqui vestiarinm libi sit, praedicasset. An vero ille il-
lum tuum solemnem diem tacere potuisset, quo tu Ars-
nae Cbristi Aviae saorum , tanto cultu et honore , aJ
217
tiias prtrautn statuas stato «j.^rTÌficio , Inde ad hortes ,
pingui et lauto epulo , at jue adeo omnibus bonis , om-
nibus doctis , indiclo , concelebras ? N un eò bonoruni
atque eiuditorum virornm ea colinris coit, ac diem cele-
hrat, ut in tuis hortis medias Ahenas, èmporiumque
doctrinarum popsis videri ilio die includere , et musas
de Helicone et Parnasso deductas, in Tarpejum et Qui-
rinalem tuis hortis imininentes , transferre. Ubi alius ad
arbores cilrias , alius ad hortenses parietes , alius ad pu-
teos 3 aut sìgna , quae illic plurima sunt et speciosa,
omnia antiqui operis , et gioriae piena , hac illac temere
et varie, carmina affigunt tuas statuasj tuam pietatcm, li-
beralitatemque jus diei , tam in Deos quam in homines
tantam , uno ore concelebrant. Deniquo nuUum in orbe
terrarum (ausim hoc dicere) concilium aut conTivium
est, ilio tuo illius diei, nobilius atque illustrius , quutn
praeeuntibus mane sacrificiis , et re divina, post vergente
▼espera , selecta doctissimorum turba , et quasi flores
litterarum , in hortos tuos coacervantur : quos tu qui-
dem pluris quam reges , plurisque quam Satrapas uui=»
Tcrsos aestimas et jure aestimas. Ncque enira philosopho,
immo sapienti tibi , plus animum purpnrae ac mitrae ^
quam carmina et metra pervadunt, neque pluris eos fa»
cisj qui sunt, quam qui esse reges merentur. Possem
ego ìstos hic ia«erere , ac nomina poetarnm tni tempo-
ris , posteritali indicare, nisi pene innnmerabiles esseat ,
ac bona eorum pars in libello ipso carminum annotare-
tur. Quare te ilerum atque iterum felicera jure appella-
\erim , cum tu in tanta ubertate ingeniorum , quantaui
nostra tulit aetas , nou solum annumerari , sed ab om-
nibus nnas celebrari meraeris. Eanl. igiuu' isti , qui 1»^
:u8
qiifaria anrca supini suspiciunl ia cameris, suasque opes
sibi babent , ant avare occlusas , aut inutililnr (crofusas,
aut iiidignis erogatas , nec quicquam in poetas et doctos
viros largiuntnr. Tu enim non usqup adeo dives , sed
lamen satis animo dives, ac divitiaruui prudens parti-
tor , nobili hac libeialifate j qnam in perpetuura sacri-
ficium , et in solenne hoc epulani confulisti, tura alia
indesinenle et perpeti , quam in omnes assidue bonos
per oocasionera exerces , factus es sempiternus. Siquidem
in divos , qni supta bomines , in homines , qui inter ho*
mines doctrina excelierent, ostendisti simul pietalem ac
liberalilalem. Vernm illi cum suis plurimis opibus, quibus
uti nesciverunt , interibunt , nomenque una alque opes
in terra rondent , tit pancissimis tuis divitiis perbene
«sus , bene ac sempiterne uteris. Etenim in coelo libi
ae'ernitateni Divi, in terris optimi homines , optimis mo-
rumentis , perennitatera rependent. Quo magis miratus
aliquando sum , te tara ingloriuni , atqu« immoitalitatis
contemptorem fuisse . ut tuae gloriae iovideres , carmi-
naque tot, totque ingenia supprimeres , et cum gloriam
tam meruisses , naeritani lam coutemneres , aut ceri»
negligpres. E.^oe jam Decenninm circumactum est , ex
quo isla oodflata, emissa , divisque donata sunt nec dura
ili Inoem à te proferuniur. Invidiali tibi , immo etiaoi
Divis . iiùiiio ei nobis omnibus, qui non snnius tara
philosophi quàni tu , qui gloriam amamus , qui faniara
non contemnimus. Ergo ( dicani enim jani libere} tecurn
fnrem esse oportnit j atqiie istura libelluni , queni tu
sepultum atque occultum volueras , sobrurari tibi, alque
ia lucem edere. opus fuit, ut nobis omuibus aliquam af-
Jcrret luceuì. Scio non e?se nos Vergilios , neqnc lam
219
noì asseculos his plurimis versibus, qnam illuni illis
pauclssimis. Sed ncc ullos alios praeler Vergilinm fuisse
Vergilios , et te illi Gorjcio aiiteponenduni ( ut dixi )
non dubito, neque quia nos tibi Vergilii esse non pos-
sumns , ideo tu nobis non eris Goryoius. Vives , vives ,
inquanij nobiscum , et hoo uno remedio mortem vincemus,
ut mortui vita , per famam et gleriam vivamus. Quod si
altera quoque aelernilatis via , qnae armis et victoriis
quaeritur, in precio est, quinimnao prepiosior quibusdam
habeluTj Ego istaru niihi anaabo , quae non hominena
ferro necat , sed sljlo servata quae prodest scribendo ,
non obest rapieodo, quae innocentia , humauitate, pietate,
non audacia, ira, vi, teraeritate conlendit. Ita ut longe
mihi praeoplem ( si id assequi possi m ) poelam me esse
quam militem. Verum ad me redeo, quom furem fuisse
fateor , ne tu esses invidus , neu forte id nobis quod
olim illi evenirci j cui divina opici roserunt carmina
roures. Librum itaque istum , quem tu capsula occlu-
sum tenebas , in tua cellula, ad laevam raanum, sopito
iiuper tibi subripui , et quasi à Sileno dormiente Vergi-
liani pueri , sic ego à Corycio sene , aeteroa carmina
clam extorsi , iuvulgandaque typis dedi. Dabis tu ve-
niam , ac mecum redibis in gratiam , ut voles , neque
me sic furem oderis , ut non rccogites, te potius odio
babendnm fuisse , ut invidum. Denique alliges me ut vis
ad tuam Tarp<^jam rupem ; me nunquam poenitebit fuisse
Pronielheum , Qui ut ille de coelo ignem , sic tibi ar-
dcntia , et victura carmina, ad perennitatem nos tram ,
saeculique voluptatem j subripuerim. Vale.
320
C. Silvanus , Germanicus , tano Corycìo S.
Arsillus egregius vir , libellnra ad me detulit , quem
de poetis urbanis conscripsit ; eum tibi mitto , non solimi
ut legas, verum ut associes quoque libellis tnis , una
orbem terrarum ut peragrent , postquam tandem extra
sinum , parto deliberaris frui honore. Non poteris pro-
feoto sine magna ingratitudinis nota id negare officii ,
me poscente , viris iis , qui in te stauasque tuas offi-
ciosissimi fuere , sed certuni est invidnlos aliquot excla-
maluros , quid tam sedulo Silvanus laborat istaec edi ?
scilicet qund ipse quoque est iosertus coronae tantorum
rirorura. At ego istiusmodi blaterones perinde habeo , ac
Romani Brutios , dummodo sciant laudem hano, somnos
mihi breviores facturam. Tu vero, mi Goryci plusquani
decuit inanes illorura , immo vero inermes stimulos me-
tuens , hactenus rarissimam cohibuisli gloriam. Cave igi-
tur animo decedas ^ confige cornicum oculos, utere laude
tua vivens , si sapies , quae caeteris post fata longe ve-
nire soleat 3 nancifaoilo quicquid est omnino iavidentium,
quando citius invidere quis poterit , quàm imitari. Valf.
Janus Corjcìus Lucumbiirgen. C. Silvano. S.
Multam , Silvane, tibi debeo gratiara , qui mihi nostri
Arsilli de Uibanis poetis legendum libellum indulseris ,
longe jucundiorem profecto, et venusliorera , iis libellis,
qui mihi , quolidie ialer maaus versantur , et lite» praej.
821
ferunt, atque contentiones ; ac licet inassueto, nauseam
et bilem commovent. Ing«;ntem itaque ex eo voluptatem
cepi , nec miltere mihi carias potuisses qiiippiam. Arsillo
vero etiain atque eliam debeo , qui tantos illos viros ,
quorum opera pene spiro et vigeo, quorum ope nomen
oblioeo j atque umbris subtrahor, uno libello nobili com«
plexus est, verissimas uniuscujusque laudes altingens , et
quodammocio collocatos in Musarum concilio , posterilati
piane intuendos exhibet. Cum tamen efflagitationibus, ne
dicara conviciis Virorum probalissi>morniu urgear , car-
mina in noslras edita statuas publicare, tjpisque cudenda
tradeie ( non tam quod obtreclatores invidosque extirae-
6cam , quibus parum certe negotii nobiscum est, qnaru
quod mibi , jndioioque meo non satis fido, et cousulen-
das mihi aures arbitror disertiorum ) minime obsequea-
dura credidi, et ut ab editione abhorreo , ita quoad fieri
possit abslìnere decreti; non maligno, aedepol , animo,
ncque ut immortaleis laude homiues fraudem , aut prae»
conio ilio excludam , atque intervertam , quod tot fessi
■vigiliis commeruerunl. { Nempe ea jactura nnbi curn iis
est communis) Sed ne videar forte ita gloriae appetene
esse , ut quid deceat, quid dedeceat, non prius di«piciana
hac ratione libellus summae apud me aeslimationis et
graliae j caeteris quidem jungetur, verum in Scrinii late-
bra aliquamdiu dormiet, et hoc elegantiae praemium apud
me feret. Scio summi Oraloris esse senteutiara , Nulli us
Agricolae stirpem tam diuturnam , quam boni Poetae
▼ersum , conseri posse. Verum ego non tanti duco glo-
riae illecebras , ut decoris ralionem et tempoiis postila-
bendam existimcDi , cui sapientctu servire in primis d**
oet. "Vale.
d2d
BOCUMENTI CHE ILLUSTRANO
L'OTTAVO VOLUME.
