Historic, Archive Document Do not assume content reflects current scientific knowledge, policies, or practices. l'XITED STATES DEI ‘ARTMENT OFAGRICUITURE LIBRARY BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI BOLLETTINO VOLUME XXXVIII (SERIE II., VOL. XVIII) ANNO XL N 1926 Con 6 tavole (Pubblicato il 30 gennaio 1927) NAPOLI OFFICINA CROMOTIPOGRAFICA * ALDINA Piazzetta Casanova a S. Sebastiano 2-4 V-' 1927 INDICE / ATTI (MEMORIE E NOTE) Pierantoni U. — I corpuscoli fotogeni di Heteroteuthis dispar. Marcucci E. — La rigenerazione degli arti nei Rettili. . . Augusti S. — La radioattività delle acque termominerali di Lacco Ameno (Isola d' Ischia) . . ... . . Jucci C. — Caratteri dell'uovo e caratteri del bozzolo nei due in¬ croci reciproci tra razze univoltina e bivoltina di bachi da seta . ... ■ . . Andreotti A. — Sulla temperatura delle lamiere isolate esposte al- l’aperto . . . ... . . . Wen D. — 1 fenomeni dello sviluppo partenogenetico nell'incrocio tra razze univoltine e bivoltine di bachi da seta . MAjo E. — La pioggia a Napoli e le sue variazioni nel periodo 1865-1924. . . . . . . . . Augusti S. — Studi e ricerche sperimentali sul Myrtus communis L. var. ital. . . . . . ; Ranzi S. — La circolazione del liquido perivitellino nell' uòvo dei Cèfalopodi durante lo sviluppo embrionale . Candura G. S. — La Solfara di Giambattista nel territorio di Bar¬ rafranca (Caltanisetta) . Adinolfi E. — L'effetto di Hall e l'azione dei raggi X sul tellurio. Majo E. — Contributo allo studio delle relazioni tra i microsismi e gli elementi meteorici . . . . — — Alcune misure di Radioattività dell'aria a Napoli] dintorni e nel Golfo . . . . . . ... . Police G. — Sulla struttura dell’articolo esterno dei bastoncelli della retina di Axolofl di Amblystonia mexicanus . V iqgiani G. — Il regime dei venti a Perugia. . Augusti S. — Studi e ricerche sperimentali sul Myrtus communis var. it . • . . . . Caroli E. — Sviluppo larvale della Gonoplax angulata (Pennant). Zirpolg G. — Gemmazioni, rigenerazioni ipertipiche ed ipotipie stu¬ rbate nt\\’ A stropecten aurantiacus L. . . — — Studi" sulla bioluminescenza batterica . . . - . Gargano C. — Di alcune alterazioni arteriali del cane ritenute di probabile genesi parassitarla . Pag. 3 8 20 36 46 58 65 84 99 108 114 120 128 136 139 148 161 167 225 233 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI VOLUME XXXVIII (SERIE II., VOL. XVIIl). ANNO X L 1926 Con 6 tavole (Pubblicato il 20 gennaio 1927) NAPOLI OFFICINA CROMOTIPOGRAFICA " ALDINA „ Piazzetta Casanova a S. Sebastiano 2-4 1926 21 1922 Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli ATTI (MEMORIE E NOTE) I corpuscoli fotogeni di Heteroteuthis dispar. del socio U. Pierantoni (Tornata del 30 dicembre 1925) Alcune nuove osservazioni, che mi è stato possibile recente¬ mente di compiere su questo interessante cefalopodo abissale, mi danno occasione di precisare alcuni punti riguardanti la sor¬ gente della luce e di aggiungere alcune considerazioni sulla lu¬ minescenza batterica dei cefalopodi e degli animali luminosi in generale. Diedi già in un precedente scritto T) la descrizione dell'or¬ gano luminoso di Heteroteuthis e dimostrai come esso nella sua struttura sia da ravvicinare grandemente a quello di Rondeletia e di Sepiola, nei quali generi è oramai noto che l'organo lumi¬ noso si presenta costantemente ripieno di batterii fotogeni, ai quali è dovuto il potere luminoso 1 2). I corpuscoli che riempiono i due sacchi che costituiscono la parte essenziale dell’ organo luminoso di Heteroteuthis sono relativamente assai piccoli: con esatte misure micrometriche com¬ piute sul vivo ho potuto rilevare che il loro maggior diametro 1) Rendic. Acc. Lincei, Voi. XXXIII (5) 2° Sem., pag. 61. 2) Recentemente lo Skovronn ha rinvenuto nel nostro golfo cinque esem¬ plari di Sepiola nei cui organi luminosi ha riscontrato solo pochi batterii. Questi esemplari non presentavano il fenomeno della luminosità, ciò che dimostra all' evidenza che in questi animali è ai batterii e non ad altro che è dovuto il fenomeno della luminescenza. Evidentemente quegli esemplari ave¬ vano compiuto di recente larghe emissioni di batterii fotogeni, forse in seguito a stimoli casuali, e non era trascorso ancora il tempo necessario perchè con la moltiplicazione dei batterii superstiti avessero potuto riempirsi nuovamente gli organi di materiale fotogeno batterico. — 4 — non supera i 6 o 7 [i ed a fresco si presentano di forma sferica, ovale, o lievemente allungata, con zona centrale più opaca, so¬ migliante ad un nucleo. Sono frequenti esemplari gemmanti. Nei preparati questi corpuscoli acquistano di solito un aspetto più allungato, ed una forma ovoide o, più raramente, raccor¬ ciata o sferica: si colorano abbastanza bene coi metodi batte¬ riologici; e non è difficile di mettere in evidenza la porzione più opaca centrale, la quale spesso nei preparati appare come un insieme di granuli colorabili assai più intensamente della rima¬ nente parte del corpuscolo. Non mancano poi individui la cui massa interna è tutta assai intensamente colorabile. Questi indi¬ vidui di solito non gemmanti hanno tutto l'aspetto di spore. In complesso non vi è tema di errare affermando che si tratta di esseri indubbiamente nucleati. E' interessante il modo come questi corpuscoli fuoriescono dalle due aperture dell'organo luminoso quando questo viene stimolato nell'animale vivente. Essi sono raccolti allora in masse di forma varia, ma quasi sempre a nastro (v. fig.) e sembrano esser tenuti insieme a formare tali masse da una sostanza ag¬ glutinante. Non vi è dubbio che il potere luminoso è insito nel cor¬ puscolo. Anche corpuscoli isolati emettono una intensa luce ver¬ dastra, che persiste per varie ore dopo che essi son venuti fuori dall'organo. Nel contenuto dell'organo, oltre ai corpuscoli, si rin¬ viene in scarsa quantità una sostanza raccolta in gocciole o talora diffusa, che io ritengo costituisca la sostanza che agglutina e nu¬ tre forse i corpuscoli, e che è probabile sia prodotta in parte dalle cellule della parete dei due sacchi, ma il cui materiale di formazione è certo fornito dalla ricca rete sanguigna che avvol¬ ge i sacchi medesimi, insinuandosi nel connettivo fra epitelio e muscoli. In un mio precedente scritto ho espresso delle vedute pre¬ liminari sulla natura dei corpuscoli, che non vi è dubbio che si debbano ritenere come microrganismi simbiotici, e sul fatto che essi, così tenui e di aspetto peculiare, possano non trovarsi nelle stesse condizioni dei batterii fotogeni di Sepiola e Rondeletia, cioè in istato di facile ed immediata coltivabilità. Ulteriori osservazioni da me compiute mi hanno dimostrato — 5 — che essi infatti non si coltivano nel consueto terreno usato da me, dallo Zirpolo e recentemente dalla Meissner e dal Harvey per la coltivazione dei batterii fotogeni degli altri cefalopodi luminosi. A, B, C, le masse di corpuscoli luminosi appena venute fuori dall’organo X 100 : D, corpuscoli isolati X 950: a, gemmanti; b, a riposo. Ma potrebbe tale risultato farci escludere l’idea che anche in questo caso debba trattarsi di microrganismi fotogeni? A me sembra di no. Nella interpretazione di fatti fisiolo¬ gici e morfologici le analogie debbono avere il loro valore: e se non fossero già sufficienti i dati morfologici e citologici, il fatto che in Rondeletia e Sepiola, in cui si trovano organi lu¬ minosi molto simili a quelli di heteroteuthis , si trovano corpu¬ scoli che sono i soli ed unici produttori della luce e sono mi¬ crorganismi fotogeni, deve farci ritenere per analogia che que¬ sti corpuscoli di heteroteuthis debbano essere interpretati come quelli degli altri due generi. Il non essere riusciti a coltivarli coi — 6 mezzi comuni nulla può dimostrare, #se non che qui i corpuscoli microrganici siano un po' trasformati, forse per un più antico adattamento all'ambiente peculiare, ed allargano che li contiene. Il materiale di Heteroteuthis è raro e non è dato di averne spesso di fresco a disposizione per reiterare i tentativi , ma ulteriori prove, in terreni più adatti, potranno dare in un non lontano avvenire i risultati positivi che si attendono. Del resto anche fra i microrganismi patogeni vi è oggi tutta una serie di forme che sono ugualmente ritenute microrganiche, anche se non si è ancora riusciti a coltivarle. Nei moderni studii il concetto della coltivabilità tende a perder terreno nella inter¬ pretazione di queste forme, specialmente quando vi sono altri validi argomenti per la loro interpretazione 4), e specialmente quando si tratta di forme che sono state lungamente adattate ad un ambiente speciale, come gli endocellulari, i fisiologici etc. Ma vi è un'altra serie di studii che sembrano attualmente guidarci nella interpretazione della natura della sorgente luminosa negli organi fotogeni degli animali. v L'eminente fisiologo americano E. Newton Harvey, il noto scopritore degli organi luminosi batterici dei pesci dei generi Anornalops e Photoblepharon , ha spinto innanzi i suoi studii chi¬ mico-fisici sulle sorgenti luminose ed ha assodato, confermando tale veduta anche con gli studii fatti durante una sua recente permanenza a Napoli, che quando la sorgente luminosa degli organi fotogeni è batterica, la nota reazione luminosa in vitro della luciferina- luciferasi risulta negativa. Ciò fa ritenere che in tal caso i batterii rilucano per sè stessi e non diano luogo alla produzione di una sostanza luminescente. Ora nei cefalopodi da me studiati, secondo i recentissimi studii del Harvey, tale rea¬ zione è appunto negativa: ciò che induce a ritenere su di una nuova base di fatti che la origine della luce debba essere attri— 4) V. a tal proposito il mio scritto : Parassitismo, simbiosi e coltivabilità in: Natura, Voi. 16, pag. 76-80, Milano 1924. Credo opportuno a tal proposito anche rilevare che mi ha sorpreso che il mio amico Paul Buchner, il noto continuatore dei miei studii sulla simbiosi ere¬ ditaria e sulla luminescenza batterica degli animali, si dichiari contrario alla in¬ terpretazione microrganica dei corpuscoli di Microscolex (v. Zool. Bericht Band 7, 1925, pag. 307) pur dichiarando che essi si colorano come i batterii. — 7 — buita in questi animali unicamente ai batterii simbiotici Certo sarà molto interessante di seguire lo sviluppo di questi studii chimici per avere una traccia lungo la quale far progredire gli studii morfologici, dal momento che è assai più facile la prova chimica, che non sia quella delle colture, e dato che, come si è visto, in molti casi noi ci troviamo di fronte a forme che non sono o sono assai difficilmente coltivabili. Sono certo studii difficili, ma i cui risultati positivi trovano ogni giorno nuovi elementi di conferma, e ciò malgrado qualche rara voce discorde proveniente per solito da chi crede di poter affermare o negare senza aver previamente e seriamente speri¬ mentato. Solo i fatti concreti possono in questi studii autorizzare le opinioni e questi per fortuna non mancano di essere di con¬ tinuo registrati nella letteratura mondiale. Concludendo e riepilogando io ritengo, dopo le mie nuove osservazioni, e fondandomi specialmente sui dati di struttura e di colorazione, che i corpuscoli degli organi luminosi di Hetero- teuthis siano, senza alcun dubbio, come quelli di Sepiola e Ron- deletia , dei microrganismi simbiotici, e credo fermamente che la presenza di qualche individuo non luminoso di Sepiola avente organi luminosi vuoti, nonché la prova negativa della reazione della luciferina-luciferasi siano nuovi e validissimi argomenti per affermare la natura simbiotica dei corpuscoli luminosi dei sud¬ detti generi. Napoli, dall’Istituto di Anatomia e Fisiologia Comparate della R. Uni¬ versità. Dicembre 1925. Finito di stampare il 24 febbraio 1926. La rigenerazione degli arti nei Rettili. Un caso di rigenerazione in Lacerta muralis . Nota del socio Ermete Marcucci (con 4 figure nel testo e 1 tavola) Tornata del 25 luglio 1925. Nelle Lucertole e negli Ascalaboti, come è noto, la coda mutilata si rigenera facilmente. La rigenerazione non è completa, ma essa avviene sempre, sia che t'animale si trovi allo stato li¬ bero che in cattività. Gli arti invece, secondo Fraisse (1885), non sono capaci di rigenerarsi *). Questa opinione però, quantunque fondata sopra dati sperimentali, non può essere interamente ac¬ cettata; poiché se negli individui tenuti in prigionia gli arti non si rigenerano, sembra invece che in quelli viventi in completa libertà, la casuale mutilazione di un arto possa, in alcune favo¬ revoli circostanze, dar luogo ad una molto incompleta neofor¬ mazione delle parti asportate. Fin dal 1859 il Calori, nel suo importante lavoro sullo sche¬ letro dei Saurii, aveva descritto e figurato lo scheletro di una Lacerta ocellata con coda rinata ed arto posteriore destro tron¬ cato all'altezza della gamba, in cui il moncherino della tibia si l) Negli embrioni molto giovani di Lacerta muralis (Marcucci 19I4l 2) non ho mai potuto ottenere nè la rigenerazione degli abbozzi degli arti, nè quella della coda. Probabilmente però la mancata rigenerazione dipende da cause meccaniche, che, agendo sopra i tessuti ancora molli, determinano la cicatriz¬ zazione della ferita. Infatti, come in seguito ho potuto constatare, quando la coda ha raggiunto un certo grado di sviluppo, se viene mutilata, si rigenera. — 9 — presentava sotto forma di una breve appendice conica, alquanto contorta. Guardando la figura (tav. 3, fig. 4), si ha l' impres¬ sione che questo deforme moncherino fosse non il prodotto di un semplice callo osseo, ma una vera e propria neoformazione dello scheletro. L'autore però non è di questo parere; egli esclu¬ de recisamente che possa trattarsi di rigenerazione. Nel 1888 Egger venne incaricato dal Prof. Semper di esa¬ minare un esemplare maschio di Lacerta vivipara , conservato in alcool, con arto posteriore sinistro mostruoso. La mostruosità dell'arto consisteva in questo, che mentre la coscia e gran parte della gamba apparivano normali, la porzione distale era costi¬ tuita da un prolungamento cilindro-conico, che per la forma e disposizione delle scaglie rassomigliava ad un breve moncone di coda. Dall'esame microscopico risultò che neH'interno della por¬ zione codiforme gli estremi distali della tibia e della fibula erano fusi tra loro e si continuavano direttamente con una specie di bacchetta scheletrica, prossimalmente ossea e distalmente carti¬ laginea. A questa facevano seguito due pezzi cartilaginei, l'ulti¬ mo dei quali si prolungava in un breve cordone connettivale. Egger, basandosi sulla forma e grandezza delle scaglie e sulla natura cartilaginea della porzione distale dello scheletro, venne alla conclusione che il prolungamento codiforme dell'arto mostruoso fosse un prodotto di avvenuta rigenerazione. Tuttavia l'assenza sulla superficie dell'arto di ogni traccia di lesione su¬ bita, il completo rivestimento di scaglie ben sviluppate sino al¬ l'apice del moncone, la mancanza di un limite netto (come no¬ tasi nelle code rigenerate) tra la porzione già esistente dello sche¬ letro e quella che si sarebbe neoformata, la forma e disposizione delle parti scheletriche, la mancanza nella porzione codiforme di una vera e propria muscolatura, potrebbe far sorgere il sospetto che la mostruosità dell'arto fosse congenita, oppure dovuta a le¬ sioni traumatiche subite dall'abbozzo del piede durante lo stato embrionale, come io avevo supposto (19142). Ora io ho avuta la fortuna di potere esaminare una Lucer¬ tola, in cui la parziale rigenerazione di un arto appare così evi¬ dente, che non può essere messa in dubbio. Si tratta di un individuo adulto femmina di Lacerta mnralis con arto posteriore destro mutilato all' altezza del terzo prossi- — 10 — male della coscia e con coda rigenerata (tav. 1, fig. 1, 2), il quale venne catturato alcuni anni fa nei dintorni di Napoli e conser¬ vato in alcool. Fig. 1-2. — Arto posteriore destro rigenerato di Lacerta muralis. Fig. 1 visto dal dorso, Fig. 2 visto dal ventre. Dal moncone di coscia (porzione superiore della fi¬ gura) parte l’appendice codiforme neoformata. Nella Fig. 1 il moncone di coscia è attraversato da una lunga cicatrice (porzione punteggiata). Una larga cicatrice, ancora priva di scaglie, si estendeva dorsalmente dall* estremità del moncone di coscia sino alla re¬ gione iliaca (fig. 1). Dal centro della evidente superficie di am¬ putazione partiva un’appendice (fig. 1, 2) cilindro-conica lunga circa 20 mm, che andava gradatamente assottigliandosi verso la 11 — punta, a guisa di una piccola coda e terminava con un lieve ri- gonfiamento, che aveva tutto l'aspetto caratteristico di un apice di accrescimento rigenerativo. Essa appariva di colore oscuro nella parte dorsale, chiaro ventralmente, ed era tutta ricoperta da grosse scaglie, meno nella sua porzione distale. Le scaglie, co¬ me in una coda, erano distribuite in 22 serie trasversali anulari e disposte ad embrice. Anche per la forma esse differivano mol¬ tissimo da quelle dell'arto normale, mentre avevano una grande rassomiglianza con quelle della coda. Infatti erano molto allun¬ gate, pentagonali col lato basale alquanto ricurvo, e fortemente carenate, ad eccezione di quelle situate nella regione prossimale ventrale , le quali erano relativamente più grandi , tetragonali con margine libero arrotondato e prive affatto di carena, proprio come le scaglie di una coda. L'intero moncone di coscia insieme all'appendice ed a una porzione di bacino, dopo completa decalcificazione ed inclusione in paraffina, sono stati da me sezionati. Ho ottenuto così una serie completa di sezioni trasversali , ciascuna dello spessore di 40 mi., che ho poi colorate con eosina ed emallume, tranne un certo numero di esse, che sono state invece colorate col metodo del Madori, per mettere in evidenza i fasci nervosi. Quantunque i preparati istologici lasciassero alquanto a desiderare a causa della cattiva fissazione e troppo lunga permanenza in alcool del¬ l'animale, tuttavia l'accurato esame delle sezioni è stato sufficiente per potere formarmi un concetto esatto non solo della natura, forma e posizione delle parti che costituivano l'appendice codi- forme, ma anche dei loro rapporti con quelle del moncone di coscia. Tutte le parti dell'arto mutilato (femore, muscoli, nervo ischiatico, arteria femorale), meno la pelle, si arrestano in una massa di tessuto connettivo cicatriziale all'altezza dell'antica su¬ perficie di sezione. Questa superficie, come sempre avviene dopo una amputazione, è molto ridotta, in modo che le fibre dei muscoli mutilati, come pure le estremità dei monconi del n. ischiatico e dell'a. femorale, prima di terminare, si curvano bru¬ scamente verso il femore, del quale è rimasta solo una breve porzione prossimale. All'estremo del moncone di femore un callo osseo chiude l'apertura della cavità midollare, ed intorno ad esso — 12 — si addensa un grosso e compatto strato di connettivo fibroso, che appare come una esagerata ipertrofia del periostio. Dalla ristretta superficie di amputazione parte la lunga ap¬ pendice codiforme. Questa nella sua porzione distale, che, come ho detto innanzi, è priva di vere scaglie (fig. 1, 2), è formata da tessuti non tutti completamente differenziati; in modo che nelle sezioni trasversali (tav. 1, fig. 8) si possono distinguere solo una zona epidermica, relativamente molto estesa, con sottilissimi stra¬ teghi cornei in desquamazione, ed internamente una massa di giovani cellule fusiformi (connettivali), miste a numerosi croma¬ tofori, che nelle ultime sezioni vanno sempre più aumentando di numero ed addensandosi fra loro. Vi si notano anche molti vasi le cui pareti non si lasciano bene distinguere dalla massa cel¬ lulare circostante. Questa parte dell'appendice appare quindi come una porzione giovane ancora in via di accrescimento od almeno di differenziamento istologico. Il resto dell’appendice invece è formato da tessuti ben dif¬ ferenziati: La cute si distingue da quella del moncone dell'arto mutilato solo per la forma delle scaglie. Nell'interno un asse scheletrico cartilagineo ed in parte connettivale si estende per quasi tutta la sua lunghezza. Tra questo e la cute vi è una massa di tessuto connettivo, attraversato longitudinalmente da vasi e da numerosi e lunghi fasci di fibre connettivali (tendini?), al¬ cuni dei quali sono in diretta continuazione con grossi fasci mu¬ scolari. Moltissimi cromatofori sono sparsi sia nella pelle che nell’ interno dell'appendice, specialmente nella regione dorsale. Quanto ai nervi, non mi è stato possibile trovarne o, per essere più esatto, distinguerli. Ciò forse dipende dalla non buona fis¬ sazione e conservazione deh'animale; ma contro questa possi¬ bilità sta il fatto che nel moncone di coscia i nervi sono invece visibilissimi. La possibilità di una reale mancanza di nervi nella appendice sarebbe anche avvalorata dal comportamento del tes¬ suto nervoso nelle code rigenerate, dove, come è noto, se i nervi provenienti dai tre ultimi gangli spinali del moncone di coda, che diventano ipertrofici, si rigenerano in modo da in¬ nervare l'intera porzione di coda neoformata, nè i gangli spi¬ nali coi relativi nervi, nè il midollo spinale si rigenerano. Lo scheletro cartilagineo dell'appendice appare non come — 13 una diretta continuazione del moncone del femore, ma come una formazione autonoma, che si inizia anteriormente al femore, molto prima del suo estremo distale ; ed è riunito a questo solo mediante il grosso strato di connettivo che circonda il callo osseo. La sua porzione prossimale (fig. 3) è la più voluminosa ed è costituita da un breve tubo cartilagineo (a-b) a forma di imbuto capovolto a sezione ellittica e con parete in alcuni punti incom¬ pleta. Essa si continua con una porzione scavata a doccia (b-c), che poi biforcandosi dà luogo a due bacchette cartilaginee, una sottile dorsale e l'altra più grossa antero-ventrale, il cui estre¬ mo dorsale (c-d) piegandosi ad angolo retto si porta trasver¬ salmente verso l’apice della bacchetta dorsale. A queste fanno seguito due altre bacchette (d-e) ugualmente orientate, ma al¬ quanto più brevi e sottili, ed un ,piccolo pezzo cartilagineo, si¬ tuato distalmente alla bacchetta ventrale. La rimanente porzione dello scheletro è formata da una serie di sette pezzi cartilaginei (e-f), che, tranne il primo a forma di bastoncino, appaiono come piccoli noduli, molto distanziati tra loro e situati lungo un medesimo asse. Tutti questi segmenti sono riuniti fra loro da un cordone di tessuto connettivo ben distinto dal connettivo circostante, e che, prolungandosi distal¬ mente, va a perdersi nella massa connettivale della porzione priva di scaglie. I fasci muscolari (fig. 3, 4, tav. 1, fig. 3-7), tutti longitudi¬ nali e fusiformi, sono in numero di nove e costituiscono quat¬ tro gruppi ben distinti fra loro (fig. 4, 1-4). In ciascuno di questi i fasci muscolari sono disposti metamericamente e quasi in cor¬ rispondenza dei segmenti cartilaginei dello scheletro (fig. 3); ma i fasci connettivali, che formano come il prolungamento dei loro estremi, percorrono quasi tutto il gruppo muscolare; in modo che in una sezione, accanto ad un fascio muscolare, si vedono spesso anche i cordoni connettivali appartenenti ad altri segmenti muscolari dello stesso gruppo (tav. 1, fig. 6-7). I quattro gruppi muscolari (fig. 3, 1-4) si iniziano a diffe¬ renti altezze in corrispondenza della seconda porzione dell'asse scheletrico {b-c) ; i loro fasci connettivali però cominciano molto più prossimalmente, senza mai raggiungere la massa muscolare dell'arto mutilato. Il primo gruppo (/) è il più breve, comincia — 14 — più prossimalmente di tutti ed è formato da un unico e grosso fascio muscolare, situato nella regione posteriore dell’appendice (fig. 4), in corrispondenza della pri¬ ma coppia di bacchette cartilaginee. Il secondo gruppo (2,2’), situato nel¬ la regione anteriore dell’appendice, nasce alquanto più distalmente del primo ed è costituito da due seg¬ menti muscolari, corrispondenti ri¬ spettivamente alla prima e secon¬ da coppia di bacchette scheletriche {b-c, d-e). Il terzo gruppo (3, 3’, 3”) occupa la regione postero-ventrale dell'appendice ed è formato da tre segmenti muscolari, dei quali il pri¬ mo (3) corrisponde alla prima coppia di bacchette cartilaginee, il secondo {3’) alla prima e seconda coppia, ed il {3”) al primo dei sette pezzi car¬ tilaginei terminali. Il quarto gruppo infine (4, 4\ 4”) si estende lungo la regione postero-dorsale dell’appen¬ dice ed è il più lungo di tutti. An¬ che esso è costituito da tre segmenti muscolari, dei quali il primo (4) corrisponde alla prima coppia di bacchette scheletriche, il secondo (4’) alla seconda coppia ed al primo segmento della serie di cartilagini distali, ed il terzo (4”) agli ultimi sei noduli cartilaginei. L'appendice, come ho detto in¬ nanzi , è molto ricca di vasi. Tra questi i principali, cioè quelli che corrono per tutta la sua lunghezza sono: una vena e due arterie (fig. 4)# La vena, relativamente molto grossa, è situata nella regione po¬ steriore. Dapprima è sottocutanea, poi si porta internamente a l 9 Fig. 3. — Scheletro cartilagineo dell’ ap" pendice neoformata. Figura di ricostru¬ zione. a-f porzioni dello scheletro : o- gni porzione è compresa tra una let¬ tera e quella successiva. Le linee ver¬ ticali indicano i rapporti di altezza e lunghezza dei fasci muscolari con i segmenti dello scheletro ; il numero in¬ dica il gruppo muscolare al quale i fa¬ sci appartengono. — 15 — primo gruppo muscolare (tav. 1, fig. 4) e dopo averlo accompa¬ gnato per tutta la sua lunghezza, diventa nuovamente sottocutanea (tav. 1, fig. 5-7). Le due arterie sono situate al disotto dei muscoli e corrono una posteriormente e l'altra, molto più piccola, anterior¬ mente all'asse scheletrico (tav. 1, fig. 3-5). Esse si originano non d Fig. 4. — Schema di una sezione trasversale dell’appendice codi- forme : a lato anteriore dell’appendice, d lato dorsale , p lato posteriore, v lato ventrale, 1-4 i quattro gruppi muscolari con i loro fasci. Le due porzioni punteggiate rappresentano lo sche¬ letro cartilagineo, il primo cerchietto a destra la vena princi¬ pale ed i cerchietti concentrici ai lati dello scheletro i due tron¬ chi arteriosi principali. dal moncone dell'arteria femorale, ma da rami muscolari del mon¬ cone dell'Adduttore medio della tibia. L'arteria posteriore manda un grosso ramo che accompagna la vena (tav. 1, fig. 4-5), e giunta all'altezza dell'estremità distale della seconda coppia di bacchette scheletriche si biforca, formando due rami che accompagnano la rimanente porzione dello scheletro (tav. 1, fig. 5-7). Da quanto ho innanzi esposto appare chiaro che non è as¬ solutamente possibile considerare l'appendice come una malfor¬ mazione embrionale, poiché la subita mutilazione dell'arto all'al¬ tezza della coscia è molto evidente; nè come un residuo di una porzione distale dell'arto, rimasta attaccata al moncone di coscia dopo la mutilazione, poiché non si potrebbero spiegare : la for- ma delle scaglie, la forma e natura cartilaginea ed in parte con- nettivale dell'asse scheletrico, la forma e disposizione dei mu¬ scoli e dei vasi, la mancanza di nervi (se questi realmente mancano) e sopratutto la presenza di tessuti evidentemente poco diffe¬ renziati nella porzione distale dell'appendice. Bisogna quindi ammettere che l’appendice codiforme sia un prodolto di rige¬ nerazione. Ciò posto, noi potremmo considerare l'appendice come una neoformazione molto incompleta della porzione asportata deH’arto, dovuta a scarso potere rigenerativo delle parti lese; simile a quelle che si producono nelle larve di Anfibii anuri, quando gli arti vengono mutilati in uno stadio di sviluppo o ad una altezza in cui il potere rigenerativo siasi molto ridotto (Marcucci 1914i, 1915, Giacomini 1922). Tanto più che, tenendo conto special- mente dei rapporti di posizione, noi potremmo anche trovare una certa corrispondenza fra le parti dell'appendice e quelle di un arto in cui il piede si fosse molto incompletamente svilup¬ pato. Così la prima porzione scheletrica dell'appendice (fig. 3 a-b) potrebbe corrispondere all'estremo distale del femore, e quella compresa tra b e c allo scheletro della gamba e propriamente la sua parte dorsale alla fibula, l’altra alla tibia. Le rimanenti porzioni potrebbero corrispondere allo scheletro del piede e cioè: il pezzo trasversale compreso tra c e d al primo tarsale, la suc¬ cessiva porzione tra d ed e al secondo e terzo metatarsale, ed infine la serie di pezzi cartilaginei posti tra e ed / alle falangi del secondo dito. Quanto ai muscoli, il primo, terzo e quarto gruppo di fasci muscolari (fig. 4, /, 3, 4 ), potrebbero corrispon¬ dere ai muscoli flessori del piede e delle dita, il secondo grup¬ po (2) agli estensori. Così pure i due tronchi arteriosi principali potrebbero corrispondere uno all'arteria tibiale anteriore e l'altro all'a. tibiale posteriore. Tuttavia l'aspetto esterno dell' intera appendice, la forma delle scaglie, la disposizione metamerica dei fasci muscolari e dei segmenti cartilaginei dello scheletro, la non constatabile in¬ serzione dei muscoli sulle parti scheletriche, fanno pensare in¬ vece ad una rigenerazione eteromorfica. In ogni modo si tratti di una incompleta neoformazione delle parti asportate o di una rigenerazione eteromorfica, ciò — 17 — che non può essere messo in dubbio è che l'appendice codi- forme siasi neoformata in seguito a mutilazione deH’arto. Questo caso di non dubbia rigenerazione in Lacerta muralis ci induce a credere che anche la porzione deforme dell'arto esaminato da Egger in Lacerta vivipara e probabilmente anche la piccola appendice ossea, figurata dal Calori nello scheletro di Lacerta ocellata , fossero un prodotto di rigenerazione. Noi dobbiamo quindi concludere che nelle Lucertole (almeno nello stato di libertà) non solo la coda, ma anche gli arti sono provvisti di potere rigenerativo; e che se le esperienze eseguite sopra animali adulti tenuti in prigionia hanno dato risultati ne¬ gativi, ciò deve attribuirsi o ad errore di osservazione o a cause inibitrici che meriterebbero di essere ricercate. Napoli , Istituto di Anatomia Comparata , 1925. — 18 — LAVORI CITATI 1859. Calori, L. — Sulla scheletro grafia dei Saurii : Mern. Acc. Se. Bologna, Nota II, p. 47, 6 Tav. 1888. Egger, E. — Ein Fall voti Regeneration einer Extremitàt bei Reptilien: Arb. Zool. Zool. Inst. Wurzburg, 8 Bd. p. 201, Taf. 12. 1885. Fraisse, P. — Die Regeneration von Organen und Geweben bei den Wirbelthieren besonders Amphibien und Reptilien: Cassel u. Berlin, Th. Fischer, 164 p., 3 Taf. 1922. Giacomini, E. — Esperimenti di nutrizione di girini di Rana e di altri Anfibi Anuri con organi e sostanze iodate. — 3. Influenza sulla rigenerazione degli arti : Rend. R. Accad. Se. Ist. Bologna, 24 p. 1914. Marcucci, E. — 1. Condizioni che determinano la capacità rige¬ nerativa delle estremità posteriori nelle larve di Anuri alle diverse epoche di sviluppo: Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. 26, p. 87. 1914. — — 2. Gli arti e la coda della Lacerta muralis rigenerano nello stadio embrionale?: Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. 27, p. 98. 