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Full text of "Vita e pontificato di Leone X/di Guglielmo Roscoe .."

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VITA 


PONTIFICATO 

D  I 

LEONE    X. 
DI  GUGLIELMO  ROSCOE 

AUTORE    DELLA    VITA    DI     LORENZO    De'  MEDIC^ 

TEADOTTA   E   CORREDATA     DI    ^ANNOTAZIONI 
E  DI  4LCUNI  DQCVMENTl    INEDITI 

DAL 

CONTE    CAV,   LUIGI    BOSSI 

MILANESE 

ORNATA 

Del  ritratto  di  Leone  X,  e  di  molte  medaglie  incise  in  rame* 


TOMO  VII. 


MILANO 

Dalla  Tipografia  Sonzogno  e  GoMf. 
1817. 


—  Pfunc  aurea  condìtur  aetas 
Mars  silei  ^  e;  posilis  belli  IVitonta  sìgnis 
^xercei  calamo.s  sopilacjue  tempore  long© 
Excilas.  ingfnia  ad  certamiua  docla  sorofum. 

jind,  FulvU  f  praef.  &d  Leon,  X  de  antiquitatihus  uriiV 


s 
VITA 

E    PONTIFICATO 

ut 

LEONE  X. 


SOMMARIO     CRONOLOGICO 
Anno    i  5  i  8. 

Incoraggiamenti  dati  agli  uomini  d' ingegno  in  Ro- 
ma. - —  Poeti  italiani.  —  Sannazaro.  —  Tebaldeo.  — 
Bernardo  Accolti  detto  l' unico  Aretino.  —  Bembo.  — • 
Beazzano.  —  Molza.  — ^  Ariosto.  —  Suo  apologo  re- 
lativo a  Leone  X.  —  EfYetto  dei  di  lui  scritti  sul 
gusto  dell'  Europa.  —  Vittoria  Colonna.  —  Veronica 
Garabara.  —  Costanza  d' Avalos.  —  Tullia  d' Ara- 
gona. —  Gaspara  Stampa.  —  Laura  Battiferra.  — 
La  poesia  Bernesca.  —  Francesco  Berni.  —  Carat- 
tere dei  di  lui  scritti.  —  Suo  Orlando  innamorato.  — 
Teofilo  Folengi.  —  Suoi  poemi  Macaronici ,  ed  altre 
sue  Opere.  — ^  Imitatori    degli  antichi   autori   classi» 


6 

ci,  —  Tnssino.  «^  Introcluce  i  versi  sciolti ,  ossia 
i  versi  italiani  non  rimati.  ' —  Sua  Italia  liberata  dai 
Ooti.  —  Giovanni  Rucellai.  — Suo  poema  didascalico, 
le  Api.  —  Sua  tragedia  di  Oreste.  —  Luigi  Ala- 
manni. —  Suo  poema  intitolato  la  Coltivazione.  • — 
Classificazione  generale  degli  Scrittori  italiani.  — 
Drammi  italiani.. 


CAPITOLO  DECIMOSESTO 
SI- 

Incoraggiamento  dato   in   Roma   agli  uomini    d' in^c- 
gno.  — -  Poeti  Italiani.   .—  Sannazaro. 

Anno   i5i8. 

La  tranquillità  della  quale  allora  goderà  Y  Italia  ^ 
ed  il  favore  e  la  munificenza  del  Supremo  Pontefi- 
ce ,  contribuirono  al  fine  allo  sviluppamento  di  quei 
semi  di  dottrina  ,  the  sebbene  fossero  slati  sparsi 
dalla  provida  mano  del  di  lui  genitore  sul  finire  del 
secolo  precedente ,  erano  tuttavia  sfuggiti  a  stento 
ad  una  totale  estirpazione  sotto  gli  oscuri  e  burra-- 
scosi  pontificati  de  di  lui  antecessori.  Fino  dal  tem- 
po della  elevazione  di  Leon  X  la  città  di  Roma  era 
divenuta  il  ridotto  generale  degli  uomini  dotati  d'in- 
gegno e  di  sapere ,  che  vi  concorreano  da  tutte  le 
parti  dell'Italia,  e  che  invitati  tanto  dalle  attrattive 
deliziose  di  quella  società  letteraria  che  vi  si  trovava  j 
quanto  dalle  disposizioni  ben  conosciute  del  Ponte- 
fice ad  incoraggiare  ,  e  ricompensare  il  merito  distin- 
to ,  sceglievano  o  di  rimanervi  stabilmente ,  o  di  trat- 
tenervisi  alcun  tempo  con  visite  lunghe ,  oppure  fre^ 
quenti.  Né  solo  esercitava  Roma  la  sua  attrazione 
sulle  persone  più  gravi ,  o  sui  letterati.  Chiunque 
eccellente   era   in  qualche  arte   o    in  qualche  profes- 


2CÌ11S7 


éione ,  cKe  arrecar  potesse  piacere  o  dilello  ,  chiau* 
que  in  sonlraa  fosse  alto  a  divenir  cagione ,  o  og- 
getto di  gioja  e  d'  allegria  ,  era  certo  di  trovare  iri 
Roma  ,  ed  anche  nel  palazzo  pontificio  una  grata  ac- 
coglienza ,  e  spesso  ancora  una  splendida  ricompensa. 

In  queir  amena  società ,  che  solò  esister  potea  nel 
tempo  della  più  florida  prosperità ,  i  poeti  tenevano  un 
posto  assai  distinto  ;  ma  la  fontana  della  poesia  era  in 
quel  tempo  divisa  in  due  separati  ruscelli  j  e  mentre 
alcuni  beveano  alla  sorgente  Toscana ,  il  maggior  nu* 
mero  si  disettdva  colle  pure  acque  della  fónte  La- 
tina. Fa  d'  uopo  por  mente  a  questa  distinzione 
ùel  prendere  ad  esaminare  \ó  stato  della  bella  lette- 
ratura in  quel  periodo;  e  quindi  la  nostra  prima  at^ 
tertzlone  sarà  rivolta  a  quegli  scrittori  ,  che  ora  so- 
no più  particolarmente  conosciuti  per  le  poetìche^ 
composizioni   scritte  nella  natia  loro  favella. 

Fra  que'  pochi  uomini  di  altissimi  talenti,  che  dov 
pò  aver  formato  1'  ornamento  dell'  Accademia  di  Na- 
poli sopravissero  alla  desolazione  di  qttel  paese  ,  e  t 
di  cui  sforzi  contribuirono  alla  conservazione  del  buon 
gusto  nelle  composizioni  Italiane  ^  Sannazaro  non  deve 
essere  obbliato  (i).  In  alcuno  del  precedenti  capitoli 
noi  lo  abbiamo  veduto  in  diverse  occasioni  impiega? 
tutte  le  èue  forze  ad  eccitare  i  suoi  concittadini  a 
resistere  alla  invasione  ,  o  ad  esprimere  la  sua  indi-» 
gnazione  per  l' avvenuto  loro  soggiogamento.    Le  su« 


(t)  Gap.  II.  Tom.  I.  §.  IV.  paq.  9?. 


9 
produzioDÌ  italiane  sembrano  pubblicate  per  la  mag- 
p'ìOT  parte  avanti  il  pontificato  di  Leon  X;  eJ  è  stalo 
altresì  osservato  che  i  maggiori  applausi  ottenuti  da 
Pietro  Bembo  coi  suoi  scritti  italiani ,  indussero  San- 
nazaro ^  per  quanto  si  suppone,  a  rivolgere  i  suoi 
talenti  al  coltivamento  della  lingua  latina.  Può  dirsi 
tuttavia  con  ragione,  che  ss  il  Venesiano  superava 
il  Napoletano  nella  ele£,anzi ,  e  nella  purità  dello 
stile,  il  secondo  è  generalmente  più  stimabile  per  il 
sentimento,  lo  spirito  e  la  forza  dell'espressione  (i^, 
Né  può  mettersi  in  dubbio  ,  che  se  egli  avesse  con- 
tinualo ne'  suoi  sforzi ,  ed  intrapresa  un'  opera  degna 
de'  suoi  talenti ,  egli  come  poeta  Italiano  avrebbe 
guadagnata  una  riputazione  della  quale  ditficilmentfr 
sarebbesi  ottenuta  la  maggiore  da  alcuno  di  quegli 
scrittori,  che  in  quel  tempo  vantava  l'Italia  (2). 


(n)  Una  prova  sufficiente  di  questo  può  reputarsi  la  di  lui 
.-anzone  17  ,  nella  quale  egli  si  lasjna  degli  ostacoli  ,  che  si 
oppongono  al  di  lui  disegno  di  immortalizzare  col  mezzo  degli 
scritti  il  suo  nome.  Il  leiioie  troverà  questa  poesia  nelT  eie- 
j;aute  scelta  fatta  dal  sig.  Malhias  dei  Poeti  Lirici  d'Italia 
ToJ.  1.  pag.  loS.  (Non  sono  rare  in  Italia  le  oppre  del  San- 
nazaro f  ma  noi  ahhiamo  uoluto  riferire  per  intiero  la  ci- 
tazione del  sig.  Roscoe  ,  siccome  onorri>ole  all'  Italia  ). 

(2)  Le  p  oesie  Italiane  di  Sannazaro  sono  state  il  più  delle 
«rotte  publ)licate  colla  sua  Arcadia  ,  della  quale  si  sono  fatte 
numerose  edizioni;  di  queste  la  pii\  compita  e  corretta  ^-  quella 
di  Cornino  in  Padova  del  i^9.3  in  \,  ripetuta  da  Reniondini  J» 
^^<'.ne7Ìa.  nel  T':5a  in  8. 


r© 


§11. 

Tehaldeo. 

Un  altro  membro  superstite  dell' Accaclemia  Napo- 
letana era  Antonio  Tehaldeo  ,  dei  di  cui  scritti  si  sono 
già  dati  da  noi  alcuni  saggi  nei  volumi  precedenti. 
Egli  era  nato  in  Ferrara  nell'anno  i463  (i),  edera 
stato  educato  alla  professione  della  medicina ,  nella 
quale  tuttavia  non  appare  eh'  egli  facesse  molti  pro- 
gressi ,  mentre  fino  dalla  prima  gioventù  dedicossi 
allo  studio  della  poesia  ,  e  si  vede  ,  eli'  egli  era  ac- 
costumato a  recitare  i  suoi  versi  accompagnandosi 
col  suono  del  liuto.  Una  raccolta  delle  sue  poesie 
fu  pubblicata  da  suo  cugino  Giacomo  Tehaldeo  a  Mo 
«lena  nell'anno  i499j  contro  il  desiderio,  per  quanto 
fu  detto,  dell'Autore,  die  si  dolse  della  trascuratezza, 
e  dei  difetti  di  quella  edizione  (2).  Egli  è  probabile, 


(i)   Giornale  de'  Leu.  d'  italici   f^ni  III.  p.  874. 

(a)  n  Impresso  in  Modena  per  Dionysio  Bertocho  nel  anno 
»  de  la  redemi.ione  hntnana  MCCCCLXXXXVIII.  adi  X.I1I, 
n  de  Magio.  Imperante  lo  sapientissimo  Hercule  Duca  di  Fer- 
??  rara  ,  Modena  ,  et  Regio  :  "  un  -volnine  in  4-  Questa  edi- 
zione dall'  edi.ore  medesimo  è  dedicata  al  marchese  di  Man- 
tova. II  malcontento  dell'autore  per  ques(a  pubblicazione  vien 
accennalo  da  Dfarni  nel  suo  poema  della  morte  del  Danese 
'ih.  II.  cant,  4  -  dove  egli  rappresenta  TeOaldeo ,  siccome 

»  Mesto  alquanto  ilell*  opera  sua  prima.  » 
SfCno  f  Itole  al  Fontaiùiii  BibU  Ilal.   Voi.  II.  p-   iS^ 


Il 

che  per  questa  ragione  si  rÌToIgesse  allo  studio  della 
latina  poesia ,  nella  qnale  si  accorda  generalmente , 
eh'  egli  riuscisse  assai  meglio,  che  non  nelle  compo- 
sizioni italiane  (i).  Poco  dopo  l'elevazione  di  Zeo/r  A', 
Tebal  leo  fissò  la  sua  residenza  in  Roma  ,  e  si  rac- 
conta che  il  Papa  gli  facesse  regalo  di  una  borsa  con 
cinquecento  zecchini  in  ricompensa  di  un  epigramma 
latino  fatto  in  sua  lode  (2^  Una  testimonianza  pia 
autentica  dell'  alto  favore  che  guadignato  egli  avea 
presso  al  Pontefice,  appare  in  una  lettera,  che  tut- 
tora si  conserva  di  Leon  X  ai  Canonici  di  Verona  , 
nella  quale  si  raccomanda  loro  certo  Doin  izio  Pome- 
d.lli  scolare  di  Tehahìeo  ,  che  io ,  die'  egli ,  parlando 
del  maestro  ,,  grandemente  stimo,  tanto  pei  grandi 
,,  progressi  ch'egli  ha  fatto  negli  utili  studj ,  quanto 
„  pei  suoi  talenti  poetici  "   (3).    Egli    espresse    pura 


fi)  TiraboSchi  ,  Storia  della  Leti.  Iial.  Tom.  VI.  par  It. 
pag    t55. 

(3)  Gionmle  dei  Ictt.  d'  hai.  Voi.  III.  pag.  376.  —  Tira- 
fcoschi  ,   Stor    della  Lea.   Ilal.  loc.  cit. 

(3)  •>■>  Qui  qiiidem  Domiiius  alumnus  sit  Anionii  Thehaldei, 
»  quetn  ego  virutn  propter  ejus  praes'antem  iu  opi  imarum 
n  artium  studiis  doctrinam  ,  pangendiscpie  caiminihiis  mirifi- 
«  cam  inditsiriam  unire  diligo.  »t  Benth.  F.p.  noni  Leon.  X. 
Lìh.  IX.  Ep.  2.  Q  Quelle  parole  pangendisque  cai  minibus 
ttiirifìram  industriam  ecc  ,  unitamente  a  ciò,  che  nel  testo  ac- 
cenna il  stg.  Roscoe  ,  che  Tehaldeo  erx  accottwnato  a  reci- 
tare ,  Cini'  egli  dice  .  o  piuttosto  ,  coni'  io  credo  ,  a  cantare 
t  suoi  fersi ,  accompagnandosi  col  liuto.,  ci  mostrano  eh' < gli. 
cantava  versi  all'  impminfiso.  Egli sarehhe  forse  da  annoverarsi 
tra  i  primi  improvvisatori  ^  che    esercitaronv   questo    laiento 


J2 

la  sua  approrazione  in  termini  ^i  eguale  dolcezza  ^ 
raccomandando  Tehaldeo  ,  perchè  nominato  fosse  so"- 
printendente  del  ponte  di  Sorga,  impiego,  che  pro« 
Labilmente  non  richiedeva  una  personale  assistenza, 
e  produceva  senza  dubbio  un  lucro  considerabile  , 
giacché  il  Pontefice  aggiugne ,  siccome  motivo  del- 
l' intervento  suo  in  quest'affare,  il  desiderio  ,,  che  Te- 
5,  baìdeo  possa  con  ciò  mantenersi  agiatamente  "  (i). 
Dopo  la  morie  di  Leon  X,  Tehaldeo  continuò  a  ri- 
sedere in  Roma  ;  ma  sembra  ,  che  col  suo  protettore 
perdesse  ancora  i  mezzi  di  un  convenevole  sostenta- 
mento ,  giacché  Irovossi  obbligato  a  ricorrere  a  Beni' 


tutto  Italiano.  In  Francia  si  è  stampalo  un  grosso  volume  su- 
gli improvvisatori  ,  /lel  quale  in  mezzo  a  mille  errori  dì  fatto 
si  è  riconosciuta  la  verità  della  massima  di  diritto  ,  da  m& 
testé  annunziata.  Improvvisatore  dovea  essere  anche  Accolti  j 
dì  cui  si  parlerà  in  appresso.  Priigliore  avvisamento  sarebbe 
il  raccogliere  le  memorie  dello  svìluppamento  avvenuto  in  Tial'a 
di  questo  talento  singolare  .,  che  non.  il  cercare  dì  avvilirlo  e 
degradarlo  ,  e  togliere  aWItaliu  anche  questo  pregio  privativo^ 
come  qualche  tristo  genio  ha  tentalo  di  fare  ,  non  ha  guari , 
in  un'  opera  periodica  _). 

(i)  Leo  X.  P.   M    Legalo  Avinionensi. 

'3  Antoniutn  lliebakleum  ,  probuui  hominem  ,  atqvie  in  bo- 
»>  narum  artium ,  in  priraisque  poetices  siuiliis  tura  nostra  tum 
«  latina  lingua  facile  praestanicm  virum .  niullos  jam  anno» 
»  unico  diligo.  Cui  cum  Portorii  munus  quod  in  ponte  Sorgiae 
j>  flumiuis  est  AvinioneUsis  dioceseos  Lcgationis  luae  ,  con- 
ìì  ferri  cupiam  ,  ut  eo  scse  alere,  et  susleniare  liberaliier  possit, 
n  peto  abs  te  velis  .  ut  homo  egregius  et  excellens  ,  et  tnilii 
»  valde  nharus  eo  munere  per  nos  le  libenle  affioialur.  Dat< 
»  nonis  Aug.  Anno  secando  ,  Roma*.  » 


i3 

io,  che  gli  accordò  qualche  trmporario  soccorso  (i). 
Egli  visse  fino  all'anno  iBSy,  o  lungo  tempo  avanti 
la  sua  morte  si  ridusse  a  guardare  il  letto  ,,  altro 
,,  male  non  avendo  "  come  ci  fa  sapere  uno  dei  di 
lui  amici  ,,  se  non  la  perdita  del  suo  gusto  per  il 
j,  vino.  Al  tempo  stesso  egli  facea  più  che  mai  epi- 
,,  grammi  ,  ed  era  circondato  a  tulle  l' ore  dai  suoi 
j,  amici  letterati  "  ;  ma  dopo  le  invettive  che  scritte 
egli  aveva  centra  i  Francesi ,  di  alcuna  delle  quali 
ci  si  è  presentata  l'occasione  di  render  conto,  de- 
ve arrecar  sorpresa  il  sentire,  che  ,,  divenuto  egli 
,,  era  uh  ardente  loro  partigiano  ,  ed  un  nimico  im- 
„  placabile  dell' Imperadore  (2)  (a)   Tehaìdeo  accusalo 


(1)  Benibi  Ep.  5.   Voi.  III.  lìb.   V.  —  Tiraboschi  St.  della 
lett.  It.   Tom.   VI.  pan.   li.  pag.   i55. 

{2)  »  Il  Tebaldeo  vi  si  raccomanda.  Sta  in  letto  ,  ne  ha 
ti  aliro  male  ,  che  non  haver  gusto  del  vino.  Fa  epigrammi 
n  più  che  mai ,  nò  gli  manca  a  tutte  l'  ore  compagnie  di  let- 
M  lerati.  E  fatto  gran  Francese,  inimico  dell' Imperatore ,  im- 
»  placabile.  »>  Girolamo  Negro  a  Marc.  Ant.  Micheli  :  Let- 
tere di  Principi  voi.  III.  pag.  38. 

(a)  Non  dee  cagionare  sorpresa ,  che  Tebaldeo  guardasse  il 
letto  per  aver  perduto  il  gusto  del  vino  ,  giacché  questo  era 
forse  di  una  grandissima  conseguenza  pei  poeti  di  qiie' tempi. 
Mollo  meno  dee  sembrare  strano ,  che  dopo  di  avere  scritto 
invettive  contro  i  Francesi  all'epoca  della  loro  prima  discesa 
in  Italia  ,  allorché  si  sperava  ancora  di  vedere  questa  bella 
regione  dominata  dai  nazionali.,  e  non  si  conosceva  lo  spirilo 
dei  nuovi  conquistatori 5  lì  Poeta,  che  avea  fatto  eco  agli  altri 
dell'  età  sua,  cangiasse  d'  avviso ,  e  divenisse .  siccome  fecero 
pure  molti  altri  letterati ,  partigiano  de'  Galli  ,  che  stabiliti  si 
erano  nelle  loro  conquiste.  Questi ,  e  specialmente  il  Re  Lui- 


»4 

da  Muratori ,  cKe  Io  riguardava  come  altro  de'  corrom- 
pitori del  gusto  letterario  di  quel  secolo  (i),  è  stalo 
difeso  da  diversi  autori ,  e  tra  gli  altri  da  Bariiffaldi 
a  da  Tiraboschi ,  \  ultimo  dei  quali ,  benché  cono- 
scesse i  di  lui  difetti,  gli  rivendica  il  suo  posto  tra 
i  migliori  poeti  del  suo  tempo  (2). 


gi  XII^  siccome  noi  abbiamo  fatto  osservare  nelle  note  addizionali 
al  V.  voi.  di  questa  edizione  not.  VII  pag.  172  incoraggiavano, 
e  proteggevano  lo  studio  delle  lettere  ed  i  letterali  ,  ed  in, 
questo  si  distinse  anche  Francesco  I ,  ciò  ,  che  non  aveano 
allora  fatto  i  Tedeschi ,  ed  i  fatti  politici,  o  guerrieri  dell'Im- 
peratore non  erano  di  tale  natura  da  eccitare  1'  entusiasmo  , 
o  la  riconoscenza  dei  figlj  delle  muse. 

(i)  Muratori  della  pirfetta  poesìa  lib.  IV.  voi.  lì  pag.  3o3m 
(2)  »  Ma  questi  difetti  medesimi  sono  per  avventura  nel 
n  Tebaldeo  assai  più  leggieri  ,  che  in  altri ,  ed  ci  perciò  S 
»>  ragione  può  aver  luogo  tra'  migliori  poeti,  che  vivessero  a 
»>  que'  tempi.  "  Star,  della  leu.  It.  T.  VI.  p.  II.  p.  l56. 
Sembra  tuttavia  che  Tehaldco  temesse  l'  imminente  perfezio- 
nami nto  della  lingua  Italiana,  ed  il  destino  delle  sue  produ» 
zioni  ,  come  appare  dai  versi  seguenti. 

jj  So  che  molli  verran  nell'altra  etate., 

«  Ch'  accuseranno  le  mie  rime  ,  e  i  versi  , 

55  Come  inornaù,  rigidi,  e  mal  icrsi. 

55  E  *ìen  le  carte  mie  forse  slracciate. 
Dolce  Hint.  Gjniifi.  Ferr.  in  Mus.  Mazzucehell.  T.  I.  p.  18^. 
liiuna  collezione  compita  ,  eh'  io  <»ppia  ,  delle  opere  di  Te» 
haldeo  è  stata  finora  pubblicata ,  benchJì  il  doliO  ^postela 
Zeno  .,  già  da  più  di  un  mezzo  secolo  abbia  iadica^o  le  fonti 
alle  (pali  potea  atiignersi  il  materiale  per  una  nuova  cdiziotter 
.Wole  alla  Bibl.  II.  del  Fonianini.  T.  li.  p.  65. 


!J 


§.  in. 

Bernardo  Aecolti ,  soppranomato  T  Unico  Aretino. 

Non  meno  celebre  per  la  sua  vena  poetica ,  e  molto 
più  distinto  per  il  raro  suo  talento  di  accoppiare  i 
versi  alla  musica  colla  quale  egli  si  accompagnaA'a  , 
era  Bernardo  Accolti  di  Arezzo  ,  detto  comunemente 
per  r  eccellenza  sua  nelle  composizioni  di  quel  genere 
Z'  unico  Aretino  (i).  Egli  era  tra  i  figlj  di  Benedetto 
Accolti ,  autore  della  Storia  ben  conosciuta  delle  CrOf 
ciate  (3)  ,  ed  il  maggiore  di  lui  fratello  era  stato  da 
Giulio  II,  inalzato  al  grado  di  Cardinale.  Nella  sua 
gioventù  molte  visite  egli  avea  fatte  alla  corte  d' Ur- 
bino ,  e  da  Casti^lioni  viene  annoverato  tra  quegli 
nomini  celebri  eh'  erano  accostumati  a  riunirsi  ogni 
aera  negli  appartamenti  della  Duchessa  per  formar© 
le  delizie  di  una  letteraria  conversazione  (3).  Al  suo 
arrivo  in  Roma  sotto  il  pontificato  di  Leon  JT,  egli  fu 
ricevuto  con  distinto  favore  dal  Papa  ,  il  quale  poco 
dopo  nominoUo  altro  de'  Sfgretarj  Apostolici,  impiego 
egualmente   onorifico ,   quanto   lucrativo.  E'  stato  as- 


(i)  Ariosto  lo  nomina 

»  Il  gran  lume  Arelin  ,  1'  unico  Accolti.  « 
Ori.  Fur.  cant    \6.  st.   io. 

(»)  Di  Benedetto  si  è  fatta  menzione  nella   Vita  dì  Lorenzp 
de'Med.   Tom.  I.  p.  90 

(3)  Casti^lioni  del  Cortigiano  lib,  I.  p.  a6.  27. 


te 

gerito  altresì,  che  Leone  tanto  diletto  prendesse  dei  rari 
di  lui  talenti,  che  perfino  gli  conferisse  il  Ducato  di 
Nepi  (i),  e  sebbene  ciò  venga  impugnato  in  una  lettera 
di  Accolti ,  nella  quale  egli  si  lagna  di  essere  stato 
spogliato  da  Paolo  III  della  sovranità  (a)  di  quel 
luogo ,  eh'  egli  avea  col  suo  danaro  acquistato ,  tut- 
tavia non  riesce  molto  importante  il  riconoscere,  se 
egli  fosse  debitore  di  quel  dominio  alla  liberalità  del 
Papa ,  o  acquistato  lo  avesse  coli'  ajuto  della  di  lui 
bontà ,  ed  in  fatti  in  quella  lettera  egli  ne  attribui- 
sce l'acquisto  tanto  ai  suoi  proprj  meriti,  quanto  al 
danaro  sborsato  per  quel  motivo  (2).  Quel  dominio 
gli  fu  pooo  dopo  restituito,  giacché  a  lui  succedetta 
nel  possedimento   Aìfonso  di  lui  figlip   illegittimo  (3)= 


(s)  "  Bernardus  cognomento  Uni'cus  omni  litterarum,  atque 
»  nobili'simanira  artium  peritia  insignis  inter  celebres  ilio* 
»  ea  lempesa'e  Urbiuates  Academicos  adscitus  a  Leone  X. 
97  anno  i5ao  Nepesis  dominatu  donatus  est.  'j  —  Vita  di  Be- 
nedetto suo  padre  ,  in  fronte  al  dialogo  de  praeslaniia  uiro- 
rnm  sui  aei>i  ,  ap.  Mazzucchell.  Scritt.  d'  Italia  Tom.  L 
pag.  66. 

(a)   O  piuttosto  del  feudo. 

(2)  LfUcre  scritte  al  sig.  Pietro  jéretiiio  Lib.  I.  pag.  \\  ap. 
UlazzuLchel  .  loc.   cit. 

(3)  lòid.  pag.  67.  »5  Ebbe  la  signoria  di  Nepi  ,  e  di  altre 
casiella  nello  s  alo  Ecclesiastico  da  Leon  X ,  la  quale  poscia 
dopo  la  morte  di  esso  Bernardo  segiia  in  Roma  nel  i534 
da  Cleiiieìite  Vìi  fu  dao  ad  Alfonso  suo  figliuolo  naturale.  'J 
Mani  hi.  del  Decamerone  puri.  II.  cap  26.  pag.  238.  Si 
■vede  tuttavia  qualclie  incongruenza  in  questi  racconii,  per- 
chè se  Beruard't  era  stato  spoglia; o  de'  suoi  dominj  da 
J^aolo  Ili ,  coflse  potevano  essi   restituirsi   a    suo    figlio  -^^-^ 


>7 

TTn  particolare  rag^aglio  dei  sorprenclenti  effetti  dal 

talenti  di  accolti  prodotti  sui  diversi  ceti  del  popolo 
di  Roma ,  trovasi  esposto  dal  licenzioso  suo  concit- 
tadino Pietro  Aretino ,  il  quale  ci  assicura  „  che 
,,  non  sì  tosto  si  sapeva  in  Roma  che  il  celebre 
,,  Bernardo  Accolti  era  intenzionato  di  recitare  i  suoi 
,,  versi ,  che  le  botteghe  chiudeansl  come  in  giorno 
,,  di  festa ,  e  le  persone  si  affnltavnno  di  poter  go- 
,,  dere  di  quel  trattenimento.  Egli  era  in  quelle  oc- 
,,  casloni  circondalo  dai  prelati  e  dalle  principali 
,,  persone  della  città,  onorato  con  solenne  i'Iumina- 
.,  zione  di  torcle  ,  e  seguito  da  un  numeroso  corpo 
,,  di  guardie  Svizzere  ".  Lo  stesso  aiiìore  aggiugne 
altresì,  che  egli  stesso  fu  mandato  una  volta  dal  Papa 
a  ricercare  che  Accolti  si  portasse  da  S.  S.  ,  coni'  egli 
aveva  di  già  promesso  ,  e  che  il  poeta  ,,  appena  com- 
,,  parve  nella  venerabile  sala  di  S.  Pietro ,  che  il 
,,  Vicario  di  Cristo  gridò  :  aprite  tutte  le  porte ,  e 
,,  lasciate  entrare  la  folla.  Accolti  recitò  quindi  un 
,,  temale  (a)    in  onore  della  Vergine  addolorata,  del 


fonso  da  Clemente''  VII  ,  che  occupò  prima  di  Paolo  III. 
la  Sede  Pontificia,  e  mori  nel  iSS/j  ?  Il  commentatore  dei 
Ragionamenti  di  Vasari  riferisce  questa  circostanza  nel  modo 
seguente  :  »  Leone  X.  donò  all'  unico  nel  iSio  col  titolo  di 
»>  Ducato  la  città  di  Ncpi  posta  nel  patrimonio  di  S.  Pietro , 
"  la  quale  poi  nel  i536  ,  per  la  morte  di  lui  senia  succcs- 
«  sione,  ritornò  alla  S.  Sede,  ^i  Ragionam.  p.  93.  ed.  d'  Arez." 
to   1761. 

(a)  Ossia  un  capitolo  in  tersa  rima.   Onesto  ramonto    serve 
a  prorare  ,  che  Accolli  era  uel  numero    degli  improvvisatori  , 
Lkonb  X.   Tom.   VII  2 


i3 

^,  quale  tanto  furono  socitlisratll  i  di  lui  uditori,  che 
,,  esclamarono  unanimi:  viva  a  lungo  il  divino  poeta  y 
,,  V incomparabile  Accolti!  "    (i) 

Essendo  in  tal  modo  onorato  Accolti  con  illimitati 
applausi  ,  una  sola  circostanza  mancò  alla  di  lui  glo- 
ria... i  di  lui  scritti  non  sopravvissero  a  lui  medesimo. 
Alcuni  tuttavia  si  conservarono  fortunatamente  dopo 
la  di  lui  morte,  ma  benché  non  sieno  interamente 
privi  di  merito ,  ancora  sono  di  gran  lunga  al  di- 
sotto dell'  idea ,  che  alcuno  formar  si  potrebbe  dal 
ragguaglio  di  quegli  effetti  cosi  maravigliosi ,  e  quin- 


selihocp  dalla  frase  del  sig.  Rosene.  ,  che  parla  sempre  di  re- 
citi zione  (li  versi  ,  appaja  twll''  altra  coFa.  Altro  è  recitare 
uu  coiiiponiinenlo  scritto  ,  e  studiato  ,  ed  aliro  cantar  versi 
all'improvviso;,  né  mai  il  primo  di  questi  esercizj  avrebbe  pro- 
doti o  i  maravigliosi  effetti  accennati  nel  testo.  La  cosa  si 
rende  ancor  più  chiara  dalla  seguente  nota  dell'  Autore. 

(i)   Lt'ttere  di  Pietro    Aretino  Lib.    V.  p.  46.   MazzucchcUi 
Srriit.  cV  Italia  T.  I.  p.  66.  Se    il    lettore    fosse   bramoso    di 
sapere  quali  fossero  i  tratti  sublimi  .,  e  patetici,    che    produ— 
ccvano  un  effetto  cos'i   maraviglioso  sull'udienza  ,  egli  potrebbe 
leggere  i  seguenti  versi  ,  diretti  alla  Vergine  ,  citati  nella  let- 
tera di  Pietro    Aretino    come    quelli    appunto  ,    che    diedero 
occasione  a  quegli  straordioarj  applausi: 
j>  Quel  generasti  di  cui  concepesti , 
Portasti  quel  di  cui  fosti  fattura, 
F  di  te  nacque  quel  di  cui  nascesti.  »» 
Felici  tempi ,  in  cui  i  poetici  onori  cosi  facilmente  si    guada- 
gnavano !  Il  Temale  ,  (  o<:sìa  il  capitolo  ^  intero  è  stampato 
nella  prima  edizione  delle  opere  d' ^cco/<«,  che  può  essere  cou- 
•gultata  da  quelli  tra  i  mici  lettori  ^  ai  quali  piacesse  il  saggio, 
che  si  è  di  sopra  esibito. 


^9 
eli  detraff'Tono  grandemente  alla  di  luì  ripulazioa^ , 
anziché  accrescerla.  Tra  questi  trovasi  il  suo  poema 
drammatico  intitolato  Virginia  ,  scritto  in  ottava  e 
terza  rima,  e  rappresentato  per  la  prima  volta  in 
Siena  in  occasione  del  matrimonio  del  magnifico  An- 
tonio Spannocchi  (i).  Questa  rappresentazione,  che  può 
annoverarsi  tra  le  prime  produzioni  drammatiche  Ita- 
liane ,  è  fondata  sulla  storia  di  Giletta  di  Nerhona , 
altra  delle  novelle  del  Boccaccio,  ma  la  scena  dalla 
Francia  è  trasportata  in  Napoli  ,  ed  il  nome  di  Vir- 
ginia vien  dato  dall'  Autore  alla  sua  eroina  per  ri- 
spetto alla  di  lui  figlia,  divenuta  sposa  del  Conte 
Carlo  Malatesta ,  Signore  di  Sogliano  (2)  (a).  Fra  le 
poesie  liriche  di  Accolti ,  che  non  sono  numerose  ,  i 
suoi  strambotti  sono  state  le    più    lodate    (3)  ,    e    tra 


(i)  Siccome  appare  «lai  li  ola  dulia  prima  edizione.  Vedasi 
ancora  Marini  Ist.  del  Decamermie  Part.  II.  cap.  3i.p.  237. 

(2)  Mazzucchelli  lo  nomina  il  Conte  Giambattistij.  Malate-' 
sta  ,  ed  aggiugne  ,  che  Virginia  Y'orlo  in  dote  al  marito  10,000 
corone  che  in  quel  tempo  foi mavcino  una  dote  cospicua.  Sciiit. 
d'Italia    7".    /.  pcg.  67. 

(a)  Osserverò  in  proposilo  delia  primaria  accordata  dal  signor 
Roscoe  alla  Virginia  tra  le  produzioni  drammatiche  Italiane  , 
che  già  esisteva  una  tragedia  stampata  fino  dal  149I  in  Fi- 
renze col  titolo  :  Eustachio  Romano  ,  della  quale  ho  parlato 
nelle  mie  note  al  Tom.  I.  pag  256  ,  che  già  esisteva  la  Ca- 
landra ,  commedia  del  Bibbiena  ,  della  quale  pure  ho  fatto 
menzione  pag.  i55  e  256;  e  che  le  rappresentazioni  di  Firenze 
erano  esse  pure  opere  drammatiche.  V.  Tom.  V.  not.  IV, 
pag.   166 ,  e  167. 

(3)  »  Tra  qinflli  strambotiÀ  dello  .■accolli  ve   ne  sono    molli 


70 

questi  i  rtilgliorl  senza  paragone  sono  i  suoi  Tersi 
intitolati  Giulia  (i).  Oltre  gli  scritti  di  Accolli  ,  che 
sono  slati  pubblicati  ,  egli  lasciò  un  poema  mano- 
scrttto  intilolato  la  liberalità  di  Leon  X,  che  un 
illustre  critico  asserisce  scritto  con  bello  siile,  e  pieno 
di  notizie  (2).  Del  suo  stile  ci  rimangono  saggi  suf- 
ficienti :  ma  noi  possiamo  ben  compiangere  la  per- 
dita di  quegli  aneddoti  ,  che  il  poema  di  Accolti 
trasmessi  ci  avrebbe  relativamente  alla  persona  di 
Leon  X,  i  (juali  probabilmente  sarebbero  stati  ono- 
revolissimi per  la  di  lui  memoria. 


il  acutissimi ,  e  sull'  andare  de'  buoni  epigrammi  de'  Greci  , 
li  e  de'Latini.  »>  Redi  Arinotaz.  al  suo  ditirambo  -^  Bacco  in 
Toscana  —  pag.  87.  ed.  di  Firenze  l685  in  4- 

(t)  Le  opere  di  Accolti  furono  dapprima  stampale  in  Firenze 
ad  istanza  di  Francesco  Rosselli  adì  6  di  agosto  i5i3  in  8 , 
e  di  nuovo  a  Firen?;e  nel  i5i4  in  12  ;  a  Venezia  nel  i5r5,  a 
Firenae  ancora  nel  i5i8  ,  ed  a  Venezia  nel  iSig  da  Nicolò 
Zoppino  ,  e  Vincentio  compagno  ,  col  seguente  titolo  : 

»5  Opera  Nova  del preclarissimo  messer  Bernardo  Accolti 
»»  Aretino^  Scrìptore  Apostolico,  et  Ahhreviatore.  Zoe  Soneti  , 
»»  Capitoli  ,  Strambotti ,  et  una  Commedia  con  dui  capitoli 
»>  uno  in  laude  della  Madonna ,  /'  altro  de  la  Fede. 

Nella  pagina  del  frontispizio  di  questa  edizione  vedesi  la 
figura  d'  Accolti  in  atto  di  meditare. 

(2)  »  Oj>era  di  stile  dolce  ,  e  piena  di  sostanza.  »  Dolce 
Trattato  sec.  di  sua  libreria  j  presso  Mazzucchellì  Scritta 
d'  Italia  Tom.  I.  p.  68. 


VDIi  .  Vn.  Tai'.M.  pay.SJ. 


SI 


Bembo. 

La  persona  tuttavia ,  alla  quale  i  cntki  Italiani 
tinanimauiente  attribuirono  il  merito  di  avere  tanto 
coi  suoi  precetti  ,  che  coli'  esempio  fatto  rinascere  il 
buon  gusto  nella  Italiana  letteratura  ,  era  un  Vene- 
ziano ,  r  illustre  Pietro  Bembo.  ,,  Egli  fu  quello  che 
,,  sorger  fece  un  nuovo  secolo  cV  Augusto ,  che  eoa 
,,  eguale  successo  imitò  Cicerone  e  Virgilio ,  e  ri- 
,,  chiamò  ne  suoi  scritti  l'eleganza,  e  la  purità  dello 
,,  stile  del  Petrarca  e  del  Boccaccio  "  (i).  La  pri- 
ma parte  d?lla  vita  di  Bembo  era  stata  divisa  tra  i 
piacevoli  trattenimenti  e  gli  studj  ,  ma  né  le  circo- 
stanze della  sua  famiglia ,  né  i  propri  di  lui  sforzi 
lo  aveano  abilitato  a  provvedere  al  suo  sostentamento 
in  una  maniera  proporzionata  al  suo  grado  ed  al  suo 
metodo  di  vita.  La  nomina  fatta  da  Leon  X.  dulia 
di  lui  persona  alla  carica  importante  di  St^gretario 
Pontificio,  gli  diede  non  solo  una  stabile  residenza, 
ma  gli  assicurò    un    trattamento    ragguardevole    cogli 


(i)  »  A  lui  devono  la  poesia  .,  come  la  lingua  nostra  ii  Icr 
»  pregio  più  bello  ,  avendo  egli  aperto  il  secolo  nuovo  d'  An- 
»>  gusto  ,  emulato  Virglio  e  Cicerone,  risuscitato  t^etrarca, 
»  e  Boccaccio  ,  nell'  eleganza ,  e  purità  del  suo  scrivere ,  senza 
i>  cui  nou  si  scrive  all'  immortaliià.  »  Bcttinplli  del  nsorgi- 
:f>ento  dell'  Italia  negli  sUidii ,  ecc.   p^ol    il.  p,ig.   io5, 


23 

emoluraenli  a  quella  attaccali ,   essendo    stato   accréf» 
sciuto   il  di  lui    onorario ,    che    era   originalmente    di 
1000  corone,  colla  concessione  di  rendite  ecclesiasti- 
che fino  alla  somma  annuale  di  3ooo  (i).  La  società 
che  lìemho  trovò  in  Roma ,  era  sommamente  conve- 
nevole al  di  lui  gusto  ;   e  dalle  di  lui  lettere  appare  , 
eh'  egli  ne  godea  con  una   straordinaria  compiacenza. 
Tra  i   suoi  più  intimi  amici  e  compagni    noi    trovia- 
mo   i    Cardinali    di   Bibbiena  e   Giulio    de'  Medici ,   i 
poeti    Tebaldeo   ed  Accolti  ,    Y  inimitabile    artista  Baf- 
jaeìlo  d'  Urbino  ,  ed   il  virtuoso    gentiluomo    Baldas- 
sare   Castiglioni    (2).    L' alla    reputazione    che    Bembo 
godeva  in   tutta  l'Italia,  indusse  il  Pontefice  ad  im« 
piegarlo  all'  occasione  in  ambasciate  importanti  ;    ma 
Bembo  era  destinato  dalla  natura  piuttosto   ad  essere 
un  elegante  scrittore,  anziché  un  destro  negoziatore, 
r  le  sue  missioni  furono  rare  volte    coronate    da  fe- 
lice successo  (a).    Nella    esecuzione    delle  sue  incom^ 
benze  come   Segretario  pontificio  egli  acquistò   tutta- 
via molti  diritti  alla  lode  j  e  le  lettere  scritte  da  lui , 


(^f  ")  Mazzuccìn-lli  Scrittori  d'  Italia  5  art.  Pietro  Bembo  , 
'Tom.   W.  pag.  781). 

(v.)  Una  delle  lettere  di  Bembo  scrìtta  al  Card,  di  Bibbiena, 
nienlr'  egli  era  trattenuto  a  Rubiera  da  una  indisposizione 
nella  sua  ambasciata  all'  Imperadore  ,  e  nella  quale  sono  no- 
minati diversi  degli  illustri  di  lui  compagni  in  modo  da  poter 
mostrare  il  grado  d'  intimila  ,  che  tra  di  essi  sussisteva ,  tro- 
vasi neir  Appendice  N.  CI<XI. 

(a)  Vedasi  a  questo  proposito  il  Tomo  V.  di  questa  edizione 
pag.  5p,  e  la  noti»  iìiddisionale  a  quel  volume  n.  VI.  pag^  i63<. 


95 

e  dal  (11  lui  compagno  Sadoleto  ,  mostrarono  forse 
per  la  prima  volta ,  che  la  purità  della  lingua  latina 
non  era  incompatibile  colle  forme  curiali ,  e  colla 
trattativa  de'  pubblici  affari.  Poco  dopo  la  morte  di 
Leon  X^  Bembo  rltlrossl  da  Roma ,  a  cagione ,  corno 
generalmente  si  suppose ,  del  debole  stato  di  sua  sa- 
lute ;  ma  eravl  ragione  di  credere ,  che  oltre  quella 
causa  ,  che  serviva  di  pretesto  ,  egli  avesse  altresì 
qualche  motivo  d'essere  malcontento  del  Pontefice, 
e  eh'  egli  lasciasse  Roma  con  intenzione  di  non  più 
ritornarvi  (i).  Libero  allora  dalle  pubbliche  cure  egli 
fissò  la  sua  residenza  nella  città  di  Padova.  Egli  avea 
già  scelta  come  compagna  del  suo  riposo  una  giova- 
ne donna ,  nominata  Morosina  ,  della  quale  egli  fa 
menzione  sovente  nelle  sue  lettere  ,  e  questa  visse 
con  lui  fino  alla  sua  morte,  accaduta  nell'anno  i535, 
cioè  per  lo  spazio  di  circa  23  anni.  Dalla  medesima 
e{;ll  ebbe  due  figli  ed  una  fìijlla ,  alla  di  cui  educa- 
zlone  egli  prestò   una  singolare  diligenza  (aj  Le  ren- 


(i)  »  Sallo  Iddio,  che  io  da  Roma  mi  dipartii  ,  et  da  Papa 
»  Leone,  in  vista  chiedendogli  licenzia  per  alcun  biieve  tempo 
»>  per  cagion  di  risanare  in  queste  contrade  ,  ma  in  effetto 
n  per  non  vi  ritornar  più  ,  et  per  vivere  a  me  quello  o  poco 
»>  o  molto  che  di  vita  mi  reslava ,  e  non  a  tutti  gli  altri  pili 
»>  che  a  me  stesso.  »>  Bembo  Lettere  a'  sommi  Pontejìci  ecc. 
Lib.  V.  ep.  I. 

("a)  Lucilio  ,  uno  de' suoi  figli ,  mori  giovane  nel  i53i.T«r- 
quato  ,  che  fu  ammesso  allo  stato  ecclesiastico ,  e  divenne 
canonico  di  Padova  ,  si  distinse  coi  suoi  talenti  nella  lettera- 
tura. Elena  maritossi  nel  iSjS.  con  Pietro    Gradenigo    nobile 


dite  cV  egli  Irnpva  dalle  sue  ecclesiasflicìie  preìatitre, 
lo  abilitnrono  allo?-a  a  vivere  da  privato  liberamente, 
dedicato  tutto  ai  favoriti  suoi  studj  ,  ai  piaceri ,  ed 
alla  società  de'  suoi  amici.  Egli  ibrmò  quindi  con 
grandi  spese  ed  assiduità,  una  collezione  di  antichi 
lìianoscritti  di  autori  Greci  e  Romani ,  che  per  il 
numero  ,  e  per  il  pregio  de'  volumi  era  tra  le  prime 
d' Italia.  La  maggior  parte  di  quelle  opere  è  stata 
dappoi  riunita  alla  biblioteca  del  Vaticano.  A  questa 
egli  aggiunse  un  gabinetto  di  monete  e  di  medaglie, 
arricchito  con  altri  antichi  monumenti  dell'arte.  Egli 
passava  una  parte  del  suo  tempo  nella  sua  casa  di 
campagna  di  Villa-bozza  nelle  vicinanze  di  Pridova, 
dove  egli  dedicavasi  allo  studio  della  botanica;  e  molti 


Veneto.  MazzucchelU  Scritt.  d' Ital.  T.  ÌV.  p.  'j^i.  Agostino 
Beazzano  celebiò  le  sue  doli  in  uno  de'  suoi  sonelli  ,  che 
cómin'^ia  : 

»♦  Helena  ,  del  gran  Bembo  ali  ero  pegno  ,  «  ecc. 
Dicesi  ,  che  Moroiua  sepolia  fosse  in  una  Chiesa  di  Padova 
colla  seguente  iscrizioue  :   hic  jucel    Morosina  ,    Petri    lìembi 
concuhiiia  :;  ma  Mazzucchelli  ha  mostrato  essere  fittizio  questo 
epitafìo.  Essa  fu  infatti  sepolta  nella  Chiesa  di  S.   Bartolomeo 
in  Padova  .,  e  sopra  la  di  lei  loraba  sia  scritto  : 
»»  Morosi nae  ^    Torquati  Bt/nhi  M  tri. 
Obiit  8  Idus  Augusti  M.  D.  XX  Xr. 
Si  dice  ,  che    Berubo    la    riguardasse    come    sposa    legittima. 
Ch'egli  certamente  'a  amasse  con  sincero,  e  cosante  affé  te  , 
appare  dal  dolore,  eh'  egli  soffri  alla  sua  perdila,  nella  quaìe 
occasione  egli  compose  undici  sonetti  ,  che  ancora    ci    riman- 
gono .  e  che  sono  i  più  patetici  di  lutti    i    di    lui    scrini.  — * 
Èeinhi  Ep.  Farn.  Lib,   VI.  Ep.  Q6.  67.  Lettere  t'olgari  Voi.  IL 
ììb.   IL  Ep.   i\. 


35 

autori  hanno  dato  notizia  del  giardino,  ch'egli  avea 
in  quel  luogo  disposto  e  fornito  di  piaute.  La  mag- 
gior parte  dei  di  lui  scritti  fu  prodotta  in  questo 
periodo  di  libertà  e  di  independenza;  e  tale  era  la 
felicità  eh'  egli  godeva ,  che  nel  i  SJg  essendo  stato 
innaspettalamente  elevalo  da  Paolo  III.  alla  dignità 
di  Cardinale,  si  dice,  ch'egli  fosse  per  qualche  tem- 
po dubbioso   se  accettar  dovesse  quella  carica  (i)  (a). 


(i)  IjC  cure  ,  che  Bembo  si  prese  poco  dopo  per  riutiiizarc 
le  obbiezioui ,  che  erano  slate  fatte  contro  la  sua  morale  con- 
dotta ,  e  le  lusinghiere  sue  lettere  a  Paolo  III.  sembrano  tut- 
tavia in  contrasto  colla  relazione.,  autenticala  da  Beccatelli  sno 
Biografo ,  e  da  altri  ,  che  egli  acconsentisse  di  mala  voglia 
alla  sua  promozione. 

(a)  Checché  sia  di  questo  aneddoto  ,  in  tutto  questo  tratto 
di  storia  il  lettore  attento  non  potrà  a  meno  di  non  ricono- 
scere qualche  imbarazzo,  e  qualche  piccola  contraddizione.  Se 
Bembo  parti  da  Roma  dopo  la  morìe  di  Leon  X  .  e  venne 
a  8!abilirsi  in  Padova,  ciò  non  accadde,  che  nel  i522.  giacché 
quel  Papa  mori  nel  mese  di  decembre  del  t52l.  M  rosina 
non  sembra  aver  fissato  con  esso  il  suo  soggiorno,  se  non 
dopo  la  di  lui  residenza  in  Padova  ,  giacche  non  si  ha  me- 
moria ,  eh'  essa  convivesse  con  Betaho  in  Roma  ,  men'r'  egli 
era  Segretario  del  Pontefice.  Essa  mori  nel  i53ì  ,  come  sì 
rileva  dal  suo  epitafio  surriferi-o.  Com'  è  dunque  possibile  ^ 
eh'  egli  coniinuasse  a  viver  eoo  essa  in  Padova  ,  come  narra 
1'  \ut>re  di  questa  storia,  per  il  periodo  di  s?2  anni?  Se 
anche  Morosina  non  fosse  mancata  ai  vivi  nel  f '^3'"'  .  rome 
avreblie  potuto  Berii'o  gode  e  la  di  lei  f-ompagnia  per  2?  anni, 
Bp'^ibo ^  che  nel  i539  fu  creato  Caidinale  e  si  trasferì  di 
nuovo  in  Roma  ?  Se  quel  periodo  fosse  s'ato  ne  1'  originale 
espresso  in  cifra  numerica  ,  si  potrebbe  credere  uno  sbaglio 
tipografico  3  che  cangiato  airesss  ij  «uxnoro  m  in   3»   "="    Del 


26 

Al  fine  egli  determìnòssi  ad  accettare  per  avere  acci- 
dentalmente udito  nel  celebrarsi  la  messa  le  parole: 
Pietro  seguimi  {i) ,  ch'egli  credette  di  dover  applicare 
a  se  stesso.  Egli  ricomparve  dunque  di  nuovo  ia 
Roma  ,  dove  fu  altamente  favorito  dal  Papa ,  il  quale 
gli  conferì  molti  pingui  benefizj  ,  e  dove  egli  trovò 
nel  Sacro  Collegio  molti  de'  suoi  antichi  amici  ,  par- 
ticolarmente i  Cardinali  Contarini ,  Sadoleto  ,  Cortese  , 
e  r  Inglese  Cardinale  Eeginalclo  Polo  ^  che  fece  dappoi 
una  luminosa  comparsa  nel  mondo  politico  ,  come 
nel  letterario.  In  quella  città  terminò  Bembo  ì  suoi 
giorni  nel  iS^y,  avendo  allora  oltrepassata  l'età  di 
anni   76    (2). 

L'alta  stima  degli   scritti  dì  Bemho  fatta    dai    suoi 
contemporanei  ,   o    almeno   dalla    maggior    parte    dei 


resto  la  condotta  di  Bemho  può  apparire  meno  scandalosa 
ove  si  rifletta  ,  eh'  egli  non  era  a  queir  epoca  vincolato  da 
ordini  sacri ,  e  quindi  iion  potea  dare  serio  argomento  di  cen- 
sura ,  il  che  si  rileva  dalla  sua  nomina  medesima ,  improvvisa, 
ed  innaspettata  ,  alla  dignità  Cardinalizia. 

(i)  Pelre ,  sequere  me.  Mazzucchdli  Tom.  IV.  p.  746  sem- 
hra  metter  in  dubbio  la  cosa.  (_  E  assai  probabile.,  che  Bembo 
accostumalo  da  qualche  tempo  ad  una  uita  tranquilla  ,  pre- 
muroso della  educazione  de' suoi  Jìi'lj  ,  attaccato  con  passione 
ai  suoi  studj ,  ai  suoi  libri  ,  alla  sua  l'ina  .  al  suo  ffiardino  , 
mostrasse  qualche  ripugnanza  a  tornar  di  nuouo  nel  vortice 
del  mondo  ,  e  degli  affari ,  e  che  alla  fine  fi  si  risolvesse 
indotto  dai  consigli  degli  amici  ,  anziché  da  un  moifìmento 
soprannaturale.,  e  da  una  specie  di  inspirazione^. 

(^a}  Bembo  fu  sepolto  in  Roma  nella  Chiesa  di  S.  Maria 
alla  Miaerva  dietro  Taliar  maggiore  fra  k  tombe  di  Leon  X  ^ 


27 

Jnedeslmi  ,  è  siala  confermala  dal  migliori  critici 
delle  età  successive  ,  ne  può  per  avventura  negarsi  , 
rhe  scegliendo  ,  come  suoi  modelli  Boccaccio,  e  Pc'^ 
trarca ,  e  combinando  le  loro  grazie  col  suo  gusto 
♦elegante  ,  e  corretto  ,  egli  non  abbia  in  grado  altis- 
simo contribuito  a  sbandire  quella  rusticità  di  stile , 
che  formo  il  carattere  degli  scritti  di  molti  autori 
Italiani  al  principio  del  secolo  XVI.  La  sua  autorità , 
il  suo  esempio,  produssero  un  effetto  sorprendente  , 
e  tra  i  suoi  discepoli ,  ed  imitatori  trovansi  molti 
dei  primarj  leiterati ,  e  dei  più  distinti  scrillori  di 
quel  tempo.  Può  tuttavia  osservarsi  che  il  merito 
delle  sue  opere  consiste  piuttosto  nella  purità,  e  nella 
correzione  dello  stile,  che  non  nel  vigore  del  sen- 
timento ,  o  nella  varietà  degli  ornamenti  poetici  ,  e 
che  essi  presentano  pochissima  diversità  nelf  argo- 
mento ,  e  nel  carattere ,  essendo  pressoché  tutti  de- 
dicati a  celebrare  un'  amorosa  passione.  E'  stata  al- 
tamente commendata  la  di  lui  canzone  in  morte  di 
suo  fratello  Carlo ,  e  si  può  accordare  eh'  essa  abbia 
qualche  merito ,  senza  che  vi  si    trovi    tuttavia    quel 


e  di  Clemente  VII.  colla  seguente  iscrizione:  apposta  da  Tor- 
quato suo  figlio  : 

PETRO.  BEMBO.  PATRITIO    VENETO.  OB.  EIVS 

SINGVLARES.  VIRTVTES 

A.  PAVLO.  IH.  PONT.  MAX.  IN.  SACRVM 

COLLEGIVM.  COOPTATO 

TORQUATVS.    BEMBVS.    P. 

OBIIT.  XV.  KAL.  FEB.  M.  D.  XLVII. 

VIXIT,  AN.  LXXVI.  MEN.  VII.  D.  XXVIH. 


calore  di  sealimenlo  naturale  ,  clie  può  aspettarsi  iri 
una  slmile  occasione  (i^.  Nello  apprezzare  imparzial- 
mente i  talenti  di  Bernho  ,  e  ntell'  assegnare  cori 
precisione  i  servizj ,  eli'  egli  rendette  al  pro""resso  del 
buon  gusto ,  è  necessario  di  fare  una  distinzione  tra 
r  avanzamento  della  poesia  Italiana ,  ed  il  miglio- 
ramento della  lingua;  tra  gli  sforzi  dell'ingegno,  ed 
il  risultamento  dell'  industria.  Le  opere  poetiche  di 
Benibo  consistono  principalmente  in  sonetti  e  canzoni  i^ 
scritte  nello  stile  Petrarchesco  ,  e  sono  sovente  piit 
castigate  ,  ^ma  al  tempo  stesso  meno  appassionate  ^ 
meno  focose  che  il  modello  sul  quale  erano  for- 
mate. Nel  leggere  quelle  poesie  ,  noi  non  troviamo 
punto  quel  sentimento  originale  ,  che  nascendo  dal 
cuore  dell'autore  medesimo,  esercita  una  azione  di- 
retta ed  irresistibile  su  quello  del  lettore ,  e  poco 
ancora  scorgiamo  di  quel  carattere  secondario  del- 
l' ingegno  ,  che  si  spazia  ne'  campi  della  fantasìa  ,  e 
colle  sue  -vivaci,  e  rapide  descrizioni,  o  pitture,  che 
dir  si  vogliano,  diletta  l'immaginazione;  all'incontro, 
mentre  quelle  produzioni  pendono  per  la  loro  ap- 
provazione da  un  più  deliberato  giu«lizio,  noi  ci  tro- 
viamo convinti  ,  che  qualunque  persona  di  buon 
gusto,  che  molto  avesse  letto  ,  potrebbe ,  impiegando 
la  dovuta  fatica  ,  produrre  opere  di  egual  merito. 
Che  un  tale  convincimento  sia  ben  fondato ,  lo  prova 


(^i)  Questa  poesia  è    slata    sceli»     dal    sig.    Maihiis    neU* 
sua  Collezione  dei  Poeti  Lirici  Italiani  Voi,  l.  pa^'.  86. 


in  maniera  non  efjuivoca  F  innumerabile  schiera  clegli 
scrittori,  che  hanno  imitatolo  stile  del  Bembo, e  che 
appoggiandosi  all'  «esempio  di  quel  modo  scolastico 
di  comporre,  hanno  inondato  l'Italia  di  scritti,  che 
non  si  distinguono  né  per  il  loro  carattere  ,  ne  per 
il  reale  loro  mento.  Non  può  dubitarsi  ,  che  1  intro- 
duzione di  quella  maniera  di  scrivere  non  sia  riuscita 
fatale  alle  più  sublimi  produzioni  dell'  ingegno.  L' in- 
ti'inseco  dello  opere  era  sacrificato  agli  esterni  orna- 
menti. Il  "veicolo  era  dorato  e  pulito  al  sommo  grado , 
ma  spesso  non  conteneva  alcuna  cosa  pregievole  ;  e 
tutta  r  attenzione  di  quegli  scrittori  era  rivolta  non 
pia  a  scoprire  ciò  che  era  a  dirsi  ,  ma  come  potea 
lina  cosa  esser  detta   (a). 


■"'  f«'3  I'  s'S-  Roscoe  scrittore.,  quanl'  altri  mai  diligente,  non 
ha  preso  ad  esaminar»»  il  merito  di  B:',iìibo  ,  se  non  dal  lalo 
delle  sue  poesie  ,  che  non  sono  per  verità  le  produzioni  mi- 
gliori della  sua  penna.  Farmi  ,  di'  egli  avrehbe  potuto  aceen- 
Bare  tutta  V  estensione  de'  di  lui  talenti  in  varj  generi.  Egli 
era  uno  de'  migliori  Ellenisti  de'  suoi  tempi  ^  egli  scrivea  il 
latino  con  una  straordinaria  eleganza;  egli  possedea  un  tesoro 
di  quella  ,  che  anche  dagli  Inglesi  vien  detta  classica  erudi- 
zione ;  le  sue  lettere  sono  modelli  di  stile,  e  piene  di  pro- 
fonda dottrina  ;  le  sue  orazioni,  la  sua  storia  Veneta  ,  le  sue 
pisiole  familiari  ,  il  suo  libro  de  imitatione  ,  meritavano  di 
essere  citate  accanto  alln  sue  poesie,  ed  allora  si  sarebbe  am- 
mirato l'  uomo  grande  in  varj  generi  di  letteratura  ,  e  d'  eru- 
diiiooe.   F,  le  note  addizionai.  ' 


3o 

f  V. 

Beazzano. 

Uno  de' più  intimi  compagni  di  Bembo  tanto  nelle 
■varie  ambasciate,  e  nella  gestione  de' pubblici  affari , 
quanto  nelle  sue  occupazioni  letterarie  ,  era  il  suo 
concittadino  Agostino  Beazzano  ,  il  quale  bencbè  di- 
scendente solo  da  una  famiglia  dell'ordine  de'  cittadini 
Veneziani ,  contava  però  tra  i  suoi  antenati  Francesco 
Beazzano  gran  Cancelliere  della  Repubblica.  Agostino 
era  cavaliere  Gerosolimitano  ,  ed  era  stato  frequen- 
temente spedito  da  Leon  X.  in  missioni  di  grande 
importanza  (i).  Egli  era  talmente  informato  delle  cose 
riguardanti  la  corte  Romana  ,  e  destro  talmente ,  e 
sperimentalo  ne'  pubblici  affari  ,  eh'  egli  veniva  con- 
sultato in  Roma  come  un  oracolo.  Dalla  bontà  di 
Leon  X.  egli  ottenne  ricche  prelature  Ecclesiastiche, 


(i)  Una  lettera  di  Leon  X  a  Leonardo  Ljoredano  doge  di 
Venezia  ,  non  solo  fa  vedere  P  alta  stima ,  che  il  l'onlefice 
nodriva  per  Beazzano^  ma  mostra  altresì  ,  oh'  egli  manteneva 
la  pratica  ereditaria  nella  di  lui  famiglia  ,  di  combinare  gli 
affari  dello  stato  colla  cura  di  pioinuovere  la  letteratura. 
»  Ea  de  re  Augustinum  Bcatianum  ,  familiarem  meum  ,  et  ci— 
J5  vem  tuum,  probum  ipsum  virum  ,  et  ingenio  doctrinaque 
s>  praestantcm  ad  le  mitto  ,  <jui  libi  mentem  meam  latiu$ 
»  explical)il.  Cui  eliam  mandavi  ,  lU  certos  Graecorum  li])ros 
>s  quibiis  egeo  ,  Venetiis  perquireret.  j>  Bemb.  Epist,  nont. 
Leon.  X.  Lib.  X.  £p.  45. 


3i 

e  Don  è  neppure  improbabile  ,  eh'  egli  aspirasse  al 
graJo  di  Cardinale  -,  benché  in  una  delle  sue  poesie 
latine  indirizzala  a  Leon  X.  egli  professi  di  non  aver 
portalo  così  allo  le  sue  mire  (i).  Il  cattivo  stalo 
della  di  lui  salute  lo  obbligò  poco  dopo  la  morte  di 
Leone  ad  abbandonare  la  corte  di  Roma  ,  e  gli  ul- 
timi diciolt' anni  della  sua  vita  egli  passò  nel  ritiro 
a  Trevigi  ,  dove  intraprese  non  senza  riuscita  di  al- 
legerire  le  sue  pene  ,  o  di  esilarare  1'  animo  suo  nel 
languore  della  infermità  colle  delizie  dello  studio  ,  e 
colla  società  dei  suoi  amici.  Tra  i  varj  tributi  di 
rispetto  renduti  alla  di  lui  memoria  (2)  ,  basta  l'  ac- 
cennare ,  ch'egli  fu  annoverato  dall'Ariosto  tra  i  più 
celebri  letterati  del  suo  ternpo  (3). 


(l)  »  Non  ego  divitias  regum  ,  non  anxius  opto 
>5  Quas  Tagus  auriieris   in  mare  volvil  aqiiis  j 
>}  INec  magnos  ut  considea.m  spectandus  aniicos 

»  Inter  ,  purpureo  ciaclus  honore  caput  ; 
>»  Amplave  ut  inaumeiig  slrepitent  mea  tecta  minislris  , 

»'  Et  vis  mensa  ferat,  delitiosa  dupcs. 
>»  O  deciis  ,  o    nostra  spes  unica  ,  vitaque  sedi  , 

»  iNon  minor  hoc  ,   placidus  quem  rt-gis  ,   orbe  Leo 
»  Foriunae ,  tantum  dcderis  ,  Leo  maxime ,  quantum 
»  Parco  sufficiat,  si  mihi  ,  dives  ero.  »> 
Lo  slessiO  sentimento  yien  ripetuto  in    altra    lettera    diretta    a 
Bembo  ,  perchè  lo  raccomandi    al    Pontefice  ,    la    quale    co- 
mincia : 

»?  Cam  le  rector  amet  rector  Leo  maximus  orbis  «  eie. 
(a)  Multi  di  questi  trovansi    presso    Mazzucclidti    Scrittori 

d' u.  Val.  ir.  p.  573. 

(3)  Oli.  Fur.  Cani.  \6.  St.   il.    Sulla    tomba    di    Beazzarn 
»cUa  Chiesa  di  Tievigij  è  posto  il  segueule  epiiafio  : 


32 

Dalle  opere  di  Beazzano  si  raccoglie  ,  che  egli 
mantenne  una  continua  corrispondenza  letteraria  coi 
più  dotti  uomini  del  suo  tempo.  I  di  lui  scritti  latini 
sono  meritamente  preferiti  a  quelli  eh'  egli  lasciò 
nella  sua  lingua  nativa ,  i  quali  non  sono  spoe;lj  in- 
tieramente di  quella  rusticità  che  prevaleva  nella  pri- 
ma metà  del  secolo  XVI.  All'  Imperadore  Carlo  V. 
è  diretta  una  gran  parte  de' di  lui  Sonetti  ;  gli  altri 
«ono    dedicati   alle   lodi   di    Leon    X    (i)  ,    di    Pietro 


»>  Hospes,  Beatianus  hic  esi^  scis  caelera  :,  iium  lam 
lì  Durus  es  ,  ut  siccis  hinc  abeas  oculis  ? 
(t)  Può  essere  considerato  come  un  saggio    vantaggioso    del 
suo  sùle  il  seguente  sonetto   per  maialila  di  Leone  X  : 
5>  Re  del  ciel  ,  che  quaggiù  scender  volesti 
»>  Vestito  del  caduco  vel  terreno  , 
«  E  per  mostrarli  ben   cortese  a  pieno 
•»  Togliendo  a  morte  niiì  te  a  morte  desti  ; 
3»  L'  almo  Leon  ,  che  già  primo  eleggesti 

«  Fra  fanti  a  governar  elei  mondo  il  freno  , 
»»  Conserva  tal ,  che  se  non  d'  anni  pieno 
»»  Non  torni  ad  abitar  fra  li  celesti. 
»  Non  vedi ,  che  la  gente  sbt^TOtlita 

»  Gridando  piange  ,  e  prega   per  chi  tien* 
»»  In  dubbio  con  la  sua  la  nostra  vita  ? 
n  Perchè  s'  egli  si  tosto  a  morte  viene  , 
»?  Vedrem  d' ogni  virtù  per  ini  fiorita 
i>  n  fiore  ,  e  il  frutto  in  un  perder  la  spene.  " 
Le  opere  Latine  ,  eiì  lialiane  di  Beazznno  furono  stampate  ia 
UQ  volume  in  8.  sotto  il  titolo  :  De  lf.  cose  volga^ri  et  i.atitb 
r)EL  BeatiAno.    Venetiìa  per   Barlholorn.  ds    Zanettis  d>^  Bri- 
xia  anno  a  natimlale  Domìni  x^^S  die  decima  octoh.  — 'L'edi— 
sione  ,  che  porta  in  apparcnsta  la  data  del  i55i   non  fe  chp  la 
itrima  con  una  nuova  data. 


33. 

Bembo  ,  del  Marchese  del  Vasto  ,  ed  altri  distinti 
personaggi.  Tra  essi  ve  n'ha  alcuni  indirizzati  a  Ti- 
ziano celebre  pittore  in  termini  di  grandissima  stima, 
e  di  alta  ammirazione.. 

§  VI. 

Molza. 

Un  altro  autore  egualmente  celebre  per  le  sue 
opere  Latine  ,  ed  Italiane  ,  era  l'elegante  Francesco 
Maria  Mulza  ,  i  di  cui  scritti  hanno  un  carattere  più 
distinto  ,  che  quelli  di  molti  de'  di  lui  contempora- 
nei ;  e  colla  particolare  loro  tenerezza  ,  ed  espressio- 
ne ,  possono  meritare  al  loro  autore  il  nome  del 
Tibullo  de  suoi  tempi.  Egli  era  nato  a  IModena  di 
nobile  famiglia  nel  14^9,  ed  essendo  stato  mandato 
da  suo  padre  a  Roma  ,  avea  avuto  la  sorte  di  esser 
socio  ne*  primi  suoi  studj  coli'  eruditissimo  Marc  An- 
tonio Flaminio ,  uno  dei  migliori  poeti  Latini  di  quel 
tempo  (i).  Dopo  aver  fatto  straordinarj  progressi  nel 


Ct)  »  Fr.  Mariam  Molciam  Mutinensem  ,  et  M.  Aatonium 
lì  Flamiaium  adolescentem  adeo  bonanim  litLerariim  studio 
»)  inQammatos  video  ,  ut  assidue  ambo  vel  libios  evolvant  , 
»»  vel  aliquid  ipsi  componant.  De  utroque  magua  concipere 
J5  possumus  ,  nec  solum  hi  humanilatis  Uosculos  Jcgunt  ,  sed 
»>  ulierius  studia  sua  proferunt.  Franciscus  euim  posi  verna- 
»>  cula  ,  in  qiiibus  suàe  jam  eruditionis  certa  documenta  de- 
»)  dit  ,  Latina  Graecis  et  Hebraeis  conjungit  ,  et  licet  nimio 
»  plus  mulierum  amoribus  insanire  videatur  ,    iater    rarissima 

Leone  X.  Tom.  FU  3 


S4 

Greco,  e  nel  Latino,  ed  aver  ancte  acquistata  qual- 
che cognizione  dell'  Ebraico  ,  che  cominciava  allora 
a  studiarsi  in  Italia,  egli  fu  chiamalo  da  suo  padre 
a  Modena,  dove  nell'  anno  i5i2  egli  si  ammogliò, 
e  fissò  quindi  la  sua  residenza  (i).  Egli  si  era  tut- 
tavia già  distinto  con  diverse  produzioni  che  riscossa 
aveano  l' ammirazione  ;  ed  avendo  udito  celebrarsi  la 
liberalità  straordinaria  di  Leon  X  verso  gli  uomini 
di  talento  ,  e  quelli  particolarmente,  che  distingue- 
Tans!  nella  poesia ,  egli  fu  preso  da  un  invincibile 
desiderio  di  ritornare  a  Roma  ,  cosicché  ne  le  rimo- 
stranze de'  parenti  ,  ne  1'  amore  della  fftoglie  ,  e  dei 
figlj  poterono  trattenerlo  dalT  eseguire  il  suo  divisa- 
jnento.  Egli  giunse  quindi  in  quella  città  verso  la 
fine  dell'anno  i5i6  sotto  il  pretesto  di  attendere  ad 
una  lite  ,  nella  quale  era  involta  la  di  \\n  famiglia  , 
al  quale  oggetto  poco  dopo  mostrò  di  prestare  po- 
chissima cura  (a).  Egli  vi  fece  losto  conoscenza  'con 
Filippo  Beroaldo  Bibliotecario  della  Vaticana  ,  Sado- 
leto  ,  Bembo  ^  Caiacci^  Tchaldeo  ^  e  gli  altri  distinti 
letterati,  che  allora  trovavansi  in  Roma,  alla  di  cui 
società  egli  fu  sommamente  aggradevole.  In  quella 
situazione  sembrò  ,  eh'  egli  avesse  intieramente  dimeo- 


>»  tamen  ingenia  connumerandus.  >»  Lil.  Greg.  Gyraldus  de 
Poeiis  suor,  tcnip,  dial.  I,  Opp.  toni.  Jì.  pug.  54^  ed  Ltigd. 
Bat.  1696. 

(1)  Serassì  Vita  del  Molza  ,  in  fronte  delle  opere  volgari  e 
Ialine  del  Molza  pag.  4- 

(3)  lU.  ibid,  pag.  5  e  6, 


35 
ticata  la  patria,  i  parenti,  ìa  famiglia  ,  e  la  consorte, 
e  che  avesse  altresì  cangiato  £;li  slu  Ij ,  e  T  amore 
della  letteratura  collo  sfogo  di  una  licenziosa  pas- 
sione per  una  dama  Romana ,  in  conseguenza  di  che 
egli  ricevette  una  ferita  dalla  mano  di  un  assas- 
sino sconosciuto  ,  che  poco  mancò  non  gli  togliesse 
la  vita  (i).  Poco  dopo  la  morte  di  Leon  X  egli  ab- 
bandonò la  città  di  Roma,  xiiiitamentt'  a  molti  altri 
grandi  letterati  ,  i  t|uali  trovarono  in  Adriano  VI 
successore  di  Leone  un  Pontefice  ,  che  le  produzioni 
della  letteratura  ,  e  delle  arti  guardava  col  massimo 
disprezzo  (a).  Invece  tuttavia  di  tornare  alla  sua  fa- 
miglia ,  Molza  ritirossi  a  Bologna,  dove  poco  dopo 
egli  si  innamorò  altamente  di  Camilla  Gonzaga  donna 
di  gran  condizione  ,  e  di  grandissima  bellezza  ,  ed 
ammiratrii-e  appassionata  della  poesia  Italiana.  Dalle 
di  lei  attrattive  egli  fu  trattenuto  in  Bologna  due 
anni ,  benché  si  supponesse  ,  che  la  sua  passione 
fosse  puramente  del  genere  platonico  (ri).  La  vita  di 
Molza  sembra  essere  stata  intieramente  divisa  tra 
la  poesia,  e  la  dis^iipazione  (3).  Durante  lo  splendore 
passaggiero  del  Cardinale   Ippolito  de  Aledici    egli    fu 


(i)  Id.  pag.   IO  e   IT. 

(a)  Eppure  egli  era  slato  il  Precettore  di  Carlo  V  ! 

(a)  Sul  ritratto  di  quesa  Dama  M-ylza  scrisse  un  poemetto 
in  due  parli,  ciascuua  di  5o  sianze  ia  ol'ava  rima  ,  che  fu 
pubblicato  colle  di  lui  opere  Voi.  I.  p.  i3ì.  e  coatieae  molti 
passi  bellissimi. 

(3)  Egli  ebbe  la  sforluua  di  trovarsi  presente   al    miserando 


36 

uno  de'  più  chiarì  ornamenti  ctella  sua  corte  ,  e  col 
suoi  talenti  slraordinarj ,  e  colla  sua  vivacità  riscosse 
r  ammirazione  ,  e  si  conciliò  la  slima  ,  e  Y  affetto  di 
una  numerosa  schiera  d'amici  (i).  Dopo  di  avere  abbaa- 


sacco  di  Roma  ,  commesso  dai  banditi  sotto  il  Duca  di  Borbone 
nel  iSa^;  e  ne  fece  menzione  con  isdegno  in  una  delle  sue  elegie 
indirizzale  all'  amico  suo  Luif^i   Friuli  : 

»j  His  tecum  decuil  me  polius  vivere  in  oris, 

»>  Qaam  spedasse  urbis  funera  Romuleae  ; 
)>  Quam  saevas  acies  ,  truculenù  et  Teulonis  iras, 

»  Usiaque  ab  Hispano  milite  tempia  Deum. 
»  V'di   ego  Ves'ales  foedis  coulactibus  actas 

»  INequicquam  s.  arsis  exulularc-  cornisi 
»  Collaque  demissum  ferro,  gravibusque  catenis 
5j  Romana  sacra  procubuisse  via.  « 

Molzae  Opp-  torri.  II.  p.  169. 
(i)  Nojoso  sarebbe  il  raccogliere  tutti  gli  elogi  che  si  so!i  fatti 
di  Molza  ^  avendo  renduto  testimonianza  al  di  lui  merito  tutti 
gli  scrittori  pii!i  distinti  di  quel  tempo.  Alcuno  però  non  ve 
n'  ha  che  pifi  onorevole  sia  alla  di  lui  memoria  ,  di  quello 
del'a  virtuosa  e  gentile  Vittoria  Colonna  ,  la  quale  consacri 
due  dei  suoi  sonetti  a  compianger  la  morte  de'  genitori  di 
Molza  ^  i  quali  mancarono  di  vita  ambidue  pressoché  nel 
tempo  medesimo  ^  e  ad  eccitare  il  figlio  ad  immortalare  coi 
suoi  scritti  le  loro  virtù  : 

»  Opra  è  da  voi  con  1'  armonia  celeste 
n  Del  vostro  altero  suon ,  che  nostra  etade 
»>  Già  del  antico  onor  lieta  riveste  , 
j»  Dir   com'  cbber  quesl'  alme  libertnde 

)>  Insieme  a  un  tempo  .  e  come  insieme  preste 
j>  Volar  nelle  divine  aUe  contrade.  »» 

Son.   118.    Ed    del  Corin  l558. 
Non  dobbiamo  neppure  omettere  i  seguenli  eleganlissinu  Tersi 
del  suo  piirao  amico  Flanntào  i 


37 
donata  la  moglie ,  ed  i  fi^li  suoi  ,  e  di  essere  slato  dal 
proprio  padre  privato  della  eredità  ,  egli  terminò  al 
fine  i  suoi  giorni  per  quella  malattìa,  che  sommini- 
strò a  Fracastoro  il  soggetto  del  suo  mirabile  poema , 
al  quale  le  lagnanze  del  Molza  ,  espresse  in  \ersi 
di  eguale  eleganza  possono  servire  al  tempo  stesso  di 
supplemento,  e  di  commentario  (i)   (a). 


De  Francisco  Moha. 
n  Posterà  dum  numeros  dulces  mirabitur  aetas  , 
n  Sive  ,  Tihulle  ,  tuos  ,  sive,  Petrarca,  luos  5 
»>  Tu  quoque,  Molza,  pari  scraper  celebrabere  fama  , 

n  Voi  potius  titulo  duplice  major  eris  ^ 
»  Quicquid  enim  laudis  dedii  inclita  Musa  duobus 
»  Valibus ,  hoc  uni  donai  habere  libi,  n 

Flain.    Carni.   Lib.   II.    \c). 
La  sua  memoria  fu  anclie  onorata    dalla    penna   del    Conte 
Nicolò  d'  Arco  col  seguente  Epiia'lo  : 

»  Molza  jaces.  Musae  te  descendente  Latinae 
n  Flerunt  ,  et  Tuscis  miscueruut  lacrimas.  n 
(i)  In  una  delle  Elegie    indirizzate   al    Cardinale    Benedetta 
Accolti  ,  noi  troviamo  i  seguenti   non    equivoci    versi  ,    pieni 
altronde  di  espressione  : 

»  Tertia  nam  misero  jampridem  ducitur  aetas ,, 

«  Ex  qua  me  morbi  tìs  fera  oorripuit  ; 
«  Quam  lectae  nequennt ,  succisve  potenlibus  herhae  j 

»   Peliere  nec  magico  Saga  ministerio  , 
jj  Vecta  nec  ipsa  Indis  nuper  feliribus  arbor 

»  Una  tot  humanis  usibus  api  a  juvat. 
n  Decolor  ille  mcus  toto  jam  corpore  sanguis 

»'    '  ruit  ,  et  soliius  deserit  ora  nitor. 
»>  Quae  si  forte  modis  spectes  modis  pallantia  miris  ^ 

"  Esse  alium  quam  me  ,  tu  Benedicte  .   putas. 

n  Quid  referam  somni  ductas  sino  munere  nocte» 

»  Fugerit  atque  omnis  lumina  nostra  sapor  ' 


3Ò 

La    più    celebre   produzione    di    Moìza    In    lingna 
Itahaaa  è  11    suo    poemetto    pastorale    intitolalo  :    ta 


w  Et  to!.is  liausturo  frustra   cereale  papaver  , 

il  Misceri  et   aiedica  quicqniJ   ab  arie  solet  ? 

f»  Saevit  alrox  morbi  rabies  i,  tenerisque  medullis 

lì  Haeret ,  et  exhaustis  ossibus,  ossa  voratl  n 

Mnha  Opp.  1.  i3i. 
Porhi  giorni  avanti  la  sua  morie  egli  indirizzò  ancoi^  una 
pia  beila,  e  pateiica  elegia  ai  suoi  amici  i,  stampata  nelle  sue 
opere  *>  >/.  /,  ptig.  aia.  Che  Molzn  non  fosse  da'.o  per  t'd  modo 
agli  amori  licenziosi  ,  die  riiiunzialo  avesse  perciò  alle  spe- 
ranze di  una  fama  durevole.,  egli  è  evidente  solo  che  «i  legga 
uno  de'  suoi  sonetti ,  che  comincia  : 

»5  Alto  silenzio ,  ohe  a  pensar  mi  tiri  ,  »  ecc. 

•Opp.  Voi.  I  pag-  43. 
(a)  Per  quanto  coniar  si  possa  sul!'  esattezza  del  diligentis- 
simo  Serassi  ,  dal  quale  Y  Autore  di  questa  s'oria  ha  tratto 
le  notizie  di  Molza  ,  poìrebbe  nascere  qualche  dubbio  sulle 
cose  ,  che  si  annunziano  sulla  fìus  di  questo  paragrafo.  Che 
queir  uomo  di  lettere  poco  curasse  la  faniig'ia  .  ed  i  legami 
del  matrimonio.,  è  fuor  di  dubbio,-  ma  se  «vesse  del  tutto 
trascurato  anzi  in  qualche  modo  ripudialo  qualunque  relaziona 
di  famiglia ,,  se  abbandonato  avesse  la  prole  ,  se  fosse  stato 
diseredato  dal  padre,  e  dall'  aulori'à  paterna  punito  cosi  se- 
veramente del  suo  abbandono  :  come  mai  la  prudcnlissima , 
e  sapientissima  Vil.luria  Colcni.a  avrebbe  potuto  nel  suo  so- 
netto surriferito  pubblicamenie  eccitare  il  tìglio  ad  immortalare 
co' suoi  versi  la  memoria  do' suoi  gi?aitori  contemporaneamente 
defunti  ? 

Merita  riflessione  il  passo  dell'  elegia  riportato  di  sopra  :, 
nel  quale  si  accenna  1'  introduzione  di  una  nuora  pianta  me— 
diciu:de  venuta  allora  dalle  Indie  .  atta  a  moltissimi  usi  ^  la 
quale  noa  può  essere  ,  the  la  diinarhina  ,  o  rinchoiia  .  uno 
de'  doiù  più  preziosi.,  che  il  uuovo  mondo  ha  fatto  all'aulico» 


39 
Ninfa  Tiberina,  scritto  in  lode  di  Faustina  Mancini^ 
D.iiTia  Romana  ,  alla  quale  e^li  area  con-;acrato  i 
suoi  ardenti  ,  ma  volubili  affetti.  A.lcune  delle  suo 
canzoni  hanno  ancora  un  gran  merito  ,  ed  accoppiano 
lina  rara  forza  di  sentimento  ad  una  g'rande  sempli^- 
cita,  ed  eleganza  nell'espressione.  Questo  può  suffi- 
cientemente cortiprendersi  da  uno  di  qua'  componi- 
menti ,  il  quale  probabilmente  era  diretto  ad  Ippolito 
de'  Medici  ,  e  nel  quale  egli  si  duole  ,  che  il  suo 
giovane  protettore  non  approfitti  per  segnalarsi  co'suoi 
rari  talenti  di  quelle  opportunità  ,  che  gli  si  presen- 
tavano sotto  il  Pontificato  di  Leon  X.  Compiange 
al  tempo  stesso  la  perdita  improvvisa  di  quelle  spe- 
ranze ,  che  ispirate  aveano  le  virtù  ,  e  la  munificenza 
di  quel  Pontefice. 


Il  sig.  Ru'z .  che  ha  data  la  storia  delP  introduzione  di  quella 
«lauta  ,  avrebbe  poluto  approfiitare  di  quesLa  noiizia. 

Molza  non  fu  solo  licenzioso  nella  sua  condotta  ,  ma  lo  fu 
ancora  nei  suoi  scritti  ,  e  lo  j)rova  basianteraente  il  suo  ca- 
pitolo dei  fichi  .,  ossia  la  Fichcidc  del  ptidre  Siceo  ,  che  è 
Stalo  commentato  dal  Caro  sotto  il  nOuie  di  Ser  Agresto.  •— 
I  Lessicografi  Francesi  dicono,  eh'  egli  perdette  la  salute ,  e  laf 
vita  per  essersi  abbandonato  sregolai  amen! e  alle  cor'  giane  di 
Modena.  Essi  probabilmenLe  s'  ingannano ,  perchè  egli  dopo 
aver  lasciato  Modena  una  seconda  volta  non  tornovvi  a  sog- 
giornare. 

Tarquinia  Mnìza  di  lui  abbiatica  fu  celebre  per  la  sua 
belleiza  ,  per  la  sua  onestà  ,  per  la  sua  perizia  nelle  lingue 
latina  ,  greca  ed  ebraica  ,  e  per  le  sue  poesie  ,  che  trovans? 
stampale  con  quelle  dell'  avo  suo  nel  1760  in  2  voi.  in  8 


4o 

§  VII. 

Ariosto.  —  Suo  apologo  relativo  a  Leon  X. 

Mentre  molti  de'  più  distinti  letterati  d'  Italia  , 
condotti  dalla  generosità  del  Pontefice  areano  fissato 
la  loro  residenza  in  Roma  ,  il  celebre  Ariosto  ,  il 
primo  favorito  delle  muse,  e  la  gloria  dell'  età  sua  , 
rimaneva  a  Ferrara  ,  attaccalo  alla  corte  del  Cardi- 
nale Ippolito  d'  Este  ,  al  di  cui  servigio  egli  era  en- 
trato fino  dall'anno  i5o3  (i).  Durante  questo  periodo 
egli  avea  disimpegnalo  molle  importanti  incombenze 
per  Alfonso  Duca  di  Ferrara  tanto  in  oggetti  civili 
che  militari,  ed  avea  corso  in  quelli  egiial  pericolo, 
che  in  questi  ,  particolarmente  ndla  sua  ambasciata 
a  Roma  nel  i5i2  per  calmare  lo  sdegno  dell'ira- 
scibile Pontefice  Giulio  11  (2).  La  lunga  amichevole 
corrispondenza ,  che    sussistito    avea    tra    T  Ariosto   e 


(i)  Sopra  Volume  I.  Capo  II.  p.  lìo  ,  e  i3i.  Nell'anno 
i5o7  egli  fu  mandato  dal  Cardinale  Ippolito  a  Mantova  a  con- 
gratularsi con  sua  sorella  Isabella  ci' /isfe  moglie  del  Marchese 
Francesco  Gonzaga  sulla  nascila  di  un  Tglio.  Una  lettera  di 
Isabella  a  suo  fratell.)  .  che  ancora  rimane  ,  mostra  che  a 
quel  tempo  Ariosto  avea  fatto  progres-^i  considerabili  nel  suo 
gran  Poema  epi(;o  ,  alcune  parti  del  quale  egli  lesse  per  loro 
tratteniraeulo.  Onesta  lettera  h  anche  degna  di  no'izia  ,  come 
la  produzione  di  una  donna  elegante,  e  gen  ile,  e  cha  era  di 
altissimo  grado  in  l'alia.  Appond    N.  CLXII. 

(2)   Sopra  Volume  HI.  Capo  IK.  p.  j59. 


4i 

Leon  X  prima  della  sua  elevazione  al  Pontificalo 
indusse  il  poeta  poco  dopo  questo  avvenimento  a 
recarsi  a  Roma  eolla  lusinga  di  provare  gli  effetti 
di  quella  bontà  ,  che  tanto  liberale  facevasi  ve- 
dere con  altri  di  merito  molto  inferiore.  Leone  ri- 
conobbe r  antico  suo  amico  ,  ed  alzandolo  da  terra  , 
e  baciandogli  1'  una  e  1'  altra  guancia  ,  assicurollo 
della  continuazione  del  suo  favore  ,  e  della  sua 
protezione  (i).  Il  favore  del  Pontefice  tuttavia  in 
questa  occasione  non  si  estese  se  non  alla  conces- 
sione di  una  bolla  ,  colla  quale  gli  venivano  assi- 
curali gli  emolumenti  prodotti  dalla  pubblicazione 
del  suo  celebre  poema.  Ma  se  deluse  furono  le  aspet- 
tative ardenti  del  poeta  ,  il  suo  buon  senso  presto 
lo  convinse  che  la  colpa  non  era  del  tutto  imputabile 
al  Papa;  e  mentr'egli  descrive  colla  maggiore  vivacità 
la  demolizione  delle  sue  speranze,  somministra  i  ma- 
teriali per  un'  apologia  del  Papa  anche  in  mezzo 
ai  suoi  sarcasmi.  ,,  Alcune  persone  ,  die'  egli  nella 
sua  satira  epistolare  ad  Annibale  Malaguzzl  {2) ,  ,,  non 
„  lascieranno  di  osservare,  che  se  io  fossi  andato  a 
p,  Roma  in  cerca  di  benefi?zj  ,  io  avrei  potuto  accat- 
,,  tarne  più  d'uno  avanti  quelF  epoca  ,  essendo  io 
5,   stato    specialmente  in  gran  favore  presso   il    Papa 


(i)  >ì  Piegossi  a  me  da  la  beata  Sede 

»  La  mano ,  e  poi  le  gole  ambe  rai  prese  , 
»  E  '1  sanie  bacio  in  amendue  mi  diede.  » 

Ariosto  satira  IH,  ad  An.  Malaguz^i. 

(a)  Jtriogto  Satira  HI 


5,  (la  molto  tempo ,  e  collocato  tra  i  suol  antìcìiì 
„  amici  prima  che  le  sue  virtù,  e  li  sua  buona  for- 
j,  luna  Io  esaltassero  a  quell'alta  dignità,  che  i  Fio- 
5,  rentini  gli  aprissero  le  porte  ,  o  che  suo  fratello 
5j  Giuliano  si  rlfugi;}sse  alla  corte  d'  Urbino  ,  dove 
„  egli  alleviava  le  pene  del  suo  esilio  coli'  autore 
,,  del  Cortigiano ,  con  lìcwho  ,  e  con  allri  favoriti 
,,  d'  Apollo.  Allorché  poi  j  Medici  alzarono  di  nuovo 
,,  la  fronte  in  Firenze  ,  od  il  Gonfaloniere  fuggendo 
„  dai  suo  palazzo  trovò  la  sua  rovina  ,  e  quando  il 
j,  Cardinale  de'  Medici  venne  a  Roma  a  prendere  il 
,,  nome  di  Leone,  egli  mi  conservò  ancora  il  suo 
,,  attaccamento.  Sovente  egli  parlavami  allorché  era 
,,  legalo ,  non  altrimenti  che  s  io  fossi  stato  suo  fra- 
,,  tello.  Per  questa  ragione  può  riuscire  strano  ad 
,,  alcuno,  che  n  di' atto  ch'io  gli  feci  una  visita  in 
,,  Roma  ,  egli  abbia  umdiato  il  mi?  orgoglio  ;  ma  a 
5,  questi  io  risponderò  con  uà  racconto.  Leggetelo  , 
5,  amico  mio  ,  giacche  il  leggerlo  è  a  voi  meno  in- 
j,j  coTnodo ,   che  a   me  lo  scriverlo. 

,,  Eravi  un  tempo  ,  in  cui  la  terra  era  cosi  arsa 
j,  per  r  eccessivo  calore ,  che  sembrava  che  Febo 
y^  avesse  di  nuovo  abbandonate  le  redini  a  Fetonte. 
,,  Ogni  pozzo ,  ogni  fontana  era  secca.  I  ruscelli ,  ed 
,,  i  torrenti,  e  perfino  qualunque  più  celebre  fiume 
,,  poteva  essere  attraversato  senza  che  Ci  cesse  d' uopo 
5,  di  ponte.  In  quei  tempo  viveva  un  pasloi'e  ,  io 
,,  non  so  bene  se  ricco  dovesse  dirsi  ,  o  imbarazzato 
5,  di  greggie  ,  e  d' armenti  ,  il  quale  avendo  per  lungo 
j,  tempo  cercato  l'acqua  in  vano,   le   sue    preghiere 


4^ 

„  rivolse  alfine  a  quell'  Essere  cKe  mal  nod  aLban- 
„  dona  coloro  che  in  esso  ripongono  la  loro  fede ,  e 
,,  per  favore  del  cielo  egli  fu  istrutto  ,  che  trovato 
„  avrebbe  1'  acqua  in  fondo  ad  una  valle  ,  che  gli 
„  era  stata  indicata  col  divino  ajuto.  Egli  partì 
,,  dunque  immediatamente  colla  moglie ,  i  figlj ,  ed  il 
,,  bestiame  ,  e  secondo  la  sua  aspettazione  trovò  la 
,,  fontana.  La  sorgente  però  non  era  molto  ricca  , 
,,  ed  avendo  egli  un  solo  piccolo  vaso  per  dispensare 
,,  l'acqua,  richiese  i  suoi  compagni  che  non  avessero 
j,  a  male  se  egli  volea  per  se  il  primo  sorso.  Il 
,,  secondo,  diss'egli,  è  per  mia  moglie,  ed  il  quarto 
,,  pei  miei  cari  figlj  finche  la  loro  sete  sia  soddisfatta. 
,,  Il  resto  sarà  distribuito  tra  quegli  amici  miei,  che 
,,  mi  hanno  prestato  assistenza  nell' aprire  la  sorgente. 
,,  Egli  quindi  ponea  mente  al  suo  bestiame  pì'endendo 
,,  cura  di  soccorere  quegli  animali  pei  primi  ,  la  di 
,,  cui  morte  gli  avrebbe  cagionata  una  grandissima 
,,  perdita.  Con  quest'ordine  essi  passavano  a  bere 
,,  r  uno  dopo  r  altro.  Alfine  un  povero  pappagallo  , 
,,  che  era  mollo  amalo  dal  suo  padrone  si  pose  a 
,,  gridare:  Ohimè!  Io  non  sono  uno  de' suoi  parenti , 
,,  né  lo  ho  assistito  nello  scavare  la  fonte  ,  ne  io 
,,  posso  essere  di  maggior  servigio  al  padrone  in  fu- 
,,  turo  di  quello  che  io  sia  slato  ne'  tempi  passali. 
,,  Altri  ,  come  ben  veggo  ,  sono  assai  più  avanti  di 
,,  me,  ed  io  morrò  di  sete,  se  non  posso  ottenere 
„  da  altra  parie  soccorso.  Con  questo  risconto  voi 
,,  potete,  mio  buon  cugino,  far  tacere  ausili,  i  quali 
,,  si  avvisano  che  il  Papa  dovesse  preferirmi  ai  ISeri^' 


44 

„  ai  Vanni,  ai  Lotti  ,  ed  ai  Baci  (i)  suoi  nipoti,  e 
,,  parenti  ,  i  quali  deggiono  bevere  prima  ,  e  quelli 
„  dopo  di  loro  ,  die  lo  hanno  assistilo  nel  rivestirlo 
^,  del  più  ricco  di  tutti  i  mantelli.  Quando  questi 
,,  saranno  soddisfatti  »  egli  vorrà  favorire  coloro  , 
j,  che  sposarono  la  di  lui  causa  conlra  Soderini  al 
j,  di  lui  ritorno  in  Firenze.  Alcuno  dirà,  io  era  con 
5,  Pietro  in  Casentino  ed  ho  evitato  a  slento  di 
,,  essere  preso  ,  ed  ammazzato.  Io,  grida  Brandino  ^ 
„  lo  ho  assistito  con  danaro.  Egli  ha  vissuto,  escla- 
j,  ma  un  terzo  ,  un  anno  intiero  a  mia  spesa  ,  nel 
,,  qual  tempo  io  gli  somministrava  armi  ,  vestiti  , 
,,  danari ,  e  cavalli.  Se  io  deggio  aspettare  finché 
j,  tutti  questi  sieno  soddisfatti ,  io  morrò  certamente 
j,  di  sete,  o  vedrò  la  fonte  esausta.   ,, 

Si  raccoglie  tuttavia  da  molti  altri  passi  delle  sue 
satiro ,  che  Ariosto  mostrò  il  suo  malcontento ,  al- 
ludendo in  essi  al  suo  viaggio  a  Roma  con  piacevo- 
lezza insieme  ,  e  con  una  specie  di  cruccio.  Egli  è 
certo  ,  che  la  magnificenza  del  Pap^  non  corrispose 
in  alcun  modo  a  quel  tenero  ,  ed  affettuoso  ricevi- 
mento ,  nhe  il  poeta  avea  sperimentato  al  suo  arrivo. 
La  concessione  di  un  privilegio  Pontificio  per  assi- 
curargli il  solo  diritto  di  slampare  la  sua  grand'opera, 
la  Lolla  della  quale  ,  come  egli   minutamente    ci    in- 


(;)  INon  sono  questi  nomi  di  nobili  famiglie  Firentine  come 
alcuno  ha  supposto  .  ma  bensì  diminutivi  di  nomi  comuni  , 
come  Gì  vallili  ,  B  irtn/n'^?>rr, .  Lan'r/;tfo  ecc.,  dinotanti  affe- 
zione. (La  co«a  però  sea)I)ra  mollo  dubbia). 


45 

forma  fu  spedita  a  spese  sue  proprie  (i) ,  non  era 
sicuramente  un  grande  sforzo  della  bontà  di  quel 
Principe.  EjììIì  è  tuttavia  Len  chiaro  per  gli  scritti 
medesimi  dell'  Ariosto  ,  che  egli  avea  una  dose  con- 
siderabile di  quella  impazienza  ,  ed  irritabilità  ,  che 
sono  i  compagni  soliti  dell'  ingegno.  Dopo  avere 
aspettato  porhi  giorni  in  Roma  nella  lusinga,  che  ij 
Paj|»a  avrebbe  liberalmente  provveduto  una  persona  , 
per  la  quale  mostrava  riguardi  tanto  straordinarj  , 
egli  partì  in  fretta  con  ferma  risoluzione  di  non  più 
ritornarvi  (2).  Si  ha  tuttavia  sufficiente  motivo  di 
credere ,  che  Ariosto  sperimentasse  in  diversi  tempi 
la  liberalità  del  Pontefice  ,  ed  in  particolare  che 
Leone  gli  donasse  alcune  centinaja  di  corone  per  le 
spese  della  pubblicazione  del  suo  immortale  poema  (3), 


^l)  n  Di  mezza  quella  bolla  anco  cortese 
»  Mi  fu  ,  de  la  qual  ora  il  mio  Bibiena 
J5  Espedito  m'ha  il  resto,  a  le  mie  spese. 

Satira  JH. 
(?)  n  Venne  il  di  che  la  Chiesa  fu  per  moglie 
»  Data  a  Leone  ,  ed  a  le  nozze  vidi 
'»  A.  tanti  amici  miei  rosse  le  spoglie. 
»  Venne  a  calende,  e  fuggi  innanzi  a  gli  idi  j 
n  Fin  che  me  ne  rimembra  ^  esser  non  puote 
n  Che  di  promessa  altrui  mai  pili  mi  fidi. 
n  La  sciocca  speme  a  le  contiade  ignote 
"  Sali  del  ciel  ,  quel  di  che  '1  pastor  santo 
n  La  man  mi  strinse  ,  e  mi  baciò  le  gole.  »» 

Salirà    VI. 
(3)  I  favori  conferiti  da  Leone  all'   4riosto    vengono  riferiti 
da  Gabriello  Siineo/U  nella  sua  satira  sopra  1'  avarizia. 


46 

E'  pure  certo  die  il  malcontento  eia  esso  descritto 
con  frasi  tanto  vivaci  non  eccitò  nel  generoso  petto 
deW  Ariosto  alcuna  specie  di  animosità  verso  il  Pon- 
tefice ,  che  egli  spesso  rammenta  ne'  susseguenti  suoi 
scritti  coi  sentimenti  della  j>in  alla  venerazione  ed 
anche  di  applauso  (i). 

§.  Vili. 

Ariosto  vìsita  Firenze.  —  È  privato  di-i'  suoi  stipendj 
del  Cardinale  Ippolito  d  Fste.  —  Stahdisce  la  sua 
residenza  in   Ferrara. 

Nel  lasciare  Roma  Ariosto  non  tornò  immediata- 
mente a  Ferrara,  ma  visitò  Firenze,  dove  egli  tro- 
vossi  presente  alle  feste,  che  in  quella  città  ebbero 
luogo  per  r  elevazione  di  Leon  X.  Egli  vi  rimase 
almeno  sei  mesi  ,  e  probabilmente  più  a  lungo  ,  al- 
lettato dall'aria  felice,   e    dalla  situazione  del  paese, 


»>  Successe  a  lui  Lian  poi  lume  e  specchio 
j>  Di  cortesia  ,  che  ui  la  cagioa  prima , 
>j  Che  aW  Ariosio  ancor  porgiam  orecchio.  » 
II  che  è  spiegalo  da  una    noia    marginale    in  questa  forma: 
»  Leon  X  donò  all'  Ariosto  per  fornire  il  suo  libro  più  cen- 
si linaja  di    scudi    jr.    Muzzucchelli   Scritt.    d'Ital.    nell'Art. 
Ariosto  T.  II.  pi  io63. 

(i)  Il  suo  aliaccamento  alla  famiglia  de  Medici  in  generale, 
ed  a  Leon  X  ia  particolare  ,  apparo  dalla  sua  bella  canzone 
in  morte  di  Giuliano  de' Meditai  ^  già  da  noi  prodotta  nella 
Appendice  N.  CXXXYL 


47 
dalla  bellezza  tlelle  donne,  e  dalle  maniere  gentili 
degli  abitanli;  ed  iilla  sua  partenza  celebrò  in  una 
bella  poesia  i  comodi  ed  i  piaceri  che  goduto  vi  avea  , 
che  per  quanto  sembrava,  erano  sufficienti  a  bandire  dal 
di  lui  animo  tutte  le  angoscio,  eccettuate  quelle  del- 
l'amore (i).  Al  suo  arrivo  a  Ferrara  egli  si  atLaocò  di 
nuovo  al  servigio  del  Cardinale  Ippolito  ,  il  che  tuttavia 
non  lo  trattenne  dal  finire  il  poema  ,  al  quale  avea 
per  sì  lungo  tempo  dato  opera  ,  e  che  egli  pubblicò 
a  Ferrara  nell'anno  i5i5.  Se  Y  Ariosto  era  stato  di- 
sgustalo per  la  condotta  di  Leon  JSC,  egli  ebbe  mollo 
maggior  ragione  di  dolersi  della  illiberalità  ,  e  della 
insensibilità  del  Cardinale  suo  principale  protettore  , 
al  quale  egli  avea  dedicato  \  opera  sua  ia  termini 
di  altissima  commendazione.  Questi  invece  di  accor- 
dargli qualche  ricompensa  per  le  sue  fatiche ,  gli  do- 
mandò colla  indeffereuza  di  una  stupida  curiosità,  dove 
avesse  raccolto  tante  assurdità  (2)   (a).    Questo   segno 


(i)  »  Gentil  città  ,  che  oca  felici  auguri ,  eco. 

Ariosto  lì'une  ,  ptjg.   /(O  ,  ed.    T'^inegia    iSS^. 

(2)  Dou3  diavolo  messer  Lodoi^ico  auete  pigliate  tante  co- 
glionerie ?  Mazzucclielli  ha  alterato  ia  qualche  cìodo  la  fra- 
seologia del  Cardinale,  il  quale  secondo  il  di  lui  racconio  , 
cljiese  air  Ariosto  :  Dande  mai  ai^essc  egli  Irouate  tante  min- 
chionerie? Srritt.  d'  halli  T  II.  p.  1069.  Ma  si  può  cre- 
dere, che  l'aneddoto  sia  certo,  e  che  i  meriti  HtW  Ariosto  y 
siccome  quelli  di  MiLon^  e  di  tutti  gli  altri ,  il  di  cui  ingegno 
era  superiore  al  caialiere  de'  loro  lem.pi  ,  non  fosse  sufiicien- 
temente  riconosciuto  durante  la  loro  vita.  »  Cosi  fa  il  raouJo 
»  degli  huomini  5  non  gli  conosce  mai  3  se  bou  quando  gli  ha 


48 

di  disapprovazione,  non  compensato  da  alcun  atto 
di  gentilezza  per  parte  del  Cardinale  ,  affettò  gran- 
demente il  poeta ,  il  quale  nella  seconda  edizione  del 
suo  poema  espresse  il  suo  sentimento  con  una  im- 
presa ,  o  divisa,  nella  quale  egli  rappresentò  un  ser- 
pente verso  il  quale  si  stende  una  mano  ,  che  tenta 


«  perduri  Vedi  come  stava  il  povero  Ariosto,  uomo  excellente; 
n  leggi  i  suoi  scriui ,  e  vedi  se  il  mondo  lo  conosceva.  Se 
risusci'asse  oggi  ,  ogni  principe  lo  vorrebbe  appresso  ,  ogni 
iì  persona  1*  onorerebbe.  »  Doni  la  Zucca  p.  io5.  presso  Maz~ 
zucchi'lli  Scria.  (V  Ital.  T.  II.  p.  1069.  Pietro  Aretino  in 
una  lettera  a  Dolce  riferisce ,  che  una  espressione  simile  a 
quella  usala  dal  Cardinale  fu  applicala  da  uno  de^  suoi  ser- 
vidori alla  pavafrai^i  di  Aretino  medesimo  dei  selle  salmi  pe- 
nitenziali, n  Un  mio  servitor  ,  sentendo  leggere  i  miei  salmi; 
n  disse  :  Mi  non  so  u'  diavolo  il  padron  si  catti  tante  baga^^ 
Ielle.  »  Bailli't  jugemens  de  Scivants  T.   IV.  p.  48. 

(a)  Il  sig.  Roscoe  peritissimo  nella  lingua  Italiana  non  ha  ben 
inleso  il  suono  di  questa  frase,  e  di  questa  voce,  che  siccome  scur- 
rile, e  disusa  a  dai  buoni  scrittori,  egli  non  era  obbligalo  a  cono, 
srei  e.  Il  Cardinale,  che  non  era  fornito  ne  di  dottrina,  né  d'in— 
geguo  ,  con  quella  frase  lasciala  probabilmente  sfuggire  senza 
riflessione  ,  non  volle  già  dire  che  il  libro  fosse  pieno  di  as- 
surdità .  come  ha  tradolio  il  sig.  Roscoe  ,  ma  bensì  di  stra- 
vaganze ,  o  di  bagallelle  ,  come  più  avvedutamente  disse  il 
domestico  di  Aretino,  seppure  a  questo  scrittore  può  credersi 
r  aneddoto  ,  che  egli  probabilmente  ha  inserito  per  mettere 
maggiormente  in  ridicolo  i  salmi.  Del  rimanente  il  sig.  Roscoe 
ha  credulo  alterala  la  frase,  o  la  maniera  di  dire  ,  tal  quale 
è  riferita  da  Mazzucchelli  ,  che  è  la  slessa  slessissima  del- 
l' originale ,  se  non  che  il  casligatissimo  Mazzucchelli  ha 
voluto  ia  qualche  parte  temperare  la  scurrilità  delP  ultima 
parola. 


49 
con  un  pajo  di  forbici  di  tagliiro    la   sua    testa,    eJ 

è  circondala  dal  motto  prò  Boyo  malu.v.  Questa  di- 
visa ,  nella  quale  sembrava  alludere  alla  supnost.i 
TÌrtù  medica  del  serpente,  egli  cangiò  nella  nuova 
edizione  in  altra,  clie  forse  credette  più  facile  ad 
intenflersi  generalmente  ,  e  che  rappresentava  le  per- 
dute sue  fatiche  colf  emblema  di  un'  arnia  d'  api , 
che  veniva  distrutta  colle  fiamme  ad  Oiisetto  di  to- 
gliere  loro  il   miele   (i). 

Nell'anno  i5i8  il  Cardinale  Ippolito  d  Este  ìnln- 
prese  un  viaggio  in  Ungheria  ,  nel  quale  egli  voleva 
essere  accompagnato  dalle  primarie  persane  della  sua 
corte,  e  tra  le  altre  dnW  Ariosto.  Il  poeta  non  era 
tuttavìa  inclinato  a  fare  un  simile  sacrifizio  del  suo 
tempo,  del  quale  egli  ben  cnnoscea  il  valore,  o  della 
sua  silute,  la  quale  era  allora  in  uno  stato  molto 
precario  ,  per  far  piacei'e  ad  una  persona  ,  che  noa 
sembrava  meritare  il  di  lui  attaccamento.  Per  questo 
rifiuto  egli  non  solo  perdette  il  favore  del  Cardina- 
le, ma  incorse  altresì  il  suo  risentimento  ,  il  quale 
si  rese  manifesto  col  privare  il  poeta  del  miserabile 
stipendio  di  venticinque  corone  (a) ,  che  il  Cardina- 
le, per  quanto    sembra,    gli    accordava    ogni    quattro 


(i)  Questi  eaiblemi  sono  stati  perpetuali  nel  rovescio  di 
due  diverse  Medaglie,  rappresenianù  l' immngine  del  poeta  , 
ohe  sono  state  inserite  nel  museo  Diuzzuccheiù'ano  V.  I.  pa- 
gina 209  T.  37. 

(a)  Non  so  perchl-  il  traduttore  Francese  abbia  apposto  ;! 
numero  di  sessantacincjue  invece  di  venticiutjue. 

LiONE  X.  Tom.  ni.  4 


5q 

mesi  ,  ma  che  il  poeta  non  avea  senmyre  la  buoni 
sorte  di  conseguire.  Questo  avveaimento  somministrò 
ad  Ariosto  il  soggetto  della  prima  Sua  satira ,  nella 
quale  egli  si  è  esteso  alla  censura  con  molta  piace- 
volezza ,  colla  più  attraente  semplicità ,  e  con  uno 
spirito  inimitabile  ;  in  essa  egli  dichiara  la  sua  riso- 
luzione di  conservare  la  sua  independenza  tanto  della 
persona  che  dello  spirito ,  e  di  ritirarsi  dalle  turbo- 
lenze della  corte  alla  tranquillità  della  vita  privata. 
Egli  lasciò  quindi  Ferrara  ,  ed  andò  a  risedere  nel 
suo  paese  natio  di  Reggio  ,  applicandosi  solo  al  suoi 
Sludj  ed  al  suoi  piaceri  ,  ed  in  quella  situazione  rv- 
mase  fino  alla   morte  del  Cardinale  (i). 

La  perdita  del  suo  protettore  sembra  che  fosse  il 
principio  della  felicità  dell'  Ariosto.  Immediatamente 
dopo  questo  avvenimento  egli  fu  chiamato  di  nuovo 
a  Ferrara  dal  Duca  Alfonso ,  il  quale  volea  apparen- 
temente compensare  la  trascuranza  di  suo  fratello, 
ed  accordò  all'  Ariosto  un  posto  rispettabile  nella  sua 
corte,  senza  esigere  dal  medesimo  alcun  servigio,  che 
turbare  potesse  o  interrompere  i  di   lui  studj  (2).  La 

(i)  A  questo  felice  periodo  della  sua  fita  egli  allude  uelloi 
IV.  Sati.a. 

»  Già  mi  fur  dolci  inviti  a  empir  le  carie 
>j  I  luoghi  ameni  ,  di  che  il  nosuo  Reggio  , 
ti  II  natio  nido  mio  n^  ha  la  sua  parte,  n 
j>  Cercando  hor  questo  et  hor  quel  loco   opaco, 
j>  Quivi  in  più  d'una  lingua,  e  in  più  d'  uvj  stile, 
n  Rivi  trahea  fin  dal  Gorgoni©  laco. 
(a)  »  Il  servigio  del  Duca  ,  da  ogni  [larte 

»  (>he  ci  sia  buona  ,  più  mi  piace  in  quesLa. 
w  Che  dal  nido  ualio  raro  si  parte,  j-- 


5i 
liberalità  del  Duca  pose  ben  presto  il  poeta  in  istato 
di  fabbricarsi  una  casa  nella  città  di  Ferrara ,  nella 
facciata  della  quale  egli  collocò  una  iscrizione  con- 
veniente alla  modesta  abitazione  di  un  poeta,  e  con- 
sentanea pure  alla  moderazione  ed  alla  independenza 
del  suo  proprio  carattere  (i).  N;dla  sua  residenza,  e 
nei  giardini  a  quella  annessi  egli  si  consacrò  con 
nuovo  ardore  ai  suol  lavori  letterarj  ;  compose  i  canti 
addizionali  del  suo  Orlando ,  e  pose  in  versi  le  due 
commedie  la  Cassarla  ,  ed  i  Suppositi ,  che  egli  avea 
nella  sua  gioventù  scritte  in  prosa.  Poco  dopo  la 
morte  di  Leon  X  i  suoi  piaceri  furono  per  breve 
tempo  interrotti  da  una  missione  nel  distretto  di 
Garfagnana  parte  del  territorio  di  Ferrara  (a) ,  dove 
egli  fu  mandato  dal  Duca  ,  affine  di  sedare  colla  sua 
famigliarità ,  e  coli'  autorità  sua    un    tumulto    insorto 


9)  Perciò  gli  sludi  miei  poco  molesta  , 
>j  Né  mi  toglie  ,  onde  mai  lutto  partire 
J5  Non  posso  ,  perchè  il  cor  sempre  si  resta,  jj 
(i)    Il    centro    della    tacciala    della    casa   porla    la    seguenle 
iscrizione  : 

Parva.,  seu  afta  mihi;  sed  nulli  obsoxia  ^  sed  nqiv 
Sordida  5  parta  meo  sed  tamen  aere  domus. 
Sulla  più  alta  parte  del  frontespizio  sta  scritto. 
Sic.  Domus.  Haec 
Areostea. 
Propitios. 
Deos.  Habeat.  Ohm.  Ut. 
Pindarica. 
(a)  O  piuttosto  di  Modena  ,  che    allora    trovavasi    sotto    il 
dominio  dei  Duchi  di  Ferrara. 


Sa 

tra  gli  abitanti,  nel  clie  i  suoi  sforzi  ottennero  l'ef- 
fetto desiderato  (i)  ;  ma  la  città  di  Ferrara  seguilo 
ad  essere  la  sua  residenza  fino  alla  morte  ,  che  av- 
venne alli  6  di  giugno  i533  nel  cinquantesimo  nojip 
anno  dell'  età  sua. 

§  IX. 

Effetti  prodotti  dalle  opere  dell  Ariosto  sul  gusto, 
universale  dell  Europa. 

Sarebbe  superflua  qualunque  osservazione  su  di 
un'opera  tanto  ben  ronos  iuta,  e  tanto  universal- 
mente letta,  qual'è  [Orlando  furioso  (2);  e  dt;i  com- 


(1)  A  questa  missione  alludi^  j4riri.<tn  ne'Ia  IV  sua  satira  , 
nella  quale  si  lagna  dell'  inlerroiiìpimenlo  de'  suoi  studi  dalla 
medosima  cagionato .  e  della  lontananza,  nella  quale  si  trovava, 
della  sua  amica.  Egli  amraeUe ,  che  quella  incombenza  era 
molto  onorevole  ,  e  lucrativa .,  ma  dice  trovarsi  egli  nella  si- 
tuazione del  Callo ,  rhe  rinvoniUo  avea  un  diamante ,  o  di 
qu.l  nobile  Veneziano  ,  al  quale  il  re  di  Portogallo  avea  re- 
galalo un  cavallo  arabo. 

(2)  Per  avere  un  ragguaglio  dtille  varie  edizioni  di  questo 
celebre  poema  dopo  la  sua  prima  publìlicazione  fatta  in  Ferrara 
per  Lodouico  Mazzoccho  nel  i5i5  in  l\ ,  si  può  ricorrere  ai 
bibliografi,  ed  agli  scrittori  della  Storia  Letteraria  d'  Italia  , 
in  particolare  a  Mazzucchelti ,  che  ha  registrato  non  meno 
di  ses^antasette  edizioni,  fatte  fino  all'anno  i^SS  ,  delle  quali 
si  giudica  la  migliore  quella  ,  che  h  arricchita  coi  disegni  di 
Oirnlamo  Porm  stampata  in  Venezia  appresso  F'rancc'^co  di 
Franceschi  iSS^  in  /j.  (  Questa  è  un'edizione  rara,  e  che  può, 


53 
|>onimeiili  satirici  e  lirici  deìY  Ariosto  qualche  sa^jgio 
si  è  dato ,  applicabile  agli  avvenimenti  de'  div(  rsii 
periodi  di  questa  storia  (i).  Al  pari  di  molti  de'  più 
grandi  letterati  del  suo  tempo  egli  dedicò  una  por- 
zione del  suo  ozio  letterario  alle  composizioni  Iali- 
ne ,  ma  sebbene  alcune  delle  sue  produzioni  in  quella 
lingua  abbiano  molto  merito  (2)  ,   egli    è  nelle  opere 


dirsi  di  lasso  ,  ma  non  può  dirsi  la  hiif;liore  per  ciò  ,  che 
spetta  alla  lezione  corretta  del  testo,  f'iggansi  le  note  addi' 
zio  nuli  ) 

Q\)  Le  Satire  «ìell'  Ariosto  non  furonf)  ptihhlirale  se  nott 
dopo  la  morte  dell'  Aulore  nel  i'Ì34.  Qiiesla  eclizione  è  inti- 
tolaa  ;  Le  Satire  di  M.  Ijodnvir.o  Ariosto  ,  volgari  i^  in  terza 
rima.,  di  nuoi>o  stampale:,  nel  mese  di  octobre  ,  M.  D.  TiXXIIIIj 
dal  che  si  potrebbe  inferire  ,  che  fossero  slate  stHriipale  dap- 
prima^ sfe  non  si  sapesse  esser  questa  una  frase  frerjuenn'ssima 
è  come  uno  stile  degli  stampatori  di  quel  tempo  ,  e  che  molti 
esempj  allegar  si  possono  ,  nei  quali  quella  f.ase  è  siala 
usata,  mentre  l'opera  non  era  s'ata  giammai  pubblicata  colle 
stampe.  Qwelle  salire  sono  stale  inserile  tra  i  libri  proil)iti 
dalla  Roniana  Sede  ,  ma  questo  non  ha  impedito  ,  che  molle 
edizioni  se  ne  facessero  in  appresso  ,  alcinie  delle  quali  sono 
state  pubblicate  in  Venezia  in  diverse  epoche  tanto  separaia- 
meuie  ,  quanto  unite  colle  sue  liriche  poesie  ,  ed  altre  opere, 
t  2  ^  Le  poesie  la,  ine  dell'  Ariosto  di\ise  in  due  libri,  sonò 
Sta  e  raccolte,  è  pubblicate  da  Gio.  Battista  Pigna  uniiamen  e 
ai  di  lui  proprj  poemi  ,  ed  a  quelli  di  Celio  Calcagnini  in 
Venezia  ex  officina  Erasmiana,  da  V^incenzo  Val^risi  nel 
i  '^3  in  8.  Giratdi  qualifica  que' poemi  siccome  ingcniosa  scd 
d:iriuscula ,  de  poel.  suor,  tempor.  Dial.  1.  (  Per  convincers  £ 
dt.'a  verità  di  questa  asserzione  basta  leggere  f  elegia  ad 
Ei  ole  Strozzi  sulla  morte  di  MaruUo,  inserita  nei  documeiiii 
di  tjuesta  storia  sotto  il  num.  LI.  Tom.  IV.  pag.  2iJ4  di  questa 


54 

scritte  nella  sua  lingua  nativa  ,  che  è  fondata  la  sua 
riputazione  solida  e  permanente.  Prendendo  a  con- 
siderare in  generale  i  poeti  di  quel  periodo ,  noi  tro- 
viamo immediatamente  che  l'autore  dell'  Orlando  fu- 
rioso occupa  il  primo  posto ,  e  che  molto  si  sarebbe 
diminuita  la  gloria  dell'  età  sua,  se  fosse  stata  priva 
delio  splendore  de'  suoi  talenti.  La  fertilità  della  sua 
invenzione,  la  vivacità  della  sua  fantasia,  la  natu- 
rale facilità  e  felicità  della  sua  poetica  elocuzione  , 
danno  una  grazia  alle  sue  composizioni  ,  che  ferma 
r  attenzione  ,  ed  interessa  i  sentimenti  di  chi  legge 
ad  un  grado  non  ottenuto  ancora  da  alcuno  de'  suoi 
contemporanei.  Mentre  gli  altri  scrittori  d'Italia  con- 
sacravano 1  loro  talenti  alla  stretta  imitazione  del 
Petrarca,  ed  alla  sola  eleganza  dell'espressione,  egli 
si  apriva  un  campo  più  vasto ,  ed  esprimeva  le  idee 
della  sua  creatrice  fantasia  nella  propria  lingua  ,  pie- 
na ad  uu  tempo  di  grazia  e  di  vigore.  Il  genio  quin- 
di  dell'  Ariosto  non  si  presenta  a  noi  abbigliato  alla 
moda  di  que'  tempi  ,  ma  nel  suo  proprio  abito  na- 
turale e  decente ,  il  quale  sembra  egualmente  gra- 
zioso ,  e  convenevole  a  tutti  i  tempi ,  ed  in  tutti 
i  luoghi.  Seguendo  l'esempio  di  Bemho ,  gl'Italiani 
avrebbero  scritto  correttamente  e  con  eleganza  ,  ma 
sarebbero  stati  letti  solo  dai  loro  nazionali.  Il  dili- 
cato    ed   attenuato    sentimento    che    anima    langnida- 


edtzione  ).  Alcuno  di  quesie  poesie  troratrii  ia  varie  colle*- 
zioni  ,  e  specialmente  nei  Carni,  ii/ust,  Poe.t.  ItaL  Tom.  I 
pag.  S'ia. 


iiiente  i  loro  scritti,  è  perduto  ogniqualvolta  si  tenta 
di  trasportarlo  in  altro     linguaggio ,    ma    le    ardite    e 

"vigorose  idee  àeiy  Ariosto  soffrono  senza  alcun  danno 

o 

il  cangiamento  di  clima,  e  le  opere  sue  meglio  di 
quelle  di  alcun  altro  hanno  contribuito  a  diffondere 
neir  Europa  il  yero  spirito  poetico  (a). 


("a)  Partili  ,  che  1'  Autore  ,  volendo  ragionare  degli  effetti 
prodotli  dalle  opere  dell'  Ariosto  sul  gusto  universale  dell'  Eu- 
ropa ,  avrebbe  potuto  toccare  un  punto  ,  che  per  cpjanto  a 
me  sembra,  non  è  stato  ancora  da  alcuno  sufficientemente 
rilevato,  né  messo  nel  suo  vero  splendore.  Sia  che  le  favole 
si  considerino  come  l'opera  dei  poeti,  e  come  figlie  delia 
poesia  ,  sta  che  i  racconti  delle  favole ,  preesistenti  in  gran 
parte  alla  poesia,  ed  ai  poeti,  abbiano  prodotti,  e  formati  i  can- 
tori degli  Dei ,  e  degli  eroi;  egli  é  certo,  che  la  storia  poetica', 
la  mitologia  ò  stata  da  Omero  fino  all'epoca  della  decadenza 
delle  lettere  il  campo  vastissimo  ,  nel  quale  hanno  spaziato 
tutti  i  grandi  scrittori  della  antichiik,  tutti  i  poeti  della  Grecia, 
e  di  Roma.  Diradata  la  caligine  della  barbarie,  trovaronsi  an- 
cora i  semi  della  pagana  teogonia  ,  e  le  favole  poetiche  ,  ma 
trovossi  pure  sorla  noirinterregno  delle  lettere  una  nuova  rai- 
tologir»  ,  e  questa  era  la  storia  dei  paladini ,  e  la  serie  delle 
imprese  cavalleresche  ,  che  i  Francesi  indicano  col  nome  di 
ancienne  cfie'faleri'e.  I  poeti  di  tutte  le  nazioni  entrarono  in 
rpiesto  nuovo  campo  ,  che  a  primo  aspetto  parca  sparso  di 
fiori;  ma  per  la  maggior  parte  non  ne  raccolsero,  che  triboli, 
e  non  produssero  se  non  poemi  ,  o  romanzi  mostruosi  ,  che 
faceano  torto  al  buon  gusto  non  meno  ,  che  al  buon  senso  , 
e  spesso  ancora  offendevano  la  decenza  e  la  morale.  Basta 
gettare  una  rapida  occhiata  sugli  antichi  poemi  ,  o  romanzi 
in  verso  ,  Francesi  ,  Provenzali  ,  e  Casligliani  ,  ed  anche  sui 
primi  tentativi  fatti  in  Italia  per  accomodare  la  mitologia 
de'  Paladini  alla  poesia,  o  questa,  se  si  vuole,  ai  racconti  del-' 


56 

§.  X.. 

Donne  letterate.  —   Vittoria  Colonna. 

Gli  applausi  tributati  a  coloro  ,  die  colle  loro  fa-» 
tiche  contribuivano  a  ristabilire  la  piu-ità  della  lin- 
giia  Italiana  ,  non  erano  ristretti  solo  alle  persone  dì 
tin  sesso.   In   alcun  periolo  della  società  non  era  slato 


r  amica  ravalleria  ,  per  convincersi  ,  che  non  si  conosceva 
la  retta  via  di  qiies  a  applicazione  ,  e  che  il  buon  gusto  noa 
prest'dcva  alla  composizione  di  quelle  opere,  il  piìi  delle  volte 
Slravagp.nli ,  e  nojose.  11  primo  che  prese  a  battere  quella 
strada  con  felice  riuscita  ,  (  giacché  Bojardo  si  era  avanzato 
anch'  esso  vacillando,  ed  il  suo  lavoro,  che  può  dirsi  appena 
abbozzato,  non  passò  cos'i  glorioso  alla  posteri!  à,  come  Y  Or^ 
landò  Furioso  ).f  fu  realmente  V  Ariosto  .,  il  quale  fece  vedere 
qual  paitito  trarre  si  potea  dalle  g<'sta  de'  paladini  ,  ossia  da 
questo  nuovo  genere  ,  o  nuovo  periodo  di  storia  poetica ,  e 
fece  immortali  i  nomi  di  quegli  eroi,  che  probabilmente  senza 
il  di  lui  poema  peri  i  sarcbbono  insieme  colle  opere  nelle  quali 
erano  celebrati.  Questo  a  me  sembra  il  tipo  delP  influenza 
esercilata  dalle  opere  òcAV Ariosto  sul  i,'enio  leUerario  dell'Eu- 
ropa, giacché  egli  il  primo  depurò  il  gusto  corro! to.  col  quale 
si  erano  in  addieiro  tratiati  soggetti  paladiueschi  o  eavallercschi^ 
Cf^li  sparir  fece  ,  o  ritornare  nelle  tenebre  delPobblio  i  mostri, 
che  fino  a  quell'epoca  aveano  alzata  la  fronte  baldanzosi 5 
egli  insegnò  come  le  grazie,  la  venustà,  la  leggiadria  ,  l'eleganza, 
il  senlimento  accoppiar  si  poi  ossero  con  quel  nuovo  gemere 
mitologico  ;  egli  il  primo  produsse  un  giandioso  .  e  mirabile 
poema  eroicomico  di  un  genere  inlieiamenie  sconosciuto  al- 
l'anichiià.  In  ([uesto  genere  egli  fu  il  primo  classico;  e  lo 
fu  per  tulle  le  JNazioni,  Egli  apri  la  strada  a  molli,  che  cor- 


VOL.YIL.  Tair.  M.p<ip.  ?7. 


il 

einmmal  tanto  generalmente  Jiffuso  lo  spìrito  della 
letleratura,  ed  in  alcun  periodo  le  femuiine  ammi- 
ratrici di  quello  spirito  mal  non  si  erano  tanto  in- 
noltrate  ne  loro  progressi  ,  ne  mostrate  rivali  così  for- 
miflabili  dei  letterati.  Fra  quelle  che  a  que  tempi  si 
distinsero  coi  loro  talenti ,  due  sono  singolarmente 
illustri,  non  solo  per  1"  aUo  loro  grado,  le  loro  doti 
straordinarie,  e  le  eccellenti  loro  produzioni  lettera- 
rie ,  ma  anche  per  la  inviolata  purità  del  loro  ca- 
rattere,  e  per  tutte  le  virtù  che  aggiungono  lustro 
al  loro  sesso.  Sono  esse  Vittoria  Colonna  ,  marchesa 
di  Pescara ,  e  Veronica  Gamhara ,  contessa  di  Cor- 
reggio (i). 

Vittoria  Colonna  era  figlia  del  celebre  comandante 
Fabrizio  Colonna,  gran  contestabile  del  Regno  di 
Napoli ,  e  di  Anna  di  Montefeltro  ,  figlia  di  Federigo 
Duca  d'Urbino.  Essa  era  nata  verso  Tanno  i490, 
ed  in  età  di  soli  quattro  anni  era  stata  destinata 
sposa  di  Ferdinando  J'  Avalos  ,  marchese  di  Pescara  ^ 
poco  più  avanzato  in  età.  Le  doti  straordinarie  della 


sero  sulle  di  lui  orme  ;  ed  alcuni  il  tentarono  con  frutto,  tra 
gli  altri  l'autore  del  Fucc/ardetlo  ^  ma  niuuo  giunse  finora  ad 
emulare  il  suo  merito  sublime  ,  o  a  dividere  seco  lui  la  sua 
gloria  immortale. 

(i)  »j  Fuere  pene  non  viris  inferiores  duae  illustrcs  principes 
jj  et  poétriae,  Victoria  Columna  Hiscariae,  et  Veronica  Gam- 
»  bara  Corrigiensis  ,  quarum  ulriusque  prò  sexus  qualitat» 
5j  divina  leguutur  poemata  ,  quae  eo  cupidius  a  plerisque  Ic- 
j>  guutur  ,  quod  sunt  ab  illustribus  matronis  composita.  i> 
Lil.  Ore^  Gjrald.  de  poet.  fuor,  tenii>.  diai.  IL  pag.  Syi. 


j)ersona  e  della  mente,  colie  quali  era  stata  fiivorvia 
dalla  natura,  ajutate  aucora  da  una  diligente  e  vir- 
tuosa educazione ,  la  rendettero  oggetto  dell'  ammira- 
zione generale ,  e  la  sua  mano  fu  ricercata  da  diversi 
sovrani  indipendenti  d'  Italia.  Felicemente  tuttavia  l;i 
prima  scelta  fatta  dai  genitori  fu  confermata  dal  vi- 
cendevole  attaccamento  dei  giovani  figlj  ,  ed  alia  età 
di  diciassette  anni  essi  divennero  marito  e  moglie,  e 
colle  singolari  loro  qualità ,  colla  fedeltà  inviolata , 
coir  eroico  valore,  furono  degni  realmente  l'uno  del- 
l'altro. Una  perfetta  conformità  di  umore,  e  di  bontà 
somma,  era  la  guarentigia  del  loro  affetto  conjugale  , 
ma  lo  contese  che  divisero  l'Italia,  trassei'o  ben 
presto  il  Marchese  dalla  sua  domestica  felicità  ,  e  il 
condussero  alla  battaglia  di  Ravenna ,  dove  egli  ebbe 
il  comando  della  cavalleria  ,  fu  pericolosamente  feri- 
to,  e  condotto  col  Cardinale  de'  Medici,  poco  dopo 
Leon  Xy  prigioniero  a  Milano.  Chiuso  nel  castello  di 
questa  città,  e  trattenuto  dalle  sue  ferite  da  qualun- 
que esercizio  di  corpo  ,  egli  consacrò  le  sue  ore  allo 
studio,  del  che  si  vide  chiaramente  il  frutto  nel  suo 
dialo<jfo  de  Amore,  indirizzato  alla  sua  consorte  ,  che 
non  si  è  fino  a'  giorni  nostri  conservato,  ma  che 
abbiam  motivo  di  credere  essere  stalo  pieno  di  buon 
senso,  di  eloquenza,  e  di  tratti  spiritosi  (i)  (a).  Egli 


(i)  i>  Dum  esset  in  arce,  vulneraque  ciirarel,  nec  exercentlì 
j>  corporis  nlla  daretiir  facultas,  ingenium  literis  amaeuioribus 
»  ex  Musephili  pracceptoris  doctrina  liaud  mediocriter  im!)ii- 
?•>  tura ,  ita  excrcuit ,   ul   paucis   diehus    summae  jucundiialis 


59 

fa  liberato  finalmente  tlaìlii  sua  prigionia  per  Tamlclie- 
Tole  intercessione  del  maresciallo  Trivuìzlo  ,  o  colla 
parte  attiva  ,  eh'  egli  prese  poco  dopo  nel  fatti  mili- 
tari di  quel  tempo,  e  con  molli  parziali  combatti- 
menti nei  quali  ottenne  la  vittoria ,  acquistò  In  più 
alta  riputazione  tra  i  condottieri  d'  Italia.  Essendo 
entrato  al  servizio  dell' Imperadore ,  egli  comandò  alla 
battaglia  di  Pavia  ,  nella  quale  Francesco  I  fu  fatto 
prigioniero;  e  colà  si  distinse  non  solo  colla  sua  ma- 
gnanimità ed  umanità  ,  ma  anche  colla  sua  pruden- 
za ed  intrepidezza,  alla  quale  fu  comunemente  attri- 
buito il  felice  successo  delle  armi  imperiali  (i).  Non 
sopravvisse  però  egli  lungamente  a  questo  avveni- 
mento, essendo  caduto  viltima  delle  fatiche  militari  ^ 
ed  anche  delle  ferite  ricevute.  Egli  mori  in  Milano 
nel  mese  di  dicembro  iSaS,  dopo  una  vita  non 
lunga ,  ma  gloriosa ,    che  ampia  materia   somministrò 


»  dialogum  de  amore  ad  Vicloriam  uxorem  conscripserit,  qui 
n  libellus  adhiic  extat ,  cuai  gravibus  tuni  exqtiisius  salihas 
"  atque  senteniiis  ,  ad  admiralionein  ejus  ingeiiii  refertus.  jj 
Jovlus  in  v'ia  Ferdìiiandi  Duvalos  Pise.  lib.   I. 

(a)  Di  Fabrizio  Colonna  ho  fallo  qualche  ccuno  nella  nota, 
addiz.  XVI.  al  voi.  III.  pag.  220;  ed  allrove  pure  si  è  parlato 
di  Ferdinanda  d*  Ai^alos  e  di  Vittoria  Colonna  ,  non  che 
del  dialogo  dell'  amore  scritto  dal  primo. 

(i)  La  sua  generosità  ,  e  premura  dimostrata  verso  il  ce- 
lebre Cavaliere  Bajardo  ,  che  cadde  in  un  combattimento 
presso  Abbiategrasso  nel  i52|  ,  viene  rammentata  dal  Dottor 
Roòrrtson  ucUa  sua  l'ita  di  Carlo  V.  Lib.  IH.  Voi.  II-  pa" 
gina  ao3. 


^0 

agli  storici  (i).  Quel  fatale  avvenimento  clislrussà 
tutte  le  speranze  della  sua  consorte  ;  ne  la  grave  di 
lei  angoscia  potè  mai  trovare  alcun  sollievo  ,  se  non 
quello  eh'  essa  andò  cercando  nel  celebrare  il  carat- 
tere e  le  virtù  del  marito  suo  ,  e  nel  rammemorare 
ne  suoi  versi  teneri  ed  elea;antissimi  il  loro  affetto 
TÌceudevole.  Poco  dopo  la  di  lui  morte  essa  ritirossi 
nell'isola  d'Ischia  ,  rifiutando  di  aderire  a  quelle  pro- 
posizioni di  altre  nozze ,  le  quali  ,  non  avendo  essa 
avuto  prole,  i  di  lei  amici  erano  ansiosi  a  gara  di 
offerirle  (2).  Nel  suo  ritiro  parve  ch'essa  acquistasse 
tin  carattere  religioso  ben  determinato ,  il  quale  non 
impedì  tuttavia  che  essa  esercitasse  i  suoi  talenti 
poetici ,  benché  d'  allora  in  poi  li  dedicasse  per  lo 
più  a  soggetti  sacri.  La  sua  condotta  esemplare , 
ed  il  merito  straordinario  dei  di  lei  scritti ,  la  resero 
aggetto  generale  di  applauso  ai  poeti  e  letterali  più 
distinti  di  quel  tempo  ,  con  molti  dei  quali  essa  man- 


fi)  Gìouio  scrisse  la  -vita  di  quel  distinto  oómandan'e  in 
sette  libri ,  i  quali  comprendono  la  storia  dei  principali  avve-' 
ÉÌmcnti  militari  di  quell'epoca, 

{i)  La  nobile  condotta  di  f^iltoria  diede  occasione  ai  se- 
guenti veisi,  non  iudequamente  attribuiti  al  celebre  poeta  la- 
lino  Marc'  Anlonio  Flaminio  : 

>j  Non  vivam  sine  te  ,  mi  Brute  ,  exlerrita  dixil; 

n  Porria  ^  et  ardentes  sorbuit  ore  faces. 
»  Davale  ,  te  ex'incto  ,  dixit  Vittoria  ,  vivam  , 

»  Perpetuo  moestos  sic  dolilura  dies. 
SI  Utra<[ue  Romana  est  :,  sed  in  hoc  Victoria  Major 
Jj  Nulla  dolere  pò  est  mortua  ,  viva  dolel.  « 

FLuni.  Op.  p.  >6i.  Ed,  Coni.  1727, 


6> 
^enne  amichevole  corrispondenza  epistolare  (i);  ess* 
era  pure  ardente  ammiratrice  del  grande  artista  Mi- 
ehrlaiigeìo  ^  che  esegui  per  essa  molti  eccellenti  la-v 
vori,  i  disegni  dei  quali  ci  sono  stati  conservati  per 
mezzo  della  incisione  (2) ,  e  da  ciò  appare  che  quel 
pittore  godesse  al  più  allo  grado  il  di  lei  favore  ,  e 
la  di  lei  amicizia ,  avendo  essa  lasciato  più  volte  I4 
sua  residenza  di  Viterbo  ,  dove  erasi  ritirata  alcuni 
anni  prima  della  sua  morte  ,  e  fatte  diverse  corse  a 
Roma  solo  ad  oggetto  di  godere  della  sua  società. 
Questo  attaccamento  affettuoso,  egualmente  onorevo- 
le alle  due  parti ,  mantenevasi  in  altri  tempi  per 
mezzo  di  una  corrispondenza  pf^r  lettere.  Michelan-. 
oelo  indirizzò  pure  alla  medesima  alcuni  de'  suoi  so- 
netti, che  ancora  rimangono,  e  nei  quali  l;i  sua  am- 
mirazione per  la  di  lei  bellezza,  e  per  le  rare  di  lei 


(1)  Fra  questi  erano  B  e  azzano  ^  Flaminio  ^  M^lza  .  i  cardia 
nali  Contarinì ,  Benito,  e  Polo  ,  molli  dei  quali  celeI)raroao 
Vitioria  ne'  loro  scritti. 

(2)  Uno  di  questi  lavori  rappresenta  Cris'o  appena  levato 
dalla  croce  ,  e  giacente  sulle  ginocchia  della  sua  madre. 
(}ues''  opera  è  stala  spesse  volle  copiata  in  pittura  ,  e  si  à 
^rro  leameule  supposto ,  che  lavori  fossero  di  Mihflan^elnt 
Iì^sa  è  stata  parimente  incisa.  Bonari  Note  al  Vasari  V.  UT. 
p  3i  j.  —  Vedi  Condifi  uiia  dì  M.  A.  Bnonarotti  p.  .13..  dove 
quest'opera  è  pienamente  descritta;  sembra  pure,  che  1' ar-^ 
lista  scrivesse  sulla  croce  il  seguen'e  verso,: 

Non  p»"'  si  pensa  guanto  sangue  costa, 
Egli  disegnò  ancora  per  la    medesima    una    figura    di  Cristo 
in   croce  .   ed  altra  di  Cristo  al  poEzo  colla  Samaritana ,    che 
pure  è  stata  incisa  iu  rame.  Vasari  come  sopra. 


62 

doti  viene  temperala  dal  più  profondo  rispetto  pei 
suo  carattere  (i).  Condivi  ci  ha  conservato  un  sin- 
golare aneddoto,  clie  quel  grand' uomo  fu  a  visitarla 
negli  ultimi  momenti  della  di  lei  vita ,  e  che  poco 
dopo  espresse  il  suo  dolore  ,  perchè  egli  non  avesse 
in  quella  occasione  baciato  a  lei  la  faccia  o  la  fron- 
te ,  come  baciato  ne  avea  la  mano  (2).  Dopo  avere 
vissuto  fino  all'anno  i547,  essa  chiuse  i  suoi  giorni 
in  Roma,  non  avendo  abbracciato  alcuna  religiosa 
professione,  e  non  senza  aver  dato  luogo  tuttavia 
a  qualche  sospetto,  che  essa  inclinasse  alla  dottrina 
della  Chiesa  riformata  (3). 


(i)  »  In  particolare  egli  amò  grandemente  la  Marchesana 
5>  di  Pescara  ,  del  cui  divino  spirito  era  innamorato  :  essendo 
«  air  incontro  da  lei  amato  svisceratamente^  della  quale  ancor 
»}  tiene  molte  lettere  d'  onesto  e  dolcissimo  amore  ripiene ,  e 
n  quali  di  tal  petto  uscir  solcano*  avendo  egli  altresì  scritto 
«  a  lei  più  e  più  sonetti,  pieni  d'ingegno,  e  dolce  desiderio,  a 
Condici  5  l'ila  di  31.  jÌ.  Buonarroti ,  p.   53. 

(2)  J5  —  Tanto  amor  le  portava,  che  mi  ricorda  d*  averlo 
n  sentito  dire,  che  d'altro  non  si  doleva,  se  non  che  quando 
35  1'  andò  a  vedere  nel  passar  di  questa  vita  .  non  cosi  le  ba- 
3j  ciò  la  fronte  o  la  faccia  ,  come  baciò  la  mano,  a  Condii'i , 
come  sopra. 

(3)  In  una  delle  poesie  di  Michelangelo  diretta  alla  Mar- 
chesana di  Pescara ,  egli  si  lagna  dello  stato  fluttuante  de' 
suoi  proprj  religiosi  sentimenti ,  e  chiede  di  essere  da  lei  di- 
retto negli  affari  spirituali. 

)ì  Porgo  la  caria  bianca 

»    Ai  VOSI  ri  sacri  inchiostri  , 

}j  Ove  per  voi  nel  mio  dubbiar  si  scriva  , 

sj  Come  quest'alma  d'ogni  luce  priva  < 


63 

Fra  gli  scritlori  Italiani  ,  che  riviver  fecero  nelle 
opere  loro  lo  siile  Jel  Petrarca  ,  Vittoria  Colonna 
tiene  il  primo  posto,  eJ  i  suoi  sonetti  ,  molli  dei 
quali  sono  indirizzati  all'  ombra  del  defunto  suo  ma- 
rito, o  relativi  allo  slato  del  di  lei  animo  ,  hanno 
molta  forza  di  pensiero  ,  molta  vivacità  di  colorilo  , 
ed  un  sentimento  naturale  di  passione  ,  maggiore 
assai  di  quello  che  si  trova  tra  i  discepoli  di  quella 
«cuoia  (i).  La  sua   canzone  j  o  monodia  alla  memoria 


»  Possa  non  traviar  dietro  il  desio 
i>  Negli  ultimi  suoi  passi,  ond'ella  cade  j 
V  Per  voi  si   scriva  ,  voi  rhe  '1  viver   mio 
>j  Volgeste  ai  eie!  per  le  più  helle  strade.  « 

Rime  del  BuoitarotU  p-  69.  ed.  fioren.   172G.  in  8. 
f  gli  scrisse  ancora  un  sonetto  sopra  la  sua  morte  ,  il  quale 
niauifcsta  il  cordoglio ,  che  ejjli  provò  in  quella  occasione  ,  ed 
il  religigso  affetto  col  quale  egli  riguardava  la  di  lei  memoria. 
Rime  p.  70. 

(1)  Quattro  edizioni  delle  poesie  di  Vittoria  Colonna  furono 
l'atte  durante  la  di  lei  vita.  Esse  furono  dapprima  raccolte  da 
Filippo  Pirogallo  ,  e  pubblicate  senza  di  lei  saputa  in  Parm^ 
nel  j538  ..  ristampate  nel  i539  ,  senza  alcuna  indicazione 
d'  anno  o  di  stampatore,  e  di  nuovo  a  Firenze  nell'  anno  me- 
desimo coli'  aggiunta  di  16  sonetti  spirituali.  La  quarta  edi- 
zione è  quella  di  Venezia  del  i?44»  coli' aggiunta  di  24  so- 
netti spirituali  ,  e  delle  sue  celebri  stanze.  Esse  furono  pub- 
blicate ancora  dopo  la  sua  morte ,  particolarmente  <la  Lodo— 
t'ico  Dolce  nel  iSSa  in  Venezia  ,  e  di  nuovo  nella  città  stessa 
da  Girolamo  Ruscelli^  colla  esposizione,  o  col  commentario 
di  Rinaldo  Corso  nel  i558.  Il  suo  Pianto  sopra  la  passione 
di  Cristo  con  altri  sacri  poemi  ,  fu  pure  stampalo  in  Bologna 
p«r  Antonio  Manuzio  nel  iSS^  ed  in  Venezia  presso  i  fi~ 
filinoli  d'  Aldo  nel  i56i,  Zeno  ^  note  ni  Fontanipi  /U'òl.  Iixl. 
JLq5, 


€4 

di  suo  marìfo,  è  infatti  molto  giustamente  coram«R- 
data  ,  e  non  è  per  alcun  riguardo  inferiore  a  quella 
del  Bembo  sulU  morte  di  suo  fratello  Carlo  (i)  ; 
jma  forse  il  saggio  più  luminoso  de' suoi  talenti  si 
vede  nelle  sue  stanze,  o  ne  suoi  versi  in  ottava  lu- 
ma  (2) ,  le  quali  per  la  semplicità  ,  Y  armonia  ,  e 
r  eleganza  dello  stile  ,  stanno  al  pari  delle  produzioni 
di  tutti  i  di  lei  contemporanei  ,  e  nella  vivace  de- 
scrizione e  nella  vera  poesia  ,  tutti  li  superano,  quelle 
gole  eccettuate  dell' inimitabile  Ariosto. 

§  xi; 

Veronica  Gainhara.  —  Costanza   d'  Avalos.  — - 
Tullia   d  Aragona ,  ed  altre. 

Veronica  Gamhara  era  figlia  del  Conte  Gian  Fraru 
tesco  Gamhara ,  e  di  Alda  Pia  di  Carpi  sua  consorte , 
e  n«l  I  Sog  fu  fatta  sposa  di  Giberto  X  signore  di 
Correggio,  al  quale  essa  sopravvisse  moli' anni,  con- 
sacrandosi alla  educazione  dei  suoi  due  figlj  Ippolito, 
e  Girolamo  ,  il  secondo  dei   quali   ottenne  la    dignità 


("i)  QMesta  poesia  è  siala  ultimamen'e  pubblicata  dal  S.  Ma- 
thias  nei   Poeti  Lirici  d' Italia  Voi.  J.  p.   i\\. 

i^i^  Questo  companimento  fu  probabilineale  indirizEato  a 
F'iiberla  di  Savoja  ,  moglie  di  Giuliano  de'  Medici  ,  e  sem-»- 
bra  snriito  nel  primo  periodo  della  vi  a  di  quelT  illustre  au-r- 
tore  duian'e  il  Pon'ifìcato  di  Leon  X  j  benché  non  iaserilQ 
nelle  prime  edizioni  delle  sue  opere. 


6^ 

ài  Cardinale  della  Chiesa  Romana.  La  sua  disposlzine 
naturale ,  la  sua  educazione  ,  e  più  di  tutto  ancora 
le  istruzioni ,  ed  i  consiglj  di  Pietro  Bcinho  ,  la  con- 
dussero a  dedicare  una  parte  del  suo  ozio  giovanile 
alla  cultura  de'  suoi  talenti  portlici  ,  i  quali  le  forni- 
rono una  occasione  di  tratteniinento  in  mezzo  a  tutte 
le  vicissitudini  della  sua  vita  (i).  Neil'  anno  1328, 
essa  lasciò  Correggio,  e  venne  a  risedere  in  Bologna 
col  di  lei  fratello  Vherto  ,  al  quale  Clemente  VII 
aveva  conferito  la  canea  di  Governatore  di  quella 
città.  Quivi  essa  stabili  nella  propria  casa  una  specie 
di  Accademia  ,  che  Irequentaia  era  da  Bembo  ,  da 
Molza ,  da  Mauro  ,  da  Capello  ,  e  da  altri  famosi 
uomini,  che  prima  risedevano  alla  Corte  di  Roma  (a). 
Kssa  ritornò  poco  dopo  a  Correggio  ,  dove  essa  ebbe 
r  onore  di  ricevere  come  suo  ospite  1'  Imperadore 
Carlo  V.  La  sua  vita  fu  prolungata  fino  ali  anno 
i[(5o.  1  suoi  scritti,  sparsi  in  vane  collezioni  di 
quel  tempo,  furono  raccolti  (b)  e  pubblicati  in  Bre- 


(i)   Tirahoschi  ,    Storia    della    LeUerat.  hai.   Tom.    f^JI. 
par,  HI.  p.  47. 

(a)  Se  è  vero ,  come  sembra  non  potersi  mettere  in  dub- 
bio ,  che  Bembo  subito  dopo  la  mot  le  di  Leone  X  ^  cioè  nel 
l522  ritrovossi  in  Padova  ,  e  vi  si  liaacmie  ,  dedicato  agli 
stiidj  ,  ed  ai  piaceri ,  iiuo  alla  sua  elevazione  al  Cardinalalo  ; 
come  poteva  egli  frecjueniare  i'  accademia  di  Veronica  Gain- 
bara  ,  passata  a  soggiornar  in  lìologna  nel  1626  ,  e  riuìasta 
per  poco  tempo  in  quella  ciaà  ? 

(b)  L'  originale  ,  forse  per  errore ,  dice  correuì  ,  corrected 
per  collected. 

Leone  X.   Tom.  VII.  5 


66 

scia  nel  iSSg;  e  benolìò  infenorì  in  pleganza  ,  e^ 
io  accuratezza  tli  stile  a  quelli  di  fittoria  Colonna  , 
mostrano  tuttavia  una  particolare  originalità  e  viva- 
cità, tanto  nel  senlimen'o,  quanto  nella  liugut,  cte 
serve  ad  innalzarli  al  di  sopra  di  quelle  insipide 
produzioni  giornaliere ,  che  sotto  il  nome  di  sonetti 
inondarono  in  que'tempi  \  Italia  (i).  La  stima  ,  e 
l'ammirazione  vicendevole,  die  sussisteva  tra  quirite 
virtuose  donne,  viene  ran^mputata  ne' loro  scritti.  Il 
loro  esempio  eccitò  T  ammirazione  di  molti  compe- 
titori tra  gli  individui  del  loro  sessso  medesimo ,  e 
le  rimatrici  del  XVI  secolo  possono  riguardarsi  come 
ben  poco  inferiori  ai  rimatori  tanto  pel  numero,  quanto 
pel  merito.  Di  queste  alcune  delle  più  distinte  sono  Co- 
stanza d  Avalos  ,  Duchessa  d'  Amalfi  (2) ,  della  quale 
alcuni  sonetti  di  un  meritp  non  inferiore  sono   uniti 


(t)  Esse  soli  tali  ,  »>  dice  Tirahnschi  ,  cLe  possono  aver 
s>  luogo  Ira  quelle  de'  più  colti  poeti  di  quelP  eia.  «  La  sua, 
vita  fu  seri! la  da  Rinaldi  Corso  ,  e  pubblicata  in  Ancona 
nel  i556  Un  ragguaglio  più  compito  della  sua  vita  è  stato 
«lato  dal  doti.  Camillri  Z  inihoni ,  e  premesso  alle  sue  opere 
da  esso  pubblicale  nel  ly'lg  ,  alla  quale  edizione  egli  ha  ag- 
giunto le  di  lei  lettere  ,  molto  stimabili  ,  per  quanto  ci  viene 
assicuralo  ,  per  la  naturale  ,  e  fa'iìe  eleganza  del  loro  stile. 
Tirahoschi   Tom.    Vìi,  par.    I.  png.   jS. 

(2)  Figlia  di  Jiiico  d'  Avalos  Marchese  del  Vasto.  »»  I  po- 
s>  chi  versi  ,  che  del  suo  leggiamo  .  ricolmi  sodo  egualmente 
n  di  grazia  ,  di  vaghezzì  ,  di  purità  e  d'  eleganza  ,  e  ricchi 
!>  di  gravissimi  sentimenii  ,  e  di  pietà  cristiana,  a  Crescim- 
heni  Stor.  della  fol^,  poesia  II.  480.   —,  Mazz-uchelU  Voi.  IL 


alle  opere  di  Vittoria  Colonna  nolla  edizione  del  iSfib; 
Tullia  f/'  Aragona  ^  fii^ìia  naturale  di  Pietro  Ta^iUavia 
Cardinale  didla  Chiesa  ,  e  discendente  illegittimo 
egli  slesso  della  casa  reale  d"  Arragona  (i)  •,  Laura 
Tjiracina ,  dama  Napoletana ,  le  di  cui  copiose  poesie 
SODO  state  più  volte  stampate  (a)  ;    Gaspara    Stampa 


(i)  Si  dice  ,  che  Tullia  .  figlia  dell' amo:  e.  aon  fosse  insen» 
sibila  alle  sue  dolci  ipsiauaz  o  li.  I.e  di  lei  attrai  ive  tauto 
della  persona  quanto  dello  s;>irito  furono  celebrale  dai  pid 
distinti  letterati  di  quel  tempo  ,  i  quali  pressoché  tatti 
erano  soliecjii  di  entrare  nella  schiera  de'  di  lei  atntniratori. 
L'  opera  principale  di  Tullia  è  il  suo  poema  in  ottm^a  ri  na  , 
intitolato  il  iVIeschì'io  ,  delio  Gtiei  ino  .,  (o  piuttosto  Giierino 
detto  il  Meschino  ^  romanzo  che  già  da  lungo  tempo  crreva. 
per  le  mani  del  popolo  in  Italia)^  in  ventisei  canti,  stampato 
a  Venezia  nel  i56o  in  j  ,  il  qiial  poema  è  detto  da  Crescini-' 
beta  Voi.  I.  p.  3^1,  rivale  dell'Odissea  nella  disposizione 
delle  sue  parti  ;  ma  altri  critici  [han  con  i  ag'one)  ne  hanno 
giudicato  diversamente.  Il  suo  dialogo  dell'  infinità  £  Amore, 
fu  stampato  a  Venezia  nel  iS^y.  Tra  i  di  lei  ammiratori,  che  le 
indirizzarono  i  loro  versi  ,  noi  troviamo  il  Cardinale  Ippolito^ 
figlio  di  Giuliano  d';''  Medici  ,  Francesco  Maria  IMolza  ,  Er~ 
cole  Renlivoglio  ,  F  lippo  Strozzi  ,  Alessandro  Arrighi  ,  Lat- 
tanzio Belateci  ,  e  Benedetto  Varchi  ^  ma  quello  ,  che  sopra 
tutti  adorolla ,  e  che  dedicòflrf  di  lei  merito  la  maggior  parte 
delle  sue  composizioni  ,  fu  il  celebre  Girolamo  IMazio  Le  di 
lei  poesie  furono  pubblicate  a  Venezia  presso  il  Giolito  nel 
1647  ^  sono  stale  frequentemente  ristampale  ,  accompagnate 
al  fine  di  un  egual  numero  di  sonetti ,  e  d'  altre  poesie  in 
lode  di  lei.  Traquesii  componimen'i  uno  de' sonati  del  (>ar-^ 
dinaie  de'  Medici  h  particolarmente  commendevole  ■  ma  le  di 
lei  peesic  sono  spesso  inferiori  per  lo  spirilo  ,  e  per  V  eleganza 
p  quelle  dei  numerosi  di  lei  panegiristi. 

i3)  In  Venezia  nel  i548  ^  if>')9,   «^^o  .  e  i55|,  e  di  auoya 


68 

di    Padova  ,   collocata   tra   i   migliori    poeti    del    suo 
tempo  (i)  ;  e  Laura  Battifcrva  d'  Urbino   (2),  rappre- 


correUe  dal  Domenichi  nel  i56o.  Fra  gli  amici,  e  protettori  , 
ai  quali  esse    sono    indirizzale  ,    trovansi    Ercole  Bentiuo^lio  , 
Jjuigi    Tansillo  ^  Lodovico  Donenicht  ^    Bernardino   Rota  ,     e 
f^iiiorio  Colonna  ,    e    molti    di   questi  onorarono  quella  poe- 
tessa  di  risjioste  nianifcsianli    la  loio  approvazione     Nei    rag- 
guagli di  Parnaso  di  Boccalini  Ceni.  II.  Bug.  35.  trovasi  una 
satirica  relazione  del  supposto    ma'rimonio    di    Laura   Terra— 
dna  col   poe'a  Francesco  Mauro  ^    il    quale  poco  dopo  il  suo 
snairimonio  divenne  geloso  della  sposa  per  una  legacela,  ch'essa 
portava  guemita  di  gioje  ,    e    che    ricevuta    avea   in  dono  da 
JEdoardo   f^l    re    d' Infjhillerra    in    ricompensa    del  dì  lei  at— 
taccamen.'o  per  la  di  lui  persona  ^  la  quale  circostanza  inasprì 
per  tal  modo  Mauro  ,    che    tagliò    la  gola  alla  moglie  con  un 
perso  proibito    dì    sei    sillabe    eh'  egli  portala    al  suo  Jìanco. 
INacqive  un  gran  tumulto  va  Par"aso  ^    che  Apollo  calmò  cou 
tin  discorso  .     l'oggetto    del    quale    sembra    essere    una    sa  ira 
dell'ordine  della  giarettiera  ,    ed    il  paragone  dei  favori  con- 
ferii dai  Soviani    ai    s  dditi    di  altre  potenze    coi  regali  fatti 
dagli  amaali  alle  mogli  aLrui. 

(i)  »  Una  delle  più  eleganti  rimatrici ,  che  allora  vivessero 
»»  e  degna  d'andar  del  paro  co'piii  illustri  poeti,  u  TiraboscìU 
jToih.  f^ll.  p.  III.  p  g.  \q.  Molle  delle  sue  poesie  sono  ia- 
dii izzate  al  Conte  di  Collal'o  ,  del  quale  essa  era  innamorata 
perdu.amenle .  ed  al  di  cui  matrimonio  con  un'altra  dama 
»on  poife  a  lungo  sopravvivere  ,  e  mori  nel  iSSJ  nul  trcn  e- 
simo  anno  iif  circa  dell'eà  sua.  Le  di  lei  poesie  furono  pub- 
blicate dalla  superstite  di  lei  sorella  Cassandra,  poco  dopo  la 
di  lei  morte  ,  ma  ristampa' e  non  furono  fino -al  1/38,  nella 
qua'e  epoca  esse  furono  di  nuovo  pubblicale  da  Antonio  B'i'H" 
laido  de'  Conti  di  Cnllalto  .  dis'-endenle  del  gentiluomo  al 
quale  quu'  versi  erano  sta'i  infiuituosararnte  diretti  dallo  sfor- 
tunato loro  autore. 
.'a)  Essa  divenae  moglie  del  celebre  Scultore  f  ij:eQtiuo  Bar» 


aentata  dai  suoi  contemporanei,  come  la  rivale  eli  Siffo 
Beli  eleganza  de' suol  componi inr;nti ,  e  moUo  a  quella 
Superiore  nella  modestia,  e  nella  deCenza  della  sua  vita, 

S  XII. 

Poesia  Bernesca.  —^  Francesco  Derni.  — 
Carattere  de'  suoi  scritti. 

Air  epoca  del  Pontificato  di  Leon  X.  deve  riferirsi 
il  perfezionamento  di  quella  scherzevole  satira  Ita- 
liana (a) ,  che  nata  era  in  Firenze  sulla  fine  del  secolo 


tolomeo  Ainuiaiiatl.  Lp  sue  opere  furono  pubblicate  dapprima 
a  Firenze  appresso  i  Giunti  nel  i?)6o.  —  Mazzuchelli ,  e  Ti-> 
rabeschi  hanno  raccolto  le  numerose  leS(imouianze  dei  cou«> 
temporanei  di  questa  poetessa  intorno  al  merito  di  quelle 
produzioni. 

(a)  Air  autore  è  piaciuto  di  definire  in  tal  modo  la  poesia 
detta  Bernesca  ;  ma  la  definizione  non  è  affatto  rigorosa.  Ogni 
nazione,  ed  ogni  lingua  ha  forse  avuto  un  gusto  per  la  sa- 
tira ,  ed  una  poesia  satirica  ,  ed  alcuna  anche  ha  vestito  la 
satira  col  manto  della  piacevolezza  ,  e  del  gi  loco  ,  ma  uoa 
p*ir  questo  ha  avuto  una  poesia  bernesca.  Questa  altronde  dai 
primi  suoi  coltivatori  ,  e  dal  Berni  medesimo  qualche  volta 
è  stata  applicata  alla  sa'ira  ,  ma  non  ha  servito  esclusiva- 
mente ai  componimenti  satirici ,  ed  è  st  ita  dal  Berni  mede- 
simo impiegala  in  poemi  ,  che  aveano  tutt''  al.ro  oggetto.  Se 
la  satira  è  stata  molte  voi. e  1'  argomento  delle  poesie  berne- 
sche ,  non  ha  potuto  tuttavia  costituirne  il  carattere,  consi- 
stente in  una  certa  naturale  semplicità,  e  facili'à  di  siile, 
che  ben  si  adatta  a  qualunque  racconto,  o  a  qualunque  altro» 


preneclenle.  Il  meritò  di  aver  fatto  rivivere  questo 
modo  capriccioso  di  comporre  ,  e  di  averlo  rendulo 
vivace  e  piacevole  iil  sommo  grado,  è  dovuto  all'in- 
gegno stravagante  (;i)  di  Francesco  Berni  ,  d'  onde 
quel  genere  di  poesia  trasse  il  nome  di  Bernesca  (i). 
Egli  ebbe  tuttavia  in  questa  impresa  molti  socj 
dotali  di  talenti  consiilcrabili  ,  e  particolarmente 
Francesco  Mauro  ^  e  Gian  Francesco  Bini  ^  le  di  cui 
opere  vanno  di  solilo  unite  alle  sue  ,  alle  quali  rie- 
scono però  inferiori  nella  vivacità  ,  e  nf^lla  piacevolez- 
za. Il  carattere  del  Berni  era  tan!o  singolare  quanto 
i  di  lui  scritti.  Egli  era  nato  a  Lamporecch  o ,  piccolo 
villaggio  dello  .-ta'o  To  cano  (vj),  di  una  nobile,  benché 
ristretta  famiglia ,  e  fu  mandato  assai  giovane  a  Fi- 
renze,  dove  rimase  fino  all'anno  diciannovesimo  di  I- 
r  età  sua  ,  e    dove    probabilmente   s'imbevette    colla 


argomento  scherzevole,  seilza  che  la  satira  vi  entri  come  parie 
essenziale  del  caraltere  del  componimento.  L'  autore  mede- 
simo conviene  in  cfuesta  massima  ,  laddove  pala  in  seguito 
del  carattere  degli  scritti  de'  Berni. 

(a.)  L*  originale  porta  in  questo  luogo  1'  rpilp'o  di  eccen- 
trico ,  il  quale  comecché  espiessivo,  ed  alto  a  dare  Una  giu- 
sta idea  della  cosa  ,  non  si  sarebbe  forsu  accomodato  all'  in- 
dole della  nostra  lingua.  Io  ho  usalo  1'  addici tivo  di  stratta- 
gante  con  tanto  maggiore  confidenza  ,  che  in  questo  pa'  ag:  afo 
medesimo  1'  autore  parla  della  rccfutricità  della  condo  ta  del 
Berni ,  che  dalle  cose  in  quel  luogo  esposte  noil  potrebbe 
giudicai-si  ,  se  non  somiiamonte  stravagante. 

(1)  f^ila  di    Lorenzo  de'  M'- di  ci   V>L   I.  p     289.  'ic)\. 

(2)  Riguado  al  suo  none  ,  ed  al  'uogo  della  sua  nascit» 
può  vedersi  Menagio  Auii-Baill,'.t  par.  f.  seci.  37. 


' 


...  ^* 

lettura  delle  opere  di  Pulci  ,  di  Franco  ,  e  di  Lo- 
renzo de  Medici,  del  primo  gusle  per  (Juello  stile  , 
e  per  quel  modo  di  comporre  ,  nel  quale  poco  dopo 
tanto  si  segnalò.  Verso  l  anno  1 5 1 7  egli  recossi  a 
Roma  ,  ed  entrò  al  servizio  del  Cardinale  Bernardo 
da  Bihiena  ,  dtl  quale  egli  era  parente  in  qualdie 
grado ,  e  sul  quale  avea  fondato  speranze  di  promo- 
zione ,  ed  avanzamento  ,  che  non  si  realizzarono. 
Dopo  la  morte  di  Bernardo  egli  ài  attaccò  a  suo 
nipote  il  Cardinale  Angelo  da  Bihiena,  ma  non  ne 
ritrasse  grande  vantaggio  ,  e  fii  alHne  obbligalo  ad 
accettare  l'uffizio  di  Segretàrio  di  Gìamma/?etì  Ghiherti 
Vescovo  di  Verona ,  il  quale  ottenne  quindi  il  posto 
importante  di  datario  dolla  Romana  Sede.  Avendo 
allora  assunto  l'  abito  Kccleslastico  ,  Bcrni  fu  occu- 
pato in  tlì verse  occasioni  da  Ghibèrli  in  iriissioni  ai 
suoi  benefìzj  più.  distanti  ,  ed  accompagnò  frequen- 
temente il  Vescovo  nei  suoi  viaggi  per  Y  Italia  ;  ma 
le  cure  degli  affari,  e  l'abitudine  della  regolarità  ad 
esso  riuscivano  troppo  fastidiose  ,  ed  egli  cercò  uà 
sollievo  nella  società  delle  muse  ,  che  generalmente 
conducevano  al  loro  seguito  Bacco  e  Venere.  Es- 
sendo stato  al  fine  promosso  al  posto  ricco  ,  ed 
agiato  di  canonico  di  Firenze  ,  egli  ritirossi  in 
questa  città  ,  dove  egli  si  distinse  maggiormente 
per  la  stravaganza  (a)  della  sua  condotta,  ed  i  modi 
pungenti  della  sua  satira  ,  che  non  per  la  regolarità 


(a)  Eccentricità. 


della  sua  vita.  Tale  era  la  sua  avversione  per  lo 
stalo  di  servitù  ,  se  noi  possiamo  prestar  fede  ai  di- 
versi passi  fantastici,  nei  quali  egli  ha  dipinto  il  suo 
proprio  carattere  ;  che  non  sì  tosto  ricevea  qualche 
comando  dal  suo  protettore  ^  che  provava  una  in- 
vincibile ripugnanza  ad  adempirlo.  Egli  non  trovava 
diletto  nella  musica ,  nella  danza ,  nel  giuoco  o  nella 
caccia;  il  suo  solo  piacere  consisteva  nel  non  aver  nulla 
a  fare  ,  e  nel  tenersi  sdrajato  totalmente  sul  suo 
letto.  Il  suo  principale  esercizio  quello  era  di  man- 
giare alcun  poco  ,  e  quindi  mettersi  a  dormire  ,  e 
dopo  di  avere  dormito  tornar  a  mangiare.  Egli  non 
osservava  mai  il  corso  de'  giorni ,  né  gli  almanacchi, 
ed  i  suoi  servitori  avevano  ordine  di  non  recargli 
mai  alcuna  nuova  nò  buona  né  cattiva.  Queste  esa- 
gerazioni con  molte  altre  ancora  più  stravaganti  , 
possono  ammettersi  almeno  come  una  prova  ,  che 
Berni  amava  il  suo  comodo  ,  e  che  gli  scritti  suoi 
erano  piuttosto  il  suo  passatempo,  che  non  l'oggetto 
di  una  seria  occupazione. 

Si  è  detto ,  che  la  morte  di  Bevili  fosse  cagionata 
dalla  gelosa  inimicizia  ,  che  sussisteva  tra  il  Duca 
Alessandro  ,  ed  il  Cardinale  Ippolito  de  Medici  , 
ciascuno  de'  quali  si  pretende  aver  gareggiato  a  vi- 
cenda ,  qual  sarebbe  il  primo  a  far  perire  il  suo  ri- 
vale col  mezzo  del  veleno.  Uno  di  essi ,  se  noi  pos- 
siamo prestar  (ede  a  questo  racconto  ,  bramava  di 
ottenere  l'assistenza  del  Berni  ,  ed  avendo  egli  ri- 
iiutato  di  concorrere  all'  esecuzione  di  un  progetto 
cosi  detestabile  >  cadde  vittima  della  vendetta  del  suo 


73 
protettore  con  una  morte  cagionata  da  un  tradimento 
di  quel  genere.  Sopra  di  ciò  basta  1'  osservare  ,  che 
il  Cardinale  morì  nel  mese  di  agosto  del  i535  ,  e 
Berni  sopravvisse  al  medesimo  almeno  fino  al  mese 
di  luglio  i536.  Noi  possiamo  dunque  concliiudere 
con  certezza ,  che  avvelenato  non  fosse  dal  Cardinale, 
e  con  un  grado  poco  minore  di  certezza  ,  eh'  egli 
noi  fosse  da  Alessandro  per  non  essere  concorso  al- 
l' eccidio  di  un  rivale  ,  che  già  era  morto  da  circa 
dodici  mesi  (i). 

Non  è  facile  il  concepire  una  giusta  idea  dello 
stile  ,  e  del  modo  di  comporre  del  Berni  ,  e  de'  di 
lui  seguaci  ,  perchè  la  sublimità  di  quello  stile  con- 
siste piuttosto  nella  semplicità  dell'  espressione  ,  e 
nella  dolcezza  dell'idioma  Toscano,  che  non  in  quello 
spirito  brillante,  e  in  quel  sentimento  vigoroso,  che 
può  essere  in  altra  lingua  trasfuso.  Di  tutti  gli  scrit- 
tori quelli  sono  i  più  nazionali  (a) ,  il  di  cui  merito 
dipende  da  ciò  che  si  chiama  capriccio  ,  o  bizzarria. 


(l)  Mazzucchelli  Scrittori  d' Italia  Art.  Berni  Voi.  tV, 
pag.  986. 

(a)  Il  testo  dice  i  più  locali ,  frase  ,  che  pochi  avrebbero 
bea  intesa  nella  nostra  lingua.  L'  V.  ha  voluto  esprimere  la 
circostanza  di  quegli  srrittori  ,  che  per  una  troppa  stretta  re- 
lazione col  carattere  della  loro  nazione  non  possono  essere 
compresi  perfettamente ,  e  quindi  non  possono  essere  gustate 
appieno  le  loro  bellezze,  se  non  dai  loro  connaziona'i  f-e 
loro  opere  infatti  non  possono  essere  trado'fe  se  non  diffi(,il— 
mente  in  altre  lingue  .  e  perdono  colle  traduzioni  la  maggior 
parte  della  loro  leggiadria. 


7'*  .  . 

Il  componimffnto   che    in    uti   paese   è    ricevuto   coti 

ammirazione,  e  compiacenza,  può  essere  considerato 
in  un  altro  come  insipido,  o  dispiacevole.  Per  poter 
gustare  appieno  quegli  scritti  ,  è  d'  uopo  conoscere 
fino  ad  un  certo  punto  i  costumi  ,  e  le  circostanze 
degli  abitanti  di  tutte  le  classi  più  infime  ;  e  tuttavia 
la  dilicatezza  ,  ed  il  sapore  gustoso  di  quelle  produ- 
zioni non  può  essere  pienamente  sentito  se  non  da 
qualche  persona  dui  paese  medesimo  (a).  Queste  osser- 
vazioni possono  applicarsi  in  diversi  gradi  non  solo  alle 
opere  d<-l  Berni^  del  Bini  ,  del  Mauro  ,  ma  ancora 
al  capitoli,  ed  alle  satire  di  Giovanni  della  Casa  ^  di 
Agnolo  Firenzuola  ,  di  Francesco  Maria  Molza  ,  di 
Pietro  Nelli  ,  che  prese  il  nome  di   Andrea   da    Ber- 


(aT)  Questo  può  applicarsi  più  rigorosamenie  alle  molle  pio- 
duzioai  poetiche,  che  si  sono  vedute  specialmente,  e  forse 
unicamente ,  in  Italia  nei  dialetti  particolari  <ii  varj  paesi.  I 
Milanesi.,  ì  Veneziani,  i  Mapoleiani  ,  i  Piemoniesi  .,  i  Berga-= 
nascili ,  ed  aliri  popoli  d'  Italia  ,  abitatori  perfino  di  limitali 
disti elti  .  ebbero  grandi  poeti  ,  che  s'".rissero  nei  dialetti  par- 
ticolari di  que'  paesi,  ciò  che  non  ebbero  molte  altre  grandi 
nazioni  ;  ma  le  bellezze  di  quelle  poesie  non  possono  essere 
gustate  perfeitamen(e  se  non  dai  loro  concittadini,  mentre  le 
poesìe  bernesche  dei  Toscani  possono  esserlo  da  chiunque  si 
h  dato  a  studiare  profondamente  la  lingua  Italiana.  Quale 
sciagura  per  le  leMere,  che  i  versi  piacevolissimi  e  talvolta 
sublimi  di  Cnpuccìo  ,  di  Odoardo  Calvo  ,  di  Antonio  Lam- 
herti ,  di  Fraiiresco  Gritti  ,  di  Domeiùcn  Balestrieri  ,  di 
Corto  Porta ,  e  di  altri  molli ,  varcar  non  possano  i  monti  , 
ed  i  mari,  e  portare  ovunque  un'idea  del  valore  de'  loro 
autori ,  e  delia  disposizione  degli  Italiani  ad  ogni  genere  di 
poesia  ! 


,75 
game,  e  di  ttna  Innga  serie  di  altri  STillori,  i  qnalì 
si  segnalarono  ia  queslo  genere  di  componimenti  (i). 
Non  è  improbabile  ,  che  queste  facili  composizioni 
abbiano  aperta  la  strada  ad  una  simile  licenza  di 
stile  (i)  in  altri  paesi  ,  ed  in  Terilà  può  concepirsi 
1'  idea  più  caratteristica  degli  scritti  di  Bemi  ,  e  dei 
di  lui  compagni  o  seguaci ,  col  considerare  essere 
cpi-'!Ii  in  \ersi  facili  e  vivaci  la  stessa  cosa,  che  sono 
le  opere  in  prosa  di  Rabelais  ,  di  Cervantes  ,  e  di 
Sterne  (2). 