N/» CLXXin.
( Voi. Fin. p. 7. )
ObAtio SìephAni Possidarski , ìiabita apud Leonem
Decimum^ Pontijicem Maximum, prò Doìviino Joan»-
KE Torquato Comite Corbaviae defensore Crovaciae.
Beatissime Pater 3 semper ia diviois Beatissime, ia
humatiis autem vix audeo dicere , cum rempublicam Ghri-
stianam a ferocissimis Hoslibus lacerari et ludibrio ìri
animadverto. Quod idem Sanctitati tuae cognitum esse ,
cnm ex nuaciis Domini mei Joanais Torquati devotis-
simi servali lui j Corbaviae infelicissimi Goniitis, tum ex
legatis tuis ad illas proviucias missis exploratum esse ju-
dicamus , quod omnibus fere Christianis , non sine ma-
gno terrore cognitum est, immanem illam Bestiam in
Apocalypsi figuralam , idest Turcarum regem , septem
ìlla cornua contra nos extulisse, et per quinquaginta et
amplius annos , nescio an propier vitia nostra , an per-
missu summi Dei , tot Episcopatus et consequenter epi-
scopatìbus subditos , in snam ditionem , et quod pfjus
«61 la suos mores ire oopg«ritj ut jamprope, nisi osten-
223
deris te esse ifi qn^rl es , Salvatoris Vicarium, tle nostra
s;iiiìJe (lespereiiius. Videmus eoim quotidie non indies
iDijjUS urgeri j et quasi ex igfie aquam pelere? sed proh
Deus iramortalis , ubi estveritas? ubi est amor jnstitiae ?
ubi est foedus amicitiae christianae? Viciui domini atque
Dviiaslae qui nobis auxilio et sibi praesidio esse debe-
rent , invidia nos quadam prosequuntur , et ex amari-
tudine nostra sibi adipes facilini ; sed Joaune Torquato
deleto , tunc intelligent carnes et adipes ex invidia sa-
ginatos sine ossibus constare non posse. Verba subdola
et apparentia inter gladios et frameas nullius efficaciae
sunt. 0 qnoties inter ignes villarum suarum , et raulti-
tndiiipftì captivoruni , ipse Joannes^ non sine magno san-
guine suornm , lanquam Leo irritatus in medias latro-
num et hoslinm àcies impetum fecit , nullaque humana
"pe sed divina potius evasit ! Animos ejus et ausus quis
enarraverit ! Cogitare potes, Glementissime Pater, cum
tot oalamitatibus de continuis incursionibus et latrociniis
affectus sit , quomodo sibi constet , ut facile appareat
non sin« numine tam dia posse subsistere. Utcumque
iamen vigilai et observat quantum fieri potest in angu-
sto . et in regione prope dfisolata, ut exclaraare possit ,
nnde mihi auxilium nisi a Domino. Venetorum provin-
ciae Dalmalia et Liburuia prope mare quum naturali
munimento defensae tum foedere facto tutae aliquandiu
a fancibus Turcarum fuerunt. Geterae Mediterraueae pro-
viiioiae , a»it quia longius ab ipsis hostibus , aut quia
prope (lumina suni , negligentius de nobis agere videa-
tur ; sed Joanni Torquato ista necessitas imposita est,
ut non solum se finesque suos , sed aiienos etiam lutari
cogatur j nam in Tiuiuoi , et Glissiam , et Regulorura
224
castella, qnàe ab aliV, cnstodirf deberent, et maxima
quidem vigilia , idem Dominns meus scraper oculos in-
tendit , ef Faepe castella sua , et belliois tormenfis , et
luilitibus exarmat ut illis opem ferat. Gaeteri omncs Re-
gali et Fraiigipaues , qui a tergo sunt , illius fortunam
opperiuntur, in casu ejas omoino casari. Banus in pe-
netralia Sclavoniae secessit , et in foribus Croratiae ho-
stes non curai. Seri quid plura dioina , quum, nemo igno»
ret Joannem Torqualum xxx, anaos in foribvs Gorbaviae
vigilantissimum oustodem excnbare, et contermina Turcis
Joca intrepido animo defendere. Ibi non Icgationibus nc-
que verborum disceptalionibus de priocipatu agitar ; sed
cruentatis cnsibus de fide, liberiate, ac de salute con»
tenditur ; sed circunicirea , undique lerror undiqoe fuga
est ; qaas pulcherrimas et fecundissimas terras ipsa na-
tura conPtituit , saevitia hostiam et cultorum desolatio
turpissiraas et infecundissiraas reddidit. Non possunj libi.
Pater Sancte , tot arccs natura muoitissimas , tot nobiles
et slrenuissimos equites Crovatia fugatos nonnisi Bano-
rum incuria et negligenlia recensere. Non possum libi
oiuues Turcarum astus et jnsidias, tacco crudelitates quas
conlra nos faciunt , enarrare. Ambiguum est an raajus
DOS potputia an dolis ^t frnudibus urgcan'. Waiwodas
captis arcibus et Castelli* praeficiunt qui sponsionibus et
possessionibus Chrislianos subdilos alliciunt ut sibi oboo-
xii sint. Proh dolor. Beatissime Pater, jamjam cum Tur-
cis vicini Cbristiani matrimonia contrahunt, atque ita
conveniunt ut Domino meo intcr Cbristianos et snbditos
agenti debito dubitandum sit. Affi) mare tibi possum j
clementissime Pater, illuni bostium fraudes multo maju9
quam ^rma timere. Hostium tributarius effectus eet^ ui
925
qnoquomof^o possit effogtat et salutem sibi et miserrima e
Crovatiae tam din producat , quoad divina miseralio fa-
verit. Videt enim omnena furorein Turcarura tolas ia se
vires effundere ; ut nisi tu. Beatissime Pater, qui summì
Dei Vicarium agis , solila provìdeulia Domino meo pro-
spexeris , de rebus suis , et de Iota Grovalia propedietn
intefitum nnnciet. Si proi^pi^ero , Pater sanctissime, tÌs,
aut Joannera Torquatura inilitem Ecclesiae restilue de
Turcarum tributario, et sicut optai, propugnatorem ef-
fice , aut aliquem de ducibus luis mitte , cujus armis et
ope Turcis viciois secum obstaie valeat, et latrocinio
latrocinia repellere, aut sallem aliquem viruni religiosum
ad illos populos mitte , cu^us anloritate a fuga oontine-
antur , ed ad fidetn Chrisli corroborentur , aut Saac:iitas
tua die novissima verba. Vale.
Manlius arces Roraanas et tempia repulso,
Defendit Gallo saepias hoste procul.
Hic noster Torquatus agros defendit avitos ,
Et sappe a uob;s Turoika sigoa fugat i
Tam gratus patriae quantum ille Quiritibus olinaj
Et £Ì fata dabual prospera , major erit.
Leone X. Tom. FUI. i5
2a6
N.« CLXXIV.
( Voi Vili. p. 8. )
Vidae op. tom. 11. p. iSy. Edit. Comin. lySi.
Leoni X. Pont. Max.
Ecquis o laetam , Leo , gratus urbem
Erigil rumor fera te parare
Barbarae jam jam Latio immiaeati
Funera geoli?
Macie , qui tanlos animos superbus
Concipis ; magiiis nova te triumphis
Gloria invitat , nova laurus j o ter
Maxime Regum.
0 diem illatn , qua rediens ic urbeic
Arduis figes spolia ampia templis,
Quem duces omnes sacra Vaticani ad
Limiaa ducent.
Ante dcjecti capita alta reges
Efferi incedeut ; minor ibit ille
Qui modo deviato Oriente Romae
Dira minatur.
0 ubi hic captas numerabis urbes ,
Et ducum vita exuvias carentum ,
O tuum qnae tunc merito lacessent
Gaudia pectus !
Ergo age , arrcctam Ausoniaoi , et paratos
aa;
Piiblica Europae voca ad arma reges ;
Jaraqiie spumosum videam lalere
Classibas aequor.
Hoc avent otniies Itali , exterìque ,
Gestiuat cunclis animi ; paratur
Martis ad praeclara opera , et labores
Pulchra juveatus.
Ipse ego, qiiamvis alia aitare
Mens erat lauro , ardeo nano amore
Martis, armorunaque ; tui reliquuata
Pboebe , calores-
Naac vucant artes aliae ; javet me
Jatn gravem ferri strepiium , lubasque
Horridas audire ; juvet rueates
Ceraere turraas.
Jam mihi deasum videor per agraen ,
Casside iaclusus caputa insuetum
Fuaera horreadum fera fulmiuaati
Spargere dextra.
Non ego prò te j iaribiisque , et aris
Horream extremos penetrare ad Afros ,
Noa ego Xaotbum galea cava po-
tare f Dee ludum.
Pulveris mullam , patiensque Solis,
Ibo quo Belloaa vocabit,* et Mars ,
Hostium irrumpeas uuaeos , abeaa
Luce coruscus.