1915. — — Capacità rigenerativa degli arti nelle larve di Anuri e condizioni che ne determinano la perdita : Arch. Zool. It., Voi. 8, p. 89, 12 fig., Tav. 6-7. Boll. il. Soc. il. Naturalisti in Napoli, Voi. XXX Vili — 19 — Spiegazione della Tavola 1 Fig. 1-2. — Lacerta muralis con arto posteriore destro e coda rigenerati. Fo¬ tografia a grandezza naturale. In ciascuna figura la posizione degli arti è invertita, avendo dovuto fare uso del prisma per fotografare l’animale. Dal breve moncone di coscia parte una lunga appendice codiforme. Fig. 1 vista dal ventre, Fig. 2 vista dal dorso. Fig. 3-8. — Sezioni trasversali dell’appendice codiforme a diverse altezze. Fo¬ tografie. Per le indicazioni relative alle parti scheletriche ed ai muscoli vedi Fig. 3-4 nel testo. Fig. 3. — Sezione in corrispondenza della parte prossimale della seconda por¬ zione dello scheletro (b-c). Vi si notano tre pezzi cartilaginei, la vena e le due arterie principali, le fibre muscolari del primo gruppo ed i fasci connettivali degli altri tre gruppi muscolari , specialmente del quarto. Fig. 4. — Sezione in corrispondenza della parte media della seconda porzione dello scheletro (b-c). Si veggono le cartilagini delle due prime bacchette scheletriche, i tre vasi principali con il piccolo ramo arterioso che ac¬ compagna la vena, ed i quattro gruppi muscolari, come nello schema rappresentato dalla Fig. 4 nel testo; del quarto gruppo si veggono i fa¬ sci connettivali ed alcune fibre muscolari. Fig. 5. — Sezione in corrispondenza della seconda coppia di bacchette schele¬ triche ( d-e ); Cartilagini e vasi come nella figura precedente; manca il primo gruppo muscolare e la vena è sottocutanea. Fig. 6. — Sezione in corrispondenza del primo dei sette ultimi segmenti car¬ tilaginei ( e-j ): Mancano il primo ed il secondo gruppo muscolare, vi è una sola cartilagine ed il tronco arterioso posteriore si è biforcato. Fig. 7. — Sezione in corrispondenza del cordone connettivale che riunisce i due ultimi noduli cartilaginei (e-/): Vasi come nella figura precedente, è rimasto solo il quarto gruppo muscolare. Fig. 8. — Sezione in corrispondenza della porzione priva di scaglie. Finito di stampare il 10 marzo 1926. La radioattività delle acque termominerali di Lacco Ameno (Isola d’ Ischia). Nota I. Notizie bibliografiche e ricerche preliminari del socio Dr. Selim Augusti (Tornata del 30 dicembre 1925) Il Prof. C. Engler, Direttore dell' Istituto chimico di Kar- lsruhe, ebbe, nell'aprile del 1904, dal Ministero dell’ Interno del suo Paese, l'incarico di determinare la radioattività delle acque minerali del' Baden ed esaminò a tal uopo un gran numero di sorgenti minerali e termali. Negli anni 1905-906 egli venne in Italia allo scopo di determinare la radioattività delle sorgenti mi¬ nerali italiane e di paragonarle a quelle già studiate della Ger¬ mania. Circa i metodi adoperati dall’ Engler nelle sue determina¬ zioni possiamo dire che, siccome i metodi di ricerche in questo campo fino allora conosciuti erano imperfetti, egli fu spinto ad ideare nuovi e più precisi apparecchi e si servì del suo Fon- daktoscopio, con elettroscopio n 1512, con una rapidità dello strumento in 13 - 6. Le determinazioni venivano da lui eseguite sulle sorgenti stesse o nel luogo più vicino ad esse , in modo che dalla raccolta dell'acqua alla misura con gli apparecchi non dovessero passare che pochi minuti. In generale I'Engler i) per le sue analisi adoperava un litro di acqua ma, per le sorgenti molto attive, tale quantità si riduceva a 500 o 250 cc. od anche meno * 2). Riporto nella seguente tabella, i risultati da lui ottenuti. 0 Engler, C. — Beitràge zur Kenntnis des Radio-aktvitàt der minerai nellen. (Karlsruhe 1916). 2) Per la descrizione dell’apparecchio adoperato da Engler cfr. « Chemi- cher Zeitung » 1909, N. 66. — 21 — A) Sorgenti termali. a Discesa Data del potenziale Unità ©_ in Volt della Nome della sorgente 2 u QJ CL r- con la correzione della Mach e osservazione £ •- perdita normale iX IO3 . oVU56o) 9/S. (54o) /S.p(DÌrv(493) Vr-o (373) Fig. 1. — Diagramma della fecondità (numero medio delle uova deposte) nelle razze parentali e nei due incroci reciproci. ad uova più pesanti, più forte per l’incrocio a razza materna ad uova più leggere. Per il peso dell’ovatura) i due reciproci presentano ambe¬ due valori di assai superiori anche al valore della razza paren¬ tale a valore più elevato, la Nippon; la differenza tra i due re¬ ciproci è minima (mentre tra le 2 razze parentali è molto rile¬ vante), in ogni modo a favore dell'incrocio a razza materna più feconda. Dunque: i due incroci reciproci consacrano alla ovificazione una quota di materiali organici pressocchè identici, ma con essa l’incrocio a 9 oro fabbrica un numero di uova maggiore, onde il peso dell'uovo risulta inferiore a quello dell’incrocio reciproco a 9 Nippon. Se si pensa che delle due razze parentali la Oro è quella — 41 — che depone uova meno numerose e più pesanti, appare evidente che anche per i caratteri di numero e peso dell'uovo si ripete il fatto inaspettato di una prevalenza, nell'ibrido, del carattere paterno. Nè questa è da considerare come una semplice coincidenza. Tra la grandezza e il peso dell’uovo e le sue capacità di svilup- L $/i. 8 ©. (545) $e> 8r\ (51 7) Oro (508) /S i ppor\ (505) Fig. 2. — Diagramma del peso medio dell’uovo nelle razze parentali e nei due incroci reciproci. po (rapido ed ininterrotto : sinechepidosi) corrono rapporti diretti ed intimi. Già lo studio comparativo dei caratteri dell'ovificazione in varie razze di bachi da seta ci dimostra resistenza di una netta correlazione tra capacità di voltinismo e peso dell' uovo : così la razza bivoltina giapponese depone un numero di uova molto elevato (anche in senso assoluto, ma sopratutto relativamente al - 3 - — 42 - peso basso della crisalide) ma il peso dell'uovo è assai basso anche relativamente). Ma più dimostrativo ancora riesce l'esame dei caratteri delle uova in seno ad una determinata razza. Di solito le farfalle più precoci, prime a sfarfallare, depon¬ gono uova più leggere, e viceversa le farfalle più tardive, degli 9/H.cf0.(294) ? ©. <,289) /Ìipporx(247) 0ro (189) Fig. 3. — Diagramma del peso medio dell’ovatura nelle razze parentali e nei due incroci reciproci. ultimi giorni di sfarfallamento, depongono uova più pesanti. D'al¬ tra parte è nettamente evidente una correlazione tra precocità di sviluppo dell’individuo materno e tendenza alla sinechepidosi delle uova deposte. E’ noto che in razze univoltine i bivoltini accidentali, bacolini che schiudono pochi giorni dopo la depo¬ sizione, derivano sempre da farfalle tra le prime ad uscire dal bozzolo; mentre in razze bivoltine gii univoltini accidentali, le uova che, invece di proseguire ininterrottamente lo sviluppo e — 43 — schiudere, entrano in diapausa e svernano, compaiono nelle ul¬ time giornate di sfarfallamento. Una correlazione tutta analoga esiste tra precocità di svi¬ luppo e tendenza alla partenogenesi delle uova deposte. Tutto questo ci autorizza già a ritenere molto probabile una correlazione tra la grandezza dell'uovo e le sue capacità di svi¬ luppo (di voltinismo e di partenogenesi). Ma questa correlazione è dimostrabile anche più diretta- mente. Determinando in ovature miste, ad uova che parte si svi¬ luppano rapidamente e schiudono, parte entrano in diapausa e svernano, il diametro trasversale delle singole uova (il longitu¬ dinale non è utilizzabile, perchè nelle uova schiuse il bacolino ha rosicchiato la calotta micropilare) è nettamente riconoscibile una superiorità in dimensioni delle uova che hanno perduto il bivoltinismo. Osservando le ovature vergini di farfalle bivoltine di se¬ conda generazione, è possibile riconoscere, subito dopo la de¬ posizione, quelle che han perduto il bivoltinismo e che anche nel loro sviluppo partenogenetico manifesteranno il loro carattere diapausepidosico. I caratteri che distinguono a prima vista le uova di queste ovature sono: la turgidezza maggiore, il colorito più intenso (giallo limone invece che giallo pallido) e sopratutto la grandezza superiore a quella delle uova a tipo bivoltino. Del resto non appare difficile una interpretazione teorica di questi dati sperimentali: le uova più grosse contengono certo una quantità di protoplasma, e sopratutto di deutoplasma , di vitello, maggiore; ma è molto probabile che non contengano una quantità di nucleoplasma proporzionatamente maggiore di quella delle uova più piccole. Esse uova presentano quindi una deficienza relativa delle sostanze che dirigono le attività metaboliche cellulari; e questo deve renderle più pigre, meno agili nei loro movimenti meta¬ bolici, rispetto alle uova più piccole che, meno gravate di deu¬ toplasma, sono meno imbarazzate a proseguire energicamente lo sviluppo anche senza l'impulso dello spermio fecondatore. Un'osservazione ancora. Abbiamo accennato che tra le ova¬ ture vergini di razza bivoltina sono riconoscibili quelle che han- — 44 — no perduto il bivoltinismo perchè presentano uova non solo più grandi, ma anche a colorito più intenso, giallo limone in¬ vece che giallo pallido (La colorazione delle uova appena depo¬ ste, quando non sia data da colore proprio del guscio, dipende dalla quantità di pigmento diffusa nel vitello; quantità diversa nelle diverse razze, grande nelle annuali indigene, per es., pic¬ cola assai nelle razze bivoltine giapponesi). Se raccostiamo questa osservazione all'altra che le uova di razza univoltina che dànno bi voltini accidentali, che cioè invece di arrestarsi in diapausa proseguiranno ininterrottamente il loro sviluppo sino alla schiusura, presentano un colore giallo assai pallido, invece del giallo intenso che normalmente appare nelle uova di razza univoltina, ci accorgiamo che una netta correla¬ zione esiste tra quantità di pigmento giallo nel vitello dell'uovo appena deposto e grado di capacità di sviluppo dell'uovo stesso. Evidentemente la capacità di sviluppo dell'uovo varia in funzione delle variazioni quantitative e qualitative di costituzione del vitello; delle prime può assumersi ad indice la grandezza (relativa) dell'uovo, in volume e peso; delle seconde il grado di pigmentazione. Ma una correlazione esiste anche tra grado di pigmenta¬ zione del vitello dell’uovo e grado di colorazione della fibra se¬ creta dalle ghiandole serigene del baco alla fine dello sviluppo larvale. In linea generale le razze a bozzolo giallo, come le gialle in¬ digene e l'Oro chinese, presentano uova a vitello intensamente giallo; le razze a bozzolo bianco, come le bivoltine giapponesi, presentano uova a vitello bianchiccio, giallo pallido. E come nel vitello delle uova, così anche nel secreto delle ghiandole serigene, l'abbondanza di pigmento giallo sembra cor¬ rispondere a una relativa torpidità delle capacità metaboliche, del ricambio materiale. Ora il Pigorini, studiando i bozzoli dei due incroci reci¬ proci tra razze univoltine e razze bivoltine, ha trovato, con saggi spettroscopici, che la fibra serica degli incroci a 9 bivoltina e annuale contiene quantità di pigmento maggiori di quel che ne contenga la fibra dei reciproci a 9 annuale e cf bivoltino. Io, purtroppo, non ho studiato attentamente i caratteri di — 45 — pigmentazione del vitello nelle uova dei due incroci reciproci, perchè quando li ho allevati, nel 1923, non avevo ancora rico¬ nosciuta tutta l’importanza di questo carattere. Ma, data la cor¬ rispondenza che generalmente si verifica tra grado di colorazione del vitello dell'uovo e grado di colorazione della fibra serica; io credo che debbano esistere tra le uova dei due incroci reciproci differenze nello stesso senso, se non anche in misura analoga, a quelle trovate e determinate da Pigorini per le fibre seriche. Sicché anche per il grado di colorazione del vitello del¬ l'uovo si riscontrerebbe una contraddizione all'aspettazione teo¬ rica di una prevalenza della eredità materna, come per la ca¬ pacità di sviluppo dell'uovo e per il peso dell'uovo. Sembra doversi concludere che sulla qualità come sulla quantità del vitello delle uova deposte dalle 9 ibride influisce più il carattere della razza parentale paterna che della materna; e che in questo è la ragione per la quale le capacità di svi¬ luppo dell’ uovo si presentano meno dissimili da quelle della razza parentale paterna che della materna. Con questo il problema della prevalenza dell’eredità pater¬ na (o meglio della migliore trasmissione del carattere quando è portato dal padre ehe quando è portato dalla madre) non è ri¬ soluto; ma certo siamo un pò meno lontani dalla soluzione di quando ci domandavamo: perchè l’incrocio a 9 bivoltina e d an¬ nuale dà una percentuale di bivoltinismo inferiore a quella che dà il reciproco a 9 annuale e d bivoltino ? Abbiamo ricondotto il problema particolare del comporta¬ mento ereditario del bivoltinismo al problema generale dell'e¬ redità del tipo metabolico; e sappiamo che il segreto delle ca¬ pacità di sviluppo dell'uovo deposto dovremo cercarlo nello studio delle capacità metaboliche dell’organismo materno ibrido, quali vanno costituendosi e manifestandosi nell'ontogenesi per lo sviluppo in concorrenza delle capacità potenziali ereditate dalle due razze parentali. Finito di stampare il 7 giugno 1S26. Sulla temperatura delle lamiere isolate esposte all’ aperto del socio Ing. A. Andreotti (Tornata del 30 dicembre 1925) I. — Temperatura delle lamiere esposte ai raggi solari. E' noto che la temperatura di un corpo esposto ai raggi del sole dipende, oltre che dall'altezza del sole sull'orizzonte e dalla trasparenza dell'atmosfera, dalle proprietà fisiche del corpo espo¬ sto. La formula di Bouguer : i = Ip z serve al calcolo della quantità di calore solare e propriamente lega la quantità i che perviene sull'unità di superficie del suolo nell’unità di tempo alla quantità I (detta costante solare, in¬ viata dal sole all'unità di superficie al limite dell’atmosfera), alla massa atmosferica 2 e al coefficiente di trasparenza del cielo p. Inoltre l'alzarsi della temperatura dei corpi esposti ai raggi solari dipende dalla quantità di energia assorbita. Esperienze classiche dimostrano che i corpi oscuri poco trasparenti e poco riflettenti si riscaldano maggiormente. Ora, se il calore assorbito non si disperdesse la variazione della temperatura degli oggetti esposti al sole, dipenderebbe, a parità di condizioni, dalla durata di e- sposizione , tenendo conto che un oggetto col calore specifico basso si scalderà prima di un oggetto di uguale spessore ma con calore specifico più alto. Impediscono il progressivo riscalda¬ mento la dispersione di calore, lo scambio che si stabilisce coi corpi vicini a l'azione refrigerante del vento. 47 Proteggendo il corpo esposto dalle perdite del calore, la temperatura sale inverosimilmente. Il Saussure osservò che un termometro racchiuso in una scatola, rivestita di sughero annerito, al fondo e ai lati e munita di eoverchio di vetro, segnava 87°, 5 C mentre la temperatura all'ombra segnava 6°, 2. Tralasciando considerazioni di ordine teorico dirò che tra i metodi atti a determinare la temperatura di un corpo esposto ai raggi solari mi è sembrato opportuno servirmi di quello ter¬ moelettrico. Nelle ricerche eseguite i campioni da esaminare erano for¬ mati da lamiere di cm. 16 X cm. 18 di dimensioni, montati op portunamente su sostegni bianchi regolabili in modo che la superficie esposta risultasse normale alla direzione dei raggi solari. I valori seguenti, relativi alla temperatura della lamiere espo¬ ste, si riferiscono a determinazioni eseguite con la pinza prece¬ dentemente graduata e la temperatura dell'aria sono state prese all'ombra e controllate col termometro fionda. Non ho usato alcuna precauzione per tenere le lamiere al riparo dal vento perchè ho operato in giornate calde e calme. Data Lamiere di ferro spessore 1 m m Temperatura del corpo esposto al sole Temperatura dell’aria 14 giug. 1925 Rivestita di vernice Flatting 730.8 240.3 12h - 13h „ „ Damar 730.4 240.3 ìì „ „ Coppale 730.2 240.3 ìì „ „ Diamant 73°.0 240.3 Attutata con Bruno 710.7 240.3 ìì lì Grigio scuro 710.6 240.2 ìì ìì Giigio chiaro 700.2 240.2 „ „ Minio 680.3 240.2 ;/ ;; Biacca 660.9 240.3 ìì ;; B:anco di zinco 640.5 240.3 — 48 - Data Lamiere di ferro spessore 1 m/m Temperatura del corpo esposto al sole Temperatura dell’ aria 21 giug. 1925 Rivestita di vernice Flatting 730.7 260.3 12h - 13h „ „ „ Damar 730.5 260.4 », „ „ Coppale 730.0 260.4 „ „ „ Diamant 730.0 260.4 Attintata con Bruno 710.3 260.4 „ „ Grigio scuro 71 o.O 260.4 „ „ Grigio chiaro 690.9 260.5 „ „ Minio 680.0 260.5 „ „ Biacca 660.4 260.5 „ „ Bianco di zinco 650.2 260.5 Data La ni i e r e di ferro spessore 1 m/m Temperatura del corpo esposto al sole Temperatura dell’ aria 28 giug. 1925 Revistita di vernice Flatting 730.6 240:5 12h -13h )) j; Damar 730.4 240.5 ìì ìì „ Coppale 730.1 240.5 ìf ìì „ Diamant 720.7 240.5 Attintata con Bruno 710.4 240.5 f ì j; Grigio scuro 710.3 240.6 lì ìì Grigio chiaro 690.8 240.6 ìì ìì Minio 680.4 240.6 ìì ìì Biacca 660.5 240.6 ìì ìì Bianco di zinco 640.3 240.7 — 49 - Data Lamiere di ferro spessore 1 m,/m Temperatura del corpo esposto al sole Temperatura ali’aria 14 giug. 1925 Rivestita di vernice Flatting 730.8 240.4 13h - 14h » ìì „ Damar 730.1 240.4 » fi „ Coppale 720.9 240.5 II ìì „ Diamant 720.8 240.5 Attintata con Bruno 710.6 240.5 ìì n Grigio scuro 710.2 240.5 ìì n Grigio chiaro 700.1 240.5 ìì u Minio 680.2 240.5 ìì » Biacca 660.2 240.5 ìì ìì Bianco di zinco 640.9 240.5 Data Lamiere di ferro rivestite di vernice Coppale Temperatura del corpo esposto al sole Temperatura dell’ aria 14 giug. 1925 Spessore 2 m/m 730.2 240.2 llh -12h ìì 3 m/ m 730.2 240.2 » 4 m/m 730.1 240.1 6 m / ' ii u m 720.8 240.2 8 ni / ìì ° / m 720.8 240.2 Data Lamiere di ferro rivestite di vernice Diamant