(i)  Le  Op".re  Èurlcsilic  del  Bcrni  e  di  ala-i  ,  dopo  d'es- 
sere slate  separatamente  pubblicate  ,  furono  raccolte  da  An^ 
ton  Francesco  Grazsini  detto  il  La<ca^  e  pubblicale  di  nuovo 
dai  Gufiti  in  Firenze  nel  i5|8  e  iS'jo  il  1.  volume,  ed  il  3 
tiel  i555  in  8.  Esse  sono  siate  sovente  rislampale.  ma  gene- 
ralmente mutilale,  ed  imperfette.  L'edizione  migliore,  e  la 
più  compila  è  quella  ,  della  quale  il  I.  e  II.  volume  porJsna 
la  data  di  Londra  dui  i-23  ,  ed  il  IIL  quella  di  Firenze  del- 
l' anno  medesimo  ^  ma  in  realtà  sono  stampale  a  Napoli  ,  e 
questa  edizione  è  citata  come  testo  di  Imgua  dagli  Accade-» 
Inici  drlla  Crusca. 

(ai^  Eccentricità  di  stile .  dice  I'  originale.  —  Jl  peggio  è  che 
questa  eccentricità  di  stile  non  solo  è  passata  ad  altre  na- 
«ioni  ,  ma  si  è  troppo  diffusa  nell'Italia  m<*desima,  e  coU'al- 
letlativo  di  quella  semplii  i  h  .  e  fiit-iliià  lusingh  era  ,  è  slata 
da  molti  adontata  con  passione  ha  distrai  o  mol  i  grandi 
ingegni  da  canti  più  .sublimi  ,  e  gmeralraente  Uà  con'.ribuito 
alla  corruzione  anziché  alP  ingentilimento  della  lingua ,  e 
dello  stile. 

(2)  »»  Benedetto  .  <t  dice  Sin^ho  ,  »  que'lo  che  primo  ha 
»  inventalo  il  sonno'.  Questo  inviluppa  in  u"!-io  intieramente 
»  come  un  mantello,  n  1  meuo  uà  secolo  avanti  Cervantes  f 
Bcrni  scriveva  in  tal  modo: 


7^ 

Es;]!  è  tuttavia  oj^^etto  di  Joìore,  cìie  una  gran 
parte  di  qu'^lle  omposizioni  sia  riprovevole  per  uà 
grado  d'  indecenza  e  profanità,  che  rende  necessario 
tutto  lo  spirito  e  l'eleganza  dell'originale,  ed  anche 
una  simpatia  coi  soggetti  loro  ,  maggiore  di  quella 
che  provar  può  una  mente  pura  ed  incorrotta ,  per- 
chè lette  siono  senza  disapprovazione,  e  senza  disgusto. 
Non  può  dunque  fare  alnuna  sorpresa  il  vedere,  che 
queste  poesie,  molte  delle  quali  sono  state  scritte  da 
uomini  posti  in  alto  grado  nella  Chiesa,  abbiano  fatto 
ricadere  qualche  sorta  di  vergogna  sulla  prelatura  Ro- 
mana. Una  delle  produzioni  di  questo  genere  di  Gio- 
vanni della  Casa,  Arcivescovo  di  Benevento,  ed 
inquisitore  per  qualche  tempo  a  Venezia,  fu  indicata 
come  un  particolare  esempio  di  depravazione;  ma 
potrebbero  prodursi  molti  esempj  almeno  egualmente 
manifesti.  Anche  le  op^re  di  Berni  contengono  passi, 
e  perfiao  intieri  componimenti  ,  non  meno  grosso- 
lani e  licenziosi,  che  le  opere  medesime,  che  diedero 
luogo  alle  più  severe  censure  (i). 


»>  Quella  diceva  ,  eh'  era  la  più  bella 
55  Arte,    il  più  bel  mestier  che  si  facesse 5 
55  II  letto  era  una  veste ,  una  gonnella 
55  Ad  ognun  buona  che  se  la  mettesse.  « 

Ori.  Tnnam.  lib.  UT.  cant.  7. 
(1)  L'  opera  di  Glnuanni  della  Casa  ,  alla  quale  si  allude  , 
è  il  suo  r/ipit'ìlo  del  forno  ,  p'ib]>linato  colle  sue  terze  rime 
nelle  Oprr"  B.i''\icha  di  Ber/ti.  e  d'altri  iu  3  volumi.  Que- 
sta poesia  ha  fatto  nascere  una  quantità  d'  inganni  .^  e  di  false 
relazioni,  che  macchiarono,  e  rendettero  singolarmente  odiosa 


§  XIII. 
Suo  Oliando  Innamorato. 

Non  era  tuttavia  il  Berni  cosi  dato  all'  indolenza , 
come  noi  potremmo  essere  indotti   a  credere    dal  ca- 


la memoria  di  queir  insigne  letteraio,  ed  elegante  scritrore. 
Da  quesie  accuse  egli  fu  difeso  da  Mei.a^io  mW And-BaiUet 
part.  II  sect.  ui).  Egli  slesso  era  tui.avia  esiremameme  sen- 
sibile ai  rimproveri  ,  che  incorso  aveva  ,  il  che  appare  dai 
bellissimi  versi  Ialini ,  da  esso  indirizza  i  ad  Gernianos  ,  nei 
quali  egli  in  raprese  di  giustificarsi  coll'allegare  ,  che  queVersi 
colpevoli  erano  scritti  nei  momenti  più  spensierati  della  sua 
gioventù,  e  ch'egli  gli  avea  espiati  colla  regolarità,  coll'al- 
tività  ,  e  colla  coniiuenza  della  sua  vita  ,  e  condotta  succes- 
siva, per  il  che  si  appella  alla  testimonianza  di  B  inhn  ^  di 
Flamini'^  ,  e  degli  altri  suoi  amici.  Questo  esempio  può  ser- 
vire di  lezione  ai  giovani  scrittori ,  alTiachè  si  guardino  dal 
pubblicare 

«  Verso  giammai  che  trista  macchia  imprima,  « 
Questa  cautela  viene  ancora    più   nobilmente  raccomandala 
ne'  versi  medesimi  dell'  autore  : 

n  Aniiis  abbine  trigiiita  et  amplius,  scio 

»>  iNonulla  me  fonasse  non  castissimis 

«  Lusisse  verbis  quod  ae  as   lune  raea 

)>  Rerum  me  adegit  inscia  ,  ei   semper  jocis 

»»  Licentius  gavisa  .,  coticessu  omnium 

n  Juvenia  ,  quod  fecere  et  alii  i  em   boni. 

»  At  nunc  abit  juveola,  lusus  permanete 

»  Et  carmini  illi  nomen  adscribunt  meum 

i>  Idem  quod  au  e  erai  ,  nec  adscribunt  diera 

»  Eamdem  ,  erat  quae  quando  id  olim  lusimus  i 

«  Sud  quod  puer  peccavit ,  accusane  senem.  « 


ratiere  eli'  egli  affeltara  ;  e  ciò  appare  8uf(ici«ntè- 
mente  dai  numerosi  suoi  scritti  ,  e  parlicolariiiente 
dall' aver  egli  rifornuto,  e  nuovamenle  raodellato  il 
diffuso  poema  dell'  Orlando  Innamorato  del  Conte 
Bojardo.  S  è  detto  eh'  egli  intraprendesse  quest'  o- 
pera  in  competenza  coli  Orlando  Furioso  <\A\! Ariosto  , 
il  che  diede  occasione  di  accusar  Berni  di  presun- 
zione e  d'  ignoranza  ;  ma  Berni  era  troppo  consci^ 
della  natura  de'  suoi  pronrj  talenti ,  che  involonta- 
riamente trailo  lo  aveano  verso  il  burlesco  ed  il  ri- 
dicolo ,  per  supporre  che  in  una  composizione  di 
genio  serio  emular  potesse  quel  grand'  uomo.  Egli 
mostrò  tuttavia  in  questa  ed  in  altre  parti  de'  suoi 
scritti  ,  eh'  egli  poteva  all'  occasione  sollevare  il  suo 
Stil^;  ed  i  versi  che  servono  d'  introduzione  a  cia- 
scun canto  dell  Oliando  innamorato^  chi  sono  ge- 
n'^ralm  "nte  di  sua  propria  invenzione,  non  sono  le 
parti  meno  ammarale,  nò  le  m^no  pregevoli  di  quel- 
r  oprerà,  D  die  varie  edizioni  di  questo  po^ma  rifor- 
mato ,  che  uscirono  dai  lorchj  poco  dopo  1j  sua  pri- 
ma comparsa  ,  e  che  sono  ancora  avi.lamenle  ricer- 
cate (i),  può  congetturarsi  che   le    alterazioni,    o  le. 


Le  opere  del  Casa  furono  raccolte,  e  pubblicale  in  5  vo- 
lumi in  4  in  Veneaia  nel  (7<8.  Tanto  i  suoi  versi  quanto  le 
sue  prose  possono  essere  colloca^e  tra  i  più  puri  modelli  del 
collo  scrivere  Italiano. 

(li  La  prima  di  queste  edizioni  è  quella  de'  Giunti  nel 
i5^i  in  4  Fu  ancora  pubblicato  ia  Milano  nelle  case  d'An- 
drea Calvo  nel  i542  in  4  con    privilegio   del  Papa  ,    e  dello 


n 

riforme  del  Bernl ,  servissero  a  clare  al  poema  di 
Bojardo  una  maggiore  celebrità.  L'impresa,  che  Ber' 
ni  condusse  a  term'ne  ,  era  già  stata  tentata  da  varj 
di  lui  contemporanei ,  e  particolarmente  da  Teofilo 
Folengi ,  e  da  Lodovico  Dolce  ^  dei  quali  alcuno  noa 
condusse  a  termine  il  suo  lavoro.  Sembra  soltanto 
che  Pietro  Aretino  avesse  Y  intenzione  di  dedicarsi  a 
questa  impresa ,  che  tuttavia  dopo  qualche  tempo 
aìibandonò;  e  se  noi  dobbiamo  giudicare  dal  siggio 
4^'  di  lui  epici  talenti  dato  nel  suo  poema  di  Mar- 
Jisa ,  il  mondo  non  ha  sofferto  alcuna  perdita  per 
questa  sua  determinazione. 

§  XIV. 

Teofilo  Folengi.  — -  Suoi   versi  macaronici 
ed  altre  opere. 

Più  stravaganti  ancora  degli  scritti  del  Berni  sono 
q\ielll  del  suo  contemporaneo  Teqfilo  Folengi  di  Maa- 


Sìato  Veneto  ,  e  di  nuovo  in  Venezia  nel  i5f5  con  la  giunta 
^i  molle  stanze  ,  che  sono  tulLavia  poco  iinportaali.  Si  dice 
che  altra  edizidne  siasi  puhblicaia  in  Venezia  per  Girolamo 
Scolto  nel  i5j8.  Quadrio  Tom.  Il'',  p.  55  j.  Muzziicchelli  1 1^. 
992:,  ma  io  credo,  che  questo  sia  T  Orlando  Innanuralo  ^ 
riformato  da  Lod,n'ico  Dorìieiilclù  :,  aìmeiu  io  posseggo  una 
copia  di  quest\dLÌma  opera  colla  stessa  indicazione  d'anno,  e  di 
stampatore.  L'  ultima  edizione  ,  che  porta  la  data  di  fiienze 
del  1725  ,  ma  iufaiii  è  Scampala  a  ÌNapoli  ,  vien  riguardata 
pome  la  più  correità, 


So 

tova,  meglio  conosciuto  sotto  il  nome  ch'egli  assunse 
dappoi  di  Merlino  Cocca/o.  Egli  era  pure  ecclesiasti- 
co, essendo  entrato  fino  dall'  anno  iSoy  in  età  di 
soli  i6  anni  nell'  ordine  de'  Bmedettini ,  nella  quale 
occasione  egli  lasciò  il  suo  nome  di  Girolamo  ,  e 
prese  quello  Ji  Teojilo  (i).  I  suoi  voli  religiosi  non 
estinsero  però  in  esso  le  passioni  amorose ,  ed  un 
■violento  attaccamento  che  egli  prese  in  seguito  per 
una  giovane  dama  nominata  Girolama  Dieda  lo  in- 
dusse ad  abbandonare  il  suo  monastero.  Dopo  aver 
menato  per  diversi  anni  una  vita  sregolata  e  vaga- 
bonda ,  egli  pubblicò  le  sue  poesie  macaroniche  ,  nelle 
quali  con  una  singolare  mescolanza  di  latino  e  di 
italiano  insieme  a  varj  dialetti  del  basso  popolo  ,  e 
coir  applicazione  delle  forme  di  una  lingua  alle  frasi 
di  un'  altra ,  produsse  una  specie  di  lingua  mulatra 
la  quale  per  la  sua  singolarità;  e  per  la  sua  varietà 
capricciosa ,  gli  conciliò  ammiratori  ed  imitatori  (2). 
Non  è  facile  a  concepirsi  come  una    persona    dotata 


(i)  TiraboscM  Storia  della  LetX,  Ilal.  T.  T^II.  p.  I.  p.  301, 
(7.)  Tiraboschi  ci  informa  ,  che  la  prima  edizione  fu  quella 
di  Venezia  del  iSig,  ma  Fontaninì^  e  Zeno  citano  una  edi-. 
zione  conlenenle  le  sue  egloghe.,  e  i  primi  sedici  libri  del  poema 
di  BUldu^  stampala  a  Venezia  nel  iSi^  in  8.  Essa  fu  poco  dopo 
ristampata  a  Venezia  nel  i52o  5  e  da  Alessandro  Paganini 
TuscvLANi  APVD  LACUM  Benacensem  nel  t^ii  ,  ornata  di 
grotteschi  s'ampaii  in  legno  col  seguente  titolo  : 

»  Opus  Meblini  Cocaii  Poetae  Mantuani  Macaronicorunt , 
totani  ìnpristinamformaìii  per  me  nuigistrum  Acqiiarium  Loiftt^ 
iam  oplime  redaclum  ,  i/i  his  infra  notatis  titulis  divisum. 


»1 

di  talenti  e  di  letteratura,  per  mezzo  dei  quali  cer- 
tamente FoIen§i  si  distingueva ,  potesse  sacrificare  a 
queste  composizioni  una  sì  grande  porzione  del  tem- 
po, quale  richieder  poteano  il  loro  numero  e  la  loro 
prolissità  ;  e  senza  dubbio  un    piccolo  saggio  avrebbe 


ZanitoNELLA  ,  quae  de  amore  TonelU  erga  Zanitiani  tra" 
Ctat,  Quae  constai  ex  tredecint  soiioiegiis ,  septeni  eclogis  , 
et  una  strambottolegia. 

n  Phantasias  Macaronicon  ,  dwisum  in  vigintiquinque 
Maaaronicis ,  tractans  de  geslis  magnanimi  et  pudentissinù 
Baldi. 

MOSCHEAB  ,  Facetiis  liher  in  trihus  partibus  dwisus  , 
et  tractans  de  cruento  certamìne  Muscarum ,  et  Formica- 
rum . 

LiBELLVS  Epistolarum  y  et  Epigrammatum  ad  varias  per- 
sonas  directarum. 

»  HexasticON  Joannis  Baricocotae. 

j»  Merdiloqui  putiìdo  ScardaJ/ì  stercore  nuper 
jj   Omnibus  in  bandis  iniboazata  fui. 

n  Me  tamen  Aquarii  Lodolae  sguratio  lauit  ^ 
«   Surn  quoque   Savona  facta  goltinta  suo. 

i>  Ergo  me  populi  comprantes  solfite  bursas. 
»?  Si  quis  auurltia  non  emit,   ille  miser.  « 

Folengi  poco  dopo  riformò  ,^  ed  alterò  q-.iest'  opera  ,  ad  og- 
getto di  correggere  un*  eccessiva  .eudenza  alla  satira  ,  ed  una 
nuova  edizione  fii  pubblicata  senza  indicazione  di  anno  ,  di 
luogo,  o  di  stampatore,  ma  usci  in  Venezia  nel  i53o.  La 
«dizione  del  iSai  si  considera  tuttavia  come  la  migliore,  ed  è 
suta  il  modello  di  tutte  le  ristampe,  che  si  sono  fati  e,  in  par- 
ticolare di  quella  di  Venezia  Apui.  Joan.  Vuriscum  et  socios 
nel  i5;3.  Una  splendida  edizione  dei  versi  raacaronici  di  Fo- 
lengi in  due  volumi  in  4  fi^  pubblicata  in  Mantova  nei  1768; 
«  nel  1771  colla  vira  dell'autore  scritta  da  Gian  Agostino 
Gradenigo  Vescovo  di  Ceneda. 

Leone  X.   Tom.  FU.  6 


2^' 

potuto  soddisfare  la  curiosità  dì  molli  de'  suoi  let- 
tori. E'  stato  detto  vemtnente  ,  che  la  sua  prima  in- 
tenzione quella  fosse  di  comporre  un  poema  epico 
in  latino  ,  il  quale  superar  potesse  V  Eneide  ;  ma  che 
trovando  egli  per  la  decisione  de'  suoi  amici  di  ave- 
re imperfettamente  rlvalizzato  col  Bardo  Romano  , 
diede  il  suo  poema  alle  fiamme,  e  cominciò  a  diver- 
tirsi con  questi  stravaganti  componimenti ,  alcuni  dei 
quali  tuttavia  mostrano  talvolta  una  vivacità  di  im- 
maginazione, e  di  arte  descrittiva  ,  e  contengono  passi 
di  un  merito  poetico  tanto  distinto  ,  che  se  egli  de- 
dicato si  fosse  ad  un  genere  più  serio  di  composi- 
zioni ,  probabilmente  avrebbe  potuto  prender  luogo 
tra  i   primarj    poeti  latini  dell'  età  sua. 

Neil'  anno  1S9.6  Folengi  sotto  il  nome  di  Limer- 
no  Pitocco  pubblicò  in  italiano  il  suo  poema  epico 
burlesco  di  Orlandino  ,  opera  che  s^uopre  ancora  più 
evidentemente  il  vigore  della  sua  immaginazione,  e 
la  sua  grazia,  e  la  sua  facilità  nel  comporre,  e  rhe 
scritta  non  essendo  nello  stile  grottesco  e  licenzioso 
delle  sue  prime  produzioni  ,  può  essere  letta  con  molto 
piacere  (i).  Dee  tuttavia  osservarsi,  che  tanto  questo 


(')  Questo  poema  tliviso  in  otto  canti  è  stato  ristampato 
diverse  volle  dopo  la  pritua  edizione  fatta  da  Sabbio  in  Ve- 
nezia nel  i5'2G;  principalmente  da  Gregorio  dei  G reeuri  nella 
citlà  medesima  ,  e  nello  slesso  anno  ;  in  Rimini  da  Snncino 
nel  i5a7  (  ed'zione  castrala  )  ,  in  Venezia  dal  S'ssa  nel 
'  53o  e  nel  i53.),  e  di  nuovo  dal  Biiuloni  nel  i55o:,  delle 
'^[uali  edizioni  1'  ultima  ò  stata  contrafatta  con  una  stampa 
(iuta  sotto  la  data  medesima  ,    ma   di    mia.    esecuzione  molto 


8:» 

poema,  quanto  le  sue  raacaroniclie  abbondano  di 
passi  osceni ,  circostanza  clie  in  que'  tempi  sembr^ 
avere  in  qualche  modo  distinto  le  produzioni  degli 
ecclesiastici  da  quelle  dei  laici   (a).    Pentito  però  dei 

pii^  infelice.  Al  fine  trovasi  un  indirizzo  apologelico  dell'autore, 
nel  quale  egli  tenta  di  difendersi  dall'  accusa  di  empieU  per 
avere  satirizzalo  il  clero  soUo  il  carattere  di  Monsignore  Grif-, 
fiirosto .,  e  ciò  che  era  molto  piC»  pericoloso  per  aver  mo- 
stralo qualche  parzialità  per  la  causa  della  riforma.  Zeno  An— 
noU  al  Fonlan,    T.  I.  p.  3o3. 

(a)  Questa  osservazione  ,  che  l' autore  ha  fatto  con  piena 
buona  fede  ,  sarebbe  giusta ,  se  in  quel  tempo  molti  laici  si 
fossero  dedicati  alla  letteratura  ,  ed  avessero  colle  loro  fati- 
che ,  e  cogli  scritti  loro  promosso  i  buoni  studj  in  Italia.  Ma 
è  da  riflettersi,  che  dal  momento,  che  si  sviluppavano  dei 
talenti  in  alcun  giovane  ,  che  per  la  sua  nascila ,  o  pel  suo 
grado  destinalo  non  fosse  alla  milizia  ,  gli  si  facea  vestire  un 
abito  ecclesiastico,  e  si  iucammin.iva  per  la  via  clericale.  I 
laici  stessi  ,  che  erano  dolati  di  talenli  ,  e  forniti  di  cogni- 
zioni ,  correvano  tulli  a  R,oma,  massime  dacché  si  rese  cele- 
bre la  liberalità  di  Leon  X  verso  i  letterati,  sigcome  molti 
(Bsempj  ne  abbiamo  ;  e  <;.)la  vésiivam  da  preti  ,  o  entra- 
vano anche  negli  ordini  sacri ,  affine  di  rendersi  capaci  a  con- 
seguire qualciie  benclzio.  Questo  produsse  adunque ,  che  tutti 
i  letterati  erano  ecc!esiasii';i ,  o  per  lo  meno  ne  vestivano  l'a- 
bito ,  e  ben  raro  si  troverà  vm  uomo  celebre  per  dottrina  in 
que'' tempi,  che  non  prendesse  quelle  inscgue  per  po,ter  conse- 
guire qualche  prelatura  ,  o  qualche  uffi'ùo  nella  corte  del  Papa, 
Won  può  dunque  asserirsi  ,  che  la  licenza  distinguesse  gii 
6criLti  degli  ecclesiastici  da  cjuelli  de'  laici  ^  ma  piutiosttO  di-e 
compiangersi  lo  spirilo  dì  quella  età  ,  nella  quale  tutti  i  mi- 
gliori ingegni  liberalmente  eduriu  ,  e  traiti  forse  malgrado 
loro  allo  slato  ecclesiastico  ,  portavano  negli  scritti  loio  quelia 
licenza  ,  che  pur  troppo  si  rendea  osservabile  aaohe  oe'  iorc» 
eostumi. 


S4 

suoi  errori ,  o  stanco  della  sua  condotta  (JisorJlnala  , 
Folengi  tornò  poco  dopo  alla  sua  cella  ,  dove  la  sua 
prima  occupazione  fu  di  scrivere  un  ragguaglio  dei 
suoi  errori  ,  e  delle  vicende  della  sua  vita  passata , 
che  stampò  sotto  il  titolo  di  Chaos  del  tri  per  uno  ^ 
più  capriccioso  ancora  e  stravagante  che  non  tutti  ì 
precedenti  di  lui  scritti  (i).  Decrescendo  quindi  in 
esso  il  fuoco  della  fantasia  ,  o  1'  ardore  delle  passio- 
ni, rivolse  i  suoi  talenti  a  soggetti  religiosi,  e  com- 
pose un  poema  dell  umanità  del  Figliuolo  di  Dio , 
il  quale  probabilmente  non  si  conciliò  un  sì  gran 
numero  di  lettori ,  come  le  prime  sue  opere  (2).  Es- 
sendo stato  nominato  priore  del  piccolo  monistero  di 
S.  Maria  della  Ciambra  nell'  isola  di  Sicilia ,  egli 
compose  colà  ad  istanza  di  Ferrando  Gonzaga,  allora 
Viceré,  un  poema  in  terza  rima  diviso  in  due  libri, 
intitolato  la    Palermita ,    ed   inoltre   tre    tragedie    in 


^l  "1  II  suo  Tri  per  uno  h  diretto  ad  esporre  i  Ire  differenti 
periodi  della  vita  dell'  aurore  ,  e  fu  stampato  la  prima  volta 
ia.  Venezia  nel  1027  ,  e  di  nuovo  nel    i5^6. 

(2)  Stampato  a  Venezia  da  Aurelio  Pinolo  nel  i533.  Que- 
Et'  opera  è  divisa  in  dieci  canti ,  nel  primo  de'  quali  Omero 
e  F'ì'r^ilio  sono  introdotti  a  conversare  in  favore  di  quattro 
cristiani  poeti  ,  che  scrissero  sulla  umanità  del  figlio  di  Dio  , 
ì  quali  sembrano  essere  il  Folgo  ,  o  sia  Folengi  medesimo  , 
Sannazaro,  Vidn^  e  Scipione  Copece.  Folengi  sembra  essersi 
imbevuto  di  alcune  dottrine  dei  riformatori,  che  egli  però  non 
era  abbastanza  ardilo  per  copfessaie  più  apertamente  ^  e  sem- 
bra essersi  finto  pazzo  come  Dau'de  davan'.i  ad  Achi-ih^  »>  ed 
»>  essere  andato  tentone  alla  porta,  ed  aver  lasciato  cadere  la 
n  ficialiva  lungo  il  suo  mento,  o 


verso  sopra  soggetti  saci-I  ;  componimenti,  cte  noa 
furono  mal  pubblicati  (i).  Molte  altre  opere  di  Fo- 
lengi  sono  accennate  dai  di  lui  editori,  o  dagli  scrit- 
tori della  di  lui  vita.  Egli  morì  1'  anno  1 544  nel  prio- 
rato di  Carapese  non  lungi  da  Bassano  ,  e  fu  sepolto 
nella  Chiesa  di  S.  Croce. 

§  XV. 

Imitazione  degli  antichi   classici  Scrittori.  — 
Tr  issino. 

BeacKè  lo  studio  delle  lingue  antiche  fosse  già  da 
molto  tempo  risorto  in  Italia,  sembra  che  alcuna  idea 
non  si  fosse  concepita  avanti  1'  epoca  di  Leon  X  del 
miglioramento  dello  stile  nella  Italiana  composizione  , 
ottenibile  con  una  più  stretta  aderenza  alla  regolarità , 
ed  cilla  purità  dei  Greci  e  Romani  scrittori.  Eransi 
fatti  veramente  alcuni  sforzi  per  trasfondere  lo  spirito  , 
o  almeno  il  senso  di  quelle  produzioni  nella  Italiana 
favella.  Le  Metamorfosi  d'  Ovidio  (2) ,  e  Y  Eneide  del 
Bardo  Mantovano  (3) ,  erano  state  per  tal  modo  tra- 


(i)  La  Cecilia  ,    la  Cristina  ,  e  la  Caterina.    Zeno    note  al 
Fontan.    V.   L  p.  3o2, 

(a)  Tradotte  da  Gioifanni  Bunnsigiiore.,  come  si  suppone  nel 
XIV.  secolo  ,  e  stampate  a  Venezia  da  Giovanni  Rosso  nel 
1197.  Morelli  Bib.  Pinel  V.  IV.  art.  2069.  Hajin  lib.  liaL 
1 18  .,  e   i3 

(3  '  L'  Eneide  ridotta  in  prosa  per  Alanagio  Grec».  Vi" 
cerna  per  Ermandg  di,  Leyillapide   1476- 


dotte  in  prosa  ;  e  !a  TeLaiJe  di  Stazio  (i)  ^  la  Far- 
Saglia  di  Lucano  (2),  le  salire  di  Gioi>enale  (3)  con 
alcuni  frammenti  separati  degli  scritti  di  Ovidio  (4)  9 
e  di  Virgilio  (5),  erano  stali  tradotti  in  versi  Italia- 
ni; ma  in  così  rozza,  e  sdolcinata  maniera,  da  pro- 
durre come  un  cattivo  specchio  una  caricatura  piut- 
tosto elle  una  somiglianza.    Allorché    i   letterati    Ita- 


(1)  Tebaide  di  Stazio  ,  in  oliava  rima  da  Erasmo  di  Val" 
i>asone.   Ven.   ap.  Fran.  Francesrhi    i^^o- 

(2)  Lucano  la  Farsaglia,  tradotti  dal  Cardinale  Montichiello. 
Milano  ,  per  Cassano  (ìe  Mantegazii  \\cp.  in  \. 

(3)  Le  satire  di  Giovenale  in  terza  rima  da  Giorgio  Soni" 
maripa  ,  in  Trcvigi .,    \!\^o  in  fol. 

(\)  De  Arie  Amandi  in  terza  Rima  ,  Milano  per  Filippo  di 
Mantegazii  ^\^'\.  Vi  è  pure  un' altra  edizione  senza  data,  che 
è  probabilmedle  la  prima.  Morelli  lib.  Pinell.  T.  IV.  art. 
2061. 

(5)  Bucoliche  di  Virgilio  per  Bernardo  Pulci  di  latino  ia 
Tolgare  tradoltte,  stampate  con  alcune  delle  Bucoliche  di  Fran~ 
Cesco  Arsochi  ,  Hieronyino  Benito  e  ni  ,  et  Jacopo  Fiorino  de 
Buoninsegni.  Fior,  per  Maestro  Antonio  Mis-hornini  i494-  ""' 
f^ita  di  Lorenzo  de''  31  edici  T.  1.  p.  3o4'  lo  deggio  osser- 
Tare  ,  che  il  S.  U^arton  non  è  corretto  nell'  asserire  ,  che  le 
Bucoliche  di  Virgilio  furono  tradolle  in  Italiano  da  Bernardo 
Pulci,  Fossa  di  Cremona,  Benivieìd  .,  e  Fiorini  Buoni nsegni. 
Storia  della  poes.  Inglese  V.  IT.  p.  aSG.  I  soli  traduttori  di 
Virgilio  furono  Bernardo  Pulci  ,  ed  Ei'angelista  Fossa  ,  es- 
sendo composizioni  originali  Io  Bucoliche  di  Beniuteni  ,  e  di 
Buoniiisegni.  La  traduzioni  di  Fossa  porta  per  titolo.  Bu- 
Cholica  Vulgare  de  Virgilio  composta  per  el  clarissimo 
poeta  Frate  Evangelista  Fossa  de  Cremona  dell'  ordine  dei 
Servi  M.  ecce.  LXXXX  in  Venetia.  La  traduzione  é  Ja 
*eiza  rima  j  ma  somuìamente  rozza  ,  e  scorretta. 


8f 

Uani  furono  più  jprofondaraente    istratti    nelle   opere 

legli  antichi,  essi  cominciarono  a  sentire  l'influenza 
lei  loro  gusto ,  e  ad  imbeversi  in  qualche  parte  del 
loro  spirito.  Non  più  soddisfatti  del  lungo  e  penoso 
lavoro  di  tradurre  quegli  autori  ,  essi  con  lodevole 
emulazione  intrapresero  di  rivalizzare  coi  celebrati  a* 
fanzi  degli  antichi  ingegni  per  mezzo  di  produzioni  di 
"guai  genere  nel  natio  loro  linguaggio.  Per  giugnere  ad 
eguagliare  i  loro  grandi  modelli ,  essi  si  arrischiarono 
jerfina  a  metter  da  parte  i  vincoli  della  rima  ,  e  ad 
introdurre  un  genere  di  metro ,  che  pel  suo  effetto 
dipendea  solo  dalla  elevazione  ed  armonia  della  lin- 
gua,  e  dalla  varietà  delle  pause,  anziché  dal  conti- 
nui ritorno  di  una  eguale  desinenza.  Quello  che  a  buon 
diritto  può  dirsi  aver  formato  il  primo  ,  ed  eseguito 
in  |ualcho  parie  questo  lodevole  disegno  ,  è  il  lette- 
rato Gioan  Giorgio  Trissino  \  e  benché  le  sue  facoltà 
poetiche  non  fossero  proporzionate  all'  impresa ,  che 
egli  5Ì  era  assunta  ,  tuttavia  lo  stile  puro  e  classico 
da  esso  per  tal  modo  introdotto,  diede  origine  ad 
alcune  delle  più  corrette  e  piacevoli  produ/tioni ,  che 
uscite  siano  in  lingua  Italiana. 


8S 

§.  XVI. 

Trissino  introduce  i  versi  sciolti  Italiani. 

Trissino  nacque  di  una  famiglia  nobile  di  VicenzE 
nell'anno  1478;  e  per  alcun  tempo  ricevette  istru- 
zioni dal  celebre  greco  letterato  Demetrio  Calcondilc 
in  Milano  (1).  Dopo  la  morte  di  sua  moglie,  che 
perdette  nei  primi  anni  della  sua  giàventù  ,  egli  pass» 
a  Roma  ,  dove  ottenne  parlicolar  favore  da  Leon  X , 
il  quale  lo  impiegò  in  diverse  missioni  importanti , 
ed  in  particolare  in  una  all'  Imperadore  Massimila- 
no  (2).  I  versi  sciolti  Italiani  ,  o  i  versi  senza  rina  j 
furono  la  prima  volta  usati  dal  Trissino  nella  sua 
tragedia  della  Sofonisha  ,  e  sono  certamente  milto 
meglio  applicati ,  che  non  la  tei'za  rima  ,  o  V  ottava 
ad  opere  di  una  certa  lunghezza  (a).  Lo  stesso  me- 
todo di  versificazione  fu  tuttavia  impipiiato  verso  il 
tempo  medesimo  da  diversi  uomini    celebri    pei   loro 


(i)  Trissino  con  lotlevole  gratiuidijie  eresse  nella  chiesa  di 
S.  Maria  della  l^assione  a  Milano  un  elegante  monumento 
alla  memoria  del  suo  preoeUore  merlo  in  questa  città  l'anno. 
l5ii.   Tirahoschi  Stor.  della  T^ptt.   hai.    T.  VI.  p.  II.  p.  i32. 

(2)  Trissino  nella  dedicazione  della  sua  Ila.'iu  liberata 
all'  Imperadore   Carlo   V. 

(a)  Poemi  lunghissimi  si  hanno  in  terza  ,  ed  in  ottava  rima 
vhe  punto  non  annojano.  Si  sarebbe  più  acconciamente  detto 
in  questo  luogo ,  che  i  versi  sciolti  erano  meglio  calcolati  per 
r  escrcwio  dt?lla  declamazione, 


89 

talenti ,  ed  un  famoso  critico  Italiano  asserì  „  che  esso 
,,  era  stato  impiegato  prima  da  Luigi  Alamanni  nella 
j,  sua  tiaduzioae  dell'Epitalamio  di  Peleo  e  di  Tetl  di 
,,  Catullo  ;  poco  dopo  d.-^  Lodovico  Martelli  nel  tradurre 
,,  il  quarto  libro  dell'Eneide,  e  dal  Cardinale  Ippolito 
,,  Je' ilf/eJ/ci  nel  tradurre  il  secondo,  ad  imitazione  del 
,,  quale  Trissino  poco  dopo  compose  in  versi  eguali  il 
,,  suo  epico  poema  àeW  Italia  liberata  da  Goti  (i).  " 
Ma  deve  riflettersi  che  V  Italia  liberata  non  era  la 
prima  opera ,  nella  quale  Trissino  impiegato  avesse  i 
versi  sciolti  ,  essendo  stata  scritta  la  sua  tragedia  di 
Sofonisba  almeno-dieci  anni  avanti ,  eh'  egli  comincias- 
se il  suo  poema  epico,  e  finita  nel  i5i5  (2).  Egli  è 
certo  tuttavia  ,  che  nell'  anno  medesimo  Giovanni  Ru- 
celiai  scrisse  in  versi  sciolti  la  sua  tragedia  di  Ros' 
manda;  ma  siccome  egli  indirizzossi  a  Trissino ,  come 
a  suo  precettore  nelle  lettere  ,  e  siccome  le  pretese 
di  Trissino  alla  precedenza  per  questo  riguardo  sono 
confermate    dalla    confessione  esprfìssa    di   Palla    Ru- 

(1)  Lettere  di  Claudio  Toloniei  citate  nel  giornale  de'  lei'- 
terati  V    XYFT.  p.  290. 

(2)  Appare  da  una  lettera  di  Giovanin  Rucellai  al  Trissi- 
no ,  scritta  gli  8  novembre  i5i5^  che  Tris^inn  avea  pia  finito 
allora  la  sua  tragedia  ^  che  egli  intendea  di  far  rappresentare 
innanzi  a  Leon  X,  probabilmen.e  in  occasione  del  di  lui  viag- 
gio a  Firenze  iu  quel!'  anno.  Zeno  note  al  Font.  Bib,  lied. 
V.  I.  p.  4(J4'  Essa  non  fu  stampala  tuttavia  fino  al  i524,  nel 
qual  tempo  fu  pubblicata  in  Roma  per  Lodoi'ico  degli  jitri" 
ghi  Vicentino ,  con  una  dedicatoria  indiriizata  dall'  autore  a 
Leon  X  durante  il  tempo  del  suo  pontificato  ,  che  il  lettore 
troverà  nell*  appendice  If.  CLXtlI. 


celiai  fratello  eli  Giovanni^  noi  pcfssìarao  ccwhfictefltc. 
mente  attribuire  a  Trissino  Y  onore  della  invenzio- 
ne  (i)  ;  a  meno  che  non  si  credano  sufficienti  a 
turbare  i  suoi  diritti  i  reclami  dello  storico  Fiorenti- 
no Jacopo  Nardi ,  il  quale  diede  un  saggio  di  versi 
sciolti  nel  prologo  della  sua  commedia  intitolata  VA- 
micizia  ,  che  si  suppone  rappresentata  innanzi  ai  Ma- 
gistrati di  Firenze  verso  1'  anno  i494  (2).  La  trage- 
dia di  Sojonisha  merita  tuttavia  una  menzione,  non 
solo  per  avere  introdotta  la  prima  volta  in  uso  piìi 
generale  i  versi  sciolti ,  ma  ancora  per  essere  la  pri- 
ma tragedia  regolare ,  che  comparsa  sia  dopo  il  ri- 
nascimento delle  lettere.  Il  nome  di  tragedia  era  stato 
per  verità  adottato  da  prima,  ed  anche  la  storia  di 
Sofonisba  avea  formato  il  soggetto  di  un  componi- 
mento drammatico  in  ottava  rima  presentato  da  Ga- 
leotto marchese  tlel  Garretto  ad  Isabella  marchesa  di 
Mantova    (3);    ma    questa  produzione  non   altrimenli 


(i)  »»  Voi  foste  il  primo  die  questo  mode»  di  scrivere  iti 
ìì  versi  materni  liberi  dalle  rime  poneste  in  luce  eie.  «  Dedi~ 
cazione  del  poema  delle  Api  al  Trissino. 

(2)  Questa  quistione  ha  fatto  nascere  una  grande  diversità 
di  opinioni  tra  Monsignore  F'ontanini ^  ed  il  suo  severo  com- 
mentatore Apostolo  Zeno  ,  che  i  lettori  veder  potranno  nella 
Biblioteca  della  eloquenza  Itafiana.  V.  t.  p.  a\  ,  e  seg. 
Questo  punto  è  stato  ancora  discusso  dal  sig.  If^alker  nel- 
r  Appendice  alle  sue  memnrie  storiche  della  tragedia  Italiana, 
N.  IL  p.  20. 

(3)  M affai  Teatro  Italiano  V.  I.  pref.  alla  Sofonisba  del 
Trissino. 


9» 

CÌie  la  }^ir'^ìnia  di  Accolti ,  ed  altre  opere  della  atessa 
natura ,  erano  così  imperfette  nella  loro  disposi- 
ci )ne  ,  e  così  male  adattate  alla  teatrale  rappresen- 
tazione ,  che  accrebbero  invece  di  diminuire  1'  onore 
dovuto  al  Trissino  ,  il  quale  non  seguendo  l' esempio 
de'  suol  contemporanei  introdusse  uno  stile  più  cor- 
retto ,  e  classico  di  composizione  drammatica  (i).  La 
storia  compassionevole  di  quesla  tragedia  ,  appoggiata 
al  racconto  di  Livio  nel  libro  XIII  della  sua  storia, 
è  già  ben  conosciuta  avendo  formato  sovente  il  sog- 
getto di  rappresentazioni  teatrali  in  questo  paese  Sarà 
dunque  suffi'.^iente  l'osservare,  che  Tassino  senza  molto 
allontanarsi  dal  racconto  della  storia ,  diede  una  dram- 
matica forma  agli  incidenti ,  la  quale  rende  la  sua 
produzione  interessante;  e  vi  si  trovano  sparsi  molti 
passi  pieni  di  espressione  .e  di  sentimento.  Al  tempo 
stesso  dee  accordarsi  ,  che  la  dignità  dello  stile  tra- 
gico non  vi  è  sempre  egualmente  sostenuta ,  e  che 
r  autore  spesso  vi  lascia  vedere  una  prolissità ,  un 
laui^uore ,  ed  una  insipidità  tanto  di  sentimento  , 
quanto  di  stile,  che  fa  molto  torto  all' interesse  delti 
composizione. 


(i)  Giraldi  nel  prolof;o  al  suo  Orbecche  lo  chiama 
"  Il  Trissino  gentil  ,  che  col  suo  canto 
«>  Prima  «r  ognun,  dal  Tebro ,  e  dall' Ilysso  , 
n  Già  trasse  la  TrageJia  a  V  onde  d'  Arao.  <^- 


92 


§  XVII. 

Suo  poema^  T  Italia  liberata  dai  Goti. 

Non  fu  tuttavia  se  non  nell'  anno  1 547  '  ^^^ 
Trissìno  pubblicò  i  nove  primi  libri  del  suo  poema 
epico  /'  Italia  liberata  dai  Goti  ,  del  quale  gli  altri 
otto  libri  comparvero  nel  1 548  (i).  In  questo  poe- 
ma,   al    compimento   del  quale    Y  autore    spese    circa 


(i}  Questo  poema,  come  pure  la  seconda  edisione  della 
Sofonisba  nel  1^29,  furono  stampate  colla  introduzione  fatta 
in  quella  occasione  delle  lettere  Greche  per  determinare  con 
una  maggiore  precisione  il  modo  della  pronunciazione  Ita- 
liana :  di  che  1'  invenzione  è  dovuta  al  Tr issino  ,  benché 
l'autorità  sua  non  sia  riuscita  a  farne  adorar  l'uso  general- 
mente. Egli  dedicò  il  suo  poema  alT  imperadore  Carlo  V^ 
con  un  indirizzo,  nel  quale  spiega  i  motivi,  che  lo  hanno 
ìadotto  a  tentare  questa  impresa  ,  e  rischiara  alcune  partico- 
lari circostanze  della  sua  vita.  Diversi  passi  di  questo  poema 
furono  reputa;i  offensivi,  avendo  l'autore  censurato  severamente 
la  condotta  di  alcuni  Romani  Pontefici,  ed  egli  in  conseguenza 
li  cancellò  nelle  copie,  che  ancora  rimaneano  invendute-  cir- 
costanza ,  che  fece  nascere  molte  discussioni  tra  i  bibliografi 
Italiani,  Fontanìni  Blhliot  lial.  T  T.  p.  268  ecc.  Siccome 
uno  di  que'  passi  tagliali  fuori  si  riferisce  particolarmente  al 
soggetto  dei  volumi  precedenti  di  quest'  opera  ,  io  ho  voluto 
presentarlo  ai  lettori  tratto  dalla  prima  rarissima  edizione , 
siccome  vien  nominata  da  Tirahoschi.  In  questo  estratto  si 
troverà  parimenti  un  saggio  del  modo  particolare  ,  nel  quale 
Trissino  ten.ò  di  introdurre  1'  uso  delle  lettere  Greche.  Ap-^ 
pend.  ly.  CLXlf^,    Vcdansi  pure  le  noli  addizionali. 


93 

yent'anni,  egli  si  prppose  di  esporre  agli  Italiani  un  sag« 
gio  di  vera  poesia  epica,  fondata  sulT  esempio  d  O/ne/o, 
e  confermata   dall'autorità   d'  Aristotele.  Il  soggetto  è 
la  liberazione  dell'  Italia  dai  Goti   fatta    da    Belisario 
generale  dell'  Imperadore   Giustiniano.  Nella    esecuzio- 
ne di  questo  disegno    Trissino  asserisce  aver  egli  esa- 
minato tutti  gli  scrittori  Greci  e  Romani  ,  ad  oggetto 
di   sceglitore  i   fiori  della  loro    eloquenza  ,  e  di    arric- 
chirne le  proprie  di  lui    fatiche.    Che    Trissino    fosse 
un  uomo  di  rari  talenti,  e  di  molta  letteratura,   egli 
è  evidente    per    gli   altri  di  lui  scritti  ;  e  le  varie  di 
lui  cognizioni  nelle  matematiche  e  fisiche    discipline, 
e  nella   ai'chitettura  sono  altamente  commendate    dai 
suoi  contemporanei  :    pure    di    tutti  i  tentativi   epici, 
che  si    son    fatti  fino    a    quest'  ora  ,    Y  Italia    liberata 
può  riguardarsi    come    il    più    insipido,    ed    il    meno 
interessante.   Negli  scritti  del   Berni^  del  Mauro  .^    del 
Folens^ì^  e   di  altri  scrittori  della  poesia  burlesca,  una 
affettata  semplicità,   o  bassezza  di  stile  si   è    adottata 
apparentemente  per    il   fine    riconosciuto    di    dare    il 
maggior  risalto  alla  satira  loro,  o  ai  loro  tratti   spi- 
ritosi; ma  lo  stile  basso  ,    e    pedestre    del    Trissino  è 
genuino  e  non   affettato,  e  riesce  sovente  ancora  più 
disgustoso  pel  suo  contrasto  colla  gravità  del  soggetto, 
e  dell'  Autore.  Più  riprensibili   ancora  sono    il    dise- 
gno, e  la  condotta  del  poema,    nel    quale    la    pagana 
mitologia  è  confusa  colla  cristiana  religione,    ed  una 
invocazione  ad  Apollo,  ed  alle  muse,  introduce  l'Es- 
sere Supremo,  e   lo    fa    intervenire     negli    affari    de' 
Biortali  ia  un  linguaggio  tale,  e  con  tali  mezzi ,  ch& 


94 

nel  giudizio  della  Tera  pietà  ,  o  del  gusto  coiretto 
comparir  debbono  affatto  indegni  del  divino  carat- 
tere. Quindi  è,  che  né  1'  industria  del  Trissino,  ne 
r  alta  reputazione  letteraria,  che  egli  avea  dapprima 
ottenuta,  poterono  conciliar  credito  allo  sfortunato 
suo  poema,  il  quale,  siccome  ce  ne  informa  uno  de' 
suoi  contemporanei,  non  ottenne  molti  lettori,  ma  fi\ 
in  qualche  modo  sepolto  il  giorno  medesimo,  che 
comparve  in  luce  (i).  Verso  l'anno  1700  dai  socj 
dell'  accademia  del  cardinale  Ottohoni  in  Roma  si 
fece  un  debole  tentativo  per  trasportare  X Italia  libe- 
rata in  ottava  rima,  avendo  scello  ciascun  membro 
un  libro  di  quel  poema  per  esercitare  1  suoi  talenti, 
ma  benché  alcuni  di  essi  conducessero  a  fine  la  loro 
parte  del  lavoro,  1'  opera  non  fu  compita.  I  critici 
Italiani,  bramosi  di  non  far  torto  ad  un  uomo,  i  di 
cui  meriti  per  altri  riguardi  onorarono  il  loro  paese, 
non  menzionarono  sovente  \  Italia  liherata  se  non 
in  termini  di  rispello;  ciò  nulla  ostante  quel  poema 
non  fu  ristampato  fino  all'anno  17^9,  ed  allora  fu 
inserito  nella  raccolta  generalo  delle  opere  di  quel- 
r  Autore. 


(r)  n  Non  si  vedo  che  "I  Tn'ssino  ,  la  cui  dottrina  nella 
»  nostra  età  lii  degna  di  maraviglia,  ed  il  cui  poema  non  sarà 
n  alcuno  ardilo  di  negare  ,  che  non-  sia  pieno  d'  £riidiiione  , 
»  e  allo  ad  insegnar  di  molte  belle  cose  ,  non  fe  letto  ,  e 
ti  che  quasi  il  giorno  medesimo  che  è  uscito  a  luce  ,  è 
»  stato  sepolto?  u  Bernardo  Tasso  ap,  Tirab,  Stona  della 
Utl.  hai.  V.  VII.  p.  III.  p.  Ili, 


95 
§  XVIII. 

Giovanni  Bucellai. 

Seguace  del  Trìssino  nella  adozione  de' versi  sciolti, 
yna  moltb  più  felice  nel  modo  di  adoperarli  fu  il  dt 
ìui  amico  Giovanni  Bucellai^  il  quale  merita  nna 
particolare  menzione  tanto  per  la  sua  stretta  paren- 
tela col  papa  Leon  JY,  quanto  pei  di  lui  meriti  straor- 
dinarj.  Fu  egli  uno  de'  quattro  figli  di  Bernardo 
Bucellai,  e  di  sua  moglie  Nannina^  sorella  di  Lo- 
renzo il  magnifico,  e  nacque  in  Firenze  nel  \l\']S  (i), 
li'  esempio  del  di  lui  padre,  il  quale  viene  annove^ 
rato  giustamente  tra  i  piìi  famosi  letterali,  e  tra  gli 
scrittori  latini  più  corretti  del  suo  tempo,  e  le  istru- 
zioni del  giovane  Francesco  Cattaneo  da  Diaceto, 
erano  una  sicura  guarentigia  dei  pronti  di  lui  pro- 
gressi, e  si  dicea  di  esso^  come  cosa  fuor  di  dub- 
bio, che  egli  fosse  cosi  perito  nella  cognizione  delle 
lingue  Greca,  e  Lati  na,  come  in  quella  della  sua 
lingua  natia  (3).  Nell'anno  i5o5  fu  spedito  come 
Ambasciadore  dalla  sua  patria  allo  stato  di  Venezia, 
e  fu  presente  allorcliè  l'inviato  di  Luigi  XII  cliiese, 
cbe  il  Senato  permettesse  al    giurista    Filippo    Ledo 


(1)  Giornale  de'  l'tterati   T.   XXXIÌJ.  p.   1,  p.   2)0. 

(2)  »  Triplici  lingua  elfga/uissime  excuUiis.  u  Poccianù^ 
cotat.     de'  scritt.    Fiorentini.     —    Giornale    de'  letlerati  .^    ut 
*upra. 


96 

di  tornare  come  sito  sùddito  a  Pavia  per  insegnarvi 
la  legge  canonica,  al  che  il  Senato  ricusò  di  aderire; 
incidente ,  che  sembra  aver  fatto  una  grande  impres- 
sione sopra  Rucellai,  siccome  quello,  che  provava  il 
grandissimo  pregio  della  letteratura,  e  la  grande  im- 
portanza, che  si  attribuiva  ad  un  uomo  fornito  di 
talenti  (i).  Nel  tumulto  suscitato  dai  più  giovani 
cittadini  di  Firenze  al  ritorno  de  Medici  nel  i5i2, 
che  grandemente  contribuì  a  facilitare  quell'  avveni- 
mento, Giovanni  Bucellai,  e  suo  fratello  Palla  pre- 
sero una  parte  primaria,  nel  che  essi  mostrarono  di 
agire  in  senso  contrario  delle  brame  del  padre  loro, 
il  quale  costantemente  aderiva  al  partito  popolare  (2). 
All'  epoca  dalla  elevazione  di  Leon  JS",  e  dello  sta- 
bilimento del  di  lui  nipote  Lorenzo  al  governo  di 
Firenze,  Giovanni  rimase  in  quella  città  in  un  im- 
piego ragguardevole,  e  si  suppone,  che  egli  accompa- 
gnasse Lorenzo  a  Roma,  quando  questi  venne  ad  as- 
sumere le  insegne  di  Capitano  generale  della  Chiesa. 
Poco  dopo  il  suo  arrivo  Rucellai  entrò  negli  ordini 
Ecclesiastici ,  e  seguì  il  Pontefice  nel  suo  viaggio  a 
Firenze  nel  i5i5,  ed  allora  Leone  fu  trattenuto  nei 
giardini  di  Rucellai  colla  rappresentazione  della  Tra- 
gedia della  Rosmonda ,  scritta  da  Giovanni  in  versi 
sciolti  Italiani.  Ha  fatto  sorpresa  ad  alcuno,  che 
Leone  non  abbia  conferito  la  dignità  della  porpora  ad 


(1)  Giornale  de' letterati  T.  XXXJII.  p.  J.  p.  1^. 
(a}   Giornale  de'  letterati  T.  XXXlìl.  p.  J.  p.   S^S,  e  seg^ 
Cap.  X.  VoL  IV >  p.  24  di  questa  Storia. 


97 

un  uomo  legato  a  lui  così  strettamente  in  parentela, 

al  quale  egli  era  in  particolar  modo  attaccato,  e  che 
per  ogni  riguardo  sembrava  degno  di  quell'  onore. 
Alcuni  autori  attribuirono  questa  circostanza  alla  ti- 
mida gelosia  di  Giuliano  de  Medici,  il  quale  dicesi 
aver  rappresentato  a  suo  fratello  il  pericolo,  che  na- 
scer potea  per  la  famiglia  loro  in  Firenze  dall'  in- 
cremento del  credito,  e  dell'  autorità  di  quella  de^ 
Rucellai ,  i  quali  potevano  formare  tra  di  loro  un 
numero  di  1 5o  uomini  capaci  di  portare  le  armi; 
mentre  altri  supposero,  che  siccome  Leone  non  ama- 
"va  di  promovere  al  grado  di  Cardinale  alcuno  dei 
parenti  a  lui  tanto  prossimi  quanto  Rucellai,  affine  di 
evitare  l'  opposizione  che  questi  avrebbero  potuto 
mostrare  alla  di  lui  famiglia,  per  ijuesto  solo  egli 
posponesse  la  nomina  di  Giovanni;  ma  qualunque 
fosse  il  motivo  della  condotta  del  Papa,  che  proba- 
bilmente non  era  alcuno  di  quelli,  che  si  sono  asse- 
gnali, egli  è  certo,  che  la  trascuranza  non  nacque 
da  alcuna  mancanza  di  stima,  o  di  confidenza,  il  che 
può  comprovarsi  dall  avere  il  Papa  spedito  Rucellai 
in  una  crisi  importantissima  come  suo  legato  a  Fran- 
cesco /,  nel  qual  posto  egli  succedette  a  Lodovico 
Canossa,  e  continuò   fino  alla  morte  del  Pontefice. 

Dopo  questo  avvenimento  inaspettato  Rucellai 
tornò  a  Firenze,  ed  alla  elevazione  di  Adriano  VI 
successore  di  Leone  fu  deputalo  con  cinque  altri 
de  principali  cittadini  per  recare  al  Papa  le  congra- 
tulazioni sulla  sua  nuova  disnità.  Rucellai  come  ca- 
pò  dell'  ambasciata  indirizzò  al  Poutelice  una  orazione 

Leone  X.  Tom.   VIL  7 


9^ 

latina,  che  ancora  ci  è  rimasta.  Al  breve  pontificato  Ji 

Adriano  succedette  ([nello  di  Clemente  VII^  il  quale 
onorò  Rucellai  collo  stesso  grado  di  benlvolsnza  co- 
me Leon  X^  ed  immediatamente  dopo  la  sua  eleva- 
zione diede  una  prova  decisiva  della  sua  bontà  per 
Hiicellaì,  nominandolo  comandante  del  castello  S.  An- 
gelo, dignità  elle  d'ordinario  si  considerava  come  uà 
passo  prossimo  al  cardinalato,  dui  che  Rucellai  fu 
detto  comunemente  il  Castellano  (i).  Egli  non  go- 
dette tuttavia  a  lungo  di  questo  onore,  avendo  ter- 
minato i  suoi  giorni  verso  il  principio  dell'  anno 
iSsG,  prima  del  deplorabile  sacco  di  Roma,  che  po- 
co dopo  avvenne. 


(i)  Il  dialogo  del  Trissino  sulla  lingua  Italiana  intitolato  il 
Castellano  è  slato  cosi  iulilolato  dell'  autore  a  cagione  del  suo 
amico  Rucellai  ,  il  quale  ò  uno  degli  interlocutori ,  ed  è 
quindi  caratterizzato  da  esso:  »  Uomo  per  dottrina,  per  bontà 
»>  e  per  ingegno  non  inferiore  a  nessun  altro  della  nostra  età.  « 
La  stretta  amicizia,  che  sussisteva  fra  Trissino^  e  Rucellai, 
mentre  essi  si  emulavano  l' un  1'  altro  nelle  loro  opere ,  è 
molto  onorevole  al  carattere  di  ambidne  ,  come  giustamente 
osserva  Muffai^  Teatro  hai,  T.  t.  p.  93, 


§.  XIX. 

Suo  poema  didattico:  le  lépù  —  Sua 
tragedia  d  Oreste. 

Durante  la  residenza  di  lìucellai  nel  castello 
S.  Angelo,  egli  compì  la  sua  tragedia  V  Oreste^  eà 
il  suo  bel  poema  didattico  le  j4pi,  delle  quali  pro- 
duzioni però  alcuna  non  fu  stampata  dìurante  la  sua 
vita.  La  ragipne  di  ciò  sembra  potersi  rilevare  dalle 
parole  dell'  autore  indirizzate  poco  prima  della  di  lui 
morte  a  suo  fratello  Palla  lìucellai  (i).  ,,  Le  mie 
,,  Api^  die' egli  ,  Bon  hanno  ancora  rlce^aite  le  mie 
,,  uhime  cure  per  il  loro  perfezionamento,  del  che 
,,  è  stato  cagione  il  mio  desiderio  di  rivedere,  e  cor- 
j,  reggere  quel  poema  in  compagnia  del  nostro  a- 
,,  raico  Trissino,  quand'  egli  ritornerà  da  Venezia , 
„  dov'  è  ora  legato  del  nostro  cugino  Clemente  VII, 
,,  e  quel  poema^  come  voi  -vedrete,  io  ho  già  ad 
,,  esso  destinato  ,  e  dedicato.  Io  dunque  vi  prego  , 
,,  perchè  trovando  una  opportuna  occasione,  voi  gli- 
5,  mandiate  quel  poema,  affinchè  egli  lo  legga,  e  lo 
,,  cprregga,  e  se  lo  approva,  voi  lo  pubblichiate 
,,  senza  alcun'  altra  testimonianza  dei  suoi  meriti , 
5,  che  quella  di  un  giudice  tanto  sublime.  Voi  se- 
j,  guirete  il  metodo   medesimo    col    mio    Oreste  ,    se 

(i)  Mafjei  pref.  all'  Oreste  Teatro  It^l.  T.  f.  p.  92. 


JIOO 

,,  egli  non  isJegnerà  l' incomodo  di  sostenere  tale  fa- 
,,  tica  per  il  vantaggio  di  persona,  che  gli  è  stata 
,j  cotanto  affezionata  ".  Il  poema  delle  Api  fu  quindi 
pubblicalo  nell'anno  iSSg,  ed  assicurò  al  suo  au- 
tore un  grado  altissimo  tra  ì  poeti  didattici.  Senza 
assoggettarsi  al  carattere  di  un  imitatore  servile, 
egli  scelse  un  soggetto  già  nobilitato  dall'  ingegno  di 
Virgilio^  e  diede  a  quello  nuove  attrattive,  e  nuove 
grazie.  La  sua  elocuzione  è  pura,  e  non  insipida, 
semplice,  e  non  volgare  ,  e  nel  corso  di  quest'  opera 
.egli  ha  dato  prove  decisive  della  sua  istruzione  nelle 
scienze,  e  particolarmente  negli  oggetti  della  storia 
naturale. 

Non  furono  così  puntualmente  osservate  le  prescri- 
zioni di  Giovanni  Rucelìai  riguardo  alla  sua  tragedia 
dell'  Oreste,  del  che  tuttavia  si  rende  ragione  dal  di 
lui  fratello  Palla  nella  dedicatoria  delle  Api  al  Tris- 
sino.  ,,  Per  ciò  che  concerne  1'  Oreste,  io  ho  creduto 
,,  meglio  di  sospendere,  finche  il  vostro  Belisario,  o 
j,  per  parlare  con  maggiore  accuratezza,  la  vostra 
,,  Italia  liberata,  opera  di  grandissima  letteratura,  e 
„  quasi  un  nuovo  Omero  nella  nostra  lingua,  possa 
,,  essere  perfezionata,  e  data  alla  luce  ".  Questa  tra- 
gedia rimase  manoscritta  per  quasi  due  secoli  dopo 
la  morte  dell'Autore,  finché  fu  pubblicata  dal  Mar- 
chese Scipione  Maffci  (a).  Il  soggetto  di  questa  rap- 
presentazione è  simile  a  quello  della  Ifigenia  ip  Tau- 


(a)  E  non  Conte  ^  come  è  scritto  neir  originale» 


ride  di  Euripide-^  ma  V  Autore  ha  introdotto  tali  va- 
riazioni, ed  ha  nobilitato  la  sua  tragedia  con  tanti 
grandi  episodi  drammatici,  che  può  giustamente  con- 
siderarsi come  sua  propria,  e  non  come  una  sem- 
plice traduzione  di  un  antico  autore;  cosicché  Maffei, 
il  quale  pe' suoi  proprj  lavori  in  questo  genere  può 
essere  ammesso  come  ottimo  giudice,  riguarda  quella 
trat^edia  non  solo  come  superiore  alla  Rosmoncla  dello 
stesso  Autore,  ma  come  una  delle  più  belle  produ- 
zioni, che  alcuno  scrittore  antico,  o  moderno  abbia 
adattato  alle  rappresentazioni  teatrali  (i). 

g  XX. 

Luigi  Aìamannì.  —   Suo  poema  intitolato  : 
La  Coltivazione. 

Un  altro  Italiano  scrittore,  che  si  distinse  coli' e- 
leganza  e  1'  armonia  dei  suoi  versi  sciolti ,  fu  Luigi 
Alamanni^  che  nacque  di  nobile  famiglia  in  Firenze 
neir  anno  i^jS  ,  e  passò  il  primo  periodo  della  sua 
vita  neir  abituale  amicizia  e  società  di  Bernardo  e 
Cosimo  Rucellaiy  di   Trissino  e  di  altri  letterati  ,  che 


(t)  M iffci  Teatro  Ilaliano  Toni.  I.  pag  g5.  Queste  ,  ed 
altre  tragedie  di  quel  tempo  iioo  possono  in  oggi  applicarsi 
alla  declamazione  de'  nostri  Teatri  per  la  loro  prolissità  e  -« 
cessiva  ,  e  per  un  certo  languore  .  che  ò  forse  la  conseguenza 
della  prolissità  medesima,  e  de^J'  iiileiesse  non  sempre  sosie* 
Unto. 


IP2 

dedicati  si  erano  più  particolarmente  allo  studio  della 
classica  letteratura  (i).   Molte  delle  satire  e  delle  poe- 
sie liriche    di    Alamanni ,    furono    scritte     durante    il 
pontificato    di   Leon  X.    Neil'  anno    i5i6    egli    sposò 
Alessandra  Serristori ,  donna  di  grandissima  bellezza  , 
dalla  quale  ottenne  numerosa  prole    (2).    Il  grado   ed 
i  talenti  di  Alamanni  gli  procurarono    la  conoscenza 
e  r  amicizia  del  Cardinale   Giulio  de'  Medici ,  il  quale 
durante  T  ultimo  periodo    del    pontificato  di   Leon  X 
governò  in  vece  di   quel   Ponlefice  la  città  di  Firen- 
ze. Lo  restrizioni  rigorose  imposte  dal  Cardinale  agli 
abitanìi  ,  dalle  quali  in  mezzo   ad  altri  indizj    di   su- 
bordinazione, era  loro   vietato    il    portare    armi   sotto 
pene  severe  ,  eccitato  aveano  lo  sdegno    di  molti  dei 
più  giovani  cittadini  di   nobili  famiglie  ,    i    quali  mal 
sopportavano  la  perdita  della    loro    independenza  ,  e 
tra  questi  di  Alamanni ,  il  quale  obbliando  V  amicizia 
a   cagione  del    patriotismo ,    non     solo    entrò    in     una 
congiura    contro    il    Cardinale    immediatamente    dopo 
la  morte  di   Leon  X,  ma  intraprese  altresì  per  quanto 
djcesi,  di  assassinarlo  colle  sue  proprie  mani  (3).  I  di  lui 
conip.igni  erano  Zanohi  Buondelmonti ,  Jacopo  da  Dia- 
celo,  Antonio    Jj  tue  ioli ,    e    diverse    altre    persone    di 
distinti   talenti ,  i  quali    sembravano    voler    tentare    il 
ristabilimento  dell'  antica  libertà  della  loro  repubblica 


(i)  MazzucclicUi ,  Scritl.  d'hai.  Art.  Alamanni. 

(2)  Ido  Ilnd. 

(3)  Varchi  Star.  Fiorent.  Lih.   V>  pag.   io8. 


io3 
senza  riflettere  sufficientemente  al  modo  in  cui  que- 
sto poteva  ottenersi.  I  disegni  dei  cospiratori  furono 
tuttavia  scoperti ,  ed  Alamanni  trovossi  forzato  a  sal- 
varsi colla  fuga.  Dopo  molte  avventure,  e  diverse 
vicissitudini ,  nel  corso  delle  quali  egli  tornò  a  Fi- 
renze,  e  prese  una  parte  attiva  nei  tumulti,  che 
a^jitarono  quel  paese,  egli  finalmente  si  ritirò  iu 
Francia,  dove  trovò  grata,  ed  onorevole  accoglienza 
per  parte  di  Francesco  I ,  granle  ammiratore  della 
poesia  italiana  ,  il  quale  non  solo  gli  conferì  Y  ordine 
di  iS.  Michele ,  ma  lo  impiegò  in  molte  importanti 
missioni    (i).    Air   epoca    del    matrimonio    di    Enrico 


(i)  In  un'  ambasciala  ali'  Impeiadore  Carlo  V.  per  parie  di 
Francesco  /,  Alamanni  diede  un  saggio  singolare  de' suoi  ta- 
lenti ,  e  delia  sua  prontezza.  Avendo  egli  nella  sua  orazione 
air  imperadore  menzionato  frequentemente  V  aquila  imperiale , 
Curio  dopo  avere  ascoltato  a:tcu!araente  tutto  il  discorso  fino 
alla  chiusa,  si  Tolse  verso  1' pralore  ,  e  ripeto  con  enfasi  mi- 
sta di  sarcasmo  questi  versi  tolti  da  una  delle  poesie  dell' .4- 
lamanni: 

ìì V  aquila  grifagna  , 

55  Che  per  più  divorar  due  becchi  porta,  a 
jiLimanni  ascollò  questo  rimprovero  senza  punto  scomporsi, 
ed  immediatamente  soggiunse  ;,  s?  dacchò  questi  versi  sono  noti 
j)  a  Vostra  Maestà,  io  posso  dirle  che  all'epoca,  che  io  gli  scrissi, 
»  scrissi  come  poeta  ,  al  quale  è  concesso  il  fingere  ,  ma  che 
i>  ora  io  parlo  come  1'  amhasciadore  di  un  gran  Sovrano  ad 
»  un  altio,  al  quale  disdicevcle  sarchile  il  deviare  dalla  verità: 
i>  que'  versi  sono  l'opera  della  mia  giovenli'i  ,  ma  ora  io  parlo 
s>  colla  gravità  della  vecchiezza.  Que'versi  erano  provocali  dal 
H  banilo,  clje  io  aveva  sofferto  dalla  patria;  ma  ora  io  mi 
«>  pi  esento  a  Vostra  Maestà    libero   da  qualunque  passione,  m 


io4 

Duca  d'Orleans,  che  fu  dappoi  Enrico  II,  con  Ca- 
terina de  Medici,  Alamanni  fu  creato  suo  maggior- 
domo (a) ,  e  la  ricompensa  de'  suoi  servigj  lo  pose 
in  istato  di  assicurarsi  grandi  emolumenti ,  e  di  sta- 
bilire la  sua  famiglia  in  Francia  in  modo  molto  ono- 
revole. Gli  scritti  ài  Alamanni  sono  molto  numero- 
si (i)  ,  ma  la  sua  epera  maggiormente  ammirata  ,  è 
il  suo  poema  didattico  la  Coltivazione  ,  scritto  in  versi 
sciolti,  e  da  esso  indirizzato  a  Caterina  Je'  Medici 
con  una  lettera  ,  nella  quale  egli  la  prega  a  presen- 
tare queir  opera  a  Francesco  1  (2),    Questo  poema  , 


Carlo  levandosi  dalla  sua  sedia,  e  ponendo  la  sua  mano  sulla 
spalla  deir  ambasciadore,  dissegli  cou  molta  dolcezza,  che  egli 
non  avea  nioiivo  di  dolersi  di  aver  perduto  la  sua  patria, 
trovato  avendo  un  protettore  come  Francesco  I ,  e  soggiunse 
che  per  un  uomo  virtuoso  è  patria  qualunque  paese.  Maz- 
zucchelli  Scritt.  d'hai.   Art.  Alamanni  p.   253. 

(a)  O  come  i  Francesi  il  chiamarono  maitre  d'hotel. 

(i)  Le  opere  di  Alamanni  consistenti  nelle  sue  elegie,  eglo- 
ghe, satire ,  e  poesie  liriche  ,  colla  sua  tragedia  di  Antigone^ 
furono  dapprima  stampate  dal  Grifio  in  Lione  ,  il  primo 
volume  nel  i532  .  il  secondo  nel  l533  :,  il  primo  volume  fu 
pure  stampato  dai  Giunti  in  Fiienze  nel  i532,,  ed  i  due  vo- 
lumi furono  poco  dopo  pubblicati  in  Venezia  nel  i533  ,  e  di 
nuovo  nel  i5'j2.  Non  ostante  queste  frequenti  edizioni  ,  le 
opere  d'  Alamanni  furono  proibite  sotto  il  pontificato  di  Cle- 
mente r^II  tanto  in  Firenze  ,  quanto  in  Roma  ,  ed  in  Roma 
furono  anche  pubblicamente  bruciate.  Mazzucchelli  V.  I. 
V.  256. 

(a)  La  Coltii'azionc  fu  stampala  a  Parigi  da  Rohcrto  Ste~> 
fiino  nel  \b\0  con  una  bella  edizione  corretta  dall'autore-  e 


loS 

che  Alamanni  stese  in  sei  libri ,  e  nel  quale  egli  sem- 
bra aver  intrapreso  di  competere  piuttosto  colle  Geor- 
giche anziché  di  imitarle,  è  scritto  non  solo  con  grande 
eleganza  e  cori-ezione  di  siile ,  ma  ancora  con  una 
cognizione  molto  eetesa  del  soggetto  ,  che  professa  di 
trattare ,  e  contiene  molti  passi ,  che  sostener  posso- 
no il  confronto  con  alcune  parti  più  celebri  dell'  o- 
pera  del  suo  immortale  predecessore.  La  sua  trage- 
dia di  Antigone  tradotta  da  Sofocle  ,  vien  pure  con- 
siderata da  Fontanini  come  una  delle  migliori  pro- 
duzioni drammatiche  in  lingua  Italiana  ;  ma  i  suoi 
romanzi  epici  \  Avarcìiide  (i),    e    Girone   Cortese  {2) , 


dedicala  a  Francesco  I.  Fu  ancora  ristampata  l'anno  mede- 
simo dai  Giuriti  in  Firenze  ,  e  quin<]i  frequcnleratnte  ristami 
pala  ,  massime  in  una  bella  ,  e  corretta  edizione  m  '{  grande 
fatta  da  Cornino  in  Padova  nel  1^18  rolle  yip:'  del  Ruceìlai  ^ 
e  gli  epigrammi  deW  Alar/tanni ,  ed  in  lìolo£;na  nel    i']\6. 

(i)  Stampata  la  prima  volta  dopo  la  morte  d'IPautore  in 
Firenze  nella  stamperia  di  FiUppo  Giunti  1170  in  4-  I'  sog- 
getto di  questo  poema ,  è  1'  assedio  della  città  di  Rourges  ca- 
pitale del  ducato  di  Berry,  su[)posta  V  jéi>'iricurri  di  Giulio 
Cesare.  Il  disegno  ,  e  Va  condotta  di  quel  jiocma  sono  cosi 
slcetiamenle  modellate  siili' Iliade,  che  se  noi  eccettuiamo 
solamente  1'  alterazione  dei  nomi,  troviamo  essere  quella  una 
traduzione  piuttosto  che    m'  ooera   originale. 

(2.  Girone  il  Cortese  fu  stampa ro  a  Parigi  da  Rinaldo  Cal- 
der io  ,  e  Claudio  swo  figliuolo  in  4  ^  ed  ancora  a  Venezia  per 
Cnmin  da  Trino  da  Monferrato,  nel  ifi'.fi.  Quest'opera  è  poco 
pif>  di  una  traduzione  in  ottava  rima  Italiana  del  Romjmzo  Fran- 
cese intitolato  Gyrori  le  Couriols  ^  che  Alamanni  in' 1  aprese 
a  richiesta  di  Francesco  T  poco  tempo  avanti  la  moru  di 
quel  monarca,   siccome    appare  dalla  iaformazione  fatta    dal- 


1&6 

scritti  r  uno  e  1'  altro  in  ottava  rinta  non   ebbero  la 
sorte  di  ottenere  al  loro  autore  considerabili  applausi. 

§  XXI. 

Classificazione  degli  autori  Italiani.    —  Drammi 
Italiani. 

Passati  così  brevemente  in  rivista  i  principali  poeti 
Italiani^  che  scrissero  sotto  il  pontificalo  di  Leon  X 
tìon  sarà  difficile  Y  accorgersi  ,  cbe  essi  possono  di- 
vidersi in  quattro  classi  distinte.  I.  Coloro  che  con- 
tinuarono ad  adotterà  negli  scritti  loro ,  benché  in 
differenti  gradi ,  lo  stile  ed  il  metodo  di  composizio- 
ne rozzo  ed  imperfetto  ,  usato  sul  finire  del  secolo 
precedente.  II.  Gli  ammiratori  del  Petrarca,  i  quali 
lo  riguardavano  come  il  modello  della  vera  elocuzio- 
ne poetica ,  e  strettamente  imitavano  la  di  lui  ma- 
niera nei  loro  scritti.  III.  Quelli  ,  i  quali  approfit- 
tando del  vigore  del  loro  proprio  ingegno  adottavano 
quello  stile  ili  composizione  ,  che  essi  credeano  atto 
ad  esprimerd  nella  maniera  più  convenevole  e  più 
efficace  i  sentimenti  che  essi  voleano  comunicare. 
IV.  Quegli  autori,  i  quali  seguivano  l'esempio  degli 
antichi  non  solamente  nella  maniera  di  trattare  i  loro 


l'autore  medesimo  nella  sua  dedicatoria  ad  Eurico  11^  nella 
quale  teli  descrisse  1'  origine  ,  e  le  leggi  dei  cavalieri  erranti 
Britanuiti  ,  ossia  A&' cai><heri  della  tavola  rotonda^ 


107 

Éc^^etli ,  ma  anche  nel  frequente  uso  dei  versi  sciolti , 
e  nella  semplicità  e  purezza  della  loro  elocuzione.  Si 
comprenderà  facilmente,  che  un  numero  considera- 
bile degli  scrittori  da  noi  menzionati ,  potrebbe  an- 
noTerarsi  in  ciascuna  di  queste  classi  ;  ma  V  oggetto 
limitato  dell'opera  presente  sarà  abbastanza  raggiunto 
col  dimostrare  gli  incoraggiamenti ,  che  i  poeti  di  quel 
tempo  ottennero  da  Leon  J5l,  ed  i  progressi  che  durante 
il  suo  pontificato  fece  questo  ramo  più  popolare  e  più 
piacevole  della  letteratm-a.  A  questo  periodo  noi  dob^ 
hiamo  riferire  quelle  abbondanti  sorgenti,  che  si  diffu- 
sero per  tutto  il  restante  dell'Europa,  e  benché  al- 
cune di  esse  possano  farci  risalire  ad  una  fonte  più 
antica  ,  non  l'u  tuttavia  se  non  in  quell'  epoca  ,  che 
esse  cominciarono  a  zampillare,  ed  a  prendere  uu 
corso  aperto  e  sicuro.  Le  leggi  della  lirica  composi- 
zione ,  prescritte  coli'  esempio  dal  Sannazaro  ,  dal  Beni- 
ho ,  dal  Molza ,  e  da  Fittoria  Colonna ,  furono  in 
appresso  adottate  dai  due  Tassi ^  dal  Tansillo,  tla  Co- 
stanzo ,  da  Celio  magno ,  da  Guidi ,  da  Filicaja  .  e 
da  una  lunga  serie  di  altri  scrittori,  i  quali  porta- 
rono questo  genere  di  composizione ,  e  massime  il 
genere  sublime  delle  odi  ad  un  grado  di  eccellenza  , 
al  quale  fino  allora  non  erano  giunte  in  alcun  altro 
paese.  Nella  poesia  epica  la  grand'  opera  dell'/^rtoiYo 
eccitò  una  emulazione,  che  nel  corso  del  XVI  se- 
colo produsse  un  immenso  numero  di  poemi  sopra 
simili  soggetti ,  molti  de'  quali  sono  assai  lunglii  ,  ed 
alcuni  se  non  usruagliarono  1'  Orlando  furioso  nella 
fertilità  dell'invenzione,  e  nella  varietà  delle  descri- 


jo8 

zloni ,  lo  superarono  tuttavia  nella  regolarità ,  e  nella 
classica  purità  del  disegno  ,  e  svilupparono  tutte  quelle 
grazie  poetiche,  che  senza  sorprendere  riempiono  di 
diletto  il  lettore.  Se  alle  satire  dell'  Ariosto  noi  ag- 
giugneremo  quelle  di  Ercole  Bentivoglio  suo  contem- 
poraneo scritte  su  di  un  eguale  modello  ,  noi  dovre- 
mo riconoscere  ,  che  né  quelle  ,  né  le  singolari  pro- 
duzion  i  del  Berni  ,  del  Bini ,  del  Mauro  ,  e  de'  loro 
compagni  ,  non  hanno  trovato  ne'  tempi  successivi 
scrittori  ,.  che  le  rivai izzassero  in  alcun  grado.  Né 
coloro  che  scrissero  posteriormente  in  versi  sciolti, 
tra  i  quali  possono  annoverarsi  Annibale  Caro ,  Mar- 
chetti e  Sahiniy  migliorarono  di  molto  il  corretto  e 
grazioso  esempio,  che  era  stato  dato  negli  scritti  di 
Bucellai  ^  di  Alamanni ,  dA  Cardinale  Ippolito  Je' 
Medici  ,   e   frequentemente  in   quelli  del    Trissijio. 

Molto  rimaneva  tuttavia  a  farsi  relativamente  alla 
poesia  drammatica.  Né  la  Scfonisha  del  Trissino ,  uè 
la  Rosnionda  ,  o  \  Oreste  del  Rucellai ,  benché  degne 
di  grandissima  lode  in  confronto  delle  opere,  che 
precedute  le  aveano  ,  ed  attesa  ancora  l'  epoca  nella 
quale  erano  state  prodotte ,  non  possono  riguardarsi 
come  perfetti  modelli  della  tragedia  adattata  alla  sce- 
nica rappresentazione.  D"ve  altresì  osservarsi ,  che  gli 
sforzi  del  Cardinale  di  Bihiena ,  ed  anche  dell'^no- 
sto  per  introdurre  uno  stile  migliore  delle  commedie , 
sono  piuttosto  tentativi  scolastici  per  imitare  gli  an- 
tichi scrittori,  che  non  esempj  di  quella  vera  com- 
media, che  con  ritratti  al  vivo  rappresentale  follie, 
i  vizj  ed  i  costumi  del  tempo.  Egli  è   soltanto   negli 


109 

ultimi  tempi ,  che  le  opere  tlrammaticlie  di  Maffei , 
di  Metastasio ,  di  Alfieri  e  di  Monti,  hanno  effettiva- 
mente liberato  quel  paese  dal  rimprovero  di  essere 
in  questo  gran  ramo  della  letteratura  rimasto  al  di- 
sotto del  rimanente  dell'  Europa.  Nella  commelia  gli 
Italiani  sono  stali  ancora  più  negligenti  ;  perciò  tra 
le  aride  ed  insipide  produzioni  dei  primi  scrittori ,  e 
le  composizioni  stravaganti ,  basse  e  ridicole  d:  Gol- 
doni.  Chiari,  ed  altri  simili  autori  di  commedie  mo- 
derne, giace  un  campo  spazioso ,  nel  quale  l'indegno 
di  Molière ,  di  Goldsmith ,  o  di  Slieridan  ,  non  ha 
mancato  di  scoprire  innumerabili  oggetti  di  censura, 
o  di  piacevole  trattenimento. 


Ito 


SOMMARIO    CRONOLOGICO 

Anno   i  5  i  8. 

Pròjressi  della  letteratura  classica.  —  Jacopo  Sado- 
leti.  —  Scritti  latini  di  Bembo.  —  Giovanni  A-urelio 
Augurelli.  —  Sua  Crisopea.  —  Scritti  latini  di  San- 
nazaro. — -  Suo  poema  de  parta  Virginis.  — ■  Giro- 
lamo Vida.  —  Sua  Gristiade.  — ■  Sua  Poetica.  — 
Girolamo  Fracasloro.  —  Suo  poema  intitolato  Sifili- 
de. —  Andrea  Navagero.  — ■  Marc' Antonio  Flami- 
nio. —  Suoi  scritti.  —  Poesia  platina  coltivata  in 
Roma.  —  Guido  Postumo  Silvestri.  — ■  Giovanni 
Mozzarelli.  —  Poeti  latini  estemporanei.  —  Rafaello 
Brandolini.  —  Andrea  Marone.  —  Gamillo  Querno 
ed  altri.  —  Baraballo  di  Gieta.  —  Giovanni  Gorizio 
protettore  della  letteratura  in  Roma.  —  La  Coricia- 
na.  —  Francesco  Arsilli.  —  Suo  poema  latino  de 
Poeiis    TJrbanis, 


VOLATI  TavlVp.  J. 


I 


Iti 

CAPITOLO  XVii 

§1- 
Progressi  della  classica  letteratura,  —  Jacopo  Sadoleti. 

Anno  i5i8. 

La  poesìa  volgare ,  o  sia  la  poesia  nelìa  lingua 
natia  d'  Italia  avea  provato  molte  vicende  fino  dal 
tempo  del  rinascimento  delle  lettere ,  avendo  in  qual- 
che periodo  brillato  con  uno  splendore  singolare,  ed 
essendo  stata  in  altri  tempi  oscurata  da  nubi  dense 
ed  inaspettate  ;  ma  la  classica  letteratura,  e  partico- 
larmante  la  poesia  latina  avea  fatto  progressi  unifor- 
mi e  costanti ,  ed  era  alfine  giunta  quasi  A  sommo 
grado  di  perfezione  nel  corso  di  i5o  anni,  duranti 
i  quali  una  lunga  serie  di  celebri  letterati  avea  con- 
tinuamente miglioralo  il  metodo  dei  loro  predecesso- 
ri. Il  pontificato  di  Leon  X  era  destinato  a  dare  l' ul- 
timo impulso  a  questi  studj  ;  perchè  se  vi  era  alcua 
ramo  della  letteratura,  i  di  cui  professori  egli  rlguar* 
dasse  con  maggiore  parzialità ,  e  rimunerasse  con  mag- 
giore munificenza ,  egli  era  quello  senza  dubbio  della 
poesia  latina.  Né  questa  parzialità  avea  egli  manife- 
stato solo  alla  sua  elevazione  al  trono  pontificio, 
perchè  mentre  egli  era  ancora  rivestito  della  dignità 
di  Cardinale,  i  letterati  Italiani  erano  stali  dalla  di 


112 

lui  condotta  disposti  a  giudicare  del  favore  e  dell' in- 
coraggiamento che  loro  sarebbono  stati  accordati  qua- 
lora avesse  luogo  quel  fortunato  avvenimento  ;  q  noi 
abbiamo  di  già  veduto,  che  fino  dal  principio  del  suo 
pontificato  egli  fu  salutato  da  essi  come  una  persona 
destinata  a  ristabilire  la  letteratura  in  onore  ,  ed  a 
far  rivivere  le  glorie  del  secolo  d'Augusto   (i). 

Le  sperauze  concepite  da  principio  relativamente 
alla  futura  condotta  del  Papa  furono  grandemente 
incoraggiate  dalla  elezione  all'  importante  ufficio  di 
segretari  Apostolici  di  Bembo  e  di  Sadoleti^  uomini  am- 
bidue  distinti  pei  loro  progressi  in  ogni  ramo  della 
bella  letteratura ,  ma  che  principalmente  acquistato 
aveano  la  loro  reputazione  con  una  singolare  eleganza 
nei  loro  scritti  latini.  Jacopo  Sadoleti  era  originario  di 
Modena,  nato  nelf  anno  i477  {^)-  Dopo  aver  compiti 
ì  suoi  studj  in  Ferrara  sotto  la  direzione  di  Nicolò 
Leonicenò ,  e  di  altri  famosi  maestri  ,  e  dopo  avere 
fatto  grandi  progressi  nella  filosofia,  nell'eloquenza, 
e  nelle  lingue  dotte ,  egli  giunse  in  Roma  durante 
il  pontificalo  di  Alessandro  T/,  dove  egli  trovò  nel 
Cardinale  Oliviero  Caraffa  un  protettore  amoroso  e 
liberale,  ed  un  eccellente  istruttore  nel  dotto  Scipione 
Carteroniaco.  Sadoleti  fu  uno  dei  membri  distinti  di 
quelle  società  letterarie ,  che  poco  dopo  si  formarono 
in  Roma ,    e  noi    siamo    debitori   dei   più   particolari 


(i)   Voi.   JP^.   Cap.  XI.  p.  go  e  seg. 

(2)    Tiraboschi  Storia  delia  Letteratura  [tal.   T.   VII.  p.  /. 
p.   2j3. 


ii3 

ragguagli,  che  di  esse  ci  rimangono,   o    che    noi  ab- 
biamo già  aTuto  occasione  di  rammentare,  alle  anno- 
tazioni ,  che  egli  ci  ha   lasciato  di  queste    adunanze  , 
Delle   quali   sembravano    riunite    insieme    l' allegria  e 
la  letteratura  (i).  L'abilità  e  la  diligenza  di  A/</o/e?t 
nel  disimpegnare  il  suo  ufficio    soddisfecero  talmente 
LeojiX,  che  gli  conferì  il  vescovado  di  Carpentrasso , 
i  doveri    del    quale    Sadoleti    adempì    nel    rimanente 
della  sua  vita  non  ostante  le  sue   altissime  prelature 
in  maniera,  che  provò  sentir  egli  profondamente  T  im- 
portanza della  sua  carica.    In    mezzo    a'   suoi    doveri 
ecclesiastici ,  ed  alle    sue   politiche    occupazioni ,    egli 
non    abbandonò    tuttavia    1'  esercizio    de'  suoi    talenti 
nella  poesia  latina  ;  ed  i    suoi    versi  sul    gruppo    del 
Lacoonte ,  che  era  stato  scoperto    ne'  bagni    di    Tito 
durante    il    pontificato    di    Giulio  li,    sono    degni     di 
quello  squisito   monumento  dell'  arte  antica ,  che  essi 
erano  diretti  a  celebrare  (2).  Non  fu  tuttavia   se  non 
^olto  il  pontificato  di  Paolo  III  nell'anno  i536,   che 
Sadoleti  fu  onorato  della  porpora  ,    dignità    che     egli 
avea  per  lungo   tempo  meritata ,   non   solo  co'  servigi 
da  lui  renduti   alla  Romana  sede  in  molte  importanti 
ambasciate ,  ma  anche  colla    temperata    fermezza    del 
suo  carattere ,    colle   sue    maniere    gentili  ,    e    conci- 
liative ,    ed   anche    colla  sua  'sincera   e   non  affettata 

(i)  rol.  ir.  Cap.  XI.  p  91. 

(■j)  Questi  versi,  che  ollenncro  all'autore  mollissima  repu- 
laiioue  ,  come  poeta  Latino  ,  sono  stampati  nelle  opere  di 
Sadoleti  T.  III.  p.  2'|5  ed.  di  Verona  del  173S  in  quattri^ 
volumi  in  4  ^  ed  anche  nei  Cannbìa  ìlhistr.  poet.  Iiuf 

Lione  X.   Tom.   VII.  8 


ii4 

pietà,  se  cplesio  può  riguardarsi  come  un  titolo  alla 
'ode  in  un  tempo ,  in  cui  molti  se  ne  dispensavano 
tanto  notoriamente  (a).  La  moderazione  che  egli,  mo- 
strò nel!'  opporsi  al  riformatori  ,  le  concessioni  cli9 
egli  desiderava  cLe  loro  si  facessero ,  e  la  dolcezza  colla 
quale  egli  invitavali  a  tornare  nel  grembo  della  Chiesa, 
formano  un  contrasto  sorprendente  colla  condotta 
della  maggior  parte  degli  ecclesiastici  di  lui  colleghi  , 
e  diedero  luogo  ad  un  celebre  scrittore  di  esporre 
la  sua  opinione,  che  se  molli  fossero  stati  somiglianti 
a  Sacloleti ,  il  danno  arrecato  dalla  riforma  non  sa- 
rebbe stato  così  grande  (i).  Egli  fu  probabilmente 
per  questi  sentimenti  liberali ,  che  nel  suo  commen- 
tario sulla  epistola  di  S.  Paolo  ai  Romani ,  egli  in- 
corse la  censura  della  Romana  corte  ;  e  sebbene  in 
forza  d^Ue  sue  rimostranze  fosse  tolta  dal  Papa  la 
proibizione ,  e  l'opera  con  alcune  correzioni  fosse  am- 
nie'ssa  siccome  canonica,  questo  avvenimento  tutta- 
via sembra    aver  cagionato   grandissima    angoscia  al- 


(n)  La  sregolatezza  dui  costurai  di  molli  ecclesiaslici  di  quel 
tempo  deve  anzi  riguardarsi  come  una  circostanza  ,  che  dà  a 
Sadoleto  un  maggior  dirilto  alla  lode  per  questo  tilolo  ,  il 
quale  altronde  ,  malgrado  la  corruzione  de'  lemjii  ,  k  sempre 
Sialo  consideralo  come  oggetto  di  particolare  coranrendazione, 

(i)  »»  Ed  io  credo ,  che  se  molli  avesse  allora  avuti  la 
jj  chiesa  a  lui  somiglianti  ,  minore  sarebhe  stalo  il  danno  da 
w  lei  sofferto   u     Tìraboschi  T.    VII.  p.  I.  p,  276. 

(1)  Tirahoschl  ibidem  p,  278,  Erasmo  amico,  ed  ammira- 
tpre  di  Sadoleto  fu  informalo  ,  che  la  pubblicazione  del  suo 
commentario  avca  dato  luogo   a   qualche   n^alcoQlento.   Dopo 


II? 

l'autore  (ai.  I  svioi  traftatì  latini,  e  quello  partico- 
larmonte  de  Liheris  instituendis  sono  stati  grande- 
mente ammirati.  Quesl'  opera  è  considerata  da  Tira- 
loschi  rome  superiore  a  molti  saggi,  e  sistemi  di  e- 
ducazione,  che  ne' tempi  più  recenti  si  produssero, 
mentre,  come  egli  giustamente  osserva,  troppo  è  co- 
mune l'insultare  gli  antichi  scrittori,  e  il  trattai*lì 
4a  barbari   (i). 

§  II. 
Scritti  latini  di  Bembo. 

Gli    scritti   latini    di    Pietro   Bemho    tanto    per   !« 
natura  dei  soggetti ,  quanto  per  le  persone  alle  quali 


di  avere  menzionato  l'epistola  di  S.  Paolo  in  una  lettera  a  Da- 
miano  Gocs  .^  egli  aggiugue  :  '?  In  eamdem  tres  libros  edidif. 
»!  illiid  eximiiim  hnjus  actalis  Hecus  Jacobus  Sadoletus,  admi- 
J5  rahili  sermouis  nitore,  et  copia  piane  Ciceroniana^  nec  deest 
»»  affeclus  Episcopo  Christiano  dignus.  Fieri  non  potest ,  quii^ 
»  tale  opus  a  tali  viro  profeclura  honorum  omnium  suffragiis 
j'  approbetur  ;  verror  tamen  ne  apud  compi  ires  ipse  phra- 
;»  seos  nitor  nonnihii  hcberet  aculeos  ad  ])ietaiem.  «  Erasni. 
Ep.  Uh.  XX Vìi.  Ej).  38.  Sembra  pure  ,  che  Eraamr»  avesse 
ammonito  Sadolrto  di  essere  cauto  nel  pubblicare  il  suo  com- 
mentario. »?  De  cornmentariis  Jacobi  Sadoleti  raìhi  tale  quid— 
"  dam  praesagiehat  animus.  Admonui  ilium  literis  quantum 
"  licuit  tantum  admqnere  praesulem.  Insump^it  in  hoc  opus 
'»  immensos  labores.  Audio  nec  a  Sorbonicis  probari.  <(  Erasnft 
Ep.  /ih.  XXX.  Fp.  7'>. 
il)    Tiniboschi  r.  ini.  p.    1.  ì>.  577. 


1 1 G 

s5ono  indirizzati ,  sembrano  essere  le  produzioni  del 
primo  periodo  della  di  lui  vita  ;  dopo  il  quale  e^li 
i'a  indotto  da  cagioni  ,  clie  noi  abbiamo  di  sopra  ac- 
cennate ,  a  dedivarsi  più  particolarmente  alla  colti- 
vazione della  sua  lingua  nativa  (i).  A  questa  altera- 
zione ,  ossia  a  questo  caD£;iamento  avvenuto  ne'  di  lui. 
studj,  si  allude  nei  seguenti  versi  premessi  atta  col- 
lezione generale  delle  sue  opere. 

„  Tu  con   Virgilio  pur  lottavi  ,  o  Bembo, 
,,  Le  gesta  in   celebrar  de'  grandi  eroi. 
,,  Rapito  Amor  da  insolita  dolcezza 
,,   Ai  Toschi  carmi  il  plettro  tuo  converse  '{&), 

Ne  gli  scritti  italiani ,  né  1  latini  di  Bembo  sono 
stati  considerati  come  contenenti  un  pregio  di  origi- 
nalità. Se  nei  primi  egli  maniFestò  una  stretta  ade- 
renza allo  stile  del  Petrarca ,  nei  secondi  egli  cercò 
di  seguire  con  passo  troppo  servile  le  traccia  degli 
antichi,  e  pensò  d'  imitare  tanto  nel  verso,  quanto 
nella  prosa  lo  stile  di  Cicerone.  Può  tuttavia  osser- 
varsi che  questa  imitazione  non  è   così  evidente  nei 


("i}    Volume  I.    Capìtolo   II.  p.    loo. 
(^2}     "  Tu  quoque  Virgilio  certahas ,   Bembe,  Latino 
»  Magnanimum  heronm  Carmine  facia   canens. 
»  Audiit,  e!  Musae  captus  dulcedine ,  Thuscos 
»  Ad  ciiharam  versus  condere  jussit  amor.  « 
{Siccome,    il  sig.  Roscoe    ha    esposto   questi  versi  in   Inglese 
nella  sua  edizione  originale  .  ornmessi  inferamente  nelle  altre 
traàuzioìti  .  cosi  io  mi  sono  studiato  di  recarli  alla  meglio  in 
Italia  io). 


1 1^ 

•^iJOÌ  -poemi  latini  ,  come  nei  suoi  sonetti ,  e  nelle  sue 
Jiriclie  produzioni  Italiane;  e  che  i  primi  benché  non 
juolto  numerosi ,  ne  scritti  sopra  argomenti  iuipor- 
lanti ,  presentano  in  generale  un  maggiore  interesse  , 
ed  una  maggiore  vivacità  di  fantasia  ,  che  i  secondi  (a). 

§  HI. 

Giovanni  Aurelio  Augweìli.    —  Sita   Ciisouea. 

Nel  dare  una  breve  notizia  delle  cure  dimostrate 
<la  Giulio  li  pei  letterati  del  suo  tempo ,  noi  abbia- 
mo già  avuto  occasione  di  menzionare  il  poeta  latino 
Augwelìi  (i)  ;  ma  come  egli  visse  anche  durante  il 
pontificato  di  Leon  X^  e  sopravvisse  a  quel  pontefice 
molti  anni ,  e  siccome  T  opera  sua  più  considerabile 
versa  sopra  un  soggetto  particolare ,  ed   è  dedicata  a 


(a)  Sembra  strauo ,  che  il  siy.  Roxcoe  non  abbia  accennaig 
il  poema  Ialino  del  Bembo  iiiiiiolalo  Aetx  A  ^  slani[>ato  da 
Aldo  Manuzio  fino  dal  1 195  ,  che  è  una  delle  sue  opere  più 
riregievoli  ,  ed  una  delle  produiioui  più  rare  e  più  ricercale 
di  quella  celebre  stamperia.  Io  ne  lio  già  fallo  menzione  nelle 
mie  noie  addizionali  al  T.  II.  p.  199.  Ora  osserverò  solo  , 
che  in  un'  epoca  in  cui  non  era  ancora  formalo  il  gusto  della 
buona  latinità,  né  ancora  erano  ben  conosciuti  i  principj  delia 
letteratura  classica,  non  può  ascriversi  a  biasim>,  ma  deve 
anzi  attribuirsi  a  grandissima  lode  di  Bembo  V  aver  egli  mo- 
dellalo il  suo  siile  su  quello  di  Cicerone  5  e  potreblie  anche 
a  ragione  asserirsi ,  ohe  uiollw  delle  sue  lettere  Ialine  hanno 
per  questo  1  itolo  un  merito  di  originalità  ,  essendo  realuienlc 
le  prime  ,  che  sieno  siale  scritte  con  quel  sapore. 

(X)   f^olumc  IH.  Cuj).   FlI.  fj.  jSy  e  Capo  JX.  p:'^.  iSa. 


Leon  X,  sembra  necessario  in  questo  ludgò  un  plit 
accurato  ragguaglio  della  persona  di  quel  poeta.  Gio-' 
Panni  Aurelio  Augurelli ,  o  AiigureUo  era  nato  verso 
l'anno  i54i  (i)  di  una  rispettabile  famiglia  in  Ri- 
mini ,  dal  che  egli  fu  detto  sovente  Giovanni  Aurelio 
da  Rimini.  I  suoi  primi  studj  fece  egli  nella  celebre 
università  di  Padova  ,  dove  egli  risedette  lungo  lem- 
jjo  (3) ,  e  dove  è  probabile  che  egli  cominciasse  a 
dare  pubbliche  istruzioni  nella  bella  letteratura  ,  tro- 
vandosi menzionato  dal  Trissino  nel  suo  trattato  in- 
titolato il  Castellano ,  come  la  prima  persona  che 
osservasse  le  regole  della  italiana  favella  prescritte 
da  Petrarca  (3). 

Avendo  poco  dopo   avuto  la    sorte    di    ottenere    il 
favore  e  la  protezione    di    Nicolò  Franco   Vescovo  di 


(f)  Maziucchclli  fissa  la  sua  nascila  verso  il  i4'^i  ^  ma  iJ 
conte  Jìanibaldo  degli  Azzoni  Avngarì  nelle  sue  Memorie  di 
jiiigurelli  p<ibl)licate  nel  VI.  Volume  della  nunpa  raccolta 
d'opuscoli  di  Calogerà  p.  163  ,  ha  mostralo  ad  evidenza,  che 
«juesio  avvenimento  dev'  essere  riferito  ad  un'  epoca  più  re- 
cente. 

(^7.)  Dal  seguente  passo  di  una  Ode    di   Augurelli  risulta  j 
éhe  egli  soggiornò  in  Padova  per  vent'  anni 
>5  Dulcibus  sic  dnm  teneor  potentum 
n  Ipse  musarum  studiis.,  et  oiì 
»j  Debiius ,  dudum  pati  iae  duo  bis 
»>  Lustra  reposcor.  u 

Carmina  Uh.  Il,  p.   i^.  ed.  Aid.   i5o(). 
(3)  »»  Le  prime  regola  de  la  lingua  di  lui  (Petrarca)  comincia-a 
tesi  ad  osservare  in  Padova  ,  per  M,  Gioi-an  Aure/io  da  Bl-^ 
mini,  ii  Trissìrto  il  Cnsieillano  b.  IV- 


119 
Trerìgi ,  egli  passò  a  soggiornare  con  esso  nella  sua  sede 
Vescovile  ,  dove  fu  fatto  canonico ,  ed  onorato  della 
cittadinanza  come  lo  era  stato  dapprima   in    Padova. 
Dopo  la  morte  di  questo  suo  fautore  egli  lasciò  Tre- 
vlgi ,  e  passò  circa  quindici  mesi  a  Fellre ,  ad  oggetto 
di  dedicarsi  senza  interruzione  allo  studio    della   lin- 
gua Greca  (i),  ed  alfine  si  stabilì  la  Venezia,  dove 
egli  si  conciliò  grandissima  estimazione  come   prirato 
precettore ,  ed  ebbe  l' onore  di  contare  fra  i  suol  al- 
lievi Bembo  ,  dìavagero  ed  altri  ,   i   quali   poco    dopo 
acquistarono  grande  celebrità.  Aurelio  è  rappresentato 
da   Paolo   Giovio   come  il    più    dotto  ed  elegante  pre- 
cettore de'  suol   tempi    (2).     Si    dice    tuttavia    che   gli 
studj  di  lui   fossero    interrotti   da   una   violenta    pas- 
sione per  r  alchimia ,  la  quale  portoUo  a  consumare 
il  suo  tempo  presso  una  fornace  nella  vana    aspetta- 
tiva di  scoprire  una  sostanza,  che  egli  supponea  do- 
ver convertire  i  metalli  più  vili   in  oro  (3).     Sembra 
però  ,  che  V  aver  vedute  deluse  le  sue  speranze  non 
lo  distogliesse  dal  proseguire  in    questa    vana    specu- 
lazione ;  ma  Invece  di  persistere   nelle  sue  operazioni 
clilmiche ,    egli    risolvette  prudentemente    di    esporre 
questo  astruso  argomento  in    versi    latini ,    nei    quali 


(i)  Mazzucch'lli  Scrittori  d'Italia  Art.  Augurelli. 

(1)  n  II  pii  dotto  e  caudido  d'  ogni  altro ,  che  a  tempi  suol 
»  insegnasse  privatamente  (  e  però  forse  con  guadagno  mag- 
»  giore  )  lettere  greche,  e  latine.  «  Giovio  Jscrit.  lib.  T, 
p.   128. 

(3)  Jofius  ut  siipra  —  MaztUcchetli  Art.  Augurelli. 


ira 

V^li  compose  lai  poema  in  tre  libri ,  die  intitcria 
Criso'pea .  ossia  l'arte  di  far  Toro.  Quest'opera  dedicò^ 
f-^li  a  Leon  X  in  pochi  versi  eleganti,  che  servono 
d'introduzione,  e  che  sono  degni  di  essere  riferiti  (i). 
Per  mezzo  di  questa  produzione  Jugiirellì  si  acqui- 
stò molto  credito;  e  fu  giustamente  osservato  da  al- 
cuno contenere  i  di  lui  versi  un  più  ricco  raetallc- 
©he  non  quello  che  egli  pretendeva  di  insegnare  a 
comporre  ai  suoi  leggitori  (2). 

E'  degno  altresì  d'osservazione,  ch'egli  colse  l' op- 
portunità di  dedicare  1'  opera  sua  a  Leon  X,  che  tro- 
Tavasi  allora  in  bisogno  di  qualche  risorsa ,  che  le» 
ixieltesse  in  istato  di  sostenere  le  grandiose  sue  spe- 
se, e  lo  corapeuiasse  delle  somme  immense  da  esso 
sboi'sate  nel  rimunerare  uomini  d'ingesfno.e  nel  dare 
magnificile  feste  e  spettacoli  (3).  Non  fu  meno  adat- 


ti) Da  questa  introdiizii>ne,  siccome  pure  da  varj  passi  del 
poema  ,  si  raccoglie  che  T  opera  era  scritta  soUo  il  poiilifi- 
cato  di  Giulio  IT  nel  tempo  della  guerra  di  Cambrai ,  e  che 
la  dedicatoria  a  Leon  X  fu  premessa  qualche  tempo  dopo  al 
li])ro ,  allorciiè  l'  autore  risolvette  di  puljblicarlo.  Siccome 
questa  poesia  non  si  trova  comunemente  ,  non  esistendo  nelle 
raccolte  ordinarie  delle  opere  di  quell'  autore  ,  la  introdu- 
zione si  ^  in'ierita  nell'  Jlppend.  N.  CLXV. 

Q"}.^     ??  Recto  aurum  ipse  doccs  fieri,  sed  rectius  aurum 
»>  Efficis  auralis  tu  modo  carmini bns.  <« 
Doni.  Onor.  Caramella  Ap.  Mazzucchellì  m  Art.  Augurelli 
Il  che  potrebbe  tradursi  nel  modo  seguente: 
»  L'oro  tu  insegni  a  far:  ma  meglio  a^sni 
j>  Cogli  aurei  carmi  tuoi  1'  oro  tu  fai.  c- 
(3}  5;  U  indirizza  a  pj'pa  leeone ,    che  era  d'ogni  ricchez.za 


121 

tato  il  premio  che  Leone  accordò  ad  Augurelli ,  giac- 
rhè  ,  come  è  stato  più  volte  riferito ,  gli  regalò  una 
borsa  grande  e  bellissima  ,  ma  vota ,  facendogli  riflet- 
tere ,  che  ad  un  uomo  che  poteva  far  l' oro ,  altro 
mancar  non  pelea  se  non  la  borsa  (i).  Un  famoso  cri- 
tico moderno  è  d'avviso ,  che  Augiirelli  non  iscrivesse 
seriamente  il  suo  poema ,  e  che  invece  impiegasse  il 
suo  tempo  in  migliori  occupazioni  che  lo  studio  del- 
l'Alchimia  (2);   ma  potrebbe  addursi  in   risposta,  che 


?>  aperto  disprezzatore^  acciocché  sua  bealiludine ,  la  (pale 
»  prodigamenie  visava  l'oro  nel  sostenlare  i  belli  ingegni,  e 
V  nelle  spese  continove  ,  festivole  ,  e  regali  ,  senza  ingiuria 
»)  degli  uomini  sapesse  onde  ampiamente  cavare  licchezze  in- 
5>  finite .  il  Joi'.  Tscrit.  lib.  /.  p.   129. 

(i)  »  Ego  quidem  auro  le  donarem  ,  sed  cura  tu  ejus  effi- 
«  ciendi  ceriam  scientiam  polliceare  ,  sat  erit  si  habeas  ubi 
j>  auram  abs  le  confoctum  reponas.  n  Fabron.  in  uita  Leon  JY", 
p.  220.  —  Mazzucchelli  in  Art.  Aiigurelli.  A  questo  acci- 
dente allude  pure  Lalonio  {scritlore  protestante  estremamente 
càustico)  ne'seguenli  versi  presso  Mazzuc citelli  nel  luogo  citato. 

»  Ut  quod  minus  collegit  e  carbonibus  5 

»  Avidi  Leonis  eriperet  e  deniilius.  « 
(2)  Tirnboschi  Storia  della  Lelt.  Ital.  V .  Vi.  p.  II.  p.  2jt 
ed.  di  Modena  i'j'^6.  Egli  osserva  in  questo  luogo  ,  clic  -.^11- 
garello  medesimo  confessa  nel  suo  poema-  di  scrivere  giocosa- 
mente ,  e  non  mai  di  rendere  ragione  dell'  arte  pretesa  di  far 
r  oro.  Se  tuttavia  noi  eccettuiamo  poclii  versi  alla  fine ,  tutto 
il  poema  sembra  scritto  molto  seriamente  ,  ed  in  questi  ancora 
egli  accenna  solo  di  avere  mescolato  le  lezioni  del  sapere  coi 
tratti  ingegnosi  dello  spirito. 

" Doctos  salilms  sermoncs  puri? 

»  Tentavi     .....«( 


129 

uu  tal  poema  non  avrelibe  potuto  scriversi  se  non 
da  una  persona,  che  avesse  mollo  atteso  a  quel  sog- 
getto ,  e  che  r  opera  è  stata  ricevuta  come  canonica 
dai  professori  dell  arte  misteriosa  (i).  /iugurelli  yissc 
fino  ad  una  età  molto  provetta ,  ed  alfine  morì  im- 
provvisamente nell'anno  i524,  mentre  stava  dispu- 
tando nella  bottega  di  un  librajo  a  Trevigij  nella 
qual  città  egli  fu  sepolto  ,  e  fu  apposto  alla  sua  tom- 
ba un  epitaffio  scritto  da  lui  medesimo  (2). 

Olire  la  Crisopea ,  ed  un  altro  poema  latino  inti- 
tolato Geronticon ,  os«ia  l' antica  età ,  ci  rimane  un 
volume  di  poesie  di  Augurelli  sotto  il  nome  di  Jam- 
hici  Sermones  et  Carmina ,  il  quale  è  stato  sovente 
ristampato.  Il  merito  di  queste  poesie  è  stato  varia- 
mente apprezzato  dai  critici  successivi,  ma  esse  mo- 
strano certamente  una  vena  poetica  facile  e  natu- 
rale, una  grande  istruzione  acquistata  sugli  scritti 
desìi  antichi,  ed  una  purità  e  correzione  di  stile, 
alla  quale  sono  giunti  pochi  autori  di  quel  tempo  (3). 
Per  questa  ragione  un  letterato  Italiano  ,   poeta   egli 


(1)  Essa  è  slata  stampata  in  varie  collezioni  di  scrittori 
di  Alchimia  ,  p-^rtirolarmenle  nella  Biblioteca  chemica  curiosa 
di  Mangelo  V.  lì.  p.  371     Ginevra   170^2    in  fol. 

(2)  »    AURELÌI   AnOURELLl    ImAGO    EST  .    QUAM    VIDES  , 

»>  Uni  ì^acaiutis  Literarvm  Serio 

i>  Studio  et  Jocoso  .  Dispari  Cura   Tamen  ^ 

»  Hoc  Ut  F'egetior  Sic  Fieret  ad  Seria  , 

»    ÌLLO    UT  JOCOSIS    UtERETUR   FlRMlOR     '( 

(3)  Le  poesie  di  Aui^ur,'/li  :urono  pubblicale  da  Aldo  in  un 
bel  volume  iu  S  in  Venei'.ia  nel  i5o5. 


123 

Stesso  uon  inelegante ,  dopo  avere  pienamente  discus- 
so i  sentimenti  dei  precedenti  scrittori  ,  e  partico- 
larmente  la  sfavorevole  opinione  di  Giulio  Cesare 
Scaligero  su  questo  argomento,  non  ha  dubitato  di 
asserire,  che  in  una  quistione  di  tale  natura  Scali' 
gero  non  era  buon  giudice ,  e  ch-e  gli  scritti  di  j^ìU 
^urelìi  degni  erano  della  immortalità  (i). 

§.  IV. 

Sentii  latini  di  Sannazaro. 

Gli  scritti  latini  di  Sannazaro  meritano  una  jwir- 
ticolare  considerazione ,  e  benché  non  voluminose , 
lo  tennero  probabilmente  occupalo  per  la  maggior 
parte  della  sua  vita.  Esse  consistono  nelle  sue  eglo- 
ghe  pescatone,  in  due  libri  d'elegie,  tre  di  epigram- 
mi ,  o  componimenti  di  pochi  versi  ,  e  nel  suo  cele- 
bre poema  de  parta  f'irginis.  Tra  questi  lo  egloghe 
hanno  il  pregio  di  essere  il  primo  saggio  di  un  nuovo 
genere  di  componimenti  ^  nel  quale  il  linguaggio  della 
poesia  si  è  adattalo  al  Carattere  ed  agli  esercizj  dei 
pescatori  (a)-,  e  questo  tentativo  è  stato  eseguito  con 

',«)  Giammalteo  Toscano  Peplus  Ita!,,^  N.  LXK.  p.  l\o.  ed. 
Par.   1578. 

(2)  Il  merito  della  origiaaliìà  in  questo  genere  di  composi- 
zione può  meramente  essere  aitrihuito  a  Teocrito  ,  o  allo  scrit- 
tore dell'  egloga  pcscaloria  ,  che  trovasi  tra  i  suoi  Idill  j 
{Pùtea  dirsi  dall'  autore ,  che  Sannazaro  Oi^ea  dato  il  prima 
l'esempio  di  questo  genere  di  poesia  tra  i  mìderiii)^ 


124 

tanto  spirilo,  lauta  varietà,  ed  anche  tanta  elegan- 
za, che  alcuno  in  verità  non  ha  fatto  di  più;  ed 
ancora  può  dubitarsi  ,  se  quegli  argomenti ,  e  quelle 
lunghe  descri:iioni  di  soggetti  di  natura  non  piacevole , 
alle  quali  essi  danno  luogo,  siano  adattati  ad  una  se- 
rie sistematica  di  poemetti  ,  giacche  il  vario  aspetto 
delle  montagne,  delle  valli  e  delle  foreste,  e  le  in- 
nocenti occupazioni  ,  ed  i  diversi  trattenimenti  della 
vita  pastorale  sono  mal  compensati  dalla  monotonia 
dell'umido  elemento,,  e  dal  miserabile  e  selvaggio 
esenMzio  di  inseguire  i  suoi  infelici  abitatori. 

Le  elegie  di  Sannazaro  sono  invero  più  degne  di 
stima,  tanto  per  le  innumerabili  loro  bellezze  poeti- 
che, e  per  la  espressiva  semplicità  ed  eleganza  dèi 
loro  stile  ,  quanto  per  le  circostanze  interessantissi- 
me, che  ci  hanno  conservalo,  relativamente  ai  tera* 
pi  nei  quali  visse  il  loro  autore.  Ma  V  opera  alla 
quale  Sannazaro  ha  dedicato  la  maggior  parte  del 
suo  tempo,  e  sulla  quale  principalmente  si  fonda  la 
sua  poetica  immortalità,  è  il  suo  poema  eie  parta 
Virginis ,  eh'  egli  riuscì  a  condurre  a  termine  dopo 
un  lavoro  di  ventanni,  e  le  correzioni  apposte  a 
norma  de'  susseriraenti  di  vari  letterati  di  lui  amici. 
Si  ha  bastante  ragione  di  credere,  che  Leon  X  si 
credesse  onorato  colla  dedica  di  questo  poema  ;  ma 
Sannazaro  avea  per  molivi  politici  lungamente  pro- 
fessato una  specie  di  ostilità  abituale  verso  la  Santa 
Sede ,  e  si  dice  aver  avuto  luogo  tra  esso  e  Leon  X 
alcune  circostanze  ,  che  per  quanto  si  suppone  ,  con- 
tribuirono ad  accrescere,  anziché   a  diminuire  la  sua 


anlipalla ,  e  lo  inclassero  ad  esprimere  il  suo  riseti- 
tiinenlo  in  una  satirica  poesia  latina ,  nella  quale  , 
forse  per  mancanza  di  altri  punti  censurabili ,  oggetto 
principale  della  satira  sono  la  discendenza  di  fami- 
glia,  ed  i  personali  difetti  del  Pontefice  (i).   Sia  pe- 


(2)  Sembra  che  Alfonso  Casrn'otto^  Marchese  di  Tripalda, 
avesse  stipulato  un  conlrallo  di  matrimonio  eoa  Cassandra 
Marchese  ,  Dama  Napoletana  ,  la  quale  ,  godeva  nel  più  alto 
grado  la  stima  ,  e  V  amicizia  di  Sannazaro  ;  ma  che  essen- 
dosi pentito  dell'  assunto  impegno  ,  ricorresse  alla  Corte  di 
Roma  per  una  dispensa  ,  che  ne  prevenisse  gli  effetti.  San- 
tiazaro  oppose  ivitia  la  sua  influenza  per  impedire  la  conces-" 
sione  di  questa  dispensa  ^  ed  impegnò  il  suo  amico  Bembo  a 
prevenire  in  ogni  modo  la  spedizione  della  bolla;  ma  il  grado 
e  P  opulenza  del  Marchese  riuscirono  a  prevalere  contro  agli 
sforzi  della  dama  ,  e  dei  di  lei  amici  ,  ed  anche  contro  il  va- 
lore della  sua  propria  promessa,  l  versi  attribuiti  a  Sanno-* 
zara  in  quella  occasione  sono  i  seguenti  : 

In  Leonem  X. 

»  Sumere  matcrnis  tilulos  cum  posset  ab  ursis 

»  Coeculus  his  noster  ,  maluit  esse  Leo. 
i>  Qjì  tilìi  cum  magno  cornmunc  est  ,  talpa,  Leone  ? 

n  INon  cadit  in  turpes  noliilis  ira  feras. 
j>  Ipse  licet  cupias  animos  simulare  Leonis  , 

n  Non  Lupus  hoc  geni! or  ,  non  siniL  ursa  jiarcns. 

n  Ergo  aliiid  tibi  prorsus  habendum  est ,  Caecule.  uomcn, 

5»  Nam  cuncta  ut  possis  ,  non  potes  esse  Leo.  ?> 

(Questo  epigramma  allude  alla  madre  di  Leon  X  ,  che  era 

della  famiglia  degli  Orsini,    ed    alla   abituale  debolezza  d  Ha 

di  luì  vista,    già    in    altri   luoghi    di    qucsìa  storia  accennata. 

Non  è  tale  tuttavia  il  merito  di  questo    epigramma    che  possa 

jjiudicarsi  a  tutta  prima  di  Sannazaro  ;    nò   potrebbe  per  av- 


t2Ó 

rò,  che  quella  supposta  coltiva  iotelìigenza  abbia  »- 
Tuto  luogo,  o  non  sia  che  chinrxerica;  sia  che  i  versi 
attribuiti  a  Sannazaro  sieno  realmente  usciti  dalla  di 
lui  penna,  o  da  altri  spacciati  sotto  il  suo  nome  , 
come  è  stato  non  senza  ragione  asserite  (i)  ;  egli  è 
fievlo  che  Leone  tanto  fu  lontano  dal  mostrare  alcun 
malcontento  contro  il  poeta  ,  che  anzi  sulla  notizia 
avuta  eh'  egli  avea  compita  la  sua  grand'  opera  ,    gli 


ventura  fargli  onore  ,  se  realmente  fosse  uscito  dalla  dì  lu» 
penna.  Capriccioso  per  lo  meno  ,  se  non  fantastico  ,  è  il  mo- 
tivo ,  che  si  assegna  del  di  lui  risentimento  contro  il  Papa  ^ 
r  la  condona  posteriormente  tenu'a  da  quel!'  illustre  poeta 
non  serve  che  a  rinforzare  i  dubbj  ,  che  facilmente  concepir 
si  potrebbono  sulla  autenticità  di  quello  scritto.  —  Se  quei 
versi  fossero  realmente  di  Sannazaro  ,  1'  omaggio  ,  che  questi 
volea  fare  a  Leon  X  della  dedica  del  suo  poema  de  partii 
Virginis  ,  basterebbe  a  provare  ,  che  la  costanza  e  la  fer- 
mezza non  ha  formato  sempre  il  carattere  de'  piii  grandi 
poeti.  Molta  ne  mostrò  tuttavia  Sannazaro  a  riguardo  degli 
Arragonesi  suoi  Sovrani ,  e  suoi  protettori ,  cfie  seguir  volle 
anche  nelP  infortunio  ;  e  questa  circostanza  può  servire  di  uu 
nuovo  argomento  {>er  dubitare  eh'  egli  fosse  1'  autore  del  sur- 
riferito epigramma  contro  Leon  X^. 

(i)  Questi  ,  ed  altri  epigrammi  del  Stinnazarn  contro  i  Ro- 
mani Pontefici  ,  stampati  in  diverse  edizioni  delle  sue  opere  , 
vengono  riguardati  àa  Fonlanini ,  come  libelli  scandalosi  pub- 
blicati dagli  eretici  autori  delle  pasquinate  sotto  il  nome  di 
quel  poeta  ,  ed  incautamente  ammessi  dai  successivi  editori 
nella  collezione  delle  di  lui  opere.  Fontaniai  Bibliol.  llaf. 
Tom.  ì.  p.  453.  (Questo  serue  di  conferma  al  dubbio  da  me 
esposto  nella  nota  precedente.  Osscn'erò  solo  in  questo  luogo  ^ 
che  gli  autori  delle  così  delle  pasquinate  non  tossono  dirs^ 
in  generale  erelicij. 


127 

indirizzò  ima  lettera  ,  lodando  nei  termini  più  posi- 
tivi la  sua  pietà  ed  i  suoi  talenti  ,  e  sollecitandolo 
a  non  ritardare  più  olire  la  pubblicazione  del  suo 
poema  ,  coli'  assicurarlo  al  tempo  slesso  della  prote- 
zione e  del  favore  della  Santa  Sede  (i).  Indotto  da 
queste  rimostranze  ,  Sannazaro  immediatamente  si 
dispose  a  pubbliijare  1'  opera  sua  con  una  dedica  in 
versi  latini  a  Leon  X;  ma  la  morte  di  questo  Pon- 
tefice accaduta  poclii  mesi  soltanto  dopo  la  data  della 
sua  lettera ,  impedi  a  Sannazaro  di  condurre  ad  ef- 
fetto il  suo  disegno  ,  e  1'  omaggio  di  rispetto  desti- 
nalo a  Leon  X ,  fu  rlserbato  dall'  autore  a  Clemen- 
te Vili ,  al  quale  egli  dedicò  il  poema  in  pochi  versi 
eleganti,  i  quali  portano  tuttavia  seco  loro  una  in- 
trinseca evidenza  ,  che  diretti  erano  originalmente  al 
suo  più  illustre  predecessore  (2).   Al  ricevere  l'  opera 

(ij  Questa  lettera,  onorevolissima  per  il  Ponlefice  non  meno^ 
che  per  il  poeta,  trovasi  uell' Appendice  n.  CLXVI. 
(i)   Clementi  Septimo  Pontifici  Maximo. 

AcTius  Syncervs. 

13  Magne  parens,  cusioscjiie  hominum  ,  cui  jus  datur  luii 

»j  (Jlaudere  coelestcs  ,  et  reset  are  fores  ^ 
53  Occurrent  si  quae  in  nostris  male  firma  lihellis , 

)>  Deleat  errores  aequa  litura  meos. 
»  Imperiis  venerande  luis  submillimus  illos  , 

»  Nam  sine  te  recla  non  licei  ire   via. 
P  Ipse  manu  sacrisque   polcus  Podalyrius  herhià 

e  Ulcera  Paeonia  nostra  levaliis  ope. 
>3  Quippe  milii  tolo  nulUis  le  praeler  in  orba 

"  Triste  salutifera  leniet  arte  raalum. 
j>  Katus  honos  summo    se  Piaesidc  posse  lucri , 

V  Ratior  a  summo  Prae$ide  posse  l^gi.  «t 


3  28 

dalle  mani  del  Carclinale  Scrlpamlo  (i) ,  Clemente^ 
che  non  era  meno  di  Leon  X  ambizioso  dell'  onore 
di  essere  considerato  il  protettore  delle  lettere ,  in- 
giunse al  Cardinale  di  ringraziare  Sannazaro  in  di 
lui  nome  per  il  8uo  bel  poema ,  di  assicurarlo  del 
favor  suo ,  e  di  esprimergli  il  desiderio  eh'  egli  avea 
di  vederlo  in  Roma  tosto  che  fosse  stato  comodo  al 
Poeta  di  recarvisi.  Non  contento  tuttavia  di  questa 
verbale  dimostrazione  della  sua  approvazione  ,  egli 
indirizzò  al  poeta  una  lettera,  nella  quale  espresse 
l'alta  soddisfazione  che  provato  avea  al  vedere  il  no- 
me suo  unito  ad  un  poema  che  destinato  era  a  so- 
pravvivere ,  e  ad  esser  letto  in  tutte  le  età  future  ; 
giustificando  al  tempo  stesso  questo  amore  della  fa- 
ma ,  siccome  il  risultamento  di  comraendevoli  fati- 
che, che  egli  riguardava  come  un'immagine  o  un  ri- 
flesso dell'  immortalità  promessa  dalla  religione  Cri- 
stiana (a).  Egli  si  esibì  quindi  pronto  a  soddisfare 
questa  obbligazione  in  tutti  i  modi,  eh'  erano  in  di 
lui  potere ,  e  si  suppone  che  Sannazaro  da  queste 
assicurazioni  traesse  qualche  speranza    di    essere    an- 


Sannazaro  avea  scritto  l'ultiino  distico,  (/^o/^  l'ultima  stanza, 
come  scrive  1'  autore,)  nel  modo  seguente 

»  Rarus  Lonos  tanto  se  Principe  posse  lucri  ; 
j>  Rarior  a  summo  Praesidc  posse  legi.  55 

Ma  il  consiglio  del  di  lui  amiro  l^uderico  lo  indusse  ad 
adottare  la  lezione  migliorata  ,  che  si  trova  nelle  edizioni  di- 
verse del  libro. 

(i)  Crispo  Vita  del  Sunnuzaro  p.  26,  in  fronte  alle  siift 
»pere.  Ed.  di  Veìi.    1752.  in  8. 

(2)  Appendice  n.  CLXVII. 


'^9 
noverato  nel  sacro  Collegio  (i).  Non  è  improbabile 
eh'  ef^li  avrebbe  potuto  ricevere  cpialche  contrassegno 
digiinto  dell'approvazione  del  Papa,  se  le  disgraziale 
vicende  di  que'  tempi,  e  particolarmente  il  terribile 
sacco  di  Roma ,  richiamata  non  avessero  V  attenzione 
di  Clemente  VII  ad  oggetti  di  più  immediata  rela- 
zione alla  propria  sicurezza.  Sannazaro  ebbe  tuttavia 
la  soddisfazione  di  ri(;evere  una  lettera  da  Egidio 
Cardinale  di  Viterbo ,  al  quale  egli  avea  trasmesso 
un  esemplare  del  suo  poema  ,  la  quale  lettera  con- 
teneva i  maggiori  elogi  tanto  dell'  opera ,  quanto  del- 
l'autore  (2);  e  siccome  la  lode  è  la  naturalo  e  corx- 
venevole  ricompensa  della  poesia,   Sannazaro  sarebbe 


^i)  Crispo  loc.  cit.  e  nota  68.  Nocfjue  forse  a  San- 
nazaro il  di  lui  attaccamento  alla  causa  ,  od  al  partito  degli 
Arragonesi  ,  il  quale  ,  mentre  faceva  un  grandissimo  onore  al 
di  lui  carattere  ,  non  lo  rendeva  forse  accetto  alle  corti  di 
Francia,  e  di  Spagna,  che  congiurato  aveano  a  spogliare- 
quella  famiglia  della  Sovranità  di  Napoli.  Vedi  i  Capi  VI. 
e  VII.  di  questa  Storia  Tom.  IT.  e  III.   della  nostra  edizione. 

(2)  In  questa  lettera  il  Cardinale  applica  al  poeia  gli  Ome- 
rici uers/: 

» IHe  vero  beatus  quemcumque  Musae 

i>  Amant  :  suavis  ei  ab  ore  tlnit  vox,  » 

»  Error  di  memoria.^  »>  esclama  f^olpi,  cuin  Hesiodum  dicere 
de'merat  ^  haec  emm  legunlur  in  Ilesiodi   Theogonia  ,  t>.  96. 

Ma  il  Cardinale  probabilmente  trovò  ques'o  passo  nel  fram- 
mento deir inno  ad  Apollo  ,  ed  alle  Muse  attribuito  da  Onc- 
ro ,  al  quale  si  è  potuto  riferire  per  un  simile  passo ,  che  tro- 
vasi neU'  Iliade  : 

»  Cujus  etiam  a  lingua  melle  dulcior  fluebat  vox.  u 

Iliad.  I.  2^, 

Leone  X.   Tom.  VII.  ^ 


i3o 

stato  estremamente  irragionevole  se  non  avesse  mo- 
strato una  piena  soddisfazione  per  la  maniera  in  cui 
veniva  ricevuta  la  di  lui  opera  (i). 

■     §  V. 

Esame  del  poema  De  parta  Virginia. 

Non  può  negarsi ,  die  il  poema  De  partii  Virginis 
non  contenga  molli  bellissimi  passi  ,  e  non  mostri 
la  facoltà  che  1'  autore  aveva  di  comandare  alla  lin- 
gua latina ,  e  renderla  molte  volte  pieghevole  meglio 
che  in  alcun  altro  de'  suoi  scritti  ;  ed  egli  è  anche 
probabile  ,  che  appunto  scegliesse  quel  soggetto  affi- 
ne di  sfoggiare  quella  straordinaria  facilità ,  colla  quale 
applicar  poteva  il  linguaggio  e  la  mitologia  del  pa- 
ganesimo alle  verità  della  fede  Cristiana.  IMa  pure 
malgrado  tutto  questo  è  forza  il  confessare,  che  sfor- 
tunato egli  fu  nella  sua  scelta ,  e  che  1'  opera  ,  se 
meritevole  non  era  di  riprensione  per  la  sua  empietà, 
era  almeno  degna  di  censura  dal  lato  del  buon  gusto, 
del  gusto  rigoroso ,  e  corretto.  Il  voler  conciliare  l'allen- 


(i)  Questo  poema  fu  tradotto  in  versi  sciolli  Italiani  da 
Giovanni  Giolito^  altro  de'fìgli  del  celebre  stampatore  Gabriele 
Giolito^  e  pubblicato  a  Venezia  nel  i588,  con  una  bellissima 
edizione  ,  che  ha  per  titolo  :  »  del  parto  della  P^ehgikb 
»»  dt:l  Sannazaro  libri  tre  ,  tradotti  in  Ufrsi  Toscani  da  G'o— 
»>  vanni  Giolito  de*  Ferrari  ,  al  Ser.  Sig.  Don  f^inceni» 
>»  Gonzaga -1  duca  di  Mantova  ,  e  di  Monferrato  eco. 


t3i 

jnone  del  lattore  ia  un  poema  di  quasi  1 5oo  Tersi 
ad  un  avvenimento  sopra  il  quale  il  oomuDe  senti- 
tnealo  degli  uomini  si  è  accordato  a  gettare  un  velo 
rispettoso,  era  per  se  slessa  cosa  poco  giudiziosa  se 
non  anche  poco  dilicata  ;  ma  T  esporre  i  mister)  della 
fede  Cristiana  nel  linguaggio  delta  poesia  profana  ; 
il  discutere  minatataente  le  circostanze  della  miraco- 
losa concezione,  e  del  parto  della  Vergine,  ed  il 
chiamare  le  deità  celesti  a  guidare  la  sua  musa  per 
tutti  gli  arcani  del  rito  misterioso  (i) ,  non  poteva 
a  meno  di  non  cagionare  disgusto  ,  ed  orrore  ai  veri 
credenti,  e  fornire  agli  increduli  un  soggetto  di  ri- 
dicolo ,  e  di  disprezzo.  Quindi  è  probabile  che  le  ele- 
gie, e  le  altre  poesie  di  Sannazaro^  dedicate  a  na- 
turai e  semplici  argomenti ,  o  alla  ricordanza  di  fatti 
e    di    caratieri    storici  ,    continueranno    ad  inleressa- 


(i^  Queste  incoaveuieiize  non  isfuggirono  la  censura  di 
Erasmo  net  suo  Cicerotiiuuux  "  l*taefereiidiis  est  ^  Sanazariiis  ) 
?»  Poalano  ,  quod  rem  sacram  tractare  non  pigiiil  ,  qiiod  nec 
n  dormitaalem  eam  nec  iuamoeue  iraciavii  •  sed  meo  quidem 
r>  suffragio  plus  laiidis  erat  laturus  ,  si  niateriam  sacram  tra- 
»>  ctasset  aliq  audo  saoratius.  «  —  Nunc  (juorsum  attiaeJ)at  hic 
5»  toiies  invocare  Musas  et  Phaebum  ?  Quid  quod  Virgioem 
»>  hugi'  iuieu  am  peaecipue  Sybill  uis  versibus,  quod  nou  aptc 
»  Proteum  iuducit  de  Christo  valicinauieoi,  quod  iNympharum 
»>  Hamadriadum  uc  INereidum  pieua  iacit  omnia?  Quam  dure 
f>  respoudet  Chrislianis  aiirib  >s  versus  ille  ,  qui  ,  ui  tallor  , 
»  Virgiai  mairi  dicitur  :  Tuijue  {idei  spcsjìda  komiiiuiu  ,  spes 
»  fida  deoriun  etc.  »  Ciceronian.  pag.  90.  ed,  Totosae  i63o  ^ 
dove  questo  passo  è  accompagnalo  da  osservazioni  moiio  giù-. 
«iiùo&e  sulla  atauiera  di  iraUi:rc  poclicaiueate  soggetti  sacri. 


l32 

re  ,  e  divertire  i  lettori ,  mentre  il  poema  de  partu 
Virginis  sarà  consultato  soltanto  come  oggetto  di  cu- 
riosità letteraria  ,  o  riguardato  come  un  esempio  di 
fatiche  perdute  ,  e  d'  ingegno  mal  applicato. 

Fra  i  seguaci  delle  muse  Sannazaro  può  essere  ri- 
guardato come  imo  de'  più  fortunati.  Si  narra  tutta-» 
•via ,  che  grandissimo  dispiacere  gli  arrecasse  la  distru- 
zione della  sua  villa  favorita  di  Mergoglino ,  fatta  sotto 
Filiberto  principe  d'  Orange ,  perchè  era  stata  occu- 
pata come  stazione  militare  dai  Francesi  (i);  ma  ad 
eccezione  di  questo  avvenimento,  in  mezzo  a  tutti  gli 
sconvolgimenti  di  quel  paese ,  i  di  lui  talenti ,  e  la  di 
lui  integrità  gli  procurarono  il  rispetto  generale,  ed 
egli  potè  godere  fino  alla  fine  dei  suoi  giorni  un^ 
onorata  independenza.  Egli  passò  gli  ultimi  suoi  gior- 
ni nelle  piacevoli  vicinanze  di  Somma,  e  nella  so- 
cietà di  Cassandra  Marchese  ,  che  è  sovente  un  sog- 
getto di  elogio  nei  di  |ul    scritti   (2).    Furono   piena- 


(i')  Crispo  ,  P'' ha  del  SaTinazaro  pag.  28,  e  nata  ^5 

^1  '   Tu  quoque  vel  fessae  tcstis,  Cassandi  a,  senectae, 

5»  Quara  manet  arbitrium  funeris  omne  mei  5 

«  Composi  OS  tumulo  rineres  ,  alque  ossa  piato  5 

j?  Neu  pigeat  vati  solvere  jus'a  tuo. 
»  Parre  tamen  scisso  seu  me,  mea  vita,  capillo  , 
»  Sive  sed  .  .  .  he\i  prohibet  diceie  plura  dolori  « 

Sannaz.  Eleg-  Lih.    III.  el.  2. 

Alla  stessa  dama  indirizzò  pure  Sannazaro    la    quinta  delle 

sue  egloghe  pes-iatorie.  I  poe'i  di  quel  tempo,  siccome   quelli 

forse  di  tutte  le  età ,    aveano  bisogno ,   come    si    è    già  veduto 

altrove ,  Tom.  I.  pag.  i25  di  un  avversario,  sul  quale  versar 


i33 
niente  adempite  le  inteozlohi  del  poeta  ,  eh'  essa  do- 
vesse essere  presente  al  suo  chiudere  o;ll  orchi,  ed 
assistere  ai  suoi  funerali  ;  e  mediante  le  di  l»^i  cure 
le  sue  spoglie  furono  deposte  in  una  cappella ,  che 
egli  àvea  eretto  presso  la  sua  villa  di  Mergoglino  (a) , 
dove  dopo  alcuni  anni  fu  eretto  un  superbo  monu-< 
mento  alla  di  lui  memoria ,  al  quale  furono  apposti 
i  seguenti  versi  di  Bembo. 

,,  Da  sacro  ciùeri  flores  ,  hic  ille  Maroni , 
,,  Sincerus  j   Musa  proximus  ,  ut  tumulo.   ,, 

Infiora  il  cener  sacro  ;  a  Maron  presso 
Nella  tomba  è  Sincero  ,  e  sul  Permesso. 
I  talenti  straordinarj  spiegati  da  Sannazaro  ne' suoi 
tomponimenti  latini  ,  non  poterono  tuttavia  assicu- 
rargli senza  contrasto  una  preminenza  sopra  i  di  lui 
contemporanei.  Avanti  ch'egli  conducesse  a  flue  l'opera, 
sulla  quale  pensava  di  fondare  la  sua  riputazione 
poetica ,  sorsero  diversi  potenti  rivali ,  uno  dei  quali 
in  particolare  produsse  sotto  gli  auspicj  di  Leone  X 
un  poema  di  grandissimo  merito  ,  e  di  considerabile 
estensione,  atto  a  guarentire  al  suo  autore  una  somma 
riputazione  tra  gli  scrittori  latini  dei  tempi  moderni. 
Questo  poema  è  la    Cristiade   del    fida  ,    uomo    che 


potessero  tutte  le  contumelie,  che  la  bile  loro  suggeriva,  e  cosi 
pure  di  un  caro ,  ed  amato  oggetto ,  col  quale  sfogar  potes- 
sero tutta  la  loro  tenerezza  ,  tutù  i  loro  più  dilicaii  senli- 
nieali  ^  e  questo  diveniva  pure  il  soggetto  ordinario  de'  loro 
elogi> 

(aj  O  Mergellina,  come  vien  detta  piCi  comunemente. 


i34 

può  esspre  considerato  come  uno  dei  primi  luminari 
della  sua  età  ,  e  della  di  cui  vita ,  e  dei  di  cui  scritti 
un  più  particolare  ragguaglio  non  può  lasciar  di  de- 
stare l'interesso  generale. 

§  VI. 

Girolamo   Vida. 

Marco  Girolamo  Vida  era  nativo  di  Cremona. 
Qualche  diversità  di  opinioni  è  insorta  sul  tempo 
della  sua  nascita  ,  la  quale  è  stata  generalmente  col- 
locata verso  r  anno  1470  (i)  ,  mentre  alcuni  hanno 
preteso  ,  che  riferir  si  dovesse  al  i490  in  circa.  (2). 
Le  l'atiionl  addotte  da  diOerenti  autori  hanno  servito 


(^i)  De  vita,  et  scriptis  uuctoris  ,  in  opp.  Vidae  f^ol.  II. 
App.  pof;.   i5|,  i/i  nnt.  Ed.  Comin.   j^Si.  in  \. 

(q.^!  Marchesel'i  Orazioni  in  difesa  del  Vida,  presso  Tira- 
boschi  Storia  delia  Lett.  Ila/.  Voi.  f^tl.  part.  III.  pag.  2^6. 
II  citalo  autore  ha  aiirhe  addoito  un  passo  del  primo  libro 
della  Scaccheide ,  dedicato  ad  Isahella  Gonzaga  .  marchesa 
di  Mantova  ,  dal  quale  appare  ,  che  il  poema  sia  stato  scrit- 
to, meulre  suo  figlio  Federigo  era  nella  prima  gioventù.  Que- 
sti era  nato  nel  i5oo  ,  e  Tiruboschi  suppone  ,  eh'  egli  potesse 
essere  dell'  età  di  9.,  o  io  anni,  allorcliè  Vida  scrisse  il  suo 
poema.  Ora  siccome  Vida  slesso  e'  informa  ,  che  egli  scrisse 
il  suo  poema  ne'  suoi  primi  anni  .  adolescentiae  suae  lusum  , 
!o  sforico  congettura  .  eli'  egli  esser  potesse  allora  dell'  età  di 
circa  20  anni,  e  nato  per  conseguenza  versoli  iJQo.  E  degno 
tuttavia  d'osservazione.,  che  quel  poema  non  fu  uno  dei  primi 
sforti  dei  talenti  poetici  del  Vida  ,  siccome  noi  avremo  occa- 
sione di  indicare  in  appresso. 


i3S 

a  confutare  le  opinioni  de'  loro  avversar)  senza  sta- 
bilire la  loro  propria  ,  e  siccome  f'ida  era  nato  cer- 
tamente ,  conne  si  vedrà  in  appresso  ,  qualche  anno 
dopo  r  epoca  stabilita  dai  primi  ,  e  qualche  anno 
prima  di  quella  voluta  dai  secondi  ,  la  di  lui  na- 
scita può  essere  con  sufficiente  precisione  collocata 
verso  la  metà  del  periodo  corso  tra  il  1470  ,  ed  il 
1490.  La  sua  famiglia  era  per  condizione  rispettabile, 
e  benché  i  di  lui  parenti  non  fossero  ricchi,  essi 
poterono  tuttavia  dargli  una  buona  educazione  ,  pel 
quale  oggetto  egli  fu  mandato  successivamente  a  di- 
verse scuole  delle  più  illustri  tra  quelle,  delle  quali 
l'Italia  era  allora  cosi  ben  provveduta  (i).  Il  primo 
saggio  dei  talenti  di  Vida  nella  latina  poesia  apparve 
in  una  raccolta  di  versi  sulla  morte  del  poeta  Sera- 
fino d  Aquila  ,  avvenuta  nel  1 5oo  ,  alla  quale  egli 
contribuì  con  due  componimenti  ,  pubblicati  a  Bo- 
logna in  quella  raccolta  nel  1 5o4-  In  quella  edizione 
Vida  porta  il  suo  nome  battesimale  di  Marco  Antonio, 
ch'egli  cangiò  al  suo  entrare  in  un  ordine  regolare 
con  quello  di  Girolamo.  Il  memorabile  combattimento 
tra  tredici  Francesi  ,  ed  altrettanti  guerrieri  Italiani 
sotto  le  mura  di  Barletta  nell'anno  1 5o3  ,  gli  fornì 
r  argomento  di  un'  opera  più  estesa ,  la  perdita  della 


(  ij  »     .     .     .     .     Vos  claras  me  scilicel  artes  , 
15  Re  licei  angusta,    potius  voluis  is  adire, 
«  Quam  genere  indignis  sludiis  incumbere  u ostro , 
<'  Atque  ideo  doctas  docilem  misislis  ad  nrbee.  <« 
t^idii  Manib.  parent.  in  op.  f^ot.  II.  p.  i45- 


i36 

quale  Jeve  compiatìgersi ,  non  solo  percliè  là  prima 
era  quella  delle  produzioni  di  quell'  elegante  scrit- 
tore j  ma  perchè  riguardar  si  potrebbe  come  un  do- 
cumento storico  curioso  (l)  (a.).  Dopo  ater  fatto  con^ 
siderabili  progressi  negli  studj  più  serj  della  teologia^ 
e  della  politica  ,  egli  portossi  a  Roma  ,  dove  giunse 
sul  finire  del  Pontificato  di  Giulio  11  ^  e  dove  sembra  ^ 
eh'  egli    seguisse    costantemente    quelle    società    lette- 


fi)  Voi.  IH.  Cf'p.  7.  pag.  11.  nota  i.  di  quest'opera.  — 
Se  noi  adottiamo  f  opÌBÌouc  di  Tirahoschi ,  Vida  all'epoca 
della  mòrte  di  Serafino  Aquilano  ,  era  solamente  dell'  età  di 
IO  anni  ,  e  di  i3  in  circa  al  tempo  del  combatiimenio  di 
Barletta  ,  al  (jual  periodo  della  vita  si  pub  difficiltnenle  sup- 
porre ,  eli'  c£;li  fosse  capace  di  celebrare  quell'  avvenimento 
in  un  poema  latino  :  noi  possiamo  quindi  presumere  con  fon- 
damento ,  che  epli  fosse  n^io  alcuni  anni  prima  dell'  epoca  da 
questo  autore  assegnala. 

(a)  Il  sig.  Roscoe  proverà  senza  dubbio  una  piacevole  Sod-k 
disfazione  al  vedere  la  notizia  che  noi  ci  troviamo  fortunata- 
mente in  grado  di  dare  ai  suoi  lettori  ,  che  non  è  intiera  la 
perdita  di  questo  com]ionimento  giovanile  del  Vida  ,  eh'  egli 
giustamente  compiangeva.  Il  cav.  Giambattista  Venturi,  egie-* 
gio  coltivatore  delle  scienze  non  meno  ,  che  nelle  lettere  ,  ci 
ha  informati,  che  un  frammento  di  quel  poemetto  preziosis- 
simo, perchè  relativo  ad  uno  degli  avvenimenti  più  gloriosi  per 
la  nazione  Italiana  ,  è  stato  trovato  dal  sig.  Càgnoli  di  Reg-« 
gio  ,  altro  distinto  letterato  ,  il  quale  si  dispone  in  breve  a 
renderlo  pul)blico  ^  e  noi  ci  faremo  premura  di  riferirlo  per 
intiero  in  seguito  all'appendice  de' dociunenii  aggiunti  da' 
sig.  Roscoe  alla  sua  Storia  ,  tra  i  quali  questo  frammento  ,  e 
per  l'autor  suo  ,  e  per  la  singolarità  ,  e  l'importanza  dell'ar- 
gomento ,  e  per  la  novità  del  suo  fortunato  ritrovamento  pO"<» 
•rà  figurare,  come  uno  de' più  cutitsi ,  ed  ialeressaali. 


k3f 

farie  ,  cKe  si  erano  formate  in  quella  città  ,  e  che 
«ontinuarono  al  principio  del  Pontificato  di  Leon  X. 
Delle  grandi  opere,  sulle  quali  si  è  fondata  fino  al  dì 
d' oggi  la  sua  reputazione  come  poeta  Latino  ,  i  suoi 
tre  libri  de  Arte  Poetica  furono  probabilm-^nte  le 
prime  cose  pubblicate  ;  ed  a  questi  poco  dopo  tennero 
dietro  il  suo  poema  sullo  schludimento  de' bachi  da 
seta,  intitolato  ^oml^a;,  e  l'altro  intitolato  Scacchiae 
ludus  ,  relativo  al  giuoco  degli  Scacchi  (i).  Leon  Xy 
al  quale  fu  mostrato  1'  ultimo  di  que' poemi ,  si  com-. 
piacque  oltre  misura  della  novità  del  soggetto  ,  e  della 
dignità,  della  facilità,  del  chiaro  ordine  ,  col  quale 
era  trattato  ,  che  ad  esso  parvero  oltrepassare  i  confini 
dell'  umano  potere  (2).  Egli  chiese  dunque  di  vedere 
r  autore  ,  il  quale  gli  fu  presentato  da  Giammatteò 
Ghiherti  vescovo  di  Verona  (a)  ,  che  sembra  essere 
stato  il  suo  primo  Mecenate,  e  che  egli  ha  celebrato 
coi  termini  del  più  vivo  affetto  in  diverse  delle  sue 
opere  (3).   Vida  fu  ricevuto  dal  Pontefice   con    molta 


(i)  Faballi  Orat.  de  Vida  ,  in  P'idae  Op.  -^pp.  pag.  i43- 

(a)  n  Poema  hoc  tam  festivum ,  lam  elegans,  quum  Leo 
»  Decimus  Pontifex  forte  legisset ,  vel  polius  singulas  clau- 
»>  sulas  ,  singulaque  vcrba  contemplalus  esset ,  tanta  fuit  af- 
»  feclus  admiratione  non  solum  ex  materie  novitate.  sed  eliam, 
»  carminis  majeslate ,  ut  haud  crederet  talia  a  mortali  fieri  , 
s»  pcrvesligarique  posse  ,  nisi  divino  aliquo  mentis  instinctu.  h 
/''aliali,  ut  Slip.  p.   1^3. 

(a)  Quello  siesso  ,  che  nel  Capo  precedente  §  XII  fu  indicato 
come  il  mecenate  del  Berni. 

(3)  Singolarmente  in   due   belle   odi ,    ed   iu   un   componi- 


i3S 

distinzione,  e  con  singolare  bontà  ,  ammesso  tosto 
nella  sua  corte  ,  e  ricompensato  con  onori  ,  ed  im- 
pieghi lucrosi  ;  ma  quello  ,  che  maggiormente  lusingò 
r  amor  proprio  del  poeta ,  fu  il  veder  lette  le  sue 
opere  ,  ed  approvate  dal  Pontefice  medesimo  (i). 
Fosse  che  Leone  bramasse  semplicemente  di  impegnare 
Vida  in  un  soggetto,  nel  quale  sfoggiar  potesse  tutti 
i  suoi  talenti;  o  piuttosto,  ch'egli  tendesse  a  susci- 
tare un  rivale  a  Sannazaro ,  che  egli  ragionevolmente 
sospettata  non  esser  troppo  favorevole  alla  di  lui 
fama  ;  è  certo  che  per  di  lui  suggerimento  Fida  in- 
cominciò la  sua  C ri st iade  ,  eli  e ^Vi  poco  dopo  condusse 
a  fine  in  sei  libri  ,  ma  che  il  Pontefice  non  potè 
vedere  comnila  ,  essendo  stato  prevenuto  dalla  morte 
innaspettata.  Il  patrocinio  di  quest'opera  era  riservato 
in  conseguenza  a  Clemente  T//,  sotto  i  di  cui  auspicj 
lu  pubblicala  la  prima  volta  nel  i535,  con  un  avverti- 
mento apologetico  al  fine,  nel  quale  l'autore  scusa  l' ar- 
dire del  suo  tentativo,  informando  il  lettore,  che  egli 
era  stato  indotto  a  cominciare  ,  ed  a  perseverare  in 
quest'impresa  dalle  istanze,  e  dalla  munificenza  dei 
due  Pontefici  Leone  X,  e  Clemente  VII  ^  alla  di 
cui  sollecitudine  ,  ed  alla  di  cui  liberalità  egli  attri- 


mento  in   versi    esametri  ,    che    trovansi   tra    i    sugi    Carotina 
a.  I.  III.  IV. 

(i) »»  Leo  jam  carmina  nostra 

>J  Ipse  iibens  relegehat.  Ego  illi  carus  ,  et  auclus 
«  Muneribiisque,  opibusqu.e,  et  honoribus  insi^n:tus.  «5 
Vida  ^  Pareutum  marùbus  Opp.  fol.  II,  p.    1^4* 


«39 
bulsce  il  rinascimento  della  letteratura  dal  suo  lun- 
go stato  d'  intorpidimento  ,  e  di  degradazione   (i). 

Ad  oggetto  di  stimolare  il  poeta  a  compiere  V  opera 
sua ,  o  di  rimunerarlo  pei  progressi  ,  che  fatti  avea 
in  quel  lavoro  ,  Clemente  lo  avea  di  già  innalzato 
al  grado  di  segretario  Apostolico,  e  nell'anno  i53r> 
gli  conferì  il  Vescovado  di  Alba.  Poco  dopo  la  morte 
di  quel  Pontefice ,  Fida  si  ritirò  alla  sua  diocesi  ,  e 
fu  presente  alla  difesa  di  quella  città  centro  1'  at- 
tacco dei  Francesi  nell'  anno  1 542  ,  nella  quale  oc- 
casione le  sue  esortazioni  ,  ed  il  suo  esempio  ani- 
marono gli  abitanti  ad  opporsi  con  buon  esito  al  ni- 
mico. Dopo  aver  assistilo  nella  sua  qualità  di  Ve- 
scovo al  Concilio  di  Trento  ,  ed  aver  presa  una 
parte  attiva  negli  aflari  Ecclesiastici  ,  e  politici  di 
que' tempi ,  egli  morì  alla  sua  sede  di  Alba  il    giorno 


(l^  QuiSQUrS  ES  ,  ACCTOR  TE  ADMONITDM  VULT  ,  SE  NON 
tAUDlS  ERGO  OPUS  ADEO  PERTCULOSUM  CUPIDE  AGGRESStJM  :  VE— 
RUM  ET  PGNESTIS  PROPOSITIS  PRAEMIIS  A  DUOBCS  50MMIS  PON- 
TIFICIBUS  DEMANDATUM  SCITO  ,  LeonE  X  PRIUS  .  MOX  Ct  E— 
MENTE  VII  ,  AMEOBCS  EX.  HetRTJSCORDM  MeDTCCM  AMPLIS"-  MA 
FAMrLIA  5  CTJJCS  LIBERAUTATI  ATQtJE  IHDTJSTRIAE  HAEC  AETAS 
tlTERAS  AC  BONA9  ARTES ,  QUAE  PLASE  EX' INCTAE  ERANT,  EXCI- 
TATAS    ATQUE    «EVIVreCENTES    DEBET.  Id  VOLEBAM  NESCIOS  NE  ES— 

SEs.  (Questo  autore  si  vede  sempre  animato  da  un  lodc\ole 
spirito  di  riconoscenza  5  ma  chi  prendesse  alla  lettera  il  rife- 
rito avvertimenlo  ,  potrebbe  dedurne  la  massima  ,  che  non  il 
desiderio  della  lode  ,  ma  1"  amor  solo  del  premio  eccitasse  la 
sua  musa  ,  il  che  è  tanto  lungi  dal  vero  .  eh'  egli  era  total- 
mente disinteressato,  e  mori  povero,  come  appare  dalla  nota 
"seguente  ). 


l/fÓ 

27  di  settembre  dell'anno  1 566,  più  rispettato  pe' suoi 
talenti  ,  per  la  sua  integrità  ,  e  per  la  sua  rigorosa 
osservanza  de'  doveri  pastorali  ,  che  non  per  le  ric- 
ctezze  ammassate  colle  sue  prelature  ecclesiastiche  (1). 
Di  tutti  coloro  ,  che  scrissero  in  versi  latini  ià 
quel  periodo  di  tempo  ,  Vida  è  stato  il  più  general- 
mente conosciuto  fuori  dei  limiti  d'  Italia.  Questo 
dev'  essrre  attribuito  ,  non  solo  alla  fortunata  scelta 
de'  suoi  argomenti  ,  ma  ancora  al  ragguardevole  suo 
talento  di  riunire  ad  una  grande  eleganza  e  sovente  a 
molta  dignità  una  singolare  facilità  ,  e  chiarezza  di 
stile  ,  cosicché  le  descrizioni  più  complicate  ,  o  le 
più  astruse  dichiarazioni  riescono  facili  ,  e  familiari 
al  lettore.  Delle  sue  egloghe  Virgiliane  la  terza  ed 
ultima  è  diretta  ad  esprimere  il  rammarico  di  Vic- 
toria Colonna  per  la  morte  dell'  amato  suo  consòrte 
Marchese  di  Pescara  (2).  Tra  le  sue  piccole   poesie  ^ 


(i)  5j  Io  ho  veduto,  dice  Tiraboschi^  1'  inventario  dei 
>>.  mobili  trovali  nel  suo  palazzo  Vescovile,  il  quale  ci  fa  ve- 
w  dere,  ch'egli  moxi  assai  povero.  »  Storia  della  lellerat. 
Jial.  voi.  VII.  par.  III.  pag.  283.  Vida  fu  sepolio  nella  cat- 
tedrale di  Alba  ,  dove  fu  inciso  sulla  di  lui  tomba  il  seguente 
epitafio  : 

HlC    SITUS    EST    M.    HlERONYMUS   VlDA. 

Cremonen.  Albak  Episcopus. 
(2)^  »  Conjugis  amissi  funus ,  pulcherrima  NitE 

>ì  Flcbat  5  et  in  solis  errabat  montibus  aegra  5 
•       n  Alque  homines  fugieos  ^  moeslo  solatia  amori 
•5  Nulla  dabat  ,  luctu  sed  cuncla  implebat  amaro  , 
i>  Flens  noctem  ,  flens  lucem  ;  ipsi  jam   funera  montes 
»>  Lugebaut  JDavali  j  Davalum  omnia  respondebant.  » 
Vidae  Op.  Voi.  IL  />.  ili. 


i4i 

i  versi  eia  lui  consacrati  alla  memoria  de'  di  lui  ge- 
nitori ,  che  morirono  ambidue  pressoché  nel  tempo 
medesimo  ,  mentr'  egli  era  intento  con  profìtto  a 
conseguire  qualche  prelatura  in  Roma,  mostrano  uno 
squisito  sentimento,  e  presentano  bellissime  immagia' 
di  afìetto  filiale  (i). 

$  VII. 

Poetica  di  Girolamo    rida. 

La  Poetica  del  Vida  ,  alla  quale  egli  ya  debitore 
di  una  gran  parte  della  sua  riputazione  tanto  come 
poeta  ,  che  come  critico  ,  fu  indiri«zata  dall'  autore 
all'epoca  della  prima  pubblicazione  fattasi  nel  1627 
al  delfino  Francesco  ,  figlio  di  Francesco  1  Re  di 
Francia  ,  allora  prigioniero  insieme  a  suo  fratello 
Enrico  ,  come  ostaggio  del  padre  alla  corte  di  Spa- 
gna ;  ma  quella  dedica  non  fu  premessa  ali  opera  se 
non  molti  anni  dopo  il  compimento  della  medesima , 
scritta  da  principio  in  Roma  sotto    il    Pontificato    di 


(2)  »  Vos  unos  agilabam  animo  ,  vestraque  fniebar 
j>  Laelilia  exsultans  ,  et  gaudia  vesua  foveliam  , 
iì  Mecum  animo  versans  quam  voì)is  illa  futura 
15  Laeta  dies  ,  qua  me  vcitiis  amplexU)us  urgens 
)>   Irruerem  imjirovisus  ad  oscula  •  ■vis  bene  utrique 
n  Agaitus  ,  insoliiis  titulis ,  et  lion'jribus  auctus  , 
»  Scilicet  et  longo  tandem  post  tempore  visus  , 
\ì  Dum  teuuit  me  Roma ,  humili  vos  sede   Cremona.  » 

Ibid.  pag.  14S. 


l42 

Leone  X,  ed  originalmente  indirizzata  ad  Angehy 
Dovizia  ,  nipote  del  Cardinale  Bernardo  di  Bibiena  , 
che  poco  dopo  consegui  esso  pure  \  onor  della  por- 
pora (i).  Si  è  supposto  veramente  ,  che  questa  pro- 
duzione fosse  dapprima  stampata  a  Cremona  nel  iSao, 
ed  è  certo  ,  che  i  concittadini  di  Vida  chiesero  la  di 
lui  permissione  di  far  uso  di  quell'opera  per  l'istru- 
zione della  gioventù  ,  ai  quali'  egli  espresse  il  suo 
consenso  in  una  lettera  ,  che  ancora  ci  rimane  (2)  ; 
ma  benché  si  raccolga  dalle  carte  degli  archivj  di 
)  Cremona,  che  essa  era  disposta  per  essere  pubblicata 

colle  stampe ,  pure  vi  ha  ragione  di  supporre  ,  che 
questo  non  si  fosse  effettuato;  ne  .alcun  esemplare  di 
quella  supposta  edizione  è  mai  giunto  a  notizia  di 
alcun  bibliografo.  La  cagione  può  esserne  attribuita 
allo  stesso  Vida  ,  il  quale  nella  sua  letter»  stretta- 
mente ingiunse  ,  che  T  opera  sua  non    dovesse   pub- 


li)  Tiraboschi  ha  vedalo  un  bel  manoscrilto  di  questo  poe- 
ma scritto  ne''  primi  tempi  della  sua  composizione  .  ed  indi- 
rizzato a  Douizio ,  e  ne  ha  dato  un  particolare  ragguaglio. 
Storia  della  leti.  Itat.   Voi.    VII.  par.  III.  pag.  279. 

(2)  In  (Questa  lettera  noi  troviamo  la  seguente  apologia,  olitegli 
si  studia  di  fondare  sulla  difficoltà  della  sua  impresa:  »  Scio 
»  enim  quam  pcriculosum  sit  de  re  tam  varia  ,  tam  difficili  , 
»  atque  ardua  scribere ,  his  praeserlim  temporibus  ,  quibus 
»  tot  praeclai>a  ingeuia  liberalitate  Leonis  X  Pont.  Max.  in- 
»  vitata ,  emerserunt  ,  emergimtque  in  dies ,  ut  arles  mihi  ipsa 
n  injuria  temporum  jamdudiim  exlinctae  videantur  quodam- 
M  modo  liujus  auspiciis  reviviscere.  »  Praef.  ad.  Uh.  de  Poe^ 
tica  in  Ed.  Cornin, 


i43 
blicarsi  (i);e  coQ  successive  rimostranze,  allorché 
fu  informato  delle  intenzioni  dei  magistrali  di  Cre- 
mona, li  trattenne,  per  quanto  può  supporsi,  dal  dare 
queir  opera  alle  stampe  (2).  L'  approvazione  ,  che  la 
Poetica  di  Fida  ebbe  la  sorte  di  ottenere  dai  più 
corretti  ,  ed  eleganti  scrittori  del  nostro  paese  ,  la 
fece  vantaggiosamente  conoscere  dappertutto    (3)  ,   al 


(i)  »  Hac  tamen  lege  lios  lihros  vobis  credimus  ,  ut  apiid 
»  vos  in  qiiopiatn  loco  aut  publico,  aut  p^i^ato  serventur,  quo 
>»  tantum  civibus  nostris  aditus  sit ,  ne  si  forte  in  exterorura 
V  manus  furto  sublati  devenerint,  iujussu  meo,  librariorum  ava— 
i>  rilia  in  -vulgus  veuales  prodcant,  qua  re  medius  fìdius,  nihil 
n  mihi  molestius  accidere  posset.  «»  Ibid. 

(a)  Alcune  circostanze  particolari  a  questo  proposito  possono 
trovarsi  in  una  lettera  di  GiroLitno  Negri  tra  le  Lelteie  di 
Principi   f^ol.   I.  pag.    106. 

(3)  "  Negli  aurei  giorni  di  Leon  tu  vedi 

i>  Fiorir  le  muse  ,  e  di  beltà  far  pompa. 

»>  Il  genio   ancor  della  superba  Roma 

n  Sorge   dalle  rovine ,  e  1*  atra  polve 

j>  Scuote,  e  solleva  il  venerando  capo. 

1»  Rinasce  la  scultura  ,  e  1'  arti  suore 

?'  Sorgon  con  essa ,  e  per  le*  opra  i  sassi 

>j  Riprendon  forma  ancor  ,  vita  le  roccie  , 

n  E  in  dolci  note  il  nuovo  tempio  suona. 

»  Un  Rafaele  piago  :  un  Vida,  canta  I 

>»  Immorlal  Vida  I   D*  onorato  lauro 

»  Cingi  la  fronte  ;  e  sol  ne'  campi  alligna 

»  Edera  trista  al  critico  mordace. 

»>  Altiera  il  nome  può  vantar  Cremona  , 

"  Vicina  a  Manto  ,  e  sua  rivai  per  fama.  »» 

Pope  Saggio  sulla  Crìtica  ver.  697  dell'  originale» 
(  Questa  uersione  è  stata  nummiiente  tentata  sul  passo  citata 
in  questa  noia  dal  si§.  Roscoe  ], 


che  può  aggiungersi  ,  clie  un  eccellenle  crìtico  Iq . 
glese  la  riguarda  come  la  più  perfetta  di  tutte  le 
produzioni  dell'Autore,  e  come  ,,  una  delle  prime  , 
,,  se  non  pure  la  prima  opera  in  genere  di  critica  , 
,,  che  apparisse  in  Italia  dopo  il  rinascimento  delle 
„   lettere  (i).   ,, 

Nel  suo  poema  la  Cristiade^  Vida  evitò  1'  errore  , 
uel  quale  era  caduto  Sannazaro  col  mescolare  le  fa- 
vole profane  della  Pagana  Mitologia  coi  mister]  della 
Cristiana  Religione  ,  ed  al  pari  di  Milton  eb,be  ri- 
corso per  ottenere  la  inspirazione  alla  sorgente  mas- 
sima della  vita  e  della  verità.  Benché  egli  si  ponga 
davanti  Virgilio ,  come  suo  modello  singolare  ,  e  lo 
riguardi  a  un  di  presso  con  sentimenti  di  venerazione  , 
come  può  raccogliersi  dalla  conclusione  del  terzo  li- 
bro della  sua  Poetica  ,  contultociò  egli  sa  bene  sta- 
bilire i  limiti  della  sua  imitazione  ,  e  mentre  egli 
adotta  lo  stile  ,  e  le  maniere  ,  e  talvolta  anche  la 
lingua  del  celebre  cantore  Mantovano  ,  egli  non  si 
studia  di  dare  ai  suol  scritti  un  aspetto  classico 
colla  introduzione  di  quelle  persone ,  e  di  quelle  fan- 
tasie ,  che  possono  violare  la  probabilità,  la  natura, 
e  la  verità.  Quindi  ,  mentre  il  poema  -di  Sannazaro 
sembra  essere  il  parto  di  un  gentile  idolatra ,  il  quale 
non  crede  le  verità,  che  pure  affetta  di  inculcare, 
e  ben  sovente  si  accosta  all'  indecenza  ,  o  alla  in-» 
congruità;  gli  scritti. di   Vida  spiegano  una    fervida, 


(i)  fV^arton  Siiggio  sul  genio  ecc.  di  Pope  i^ol.  I.  p.    '97.. 


i45 

e  sincera  pietà  ,  un  disprezzo  cV  ogni  meretricio  or- 
namenlo  ,  ed  una  energica  semplicità  di  elocuzione  , 
che  possono  guarentirgli  una  non  equivoca  ,  e  ben 
durevole  approvazione. 

§  Vili. 

Girolamo  Fiacastore. 

Nella  prima  classe  de  letterali  Italiani  di  quel 
tempo  ,  noi  possiamo  collocare  francamente  Girolamo 
Fracastoro  ^  che  si  distinse  non  meno  per  il  suo  sa- 
pere nella  medicina,  e  per  la  sua  rara  dottrina  nelle 
scienze  ,  che  per  i  suoi  grandi  ,  e  ben  noti  talenti 
nella  poesia  Latina.  Nacque  egli  a  Verona  ,  dove  i 
suoi  antenati  sogsiornavfino  da  lungo  tempo  in  una 
rispettabile  condizione.  L  epoca  della  di  lui  nascita  può 
esser  fissata  con  molta  probabilità  verso  1  anno  i483. 
Alcune  particolari  circostanze  accompagnarono  la  sua 
infanzia  ,  le  quali  p'^r  la  di  lui  celebrità  venuta  ia 
seguito   furono   giudicate   degne    di    memoria.    Al    suo 

n  Do 

nascere  le  di  lui  labbra  erano  per  tal  modo  aderenti 
r  uno  air  altro ,  che  appena  gli  era  concesso  a  stento 
di  respirare ,  e  fu  necessaria  una  operazione  chirur- 
gica per  rimediare  a  questo  effetto.  Questo  accidente 
viene  rammemorato  in  un  epigramma  di  Giulio  Ce- 
sare  Scaligero   (i). 


(i)  »  Os  Fracastorio  uascenli  defuit ,  ergo 

»  Sedulus  atienia  liuxil  Apollo  niauii. 
Leone  X.   Tom.   VII.  \o 


i46 

Un  terribile  aweuimeiilo  ,  clie  eLl)e  luogo  durante 
rinfanzia  di  Fracastoro,ò  slato  pure  consideralo  come 
un  presagio  della  futura  sua  celebrila.  Mentre  sua 
madre  lo  portava  nelle  sue  braccia  ,  essa  fu  stesa 
morta  per  un  colpo  di  fulmine  ,  ma  il  bambino  non 
ricevette  la  minima  offesa.  Questo  fatto  singolare  è 
attestato  in  modo  così  decisivo  ,  clie  si  può  ritenere 
come  indubitato   (i). 

Dopo  di  aver  ricevuto  una  liberale  educazione  in 
Patria  ,  Fracastoro  recossi  a  Padova,  dove  perqual- 
clie  tempo  approfittò  delle  lezioni  del  celebre  Pietro 
Pvnpovazio  ^  e  legossi  in  intima  amicizia  con  divevse 
persone  ,  che  poco  dopo  salirono  ad    altissima    ropu- 


»>  Inde  hauri  ,  Mi-dictisque  ingens  .,  iHgeusque  Poeta, 

»>   Et  magno  facies  omnia   piena   Deo. 
Questi  versi  sono   stali  parafrasati  dal  Cav.  Marini  nella  dol- 
cissima lingua  Italiana  : 

fi  Al  Fracaslor  nascente 

»j  Mancò  la  bocca  ,•  allora  il  Inondo  Dio 

»?  Con  arte  diligente 

'?   Di  sua  man  gliela  f(>ce  ,   e  gliel'  aprio  ; 

■>•>   Poi  di  se  gliel'  empio  , 

V   Quinci   ei  divin  divenne  z,  ed  ugualmente 

?»  Di  doppia   gloria  in  un  giunse  a  la  meta, 

??  E  l'isico  ,  e  Poeta, 
(i)  ??  Fracastorius  mira  vitae  ìncunabula  a  divina  fataliqne 
»?  coeleslium  numinum  bcnignitate  auspicatus  est.  Matrcm  enini 
»j  infans  adliuc  ,  et  tantum  non  vagiens ,  cum  insa  ei  in  siou 
?»  subsultanli  gestirei  jocos  ,  ictu  fulminis  horribili  confectain 
5?  illaesus  seiisit  ,  si  modo  sentire  potuit.  »  Frane.  Poi.  .^P-. 
JMenckcniwn  i/i   l'ita  Fracastoi  ii  p.  3o. 


i47 
tazione.   Tj*  aulorltà  del   <n\o  maestro  non  potè  tuttavia 

indurre  Fracastoro  ad  abbracciare  le  sue  opinioni 
sinf^olari,  ed  erronee  in  melafisicn,  alcune  delle  quali 
egli  conflilò  poco  dopo  in  «liro  de' suoi  dialoghi  senza 
nominare  tuHavia  espressamente  il  suo  primo  insti- 
tulore  (i)  E;j1ì  conobbe  tosto  la  fulìlità  della  barba- 
ra ,  e  scolastica  filosofia  ,  clie  Ponponnzio  professava, 
e  diresse  tutta  la  sua  attenzione  al  roltivamento  della 
vera  scienza,  delle  cognizioni  naturali,  e  di  osjni  ramo 
di  b'ila  letteratura.  Ali'elà  di  diciannove  anni  egli  avea 
ricevuto  non  solo  la  laurea  ,  emblema  del  più  alto 
jira  lo  accademico,  che  allora  si  ac'cordasse  in  Padova, 
ma  fu  anche  nominalo  pvolessore  di  logica  in  quella 
università  ,  uiticio  che  ej;li  abbandonò  pocìii  anni 
ilopo  alTine  di  j)oter  altenJeve  senza  init-rruzione  al 
suo  proprio  miglioramento  (3)  Egli  dapprima  si  ap- 
plicò allo  sfuilio  della  medicina  ,  considerandola  piut- 
tosto come  una  scienza  ,  che  come  una  professione;  ma 
poco  dopo  si  impegnò  con  grandissima  assiduità  nei  la- 
boriosi doveri  di  buon  tisico,  e  fu  riguardalo  come  uno 
dei  più  sapienti  pratici  in  Italia.  Le  sue  cure  però  a 
«"juesto  riguardo  non  gli  impedirono  gli  altri  studj,  e  non 
arrestirono  i  di  lui  pro^rc-ssl  nelle  inaleaialiche  ,  nella 
cosmoifrafia  ,  nell'astrmiomia  .  e  negli  altri  rami  delle 
scienze   naturali  ,    il   che  diede   giusto   motivo     a   sup- 


(i)  Tirabcschì  ^  storia  della  l-'tt.  llal.  Toni.  yiì.  par.  I. 
noi;.    af)3 . 

fa)  Mnffei  Vcr^rtn  V.  III.  p.  IL  p.  ?,^-].  —  Tùah.  storia 
del'clau.  Ilal    T.  VI!,  p.   JI!.  |).  2y3  nelle  i^ot.  ed.  Rodi.  i-85 


i48 

porre  ,  che  alcun  altro  in  que'  tempi  non  riunisse  in 
se  stesso  tanta  varietà  eli  cognizioni  (i).  L'irruzione 
deir  Iinperadore  eletto  Massimiliano  in  Italia  nell'anno 
i5o7,  e  i  pericoli,  dei  quali  fu  minacciata  la  città 
di  Padova,  indussero  Fracastoro ,  che  ài  recente  avea 
perduto  suo  padre ,  a  stabilire  la  sua  residenza  ira 
Verona  sua  patria  ,  ma  egli  dovette  cangiare  questa 
risoluzione  sulle  istanze  del  celebre  comandante  Bar- 
tolomeo dAlviano  ,  il  quale  tra  i  tumulti  delia  guerra, 
e  le  continue  occupazioni  dell'  attiva  sua  vita  non 
avea  tralasciato  giammai  di  coltivare  ,  e  di  incorag- 
giare gli  studj  delle  buone  lettere.  A  richiesta  di 
Alvi  ano  ,  Fracastoro  diede  pubbliche  lezioni  nella  ce- 
lebre accademia  da  quel  comandante  stabilita  nella 
sua  città  di  Pordenone  nel  distretto  di  Treviso  (a) , 
della  quale  piazza  da  Alviano  medesimo  presa  nelle 
guerre  contra  \  Imperadore  ,  il  Veneto  Senato  lo 
avea  creato  signore  independente  ,  come  infatti  ad 
<i»so  in  quel  dominio  succedette  suo  figlio  [■?.).  Allor- 
ché quel  gran  Generale  fu  di  nuovo  chiamalo  a  pub- 


fi)    Tiraìioschi  ìhid-  p-  2g3. 

(a)  iNon  so  perchè  l'autore  abbia  aggiiinlo  a  cjueslo  distretta 
I'  epiteto  di  rig'do. 

(<ì)  n  Pordenone  ,  Portus  Naonis  dai  Ialini  addiniandato. 
«  Fti  lungamente  questo  nobile  ,  grande  ,  e  ricco  cas'el!» 
lì  soggetto  ai  ducili  (V  Austria.  Ma  nei  nostri  giorni  essendo 
»5  stato  pigliato  da  Bnrtolomeo  Atviano  capitano  dai  soldati 
?j  Veneziani  ,  guerreggiando  con  Massimiliano  Imperatore  ,  fu 
»  donalo  da  i  .«ignori  Venetiani  al  detto  ;  et  essendo  lui  morto, 
»•>  li  successe  il  suo  (igliuolo,  >?  Alberti  Italia  p,  175.  6. 


i49 
Lllclie  imprese  ,  Fracasioro  seguillo  come  compa- 
gno dei  di  lui  studj  fino  all'anno  1609  ('l^  "^^ 
quale    alla    battaglia    fatale    di    Ghiaradadda    Alviano 


(i)  È  degno  d'osservazione,  che  Al^iiano  avea  al  suo  seguito 
tre  dei  più  grandi  poeti  Ialini,  che  l'età  moderna  abbia  pro- 
dotto ,  Aiidrra  IVavagero ,  Gerolamo  Pvacastoro  ,  e  0-iovanni 
Cotta  ,  r  ultimo  de'  quali  fu  spedito  da  Aluiano  fatto  prigio- 
niero alla  battaglia  d'  Agnadello., a  Giulio  IT  per  indurlo  a  pro- 
curare la  liberazione  del  suo  Mecenate,  nella  quale  spedizione 
egli  mori  di  febbre  ,  essendo  ancora  in  età  assai  florida.  Le 
poche  poesie  lasciate  da  ditta  mostrano  lo  spirilo  del  suo 
compatriotto  Catullo  ,  e  sono  ben  cara  terizzate  nei  seguenti 
versi  di   Gioan  Matteo   Toscano  : 

j>  Qui  Musas  ,  Veneremque  Gratiasque 
jj  Vis  coelu  socias  videre  in  uno  , 
5>  Hunc  unum  aureolum  legas  libellum, 
j>  Quo  Musae  ncque  sunt  politiores  , 
jj  Ipsa  nec  Venus  est  magis  venusta  , 
»  Nec  gratae  Chari'es  magis.   Quod  ulli 
J5  Si  fortasse  secus  videtur  ,  ille 
>5  Iratas  sibi  noverit  misello 
n  Camoena'» ,  Veneremque  ,  Gratiasque.  » 
Flaminio  non  ha  dubitato  di  preferire    queste    poesie  ,    o   al- 
meno di  porle  in  egual  grado  con  quelle  di  Catullo  medesimo  : 
n  Si  fas  cuique  sui  sensus  expromere  cordis, 

»5  Hoc  equidem  dicam  ,  pace.  Ca'ulle,  tua  ,• 
n  Est  tua  Musa  quidem  dulcissima  •   Musa  videtur 
»>  Ipsa  tamen  Cottae  didcior  esse  mihi. 
I  versi  suirassassinamenio  dì  Alessandro  de' M  dici ^  chiamato 
comunemente  il  primo  Duca  di  Firenze ,  atlribuiii  a  Cotta  da 
Gagiiet .,  e  da    Volpi  ,  Fracastoriì  Cottae  ,    et  aliorwn    Curm. 
Patai>u  1^18  in  8.,  sono  parto  di  quah-he  autore  più  recente', 
non  essendo  quel  fatto  avvenuto  se  non  molti    ajani    dopo    lo 
bua  morto. 