Est tuiiii pecius , mihi sauguis , et vis
Vivida , est praesens auimus ; trementi
Bdrkiri tellure cadeat mea sub
Cuspide reges.
328
Ante me band alter vacuus timore
Aii'leat muros superare capti
Oppidi , nemo j)nor obstiuatas
Rumpere in arces.
Forsan et vestros a'.iquis triuraphos
Dum canet vates Asiani , AlVicamque
Cedere , et victuin juga vestra ferie
Protiims oi beisi ,
Me qyoque heroas memorabit inter
Maximos ; noscent aoimae in periclis
Prodigum , experteioqne metus futura
Saecula Vidan).
N.*^ CLXXV.
( Voi mi p. 9. )
DalT originale ^ nel MSS. Coltoniani nel Museo
Britannico.
Reverendissime Pater et Domine , Domine mi ac be-
iieraotor singularis , post humillimas commendationes. Noa-
uullis nieìs litteris ad vestrani R D soriptis, s;jtis co-
piose me significasse arbitror ingens Sanciissimi Domini
nostri desideriuni ad pacem inter cunctos christianos pria-
cipes universalem componendam , meiqiie non ejus San-
ctitatis consilium quod Gallico R gi hac de causa taa-
quam sibi ia meutein venisset propoueadum decreverat ;
3 29
sperans non tlifficuher succcssurura quod saluberrìmum
eventu foret j atque in ea re, viam a me cogitatani quara
maxime probans , nostrum consilium tanquam a seme-
tipso proveiiiens , postea Pontifex ipse, per Illustrissi-
mwra Urbini Ducem , opportuoe secreteque ad praefatuna
Gallicum Piegem deferri curavit , a quo nuper plenum
accepit responsum , meulem atqne eius volunratem piane
indicans , ut abunde V. R. a Domino Silvestro Dario
percipiet. Quaraobrem Sanctissimus D. N. raihi injunxit,
ut per celerem cursorenì , veslram R. D. ejus nomine
rogarem , obtestarerque , ut quam citissime ejus re?pon-
sum haberemus ; Nam verbis ullis esplicare nunquani
ardentissimum suae Sanciilalis desiderium possem , quo
afficielur , donec rescripserit ipsa V. R. quam meo etiam
nomine propterea obscecratam velini ut buie tanto Pou-
tilìcis voto satisfacere dignetur.
Super privationem Cardinalis Hadriani ternis ad ve-
stram R. D. literis significavi perplexnm Sanctissimi D.
N animum, ao suae trepidafionis causas j quaravis in
senlentia se persistere affirmaret, et ad postremum noa
defore diceret , quin illuni ad Ecciesiae Batbonien«is
Resignalionem compellat; id quod ab ejus Sanctitate sae-
pissime et quotidie pene mibi coufumatur. Felicissime
valcat eadem V. R. D. cui me iterum bumillirae com-
mendo Romae xiii. Junii. mdxvih. V. R. D.
Reverendissimo in Cbristo Patri et Dom. D Thnmac,
Sauctae Geo. Pjesb. Card. etc. ac Sedis Apost. Lpgalo.
HujniiL suus S'I. Ep. fFigoruien.
sJo
N/' CLXXVI.
( To?. mi. p. IO. )
Sadoleti op. toni. IL p. 27,
Jacoei Sadoleti Episcopi Carpento^.
Leonìs X Pontificis Macinìi a secretìs , in promuìgatione
generalium Iniìnciaruin Oratio , in Beatae semper
Virginis ad Minervam hahita^ xix. Aal. Aprilis ^
MD.XVIII.
Quod oplavimus aniea semper, el quotifTiaois votis
petere ao precari solebamas , Lpo summe Pont. Paires
amplissimi , legali , virique ornalissiini , a Deo primnrn
immortali 3 tlominoque nostro Jesu Ghrislo, et ifem San-
cto Spirita , cnjns veri Dei potestas ita cielo et terra
est maxima, ut sit sola , tnm autem ab ipsa maire Dei
Sanctissima Virgine , cisque divis omnibus , qui hujus
Urbis atque templorom , borum ordinuni atqae Giiriae
bujns popali generis nominis carara ac tatelam gernnt ^
vellent , juberent , agerenl , ut tamlerii aliquando dome-
sticis intra nos disvsensionibns liberati , arma quae diu io
nostram perniciem distrinximus , ad impiorura fidei no-
strae hestium cladem , atque exitium verteremus ; id ho'
dierno primum die ejusdein Dei ope atque numine, Di-
vorura omnium suffragio et precibns , tuo Pont. Maximo
Consilio , tua auctoritate , diiigentia , moniti? Regura t\
23 1
Principvnn vestrorum legati pielale ac niO(ìeratJoae ita
fartam est , ut magna ex parie confectiim esse videatur.
Quanquain pax , Patrcs , illa , quae maxime necessaria
esse existimatur , non est in hodierno facto voce et vo-
cabulo usurpata : Sed etsi pacis nomen abest, illius vis
omnis taraen et potestas assumitar. Induciae enìm pro-
mulgantur , si rem spectes pacis praenunciae, si tcoa-
pus , quinqueonales , cujus temporis loogiuquitas plus
nescio quid boni profecto habere in se putanda est; Saepe
enim pax brevior fuit : Tanti vero temporis Induciae
égregios fructus diuturnae pacis afferunt. Ita cum remi
ipsam jam teneamns , celeriter , ut spes est , in ipso no*
mine pacis conventura est omnium voluntas et consensio.
Quo igitur generales inter omnes Reges , ac Principe»
christianos Induciae in qninquenniura edjoanlur , eaque
res optimis auspidis , optimis omnibus Deo auctore fiat*
et ipsi habitus honos, supplicationesque triduo tota Urbe
fuerunt, ut vidistis, et hodie hic est, ab hoc orbis terrae
Parente et Capite, a sacrosancto Senatu , ab omnium
Principum legatìs , a florentissimis ordinibus Sacerdotura,
Civiumque coHvenlu in celeberrimo hoc Tempio in con-
spectu pene Dei imraortalis, ut cujns bonitate tantum
donuni accepimus, ejusdera etiara numine sanciamus. Et
buie quidera salnberrimae pulcherrimaeqne tantorum Re-
gum et Principum conspirationi , quam sub nomine la-
duciarum sancta pax constitutnra est, immanissimi ho-
stis Turcae infinita cupiditas illiusque admirabiles parvo
tempore ad omnem amplitudinem proprressus , et perica-
Jum ab eo imminens atque propinquum christianae rci-
pubiicae , caussam praebuit. Qui non conleutus Asiae
provincia , quam e cor[>ore christiaai Imperli prioaam
avulsit , eamque spuroissiinls suìs ritibus et moilbns Jif-
quinavit ; non contentus Graecia , quani errore quodam
a nobis dissentientem repenti no beilo oppressi t j non con-
tenlns Illvrico cujus raaxituam partera occapavit, reli»
qnuni quod superasi ornai clade belli , et orebris excur-
sionibus saepe est populatus ; nuper etiani ao piane paulo
ante tanquara cupidus atbleia veruni oertamen meditatus,
quo se ialerea exercitatioiip faceret robusliorem , ad Sy-
riam usque exoucurrit et jE jyptum , easque opnlenlissi-
mas provincias, duobus praeliis victor , sub inaperium ,
et ditionem suain redcgit. Sopbique Rege Persarum ali-
quot certaminibus rejiulso atque deterriio nihil jam deinde
esse pntavit , quod furori suo obsistere, impetum f'euare
posse videretur. Iiaque non vlctorianx ilìai» fmem belli,
sed illud belium inajorjs et graviaris contra nos certa-
niinis tanquam praeludium quoddanì l'uisse putat : Ad
qnod Bunc se apparai tanta diligentia , tanta instructione
rernm omnium , quae ad maximum et gravissimura bel-
ium sitit idoneac, ut ant sanguis nosler et libertas illi dan-
da , aut hoc remedium salularis in ter nos concordiae
fuerit adbib?ndum. Nara tcrtium quidem nihil fuit , nisi
forte cum eo hoste rem esse existimamus, quo cum aut
pace aul pactione aliqna concordiae aut justo foedere et
aequo nobis convenire posse arbitremur. Qui cum ab
eorum , quos nuper devicitj superstitione non abhorre-
ret , essetque cum eis et multarum leguru et vetnslissi-
morum foederum sooietate conjunctus , nihilominus ta-
men Victoria jam parta armÌNque ab adversariis positi»
ìnfinilam vim saogoinis ex dedititiis exhausit , plurimis-
que fide data, fore eos apud se tulo ; cum co pignore
indncti multi accessiìsenl , omnes coutinuo ad suppliciuca
233
rapi jussit ; cum hoc ulla convcnlic rata esse potcst al*
que firma 3 qui fidem suam porrigat ad occasionem per-
fidiae ? Qui quacunque pcrvadit , nobilitaleni omnera vult
extiactara 3 virtutera perdilam ^ sanguinea) porro nostrum
ita exsorbere avide et profundcre exoptat , quasi vidca-
tur hoc sanguine sanguinem illum abUiturus, quo se
parente prius suo morte ablato ex fraleruis caedibus res-
pertis. Nam si avaritia aut cupiditatc imperandi contra
nos ferretur, hanc ejus vel acerrimam silim satiare pò»
taisset Oriens , explere Asia, sedare Europa. Sed nimi-
rum ille ex nostris cladibus non niinus ludum crudelitali
suae 3 quam pasUioi cnpiditali quaerit. Alque hunc ho-
stem 3 vel immaoera potius fcram et Iruculeotam, tol
saeculis perpessa Christiana respublica , quas non perluli»
oalamitates ? quibus non contumeliis alfecta iuil ? Qnol
morlales j mortales dico? quot integri populi proditi ,
miseri, et omnium deslitnti auxillo, qui tamcn ex no-
stro genere ox nostra cognatione essent, aut acerbissimam
luortem oppetere, aut Deo vero repudiato et rejectOj tur-
pissimam servitulem subire sunt coacli ? Quot Urbes captac..