Temperatura del corpo esposto al sole Temperatura dell’ aria 21 giug. 1925 Spessore 2 m/m, 5 730.0 260.0 llh _12h 3 mi 5 ii m, 720.7 260.0 4 ni / ^ » ^ 1 ni, 720.4 260.0 „ 5 m/m, 5 720.0 260.0 „ 7 m/m, 5 710.1 260.1 — 50 — Data Lamiere di, zinco spessore I m/m Temperatura del corpo esposto al sole Temperatura dell’ aria 28 giug. 1925 Rivestita di vernice Damar : 690.1 240.4 llh - I2h „ „ „ Coppale 680.8 240.4 „ „ „ Diamant 680.4 240.5 Attintata con Grigio scuro 670.6 240.4 „ „ Grigio chiaro 660.0 240.5 Data Lamiere di zinco spessore 2 m/m Temperatura del corpo esposto al sole Temperatura dell’ aria 28 giug. 1925 Rivestita con vernice Damar 690.0 240.4 13h - 14h „ „ „ Coppale 680.5 240.5 „ „ „ Diamant 680.1 240.5 Attintata con Grigio scuro 670.2 240.5 „ „ Grigio chiaro 650.8 240.6 Data Lamiere di acciaio non verniciate Temperatura del corpo esposto al sole Temperatura dell’ aria 21 giug. 1925 Spessore 2 m/m 760.8 260.4 13h _ Hh " 760.6 260.3 » n 770.0 260.3 Data Lamiere di ferro non verniciate Temperatura del corpo esposto al sole Temperatura dell’ aria 21 giug. 1925 Spessore 2 m/m 790.2 260.4 13h -14h )t )) 800.1 260.5 )) fi 790.8 260.4 i II. — Temperatura delle lamiere esposte di notte all’aperto. E’ anche noto che di notte vi è scambio di calore tra il cielo e la terra e se è maggiore 1’ energia emessa dalla terra si produce raffreddamento dei corpi esposti all'aperto: tale fenomeno è indicato col nome di radiazione notturna. Il raffreddamento di un corpo esposto di notte all'aperto fu studiato dal Pouillet. Il Maurer fece misure sulle intensità della radiazione notturna determinandola della perdita di calore che subisce nell'unità di tempo l'unità di superficie annerita con nero fumo quando è esposta orizzontalmente: in seguito le espe¬ rienze del Bartoli e dello Stracciati pervennero alla conclusione che l'irraggiamento nello spazio decresce col crescere dell'angolo che la direzione dei raggi fa con la verticale con una legge espressa in via approssimativa dalla formula : r = A pz dove z rappresenta le spessore atmosferico e A e p delle costanti; infine le osservazioni del Lo Surdo condussero alle seguenti de¬ duzioni: la radiazione notturna alle 21h raggiunge un valore vicino al massimo, avendosi nel corso della notte due massimi: uno qualche ora dopo il tramonto e l’altro poco prima dello spuntare del sole. Prevedendo quindi un sensibile raffreddamento delle lamiere esposte all'aperto di notte mi sono attenuto, secondo le conclu¬ sioni del Lo Surdo, a sperimentare nelle ore in cui era presu¬ mibile l'effetto fosse maggiore : cioè verso le 21h everso le 5 h. Anche in questo caso i campioni, delle stesse dimensioni dei — 52 — precedenti, sono stati montati su sostegni bianchi e tenuti in po¬ sizione orizzontale, senza alcun riparo perchè si è operato in notti calme e serene. Data Lamiere di ferro spessore 1 m/m Temperatura del corpo esposto Temperatura dell’ aria 14 giug. 1925 Rivestita con vernice Flatting 200.3 230.0 2 1 h _ 22h „ „ „ Damar 200.8 230.0 „ „ „ Coppale 210.2 220.9 „ „ „ Diamant 210.6 220.9 Attintata con Bruno 220.1 220.9 „ „ Grigio scuro 220.4 220.9 „ „ Grigio chiaro 220.6 220.9 i „ „ Minio 220.8 220.9 Data Lamiere di ferro spessore 1 m/m Temperatura del corpo esposto Temperatura dell’ aria 21 giug. 1925 Rivestita con vernice Flatting 190.8 220.6 2D -22h „ „ „ Damar 200.3 220.6 „ „ „ Coppale 200.8 220.6 » » » Diamant 210.1 220.4 Attintata con Bruno 210.6 220.4 „ „ Grigio scuro 210.9 220.4 „ „ Grigio chiaro 220.1 220.4 „ „ Minio 220.4 220.5 — 53 — Data Lamiere di ferro spessore 1 m/m Temperatura del corpo esposto Temperatura dell’ aria 15 giug. 1925 Rivestita con vernice Flatting 160.4 190.1 5h - 6h « „ „ Damar 160.8 190.1 » „ w Coppale 170.3 190.1 „ „ „ Diamant 170.8 190.0 Attintata con Bruno 180.4 190.0 „ » Grigio scuro 180.6 190.0 „ „ Grigio chiaro 180.8 190.0 „ „ Minio 180.9 190.1 Data Lamiere di ferro spessore 1 m/m Temperatura del corpo esposto Temperatura dell’ aria 22 giug. 1925 Rivestita con vernice Flatting 160.1 180.6 5h -6h n a ,, Damar 160.4 180.5 a » „ Coppale 170.0 180.5 l a » „ Diamant 170.5 180.5 Attintala con Bruno 180.0 180.6 )) n Grigio scuro 180.1 180.6 )) » Grigio chiaro 180.3 180.7 ìì n Minio 180.3 180.7 54 Data Lamiere di ferro rivestite di vernice Flatting Temperatura del corpo esposto Temperatura dell’ aria 28 giu g. 1925 Spessore 2 m/m 190.4 210.7 21h _ 22h 8 m 1 v J / m 190.6 210.7 « 4 190.8 210.7 „ 6 m/m 200.3 210.8 „ 8 ”>/m 200.9 210.8 Data Lamiere di ferro rivestite di vernice Damar Temperatura del corpo esposto ! Temperatura dell’ aria 28 giug. 1925 Spessore 2 m/m 200.0 210.6 22h - 23h . „ 3 "Vm 200.1 210.6 „ 4 m/m 200.4 210.7 fS m / m M U / 200.8 210.7 „ 8 m/ra 210.4 210.8 Data Lamiere di ferro non verniciate Temperatura del corpo esposto Temperatura dell’ aria 21 giug. 1925 Spessore 2 m/m 180.2 220.3 22h - 23h ;/ v 180.0 220.4 lì V 180.1 220.4 — 55 — III. — Conclusioni. Dalle esperienze eseguite per le lamiere esposte al sole ri¬ sulta che esse hanno assunto sempre temperature note¬ voli : Ne consegue : 1. Per quelle di ferro rivestite di vernice si ha un effetto decrescente dell'aumento di temperatura (fig. 1) secondo l'or¬ dine seguente: Flatting, Damar, Coppale, Diamant con una — 56 — 3. Anche nel caso di lamiere di zinco rivestite di vernice e dipinte secondo che la lamiera avesse io spessore di uno o due millimetri si sono ottenuti i valori della figura 3. Cioè possiamo dedurre che sussiste 1' ordine decrescente : Damar» Coppale, Diamant, Grigio scuro, Grigio chiaro, avendosi nel caso di un aumento di spessore lo stesso ordine decrescente solamente con uno spostamento della temperatura ; cioè una dimi¬ nuzione media di 0°,2 per l'aumento di un millimetro di spessore. 4. L’effetto della diminuzione di temperatura con l'aumen¬ tare dello spessore è reso più evidente dalla figura 4 che si ri¬ ferisce a lamiere di diverso spessore esposte nelle medesime con¬ dizioni di verniciatura. Rileviamo che sia per la verniciatura a Coppale che per quella a Diamant vi è diminuzione di tempe¬ ratura con l’aumentare dello spessore; però la diminuzione ap¬ pare più sensibile per le lamiere verniciate a Diamant. 5. Anche per le lamiere di acciaio e di ferro aventi scoperta la superficie di laminazione ho trovato notevoli temperature e cioè rispettivamente 76°,8 e 79°, 7 come valor medio. Inoltre in tutte le determinazioni eseguite per le lamiere di ferro esposte di notte si è avuto un abbassamento sensibile di tem¬ peratura. Risulta: 1. Per le lamiere verniciate e per quelle dipinte si ha ab¬ bassamento di temperatura crescente secondo 1' ordine (fig. 5) : Minio, Grigio chiaro, Grigio scuro, Bruno, Diamant, Coppale, Damar, Flatting, con differenza media tra prima e ultima di 3°, 2 per le 21h e 2°, 3 per le 5h . — 57 — 2. Per le lamiere di diverso spessore verniciate a Flatting e a Damar (fig. 6) si ha aumento del raffreddamento notturno al Fig. 5. diminuire dello spessore, notando che P effetto è maggiore per la verniciatura a Flatting che per quella a Damar. 3. Anche per le lamiere di ferro non verniciato si è avuto un abbassamento medio di 4°, 3 rispetto alla temperatura dell'aria. Finito di stampare il 8 giugno 1926. I fenomeni dello sviluppo partenogenetico nell" incrocio tra razze univoltine e In¬ voltine di bachi da seta. Nota del socio D arwin We n Tornata del 22 febbraio 1926. Il problema è questo: come si eredita la tendenza alla par¬ tenogenesi? Il metodo per risolvere questo problema evidente¬ mente è quello di scegliere razze che abbiano un grado di ten¬ denza alla partenogenesi nettamente diverso, incrociarle tra loro e studiare nella discendenza il comportamento ereditario del ca¬ rattere 1). E’ ormai sicuramente dimostrata resistenza di una correla¬ zione perfetta tra capacità di voltinismo e capacità di parteno¬ genesi dell’uovo, cioè tra capacità deH'uovo fecondato di svi¬ lupparsi ininterrottamente e schiudere già pochi giorni dopo la deposizione, e capacità dell'uovo vergine di iniziare lo svilup¬ po partenogenetico portandolo fino ad un punto più o meno avanzato. Le razze univoltine del baco da seta presentano una leggera tendenza alla partenogenesi; questa tendenza è tanto più grande quanto più la razza ha tendenza al bivoltinismo; nella razza bi- 4) Esprimo la mia gratitudine al mio maestro Carlo Jucci che mi ha gui¬ dato ed aiutato nel lavoro del quale saranno pubblicati tra breve per esteso i risultati. voltina poi la tendenza alla partenogenesi è spiccatissima; e cer¬ tamente maggiore ancora nelle razze polivoltine. Orbene incrociamo tra loro una razza bivoltina ed una uni- voltina e studiamo la capacità di sviluppo partenogenetico delle uova deposte dalle femmine ibride. La razza Oro chinese è univoltina, però, come quasi tutte le orientali, ha una notevole tendenza al bivoltinismo. La sua tendenza alla partenogenesi è piccola, sebbene sensibilmente su¬ periore a quella delle razze Europee più decisamente univoltine. La razza giapponese Awojiku è bivoltina e possiede una tendenza alla partenogenesi grandissima. L'incrocio 9 Oro d bivoltino presenta una capacità di vol- tinismo intermedia tra quelle delle due razze parentali : difatti dà una certa percentuale di univoltini, uova, cioè, che si arresta¬ no in diapausa embrionale, e una certa percentuale di bivoltini che si sviluppano ininterrottamente e schiudono. Orbene, questo incrocio presenta anche una capacità di partenogenesi interme¬ dia tra quelle delle parentali: assai superiore a quella della razza univoltina, ma spiccatamente inferiore a quella della bivoltina. Difatti il nostro incrocio presenta, su un totale di 571 ova- ture (discendenza di 14 famiglie), cioè su circa 294000 uova, 2797 embrioni maturi, cioè meno di uno per cento: 0,95 %. In¬ vece la razza paterna, la bivoltina Awojiku, dà una percentuale di embrioni maturi assai più elevata, più che tripla: 1,5%; mentre nella razza paterna univoltina nessun uovo presenta uno sviluppo partenogenetico così avanzato. Le seguenti tabelle riassumono i dati raccolti sulla discendenza di 14 coppie 9 univoltina d bivoltino. L'incrocio era stato effet¬ tuato dal Dr. Jucci nel giugno 1924. Le 14 ovature ottenute fu¬ rono da noi allevate nella primavera del 1925. Isolando opportunamente, per ciascuna ovatura, i bozzoli, si mantennero le femmine, sfarfallate dal 20 al 28 giugno, vergini, e le uova deposte da queste femmine furono minutamente esami¬ nate: una prima volta, dal 13 luglio al 20 luglio, cioè una ven¬ tina di giorni dopo la deposizione; e una seconda volta, dal 6 al 12 agosto, cioè a un 45 giorni di distanza dalla deposizione. E’ molto istruttivo il paragone tra i risultati del primo e del secondo esame. — 60 — Sviluppi partenogenetici nelle uova deposte da femmine F! 1° Esame ( 13-20 Luglio). N. d'ord. della famiglia N. totale di ovature UOVA PARTENOGENETICHE CN RR R EE E A T A AC AP 3 103 7 3 28 14 494 8 4 73 15 7 223 12 2 6 74 28 5 15 187 1 10 95 66 131 100 625 102 222 12 24 6 45 12 1 13 17 20 1 2 64 15 39 76 5 2 243 16 54 2 2 9 145 17 50 14 7 74 18 65 137 40 1 276 3 22 38 208 124 2 23 40 7 255 52 20 24 37 2 9 235 45 10 25 42 2 7 484 26 60 14 751 347 126 31 168 3558 111 496 95 Nelle seguenti tabelle le uova partenogenetiche, per ogni famiglia, sono ripartite in varie categorie secondo il loro grado di sviluppo: indico con II le uova che hanno una leggerissima tinta rosea, per deposito di una scarsissima quantità di pigmento negli elementi cellulari periferici costituenti una sierosa più o meno regolare; l le uova nettamente rosee; r ed rr le uova nelle quali una quantità di pigmento maggiore dà un colorito rossic¬ cio o magari vivamente rosso. Indico con cn le uova a contenuto nero dato da embrione avanzato, più o meno vicino a maturità; distinguendo tra esse le cna ad embrione più lontano dalla maturità e le cnt che — 61 — dell* incrocio cf Awojiku (bivoltino). $ Bianco chinese (annuale). 2.° Esame (6-12 Agosto). N. d'ord. della famiglia N. totale di ovature UOVA PARTENOGENETICHE CN RR R EE E A T A AC AP 3 103 202 74 26 13 426 10 4 73 70 51 165 12 4 6 74 145 24 6 282 18 10 95 444 21 209 664 239 39 12 24 26 5 4 48 22 13 17 . 44 7 38 37 15 39 218 24 149 16 54 50 16 15 160 1 11 17 50 69 25 61 18 65 427 3 1 242 3 1 22 38 105 18 11 17 200 19 141 6 23 40 214 24 47 25 211 39 6 24 37 91 11 20 43 136 48 25 42 362 27 58 134 1 14 751 2467 330 108 425 2915 29 524 67 presentano un bacolino perfetto come alla vigilia della schiusura. Finalmente si riscontra un numero più o meno grande di uova abbrunite per pigmento scuro nella sierosa (vera o falsa che sia), a tipo univoltìno; e tra queste distinguo le annerite parzialmente, ap , e le annerite completamente e regolarmente, tutte simili per aspetto ad uova univoltine, regolarmente fecondate, in diapausa, ac. Osservando il numero totale delle uova delle varie categorie, comparativamente al 1° e al 2° esame, si rileva che le rr al 1° esame sono 31, al 2° esame 108. Sembra non probabile supporre che questo numero vr mag¬ giore al 2° esame dipenda dall’essere divenute rr uova pri- — 62 — ma scolorate del tutto. Probabilmente 108-31 rr sono derivate da uova r al 1° esame. Dico 108 - 31 perchè è probabile che nessuna delle rr abbia proseguito lo sviluppo fino a cn. D’altra parte le r che erano nel 1° esame 168, divengono al 2° esame 425; queste 425 - [168 - (108-31) ] = 334 debbono es¬ sere derivate, con probabilità, da uova l t IL al 1° esame. Al 1° esame le / erano ///, al 2° esame 29, cioè 82 di meno. Non bastano dunque le diminuite l a darci ragione delle au¬ mentate r; ma le II da 3558 al 1° esame sono divenute 2915, cioè 643 di meno. Di queste 643 II possiamo supporre che 334-82 = 242 siano divenute r, mentre le altre 411 sono divenute cn. Veramente non possiamo escludere che un numero maggio¬ re di II abbiano proseguito lo sviluppo fino a cn, mentre altre II sarebbero sorte per pigmentazione tardiva di uova che alla data del 1° esame erano ancora tutte scolorate. Le cn al 1° esame sono 347 t + 126 a = 473 mentre al 2° esa¬ me sono divenute 2467 t + 330 a — 2807. Queste 2807 - 473 = 2334 che compaiono al 2° esame sono evidentemente derivate per la massima parte da uova ancora scolorate al 1° esame. Quanto alle uova annerite esse sono al 1° esame 496 ac + 95 ap = 591, e al 2° esame 524 + 67 = 591: il numero totale delle uova annerite è rimasto lo stesso, soltanto poche delle ap al 1° esame, proseguendo il loro sviluppo, sono diventate ac. Lo studio, collo stesso metodo comparativo, dei risultati del primo e del secondo esame , per ciascuna ovatura, conferma le deduzioni ricavate dall'osservazione dei dati complessivi. Le uova rosate o vivacemente rosse per pigmento relativamente abbon¬ dante nella sierosa non proseguono, se non forse raramente, nel loro sviluppo (vedi ovatura 3). Le uova lievemente o lievissima¬ mente rosate possono, continuando a caricarsi di pigmento nelle cellule della sierosa, divenire bene rosate (ovat. 13, 23, 24); ma in numero maggiore proseguono lo sviluppo embrionale. Le uova a contenuto nero per embrione maturo derivano, in parte, ap¬ punto da uova prima lievissimamente rosate; ma anche da uova a sierosa scolorata, e in proporzione maggiore , anzi (forse un 2/3 nell' ovatura 3, 1/2 circa ne^a 4 e 24, % nelle 15 e 25, quasi tutte forse nelle 6, 10, 23). Uova che al primo esame presenta¬ no un embrione già bene riconoscibile, ma ancora imperfetto 63 — cna) possono arrestarsi a questo stadio o invece proseguire verso la maturità embrionale (ovat. 10, 13). Uova che al primo esame si presentavano ancora scolorate possono divenire, più tardi, lie¬ vemente colorate per deposito di pigmento nella sierosa: anche molte, in certe ovature (6, 10, 13, 23). Parrebbe infine che pos¬ sano, in data posteriore al primo esame, cioè più di un 20 giorni dopo la deposizione, comparire nuove uova annerite ( ap e ac): ma necessita conferma. Queste osservazioni sull' andamento dello sviluppo parte¬ nogenetico confermano quelle del Jucci sulla razza bivoltina Awoijku. Esse contribuiscono a precisare i fenomeni e ad allon¬ tanare ogni possibile sospetto di errore (fecondazione inavver¬ tita o simili). E' sopratutto degno di nota il numero assai grande (2797!) di embrioni maturi ottenuti, la maggior parte dei quali morti proprio alla vigilia della chiusura. Io tendo a credere, col prof. Jucci, che le osservazioni dei vecchi AA. che affermarono di aver ottenuto da uova vergini numerosi bacolini sgusciati non fossero errate; e, sulla base della intima e perfetta correlazione tra capacità di voltinismo e capa¬ cità di partenogenesi, mi propongo, tornando nella mia provin¬ cia di Canton (Cina meridionale) di studiare i fenomeni di svi¬ luppo partenogenetico nelle razze indigene polivoltine: le quali ci daranno, prevedo, non solo inizi di sviluppo come le razze annuali, non solo embrioni maturi come le razze bivoltine, ma benanche bacolini atti a sgusciare dall'uovo e probabilmente a raggiungere, con lo stato imaginale, la capacità generativa. — 64 — BIBLIOGRAFIA Jucci C. — Su l'eredità del tipo metabolico nei bachi da seta I II bi¬ voltinismo. Boll. Lab. Zoologia Agr. Portici, Voi. 17, pp. 187- 318 (e Annali R. Se. Sup. Agr. Portici, pp. 1-134) 1924. — — Bivoltinismo e partenogenesi nei bachi da seta {Bombyx mori ) Rend. Acc. Lincei Voi. 33, (5), 2° Sem. fase. 9, pp. 345 - 8, Sed 2 Nov. pres. 15 Ott.) 1924. — — Vario grado di tendenza alla partenogenesi nelle varie razze di bachi da seta {Bombyx mori ) e probabile correlazione col vario grado di tendenza al bivoltinismo Rend. Acc. Lincei Voi. 33, (5), 2° sem. fase. 10, pp. 435-7 Sed 16 nov. (pres 15 Ott.) 1924. — — Sui fenomeni di sviluppo partenogenetico nelle uova di Bom¬ byx mori di razza bivoltina (Awaijka) di 1° e 2° generazione. Ann. R. Ist. Sup. Agr. Portici, V. 20, p. 1-5 e 1 tav. Febbr. 