1 5'o 

fu  ferito  e  l'alio  prigioniero  da' Francesi.  Dopo  questo 
avvenimento  Fracastoro  ritirossi  a  Verona  ,  e  divi- 
dendo il  suo  tempo  tra  la  residenza  in  cUtà  ,  ed  il 
ritiro  ad  una  villa  nello  montagne  di  Incaffi  dedicossi 
tutto  ai  lavori  scientilìoi  ,  e  letterarj  ,  ed  alla  com- 
posizione di  quelle  opere  di  vario  genere  ,  che  tanto 
tontribuirono  ad  onorare  la  di  lui   memoria. 

Suo  poema  ii'tiluìato   '?ìjìh(ìe. 

A  questo  perio  lo  della  vita  ili  Fracastoro  può  ri- 
ferirsi il  principio  del  suo  celebre  poema  intitolato 
SypliiUs  ,  szVe  de  inorilo  Gallico  ,  d  quale  sembra 
evid  "nleirienie  essere  stato  compito  sotto  il  Ponli!ì- 
calo  di  Leon  X.  IXeir  adottare  questo  soggetto  fu  in- 
tenzione probabilmente  di  Fracastoro  dì  unire  i  suoi 
varj  talenti  ,  e  tulle  le  sue  cognizioni  in  una  gran- 
d'  opera  ,  la  quale  potesse  ad  un  tempo  sviluppare 
r  esteso  di  lui  sapere  nei  varj  rami  della  naturale 
filosofia  ,  la  sua  bravura  ,  e  la  sua  esperienza  nella 
medicina  ,  ed  il  suo  maraviglioso  ingegno  per  la  poesia 
lat'na.  11  successo  felice  Jetle  sue  fatiche  prova ,  che 
egli  non  si  era  ingannato,  né  ollreiyassato  avea  le  sue 
facoltà  ,  e  che  l' approvazione  da  ogni  parte  accor- 
data alla  Sifilide  era  tale  ,  che  ninna  produzione 
de'  tempi  moilerni  l'avea  dapprima  ottenuta  in  egual 
grado.  Quest'opera  è  deilii;ataa  Pietro  Bemho,  allora 
segretario  domestico  di  Leun  X ,  col  quale  egli  ave» 


Sovente  mantenuto  amichevole  corrispondensni  (i).  Al 
principio  del  secondo  libro  egli  particolarmente  allude 
al  periodo ,  nel  quale  era  scritto  quel  poema ,  e  getta 
un  colpo  d' occliio  sulle  circostanze  di  que'  tempi  , 
sulla  calamità  che  aveano  afflitto  l'  Italia  ,  sulla  sco- 
perta delle  Indie  orientali  ,  sui  recenti  miglioramenti 
delle  naturali  cognizioni  ,  in  proposilo  de'  quali  cita 
con  gran  lode  gli  Si'.ritti  di  Fontano  ,  e  sulla  tran- 
quillità,  della  quale  si  godea  sotto  il  Pontificato  di 
Leon  X  (2). 


(i)  »■>  Detiihe  dcciis  clariim  Ausoniac ,  si  forte  vacare 
i>  Consnllis  Leo  te  a  magnis  paullisper  ^  et  alta 
»  Rerum  mole  shiit,  totutn  qua  sustinet  orbetn  ; 
>'  Et  juvat  ad  dulces  paullum  secedere  miisas  5 
"  Ne  nostros  contcmne  orsus  ,  medicutiiqiie  laborem  , 
>j  Quiccjuidid  est.  Deus  haec  quondam  diguaLus  Apollo  est: 
»5  Et  parvis  quoque  rebus  iaest  sua  saepe  voluplas. 
♦5  Scilicet  hac  tenui  rerum  suli  iraagine  multum 
n    Naturae,  fatiquc  subest ,  et  grandis  origo.  v 

Sy-pìiU.  Uh.  I.  V.  iT,. 

(2)  »  Credo  ecp^iidem ,  et  quaedam  uobis  diviaitus  esse 
>5  Inventa  ,  ignaros  fatis  duceiitibus  ipsis. 
ìt  ]Nam  quamquam  fera  teif(l^esias  tt  iniqua  fue'ruiit 
»>  Sidera  ,  non  tamen  omnino  praesetllia  divurn 
«  Abf'uit  a  nobis  -  placidi  et  clemantia  coeH. 
59  Si  mor])um  insolitum,  si  dura  et   tristia  belli 
»»  Vidimus,  et  sparsos  dominoruni  caeda  penai es  , 
"  Oppidatjue ,  iacensas({ue  urbcs  ,  subversaqué  regna  , 
»  Et  tempia  ,  et  rapiis  temerata  altaria  sacris  : 
'5  Flumina  dejectos  si  perrumpenlia  ripas 
'■■  Evertere  sala  ,  et  mediis  nemora  crala  in  undis  , 
"  Et  pecora  ,  et  domini ,  correptaque  rura  nalaruut  ; 
'>  Obscdilqwe  inimica  ipsas  penuria  Orrras  ; 


i5 


„  Io  credo  inver  che  molte  cose  a  noi 
,,  Abbia  scoperte  la  divina  aita  , 


»>  Haec  eadiim  lamen  ,  haec  aelas  (  quod  fata  negarunt 

»  Aatiquis  )  tolum  poluii  sulcare  carinis. 

»  Id  pelagi ,  immensum  quod  circuii  Amphitrile  , 

i>  Nec  visiuu  salis  ,  exlremo  ex  Aliante  repostos 

»>  Hesperidum  peneirare  sinus  ,  Prassumque  sub  Arcto 

j»  Inspectare  alia  ,  praeruptaque  lilora  Rhap'i  , 

•»  Atque  Arabo  advehere  ,  et  Carmano  ex  aequore  merccs; 

«  Aui'orae  sed  itum  iu  populos  Titanidis  usque  est 

»  Supra  lodum,  Gaugemque  supra,  qua  terminus  olim 

»  Cal3"gare  noti  orbis  erat  ;  superata  Cyambe , 

95  Et  diles  ebeno  .  et  felices  macere  sylvae. 

j)  Denique  et  a  nostro  diversum  genlibus  orbem  , 

f>  Diversum  coelo,  et  darum  raajoribus  astris 

?»  Rcniij;io  audaci  attigimus ,  duv-intibus  et  Diis. 

jj  Vidimus  et  va'em  egregium  ,  cui  pulchra  canenti 

n  Parlcnope,  placidusque  cavo  Sebethus  ab  antro 

»>  Plauseruut ,  umbraeque  sacri  manesque  Maronis  ; 

5?  Qui  magnos  stellarum  orbes  cautavit,  et  hortos 

»>  Hesperidum ,  caelique  omnes  variabilis  oras. 

»  Te  vero  ut  taceam  ^  atque  alios,  quos  fama  futura 

»  Post  niiitos  cinercs  ,  quos  et  venientia  seda 

»  Autiquis  couferre  volent  ,  at  ,  Bem 'E ,  tacendus 

ty  Inter  dona  Deum  nol)is  da'a  non  erit  umquara 

i>  Magrianiuius  Leo,  quo  Latiuui     quo  maxima  Roma 

»  AUollit  caput  alta  ,  paterque  ex  aggerc  Tybris 

«  Assurgit ,  Romaeque  fremens  gratulafur  ovanti. 

>?  Cujus  ab  aus;=iiciis  jau>  nuno  mala  sidera  mundo] 

5>  Cessere  ,  et  laeto  regnat  jam  lupiler  orbe  , 

95  Puraque  paratum  diff-ndit  lumina  caelum. 

«  Unus  qui  aerumnas  post    tot     longosque  Ifdjores 

»  Dulcia  jam  profugos  revocavit  ad  olia  Musas  , 

»>  Et  leges  lalio  antiquas ,  rectumque ,  piumque  , 

f)  Restituita  qai  justa  animo  jam  coacipit  arma 


i53 
„  La  mente  ignara  condacendo  i  fati  , 
,,  Che  se  ree  le  stagioni  ,  e  gli   astri  iniqui 
,,  Furo,  del  tutto  a   noi  propizj  Numi 
,,  Pur   non  mancar  ,  ne  ciel  placido  e  amico. 
,,   Se  un  insolito   morbo  abbiam  veduto, 
,,  Se  triste  e  crude  guerre,  e  se  del  sangue 


J3  Pro  re  Romana  ,  prò  relligione  Deorum. 
J5  Unde  eliam  Euphrates  ,  elianti  late  ostia  Nili  , 
)5  Et  tanturo  Euxini  nomen  tremit  unda  refusi , 
»  Atque  Aegaea  suos  confugit  Doris  iu  isthmos. 

S'/jha.  Uh.  IL  V.  II. 
È  osservabile  ,  die  Menchi-nio  nella  sua  vita  di  Frai-nstoro 
ha  asserito  ,  ehe  questo  poeta  non  avea  né  nella  Sifilile  ,  né 
in  alcuna  altra  parte  delle  sue  opere  lodato  ,  o  menzionato 
Pontano.  »  Ego  vero  ,  quantumvis  diligeuter  versatus  in  le- 
55  ctione  Sjphif.'dis  ,  tantum  abest  ut  hic  laudes  quasdam 
«5  PoNTANT  commemoratas  invcncrim  ,  ut  ne  ullain  quidem 
55  ejus  injectam  viderim  menlionem.  Est  si  scrìpta  efus  rrliqua 
>■>  perquiras  ,  n'hil  unquam  de  Pontnno  in  mc^item  venisse 
55  nostro  ,  manifesto  inlelliges.  »?  Mcnkenio  avrebbe  dovuto 
certamente  accorgersi,  che'l  poeta  menzionato  nel  passo  sopra 
rilaio , 

»  Qui  magnos  stellarum  orbes  cantavit  ,  et  horios 

5»   Hcspeiidum " 

non  potea  essere  altri  che  Pontano.  In  aggiunta  a  ciò  dee 
ancora  osservarsi  ,  che  Fracastoro  nel  suo  dialogo  intiolato 
Naugeritjs,  sivf  de  Poetica^  non  solo  m'-nzionò  espressamente 
Pontano,  ma  citò  ancora  la  di  lui  opinione  relativamente  all'og- 
getto ,  ed  al  line  della  poesia  ,  che  egli  quindi  pienamente 
discute,  e  conferma.  Fracast.  op.  ap.   Giunti  p.   \\Q. 

(Il  sig. /{o5coe  ha  tradotto  in  versi  Inglesi  il  lungo  passo  so- 
pracitato di  Fracastoro.  Noi  lo  abbiamo  espos'o  mlia  tra- 
duzione di  Be/n'ni  stampata  dal  Cornino  medesimo  iu  Padova 
in  \.  ,  e  divenula  ora  rarissima  ). 


,,  Degli  anliclil  sigiioi-  le  case  sp'arse. 

,,  E  castella  ,  o  citt;iJl  arse  ,  e  dislrulti 

,,  Re^nl  ,  ed  i  tempii    violali  ,  e  1'  are 

,,  Con  sacrileghi   fiuti ,  e  su  le  rotte 

,,  Sponde  correndo  traboccanti  i   fiumi 

,,  Volger  sossopra   i  seminati  e  i  campi , 

,,  E  le  ville  rapite  ,    e  svelti   i  boschi  , 

,,  E   gli   armenti,  e   i   pastor   nuotar  per  l'onde, 

,,  E  la  terra  assediar  fame  nemica  : 

,,  GoQtuttociò  questa  medesma  etade 

„  (  Quel  che  agli  antichi  dinegare   i  fati  ) 

,,  Questa  potéo  tutti   solcar  con   navi 

,,   Quei   eh'  abbraccia  Anfitrite  immensi  campi. 

Né  a  lei  bastò   fin  dall'estremo  Aliante 
,,  Di  penetrare  in   sono   ai   più  riposti 
,,  Golfi   d'Esperia  ,  e   sollo   altr'  Orsa   il   Prasso  , 
,,   E   di   Rapto   mirar   gli   alpestri  lidi  , 

E  di   condur  doviziiose    merci 

Dall'  Arabico   mare  e  dal   Carmano  : 
,,  Ma  si   stese  pur  anche   in   fra  le  genti 
,,  Della   Tltania  Aurora  olirà  Indo  e  Gange, 
,,  U'  Catlgara  al  mondo   allora   noto 
,,  I  confini  poneva  un  tempo  :  e  Ciambs 
,,  Lasciossi  a  tergo  ,  e  le   felici   selve 

D'  ebano  ricche  e  di  moscata  noce. 

Scorti  dai  Numi  con   remigio   audace 
,,  Alla  fine  toccammo  un   nuovo  mondo, 
,,  Vario  d'  abitator,  vario  di  cielo  , 
,,  E  rilucente  per  maggiori  stelle. 
,,  Un  jnsione  Poeta  anco  vedemmo  ; 


i55 

AI  cui  cantar  dai  cavi  specìii  applauso 

Fé  Partenope  ,  e  il  placiJo  Sfbelo  , 

E   il   genio  di  Marone  e  l' ombra  Sacra  : 

D(;IIe  slelle  costui   ^V  immensi   globi, 

Df  ir  Esperidi  gli  Orti  ,  e  i  campi  tutti 

D(d  cipI   vario  descrisse  ed  incostante. 

Or  benché  te,  Bembo,   io  qui  taccia ,  e  gli  altri, 

Lui   dopo   il  muJo   cenere  la  fama , 

E  le  tu  Iure  età  mettere  a   paro 

Cogli   antirhi  vorran  ,  tacer  non  deggio 

Quel  fra  i  doni  del  Cielo  a   noi   concesso 

Mi£;nanimo  Leon,   per  cui   la  fronte 

Il  Lazio  estolle ,  e  Roma  augusta  e  grande  ; 

E  dagli   argini   suoi  sorgendo  il   Tebro 

A   lei   festosa   mormorando   applaude. 

Di  cui   sotto  1    impero  ornai   sicuro 

Dagl'influssi  maligni   il  mondo  posa, 

E  in   pacifico  regno  omai  tranquillo 

Alberga  Giove,  e  rai  di   pura  luce 

Sparge  sereno   il  Ciel.   Egli  fu  solo 

Dopo   lunghe  fatiche  ,  e  tanti  affanni  , 

Che  richiamò  le  fu<rii;itive  Muse 

Agli  ozj  amati ,  e  ritornò  nel  Lazio 

L'antiche  leggi,  e  la  pietade,  e   1  retto. 

Egli   è  che  giuste  nel  pensier  rivolge 

Guerre  in   favor  della  Romana  gente  , 

E  del   culto   divino.   Onde   1'  Eufrate  , 

L'  ampie  foci   del  Nilo  ,  e  '1  vasto  Bussino 

Tremano  a  sì  gran   nome:  onde  1  Egea 

Dori  ver  gV  tstrai  suoi  timida  fugge.    ,^ 


i56 

Il  titolo  di  questo  poema  singolare  è  trailo  dal 
pastore  Sifilo ,  il  quale  si  suppone  aver  guardato  le 
gr-^nraie  di  Alcitoo  sovrano  dell'  Atlantide  ,  e  d'  aver 
rifiutato  con  empie  esprebsionl  di  sacrificare  ad  Apollo^ 
perchè  sostener  non  potea  i  raggi  cocenti  del  sole 
estivo ,  ma  avea  innalzato  un'  ara  ad  Alcitoo  adorando 
quel  sovrano  come  la  sua  divinità.  Irritato  Apollo  di 
questa  indecenza  infettò  1'  aria  con  vapori  maligni  , 
per  effetto  del  quali  Sìfdo  contrasse  una  malattia 
schifosa  ,  che  empiè  tulio  il  dì  lui  corpo  di  eruzioni 
ulcerose.  I  mezzi  adottati  per  la  sua  guarigione ,  e  le 
circostanze  per  le  quali  quel  rimedio  venne  comu- 
nicato all'Europa,  formano  la  parte  principale  del- 
l' argomento  del  poema  ,  nella  di  cui  tessitura  si  mo- 
stra un  grado  di  eleganza ,  ed  un  lusso  di  poetici 
ornamenti,  che  appena  aspettare  si  potrehbero  in  un 
soggetto  così  straordinario,  e  cos^  poco  lusinghiero. 
Nel  riferire  la  scoperta  del  gran  rimedio  minerale, 
r  attività  del  quale  era  allora  ben  conosciuta ,  sicco- 
me a  fondo  ne  vlen  dimostralo  l'uso,  l'autore  in- 
trodusse un  bellissimo  episodio,  nel  quale  egli  espose 
l'interna  struttura  della  terra,  le  grandi  operazioni 
della  natura  nella  formazione  de'  metalli  ,  ed  il  cupo 
splendore  de'  suoi  tempj  sotterranei,  delle  sue  caver- 
ne, e  delle  sue  miniere.  Egli  popolò  altresì  quelle 
regioni  con  esseri  poetici,  tra  quali  la  ninfa  Lipare 
presiede  alle  sorgenti  del  mercurio,  nelle  rpali  l' am- 
malalo è  consigliato  a  bagnarsi  tre  volte,  e  dopo  il 
suo  ristablll.mento  ,  ed  il  suo  ritorno  alle  regioni  della 


lu(;e  a  non  dimenticarsi  di  sciogliere  i  suoi  voti  a 
Diana  ,  ed  alle  caste  ninfe  di  cpella  sacra  fonte  (a). 
Sarebbe  nojoso ,  se  non  pure  impossibile  in  que- 
sto luogo  il  ripetere  le  numerose  testimonianze  di 
lode ,  colle  quali  furono  onorati  tanto  questo  poe- 
ma ,  quanto  il  suo  autore  alla  sua  prima  pubblica- 
zione ,  come  ancora  ne' tempi  successivi  (i)  ;  ma  la 
prova  più  decisiva  del  suo  merito  si  può  dedurre 
dalla  coafessione  di  Sannazaro^  il  quale  viene  gene- 
ralmente accusato  di  avere  giudicalo  gli  scritti  dei 
suoi  contemporanei  con  invidiosa  severità;  ma  pure 
al  leggere  la  Sifilide  confessò  ,  che  Fracastoro  avea 
in  quelf  opera  superato  non  solo    tutti    gli   scritti  di 


fa)  Non  so  bene  ,  se  alcuno  abbia  esposto  una  riflessione  , 
clie  far  si  potrebbe  sulla  scelia  del  nome  ,  e  sul  disegno  pri- 
mordiale del  poema  celebre  di  fracnsioro.  Invece  di  scegliere 
qualche  soggetto  più  trito  dell'  antica  niiiologia  ,  quel  poeta  è 
anda'o  a  cercare  un  pastore  dell'  Atlantide,  uu  Re  dell'At- 
lantide^ ed  una  vendetta  dell'Apollo  Atlaatico.  Non  potreb- 
b'  egli  dubitarsi ,  che  in  questa  preferenza  accordala  ad  una 
mitologia  poco  nota,  o  almeno  poco  comune,  si  ascondesse 
una  segreta  allusione  dell"  autore  alla  scoperta  dell'  America 
allora  recentissima  .  ed  alla  malattia  venerea  ,  che  si  prelen- 
dea  essere  stata  di  là  portala  dai  primi  navigatori  ?  Cerio  è  , 
che  non  si  sarebbe  meglio  potalo  indicare  la  provenienza  di 
quella  malattia  dal  nuovo  continente  che  colla  introduzione 
di  una  mitologia  atlantica. 

(i)  Molte  di  queste  testimonianze  trovansi  nelle  Apae  Fra- 
CASTORiAE  di  Giulio  Cesure  Scaligero  ,  stampate  eoo  altri 
componimenti  in  lode  del  medesimo  al  fine  del  II.  volume 
delle  opere  di  Fracastoro.  pubblicate  da  Comino  in  Padova  nel 
1739  in  4.3  e  nella  vita  di  Fracastoro  del  Menkenio  sea.  IX. 


i58 

Pantano ,  ma  anche  il  poemi  ile  parta  Virgiiiis ,  al 
c[uale  egli  slesso  avea  consacralo  veni'  anni  eli  la- 
voro  (i). 

La  rinomanza  tnt'a\ia  tli  Fiacastcro  come  buon 
fìsifto  non  era  cresciuta  meno  cìeila  sna  fama  come 
elegante  p«eta  ,  ed  infalli  ricercato  sovente  da  molli 
della  s\ia  assistenza,  era  frec|ueniemente  obbligalo  a 
lasciare  il  suo  ritiro,  ad  ogi^etlo  di  servire  ai  suoi 
amici  particola! i,  tra  i  (piali  erano  molti  tiomini  di 
allo  grado,  e  di  gran  nome  in  diverse  parti  d  Ita- 
lia (2).  Seguendo  il  desiderio  di  Paolo  111 ,  egli  do- 
vette assistere  nella  qualità  sua  di  medico  al  Conci- 
lio di  Trenlo ,  e  fu  ])riiicijtalinente  per  di  lui  avvi- 
so, elle  la  sede  del  Concilio  trasportossi  da  quella 
città  a  Bologna  (3).  Le  fatiche  della  sua  vita  pub- 
blica furono  tuttavia  compensate  dal  piacere  eh  egli 
provò    nel    tornare    alla    sua    villa   iu    compagnia  ,di 


(i)  »>  Poeticsra  (  .Ttem  )  ita  (  FracastoriiiE  )  cxcoluit  ,  ut  ad 
■»>  Virpitianaui  majestaiem  pros-ime  acrcssisse  euni  faterentur 
n  acmulj  ,•  ti  m  iis  Jacobus  Sanazzarius  j  al'oqui  parens  et 
»  amaruientiis  alienae  tTuditionis  ìanda(or,  qui  -visa  ejus  iS^- 
n  pkilide.  ,  non  soluin  Joanncm  Joviaiium  Pnnlanum  .  sed  se 
»?  quoque  ipsum  ,  in  opere  accurata  vifjin'J  annorum  lima 
«  perpoliio  ,  trictuni  cx-tamavit.  u  Tini  ani  ^  HisU  lib.  XH. 
Toìii.  1.  p.  ,:j3o.  ed.  Bucklrj'. 

(2)  Se  de  Thoii  non  fu  mal  iufornialo  ,  Prncar.tnro  esercitò 
la  medicina  senza  ricavarne  al(;una  ricotnpi'usa  pecuniaria. 
n  Medicinam  iit.  ìmiicslixshìui  ac  dira  liunim  ,  ila  fclitissimo 
t»  fecit.  »!    Ibid. 

(3)  Tirabiisrìti  Sior.  dt-Ha  Lei!.  lut.  Voi.  \l\  Parf.  Hi. 
pag.  ay/j. 


Ciammateo  Ghìhcrti ,  cbe  allora  risedeS'a  a!  suo  ve- 
scovado di  Verona  ,  e  spendeva  le  doviziose  sue  ren- 
dite neir  incoraggiiire  la  letteratura  ed  i  letterali,  e 
dalle  visite  eh'  egli  riceveva  da  diverse  parti  d'Italia 
«legli  scienziati  j)iù  celebri  di  quella  età.  Tra  questi 
erano  Marc  Antonio  Fìamiitio  ,  Andrea  ISiivagero  , 
Giovan  Batista  Ranusio  ,  ed  i  tre  ifatelli  Torriani ,  i 
quali  tutli  egli  celebrò  ne'  suoi  scritti ,  siccome  lodò 
pure  in  alcuni  il  Cardinale  Alessandro  Farnese ,  al 
quale  dedicò  il  suo  trattato  in  prosa  de  rnorhis  con- 
tagiosis.  Le  poesie  volanti  di  Fracastoro  ,  nelle  quali 
allude  spesso  alla  diletta  sua  villa  ,  al  suo  modo  di 
vivere,  alle  sue  società  letterarie ,  ed  ai  suoi  affari 
domestici,  sono  singolarmente  interessanti,  e  lo  col- 
locano nell  aspetto  più  vanlags'ioso  tanto  rome  uojtìo 
che  come  autore  (i).  I  componimenti  isolati  di  pochi 
versi  ,  ad  ognuno  dei  quali  egli  ha  dato  il  titolo  di 
incidenti,  possono  riguardarsi  come  altrettante  minia- 
ture, disegnate  con  tutta  la  franchezza  della  scuola 
Italiana,  e  finite  con  tutto  lo  studio  più  corretto 
della  Fiamminga.   Il   suo   poema   sacro    intitolato    Giù- 


(i)  Il  sig  Gresweìl  uel  suo  ra!;£;i)aE;lio  di  Piloiini  poeli  ìalinr 
d^  Italia  del  XVI.  Secolo  ha  tradotto  la  descrizione  farta  da 
Fiacastoro  della  sua  villa  (jafiùua  ,  (  o  di  Inoalii  ) ,  in  una 
bella  leilera  a  Fiuncrsco  Torvìaiio  ;  ma  iu  vero  la  più  srrni- 
£Ìta  produzione  di  quel  poeta  Ì!  la  sua  epistola  suirimmatvra 
morte  de'  suoi  due  Ff;lj  ,  diretta  a  Cwio  Ballista  Torriajii  . 
che  in  genere  di  eleganza  ,  di  sentimento  ,  e  di  vera  subli- 
mila, può  sostenere  il  paraj'one  cou  qualunque  produzioof.  di 
quella  natura  ,  cosi  aalicaf,  che  moderna.  iri'om  ]   p.) 


j6o 

seppe  ^  clie  egli  cominciò  in  età  già  provetta,  e  non 
visse  abbastanza  per  terminare  ,  basta  a  caratterizzare 
i  di  lai  talenti  ;  benché  non  si  consideri  come  e^i^uale 
alle  più  vigorose  produzioni  della  sua  gioventù.  Trop- 
po scarsi  sono  i  di  lui  saggi  nella  poesia  Italiana  per 
accrescere  la  di  lui  riputazione  ;  ma  pure  non  dero- 
gano punto  a  quel  carattere  sublime,  che  egli  si  è 
così  meritauiente  formato   colle  altre  di  lui   fatiche. 

La  morte  di  Fracostoro  fu  cagionata  da  una  apo- 
plessia ,  che  lo  sorprese  nella  sua  villa  di  Incaffi 
nell'anno  i558,  essendo  egli  verso  il  settantesimo 
anno  dell'età  sua  (i).  Uno  splendido  monumento  fu 
eretto  alla  di  lui  memoria  nella  cattedrale  di  Vero- 
na ,  oltredichè  egli  fu  onorato  con  pubblico  decreto 
della  città  di  una  statua  che  gli  fu  quindi  eretta  a 
spese  pubbliche.  Eguale  testimonianza  di  rispetto  fu 
resa  alla  di  lui  memoria  in  Padova  ,  dove  la  statua 
di  Fracastoro ,  e  quella  di  Nava^ero  furono  erette 
dall'  amico  loro    superstite    Gio.   Battista    Banusio  (2). 

(i)  n  Sed  maxime  omnium  funesta,  qiianivis  non  omniuo 
«  immatura  ,  mors  fuit  Hieronymi  Fracastorii  ,  .  .  .  qui 
»  ad  exactam  phiiosophiae  ,  et  malhrmaticarum  arlium  ,  ac 
»  praecipue  Aslronomiae  ,  quara  et  doclissimis  scriptis  illu- 
»»  stravit  ,  cogniiionem  ,  summum  judicium  ,  et  adaiirabile 
)»  ingeaium  atiulil,  quo  multa  ab  autiquis  aut  ignorala  ,  aut 
n  secus  accepla  adinvenil,  et  esplicavil.  .  .  .  Obiit  in  Caphiis 
»  suis  ,  villa  am.oenissima  ad  Baldi  montis  radices  sita  ,  quo 
)>  saepc  ab  urbe  secedcbat  ,  sepluageuario  major  ,  ex  apo- 
»  plexia  Vili.  Id.  sextil.  »>  Thuani  Hist.  lib.  XII.  Voi.  I. 
pag.  43o. 

(■2)  I  motivi  di  questo  sono  ben  espressi  da  de  Thoui  »  Ut 


i6i 

Nel  corso  Ji  quest'  opera  avverrà  di  parlare  del  com- 
poDimenli  in  prosa,  e  dei  lavori  scieiilifioi  di  quel- 
1  uomo  insigue. 

§x. 

Andrea  Navagero. 

Tra  i  letterali  amici  di  Bembo ,  e  di  Fracastoro , 
che  col  loro  carattere ,  e  coi  loro  scritti  onorarono 
quella  età ,  niuno  salì  a  piìc  alto  grado  di  Andrea 
jSavagero.  Nato  e^li  di  una  famiglia  patrizia  di  Ve- 
nezia nell'anno    i483,  (i)  sino  dalla  sua  infanzia  diede 


ij  cji\i  arcta  in'er  se  necessiludioe  conjimcli  vixerant ,  et  pul- 
»  cherrìmarum  rerum  scieutias  ,  ac  politiores  literas  excolue^ 
»>  rant. .  eodem  ia  loco  spectarenlur  et  a  jiiventule  Paiavina  , 
15  uiiiversoque   Cymnasio  rfiiotidie   saluiarentiir,  jj  fhid. 

Dei  numerosi  ailesìaii  di  rispello  tril)iilaii  alla  memoria  del 
Frncnslnro  dai  do'ti  di  fjiiel  tempo,  il    più    elef;ant.e    si    Vfde 
forse  nei  scguen  i   versi   di  Adìino  Fumarii ^   premessi  all'  edi- 
zione delle  opere  di  Fracastoro  dei  Giunti^  Veuez.  iS^.J..  in  4» 
>5  Longe  vir  unus  omnium  doctissimus  , 
>j   T^i'i-ona  per  rpiem  non  Marones  Manluae 
»5  Nec  nostra  piiscis  invidcl  jara  secala, 
»5  Virtute  summam  cdnsccndis  gloiiam 
»  Jam  grandis  aevo  liic  rondilur  Frastorics. 
5?    \d  trislem  acerl)ae  morlis  ejus  nuntium, 
>»  Vicina  flevit  ora,  flcrunt  idiimae 
"  Cenlcs  ,  periise  musicorum  candidiim 
"  Florem,  opiiinarum  et  lumen  artium  onjnium.  »♦ 
(l)    f^u/ffius  in  l'ita  Naui^f^rii ,  ejuscl.  op.  praef.  pag.  IO  ej. 
Comi  II,  1718. 

J/EONE    X.    Tom.     VII.  Il 


»62 

indizio  di  quegli  straorrlinarj  progressi ,  ai  quali  ar- 
rivò poro  dopo.  Così  felice  era  la  sua  memoria  ,  e 
tanto  e2;li  si  dilettava  cogli  scritti  de' latini  poeti, 
die  mollo  giovane  ancora  egli  era  accostumato  a  re- 
citare componimenti  assai  lunghi  ,  ai  quali  aggiugne- 
■vano  una  grazia  particolare  la  bellezza  della  di  lui 
Tocp,  e  la  corretta  fV\  lui  pronunzia.  Il  primo  suo 
istilulore  fu  il  cplnbre  Antonio  Cocci  detto  Sahel— 
lieo  ,  ed  autore  di  una  delle  prime  storie  di  Vene- 
zia ;  ma  1'  assidua  lettura  degli  antichi  autori  raffinò 
il  suo  gusto  ,  e  migliorò  il  suo  giudizio  molto  più 
elle  non  i  precetti  del  maestro,  ed  i  suol  progressi 
si  manifestarono  col  bruciare ,  che  egli  fece  diverse 
(Ielle  sue  poesie  ,  che  egli  avea  scritto  nella  prima 
gioventù ,  ad  imitazione  delle  Selve  di  Stazio ,  ma 
che  egli  non  potea  approvare  nella  sua  più  matura 
età  (i).  AH  arrivo  di  Marco  Miisuro  in  Venezia, 
^avagero  divenne  uno  de  suoi  scolari  più  assidui  ,  e 

(i)  Navagero  slesso  ha  rammemorato    questo   fatto    ne'  se- 
guenti versi  : 

Vota.  Acmonts  Vclcanq.. 

ti  Has  ,  Vulcaae  ,  dical  Sylif(is  tibi  villicug  Àcm.on  ; 

J5  Tu  sacris  illas  ignibus  ure  pater. 
t>  Cresoebant  duciae  Statii  propagine  Syl^ae  ^ 

n  lamque  erat  ipsa  bonis  frugibus  umbra  nocens. 
»  Ure  simu!   Sylvas  .  terra  sìmul  igne  soluta 

»>  Fertilior  lai^o  foenore  mes«is  eat. 
*j  Ure  istas  ;  Phrygio  nuper  mihi  consiia  colle 

s?  Fac  ,  pater,  a  flammis  lura  sii  ilta  tuis.  »» 

N^v^.  Carni.  T.  XJ^'IL  p.  19S. 


1(13 
corta  sua  infaticabile  altenzione  divenne  tanto  istrut- 
to nel  Greco  ,  che  abile  trovossi  ad  intendere  non 
solo  i  Greci  autori  ,  ma  a  scoprire  altresì  le  loro 
più  miaute  bellezze ,  ed  a  farne  uso  ne'  suoi  pronrj 
scritti  (»).  A  quest'oggetto  egli  erasi  accostumato 
non  solo  a  leggere  ma  a  copiare  le  opere  degli  au- 
tori, die  studiava,  e  questo  egli  esegui  più  di  una 
volta  cogli  scritti  di  Pindaro,  pei  quali  egli  avea  sem- 
pre conservata  la  più  alta  ammirazione  {■^).  Non  limi- 
tandosi tuttavia  allo  studio  delle  lingue,  ed  al  col- 
tivamento  del  suo  gusto,  egli  recessi  a  Padova  ad 
oggetto  di  ottenere  istruzioni  nella  fdosofia  ,  e  nella 
eliiquepza  da  Pietro  Pomponazio  ,  ed  in  quel  distinto 
seminario  di  letteratura  ,  egli  contrasse  amicizia  eoa 
Fracnstoro  ,  Bamusio,  ed  i  Ire  fratelli  Tornarti ,.  ed 
altri  uomini  d' alto  grado  ,  e  di  gran  nome ,  ami- 
cizia che  continuò  non  interrotta  per  tutto  il  rima- 
nente della  sua  vita.  Al  suo  ritorno  a  Venezia  egli 
divenne  uno  dei  più  abili ,  ed  attivi  sostegni  dell  Ac- 
cademia di  Aldo  Manuzio ,  e  fu  infaticabile  nel  rac- 
cogliere manoscritti  degli  antichi  autori,  dei  quali  di- 
verse opere  furono  pubblicate  colle  sue  emendazioni, 

(i)   f^u/pius  in  uila  Natigervi  p.   i  j, 

(a)  '■>  —  Sic  dtólectaiis  hoc  poeta  ,  ut  saepe  eun»  tua  uianu 
'!  accurate  descripseris  ;;  puto  ,  ut  libi  magis  fieret  familiaris  , 
»5  tara  ut  edisceretur  a  te  faciliiis  ,  et  teneretur  mcmoiia  te— 
»  nacius.  Id  rpiod  describendo  Thueydldem  feoit  DemoslheneSf 
»  qui  ,  ut  Lucianus  ait  in  ''ndoctiuu  ,  ooties  illum  descripsit, 
i>  idque  ad  suara  ipsius  uiilitatem.  »>  Aldi  Mumitii  Ep.  a/ik, 
{rauger.  in  Ed.  Piad.  Ven.   i5i3  in  8= 


i64 

e  le  sue  note  in    forma   più    correità,    eJ    elegante, 
che  non   si  eran   vedute  dapprima    (i).    . 

Fu  principalmente  in  forza  delle  sue  esortazioni, 
elle  Melo  si  indusse  in  mezzo  alle  calamità  di  que' 
tempi  a  perseverare  nella  sua  utilissima  impresa  (2); 
e  quanto  obbligato  fosse  quel  gran  letterato  ,  ed  ec- 
cellente artista  a  Navagero  ,  viene  espresso  in  diverse 
dedicatorie  ad  esso  indirizzate  con  quell'  ardore  di 
gratitudine,  che  mostra  il  vivo  sentimento,  che  ^Ido 
nutriva  pei  suoi  meriti,  e  pei  suoi  servigi.  Lo  stato 
della  di  lui  salute  indebolito  per  cagione  de'  continui 
studj ,  rendette  necessario  qualche  rilasciamento  ,  e 
JSavagero  accompagnò  quindi  il  suo  gran  protettore 
Alviano  alla  sua  Accademia  di  Pordenone ,  dove  egli 
ebbe  occasione  di  godere  ancora  una  volta  la  society 


(i)  Tra  queste  furono  le  orazioni  di  Cicerone  .^  componenti 
tre  volurni  della  edizione  di  Cicerone  in  8.  uscita  dai  torchi 
Aldini  nel  iSig;  ed  il  secondo  volume  della  edizione  delle 
opere  stesse  di  Cicerone^  stampale  dai  Giund  in  Venezia  nel 
iSS'i  in  quattro  volumi  in  foglio  ,  edizione  data  da  Pietro 
f^ittor'o  sotto  il  titolo:  '1  ToMUs  secundus.  M.  T.  orationes 
s»  HAiìET  ,  AB  Andrea   jNadgerio,    Patricio    Veneto,  Summo 

?>  LABORE  AC  INDUSTRIA  I5(  HlSPANIENSI.  GalLICAQUE  LEGATIONE, 
»  EXCUSSIS  PERMULTIS  BlBMOTHECiS  ,  ET  EMENDATIORES  MOLTO 
J>  FACTAS  ,  ET  IN  SUAM  INTEGRITATEM  AD  ExEMPLAR  CODICCM 
»    ANTIQUORUM  LONGE   COPIOSIUS  RESTITUTAS.  »  A  queSlO  pOSSOnO 

essere  aggiunte  le  sue  f^ariue  lcction.es  in  omnia  opera  Ofidii^ 
stampate  nella  edizione  Aldina  del  i5i6  in  ire  volumi  ,  e  di 
bel  nuovo  nel  i533.  Queste  lezioni  trovansi  ancora  nelle  altre 
«dizioni  derivate  dall'  Aldina. 

^2)  uild.  Ep,  ad  JYaug.  Pindari  ed-  yraef.   Vcn.   i5i3. 


del  suo  amico  Fracasioro  (i),  e  clìeJe  poco  dopo 
pubbliche  lezioni.  Jj  alta  reputazione  ,  che  egli  avea 
allora  acquistata  indusse  il  Senato  a  richiamarlo  a 
Venezia,  ed  a  confidargli  la  cura  della  libreria  del 
cardinale  Bessarione  (2),  e  1'  incombenza  di  conti- 
nuare la  storia  della  Repubblica  Veneta,  dal  punto, 
al  quale  quell'  opera  era  stata  lasciata  dal  suo  Maestro 
Sabellico  (3).  Si  vide  tuttavia  ben  presto,  che  i  lav- 


(i)  A.11' epoca  della  riconciliazione,  che  ebbe  luogo  ira  Giu^ 
Ho  II ^  e  la  Veiieia  Re|ìubblica  nel  l5og  ;  e  che  fu  la  prima  a 
rompere  la  famosa  lega  di  Cambrai  (  sopra  voi.  TU.  Cap.  I^IJI. 
p.  95  );  y^at^agaro  indirizzò  a  quel  Ponlence  in  termini  di  altissima 
lode  ima  ej^loga  latina ,  degna  di  menzione  tanto  pel  suo  me- 
rito intrinseco,  come  per  le  particolari  circostanze  di  t^ueir av- 
venimento ,  alle  (juali   il  componimento  si  riferisce. 

(2)  Questa  collezione,  che'può  dirsi  la  fondazione  della  celobre 
biblioteca  di  S.  Marco  ,  fu  donata  nell'  anno  i^fiS  da  Bessa- 
rione ai  Veneziani.   Kita  di  Lorenzo  de'  Medici    T.  T.  p    5}. 

(3)  A.  quest'  opera  allude  Navagero  nei  seguenti  versi  ve- 
ramente Oraziani  mdirizzati  : 

t>  Ad  Rembum. 
»  Qui  modo  ingentes  animo  parabam  , 
w  Bernhe  ,  bellorum  strepiuisqu«  ,  et  arma 
»  Scribere  ,  hoc  vis  exiguo  male  audax  , 

Carmine  sèrpo  , 
»  Nempe   Amor  magnos  violentus  ausus  , 
»>  Fregit  iratus  ;  velut  hic  Tonantcm, 
»j  Cogit,  et  fulmed  trifidum  rubenti 

n  Pottere  dextra. 
»  Sic  eat  ;  fors  et  sua  laus  sequetur  , 
»»  Caudidae  vultus  Lalnges  canentem  ,  et 
n  Purius  olaro  radiautis  astro 

n  Froniis  hoaores. 


lenti  di  Navagero  non  erano  limitati  allo  studio  dell  a 
ielteratura ,  ma  erano  egualmente  disposti  per  il  ser- 
vizio del  suo'  paese  negli  impieghi  più  difficili,  ed 
onorevoli  dello  stato.  Nell'anno  iSaS,  dopo  la  bat- 
taglia di  Pavia  ,  nella  quale  Francesco  l  fu  fatto  pri- 
gioniero, fu  egli  spedito  come  ambaaciadore  della  Re- 
pubblica all'  Imperadore  Carlo  V  in  Ispagna,  e  ri- 
mase quattro  anni  asserite  dal  suo  paese.  Poco  dopo 
il  suo  ritorno  a  Venezia  (i)  fu  inviato  ambasciadore 
a  Francesco  I ,  il  quale  tenea  la  sua  corte  a  Blois, 
dove  egli  morì  nel  i529,  trovandosi  solamente  nel 
quarantesimo  sesto  anno  della  sua  vita  (2).  Della 
causa  della  morte  di  Navagero^  del  suo  carattere,  e 
delle  sue  cognizioni ,  siccome  pure  della  sorte  dei  di 
.lui  scritti,  Fracastoro  ha  introdotto  un  particolare 
ragguaglio  nel  suo  trattato  de  morhis  contagio^is  (3), 

Nota  Lesboae  lyra  blanda  Sapphus  <, 
Wotus  Alcaei  Lycus  ,  altiori 
Scripserit  quamvis  animosum  HomeriLi 

»  Pectine  Achiilem.  «> 
(i)  Su  questo  avvenimento  egli  avea  cominciato  una  poesia 

Ialina  .  che  fu  interrotta  ,  e  della  quale  rimangono    solamente 

i  seguenti  bei  versi: 

»  Salve,  cura  Deum  ,  mundi  felicior  ora, 

ti  Formosae  J^eneris  dulces  salvale  recessus  i, 

}}  Ut  vos  post  tantos  animi ,  raentisque  labores , 

)j  Aspicio ,  lustioque  lil)ens  1  Ut  munere  vestro  , 

V  SoUicitas  loto  depello  e  pectore  curas  1 

»?  Non  aliis  chariies  perfundunt  candida  lymphis 

»>  Corpoia  ;  non  alios  conlexunt  serta  per  agros.  » 

(2)  f'^ulpiiis  in  i'Ua  Niiiig.  p.  24. 

(3)  Fracastorii  op.  p.  87  ,  ed,  ap.   Juntas  \5'^t\- 


ì6j 
Iscl  quale  mentre  si  raranienla  un  fatto  medico  as- 
i3ai  singolare,  si  fa  mollo  onore  al  carattere  dì  quei 
due  illustri  scienziati.  Dopo  di  aver  notalo  una  spe- 
cie di  lebbre  putrida,  che  si  manifestò  in  Italia  nel- 
r  anno  i5o5,  ed  ancora  nel  i528,  alla  quale  veni- 
va io  seguito  una  eruzione  di  pustole  efflorescenti, 
ifracastoro  osserva,  che  molte  persone  ,  che  aveano 
lasciato  l'Italia,  ed  erano  andate  a  viaggiare  in  paesi, 
dove  questa  febbre  non  era  ancora  conosciuta,  erano 
State  dopo  la  loro  partenza  attaccate  da  quella,  come 
se  avessero  già  dapprima  ricevuto  1'  infezione  di  quella 
malattia.  ,,  Questo  avvenne,  die' egli,  ad  Andrea  Na- 
j,  vagero  ,  ambasci adore  della  Veneta  Repubblica  a 
,,  Francesco  /,  il  quale  mori  di  questa  malattia  in  uà 
„  paese ,  dove  una  tale  calamità  non  era  conosciuta 
,,  neppure  per  il  nome;  uomo  di  tale  abilità,  e  dot- 
,,  trina,  che  da  molli  anni  il  mondo  letterato  noa 
,,  avea  fatta  lina  cosi  grande  perdila ,  perchè  noa 
,,  solo  egli  era  istruito  in  ogni  ramo  delle  utili  scien- 
,,  ze,  ma  si  era  altresì  altamente  distinto  nel  servi- 
,,  zio  del  suo  paese  nelle  occasioni  più  importanti. 
,,  In  mezzo  ai  più  emineuti  pericoli  della  Rtpubbli- 
,,  ca,  e  quando  tutta  l'  Europa  era  imbarazzata  nelle 
,,  guerre,  Navagero  era  appena  tornato  dalla  sua  am- 
„  basciata  all'  imperadore  Carlo  f\  dal  quale  egli 
„  era  altamente  slimato  per  le  distinte  sue  virtù, 
„  che  fu  mandato  ambasciadore  a  Francesco  I.  Lo 
„  stato  degli  affari  non  ammetteva  dilazione.  L'  im- 
,,  peradore  dovea  giugnere  in  Italia  nella  state  per" 
j,  rinnovare   la    guerra,    ed    al    principio    doli'  aono 


i68 

3,  Navageio  parli  colle  poste  per  (piella  fatale  spetlf* 
j,  zione  in  Fi  ancia.  Poco  dopo  il  suo  arrito  a  Blols, 
,,  dopo  avere  avuto  una  piccola  conferenza  col  Re, 
3,  egli  fu  sorpreso  dalla  malattia,  che  cagionò  la  sua 
,,  morte  ,  avvenimento  che  arrecò  il  maggior  do- 
j,  lore  a  tutti  i  letterati,  alla  nazione  Francese,  ed 
,,  al  Re  medesimo,  il  quale  era  uno  zelante  promo- 
,,  tore  della  letteratura,  e  diede  ordini,  perchè  i  suoi 
j,  funerali  fossero  celebrati  con  gran  pompa.  Il  suo 
,,  'orpo  portalo  a  Venezia,  come  egli  avea  disposto, 
,,  l'u  Sv'^pollo  presso  i  suoi  antenati.  La  stessa  buona 
,,  fortuna,  che  avea  contrassegnato  le  sue  pubbliche 
,,  negoziazioni,  non  seguì  ISavageio  nei  suoi  dome- 
,,  stici  affari.  Non  ostanti  i  suoi  grandi  talenti,  e  la 
,,  sua  grande  attività,  egli  era  tanto  occupato  degli 
,,  affari  dello  stato ,  che  poleva  appena  scarsa- 
,,  mente  dedicare  qualche  porzione  di  tr^rapo  ai  suoi 
,,  studj.  Il  suo  gusle  corretto  lo  abilitava  a  giudi- 
5,  care  con  severità  delle  sue  proprie  produzioni  ,  ed 
j,  essendosi  egli  formato  Videa,  che  esse  non  fossero 
j,  sufficientemente  rivedute,  e  limate  per  potersi  pub- 
,,  blicare  senza  detrarre  a  quell'  alta  reputazione  ^ 
,,  che  egli  erasi  formata  tra  i  letterati  di  quasi  tutte 
,,  le  nazioni;  ordinò,  che  gli  scritti,  che  trovavansi 
,,  con  lui,  fossero  dati  alle  fiamme.  Tra  quesli  erano 
,,  i  suoi  libri  de  Venadone^  o  sia  della  caccia  ,  ele- 
,,  gantemente  scritti  in  versi  eroici  ppr  far  piacere 
,,  a  Bartolomeo  d' Alviano,  ed  un'  altr' oppra  ,  che  io 
,,  ho  veduto,  de  Sila  Orhìs,  e  senza  parlare  della 
,,  sua  orazione  in  morte  di   Cattcrina   regina   di  Ci- 


169 

,j  prò,  sorella  del  senatore  Marco  Cornaro^  e  d'  altri 
,,  componimenh,  che  sono  stati  allora  d'struUi,  noi 
„  abbiamo  suffioiente  ragione  di  dolerci  della  perdita 
,,  di  quella  eccellente  storia,  che  e^\  avea  intrapresa 
,,  a  richiesta  del  S.-nato,  e  che  egli  avea  con  grande 
,,  assiduità  condotta  dall'  arrivo  di  Carlo  Vili  in 
,,  Italia  fino  ai  suoi  proprj  tempi.  Noi  non  possiamo 
,,  tuttavia  per  questo  presumere  di  biasimare  i'  au- 
,,  lore,  ma  possiamo  almeno  riconoscere  col  poeta, 
„  che  : 

„  Ducunt  volentem  fata,  nolentem  trahunt.  "■ 
Guida  il  destin  chi  vuol;  restio  il  tragga. 
,,  Le  orazioni  di  Navagcro  per  la  morte  di  Alviano 
,,  e  del  doge  Loredana^  che  si  distinguono  per  tutte 
,,  le  bellezze  de!  gusto  antico,  e  poche  poesie,  che 
,,  furono  privatamente  trascritte  dai  suoi  amici,  e 
,,  che  possono  riguardarsi  come  spiche  salvate  dalla 
,,  mietitura  fatta  col  funereo  suo  rogo,  furono  tutta- 
j,  "via  pubblicate,  e  serviranno  a  mostrare  a  tutte  le 
,,  future  età  l'alto  ingegno,  e  la  estesa  letteratura 
,,  di  Navagero  (i).   ,, 


(i  I  ]iorhi  romponimenU  ai  quali  Fracastoro  allude  iu 
questo  luogo  ,  furono  insieme  raccolli  poco  dopo  la  morte  di 
Novdgi-ro  ,  e  Stampati  nell'  anno  1*30  ,  premesso  un  breve 
indirizzo  Iraito  per  la  maggior  parte  dalle  parole  stesse  soprac- 
citate di  Fracastoro  ,  dal  che  noi  possiamo  ragionevolmente 
conghielturare ,  che  egli  procurasse  questa  edizione  degli  scritti 
nel  suo  amico  ,  ed  assistesse  alla  sua  pubblicazione.  Questa 
€dizi<iae  .  divenuta  ora  rara  a  trovarsi,  h  intitolata:  »>  Andreae 

«   r»lADGERII     PaTRICH    VemETI     OrATiOXE3      DDAE     CJlRMISAQCE 


1^0 

Quanto  alla  reputazione  di  Navagero  si  può  osser- 
vare con  tutta  verità,  che  i  di  lui  scritti  sono  per- 
fettamente liberi  da  quella  arguzia  dell'  antitesi,  che  è 
il  sotterfugio  comune  dei  talenti  inferiori,  ma  che  it 
sublime  ingegno  sprezza  con  sentimento  di  indegna- 
zione. Non  soddisfatto  tuttavia  dell'  esempio  da  esso 
dato  ai  suoi  nazionali  nei  suoi  proprj  scritti,  egli 
diede  una  prova  convincente  della  sua  avversione 
per  un  gusto  falso,  ed  affettalo,  col  consegnare  ogni 
anno  alle  fiamme  un  esemplare  delle  opere  di   Mar^ 


NON^DLtA.  Ed  al  fine  si  legge  Impressum  Venetiis  Amicorum 
»  CURA  QUAM  POTUIT  TiiiKi  di1jIgz:^t:zr^  praelo  Joha/i.  Tacuiiti. 
M.  D.  XXX.  mi.  id.  Man. 

Le  ricerche  de'  tempi  successivi,  e  parlicolarmente  1'  indu-i 
stria  dei  letterali  fratelli  Ginan  Antonio,  e  Gaetano  Volpi  y 
ai  quali  noi  siamo  debitori  di  molte  preziose  edizioni  delle 
opere  dei  primi  risiauraiori  della  leMeratura,  giovarono  a  rac- 
cogliere poche  altre  poesie  di  Nai>agero  ,  le  quali  non  erano 
state  dapprima  pubblicate ,  e  procurarono  al  pubblico  una 
compita  edizione  delle  sue  opere,  intitolata:  *»  Andreae  Nau- 
it  GERII  ,  Patricii  Veneti  ,  oratoris  et  Poètae  clarissimi 
»5  OPERA  OMMA,  qnae  quidcm  ma^na  adhibita  dili'^entia  col— 
"  tif^i  pntxierunt.  Curanlibiis  lo.  Antonio  J.  U.  D.  et  Cujetana 
ìì  Vulpiis  Bergotiiensibus  Fratrihus.  Patauii ^  x-^l^.  Exciidcbat 
»  Josepkus  Cominus  ,  Vulpioiuin  aere  ,  et  sitperioiwn  per-= 
J3  missu.  ;j 

Tra  queste  opere  sono  le  osservazioni  fatte  da  J\tai>agera 
nei  suoi  viaggi  di  Spagna  ,  e  di  Francia  ,  le  quali  portano  il 
carattere  medesimo  dello  stile  correilo ,  ed  elegante  dei  suoi 
scritti  latini  ;  e  diverse  delle  sue  lettere  prefisse  alle  sue  edi- 
zioni degli  antichi  autori  ,  una  in  particolare  ,  che  è  diretta 
a  Leon  X  ,  e  nella  quale  si  esorta  quel  Pontefice  ad  intra-* 
prendere  la  spedizione  ooutra  i  Turchi. 


»7» 

lìaìe  (i),  che  egli  probabilmente  considerava  come  il 
corruttore  principale  di  quella  classica  purità,  che 
distingtieva  gli  scrittori  del  secolo  d"  Augusto. 

§  XI. 

Marc  Antonio  Flaminio. 

Il  nome  di  Marc  Antonio  Flaminio  non  può  te- 
nersi molto  disgiunto  dai  grandi  nomi  di  Fracastoro, 
e  di  Navagero  non  solo  per  ragione  della  molta  si- 
militudine degli  sludj,  e  del  gusto  loro,  ma  per  quella 
ancora  di  una  non  interrotta  amicizia,  ed  affezione, 
che  continuò  fra  quei  distinti  uomini,  che  la  poste- 
rità dove  riguardare  come  padri  delle  umane  lettere- 
Il  nome  di  famiglia  di  Flaminio  era  Zarrahini,  sta- 
to cangiato  da  suo  padre  Gioan  Antonio  in  quel- 
lo   di    Flaminio    al    suo    ingresso    nella    società   let- 

'  *■>■ 

(l)  Giovio  presso  Tiraboschi  storia  della  lett.  Ilal.  V.  Vìi. 
p.  IH.  p.  23o.  A  questo  alludouo  i  seguenti  versi  di  Giovan 
Matteo   Toscano  : 

ì>  Hic  Nau^erius  ille  ,  Martialis 

j>  Lascivi  petulantiam  perosus  » 

n  Et  Musas  sine  fine  prurienles, 

»  Laeso  cuucta  quibus  licent  pudore , 

»>  Nou  jam  virgiuil)us  ,  sed  impudicis, 

'»  —  At  castas  voluit  suas  Camaenas 

»  Hic  Naugerius  esse  ,  sicque  amores, 

»  Cantare,  ut  teuerum  colant  pudorem, 

55  Hunc  ergo  pueri  ,  puellulaeque  , 

"  Crebri  volvite  ,  quippe  Martiale 

«  Nec  doclum  ininu«  j  et  magis  pudicum.  >•> 


«72         _ 

teraria  Ji  Venezia.   Gìoati  Antonio  era  esli   stesso  uà 

nomo    ciotto    di    merito    riconosciuto,    e     professò    le 

belle  lettere  in  diverse  scuole  di   Italia,    ma    benché 

egli  lasciasse  saggi  favorevoli  de' suoi    progressi  tanto 

in   prosa  quanto  in   verso   (i),  la    di    lui    reputazione 

fu  quasi  assorbita    dallo     splendore    aggiunto    al    suo 

nome  dal  di  lui  figlio,    del    di    cui    onori    egli    visse 

abbastanza    per    essere    luQgameiite   testimonio     Poco 

prima  delia    fine    del    XV    secolo    Giovanni     Antonio 

avea  lasciato  la  sua   patria  di  Imola,  ed    avea  fissato 

la  sua    residenza  a  Serravalle,    dove    Marco    Antonio 

nacque  nel   1.498  (2). 


(i)  f'^edi  sopra  uol.  111.  Cap.  IX.  pag.  i8'|.  Duraali  le  guerre 
venute  in  conseguenza  «Iella  lega  di  Cambrai,  Gioaii  Antonio 
fu  spogliato  de'  suo:  doiuiuj  ,  e  cacciato  dalla  sua  residenza 
di  Serravalle  ,  ma  fu  risLoralo  dalla  liheralilà  di  Giulio  IT  ^  e 
del  Cardinale  Rafaello  Kiario.  Egli  lasciò  moke  opere  tanto 
in  verso  ,  quanto  in  prosa  ,  alcune  delle  quali  sono  slate 
stampate,  e  tra  le  quali  sono  rimarchevoli  dodici  libri  di  let- 
tere, che  spargono  un  lume  grandissimo  sullo  stalo  della  let- 
teratura in  que'  leuipi  .  e  ci  iulormauo  particolarmente  de"'  ra- 
pidi progressi  dei   di   lui   figlio. 

(2)  Si  è  supposto  generalmente  ,  che  Manj'  Antonio  fosse 
nativo  d' Imola  ,  ma  Gian  Agostino  Grade/iigo  Vescovo  di 
Ceneda  ha  mostrato  chiararaenie  ,  ch'egli  era  nato  a  Serra- 
valle.  Si  ammette  bensì  .  che  suo  padre  Gioun  Antonio  fosse 
nato  ad  Imola  ,  per  lo  chfe  tanto  egli  ,  quanto  il  di  lui  padre 
vengono  ilelti  s<*venle  Foroc<  rnelienscs.  La  famiglia  era  ori- 
ginaria di  Colignola,  dove  risedea  Lodovico  Zarrihini  ,  padre 
di  Gi^uanni  Antonio.  T.citra  di  Grudcn'go  nella  nuova  rac- 
colta d''  opuscoli  T.  XXIf^.  Vcnei.  '773  pug-  t>  Tirubé 
f.  VII.  p.  IH.  p.  25G. 


17^ 
Sotto  la  continua  cura,  e  le  istruzioni  del  padre, 
le  felici  disposizioni,  ed  il  docile  ingegno  del  figlio 
furono  cosi  prontamente,  e  così  perfeiramente  coIti-i 
Yale,  che  quand'egli  fu  giunto  all'età  di  16  anni 
suo  padre  delerminossi  di  mandarlo  a  Roma  ad  og- 
getto di  presentare  al  pontefice  Leon  X  un  poema 
esortatorio  a  far  la  guerra  contra  i  Turchi,  ed  un'  o- 
pera  critica  sotto  il  titolo  Annotatioimm  Siìvae  (i). 
In  questa  occasione  Gioan  Antonio  indirizzò  una  let- 
tera al  Papa,  ed  altra  al    Cardinale  Marco    Cornaro^ 


(^i~^  59  Primus  autem  illiiis  (^  Marci  Antonii  )  a  me  discessus 
il  non  ail  finilam  urbein  aliquam,  sed  Romani:,  necjue  ad  an— 
J5  tistitem  aliqufm  gregarinm,  sed  lotìus  terrarura  orbis  priu- 
>5  cipem ,  et  virum  doctissimum  ,  Leowf.m  X.  Pont.  Max.  , 
jj  ut  epislolam  illi  nostrain  de  suscipienda  expeditione  adversus 
»  Turcas  ,  elego  versu  scriplam  ,  et  in  hac  ipsa  url)e  cuoi 
»}  aliis  nostris  improssam  simililius  script.is,  et  pul'licaiam, 
ìi  redderet  ,•  et  simul  amplissimo  patri  M.  Cornelio  Sane  ae 
n  Mariae  in  Via  Luta  cardinali  opii<;culiini  Sylvanim  nosfra- 
»  rum,  et  epigrammatum  illi  a  me  dcdicalum  fraderet.  11  Joaii. 
Aiit.  Flu'ìt.  Epiit.  in.  op-  M .  A.  Flam.  Jlp.  Cmnìn.  1727  in 
8.  p.  29G.  Dal  che  si  potrebbe  supporre  che  1'  opera  intitolata 
Aiìììntatinnmn  Silt^ae  fosse  par(o  del  padre.  Non  avvi  tnttavia 
alcun  duì>bio  ,  che  non  sia  siala  attril)uita  al  figlio  ,  come 
appare  da  una  letlera  di  Giouituii  AiUnnio  scrina  al  Cardi- 
nale Cornaro  ,  nella  quale  [)arla  di  quelP  opera  in  tal  modo: 
»  Misi  hac  de  causa  M.  Antoiiium  Flaminium,  l'^ilium  meuni  , 
"  qui  el  ipse  Syli'aruin  suitrwn  libellos^non  insulsum  fortasse 
»5  munusculum,  ad  ipsum  Honiificem  Maximum  delulit.  »>  Ci 
rimane  ancora  un  esem[ilare  di  questa  opera  ,  ed  è  posseduto 
dal  letterato  Abate  Jacopo  Morelli  bibliotecario  di  S.  Marco 
a  Veuczia. 


^74 

^al  quale  eli  conserva  col  cardinale  di  Arragona  Marce 
Antonio  fu  introdotto  dal  Papa,  il  quale  Io  ricevette  eoa 
molla  bontà  ,  e  con  apparente  soddisfazione  prestò  1'  o- 
recchio  ai  componimenti,  cKe  egli  lesse.  Dopo  avere  ac- 
cordato a  Marc'  Antonio  distinte  prove  della  sua  libera- 
lità, egli  ricercò  a  suo  padre,  che  gli  permettesse  di  rima- 
nere in  Roma,  dove  egli  stesso  Io  avrebbe  provveduto 
di  convenevoli  maestri;  ma  Gioan  Antonio,  die  per 
quanto  sembra  avea  atteso  alla  istituzione  morale  non 
meno  che  letteraria  di  suo  figlio,  probabilmente  il  cre- 
dette troppo  giovane  per  essere  emancipato  dalla  guida 
paterna,  ed  è  certo,  che  in  quella  occasione  Marc  An- 
tonio ngn  fece  più  lunga  residenza  in  Roma.  Egli  fece 
tuttavia  poco  dopo  un'  altra  visita  al  Pontefice,  e  fa 
da  esso  ricevuto  alla  sua  villa  di  Malliana.  Leone 
espresse  quindi  la  somma  compiacenza  che  egli  avea 
per  la  visita  di  quel  giovanetto,  e  promise  di  ricor- 
darsene al  suo  ritorno  a  Roma.  la  conseguenza  poco 
dopo  il  suo  arrivo  in  questa  città  egli  foce  doman- 
dare Marc  Antonio,  e  lo  ricompensò  pei  suoi  talenti 
straordinarj,  e  pel  suo  rapido  avanzamento  nelle  let- 
tere con  quella  liberalità,  che  egli  avea  sempre  mo- 
strata verso  i  letterati,  indirizzandogli  al  tempo  stesso 
le  parole  del  poeta  ; 

,,  Macte  nova  virtute,  puer;  sic  itur  ad  astra  (i).  " 

(i)  Joan.  Anton.  Fimi.  Epist.  in  op.  M.  A.  Fiorii,  p.  297, 
alla  qual  citazione  il  Papa  aggiunse:  n  Vitleo  enim  te  brevi 
jj  magnum  libi  nomen  comparaturum  ,  ac  non  genitori  ,  et 
3j  generi  tuo  solum,  sed  et  teli  Italiae  ornameaium  futurum,«% 
Jhiàem. 


175 

Il  Pontefice  era  ancora  bramoso  di  accertarsi  se 
l'eleganza  del  gusto  sfoggiato  da  Flaminio  era  accom- 
pagnata da  una  eguale  solidità  di  giudizio,  ed  a  que- 
sto fine  gli  propose  diverse  quislioni,  le  quali  egli 
lungamente  discusse  col  Pontefice  medesimo  in  pre- 
senza di  alcuni  Gai-dinali.  Durante  questa  conferenza 
Flaminio  diede  tali  prove  del  suo  huoa  senso,  e  dellai 
sua  penetrazione,  che  sorprese,  e  dilettò  ad  un  tem- 
po coloro,  che  lo  ascoltavano  (i),  in  conseguenza  di 
che  il  Cardinale  d'  Arragona  scrisse  a  Gioan  Antonio 
Flaminio  una  lettera  di  congratulazione  (2).  Sembra, 
che  il  vecchio  Flaminio  avesse  intenzione  di  far  ri- 
tornare il  figlio  ad  Imola,  ma  le  finezze,  e  gli  onori 
procurali  a  Marc  Antonio  in  Roma  indussero  suo 
padre  a  permettergli  di  rimanere  in  quella  città,  do- 
ve per  ordine  del  Papa  egli  approfittò  qualche  tem- 
po della  società,  e  delle  istruzioni  del  celebre  Ra- 
Jaello  Franciolini  (3).  Questa  indulgenza  per  parte  di 
suo  padre  diede  occasione  a  Flaminio  di  fare  una 
corsa  a  Napoli,  dove  contrasse  conoscenza  personale 
Q)n  Sannazaro^  che  egli  di  già  altamente  O'iorava,  e 
pn"  di  cui  cagione  egli  fu  principalmente  indotto  ad 
intraprendere  quel  viaggio  (4)- 


(V  J'ian.  Ant.  Flam.  Ep  -^  Tirahoschì  stor,  della  leti, 
hai.  T.   rn.  p.  111.  p.  aSg. 

(a)   Ibidem. 

(3)  Questo  vien  dimostralo  appieno  dalle  lettere  del  vecchio 
Flaminio  citate  da  MazzucrJielli  nella  sua  vita  di  Brandolini. 
Scritinri  d'  Ita  Ha   V.    VX.  p.  aotg. 

^\)  Tiraboschi  T.  FU.  p.  III.  p.  aSg, 


276 

Nel  I  ?Ì  1 5  Flaminio  accompagnò  ad  Urbino  il  conte 
Baldassare  Castiglione^  e  stette  alquanti  mesi  in  quella 
città,  dove  fu  tenuto  in  grandissima  stima  da  quel 
"valoroso  gentiluomo  per  le  sue  amabili  qualità,  e  per 
le  rare  sue  doti,  ma  principalmente  pei  suoi  sorpren- 
denti  lalenli   nella  poesia   latina  (1).  Non   avea  tutta- 


(i)  Nello  stesso  anno  ,  mentre  Marc'  Antonio  ivea  appena 
l'età  di  18  anni,  pubblicò  egl  a  Fano  il  primo  saggio  de' suei 
versi  con  poche  poesie  di  Marnilo  ,  che  non  erano  state  dap- 
prima stampate  sotto  il  seguenle  iitolo: 

»  IVIiCHAELis    Tarchamotae  Marulu  a^^ik.^,  EjusdeìH  epi- 
)5  gramata    nunquam    oliìs    imprrssa.     M.    Antohh     Flamini! 
jj   Carmbmrn   libeUus,   Ejusdein  IUcliga   Thjrsis. 
ed  alla  fine  si  lepge  : 

»  Itnpressum  Fani  in  aedibus  Ilicronynd  Sondili.  Idibua 
35  seplein.    M.  D.   XV.  1» 

Siccome  questo  piccolo  volume  stampato  in  8.  è  estrema- 
mente raro  ,  non  riuscirà  discaro  nn  pariicoiare  ragguaglio 
del  medesimo.  Esso  è  indirizzato  dall'  editore  Flaminio  eoa 
una  l)reve  dedica  ad  yéchille  Filerote  Bocchi.  Le  poesie  di 
Marnilo  consislono  nelle  sue  Neniae .  o  sia  ne' suoi  lamenti 
per  la  perdila  del  suo  paese,  e  le  disgrazie  della  sua  famiglia, 
in  una  elegia  sulla  morte  di  Giovanni  figlio  di  Pier  Francesco 
de' siedici .,  in  un'ode  a  Ca  lo  ^,  ed  altra  ad  Antonio  Bai— 
dracano  con  pochi  epigrammi.  Quesii  componimenti  non  si 
trovano  ne  nella  prima  edizione  delle  opere  di  Murullo  stam- 
pata in  Firefnze  nel  i:'|f)7,  né  nelP  ultima  e<lizione  di  Cripio  di 
Parigi  del  i5Gi,  e  non  possono  vedersi  se  non  in  questo  solo 
volume.  Le  poesie  di  Flaminio  sono  dedicale  a  Lodovico 
Speranza .,  per  le  di  cui  isiauze  sembra  ,  che  egli  avesse  scello 
alcuni  de'  suoi  componimenti  per  essere  stani[)a:i.  In  questa 
dedicatoria  Flaminio  esprime  i  suoi  timori  di  essere  accusato 
di  presunzione  nel  pretendere  che  '1  mondo  legga  i  poemi  di 
nn  giovane,  giunto  al  diciottesimo  anno  dell'  età  sua.  Di  queste 


\ia  il  di  lui  padre  rinunziato  alle  sue  premure,  perchè 

Terso  il  fine  di  quelT  anno  egli  richiamò  suo  fij^lio  da 
Urbino,  e  mandollo  a  Bologna  ad  attendere  allo  studio 
della  filosofia,  preparatoria  alla  sct-lta,  che  egli  farebbe 
della  professione,  che  dovesse  addotlare.  Né  da  questo  fu 
trattenuto  per  le  istanze  di  Beroaldo^  il  quale  per  parte 
di  Sadoleto  proponea  di  associare  con  esso  Marc  An- 
tonio neir  onorevole  uffi  io  di  Secxetario  Pontificio.  Il 
rifiuto  di   un  impiego    cosi    rispettabile,    e    cosi     van- 

poi'sie  alcune  sono  siate  stampai  e  sovente  eoa  molle  varia— 
aiuni  nelle  edizioni  successive  delle  sue  opere:,  ma  Irovansi  \jì. 
queste  alcuQÌ  componiuienii ,  che  non  si  veggono  nella  edizione 
di  Mancurti  stampata  in  Padova  dal  Cornhio  nel  1727  che  si 
riguarda  come  la  più  compila,  perlochè  semlira probabile  ,  che 
questa  prima  publdicaziooe  di  alcune  opero  di  Flaniinio  non 
fosse  conosciuta  dagli  editori.  E  osservabile  ,  che  i  versi  in  lode 
digli  scritti  di  Nai/agero  nella  edizione  Cnniiniana  p,    jo. 

'?  Quot  bruma  creat  albicans  [>fuinas 

'5  Quot  tellus  Zephiro  soluta  flores  etc.  »> 
sono     applicati    nella    prima     edizione    agli    scritti    del   padre 
dell'  Autore   Gioait  Antonio  Flaiinnìo  ,  essendo  trasposti    al- 
cuni versi  ,  e  teruainando  la  poesia  in  qnesto  modo: 

n  Tot  menses ,  bone  Flamini ,  tot  annos 

»>  Pereunes  maneaiU  lui  libelli,  n 
Tra  i  comptìiiinie);  i.  che  non  sono  stati  risl.^mpati  Irovangi 
due  odi  indirizzate  a  Gutd't  Postwiio  ,  del  quale  si  parlerà  fra 
poco,  e  questi  mostrano  i  talenti  precoci  dell'Autore,  non  meno 
che  gli  ali  ri  suoi  seiicii.  Il  volume  si  chiude  con  un"  egloga 
diretta  ad  esprimere  la  grati  .idine  dell'  Autore  al  conte  Bai- 
classare  Castiglione  per  i  l'avori  da  esso  ricevuti  in  Urbin». 
Questi  scriiii  colle  dediche,  o  lettere  introduttorie ,  dalle 
quali  sono  accompagnate  ,  getiano  un  lume  considerabile  sui 
primi  periodi  della  viia  ,  e  degli  siudj  del  loro  Autore,  e  me- 
ritano di  essere  generalmonle  conosci  ui. 

JiEONfi   X.    Tvin.    f  11.  12 


178 

taggloso  per  un  giovane  al  momfìnto,  clie  egli  entrava 
nel  mondo,  dee  parere  singolare,  e  può  indurre  qual- 
che sospetto,  che  o  il  padre,  o  il  "figlio  non  appro— 
Tasserò-  la  morale,  e  le  pratiche  dtlia  Romana  Corte, 
o  non  fossero  pienamente  soddisfatti  della  condotta 
elei  Pontefice;  sospetto,  che  sembra  in  qualche  parte 
confermato  dal  vedere,  che  Marc'  Antonio  in  tutte  le 
sue  opere  poetiche  non  ha  introdotto  giammai  le  lodi, 
e  neppure  il  nome  di  Leon  X.  Sia  come  si  voglia, 
egli  è  certo  che  dopo  la  sua  residenza  in  Bologna, 
Flaminio  tornò  di  nuovo  in  Roma,  e  legossl  intima- 
mente con  quegli  uomini  illustri,  che  rendevano  quel- 
la città  il  centro  della  letteratura,  e  del'  buon  gu- 
sto (1).  Senza  applicarsi  ad  alcuna  professione  lucra- 
tiva ,  egli  si  attaccò  per  alcuni  anni  al  Cardinale 
de  Sauli,  che  accompagnò  in  un  viaggio  a  Genova  , 
e  con  esso  fu  a  parte  della  società  di  diversi  uomini 
dotti,  che  formavano  una  specie  di  accademia  nella 
sua  villa.  Dopo  la  morte  del  Cardinale,  Flaminio 
passò  a  risedere  col  prelato  Gian  Matteo  Ghihertì^ 
lanlo  a  Padova,  quanto  alla  sua  sede  vescovile  di 
Verona,  dov' egli  guadagnò  T  amicizia  di  Fracastoro^ 
e  di  JSavagero;  amicizia  del  genere  più  disinteressalo 
ed  affettuoso,  siccome  appare  da  diversi  passi  de  loro 
scritti. 

Verso  il  fine  dell'anno    i538   Flaminio  recossl  an- 
cora a  Napoli ,    indotto    da    una    lunga,    e    pericolosa 

(1)  Tirahoschi  ^  sLon'a  della  lett.  Ilal.  Tom.  VII,    par.    Ili, 

'pag.  260. 


«79 
malattia,  e  vi  rimase   circa   tre   anni,   nei    quali   col 

riposo  dagli  studj,  e  coli'  alternativo  godimento  della 
città,  e  della    campagna    ricuperò    la    sua    prima    sa- 
lute (i).  Mentre  egli    era    a   Napoli   fu    impegnalo    a 
spguire  il  Cardinal   Contareno  al  congresso    tenuto    a 
Worms  nel   i54o;  ma  le  infermità  sue  non  gli    per- 
misero   d' intraprendere    quel    viaggio    (2).    Lasciando 
Napoli  egli  recossi  a  Viterbo,  dove   il    cardinale  7?e- 
ginaldo   Polo  risedè»  come  pontifìcio  legato  ,  e    dova 
Flaminio  visse  nella    più    intima    amicizia    con    quel 
Prelato,  che  grandemente  si  distingueva    col    liberale 
suo  patrocinio  verso  i  letterati  di    quel   tempo.     Egli 
accompagnò    altresì    quel    Cardinale    al     Concilio    di 
Trento,  nel  quale  il  Cardinale  era    destinato    a    pre- 
sedere come  uno  dei  legati   pontificj.   Colà  fu   offerto 
a  Flaminio  V  importante  ufticio  di  Secretarlo  del  Con- 
cilio, dal  quale  si  scusò,  e  da  questo,  siccome    pure 


(i)  A  questo  viaggio,  durante  il  quale  Flaminio  fu  onoralo 
con  molti  favori  dalla  nobil'à  „  e  dai  letterati  di  Napoli  ,  egli 
allude  con  compiaceuisa  in  molti  de'  suoi  scritti  ,  e  particolar- 
mente nella  sua  beila  elegia.  Cairn,  lib.  II.  Car.  FU.  »>  Pau- 
silypi  colles  ,  et  candida  Mergellina  ,  >j  e  nei  suoi  versi  di- 
retti a  Francesco  Caserti  lib.   VI.  Carni.  XX. 

)>  —  Quid  ?  isla  vestra 

j>  Tarn  felicia  ,  tara  venusta  rura  , 

>5  Quem  non  alliciant  suo  lepore  ? 

95  Adde  quod  mihi  reddidcre   viiam  , 

'J  Cam  vis  tabifica  ,  iutimis  nieduUis 

n  Serpens  lurida  membra  devoraret.   n 
(2)  Tiraboschi ,  stpria  della  leti.   Ital.    Tom.     FU.    p.    JU 
p.  265. 


i8o 

da  altri  traiti  tlella  eli  lui  condotta,  e  dal  tenore  di 
alcuni  de'  di  lui  scritti,  nacquero  de' sospetti,  die 
egli  inclinasse  alle  opinioni  de'  riformatori.  Questa 
imputazione  ha  cagionato  grandissime  quistioni  tra 
gli  scrittori  pontifici,  e  protestanti,  le  quali  al  fine 
non  provarono  se  non  1'  ardente  desiderio  mostrato 
da  ambedue  le  parti  contendenti  di  annoverare  tra  i 
loro  aderenti  un  uomo  di  merito  così  distinto,  la  di 
cui  pietà,  e  la  di  cui  virtù  non  erano  men  chiare 
dei  suoi  talenti   (i).   Egli  è  certo,  che  niurio    a    quel 


(i)  ScheUiornio  ha  scritto  espressamente  su  questo  soggetto, 
e  piil)blicato  nelle  Amocnitales  Hist.  Eccles.  voi.  II.  una  dis- 
sertazione, alla  quale  Tiraboschi  lia  pienamente  risposto  nella 
sua  storia  della  letteratura  Italiana  J^ol.  VII.  p.  III.  p.  263. 
Da  questa  appare  ,  elio  l'  opinione  della  eterodossia  di  Fla- 
minio avea  molto  guadagnato  .  cosicché  i  di  Ini  scritti  furono 
per  qualche  tempo  inseriti  nelP  indice  espurgatorio  di  Roma, 
dal  di  cui  Pontefice  Paolo  IV  (  Caraffa).,  inclinato  alla  bac- 
(^heitoneria  ,  si  dice  che  si  volesse  far  dissotterrare  il  corpo 
deir  autore  per  darlo  alle  fiamme.  Tiraboschi  ha  intrapreso 
di  confutare  quest'  ultima  asserzione  col  rilerire  i  tratti  di 
amicizia  ,  che  erano  passati  Ira  quel  Poulelice  ancora  Cardi- 
nale ,  e  Flaminio  5  ma  se  '1  Papa  avesse  potuto  contaminare 
la  memoria  di  Flaminio  con  quella  orribile  imputazione,  dalla 
quale  veniva  attaccato  nella  generale  opinione  ,  sembra  non 
improbabile,  che  egli  volesse  altresì  mostrare  il  suo  riseni  imcnto 
contro  le  inanimate  sue  reliquie.  Quanto  al  fatto  medesimo 
Tiraboschi  ammette  pienamente,  che  Flaminio  3i{\oll2ile.  avesse, 
le  opinioni  dei  rifoimaiori  ,  e  quesio  per  un  motivo  ,  che  fa 
il  maggior  oiioie  al  suo  carattere:  "  (^he  egli  si  mostrasse  per 
n  qiiaiclie  iiinpo  propenso  alle  opinioni  de'JNovatori  non  può 
»>  negarsi.  E  forse  la  stessa  pietà  del    Flaminio  3  e    1'  auster« 


i8c 
tempo  condì lossl  in  così  alto  grado  il  rispetto,  e 
r  affezione  di  tutti  quelli  che  capaci  erano  di  ap- 
prezzare il  vero  merito,  e  la  sincerità  della  loro  sti- 


»  e  innocente  \ita  ,  che  ei  condiicevà^  Io  trasse  suo  malgrado 
n  in  qiie'  lacci  ;  perciocché  essendo  la  riforma  degli  abusi  e 
»>  r  emendazione  de'  costumi  il  preteslo  dì  cui  Taleansi  gli 
»j  Eretici  per  muovere  guerra  alla  Chiesa  ,  non  è  maraviglia  , 
»  che  alcuni  uomini  pii  ,  si  lasciassero  da  tali  argoménti  se- 
»»  durre.  »5  Lo  stesso  Autore  intraprende  tuttavia  di  mostrare 
poco  dopo  ,  che  Flaminio  era  di  nuovo  tornalo  alla  vera  fede 
per  le  esortazioni  del  suo  amico  Cardinale  Polo ,  nella  di  cui 
casa  egli  mori  da  buon  cattolico  ,  e^  che  quindi  vaniossi  di 
aver  renduto  un  gran  servigio  non  solamente  a  Flaminio  , 
ma  alla  Chiesa  Romana  nel  dislaccarlo  dalla  causa  de' rifor- 
matori. Tiraboschi  loc,  cit.  Non  si  vede  ben  chiaro  per  quali 
avgomenii  questo  fatto  sia  provalo  ,•  n>a  il  dolce  spirito  di 
Flaminio  ditifìcilmente  irritabile  ,  non  era  certamente  fatto  per 
resistere  alle  rimostranze  de'  suoi  amici ,  e  molto  meno  per 
disporlo  a  sostenere  i  patimenti  di  un  martire.  Io  osserverò 
solo  ,  che  i  versi  di  Flaminio  intitolati  de  Hieroìiymo  Sa- 
ponarolu  nella  edizione  Comiuiana  p.  72  (e  che  noi  abbiamo 
altrove  riferiti  )  sono  più  probabilmente  diretti  per  l'applica- 
zione a  Girolamo  di  Praga  ,  il  quale  fu  realmente  bruciato 
vivo  per  ordine  del  Concilio  di  Costanza ,  mentre  il  solo  corpo 
estinto  di   Savonarola  fu  consumato  dalle  fiamme. 

n  Dum  fera  fiamma  tuos ,  Hieronymc  ,  pascitur  arlus  ; 

n  fteligio  ,  sancia»  dilaniala  comas , 
«  Flevit,,  et  o  ,  dixit  ,  crudeles  parcile  flammae  , 

)?  Parcile  ;  sunt  islo  viscera  nostra  rogo,  n 
(  Non  è  importuno  di  osscrt^are  ,  che  il  solo  abbniciamenlo 
del  corpo  di  Savonarola  potea  dare  sufficiente  motivo  al poetii 
per  esprimere  il  concetto  ,  che  forma  l'  argomento  di  qucsln 
epigramma,  senza  andar  a  cercare  una  lontana  appficaziond 
a.  Girolamo  da  Praga  ,  non  appoggiata  ad    alcun  ragionevole 


1*2 

ma  viene  sovente  spiep;ala  in  alti  amichevoli,  clie  o- 
norano  egualmente  queir  uomo  grande  come  i  di  lui 
protellori.  Gli  importanti  benefizi  ad  esso  conferiti 
dal  Cardinale  Alcssaiuìro  Farnese^  il  quale  lo  ristabilì 
neir  eredità  paterna,  di  cui  era  stato  privato  Ingiu- 
stamente, sono  menzionali  con  riconoscenza  in  molte 
parli  delle  sue  opere.  Il  Cardinale  Ridolfo  Pio  ac- 
crebbe ancora  le  sue  rendite,  ed  egli  ottenne  eguali 
con  trassegni  di  bontà  dai  cardinali    Sforza  ed  Accolti. 

§  XII. 

Opere  di  Flaminio.  —  Poeti  contemporanei. 

La  morte  di  Flaminio  avvenuta  In  Roma  nel  i55® 
cagionò  un  vero  dolore  a  tutti  gli  amici  della  lette- 
ratura. Delle  numerose  testimonianze  di  affetto,  di 
rispetto,  di  ammirazione,  e  di  dolore,  che  i  dotti 
d' Italia  mostrarono  in  quella  occasione,  molte  sono 
slate  raccolte  dagli  editori  delle  sue  opere,  ed  a  que- 
ste molte  altre  polrebbono  aggiugnersi  tratte  dagli 
scritti  dei  di  lui  contemporanei.  Ma  rimangono  le  di 
lui  opere,  e  da  queste  sole  la  posterità  può  ricavare 
un  imparziale  giudizio  del  di  lui  merito.  La  maggior 
parte  di  queste  sono  raccolte  in  otto  volumi  di  poe- 


jiioti\'o.  Da  altra  parie  il  poco  attaccamento  mostrato  da  Fla- 
minio per  la  corte  Papale  ,  e  per  Leon  X.  rende  mollo  più 
prohabìli: ,  chd  l'  epigramma  suddetto  applicar  si  debita  a  Sa- 
vonarola, siccome  nemico  de"' Medici), 


t83 
sìe  litirte,  e  consistono  in  odi  ,  egloglie,  inni,  ele- 
2;if,  ed  epistole  ai  suoi  amici.  Sembro,  che  egli  non 
abbia  avuto  ì  ambizione  di  tentare  alcuna  opera  di 
lun^Ke/za  considerabile;  eppure  se  noi  doldjiamo  giù-' 
dicare  dal  vigore,  col  quale  sostiene  sovenle  il  suo 
stile,  egli  potea  sicuramente  accingersi  ad  un'  opera 
di  lunga  carriera.  Egli  è  diffLiile  il  determinare  ia 
qual  genere  di  poesia  egli  siasi  magg'ormenle  distinto. 
McUe  sue  odi  egli  si  è  investito  del  vero  spinto 
Oraziano.  Le  sue  elegie,  tra  le  quali  quella  princi- 
palmente sulla  propria  infermità,  e  quella  sul  suo 
viaggio  a  Napoli  sono  di  una  straordinaria  b  llezza, 
possono  collocarsi  colle  jiiù  belle  che  ci  rimangono 
di  TihuUo;  ma  se  una  preferenza  deve  darsi  ad  al* 
cuno  de  suoi  scritti,  questa  si  debbe  ai  suoi  cnde- 
cassìllabi,  e  giamhi,  nei  quali  egli  spiega  una  natura- 
lezza, ed  un  sentimento,  che  scoprir  sembra  il  ve- 
ro carattere  della  sua  mente.  In  questi  componi* 
menti  non  freddi  e  meditati,  ma  scritti  con  ca- 
lore, e  colla  effusione  del  cuore,  noi  possiamo  rico- 
noscere quell'  affetto  |^ei  suoi  amici,  quella  gratitu- 
dine pei  suol  benefattori,  quella  ohWigante  tenerezza 
di  sentimento,  che  unita  ad  una  viva  naturalezza,  ed 
esposta  colla  masiiiore  grazia  ed  eleganza,  »  i  o^uada- 
guò  r  amore,  e  l  ammirazione  di  lutti  i  suoi  con- 
temporanei, o  non  mancherà  di  conciliare  una  stima 
sincera  alla  di  lui  memoria  in  tutti  quelli,  che  go- 
dranno  il  piacere  di  leggere  le  di   lui  opere. 

Tra  gli  amici    particolari    di    Fracastoro  ,  ISa^'nf^cro 
^  Flaminio  ,    molti    dei  quali    contribuix'oao    coi   loro 


i84 

proprj  compon imputi  aJ  aggingnere  nuoTO  splendor^ 
alla  letteratura  di  quel  tempo ,  possono  annorerarsi 
i  tre  fratelli  Capillizi ,'  Lelio ,  Ippolito  e  Camillo  di 
Mantova,  i  quali  lutti  si  distinsero  coi  loro  talenti 
per  la  poes^ia  latina ,  non  meno  che  pei  loro  Yarj 
talenti  in  altri  generi  di  dottrina  (i)  (a)  ;  Trifone 
Beinìo  ili  Jssisi  ,  poeta  Italiano  ,  il  quale  colla  e- 
leganza  de'  suoi  scritti  ,  e  colla  fdosofica  fermezza 
della  sua  mente  compensò  lo  svantaggio  dèi  suoi 
difetti  corporali  {9.)  ;  achille  Bocchi  detto  i'Herote , 
profondamente    istruito    nel     Greco     e     nell'Ebraico, 


Tl^  Le  opere  loro  Furono  rac<3oUe  ,  e  pubblicate  nel  iS'jO. 
Molle  di  e?se  souo  pure  inserite  nei  Carniìna  illustrìian  poet. 
ìial.  Voi  III.  Flaminio  ha  indirizzato  ad  essi  alcuni  versi 
jicr  accompagnare  varie  delle  sue  poesie;^  ed  in  que' versi  li 
^|iialiGta:  Pratres  optiini,  et  optimi po:tae.  Fiam.  Carm.  53. 

(a  II  celebre  Abate  Andrcs.  morto  bibliolecario  a  Napoli  , 
ebbe  la  compiacenza  di  mostrarmi  in  Manlova  ^  dove  sog- 
giornò lungo  tempo,  alcuni  bellissimi  manoscritti  di  Autori 
classici  ialini  del  XIV,  e  XV  secolo,  che  appartenevano  ad 
una  nobile  famiglia  di  rpiella  ciltà  ,  e  clie  erauo  stali  racco>lli 
da  Lelio  Cap'lupi.  Io  ho  pure  veduo  in  ranella  occasione  al- 
«i.ine  memorie  originali  di  quell' illus'.re  lettera'o. 

(2)  Mazzucchelli  scrìttoli  d'  Tt.  T.  II.  p  II.  p.  900.  — 
Tirahoschi  T.  KII.  parte  TU.  p.  19J.  Flimiido^  mettendo  in 
contrasto  la  personale  deformi  a  del  suo  amico  Benzio  colle 
doli  sul)limi  della  <li  lui  mente  ,  gli  diresse  la  segiienit? 
apostrofe  : 

il  O  dentatior  et  lapis  et  apris  , 
jv  Et  seìosior  lurco  olente,  et  idem 
!?  Tamen  deliciae   novem  dearum 
•5  Quae  gilvam  Aoniam  coluuf ,  etc.  » 

Carni,  Uh.    K.  carni.  So 


i85 

e  ben  conosciuto  pel  suo  elegante  libro  de'  simboli 
0  emblemi  (i),  e  per  altre  poesie;  Gabriello  Faerno  ^ 
le  di  cui  favole  latine  sono  scritte  con  tale  classica 
purità, che  si  dubitò  perfino,  che  egli  avesse  scoperto  , 
e  destramente  fatto  uso  di  alcune  opere  inedile  di 
Fedro  (2)  ;  Onorato  Fascitelli  (3) ,  e  Basilio  Zanchi  (4)  , 
due  poeti  latini,    i    di  cui    scritti  sono    meritamente 


(i)  Stampati  dapprima  iii  Bologna  nel  i555  ,  e  di  nuovo 
nel  i5^^.  Le  figure  di  quesl'  opera  sono  disegnale  ,  ed  incise 
dal  celebre  artista  Giulio  Bonasone.  Vario  è  il  loro  merito  , 
ma  molte  sono  assai  belle  ,  del  che  si  rende  ragioue  in  un 
passo  di  Malvasia  nella  Felsina  pittrice  T.  II.  p.  72,  dove 
si  legge  che  Bonasone  frequentemente  ricopiava  le  sue  idee 
da  Michelangelo  ,  e  da  Alberto  Durerò  ,  e  che  egli  si  pro- 
curava disegni  dal  Parmegiano  ,  e  da  Prospero  Fontana  , 
1'  ultimo  dei  quali  era  iulimo  amico  di  Bocchi.  Secondo  que- 
sta informazione  non  riesce  difficile  1'  attribuire  i  disegui  ai 
respeitivi  loro  Autori.  Nella  seconda  edizione  i  rami  furono 
ritoccati  da  Agostino  Carocci,  il  quale  incise  altresì  il  primo 
em!)leraa  sopra  un  suo  disegno  ,  ria  non  ostante  il  gran  me- 
rito di  questo  artista  ,  si  preferisce  sempre  la  prima  edizione 
di.  quest'opera  rarissima  Le  poesie  indirizzale  da  Ftaninio 
a  Bocchi  possono  vedersi  lib.  I.  Carni  3j,  /jS  ,  lib.  IT. 
Carm.  ^. 

(2)  Ti  rabeschi  stor.  della  lett.  T.  Vi\  p.  III.  p.  "ì^Cj. 
(  Tanto  si  avvicinano  per  la  purità  dello  stilli  le  favole  de 
Gabriele  Faerno  a  quelle  di  Fed  o  ,  eh"  ''n  molte  edizioni,  si 
nono  poste  a  fronte  del  flassico  latino.  -^  Le  scoperte  chf  sé 
son  fatte  recemer/iente  di  alcune  favole  in  d  te  di  Fedros  pos' 
sono  servire  a  distruggere  almeno  in  parte  il  sospetto  di  pia" 
gto  .   che  era  caduto  sopra  Faerno). 

(3)  iNativo  di  Isernia  „  e  Vescovo  di  Isola.  Molte  sue  poesie 
sono  unite  a,  quelle  di  Suunazaro  nella   ediiione    del    Cornino 


i86 

collocali  Ira  Je  migliori  produzioni  di  quel  tempo  ; 
Beneiletto  Lampiidio  non  meno  slimato  pei  servigi 
rendati  alla  causa  della  letteratura  come  eccellente 
maestro  ,  che  per  le  sue  poesie  latine ,  nelle  quali  è 
consideralo  come  il  primo  clie  con  qualche  successo 
emulasse  i  voli  di  Pindaro  (i)  ;  Adamo  Fiimani  del 
quaie  rimangono  molti  componimenti  in  greco  ,  in  la- 
tino ed  in  italiano,  e  il  di  cui  poema  sulle  regole- 
delia  logica  in  cinque  canti  vien  menzionato  da  Ti- 
rahoschi  con  grandissima  lode  (2)  ;  ed  i  tre  fratelli 
Ternani ,  i  quali  benché  non  celebri  pei  loro  proprj 
scritti  ,  furono  promotori  grandissimi  della  lettera- 
tura ,  e  legati  in  intima  amicizia  colla  maggior  parte 
dei  letterati  di  quella  età  (3). 

Farebbe  torto  al  carattere  dei  celebri  letterati  sum- 


in  Padova   i^Si.  Egli  è    dello    da    Brokhit^io   j>    Po€U    purus 
ac  niiidus  ,  '»  elogio  non  superiore  ai  suoi  meriti. 

(?j)  Nativo  di  Bergamo  ,  e  residente  in  Roma  durante  il 
Pon'ificaio  di  Leon  X.  Le  di  lui  poesie  furono  pubblicale  a 
Bergamo  nel  1747  colla  vita  dell'Autore  scritta  dall'  Abate 
óerussi.  Molte  di  esse  sono  pure  inserite  nei  Carniina  itlust. 
poet.  ha!.,  e  possono  sostenere  il  confronto  colle  ]iiù  belle 
produzioni  di  quei  tempi.  Tirahoschi  storia  della  lelt.  Iial. 
T.  VII.  p.  UT.  /7.  22',. 

(i)    Jdern  Jhid.  p.  22 1. 

(2)  Questo  poema  ed  altre  opere  di  fumano  sono  stampale 
con  quelle  del  Fracasloio  nella  seconda  edizione  fatta  da 
Contino  in  due  volumi  in  '\.  Padova  1739. 

(3)  Fracast.  Dialo^  cui  tic.  Turrlui  sina  de.  intellectione 
ili  opp.  p.  i-xx.FA.  Giutìtt  i'Ì7i.  Ejusd.  Carni.  II,  III.  Vili. 
XIV.  XV.  XVI.  XVir.  in  opp.  Tom.  I.  Navageri  ueris 
dfiscripCio.  in  op.  ed.    Cornin.  p.  199.  Flamiiiii  Carrn.  passim. 


i8t 
mentoTali ,  e  particolarmente  di  Fracastoro ,  di  Flami- 
nio ,  di  Navagero  e  di  Vida,  il  cliiudere  questo  breve 
rafrtruaorlio  senza  accennare  alcune  circostanze  die  ad 
essi  tutti  sono  applicabili ,  e  che  servono  ad  onorare 
e ran demonte  la  loro  memoria.  Benché  essi  consacras- 
sero  i  loro  talenti  al  coltivaniento  di  uno  stesso  ra- 
mo di  letteratura ,  erano  tuttavia  così  lontani  dal- 
l'essere  attaccali  in  alcun  grado  da  quella  invidia, 
che  infettò  così  sovente  i  letterali,  e  porloUi  a  ri- 
guardare le  produzioni  dei  loro  contemporanei  eoa 
occhio  appassionato  ;  che  essi  non  solamente  passa- 
rono la  vita  loro  nella  più  stretta  amicizia ,  ma  am- 
mirarono, ed  esaltarono  a  vicenda  l' un  l'altro  le 
loro  produzioni  letterarie  con  quella  cordiale  since- 
rità ,  che  provava  al  tempo  stesso  il  retto  loro  giu- 
dizio ,  e  la  liberalità  della  loro  mente.  Né  essi  erano 
maggiormente  disposti  a  sentire  intimamente  questa 
ammirazione,  di  quello  che  il  fossero  ad  esprimerla, 
giacché  le  opere  loro  abbondano  di  passi  diretti  a 
rammemorare  la  loro  amicizia,  ed  a  commendare  vi- 
cendevolmente i  loro  talenti  ed  i  loro  scritti.  Questo 
esempio  si  estese  ai  loro  contemporanei ,  e  raddolcì , 
e  migliorò  il  carattere  del  secolo,  cosicché  i  letterati 
del  tempo  di  Leon  X  erano  non  tanto  superiori  a 
quelli  del  secolo  XV  nei  progressi  fatti  negli  sludj 
liberali ,  di  quello  che  il  fossero  nella  urbanità  delle 
loro  maniere,  nel  candore  del  loro  giudizio,  e  nel 
desiderio  generoso  di  promovere  l'  vm  Y  allro  la  loro 
letteraria  reputazione.  E'  quindi  degno  d'osservazio- 
ne j  che  quegli  autori  non  tinsero  le  penne  loro  nel- 


Y  inclìioslro  della  satira,  ne  degradarono  il  loro  in- 
gegno col  combinare  i  loro  sforzi  con  quelli  della 
malignila,  della  gelosìa,  dell'  arroganza,  o  del  ran- 
core. Non  limitando  i  loro  talenti  ne' ristretti  cliioslrii 
della  letteraria  indolenza ,  essi  ottennero  colla  loro 
condotta  nella  pubblica  vita  la  stitua  e  ?j  confidenza 
dei  loro  c(Wicittadini,  mentre  le  ore  del  loro  ozio 
erano  dedicale  al  coltivamento  delle  più  severe  dot- 
trine ,  e  ravvivate  da  quelle  poetiche  produzioni ,  alle 
quali  essi  debbono  la  maggior  parte  della  loro  fama. 
Il  merito  Intrinseco  ,  e  la  purità  classica  de'  loro 
scritti  si  rendono  ancora  più  stimabili  per  la  stretta 
osservanza  della  decenza  e  della  morale  aggiustatez- 
za,  che  essi  costanlemenfe  mantengono,  la  quale  ag- 
giunta al  merito  di  quella  facilità  e  naturalezza  colla 
quale  sono  stesi,  può  giustamente  dar  loro  una  pre- 
ferenza sopra  le  reliquie  di  molti  antichi  autori,  per 
ciò  massime  che  riguarda  il  promovere  l' educazione 
della  gioventù. 

§  XIII. 

Poesìa    latina   coltivata    in   Roma.  — ■  Guido   Postumo 
Silvestri. 

Non  si  coltivava  tuttavia  in  alcuna  parie  con  mag- 
giore assiduità  che  in  Roma ,  la  poesia  latina  ,  giac- 
ché a  quella  città  riduceansi  per  la  maggior  parte  gli 
uomini  più  dotti  di  tutta  l'Europa,  e  molli  vi  fissa- 
Tano  la  loro  slabile  direvora.   Tra  quelli    che   sembra- 


i89 
no  aver  goduto  al  maggior  grado  il  favore  e  la  con- 
fidenza del  Sommo  Pontefice  ,  noi  possiamo  distin- 
guere particolarmente  Guido  Postumo  Silvestri  di  Pe- 
saro ,  nato  in  questa  città  di  una  nobile  e  ragguar- 
devole famiglia  nell'  anno  i479  (j)-  Essendo  il  di 
lui  padre  Guido  Silvestri  mancato  prima  del  suo  na- 
sciinento,  la  madre  gli  impose  il  nome  medesimo  col- 
r  aggiunta  di  quello  di  Postumo.  La  prima  di  lui  e- 
ducazione  fu  diretta  da  Gian  Francesco  Superchio  , 
proposto  della  cattedrale  di  Pesaro  ,  meglio  conosciuto 
sotto  il  nome  di  Fdomuso  (2),  e  da  Gabriele  Foschi  y 
eletto  poco  dopo  da  Giulio  II  arcivescovo  di  Duraz- 
/o  [S).  lìgli  quindi  passò  all'  università  di  Padova , 
dove  avendo  continuato  per  due  anni  i  suoi  studj 
sposò  nella  fresca  età  di  diciannov'  anni  una  dama  , 
della  quale  era    fortemente    innamorato ,    e    che    egli 


(e)  Le  ciicoslanze  particolari  della  sua  vita  sono  state  rac- 
«^olle  dal  Cav.  Domenico  Bonutniui  sotto  il  titolo  di  Memorie 
IsTORicnE  di  Guido  PosUimo  Sih>estre  Pesarese.^  e  pubblicate 
nella  IVuof'a  Raccolta  d'  Opuscoli  Tom,  XX.  Venezia  1770. 
A  quesl'  opera ,  ed  agli  scritti  di  Postumo  io  sono  debitore 
principalmente  delle  notizie  sue  riferite  in  questo  libro. 

{■>.)  Autore  dei  versi  di  congratulazione  diretti  a  Leon  X 
sulla  sua  elevazione  al  grado  di  Cardinale  ,  e  poco  dopo  sul 
suo  avvenimento  al  Pontificato,  f^ot.  I.  cap,  I.  png.  5o  Voi. 
JV.  Clip.  X.  pug.   10  di  questa  edizione. 

<3)  A  questo  che  fu  uno  de' suoi  primi  precettori.  Postumo 
imlirizzò  la  sua  affettuosa  ,  e  patetica  elegia  ,  intitolata  »  ad 
Fiiscutn  F.piscopum  Comadensem  jj.  Eleg.  TAh.  I.  p.  io,  nella 
quale  egli  riconosce  la  sua  bontà ,  e  si  lagna  delle  sue  proprio 
disgrazie  ,  e  del  s\io  imprigionamento. 


celebrò  frequentemente  ne  suol  scritti  sotto  il  nome 
di  Fannia  (i).  La  morte  di  questa  amata  consorte, 
accaduta  nel  breve  termine  di  tre  anni  dopo  il  ma- 
trimonio, mentre  gli  cagionò  un  sincero  dolore  ,  gli 
fornì  un  nuovo  argomento  di  esercitare  i  suoi  talenti 
poetici  (2).  Egli  lasciò  allora  la  città  di  Padova ,  e 
s'impegnò  nel  servizio  di  Giovanni  Sforza  Signore  di 
Pesaro ,  alla  di  cui  salvezza  si  interessò  con  calore 
allorché  quel  principe  fu  attaccato  da  Cesare  Borgia. 
In  questa  occasione  Postumo  espresse  il  suo  risenti- 
nienlo  contro  la  famiglia  Borgia  in  alcuni  versi  pieni 
di  sarcasmi,  in  conseguenza  di  che  fu  egli  poco  dopo 
privato  de'  suoi  possedimenti ,  e  dovette  ascrivere  a 
buona  sorte  di  aver  salvata  la  vita  dagli  effetti  del 
loro  sdegno  fS).  Espulso  della  patria  egli  rifugiossi 
a  Modena ,  dove    fu   scelto    a    precettore    dei   nobili 


(i)  Elegia  lib.  lì.  p.  46.  47.   53.  etc. 

(2)  ^d  illusirem  Coiniteni  Haìinibcdem  Rangon.  Prorempti— 
con  Eleg.  lib.  I.  png.  l.'\. 

(3)  L  degno  ti'  osservazione,  che  in  una  delle  poesie  di  Po- 
stumo ,  direna  ad  eccitare  i  cittadini  di  Pesaro  a  resistere 
alle  armi  di  Borgia  ,  1'  Autore  riferisce  non  solo  i'  assassinio 
del  Duca  di  Gandia  commesso  da  Cesare  Borgia  ,  ed  il  sup- 
posto incestuoso  commercio  di  cpella  famiglia  ,  ma  altre  ac- 
cuse ancora,  alle  «juali,  per  quanto  io  sappia,  non  si  è  esteso 
alcun  altro  scrittore,  e  le  quali  sono  sufficientemenLe  confutate 
dalla  loro  propria  enormità. 

«  Pellite  vi  vires  ,  ferrumqne  arccssite  ferro  » 

>j  Iu<|iie  feros  enses  ohvius  ensis  eat. 
■»  Aspera  dux  vobis  indivil  praelia  ,  cuju» 

o  Fraieiua  poluit  caede  madere  manus. 


'9» 
giovani  clella  fanfifgHa  Rangone ,  figlj  eli  Bianca  sorella 

tli  Giovanni  Bentivoglio  di  Bologna  ,  e  mediante  la 
di  lei  raccomandazioQe  fu  nominalo  altro  de  profes- 
sori di  quella  celebre  università,  dalla  quale  tuttavia 
fu  poco  dopo  espulso ,  in  conseguenza  delle  dissen- 
zioni  insorte  tra  la  famiglia  _BentÌA'oglio  ed  il  Ponte- 
fice Giulio  il  (2).  Avendo  egli  preso  una  parte  at- 
tiva nelle  guerre  ,  che  desolarono  1'  Italia ,  e  nel- 
le quali  si  acquistò  fama  coi  suoi  talenti  militari , 
nell'anno  i5io,  mentre  comandava,  un  corpo  di 
Bolognesi  al  servizio  de'  Bentivogli ,  fu  fatto  prigio- 
niero dalle  truppe  papali  ,  e  tenuto  da  Giulio  II 
sotto  una  stretta  custodia.  Siccome  Postwho  era  stato 
lungamente  il  nemico  dichiarato  della  Sede  Romana, 
ed  aveva  ne'  suoi  scritti  censurato  il  carattere  di  quel 
Pontefice,  conobbe  egli  stesso,  che  in  quella  occa- 
sione trovavasl  in  grandissimo  pericolo,  ed  intraprese 
di  calmare  lo  sdegno  del  Papa  con  una  supplice  ele- 
gia ,  che  ancor  ci  rimane ,  e  che  probabilmente  con- 
seguire gli  fece  la  sua  libertà  (3). 

95  Sede  sub  hac  non  est  maLri  sua  filia  pnllex  , 

>7  Concubuitque  suo  noxia  Mynlia   patri. 
5j  Hic  uefjue  prò  nato  victurum  in  secula  torrem 

>5  Tcstiadera  Uammis  imposuisse  feruiit  ;; 
>5  Solve  Tyliesleae  fugit-ns  fera  pocula  mensae  , 

»  Pone  dora'im  celeres  ire  coegi'    equos. 
n  Monstra  niirus  nos'rae  non  progenuere  ,  tuliiqiie 
n  De  bove  semiviruin  ,  de  cane  nulla  canom.   »> 

Eleg.  lib.  Il',  pug.  35. 
(i)  Bonamìiiì  ^  JMzmor.  di  Guido  Postumo  p^g-    )3. 
(2)  Ad  Julium  S  cuiiduin  Pont,  ut  su'ijectis  j  et  victLs  parcni 
hostibus.  Eieg,  Lib,  I.  pag.    i5. 


Dopo  queir  epoca  la  -vita  di  Postumo  fu  in  appa- 
renza più  tranquilla.  Avendo  egli  alleso  parlicolar- 
mente  alla  medicina  nel  corso  de'  suoi  sludj ,  fu  nel 
j5io  eletto  dal  Duca  di  Ferrara  professore  di  fdo- 
sofia  e  medicina  nell'università  di  Ferrara,  dove  ri- 
mase circa  sei  anni  (i).  Kgli  abbandonò  quel  posto 
probabilmente  ad  oggetto  di  soprintendere  alla  edu- 
cazione di  Guulobaldo ,  figlio  di  Francesco  Maria  Duca 
di  Urbino  ;  come  sembra  pure ,  che  essendo  slato 
quel  territorio  attaccalo  da  Leon  X,  Postumo  fosso 
mandalo  col  suo  giovane  allievo  nella  fortezza  di 
S.  Leo ,  come  in  luogo  di  piena  sicurezza.  Si  sup- 
pone che  Postumo  avesse  il  comando  di  quella  for- 
tezza,  allorché  fu  presa  nel  i5i7  cogli  sforzi  riuniti 
delle  truppe  Pontificie  e  Fiorentine  ;  ma  la  cosa  non 
è  abbastanza  evidente  per  potersi  riferire  con  fran- 
chezza (2).  Egli  è  tuttavia  probabile  che  colà  fosse 
fatto  prigioniero,  dacché    noi    troviamo,    ch'egli    era 


(1)  Bo  i  tamil  li  ^  memorie  isteriche  p^g-    •7> 
(^2}  Bonamini    ha    appoggiato    quesla    opinione    ai    seguenti 
■versi  di  Postumo  nel  suo  Epicedium  sulla  morte  di  sua  madre: 
)5  Crediius  hoc  cura  ipso  est  saxo  mibi  regius  infans 
»>  Guidus  luHades  ,  qui  quamquam  mitis ,  et  ore 
»>  Bldndns  ,  ut  ex  vultu  possis  cognoscere  matrem  , 
"  Patremanimis  taraen,et  primis  patruum  exprimit  aqnis.  n 
Ma  questo  è  contr^deìto  dalla  evidenza  della  storia  di  Leoni^ 
il  quale  ci  informa ,  che  la  diiesa  della    fortezza  era  confidala 
a  Sigismondo   fiorano  ^  il  quale  per  cagione    della    sua    gio- 
ventù età  assistito  da  Bernardino    Ubaldino  ,    e    Hauìsta    da 
Venafro.   Leoni^   V^ita  di  Frane.  Maria  Duca  d'' Urbino.  L.  Il, 
p.  l83  ,  e  sopra  voi.  FI.  cap,  ij  §.  IV.  tX.  X, 


»93 
In  Roma  in  quell'  anno  medesimo  ;  ma  in  qualunque 

carattere  \ì  facesse  la  sua  prima  comparsa,  è  certo 
che  da  Leon  X  fu  trattato  con-  particolare  riguardo 
e  bontà ,  che  egli  studiossi  di  ricompensare  ,  le  lodi 
rammentando  di  quel  Pontefice  in  molte  parti  de'  suoi 
scritti  (i).  Tra  le  poesie  in  lode  del  medesimo  me- 
rita particolare  notizia  V  elegia  ,  nella  quale  egli  pa- 
ragona la  felicità  goduta  sotto  il  Pontificato  di  Leon  X 
col  calamitoso  stato  d  Italia  sotto  i  di  lui  predeces- 
sori Alessandro  VI  e  Giulio  11  (2).  Dalla  generosità 
di  Leon  X  Postumo  fu  abilitato  a  ristabilire  il  sog- 
giorno della  sua  famiglia  in  Pesaro  coli'  antico  suo 
splendore ,  la  quale  circostanza  egli  non  ha  tralascialo 
di  rammemorare  ne'. suoi  scritti  (3).  Nel  divertimento 
della  caccia ,  alla  quale  Leone  prendea  parte  con  tanto 
ardore ,  Postumo  era  sovente  il  di  lui  compagno ,  ed 
uno  dei  più  eleganti  componimenti  di  questo  autore 
è  dedicato  alla  ricordanza  dei  varj  incidenti  ,  che  ac- 
compagnarono una  escursione  fatta  dal  Pontefice  alla 
sua  villa  di  Palo  ad  oggetto  di  godere  quel  diverti- 
mento ,  nella  quale  occasione  trovavansi  seco  lui  tutti 


(1)  >j  Guido  Posthumiis  ,  Pisaurensis  ,  lepido,  et  comi  ,  ar- 
n  gutofjue  iiigenio  poeta  ,  quiina  elegias  ,  et  variis  niitnerìs 
»  carmina  factitaret  ,  in  aula  Leonis  conspicuus  fuit.  Paiebat 
"  enim  ea  liberaliter  ,  meritlianis  praesei  tim  hoiis  ,  quum  ci- 
"  iharaedi  cessarent ,  his  oauiibus  ,  qui  «ruditac  suavitalis 
»  oblectamenta  ad  cieudam  bilarilatem  iutulissent.  Jov.  Elo- 
>5  già  LXIX. 

('-*)  Questa  trovasi  già  inserita  neW  j4i>pendice  JV.  LXXtl. 

(3)  Appendice  N.   CLXFIIL 
Leonb  X.  Tom.   FU.  i3 


«94 

gli  ambasciadori  e  ministri  esteri,  e  varj  prelati  e 
nobili  della  sua  corte  (i).  La  tranquiUità  e  la  felicità 
che  Postumo  allora  godeva  ,  era  sovente  interrotta 
dal  debole  stato  della  di  lui  salute  ,  da  alcuno  dei 
di  lui  contemporanei  attribuito  ai  sontuosi  banchetti , 
ai  quali  interveniva  nel  palazzo  pontificio  (:j),  da  al- 
tri alle  militari  fatiche  da  esso  sostenute  con  una 
fjoraplesslone  naturalmente  debole  (3).  Sperando  di 
trarre  qualche  profitto  dal  cangiamento  dell'aria,  ri- 
tlrossi  egli  alla  deliziosa  villa  di  Capranica  in  com- 
pagnia del  suo  primo  allievo  il  Cardinale  Ercole 
Eangone ,  d'onde  indirizzò  a  Lson  X  una  elegia,  che 
per  quanto  si  congettura,  fu  l'ultima  delle  sue  pro- 
duzioni (4),  giacché  egli  morì  ia  quel  luogo  poco 
prima   del  Pontefice  nell'anno    iSai    (5). 

Diverse  furono  le  opinioni  intorno  agli  scritti  à{ 
Postumo.  Non  può  veramente  asserirsi,  che  nierltjno 
di  essere    collocati    in    egual    grado    colle    produzioni 


(i)   Appendice  J\.    CI XIX. 

('2)  "  Pracstal  nounihii  in  Elegiis  Cuidus  Postumus  Pisan- 
w  rensis  ,  ausus  ille  at;gredi  phalaeucios  ,  et  heroicos  ,  parum 
»>  ulrura  |ue  recle;  sapieiiliae,  eL  mediciaae  studia  amjdexatus, 
»>  nihilo  plus  quam  in  poetica  profecit  ,  seculus  con^ivia  ,  et 
»»  Kegum  convictus  ,  unje  infirmam  alqiic  aegram  valetu— 
»  dinem  conliaxit.  i>  Gjrald.  de  poeùs  suoru/n  temporum  j 
Opp.    Voi.  IL  p.  538. 

(3)  Bouainini  ^  Alcmor.    Istorichc ^  pag.  22. 

(4)  appendice  xV.   CLXX. 

(5)  ld)aldco  ouoiò    la  Memoria    di    Poslumo    col   segueO-e 
^piiafjo: 


più  eleganti  cti  Fraca storo  ^  tli  Vi^a  e  di  Flaminio  ^ 
ma  essi  presentano  sovente  p^ssi  »li  un  merito  rag- 
guardevole, e  meritano  in   questa  occasione  una  men- 


»  Pos'humus  hic  situs  est  ;  ne  tlictutn   hoc  nomine  credas 

M  In  lucem  extiuclo  quod  paire  prodierit  ; 
»  Morlales  neqne  enitn  tales  geiiuere  pareulcs  , 
•>  Calliopeia  fuit  maler  ,  Apollo  pater.  » 

Joi>.  Elog.  LXTX. 
Poco  dopo  la  morte  di  Postumo^  i  suoi  scritti  furono  ad 
istanza  del  Cardinale  Rangm/e  racco) li  dal  suo  discepolo  Lo- 
dnuico  Sìdernslrtmo  ^  e  pubblicali  a  Bologna  nel  024  con  una 
dedica  dell'  editore  a  Pirro  Qonzuga  ,  protonotario  della  Ro^ 
mana  Sede.  La  rarità  esirema  di  queslo  volume,  di  poche  copie 
del  quale  si  conosce  l'esisienxa,  hanno  dato  luogo  a  qualche 
congettura  .  che  V  edizione  fosse  soppressa  per  opera  di  alcune 
<ii  quelle  ptrsone  potenti  ^  che  sì  videro  attaccate  dallo  stile 
satirico,  e  pungente  dell'autore,  ne  è  punto  ijiverisimile,  che 
questa  circosianza  sia  stata  attribuita  alla  libertà  t  colla  quale 
egli  aveva  irattato  i  Romani  Pontefici  predecessori  di  Leon  K. 
Il  volume  porta  questo  titolo  : 

GUIOI  POSTHVMI  SILVES 

TRIS  PISAVREJNSIS 

ELEGIARVM 

LIBRI  II. 

CUM  GRATI  V  ET 

PRIVILEGIO. 

»  Questa  edizione,    dice  Bìnwniri'  ^    in    brevissimo    tempo 

*>  tanto  rara  divenne  ,  che  appena  a'  giorni  nostri    un    esem- 

»  piare  se  ne    conserva    foituiiatamente    nella    nostra    pallia  , 

';  avutosi  non  è  gran  tempo  dalla  puhiìlica  bil)lioteca    di  Pe- 

»j  rugia  dall'  eruditissimo  sig.  Uditore  Passeri  ,    e    <lue    altri  , 

»  che  io  sappia  in    Roma  ,    nella    libreria    Alessandrina  ,    noa 

«  contando    fra    questi  i    ire    codici  ,    che    nella    Vaticana    s»! 

»  conservano  >».  Memorie  Islor.  di  Guido  Post.  pag.  aS. 


196 

zione  particolare,  essenclocì  state  conservate  per  que- 
.  sto  mezzo  molte  circostanze  della  vita  privala ,  e  del 

carattere  di  Leon  X. 

> 

§  XIV. 

Giovanni   Mozzarella. 

Tra  quelli,  che  col  loro  spirito,  e  colla  loro  vi- 
vacità contribuivano  al  trattenimento  del  Pontefice 
nelle  sue  ore  di  riposo,  era  Giovanili  Mozzarella  na- 
tivo di  Mantova;  ma  Leone  avea  sufficiente  penetra- 
zione per  discernere,  che  Mozzarella^  benché  assai 
giovane ,  possedeva  talenti  superiori,  che  in  mezzo 
alla  sua  apparente  trascuratezza  egli  avea  col-tivato 
con  una  non  ordinaria  applicazione.  Colle  sue  gentili 
ed  amichevoli  disposizioni,  e  la  facilità  ed  eleganza , 
eh'  egli  sfoggiava  ne' suoi  scritti  tanto  latini  ,  quanto 
italiani,  egli  conciliossi  in  alto  grado  il  favore  dei 
più  celebri  letterati ,  che  allora  formavano  l' orna- 
mento della  corte  Romana  (i).  Dopo  di  avere  per 
qualche  tempo  osservato  da  vicino  il  suo  carattere, 
e  sperimentato    il  suo    attaccamento,    Leone   il    tolse 


(1)  Bembo.,  scrivendo  ad  Oltaviaiio  Fregnso  ,  dice  di  esso: 
)5  Magnae  spei  adolescens  ,  ut  scis,  aut  etiam  majoris,  quara 
jj  quod  scire  possis.  Magis  enira  mapisque  sese  in  dies  com- 
w  parat  ,  cura  ad  mores  oplimos  ,  et  ad  omueui  virlulem  , 
»»  tum  ad  poelices  studia  ,  ad  quae  natus  praecipue  videlur.  » 
Ep.  farn.  Lio.    V.  cp,  7. 


»97 
dalla  dissipazione  della  ciltà,  e  nominollo  governa- 
tore della  fortezza  di  Mondaino  (aj,  ujfìzio,  che  gli 
forniva  una  rendita  assai  pingue,  e  gli  lasciava  suffi- 
ciente libertà  per  la  continuazione  de' suoi  studj  (i). 
In  quel  posto  egli  cominciò  un  poema  epico  intito- 
lato: Porsenna,  che  probabilmente  non  potè  termi- 
nare a  cagione  della  sua  morte  immatura,  e  disgra- 
ziata; giacché  dopo  essere  stato  in  vano  cercato  per 
un  mese  in  circa,  fu  trovalo  soffocato  colla  sua  mula 
in  fondo  ad  un  vallone  (2),  il  che  confermò  i  sospetti 
già  concepiti,  che  la  morte  sua  cagionata  fosse  dal 
risentimento,  e  dalla  barbarie  di  quelle  persone,  alle 
quali  era  deputalo  a  presedere.  Questo  avvenimento 
produsse  un  vero  rammarico  nei  numeiosi  di  lui 
amici,  e  Bembo  in  particolare  in  diverse  lettere  scritte 
al  Cardinale  di  Bihiena  compianse  la  di  lui  morte 
ne' termini  del  più  cordiale  affetto,  e  del  più  sincero 
dolore  (3).  Sotto  il  nome  di  Mutius  Àrelius,  col  quale 


(a)  O  di  Mondolfo  ,  come  porla  il  leslo  di   Valerìaiìo. 

(i)  »  IMutiiis  Areliiis  Manluanus  ,  maguo  et  eleganti  juvenis 
J5  ingeuio  ,  lingua  prius  nostri  Lemporis  Italica  sese  exciruit  ; 
)>  mox  la!iuan3  affectaas  jam  adulius  ,  brevi  aditjodum  tem- 
j»  poris  curriculo  magnum  poetam  professits  est  ,  quam  lu— 
»  venis  prompliiudinem  adiniralus  heo  X,  ne  tali  deesset  in- 
»5  genio  ,  arci  eum  TMondulphiae  praefecit,  quem  locum  Arelius 
M  studiis  suis  uecessaiia  ubertim  suppeditaturum  arbitraba- 
r  tur.  >?   Valer'ian.  de  iif.eratorum  infeiicitnte   Lib.  I.  png-    34- 

(2)  Valer ian.  ut  siip. 

(3)  »5  Monsigiior  mio  ,  sapete  bene  ,  eh'  io  terao  graiide- 
n  mente  ,  che'l  nostro  povero  Muzarello  sia  stalo  morto  da 
n  quelli  di  Mondaino  J    perciocché  da  uà  mese  in    qu.i    esso 


»9S  _ 

egli  volle    distinguersi,   Mozzarello    pubblicò    diverse 

opere,  alcune  delle  quali  coneervansi  nelle  librerie 
d'  Italia  (i),  mentre  altre  tanto  in  italiano,  quanto 
in  latino ,  sono  slate  pubblicate  in  diverse  raccolte, 
ed  hanno  meritato  in  allo  grado  la  comune  appro- 
vazione (2). 

§  XV. 

Improvvisatori,  latini.  —  BaJJaeiìo  Brandolini.  — - 
Andrea  Ma  rane. 

Gli  sforzi  degli  iuìprov\isatori   Italiani  ernul.^li  ve- 
nivano dalla  recitazione  estemporanea  di  versi  latini, 


«  ,iion  si  trova  in  luoa;o  alcuno  :  solo  si  sa  che  si  parli  Ji 
j?  rniella  maledeiia  rocca  temendo  di  quelli  iiomini  ,  e  fu  na- 
«  scosamenle.  INon  mancò  già  ,  eh'  io  non  gli  predicessi  qne- 
V  sto  ,  che  Dio  voglia  non  gli  sia  avveiiuìo.  O  infelice  giovane! 
»  non  lo  a^'essi  io  mai  conosciuto  se  taa'o  e  sì  raro  ingegno 
»>  si  dovea  spegnere  cos'i  tasi),  ed  in  tal  raodo  I  »  Se  ubo  Ep, 
al  Card,   da   Bi'ìienu   Opp.  torri.   TU.  p.   IO. 

^i)  Nella  libreria  Ducale  di  Modena  trovasi  un'  opera  di 
Mozzarello ,  da  esso  scritta  ,  mcntr'  era  assai  giovane  ,  sul 
gusto  dell'  \rcadia  di  Sannazaro  ,  e  dedicata  ad  Elisabetta 
Gonzaga  Duchessa  d'Urbino.  Tirahoschi  St.  della  Leti.  ItaL 
Voi    FU.  par.   UT.  pag.  233. 

(2)  jériosto  lo  ha  immortalato  ,  annoverandolo  tra  i  grandi 
letterati  del  suo  tempo: 

«  Uno  elegante  Castiglione  ,  e  na  cullo 

T»  Mvitio  Arelio.  »> . 

Ori.  Fttr.  Cani.  ^7.  st.  87» 


ea  allorché  Leone  trattenuto  non  era  tlalle  corrette  , 
e  classiche  produzioni  di  Fida,  di  Bembo,  di  Fraca^ 
storo,  o  di  Flaminio,  egli  poteva  prestar  orecchio  con 
compiacenza  agli  slanci  estemporanei  di  Brandolini^ 
di  Marone,  o  di  Querno,  i  quali  sovente  il  diverti- 
vano ne' suoi  trattenimenti  dopo  la  mensa,  e  compo- 
nevano i  loro  versi  sui  soggetti,  che  1'  occasione  som- 
ministrava, o  che  suggeriti  erano  dal  Pontefice,  che 
talvolta  egli  stesso  metteva  da  parte  la  sua  dignità, 
e  prendeva  parte  a    quell'  esercizio    (i)    (a).  Ne    dob- 


(t)  »>  Namcfue  ad  mensam  accuinbere  fere  numquam  visus 
€St  (  Leo  X  "^  uisi  illustriorum  poclarum  corona  circuni— 
septus  .  quos  subilarii*  cartninibus  quamlibet  rem  propositam 
Vicissim  persequi  jubebat  ;,  quo  honestissimi  solatìi  genere  et 
ipse  rairum  ,  inqiiam  ,  in  modum  afficiebatur,  et  convivarum 
pascebal  animos  ,  esemplo  Attici  ,  apud  quem  numquam  sinc? 
aliqua  leclione  cenatum  legimus  ;  ut  non  minus  animo  quani 
ventre  convivae  delectarentur».  Fogliazzi  in  t'ita  Ruph.  Bran- 
dolini  p.  47  ed.   ì^en.   1753. 

(a)  Nato  in  Italia  può  dirsi  anche  il  metodo,  l'artifizio,  o 
piuttosto  r  ardire  di  recitare  o  cantar  versi  all'  improvviso  in 
latino;  anzi  questo  fu  forse  I'  origine,  e  per  cos'i  dire  la  ge- 
nesi dell' a' te,  o  dell' esercizio  d'improvvisare  in  italiano.  I 
primi  poeti  ,  che  sorsero  in  Italia  dopo  il  ristoramento  delle 
lettere  ,  si  diedero  per  la  maggior  parte  a  coltivare  la  poesia 
latina  ,  ed  acquistarono  quindi  qniella  maravigliosa  facilità  di 
accozzare  una  quanlità  di  emistichj  dei  migliori  classici  ,  alla 
quale  si  riduce  in  gran  parte  il  talento  degli  improvvisatori 
latini.  Que'^ti  probabilmente  precedettero  gli  Italiani ,  e  di- 
Tenner  rari  dacché  questi  si  fecero  assai  numerosi  ;  ma  quel 
talento  si  perpetuò  tuttavia  in  Italia ,  e  vi  fu  coltivato  ad  uit 
grado,  del  quale  ben  rari  si  trovano  gli  esempj  presso  le 
altre  Nazioni. 


ÌJOO 

Liamo  noi  inferire  Ja  questo,  come  troppo  general- 
mente si  è  supposto,  die  questi  fossero  il  più  delle 
Tolte  sforzi  «li  uomini  senza  talento,  e  senza  educa- 
zione. Benché  recitati  fossero  all'improvviso,  richie- 
deva il  Pontefice,  che  i  versi  fossero  non  solo  adat- 
tati al  soggetto,  o  al  tema,  ma  corretti,  e  Brando- 
lini  in  particolare  ha  lasciato  diverse  opere,  che  mo- 
strano esser  egli  stato  realmente  uomo  dotto  (i).  Noi' 
abbiamo  già  avuto  occasione  di  accennare  i  favori 
ad  esso  conferiti  a  Napoli  da  Carlo  FUI  nell'  anno 
149S  (2);  e  sembra  pure,  eh'  egli  si  attaccasse  al 
Cardinale  Giovanni  de  Medici  avanti  il  suo  innalza- 
mento al  pontificato  (3).  Poco  dopo  questo  avveni- 
mento Brandolini  fissò  la  sua  residenza  in  Roma, 
dov'  egli  ottenne  l'assegno  di  appartamenti  nel  pa- 
lazzo pontificio,  ed  acquistò  in  grado  eminente  il  fa- 


(1)  Brandolini  era  di  una  famiglia  nobile  di  Firenze  che  si  era 
distinta  al  f'ne  del  XV.  secolo  col  mezzo  di  due  uomini  grandi 
in  letteratura  Aurelio  ,  e  Ruffa  Ilo  ,  ciascuno  de'  quali  era 
conosciuto  sotto  il  nome  di  Lippo^  o  Lippus  Floreiitinus.  Del 
primo  di  questi  scrittori  ,  che  mori  nel  1497  ,  un  ragguaglio 
compito  si  trova  in  Mazzucchelli  ^  Scria,  d'hai.  VI  aoi3  , 
e  nella  vita  di  Lorenzo  de'  Medici  si  è  inserita  una  poesia 
latina,  che  onora  i  di  lui  talenti.  Voi.  IL  App.  p.   lì. 

(2)  Voi.  II.  cap.  IV.  pag.  39. 

(3]  Egli  raccolse  alcune  delle  opere  del  suo  parente  Aurelio^ 
una  delle  quali  intitolala  de  comparatione  Rcipublicae .,  et 
Regni  .^  egli  dedicò  al  Card,  de''  Medici.,  poco  dopo  Leon  X^ 
con  ima  lettera  .,  che  contiene  molte  circosianze  particolari  . 
e  curiose  dcMa  famiglia  Medici ,  e  si  è  quiadi  inserita  nel- 
!'  Appendice  IN.  CLXXI. 


20I 

vore,  e  r  amicizia  del  Papa  (i).  Egli  Studlossi  di  sod- 
disfare in  parte  a  queste  obbligazioni  nel  suo  ele- 
ganle  dialogo  intitolato  LEO,  che  noi  abbiamo  fre- 
quentemente occasione  di  citare  nel  corso  di  que- 
st'opera (2),  avendo  1'  autore  conservato  in  quello 
molte  circostanze  curiose  relativamente  al  Ponteiìce,  e 
gettato  grandissimo  lume  sulla  storia  di  que'  tempi 
in    generale. 

Andrea  Marone^  altro  favorito,  e  cortigiano  di  Leo- 
ne X,  era  nativo  di  Brescia,  ed  avea  passato  una 
parte  della  sua  gioventù  alla  corte  di  Ferrara  sotto 
la  protezione  del  Cardinale  Ippolito  ci  Este.  Nel  viag- 
gio-, che  fece  il  Cardinale  in  Ungheria,  Marone  mo- 
strò desiderio  di  accompagnarlo,  il  che  essendogli 
slato  rifiutato,  lasciò  Ferrara,  e  recossi  alla  corte  di 
Roma    (3).    La  .facilità,    e    la  prontezza,    colla    quale 

(i)  Per  questa  ragione  egli  vien  dello  da  Glouii  Antoni-t 
Flaminio  Ocidus  Pontificìs  ,  sel)bene  Brandolini  stesso  fosse 
quasi  totalmente  privo  della  \'ista.  Si  è  detto  pure  ,  che  ad 
is'anza  del  Pontefice  Brandolini  istruisse  il  celebre  3/t/rc' ^/i- 
tonio  Flaminio  figlio  di  Gioan  Antonio  ,  al  che  può  aggju— 
gnersi ,  che  il  padre  avea  molte  •volte  manifestalo  la  sua  sod- 
disfazione ,  perchè  il  figlio  ottenuto  avesse  1'  assistenza  di  un 
cos'i  valente  maestro,  e  si  dice  che  questi  trattasse  il  suo  allievo 
con  tenerezza  ,  ed  affetto  cosi  grande,  come  se  stato  fosse  il 
proprio  di  lui  figlio.  /.  A.  Flamin.  Op .  Apud  Mazzucchellì 
Scriit.   d'  Tial.   T.   VI.  p.  aofg. 

(1)  Quest'opera  si  conservò  manoscritta  fino  all'anno  lySS, 
nel  quale  fu  pubblicata  in  Venezia  da  Francesco  Fogliazzi 
dottor  di  leggi  ,  accompagnata  dalla  vita  dell'  Autore  ,  e  da 
copiose  noie. 

(3)  Cale-agnini  Carra.  p,  172.  Ap.  Tirab.  Sior.  della  Ictr» 
Ital.  T.  VII.  p.  UI.  p.  211. 


Marone  sì  spiegava  iù  versi  l'Sitini  sopra  qualunqitó 
argomento,  che  gli  si  proponesse,  sorprendeva,  e  di- 
lettava tutti  gli  ascoltanti.  La  sua  recitazione  era  ac- 
compagnata dal  suono  della  sua  viola,  e  di  mano  iti 
mano,  eh'  egli  progrediva  in  quest'esercizio,  sembrava 
guadagnar  sempre  in  fa-ilità  ,  in  eleganza,  in  entu- 
siasmo, in  talento  d'  invenzione.  Il  fuoco  dei  suoi 
occhi,  l'espressione  del  suo  contegno,  il  gonfiamente) 
delle  sue  vene,  tutto  mostrava  le  commozioni ,  dalle 
quali  era  ajjitato  ,  e  teneva  i  suoi  uditori  sospesi, 
ed  attoniti,  (i).  Essendo  slato  richiesto  in  un  solen- 
ne trattenimento  dato  dal  Pontefice  a  diversi  Amba- 
sciadori  esteri  di  cantare  versi  all'  improvviso  sulla 
lega,  che  si  and.iva  a  formare  contra  ai  Turchi,  egli 
trattò  queir  argomento  in  tale  maniera,  che  ottenne 
X  applauso  di  tutta  \  assemblea,  ed  il  Papa  lo  ricom- 
pensò immediatamente  con  un  benefizio  nella  diocesi  di 


(i)  »  Is ,  cum  summa   erudilorum  a<iaiiralione  ,  ex  tempore, 

n  ad  quatn  jusseris  quaestionein  ,  laliaos  versus    variis    modis 

»  et  numeris  fiindere  consuevit.   Aiidax  profeclo  aegotium  ,  ac 

»»  munus  impudea!iae  ,  vel  temeriutis  plenum  ,  nisi  id  a  na- 

j»  tura,  impetu  prope  divino,  mira  feliritas  sequeretiir.  Fidi})us 

»>  et  canlu  rausas  evocai,  et  quiim  semel  coHJectam  in  numeros 

n  mentem    alactiore    spiritu    inflaverit  ,   tanta   vi   in    torrentis 

9>  morem  citatus  ferlur  ,  ut  "fortuita  et  subitariis  tractibus  ducla, 

»  multa  ante  provisa ,  et  mediraia  carmina  vidcanlur.  Canenti 

j»  defixi  exardeat  oculi  ;  sudores  manant  ;    frontis  venae  con— 

»»  tumesount  ^  et  quod  mirum  est  ,    eruditae    aures  ,    tanquam. 

»  alienae  et  iatentae,  omnem  inipetum  profluentium  numero- 

r}  rum  exactissima  ratiane  moderaalur.  »  Joi:  in  elog.  LXXlf- 


2o3 

Capua  (r).  Nel  giorno  della  festa  de'  Saul!  Cosma  e 
Damiano ylulelari  della  famiglia  de  Medici ^  un  tema  fa 
dato  dal  Papa,  sopra  il  quale  doveano  esercitare  i  loro 
talenti,  e  gareggiare  per  la  preferenza  tutti  coloro,  che 
asi)iravano  alla  qualità  di  poeti  latini  estemporanei. 
Non  ostante  il  numero  di  molti  dotti  competitori  il  pre- 
mio fu  aggiudicato  a  Marone,  ma  la  circostanza,  che 
gli  fece  maggiore  onoro,  fu  quella  che  Brandulini  mede- 
simo trovossi  in  quella  occasione  tra  gli  impotenti  di 
lui  rivali  (2).  Pochi  saggi  sono  stati  conservati  della 
poesia  latina  di  Marone  (3);  ma  le  lodi  straordinarie 
date  ai  suoi   componimenti    estemporanei    da    Giono , 


(i"^  Qioi'ìo  ^  ohe  riferisce    questo    avvenimento,    ci  ha   con- 
servalo il  prinri|iio  dei  versi   recitati  allora  da  Marone. 
j>  InfeliTs:  Europa  ,  dm  quassata  tumultu 
"   Rellorum »> 

(2^  n  Celebrabatur-magnificenlissimo  spparatu  Mediceorutn 
n  Cosraiana  solemnitas  .,  quarii  in  magni  Cosmi  proavi  memo- 
»  riam  Leo  X  quotannis  celebrandum  stanierat.  Itaqn-e  ad  il— 
»>  lius  celebritatis  dicra  honcstaiidam  plurimi  fama  celebriores 
»>  poetae  convivio  iutererant,  qui  proposita  de  more  argumenta 
♦>  referebant  ex  terapore;  vcrum  ciim  Andreas  quidam  Maro., 
»  magni  promptiquc  vir  iugenii  ,  cmnes  quasi  eiingues  feois- 
55  set  ,  cum  Lippo  nostre  congredi  a  I-'on'.ince  est  jussus  ^  el 
»  cum  valide  utrimque  certatum  essct,  Lippum  tandem  vicluna 
J»  cessisse  ferurit.  >»  Fog'ìiizzi  in  i^ka  Brundoli/ii  p    .)8  . 

(3)  Due  epigrammi  la'iai  di  Marune  ,  che  non  fanno  torto 
ai  di  lui  talenti ,  veggonsi  prcn.cssi  all'  opera  singolare  di 
Francesco  Colonna  intitolata:  La  Hipnepotomachia  di  Poli- 
PHiLo,  stampata  da  Allo  nel  i  (99  ,  f  <^H  nuovo  nel  i5i5  , 
della  quale  si  trova  un  compito    lagguag'io    nella    Moa^  aru* 

T.  ir.  p.  70. 


2"o4 

da  Valériano  ,  e  Ja  altri  ,  possono  ammettersi  come 
una  prova  sufficiente  della  sua  abilità  singolare,  e 
dei  maravigliosi  effetti  ,  che  questa  era  solita  a  pro- 
durre sulla  dotta  udienza^  dalla  quale  era  d'ordinario 
circondato  (i). 

§  XVI. 

Camillo   Querno.    —    Gazoldo  e  Britonio.  — 
Baraballo  di  Gaeta. 

L' arcipoeta  Camillo  Querno  era  pure  un  improv- 
visatore in  versi  latini  ,  ed  i  suoi  talenti  in  questo 
esercizio  sono  stati  altamente  lodati  da  alcuni  de'  suoi 
contemporanei  (2) ,  mentre  altri  hanno  attribuito  gli 
applausi  che  egli  ricevea,  piuttosto  alla  sua  franchezza, 
calla  sua  sfacciataggine,  che  non  al  suo  merito  straor- 
dinario  (3).   Al  primo  arrivo  di   Querno  in  Roma   egli 


(i)  >5  Q'-iid  si  illum  audieris  ,  velut  sodales 
»»  Odo  and  vimus  ,  opiimum  sodalem  ! 
j>  Nos  audivimus:   audit   lume  et  omnis 
5>  Doctorum  manns  in  dies  ,  canentem 
n  Mille  ex  tempore  carmiua  erudita  ; 
»j  Quìs  nil   sit  lutideniuin  „  inexpolitutn  , 
n  INil  absurdiim  ,  et  iuane  ,  nil   iiiulciim  j 
n  Tanqnaiii  Virgilii  mora  ,  et  labore  , 
»  Tanijuam  tempore  culla  sub  novenni.  »» 
Pier.  Viiìeriaii.  ad  Diitem  III.  Aligerum.  Exani.  etcp.  il']. 

{2)  In  par: (colare  Francesco  ArsìUi  nel  suo  poema  de  Poetis 
Urbanis  ,  che  noi  avremo  occasione   fra  poco  di  citare. 
(3)   Gyraldi  de  poet.  suor,  te/np. 


2o5 

portò  seco  da  Monepoli  nel  regno  di  Napoli,  d'onde 
era  nativo,  un  poema  epico  intitolato  Alexias ,  com- 
posto di  ventimila  versi.  Con  questo  ,  e  la  sua  lira , 
pnìsentossi  alle  letterarie  società  dei  dotti  di  Roma,  i 
quali  ben  presto  compresero  che  egli  era  ben  disposto 
a  somministrare  loro  ampia  materia  di  trattenimento. 
Si  fissò  un  giorno  ,  nel  quale  Querno  recitar  dovesse  il 
«no  poema  ,  pel  quale  oggetto  1'  udienza  si  raccolse  in 
una  isolfttta  in  mezzo  al  Tevere.  In  quel  luogo  egli 
provossi  alternativamente  a  bevere  ed  a  cantare  ,  e  do- 
po che  egli  ebbe  mostrato  di  essere  egualmente  distinto 
in  ciascuno  di  questi  esercizj ,  gli  fu  preparata  una 
corona  di  nuovo  genere  ,  nella  quale  erano  frammi- 
schiate foglie  di  vite  ,  di  cavoli,  e  d' alloro  ,  e  questa 
collocata  tosto  sul  di  lui  capo  ,  egli  fu  salutato  dalla 
compagnia  col  titolo  di  Arcipoeta  (i).  Giunse  ben 
presto  la  notizia  di  questo  all'orecchio  del  ^Pontefice, 
il  quale  ne  provò  grandissimo  dilelto,  e  volle  che 
r  arcipoeta  fosse  a  lui  condotto  senza  ritardo.  Da 
queir  epoca  in  poi  egli  divenne  uno  dei  seguaci  più 
frequenti  dei  trattenimenti  papali  nelle  ore  del  pranzo , 
ed  il  Papa  mandavagli  spesso  dalla  sua  tavola  mede- 
sima una  porzione  di  cibo ,  che  egli  inghiottiva  con 
una  voracità  eguale  a  quella  degli  eroi  di  Omero; 
ma  il  vino  gli  si  portava  soltanto  a  condizione,  che 


(i)  »  Salve  brassica  viren-i  corona 

»>  Et  lauro,   Archipoeta  ,  pampinoqiie , 
»  DigQus  principis  aurihus  Leonis.  »> 

Jofj,  in  Elos.  LXJCXII, 


206 

recitasse  un  certo  numero  «li  stanze ,  e  se  eg\l  carle- 
Ta  In  qualche  errore  o  nel  senso ,  o  nella  misura , 
il  vino  veniva  mischiato  con  una  dovuta  proporzione 
di  acqua  (i).  In  alcuna  occasione  si  racconta,  che 
Leone  si  divertisse  col  rispondere  a  Querno.  Alcuni 
esempi  di  questo  ci  sono  stati  conservati ,  e  se  que- 
sti sono  autentici  ,  mostrano  a  sufficienza  cLe  il  Pon* 
iefice  nel  recitare  versi  latini  all'improvviso  posse- 
deva una  facilità  non  inferiore  a  quella  della  quale 
prendea  tanto  diletto  ,  vedendone  da  altri  praticato 
r  esercizio  (2). 

Nella  classe  medesima  di  Ouern»  possono  collocarsi 

(i)  In  una  tli  queste  occìsioni  vergognose  si  dice,  che 
Qu<  rno  si  volgesse  al  Poutefice  colla  coppa  nelle  sue  mani  , 
e  gli  indirizzasse  i  seguenti  versi  Leonini  5 

»>  In  cratere  meo  Thetis  est  conjuncta  Lyaeo, 
»5  Est  Dea  juncta  Deo  ;  sed  Dea  major  eo. 

foresti  ,   Mappamondo  Islortco   T.  ILI. 
(1)    Tra    qucsli    csempj    è    sialo    sovente    citato    il    seguente 
eaggio.  Compiangendo   Qtierno  il  laborioso  suo  ufficio,  esclamò: 

»5  Archipoera  facit  versus  prò  mille  poelis  I  v 
Al  elle   Leone  rispose  alP  isìanle  : 

»  Et  prò  mille  aliis  Archipoeta  bibil.  ?» 
CXuerno  che  trovò  necessaria  qualche  replica  ,  soggiunse  poco 
dopo  : 

«  Porrlge  quod  faciaot  mihr  carmina  docta  Falernum.  » 
Ma  Leone  rifiutò  ,  e  soggiunse  come  motivo  del  riliuto  : 

»  Hoc  vinum  euervat  dcbilitalque  pcdes  '^  »> 
Nel  che  si  h  supposto,  che  egli  alludere  volesse  alla  gotta,  dalla 
quale  dicesi  ,  che  Querno  fosse  tormentato  ;  ma  egli  sicura- 
mente intese  di  applicare  la  parola  pedei  ai  piedi  del  verso  , 
i  «juali  non  si  sarejjhouo  migliorati  coH'aggiugnere  una  nuova 
porzione  di  viuo. 


Giovanni  Gazvldo ,  e  Girolamo  Britonio ,  i  quali  l  u- 
ni)  e  1'  allro  aspiravano  alla  qualità  di  latini  improv- 
visatori,  e  se  pure  non  riuscivano  ad  ottenere  gli 
ar)plausi ,  provocavano  sovente  le  risa  del  Papa  e  dei 
suoi  cortigiani.  Questi  scherzi  tuttavia  erano  portati 
talvolta  al  di  là  dei  limiti  della  burla.  Si  narra  che 
Gazoldo  ricevesse  per  ricompensa  de'  cattivi  suoi  vergi 
una  seria  bastonatura  a  lui  data  per  ordine  del  Poa- 
iellce  ;  e  1'  arcipoeta  fu  talmente  sfigurato  per  una 
ferita  ricevuta  nella  faccia  da  <pialche  persona  ,  che 
egli  avea  offesa  colla  sua  intemperanza  e  gliiottone- 
ria  ,  che  dovette  astenersi  dall'  intervenire  ai  banchetti 
del  Papa  così  sovente  ,  come  dapprima  solea  (i)^ 
Diversi  altri  sono  menzionati  da  Giono  per  avere 
contribuito  alla  ilarità  del  Pontefice  nelle  ore  di  so- 
lazzo ,  tra  i  (juali  altro  dei  figlj  di  Poggio  Bracciolini 
per  nome  Gian- Francesco  (2).  tlssi  erano  tuttavia  più 
distinti  per  la  loro  devozione  ai  piaceri  della  tavola  , 


(1)  Cosi  si  esprime  Gii  aldi  alia  fine  del  suo  dialogo  de 
Poel.  suor,  leinp.  op.  p.  Sj^.  n  Si- hujusmudi  ìiircoiies  verius 
«  (juam  poetas  vobis  atTeriera,  ihgraluni  potios  (jiiam  .  gralum 
»  arbiirarer  me  facturura.  An  nesciùs  Gazoldum  saepiiis  .,  ob 
n  iiiepios  versus  ,  eL  claudicauies  male  raulclatum  a  Leoxe 
J5  ilagris  ,  et  fabulam  'omnibus  lacium?  Archipoelam  vero  im- 
?>  mania  ingurgitaulenr  pocula  a  gaiicone  Alex,  auribus  et  pene 
J'  i»aribns  defoimatum?  Uude  uuuc  parciiis  Ponlilìcis  mensam 
5>  adit.  *  *  Cura  quil)ua  et  Ilierouyuiiis  Briionius  posset  ad- 
»  scribi  ,  de  quo  no  issimum  illud  Jaiii!)ii:um  P.aptisl.  Saugae 
y  exlat,,  et  legilur  :  Praetor  giai'cscus  initlitur  Britoriius  etc,  »j 
^iuzzucchclU  V.  VI.  p    2112. 

|ij  òlit^fieid  uita  di  Poggio  Bracciolini  cap.  XI.  p.  -j83. 


208 

che  non  per  le  doti  del  loro  spirito  ;  ed  il  frugale 
Olandese  Adriano  VI,  il  quale  per  una  straordinaria 
combinazione  di  circostanze  succedttle  a  Leon  X  nella 
cattedra  Pontifìcia  ,  non  potea  che  altamente  maravi- 
gliarsi al  vedere  il  lusso  del  suo  predecessore  ,  e  par- 
ticolarmente le  spese  fatte  per  le  salsiccie  di  pavone  , 
che  sembravano  la  vivanda  favorita  di  que'  voraci 
assistenti  alla  mensa  Pontificia   (i). 

Ma  r  esempio  più  singolare  di  pazzia  e  di  assur- 
dità ci  è  slato  conservato  nel  ragguaglio  dato  di  Ba- 
raballo  abate  di  Gaeta  ,  altro  degli  individui  di  quella 
classe  sfortunata  ma  pure  numerosa ,  che  senza  ta- 
lenti pretende  alla  poesia,  il  quale  al  par  di  tutti  i 
suoi  confratelli  era  pienamente  insensibile  ai  suoi 
proprj  difetti.  Le  lodi  date  per  ironia  alle  assurde  sue 
produzioni  aveanlo  tuttavia  sollevato  ad  una  cosi  alta 
opinione  di  se  medesimo ,  che  egli  credeasi  un  altro 
Petrarca,  ed  al  pari  di   questo  aspirava    all'onore  di 


(i)  »?  Mire  quoque  favit  Pogio  seni  ,  Pogii  his'orìci  fllio  , 
»>  itemque  Moro  nobili  a  gulae  inlempcrauLia  arlicularihiis  do- 
»>  loribus  distorlo,  et  Brandmo  equiii  .  Mariauoque  san. doni 
»>  cuculialo  ,  facelissiiuis  helluonibus  .  et  in  oiani  genere  po- 
»  pinalium  deliiiarum  erudilissimis.  Nam  inier  alia  portenla 
»»  insanicnlis  eorum  gulae,  lucauicas  concisis  pavoaum  pulpis 
n  fartas  commenti  fueranl  :  quod  obsonii  genus ,  mox  successor 
>j  Hadrianus  ,  vir  Balavae  frugalilaùs ,  mirabundum  expavit  , 
55  quum  sumptuarias  raliones  Leouis  inspioeret.  Verum  fesii- 
55  -vissimis  corum  facetiis  ,  et  perurbanis  scommatibus  ,  magis 
55  quam  uUis  palati  lenociniis  oblectabalur.  »  Joi^,  in  t^ita 
Leon.  X  Uh.  IF.  p.  85. 


2^9 

essere  coronalo  in  Campidoglio.  Questo  diede  una 
troppo  favorevole  occasione  di  divertimenlo  per  es- 
gerf  trascurata  dal  Pontefice,  e  dai  suoi  cortigiani; 
e:l  il  giorno  de'  Santi  Cosma  e  Damiano  fu  fissato 
i):!r  compiere  i  desiderj  del  poeta.  Affine  di  acci-escere 
il  ridicolo  ,  fu  risoluto  che  V  elefante ,  che  era  stato 
regalato  al  Pontefice  dal  Re  di  Portogallo  ,  dovesse 
essere  in  quel  giorno  tratto  fuori ,  e  splendidamente 
ornato ,  e  che  Barahallo  ammantato  di  un  abito  trion- 
fale come  un  Romano  conquistatore,  montar  dovesse 
queir  animale  ,  ed  essere  così  condotto  in  trionfo  al 
Campidoglio.  I  preparativi  per  questa  occasione  fu- 
rono grandemente  splendidi  e  dispendiosi  (i),  ma 
mentre  non  erano  ancora  compiuti  giunse  una  depu- 
tazione da  Gaeta ,  dove  i  parenti  di  Barahallo  lenea- 
no  un  grado  rispettabile  ad  oggetto  di  dissuaderlo 
dal  rendersi  l' oggetto  pubblico  delle  risa  di  tutta  la 
città  :  Barahallo  tuttavia  riguardò  la  loro  tenerezza 
come  un'  amara  gelosia  della  sua  buona  fortuna  per 
aver  egli  ottenuto  il  favor  del  Pontefice  ,  e  congedò 
i  deputati  con  rancore  e  con  rimproveri.  Avendo 
quindi  recitato  varie  delle  sue  poesie  piene  delle  più 


(i)  »  La  iucoronazioue  del  nostro  Ahale  di  Ghaeta  per  le 
'>  poste  vien  via  et  le  veste  di  velluto  verde  ,  di  raso  cre- 
"  misi  ,  ornale  di  armelliui  ,  et  altri  belli  veslimeuti  per 
»  lui  et  per  lo  Elephanle  sono  già  quasi  facte;  et  molte  belle 
5j  reciialioni  da  farsi  dinanzi  al  M.ro  sig.nore  (  Leon  X)  si  pre-= 
«3  parano  etc.  »  ex  Mss.  ined, 

LroNE  X.  Tom.  VII.  i4 


210 

ridicole  assurdità  ,  finché  i  suoi  uditori  non  furono 
più  capaci  di  mantenere  la  loro  gravità  ,  fu  portato 
alla  piazza  del  Vaticano ,  dove  salì  suU'  elefante ,  e 
con  grande  corteggio  passò  attraverso  le  pubbliche 
vie  In  mezzo  ad  uno  strepito  confuso  di  trombe  e 
di  tamburi,  ed  alle  acclamazioni  del  popolaccio  (i). 
j,  Io  potrei  appena  meritar  fede ,  dice  Giono  (2)  , 
,,  se  non  fossi  io  medesimo  stato  presente ,  e  non 
,,  avessi  veduto  co'  miei  occhi  un  uomo  di  età  non 
,,  minore  di  6p  anni,  venerabile  per  la  sua  statura, 
,,  ed  i  suoi  capelli  canuti  soffrire  di  essere  vestito 
,,  colla  toga  palmata  ,  e  col  lato  davo  degli  antichi 
,,  Romani,  imbrattalo  tutto  d'oro  e  di  porpora,  e 
,,  tratto  con  un  corteggio  trionfale  in  pubblico  al  suo- 
,,  no  delle  trombe  ,,.  Non  fu  tuttavia  il  di  lui  trionfo 
di  lunga  durata.  Giunto  al  ponte  di  S.  Angelo  il  sa- 
gace quadrupede  rifiutp  di  contribuire  più  a  lungo 
al  giubilo    illiberale     del  popolo,  e  l'eroe  del  giorno 

(i)  A  questo  avvenimento  allude  Angelo  Colocci  in  uno  dei 
suoi  epigrammi  intilolaìo  : 

J}e  Ahaiite  Barahalla. 
j>  LiKore  de  ourvo  vicina  cadeniibus  Eiiris 

»>  Cajela  hu<ì  celebre»  misit  alumna  viros  , 
»>  Aenean  mentem  Trojae  ,  et  te  maxime  vatum  , 

>'  Qui  nunc  Assarici  nomen  Abantis  bal>es. 
»  Clarus  Abans  cantu  ,  ter  destra  clarus  ,  et  armis  j 

J5  illum  pax  redimit ,  hiinc  girave  Martis  opus. 
»5  At  nos  Nutrici  taiilum  debebimus  omnes  , 
n  Quanium  Roma  snac  debet  alumna  Lupae.  » 

Colocci  op.  lat.  p.   log. 
(2)  Jou.  in  i^it.  Leon.  X.  lib.  IV.  p.  85. 


21  I 

fa  ben  contento  di  scendere  salvo  da  quella  elevata 
situazione  (i).  La  rimembranza  di  quel  singolare  aV' 
Tenimenlo  fu  par  ordine  del  Papa  perpetuata  coq 
ima  scultura  in  legno  (2)  ,  che  ancora  rimane  sopra 
Ja  porta  di  una  delle  camere  interne  del  Vaticano, 

§  xvw. 

Giovanni.  Gorizia  protettore  della  letteratura  in  Roma.  —1 
Fucsie  intitolate   Coryciana. 

Tra  gli  abitanti  di  Roma  uno  dei  più  distinti  pra- 
tettori  de'  letterati  era  un  nobile  e  ricco  tedesco  pei' 
nome  Giovanni  Gorizia  ,  o  co^ie  diceasi  comunemente 
Giano  Concio  ,  il  quale  sotto  il  pontificato  di  Leon  X 
coprì  r  ufficio  di  Giudice  per  gli  affari  civili  della 
città.  Per  diversi  anni  la  casa  ed  i  giardini  di  Cori- 
eia  erano  il  consueto  ridotto  degli  accademici  Roma- 
ni. Nel  giorno  di  S.  Anna,  che  era  la  sua  tutelare, 

(i)  Diversi  scriliori  hanno  supposto  per  errore  ,  che  Bara- 
ballo  ,  e  l'  Arcipoeta  Quer/io  fossero  la  sicssa  persona.  Cosi 
Bottali  nelle  note  al  frasari  T.  II.  p.  120,  e  Lancellolto  nelle 
note  alle  opere  latine  di  Angelo  Colocci  p.  log.  Burafiallo  epa. 
naùvo  di  Gaeta,  Querno  di  Monopoli  nella  Puglia.  Qiie'due 
srriuori  si  appogf^iano  alla  autorità  di  Giouio  negli  elogi,  che 
veramente  non  ha  asserito  lai  cosa.  Bottnri  si  è  pure  ingan- 
nato  nel  riferire,  che  Leon  X  coronò  effettivamente  Baraballa 
iì  Fece  la  funzione  d'  incoronarlo ,  n  per  la  qvial  cosa  cita. 
pure  l'  autorità  di  Giovio-. 

(2)  Da  Gloan  Barile  "  artefice  nel  genere  suo  exc^lIentisSt^ 
ì^o,  ?•   Bottari  note  al  frasari   T,    IL  p,    120. 


ai2 

solea  egli  preparare  vino  splenilicto  banclietlo ,  al  quale 
accorrevano  i  dolli  più    celebri ,    f{    gli    abiUnli    pia 
rispettabili  Ji  Roma  e  del    vicinato ,    e    presentavano 
così  una    favorevole    occasione    per   quelle    letterarie 
contese,  e  per  quelle  presentazioni    de'  loro    compo- 
nimenti ,  che  sogliono  aggiugnere    nuovo    vigore  allo 
studio.  La  liberalità  di   Concio  era  compensata    dalle 
lodi  dei  letterati  di  lui   amici ,    molti    dei    quali  per- 
petuarono nei  loro  versi  il  di  lui   nome.  Verso  1  an- 
no   i5i4  egli  eresse  a  sue  proprie  spese  nella  chiesa 
di   S.    Agostino    in    Roma  una  magnifica   cappella  di 
famiglia,   nella   quale  egli   collocò  una  bella  opera  di 
scultura  ,  lavoro  di  Andrea   Contucci  del  monte  Sanso- 
vino  ,  che  rappresentava  Gesù  bambino  colla  Vergine  e 
S.  Anna.   Queste  figure  benché  fatte  tutte  di  un    sol 
pezzo  di   marmo,  erano  quasi  di   grandezza  naturale, 
e  dallo  storico  delle  arti    vengono    menzionato    come 
lina  delle  più    belle    produzioni    di    quel    tempo  (i). 
In  quella  occasione  i  letterati    amici   di    Coricio    ga- 
regoriavano   1  un    V  altro    nel    rendere   un   tributo  di 

OD 

rispetto  alla  sua  munificenza  ,  alla    sua    pietà   ed   al 


(i)  »>  Fece  (  Andrea  J  di  marmo  ,  in  Sant'Agostino  di 
?j  Roma  ,  cioè  in  un  pilastro  a  mezzo  la  Chiesa  ,  una  Santa 
w  Anna,  che  tiene  in  collo  una  nostra  Donna  con  Cristo  ,  di 
5>  grandezza  poco  meno  che  il  vivo  ;  la  qual  opera  si  può  fra 
»>  le  moderne  tenere  per  ottima.  ***  Onde  merilò,  che  per  tanti 
3>  anni  si  frequentasse  di  appiccarvi  sonetti  ,  ed  altri  varii  e 
55  dotti  componimenti,  che  i  frati  di  quel  kiogo  ne  hanno  un 
»3  lìhro  pieno  ,  il  quale  ho  veduto  io  con  non  piccola  mara-« 
■j>  viglia.  »  yasuri^  vite  de'  Pittori  f^ol.  11. 


5r3 
9tìo  buon  gtisto  ;  ed  i  componimenli  mimerosl  al  quali 
diede  luogo  questa  circostanza  .  possono  riguardarsi 
come  la  prova  più  decisiva  dei  grandi  progressi  che 
fatti  avea  in  Pionia  il  coUivamento  della  latina  poesia. 
Uno  dei  più  celebri  letterati,  che  contribuivano  al 
cimelio  di  S.  Anna ,  era  Biagio  Pallai  nativo  di  Sa- 
bina ,  che  preso  avea  il  nome  accademico  di  Blosia 
Palladio^  sotto  il  quale  trovasi  sovente  menzionato 
ne^ìi  scritti  de'  suoi  contemporanei  (i).  Nel  i5i6  egli 
fu  onorato  coli'  ammissione  alla  Romana  cittadinanza 
per  pubblico  decreto  (2).  Quest'  uomo  dotto  era  non 
meno  distinto  per  la  sua  ospitalità  ,  che  pe'  suol  ta- 
lenti,  e  la  di  lui  casa,  e  i  di  lui  giardini  sono  stati 
parimenti  celebrali  per  aver  dato  luogo  sovente  alle 
adunanze  ed  ai  trattenimenti  dei  letterati  di  lui  a* 
mici  (3).  Dopo  d'  essere  slato  uno  de  principali  or- 
namenti della  Romana  accademia  durante  il  pontifi- 
cato di  LéDii  X^  egli  salì  ad  un  posto  ragguardevole , 
e  coprì  r  ufficio  di  segretario  pontificio  sotto  Cle- 
mente VII  e  Paolo  III  ^  l'ultimo  de' quali  ricompensa 
i  di  lui  servigi  col  nominarlo  al    vescovado    di   Foli- 


(1)  Parlicolarmc\ife  nei  versi  di  Marc'  Antonio  Flcwiinio  , 
nei  quali  semljra  ,  che  le  più  triviali  circostanze  dessero  ori- 
gine a  componimenti ,  che  Orazio ,  e  Catullo  non  avrebbero 
sdegnato  di  appropriarsi.  Flam.  Carni,  lib.  I.  Carni.  56  ^  Sj  , 
;)8  ,  69  ,  ecc. 

i-ì)  Tiraboschi  T.    VII.  p.  III.  p.  2o3. 

(3)  FUunin.  Carni,  lib.  I.  carni.  55. 

?•>  Blosi  villula  ter  quaterqiic  felix.  » 


2.4 

gno  (i).  ]\oi  siamo  debilori  ti  Palladio  della  ediziorir; 
dello  poesie  indirizzate  a  Concio  ,  che  quest'  ultimo 
uvea  diligentemente  conservato ,  ma  che  ben  compren- 
dea  che  lo  avrebbero  fatto  accusare  di  vanità,  se  egli 
date  le  avesse  alle  stampe.  Le  istanze  di  Palladio 
tolsero  alfine  di  mezzo  queste  obbiezioni ,  e  quell'? 
pofsie  cojnparvero  nel  i524  in  un  elegante  volume, 
ora  divenuto  rarissimo,  intitolato  Coryciana  (2).  Que- 
sta raccolta  contiene  oltre  diversi  componimenti  ano- 
nimi un  sagf^io  delle  produzioni  di  centoventi  latini 
poeti  ,  i  quali  trovavansi  entro  i  conlìni  di  Roma  , 
e  molli  de'  quali  tennero  un  allo  grado  negli  annali 
della  letteratura   (3).     Sembra    che    fosse    costume    di 


(l)   Fahrotii  uda  Leon.  X.  /^.'9'|. 

(al  Alla  fine  si  legge:  imprcssiun  Roiìiae  opud  Ludni/icwn 
P'icentiiiiuii^  et  LaatUiuin  Perusinn'ii.  Meme  Julio  M.  D. 
XXIK.  La  dedicatoria  di  Palladio  premessa  a  qiiesl'  opera  ■> 
e  le  letlere  di  Coricio  ,  e  del  di  lui  amico  Cajo  Silvano  , 
altro  de' suoi  patriolli  letterati  allora  residente  in  Roma  ,  che 
contribuì  va^ie  poesie  a  qnosta  collezione ,  gettano  un  f,'ran- 
dissjmo  lume  sullo  sfato  della  letieratura  in  Roma  durante  )>1 
pontificato  di  Leon  X  ,  per  la  qual  cosa  ,  e  per  la  rarità  del 
Volume  si  sono  inserite  nvW'  Append.  JY.  CLXXIL 

(3)  Della  natura  di  ijueste  composizioni  possono  dare  una 
sulìicicnle  idea  i  seguenti  vefsi  di  Ftamiido  ,  cìie  pr.'^senlano 
una  singolare  mescolanza  di  Cristiana  pina,  e  di  scùbualióà  gcu- 
tilcsca  : 

De   Sacello   Cory  ciano. 
5>  Dii ,  quibus  lam  Corycius  venusta 
)5  Signa ,  tarn  dives  posuit  sacellam  ^ 
?3  Ulla  si  veslros  animos  pioruin 
i>  Gratia  tangit , 


2l5 

presentare  quelle  poesie  cerne  cloni  votivi  all'  altare 
di  S.  Anna  ,  ma  le  offerte  divennero  così  numerose  j 
che   Coricìó  fu    alfine    obbligato    a    chiudere    le   porte 


«>  Voj  jocos  risusqiie  senLs  faceti 
«  Sospiles  servate  diu;  senectam 
»  Vos  date  et  semper  viridem  ,  et  Falerno 

»  Usque  madentem. 
ti  Al  simul  longo  saliatus  aevo 
»  Li  juerit  tenas  ,  daj.ibus  Deorum 
J5  Laetus  iniersit  ,  potiore  mutaus 
»  Néclare  Bacchura.  »> 

Carm.  lib.  I.  Car.   VU. 
(  Il  si'g.  Roscoe  h(i  giudicato  opporiu/ìo  di  inserire  una  fra" 
duzione  di  questa  Ode  assai    lihera  in    versi   I<  glesi  rimati  a 
foggia    di    quarcine.     Io    ho    creduto     meglio    di    espor.ie  una 
traduzione  egualmente,  liberà  ,  da  me  fatta    in  Italiano  ,  cou'' 
iérvando  a  un  dipresso  il  metro  deW  originale  \  : 
»j  Voi  ,  Numi  ,  a  cui  Coiicio 
j»  Si  ricco  tempio  eresse  , 
»>  E  le  cui  forme  in  noliili 
ti  Sculture  espresse  ; 
5?  Se  alta  pietà  nell'  animò 
»  11  nostro  culio  accende, 
»  E  de'  divoli  assidui 
lì  Cura  vi  prende  5 
n  Voi  d'un  faceto  vecchio 
»  In  lieta  turba  assiso 
>5  iserbate  ognor  propizii 
j>  I  giuochi  ,  e  'l  riso. 
■n  Ed  a  lui  verde  ,  e  florida 
'»  La  tarda  eia  sia  data  , 
>J  E  di  Falerno  esimio 
»  Sempre  irrorata  ! 


2i6 

della  cappella ,   ed    a    por    fine    a   questo    cullo  poco 

meno  che   idolatrico  (i). 

§.  XVIII. 

Poema  di  Francesco  Arsilli  intitolato  de  Poetis  Urbanis. 

La  raccolta  intitolata  Coryciana  si  chiude  eoa  un 
poema  di  Francesco  Anilli ,  de  Poetis  Urbanis ,  nel 
quale  si  celebrano  i  nomi,  e  si  caratterizzano  le  opere 
di  molti  poeti  latini  residenti  in  Roma  nel  tempo  di 
Leon  X.  L'  autore  era  nativo  di  Slnigaglia,  e  mem- 
bro di  una  fjimiglia  rispettabile,  essendo  stato  depu- 
tato suo  fratello  Paolo  dai  suoi  concittadini  a  com- 
plimentare Lorenzo  de  Medici  Duca  d'  Urbino  per 
r  acquisto  da    esso    Tatto  di  quello    slato.    Dopo  aver 


n  Che  se  di  viver  sazio 
»  Ei  lascerà  la  terra  , 
»>  Sciolta  la  frale  spoglia  , 
>j  Che  1'  alma  serra  ; 
»>   Possa  alle  mense  assidersi 
j>  De'  Numi  in  riso  eterno  , 
)>   E  cangi  ìh  miglior  nettare 
il  II  suo  Falerno.  »> 
(i)  4  questa  circostanza  si  allude  ne*  seguenti  versi  di    Fa- 
bio  Figlie  : 

«  Tandem  ,  Jane  ,  oculjs  aufer  Miracula  Divura  , 

»  INam  decet  arcanis  sacra  latere  locis. 
»>  Ni  facis  ,  accurrent  vario  tot  ab  orbe  poelae 

»  Quot  Pcrsarum  iniere  agmina  Thcrmopyl^s. 
»  Nec  libi  ,  quot  scita  populo  statuere  Quiritum 
'?  Bissenae  ad  versus  sat  luerint  labulae.  u 


317 

finito  ì  suol  sluclj  a  Padova,  ed  ess'^rsl  dedicato  alb. 
pratica  della  medicina ,  Francesco  fissò  la  sua  resi- 
denza in  Roma  (i).  Sembra  tuttavia  clie  egli  non 
acquistasse  il  favor  del  Pontefice ,  né  ottenesse  Ij  di 
lui  amicizia  ,  del  che  si  rende  ragione  col  dire  ,  che 
egli  era  troppo  amante  della  sua  propria  libertà  per 
seguire  la  corte ,  e  che  quindi  la  corte  lo  trascurò  (2). 


(l)  Tì'raboschi  T.  VII.  p.  ìli.  p.  200,  dove  si  vede,  chie 
ArsìUi  rilornò  a  Sinigaglia  nell'  anno  i527  non  più  ricco  di 
quello  che  era  partito,  e  visse  colà  fino  al  i?:Jo.  Diverse  altre 
opere  di  questo  autore  giacciono  ancora  manoscritte  ,  tra  la 
quali  Tirahoschi  fa  menzione  delle  seguenti:  Amorwnlih.  IIl^ 
Pirmillieidns  Uh.  ITI:,  Piscatio  •  Ile'uctiaclos  Uh.  Il  Prae~ 
dictioìium  !ib.  IH.  Onoralo  Fascitclli  ha  celebrato  la  memo- 
ria di  Arsila  co'  seguenti  versi  : 

In  bbilu  Ars'llij  Medici  ,  et  Poetae. 
Ergo  videmus  lamine  hoc  spirahiii 

»  Cassum  jacere  te  quoque  ; 
»>  Ut  plebe  quivis  unus  e  vili  jacet , 

»>  Arsille  ,  magno  Apo'Iini 
)>  Novemque  musis  care  ?  Sive  poculis 

>5  Piaesenlibus  morbi  graves 
j>  Essrnt  levandi  ,  sive  dulci  f::rminc 

>?  Direuda  mater  aurea 
n  Cupidinum  ,  iususquc  fnrtorum  leve?, 

»  O  vota  nostra  iuania! 
35  Quid  dura  faii  non  potest  necessitas  ? 

55  I  ,  da   lyram  mihi ,  puer  , 
w  Manuque  funde  proniore  Caecubura. 

»  Nunc  sunt  Lyaci  munera  , 
«  Nunc  plectra  cordi  ,  nunc  juvat  leclissirao 

»  Cinxisse  flore  tempora. 
»>  Sieri  ,  tenebris  obsiti  .  tristi  in  styge 
"  Portasse  cras  sitebimus.  »5 
p)  »  Natura  enim  frugi  ,  et  aurae    libsrtatis   custos  ,    Vali- 


2l8 

Arsilli  fu  dunque  uno  dei  pochi  esempi  che  in  quel 
tempo  si  viddero  del  merito  non  ricompensato  ;  ed  il 
suo  malcontento  yiene  acutamente  espresso  nel  prin- 
cipio del  suo  poema  indirizzato  a  Paolo  Giovio  ,  nel 
quale  egli  entra  nel  paragone  seguente  tra  la  prote- 
zione accordata  ai  poeti  dell'  antichità ,  e  quella  ac- 
cordala ai  poeti  del  suo  tempo  : 

Se  più  1'  onor  dell'  Apollinea  fronda 
La  prisca  arroghi ,  o  la  recente  etade , 
Spesso',  Paolo ,  tra  me  librai  pensoso. 

Fiorir  le  muse ,  allor  che  prence  Augusto 
Il  fren  reggea  della  potente  Roma; 
E  i  cantor  Mecenate ,  e  i  chiari  ingegni 
Con  largo  premio  incoraggiar  solea. 
Facondo  Orazio  il  mostra  ,  e  quel  che  1'  arme 
Cantò  del  Frigio  duce,  e  Ovidio,  e  molti, 
Che  di  divino  spirto  ridondanti 
Fama  immortai  per  tutto  l' orbe  onora. 
Cesare  a  lor  solea  porger  benigno 
1/  orecchio  :  ai  sordi  a^  nostri  dì  si  canta. 
Ben  rozza  era  la  mente  ,  a  cui  non  fosse 
Sprone  di  sì  gran  prence  il  sol  desìo  ! 
Ora,  tai  cose  nel  pensier  volgendo, 
Cedan  ,  gridio,  i  di  recenti  ai  prischi! 

Ma  se  i  dì  nostri ,  e  se  l' avara  tempra 
Del  secolo  contemplo ,  onde  troncato 
Vedi  il  varco  alle  muse ,  e  del  Parnassi 


55  canam    aulam ,    et    potentium    limina ,    contumaci  quadara 
'5  siiperKia  devitabat.  >j  /op-.  iii  elog.  ArsUlii. 


ax9 

Giacer  V  alloro  di  ■vii  fango  Intriso  ; 

Più  la  gloria  non  cedo  ai  di  vetusti. 
Solo  amor  di  virtute  i  rati  or  muove  j 

Ne  risuonar  fa  i  plettri  alta  mercede. 

Oh  !  se  alcun  quel  gregge  agli  ubertosi 

Paschi  guidasse  di  Minerva  ,  e  i  Lupi 

Rabbiosi  ne  cacciasse ,  digrignanti 

11  vello  a  lacerar  sacrato  a  Febo  ; 

Quai  di  nettareo. gusto  aspersi  canti 

Udremmo  allor ,  invidia  ai  prischi ,  ed  onta  i 
Cospira  or  tutto  a  disseccar  la  vena; 

Eppur  r  estro  poetico  ribolle, 

E  '1  celeste  furor  nell'  alme  infuso 

I  vati  accende  di  lor  sorte  ignari  !  (a) 

A  questi  sfoghi  lamentevoli  possono  servire  di  ris- 
posta sufficiente  i  numerosi  esempj  della  liberalità 
del  Pontefice  verso  i  professori  di  ogni  genere  di  let- 
teratura ,  e  la  testimonianza  uniforme  de'  suoi  con- 
temporanei (i)  ;  ma  per  quest'oggetto  non  fa  d' uopo 


(a)  Io  mi  sono  studiato  di  tradurre  alla  meglio  sulF  origi- 
nale latino  quesi  due  squarci  del  poema  di  Risiili  ,  che  il 
sig.  lìascoe  avea  tradotto  con  maggiore  lilierlà  ,  o  almeno  più 
diffusamenìe  in  Inglese. 