vaslatae j inflammatae ? Quantae aut extinctae aut oppres-
sae nationes ? Quot regna erepta ? quot multae inustae
christiano generi ignominiae et notae? Quodque et mire-
luur amplius et doleamus , tantam ne in tot acerbissimis
iajuriis nostrorum Principum patientiam, bone Deus! tan-
tam malorum omnium toleralionem ? Tantam in accipien»
dis contumeliis animorura dissolutionem? Quod non evc-
nit quidem metu aut ignavia; nec quod se impares tÌ-
ribus esse bosti arbitrarcntur. Semper enim , si usquam
ulla fuit bellandi fortitudo et rei militaris gloria , ea
«hristiani maxime geaeris et fuit et est propria. Sed
334
Detis , Deus iuquatu j cum peccalis nosfris gravius esset
ìnfpnsus 3 ab omnibus vobiit intelligì in ipsius maou esse
et pftrniciem nostrani et saìntem. Ttaque iiobis a salolis
propria co£;itaiione aversis , bosti etiam suo liberiores fu-
renti habcnas iodnìsit. Hanc unarn canssam , sì vere
rem expennere voluerimus illins secuntlarum fortunarum
nec aliam ullam fuisse reperiemus^ felicem qaanHam te-
merifatem , videlicet Dei judicio pe-rmissam j bomfuis
fonasse vigilantis et vafri , non tamen magnanimi ncque
pi'udenus. Quid euim illi cum virtule aut edm pruden-
lia ? Virtns sibi ipsa praecipue confidit Hio alienis viliis et
crroribus prò sua virtule usus est: Virlus et repugnantes
aperte vincere laetalnr et conservare ccdenles. Hic cum
ia pugnando insidiosus et faliax , tam nusquam minus
est quani in ipso praelio crudelis. Virtus ex vicloria lau-
dem , bic nibil unquam appeti^it nrsi praedam. Pruden-
tiam anfem cnnsilii , quam in eo ess« staluimus? qui ita
ìmperium regat , si ilhid imperium potins qaam snper-
bum et crudeiem appellabimus dominatum , ut eum mulio
gravius cives metuant quam bostes , capitaliore illura
odio prospquantur qui ejus ditioni subsuut, quam qui
arma centra eum ferunt ; neque injuria ; stragos eoim
nobilitatis maximas : honorum direptiones facit irapuden-
lissimas ; ita orbati^ nationibus omni dignitate reliquos
in servorum numero ac ìoco babet ; baec qui perpe-
tiuntni- miseri, qui perlimescunt anxii ; fortes vero, ^uos
DOS esse decel ad veri Dei cullum et ad dignitaiem na-
los , qui aut tantum dedecus virlule propulsare parati
sunt , aut si id minus liceat , raortem praeoptant quam
itiiusmodi servilutem. Sed quod ioslitueramus dicere,
hactenus illi, ut fureret ut io noslris malis damnisqne
a35
debaccharetar , permisil D.^us ; noo tameii genlena del»,
ctam a sase , et ad haereclilarena patriae caelestis per 6-
linm snum vocatato, oiptam penitns volait esse et extin-
otam. Seri io ip.so pene exlre^mo reruin omnium discri-
mine Dobis ad ejus opem atqne anxiliurn confugieolibns
ipsius justa severilas ad soMtam inisericorfliam dedpxa
est. Qui cntn divina ili» ineote prospicerel uuicutn prope
remediuna suprerais rebus esse in sonvenieDdo popnlos io
nnam et Re^es ut sprviant Domino, primum optìmmr»
hnoc et sapieutìssimum Pontirioem nocles el dies nihil
aliud cogitantem , nibii laborantena , nisi de pace et de
concordia ooramuni , ad jam din exorsum opus oonficieo-
dnm adjavit, deinde ebristianos Reges ac Principe» ,
qnibus ipseraet lllum honorem , illam dignitatem trlbuis-
eel , discussa privatarnm caligine simultafum . nt verum
decus , veram bonestatem , verara laudem atteuderent ,
ad inunus eornm dignitati debituin et ad pristinani animi
magnitudinem revoca vit. Ipso porro eo tempore, quo si
in loogiorem diena dilata fuisset illiua clementia ultimns
casus universae calamitalis christianae reipublicae fuerit
subeondus, cum bostis , nobis imparatis, ut persuade-
baiur ipse, nec id quidem falso, matimos jam corapa-
rasset exercitus , navibus tota maria cpnstrasset , ioima-
nem suam crudelitatem cura infinita cupiditafe contra
nos inlenderet, Italiam non carpere paulatim , ut quon-
dam oiajores sui tentavernnt, sed univ^n-sam belli flu*
ctibns obruere coc^itasset ; ad eamqne oppugnandam clas-
sibus prò macbinis , Graecia atque Illirico prò aggere ,
se usurum arbitraretur. Cui instanti et jam jamque itn-
mmenti perioulo ila opportune occursum est , ut cure
ìpsa res statam atqne iocolumitatem to'ia? cbristiaoae
236
reipublicae contlneat , tum vero temporis opportunità?
divini providentiam consilii cslfndat. Sane nullum non
beneficium a Dee est; Sed quod hoc raajus et illnstrins
sit , gravissimi periculi proximns facit raetus ; tanto sci-
licet , quanto gratius est liberari sumrao malo, quam
secuadis rebus augeri Quamobrem , quae paulo antp
vebementer extimescebamus , fugam , exilium , servitù -
tera , mortem , quamquam hanc quidem in ilio abomi-
nabili, quem Deus a^erlat, casu , caeterorum malorum
remedium arbitrabamur , ab.eo praesertim hoste , a quo
victore , si crucialus et lacerationes absint , mors in be-
neficii loco tiumeretur, haec jam timere omnia desina-
mus. Quae vero nobis jucunda atquc exoptata sunt , ga-
lus , liberta», religio, spes et oonservandae et amplian-
dae dignilatis , ea sunt cunota hodierno hoc facto atquc
Consilio hujtismodi Liduciarum consentione omnibus cou-
stituta Pro quo immortali et vere divino beneficio, Pa-
tres , ingentes primum gratias Deo nostro agerc , deiode
chrislianis principibus liabere maximas deberaus, quod snas
Toluntates et studia in comunem salntem polliciti sunt,
quod fidem ac virtutem praestare sunt parali Ac bujus
rtuidera sancii salutarisque consilii actio oraniis et traclatio
ab hoc optimo clementissimoqne Pontifico, et ab inilio
profecta est , et ad hunc exitum pervenit. Cuju'? officii
tanto illius honori debiti , earumque quas cum eo jua-
ctas esse necesse est , virtutem , aliorum sit praedicalio ;
ineum erit testimonium ; interfui enini et cognovi , et
prò ea fide qua illi mea servitus ac vita devota est .
©pera , studio , diligentia quoad potui illius mandati excepi.
Ouas ille curas, quos animi labores, qnantas et quam varia?
suscepit soUicitudines , ut suuni dileclun» gregera, bonus.
287
paslor incolamen conservarci; omnis ejus voluntaSj omuis
»:ogitalioj tota mens pacem, amicitiam , coiicordiamque
spectavit ; haec habuil propesila; ia bis semper perslitit^
itaque affuil recte cogitanti Deus, Sacer iste Seiialus
Priocipis sui sanclissimi consiliis nec cura nec studio
nec aucioritate defuit. Res bona ex parte confecta est.
Priijcipes oblemperaruut. Quorum primus diguitate, vir-
tute nulli inferioPj Lnperator Caesar Maximilianus Au-
gusius et sua sponte , et ejusdem Poatificis hortatibus
incitatus , uoii modo in optimam senlenliatn discessit
ipse et sua annpHtudinc dignara , sed ultro etiara ratio-
ues totius belli gerendi et sibi et omnibus couscribcudas
curavit; tanta prudentià , tautoque studio, ut facile ap-
pareat in summo Imperatore summi quoqne Dncis et
animum et consilium inesse. Pacem ait se velie , sin id
sit spissius , inrlucias sex annorum omoino constilui o-
portere. Quid ita tara multi lemporis? quia inquit trien-
nium bello dandum e-it. Reliqui tres anni ad quietena
domi neoessariam victori exercitui sunt tribuendi , ne
exiernos labores slatim domestica mala exMpiant ; majo-
rem hione pietatem prae se fert , an sapicntiam? Idem
semet iturum in expeditionera pollicetur. Quis dubitare
vel minimum de Victoria qneat , tanto Imperatore rei
militaris scientissimo belli Duce? Exiat certe et eminet ,
quod mandatum monumentis est, nulli raagis convenire
reipublicae curara qnam Caesari. Ea<lem et animi virlute
et consilii scntentia Ghristiaoissimus Galliae rex Franci-
scus pacem se desiderare generalera ait. Et tamen quae-
«unque erit propesila ratio coocordiae si ve per foedus
sive per Induoias in eam sese summo studio iturnra.