1925. — — Fecondazione artificiale e partenogenesi nei bachi da seta. Informaz. seriche Giugno 1925. — — Le capacità di sviluppo dell ' uovo, vergine o fecondato, nei bachi da seta {Bombyx mori). Boll. Ist. Zool. R. Un. Roma Voi. 3, 16 pp. 1925. — — La partenogenesi naturale nei bachi da seta. Rivista di Bio¬ logia Voi. 8, fase. I, pp. 20, genn.-febbr. 1926. — — La partenogenesi nei bachi da seta come esponente delle ca¬ pacità fisiologiche individuali e di razza. Rend. Acc. Lincei, Voi. 3, (6), 1° sem. fase. 1°, genn. 1926. — — La capacità di partenogenesi delle uovu di seconda genera¬ zione di razza bivoltina di bachi da seta. Rend. Acc. Lincei, Voi. 3, (6), 1° sem. fase. 6°, marzo 1926. Wen Darwin. — Precocità di sviluppo e tendenza alla partenogenesi nei bachi da seta di razze gialla indigena. Boll. Soc. Natur. Napoli 1925. Finito di stampare il 3 giugno 1926. La pioggia a Napoli e le sue variazioni nel periodo 1865-1924 del socio Dott.sa Ester Majo (Tornata del 30 dicembre 1925) Andamento pluviometrico. Tenendo conto dell’ a 1 1 e z z a della pioggia sul suolo e della frequenza per i singoli mesi e anni dai dati rac¬ colti dal 1865 al 1924 nell'Osservatorio Meteorologico della R. Università di Napoli ho dedotto *) i valori m e d i i men¬ sili e annuali dell’altezza e della frequenza; i valori medi giornalieri, tenuto presente il diverso numero di giorni di ciascun mese; i valori medi mensili e an¬ nuali della frequenza secondo che l’altezza della pioggia rac¬ colta in ciascun giorno fu compresa negli intervalli j> 0,1 mm. e < 10 mm, > 10 mm. e ^ 25 mm, > 25 mm e 50 mm.; i valori medi della frequenza relativa ai giorni in cui l'acqua caduta non raggiunse 0,1 mm. (giorni con sole gocce ); i valori medi dell'abbondanza mensile e annuale dedotti dal rapporto tra l'altezza totale della pioggia e il numero totale di giorni piovosi coi corrispondenti valori normali. 9 Cfr: E. Majo. — La pioggia a Napoli dal 1865 al 1924 (Dati relativi e discussione preliminare). Editore Gennaro Majo. Napoli 1926. - 5 - TABELLA — 66 — OJ le O in m CN CO CN in 03 Oi ■'f m r- CO p i—i o in o co n — tr^ CN d O CN o d X i » - O m o o 00 CN in o ■sf o o CN 00 CN CN co CN ajqoHO CN d CN d d id ed d 1— ' m in 00 00 o 00 in O 3jqiu3|;as co o co CN o d CN d o d x d in o d o o m o co o o co in CN o cqsoSy CN t>- p p CN in »— i o CO o co d in ed d d o CN t— o t'- co co co in ojiSnT o o o CN in co o T— < d o co d d CN d d d r-H 1—1 O O' CN , CN co CN in 00 onSniQ i>; CN CN O co 00 CN o 00 d o d in d d d co o CT' in t- o t-- o in co CN oiSSbw CN in CN CN O' in CN o o d r— i od o in d r— 1 d d 1 00 CO 00 00 CN h- CN co co aiudy Oi in p co o 00 CN CO o O in CN d d d od CN d d CN 1 co t'- O CN t- 00 o in ozjbw co m t" CN o CN o o CN CN o d d CN o d T-ì 00 T_ 1 1 in o 00 o o o t- co o O oisjqqaj CN CN i>- p co co o CN d CN d d od CN d d T— C r- 1 CN co o O CN o in o- OIBUU30 t— CN in p CN in o p d CO CN d td od CO d d r— i 10 e <125, ha tre massimi e tre minimi: minimo principale in luglio e massimo prin¬ cipale in ottobre, minimi secondari in novembre e febbraio , massimi secondari in dicembre-gennaio e in marzo. La frequenza, relativa all'altezza compresa nell'intervallo > 25 e <1 50, ha tre massimi e tre minimi: minimo principale in luglio e massimo principale in ottobre, minimi secondari in novembre e marzo, massimi secondari in dicembre e aprile. La frequenza, re¬ lativa ai giorni in cui l’altezza della pioggia superò i 50 mm. ha durante Tanno due massimi e due minimi: massimo secondario- in giugno, minimo secondario in agosto, massimo principale in ottobre e minimo principale febbraio-marzo. La frequenza, relativa ai giorni in cui l'acqua caduta non rag¬ giunse 0,1 mm., ha quattro massimi e quattro minimi: minimi secondari in maggio, agosto e ottobre, massimi secondari in giu¬ gno, settembre e novembre, minimo principale in gennaio e il massimo principale in aprile. Scostamenti pluviometrici mensili. Tenendo conto, del normale giornaliero dell’altezza di mm. 2.55, e del diverso numero di giorni per ciascun mese si otten¬ gono i seguenti scostamenti pluviometrici mensili delValtezza : Gennaio -f mm. 20.69 Marzo 4- mm. 1.28 Febbraio mm. 4.85 Aprile — mm. 0.52 Fig. 5. - 69 — Maggio — mm. 29.85 Settembre — mm. 6.15 Giugno — mm. 37.74 Ottobre + mm. 53.42 Luglio — mm. 60.01 Novembre 4 mm. 47.88 Agosto — mm. 55.79 Dicembre + mm. 50.58 Da questi dati si scorge che i mesi di febbraio, marzo, a- prile, settembre si scostano poco dal normale annuale ed in par¬ ticolare la quasi regolarità del mese di aprile che ha uno sco¬ stamento negativo di circa */2 millemetro. Notiamo che i sei mesi di massima sono compensati da sei mesi di ma¬ gra. La massima è consecutiva da ottobre a marzo, la ma¬ gra da aprile a settembre. Analogamente, tenendo conto del normale giornaliero della frequenza di 0,32 e del diverso numero di giorni per ciascun mese si ottengono i seguenti scostamenti mensili della frequenza: Gennaio 4 giorni 2.61 Febbraio 4- giorni 2.32 Marzo 4 giorni 2.85 Aprile -f giorni 1.88 Maggio — giorni 1.67 Giugno — giorni 3.18 Luglio — giorni 6.85 Agosto — giorni 6.02 Settembre — giorni 2.55 Ottobre 4 giorni 2.73 Novembre 4 giorni 3.83 Dicembre 4 giorni 4.48 I mesi di aprile e maggio meno si scostano dalla normale annua, di più vi sono sette mesi più piovosi compensati da cinque mesi meno piovosi. I mesi più piovosi sono consecutivi da ottobre ad aprile ed i mesi meno piovosi da maggio a settembre. Massime e minime altezze e frequenze della pioggia per ogni mese. In gennaio la massima pioggia si è avuta nel 1915 con mm. 280.2, la minima nel 1916 con rnm. 17.6; il massimo nu¬ mero di giorni piovosi nel 1871 con 26 giorni, il minimo negli anni 1896 e 1898 con soli 4 giorni piovosi. In febbraio 1873 e 1906 si è avuto mm. 194.6, nel 1894 mm. 2.2; nel 1919 si è avuto il massimo di 23 giorni piovosi e nel 1894 il minimo di 2 giorni. In marzo 1865 la massima altezza data da mm. 246.8, la minima nel 1893 con mm. 15.2; la massima frequenza nel 1865 — 70 — con 24 giorni e la minima negli anni 1875, 1881 e 1899 con 6 giorni. In aprile la massima altezza nel 1908 con mm. 196.3 e la minima nel 1865 con mm. 0.6, la massima frequenza negli anni 1879 e 1918 con 20 giorni, la minima nel 1855 con 2 giorni. In maggio la massima altezza è data da mm. 189.0 nel 1874, la minima da mm. 1.9 nel 1920, la massima frequenza da 18 giorni nel 1911, la minima da 2 giorni negli anni 1865, 1867, 1869, 1875 e 1923. In giugno 1868 la massima altezza con mm. 169.0, nel 1874 la minima con sole gocce, la massima frequenza nel 1884 con 15 giorni, la minima nel 1873 con nessun giorno piovoso. In luglio la massima altezza con mm. 155.0 nel 1868 e la minima corrispondente a siccità completa o a sole gocce negli anni 1871, 1877, 1079, 1880, 1886, 1894, 1902, 1912 e 1920, la massima frequenza nell'anno 1868 con 9 giorni e la minima fre¬ quenza nel 1871, 1887, 1879, 1880, 1886, 1895, 1902, 1912 e 1920 con nessun giorno piovoso. In agosto la massima altezza con mm. 81.9 nel 1967, la minima con siccità completa negli anni 1906 e 1922, la massima frequenza nel 1869 con 10 giorni, la minima con nessun giorno piovoso negli anni 1906 e 1922. In settembre la massima altezza con mm. 244.9 nel 1916, la minima con sicccità completa nel 1870, la massima frequenza nel 1882 con 17 giorni, la minima nel 1870 con nessun giorno piovoso. In ottobre la massima altezza con mm. 392.0 nel 1918, la minima nel 1913 con mm. 28.5, la massima frequenza nel 1919 con 24 giorni, la minima negli anni 1893 e 1913 con 4 giorni. In novembre la massima altezza con mm. 304.0 nel 1893, la minima con mm. 9.6 nel 1897, la massima frequenza con 22 giorni negli anni 1883 e 1905, la minima nel 1881 con 5 giorni. In dicembre la massima altezza con mm. 313.6 nel 1869, la minima nel 1888 con mm. 12.8, la massima frequenza negli anni 1869 e 1901 con 24 giorni, la minima nel 1865 con 4 giorni piovosi. - 71 — Medie stagionali. Tenendo conto che l' Inverno meteorologico comprende i mesi di gennaio, febbraio e il dicembre dell'anno precedente, la Primavera quello di marzo, aprile, maggio, l'Estate quelli di giu¬ gno, luglio, agosto e l’Autunno quelli di settembre, ottobre, no¬ vembre, disponendo dei dati del dicembre 1864 (mm. 156.1 di altezza e 17 giorni piovosi) tralasciando quelli del dicembre 1924 ho ottenuto per l'altezza della pioggia i seguenti valori medi: Inverno mm. 307,41; Primavera mm. 205.51, Estate mm. 81.06, Autunno mm. 337.17 e per la frequenza: In¬ verno giorni 38.35, Primavera giorni 32.56; Estate gior¬ ni 13.38, Autunno giorni 33.13. Cioè il minimo dell' altezza e della frequenza della pioggia cadono in Estate, il massimo dell'altezza in Autunno, quello della frequenza in Inverno. Massime piogge. Le piogge che superarono gli 80 mm. di altezza in un giorno si ebbero: il 3 novembre 1865 con mm. 89.0, il 15 ottobre 1875 con mm. 81.8, il 27 dicembre 1889 con mm. 89.2, il 2 dicem¬ bre 1890 con mm. 85.0, il 24 ottobre 1910 con mm. 98.9, il 21 settembre 1911 con mm. 88.8, il 2 settembre 1915 con mm. 89.6, il 1. ottobre 1915 con mm. 88.5, il 6 giugno 1918 con mm. 90.8 il 5 ottobre 1818 con mm. 98.8, il 20 giugno 1920 con mm. 87.0 il 27 ottobre 1921 con mm. 92.4 e il 4 novembre 1922 con mm. 94.1. Andamenti pluviometrici trentennali. Le tabelle II e III si riferiscono alle medie trentennali del¬ l’altezza e della frequenza della pioggia dedotte di quinquennio in quinquennio per ogni mese ed anno. L’andamento pluviometrico diviene così meglio definito. L’altezza della pioggia ha sempre tre minimi e tre massimi. Il minimo principale cade sempre in luglio, un minimo se¬ condario cade in febbraio o marzo in quest' ultimo mese però TABELLA IL 1 — 72 — vO o co o o ov IN IN IN IN IN IN o o O' O 00 O 00 N O c 00 Ov tN co q CN vO c od d co' ni d in d S= ni d In ni o o o ni CO m < r-H CN CN ov Ov Ov Ov Ov Ov Oi 1—1 1 ,—l 1—1 T_l 1—1 CN o o o m co co CO CO o CO IN -'f CN co r— « r-H 00 q co q q q q IN ajqiuaoia od d d cd N- o ajqiuaoiQ ■N" -d ■ d d CN CO co co CO co i—i r— l r-H i—i 1 T"H r“H ’ ' 1 Ov o 00 00 00 m N CO co IN CO co co CO O' in IN 00 CN r-H IN CN IN in CN IN q 3jqiU3A0^ CN o od co co’ in in 3JqiU3A0M co’ cd CN* ni cd CO cd CN CN v-H T— < CN (N CN T“H T“H T 1 T"H 1 ' T—l CO CN CN 00 CO o o co In co o IN N vO O CO ni IN ni co in n- ON IN ajqo^o d CN vd o r-I IN od 3jqo;io ni ni ni ni cd co CO co co co r-H T—l r“l T"H 1 ' T”H 1—1 H* in Ov CN In 00 m co O o o o o IN 00 00 CN IN vO vO 00 00 in CN q CN ajqma^ps ni vd o in vd ni IN 3jqiua;ps vd d IN IN In IN IN IN vO IN vO vO IN vO 00 IN vO co CO O co O o IN tN o N ojsoSy 00 T— < IN IN IN ojsoSy q in m q q q co CN CO d d d cd cd cd cd cd cd CN CN CN CN CN CN o 00 00 O O 00 IN co co o IN o IN oijSrn o o co CN 00 vO ojiSnT IN t — IN q CN CO d r-H co in od od ni ni ni co CO CO CO co 00 VO co o m < co co co o o N o ouSnjo q q r-H co 00 o 00 ouSniQ q co q m Ov o IN* o d in o vd i— 1 t ] in in in d d d d co CN co CO co 'sf ■N"1 UJ cc 00 IN co m CN vO CN < o co IN o o N o oiSSeiy q 00 Ov q in IN IN F— 1 oiSSBjy in q in vO o oó d ,_4 co’ d co’ d IN od 00* od d Ov d -v*1 in in m m m CN co m o o IN IN co co co O o siiady 00 q tN r-H IN vO r-H aiudy Ov Ov o q in Ov o o od cd d d ni d d nf ni ni l>- in 00 oo 00 00 oo r—l O IN In 00 CN IN vO IN o co IN N- IN IN q m oo CN CN CO CN co m m 00 OZJBI/V CN CN d vd CO in oo ozjBjy ni ni CN* CN* ni cd 00 In IN IN IN IN IN 1 o CN H* o o co co CO O CO IN Ov 00 vO 00 CN in in vO CN o 1— I OV r-H Ov oiBjqqaj o CN d d vd cd in oiBJqqaj cd o d c4 ni vO IN vO IN 00 00 oo 1 m m — N o o co IN co IN N o o o co IN CO IN co i— i cr> IN vO Ov IN OIBUU3Q h* d o ni O ni in 01BUU3Q ni ni ni ni ni ni ni o o o o o o o i— i r—< r-H T— 1 1 1—1 1—1 1—1 1 N" oi 'Sf cn ■'f Ov H* Ov Ov Ov CN Ov Ov o o CN CN Ov Ov o o CN O' 00 00 ov Ov 5v ov O O 00 00 Ov Ov Ov Ov Ov 1—1 1 ’—l 1 1—1 1 r_l 1 1 1 1 ' ' 1 1 in 1 in 1 o 1 in 1 o m 1 o 1 in 1 m 1 in 1 o 1 m 1 o in 1 o in O vO t — IN 00 00 Ov Ov vO vO N n- 00 00 Ov Ov 00 00 00 00 00 00 00 00 00 00 00 00 00 00 00 00 — 73 — con maggiore probabilità , un altro minimo secondario cade preferibilmente in ottobre e un altro massimo secondario cade in dicembre, però è anche probabile che i due massimi s'inver- tano tra loro, l'altro massimo secondario cade in aprile ecce¬ zionalmente in marzo (in questo caso col minimo in febbraio). La frequenza della pioggia ha sempre due mas¬ simi e due minimi. Il minimo principale cade sempre in lu¬ glio (eccezionalmente si estende anche al mese di agosto) e il massimo secondario in marzo (eccezionalmente in aprile). Variazioni periodiche. Nella tabella IV nella colonna H sono segnate le altezze annuali della pioggia e nella colonna F il numero totale di giorni piovosi per ciascun anno. Tali dati sono rilevati graficamente nelle figure 6 e 7. Tenendo conto del normale annuale dell’altezza della pioggia e del normale annuale della « — 74 — TABELLA IV. Anni H F AH AF Anni H F AH AF 1865 887.3 97 _ 42.1 — 20.2 1895 1040.8 113 + 111.4 — 4.2 1866 646.7 100 — 282.7 — 17.2 1896 917.9 116 — 11.5 — 1.2 1867 903.6 97 — 25.8 — 20.2 1897 635.8 108 — 293.6 — 9.2 1868 1154.6 120 + 225.2 + 2.8 1898 870.6 126 — 58.8 + 8.8 1869 950.0 123 + 20.6 + 5.8 1899 946.3 107 + 16.9 — 10.2 1870 949.3 127 + 19.9 + 9.8 1900 1167.5 136 + 238.1 + 18.8 1871 922.7 123 — 6.7 + 5.8 1901 995.6 147 + 66.2 + 29.8 1872 1055.8 131 _L_ 126.4 + 13.8 1902 958.1 131 + 28.7 + 13.8 1873 997.0 107 + 67.6 — 10.2 1903 1054.4 120 + 125.0 + 2.8 1874 1173.9 114 + 244.5 + 3.2 1904 899.8 122 — 29.6 + 4.8 1875 988.8 113 + 59.4 - 4.2 1905 1030.4 132 + 101.0 + 14.8 1876 748.0 102 — 181.4 — 15.2 1906 961.0 124 + 30.6 + 6.8 1877 908.9 104 — 20.5 — 13.2 1907 1110.5 127 + 181.1 + 9.8 1878 1111.9 128 182.5 + 10.8 1908 1115.7 107 + 186.3 — 10.2 1879 730.1 124 — 199.3 + 6.8 1909 820.0 129 — 109.4 + 11.8 1880 468.1 82 — 461.3 — 35.2 1910 1292.9 134 + 363.5 + 16.8 1881 962.1 114 + 32.7 — 3.2 1911 801.0 121 — 128.4 + 3.8 1882 1005.8 116 _L 76.4 — 1.2 1912 659.6 112 — 269.8 — 5.2 1883 857.4 118 — 72.0 + 0.8 1913 733.4 112 — 196.0 — 5.2 1884 816.9 114 — 112.5 — 3.2 1914 979.9 113 + 50.5 — 4.3 1885 1013.6 118 + 84.2 + 0.8 1915 1385.3 159 + 455.9 + 41.8 1886 976.6 123 + 47.2 + 5.8 1916 1058.9 125 + 129.5 + 8.8 1887 866.5 116 — 62.9 — 1.2 1917 977.2 130 + 47.8 f 13.8 1888 681.4 98 — 248.0 — 19.2 1918 1103.1 124 + 173.7 + 7.8 1889 1213.9 131 + 284.5 + 13.8 1919 885.1 147 — 44.3 + 29.8 1890 879.1 114 — 50.3 — 3.2 1920 716.1 106 — 213.3 — 11.2 1891 788.9 103 — 140.5 — 14.2 1921 900.2 115 — 29.2 — 2.2 1892 916.1 118 — 13.3 + 0.8 1922 854.0 111 — 75.4 — 6.2 1893 973.0 96 _L_ 43.6 — 21.2 1923 919.8 112 — 9.6 - 5.2 1894 720.9 85 208.5 — 32.2 1924 702.7 112 — 226.7 — 5.2 — 75 — frequenza si sono calcolate per ogni anno le deviazioni positi ve o negative che figurano rispettivamente nelle colonne AH e AF Dalle deviazioni rispetto all’altezza normale rileviamo che le annate con