(i)  Anche  Giovio  al  quale  il  poema  di  ^rsilli  era  indiriz- 
zato, attribuisce  Y  improvviso  miglioramento  della  bella  lette- 
ratura alla  liberalità  di  Leone  X:  n  Sc'ìpsi't  (Arsillus)  Icpi- 
j>  dum  libellum  de  Poetis  Urbanis  ,  mihi  ,  tanquam  veler' 
»5  sodali,  dedicatum,  quum  Leone  ingeuiis  liberaliter  arri— 
n  dente  ,  multi  undique  poetae  illuslres,  nequaquam  ad  inanes 
ty  spcs  in  uil)em  couflu.\issent  j  et    pulcherrimo    quodam  cer- 


220 

di  ricorrere  se  non  al  poema  medesimo ,  il  quale  e- 
spone  nel  più  chiaro  punto  di  veduta  i  maravigìlosi 
progressi  ,  che  nel  corso  di  pochi  anni  eransi  fatti 
nella  città  di  Roma.  Questi  progressi  veramente  Tau- 
tore  vorrebbe  riguardare  come  un  risultamento  spon- 
taneo dell'  ingegno  ,  dei  talenti ,  e  delle  virtù,  di  co- 
loro ,  che  egli  ha  preso  a  celebrare  ;  ma  egli  avreb- 
be potuto  egualmente  darci  ad  intendere  ,  che  in  quel 
giorni  i  fiori  della  primavera  spuntavano  nel  cuore 
del  verno ,  come  tentare  di  nasconderci  una  vei'ità  , 
che  è  dimostrata  in  ogni  verso  del  suo  poema  ,  tro- 
vandosi appena  alcuna  persona  di  merito  da  esso  men- 
zionala ,  che  debitore  non  fosse  a  Leon  X  della  sua 
situazione ,  e  quindi  del  credito  che  godeva.  Questo 
autore  si  è  esteso  con  particolare  compiacenza  sui 
meriti   di   Sadoleto  e  di  Bemho. 

Tanti   or  vati  nel  seno  accoglie  Roma , 

Ch'  anzi  la  tomba  illustre  oltenner  fama  ! 
Non  fia  mai ,  ohe  '1  tuo  nome ,  o  Sadoleto , 

O  mai  tua  gloria  scemi  il  tempo   edace; 


n  tatuine  a  singulis  in  una  tantum  statuae  materia  scribe— 
j>  retar,  qua  carminum  farragine  Corjtius,  homo  Trevir  j 
»>  humani  juris  libellis  praeposilus  ,  uli  perbumanus  poetarum 
»  hospes ,  ac  admirator  inclaiuit  ;  ea  scilicct  statua  insigni 
»  marmorea  ,  Aureliano  in  tempio  dedicata  ,  iiivitaiisqne  va— 
V  tibus  ,  ut  tria  numina  Chrisli  Dei  ,  et  Matris  ,  ac  Ariae 
5»  uno  in  signo  ceìebrarent.  »  Jof,  in  Arsilli  Elog.  CUT. 
Q  Dal  testo  di  Giovio  sì  raccoglie^  che  Gorizìo  non  era  pro-^ 
priarttente  Giudice ,  ina  piuttosto  lut  referendario  delle  suppli- 
che ^  che  si  presenUii'aao  al  Pontefice  per  affari  cit^ili.  } 


22 1 

Mentre  del  sasso  Laoconteo  i  sommi 

Prodigi  narri ,  e  come  in   marmo  spiri 

Stretto  da  serpi  il  genìtor  sui  figli; 

E  come  Curzio  in  la  fatai  vorago 

Ratto  si  slanci,  d'amor  patrio  ardente! 
Crederlo  il  deggio  ?  Il   Tosco  stile  infiora 

Bembo,  nell'onda  Veneta  nutrito; 

Che  vanto  egual  nel  latin  carme  impetra  , 

E  in  fuggir  Pane  Galatea  1'  attesta. 

Canta  gli  Eroi  ,  ma  rivai  lor  nel  canto 

Passi  ,  e  la  palma  ai  prischi  di  contende  ; 

Che  se  angusto   confine  ai  carmi  è  dato , 

Il  destrier  frena,  e  a  breve  corso  il  piega. 
Oive'  due  d' Idalii  fiori  onusto  il  seno 

Tornano  a  gara;  e  per  lor  opra  al  fonte 

Mentre  seggon  le  Muse  Aganippeo  , 

Del  sol  fuggendo   le  cocenti  rote  , 

Tempra  sull'auree  corde  eletti   carmi 

Calliope  intenta  a  dilettar  le  suoi'e  ; 

Cui  tutto   ad  una  vooe  il  divin  coro 

Risponde ,  e  al  canto  in  dotti  carmi  applaude. 

Onesto  poema  siccome  ei'a  riferito  nella  Corjciana 
non  consisteva  che  in  cento  uovantadue  distici  ;  ma 
Tirahoschi  ebbe  la  sorte  di  ottenere  un  altro  esemplare 
scritto  di  mano  dell'  autore ,  il  quale  trovasi  accre- 
sciuto coir  aggiunta  di  molti  altri  nomi ,  e  si  esten- 
de fino  a  trecento  ventisette  distici.  La  lettura  di  que- 
sto poema  può  somministrare  agli  ammiratori  della 
poesia  latina  un'  idea  caratteristica  dei  numerosi  au- 
tori in  esso  menzionati  ;  e  la  ristampa  di  quest'  opera 


S2S 

nel  presente  volume  può  dispensarci  diil  continuar*. 
le  nostre  ricerche  sopra  di  un  soggetto ,  che  ci  por- 
terebbe olire  i  limiti,  ai  quali  deve  necessariamente 
restringersi  questa  pgrte  della  presente  opera 


FRANCISCI   ARSILH 
SENOGALLIENSIS 

DE  POETIS  URBANIS, 

AD   PAULUM   JOVIUM 
LIBELLUS. 


aa: 


FRANCISCI   ARSILLI 

SEiNOGiLLIEiNSIS 

DE  POETIS  URBANIS, 

AD   PAULUM   JOVIUM 
L  I B  E  L  L  U  S. 


X  EMPORI  Apolllneae  praesentia  frondis  hoaorem  , 

Illius  ao  laudent  saecula  prisca  ferant  , 
Paule  ,  diù  mecuna  demorsis  uuguibus  acqua 

Sub  trutinà  examea.  judioiumque   traho. 
Felices  Musae  ;  felix  quas  protulit  aetas^ 

Cura  foret   Augusto  principe  Roma   potens. 
Maecenas   Vatum  ingenti  mercede  solebat 

Elicere  iagenia  Pieriamqne   manum. 
Testis  erit  nobis  nuraerosus  Horatius  ,  et  qui 

Jam  cecioit  Phtygio  praelia  gesta  duci. 
Et  Naso  ,  atque  alii ,  vastuui  quos  fama  per  orbeiu 

Nunc  celebrat ,  multo  uumine  piena  cohoi-s. 
Adde  quod  bis  aures  solitus  praestare  benigaas 

Caesar  erat  :  surdis  tempora  nostra  canuiit. 
Ad  laudem  rude  pectus  erat ,  cui  calcar  inerti 

Non  posseot  tanti   Priucipis   ora  dare. 

Leone  X    Tom.   FU.  i& 


2  2& 

Talia  dum  tanitus  dnbia    sub  mente  rerolvo  , 

Temporibus  priscis  cedere   nostra  reor. 
Sed  quoties  aevum  boc ,  peravaraque  temporis  hujus 

Saecula ,  quae  M'isis  occnluere  fores  , 
Obruta  et  ut  jaceal  coeno  Parnassia  laurus  , 

Nostra  ego   nil   illis  esse   minora   puto. 
Nuuc  miseri   taotùm  Vate»  virtutis  amore  , 

Non   pietio   indacti   pleclra   sonora   movent. 
Quos  si  Pastor  ag<^ns  ad  piaguia  oulta  Minerva* 

Ducerei ,  et  rabidos  pelleret  inde  Lupos  , 
Pascua  mordaci   rictu  qui  cuncta  vai;autes 

Phoebei   laniant  veliera   eulta   gregis  , 
Qualia   nectarei   caperes   modulamina  cantus  j 

Forsan   et  antiquis  invidiosa  viris! 
Plurima  nunc  qnaravis  Vatum  conatibus  obstent  , 

Attamen  bis  oestrum   niculid   inesse   vìdes  , 
Quos  furor  ille  animis  coelo  dilapsus  iubaeret  , 

Et   propriae  iramemores   conditionis   agit. 
Hioc  tua   nescio   quid   pectus   praestriugìt ,  et  urgeS 

Ut  snperet  Joviae  glo 'ia  gentis  avos. 
Ao  mca  nescio  quid  molli  dicai  olia  Pboebo  , 

Meque  j  etiam   invitun»   muuera   ad   ista   rapii. 
Hinc  fovet  alma  siuu  sacros  tot  Roma  Poetas 

Fama  ,  quibus  cineres  contigit  apte  suos. 
Aetas  nulla  tuum  raiuuet,  Sadolete,   deoorem ,   (i) 

Gloria  nec  longo   tempore  vieta   cadet, 
Laocoontei  narras  dum   marmoris  artes  , 

Concidat  ut  natis  vinctus  ab  angue   pater. 
C]urtius  utque  etiam   patriae  succensus  amore  j 

Et  specie  et  forti  conspìciendus  equo  j 


Fervflda    duin  virlua  foret  in  juvenllibus  aunis 

Praecipitem  sese  tristia  ia  antra  dedit. 
Bembus  ,  et  hoc  mirum  est,   Venelis  natritu*  ia  uudis  (2) 

Elhrusco  hunc  taatutia  quis  putet  ore  loqui  ? 
Nec  minus  est  Elegis   Latio  sermone  disertus. 

Hoc  Pana  ostendit  dura  Gala.ea   fugit. 
Di''  caoit  Heroas  ,  atque  illos  versibus  aequat  3 

Et  superai  cantu    tempora  prisca  novo. 
la  breve  sive  opus  est  spatiaaa  deflectere   Carmen  , 

Gurrioulo  effraenis  colla  retorquet  equi. 
Hi  simul  Idalios  Damascai  e  gramine  ruris 

Unanimi  flores  saepè  tulere  sino  ; 
Horum  opera  ,  ad  fonlis  dam  Muiae  Aganippidos  umbram 

Phoebei   evitaat  torrida  plaastra  jugi  , 
Ut  sociis  vacuas  oblectet  carniiac  meates 

Ad  cilhafae   pulsum   Calliopea   refe;  t  ;  ^ 

Unisonàque  illi   responsaut  voce  Scrores  , 

Et  plauduut  uum^ris  turba  canora  Daae. 
Est  sacer  a   docto  celebralus  Carmine   Vida  ,  (5) 

Vida ,  Cre(noneasÌ3  candida   Musa  soli. 
Panthoiden   Samii  corpus  si  credere  fas  est 

latrasse,    et  clypei   pondera   uoiise   sui; 
Altiloqui  Geniuin    Vaterri  himc  adamasse  Maronis 

Qnis   negat,   ut  Juli   graa.lia   gesta   canat  ? 
Grandia   gesta   canal  ;   canal  ut  confectus  ab   aunis 

Ausoaii  moleni  sustinet   imperii. 
Sperulus  est  Elegis  cultus,  dum  cantat  amcre's  ^   (4) 

Arduns  j  heroum  dum   fera   bella  canit  ; 
Nec  minor  est  Lyricis  ,  cum  barbitos  aemula  Vali 
Aeolio  molles  ccncinit  iota   ciodos 


•228 

Nota  erit  Hesperiis  ;  atque  Indfs  noia  puella , 

Felsineus  mullà  quam  colit  arte  Plus,  (5) 
Idem  prisooram   reserans  enigraata   ^atum 

Conspicuo  reddit  lucidiora  die. 
Est  Gasa  raolliculi  Vales  Nova  carminis   Auctor  ,  (6) 

Cujus  amai  placidos  blaada  Camoena  sales; 
Huic  decor ,  et  cultus  astant  Veaeresque ,  Jooique, 

Hunc  fovet  in  tenero  gratia  trina  sinu. 
Galle,  tuae  passim  resonant  per  compita  laudes ,   (ij) 

Scena  graves  numeros  te  recitante  probat. 
Vivet  in  aeternum   facnndi   Musa  Camilli  , 

Quem   peperil  genitrix  Portia  stirpis  honor.   (8) 
Cèrtat  Romano  tua   pagina  eulta  Tibullo  , 

Laurea   nunc  culli  carminis  aoibigua  est. 
Nonne  reus  Musis  fierem  ,  si  nostra  Cataui  ,  (g) 

Et  Magni  Angusti  laudibus  ora  vacent  ?  (io) 
Namque  siraul  penitus  scrutantur  Numina  Cyrrhae 

Argivasque  docent  verba  Latina  Deas. 
IJst  vafer  ,  et  facilis  peracuto  dente  reuidens 

Laelius ,  austero  toxica  corde  gerens    (ii) 
Huic  quamvis  libeat  verbis  petulaatibus  uti , 

E&t  tameo  ingeuio  mitis  et  arte  potens. 
Quique  supereilii  rigidi  Lunensis  ,  ab  annis  (i2)    ■ 

Assuetus  teneris   scindere  cuncta  Tomos, 
Inde  sibi   metueas  ,   vigili  sic  cuocta  lucerna 

Lustrati  ut  a  nuUis  unguibus  ictus  eat. 
Pindarus  auritas  sylvas   testudine  mulcet  , 

Dulcisoiiàque   trahil  concava  saxa  fide. 
At  modo  quis  Tham^rae  cytharam  non   nescit  amatque^ 

Aurea  cui  nitido  pectore  vena  fluit.  (i3) 


229 

Fluctibns  iramerget  sese  ante  Lycaotiii5  arcto3 

Afquoreis  ,  Phoebi   currus  ad   ima   ruet  , 
Quam  tua  ,  Fauste  ,  cadat  nitidi    oandoris  avena  , 

Cui  levat  Ismeni   Qumiuis  uuda   sitim. 
Castilionum  annumerera  quos  inter?   Martis  acerbi,  (i{) 

Num  Phoebi,  an  Veneris  te  rear  esse  decus  ? 
Miles  in  arma   ferox  ,  peramatà   in    Virgine   cnitis , 

Hiiio  molles  Elegos  ,  bine    fera   bella   cane. 
Et  tu  nomen   habes  ab  nectare  mollis  Hyrnetti , 

Melline  ,   A.oniduin  culmen   et  urbis  amor.   (i5) 
Pene  mihi  exciderant  animo  tua  carmina  ,  Blossi ,  (i6) 

Cui  nova  Acidaliae  vincula   oectit  amor. 
Utque   Gupidineos  confuudens   pul^ere   currus, 

Semper  anhelautes  verbene  tundis   equos. 
At  modo   ne  tantum   priscorum   insultet  hoaori 

Inter  doctiloquos  Lesbia  sola   viros  , 
laclyta  Pisaeo  ,  et  praestanti  sanguine  creta  , 

Foeminei  splendor  Deiaaira  chori  :   (i^) 
Prompta  venit  nostris  non  indignata  choreis , 

Virgineos  facili  plaudere  fronte  pedes  , 
Imparibus  cedit  praesens  cui  versibus  aetas  , 

Quamque  novam  Sapoho  Tibridis  ora  colit. 
Dura  gravidae  nubis  fugient  A  (uilonis  ab  ortu  * 

Dum   madidas  referet  turbidus  Auster  aquas  , 
Sidsra   percutiet  fulgor,   titulusque  Severi,   (i8) 

Pandulphi   pandens  inclyta   gesta   ducis. 
Suggerii  assidue  nomen  tibi  grande  Gasali   (19) 

Melpomene  aeternae  posteritatis  opus. 
Dulcis  Apollineo  demulceos   pectore  chordas 
Aonius  Phileros  agmina  tanta  premit.  (20) 


23o 

*ra  quoque  sea  Flacci  ,  scd  per  ncraora  alta  Próperli 

locedis  ,  libi  habes  ,    Valeriane,  locum.  (21) 
Fiondibus  Aoniìs  tCj  Pimpinelle  ,  decorura  (22) 

Vidimus  ,  et  racrilis  laurea  serta  comis. 
Dum   recinent   volucres  ,   tundent   dum   Httora   Quctus  , 

Impluraes  foctus  dum  ferct  unda  maris  , 
Huic  aderis  semper  mollis ,  Beroaldp  ,   trophaeo ,  (23) 

Blanda   Venusinae  cai  favet  anra  Lyras. 
Est  Marius  versi!  ,   pergrato   et  scoravate   notus  ,   (2+) 

Cui  virìdes  colles   ruraqiie  amoena   plaocnt. 
Saepiìis  itidè  novetn  vocat  ad   vineta   Sorores 

Munifica  impendens»  ritria   poma   manu  ; 
Promiltitqne  rosa?  ,  vioìa!=;  ,  vaccinia  ,  et  alba 

Lilia  ,   cùtiì   primo   vere   tepescet  humus.  « 

tìis  scelus  est,  magmim  non  asseruis-e  Gapellam,   (25) 

Rorls  Apollinei  cui  rigat  ora  liquor. 
Non   le  3    Amiterne  ,  sinam  ,  dubias  sub  nocfe  sileoli  (2G) 

Per  tenebras   nullo  lurnine  ferre  gradum. 
Nara  tu  Pegasidum  juvenes  deducis  ad  undas  , 

Quos  fovet  ingenti  Marlia  Roma  siau. 
Lippus  adest  caro  natali  sidere  mancus  (27) 

Lumiae  3  sed  docto  Carmen  ab  ore  morens. 
Delius  huic  lucis  dedit  haeo  solatia  ademptae  , 

Ne  misera  ex  omni  sors  sua   parte   foret. 
Nam  subito  revocat  blanda  in   cerlamina  Divas  , 

Dum  movet  Ausoniam  dulciùs   arte  chelym. 
Cyrrhaeas  latpbi-as  ,  et  amoena  j  Maroslicus  ,  antra,  (28} 

Visit ,  et  huic  Erato  pranvia  signa    tulit. 
ìudè  raiser  dominae  tactus  dnlcedioe  amandi 

Demulsit  placidie  ferrea  corda  modi». 


23 1 

llliim  tu  blandis  aeqnas,  Vallate,  CamoaDÌs ,  (29) 

loffenio  j  inventa,  Carmine,  judicio  ; 
Quem  peaes  arguto  scribendi  Epigrammata  sensu 

Laus  fait  ,  et  gratos   tingere  felle  saies. 
His  te  cui  Charites  adsnnt ,   Agalhine,  choreis  (3o) 

Insere  et  aurata  carmina  funde  lyrà, 
Pbiléticum  haud  Lucam  sileo ,  qui  nomen  ab   ipsà   (5 1) 

Luce  tcoens  ,  tenebra»  dispulit  ingenii. 
Èst  et  Flaminius  nimium  sibi  durus  et  atros ,  (^2) 

Cujus  avena  potest  scribere  quidquid  avet. 
Unica  spes  genti  et  languentum  Djaxiraa  cura 

Scipio,  qui  Ghoa  est  clarus  ab  arte  reuex.   (33) 
Hunc  quamvis   A.rvina  preraat ,  ^igil  iotus  oberrat 

Spiritus,  et  sacro  pectore  multa  fovet. 
Noscìt  sic  montes  ,  sylvas,  maria,  oppida  et  amnes  j 

PoIIus,  ac  solidis  viderit  illa  oculis    (ÒA) 
Te,  si  Colloti,  6   Musarura  candide  alumne,    (35| 

Praeteream  ,   Vates  invidiosus  ero  ; 
Urbis  deliciae  ,  dictant  cui  verba  lepores  , 

Lactens  a  dulci  cui   fluit  ore   liquor  ; 
Felix  exactae  est  sic  Carteromachus  arlis  (3G) 

Ut  nihil  adscribi  diminuivo  queat. 
Éuterpen  trahit  hic  sociasque  e  Phocidos  ora  , 

Romuleique  jabet  littus  amare  soli. 
Sospite  Parrhasio,  Romana  Academia ,  opacis   (ò-j) 

Occultum  in  tenebria  nil  sinit  esse  diù. 
Hunc  circum  urbanus  latrando  livor  oberrat  , 

Et  fessa  externara  voce  reposcit  open. 
Ille  velut  Daaaes  turri  munitus  iu  alta  , 

Ridenti  imbelles  despicit  ore  rainas. 


Tocibns  «l  placìcìis,  placido  et  modnlarnine ,  Sircn 

Fallaci   nautas  mersit  et  arie  rates , 
Sic  modo,  Parthenope  erudiit  quem  docta ,  Vopisci(38) 

Decipilur  blaadis  cauta   puella  modis. 
Idem  Gardonis   magni   dum  forti  a  in  armis 

Gesta  canitj  grandi  fertur  in  astra  sono, 
Cecropiaeque  imos  linguae  Latiaeque  recessus 

Scrotatus  ,  nyraphis  muuera  rara  tulit. 
Ut  volucrum  Regina  sapervolat  aethera  ,  et  airi 

Immotum  lumen  solis  io  orbe  tenet , 
Sic  illà  genitus  darà  Mariangelus  urbe,  (3 9) 

Alite  quae  a  Jovià  nobile  nomea  habet  , 
Felici   ingeaio  solers  speculatur  in  antro 

Gorycio  ,  unde  referl  carminis  omne  genus. 
Quantum  Ramatio  tellus  Fulginia  ,  tantum  {4o) 

Arcade   grandisono  Narnia   terra  nitet. 
Imponnra   prisci   donec   tenuèie   Quiriles 

Dum  stelit  Augusto  maxima  Roma  Duce, 
Vix  latiae  linguae  Soyhicas  penetravi!  ad  oras 

Nomen   et  iilius   fama  sinistra   fuit. 
At  modo  quae  latos  glacialis  Vistula  campos 

Abluit,  et  gelidum   per  mare  fiodit  iter, 
Sucihenium  ingenio  praestanti  misit  ad   Urbeoj,  C^*^) 

Qui  modo  lege  sui  carminis  urget  avos. 
Explicat  ardores,  et  amicae  ventilat  ignes, 

Praebeat  ut  victas  dura  puella  manus. 
Alta  supervolitans  Ursinus  tecta  Quirini   (^s) 

Fertur  Parrhasii   Gaspar  ab  axe  poli 
Barbariem   inoultam   patriis  de  fioibus  arcet,, 

Ducit  et  Ausooias  in  uova  tempia  Deas, 


233 

Aemulns  huic,  concors  patria,  jnreniìlbas  anni» 

S^-lvanus  nurneris  certat  et  arte  pari    (43) 
Auspice  germanas  hoc  jam  fluxére  per  oras 

Attica  Romano  conflua   mella   favo. 
Hqnc  puer  Walià  doctum  cum  matre  Cupido 

Mirautur  Vatem  duin  sua  farla  canìt. 
Praecipiti  quoties  cestro  nova  carmina  di(5tat 

Pierio  tolies  dignus  honore  frui. 
Pannonia  a  forti   Celebris  jam  milite  tantum 

Exlitit  ;  at  binis  Vatibns  aucta  modo  est. 
Nam   Latium  Piso  sitibundo  ita  gutture  rorem   (ii) 

Hausit ,  ut  Ausoniis  Carmine  certet  avis. 
Nec  minor  est  Jano  ,  patrium  qui  primus  ad  Istrum 

Diixit  laurigeras  ex   Helicone  Deas. 
Fulvius  a  septem  descripsit  montìbus  Urbem  ,   ((5) 

Rf^ddit  et  antiquis  nomina   prisca  locis  , 
Fulminerà  est  adeò   lingua   Syllanus,  ut   illi   (4^) 

Aonium  facili   murmurc  flumen   eat. 
Flava  Tibaldeum   placidis  sic  Flavia  ocellis  (4^^) 

Incitat  ,  occultis  praecipitatque  dolis, 
Aptior  ut  oullus  malesani  peotoris  igne» 

Explicet  ,  et  lepida  comptior  arte  sales. 
Urbs  Patavi  foret  orba  suo  ne  semper  alumno  , 

Cujus  opus  tantum  blanda  Colomba  fuit, 
Illius  Elysiis  fato  revocatus  ab  umbris 

Spiritus  ,  in  lucem  nunc  redivivus  agit, 
Pectora  nam  tribuit  facilis  Bonfilius  illi,  (i8) 

Nec  minor  ingenio^  nec  minor  arte  valet. 
Nec  mea  Calliope  Paleotum  fessa  silebit,  (49) 

Cui  fons  irrorai  pectora  Castaliue. 


i34 

Laeta  (laftntisoao  reraeabat  ab  aeqaore  Cy^rh  , 

locipit  ,  et  taato  carminp  conflat  opus. 
Quis  Pbaedrnm  ignorai,  Vjgilisque  poemata  magni?  (5fl») 

Maxima   Romani  lumina  Gyranasii. 
Sacceus  invidi  celebrai   nuno  gesta  Triulti  ,    (5l) 

Invictasque  aquilas  ,  roagnanimumque  senem. 
Fortunate  senex  ,  qnis  te  furor  impius  egit  ? 

Car  geris  in  patrios  arma  nefanrla  lares  ? 
Phoebus  ad  externas  peregrìnaque  regna  sorores 

Duclurus  Cyrrhae  quae  juga  summa  coluut  , 
Incoia  barbarica  fierel  ne  collis  amati 

Foeda   timens  ,  coeptum  distulit  aactor  iter , 
Atque  agilem  viridis  cetrara  de  stipite  lauri 

Fabricat ,  hoc  circura  cui  breve  carmen  erat. 
Miles  erit  Phopfei  ,  et  Musarum   railes  ,  honestuna 

Quisquis  barbanco  rulmen   ab  hoste  teget  , 
Turba  pavet ,   tantaeque  timens  discrimina  molis, 

Pensitat  atque  humeris   non  leve  credit  onus. 
Tum  subito  juvenes  inter  proiuplissimus  omnes 

Exilit ,  intrepida  sumit  et  arma   manu. 
ToUitur  applauRu  sociorum   clamor  ,  et  illi 

Ab  Cetra  impositum   uomen  inesse  volunt. 
Dexter  in  omne  genus  scripti   Getrarius  inde  est;   (52) 

Neo  facile  agnosces  ,  aptior  unde   fluat. 
Infantem  quae  cura  regat  ,  quis  cultus  habendus 

Sii  puer»  ,  et  Juveni  qualia  ,  quidve  seni, 
Optiraus  ut  qi:eat  hic  Civis  sine  fraude  vocari , 

Jureque  cui   res  sit  publica  danda   viro  , 
Tempora  qui  placìdae  pacis  siae  fraude  gubernet  , 

Wec  timeat  mortem  ,  cùm  fera  bella  premunì , 


33S 

Fulgina»  Ventarns  agit ,  praeceptaque  in  unum  (53) 

Golligit  j  et  culto  Carmine  promit  opus. 
Jaous,  et  expertus  Macsr  est  depellcre  raorbos,  (5^) 

Pieridum  tenero  cultor  ab  nngne  chori  , 
Fulvia  quem  fallax  mcdicis  substraxit  ab  Aris  , 

Jnssii ,  et  Idalii  vulnera  amare  Dei. 
Hansisti ,  Crnciger  ,  «^aoros  Heliconig  hooores  :   (55) 

Hiijc  venit  ad  calamos  prornpta  Thalia  tuos. 
Et  cantal  Leges  ,  sanotique  edicta  Senatiis, 

Ac  duce  le  iosolitas  audet  adire  vias. 
£xprimit  affectus  aaimi  sic  Carmine  verog, 

Postumus ,  nt  lecfor  cuno'a  videre  putet:  (56) 
Cùm  libet  ad  lacrymas  ndeotis  lumina  amicae 

Flectit ,  et  ad  risum  cùm  gemit ,  ora  movet. 
Marce  Aganippoeos  lalices  qui  e  fonte  Caballus  (5 7) 

Eruitj  ille  tibi  nomina  sacra  dedit. 
lode  tuis  Cbarites  numeris  haerere  videntur 

Nnmen   et  Idalium  ,  Pegasidumque  chori. 
At  modo  Bombasi  quo  non   vaga  fama  refulget  ?  (58) 

Coi  reserant  Musae  Phocidos  anlra  novem. 
Jjittoris  Adriaci  nuper  dehta  per  agros 

Perque  Ravennatis  pinguia  culla  soli 3 
Gentis  Aquitanae  turmas  3  et  gentis  Iberae 

Agmina ,  ad  iafernos  agmina  pulsa  iacus , 
Marcellus  cecinit  primaevo  in  flore  juventae,  (Sq) 

Praeliaque  intrepido  Carmine  saeva  gcrit  ; 
Romuleae  genlis  longè  indignatus,  et  idem 

Auctorcm  per  tot  saecnìa  nocte  premi , 
Hiades  magni  genus  arraipotentis  ,  ut  urbera 

Fà'lalcm  aclernnm  struxit  io  orbe  caput.. 


236 

Et  landpm  ut  palrium  meritò  jam  possidel  astram , 

Utque  ipsum  indigetem  Martia  Roma  colit , 
Coòcitus   Aonio  reseral  Palonius  cestro 

Unica  Romuleae  spesque  decusque  togae. 
Hiiic  mihi  se  offerì  Parmensi  missns  ab  urbe  (60) 

Dardanus  Aoniis  peotora  Ictus  aquis. 
Hic  canit  Ausonias  quoties  irrumpat  in   oras 

Barbarus ,  et  quanto  fulmine  bella  fremant. 
Idem  sollicitos  Elegis  solatur  amores  , 

A'qne  gemit  Dcminae   tristior  ante  fores  ; 
Qua  Padus  ingenfes  Vesuli  de  vertice  pinus 

Volvit  et  occultis   exerit  ora  vadis  , 
Idem  contractis  Epigrammata  condere  verbis 

Gaudet  ,   et  argutos   promere   ab  ore   sales  ,   - 
Cui  dum   Caesareas  percurrit  Carmine   laudes 

Continuit   rapidas   Renus  et  Ister  aquas. 
Hnnc   merito   Gaesar   Lauri   dignatns  honore  est  , 

Huicque  Palatini  miiitis  arma  dedit. 
Monstra  quid  Hpsperiis  portendant   urbibus,  acri 

Ingenio  et  quidquid  exta  resecta   notent  , 
Jane  j   Pancrmeae  telluris  gloria,  narras ,  (61) 

Cui  vix  iu  vultu  prima  juventa  nitet  ; 
Tuque  etiam  ingenio  scandis  super  ardua  primuE 

Sidera  ,  olympiacas  ausus  adire  demos. 
Aftlatusque  animis  aeiemis  couciuis  hymnos 

Aetherei   reserans  claustra  veranda  Jovis. 
Vergilii  hie  manes  semper  sub  nocte  silenti 

Evooat,  et  Musis  cogit  adesse  suis. 
Te  Maro  non  ausim  ,  prisco  cui  Musa  Maroai  (62) 

Aemula  dat  Latio  nomina  nota  foro  ^ 


Immemor  ob^curas-inter.liqui^se  tcnebras , 

Et   sinere   ignavo  deluuisse  sita. 
Exiiis  huniaQos  exteraplò  è  pectore  sensus, 

Fatidioiqae  fureas  iadiiis   ora   Dei  ; 
Pulcher  inaurata  quoties  testudine  Jopas 

Personal,  et  placido    murnoure   fila   movet. 
Hauriretque  Helicona  priùs  ,  Dircesque  Quanta, 

Desereret  caeptum  quàm  tuus  ardor  opus. 
Liviani  audentis  narrai  fera  bella  Modeslns,  (65) 

Quotque  homiuuru  dederit  millia  multa  neci, 
Inter  ut  arma  illi  mens  imperterrita   mansit; 

Hujus  opus  Seres  j  Autipodesqae  legent. 
Ille  opifex   rerum  ooeli   qui  lapsus  ab  Arce 

Filius  aeleroi  maximus  ille  Jovis, 
Orbe  pererrato  ,  cùm  quid  bene  gesserai  olìoa  , 

Describi  insolito   carmiue  vellet   opus  , 
Musarum  infantem  subirà xit  ab  ubere   sacro 

Aooio  assuetum   fonte  levare  sitim  ; 
Nomea  et  imponeus   peramalae  a  stipite  frondis 

Dixil  ,  Queruus   eris  ,   tu   raea   gesta   canes.   (04) 
Inde  sacrosaucto  celebrai  sic   omnia  versu 

Diviaum   ut  cuncti    numen   ioesse   puteut. 
At  quibus  e  doctis   doraus   est   ignota  Goiyti  ?    (65) 

Thespiadum  curae  est  cui   bona   ne  pereaul: 
Vatibus  hic  sacris  Maecenas  spleudidus^  illi. 

Si  foret  Augustus ,  tempora  avara   uoceut, 
At  tua,  quod  potis  es ,  suut  Pboebi  teda  sacelluoaia 

Cumque  uovem  Musis  illa  frequentai  Amor. 
Verticis  Aonii   Musarum   in   culmine  lemplum 

Desertum  stabal ,  jam  siue  boaore  iocus  : 


a38 

Annaa  poenllult  Phoebuna  pia  sacra  Sororuna 

Jatndudùm  ^  aruisso  flamine  ,  nulla  fore  ; 
Quaesitumque  dil!i  juvenem   renovare  quotaonis 

Mytica  sacra  jnbet ,   Flaminiumque  vooat. 
Inile  Elfgos  .  blanrlosque  sales  ,  seu  fortia   bella  , 

Pangit  ,  habet  venerea  ,   nec  decor  ullus  abest» 
Invidit  "Vati  Spartanus  Railius   Umbro  (06) 

Te  gravibus  recinens  pulchra  Licina  modis  , 
Et  patria  Eurotas  licet  hunc  iostruxerit  arte , 

Te  tamen   ausonio  Carmine  ad  astra   tulit. 
Delie,   ni   vires  nosset  sibi   conscia   virtus ,   (C7) 

Ipse  tnas  laudes  band   timide  exequerer. 
Sed   quoniam   praestat   molem  evitasse   perieli  , 

Quam   grave  curvato   poplite  fundere   onus , 
Cùm  tua  Romulidum  volitet  vaga  fama  per  urbem  , 

Ne  male  coepta  caoam  ,  sit  voluisse  satis. 
A  patria  j  a  Musis,   Phocboque  urbique  Quirituna  j 

Ac  reus  a  populi   publicus  ore  ferar  , 
Ni  tua  multiplici  studio  praestantia  ,  Ulysse ,   (08) 

Pectora  sacratis  Vat  bus  aunuoaerera. 
Notitia  in  tenebris  nulla  est   adeo  abdita  rerum 

Ingenìo  fuerit  quin   bene   eulta   tuo  ; 
Omnia  nana  septam   reserasti  arcana  sororura  ; 

Libera  quaruin   Arfes  noscere  corda  decet. 
Nec   tibi  deficiunl   (  bisseptem   tempora   lustri 

Cùm  supcres  )  vires  corporis  atque  animi. 
Clareli   ingenua  elligies  frontisque   serenae  {Gg) 

Blandus  bouos  Musas  ad  sua  castra  vocat. 
Jllius  ex  hiiari   genium   dignoscere   vultu 

JEit  nienieoi  .  et  sensus,  cordaque  aperta  licpt. 


Sullae  unquam  poterunt  fraudes  se  inferrc  Camoenis, 

Quas  tibi   lascivo  muriuure  dictat  amor. 
Hoc  duce  ,  Nyoipha  olim    V'euerisque  perislera  custos 

Fit  volncris  3  voIutì  quae  vehit  a\e  Deam. 
Per  sylvas  quolies  nemorosis  saìtlbus  errai  , 

Calliope  acternum  sola   mioistrat  opas  , 
AiTnaqae  grandiloquo  resonantia   carinine   Phaebus 

liigerit ,  et  gravibns  verba  sonora  niodis. 
Fellpque  mordaci  brevibus  senteatia  dictis 

NoQ  caret,  hosùli   cùm  vomit  ore  sales. 
Atque  Atriae  liic  nostri  doctissima  pectora  sedi 

Non  silet,  armati   nec  fera  bella  ducis. 
Pactius  Ethrnscae  modo  plurima  gloria  gerilis   (70) 

Petrus  adest ,  clivo  raaximas   Aonio  , 
Ncbilitas  qupra  clara  fovet  Geaiusque  Gharisque , 

Et  prudens   fraudum   nescia   siinplioitas. 
FortuDaraque  super  generosa  mente  vagatur , 

Illius  baud  unquam  territus  insidìis. 
Non  rapit  in  prasceps  lete  ambitiosa   cupido 

Intra  fortunara  vivere  docte  tuan». 
lagerit  huio  mirum  nil  sors  inopina  ,   tiovuraque 

Omnia  qui   immoto   pectore   adire   polest. 
Candida  sublimem  te  vexit  ad  aethera  virtua 

Fclicem  reddens  assimilemque  Deis. 
De  grege  qnis  posset  ,  posset  quis  credere  inerii 

Quem  mona  praepingui  rure  Casinus  alit , 
Solus  honoratus  vigilanti  mente  Sacerdos    (71) 

Aonidum  cantus  post  sua  vota  colit  ? 
Fascitella  doraus  priscorum  è  fascibus  orla , 
Quos  velcri  imperio  stiips  generosa  tulit. 


ii4o 

Eilirlit  iafantem  ,  nascenti  Aeneia  natrir 

Affuit  ,  exoepit  ,  cumposaitque  caput  , 
Ubeiaque  admovìt  pieno  turgentìa  succo  : 

Auoiori  arrisit   muaeris  ore   puer  ; 
Intrejjidàque  manu  pressit  ,   suxitque  papillas  ; 

Lacte  reduudanti  cessit  aahela  sitis  ; 
Musarumque  ipsam  altrici   commendat ,  ut   Inter 

Pierides  Ciarli  disceret  acta  Dei. 
Exjepere  Dpae  uuaoimes,  et  mistica  Phoebi 
'    Sacra  docent  patriis  restituuntque  focis. 
Cecropiae  Line  caecas  latebras  arcanaque  liuguae 

Aufractusque  omnes  multiplicesqae  dolos  , 
Et  quocumque  olim  veterum  invidiosa  propaga 

Liquit  in  obscuris  semisepulta  locis  , 
Paulatim  explorans  fulgeuti   luce  reoessus 

Discutit ,  et  nitido  tramite  monst"at  iter. 
Nam  brevibus  longas  ambages  legibus  aafert , 

Et   parvo  immeusum  codice  stringit  opus. 
Spntibus  evulsis  nudo  jam  calle  per  amplos 

Ire  licet  montes  Pieridumque  nemus. 
Hoc  duce ,  Parnassi   pubes  petet  Itala  culmea 

Altaque  securo  oonleret  arra   pede. 
Daphni  ,  tibi  Sjdus  nascenti  afflavit  Apollo,  (72) 

Inge-ssitque  libens  numina  et  artis  opem. 
Hinc  Elegos  promptosque  sales  eultissime  pangis^ 

Nec  desit  nuraeris  Dorica  lingua  tuis. 
Te  quoque  Romulidum  et  cultae  spes  altera  lingaae 

latexam  chartis ,  caadide  Sanga  ,  meis.    (7  3) 
Vos  animae  ,  aelerni  quos  ingens  nominis  ardor 

Sollicitat  noctu  ,  sollicitalque  die  , 


24l 

Quas  stimuHs  agitant  lauflum  praeconia ,  qaasqae  haec 

Poenitet  haud   vatum   celsa   trophea   seqai. 
Laurea   deponat   vobis   moHò   serta   capillas  ; 

Surgite  ira  amplexns  ,  jam   Deus  alter  adest. 
Namque  Gaìedonio  Paceus  ab  axe  Secerdos 

Cortinarn  ingreditar  ad  pia  Tempia  fereiis  , 
Cortiaam  ,  qua  riie   iitat  libi  ,  Delphice  ,  quando 

Attica  Romulidum   ac  inclyta  sacra  colit. 
MuIsHis  aotiquum   nitido  candore  nitorera  (^4) 

Possidet ,  et   prisca  simplicitate  viget , 
Sincerusque  fluit,   nec  fuco  nobile  adumbrat 

Carmen  ,   sed   casto  pectore  sacra  colit , 
HuQC  quoaiana  illius  canta  oblectantur  ainoeno 

Gypris  ,  et  aurato   gratia  blanda   siuu  , 
Semper  dulcisonos  ut  lameutenlur  amores 

Perpetuis  flammis  ini()robus  urit   Amor. 
Fortunate  bonis  animi  felic  bus  aucte 

Pracsagi   merito  nomen  ab  ingenio  . 
Gratulor  ,  ingeminat   tibi  quòd   malefida  dolore? 

Julia,  quae  aurìcomi  nomina  solis  habet. 
Namque  nisi  ex  allo  sic  dissimularet  amores  , 

Non   foret  a   canta   tam   bene   nota   tuo. 
Quis  raeliùs  doctum  te,   Alexandrine  ,  GatuUum ,   ('j5) 

Jam   promptis   numeris   le   insinuare   potest  ? 
Eiige  quibus  Daphuem   lamentis  ,  aut  quibus  olim 

Foroiosum  iadoluit  Gynthius  Aebalidem  , 
Ac  veluti  jecur  aeternum   sub   vulture   moerens  , 

DeQeat  Japeti   viscera  hiulca   satus  , 
Qualibusaut  lacrymis   Geyoem   in   gnrgite   vasto 

Siibinersum   flevit  tam   misera   Alcyone, 

LfiONE  X.   Fai.   ni.  16 


Candide  lector ,  aves  si   noscere ,  si  vacat ,  enge 

Da  raoestis  aures  vocibus  Euryali  , 
Dum  queritur  fastus  iratae  Juliae  ,  et  artes, 
Illecebras  ,  fraudes  ,  jurgia  ,  farla  ,  dolos. 
Calliope  buie  dextram  tribuit  Dea  sponte   papillam  , 

Threicio  Vati  mamma  sinistra  data  est. 
Centelles  gemini   fralres  slirps  inclyta,  aviti   ('jG) 

Post  habila  Siculi   nobilitate  soli, 
Illecti  paritcr  linguae  dulcedine  ad  urbera 

Migrarunt,  Glarii  bina  tro[)hea  Dei; 
Quorum   pectoribus  sic  mutuus  ardor  inhaeret, 

Altpr   ut  alterius   pectore   corda   ferat  ; 
Concordesque  animo   Pboebei   gramina    campi  , 

Antraque   solhcito  trivit   uterque   pede. 
Hos   inter   natu   major   viridante   capillum 

Lauro   Hieroa   cinctus   tempora   nixa   gerii  ; 
Heroumqne   canit  laudes  ingentiaque  acta  , 

Acla   quibus   jaslo   murnaure   p'ectra   movet  ; 
Mellift*rae  inventuin   segetis  ,   dulcemque   liqaorem  , 

Ut  trahit  e   molli   canna   palustris  humo  , 
Et   quis   arundiiiibas  cullus  ,  quae   tempora   messis 

Dalcia  quin   etiam   saccara   ut   orbis  babcl. 
Franciscus   minor   enodat   Centello   propago  , 

Et   leges  strinxit   juraque   certa   dedit. 
Non   adeo   in   specubus   lalitans  borrenlis  Eremi  , 

Damnatus  voti  dum  bona  sacra   novas  , 
Illorum  ut  careaut  ritu  ,  Stephane  alme  ,   Quiiites 

Obscoenae   nulli   sacra   adeunda   pede. 
Hos  quoque  qui  ad  Tanaim   penetrai  gcnus  usque  uivalerai 
Insequitur  dexliis  Nerlius  alilibus  :   (-)'')) 


a43 

Non  le  divitiae»  faslus,  praecepsque  juyenta 

Elevai,   ii)geQÌnra  5   nobilitasve   preaiit  , 
Olla  quin  Elegosque  colas ,   Phoebique  recessus , 

Carmioaque  arguto  tingere  felle  juvel. 
Praemia  ,   Calve,   tuis  quae  digna  laboribiis  unquanij   (78) 

Tarn   bene   prò   meritis   lingua   latina   dabit  ? 
Tu  peregrè  errasti  sublata  voluuiiua  quaerens 

Quantum   Europaeo   lingitur   Ojeano. 
Namque  Caledonii  te  dives  terra  Britaanì 

Novit  j  et  auratis  dives  Iberus  aquis  ; 
Galliaque  et  latis   Germania   frigida   campii?, 

Panaoniosque   secans  turgidus  Istcr  agros. 
Quidquid  Barbarici  Martis  furor  impius  elim 

Absiulit ,  ad  patriae  limiua  grata   refers. 
Ecce   iterura  antiquum   le   porrigilante   nitorem, 

Roma   lenet,   candor   pristinus   ilie  redit. 
Madalius  placido  immitem  dum  murmare  amicam  (nn) 

Dedet,   et  assiduo   murmuie   mosslus   hiat , 
Multifulo   Aonii  silvàs   in    vertice   mentis 

Piantai,   et  errantes   mulcet  Hamadryadas. 
Quin   eliam   interduui   mordax   re^onante  susurro 

Ridet,  et  argutos   ingerii  ore   sales. 
Si  tua  non  fictos  Eralo  descripsit  amores  , 

Miror  quod   nouduiu   es ,    Augoriane ,   cinis,    (80) 
Annua   Pierides  celebrant  Phoebeia   Nyaiphae, 

Solemnemque  nolani   munera   rara  diem  , 
Quo  miser  Admeti   pecudes  armenlaque  Pastor 

Deàierit   tandem   tristia   vota   sequi  ; 
Succinctaeque  siuus  niveo  et  circumdalae  amìctii 

Gratautur  reducem  lata  per  arva  Deum  : 


244 

Duraque  ragae  huc  illuc  cursant  per  florida  Tempe, 

Texentem   pueruni   moìlia   seria   vident  , 
Dulcia   cerlalim   dant  oscula  ,   lacte   perungunt 
Albenti ,  Albineo  nomeu  et  inde  fluit.   (8i) 
Collis   et   Aonii   secreta   per  omnia   ducunt  , 

luslillantque  sacri   nuniina   cnncta   loci. 
Haud  igitur  miruin  est ,  si  quidquid  coacipit  alto 

Iiigenio  ,  aequali   Carmine  ,  et  arte  refert. 
Oceano  in    magno  veluti  slat  saxea  moles 
Immota  ,  as.siduìs  (luctibas  icla  maris  , 
Sic   caput  objectat  fortunae  interritus  acri 
Coufisus  Diis  Gloelius  auspicibus  ;   (82) 
Desinit  illa  unquam   ut  valido  intorquere  lacerto 
Spieula ,  in  huac  solutn  spicula  ouucta  ferens  ; 
Sic  animo  invictus  constanti  pectore  scraper 

Imperturbata  vulnera  mente  subii  ; 
Solaturque  suas  Phoebeo  murmurc  curas , 
Murmurc  cui  Latii   plaudit  avena  chori. 
Ca^^talii   foutis  nisi  Bevazanius  undas  (85) 

Hausissel  solitus  pellere  ab  ore  sitim  , 
Non  adeo  felix  hederae  super  alta  coryrabis 

Parnassi  ornatus  monlis  adisset  iter. 
Aeteruos  scripsit  cultus  Lampridius  hymnos  ,  (8{) 

Terreni  laudes  concinuitque  Jovis. 
Carmina  Romano  tantum  placuere  Tonanti , 
His  nulla  ut  nostri  temporis  aequa  putet. 
Si   vetus  obstupuitj  praesens  itidem  obstupet  aetas 

Excultum  Carmen  j  eulte  TibuUe ,   tuum  : 
Haud  mirura  hoc  doctae  genitricis  ab  ubere   sacro 
Hausisli ,  et  casios  parvulus  ante  Lares. 


345 

Inde  tibi   genioque  tno  peramica  fnere 

Saecnla  ,  et   Augusti   uumina  grata  ducis, 
At  modo  bis  denos  floreali  aeiate  decerabres 

Vix  uumerans  quaoto  pectore  Zanchus  ovat  !   (85) 
Phoceases  pariter  Musae  Latiique  Garaoenae 

CoDCordes  una  liunc  spoate  tulere  sinu. 
Certatim  accurruat  Cbarites^  numerosaque  dictant 

Garmiaa  j  juncturas,   pondera,   rerba  ,  souos. 
Ponderibus  rerum  meotem  hic  bene  pascit  et  aures 

Selectis  verbis  mulcet  et  exhilarat. 
Bine  ,  lui  ingenti   vires ,  quibus  omnia  amussim  (8G) 

Patigere  ,  vel  genio  nil   renuente  potes , 
Si  modo  ab  honorum  cultu  divellere  Musas   , 

Ferrea   quas   semper  ducere   rastra   piget  ; 
Atque  alio  illarum  mentem  divertere  et  aures 

Quo  se  humili   extollant  sidera  ad  alta  solo. 
Jamque  tuis  velles  humeris  injungere  munus 

Grande  aliquod  ,  quantus  quantus  in  urbe  fores  ! 
Dura  Celebris  Vates  circurafert  pompa  ^  Molosse  ,  (8'j) 

Ipse  iudicta  feris  horrida  bella  cane  ; 
Queis  cecidere  apri  cervornraque  agmina  longa, 

Et  damae  imbelics  ,  capreolumque  genus  , 
Cùm  Leo  venandi   Palieti  lustra  Ganinum 

Oppidulura  lassus  moenia   parva  subit. 
Illic  ubi  hospitio  exceptum   Pharnesius  heros 

Gonvivam   nulla   non   fovet   arte   Jovem. 
Thespiadum   erudiit   prima   incunabala  nutrix 

Euphemes  ,   natus  cui,   Grote  ,  solus  erat  ;    (88) 
Unde  genus  ,   nomenque   trahens   ab  origine  avita 

Altera  Musarum  pst  maxima   cura  Grotus. 


2/j6 

Batte  ,  melos  tliilci  genifrix  te  Amcrioa  liquore  (8g) 

Imbuii  .   et   primis  imbnit  oberibns. 
Quàm   bene  mellifluo  suscpptum   neclar  ab  ore 

Diffundis  semper  Mania  gp<;ta  canens  ! 
0nae   tuus  anticfuae   prò   moenibns   ille   Ravennae, 

Et  quac  prò  Laribus  ,   docte   Caiulle,   tuis 
Marcus  honos  patriae  ,  slirpisque  Columnicae  ,  et  almae 

Italiae  centra   Gallica  signa  dedit. 
Grandiloquis  gerit   ille   raodis  celebranda   per   orbem 

Praelia  ,   tuque   pari   pectore   bella   rcfers. 
Digna   tuis  beros  numeris  facit  omnia  ,   tuque 

Factis  digoa   suis  carmina   semper  habes. 
Ad   Vatum   coetus   propera,   blandissime   Carsi ,  {9*^) 

Ne   taceas   clausas   tristior  ante  fores  ; 
Nam  data  carceribas  citiùs  si  signa  quadrigae 

Contingant  ^  frustra   vocibus   astra   peies. 
Sufitque   aiii   celebres  ,    qnos   ingens  gloria   toUit , 

Et  quorum  passim   carmina  Roma  legit. 
Horura   si  quÌ5  avet  cognoscere   nomina  amussim 

Prolinùs   Aureli   terapia   superba   pelai,   (qi) 
Illic  marmorea  pendent  suspensa  coluraoà  , 

Atque  eliam  haec   Goryli   pietà   tabella   docet. 
Illos   novit   Arabs  ,   illos   novera   Sabaei  , 

Et  nigri   Aetbiopes ,  arvaque  adusta  geln. 
Vaticinorj  Dis  grata  cohors ,  felicius   aevum 

Pectora   fatidico   murmure   Phoebus  agit; 
Venturus   novtis   Augustus ,   ventnrus  et   alter 

Maecenas ,  Divùn   candida   progeaies. 
Aurea  princìpibus  uovaque  illis  saecula   fieni  . 
Saecula  queie  aetas  ferrea  viota   cadet  j 


Pacificae  grave  Martls  opus  tunc  cedet  olivae  ; 

Romano  cedeut  arma  ortienta  foro. 
Pingràs  humus   passim   nuUis  cuUoribns  ,   ultrò 

Et  Cererera  5   tuaque  muaera  ,   Bacche  ^  dabit. 
Ar^-a  ptde   incarto   pessundare  saucta   profanos 

Non  sinet ,  arva  sacris  caste  adeuada  choris. 
TuQC  virides  lauri   sndabunt   roscida   mella  ^ 

Flnraioa  perpetuo  nectare  lenta  fluent  ; 
Altricemqne  uovus  quando  instaurabitnr  orbis, 

Tellnrem   repeteot  numina  prisca  Deùm. 
Felioes  animae  ,  qaibus  illa  io   tempora  Carmen 

Singula  sub  proprio  pendere  verba   cadent. 
His  ego  ,  si  poterò  meritum  snbscribere  nomea  , 

Forsitao   Arsilli   fama   perenois   erit  ; 
Et  mea  tunc   totnm   felix  Pirmylla   per  orbem 

Vivet  in  exitinm  nata  pnella  meum. 
Ast  ego  non  tantum   mihi   nunc  temerarios  angnr 

Polliceor ,   nec   me   tara   ferus   ardor   agit  , 
Corvus  ut  his  ausim  crocitare  per  arva   Caystri 

Cyencumque  rudi  fingere  voce  melos.   (93) 


s47 


24S 

NOTE 

Del   Traduttore   Italiano  al  Poemetto  di  Francesco 
Arsilli  de    Poetis   Urbanis. 

(i)  Giacomo  SaJoleto  Cardinale.  Dei  dì  lui  versi  sul 
gruppo  del  Laocoonte,  allora  di  recente  scoperto,  come 
pure  sulla  statua  di  Qu  Curzio,  si  parla  ia  questo  vo- 
lume medesimo  alla  pag.  ii  5.  Questo  squarcio  del  poema 
di  Arsilli ,  come  pure  il  primo  principio  del  poema  di- 
retto a  Paolo  Giovio,  sono  stali  da  me  tradotti  suH' ori- 
ginale,  ed  inseiiti  nel  testo,  siccome  avea  pur  fatto  il 
sig.  Boscoe ,   Iraducendoli  in   versi   Inglesi. 

(2)  Pietro  Bemho  ,  del  quale  si  è  lungamente  parlato 
nel  corso  di  quest'opera,  ed  in  questo  stesso  volume. 
C^^oesto  squarcio  pure  trovasi  nella   mia  traduzione. 

(3)  Gìrolaino  Fida  Cremonese  ,  che  fu  poi  Vescovo 
di  Alba.  Di  esso  pure  si  è  fatto  menzione  in  questo  vo- 
lume. 

{{)  Francesco  Speralo  di  Camerino  ,  buon  poeta  latino 
di  que'  tempi.  Si  irovano  alcuni  di  lui  versi  nella  rac- 
colta intitolata  Carmina  ìllustrium  poefarum  Italorum  ^ 
ed  .alcuni  io  ne  bo  veduti  ne'  codici  manoscritti  di  quel 
tempo ,  che  meriterebbono  di  essere  pubblicati.  Nel  mio 
codice  di  Callimaco  era  detto  Spirala. 

(5)  Giovanni  Bat'isia  Pio  Bolognese  ,  scrittore  di  versi 
erotici.  Egli  si  diede  anche  ad  interpretare  i  versi  Si- 
billini ,  de'  quali   si   fecero  in  que'  tempi  molte  edizioni. 

(0)  Marc'  Antonio  Casanova  j  che    alcuni    dicono  Ro- 


roano ,  ed  altri  reputano  nativo  di  Como  s  ra»  figlio  di 
un  padre  Romano,  il  che  viene  anche  accennalo  da 
Giovio.  Passò  per  buon  poeta  in  Roma  a"  tempi  di  Leon  X; 
compose  per  lo  più  epigrammi ,  ed  in  questi  si  diede 
alla  imitazione  di  Marziale  ;  in  qualche  elegìa  dicesi  aver 
egli  imitato  Catullo ,  e  in  queste  cantò  d' ordinario  gli 
uomini  illustri  dell'  antica  Roma.  Egli  fu  protetto  dai 
Coloiinesi  ;  e  si  narra  che  per  compiacere  il  Cardinale 
Pompeo  Colonna  ,  suo  mecenate  ,  scrivesse  versi  satirici 
contro  il  Cardinale  Giulio  de'  Medici ,  ai  quale  il  primo 
era  avverso.  La  cosa  venne  a  notizia  del  Papa,  ed  ognu- 
no giudicò ,  che  Casanova  provar  dovesse  gli  effetti  del 
suo  sdegno;. ma  Leone  con  grandissima  magnanimità  gli 
accordò  il  perdono.  Morì  nel  l52-)  poco  dopo  il  sacco 
di  Roma,  ed  essendo  slato  spogliato  in  quell'incontro 
d' ogni  suo  avere ,  sarebbe  morto ,  dicono  gli  storici  di 
fame ,  se  non  moriva  di  peste.  Si  trovano  molti  suoi 
versi   nelle  Delìciae  Poetarum  Italorum. 

(7)  GalLo  Comico  Romano.  Così  è  scritto  in  margine 
ai  testi  a  penna  d' Arsilli.  Ma  se  Comico  fgli  era ,  come 
poteva  egli  inehiudersi  tra  i  foeti  urbani  ?  Non  credia- 
mo tuttavia  di  doverlo  confondere  con  Fdlenio  Gallo , 
poeta,  del  quale  si  è  parlalo  nel  Voi.  I    di   quest'  opera. 

(8)  Camillo  Porzio  ,  storico  e  poeta  elegantissimo.  Le 
di  lui  elegie  sembrano  scritte  ad  imitazione  dello  stile 
di  Tihullo.  Scrisse  egli  pure  una  storia  iniaressarjte  delle 
turbolenze  suscitate  dai  Baroni  in  Nipoii  sotto  Ferdi- 
nando 1,  che  dev'essere  stu'a  recentemente  ristampata, 
e  fu  aiifhe  tradotta  iu  Francese  tempo  fa  da  ceno  de 
Cordes. 

fo)  Gio.  Maria    Cattaneo ,    Novarese,    Imparò    le  lin- 


2f>0 

gue  dolte  «olio  Menila  ,  e  sotto  ITfmetrio  CaìcondUa  ,  e 
nel  i5o6  pubblicò  in  Milano  le  lettere  di  Plìifo  il  gio- 
vane con  buoni  commentari.  Passò  quindi  in  Roma , 
dove  fu  segretario  del  Cardinale  Banflmello  Sauli  (  quel- 
lo stesso,  che  fu  involto  nella  congiura  di  Petrucci  ,  e 
di  cui  8Ì  parlò  lungamente  nel  Tomo  VI.  ),  e  a  di  luì 
istanza  compose  un  poema  in  lode  della  città  di  Ge- 
nova. Altro  ne  compose  sulla  presa  di  Gerusalemme  fatta 
da  Goffredo  Buglione;  intitolato  de  Sola/tis;  ma  non  si 
trova  che  quel  lavoro  ottenesse  applauso.  Tradusse  dal 
Greco  quattro  dialoghi  di  Luciano  ,  e  scrisse  altre  opere 
in  prosa  che  furono  lodate  Mo'ì  in  Roma  nel  i52f)  nel 
tempo  in  cui  si  trovava  colà  Clemente  V^l;  e  si  narra 
che  alcuno  avido  di  continuare  a  percepire  le  rendite 
do' di  lui  benefit),  lo  facesse  seppellire  di  nascosto,  af- 
fine di  occultare  la  di  lui  morte,  al  che  ali  ode  un  epi- 
tafio   non   ignobile  .   fattogli   alcun   tenjpo   dopo  da  Mirteo. 

(io)   Augusto   di   Padova,   poeta   di   qualche   nome. 

(il)  Antonio  Lelio  Romano,  poeta  elegante  ,  scrittore 
di   satire  ,   e   di   epigrammi   assai    pungenti. 

(i2)  Tommaso  da  Pietrasanta  ,  detto  da  Arsillì  Lu- 
nense  per  la  vicinanza  di  quel  paese  alla  Lunigiana; 
uomo  dotto,   ed    elegante   poeta  lirico. 

(i3)  E'-'angelista  Fausto  Matalena  Romano.  Non  so, 
perchè  ArsiUi  faccia  dissetare  questo  poeta  nelle  onde 
dell'  Ismeno  ,  fiume  della  Beozia  che  bagnava  la  città  di 
Tebe. 

(l'i)  Il  Conte  Baldassare  CastigUoni  Mantovano,  del 
quale  si  è  parlato  più  volte  nel  corso  di  quest'opera,  e 
del  quale  si  parlerà  ancora  lungamente  nel  Capo  XX , 
Volume  IX.    Allude  ArsìUi  al  suo    valore  nella  milizia, 


25l' 

6  si  è  già  veduto  In  questa  eloria ,  clie  egli  comanda 
tina  compagnia  di  cavalleria,  alla  testa  della  quale  fu  fe- 
rito,  e  condotto  ad  Urbino,  dove  poi  contrasse  io  lima 
amicizia  coi  principi ,  e  massime  colle  principesse  di 
quella  casa  regnante. 

(i5)  M'il/ni  Molti  Mellìni  trovansi  nominati  in  quel 
tempo  come  letterati.  Vi  ebbero  due  nipoti  del  celebre 
Cardinale  MpIUìiì  ,  che  si  distinsero  co'  loro  scritti  ,  e 
salirono  alle  piti  alte  dignità.  Era  pure  in  quel  tempo  in 
Roma  Domenico  Mellìni  Fiorentino,  dottissimo,  che  fa 
poi  Segretario  del  deputalo  della  Toscana  al  Concilio  di 
Trento  ,  del  quale  si  trovano  molte  opere  stampate. 

(i6)  Biasio  Romano,  che  deve  distiugersi  da  Luigi 
Blosio  e  di  Blois  gran  letterato  Francese  ,  che  vivea  in 
que'  tempi.  Questo  Blosio  era  della  società  di  Coricio  , 
ed  amico  singolare  di  Marc'  Antonio  Flaminio  ,  nominato 
sovente  con  onore  dai  suoi  contemporaneij  e  lo/Jato  anche 
da  Giraldi.  Viene  talvolta  menzionato  anche  in  questa  storia 
cotto  il  nome  di  Biagio  Pallai,  o  Palladio;  Gap.  XVII  §  VII. 
(1-5)  Dejanira.  Qual  fosse  questa  D  janira  non  è  age- 
vole il  determinarlo.  Trovossi  in  quel  tempo  in  Roma 
una  Dejanira  di  altissima  famiglia  ,  alla  quale  veg- 
gonsi  indirizzate  molte  composizioni  di  que'  poeti  ,  e 
tra  gli  altri  di  Callimaco.  Si  parla  pure  spesso  di  una 
Dejanira  in  una  poesia  degli  Strozzi.  Ma  ciò  che  fa  du- 
bitare di  qual  Dejanira  parli  in  questo  luogo  Arsilli , 
si  è ,  che  molte  donne  illustri  di  que'  tempi  venivano 
capricciosamente  decorate  di  nomi  antichi ,  come  di  Les- 
hia ,  di  Silvia ,  ecc. ,  costume  che  si  è  propagato  nella 
moderna  Arcadia. 

(18)  Severo  Sacerdote.    Nei  codici    di  ArsìUi    non  «i 


25? 

,  trova  apposta  altra  indicazione  se  non    quella  di    Severo 
Sacerdote. 

(19)  Battista  Casalìo  Romano,  poeta  celebre,  impie- 
gato spesso  da  Clemente  VII  iu  diverse  missioni  io  Fran- 
cia ,  in  Germania,  ed  in  Inghilterra.  Nel  162^  recitò 
innanzi  a  quel  Papa  una  latina  orazione  ,  che  fu  grande- 
mente applaudita  j  scrisse  pure  alcuni  trattati  in  latino , 
e  vien   lodato  da   Giraldr. 

(20)  Achille  Bocchi  detto  Filerote,  Bolognese ,  del 
quale  si  è  fatta  menzione  alcuna  volta  in  questa  storia, 
e  massime  in  questo  voi.  p.  i'j6,  184  e  i85.  Egli  era 
della  società  di   Fbiviinio. 

(21)  Pierio  Valeriana ,  del  quale  si  è  sovente  parlato 
in  questa  storia  ,  e  più  a  lungo  se  ne  parlerà  nel  capo 
XXI.  T.  X. 

(22)  Pimphiello  Romano. 

(23)  Filippo  Bprcaldo  il  giovane,  Bolognese,  del  quale 
si  è  parlato  in  qupsta  Storia  nel  Volume  IV.  Capo  XI. 
§  XII  j  ed  IO  pili  lungamente  ho  ragionato  nella  nota 
addizionale  XI.    a   quel   volume  p.    l 'j  1    e  seguenti. 

(2^)  Mario  Volaterra'no  ,  che  non  deve  confondersi 
con  due  altri  Morii  letterati  e  poeti ,  che  fiorirono  al- 
lora in  Roma. 

(25)  Capello,  forse   Galeazzo,  di  Narni. 

(26)  Am'itevnino.  Non  ben  si  conosce,  qual  fosse  que- 
6to  Poeta  da  Amiterno ,  che  insegnava  in  Roma ,  e  che 
da  varj  scrittori  contemporanei  non  è  indicato  se  non 
col   nome   delia   patria 

(■;2)  Lippa  Brandolini,  ossia  Baffaele  del  quale  più  volte 
si  è  fatta  menzione  in  questa  Storia.  Alcuno  ha  messo  in  dub- 
bio la  totale  sua  cecità,  che  sembra  provata  da  questi  versi 


253 
d' Arsìllì.  Paolo  Gìovio  parla  dell'  amore  grandissimo  , 
che   Lpoìi   X  portava   a   questo   poeta. 

(28)  Giovan  Antonio  Marostica  j  0  da  Marostica,  terra 
del  Padovano. 

(2f))  In  margine  al  poema  di  Arsili i  si  è  scritto  Laur. 
Vallatiis  Rornanus.   Sarebbe  mai  Lorenzo   Valla  ? 

(5o)  Non  ben  si  conosce,  chi  sia  (\uq\\'  Agatino  ,  di 
cui  è  parlato  in  questo  distico  ,  non  trovandosi  pure  al- 
cuna indicazione  al    margine. 

(3i)  In  questo  distico  si  nomina  Luca  File/ico  ;  e  nel 
margine  è  scritto  Marc'  Antonio  Elatano  ,  Medico.  Noa 
so  bene  j  se  questi  sieno  «na  sola  persona,  né  qual  me- 
rito avesse  1*  FAatano  per  la  poesia. 

(52)  Di  Marc'  Antonio  Flaminio  si  è  molto  parlato  in 
questo  stesso  volume  nel  Capo  XVII.  Non  si  sa  bene , 
per  qual  ragione  Flaminio  ,  amante  della  tranquillità  , 
delle  società  piìi  deliziose  ,  e  dei  piaceri ,  sia  detto  ia 
questo  luogo  :  nimium  sili  diirus  et  atrox. 

(55)  Filippo  Lancelhtto ,  Medico  Romano.  Sembra, 
che  egli  fosse  della  famiglia  de'  Lancellotti  di  Perugia  , 
che   ha  dato  molti  uomini  celebri  nelle  lettere. 

(3^)  Donalo  Poli ,  che  dall'  elogio  di  érsilli  sembra 
essere  stato  grandissimo  naturalista ,  o  per  lo  meno  gran- 
dissimo geografo. 

(35)  Angelo  Colocci  j  del  quale  più  volte  occorre 
menzione  in  questa  storia  ,  e  del  quale  si  sono  anche 
riferiti   molli   versi. 

(5G)  Scipione  Carteromaco  ,  del  quale  si  è  lungamente 
parlato  uel   Capo  XI.    §  X.  T.  IV.   p.    128  ,    e  seguenti. 

(315)  Giano  Parrasio.  Di  questo  pure  si  è  alcuna 
•volta  fatta  menzione  io  quest'opera.    Nato  a  Cosenza,  e 


254 

ealito  alla  reputazione  di  famoso  grammatico ,  ìasegnò 
lungamente  le  umane  lettere  a  Milano  j  d' onde  però  sì 
dice,  che  cacciato  fosse  per  le  calunnie  contra  di  lui 
intentate  da  alti!  maestri  della  facoltà  medesima,  oli© 
nella  di  lui  dottrina  vedevano  una  censura  perpetua 
della  loro  ignoranza.  Recossi  in  seguito  a  Roma,  d'onde 
ritirossi  nella  vecchiaia  a  Cosenza  tormentato  dalla  gotta  , 
e  vi  morì.  Egli  avea  sposato,  probabilmente  in  Milano, 
una  figlia  del  celebre  Bm^trit  Calcondila.  Forse  all'in- 
vidia de'  suoi   rivali  allude  col  dire 

»  Huoc  circura   urbauus  latrando  livor  oberrat.  » 

Egli  fu  uno  de'  primi  ornamenti  dell'  accademia  Ro- 
inana ,  nella  quale  riconciò  ,  come  dice  elegantemente 
Y  Ariosto  ^  il   nome  suo  di    Giovanili  in  qneUo  di   Giano. 

(38)  Govanni  Luigi  Fopisco  Nipoletano.  Cantò  i  fatti 
di  Don  Raimondo   di  Cordona  Generale  degli  Sjiagnuoli. 

(5f))  Mariangela  da  Aquila  ,  poeta  nominato  con  lode 
dai  suoi  contemporanei ,  ed  ornamento  della  società  Co- 
riciana. 

({o)  Non  ben  si  conosce  questo  Ramaz'O  da  Foligno, 
né  quello  che  Arsilli  voglia  indicare  sotto  il  nome  del- 
Y Arcade  di  Narni. 

(^40  Suctenio  porla  Tedesco  amico  e  compagno  di 
Corrcio. 

(42)   Gaspare   Ursino  ,   parimenti  Tedesco. 

(i~))  Cajo  Silvano  ,  altro  porta  Tedesco ,  che  ebbe 
inolio  nome  in  Roma  in  que'  tempi.  Grande  amico  di 
Coricio  fu  pure  membro  della  Socirtà  Corìciana ,  e  si 
vedono  molli  suoi  versi  nella  raccolta  ,  che  porla  quel 
titolo  r  ad  essa  dedicata  da  Palladio. 


»55 

(J|)  Pisane  Pannonìo  «  sia  Ungarese,  cLe  *1  poeta 
qui    paragona  con    Giano  Pannonìo 

(^5  )  Il  margine  ìq  questo  luogo  è  scritto  Andraeas 
Fulvius  Sacerdos.  Questo  Andrea  Fulvio  nativo  di  Piene. 
ste  pubblicò  cinque  libri  delle  antichità  di  Roma,  e  fece 
iacidere   una   serie  di  ritratti  d'uomini^  e  di  donne  illustri . 

{{(j)   Sfilano  da   S;.oleti. 

(S-j)  Antonio  Te' aideo  ,  del  quale  si  è  lungamente 
parlato  in  questo  Volume  medesimo  Capo  XVI.  §  II. 
p.    10    e  seguenti. 

(^8^  Luca   Bonfilio  di  Padova. 

C^q)  Camillo  Paleuito  Bologoese.  Molti  dei  di  lui 
versi  trovansi  nelle  collezioni  di  quel  tempo.  Egli  era 
parente  del  Cardinale  Gabriele  Paleofli ,  che  molto  pure 
si  di.stin.se   per  la   sua   letteraiura. 

(5o)  Fedro  In ghirami  da  Volterra,  e  Fabio  Fidile  da 
Siioleti,  Poeti  r  uno  e  l'altro  di  gran  nome.  Del  primo 
si  parlerà  nel  capo  XXI.  ^  IV.  Del  secondo  si  fa  men- 
zione   in  questo  volume  alla    pag    2rO. 

(5i)  Cesare  Sacco,  o  Sacchi,  Milanese,  non  so  per 
qual  ragione  detto  dall'  autore  Sacoeo.  Il  sig.  Cav.  Rosmini 
ha  parlato  di  questo  lettore  abituale  j  e  poscia  cautorft 
del  magno    Trivuhio   pag     CiG   V.   I. 

'  (52^  Francesco  Cetrano.  Sembra ,  che  questo  noa 
fosse  il  vero  nome  del  poeta  indicato  in  questo  luogo  , 
ma  che  per  una  straondiuaria  occasione  gli  sia  stato  im- 
posto per  avere  eccitato  i  socj  a  difpndere  la  patria  ,  ed 
a  farsi  soldati   di   Febo   e   delle   Muse. 

(53)  Mich'ìe  Fentarì  da  Foligno.  Scrisse  in  versi 
della  educazione,  delle  regole  per  ben  vivere,  dei  do- 
veri dei  cittadini,   dei    magistrati   ed   anche   dei    guerrieri. 

(5^)   Giovanni  da  Macerata,  medico  e  poeta. 


a56 

(55)  Niccolò  della  Croce  Sacerdote  ,  che  cantò  pnr  lo 
più   soggetti  sacri. 

(5G)  Guido  Postumo  Silvestri  di  Pesaro ,  del  qaale 
lungamente  si  è  parlato  in  questo  Volume  medesimo  Ga- 
pit.  XVII    §    XIII. 

(5'^)  Marco  Caballo  Anconitano,  spesso  menzioDato 
da    Flamhìio  ,   e  da  altri  poeti  di   quel  tempo. 

(58^  Gahrìple  Bombasio  di  Reggio  ,  grandissimo  amico 
i}ie\\'  Ariosto  Scrisse  alcune  commedie  in  verso,  ed  aa- 
clie  alcune  orazioni  latine  ,  che  provano  molta  erudizio- 
ne. Passò  gran  parte  della  sua  vita  alla  corte  dei  Duchi 
di  Parma  ,  ma  non  si  avanzò  molto  ,  forse  perchè  egli 
era  libero  nei  suoi  detti,  ed  alquanto  «satirico.  Fu  tut- 
tavia inviato  a  Venezia  dal  Duca  Ottavio  Farnese,  e  fu 
precettore  del  di  lui  figlio  Odoardo ,  che  fu  poi  Car- 
dinale. —  Forse  Arsilli  parla  di  un  altro  Bomhasio  per 
nome  Paolo,  nativo  di  Bologna  ,  dotto  nelle  lettere  Gre- 
che e  Latine,  che  insegnò  pubblicampnte  in  Napoli, 
e  passò  quindi  in  Roma  Segretario  del  Cardinale  Antom 
nio  Pucci  Questo  visse  più  a  lungo  in  Roma,  e  fu  più, 
vicino  a  Leon  X  ;  ma  non  si  sa  ,  che'  egli  fosse  poeta  , 
siccome  il  Reggiano  ,  che  pure  visse  in  Roma  col  suo 
alunno    Odoardo   Farnese. 

(5q)  Marcello  Palonio  ,  o  Palloni  Ftomano,  che  cantò 
le  guerre   d' Italia   di   que^  tempi 

(6o)  Bardano  Parmense.  Questo  elegante  scrittore  di 
elegìe  e  di  epigrammi  ,  spesso  lodato  negli  scritti  di  quel 
tempo,  cantò  egli  pure  ie  guerre  d'Italia.  Fu  tra  i  poeti 
laureali  ,   ed  ebbe  da  Cesare  grandi  onori. 

(Ci)  Giovanni  Vitali,  detto  talvolta  Giano  Vitalio 
Palermitano ,  nominato  anche  in  questa  Storia.  Caatò 
soggetti  astronomici  sul  gusto  di  Fontano. 


(62)  Andrea  Marone  Bresciano  ,  M  quale  si  parla  a 
lungo  in   questo   Volume   medesnno   Capo    XVII.  §   XV. 

(65)  Francesco  Modesto  di  Riruiui ,  che  fu  al  seguito 
del  famoso  generale  de'  Veneziani  Alviano ,  e  ne  cantò 
le  gesta. 

(6i)  Camillo  Querno ,  del  quale  troppo  a  lungo  si  è 
parlato  nel  Capo  XVII.  §  XVI.  In  nnargine  di  questo 
scritto  vien  nominato  come  l'arcipoeta  di  LeonX,  tutto 
che  sembri ,  che  questo  titolo  dato  gli  fosse  da  una  so- 
cietà scherzevole  di  letterati. 

(65)  Di  Ginvar.ni  Gorizia,  o  Coricio  può  vedersi 
quanto  è  scritto  nel  ciato  Capitolo  5  XVII.  Arsilli  lo 
ehiama  giustamente  Mecenate  splendido  de'  poeti  ,  ma 
anche  in  questo  luogo  si  duole  dell'avarizia  de' tempi, 
come  doluto  si  era  nella  introduzione  a  questo  poema 
da   me  tradotta. 

(GC)  Si  accenna  qni  un  Ballo  ,  o  Rallìo  poeta  del- 
l'Umbria  ,  emulo  di  Man.iu)  /?o//o  Sjiartano,  felice  se  it- 
tore  di  epigrammi  latini j  del  quale  si  è  parlato  nel  To- 
mo IV  di  quest'opera   pag.    io5.   Nota  (1). 

(6'^)    Pìptro  Delio  ,  prcb.ibilm'-nte   di  Cortona. 

(68j  Ulisse  da  Fauo  ,  poeta  celebie,  che  avea  già  ol- 
trepassati   i   settanta   anni   allorché   ArsUli  scrivea. 

^6f))  Aurei' 0   Clar-lìo  Lupo   Spoletino. 

(70^  Pietro  df' Pazz' ,  della  iliustre  famiglia  Firen- 
tina  di  questo  nome  ,  spesso  celebrato  dai  poeti  di  quel 
tempo. 

(^i)  Onorato  FascHeUi  Monaco  Cassinense,  già  men- 
zionato con  lode  in  questo  volume  p.  i85.  E  singolare  la 
fantasia  di  Ars i Ili  ,  il  quale  fa  le  maraviglie,  che  questo 
valente  poeta  sia  uscito  dal  gregge  inerte  di  Monte  Cassino» 

Leone  X  Tom.   f'Il.  17 


358 

{^2)  Bartolomeo  Dafni  di  Jesi. 

(73)  Antonio  Sanga  ,  al  quale  sono  diretti  molti  versi 
da  Filelfo ,  da  Callimaco  ,  da  Roherto  Orso  ,  e  da  altri. 

(^lij  Francesco  Maria  Moka  Modoaese  ,  del  quale  sì 
è  parlato  nei   Capo  XVI.  §.    VI. 

("jS)  Non  è  ben  chiaro  qual  sia  V  Alessandrino ,  di 
cui  parla  Arsilli  in  questo  distico.  Sembra  ,  che  questo 
fosse  uno  degli  improvvisatori  in  versi  latini  di  quel 
tempo. 

(■jC)  S'  indicano  in  questo  luogo  i  due  fratelli  Cen» 
lelli ,  Francesco,  e  Stefano,  eleganti  scrittori  di  poesie 
georgiche. 

(-57)  Antonio  Nerlìo. 

(78)  Francesco  Calvo.  Arsilli  loda  la  somma  diligenza 
di  quesl'  uomo  nel  ricercare  in  ogni  parte  i  dotti  vo^ 
lumi ,  che  erano  stati  altrove  trasportati   dall'  Italia. 

(r|f))   Giovanni  Battista  Medalio ,  Toscano 

(80)  Girolamo  An^criano  Napoletano,  Di  questo  si  è 
parlato  alla  p  1 1 5  del  Torno  I.  di  quesl'  opera  ,  e  le 
di  lui  poesie  sono  state  stampale  con  queliti  di  Marullo 
e  di   Giovanni  Secondo. 

(8ij  Albineo  di  Pai  ma.  Questo  è  nome  Poetico.  Sa- 
rebbe mai  indicativo  dfil  celebre  Basmìo  ,  del  quale  ab- 
biamo una  bella  edizione  in  tre  Volumi  in  quarto,  fatta 
per  le  cure  del   dottor  Drudi  Bibliotecario  di  Rimmi  ? 

(82)  delio,  nome  pur  esso  Accademico,  sotto  il 
quale  s"  asconde  un  poeta,  che  era  stato  bersaglio  del- 
l' avversa  fortuna.  Ffequeuti  sono  questi  nomi  poetici  , 
arcadici,  o  accademici  ni  quella  età,  pei  che  recente  era 
la  memoria,  e  forse  molti  membri  esistevano  tuttora  delli» 
Romana  Accademia  ,  dirotta  iu  ultimo  da  Pomponio  Le- 


....  '^^^ 

<<J ,  nella  quale  era  entrata  la  mania  di  cangiare  il  nome 
a  tutti  i  socj  di  queir  A.ccaderaia  ,  e  di  questo  costume 
si  è  parlato  dal  sig.  Roscoe  Gap.  II.  ^\l.  Tom.  I.  p.  89 
ed  io  pure  ne  ho  fatto  menzione  nella  nota  addiziona- 
le  Vili.  Tom.  IV,    pag.   iSg. 

(83)  Agostino  Beazzano ,  o  Beaziano  ,  non  Bevazano, 
come  è  scritto  in  margine  del  Poema  d'  Arsilll.  Di  que- 
sto si  è  parlato  nel  Capo  XVI.  §  V.  pag.  3o  e  seguenti 
di  questo  Volume. 

(8i)  Benedetto  Lamprldio  Cremonese.  Seguì  a  Roma 
Giovanni  Lascaris ,  e  si  distinse  sotto  il  Pontificato  di 
Leon  X.  per  la  sua^  perizia  nelle  lettere  greche  e  la- 
tine, che  insegnò  pubblicamente.  Morto  Leon  X,  Lam- 
pridio  ritirossi  a  Padova  ,  nella  quale  città  continuò  pure 
ad  istruire  la  gioventìi.  Federico  Gonzaga  Marchese  di 
Mantova  chiamollo  presso  di  sé ,  affinchè  fosse  precet- 
tore del  di  lui  figlio.  Scrisse  odi ,  ed  inni  stampati  in 
Venezia  nel  i55o,  che  ottennero  molta  lode;  morì  nel 
xCt/^o.  Si  dice,  che  timidissimo  fosse,  ed  evitasse  con 
ogni  studio  di  parlare  in  pubblico.  Di  esso  si  parla  alla 
p.  i8G. —  Mi  si  perdonerà^  io  spero,  l'essermi  talvolta 
esteso  in  queste  noie  più  dell'  ordinario ,  laddove  Arsilli 
fa  menzioiae  di   qualche  poeta  originario  della  Lombardia. 

(85)  Pietro  Zanqhi ,  Bergamasco.  Da  molti  è  detto 
Basilio  j  sotto  il  qual  nome  è  pure  lodato  alla  p.  ìiq  del 
Tomo  I. ,  ed  in  questo  stesso  p.  i85  e  186.  Si  fece  in  gioven- 
tù canonico  regolare  ,  e  si  distinse  nelle  umane  lettere ,  nella 
filosofia  e  nella  teologia  ,  per  il  chp  meritò  di  essere  as- 
sunto alla  custodia  della  Biblioteca  Vaticana.  Visse  fino 
all'anno  i56o;  e  lasciò  oltre  un  commentario  sui  Pa- 
ralipomeni, e  SUI  libri  dei  Re,  un  Dizionario    Poetico  ^ 


d6o 

e  molle  poeiie  latine  ,    inserite    nelle  Delicìae  Poetarum 
Italorum.  —  Egli    era    nativo    probabilmente    d'Alzano, 
giacohè   in   Alzano   nacque   pure   verso   quel    tempo  il    ce- 
lebre  Girolamo  Zanchi ,    fattosi  e?so    pure    canonico  re- 
golare ;  che  abbracciò  poi   il   partito  della  Riforma  ,  andò 
ad  insegnare  la  filosofia  e  la     sacra  scrittura  a  Ghiaven- 
na  ,  aBasileaj  a  Strasburgo  ,  a   Spira  e  ad  Heidelberga  , 
scrisse   molte    opere    Teologiche  ,    ed   ottenne  se   non   al- 
tro la  reputazione  di  coutroversista  prudente  e   moderato. 
È  singolare  l'  errore  di    Movevi ,  ohe  promovendo  il  dub- 
bio ,  se   Girolamo  Zanchi  fosse   nativo  di    Bergamo  ,  op- 
pure d'Alzano,    colloca    Alzano    alla  distanza  di  quattro 
leghe    da     Venezia  !  — -  ArsUli    loda     Pietro  ,  o  piuttosto 
Basilio  Zanchi,   come  amico  delle   muse  greche  e    latine. 
(86)    Gian  Francesco  Bini ,     del  quale  il   sig.   Roscoe 
ta   fatto    menzione    alle    pagine   70   e   -j^    di  questo  Vo- 
lume.   Fu    uno    dei    più    illustri  coltivatori    della  poesia 
Bernesca  ,   e  le    di    lui    produzioni    in    questo    genere   si 
trovano    con    quelle    del   B^rni  medesimo.    ArsilU  allude 
forse   alla    inclinazione   del    Bini    per  questo    genere   piìi 
umile    di    composizione ,    allorché    lo    eccita  a  ritirar  le 
muse  dagli  orti ,  albergo    di    Priapo  ,  e  de'  Satiri ,    e  di 
volgerle  alle  più   sublimi   sfere   stellate,   accertandolo,  che 
grandissimo  sarebb'  egli  in  Roma ,    ove   un   tale     incarico 
si   assumesse.    Egli    avea    però  già    lodato    V  ingegno  del 
Bini,  che    si  prestava  a   pingere  qualunque  oggetto,  del 
che  avea    forse    dato   prova     ne'  suoi   componimenti   Ber- 
ueìchi  ,  mirabili     per    la    facilità  della  elocuzione,   e  dei 
versi. 

(8'j)  Tranquillo  Molosso,  di  Casalmaggiore  poeta  elegan- 
tissimo ,  aiiaccato  ai  Farnesi.  Egli  cantò  in  uu  bellissime 


26l 

Poemetto  j  al  quale  allude  ArsìW ,  un  magnifico  tratte- 
nimeiilo  di  caccia  ,  dato  dai  Farnesi  a  Leon  X  nelle 
vicinanze  di  Canino.  Questo  poemetto,  del  quale  forse 
poco  più  si  sapeva  di  quello ,  che  ce  ne  lasciò  scritto 
Arsìllì ,  è  stalo  ora  tratto  dai  polverosi  codici  ,  e  pub- 
blicato recentemente  per  intiero  dal  celebre  Abbate  An- 
dres ,  che  le  lettere  hanno  poco  dopo  con  sommo  loro 
danno  perduto ,  nel  suo  Prodromo  degli  aneddoti  della 
Biblioteca  R^ale  di  Napoli,  stampato  in  quella  città  nel 
i5i5.  Io  mi  riservo  a  dare  qualche  squarcio  di  quei 
poemetto  nelle  mie  note  al  XII  ed  ultimo  volume  di  questa 
opera,  laddove  si  parla  dei  divertimenti  favoriti  del  Pon- 
tefice ,  e  del  gusto  eh'  egli  avea  per  la  caccia. 

(88)  Crofo  ,  o  Croia  ,  poeta  nominato  talvolta  negli 
epigrammi  di    Callimaco. 

(89)  Non  ben  s' intende  qual  sia  il  Poeta  indicato  ia 
questo  luogo  sotto  il  nome  di  Batto.  Questo  cantò  ,  per 
quanto  appare  ,  fatti  guerrieri ,  e  massime  le  gesta  dì 
Marc  Antonio  Colonna  in  difesa  di  Ravenna,  che  sem- 
bra essere  la  patria  del  poeta  medesimo.  Arsilli  lo  ono- 
ra ,'  nominandolo   un  nuovo    Catullo. 

(go)  Celebre  letterato ,  e  poeta  di  que*  tempi ,  il  di 
cui  nome  era  forse  originariamente  quello  di  Corso.  Se 
ne  trova  frequente  menzione  negli  scrittori  ,  che  fiori- 
rono al  principio  del  secolo  XVI.  —  Allorché  Giulio  II 
oonchiuse  la  pace  col  Re  di  Spagna,  Cursio  scrisse  una 
orazione  iafitnlata  :  Cursori  Panegyris  de  foedere  inter 
Julium  II  et  Hispaniarum  Rpgem ,  che  io  posseggo  stam- 
pala  con   altri    opuscoli   in   Norimberga   nel    1312. 

Potrebbe  anche  indicarsi  in  questo  luogo  Lancino  Cur- 
ZIO  s  poeta  Milanese   di  gran    nom^   in    que' tempi,   lodata» 


anche  da  Giratali,  e  eia  Giovlo ,  ì  quali  però  ccnsaràno 
l'asprezza,  e  l'oscurità  dei  di  lui  versi.  Scrisse  due  vo- 
lami in  foglio  di  epigrammi,  ed  uno  pure  intitolato  Sy"' 
ione,  stampati  in  Milano  nel  i52i  ,  è  giada  molto  tempo 
rarissimi.  Come  autore  di  molti  epigrammi  in  lode  del 
Magno  Trivulzio ,  viene  rapnzionato  con  lode  dal  Cav. 
Eosmini  nella  sua  Istoria  Tom.  I.  pag.  629  ed  altrove; 
(gì)  Allude  in  questi  versi  ArsìlU  alla  cappella  Co- 
riciana  ,  della  quale  si  è  fatta  menzione  nel  §  XVII  del 
Gap.  XVII.  —  E  singolare  che  quel  poeta  ,  non  amico 
certamente  di  Leon  X ,  e  costante  nel  deplorare  1'  infe- 
licità delle  lettere  in  quel  periodo ,  mentre  annunzia 
l'esistenza  non  infelice  di  tanti  letterati  in  Roma,  chiu- 
de Questo  squarcio  allusivo  a  Gorizin  ,  0  Coricfo  ,  col 
predire  o  coli' augurare  la  venuta  di  un  nuovo  Augusto, 
e  di  un  nuovo  Mecenate.  Ma  qual  Mecenate  migliore  dì 
GorizTO  !   Quale  Augusto  migliore  di  Leon  X  ! 

(gz)  Questo  poemetto  non  manca  di  eleganza  e  di  ve- 
nustà _,  e  vi  si  scorge  un  certo  brio  non  comune  nei 
poeti  latini ,  anche  più  corretti  di  que'  tempi.  La  serie 
de'  poeti  urbani  è  esposta  con  molta  maestria ,  e  non  sì 
può  che  ammirare  l'artifizio,  per  cui  novanta  e  piìi 
soggetti  eguali  a  un  di  presso,  sono  trattati  tutti  in  ma- 
niera differente ,  e  con  diversi  colori ,  il  che  allontana 
la  monotonia  e  la  noja.  Due  cose  però  possono  essere 
notate  in  questa  composizione;  l^una  che  Arsilli  ad  og- 
getto di  impinguare  la  sua  serie  ha  inchiuso  tra  i  poeti 
anche  i  nomi  di  alcuni  che  si  acquistarono  fama  per 
tutt'  altro  genere  di  studj  ;  1'  altra  ,  che  forse  per  l'  og- 
getto medesimo,  o  per  nobilitare  maggiormente  il  suo 
scritto ,   inehiuse    tra    i  poeti    urbani    aleuni ,    che    non 


263 

nacquero ,  non  vissero ,  o  non  fionrono  in  Roma.  Noa 
può  tuttavia  trovarsi ,  se  non  commendevole  il  di  lui 
zelo  di  promuovere  Io  splendore  dell'  alma  città ,  e  solo 
si  potrà  a  quel  poeta  rimproverare  di  essersi  mostrato 
avverso,  ed  anche  ingiusto  con  Leon  X,  protettore  trop- 
po noto  dielle  lettere  e  de'  letterati. 


«6-4 

NOTE  ADDIZIONALI. 


NOTA     I. 


Alla  pag.  8  Un.  23,  dopo  le  parole     . 
59   Sannazaro  non  deve  essere  obbliato.  « 

Capo  XVI.  §  I. 

Non  riascirà  inopportuno  in  questo  luogo  1'  inserire 
alcune  particolari  notizie  intorno  a  qn^^l  celebre  poeta. 
Moreri y  e  dietro  a  lui  lutti  gli  altri  biografi  Isssicisti , 
accordando  che  egli  nato  fosse  iu  Napoli  nel  1^58,  lo 
fanno  originario  di  San  Naza''0  nel  territorio  di  LumellOs 
nome  che  essi  hanno  storpiato  tutu  d'accordo  in  quello 
di  Lamosso  ,  situato  tra  il  Po  ,  ed  il  Ticino.  Se  questa 
notizia  aresse  alcun  fondamento  ,  che  rynvb  non  si  vede 
assegnalo  da  quegli  scrittori  ,  questa  sa^e  bbe  una  nuova 
gloria  pei  Lombardi. 

Che  Sannazaro  amasse  la  galanteria  ,  si  rileva  dalla 
di  lui  vita  scritta  da  Crixpo^  e  da  molti  passi  di  questa  sto- 
ria medesima;  ma  non  so  bene,  dove  que'  lessicisti  abbiano 
pescato  l'aneddoto,  che  tanto  la  galanteria  egli  amasse, 
che  anche  ncU'  ultima  sua  vecchiezza  egli  si  mostrasse 
in  pubblico  cogli  abiti  ,  e  colle  maniere  di  un  giovane 
effeminato  cortigiano.  Quest'  asserzione  «  tanto  pooo  fon- 
data j,    quanto  quella  degli  scrittori  medesimi ,    che  que'' 


265 

poeta  fosse  poco  filosofo ,  e  tanto  poco  il  fosse ,  che  si 
lasciasse  morire  di  dolore  per  cagione  che  Filiberto  ,  dì 
Nassau  principe  d'  Grange  ,  generale  de'  Tedeschi ,  avea 
saccheggiato  la  di  lui  casa  di  campagna.  Nel  corso  di 
questa  storia  medesima  ,  ed  in  questo  stesso  volume  ,  si 
vedrà  ,  che  Sannazaro  mori  già  consolato  di  questo  av- 
venimento ,  e  tranquillamente  dispose  tutto  quello  ,  che 
far  si  dovea  dopo  la  di  lui  morte.  Forse  è  egualmente 
privo  di  fondamento  il  racconto  dell'  allegrezza  da  esso 
concepita  al  ricevere  la  nuova,  che  il  principe  d'Orange 
era  stato  ucciso  in  una  battaglia  ,  nella  quale  occasi<nie 
si  dice  ,  che  esclamasse  :  «;i  Ora  morrò  contento,  perchè 
Marte  ha  punito  quel  barbaro  nimico  delle  muse.  55 

Poiché  abbiamo  parlato  della  origine  di  Sannazaro , 
giova  pure  riferire  la  stravagante  idea  di  un  altro  scrit- 
tore Francese ,  il  sig.  le  Diiehaf  ,  il  quale  appoggiato 
sopra  non  so  qual  passo  di  /Alessandro  ab  Al^xai  dro  , 
ha  fatto  nascere  Sannazaro  in  Etiopia  ,  e  supponendolo 
catturato  in  un  viaggio  ,  e  fatto  schiavo  nella  sua  gio- 
ventù ,  lo  ha  fatto  vendere  ad  un  Napoletano  della  fa- 
miglia Sannazaro  ,  che  gli  donò  la  sua  libertà  ,  ed  es- 
sendo  lettorato   egli   pure   lo   fece   i-fruire   nelle   lettere. 

Le  poesie  Italiane  di  Sannazaro  furono  stampate  a 
Napoli  nel  i5o2  in  4^.*^  Se  ne  ha  pure  una  buoia  edi- 
zione della  citf'i  medesima  f*el  ì-)20  in  12  ,  altra  del 
i'j23  in  4^,  ed  altra  pure  di  Padova  dell'anno  mede- 
simo. 

Panormifono  racconta,  che  trovandosi  un  giorno  Sanna- 
zaro con  varj  fisici  alla  presenza  d°t  re  Federico  di  Napol!, 
e  nata  essendo  quistione  su  di  queì'o  che  meg'io  con- 
tribuir polea  alla  perfezione  della  vista,  alcuni  propeselo 


àé'6 

l'odore  del  finocchio",  altri  1' uso  degli  ocoliiali ,  e  Sana 
nazaro  rispose  ,  che  la  migliore  droga  per  qneU'  effptto 
era  l' invidia ,  che  facea  vedere  le  cose  assai  più  grandi, 
che  esse  non  erano.  Questo  potrebbe  servire  di  risposta 
a  quegli  scrittori ,  che  asserirono  quel  poeta  mancante 
di  filosofia. 


II. 


Alla  pag.   1 5  Un.   8  dopo  le  parole  : 
,,  Italia  Storia  ben  conesciuta  delle  Crociate.  " 

Gap.  XVI.  §  III. 

Questo  libro ,  ottimamente  scritto ,  ha  per  titolo  :  De 
dello  a  Christ'ranis  contra  Barbaros  ,  prò  Chrìsti  Sepul  - 
ohro,  et  Judaea  recaperandis  libri  tres.  Venet.  i552j^.''' 
Questo  libro  merita  una  speciale  menzione  ,  perchè  di- 
cesi, che  abbia  servito  di  testo  al  Tasso  nella  composizione 
del  suo  poema  della  Gerusalemme  liberata,  del  quale 
forse  gli  fece  anche  nascere  l'idea.  —  Benedetto  Accolli 
giurisconsulto  celebre  ,  e  segretario  della  repubblica  Fi- 
renliua  ,  succeduto  io  quell'ufficio  al  Pof^gio ,  pubblicò 
anche  un  libro  intitolato  :  De  praestantia  virorum  sui 
nevi,  che  fu  ristampato  in  Parma  nel  i68f)  in  12,  e 
dal  quale  si  possono  trarre  utilissime  notizie  per  la  sto- 
ria letteraria  di  quel  tempo.  Dicesi ,  che  egli  fosse  do- 
tato di  una  memoria  tanto  felice ,  <^he  avendo  un  am- 
basciadore  del  re  d'  Ungheria  pronanziato  una  orazione 
latina  innanzi  al  Senato  di  Firenze,  egli  non  ebbe  diffi- 
coltà di  ripeterla  parola  per  parola. 


267 

Osserveremo  ia  questo  luogo,  che  gli  autori  ^el  nuovo 
Dizionario  Storico  pubblicalo  in  Lione  in  tredici  volumi 
in  8.**  sono  caduti  in  un  grandissimo  errore,  nominando 
Benedetto  anche  il  figlio  ,  ohe  si  rendette;  celebre  collo 
sue  poesie,  e  che  divenne  Duca  di  Nepi ,  essendo  que- 
sto invece  Bernardo,  del  quale  parla  a  luogo  il  sig.  /?o- 
scoe.  Que*  lessicisti ,  che  alquante  pagine  hanno  donate 
alla  famiglia  Accolti ,  non  hanno  parlato  che  di  passag- 
gio ,  e  come  per  incidenza  di  Bernardo  coli'  occasione 
di  esporre  le  notizie  del  di  lui  fratello  cardinale  ;  non 
hanno  mostrato  di  conoscerlo  sotto  il  nome  dell'  unico 
Aretino  ;  non  hanno  fatto  menzione  de'  suoi  talenti  ,  e 
della  sua  abilità  nel  cantar  versi  all'  improvviso  ,  e  noa 
hanno  accennato  di  volo  se  non  la  sua  Virginia  ,  che 
a  torto  hanno  supposta  stampata  solo  nel  i55  5,  quando 
lo  era  stata  fino  dal  i5i3,  e  gli  altri  suoi  versi,  che 
stampati  nell'epoca  medesima  essi  suppongono  pubblicati 
a  Venezia  solo  nel  iSSg. 

III. 

Alla  pag.   26  Un.    i3  dopo  le  parole: 
5,  Avendo  allora  oltrepassata  \  età  di  anni   76-  *' 

Gap.  XVI.  §  IV. 

Bembo  avea  sempre  goduto  buona  salute,  se  non  che 
avea  provato  qualche  accesso  di  gotta.  Si  dice,  che  la 
di  lui  morte  fosse  cagionata  da  una  contusione  ricevuta 
nel  capo  nel  passare  ,  che  egli  facea  per  una  porta ,  e 
che  questa  producesse  una  febbre  lenta  ,  che  a  poco  a 
poco  lo  condusse  al  sepolcro. 


268 

Le  prelature,  clie  gli  conferì  Paolo  III  furono  spe-' 
cialmente  il  vescovado  di  Gubbio,  e  quello  di  Bergamo^ 
e  gli  scrittori  sono  d' accordo  nel  confessare  ,  che  egli 
si  condusse  come  un   degno,  e  zelante  pastore. 

S'ingannano  gli  scrittori  Francesi,  che  collocano  il 
suo  ravvedimento,  o  sia  la  riforma  de' suoi  costumi,  al- 
l' epoca  della  sua  nomina  alla  carica  di  segretario  Pon- 
tificio, supponendo  che  dapprima  egli  avesse  coltivata 
l'amicizia  di  quella  ,  che  essi  dicono  sa  Maitresse  ,  et 
sa  muse,  e  ne  avesse  di  già  avuto  tre  figli,  ed  una  fi- 
glia. L'epoca  degli  amori  di  Bembo  dee  piuttosto  collo- 
carsi nel  periodo  di  tempo ,  che  passò  tra  la  morte  di 
Leon  X  ,  e  la  di  lui  elevazione  al  cardinalato  sotto 
Paolo  III.  S'ingannano  pure  que' lessicisti ,  che  dopo 
la  morie  di  Leon  X  suppongono,  che  egli  si  ritirasse  a 
Venezia  anziché  a  Padova,  ov' egli  stabilì  realmente  il 
suo  soggiorno. 

Sul  punto  degli  amori  di  Bembo,  sui  quali  il  sig.  Ho- 
scoe  si  è  esteso  forse  un  pò  troppo ,  gioverebbe  1'  os- 
servare, che  tutti  quasi  i  poeti,  tutti  i  letterati  di  quella 
etàj  comecché  residenti  in  Roma,  ed  insigniti  ancora  di 
prelature  ,  di  dignità  ,  e  di  ufficj  nella  Chiesa  ,  erano 
infelli  dello  stesso  vizio,  o  come  altri  direbbe,  tinti  della 
pece  medesima.  Lo  spinto  di  quella  corte  ,  il  costume 
di  que'tempi,  la  liberalità  delle  idee  dei  coltivatori  delle 
xetleie  ,  la  continua  lettura  degli  antichi  poeti,  non  tutti 
commendevoli  per  la  loro  modestia  ,  la  familiarità  già 
radicala  per  non  dire  introdotta  ,  ed  il  perpetuo  consor- 
zio tra  le  Muse,  e  Bacco,  e  Veaeie  ;  l'esempio  fatal- 
mente dato  da  alcuni  Cardinali  ,  ed  anche  da  qualche 
Pontefice  tra  i   predecessori  di  Leone,  dei  quali  la  prò!» 


2% 

era  pubblicameiile  riconosciuta  ,  sono  cose  tutte  ,  che  se 
non  servono  a  scusare  manifestamente  il  libertinaggio  di 
alcuno  ,  possono  almeno  servire  ad  attenuarne  la  colpa 
all'  occhio  de'  più  severi  censori ,  ove  ben  si  considerino 
le  circostanze  de' tempi,  senza  che  faccia  d'uopo  di  ri- 
correre 5  siccome  fecero  i  lessicisti  Francesi  ,  alla  asser- 
zione ,  che  Bembo  nato  fosse  con  un  temperamento  vo- 
luttuoso. Sannazaro  ,  come  si  raccoglie  da  questa  storia 
medesima  ,  non  era  indifferente  ,  e  forse  più  del  dovere 
si  interessava  per  le  attrattive  di  Cassandra  Marchese  ; 
Teòaldeo  vicino  a  morte  si  lagnava  solo  di  aver  perduto 
il  gusto  del  vino;  Accolti  lasciò  pure  un  figliuolo  natu- 
rale ,  che  fu  erede  della  Signoria  di  Nepi  ;  troppo  sono 
noli  i  disordini  della  vita  lussuriosa  del  Molza ,  per  ca- 
gione dei  quali  egli  ebbe  pure  a  morire;  il  divino  Ario- 
sto non  isdegiiava  egli  pure  di  dormire  colla  servente , 
ed  in  altra  delle  sue  satire  indirizzossi  a  Bembo  per  la 
educazione  letteraria  di  un  di  lui  figlio  naturale;  il  Berni 
era  ben  lungi  dall'essere  castigato,  ed  il  sig.  Boscoe 
medesimo  lo  fa  entrare  in  una  società  delle  Muse  ,  che 
traevano  Bacco  ,  e  Venere  al  loro  seguito;  di  Giovanni 
della  Casa  basta  menzionare  il  troppo  noto  capitolo  del 
Forno  ;  Folengi  abbandonò  il  chiostro  per  seguire  la 
sua  bella  Dieda  ;  né  migliori  forse  pei  costumi  loro 
erano  gli  improvvisatori  latini  di  Leon  X  j  tra  i  quali 
r  arcipoeta  Querno  altra  lode  non  avea  che  di  un  so- 
lennissimo  bevitore.  Giraldl  li  chiama  iu  generale  :  Lur- 
cones  verius ,  guam  poe/as.  Non  abbiamo  riferito  questi 
esempj  per  fare  l' apologia  di  Bembo ,  ma  solo  per  mo- 
etrare  ,  che  difficilissimo  era  in  que'  tempi ,  e  massime 
nella  capitale  del  mondo  cristiano^  il  tenersi  lontano  dalla 


corruzione  ,  e  dal  libertinaggio  ,  e  che  grandissima  lod» 
si  acquistarono  per  questo  titolo  coloro,  che  oon  si  la- 
sciarono strascinare  dal  torreute.  Tra  questi  si  distinsero 
in  particolar  modo  le  poetesse  di  que'  Icnapi  ,  sebbene 
Tullia  d' Arragona  sia  stata  creduta  non  insensibile  ai 
dettami  dell'  anatre. 

IV. 

Alla  pag.  29  clopo  la  nota  (a)  alla  fine  del  %  IV.  Capo  1. 

Poiché  abbiamo  accennalo  in  quella  noia  il  valore  di 
Bembo  come  illustre  grecista  ,  inseriremo  is  questo  luogo 
la  notizia ,  che  i!  sig.  cavaliere  Morelli  bibliotecario  di 
S.  Marco  in  Venezia,  e  membro  del  R.  I.  Istituto  delle 
Scienze,  lettere ,  ed  Ani,  ha  presentato  alla  Veneta  Se- 
/!;ione  dell'Istituto  medesimo  due  opuscoli,  che  provano 
ia  perizia  di  Bembo  in  quel  ramo  di  Letteratura  ,  oltre 
quello  che  già  se  ne  sapeva  per  le  di  lui  opere  pubbli- 
cale. La  prima  è  una  Memorie  intorno  ad  una  orazione 
Greca  inedita  del  cardinale  Pietro  Bembo  alla  Signo" 
ria  di  Venezia  ,  con  la  quale  la  esorta  a  promovere ,  e 
conservare  lo  studio  delle  Greche  lettere.  La  seconda  è 
la  Notizia  di  una  traduzione  latina  sconosciuta  fatta  dal 
cardinale  Pietro  Bembo  di  una  Orazione  di  Gorgia  in- 
torno al  rapimento  di  Eìena.  Si  spera  ,  che  fra  non 
molto  que' due  opuscoli  vedranno   la  pubblica  luce» 


2Ji 


Alla  pag.  3g  dopo  la  nota  (a)  della  pag.  precedente. 

Osserverò ,  che  Moreri  ,  non  so  perchè  ,  ha  trasfor- 
malo il  nomo  del  Moìza,  che  era  Francesco  Maria,  in 
(juello  di  Mario.  —  Di  là  da'raonti  è  stata  molto  lodata 
la  di  luì  poesia  sul  divorzio  di  Enrico  VI  lì  re  d^  In» 
ghiherra  con  Caterina  d' Arragona.  —  Giovio  ,  indotto 
forse  dalla  scostumatezza  di  quel  poeta ,  non  ha  parlato 
di  e?so  favorevolmente.  —  Tarquinia  di  lui  abbiatico 
era  figlia  di  Camillo  cavaliere  dell*  ordine  di  S.  Gia- 
como. Questa  donna  corteggiata  pel  suo  sapere  dai  primi 
letterati  del  suo  tempo,  ritirossi  alla  corte  di  Alfonso  li 
duca  di  Ferrara,  ove  trovò  due  abre  dame  illustri  pel 
loro  sapere ,  Livia  Preparala ,  ed  Orsina  Cavallela  ,  o 
forse  Cavallera ,  pres.*o  le  quali  coli*  assisteoia  di  Tar' 
(juiiiìo  teuevausi  conferenze  letterarie. 

VI. 

Alla  pag.  44  ^"■*-    *  5  dopo  le  parole  : 
,,  Vedrò   la  fonte  esausta.   " 

Gap.  XVI.    5  VII. 

I  lettori  di  quest'opera  non  saranno  forse  scontenti 
di  trovare  iu  questo  luogo  inserita  per  intero  la  satira  IV. 
AeW  Ariosto ,  (e  non  III  come  vien  citata  dal  sig.  ^o- 
scoe)  copiata  esallameate  fuUa  rara  edizione  di  quelle 
satire  del  iSS'j. 


272i 

A  M.  ànihaìle  Malegucc'o. 

M   Poiché  Aniballe  Intendere  Tuoi   come 

99  La  fo  j   col  duca  Alfonso,  e  s'io   mi   sento 
■»-  Più  grave,  o  men  ,  delle  mutate  some. 

ss  Perchè,   se  ancho  di  questo  m^i  lamento, 
55   Tu  mi  dirai  e'  ho  il  guidaresco  rotto 
55  0  eh'  io  son  di  natura  un  rozzon  lento. 

w   Senza  molto   pensar  dirò  di  botto 

5?   Ch' un   peso,  et  l'altro   ugualmente   me  spiace, 
»   Et  fora  meglio  a  nessun  esser  sotto. 

5»  Dimmi  hor  e' ho  rotto  il  dosso,  et  s' el  te  piace, 
5?  Dimmi  eh'  io  sia  una  rozza  ,  et  dimmi  peggio, 
»  In  somma  esser  non  so  se  non   verace. 

55   Che  sai  mio  genitor  tosto  e' ha  Reggio 
«  Daria  mi  partorì  ,  facevo  il   giuoco 
55  Che  fé  Saturno  ^1  suo   nel  alto  seggio. 

55  Si  che   fosse  mio  sol  stato  quel   poco 

v>  Nello  qual   dieci ,   tra  fratri ,   et  sirocchie 
95  E  bisognato  ohe   tutti  habbin   luoco. 

99  La   pazzia  non  havrei  delle  ranocchie 

59  Fatto  giamai  ,  de  ir  procacciando  ,  a   cui 
55   Scoprirmi  il   capo  ,  et  piegar  le  gioocchie. 

99   Ma   poiché  figliuol   unico   non  fui  , 

59  Ne  mai   fu  troppo  a   miei   Mercurio  amico  , 
59  Et  viver  son  sforzato  a  spese  altrui. 

59  Meglio  e  se  appresso  il  Duca  mi  notric«  , 

99  Ch'  andar  a  questo  ,  et  quel  del  huniil  volgo 
9»   Accuttandomi  il  pan  ,  come  mendico. 

99   So  ben  che  dal  parer  dei  più  mi  telgo , 


j>  Che  'I  stare  in  Corte  stimano  grandezza 

M  Ch'io  (per  contrario)  a  serTitù  rivolgo. 
»   Stiaci  voluntier  dunque  chi  lapprezza  , 

55   Fuor  ni   uscirò  ben   io  ,   sua   di   il  figliuolo 

59  Di  Maia  ,  vorrà   usarmi  gentilezza. 
55  Non  si  adatta  u.ia  sella ,   o  un  basto  solo 

5»  Ad  ogni  dosso  ,  ad  un   non   par  che  lo  abbia. 

59  Ad  altro  stringe  ,  et  preme  ,  et  gli  da  duolo. 
55  Mal  può   durar  il  Rosignuolo   in   gabbia 

95  Più  vi  sta  il  Gardelino ,  et  più  il  Fanello, 

59  La  Rondine  in  un  dì   vi  muor  di  rabbia. 
»  Chi  brama  honor  di  sprone,  e  di  cappello  , 

99   Serva,  Re,  Duca,   Cardinale,   o  Papa, 

59  Io  non ,  che  poco  curo ,  et  questo ,  et  quello. 
»  In  casa  mia  mi  sa  meglio  una  rapa 

95   Ch'  \o  cuoca ,  et  cotta  sua  steccho  m'  inforco , 

99  Et   mondo ,  et  spargo  poi  dì  aceto ,  et  sapa. 
99  Che  air  altrui  mensa  tordo  ,  s^rua ,  o  porco 

59  Selvaggio  ,  et  così  sotto  una  vii  coltre 

99   (Come  di  seta ,  o  d'  oro)  ben  mi  corco. 
95  Et  più  mi  piace  di  posar  le  poltre 

5»  Membra  ,    che  di  vantarle  eh'  agli  Sciti 

^9  Sien  state ,  agli  Indi  ,  agli  Ethiopi ,  et  oltre. 
55  Degli  huomioi  son  varii  gli  appetiti  , 

55  A   chi  piace  la  chierca  ,  a  chi  la  spada  3 

99   A  chi  la   patria,  a  chi   li  strani    liti. 
99  Chi  vuol  andare  a  torno ,  a   torno  vada  , 

99  Vegga  Inghilterra,   Ongheria,  Francia,    e  Spagna, 

99  A  me  piace  habitar  la  mia  contrada. 
95  Visto  ho  Toscana  ,  Lombardia  ,  Romagna  j 

Leone  X    Tom.   VII.  18 


374 

5?   (^)ael   monte   che  divide,   et  qnel   che   serra 
5-  Italia  ,  e  un  mare  ,  et  V  altro  che  la  bagaa. 

pi  Questo   mi   basta  ,  il    resto  della   terra 
5»  Senza   mai   pagar  l'  oste  andrò  cercando 
55   Con   Tolomeo  ,  sial   mondo  in   pace  ,  ou   guerra, 

3»  Et  tutto  il   mar  senza   far  voti   ne  quando 
51   Lampeggi   il   ciel  ,  sicuro  in   su   le  carte 
55   Veirò   più   che   su   i   legni   volteggiando. 

9»  Il  servigio  del  Duca,  d'ogni  parie 

55  Che  ci   sia  buona   più  mi   piace  in  questa  s 
»  Che  dal  nido   natio  raro  si  parte. 

95  Per  questo  i  studj   miei   poco  molesta 
55  Né  mi  toglie ,  onde  mai   tutto   partire 
55   Non   posso ,   perchè  il   cor   sempre   ci   resta. 

95   Farmi    vederti  qui   ridere  ,  et  dire  , 

55   Che   non   amor  di   patria  ,   né   de'  studi 

55   Ma   di   donna  è  cagioti   che   non   voglia  ire. 

95   Liberamente   tei   confesso,   hor   chiudi 
55  La  bocca  ,  che  a  difend'M-   la   bugia 
S9  Non   volli   prender  mai   spade  ,    uè  scudi. 

5.5   Del   mio  star  qui  ,  qual  la  cagion   si  sia 
>•>  Io   ci   sto   volontieii  .   hma   nessuno 
55  Habbia  a  cor  più  di   me ,  la  cura  mia. 

»  Se  io  fossi  andato  a  Roma  ,  dirà  alcuno, 
55  A  farmi  uccella  tor  de' benefici , 
55   Preso  alla  rete  o'  havrei  già  più  de  uno. 

13   Tanto   più  ch'ero  degli   antiqui  amici 
55   Del  Papa  ,  innanzi  che  virtute  ,  o  sorte 
•»»  Lo  sublimani   al    sommo  degli  uffici, 

95  Et  prima  che  gli  aprissero  le  porte 


275 

w  I  Fiorentini  j  quaudo  il  suo  GIuHaa© 

59   Si   riparava  in  la  Feltresoa  corte. 
»   Ove   col  fortnator  del   conigiano 

s»  Gol  Bembo,  e  gli  altri  sacri  al  divo  Apollo, 

5»   Face»  lo  esilio  men  duro ,  et  strano- 
3}   Et  dopo  anclior  ,  quando  levaro  il   collo 

5»  I  Medici   in  la  patria ,  el  Gonfalone 

"  Fuggendo  del   palazzo  hebbi  gran  crollo. 
>3  Et  fin  che  a  Roma  si  andò  a  far  Leone  , 

w  Io  gli  fui  grato  sempre ,  e  in  apparenza 

55   Mostrò  araar  più  di  ine  poche  persone. 
»  Et  più  volte,  legato,  et  in  Fiorenza, 

»  Mi  disse  ,  che  al  bisogno  mai  non  era 

55  Per  far  di  me  ,  al  fra  tei  suo  differenza. 
5»  Per  questo  parrà  altrui  cosa  leggiera  , 

99   Che  stando  io  a  Roma ,    già  mi  havessi  posta 

59   La  cresta  dentro  verde,  et  di  fuor  aera. 
»  A   chi  parrà  cosi  ,  farò   risposta  , 

99   Con  uno  esempio ,   leggilo  che  meno 

99  Leggerlo  a  te ,   che  a  me  scriverlo ,  costa. 
59  Una  stagioa   fu  già  ,   che  sì  il   terreno 

59  Arse ,    che  il  sol  di  nuovo  a  Phaetonte 

B9  Di  suoi  corsier  parea  haver  dato  il  freno. 
K   Secco  ogni  pozzo  ,  secco  era  ogni  fonte , 

99  Li  rivi  ,  i   stagni  ,  e  i   fiumi  più  famosi  ^ 

99  Tutti   passar  si   potean  senza  ponte. 
y>  la  quel  tempo  de  armenti ,  e  de  lanosi 

99  Greggi  ,  non  so  s' io  dica  ricco  ,  o  grav^ 

99  Era  un  pastor  fra  gli  altri  bisognoso. 
99  Che  poiché  l'acqua  per  t^tte  le  cavQ 


376 

55   Cercò  indarno,  sì  volse  a  quel  signore 

5»  Che  mai   noa  suol  fraudar  eh*  in  lui  fede  have. 

5»  Et  hebbe  lume ,  et  inspiration  di  core , 
95  Gh'  indi  lontano  troverìa  nel  fondo 
55  Di  certa  valle  il  disiato  humore. 

s>   Con  moglie  et  figli ,  et  con  ciò  eh'  avea  al  mondo 
55  La  se  condusse,  e  con   gli  ordigni   suoi 
55  L'  acqua  trovò  ,  ne  molto  andò  profondo. 

»  Et  non  havendo  con  che  attinger  poi 
55  Se  non  un  vase  piccolo ,  et  angusto  , 
5»  Disse  ,   che  mio  sia  'l  primo  non  vi  annoi. 

9»  Di  mogliema  il  secondo ,  el  terzo  è  giusto 
55   Che  sia  de' figli,  el  quarto,   et  fia  che  cessi 
55  L'  ardente  sete  ,  onde  è  ciascuno  adusto. 

9»  Li  altri  vuo  ad  un,  ad  un,  che  sian  concessi 
55   (^secondo  le  fatiche)  agli  famigli 
ss  Cho  meco  in  opra  a  far  il  pozzo  messi. 

M  Poi  sa  ciascuna  bestia  si  consigli , 

55  Che  di  quelle  eh'  a  perderle  è  più  danno , 
55   Innanzi  a  1'  altre  la  cura  si  pigli. 

95  Con  questa  legge  un  dopo   1'  altro  vanno 
5»   A  bere ,  et  per  non  essere  i  sczzai 
99  Tutti ,  più  grandi  i  lor  meriti ,  fanno. 

3*  Questo ,  una  Gaza  che  già  amata  assai 
55  Fu  dal  padrone ,  et  in  delitie  havuta 
99   Vedendo  ,  ed  ascoltando  ,  gridò  ,  guai. 

99  Io  non  gii  son  parente  ,  ne  venuta 
39  A  far  il  pozzo  ,  né  di  più  guadagno 
95  Gli  son  per  esser  mai ,  eh'  io  gli  sia  suta. 

'*  ^^gg'®  ^^^  dietro  agli  altri  mi  rimagno , 


277 

55  Moro  di  sete  quando  non  procacci 

9ì  Di  trovar  per  mio  scampo  altro  rigagno. 
55  Cugia  ,  con  questo  esempio  ,  vuo  che  spacci 

5?  Quei,  che  credon ,  che  '1  Papa,  porre  innanzi 

9»  Mi  debba  a  Neri ,  a  Vanni ,  a  Lotti ,  e  a  Bacci. 
95  Li  Nepoti  e  i  parenti  che  son  tanti 

95  Prima  hanno  a  ber ,  poi  quei  che  lo  ajutaro 

55  A  vestirsi  il  più  bel  dì  tutti   i  manti. 
55  Bevuto  eh'  abbian  questi ,  gli  fia  caro 

59   Che  quei  bean  ,  che  centra  il  Soderino 

55  ('Per  tornare  in  Firenze^  si  levare. 
55  L*  un  dice  j  io  fui  con  Pietro  Casentino  , 

55  Et  d'  esser  preso ,   et  morto ,  a  rischio  venni  ^ 

55  Io  gli  prestai  danar  grida  Brandino  ; 
55  Dice  un  altro  a  mie  spese  il  frate  tenni 

95  Uu  anno  ,  et  lo  rimessi  in  veste ,  en  arme., 

99  Di  cavallo  et  d*  argento  lo  sovenni. 
5?  Se  fin  che  tutti  beano  ,  aspetto  a  trarme 

»  La  volontà  di  bere,  o  me  di  sete 

95  0  secco  il  pozzo  d*  acqua  veder  parme. 
99  Meglio  e  starmi  in  la  solita  quiete , 

55  Che  provar  s*  egli  è  ver  ,  che  qualunque  erge 

99  Fortuna  in   alto ,  il  tuffa  prima  in  Lete. 
99  Ma  sia  ver  se  ben  gli  altri   vi  sommerge 

99  Che  costui  sol  non  accostasse  al  rivo  , 

99  Che  del  passato  ogni  memoria  absterge. 
95  Testimonio  son  io  di  quel  eh'  io  scrivo 

99  Ch*  io  non  1'  ho   ritrovato  quando  il  piede 

95  Gli  baciai  prima,  di  memoria  privo, 
99  Piegossi  a  me  da  la  beata  sede. 


3^8- 

»  La  mano  ,  et  poi  le  gote  ambe  mi  prese , 
55  El  santo  bacio  in  l'  ona  ,  e  l' altra  diede< 
j»  Di  mezza  quella  Bolla  anco  cortese 
55  Mi  fa  j  la  qual  bora  il   mio  Bibiena 
5»  Ispedito  m' ha  il  resto  alle  mie  spese. 
9»  Indi  col  seno ,  et  con  la  falda   piena 

s»  Di  speme  ,   ma  di   pioggia  ,  et  fango  brutto 
9»  La  notte  andai   fino  al  Montone  a  cena. 
9>  Hor  sia  vero ,  che  '1   papa  atttenda  tutto 

55   Ciò  che  già  offerse  ,  et  voglia  di  quel   seme 
5»  Che  già  tanti   anni   sparsi ,  hor  darmi  il  frutto. 
«9  Sia  ver,  che  tante   Mitre  ,  et  Diademe 
55  Mi  doni  ^  quante  Iona  di    capella 
55  Alla  messa  papal   non   vede  insieme, 
»  Sia  ver,  che  di.  oro  m'empia  la  scarsella, 
5»  Et  le   maniche  ,  el  grembo  ,  et  se  non  basta  , 
5?  Mi  empia   la  gola  ,  il  ventre,  e  le  budella. 
S5  S' era  per  questo  piena  quella  sasta 
55  Ingordigia  di  baver  ?  rimarrà  satìa 
55  Per  ciò  la  sitibonda  mia  cerasta  ? 
»  Dal  Marocco  al  Catai  j  dal  J^lo  in  Dalia , 
55  Non  che  a  Roma  anderò ,  se  di   potervi 
55  Satiar  i  desiderj ,  impetro  gratia. 
i>  Ma  quando  Cardinale  ,  o  de  li  servi 

55  Io  sia  il  gran  servo  ,  et  non  ritrovino  anco 
}5  Termine  i  desiderii   miei  protervi. 
»  In  che  util  mi  risulta  essermi  stanco 
55   In   salir  tanti  gradi?  Meglio  fora 
55  Starmi  in  riposo  ,  o  affaticarmi  manco. 
S3  Nel  tempo  che  era  nuovo  il  mondo  anchora  , 


379 

3j  Et  cbe  mesperta  era  la  gente  prima  ^ 

'jì   Et  non  eran  1*  astutie  ,  che  son  hora  : 
35  A  pie  di  un  al'o   monte  ,  la  cui   oima 

55  Parca   toccasi   il   Cielo  ,   un   popul  quale 

55   Non  so   mostrar,  vivea   nella  valle  ima. 
9»  Che  più   volte  osser^'ando   la  ineguale 

55  Luna  ,  hor  con  corna^  hor  senza,  hor  piena,  hor  scema^ 

55  Girar  il   cielo  al   corso   naturale. 
55  Et  creden'lo  poter  da   la  suprema 

55  Parte  del  monte  giungervi  et  vederla 

»•  Come  si  accresca,  et  come  in   se  si  prema ^ 
n  Chi  con  canestro  ,  et  chi  con  sacco  per  la 

55  Montagna,  cominciar  correr  in   su, 

57  Ingordi   tutti  a  gara  di  tenerla. 
55   Vedendo  poi  non  esser  giunti   più 

95  Vicini   a  Lei  caddeno  a  terra  lassi 

55   Bramando  invan  di  esser  rimasi  giù. 
j5   Quei   che  alti   gli   vedean   da   poggi   bassi 

99  Credendo  che   toccassero   la   luna 

55   Dietro   veuian   cdu   frettolosi   passi, 
fe   Qnes»o  monte  e  la  ruota  di  fortuna  , 

55  Nella   cui  cima  il  volgo  ignaro  pensa 

55   Ch'ogni  quiete,  sia  ,  ne  vene  ignuna. 
99  Se  in  r  honore  ,  il  contento,  o  ne  la  immensa 

95  Ricchezza  si  trovasse  ,  i  lodarei 

•)?  Non  haver  se  non  qui  la  voglia  intensa. 
55  Ma  si  io  veggio  li   Papi  ,  et  Re  che  Dei 

55   Stimiamo  iu  terra  star  sempre  in   travaglio, 

55   Che   sia   contento   in   lor  ,   dir  non   saprei. 
55  Se  di  ricchezze  al  Turco,  e  se  io  me  aguaglio 


28o 

5>  Di  dignìtate  ai  Papa  ,  e\  ancor  brami 

»  Salir  più   in  alto,  mal  me  uè  prevaglio. 
»  Convenevol  è  ben  che  ordisca,  e  trami. 

??  Di  non  patire  alla   vita  disagio , 

»  Che  più  di  quanto  ho  al  mondo,  è  ragion  ch'ami. 
5»  Ma  se  l' huomo  è  si  ricco ,  che  stia  adagio , 

5!»  Di  quel  che  la  natura  contenlarse 

53  Dovria  ,   se  fren   pone  al  desir  malvagio  ; 
»  Che  non  digiuni,  quando  vorria  trarse 

<>■>  Liogor  da  fame  ,  et  habbia  fuoco  et  tetto  , 

5'  Se  dal  freddo  o  dal   sol   vuol  ripararse 
w  Ne   gli   convenga  andare  a  pie ,  si  astretto 

5»  E'  di   mutar  paese ,  et  habbia  in   casa 

9»  Chi  la  mensa  apparecchi ,  e  acconci  il  letto. 
■w  Che  mi  può  dare  ,  o  meta  ,  o  tutta  rasa 

'^   La  testa  più  di  questo  ?  ei  ci   misura 

?«  Di  quanto  pon   capir  tutte  le   vasa. 
93   Convenevole  è  anchor  che  si  habbia  cura 

95  Del  honor  suo  :   ma  tal ,   che  non  divenga 

»>  Arabitione,  et  passi  ogni  misura. 
»?  Il   vero  honore  è  ,  che  uom  da  ben   ti  tenga 

5»  Ciaschuno  ,  et  tu   sia  ;   che  non   essendo 

5»  Forza  è  ,  che  la  bugia  presto  si  spenga. 
5»  Che  cavaliero ,  o  conte  ,  o  reverendo 

v>  Il   populo   te  chiami ,   io   non   t' honoro , 

5j  Se  meglio  in  te  che '1  titol  non  comprendo. 
M  Che  gloria  ti  è  vestir  di  seta  ,  e  d*  oro  ? 

5?  Et  quando  in  piazxa  appari  ,  o  no  la  Chiesa 

55  Ti  si  levi  il  capuccio  il   popnl  soro  ? 
*?  Foi  dira  dietro  ,  ecco  chi  diede  presa 


28l 

s>  Per  danari  a  Francesi  Porlagìone 

5?  Che  '1  suo  Signor  gli  havea  data  in  difesa  ? 

K  Quante  collane,  quante  cappe  nove 
55  Per  dignità  sì   comprano,  che  sono 
»  Publici  vituperi  in  Roma ,  e  altrove  ? 

?5  Vestir  di  Romagnuolo  ,  et  esser  bono , 

w  Al  vestir  di  oro ,  et  haver  nota  ,  o  macchia , 
w  Di  barro ,  o  traditor ,  sempre  prepouo. 

i->  Diverso  al  mio  parere  il  Bomba  gracchia  , 

55  Et  dice  habbia  io  pur  robba ,  et  sia  lo  acquisto 
59  Venuto ,  o  per  il  dado ,  o  per  la  macchiai 

55  Sempre  ricchezza  riverire  ho  visto 

55  Più  che  virtù  ,  poco  il  mal  dir  mi  noce , 
55   Si  rinnega ,   ancho ,  e  si  bestemia  Christo. 

55  Pian  piano  Bomba ,  non  alzar  la  voce  , 
55  Bestemmian  Christo  gli  huomini  ribaldi 
59  Peggior  di  quei  che  lo  chiavaro  in   Croce. 

s9  Ma  gli  honesti ,  et  li  buoni ,  dicon  mal  di 
95  Te,  et  dicoQ  ver,  che  carte  false,  et  dadi 
55  Ti  danno  i  beni  eh'  ai  mobili  ,  et  saldi. 

•3  Et  tu  dai  lor  da  dirlo ,  perchè  radi 
59  Più  di  te  in  questa  terra  straccian  tele 
55  D*  oro  ,  et  broccati  ,  et  veluti ,  et  Zendadi. 

j5   Quel  che  dovresti  ascondere  rivele 

59  A  furti  tuoi ,  che  star  devrian  di  piatto , 
95  Per  mostrar  meglio  allumi  le  candele. 

55  Et  dai  materia  che  ogni  savio  ,   et  matto 
s>  Intender  vuol ,   come  ville  ,  et  palazzi 
55  Dentro ,  et  di  fuor  in  si  pochi  anni  bai  fatto. 

r5  Et  come  cosi  vesti ,  et  così  sguazzi , 


à8i? 

n  Et  risponclere  è  forza  ^  et  a  te  e  vfso 

M  E'ser  jira,ide  huomo  ,   et  den'.ro  ne  cavaz^l  ? 

M  Par  che  non   se  lo  veglia  dire  in   viso  , 
?»  Non  stima  il   Berna  ohe  sia  biasmo  ,  sode 
w  Mormorar  dietro,  ch'abbia   il   frate  ucciso. 

5»  S'»  ben   A  sta'o   in  bando  un   pexzo  ,  hor  gode 
5»   L*  h^reditate  in   pace  ,  et  che  gH  agogna 
«   Mal  ,   fiera*»  indarno  ,  e  indar  io  se  ne  rode. 

55   Qin^llo   altro  va  se  stesso  a  porre  in  gogna, 
95   Facendosi   vedur  con   quella   aguzza 
55   Mitia  ,   acquistata  cor»   tanta  vergogna. 

5»  Non    havendo   più   pel   d'  una   cuccuzza 
55  Ha    meritato  con   brutti   servisi 

o 

55  La  dignilate  3  el   titolo  che  puzza, 
59  A  spirti  humani  ,  à  li   celesti ,  à  stigi. 

lì  poeta  parla  di  questo  stesso  argomento  in  molti 
altri  passi  delle  sue  satire  ,  alcuni  dei  quali  ha  rifprilo 
il  sig.  Roscoe  nelle  sue  note.  Tra  questi  può  vedersi  il 
passo  della  satira   VI.  citato  alla   pag.  4^5  ,  che  coraincias 

55  Venne  il  dì  che  la  chiesa   fu  per  moglie  5» 
e  Goisce 

5»  La   man   mi   strinse  ,  e  mi  baciò  le  gote.  5» 

Daremo  (jui  la  continuazione  di  questo  squarcio  ,  cho 
altrimenti  rimarrebbe  tronco,  ed  imperfetto,  tanto  più 
che  nelle  terzine  seguenti  molte  cose  si  contengono  ,  che 
singolarmente  illustrano  i  fatti  del  pontificato  di  L''on  X^ 
e  le  relazioni  della  sua  famiglia  ,  e  de' suoi  amici  Da 
esse  El  rileva ,  che  anche  il  Bihìena  ,  tutto  che  innal- 
zato a  grandissima  dignità  non  dovesse  mostrarsi  moU» 
contento.  Le  terzine  sono  le  seguenti  : 


233 

S5  Ma  falle  In  pochi  giorni  poi   (di  quanto 

55  Fotea  ottener  )  le  sperienze  prime  , 

?»  Quanto  andò  in  allo  ,  in  giù  tornò  allrettanlo. 
'.-)  Fu  già  nna  zucca,  cbe  montò  sublime 

5>  In  pochi  giorni  tanto  ,   che  coperse 

55  Ad  un  pero  suo  vicio  l*  ultime  cime. 
55  II  pero  una  mattina  gli   occhi  aperse 

w   (Ch'avea  dormito  un  lungo  sonno)  et  visti 

»  Li  nuovi  frutti  sul   capo  sederse. 
VI  Le  disse  ,  che  sei  tu  ?  come  salisti 

s»   Qua  su ,  dov*  eri  dianzi  ?  quando  lasso 

55   Al   sonno  abbandonai  questi  occhi   tristi. 
55  Ella  gli  disse  il  nome,  et  dove  al  basso 

5»  Fu   piantata   mostrolli  ,   et  che   in   tre   mesi 

w   Quivi  era  giunta  accellerando   il  passo. 
5>  Et  io  (  l' arbor  soggiunse)  a  pena  ascesi 

M  A  questa  altezza  ,   poiché  al  caldo  al  gelo  , 

55   Con  tutti  i   venti   trenta  anni  contesi. 
5»  Ma  tu  che  a  un  volger  d' occhi  arrivi  in  ciele 

55  Rendite  certa  ,  che  non  meno  in  fretta 

55  Che  fia  cresciuta  mancherà  il   suo  stelo. 
55  Così  alla  mia  speranza  ,  che  a  staffetta 

55  Mi  trasse  a  Roma  potea  dir  chavuto 

55  Per  Medici  sul  capo  havea  la  cetla. 
99  0  chi  ^li  havea  in  lesilio  sovenuto  , 

99  O  chi  a  riporlo  in   casa ,  o  chi   a   crearlo 

55  Leon,  d' humil  Agnel  gli  diede  aiuto. 
39  Chi  havesse  havuto  il  spirto  di  don   Carlo 

99  Sosena  allhora ,  havria  a  Lorenzo  forse 

99  Detto  ,  quando  seDt\  duca  chiamarlo. 


a84 

59  Et  havria  dello  al  duca  di  Namorse , 

?5   A.1   Cardinale  d  •   Rossi  ,  et  al  Bibiena  , 

95  A  cui  meglio  era  esser  rimaso  a   Torse. 
5j  Et  detto  a   Contessina  ,  e  a  Maddalena, 

Si   Alla  nora  ,  alla  socera  ,   et  a  tutta 

»   Quella  famiglia  d*  allegrezza  pieoa. 
5»  Questa  similitudine  fia  iadutta 

5?  Più  propria  a  voi ,  ohe  come  vostra  gioja , 

95   Tosto  raoatò  tosto  sarà  distrutta. 
:?  Tutti  morrette ,  et  è  fatai  che  muoja 

5?  Leone  appresso  ,  prima  che  otto  volte 

55   Torni  in  quel  segno  il  fondator  di  Troja. 
55  Ma  per  non  far  (se  non  bisognan  )  molte 

55  Parole,  dico  che  fur  sem||re  poi 

59  L'  avare  speme  mie  tutte  sepolte. 
55   Se  Leon   non   mi  die  j  eh'  alcun  de'  suoi 

95  Mi  dia  non  spero  ,  cerca  pur  questo  hamo 

99  Coprir  d'altra  esca,   se   pigliar  mi   vuoi. 
55  Se  pur  ti  par  che  io  vi  debba  ire,    aodiamo, 

sr  Ma  non  già  per  honor  ,  ne  per  ricchezza  , 

55  Questa  uoa  spero  ,  e  quel  di  più  noa  bramo.  ;" 

VII. 

Alla  pag.   52  alla  fine  del  §   Fili  Cap.  XVI 

Molte  preziose  notizie  intorno  la  vita  dell'  Ariosto  pos» 
sono  ricavarsi  dalla  satira  VI,  diretta  a  Pietro  Bembo, 
nella  quale  il  poeta  si  volge  all'  amico  suo  onde  ottenere 
direzione  per  V  educazione  nelle  lettere  di  uà  di  lui  fi- 
gliuolo detto  Virginio.  Mostra  egli  di  bramare,  che  que! 


385 

giovanetto  sia  istrutto  nel  Greco ,  né  però    intende  ,  che 
1'  amico  debba  fare  : 

55   L'  ufficio  di  Dimetrio  ,  o  di   Musura  ,  •>* 
cioè  di  insegnar  egli  il  greco ,  come  faceaiio   Marco  Mu- 
savo ,  e  Demeirio   Calcondila.  Lo  richiede    però    di  cer- 
care in  Padova  ,  o  in   Venezia    alcun    Greco ,    y>   Buono 
s?  in    scipntìa ,    et    ■più    in    costumi    •>■>    il    qnale    voglia 
istruir  qael  fanciullo  ,  e   tenerlo   seco  in  casa.  Molto  in- 
siste sopra  i  costumi  3    accennando  che  in  quella,  come  egli 
dice ,  male  avventurosa  etade ,  pochi  erano    grammatici  , 
et  umanisti  ,  che   infetti   non   fossero  del   vizio  abboraine» 
▼ole  della  sodomìa.  Questo   vizio  essere  dovea  infatti  molto 
esteso  ,  perchè  1*  Ariosto  continua  colla  seguente  terzina  : 
55  Ride  il   volgo  se  sente  un  eh'  abbia  vena 
55  Di  poesia  ,  et  poi  dice  è  gran   periglio 
55   A   dormir  seco,   et   volgergli   la   schiena.  55 
Parlando  in  seguito  dei  dubbj  ,  che  cader  possono  sui 
precettori  in  materia  di  sana  credenza  ,  nomina  fra  Mar- 
tino  ,  sotto  il  qual  nome  probabilmente  intende  Lutero. 
Dopo  di  aver    molto    ragionato    de'  poeti    del    tempo  , 
dei  membri  dell'  accademia  Romana  ,  che  affettavano  no- 
mi capricciosi ,  e  dei  buoni  studj  in  generale  ,  racconta, 
che  mentre  egli  era  anoora  imberbe  ,  suo  padre  cacciollo 
«t  forza ,  e  lo  ritenne  cinque  anni  allo  studio  delle  leggi, 
dopo  di  che  il  pose  in  libertà  ;   ma  egli   trovossi  a  quel- 
l'epoca cosi  poco  addottrinato,  che  a  fatica  potea  inten- 
dere le  favole  di  Fedro.  Fortunatamente  si  incontrò  eoa 
un  eccellente  maestro,  dotto  in  greco,   ed  in   latino,  che 
era  Gregorio  da  Spoletl,  e  di  questi  tesse  un  elogio  sen- 
timentale.   Dice    però    con    frasi    assai    nobili ,    che  non 
curossi  allora  di  saper  di    greco ,    e   tutta  rivolse  la  sua 


286 

cura  alle  lettere  lalÌDe;  che  perHelte  quJnrli  roncasion» 
proprizia ,  perchè  Gregorio  fu  dalla  Duchessa  di  Milano 
dato  per  precettore  a  quel  figliuolo: 

59  A  chi  havea  il  zio  la  signoria  levata.  » 
e  reputa  una  vendetta  del  cielo    le    sventure ,    che  cad- 
dero su  quella  famiglia  ,  nomando  pure  ohe  Gregorio  morì 
seguendo  il  suo  discepolo. 

Narra  da|ipoi  ,  che  morto  il  padre  fu  in  gran  pensiero 
per  maritar  le  sorelle  ;  che  dovette  fare  1'  officio  di  pa- 
dre coi  piccioli  fratelli  ;  che  queste  cure  furono  di  grande 
impedimento  ai  dì  lui  studj  ;  che  altamente  fu  commosso 
per  la  perdita  di  suo  fratello  Pandolfo  ;  che  in  seguito 
passò  sotto  al  giogo  del  cardinal  d'  Este ,  che  durò  dalla 
sua  creazione  fino  alla  morte  di  Papa  Gtu^^o,  e  sett' anni 
ancora  del  Pontificato  di  Leone  ;  che  molto  fu  turbato 
pure  pe' continui  viaggi,  pe' quali  dice  gentilmente: 
5-'  Et  di   poeta  cavallar  mi  fco.  5» 

Chiude  finalmente  la  satira  epistolare  col  pregar  Bembo, 
che  ponga  cura  al  suo  Virginio  ,  affinchè  giunga  in  Par- 
liasso ,  ove  per  tempo  egli  non  seppe  andare. 

Dalla  settima  satira  diretta  a  Bonavventura  Pistofilo , 
segretario  del  duca  di  Ferrara  ,  sì  raccoglie ,  che  negli 
ultimi  suoi  anni  gli  era  slato  offerto  di  andare  per  un 
anno ,  o  due  Ambasciadore  del  duca    a    papa    Clemente. 

farla  a  lungo  della  sua  dimestichezza  coi  Medici  : 
»    Quando  eran  fuor  usciti  et  quando  foro 

»    Rimessi  in  stato  ,  et  quando  in  su  le   rosee 
»    Scarpe  Leone  hebbe  la  croce  d*  oro.   » 

Sì  scusa  tuttavia  dall' accattare  la  carica,  che  gli  ve- 
niva offerta  j  e  parlando  delle  alletattive,  che  avrebbono 


287 

potuto  iaflurlo  a  recarsi  in    Roma^  inserisce  due  terziae^ 

che   me-  itauo   di   essere   riferite  : 

»    Dimmi  ch'io   potrò   aver  ozio   talora 
»    Di   riveder   le   mu,-e,   et  con   lor   sotto 
»    Le  sacre  frondi  ir  poetando  ancora. 
»    Dimmi,   che  al  Bembo,  al  Sadoleto  ,  al  dotto 
»    Giovo,  al  Cavallo,  al   Blosio,  al  Molza,  al  Vida 
»    Potrò  ogni  giorno,  e  al  Thybaldeo  ,  lar  molto.  » 
La  satira  quinta  elegantissima  a  Messer  Gismondo  Ma' 
legaccio  versa  tutta  sulla  missione  ,  che  egli    avea    avuta 
nella   Garlagnaua  :   vi   si   si   descrive   la   natura  alpestre  di 
quella   regione ,  il   mal  costume  ,  e  1»  barbarie  di    quegli 
abitanti  ;  ed   il   poeta  fa    le    sue     proteste  ,  che    non   per 
alcuna   voglia    avara    accettò    quella    carica.    Egli   non   fa 
tuttavia  menzione  di    un    aneddoto  ,     che  trovasi    riferito 
da   alcuni  scrittori    della   di    lui   vita,   ed   è ,    che    perse- 
guitando egli   per  ufficio  i   banditi  ,  i   contrabbandieri  ,  ed 
i  briganti ,  uscito  una  mattina    in    veste    da  oamera    im- 
prudentemente dalla   fortezza,   cadde  nelle  loro  mani  ,  ma 
riconosciuto,  e  nominato  da  uno  di  essi,    tutti    gli  altri 
gli   furono   intorno   rispettosi   dicendo,  che   più  veneravano 
la   qualità   di   poeta,   che   il     titolo    di    governatore,     e   lo 
ricondussero   al   castello.    Se    questo  aneddoto   fosse   vero  , 
onorerebbe  ii  gusto,  ed  il  giudizio  di  que' malaudnui. 


a88 

viir. 

Mia  pag.  53  aZ  fine  della  nota  (2)  della  pagina 
antecedente. 

Gap.  XVI.  §  IX. 

L'  edizione  del  Porro  del  iSS^.  ta  «u  merito  Biblio- 
grafico per  la  sua  bellezza ,  per  le  figure  ^  delle  quali  è 
ornata  j  per  la  sua  rarità,  massime  se  una  delle  figure  > 
che  sono  apposte  a  ciascun  canto  non  si  trova  ripetuta 
in  pregiudizio  del  numero  totale,  e  della  serie  delie  fi- 
gure medesime,  il  che  avviene  molto  sovente;  ma  è  bea 
lungi  dal  vero ,  che  quella  edizione  possa  giudicarsi  la 
mìgliorp. 

Dopo  le  prime  edizioni  del  i5i6,  l52l  ,  e  del 
l552,  le  lezioni  del  Poema  cominciarono  ad  alterarsi  j 
ed  a  guastarsi  sensibilmente.  Il  Guadagnini  si  studiò  dopo 
il  i55o  di  porre  qualche  riparo  alia  licenza ,  ma  1' opera 
di  lui  riusci  poco  meno  ,  che  infruttuosa ,  e  1*  argine 
da  esso  posto  alla  corruzione  non  durò  molto  tempo. 
Questa  nel  i556  per  opera  del  mal  augurato  Ruscelli 
fu  portata  all'  eccesso  colle  stampe  Valgrisiane ,  alle  quali 
non  sono  per  la  correzione  preferibili  quelle  di  Giolito. 
Si  sparsero  a  larga  mano  gli  errori  ,  che  poi  si  perpe- 
tuarono nelle  edizioni  successive  ;  si  sostituirono  alle 
vere  lezioni  false  e  capricciose  ;  si  cangiò  ben  sovente,  si 
alterò,  o  si  travolse  il  senso  dello  scritto  originale. 
L'edizione  del  Porro,  modellata  essendo  sulle  Rusceliiaae 


3% 

o  Valgrìsiane ,  n'uscì  una  delle  più  scorrette ,  e  difettose 
quanto  al  testo  ;  e  questo  disordine  continuò  in  tutte  le 
«dizioni ,  che  se  ne  feoero  fin  verso  la  mela  del  Secolo 
XVIII. 

Nel  19 il  dapprima,  poi  nel  176G  ,  Barotti  si  studiò 
di  rimediare  a  tanto  male  j  e  di  restituire  in  qualche 
parie  la  genuina  lezione,  nell'edizione  dell' Or/artc/o  Fu- 
rioso  fatta  in  Venezia  in  /{.  volumi  in  12;  poi  in  quella 
fatta  colà  pure  di  tutte  le  opere  del  divino  Poeta  in  6 
volumi  parimenti  in  12  ,  ma  per  verità  fece  assai  poco. 
Progredirono  così  su  quest'ordine  le  edizioni  successive 
fino  ai  nostri  tempi ,  e  cogli  slessi  difetti  ,  e  colle  stesse 
macchie  si  pubblicarono  le  edizioni  più  pregievoli  pep 
lusso  tipografico j  quella  di  Parigi  del  i-jH  in  quattro 
volumi  in  12  ,  che  è  stata  per  qualche  tempo  ricercata  con 
premura,  quella  pure  di  Parigi  di  Panckoucke  del  i'58'j 
in  dieci  volumi ,  come  sopra ,  e  quella  di  Basherville 
di  Birmingham ,  procurata  da  Molini.  Quest*  ultima  ha 
il  pregio  d'essere  adorna  di  bellissime  figure  incise  in 
parte  dal  celebre  Bartolozzl  ;  ma  alcune  delle  indicate 
edizioni  non  presenta  una  lezione  genuina  ,  e  corretta. 

La  benemerita  Società  ,  che  ha  pubblicato  in  Milano 
un'edizione  non  inelegante  dei  classici  autori  Italiani, 
u«l  ristampare  il  poema  AeW  Ariosto  sull'ordine  mede- 
s;imo,  ha  avuto  l'accorgimeuto  di  accompagnare  l'edizione 
del  i532  colle  varianti  respeltive  delle  due  anteriori 
edizioni  del  i5i6,  e  del  i52i  ,  nel  che  merita  molta 
lode.  Attendiamo  ora  con  impazienza  una  nuova  edizione 
già  disposta  in  Milano  per  le  cure  del  dotto  sig.  Pro- 
fessore Morali  ,  Bibliotecario  della  C.  Regia  Biblioteca 
pubblica,  e  non  dubitiamo,    che  questa  per  la  sua  au- 

lilOM  X.  Tom.   VII.  19 


29» 

tenticità  ,    ed  esatta  correzione  del  te6to  potrà  soddisfare 

ì  voti  degli  amici  delia  Italiana  letteratura  ,  non  avendo 
l'editore  risparmiato  né  spese  ,  né  fatiche,  né  viaggi  per 
istituire  gli  opportuni  confronti  colle  prime  ,  e  più  rare 
edizioni,  e  coi  testi  a  penna  di  quel  poeraa  immor- 
tale. 

Chiuderemo  questa  nota  coli' avvertire  ,  che  nel  testo 
originale  dell*  opera  ,  e  particolarmente  nella  nota  (  2) 
«Iella  pag.  53  ,  è  caduto  un  errore,  che  forse  potrebbe 
essere  tipografico,  essendosi  registrata  sotto  all'anno  i5l5 
la  prima  edizione  dell'  Orlando  Furioso ,  che  con  com- 
parve se   non  nel   i5i6. 

IX. 

Alla  pag.   54  al  fine   della   nota    (2) 
della  pagina  antecedente. 

Cap.  XVI.  §  IX. 

Si  narra  da  alcuni  biografi  AeW  Ariosto  ,  che  Bemho 
si  studiasse  di  dissuaderlo  dallo  scrivere  in  Italiano ,  ad- 
ducendogli  per  motivo  ,  che  la  lingua  latina  offeriva  un 
maggior  campo  di  gloria  ,  siccome  più  sonora ,  e  più 
estesa,  ma  che  \' Ariosto  rispondesse  ;  io  amo  meglio  es- 
sere il  primo  tra  gli  scrittori  Italiani ,  che  il  secondo 
tra  i  latini. 

Poiché  diversi  aneddoti  abbiamo  riferito ,  che  sparsi 
si  trovano  nelle  sue  vite,  accenneremo  ancor  questo, 
che  egli  di  mala  voglia  tollerava  ,  che  i  suoi  versi  fos- 
sero letti  in  modo  iudecente,    e    che    avendo  un  giorno 


agi 
udito  un  vasaio,  clie  storpiava  nel  cantare  alcune  stanze 
dell'  Orlando  Furioso ,  entrò  nella  di  lui  bottega ,  e 
ruppe  alquanti  vasi  ,  del  che  chiedendo  la  ragione  l'ar- 
tefice ,  r  Ariosto  disse  :  »  Questo  è  ancor  poco ,  perchè 
95  io  non  ho  spezzato  se  non  pochi  vasi  ,  che  non  vai- 
n  gono  una  lira  ,  e  tu  guasti  le  mie  stanze ,  che  sono 
9»  di  molto  maggior    valore,  s? 

X 

Alla  pag.  62  Un.  9  dopo  le  parole  : 
„  Essa  chiuse  i  suol  giorni  in  Roma.  " 

Gap.  XVI.  g  X. 

Non  possiamo  tralasciare  di  riferire  la  stravagante  opi- 
nione  di  Morerì ,  il  quale  sulT  autorità  di  Jlarione  de 
Coste  in  una  sua  storia  delle  donne  illustri  fa  morire 
Vittoria  Colonna  nel  monastero  di  S.  Maria,  (forse  nel 
monastero  maggiore  di  Milano)  dove  egli  dice ,  che  si 
era  già  ritirata  da  varj  anni.  Egli  la  fa  pure  morire  nel 
i 5^.1  ;  mentre  il  sig.  Roscoe  la  fa  vivere  sino  al  iS^^j 
siccome  pare  assai   più  probabile. 

Si  attribuisce  alia  magnanimità  di  questa  donna  vir- 
tuosa l'avere  dissuaso  il  marito  dall' accettare  il  regno 
di  Napoli  ,  che  il  Papa  Clemente  FU ,  ed  i  principi 
d'Italia  gli  offrirono  dopo  la  vittoria  di  Pavia,  della 
quale  egli  avea  riportato  il  maggior  onore.  Altri  perà 
sostengono  ,  che  l' imperadore  Carlo  V  mandasse  a  voto 
quel  progetto ,  allegando  che  la  proposizione  fatta  su 
tale  argomento  altro  non  era  se  non  uno  stratagemma 
per  iscoprire  i  segreti  disegni  de'  suoi  nimici. 


E  pur  singolare ,  che  Moreri  invece  di  Marc'  Antonio 
Flamini»  ella  come  autore  dell'epigramma,  riferito  dal 
sig.  Roscoe  alla  pag.  Co  nota  2  ,  Giovanni  Tommaso 
Musconio,  che  egli  dice  celebre  poe<a  di  quei  tempi. 
Egli  pure  ha  inserito  l'epigramma  medesimo,  ma  1'  ulti- 
mo distico  è  alterato  nel  modo  seguente: 
35  U'raque  Romana  est  ;  sed  in  hoc  Victoria  victrix 

5)  Perpetuo  haec  luclus  sustinet;  illa  semel,   a 

XI. 

Alla  pag.  64  Un.    i4-  dopo  le  parole  : 
,j  Sua  Consorte.   " 

Gap.  XVI.  §  XI. 

Veronica  Gamhara  si  crede  nata  in  Brescia  nel  i^85, 
ed  avea  no  fratello  Cardinale  per  nome  Uberto.  Essa 
rimase  vedova  assai  presto.  Moreri  ,  ed  altri  biografi  si 
sono  espressi  mollo  male  col  dire  ,  che  essa  col  merito 
delle  sue  poesie  si  rendette  tanto  celebre  nella  città  dì 
Correggio,  come  Vittoria  Colonna  \\\  Roma.  Sì  1'  una 
che  l'altra  di  queste  donne  illustri  ebbe  tutta  Italia  per 
teatro  de' suoi  taleati ,  e  della  pubblica  ammirazione. 


29^ 

XII. 

Jlla  pag.   66  Un.    1 5  dopo  le  parole  : 
„  Costanza  d  Avalos  duchessa  d'Amaltl.  " 

Cai-.  XVI.  §  XI. 

Alcuni  scrittori  Francesi,  tralasciando  di  parlare  della 
sua  letteratura  ,  ledono  grandemente  il  suo  co  aggio ,  ed 
il  suo  valore  j  e  la  dipingono  come  una  dama  guer- 
i'iera. 

XIII. 

AUa  pag.  68  Un.   a  dopo  le  parole  : 
„  Laura  Battiferra  d'Urbino.  *' 

Gap.  XVI.  §  XI. 

Essa  nacque  nel  i523,  e  mori  nel  i58f),  dal  che 
può  inferirsi,  che  essa  non  appartenesse  realmente  ai 
tempi  di  Leon  X,  e  troppo  lungo  sarebbe  il  catalogo  dei 
poeti  ,  e  delle  poetesse  ,  se  io  esso  comprendere  si  vo- 
lessero tutti  gli  ingegni  illustri  in  poesia  del  secolo  XVI. 
Tra  le  opere  di  questa  donna  ,  quella  che  è  stata  mag- 
giormente commendata ,  è  la  traduzione  da  essa  fatta  ia 
?ersi  Italiani  dei  Salmi  Penitenziali. 


Alla  pag.   yo  ìiv.   12  dopo  le  parole: 
,,  Nato  a  Lamporecchio.  " 

Gap.  XVI.  §  XII. 

Alcuni  autori  suppongono  il  Berm  nato  in  Casentino 
9oir appoggio  dei  seguenti  versi,  nei  quali  egli  parla  di 
se  medesimo  : 

5>  Era  quivi  per  sorte  capitato 

Un   certo  buon   compagno  Fiorentino  j 
Io  dico  Fiorentino  ancor  che  nato 
Foss' el  padre,  e  nudrito  in  Casentino;  m    , 
dal  che  potrebbe  fors'  anche  raccogliersi ,    che  egli  nato 
fosse  in  Firenze. 

XV. 

Alla  pag.   74  dopo  la  nota  (a)- 
Cap.  XVI.  §  XII 

Altra  osservazione  è  da  aggingnersi  in  questo  lungo , 
ed  è  ,  che  gli  Italiani  ingegni  vivacissimi  per  loro  na- 
tura, e  ricercatori  di  ogni  genere  di  novità,  non  solo 
furono  condotti  dalla  lussuria  della  loro  immaginazione 
a  scriver  versi  nei  particolari  dialetti  delle  proviucie, 
che  gustar  non  potevansi  fuori  d' Italia ,  ma  si  studia- 
rono ancora  di  inventare  ^  e  di  formare  nuovi  dialetti 
capricciosi^  afCme  di  servirsene  talv«Ua  in  argomenti  scher' 


«evoli ,  ed  anche  ia  lunghi  poemi.  Di  questo  potrebbero 
allegarsi  moltissimi  esemp)  ;  ma  basterà  solo  in  questo 
luogo  l'accennare  i  Mattaccini  del  nostro  Lomazzo ,  trai 
quali  si  trovano  sonetti  scritti  io  dialetti  studiati  ia 
parte  nelle  montagne  soprastanti  al  Vcrbano  ,  ed  altri 
inventati ,  o  formati  a  bella  posta  ,  le  Prodezze  di  Ma- 
noli  Blessif  poema  in  quattro  canti  di  Domenico  Malìa 
Veneziano  detto  il  Burchiella ,  scritto  in  una  lingua  ca- 
pricciosa con  mescolanza  di  parole  Greche,  e  Schiavooe 
eoa  desinenze  stranissime  ;  la  vita  di  Cola  da  Rienzo 
scritta  nel  linguaggio  della  plebe  piii  vile  di  Roma  del 
secolo  XVII.  con  molte  poesie  uè  Ilo  stiU  modesirao  eco. 

XVI. 

Alia  pag.  80  Un.   12  dopo  le  parole  t 
,,  Le  sue  poesie  maccaroniche.  " 

Gap.  XVI.  §  XIV. 

A-Uche  queste  possono  riguardarsi  come  un  ritrova-- 
mento  degli  ingegni  Italiani,  dati  al  lussureggiare  ne'loro 
componimenti ,  e  ad  introdurre  nuovi  modi  di  scrivere. 
Questo  genere  non  può  tuttavia  considerarsi  come  parti- 
colare affatto  degli  Italiani  ,  sebbene  Folengi  sia  stato 
forse  il  primo  a  farne  uso  nel  suo  paese.  I  Tedeschi 
ne  hanno  dato  un  luminoso  esempio  colle  loro  Celebri 
Epistolae  ohscurorum  virorum  y  stampate  sotto  il  nome 
di  Ortuìno  Grazio  nel  secolo  XVI  in  occasione  delle 
controversie  teologiche  ,  che  si  erano  suscitate  tra  i  faa« 
tori  di    Reuchlino  ,    e  i  di  lui  avversar/.    Quelle    lettere 


6000  state  pili  volte  ristampate  ,  ed  aoohe  nel  passato 
fcècolo  ia  Germania  ,  e  nella  Svizzera  con  molte  note, 
é  molte  figure.  I  Francesi  pure  hanno  prodottò  varie 
opere  in  istile  maccaronico  ,  e  ne'  catalojrhi  de*  libri  pia 
rari  si  registrano  alcuni  scritti  di  certo  Antonio  de  Are-" 
JìO,  3  o  di  alcun  altro  sotto  questo  nome  ,  scritte  a  uq 
dipresso  nello  stile  di  Folengio.  Si  trovano  pure  delle 
salire  scritte  nello  stile  medesimo  ,  ed  una  tra  le  altre  , 
nella  quale  sotto  il  nome  di  Bragardissima  si  mette  ia 
ridicolo  la  infelice  spedizione  guerriera  fatta  da  un  gran 
principe,  cum  venìret  in  Franzam  bene  courrozatus,  etc. 
nel  che  si  vede  il  macaronismo  applicato  anche  all'  in- 
dole della  lingua  Francese. 

Pretendono  alcuni,  che  Folengi  avesse  preso  il  so- 
prannome di  Coccajo  aggiunto  al  nome  di  Merlino  da 
tm  Viraro  Coccajo  y  o  da  Coccaglio  Bergamasco,  che 
lo  instrul  il  primo  nelle  umane  lettere.  Passò  in  seguito 
sotto  Pietro  Pomponazio  in  Padova  ,  e  non  in  Bologna  5 
come  si  è  scritto  per  errore  nel  dizionario  degli  uomioj 
illustri  ,  e  per  ordine  del  di  lui  padre  Coccajo  lo  ac- 
compagnò a  quella  scuola,  dove  però  non  riuscì  a  fargli 
cangiare  lo  studio  ,  e  la  inclinazione  per  la  poesia  ia 
quello  della  filosofia.  Si  ingannano  però  i  lessicisti  sud- 
detti ,  i  quali  suppongono ,  che  la  prima  produzione 
poetica  di  Folengi  fosse  l' Orlandino ,  pubblicato  soli*? 
>,]  noriae  di  Li  memo  pitocco. 


-''97 

XVII. 

Alla  pag.  81  dopo  la  nota  (2)  della  pagina  precedente. 

Gap.  XVI.  §  XIV. 

L'edizione    di  Toscolano    del  1621  ,    che   gli    editori 
Francesi    del    nuovo  dizionario    storico     hanno    registralo 
per  errore  come  del    1G21,    è    ornata    di    alcune  figure. 
Se  ne  ha  pure  una  buona  edizione  di  Venezia  del  iLói, 
che    non    è  indicata    dal   sig.  Boscoe.    Merita    pure    una 
particolare  menzione  l' edizione  ,  che  delle  opere   macca- 
roniche   è    stata    fatta  da   Wan  Someren    in  Amsterdam 
nel   iCq2  in  8.,  perchè  stampata  con  bellissimi  caratteri, 
ed  ornata  di  molte   belle  figure.    Si    osserva    dai    biblio- 
grafi, che  questa  edizione,  che  frequente  trovasi  in    talia, 
rarissima   è  divenuta  di  là  da  monti,  ed  in  Olanda  spe« 
cialmente ,    essendosene     probabilmente   spedite    tutte   le 
copie  in  Italia. 

XVIII. 

Alla  pag.  85  allajme  della  nota  (i)  della  pag.  precedente. 

11  sig.  Roscoe  avrebbe  potuto  notare ,  che  qnesto 
poema  fa  ristampato  in  Londra  nel  1*77^  io  ^.s  ^^ 
in  12. 


298 

XVIII. 

Alla  pag.  85  alla  fine  del  §  XI V.   Cap.  XV t. 

Morerì ,  che  si  è  divertito  ad  empire  alcune  pagine 
degli  epitaffi  di  Folengì,  in  alcani  dei  quali  si  paragona 
quel  poeta  ad  Omero  ,  ed  a  Virgilio  ,  ha  registrato  tra 
le  sue  opere  il  poema  Be  parta  Virginis ,  al  quale  ha 
fallo  succedere  immediatamente  la  Z anitonella  !!!  Egli 
ha  pure  menzionato  un  libro  Della  Gatta ,  che  noe  si 
trova  nominato  da  alcun  altro  scrittore. 

XIX. 

Alla  pag.  88  Un.  g,  dopo  le  parole  : 
j,  AirimperaJore  Massimiliano.  " 

Cap.  XVI.  §  XVI. 

La  cortesia  di  un  dotto ,  e  rispettabile  amico ,  il 
aig.  Francesco  Testa  di  Vicenza  ,  egregio  collettore  di 
libri  rari,  e  di  altri  monumenti  della  erudizione  lettera- 
ria ,  ci  pone  fortunatamente  io  grado  di  illustrare  in 
questo  luogo  un  tratto  della  vita  del  Trissino ,  e  dì 
pubblicare  per  la  prima  volta  cinque  preziose  lettere 
ìnnedite  di  ura  delle  persone  più  ragguardevoli  di  quel 
tempo,  di  una  principessa,  della  quale  si  è  luagameute 
parlato  nel  corso  di  questa  storia  medesima  ,  della  cele- 
bre Lucrezia  Borgia  duchessa  di  Ferrara ,  colla  quale , 
siccome  da  queste  lettere  si  raccoglie  ,    ebbe  il   Trissino 


«99 

le  più  amichevoli  relazioni  ,  e  la  più  intrinseca  dinaesti- 
chezza.  Queste  cinque  lettere  autografe  della  duchessa 
medesima  esistono  in  un  volume  di  lettere  al  Trrssìno 
scritte  da  varj  ragguarde*^oli  personaggi  ,  che  conservasi 
presso  li  nobili  conti  fratelli  Trissino  dal  <?rUo  d' oro  in 
Vicenza,  sotto  i  numeri  IX ,  XH  ,  XV,  XVI,  e  XXIV 
di  quel  volume,  e  sono  state  dall'erudito  Testa  fedel- 
mente ricopiale  ,  ed  a  noi  trasmesse  coli*  esatta  ortogra« 
fia  deli'  originale. 

Oltre  che  queste  lettere  costitniscono  da  loro  stesse 
una  serie  di  documenti  diplomatici  pregievolissimi  tanto 
pel  merito  di  chi  le  scrisse  ,  quanto  per  quello  dell'  al- 
tissimo letterato  a  cui  furono  dirette,  contengono  al- 
tresì notizie  preziose  intorno  al  carattere  di  que'  due 
personaggi ,  intorno  agli  studj  ,  ed  alle  occupazioni  del 
Trissino,  ed  intorno  alla  storia  letteraria  d'Italia  di 
que'  tempi.  Si  vede  dalla  prima,  data  alli  23  settembre 
i5i5,  che  Lucrezia  Borgia  premurosissima  era  della 
istraziene  letteraria  del  duca  Ercole  suo  figliuolo  ;  che 
per  questo  essa  si  appoggiava  intieramente  ai  lumi  ,  ed 
alla  saviezza  del  Trissino,  che  a  questo  essa  domandava 
la  scelta  di  un  precettore  di  grammatica.  Dalla  seconda 
scritta  nel  susseguente  novembre  si  raccoglie  ,  ohe  la 
•celta  del  Trissino  era  caduta  sopra  Nicolò  Lazzarino  , 
nome  non  oscuro  tra  i  letterati  di  quel  tempo  ;  che  il 
Trissino  era  già  deputato  nunzio  a  Cesare,  che  però 
ancora  trovavasi  in  Roma ,  e  che  per  mezzo  suo  racco- 
mandavasi  la  duchessa  al  cardinale  di  Gnrck.  La  terza 
delli  26  di  marzo  i5iG  mostra  il  desiderio,  che  il 
duca  ,  e  la  duchessa  aveano  di  poter  accogliere  il  Tris- 
sino    in    Ferrara  ;,    i!    che    ancora    viene    espresso    tielU 


3oo 

quarta ,  e  nella  quinta ,  ^alla  prima  delle  quali  del 
1  giugno  i5iG  si  raccoglie,  quanto  al  Trissìno  fossero 
a  cuore  le  premure  di  que'  principi  ,  e  quali  progressi 
facesse  il  giovane  Ercole  sotto  il  suo  nuovo  precettore , 
come  può  dedursi  dalla  quinta ,  che  il  Trissino  fosse 
già  passato  in  Germania,  ed  a  Ferrara  si  attendesse  nel 
suo  ritorno. 

Daremo  intanto  sotto  i  numeri  respettivi  il  testo  delle 
dette  lettere. 


N.' 


»  Magnifice  Amice  Nr.  Carissime  :  havendo  facto  inten- 
der allo  III. mo  Signor  Nro.  Consorte  tutto  el  ragionamento 
bavessimo  de  lo  Illmo.  D.  Hercule  uro  figliolo  carissimo^, 
Sua  Ex.  ne  ha  riceputo  grandissimo  contento ,  et  per- 
chè lei  desideraria  chel  puto  iutertanto  nò  perdesse 
tempo  la  seria  contenta,  che  per  vro  mezzo  segli  ri- 
trovasse uno  M.ro  in  gramatica.  Così  ha  detto  de  par- 
larvine  ,  et  noi  havemo  voluto  anticiparvi  cum  questo 
adviso  pregandovi ,  conoscendo  maxime  che  questo  non 
torna  a  disonore  né  incommodo  altrimenti  vro  a  volervi 
disponer  a  satisfar  al  P.to  S.or  N.ro  et  a  noi  princit 
panda  cum  questo  il  pigliare  del  governo  et  cura  del 
P.to  N.ro  figliolo,  e  quanto  più  presto  l'bavererao  tanto 
più  grato ,  et  se  non  simo  stata  più  presta  a  darvi  tal© 
adviso  r  è  proceduto  ,  che  prima  di  adesso  non  havemo 
potuto  ritrovarsi  col  P.to  S.or  nro.  il  quale  questa  setta 
è  partito  de  qui ,  et  offerimone  di  boa  core  alli  Tri  be« 
neplaciti. 

Belriguardi  XVIII.  sept.  i5i5. 


3oi 

A  nra.  et  vra.  satisfaclione  havemo  parlato  col  S.r  Her- 
cule  da  Camerino ,  che  viene  a  Ferrara  ^  il  quale  più 
particalarmeate  vi  dirà  di  ciò  lo   ano  nro. 

Lucretia  Ducìssa  Ferrariae. 
Tergo. 
Mag.  Amico  Nro.  Car.mo  Duo.  Io.  Georgi©  Trissiae. 

N.«  a. 

Mag.ce  ac  doctissime  Vir  amica  N.r  Car.me.  Mandas- 
6Ìmo  la  vra.  ira  per  nro.  Cavallaro  a  posta  a  quel  D. 
Nic.o  Lazarino  ;  et  aprissimo  la  resposta  ,  eh'  esso  man- 
dava p.  sapere  quel  che  diceva ,  e  poi  la  rimettessimo 
air  Illmo.  S  or  Nro.  Consorte ,  dal  qaale  non  sapemo  se 
vi  fu  mandata:  essa  contenia  solo,  che  ditto  D.Nic.o  pi- 
gliava certo  termino  breve  a  venir  a  nostri  serviti!  :  il  qual 
passalo  noi  bavemo  rimandato  altro  nro.  Cavallaro  a  sol- 
licitarlo  :  et  esso  ha  risposto  a  Noi  io  manera,  che 
d'ora  in  bora  lo  expettamo  :  et  a  voi  scrive  la  qui  al- 
ligata ,  pensando  forsi ,  che  voi  fussi  a  Ferrara  :  havemo 
voluto  eh'  el  tutto  vi  sia  noto  :  havemo  piacer  intender 
per  vre  Ire  come  state  ;  et  a  vri  beneplaciti  ci  offerimo 
gempre.  Ferrae   XXII.   Nobris   i5i5. 

Pregovi ,  che   vi    pi  acqua    raccomandarmi    al  R.mo 
Car.le  Gurcensis. 

Lucretia  Ducissa  Ferrariae. 
Tergo. 

Mag  co    ac  Doctiss.o  Amico    Nro.  Carmo. 
Duo  Joan.    Georgi©  Trissino  S.  D.  N.  Nuntio  apud 
Gaesareoi. 


3o2 

N.<»  3. 

M  co  Mess.  Jo.  Geòrgie  N  ro  Car.mo  Havpnclo  Integr 
da  vro  Cognaio  exhibitore  di  una  vra  a  noi  la  diligeole, 
el  amorevole  opera  falta  da  Voi  a  nra  safisfaclioue  ,  è 
Hata  allo  lllmo  S.re  N.ro  ,  al  quale  lungaraeule  j  el  mi- 
nutamente habbiamo  comunicato  el  tutto,  e  parimeule  a 
Noi  di  rariss  o  contenlo  ,  et  Tcramente  meritoria  col  di- 
dimostrato  buon  animo  vro  di  quella  obbigalione ,  che 
l'uno  e  r  altro  di  Noi  ve  ne  sente  Et  pei  che  haveres- 
eimo  anco  molto  desiderio  di  poter  partLalmente  parlar 
cum  Voi  nel  ritorno  vro  di  cose  ,  che  sarebbe  di  molta 
opera,  e  di  poco  contento  vro  el  scriverle,  mi  fareste 
piacer  molto  singulare  ad  trasferirve  8Ìo  qua  ;  il  ohe  fa- 
cenòo  Voi  sera  piìi  presto  passata,  ohe  dimora.  Et  d^ 
mo  restando  Noi  io  expectatione  j  di  naolto  cor  vi  si 
offeriamo.  Et  bene  valete. 
Tergo. 
Mag.  Amico  Nro.   Car.mo    loanni  Geòrgie  Trissìuo. 

Romae. 
In  Ferrara  XXVI  di  Martio  MDXVI. 
La  vra  Duchessa  di  Ferrara. 

N.«»  4. 

Magoifice  Amìce  Nr.  Carissime  :  stando  in  expectatione 
di  haver  qualche  nova  di  voi  havemo  havuta  la  vra  ,  la 
quale  mi  è  slata  gratissima.  E'  vero  ,  che  mi  scrìa  stalo 
molto  più  la  persona  ,  la  quale  speravamo  dovesse  esser 
più  presto  di  quello  voi  significasi  per  la  vra  ,  se  beo 
poi  con  molta  humanità ,  et  cortesia  la  remettete  io  nro 
arbitrio,  del  che    n.  polemo  si  n.    ringraliarvene    gran» 


3o3 

dem.e;  Qtunelie  a  noi  non  para  licito  discootiarvi  tanto 
quanto  mostrati,  che  ve  ne  importi  certe  ?re  cose  He: 
havemo  bea  ultra  modo  gratissimo  ,  che  quando  el  tem- 
po non  sia  superfluo  lungo ,  expediti  che  siano  quelli 
Tri  negotii  vogliati  omnino  venirvene  qua  ,  et  conservar 
non  voglio  dire  la  promessa  ,  ma  la  speranza  ,  che  ci 
deste ,  quando  ultimamente  fusti  qua ,  di  havervi  qual- 
che tempo;  et  in  quel  raezio  pigliarvi  quella  cura  del- 
l'lUmo  nostro  figliolo,  che  Noi  cura  tanto  afecto  vi  rao- 
coaìandassimo  ,  et  di  che  lo  Ilimo.  S.or  N.ro ,  ed  Noi 
non  ne  poliamo  star  con  raagiore  desiderio  :  et  in  questo 
proposito  a  vro  contento  vi  advisiamo  come  el  suo  pre- 
oeptore  fino  adesso  non  potria  restare  di  lui  più  satisfacto, 
né  cum  magiore  speranza  de  reportarvi  honore  ,  et  cuna 
facilità  ,  secundo  che  pensiamo  habiate  anche  inteso  per 
sue  Ire,  per  il  che  non  ci  estenderemo  altrimente  si 
non  recordarvi ,  et  certificarvi  ,  che  non  siamo  mai  per 
mancar  del  nro  boa  amo  verso  di  voi ,  et  così  ce  vi 
offeriamo  di  bon  core.  Belriguardi  p.o  Junii  i5i6. 
La  vra  Duchessa  di  Ferrara. 
Tergo 
Mag.co  Amico  Nro  Car.mo  Joanni  Geòrgie  Trissino. 