Idque sine fraude, iaquit , sine dolo malo, ut videa-
a38
mur oculis ceraere auimuoa iHnnti excelsum ac naagaana,
si quid privatim mordeat, condonautem hoc Deo et Rei-
publìoae chiUtiaiiae ; quac tanto major virliìs est , quanto
is, qui ea moderalione utitur , opibns et potentia est
instractior. Idem de hoc bello ita sentii se nihil uaquam
ardeDtius coocupivisse, nec vero nunc cupcie , quam ut
in saeTÌs«imos fulei hostes exercituni ducere et cum «is
decerlare prò impeti» et dignilate reouperanda liceat.
Idque ipsa re affuoiat aliquando se probaturutu. 0 exi-
miam animi magnitodinem ! et jure quidem hoc cupis
Francisce. Tu euim ad imperandum nalus es. Illa Bar-
baries ad servieudum. Tua est nobilitatispropagatio, quaoi
illi tRtis radicibus exiirpant. Tua fidei propugnatio , quaiu
ilii oppuguaut. Cajus eliam tuleUm ac defensionem et
isto tuo cognomine praeclarissirao susnipere teneris , et
divino recente beneficio admonens : Quid enim filio nunc
libi a Deo dato qnod inultis anlea Regibus Galliae noa
contigit tibi praescriptum pulas esse ? nisi iccirco fuisse
ab eo tuis privatis ratiouibxis consultuin , ut tu publicis
nunc consulere liberi us possis. Eiil ergo in hoc maxinio
et praestantiòsimo Rcge summa spes rei bene gerendae
fìonstituta. Quid Carolo Hispaniaruni Regi caiholico , quae
par laus iavenietar ? qui su ea quam sciinus adolescea-
tia j et aetatis etiam uunc viridibus annis constitutus,
maturos tainen jaru fructus acliuir»bilis cujufdam virlulis
fert : Pacem aut Inducias probat coramunes: adii Con-
silia de bello , de iiiihtum {genere , de iliucribus. Quod-
quae illa aetate nec pestulandum fuerat , uec expectan-
dum , semet offerì ip$u:n , opesque onineis snas se Duce
in sanctani expeditiotiora poUicetur. Quoque n^ra agi ia-
««ìligas , classeir jam nuac parare se se alqae adornate
afiìrmat bene niagnaa» , qaae populatis prius Africae lii-
toribus confestim ad primum signum Italiae acourrat sub-
siclio. In hoc Rege clarissimo eodemque potentissimo ,
cura tantum virtus jam antegressa sit aetalern , nonne
spcrandum est ipsius majorum praeslantissimas virtutes ,
velut translatae plantae solenl , ad majorem in eo ain-
plitadinem celerins proventuras ? Nam Henricnna invi-
clissimum Angliae Regem licei regionibus extremnm re-
rum natura fecerit , in crani tamea regia excellentique
virlute iuter Principes conuumeranduni ducimus. Qui
cuna ad omnem rationein et conveolionein generalis con-
cordiae paratura se dicat, tura adjungit se se quaravis
ab omnibus bis periculis sit ipse reraolior , tamen de-
trimento reipublicae chrislianae magis comraoveri quaoi
suo. Jtaque se se offert et omopis opes suas j quae quam*
quam sinl n^aximae , effecit tauien ipse pietate et magni-
tudine animi , ut non copiis esset , quara virtulibus laude
praestantior. Igitur hoc quoqne firniissirao fortissiraoque
praesidio cbristieua respublica munita est. Quid Emanue-
lem Regem IlUistrissiraum Lnsitanorum ? Qui hujus belli
non novara ncque uuoc primum susceptam affert volun-
(atem ; eed ante? si'cpe omni sua auctoriiate couteudit ,
ut ad hnuc finem ooinmunis pax conslitueretur. Cujus
de virtulo ac in Deum pietate quod majus testiraonium
quaerimuj , quam quod rerum gerendarnm studio cum
llagraret , aliimi orbem teri-arum investigare maluit , ubi
Buae viitnlis adipisccrentur gloriam , quam eam ex so-
cialibus conlroversiis comparare. Transfer nunc aniraum
in diversam parlem , et Ludovicum Pannoniae , Sigis-
mundum Poloniae Reges clarissimos contemplare , quo-
rum io aUrro lucet indolcs quidem virtutis egregia, ecd
•2^0
aetas nondurn apta rebus gereudis. Siglsmuadi autem
tantac res bello alque arniis gestae exlilerunt , ut cam
ex illis regiotiibus Ducera expeditioni quaeramus , ne«
aairni magailudine praestautiorem , nec Consilio prudea-
tiorem queniquaoi , nec eventis felici orem desiderare
possimus. Est et Dauiae Rex Christsernus 3 cujus pie-
tas erga Deum et ia haac sanctaru expeditionem vo-
luDtas pluribijs saepe rebus est testala et cognita. Et
Jacobus Scotiae , qui quamquam puer est, tamen ma-
jorum suorum in hoc sauctissiraum bellurn studia cre-
dilur imilaturus. Atque hi Reges omnes tales atqa»
tanti , in hao conseusione Liduciarura , desiderio pa-
cis j susceptione hujus belli, et animo et cupiditate
suot loti , quorum animi ac volutatum tum ex eorum
litleris clara testimonia tum vivi testes legati gravissimi
et prudentissimi viri , quorum ora praesentium assen-
tientiumque cernimus , fidem certam omnibus faciunt.
Adde huc Helvetiorum fortissimam manum , invictum ro»
bur , mirabilem constantiam. Quae gens tanto flagrai hu-
jus belli ardore , ut jam nunc paratos teneat ad huao
usum milites alque desoriptos. /\.djuuge ceteros et in erbe
terrarum et in Italia Duces , Priacipes, Populos , et eos
praeserlim, qui mari et terra bollare cum Turcis eoa*
sueveruDt , qui nullo paolo suut communi studio et sa-
luti defuturi. Quorum nunc quidem omnium ad hujus
maximi et puloherrimi facinoris laudera conspirantem
concordiam , ubi ille audiet omni scelere et immanitate
praedilus Tyranuus , quonam modo conlurbabilur ? Ga-
det animo, laugueseet studiis , et totis artubus conlre-
miscet , et ut pudeat eum referre pedem ac regredi ; ia^
sislet certe. At nos progrediemur. In quo conflicta quid
2 'il
ianclem tibì ad spem erit proposìtum o Tarca? quibus
ratioaibus confides ? lanamerabiline muhitudini tnilitum?
At nostri parva saepe maaii ingeales copias fundere di-
dicerunt. Ati tuoruni viriuti ? quasi vero non jain bis
aut etiam tertio periculuni factum sit. Quo quideni tem-
pore si majorcs nostri non lam semitam sihi faccre ad
Hierusalem quam Asiani apprehendere voluissent , pedem
iiunc de tuo , ubi insisleres non haberes. A.u vero divi-
aum libi auxiliuni speras affuturum ? 0 scelerale et per-
dite : Tu Deum verum oppugnas , Deum insequeris ^ et
ab eo libi opem potius quam supplicium debitum expe-
ctas? Quin tute rem, ut est fatere et concede. Nostrae
intra nos dissensione^ , quas semper es specuiatus , Io-
cuna libi praedae et direptioni patefecerunt. (]aeci , oaeci
inquana antehao fuimus, nec satis inspeximus quid age-
retur: nunc disjecta est caligo, tencbrae depulsae sun.t;
diluxit, palei veri honoris splendor, vera spocies objecla
est oculis? Quapropter tu Deus optime maxime, qui ex
illis altissimis templis omnia contemplaris et gubernas ,
Da tu 3 supplices quaesumus , populo tuo, quem con-
didisti , quem a nominis tui cognitione quondam aver-
sura , per filii tui raortem et sanguinem in vitara revo-
casti j cui nunc tantis periculis exposito non solum sa-
lutis viam , sed etiam spem laudis ostendis , ut horunx
ìpsorura Regum Principumque virtute , quorum fidei et
Tigilantiae per te commendatus et concrcditus fuit ; ia
pristinam possessionem veteris dignitatis et impcrii re-
stitatus te colere unum, te venerari , in omni regione
oraque terrarum libere possit. Quorum autcm duclu ,
imperio , auspiciis , hoc tantum in cbrisliano genere be-
neficium collocabitur, ut ti post beatam demnm, ac tace.
Leone X. Tom, FUI. i6
dia inlcr nos actam vitam , partamque celebritatem ai
posteros meraoriae et laudls suae sempiteraam , aurato
et quadrijugis albis , cuocio cadesti comitanle exercitu ,
ia caelum deportentur.
N.° CLXXVII.
( Voi Vili. p. i3. )
Dai MSS. Cottonianì nel Museo Britannico.