maggiore pioggia furono 30 e quelle con minore anche 30. Nel passaggio da un anno ad un altro se ne ebbero 12 dal più al meno e 12 dal meno al più: cioè in tutto 24 cambiamenti di ww', io *15 $0 9o «53 oo 0 5 40 <5 IO Fig. 7. segno. Notiamo 4 permanenze negative e 2 positive di due anni, 4 permanenze negative e 1 positiva di tre anni, 2 permanenze posi¬ tive di quattro anni, 2 positive di cinque anni e 1 permanenza ne¬ gativa di sei anni. L’anno con maggiore pioggia fu il 1915 con un eccesso di mm. 455.9 e quello con minore pioggia fu il 1880 con un difetto di mm. 461.3. Seguono poi con un eccesso superiore ai 200 mm. gli anni: 1868, 1874, 1889, 1900 e 1910 e con un difetto maggiore di 200 mm. gli anni: 1866, 1888, 1894, 1897, 1920 e 1924. Gli anni che più si avvicinano alla normale con differenze non superiori ai mm. 50.5 sono: 1865, 1867, 1869, 1870, 1871, 1877, 1881, 1886, 1890, 1892, 1893, 1896, 1899, 1902, 1904, 1906, 1914, 1917, 1919, 1921 e 1923; cioè nel periodo considerato più di un terzo dei — 76 — totali annui si avvicinano alla normale dell'altezza, di più è evidente la quasi uguaglianza del valore assoluto della massima parte delle deviazioni positive e negative, perciò siamo sicuri di esserci avvicinati, se non assolutamente, quasi, alla nor¬ male annua. Dalle deviazioni rispetto alla frequenza rileviamo che le annate piovose furono 29 e le asciutte 31. Nel passaggio da un anno ad un altro si ebbero 22 cambiamenti di segno di cui 11 dal + al — e 11 viceversa. Si ebbero poi 2 permanenze nega¬ tive e 2 positive di due anni, 4 negative e 1 positiva di tre anni, 2 negative e 2 positive di cinque anni e 1 positiva di otto anni. L'anno più piovoso fu il 1915 con un eccesso di giorni 41.8 il meno piovoso fu il 1880 con un difetto di giorni 35.2. Se guono poi con un eccesso superiore ai 13 giorni gli anni: 1872, 1889, 1900, 1901, 1902, 1905, 1910, 1917, 1919 e con un difetto maggiore di 13 giorni gli anni: 1865, 1866, 1867, 1876, 1888, 1891, 1893, 1894. Si avvicinano alla normale con differenze non maggiori di giorni 5.2 gli anni: 1868, 1874, 1875, 1881, 1882, 1883, 1884, 1885, 1887, 1890, 1892, 1895, 1896, 1903, 1904, 1911, 1912, 1913, 1914, 1921, 1923 e 1924: cioè più di un terzo degli anni del periodo considerato si avvicinano alla normale annua della frequenza. In questo caso e nel precedente le deviazioni di e- guale valore assoluto rivelano quindi l'esistenza di onde di lungo periodo alle quali si sovrappongono via via onde di differenti ordini di grandezza. Un' onda di lungo periodo ha perciò il suo minimo verso il 1880 (— mm. 461,3) e il suo massimo verso il 1915 (+ mm. 455.9) con una amplitudine di mm. 917,2: essa corrisponde esat¬ tamente al periodo di 35 anni segnalato nelle variazioni secolari da M. Bruchner in Russia. Un'altra onda ha il minimo nel 1866( — 282.6), il massimo nel 1889 (+ 284.5) e un altro minimo nel 1912 ( — 269.8) con am¬ plitudine compresa tra mm. 567.1 e mm. 554.3 e con periodo, tra massimo e minimo, di 23 anni, corrispondente cioè al pe¬ riodo del Wild. Un'altra onda di lungo periodo con amplitudine di mm. 451.9 ha il massimo nel 1868 (+ 225.2) e il minimo nel 1924 ( — 226.7) con periodo tra massimo e minimo, di 56 anni, il periodo più — 77 — lungo da noi rilevato: questo periodo si avvicina a quello di 55 anni rilevato dal Voeikow a Barnaoul, mentre la sua durata com¬ prende approssimativamente cinque cicli di macchie solari. Notiamo infine periodi di 8 anni tra il 1889 (+ 284.5) e il 1897 (—293.6); tra il 1903 (+ 125.0) e il 1911 (—128.4); di 11 anni tra il 1884 (—112.5) e il 1895 (+ 111.4); di 5 anni tra il 1911 (—128.4) e il 1916 (+129.5); di 2 anni tra il 1874 (+ 182.5) e il 1876 ( — 181.4). Il periodo di 8 anni e quello di 2 anni corrispon¬ dono ai periodi trovati da Woeikow e Petterson. Il valore (+363.5) del 1910 non ha restremo negativo nel periodo considerato che pure si estende ai 45 anni precedenti e ai 14 seguenti: evidentemente corrisponderà ad un'onda di lungo periodo con amplitudine superiore ai 700 min. Per la frequenza notiamo, in corrispondenza dell'altezza, il periodo di 35 anni col minimo nel 1880 ( — giorni 35.2) e il mas¬ simo nel 1915 (+ giorni 41,8) e amplitudine di 77 giorni. Altri periodi di 14 anni tra il 1891 ( — 14,2) e il 1995 (14.8), di 12 anni tra il 1877 (—13.2) e 1889 (+ 13.8), tra il 1888 (-19.2) e il 1900 (+ 18.8), di 11 anni tra il 1909 (+ 11.8) e il 1920 (—11.2), di 7 anni tra il 1894 ( — 32.2) e il 1901 (+ 29.8), di 5 anni tra il 1872 (+ 13.8) e 1877 (— 13.2), tra il 1873 (— 10.2) e il 1878 (+10.8), di 3 anni tra il 1870 (+9.8) e 1873 (—10.2). Nelle tabelle V e VI sono segnate, rispettivamente pei suc¬ cessivi quindicenni e trentenni, le medie dell'altezza e della fre¬ quenza della pioggia. Per 1' altezza della pioggia nel passaggio dal quindicennio 1865-1879 al 1880-1894 vi è una diminuzione media di anni 65,89 dal 1880-1894 al 1895- 1909 un aumento medio di mm 92,27 e infine nel passaggio all'ultimo quindicennio, 1910-1924 una diminuzione di mm. 37,01. La media più bassa si ebbe nel 1880-1894 con mm. 876.02 e la più alta nel 1904-1918 con mm. 995,24 e differenza totale di mm. 119.22. Per la frequenza della pioggia nel passaggio dal quindicennio 1865-1879 al 1880-1894 si ebbe una diminuzione di giorni 4.27; nel passaggio al 1 895— 1909 un aumento di giorni 13.23 e nel passaggio al 1910-1924 una diminuzione di giorni 0,78. La media più bassa si ebbe nel 1880-1894 con giorni 109,73 e la più alta nel 1905-1919 con giorni 126.40; complessivamente con differenza totale di giorni 16.67. — 78 — TABELLA V. Medie successive quindicennali dell' altezza e della frequenza della pioggia. 1865 - 1866 - 1867 1868 - 1869 1870 1871 - 1879 | 1880 | 1881 | 1882 j 1883 | 1884 | 385 | 386 ( 1872 - 1873 - 1887 1874 - 1888 1875 - 1889 1876 - 1890 1877 - 1891 1878 - 1892 1879 - 1893 1890 - 1894 941.91 114.00 913.96 113.00 934.99 113.93 941.80 115.20 921.99 115.07 913.11 114.47 917.40 113.87 920.99 113.87 908.37 112.87 887.33 112.27 890.00 113.40 882.69 113.47 885.41 113.53 885.89 114.47 876.63 112.33 876.02 109.73 1881 - 1895 1882 - 1896 1883 - 1897 1884 - 1898 1885 - 1899 1886 - 1900 1887 - 1901 1888 - 1902 1889 - 1903 1890 - 1904 1891 - 1905 1892 - 1906 1893 - 1907 1894 - 1908 1895 - 1909 1896 - 1910 ( 914.20 ( 111.80 ( 911.25 ( 111.93 ( 886,59 ( 111.40 ( 887.47 ( 111.93 ( 896.09 ( 111.47 ( 906.36 ( 112.67 ( 907.62 ( 114.27 ( 913.73 ( 115.27 ( 938.59 ( 116.73 ( 917.65 ( 116.13 ( 927.74 ( 117.33 ( 939.21 ( 118.73 ( 952.17 ( 119.33 ( 961.69 ( 120.07 ( 968.29 ( 123.00 ( 985.10 ( 124.40 1897 - 1911 1898 - 1912 1899 - 1913 1900- 1914 1901 - 1915 1902 1903 1916 1917 1904 - 1918 1905 - 1919 1906 - 1920 1907 - 1921 1908 - 1922 1909 - 1923 1910 - 1924 977.31 124.73 978.89 125.00 969.75 124.07 971.99 124.53 986.51 126.00 990.73 124.53 992.00 124.47 995.25 124.73 994.27 126.40 973.31 124.67 969.26 124.07 952.16 123.00 939.10 123.33 931.28 122.22 — 79 — TABELLA VI. Medie successive trentennali dell’ altezza e della frequenza della pioggia. 1865 - 1894 1866 - 1895 1867 - 1896 1868 - 1897 1869 - 1898 1870 - 1899 1871 - 1900 1872 - 1901 1873 - 1902 1874 - 1903 1875 - 1904 908.96 111.87 914.08 112.40 923.12 112.93 914.19 113.30 904.73 113.50 904.60 112.97 911.88 113.27 914.31 114.07 911.05 114.07 912.96 114.50 903.83 114.77 1876 - 1905 1877 - 1906 1878 - 1907 1879 - 1908 1880 - 1909 1881 - 1910 1882 - 1911 1883 - 1912 1884 - 1913 1885 - 1914 1886 - 1915 905.21 115.40 912.31 116.13 919.03 116.90 919.16 116.20 922.16 116.37 949.65 118.10 944.28 118.33 932.74 118.20 928.61 118.00 934.04 117.97 946.43 119.33 1887 - 1916 1888 - 1917 1889 - 1918 1890 - 1919 1891 - 1920 1892 - 1921 1893 - 1922 1894 - 1923 1895 - 1924 949.17 119.40 952.86 119.87 966.92 120.73 955.96 121.27 950.53 121.00 954.24 121.40 952.17 121.17 950.39 121.70 949.79 122.60 Dalle figure 8 e 9 che danno l'andamento delle medie dei successivi quindicenni, rispettivamente per l'altezza e la frequen¬ za, appare l'esistenza di un minimo e di un massimo princi¬ pale, la linea rappresentatrice non riesce ad eliminare massimi e minimi secondari. Meglio riesce la rappresentazione dei medi trentennali dat* — 81 — dalla tabella VI. La fig. 10 dà l'andamento dei medi trentennali dell'altezza e la fig. 11 quella della frequenza. Nel passaggio dal trentennio 1865-1894 al 1897-1924 si ebbe Fig. 11. - 6 - un aumento medio di pioggia di mm. 40.83 e un aumento me¬ dio di giorni piovosi 10.73. Riferendoci alla tabella VI rilevia¬ mo, rispetto ai valori dei successivi quindicenni, reliminazione di deviazioni secondarie, mentre 1' amplitudine dell' oscillazione principale dei valori medi si riduce, nel caso della pioggia, mm. 63. 09 tra il 1875-1904 e il 1889-1918 e per la frequenza a giorni 10.73 tra il 1865-1894 e il 1895-1924; di più dal 1865- 1894 al 1880-1909 tutti i medi sia dell'altezza che della frequenza (16 valori) si mantengono inferiori alla normale. Dal 1881-1910 al 1894-1925 (15 valori) si mantengono superiori alla normale — 83 — per la frequenza e per l'altezza 14 valori superiori ed uno solo di poco inferiore dalla normale. Per l' altezza della pioggia il massimo assoluto del 1889- 1918 ha una deviazione della normale di mm. 37.54 e il mini¬ mo assoluto del 1875-1904 una deviazione di mm. 25.55; aven¬ dosi, tra i due trentenni, differenza di 14 anni. Applicando ai dati della tabella VI il metodo della pe¬ requazione eliminiamo le deviazioni secondarie e ricaviamo per l'altezza della pioggia la fig. 12 e per la frequenza la fig. 13. La differenza tra il massimo e il minimo dell'altezza si ri¬ duce a mm. 43.46 e per la frequenza a giorni 8.85; avendosi de¬ viazioni dalla corrispondente normale di + mm. 23.90 e — mm. 19.36 per l'altezza e di + giorni 4.53 e — giorni 4.22 per la fre¬ quenza della pioggia. Per le variazioni della pioggia troviamo quindi verificata con sufficiente ap¬ prossimazione la legge sinusoidale delle gran¬ dezze alternative, avendosi per la rappresentazione dell'al¬ tezza una sinusoide ordinaria quasi simmetrica e per quella della frequenza una sinusoide a zig-zag rappresentata da una retta quasi simmetrica a pendenza costante. Finito di stampare il 3 agosto 1926 Studi e ricerche sperimentali sul Myrtus communis L. var. ital. Nota L — L/estratto conciante del mirto del socio dott* Selirn Augusti (Tornata del 22 febbraio 1926) Sommario. I. — Notizie generali sul mirto. a) Descrizione botanica ; b) Località ed usi ; c) Le toglie del Mirto ; d) Applicazioni alla concia. II. —Parte sperimentale. a) Programma di lavoro ; b) Prelevamento del campione ; III. — L'estratto conciante di mirto. A) Saggi preliminari sul materiale tannico ; a) Prove di solubilità. B) Preparazione dell'estratto col metodo della diffusione. C) Ceneri delle foglie di Mirto. D) Preparazione della soluzione per l’analisi. a) Analisi quantitativa; b) Analisi qualitativa. E) Reazioni caratteristiche della soluzione tannica. a) Reazioni con i reattivi comuni ; b) Reazioni con gli alcaloidi ; c) Reazioni con le sostanze coloranti. E) Fermentazione della soluzione tannica. G) Analisi qualitativa dei Non tannini. IV. — Bibliografia. — 85 — Introduzione. Il Myrtus comtnunis L. var. ital., rappresenta per la con¬ ceria italiana un materiale di notevole importanza. Infatti le sue foglie, seccate, vengono adoperate nella preparazione di un cuoio leggero, ma tenace, il quale serve ottimamente per fini¬ menti. Questo sistema di concia al Mirto vien molto adoperato nelle concerie dell' Italia Meridionale, specialmente a S. Maria Capua Vetere e Solofra, dove se ne è creata una vera e propria industria a sè. Poiché di questo materiale non si conosceva, a prescindere dall'olio essenziale ottenuto dalla distillazione piro¬ genica delle foglie, che la sola percentuale in tannino (10% circa), ho creduto opportuno intraprendere uno studio razionale, allo scopo di studiare il comportamento e la composizione dell' e- stratto che da tale materiale si prepara, e di isolare allo stato puro e caratterizzare il tannino in esso contenuto. Poiché d'altra parte il tannino è accompagnato, oltre che da altre sostanze, da una sostanza colorante che conferisce al cuoio una bellissima colorazione giallo-oro, ho pensato che non meno importante sa¬ rebbe stato il cercare di separare e studiare questa interessante sostanza colorante. Non è da meravigliare il fatto che nessuno abbia pensato finora a prendere in esame e studiare a fondo questo interes¬ sante argomento, se si pensa alle grandi difficoltà cui si va in¬ contro in questo studio, specialmente per la facilità ed estrema rapidità con cui l'estratto tannico va in fermentazione. Nelle note che io andrò man mano svolgendo, Targomento verrà trattato da un punto di vista scientifico, per quel che ri¬ guarda lo studio delle proprietà fisiche e chimiche del materiale in esame, e da un punto di vista industriale, per quel che ne riguarda l'applicazione alla concia delle pelli. — 86 — I. — Notizie generali sul Mirto. Descrizione botanica. Il Myrtus conimunis L., var. ital., appartenente alla famiglia delle " Alirtacee „ è un bell'arbusto a foglie ovate ed ovato-lan- ceolate opposte, minutamente punteggiato pellucide; fiori bianchi lungamente peduncolati, solitari, ascellari, con due piccole brat¬ tee in cima al peduncolo; calice con cinque sepali ovali, acuti od ottusi; petali cinque, quasi rotondi concavi; bacca globoide o globosa. Si trova per lo più in forma di cespugli boscagliosi, i cui ramoscelli hanno una lunghezza che si aggira intorno ai due metri. Esso è detto volgarmente “ Mirto „ o “ Mortella „ Località ed usi. Il Mirto è una pianta originaria dell' Africa e cresce spon¬ taneo in tutto il bacino del Mediterraneo; è comunissimo nella Italia Meridionale ed in Sicilia; abbonda in modo speciale in Sar¬ degna, ove le sue boscaglie coprono intere regioni collinose, ed è sparso nelle nostre colonie del Nord Africa. Assai di frequente è coltivato. Con le foglie e con i fiori del Mirto si prepara la cosidetta " Acqua di Mirto „ (" eau d'anges „) usata dalle donne per le sue proprietà astringenti, e con le foglie si prepara un estratto a- stringente. Le foglie e le corteccie dei rami in Levante si im¬ piegano per la concia del marocchino ed i piccoli ramoscelli ser¬ vono a far panie da uccelli. Altri preparati medicinali, usati come astringenti, disinfettanti, emostatici, erano in addietro assai sti¬ mati; a noi però interessa in modo particolare l'applicazione delle foglie alla concia delle pelli. Le foglie del Mirto. Dalle foglie e dai ramoscelli del Mirto si ottiene, per di- stillazione secca, un olio essenziale, nella proporzione del 0,15- 0,30%, di grato odore, di color giallo o verdognolo, del peso specifico di 0,98-0,92, destrogiro. Esso incomincia a bollire a 160oC. e fino a 200° C. ne di¬ stilla circa 80 %. — 87 — La porzione che distilla fra 160-180° C. è posta in com¬ mercio col nome di “ Mirtolo „. L'essenza di Mirto contiene grandi quantità di destropinene Cl0Hl6 bollente a 158-162° C, notevoli proporzioni di dipenteni CioHi6, bollenti a 175-176° C., e di cineolo C10Hi8O bollente à 176° C.; piccole quantità di una canfora, come pure di un ter¬ pene, bollente a più alta temperatura, non bene ancora studiato (Jahns). Il Mirtolo, di cui si è fatto cenno or ora, si compone di un miscuglio di destropinene e cineolo, e secondo Jahns, anche di una canfora C10Hl6O. Il Mirtolo viene usato come antisettico, per la sua azione microbicida sulla massima parte dei fermenti. Applicazioni alla concia. Il Mirtolo è uno dei concianti più antichi, poiché da lun¬ ghissimo tempo è noto ed apprezzato il potere tannante delle sue foglie. Esse contengono, seccate all'aria, circa il 10% di tan¬ nino. Dànno un cuoio leggiero, con una resa del 43-44 %, il quale serve ottimamente per finimenti, perchè il colorante della mortella attraversa rapidamente il cuoio, ma non lo concia, quindi ne risulta un cuoio molto tenace, ma che può anche essere suf¬ ficientemente ingrassato. Le foglie del Mirto hanno una percentuale variabile in tan¬ nino, secondo la loro provenienza. Sono infatti preferite quelle provenienti da colline, perchè hanno fino al 4 % di tannino in più di quelle raccolte in pianura. La raccolta del Mirto vìen compiuta dai “ mortellari „ in maggio-giugno e con maggior intensità in agosto-settembre. Le foglie, seccate all'aria, vengono conservate