Komae. 

W.9   5. 

M.  Giovan  Giorgio  mio  Car.mo  Ho  ricevuto  1*  ultima 
▼ra  la  quale  per  haverme  dato  scientia  di  Voi  ,  quel 
che  sommamente  desiderava  ,  mi  e  stata  gratissima  ,  po- 
eto che  molto  più  mi  sarebbe  stata  la  prese nlia  vra.  Ma 
come  ho  havuto  dÌ8|iiacere ,  ch'Ella  mi  sia  stala  dalli 
allegali  negotii  nel  vro  ve.ìire  contesa  ,  co»ì  faavrò  caroj 


3o4 

che  mi  sia  nel  vro  ritoruo  da  voi  concessa.  Alle  altre 
parte  de  detta  vra  ,  et  a  quanto  me  ha  referto  a  bocca 
satisfarà  vro  Gogaato  nel  riporto  vi  farà  di  me ,  la  quale 
di  molto  cuore  me  vi  offcro  ,   et  racco 

Di  Ferrara  el  di  XV  di  Ottobre  MDXVIII. 

La  vra  Duchessa  dì  Ferrara. 
Tergo. 
Mag.co  Dno.  Jo.  Georgio  Trissino  Amico  Nro  Carmo  ». 

Poiché  siamo  stati  condotti  dalla  gentile  comunica- 
zione fattaci  di  queste  lettere ,  a  parlare  di  Lucrezia 
Borgia  ,  della  quale  così  a  lungo  ha  ragionato  il  signor 
Bosoe  nella  sua  dissertazione  da  noi  posta  alla  fine 
del  II.  Volume  ,  riferiremo  pure  alcuni  sonetti  di  un 
poeta  quasi  ign«fo ,  che  ci  sono  stati  trasmessi  dalia 
fonte  medesima.  E  questo  Marcello  Filosseno  ,  frate  Ser- 
vita di  Trevigi  ,  indicato  troppo  succintamente  dal  Qua- 
drio  e  dal  Tiraboschi ,  i  di  cui  versi  furono  pubblicati 
in  Venezia  nel  i5o'5  in  due  piccoli  Volumi  per  le  stana- 
pe  di  Nicolò  Brenta,  edizione  divenuta  ora  rarissima  ,  e 
da  pochissimi  veduta.  Quel  poeta  era  un  cattivo  imita- 
tore  del  Petrarca  ,  ed  era  perdutamente  innamorato  dì 
Lucrezia  ,  della  quale  egli  avea  fatta  la  sua  Laura.  La 
maggior  parie  de'  suoi  sonetti ,  delle  sue  ottave ,  e  delle 
sue  terzine ,  versano  sopra  le  bellezze  ,  e  le  virtù  dì 
quella  principessa ,  e  sugli  amori  suoi.  Il  generoso  ami- 
co ,  che  ce  gli  ha  comunicali  ,  crede  ,  cha  il  maggior 
merito  di  qne'  versi  fosse  quello  della  estemporaneità  , 
il  che  servirebbe  a  scusare  iu  gran  parte  la  loro  roz- 
zezza, ed  a  rendere  al  tempo  stesso  ragione  del  motivo 
per  il  quale    sono  stati  dimenticati.    Servono  però  mol-- 


3oS 

tissimo  que'  vergi  ad  illustrare  4a  storia  cfi  qae*  tempi , 
ed  il  laborioso  sig.  Testa  ha  scelto  opportunamente  quei 
sonetti ,  che  riferiscooo  la  catastrofe  di  Lodovico  il  Mo- 
ro j  la  morte  di  Paolo  Vitelli ,  la  magnificenza  di  AleS' 
Sandro  VI,  la  fortuna  del  Duca  Valentino,  ed  i  tìzj 
della  corte  di  Roma.  Altri  ve  n'ha  pure  in  lode  dei 
Bentivogli ,  dei  Petrucci ,  dei  Gonzaga ,  di  un  celebre 
fabbricatore  d*  organi  Veneziano ,  nominato  Francesco 
del  Pittore  Beltrajìo  ,  del  quale  non  so  che  alcuno  ab- 
bia parlato  ,  ed  appena  ne  ha  fatto  menzione  il  diligen- 
tissimo  sig.  Serasti  nelle  sue  lettere  su  questo  argo- 
mento ;  di  un  Porto  letterato  Vicentino  ecc.  Diamo  in- 
tanto i  sonetti ,  che  ci  sono  stati  comunicati. 


»  Godi  Ferrara  poiché  il  Ciel  disserra 

Bel  dono  in  te,  che  al  tuo  sceptro  provede 
Locando  ora  Lucretia  in  la  tua  sede  , 
Lucretia  in  cui  suo  ben  natura  serra. 

Quanto  hoggi  Roma  eccede  ogni  altra   terra 
Per  esser  d'  alla  gloria  eterna  erede , 
Tanto  il  chiar    lume ,    che  in  costei  si  vede 
Ogni  altra  illustre  al  paragone  atterra. 

Lucretia  instaurò  Roma  con  sua   morte  , 
Questa  che  in  viltà  aggrada  al  re  superno 
Instaura  il  mondo  ,  e  la  celeste  corte. 

Se  Roma  a  ogni  città  tolse  il  governo  , 
Tu  gloriar  li  puoi  con  miglior  sorte  , 
Gh*  or  spogli  Roma  di  un  splendor  eterno  «. 
hrom  X.   Tom.  VII.  sq 


3o6 

,   ir. 

5i  De'  gran  Poeti  or  taccia  la  caterva , 

Che  di  Fallacie  ,  e  Cipria  ha   tanto  detto  , 

Favole  finte  son  d'alto   intelletto. 

Ma  vera  istoria  in   lor  non  si  conserva. 

Lucretia   Borgia  è  Venere  ,  e  Minerva 

Non  finta  in  verso,  ma  con  vero  effetto: 
Chi  il  roseo  volto  mira  ,  e  il  niveo  petto 
Di  un  subito  desio  si  strugge j  e  enerva. 

Dunque   per  gloria  col  giudizio  intero 
Lei  tanto  eccede  1*  altre  in  ogni   parte. 
Quanto   dal   finto  è  differente   il   vero. 

Chi  brama  di  Cupido  intender  l'arte 

Miri  il  bel  sguardo  mansueto  ,  e  altero. 

Che  mostran  gli  occhi   il   ver ,  più  che  le  carte  ««. 

m. 

?»  Mantoa  felice  ,  e  gloriosa  terra , 

Eterno  specchio  ,  e  lume  a  tutto  il  mondo , 

Già  producesti  1'  ingegno  facondo  , 

Che  cantò  il  gregge  ,  i  prati ,  e  l^  alta  guerra  : 

Et  hor  il  gran   Francesco  in  te  si  serra  , 
Un  Cesar,  anzi   un  Marte  furibondo, 
Qiial  servò  Italia  in  suo  stato  giocondo  ^ 
Et  ogni   palma  da   lui  si  disserra. 

E  il  ciel  con  il  suo  dono  ancor  te  onora 
Che  d'ogni  gran  beltà  la  miglior  parte 
Ha  collocato  in   tua  gentil  Teodora   ??. 

Ben   puoi   Mantoa   in   eterno  gloriarte  ; 
E  tal   trionfo  conterassi  ognora , 
Che  Apollo  havesti  in  Te ,  Venere  ,  e  Marte  «. 


3o7 


IV. 


5»  L*  altrier  mirando  l' inclito  ,  e  bel  nido 

Della  virtù  ,  che  Alessandro  immortale 

Instaura  ,  talché  mai  più  non  fu  tale 

Scontrai   senz'  armi  il  fanciullia  Cupido  ; 
E  pien  d'immenso  gaudio,   onde  ancor  rido, 

Addimandai  dov'  era  1'  arco ,  e  il  strale  , 

Dal  quale  ho  già  sofferto  tanto  male , 

Che  risanarmi   mai  più  non  confido. 
Allor  quei  mi  rispose  lagrimando 

Lucretìa  Borgia  con  sue  forze  altere 

Ha  me  spogliato ,  e  da  se  posto  in  bando. 
Hor  con  Diana  ,  e  1'  altre  sacre  schiere 

Van  per  li  boschi ,  e  selve  sagittando 

L'  una  gli  uomini ,  e  Dei ,  V  altra  le  fere  s». 

Questi  sonetti  possono  servire  di  luminosa  conferma 
a  quanto  ha  scritto  intorno  a  Lucrezia  il  sig.  Roscae 
nella  sua  dissertazione  sul  carattere  della  medesijna ,  e 
specialmente  a  ciò  che  si  dice  di  quella  Principessa  alla 
pag  l'ji  e  seguenti  del  Voi.  II.  Lo  stesso  può  dirsi 
del  sonetto ,  che  trovasi  sotto  il  N.**  XI ,  scritto  in  oc- 
casione della  morte  del  marito  di  Lucrezia. 


V. 


Già  mi  credea  ,  che  molto  argento  ,    ed  oro 
Facesse  ogni  mortai   viver  contento  , 
Che  tutto  il  vulgo  ha  gran  sete  d'argentò, 
E  per  pecunia  fassi  ogni   lavoro  ; 


3oa 

Ma  poicf  io  vidi  quel  sublime  Moro  ,' 
Che  iu  cumular  tesor  fu  sempre  attento 
Fuggir  dal  suo  bel  seggio  in   un  momento. 
Non  ho  più  certa  speme  in  tal  ristoro. 

Questo  è  ben  di  fortuna  ;  e  lei  eh'  el   porge 
Di  ricco  Crasso  fa  miser  mendico  j 
E  tal   volta  un  sommerso  al  cielo  scorge. 

Hor  col  suo  esempio  mostra  Lodovico  , 

Che  dee   fociarsi   ognun  ,   che   in   alto   sorge 
Farsi  di  amici  ^  e  non   d/  argento  rico   «, 

Della  catastrofe  di  LodoAco  il  Moro   si  è   parlato  nel 
Capo  VI.  §   V  di  quest'opera  T.  IL  p.   ii5  e  seguenti. 

VI. 

j5  Per  contemplar  il  Mondo  e  sua  possanza 

Cercato  ho   più   città  ,   paesi  ,   e  gente  , 

E   trovo  dall'  Occaso  ,   alT  Oriente 

Varie   lingue  ,   vestir  ,   costumi  ,   e   usanza. 
Ma  benché  ciascun   sogna   la   sua   danza 

A   un   sol   lavoro   il   mondo   pur  consente  , 

Che  ognun   d' acquistar  oro  ha  il   cor  fremente 

Nò   trovo  alcuno   fuor  di   tal   speranza  j 
Cerca   ogni   legge  ,   nation  ,  e  fede 

Che  tutte   l'  opre  ,   consigli ,  e  facende 

Aspettan  di  tesor  qualche   mercede  : 
Finga  chi  vuol  :  ciascuno  a  questo  attende  , 

E   più   nel  gran   tesor ,  che  in  Dio  si  crede  , 

(Hhe  in  ][loma  per  tesor  il  Ciel  si  ven^^e  sj. 


Vii. 

33  Ferma  gentil  riatore  alquanto  il  passo  j 

Perchè  leggendo  questo  empio  flagello  j 

Vedrai ,  che  il  Mondo  di  beltà  ribello 

Ogn' inclita  viriate  spinge  al  basso: 
Sepolto  è  Paolo  sotto  questo  sasso  , 

Di  feor  Leone ,  fe  di  nome   Vitello , 

Qual  creò  Marte  in  città  di  Castello, 

Che  or  piange  il  car  patron  di   vita  casso. 
Con  aspra  guerra  in  gran   pioggia ,  e  tempesti 

Molto  sudò  servando  fede  pura  , 

E  in  premio  le  fu  poi  tronca  la   testa. 
Benché  per  fama  ogni  beli'  opra  dura 

Pur  questo  acerbo  caso   manifesta. 

Che  virtù   poco  vai  senza  ventura   ««. 

Può  vedersi    nel  Capo  V.    §  XIII    di    quest'  opera  1» 
etoria  della  morte  di   J'iteW.  T.  II.  p.   102   e  io3. 

Vili. 

jj   Ahi  !  bella  Italia  già  sublime  e  diva , 

Come  ti  pon'in   man   de' tuoi   ribelli. 

Che  ti  daraon' ognor  aspri  flagelli, 

E  di  ciascun   tuo  ben   resterai  privi; 
Hor  ogni  alta  virtute  in   te  fioriva  , 

Arme,  dottrine,  sculture,   peoelli  ^  .,    , 

Architetture  ,   fabriche,  e  martelli  : 

La  prisca  età  tant'  allo  non   saliva. 


OIO 

Già  tulli  i  stuoli  barbareschi ,  e  rei 
Furono  soggetti  al  suo  felice  scanno  , 
Et  or  t' inclini  a  lor  come  a'  tuoi  Dei  : 

Adunque  piangi  con  perpetuo  affanno , 

Pensando  a  quel  che  fosti  j  e  a  quel  che  or  sei  , 
Che  quanto  è  il  ben  eh' è  perso  è  lauto  il  danno  ». 


IX. 


5J  Non  m' invitar  più  a  Corte ,  né  a  suoi  scanni 
Provato  ho  quel  superbo  Consisterò  : 
Pover  viver  voglio  ,  e  in   tal  lavoro 
Che  poi  la  morte  i  viva  ancor  moli'  anni. 

Seguan  lai  signorelli  ,  over  tiranni , 

Quelli  che  bramaa  stato  ,  o  gran  tesoro  , 

E  pascansi  di  speme  per  ristoro 

Sempre  in  travagli,  invidie,  oltraggi  e  affanni. 

Solo  iguorantia  ,  e  pompa  in  lor  discerno  , 
Ma  chi  segue  virtute  ha  un  tal  valore  , 
Che  un  uom   mortai  può  far  per  fama  eterno. 

A  quest*  io  porto  riverenza  ,  e  amore  , 

Stimando  i  ben  dell'  alma  ,  e  non  1'  esterno  ;, 
Che  chi  è  di  virtù  ricco ,  è   ver  signore   u. 


X. 


5j  Non  ti  abbisogna  far  tant' accoglienza 
Di  gran  macchine ,  e  arme  per  cammino  , 
Che  al  tuo  valore  invitto   Valentino 
^oa  è  chi  possa  far  più  resistenza. 


3ii 

Tal  forza  ha  poi  la  tua  giusta  olenaeuza 

Che  ogni   popol  lontan'  over  vicino 

Te  iuvooa   per  padron  ,  come   uora  divino; 

Nella  Romagna  appar  la  esperienza. 
TSè   sol  s' inclina  a  te  1'  umana  gente , 

Ma  par  che  il  Ciel  cortese  a   te   si  spanda  , 

Che  a  ciascun  tuo  desio  lieto  consente. 
Però  senz'armi,  e  sol  con   tua  domanda 

Va  per  r  Italia  ormai   sicuramente  , 

Che  ciascun  griderà  :  Cesar  comanda  «. 

Questo  ha  relazione  con  quello  che  il  sig.  Roscoe  ha 
più  volte  accennato  ne' Capi  VI,  e  VII  di  quest'opera 
Voi.  II,  e  III. 

XI. 

Ad  Bivam  Lucretiam  Borgìam. 

55   Se  il  Ciel  da  terra  ha   tolto  il  tuo  car  pegno 

Per  collocarlo   in   seggio   più   perfetto, 

Non  ti  doler,   né  lauiarti    il   petto. 

Come   r  ignobii   vnlgo   senza   ingegno. 
Che  c'\b  non   fece  il  Ciel    per  odio  o  sdegno  , 

Ma   per  mostrare  a  ognun  con   vero  effetto , 

Che  tua  prudenza  ,  e  il   tuo  sommo  intelletto 

Non   à   bisogno   più  d'  altro   sostegno. 
Dunque   nel   tuo   saper   or  ti   consola  , 

Se  il   crudel   fato   or   1'  aureo   Bove  abbassa  , 

Gh'  ogni  tua  gloria  ormai   fia  di  te  sola. 
Fortuna  or  ci  lusinga,  ed  or  ci  lassa, 

Lucrelia  eccelsa  ,  e  in  questa   mortai  scola 

Ogni  creata  alfin  com' ombra   passa    «. 


3l2 

xif. 

In  honorem  urèià. 

53  L*  esperio  illustre  tuo  mi  persuade , 
Inclita  Roma  ,  che  ia  tanta  bellezza 
Giamai  non  fosti  ,  quando  alla  tua  altezza  ^ 
Se   inclinò  il  mondo  per  forza  di  spade. 

Véggio  adornarsi  i  tuoi  palazzi,  e  strade. 
Portici ,  e  piazze  con  gentil  vaghezza , 
E  di  Adrian  la  mole  in   tal   foptezza. 
Che  mai  temer  non  può  di  avversa  clade. 

In  le  congionti  son  Cora'  io  discerno 

Due  spirti  illustri ,  oh'  il  seggio  di  Evandro 
Adorneran  di  gloria ,   e  pregio  eterno. 

Materia  da  stancar  Maro,   e  Monandro, 
Poiché  in   un   solo  tempo  hai  il    governo 
Di   un  magno   Cesar,  d'un  divo  Alessandro  «. 

Mentre  professiamo  la  nostra  gratitudine  alla  persona  j 
che  ci  ha  somministralo  questi  documenti  diplomatici  e 
letterari ,  non  dissimuleremo  ai  nostri  lettori  y.  che  uuo^i 
aneddoti  speriamo  di  ottenere  per  questo  mezzo  anche 
rapporto  alla  persona  ,  ed  agli  studj  del  Trissìno ,  e  che 
in  tal  caso  non  mancheremo  di  inserirli  in  alcuno  dei 
seguenti  volumi. 


3i3 

XX. 

Alla  pagina  medesima  ,  linea  medesima. 
Gap.  XVI.    §  XVI 

I  lessicografi  Franfjesi  più  moderni,  non  so  veramente 
su  qual  fondamento ,  hanno  supposto  il    Trissìno  ammo- 
gliato due  volte ,  lo  hanno  fatto  passare  tutta  la  sua  vita 
come  laico,  ed  hanno  fatti  molti  rimproveri  a    Voltaire, 
perchè  questi    lo  abbia  sovente  nominalo    come    prelato. 
Che  il  Trissìno  si  ammogliasse  per  la  seconda  volta ,    non 
si  raccoglie  da  alcuno  degli  scrittori  delle  sue  memorie; 
che  il    Trissìtio  si  impegnasse  negli  ordini   sacri  ,    non   f; 
ben  certo;  ma  certo  egli  è,    che    dopo    la    morte    della 
moglie  ritirossi  a  Roma,   che  sempre  dappoi  servì  quella 
corte,  e  la  servì  in   nunziature  ed  in  cariche  luminose  , 
e  di  tale  natura  ,  che  portavano    se  non  altro ,  che  egli 
vestisse  1'  abito  ecclesiastico.   Anche  Morerr  è  caduto  nel- 
l'errore del  suo  secondo  matrimonio,  e  di  più  glielo  ha 
fatto  contrarre  in  età  assai  provetta.  —  Tutti  que'  lessici- 
sli  si  accordano  a  dire,  che   Carlo   V.  e  Ferdinando  suo 
fratello  gli  accordarono  il    titolo    di  conte  a    contempla- 
zione tanto  della  sua  nobiltà  originaria  ,  quanto    de'  suoi 
meriti.  Alcuni  soggiungono  che  in  vecchiezza  ebbe  a  so- 
stenere una  lite  acerba  con   Giulio  suo  figliuolo ,  il  quale 
reclamava  i  beni  della  sua  madre.  —  Si  dice,  ohe  Tris- 
sìno ,    il  quale  nella  sua  gioventù  avea  fatto    molti  pro- 
gressi  nelle    matematiche  ,    portasse    grande    amore    alle 


3i4 

arti ,  e  massime  alla  architettura  ,  e  che  coi  suoi  cod^ 
siglj  j  coi  suoi  suggerimenti  ,  molto  contribuisse  alla  ce- 
lebrità che  si  acquistò  in  seguito  Andrea  Palladio.  — 
Moreri  si  è  ostinato  ,  non  so  per  quale  stravaganza ,  a 
scrivere   Trissìono  in  luogo  di    Trissino. 

XXI 

Alla  pag.  8f)  dlota  (2)  lìnea  5.  Dopo  le  parole  ,,  ia 
occasione  del  di  lui  viaggio  a  Firenze  in  quel- 
8'  anno  ". 

Gap.  XVI.  §  XVI. 

Gli  sforici  Francesi  ,  che  probabilmente  non  hanno 
posto  mente  al  viaggio  da  Leon  X  fatto  in  quell'  epoca 
a  Firenze  ed  a  Bologna  ,  dicono  tutti  d*  accordo  che 
Leone  X  fece  rappresentare  per  la  prima  volta  quella 
tragedia  in  Roma.  —  Diacono  ,  che  quella  tragedia 
è  scritta  secondo  il  gusto  più  rigoroso  del  teatro  Gre* 
co  ;  gusto  ,  soggiungono  essi  ,  che  dopo  V  introduzione 
del  teatro  Francese  in  tutta  V  Europa  non  è  pili  tolle- 
rabile. Non  ci  fermeremo  ad  esporre  alcuna  osservazione 
su  questa  asserzione  per  lo  meno  precipitata  ,  giacché  i 
Greci  possono  considerarsi  come  i  primi  modelli  ,  ed  i 
fondatori  di  qualunque  teatro  tragico  regolare  ;  e  solo 
noteremo,  che  essi  altro  non  hanno  riconosciuto  di  gusto 
Greco  nel  Trissino,  se  non  la  introduzione  del  coro  alla 
foggia  degli  antichi.  E  però  vero  ,  che  troppo  lunghe  , 
e  per  conseguenza  nojose  sono  talvolta  le  declamazioBi 
messe  in  bocca  al   coro  medesimo. 


3i^ 
XXII 

Mia  pag.  92  dopo  la  nota  (i)  della  pag.    medesima. 

Gap.  XVI.  §.  XVII. 

S'ingannano  gli  Autori  del  nuovo  dizionario  s'oi-ico , 
i  quali  supporigouo ,  che  il  poema  epico  :  L'  Italia  li- 
berata dai  Goti  sia  stato  stampato  per  la  prima  volta 
a  Venezia  nel  i54^7,  ®  iS^S.  S'ingannano  pure  Del- 
l'asserire, che  i  due  volumi  di  quel  poema  coateDgano 
nove  libri  ciascuno;  alcuno  ha  anche  asserito,  che  i 
volumi  fossero  tre  ,  divisi  ciascuno  in  nove  canti.  Io  pos- 
seggo quella  rarissima  edizione  ,  che  realmente  è  stam- 
pata in  Roma  negli  anni  suddetti  dallo  stampatore  Dorico, 
ed  il  primo  volume  contiene  nove  libri  ,  otto  ne  contiene 
il  secondo.  Il  titolo  è  :  L'  Italia  liberata  dai  Gotthì.  — 
Oltre  r  indirizzo ,  o  sia  la  dedicatoria  all'  Imperadore 
Carlo  V  j  della  quale  parla  il  sig. /?o*coe  in  questa  nota, 
esiste  pure  stampata  separatamente  una  epistola  de  le 
lettere  nuovamente  aggiunte  ne  la  lingua  Italiana  del 
Trissino  medesimo  ,  eh'  io  posseggo  ,  e  che  è  stampala 
in  Vicenza  da  Janiculo  nel  lóZQ  ia  ^^ .  Nello  stesso 
anno  fu  pure  stampato  dallo  stampatore  medesimo  col. 
l'aggiunta  delle  nuove  lettere,  o  sia  delle  lettere  Greche 
per  determinare  con  una  maggiore  precisione  il  modo 
della  pronunciazione  Italiana  ;  il  Dante  della  volgare  elo- 
cjuenza  ,  e  così  pure  il  Dialogo  del  Tr issino  intitolato  il 
Castellano  ,  che  io  posseggo  uniti  alla  epistola  suddetta. 
Alcun'  altra  edizione  fu  fatta  in  que'  tempi  anche  di  ©per» 


3i6 

estranee  a  quelle  del  Trìssìno  colla  iatroduzione  delle 
lettere  Greche  suddette ,  ohe  però  non  fu  adottata  dal 
molti  >  e  cadde  ben  presto   ia  disuso. 

xxiit 

Alla  pag.  98  alla  fine  del  §.    XrUl.   Cap.  XVL 

Poiché  abbiamo  riferito ,  e  corretto  alcune  stravaganze 
dei  lessicografi  Francesi  ,  non  Onaraetteremo  di  notare 
quella  del  nuovo  Dizionario  storico  ,  che  fa  morire  Ru' 
celiai,  come  infatti  morì  verso  il  lóaG,  ma  lo  fa  pri- 
ma abbandonare  la  carica  di  Castellano,  o  Governatore 
del  castello  di  S.  Angelo ,  per  rammarico  forse  di  non 
aver  potuto  ottenere  il  cappello  cardinalizio  ,  che  tanto 
si  snpponea  dal  medesimo  desiderato  ,  e  lo  fa  andar  par- 
roco di  una  piccolissima  parrocchia  nella  diocesi  di  Lue» 
ca.  Bucellai  morto  appena  nel  cinquantesimo  anno  del- 
l'età sua,  fini  realmente  i  suoi  giorni  in  Roma,  occu- 
pando tuttavia  !a  carica  di  Governatore  del  castello ,  che 
condotto  Io  avrebbe  alla  porpora  ,  se  egli  avesse  soprav- 
vissuto. —  Gli  stessi  scrittori  suppongono  falsamente  che 
egli  partisse  della  legazione  in  Parigi  per  essersi  il  Papa 
collegalo  coir  imperadore  Carlo  V  contro  Francesco  I, 
mentre  Rucellai  rimase  colà  nella  qualità  di  legato  fino 
alla  morte  di  Leon  X.  —  E'  pure  falsissimo ,  ciò  che 
dicono  quegli  scrittori  ,  che  la  tragedia  la  Rosimonda  fosse 
rappresentata  davanti  ai  Papa  Leon  X,  allorché  questi 
passò  nel  i5i2  a  Firenze.  Il  viaggio  del  Pontefice  ebbe 
luogo  nel    I  5 1  ?i  .  conio  si  rileva  da  questa  storia   mede» 


3,7 
•ima  Tom.  V.  Cap.  XIU.  §  -XX  ^ag.  i33  ,  e  seg. , 
ed  in  quella  occasione  egli  onorò  di  una  sua  visita  la 
casa  di  campagna  di  Rncelìaì  ,  dove  la  Eoxmonda  fu 
rappresentata.  •—  Moreri ,  che  non  parla  se  non  di  Ber' 
noi  do ,  autore  della  storia,  e  padre  di  Giovanni,  lo  no- 
mina Riicellari ,  forse  tratto  in  inganno  dal  nome  latino 
OriccUavius.  —  Questa  tragedia  fi^  stampata  nel  i525. 

XXIV. 

Mici  pag.   loi  Un.  17.  Dopo  le  parole  t  ,,  In  Firenze 
nell'anno   i^y^.. 

Cap   XVI.  §  XX. 

Nasce  fn  questo  luogo  una  disparità  dì  opìnioai  tra  il 
sìg.  Eoscoe ,  ed  altri  scrittori  delle  memorie  di  Alamari' 
ni.  Egli  lo  suppone  nato  nel  i^^^j  mentre  altri  lo  fan« 
no  nascer  solo  nel  1^95.  Se  è  vero,  che  egli  passò  il 
primo  periodo  della  sua  vita  nella  società  e  nella  fami- 
liarità di  Bernardo  Bucellai ,  e  del  Trissino ,  che  nati 
erano  l'uno  nel  li^S,  e  l'altro  assai  prima,  pare,  che 
r  epoca  assegnata  dal  sig,  Roscoe  possa  riguardarsi  come 
la  più  esatta.  Ma  se  riQettiamo  alla  circostanza  che  egli 
entrò  con  varj  giovani  di  Firenze  in  una  rivolta  ,  ed  in 
una  congiura  centra  il  Cardinale  Giulia  de'  Medici ,  e 
che  questi  non  assunse  il  governo  di  Firenze  se  non  nel 
l5if);  sembra  più  probabile,  che  Alamanni  nascesse  in 
un'epoca  posteriore  a  quella  dal  sig.  Roscoe  accennata, 
pprcl^è  allora  sarebjjesi  trovato  nella  età    di    ventiquattro 


3i8 

o  venticinque  anni  ,  che  è  quella  appunto  delle  passioni 
violente.  Di  più  essendo  egli  morto  il  18  aprile  del  i556, 
egli  sarebbe  stato  più  che  ottuagenario  a  quelT  epoca , 
se  nato  fosse  nel  li'^o,  il  che  non  è  dai  suoi  biografi 
accennato.  Egli  fu  pure  spedito  ambasciat*>re  a  Carlo  V 
60I0  nel  iS-f^  ,  e  se  nato  fosse  nel  i4'j5  sarebbe  stalo 
già  in  una  età ,  che  permesso  non  gli  avrebbe  probabil- 
mente i  tratti  spiritosi,  che  di  lui  in  quella  occasione 
si  raccontano.  — •  Egli  ebbe  un  parente  poeta,  le  di  cui 
poesie  burlesche  furono  stampate  a  Firenze  nel  i552 
con  quelle  del  Burchiello  ,  e  di  altri  in  8-  ,  ed  un  figlio 
per  nome   Battista  che  diventò  Vescovo  di  Macon. 

XXV. 

Alla  pag.    106.  al  fine  della  nota  (2)  della  pag.  antec 

Gap.  XVI.  §  XX 

Oltre  le  opere  accennate  di  Alamanni  si  citano  pure 
ima  commedia  intitolata  Flora ,  oh'  io  non  ho  veduta 
giammai ,  ed  un  discorso  sulla  milizia  di  Firenze.  — 
S'ingannano  gli  autori  del  nuovo  dizionario  storico,  i 
quali  credono  che  le  opere  toscana  di  Alamanni  siano 
state  f»er  la  prima  volta  itampate  il  i.^  volume  dai  Giunti 
in  Firenze  nel  1 5 52,  il  2.*'  in  Lione  dal  Grifto  oelT  an- 
no medesimo.  E'  vero  ,  che  il  primo  volume  fu  stampato 
dai  Giunti  in  Firenze  nel  i552;  ma  è  altresì  vero,  che 
tjeir  anno  medesimo  comparve  in  Lione  lo  stesso  primo 
▼olume  stampalo  dal  Grijìo  ,  che  poi  pubblicò  il  secondo 
nel  i555. 


ÓI9 

XXVI. 

Alla  pag.   107  Un.   3  0  dopo  le  parole   ,,  da  Guidi, 
da  Filicaja,    etc.  *' 

Gap.  XVI.  §  XXI. 

Il  sig.  Roscoe ,  che  parlando  dei  lirici ,  e  dei  pro- 
gressi loro  sulle  leggi,  e  sull'esempio  del  Sannazaro,  del 
Bembo,  del  Molz» j  e  di  Vittor'ia  Colonna,  è  disceso 
fino  a  nominare  il  Guidi  ed  il  Filicafa  ,  avrebbe  potuto 
opportunamente  nominare  Gabriele  Chiabrera  nato  nel 
i552  ,  e  che  da  alcuni  fu  detto  il  principe  dei  lirici  Ita- 
liani ,  da  altri  il  Pindaro  dell'  Italia.  —  E'  pure  strano 
il  non  trovare  che  di  passaggio  menzionato  in  quest'  o- 
pera  il  celebre  Annibale  Caro  ,  che  in  quel  secolo  me- 
desimo ,  e  nato  anche  e  cresciuto  a'  tempi  di  Leon  X 
tenne  un  luogo  distinto  tra' primi  letterati ,  che  fiorirono 
in  Roma  ,  tra  i  poeti  lirici ,  e  tra  quelli  che  co*  loro 
scritti  contribuirono  maggiormente  a  ripurgare  ed  ingen- 
tilire la  bella  lingua  d'  Italia. 

XXVII. 

Alta  pag.    118  al  fine  della  nota  (i). 

Gap.  XVII.  §  III. 

Se  vero  fosse ,  ciò  che  accennano  molti  scrittori , 
che  AiigurelU  morì    a    Treviso    nell'anno    162^    (  come 


Radica  il  sig.  Roscoe  ) ,  la  età  di  ottantatrè  anni ,  V  epg» 
ca  della  di  lui  nascita  anziché  ravvicinarsi  dovrebbe  ri» 
portarsi  verso  il  i458. 

xxviir. 

Alla  pag.   123  alla  fine  del  §  111    Cap.  XVIL 

Dopo  quello  che  è  stato  giudiziosamente  scritto  dal 
sig.  Roscoe  ,  dee  riuscire  stranissimo  il  vedere  il  giudi- 
zio portato  da  alcuni  scrittori  francesi ,  che  probabilmeute 
non  aveano  alcun  gusto  per  la  poesia  latina ,  e  forse 
ijon  l'intendevano  neppure,  m  Aup-urelli ,  così  sta  scritto 
9>  nel  nuovo  dizionario  storico ,  ha  fatto  odi  senza  entu- 
sj  siasrao  ,  elegie  senza  dilicatezza  di  sentimento,  giambi 
w  senza  grazia ,  arringhe ,  o  orazioni  ,  dove  non  si  tro- 
»»  vano  che  parole  « ,  ed  in  proposito  di  que&l'  ultime 
6Ì  cita  Scaligero  ,  di  cui  però  si  dice  troppo  mordace  la 
critica.  I  giambi  di  Au^urello  sono  foiàe  dei  migliori , 
che  si  siano  scritti  in  que' tempi.  —  Moreri,  scordandosi 
interamente  che  Aiigurelli  fosse  poeta,  e  solo  ponendo 
mente  all'argomento  della  sua  Cjlsopea  ,  lo  h%  indicato 
come  un  celebre  chimico. 

XXIX. 

Alla  pag.    i35  Un.   20  dopo  le  parole    ,,  al  suo 
entrare    in  un  ordine  regolare  ". 

Cap    XVIL  $  VI. 

Girolamo  Vida  entrò  in  età  immatura  nella  congre- 
gazione   de'  canonici  regolari    d'\    S,  Marco    a    Mantova  ;, 


3si 

ma  ne  uscì  ben  presto ,  e  fu  poi  ricevuto   in    Roma  ia 
quella  de'  Canonici  regolari  lateraneiisi. 

XXX. 

Alla  pag.    i38  Un.  3  dopo  le  parole  :   „  ricompensalo 
con  onori  ed  impieghi  lucrosi  ". 

Gap.  XVn  §  VI. 

Leon  X  gli  conferì  il  priorato  di  S.  Silvestro  di  Ti- 
voli ,  e  si  dice ,  che  in  quella  residenza  ponesse  mano 
al  poema  della  Crìsfiade ,  intrapreso  per  suggerimento 
del  Pontefice  medesimo. 

XXXI. 

Alla  pag.   i4o  Un-   I   dopo  le  parole  ,,  il  giorno 
ventisette  di  settembre  dell'anno   i566.   ,, 

Gap.  XVII  5  VI. 

Se  vero  fosse,  ciò  che  comunemente  si  narra,  che 
egli  morì  in  quell'epoca  all'età  di  novantasei  anni,  egli 
sarebbe  nato  realmente  nel  i^-jo  ,  ed  inutili  riuscirebbero 
tutti  gli  sforzi  fatti  dai  critici  per  far  comparire  più  re* 
oente  l'epoca  della  di  lui  nascita. 


Leone  X.   Tom,   VII.  21 


3^s 

XXXII. 

Alla   pag.   1^3  al  fine  della  nota  (3). 

Gap.  XVII  §  VII. 

I!  sig.  Eoscoe  avrebbe  potuto  aggiugnere  a  quanto  ha 
detto  molto  eruditamente  in  questo  paragrafo  ,  una  te- 
stimonianza ancora  più  autentica,  la  quale  ronde  ragione 
al  tempo  slesso  del  grat^dissimo  conto  che  gli  scrittori 
inglesi  hanno  fatto  delle  opere  del  Vida  ;  ed  è  ,  che  la 
sua  arte  poetica ,  la  sola  forse  tra  molte  opere  di  poesia 
latina  pubblicate  in  Italia  ,  fu  ristampata  con  grandissima 
cura  j  e  con  lusso  ad  Oxford  nel  1920  in  4^.  — L'abate 
Batieux,  che  nel  i'^'Ji  ha  stampato  quattro  poetiche  in 
due  volumi  in  8. ,  a  quelle  di  Aristoiele  ,  di  Orazio  e 
di  Poikaii  ha  aggiunto  quella  pure  del  F^ìda.  —  Si  è 
detto  in  Francia,  e  si  è  detto  molto  malamente,  che  la 
poetica  del  Vida  insegnava  piuttosto  V  arte  d'  imitare 
Virgilio,  che  non  quella  d'imitare  la  natura,  quasiché 
Virgilio  non  fosse  un  cantore  della  natura  — -  Lo  stesso 
giudizio  dee  portarsi  di  altri  scrittori  Francesi,  che  rina» 
proverarono  a  Vida  di  aver  mescolato  troppo  sovente  il 
sacro  col  profano  nella  sua  Cristiade,  mentre  invece  il 
Mg.  Eoscofi  mostra  giadiaiosamente  ,  ohe  egli  evitò  il- 
difetto  ,  sul  quale  era  caduto  Sannazaro  ,  impastando 
troppo  spesso  le  finzioni  della  iritologia  colle  verità  rii- 
velate.  0  quegli  scrittori  non  han  letto  la  Cristiade ,  o 
ne  hanno  fatto  una  stranisbima  confusione  coi  poemi  ò^ 
Sannazaro  e  di  Folengi. 


323 
Oltre  la  poetica ,  il  poema  sui  Bachi  da  seta  ,  l'altro 
sul  giuoco  degli  scacchi  3  e  la  Crlsriade ,  si  trovano  aa- 
cora  (lei  Vida  alcuni  Ioni  sacri  oiolto  eleganti ,  eh» 
sono  stati  ristampati  a  Lovanio  nel  l552  ;  alcuni  dialo-* 
ehi  sopra  ki  dignità  della  repubblica  ^  stampati  in  Gre* 
mona  nel  i556,  molte  lettere,  ed  alcune  costituzioni 
sinodali.  Si  cita  come  libro  rarissimo  un  suo  discorso 
contra  i  Pavesi  ^  stampalo  a  Parigi  nel  1 56^  in  8.,  chs 
io  non  ho  veduto  giammai.  Le  sue  poesie  stampate  ia 
Cremona  nel  i55o  in  due  volumi  in  8.,  sono  pure 
state  ristampate  ad  Oxford  io  tre  volumi  similiueote 
ia  8.  nel  i';22  ,  25  ,  e  33. 

XXXIII. 

Alla  pag.   1^7  Un.   2  dopo  le  parole  : 
„  Alle  caste  ninfe  di  quella  sacra  fonte.  *' 

Gap.  XVJI.  §  IX. 

Giorgio  Sommaripa  Veronese ,  del  quale  io  ho  nel 
primo  volume  di  quest'opera  accennati  varj  opuscoli, 
avea  pure  stampato  un  capitolo  contra  il  morbo  gallico, 
unito  ad  alcuni  sonetti ,  ed  epigrammi ,  fra'  quali  due  a 
Cassandra  Fedele ,  ed  uno  ,  che  ha  seco  la  risposta  del 
celebre  antiquario  Ciriaco  Anconitano.  Questi  opuscoli 
rarissimi  sono  stampati  in  Venezia  fino  dal  1^87.  Ciò 
che  v'ha  di  più  singolare  è,  che  il  Sommaripa  fino  da 
quell'epoca,  primo  certamente  tra  lutti,  fa  menzione 
4ella  applicazione  dell'  argento  vivo  ^  o  ^ia  del  merourio 


324 

alle  malattie  veneree.  Questa  preziosa  notizia  3  che  io 
debbo  alla  gentilezza  del  sig.  Francesco  Testa ,  da  me 
altrove  con  lode  nominato  ,  serve  a  provare  in  questo 
luogo  due  oggetti  importantissimi  ;  il  primo,  ohe  il  Fra- 
castoro  era  stato  preceduto  se  non  altro  da  un  infelice 
poeta  nel  trattare  ,  sebbene  in  modo  assai  diverso,  1'  ar- 
gomento della  Sifilide  ;  il  secondo  ,  che  1'  applicazione  , 
e  r  uso  del  mercurio  nelle  malattie  veneree  ,  dovea  es-» 
sere  già  molto  antico  a' tempi  del  Fracastoro  ,se  ^là  era 
stato  menzionato  in  uno  scritto  pubblicato  fino  dal  i^S")  - 

XXXIV. 

Alla  pag.   i58  Un.  3  dopo  le  parole   „  al   quale  egli 
stesso  avea  consacrato  veiit'anni  di  lavoro.  " 

Gap.  XVII.  §  IX. 

Un  erudito  Italiano  che  nel  181 3  ha  pubblicato  il 
vulgarizza mento  in  versi  delle  Pescatorìe  dì  Sannazaro 
col  testo  a  fronte,  e  che  ora  attende  alla  illustrazione  ,  e 
traduzione  delle  opere  di  questo  insigne  poeta,  si  è  com- 
piaciuto di  esporci  i  suoi  dubbj  sul  punto  di  questa  di- 
chiarazione, che  di'^esi  fatta  da  Sannazaro;  dichiara- 
zione ohe  quand'anche  vera  fosse,  altro  non  proverebbe 
se  non  il  merito  sommo  di  que'due  grandi  poeti  San* 
nazaro ,  e  Fracastoto ,  e  la  modestia  in  pai-ticolare  del 
primo. 

Osserva  giudiziosamente  il  sig  Filippo  Scolari,  che 
nessuno  degli  sisrittori  della  vita  di  Azio  Sincero  ha  par- 
lato di  questo  aneddoto  ;  che  la  Sifilide  aoa  uscì  ìa  Ivte* 


325 

)a  prima  volta  se  noa  nel  settembre ,  o  nel  novembre 
del  i53o,  epoca  nella  quale  il  Stìz/nozaro  era  già  morto; 
che  da  alcuni  scrittori  (  non  però  dal  Thuano  nel  passo 
citato  del  sig.  Roscoe  )  ,  dicesi  fatta  la  supposta  cotifes- 
sidne  del  Sannazaro  alla  presenza  del  Cardinale  Ippolito 
de'  Medici  ,  che  questo  non  fu  elevato  alla  porpora  se 
non  un  anuo  avanti  a  quello  della  morte  di  Sannazaro  e 
che  il  supposto  abboccamento  del  Sannazaro  col  Car- 
dinale in  Napoli  meno  probabile  si  rende  per  la  circo- 
stanza j  che  Napoli  era  in  quel  tempo  in  grandissime 
agitazioni  per  la  guerra  ardente  in  quel  paese.  Questo 
farebbe  dubitare  della  verità  del  racconto,  che  però  oltre 
la  storia  citata  del  Thuano  trovasi  nelle  memorie  del 
Pala,  e  dell'Anonimo  inserito  nella  edizione  Cominianas 
e   nel   tesfo  ,  non   che   nelle   note  del   sig.   Roscop. 

Altro  Italiano  illustre,  che  scrisse  non  ha  guari  uà 
elogio  del  Fracastoro  ,  ha  giudicato  di  poter  opporre  a 
queste  osservazioni ,  i.° ,  che  il  Sannazaro  potea  aver 
letta  la  Sifìlide  manoscritta ,  giacché  dalle  lettere  di 
Bembo  si  raccoglie  ,  che  prima  ancora  della  sua  pubbli- 
cazione colle  stampe  andasse  per  le  mani  di  tutti  j 
2.^  j  che  per  poter  supporre  realmente  seguito  1*  abboc- 
camento col  cardinale  de' Medici ,  basta  il  sapere  che 
questo  fosse  cardinale  un  anno  prima  ;  3.*' ,  che  quanto 
ar  luogo  di  detto  abboccamento  il  solo  Anonimo  della 
edizione  Cominiana  lo  fissa  in  Napoli  ,  ma  che  gli  altri 
scrittori  parlano  dell'abboccamento  in  generale,  senza 
indicarne  il  luoi^o  ;  cosicché  potrebbe  supporsi  ,  che 
quell'incontro  avesse  avuto  luogo  in  altra  città,  o  in 
una  villa  ,  qualunque  ella  fosse  ,  sapendosi  altresì  che  il 
Sannazaro  ritirato  si  era  da  Napoli. 


326 

Uon  faremo  difìScoltà  «ul  primo  assunto,  clie  51  San- 
nazaro possa  aver  veduto  la  Sifilide  manoscritta  ;  ma 
quanto  alla  seconda  j  e  terza  obbiezione  dell'autore  del- 
l'elogio, osserveremo  imparzialrueate ,  che  il  Sannazai'o 
era  allora  negli  ultimi  suoi  giorni;  che  egli  non  pertossi 
giammai  a  Roma,  benché  invitato  vi  fosse  da  Clemente  Fll\ 
che  sul  fine  della  £ua  vita  ritirossi  bensì  da  Napoli  ,  ma 
non  si  scostò  dalle  piacevoli  vicinanze  di  Somma ,  che  è 
quanto  a  dire  da'  contorni  di  Napoli  ,  e  che  non  abbia- 
mo memorie,  che  il  cardinale  Ippolito  de' Medici  iàcesse 
allora  alcun  viaggio  in  quelle  parti ,  il  che  si  renderebbe 
anche  più  improbabile  per  la  circostanza,  che  egli  era 
stato  di  recente  assunto  al  Cardinalato ,  in  un  tempo 
altresì  che  richiedeva  lutla  1'  assistenza  ,  e  tutto  l' impe- 
gno de' membri  più  illuminati  del  Sacro  Collegio. 

Noi  non  ci  faremo  giudici  di  questa  controversia  dì 
Storia  letteraria  ,  che  tende  solo  ad  onorare  la  memoria 
di  due  celebri  letterati,  e  la  intera  nazione;  ma  non 
possiamo  dissimulare  ,  che  di  grandissimo  peso  troviamo 
il  silenzio  di  tutti  gli  scrittori  della  vita  del  Sannazaro^ 
e  ohe  questo  ci  fa  dubitare  sommamente  della  verità 
dell'aneddoto,  immaginalo  forse  da  uno  de' citali  scrit* 
lori  ,  e  dagli  altri ,  e  massime  dall'  oltramontano  confi- 
dentemente ripetuto.  Sembra  impossibile  ,  che  il  Crispo  , 
minutissimo  scrittore  di  tutti  gli  accidenti  della  vita  di 
Sannazaro,  e  lodato,  e  citato  piìi  volle  anco  dal  signor 
Boscoe ,  abbia  dimenticato,  O  trascurato  un  fatto,  che 
per  più  titoli  avrebbe  arrecato  onore  al  suo  protagonista, 
e  che  tanto  meno  dovea  tacersi ,  quanto  che  avrebbe 
dovuto  essere  già  noto  a  tutti  i  letterati  d' Italia.  Sembra 
impossibile  ^  che  il    Bembo ,  che  nelle  sue  lettere  tuttora 


esistenti  fra  le  sue  opere  ^  si  studiava  sempre  eli  ia^urre 
il  Frùcastoro  a  pubblicare  la  sua  Sifìlide ,  non  si  ser- 
visse giammai  dell' argomento  più  convincente,  che  tratto 
si  sarebbe  dal  giudizio  di  un  emulo,  di  un  uomo  repu- 
tato parco  lodatore ,  di  un  Sannazaro ,  col  quale  avea 
Bembo ,  non  meno  che  col  Eracaitoro  ,  là  più  intima 
familiarità. 

11  silenzio  de'  biografi  del  Sannazaro ,  più  assai  che  tutte 
le  ragioni  addotte  di  sopra ,  ci  tiene  incerti  sulla  ge- 
nuinità di  queir  aneddoto  ,  in  proposito  del  quale  osser- 
veremo solo  ,  che  nella  storia  letteraria  frequente  è 
r  esempio  di  detti ,  che  prelendonsi  raccolti  dalla  bocea 
dell'uno,  o  dell'altro  degli  uomini  ,  massime  più  celebri  j 
e  che  essendo  appoggiati  solo  ad  equivoche  relazioni, 
non  possopo  dirsi  con  certezsa  dai  medesimi  proferiti. 

XXXV. 

Alla  pag.    i58  Un.   i5  dòpo  le  parole:  ,j 

La  sede  dei  concilio   trasportossi  da  quella  città 

a  Bologna.   ,, 

Cap.  XVII.  §  IX 

Fracastoro  temette  in  quella  occasione ,  o  nlostr^  di 
temere  lo  sviluppamento  di  una  malattia  contagiosa  ìn 
Trento,  ma  quasi  tutti  gli  scrittori  convengono  nell'  as - 
seri  re ,  che  egli  simulasse  quel  timore,  e  fosse  a  ciò 
indotto  dalle  istanze  di  Paolo  IV ,  il  quale  non  essendo 
troppo  bene  d'accordo  coli' Imperadore  Carlo  V ,  era 
bramoso  di  trasferire  il  Concilio  in  qualche  città  d'  Ita- 
lia soggetta  alla  Santa  Sede.  — ■  Dicesi  ,  che  FracaUoro 


328 

parlasse  pochissimo ,  e  non  esponesse  i  suoi  sentìmenù 
ee  non  allorobè  si  trovava  nella  società  de*  suoi  più  in- 
timi amici.  Id  generale  egli  era  più  portato  alla  lode  , 
che  al  biasimo,  e  seppe  molto  lusingare  l'amor  proprio 
de'  suoi  contemporanei.  Dicesi  pure  ,  che  nella  pratica 
della  medicina  egli  affettasse  di  impiegare  le  sue  cure 
alla  guarigione  delle  malattie  straordinarie. 

XXXVL 

Alla  pag.    i66  Un.   12  dopo  le  parole:  ,,    . 
Nel  quarantesimo  sesto  anno  della  sua  vita.   ,, 

Gap.  XVII.  §  X. 

Strano  è  l' errore  di  Morerl  ,  che  suppone  Navagero 
morto  nel  i5i6  al  ritorno  da  un'ambasciata  di  Spagna. 
mentre  si  sa  ,  che  trovavasi  ancora  presso  Carlo  V 
dopo  la  battaglia  di  Pavia  ,  e  che  rimase  presso  quel 
principe  6no  al  i528,  non  essendo  stato  se  non  l'anno 
vSCguente  spedito  in  Francia,  dove  morì.  —  Si  narra, 
che  egli  avesse  realmente  scritto  la  storia  della  sua  pa- 
tria dal  i^^86  in  avanti,  come  continualore  di  Saòellico„ 
ma  che  nella  f5ua  ultima  malattia  coman-lasse  espressa- 
mente 3  che  queir  opera  fosse  dala  alle  fiamme. 


329 

XXXVIl. 

Alla  pag.    182  al /ine  della  nota  (i)  della  pag.   180. 

Gap.  XVII.  §  XI. 

In  aggiunta  a  quello  ,  che  è  stato  detto  dall'autore  in 
questa  nota,  è  bene  di  osservare,  che  ne' primi  principi, 
anzi  ne*  primi  monienli  ne' quali  si  udì  in  Italia  parlare 
di  riforma,  essendo  questa  riconosciuta  universalmente 
necessaria,  anzi  indispensabile,  e  dovendo  essa  con- 
durre, per  quanto  appariva,  alla  emendazione  de' costu- 
mi ,  ed  al  ristabilimento  dello  splendore  della  Chiesa 
Cattolica  ,  giacché  non  potea  conoscersi ,  fin  dove  si  sa* 
rebbe  innoltrata  l'animosità  dei  riformatori  ;  tutti  gli 
uomini  più  probi,  tutti  i  migliori  ingegni  d'Italia  ap- 
plaudirono all'istante,  se  non  pubblicamente  ,  almeno 
tacitamente  ,  ed  in  segreto,  alla  prospettiva,  che  andava 
ad  aprirsi  di  un  nuovo  ,  e  miglior  ordine  di  cose.  Gli 
«omini  più  istrutti  furono  i  primi  a  favor  re  nella  loro 
mente  il  tentativo,  ed  a  pascersi  delle  lusinghe  di  una 
felice  riuscita.  Quindi  nacque,  che  essendosi  i,i  appresso 
formato  lo  scisma,  i  riformatori,  e  più  di  tutti  gli 
scrittori  protestanti,  che  vennero  in  seguito,  impingua- 
rono i  cataloghi  de'  loro  aderenti  coi  nomi  di  tutti 
quelli,  che  in  Italia  aveaoo  fama  di  sapere.  Dal  mo- 
mento, che  i  riformatori  furono  condannati,  l'invidia, 
la  gelosia,  le  private  animosità,  tutte  in  una  parola  le 
passioni  aprirono  il  campo  agli  uni  di  investigare  ,  di 
censurare,  di  accusare  le  opiuioni  degli  altri  j   ed  allora 


33o 

molti  furono  tacciati  di  eresia,  die  forse  non  pensa ^ 
vano  punto  diversamente  dai  loro  accusatori.  Le  accuse 
8Ì  »ono  dirette  anche  contro  i  nomi  più  illustri ,  e  nel 
corso  di  questa  storia  medesima  si  vedono  dati  come 
sospetti  alcuni  grandi  poeti ,  e  perfino  la  stessa  VittoTÌa 
Colonna.  Quindi  grandi  controversie  tra  i  protestanti , 
ed  i  cattolici ,  quindi  grandissime  contese  tra  i  cattolici 
medesimi ,  come  fra  il  Caro ,  ed  il  Castehetro  ;  giac- 
ché colui  ,  che  avea  una  lite  letteraria,  o  d*  altra  mate- 
ria a  discutere  ,  credeasi  ben  felice  ,  ove  potesse  invol- 
gere il  suo  avversario  in  alcun  sospetto  ,  o  in  alcun 
dubbio  intorno  alle  opinioni  religiose.  Per  ben  rischia- 
rare questo  argomento  basta  il  riflettere  soltanto ,  che 
noti  sono  i  nomi  di  que'  pochi  Italiani  che  apertamente 
favorirono  la  riforma  ,  o  che  pertinacemente  vi  aderi- 
rono anche  dopo  la  condanna  dei  riformatori  ;  che  tutti 
gli  uomini  forniti  di  ingegno  ,  e  di  probità  ,  furono  da 
principio  amici  della  riforma,  o  almeno  dell' aspetto  j 
delle  speranze ,  del  nome  della  riforma  ,  e  tra  questi 
furono  fors' anche  persone  dottissime,  costituite  in  altis- 
sima dignità  nella  Chiesa  ,  le  quali  ,  come  opportuna- 
mente osserva  il  sig.  Roscoe ,  si  teonero  silenziose ,  e 
stettero  prudentemente  ad  osservare  come  la  cosa  pro- 
cederebbe nel  suo  sviluppamento;  che  però  ingiustissimo 
sarebbe  il  tacciare  tutti  questi  come  fautori  delle  eresie, 
e  neppure  delle  opinioni  pregiudicate,  perchè  altra  cosa 
è  il  pensare  alla  necessità  di  una  riforma  ,  il  gustarne  i 
progetti,  il  desiderare  sinceramente  il  bene  della  Chiesa, 
ed  altro  è  il  farsi  complice  dell'  errore  ,  ed  il  resistere 
all'autorità  della  medesima.  Se  la  qiiistione ,  tante  volle 
agitata  per  l'uno,    o  per  l'altro   di  que' grand'  uomini , 


33  f 

sì  fosse  ridotta  a  questi  termini  sempllcissioii ,  si  sareb- 
bero forse  risparmiali  de*  Tolurai ,  e  non  sarebbero  stati 
esposti  nomi  illustri  aà  vitupero  ,  ed  allo  scandalo.  Io 
non  sono  lontano  dal  credere,  che  Bembo ,  e  Sodaleto  , 
e  Beozzano ,  e  1'  Ariosto ,  e  il  Trissino ,  e  Marc  Anto» 
n'io  Flaminio  ,  e  quani'  altri  o  liberamente  scrissero ,  o 
mostrarono  coi  loro  discorsi  ,  e  colla  loro  condotta  di 
disapprovare  i  disordini  della  corte  Romana  ,  pensassero 
tutti  ad  un  modo  medesimo ,  qual  più ,  qual  meno , 
mostrandosi ,  come  dice  Tirabosehì  j  per  qualche  tempo 
propensi  alle  opinioni  dei  novatori  ;  ma  da  questo  non 
nasce,  che  essi  facessero  torto  alla  cattolica  verità,  né 
che  essi  potessero  in  alcun  modo  sospettarsi  partigiani 
della  eresia» 

XXXVIII. 

Aìla  pag.    182  Un.    11   dopo  le  parole: 
5^  Avvenuta  in  Roma  nel   i55o.   „ 

Gap.  XVII.  §  XI. 

Se  Flaminio  nacque ,  come  dice  il  sig.  Roscoe ,  nel 
3Ì98,  e  mori  nel  principio  del  i55o,  "non  visse  cin- 
quantasptte  anni ,  come  asseriscono  tutti  i  dizionarj  sto- 
rici. Più  angora  s*  inganna  de  Thou  ,  che  lo  fa  morire 
assai  giovane.  Questa  asserzione  contrasta  stranamente 
con  alcuni  componimenti  poetici  del  medesirho ,  chie  si 
trovano  nelle  sue  opere,  e  nei  quali  talvolta  scherzevol- 
mente Flaminio  si  qualifica  egli  stesso  ii,o  vecchi©  faceto, 
0-  '^hiedp ,  che  gli  sia  data  sempre  verde  la  più  tarda  età. 


XXXIX. 

Mia  pag.    I S8  alla  fine  del  §   XII.   Capo  XIII. 

Le  poesie  latine  di  Flaminio  furono  anche  raccolte 
con  quelle  di  altri  quattro  grandissimi  letterati  ,  e  poeti 
distinti  di  quel  tempo,  stretti  tutti  in  amicizia  coU'au- 
tore  ,  Bemho  ,  Navagero ,  Castiglione  ,  e  Cotla  ,  dei 
quali  tutti  si  è  parlato  ,  e  si  parlerà  ancora  in  quest'o- 
pera. Quella  collezione  preziosa  ,  eh'  io  posseggo  ,  porla 
per  titolo  :  Carmina  quinque  iUusfrium  Poptarum.  nempe 
Bembi ,  IVaugerii  ,  Castìlloni ,  Cottae  ,  et  Flaminii  Ve- 
rte tiis    1548   in   8. 

Parleremo  in  questo  luogo  di  alcuni  illustri  letterati, 
nominati  in  questo  capitolo  come  particolari  amici  di 
Navagero  ,  e  di  Flaminio  ,  con  che  verranno  ad  essere 
piìi  compile  le  illustrazioni  da  noi  fatte  della  storia  let- 
teraria di  quel  periodo  di  tempo.  De  Thou  ha  lunga- 
mente, e  con  molta  lode  parlato  di  Lelio  Capilupi , 
amico  di  Gioachijno  di  Dellay .  Egli  fa  menzione  della 
destrezza  esimia  di  Lelio  nel  servirsi  dei  versi  ,  o  piut- 
tosto degli  emistichi'  di  Virgilio  suo  compatriolto  per 
formare  de'  centoni  ,  nella  quale  arte  ,  dice  de  Thou 
oscurò  la  gloria  di  Ausonio ,  di  Proba  Falcoiiia ,  e  di 
altri  ,  che  si  esercitarono  sul  medesimo  genere  di  com- 
ponimenti. Si'mbra  ,  che  Lelio  componesse  centoni  snl- 
1'  origine  dei  monaci,  sulle  loro  regole  ,  e  sulla  loro 
vita  ;  sui  costumi  delle  donne  ,  sulle  cerimonie  della 
Chiesa ,  e  sulla  stor  a  del  morbo  venereo ,  che  allora 
apparentemente    occupava    le    penne  di  varj  letterati.    li 


333 

centone  ex  Virgilio  de  vita  monachorum  ,  e  I*  altre  con- 
tro le  femmine  s  ed  i  disordini  della  loro  vita  ,  sono 
stati  pubblicati  a  Venezia  nel  i55o  io  8.,  e  Giulio  Ro^ 
scio  riunì  tutte  le  poesie  di  Lelio  in  un  volume  in  4^., 
stampato  in  Roma  nel  i5qo.  I  centoni  contengono  le 
satire  più  amare,  al  qual  proposito  osserva  un  moderno 
scrittore  ,  che  il  dolcissimo  Firgdio  non  si  sarebbe  mai 
aspettato  di  vedere  lacerali  i  di  lui  versi  per  formarne 
le  satire  più  pungenti.  Lo  stesso  potrebbe  dirsi  degli 
scrittori  agiograB   ecc. 

•  Si  dice  da  alcuno  che  Ippolito  e  Giulio,  non  già  //)- 
polito  ,  e  Camillo  ,  come  accenna  il  sig.  Roscoe  ,  fos- 
sero rivali  del  fratello  Lelio  nello  scrivere  poesie  latine, 
e  si  assicura  parimenti,  che  avessero  lo  stesso  talento  di 
scora  porre,  e  raccozzare  i  versi  di  Virgilio  per  formarne 
centoni.  Camillo,  nominato  dal  sig.  Roscoe,  ottenne  fama 
per  tutt*  altro  genere  di  scritti;  egli  pubblicò  un  libio 
intitolato:  Stratagemmi  di  Caro  IX  cantra  gli  Ugonot- 
ti ,  libro  che  ebbe  gran  voga  ,  e  che  fu  tradotto  ia 
Francese ,  sebbene  i  Francesi  medesimi  lo  dicano  pieno 
di  esagerazioni  ,   e   di   calunnie. 

Benzio  fiorì  dall'anno  i53o  fino  al  iS'^o;  e  fu  se- 
gretario di  molti  Pontefici  Per  la  sua  deformità  ,  niea- 
zionata  dal  sig.  Roscoe  nelle  note  ,  non  meno  che  per 
la  sua  probità  austera  ,  fu  detto  il  Socrate  di  Roma. 
Egli  amava  tuttavia  le  conversazioni  scherzevoli,  i  baa- 
chetti ,  ed  i  piaceri.  Le  sue  poesie  tanto  latine  ,  quanto 
italiane  sono  state  raccolte  da  Pallavicino  ,  da  Grutero  , 
e  da  Varchi.  Atanagio  ha  pure  registrato  nella  sua  rac- 
colta alcune  lettere  facete  di  quello  scrittore. 

Gabriele  Faerno  era  nativo  Cremonese  ,    ed    ebbe    in 


334 

quel  secolo  reputaBÌone  di  eccell«n{ft  poeta.  Egli  tra- 
dusse in  versi  latini  cento  favole  d'  Esopo ,  distribuite 
in  cinque  libri ,  e  si  dice ,  che  lo  facesse  ad  istanza  di 
Pio  IV.  Non  furono  però  pubblicate  se  non  nel  i56^ 
in  Ruma  circa  tre  anni  dopo  la  di  lui  morte  eoo  una 
dedicatoria  a  S.  Carlo  Borromeo.  Quelle  favole  furono 
molte  volte  ristampate ,  e  specialmente  a  Londra  nel 
11^45  io  ■^•j  con  moltissime  figure.  De  Thou  è  stato 
forse  il  primo  a  spargere  il  sospetto  ,  che  quelle  favole» 
fossero  un  plagio  fatto  a  Fedro.  Faerno  dottissimo  critico 
illustrò  alcuni  classici ,  e  specialmente  Cicerone ,  e  Te» 
renzìo f  i  di  cui  commentar)  però  non  furono  stampati 
se  non  dopo  la  di  lui  morte  da  Pietro  Vettori,  grande 
amico ,  ed  ammiratore  di  quel  critico.  Egli  fece  pure 
una  specie  di  censjora  delle  emendazioni  apposte  da  Si- 
gonio  a  T'ita  Livio,  ed  alcune  osservazioni  sopra  Ca- 
tullo. Si  trovano  sotto  il  nome  di  Faerno  altre  opere 
di  diverso  genere ,  alcuni  dialoghi  sulle  antichità  «  ed 
anche    aa  trattato  contra  i   protestanti  di  Germania. 

Di  Fasci telli ,  di  Za  :chi  ,  e  di  Lampridio  si  è  par- 
lato abbastanza  dal  sig.  Roscoe ,  e  se  ne  è  pure  parlato 
di  bel  nuovo  nelle  note  al  poema  di  ArsitU  ^  ^e  poetis 
Vrhanis. 


335^ 

XL. 

Alla  pag.  194  lì"-   IO  ^opo  le  parole: 
„  Alla  deliziosa  villa  dì  Gapranica.   ,, 

Gap.  XVII.  §  XIII. 

Il  Moreri  ha  cangialo  il  nome  di  Capranica  in  quello 
)di    Coprea  ^  o  di  Capri, 

XLI. 

Mia  pag.  medesima  al  fine  della  nota  (2), 

Troppo  severo  dee  dirsi  da  chicchessia  il  giudizio  di 
Giraldi  ;  e  se  Postumo  fosse  slato  così  infeHce  ia  varj 
generi  di  poesia  da  esso  tentali  ,  e  negli  sludj  medici  e 
filosofici  poco  pivi  fortunato  che  nella  poetica ,  tante 
lodi  non  avrebbe  riscossa  dai  letterati  suoi  contempora- 
nei,  né  dai  principi  ,  che  gli  accordarono  favore.  Gli 
elogi  di  Tebaldeo ,  e  di  Giovio  ,  se  non  servono  a  con- 
trobilanciare la  censura  di  Giraldi  ,  servono  almeno  a 
far  dubitare,  che  questo  critico  non  sempre  fosse  libero, 
ed  esente  dalle  passioni  ne'  suoi  giudiz^* 


336 

XLIL 

Alla  pag.   198  dopo  la  nota  (1)  della  pagina  medesima. 

Cab.  XVII.  §  XIV. 

Io  ho  veduto  ilo  alcuni  Codici  del  secolo  XV  poesie 
latine  col  come  solo  di  Arellio.  • —  Non  si  sa  bene  ,  se 
giusta  l'uso  di  que' tempi,  ed  il  costume  prinoipalmeate 
dell'  Accademia  Romana,  il  nome  di  MozzarelU  sia  stato 
cangiato  in  Mutìus  Arelius  ,  o  se  dei  due  nomi  si  sia 
formalo  viceversa  quello  di  Mozzarella ,  o  come  scrive 
Bembo  ,  Muzarello. 

XLIII. 

Alla  pag.   201  Un.   8  dopo  le  parole  : 
„  Sulla  storia  di  que'  tempi  in  generale.   „ 

Gap.  XVII.  §  XV. 

In  proposito  di  Brandolini  osserveremo  soltanto  che  ì 
lessicisti  storici  hanno  fatto  una  strana  confusione  di 
Brandolini  con  Bracciolini  ,  (il  casato  di  Poggio ,)  come 
66  questi  due  nomi  fossero  una  cosa  medesima.  Non 
saprei  neppure  determinarmi  ad  ammettere  senza  più 
ciò  che  vien  detto  dal  sig.  Roseoe  alla  pagina  antece- 
dente ,  nota  (1),  che  tanto  Aurelio  ^  quanto  Raffaele 
erano  contrassegnali  ciascuno  col  nome  di  Lippa.  Di 
Raffaele  sì  conosce    per  relazione    degli  scrittori  con  lem- 


33; 
poranei  1'  imperfezione  della  vista  ,  dalla  quale  era  af- 
fetto ;  e  solo  si  muove  quistione ,  se  cieco  fosse  total- 
mente,  o  malveggente  i  e  se  divenuto  fosse  cieco  nel 
primo  caso,  oppure  il  fosse  Gao  dalla  nascita.  Ma  nulla 
di  consimile  è  stato  detto  riguardo  ad  Aurelio.  —  Fiorì 
anche  sulla  fine  del  secolo  XV"  uà  Aurelio  Bracciolini 
di  Pistoia ,  Frate  Agostiniano  ,  letterato  ,  e  teologo  ,  che 
scrisse  molte  opere  latine  ,  dedicate  in  parte  al  celebre 
Mattia  Corvino  ,  Re  d'  Ungheria ,  dal  quale  otteane 
grartdissimo  favore. 

XLIV. 

Alla  pag.   206  Un.    1 1   dopo  le  parole  : 
,,  Vedendone  da  altri  prallcato  l'esercizio.   ,, 

Gap.  XVIL  §  XVI. 

Querno  rimase  in  Roma  dopo  la  morte  di  Leon  X  ., 
e  solo  dopo  il  celebre  sacco  di  Roma  ritirossi  a  Napoli, 
dove  ebbe  molto  a  soffrire  nelle  guerre  di  quel  paese  , 
nel  i528  ,  e  fu  anche  per  quanto  sembra  perseguitato 
da  suoi  nazionali.  Per  questo  egli  ebbe  a  dire,  ohe  tro- 
vato avea  mille  lupi  in  cambio  di  un  leone  che  avea 
perduto.  Se  si  può  credere  a  Pìer'o  Valeriana  scrit- 
tore talvolta  più  amante  della  piacevolezza  ,  e  della 
satira  ,  che  non  della  verità  ,  Querno  mori  all'  ospe- 
dale ,  fine  ben  degna  di  un  poeta  suo  pari.  Altra  dote 
egli  non  avea  se  non  quella  di  una  straordinaria  faci- 
lità ,  che  ben  sovente  fa  torto  al  buon  gusto  ,  e  diverte 
i  giovani  poeti  dalla  strada,  che  li  condurrebbe  alla 
gloria. 

Leone  X.   Tom.  VII.  aa 


336 


jUa  pag.   218  dopo  la  nota  (i) 
della  pag.  antecedente. 

Gap.  XVII.  §  XVIII. 

Oltre  le  opere  di  Arsilli  menzionate  in  questa  nota, 
si  annunzia  da  qualche  scrittore,  che  il  naedesimo  tra' 
ducesse  in  versi  latini  alcuni  scritti  d' Ippocrate. 

XLVI. 

Jlla  pag.   220  Un.    i4  dopo  le  parole: 
,,  Del  credito  che  godeva.   ,, 

Cap.  XVII.  §  XVIII. 

Questa  osservazione  giustissima  dell'  autore  può  servire 
di  risposta  anche  a  tutti  coloro,  e  multi  ve  n'ha  tra  gli 
oltramontani,  che  si  studiarono  di  diminuire  la  gloria  di 
Leon  X  come  ristoratore  delle  lettere.  Che  i  buoni  sludj 
fossero  già  rinati  avanti  il  suo  pontificato;  che  già  si  trovas- 
sero in  Italia  ingegni  illustri,  e  uomini  dotati  di  sapere;  che 
molte  circostanze  concorressero  in  quella  età  allo  sviluppa- 
xneulo  de' lumi  j  che  l'accademia  Romana  avesse  presen- 
tato un'immagine,  sebbene  molto  imperfetta,  di  ciò  ohe 
Roma  divenir  potea  sotto  un  principe  protettore  della 
lettere ,  e  delle  arti  ;  che  molti  dei  piccoli  principi  d'!|-. 


339 

iialia  avessero  dal  canto  loro  foii()ato  scuole  ,  protetti  i 
grandi  ingegni  ,  e  mostrala  la  loro  premura  per  1*  incre- 
mento de' buoni  studj  ;  che  i  Francesi  medesimi  nell» 
spedizioni  da  essi  fatte  io  Italia  ,  mentre  portavano  ia 
ogni  parte  il  fuoco  della  guerra  ,  facessero  il  dovuto 
conto  della  istruzione  ,  e  de'  letterati  ,  e  molli  ne  pre- 
miassero ,  ed  incoraggiassero ,  invitandone  perfino  alcuni 
a  passare  di  là  da  monti;  sono  cose  tulle  che  il  sig.  Ro- 
scoe  slesso  ha  accennato  in  parte,  e  che  proverebbero  ia 
qualche  modo  l'assunto  di  quegli  scrittori;  che  già  gli 
ingegni  Italiani  avessero  ricevuto  quell'  impulso  verso 
i  buoni  studj  j  e  verso  le  più  olili  istituzioni  ,  che  li 
porlo  quindi  al  più  alto  grado  di  gloria.  Ma  come  io 
ho  già  fatto  altrove  osservare  ,  e  come  abb^ndanteiDente 
risulta  dal  poema  stesso  di  A-silU  ,  a  Leon  X  si  ideve 
una  pubblica  ,  e  solenne  protez.oue  accordala  indiìtiuta- 
m^nte  ad  ogni  genere  di  letteratura  ;  a  Leon  X  si  deve 
la  riunione  di  molti  letterati  in  un  sol  punto  ceoirale  , 
poriata  dalla  sua  straordinaria  liberalit^l;  a  quel  Po:ite- 
fice  quindi  si  deve  la  gara  ,  e  la  emulazio  le  nata  fra 
que'  letterati,  e  quindi  debbo  isi  riconoscere  nati  per  di 
lui  opera  gli  sforzi  che  molti  fecero  per  giugnere  al 
più  sublime  grado  dell'eccellenza  nell'aite;  ad  es?o  sì 
deve  ii  merito  di  aver  promosso  con  ogni  mezzo  lo  stu- 
dio della  classica  erudizione  ^  e  quindi  quella  tinta  clas- 
sica data  io  generale  a  tutta  la  letteratura  ;  ad  esso  fi- 
nalmente si  deve  se  non  il  primo  ed  il  totale  ristora- 
mento  delle  lettere  ,  la  formazione  aliqeoo  del  buon  gu- 
6to ,  ohe  si  creò  appunto  sui  grandi  originali,  e  sui 
modelli  della  anliohità  ,  renduti  per  di  lui  opera  più 
aooiuni  ,    e  più  facili  per  conseguenza  «d  aversi  soU*  ec<> 


34o 

ctio ,  e  perfezionoàsi  per  la  riunione  al  tempo  slesso  dì 
molti  graoHi  ingt'gni  ,  e  di  molli  uomini  dotti  in  ui» 
luogo  medesimo  ,  la  quale  produsse ,  che  le  opere  dì 
ciasctiDO  fossero  a  vicenda  esaminate  ,  paragonale  ,  cea- 
Buraie  ,  migliorate  ,  assoggettate  in  somma  a  quel  severo 
giudizio,  che  ripurgar  li  dovca  tanto  dai  barbarismi, 
trista  eredità  del  secolo  precedente  ,  quanto  da  quelle 
antitesi  ,  e  da  que'  forzali  concetti ,  che  maravigliosi  sem- 
brano agli  ingegni  non  maturi  ,  e  non  ancora  formati 
sui  grandi  esemplari  dell'  antichità. 


3/it 


Nota  particolare  intorno  al  poeta 
Gìoan   Giorgio   Trissino. 


Zelanti  della  storica  verità  ,  ci  affrettiamo  ad  emendare 
alcuni  errori ,  ed  alcune  espressioni  poco  accurate  ,  che 
jnlorno  a  questo  illustre  poeta  erano  corse  lauto  nel  te- 
sto ,  quanto  nelle  note  ,  e  specialmente  nelle  addizionali  ; 
non  avendo  noi  lavorato  in  addietro  se  non  sopra  varie 
memorie  stampate,  e  manoscritte,  e  non  avendo  veduto 
una  vi(a  d'I  Trissino  ia  ^.'^  ,  stampala  per  quanto  ere- 
desi  in  Venezia  verso  il  1'jt2,  giacché  manca  di  uà 
frontesplTiio  cou  data  ;  e  composta  da  certo  Pier  Filippo 
Castelli  Vicentino  ,  che  non  fu  mai  veduta  dal  si^j.  Ro' 
•scoe ,  e  che  ora   solo   ci   è  stata   gentilmente    comunicata. 

La  detta  vita  conviene  intieramente  con  quanto  è  stato 
da  noi  scritto  suU*  epoca  della  nascita  dtd  Trissino  ,  sui 
di  lui  studj  fatti  per  qualche  tempo  in  Milano  ,  massime 
nelle  lettere  Greche,  e  sull'attestato  di  gratitudine,  che  il 
Trissino  diede  in  Milano  al  suo  celebre  maestro  Deme- 
trio  Calcondlla,  e  solo  si  rammenta  ,  eh»  in  Milano  (>nre 
ebbe  compagno  in  quegli  studj  Lilio  Gregorio  Gira/di. 
Parlandosi  dei  di  lui  studj  fatti  nelle  matematiche  ,  e 
della  di  lui  applicazione  alla  architettura  ,  si  nota  ,  che 
egli  scrisse  pure  un  trattato  di  quest'arte;  si  conferma, 
che  alcuni  ammaestramenti,  ed  alcuni  lumi  fornisse  al 
celebre  Andrea  Palladio  ,  e  si  accenna ,  che  tutto  diì 
•uo  disegno  è  il  palazzo  della  sua  villa  di  Cricoli ,  di» 
stante  poche  miglia  da  Vicenza. 

Non  è  esatto  il  cenno  ,  che  si  è  fatto  dal  sig.  JRoscoe 
sul  passaggio  del   Trissino  a  Roma  dopo  la   morie  della 


342 

prima  moglie  ,  Hove  àleesi  impiegato  in  raissioni  imporr 
tautissime  da  Leon  X;  e  mohn  meno  esatto  è  ciò  che 
▼ieu  detto  nelle  note  addizionali  ,  che  egli  dopo  la  morte 
della  moglie  ritirassi  a  Roma ,  che  sempre  dappoi  servi 
(quella  corte  ec.  (  pag  3i5).  Andò  bensi  a  Roma  il 
Trissino,  secondo  Io  scrittore  della  vita,  poco  prima  della 
morte  di  Giulio  IT,  cioè  verso  Iranno  i5i5,  e  fu 
amato  ,  e  favorito  parricolarmente  da  Lpoti  X ,  godendo 
egli  in  (j'iella  corte  tutti  gli  agi ,  e  gli  onori  tutti , 
che  a  un  personaggio  diletto  al  Pontefice  si  oonvenis>ano; 
ma  tornò  a  Venezia,  ed  in  patria  nel  i5i4^,  o  al  più 
al  cominciare  dftU' anno  i5i5  per  una  lite  intentata  alla 
di  lui  famìglia  da  alcune  comunità.  Di  là ,  e  non  già 
da  Roma  ,  fu  deputato  da  Leon  X  nunzio  al  re  di  Da- 
nimarca ,  (  se  pure  per  Dacia  deve  intendersi  la  Dani- 
marca ,  come  afferma  lo  scritlore  della  vita  nella  nota 
32),  e  quindi  nunzio  all' iraperadore  Massimiliano.  Tor- 
nò nel  i5i6  a  Roma,  invece  di  andare  nella  Dacia, 
con  carattere  di  legato  di  Cesare  stesso  al  Papa.  Nel- 
r  anno  medesimo  il  Papa  lo  spedì  suo  nunzio  alla  re- 
pubblica di  Venezia,  e  nel  i5i^  riohiamollo  di  nuovo 
a  Roma ,  e  rimandolo  a  Teuezia  io  qualità  di  nunzio 
apostolico. 

Dubita  l'autore  della  vita  della  rappresentazione  della 
Sofon'sba ,  fattasi  in  Firenze,  che  il  sig.  Roscoe  accen- 
na sulla  fede  di  Ruccellaì  ;  non  dice  neppure ,  che  que* 
sta  tragedia  fosse  finita  di  scrivere  prima  del  iSiSj 
come  avvisa  il  sig.  Roscoe ,  e  cominciata  molti  anni  pri- 
ma ;  ma  asserisce  bensì  ,  che  egli  si  era  dato  a  tesserla 
appena  giunto  in  Roma  nel  i5i2,  o  nel  i5i3;  parla 
solo  della  sua  pubblicazione  nell'anno  i5ai   in    Roma 5 


343 

È  delle  locli  che  tributate  furotlo  da  varj  letterati  a  questo 
componimento. 

Tornò  il  Trisslno  ,  secondo  1*  autore  della  vita ,  a 
Vicenza  dopo  la  morte  di  Leon  X  nel  i52ij  dove 
in  mezzo  a  molte  onorevoli  magistrature  non  lasciò  di 
eorivcr  versi,  fioche  nell'anno  i52^  tornò  a  Roma  as- 
secondando r  invito  di  Clemente  VII.  In  Roma  pubblicò 
la  sua  tragedia,  ed  in  Roma  oocupossi  pure  di  arricchire  , 
0  per  dir  meglio  di  alterare  col  suo  metodo  della  in- 
trusione delle  lettere  Greche,  l'alfabeto  Italiano;  beUé 
intenzione ,  dice  il  Salvini ,  che  gli  venne  fallita ,  e  nella 
quale  fa  combattuto  acremente  da  Lodovico  Martelli  ,  e 
da  Agnolo  Firenzuola. 

Dopo  il  i52  5  si  vede  il  Trìssino  spedito  da  Papa 
Clemente  oratore  alle  repubblica  di  Venezia  ,  e  poscia 
all' imperadore  Carlo  F",  e  nella  coronazione,  che  dovea 
farsi  in  Bologna  dell*  imperadore  suddetto  nel  i53o,  sì 
vede  destinato  a  portare  lo  strascico  Pontificio.  Si  con- 
ferma pure  dall'  autore  della  vita  ciò  che  si  è  accennato 
nelle  note  addizionali,  che  dall'  imperadore  fa  il  Trissìno 
creato  conte ,  e  cavaliere.  Ma  nelle  note  addizionali  si  è 
suscitato  dubbio  inavvedutamente  sul  secondo  matrimo- 
nio del  Trìssino  ,  e  si  è  creduto  ,  che  avesse  continuato 
a  servire  nell'età  sua  provetta  la  corte  Romana ,  mentre 
invece  lo  scrittore  della  vita  riferisce  il  suo  secondo 
matrimonio,  del  quale  sebbeae  non  assegni  l'epoca  pre- 
cisa ,  pare  tuttavia ,  che  questa  cader  debba  non  oltre  ii 
l53i.  Ed  in  tal  caso  sarebbe  ancora  un  errore  di  Mo* 
reri  il  supporre  il  Trìssino  ammogliato  la  seconda  volta 
in  età  senile,  giacché  essendo  egli  nato  nel  li"}^  non 
avrebbe  avuto  allora  pii'i  di  cinqnantatrè  anni.    Non  si  è 


344 

però  difesa  a  torto  nella  nota  aclilizioualp  XX,  l'asser- 
zione di  Voltaire,  che  il  Trìsslno  occupato  avesse  qual- 
che grado  nella  prelatura  ,  perchè  questo  viea  compro- 
Tato  dalla  di  lui  qualità  di  Nunzio ,  e  specialmente  di 
Nunzio  apostolico  alla  repubblica  di  Veaezia,  dall'ono- 
revole ufficio  impostogli  di  portare  lo  strascico  Pontificio, 
e  più  ancora  dall'asserzione  dell' autore  della  vita  appog- 
giala al  Museo  istoiico  dì  Giovanni  Imppriaìi ,  che  Leon  X 
conferir  gli  valeva  la  dignità  di  Cardinale,  ohe  fu  da 
lui  ricusata. 

Il  rimanente  della  sua  vita  trovasi  tutto  ingombro  dì 
liti  sostenute  col  di  lui  figliuolo  Giulio  ,  come  si  è  ac- 
cennato nelle  note  addizionali  alla  pag.  Sia;  e  solo  si 
trova  in  quel  periodo,  che  egli  diede  mano  al  compi- 
mento della  Italia  liherata ,  cominciata  fino  dal   i525. 

Qualche  disparità  si  trova  tra  la  indicazione  della  pri- 
ma edizione  dell'  Italia  liberata  ,  inserita  nella  nota  ad- 
clizionale  XXII ,  e  quella  che  vien  fatta  dallo  scrittore 
della  vita  nel  catalogo  delle  opere  del  Trissino.  Nella 
nota  accennata  si  è  rilevato  giustamente  1'  errore  di  alcuni 
scrittori,  che  quel  poema  epico  sia  stato  stampato  per 
la  prima  volta  in  Venezia  nel  i54'3  e  i54^8  ;  ma  si  è  pure 
rimproverato  ai  medesimi ,  che  supponessero  i  due  volumi 
contenenti  nove  libri  ciascuno,  e  che  alcuno  accennasse  tre 
volumi  divisi  ciascuno  in  nove  canti.  In  quella  nota  non  si 
è  posto  mente  se  non  ai  due  primi  volumi,  e  si  è  sup- 
posto ,  che  11  secondo  contenesse  solo  otto  libri.  L'  au- 
tore della  vita  accenna  un  volume  stampato  nel  i547 
nel  mese  di  maggio  contenente  i  primi  nove  libri  ;  e 
questo  è  il  rarissimo  volume  stampato  in  Roma  per 
Valerio  e  Lui^i  Dorici   a   petizione    di    Antonio  Macr» 


345 

Vicentino  ;  accenna  un  secondo  nontienenle  altri  nove 
libri  stampati  in  Venezia  per  Tolomeo  Janiculo  da  Bressa 
nell'anno  i548  di  novembre;  ed  accenna  altri  nove  libri, 
che  sono  gli  ultimi  ,  stampati  anch'  essi  in  Venezia  da 
Janiculo  lo  stesso  anno  i548,  ma  nel  mese  di  ottobre, 
cosicché  il  terzo  volume  si  vede  stampato  prima  del 
secondo. 

Dallo  scrittore  della  vita  si  registra  la  morte  del  Tris- 
sino ,  che  non  fu  menzionata  dal  sig.  Roscoe ,  come 
seguita  in  Roma  nell' anno  i55o  Tra  le  opere  stampate 
del  Trissino  si  accennano  varie  opere  grammaticali ,  i 
Bìtralti  de  le  bellissime  donne  d' Italia ,  un  trattato 
della  poetica  più  volte  ristampato,  alcune  orazioni,  un 
volume  in  4''  di  rime,  una  commedia  in  verso  sciolto 
intitolata  i  SimiUimì ,  tratta  dai  Menecmi  di  Plauto , 
alcune  Echghe  pastorali ,  tra  le  quali  una  in  morte  di 
Cesare  Trivulzio ,  ed  alcuni  volgarizzamenti  di  antichi 
classici.  Un  poemetto  intitolato  Pharmaceuiria  ci  porge 
motivo  di  indicare  in  questo  luogo  qual  fosse  il  poeta 
accennato  da  Arsìlli  sotto  il  nome  di  Batto ,  sul  quale 
argomento  siamo  rimasti  dubbiosi  nella  nota  (89)  al  poema 
di  Arsilli  p,  261.  Il  Butto  y  che  vien  celebrato  in  uà 
suo  componimento  da  Trissino  ,  e  che  forse  è  il  mede- 
simo di  Arsilli,  indicandosi  come  celebre  poeta  ,  era  Gioan 
Battista  dplla  Torre,  o  Torriano  ,  altro  di  quei  letterati 
fratelli  ,  de'  quali  ha  parlato  il  sig.  Boscoe  in  questo  vo- 
lume medesimo  pag.  1 69,  lodandoli  come  uomini  virtuosi, 
ed  amici  intrinseci  di  Fracastoro.  Tra  le  opere  inedite  del 
Trissino  si  registrano  alcune  orazioni  ,  ed  alcune  let- 
tere ,  odi ,  canzoni ,  epigi  ammi  ecc. ,  gli  si  attribuiscono 
pure  una  Rettorica  ,  un  Compendio  delle  cose  Vicentine, 
ed  alcuni  scritti  di  morale. 


346 

Emendate  eosV  le  piccole  dlsson^lnze ,  clie  trovar  si 
poteano  per  avventura  nel  testo ,  e  nelle  note  in  pro- 
posito di  quel!'  uomo  insigne ,  annaazieremo  ora  ,  che 
non  avendo  potuto  inserire  ìu  questo  volume  il  suo  ri- 
tratto ,  lo  daremo  giusta  un  bellissimo  esemplare  nel 
volume  seguente  ;  è  così  pure  in  calce  ai  documenti  esi- 
biti dal  sig.  Foscoe  nella  sua  appendice ,  speriamo  di 
poter  pubblicare  alcune  lettere  inedite  al  Trìssino  scritte 
da  Leone  X ,  dà  Isabella  d' Arragona  moglie  di  Galeazzo 
Sforza  duca  di  Milano ,  da  Andrea  Alctati  ,  da  Demetrio 
Calcondila ,  da  Giano  Parrasio ,  e  da  Giovanni ,  e  da 
Palla  Ruccellai ,  nominati  con  onore  in  questo  volume 
medesimo,  da  Veronica  Gamòara  ,  e  da  Vittoria  C(*' 
lonna ,  pure  in  questo  volume  altamente  lodate. 


34; 


Ag^unta  alia  nota  X^I.  pag.   39  5 , 
intorno  a   Teofilo  Folengi. 


fSeW*  Notizia  dei  Novellatori  Italiani,  posseduti  dal 
Conte  Borromeo  di  Padova ,  stampa'a  in  Bassauo  nel 
i'}f)i  1  e  nel  Catalogo  de' suoi  libri  pubblicato  in  Lon- 
dra in  quest'anno  noedesiuio  iBi'j  ,  trovasi  in  una  nota 
al  nuoi.  8a  pag.  28  contrastato  al  Falangi  il  vanto  di 
essersi  il  prinao  servito  in  Italia  dello  stile  maccaronico. 
Si  citano  infatti  un*  operetta  di  certo  Giorgio  Alione 
Astigiano,  che  scrisse  verso  il  1^965  la  quale  oltre  ad 
alcune  farse,  commedie  ,  e  canzoni  in  dialetto  Astigiano^ 
contiene  una  Maccharonea  contro  maccharoneam  bassuni, 
scritta  in  maccaronico  stile  in  risposta  ad  altro  macca- 
ronico componimento  di  certo  Bo^^o/JO  studente  in  Paviaj 
ed  un  Poemptto  Maccaronico  di  Tif  dfgli  Odasi/ ,  gen- 
tiluomo Padovano  ,  contemporaneo  deW  Alioni  ,  stampato 
due  volte  verso  la  fine  del  secolo  XV.  Questi  due  scrit- 
tori maccaronici  sono  Italiani ,  e  se  per  avventura  tolgono 
il  primato  a  Folengi  in  quel  genere  di  composizione  ,  lo 
asseriscono  ,  e    lo  aggiudicano    indubitatamente  ali*  Italia. 

Aggiugoerò  a  questa  notizia  ,  che  io  ho  posseduto  lun- 
go tempo  un  grosso  codice  cartaceo  in  4.''  che  conteneva 
poesie  maccaroniche  ;  che  quelle  non  erano  dell'  Alioni , 
né  dell' Oc?a«/o,  e  che  quel  codice  per  la  forma  de' ca- 
ratteri doveva  al  XV  secolo  assegnarsi  anziché  al  XVI. 
I©  non  ne  ho  mai  fatto  menzione  ne'  miei  scritti  per  Ifi 
«eurrìlità  e  laidezza  ,  delle  qtuli  era  ripieno. 


343 

SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE 

DEL  TOMO  VII^ 


Tavola  I.  Ritratto  di  Sannazaro.  —  Questo  è  copiato 
da  un  originale  dipinto  in  tavoli  ,  posseduto  dal 
Traduttore  Italiano  di  quest'  opera  ,  e  lavoro  di 
un  artista  contemporaneo  certamente  del  Poeta. 
Si  vede  questo  vestito  di  una  spezie  di  toga  con 
ampio  collare  ,  il  che  può  servire  di  bastante 
confutazione  di  que'  biografi  Francesi  ,  che  hanno 
voluto  far  credere  che  Sannazaro  in  età  provetta 
affettasse  le  maniere  di  vestire  di  un  giovane  cor- 
tigiano. In  questa  llgura  si  vede  il  Poeta  già  vec- 
chio ,  ed  in  una  attitudine  grave  e  dignitosa. 
Sopra  la  testa  si  leggono  le  parole  ;  lACOBVS. 
SANA.ZARIUS.  POETA.  NEAPOLIT.  Dietro  pure 
si  legge  scritto  su  di  una  carta  di  mano  di  que' tempi, 
Jacobus  Sanazarius  .  .  .  is  (  forse  equestrìs  )  ordinis 
Poeta  NeapoU  na  .  .  .  s  {  probabilmente  natus  )  ; 
il  rimanente  è  cancellato.  E'  singolare  ,  che  in 
questa  tavola  ben  conservata  si  trova  sempre  il 
nome  di  Jacopo ,  e  non  quello  di  Azzio  Sincero  , 
che  si  vede  in  tutti  gli  altri  monumenti  di  quel- 
Fuomo  illustre     ........     Pag.       7 


349 
Tavola  II.  N.°  i.  Medaglione  di  Antonio  Tehaldeo  , 
col  di  lui  nome  intorno  alla  testa.  Nel  rovescio 
Alceo  coronato  da  due  Genj  ,  Tritone  ,  un  Cocco- 
drillo ,  ecc.  Avvi  altra  medaglia  di  quel  Poeta 
con  una  testa  quasi  simile  alla  riferita  ;  intorno 
Je  parole  ANTONS  THEBALDS  ,  e  nel  rovescio 
una  figura  muliebre  nuda  ,  e  velata  solo  da  una 
cintura  alla  metà  del  corpo,  con  un  corno  d'ab- 
bondanza ,  e  sotto  le  parole  EAIIIZEI. 
N,^  2.  Medaglia  del  Cardinale  di  Ravenna  fratello 
di  Bernardo  Accolti,  detto  \  Unico  Aretino.  Questa 
medaglia  è  tolta  del  Museo  Mazzucchelliano.  Vi 
si  leggono  intorno  alla  testa  le  parole  :  BE.  AG- 
COLTUS.  CAR.  RAVENNAE,  Il  nome  del  Car- 
dinale era  Benedetto  ,  (  sebbene  in  un  luogo  il 
sig.  lìoscoe  lo  abbia  detto  Pietro  )  ,  ed  alcuno  ha 
dubitato  perfino  ,  che  a  Bernardo  appartenesse  la 
medaglia.  Questo  altronde  era  Scrittore,  Protonotaro 
Apostolico  ,  Abbreviatore  della  Curia  Romana  ,  e 
finalmente  Segretario  Pontificio ,  per  il  che  bea 
gli  sarebbe  convenuta  quella  berretta ,  che  tiene  sul 
capo.  Il  rovescio  rappresenta  un  faro  con  due 
fiaccole  accese,  un  Nettuno  sedente  sulle  onde  col 
tridente, e  l'epigrafe:  BONIS.  ARTIBUS,  cose  tutte 
che  meglio  assai  si  converrebbero  a  Bernardo ,  che 
non  al  di  bii  fratello  Teologo  ,  e  Cardinale. 
N.'*  3.  Medaglia  di  Pietro  Bemho  giovane.  Testa  im- 
berbe scoperta  con  capelli  tagliati  circolarmente  , 
e  la  leggenda  :  PETRI.  BEMBI.  Nel  rovescio  una 
Najade.sdrajata    presso   un    fiume  j    o   uno    stagno 


35o 

con  un  cannaio  dietr»  le  spalle.  Protabitment» 
fa  coniala  questa  medaglia  allorché  egli  Irovavasi 
in  Ferrara  ,  in  quel  periodo  della  sua  vita  ,  del 
quale  si  parla  nel  Voi.  II.  di  quest'  opera  alla 
pagina    167  e  seg. 

N.**  4-  Medaglia  di  Pietro  Beniho  vecchio  ,  e  già 
Cardinale.  Testa  dignitosa  barbata,  poco  dissimile 
da  quella  ,  che  colla  scoria  di  una  tavola  origi- 
nale abbiamo  esposta  nel  Volume  V.  alla  pag.  186. 
Intorno  le  parole:  PETRUS.  BEMBUS.  CAB. 
Nel  rovescio  il  Cavai  Pegaso.  Questa  medaglia  è 
etata  esposta  anche  dal  sig.  Roscoe  nella  prima 
edizione  di  quest'opera P-'g-      2| 

Tavola  III.  N.*^  i.  Immagine  dell' ^nosfo,  che  può 
credersi  la  più  genuina,  essendo  stata  adottata 
in  varie  edizioni  stimabili  delle  sue  poesie. 

N.?  2.  Medaglia  dell'  Ariosto  medesimo  colla  testai 
del  Poeta  da  un  lato,  e  le  lettere  :  LVDOVICUS. 
ARIOSTUS  ;  dall'  altra  la  mano  colle  forbici  , 
che  sta  per  ta:^liare  la  testa  di  un  serpente  ,  e  la 
leggenda:  PRO.  BONO.  MALUM.  In  altra  simile 
medaglia  si  trova  la  stessa  leggenda  intorno  ad 
un'arnia  circondata  d'api,  con  fiamme  al  disotto. 
Di  queste  due  medaglie  fa  menzione  il  sig.  Roscoe 
in   questo  volume  medesimo  alla  pag.   49- 

N.*^  3.  Medaglia  di  Vittoria  Colonna  ancora  giovane, 
e  sposa  del  Marchese  Davalos.  Da  un  lato  lesta 
della  suddetta  senza  alcun  ornamento ,  ed  intorn'.» 
le  parole  :  VICTORIA.  COLUMNIA.  DAVALA. 
Nel  rovescio  la  teslii  del  marito  ,  coperta   dall'  eL 


35i 
mo  ;  ed  intorno  le  parole  :  FER.  FRA.  PISG. 
MAR.  GAP.  DUX.  MAX. 

K.^  4.  Medaglia  di  Vittoria  Colonna  Vedova  ,  e  già 
d'  età  molto  provetta.  Testa  coperta  da  un  velo  , 
colle  parole  all'intorno:  VICTORIA.  COLUMNA. 
DAVALA.  MAR.  PISCARIAE.  Nel  rovescio  Pi- 
ramo  ,   e  Tisbe.  Questa  medaglia    è    stata    riferita 

anche  dal  sig.  Roscoe Pag.     67 

Tavola  IV.  N.**  i.  Effigie  genuina  di  Sadoleti, 
N.°  2.  Medaglia  di  Marco  Girolamo  Vida.  Testa  se- 
nile barbata  col  suo  nome  all'intorno-,  nel  rovescio 
il  Pegaso  colla  leggenda  :  QUOS.  AMARVNT. 
DII.  —  Trovasi  pure  altra  medaglia  di  Vida  colle 
insegne  vescovili  dietro  la  testa  ,  e  nel  rovescio 
varj  momumenti ,  la  virtù  con  una  corona  in  mano 
nel  mezzo,  ed  un  uomo  seduto  in  atto  di  studia- 
re. Intorno  le  parole:  NON.  STEMMA.  SED. 
VIRTVS. 
N.**  3.  Medaglia  d\  Fracastoro.  Busto  del  letterato 
con  testa  coperta  dalla  berretta  dottorale  ,  ed  in- 
torno HIERONIMUS.  FRACASTORIUS.  Nel  ro- 
vescio  ara  in  mezzo  con  fuoco  ,  dalla  base  della 
quale  esce  un  serpente  ;  da  un  lato  cetra  ,  e  co- 
rona ,  dall'  altra  globo  ,  con  libro  al  di  sopra ,  ed 
uno  stromento ,  che  sembra  un  tubo  ottico ,  o  un 
canocchiale.  Intorno  la  leggenda  :  SACRVM.  MI- 
NERVAE.  APOLL.  ET.  AESCVLAP. 
N.*  /i.  Medaslla  di  Marc  Antonio  Flaminio.  Intorno 
alla  testa  senile  del    Poeta   si    legge  ;    M.    ANTO- 

KIL'S.  FLAMINETJS,  PROBVS.  ET.  ERV.  VIR. 


352 

Nel  rovescio  figura  femminile  seminuda  dal  vaerzo 
in  su  ,  che  colla  sinistra  tocca  una  cetra  posta 
su  d' un  termine.  Intorno  la  leggenda  :  COELO. 
MVSl.  BEAT.  Sotto  le  parole  OR  IV.  TV.  in- 
dicanti l'artefice  incisore  della  medaglia.  Pag.   iii. 


Fine  del  tomo  setiiho. 


353 


INDICE 

DEI     CAPITOLI 


CONTENUT  I 


NEL  PRESENTE  VOLUME. 


Òo 


MMÀRio   Cronologico.   Anno   i5i8    .     .     pag. 
CAPITOLO   XVL 


§  I.   Incoraggiamento  dato   in  Roma  agli  uo- 

mini d  ingegno.  —  Poeti    Italiani.    — 

Sannazaro .      .      ,,        j 

II.    Tehaldeo '     •      35      10 

III.   Beimardo  Accolti  ^  soppranominato  V unico 

Aretino ,,      1 5 

IV.    Bemho j)      21 

V.   Beazzano ,,      3o 

VI.  Molza „     33 

VII.   Ariosto.     — •     Suo     apologo     relativo     a 

Leone  X m     4o 

VIII.   Ariosto     visita    Firenze.     —    E   privato 

III  de'  suoi  stipendj  dal  Cardinale  Ippolito 

'  d  Este.  —  Stabilisce  la  sua  residenza 

in    Ferrara ,,4^ 

Leone  X.   T»m.   VII.  23 


.)  >4 

§        IX.   Effetti  prodotti  dalle  opere  dell  Ariosto 

sul  ^usto  universale  dell'  Europa,     pag.      5 a 
X.   Donne  letterale.  —    Vittoria  Colonna.  ,,      56 
X[.    Veronica  Gamhara.   —   Costanza  d' Ava- 

los.   —    Tullia    d'  Aragona  ,  ed  altre.  ,,     64 
XII.   Poesia  Bernesca.  —  Francesco  Berni.  — 

Carattere  de'  suoi  scritti  ....,,      69 

XIII.  Suo   Orlando  Innamorato.      .  ,,      77 

XIV.  Teofilo  Folengi.  —  Suoi  versi  Maccaro- 
nici ed  altre  opere 5>      79 

XV.  Imitazione    degli    antichi    classici    Scrit- 

tori.  —    Tr  issino ,,      85 

XVI.  Trissino    introduce    i   versi    sciolti    Ita- 
liani      ,,88 

XVII.   Suo  poema.,  T  Italia  liberata  dai  Goti.    ,,      92 

XVIII.    Giovanni  Hucellai ,,     q5 

XIX.    Suo  poema  didattico:   le    Api.    — -  Sua 

tragedia  d'  Oreste ,,99 

XX.   Luigi  Alamanni.  - —  Suo  poema  intito- 
lato :  La   Coltivazione ,,    loi 

XXI.    Classificazione  degli  autori  Italiani.  — 

Drammi   Italiani ,,106 

Somiiiario   Cronologico.   Anno    i5i8       .      .      .      ,,    iio 

CAPITOLO    XVII. 

I.   Progì-essi  della  classica  letteratura.    — 

Jacopo   Hadoleti „    1 1 1 

II.    Scritti  latini  dì   Bemho     .  .      .      ,,    li5 


355 
§         III.    Giovarmi    Aurelio     Augureìli.    —    Sua 

CHsopea  . pag.    1 1 7 

TV.   Scritti  latini  di  Sannazaro    .      .      .      ,,    i2Ì^ 
V.   Esame  del  poema  De  parlu  Virglnis.   ,,    i3o 

VI.    Girolamo    Vida ,,    i.34 

VII.   Poetica  di  Girolamo    Fida  .     .      ,,    i4i 

Vili.    Girolamo   Fracastoro ,,    i45 

IX.   Suo  poema  intitolato   Sifilide.      .     .      ,,    1 5o 
X.   Andrea  Navagero ,,    161 

XI.  Marc  Antonio   Flaminio  .      .     .      ,,171 

XII.  Opere  di   Flaminio.    —    Poeti    contem- 
poranei      ,,182 

XIII.  Poesia    latina    coltivata     in    Roma.     — 

Guido  Postumo   Silvestri  .      .      .      .      ,,188 

XIV.  Giovanni  Mozzarella ,,196 

XV.   Improvisatori  latini.  —  Raffaello  Bran- 

dolini.  ' —  Andrea   Marone    .      .      .      ,,198 
XVI.    Camillo  Querno.   —   Gazoldo  ,  e  B rito- 
rno. — -  Baraballo  di  Gaeta.     .      .      ,,   2o4 

XVII.  Giovanni  Gorizia   protettare  della    lette- 

ratura in  Roma.    —     Poesie    intitolate 
Goryciana 5i2ii 

XVIII.  Poema  di  Francesco  Arsilli  intitolato  de 

Poetis  Urbanis ,,216 

Francisci  Arsilli  Senagalliensis  de  Poetis  Vrhanis 

Lihellus ,,225 

Note    del    Traduttore    Italiano    al    Poemetto   di 

Francesco  Arsilli  de  Poetis   Urbanis.  ,,   ^48 
iVofe  Addizionali. ,,264 


356 

dlota  partlcolore  intorno  al  Poeta  Gìovan  Giorgio 

Trissino pag.    34 1 

Aggiunta   alla    nota    XV J.    pag.    29  5    intorno    a 

Teofilo  Folengi >>  ^47 

Spiegazione  delle  tavole  del  Tomo  VU    .     .     ,,348 


ERftOUt 


CORKEZIOKJ. 


Tomo  V. 


Pag-  323  tit.  lin.  4-  promessa 

334  lin.  18  un'  falsa 
ivi    lin.  3i  crede 

335  lin.  14  sarebbe 

336  lin.  27  siccomo 
346  lin,  19  regligione 

Tomo  VII. 

16  nota  (3)  lin.  5  Mani 
65  nota  (a)  lin.  3  rilrovossi 
^4  nota  (a)  lin.   i3   Capaccio 
84  nota  {2)  lin.  6  Copeco 
96  lin.  14  dalla 
98  nota  fi)  1.  2  deir  autore 
Ii3  lin.  i5  Lacoonte 
ii5  nota  lin.  8  heberet 
118  lin.  4   i-^i. 
125  nota  (i)   lin.    17   Qui 
127  nota  liQ,  3   (1) 
ivi    nota  (2)  lin.   i3  Ratus 
ivi    lin.  14   Pvatior 
i33  nota  (2)  lin.  9  I  poeti 
139  nota  (1)  1.  3  POINESTIS 
145  lin.  22  effetto 
1.^8  nota  (2    1.  4  dai  soldati 
i58  nota  (1)  lin.  3  pareus 

160  lin.  9  Fracostoro 

161  note  lin.  16  periise 

173  nota  lin    9  in  Via  Luta 
i85  nota  (2)  lin.  5  Fedros 
186  nota   (3)  lin.  3  INavageri 
ao3  nota    2)  1.  3  celebrandum 
23i  lin.   i3  distingersi 
ivi    lin.  14  Blosio  e  di  Blois 


promossa 
una  falsa 
crede  il 
sarebbero 
siccome 
religione. 


Marini 
ritirossi 
Capaccio 
Capece 
della 

dall'  autore 
Laocoonte 
hebetet 
i45t. 
Quid 
(2) 

Rarus 
Rarior 
(  I  poeti 
HONESTIS 
difetto 
dei  soldati 
pareus 
Fracastoro 
periisse 
in  via  lata 
Fedro 
Raugerii 
celebrandam 
distinguersi 
JBlosio  o  di  £l@i? 


Errori 


CoBRÌfzìoia 


Pag.  261  lin.  2  Farncesi  Farnesi 

362  Ha.  3-4  Sylone  Sylvae 

ivi  ivi  è  già  e  già 

271  1ÌQ.   i3   Tarquìnio  Tarquinia 

286  lin.  2  proprizia  propizia 

293  lin.  5  lodono  lodano 

298  Un.   19  inuedite  inedite 

3oo  lin.  11.  22  principando  principiando 

Sol  lin.  7  obbigatione  obligalione 

3 IO  lin.  9  Pover  Povero. 

321  lin.  20  sul  quale  nel  quale 

336  liu-  2  còme  noóae 


VITA 


B 

PONTIFICATO 

DI 

LEONE   X. 


VITA 


PONTIFICATO 

1)   1 

LEONE    X. 

DI  GUGLIELMO  ROSCOE 

AUTORE     DELLA     VITA     UI     LOBENrO     De'  MEDICI 

TRADOTTA    E    CORREDATA     DI    ANNOTAZIONI 
E   DI  ALCUNI    DOCUMENTI     INEDITI 

DAL 

CONTE    CAV.   LUIGI    BOSSI 

MILANESE 

ORNATA 

Del  ritrailo  di  Leone  X,  e  di  molte  medaglie  incise  in  rame. 


TOMO  Vili. 


MILANO 

Dalla   Tipografia  Sonzogno  e  Coki* 
1817. 


■A  Y  V  E  R  T  i  M  E  N  T  O 
DEGLI  EDITORI; 


e 


hiunque  avrà  lello  i  volumi  eli  quest'o- 
pera fino  ad  ora  pubblicati  ,  avrà  potuto 
facilmente  comprendere,  che  l'oggetto  del 
sig.  Roscoe  non  tanto  è  stato  quello  di  scri- 
vere la  storia  della  vita ,  e  del  pontificato 
di  Leon  X,  quanto  di  mettere  nel  suo  mag- 
gior lume  lo  stato  della  religione ,  della  po- 
litica ,  della  letteratura  in  quel  periodo  di 
tempo,  famoso  egualmente  per  i  progressi 
maravigliosi  dell'  umano  ingegno  ,  quanto 
pier  le  guerre  ,  e  le  discordie  religiose,  che 
sgraziatamente  lo  contrassegnarono. 


Alla  illustrazione  di  queslo  triplice  slato 
delle  umane  istituzioni ,  seguendo  le  trac- 
eie  dell'  illustre  Autore  ,  ha  pure  rivolto 
le  sue  cure  il  traduttore  Italiano  di  que- 
st'  opera  ;  e  dalle  cure,  che  egli  si  è  preso 
per  arricchire  dì  note  istruttive,  di  monu- 
iriènti  inediti  ,  ed  anche  di  figure,  che  non 
trovansi  nell'  originale  ,  i  precedenti  volu- 
mi ,  si  potrà  agevolmente  giudicare,  se  egli 
ha  raggiunto  il  suo  scopo,  e  se  egli  non  è 
pervenuto  a  dare  per  così  dire  all'Italia 
un'  opera  ,  che  può  considerarsi  come  in 
gran  parte  nuova  ,  ed  originale  ,  rettifican- 
dosi in  essa ,  ed  estendendosi  molte  idee 
dall"  Autore  troppo  succintamente  esposte  , 
e  rischiarandosi  massimamente  tutti  quegli 
occetti  che  hanno  una  relazioni^  immediata 
coi  progressi  delle  scienze  ,  e  dell'arti  ,  coi 
principi  della  riforma  ,  e  con  tutti  gli  av- 
venimenti grandiosi  ,  che  particolarmente 
caratterizzarono  il  secolo  di  Leon  X. 

Il  Volume  VII  presenta  un  ampio  saggio 
di  queste  cure  del   traduttore  ,    giacché    le 


di  lui  fatiche  riempiono  presso  che  la  metà 
del  volume;  e  nel  IX,  oltre  una  copia  di 
note  importantissime,  si  troverà  pure  una 
serie  non  piccola  di  nuovi  documenti  ine- 
diti ,  che  il  sig.  Roscoe  medesimo  si  sareb- 
be reputato  ben  felice  di  poter  agcjiugnere 
ai  documenti  da  esso  registrati  nella  sua 
Appendice.  Si  vedranno  in  quella  lettere 
dello  stesso  Leon  X,  della  duchessa  di  Mi- 
lano Isabella  Sforza ,  di  Demetrio  Calcon- 
dila  ,  di  Girino  Parrasio  ^  di  Giovanni^  e 
Palla  R uccellai  ^  di  f^ittorla  Colonna  <,  di 
P^eronica  Gamharn  ^  à\  Andrai  Alciato  ecc. 
Così  pure  il  Volume  XI  ,  che  versa  intie- 
ramente sulla  storia  dell'arti  del  disegno, 
e  sullo  stato  loro  al  cominciare  del  seco- 
lo XVI  ,  sarà  arricchito  di  nuove  ,  ed  in- 
teressanti notizie  ,  e  di  quelle  necessarie  il- 
lustrazioni ,  delle  quali  forse  mancava  in 
questa  parte  T  opera  originale. 

Ma  l'affluenza  di  queste  note  medesime, 
unita  alla  copia  dei  documenti  inseriti  nella 
sua  Appendice  dal  sig.  Roscoe  ,  che  noi  re- 


Vili 

li^iosamente  abbiamo  Toluto  riferire  pef 
intiero  ,  deviando  così  da  quanto  era  stato 
arbitrariamente  praticato  nelle  ripetute  edi- 
zioni della  versione  Francese  ,  ed  ai  nuovi 
documenti  inediti  ,  dal  traduttore  Italiano 
a£;giui.li  ;  ci  ha  costretti  ad  aumentare  il 
numero  dei  volumi  ,  che  avrebbe  dovuto 
a' termini  del  manifesto  chiudersi  coli' ot- 
tavo •  e  ci  lusinghiamo,  che  l'importanza 
delle  materie  ,  l'  ampiezza  delle  note  ag- 
giunte, alcune  delle  quali  possono  conside- 
rarsi come  altrettante  nuove  ,  ed  originali 
dissertazioni  sopra  gli  argomenti  più  curiosi, 
e  più  interessanti;  la  produzione  dei  docu- 
menti inediti  ,  che  per  la  prima  volta  ora 
si  pubblicano,  e  la  scrupolosa  nostra  fedeltà 
nel  dare  1'  originale  nella  piena  sua  inte- 
grità ,  ed  il  numero  de'  foglj  di  stampa  ,  e 
delle  figure ,  più  copioso  d' assai  di  quanto 
si  era  promesso  nel  manifesto  ;  ci  serviranno 
di  facile  scusa  presso  i  nostri  associati ,  se 
noi  siamo  dall'  abbondanza  delle  materie 
costretti  ad  estendere   il  numero  de' volumi 


iié 
lilsinò  a  dodici ,  pt-omettendo  altresì  di  dare 
ù\  fine  dell'  ultimo  volume  un  indice  ge- 
nerale delle  materie ,  che  da  molti  sappia- 
mo essere  desiderato. 

E  giacche  ci  si  è  presentata  Ora  occasione 
di  parlare   del    nostro    primo  manifesto    di 
quest'  opera  ,  coglieremo  con   piacere    que- 
st'  opportunità  per  correggere  un  errore  ca- 
duto nel  detto  manifesto ,    nel  quale  siamo 
stati   inavvedutamente    trascinali   dalla   pre- 
fazione premessa  dal  si^.  Heniy  alia  sua  tra- 
duzione Francese.  Quest'uomo,  che  essendo 
della  comunione  medesima,  dovea  pur    es-* 
sere  irieglio  informalo  della  persona  deìl'  Aut 
tore  ,  e  di  una  circostanza,  che    poteva    a* 
vere  con  esso  qualche  relazione  ;  ha  suppo- 
sto ,  e  noi  abbiamo  credulo  con   esso ,    che 
il  sig.   Guglielmo  Roscoe  fosse  ministro   del 
culto  Anglicano  ,  il  che  non  sussiste  in  fatto. 
Ma  siccome  chi  legge  un'opera   grande, 
e  voluminosa  ,  contrae  in  qualche  modo  co- 
noscenza coli'  autore  ,  ed  ama  il    più    delle 
volte  di   averne   qualche  notizia  ;    così    noi 


crediamo  di  fin-  cosa  gi'ata  ai  nostri  leggi- 
tori ,  trascrivendo  per  intiero  quello ,  che 
sulla  persona  ,  e  sulla  famiglia  di  quest'uo- 
mo rispetta'jile,  e  già  per  due  opere  gran- 
diose benemerito  della  letteratura  ,  e  della 
storia  in  particolare  della  Italia  ,  ha  recente- 
mente pubblicato  un  Francese  ,  che  si  cre- 
de essere  certo  sig.  Simon  ,  nel  suo  Viag^ 
gio  in  Inghilterra  duranti  gli  anni  2810  e 
1811  ,  Fot.  I.  p.  326. 

M  Una  delle  mie  lettere  commendatizie 
>3  era  per  il  sig.  Roscoe  ,  vantaggiosamente 
M  conosciuto  in  Europa  come  lo  storico  dei 
>3  Medici,  lo  sono  stato  sorpreso  al  voJere, 
53  che  il  sig.  Roscoe  era  alla  testa  di  una  delle 
»  prime  case  di  commercio,  e  di  banco  a  Li- 
>3  verpool,  e  che  inoltre  era  grande  agricol- 
>3  lore,  e  grande  architetto.  Ecco  molti  tratti 
M  di  rassomiglianza  col  suo  eroe.  Il  sig.  Roscoe 
M  ha  una  famiglia  numerosa,  sette  ligi]  ;  ma 
>3  alcuno  di  questi  non  sarà  Papa,  giacché  non 
>3  vai  pili  la  pena  di  aspirare  a  quel  posto. 
>5  Noi    abbiamo   fatto    colezione  ,    e  passata 


»  tutta  la  mattina  di  jerl  ad  AUerton  Hall  in 
jj  compagnia  dei  consorti  Roscoe ,  e  di  due 
»  dei  figlj  ;  famiglia  tutta  degna  di  consi- 
>j  derazione  per  la  cultura  dello  spirito,  la 
w  semplicità  de' costumi,  e  la  totale  man- 
»  canza  di  ostentazione.  Nella  statura  ,  e 
»  nella  fisionomia  il  sig.  Roscoe  ha  qualche 
«  rassomiglianza  con   Tfashington. 

53  Esiste  una  manifesta  antipatia  tra  i  ne- 
>3  gozianti  ,  e  i  letterati.  Non  è  certo  que- 
M  sta  una  rivalità  ;  ed  io  non  veggo ,  co- 
53  me  coloro,  che  corrono  dietro  alla  fama, 
53  debbano  lagnarsi ,  perchè  non  giungono 
53  alle  ricchezze  ,  o  come  quelli  che  si  stu- 
33  diano  di  ammassare  danaro,  debbano  do- 
33  lersi  ,  perchè  non  giungano  alla  ce]?e- 
33  brilà  :  Voltaire   ha   detto: 

33  Dell'  aver  suo  ciascun    contento  sia  , 
33  Ne  di  ciò,  ch'egli  tien  ,  vanto  si  dia.  » 

33  Ella  è  pure  una  sorte  poco  commune 
»  quella  di  aver  percorso  unitamente  l'una 
53  e  r  aUra  carriera  con  eguale  riuscita. 


Iti 

.  53  II  slg.  Róscoe  possiede  alcuni  buòni  qua- 
ti  clri,ed  uno  ne  ha  acquistato  recentemente, 
j  la  di  cui  storia  è  molto  singolare.  RdJ" 
Jaello  avea  fatto  il  ritratto  di  Leon  X  suo 
j  protettore  ;  salito  al  trono  pontificio  il  se-^ 
j  con  do  della  famiglia  Medici^  (^cioè  il  card, 
3  Giulio^:,  il  duca  di  Firenze  ( probabilmente 
>  /'/  duca  Alessandro  )  mostrò  desiderio  di 
i  aver  quel  ritratto  ,  ed  il  Papa  ordinò  ^ 
3  che  gli  fosse  spedito;  ma  sia  all'insaputa 
3  del  Pontefice ,  sia  eh'  egli  ne  fosse  pre- 
3  venuto,  fu  sostituita  all' originale  una  co- 
0  pia.  Dopo  alcuni  anni  la  superchieria  fu 
scoperta  ,  e  sulle  lagnanze  del  duca  di 
Firenze  1'  originale  fu  realmente  mandato; 
se  ne  fece  però  dapprima  una  seconda 
copia  ,  che  fu  conservata  ,  o  che  forse 
non  lo  fu  ,  essendo  stato  il  duca  una  se- 
conda volta  burlato.  Uno  di  questi  qua- 
dri passò  dalla  Galbria  di  Firenze  a  quella 
del  Louvre;  quello,  elisio  vidi  presso  il 
3  sig.  Roscoe  ,  è  un  altro  simile.  Originale 
3  ch'esso  sia  o  no,  è  certo  un  quadro  ec- 


2111 

ii  celiente.  Leone  di  grandezza  naturale  è 
«  seduto  presso  una  tavola;  davanti  a  lui 
»  sta  aperto  un  messale  riccamente  mi" 
»  niato ,  e  si  vede  vicino  un  grosso  cam- 
>3  panello  d'  argento  ;  egli  tiene  in  mano  i 
»  suoi  occhiali ,  e  sappiamo  infatti ,  che  egli 
«  era  di  corta  vista.  L'atteggiamento  è  sem- 
33  plice ,  e  naturale ,  e  V  espressione  del  ca^ 
5i  rattere  di  Leone  è  precisamente  quella , 
«  che  si  potrebbe  supporre  :  instrutto  ,  ma-' 
«  nieroso ,  generoso ,  senza  uno  straordina- 
»  rio  ingegno,  di  età  poco  più  di  qua- 
»  rant'  anni  ,  grosso ,  e  grasso  ,  e  con  un 
33  doppio  mento.  Il  di  lui  parente  ,  che  a 
33  lui  succedette  nel  pontificato  sotto  il  no- 
33  me  di  Clemente  VII  ^  sta  accanto  a  lui, 
33  ed  ha  una  fisionomia  più  vivamente  ca- 
33  ratteri zzata, 

33  II  sig.  Boscoe  ebbe  la  compiacenza  di 
33  mostrarci  la  sua  collezione  preziosa  di 
33  schizzi    all'  acqua    forte    (i)  originali    de' 

(i)  Detti  dagl'  Inglesi  etcliin^. 


irv 

5j  più  grandi  artisti ,  che  cominciano  dai 
5:>  jDadri  dell'  arte  ,  Leonardo  da  Vinci ,  Raj' 
w  faello  ,  ecc.  ,  e  finiscono  ,  per  quanto  io 
»  credo  ,  con  Van-Djck,  Alcuni  di  questi 
«  pittori  non  hanno  lasciato  se  non  due  o 
«  tre  di  quei  disegni  all'  acqua  forte ,  6 
«  l'ardor?  Ò.Q  dilettanti  diviene  per  questo 
»  maggiore  nel  farne  ricerca.  Il  prezzo  ,  che 
»j  essi  attribuiscono  ai  veri  originali ,  gli 
ti  inganni  ,  i  maneggi ,  e  le  querele  de'  di* 
>j  Iettanti  relativamente  a  queste  dotte  graf- 
»  fiature  (  alcune  delle  quali  sono  certa- 
i3  mente  cattive  )  ,  formano  una  vera  cari- 
w  calura  del  gusto  genuino  dell'arte.  Ella 
>j  è  questa  come  la  fede  alle  reliquie  ,  pa*- 
>3  ragonaia  alla  vera  pietà.  Il  sig.  Roscoe  è 
>j  superiore  a  lutto  questo;  egli  mi  ha  par- 
li luto  di  un'  opera  in  tre  volumi  pubbli- 
>j  cata  da  un  Tedesco,  che  presenta  la  sto- 
M  ria  di  tutte  queste  incisioni  dW  acqua  forte 
M  con  rami  indicativi ,  ad  oggetto  di  poter 
M  riconoscere  gli  originali  :  quelli  di  Ber' 
»  }^hem,  e  di  Van-Vjck^   con   un   piccolo 


X» 

3>  numero  di  qiwìlli  di    Salvator  Rosa  ^  mi 
»  sono  sembrati  i  migliori  «. 

Senza  convenire  nel  senlimenlo  di  que- 
sto scrittore ,  per  ciò  che  riguarda  una  certa 
licenza ,  colla  quale  ei  parla  degli  oggetti 
di  culto,  ed  una  apparente  superficialità, 
colla  quale  tratta  le  opere  deli'  arte  non  al- 
trimenti che  alcuni  argomenti  morali,  e  po- 
litici, noi  siamo  ben  contenti  di  aver  trovato 
il  ragguaglio  di  queste  particolari  circostanze 
intorno  al  sig.  Roscoe ,  e  di  averne  fatto  par- 
te in  questo  luogo  ai  nostri  lettori.  Il  signor 
Roscoe  nella  sua  prima  edizione  della  vita 
dì  Leone  X  avea  fatto  incidere  il  disegno 
del  quadro  ,  di  cui  parla  il  viaggiatore 
Francese  ;  e  siccome  questo  per  l' atteggia- 
mento della  persona  ,  e  per  gli  acccssorj  , 
si  stacca  in  gran  parte  da  quello  che  noi 
abbiamo  esposto  nel  primo  volume  di  que- 
st'  Opera ,  che  pure  è  tratto  da  un  disegno 
di  Raffaello  y  per  non  defraudare  neppure 
di  questo  i  nostri  associati  ,  ne  esporremo 
lieir  ultimo  volume  un  esatto  contorno. 


Crediamo  finalmente  non  inutile  dì  av^ 
verlire  di  bel  nuovo  i  lettori ,  che  tutte  sor 
no  nuovamente  aggiunte  dal  traduttore  Ita- 
liano le  note  contrassegnate  colle  lettere  (a) 
(b)  ec. ,  e  le  parole  chiuse  tra  i  due  se- 
gni (),  che  trovansi  talvolta  in  fine  delle 
note  dell'  Autore  ,  indicate  coi  numeri  (i) 
(a)  ecc.  ;  non  che  le  note  addizionali  api 
poste  a  ciascuno  dei  volumi  di  <juesta  edi" 
jpione. 


yoj.xm  /au/.p  1 


OIOVA^^  O'DUSrl'tD  TRU^SIFO 


VITA 

E    PONTIFICATO 


DI 


LEONE  X. 


SOMMARIO     CRONOLOGICO 
Dal  1 5 1 8  al  1 5 1  g. 

J^ellm  usurpa  il  trono  ottomano.  —  Sconfigge  II 
Sofi  di  Persia.  ■ —  Conquista  l'Egitto.  —  Timori  che 
si  concepiscono  perla  sicurezza  dell'Europa.  —  Leon  X 
intraprende  di  formare  un'  alleanza  delle  potenze  cri- 
stiane. —  Egli  pubblica  una  tregua  generale  per  cin- 
que anni.  —  Progetto  generale  di  un'alleanza  offensiva 
centra  i  Turchi.  —  I  sovrani  della  Cristianità  s'im- 
pegnano soltanto  in  un'alleanza  difensiva.  — -  Matri- 
monio di  Lorenzo  de'  Medici  con  Maddalena  de  la 
Tour.  —  Munificenza  del  Papa  in  quella  occasio- 
ne. —  Carlo  d'Austria  cerca  di  ottenere  il  titolo  di 
Re  de' Romani,  e  l'investitura  del  regno  di  Napo* 
Leone  X-.  Tom.  FUI.  i 


2 

]I.  —  Morte  dell'Imperatore  eletto  Massimiliano.  — 
Carlo  d'  Austria  e  Francesco  I.  vengono  a  contesa 
per  la  corona  imperiale.  —  Disegni  e  condotta  di 
Leon  X.  —  Elezione  dell'  Imperatore  Carlo  V.  — 
Morte  di  Lorenzo  Duca  d'Urbino.  —  Ippolito  de* 
Medici.  —  Alessandro  de'  Medici.  —  Conseguenze 
della  morte  di  Lorenzo.  -- —  Stato  del  governo  Fio- 
rentino. —  Memorie  di  Machiavelli.  —  Il  Cardinale 
de'  Medici  dirige  gli  affari  della  Toscana.  —  I  do- 
minj  d'  Urbino  sono  riuniti  a  quelli  della  Chiesa. 


CAPITOLO  DEGIMOTTAVO 
5  I. 

Selim  uswpa  il  trono   Ottomano.  —  Egli  sconfigg» 
il  Soffi  di  Persia  ,  e  conquista  V  Egitto. 

Anno    i5i8. 

Gli  Stati  ci'  Italia  ei-ano  allora  liberi  dalle  calamiti 
di  una  j^uerra  interna,  ma  i  timori  generati  dal  cre- 
scente potere  ,  e  dalla  ferocia  desolante  de'  Turchi  , 
diminuivano  quella  dolce  soddisfazione  die  i  loro  abi- 
tanti cominciato  aveano  a  sperimentare.  j\è  potea  forse 
darsi  un'  epoca  in  cui  i  loro  timori  fossero  me2;lio 
fondati.  Il  trono  ottonano  era  allora  occupato  da  u;i 
IVIonarca ,  il  quale  univa  al  coraggio  più  ardente  e 
più  ostinato  la  sete  più.  iusaz. abile  di  conquista  ,  e 
le  maggiori  disposizioni  alla  crudeltà.  Per  mezzo  di 
una  fortunata  ribellione,  e  dell'  assassinio  di  suo  pa» 
dre  Bajazet  ,  Scimi  avea  preso  in  mano  anzi  tempo 
le  redini  dell'  impero  ad  esclusione  del  suo  fratello 
Acìimet  ,  quale  dopo  avere  di  là  a  non  molto  scon- 
fitto in  una  battaglia,  egli  pubblicamente  mandò  al 
supplizio.  I  due  figli  di  Acìiinet  ,  ed  un  più  giovane 
fratello  di  Selim  ,  con  molli  altri  della  famiglia  pro- 
varono una  eguale  sorte  ;  e  tale  era  1'  odio  straordi- 
nario che  quel  mostro  nutriva  contro  il  suo  proprio 
sangue  ,  eh'  egli  facea  disegno  di  priyare  di  yila  Som 


Umano  suo  unico  figlio,  il  quale  visse  tuttavia  ab- 
bastanza per  ereditare  la  sanguinaria  gelosia  del  di 
lui  padre  ;  e  per  compiere  1'  esempio  di  un  oltraggio 
alla  natura  colla  distruzione  della  propria  sua  prole  (i). 
AveiMlo  con  questi  mezzi  intrapreso  di  assicurarsi 
contro  tutti  i  di  lui  competitori  in  Turchia,  Selim 
diresse  gli  sforzi  suoi  verso  gli  stati,  che  lo  circon- 
davano ,  e  per  qualche  tempo  fu  dubbioso,  se  1'  A- 
sia  ,  r  Europa ,  o  l'  Africa  ,  dovesse  sostenere  per  la 
prima  il  fur.)i-e  del  suo  attacco.  Un'  ombra  di  diffe- 
renza nella  interpretazione  delle  leggi  del  grande  pro- 
feta ,  e  l'offesa  cagionata  coli'  aver  presfato  assistenza 
allo  sfortunato  di  lui  fratello  Achmet  ,  lo  determinaro- 
no alfine  a  rivolgere  le  sue  armi  contro  Ismaele  soffi 
di  Persia  ,  che  egli  sconfisse  in  una  battaglia  decisi- 
va ,  ed  essendosi  impadronito  della  città  di  Tauris  , 
la  abbandonò  al  saccheggio  della  sua  soldatesca,  a- 
Tcndo  spedito  dapprima  come  schiavi  a  Costantino- 
poli i  principali  abitanti.  La  sterilità  di  quel  paese , 
che  lo  inabilitò  ad  ottenere  i  viveri  per  il  sostenta- 
mento della  numerosa  sua  armata ,  sforzollo  tuttavia 
ad  abbandonare  le  sue  conquiste-,  ma  Selim  non  tro- 


(i)  SoUiiuuio  mise  a  morte  due  tle'  suoi  figlj  ,  Miistafà  ,  e 
Baj'azet  colla  loro  prole  innocenle.  n  I  principi  «li  questa  ca- 
n  sa  nascono  ,  dice  Sagredo  ,  Come  i  giovenchi  al  coltello  , 
«  per  essere  ifiuime  scannali ,  e  sacrificali  all'  idolo  della  am- 
»  bizione.  15  Meni.  Storiche  de'  yionarchi  Ollomani  lib.  It. 
p.  119.  lib.  IH.  p.  122.  Uh.  f^JI.  p.  3)3,  3J9.  —  RobertfQ'z 
Storia  di  Carlo  V,  Uh.  XI.   F,  IH,  p.  289. 


vava  diletto  che  ne^la  strage,  e  non  godeva  riposo 
se  non  nel  preparare  una  nuova  spedizione.  Dopo 
essersi  impadronito  di  una  gran  parte  del  paese  po- 
sto tra  il  Tigri  e  l'Eufrate,  egli  attaccò  il  sultano 
d'  Egitto  ,  e  non  ostante  il  potere  e  le  risorse  di  quel 
sovrano,  ed  il  coraggio  e  la  fedeltà  dei  Mammelucchi  , 
cali  riuscì  a  sog^ioo-are  quel  rei^no  ,  e  riunirlo  ai  do- 
minj  ottomani.  In  cpiesta  guerra  il  Sultano  Ca/npson 
perì  in  una  battaglia ,  ed  il  di  lui  successore  Tou- 
momhej ,  ultimo  sovrano  dei  Mammelucchi,  essendo 
stato  fatto  prigioniero,  fu  mandato  a  morte  da  Seliin 
con  circostanze  singolarmente  ignominiose,  e  che  an- 
nunziavano una  slraoi'dinaria  crudeltà  (i). 


§  II. 


Timori  concepiti  per  la  salvezza  clelV  Europa.  —  Leon  X 
intraprende  di  formare  un  alleanza  delle  potenze 
Cristiane.  —  Egli  pubblica  una  ti-egua  generale  per 
cinque  anni. 

La  caduta  dì  un  impero  così  potente  ,  e  da  si 
lungo  tempo  stabilito  ,  il  quale  era  stalo  sostenuto 
da  un  sistema  militare  di  un  vigore  senza  esempio 
per  circa  trecent'  anni  ,  sparse  in  tutta  l'  Europa  un 
terrore ,  che  certamente  non  erano  atti  a  sminuire 
i  preparativi  che  facevansl  in  Costantinopoli  per  un'al« 


(t^  Sagredo  Mem.  Istor,  lib.  III.  p.  i4i- 


6 

tra  spedizione  apparenlemenle  di  molto  maggiore  im- 
portanza.  Lo  spavento  generale  era  accresciuto  dalle 
notizie  che  si  aveano  del  carattere  personale  di  Seliin  , 
il  quale  cei'cava  di  coprire  1'  enormità  de'  suol  delitti 
collo  splendore  de'  suoi  trionfi.  E'  stalo  detto  altresì 
che  egli  avesse  infiammato  la  sua  passione  per  le 
conquiste  collo  scorrere  i  racconti  delle  imprese  di 
Alessandro  e  di  Cesare ,  che  egli  avea  fatto  tradurre , 
e  che  si  faceva  leggere.  Così  il  mondo  è  destinalo  a 
pagare  il  fio  della  sua  cieca  ammirazione  per  coloro  , 
che  egli  qualifica  col  come  di  eroi.  Nel  tempo  stesso 
si  supponea  ,  che  1'  isola  di  Rodi  ,  ed  i  cavalieri  di 
S.  Giovanni  di  Gerusalemme  ,  che  allora  la  possede- 
vano, e  che  veniva  riguardata  come  il  baluardo  della 
cristianità  ;  sarebhono  il  primo  oggetto  de'  di  lui  at- 
tacchi. Da  altra  parte  si  concepivano  de'  timori  che 
il  regno  d'  Ungheria  governalo  da  una  Reggenza  du- 
rante r  infan;iia  del  suo  Sovrano  ,  eccitar  ptitesse  pro- 
babilmente la  sua  ambizione;  mentre  altri  credevano 
più  probabile  ,  che  egli  potesse  essere  indotto  a  ten- 
tare la  conquista  dell  Italia  dallesempio  del  suo  avo 
Maometto,  che  nel  i48o  avea  preso  Otranto,  e  messo 
il  piede  nel   regno  di   Napoli. 

In  quella  occasione  Leon  X  reputò  essere  del  suo 
particolare  ufficio  e  del  dover  suo  l' intraprendere 
di  formare  tra  i  Sovrani  dell'  Europa  un'  alleanza, 
che  non  solo  reprimere  potesse  le  incursioni  di  quei 
nemici  formidabili  ,  ma  portando  altresì  la  guerra  nei 
dominj  degli  ottomani ,  potesse  scacciarli  da  que'paesi 
che  di  recente  aveaDo  occupati,    ©  dar  loro    motivo 


7 

«li  bastante  occupazione  nel  provvedere  alla  propria  loro 

difesa.  Ma  benché  le  circostanze  di  que' tempi  fossero 
gì'  immediati  motivi  ,  che  inducevano  il  Pontefice  a 
prendere  una  parte  attiva  nella  opposizion^e  al  potere 
de'  Tuvchi ,  pure  erano  da  lungo  tempo  conosciuti  il 
di  lui  spavento  ,  ed  il  di  lui  abborrimento  per  quella 
nazione.  Dal  principio  del  suo  pontificalo  i  di  lui 
sfoi'zi  erano  stati  impiegati  ad  impegnare  i  Sovrani 
della  cristianità  a  collegarsi  per  un  comune  attacco 
contro  gl'infedeli;  e  1' armonia  che  allora  sussisteva  fra 
quelli  sembrava  presentare  una  prospettiva  più  fa- 
vorevole pel  compimento  di  quel  grande  oggetto ,  che 
egli  si  era  inaddietro  proposto.  Le  istanze  del  Pon- 
tefice ricevettero  un  nuovo  stimolo  dalle  rappresen- 
tazioni a  lui  fatte  per  la  salvezza  de'  Sovrani  di  quei 
paesi ,  che  confinavano  co'  doininj  Turchi  ;  e  parti* 
colarmente  dalle  rimostranze  dei  Governatori ,  ed  a- 
bitanti  delle  provincie  di  Croazia  e  Dalmazia,  i  quali 
obbligati  erano  a  mantenere  la  loro  independenza  ooa 
una  guerra  continua  e  crudele  (i).  Egli  era  pure  ec- 
citato a  perseverare  in  questi  tentativi  da  molti  nor 
bili  ,  e  letterati  greci  residenti  in  Italia ,  i  quali  an- 
cora si  lusingavauo  con  deboli  e  lontane  speranze  di 
riguadagnare  la  loro  patria  (a) ,    e    da    molti    celebri 


(i)  Al>pé^ld.  N.  CLXXIII. 

(a)  Questi  sentimenti  possono  facilmente  riconoscersi  in  varj 
passi  dei  documenti  riferiti  in  questa  storia;  nelle  lettere  dj 
Musarci  à  Leon  X  ;  nelle  poesie  di  Marullo  ,  e  più  di  tutto 
ancora  ncUa  dedicatoria  degli  Apofiemmi  di  Arsenio    Arcive- 


8 

dotti  d  Italia  ,  1  (juali  erano  siali  dai  loro  precettori 
imbevuti  di  un  odio  singolare  contra  i  Turchi ,  come 
nemici  egualmente  del  sapere  ,  delia  libertà  ,  e  della 
religione  (i).  Nò  invero  potrebbe  pegarsi  che  Leone 
non  fosse  stimolalo  a  questo  tentativo  dall' ambiziosa 
brama  di  essere  consideralo  come  1'  autore  di  quella 
lega  generale  dei  polentali  cristiani ,  e  di  yedersi  col- 
locato alla  loro  testa  come  supremo  direttore  del  loro 
movimenti. 

La  prima   risoluzione  pubblica  adottata   dal  Ponte- 
fice fu  quella  di  adunare  i   Cardinali    in  pieno  Con- 


scovo di  Morembasia  ,  che  io  ho  riferito  nelle  noie  addizionali 
T.  IV.  p-    i63  e  seg. 

(^i)  Tra  (picsli  era  Andrea  JViwageró  ,  il  quale  nella  sua 
lettera  dedicatoria  premessa  al  I.  volume  della  sua  edizione 
di  Cicerone ,  impiega  tutta  la  sua  eloquenza  ad  eccitare  ìì 
Pontefice  a  questa  grande  impresa ,  e  gli  promette  un  trionfo 
compiuto  sopra  i  di  lui  nemici.  >5  Erit,  erit  profecto  dies  illa» 
1?  quum  te  longissime  prolatis  flnihus,,  devictis  omnibus  ,  quae 
»  Christiano  uuquam  nomini  infensae  fuerint  nationibus ,  cum 
r'  insigni  laurea  redeuniem  intueri  liceat  ;,  quum  tota  te  Italia, 
»»  totus  lerrarum  orbis ,  ut  quemdam  ad  levanda  nostra  in— 
J5  commoJa  e  caelo  delapsiim  Deum ,  venerelur;  qnum  tibi 
«  obviam  cunctis  ex  oppidis  ,  omnium  geuerum  ,  omnium  aeta- 
'>  tum  ,  multitudo  S2  omnis  effundat  ^  tfbi  patriam  ,  tibi  pe- 
»  nates,  tibi  salutem.,  ac  vitam  denique  depulso  crudelissimorum 
j>  hoslium  metu  ,  acceplam  referal.  »>  lYattg.  Ep.  ad  Leon  X. 
Più  ai)passioii3to  ancoia  è  il  lingaaggio  di  Vida  ,  il  quale  in 
quella  occasione  indirizzò  al  Pontefice  una  Ode  Saffica  ,  ed  in 
ossa  come  un  altro  Ossian  offre  i  suoi  servigi  personali  nella 
guerra  ,  ed  esulla  alla  vista  di  quella  immortalità,  che  dev' es- 
sere il  frutto  delle  sue  miiiiari  imprese,  yìppend,  N.  CLXXIV' 


9 

cistoro,  dove  egli  espose  loro  il  vasto  suo  progello , 
e  pubblicò  una  tregua  generale  tra    i    potentati    del- 
l' Europa  ,  che  durar  dovesse  per  lo  spazio  di  cinque 
anni  ,  assoggettando  ne'  piìi  severi  termini  tutti  quei 
Principi  o  Stati ,  che  fossero    per    contravvenire  alle 
pene  della  scomunica.   Egli  spedì    quindi    come    suoi 
legati   ai  principali    Sovrani    dell'Europa    que'  Cardi- 
nali ,   che    slimati    erano    maggiormente    pei    loro    ta- 
lenti ,  e  che  teneano  un    posto  principale    nella    sua 
confidenza.   Bernardo  da   BiLiena  fu  mandalo  in  Fran^ 
eia,  Lorenzo    Campeggio  in   Inghilterra  (i) ,  i'o^/J/o  da 
Viterbo   in  Ispagna  ,  ed  ^/ewanr7/o  Farnese  all' impera- 
dore  eletto  Massimiliano  ;  muniti  tutti  di  ampie  istru- 
zioni per    r  oggetto  della  loro  missione,    e    di    com- 
missioni per  dare  ai  diversi  Sovrani    le    piti  positÌA'e 
assicurazioni  che  1'  oggetto  primario    che    1    Pontefice 
avea   in   vista  era  la  salvezza  generale  dell'  Europa ,  e 
la  protezione ,  e  1'  onore  della  Chiesa  Cristiana.  Affine 
di  promovere  il  buon  esito  di  queste  insinuazioni,  o 
di  dare  un   maggior  grado  di  solennità  ,    e    d'  impor- 
tanza alle  disposizioni ,    che    egli  intendea   di    adotta- 


li )  TV olsey  si  uni  con  Campeggio  in  questa  commissione  , 
senza  di  che  Leone  hen  conoscea ,  che  non  avrebbe  avuto 
speranza  di  riuscita.  Rapin  Sior.  d'  Inghil.  l'tb.  XV.  T.  I. 
p.  ySg.  La  bolla  di  Leone  a  JVolsey  trovasi  nell'  opera  d{ 
Rymer^  Foedera  V.  VI.  p.  \\o.  Una  lettera  originale  su  que- 
sto soggetto  del  Vescovo  di  Worcester,  allora  Arabasciadore 
jn  Roma  a  ÌVolsej ,  che  mostra  al  vivo  la  grandissima 
premura  del  Papa  in  quella  occasione,  si  conserva  nel  Musec 
Britannico  ,  ed  è  inserita  nell'  Jppend,  JY.   CLXXV. 


10 

re ,  Leone  ordinò  che  si  facessero  in  Roma  puLbliclie 
preghiere  per  tre  giorni  conaecutivi  ,  nel  corso  delle 
quali  egli  intervenne  alle  pubbliche  processioni  colla 
testa  scoperta  ,  e  i  piedi  nudi ,  recitò  personalmente 
i  divini  uffizj  ,  distribuì  limosine  a'  poveri  ,  e  con 
tutte  le  dimostrazioni  di  umiltà  e  di  divozione  intra- 
prese di  conciliarsi  il  favore  del  cielo  ,  o  almeno  di 
provare  la  sincerità  delle  sue  intenzioni.  In  quella 
occasione  altresì  Jacopo  Sadoìeti  recitò  una  pubblica 
orazione  per  incoraggiare  ognuno  alla  proposta  impresa, 
altamente  lodando  il  Pontefice  per  la  pietà ,  lo  zelo, 
e  r  attività,  colla  <^uale  erasi  dedicato  alla  causa  co- 
mune, é  i  diversi  Sovrani  dell'Europa  per  l'ardore 
che  essi  aveano  di  già  manifestato  per  sostenerla  (i). 

§  in. 

Disegno  genefale  di  una  alleanza  óffefisivà  contro 
i  Turchi. 

Leone  era  tuttavia  ben  consapevole ,  che  là  fitìscità 
di  questa  impresa  non  potea  appoggiarsi  puramente 
a  disposizioni  di  questa  uatura.  ,,  E'  una  pazzia  , 
j,  diceva  egli  ,  1'  acquietarsi ,  ed  il  supporre  che  quei 
,,  feroci  nimici  possano  essere  conquisi  solamente 
,,  colle  preghiere.  Noi  dobbiamo  disporre  le  nostre 
,,  armate,  ed  attaccarli   con  tutto  il  vigore,  che  ci  è 


(1)  Jppénd,  ìT.  QLXXVL 


II 

5,  possibile  (i)  ".  Egli  consultò  adunque  tatti  i  mi- 
litari più  sperimentati  d'  Italia  ;  egli  cercò  ed  esanai- 
nò  (juelle  persone,  che  meglio  erano  informate  della 
forza  militare  dei  Turchi  ;  le  dispasizioui  degli  abi- 
tanti dei  diversi  paesi  ,  che  essi  teneano  soggetti,  e 
delle  piazze  più  esposte  ad  un  attacco  ;  ed  avendo 
ottenuto  le  più  compite  informazioni ,  che  egli  aver 
potea,  abbozzò  il  grandioso  disegno  della  sua  impre-» 
sa.  In  questo  si  proponeva  ,  che  una  irameosa  somma 
di  danaro  «,i  leverebbe  per  le  volontarie  contribuzioni 
dei  sovrani  d'  Europa  ,  e  per  una  tassa  forzata  sopra 
i  loro  sudditi  ;  che  V  Imperadore  di  Germania  mette- 
rebbe in  campo  una  numerosa  armala ,  la  quale  unita 
con  grandi  corpi  di  cavalleria  forniti  da^li  Uogaresi  ^ 
e  dai  Polacchi,  si  avanzerebbe  lungo  il  Danubio  nella 
Bosnia,  e  quindi  per  la  Tracia  verso  Costantinopoli; 
che  al  tempo  stesso  il  Re  di  Francia  con  tutte  le  sue 
forze  ,  le  armate  de'  Veneziani ,  quelle  di  altri  Stati 
d' Italia  ,  ed  un  numeroso  corpo  di  fanteria  Svizzera 
si  riunirebbe  al  porto  di  Brindisi  sul  golfo  Adriati- 
co ,  d'  onde  esso  passerebbe  facilmente  nella  Grecia 
abitata  tuttora  da  uu  gran  numero  di  Cristiani  stan- 


h)  Fabfon.  in  vit.  Leon  X.  p.  73.  Questa  può  sembrare 
fina  ardila  verità  nella  bocca  di  utl  Papa.  Ma  Sagrdo  Io  Sto- 
»ico  professa  il  senliinento  medesiino.  »  I  digiuni  ,  le  indul- 
»J  ganze ,  sono  sempre  giovevoli  ;  ma  come  non  bisogna  scor- 
»>  darsi  della  rassegnatione  al  cielo  ,  cosi  conviene  sovvenirsi 
n  del  proprio  coraggio  •  frequenlare  l'  oratione  ,  ma  non  di— 
»  menlicarsi  la  spada  al  fianco.  »  Mem,  Istor.  de'  Monarchi 
OU9m,  p.   i44> 


12 

chi  di  soffrire  la  tirannia  elei  Turchi  ;  che  le  flotte 
della  Spagna,  del  Portogallo,  e  dell'Inghilterra  si 
incontrerebbero  a  Cartagena  e  ne'  porti  adjacenti  , 
d'  onde  duecento  vascelli  si  spedirebbono  muniti  di 
soldati  Spagnuoli  ad  attaccare  i  Dardanelli  ,  ed  a 
congiungersi  cogli  alleati  per  minare  la  capitale  dei 
Turchi.  Al  tempo  stesso  il  Papa  ,  che  bramava  di 
prendere  una  parte  personale  all'attacco,  si  proponeva 
di  partire  da  Ancona  accompagnato  da  cento  vascelli 
ben  armati ,  cosicché  venendo  i  Turchi  attaccati  tanto 
per  terra,  quanto  per  mare  da  un  immenso  numero 
di  assalitori  ,  poteva  nascere  la  lusinga  ,  che  la  spe- 
dizione sarebbe  terminata  felicemente ,  e  eoa  solle- 
citudine (i). 

§   IV. 

1   Sovrani  della   Cristianità  si  impegnano   solo 
in  uri  alleanza  difensiva. 

Seinbrava  per  tal  modo  questa  grande  impresa  pro- 
gredi^re  con  favorevoli  auspicj ,  e  Leone  avea  forse 
di  già  preveduto  nella  sua  mente  il  tempo ,  in  cui 
sarebbe  stato  celebrato  come  il  ristoratore  dell'  im- 
pero d'  Oriente,  il  liberatore  della  terra  Santa  ,  ed 
il  vendicatore  delle  atrocità  commesse  dai  Turchi 
contro  la  cristianità.   Ma  queste  grandiose  aspettative 


(i)  Guicciardin.  Slor,  d' Ital,  lib,  X///.  eoi.  IL  p.  la. 


i3 

non  erano  destinale  a  realizzarsi.  La  tregua  generale 
per  cinque  anni,  ch'egli  avea  proclamata  tra  i  so- 
vrani dell'  Europa ,  fu  veramente  accettata  da  essi 
con  un'  apparente  contentezza  ,  ed  essi  rivalizzarona 
tra  di  loro  nel  mostrai'e  la  loro  buona  disposizione 
a  promuovere  un'  impresa  cosi  giusta  ed  importan- 
te (i).  Fu  pure  concliiuso  un  trattato  tra  i  Re  d'In- 
ghilterra ,  di  Francia  e  di  Spagna ,  a  norma  delle 
richieste  del  Papa,  nel  quale  egli  fu  dichiarato  capo 
della  lega  (2);  ma  benché  T  oggetto  pubblico  di  que- 
sta unione  fosse  la  vicendevole  difesa  dei  dominj  ri- 
spettivi ,  e  la  protezione  della  Cristianità  contro  i 
Turchi  ,  era  essa  tuttavia  semplicemente  difensiva  , 
e  non  sistemata  in  alcun  modo  per  l' adempimento 
del  disegno  ,  che  Leone  avea  in  vista.  Come  poteva 
mai  aspettarsi  infatti  ,  che  tanti  slati  diversi  ,  molti 
dr^i  nuali  immediatamente  ,  ed  altri  solo  da  lontano 
i;  Tessali  nella  causa,  potessero  concorrere  nel  por- 
■^  in  regioni  discoste  una  guerra  attiva  ?  Dopo  gli 
sempj  che  si  erano  presentali  fino  dal  principio  del 
secolo  ,  di  un  ambizione  senza  limiti ,    di  as'o'ressioni 

'  '  DO 

non  provocate ,  di    sconvolgimenti    di    stati   e    di    re- 


(1)  La  dichiarazione  di  Enrico  Vili  in  quella  occasione  h 
stata  conservata  Ira  i  MSS.  Cottoniani  nel  Museo  Britannico, 
e  trovasi  nel!'  Appendice  N.  CLXXVII. 

(a)  Questo  trattalo  in  data  dalli  1  ottobre  i5i8  è  esposto 
da  Dumont  Corp«  diplomai.  T.  TK.  pari.  J.  pag.  266.  Ma  nel 
titolo  l'  editore  ha  nominato  per  errore  Carlo  d'Austria  l'Ira, 
Carlo  V,  La  ratificazione  di  (Jarlo  è  delli  1}  gennajo   iSig, 


gni,  e  della  Tiolazi'one  dei  più  solenni  trattali,  no* 
teva  egli  aspettarsi  cha  la  voce  del  Pontefice  riuscisse 
l\  tempo  slesso  a  distruggere  tutti  i  sospetti,  e  soffo- 
care quelle  passioni  sanguinarie,  che  allora  covavano 
sotto  la  cenere  per  acquistare  nuovo  vigore  ?  Si  ag- 
giunga a  questo,  che  l'orizzonte  politico  dell'  Euro- 
pa, benché  tranquillo,  non  era  senza  nubi,  il  giovane 
sovrano  della  Spagna  avea  già  dato  indizj  di  un  ca 
rattere  energico  e  decisivo,  e  l'avanzala  età  del  suo 
avo  Massiniiliano  dava  luogo  a  supporre  che  fra  non 
molto  sarebbero  insorte  contese  della  maggiore  ina 
portanza  per  la  pubblica  tranquillità,  in  mezzo  a  tali 
circostanze  appena  poteva  supporsi  che  i  prlmarj  So- 
vrani dell'  Europa  abbandonar  volessero  le  loro  re- 
sidenze, o  impegnare  tutte  le  loro  forze  in  lontane 
pericolose  spedizioni ,  che  ninna  speranza  presenta- 
vano di  un  adequato  compenso,  e  potevano  esporre 
j  più  sinceri  agli  aniljiziosi  diseo;ni  di  coloro ,  che 
forse  non  avrebbero  esitato  a  prevalersi  di  qualunque 
circostanza  ,  che  contribuir  potesse  al  loro  proprio 
ingrandimento.  La  ratificazione  del  trattato  di  allean- 
za  difensiva  tra  i  principali  potentati  dell'  Europa,  che 
fu  poco  dopo  confermata  dal  Papa,  gli  impedì  tutta- 
via dall' arrestarsi  sulla  riflessione  umiliante,  che  era- 
no state  spese  invano  tutte  le  sue  insinuazioni  \  e  la 
notorietà  di  quella  lega  formidabile  poteva  infatti 
produrrò  un  favorevole  effetto  ,  nel  trattenere  l' Im- 
perador  Turco  dall'  attaccare  i  territorj  Cristiani.  I 
Legati  Poiilificj  alle  diverse  corti  continuarono  an- 
cora a  promuovere,  per  quanto  era  in  poter  loro,  il 


i5 

grande  oggetto  della  loro  missione,  verso  il  quale  essi 
affettavano  di  riguardare  come  un  primo  passo  pre- 
paratorio il  trattato  di  già  concliiuso  ,  ed  ottennero 
alfine  la  lode  di  aver  fatto  il  loro  dovere  con  vigi* 
lanza,  e  con  destrezza  (i)  ;  ma  non  ostanti  queste  pra- 
tiche ,  non  si  adottarono  dai  principi  dell'  Europa  ul- 
teriori disposizioni  per  condurre  ad  effetto  i  progetti 
del  Pontefice,  e  mentre  i  di  lui  inviati  si  studiavano 
"di  promuovere  una  causa,  che  non  presentava  alcu- 
na speranza  di  buona  riuscita  ,  ebbero  luogo  avveni- 
jnenti  tanto  nelle  orientali  che  nelle  occidentali  re- 
gioni ,  che  cangiarono  1'  aspetto  dei  pubblici  affari , 
e  diedero  a  Leqjie  medesimo  in  altre  parti  sufficienl© 
occupazione. 

:  §  V. 

patrimonio  di  Lorenzo  de  Medici  con  Maddalena 
de  la  Tour.  — -  Munificenza  del  Papa  in  quella 
occasione. 

Se  tuttaivia  gV  inviali  di  Leon  X  non  riuscirono 
nelV  adempiere  ji  principale  oggetto  della  loro  missio- 
ne, essi   gli   rendettero    per    tutt'  altro    riguardo  uà 


(i)  Queste  trattative  sono  grandemente  illustrate  dalle  let- 
tere confidenziali  tra  il  Card,  da  Bibbiena  ,  ed  il  Card.  Gm« 
Ih  de'  Medici  nelle  lettera  di  Principi.  Voi.  I.  pug.  27  ,  34? 
35  ecc. 


i6 

considerabile  sei'vizio,  ècT  il  pontifìcio  tesoro  fu  riem- 
pito colle  contribuzioni  ottenute  tanto  dai  laici  , 
quanto  dal  Clero  sotto  i  varj  pretesti ,  die  quegli  a- 
stuti  Ecclesiastici  sapevano  metter  in  opera  (i).  Alla 
Corte  di  Francia  il  cardinale  di  Bihiena ,  il  quale  al 
carattere  di  amabile  letterato ,  e  di  fino  politico ,  ac- 
coppiava maniere  facili  ed  insinuanti ,  guadagnò  per 
tal  modo  il  favore  della  duchessa  d'Angouleme,  ma- 
dre del  Re  ,  che  grandissima  influenza  esercitava  so- 
pra suo  figlio ,  che  ottenne  col  di  lei  intervento  la 
presentazione  al  vescovado  di  Costanza ,  al  medesi- 
mo accordato  in  aggiunta  a  molte  altre  prelature,  le 
rendite  delle  quali  tuttavia  erano  tanto  insufficienti 
al  suo  modo  di  vivere  dispendioso  ed  improvido , 
che  si  diceva  esser  egli  sempre  imbarazzato  dai  de- 
biti (2).  Ne  Leone  trascurò  \  occasione  ad  esso  offerta 
dalla  residenza  del  Cardinale  alla  corte  di  Francia  , 
per  ingrandire  la  sua  famiglia  ,  con  un  nuovo  vincolo 


(i)  L'  esazione  di  queste  contribuzioni  cagionò  un  grandissimo 
malconleuto  ,  massime  in  Germania  ,  dove  le  dottrine  dei  ri- 
formatori aveano  di  già  fatto  considerabili  progressi.  L'  orazione 
recitata  in  quella  occasione  dai  Legati  Apostolici  innanzi  alla 
dieta  Impcpale  ,  fu  poco  dopo  fatta  stampare  dai  uimici  della 
Sede  Romana ,  ed  accompagnata  da  una  s\  ecie  di  risposta  , 
o  di  esortazione  a  non  aderire  alle  richieste  del  Papa.  Questo 
scritto  ,  che  si  attribuisce  ad  Ulrico  Utt.eno  ,  contiene  molti 
maligni  sarcasmi  contro  Leone  ^  ,  e  la  famiglia  de  Medici  5 
esso  h  inserito  nelP  appendice  ,  tolto  dalla  edizione  originale 
pubblicata  nel  iSig.,  sotto  il  num.   CLXXVIII. 

(2)  :  undiiii  il  Bibiena  p.  ^^7.  60. 


>7 

con  quell  a  del  Monarca  Francese.  A  questo  fine  egli 
propose  un  trattato  di  matrimonio  tra  Lorenzo  Duca 
d'  Urbino^  di  lui  nipote ,  e  Maddalena  de  la  Tour^  fi- 
glia di  Giovanni ,  Conte  di  Bologna  e  d'  Alvernia ,  e 
parente  della  famiglia  reale  di  Francia  per  mezzo  (K 
sua  madre  Giovanna  ,  figlia  di  Giovanni  Duca  di  Van- 
dome.  Questo  matrimonio  fu  infatti  approvato  dal  Re, 
e  fino  dal  principio  dell'anno  i5i8  Lorenzo  recossi 
con  sollecitudine  a  Firenze  ,  dov'  egli  fece  i  più  son- 
tuosi preparativi  per  le  vicine  sue  nozze.  Nel  tempo 
stesso  si  ricevette  notizia  della  nascita  di  un  figlio 
del  Monarca  Francese,  il  quale  fece  conoscere  il  suo 
desiderio ,  che  il  Sommo  Pontefice  volesse  tener  quello 
al  sacro  fonte ,  in  conseguenza  di  che  Lorenzo  fu 
spedito  con  tutta  la  maggiore  sollecitudine  a  Parigi, 
come  rappresentante  in  quella  occasione  S.  S.  La  ce- 
rimonia fu  celebrata  alli  aS  di  aprile,  e  gli  altri  pa- 
drini furono  il  Duca  di  Lorena,  e  Moìgherita  Du- 
chessa di  Alencon,poco  dopo  regina  di  Navarra ,  so- 
rella di  Francesco  I  ;  ma  questo  primogenito  di  quel 
Sovrano  ,  al  quale  fu  pure  imposto  il  nome  di  Fran- 
cesco ,  non  sopravvisse  abbastanza  per  godere  dell'  au- 
torità, alla  quale  la  sua  nascita  lo  avrebbe  portato  di 
diritto  (i).  Quella  solennità  fu  tuttavia  celebi^ala  con 


(i)  »5  Era  in  questo  lempo  nato  a  Francesco  I.  Re  di  Francia 
»>  un  figlio  maschio ,  che  fu  poi  Fraiieesco  II.  n  Muratori 
Ann.  iV  [tal.  Torri.  X.  p.  l36.  E  cosa  sorprendente,  che  quel 
celebre  Storico  sia  caduto  in  questo  errore  j  giacché  France- 
sco II,  era  figlio  di  Enrico  II.,  ed  abbiatico  di  Francesco  T. 

Leonì  \.  Voi  riij.  2 


i8 

splendidi  hanchetli  ,  e  festa  grandiose ,  cìie  continua- 
rono per  dieci  giorni ,  e  con  magnifici  tornei ,  nei 
quali  si  i-iconobbe ,  che  Lorenzo  de  Medici  erasi  con- 
dotto con  onore ,  ed  avea  mostrato  molto  coraggio  e 
molla  destrezza. 

La  celebrazione  delle  nozze  tra  Lorenzo  de'  Medici 
e  Maddalena  de  la  Tour,  fornirono  un  nuovo  motivo 
d'esultanza,  ed  il  Re,  ed  il  Pontefice  gareggiarono 
a  vicenda  nel  colmare  di  favori  lo  sposo  e  la  sposa. 
Per  pnrte  del  Re  Lorenzo  fu  investito  di  un'  annua 
rendita  di  10,000  corone  (1).  Ma  i  regali  mandati 
dal  Papa  alla  sposa  ,  come  pure  alla  Regina  di  Fran- 
cia ,  oltrepassavano  qualunque  reale  munificenza ,  e 
fu  d^tto  ohe  eccedessero  in  valore  l'enorme  somma  di 
3oo,ooo  zecchini.  Trentasei  cavalli  portarono  a  Parigi 
questi  magnifici  regali,  tra  i  quali  era  un  letto  pomposo 
tutto  lavorato  di  tartaruga,  madreperla,  ed  altre  ma- 
terie preziose  (a).  Né  questo  avvenimento  fa  meno 
contrassegnalo  dalle  vicendevoli  dimostrazioni  di  te- 
nerezisa  ,  che  il  Pontefice  ed  il  Monarca  si  prodiga- 
vano 1'  un  r  altro  ,  e  che  fortunatamente  essi  Irova- 
yano  i  mezzi  di  mostrare  non  a  spese  loro  ,  ma  a 
spese  dei  loro  sudditi ,  o  dei  loro  alleati.  Leone  ac- 
cordò al  Re  ìq  aggiunta  alle  decime  tratte  dai  bencr 
lìzj  di  Francia  ,  tutte  le  contribuzioni  che  dovevano 
ottenersi  in  Francia  per  la   crociata  progettata  contro, 


(1)   AmmiratOy  Ritratto  di  Lor.  Duca  d'  Urh.   opusc.  voi.  Ili* 
p.   106.  —  Guicciardin.  Lib.  XI  il.   Fol.  II.  p.   i55. 
(3)  Fabranì  f^it.  Leon.  X.  adi  tot.  6cf,  p.  291» 


'9 

i  Turclil,  promettendo  il  Re  dal  canto  suo  di  sbor- 
sarne il  valore  qualora  la  spedizione  avesse  effettiva- 
mente principio.  Dall'  altra  parte  il  Re  trasmise  a 
S.  S.  uno  scritto  che  la  medesima  autenticò ,  colla 
quale  s'  impegnava  di  restituire  al  Duca  di  Ferrara 
Je  città  di  Modena  e  di  Reggio  (i).  In  questo  stato 
di  cose  fu  celebrato  il  matrimonio ,  il  quale  benché 
non  destinato  a  durar  lungo  tempo,  riuscì  fatalmente 
di  infelice  auspicio  per  la  Francia  ,  e  preparò  la  stra» 
da  alle  maggiori  calamità  che  1  Europa  provasse 
giammai. 

§  VI. 

Carlo  d'  Austria  intraprende  cT  ottenere  il  titolo  di  Re 
de'  Romani ,  e  /  investitura  di  Napoli. 

Questo  periodo  nel  quale  Y  Europa  godeva  uno 
stato  di  tranquillità  comparativa,  potea  considerarsi 
come  il  termine  di  quella  lunga  serie  di  avvenimen- 
ti, che  cominciò  coli' arrivo  di  Carlo  Vili  in  Italia, 
ed  era  continuata  in  mezzo  a'  tutte  le  vicissitu- 
dini della  lega  di  Gambrai ,  finché  le  cause  produt- 
tive del  loro  effetto  cessarono  di  operare.  Ma  men- 
tre la  scena  si  chiudeva  sulle  operazioni  del  passato  , 
si  apriva  alla  vista  il  prospetto  del  futuro  ,  e  disco- 
priva il  principio  di  una  nuova    serie   d'affari,    non 


(i)  Guicciardih.  Storia  (V  hai.  lib,  XIll.   Voi,  lì   p-  i55. 


20 

iftétio  sorprfndcnli  nelle  loro  relazioni ,  non  meno 
■importanti  nelle  loro  conseguenze,  di  quelli,  che 
sì  sono  in  addietro  conciliata  la  nostra  attenzione. 
Carlo  ^  il  giovane  Re  di  Spagna,  avea  di  già  rivolte 
le  sue  mire  ad  assicurare ,  ed  unire  nella  pro- 
pria di  lui  persona  il  governo  di  quegli  estesi  doniin» 
ai  quali  avea  diritto  per  la  sua  nascita,  o  poteva 
acquistarne  alcuno  come  rappi-esentante  delle  case  So- 
vrane di  Spagna ,  e  d'  Austria.  La  di  lui  successione 
a  questi  doininj  non  era  tuttavia  libera  da  qualunque 
difficoltà.  Nella  Castiglia  ,  e  nell'  Aragona  i  maneggi 
refrattari  delle  Cortes  ,  o  delle  assemblee  rappresen- 
tative della  Nazione,  aveangli  cagionato  non  leggieri 
imbarazzi.  Il  di  lui  diritto  alla  corona  di  Napoli  non 
era  stato  per  anco  giudizialmente  riconosciuto  dalla 
Santa  Sede  ,  la  quale  per  espresso  consenso  godeva 
della  facoltà  di  decidere  qual  fosse  il  Sovrano  ,  che 
maggiori  titoli  avesse  al  possedimento  di  quel  Regno  ; 
e  la  di  lui  successione  al  trono  Imperiale  alla  morte 
del  suo  Avo  MassiiniUano  dovea  dipendere  dalla  vo- 
lontà degli  Elettori  ,  dal  quali  l'  ampia  estensione 
dei  di  lui  possedimenti  ereditar]  potea  considerarsi 
piuttosto  come  un  ostacolo  ,  ed  un  motivo  d'  obbie- 
jrione  ,  che  come  un  impulso  a  renderlo  oggetto  della 
loro  scelta.  In  queste  circostanze  Carlo  reputò  con- 
venevole di  attaccarsi  a  Leone  X,  affine  di  ottenere 
da  esso  una  bolla  d'  investitura  dei  suoi  stati  di  Na- 
poli ,  e  di  procurax'e  il  conseguimento  del  titolo  di 
Re  de'  Romani  ,  durante  la  vita  di  suo  avo  ,  titolo  , 
che  assicurata  gli  avrebbe  la  successione  alla    digita 


21 

Imperiale.  Il  compiacere  Carlo  nella  concessione  di 
questi  grandi  oggetti  non  era  tuttavia  ben  consenta- 
neo alle  viste  ed  ai  desiderj  del  Pontefice  ,  il  quale 
mentre  riguardar  non  poteva  senza  pena  lo  stabili- 
mento di  alcuna  potenza  estera  in  Italia  ,  potea  giù» 
stamente  paventare  l'  unione  della  corona  Imperiale 
con  quelle  di  Spagna  ,  e  di  Napoli  nella  stessa  per- 
sona. Egli  dunque  per  mezzo  del  suo  Legato  Bibiena 
comunicò  le  domande  di  Carlo  a  Francesco  /,  il 
quale  bencbè  avesse  di  recente  conchiuso  con  quel 
prinripe  una  stretta  alleanza  ,  ed  avesse  trattato  di 
dargli  in  matrimonio  altra  dcdle  sue  figlie ,  fu  gran- 
demente spaventato  al  vedere  le  mire  ambiziose  ,  e 
le  attive  disposizioni  di  quel  giovane  sovrano,  e  pre- 
murosamente sollecitò  il  Pontefice  di  non  compiacérlo 
nelle  sue  richieste.  Alla  nomina  di  Carlo  come  Re 
de'  Romani  si  opponeva ,  che  il  suo  avo  Massimiliano 
non  aveva  ricevuta  la  corona  imperiale  ,  e  che  noa 
eravi  esempio  nella  storia  della  costituzione  Germa- 
nica di  un  successore  designato  in  simili  circostan- 
ze (i).  A  quest'oggetto  Carlo  indusse  Massimiliano 
a  rivolgersi  al  Papa  ,  ed  a  chiedergli ,  che  mandar 
volesse  un  nunzio  per  coronarh)  in  Vienna.  Egli  si 
studiò  pure  d'  impegnare  il  Re  di  Francia  a  favo- 
rire i  suoi  disegni  presso  il  Pontefice,  ma  Fran- 
cesco ,  invece  di  prestarsi  a  questa  domanda  ,  si  op- 
pose con  grandissimo   calore ,  e    consigliò    il    Papa    a 

(i)   Td.   Ibid.  p.   i58.  —  Robertson  Slor.  di  Carlo  V.  Uh.  L 
Fot.  3  />ag.  49. 


93 

dichiarare  a  Massimiliano ,  cte  confórmemente  agli  an- 
tichi costumi  egli  investir  noi  polea  della  corona  im- 
periale ^  a  meno  che  non  volesse  ad  esempio  dei  suoi 
predecessori  reéai'si  personalmente  a  Roma,  fee  MaS' 
nimiliano  avesse  consentito  a  questa  proposizione , 
non  era  verisimile,  che  intraprender  volesse  vin;i  ìAe 
spedizione  senra  una  scorta  considerabile  ,  e  questa 
avrebbe  somministrato  a  Francesco  un  ragionevole 
pretesto  per  opporsi  ai  di  lui  progressi,  al  qual  fine 
egli  dichiarò  ,  che  non  solo  avrebbe  impegnato  i  Ve- 
neziani a  prendere  una  parte  attiva ,  ma  si  sarebbe 
tenuto  pronto  egli  pure  a  marciar  in  Italia  con  gran- 
dissima forza  tosto  che  avesse  riconosciuto  necessario 
un  tal  passo  (i).  I  progetti  di  Francesco  rendevansi 
abbastanza  manifesti  dalla  resistenza  da  esso  mostrata 
in  questa  occasione.  Affine  però  di  impegnare  più 
solidamente  il  Papa  ne'  suoi  interessi ,  il  Re  gli  diede 
le  più  solenni  guarentigie  del  suo  attaccamento  ,  della 
sua  obbedienza ,  del  suo  affetto ,  e  gli  fece  intendere 
eh'  egli  era  allora  pronto  ad  unirsi  a  lui  in  una 
lega  offensiva  contro  i  Turchi ,  ed  avrebbe  intrapreso 
di  fornire  come  suo  eontingente  tre  mille  uomini 
d' ai-mi,  quaranta  mille  uomini  di  fanteria,  e  sei  mille 
cavalli  leggieri  -,  che  a  questi  egli  aggiugnerebbe  uA 
treno  formidabile  di  artiglieria  ,  ed  accompagnerebbe , 


(i)  Qaeste  circostanze  risultano  da  una  lettera  del  Cardinale 
da  Bibieua  al  Card.  Giulio  de'  Medici,  Lettere  di  Principi 
Voi.  I.  pag.  5G. 


93 

qualora  fosàe  richiesto  la  spedizione  ìil  persona  (i). 
Queste  maoralfiche  offerte  furono  tuttavia ,  pel*  quanto 
sembra,  giustamente  valutate  dal  Papa  ,  il  quale  tro- 
vossl  obbligato  a  non  tardare  ad  opporsi  all'  ingran- 
diuiento  di  Carlo  (2).  Le  ragioni  che  Leone  allegò 
per  giustificare  la  Sila  opposizione,  erano  che  per  ri- 
spetto a  Napoli ,  una  legge  fondamentale  di  quel  Re- 
gno portava  che  la  sovranità  di  quel  paese  non  po- 
tesse essere  unita  colla  dignità  imperiale,  che  Carlo 
evidentemente  cercherebbe  di  ottenere  (3)  ;  e  che  per 
rispetto  al  titolo  di  Re  de'  Romani ,  rltenevasi  esso 
di  già  dallo  stesso  Massimiliano  ,  e  conseguentemente 
non  poteva  ad  altri  conferirsi.  Inefficaci  furono  pure 
gli  ultimi  sforzi  tanto  di  Carlo  ,  quanto  di  Massimi- 
liano ,  fatti  per  togliere  le  difficoltà  della  successione 
Germanica  nella  Dieta  dell'  Impero  ,  e  siccome  Leone 
perseverò  nel  rifiuto  di  accordare  la  bolla  per  la  co- 
ronazione di  Carlo  come  Re  di  Napoli ,  quel  monar- 
ca fu  obbligato  in  allora  di  rinunziare  alle  speranze 
di  conseguire  gli  oggetti ,  eh'  egli  avrebbe  tanto  ar= 
dentemente  desiderati. 


(i)  Lettere  di  Principi  voi.   1.  p.  S^. 

(2)  Sembra  che  relativamente  a  queste  prortìesse  fatte  fossero 
le  riflessioni  ,  che  trovansi  in  una  delle  lettere  del  Cardinale 
Giulio  de^  Medici  al  Cardinale  da  Bihiena:  »  Di  lauti  sogni 
5?  che  fanno  il  Re  ,  la  Regina  ,  e  Madama  ,  par  gran  cosa  a 
99  N.  S.  e  a  tutti  questi  signori;^  benché  non  sia  da  prestar  l«r 
9»  fede  alcuna,  n  Leti,  di  Princ.  i.  66. 

(3)  Questa  legge  era  fondasa  sopra  uaa  bolla  di  Clemente  ÌK- 
Seckendor    lib .  1,  Scct-  33  pag.  i'>,ì. 


»4 

Egli  è  tuttavia  probabile ,  cbe  Francesco  sarebbes". 
ingannato ,  se  supposto  avesse  Leone  guidalo  da  al- 
cun desiderio  di  favorire  i  di  lui  disegni.  I  due  Mo- 
narchi eraoo  ugualmente  oggetto  di  timore  del  Pon- 
tefice; e  lo  spogliarli  dei  loro  possedimenti  in  Italia 
sarebbe  stato  da  esso  riguardato  come  un  trionfo  su" 
periore  a  quello  di  una  vittoria  riportata  sopra  il 
Sultano  della  Turchia.  Ma  implacabile  era  tuttora  la 
«di  lui  avversione  per  Francesco ,  che  privato  lo  avea 
degli  Stati  di  Parma  e  Piacenza.  In  mezzo  a  tutte 
le  sue  dimostrazioni  di  stima  per  il  Monarca  Fran- 
cese, egli  non  avea  rinunziato  un  solo  momento  alla 
determinazione  sua  di  cogliere  la  prima  opportunità, 
che  gli  si  presenterebbe,  di  spogliarlo  del  Ducato  di 
Milano  ;  ed  in  quel  tempo  medesimo  i  di  lui  agenti 
erano  occupati  ad  assoldare  grossi  corpi  di  Svizzeri 
mercenari  che  riuniti  si  erano  sotto  var|  pretesti  ,  e 
tenevansi  pronti  ad  agire  in  servizio  del  Pontefice  , 
dtcondo  che  le  circostanze  potrebbero  richiederlo  (i). 