Cuna nuper SaDctissÌBQUs Donalnus nester Leo Papa
decimus , Gregis Donainici sibi a Deo commissi j tam-
quam bonus pastor paternatn solicitudinem gereos, et
Tranquillitalem ac pacem ompium christianoruno pria-
cipum mira cordis affectione desiderans , vjdcns iasuper
ìmmaDissimos Turchas velut Lupos rapaces ad disper-
geudas Oves et ad Gregis Dominici internecionem para»
tos imiuinere , nisi pasloris Vigilanlia et Diligentia a Chri-
stianorum invasione ab oculo Domiuico arceaotur et re»
pellantur , praesertim cura nuper eorundem Turcharum
Tjranni viies et potentia eousque creverint ut deleto
Sultano cuna toto Marnai uchoruna exercitu, tota Syria
et ^g^'plo cum omnibus provinciis diclo Sultano quon-
dam subjectis sit potiluSj^et nunc omni alia cura probe
solutus et liber , uil aliud moliri quam Chrisiianorum
caedibus et Sanguini inhiare videtur. Gousiderans prae«
terea quae culpa Christianorum princìpum qui inter se
miserabilitcr polìus pugnare quam dictorura Turcharum
243
feritati resistere eosque adoriri relroaclis temporibus vo-
lueruat , tot Regna a Turchis et Saracenis ante baec
tempora occupata , ooinquiaata ^ et foedata fueruut , pa-
storali officio suo convenire putavit ut Ghristiauos prm-
cipes omnes contra Turchas pugnare et susceplas inju-
rias ulcisci horlaretur. Et cuna hoc commo.le fieri iioa
posse idem Sanctissimus Domious noster prospiceiet ,
nisi prius ipsi principes Ghristiani inter se pacem ha-
bentes, de communi hoste propellendo cogitareut, ac
unitis animis et viribus gladium quem eis divina Maje-
8tas ad vindictam malorum tribuit, in Turchas, qui gaU
vatorem Ghristum verum Deum esse abneganles , Legem
Evangelicam evertere atque extirpare conantur , eripere
vellent. Ac proplerea idem Sanctissimus Dominus uosier,
tabita super hoc cura Sanctae Romanae Ecclesiae Gar-
dinalibus matura Deliberatiooe , Reges , principes et po-
tentatus Christianos , necnon Respublicas , communitales,
caelerosque Ghristi fideles, quinquennales treguas et iu-
ducias ( ne tara necessaria aut salutifera Expeditio in
Turchas aliquo impedimento differatur , sed potius de*
bitura et optalum exitum consequalur ) suscipere sit hor-
tatus 5 atque easdem anno Incarnalionis Dominicae mil-
lesimo quingenlesirao decimo septinio, sexto Idus Martis
publicavit j Christianos et caeteros praedictus hortans per
vim Misericordiae Domini nostri Jesu Ghristi , et per pas-
sionera qua nos redemit , et per Judicium extremum
quod unusquisque secundum opera sua est aecepturus ,
et per spem Vitae aeternae quam repromisit Deus dili-
genlibus se , ut hujusmodi treguis et induciis duranti-
bus , in Garilate mutua et amoris et benevclentiae unio-
ne persistentee , ab omni prorsus abstineaut ofiensioae ^
a44
•ut lam sanctae centra nefandìssimos Tnrclias Expedltloni,
Omni prorsus metn et susoictione ccssantibus /intendere pos-
sìntj ad qiias quideno Inducias sive Treguas acceplandas et
ratificandas , dominus Sanctissimus Dominus noster nos
non solura suis litteris verum et'am per Reverendissimos
in Ghristo patres Thoniam Sanctae Geciliae et Lauren-
tiuni Sancii Thomae in Parione titulorutn presbiteros
Cardinales et ad hoc nostrum Regnum de latere domini
Sanctissimi Domini nostri legatos requisiverit et hortatus
fuerit. Nos igitnr, tanquam Sanctae Romanae Eoclesiae
et sedis AposloHcae Filius ebsequentissimus , nec non
bonorem ejusdem cordi semper habentes , eamqne prò
•viribus et opibus nostris defendere, ac sauctissimae ejus-
dem Apostolicae sedis monitis et Exhortationibns acquie-
scere paratissimi , diclas quinquennales Treguas seu In-
ducias quantum ad nos attinet acceptandas ralificandas
et approbandas duximus, ac easdem per praesentes ac-
ceptamus , ratificanius et approbamus : Protestanles nibil»
ominus et per praesentes declaraiites , quod per dieta-
rum qninquennalium Treguarum sea Indaciarum accep-
tationem , ratificationem seu approbationem , ab aliis Li-
gis , Amicitiis , seu confederationlbus cum quibuscunque
Regibus, Principibus Christianis , Dominis sive Gomiti-
bus ante haec per nos ioiiis, aut ab aliquo seu aliqui-
bus articolo seu aiticulis in aliqua diclarum Ligarum ^
Aniicitiarum seu confederatìonum comprehenso seu cora-
preTieusis , recedere vel in aliquo derogare nullo modo
intendimusj sed easdem Amioitias , Ligas et Gonfedera-
tiones cum Regibus quibuscunque, Principibus, Domi-
nis, Gomitibusque ut praefertur faclas , ac omnia et sia-
gula capitula contenta in eisrlern in suo pieno robore et
2^S
éffectu permanere volumus et declaramus. Caetcra de-
sunt.
N.^ CLXXVIII.
( Fot. VII/, p 16. )
txHORTÀTio Viri Cuiusdam doctissimi ad Principes ,
KB IN DECIMAE PRAESTATIONEM CONSENTIANT.
Si unquam Germaniae prinoipibus prudentia, Consilio,
concordiaque prò defendendo honore , et communi uti-
litatc opus fuit 5 Alemani proceres electissimi , inprirais
indigere mihi videntnr hoc tempore , quo in praedam
Romanae avaritiae depuiantur, ao dedecorosam servitù-
tem , ita blande propositam , ut illa hominea, prius quam
intra viscera penetraverit , sesé captos non senliant. Est
enim modus fallendi adeo vafer , ilt bis sepfis versutiis
(quid enim non excogitat avaritia ) exislimènt acuti ho-
mines fraudera a nemine posse deprehendi , praesertim a
vobis Germaniae ducibus , quos cibo semper refcrtos, et
■vino madidos arbitrantur , et pnblice declamant. Et ob
id ad decipiendum liberiuS aggrediuntur. Praebuerunt
praelerita tempora failacibus hominibus constantiam ia
spe praesenti. Quando enim non est assensum illornm
malis artibus ; cum saltem adfuerit, qui vel mediocriter
didicit fraudi focum adpingere ? Conslat profccto nullam
partem Christiani orbis ab hujusmodi prodigiorum ge-
nere non esse callide tenlataraj multos reges et princi-
•.46
pes frandulenJer decpplos. Sed singola mecuin repatantj
occurrit , nullam getilcra saepius illusam , habitamqae
ludibrio ac nostram. Non te , inclyla Gfirmania , ad 11-
hros relego , ut gesta hominum cognoscas legende. Satis
ampia sunt , qnae memoria hujus aetatis tenel. Quo
roagis vereor ne inscitia tempori» praeteiiti successum
praebeat malo incurabenti. De quo brevem tibi Germania
sermonem subjiciaroj quanqnam nil novi a me audies ,
quod per inclytos tuos principes Hon melius noris. Qua»
drienninm habitum Romae concilium patrum de rep.
cbrisliaoa ( quam legitime jurisperiti et theologi dispu-
«ant ). Nondum erat finis tamen cnm de colligendis De-
cimis omnium assensn decretum est , volutus erat lapis
ad lecum suum. Placuit ergo, rejeclo reliquo negotio,
tauquam parum utili, invocato sancto spiritu , concilium
dimittore , gratias agendo Deo , per quem operationes
nostrae incipiunt , et coeptae recle finiuntur. Porro im-
pinm est , quod concilio placuit , id putare dispìicere
Deo , quo haen agnotur aulhcre. De pace agitur inter re-
ges j qpa firmata, viswm omnium siiffragiis Asiatico bosti
conjunctis viribus bellum inferre. Evomuutur e vestigio
qualuor legati ( nisi ob quintnm collegam et ob compu-
ium erraverim ) ad nationes Chrisliauas, ut reges et prin-
cipes ad exppditionem insligent , ipsi vero pecuniam
Kiulgeant. Quibus forte dicebalur , Ite in orbem univer-
sum , praedicate dicentes. Qui cre<lidorit . et Decimas
polnerit , salvns erit. Quorum nuper , cum Bononiae es-
femuR , tres vidimus ingredi , tanta pompa et apparata ,
tit eapienles ad eorum errorem alìicerent. Dilatate inclyli
Cermani imperium cbristianum. Frangile vireshostis im-
purissimi ; ia boc omnibus nervis incumbite, quo n»-
men Christi extendatiir. Rcs pia et sabota esl , et a ue-
inine potest reprehendi , oisi qui malil Turcae , quam
Cbristo servire. Verum sub hoc praelextu, per hanc
fictam pietatem , sub hoc umbrato nomine ex^poliare ira-
peritiorem populum , sugere lac genlium , inobriari ma-
luillas regum, dico scelns esse multo probabibus, quam
quae a Turca iuferuntur Non qnod tanti faciam pecunia
privari (quam sceleratus cilius quani probns babere polest)
sed quod nullo pacto ferre debenaas ( quantum in nobis
est) ut angelus Satanae transfiguret se iu angelum lucis,
et poculo pietatis , propinet impietatis venenum, ui po-
pulns 3 cum se rem sacram faecre Deo exisiiniet j ava-
riliae sacrificet , quae roater est falsae religionis. Falli ,
errare , labi , decipi , ubique turpe est , per religionem
vero turpissimum ; quara unam nobis contra nojtios mo-
res contulit divina bonitas. Ilaec absoluliorem parleui
pietatis nobis prcponit. Primum , Deum amare omnibus
viribns , proximura deinde ut nosipsos. At quomodo il-
lum amabimus , cum videmus ejus saorosancla praecepta
manifeste pollai? Nec tamen occurreudo , sed potius con-
nivendo , opem ferinius impietati. Au ille proximum sin-
cere amat , qui in incomraodo illius removendo nihii est
occupatus? Nolo amicum nibil solicilum de salute mea.