in magazzini ben asciutti, con pavimento di legno sopraelevato, e si manten¬ gono bene per lungo tempo. Si è infatti notato, in campioni esa¬ minati 12 mesi dopo la raccolta, una diminuzione del tenore in tannini del solo 0,6%. Si concia col Mirto in Italia in molte concerie del meridio¬ nale, e specialmente a S. Maria Capua Vetere e Solofra. Il prezzo di questo materiale è sulle 40-45 lire al quintale. — 88 II. — Parte sperimentale. In questa serie di ricerche sperimentali sul Myrtus comma - nis, io mi sono principalmente proposto : a) di preparare un estratto conciante, osservandone le pro¬ prietà e le reazioni caratteristiche ; b) di studiare l'applicazione di questo estratto alla concia delle pelli ; c) di osservare la natura della fermentazione di tale estratto e studiarne i prodotti derivanti ; d) di isolare dal materiale in esame il principio attivo con¬ ciante (tannino); di studiarne le proprietà e di caratterizzarlo ; e) di isolare, studiare le proprietà e caratterizzare la so¬ stanza colorante e le altre sostanze che accompagnano il tannino. Prelevamento del campione. Kg. 50 di foglie di Mirto, già macinate e pronte per l'uso, sono stati da me personalmente prelevati presso la conceria Me- rola, in S. Maria Capua Vetere, addì 2 dicembre 1924. Nel prelevamento mi sono attenuto a quelle norme neces¬ sarie per poter essere sicuro deH'omogeneità del materiale in e- same. Ho infatti fatto rimuovere il materiale in diversi punti del magazzino prelevandone volta per volta una certa quantità, ho fatto mischiare bene queste varie frazioni e dal loro miscuglio ho fatto prelevare il campione da analizzare. Esso risulta così perfettamente omogeneo. E’ assolutamente esclusa la presenza di parti estranee o di altri materiali tannici. Non è invece esclusa la presenza di pic¬ cole quantità di terriccio, proveniente dalla macine, ma esso può venir facilmente eliminato con mezzi meccanici. Un'aliquota del materiale è stata liberata dal terriccio in essa presente, opportunamente selezionata e stacciata attraverso uno staccio di 25 maglie per cm2, come prescritto. Su questa parte sono stati eseguiti i saggi e si è preparato il campione per l'a¬ nalisi e per la preparazione del tannino puro e delle altre so¬ stanze che lo accompagnano. — 89 — III. — L'estratto conciante di Mirto» A. — Saggi preliminari sul materiale tannico. Prove di solubilità. In un primo tempo ho incominciato con l'osservare l’in¬ fluenza della temperatura sulla preparazione dell’e¬ stratto conciante con acqua distillata, servendomi per l'estrazione del comune percolatore di Procter. A freddo le prove hanno dato risultati negativi, anche dopo alcuni giorni : il Mirto va quindi esaurito necessariamente a caldo. Ho perciò esperimentato a 30° C., a 50° C., a 60° C., a 70° C., a 85° C., ed a 100° C. ed ho potuto osservare quanto segue: a) fino a 50° C. cresce nella soluzione il tenore in tannini ; b ) da 50° a 70° C. esso si mantiene costante, mentre aumen¬ tano lievemente i non tannini; c) oltre i 70° C. la percentuale di tannini comincia a dimi¬ nuire, dapprima lentamente e quindi rapidamente. Da questi risultati ho potuto stabilire che "l'optimum,, di temperatura per la preparazione dell'estratto tannico dal Myrtus communis è sui 50° C. Circa l'influenza del solvente sulla preparazione della soluzione tannica, noi sappiamo che essendo il tannino un acido debole, esso ha la proprietà di decomporre i bicarbonati di calcio e di magnesio contenuti nell'acqua, dando i rispettivi tan¬ nati. Questi ultimi essendo insolubili, viene così a cagionarsi una perdita in tannino, perdita tanto più rilevante quanto più l'acqua è dura. Ho voluto osservare l'entità di questa perdita per il materiale in esame. A tal uopo ho proceduto alla preparazione dell'estratto ope¬ rando parallelamente con acqua distillata e con acqua corrente (acqua della Bolla) , ed ho osservato con quest’ultima una per¬ dita in tannino del 2% circa rispetto al primo solvente. Come si vede la perdita è rilevante, onde occorre una certa cura nella scelta del solvente, per ridurre al minimo possibile tali perdite. — 90 — B. — Preparazione dell'estratto con il metodo della diffusione. Il Prof. Piutti, in una sua memoria presentata all'Accademia Reale delle Scienze Fisiche e Matematiche in Napoli, il 21 giu¬ gno 1924, faceva osservare che il miglior mezzo per sottrarre ai vegetali le sostanze in essi contenute poteva esser basato su que¬ gli stessi metodi che adopera la pianta, ossia sul metodo della " diffusione „ attraverso le cellule stesse. Egli infatti, mediante prove sperimentali, lasciando diffondere naturalmente i gambi del Lupinus albus in acqua distillata (contenente toluolo per evitare l'azione nociva dei microrganismi), riuscì ad ottenere, nella pre¬ parazione dell'asparagina, risultati migliori di quelli ottenuti con i comuni metodi di preparazione. Io ho provato, dietro consiglio del prof. Piutti, ad esten¬ dere questo metodo alla preparazione degli estratti tannici. Ho quindi messo in infusione le foglie di Mirto in acqua distillata (contenente toluolo), abbandonando il tutto a se stesso per un certo periodo di tempo. Prelevando periodicamente dei campioni dalla soluzione, ho ottenuto all'analisi i seguenti risultati: dopo 23 giorni Totale solubile 17,7 o/0 >' u/o Tannini Non tannini Ho ottenuto in tal modo un estratto limpidissimo e che come tale si mantiene per lungo tempo, presentando il vantaggio di poter essere direttamente concentrato senza bisogno di ulteriore decolorazione e chiarificazione. C. — Ceneri delle foglie di mirto. Le foglie di mirto, calcinate, danno una percentuale dì ce¬ neri molto rilevante, del 6%. Esse, analizzate, risultano costi¬ tuite da : sodio, potassio, ferro, alluminio, manganese, calcio ; acido carbonico, acido cloridrico, acido solforico. D. — Preparazione della soluzione per 1' analisi. La soluzione campione per l'analisi è stata preparata col co- — 91 — mune percolatore di Procter !). L'aliquota di foglie, pesata, è stata messa con poca acqua distillata, fredda, in un becker, e dopo 12 ore ho incominciato Y estrazione per sifonazione. La temperatura del bagno-maria è stata regolata in modo da aversi sempre 50° C. nella soluzione, e l'acqua man mano aggiunta era pure alla stessa temperatura. Dopo aver sifonato esattamente un litro ho eseguito le determinazioni seguenti : Analisi quantitativa* 1. Totale solubile. Per questa determinazione ho pre¬ levato 50 cc. della soluzione suddetta e li ho portati a secco in capsula di vetro a fondo piano, a b. m. Il residuo, ben seccato in stufa, è stato pesato e riportato a 100. 2. Non tannini. Una parte della soluzione precedente è stata filtrata attraverso un filtro di Procter a polvere di pelle leg¬ germente cromata, e 50 cc. del filtrato portati a secco come sopra; il residuo, seccato in stufa, è stato pesato e riportato a 100. 3. Tannini. Calcolati per differenza fra " totale solubile „ e " non tannini 4. Umidità. Gr. 1 di foglie di Mirto, posti in un cristalliz¬ zatore largo e basso, sono stati mantenuti in stufa a 100°/1 10° C. fino a peso costante. La perdita di peso, riportata a 100, ci ha dato il valore dell'umidità percentuale. 5. Insolubili. Sono stati determinati per differenza, to¬ gliendo da 100 le percentuali di umidità e totale solubile. Eseguita l’analisi su tre campioni diversi, ho ottenuto per il materiale in esame i risultati seguenti : I II III Media Umidità 8,63 8,56 8,61 8,60 Tannini 10,55 10,59 10,67 10,60 Non tannini 15,83 15,76 15,81 15,80 Insolubili 64,99 65,09 64,91 65,00 100,00 100,00 100,00 100,00 l) I materiali e gli apparecchi da me adoperati per l'analisi sono quelli prescritti dall’Associazione Internazionale dei Chimici del Cuoio. — 92 Analisi qualitativa* Stabilita in tal modo la percentuale di tannino, si tratta di osservare fra quale gruppo di tannini naturali questo materiale va classificato. Noi sappiamo che i tannini naturali possono di¬ vidersi in "tannini pirocatechici „ , "tannini pirogallici,, e "tan¬ nini misti a seconda dei loro prodotti di decomposizione, e che per ogni gruppo si conoscono delle reazioni caratteristiche che servono a caratterizzarlo. A tal' uopo su di una soluzione tannica *) al 0,4 o/0 sono state eseguite le seguenti reazioni caratteristiche distintive : 1. Sali di ferro. Ho aggiunto 5 goccie di allume ferrico a 3 cc. della soluzione tannica: Colorazione verde scurissima. 2. Acetato di piombo. Ho trattato alcuni cc. della so¬ luzione tannica con acetato neutro di piombo: Precipitato giallo fioccoso. 3. Acetato di piombo ed acido acetico. Ho ripetuto la reazione precedente in presenza di acido acetico : N. N. 4. Acqua di bromo. Ho aggiunto a due tre cc. della soluzione in esame acqua di bromo a goccia a goccia finché ne persisteva fortemente l'odore: Precipitato giallo e colorazione aranciata. 5. Formaldeide ed acido cloridrico. Ho ag¬ giunto 10 cc. dì formaldeide (al 40%) e 5 cc. di acido cloridrico a 50 cc. della soluzione in esame, in un pallone con refrigerante a ricadere, ed ho fatto bollire per mezz'ora: Precipitato giallo abbondante. Ho quindi raffreddato, filtrato, ed ho trattato 10 cc. del filtrato * l) E' ovvio far notare che d’ora innanzi tutte le soluzioni sono state pre¬ parate col solito metodo del percolatore, a 50° C. — 93 — in tubo da saggio, con un cc. di allume ferrico e cinque gram¬ mi di acetato sodico solido: N. N. 6. Solfuro ammonico. Ho aggiunto due, tre gocce di acido solforico concentrato a 25 cc. della soluzione tannica, ho fatto bollire uno o due minuti ed ho raffreddato. Ho quindi ag¬ giunto gr. 5 di sai comune, agitato fortemente, lasciato in riposo per una decina di minuti, e filtrato. A 2-3 cc. di filtrato ho ag¬ giunto alcuni cc. di una soluzione diluitissima di solfuro ammonico (10-11 gocce in 15 cc. di acqua): Lieve precipitato variamente colorato. Da questi saggi può arguirsi che nell' estratto tannico pre¬ parato dal Mirto sia presente una miscela di tannini pirogallici e pirocatechici oppure un tannino che partecipi alle reazioni ca¬ ratteristiche dei due gruppi (tannino misto). Mi riservo di confermare la natura del tannino del Mirto sul prodotto puro che, come ho già detto precedentemente, ten¬ terò di separare dal rimanente dell'estratto. E. — Reazioni caratteristiche della soluzione tan¬ nica. Allo scopo di distinguere la soluzione di Mirto da una qual¬ siasi altra soluzione tannica, ho eseguito su di essa una nume¬ rosa serie di saggi con i reattivi più comuni. I reattivi sono stati aggiunti in eccesso e le soluzioni ab¬ bandonate a sè stesse per 12 ore. Trascorso questo termine ho osservato quanto segue: 1 Acqua ossigenata 2 Acido cloridrico 3 Acido solforico 4 Acido acetico 5 Acido nitrico 6 Ammoniaca 7 Cloroformio 8 Etere etilico lieve intorbidamento precipitato giallo-bruno fioccoso debole precipitato giallo-bruno, fioccoso n. n. debole pp. giallo-bruno, fioccoso colorazione giallo-bruna marcata intorbidamento e deposito polverulento giallo sporco nella zona di contatto lieve intorbidamento — 94 — 9 Etere acetico 10 Solfuro di carbonio 11 Glicerina 12 Acido tartarico 13 Acido citrico 14 Acido ossalico 15 Acido picrico 16 Acido salicilico 17 Tartaro emetico 18 Ferrocianuro potassico 19 Solfocianato potassico 20 Cianuro potassico 21 Calce 22 Barite 23 Solfato di magnesio 24 Cromato potassico 25 Cloruro mercurico 26 Nitrato mercuroso 27 Molibdato ammonico 28 Bicromato potassico 29 Carbonato sodico 30 Soda caustica 31 Cloruro stannoso 32 Allume potassico 33 Allume di cromo 34 Nitrato di stronzio 35 Alcool amilico 36 Ferricianuro potassico intorbidamento e deposito polverulento bianco sporco alla superf. di contatto n. n. precipitato giallo-bruno fioccoso lieve intorbidamento leggero deposito giallo-bruno; soluzio¬ ne chiarificata soluzione lievemente torbida lieve intorbidamento precipitato giallo-arancio, abbondante, gelatinoso precipitato bruno fioccoso precipitato giallo-bruno fioccoso soluzione gialla; precipitato rosso-bruno soluzione giallo-verde; precipitato giallo arancione abbondante precipitato giallo-bruno abbondante forte intorbidamento soluzione giallo-arancione carico, molto torbida; precipitato verde-giallo forte intorbidamento; precipitato bianco giallo precipitato giallo-bruno, abbondante, fioccoso colorazione rosso arancione precipitato rosso-bruno fioccoso precipitato giallo arancione, abbondante, gelatinoso. colorazione rosso-bruna lievissimo intorbidamento soluzione giallo-verde; pp. giallo, fioc¬ coso soluzione azzurro-verde; deposito rosso bruno fioccoso. fotte intorbidamento, lieve deposito alla superficie libera intorbidamento nei due strati; forte in¬ torbidamento nella zona di contatto precipitato verde-bruno — 95 — 37 Solfato di alluminio ed am¬ moniaca 38 Solfato di zinco 39 Cloruro di calcio 40 Cromato di stronzio 41 Solfato di nickel 42 Nitrato di argento 43 Reattivo di Nessler 44 Solfato di cadmio 45 Solfato di rame 46 Solfato di rame ed ammo¬ niaca precipitato abbondante, colorato in giallo e giallo-bruno precipitato bianco-scuro, abbondante, amorfo soluzione verde; precipitato abbondante colorazione bruna lieve deposito alla superficie libera precipitato bruno, abbondante precipitato abbondante, variamente co¬ lorato, con prevalenza di grigio e di giallo lievissimo intorbidamento precipitato verde-bruno, gelatinoso, so¬ luzione fortemente torbida precipitato verde; soluzione azzurro-ver¬ de, scura Ho quindi osservato il comportamento della soluzione tan¬ nica con alcuni alcaloidi: 1 Solfato di chinina pp. 2 Atropina pp. 3 Cocaina pp. 4 Morfina pp. 5 Brucina pp. bianco-giallo, abbondante, fioccoso bruno, fioccoso bruno, polverulento bruno, polverulento giallo-bruno, fioccoso, abbondante Ho voluto in seguito osservare il comportamento della so¬ luzione tannica con diverse sostanze coloranti, e posso citare come reazioni più caratteristiche le seguenti : 1 Bleu metilene 2 Verde malachite 3 Indaco 4 Vesuvina 5 Alizarina rossa 6 Aurammina il colore vira ad un azzurro-verde pal¬ lido, lieve deposito azzurro colorazione azzurro-verde marcata, lieve deposito la colorazione vira all’azzurro-verde, de¬ posito abbondante giallo colorazione arancione sempre più scura fino a rosso arancione la colorazione vira al giallo pp. giallo, abbondante — 96 — F. — Fermentazione della soluzione tannica. La difficoltà maggiore nella preparazione e conservazione della soluzione tannica è basata appunto sulla estrema rapidità e facilità con la quale essa fermenta. Infatti dopo solo due giorni ho osservato la formazione di muffe, e dopo alcuni giorni ho riscontrato nella soluzione presenza di acido gallico ed ho osser¬ vato sviluppo di anidride carbonica. Poiché in una soluzione de- tannizzata la fermentazione avviene ugualmente, senza però for¬ mazione di acido gallico, è evidente che quest'ultimo prenda ori¬ gine per decomposizione del tannino (fermentazione gallica) e che la fermentazione sia dovuta alla presenza di altre sostanze, estranee al tannino, fermentescibili. Mi riprometto in seguito di eseguire uno studio razionale ed esauriente su questo argomento. Per preservarmi da quest'azione nociva ho dovuto lavorare sempre in presenza di antisettici, e fra i vari antisettici adoperati (acido borico, borace, ecc.) il toluolo è quello che fra tutti mi si è dimostrato il migliore. G. — Analisi qualitativa dei non tannini. Conosciuta così la qualità e quantità del tannino contenuto nella soluzione del Mirto ho voluto procedere al riconoscimento qualitativo delle sostanze che lo accompagnano. A tal uopo in una soluzione tannica, preparata con il solito metodo, ho eliminato il tannino precipitandolo con gelatina; ho quindi eliminato l'eccesso di gelatina con alcool etilico, e sulla soluzione in tal modo detannizzata ho eseguito i seguenti saggi: a) Trattando un'aliquota della soluzione in esame con una so¬ luzione di cianuro potassico ho osservato una forte colorazione rossa, che scompare dopo riposo, ma ricompare per agitazione in presenza di aria; reazione sensibile e caratteristica dell' acido gallico. b) Il permanganato potassico ed il liquido di Fehling ven¬ gono facilmente ridotti; con potassa caustica e magistero di bi¬ smuto si ha a caldo un precipitato nero di bismuto metallico; con fenilidrazina in soluzione acetica si ha, a caldo, un precipitato giallo. Queste reazioni indicano presenza di zuccheri