(x)  Lclt.  di  Princ.  Voi.  l.  pag.  38.  6. 


2;> 


§  VII. 

Morte  delT  hnperadoì^  eletto  Massimiliano.  —  Carlo 
iV  Austria  ,  e  Francesco  l.  vengono  a  contesa  per 
la  corona  Imperiale. 

Anno   iSig. 

Affine  di  togliere  le  differenze  insorte  contro  l'ele- 
zione di  Carlo  d'Austria  alla  dignità  di  Re  de' Romani  , 
Massimiliano  risolvette  finalmente  di  intraprendere  il 
■viag£;lo  a  Roma ,  onde  ricevere  dalle  mani  del  Ponte- 
fice la  corona  imperiale.  Egli  comunicò  al  Papa  questa 
intenzione,  sotto  il  pretesto  di  mostrargli  un  attestato 
di  rispetto,  col  quale  non  avea  giudicato  opportuno 
di  onorare  i  suoi  predecessori  Alessandro  e  Giulio  (i). 


(i)  i>  Sua  majestà  s'  è  fatta  intendere  ,  che  vuol  far  quel 
»  honore  a  Papa  Leone  ,  che  non  volle  mai  far  ad  AL  ssan- 
j>  dio  ,  ne  a  Gmlio  ^  et  che  vuol  venire  a  ce  onarsi  a  Roma 
»5  per  mano  di  sua  Santità.  Il  Legato  commenda  questa  sen- 
»  tenza  di  Cesare  et  dice  ,  che  ella  si  debba  accettare  per 
>j  non  metter  questa  usanza  di  mandar  la  corona  agi'  Impera- 
jj  dori .  ma  servar  la  vecchia,  che  vengano  per  essa  a  Roma,  n 
LeUera  del  Card.  Giulio  de' iVf edici  al  Cardinal  ■  da  Bibiena. 
Leu.  di  Principi  Kol.  I.  p.  6S.  (  Si  vt-de  ,  che  il  Legato  ra- 
gionava solo  coi  principe  curiali  ,  ed  anche  storici  ,  e  disci- 
plina;! ,  se  si  vuole  ;  ed  era  affatto  estraneo  alle  viste  politi- 
che ,  che  guidato  aveano  il  Papa  nelle  sue  risposte  ,  ed  a 
quelle  fors' anche  che  guidavano  allora  l'Imperatore  nella  sua 
risoluzione  ). 


La  dì  lui  proposta  imbarazzò  il  Pontefice,  il  quale 
mentre  da  un  lato  non  avrebbe  voluto  secondare  i 
disegni  del  Monarca  Spagnuolo  ,  era  dall'  altro  sen- 
sibile alla  dignità  ed  ali  importanza,  che  alla  Roma- 
lia  Sede  avrebbe  potuto  derivare  dal  ristabilimento 
dell'antico  costume,  che  il  capo  del  corpo  Germa- 
nico si  recasse  a  Roma  per  ricevere  la  corona  im- 
perlale. Ma  mentre  slava  deliberando  sulle  dispo- 
sizioni che  avrebbe  creduto  più  opportuno  di  adot- 
tare, egli  fu  tolto  d'impaccio  da  un  avvenimento, 
che  cangiò  in  un  istante  la  situazione  de'  pubblici  af- 
fari ,  e  preparò  la  strada  a  nuove  politiche  turbo- 
lenze. Questo  fu  la  morte  dell'  Imperadore  eletto  MaS' 
similiano  ,  che  avvenne  li  12  di  gennajo  i^ig.  Nel 
corso  di  quest'  opera  si  sono  già  esposti  sutticienti 
esempj  del  carattere  debole,  e  sempre  oscillante  di 
cruel  monarca.  Una  vanità  piena  d'ostentazione,  ed 
un  desiderio  smoderato  di  rinomanza  ,  erano  accom- 
pagnate da  una  imbecillità  di  mente,  che  mandava 
a  -voto  tutti  i  di  lui  disegni,  e  rendeva  disprege- 
\ole  la  sua  magnificenza,  ed  assurde  le  pretese  sue 
all'  eroismo.  Tutta  la  di  lui  vita  fu  impegnata  a  di- 
mostrare quanto  insignificante  divenir  potesse  la  pri- 
ma monarchia  della  Cristianità  per  la  mancanza,  o 
per  il  difetto  d'applicazione  dei  talenti  personali  del 
Sovrano;  e  la  di  lui  morte  non  riusci  per  alcun  ti- 
tolo importante  ,  se  non  perchè  aprì  la  strada  ad  un 
successore ,  che  redimer  potea  la  dignità  imperiale 
dall'  avvilimento  ,   e  hstabiliroe   quell'  influenza  sugli 


«7 

affari    deU'  Europa  j    che    Massimiliano    avea    perdu* 
ta  (a). 

I  dominj  riuniti  nella  persona  di  Carlo  per  un 
slnorolare  concorso  di  fortunati  avvenimenti ,  erano  di 
una  grandissima  estensione  ed  importanza.  Da  suo 
padre  Filippo  Arciduca  d'  Austria  av«a  ereditato  il 
ricco  patrimonio  dei  Paesi  Bassi ,  che  Filippo  stesso 
avea  acquistati  per  diritto  di  successione  di  sua  ma- 
dre Maria  di  Borgogna.  Il  suo  diritto  alle  corone  di 
Castiglia  e  d' Aragona  derivava  da  Ferdinando  e  da 
Isabella  per  mezzo  della  loro  figlia  Giovanna ,  madre 
di  Carlo  ^  la  quale  ancora  vivea^  ed  il  di  cui  nome 
era  infatti  unito  col  suo  proprio  nella  sovranità ,  hen- 
chè  essa  fosse  resa  incapace  da  uno  sconvolgimento 
dell'  intelletto  a  prendere  alcuna  cura  della  ammini- 
strazione. La  corona  di  Sicilia  era  passata  m  pacifica 
successione  per  diverse  generazioni ,  e  Carlo  la  assu- 
meva allora  come  rappresentante  il  ramo  legittimo 
della  casa  d'Arragona.  Ferdinando  d' Arragona  avea 
recentemente  spogliato  di  quella  di  Napoli  il  ramo 
illegittimo  di  quella  casa  ,  che  n'  era  stalo  investito 
da  Alfonso  /;  ma  benché  quel  regno  fosse  allora  con- 
servato colla  forza  delf  armi  piuttosto  che  per  diritto 
riconosciuto  ,  Ferdinando  era'  morto  tuttavia  nell'  e- 
eercizio  dell'autorità  reale,  e  Carlo  era  investito  di 
mezzi  siifGcienti  per  far  valere  le  sue  pretese.   Colla 


fa)  Del  carattere  leggiero  ,  e  volubile  di  quel  monarca  si 
h  parlato  anche  nelle  N«le  Atkli/.ioBali  al  voi.  IH.  Net.  VIU- 
pag.  ao5  3  e  ao6. 


ad 

morte  dì  Massimiliano  egli  entrava  allora  in  posses- 
sione de'  dominj  ereditar)  della  casa  d'Austria;  ed  a 
questi  egli  avea  la  lusinga  di  unire  la  dignità  impe- 
riale ,  per  la  quale  si  propose  immediatamente  per 
candidato.  Egli  trovò  ciò  non  ostante  in  Francesco  l 
uà  pronto  e  determinato  competitore ,  e  le  pretese 
respettive  di  que'  potenti  rivali  divisero  i  voti  degli 
Elettori ,  e  sospesero  per  luugo  tempo  l' importante 
decisione  ,  ch'essi  erano  chiamati  a  pronunziare. 

§  VII! 

Progetti  e  condotta  di  Leon  X.   —  Elezione 


delV  Imperatore   Carlo    K 


La  condotta  di  Leone  in  quella  occasione  era  con- 
sentanea  al  di  lai  desiderio  di  mantenere  un  conve- 
nevole equilibrio  fra  gli  Stati  d'Europa,  e  di  prov- 
Tedere  alla  sicurezza  ed  alla  indipendenza  dell'  Ita- 
lia (i).   Egli  avrebbe  veduto  con  compiacenza  alcuna 


(i)  È  stato  riferito  sul!'  autorità  di  un  manoscritto,  attri- 
buito a  Spalaiino ,  che  dopo  !a  morte  di  Massimiliano  i  Ire 
Elettori  Ecclesiastici ,  e  1'  Elettore  Palatino ,  si  riunirono  per 
avvisare  ai  mezzi  della  comune  loro  difesa  durante  la  vacanza 
delle  funzioni  Imperiali  ;  che  il  Cardinale  di  Gaeta  ,  legato 
del  Papa  ,  intervenne  a  questa  adunanza  ,  e  domandò  tre  cose 
in  nome  del  Pontefice:  i.  che  essi  dovessero  rivolgere  le  loro 
mire  alla  elezione  di  un  Imperadore ,  che  fornito  fosse  di 
grandi  talenti  e  di  grandi  facoltà:  2  che  essi  non  eleggessero 
Curio  d'  Austria  ^  essendo  egli  di  già  Re  di  JXapoli ,  U  di  cui 


^9 

altra  persona  preferita  a  que'  due  candidati  ;  ma  bea 

comprendeva  che  un  aperta  opposizione  per  di  lui 
parte  sarebbe  riuscita  infruttuosa,  e  per  alcun  conto  la 
di  lui  politica  non  doveva  incorrere  il  risentimento 
deir  uno  o  dell'altro  dei  Sovrani  rivali,  molto  meno 
manifestare  verso  alcuno  una  decisa  ostilità.  In  quella 
situazione  egli  ebbe  ricorso  ad  un  progetto ,  il  quale 
se  fosse  stato  dai  di  lui  agenti  eseguito  con  quella 
abilità  medesima  colla  quale  era  stato  concepito , 
avrebbe  potuto  produrre  una  variazione  incalcolabile 
nello  stato  politico  dell'Europa.  Era  ben  facile  a  com- 

sovranità  non  poleva  riunirsi  colla  corona  Imperiale,  essendo 
ima  tale  unione  vietala  dalla  bolla  di  Clemente  ÌV:  3.  che 
€ssi  dovessero  esplicilamenle  informare  il  legato  delle  loro 
intenzioni.  A  queste  domande  gli  EleUori  risposero  ,  die  essi 
non  erausi  riuniti  per  la  elezione  dell'  Imperadorc ,  ma  per 
discutere  ì  loro  proprj  affari  ^  che  tuttavia  essi  noa  dubita* 
vano  ,  che  sarebbe  slata  scelia  una  persona  ben  accetta  alla 
Sede  Pontifìnia  ,  siccome  a  tuiia  la  Cristianità  ,  e  formidal>ila 
ai  lor(»  nemici^  ma  che  essi  erano  mollo  sorpresi  al  vedere, 
che  il  Papa  in  cosi  insolita  maniera  volesse  attentarsi  a  pre- 
scrivere leggi  agli  Elettori.  Questo  an«ddoto  è  probabilmente 
genuino  ,  e  può  servire  a  mostrare  la  parte  attiva  ,  che  Lcoìio 
Voleva  prendere  per  esercitare  la  suar-iniluenza  sulla  elezione. 
Seckendorf  Comment.  de  Luther.  Lib.  J.  Seat.  XXXIII. 
png.  123.  (  Qualche  cenno  di  questi  Pontificii  attentati  trovasi 
fatto  anche  negli  scritti  de' Cattolici ,  e  specialmente  nell'  opera 
di  Sleidano  de  stata  Rrlìgiónis ,  et  Reip.  Carolo  V .  Caesare. 
Quei  teataiivi  erano  però  consentanei  alla  politica  del  tempo,, 
su  di  che  possono  vedersi  le  Noie  Addizionali  a  questo  Va- 
iarne ,  nelle  quali  si  ragiona  appunto  delle  relazioni  poliiich» 
di  quella  età ,  e  di  quelle  specialmente  dei  Papi  coi  diversi 
Stati  dell'  Europa  J. 


3* 

prendersi ,  clie  (ìel  due  competitori  Carlo  era  quello 
che  più  facilmente  avrebbe  ottenuto  la  palma ,  per  la 
qnale  essi  contendevano.  La  sua  origine  Germanica,  i 
suoi  dominj  estesi  oltremodo  nell  Impero  ,  ed  il  lun- 
go periodo  di  tempo ,  durante  il  quale  la  dignità 
imperiale  era  stata  quasi  ereditaria  nella  di  lui  fami- 
glia ,  sembravano  escludere  le  pretese  di  qualunque 
altro  candidato  ,  comencb©  potente  pei  suoi  dominj , 
o  distinto  per  il  suo  merito  personale.  Il  primo  og- 
getto di  Leone ,  mentr'  egli  sembrava  mantenere  una 
perfetta  neutralità  fra  le  parti ,  era  quello  adunque 
d'incoraggiare  Francesco  a  perseverare  nelle  sue  pre- 
tese, al  qual  fine  spedi  come  suo  inviato  confiden-f 
ziale  Roherto  Orsino ,  Arcivescovo  di  Reggio  ,  con  i- 
slruzioni  di  esortare  il  Re  a  sostenere  i  suoi  diritti , 
ma  con  segreti  avvisi ,  che  qualora  si  presentasse  una 
occasione  opportuna ,  intimorir  dovesse  il  monarca 
Francese ,  movendo  dubbj  sulla  riuscita  del  di  lui 
maneggi ,  ed  intraprendesse  di  persuaderlo  a  ricorrere 
ad  un  estremo  partito  per  attraversare  l' elezione  di 
Carlo  ,  col  proporre  alla  scelta  degli  Elettori ,  e  so- 
stenere con  tutta  la  sua  influenza  alcuno  degli  infe- 
riori principi  dell'  Impero  Germanico.  Né  potea  di 
fatto  impugnarsi,  che  se  Francesco  consultato  avesse 
i  suoi  veri  interessi  ,  non  avrebbe  potuto  adottare 
una  migliore  condotta.  Sovrano  di  un  regno  ricco  ^ 
potente  ,  e  circondato  da  un  popolo  leale  e  guerrier 
ro ,  egli  avrebbe  potuto  godere  un  grado  di  conside- 
razione e  d'  influenza  superiore  a  quello,  che  Carlo, 
derivar  potea  dai  suoi  divisi  possedimenti ,  o  un  priq-. 


3' 

cipe  Tedesco  subordinato  dal  semplice  splendore  dell^ 
corona  imperiale.  Orsini  non  trovò  difficoltà  nell' ese- 
guire la  prima  parte  della  sua  commissione  ;  ma  l'am- 
bizione didficilmente  può  essere  frenata  nella  sua  car- 
riera ,  e  maggiore  spirito ,  maggiore  destrezza  di  quella 
cVegli  aveva,  sarebbe  stata  necessaria  per  prevenire 
che  si  eccedessero  i  proposti  confini.  In  vece  di  ascol- 
tare la  voce  della  prudenza  ,  Francesco  prese  ad  m^ 
fluenzare  gli  Elettori  in  di  lui  favore  coi  mezzi  più 
aperti   della   seduzione    (i).    Ma    siccome  più    critiche 


(t)  »  Siccome  il  metodo  pifl  spedito  di  Irasmeltere  il  da- 
*?  na:o  ,  ed  il  più  decente  modo  di  far  regali  con  lettere  di 
f»  cambio  era  ancora  poco  conosciuto  ,  gli  amhasciadori  Fran- 
«  cesi  viaf;giavano  con  un  numero  di  cavalli  carichi  di  leso- 
»>  ri  ;  equipaggio  non  onorevole  per  quel  principe ,  che  sì 
*p  serviva  di  un  tal  mezzo  ,  ed  infame  per  coloro,  che  erano 
»?  da  esso  spedili.  "  Jio'ertsnn  Vita  di  Carlo  V.  Uhm  I. 
Voi  II.  p.  52.  INè  Carlo  pure  si  fece  scrupolo  di  promuovere 
collo  sles.so  metodo  la  sua  causa  =  Egli  mandò  iu  parti(;olare  una 
grossa  somma  di  danaro  a  Federico  Elettore  di  ."Sassonia  , 
creduto  proiettore  di  Lutero,  al  quale  la  corona  Imperiale  era 
Stata  offerta  dai  suoi  Colleghi  ;  e  questi  dopo  di  avere  con 
magnanimità  rifiutato  quella  dignità  ,  e  dato  il  suo  voto  a 
Carlo  ,  non  volle  neppure  avvilirsi  coir  accettare  quella  ri- 
compensa. 55  Hieri  non  so  come  ,  o  per  q\ial  nuovo  motivo  , 
»?  fu  dato  1  Imperio  al  Duca  Federico  di  Sassonia  ,  il  quale 
n  magnanimamente  lo  ha  rifiutato  ,  et  dao  il  suo  voto  a 
»>  Carlo  ,  rilìuiando  parimenti  una  gran  somma  di  danari  , 
»>  che  alcuni  ministri  tli  Carlo  gli  aveano  portato  a  do.Tore 
»?  per  gratitudine  di  questo  suo  si  buon  ainmo  ,  et  altissimo 
»»  servigio  ;  ed  ha  comandato  strettamente  a  lutti  i  suoi  .  che 
»?  non  piglino  cosa  alcuna  ancor  essi  ,  per  quanto    temono  ia 


32 

ed  incerte  si  rendevano  le  deliberazioni  degli  Elet- 
tori ,  Cario  adottò  un  metodo  più  efficace.  Sotto  il 
pretesto  di  assicurare ,  e  guarentire  la  libertà  della 
elezione ,  egli  fece  marciare  all'  istante  un  corpo  po- 
tente di  truppa  nelle  vicinanze  di  Francoforte  ,  dove 
riuniti  erano  i  membri  della  Dieta.  Dopo  questa  di- 
sposizione le  loro  discuss  ioni  non  furono  più  di  lun- 
ga durata,  ed  il  giorno  28  giugno  i5ig  Carlo  in 
età  di  soli  19  anni  fu  proclamato  Re  dei  Romani  , 
o  Imperatore  eletto  ;  titolo  che  egli  tuttavia  cangiò 
con  quello  di  Imperatore  eletto  de  Romani^  nel  che 
fu  imitato  dai  suoi  successori  ,  eccetto  che  essi  omi- 


n  sua  disgrazia,  n  Lettera  a  Papa  Leone  X.  Luglio  tSiQ. 
Lettere  di  Principi  VoL  I.  pag.  75.  Enrico  P^III  ,  che  si 
era  esso  pure  lusingato  con  qualche  lontana  speranza  della 
dignità  Imperiale  ,  mandò  il  suo  agente  Riccardo  Pace  alla 
dieta  ,  il  quale  si  rivolse  all'  elettore  di  Sassonia  ,  e  gli  offri 
tutto  l'interessamento  del  suo  padrona,  se  es/li  accettar  voleva 
la  corona  Imperiale  ,  richiedendo  in  caso  diverso  il  suo  volo 
per  il  Re  suo  padrone.  Ex  HIS.  Spalaiini  ap.  Secke/idorf 
Lib-  I  Sect.  XXXÌII.  pag.  i23,  e  Lord  Herbert.  Star,  dì 
Enr.  VlIL  p.  74-  C  Merita  qualche  esame  la  circostanza,  che 
la  dignità  Imperiale  era  stata  offerta  all'  Elettore  di  Sassonia  , 
gran  protettore  di  Lutero.  Nasce  da  questa  naturalmeiiie  il 
prohleraa  storico  di  ciò  ,  che  sarebbe  ai'vcnuto  della  rtJTjr-' 
via  ,  se  quel  Principe  avesse  accettato  quella  digmta  ,  e  fossa 
diuenulo  re-al/nente  il  capo  deW Impero.  Noi  che  abhiamo  discus» 
so  1'  altro  quesito  di  ciò,  che  avvenuto  sarebbe,  se  in  vece  di 
Leone  X  avesse  seduto  qualch'  altro  Pontefice,  toccheremo 
pure  questo  punto  di  questione  ,  e  ne  faremo  qualche  cenno 
aelle  Note  Addizionali  a  questo  volume  medesimo  J. 


33 
aero  in  seguito  come  superflua  la  frase  derogatoria 
4i  Eletto. 

§  IX. 

Morte  di  Lorenzo  Duca  di   Urbino.  —  Ippolito 
de'  Medici.  —  Alessandro  de  Medici. 

II  segreto ,  ma  grandissimo  disgusto  ,  clie  I^one 
ebbe  a  provare  per  il  risultamenlo  di  questa  elezio- 
ne ,  fu  preceduto  da  una  sventura  domestica ,  che  gli 
cagionò  pure  grande  angoscia.  Il  giorno  28  d'aprila 
iSig  il  dì  lui  nipote  Lorenzo  Duca  d'Urbino  morì 
in  Firenze  di  una  malattia ,  che  fu  giudicata  una 
conseguenza  degli  amori  licenziosi,  ai  (juali  si  era  ab- 
bandonato durante  il  suo  soggiorno  in  Francia.  Sua 
moglie  Maddalena  di  Tour  era  morta  in  conseguenza 
del  parto  solo  da  pochi  giorni ,  lasciando  una  figlia 
per  nome  Caterina ,  la  quale  per  un  concorso  di 
avvenimenti  che  non  potrebbero  dirsi  fortunati ,  salì 
alla  dignità  di  Regina  di  Francia ,  e  divenne  madre 
di  tre  Re,  di  una  Regina  di  quel  paese,  e  di  una 
regina  di  Spagna.  La  morte  di  Lorenzo  sconcertò 
grandemente  i  progetti  del  Pontefice,  il  quale  Iro- 
vossi  allora  il  solo  maschio  legittimo  superstite  del 
ramo  primogenito  della  casa  de'  Medici  ,  siccome  di- 
scendente da  Cosimo  padre  della  patria.  Non  man- 
cava in  vero  una  serie  di  illegittimi.  Di  questi  il 
maggiore  era  il  Cardinale  Giulio  de'  Medici  ,  che 
traeva  la  sua  origine  da   Giuliano  il  vecchio ,  che  era 

Leoni  X    Tom.   VllL  ?» 


34 

caduto  vittima  della  congiura  de'  Pazzi.  Il  giovane 
Giuliano  f  fratello  del  Pontefice,  detto  comunemente 
il  Duca  di  Nemours,  avea  pure  lasciato  un  figlio  , 
nato  di  una  dama  d  Urbino  verso  1'  anno  i5ii  ,  e 
nominato  Ippolito.  Si  era  creduto  generalmente  ,  che 
la  madre  inumana  avesse  esposto  quel  figlio  ;  ma  dai 
pericoli  della  sua  situazione  era  stala  preservata  dalle 
cure  di  Giuliano  ,  il  quale  dicesi  tuttavia  non  essere 
stato  libero  da  ogni  sospetto  ,  che  la  prole  fosse  di 
un  rivale  (i).  All'  età  di  tre  anni  il  fanciullo  fu 
mandato  a  Roma  ,  dove  fu  ricevuto  sotto  la  prote- 
zione di  Leone  X  ,  e  diede  prestamente  indizj  di 
\ivaci  ed  attive  disposizioni.  Il  Pontefice  prendea 
grandissimo  piacere  uell' osservare  la  sua  vivacità  fan- 
ciullesca, e  a  di  lui  richiesta  il  ritratto  di  Ippolito^ 
occupato  ne'  suol  trastulli  ,  fu  dipinto  da  Raffaello  , 
e  collocato  in  uno  degli  appartamenti  del  Vaticano   (2), 


(i)  Ammirato  ^  Ritraili  d'  uorni/ii  di  casa  Medici  (Dpusc. 
Voi.  ITI.  pag.    i3\. 

{2)  Ques(o  singolare  favonio  dellp  foriuna  viene  sovente 
menzionalo  nelle  lettete  del  Card,  di  Bibiena  scritte  a  Gm— 
lia/io  de' Medici  verso  ì'  anno  iSi5.  •  Hippolilo  si  degnò 
9»  pur  venire  stamane  a  desinar  meco  ,  ed  habbiam  fatto  la 
9>  pace  insieme.  Dio  vi  conceda  gratia  di  aver  presto  di  Ma- 
»>  dama  un  figlinolino  ,  acciocché  Hippolito  resti  del  tutto 
9>  libero  a  me.  n  Ed  in  altra  lettera  .si  legge  :  »  Htppolilino 
n  sta  bene  ,  et  dice  ad  ogni  nomo  che  lo  domanda  ,  ove  è 
»»  andato  il  signor  suo  padre:  è  andato  a  condurre  qua  Ma~ 
w  donna  mìa  viadrc.  Rispose  cosi  al  Papa  ,  et  Sua  Santità  fu 
»  pei-  crepar  delle  risa,  n  Lrtterp  di  Principi  Voi.  I.  pag.  i6, 
fi  ^y.  {  Jjc  cos*^  narrate  Ual  Cardinale    di    Bibiena   potrebbero 


35 
ÌJ  educazione  che  Ippolito  ricevette  in  Roma  ,  porlo 
al  più  alto  grado  di  perfezione  i  talenti ,  che  rice- 
vuti egli  avea  dalla  natura  ,  ed  apri  la  via  a  quella 
celebrità  ,  c!'e  poco  dopo  ottenne  sotto  il  nome  del 
Cardinale  Je' ilier//ct  tanto  come  protettore,  che  come 
professore  della  letteratura. 

Più  ancora  equivoca  era  1'  origine  di  Alessandro 
Je'  Medici ,  comunemente  detto  il  primo  Duca  di 
Firenze.  L'  epoca  della  sua  nascita  può  essere  collo- 
cata verso  il  i5i2  j  ed  egli  veniva  generalmente 
riguardalo  come  figlio  di  Lorenzo  Duca  d'  Urbino  , 
e  di  una  schiava  mora  ,  o  di  altra  femmina  di  bassa 
condizione;  ma  era  mollo  più  probabile,  eh' ei  fosse 
figliò  del  Cardinale  Giulio  de'  Medici  ,  che  fu  in  se- 
guilo Papa  sotto  il  nome  di  Clemente  FU;  e  la  sol- 
lecitudine ansiosa  dimostrata  da  quel  Pontefice  di 
elevarlo  a  quelT  alto  posto  ,  eh'  egli  di  là  a  non 
molto  occupò  ;  può  riguardarsi  come  un  non  leg- 
giero indizio  della  fondata  sussistenza  di  quest'ultima 
opinione. 


far  dubitare  ,  che  Ippolito  fosse  in  quelP  epoca  nell'  età  di 
soli  quattro  anni.  Prohabilmenie  egli  era  nato  qualche  Enno 
prima  del  i5it  .  epoca  iudirata  nel  tesio  solo  per  appros- 
simazione. Giuliano  ■  da  31  dici  altronde  varj  anni  prima 
si  era  recato  ad  Uihino  .  dove  fece  un  lungo  soggiorno  ,  il 
che  serve  a  rinforzare  la  nostra  cougetliifa.  Quel  fanciullo 
sarà  svaio  spedilo  a  Roma  all'eia  di  tre  anni ,  come  vien  detto 
nella  storia  ^  ma  per  lo  meno  uel  i5l3  dopo  l'  innalzamento 
òk  Leon  X,  e  non  alla  vigilia  del  matrimooio  di  GivUann  con 
FUiberla  di  Savoja  ). 


36 

•    ■       ^  X. 

Conseguenze  della  morte  di  Lorenzo. 

I  Funerali  di  Lorenzo  furono  celebrali  a  Firenze 
con  magnificenza  proporzionala  all'  alta  di  lui  situa- 
zione ,  come  capo  dello  stato  della  Toscana  ,  e  Duca 
di  Urbino  ;  ma  gli  uffizj  rispettosi  che  si  rendevano 
alla  memoria  del  trapassato  erano  in  fatto  un  tri- 
buto ai  viventi ,  e  quegli  onori  slraordinarj  si  face- 
vano ad  esso  solo  per  ragione  della  stretta  di  lui  pa- 
rentela col  sommo  Pontefice.  In  conseguenza  dell'  e- 
ailio ,  e  della  morte  immatura  del  di  lui  genitore , 
r  educazione  di  Lorenzo  era  stata  per  la  massima 
parte  abbandonata  alla  di  lui  madre  Alfonsina  ,  la 
quale  gli  avea  iustillato  tali  idee,  ed  a  tali  maniere 
ed  abitudini  lo  avea  accostumato  ,  che  meglio  sareb- 
baro  convenute  ad  un  barone  Italiano  di  alto  grado, 
cbe  ad  un  cittadino  Fiorentino.  Quindi  egli  erasi 
dedicato  intieramente  a  progetti  di  ambizione  ,  e  di 
ingrandimento,  nei  quali  mediante  la  parzialità  e 
r  assistenza  di  Leon  Xy  egli  lusingavasi  colle  piii  ar. 
dite  speranze  di  riuscita.  Si  supponeva,  e  forse  non 
senza  ragione ,  che  con  questi  mezzi,  e  col  concorso 
del  Monarca  Francese  egli  intendesse  d' impadronirsi 
di  Siena  e  di  Lucca ,  ed  unendo  a  questi  Stati  il 
Ducato  d  Urbino ,  e  Io  Stato  pure  di  Firenze,  sta- 
bilire volesse  per  tal  modo  un  dominio  esleso  da  una 
all'altra  costa  dell'Italia,  ed  assumere   quindi    il  ti- 


tolo  di  Re  della  Toscana,  Con  queste  viste  egli  fece 
sul  ^nlre  dell'anno  i5i8  un  viaggio  a  Roma,  cre- 
dendosi di  poter  persuadere  il  Pontefice  ad  accon- 
sentire agli  ambiziosi  suol  disegni  ;  ma  trovò  che 
Leone  non  inclinava  a  favorire  quel  tentativo  (i). 
Dai  veri  amici  dell'  onore  e  del  carattere  del  Ponte- 
fice, la  notizia  della  morte  di  Lorenzo  fu  ricevuta  eoa 
soddisfazione  anziché  con  rammarico.  La  tenerezza 
che  Leone  avea  mostrata  nel  promuovere  l' avanza- 
mento del  di  lui  nipote,  ed  i  metodi  ingiusti  o  ine- 
scusabili,  dispendiosi  e  pericolosi,  ai  quali  avea  tal- 
Tolta  ricorso  per  quest'  oggetto  ,  erano  da  que'  fidi 
amici  attribuiti  al  di  lui  affetto  per  una  persona , 
che  gli  era  carissima  non  meno  per  una  somiglianza , 
ed  una  comunione  d'infortunj,  che  per  i  legami  del 
sangue;  e  generalmente  si  nudriva  la  lusinga,  che  il 
Pontefice  più  non  avendo  altro  oggetto  della  sua 
parziale  affezione ,  consulterebbe  solo  la  dignità  del 
suo  proprio  carattere  ,  ed  a'  ciò  solo  porrebbe  mente  , 
che  fosse  atto  a  promuovere  l*  onore  ed  il  vantaggio 
della  Sede  Romana.  Queste  aspettative  furono  in 
qualche  modo  confermate  dalla  condotta  del  Ponte- 
fice medesimo ,  il  quale  in  quella  occasione  fece  ve- 
d^ere  la  sua  sommessione  ai  voleri  del  Cielo ,  e  parve 
riassumere  la  rettitudine  naturale  del  suo  carattere. 
Ch'  egli  altronde  non  in  tutte  le  occasioni  corrispo- 
sto avesse  alle  speranze  che  di  lui  si  erano  conce- 
pite, chiaro  abbastanza  lo  mostra  il    linguaggio  ardi- 

(a)  JYerli  Commentar.  Uh.   VI.  pag.  i3i. 


•3.8 

to ,  e  (leoffio  di  osservazione  di  Canossa^  Vescovo  di 
Baveux  (a) ,  il  quale  nel  dichiarare  i  suoi  sentimenli 
8u  queiravvenimento  al  Cardinale  di  Bibieiia  ,  consi- 
dera (fuello  siccome    oggetto    di    aniversale   soddisfa- 

L  OD 

zione,  ed  esprime  le  sue  speranze  ,,  che  Sua  Santità 
volesse  allora  divenire  quale  si  aspettava  oh  esser 
dovesse  il  giorno  che  fa  creato  Papa  "    (i)- 

§   XI. 


Stato  del  Governo   Fiorentino.  —  Suggerimenti 
di  Macchiavello. 


La  morto  dì  Lorenzo  obbligò  il  Pontefice  ad  adot- 
tare nuove  risoluzioni  per  il  Governo  dello  Stato 
Fiorentino,  divenuto  allora  intieramente  subordinato 
alla  famis^lia  de  Medici^  benché  tuttora  ritenesse  il 
nome,  e  le  esterne  forme  di  repubblica.  Quésta  im- 
presa era  accompagnata  da  considerabili  difficoltà, 
Leone  invero  avrebbe  potuto  in  quei  momento  as- 
sumere la  sovranità,  ed  estinguere  qualunque  vesti- 
gio di  libera  governo  ;  mi  sebben  possa  supporsi  , 
eh'  egìi  provato  non  avrebbe  in  questo  oggetto  al- 
ctina    ripugnanza,   egli   era    tuttavia    informato  ,    che 


(a)  O,  come  egli  su-ssa  scrive  iialianameiile  ,  tf?  B ijus  a. 

(i)  »>....  .  Mostrando  sua  Santilà  del  tutto  volersi  ac- 
comodare al  voler  di  Oio  ,  ed  al  naturale  instiiito  suo.  U 
che  ci  dà  speranza  ,  che  sua  BeaLituIine  si  possa  ancora  ve- 
dere tale  ,  quale  si  sperò  che  dovesse  essere  il  giorno  chr  fu 
creata.  »  Lettere  di  Prùipipi  Voi.  I,  pag.  5"^. 


la  dignità  sua  di  sommo  Pontefice  era  diffic.ilmenles 
compatibile  colla  assunzione,  e  coli  esercizio  di  un 
potere  monarchico.  Egli  poteva  ancora  ragionevol- 
mente sospettare,  che  un  tal  p'asso  non  sarebbe  stato 
riguardato  senza  gelosia  dai  principali  sovnini  della 
Cristianità,^  e  temer  poteva  che  non  ostante  la  de- 
vozione, e  la  subordinazione  de'  Fiorentini,  egli  po- 
tesse con  una  oppressione  troppo  rigida  dar  origine 
id  una  specie  d'  elasticità,  e  ad  una  resistenza,  che 
rovescierebbe  forse  la  di  lui  autorità.  Il  rislafcilirtj 
dall'  altro  canto  i  Fiorentini  nel  pieno  godimento 
delle  antiche  loro  libertà,  benché  il  tentarlo  solo 
avrebbe  fatto  grandissimo  onore  al  Pontefice,  sarebbe 
stato  equivalente  ad  un  '  totale  abbandono  di  quel 
potere,  e  di  quella  influenza,  che  la  sua  famiglia 
avea  mantenuto  per  tanti  anni  e  conservata  con  tanti 
sacrifìzj,  né  poteva  con  certezza  presumersi,  che  i  cit- 
tadini di  Firenze  sarebbono  capaci  di  conservare  il 
palladio  della  loro  libertà,  anche  ove  il  Pontefice  si 
fosse  mostrato  inclinato  a  render  loro   questo  dono. 

In  quella  circostanza .  Leone  giudicò  opportuno  di 
ricorrere  al  consi<ilio  di  Niccolò  Maccìilavelìi.  le  di 
cui  cognizioni  estese  nelle  .cose  politiche,  e  la  di  cui 
piena  e  perfetta  informazione  dello  slato  della  sua 
patria,  lo  indicavano  siccome  la  persona  più  propria 
a  consultarsi  in  quella  occasione.  Lo  scritto,  che  Mac' 
chiavelli  presentò  al  Papa  su  quell' argomento,  ancora 
ci  rimane,  (i)  ed  al  pari  delle   altre  sue    opere    con- 


(i)  Discorso  sopra  il  riformar  io   stato    in    Firenze.    Fati* 


4© 

tiene  molle  acute  osservazioni,  senza  somministrare 
tuttavia  quelle  eslese  viste,  che  la  natura  dell'  inda- 
gine, e  le  circostanze  di  que'  tfmipi  sembravano  ri- 
cliiedére.  Nel  presentare  un  quadro  dello  stato  antico 
di  Firenze,  egli  osserva,  che  tutte  le  oscillazioni  spe- 
rimentate dal  medesimo  debbono  attribuirsi  al  non 
essere  stato  giammai  né  strettamente  una  repubblica 
sé  nn  governo  dispotico  assoluto.  Egli  considera 
quello  stato  misto,  o  intermedio,  come  il  più  diffi- 
cile di  tutti  a  mantenersi,  perchè,  come  egli  asseri- 
sce, un  dominio  assoluto,  è  solamente  in  pericolo  di 
essere  disciolto  per  una  cagione,  cioè  per  la  sua  ten- 
denza verso  la  repubblica,  e  per  egual  modo  una  re- 
pubblica trovasi  solo  in  pericolo  per  la  sua  tendenza 
verso  la  monarchia,  mentre  un  governo  misto  è  sem- 
pre in  un  pericolo  costante  per  due  cagioni,  e  può 
essere  distrutto  per  la  sua  eccessiva  tendenza  tanto 
Terso  il  repubblicanismo,  quanto  verso  il  dispotismo. 
Per  queste  ragioni  egli  consiglia  al  Pontefice  di  a- 
doltare  p  l' una  o  l' altra  di  queste  forme  definite 
di  governo,  e  di  erigere  un'. assoluta  sovranità,  o  di 
stabilire  una  perfetta  repubblica. 

Egli  passa  quindi  a  mostrare,  che  la  scelta  di  una, 
o  d'  altra  di  queste  due  forme  può  dipendere  dalla 
condizione,  e  dal  carattere  del  popolo;  e  particolar- 
mente, che  una  sovranità  assoluta   può    solo    maute- 


ad  istanza  di  Papa    Leon    X-  Sta  nelle  Opere    dì   Macchia- 
velli  puhblicate  da  Bareni  :   f^ol,  JiJ.  png.   i. 


4« 

nei'si  dove  si  tr«va  una  grande  d"iversità  di  ricchezze 
e  di  gradi,  mentre  una  repubblica  al  contrario  ri- 
chiede un  grado  considerabile  dij  eguaglianza  tra  ì 
suoi  cittadini,  del  che  egli  adduce;  vari  eserapj.  Sotto 
r  ultima  categoria  egli  inchiude  gli  abitanti  di  Fi- 
renze, e  quindi  prende  occasione  di  delineare  la  forma 
di  governo,  alla  quale  egli  dà  il  nonae  di  Repubbli- 
ca, nella  quale  accorda  una  influenza  cosi  prepon- 
derante al  Pontefice,  ed  al  cardinale  de  Medici  colla 
nomina  durante  la  vita  loro  delle  persone  investite 
della  suprema  autorità,  che  questa  avrebbe  indubita- 
tamente impedito  l' esercizio  di  quella  libertà,  che 
solo  si  sarebbe  trovata  in  un  governo  popolare.  Sem- 
bra tuttavia,  che  Macchiaveììi  avesse  in  vista  come 
oggetto  principale  il  ristabilimento  della  libertà  della 
repubblica;  ma  vedendo  egli  l'assoluta  improbabilità 
che  il  Pontefice,  ed  il  Cardinale  potessero  indursi  a 
rinunziare  volontariamente  alla  loro  autorità,  egli  si 
determinò  a  moderare  il  suo  divisamento,  ed  a  pro- 
porre, che  la  repubblica  non  dovesse  godere  se  non 
dopo  la  loro  morte  della  sua  piena  libertà  (a). 


(a)  È  bea  chiaro  a  vedersi  ,  che  l'astuto  politico  Tolle  sor- 
prendere il  Papa  ,  ed  il  Cardinale.  Dopo  di  aver  mostrato 
coi  più  fondati  principj  dt-lla  filosofia  ,  e  della  storia  ,  che 
di  altro  governo  non  era  suscettibile  Firenze  per  le  partico- 
lari sue  circostanze ,  se  non  se  del  go-vcrno  Repubblicano  , 
*d  esclusa  per  tal  modo  V  idea  ,  o  rin<u2zato  il  desiderio 
di  un  governo  dispotico  assoluto  ,  ben  s'  accorse  lo  scal- 
tro consigligre  ,  che  rimandar  non  si  potevano  i  Medici  à 
bocca   asciutta ,    e   die   gualche   pascolo   accordar   si   dovea 


4^ 

,,  Se  questo  progetto,  die'  egli,  venisse  consitlerato 
,,  senza  alciiaa  relazione  all'autorità  di  Vostra  Saa- 
„  tità,  si  troverebbe  per  ogni  riguardo  sufficiente  a 
,,  rispondere  all'  oggetto  proposto;  ma  durante  la  vitn 
„  di  Vostra  Santità,  e  del  Cardinale,  ella  è  questa 
„  una  roonarchia,  a  cagione  che  voi  comandote  1' ar- 
„  mata,  voi  vet^liate  sui  giudizj  criminali,  voi  det- 
„  tate  le  leggi,  voi  fate  insomma  a  mio  credere  tutto 
„  quello,  che  può  farsi  in  uno  stato.  ,,  Nel  tempo 
stesso  eh'  egli  intraprendeva  di  accontentare  il  Papa 
riguardo  alla  continuazione  del  suo  potere,  si  stu- 
diava egli  pure  di  eccitare  in  quello  il  desiderio  di 
essere  considerato  come  il  restitutore  della  libertà 
della  sua  patria.  ,,  Io  m'immagino,  die  egli,  che  un 
„  uomo  goder  non  possa  di  un  onore  più  grande  di 
,,  quello,  che    volontariamente    gli    vlen     dato    dalla 


alla  loro  ambizione.  Immaginò  quindi  di  accordar  loro  la  no- 
mina durante  fa  loro  vi: a  dei  principali  funzronarj  della  Re- 
pubblica ,  calcolando  probabilmente  sulla  durata  di  questo 
periodo  ,  che  non  sarebbe  assai  lunga  ,  e  fors'  anche  sulla 
necessaria  assenza  di  quegli  individui  da  Firenze,  e  sulle  gra- 
vissime loro  occupazioni,  che  diminuita  avrebbero  senza  dubbio 
la  loro  influenza  su  quel  Governo.  Passò  quindi  a  magnificare 
agli  occhi  loro  tanto  gli  effetti  di  questa  disposizione,  quanto 
la  gloria,  che  sarebbe  ad  essi  derivata  dal  ristabflimcnto  della 
libertà  della  loro  patria  ;  e  quell'uomo  di  acutissimo  ingegno 
credette  di  poter  rendere  il  più  utile  servigio  ai  suoi  concit-- 
ladini  f  e  di  lusingare  ad  un  tempo  1'  amor  proprio  ,  e  di 
cattivarsi  la  benevolenza  de'  Medici.  Ma  a  Roma  il  di  lui  pro- 
gei  io  fu  considerato  sotto  altre  viste,  o  forse  si  trovarono 
in  quella  città  polilici  piCi  raffinali  che  il  segretario  Fioreutin*. 


43 

,,  sua  patria,  e  credo,  clie  sia  la  cosa  più  accetta  a 
,,  Dio  quel  bene,  che  noi  facciamo  per  la  patria  no- 
,,  stra.  Per  questo  motivo  non  vi  sono  persone,  clie 
,,  sieno  tenute  in  maggiore  onore  di  quelle,  che  collo 
,,  loro  istituzioni,  o  le  loro  leggi  riformarono  una 
,,  repubblica,  o  un  regno.  Queste  son  quelle,  che 
„  vicine  agli  Dei,  si  sono  credute  meritevoli  del  più 
„  alto  premio.  Ma  siccome  rare  volta  si  presentano 
,,  le  c^casionl  per  quest'  oggetto,  e  scarsissimo  è  il 
„  numero  di  quelle  persone,  che  sappiano  far  uso 
,,  di  questi  mezzi  ,  così  noi  troviamo,  che  quella 
,,  grande  impresa  è  slata  rare  volte  compiuta.  Tale  è 
,,  tuttavia  l'onore,  che  ad  essa  va  congiunto,  che 
,,  indusse  molte  persone,  che  compierla  non  poteano 
,,  in  fallo,  a  tentarla  ne'  loro  scritti,  siccome  /insto- 
„  tele,  Platone,  e  molti  altri,  i  quali  bramarono  di 
„  mostrare  al  mondo  ,  che  se  essi  non  erano  stati  ca- 
„  paci,  come  Solone,  e  Licurgo,  di  stabilire  una  so- 
,,  cietà  civile,  ciò  non  nasceva  da  mancanza  di  ahi-- 
j,  lità  ,  ma  solo  dalla  mancanza  di  una  occasione 
j,  opportuna  per  condurre  ad  effetto  le  loro  idee  (a).  '■■ 


(a)  11  traduttore  Francese  ha  esposto  piTi  a  lungo  questo 
squarcio  di  ^laccìdavello  .  e  noi  non  *nau<herenio  d'  inserire 
in  queslo  luogo  un  periodo  da  esso  aggiunto  „  che  meUe  mag- 
giormente in  chiaro  1*  artifizio  lusinghiero  col  quale  quel  po- 
litico Yolea  .sedurre  il  Pontefice,  ed  il  Cardinale  de' Medici, 
j>  Non  può  infatti  il  cielo  accordare  ad  un  uomo  maggiori 
^ì  henefzj_  né  aprirgli  più  nobile  strada  a)\a  gloria,-  e  di  lutti 
>5  i  favoli  ,  dei  quali  ha  colmato  la  vostra  femigla,  e  la  per» 
1  sona  di  vostra  Santità,  questo  è  .«enia  dubbio  il  pia  proiosw. 


44 

§.  XII. 

7/  Cardinale  de  Medici  prende  la  direzione 
degli  affari  della   Toscana. 

Il  sistema  di  governo  proposto  in  tal  modo  da 
MaccJiiavelli,  non  fu  tuttavia  adottato  dal  Pontefice.  Pei 
cangiamenti  importanti  avvenuti  in  Europa,  e  special- 
mente in  Italia,  lo  stato  della  Toscana  non  era  sem- 
plicemente considerato  come  un  governo  independente, 
ma  come  affetto  singolarmente  dall'  influenza  potente 
delle  sue  estere  relazioni,  e  come  combinato  in  quel 
tempo  colla  Sede  Romana  ad  oggetto  di  aggiugnere 
forza  ed  importanza  al  Pontefice  nei  grandi  tentativi 
che  egli  allora  meditava.  Egli  è  assai  probabile,  che 
per  ragioni  facili  a  presentarsi  alla  mente,  né  LeonCy 
ne  il  Cardinale  giudicassero  opportuno  che  il  princi- 
pio della  libertà  della  Repubblica  dipendere  dovesse 
come  un  avvenimento  simultaneo  dalla  cassazione 
delle  proprie  loro  vite.  In  queste  circostanze  Leone  si 
determinò  a  permettere  ai  Fiorentini  di  continuare 
Beile  forme  già  stabilite  del  loro  governo;  ma  al  temr 
pò  stesso  egli  ritenne  quella  sorveglianza  sidla  loro 
condotta,  che  credette  necessaria  non  solo  a  repri- 
mere  le  interne  loro    dissensioni,    ma    anche    ad  as- 


n  perchò  vi  presenta  e  l'occasione  e  i  mezzi  di  immortalare  il 
»  vostro  nome,  e  di  superare  per  tal  modo  la  gloriosa  reputa- 
»  alone  del  padre  vostro  ,  e  del  vostro  avo.  « 


45 

sùcurarft  la  conformità  loro  colle  viste,  e  cogli  inte- 
ressi della  famiglia  do  Medici^  e  Jella  Sede  Piomana. 
Pochi  giorni  avanti  la  morte  di  Lorenzo,  Leone  avea 
spedito  a  Firenze  il  Cardinale  de  Medici  il  quale  as- 
sunse allora  la  soprainlendenza  dello  Stato,  e  sotto 
gli  ordini  del  Pontefice  stabilì  quei  regolamenti,  che 
si  erano  reputati  opportuni  ad  assicurare  la  tranf[uil- 
lità  della  città  senza  portare,  alcun  turbamento  nei 
suoi  diritti  municipali  (i).  La  condotta  del  Cardinale 
durante  la  sua  residenza  in  Firenze,  che  continuò 
quasi  per  due  anni,  somministra  una  prova  convin- 
cente tanto  del  suoi  talenti,  che  della  sua  modera- 
zione; e  non  ostante  1'  altissima  dignità,  alla  quale 
fu  elevato  in  appresso,  può  riguardarsi  come  il  pe- 
riodo pili  luminoso  della  sua  vita.  Coli'  intima  cogni- 
zione, che  egli  avea  dello  stato  della  città,  e  col  te- 
nere d'  occhio,  e  temperare  all'  uopo  le  opposte  fa- 
zioni, egli  riuscì  a  toglier  di  mezzo  le  loro  dissen- 
sioni, o  a  distruggere  i  loro  progetti.  Senza  imporre 
straordinarie  gravezze  sul  popolo,  egli  diminuì  il  de- 
bito pubblico,  e  riempì  il  tesoro  di  somme  conside— 
rajjili.  Sotto  la  di  lui  influenza  risorse  il  commercio 
della  città,  e  gli  abitanti  cominciarono  cou  confidenza 
ad  impiegare  i  loro  capitali  nell'  acquisto  di  nuove 
ricchezze.  Mentre  con  queste  disposizioni  il  Cardinale 
si  guadagnava  il  rispetto  ,  e  1'  attaccamento  de'  Fio- 
rentini, egli  diede  prove  della  sua  prudenza,  e  della 


(i)  Ncrli  Comment.  Lib.  VI.  p.  x33. 


46 

sua  fedeltà  col  mantenere  una  conliniia  corrispon- 
denza colla  corte  di  Roma,  ed  una  dovuta  sommes- 
sione  al  Sommo  Pontefice,  al  di  cui  consiglio  egli 
ricorse  costantemente  in  tutti  i  punti  dubbiosi,  ed 
ai  di  cui  ordini  egli  strettamente,  e  fedelmente  si 
conformò. 

§  XIII. 

/  domili)  di  Urhino  sono  riuniti  a   quelli 
della    Chiesa. 

Il  potere,  del  quale  Leon  X  era  investito  sopra 
il  ducato  d'  Urbino,  era  ancora  più  assoluto  cbe  non 
quello  che  egli  esercitava  sullo  stato  Fi/wenlino.  la 
forza  dell'investitura  quella  sovranità  era  stata  estesa 
in  difetto  di  maschi  alla  discendenza  femminile  di 
Lorenzo,  e  la  sua  siovane  figlia  aveva  allora  diritt» 
allo  scettro  ducale;  ma  facilmente  poteano  prevedersi 
gli  svantaggi,  che  nati  forse  sarebbero  da  un  tale  go- 
verno, e  Caterina  sotto  la  cura  dei  di  lei  potenti  con- 
sanguinei era  riservala  a  più  alti  destini.  Le  animo- 
sità, che  insorte  erano  tra  l'antico  Sovrano  di  quello 
stato,  e  Leon  X  nel  coi-so  delle  contese  nelle  quali 
erano  stati  impegnati,  aveano  opposto  un  ostacolo 
insuperabile  a  qualunque  riconciliazione  tra  di  loro  ; 
e  se  anche  il  Pontefice  si  fosse  mostrato  inclinato 
ad  un  accomodamento,  la  restituzione  dello  stato  di 
Urbino  al  Duca  sarebbe  stata  considerata  come  una 
confessione  per  parte  del    Papa,  che  nell'  espellere  i 


Duca  dal  suol  domlnj  egli  avesse  commesso  un  alto 
ti'  ingiustizia.  Avendo  adunque  smembrato  dapprima 
il  ducato  d' Urbino  dal'a  fortezza  di  S.  Leo,  e  dal 
tlistretto  di  Montefeltro,  che  egli  diede  ai  Fiorentini 
come  un  compenso  per  le  spese  da  essi  fatte,  e  pei 
servigi  da  essi  rendali  nell  acquisto  di  que  dominj, 
egli  riunì  il  rimanente  di  quel  territorio  cogli  siali 
da  esso  dipendenti  di  Pesaro,  e  i\\  Sinigaglia  ai  do- 
Yninj  delia  Chiesa. 


NOirE  ADDIZIONALI. 


NOTA    I. 


^Aìla  pag.  3  Tin.   io  del  testo  ^  dopo  le  parole: 
„  le  maggiori  disposizioni  alla  crudeltà.  „ 

Gap.  XIX.  §  I. 

Quello  dì  cui  sì  parla  ^  è  Selim  J,  seoondo  figlio  di 
Bajazet  II ,  che  rivoltata  essendosi  coatra  il  padre  per- 
dette dapprima  una  battaglia  nel  i5ii;  ma  pure  riusci 
%tel)'  aano  seguente  a  detroaizzarlo  3  e  tanto  validamente 
fu  sostenuto  dai  Giannizzeri ,  che  fu  preferito  ad  Achmet 
suo  fratello  maggiore.  Questo  avvenne  nell'anno  i5i2; 
e  Selim  dopo  avere  avvelenato  suo  padre  tolse  pure  la 
vita  ad  Achmet,  ed  a  Korkud  altro  fratello  minore ,  che 
dicesi  fosse  uomo  pacifico  j  ed  amico  delle  lettere.  Si 
narra  pure ,  che  quest'  ultimo  avesse  fenduto  grandi 
servigi  a  Selim  nel  tempo  delle  sue  sventure. 

Oltre  il  padre,  ed  i  fratelli,  Selim  fece  pure  mettere 
a  morte  otto  de' suoi  nipoti,  e  varj  Bassa ,  che  lo  aveano 
fedelmente  servito  in  diverse  occasioni.  Gli  storici  tutti 
lo  dipingono  nonostante  come  pieno  di  virtù,  coraggioso , 
infaticabile  nelle  sue  occupazioni,  sobrio,  liberale,  aman- 
te della  giustizia,  e  dicono  che  oltre  il  farsi  leggere  le 
storie ,  siccome  accenna  anche  il  sig.  Roscoe ,  egli  com- 
ponesse versi  nella  sua  lingua  assai  eleganti. 


voli  Ain  TaoJIp  4^ . 


49 
La  disgrazia    de' Persiani    fa    cagionata    dall' aver   essi 

accordato  asilo  ad  Amuraf  ,  figlio  dell' eslinto  suo  fratello 
maggiore  Achmft.  Quella  guerra  fu  sfortunata  al  prin- 
cipio per  Seìim  ,  ma  in  appresso  egli  guadagnò  la  bat- 
taglia di  Zalderano  nel  i^i^  ,  la  quale  vittoria  dicesi 
essergli  costata  più  di  cinquanta  mila  uomini ,  e  molli 
ancora  ne  perdette  nel  ritorno  al  passaggio  dell'  Eu- 
frate. 

Le  armi  contro  l'Egitto  portò  egli  nel  i5i6;  prese 
Alpppo  ,  e  Damasco  ;  e  si  impiidrouì  di  tutta  la  Pale- 
stina. Il  Cairo  non  fu  preso  se  non  nel  i5i^,  e  l'in- 
felice Sultano  Tomembey  ,  creato  da  poco  dai  Mameluc- 
chi ,  fu  trovato  in  una  palude  ,  dove  si  era  nascosto  ,  e 
fu  appiccato  ad  una   porta  della  citlà. 

Il  pensiero  di  portare  le  sue  armi  contra  i  Cristiani  , 
e  di  attaccar  forse  1'  Italia ,  fu  concepito  da  Sellm  iti 
Egitto  ,  ma  poco  potè  durare  lo  spavento  dell'  Europa  , 
perchè  appena  nel  iSlQ  egli  parli  dall'Egitto,  e  nel 
l520  morì  di  peste  nella  Tracia  ,  mentre  portare  si 
faceva  ad  Andrinopoli.  Non  si  vede  adunque  ben  chiaro^ 
come  gli  Italiani  ,  e  specialmente  il  Papa  potessero  allar- 
marsi pei  preparativi  guerreschi ,  che  anche  secondo  il 
sig.  Roscoe  ,  Selim  faceva  in  Costantinopoli  per  una 
nuova  spedizione  j  se  egli  nel  ritorno  dall'Egitto  a  Co- 
stantinopoli fu  attaccato  dal  bnbone  pestilenziale.  Forse  i 
Veneziani  furono  i  più  intimoriti ,  e  sparsero  lo  spevento 
iu  tutta  r  Italia  ;  ed  infatti  il  sig.  Roscoe  non  cita  che 
le  memorie  di  Sagred(f  ,  scrìnove  il  più  delle  volte  esa- 
gerato. 

Si  dice,  che  Sellm  mantenesse  una  disciplina  severis- 
sima nelle  sue   truppe;    che    non    si    lasciasse    governare 

Leone  X    Tom.    Vili,  4 


5o 

dai  suoi  Visir  ;  che  si  facesse  radere  ,  q  che  dicesse  : 
55  Io  non  porlo  barba,  come  i  miei  predecessoii ,  perchè 
»  non  voglio  ,  che  i  miei  ministri  mi  afferrino  per  il 
99  mento  55.  Egli  fu  il  primo  a  fondare  una  biblioteca 
nel  serraglio  5  la  quale  diceasi  composta  di  circa  quattro 
mille  volumi.  Turchi,  Arabi,  e  Persiani.  I  libri  Greci 
ne  erano  esclusi. 


IL 


Mia  pag.  9  Un.   6  dopo  le  parole 
,,  alla  pena  della  scomunica  , ,. 

Gap.  XIX  §  II. 

Riuscirà  strano  a  molti  lettori  il  vedere  un  Papa,  che 
comanda  a  tutti  i  potentati  d'  Europa ,  e  che  loro  in- 
giunge sotto  la  comminatoria  delle  pene  canoniche  ciò 
che  far  debbano  negli  affari  più  gravi  concernenti  i  loro 
stati,  e  specialmente  per  riguardo  alla  guerra,  ed  alia 
pace.  Queste  idee  sono  tanlo  loutane  del  sistema  della 
politica  attuale  ,  che  è  forza  di  ricercarne  1'  origine  ,  e 
qualche  rimoto  vestigio  nei  tempi  di  mezzo.  I  primi 
Pontefici  furono  conlenfi  di  presedere  alla  Chiesa  Cri- 
stiana ,  e  non  si  occuparono  che  degli  affari  della  reli- 
gione ,  e  del  culto.  Ne' tempi  di  mezzo,  dopo  che  la 
religione  Cristiana  divenne  in  quasi  tutte  le  provincie 
dell'Europa  religione  dello  Stato,  ed  i  principi  si  gloria- 
rono di  fare  omaggio  alla  Sede  Romana  dell'  autorità  loro 
e  del  loro  potere  ,  i  Pontefici  cominciarono  a  prender  parte 
jpegli  affari    tetaporali ,    e    col    consiglio    dapprima,    poi 


9i 

anche  coi  precetti  ,  e  colle  peue  canoaiche  turbarono 
spesse  volte  1'  autorità  temporale  uell'  esercizio  delle  sue 
fiiuziooi.  Le  crooiate  produssero  una  graadiissima  eslen* 
siooe  dei  diritti  usurpati  dal  potere  ecclesiastico  sul 
laicale;  e  quelle  guerre  coasiderate  come  guerre  di  re- 
ligione, furono  spesse  volte  ordinate,  organizzate  ,  dirette, 
o  per  lo  meno  influenzate  da'  Papi.  Quindi  nacque  ,  che 
molte  imprese  non  si  cominciavano  senza  l'assenso  dei 
Romani  Pontefici  ,  e  che  anche  ne'  tempi  successivi  i 
Sovrani  ,  che  aveano  tra  loro  qualche  dissensione ,  si 
rimettevano  spesso  alla  decisioiic  dei  Pontefici ,  e  studia- 
vansi  di  avere  il  loro  conseniiraeuto ,  e  la  loro  appro- 
vazione prima  di  portare  in  uno  o  in  altro  luogo  le  armi 
loro.  Questa  pratica  durò  fino  alla  fine  del  XIV  secolo , 
e  se  ne  veggono  gli  esempj  anche  nei  pontificali  di 
Alessandro  VI ,  e  di  GiuUo  II,  predecessori  di  Leon  X. 
A  questo  principio  di  una  subordinazione  della  podestà 
civile  alla  ecclesiastica  ,  se  non  altro  tacitamente  consenc^ 
tita,  debbono  pure  riferirai  le  concessioni  delle  pro- 
vincie  oltremarine  nuovamente  «coperte,  fatte  da  Euge- 
nio IV ,  da  Niccolo  V,  da  Sisto  ÌV  ^  àA  Alessandro  VI, 
e  da  Leon  X  medesimo ,  delle  quali  si  farà  menzione 
nel  capo  XX  di  quesi'  opera. 

Ma  non  era  questo  in  allora  il  solo  fondamento  ,  al 
quale  si  appoggiassero  le  prelese  papali  sulle  disposizioni 
relative  alla  pace  ,  o  alla  guerra  nei  diversi  stati  dell'Eu- 
ropa. Il  bisogno  di  un  equilibrio  tra  le  diverse  potenze 
non  fu  mai  tanto  intimamente  sentito,  quanto  nel  se- 
colo XIV,  giacché  dapprima  non  potè  sussistere  se  non 
per  caso  ,  e  si  vide  più  volte  rovescialo.  In  quel  secolo 
ii   volle  formare  di  quel  necessario   equilibrio  un  sistema 


02 

politico,  e  non  mancano  scrittori,  ì  quali  pretendono, 
che  in  Italia  sia  nata  l'idea,  e  siansi  posti  i  fondamenti 
di  un  tale  sistema.  Questo  abbisognava  necessariamente 
di  un  centro,  massime  al  momento  della  caduta  del  re- 
gime feudale  j  e  della  formazione  di  molti  piccoli  slati, 
che  tutti  ricorrer  doveano  alla  protezione  de'  grandi  ;  e 
centro  di  quel  sistema  parve ,  che  altro  non  potesse 
essere  se  non  la  Sede  Romana  ,  alla  quale  lutti  i  prin- 
cipi,  e  tutti  gli  stati  tributavano  rispetto  ,  e  venerazione. 
Quindi  nacque  ,  che  anche  Leon  X  esercitò  una  influen- 
za grandissima  sul  temporale  governo  degli  slati  ;  che 
egli  cominciò  il  suo  Pontificato  coli'  esortare  tutti  i  prin- 
cipi alla  pacificazione  generale ,  il  che  in  vero  era  pie- 
namente consentaneo  alla  sua  dignità,  al  suo  uffizio,  al 
suo  ministero  ;  che  Leon  X  trattenne  alcuna  volta  i  piiì 
grandi  Sovrani  dal  portare  le  loro  armi  in  Italia  ;  che 
egli  fece  conchiudere  la  pace  tra  i  monarchi  di  Francia 
e  d'Inghilterra;  che  egli  cercò  di  intervenire  anche  alla 
elezione  dell' Imperadore  ;  che  egli  finalmente  stese  la 
sua  autorità  sulle  Indie,  e  cercò  di  migliorare  la  con- 
dizione politica  degli  Indiani. 

Non  è  dunque  maraviglia  se  sn  queste  basi  ,  e  eoa 
questi  principi,  egli  occupato  del  grande  oggetto  di  preve. 
nire  una  invasione  de' Turchi,  e  forse  di  liberare  la  Gre- 
cia ,  di  ricuperare  le  terra  Santa,  di  rovesciare  il  potere 
de*  Turchi ,  e  di  fondare  un  nuovo  impero  d'  Oriente  , 
cominciò  dall'ingiugnere  forzatamente  una  tregua,  affine  di 
poter  rivolgere  le  armi  dell'Europa  tutta  contra  il  comuna 
nimico  della  Cristianità.  Sussisteva  in  apparenza  il  motivo, 
per  il  quale  la  Sede  Romana  avea  più  volte  dii^posto 
delle  armi  dei  potentati  d'Europa;  sussisteva  l' iuflueuza^ 


53 

che  i  Papi  acquistata  aveano  sopra  gli  affari  particolari  ^ 
e  politici  delle  potenze  medesime  ;  sussisteva  il  conceduto 
diritto  di  iuterveuire  uelle  loro  disseusioni  ,  e  sussisteva 
quella  venerazione  straordinaria  ,  che  al  capo  della  Chiesa 
si  prestava  come  a  centro  del  sistema  polìtico  ^d'  equili- 
brio  tra  i  diversi  stati. 

Sebbene  però  la  politica  di  que'  tempi  tanto  lontana 
fosse  dai  principi  della  politica  odierna,  si  vede  tuttavia, 
che  i  gabinetti  de'principi  s'accorsero  del  pericolo,  che  forse 
il  Papa  non  avea  scoperto  ,  che  una  guerra  di  tutte 
le  potenze  ,  e  la  spedizione  di  tutte  le  forze  dell'  Europa 
contro  gli  infedeli  avrebbe  per  avventura  cagionato  la 
rottura  di  quell'equilibrio  medesimo,  che  la  raaofgior 
parte  degli  stati  interessati  erano  a  conservare.  Quindi 
mentre  fu  concordemente  accettata,  e  consentita  la  tre- 
gua ,  r  alleanza  proposta  non  fu  ritenuta  se  non  come 
difensiva  ;  il  Papa  non  fu  nominato  che  iu  apparenza  , 
e  quasi  illusoriamente  ,  capo  della  lega  j  non  si  mise  ia 
campo  alcuna  armata  contro  i  Turchi  ;  e  questo  fu  forse 
r  ultimo  esempio  dell'  intervento  de'  Romani  Pontefici 
nelle  relazioni  puramente  politiche  degli  stati ,  e  nelle 
disposizioni  della  pace  ,  e  della  guerra  colla  comminato' 
ria  delle  censure  ecclesiastiche,. 


in. 


Alla  pag.    1 2  alla  fine  del  §  IV  Cap.   XVUl 

Dopo  quello  che  si  è  detto  nella  nota  antecedente  ^  non 
parrà  tanto  strano,  che  il  Papa  calcolasse  sopra  una 
immensa  sonnma  di  danaro  ,  che  si  sarebbe  in  occasione 
della  guerra  contra  i  Torchi  raccolta  colle  volontaria 
contribuzioni  dei  Sovrani  dell'  Europa  ,  e  con  una  tassa 
forzala  imposta  sopra  i  loro  sudditi;  che  il  Papa  assegnasse 
a  ciascun  Sovrano  il  suo  contingente  in  danaro,  ed  in  ar- 
rni ,  e  fino  il  numero,  e  la  qualità  delle  armi,  o  sia 
delle  truppe  ,  che  fornir  si  doveano ,  e  perfino  che  il 
Pontificio  tesoro  si  fosse  riempito  colle  contribuzioni  , 
che  realmpnte  si  ottennero  tanto  dai  laici  ,  quanto  dagli 
ecclesiastici  ,  per  mezzo  degli  Agenti  Pontifici ,  spedili 
alle  varie  corti ,  comft  si  vede  nel  successivo  §  V.  11 
conseguimento  di  quelle  somme,  delle  quali  Leon  X 
trovavasi  sempre  a  cagione  della  sua  liberalità  ,  e  de' suoi 
impegni ,  nel  più  urgente  bisogno,  fecero  nascere  il  pen- 
siero non  solo  nei  nuovi  riformatori,  che  commentarono 
r  orazione  pronunziala  dai  legati  Pontificj  alla  Dieta 
dell'Impero,  ma  anche  in  alcuno  dei  cattolici  medesimi, 
che  tufo  quel  grande  edifizio  ,  quel  grandioso  disegno 
di  rivolgere  contra  i  Tnrchi  tntte  le  forze  dell' Europa  ^ 
non  fosse  tanto  prodotto  dallo  spavento  ,  o  da  un  ragio- 
nevole timore ,  che  si  avesse  della  invasione  desili  infe- 
deli ,  quanto  da  un  timore  e  da  uno  spavento  simulalo 
per  avere  cosi  il  loro  pretesto  di  ricavare  dai  diversi  stati 
dell'Europa  quelle  somme,  che  forse  prodotte  non  a^ea   la 


55 

promulo;a7iione  delle  ioJuìgenze.  Abbiamo  infatti  vedu- 
to Della  nota  I.  l' iaiprobabilità ,  che  S'^imi  attaccato 
dalla  peste  nel  suo  ritoruo  dell'  Egitto ,  ed  ansioso  di 
farsi  portar  subito  ad  Andrinopoli  ,  nel  qnal  viaggio  morì, 
facesse  in  Costantinopoli  grandiosi  preparativi  per  una 
spedizione  coutra  l' Italia  ,  o  contro  alcnna  altra  parte 
dell'Europa;  e  le  lagnanze  per  gli  attentati  de*  Turchi 
non  erano  forse  appoggiate  ,  che  all'  eccessivo  timore 
de' Veneziani ,  ed  alle  lettere  di  alcuni  governatori  della 
Dalmazia  ,  i  di  cui  paesi  limitrofi  ai  domioj  Ottomani 
erano  sempre  stati  soggetti  alle  scorrerie  de'  Turchi  , 
senza  che  questo  oggetto  interessar  potesse  tutti  i  mo- 
narchi dell'Europa. 


IV. 


Alla  pag.   22  Un.  4  dopo  le  parole   ,,  recarsi 
personalmeate  a  Roma.    ,, 

Gap.  XVIII  §  VI. 

Da  tutto  il  conlesto  di  questa  storia  si  vede  ,  quanto 
in  quel  tempo  la  politica  dei  diversi  stati  dell'Europa 
fosse  tenace  di  quel  sistema  d' equilibrio  delle  potenze , 
del  quale  si  è  parlato  nella  nota  II ,  e  del  quale  si  ri- 
guardava come  centro  la  Santa  Sede.  Questo  ,  unitamene 
ad  altri  diritti  rappresentativi  a  poco  a  poco  guadagnati 
dai  Pontefici  sugli  Imperadori,  dava  ai  primi  la  facoltà  di 
immischiarsi  nelle  elezioni  de'  secondi  ,  e  quindi  sempre 
maggiore  diveniva  l' influenza  della  corte  di  Roma  sugli 
affari  dei  diversi  stati  ,  e  sul  sistema  politico  dell'Europa. 


56 

Si  vede  però  dalla  storia  medesima  ,  cbe  i  Sovrani  co- 
minciavano già  ad  illaminarsi  sui  loro  veri  interessi  ;  e 
che  lungi  dal  rimettersi  ciecamente  a  quello  che  vene- 
ravano per  capo  della  Religione  ,  e  riguardavano  per 
comune  consenso  come  centro  di  un  sistema  politico , 
cercavano  a  vicenda  di  influenzare  questo  centro  mede- 
simo j  e  di  rivolgerlo  alle  loro  viste  pel  bene  loro  pri- 
Tato,  o  pel  pubblico,  siccome  avvenne  in  questo  caso, 
nel  quale  senza  un  concorso  straordinario  di  circostanze^ 
mantenuto  si  sarebbe  l'equilibrio  politico,  e  Carlo  V 
non  avrebbe  riunito  tanti  stati  sotto  il  suo  dominio  ^  ne 
tante  dignità  nella  sua  persona. 


Alla  pag.   20  dopo  la  nota  (2). 

Gap.  XVIII  §  VI. 

E  cosa  singolare  il  vedere  come  il  Papa  ,  Francesco  /, 
e  Carlo  d*  Austria  ,  che  fu  poi  Carlo  V  3  cercavano  a 
vicenda  di  ingannarsi  1'  nn  1'  altro  ,  facendo  anche  oggetto 
intermedio  de'  loro  politici  stratagemmi  l*  Imperatore 
Massimiliano.  Il  Papa  cercava  di  tener  a  bada  Carlo 
d'  Austria,  e  burlava  Massimiliano  ;  Carlo  invocava  1'  ajuto 
di  Francesco  presso  il  Papa  ;  Francesco  prometteva  al 
Papa  quello  che  mai  uon  intendeva  di  tentare;  il  Papa 
era  egualmente  avverso  all'  uno  ,  ed  all'  altro  ;  Massimi- 
liano prendeva  nelT  aspetto  piìi  serio  le  proposizioni  sub- 
dole ,  che  gli  si  facevano;  alcuno  non  dubitava  del  Papa, 
ed  il  Papa    burlava    tutti Questo    complesso  di 


57 

maneggi  ,  e  di  intrighi  politici  non  avrebbe  potuto  tornar 
in  onore  della  corte  Romana  ,  né  del  Papa ,  né  della 
santità  del  suo  ministero,  se  non  si  fosse  potuto  stac- 
care r  idea  del  Sovrano  temporale  ,  e  del  centro  del 
sistema  politico  ^  da  quella  del  capo  della  Chiesa  Cri- 
stiana ,  e  del  centro  della  ecclesiastica  podestà.  —  Il 
seguito  di  questo  paragrafo  spiega  più  evidentemente  la 
ragionevolezza  di  queste  operazioni,  e  mostra  all'evidenza 
con  quali  fini  di  politica  puramente  umana ,  (  per  noa 
dire  anche  bassa,  e  viziosa  )  agissero  in  que' tempi  i 
Papi,  e  tra  questi  un  Pajia  illuminato,  e  generoso. 

VI. 

Alla  pag.   24  alla  fine  del  §    VI  Cap.  XVIII. 

Col  paragrafo  sesto  si  chiudono  i  fatti  dell'anno  t5i8ì 
ma  noi  non  dobbiamo  lasciare ,  che  si  tronchi  questo 
periodo  senza  registrare  un  avvenimento  ,  il  quale  es- 
sendo di  sua  natura  interessante  non  tanto  pej*  Milano  , 
quanto  per  tutta  l' Italia  ,  lo  diviene  ancor  più  io  questo 
ludgo  per  la  relazione  immediata  che  ha  colla  stona  di 
Leon  X ,  e  per  1'  onore ,  che  fa  riflettere  sulla  di  lui 
memoria. 

Più  volte  si  è  parlato  in  quest'opera  del  celebre  ma- 
resciallo Gìoan  Jacopo  Trivulzi,e  noi  lo  abbiamo  V  ultima 
volta  veduto  impegnato  a  difendere  la  sua  patria  centra 
le  armi  imperiali,  resistere  con  coragf;io  alle  losinuaz'ouì 
dei  Francasi  medesimi  intimoriti  ,  prender*'  !e  disoosui<"ii 
più  savie  per  la  difesa  della  città  ,  ed  indurre  con  in- 
gegnoso stratagemma  l'Imperadore  ad    una    fuga    vergo» 


58 

giiosa ,  per  lo  che  il  magno  Trhulzìo  fa  fletto  padre  , 
e  conservatore  della  patria.  Questo  graod'  uomo  governò 
alcun  tempo  Milano ,  nel  quale  ufficio  mostrò  il  dolor 
suo  di  dovere  per  soddisfare  V  esigenza  del  monarca 
Francese  imporre  gravose  tasse  ai  suoi  concittadini  ;  in- 
dusse quindi  gli  Svizzeri  alla  pace  col  re  di  Francia , 
né  fu  questo  forse  il  più  piccolo  de' servigi  ,  che  egli 
rendesse  a  quella  corte  ;  assestò  in  seguito  i  suoi  dome- 
stici affari  ,  e  si  diede  a  vivere  in  patria  splendidamente. 
Ma  l'invidia  e  la  calunnia  seguono  sempre  davvicino  il 
merito j  e  la  fortuna,  e  non  si  trattengono  dal  perse- 
gnitare  anche  V  uomo  tranquillo  ,  che  già  si  è  distolto 
dai  pubblici  affari.  Il  sig.  de  Lautree ,  aggravato  da  de- 
biti straordinarj  vole.i  sotto  colore  di  bisogni  pubblici 
imporre  una  tassa  straordinaria  alla  città  di  Milano  ;  bra- 
mava per  ciò  il  consentimento  de' magnati  ,  e  quello 
pure  del  Trivulzio  ;  ma  questi  amante  del  bene  della  sua 
patria  si  oppose  con  coraggio  alle  sue  domande.  Irritato 
il  Francese  giurò  la  sua  perdita  ,  e  mise  in  campo  cen- 
tra il  buon  vecchio  una  quantità  di  accuse.  Era  tra 
queste  la  imputazione  di  aver  favorita  la  fuga  del  car- 
dinal de'  Medici  dopo  la  battaglia  di  Ravenna  ,  avveni- 
mento ,  che  quand'  anche  fosse  stato  prodotto  dalla  di 
lui  sola  autorità,  sarebbe  tornato  in  di  lui  onore,  non 
Tenendo  per  tal  fatto  compromesso  il  servigio  del  Sovrano, 
ai  di  cui  stupendi  egli  militava  ;  e  si  aggiugneva  ,  che 
il  Trivulzio  nairasse  ad  usurpare  il  dominio  delia  sua 
patria  ,  e  che  in  ciò  prevaler  si  volesse  dell'  ajuto  degli 
Svizzeri ,  e  fors*  anche  della  protezione  de'  Veneziani  . 
-il  servigio  de' (piali  militava  Teodoro  Trivulzio  di  lui 
cugino.  Raro  avviene,  che  le  calunnie    non    trovino  ac- 


59 
desso  presso  ai  troni  ;  ed  il  maresciallo  fa  costretto  mal- 
grailo  la  grave  sua  età ,  malgrado  la  sua  non  ferma 
salute,  di  andare  alla  corte  di  Francia  a  giustificarsi  , 
rosa  che  il  cardinale  di  B'ibhifna  scrivea  nel  mese  di 
luglio  i5i8  a  Lorenzo  de' Medici  duca  d'Urbino  in 
termini  della  piìi  grande  maraviglia.  Gli  storici  Francesi 
medesimi  ,  e  tra  gli  altri  il  sig.  Gaillard  ,  che  la  storia 
scrisse  dì  Francesco  I ,  si  sono  interessati  a  mostrare 
r  insussistenza  di  quelle  accuse  ;  pure  è  costante ,  che 
egli  fu  alla  corte  mal  ricevuto,  e  che  oppresso  dal- 
l'afflizione ,  e  dal  rammarico,  si  ammalò  presso  Char- 
tres.  Di  questo  accidente  mostrò  dispiacere  anche  il  Re  , 
ed  il  Pontefice  Leon  X  col  mezzo  del  suo  nunzio  ,  e 
con  sua  lettera,  il  tenore  della  quale  è  stato  conservato 
dal  Murallo  ,  laguossi  del  modo  ,  con  cui  quel  re  avea 
trattato  ,  forse  per  dar  retta  alle  calunnie  degli  invidiosi 
e  maligni  uomini,  un  personaggio  della  condizione,  e 
dell'età  del  Tr/\>iilzio,  e  tanto  benemerito  della  Francia. 
Bello  è  il  vedere  un  Papa  interessato  ad  esaltare  il  me- 
rito ,  ed  a  vendicar  l'innocenza  di  un  uomo  illustre! 
Il  re  spedì  medici  a  visitare  1'  infermo  ,  e  gentiluomini 
a  consolarlo  ,  ma  non  era  più  tempo.  Il  magno  'Trìvitl- 
zìo  dopo  avere  adempiti  tutti  i  doveri  della  religione , 
morì  il  giorno   5   dicembre    i5i8   all'età  di   'j8   anni. 

Né  qui  si  arrestarono  le  cure ,  e  le  sollecitudini  pa- 
terne di  Leon  X  a  favore  di  quel  grand'  uomo ,  e  della 
di  lui  famìglia  ;  giacché  pochi  mesi  dopo  egli  spedi  da 
Roma  un  breve  a  Francesco  Trivuhio  Marchese  di  Vi- 
gevano ,  e  Conte  di  Musocco ,  dal  quale  si  raccoglie, 
quanto  grande  fosse  la  stima  che  quel  Pontefice  nudriv? 
pel  di  lui  avo ,    le    consolazioni  ,    che    egli    bramava  (\\ 


6o 

dare  alla  famiglia,  T  interesse ,  che  prendeva  ad  una 
tal  perdita  ,  e  le  pratiche  ,  che  egli  facea  pregio  la  corte 
dì  Francia  onde  premuoverne  i  vantaggi.  Noi  crediamo 
opportuno  di  inserire  questo  breve  tanto  onorevole  pel 
Papa  ,  quanto  per  la  memoria  del  maresciallo  Trivulzio, 
che  serve  in  qualche  modo  a  completare  questo  tratto 
di  storia  ,  intieramente  onimesso  dal  sig.  Roscoe.  Il  breve 
è  del   tenore  seguente  : 

Leo  P.  P.  X. 

3,  Dìlecte  fili  salutem  et  Apostolicam  Benedictionem.  ,," 

55  Acceptis  litteris  tuis  quibus  obitum  B.  M.  Joannis 
35  Jacobi  Trivultii  avi  lui  nobis  significasti  ,  non  potui- 
sn  mus  secundum  cameni  non  commoveri  praecipua  enim 
I?  charitate  illum  prosequebamnr  ,  et  intimo  animi  affectu 
w  cura  diligebamus  uti  nostri  et  apostolicae  sedis  observaa- 
55  tissimum  et  familiae  nostrae  mutua  benivolentia  devin- 
55  ctum  j  ac  omnibus  dotibus  tum  animi  tum  corporis, 
55  quae  in  egregio  militiae  duce ,  tum  Domi  quam  foris 
55  desiderar!  possunt  praestantissimum  ,  cujus  praeciara 
w  gesta  sibi  gloriam ,  tibi  vero  ac  posteris  tuis  decus 
?5  compararunt.  Sed  ubi  a  dilecto  (ilio  nostro  Angustino 
55  Sancti  Adriani  S.  R.  Ecc.  Diacono  Cardinali  Trivultio 
5»  qui  tuas  nobis  litleras  dedit  de  illius  catholico  transitu^ 
5»  deque  tua  optima  indole  certiores  facti  fuimus,  magna 
55  ex  parte  lenita  est  molestia  nostra  speramus  enim 
59  illnm  apud  Jesum  Christum  (  quem  religione  coluit) 
55  mercedem  gratiaraque  inventurum^  et  te  in  conservan- 
55  da  augeodaqae  familia  Trivultia  illius    omnibus  in  re- 


6i^ 

n  bas  virlutem  afqne  prudentlam  esse    sequuturum.  Ve- 

59   rum  quia  haec  est  humani  generis   condilio  ut    omnes 

5?   moriamur ,    eaque    lege    in    hunc    raundara    venimus , 

55   ut  ab  ilio  exeamus  ,   nobilitatem   tua  horlamur  in   I)o- 

5»  mÌDO ,  ut  aniraum  a  maerore  revoces  et  aequo  animo 

99  feras ,  quod  necessitati    naturae    tributum    est ,  divine- 

5?  que  voluntati  acquiescas.  Diu  etenim  ac  satls  vixit  avus 

99  tuus ,  quoniara  semper  cum   virtute  vixit,  neque  eum 

99  libi    perpetuo,    sed    ad  tempus  concesserat  deus,  qui 

99   ncque  quicquam  abstulit  tuum  ,  quoniam  repetere  di- 

99  gnatus  est  suura.  Illeque  ea  jani  erat  aetate  ut  imma- 

99   tura  non   sit  morte  subtraclus ,    ejusque    propterea  ab 

^99  hac  vita   discessus  non     admodum    gravis    esse    debuit. 

99   Tametsi  avus  tuus  mortuus  non  est  ,    dilccte  Oli  ,  sed 

,59   ab  hac   mortali  ad  imraortalem  vitara  migravit.   Qui  et 

9»   in  animis  ac  memoria    hominura    ob  res  magnas  a  se 

39  gestas  quas  nulla    aetas    obsolelura  est,  vivit ,    et  Deo 

99   Salvatorique  suo  vivit.   Quarum   rerum  cogitatio  ,  mae- 

99  rorem  tibi  demere  potest.    Quamobrem    dilecte    fdi   tu 

99  in  quo  charo    Nepote    et    spes    et  omnis  avi  tui  cura 

99  erat  posila  ,  cum  Dei  ac  beaedictione  nostra  praestan- 

99  les  semitas  clara  vestigia,  insigues  virtutes  illius ,  quas 

i)   tibi  cumulatissime  ostendit  ,  non  lacrimis  ,  sed  meritis 

99   laudibus ,  et  animarum    suffragiis    persequaris  ,    teque 

?»  tali  avo  dignura  praebeas.  Nos  quidem  prò  ea  charitate 

99  qua  illum   prosequebamur ,  cammodis    et    honori   tuo  , 

99  quantum  cum  Deo  licebit  nunqnam  deeriraus  et  qnic- 

9»  quid  per  nos  cum  hujus    Saootae     Sedis    decere    fieri 

•9   pcterit,  nobilitali  tuae  poUicemur ,   omnia  enim  a  nobis 

59  sperare  potes ,  quae  a  pienlissimo  patre  in  filium  prae- 

»  stari  possunt.  Jam,que  Charissimo  in  Chrislo   Clio  no- 


62 

i*  stro  Fraaeorum  regi  Christianisslmo  res  tuas  commen- 
M  davimus.  Animan)  vero  Avi  tui  assiduis  praeclbus  al- 
55  lissirao  etiam  comraendavimus.  Qui  sicat  illura  ea  lori- 
99  gitudiae  dierum  opplevit,  qua  pauci  repleri  merueruatj 
w  et  eum  non  mediooriler  honestavit  et  ornavit  in  ter- 
si ris ,  ita  et  ejus  animae  majore  in  caelis  sua  pietate 
»  indulgere   dignetur.    s» 

i»  Datura  Romae  apud  Sanctum  Petrum  sub  annulo 
55  piscatoris  die  XXIV.  decembris  M.  D.  XVIII,  Pontifi- 
55  catus  nostri  anno  sexto.  n 

Evangelista. 
A  tergo. 

9»  Dilecto  fìlio  nobili  Firo  Francisco  Trivullio  Mar^ 
99  chioni  Figlevani  j  et  Misochì  Cornili,  s? 

VII. 

Mia  pag.   32  dopo  la  nota  (i)  della  pagina  precedente. 
Gap.  XVIII  §  Vili. 

Tutti  colerò,  che  avranno  gustato  l'esame  del  proble- 
ma storico ,  se  la  riforma  promossa  da  Lutero  avrebbe 
avuto  luogo  nel  caso ,  che  invece  di  Leon  X  avesse  al- 
cun altro  occupato  la  sede  pontificia  ,  da  noi  inserito 
nel  volume  VI.  pag.  323  ;  non  potranno  lasciare  d'  in- 
teressarsi all'esame  di  al'ro  piobleuja  naturalmente  na- 
scente dalla  nota  (i)  apposta  dal  sig.  Roscoe  alla  pag. 
3i  ,  e  che  potrebbe  concepirsi  in  tal  modo  :  se  la  rifor^ 
ma  medesima  avrebbe  avuto  luogo  nel  caso  j  che  invece 
4i  Carlo   V ,  avesse    Federico    di   Sassonia    occupato    il 


63 

frano  Imperiale.  Rammenta  inratti  1*  Autore  in  quella 
nota  uua  circostanza  beu  osservata  da  tutti  gli  storici  di 
quel  lempo,  che  la  corona  imperiale  era  stata  dagli  altri 
eletiori  olferta  a  quel  Duca  ,  e  che  egli  magnanimamente 
la  rifiatò.  Il  re  d'Inghilterra  mostrava  egli  pure  desiderio, 
che  Federigo  accettasse  quella  dignità  ;  il  re  di  Franciaj 
non  potendola  ottener  per  se  stesso  ,  sarebbe  convenuto 
in  questo  sentiraentOj  e  non  era  forse  lontano  da  un  tal 
voto  il  Papa  medesimo  j  al  quale  solo  stava  a  cuore, 
che  r  impero  non  fosse  conferito  a  Carlo  V,  o  al  re  di 
Francia. 

Sembra  a  tutta  prima  doversi  supporre,  che  essendo 
Federigo  elettore  di  Sassonia  il  Sovrano  immediato  ,  fd 
il  protettore  di  Lutero  ,  egli  avrebbe  potuto  ,  assumendo 
la  dignità  imperiale,  sostenere  la  di  lui  causa,  promuovere 
i  di  lui  iutpressi ,  rinforzare  ed  estendere  il  di  lui  par- 
tilo ,  e  rendere  più  formidabile  alla  corte  di  Roma  ,  ed 
a  tutta  la  Chiesa  cattolica  1'  opposizione  di  Lutero  ,  e 
de' suoi  seguaci.  Questo  infatti  è  quello,  che  si  immagi- 
navano i  cattolici  di  quel  tempo,  e  specialmente  i  par- 
tigiani più  zelanti  di  Roma,  i  quali  ,  per  quanto  era  in 
poter  loro,  si  studiavano  di  favorire,  e  di  promuovere 
la  nomina  dell'  imperadore  Carlo  V.  Eppure,  ove  si  entri 
in  questa  discussione  coi  veri  principi  <lplla  filosofia,  ac- 
compagnati dai  lumi  della  storia  ,  si  vedrà  ,  che  l'unico 
mezzo  di  evitare  gli  effetti  disgraziati  ,  ed  incalcolabili 
della  riforma,  di  impedire  lo  scisma,  di  troncare  forse 
radicalmente  quelle  mal  augurale  controversie  ,  che  lace- 
rarono per  sì  li»ngo  tempo  il  mondo  Cristiano,  sarebbe 
state  appunto  1'  eicvazione  di  quel  principe  alla  imperiale 
diluita. 


64 

Federico  ài  Sassonia  ì  soprannominalo  il  Saggio  ,  che 
durante  1'  impero  di  Massimiliano  fu  capo  sovrano  del 
suo  consiglio,  e  suo  Vicario  generale;  che  governò  per 
lungo  tempo  con  moltissima  prudenza  gli  affari  politici 
della  Germania  ,  che  all'  epoca  stessa  della  elezione  di 
Carlo  V  molta  cura  si  prese  per  mantenere  la  libertà 
degli  stati  ;  nomo  illuminato  e  giudizioso  ,  era  al  tempo 
stesso  buon  cattolico  ,  e  lo  provano  evidentemente  le  sue 
lettere  a  Leon  X ,  scritte  in  occasione  de'  primi  movi- 
menti dei  riformatori,  che  il  sig.  Roscoe  ha  accennate. 
Si  dice  comunemente ,  e  si  mette  in  avanti ,  massime 
dagli  scrittori  di  quel  tempo  parziali  della  Romana  cor- 
te  ,  che  egli  proteggesse  Lutero  ,  i  di  lui  seguaci  ,  e  le 
di  lui  opinioni.  Questo  non  potrebbe  provarsi  in  alcun 
modo  dall'  esame  degli  atti ,  che  passarono  tra  la  prima 
opposizione  fatta  da  Lutero  alla  promulgazione  delle  in- 
dulgenze ,  e  la  sua  finale  condanna  ;  e  tanto  è  vero  que- 
sto ,  che  Leon  X  mandò  ancora  sul  finire  dell*  anno  1 5  iq 
la  rosa  d'oro  benedetta  all'Elettore  di  Sassonia,  come 
a  principe  benemerito  della  Santa  Sede  Apostolica.  Il 
»ig.  Roscoe  medesimo ,  il  quale  ha  più  volte  parlato 
della  protezione  accordata  da  quel  Sovrano  a  Lutero , 
confessa  egli  stesso  nel  seguente  capitolo  XIX,  che  egli 
non  aveva  apertamente  sposato  la  causa  della  riforma ,  né 
de'  riformatori ,  e  che  soltanto  non  aveva  opposto  osta- 
colo ai  progressi  delle  nuove  opinioni.  Federico  non  pro- 
teggeva Lutero  avanti  la  sua  condanna ,  non  proteggeva 
il  teologo,  non  proteggeva  l'autore  di  nuove  opinioni: 
«gli  proteggeva  soltanto  l'uomo,  il  suddito,  lo  scrittore  : 
e  la  protezione  sua  a  questo  oggetto  lin)itavasi,  come  si 
(ì  già  veduto  di  sopra  ,  che  condannato    non  fòsse  senz? 


6S 

essere  senlito ,  e  senza  cbe  ad  un  convenevole  esame,  e. 
ad  uà  solenne  giudizio  fossero  sottoposti  i  di  lui  scritti. 
Questo  egli  fece  intendere  al  Papa  colle  sue  lettere, 
questo  egli  dichiarò  agli  agenti  pontifici  ,  né  mai  si  op- 
pose ai  mezzi  di  conciliazione,  ohe  con  Lutero  furono 
adoperati.  Se  egli  non  ricevette  con  molto  favore  l'in- 
viato Miltilz  ,  ciò  fu  prodotto  da  altre  cagioni,  che  quelle 
non  erano  del  suo  amore  per  la  riforma  ;  né  a  M'dtìtz 
fu  impedito  nella  capitale  medesima  di  intavolare  le  con- 
ferenze con  Lutero  ,  onde  condurlo  ad  amichevole  com- 
ponimento. Se  Federigo  altronde  prestò  orecchio  ai  ri- 
formatori  ,  se  egli  permise  loro  di  scrivere ,  e  di  pub- 
blicare ne'  suoi  slati  i  loro  scritti  ,  se  egli  permise  al- 
cune pubbliche  conferenze,  se  e;gli  non  si  oppose  ai  pro- 
gressi delle  loro  dottrine,  e  non  permise  egualmente, 
che  compressi  fossero  i  loro  primi  sforzi,  e  soffocata  nel 
suo  nascere  la  riforma  ;  ciò  fu  solamente  ,  perchè  la  ri- 
forma era  in  que*  tempi  da  tulli  desiderala  ,  ed  invocata; 
perchè  troppo  notorio  ne  era  il  bisogno  ;  perchè  tulli 
bramavano  una  estirpazione  deg'li  abusi  ,  che  punto  non 
attaccasse  le  materie  della  cristiana  credenza  ;  perchè  così 
pensavano  tutti  i  più  chiari  ingegni  ,  e  le  persone  più 
illuminate  della  Italia  medesima  ;  perchè  finalmente  uou 
eravi  alcuno  ,  che  applaudir  non  potesse  ad  un  tentativo 
lodevole  di  porre  riparo  ai  gravissimi  disordini  ,  propa- 
lati  dagli   scrittori   di   tutte   le   nazioni. 

Questo  era  lo  stato  delle  cose  al  principio  della  ri- 
forma ,  e  questo  durò  fin  dopo  la  condanna  di  Lutero 
portala  dalla  Dieta  Imperiale  sotto  Carlo  V.  Che  sareb- 
be egli  dunque  avvenuto,  se  invece  di  Carlo  V ,  Fede- 
rigo di  Sassonia  fosse   montato  al  trono  imperiale  ?    Egli 

Leone  X.    Tom.   Vili.  5 


66 

è  ben  cliiaro  a  teclersi,  che  Federigo  conserrara  ancora 
a  queir  epoca  una  devozione  al  Romano  Pontefice ,  che 
Federigo  non  amava  le  controversie ,  e  che  egli  avrebbe 
voluto  o  il  giudizio  nelle  forme  pronunziato  sulle  naov» 
opinioni  j  o  un  accomodamento  tra  la  corte  di  Roma, 
e  gli  oppositori  ;  che  egli  ,  che  avea  con  tanto  accorgi- 
mento condotti  gli  affari  della  Germania ,  e  durante  il 
regno  di  Massimiliano ,  e  nella  vacanza  dell'  Impero  , 
non  avrebbe  voluto  giammai  esporre  quel  paese  al  peri- 
colo di  divenire  il  teatro  delle  guerre  ,  e  molto  meno 
delle  guerre  religiose  ;  che  egli  per  conseguenza  ,  tute- 
lando da  una  parte  i  diritti  dell'  uomo ,  la  libertà  delle 
opinioni ,  e  di  quelle  massimamente ,  che  condurre  po- 
tevano ad  una  saggia ,  e  salutare  riforma  del  clero ,  e 
conservando  dall'altra  inviolata  1*  integrità  della  fede  cat- 
tolica ,,  rivestito  della  nuova  dignità  avrebbe  promosso 
r  o£;getto  della  riforma  desiderata  ,  ed  avrebbe  troncata 
la  via  alla  produzione  ,  e  propagazione  delle  eresie  ,  al 
nascimento  delle  sette  ,  all'  urto  de'  partiti ,  alle  contro- 
versie indecenti  ,  all'  origine ,  ed  alla  formazione  dello 
scisma. 

Si  può  conghietturare  con  fondamento  sul  carattere 
di  quel  principe,  sulla  osservazione  delle  circostanze, 
e  sull'esame  de' monumenti  storici  di  quel  tempo  che 
egli  ben  fermo  nella  sua  determinazione ,  che  alcuno 
condannare  non  si  dovesse  senza,  essere  dapprima  ascol- 
talo ,  avrebbe  come  imperadore  mantenute  le  più  ami- 
chevoli politiche  relazioni  col.  Sommo  Pontefice  ,  e  che 
se  anche  avesse  avuto  qualche  segreta  propensione  per 
le  nuove  dottrine ,  egli  non  avrebbe  tuttavia  compro- 
messo la  dignità  imperiale  per  appoggiarle ,    ed  avrebbe 


rivolto  ogni  suo  stadio  a  mantenere  la  benivolensa  ed  il 
favore  del  capo  della  Chiesa,  tanto  oecessariaineDte  conoesiso 
Belle  sue  relazioni  col  capo  dell'Impero.  Egli  avrebbe  pro- 
babilmente imposto  dapprima  silenzio  ai  furibondi  con-^ 
troversisti ,  che  tanto  promossero  le  disseosioui ,  e  tanto 
infiammarono  i  partiti  iu  Germania  ;  egli  avrebbe  chiuso 
r  adito  a'  libellisti  di  spargere  amare  ingiurie  invece  di 
sodi  argomenti  ;  egli  non  aspirante  agli  onori  teologici  , 
non  avrebbe  portato  alcuna  decisione  sulle  opinioni 
emesse  dai  novatori  ,  siccome  fece  all'  opposto  Cerio  V.y 
egli  avrebbe  apparentemente  concertato  col  Papa  i  mezzi 
eli  sopire  le  quistioni ,  di  pronunziare  un  ponderato 
giudizio,  e  dì  separare  principalmente  ciò  che  avea  re- 
lazione semplicemeule  cogli  oggetti  disciplinari  ,  da  cip 
che  involgeva  materie  di  fed»?;  egli  avrebbe,  per  quante 
può  credersi ,  combinato  col  Papa  le  disposizioni  neces- 
sarie per  la  convocazione  di  un  concilio  ,  al  quale  libe- 
ramente potessero  presentarsi  anche  le  deduzioni  dei 
dissidenti  ;  e  da  questo  sarebbe  nata  la  riforma  deside- 
rata della  Chiesa  senza  danno  della  cristiana  credenza  , 
e  risultato  ne  sarebbe  onore  grandissimo  alla  (Jhiesa  ipe- 
desima  ,  e  tranquillità  al  mondo  cristiano. 

Importantissimo  era  ,  che  alcuna  cosa  si  concedesse  ai 
riformatori ,  giacché  la  riforma  era  da  tutti  desiderata  , 
e  provocala  dagli  stessi  cattolici  più  zelanti;  e  non  po- 
lca facilmente  mandarsi  a  voto  un  tentativo  incominciato 
coir  applauso  di  numerosi  fautori:  ma  Carlo  V  non 
parve  disposto  ad  accordare  cosa  alcuna  neppure  alla 
forza  degli  argomenti ,  ed  alla  necessità  delle  circostanze. 
Importantissimo  era  ,  che  non  si  pregiudicasse  e  non  si 
portasse,  massime  4a  «alcuna  autorità  laica,    alcuna  de- 


63 

cisione  su  ^i  un  argomento  puramente  teologico,  e  spi- 
rituale :  e  Carlo  V  decise.  Importantissimo  era  ,  che 
troppo  non  si  comprimessero  i  partiti  già  potenti  e  nu- 
merosi, per  non  eccitare  reazioni  fui>esle  e  forse  fatali  ,  i 
per  non  ingrandirli,  per  non  irritarli  :  e  Carlo  V  piegò 
subitamente  alle  vie  del  rigore  ,  e  della  violenza.  Impor- 
tantissimo era  il  tenere  aperte  le  vie  di  riunire  al  grembo 
della  Chiesa  tutti  i  figlj  sviali  ,  e  dissidenti  :  e  Carlo  V 
troncò  la  strada  a  qualunque  successiva  riconciliazione. 
Importantissimo  era  il  tenere  almeno  in  sospeso  gli  ef- 
fetti delle  disposizioni  delia  Corte  Romana  ,  e  le  succes- 
sive sue  operaiioai  ,  finché  si  fosse  potuto  nelle  debite 
forme  convocare  un  concilio  :  e  Carlo  V  nulla  ebbe  di 
più  premuroso  che  di  spedire  a  Roma  la  sua  dichiara- 
zione centra  Lutero.  Ma  Carlo  V,  oltre  la  sua  naturale 
propensione  alla  religione  ,  ed  oltre  la  sua  grandissima 
venerazione  per  il  capo  della  Chiesa,  aveva  altresì  biso- 
gno dell'  assistenza  del  Papa  ;  avea  bisogno  del  suo  in- 
tervento in  molti  affari  politici,  ed  anche  nella  recente 
occupazione  delle  Indie;  avea  bisogno  della  investitura 
di  Napoli ,  del  qnal  regno  gli  si  contrastava  il  possesso 
pel  supposto  ostacolo  della  bolla  di  Clemente  1V\  bi- 
sogni tutti  ,  e  circostanze  ,  alle  quali  era  intieramente 
estraneo  l'Elettore  di  Sassonia,  il  quale  colla  sua  sa- 
viezza ,  colla  sua  prudenza  conosciuta  non  avrebbe  avuto 
in  vista  in  quel  grande  affare  se  non  i  vantaggi  in  ge- 
nerale della  Chiesa,  e  dello  Slato. 

Si  opporrà  forse  da  alcuno  ,  che  le  opinioni  ,  e  le 
dottrine  di  Lutero  erano  già  state  condannate  in  Roma, 
e  che  r  imperadore  Carlo  V  ^  e  la  Dieta  dell'Impero  , 
adunata   poco  dopo    il    suo    coronamento ,    altro    non    si 


$9 

pensarono  Hi  fare  eco  a  quella  condanna.  Ma  può  rispou- 
dersi,  che  da  tutte  le  bolle  Romane,  in  qualunque  forma 
esse  fossero  concepite,  Lutero  avea  appellato  al  Concilio 
generale;  e  se  T  imperadore  non  era  giudice  competente  in 
materia  di  fede,  (che  certamente  non  poteva  esserlo  )  lo 
era  bensì  per  decidere  a  norma  delle  libertà  Germaniche 
della  validità  di  quella  appellazione.  Tale  era  oltre  ciò  la 
gravità,  e  l'importanza  dell'  argomento,  che  anche  per  la 
conservazione  della  pubblica  tranquillità  degli  stali,  l'im- 
peraiJore  avrebbe  potuto  intervenire  ail  oggetto,  che  nuo- 
vamente si  discutesse  la  controversia,  e  fosse  pronunziato 
un  solenne  giudizio,  al  quale  tutte  le  parti  si  rimettes- 
sero ,   del   che  si   potrebbero   allegare   ben   molti   esempj. 

Basta  consultare  le  storie  di  quel  tempo  per  vedere  , 
che  non  mai  presero  tanto  vigore  le  nuove  opinioni,  non 
mai  prevalse  tanto  Io  spirito  di  partito,  non  mai  di- 
ventò così  generale  la  lotta  ,  non  mai  i  riformatori  sì 
portarono  a  co;ì  grandi  eccessi  ,  tanto  nelle  loro  opi- 
nioni ,  come  ne'  loro  maneggi  ,  e  nel  carattere  de'  loro 
scritti  ;  non  mai  si  reòe  inevitabile  lo  scisma  ,  se  non 
dopo  che  Lutero  fu  condannato  dalla  Dieta,  perseguitato, 
costretto  ad  occultarsi ,  attaccato  in  somma  coi  mezzi 
della  violenza.  Da  questi  sarebbe  stato  ben  lontano  l'e- 
lettore di  Sassonia  ,  ove  assunto  avesse  la  dignità  impe- 
riale, ed  infai'i  invece  di  proleggere  apertanoente  la  per- 
sona di  Lutero,  dacché  si  era  contro  di  esso  proceduto 
in  modo  contrario  al  di  lui  avviso  ,  egli  non  fece  che 
ordinare  il  di  lui  arresto  ,  e  tenerlo  per  lungo  tempo 
come  prigione  io  un  castello  tanto  per  sottrarlo  alla 
persecuzione  minacciata  ,  ed  al  furore  di  qualche  fana- 
tico,    quanto    per    troncare    la   via   a   nuove   più   scand»" 


7* 

lose  contestazioni.  Se  quel  principe  avesse  accettate  rìm- 
pero  ad  esso  deferito,    la   Romana  Corte  uon  si  sarebbe 
forse  illusa    sai    suoi    veri    interessi ,    e    su    quelli    della 
Ohiesa  in  generale  ;    non    si    sarebbe  lusingata  di  vedere         j 
colla  violenza  compresso  il   partito ,  é  soffocato  quel  ter-  ' 

ribile  incendio  ;  non  avrebbe  creduto  opportuno  di  insi* 
stere  più  lungamente  sui  punti  puramente  disciplinari  ^ 
o  giurisdizionali  ;  nulla  avrebbe  perduto  dell'  onor  suo  , 
della  sua  dignità  ,  del  legittimo  awo  potere  ,  ed  avrebbe 
probabilmente  accordato  quelle  concessioni ,  che  sostau- 
zialmente  formavano  il  primo  oggetto  della  rrforraa  al 
suo  nascere  ,  e  che  senza  punto  compro-nnettere  le  verità 
rivelate  ,  avrebbono  conservato  l' integrità  della  Chiesa  ^ 
e  la  tranquillità  del  mondo  cristiauo.  Al  che  è  pur  ne- 
cessario di  aggiugnere ,  che  il  primo  e  massimo  oggetto 
dei  novatori  era  quello  della  riforma  disciplinare  ,  e  che 
ove  questa  si  fosse  accordata ,  si  sarebbe  facilmente  ri* 
«uaziato ,  massime  dai  cristiani  laici,  o  non  istrutti, 
ebe  erano  i  più  numerosi  alle  quistioni  teologiche,  astrai- 
te ,  e  speculative. 

Può  dunque  ragionevolmente  conchiudersi  ,  che  sic- 
come l'elezione  di  Carlo  V ^  la  Dieta  convocata  poco 
dopo  quell*  epoca  ,  e  la  successiva  condotta  di  quel 
Principe,  produssero  sgraziatamente  1*  incremento  straor- 
dinario del  partito  della  riforma ,  e  la  formazione  dello 
scisma;  cosi  l'elevazione  dell'Elettore  di  Sassonia  alla 
imperiale  dignità  sarebbe  forse  stata  la  sola,  che  avrebbe 
troncata  la  strada  a  tanti  disordini ,  che  avrebbe  conci- 
liati gli  interessi  della  Chiesa  coi  desiderj  di  tutti  i  «avj 
amici  della  riforma ,  che  avrebbe  impedito  la  propaga- 
Ktone    di    nuove    opmioui    coatrarie    alla    fede  cattolica  j, 


7" 
che  avrebbe  impedito    in   scisma  ^    e  coDservata   la  pace 

universale  ,    e  la  libertà  della  Chiesa  cristiana. 

Noi  abbiamo  nel  VI.  volume  esaminata  la  qnislione  , 
se  la  riforma  promossa  da  Lutero  avrebbe  avuto  luogo 
nel  ceso,  che  invece  di  Leon  X  avesse  seduto  iutt' al- 
tro Pontefice  ;  in  questo  abbiamo  parlato  di  ciò  che 
forse  avvenuto  sarebbe  se  invece  di  Carlo  V  fosse  *a- 
Uto  all'impero  l'Elettore  di  Sassonia;  nel  nono  volume, 
parlandosi  dello  slato  della  filosofìa  in  Italia  in  quel  tempo 
6Ì  esaminerà  pure  guai  carattere  avrebbe  vestito  la  riforma^ 
e  quale  sarebbe  stata  verisimilmente  la  sua  rìuscii'a ,  se 
in  Italia  nata  fosse  e  non  nel  fondo  della  Germania. 

Vili. 

Alla  pag.   3  5.  Un.  6.  dopo  le  parole  : 
„  professore  della  letteratura.  " 

Gap.  XVIII.  §  IX. 

Ippolito  de'  Medici  fu  nominato  cardinale  nel  1329 
da  Clemente  VII ,  che  lo  spedì  tosto  legato  in  Germa- 
Dia  presso  l' Imperadore  Carlo  V.  Gli  storici  conven- 
gono che  egli  era  dotato  di  uno  spirito  marziale,  e  che 
amava  talvolta  di  vestire  da  guerriero,  ed  in  tale  abbi- 
gliamento dicesi  ,  che  egli  venisse  in  Italia  precedendo 
r  Imperatore  coi  più  valenti  gentiluomini  della  sua  corte. 
Questo  cagionò  qualche  gelosia  a  Carlo  V ,  che  dubitò 
non  forse  il  Cardinale  lo  precedesse  affine  di  disporre  il 
Papa  contro  di  lui  ;  egli  lo  fece  dunque  arrestare  ,  ma 
sentendo ,  che  la  precursione  non  procedeva ,  se  non  da 


un  tratto  ^puiloso  di   qnel  giovane  ,    dopo  cìi^que  giornj 
lo  rimise  in   libertà. 

La  spedizione  del  Cardinale  Ippolilo  in  Germania  im- 
mediatarneute  dopo  la  sua  elevazione ,  serve  a  mostrar* 
j>iù  improbabile^  se  non  manifestamente  falsa  ^  T  asser- 
zione di  alcnni  scrittori  ,  che  Sannazaro  in  prese.iza  dei 
Cardinale  Ippol'to  si  dicesse  vinto  dal  Fracasioro  nel 
poema  della  Sifìlide  ,  Sannazaro  che  morì  solo  un  anno 
dopo  cioè  nel  i53o.  Questa  osservazione  serve  ad  illu- 
strare, e  confermare  ciò  che  noi  abbiamo  detto  nella 
nota  addizionale  XXXIV.  del  precedente  Volume  p.  Zzj, 
e    026. 

Confidando  nello  spirito  guerriero  del  Cardinale  Ip- 
polito  ,  il  sacro  Collegio  spaventato  per  lo  sbarco  fatto 
in  Italia  dal  corsaro  Barharossa  negli  ultimi  giorni  di 
Clemente  Vii  ,  pregò  qnel  proporato  di  andar  sulle 
coste  per  difenderle  centra  il  furore  de'  barbari.  Il  Car- 
dinal* partì  infatti  da  Roma  ,  ma  giunto  sulle  coste 
trovò,  che  i  nimici  si  erano  ritirali,  e  tornò  glorioso 
da  (juesla  spedizione  senza  aver  incontralo  alcun  peri- 
colo. 

Le  rivalità  ,  che  insorsero  tra  esso ,  ed  Alessandro 
de  Mediti ,  e  delle  quali  si  è  fatto  cenno  anch°  dal 
sig.  Boscoe  ^  laddove  ha  parlalo  del  Derni;  (Tomo  VII. 
p.  72  ,  e  ij5  )  ebbero  per  motivo  la  preferenza  accor- 
data dal  Papa  Paolo  III  ad  Alessandro  de  Medici  nel 
principato  di  Firenze  ,  al  quale  lo  portava  la  sna  smo- 
derata ambizione.  Comecché  dubbio  possa  sembrare  ciò 
che  si  dice  nel  passo  citato  di  questa  storia  in  ptopo- 
jito  del  Berni ,  A  certo  però,  che  il  Cirdinale  congiurò 
''Pntra  la  vita  di  Alessandro  ;  che  si   narra  perfino ,  che 


il 

egli  disponesse  centro  del  rivale  una  mina ,  che  non 
riuscì;  e  che  il  Cardinale  medesimo  intimorilo  per  il 
seguito  arresto  di  una  delle  sue  guardie,  ritirossi  in  un 
castello  presso  Tivoli,  e  (li  là  fuggir  volendo  a  Napoli, 
eadde  malato  a  Itri ,  dove  mori  nel  i535  in  età  solo 
di  ventiquattro ,  o  venticinque  anni ,  se  vera  crediamo 
r  epoca ,  che  assegnasi  alla  sua  nascita ,  sulla  quale 
nelle  mie  note  al  testo  ho  mosso  qualche  dubbio. 

Dicesi  ,  che  egli  lasciasse  un  figlio  naturale  nominato 
Asdrulale  de  Medici ,  che  fu  fatto  cavaliere  di  Malta. 
Dii;esi  ,  che  portasse  abitualmente  la  spada  ,  e  non 
prerìdesse  gli  abiti  cardinalizj  se  non  nelle  occasioni  di 
solenni  cerimonie.  Quello  è  certo,  che  la  di  lui  casa 
era  l' asilo  degli  infelici  di  tutte  le  nazioni  ,  talvolta  an* 
xìora  di  uomini  coperti  di  delitti  ;  che  essa  era  aperta 
ai  letterati,  massime  ai  poeti  ,  e  che  egli  divideva  il  suo 
tempo  tra  il  divertimento  delle  caccia ,  gli  spettacoli 
drammatici,  e  la   poesia. 

IX. 

Alla  pag.   35  alla  fine  del  §  IX.   Cap.  XVllI. 

Sebbene  si  attribuisca  l'elevazione  di  Alessandro  de' Mc' 
dici  ai  maneggi  di  Clemente  VII ,  che  senza  dubbio  vi 
ebbe  alcuna  parte;  sembra  tuttavia,  che  quella  fosse 
opera  particolarmente  dell' imperadore  Carlo  V.  Questo 
sovrano  essendosi  impadronito  di.  Firenze  dopo  m/ osti- 
nata resistenza  ,  credette  di  po'er  disporre  liberamente 
della  sovranità  di  quel  paese,  ed  accordella  ad  Alessan- 
dro,  al  quale  diede  pure  in  moglie  Margarita  d'Austria^ 


74 

sua  figliuola  naturale.  E  vero  bensì ,  che  secondo  la  ca* 
pitolazione  convenuta  coi  Fiorentini ,  il  nuovo  Duca  noa 
avrebbe  dovuto  essere  se  non  come  un  Doge  ereditario, 
e  la  di  lui  autorità  sarebbe  stata  temperata  da  alcuni 
consigli  ,  che  conservavano  in  qualche  modo  un  sima- 
lacro  della  loro  antica  independenza.  Ma  Alessandro  , 
sostenuto  dall'  Imperadore ,  e  dal  Papa  ,  governò  piutto* 
sto  da  tiranno  che  da  buon  principe ,  altra  regola  non 
proponendosi  che  i  suoi  capricci  ,  e  dominar  lasciandosi 
dalle  più  brutali  passioni.  Si  dice  ,  che  egli  si  compia* 
cesse  dì  disonorare  le  più  illustri  famiglie ,  e  che  i 
chiostri  non  fossero  on  asilo  bastevole  contra  la  di  lui 
libidine. 

Non  essendo  riuscito  il  tentativo  fatto  dal  Cardinale 
Ippolito  per  torlo  di  vita,  Lorenzo  de'  Medici,  altro  dei 
di  lui  parenti ,  e  compagno  delle  di  lui  crapule  ,  ecci- 
tato da  Filippo  Strozzi,  uno  de' più  zelanti  repubblicani 
di  Firenze  ,  lo  pugnalò  nel  mese  di  genoajo  del  i53^  , 
mentre  Alessandro  non  aveva  che  veatisei  anni.  I  Fio- 
rentini  non  recuperarono  per  questo  la  loro  libertà  ;  ed 
essendo  prevaluto  il  partito  de' Medici ,  Cosimo  succe- 
dette ad  Alessandro  ,  ma  con  un  giusto ,  e  moderato 
governo  seppe  riguadagnare  1""  affetto  del  popolo. 

L'  intervento  potente  di  Carlo  f^  a  favore  di  Alessan- 
dro ,  che  realmente  lo  condusse  ad  essere  principe  di 
Firenze ,  può  rendere  in  qualche  modo  dubbiosa  la 
supposizione  accennata  anche  dal  sig.  Roscoe ,  ohe  Ales- 
sandro fosse  figlio  di  Clemente  VII  ,  giacché  quella 
supposizione  non  si  appoggia  se  non  all'  interessamento 
preso  da  quel  Papa  per  inalzarlo  al  grado  di  Duea. 


>5 
X. 

Mia  pag.  38  alla /ine  del  §  X.   Capo  XFIII. 

Si  tede  ben  cliiaro  da  questo  tratt»  di  Storia ,  o 
dalle  citazioni  del  sig.  Roscoe ,  che  i  Prelati  Romani 
più  giudiziosi  avevano  già  censurato  la  condotta  di 
Leon  X  j  e  ne  temevano  ancora  effetti  più  riprovevoli ,  e 
più  disgustosi ,  per  titolo  del  Nipotismo  propriamente 
detto 3  che  l'autore  non  ha  voluto  nominare.  Questo  vi- 
zio infatti,  o  questo  difetto ^  questa  tendenza  a  bene^- 
care  ,  a  favorire  j  ad  inalzare  i  nipoti ,  o  altri  pros« 
8Ìmì  parenti  ,  con  danno  spesse  volte  dell'  ordine  pub- 
blico, della  regolare  disciplina  ,  e  dello  stato  Pontificio, 
e  della  Chiesa  medesima ,  è  stata  più  volte  notata  nei 
Papi,  e  con  qualche  acrimonia  rimproverata  a  diversi 
negli  scritti  de'  Protestanti  non  solo ,  ma  de'  Cattolici 
medesimi ,  ed  alcuni  volumi  circolano  ancora  sotto  il 
titolo  del  Nipotismo  di  Roma ,  scritti  da  penna  infelice, 
ed  oscura ,  ma  contenenti  molti  fatti  pur  troppo  veri  3 
ed  incontrastabili. 

A  Leon  X  può  veramente  rimproverarsi  lo  studio , 
mostrato  fino  dal  principio  del  suo  PoatiQcato,  di  ele- 
vare il  di  lui  uipote  Lorenzo  ad  una  sovranità  ;  pQò 
rimproverarsi  la  guerra  violenta ,  mossa  forse  con  que- 
sto fine ,  e  difficilmente  scusabile  sotto  altro  pretesto 
qualunque,  contro  il  Duca  d'Urbino;  ma  ad  eccezione 
di  questi  fatti ,  altri  allegare  non  si  potrebbero ,  che 
infetto  il  provassero  di  Nipotismo.  Checché  dica  poeti- 
camente r  ArUst»  nella  sua  satira  ^    da   noi  riferita  per 


7-6 

intiero  nel  preoedenle  volume  ;  egli  fa  assai  parco  hpÌ 
promuovere  alle  prime  dignità  della  Chiesa  i  di  Ini 
prossimi  parenti  ,  e  quelli  promosse  soltanto  j  ohe  rive- 
stiti erano  di  un  merito  reale  ;  egli  non  si  prestò  giam- 
mai alle  viste  ambiziose  di  Lorenzo  ;  egli  no^i  attentò 
alla  libertà  ,  é  ad  un  cangiamento  nella  forma  del  go- 
verno di  Firenze  ,  che  forse  avrebbe  potuto  operarsi 
senza  ^ravi  difficoltà  ;  egli  procurò  bensì  al  nipote  con 
mezzi  importuni  j  se  non  illeciti  j  il  ducato  d'Urbino, 
ma  non  aderì  alle  proposizioni  ,  né  diede  retta  ai  fanta- 
stici disegni,  che  da  Lorenzo  diceansi  concepiti  al  fine  di 
riunire  alia  sovranità  di  Uibino  quella  pure  di  Firenze, 
di  Siena,,  e  di  Lucca,  e  formarne  un  regno,  che  con- 
tribuito avrebbe  forse  alla  felicità  dell'Italia;  egli  final- 
mente dopo  la  morte  di  Lorenzo  nulla  tentò ,  che  dir 
si  potesse  diretto  alT  ingrandinaento  della  sua  famiglia,  o 
-di  alcuno  de'  suoi  parenti  ,  e  rigettò  1'  assoluto  dominio 
di  Firenze  ,  che  ad  esso  ,  o  al  Cardinal  Giulio  de'  Me- 
dici era  stato  proposto  ,  sebbene  con  una  maliziosa  al- 
ternativa 5  da  Niccolò  Macchiavelli. 

Non  abbiamo  inserito  questo  cenno  affine  di  liberare 
intieramente  il  nouìe  di  Lpon  X  da  quella  taccia  ;  ma 
solo  ad  oggetto  di  far  vedere ,  che  se  qualche  fonda* 
mento  ha  nella  storia  la  censura  contro  del  medesimo 
portala  per  questo  titolo,  di  eiso  non  può  dirsi  tuttavia 
giastatneule  ciò  ,  che  dissero  varj  scrittori  eterodossi  ,  e 
Latomo  specialmente  ,  ohe  scherzando  sugli  attributi  del 
Leone,  parlò  sempre  della  sua  avidità;  e  molto  meno 
può  dirsi  senza  dubbio  di  quello  ,  che  rinfacciare  pote- 
vasi  ad  alcuni  dei  di  lui  predecessori  ,  dei  quali  abbia- 
mo anche  parlato  altrove  ,  e  di  quello  che  divenne  o^- 
gelco  di  ceo&ura  in  varj  de' di  lui  successori. 


77 
XI. 

Alla  pag.   4o  li'^-   3   e  4  dopo  le  parole  : 
„  le  circostanze  di  que'  tempi  sembravano  richiedere.  *' 

Gap    XVIII.   §  XI. 

Lo  scritto  di  Macchiavelli  è  pieno  di  filosofia,  di 
profonda  politica  ,  ed  anche  di  erudizione.  Ma  ciò  che 
potrebbe  desiderarsi  in  quel  discorso,  ed  a  che  forse 
ha  posto  mente  il  sig.  Boscoe  ,  è  la  mancanza  di  viste 
relative  allo  stato  di  Firenze ,  e  dell'Italia  in  generale  a 
froute  delle  potenze  estere  ,  e  dell'Europa,  e  la  mancanza 
pure  di  calcolo  dell'effetto  politico,  che  la  disposizione 
in  uno  o  m  altro  modo  dello  stato  di  Firenze  avrebbe 
portalo  su  quel  sistema  d'equilibrio,  che  in  Europa 
erasi  di  recente  stabilito,  e  di  cui  sembra  che  si  fosse 
piantato  il  centro  in  Italia  ,  siccome  noi  abbiamo  altrove 
accennato.  Macchiavelli  sembra  non  essersi  occupato  ia 
quello  scritto  se  non  dello  stato  attuale  della  città  di 
Firenze  in  que'  tempi ,  e  delle  sue  immediate  relazioni 
colla  famiglia  de*  Medici  ;  ma  non  sembra  aver  posto 
mente  alle  circostanze  ,  nelle  quali  trovavasi  la  persona 
del  Pontefice,  alla  doppia  sovranità,  che  in  esso  si  sa- 
rebbe cumulala,  ove  il  governo  di  Firenze  si  fosse  di- 
chiaralo dispotico ,  alla  incongruenza  di  questa  riunione 
di  autorità^  di  diritti,  di  poteri,  di  rappresentanze  in 
una  sola  persona,  alla  gelosia,  che  la  sola  mutazione  di 
forma  di  quel  governo  avrebbe  destata  nei  sovrani  tutti 
dell'  Europa  ,    all'  «ffetlo  ,    che    avrebbe  potuto  produrr© 


78 

r  interrento  lero  in  un  afrore  di  tal  natura ,  ed  il  spio 
dissenso  di  alcuno  dei  grandi  potentati  dalla  massima 
politica,  che  adottata  si  fosse  a  questo  riguardo.  Per 
convincersi  dell^  importanza  di  questi  oggetti ,  basta  il 
riflettere,  che  i  più  potenti  Sovrani  avevano  allora  gU 
occhi  aperti  sul!'  Italia  ;  che  ognuno  portava  su  questa 
regione  sfortunata  viste  d'interesse,  e  d'ambizione,  sic- 
come infatti  vi  scesero  di  là  a  non  molto  Carlo  V  y  e 
Francesco  I  ad  una  lotta  sanguinosa  ,  e  memorabile  ;  e 
che  mai  venuti  non  erano  sovrani  esteri  coi  loro  eserciti 
in  Italia  ,  che  contato  uoa  avessero  sulla  debolezza , 
«ulla  suscettibilità  di  essere  influenzato,  insomma  sullo 
stato  sempre  incerto ,  ed  oscillante ,  sullo  stato  nel 
quale  allora  trovavasi  il  governo  di  Firenze.  Ma  questo 
portato  alla  forma  di  un  governo  assoluto,  questo  in- 
grandito ,  come  potea  ragionevolmente  congetturarsi,  col- 
r  aggiunta  di  tutta  la  Toscana,  fors' anche  di  altri  stati 
limitrofi,  e  del  ducato  d'Urbino,  che  riunito  non  era 
ancora  ai  dominj  della  Chiesa  stessa,  questo  riunito  nella 
persona  medesima  alla  sovranità  di  tutti  gli  stati  della 
Chiesa  ,  ai  numerosi  fendi  della  Chiesa ,  agli  stati  di 
Parma  ,  e  Piacenza ,  che  allora  non  sarebbe  forse  riu- 
scito difficile  il  ricuperare  ;  questo  confidato  con  tutti  i 
suoi  accessori  ad  un  Pontefice  iiluaiiuato  ,  sagace,  at- 
tivo ,  intraprendente  ,  che  già  avea  lottato  coi  primarj 
sovrani  ,  e  predicando  la  pace  si  era  mostrato  disposto 
a  guerreggiare  ;  costituito  avrebbe  una  monarchia  po- 
tente ,  e  formidabile  ,  situata  nel  centro  dell'  Italia  ,  e 
nel  punto  più  essenziale  per  1'  Europa  ,  circondata  di 
tutti  gl'ingegni  più  pronti,  e  più  valorosi,  fornita  di 
tytti    i    mezzi    per    sosleuere    i    suoi  diritti  |    e    queBtaj, 


79 
sebben  lontana  dai  confini,  traendo  necessariamente  tulli 

gli  slati  d'Italia  al  suo  parlilo,  ed  assoggettandoli  alle  sue 
disposizioni,  avrebbe  chiuso  a  qualunque  estera  potenza 
l'accesso  all'Italia,  e  forse  private  le  avrebbe  di  quegli 
stati,  che  in  essa  possedevano.  Meno  pericolosa,  e  meno 
soggetta  ad  opposizione  sarebbe  stata  la  restituzione  dì 
Firenze  alla  sua  Ubcrtà  ,  e  massime  lo  stabilimento  di 
una  temperala  democrazia,  come  Macchiavello  l'insinuava, 
ma  questa  pure  avrebbe  fatto  nascere  de'dubbj  sulla  sua 
successiva  costituzione,  sul  suo  possibile  ingrandimento, 
e  sulla  forma,  che  vestita  avrebbe  dopo  la  morte  dei 
tlue  Medici 3  l'uno  Pontefice,  l'altro  Cardinale.  Né  altre 
forse  furono  le  ragioni,  per  le  quali  Leon  X  fa  indotto, 
probabilmente  col  consiglio  dei  politici  di  Roma  più  av- 
veduti ,  a  non  accettare  né  l'  uno  né  l'  altro  partito  da 
Macchiavelli  proposto,  ma  a  lasciare  il  governo  di  Fi- 
renze nello  stato  nel  quale  allora  si  trovava.  In  Roma 
probabilmente  si  ponderò  la  cosa  sotto  tutte  le  viste  ,  e 
si  fece  attenzione  alle  relazioni  esistenti  cogli  stati  esteri 
più  potenti ,  e  più  lontani ,  ed  agli  effetti  ,  che  avrebbe 
potuto  produrre  la   loro  gelosia  ,   e  la   loro  opposizione. 

Macchiavelli  f  che  in  questo  più  che  in  altri  suoi 
scritti  sembra  aver  fatto  conto  dei  grandi  prlucipj  della 
politica  d'Aristotele,  s'attenne  alle  generali  teorie;  esa- 
minò i  pericoli ,  che  correr  possono  i  governi  monar- 
chico ,  e  repubblicano;  escluse  ben  con  ragione  qualun- 
que forma  intermedia  ,  e  dopo  di  avere  proposto  al 
papa  i  due  estremi,  si  diede  a  considerare  le  partico- 
lari circostanze  della  città  di  Firenze,  e  dal  principio 
dell'  eguaglianza  ,  che  già  vi  esisteva  di  gradi  ,  e  di  ric- 
chezze ,  partì  per  insinuare  al  Papa  di  ristabilire  in  Fi- 


8o 

renze  una  libertà  temperata,  senza  farsi  alcun  carico  di 
altri  oggetti,    o    di  altre  viste,    che    entrar    potevano  in 
quella    discussione.     Forse    al    Segretario     Fiorentino    fu 
fatta  la  domanda  in  termini  più   precisi,  e  più  ristretti, 
che  non  sono  a  noi  noti  ;    e    v'  ha    motivo    di  dubitarne 
al  vedere  ,    che    il    titolo  del  discorso    si  limita  solo  al- 
l' oggetto  del  riformar  lo  stato  in  Firenze.   Forse  il   de- 
stro politico  non  vide  alcun   pericolo  nella  sua  democra- 
zia   temperata  ;     che    avrebbe    per    avventura    ricondotto 
Firenze  allo  stato  nel  quale  allora  si   trovava,  e  credette 
di  insistere  con  argomenti   tratti  dalla   storia,  e  dall'  elo- 
quenza su  questa    seconda    proposizione  ,    e    non    dubitò 
nemmeno ,    che    si    potesse    discutere  ,    non   che   abbrac- 
ciare la  prima  ,  quella  cioè  di  un  governo  dispotico  ;    e 
questo  motivo  lo  trattenne  dairesamiuarne  a  fondo  gl'io- 
convenienli  ,   gli   ostacoli  ,   e   le   conseguenze   pericolose. 

Il  punto  politico  del  pericolo  imminente  alle  repub- 
bliche per  una  tendenza  del  popolo  verso  la  monarchia, 
accennato  da  Macchiavp.lli  ,  è  stato  io  modo  singolare 
trattato  da  Ciriaco  Lentulo,  o  forse  da  alcun  altro  sotto 
quel  nome  ,  in  un  libretto  curioso ,  che  ha  per  titolo  : 
Cyriaci  LentuU  Jugusfus  ,  sive  do  convcrtetida  in 
Monarchiam  /ìppublica  ,  stampalo  in  Olanda  verso  la 
metà  del  secolo  XVII.  Vi  si  trova  l' argomento  illu- 
strato  con   moltissima    storica  erudizione. 

Di  Maofhiavelli ,  e  degli  altri  di  lui  scritti,  si  par- 
lerà lungamente  nel  Tomo  X  di  quest'opera.  Gap.  XXL 
^  XI.  Xil .  e  XIII. 


XII. 

Alla  pag.  4^  lì^-    14-15  dopo  le  parole: 
,,  il  periodo  più  luminoso  della  sua  vita.  *• 

Gap.  XVIII.  §  XII. 

Il  sig.  Roscoe  ha  fatto  un  quadro  molto  onorevole 
<^ei  talenti ,  e  della  moderazione  ,  sviluppata  dal  Cardi» 
pale  Giulio  de'  Medici  nel  suo  governo  di  Firenze.  Pur 
tuttavia  egli  affettò  ,  per  quanto  appare  ,  un  rigore 
straordinario,  diminuì  a  tutto  potere  que' languidi  re- 
sidui di  libertà  ,  coi  quali  il  popolo  si  illudeva  ;  com- 
presse con  qaalolie  violenza  le  fazioni  ,  e  diede  motivo 
in  un  breve  periodo  a  sollevazioni  ,  e  congiure  ,  di  una 
delle  quali  ha  fatto  menzione  anche  il  sig.  Roscoe  , 
parlando  delle  avventure  ,  che  condussero  Luigi  Ala^ 
manni  in  Francia.  Gli  storici  F"iorentini  non  sono  ben 
d'  accordo  sulle  lodi  ^  che  si  sono  date  da  alcuni  al  di 
lui  governo  ,  ed  altronde  non  sarebbe  difficile  il  ricono- 
scere tra  questi  i  partigiani  dichiarati  dei  Medici. 

Può  essere  ,  che  quell'  uomo  ,  che  tutti  hanno  carat- 
terizzato 3  come  falso  politico  nel  corso  del  suo  Pontifi- 
cato ,  e  solilo  ad  ingannarsi  ne'  suoi  calcoli  ;  incapace 
fosse  di  raggiugnere  col  suo  pensiero  i  grandi  sistemi  , 
e  le  viste  sublimi  della  scienza  di  governo,  ed  atto  fosse 
all'opposto  alla  amministrazione  limitala  di  un  municipio , 
0  di  un  piccolo  slato,  diretta  anche  e  sorvegliata  di  conti- 
nuo, come  il  sig.  Roscoe  lo  ha  espressamente  fatto  sentire 
^alla  corte  di  Roma.  Quanto  all'  aver  egli  diminuito^ 
Leone  X.   Tom.   7111.  ^ 


83 

sensibilmente  la  somma  del  debito  pubblico  ,  ed  all'aver 
riempito  il  tesoro,  titoli  di  lode  dal  sig.  Roscoe  annun- 
ziati ;  questi  fatti  non  debbono  generar  meraviglia  ,  giac- 
che si  sa ,  eli'  egli  era  per  carattere  d'  una  straordi- 
naria economia  ,  che  quasi  arrivata  alla  sordidezza.  Si 
narra,  che  un  giorno  gli  si  parlasse,  come  di  cosa  ma- 
ravigliosa  ,  di  un  cittadino  di  Roma  ,  che  passali  avea 
Tenti  giorni  senza  prender  cibo:  n  peccato  ,  diss'  egli, 
che  non  si  possa  formare  un*  armata  d'  uomini  di  que- 
sta fatta  :  <■<-  il  che  veramente  egli  avrebbe  potuto  dire 
per  sola  piacevolezza  ,  ma  alcuni  storici  ,  fanendooe  una 
applicazione  al  noto  suo  carattere  j  lo  interpretarono  per 
un   sentimento  d'avarizia. 

Dal  resto  noi  lo  abbiamo  veduto  nel  corso  di  questa 
storia  spedito  dal  Papa  a  comandare  l'armata  diretta 
contro  il  duca  d'  Urbino  .  dopo  che  Lweiizo  de'  Medici 
era  rimasto  ferito  sotto  la  fortezaa  di  Momlolfo  CTom.  VI. 
pag.  4^0  e  \')j'  Il  Cardinale  Giulio  sopì,  è  vero,  o  piut- 
tosto impedì  le  contese  ,  che  suscitate  eransi  tra  diversi 
corpi  di  truppe,  e  tra  i  soldati  di  diverse  nazioni,  che 
militavano  al  servizio  del  Papa,  ma  scontentò  tutti , 
produsse  una  diserzione  fatale ,  per  cui  i  corpi  interi 
paìsavaao  al  servizio  del  Duca  nemico  ,  disorganizzò 
tutta  r  armala  ,  e  f u  egli  stesso  in  grandissimo  pericolo 
delia  vita. 


XIII. 

Alla  pag.   l\Q  Un.    19  dopo  le  parole  : 
„  riseibata  a  più  alti  destini.  " 

Gap.  XVIII.  §  XIII. 

Non   sono  ben    chiare    alcune    enunciative    di    questo 
paragrafo.    Dice  T  autore  ,    che  la    giovane  figlia  di  Lo- 
renzo avea  dopo  la  morte  del   padre    diritto  allo  scettro 
ducale  ;    ma  che  si  prevedevano  gli  svantaggi,    che  de- 
rivar potrebbero    da  un   tale  governo  ,    e    ohe  Cattarlna 
era  riservala  a  più  alti  destini.  Che  essa  succeder  dovesse 
a  Lorenzo  nel  ducato  ,  non   risulla   veramente  dai  docu- 
menti    inseriti    nei    codici    diplomatici  ,    ed    improbabile 
sembra    che    si    accordasse    il  trapasso   nelle  femmine  di 
un  dominio  conceduto  colla  riserva  del  vassallaggio  verso 
la   Chiesa^   ad    un   principe   ch'era  iu   quel   tempo  capitano 
generale  dell*  armi  Pontificie.    Che    si   potessero  altronde 
prevedere  degli  svantaggi    da  una  reggenza  ,    che    si    sa« 
rebbe  dovuta  inslituire  durante  la  minorità  di  Cattarlna 
ed  alla  testa  della    quale    si    sarebbe    posto  il   Cardinale 
de' Medici,    o    altra    persona  benevisa  al  Papa;    sembra 
affatto  improbabile  ,    ne    saprebbe    ragionevolmeule  spie- 
garsi quali  svantaggi  si  temessero ,  giacché  quel  governo 
sarebbe  proceduto    in   uno  siile   medesimo  ,    e    forse  an- 
cora con   ordine   migliore  ,    che    n«n     era   sotto  Lorenzo- 
Più  improbabile   è  ancora,  che  di    Cattarlna,  che  allora 
non  avea  più  di  un  anno  d'  età  ,  si   pensasse  già  di  fare 
«na  Regina  di  Francia,  e  che  es^a  potesse  dirsi  in  quel- 
r  epoca    riservata    a    più    alti    destini.    Niente    implicava 
ioeltre  per    quest'oggetto,    che    invpstita    essa   fosse  de' 


84 

ducalo  (\\  Urbino;  anzi  dotata  di  tin  titolo  di  sovranità, 

si  sarebbe  forse  considerata  più  disposta,    più   adattata, 

più  vicina  a  divenire    la    sposa    del   figlio  di  un    poteutc 

Monarca 

Il  ()iù  verisimile  è  che  allora  punto  non  si  pensasse  allo 
stabilimenio  di  Caf tarino  ,  che  non  fu  fatta  sposa  del 
Duca  d'Orleans,  se  non  negli  ultimi  anni  del  Pontificato 
di  Clemente  VII,  cho  morì  nel  iSó^:  e  che  essa  non 
fosse  abilitala  a  succedere  al  ducato  d'Urbino,  accordato 
in  pieno  concistoro  al  di  lui  padre,  allora  generale  del- 
l' armi  della  Chiesa  ;  dominio  ,  che  i  Medici  non  si  sa- 
rebbero lasciati  cosi  facilmente  sfuggire  dalle  mani  ,  se 
{osse  stato  possibile  il  conservarlo;  che  la  giustizia,  l'e- 
quità, fors' anche  la  pubblica  voce  riclamassero  alta- 
mente la  riunione  di  quel  dominio  al  territorio  della 
Chiesa  ,  perchè  colle  armi  della  Chiesa  era  stato  con- 
quistato,  e  dissipati  si  erano  i  tesori  della  Chiesa  in 
quella  mal  intesa  spedizione  ;  e  che  quindi  il  Papa  ,  ri- 
chiamato fors' anche  dalla  morte  del  nipote  a  più  gravi  ^ 
ptù  scrii  ,  e  più  giudiziosi  pensamenti  ,  dopo  aver  asse- 
gnato una  porzione  di  quel  territorio  in  compenso  ai 
Fiorentini  per  le  spese  da  essi  fatte  nella  guerra  ,  cosa 
alla  quale  non  si  era  avvisato  dapprima  ,  riunisse  il  ri- 
manente,  affine  di  chiuder  la  via  a  qualunque  reclama- 
zione ai   domi)  j  della   Chiesa, 

Non  entreremo  nella  quistione  troppo  dilicata  ,  se  più 
onorevole  non  sarebbe  stato  per  il  Papa  la  restituzione 
di  ffiiegU  stati  al  legittimo  loro  Sovrano  ,  di  quello  che 
sarebbe  slata  umiliante  per  il  Papa  medesimo  la  confes- 
sione ,  che  fatta  avrebbe  colla  restituzione  suddetta  ,  d^ 
«ver  commesso  un  atto  d' ingiustizia  uelT  espellerlo.. 


APPENDICE. 


DOCUMENTI  RARI  O  INEDITI 

CHE    ILLUSTRANO 

LA  VITA  ED  IL  PONTIFICATO 

DI 

LEONE    X. 


87 
CONTINUAZIONE  DE'  DOCUMENTI 

CHE  ILLUSTRANO 

IL    SESTO    VOLUME. 


N.  CXXXVIL 

(  Voi  VI.  p.  9.  ) 
R^mer ,  Foedera.  tom.   VI.  par.  I.  p.   109. 

Promissio   Spcretarli  Ducis  Medìolan''  prò   10000  Ducei. 
soh'eridis  singulis  Annis  Cardinali  Ehoracensi. 

Ego  Michael  de  Ablatis  Secretarius  Illustrissimi  Ducis 
Ulediulani  promitto  et  obligo  Me,  ex  parte  dicti  Illu- 
strissimi Ducis  Domioi  mei  ,  quod  Decem  Milla  Duca' 
torum  fideliter  in  Anglia  persolventur  Revereudissimo 
Domino  Cardinali  Eboracnsi  j  secùndum  promissuiu 
quod  ex  commissione  dicti  Illustrissimi  Ducis  mei  Domi* 
nationi   ejus  Reverendissimae  feci. 

Persolventur  autem  singulis  annis  vivente  praefalo  II- 
lustrirsirao  Duce  ,  et  succedente  in  Principatu  ipsius  Pi- 
llo vel  Fratre. 

Et  prima  solutio  inclpiet  postquam  praefatns  Illustris- 
aimus  Dux  meus  sit  liberatus  a  qaolestiis  Gallicis,  et  sit 
«ecuras  de  Statu  suo. 


Et  dictus  Reverendissimus  Dommus  Cardinalis  prt,- 
KÌttet  quòJ  erit  perpetua  et  iaviolabilis  araioitià  ioler 
Invinti>8Ìmura  AngUae  et  Franciae  Begem  ,  et  dictnru 
Illustrissimum  Dominwm  meura  ,  mediante  praefato  Re* 
Terendissiaio  Domino   Cardinale. 

In  cu)us  rei  Fidem  haac  Cedulam  manu  propria  scripsi 
et  subscripsi. 

Ita  est ,  idem  Michael  mauu  propria  scripsi  et  sub- 
scripsi. 


N.«  CXXXVIII. 

(  Voi.  VI.  p.    36.  ) 

Leoni j  vita  di  Francesco  Maria  Duca  J'  Urbino. 
Ven.   i5o6. 

Lettera  di  Francesco  Maria  Duca  d'  Urbino ,  al  Sacro 
Collegio   da    Cardinali ,   a    Roma. 

RevereDdissimi  Domini  mei  osservandìssimi.  Io  mi  son 
persuaso  sempre  che  la  mia  così  lunga  perseculione  , 
che  m'  ha  posto  in  tanti  pericoli  ,  non  habbia  però  mai 
havuto  forza  di  mettermi  io  disgrazia  delle  SS.  VV.  Re- 
Tcrendissime ,  e  farmi  gli  animi  loro  nemici  :  anzi  sott 
ben  cerio  5  che  elle  sempre  m'habbiano  havuto  compas- 
sione ,  e  sonsi  dolute  delle  mie  disgralie.  Et  io  in  tante 
mine  non  ho  sentito  refrigerio  alcwno ,  se  non  la  opi- 
nione ferma     tra    me    stesso ,  che  cotesto  sacro  Collegio 

(i)  Manca  la  data  in  questo,  come  io  molti  alici  atti  di /!/-< 
mcj-j  ma  può  credersi  del  i5i5,  o  j3i6. 


89 

giudicasse ,    che   io  non    fussi  degno  io  modo  alcuno  di 
tal  perseoulioae.  Però  esseadoli    io    humilissimo  servo  et 
ubidiente    come  sono    stato    sempre,    e  sarò    finché    mi 
duri    la  vita,    mi  tengo  obligato  a  render  loro  conto    di 
ogni    mia    attiene  ,  et  escusarmi    di    quello  di  che  forse 
dai  malevoli  miei    io  potessi  essere   imputato    appresso  le 
Signorie  Vostre  Reverendissime,  nelle  quali    ho  posto  la 
speranza  di  ogni     mio   presidio.    Penso  adunque  ,  eh'  elle 
havranno   inteso  questo  mio  nuovo   movimento  con  genti 
verso  lo   Sialo   mio  :    il  che    è  causato  non  da  voler  di- 
sturbare  né    travagliare  le    cose  della    Chiesa,  né  esserle 
mai    molesto     in   parte    alcuna  ;    ma  più  tosto  per  com- 
mettere la  vita  mia  all' essito   della  Guerra,  la  quale  ia 
questo   caso  spero  ,  che  sarà  Ministra  di  Dio  ,   et  egli  la 
governerà    con   la   briglia  della  ragione  in  modo  ,  che  sì 
come    la   mia   ionocentia    è  nota  al    cospetto  di  Sua  Di- 
vina Maestà  ,  così  sarà  ancor  manifesta  a    tutto  il  mon- 
do.   E  con    questa    confidentia    mi   movo  non  per  teme- 
rità ,    o    presontione ,    che    ben  posso    esser    certissimo , 
che  non  che  le  mie  forze ,  le  quali   hora   son  quasi  nulle, 
ma  ne  ancor  quelle  di  qual  sia  grandissimo  Rè  non  ba- 
sterieno  per  resistere  alla  po-tentia  di  N.  S.  collegato  con 
tutti    i   Potentati ,    et    Re  Christiàni.    Ma    Dio  che  è  Rè 
dei  Rè  ,  e  può  ogni  cosa  ,   potrà  ancor  soccorrere  me  in 
questa  calamità  ,  e  così  spero  sarà  mio  defensore  :    per- 
chè esso  il  quale  vede    1*  intrinseco  de'  cuori    degli  huo- 
mini  sa  ,  che  uiun'  altra  via  né  di  riposo  né  pur  di  vita 
m'  era    restata.    Però  che  essendomi    ridulto   in  Mantoua 
appresso  l' illustrissimo  Signor  Marchese  mio  suocero  ,  e 
quasi  postomi  volootariameote  in  prigione  ,  havendo  per- 
dale tutte  le  fortezze  dello  Slato,  e  quaato  io  teneva  al 


90 

Moneto  ,  e  volcntlo  anco  promettere  a  Nostro  Signore  Ai 
non  innovar  cosa  alcuna  neilo  S  ato  mio  p-er  disturbat-ne 
il  Nipote  a  cui  Sua  Santità  l' haveva  dato,  ma  solanaente 
defiderando  di  vivere,  mai  non  ho  potuto  ottenere,  che 
le  censure  mi  sieno  levate  ,  anzi  sempre  contra  me  sono 
usciti  novi ,  et  acerbissimi  Interdetti ,  et  espressi  com- 
mandamenti  all'Illustrissimo  Signor  mio  Suocero,  e  Pa- 
dre j  che  non  mi  tenga  nello  Siato  suo.  Et  oltre  a  ciò 
ogni  di  mi  si  sono  scoperte  insidie  di  veneno,  e  di  ferro^ 
le  quali  «ulte  attribuisco  ai  miei  malevoli  ,  non  alla  San- 
tità di  Nostro  Signor ,  che  so  bene  essere  impossibile , 
che  con  la  clementia,  e  bontà  sua  fosse  congiunta  una 
così  ardente  scie  del  sangue  mio  ,  et  una  cosi  perfida 
ingratitudine  contra  di  me  j  dal  quale  (lasciando  le  cose 
più  vecchie,  che  facilmente  si  scordano)  Sua  Santità, 
e  tulli  i  suoi  hanno  ricevuti  infiniti  benefici  in  quei 
tempi  che  la  Casa  sua  era  ne'  termini  ,  in  che  bora  ha 
posto  me.  Ma  quelli  che  hanno  procurato,  e  tuttavia 
procuravano  la  mia  ruina  ,  procurano  ancora  1'  infamia 
di  Sua  Santità;  e  credendo  lor  quella  tanto  come  fa, 
à  me  era  necessario  per  vivere  di  andare  in  Turchia, 
Sforzato  io  dunque  da  queste  cause  mi  son  posto  à  ve- 
nire verso  Ca?a  mia  con  opinione  che  se  bene  la  morte 
me  ne  seguisse,  non  me  ne  debba  seguire  almeno  in- 
famia. Che  se  à  Sua  Santità  essendo  Cardinale  con  isti- 
niation  grandissima  ,  e  con  modo  di  vivere  in  dignità  fit 
lecito  far  una  tanta,  e  così  crudele  occisione  in  quella 
povera  Terra  di  Prato  per  entrare  nella  Patria  sua  com© 
Cittadino,  della  quale  egli  era  in  esilio;  molto  più  debba 
esser  lecito  à  me,  esule  non  d'una  Città  ma  di  tutta 
Ghristianilà ,    e  privo    non  che  delle   Dignità  temporali  ^ 


9^ 
ma  quasi  del  vivere ,  e  de'  Sacranienli  della  Chiesa  ,  e 
del  Commercio  degli  huomini  in  tina  così  atroce  perse- 
cutione  ,  nella  quale  centra  Io  Stalo,  e  la  vita,  e  l'A- 
nima mia  si  adopfrano  T  Armi  Temporali,  e  Spirituali, 
essermi  lecito  (dico)  cercare  d'andar  nella  Patria,  della 
quale,  e  per  giudizio  di  tutti  i  miei  popoli  ,  e  d'ogni 
altro  ,  eccetto  che  di  Sna  Santità  ,  sono  legittimo  Signore. 
Supplico  adunque  le  Signorie  Vostre  Reverendissime  per 
quella  misericordia,  che  si  deve  à  coloro,  i  quali  sono 
posti  in  calamità  senza  colpa  ,  che  si  degnino  trovando 
qualche  modo,  ò  via  di  mitigare  1'  animo  del  sommo 
Pontefice  ,  essere  mie  protettrici  ,  eh'  io  non  posso  sti- 
mare l'autorità  loro,  e  la  naturai  bontà  di  Nostro  Sig, 
con  la  innecenlia  mia  non  debbiano  spez7,ar  la  durezza , 
che  neir  animo  di  Sua  Santità  hanno  edificata  le  labbra 
inique,  e  le  lingue  dolose  de' miej  avversari.  Et  io  per 
ricuperare  la  gratia  di  quella  nou  ricusare  sorte  alcuna 
di  sommissione,  o  ancor  di  pena  sopportabile.  E  se  pure 
io  non  merito  di  ottenere  da  lei  misericordia  ,  degninsi 
almeno  le  Signorie  Vostre  Reverendissime  favorirmi  taci- 
tamente con  gli  animi,  e  pensieri  loro,  a  raccomnian- 
darmi  con  ef&cacia  alla  infallibile  bontà,  e  giustizia  dì 
Dio.  E  se  li  miei  successi  saranno  prosperi  (  com'  io 
spero)  riconoscerò  lo  Stato  ,  e  la  Vita  dalle  Signore 
Vostre  Reverendissime  ,  eoa  opinione ,  che  la  Maestà 
Divina  habbia  esaudito  i  loro  giusti  desideri ,  e  per  li 
loro  meriti  m*  habbia  havutQ  in  protettione.  E  cosi  pa- 
rimcnte  se  le  mie  picciole  forze  non  saranno  oppresse 
dal  gran  cumulo  della  Potentia  di  N.  Signore  accompa- 
gnata dall'  Arme  spirituali  ,  e  da  quelle  di  tanti  altri 
Prencipi  ,  sarà  miracelo  espresso  ,  e  biaoa  testimonio  che 


k 


r  innocentia  mia ,  condannata  da  gli  huoniiói  io  Terra  j 
sia  da  giudice  maggiore  e  più  giusto  assolata  nel  Cielo. 
Et  alle  Signorie  Vostre  Reverendissime  humilmente  ba- 
ciando le  mani,  di  continuo  in  buona  gratia  loro  mi 
raccommaado. 


N.C'   CXXXIX. 

(  ni  FI.  p.  38.  ) 

Hjmer  Foedcia.   Tom.   FI.  p.    i35. 

Papa  ad  Regein  ,  prò  Subsidio  contra  Hostes  Ecclesiaet 

Charissime  in  Christo  Fili  noster,  sahifem  et  Aposto- 
ììcam  Eenedìctioiìem. 

Non  veremur  ne  Majestas  tua  nostram  ,  quam  de  ea 
capimus  fìduciam  ,  in  optimam  partent  non  accipiat  ejus- 
dem  Fidei  et  maximi  amoris  quo  illam  semper  prosecuti 
sumus  : 

Et  quia  esistimamus  prisliuum  illum  suum  animurn 
Sedi  Apostolicae  durisslinis  in  rebus  subveniendi  perstare 
iu  eadeni  voluntate  ,  auctaraqùe  potius  ejus  animi  ma- 
gnitudinem  fructu  tautae  gloriae  quantana  ex  similibus 
actionibus  alias  consecnla  est  quàm  diminutam  esse  ; 

Nos  quidem  certe  ,  quamquam  maxiuiis  nostris  et  ejas- 
dem  Sanctae  Sedis  angustiis  difficultatibusque  pressi  ad 
Lune  diem  usque  ,  nihil  Tibi  oneris  imponere ,  uullam, 
Majestati    tuae    iuferre    molestiara    susliauimus ,  non  de 


93 

tua  volnnlale ,  pietate  erga  nos  et  eandem  Se(!em  bene* 
volentìa  Hubitanfes,  sed  quod  in  Te  oertissimuoi  rerum 
nostianim  perfugium  usqne  ad  extremam  necessitatem 
volnimus  esse  illibatum  atque  intactinn. 

Wunc  vero  cuperemus  le  cernere  ocuMs,  quibus  rapinig 
et  depopulalionibus  j  quanto  furore  et  scelere  perditoranj 
et  nefariorum  Horainuni  Status  Ecjclesiasticus  hujusque 
siiDuI  Sanctae  Sedis  Dignità»  vexetur  ,  laceretur,  diripia- 
tur  :  ciìna  nihil  Latronum  avaritiae  libidini  crudelitati 
obstet  ;  non  pudor  a  slupris  iiefariis ,  non  Reb'gio  a  Sa- 
cris  et  Locis  et  Rebus  violandis ,  non  naisericordia  a 
caedibus  Eos  cobcrceat,  qnae  Nos  ut  reprinoereraus  ex- 
hausitnus  jam  omnia  fere  et  hujus  Sanctae  Sedis  et  eo- 
ruin  qui  communem  Rem  Ecolesiasticam  ita  afflictam 
dolent  subsidia ,  né  quid  de  nostra  Dignitate  decedere- 
mus  ,  né  sceleratis  Hostibus  facilem  cursura  guae  impro- 
bitatis  faceremns. 

Sed  cùm,  si  volumus  salvam  Ecclesiaslicam  esse  Rem- 
publicam  majore  conatu  et  viribus  nobis  opus  sii ,  uni- 
que  ,  inler  Reges  Chrislianos  Principes  ,  tuae  Majeslatì 
praecipuè  confidamiis,  petimus  a  te  et  hortamur  lìlaj'e- 
statein  tuam  in  Domino,  summoque  affectu  requirimus, 
ut  ,  quod  alias  consuevisti  ,  tuique  praestanlissimi  Animi 
est  propriuin  ,  subvenire  in  lautis  angustiis  ,  difficultati- 
busj  indignitatibus  buie  Sanctae  Apostclicae  Sedi  communi 
Matri  Fidelium  cunctorum  tua  cura,  prudentià ,  opibug, 
facuìtalibusque  quampiimùm   velis. 

Qucm  autem  in  modum  et  qua  polissimum  ratione  vi- 
4eatur  expedire  et  tua  Majcstas  prò  sua  prudentia  cogi* 
tabit ,  et  Dilectus  Filins  jVicoIaus  ScoTnber  Ordìais  Prae- 
^icaterum  nosler  Familiaris  j  i»tuo  hac  praecipuè  de  causa 


94 

missus  3  cum  eadem  communicabit  ;  cui  eam  nostro  No- 
mine alloquenti  Majestas  tua  fidem  suramam  adhi bendo 
ita  secum  reputabit  ,  neque  hoc  majus  erga  Nos  beoefi- 
cium  ab  ea  prolloisni  posse  neque  ipsins  laudi  et  nomini 
inagis  honorificnm  foce  quioquam,  qnàm  si  ad  suam  pe- 
culiarem  Virtutem  et  Gloriam  se  converterit  ,  praestare 
Sanctam  Romaaam  Ecclesiam  ab  Insidiis  et  Latrociaiis 
Impiorum  Salvam  atque   Tutara. 

Dat  Eomae  apud  Sanctum  Petrum ,  sub  annulo  Pi- 
scatoris,  die  vicesimo  Junii  millesimo  quingentesimo  de- 
eimo  septimo ,  Ponlificaiùs  nostri  anno  quinto. 

Ja.  Sadoleius. 

Carissimo  in  Christo  Filìo  nostro  Henrico  Regi  Àngliae. 


N°.  GXL. 

(  Voi  ri.  p.  42.  ) 

Leoni ,   Vita  di  Fr.  Maria  Duca  d' Urhino. 

Commissione  à  voi  Capitano  Suares,  et  Oratio  Florido 
tli  quanto  in  nome  mio  harrete  à  procedere  ,  e  far  in- 
tendere all'Illustrissimo  Signor  Lorenzo  de' Medici. 

E  prima.  Essendo  che  non  poca  laude  si  conceda  à 
ciascuno  Preucipe ,  che  per  qual  causa  si  vogli  farci 
Guerra,  quando  si  sforza  che  con  meno  sangue,  e  danno 
del  Paese,  che  possibile  sia,  si  ponga  fine  alla  sua  in- 
t'entione  ;  e  tanto  più  quello,  che  pure    si  persuade  do- 


9^ 
verne  restare  patrone.  Nel  qsal  concetto  persuadendomi, 
eh*  el  prefato  Signor  Lorenzo  sia  ,  ingannalo  forse  più 
presto  dalla  fama  ,  che  dalla  conscienza  ;  ho  pensato  cosa 
all'uno,  et  all'altro  di  noi  convenientissima.  Perche  se 
tanto  lui  desidera  questo  Stato ,  come  la  passata  e  pre- 
sente Guerra  mi  dimostra  ,  gli  sia  carissimo  trovare  mo- 
do j  che  con  prestezza  ,  senza  piìi  grave  peso  di  questi 
popoli,  mostrando  il  valor  suo,  e  delle  sue  genti  à  sa- 
tisfarsi. E  però  per  tal  rispetto  a  voi  Capitano  Suares , 
et  Oratio,  commetto,  che  espeditamente  lo  dobbiate  chia- 
mare à  combattere  in  luogo  qual  voglia  à  IIll.  mila  per 
mi  mila  ;  o  III.  mila  ;  o  II.  mda  ;  o  mille  ;  o  cinque- 
cento; o  cento;  o  venti,  o  quattro,  et  il  minore  nu- 
mero che  gli  piaccia,  purché  ciascuno  di  noi  ci  intra- 
vengbi ,  e  che  siamo  a  piede  con  arme  da  Fanti  e  [)iedn, 
come  vanno  alla  Guerra.  Et  in  ultimo  se  vuole  ambfdui 
noi  soli  eoa  arme  ,  che  con  prestezza  trovar  si  possa  , 
più  mi  f:a  caro;  e  dove,  o  per  la  prigione,  o  per  la 
morte  di  uno  di  noi  il  vincitore  con  più  satisfatlione 
d'animo  darà  fine  al  suo  disio,  et  al  languire  di  molti. 
Giudico  dunque  che  per  il  valore  di  sua  Signoria  ,  e 
<li  molli  che  gli  sono  appresso,  ohe  fanno  la  medesima 
professione  di  honore  ,  queste  ragionevoli  offerte  gli  sa- 
ranno carissime  ;  però  al  vostro  ritorno  mi  riportarete  à 
qual  più  esso  si  risolva,  acciò  possa  dal  canto  mio  espe- 
ditamente provedermi.  Mando  il  termine  di  tre  giorni 
per  la  risoluta  disposta  aggiongendo  ancora  al  combattere 
del  numero  grosso  piacendogli  fare  combattere  CCC 
Cavalli  Leggieri  con  altritanti  delli  suoi  pure  alla  leg- 
giera accappati  dalle  Compagnie,  cioè  che  ogni  Capitano 
«e  elegga  tanto  numero    della  compagnia  propria  e  noa 


96 

d'  altrove ,  cL*  arriva  alla  somma  Helii  CCC.  con  Lancia  ,* 
Spada,  Fagliale,  e  Mazza.  E  quando  le  sopradette  con- 
^itìoni  non  gli  piacossero  (  il  che  non  credo  )  vi  ricor- 
darete  offerire,  combattendo  con  detti  CCC.  Cavalli  ^  e 
con  tutte  I  nostre  Fanterie,  et  altrilanti  delli  suoi  Fanti, 
di  vantaggio  gii  darò  cinquecento,  e  mille  Fanti  più, 
armati  però  tutti  secondo  il  costume  della  Guerra  tra 
Fanti  à  piedi.  Et  il  presente  memoriale  in  mano  di  Suq 
Signoria  lasciate. 


(  Voi   VI   p.  44.  ) 

Ex  Orig.  in  Arcliiv.  Bei  puh.  Florent. 

Reverendissimo  in  Cbri^to  Patri  ,  et  domino  D.  Julio 
Diacono  Cardinali  de  Medicis  S.  Romane  Ecclesiae  Vice 
Cancellario  observandi'?si(no. 

Reverendissime  io  Christo  Pater,  et  Domine  D.  pla- 
rimum  obàervandissime.  Lo  exliibitore  presente  sarà  el 
nostro  M.  Jacopo  Silvestri ,  quale  farà  intendere  a  V.  S. 
R.  el  desiderio  mio ,  et  quanto  mi  occorra,  che  in  sum- 
ma  è  ,  che  quella  se  degni  consentire  ,  che  1*  nostro  Prete 
Francesco  da  Civitella  habbia  un  certo  beneficiolo  posto 
in  fra  le  nostre  possessioni  sopra  L' Olmo  a  Capello  , 
come  particularmente  dal  prefato  M  Jacopo  essa  inten- 
derà. Il  perchè  prego  V.  S.  R.  gli  piaccia  non  solamente 
prestarci    io    ciò    ci  suo    consenso ,  ma  ancora   pigliara» 


•I 


97 

per  amor  mio  cura  particulare ,  perchè  in  vero  la  fede, 
et  servitù  sua  verso  di  me  ricerca  oioUo  più ,  et  se  beae 
el  beneficio  predecto  è  di  pocho  momento ,  lo  estimo 
nondimeno  quanto  fussi  de  valuta  per  ogni  rispecto ,  et 
però  quanto  più  efficacemente  io  posso  ,  la  supplico  me 
ne  facci  grafia  ,  ascrivendolo  al  cumulo  degl'  altri  obbli- 
ghi ,  ho  cum  quella  infinitamente. 

Per  commissione  del  nostro  Illustrissimo  Signor  Duca, 
io  questo  momento  mi  parto  alla  volta  di  Cortona  per 
conferire  cum  la  nostra  compagnia  j  dove  sua  Excellentia 
mi  ha  ordinato ,  che  a  Dio  piaccia  per  tutto  darci  Vi- 
ctoria ,  quale  col  suo  benigno  ajuto  s' bavera  indubitata- 
mente, se  ciascuno  farà  el  debito  suo.  Prego  V.  S.  R. 
se  degni  dì  core  ricomendarmi  alla  Santità  di  Nostro  Si- 
gnore e  alla  Excellentia  Madonna  Alfonsina  ,  et  a  V.  R. 
S.  quanto  più  posso  humilmente  mi  raccomando  ,  quam 
Deus  ,  etc. 

Florentiae  ii.  Junii  mdxvii. 

E.  V.  R.  Servitor  et  filius  ' 

Joaones  Jo,  Medicea, 


hìLom  X.  Tom  mi 


98. 

N.°  CXLII. 

(  Vul  VI.  pag.  55.   ) 
Bjmer ,  Foed.  toni.   FI.  part.  I.  p.    i34- 

Carissime  in  Christo  Fili  noster ,  Salatem  et  Aposto- 
licnm  Benedictionem, 

Cam  cornperiisseimis  Dilectos  Filios  nostros,  Bpndi- 
nelluin  t'ituli  Saiictae  Maria"  trans  T'òeri/n  Preshiterum, 
et  Aljonsuin  Sancti  Theodori  Dìaconuin ,  Cardinales  ia 
vilam  uostram  conspirasse,  deqiie  nobis  dolo  malo  occi- 
di'udis  tractavisse  ,  hodiè  detiaere  eos  jussimus  j  detea- 
to-que  in  A  oc  nostra  Sancti  Angeli  asservari  ,  dùm  au- 
tentici processus  super  eo  scelere  juste  ac  legitiiriè  for- 
mari   conficique   possent  ; 

III  volu'nus  Majeslaù  tane  nofnna  bis  nostris  Literis 
facere  ;  ut  sciat  qua  de  causa  ad  Deteniionem  islam  de- 
venerimns  :  cui  etiam  processus  ipsos  transmitti  curabi- 
mns  ,  cùiD  primùm  erunt  ooufecti  ;  quemadmodum  cum 
Venerabili  Fratre  Episcopo  fVigorniensi ,  Oratore  apud 
DOS  tuo  ,  loquuti  sumus. 

Datum  Romae  apud  Sanctum  Pelrum  ,  sub  Annnlo 
Pjscaforis  j  die  decimo  nono  Maii  ,  millesimo  quingente- 
gimo  decimo  seplimo ,  PoatiGcatiìs  nostri  Anno  quinto. 

Bembus. 

Carissimo  in   Christo  Filio  nostro  Jienrico   Angliae 
Regi  Illustri. 


99 
N.    CXLIII. 

(  Voi   FI.  p.    6i.  ) 

Rymer,  Foed.  toni.   FI.  pari.  I.  p.    i4i. 

Cardinalis  de  Medicis  Litera  super  Privatione 
Hadriani. 

Reverendissime  in   ChrJ.^to  Pater  et  Domine  mi  Colen- 
dissime humillimns  Commendatinnes. 

Quanti  semper  j  prae  caeleris ,  fecerit  Sprenissiraani 
AvgloTum  Regis  Majeslatera  Sanctissimus  Dvminiis  no- 
iter ,  quamque  cupiat  ut  mutua  inter  Se  benevolentia  et 
ìs  amor  ,  quo  praedic/us  Bex  uuiversam  Fainiliam  no- 
strani semper  est  prosequulus  ,  non  conservetur  modo^ 
verùm  «tiam  in  dies  augeatur  ,  niullis  et  illis  non  obsoa- 
ris  argumentis  hactenus  cognoscere  licuit,  quorum  i?e- 
verendissima  Dominatio  vesfra  bona  in  parte  conscia  egre- 
giara  Majestatis  suae  Fidena  facere  poterit. 

Quoniam  vero  in  amovendo  ex  Collegio  nostro  Do- 
mino Hadriano  olini  Cardinali  aliquanto  seriiàs  quàm  for- 
tasse  sua  Majestas  voluisset  Res  peracta  fuit  ,  si  quis 
forte  minùs  redo  sentiens  interpretetur  noluisse  Sanctis- 
s'imum  Dominum  nostrum ,  Serenissimo  h'egi  Morem  ge- 
rere ,  is  tota  prorsùs  veri  aberrai  via,  neque  vero  ua^ 
quam  Sanctiss/mus  Domina<:  nosttr  alterius  mentis  fuit, 
sed  magni  momenli  negotiura  non  erat  nisi  mature  et  ut 
Juris  forma  postulai  conducendnm  est. 

Igitur  hgdierno  Consislorio  Domìnus  Hadrianns  nuper 


JOO 

Cardlnal'S  »  S?cratÌ88Ìinfiram  Patrnm  grernio  sevulsus, 
et  ob  sua  tara  mala  merita  jure  Exaucloralus  ,  in  quera 
quia  nou  nisi  legitimè  Processum  fuit  ,  idei  reo  nullus 
quaralibet  maligaus  aestimator  poterit  objicere  Hadrianuni 
SiUt  Sanctlssimi  Domini  nostri  ,  suapte  natura  clemeutis- 
6Ìmi ,  odio  aut  Serenissimi  Regis  cestri  extimulatione  , 
ged  propriis  suis   raeritis   poenas  dedisse, 

Ipsius  vero  Ecclesiae  Provisio  differelur  ,  donec  Maj'e- 
stas  sua  id  quod  Re'^erend'ssima  Dom'natlo  vestra  opù- 
B\è  novit   Sanctissimo  Domino  nostro  signirieaverit. 

Haeo  fuit^  Reverend s<!ime  Domine,  hujus  tàm  neces- 
8ariae  qnàm  prudentis  cunclalionis  causa  ;  quàna  ,  etsi 
puto  Reverendura  Patrem  Dominum  Fpiscopum  fVigor" 
niensem  ,  qui  majoreve  cuti  prudentia  an  gratia  et  de- 
xteritatp  prò  Serenissimo  Rege  in  Vrhp  Oraiorem  agit,  ple- 
niù-  sig  iific^turum,  Oratam  famen  velim  R "verendi ssnuain 
Dovi  nationem  ve s tram  ,  dign^tur  ptiam  ipsa  Sanctissìmi 
Dimini  nostri  et  meo  Nnmiue  Serenissimo  Regi ,  apud 
quem  pluriiiuTn  et  Gratia  et  Auctoritate  pollet  ,  decla- 
rare  ;  Et  iusupe'-  uihil  esse  in  quo  Sanrtìssimus  Domi- 
nus  Ipsi  satisfaoere  non  sit  paratus  ;  Domum  vero  no- 
stram  esse  ita  Mijestati  suae  addictam  ,  Ht  non  minus 
de   ^ob  s  quàm   de   ?uis   Siblitis   disponere   possit. 

Benevateat  Dom'nat'O  vestra  Reverendissima ,  cui  Me 
burnii  me  commendo  et  ofiero. 

Romae  in  Palatio  Apostdico  ,  quinto  JuHi ,  Millesime) 
aniogentesimo  decimo  octavo. 

Reverendissimae  Dominationìs  vestrae 
Eumilimus  Servitor , 

Ju.    VjCECANCEi 


fot 

N".  CXLIV. 

(  Voi  VI.  p.  65.  ) 

Lettere  di  Principi,  voi.  I.  p.   ai. 

Al  Cardinal  de'  Medici. 

Il  Christianissimo  oii  comanda ,  eh'  io  voglia  ia  nome 
suo  raccoramandare  a  N.  S.  et  a  V.  S.  Reverendissima, 
Il  Reverendissimo  Cardinal  de  Sauli ,  parendogli  impos- 
sibile ,  per  l'iuformationi  ,  che  ha  havute  sempre,  della 
buona  qualità ,  et  virtù  di  sua  Sìg.  che  quella  possi  ha* 
ver  pensalo  ,  non  che  tentato  ,  cosa  che  non  meriti  et 
raccommendatione  da  sua  Maestà  ,  che  sempre  1'  ha  te- 
auto  per  buon'amico,  et  perdono  da  Nostro  Signore ^ 
al  quale  s'  è  mostro  sempre  obediente  servitore  ;  et  che 
quando  anco  vi  fosse  qualche  parte  d'errore,  pure  che 
non  fosse  maggior  di  quello  può  essere  la  misericordia 
di  sua  Santità,  che  la  preghi,  per  esser  d'una  patria 
subietta,  et  di  famiglia  tanto  grata  a  sua  Maestà,  che 
gli  lo  voglia  per  amor  suo  perdonare  ,  mostrando  gran- 
dissimo desiderio  d'  ottenere  tal  gratia  da  sua  Santità  , 
et  infendere,  mediante  1' auttorità  di  Vostra  sig.  che'I 
detto  Reverendissimo  sia  reintegrato  nell'amore,  et  gratia 
di  Sua  Beatitudine  ,  etc. 

Da  San   Quintino,  alli    I2.  de  Giugno,  m.d.xvii. 
Di  V.  Illustrissimo  et  Reverendissimo  Sig.  Devotissimo 
•Servitore , 

Il  Vescovo  di  Baiusa. 


]N°.  CXLY. 
(  Voi.  VI.  p.  68.  ) 

lijmer^  Foecl.  tom.    VI.  par.   I.  p.    i34. 

Pro   Cardinali  Sancii  Gcorgii ,  de  intercedendo. 

Sacra  Regia  Majestas ,  post  hutT^iliimas  Commendatioae&. 

Pridie ,  prò  ea  fide ,  observantia ,  et  devotione ,  qua 
Sublimitatem  veslram  seruper  prosecnli  sunius ,  proque 
ea  Pielate  atque  animi  magniludiue  qnà  eandcm  exoellere 
ac  pollere  nou  ignoramus ,  scripsimus  Celstitiidini  ve- 
strae  Patrunm  nostrum  Pieverenriissimnm  Dominum  Car- 
dìnalem  Sanct'is  Georgli ,  Saactissimì  Domini  nostri  Pa- 
pae  ac  Sanctae  Romanae  Eadesiae  Gamerarium,  fuisse 
Delentura  in  Palalio  a  saa  Beatitudine  ,  neque  causarti 
idlain  tantae  rei  esplicare  potuimus,  cum  eodem  momento 
quo  detenlus  fuit,  scribere  coacti  fuerimas. 

Nuac  aulem  né,  quod  postea  successerit,  praeteriisse 
•videamur,  causam  «sse  intelligimus  quò.l  quaedam  ver*- 
ba  ,  quae  coram  ipso  Cardinalcs  Senensis ,  uli  juvenis 
nec  in  loquendo  satis  pensi  habeos,  adver^sus  Pontificem 
protulerat ,  non  illicò  Saaclitati  suae  ,  uli  debeat ,  re- 
nunliaada  cuiaverit. 

Quod  certe,  quando  ita  sit ,  non  possnmas  nisi  erra» 
tum  et  peccatura  esse ,  et  dicere  et  fateri  ;  unum  tamen 
Dobis  persuademus  et  prò  indubitato  affirmare  et  asserere 
posse  non  dubiìamus  ,    Ipsum    non    ex  malitia  et  Aaim* 


lo:> 
Vbluntatè  ,  seci  ex  inconslcleratione  el  quadam  potiùs  ne- 
gli<Tenti5   perràise  ac   prolapsum   esse. 

Quid  oempe  minus  verisimile  est ,  quidve  minus  credi 
debel  ?  qnàm  quod  Gardinalis  jam  Senex  ,  et  opibus  gra- 
tià  et  auctoritate  non  infimus  ,  ncque  etiani  humanarum 
rerum  expers  et  imperitus,  eum  Pontificem  laedete  ac 
provocare  voluerit,  qui  secum  in  Cardinalatu  coujua- 
ctissimè  et  amantissime  vixerat ,  et  io  Pontificatu  tanta 
secum  lenitale ,  benignitate  et  liberalitate  usus  fuerat  , 
ut  nihil  ab  eo  desideraverit  quod  non  prius  impeti  asse 
quàm  petiisse  videri  potuerit;  quid  inquam  miuns  cre- 
dibile 3  quàm  quòd  hunc  Ponlificem  ,  tàm  de  se  tamve 
de  universo  Christiane  orbe  Benemeritum  laedere  vo- 
luerit ? 

Is  Gardinalis  ,  qui  olim  junior  et  multis  quoque  in- 
commodis  affeclus  ,  Alexandri  Tempora  et  Julii  Secuudi 
difficultatem  ac  morositatem  patientissimè  innocenlissimè 
et  summa  cum   animi  aeqaitate  transegit? 

Quoque  modo  res  se  habeat ,  eum  ncque  ex'^usamug 
ncque  etiam  condemnamus;  sed  cùm  nih;l  sit  quod  im- 
primis  de  divina  pietate  et  gratia  deinde  de  clementia  et 
mansuetudine  Sanctlssìm'r  Dommi  nostri  sperare  posse 
non  videamus .  rogamus  Screnitateni  vesirara  ut  etiam 
ipsa ,  prò  Regia  bonitate ,  proque  invicta  animi  ma- 
gnitudine ,  prapfa'um  Pairuum  nostrum  apud  Saricfiss!'^ 
mum   Dominum  nostrum  comm^ndatum  habere  dignetur. 