loimicus mihi habeatur , qui a me noa propulse! inju-
rlam si potest, et taoien illa non legimus , nec audi-
mus 3 sed quotidie fieri videmus , nullo boaiiuum relu-
claote 3 sed patientes ad omuem ignominiam ; quasi non
polius contumelia sit Deo quam obsequium , stulta pa-
tientia. Utinam tam facile possint ista emendari , quam
reprehendi , et principes nostri uoUent perpetuo conni -
vere, sed tandem aliquam parlerai, si non totuin , per-
e/,8
versae consueluJinis praecldeie. Quanto aequabiiius te&
tam propbaiiae quam saerae se haberetit ? Ego enim sic
existimo , imperia his arlibus melius relineri , qnibus
arquiruntur. At imperiuiu Cbristianum non armis non
gladio comparatnm est, sed pielate ^ et optimis exemplis
vivendi. Qiiae posfquatn pessum abierunt, omnia bona
retrolapsa sunt. Multa imperia perdidimus j quoniam ar-
tes , per quas parla erant ^ non retinuimus. Àmissa est
pietas , retinuimus nomeu. Salulamur in vita eanciissimi,
et post morlern nemo nos digoatur nomine saiaclitalis.
Ab hac parte paulalim coepit proserpere virus exitiale.
Deinde caeteri proceres secuti sunt non segniter. Ergo
jiiirum non est quod a nobis alicnalur coelestis favor ,
et nos non cognoscit amplius, alque praedae rebnquit
improbo bosii. Pontifices enim Romani , postquam coe-
peruul prophana cum sacris conjungere , immo reliotis
sacris soUim prophana adrairari , quam bene consulluni
fuerit reip. chistiaoae , quam bene placuerit superis ipso-
jum institutum, eventus comprobavit. Amissis exlernis ,
interna infinitis seditionibus conturbaotur. Divina despi-
ciuntur. Venditur Cfaristus, lana ovium tondetnr, de cu-
stodia studium nullum. Omilto bic Hispaniam , Gallias ,
orieutem cum occidente. Quantum prò palliis simibbus-
que figmentisj aetate duorum prinoipum Frederici et
Maximiiiani j una effudit Germania, si Roma, ut insti-
tutum est , in fiscum collegisset , vel Germania ( veluti
par erat ) in unum contulisset , haberemus jara nervos
reipublicae abuude sufficienles bello Asiatico. Nec opus
foret orbem jam latigare Christianum et novis onerare
(ne dioam exenterare } quotidie tribuiis^ et excoriare
paupeies. Provcnit Poulirici ex sua terra vectigal , quan-
2'rT
tum nulli regum CLristiaooruaa , et tamen pallia euiiiuua^
et tamen asinos auro ouuslos Komam mittimus, patibuU
Chrisli erigirans , raunera promitlimus , aurura prò plum*
bo motamusj negligeutias ^heu lapsus sum calaaio ) in-
dulgeatias passim admittimus. 0 avaritiam immeusana ca-
rentem fundo , canum impurissimorura nefioientium satu«
ritatem , ut est apud prophetam DaDÌelem! Gerle enieie
pallia saiiolunj duco , modo id prosit aut pietati , aut
vaJeat ad coaservaiidam commiinera ulilitatem. Sed cura
TJtrnnque hoi-um tot saeculorum experienlia refntet, et
pallia tantum extiteriot simulata iostrumenta perditissimue
avaritiae , surgat jam aliquis , alque justain causam dandi
proferat ia medium. Qui timeat PoiitiCic!» fuhnen , pro-
bus Episcopus aliquis , concordia fratrum , puraque cou-
Sffientia elecius , sed respueus , muUis modi'? aureorufn
emere Romanum ootonem ? Non fdciet puto. Noa pro-
bat Paulus Apostolus, qui uos devorant , qui in tacieia
ca&duut, qui nos in servitulem rediguat. Qiiaudoquideni
non christianam oharitatem, sed mcram lyranaideui iliì
prae se feruut. Foris facto ture, in pellibus ovium intu»
lupos rapaces aguut. Mihi justus dolor est, ob uefariana
avaritiam totuni niuodum sub umbra religiouis pollueatem.
Quem euim locuni , quaijtunivis obscururn illa coiitagione
non contamioatuQi ostendas ? Quae resp. non multa a-
raisit? Quis priiiceps jus avitum servat iutegrum ? Quae
sacerdotuni eollegia non suut contaminala :'' Quis pessimos
mores ( quorumque etiam uomen erat apud uostros ma-
jores abborreudum) induxit in Germaniam ; ec quae Lo-
neste uomiuari non possunt docuit? Qui t'oedaruut Lo»
minum societates ? Qui noruut egregie fallere, decipere ,
pejerarej testaragata supponere, divina et bwaiaa» prò*
i6*
3 J O
phanare , miscele lites , quietos perturbare j denique c«e-
Jum cum terra confundere? Noane e Romana Italicaqae
proluvie isla sentina sese in orbem terrarum effudil? Adeo
ut ne saltus et sjlvae ( ubi lustra ferarum tantum esse
duxeris ) hoc malo careant. Epìscopos merito saorosanctos
esse dicimus; sed prodeant 3 quibus est illaesa sua auto-
ritas, et hunc veluti bonuni valde , et rarum merito su-
Bcipiemus. IVon sunt longe pelenda exempla. Sermoni meo
fidem concilianl res vestrae. Ante omnes proteclum ess2
oporiuit Epiecopura Bambergensem ab hac peste, ob in.
gentia dona in Italia Pontifiri largita ab Enrico imperatore^
quo dcmum suam centra Romanas invasiones obarmalam
post mortem suam relinqueret. Verebatur vir providus
id quod postea accidit. Latrooinari coepit superstitioj sed
Bondum tanta erat in saeculo. Violatum jus est , ut ser-
vata Fides saurto seni. Sed quid ego ista eommemoro,
^uae declamationis exempla superanl? Ad institutum ser-
monem redeo Tnrcam proDigare vultis. Laudo proposi-
tum , sed vehementer vereor ne erretis in nomine. In
Italia quaerite, non in Asia. Contra Asiaticura quisque
Tiostrorum regem prò finibus suis defendendis per se satis
est Ad alterum vero domandura^ totus orbis Christianus
tion sufficit. lUe cum finitirais quoque luraultuans, nobis
iiondum noouit. Hic ubique grassalur , et sanguiuem mi-
serorum siiit. Hunc Cerberum nullo modo sedare polestis^
nisi aureo fluvio. Nihil armis , nihil exjrcitu opus est.
Plus valebunt Decimae quam equitum turmae, et militnm
copiae. Duplex mihi videlur via proposila, dum rem di -
Jigentius considero ; una qnae jubente superstitione, auruo)
petit; allora quae renner.libus Pootifiois fulmen minatur,
Uiram vultis iogredimini. Sed 0 stuliam, et superstitiQ-
sara opiiiioiiein credenlium coe],este numon , omnia aequis
oculis inluenSj ad nutum Florenliuorum Aceti et reflect!,
irasci non danti, et rurgum largienti placari! Non est Gbri-
sti vicarji fulmen conler-inendum , sed non senipor ab
illius jactu pertinaescendain , praesertim cuiu res aj^ilur
prò humanis affectibus. Christi indigriaiionem vereor ,
FloreotiuorurKque non vereor. Jara vero Florenlinorma
negoliuai agitnr, non Christi. Superiori aes'ate sumptu
incredibili bellura gestum est conlra Franciscuoi ducerti
Urbinatena , quo regno ejecto, sed prius placalo au-
rea gralia , Lanrentius Medtces ia loc:'>ru sncceòsit. Ibi
non satis providns fuit Julius, II. quod non plus auri
reliquit. Ergo ioveata fuit quaedam fraus nova. Quicua-
qae plura ds.-e potueruot Cardinaliuna , hi icvenli fnat
ccnspirasse in neoern rontifiois. ITorurii bon.^ fisco scri-
bebantup. Subsecula est discordia fralrum cordigero-
rum, qna3 , quantmn lucri alìflarit raValis FloreatitMS ,
rem prò voluntate in omnes partes flectealibus . rmà
attinct narrare ? cum fir!em sr.peret largitio mendicorum.
Non libet narrare erectas cruces Salvatoris pei' j-iucta
rppida j ad mcnòuram dantis propilias. Praelereo isconani
de aede Petri , fct risus et indipoó-^ionis pleaani. Teni-
plura domini , teinphun domini , templum domini olamat
propheta , sed non est templum domini. Lanrent'us £°di-
fjcat, noQ Petrus. Lapidea noeta rnigrant. Nihil tic fin-
go , prinoipes Romani imperii , imnao orbis tolius , cuncti
soHicìlaiilur prò aede Petri in qua duo iaotum cpifice»
operanlur , ::t alter clauJns, quod nuper in frequentia
peregrinorum coneitabatur tumultus artificum , curreba-
tur , clamabalur , videbaKlur .scnlpti et. picti angeli ex-
cipientes munera largieytiuai , fereat^squc in sublime. Ri-
à52
derft poteratis oiecum coramntì ob pràestigla aucnpir ,
eicut risii olim venerabilis pater Gyprianus prae iodi-
gnatione, tìso Ghrislo pedibus et auribus asioinis depi-
cto. DeQere libet fortunam saeculi corruptissimi , ob su-
premam negligentiam cpiscoporura , atqne priocipura ,
permittentinrn populum suum ila nequiter dpnipt. Omnes
ìllas artps invenit fiaus Florentioa, et propediem nefaa-
diores excogitabit. Animadvertite modo. Quisque modo
dies novam pariet curam. Timetor ne corpus potitificis
crassDtn immatura morte perturbet Consilia. Fugato duce
Urbinate, similem fortunam minatur principi Ferrariensi.