Nam  ,  ut  omittamus  quàm  proprium  e»  peculiare  sit 
bonorum  Regum  magnorumque  Principum  esse  pietatf^ni 
clementiamque  exercere  ,  uique  etiara  taceamus  quanta 
Beiieficiorum  magnitudine  Rcverendissimum  praefatum  Do' 
minum   Cardinaìem  «t  nos  ipsos  Majestas  vesta  sit   d«« 


ito4 

tinctura ,  licei  minìmos  et  inutiles  ServoS  ,  noa  tamtftì 
praeteribimus  commemorare  Sublimitatem  vestram  et 
apud  Homiaes  perpetuara  laudem ,  et  apud  Omaipoten- 
tem  Deum  gratiam  magni  meriti ,  ex  coaservatione  et  in- 
oolumitate  hujus  Horainis  ,  per  errorem  niagis  quam  per 
Toluntatem  lapsi ,  sibi  vendicaturam   esse. 

Quod  tanto  speramus  facilius  futurum  esse ,  quanto 
res  est  in  nianibus  illius  Pontiflcis ,  cujus  bonitatis,  eie- 
mentiae  ^  misericordiae  et  raansuetudinis  uerainem  hacte- 
nus  expertum  esse  aut  vidimus  aut  audivimus  ;  Quae  fae« 
licissima  sit^  et  cui  iterum  et  Lrumillimè  nos  commeu- 
damus. 

Romae  ,  quinto  Juuii  Millesimo  quingentesimo  decime 
septirao. 

Serenìtatìs  véstràe 

Humillimi  Servìtores , 

CàBS.  Archiepiscopus  Pisanus  Patriarcha  Alex. 

OCTAVIANUS    EpISCOPUS    VlTERBIENSlS. 
GaLEACICS    VlCECOMES    DE    ReARIO. 
FkANCISGUS    SfORTIA   VlCECOMES    DE    ReARI*. 


N.o  CXLVI. 

(  Fol   VI.  p.  92.  ) 

Fascio,  rerum  Expetend.  et  Fugiend.  tom.  I.  p.  ^ly. 

Johannes   Franciscus  Ficus ,  Mirandulae  Dominus ,  etc, 
Bilihaldo   Pii'c^heimero  suo  ,  Salutem. 

Cura  ad  póatera  Oeni_,  tu  quidem  Reipub,  tuae  Legalus^ 
ego  vero  ob  propria  negotia  Caesa  rem  sequens,  casu  qno« 
dam  convenissemus ,  coràtn  petisti..  ut  Orationis  ejus  ad 
Leonern  Pontificem  Maximum  et  Goncilium  Lateraueo, 
destinatami  te  compotem  facerem  ,  et  literis  tnis  j  post* 
quam  ia  Italiam  redii^  id  ipsum  postulasti.  Nunc  eam  tib^ 
babere  poles  ,  quam  tum  noa  potuisti  j  ncque  enim  fas 
erat  j  uti  prior  uUus  eam  haberet  sibi ,  quam  is  ad  quem 
naittenda  erat  ;  sed  mirae  expectationis  ,  aliquam  Jubanni 
tuo  Cochliti  usuram ,  cuoi  oraliooe  ipsa  Bononiam  misi, 
Hymais  tribus  comprehensam  Martino,  Magdalenae  ,  An- 
tonio; qui  postquam  ex  Germania  in  Italiam,  indeque  ia 
patriam  ditionem  perveni,  praeter  qoinqae  alios,  diversis 
in  locis  olim  formis  stanneis  excusos  ,  editi  sunt.  Caeterùm 
si  me  amaveris  3  ad  communem  amicum  Johannem  Reu- 
chlin  alligalam  epistolam  curabis  perferendam ,  et  inte- 
rim bet>e  vale  nostri  memcr.  Mirandulae  Calend.  Aprilis. 
Anno  Salutis ,  mbxvii 


ìoG 


Ad  Leonem  Deciml'm  Pontificem  Maximum,  et  Con- 
ciìium  Lateranen.  Johannis  Frmicisci  Pici ,  Mirari' 
didae  Domini ,  de  Refonnandis  Morihus ,   Oratio. 

Si  quis    fortasse  cuperet  ia  Sacratissimo  N  "  Christia- 
Bae   Rpipub.   conventa   atque   cousessu  de  ferendis   Ies;ibu6 
ad   fraenaiidain    malorum    hoininum    audaciam    nt  verba 
fiereot  j    ipse    secucn    cogitet    prius ,    quo   pacto  sit  opus 
eos  plecti  ,  qui  eas  quae  à    majoribus    nostris    ritè  posi- 
tae  ,  maximoqne  babiiae  in   prelio  suat  ^  et  babucre  con- 
templai et  nuuc  maxime  habeant.   Nec  dubitabit  de  rao- 
ribus  hominum  qui  tam   diu   collapsi  jaoent  ,    instauran- 
dis  ,    ed    ad    normam    positarum    jam    legum   redigendis 
orationem  ante  omnia  haberi  oportere.  Kam   tametsi   non 
duxerim   in   controversiam     referri     debere    ad    sacrosan- 
ctam  islam  Sjnodum    de    legibiis    quibusdam    fereadis  , 
praestare    tamea    exislirao  ,  ut  à   priacir)ibus  viris  ,   nt  a 
Cardmibus    ipsis ,    quibas    tota  nostrae  Chrislianae  Rei- 
publicae   raoles ,   rerli   rcgique   convenit,    sanclissima   an- 
tiquorum Df^creta  patrum  ,    et  honestissima  instituta   cu- 
stodiantur.    Quod    si   Gat  ,    populi    facile  Antistites    ipsos 
tauquam    aniraatas    et  vivas    leges    sequentur  ,    atque  ad 
normam   piptatis  et  verae  disciplinae  revooabantur.    Nora 
consulta  aique  decreta  neutiquam  aspernor  ,  sed  veterum 
custodiam     sanctionum    in   primis    duco   necessariam  ,   ad 
ea   quae    jam     prolapsa     defluxerunt   piis   primùm   instaa- 
randa   moribns ,  severis    deinde    legibus    vincienda ,  adeo 
ut  censoribus ,    ut  vindicibus    legum    ipsarum  atque  as- 
sertonbus  magis  quàna    legislaloribus    opus  esse  non  ne- 


IO'* 

Ititatein  io  neqniliam  ^  liheralitatera  et  parsimoniam  ia 
luxuru  et  avaritiatn  convellere.  Apud  plerosque  religionis 
uostrae  primores  ,  ad  quorum  exeiuplum  componi  atqae 
formar!  plebs  ignara  debuisset  ,  aut  nullus ,  aut  certe 
exiguus  Dei  cultus  ,  nulla  bene  vivendi  ratio  atque  in- 
fititutiu ,  nullus  pudor,  nulla  modestia:  justitia,  vel  in 
odium,  vel  in  gratiam  dcclinavit,  pietas  in  superstitlonem 
pene  procubuit ,  palamque  omnibus  in  hominum  ordini- 
bus  peccalur,  sic* ,  ut  saepenumero  virtus  probis  viris 
vitio  vertatur  j  vitia  loco  virtutum  honorari  soleant ,  ab 
bis  qui  snorum  crimiuum  quasi  sepia  ,  et  tanquam  moc- 
nia  ,  et  inauditam  petulantiam  et  diuturnam  impunitalem 
esse  putàverunt.  HI  tibi  morbi  ,  baec  tibi  vulnera  sa- 
nanda  sunt.  Maxime  Pontifex  ;  alioqni  si  raederi  (  quo- 
niam  id  ad  te  multis  de  causis  potissimum  spectat  )  re- 
cusaveris  ,•  vereor  ne  non  foraentis  Jam  ,  sed  igne  ferro- 
que  Ì8  cujus  vices  geris  in  terris  ,  membra  ipsa  affecla 
dissecet  alque  disperdat  ,  signa  jam  dedisse  illum  e^ur, 
futnrae  medicinae  piane  crediderim.  An  puellae  Deo  di- 
«atae  in  Brixiana  direptione  à  religìosissimis  abstractae 
templis  cesserunt  militibus  loco  praedae  ?  An  in  Raven- 
nati excidio  sacerdotes  trucidati  ?  An  in  Pratensi  clade 
sanctimonià  olim  celebratae  virgines  proslitutae  ?  Qnid 
alind  Pater  sanctissime  ?  Quidnam  aliud  nobis  intelligi 
dedere,  quàm  sacras  aedes  et  tempia  lenonibus  et  cata- 
mitis  antea  commissa ,  quàm  nefariis  lupis  optimi  pa-* 
storis  ovilia  demandata ,  quàm  virginibus  olim  dicala 
plerisque  in  urbibus  sepia  in  meretricios  fornices  et  ob- 
scoena  latibula  fuis^e  conversa  ?  Sed  initia  illa  malorum 
et  praeguslationes,  vereor  ,  propinandae  uobis  à  perfidie 
Dostrae  religionie  deeertoribas  potionis  amarae  et  luotuo- 


«o8 

gem.  Et  qaanquàm  haè  ^e  re  ,disseren(li  majus  esjè 
onus ,  quàm  ut  ferre  facile  queara  non  sura  nescius  ; 
nam  valentioribus  egeret  hnmeris ,  et  vires  robustiores 
éxposceret  ;  tamen  qiiori  suapte  natura  pertinet  ad  omnes, 
id  à  me  alienum  esse  non  cogito.  Quod  si  ad  hanc  diem 
in  tanta  eruditissìmorum  hominnm  turba  vet  unum  quem< 
piani  conspexissem  ,  qui  hoc  idem  exactè  sibi  adsaivis- 
6et  j  mihi  omiiino  ccssandum  putassem.  Sed  quum  de 
statueodis  legibus  saepenumero  «ermouem  habitum  no- 
rim  ,  de  legum  custodia  ,  vel  nullum  ,  vel  tenuem  ,  ut 
sunt  homiiium  varia  judicia  variis  rerum  occasionibus 
mola,  non  abs  re  mihi  visum  est  fore ,  si  quaepiam  af- 
ferrem ,  ut  facilius  ad  memoriam  revocarentur  sanctis- 
sima  priorum  institula ,  quibus  observatis ,  nostra  Chri- 
stiana respublica  et  aucta  est  semper  et  conservata  ;  p»- 
sthabitis  vero  atque  contemptis  ,  innumerabiles  jacturas 
fecit  ;  et  nisi  es^et  servata  divinitus  ,  eò  miseriae  et  ca- 
!amitatis  prolapsa  faisset ,  ut  frustra  nuuc ,  Pater  saa- 
ctissime  Leo  Decime  ,  et  vos  ecClesiae  Gardines  et  An- 
tislites  Conventuin  haberelìs  ,  ut  in  meliorem  siatum  re- 
digi quiret.  Optaham  certe  ut  ex  doctissimorum  homi- 
nnm numero  aliquis  hanc  sibi  provinciara  desumpsisset , 
ut  majorem  authoritatem  et  potestatem  in  audìentium 
animis  habitura  esset  oraiio ,  sed  rjuda  fortasse  verilas  , 
puraque  simplicitas  viribus  non  carebit.  De  hixu  ,  de 
libidine,  de  avaritia  vitanda,  positas  esse  leges  ab  an- 
tiquis  patribus ,  nemo  est  qui  nesciat.  De  pietate ,  de 
jnstitia  ,  caeterisque  virtntibus  traditas  esse  normas,  vel 
iuernditi  novere  ;  eas  partim  negligi  partim  jacere  phis 
etiam  quàm  voluraus  ,  experimur.  Multi  uostrae  Frinoi- 
pc8   reipublicae  priscam  simplicitatem    in    asluliam  ^    ca- 


sae  ,  ni  bonis  eam  mnribns  avertamns ,  ni  preclbus  et 
supplicationibus  ,  non  ex  summis  labris  ,  sed  intimis  ex 
animi  penetralibus  iratum  placemus  Deum  ,  cujus  ad  haeo 
monita  et  lanquam  coeleslia  to.iitrua  non  aures  modo 
arrigere  visi  simus  ut  resipiscamus ,  sed  deprimere  3  visi 
tanquam  AEihiopes  ad  prolabeotis  Nili  strepitum  obsur- 
descere ,  prava  consuetudine  affeoti  sic  ,  ut  audiamus 
suadenlibus  viliìs  ,  obaudiamus  moueuli  Deo  Optimo  Ma- 
ximo, sapientissimo  3  qui  se  contemni  amplius  à  nostro 
serulo  noUe  satis  arbitror  indicavit  ,  sig.iis  atque  por- 
tentis  non  parura  multis  ,  pestilentia  ,  fame ,  cruentis- 
6Ìmis  paulo  ante  preiiis.  Quid  eniui  aliud  ?  aut  si  quid 
aliud ,  cur  hoo  tamen  nostris  insiiiuatum  mcutibus  piane 
n">n  rear  ?  p<>r  tot  caesorum  hominum  millia  j  quorum 
cadaveribus  et  contecti  sunt  campi,  et  remorati  fluvio- 
rum  cursus ,  eorumque  cruore  superum  mare  et  infe- 
i-um  quasi  quadam  purpura  infeciura  ,  nisi  ut  memo- 
riam  subeat  innumera  ia  nos  coliata  beneficia  nobis  noti 
debere  esse  ludibrio;  s<"ilicet  Christus  iìle  S<"rvator  bu- 
ina: i  generi'!  tintura  san2»iinis  effuderit  ,  ut  qui  eo  san- 
gnir  e  non  redivivi  solùm  fanti ,  sed  ditali  eliam  sunt  , 
delicientur  in  plumis  ?  Quid  plunurum  feci  montioaem  , 
et  scortorum  praeterii  catervas  et  greges  exoletorurii  ?  et 
coempta  et  diven  ita  saceido'ia?  Sperare  poieraai ,  Pater' 
Sanotissime  ,  postqoara  ad  suprcmum  sacerdotii  culraec 
eveclus  es,  ncn  malis  artibus,  non  pud  n  li^,  ut  plerique 
olim  pactionibus  et  mercimoniis,  qni  per  suiimum  dedécus 
summum  dccus  ap:);^livere  ;  sed  tua  (ita  imhi,  ita  non  parum 
Hiullis  visum  )  gratis5Ìma  hiiraanitatp  fore  aliquindn,  uti 
nieliorem  in  statum  reformaretur  Christiana  respub.  sed 
oec  oainiuo  desperarim,    si  adniti  volueris^    et  tuae  isti 


I  IO 

luimanitali,  lenitali,  facilitati,  aliquid  siipercilii,  aliqnid 
rigoris ,  Donnihil  poenarum  adraisoere.  Daada  est  opera  , 
Maxime  Pontifex  j  ne  quid  defrimehti  nostra  respub.  pa- 
tiatur;  bellum  enira  tibi  cum  raultis  ;  bellum ,  inquaiu  , 
inteslinum  ,  pcrioulosnna  ,  grave,  quod  avortendura  est 
severitate  disciplinae.  Luxura  cohihe  cujuscunqne  ordi- 
dÌs  ,  raodum  pone  ambitioni  ,  conjpesce  indomitos  et  ef- 
fraenatos  libidinis  obscoenae  furores ,  suspectis  sacerdo- 
tum  (quod  et  legibus  ecclesiae  caulura  est)  contuberniis 
fraena  consiitue ,  avidilati  et  sceleralae  habeadi  oupidi- 
lati  terminum  praefige.  Non  coacredita  et  commendata 
fulei  sacerdotura  ,  sed  comesta  veriùs  ab  illis  et  devorata 
piorum  virorum  patrimonia  vindica ,  et  efGce  ut  in  bo« 
nos  disperlianlur  usus  ,  ne  amplius  ab  impuris  helLuoai- 
biis  ,  ab  omnium  scelerum  gurgitibns  absorbeantur.  Qui 
auetionibus  saGrorum  pucleadisque  lir^itationibas  invigila- 
verint ,  dent  poenas  temerariae  mercaturae.  Qui  non  pros- 
pexerint  commisso  gregi ,  qui  vanitati  sluduerint  innu- 
iiierae ,  superstitionibus,  comessatioaibus  ,  pudendis  exer- 
citiis  et  familiaribus  oblectati ,  re\  corrigantur  omnjuo  , 
Tel  amoveantur  à  sacris ,  quandoquidem  omnia  foedant 
exemplo  ,  et  pravae  consuetudine  vitae  eos  qui  bene  mo- 
rati et  egregie  institnti  sunt ,  piane  corrumpunt ,  ut  bine 
non  piebis  modo,  sed  omnis  ordiais  fiat  lapsus  in  cri- 
mina.  Nec  sane  mirum  ,  quando  maluni  omne  prodire 
de  tempio  Johannes  Chrysostomus  censet ,  et  Hierony- 
mvis  scribit  se  invenisse  neminem  qui  seduxerit  popiilos 
]>raeterquam  sacerdotes  ,  quos  quidem  si  vel  probe  insti- 
tneris ,  volentes,  vel  nolentes  coercueris  ,  universo  Chri- 
stiano  orbi  ad  bene  de  omni  reforraalioue  sperandum 
quasi  signora  aliquod  sustulisse  videbere.  Potes ,    sumnie 


Ili 

Ipontlfex ,  nec  in  terris  alias  polest  ^  et  quura  possis  , 
debes  j  et  cum  debes  ,  nisi  volueris  et  curaveris  ut  fiat, 
quid  sit  periculi  ex  probalissirais  eisdenjque  divìuis  exera» 
plis  animadverte.  Snocurrat ,  quaeso ,  tibi  velustus  ille 
Sacerdos ,  in  quein  fiiiorum  non  vindicata  sederà  ma- 
gna ex  parte  reciderunt:  etenira  qui  praesunt  aliis,  non 
modo  est  opus  ut  siut  innoceotes  ipsi  ,  sed  ut  resistant 
noceotibus  ,  eorunique  mala  facinora  compescant ,  et  tara 
quidena  ex  Lebete  carnes  tridenti  fuscinulà  sublraheban- 
tur  ab  illis  j  quod  peccalum  sacra  Reguno  testalur  hi- 
fi  toria  nimis  grande  fuisse  3  quin  bomines  à  Dei  sacrificio 
rclraheret.  Nunc  autem  cnalorum  catervis  exeraploruni 
plebs  ignara  et  a  diviuo  cultn  et  ab  omni  pielate  de- 
terretur.  llli  cum  raulieribus  ea  tempestate  dormiebaot 
ad  ostium  labernaculi  Nostra  vero  et  in  saoras  aedes  fit 
irruptio,  et  ab  dlis  eliam  (  proh  pudor  !  )  foeminae  abi- 
gu  itur  ad  eorum  libidines  expleadas  ,  et  meritorii  pnerì 
à  parentibus  coramodantur^  et  condoaantur  bis  qui  ab 
omni  corporis  eliam  concessa  voluptale  sese  immaculatos 
custodire  deberent ,  hi  postea  ad  sacerdotiorum  gradus 
promoventurj  aetalis  flore  transacto  jam  exoleli.  Non 
ìgitur  rairemur  si  dejerant  et  falsò  utruraque  se  nosse 
sacrarum  literarum  instrumentum  profiteaotur.  Quoniam 
nec  quid  ejus  nomen  significet  pernovere. 

Ao  memini  puerum  quendam  io  episcopi  locum  asci- 
tum ,  qui  quoniam  literas  penitus  ignorabat ,  per  jocuni 
cium  rogaretur,  an  raagnos  fecisset  progressus  in  disci- 
plinis,  respondisse  ingenue,  nondum  se  didicisse  exor- 
dium  ejus  oralionis  quam  de  more  sacerdotes  praefari  so- 
lent  divina  facturi.  Novi  et  quiannuas  sacerdotii  pecunias, 
commeadatas   eorum    fidei  ^    spurcissimis  voluptatibus  et 


jmpentlanl  et  impendisse  glorientur.  Haec  tu  monstra  , 
Leo  Decime  ,  tolerabis  ?  haec  et  videbis  et  patieris  ?  pa- 
tieris  (  inquam  )  ut  ignari  literarum ,  ut  ad  omnia  magis 
apti  quàm  ad  tractanda  sacra ,  per  ignominiam  et  coniu- 
meliam  abutanlùr  divinis ,  et  opes  ad  tempia  vel  tuenda 
vai  iristaaranda  paratas ,  ad  sublevandam  pauperum  mi- 
seriam  3  à  piis  hominibus  qui  jam  vita  ■  sunt  functi  de- 
slinatas,  in  alienos  et  prophanos  usus  convertaot  ? 
Scribit  Hieronymus  eos  qui  rebus  ecclesiae  abatuntur , 
sirailes  scribarum  esse  et  pharisaeorum  ,  et  sacertìotura 
Christi  Servatoris  sanguinem  mendacio  redimentium.  Equi- 
dem  nec  Dioojsii  mysticam  Theologiam ,  et  divinorum 
dogmata  nomiuum  ,  ncque  subtilitates  hypostaseon  ,  no- 
tionum  ,  originum  et  caeterarum  disoeptatioaum,  quae 
in  Lutetia  Farisiorum  exagitatae  ad  nos  manarunt ,  ab 
omnibus ,  exquiro  sacerdolibus  ;  si  se  tameo  dederent 
sacris  literis ,  et  praecellenlium  ooslrae  religioais  Anti- 
$titum  doctrinis  navarent  operara ,  multa  sane  commoda 
ad  bene  beateqiie  vivendum  consequi  possent.  Non  eò 
solnm  quòd  multa  disoerent,  et  prò  se  magna  et  ipsis 
utilia,  sed  quooiam  ejusmodi  studiis  preslaretur  illis , 
uti  facllins  illecebris  sensunm  nunoium  remillerent^  cuna 
honestissimo  in  officio  occupati  ,  tura  ab  ipsis  studiis 
adoiooiti,  ad  raeliorem  vitam  nos  esse  natos ,  et  haac 
quam  vivimus  plenam  esse  ignorationis  tenebris^  si  sen- 
«u.TQ  ,  si  humana  solùm  piacila  sectari  volumus,  plenam 
aerumnarura  ,  plenam  calamita'um  ,  si  huraanis  fidem 
Tolis  velimus  ,  cujus  eiiam  vitae  incommodis  et  tanquacu 
etimulis  invitamnr  ,  ut  ad  eam  quae  futura  est  libentius 
properemus.  Quis  (quaeso)  mente  paiilò  vegetiore  noij 
advertat ,    prima    ì^ac    in  vjta    wagif  ad  dolorem  bomU 


n3 

neS  5  qnàm  ad  voluptalera  natas  ?  Tanto  enim  spano 
nunquam  aut  bibere,  aut  co  meri  ere  ,  ani  vacare  proli 
qaisqaam  potuit ,  quanto  aut  sitiunt  febrìpntes ,  aut  raea» 
«liei  et  obsessi  esuriunt  ,  ant  rei  criraiouni  torquentur. 
1(1  etiam  emolnmeuli  nancisci  facile  pos=ieat ,  ut  fraina- 
reut  anabitionem  malorum  omnium  raatiem  afque  autri- 
cem  ,  quaodoquidem  omnia  quae  magna  corporeis  et  hu- 
mana  tantum  intuentibus  oculis  apparent ,  exigua  viden- 
tur  spiritualibus  oculis  et  aeteina  contemplantibiis.  Idque 
ipsum  jure  oplimo,'  quandoqaidem  terrae  raoles  oollata 
coelo,  instar  est  puncti,  raris  habitata  locis,  sterili  areaa 
noxils  seppenlibus  silique  deserta  ,  vastis  invia  paludi* 
bus,  altissimis  intersecta  montibus,  profundissimis  in- 
terpolata fluctibus.  In  liac  exigua  uaturae  porlione  lu- 
multuatur  humanum  geuus  ,  brevis  et  incertae  vitae  etiam 
si  diuturna,  si  longissima ,  si  stabili  nis.a  fundamento 
videatur.  Quid  enim  diuturnura  morlalibus  si  aelernitati 
futurae  et  immortalis  vitae  ad  ipsu.u  couferatur  ?  Quid 
certuni  et  slabile  in  homine ,  in  quo  nutant  omnia?  ia 
quo  ut  externas  taceam  et  circumjaceates  molestiarum 
moles ,  ipse  coiiQictus  pugaantium  inter  se  qualitatura 
corporei  temperamenti,  bellum  intestinura  illi  ipsi  ciet 
idenlidera ,  et  confeclo  bello  miuatur  excidium.  Adde 
tenebras  quibus  humana  mens  sibi  relieta  circumfundi- 
tur  ,  unde  et  variarum  opinionnm  praelia  cnorìnntur  , 
et  votorum  sibi  succedenfinra  ,  subindeque  fluctuantiuni 
aestus  piane  continui.  Adde  impetus  hostiles  ,  dolos , 
fraudes ,  injurias:  Adde  et  snperiorum  mentium  et  in- 
sultus  et  aestus  ,  ut  verissimum  sit  illud  elogium  ,  Vita 
hominis  militia  super  terram.  Miliiia  dubio  prooul  ,  sed 
qua  et  victoriam  et  eoronani  et  regnum  ,  uobis  in  coelo 
Leone  X.   Tom.    T'JJJ.  8 


ii4 

comparare  ppssimus  ,  ejasmorli ,  ut  nec  animo  capere  ^ 
DPC  concupisnere  votis  piane  qiieamus  ,  qnando  et  animi 
et  corporis  foelioitas  qnae  illic  reposita  Dei  amicis , 
ejusque  legis  custodibus  post  hujus  vitae  cursnm  asser- 
vatur  ,  omnino  superet  captum  hiimanae  mentis  ,  nec 
nisi  Dho  docente  hominibns  patefiat  nihilque  omnino  sint, 
si  ei  conferantur  foelicitati  :  quae  vanae  vetustatis  illu- 
stratores  Poetae  atque  Philosophi  commenti  sunt  de  for- 
tunatis  insulis ,  de  fluminibus  neciaris  ,  de  via  lactea  , 
de  reditu  ad  compares  stollaSj  et  caeteris  quae  ad  ven- 
tatem  hallucinantes  sais  lucubrationibus  inseruere.  Haec 
illi  et  similia  de  sacro  litterarum  otio  nanoisei  facile  pos- 
sent.  Sed  ea  ab  omnibus  non  cxforqueo  sacerdotibus  ;  at 
ne  lileras  omnino  ignorent ,  ne  salis  evanidi ,  ne  lucis 
extinctae  notam  gerant ,  et  noscant  qnae  ad  eorum  per- 
tinent  officium  ^  hoc  exposoo  ,  hoc  exigo  ,  et  ni  praestent 
piane  detestor.  In  primis  autem  et  vitae  innocentiam  et 
mornm  disciplinam  ,  non  exactissimam  illam  quidem  et 
praeceUentissimam ,  sed  mediocrem.  Non  pelo  ut  instar 
Hierojiymi  saxo  pcclus  identidem  verberent ,  sed  nec  uì 
nneretricnm  peclora  baccatis  mouilibns ,  nec  crepidas 
Hydaspeis  gemmis  exoroent.  Ncque  etiam  postulaverim , 
ut  Hilarionis  inediae  assuescaut,  sed  ne  Sybaritarum 
coenas  aut  aemuleutur,  aut  superent.  Mmus  etiam  ef- 
ClagHaverim,  ut  in  spiuis  et  nive  volutentur,  more  Fran- 
fisci  et  Benedicti ,  sed  quuna  mollem  cygnorum  phimam 
ingenti  pecunia  mercantur ,  aut  redimendis  capti  vis  . 
aut  vu'ginibus  nuptui  tradendis  jure  optimo  dedicata  id 
planò  damuaverim.  Mediocritatem  suadeo  ;  praecpUeotiam 
jllam  virtutenij  quam  derairari  facilius  quàm  imitari  pia- 
fimi  pu^sanì ,    si  sequi    cliani  malueriut  ^    et  laudabo  eì. 


ii5 

praeclicabo.  Sed  ncque  ila  rem  ad  vivum  reseco ,  ut 
quum  eos  et  largos  et  faciles  esse  ad  tribuendum  mo* 
neo  ,  ita  moneam  ,  ut  velina  eos  omoino  imitari  egregium 
illud  Martini  et  celebratissiraum  facinus  scindendae  ve- 
stis ,  uti  raendicus  et  frigore  treniebundus  pauper  ami- 
ciretnr.  Veruni  eos  quibus  abandant  acervi  pecuniarum, 
monitos  velim  Martini  esemplo  ,  nudis  vestes  tribuendas ., 
potius  quàm  coccineis  atqne  purpureis  paonis  cooperien- 
da  jumenta.  Neque  itera  esigo  in  sacrarum  sumptibus 
aedium  censum  ut  emnem  dispertiant,  aemulenturque 
aut  Sybillina  Guinis  olini  extructa  delubra  ,  aut  Simaa- 
dii  et  Artemisiae  praeruptas  niurorum  moles  et  minas , 
aut  Salomonia  terapia ,  aut  etiam  nostrae  tempestatis 
Julia  aedificia.  Sed  libenfer  postulaverim^  ne  sinant  cor» 
ruere  quae  ab  illis  struota  suot  tempia  ,  à  quibus  ipsi 
opes  tautas  nacti  suut  ,  ut  multo  auro  dicantur  Salma- 
cidas  uectes  coemere.  Postulaverim  ne  Sacella  à  priscis 
olim  frequentata  patribus  permittant  histricum  iatibula 
conbtitui ,  foedeque  adeo  haberi  et  negligenter ,  ut  sif: 
saepenumero  videre  ferarum  lustra  equorumque  praesepia 
et  mundius  et  honestius  asservari.  Quum  nihilominuR 
ipsorura  cabicula  interim  auro  epiendeaut ,  et  substrata 
etiam  purpura  lougè  pretiosissima  sint ,  mensarum  vero 
et  coquinarum  instrnmeuta  opere  caelato  refnlgeant.  His 
incommodis  cum  aliarum  benefìcio  sanctionum  ,  tum  il- 
lius  maxime  custodia  legis  consuleres  ,  Maxime  Poatifex, 
qua  sanctissimè  cavetur ,  ne  multa  ab  uuo  sacerdotia  , 
quibus  annexa  sit  animarum  cura ,  possideantur.  Dis- 
pensatio,  ita  solet  appeiiari  ^  effecit,  ut  jam  noa  multa, 
non  plura,  sed  innumera  teneant  multi,  qui  ne  diaconi 
quidem  mererentur    officio    defuogi,    at  ejusmodi  rerum 


ii6 

dissipationem  non  ego  ,  sed  Bemardus  tot  autea  secaìts 
appellavit.  Oppone  te  buie  petulaatiae.  Pater  beatissime , 
et  unum  hoc  infer  alia  negolium  et  numvis  egregie  su- 
scipe  ,  ut  qui  hixu  diTAunot  ,  qui  ambitione  dcfervent  , 
qui  vel  coemptis  vel  ejus'nodi  dissipationibus  paratis  sa- 
cerdoliis  lasciviutat  ,  qui  leges  deniqne  riiè  posila»  non 
observant ,  sentiant  tuae  vini  justitiae  atque  intrepidae 
virlutis  j  ut  si  aUqua  culpa  teneantur  erroris  hunaani  , 
ab  ejusmodi  tamen  scelerum  imnaanitate  liberentur.  Li- 
ceat  bonis  et  modeslis  vivere  j  quibus  nec  otiosis  ia 
communi  olio  iam  licet  esse  ;  illis  ipsis  omnia  arripien- 
tibus  ,  et  servitntem  indicentibus  maximam  bis  qui  eo- 
rum  indigent  opera  ad  famem  tolerandam.  Hoo  ei  non 
egeris  ,  Autistitum  Summe  ,  si  raaHs  hominibus  fraena 
laxaveris  ,  si  iamdiu  multumque  laxata  non  cohibueris  , 
verfor  ne  ,  te  Pontifice  ,  decidat  eò  nostra  respub.  ut 
dici  non  falsò  |)ossit,  à  libidine  pudorem  ,  ab  audacia 
timorem  .  ab  amentia  rationera  penitus  esse  devietara  , 
et  in  te  bellum  à  nostrae  religionis  bostibus  ante  audias 
geri  quam  parari.  Si  egeris  ,  et  utilitatem  omnibus  ,  et 
tibi  etiam  gloriam  non  hanc  solùm  momeulaueauì  et  ca- 
ducam  ,  quae  parvi  temporis  angusliis  coercetur  ,  sed 
et  stabilem  et  perpeluam,  non  in  terris  modo,  sed  in 
coelesti  sede  c<'mparabis.  Nec  modo  timendum  tibi  ab 
exleris  erit  ,  sed  intrepide  sperandum  ,  ventnros  uoslrae 
religionis  bostes ,  ad  nostrae  fidei  disciplinam  ,  boni» 
exemplis  facilms  qaàm  vi  et  armis  invitatos.  Redactuni 
olim  ad  nostrae  pietalis  instituta  terrarum  orbeni  per 
Apostolos  efficacius  sanctissimis  eorum  vitae  moribus , 
quàm  non  modo  Conslantini  Caesaris  legibus  ,  praeliis 
atque    triumpUis ,    sed    eliam    peraclis  ipso  Apostolorum 


minìslerin  siipra  vim  ìiiUirae  itiiraculis  ,  praeclarissimì 
nostrae  firlei  assertores  jiidicavere.  Et  qnis  ,  rogo,  ncbis 
assentirelur  bonos  mores  suadenlibus  ,  sì  pravis  ipsi  abu- 
teremur?  Quis  religioni  quam  colimus  initiari  per  nos 
cuperel  ,  quos  videret  qnod  ore  asserimus  faolis  perne- 
gare  ?  Praestat  itaque  in  reducendis  hoslibus  et  deser- 
loribus  ad  nostrae  fidei  pietatem ,  ut  collapsos  mores  ad 
normam  priscae  virtutis  inslaureraus  ^  quàm  quod  multi 
ambiunt ,  ut  classe  petamns  Euxinum  ,  et  exposito  ia 
Continentem  milite  ,  ooncussaque  maximis  confectis  prae- 
liis  Colchica  Trapezunte  ,  cruentata  vexilla  iuferamus 
Armeniae.  Ejaigitur,  Pater  Sanctissime  ,  et  naturae  lege 
non  scripta,  sed  nata  et  revelata  divinitas  disciplina, 
et  majorem  tuorum  sanotionibus  atque  decrelis  ,  et  uti- 
litate  siinul  et  gloria  excitatus,  indue  sauctissumim  ia 
deserlores  et  ìmpìos  saluberrirnumque  furorem  ,  quo  di- 
scant  poenarura  agere  formidine ,  quod  virtutis  amore 
deberent.  Moses  iile  legislator ,  quanquam  imitissimus, 
terrifica  tamen  percitus  et  ira ,  qnum  posthaberi  Deum 
agnovit  ,  et  severam  in  deserlores  poenam  exe;  cuit.  Deus 
et  homo  Chrislus  Jesus  omnium  virtutum  excmplar  irro* 
gaìas  in  se  contumelias  patientissimè  tulit.  Non  tulit  Pa- 
terni honoris  notam  ,  qnnra  sacrilegos  venditores  empio* 
resque  rx  tempio  expulit  et  flagello  discussit.  Et  ille 
quidera  vìluli  uuius  aurei  cnltores  maxima  est  caede 
persequutus  ;  et  hic  columbas  veiiales  et  turtures  è 
tempio  voluit  ejeclas.  Tu  vero  earum  cuhores  vitularum, 
quae  maximo  numero  in  urbe  nou  slabulantur  modo 
sed  dominanlur ,  et  auro,  purpura,  raargaritis,  more  re- 
gio incedunt  ornatae,  ut  ad  eoruui  adspectum  ,  neduia 
cougressum    plurimi    et    obbrulescant  9\,   pereaal ,  esili» 


^altem  et  hononJm  omnium  muleta  non  compesces?  Ta 
6aoras  aedes  sceleribus  omnifariara  propbaiiari ,  et  in  cis 
tot  moQstra  Gircaea    gruunire    permiseris  ?  Tot  Sjrenes, 
et   veriùs ,    tot    Syreoum  millia    patieris  ,    naviculae  libi 
divinitus    oommissae  ,    quantum    in  ipsis  est ,    procurare 
naufragium  ?    Tu    Dei     Optimi    Maximi    templorum  ,    ta 
Christi  sanguinis  mercatum  sustinueris ,  cujus  supremum 
sacerdotium  nuUìs  raercimouiis  es  cousequutus  ?    Si   cle« 
mens  videris  pontifex  ,    id  pietati     facile    adscribetur.   Si 
nimis  placidus  ,  naturae    tuae  consuetudiai,    corporisque 
temperameoto.     Sed    si     posthaberi  Deum    ejnsque   legem 
patieris  ,  et  immania  scelera  passim  et  nulla   prorsus  ve- 
recundià   peragi ,  nullus    erit    tam    iujustus    rerum  aesti- 
Malor  j  qui  vereatur  id  tribuere    vel    malitiae  vel   negli- 
gentiae.   Quapropter     si  attendere  diligeoter    et    aestimare 
Lac   ornai  de  re,    de  qua    disseruimus ,    voluerJs,   Pater 
Sanctissime  3    sic    (ni  lallor  )    piane  coustitues ,  ut  ieges 
jam   ritè  positae ,  poenae  saltem  formidioe  custodiantur , 
dabisque  operam  esemplo  non  solùm  et  ionocentià  vitae, 
sed     animadversioni     in    alios ,    ne    quicqoid    collibituni 
fuerit  impune  fecisse  audeant  ìmprobi,  atque  ita    et  tibi 
eimul  et  omnibus  consules  ,   et  collabenleni  jam  ac  prope 
intermoriturara    Christianam    Rempublicam     ab    iuteritu 
vendicabis.    Hoc    omnis    ordo ,    hoc    consensio    honorum 
omnium  exposcit  et  obsecrat.   Qaae  ubi  per  Te  acta  fue- 
rint  ,  ubi  pessimae  viiae  moostra  vel  edomueris  vel  extia- 
xeris  ,  ne  postea  repulluleut,  adhibenda  erit  legum  cau- 
tio ,    et    severior    aliquanto    disriplina.    Non    in    vestibus 
modo  et  sumptibus ,  sed  in  studiis   sacrae  litterae  ulrius* 
que  lustramenti  recognoscendae ,  et  cum  antiquis  et  ca- 
«tigatis  primae  originis  eiemplaribus  coaferendae ,   ut  ab 


119 

errati»  quae  villo  teraporum  et  librarioram  iacurlà  ,  in 
illas  irrepserunt  j  oinuino  pur^eutur  ;  solemnes  caereino- 
niae  de  quibus  fuere  olim  qjaepiain  difricultates  ,  prio- 
ribus  oblatae  Syaoilis ,  slatuendae  finnaadaeque  suiit  ; 
quotidiaaae  preces  redigendae  in  statura  et  probatuiQ 
ordinatum  ordiuem  ;  et  verae  hisioriae  ab  apocryphis  aa- 
gis  segregaudae ,  praesfiribeuda  principibus  viris  officia  j 
ut  scelerata  illa  et  oostrae  Reipublioae  deletrix  opioio  , 
licere  quae  placeaiit,  et  à  vulgi  aaiinis  oramuo  amovea- 
tur  et  peaitus  exulet.  Sit  inter  ips<»s  Priucipes  pax  et 
discordiaruin  fitiis  ,  ut  à  diuturois  disseusio;iibus  aliquaudd 
quiescamus ,  daturi  operana  eis  officns  ,  quae  morlales 
evebunt  ad  immortalena  vitam  et  excedentem  auimautiuru 
omnium   vota  foelicitatem  (i). 

Comitis  Miraiidulae  de  Moribus  reformandis  Ora- 
tiouis  Finis. 

(i)  Singolarissima  dee  ripu'arsi  per  lutii  i  LÌ:oIi  ques'a  ora- 
zione, siccome  quella  che  coaliene  espresse  con  mollo  vigore, 
e  eoa  qualche  acrimonia,  quelle  lagnanze  medesime,  che  for- 
marono V  oggello  dei  primi  reclami  de^  riformatori.  K  pure 
singolare  il  vedere  queste  querele  proposte  al  Papa  ,  e  ad  uà 
pieno  concilio  da  una  persona  laica  ,  e  merita  particolare  os- 
servazione la  libertà,  colla  quale  questa  persona  parla  al  Papa, 
ed  ai  padri  riuniti ,  e  dice  al  primo  essere  la  riforma  un  affare 
di  maggiore  importama,  che  non  la  spedizione  progetta- a  contro 
i  Turchi.  Pili  di  luUo  merita  considerazione  T  enunciativa .  che 
si  trova  nella  pagiixa  precedente:  hoc  omuis  orcio,  hoc  cousensio 
bonorwn  omnium  exposcit ,,  et  obsecral.  Può  vedersi  a  questo 
proposi'©  ciò  che  si  è  scritto  nelle  noie  addizionali  al  Voi.  IX, 
laddove  si  parla  di  Già.  Francesco  Pico.  —  Molti  scritti  a 
questo  somiglianti  irovansi  nella  stessa  racco! ^.a  di  Oriuina 
(Jra^/o,  pubblicata  da  Browi:  Fiiscìculas  rerum  e.ipcteiularuin^ 
et  fugieridaruni  j  e  nelle  opere  di  Niccolò  de  Clcman^is. 


X30 

N.o  CXLVit 

(  T'oi  ri  p.  98.  ) 

Fìme  Sacre  Hi  Lorenzo  He  Medici,  p.  ^S. 
Ed.  Fir.   i68o. 

ORAZIONE. 

Magno  Dio,  per  la  cm  constante  legge, 
E  sotto  el   cui  perpetuo  governo , 
Questo  Universo  sì  conserva,  e  regge 3 

Del  tutto  Creator,  che  dallo  eterno 
Punto  comandi  corra  el  tempo  labile  3 
Come  rota  farla  su  fisso  perno. 

Quieto  sempre  j  e  giammai  non  mutabile. 
Fai  e   muti  ogni  cosa  ,  e  tutto  muove 
Da  te  fermo  Motore  infafigabile. 

Ne  fuor  di  te  alcuna  causa  truove , 
Che   rimuova  a  formar  questa  materia , 
Avida   sempre  d' aver  forme  nuove. 

JfoD   indigenzia  ,  sol  di  bontà  vera 
La  forma  forma  questa  fluente  opra , 
Bontà  ,  che  sanza  invidia  o  malizia  era. 

Questa  bontà  sol  per  amor  s'adopra 
In  far  le  cose  a  guisa  di  modello , 
Simile  allo  edificio  eh'  è  di  sopra. 

Bellissimo  Architetto  el  Mondo  bello  j 
Fingendo  prima  nella  eterna  mente , 
Fatt'  ai  questo  all'  imagiue  dì  quello. 


121 

Ciascuna  parte  perfetta  esìstente 

Ntl  {;rado  suo,  alto  SigHor ,  comandi. 
Che  assolva  el  tutto  ancor  perfeltaruenle. 
Tu  gli  clementi  a'  propri  luoghi  mandi , 

Leccandoli  con  tal    proporzione  , 
Che  r  nu  dall'altro  non  disgiungi,  o  spandi, 
Tra  '1  foco  e'  1  ghiaccio  fai  cognazione  , 

Così  tempri  insieme  il  molle  e '1  duro. 

Da  te  fatti  contrari  anno  unione. 
Così  non   fugge  più  leggiero  e  puro 

El  foco  in  alto  ,  né  giù  el   peso  affonda 

La  terra  in  basso  Fotto  '1   centro   oscuro. 
Per  la  tua  provvidenzia  fai  ,  s' infonda 

L' anima  in   mezzo  del    gran  corpo  ,  donde 

Conviene  in  tutti  e  me  rabri   si   diffonda. 
Ciò  che  si  muove  ,  non   si   muove  altronde 

In  sì  bello  animale  ;   e  tre   nature 

Quest'ainma  gentile  in  sé   nasconde. 
Le  due  più  degne  più   gentili  e  pure. 

Da  sé  movendo ,  due    gran  cerchi  fanno  ^ 

In   se   medesme   ritornando    pure; 
E'  intorno  alla  profonda  mente  vanno. 

L'altra  va   dritta    mossa  dall'amore 

Di   far  gli  effetti ,  che  da  lei   vita  anno. 
E  come   muove  se  questo  Motore 

Movendo  el    Cielo,  il  suo  moto  simiglia , 

Come  le   membra  io   mezzo  al  petto  el   cor€> 
Da  tè  primo  Fattur  la  viia  piglia 

Ogn*  animale  ancor  di  minor  vita  , 

Beachè  più  vii  ;  questa  è  pur  tua  famlgiia. 


122 

A  questi  dà  la  tua  bontà  ioRnita 
Curri  leggier  di  puro  fuoco  adorni  , 
Quando  la  Terra  e'I  Giel  gli  chiama  in  vitft. 

E  dipoi  adempiuti  e  mortai  giorai  , 
La  tua  benigna  legge  allor  concede. 
Che  il  curro  ciascua  monti ,  et  a  te  torni. 

Concedi ,  o  Padre ,  l*  alta  e  sacra  sede 
Monti  la  mente,  e  vegga  el  vivo  fonte. 
Fonte  ver  bene  ,  onde  ogni  ben   procede. 

Mostra  la  luce  vera  alla  mia  fronte  , 
E  poiché  conosciuto  e  '1  tuo  bel  Sole , 
Dell'  Alma  ferma  in  lui  le  luci  pronte. 

Fuga  le  nebbie  ,  la  terrestre  mole 

Leva  da  me  ,  e  splendi  in  la  tua  luce  ; 
Tu  se'  quel  sommo  bea  ,  che  ciascun  vuol*. 

A  tè  dolce  riposo  si  conduce, 

E  tè  come  suo  fin ,  vede  ogni  pio  ; 
Tu  se' principio ,  portatore,  e  duce. 

La  vita,  e'I  termia.  Tu  sol  Magno  Dio. 


133 


N.9  CXLVIII 

(  Voi.  VI.  p.    107.  ) 

Lutheri  Opera.   Tom.  I.  p.   i. 

Revsrewdissimo  in  Chrtsto  Patri,  Illustrissimo  Do- 
mino ,  Domino  Alberto ,  Magdeburg.  ac  Moguntinen. 
Ecclesiarum  Archiepiscopo  Primati ,  Marchioni  Bran- 
dehurg.  etc.  Domino  suo  et  Pastori  in  Christo  ,  Fc' 
nerahiliter  metuendo  ac  gr  atiosissimo. 

Gratiam  Dei ,  et  quicquid  potest  et  est. 

Farce  mihi ,  Reverendissime  iu  Christo  Pater,  Pria- 
ceps  illustrissime,  quod  ego,  fex  homiaum ,  tantum  ha» 
beo  temeritatis ,  ut  ad  culmen  tuae  sublìmitatis  ausus 
fuerim  cogitare  Epistolam  ;  testis  est  mibi  Domious  Je- 
sus, quod  meae  parvitatis  et  turpitudmis  mihi  consciuSj 
diu  jam  distuli,  quod  nunc  perfriiHa  fronte  perfìcio 
permotus  quam  maxime  officio  fìdelitatis  meae ,  quam 
T.  Revereudissimae  Pat.  in  Christo  debere  me  agnosco  , 
digoetur  itaque  tua  interim  Celsitudo  oculum  ad  pulve- 
rem  unum  intendere ,  et  votum  meum  prò  tua  ponliE- 
cali  clementia  intelligere. 

Circumferuntur  Indulgeutiae  papales ,  sub  tuo  prac- 
clarissimo  titulo  ,  ad  fabricam  S.  Petri ,  in  quibus  noa 
adeo    accuso    Praedisatoruoa    esclamationes ,    quas    ooa 


124 

audivi ,  sed  doleo  faUìssImas  ìntelligenlia?  popnli  ex  ilHs 
coDceptas ,  quas  vulgo  unflique  jactant  ,  videlicet ,  quod 
creduat  iufelices  aniiuae^  si  literaa  Indnlgpntiarum  re- 
demerint ,  ,se  securas  esse  de  salute  sui.  Item  ,  qnod 
Aniraae  de  Purgatorio  siatim  evolent ,  ubi  contributionem 
in  cistam  conjecerint.  Deinde,  taatas  esse  has  gratias  j 
tìl  nullum  sit  adpo  tnagnurn  peccatum  ,  eliara  (ut  aiunt) 
si  per  impossibile  quis  Matreiii  Dei  violasse!,  quin  pos- 
sit  solvi.  Itprii ,  quod  homo  per  istas  iudulgentias  liber 
sit  ab   onini   poena  et  culpa. 

0  Deus  optime  !  sic  erudiuntur  Animae,  tnis  curis , 
©ptitne  Pater  ,  oommissae  ,  ad  mortem  ,  et  fit  atque  ere* 
scit  durissima  ratio  tibi  reddenda  super  omnibus  istis.  Id 
circo  tacere  haec  amplius  noa  potui ,  non  enim  (ìt  homo 
per  ullum  munus  Episcopi  securus  de  salute,  cum  nec 
grat'am  Dei  nos  operari  salutem  nostrara  Apos'olus.  Et 
juslus ,  iaquit  Petrus  ,  vix  salvabitur.  Deaique  tam  arcta 
est  via,  quae  ducit  ad  vitam  ,  ut  Domiaus  per  Prophe- 
tas  Amos  et  Zachariam  ,  salvandos  appellet  torres  raplos 
de  incendio ,  et  ubique  Dominus  difficullatem  salutis  de» 
uunciat. 

Cur  ergo  ppr  ìUas  falsas  veniarum  fabulas  et  promis- 
sìones  ,  praedicdtores  earum  faciunt  populum  securum  et 
FÌiie  timore?  cum  Indulgeutiae  prorsus  nihil  boni  con- 
ferant  Animabus  ad  salutem  aut  sauctitatem ,  sed  tantum* 
modo  poeoam  externam  ^  olim  canonicè  impoui  solitara  , 
au  fera  ut. 

Dcuique  ,  opera  pietalis  et  charitatìs  sunt  in  infinitnm 
meliora  indulgentiis ,  et  tamen  haec  non  tanta  pompa 
nec  lauto  studio  praedicant,  imo  propter  Venias  prae- 
dicaudas  illa    tacent,    cum  tamen  omnium  Ejiiscoporum 


125 

^nc  sit  officinm  primum  et  solum  ,  ut  populus  EvangR- 
limi  Hisoat  ,  et  chariiatem  Christi  ,  nusqnam  eoim  prae- 
cijiit  Chrislus  lodulgeutias  praedicari.  Quautus  ergo  hor- 
ror est,  quantum  periculum  Episcopi,  si  tacito  Evan- 
gelio, non  nisi  strepitus  indulgenliarum  permittat  in  pò. 
pulum  suum  spargi  ,  et  has  plus  curet  quam  Evaage- 
liura  ?  nonne  dicet  illis  Ghristas ,  Golantes  culicem  ,  et 
glulienles  caraelnin  ? 

Accedit  ad  hoc.  Reverendissime  Pater  in  Domino, 
qnod  iu  Instruclione  illa  commissariorum ,  sub  T.  Reve* 
rendissimae  P.  nomine  edita  ,  dicitur  (  utique  sine  T.  P. 
Reverendissimae  et  scientia  et  cousensu)  unam  prinoipa- 
liuui  gratiarum  esse  donum  illud  Dei  inaestimabile  ,  quo 
reconcilietur  homo  Deo,  et  omnes  poenae  deleantur  Pur- 
gatorii.  Item  ,  quod  non  sit  necesàaria  contritio  his ,  qui 
Animas  vel  Gonfessionalia  redimunt. 

Sed  quid  faciam  ,  optime  Praesul  et  illustrissime  Pria- 
ceps,  niài  quod  per  Dominum  Jesnm  Christum  T.  Re- 
■verendissimam  P.  orem  ,  quatenus  oculum  paternae  cu- 
rae  dignetur  admitlere ,  et  eundem  Libellum  peuitus  tol- 
lera, et  praedicatoribus  veaiarum  iraponere  aliam  prae- 
dicandi  formara ,  ne  forte  aliquis  tandem  exurgat  ,  qui 
editis  Libellis ,  et  illos,  et  Libellum  illum  confutet,  ac 
vituperium  summum  Illustrissimae  Tuae  Sublimilatis  , 
quod  ego  vehementer  quidem  fieri  abhorreo ,  et  tameu 
fulurum   timeo ,  nisL  cito  succurratur. 

Haec  meae  parvitatis  fidelia  officia  ,  rogo ,  tua  illu- 
strissima gratia  dignetur  accipere,  animo  principali,  et 
«piscopali  ,  id  est,  olementissimo  ,  sicut  ego  ea  exhibeo 
corde  fidelissirao  ,  et  T.  P.  Reverendissimae  deditissimo. 


196 

quando  et  e^o  pars   ovilis    tui  sum.    Domious  Jesus  cu- 
stodiat  T    Reverendissimam   F.  in  aeternum  ,  Amen. 

Ex  Wiltcmberga  j  in  Vigilia  omnium  Saactorum  , 

Anno    Moxvil. 

Si  T.  Reverendissimae  P.  placet  ,  poterit  has  raeas 
Disputatione$  videre  ,  ut  ìntelligat  ,  quam  dubia  res  sit 
Indulgentiarum  opinio ,  quam  illi  ut  certissimam  se- 
minaut. 

T.  Reverendissimae  P. 

MARTinus  L(;therv<;: 


N.«  CXLIX. 

(    Fol.    FI.    pag.    ii3.  ) 

Lutlieri  op.  tom.   1.  p.    65, 

Beatissimo  Patbi  Leoni   Decimi,  Pont.   Lax.   F. 
Martinus   Lutherus  Augustinianus  ,    aeternam   salutem. 

Auditum  audivi  de  me  pessimum  ,  Beatissime  Pater, 
qto  intelligo  ,  quosdam  amicos  fecisse  uomen  roeum  gra- 
vissime corara  te  et  tuis  foetere ,  ut  quia  autoritatem  et 
potestatem  clavium  et  Summi  Pontificis  minuere  moli- 
tus  sim.  Inde  Haeretious,  Apostata  ,  perfidus  et  sexcentis 
nominibus  ,  imo  ignominiis  acousor.  Horrent  aures  et  stu- 
pent  oculi.  Sed  unicum  stat  fiduoiae  praesidium  ,  inno» 
cens  et  quieta  oonscientia.  Nec  nova  audio;  talibus  enira 
iasigoìbus    et    in    nostra  Regione  me  ornaveruat ,  homi- 


«27 

oes  isti  hoDestisstmì  et  veraces  3  id  est^  pessime  sibì  con^ 
scìi,  qui  sua  portenta  mihi  cotiantar  iinpouere,  et  mea 
ignominia  ,  snas  ignominias  glorificare.  Sed  rem  ipsam  , 
Beatissime  Pater,  digneris  audire  ex  me  iofaate  et  iu- 
culto. 

Coepit  apud  nos  diebus  proximis  praedicari  Jubileus 
ille  Indulgentiarum  Apostolicarum,  profecitque  adeo  ,  ut 
praecones  illius,  sub  tui  nomiais  terrore ,  omnia  sibi  li» 
cere  putantes ,  impiissima  haereticaque  palam  auderent 
docere,  io  gravissiraum  scandaium  et  ludibrium  Eccle- 
siasticae  polestatis,  ac  si  Deoretales  de  abusionibus  quae° 
^torum  uihil  ad  eos  pertinerent.  Nec  contenti ,  quod  li- 
berrimis  verbis  haec  sua  veneua  diffunderent  ,  insuper 
Libellos  ediderunt  ,  et  in  vulgnm  sparserunt.  In  quibus, 
ut  taoeam  insatiabilem  et  inauditam  avariiiam  ,  quam 
singuli  pene  apices  olent  crassissime  ,  eadem  illa  impia 
et  haeretica  statuerunt ,  et  ita  statuerunt ,  ut  Confesso- 
res  juramento  adigerent ,  quo  haec  ipsa  fidelissime  instaa- 
tissimeque  populo  ioculcarent. 

Vera  dico,  nec  est,  quo  se  abscondant  à  calore  hoc. 
Extant  Libelli,  nec  poasunt  negare.  Agebautur  tum  illa 
prospere  ,  et  exugebantur  poputi  falsis  spebus ,  et  ut 
Propheta  ait ,  Camera  desuper  ossibus  eorum  'ollebant. 
Ipsi   vero  pinguissime  et    snavissime   interim    pascebantur. 

Unum  erat,  quo  scandala  sedabant ,  scilicet ,  lerror 
uominis  tui  ,  ignis  comminalio  et  Haeretici  nominis  op- 
probriura.  Haec  enim  incredibile  est  quara  propensi  sint 
intentare,  quandoque  etiam  sit ,  in  meris  ojiiniosisqne 
nugis  suis  contradictionera  senserint.  S-  tamen  hoc  est 
scandala  sedare ,  ac  non  potius  mera  tyranuide ,  schis- 
mata  et  sedilionep  tanrlem  suscitare. 


128 

Vprum  nihilominns  crpbrcscebant  Fabulac  per  tabernas 
de  avantia  sacerdotum ,  delractioaesque  clavium ,  sum- 
mique  Pontificis ,  ut  testis  est  vox  totius  hujus  terrae. 
Ego  sane  (  ut  faieor  )  prò  zelo  Christi  ,  sicut  mihi  vi- 
clcbar,  aut  si  ita  placet,  prò  juvenili  calore  urebar,  nec 
tamen  menni  esse  videbana,  ia  iisquicquam  statuere  aut 
facere.  Proinde  monui  privatim  aliquot  magoates  Eccie- 
siarum.  Hic  ab  aliis  acceptabar ,  aliis  ridicuhim ,  aliis 
aliud  Tidebar  ;  praevalebat  eniui  nominis  lui  terror  et 
censurarum  iutentatio.  Tandem,  cura  nibil  possem  aliud> 
TÌsum  est ,  saltem  ,  leniuscule  illis  reluctari ,  id  est  , 
eornm  dogmata  in  dubiuin  et  disputationem  vocare.  Ita» 
que  Schedulam  disputal'driam  edidi ,  invitaas  tantum  do- 
ctoreSj  si  qui  vellent  tnecum  disceptare  ,  sicut  mauife- 
stum  esse  etiam  adversariis  oportet,  ex  Praefalione  ejus- 
deni  disceptationis. 

Ecce  ,  hoc  est  iacendiura,  quo  totum  Mundum  quae- 
rnntur  cooDagrari ,  forte  quod  indignanlup  me  unum  , 
autoritate  tua  Apostolica  Magistrum  Tbeologìae ,  jus  ha- 
bere  ,  in  publica  S  -boia  disputandi ,  prò  more  omninm 
Universilatum  et  totius  Ecclesiae ,  non  modo  de  indul- 
gentiis,  vprum  etiam  de  potestate  ,  remissione,  Lidulgen- 
tiis  divinis  ,  incomparablliter  majoribus  rebus.  Nec  tamea 
multum  moveor,  quod  hanc  mihi  facultatem  invideant  , 
à  tua  B.  potestale  concessam  ,  qui  eis  falere  cogor  invi» 
tu?,  multo  majora  ,  scilicet,  quod  Arislotelis  soinnia ,  in 
inedias  res  Thcologiae  miscent ,  atque  de  divina  Majestate 
oaeras  nugas  disputant,  con  ira  et  citra  facultatem  eis 
datam. 

Porro ,  quod  nam  fatum  urgeal  has  solas  meas  Dlspu- 
tationes  prae  caeleris ,  non  solum  eis,  fied  omnium  Ma- 


gìstpornm ,  ut  io  oranem  terram  pene  exierlnt ,  nalhi  ipsi 
miraculum  est.  Apud  nostros  et  propter  nostros  tantum 
sunt  editae  :  et  sic  editae ,  ut  mibi  incredibile  sit,  eas 
ab  omnibus  fntelligi ,  Disputationes  enim  sunt,  non  do- 
«trinae  ,  non  dogmata ,  obscurius  prò  more,  et  aenigma- 
ticos  positae.  Alioqin  si  praevidere  potuissem  ,  certe  id 
prò   mea  parte  curassem  ,   ut  essent  intellectu  faciliores. 

Nunc  quid  faciam  ?  Revocare  non  possum  ,  et  mirara 
mihi  invidiam  ex  ea  invulgatioae  video  conflari  ;  invitu» 
venio  in  pubUcum ,  periculosissimumque  ac  varium  ho- 
minum  judicium  praesertim  ego  indoctus ,  stupidus  in- 
genio ,  vacuus  erudilione  ,  deinde  nostro  florentissimo  se- 
culo  ,  quod  prò  sua  in  literis  et  ingeniis  foelicitate  eliaca 
Gioeronem  cogere  possit  ad  aogulum  lucis  et  publici  , 
alioqui  non  ignavum  sectatorera  ;  sed  cogit  necessitas,  me 
anserera   strepere   inter  olores. 

Itaque  quo  et  ipsos  adversarios  mitigem  j  et  desideri» 
multorum  expleara  ,  emilto  ecce  meas  uugas,  declarato- 
rias  mearum  Dispulationera;  emitto  autem ,  quo  tutior 
si  ni  5  sub  tui  nominis  praesidio,  et  tuae  protectionis  um- 
bra  ,  Beatissime  Pater,  in  quibus  intelligent  omnes  ,  qui 
voleat ,  quam  pure  simpliclterque  Ecclesiasticam  potestà- 
tem  et  reverentiam  claviura  quaesierim  et  coluerim  ,  si- 
inulqne  quam  inique  et  false  me  tot  nominibus  adver- 
sarii  foedaveriot.  Si  enim  talis  essem,  qualem  illi  me  vì- 
deri  cnpiunt,  ac  non  potius  omnia  disputandi  facultate, 
rectè  a  me  tractata  fuissent ,  non  potuisset  fieri,  ut  II- 
lustr.  Princeps  Fridericus  Saxouiae  Dux ,  Elector  Ini» 
perii,  etc.  haoc  pesiera  in  sua  perniitleret  Universitate  , 
cum  sit  Gatholicae  et  Aposlolicae  veritatis  unus  facile 
iimantissimus ,  nec    tolerabilis    fuissera    viris  nostri  studii 

Lfone  X    Tom.   mi.  9 


i3o 

acerrimis  et  sludiosissimis.  Verum  actum  ago,  quando 
illi  suavissimi  homines  non  verentur  niecum  et  Princi- 
peni  et  Universitaiem  pari  ignominia  confic^-re  palam. 

Quare  j  Beatiàsirae  Pater,  prostratum  nae  pedibus  tuae 
B.  offero  CUOI  omnibus  quae  sum  et  habeo.  Vivifica , 
«ccide,  vcca ,  revoca,  approba,  reproba  ut  placuerit  ;  vo- 
cem  tuanij  vocem  Christi ,  in  te  praesidenlis  et  loquentis 
9gnoscaa].  Si  mortem  memi,  mori  non  recusabo.  Domini 
enim  est  terra ,  et  plenitudo  ejus  ,  qui  est  benediclus  io 
secula  ,  Amen ,  qui  et  te  servet  in  aeternum  ,  Amen. 
Die  S.  Trinitalis  :  Anno  Mnxvni. 


NO.   CL. 

(  Voi.  VI.  p.    1 1 6.  ) 

Lutheri.  op.  toni.  I.  pag.   1 60. 

Epistola  Imperatoris  Maximiliani  Atigusti;  Mìssa  ex 
conventu  Ali gusiiniano ,  anno  mdxviii.  de  Controversus 
Lutiteli  ad  Leonem  X  ,  Pontijìceni  Romanum. 

Beatissime  Pater,  Domine  Reverendissime,  Accepimns 
non  adeo  muUos  ante  dies ,  quendam  Fratrera  Augu- 
stinianum  ,  Martinum  Lutherum  ,  nonnullas  Conclusiones 
in  materia  ludnlgenliarum  ,  scholastico  more  disoutien- 
das ,  disseminasse  .  nec  non  in  Concionibus  suis  et  ea 
de  re,  et  de  vi  Apostolicarnm  Excommunicalior.um  plu- 
rima docuisse  ,  in  quibus  damnosa  et  haeretica  pleraqua 


i3i 

videanlur;  atque  ea  mine  per  Magistrum  Sacri  vestri 
Palali!  notala  esse.  Quae  res  nobis  eo  magis  displicuit  , 
quo  pertinacius  clicius  frater^  nt  e  locti  siimus,  doclriiiae 
suae  inhaerere  j  alque  complnres  errornrn  suornni  Defeo» 
sores  et  Patronos  ,  etiam  potenles ,  consequutns  esse  di- 
citur. 

Verum  ,  cuin  suspectae  adserlioops  ,  et  periculosa  do». 
mala  à  nemine  meliufj  rectius  et  verais  dijiidicari  queant, 
quam  à  Beatitud  !<e  vestra  ,  quac  sola  ^  ut  poteste  ita 
debet,  vanarum  quaestiouuni,  sopbisticarnm  ràtionurrij  et 
verbosarum  conteiitionuin  autores  compescere ,  quibus 
peslilentiores  Christianae  pielati  nulli  coiitigerunt  ,  Iiac 
tantum  spectantes  ,  ut  quod  ipsi  didicertiot,  id  soluin 
habeatur  io  precio ,  quod  prescntis  secali^  et  eruditio- 
rum  consensus ,  et  pie  anlea  iti  Christo  defuiictoruua 
candida  et  solida  doclrina  comprobat. 

Extat  pervetustunn  Pontificii  Senatus  Decretum ,  de 
coastituendis  Docloribns,  in  quo  de  sophislica  uusquatn 
unqugm  quicquara  cautunn  est,  nisi  qnod  i?ta  in  Decretis 
vocantur  in  dubium  ,  utrum  fas  sit  ,  ea  discere  nec  ne, 
alqiie  horum  sludium  ,  à  innltis  et  magnis  autoribus  im- 
probatur.  Cur  igilur,  quod  Ponlificum  autoritas  jiissit, 
uegligitiir  3  et  de  quo  dnbitatum  ,  imo  improbatnm  est, 
id  solnm  recipilur  ,  neresse  est  interdura  Iiallucinari  , 
somniare  et  caecutire  Magislros  istos,  qnibus  debelnr  , 
quod  non  solnm  haclenus  Doctor-^s  ab  Ecclesia  recepii 
solidiores  non  ledi  ,  sed  pleriqae  depravati  suiit ,  atqne 
mutili  redditi. 

Tacemus  iis  Autoribus  piiUnlasse  longe  plures  ,  quam 
unqiiam  damnatas  fuisse  haerses.  Tacemus  Renchlinia- 
nam  infamationein  ,  et  nunc  praesentem    liane    periculq^. 


l32 

sìssimam  de  Indulgcntiis  atque  censurìs  ApostoHcis  di— 
sceptationem,  bis  perniciosis  Autoribus  in  muodum  enia- 
rasse.  Quibus  nisi  Beatitudinis  vestrae  et  Pteverendissi- 
morum  Palrura  aulorilas  legem  fiiiemque  imposuerit , 
brevi  non  solum  imperitae  imponent  mnllitudini ,  sed  et 
Principum  virorum  sibi  auratn  et  favorem  in  nantuam 
perniciem  compaiabunt.  Quibus  ,  si  conniventibus  oculis 
campus  apertus  atque  liber  dimittatur  ,  futurum  est  ,  ut 
quod  omnium  maxime  in  votis  habent,  ut  prò  oplimis 
et  sanctissimis  Docloribus  istorum  nenias  prae  oculis  ha- 
bere  cogatur  totus  mundus. 

Haec  prò  singulari  nostra  in  sedem  Apostolicara  reve- 
rentia  Beatitadini  vestrae  significavimus  ,  ut  sinceritas 
Christiana  ,  hujusmodi  teraerariis  Disputationibus  et  cap- 
tiosis  Argumeotis ,  non  laedatur  et  scandalizetur.  Nos 
enim  quidquid  super  bis  sanclè  statuerit  in  Imperio  no- 
stro ,  ad  laudem  et  honorem  Dei  omnipotentis ,  et  Christì 
fidelium  salutem  ,  ab  omnibus  observari  faciemus.  Datum 
in  civitate  nostra  imperiali  Augusta ,  die  quinta  mensis 
Augusti ,  Anno  MDxviii.  Regnorum  nostrorum  ,  Romani 
tricesimo  terlio  ,  Hungariae  vero  vicesimo  nono. 


i33 


N.°  CLI. 

(  Fol.  VI.  p.  117.  ) 

Lutheri  op.  toni.  I.  p.    161. 

Leo  Faxa  X.  Dilecto  nostro  FilioThomae,  Tituli 
S.  SiXTi ,  Presbytero  Cardinali  nostro ,  et  Aposto- 
licae  Sedis  de  latere   Legnato. 

Dilecte  fili  noster  j  Saluiena  et  Apostolicam  b^aedictio- 
nem.  Postquam  ad  auì-es  nostras  perveoerat,  quendam 
Martinuin  Lutherum  ,  Ordinià  Ereinitarum  S.  Augustìrii 
Profcssorem  ,  in  reprobum  sensum  versum ,  nonnulla 
haeretioè ,  et  ab  eo  ,  quod  sancta  Romana  tenet  Eccle- 
sia 3  diversa  asseverare,  et  super  hoc  Gonclusiones  ,  nec 
non  famosos  Libellos  temeritate  propria  ,  et  erecta  cer- 
vice ,  laxatis  obedientiae  frenis ,  inconsulta  Romana  Ec- 
clesia ,  fidei  Magistra ,  in  diversis  Germaniae  parlibus 
publicare  ausum  fnisse ,  Nos  lemeritatem  suam  paterne 
corrigere  volentes ,  Venerabili  Fratri  nostro  Hieronymo 
Episcopo  A-Sculano  ,  Curiae  causarum  Canierae  Aposto- 
licae  generali  auditori  ,  commisimus  ,  ut  ipsum  Luthe- 
rum ad  compareudum  personaliter  coram  eo ,  et  se  su- 
per praemissis  examiuandum,  et  qualiter  de  fide  sentiret 
respondendum  ,  sub  certis  poenis  moneret,  Ipseque  Hie- 
ronymus  auditor,  centra  dictom  Marlinum  Lutherum 
monitorium  hujusmodi ,  ut  accepimus ,  decrevit. 

Nuper  aatem  ad  notitiam  noslram  devenit ,  quod  di- 
tìtus  Martinus  benignitate  nostra  abusus  ,  et  audacior  tt- 


fectnSj  mala  malis  addendo,  et  pertinacller ,  io  haeresì 
persistendo  ,  nonnullas  alias  Conclusiones  ac  famosos  li- 
fcellos  similiter  publieavit ,  in  quibus  nonnulla  alia  hae- 
relica  et  erronea  continentur,  quod  quidem  mentena  no- 
2tram  non   modicum  perturbavit. 

Quare,  prout  pastorali  nostro  incumbil  officio,  in  prae-» 
missis  occurrcre  j  et  ne  pestis  hujusmodi  adeo  invaleat, 
tJt  simpiicium  animos  inficiai,  providere  volenles ,  cir- 
cumspectionis  tuae  ,  (  de  qua  lum  ob  singalareoa  doctri» 
nam  et  rerum  experientiam ,  tura  ob  in  nos ,  et  banc 
sanctam  Sedem  ,  cujus  honorabile  membrum  existis ,  sin- 
ceram  devotionem  plurimum  in  Domino  confidimils)  per 
praesentes  mandamus ,  ut  eisdera  praesentibus  receptis , 
absque  ulla  mora,  quoniam  res  apud  nos,  luna  ex  fa- 
ma ,  tura  ex  facli  permanentia  ,  notoria  et  inexcusabilis 
est,  dicium  Lutberum  hacreticum  per  praediclum  audi- 
toreni  jam  declaratum  ad  personaliler  coiam  te  compa- 
rendam  ,  invocato  ad  hoc  tàm  clarissimi  in  Christo  filii 
nostri  Maximiliani  Ronianorum  Imperatoris  Electi,  quam 
reliquorum  Germaniae  Frincipura  ,  Communitatum  Uni- 
versitatum  et  Polentatuum  ,  tara  Ecclesiasticorura ,  quam 
secularium ,  brachio ,  cogas  atque  compellas ,  et  co  ia 
potestale  tua  redacto ,  eum  sub  fideli  custodia  retineas  , 
donec  à  nobis  aliud  habueris  in  mandatis ,  ut  coram  no- 
bis  et  Sede  Apostolica  sistatur.  Ac  quod  si  coram  te  , 
Eponte  ad  petendam  de  hujusmodi  temeritafe  veniam  ,  ve- 
nerit ,  et  ad  cor  reversus  poenitentiae  signa  ostenderit, 
Tibi  eum  ad  uniialera  sanclae  matris  Ecclesiae ,  quae 
ttunquam  claudit  gremium  redeunti,  benigne  recipiendi 
concedimus  facultatem. 

Si  vero  in  pertinacia  sua  pergeverans  et  braehinm  se- 


i35 
calare  contemnens,  in  potcstatcm  tuam  non  veaeril,  Tibi 
in  omnibus  Germaniae  partibus  eum  ao  onines  ipsias 
adhaerentes  et  sequaces  ,  etiara  per  edicta  publica  ,  ad 
instar  illornm ,  qui  olirtì  in  Albo  praetorio  scribebantuPj 
prò  haeretioisj  exconaraunicatis  ,  anathematizatis  ,  et  raa- 
ledictis  publicandi ,  et  ab  omnibus  Ghristi  fidelibus  , 
tanquam  tales  evitari  faciendi ,  concedimus  similiter  fa- 
cultatera. 

Et  ut  celerius  et  faciìius  morbus  hujusmodi  exlermi- 
retur  ,  universos  et  singulos  Praelatos  j  el  alias  Eccle- 
siasticas  personas ,  tara  secnlares  quam  quorumvis  Ordi- 
num  ,  etiam  raendicantium  regulares  j  nec  non  Daces  , 
Marchiones,  Comiles,  Barones  ac  quascunque  Communi- 
tates  ,  Universita'es  et  Potentatus  (praefato  Maximlliano 
electo  Imperatore  excepto  )  aiitoritale  nostra  etiam  sub 
Excommunieationis  latae  senteotiae ,  et  aliis  infra  di- 
cendis  poenis  moneas ,  et  requiras  ,  ut  sicut  reputari 
cupiunt  ,  et  baberi  fideles  ^  dictuui  Martinura  ,  et  ejus 
adhaerentes  et  sequaces  capiant ,  et  ad  raanus  tuas  trans- 
mittant. 

Quod  si,  quod  absit ,  quod  nobis  persuadere  non 
possaraus  ,  praedicti  Principes  ,  Coramunitates  ,  Uni- 
vcreitates  3  et  Potentatus,  aut  aliquis  eorum  ,  Marti - 
num  ,  aut  adherentes  et  sequaces  praedictos  quomo- 
dolibet  receplaveriut  ,  seu  eidem  Lulhero  auxilium  , 
consilium  ,  vel  favorem  publice  vel  occulte  ,  dircele 
Tel  indirecte  ,  ex  quavis  càusa  quomodolibet  dederint  , 
eoruudem  Principnm  ,  Comraunitatum  ,  Universitatuni  , 
et  potentaluum  ,  ac  cujuslibet  eorum  civltates,  oppi- 
da  ,  tcrras  et  loca  ,  nec  non  civiiates  ,  oppida  ,  ter- 
ras  ,    et    loca    ad    quae    praedictum    Martinura  declinare 


i36 

contigerit  ,  ùoaec  «iictus  Marlin  ws  ibidem  permanse - 
rit  3  et  per  triduum  post,  ecclesiastico  subjicijnus  iu- 
terdicto. 

Mandantes  niliilomÌDus  omnibus  et  siogulis  Principi- 
bus  ,  Comrannitatibus ,  Uoiversitatibus  et  Potentalibus 
praediotis ,  ultra  prefatas  poeoas  ,  quo  ad  ecclesiasticos 
et  regulares  piediclos  sub  privatiouis  Ecclesiarum  ,  Mo- 
nasteriorum  ,  et  aliorum  Beneficiorum  Ecclesiasticorum  , 
nec  non  inhabililatis  ad  ea  in  posterum  obtinenda  ,  pri- 
vallone  quoque  Feudoruni.  Quo  vero  ad  Laicos  ,  dempto 
praedicto  Imperatore ,  infainiae  ,  et  inhabililatis  ad  omues 
actus  legitiraos  Ecclesiaslicae  sepullurae ,  privationis  quo- 
que Feudorum  ,  à  nobis  et  sede  Apostolica  ,  vel  qui- 
busvis  aliis  etiam  secuiaribus  obtentorum  poenis  ,  eo  ipso 
incurrendis ,  quatenus  mandata  reqnisitionis  et  hortatio- 
uis  et  hortationes  tuas  sine  exceptione  ,  coufradietione 
et  replicatione  aliqua  illieo  exequanlur,  et  à  Consilio, 
ausilio,  favore,  et  receplatione  predictis  omnioo  absti» 
neant. 

Obedientibus  vero  Indulgentiam  eliara  plenariara  ,  seu 
retributionem  aliquara  ,  aut  gratiam  arbitrio  tuo  conce- 
dendi,  tenore  praeseutium  libi  tribuimus  facnltalem.  Non 
obslanlibus  cxemptionibus  ,  privilegiis  ,  et  indullis  ,  ju- 
rauiento ,  confirmaiione  Apostolica,  vel  quavis  firraitate 
alia  ,  roboralis  ,  quibusvis  Ecclesiaslicis  seu  cujusvis  Or- 
ilinis  et  mendicantiura  regularibus ,  Ecclesiis  ,  Monaste- 
riis  sive  lo^s ,  aut  persouis  etiam  secuiaribus,  quomo- 
dolibet  concessis  ,  etiam  si  iu  eis  caveretur  expresse, 
quod  excommunicari  ,  suspendi  ,  interdici  nullo  modo 
possint ,  cum  irrilantis  decreti  appositione  ,  quibus  eorum 
tenores  ,   ac  si  de  verbo  ad  verbum  praesentibns  insere* 


reotur,   prò  expressis  habenles ,  ad  effectura  praesentiuai 

specialiter  et  expresse  derogamus  ,  et  derogatum  esse  vo« 

lumus  ,  oaeterisque  contiariis  quibuscuuque.    Dalum   Ro- 

mae  a()ud  S.  Petrum  ,  sub  annulo  Piscatoris,   Die  xxiii. 

Aususti  j   Anno   mdxvIii.   Pontificatns   nostri  anno  sexto. 
o 

Jacobus  Sadoletus. 


N.«   CLII. 

(  Voi  ri.  p.  ii8.  ) 

Lutheri.  op.  p.    i6o. 

Leo  Papa  X.  Dilecto  Filio  Nobili  Viro  Friderico, 
Duci  Saxoniae,  Sacri  Romani  Iinperii  Principi  EleC' 
tori.,   S. 

Dilecte  fili  j  saluterà  et  Apostolicatn  Benedicliooem. 
Cum  memoria  recolimus  nobilissimam  Familiara  tuam , 
teque  ipsum  caput  et  ornamentum  familiae  y  ad  caeteras 
laudes  proprias  generis  vestri  hanc  primam  et  putissimam 
esse  voluisse,  ut  per  vos  Dei  fides  ac  religio,  et  hujus 
sanctae  Sedis  honor  ac  dignitas,  quemadmodnm  quidem 
decet  et  fas  est ,  salva  alque  illibata  manerent ,  non  pos- 
sumus  existimare  errautem  quempiam  à  fide,  vel  adver- 
sus  eam  potius  oblatrantem  ,  luae  nobilitatis  favore  aut 
gratia  fretum  ,  superbiae  et  iniquitati  suae  frena  tam  au- 
dacter  laxare. 

Cum  vero  audimus,  et  ad  nos  undique  defertur,  quem^ 
dam    iniquitatis    filium ,    Fratrem   Martinum  Lutherum  j 


i38 

ordinis  Eretnìtarum ,  S.  Auguslial  congregalionis  Ale  - 
manniae ,  immemoreru  habitus  ,  professioaisque  suae  , 
quae  in  humilitate  et  obedientia  consistita  praevarican- 
tera  ,  io  Ecclesia  Dei  jactare  se  ,  tanquam  tuae  nobili- 
latis  praesidio  niuuilus  ,  nullius  autoritatem  repreheasio- 
nemque  vereatur.  Etsi  cognoscimus  falsnm  hoc  esse  ,  ta- 
naca  eidera  nobilitati  tuae  scribendum  duximus  ,  horlan- 
tes  eam  in  Domino,  ut  prò  nomine  et  dignitate  boni 
catbolicìque  Principis,  qualis  tu  es  3  retinere  splendorem 
oplimae  famae  generis  tui  immacntatum  ab  hac  oalum- 
uia  velis.  Ncque  solum  culpam  evitare,  quod  facis  ,  nul- 
la enim  adhuc  in  te  nostro  judicio  culpa  est  ,  sed  etiam 
suspicioneni  fugere  hujus  culpae,  quam  tibi  illius  teme- 
rilas  inferre  conatur. 

Et  qaouiara  ex  doctissimorum  ac  reìigiosissimorora 
hominum  relatione ,  ac  praeserlim  dilecti  fdii  Magistrì 
sacri  Palatii  nostri ,  nobis  constai  ,  multa  ,  dictum  fra- 
trem  Martinum  Lutherum ,  impia  et  haeretica ,  audere 
asserere  ,  et  publice  affirmare ,  Nos  et  eum  citari  ad  res- 
peudendara  jussimus,  et  dileclo  filio  nostro  Tbomae  5 
lituli  S.  Sixli  Presbytero  Cardinali  nostro,  et  hujus 
sanctae  Sedis  de  latere  Legalo  ,  homini  omnis  Theolo* 
giae  Philosophiaeque  consultissimo ,  quid  cum  agere  opor- 
teat ,  commisimiis. 

Cura  auiem  haec  res  Dei  Catholicaeque  fiuei  sinceri- 
tatem  omnino  concernat  ,  sitque  proprium  officium  Sedis 
Apostolicae ,  fidei  raagistrae  cog'ioscere ,  qui  recle  sen- 
tiant  aut  perperam  ;  horlamur  denuo  nobililateiu  tuam  , 
et  in  virtute  sanctae  obedientiae  raandamus  ,  ut  et  Dei  , 
et  nostri,  et  sui  honoris  causa,  dare  operam  et  efficere 
•velit  3  ut  is  Martinus  Lulherus  in  potcstatem  et  judiciuui 


ìiujus  sauctae  Sedis,  sicut  k  te  Legatus  praeclictus  re- 
quisirerit,  dedacatnr.  Qaod  erit  fidei  caiholicae  gralum 
*t  salutare  munus ,  tuae  nobilitati  ob  pietalis  et  religionis 
cultura,  la  primis  hooorificum.  Siquideoa  ad  honorena 
nomiais  tui  et  aaimae  salutem  in  primis  pertiaet ,  ne 
praesens  et  futurum  seculura  ullo  tempore  commemorare 
possit,  haeresio  perniciosissimam  io  Ecclesia  Dei,  fa- 
vore domus  tuae  nobilissimae ,  fuisse  exorlam ,  cui  te 
periculo  occurrere  tua  sapientia  decet. 

Quod  si  forte  aliqnid  tibi  de  eo  in  bonam  partem 
persuasum  est,  re  apud  Sedem  Apostolicam  discussa  ,  et 
ventate  indicala ,  aut  is ,  si  erit  innocens ,  cum  bona 
nostra  gratia  remittetur;  aut  si  pravae  mentis  inveotus 
fuerit,  meus  tua  ab  oranì  errore  liberabitur.  Nos  et  paterno 
affecfu,  et  ex  pastorali  officio,  neque  innocentiae  poe- 
nani  ullam  propouimus,  et  poenitentl  clementiae  noslrae 
gremium  largiter  aperiemus.  Datum  Romae  apud  S.  Pe- 
trum  ,  sub  annnlo  Piscatoris ,  Die  xxiii.  Augusti,  Anno 
za.a.xviii.  PontiGcatus  nostri  anno  sexto, 

Jacoeus  Sadoletus. 


f4o 

N.«  CLIIL 
,       (  Voi.  VI.  p.    119.  ) 
Luiheri  op.  tom.  I.   p.   162. 

Epistola  Academiae  Wirtemeeugensis  ad  Leonem  X. 
RoMANUM  PoNTiEicEM  ,  Testimoniiiin  praehens  de  iii- 
tegritate  D.  Martini  Luthcri ,  et  excusans  euin ,  cjuare 
Humam  proftcìsci  non  possit. 

NoQ  temei  itati  neque  impudeutiae  nobis  vertetj  Bea- 
tissicie  Pater,  slavissima  illa  tua  et  vere  pastoralis  Cle- 
mentia,  quod  Sanctitatera  tuam  bisce  nostris  Literis  adire 
praesumpsimos  ,  Pietas  ipsa  et  veritas  vice  nostrae  vere- 
cutidiae  abande  (speramus)  nobis  conciìiabit  patientissi- 
niam  tuain  ,  et  passim  omaibns  munifice  exposilam  be- 
nevoleiitiam. 

Frater  quidam  ,  Martinus  Lutberus  ,  Artium  et  sacrae 
Theologiae  Professor,  nostri  studii  fidele  gratumque  mcm- 
briim  ,  (ut  vocant  )  nobis  supplex  factus,  fiducia  nostrae 
intercessionisj  Literas  ad  Bealitudinem  tuam  postuìavit, 
quibus  testimonium  perbiberemus  et  doctriaae  et  famae 
ejus ,  quam  à  quibusdam  iniquius  damnari  et  accusari 
quaeritur. 

Denique  et  nunc  auloritate  Beatitudinis  tuae^  per  Gnm- 
mis?ionem  propter  disputatas  aUquot  apud  nos  Proposi- 
tiones  de  Lidolgentiis  ,  citatus  ,  et  personaliter  comparere 
in  Urbe  jussus  est.  Quia  vero  et  corporis  valetudo  ,  et 
itiueris  periculum  ,  non   paliuutur  eum    facere    quod  de- 


beret  et  vellet ,  haec  res  supra  vires  suas  esse  videtur; 
Idcirco  nos  ejus  et  necessitati  et  petitioni  compassi,  ne- 
gare non  voluimus  id ,  quo  sibi  opus  esse  credit  ,  lesti- 
nionium   nostrum. 

Quare  ,  Beatissime  Pater  ,  humiliter  et  obnixe  oraraus^ 
«Jevotì  deditique  filii  Sanctitatis  tuae  ,  ut  hunc  Virunx 
cum  credere  digaetur  ,  cujus  apud  nos  opiuio  usque 
adhuc  nuUius  perversi  et  quod  a  sacrosanctae  Roraanae 
Ecclesiae  sensn  aberret ,  dogmatis  labe  respersa  aut  con- 
taminata sit.  Nisi  quod  ritu  et  facilitate  disputandi  libe- 
rius  forte  quaedam  posuerit  (  nihil  asserendo  )  quam  ferre 
potuerint  quidam  adversarii  sui.  Nam  nec  nos  ipsi  tales 
Tinquam  videri  voluimus,  qui  pertinaciter  adversus  ca- 
iholifìum  Dogma  quidquam  sapere  statuerent.  Parati  per 
omnia  ,  tuis  et  sanctae  Ecclesiae  v«oluntatibus  parere  in 
Ghristo  Jesu  Domino  Deo  nostro ,  qui  et  sanctitalem 
tuam  nobis  faciat  propiciam  et  exorabilem  ,  et  gratia  sua 
hic  praeveniat,  et  illic  gloria  aeterna  subsequatur,  Amea. 
Datura  Wittembergae  xxv.  Septemb.  Anno  mdxviii. 

Tuae  Sanctitatis  devoti  deditique  Filii  ,    Rector ,  Ma- 
gistri,  et  Doctores  Academiae  Wittembergensis. 


i4^ 

N.o  CLIV. 

(  J'oi  ri.  p.  121.  ) 

Liitherì  op.  torri.  I.  p.    i63. 
Martinus  Lutherus,  Philippo  Melancth.  S. 

Niliil  novi  aut  miri  hic  agitar  ,  nisi  quod  mei  nominis 
rumore  Civjtas  piena  est,  et  omaes  cupiunt  videre  ho- 
minem tanti  inceadii  Hcrostratum.  Tu  age  virura  ,  sicut 
agis,  et  adolescentcs  recta  doce.  Ego  prò  vobis  et  illis 
vado  immolari,  si  Domino  placet.  Malo  perire,  et  quod 
unum  mihi  gravissimum  est ,  etiam  vestra  couversalioae 
dulcissima  carerà  in  aeternum  ,  quam  ut  revocem  bene 
dieta ,  et  studiis  optirais  perdendis  occasio  fiam  ,  apud 
hos  ,  ut  insipientissimos  ,  ita  acerrimos  lilerarum  et  stu- 
diorum  hostes. 

Italia  est  in  jEgypli  tenebras  palpabiles  projecta ,  adfio 
ignorant  omnes  Christum  ,  et  ea  qnae  Christi  suat  Hos 
tameo  Dominos  et  Magistros  Labemus  fide!  et  raorum. 
Sic  fmpletnr  ira  Dei  super  nos  ,  quae  dicit  :  Dabo  pue- 
ros  Principes  eorum  j  et  elfoeminati  domioabuntur  eis  (i). 
Vale,  mi  Philippe,  et  Dei  iram  castis  precibus  averte. 
Angustae  feria  secunda  post  Dionysii  ,  AuQO  m.d.xviii. 

F.  Martinus  Lotherus, 


(0  la  queste  parole  malignamenle  allude  Lutero  alla  giovi- 
nezza di  Papa  Leone  ,  eil  al  ili  lui  carallere  periato  alla  ma- 
giiificetua  ,  alla  lil)eraliu'i ,  £il  buon  gusio. 


i43 

K''  CLY. 

(  Voi  ri.  p.  128.  ) 

Luiìieri  op.  toni.  1.  p.   169. 

Revibendissimo  in  Crristo  Patri  et  Domino  Thomae, 
TnuLi  S.  SixTi ,  Praesbilero  Cardinali.,  Sanctae 
Sedis  Apostolicae  per  Germaniam  de  Intere  legato , 
eie.  In  Christo  metuendo  et  colendo ,  salutem  et 
omnem  Subjectioneni  sui. 

Reverendissime  io  Cbristo  Pater.  Itpram  Venio  ,  sed 
per  literas  ;  dignetur  Reverendissima  Paternitas  tua  me 
clementissimè  audire. 

Egit  mecum  P».everendus  ,  mihiqne  duloissimus ,  Pater 
meus  in  Christo  ,  Vicarius  noster  Johannes  Stupicius  , 
ut  humililer  sentirem  ,  et  opinioni  propriae  cederem ,  et 
censura  meum  submitterem,  commeudaviiqne  ao  esube- 
rantissime persuasit  Paternitatem  tuam  Reverendissimara 
mihì  esse  galiosissimam.  Ea  res  ,  et  nuncius  pariter  me 
inirum  in  modum  exhilararunt  ,  Est  enim  homo  hic  ta- 
lis  et  tautus  in  oouiis  meis,  ut  nalliis  sit  in  mundo  cui 
libentius  audirem  et  obsequerer.  Nec  minus  egit  dulcis- 
simus  frater  meus,  Magister  Venceslaus  Lincus  ,  qui  ab 
ineunte  aetate  pari  meoum  studio  adolevit.  Breviter,  non 
potuit  Reverendissima  Paternitas  tua  fortius  et  dulcius 
me  movere  ,  quàm  bis  cucbus  Viris  mediatoribus  .  quo- 
rum ulerque  in  solidum  me  habet  in  manu  sua.  Tanta 
est  tua  finìul  humanitas  et  piuderlia^    qua    video  tuam 


i4/» 

Reverendissiraam  Paternìtalem  non  mea ,  sed  me  quae- 
rere,  cuoi  potuisset  sola  polestate  in  me  dominari.  Ita- 
pue  jam  tiojor  meus  sensim  transit,  imo  mutatus  est,  in 
singularem  erga  Reverendissimam  Paternitatem  tuam  amo- 
rem  ,   et  veram  filialemque  reverentiam 

Nunc  j  Reverendissime  in  Christo  Pater,  fateor,  sicui 
et  alias  fassus  sum  ,  me  fuisse  certe  nimis  (  ut  dicunt  ) 
indisorelum ,  acrem  et  irreverentem  in  nomen  summi 
Poatificis.  Et  licei  acerrime  fuerim  in  hanc  irreverentiam 
provocatus  ,  taraeu  meum  fuisse  nunc  intelligo  ,  mode- 
stiuSj  humilius  et  reverentius  hanc  materiam  tractare  , 
et  non  ita  respondere  stulto  ,  ut  ei  similis  efficerer  ,  de 
quo  sincerissimè  doleo ,  et  veoiam  peto  ,  et  per  omnia 
Pulpita  in  vulgus  promulgabo ,  sicut  et  saepius  jam  feci, 
Daboque  deinceps  operara  ,  ut  alius  sim  ,  et  aliter  lo- 
quar ,  Deo  miserenle.  Imo  promptissimus  sum,  atque 
facilliraè  promitto  ,  me  poslhac  materiam  de  Indulgentiis 
non  tractare,  atque  bis  litiitis  quiescere  ,  modo  illis  quo- 
que modus  imponatur,  aut  serraonis  aut  silentii  ,  qui 
me  in  hanc  Tragoediam  suscitaverunf. 

Caeterùm  ,  mi  Reverendissime  in  Christo  ,  ac  jam  dul- 
cissime  Pater,  quantum  ad  sententiae  veritatem  perti- 
net,  libentissimè  omnia  revocarem  ,  tam  tuo,  quam  Vi- 
carii  mei  jussu  et  Consilio  ,  si  ullo  modo  conscienlia  mea 
perraitteret.  Ego  enim  scio,  nullius  praeoepto  ,  nullius 
Consilio,  nullius  grafia,  me  tantum  debere  permittero  , 
ut  aliquid  conlra  conscientiam  dicam,  aut  faciam.  Dein* 
de  narrationes  divi  Thomae  et  aliorura  tantae  non  sunt, 
xit  mihi  in  hac  Quaestione  satisfaciant ,  cum  dedita  opera 
contra  eas  disputarira  ^  ut  optimè  perlectas  et  percogni- 
tas,    visae    eoim  sunt    non  satis     firmo   niti  fundameuto. 


i45 

Hoc  aulem  unum  superest ,  ul  meliorì  superer  ratione , 
quae  est  :  Si  Tocem  sponsae  audire  merear ,  hanc  enim , 
certuiu  est  ,  vocem  sponsi  audire. 

Ideoque  omni  hnmilitate  supplico  ,  Reverendissima  Pa- 
ternitas  tua  dignetur  ad  Sanctissimum  Doniinum  nostrum. 
Leonem  X.  istam  causam  refcrre ,  ut  per  jecclesiam  haec 
dubia  determinata  ,  ad  juslam  vel  revocationem  \e\  cre- 
dulita'em  possit  compelli.  Nihil  enim  aliud  cupio,  quam 
Ecclesiam  andire  et  sequi.  Nam  mea  super  dubiis  et  in- 
detcrmioatis  Revocatio  quid  faciat ,  ignoro ,  nisì  quod 
Hierito  mibi  objici  posse  timeo  ,  me  ,  nec  quid  asserue- 
rim.  Dee  quid  revocarim  ^  scire.  Sascipiat  Reverendissima 
Faternitas  tua  bauc  humilitatis  et  parvi»ati«  meae  suppli- 
cationem  j  ut  in  filii  vicem  clementer  commeiidatum  me 
Labere  dignetur.  Dalum  pridiè  Lucae  Evangelistae.  An- 
so mpxviii. 

Keperendissimae  tuae  Paterni  tati». 
Deditus  filius 

F.   MijRTIUflS   LVTHERUS    AuGPSTlNlAJf Ug. 


I/RJNB  X.   Tom.  mi  IO 


t46 

N.-^  CLTI. 

(  Voi  ri.  p.  128.  ) 

Lutheri  op.  tom.   1.  p.    170. 

jf^ETlBINDISSIMO    IN    ChrISTO    PaTRI    ET  DOMINO,  ThOHAE 

T ITILI  S.  SixTi  ,  Pieshjiero  Cardivalì,  Sanctae 
Sedis  Aposiolicae  per  Gennaniam  de  latere  Lega- 
to^ eie.  In  Christo  rneluendo  et  colendo,  F.  Marti- 
vus  Lutherus  salutern  et  seipsum. 

Vidit  Reverendissima  paternitas  tua ,  Revereddissime 
in  Chrislo  Paler  ,  vidit,  ioquam  ,  el  satis  cognovil  meam 
obedientiara,  qua  per  taatuin  iter  ,  ac  per  tot  perioula, 
imbecillis  corpore  ,  et  pauperrimus  sumptu  ,  huc  me  con- 
tali ;  et  ad  mandatura  SaBClissimi  Domini  nostri  Leo- 
nis  X.  corani  Reverendissima  Paternità  te  tua  comjiarui , 
«t  me  obtuli.  Praeterea  edito  libello  Resolutionura  ,  me 
et  omnia  mea  sub  pedibus  suae  Sanctitatis  projeci ,  ex- 
pectans  acceplurusque  quidquid  sive  damnanti  sive  ap- 
probanti  visura  fuerit.  Et  piane  nihil  me  omisisse  mihì 
oonscius  sura ,  qaod  ad  deditum  obedientemque  Eccle= 
siae   filium   pertinere   possit. 

Quare  frustra  bio  tempus  terere  nolo,  neque  possum^ 
quia  et  sumptus  deficit  et  Patribus  bis  Carmelitis  satis 
superque  fuerim  et  sira  onerosns  ,  maxime  cum  reveren- 
dissima Paternitas  tua  mihi  viva  voce  mandarit ,  ut  si 
Bollem  revocare ,  nou  ledirem  in  conspecluiu  Reverendis 


»47 
simae  Pai.  luae.  Revocar»  quid  et  quantum  valeam,  priori- 
bus  literis  sigoavi. 

Itaqne  nuiio  abeo,  ed  alio  me  loco  provisnrns  mi^ro. 
Et  quaoquam  mihi  cousul'um  est,  ab  bis  eliam,quivel 
majores  me  movere  possntit  ,  ut  a  Re\erend.  Paternitate 
tua,  imo  à  Sanctissimo  Domino  nostro  Leone  X  male 
informato,  ad  melius  iuforinanrlnni  (scio  enim  qnod  Prin- 
cìpi nostro  Illustri<:simo  ,  ^ratnm  facturum  appellantlo  ma- 
gis  qiiam  revocando)  appellem.  Tamen  quantum  in  m© 
fuisset ,  uon  appellassem  ,  Prima  n  ,  quod  mihi  non  vi- 
deatur  necessaria  A.ppellatio  vA  commi'isio  ad  partes.  Cam 
ego  ,  ut  dixi  ,  omnia  in  jndiciùn  Ecnlpsiae  retulerim  ,  et 
non  nisi  seotentiam  pjus  pxpeUem.  Qui  enim  ultra  facere 
debeo  ,  aut  facere  possum?  Neque  enim  me  reo  aut  res- 
poiisore  opus  est ,  qui  non  quid  ego  dixi ,  seil  quid  Ec- 
clesia dictura  sit,  attendo,  nec  AJversarius  contendere, 
sed  Discipulus  audire   volo. 

Deinde  ,  quod  mihi  pe.ie  p^rsuasum  est ,  hanc  causam 
Reverendissimae  Pateruiiali  luae  esse  molestam  ,  et  Appel» 
lationem  gratissimara ,  Meoque  sicut  non  mereor  ,  ita 
nec  timere  habeo  censuras.  Et  si  ego  Dei  gratia  talis 
6Ìm  ,  ut  censuras  longè  rainus  timeam  ,  qnàm  errores  et 
inalam  in  fide  opinionem  ,  sciens ,  quod  censura  non 
nooet  5  imo  prodest ,  si  sana  fides  et  veritatis  sensus  me- 
cum   fuerit. 

Qnare  per  Christi  viscera  ,  et  insignem  tuam  mihi 
exhibitam  Gleraentiam  ,  rogo  ,  dignetur  hanc  meam  obe- 
dientiam  hucusque  praesiitam  et  compietam  ,  gratiose 
agnoscere  ,  et  sanctissimo  Domino  nosno  Papae  brnii^ni- 
ter  commendatam  facere.  Atqne  hanc  meam  abitionem 
et  Àppellationem ,  prò   mea   uccci^silate  et  amicorum  aa^ 


i48 

toritate  parataiu  ,  boni  cDnsulere.  Nam  eorum  vox  et  ra- 
tio mihi  insuperabilis  est  haec  :  Quid  tu  revocabis  ?  Nnn- 
quid  tua  Revocatioae  nobis  legem  Gdei  statues  ?  Damnet 
Ecclesia  prius ,  si  quid  damaatidurn  est,  et  ejus  tu  ju- 
dicium  sequere  j  non  Illa  tuum  sequatur  judicium,.  atque 
ita   victus  cedo. 

Valeat  itaque  Reverendissima  Paternitas  tua,  in  Chrì- 
sto,  m\hi  observantissimo  ,  Ex  Carmelo  Augustensi  ,  dio 
S.  Lucae  Evang.   Aono  M.n.xviii. 

Reverendii5simae  Palernitatis   tuae 

Deditas  filius, 

MARTlNtJS    LUTHERUS    AuGUSTINIASTUS. 


N.«  CLVII. 

(   Voi.   FI.  p.   129.  ) 

Luiheri  op.  tom.   1   pag.    i^'ò. 

Epistola  ThOxMAe  Gajetani  tituli  S.  Sixti  Presbyteri 
Caruinalis,  ad  D.  Fridericum,  Saxoniae  Ducem, 
Sacri  Iinperii  Electorein  ,  etc.  De  Lutheri  causa , 
poat  discessum  ejusdeni  Lutheri,  ex  Augusto ,  Anno 

5IDXVIII. 

Illustrissime  et  Exnellentissime  Princeps.  Venit  Frater 
Martinus  cui»  literis  Excellentiae  vestrae,  et  antequam 
nos  adiret,  voluit  se  munire  salvo  conductu ,  quem  ab 
JHis  Douiinis ,    Cacsareae    Maestatis  Consiliariis  ^    vestrae 


«49 

lllustrissitnae  Dominationls  intuitn  et  favore  impetravit. 
Non  tamea  sine  scitu  mpo.  Noluerunt  enim  hi  Domini 
quidquam  illi  concedere,  nisi  me  permittente.  Qn  bus 
respoodi  ,  Facerent  quidquid  eis  piacerei ,  dummodò  no- 
mea raeum  non  misceretur.  Et  hic  coepi  mirari  ;  nana, 
si  Excellentia  vestra  in  me  confidebat ,  n©n  erat  opns 
salvo  conduclu  ;  si  non  confidebat  ,  non  erat  mittendus 
ad  me,  ut  Patrem. 

Adiit  deinde  nos  Frater  Martinus  ,  primiim  excupaos 
se  super  inapetratione  salvi  coaductus  propter  ininiioi- 
tias,  etc.  Deinde  dicens,  se  venisse,  ut  nos  audiret,  et 
veritatem  à  nobis  agnitam  profiteretur.  Nos  hominem  li- 
bentissimè  ac  humanissimè  excepimus  ,  paterneque  com- 
plexi  sumus.  Dixi  ante  omnia  ,  quod  secundijm  soiidani 
•Scripturam  sacram  et  sacros  Canones  interrogandus  es- 
set,  et  qnod  si  se  cognosceret  ,  et  de  caetero  caverei  j 
possemusque  secare  dormire,  ne  reverteretur  ad  vomi- 
tum  ,  omnia  componerera ,  saactissimi  Domini  uostri  Pa- 
pae  Leonis  X.  autorilate. 

Ostendi  deinde,  monuique  paterne,  Dispatationes  et 
Sermones  ejus  esse  centra  ApostoHcam  doctrinam  ,  ma- 
xime super  ludulgeniiis  ,  citaviqiie  Extravagantem  Gle- 
mentis  VI.  aperte  contra  ipsum  stantem  ,  tam  super  cau- 
sa, qùam  cfiectu  Indolgentiarum,  A.dduxi  praeterea  an- 
tiquam  et  communem  Romanae  Ecclesiae  consuetudinem, 
ac  interpretationem  super  alio  etiam  Articalo  de  fide 
Sacramentorum  aperui  ;  ailmoniiique  opmionem  ejus  non 
esse  sanara  ,  sed  manifeste  dissentire  à  sacra  Scriptura 
et  recta  Ecclesiae  doctritia  ,  quae  illi  omniuò  repugnat. 
Is  ad  Extravagantem  claram  et  apertam  dixit  nescio  quid 
relalione  indignum  ,   et  petiit  diem   ad  deliberandum  ,  re- 


i5o 

diturumqne  se  affirmavit.  Ego  illum  Borfalus,  ìli  se  co.- 

gnosreret  ,  dimisi. 

Rediitque  poi^trìdiè ,  una  cum  Paire  Vicario  generali 
congregationis  Observanlinm  ^  multisque  stipatus.  Et  cam 
esipef 'areni  ,  ut  se  vere  agnosceret  ,  coepit  coram  Nota- 
rio,  qiiem  secunn  duxerat,  protestari.  Ego  id  subridens, 
ìterum  linmaoissimè  hominem  hortaius  som  ,  ut  relioto 
lìijjiiscemocli  inani  Consilio,  ail  cor  et  sanitatem  rediret, 
du7um  esse  illi  contra  stimulnm  calnirare.  Addi(!it  dem- 
ceps  3  in  Sciiptis  se  velie  niihi  respondere  ,  et  cansam 
suam  agere ,  me  anteriore  die  salis  diglad'iaium  verbis 
oum  ilio  fuisse.  Ego  audaciam  hominis  miratns  Hixi  , 
FJi ,  neque  tecum  digladiatus  sum,  neque  digladiari 
volo  Tantum  paratus  sum  ,  intuilu  Illustrissimi  Ducis 
Friderici  ,  te  paterne  ac  benigne  (  non  disputandi  con- 
tendendivè  gratia  )  audire,  ac  prò  veritate  raonere  ae 
«decere  ,  conciliare  etiam  (  si  voles  )  sauctissimo  Domino 
nostro  Papae  Leoni  X.  et  Romanae  Ecclesiae. 

Rogavit  ine  tum  is ,  tuni  Vicarius  ejus ,  ut  illum  in 
Scriptis  audire  vellem.  Disi  me  libentissimè  auscultaUi- 
jum  et  facturum  omnia  paterne  non  tainen  judicialiter. 
Ifaque  abiit ,  reversusque  postea  tertio  est  ,  et  longam 
Soripto  exhibuit  |  hylacieriam  ,  in  qua  fatue  admodum 
respondet  ad  cosliha'ionem  Extravagautis  Papae,  nec 
|>arcit  etiam  suae  Sanotilali  ,  quam  dicit  abuti  au'orita- 
'àbus  sacrae  Scripturae.  Ad  illìid  vero  de  fide  Sacia- 
luentorum  implet  papyrum  locis  sacrae  Scripturae  ornai» 
UÒ   impertinentibus   et   perperam    inlellectis. 

Ego  poslqnam  ostendi  i:on  ita  esse  intelligendnm , 
qnod  in  illa  Extravagante  et  sanris  literis  scriptum  est  , 
àlerum  atque  ilerum  Fratrem  Marlinura  ut  filiura  moussi 


i5i 

€t  oblestalus  surn  ,  nollet  plus  sapore,  quàm  oporteret, 
)oec  nova  doginata  ia  Ecclesiarn  iutrudere,  sed  seipsum 
cogiiosoere ,  et  salvare  animain  suam, 

Veiiit  ad  me  deinde  Pater  Vicarius  congregalloi^s  j 
curo  quo  praeseate  Ma;.'nir!co  Domino  Urbano  Oratore 
Monlisferrati ,  et  uno  Magistro  Theologiae  dicti  Ordinia 
niultasque  Loras  traotavimus  de  negocio  hoc,  ut  lolleretur 
scaadalum  ,  salva  reverentia  Apostolicae  Sedis ,  et  sinc 
ulla  nota  Fratris  Martini.  Venit  postea  solus  ifle  Theo- 
logiae Magister ,  socius  Fratris  Martini  ,  qui  probavit  et 
collaudavit  tractatum. 

Jactis  his  fundamentis ,  cura  bene  sperarem  omnia , 
profeclus  est  hinc  idem  Vicarius  ^  insalutato  hospile;  ac 
me  omninò  inscio  subseqnutus  est  deinde  Frater  Marti-» 
nus  et  Socii  ejus  ,  mihique  omninò  ^  imo  sibi  ,  perbellè 
illuseruDt,  Accepi  interea  Fratris  Martini  literas  ,  quibus 
petiit  fucatam  veniam  ,  Non  ideò  vero  revocai  maledicta 
et  scandala ,  quae  calholicae  Ecclesiae  inoussit. 

Ego,  Illustrissime  Princeps  ,  fraudnlentum  Fratris  Mar- 
tini  et  sequacium  consilium ,  non  solàm  admiratus  sum, 
verùm  eliam  prorsus  perhorrui  et  obstupui.  C«m  enim 
de  bona  illius  valetudine  maxime  sperarem  ,  maxime 
sum  frustralus.  Non  video  lameu  cujus  fiducia  haec  agat. 

In  causa  vero  tria  alfirmaverim  Primo  .,  dieta  Fratris 
Martiui  in  Gonclusionibus  suis  disputative  esse  posita.  la 
sermonibus  tamen  ab  eo  scriptis,  affirmativè  et  assertive 
esse  posita,  et  confirmata  in  vulgari  germanico ,  ut  ajunt. 
Ea  autpm  snnt  partim  contra  doctrinam  Apostolicae  Se* 
dis ,  partim  ver®  damnabilia.  Et  credat  mihi  Illustrissima 
Dorainalio  vestra ,  quia  vera  dico  el  loquor  ex  certa 
scientia,   non  ex  opiaionibus> 


i  -J'2 

Secondò ,  Illuslrissioiam  illam  vestrara  Domina tioDero 
hortor  et  rogo,  consulat  honori  et  conscienfiae  suae,  ve! 
mittendo  Frairera  Martinum  ad  Urbem ,  vel  ejiciendo 
extra  terras  saas ,  postquam  non  vult  paterna  via  erro, 
rem  suum  cognoscere  et  cum  universali  Ecclesia  bene 
sentire. 

Postremo,  illud  sciai  Illustrissima  Dnmiaatio  vcstra , 
uequaquam  hoc  tàm  grave  et  pestilens  negocinm  posse 
din  haerère,  Nam  Romae  proseq'ientur  Causam ,  qnando 
ego  lavi  mauiis  meas ,  et  ad  sanctissimum  Dominum , 
Domìoum  nostrum  hujusremodi  fraudes  scripsi.  Bene  et 
felìciter  valeat  Excellentia  vestra  cui  me  intime  com- 
mendo. Ex  Augusta  Vindelicorum ,  25  die  Octobris. 
Anno    i5i8. 

Iterum  atque  iterum  rogo ,  ut  Dominatio  vestra  Illa- 
strissima  non  permittat  se  decipi  à  dicenlibus,  Nihil 
mali  contineot  Fratrls  Mattini  Lutberi  dieta  ;  Nec  ponat 
maculain  in  gioriam  Majorum  snorum  ,  et  suam  ,  propter 
niiuin  Fraie^culum  ,  ut  tolies  promissit.  Ego  loquor  pu- 
ram  veritatem  ,  et  servabo  Jesu  Christi  regulam  :  A  fra 
elibus  eoruu]  cognoscetis  eos.  Haec  panca  manu  prò-' 
pria. 

E.  V.  et  Illustriss.  D. 
ad  obsequia  , 
Thomas,  S.  Six.i  Caroinalis  , 
Legatus  Jpostolìcae  Sedis, 


i53 


R*>  CLVIII. 

(  Voi  FI  p.   129.  ) 

Lulheri   op.  tom.  1.  pag.    ijS. 

Ilustrissimi  Prikcipis,  D.  Friderici,  Ducis  SaxoniAEj 
Romani  IsiPtRii  Electoris,  Responsio  ad  literas  D. 
Thomae ,  tituli  S.  Sixti  Cardinalis  praecedentes. 

Reverendissime  in  Christo  Patfr  Singnìariter  nobis  di. 
delissime  Domine ,  et  Amice  ;  Vestrae  Charitatis  litera'; 
die  25  Oclobr.  Augastae  datas  ,  die  ir)  Novemb.  per  ta- 
bellarium  non  peculiarem,  sed  fortuitum  ,  redditas,  ac- 
cepimns,  ad  D.Martinum  Lutherum  Augustinianum  per- 
tinentes ,  quas  nodccunque  cura  toto  earum  argumenlo 
percepimus  atque  intelleximus. 

Quoniam  ergo  dictus  Martinus  coram  pietate  vestra  apud 
Augustam  comparuit ,  sicut  cura  charitate  vestra  collo- 
quuti  Augustae  poUicebamur ,  nostrae  satisfecimns  prò- 
missioni.  Praeterea  ,  persuaseramus  nobis,  vestram  pie- 
tatem ,  audito  Martino,  secundum  vestrae  Reverentiae 
promissionera  multiplicem ,  eum  paterne  et  benevole  di- 
missuram  fuisse  ,  ncque  quamvis  nondum  cognita  causa 
el  sufficienter  discussa  ,  ut  Martinus  refert ,  coacturam 
ad  revocationem  et  palìnodiam.  Sunt  enim  plurimi  eru- 
diterum ,  in  nostris  principatibus  et  terris  ,  et  alibi  ia 
Universitatibus  studiorum  ,  à  quibus  hacteaus  et  in  ho- 
diernum  usque  diem  constanteret  irrefragabiliter  certiores 
fiori  noB  potuimuSp  Martiii  doctrinam  inapiaoa,  H»n  Giiri- 


<54 

stianam  ,  et  haerplioarn  esse;  exoeptls  nonnullii? ,  quoram 
rei  pricalae  et  utilitati  pecuniariae  eruditio  ejus  non  pro- 
fuit ,  qui  ut  propriae  coiumoditati  consulerent  ,  Martino 
sese  advppsanos  opposuppunt  ,  suo  tamen  proposito  cen- 
tra Martinum  ooirdum  probato.  Naui  si  aliquo  constanti 
fundameato  et  ratione  intelligeremus  ,  0.  Martini  Luther! 
doctrinam  impiaoi  et  instabileni  esse ,  Dei  omnipoteotis 
auxilio  et  graiia  ,  ipsimet  ila  nos  doceremus  ,  ut  nulla 
indigereinus  exhortatione  atque  admoniiione.  Noster  eninf» 
animus,  nostra  voluotas,  nostra  meas ,  in  hoc  tota  est, 
ut  ad  Christiani  Priacipis  offinium  sit  paratissiraa ,  et 
qui  Deo  adjutore,  et  houori  et  conscieotiae  suae  cupiat 
consultura. 

Quaproptep  modis  omnibus  speravimus  ,  non  futurum  ^ 
ut  in  hoc  rerum  statu ,  hac  afficeremur  oomminatione  ^ 
scilicet  Rom.  curiam  id  causae  prosequuturam ,  et  Re- 
terentiam  vestram  manus  lavisse,  vel  ut  à  nobis  postU' 
laretur ,  ut  Martinum  Lutherum  sive  Romam  raitteri- 
mus  ,  sive  ex  nostris  Rp<jionibus  expelleremus ,  Nora  ta- 
men  oh  alia  ,  quam  quod  Martinus  Lutherus  crimiais 
haereseos  nondum  oonviotus  est.  Pplleretur  enim  incora- 
modo  nostrae  Universitalis ,  sicut  in  haoc  diem  nolum 
est,  Ghi-istianae  ,  et  multos  bonos  et  doctos  et  stadiosos 
homines  habentis. 

Neque  o:BÌsiraus  D.  Martino  vestrae  oharitatis  literae 
exhiberc ,  ad  qnas  nob  s  spcunlum  tenorem  exemfdi  , 
his   noslris  litpris  inclusi  ,  respondit. 

Gum  ifaqiie  D.  Maftinus  sese  orfpralr-a4  aliquarum 
Universitaliitn  judiciutu  ,  et  in  iocis  tutis  disputationera  , 
et  coirnita  causa  permissurum  se  obftdienter  .  ut  docea- 
lur  et  simul  ducalur,   arbilramur  euiu  meritò    admittea- 


i55 

dum ,  aut  saltem  ei  ostendenclos  in  Scriptis  errores  ,  Id 
quod  et  dos  petimus  ^  ut  sciamus  ^  quauiobrem  taiuea 
haereticus  esse  dehcat ,  et  babeamus  quod  spqnamur  et 
faoianius.  Neque  eiiim  nos  ita  (  noudnm  couvictum  )  prò 
haeretico  reputaoduui  et  scribendum  seolimus.  Deuique 
non  libenter  permitleremus  ,  nos  in  errores  pertrahi  ,  ne- 
qne  ut  inobedieutes  a  Sancta  Sede  Apostolica  inveniri. 

Hoc  vestram  charitatein  (  quam  Deo  onaaipo'enti  dia 
feliciler  conservandam  commendamus  )  celare  nolniuius. 
Daluin  Aldeoburgj  die  8.  Decembris  j  Aquo   l5i8. 


N.o   CLIX. 


(   Voi   VI.  p.   i3i.  ) 
Lutheri  op.   tom.  I.  pag.    177. 

Nova  Decretalis  Leonis  X.  Pontifices   Maximi  :  de 

Indulgentiis   Anno  mdxviii.  condita. 

In  nomine  Domini.  Amen. 

Univer?is  et  singuWs  praesens  Transumptum  seu  pu» 
blioum  Instrumentum  inspecturis,  pateat  ,  et  eviilentf-r 
sit  Dotum  ,  Quod  anno  à  IVativitate  ejn^deni  Doiiiiiii  , 
millesimo,  quingentesimo  decimo  celavo,  inditione  sex'a, 
die  vero  decima  terfia  raeusis  Decemb-is  .  PoiitificaMis 
Sanctissimi  io  Christo  Patris  et  Domini  nof  tri ,  Domini 
Leonis,  divina  provideotia  Papae  decimi,  anno  sexto. 
Ego  Petrus  Antonius  Berrus  Parmensis  ,  publicus  Apo- 
stolica autoritate  Notarins  ,  ac  in  Romano  Archivio  de- 
scriptas  ,  constilatus  in  Liatz  oppido  j  Arcbidacatus  Au- 


x56 

striae,    in    Camera    Reverendissimi    la  Christo  Palris  €i 
Domini,  D,omiai  Thomae  Tituli   S.  Slxti  S.  R.  E.  Pre- 
sbyleri   Cardinalis ,  ad  Gaesaream  Majestatem ,  etc.    Sedis 
Apostolicae    de    latere    Leccati  ,    sila  in    Monasterio  Fra- 
trum    Conventualium    S.  Francisci  ,    oppidi    praedicti   ad 
infrascripta    per  Reverendi«simum    Dominum  ,  Dominnm 
Cardinalem  ,    Legatum     ibidem    persoiialiter     constitntum 
requisitus  ,    ut    exemplum    seu    Transumptum    literaruni 
Apostolicarum  ,    de    quibus    infra  fit  mentio,  et  quarum 
tenor  subinseritur  ,  in  forma  anthentica  conficerem  ,  eas- 
que  transumerem  ,  et  earundem  veram  copiam  sive  Tran- 
sumptum facerem ,  et  cura  originalibus  mihi  Notarlo  in 
fra    scrlpto    per    praefatum    Reverendissimam    Dominuui 
Legatum     praesentatis    et    Iraditls  collalionarera  ,  et  facla 
coUatlone  Transumptum  ,  sive  copiam   hujusmodi  in  pu- 
Hicam  formam  redigerem ,  Quarum    literarnm    Apostoli- 
Carum     post  Reverendissimi  Domini  ,     Domini   Cardinaliè: 
Legati  earundem  insinuationis  exordium   infra   scriptum  j 
tenor  subsequltur  3  et  est  talis  : 

Thomas  miseratione  divina  ,  Tituli  S.  Sixti  ,  sacrae 
Roraanae  Ecclesiae  Presbyter  Cardinalis ,  ad  Caesareani 
Majestatem ,  «te.  Apostolicae  Sedis  de  latere  Legatus  ^ 
Universis  et  siogulis  Dominis  ,  Archiepiscopis  ,  Episcopis  _„ 
eaeterisque  locorum  Ordinariis  ,  Salutem  in  Domino,  6Ìu« 
oeraeque  dllectionis  affectum ,  et  praesenlibus  fidem  ia« 
dublam  adhibere.  Sanctissimus  in  Christo  Pater  et  Do- 
mlnus  noster  ,  Domious  Leo  ,  divina  providentia  Papa 
decimus,  suas  nobis  transmislt  literas  ,  cum  vera  Bulla 
plumbea  cum  Cordulis  ex  Canopo,  more  Romanae  Cu- 
riae  buUatas,  sanas  siquiJem  et  integras,  non  vitiata:^ 
non  cancellatas  ,  nec    in  aliqua  sui  parte  suspectas  j  sec' 


«nroì  prorsns  vitlo  ac  suspicione  carentes,  Tcnorem  qui 
sequitur  j  de  verbo  ad  verbum  continentes, 

Leo  Episcopus  :  Servus  Servorum  Dei  3  Dilecto  filio 
Tbomae  tituli.  S.  Sixtì ,  ad  charissiraura  ia  Christo  (ì- 
liura  nostrum  Maxitnilianum  in  Imperatorem  electum , 
nostro  et  Sedis  Apostolioae  Legato ,  Salutem  et  Aposlo. 
licaoi  benedictionem. 

Cum  postquam  Gircumspectio  tua  Germanlam  appli- 
cueratj  ad  aures  noslras  pervenisset ,  quo(i  nonnulli  Re- 
ligiosi, etiam  ad  evangelizandum  verbum  Dei  depateti , 
super  Indulgentiis  .  à  nobis  et  Romanis  Pontificibus  prae- 
decessoribns  nostris  ,  ab  immemorabili  tempore  citra  con- 
cedi solitis,  pubiicè  ppaedicando  ,  muhorum  cordibus 
imprimerent  errores  ,  idque  nobis  iotelligere  nimis  grave 
et  molestum  esset  ,  Aliis  nostris  Literis  cidem  Gircum* 
speclioni  tuae  ,  de  qua  propter  ejus  singlarem  doctrinara, 
et  in  rebus  agendis  experientiam  specialem ,  io  Domino 
fiduciara  obtinemus ,  commisiraus ,  ut  autoritate  nostra 
approbatione  digna  approbares ,  Ea  vero  ,  qiiae  niinus 
rectè  dieta  essent  ,  etiara  per  eos  ,  qui  Rom.  Ecclesiae 
doctriuam  se  sequi  paratos  asserent ,  reprobare  et  dam- 
mare curares. 

Et  ne  de  caelero  quisquam  ignoranliam  doctriuae  Ro- 
naanae  Ecclesiae  circa  bujusmodi  Indulgentias,  et  illarum 
efficaciam  allegare  ,  aut  ignorantiae  hujusmoJi  praetextu 
se  exeusare  ,  aut  proteslatione  confida  se  juvare  ,  sed  ut 
ipsi  de  notorio  mendacio  ut  oulpabites  convinci ,  et  meritò 
damnari  possint,  per  pracsentes  libi  signiBcandum  duxi- 
mus ,  Bomanam  Ecclesiam ,  quam  reliquae  tanqnam  Ma- 
Irera  sequi  tenentur,  tradidisse ,  Romanum  Pontificem , 
Fetri  Clavigeri  successorem ,  et  Jesu  Christi  in  terris  Y\>- 


i58 

catium ,  potestate  claviurn  ,  qnarum  est  aperire  tollendo 
illius  in  Christi  fìHelibns  impeclifuenta  ,  culpam  scilicet 
et  poenam  pio  aolualibus  peccatis  debitam  ,  culpana  qui- 
dem  mpdia.ite  S-jcraraento  poeDÌteutiae ,  poenam  vero 
temporalein  prò  actualibus  peccatis  seoiindum  divinami 
posticiam  debitam  ,  mediante  ecclesiastica  Indulgentia  , 
posse  prò  rationalibns  causis  concedere  eisdem  Christi 
fidelibns  ,  qui  cbaritate  jungente,  membra  sunl  Christi, 
6Ìve  in  hae  vita  sint  ,  sive  in  Purgatorio  ,  Indulgentias 
ex  suberabundanlia  meritorura  Christi  et  Sanctorum  ,  ac 
tàin  prò  vivis  quàm  prò  defunctis  Apostolica  autorilat© 
lodulgentiara  concedendo,  thesaurum  meritorum  Jesu 
Christi  et  Sanctorum  dispensare  ;  per  modum  absolu- 
tionis  Indulgentiam  ipsam  conferre,  Vel  per  modum  suf- 
fragii  illam  transferre  consnevisse.  Ac  propterea  omnes 
tàm  vivos  quàm  defunclos ,  qui  veraciler  omnes  Indul- 
gentias hujusmodi  consecuti  fuerint  ^  à  tanta  temporali 
poena ,  secundum  divinam  jiisticiam  prò  peccatis  suis 
actualibus  debita  liberari  ,  quanta  concessae  et  aequisitao 
ludulgentiae  aequivalet.  Et  ita  ab  omnibus  teneri  et  prae« 
dicali  debere  sub excommunicationis  latae  sententiae  poe- 
na ,  à  qua  illam  incurrentes  ab  alio,  qnàm  à  Romano 
Pontifice  ,  nisi  in  mortis  articalo ,  neqneant  absolutionis 
beneficium  obtinere ,  autoritate  Apostolica  j  eartìndem  te- 
nore preseolium  decernimus. 

Et  ne  quispiam  d©  praemissìs  valeat  ignorantiam  alle- 
gare ,  Circurnspectioiii  tuae  maodamus  ,  Quatenns  uoi- 
versos  et  siugulos  Germauiae  Arohiepiscopos  .  Episcopos, 
et  alios  locorum  Ordinarios,  in  virtute  sanctae  obedieo- 
tiae  ,  et  sub  suspen^ionis  à  divinis  poena,  raoneas  ,  eis- 
que  dislrioiò  praecipieodo  mandesj  ut  pra«sentes  literaS;, 


sive  earum  Tpausurnplum  ,  infra  tempus  per  Circam- 
spectioDem  tuam  eis  praeri{;etidum  ,  in  eoriira  Ecclesiis  , 
dum  inibi  populi  niultitudo  ad  divina  convenerit  ,  pn- 
blicare,  et  circa  Indulgentias  praedictas  supradicta  sub 
simili  excoranaunicatioois  latae  sententiae  poena  tenere  et 
praedicare  debeant.  Et  nullus  centra  ea  qnovis  noodo 
directe  vel  indirectè  venire  praesumat.  Tibi  nihilominus 
centra  praesumetìtes  et  incbedienles  procedeudi ,  illosque 
debilis  poenis,  quibus  tibi  videbitur ,  puniendi  pleaam  et 
liberam  etiam  per  praesentes  concedimus  facuitateoi ,  ia 
contrarium   non  obstantibus  quibuscunque 

Et  quia  difficile  foret  easderu  praesentes  literas  ad  sin- 
gola qnaeque  loca  ,  in  quibus  expediens  fuerit ,  deferre 
Volumus  ,  et  dieta  aulori'ate  decerninius  ,  illarum  tran- 
suuiptis  mano  publici  Notarii  inde  rogati  j  subsciiptis , 
et  sigillo  alicujus  Praelati  seu  Personae  in  dignilate  Ec- 
clesiastica coDstitulae  munitis,  vel  Guriao  Eccfesiasticae , 
ea  prorsus  in  judicio  et  extra ,  ac  alias  ubilibet  fide» 
adliibeatur ,  quàe  praesentibus  adhiberetur ,  si  fnissent 
exbibitae  vel  osteusae.  Datum  Roraae  apud  S.  Petrum, 
Anno  Inearnalionis  Dominicae  ,  Millesimo,  ^uingentesi- 
JDO ,  decimo  octavo  j  quinto  Idns  Novembris.  Pontificatua 
jiostri  anno  sexto> 

Bembus. 


i6o 

N.«  CLX. 

(  Voi  ri.  p-  i3i.  ) 

Luthen  op.  tom.  I.  pag.    1 79. 

Appellati©  F.  Martini   Lutheri:  a  Papa 
AD   CoNciLiuM,  etc. 

In  nomine  Domini.  Amen. 

Anno  à  Nativitate  ejusdem  ,  mdxviii  iuditione  vi.  die 
vero  Solis  xxviii.  mensis  Novembris  Poatifìcatus  Saa- 
elissimi  in  Gbrislo  Patris  et  Domini  nostri  ,  Domini  Leo- 
DÌs  divina  providentia  Papae  X.  anno  VI.  In  mea  No- 
larii  pubiici  testiamque  infra  Scriplorum  ad  hoc  spe- 
cialiter  vocatorum  et  rogatorura  ,  praesentia ,  Coostitut. 
R.  Pater  D.  Martious  Lutherus  Augustinian.  Wilteraber- 
gen.  sacrae  Theol.  Magister  ,  ac  ibidem  Leclor  ordina- 
rius  Theologiae ,  priacipalis  ,  ac  principaliter  prò  seipso, 
citra  tamen  quorumcunque  Proouratorum  suornm  quo- 
modolibet  haclenus  per  eum  coostitutorum  revocationem^ 
habens  et  tenens  suis  in  manibus  quandam  Provocationis 
et  Appellationis  papyri  scliedulam  ,  animo  et  intenlione 
provocaudi  et  appellandi,  Apostolosquc  petendi ,  dicens , 
oarrans ,  provocans  et  appellans  ^  certis  et  legitimis  de 
eausis  ,  in  eadem  schedula  contentis  et  compraehensis , 
ad  Goncilium  proximè  et  imofiediatè  futurum  ,  saltem  io 
Spirita  sanato  legitiraè  congregatum  ,  aliis  vero  congre- 
gationibus ,  faciioaibus  et  concionibus  prìvatis  penitus  sc- 
elusis ,  protestans  aliaqiie  faciens ,  prout  in  dieta  Appel- 


»6i 

htionis  sclieclula  plpnius  continetar  ,  habetur  et  descri- 
bitur ,  Cujus  tenor  sequitur ,   et  est  talis  : 

Cum  Appellatioais  rempflium  in  subìiJium  et  releva» 
meo  oppi'essorurn  à  Jiirium  conditonbus  sit  adinveiiturn , 
et  uora  holùra  ab  illatls  ,  verìun  etiam  ab  infenenHis  ,  et 
inferri  comminalis  ,  gravammibus  et  injanis  ,  Jiira  ap' 
pellare  peroaittaat  ;  aHeò  ,  quò.l  iufer.or  de  noa  appel- 
lando ad  «uperiorena  statuere  non  possit  ,  et  rnanus  sa- 
perioruTi  damiere  ;  sed  cum  satis  si»  in  professo ,  sa- 
crosanctum  Goaciliuin  in  Spirim  sanco  Ipgitimè  congre- 
gai una  ,  sanotan»  Eoclesiain  lialbohoa'ii  repraesentaus ,  sit 
in  causis  Cdeni  conceraentibus  sup.a  Pipam  ;  evenit  , 
quod  nec  Papa  in  causis  hujusmodi ,  n^  ab  po  ad  Con» 
cilium  appelletar  ,  statuere  possit  ,  tauquam  id  a^ons  , 
quod  ad  officium  suunj  non  spectet  ullo  modo  ,  Siique 
Appellatio  ipsa  defeusio  quaedatn  ,  qnae  jare  divino  , 
uaturab  ,  et  humano  cuique  competit  ,  ueque  per  Prin- 
cipera  auferri   possit. 

Idcircò  ego  Frater  Martinus  Lutherus  ,  Ordinis  Ere- 
mitarum  S.  Augustini  Wutembergens.  sacrae  Theologiae 
Magister  indignus ,  ejusdemque  ibidem  Lector  Ordinaiius 
principalis  ,  principabter  et  prò  me  ipso,  corara  vobis 
Notano  publico  tanquam  publica  et  authentica  persona, 
ac  teslibus  hic  praesenlibus  animo  et  inleotione  provo- 
caudi  et  appeliandi ,  Apostolosque  peteadi ,  et  accipiendi, 
praernissa  taraen  expressa  ha  ;  et  soleniiii  prolesialiooe  , 
Quod  contra  unam  sanctam  et  Calboiicam  et  Aposiolicam 
Gcclesiain  ,  quam  totius  orbis  esse  magistram  ,  et  oblinere 
principatum  non  ambigo  ,  sanctaeque  Sedis  Aposlobcae 
autoritatem  ,  ac  sanctissimi  Domini  nostri  Papae  bene 
consulti  potestatem  ,  nihil  dicere  intendo.  Si  quid  autem 
Leone  X.  Tom.  T'olii.  u 


t62 

ex  lubrico  forsan  linguae,  sed  adversariorum  potiùs  ii- 
ritamento,  minùs  rectè,  et  non  ea ,  qvia  debeat,  reva- 
rentia  dictum  fuerit,   paratissimus  snm  illud  emendare. 

Sed  qnoniam  is ,  qui  vicem  Dei  in  terris  gerii,  quem 
Fapam  dicimus  j  cnrn  sii  homo,  simiiis  nobis  ,  ex  ho- 
minibus  assumptus ,  et  ipse  (  nt  Apostolus  dicit  )  circuii' 
datus  infirmitate,  potens  errare,  peccare,  mentiri  ,  va- 
nus  fieri,  uec  sit  exceptus  ab  illa  Prophetae  generai' 
sententia  I  Omnis  homo  mendax.  Nec  S.  Petrus,  primus 
et  sanctissimus  omnium  Pontificum ,  ab  hac  infirmitate 
liber  fuit,  quin  noxia  simulalione  contra  veritatem  Evaa- 
gelii  incederei.  Ita,  ut  rigida  quidem  ,  sed  sanctissima 
repiehensione  Aoostoli  Pauli  opus  habuerit  oorrigi  ,  ut 
ad  Galatas  scribitur.  Quo  nobilissimo  exi^raplo  per  Spi^ 
litum  saoctum  in  Ecclesia  monstrato,  et  in  literis  sa-- 
cratissiniis  relicto  :  fideles  Christi  erudi mup,  et  certi  su- 
nias.  Quòd  si  sururaus  Pontife)^  eadem  Patri,  vel  simili 
infirmitale  lapsus,  quid  pPcCceperit  vel  decreverit,  quod 
contra  divina  mililet  mant4ata ,  non  solàio  obediendum 
ei  non  esse,  verùm  etiara  cum  Apostolo  Paulo  in  fa- 
ciem  ei  resisti  posse,  imo  debere,  ac  velut  per  inferiora 
membra  infirmitati  capitis  ,  pia  totius  corporis  sollicitu- 
dine  succurri.  Et  in  hujus  exempli  praesentem  ac  per- 
petuam  memoriam ,  non  sioe  siogulari  Dei  Consilio  fac- 
tum esse,  non  obscurè  iutelligitur  ,  ut  non  solùm  S.Pe- 
trus, sed  etiam  salutaris  ejus  reprehensor  Paulus ,  san» 
ctae  Romanae  Ecclesiae  jnxta  et  simul  patrocinarentur  , 
et  praeessent ,  ne  soilicet  solùm  literis,  sed  sensibili 
quoque  monumento  bujns  summè  necessarii  ac  saluber- 
rimi exempli  ,  assidue  moneremur  ,  tàm  ipsa  capita,  quàm* 
pos  membra.    Quod    si  qua  poteutiutn    vi  armalus  3  \.au- 


i63 

tùm  praevaUierit  ,  ut  resisti  ei  nbn  possit ,  nauna  ceftà 
illud  praediotum  AppeUaliouis  remeJium  reliquuca  est , 
quo  oppressi  releveuiur. 

Ad  quod  et  ego  Frater  Martinus  Lutherus  praedictas, 
raodo  et  animo  praedictis  confngiens  ,  dico  et  propono. 
Quod  cum  diebus  snperioribas  laciulgealiae  à  quibusdara 
Coinniissariis  (  ut  asserebant  )  Apostolicis  iodiscretissinaè 
praedicareatur ,  in  regione  nostra  Saxoniae,  adeò  ut  ad 
exugeudas  populi  pecunias  incipereut,  absurda^  haere* 
tica ,  blasphema  quaedam  praedioare ,  in  seductionenti 
animarum  fidelium^  et  summum  ludibrium  Ecclesiasticae 
poteslatis ,  praesertim  de  potestate  Papae  ia  Pnrgatorium, 
ut  continet  eorum  bbellus  ,  qui  summarJa  institutio  vo« 
catur ,  cum  tamen  certum  sit  ex  Abasioaibus ,  Papana 
non  habere  prorsum  uUam  polestalena  in  Purgatorium. 
Deinde  una  totius  Ecclesiae  seuteutia  ,  oraniumque  Do- 
ctorutn  cougensu  3  Indulgentiae  eint  nibil  ,  nisi  remismones 
satiàfactionis  poenitentialis  à  suo  Judice  impositae  j  ut 
est  clarus  textus ,  Quod  autem.  Salisfantio  aulem  poe- 
nitentialis ab  Ecolesiaslico  Judice  imposita,  aliud  non  sit, 
quàm  opera  jejanii,  oratioriis,  eleeniosinae  ,  etc.  Ideoqu© 
clavibus  Ecclesiae  reuiitti  non  possit,  quod  eisdeiu  noti 
fueril  impositum.  Itero  quod  certum  est  ex  distinct.  XXXV. 
e.  Qualis  3  quod  in  Purgatorio  non  solùra  poena  ,  sed  et 
culpa  renaitlitur.  Culpani  autem  Ecclesia  reinitlere  non 
potest  ,  sicut  nec  gratiaiu  couferre. 

Istis  auturitalibus  nixus ,  onoi  disputandi  more  (mì- 
Sem  reluctatus  impuris  et  iusulsis  illoruiu  dogmatihus  j, 
ooeperunt  illi  ,  lucri  studio  furenles ,  Primùm  publicis 
(ieclaruationibus  ad  populutn  declarare  me  haerelicuoa  te» 
meritate  impudentissima  ;  deinde  apud  Saiictissiatuu)  Di)<i 


t64 

minum  nostrum  Lconcm  X.  per  qncndam  Dorainum  Ma* 
riuin  de  Perusiis  ,  Procuratorem  Fiscralem  accusare  ,  tan» 
quam  hacresi  suspectum  El  per  eundeni  Dominura  taa- 
dem  impetrautes  Gommissioneiu  oitandi  mei  in  personas 
Revereudissimorum  Dcminorum  et  Pairum  ,  Hieroii.  de 
Genu.  Episcop.  Asculani,  causarum  Camerae  auditoris 
et  S^'lvestri  Prieria.  Palatii  Magistri  j  per  eosdeni  me 
citari  curaruat  ad  urbem  ,  arni  personaliter  compaienjum. 
Cumque  ego  nec  Wiltembergae  tutus  ab  iusidiis,  tan- 
tum iter  peiTioere  non  possem  ,  nec  Romae  luto  consi- 
stere 5  et  paupetcnius  et  imbecillis  corpore  ;  deiade  Ja- 
dices  praefati  raihi  muliis  causis  fuissent  suspecii  ,  prae* 
geriim  quod  R.  P.  Sylvester  adversarius  mihi  fuerit ,  et 
dialogum  conlra  me  jam  ediderat ,  et  in  sacris  literis 
miuùs  eruditus ,  quàm  ista  causa  ferre  possit  ,  Dominus 
antera  Hiero.  in  Jurib.  quoque  plus  quàm  Theologia  do- 
rttus ,  merito  limebatur  Sylvestrinae  Theologiae  conces- 
surus  ,  et  extra  modùm  suae  professionis  hanc  rem  ba- 
bele, solicitavi  per  Illusiriss.  Principem  D.  Fridericuna 
Ducem  Saxouiae ,  sacri  Rom.  Imperii  Arcbiraaresohal- 
3um  ,  Laudgravium  Tfauringiae,  Marchionem  Misniae,  ut 
causa  ad  partes  committeretur ,  non  suspectis  ,  sed  ho- 
nestis  et  bonis   viris. 

Tuno  Illa  crassa  quadam  et  insulsa  astulia  instrneti, 
apud  sanotissimum  Dominum  Leonem ,  etc.  egeruiit,  ut 
causa  in  seipsos  ,  hoc  est  in  personam  R.  Domini  Tho- 
mae  ,  S.  Siiti  Gardiualis,  tunc  in  Germania  Sedis  Apo» 
stoìicae  Legali  ,  trausferretur  ,  ut  qui  de  Ordine  Prae» 
dicatorum  et  Thomisticae  factionis  j  i.  e.  adversariae  vel 
primariae,  facile  speraretur  ,  contra  meae  ipsis  definitar, 
aut,  ut  verisimile  est,   oei'lè  ut  hujus    facie  Judicis  ab- 


y65 

aterritus  recasarem  oomparere ,  et  contumaciam  incurre- 
rein.  Ego  taoien  veritale  Dei  T'-etus  ad  Auguslam  multo 
labore  et  maguis  peiiculis  veuiens ,  hucnaiiiter  quidom 
à  praei'aio  R.  Domino  Thoma  S.  Sixli  Card.  etc.  su- 
sceptus  sima.  Qui  cum  posthabita  protestatioue  mea  et 
obligalione  ,  qua  vel  publicè  vel  privatim  me  re?pon- 
Eui-utn  obtuli ,  coram  Notario  et  testibus  denique  jn-ae» 
seulibus  quatuor  iosiguibus  viris ,  Caesarcae  Majestatis 
Sf'naloribus  ,  simulque  subjioerem  me  meaque  dieta  saa- 
ctae  Sedi  Apostolicae  ,  et  judicio  quatuor  Illustriuna. 
Uiiiversitatum  ,  Basiliensi ,  Friburgensi ,  Lovanieusij  tan- 
dem et  studiorum  Parenti,  cobilissimae  Parisiensi  ,  me 
simpliciter  ad  revocationera  urgeret ,  nec  vellet  esten- 
dere mihi  errores  meos ,  et  quibus  rationibus  ,  vel  au- 
toritatibus  error  à  me  intelligi  posset  ,  uimio  scilicet 
suae  factionis  fratribus  affectus ,  et  iuiquiiatis  facieoa 
assumens  ,  tandem  uisi  revocarem  ,  abjeciis  precibus 
et  votis  discindi  ,  et  informationis  pelilionibus  ,  mi- 
nas  diras  ac  crudelissimas  vigore  cujusdam  Apostolici 
Brevis  in'.entavit  ^  ac  ne  redirem  iu  faciem  suam  ,  im- 
peravit. 

Quibus  gravaminibns  laesns  ,  tuoe  ab  ejns  iniqua  et 
violenta  praesnmptione  et  praetensa  sibi  Commissione , 
appellavi  ad  Sanctissimnm  Dorainum  nostrum  Leonem  X„ 
melius  informandura,  prout  in  schedula  hujusmodi  Ap- 
pellationis  plenius  continetur.  Nuac  vero  etiam  ista  Ap» 
pellatione  (ut  dixi  )  contempta  ,  cum  usque  hodiè  cu» 
piam  ,  non  nisi  ut  ostendantur  mihi  errores  mei  ,  qui- 
cunque  tandem  id  possit  praestare,  de  quo  denuò  legi» 
timè  protestor ,  pa''atissimusqne  sum  revocare ,  si  quid 
male  dixisse  fuero  edoctus.    Delude    totani  disDutationejxj 


t6g 

meam  subjecierim  Silmmo  Ponlirici ,  Ita  ut  nec  ego  ani* 
plius  aliquid  in  ipsa  facere  habeam ,  qaàm  expectare 
sententiam,  quam  et  usque  hodiè  expecto. 

Nihilominuf»  f  amen  ,  ut  audio ,  et  idem  Reverendissr- 
mus  Dominus  Thomas  S.  Sixli  Gardinalis ,  scribit  ad 
Illustrissimam  Priocipem  D.  Fridericum  ,  etc.  in  Ra- 
raaaa  Curia  procedi  oontra  me,  et  autoritatera  ejusdem 
sanctissimi  Domiui  no«tri  ,  etc.  Jadices  praetensos  cau- 
>am  prosequi  in  damnationera  meam  ,  non  atteudentes 
meam  fidelem  et  superabundantem  obedientiam,  qua  tanta 
diffìcultate  comparui  Augustae  ,  nec  curantes  oblationem 
meam  honestissiraam  ,  qua  me  ad  responsionem  pubi!» 
Cam  et  privatara  obtiili  ,  denique  contemnentes  ovem 
Chrisli  peteotem  humiliter  doceri  veritatem  ,  et  redut^n 
ab  errore  |  sed  simpliciter  nec  audiia ,  nec  reddita  ra- 
tione ,  mera  au(em  tyranoide  et  pleniludine  potestatis 
urgere  ad  Revacatiouem  sentenliae,  qiiara  ex  coiiscienlia 
verissima^B  judico  »  et  ad  abnegandam  fidera  Chrisli 
ex  veram  apertissimae  Scripturae  iiitelligenliam  (  quan- 
tum mea  capii  cousoientia  )  seducere  volentes ,  cum  pò- 
teslas  Papae  non  conlra  nec  supra,  sed  prò  et  infra 
Scripturae  et  veritatis  majestatem  sit  ,  nec  potesfatem 
Papa  acceperit  oves  perdeodi ,  in  Luporum  fauces  proji- 
ciendi ,  et  in  errores  errorumque  Magistros  tradendi ,  sed 
ad  veritatem  (  sicut  Paslorem  et  Episcopum ,  Vicarium 
Christi  decet  )  rerocandi.  Ex  quibns  me  laesum ,  gra- 
■vatumque  sentiens,  cura  tali  violentia  videam  futurum 
esse,  ut  nullus  eliam  ipsum  Cliristura  audeat  confileri  , 
nec  Scripturas  sacras  in  Ecclesia  sua  pròpria  profileri  , 
atque  ita  me  quoque  à  vera ,  sana  ,  Christianaque  fide 
et  inteiiigentia  ,  in  vanas  et  niendaces    hominuna    epinii»- 


nes  violenter    protrudì ,    et    in    sedactol-ias    pòpnli  Chri- 
sliani   fabulas    urgeri. 

Idcirco    à  praefalo    Sanclissimo    Domino  nostro  Leone 
noa  rectè  consulto  ,  supraqne   dictis  praeleasis    Gommis- 
sioue    et  Judicibus  ,    et  eoraoi   citation»  ac  processa  ,  et 
omnibus  inde  secufcs  et  secuturis  ,  et  quolibet  ipsoram  , 
ac  à  quibusvis  excommunicatione,     suspensione  et    inter- 
dicti  sententiis  ,    censuris,  poenis  et  mulctis  ,  atque  aliis 
quibuscunque    denuaciationibus    et    dcclaralionibus     (  ut 
praetenduat  )  haeresis  et  apostasiae  per  eos    vel    alterum 
eorum  quoraodolibet  attentatis  ,  factis  et  raolitis,  attentan- 
dis,  faciendis  et    moliendis,    ipsarumque    nuliitate  (  suis 
honore  et  reveientia  semper  sai? is  )    tanquam    iniquis    et 
injustis  mere  tyraunicis  et  violeulis,  Nèc  non  à  quolibet 
futuro  gravacnine  ,  quod  mihi  ex  eo  venire  poterit ,   tàm 
prò  me ,  quàm   prò  omnibus  et  siugalis  mihi    adbaeren- 
tibus  ,  et  adhaerere    volentibus  ,  ad    futurura    Conciliuni 
legilimè  ,  ac  in  loco  luto,  ad  quem  ego,  vel  Procuratop 
per  me  deputaudus  ,  libere  adire  poterò  vel  poterit ,    Et 
ad  illum ,  vel  ad  illos ,  ad    quem ,    seu    quos    de    jure  , 
privilegio,  consuetudine,   vel  alias  mihi  provocare  et  ap- 
pellare licet  j  provoco    et    appello  in  iis  Scriptis ,    Apo- 
stolosque  primo  ^   secuudò  ,  tertiò  ,    instauler  ,    instaulius, 
et  instantissime  mihi  dari  peto.    Si    quis    sit,    qui    mihi 
dare  hos  voluerit  et  potuerit,  et  praesertira  à  vobis  Dominò 
Notario  ,  testimoniales  ,   Et  prolestor  de  prosequendo  hanc 
meam  Appellationem  per  viam  nullitatis,  abusus  ,  iniqui- 
latis  vel  injusticiae  ,  et  alias  ,  prout  melius  poterò  ,    op- 
tione  mihi  reservata  ,  addendi ,  minuendi ,  corrigendi,  et 
in   melius  reformaudi ,  omnique  alio  juris  beneficio,  mibi, 
ao  mihi  adhaerentibus  pt  adhaerere  volentibus  semper  salvo- 


Qua  q;uidlem  schedlula  coram  ine  et  teslibus  infra  scrip- 
tis ,  ut  pratmittitur  3  ioterposita  prolestatus  fuit ,  et  pro- 
testabafur  espresse  se  ,  per  se  vel  Procuratorena  ,  noa 
posse  ari  eum  accedere,  à  quo  extitit  appellatum  ,  tara 
propter  metum  plurimoruni  ,  sibi  ,  et  vitae  suae  iosìdiaa- 
tium,  ac  ejiis  ,  à  quo  appellavit ,  tuoi  propler  viarum 
discrimina.  Idenqne  petiit  sibi  a  me,  Wolario  PnblicOj, 
cum  debita  ios'antia  \postolos  t'ales  ,  quaìes  sibi  de  jure 
debefentur  dari  a'que  concedi.  Cui  quidem  petenti  dedi 
Aposlolos  tàles  ,  quales  sibi  debentur  ,  vel  saltem  testi- 
moniales  praesertli  Instrumento  publico  ex  tunc  exaraa- 
dos.  Super  quibus  omnibus  et  singulis  petiit  à  me  No- 
tano infra  scripio  unum  vel  pluia  confici  atque  fieri 
publicum   vel   publica  Instrumentum   vel    Inslruraen*a. 

Acta  sunt  baec  Witlembergae  ,  Brandenburgensìs  Dice- 
cesis  ,  sub  anno  ,  ioditioue  ,  die  ,  mense  ,  et  Pontifica- 
ta ,  quibus  supra.  Regnante  Divo  Maximiliano  Romano- 
rum  Imperatore,  bora  tertiarum  ,  vel  qnasi  ,  in  Capella 
corporis  Christi ,  io  Parochiali  ibidem  cemeterio  situata. 
Praesentibus  ibidem  Chrislophoro  Bechr  ,  sacris  Aposto- 
lica et  imperiali  auloritate  vicecomite  Constantien.  Et 
Hieronj^mo  Papiss.  Guriensis  Dioecesis  Clerico ,  teslibuR 
ad  pracmissa  vocalÌ3  rogatisque  pariter  et  requisitis. 


169 
DOCUMENTI   CHE  ILLUSTRANO 

IL    SETTIMO   VOLUME. 

N.«   CLXI. 

(  Voi  ni.  p.  22.  ) 

Eemhi  Ep.  Pam.  Lib.  IL  in  op.   Voi.  II J.  pag.    11. 

Al  Cab.   di  S.  ]\Lvria  is  Portico,  in  Ruberà. 

Intendendo  V.  S.  bavere  un  poco  di  raffreddamento 
et  febbre  in  Ruberà:  il  che  all'animo  mio  ha  dato  ri- 
scaldamento et  dispiacere  assai.  Priegola  ad  attender*»  à 
ribavere  la  intera  sanità  sua  ,  che  io  non  posso  essere 
sano  altramente.  Non  voglio  dire,  che  vi  guardiate  da 
disordini  ;  che  so  bene  quanto  siete  continente  et  ordì* 
nato  in  tutte  le  cose ,  dal  curar  le  facende  publiohe  et 
lo  scrivere  in  fuori  ,  et  suole  questo  avenirvi  molto  spes« 
so.  La  vostra  Emigrania  ne  fa  fede.  Dunque  sarete  con- 
tento travagliar  meno  che  si  può,  alm**no  fino  aitante j 
che  abbiate  scacciata  da  voi  la  freddura  ,  et  la  febbre  ; 
la  quale  non  credo  però  sia  altro  ,  che  freddura.  La  S. 
Duchessa  d'Urbino,  la  quale  visitai  bieri ,  come  che  io 
però  faccia  questo  officio  assai  di  rado  ,  à  voi  si  racco- 
manda ,  et  Madonna  Emilia  altresì  Le  loro  Signorie 
«nuo  cortiggiate  dal  S.  Unico  molto  spesso:  et  esso  è  piìt 


1*0 

caldo  neir  ardore  antico  suo  ,  che  dice  essere  ardore  dì 
tre  lustri  e  mezzo  ,  che  giamai  :  et  più  che  mai  spera 
hora  di  venire  a  prò  de' &uoi  disii ,  massimameate  es- 
sendo statò  richiesto  dalla  Signora  Duchessa  di  dire  im- 
proviso  j  nel  quale  si  fida  muovere  quel  cuor  di  pietra 
intanto,  che  la  farà  piagnere,  non  che  altra.  Dirà  fra 
due  ò  tre  dì;  detto,  che  egli  habbia ,  vene  darò  aviso. 
Beo  vorei  che  ci  poteste  essere,  che  son  certo  dirà  ec- 
cellentemente. Raphaello,  il  quale  riverentemente  vi  si 
raccomanda ,  ha  ritratto  il  nostro  Thebaldeo  tanto  na- 
turale ,  eh'  egli  non  è  tanto  simile  à  se  stesso ,  quanto 
gli  è  quella  pittura.  Et  io  per  me  nOo  vidi  mai  sem- 
bianza veruna  più  propria.  Quello,  che  ne  dica  e  se  ne 
tenga  M.  Antonio ,  V.  S.  può  stimare  da  se  ;  et  nel 
vero  ha  grandissima  ragione.  Il  ritratto  di  M.  Baldassar 
Castiglione  ,  ò  quello  della  buona  et  da  me  sempre  bo- 
norata  memoria  del  S.  Duca  nostro ,  à  cui  doni  dio 
beatitudine ,  parrebbono  di  mano  d' uno  de'  Garzoni  di 
Raphaello  ,  in  quanto  appartiene  al  rassomigliarsi  à  cora- 
paratione  di  questo  del  Thebaldeo.  Io  gli  ho  una  grande 
invidia  ,  che  penso  di  farmi  ritrarre  ancor  io  un  giorno. 
Hor  hora  havendo  io  scritto  fin  qui ,  m'  è  sopra  giunt» 
Raphaello,  credo  io,  come  indovino,  che  io  di  Ini  scrives» 
si,  et  dicemi  che  io  aggiunga  questo  poco  ;  cioè  ,  che  gli 
mandiate  le  altre  historie  ,  che  s'  hanno  à  dipingere  nella 
vostra  stufetta,  cioè  la  scrittura  delle  historie,  peroio- 
chè  quelle  ,  che  gli  mandaste  saranno  fornite  di  dipin- 
gere questa  settimana.  Per  DfO  non  è  burla ,  che  hora 
ora  mi  sopragiugne  medesimamente  M.  Baldassar  ,  il  quale 
dice  eh'  io  vi  scriva  ,  che  esso  s^è  risoluto  di  stare  que- 
sta state  à  Roma  ,  per  uon  guastare  la  sua  buona  usaoza.. 


toàssJftiamente  volendo  così  M.  Antonio  ThebaMeo.  A. 
V.  S.  bascio  riverentemente  la  mano  et  nella  sua  buona 
gratta  mi  raccomando.  A.   19  d'Aprile  mdxvi.  Di  Rom»> 


N.''  CLXII. 
(  Val  ni.  p.  4o.  ) 

Tirahosclii ,   Storia  della  Letter. 
hai.  voi.  VII  par.  HI.  p.  i  o  i . 

Illustrissimo  Domino  Fratri  osservandissimo  ,  Doni. 
fiippoLiTo,  i!?.  Lucìae  in  Silice  Dine.  Car.  Esten,  et 
Rever.  et  IllusirisS.  Monsignore  mio  Comen.  Et  pef  la 
lettera  de  la  S.  V.  Reverendissima  ,  et  a  bocha  da  M, 
Ludovico  Ariosto  ,  ho  inteso  quanta  letitia  ha  conceputa 
del  felice  parto  mio  :  Il  che  mi  è  stailo  summamente  gra- 
to ,  cussi  la  ringrazio  de  la  visitazione  ;  et  particolarmente 
di  havermi  mandato  il  dicto  Monsignore  Ludovico  ;  per 
che  ultra  oh' el  mi  sia  stato  accetto^  represenlando  la 
persona  de  la  S.  V.  Reverendissima,  lui  anche  percento 
suo  mi  ha  addulta  gran  salisfazione  ,  havendomi  cum  ìa 
narratioD  de  T  opera  eh'  el  compone  facto  passar  questi 
due  giorni  ;  non  solum  senza  fastidio ,  ma  cum  piacer 
grandissimo  ;  eh'  in  questa  ,  come  in  tutte  le  altre  actione 
sue  j  ha  havuto  bon  judicio  ad  eleggere  la  persona  io 
lo  caso  mio.  De  gli  rasonamenti,  che  ultra  la  visitacione 
taverne  facti  insieme,  Monsignore  Ludovico  renderà  cunto 
alla    S.  V.    ReverendisEinsa  ;    alla  quale  mi  raccemando. 


Mantue  ,  lertio  Februani  ,  M.  D.  vn.  Prego  la  S.  V.  che 
per  mio  amore  prò  vedi  al  Gabriele  ,  che  ha  tuoi  io  per 
moglie  la  servitrice  de  la  Fé.  Mt^.  de  Ma.  de  quello  of- 
ficio che  la   gli   ha   promesso.   Revert^ndi.ssima   V.   S. 

Obseq.  Òoror  ^  Isa&ella  Marchionissa  Mantuae. 


N.<'  GLXIII. 

(  Voi  FU.  p.8  9.  ) 

Al  Santissimo  Nostro  Signore  Papa  Ijeone  Decimo^, 
GiovAN  Giorgio  Tbissino. 

Avendo  io  già  molti  giorni ,  Beatissimo  Padre ,  com- 
posto una  Tragedia,  il  cui  titolo  è  Sofoiiisba  ,  soao  stato 
meco  medesimo  lungamente  iu  dubbio  3  s'io  la  dovessi 
mandare  a  Vostra  Beatitudine,  o  «o ;  Perciò,  che  da 
Tuo  de*  lati  considerando  l'altezza  di  quella,  la  quale 
è  tanto  sopra  gli  altri  uomini ,  quanto  che  il  grado,  che 
tienp  ,  è  sopra  ogni  altra  dignità,  e  rimembrando  ancora 
la  grandissima  cognizione,  ohe  ha,  così  de  la  lingua  Gre- 
ca ,  come  de  la  Latina,  e  di  tutte  quelle  scienzie,  che 
in  esse  scritte  si  trovano ,  et  appresso  vedendo  quanta 
oocnpazione  continuamente  le  reca  il  governo  universale 
di  tutti  i  Cristiani  ,  io  stimava  non  essere  coovenevol  cosa 
il  mandare  a  sì  alto  luogo  ,  et  a  si  dotte  ,  et  occupate 
orecchie  questa  mia  operetta  io  lingua  Italiana  composta. 
Ma  poi  da  l'altro  lato  pensando  che  sicome  vos'ra  B-^a- 
titudiae  avanza  ogni  mortale  di  grandezza ,  così  da  oes" 


'7* 

sono  5  di  mansuetudine  superata ,  e  che  per  qnantunqae 
gravi,   e     necessarie     occupazioni,    mai   noa   si   lasciò   tal- 
mente  impedire  ,   che  non   scegliesse  tanto   spazio  di  tem- 
po ,   che  potesse    leggere  alcuna  cosa  ;    e  sapendo  ezian- 
dio  che    la   Tragedia  ,     secondo   Aiistofele  ,    è    preposta   a 
tutti    gli  altri     poemi  ,    per    imitare    con    suave  sermone 
una  virtuosa  ,     e   perfetta    azione ,     la    quale  abbia  gran- 
deza  ;    e  come    Polignoto     antico    pittore   ne    l'opere   sue 
imitando  faceva   i  corpi  ,    di    qnello    che  erano  migliori  , 
e  Panson   peggiori  ,    cosi    la   Tragedia    imitando  fa  i  co- 
stumi   migliori,    e    la   Comedia     peggiori,     e  perciò  essa 
Compdia    moove   riso,   cosa,   che   partecipa   dì   bruttezza, 
essendo   ciò,   che  è   ridicnlo  ,   difettoso,   e   brutto;   Ma    la 
Tragedia   muove  compassione  ,   e   tema  ,    con   le  quali ,  © 
con   altri   amaestramenti    arreca    diletto    a  gli   ascoltatori, 
et  utiliiate  al   vivere  umano  ;   le  qnali   cose   tutte  (  com'  io 
dico)  da     l'altro    lato   pensando,    mi   davano   tanta   coufi- 
deazia  ,   et   ardire  a   mandarla,   quanto   quell'altre   m' in- 
ducevano   a     ritenerla.     Così    ailunqne    tra   sì   fatti   dubbiì 
dimorando  ,   avvenne  ,    che   queste    ultime   ragioni     ajntate 
tla   i   soavissimi   costumi  di   Vostra    Beatitudine,    e  da  la 
inefabile   bontà  di   Quella  ,   rimasero    vincitrici  ;    La   onde 
mi   diedero   tal   ardire,    ch'io    feci    deliberazione  di  offe- 
rirle e  dedicarle  ,  la   predetta   mia   fatica.   A  la  quale  non 
credo  già,    che  si   possa    giustamente  attribuire  a   vizio, 
r  essere  scritta    in  lingua  Italiana  ,    et  il   non   avere  aa» 
Cora  secondo    l' uso    comune  accordate    le  rime  ,  ma   la- 
sciatele libere  in  molti   luoghi.   Perciò  che  la  cagione ,  la 
quale  m'ha  indotto  a   farla  in  questa  lingua,    si  è;   che 
avendo  la  Tragedia  6ei   parti   necessarie,  cioè  la  Favola, 
ì  Costumi  ,  le  Parole  ,  il  Discorso  ^  la  Rappresentazione, 


J74 

«t  il  Canto  ;  manifesta  cosa  è ,  che  avendosi  a  rappre- 
sentare in  Italia,  non  potrebbe  essere  intesa  ria  tutto  il 
Vopolo  ,  s'ella  fosse  in  altra  lingua,  obe  Italiana  ,  com- 
posta; et  appresso  i  Costumi  ,  le  Sentenzio,  et  il  Di- 
ecorso  non  arreccherebbono  universale  utilitate  ,  e  diletto 
se  non  fossero  intese  dagli  ascoltanti.  Si  cbe  per  non  le 
torre  la  Rappresentazione  ,  la  quale  (  come  disse  Aristo- 
tele )  è  la  più  dilettevole  parte  de  la  Tragedia,  e  per 
altre  cagioni,  che  sarebbono  lunghe  a  narrare,  elessi  dì 
scriverla  in  questo  Idioma.  Quanto  poi  al  nou  aver  per 
tutto  accordale  le  rime  non  dirò  altra  ragione;  perciò, 
ch'io  mi  persuado,  che  se  a  Vostra  Beatitudine  non 
«piacerà  di  voler  alquanto  le  orecchie  a  tal  numero  ac- 
commodare  ,  che  lo  troverà  ,  e  migliore  ,  e  più  nobile  , 
e  forse  men  facile  ad  asseguire  di  quello  ,  che  per  av- 
ventura è  riputato  ;  E  io  vederà  non  solamente  ne  le 
narazioni ,  et  orazioni  utilissimo  ,  ma  nel  muover  com- 
passione necessario  ;  Perciò  che  quel  sermone ,  il  quale 
«uol  muover  questa  ,  nasce  dal  dolore;  et  il  dolore  manda 
fuori  non  pensale  parole  ,  onde  la  rima  ,  che  pensamento 
dimostra  ,  è  veramente  a  la  compassione  contraria.  Adun- 
que ,  Beatissimo  Padre ,  essendo  (  come  dice  Plutarco  ) 
non  minor  laude  ad  un  gran  Signore  l' accettare  lieta- 
mente le  cose  picciole  ,  di  quello,  che  si  sia  il  donare 
agevolmente  le  grandi  ;  ardirò  di  pregare  Vostra  Beati- 
tudine ,  che  si  degni  di  prendere  questo  mio  picciol 
dono;  il  quale  da  sincerità  di  mente,  da  fermissima  fe- 
de ,  e  da  ardentissimo  amore  accompagnato  le  porgo.  Et 
in  questo  già  non  ardisco  di  dire ,  che  Quella  debbia 
imitare  Xerse  Re  de  i  Re  ;  al  quale  un  povero  villa- 
{iel)o ,  che  passare  lo  vide  ,    (loa  avendo  altro ,    che  dO' 


'75 

>4are  ,  corse  ad  un  fiume  vicino,  e  raccolse  de  l'acqua 
cr^n  ambe  due  le  palme ,  e  donogliela  ;  la  quale  Xerse 
molto  allegraraeute  accettò  ;  e  feeegli  dimostrazione  ,  che 
tal  dono  gli  fosse  stato  gratissimo  j  Ma  ben  la  esorto  a 
fare  ,  come  fa  il  Re  de  I'  Universo  ,  di  cui  è  Vicario  in 
terra,  il  Quale  risguarda  sempre  a  l'amore,  a  la  sin- 
cerità ,  et  a  la  fede  del  donatore ,  e  non  a  la  qualità 
del  dono. 


N/>  CLXIV. 

(    Voi.    VII.  pag.   92.   ) 
Trissìno ,  Italia  liberata  da' Gotthi.  Uh.  XV f* 

Anchor  vi  vol^«  dir,  quel   cbe  mi  disse 
Un  amic«  di  dia,  ch'era  profeta. 
Di  alcuni  Papi ,  che  verran»  al  m<iind« 
E   queste   fur  le   sue   parole   impresse 

La  sede  in   cui   sedete  ,   il   maggij^r  Vììtsi^ 
Usurpala  sarà  da  tai  past^yri 
Che  fian  vergogna  eterna  al  christanesmcv 
Ch'  avarizia  ,  luxyria  ,  s   Tirannia 
Farau   ne' petti  ]ar  T  ultima  pruova  , 
Et  baran  tutti  e  I«r  pensieri  intenti 
Ad  aggrandire  i  suoi  bastardi  ,  e   darli 
Ducadi  ,   e   siguiarie,  terre,   e   paesi, 
E   Cis»ncÌÉdere  anchor  senza  vergogna 
Prelature  e  capelli  a  i   l<s»r  cynecfi  , 
E  a  i   propinqui  de  la  lt»r  bagasciej 
E  vender  vesc«'vadi ,  «  benefici , 


nflìci ,  8  privilegi ,  g  (lignìtai^I  , 
E  ^«Ueva^  li  ìnfarni  ,   s   per  denari 
Rompere,    e   dispensar  tutte  le   l*ggi 
Diviue  ,  e   buone  ,   e   non  servar  mai  fed» 
E   ti  a   veneui   e   tradinaenti  ,   et    nlrre 
Male  arti   l^r   mr^nar  tutta   la   vua  ; 
E   seminar  tra   i   principi   Christianì 
Tanti   scand&»li    £   risse  ,   s   tante  guerre 
Che  farau   grandi   i   Saraceni   e   i  Turchi, 
E   tutti  li  avversari  de  la   fede  ; 
Ma  la  l^r  vita   sceleiata   s  lorda 
Fia  conosciuta  al   fin  dal   vauvuìa»  errante 
fìndc  corregera   tutta» '1   g<uverno&» 
De  i  mal  guidati  popoli  di  ChristAi 


N.'>  CLXV. 

(  Voi  ni  p.  120.  ) 

Mangeti ,  Biblìotlieca   Chemìca  Curiosa. 
Tom.   11.  pag.  371. 

JoANNis  Aureli  Augurelh  Chrysopoeia  ad 
Leonem  X. 

Auriferam  parvis  animi  prò  viribus  arlem , 
Qnaesitam   nobis  ,  et  longo  tempore  partam  , 
Ut  rerum   involucris  tantarum  evolvere  moles 
Se  potuit,  claro  perbibeotes  Carmine  oappr 


*77 

Lusimus  ,  et  Musis  hanc  coinraendavimus  almis , 
Qnod  nulli    ex  omui  numero  fecere  priores. 
Cumque  operi    autorem  cujus  sub  nomine   tutuna 
Pei'geret  optaretn  ,  foret  et  res  pr-aeside  di»na 
Ipsa  ex  se  magno  ,  variàque  hiuc  mente   tenerer 
Cui   merito  cuncta  haec  ,  et  non   ingrata  dicarem'j 
Interea   nobis   tute   velut  aediere   ab   alto 
Missus  ades  mundi   fe«tis  sucourrere   rebus  , 
Qui   belli   scelerumquc;   faces  ,   incendia   tanta 
Extinguas  3  placidamque  piis  sperare  guietem 
Des   populis ,   solidamque   per  aurea   saecula   pacem. 
Cuive   etiam  ,  si    parva   licet  componere   magnis  , 
Ad  sanctos  haec  nostra  pedes  ars  aurea   teudat  : 
Ut  quo   te   Gdei   sac'ae   nuoc   coetus  bonore 
Proscqui-tur   cuiictus  hoc   te   veiieretur  ,  et  omni 
Ipsa   tuum   prò   me   eulta   sic   numen   adoret. 
Hanc   igitur,    si   non   immensa   negotia   prorsus 
Impediunt,   perniitte   precor  se   prodere   tantum 
Quo   libi,   detracto   veluti   velamine   virgo 
Nobilis   ingenio   vultum   p&rfusa    rubore  , 
Oocultura  iacipiat  semel   ostentare  decorem. 
Qaec  etenim  prima  quauquam  se  fronte  legenti 
Non  adeò  ostendat ,   pauluai   tamen   ipsa   reciusis 
Detecta   arcanis   mira   et  gratissima   paudit. 
Quam   si  forte  legens  interdum  nomina  divùm 
Qffeudes  quos  vana  olim  coluisse   vetustas 
Dioitur  ,  extem()lò  haud  reuuas^  sacra  optiraa  quanquaiu 
Exerces,    veramque   fidem  ,   cultumque   luèris. 
Illa  etenim   tanquam   priscis  consueta  vocari 
Vatibas  enixè  quos    lune   imilabar  adivi 
Supplex  ,  et   paribus   curis    in   vota   vocavi, 
Leone  X.  Toin.   FUI.  12 


17^ 

Materies  eliam    solitum  conquirere  Solis 

Et  Lunae  ausilium  ,  neo  non   Viilcaiiia  velie 

Arma  videbalur  quorum  implorare  favorein 

Fas  erat:   et  mihi  jam   per  te  licuisse  sit  id  nunc 

Coucessura  ,  et  venia  dignum   peccasse  fatemi. 

Mox  tamen  bine  aliud  quaesilUm  ad  carmirja  numen  , 

Et  precibus  solura  cunclis  quandeque  vócatura. 

Forte  aderii,  praesens   fuerit  gì  gratia    coelo 

Tanta  mibi  ;  magnum  multo  seu  Carmine  Mosen  , 

Seu  qiiem  flagranti  vectum  super  aetbera  curra 

Mirati  vìdere  patres ,  oculisqne  sequuti 

Apra   per   punim   coeli   disciudier   oras  , 

AsUoruùique   glnbos  iatro   aspcxore   miodates  : 

Spu  qui  voce  palam   porrectoque  indice  prodit 

Yenisse  auxilio  jam  tura  mortalibus  agnum 

Ipse  canam  ,  vatem   quamprimum   matris   in    alvo 

Exnltanfpm  ,  et  adhuc   puernm   ad   deserta   ferentem 

Aulra   pedes ,   puri   mox  et  Jordanis  ad   uiìdam 

Dignatum  caput  illius  eontingere  limpha 

Qui  proprio  antiquam   nobis  sic  sanguine  labem 

Abluit ,   ut  scelerum   niaculas   absterscrit   omnes. 

Nomine  cujus  item   libi   quondam   et   moti  bus   aucto 

Defuit  haud  uuquam   favor  ac  caeleslis  abuudè 

Gratia,  qua   tantum   merilis  consccndere  culmen 

Posses ,   et  juslas   mundi  regere   unus  habenas  : 

Mng'.ianimos   aequans   propria   virlule   Leones, 

Foulificura   decus   egregium    jam   saepe   repertos 

Esse,   nec  Italiae   sa}»  iniquo   tempore,  et  iisquam 

Cbrislicolis   ullo   piorsum   in    discrimine   depsse. 

Haec  sed   erunt  mibi  cùm  dicendi  faela  ppicslaa 


»7g 

Jam   Inerii,  dabiturqae  Icqul  quae  jusseris  ijìse 
Sanctp  Pater,  oujiis   nobis   sfant  onniia  nutu. 

Iiiferea   certis  homimiru   vis   ulla-ae   possit 
Itulic'.is  aurum   faoere  ,   et   mutare  inetalla 
Perci|jias  priinuin  :    dehioc  qaae  secreta   laboret 
Ars   id   peiTicere  ,  et   natnrara  acquare   potenti 
logenio  irispicìafi  ,   demnm   quis   rite  spquatur 
Hinc  modus   assidais  doctisqae   laboribus  artem 
Pervideas,  et  quo   tandem   experientia  ducat. 
Omnia   quae  gnaro   passim   libi   certa   pa'ebunt. 
Si  quo  hac  inter  se   nexù  ,  quóve  ordine  congtapt 
Ipse  ade  qua  cuncta  soles  disoeruere  mentis 
Inspeclans  ,  parvum  non  dedignabere  mnnuSj 
Quod  libi  non   parva  offerri  super  arte  laboro. 


N.*»   CLXVI. 

(  ni  ni.  p.  127.  ) 

DiLECTO  Fiuo  ACTio  Syscero  Sannazario,  Leo  Papa  X. 

Dilecte  fdi  ,  salutem  et  Aposlolicam  benediolionera, 
Quum  forte  de  claris  ingeniis  aetatis  nostrae  apud  nos 
verba  fierent  ,  affoere  qui  quum  te,  tum  opus  tuum  De 
Partu  Vìrginis  divinis  prope  laudibus  cura  admiratione 
attollerent,  atque  praedicarent.  Quae  res  expectata  quidera 
diu  nobis  (nihil  enim  iiou  excultum ,  non  elaboratum  , 
non   singulari   tuo  iugeoio  dignum   proficisci    a    te    possp 


i8o 

arbitramur)  verum   eo  nunc  carlor  et  jucnndior  vìsa  est, 
tum  quod  qnae    futura    exspfclabamus ,    acoepimus    jain 
facta   esse,    et    quae    superent,    omnem    exspectalionem  , 
tum   quod   etsi   nullo    non   tempore  fuissent  acoeptissinia  , 
bao   praecipue   tempestate  erunt    longe    gratiora.    Qua    ut 
quidam  ,   quo   doctiores   videantur  ,  Ecclesiam   siilo  iniquo 
petuat ,  qui   exactissima  eruditione  commendent  ,   non  de- 
eiderentui-.   Dici   noti   potest ,  quum  haec  audiremus,  quan- 
tum  volnptatis   acceperimus  ,   et  quum   ipsi    legemus  ,  ac- 
cepturi   simus  ;   quod   persuasi   simuSj   divina  factum   prò* 
videnlia  ,  ut   divina     sponsa     tot    impiis    oppugnatoribus  , 
lacerato  ibusque    lacessita ,    talem  ,    tantumque    uacta  sit 
propugtiaiorem  ;  et  quum  illi  impia  facundia  abusi  fran- 
gant  in   rem     sacram    genuinum ,     tu  unus  opus  edideris 
quo   rem   sacram   omnibus    (ut  dici     solet  )    nervis  attol- 
leodam  ,     exeolendamque     procuraveris     sanclo     concilio  , 
eveiUu   feliciore  j  quum   dictiteat  qui   legere,   si  rem  quae- 
ramus  ,   nihd   nisi   Ghrislura   atque  ejus    sponsara   sonare  : 
£Ì   pietatem  ,   undique   religionis  enitere     studium  ;    si   ju- 
dicium ,   nihil     ungue    siguandum    reìiuquere  ;    si    figuras 
artisque   conatus ,     veterum    valum    nulli    cedere,   multos 
auteire.  Gratulamur  itaque  tibi  ,  quod  tantum  unus  prae- 
stes  5  quantum   antea   nemo;   Enclesiae  ,    quod    quum   ve- 
xetur   tacineturque   ab   aliis ,   a   te   uno    in     caelura   effera- 
tiir  ;   nostro   saeculo ,   quod   fiet   tui   carminis   luce  celeber- 
rimum  ,   nobis  denique   ipsis  quihus   imminente   bine  Go- 
liade   armato,  bine   Saule    a     fuciis   agiiato,    affuerit   pius 
David   illum   fuuda  a  temerifate  ,   hunc   Ivra   a   furore  com» 
pescens.   Hortamur     itaqne     te  ,    jam    opus  edas  ,    ut   qui 
doletit  ,  quum  illa   Isguut  quae  adversus  pietatem   venena 
fieli   Christiaui  evouiuerc ,     ad  tua  couferant    sese  ,  quae 


i8i 

velutl  praesens  anticlotum  sint  oppositiiri.  Tu  ita  libi 
persuadcas  volumus ,  nos  te  et  tua  omia  periude  ac 
nostra  oomplexu''os  esse  ,  nec  nos  ,  nec  hanc  Sa.ictana 
Sedem  umquain  tui  vel  affectus  vel  operae  imnaemores 
futures.  Datum  Romae  apud  Sauctuni  Petrum  ,  sub  aa» 
nulo  Piscatoris  die  VI.  Augusti  M.d.xxi.  Poutilìcalus  ao- 
etri  auDO  dodo. 

Bembus. 
Per  Favonium  de  mandato. 


NO    CLXVII. 
(  Voi   VII.  p.    128.  ) 

DiLECTO    Fino    AcTIO     SynCERO     SanNAZARIO  ,     ClEMENS 

Papa   VH. 

Dilecte  fili,  salutem  et  Aposlolicanj  benedictionenic. 
Accppimus  librum  gratissimo  nuiuere  ,  qaem  tu  ad  dos 
de  Dei,  et  Domini  nostri  Jesu  Christi  rebus  scrip'utn 
misisti  ,  cujus  argumentum  praeclarum ,  atque  nobile 
quum  in  te  parerai  ostendat  auiiui  pietatem ,  atque  iu- 
genii  gloriam  ,  sitque  iu  eo  oomen  quoque  uostrura  ad 
meinoriam  eorum  qui  lecturi  sunt  ,  qui  quidam  iunuraiti- 
rabiles  futuri  sunt  ia  louga  posteritate,  iminortalitati  quasi 
coramendatuni  ,  muneris  tui  magnitodiuem  hoc  niagis 
SPQlimus,  quod  quouiodo  parera  reffiramus  ^raliarn,  ha- 
bere  nos  dou  arbitramur.  Si  eniin  iinraortalitas  optata, 
et  grata  est  omnibus  ,  qui  praesertim  animo  vegetiore  at- 
que erecliore  sint ,  permagnae  sunt  illius  partes  nobis  a 
te  tributae.  Quamquam  euio»  ea  est  appeteuda  maxime  _, 


j8a 

inique  elaborandarn  praecipuc ,  quae  post  dlscegsum  e» 
hac  vita,  in  illa  altera  vita  felici  et  sempiterua  nos  cum 
DEO  ipso  collocat  j  tarnea  ne  haec  quideua  non  libentcr 
adsciscenda ,  quae  producit  ad  posteros  nostri  nominis 
perpetuitatem ,  prò  qua,  qui  iliain  caelestem  et  divinam 
ìmmortalitatera  non  piane  cognoverunt,  maximis  saepe 
tamen  eontentionihus,  et  acerbissirnis  discriminibus  vi- 
tam  ,  et  caput  suuai  objecere  ,  quod  profecto  non  fecls- 
sent ,  nisi  a  natura  ipsa  admoniti ,  eummum  quoddam 
bonum  exìstere  coujectati  fuisseut  ,  cujus  in  imagiue  et 
simulacro  tam  raultas  parles  experirentur  esse  delecta- 
tionis  ,  et  gloriae.  Est  enim  profecto  haec  famae  et  laudis 
ad  comnienioralionera  hominura  celebritas ,  imago  illius 
■verae  immortalitatis  quae  esimio  dono  Omnipotentis  Dei, 
tini  Cbristiano  generi,  per  Dominum  Nostrum  Jesuivi 
Cbristum  proposita  est  ;  ad  quam  potissimum  aspirare 
dcbemns,  banc  vero  ita  oaram  ,  jucnndamque  dncere , 
si  proborura  et  prudentium  teslimonium  nobls  deferatur, 
quod  qnidem  in  te  nobis  egregie  conligit.  Non  enim  in- 
genio  solum  tuo  honorati  ,  illustratique  sumus  sed  (quod 
nobis  etiam  gralius  est  )  judicio  comprobati  ;  et  sì  enim 
ìngenii  gloria  concedis  nemini ,  vel  omnibus  polius  prae- 
stas  qui  in  hoc  scribendi  genere  cum  laude  versati  sunt, 
lamen  quum  ipso  scriptionis  argumento  ostendas ,  qua 
9Ìs  pietale  ,  sapieutìa,  religione  praeditus,  jncundius  eliam 
accepimus  tcstimoaium  optimi  ,  et  religiosissimi  viri  , 
quam  studinm  doctissimi.  Qnapropter  macie  virtute  tu 
quidem  ;  id  enim  es  consecutus  ,  quo  oullura  niajus  ho- 
mini  bonum  in  hac  vita  exislere  posse  videatur  ,  maxi- 
morum  enim  donorum  quibus  te  affecerat  Deus  ,  gratia 
illi   (quoad  mortali  liomini   iicuit)  relata,  ìllud  jam  sum- 


i83 

mum ,    et    incomparabile    rerae  immortalitatis  cloaum  es 
promeritus,  cui  deinde  jam  gratia  nulla  esse  par  potest, 
qui  talentutn    acceptum  niultiplicatis    mercedibos ,  eidern 
domino    reddidisti    a  qiao  acceperas.  Ex  quo  quum  fru- 
ctnm  quoque  non  mediocrem  tui  libri  dicatione ,  ad  no- 
minis  nostri  laudem  ,  ac  memoriaoi    redundare  volueris, 
tantam  tibi  babemus  graliam,  quantam    capere  grati,  et 
meraoris    Pontificis    tanto    devincta    officio    mens  potcst , 
sicut  le  re  ipsa    tibi   estendere  parati   sunius,   et  ut  ex- 
periarc  etiam  adbortamur.  Datnm  Romae  apud  Sanctum 
Petrum  ,   sub  annulo  Piscatoris  die   V.  Augusti.  M.D.xxvi. 
Fontificatus  nostri  anno  tertio. 

Jac.  Sadoletus. 


N.°  CLXVIII. 

(  Voi.   VII.  p.    193   ) 

Guidi  Postumi  Silvestri  Eleg.  Uh.  i 
pag.   j.  Ed.  Botion.   ìSa^. 

Pro    AEDIBU3  PaIERNIS  a   se    INSTAURATIS  OpE  LeOMS  X 

Pont.  Opt.  Max. 

Quam  cariosa  aelas ,  quatnque  hoslicus  hauserat  ignis  , 

Exuit  en  seniuna  Posthumiana  Domus, 
Scit  tamen  haac  longo  perituram  Posthuoius   aevo  , 

Ergo  aliud  loage  firraiu?  egit  opus. 


Qu(>(^  (  pum  liaec  vieta  sito  i^omus  et  lapis  iste  jacebnat  ) 

Vivet  ,  eritque  alfae  posteritatis  honos. 
¥rc  oytharae  mei  itis  tribuit  Leo   Maxiraus  aarura  , 

Jussit  et  hiiic   vatis   teota   nitere  sni. 
Quippe  Araphionii   non   ficta  est  fabula   muri  , 

Si  domus  haec  blandae  strucla  canore  lyrae   est. 


N.o  GLXIX. 

(  Voi  ni.  p.  194.  ) 

Guidi  Postumi  Silvestì-i^  Eleg.  Uh.  II.  p.  gì. 
Ad  Petrum  Pactium. 

Absentem  dura  te  Florenlia ,   Maxime  Pacti, 

Implicitura  et  cnris  te  tua   terra  tenet  ; 
Ille  tuae  panisque  honiiuum  Leo  Maximus  auolofj 

AEternnm   iile  et  honos  ^  sanguis ,   amorque  tuuSj 
Sollicitus  Dominae  ,  liquit  fastidia  Rnmae  , 

Atque  dioata  bonae  cessit  in  arva  Pali. 
Hic  ubi  majoruni  inolem   extruit  arte,   novatqae , 

Nec  sinit  ex  toto  saeoula   prisca   mori. 
Arcet   arenosos   mafjno   molimine   Quctus, 

Ipsae  ubi   mox  multo  pisce   natentur  aquae. 
Huc  quoque  longinquo  descendere  monte  jabetar  ^ 

Cogitur  et  faciles  currere   Ijmpha   rias. 
Atria  pulsa  freto  ,  spaciosam  extruit  arcem  ; 

Qua  procul  Hetruscae  stet  populalor  aquae. 


i85 

Quin  et  equis  stabula  alta  solo  jaoiuntur ,  et  ipsis 

Miiitibns  sfruitur  magna  capaxque  doraus. 
Ne  tamen  illuni   ipsos  penitus  sic  condere  soles  , 

Neve  putes  solo  hac  decipere  arte    diera  ; 
Ipse  suas  crebris  mensas  venatibus  auget , 

Coenaqne  de  proprio  parta  labore  venit. 
Accipe  quot  nuper  nemorosa  in   valle  ,  vel  una 

Luce  perhorrentes  straverit  ille  feras. 
Est  nemus  et  piceis  frondosaque  abiete  densuni 

Ipsam  ubi  fama  refert  saepe  babitare  Palem  j 
Quo  ncque  secretis  jucundior  ulla  Napaeis , 

O'-aque   semicapro  gratior   ulla   Deo   est. 
Cujus  in   exfremo   tot  frondea   lecfa   reoessu 

Aspicias  ,  magnae  quot  lucus  urbis  habet. 
Fingit  in  hnnc  silvas  niorem  natura  ,  nec  ulla 

Diva  laboratas  extruit  arte  domos. 
Hic   nulla   violata   virent   myrteta   secnri  , 

Multaque  odoratam   laurus  obumbrat  humum  ; 
Dianam  hic  r^ferunt  visam  ,  ac  saepe  alta  petentena 

AEquora,  Tyrhenum   hic   nara   prnpp  liftus  adest- 
Haec  domus  atque  feris  statio  crraiissima  capris, 

ITic  locus  agppstps  quo  stabulentur  apri. 
Hnc   Leo   venantes   decrevit   in    aspera   cogi 

Praelia  ,  et  armigera   bella   cieie  manu. 
Primus  et  ante  omnes  ip<'e  albo  insignis  amictu 

Carpsit  iter ,   va^tnm  sepe    obiitque    neraus. 
Proxirnus  et  magno   fiatri   comes   ibat   Julus  , 

Quamlibet  illi  atra  in   sorte  fidele  caput. 
Cernere  erat  magna  eicitos   Mavortis  ab  urbe 

Saeva  galerltos  sumere  tela  patreg. 


t86 

E  qaibns  iivi^lae  refereiis  denomina  genti s 

(!aesar  Cabici  terga    premebat  equi  ; 
Ille  qnidcm  multa  cor  Pallate  praedìtus  ,  idem  «t 

Clarus  luleae   nobilitale   domas. 
Hinc  Germana  phalanx  campis  s<»  laeta  ferebat. 

Illinc  Romanae   robora  gontis  eqaes. 
Pars  agitare  feras  corno  properabat  adanco  , 

Pars  armillatos  toiìc  ciere  canes. 
Hos  ioter  quoque  Septimius  Rangona  propago  , 

Frena  recasanti  fervidas  ibat  equo  ; 
Septimius  ,   Leo  cai    raagnus   posita  oppida   laetis 

lu   lumulis  ,   dono  nuper  habere  dedil. 
Hunc  adeo  validis  venabula  torta  lacertjs , 

Nec   ininns  egregius  ferver  in   arma   decet  ; 
Ut   non  iillus  aper  silvis  stabuletur  in  altis , 

Qui   non   illius  optet  ab  ense   mori- 
Talenti   olim   Hippolytum   ripas   prope  Thermodoonti»  , 

Stryooiiias   memorant  soUioilasse  feras; 
Ant  oum   Chironis  sese   referebal  ad   anlrum 

Pelidem   ianuaieris  perdomuisse   Leas. 
Inde  pnellarum  pulcberrima   cura  Galesus  , 

Dextra  idem  promplns  forma  atavisque  potenSj 
Charnm  dileclae  pignus  geslabat  araicae  , 
Veste   tef»ens  niveum  versicolore  latu?, 
Optabat  decus  usqae  aliquod  meruisse ,  suaeque 

Parvum  hinnulum   doroinaf  ferre  :   caputve  suis  ; 
Qaae   fera   ab   bis  animam   ed'dp-it  tranifiica   lacertis , 

Sacraqui^  et  in  libris  rota  ei-it  usque  raei«. 
Hunc   unum   comes  iasequitur  Choriaeas  eunlera  , 
Saucius  et  oura   paliidus  ora  gravi  ; 


88; 
tTnns  qui  teneri  speclalum  facla  Gaìesì 

Juoxerat  arma  ,   canes  miscueratque  suos. 
Ille  quidein  ducens  alieno  in    pectore  vitam  , 

Sanandura  uulla  vulnus  alebat  ope. 
Ibat  acerba  frenaens  maguumque  bastile  gerebat 

Ffpgusus ,  Lygurnm   nobilitatis  honos. 
Cui  Comes  Insubrumque  decus  splendorque  Ricardns 

Quassabat.  vaìidam   pristina   tela  sudem, 
Mellinus  ,  Laurensqae  Cibo,  bine  socia  agmina  jungnnt, 

Conjugii  hic  foelix   prosperitale  novi  ; 
Pullato  praevectus  equo  raoestissimus  alter  , 

Fratris  et  indigni   funeris  usque  memor  ; 
Qnem  vorticoso  modo  raptum  in  gurgite  Apollo 

Vidit ,  et  occiduis  flevit  ab  usque  frelis. 
His  gladiura  clavaoaqae  ferentibus  nsque    trinodem 

Moris  erat  praedas  lustra   per  alta  sequi.    . 
Quin  Lusitano  orator  quoque  missus  ab  orbe 

Sjlvius  Hispani  terga  onerarat  equi. 
Ibat  suspense  similis  ,  qnem  magna  pulares 

Concipere  ,  ac  Begi  mox  referenda  suo  ; 
Aut  si  quod  musis  gratum  accepturaque  canebat 

Corrigere  ,  aeternae  posleritatis  opws. 
lo  comitem  Gibertuin  altis  de  rebus  agentem 

Junxerat ,  et  Phoebi   Castiliona  decus  ; 
Armatam  ferre  cornum  de  more  gerebat , 

Missile  tellina  illi  fulmiais  instar  erat. 
Unicns  huuc  celebrera  coetuoi  Aretinus  obibat  , 

Quo  naonilore  omnìs  laeta  juventa  fuit  : 
Ille  hominnm  captns  super  et  super  aethera  vectu» 

Ingenio ,  aslrum  ali([uod  ,  non  hominem  ore  aonat  ; 


x88 

Quafumque  inceellt  divìnum  inspirat  orlorera  ; 

Ne  moriturum  bomineui  credile,   numca  habet; 
Ille  eanps  ,  et  eqnos  Euri,  atqne  aquilonis  alumoos  , 

Ille   babet  et   famalos   Marte   et   Amore  satos. 
Intexia  ille  lanodis  miris  se  in  veste  fr-rebat  , 

Et  cuju.s   nondum   cognitns   usus   erat  ; 
Ferre  uni   Arcilenens  dederat  sua   tela   Cupido , 

Et  pharetiam   ipsam   humeri   pondus   Labere   sui. 
Pars  quota  et  ipse  aderam  ,  quin   cuspi  je   laetus  Ibera 

(^ertus  crani  rabidos  Goraminus  ire  sues. 
At  clarns  Serapina  jugis  ,  domitorque  feraruna 

Guidus  ,  el  inde  ipsas  explicuere  plagas. 
Magnus  utrumque  Leo  teneris  sibi  legit  ab  anoìs 

Praesidium  ,  et   thalami   speraque  fidemque  sui. 
Quisque  sui   cupidus  vestiga'orque  perieli 

Pressa  diu  quaerit  signa  inimica  pedum. 
Pluribus  in   niorem   curio  coma   pressa  galero^ 

Pars  bona  coelata  casside  aperta  caput. 
Huic   intertexti   per  collum   it   flexilis  auris 

CirculoSj  et  rauliis  balthea  caesa   notis. 
Cursitat  hic  auro  fulgeus  ostroque  deoorus, 

Nec   polis  est   longae   taedia   ferre   morae. 
At   peditum   le^io   sibi   quisque   ingpntia    nodis 

Robora   prò   sculis  tegminibusque   legif. 
Pronunibunt  taciti ,  atque  hastilia  longa   re^linan?, 

Nani   minus  auritis   voce   oavetur  apris. 
losfinuere   tubae ,   et   picea   Marianus  ab  alta 

Elato   oapitis   termine  signa   dedit; 
Termine,   qnod    nuper  rabido   aesrhilns  ore  momordit  , 

Dimidiumque  avidae  niersit  in  anira  gulae. 


189 

Protinus  admovete  canes ,  stabula  ista  subite. 

Inulte  ,   bue  omnes   hoc   terebrate   nemus. 
Latrantumque  borainurnqHe  geaus  ceu  nimbus  in  uaara 

Mox  colere,  altisque  obstrepuere  sodì. 
Exi   aper  bue ,  campo   te   te  mihi   delega  aperto , 

Exere  aper  frendens  hac  luihi  ab  arce  caput. 
Heu  ,   ohe  ,  seu  silva  capreae  latitatis  in  ista  , 

Sive  lupi  in  nostras  bue  fugitate  manus. 
Vidi  ego  ,  vos  vidi ,  vestris  prodite  latebris , 

Huc  Dromas,  euge  sagax ,  bue  boue  Theron  ades. 
Prima   ego  ,  quis   credat  ,  belli   discrimiua   sensi  , 

In   me   unum   ut   promptum   est   vel   geaus  orane   mali! 
Prima  pericla  adii ,  nam  post  fruticosa  latebam 

Vimina  ,   et  hirsutis   tesqua   adoperta   rubis. 
Cousliteramque  loco  qua  se  fera  plurima  agebat. 

Et  qui  non   ullo   robore  septus  erat. 
Clamabat  plus  usque  Leo,  ut   loca  fortia  adirem, 

Usque  adeo  cordi  valem  habet  ille  SHum  ; 
Verura  ego  seu  virtus ,  seu   me   mea  sidera  agebant, 

TJon   illa   potui   voce   referre   pedem. 
Ecr'e  canum  extemplo  magnis  latratibus  actus 

Pene  mihi   fregit  crus  violentus  aper. 
Prostratum   berboso   proceres   risere  fruteto  ; 

At   non   Septimius   taiia   visa   tulit  ; 
rfam  memor  altoris ,  nostrae  et  pietatis  aluranus 

Fredentem  certa  cuspide  fixit  aprum. 
Utque  puer  facto  foelix  laetissimus  esset, 

Pnncipis  ante  oculos  concidit  ille  sui. 
Foelix  interilu  ac   tali  fera   vuluere  foelix, 

Quae  per  tam  pulcbras  corruit  icla  manus. 


S'^pUintiTm   Facli   sic  nobilis  ira   cocgit  , 

Altorem  ulcisci  justa   per  arma  suum. 
Ac  si   prò  capile  hoc  fuerit  ,  quo  parva  redeinpto 

Gloria  j  in  agrestes  vel  puer  ivit  apros  , 
Quem  fore  prò  sceptro  speresque  animaque  Leonis , 

Acceptnm  ille  refert  cui  decii8  oniDe  suum? 
Interea   inci^rlutri   exoritur   per  devia   murmur , 

Quale   sonai  dubii   cum   strepit  aura   noli  ; 
Admonfti  ergo  omnes  haerent  ,  cursumque  retorquent , 

Innumeri  strepitu  qua  coiere  novo. 
Glamabat  celsa  speoulator  ab  ilice  Calvus  , 

State  viri  ,  innuraeras  sllva  habet  ista   feras. 
Dixerat .  ac  volucres  diclo  ocius  aequora  cervi 

Percurrere  ,  iterum  huc  pergite  Calvus  ait. 
Cervus  adest ,  properate  citi,  capite  arma,  propinquat  , 

Huc  properate j  huc  bue  pergite,  cervus  adest. 
Obvius  hunc  jaeulo  pariter  cauibusque  Galesus 

Stravit,  cornigerumque  abstulit  ense  caput. 
Moxque  sui  mouumeutnin   ictus  late  ardua  cervi 

Romani   dilectae   cornua   misit   heiae. 
Prospectare  feran)   immanem  stratam   usi^ue  juvabat 

Et  pueri   niveas   taui   valuisse   maaus. 
jNfoii  jam   degenerei»   aiebant   virtutis   avitae , 

Neo  jam  animi   aut   palrii   sanguinis   esse   ruJem. 
Multa   igitur  puero  super,  et  super  indole   multa 

Commemorant,  blandis   multa  iteraatque   sonis. 
Cum    foncepta   lupo  sed   naribns   utiles   Alce 

E   silvis  ab  apro  laesa  gemensque  redit. 
Ergo   lupus   Alce   male  eredita  ,   prolinus  omnes 

|nque  suum  veitit  tela  inimica  caput» 


»9< 

Tuao  nuiAen  Lycabas  eqaitum  auxiliare  precatus  , 

Suppliciier  tremula  talia  voce  dedit. 
Hoc  bene  si  telum  direxeris  alme  Georgi , 

Quale  libi   muuus  ,  qualia   dona  fcrara  ! 
Dixit  et  amento  inseruit  digilosque  manunàqne; 

Trausadigit  dubiam  fraxinus  acta  oanem. 
Pars  voti  rata  ,  pars  vacuas  male  cessit  ia  auras , 

Quadrupedem  fixit  non   tamen  ille  feram. 
Iiisere  ,  atque  Aloem  stratam  ostf^alare  liCoaì 

Lnciorum  iuvenum  plurimus  ardor  erat. 
Tum  Lycabas  j  vos  ne  baco  miracula  credilis  inquit. 

Cernite,  lam  similis  non  lupus  ipse  sibi  est. 
Non   te   Scipio  ait,   non   te   pudet   aguiioe  in   isto 

Formidare   feras   et  dare   terga   fugae  ? 
Non  ego  te  vidi  trepidum  et  diversa  petentem  > 

Gum  nuper  veri  fiximus  ora  Lupi  ? 
TJempe  cani  atque  Jupo  tu  non  discrimina  pones  j 

O  pecus  arcadicum  ,  ridiculumque  caput. 
Addidit  bis  quidam  et  risum  pater  auxit  Aquinas 

Namque  ait ,  0  Lycaba,  dieta   joco  ista   putes  ? 
Jam  lupus  iste  quidem  est ,  quem  tu  gladio  asper  et  acer 

Venatu,   sed   nos  turba  jocosa   sumus. 
Vade  age  ,  et  hoc  ipsa  caput  a  cervice  resectuna 

Postibus  hoc  ipso  in  vespere  fige  luis. 
Tale  aliquod  mea  si  patrarit  dextera  factum 

Inter  venantes  non  leve  nomen  erit. 
Scipio  ait,   Lycabas  mihi  parcius  ista  memento 

Objcienda  ,  at  at  te  graviora  iaanent. 
BuDC  libi  caedo ,  hoc  est  quod  saepe  fideliter  olire 
V  ilalis  BQODuit  me  fugere   astrologus. 


'92 

Mi  Lycaba  j  Lycaba ,  parce ,  atque  absiste  movere  ; 

Dispeream  nisi  tu  vel  Maleagron  agis. 
Hactenus   audieris  certamina  ^  maxime  Paoli , 

Bellaqiie  non   magno  sollicitata  meta. 
Wunc  libi   mira   caaam,   discrimina  Marfeis  anheli  ; 

Herculeas  possiat  quae  deouisse  manus. 
Nec  mirere  sonem   quod  giandius  arma  ,  qaod  ausim 

Magna  per  cxiguos  bella  tonare  modos. 
Est  aliquid   placuisse  Jovi ,  et  Jovis  auribus,   ille 

Magna    referre  humili  dat  mihi  posse  sono. 
Sus  erat  ,  armenlorum  horror,   pecorumque  ministrisi 

Pastorum   dominae  maxima  cura   Pali; 
Cui  non  Ida  parem  ,  cupressifer  aut  Erimanthus  , 

Nec  tulit  io  siculo  silva  Erycina  jugo  j 
Dorsum  immane,  ingeos  ,  setis  riget  horrida  cervixj 

Sanguine  et  igne  oculi  spirilibusque  micaut  , 
Fulmeu   ab  ore   venit ,   ipsisque  afflalibus   ardent 

Gramina  ,   et  inccssu  steruitur  omae  nemus; 
Primus  in  hanc  mediis  silvae  et  peuetralibus  actam 

Irruit ,  exclamans  fette  Ricardus  opem  : 
Et  procul ,   0   quicunque   illac  conceditis   inquit, 

Immanis  sus  est  ,  claudite  euutis  iter. 
Verte  feram ,   verte  huo  libi  dico  Caballe  ,   Caballe, 

Huc   libi  dico,  eja ,  o  verte,   Caballe,   feram. 
Clamantem  illa  sacer  vates  non  audiit,  ergo 

Irae  ut  erat  juvenis  praeda  fareulis  ait  ; 
Huic  te  apruni  ludo  non  te  tua  protulit  Ancua 

Sed  levibus  studiis  ,  vade  age  et  illa  cole. 
Hac  celer  accurrit  ao  stricta  cuspide  Julus 

Trasadigit  vaslum  setigerutpque  latur. 


19^ 
Al  fugiente  fera   magna   vi  hastiie  revalsuiu 

Pone  snb  intrantis  perculit  ora  Lyce. 
Illa  dia  elactata  canesque  virosqne  trahebat 

Vulnificum  torqnens  iu  sua  colla  caput. 
Mox  quoque  diutius  frustra  cervam  nsquc  seqnutas 

Hao  indefessi  frena  retorsit  equi  ; 
Praeveriitque  feram  ,  ac  jaculum  in  cervice  recondìt , 

Quam  mox  telorum  est  magna  sequuta  seges. 
Laesit  bunanm  tandem  ,  ac  terrae  sera  prccubuit  sus  , 

Una  grunnitumquo  edidit ,   atque  animam  ; 
Quo  nemus  intonnit ,  remugiltque  recessus  , 

Ipsaque  Tjrrrheni  mugiit  unda  freti. 
Distraxit  tamen  ante  Dapem  ,  Domadenqne  molossos  , 

Atque  Thoum  ,  atque  Labron  ,  eresse  Albainone  satos. 
Vix  hoc  ediderat  canipis  speetacuìa  monstrura 

Cura   vaslam   exolamant  fige  ,  age  ,  fige  lupum,. 
Frpguso  ille  gravi  sua   vulnere  terga  sequuto  , 

Distinsi»  validflna  fulmineo  ore  manum. 
ExcussHsque  ultorque  sui  properabat  in  agmea  , 

Qua   pia  sacrati  sigaa  Leonis  eraat. 
Tunc  Saliatus ,  amansque  Cibo ,  invjctusque  Rodulphus 

Lecta  manus  raissa  prosilnere  mora  , 
Omnes  Medicibus  cousaoguinitate  propinqui, 

Omnes  terreno  stirps  bene  fida  Jovi. 
Mox  et  fraxinea  Cornelius  affuit  basta  , 

Ursinusque  agitaas  jam  grave  Martis  opus. 
Alter  praedatorque  avium  et  vastator  aprorum  , 

Alter  ponendis  duxque  caputque  plagis. 
Dehinc  jaculis  Rango  ,  ac  slricto  bonus  eose  Triujca» 

Caesar  et  ipse  sui  nominis  asque  memori 

Leone  X.  Tom.   FUI.  i3 


194 

Te  quoque  peltatuna  Egydi  accurrisse  loqiaunlur  , 

Npc   niinus  ore  tnas   lune   valnisse   manus  ; 
Una  omnes  ruere  ,  atqne  in  aperta  pericla  videres 

Praecipites  domini   prò   capile   ire  sui. 
Impiger  at  quadrupes  et  telis  mille  petitus 

1 1   se  ooiiversus  dissipai  ore  canes. 
Turri   domini   vitae   cuslos  haerensque   timensque 

Haiinibal   illi   avidum   transigit  ense   latus  ; 
Increpitansque  fero   morientem   inspexit,  et   ì   nunc  , 

Beliua   dira  j   inqnit ,   dente  feri,   ungue   seca. 
ÌVIarrte   animis ,   Leo   magnus  ail  ,   custode   gradivo 

Non   poterai   nostrum   tutius   esse   caput. 
Diverso   interea   cflmpletur   silva    fumulln 

Glamantum  ,   immaois  bpUna   Tanrus   adest. 
Tanrns   erat   qui    forle   jugi   de    colle   propinqui 

Terga   fugae   bue   diro   victus  ad   hoste   dabat. 
Ille   suos   ignes,   regnaiaque   liqnorat   arva 

Saucins  ,   et   raptae   conjngis   usqne    memor  ; 
Mulia   gemens,    vasto   implebat   nemora   alta  boalu  ; 

Vjetorem   ignarus  ferre  ,   paremque   pati. 
Quid   non   oogit  amor?   quamvis   puer  imperai  astris 

Idem   et   in   borreates   jus   babel   ilio   feras. 
Ibat   atrnx  ,   non   ille  canum  ,   non   ille   ruentum 

In   sua   telcrum   terga   virumque   memor  ; 
Obnixus   trunco  cornn   exacuebat  in   iras, 

Respiciens  patrii  iesqua  adamata  jugi. 
Victori   cerlus  plagam  ingeminare  superbo 

Moxque  sibi   erepto   rursus  amore   frni, 
Exercentem    iras   perque   agmina   tota   fremenlem 

Latrantum  atqiic  bumiuuin   est  magna  sequuta  cobors. 


193 

Oclus  exsiluere   A.rge  Ichnobalesqne ,  molossi, 

Nehropbanosq\ie  fiirens,  praevalidusqiie  Lacon , 
Tum  bonus  Ispelles,  Mendocius  ,  Emiliusque 

Accurrpre  ,  cilo  qua   furit  ille   pecle. 
Dehioc  Serapica  sequens  canibus  vulpera   iisque  dolosam 

Huc  quoque  ad  haec  properans  murmura  vertit  iter. 
Mox  Valerus  Venetae   dccus  et  nova  gloria  terrae 

Excussus   foelae  nuper  ab  ore  lupae. 
Et    nunc  crura  instant  sefuijse  bipeonibus,  et  nuns 

"Vulnificum  sagulis  implicuisse  caput. 
AltoUenlem  animos  irascentemque  juvebaiit 

Hac  amor ,    bac  turpis  damna  dolorque  fagae. 
Ergo  furens    Serapicam  adiit,  uncisque  rotatum 

Cornibus  ,   adverso  praecipitem   ore  dedlt. 
Ille  ut  erat  parvos  breviter  concretus  in  artus, 

Fertur  in   offenso  procubuisse  genu. 
•\Ioxque  animos  rursum  atlollens,  viclnsqne  resorgens  . 

Colla  securigera   persecuisse  manu. 
Concidit ,  ac  raugiuim  alto  de  pectore  daceas  , 

Sanguine  foedatam   prcssil  inultus  huraum. 
Illura  indignantem  aspiceres ,  seque  usqne  dolenlem 

Ulciscique  iras  non   potuisse  suas. 
Ne  tameo  hunc  ipsara   vita  spoliasse    bipcnnem  3 

Neu  vicisse  hommes  ,  credile  vicit  amor. 
Spectantem  dum   me  haec  immania  visa  morantnr, 

Vulnerat  enee  anres  vox  inopina    meas. 
Nam  meus  AEueas  mibi  per  nemora  avia  anbelans., 

Huc  precor,  bue  genitor,  si  vacai,  inquit,  adeSo 
Illa  vides  myrtos  in  ter  prooul  arma  moveri  , 

Pugnai  prò  fibris  \ix  dam  obeuntis  apri  ? 


196 

Agnovi  nostri  galeam  rooemque  Faloppi  ; 

Ille  pater  strido  scilicet  ense   furit. 
Cessi  ,  et  turbam  illani  nato  conaitante  petivi  , 

Indolui  et  socium  rixara  agitasse  caput. 
Forte  aderat  genus  hic  Mutinense  Faloppius  acer  , 

Dextera  Rangono  fitla  comesque  duci. 
Venerai  bue  patriis   nuper  de   finibus  exul  , 

Ultus  ibi  offensas  justa  per  arma  graves. 
Hic  ubi  purpureum  primis  galeaque    coruscum 

Vidit  apri  testes  subsecuisse  Lycham  , 
Illuiu  deberi  soli  sibi  ciamat  houorem  , 

Nostrorumque  ,  minax ,  praeda  ait  ista  canuru  est. 
Moxque  fureus  stricto  incessit  oava  tempora  pugno  , 

Icjgemioans  testes  noa  giue  teste  feree. 
Addidit  et  facto  haec  quia  tu  istam  age  pone  securim  . 

Arma  viri  fortes  et  fera  bella  gerant. 
Semivir  et  palrium  in  morem  caput  oblile  myrrba  ; 

Nostra  Padi  in  ripis  ,  vade  age ,  faeta  refer, 
Fulsatae  gonuere  genae ,  mox  lividus  olii 

Sanguig,    et  informis  polluit  ora   tumor. 
Brgo  dolens  ignomioiam  ,   vastam  ille  securim 

Suslulit^  ut  forti  praesto  erat  illa  manu. 
Jamque  per  adversumque  hostera   perque  ora  ruebat 

Laetalis  dirum  exitium  basta  ferens  j 
Cura  saltu  foelix  juvenis  Mutiuensis  ab  islu  , 

Et  latus  3  et  mira  retulit  arte  pedera. 
Mox  propiusque  hostem  increpitans,  validum  exigit  eneem. 

Qua  radiai ,  dexlro  et  lumen  ab  orbe  venit. 
Effosso  paluere  ooulo  penetralia^  et  orbis 

Spirameata  ,  ater  proluit  ora  cruor, 


Ì97 
Hic  mihi  jam  vitam  expira  prò  lumiae  adempto 

Hostis  amare  ,  ait  ^  et  haec  cape  dona  Lvcbas. 
Dixit  et  arrecta  rursuoi  iti  sublime  bipenne  , 

Obiectum  ensem  hoslt  fregit  in  ora  suo  ; 
Dissiliens  mucro  faciem  distrinxit ,  at  illi 

Caede  cruentatae  subrubuere  genae. 
At  non  illa  ferens  indigna  Faloppius,  hostem 

Comminus  amplexum  dextra  obeunte  rotat. 
Non  secus  Alcides  procul  a  tellure  premebal 

Antaeum  ,  vires  maire  ferente  novas. 
Luctatusque  diu  tandem  pede  cruna  reourvo 

Implicai,  atque  gravi  stratum  agit  usque  solo  j 
Seminecemque  fureos  stricto  pugione  sequutus  , 

Impetit  ipsnm  oculum  qui  super  unus  erat. 
Calcitrat ,  atque  uculo  usque  cavet  cervice  reflexa 

Et  prò  luce  neci  dat  sua  colla  Lychas. 
Ocius  accurrere  ipso  in  discrimine  vitae 

Braodinus,  et  Calabro  vectus  Helenor  equo; 
Impiger  et  Decimo  bellis  spectatus  Helenor , 

lUe  Deis  Rhodia  religione  sacer. 
Hic  subito  exoritur  studiis  nova  rixa   faveutum  ; 

Scinditup  in  partes  ipsa  caterva  duas. 
Quid  probibetis  ait  justura   certaraen   Orodes  ? 

AEquore  quin  medio  cedile  signa  cauaut. 
Venantum  densa  septos  certare    corona 

Convenit  ,  affectu  pugnai  ulerque    pari. 
Cedam  ego  .  Helenor  ait  ,  vincat  quem  vincere  maltt 

Jupìter,  aut  socias  miliget  ille    maiius. 
Unum  illud  scitote  ,  feras  agitare   fugaces 

YenimuSj  hoc  ultra  ne  scelerate  maaus. 


»98 

Mox  proceres  Hiero  ,  et  juvetais  Galiiieus  ,  et  Ipse 

Decessit  Rhodiae  Brandinus  urbis  eques. 
Ergo  Lychatn  multa  lurpaluni   tempora  arena 

Torpor  iners ,   mortis  corripuitque  raetus  ; 
Atque  ait:   0  sumnia  mundi  regnator  in  aethra  , 

Excipe  soUicito  quas  damus  ore  preces. 
Si  merui  videorque  nocens  succense  mercati  f 

Sin   miuus ,  immeritae  da  superessc   ueoi. 
Vota  bonum  meruere  Jovein  ,   nanque  Albicus  acri 

Eripuil  procerum   priinus  ab  hosle  Lycham. 
Dehinc  vidi   magna  testalus  voce  salateni  , 

Speclacla  ipse,  inqnit,  non  probat  ista  Leo. 
Teslis  abesse  ipsa  jussus  gladiator  ab  urbe 

Ptoma  ..  et  ab  hoc  ipso  libera  facta  metu. 
Luce  Lycham  destra  aspiceres ,  miserabile ,  oassuni  3 

Sanguinoleatutn  j  ipsos  et  male   ferre   pedes  ; 
At  testantem   ira   stimulante  Falloppion    aras 

Viclum  hostem  ,  et  captum   nou  potuisse  capi. 
Hos  virtus  Rangona,  potes  hos  ferre  minislros  ? 

Clanjarunt  fremitu  sydera  adusque  novo. 
Serva  raanus  Rangona  Lycliaoi  curaeque  medeatuiR 

Tradidit  j  artifices  applicuitque  raanus, 
Haanibalisque  aegrum  nota  ad  tentoria  ducuat  , 

Conjiigis  et  mira   testa  operosa  manu  . 
Namque  suos  molli  casus   effmxerat  auro  , 

Rapta  olim  in  patri is  pene  puella    tocis, 
Qain  matiem  lo  igo  subteserat  argume  nto 

Sanguinolenlam  ipsos  coramaaulasse  lares. 
JNou  procnl  bine  famulasque   manus  pubemque  suarano 

Irruere  et  palrinm  caede  abolere  caput. 


i99 


Clauslra  reìaxat  male  cieJita   prodilor  arcis  ^ 

Noxque  faveiis   tautis   texta  erat  ipsa   doiis. 
Ipsa  videbatur   praeceps  demissa   fenestra  ; 

Moeuibus  et   patriae  peudula  ab  arce  suae. 
Seque  diu   davo   praelixa   veste   teneri 

Fecerat  ,   et   teneios   iruplicuisse    pedes  ; 
Et   oe  audita  queri    rapido   traheretur  ab   hosle  3 

Conatam    nullos   prodere   voce   raetus. 
Finxerat  et  servatam   ipso  se   numine  divani; 

Numine  ^    nana   patriae   concideratis  opes. 
Haaaibalem   haeo  inler  fausto  sibi  foedere  junctam 

Fervere  et  ulcisci  justa  per  arma  patrera. 
Illum  cernere  erat  stricto   petere  agmiua  ferro; 

Ipsaque   prò   cara  conjuge   iu   arma   rapi. 
Postremum  ipsa  humlli  votum  immortale  sacello 

Visa    erat  ante  ipsos  persoluisse  deos. 
Si  poteras   tanti   aspectu  caruisse  duelli , 

Laocettum   saltem   visere  dignus    eras  j 
Lancettam  Pacti  quo  non   vinosior  alter 

Huc  puer   Aroloi   venit  ab  axe  poli. 
Ouae  te  animi  fratremque  luum   tenuere  procellae 

Debuit  haeo  omuis  cedere  cura  joco. 
Insignis  fuerat  caaibus  Lanceltus  alendis  j 

Idem   ille  et   domini   cura   jocusque  sui. 
^ternum   cai   versanti   cratcras  abenos, 

Vina   dabaut   vitam  ,   vina  dedere   necem. 
Non   nisi   potura   illum    exoricns  aurora   vid^bat. 

Pura  rejectantem   vina  ,   merumque  merum. 
Praecipites    clamore   feras  quoque   potus   agebat^ 
Nare  sagax,  canibus  nou  miuus  ille  suia. 


300 

Hic  jaculam  iatorsìt  quod  detulìt  error  in  Argem  ^ 

Argem   iasignem  agili   mobilitate  canem  ; 
Quae  fugieotcni  aprnm  cursu  prae?erterat  et  jana 

Villosam  valido  fregerai  ore  cutio». 
Lancettum  iode  pudoi-  vioumqne  iraeqne  coquebaat^ 

Congiessusque  trucern  cominus  ibat    aprura. 
losilieosqac  ferae   dorso  iiunc  dentibus  aures  , 

Nunc  feiit  insana  colla  ferina  mano, 
Verum  illuiu   tergo  excussum  male  ^   praeoipiteraque 

Trux  fera  ad  usqoe  inaos  fregit  ab  ore  pedes. 
SangniDolentura  et  bnmi   vioam  crasso  ore  vomeDlem. 

Et  nemora  et  fidi  mox  gemuere  canes. 
Stratum  herus  efferri   Cnrnelius  agnaine  ab  ipso 

Jussit,  et  annoso  perluere  ossa  mei-o. 
Inscribiqae  dedit  tumulo;    Hic  Lancettas  ab  apro 

Sed  magis  a  vino  saucius  ora  jacet. 
Hunc  libeat  Chorioeo  astom  ,  et  quam   Braccius  artem 

Slruxerit ,  bio  certa  commemorare  fide. 
Ille  ut  mille  jocos  semper  sub  pectore  versat, 

Obfius  buie  celeri  per  nemus  ,  inquitj  equo. 
Quid  struis  hic  Chorinee  ?  oranes  per  lustra  Galesuna 

Quaerimus  in  tantis  casibus  uuus  abes. 
Aul  equus  illuni  alta  in  silva  per  iniqua  locorura 

Excussit ,  rupit  aut  ferus  inguen  aper. 
Dixit  et  amentem  Ghorineum  et  multa  querenlem 

Transiit,  in  mediis  deseruitque  sonis. 
Ergo  hac  alque  illao  infoelix  currit  amator, 

Secretumque  nemus  qua  magis  horret  adit. 
Et  uunc  voce  tonat ,  nunc  cornu  multa   recurve 

lategrat ,  el  eocios  admoiiet  inde  canes. 


Syl'aj  Galese ,  ebeu  ,  quo  te  abditlit  ista  recessu 

Verte  ,  Galese  ,  ttios  ,  verte  age  ,  verte  pedes. 
Heii  frustra  3  Chorinee,  hie  labor  ,  ille   agmiae    ab    ipso 

Cessit ,  babetque  suuoi  molliler  uada  lalus. 
Impatieas  aestns  et  multa  in  caede  volutus  , 

Torrida  seposilis  fontibus  ora  levai. 
Ergo  ubi  nulla  miser  per  devia  vidit^  amici 

LoDgum  quesiti,   signa  adamata  pedum  ; 
Ilicis  acounibens  sub  tegmine  ferlur  ab  imo  baec 

Pectore  flebilibus  verba  iterasse  souis. 
Silvae  laurcDtes  j  silvae  quas  crimiois  hujus 

Ignaras,  tanti  et  fuaeris  esse  velim , 
Vosque  ignota  ferae  quas  per  n»^mora  ista  vagantea 

Maluerim   nostros  non  agitasse  canes  , 
Dicite  si  latebras  Testras  amor  aitigli  umquam , 

Per  nemus  hoc  carpsit  qua   mens  ignis  iter  ; 
Dicite,  sic  stabuiis  aevnm   peragatis  in  islis, 

Vestraq^ue  in  hac  placide  peclora  valle  eubent. 
Heu,  male  caute  poer ,  quis  te  casusve  dolusve 

Perdidil  ?  0   medio  e  pectore  adempie  mihi  ! 
Soilicet  hoc  saevo  io  nemore  et  nigrantibus  umbris  , 

Praeda  feris  trucibns  alitibusqae  jaces. 
Reddite  eum ,  Nymphae ,  nemorum  secreta  colentes  , 

Reddite  fors  vestro  si  latet  ille  sion. 
Quia  totum  ipsum  illum  proprias  habeatis  io  usns , 

Credila  si   per  vos  sit  sua  vita  niibi. 
Ah  puer  j  et  frustra  misero  dilecte  sodali , 

Exstiocti  ipse  tuum  vita  meumque  caput  ! 
Clamabam  cave  ne  haec  virtus  tibi  fiat  amara  . 

la  gyrum  b«i^  rapido  eum  trahereris  equo  ; 


20» 

Et  cuna  apros  jaculo  praeoops  sequerere  furentes  5 

Claiwabani ,  lateri  ,  lux  inea  ,  parce  tuo. 
Quo  siae  me  diversus  ia  Laec  loca  perfida  abisti , 

Ea  quo   perduxit  te  tuus  ille  vigor. 
Certum  est  hic ,  atque  hic  inter  loca   piena  pavoris  ; 

Natn  quo  lux  mihi  sit  te  sine  velie  mori. 
Ilaec  et  plura   ferunt  illum   ingeminasse   sub   alta 

Ilice,   et  bis  ipsas  illachrymasse   feras. 
Parte  alia  uemore  ex  ipso  ,  quae  ibi  plurima   turba  est 

Ibat  aper  rapida  clara   per  iniqua   fuga. 
Huc  genus  Ursina  Vaierus  de  gente   proleclum  3 

Ferrata  celerem  calce  fatigat  equum. 
Ille  quidem   primis  malas  vestitus  iulis , 

Publica   cura  hominum  ,  publicus   arder   erat. 
Plurima  fronte   Veuus  sensusque  animosque  IraheLat  , 

Sed  mage  nescio  quis  gralus  in  ore  vigor. 
Sic   per  lustra  vagus   teneris   praelusit   in  aanis 

Mars  puer ,  et  coelo  tuac  quoque  dignus  erat. 
Venantum  ergo  aoimos  in  se  converterat  omnes, 

Immemores  illac  praetereunli;»  apri. 
At  fera  praevalido  fugiens  vorat  aequora  cursu. 

Transiliitque  cito  rlielia  summa  pede. 
Indoluit  medias  puer  evasisse  per  enses, 

Totque  per  arma  capi  non   potuisse  feram. 
Tura  Marianus  ibi  picea  speculator  ab  alta 

Dicitur  hos  tenui  voce  dedisse  sonos. 
Ne  geme,  blande   puer,   lachrymis   ne   pollue   vullas^ 

Hoc  tibi   nam  facies  hoc  tibi  forma  dedit. 
Quid   mea  vita  feras  amor  est  fixisse  nocentes  ? 
Nonne  hominum  satis  ea  san/juice  habere  manns  ? 


303 

Dlxit  et  hÌDC  pueri ,   slabat  nam  ibi  canlharns  unus. 

Nomea,  cogooraea  ,  matrem  aviamqae  bibit; 
Duin  bonus  inlerea  risum  movet  ac  Marianus 

Totum  ibi  se  et  pieno  proluit  ora  cado, 
Uuice ,  clamabant ,  damam  ,  Uoice  respice  damam  , 

Respice  en  ante   luos  se  se  agii  illa  pedes. 
Ille  alio  licei  excultas  inlenderat  aures , 
Àudiitj  inque  feram  talia  versus  ait , 
Sic  rogo  nostra  tuuni  figant  renabula  pectus 
Foeniiua  ceu  princeps  perdidit  uaa    menm. 
Olii  arcani  dextram  usque  Deus  lunavit  ad  aureoo^ 

Et  levuoi   dixit  sic   mihi  claude  oculum  ; 
Corda  per  et  fibras  perque  ilia  venit  arundo 

Figier  in  jusso  ductà  vel  illa  loco. 
Clamavere  omnes  :  0  nostri  gloria  saecli 

0  decus ,  0  vere  nomine  digne  tuo. 
lUe  feram  super  incumbens,  semel  inquit  obisli, 

At  mihi  mille  uni  sunt  in  amore  neces. 
Longa  referre  mora  est  quae  saucia  diffugeruut 

Secretisque  procul  monstra  obiere  locis. 
Quaeque  Thebaldeus  jaculo  eminus  et  bonus  arcu, 

Maltelenes  alta   in  valle  dedere  neci. 
Quaeque  modo  adveniens  aocinctus  acinace  Pioma 

Lilius ,  usque  gradum  pone  sequutus  beri. 
Forte  aberat  rebus  missus  Sadolettus  a^cndis  ; 

Hoc  camere  uno  gaudia  nostra  bone. 
Dui  ce  caput  Damino  et  patribus  Sadoiettus,  et  idec- 

Promplus  Ariouia  monstra  movere  fide. 
Sed  votum  hoc  rainuit  stirps  Portius  alta  Camillus. 
Arbì  ter  Ausoniae  maxinjus  ille  togas 


3e4 

Nec  non  Christiados  Tida  ipse  sacerrimus  aucior 

Cui   par  nullum   aetas  pristina  vidit  opus. 
Affuit  arnaatusque  Sparo ,  et  quis  crederei  j  audaa 

Per  medias  vates  tam  pius  ire  tubas, 
Molsa  comesque  aderat ,  volucri  gratissinaa  cura 

Molsa  Dpo  ^  Phoebi   Virginibusque  saoer  ; 
Qui  nisi  quod  saevam  grave  suspirabat  in  Mglem  , 

Gloria   venantum   prima  futurus  erat. 
Vertitur  ioterea  ,  nec  dum  tameu  occiduus  Sol , 

Farcite  jam  ferro  cura  Leo  magaus  ait. 
Ergo  omnes   propere  inde   plagas  et  lina  relìgunt, 

Festinosque  vocaut  ad  sua  vincla  caaes  ; 
Bue  te,  bue  verte,  hoc  te.  ingeminant,  bue  verte  Melampe, 

Huc  Terela  ,  bue  Ladon  ,  ad  tua  vinela  redi. 
Icùnobates  ades  ^  bue  ades,  huc  cum  Lelape  Tberon, 

Huc  Dromas ,  huc  Leucoa  ,  bue  bona  Tigris  ades. 
Clamantum  fremilu  rauci  canor  astrepit  aeris, 

Ex'remnsque  rcferl  garrula  Nympba  sonos. 
At  (  "nDtur  aquae  et  fracto  longum  aggemit  aesta  5 

J-i'saque  vicinis   fervei  arena  fretts. 
Terga  sunna  excisasqoe  feras  congessit  in  unnm 

Monstra   \dimas  miris  sancia  facta  modis. 
Huc  lepores  etiara  imbelles  dania.sque  fugaces 

Congessere ,  avidi  quo*  rapuere  canes. 
Cernere  vas'a  omnes  nec  jam  semel   ora  fuvabat 

Rostraque  adbuc  bosti  pene  tremenda  suo. 
Quae  postquam    Leo  conspexit ,   veuantibus  inquit , 

Proveniant  alti  sic  mibi   saepe  dies. 
Corpora  delude  jubet  tolii  quae  strata  jacebant: 

Imponique  altis  antefereada  rotis. 


3o5 


fu  numeruna  jumenta  ibant,  onerataque  pìaiistra  , 

Gaedibus  et  multa  turpia  facta  nece. 
Ipse  domuni  usque  suo  grailitur  comitatus  lulo  , 

Laetanij  Ille  iiigeminans  ,  terque  qiiaterque  diem  ! 
At  vix  dum  exicrant  castris  cum  se  iiiter  eundum 

Milvius  aetberea  prodit  ab  usque  plaga  ; 
Hic  nova  inox  dederant  speetacula ,  seilicet  huju3 

Aucupii  veteres  dod  meministis  avi. 
Tura  falco  rostro  atque  auimis  spectatus  ,  in  astra 

Mittitur,  et  gyris  coelum  obit  usque  suis  , 
Nec  prius  absistit  quatn  nubila  et  aethera  traaet , 

Uode  suam  incursit  praedam  inimicus  atrox  ; 
Ille  hostem  agnoscens  resupious  pandere  rostrum 

Vulnificum  atque  uncos  vertere  in  astra  pedes  ; 
At  falco  volucres  praeceps  diverberat  auras , 

Seque  ruens  missi  fulminis  instar  aglt  j 
Itque  reditque  viam ,  inqne  ipsum  arietat  hostem  , 

Et  miserum  varlis  vexat  agitque  inodis  ; 
Evasit  tamen  ille,  ac  dissiliente  sagilta 

Ocior  aversum  saucius  ibat  iter. 
Insequitur  falco  jam  jam  tenetene  feritque 

(  Ileu  quas  ferre  solet  vel  brevis  bora  viees  !  ) 
Ecce  fureas  pone  aelherjo  Jovis  ales  ab  ax.e  , 

Non  expectati  vuloeris  auctor  adest. 
Ac  jara  victoretn  in  medits  miserum  excipit  astris. 

Et  validum  saevo  sauciat  ungue  caput. 
Discerptum  diroisit  (  agit   geuus  oaiae  aaimantum 

Invidia  ipsa)  animos  non  luiil  lile  pare-. 
Clamabat ,  sed  frustra  illum  ad  sua  viacla  magister , 

Usque  adeo  miserum  laudi»  agebat  amor. 


3o6 

Quem  morlbun^um  alta  poli  e  regione  cadentem 

Excepit  trunci  versicoloris  acer. 
Lapsum  herus  ingemuit ,  hacque  illuni  est  voce  sequulus. 

Te  tua  vis  dedit  et  fraus  aliena  neci. 
Ergo  illi  aeria   in   turri  statuere  sepulchrum 

Ursinusqne  pater  Ausouidumque  maaus. 
Rostra  super  busto  et  posuere  iagenlia  coelo 

Caesarutn  in  mediis  syderibusque  avium. 
Exculplaraque  ursani  domioique  insigne  superbum 

Et  validorum  olim  vincla  operosa  pcdum. 
Insignern  hanc  pietalem  olim  miratus  et  haerens 

Tale  gravi  Carmen  voce  Capella  dedit. 
Quid  non  patre  sub  hoc  polerunt  spedare  Qiiirìles? 

Cum  tumuli  merilis  obliget  unus  aves. 
His  aclis  petiere  domos  ,   meusisque  frequentes  ^ 

Et  picturatis  accubuere  ihoris. 
Multa  iuter   mensas   iiiterque    liquenlia   vina 

Narravere  sacri  fortia  facta   patres. 
Eie  jactat  rapidi  oris  aprum,  hio  taurum  usqae  furenteraj 

Hic  cecidisse  uno  se  feriente  lupura; 
Ille  suos  memoratque  metus  ut  robore  fido 

Vitarit  fulmen  fata  minantis   apri. 
Ille  ut  ob  hoc  ipsum  sibi  magno  oplaverit  emptum 

Arraorum  illa  ipsa  in  luce  fuisse  rudero. 
Me  quoque  narrarunt  foelicem  a  morte  redemptura. 

Et  medium  quod  non  subsecuissct  aper. 
Laelilia  plausuque  fremii  Romana  Juventus; 

Auguslumque   suum  vivere   rursus  ait. 
Sed  procerum  nihii   aeque  animis  risumque  Leoni 

Movitj  Mantoe  quam  sacer  urbis  Abas. 


207 

Naraqae  ferunt  inter  voccs  homioumque  cannmque 

Totam  illaru  in  sotnnis  accubuisse  diem  , 
Slertentemque  altum  sub  odore  et  tegmine  lauri 

Collectis  multa  nocte  redisse   plagis; 
Miratumque  din  ac  longum   stupido  ore  morantem 

Tot  domini  excisas  mensam  onerasse  feras. 
Divini  interea   recitantur  carmina  Bembi  , 

Venantum   validas  quae  cecinere  manus. 
losignis  cjtbara ,  Phocbique  idem  ipse  saoerdos 

Tbyresias  ,  miris  retulit  illa   modis; 
Donec  stellifero  delapsus  somnos  ab  axe 

Admonuit   tacita   membra   quiete  fruì. 
Haec  ego  veoatnque  super  siUisque  canebam 

Postbumus,  Elhrusci  qua  strepit  unda  sali; 
Cura  Palis  autiquam   cessit  Leo   manus  in  arcem  , 

Jussit  et  intaclae  virginis  arma  coli; 
Quo  duce^  Jane,  tuam   per  sa^oula  clausimus   aedem  , 

Romaque  oliviferae  commoda  pacis  agit. 
Quo  duce,  nunc  colitur  pietas,  habet  ocia  ferrum, 

Fraus  poenam ,  virtus  praemia  ,  jura  locam  ; 
Per  quem  acri  impatiens  livor  sibi  pectora  telo 

Fixit ,  et  hoc  uno   numine   vincer,   ait. 
Ipsa  ego  forte  ilio  snb  tempore  lustra  seqnatus. 

Desueta  polui  tela  agitare  manu  , 
Qui   prius  imbelles  elegos ,  dominumque  potentena . 
Et  cecini  una  malas  quot  dedit  illa  craces. 


ao8 

N.'*   CLXX. 

(  Voi  ni.  p.  194.  ) 

Guidi  Postumi  Silvestri,  Eleg.  Uh.   IL  p.   89 
Leoni.  X,  Pont.  Opt.  Max. 

Heu  quam  nostra  levis ,  qoam  non  diuturna  voluntas, 

Quam  juvat  ingratum  saepe  quod  ante  fuit. 
Quaoa  placitis  ,  Pater  Alme ,  adsunt  fastidia  rebus  I 

Ut  minus  id   gratum  quod  fuit  ante,  probes. 
Urbis  opes,  moresque  olitn,  sioe  fiae  placebaBt, 

Nunc  praeferre  urbi  commoda  ruris  amem. 
Credideram  nihil  esse  Remi  conspeetius  urbe , 

Inque  suis  tantum  gaudia  nata  jugis, 
At  magis  ora ,  ubi  nane  mihi  torrida  docitur  aestas  « 

Et  placet ,  et   sensus  abstulit  una  meos. 
Hic  ,  de  more,  dies  ,  non  jam  mihi  stare  videntur, 

Quos  placidum  faciunt  frigus  et  aura  breves. 
Sublevat  arentemque  sitim  ,  ebibitumque  remordet 

Insilieusque  oculis  ,  frigidulumque  merum  ; 
Legitimum  hic  labens  non   ullo  tempore  desit, 

Garrulaque  algentis  vena  perennat    aqaae. 
Capripedes  alibi   Panes  ,  non  jam  aptius  ,  ora 

Fervida,  fontanis  immadnistis  aquis  ; 
Noe  hic  aura  calet ,  non   hic  plaga   noxia  coeli, 
Hic  vcl  Erylbreae  saecula  valis  agunt. 


209 

Hue  Boreas  gelido  non   jara  bacchatnr  ab  axe , 

Sei!  leve   nescio  qnid    Ijinguidulumque  sonai} 
Al  IVofus  aeternum  sqiiallentia  comprirnit  ora  , 

In   latus  oppositi   personat  ille  jugi  ; 
Qnin  et  nox ,  et  lux  somnos  habet  ipsa  salubres  , 

Gonveniens   populìs  illa   vel  illa   venit. 
^iiam  juvat  hic  ,  qa^tn  oon  seroper  •ublimia  taogaot  , 

Agreslura  tennes  excoluisse  casas, 
Dnlce  pruinosis  spatiatur  mane  frutetis , 

Diilce  Hiera  special  sole  cadenle   mori , 
Dolce   videi   fessos  operosi   cultibus  agri 

In  sua   ruricolas  tecta  redire  boves , 
Silvestruraque  gregem   impaiibns  cerlare  cicutiss 

Moxquc   inter   pecudes  accubuisse  suas. 
Al  festum   venerata  diem  j  perfunctaque  vino. 

Saltai  amatori  fusca  coIona  suo. 
Vernai  laela  ,  tbvmum  populataque  mane    rubentì 

Corlicibusque  cavis   naulta  snsurrat  apis , 
Plurima  et  hic   perdix  ,   et  plurima   phasidis    ale» 

Rangoni   volitant  grata   rapina   meo. 
Qiiarum   oottìdie   praedam  libi  destinai  omaem , 

Ingemioans  ,   nostro  caepiraus  ista  Jovi. 
Excipe  pacalo  silvestria  munera  vullu  , 

Qnantulaouuque  aniniis  nec  satis  aequa  suis. 
Ipsa  vices  libi  inox  virtus  fraterna  rependet. 

Unica  nata  tuo  est  prò  capite  illa  mori. 
Praeside  ab  bac  ,  Lepidi  uuper  summotus  ab  urbe  est 

Gallus  j  el  in   primo  limina  terga  dedit. 
Laeta  libi  belli  dedil  incljtus  emina  Guido  , 

Hic  vìfj  hic  est  palmae  summa  caputque  luae. 

Leone  X.   Tom.   VllJ,  l4 


2  10 

Hoc  duce  j  iniqua  tuis  quondam  Victoria  castris. 

Mqua  libi   terris  aequa  fu  ima  mari  est. 
]Non  procul  hinc  rabidum  eiigoues  vitaatibus  aurum 

Illicibus  dcnsum   verberat  aura   nenius  ; 
Quo  velit  ipsa  libens  juga   permutare  Lycaei , 

Silvanusqae   paler,   semicaperque  deus. 
Mdlta   ubi  froodet  acer ,  ubi   ponto  natus  arando  j 

Aurea   Fagineus  sydera   tangit  apex. 
lUic  dolce   cubani   sera  sub   nocte   palumbos , 

Illio  rore   madetis  plurima  garrii  avis  , 
Illic   venatu   accumbit   perfnncla   Juventus. 

Membraque  frondosis  ponit  anbela  jugis  : 
Apta   cohors  ,  Saljris  .«altantibus  ,  ordine   longo 

Visa  modo  est   rudibus  carmeo  hyare   sonis, 
Materiam  quaeris  ?  Nymphas  celebrabat  amatas  j 

Missaque  virginca  Naica  doua    manu. 
Sciiicet   iirigui   fontes ,   nou   autra  j   nec  umbrae  3 

Nec   faciuDt  silvae  ,  quo   minus   urat  amor. 
Est   et  Seplimio  quiddam   teneroque   Gaieso 

Carius ,   hoc   unum   sed   latuisse   veliin. 
Sciiicet  aeoos  brevis  occulit  arca  lapillos 

Incustoditae  ne  rapiautur  opes. 
Judioe  me  5   Siquis  gemmara  ostentarit  et  aurum  ^ 

Ille  reus  fatuae  siaiplicilatis  erit. 
M.'gne  pater,   rerum   atque  hominum  justissime  reclor^ 

Idrm   honor  ,  et  saecli  rexque  deusque  tui. 
Si    sniat  hoc  discors  qui   nunc  libi  supplicai  orbis  j 

Non   alibi   soles  occuluisse  velis. 
Si   liceal  tua   l'aiata   rudi   mihi  claudere  versu. 

Hoc  nemus  ,  hi  fontes  denl  Helycona  tpibi. 


aii 


N.o  CLXXI. 

(    Voi.     VII   p.    200.    ) 

Rapii.  Brando! ini  Leo,  p.    iSg^ 

Raphael  Brandolinus    Junior    Lippus  ,    Joanni    Med 
DiAG.  Card.  Sanctak  Mariae  in  Navi  Nyscup.  S.  D. 

Quum  niillutn  tnajus  j  atque  praeclarius  iodicium  de- 
fuQClorum  memoria  conferri  beaeficiuin  possit ,  qiiam  si- 
quid  assutnatur,  quod  eorum  laudi  sempiteruae  coosulaì, 
et  per  eos  posteritalem  maxime  ad  virtù  tara  accendat  , 
statui  Lippi  Germani  lucubratioues  iti  uuum  redactas  ia 
lucem  proferre ,  ut  ex  hac  ejus  industria,  exactaque  di- 
ligenlia  ,  in  summa  praesertim  rei  familiaris  angustia  ,  et 
miserabili,  qnae  raihi  cura  ilio  communis  est,  caecitate, 
et  quam  ipsaui  rerum  ,  ac  temporum  vario  confliclatio 
reddit  miserabdiorem  ,  illi  quidem  nomen  et  gloria  quara 
merelur ,  mihi  saltem  hujus  Incis  aliquid  comparetur  j 
quippe  quod  ille  non  in  fortunis  ,  quas  ad  usus  vilae 
necessarias  non  multum  cupivit,  vel  in  corporis  venu- 
State ,  cujus  caruit  emirienlissimo  sensu  ,  sed  in  virtute, 
ac  honeslate  ,  et  diviuarum  rerum  conlemplatioue  felici- 
tatem  omnem  esse  ponendam  existimavit.  Ego  ,  etsi  ejus 
in  hoc  genere  laudis  assequendi  spem  mihi  effulgere  non 
videam  ,  imitandi  tamen  ,  ejusque  vesligiis  inbaeremli 
studio  semper  incumbo.  Quare  cum  ejns  tres  libros  de 
comparalione    Popularis  ,    et  Regii    status  in  Rerapubli- 


312 

cam  ,  qnos  Pannoniae  ìncoeplos,  Florenliae  per  Dialogog 
absolveratj  nuper  evolvissena,  tuo  Nomini  dicanHos  mul- 
tis  rie  canssis  mihi  proposni  tura  quod  eos  ille  ,  inter- 
veniente Mathiae  Corvini  optimi  ,  ao  sapientissimi  Pan- 
noniorum  Regis  obitu  (cujus  maxime  hortatu  opus  ag- 
gressus  fueraJ  )  Laurentio  Medioeo  Parenti  tuo,  unico  se- 
cnli  nostri  virtolum  ac  literarum  omnium  praesidio  , 
summoque  non  Florentinae  modo  Rcip.  to^iusque  Re  • 
gionis  Etrnscae  _.  sed  universae  Italiae  ornamento  ,  oen- 
suerat  cfferendos  ;  ut  qui  ,  justissimo  ac  munificentissimo 
nosirae  tempestatis  Rege  amisso  ,  eum  civem  (If^ligendum 
videbat ,  cui  tam  praeolarum  opus  merito  debebatur, 
Cujusque  vel  judicii  gravitalis,  vel  ingenii  acumini,  vel 
rerum  peritiae  posset  maxime  coafidere  ;  lum  quod  ipse 
Teracissimam  prudentiae  ,  pietatis,  munificentiae  ,  fortilu- 
diniSj  innocentiae ,  caeterarum  Parenlis  virtutum  ima- 
giuem  referens  ,  dignissimus  procul  dubio  videris^  qui 
super  jus  quoque  haereditarium  pateruae  laudi ,  immor- 
talitatique  succedas.  Quandoquidem  tute  tibi  ab  ineunte 
aetate  vitae  formulam  praescripsisti ,  ut  sive  publice  sive 
privatim  in  sumrao  rerum  discrimine  versareris  ,  perop- 
portunum  ^t  prope  divinum  consilium  capfares,  quo  Fra- 
tres,  atque  propinquos  omnes  difficiliimis  temporibus  su- 
blevasti ;  quique  sic  eliara  in  te  pietalem  semper  babai - 
sii,  ut  omnibus  praedilus  virtutibus  non  immerito  judi- 
carerisj  quibus  ea  inopes  beneficentia  es  conipiexus  ,  ut 
qui  tuae  rei  l'arailiaris  angustiam  raeliretur ,  te  Parenlem 
quoque  Laurentium  in  eo  virtulis  genere  facile  crederei 
superasse;  qui  auiem  ignoraret^  illura  in  te  revixisse 
arbitraretur.  At  domeslicas  per  exilium  oalamilates  ,  quae 
muliiplices  ,  ac  prope  infinitae  fuere  ,    acerrimos  quoque 


2l3 

ÌHvidorum  morsus  qua  animi  celsitudine  ac  ianocentia 
pertuliàti  ?  ea  oempe ,  qua  uaus  ex  fortissimis  ,  innocen- 
tissioiisque  nostrorum  temporum  viris  posses  jare  optimo 
judicari.  Accipe  igitur.  Pater  humaDissime  ,  Parentis 
prias  lucubratum  ,  deiade  tuo  nomiui  recognitum  opus  , 
quod  uni  libi ,  et  gratissirao  Filio ,  et  unico  Familiae 
Medicuta  fulcimcnto  ,  et  viro  optimo  ,  et  pientissimo  Car- 
dinali j  et  denique  paternae  laudis  haeredi  merito  debe- 
batur  accipe  ;  accipe ,  inquam  ac  una  mecum  exislima  , 
hanc  libi  dedicationem  optimum  revisendae  Patriae  omen, 
ac  certissiraura  esse.  Quod  si  tibi  tandem  aliquando  ,  ut 
ego  quideni ,  et  optimus  ^uisque  civis  maxime  sperat , 
conligerit  j  et  illa  per  te  pristinum  decus,  ac  veterem 
dignitatem  ,  et  tu  per  illam  incredibilem  gloriam  ,  sera- 
piternamqne  ad  posteros  memoriam  propagabis.  Vale. 


si4 


N.°  CLXXII. 

(  Voi  ni  pag.  21 4.  ) 

Corycìana.  Ed.  Rom.   i524. 
Blosics  Palladius  romanus.  Jano  Corycto  Luccmbxir- 

GEN.    A    LlBELLIS    JuST.    V.    C.    S.    P.    D. 

Coryciutn  senem  libi  quaclantenus  cognominem  j   Jane 
Coryci  ,  P.    Vergilius    (  ut  scis  )    mnltis    versihns  collau- 
<3at ,  facitque  eiim  ad  Galesnm  flumcu  ,  sub  altis  Tarenli 
turribus  ,  bortorum   cultui  baerenlem  ,  vilamque  felicem, 
atque  otiosam     ruri    degeutem.    Itaqne    bac  una  hortensi 
industria  nieruit  velulus    cilix    divinis    carminibus  inter— 
seri  3    et   vita  longaevus  ,  longaevior  fieri    Carmine,  quod 
iìli    prò    aelerno    monumento    a    poeta    omnium  maxirao 
statutnm  est.  Atque  ille  quidcm  boc  summi  poetae  mn- 
uere  aeternus  jam  est ,    suasque  arbores  ,  et  plantas  vi- 
vacitate  vinnit ,    parique    perennitate  hujus  memoria  cura 
poetae    gloria     proleuditur ,    tantum   iili  felicitatis    attuili 
P.  Vergilium    in    ejus    horlos    incidisse.    Quid    autem    te 
Jane    Coryci     dicam  ,    bujus     senis    cognominem  ,     annìs 
aequaevum  ,   ab  hortorum   cullu  non  abhorrenlem?  Qiec; 
omnes   nostri   tenijioris   llrbani  Poetae,   uno  ore   conotle- 
brant  ?  Quid   hoc  an  fatum    aliquod  est,  Corjcios  scra- 
per poelis  populares?  Corycium  crocura  atque  adeo  aro- 
mala   omnia  ,  ad  aeternilatem  clentes  ?  Nisi   te  eliam  ilio 
longe  piestantioreui  .,  et  ex  Parnasso  iuon4e ,   ac  Coryci» 


spccu  ,  Mnsarnm  dono  uobis  Hatnm  orediderim  ,  ac  (  si 
poetice  magis  fìoqui  licci)  ab  Goryciis  gcnilum  NjmpJiis, 
atqne  educatum.  Quod  omnia  bujus  aevi  iwgeuia  in  urbe 
excitaveris,  et  ad  virtutis,  laadisqne  ainorem  miro  ar- 
dore snccenderis.  Nam  tu  cura  ab  bine  ferme  decetinio 
prò  tua  piatale  aram  cum  sacello  ia  aede  Divi  Augu— 
stini  ,  Cbristo  Deo  ,  Matrique  et  Aviae  ejus  ,  Marne  ,  et 
Annae  statuisses ,  treisque  statuas  ,  suani  cuique  e  Lu- 
nensi  illas  marmore  erexisses ,  ad  haec  picturam  iouge 
inclytam  ,  et  priscae  aemulam^  addidisses ,  srnlptorem- 
que ,  et  pictorem  quam  eximios  adhibuisses ,  praeterea 
sacrificio  quolidano  perpetuo,  vasa ,  vestem,  pecuniata 
legasses.  Tura  Pofitae  urbani  omnes  ,  velut  oestro  perciti, 
tuamque  fum  pielalem  ,  tum  operis  ipsins  excelleiitiara 
admirati  j  te  certatim  extuleruntj  tuamque  animi  magni- 
tudinem  ,  statuarura  nilorem,  artificum  pracstantiaini,  suis 
carmiuibus  texuerunt.  Praeclare  illi  quidem  ,  et  ut  in  di- 
vinis  rebus  j  prope  divine.  Qua  sane  io  re ,  nescio  ari 
potius  ubertatem  ingeniorum  ,  copiamve  seatentiarum,  an 
carminum  genera  et  varietates  ,  laudandas  puteni  ,  cuui 
in  omnibus  j  quanquara  inveutione,  stylo,  cietro,  diversis, 
unus  tamen  ac  prope  idem  decor  conoentusque  eniteat.  Alius 
elegis  ,  alius  heroicis,  alius  Ijriois  numeris  ,  aut  phalaejiis 
agit,  aeque  ]  ulohre  omnes.  Adde  rei  ipsius  ac  maieriae 
dignitatem,  cum  non  ut  priscì  eoacervatim  in  licentiosis 
Lampsaceni  jocularibus,  sed  in  Dei  ac  divorura  laudibus 
oanendis,  ingenium  exercuerint.  Ergo  ut  in  plurirais,  quo- 
vam  Pandectae  sunt,  Jurisconsultis,  praeter  rei  ipsius  quam 
ilocent,  ulilitatem  ,  uuus  prope  sfylus  in  tnt  diversissi- 
mi fi  ,  tum  aetatc,  tum  patria,  ingeniis  elucet,  sic  in  hoc 
•.ino  libello,  praeter  ipsam  rem,  «juae  (ut  non   Diajns^di' 


caca)  divina  est,  et  de  Deo,  ac  dlvis  contexta ,  ctìarn 
Btyli  eleganfia,  etiaiii  irigeuiorum  ubertas ,  etiam  iovea- 
tionis  carminumque  varietas  ,  admiranda  uobis  est.  Sta- 
pendum  est  praeterea ,  quondam  in  bis  pene  pueros  es- 
se ,  Romanamque  pubeculam  tam  praecox ,  et  frngife- 
rum  iDgeoium  divis  suis  couseorasse.  Felix  igitur  tu, 
Coryci  ,  Drin  tit  Tarenfinos  incola  de  suis  bortis  ,  sed 
de  tnis  slatuis  ^  de  tua  pietate  ,  de  dirino  cultu,deper- 
pelno  sacrificio,  de  tot  poetis,  de  tot  oaiiuinibus,  de  tua 
perenni  gloria  j  niarsnraqoe  aeternilate.  Nam  quanquana 
tnae  laudes  ionge  plures  ac  potius  innumerae  sìnt,  tamea 
sic  velina  ,  Corjci  ,  existimes  ,  tuam  felicilatem  hoc  uno 
iibello  contineri.  Etenim  hae  libi  statuac  ,  praeterquam 
qtiod  carminibus  et  monnmenlis  tot  poetarum  perenni- 
latera  tibi  contulerunt,  etiam  statuairl  in  coelo  statue- 
innt ,  aut  certe  locura  ac  sedera  pepererunt  ,  in  quibus 
tu  resideas  sempiternus.  Quod  si  P.  Vergilius  in  tua , 
àut  tu  in  illius  tempora  incidisses  ,  habuisset  ille  quideia 
quid  de  te  ,  praeter  hortense  sludiunj  conciueret  ;  prae- 
dicasset  in  hominc  nalione  externo  ,  Roraanum  iogeniura, 
nrbanani  dexlerifateni,  litteraria  studia,  litteralorura  com- 
mercia ,  festivam  nrbanitatem ,  exteniporariam  dioendi  fa* 
caltalera  ,  antiquitatis  et  inarmorura  vetuslorurh  amorera, 
tum  vero  rigidam  in  justitia  et  supplicibus  libellis,  qui- 
bus jara  sub  sex  Ponlificibus  praesides ,  severitatem  ;  at- 
que  etiam  islam  tuam  caniciem  ,  corpusque  teres  et  vi- 
vidum  ,  istamque  tunicara  tenuem  atque  expeditam  in 
frugi  horaiiie  ,  et  ab  omni  ambitione  semoto,  cum  niteas 
alioqui  vestiarinm  libi  sit,  praedicasset.  An  vero  ille  il- 
lum  tuum  solemnem  diem  tacere  potuisset,  quo  tu  Ars- 
nae  Cbristi    Aviae    saorum ,    tanto    cultu  et  honore  ,  aJ 


217 

tiias  prtrautn  statuas  stato  «j.^rTÌficio ,  Inde  ad  hortes , 
pingui  et  lauto  epulo  ,  at  jue  adeo  omnibus  bonis  ,  om- 
nibus doctis  ,  indiclo  ,  concelebras  ?  N un  eò  bonoruni 
atque  eiuditorum  virornm  ea  colinris  coit,  ac  diem  cele- 
hrat,  ut  in  tuis  hortis  medias  Ahenas,  èmporiumque 
doctrinarum  popsis  videri  ilio  die  includere  ,  et  musas 
de  Helicone  et  Parnasso  deductas,  in  Tarpejum  et  Qui- 
rinalem  tuis  hortis  imininentes ,  transferre.  Ubi  alius  ad 
arbores  cilrias  ,  alius  ad  hortenses  parietes ,  alius  ad  pu- 
teos  3  aut  sìgna ,  quae  illic  plurima  sunt  et  speciosa, 
omnia  antiqui  operis  ,  et  gioriae  piena  ,  hac  illac  temere 
et  varie,  carmina  affigunt  tuas  statuasj  tuam  pietatcm,  li- 
beralitatemque  jus  diei ,  tam  in  Deos  quam  in  homines 
tantam  ,  uno  ore  concelebrant.  Deniquo  nuUum  in  orbe 
terrarum  (ausim  hoc  dicere)  concilium  aut  conTivium 
est,  ilio  tuo  illius  diei,  nobilius  atque  illustrius  ,  quutn 
praeeuntibus  mane  sacrificiis ,  et  re  divina,  post  vergente 
▼espera  ,  selecta  doctissimorum  turba ,  et  quasi  flores 
litterarum  ,  in  hortos  tuos  coacervantur  :  quos  tu  qui- 
dem  pluris  quam  reges  ,  plurisque  quam  Satrapas  uui=» 
Tcrsos  aestimas  et  jure  aestimas.  Ncque  enira  philosopho, 
immo  sapienti  tibi  ,  plus  animum  purpnrae  ac  mitrae  ^ 
quam  carmina  et  metra  pervadunt,  neque  pluris  eos  fa» 
cisj  qui  sunt,  quam  qui  esse  reges  merentur.  Possem 
ego  ìstos  hic  ia«erere  ,  ac  nomina  poetarnm  tni  tempo- 
ris  ,  posteritali  indicare,  nisi  pene  innnmerabiles  esseat , 
ac  bona  eorum  pars  in  libello  ipso  carminum  annotare- 
tur.  Quare  te  ilerum  atque  iterum  felicera  jure  appella- 
\erim  ,  cum  tu  in  tanta  ubertate  ingeniorum  ,  quantaui 
nostra  tulit  aetas  ,  nou  solum  annumerari  ,  sed  ab  om- 
nibus nnas  celebrari  meraeris.  Eanl.  igiuu'    isti ,   qui  1»^ 


:u8 

qiifaria  anrca  supini  suspiciunl  ia  cameris,  suasque  opes 
sibi  babent ,  ant  avare  occlusas  ,  aut  inutililnr  (crofusas, 
aut  iiidignis  erogatas  ,  nec  quicquam  in  poetas  et  doctos 
viros  largiuntnr.  Tu  enim  non  usqup  adeo  dives  ,  sed 
lamen  satis  animo  dives,  ac  divitiaruui  prudens  parti- 
tor  ,  nobili  hac  libeialifate  j  qnam  in  perpetuura  sacri- 
ficium  ,  et  in  solenne  hoc  epulani  confulisti,  tura  alia 
indesinenle  et  perpeti ,  quam  in  omnes  assidue  bonos 
per  oocasionera  exerces ,  factus  es  sempiternus.  Siquidem 
in  divos  ,  qni  supta  bomines ,  in  homines  ,  qui  inter  ho* 
mines  doctrina  excelierent,  ostendisti  simul  pietalem  ac 
liberalilalem.  Vernm  illi  cum  suis  plurimis  opibus,  quibus 
uti  nesciverunt  ,  interibunt ,  nomenque  una  alque  opes 
in  terra  rondent  ,  tit  pancissimis  tuis  divitiis  perbene 
«sus  ,  bene  ac  sempiterne  uteris.  Etenim  in  coelo  libi 
ae'ernitateni  Divi,  in  terris  optimi  homines  ,  optimis  mo- 
rumentis  ,  perennitatera  rependent.  Quo  magis  miratus 
aliquando  sum  ,  te  tara  ingloriuni ,  atqu«  immoitalitatis 
contemptorem  fuisse  .  ut  tuae  gloriae  iovideres  ,  carmi- 
naque  tot,  totque  ingenia  supprimeres  ,  et  cum  gloriam 
tam  meruisses  ,  naeritani  lam  coutemneres  ,  aut  ceri» 
negligpres.  E.^oe  jam  Decenninm  circumactum  est  ,  ex 
quo  isla  oodflata,  emissa ,  divisque  donata  sunt  nec  dura 
ili  Inoem  à  te  proferuniur.  Invidiali  tibi  ,  immo  etiaoi 
Divis  .  iiùiiio  ei  nobis  omnibus,  qui  non  snnius  tara 
philosophi  quàni  tu  ,  qui  gloriam  amamus ,  qui  faniara 
non  contemnimus.  Ergo  (  dicani  enim  jani  libere}  tecurn 
fnrem  esse  oportnit  j  atqiie  istura  libelluni  ,  queni  tu 
sepultum  atque  occultum  volueras  ,  sobrurari  tibi,  alque 
ia  lucem  edere. opus  fuit,  ut  nobis  omuibus  aliquam  af- 
Jcrret  luceuì.    Scio    non    e?se  nos  Vergilios ,    neqnc  lam 


219 

noì  asseculos  his  plurimis  versibus,  qnam  illuni  illis 
pauclssimis.  Sed  ncc  ullos  alios  praeler  Vergilinm  fuisse 
Vergilios ,  et  te  illi  Gorjcio  aiiteponenduni  (  ut  dixi  ) 
non  dubito,  neque  quia  nos  tibi  Vergilii  esse  non  pos- 
sumns  ,  ideo  tu  nobis  non  eris  Goryoius.  Vives  ,  vives  , 
inquanij  nobiscum  ,  et  hoo  uno  remedio  mortem  vincemus, 
ut  mortui  vita  ,  per  famam  et  gleriam  vivamus.  Quod  si 
altera  quoque  aelernilatis  via  ,  qnae  armis  et  victoriis 
quaeritur,  in  precio  est,  quinimnao  prepiosior  quibusdam 
habeluTj  Ego  istaru  niihi  anaabo ,  quae  non  hominena 
ferro  necat ,  sed  sljlo  servata  quae  prodest  scribendo , 
non  obest  rapieodo,  quae  innocentia  ,  humauitate,  pietate, 
non  audacia,  ira,  vi,  teraeritate  conlendit.  Ita  ut  longe 
mihi  praeoplem  (  si  id  assequi  possi m  )  poelam  me  esse 
quam  militem.  Verum  ad  me  redeo,  quom  furem  fuisse 
fateor  ,  ne  tu  esses  invidus ,  neu  forte  id  nobis  quod 
olim  illi  evenirci  j  cui  divina  opici  roserunt  carmina 
roures.  Librum  itaque  istum  ,  quem  tu  capsula  occlu- 
sum  tenebas  ,  in  tua  cellula,  ad  laevam  raanum,  sopito 
iiuper  tibi  subripui ,  et  quasi  à  Sileno  dormiente  Vergi- 
liani  pueri  ,  sic  ego  à  Corycio  sene ,  aeteroa  carmina 
clam  extorsi  ,  iuvulgandaque  typis  dedi.  Dabis  tu  ve- 
niam  ,  ac  mecum  redibis  in  gratiam  ,  ut  voles ,  neque 
me  sic  furem  oderis  ,  ut  non  rccogites,  te  potius  odio 
babendnm  fuisse  ,  ut  invidum.  Denique  alliges  me  ut  vis 
ad  tuam  Tarp<^jam  rupem  ;  me  nunquam  poenitebit  fuisse 
Pronielheum  ,  Qui  ut  ille  de  coelo  ignem  ,  sic  tibi  ar- 
dcntia  ,  et  victura  carmina,  ad  perennitatem  nos  tram , 
saeculique  voluptatem  j  subripuerim.  Vale. 


320 


C.  Silvanus ,  Germanicus ,  tano  Corycìo  S. 

Arsillus  egregius  vir  ,  libellnra  ad  me  detulit  ,  quem 
de  poetis  urbanis  conscripsit  ;  eum  tibi  mitto  ,  non  solimi 
ut  legas,  verum  ut  associes  quoque  libellis  tnis  ,  una 
orbem  terrarum  ut  peragrent ,  postquam  tandem  extra 
sinum ,  parto  deliberaris  frui  honore.  Non  poteris  pro- 
feoto  sine  magna  ingratitudinis  nota  id  negare  officii  , 
me  poscente ,  viris  iis  ,  qui  in  te  stauasque  tuas  offi- 
ciosissimi fuere  ,  sed  certuni  est  invidnlos  aliquot  excla- 
maluros  ,  quid  tam  sedulo  Silvanus  laborat  istaec  edi  ? 
scilicet  qund  ipse  quoque  est  iosertus  coronae  tantorum 
rirorura.  At  ego  istiusmodi  blaterones  perinde  habeo ,  ac 
Romani  Brutios  ,  dummodo  sciant  laudem  hano,  somnos 
mihi  breviores  facturam.  Tu  vero,  mi  Goryci  plusquani 
decuit  inanes  illorura  ,  immo  vero  inermes  stimulos  me- 
tuens  ,  hactenus  rarissimam  cohibuisli  gloriam.  Cave  igi- 
tur  animo  decedas  ^  confige  cornicum  oculos,  utere  laude 
tua  vivens ,  si  sapies  ,  quae  caeteris  post  fata  longe  ve- 
nire soleat  3  nancifaoilo  quicquid  est  omnino  iavidentium, 
quando  citius  invidere  quis  poterit ,  quàm  imitari.  Valf. 


Janus  Corjcìus  Lucumbiirgen.   C.   Silvano.  S. 

Multam  ,  Silvane,  tibi  debeo  gratiara  ,  qui  mihi  nostri 
Arsilli  de  Uibanis  poetis  legendum  libellum  indulseris , 
longe  jucundiorem  profecto,  et  venusliorera  ,  iis  libellis, 
qui  mihi ,  quolidie  ialer  maaus  versantur  ,  et  lite»  praej. 


821 
ferunt,  atque  contentiones  ;  ac  licet  inassueto,  nauseam 
et  bilem  commovent.  Ing«;ntem  itaque  ex  eo  voluptatem 
cepi  ,  nec  miltere  mihi  carias  potuisses  qiiippiam.  Arsillo 
vero  etiain  atque  eliam  debeo  ,  qui  tantos  illos  viros , 
quorum  opera  pene  spiro  et  vigeo,  quorum  ope  nomen 
oblioeo  j  atque  umbris  subtrahor,  uno  libello  nobili  com« 
plexus  est,  verissimas  uniuscujusque  laudes  altingens ,  et 
quodammocio  collocatos  in  Musarum  concilio  ,  posterilati 
piane  intuendos  exhibet.  Cum  tamen  efflagitationibus,  ne 
dicara  conviciis  Virorum  probalissi>morniu  urgear ,  car- 
mina in  noslras  edita  statuas  publicare,  tjpisque  cudenda 
tradeie  (  non  tam  quod  obtreclatores  invidosque  extirae- 
6cam  ,  quibus  parum  certe  negotii  nobiscum  est,  qnaru 
quod  mibi ,  jndioioque  meo  non  satis  fido,  et  cousulen- 
das  mihi  aures  arbitror  disertiorum  )  minime  obsequea- 
dura  credidi,  et  ut  ab  editione  abhorreo  ,  ita  quoad  fieri 
possit  abslìnere  decreti;  non  maligno,  aedepol ,  animo, 
ncque  ut  immortaleis  laude  homiues  fraudem ,  aut  prae» 
conio  ilio  excludam  ,  atque  intervertam  ,  quod  tot  fessi 
■vigiliis  commeruerunl.  { Nempe  ea  jactura  nnbi  curn  iis 
est  communis)  Sed  ne  videar  forte  ita  gloriae  appetene 
esse  ,  ut  quid  deceat,  quid  dedeceat,  non  prius  di«piciana 
hac  ratione  libellus  summae  apud  me  aeslimationis  et 
graliae  j  caeteris  quidem  jungetur,  verum  in  Scrinii  late- 
bra aliquamdiu  dormiet,  et  hoc  elegantiae  praemium  apud 
me  feret.  Scio  summi  Oraloris  esse  senteutiara  ,  Nulli  us 
Agricolae  stirpem  tam  diuturnam ,  quam  boni  Poetae 
▼ersum  ,  conseri  posse.  Verum  ego  non  tanti  duco  glo- 
riae illecebras ,  ut  decoris  ralionem  et  tempoiis  postila- 
bendam  existimcDi  ,  cui  sapientctu  servire  in  primis  d** 
oet.  "Vale. 


d2d 

BOCUMENTI   CHE   ILLUSTRANO 

L'OTTAVO   VOLUME. 


N/»  CLXXin. 

(  Voi.  Fin.  p.  7.  ) 

ObAtio  SìephAni  Possidarski  ,  ìiabita  apud  Leonem 
Decimum^  Pontijicem  Maximum,  prò  Doìviino  Joan»- 
KE  Torquato  Comite  Corbaviae  defensore  Crovaciae. 

Beatissime  Pater 3  semper  ia  diviois  Beatissime,  ia 
humatiis  autem  vix  audeo  dicere  ,  cum  rempublicam  Ghri- 
stianam  a  ferocissimis  Hoslibus  lacerari  et  ludibrio  ìri 
animadverto.  Quod  idem  Sanctitati  tuae  cognitum  esse  , 
cnm  ex  nuaciis  Domini  mei  Joanais  Torquati  devotis- 
simi servali  lui  j  Corbaviae  infelicissimi  Goniitis,  tum  ex 
legatis  tuis  ad  illas  proviucias  missis  exploratum  esse  ju- 
dicamus  ,  quod  omnibus  fere  Christianis  ,  non  sine  ma- 
gno terrore  cognitum  est,  immanem  illam  Bestiam  in 
Apocalypsi  figuralam ,  idest  Turcarum  regem  ,  septem 
ìlla  cornua  contra  nos  extulisse,  et  per  quinquaginta  et 
amplius  annos ,  nescio  an  propier  vitia  nostra  ,  an  per- 
missu  summi  Dei  ,  tot  Episcopatus  et  consequenter  epi- 
scopatìbus  subditos ,  in  snam  ditionem  ,  et  quod  pfjus 
«61  la  suos  mores  ire  oopg«ritj  ut  jamprope,  nisi  osten- 


223 

deris  te  esse  ifi  qn^rl  es ,  Salvatoris  Vicarium,  tle  nostra 
s;iiiìJe  (lespereiiius.  Videmus  eoim  quotidie  non  indies 
iDijjUS  urgeri  j  et  quasi  ex  igfie  aquam  pelere?  sed  proh 
Deus  iramortalis  ,  ubi  estveritas?  ubi  est  amor  jnstitiae  ? 
ubi  est  foedus  amicitiae  christianae?  Viciui  domini  atque 
Dviiaslae  qui  nobis  auxilio  et  sibi  praesidio  esse  debe- 
rent ,  invidia  nos  quadam  prosequuntur  ,  et  ex  amari- 
tudine nostra  sibi  adipes  facilini  ;  sed  Joaune  Torquato 
deleto ,  tunc  intelligent  carnes  et  adipes  ex  invidia  sa- 
ginatos  sine  ossibus  constare  non  posse.  Verba  subdola 
et  apparentia  inter  gladios  et  frameas  nullius  efficaciae 
sunt.  0  qnoties  inter  ignes  villarum  suarum  ,  et  raulti- 
tndiiipftì  captivoruni  ,  ipse  Joannes^  non  sine  magno  san- 
guine suornm  ,  lanquam  Leo  irritatus  in  medias  latro- 
num  et  hoslinm  àcies  impetum  fecit  ,  nullaque  humana 
"pe  sed  divina  potius  evasit  !  Animos  ejus  et  ausus  quis 
enarraverit  !  Cogitare  potes,  Glementissime  Pater,  cum 
tot  oalamitatibus  de  continuis  incursionibus  et  latrociniis 
affectus  sit ,  quomodo  sibi  constet  ,  ut  facile  appareat 
non  sin«  numine  tam  dia  posse  subsistere.  Utcumque 
iamen  vigilai  et  observat  quantum  fieri  potest  in  angu- 
sto .  et  in  regione  prope  dfisolata,  ut  exclaraare  possit  , 
nnde  mihi  auxilium  nisi  a  Domino.  Venetorum  provin- 
ciae  Dalmalia  et  Liburuia  prope  mare  quum  naturali 
munimento  defensae  tum  foedere  facto  tutae  aliquandiu 
a  fancibus  Turcarum  fuerunt.  Geterae  Mediterraueae  pro- 
viiioiae ,  a»it  quia  longius  ab  ipsis  hostibus ,  aut  quia 
prope  (lumina  suni  ,  negligentius  de  nobis  agere  videa- 
tur  ;  sed  Joanni  Torquato  ista  necessitas  imposita  est, 
ut  non  solum  se  finesque  suos  ,  sed  aiienos  etiam  lutari 
cogatur  j    nam  in  Tiuiuoi ,    et   Glissiam  ,    et  Regulorura 


224 

castella,  qnàe  ab  aliV,  cnstodirf  deberent,  et  maxima 
quidem  vigilia  ,  idem  Dominns  meus  scraper  oculos  in- 
tendit ,  ef  Faepe  castella  sua  ,  et  belliois  tormenfis  ,  et 
luilitibus  exarmat  ut  illis  opem  ferat.  Gaeteri  omncs  Re- 
gali et  Fraiigipaues  ,  qui  a  tergo  sunt ,  illius  fortunam 
opperiuntur,  in  casu  ejas  omoino  casari.  Banus  in  pe- 
netralia  Sclavoniae  secessit  ,  et  in  foribus  Croratiae  ho- 
stes  non  curai.  Seri  quid  plura  dioina  ,  quum,  nemo  igno» 
ret  Joannem  Torqualum  xxx,  anaos  in  foribvs  Gorbaviae 
vigilantissimum  oustodem  excnbare,  et  contermina  Turcis 
Joca  intrepido  animo  defendere.  Ibi  non  Icgationibus  nc- 
que verborum  disceptalionibus  de  priocipatu  agitar  ;  sed 
cruentatis  cnsibus  de  fide,  liberiate,  ac  de  salute  con» 
tenditur  ;  sed  circunicirea ,  undique  lerror  undiqoe  fuga 
est  ;  qaas  pulcherrimas  et  fecundissimas  terras  ipsa  na- 
tura conPtituit ,  saevitia  hostiam  et  cultorum  desolatio 
turpissiraas  et  infecundissiraas  reddidit.  Non  possunj  libi. 
Pater  Sancte  ,  tot  arccs  natura  muoitissimas ,  tot  nobiles 
et  slrenuissimos  equites  Crovatia  fugatos  nonnisi  Bano- 
rum  incuria  et  negligenlia  recensere.  Non  possum  libi 
oiuues  Turcarum  astus  et  jnsidias,  tacco  crudelitates  quas 
conlra  nos  faciunt ,  enarrare.  Ambiguum  est  an  raajus 
DOS  potputia  an  dolis  ^t  frnudibus  urgcan'.  Waiwodas 
captis  arcibus  et  Castelli*  praeficiunt  qui  sponsionibus  et 
possessionibus  Chrislianos  subdilos  alliciunt  ut  sibi  oboo- 
xii  sint.  Proh  dolor.  Beatissime  Pater,  jamjam  cum  Tur- 
cis  vicini  Cbristiani  matrimonia  contrahunt,  atque  ita 
conveniunt  ut  Domino  meo  intcr  Cbristianos  et  snbditos 
agenti  debito  dubitandum  sit.  Affi)  mare  tibi  possum  j 
clementissime  Pater,  illuni  bostium  fraudes  multo  maju9 
quam  ^rma  timere.  Hostium  tributarius  effectus  eet^   ui 


925 

qnoquomof^o  possit  effogtat  et  salutem  sibi  et  miserrima  e 
Crovatiae  tam  din  producat  ,  quoad  divina  miseralio  fa- 
verit.  Videt  enim  omnena  furorein  Turcarura  tolas  ia  se 
vires  effundere  ;  ut  nisi  tu.  Beatissime  Pater,  qui  summì 
Dei  Vicarium  agis  ,  solila  provìdeulia  Domino  meo  pro- 
spexeris  ,  de  rebus  suis ,  et  de  Iota  Grovalia  propedietn 
intefitum  nnnciet.  Si  proi^pi^ero ,  Pater  sanctissime,  tÌs, 
aut  Joannera  Torquatura  inilitem  Ecclesiae  restilue  de 
Turcarum  tributario,  et  sicut  optai,  propugnatorem  ef- 
fice  ,  aut  aliquem  de  ducibus  luis  mitte  ,  cujus  armis  et 
ope  Turcis  viciois  secum  obstaie  valeat,  et  latrocinio 
latrocinia  repellere,  aut  sallem  aliquem  viruni  religiosum 
ad  illos  populos  mitte  ,  cu^us  anloritate  a  fuga  oontine- 
antur ,  ed  ad  fidetn  Chrisli  corroborentur ,  aut  Saac:iitas 
tua  die  novissima  verba.  Vale. 

Manlius  arces  Roraanas  et  tempia  repulso, 
Defendit   Gallo   saepias  hoste   procul. 

Hic   noster  Torquatus   agros  defendit  avitos  , 
Et  sappe  a  uob;s  Turoika  sigoa  fugat  i 

Tam  gratus  patriae  quantum  ille  Quiritibus  olinaj 
Et  £Ì  fata  dabual  prospera  ,  major  erit. 


Leone  X.  Tom.   FUI.  i5 


2a6 

N.«   CLXXIV. 

(  Voi  Vili.   p.  8.  ) 

Vidae  op.  tom.  11.  p.    iSy.  Edit.   Comin.   lySi. 

Leoni  X.  Pont.  Max. 

Ecquis  o  laetam ,  Leo  ,  gratus  urbem 
Erigil   rumor  fera  te  parare 
Barbarae  jam  jam  Latio  immiaeati 

Funera  geoli? 
Macie  ,  qui  tanlos  animos  superbus 
Concipis  ;  magiiis   nova   te  triumphis 
Gloria  invitat ,  nova  laurus  j  o  ter 

Maxime  Regum. 
0  diem  illatn  ,  qua  rediens  ic  urbeic 
Arduis  figes  spolia  ampia  templis, 
Quem  duces  omnes  sacra  Vaticani  ad 

Limiaa  ducent. 
Ante  dcjecti  capita  alta  reges 
Efferi  incedeut  ;  minor  ibit  ille 
Qui  modo  deviato  Oriente  Romae 

Dira  minatur. 
0  ubi  hic  captas  numerabis  urbes , 
Et  ducum  vita  exuvias  carentum  , 
O   tuum  qnae   tunc  merito  lacessent 

Gaudia  pectus  ! 
Ergo  age ,  arrcctam  Ausoniaoi ,  et  paratos 


aa; 


Piiblica  Europae  voca  ad  arma  reges  ; 
Jaraqiie  spumosum  videam  lalere 

Classibas  aequor. 
Hoc  avent  otniies  Itali ,  exterìque  , 
Gestiuat  cunclis  animi  ;  paratur 
Martis  ad  praeclara  opera  ,  et  labores 

Pulchra  juveatus. 
Ipse  ego,   qiiamvis  alia  aitare 
Mens  erat  lauro  ,  ardeo  nano  amore 
Martis,  armorunaque  ;  tui  reliquuata 

Pboebe ,   calores- 
Naac  vucant  artes  aliae  ;  javet  me 
Jatn  gravem  ferri  strepiium ,   lubasque 
Horridas  audire  ;   juvet  rueates 

Ceraere   turraas. 
Jam   mihi  deasum   videor  per  agraen , 
Casside  iaclusus  caputa  insuetum 
Fuaera  horreadum  fera  fulmiuaati 

Spargere  dextra. 
Non  ego  prò  te  j  iaribiisque  ,  et  aris 
Horream  extremos  penetrare   ad   Afros , 
Noa  ego  Xaotbum  galea  cava  po- 
tare f  Dee  ludum. 
Pulveris  mullam  ,  patiensque  Solis, 
Ibo  quo  Belloaa  vocabit,*  et  Mars  , 
Hostium  irrumpeas  uuaeos  ,  abeaa 

Luce  coruscus. 
Est  tuiiii  pecius  ,  mihi  sauguis ,   et  vis 
Vivida ,  est  praesens  auimus  ;   trementi 
Bdrkiri  tellure  cadeat  mea  sub 

Cuspide  reges. 


328 

Ante   me  band  alter  vacuus   timore 
Aii'leat   muros  superare    capti 
Oppidi  ,   nemo   j)nor  obstiuatas 

Rumpere   in   arces. 
Forsan   et  vestros  a'.iquis   triuraphos 
Dum   canet   vates   Asiani  ,   AlVicamque 
Cedere  ,   et  victuin   juga  vestra  ferie 

Protiims   oi  beisi  , 
Me   qyoque  heroas   memorabit  inter 
Maximos  ;   noscent  aoimae  in   periclis 
Prodigum  ,  experteioqne   metus   futura 

Saecula   Vidan). 


N.*^  CLXXV. 

(  Voi  mi  p.  9.  ) 

DalT  originale  ^  nel  MSS.    Coltoniani  nel  Museo 
Britannico. 

Reverendissime  Pater  et  Domine  ,  Domine  mi  ac  be- 
iieraotor  singularis  ,  post  humillimas  commendationes.  Noa- 
uullis  nieìs  litteris  ad  vestrani  R  D  soriptis,  s;jtis  co- 
piose me  significasse  arbitror  ingens  Sanciissimi  Domini 
nostri  desideriuni  ad  pacem  inter  cunctos  christianos  pria- 
cipes  universalem  componendam  ,  meiqiie  non  ejus  San- 
ctitatis  consilium  quod  Gallico  R  gi  hac  de  causa  taa- 
quam  sibi  ia  meutein  venisset  propoueadum  decreverat  ; 


3  29 
sperans  non  tlifficuher  succcssurura  quod  saluberrìmum 
eventu  foret  j  atque  in  ea  re,  viam  a  me  cogitatani  quara 
maxime  probans ,  nostrum  consilium  tanquam  a  seme- 
tipso  proveiiiens  ,  postea  Pontifex  ipse,  per  Illustrissi- 
mwra  Urbini  Ducem  ,  opportuoe  secreteque  ad  praefatuna 
Gallicum  Piegem  deferri  curavit  ,  a  quo  nuper  plenum 
accepit  responsum  ,  meulem  atqne  eius  volunratem  piane 
indicans ,  ut  abunde  V.  R.  a  Domino  Silvestro  Dario 
percipiet.  Quaraobrem  Sanctissimus  D.  N.  raihi  injunxit, 
ut  per  celerem  cursorenì ,  veslram  R.  D.  ejus  nomine 
rogarem  ,  obtestarerque  ,  ut  quam  citissime  ejus  re?pon- 
sum  haberemus  ;  Nam  verbis  ullis  esplicare  nunquani 
ardentissimum  suae  Sanciilalis  desiderium  possem ,  quo 
afficielur  ,  donec  rescripserit  ipsa  V.  R.  quam  meo  etiam 
nomine  propterea  obscecratam  velini  ut  buie  tanto  Pou- 
tilìcis  voto  satisfacere  dignetur. 

Super  privationem  Cardinalis  Hadriani  ternis  ad  ve- 
stram  R.  D.  literis  significavi  perplexnm  Sanctissimi  D. 
N  animum,  ao  suae  trepidafionis  causas  j  quaravis  in 
senlentia  se  persistere  affirmaret,  et  ad  postremum  noa 
defore  diceret  ,  quin  illuni  ad  Ecciesiae  Batbonien«is 
Resignalionem  compellat;  id  quod  ab  ejus  Sanctitate  sae- 
pissime  et  quotidie  pene  mibi  coufumatur.  Felicissime 
valcat  eadem  V.  R.  D.  cui  me  iterum  bumillirae  com- 
mendo   Romae  xiii.  Junii.  mdxvih.  V.  R.  D. 

Reverendissimo  in  Cbristo  Patri   et  Dom.  D    Thnmac, 
Sauctae  Geo.   Pjesb.   Card.   etc.   ac   Sedis  Apost.   Lpgalo. 
HujniiL  suus  S'I.  Ep.   fFigoruien. 


sJo 


N/'  CLXXVI. 

(  To?.  mi.  p.  IO.  ) 

Sadoleti  op.  toni.   IL  p.   27, 
Jacoei  Sadoleti  Episcopi  Carpento^. 

Leonìs  X  Pontificis  Macinìi  a  secretìs ,  in  promuìgatione 
generalium  Iniìnciaruin  Oratio ,  in  Beatae  semper 
Virginis    ad   Minervam    hahita^   xix.    Aal.    Aprilis  ^ 

MD.XVIII. 

Quod  oplavimus  aniea  semper,  el  quotifTiaois  votis 
petere  ao  precari  solebamas ,  Lpo  summe  Pont.  Paires 
amplissimi  ,  legali  ,  virique  ornalissiini ,  a  Deo  primnrn 
immortali  3  tlominoque  nostro  Jesu  Ghrislo,  et  ifem  San- 
cto  Spirita  ,  cnjns  veri  Dei  potestas  ita  cielo  et  terra 
est  maxima,  ut  sit  sola  ,  tnm  autem  ab  ipsa  maire  Dei 
Sanctissima  Virgine  ,  cisque  divis  omnibus ,  qui  hujus 
Urbis  atque  templorom  ,  borum  ordinuni  atqae  Giiriae 
bujns  popali  generis  nominis  carara  ac  tatelam  gernnt  ^ 
vellent  ,  juberent  ,  agerenl  ,  ut  tamlerii  aliquando  dome- 
sticis  intra  nos  disvsensionibns  liberati  ,  arma  quae  diu  io 
nostram  perniciem  distrinximus ,  ad  impiorura  fidei  no- 
strae  hestium  cladem  ,  atque  exitium  verteremus  ;  id  ho' 
dierno  primum  die  ejusdein  Dei  ope  atque  numine,  Di- 
vorura  omnium  suffragio  et  precibns ,  tuo  Pont.  Maximo 
Consilio  ,    tua    auctoritate  ,    diiigentia  ,  moniti?  Regura  t\ 


23 1 

Principvnn  vestrorum  legati  pielale  ac  niO(ìeratJoae  ita 
fartam  est ,  ut  magna  ex  parie  confectiim  esse  videatur. 
Quanquain  pax ,  Patrcs ,  illa  ,  quae  maxime  necessaria 
esse  existimatur ,  non  est  in  hodierno  facto  voce  et  vo- 
cabulo  usurpata  :  Sed  etsi  pacis  nomen  abest,  illius  vis 
omnis  taraen  et  potestas  assumitar.  Induciae  enìm  pro- 
mulgantur ,  si  rem  spectes  pacis  praenunciae,  si  tcoa- 
pus ,  quinqueonales ,  cujus  temporis  loogiuquitas  plus 
nescio  quid  boni  profecto  habere  in  se  putanda  est;  Saepe 
enim  pax  brevior  fuit  :  Tanti  vero  temporis  Induciae 
égregios  fructus  diuturnae  pacis  afferunt.  Ita  cum  remi 
ipsam  jam  teneamns  ,  celeriter ,  ut  spes  est  ,  in  ipso  no* 
mine  pacis  conventura  est  omnium  voluntas  et  consensio. 
Quo  igitur  generales  inter  omnes  Reges  ,  ac  Principe» 
christianos  Induciae  in  qninquenniura  edjoanlur  ,  eaque 
res  optimis  auspidis ,  optimis  omnibus  Deo  auctore  fiat* 
et  ipsi  habitus  honos,  supplicationesque  triduo  tota  Urbe 
fuerunt,  ut  vidistis,  et  hodie  hic  est,  ab  hoc  orbis  terrae 
Parente  et  Capite,  a  sacrosancto  Senatu ,  ab  omnium 
Principum  legatìs  ,  a  florentissimis  ordinibus  Sacerdotura, 
Civiumque  coHvenlu  in  celeberrimo  hoc  Tempio  in  con- 
spectu  pene  Dei  imraortalis,  ut  cujns  bonitate  tantum 
donuni  accepimus,  ejusdera  etiara  numine  sanciamus.  Et 
buie  quidera  salnberrimae  pulcherrimaeqne  tantorum  Re- 
gum  et  Principum  conspirationi ,  quam  sub  nomine  la- 
duciarum  sancta  pax  constitutnra  est,  immanissimi  ho- 
stis  Turcae  infinita  cupiditas  illiusque  admirabiles  parvo 
tempore  ad  omnem  amplitudinem  proprressus  ,  et  perica- 
Jum  ab  eo  imminens  atque  propinquum  christianae  rci- 
pubiicae ,  caussam  praebuit.  Qui  non  conleutus  Asiae 
provincia  ,    quam    e     cor[>ore    christiaai    Imperli  prioaam 


avulsit ,  eamque  spuroissiinls  suìs  ritibus  et  moilbns  Jif- 
quinavit  ;  non  contentus  Graecia  ,  quani  errore  quodam 
a  nobis  dissentientem  repenti  no  beilo  oppressi  t  j  non  con- 
tenlns  Illvrico  cujus  raaxituam  partera  occapavit,  reli» 
qnuni  quod  superasi  ornai  clade  belli  ,  et  orebris  excur- 
sionibus  saepe  est  populatus  ;  nuper  etiani  ao  piane  paulo 
ante  tanquara  cupidus  atbleia  veruni  oertamen  meditatus, 
quo  se  ialerea  exercitatioiip  faceret  robusliorem  ,  ad  Sy- 
riam  usque  exoucurrit  et  jE  jyptum ,  easque  opnlenlissi- 
mas  provincias,  duobus  praeliis  victor ,  sub  inaperium  , 
et  ditionem  suain  redcgit.  Sopbique  Rege  Persarum  ali- 
quot  certaminibus  rejiulso  atque  deterriio  nihil  jam  deinde 
esse  pntavit ,  quod  furori  suo  obsistere,  impetum  f'euare 
posse  videretur.  Iiaque  non  vlctorianx  ilìai»  fmem  belli, 
sed  illud  belium  inajorjs  et  graviaris  contra  nos  certa- 
niinis  tanquam  praeludium  quoddanì  l'uisse  putat  :  Ad 
qnod  Bunc  se  apparai  tanta  diligentia  ,  tanta  instructione 
rernm  omnium  ,  quae  ad  maximum  et  gravissimura  bel- 
ium sitit  idoneac,  ut  ant  sanguis  nosler  et  libertas  illi  dan- 
da  ,  aut  hoc  remedium  salularis  in  ter  nos  concordiae 
fuerit  adbib?ndum.  Nara  tcrtium  quidem  nihil  fuit  ,  nisi 
forte  cum  eo  hoste  rem  esse  existimamus,  quo  cum  aut 
pace  aul  pactione  aliqna  concordiae  aut  justo  foedere  et 
aequo  nobis  convenire  posse  arbitremur.  Qui  cum  ab 
eorum  ,  quos  nuper  devicitj  superstitione  non  abhorre- 
ret ,  essetque  cum  eis  et  multarum  leguru  et  vetnslissi- 
morum  foederum  sooietate  conjunctus  ,  nihilominus  ta- 
men  Victoria  jam  parta  armÌNque  ab  adversariis  positi» 
ìnfinilam  vim  saogoinis  ex  dedititiis  exhausit  ,  plurimis- 
que  fide  data,  fore  eos  apud  se  tulo  ;  cum  co  pignore 
indncti   multi  accessiìsenl  ,  omnes  coutinuo  ad  suppliciuca 


233 
rapi  jussit  ;  cum  hoc  ulla  convcnlic  rata  esse  potcst  al* 
que  firma  3  qui  fidem  suam  porrigat  ad  occasionem  per- 
fidiae  ?  Qui  quacunque  pcrvadit ,  nobilitaleni  omnera  vult 
extiactara  3  virtutera  perdilam  ^  sanguinea)  porro  nostrum 
ita  exsorbere  avide  et  profundcre  exoptat ,  quasi  vidca- 
tur  hoc  sanguine  sanguinem  illum  abUiturus,  quo  se 
parente  prius  suo  morte  ablato  ex  fraleruis  caedibus  res- 
pertis.  Nam  si  avaritia  aut  cupiditatc  imperandi  contra 
nos  ferretur,  hanc  ejus  vel  acerrimam  silim  satiare  pò» 
taisset  Oriens ,  explere  Asia,  sedare  Europa.  Sed  nimi- 
rum  ille  ex  nostris  cladibus  non  niinus  ludum  crudelitali 
suae  3  quam  pasUioi  cnpiditali  quaerit.  Alque  hunc  ho- 
stem  3  vel  immaoera  potius  fcram  et  Iruculeotam,  tol 
saeculis  perpessa  Christiana  respublica  ,  quas  non  perluli» 
oalamitates  ?  quibus  non  contumeliis  alfecta  iuil  ?  Qnol 
morlales  j  mortales  dico?  quot  integri  populi  proditi  , 
miseri,  et  omnium  deslitnti  auxillo,  qui  tamcn  ex  no- 
stro genere  ox  nostra  cognatione  essent,  aut  acerbissimam 
luortem  oppetere,  aut  Deo  vero  repudiato  et  rejectOj  tur- 
pissimam  servitulem  subire  sunt  coacli  ?  Quot  Urbes  captac.. 
vaslatae  j  inflammatae  ?  Quantae  aut  extinctae  aut  oppres- 
sae  nationes  ?  Quot  regna  erepta  ?  quot  multae  inustae 
christiano  generi  ignominiae  et  notae?  Quodque  et  mire- 
luur  amplius  et  doleamus ,  tantam  ne  in  tot  acerbissimis 
iajuriis  nostrorum  Principum  patientiam,  bone  Deus!  tan- 
tam malorum  omnium  toleralionem  ?  Tantam  in  accipien» 
dis  contumeliis  animorura  dissolutionem?  Quod  non  evc- 
nit  quidem  metu  aut  ignavia;  nec  quod  se  impares  tÌ- 
ribus  esse  bosti  arbitrarcntur.  Semper  enim  ,  si  usquam 
ulla  fuit  bellandi  fortitudo  et  rei  militaris  gloria ,  ea 
«hristiani    maxime    geaeris    et    fuit    et  est   propria.    Sed 


334 

Detis ,  Deus  iuquatu  j  cum   peccalis   nosfris  gravius  esset 
ìnfpnsus  3  ab  omnibus  vobiit  intelligì  in  ipsius  maou  esse 
et  pftrniciem  nostrani  et  saìntem.  Ttaque    iiobis  a  salolis 
propria  co£;itaiione  aversis  ,  bosti   etiam  suo  liberiores  fu- 
renti   habcnas    iodnìsit.    Hanc    unarn    canssam  ,    sì  vere 
rem   expennere   voluerimus   illins   secuntlarum   fortunarum 
nec  aliam  ullam  fuisse  reperiemus^  felicem  qaanHam  te- 
merifatem ,     videlicet    Dei    judicio    pe-rmissam  j    bomfuis 
fonasse  vigilantis  et  vafri  ,  non   tamen  magnanimi   ncque 
pi'udenus.  Quid  euim  illi  cum  virtule  aut  edm   pruden- 
lia  ?   Virtns  sibi  ipsa  praecipue  confidit   Hio  alienis   viliis  et 
crroribus  prò  sua  virtule  usus  est:  Virlus  et  repugnantes 
aperte  vincere    laetalnr  et  conservare  ccdenles.   Hic  cum 
ia  pugnando     insidiosus  et  faliax ,    tam   nusquam    minus 
est  quani  in   ipso  praelio  crudelis.   Virtus  ex  vicloria  lau- 
dem  ,  bic  nibil  unquam  appeti^it  nrsi  praedam.   Pruden- 
tiam   anfem  cnnsilii ,  quam  in  eo  ess«  staluimus?  qui  ita 
ìmperium   regat  ,  si  ilhid  imperium  potins  qaam  snper- 
bum   et  crudeiem  appellabimus  dominatum  ,  ut  eum  mulio 
gravius    cives    metuant    quam    bostes ,    capitaliore  illura 
odio    prospquantur    qui    ejus    ditioni  subsuut,  quam  qui 
arma    centra     eum  ferunt  ;    neque    injuria  ;  stragos  eoim 
nobilitatis  maximas  :   honorum  direptiones  facit  irapuden- 
lissimas  ;    ita    orbati^    nationibus    omni  dignitate  reliquos 
in    servorum    numero    ac  ìoco    babet  ;    baec  qui    perpe- 
tiuntni-  miseri,  qui  perlimescunt  anxii  ;  fortes  vero,  ^uos 
DOS  esse  decel  ad  veri  Dei  cullum  et  ad    dignitaiem  na- 
los ,    qui     aut  tantum    dedecus   virlule  propulsare  parati 
sunt ,  aut  si  id  minus  liceat ,    raortem   praeoptant  quam 
itiiusmodi    servilutem.    Sed    quod    ioslitueramus    dicere, 
hactenus    illi,    ut  fureret  ut  io    noslris  malis  damnisqne 


a35 
debaccharetar  ,  permisil  D.^us  ;  noo  tameii  genlena  del», 
ctam  a  sase  ,  et  ad  haereclilarena  patriae  caelestis  per  6- 
linm  snum  vocatato,  oiptam  penitns  volait  esse  et  extin- 
otam.  Seri  io  ip.so  pene  exlre^mo  reruin  omnium  discri- 
mine Dobis  ad  ejus  opem  atqne  anxiliurn  confugieolibns 
ipsius  justa  severilas  ad  soMtam  inisericorfliam  dedpxa 
est.  Qui  cntn  divina  ili»  ineote  prospicerel  uuicutn  prope 
remediuna  suprerais  rebus  esse  in  sonvenieDdo  popnlos  io 
nnam  et  Re^es  ut  sprviant  Domino,  primum  optìmmr» 
hnoc  et  sapieutìssimum  Pontirioem  nocles  el  dies  nihil 
aliud  cogitantem  ,  nibii  laborantena  ,  nisi  de  pace  et  de 
concordia  ooramuni  ,  ad  jam  din  exorsum  opus  oonficieo- 
dnm  adjavit,  deinde  ebristianos  Reges  ac  Principe»  , 
qnibus  ipseraet  lllum  honorem  ,  illam  dignitatem  trlbuis- 
eel ,  discussa  privatarnm  caligine  simultafum  .  nt  verum 
decus ,  veram  bonestatem ,  verara  laudem  atteuderent  , 
ad  inunus  eornm  dignitati  debituin  et  ad  pristinani  animi 
magnitudinem  revoca vit.  Ipso  porro  eo  tempore,  quo  si 
in  loogiorem  diena  dilata  fuisset  illiua  clementia  ultimns 
casus  universae  calamitalis  christianae  reipublicae  fuerit 
subeondus,  cum  bostis  ,  nobis  imparatis,  ut  persuade- 
baiur  ipse,  nec  id  quidem  falso,  matimos  jam  corapa- 
rasset  exercitus  ,  navibus  tota  maria  cpnstrasset ,  ioima- 
nem  suam  crudelitatem  cura  infinita  cupiditafe  contra 
nos  inlenderet,  Italiam  non  carpere  paulatim  ,  ut  quon- 
dam oiajores  sui  tentavernnt,  sed  univ^n-sam  belli  flu* 
ctibns  obruere  coc^itasset  ;  ad  eamqne  oppugnandam  clas- 
sibus  prò  macbinis  ,  Graecia  atque  Illirico  prò  aggere  , 
se  usurum  arbitraretur.  Cui  instanti  et  jam  jamque  itn- 
mmenti  perioulo  ila  opportune  occursum  est  ,  ut  cure 
ìpsa  res    statam    atqne    iocolumitatem    to'ia?    cbristiaoae 


236 

reipublicae  contlneat ,  tum  vero  temporis  opportunità? 
divini  providentiam  consilii  cslfndat.  Sane  nullum  non 
beneficium  a  Dee  est;  Sed  quod  hoc  raajus  et  illnstrins 
sit ,  gravissimi  periculi  proximns  facit  raetus  ;  tanto  sci- 
licet ,  quanto  gratius  est  liberari  sumrao  malo,  quam 
secuadis  rebus  augeri  Quamobrem  ,  quae  paulo  antp 
vebementer  extimescebamus  ,  fugam  ,  exilium  ,  servitù - 
tera  ,  mortem  ,  quamquam  hanc  quidem  in  ilio  abomi- 
nabili, quem  Deus  a^erlat,  casu  ,  caeterorum  malorum 
remedium  arbitrabamur  ,  ab.eo  praesertim  hoste  ,  a  quo 
victore  ,  si  crucialus  et  lacerationes  absint  ,  mors  in  be- 
neficii  loco  tiumeretur,  haec  jam  timere  omnia  desina- 
mus.  Quae  vero  nobis  jucunda  atquc  exoptata  sunt  ,  ga- 
lus  ,  liberta»,  religio,  spes  et  oonservandae  et  amplian- 
dae  dignilatis  ,  ea  sunt  cunota  hodierno  hoc  facto  atquc 
Consilio  hujtismodi  Liduciarum  consentione  omnibus  cou- 
stituta  Pro  quo  immortali  et  vere  divino  beneficio,  Pa- 
tres  ,  ingentes  primum  gratias  Deo  nostro  agerc  ,  deiode 
chrislianis  principibus  liabere  maximas  deberaus,  quod  snas 
Toluntates  et  studia  in  comunem  salntem  polliciti  sunt, 
quod  fidem  ac  virtutem  praestare  sunt  parali  Ac  bujus 
rtuidera  sancii  salutarisque  consilii  actio  oraniis  et  traclatio 
ab  hoc  optimo  clementissimoqne  Pontifico,  et  ab  inilio 
profecta  est ,  et  ad  hunc  exitum  pervenit.  Cuju'?  officii 
tanto  illius  honori  debiti ,  earumque  quas  cum  eo  jua- 
ctas  esse  necesse  est  ,  virtutem  ,  aliorum  sit  praedicalio  ; 
ineum  erit  testimonium  ;  interfui  enini  et  cognovi  ,  et 
prò  ea  fide  qua  illi  mea  servitus  ac  vita  devota  est  . 
©pera  ,  studio  ,  diligentia  quoad  potui  illius  mandati  excepi. 
Ouas  ille  curas,  quos  animi  labores,  qnantas  et  quam  varia? 
suscepit  soUicitudines ,  ut  suuni  dileclun»  gregera,  bonus. 


287 
paslor  incolamen  conservarci;  omnis  ejus  voluntaSj  omuis 
»:ogitalioj  tota  mens  pacem,  amicitiam  ,  coiicordiamque 
spectavit  ;  haec  habuil  propesila;  ia  bis  semper  perslitit^ 
itaque  affuil  recte  cogitanti  Deus,  Sacer  iste  Seiialus 
Priocipis  sui  sanclissimi  consiliis  nec  cura  nec  studio 
nec  aucioritate  defuit.  Res  bona  ex  parte  confecta  est. 
Priijcipes  oblemperaruut.  Quorum  primus  diguitate,  vir- 
tute  nulli  inferioPj  Lnperator  Caesar  Maximilianus  Au- 
gusius  et  sua  sponte  ,  et  ejusdem  Poatificis  hortatibus 
incitatus  ,  uoii  modo  in  optimam  senlenliatn  discessit 
ipse  et  sua  annpHtudinc  dignara  ,  sed  ultro  etiara  ratio- 
ues  totius  belli  gerendi  et  sibi  et  omnibus  couscribcudas 
curavit;  tanta  prudentià  ,  tautoque  studio,  ut  facile  ap- 
pareat  in  summo  Imperatore  summi  quoqne  Dncis  et 
animum  et  consilium  inesse.  Pacem  ait  se  velie  ,  sin  id 
sit  spissius  ,  inrlucias  sex  annorum  omoino  constilui  o- 
portere.  Quid  ita  tara  multi  lemporis?  quia  inquit  trien- 
nium  bello  dandum  e-it.  Reliqui  tres  anni  ad  quietena 
domi  neoessariam  victori  exercitui  sunt  tribuendi  ,  ne 
exiernos  labores  slatim  domestica  mala  exMpiant  ;  majo- 
rem  hione  pietatem  prae  se  fert ,  an  sapicntiam?  Idem 
semet  iturum  in  expeditionera  pollicetur.  Quis  dubitare 
vel  minimum  de  Victoria  qneat  ,  tanto  Imperatore  rei 
militaris  scientissimo  belli  Duce?  Exiat  certe  et  eminet  , 
quod  mandatum  monumentis  est,  nulli  raagis  convenire 
reipublicae  curara  qnam  Caesari.  Ea<lem  et  animi  virlute 
et  consilii  scntentia  Ghristiaoissimus  Galliae  rex  Franci- 
scus  pacem  se  desiderare  generalera  ait.  Et  tamen  quae- 
«unque  erit  propesila  ratio  coocordiae  si  ve  per  foedus 
sive  per  Induoias  in  eam  sese  summo  studio  iturnra. 
Idque  sine    fraude,    iaquit ,    sine  dolo  malo,    ut  videa- 


a38 

mur  oculis  ceraere  auimuoa  iHnnti  excelsum  ac  naagaana, 
si  quid  privatim  mordeat,  condonautem  hoc  Deo  et  Rei- 
publìoae  chiUtiaiiae  ;  quac  tanto  major  virliìs  est ,  quanto 
is,    qui  ea    moderalione    utitur ,    opibns    et  potentia  est 
instractior.  Idem  de  hoc  bello  ita  sentii  se  nihil  uaquam 
ardeDtius  coocupivisse,   nec  vero  nunc  cupcie  ,  quam  ut 
in  saeTÌs«imos  fulei    hostes  exercituni  ducere  et  cum  «is 
decerlare    prò     impeti»    et  dignilate    reouperanda    liceat. 
Idque  ipsa  re  affuoiat  aliquando  se  probaturutu.    0  exi- 
miam    animi     magnitodinem  !    et  jure  quidem  hoc    cupis 
Francisce.  Tu  euim  ad  imperandum  nalus  es.    Illa  Bar- 
baries  ad  servieudum.  Tua  est  nobilitatispropagatio,  quaoi 
illi   tRtis  radicibus  exiirpant.  Tua  fidei  propugnatio  ,  quaiu 
ilii    oppuguaut.    Cajus    eliam   tuleUm    ac  defensionem  et 
isto    tuo    cognomine   praeclarissirao    susnipere  teneris ,  et 
divino  recente  beneficio  admonens  :   Quid  enim  filio  nunc 
libi  a  Deo  dato  qnod  inultis    anlea  Regibus   Galliae  noa 
contigit  tibi  praescriptum  pulas  esse  ?  nisi  iccirco    fuisse 
ab  eo  tuis  privatis  ratiouibxis  consultuin  ,    ut  tu  publicis 
nunc  consulere  liberi us  possis.  Eiil  ergo  in  hoc  maxinio 
et  praestantiòsimo    Rcge    summa  spes   rei    bene  gerendae 
fìonstituta.  Quid  Carolo  Hispaniaruni  Regi  caiholico ,  quae 
par  laus  iavenietar  ?  qui  su  ea  quam   sciinus  adolescea- 
tia  j    et    aetatis    etiam    uunc  viridibus  annis    constitutus, 
maturos   tainen  jaru  fructus  acliuir»bilis  cujufdam  virlulis 
fert  :    Pacem  aut    Inducias  probat  coramunes:  adii  Con- 
silia de  bello ,  de  iiiihtum  {genere ,  de   iliucribus.  Quod- 
quae  illa  aetate  nec  pestulandum    fuerat ,  uec  expectan- 
dum  ,  semet  offerì  ip$u:n  ,  opesque  onineis  snas  se  Duce 
in  sanctani  expeditiotiora  poUicetur.  Quoque  n^ra  agi  ia- 
««ìligas ,  classeir  jam  nuac  parare  se  se  alqae   adornate 


afiìrmat  bene  niagnaa»  ,  qaae  populatis  prius  Africae  lii- 
toribus  confestim  ad  primum  signum  Italiae  acourrat  sub- 
siclio.    In    hoc    Rege  clarissimo    eodemque    potentissimo , 
cura    tantum    virtus    jam    antegressa  sit  aetalern  ,    nonne 
spcrandum  est  ipsius  majorum  praeslantissimas   virtutes  , 
velut    translatae    plantae  solenl ,    ad  majorem  in  eo   ain- 
plitadinem    celerins    proventuras  ?    Nam    Henricnna   invi- 
clissimum  Angliae    Regem  licei  regionibus  extremnm   re- 
rum natura  fecerit ,    in    crani   tamea    regia  excellentique 
virlute    iuter    Principes    conuumeranduni    ducimus.    Qui 
cuna  ad  omnem  rationein  et  conveolionein  generalis  con- 
cordiae    paratura    se  dicat,    tura   adjungit  se  se  quaravis 
ab  omnibus    bis    periculis    sit  ipse  reraolior ,    tamen  de- 
trimento reipublicae  chrislianae    magis    comraoveri  quaoi 
suo.  Jtaque  se  se  offert  et  omopis  opes  suas  j  quae  quam* 
quam  sinl  n^aximae ,  effecit  tauien  ipse   pietate  et  magni- 
tudine animi  ,  ut  non  copiis  esset  ,  quara  virtulibus   laude 
praestantior.  Igitur  hoc  quoqne    firniissirao    fortissiraoque 
praesidio  cbristieua  respublica  munita   est.   Quid  Emanue- 
lem  Regem  IlUistrissiraum   Lnsitanorum  ?   Qui  hujus  belli 
non  novara  ncque  uuoc  primum  susceptam  affert  volun- 
(atem  ;  eed  ante?  si'cpe    omni  sua  auctoriiate  couteudit  , 
ut  ad  hnuc    finem    ooinmunis  pax  conslitueretur.    Cujus 
de  virtulo    ac   in  Deum    pietate  quod  majus  testiraonium 
quaerimuj  ,    quam    quod  rerum    gerendarnm  studio  cum 
llagraret ,  aliimi  orbem  teri-arum  investigare  maluit ,  ubi 
Buae  viitnlis    adipisccrentur    gloriam  ,    quam  eam  ex  so- 
cialibus  conlroversiis  comparare.    Transfer  nunc  aniraum 
in  diversam  parlem  ,    et    Ludovicum    Pannoniae ,   Sigis- 
mundum    Poloniae    Reges  clarissimos  contemplare ,    quo- 
rum io  aUrro  lucet  indolcs  quidem  virtutis  egregia,  ecd 


•2^0 

aetas  nondurn  apta  rebus  gereudis.  Siglsmuadi  autem 
tantac  res  bello  alque  arniis  gestae  exlilerunt ,  ut  cam 
ex  illis  regiotiibus  Ducera  expeditioni  quaeramus ,  ne« 
aairni  magailudine  praestautiorem  ,  nec  Consilio  prudea- 
tiorem  queniquaoi  ,  nec  eventis  felici orem  desiderare 
possimus.  Est  et  Dauiae  Rex  Christsernus  3  cujus  pie- 
tas erga  Deum  et  ia  haac  sanctaru  expeditionem  vo- 
luDtas  pluribijs  saepe  rebus  est  testala  et  cognita.  Et 
Jacobus  Scotiae  ,  qui  quamquam  puer  est,  tamen  ma- 
jorum  suorum  in  hoc  sauctissiraum  bellurn  studia  cre- 
dilur  imilaturus.  Atque  hi  Reges  omnes  tales  atqa» 
tanti  ,  in  hao  conseusione  Liduciarura  ,  desiderio  pa- 
cis  j  susceptione  hujus  belli,  et  animo  et  cupiditate 
suot  loti  ,  quorum  animi  ac  volutatum  tum  ex  eorum 
litleris  clara  testimonia  tum  vivi  testes  legati  gravissimi 
et  prudentissimi  viri  ,  quorum  ora  praesentium  assen- 
tientiumque  cernimus ,  fidem  certam  omnibus  faciunt. 
Adde  huc  Helvetiorum  fortissimam  manum  ,  invictum  ro» 
bur ,  mirabilem  constantiam.  Quae  gens  tanto  flagrai  hu- 
jus belli  ardore  ,  ut  jam  nunc  paratos  teneat  ad  huao 
usum  milites  alque  desoriptos.  /\.djuuge  ceteros  et  in  erbe 
terrarum  et  in  Italia  Duces  ,  Priacipes,  Populos  ,  et  eos 
praeserlim,  qui  mari  et  terra  bollare  cum  Turcis  eoa* 
sueveruDt ,  qui  nullo  paolo  suut  communi  studio  et  sa- 
luti defuturi.  Quorum  nunc  quidem  omnium  ad  hujus 
maximi  et  puloherrimi  facinoris  laudera  conspirantem 
concordiam ,  ubi  ille  audiet  omni  scelere  et  immanitate 
praedilus  Tyranuus ,  quonam  modo  conlurbabilur  ?  Ga- 
det  animo,  laugueseet  studiis ,  et  totis  artubus  conlre- 
miscet ,  et  ut  pudeat  eum  referre  pedem  ac  regredi  ;  ia^ 
sislet  certe.  At  nos  progrediemur.  In  quo  conflicta  quid 


2 'il 
ianclem  tibì  ad  spem    erit    proposìtum  o  Tarca?  quibus 
ratioaibus  confides  ?  lanamerabiline  muhitudini  tnilitum? 
At  nostri  parva  saepe  maaii  ingeales  copias    fundere  di- 
dicerunt.    Ati   tuoruni    viriuti  ?    quasi    vero   non  jain  bis 
aut  etiam  tertio  periculuni  factum  sit.  Quo  quideni   tem- 
pore si  majorcs    nostri    non    lam  semitam  sihi  faccre  ad 
Hierusalem  quam  Asiani  apprehendere  voluissent ,   pedem 
iiunc  de  tuo  ,  ubi  insisleres  non  haberes.   A.u    vero  divi- 
aum  libi  auxiliuni  speras  affuturum  ?  0  scelerale  et  per- 
dite :   Tu  Deum   verum  oppugnas ,   Deum  insequeris  ^   et 
ab  eo  libi  opem  potius  quam  supplicium    debitum  expe- 
ctas?  Quin  tute    rem,  ut  est  fatere  et  concede.    Nostrae 
intra  nos    dissensione^ ,    quas  semper  es  specuiatus ,  Io- 
cuna  libi  praedae  et  direptioni  patefecerunt.  (]aeci ,  oaeci 
inquana    antehao  fuimus,    nec  satis  inspeximus  quid  age- 
retur:   nunc  disjecta  est  caligo,   tencbrae  depulsae  sun.t; 
diluxit,  palei   veri  honoris  splendor,  vera  spocies  objecla 
est  oculis?  Quapropter  tu  Deus  optime  maxime,  qui  ex 
illis    altissimis    templis  omnia  contemplaris  et  gubernas , 
Da  tu  3  supplices  quaesumus ,  populo    tuo,    quem    con- 
didisti ,    quem    a  nominis  tui    cognitione  quondam  aver- 
sura  ,  per  filii  tui  raortem  et  sanguinem    in  vitara  revo- 
casti j  cui  nunc  tantis  periculis  exposito    non    solum  sa- 
lutis    viam ,    sed  etiam    spem  laudis  ostendis ,  ut  horunx 
ìpsorura  Regum    Principumque  virtute  ,  quorum  fidei   et 
Tigilantiae    per  te    commendatus    et  concrcditus  fuit  ;    ia 
pristinam    possessionem    veteris    dignitatis  et  impcrii   re- 
stitatus  te  colere  unum,    te    venerari ,    in  omni  regione 
oraque  terrarum    libere    possit.    Quorum    autcm    duclu , 
imperio  ,  auspiciis  ,  hoc  tantum  in   cbrisliano  genere  be- 
neficium   collocabitur,  ut  ti  post  beatam  demnm,  ac  tace. 
Leone  X.  Tom,  FUI.  i6 


dia  inlcr  nos  actam  vitam ,  partamque  celebritatem  ai 
posteros  meraoriae  et  laudls  suae  sempiteraam  ,  aurato 
et  quadrijugis  albis ,  cuocio  cadesti  comitanle  exercitu  , 
ia  caelum  deportentur. 


N.°  CLXXVII. 

(  Voi  Vili.  p.  i3.  ) 

Dai  MSS.   Cottonianì  nel  Museo  Britannico. 

Cuna  nuper  SaDctissÌBQUs  Donalnus  nester  Leo  Papa 
decimus ,  Gregis  Donainici  sibi  a  Deo  commissi  j  tam- 
quam  bonus  pastor  paternatn  solicitudinem  gereos,  et 
Tranquillitalem  ac  pacem  ompium  christianoruno  pria- 
cipum  mira  cordis  affectione  desiderans ,  vjdcns  iasuper 
ìmmaDissimos  Turchas  velut  Lupos  rapaces  ad  disper- 
geudas  Oves  et  ad  Gregis  Dominici  internecionem  para» 
tos  imiuinere  ,  nisi  pasloris  Vigilanlia  et  Diligentia  a  Chri- 
stianorum  invasione  ab  oculo  Domiuico  arceaotur  et  re» 
pellantur  ,  praesertim  cura  nuper  eorundem  Turcharum 
Tjranni  viies  et  potentia  eousque  creverint  ut  deleto 
Sultano  cuna  toto  Marnai uchoruna  exercitu,  tota  Syria 
et  ^g^'plo  cum  omnibus  provinciis  diclo  Sultano  quon- 
dam subjectis  sit  potiluSj^et  nunc  omni  alia  cura  probe 
solutus  et  liber ,  uil  aliud  moliri  quam  Chrisiianorum 
caedibus  et  Sanguini  inhiare  videtur.  Gousiderans  prae« 
terea  quae  culpa  Christianorum  princìpum  qui  inter  se 
miserabilitcr  polìus  pugnare  quam    dictorura  Turcharum 


243 

feritati  resistere  eosque  adoriri  relroaclis  temporibus  vo- 
lueruat ,  tot  Regna  a  Turchis  et  Saracenis  ante  baec 
tempora  occupata ,  ooinquiaata  ^  et  foedata  fueruut ,  pa- 
storali officio  suo  convenire  putavit  ut  Ghristiauos  prm- 
cipes  omnes  contra  Turchas  pugnare  et  susceplas  inju- 
rias  ulcisci  horlaretur.  Et  cuna  hoc  commo.le  fieri  iioa 
posse  idem  Sanctissimus  Domious  noster  prospiceiet  , 
nisi  prius  ipsi  principes  Ghristiani  inter  se  pacem  ha- 
bentes,  de  communi  hoste  propellendo  cogitareut,  ac 
unitis  animis  et  viribus  gladium  quem  eis  divina  Maje- 
8tas  ad  vindictam  malorum  tribuit,  in  Turchas,  qui  gaU 
vatorem  Ghristum  verum  Deum  esse  abneganles  ,  Legem 
Evangelicam  evertere  atque  extirpare  conantur  ,  eripere 
vellent.  Ac  proplerea  idem  Sanctissimus  Dominus  uosier, 
tabita  super  hoc  cura  Sanctae  Romanae  Ecclesiae  Gar- 
dinalibus  matura  Deliberatiooe ,  Reges  ,  principes  et  po- 
tentatus  Christianos  ,  necnon  Respublicas  ,  communitales, 
caelerosque  Ghristi  fideles,  quinquennales  treguas  et  iu- 
ducias  (  ne  tara  necessaria  aut  salutifera  Expeditio  in 
Turchas  aliquo  impedimento  differatur ,  sed  potius  de* 
bitura  et  optalum  exitum  consequalur  )  suscipere  sit  hor- 
tatus  5  atque  easdem  anno  Incarnalionis  Dominicae  mil- 
lesimo quingenlesirao  decimo  septinio,  sexto  Idus  Martis 
publicavit  j  Christianos  et  caeteros  praedictus  hortans  per 
vim  Misericordiae  Domini  nostri  Jesu  Ghristi ,  et  per  pas- 
sionera  qua  nos  redemit ,  et  per  Judicium  extremum 
quod  unusquisque  secundum  opera  sua  est  aecepturus  , 
et  per  spem  Vitae  aeternae  quam  repromisit  Deus  dili- 
genlibus  se  ,  ut  hujusmodi  treguis  et  induciis  duranti- 
bus  ,  in  Garilate  mutua  et  amoris  et  benevclentiae  unio- 
ne persistentee ,  ab  omni  prorsus    abstineaut   ofiensioae  ^ 


a44 

•ut  lam  sanctae  centra  nefandìssimos  Tnrclias  Expedltloni, 
Omni  prorsus  metn  et  susoictione  ccssantibus  /intendere  pos- 
sìntj  ad  qiias  quideno  Inducias  sive  Treguas  acceplandas  et 
ratificandas  ,  dominus  Sanctissimus  Dominus  noster  nos 
non  solura  suis  litteris  verum  et'am  per  Reverendissimos 
in  Ghristo  patres  Thoniam  Sanctae  Geciliae  et  Lauren- 
tiuni  Sancii  Thomae  in  Parione  titulorutn  presbiteros 
Cardinales  et  ad  hoc  nostrum  Regnum  de  latere  domini 
Sanctissimi  Domini  nostri  legatos  requisiverit  et  hortatus 
fuerit.  Nos  igitnr,  tanquam  Sanctae  Romanae  Eoclesiae 
et  sedis  AposloHcae  Filius  ebsequentissimus  ,  nec  non 
bonorem  ejusdem  cordi  semper  habentes ,  eamqne  prò 
•viribus  et  opibus  nostris  defendere,  ac  sauctissimae  ejus- 
dem Apostolicae  sedis  monitis  et  Exhortationibns  acquie- 
scere  paratissimi ,  diclas  quinquennales  Treguas  seu  In- 
ducias  quantum  ad  nos  attinet  acceptandas  ralificandas 
et  approbandas  duximus,  ac  easdem  per  praesentes  ac- 
ceptamus  ,  ratificanius  et  approbamus  :  Protestanles  nibil» 
ominus  et  per  praesentes  declaraiites ,  quod  per  dieta- 
rum  qninquennalium  Treguarum  sea  Indaciarum  accep- 
tationem  ,  ratificationem  seu  approbationem  ,  ab  aliis  Li- 
gis ,  Amicitiis  ,  seu  confederationlbus  cum  quibuscunque 
Regibus,  Principibus  Christianis ,  Dominis  sive  Gomiti- 
bus  ante  haec  per  nos  ioiiis,  aut  ab  aliquo  seu  aliqui- 
bus  articolo  seu  aiticulis  in  aliqua  diclarum  Ligarum  ^ 
Aniicitiarum  seu  confederatìonum  comprehenso  seu  cora- 
preTieusis ,  recedere  vel  in  aliquo  derogare  nullo  modo 
intendimusj  sed  easdem  Amioitias ,  Ligas  et  Gonfedera- 
tiones  cum  Regibus  quibuscunque,  Principibus,  Domi- 
nis, Gomitibusque  ut  praefertur  faclas ,  ac  omnia  et  sia- 
gula  capitula  contenta  in  eisrlern  in  suo   pieno  robore  et 


2^S 

éffectu  permanere    volumus   et  declaramus.    Caetcra  de- 
sunt. 


N.^  CLXXVIII. 

(  Fot.   VII/,  p    16.  ) 

txHORTÀTio  Viri  Cuiusdam  doctissimi  ad  Principes  , 

KB    IN    DECIMAE    PRAESTATIONEM    CONSENTIANT. 

Si  unquam  Germaniae  prinoipibus  prudentia,  Consilio, 
concordiaque  prò  defendendo  honore ,  et  communi  uti- 
litatc  opus  fuit  5  Alemani  proceres  electissimi  ,  inprirais 
indigere  mihi  videntnr  hoc  tempore  ,  quo  in  praedam 
Romanae  avaritiae  depuiantur,  ao  dedecorosam  servitù- 
tem  ,  ita  blande  propositam  ,  ut  illa  hominea,  prius  quam 
intra  viscera  penetraverit  ,  sesé  captos  non  senliant.  Est 
enim  modus  fallendi  adeo  vafer ,  ilt  bis  sepfis  versutiis 
(quid  enim  non  excogitat  avaritia  )  exislimènt  acuti  ho- 
mines  fraudera  a  nemine  posse  deprehendi ,  praesertim  a 
vobis  Germaniae  ducibus ,  quos  cibo  semper  refcrtos,  et 
■vino  madidos  arbitrantur  ,  et  pnblice  declamant.  Et  ob 
id  ad  decipiendum  liberiuS  aggrediuntur.  Praebuerunt 
praelerita  tempora  failacibus  hominibus  constantiam  ia 
spe  praesenti.  Quando  enim  non  est  assensum  illornm 
malis  artibus  ;  cum  saltem  adfuerit,  qui  vel  mediocriter 
didicit  fraudi  focum  adpingere  ?  Conslat  profccto  nullam 
partem  Christiani  orbis  ab  hujusmodi  prodigiorum  ge- 
nere non  esse  callide  tenlataraj    multos   reges  et  princi- 


•.46 

pes  frandulenJer  decpplos.  Sed  singola  mecuin  repatantj 
occurrit ,  nullam  getilcra  saepius  illusam  ,  habitamqae 
ludibrio  ac  nostram.  Non  te  ,  inclyla  Gfirmania  ,  ad  11- 
hros  relego  ,  ut  gesta  hominum  cognoscas  legende.  Satis 
ampia  sunt ,  qnae  memoria  hujus  aetatis  tenel.  Quo 
roagis  vereor  ne  inscitia  tempori»  praeteiiti  successum 
praebeat  malo  incurabenti.  De  quo  brevem  tibi  Germania 
sermonem  subjiciaroj  quanqnam  nil  novi  a  me  audies , 
quod  per  inclytos  tuos  principes  Hon  melius  noris.  Qua» 
drienninm  habitum  Romae  concilium  patrum  de  rep. 
cbrisliaoa  (  quam  legitime  jurisperiti  et  theologi  dispu- 
«ant  ).  Nondum  erat  finis  tamen  cnm  de  colligendis  De- 
cimis  omnium  assensn  decretum  est ,  volutus  erat  lapis 
ad  lecum  suum.  Placuit  ergo,  rejeclo  reliquo  negotio, 
tauquam  parum  utili,  invocato  sancto  spiritu  ,  concilium 
dimittore ,  gratias  agendo  Deo ,  per  quem  operationes 
nostrae  incipiunt ,  et  coeptae  recle  finiuntur.  Porro  im- 
pinm  est  ,  quod  concilio  placuit  ,  id  putare  dispìicere 
Deo ,  quo  haen  agnotur  aulhcre.  De  pace  agitur  inter  re- 
ges  j  qpa  firmata,  viswm  omnium  siiffragiis  Asiatico  bosti 
conjunctis  viribus  bellum  inferre.  Evomuutur  e  vestigio 
qualuor  legati  (  nisi  ob  quintnm  collegam  et  ob  compu- 
ium  erraverim  )  ad  nationes  Chrisliauas,  ut  reges  et  prin- 
cipes ad  exppditionem  insligent  ,  ipsi  vero  pecuniam 
Kiulgeant.  Quibus  forte  dicebalur ,  Ite  in  orbem  univer- 
sum ,  praedicate  dicentes.  Qui  cre<lidorit  .  et  Decimas 
polnerit  ,  salvns  erit.  Quorum  nuper  ,  cum  Bononiae  es- 
femuR  ,  tres  vidimus  ingredi ,  tanta  pompa  et  apparata  , 
tit  eapienles  ad  eorum  errorem  alìicerent.  Dilatate  inclyli 
Cermani  imperium  cbristianum.  Frangile  vireshostis  im- 
purissimi ;  ia  boc  omnibus    nervis   incumbite,    quo   n»- 


men  Christi  extendatiir.  Rcs  pia  et  sabota  esl ,  et  a  ue- 
inine  potest  reprehendi ,  oisi  qui  malil  Turcae  ,  quam 
Cbristo  servire.  Verum  sub  hoc  praelextu,  per  hanc 
fictam  pietatem  ,  sub  hoc  umbrato  nomine  ex^poliare  ira- 
peritiorem  populum  ,  sugere  lac  genlium  ,  inobriari  ma- 
luillas  regum,  dico  scelns  esse  multo  probabibus,  quam 
quae  a  Turca  iuferuntur  Non  qnod  tanti  faciam  pecunia 
privari  (quam  sceleratus  cilius  quani  probns  babere  polest) 
sed  quod  nullo  pacto  ferre  debenaas  (  quantum  in  nobis 
est)  ut  angelus  Satanae  transfiguret  se  iu  angelum  lucis, 
et  poculo  pietatis  ,  propinet  impietatis  venenum,  ui  po- 
pulns  3  cum  se  rem  sacram  faecre  Deo  exisiiniet  j  ava- 
riliae  sacrificet  ,  quae  roater  est  falsae  religionis.  Falli  , 
errare  ,  labi  ,  decipi ,  ubique  turpe  est ,  per  religionem 
vero  turpissimum  ;  quara  unam  nobis  contra  nojtios  mo- 
res  contulit  divina  bonitas.  Ilaec  absoluliorem  parleui 
pietatis  nobis  prcponit.  Primum  ,  Deum  amare  omnibus 
viribns  ,  proximura  deinde  ut  nosipsos.  At  quomodo  il- 
lum  amabimus  ,  cum  videmus  ejus  saorosancla  praecepta 
manifeste  pollai?  Nec  tamen  occurreudo ,  sed  potius  con- 
nivendo  ,  opem  ferinius  impietati.  Au  ille  proximum  sin- 
cere amat ,  qui  in  incomraodo  illius  removendo  nihii  est 
occupatus?  Nolo  amicum  nibil  solicilum  de  salute  mea. 
loimicus  mihi  habeatur ,  qui  a  me  noa  propulse!  inju- 
rlam  si  potest,  et  taoien  illa  non  legimus ,  nec  audi- 
mus  3  sed  quotidie  fieri  videmus  ,  nullo  boaiiuum  relu- 
claote  3  sed  patientes  ad  omuem  ignominiam  ;  quasi  non 
polius  contumelia  sit  Deo  quam  obsequium  ,  stulta  pa- 
tientia.  Utinam  tam  facile  possint  ista  emendari ,  quam 
reprehendi  ,  et  principes  nostri  uoUent  perpetuo  conni - 
vere,  sed  tandem  aliquam  parlerai,  si  non  totuin  ,    per- 


e/,8 

versae  consueluJinis  praecldeie.  Quanto  aequabiiius  te& 
tam  propbaiiae  quam  saerae  se  haberetit  ?  Ego  enim  sic 
existimo ,  imperia  his  arlibus  melius  relineri  ,  qnibus 
arquiruntur.  At  imperiuiu  Cbristianum  non  armis  non 
gladio  comparatnm  est,  sed  pielate  ^  et  optimis  exemplis 
vivendi.  Qiiae  posfquatn  pessum  abierunt,  omnia  bona 
retrolapsa  sunt.  Multa  imperia  perdidimus  j  quoniam  ar- 
tes ,  per  quas  parla  erant  ^  non  retinuimus.  Àmissa  est 
pietas  ,  retinuimus  nomeu.  Salulamur  in  vita  eanciissimi, 
et  post  morlern  nemo  nos  digoatur  nomine  saiaclitalis. 
Ab  hac  parte  paulalim  coepit  proserpere  virus  exitiale. 
Deinde  caeteri  proceres  secuti  sunt  non  segniter.  Ergo 
jiiirum  non  est  quod  a  nobis  alicnalur  coelestis  favor , 
et  nos  non  cognoscit  amplius,  alque  praedae  rebnquit 
improbo  bosii.  Pontifices  enim  Romani  ,  postquam  coe- 
peruul  prophana  cum  sacris  conjungere ,  immo  reliotis 
sacris  soUim  prophana  adrairari  ,  quam  bene  consulluni 
fuerit  reip.  chistiaoae  ,  quam  bene  placuerit  superis  ipso- 
jum  institutum,  eventus  comprobavit.  Amissis  exlernis , 
interna  infinitis  seditionibus  conturbaotur.  Divina  despi- 
ciuntur.  Venditur  Cfaristus,  lana  ovium  tondetnr,  de  cu- 
stodia studium  nullum.  Omilto  bic  Hispaniam  ,  Gallias  , 
orieutem  cum  occidente.  Quantum  prò  palliis  simibbus- 
que  figmentisj  aetate  duorum  prinoipum  Frederici  et 
Maximiiiani  j  una  effudit  Germania,  si  Roma,  ut  insti- 
tutum est  ,  in  fiscum  collegisset  ,  vel  Germania  (  veluti 
par  erat  )  in  unum  contulisset  ,  haberemus  jara  nervos 
reipublicae  abuude  sufficienles  bello  Asiatico.  Nec  opus 
foret  orbem  jam  latigare  Christianum  et  novis  onerare 
(ne  dioam  exenterare }  quotidie  tribuiis^  et  excoriare 
paupeies.  Provcnit  Poulirici  ex  sua  terra  vectigal ,  quan- 


2'rT 

tum  nulli  regum  CLristiaooruaa ,  et  tamen  pallia  euiiiuua^ 
et  tamen  asinos  auro  ouuslos  Komam  mittimus,  patibuU 
Chrisli  erigirans  ,  raunera  promitlimus  ,  aurura  prò  plum* 
bo  motamusj  negligeutias  ^heu  lapsus  sum  calaaio  )  in- 
dulgeatias  passim  admittimus.  0  avaritiam  immeusana  ca- 
rentem  fundo  ,  canum  impurissimorura  nefioientium  satu« 
ritatem  ,  ut  est  apud  prophetam  DaDÌelem!  Gerle  enieie 
pallia  saiiolunj  duco  ,  modo  id  prosit  aut  pietati  ,  aut 
vaJeat  ad  coaservaiidam  commiinera  ulilitatem.  Sed  cura 
TJtrnnque  hoi-um  tot  saeculorum  experienlia  refntet,  et 
pallia  tantum  extiteriot  simulata  iostrumenta  perditissimue 
avaritiae  ,  surgat  jam  aliquis ,  alque  justain  causam  dandi 
proferat  ia  medium.  Qui  timeat  PoiitiCic!»  fuhnen  ,  pro- 
bus  Episcopus  aliquis  ,  concordia  fratrum  ,  puraque  cou- 
Sffientia  elecius ,  sed  respueus ,  muUis  modi'?  aureorufn 
emere  Romanum  ootonem  ?  Non  fdciet  puto.  Noa  pro- 
bat  Paulus  Apostolus,  qui  uos  devorant  ,  qui  in  tacieia 
ca&duut,  qui  nos  in  servitulem  rediguat.  Qiiaudoquideni 
non  christianam  oharitatem,  sed  mcram  lyranaideui  iliì 
prae  se  feruut.  Foris  facto  ture,  in  pellibus  ovium  intu» 
lupos  rapaces  aguut.  Mihi  justus  dolor  est,  ob  uefariana 
avaritiam  totuni  niuodum  sub  umbra  religiouis  pollueatem. 
Quem  euim  locuni ,  quaijtunivis  obscururn  illa  coiitagione 
non  contamioatuQi  ostendas  ?  Quae  resp.  non  multa  a- 
raisit?  Quis  priiiceps  jus  avitum  servat  iutegrum  ?  Quae 
sacerdotuni  eollegia  non  suut  contaminala  :''  Quis  pessimos 
mores  (  quorumque  etiam  uomen  erat  apud  uostros  ma- 
jores  abborreudum)  induxit  in  Germaniam  ;  ec  quae  Lo- 
neste  uomiuari  non  possunt  docuit?  Qui  t'oedaruut  Lo» 
minum  societates  ?  Qui  noruut  egregie  fallere,  decipere , 
pejerarej  testaragata  supponere,    divina  et  bwaiaa»   prò* 

i6* 


3  J  O 

phanare  ,  miscele  lites  ,  quietos  perturbare  j  denique  c«e- 
Jum  cum  terra  confundere?  Noane  e  Romana  Italicaqae 
proluvie  isla  sentina  sese  in  orbem  terrarum  effudil?  Adeo 
ut  ne  saltus  et  sjlvae  (  ubi  lustra  ferarum  tantum  esse 
duxeris  )  hoc  malo  careant.  Epìscopos  merito  saorosanctos 
esse  dicimus;  sed  prodeant  3  quibus  est  illaesa  sua  auto- 
ritas,  et  hunc  veluti  bonuni  valde ,  et  rarum  merito  su- 
Bcipiemus.  IVon  sunt  longe  pelenda  exempla.  Sermoni  meo 
fidem  concilianl  res  vestrae.  Ante  omnes  proteclum  ess2 
oporiuit  Epiecopura  Bambergensem  ab  hac  peste,  ob  in. 
gentia  dona  in  Italia  Pontifiri  largita  ab  Enrico  imperatore^ 
quo  dcmum  suam  centra  Romanas  invasiones  obarmalam 
post  mortem  suam  relinqueret.  Verebatur  vir  providus 
id  quod  postea  accidit.  Latrooinari  coepit  superstitioj  sed 
Bondum  tanta  erat  in  saeculo.  Violatum  jus  est ,  ut  ser- 
vata Fides  saurto  seni.  Sed  quid  ego  ista  eommemoro, 
^uae  declamationis  exempla  superanl?  Ad  institutum  ser- 
monem  redeo  Tnrcam  proDigare  vultis.  Laudo  proposi- 
tum  ,  sed  vehementer  vereor  ne  erretis  in  nomine.  In 
Italia  quaerite,  non  in  Asia.  Contra  Asiaticura  quisque 
Tiostrorum  regem  prò  finibus  suis  defendendis  per  se  satis 
est  Ad  alterum  vero  domandura^  totus  orbis  Christianus 
tion  sufficit.  lUe  cum  finitirais  quoque  luraultuans,  nobis 
iiondum  noouit.  Hic  ubique  grassalur ,  et  sanguiuem  mi- 
serorum  siiit.  Hunc  Cerberum  nullo  modo  sedare  polestis^ 
nisi  aureo  fluvio.  Nihil  armis  ,  nihil  exjrcitu  opus  est. 
Plus  valebunt  Decimae  quam  equitum  turmae,  et  militnm 
copiae.  Duplex  mihi  videlur  via  proposila,  dum  rem  di - 
Jigentius  considero  ;  una  qnae  jubente  superstitione,  auruo) 
petit;  allora  quae  renner.libus  Pootifiois  fulmen  minatur, 
Uiram  vultis  iogredimini.  Sed  0  stuliam,  et  superstitiQ- 


sara  opiiiioiiein  credenlium  coe],este  numon  ,  omnia  aequis 
oculis  inluenSj  ad  nutum  Florenliuorum  Aceti  et  reflect!, 
irasci  non  danti,  et  rurgum  largienti  placari!  Non  est  Gbri- 
sti  vicarji  fulmen  conler-inendum ,  sed  non  senipor  ab 
illius  jactu  pertinaescendain  ,  praesertim  cuiu  res  aj^ilur 
prò  humanis  affectibus.  Christi  indigriaiionem  vereor  , 
FloreotiuorurKque  non  vereor.  Jara  vero  Florenlinorma 
negoliuai  agitnr,  non  Christi.  Superiori  aes'ate  sumptu 
incredibili  bellura  gestum  est  conlra  Franciscuoi  ducerti 
Urbinatena ,  quo  regno  ejecto,  sed  prius  placalo  au- 
rea gralia ,  Lanrentius  Medtces  ia  loc:'>ru  sncceòsit.  Ibi 
non  satis  providns  fuit  Julius,  II.  quod  non  plus  auri 
reliquit.  Ergo  ioveata  fuit  quaedam  fraus  nova.  Quicua- 
qae  plura  ds.-e  potueruot  Cardinaliuna  ,  hi  icvenli  fnat 
ccnspirasse  in  neoern  rontifiois.  ITorurii  bon.^  fisco  scri- 
bebantup.  Subsecula  est  discordia  fralrum  cordigero- 
rum,  qna3 ,  quantmn  lucri  alìflarit  raValis  FloreatitMS , 
rem  prò  voluntate  in  omnes  partes  flectealibus  .  rmà 
attinct  narrare  ?  cum  fir!em  sr.peret  largitio  mendicorum. 
Non  libet  narrare  erectas  cruces  Salvatoris  pei'  j-iucta 
rppida  j  ad  mcnòuram  dantis  propilias.  Praelereo  isconani 
de  aede  Petri  ,  fct  risus  et  indipoó-^ionis  pleaani.  Teni- 
plura  domini ,  teinphun  domini ,  templum  domini  olamat 
propheta  ,  sed  non  est  templum  domini.  Lanrent'us  £°di- 
fjcat,  noQ  Petrus.  Lapidea  noeta  rnigrant.  Nihil  tic  fin- 
go ,  prinoipes  Romani  imperii  ,  imnao  orbis  tolius  ,  cuncti 
soHicìlaiilur  prò  aede  Petri  in  qua  duo  iaotum  cpifice» 
operanlur ,  ::t  alter  clauJns,  quod  nuper  in  frequentia 
peregrinorum  coneitabatur  tumultus  artificum ,  curreba- 
tur  ,  clamabalur  ,  videbaKlur  .scnlpti  et.  picti  angeli  ex- 
cipientes  munera  largieytiuai  ,  fereat^squc  in  sublime.  Ri- 


à52 

derft  poteratis  oiecum  coramntì  ob  pràestigla  aucnpir , 
eicut  risii  olim  venerabilis  pater  Gyprianus  prae  iodi- 
gnatione,  tìso  Ghrislo  pedibus  et  auribus  asioinis  depi- 
cto.  DeQere  libet  fortunam  saeculi  corruptissimi  ,  ob  su- 
premam  negligentiam  cpiscoporura  ,  atqne  priocipura  , 
permittentinrn  populum  suum  ila  nequiter  dpnipt.  Omnes 
ìllas  artps  invenit  fiaus  Florentioa,  et  propediem  nefaa- 
diores  excogitabit.  Animadvertite  modo.  Quisque  modo 
dies  novam  pariet  curam.  Timetor  ne  corpus  potitificis 
crassDtn  immatura  morte  perturbet  Consilia.  Fugato  duce 
Urbinate,  similem  fortunam  minatur  principi  Ferrariensi. 
Qao  pariter  ejeclo ,  regnum  constituemus,  et  Regem  Tu- 
sciae  salutabimos  Laureutiwm  Medicera  civem  Floren- 
tiiium.  Sed  quia  fortuna  mutabilis  est ,  et  citius  polest 
mori  Leo  decimas ,  quam  ista  optatum  fìnem  consequan. 
tar  ,  et  fieri  potest ,  ut  Leonis  snccessor  discedere  cogat 
LauMntiam  ex  alienis  regnis ,  ideo  contra  adversum  even- 
tum  ducenda  est  uxor  Laureotio  in  Gallia  cujusdam  pò- 
tentis  ducis  fìlia  ,  emendusque  ibi  prin«ipatus  ;  paraaduai 
adversus  fortuitos  casus,  sicut  decet  sapientem  viruni 
duobus  regnis  profogiura.  Facta  est  emptio,  signatae  ta- 
balae ,  dati  fidejussores.  Satis  diu  Medici  fuimus  ,  Pria- 
eipam  Regumqne  fortuna  ambieoda  est.  Habetis  jam  bre> 
▼iter  caput  Decimarum ,  et  insidias  Turcae,  duce  super- 
etitione ,  in  viscera  veetra  latrocinantis  Quamobrem  re- 
eistite  nefando  conatui.  Nolite  assentiendo  contarainari 
ìmpietate.  Quod  rectum  est ,  quod  ratio  suadet  sequi- 
mini.  Signatum  est  lumen  vultus  tui  domine  super  nos. 
lUud  errare  nolentes  non  sirùt  Mementote  vos  esse  Cer- 
nia nos  ,  hoc  est,  populum  ante  alios  natura  lib'-riorera  ^ 
«icut  faostes  Teatri  de  vobis  ecripserunt.  Nolite  alicui  es^e 


ii53 
VeCtigaleSj  ante  omnes  vero  Florentinis.  Froferant  se  ia 
judicium  nostri  episcopi  ,  indiguum  scrvitutis  jugucn  a 
Cervicibus  suis  abjicientes.  Sed  verentur  omnes  ,  mussi- 
tant  quidem  ,  quod  dicere  non  didicerant,  alii  nietu  ful« 
minis ,  nonnulli  spe  novi  honoris.  Uaus  omnium  mihi 
Tenerabilis  Laurentius  sese  erigit ,  qui  saepenumero  gra- 
vem  imbrem  Consilio  ,  et  prudentia  sua  a  repub.  Fraa- 
conica  amovit.  Alque  ideo  corona  aurea  merito  laurean- 
dus  ,  Augustiore  vero,  si  hanc  quoque  tempestaiem  re- 
moverit.  Ad  quem  honorem  studium  omne  convertat  ala- 
criter  divino  raonitu.  Nos,  qui  ab  eo  sacerdotum  colle- 
gio decorati  samus ,  audentius  deprecari  volumns.  Ore- 
mus prò  Pontifice  nostro.  Dominus  conservet  eum ,  et 
■vivificet  eum ,  et  beatum  faciat  eum  in  terra ,  et  non 
tradat  eum  in  manus  inimicorum  eius.  In  manus  inimi- 
cornm  traditur  quando  audire  conlemuit  eum  qui  dicit , 
Ego  dominus  amans  judicium,  et  odio  tabens  rapinani 
qui  sit  in  saecula  saecuiorum  benediclus ,  Amen. 

In  coMiTiis  IMPERI I  RatisBonen  Francisco  Cardinali 
Senen.  legato,  et  Joanne  Campano  oratore,  decima  iti- 
dem  petita  fnit  centra  Turcas:  Tum  princeps  quidam 
èlector,  bellicae  rei  peritissimus ,  et  in  eadem  non  vul- 
gariter  forlunatus  ,  qui  paulo  ante  treis  principes  viros 
devicerat,  ait ,  se  sola  Vicesima ,  et  Turcas,  et  eos,  qui 
decimam  exigerent ,  ultra  Herculeum  fretum  facile  pro- 
fligaturum. 

Horum  tu  Carole  meminisse  memento. 

Emprime  en  che  paiis  neuu  trouve  nome  Utopia  lan 
mille  ccccc.  et  xix.  le  quiuzome  jour  Mars. 


SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE 

DEL  TOMO  Vlir. 


Tavola  I.  Effigie  genuina  di  Glovan  Giorgio  Tassino  , 
tratta  da  una  bella  incisione,  che  trorasi  in  fronte 
alla  vita  di  quell'  uomo  illustre  ,  stampata  senza 
data,  ma  probabilmente  nel   1762  in  4-° 

Quel  ritratto  è  stato  intagliato  in  rame  da  Francesco 
Ziicchi;  e  Pier  Filippo  Castelli  autore  della  vita; 
Ira  i  varj  fregi ,  ed  ornamenti  aggiunti  a  quella 
effigie  ,  ha  pure  collocato  negli  angoli  della  tavola 
tjuattro  corone  allusive  ai  quattro  generi  di  poesia, 
nei  quali  il  Trissino  si  esercitò  ,  cioè  V  epico  ,  il 
tragico  ,  il  comico  ,  il  lirico. 

Sotto  il  ritratto  nella  tavola  originale  si  trovano  i 
seguenti  versi  : 

Trissinws  hic  ille  cst^  docuit  quem  carmina  Phoehus  ^ 
Àulica  fura  Hermes ,  P alias  et  eloquium. 

Adria  quem  coluit ,  coluere  quoque  Arnus ,  et  Ister  , 
Ossa  tenet   Tjheris ,  noinen  at  orhis  hahet. 

Di  quest'  uomo  celebre  per  molli  titoli  si  è  parlato 
in  diversi  volumi  di  quest'  opera  ,  e  speciahnente 
nel  precedente  Volume  VII  ,  ma  siccome  non  ab- 
Liamp  potuto  dare  la  di  lui  effigie  in  quel  volume 


255 

tra  quelle  dei  più  grand'  uomini ,  che  illuslrarona 
il  secolo  di   Leone  X,  ci  arfretliamo  ora  a  supplir© 

a  questa  mancanza Pag.        x 

Tavola  II.  Effigie  di  Giovanni  Lascaris.  Questa  pure 
è  il  supplemento  ad  una  mancanza  de'  tomi  pre- 
cedenti ,  e  perciò  si  colloca  in  questo  al  principio 
delle  note  addizionali.  Di  quel  famoso  letterato 
Greco  ,  che  fu  sempre  nelle  relazioni  più  intime 
con  Leone  X,  che  fu  il  di  lui  precettore  ,  il  di 
lui  amico,  il  di  lui  consigliere  e  ministro  nelle 
cose  letterarie ,  si  parla  in  quasi  tutti  i  volumi  di 
questa  storia,  specialmente  nel  primo,  e  nel  quarto; 
ed  era  ben  giusto  di  esporne  il  ritratto.  Questo  è 
tolto  da  una  bella  dipintura  in  tavola  di  que'tempi 
medesimi ,  posseduta  del  traduttore  Italiano  di  que- 
st' opera.  Allato  a  questo  nobilissimo  ritratto  vedesi 
scritto  dal  pittore  medesimo  in  caratteri  di  quel 
tem|)o  di  color  giallo:  GIOVAI^  LASGARI.   „     4» 


.?7 


INDICE 

DEI    CAPITOLI 

CONTENUTI 

NEL  PRESENTE  VOLUME. 


,/lyviso  ai  Leggitori    .     , P^g*        ▼ 

(Sommano   Cronologico.  Anno   1 5 18  aZ   1 5 19.     „        i 

CAPITOLO   XIX. 

§  I.  Selim  usurpa  il  trono  Ottomano.  — 
Egli  sconfìgge  il  Soffi  di  Persia  ,  e  con- 
quista T  Egitto )>       «5 

II.  Timori  concepiti  per  la  salvezza  delV  Eu- 
ropa. —  Leon  X  intraprende  di  for- 
mare un  alleanza  delle  potenze  Cri- 
stiane. —  Egli  puhblica  una  tregua 
generale  per  cinque  anni.  .  .  .  ,,  «> 
III.  Disegno  generale  di  una  alleanza  offensiva 

cantra  i   Turchi j>      ''* 

IV.   /  Sovrani  della   Cristianità  si  impegnano 

solo  in  un  alleanza  difensiva.    .     .      „      I2 
V.  Matrimonio  di    Lorenzo  de"  Medici   con 


:258 

Maddalena  de  la  Tour.  —  Mìinificenza 
del  Papa  in  quella  occasione    .      pag.      1 5 
§        VI.    Carlo  d'  Austria  intraprende    d'  ottenere 
il  titolo  di  Re  de  Romani  ,  e  T  investitura 

di  Napoli ,,19 

VII.  Morte  deir  Imperadore  eletto  Massimi- 
liano. —  Carlo  fZ'  Austria  ,  e  Fran- 
cesco I.  vengono  a  contesa  per  la  co- 
rona  Imperiale ,,      2  5 

Vili.  Progetti    e    condotta    di   Leon    X.    ' — 

Elezione  delt  Imperatore   Carlo   V.     „     28 
IX.  Morte  di  Lorenzo   Duca  di    Urbino.    — 
Ippolito  de  Medici.  —  Alessandro  de' 

Medici 5?     33 

X.   Conseguenze  della  morte  di  Lorenzo.  ,,     36 
XI.   Stato  del  Governo  Fiorentino.  —    Sug- 
gerimenti di  Maccìiiavello.    .     ■      •      ,,      38 
XII.  Il  Cardinale  de  Medici  assuw^e  la  dire- 
zione degli  affari  della   Toscana.    .     ,,     44 
XIII.  1  dominj  di  Urbino  sono  riuniti  a  quelli 

della   Chiesa ,,48 

^ote  addizionali 

Nota    I.   Sopra   Selini  Imperadore  de'  Turchi. 

II.  Sullo  stato  della  politica  Europea  nel 
secolo    XVI  ,    relativamente   alla    corte 

di  Roma ,,     5o 

III.  Sui  fini  segreti^  che  si  ave  ano  forse  di 
promuovere  una  lega  contro  i  Tur- 
chi. j?     ^4 


48 


3^9 

Nota   IV.  Sul    sistema    cF  eqiiìììhìo    politico    in 

Europa )5      55 

V.  Sulle  viste  ,  e  sui  maneggi  politici 
de'  diversi  stati  ali  epoca  della  ele- 
zione di    Carlo    V ,,56 

VI.   Sulla  morte  di  Gio.  Giacopo  Trivulzio.  ,,      67 

VII.    Sid  problema  storico ,    .se    la    riforma 

di  Lutero   avrebbe  avuto  luogo  nel  caso 

che  invece  di  Carlo    F.  avesse  Federico 

Elettore  di  Sassonia  occupato  il  trono 

Imperiale? ,,62 

Vili.   Sopra  Ippolito   Cardinale  de  siedici.   ,,     71 
IX.   Sopra  Alessandro  de  Medici     .     .      ,,      73 
X.  Sul  Nipotismo  di  Leone  X  .     .  „     7  5 

XI.  Sul  discorso  di  Macchiavelli  del  rifor- 
mar lo  stato  di  Firenze  •     •     •     •     5,     77 
XII.   Sulla  amministrazione    del     Cardinale 

Giulio  de'  Medici  in  Firenze.     .      ,,      81 
XIII.  Sui  diritti    di   Cattarina   de'  Medici  al 
Ducato  d'  Urbino  ,  e   sulV  assegnamento 
di  cpiello  stato  alla   Chiesa  .      .      .      ,,     87 
Continuazione    de  documenti  ,    che    illustrano    il 

sesto  volume ,,      8.> 

Documenti  che  illustrano  il  settimo  volume  .  ,,  169 
Documenti  che  illustrano  il  volume  ottavo.  .  ,,  22a 
Spiegazione  delle  figure  del   Volume  ottavo  .     ,,   2  54 


aCo 


Errori 

Tag.  8  note  lin.  i  Morembasia 
33  !•  i3  Maddalena  di  Tour 
46  Un.  ult.  i  Duca 
54  lin.  37  il  loro  prelesto 
69  1    I   pensarono  di  fare  ecc. 
?iQ  nota  lin.  9  progetta 


CoRRESlOHJ 

Monembasia 

Maddalena  de    la  Tour 

il  Duca 

il  pretesto 

pensarono  che  di  fare  ecc. 

progettata 


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