Qao pariter ejeclo , regnum constituemus, et Regem Tu-
sciae salutabimos Laureutiwm Medicera civem Floren-
tiiium. Sed quia fortuna mutabilis est , et citius polest
mori Leo decimas , quam ista optatum fìnem consequan.
tar , et fieri potest , ut Leonis snccessor discedere cogat
LauMntiam ex alienis regnis , ideo contra adversum even-
tum ducenda est uxor Laureotio in Gallia cujusdam pò-
tentis ducis fìlia , emendusque ibi prin«ipatus ; paraaduai
adversus fortuitos casus, sicut decet sapientem viruni
duobus regnis profogiura. Facta est emptio, signatae ta-
balae , dati fidejussores. Satis diu Medici fuimus , Pria-
eipam Regumqne fortuna ambieoda est. Habetis jam bre>
▼iter caput Decimarum , et insidias Turcae, duce super-
etitione , in viscera veetra latrocinantis Quamobrem re-
eistite nefando conatui. Nolite assentiendo contarainari
ìmpietate. Quod rectum est , quod ratio suadet sequi-
mini. Signatum est lumen vultus tui domine super nos.
lUud errare nolentes non sirùt Mementote vos esse Cer-
nia nos , hoc est, populum ante alios natura lib'-riorera ^
«icut faostes Teatri de vobis ecripserunt. Nolite alicui es^e
ii53
VeCtigaleSj ante omnes vero Florentinis. Froferant se ia
judicium nostri episcopi , indiguum scrvitutis jugucn a
Cervicibus suis abjicientes. Sed verentur omnes , mussi-
tant quidem , quod dicere non didicerant, alii nietu ful«
minis , nonnulli spe novi honoris. Uaus omnium mihi
Tenerabilis Laurentius sese erigit , qui saepenumero gra-
vem imbrem Consilio , et prudentia sua a repub. Fraa-
conica amovit. Alque ideo corona aurea merito laurean-
dus , Augustiore vero, si hanc quoque tempestaiem re-
moverit. Ad quem honorem studium omne convertat ala-
criter divino raonitu. Nos, qui ab eo sacerdotum colle-
gio decorati samus , audentius deprecari volumns. Ore-
mus prò Pontifice nostro. Dominus conservet eum , et
■vivificet eum , et beatum faciat eum in terra , et non
tradat eum in manus inimicorum eius. In manus inimi-
cornm traditur quando audire conlemuit eum qui dicit ,
Ego dominus amans judicium, et odio tabens rapinani
qui sit in saecula saecuiorum benediclus , Amen.
In coMiTiis IMPERI I RatisBonen Francisco Cardinali
Senen. legato, et Joanne Campano oratore, decima iti-
dem petita fnit centra Turcas: Tum princeps quidam
èlector, bellicae rei peritissimus , et in eadem non vul-
gariter forlunatus , qui paulo ante treis principes viros
devicerat, ait , se sola Vicesima , et Turcas, et eos, qui
decimam exigerent , ultra Herculeum fretum facile pro-
fligaturum.
Horum tu Carole meminisse memento.
Emprime en che paiis neuu trouve nome Utopia lan
mille ccccc. et xix. le quiuzome jour Mars.
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
DEL TOMO Vlir.
Tavola I. Effigie genuina di Glovan Giorgio Tassino ,
tratta da una bella incisione, che trorasi in fronte
alla vita di quell' uomo illustre , stampata senza
data, ma probabilmente nel 1762 in 4-°
Quel ritratto è stato intagliato in rame da Francesco
Ziicchi; e Pier Filippo Castelli autore della vita;
Ira i varj fregi , ed ornamenti aggiunti a quella
effigie , ha pure collocato negli angoli della tavola
tjuattro corone allusive ai quattro generi di poesia,
nei quali il Trissino si esercitò , cioè V epico , il
tragico , il comico , il lirico.
Sotto il ritratto nella tavola originale si trovano i
seguenti versi :
Trissinws hic ille cst^ docuit quem carmina Phoehus ^
Àulica fura Hermes , P alias et eloquium.
Adria quem coluit , coluere quoque Arnus , et Ister ,
Ossa tenet Tjheris , noinen at orhis hahet.
Di quest' uomo celebre per molli titoli si è parlato
in diversi volumi di quest' opera , e speciahnente
nel precedente Volume VII , ma siccome non ab-
Liamp potuto dare la di lui effigie in quel volume
255
tra quelle dei più grand' uomini , che illuslrarona
il secolo di Leone X, ci arfretliamo ora a supplir©
a questa mancanza Pag. x
Tavola II. Effigie di Giovanni Lascaris. Questa pure
è il supplemento ad una mancanza de' tomi pre-
cedenti , e perciò si colloca in questo al principio
delle note addizionali. Di quel famoso letterato
Greco , che fu sempre nelle relazioni più intime
con Leone X, che fu il di lui precettore , il di
lui amico, il di lui consigliere e ministro nelle
cose letterarie , si parla in quasi tutti i volumi di
questa storia, specialmente nel primo, e nel quarto;
ed era ben giusto di esporne il ritratto. Questo è
tolto da una bella dipintura in tavola di que'tempi
medesimi , posseduta del traduttore Italiano di que-
st' opera. Allato a questo nobilissimo ritratto vedesi
scritto dal pittore medesimo in caratteri di quel
tem|)o di color giallo: GIOVAI^ LASGARI. „ 4»
.?7
INDICE
DEI CAPITOLI
CONTENUTI
NEL PRESENTE VOLUME.
,/lyviso ai Leggitori . , P^g* ▼
(Sommano Cronologico. Anno 1 5 18 aZ 1 5 19. „ i
CAPITOLO XIX.
§ I. Selim usurpa il trono Ottomano. —
Egli sconfìgge il Soffi di Persia , e con-
quista T Egitto )> «5
II. Timori concepiti per la salvezza delV Eu-
ropa. — Leon X intraprende di for-
mare un alleanza delle potenze Cri-
stiane. — Egli puhblica una tregua
generale per cinque anni. . . . ,, «>
III. Disegno generale di una alleanza offensiva
cantra i Turchi j> ''*
IV. / Sovrani della Cristianità si impegnano
solo in un alleanza difensiva. . . „ I2
V. Matrimonio di Lorenzo de" Medici con
:258
Maddalena de la Tour. — Mìinificenza
del Papa in quella occasione . pag. 1 5
§ VI. Carlo d' Austria intraprende d' ottenere
il titolo di Re de Romani , e T investitura
di Napoli ,,19
VII. Morte deir Imperadore eletto Massimi-
liano. — Carlo fZ' Austria , e Fran-
cesco I. vengono a contesa per la co-
rona Imperiale ,, 2 5
Vili. Progetti e condotta di Leon X. ' —
Elezione delt Imperatore Carlo V. „ 28
IX. Morte di Lorenzo Duca di Urbino. —
Ippolito de Medici. — Alessandro de'
Medici 5? 33
X. Conseguenze della morte di Lorenzo. ,, 36
XI. Stato del Governo Fiorentino. — Sug-
gerimenti di Maccìiiavello. . ■ • ,, 38
XII. Il Cardinale de Medici assuw^e la dire-
zione degli affari della Toscana. . ,, 44
XIII. 1 dominj di Urbino sono riuniti a quelli
della Chiesa ,,48
^ote addizionali
Nota I. Sopra Selini Imperadore de' Turchi.
II. Sullo stato della politica Europea nel
secolo XVI , relativamente alla corte
di Roma ,, 5o
III. Sui fini segreti^ che si ave ano forse di
promuovere una lega contro i Tur-
chi. j? ^4
48
3^9
Nota IV. Sul sistema cF eqiiìììhìo politico in
Europa )5 55
V. Sulle viste , e sui maneggi politici
de' diversi stati ali epoca della ele-
zione di Carlo V ,,56
VI. Sulla morte di Gio. Giacopo Trivulzio. ,, 67
VII. Sid problema storico , .se la riforma
di Lutero avrebbe avuto luogo nel caso
che invece di Carlo F. avesse Federico
Elettore di Sassonia occupato il trono
Imperiale? ,,62
Vili. Sopra Ippolito Cardinale de siedici. ,, 71
IX. Sopra Alessandro de Medici . . ,, 73
X. Sul Nipotismo di Leone X . . „ 7 5
XI. Sul discorso di Macchiavelli del rifor-
mar lo stato di Firenze • • • • 5, 77
XII. Sulla amministrazione del Cardinale
Giulio de' Medici in Firenze. . ,, 81
XIII. Sui diritti di Cattarina de' Medici al
Ducato d' Urbino , e sulV assegnamento
di cpiello stato alla Chiesa . . . ,, 87
Continuazione de documenti , che illustrano il
sesto volume ,, 8.>
Documenti che illustrano il settimo volume . ,, 169
Documenti che illustrano il volume ottavo. . ,, 22a
Spiegazione delle figure del Volume ottavo . ,, 2 54
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