riducenti. — 97 — c) Con cloruro ferrico si ha colorazione verde- scura, che per addizione di potassa caustica passa al rosso. Lo stesso viraggio si ha per addizione di acqua di calce o di barite. Con sali ferrosi non si ha alcuna reazione. In soluzione alcalina, abbandonata all'aria si osserva colorazione verde, poi bruna, e quindi nera. Queste rea¬ zioni sono caratteristiche della pirocatechina. d ) Il colore della soluzione di un bel giallo-oro, e la precipi¬ tazione con acetato basico di piombo, ci danno indizio della pre¬ senza di sostanze coloranti. é) Altre reazioni hanno dato risultati negativi. Possiamo in conclusione dire che nelle foglie del Myrtus com- munis, oltre l’olio essenziale, che si ottiene per distillazione ed alla cui composizione abbiamo già accem ato, si osserva la presenza di: acqua, sostanze minerali, tannino, sostanze coloranti, acido gallico, pirocatechina, zuccheri riducenti, ed altre sostanze non an¬ cora ben determinate (sostanze amare, resine, ecc.). Esprimo la mia riconoscenza al Prof. Piutti, alla cui cortesia devo la possibilità della esecuzione materiale della presente serie di ricerche sperimentali. I miei ringraziamenti vadono inoltre al prof. Casaburi, Di¬ rettore della R. Stazione Sperimentale per l’industria delle pelli e materie concianti, in Napoli, che ha saputo sì bene consigliarmi ed indirizzarmi nella scelta di tale argomento di studio. Istituto di Chimica Organica della R. Università di Napoli. - 7 - — 98 — BIBLIOGRAFIA. Per notizie generali sul Myrtus communis , consultare: Guareschi I. — Enciclopedia eli chimica, voi. X, Composizione chimica delle piante, pag. 567. Ed. Torinese. Torino 1922. Wehmer. — Die Pflanzenstoffe, pag. 525. Villavecchia V. — Dizionario di merceologia, voi. II, voci: Mirto-Mirto (olio essenziale di-). Hoepli. Milano 1924. Ardissone e Belli. — Botanica, (Enciclopedia agraria), pag. 243. Ed. Torinese. Torino 1924. Strassburger e Fitting. — Botanica . Ed. Libraria. Milano 1921. Per le applicazioni alla concia, consultare: Casaburi V. — Dizionario teorico-pratico dell1 industria del cuoio, voce : Mortella. St. Sperimentale per l' ind. delle pelli. Napoli 1923. E’ di particolare interesse il consultare la memoria del Prof. Gior¬ gio Bosco, dell’ Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commer¬ ciali, in Napoli, dal titolo: La concia al mirto (1924), che riassume tutte le notizie teoriche e pratiche su tale argomento. Per quanto riguarda la parte speciale sui Tannini (proprietà, rico¬ noscimento, analisi, ecc.) si possono utilmente consultare: Procter H. R. — Leather Industries laboratory hook. Spon. London 1919. Freudemberg. — Die Chemie der naturlichen Gerbstoffe. Procter FI. R. — Leather Chemisf s pocket book. Spon. London 1919. Villavecchia V. — Chimica analitica applicata, voi. II. Hoepli. Mi¬ lano 1921. Meunier L. et Vaney C. — La tannerie. Gauthier. Villars. Parigi 1903. Nibrenstein IA. — Die Chemie der Gerbstoffe. F. Enke. Stuttgart 1910. Magri G. — Analisi di cuoi e sostanze adoperate in conceria. Ed. To rinese. Torino 1912. Finito di stampare il 3 agosto 1926. La circolazione del liquido perivitellino nell’uovo dei Cefalopodi durante lo svi¬ luppo embrionale del socio Dott. Silvio Ranzi (Tornata del 31 maggio 1926) Appena l'uovo dei Cefalopodi è deposto la membrana vi¬ tellina è abbastanza aderente all'uovo e non è separata da que¬ sto che da un sottile straterello di liquido perivitellino, che è, in proporzione allo sviluppo dell'uovo, molto minore in Sepia of- ficinalis L. che in Loligo vulgaris Lam. Progredendo lo svi¬ luppo, mentre l'embrione si differenzia e si accresce, cresce pure la quantità del liquido perivitellino finché raggiunge in Loligo un volume paragonabile a circa sette volte quello del complesso embrionale (embrione + sacco del tuorlo) e in Sepia un volu¬ me relativamente un po' minore. Avvenendo lo scambio gassoso, che serve alla respirazione dell'embrione, attraverso il liquido perivitellino non deve de¬ stare meraviglia il continuo moviménto di questo ; movimento che è determinato, quasi esclusivamente, dalle ciglia vibratili del¬ l'ectoderma descritte da Faussek *) e solo in piccola parte dai movimenti del mantello, che si iniziano in uno stadio relativa¬ mente tardo dello sviluppo, e che hanno, fino ad uno studio molto avanzato, un'importanza molto secondaria. Poiché le correnti determinate da queste ciglia erano del tutto sconosciute, e quindi la regolare circolazione del liquido perivitellino ignorata, ho creduto interessante eseguire ricerche in *) Faussek, V. — 1900 Untersuchungen iiber die Entwicklung der Ce- phalopoden. Mitt. Zool. Stai. Neapel. Bd. 14, p. 83. — 100 — proposito. Mi sono a questo fine servito di embrioni sgusciati, che osservavo in acqua di mare o nello stesso liquido perivitel¬ lino, dato che è facile procurarsene una certa quantità sgusciando parecchi embrioni in stadi avanzati. Aggiungevo per lo più al liquido granuli di carminio o un po' di inchiostro di cina, pre¬ cedentemente mischiato ad acqua di mare, così da essere in que¬ sta sospeso sotto forma di minutissimi granuli. Si può anche osservare la corrente in embrioni di Loligo non sgusciati, perchè nel liquido perivitellino sono sospesi dei grumi di una sostanza bruna, non meglio identificata, che au¬ mentano col progredire dello sviluppo e che sono in continuo movimento trasportati dalla corrente. Negli embrioni di Loligo vulgaris, prima che l'abbozzo della ghiandola del guscio e degli occhi sia riconoscibile, non si os¬ servano ciglia vibratili, ma, con l'ab¬ bozzarsi di queste formazioni, ap¬ paiono le ciglia vibratili che sono ben riconoscibili allo stadio Vili di Naef 4). Queste ciglia battono in maniera tale da formare una cor¬ rente, che dal centro del mantello va al polo opposto dell’uovo, scor¬ rendo lungo i meridiani di questo. Nello spazio, che intercede tra l'ab¬ bozzo del mantello e il rilievo de¬ terminato dall'abbozzo dei gangli Ottici, troviamo una corrente tra¬ sversale, diretta quasi secondo un parallelo dell'uovo e che va, par¬ tendo dalla futura parte dorsale, verso l’ abbozzo delle branchie e delle pieghe dell' imbuto in corri¬ spondenza delle quali piega diri- *) Per gli stadi di sviluppo mi riferisco alle tavole di Naef : Naef, A. 1921 Die Cephalopoden. Th. 1 Systematische Morphologie der aiisseren Orga- nisation. Bd. 2 Embryonale Formen (Tafelu). Fauna und Flora des Gof. v. Neapel, 35 Mon., Zool. St. Neapel. (il testo corrispondente non è stato ancora pubblicato) 77Z Fig. 1. — Direzione delle correnti ci¬ liari in un embrione di Loligo vulgaris allo stadio X di Naf.f visto dal lato sinistro, br, branchia; c. b.t corrente ciliare trasversale; imb., imbuto; m, mantello; oc., occhio; s., statocisti. — 101 — gendosi verso il sacco vitellino seguendo così la corrente ge¬ nerale (fig. 1). L'aspetto delle correnti ciliari è lo stesso fino al momento in cui il mantello comincia a ricoprire gli abbozzi delle branchie (stadio XII di Naef), allora la corrente trasver¬ sale, che si dirige verso questi, è completamente ricoperta e viene a trovarsi nella cavità del mantello, così che sulla super¬ ficie del corpo deH'embrione la corrente va ora in un'unica di¬ rezione, dall'estremità caudale di questo verso la cefalica, passando poi sul sacco vitellino sempre nella stessa direzione (fig. 2). Sui fianchi dell'embrione però la cor¬ rente trasversale, che va verso le branchie, aspira il liquido e lo fa entrare sotto il mantello per girare poi tra branchia e mantello, pas¬ sando presso la base di questa ed uscire infine sulla linea ventrale tra il mantello e l’imbuto, che a questo stadio è già formato. Sono a questo stadio già presenti movimenti del mantello, che ogni tanto si contrae e, contraendosi, vuota il liquido con¬ tenuto nella sua cavità. Un simile stato di cose si conserva durante i successivi stadi dello sviluppo. Ho voluto vedere se la cor¬ rente ciliare, la cui spinta è tutta in una direzione, è tale da fare spostare l'embrione. Sgusciando un embrione a questo stadio e mettendolo in un vetro di orologio pieno di acqua di mare lo vediamo a poco a poco spostarsi con un movimento lento, ma continuo, con la sua estremità posteriore in avanti. Nell'interno dell'uovo, l’embrione, che, come ho detto, in stadi inoltrati occupa circa un ottavo del suo volume, giace in maniera tale che, os¬ servato sotto un binoculare non inclinato, volge all'osservatore l'apice del mantello in cui sono le pinne ed aderisce alla parete dell'uovo con la sua faccia dorsale, mentre il sacco del tuorlo giace inferiormente. Se con opportuni capovolgimenti si fa cadere l’embrione sul fondo del guscio dell’uovo, vediamo che esso cade sempre con la faccia ventrale in alto, poi comincia a muoversi con Fig. 2. — Direzione delle correnti ci¬ liari in un embrione di Loligo vulgaris allo stadio XIII di Naef visto dalla faccia ventrale, c. b. corrente che porta alle bran¬ chie. 11 tratto di freccia punteggiato indi¬ ca la direzione della corrente nell’ interno della cavità del mantello. 102 — l’estremità caudale in avanti tornando nella posizione, nella quale abitualmente si osserva, ed in cui a volte rimane fermo, a volte inclinando l'apice del mantello verso destra o verso sinistra, si mette a girare facendo perno sul polo opposto del sacco del tuorlo, che per la sua pesantezza l'impedisce nei movimenti. Nella Sepia officinalis le condizioni sono invece differenti. In un primo tempo osserviamo una corrente simile a quella del Loligo , ma, appena il mantello ha raggiunto una certa dimensione e l'abbozzo delle pinne si è formato (stadio XI di Naef), sui fianchi del¬ l'embrione lungo le pinne, la cor¬ rente va in direzione contraria cioè verso l'apice del mantello (fig. 3). Questa zona di ciglia, che genera la corrente in senso contrario, non giunge però fino al margine del mantello, ma termina a poca di¬ stanza da questo, circa un terzo della distanza che lo separa dall'apice più rostrale della pinna, e la zona vicina al margine del mantello è occupata da ciglia che determinano una corrente che va verso questo margine. Progredendo lo sviluppo nello stadio XII di Naef vanno differenziandosi delle nuove correnti, una posta sulla faccia del¬ l’abbozzo dei gangli ottici dalla parte che guarda il mantello, va al contrario di quella che si osserva nello stesso luogo nello stadio precedente, spinge cioè verso l'imboccatura di questo. Sulla faccia dorsale del mantello si forma nel frattempo un si¬ stema di correnti abbastanza complicato, (fig. 4). Una prima cor¬ rente dall'estremità caudale di questo si dirige verso Pestremità cefalica, ma, giunta a circa metà della lunghezza del mantello, piega lateralmente, deviata anche per la presenza di una corrente posta più cefalicamente, che, originandosi al punto di origine della corrente che interessa le pinne, piega da prima in direzione me¬ diale, poi in direzione caudale, ed infine lateralmente descrivendo Fig. 3. — Direzione delle correnti ci¬ liari in un embrione di Sepia officinalis allo stadio XI di Naef visto dalla faccia ventrale, c.r., corrente che si dirige verso l’apice del mantello ; imb., imbuto ; oc., occhio. — 103 — • . - così un semicerchio. Una terza corrente è invece presso il mar¬ gine del mantello e si dirige verso questo. Un simile stato di cose si osserva fino alla nascita; si ri¬ scontra solo una leggera modificazione nella zona ventrale in Fig. 4. — Direzione delle correnti determinate dai movimenti ciliari in un embrione di Sepia officinalis allo stadio XII di Naef visto dalla faccia dorsale, c. o., corrente posta al disopra dell’occhio che spinge verso l’apertura del mantello; c. r., corrente che si dirige verso l’apice del mantello. mezzo alla quale, circa allo stadio XVI di Naef, appare una cor¬ rente che, giunta a un certo punto del suo cammino, piega me- dialmente e tende poi a ritornare in direzione caudale influen¬ zando anche leggermente la direzione delle altre correnti (fig. 5). Lungo la faccia ventrale della pinna si nota poi una corrente di¬ retta verso il suo margine. Ho potuto esaminare alcuni embrioni di Sepiola intermedia Naef e, in base ad essi, posso affermare che l'andamento ge¬ nerale delle correnti è in questi embrioni simile a quello della Sepia. Il sopradescritto stato di cose porta, fin dallo stadio XI di Naef, alla formazione nel liquido perivitellino di un sistema di correnti tale che il liquido, posto nelle parti periferiche dell'uovo, viene spinto verso l'embrione nel punto in cui la corrente, che, lateralmente interessando le pinne, va in direzione caudale, è in contatto con l'altra corrente, che muove in senso inverso. In questo punto giunge il liquido perivitellino normalmente alla superficie dell'embrione (fig. 6), aspirato dalle correnti che vanno da questa zona in senso diverso, di là viene spinto in parte caudalmente, in — 104 — parte verso l'orlo del mantello dove entra nella cavità di questo e va ad uscire alla base dell’imbuto seguendo lo stesso cammino descritto per il Loligo, spinto dalle ciglia che si trovano sulle pa- Fig. 5. — Direzione delle correnti determinate dai movimenti ciliari in un embrione di Sepia officinalis allo stadio XVII di Naef, visto dalla faccia ventrale; la freccia punteggiata indica la corrente nell'in¬ terno della cavità del mantello. Per le lettere vedi fig. 4. reti della cavità del mantello, ma non sulla branchia. Si formano così nel liquido perivitellino sui lati deH'embrione due correnti circolari (fig. 6), l una (fig. 6 A) che parte dall'estremità caudale deH’embrione, gira lungo la membrana vitellina, si porta nor¬ malmente aH'embrione giungendo presso lo sbocco all'esterno della cavità del mantello e scorre lungo la pinna portandosi cau¬ dalmente; l’altra (fig. 6 B) che parte dal polo del sacco vitellino opposto aH'embrione, gira lungo la membrana vitellina per unirsi alla prima e giungere insieme a questa all'embrione per portarsi alle branchie e di là continuare poi lungo il tuorlo. Il meccanismo in forza del quale avviene il cambiamento di direzione della corrente vibratile che si osserva nei primi stadi è difficile a precisarsi, si potrebbero avanzare quattro ipo¬ tesi: o che il movimento vibratile cambi di direzione, o che un semplice cambiamento di struttura delle ciglia, o delle ciglia stesse, porti ad un'inversione della loro spinta attiva, o che per l'ac¬ crescimento dell'ectoderma le cellule vengano a modificare la — 105 — loro posizione, ovvero ancora che le cellule ciliate primitive che battono in un senso siano sostituite da altre, che battono in altro senso. Sebbene l’ultima ipotesi mi sembri più plausibile , non Fig. 6. — Schema della direzione delle correnti del liquido perivitellino determinate dal movimento ciliare nell’uovo di Sepia officinalis allo sta¬ dio XII di Naef; l’embrione è visto dalla faccia ventrale. s posso pronunciarmi a favore di nessuna di queste quattro ipotesi, nè l’indagine istologica mi permette di sostenerne una piuttosto che un’altra. Volersi rendere ragione della disposizione di queste correnti non è certo facile, si può però pensare che la corrente del Loligo, oltre che a far circolare il liquido perivitellino, che poteva essere mantenuto in circolazione da ogni altra corrente, anche per es. da una che battesse in senso contrario, serve anche a mantenere co¬ stantemente l'embrione, qualunque movimento faccia l'uovo, di¬ retto in alto e quindi non compresso contro la parete di questo dal peso del suo tuorlo !). Anche la corrente nell'embrione di Se- *) La presenza di un voluminoso sacco vitellino nell’interno deH'embrione rende, come si può osservare in embrioni appena uccisi (da un veleno ag¬ giunto all'acqua di mare, per es. cianuro di K) nei quali quindi il movimento — 106 — pia e Sepiola , vibrando prevalentemente dall'apice caudale verso il polo opposto del tuorlo, serve allo stesso ufficio come è fa¬ cile controllare aprendo l’uovo e lasciando intatto il solo ultimo involucro. Un altro aspetto della direzione delle correnti è che esse appaiono indubbiamente, fin dai primi stadi dello sviluppo, con¬ nesse agli abbozzi delle branchie, come è indicato dalla corrente trasversale, che si trova tra gli abbozzi degli occhi ed il man¬ tello (fig. 1), e che ho detto trovarsi in Loligo allo stadio Vili di Naef ed essere presente nei corrispondenti stadi di Sepia. A questo stadio le branchie, rappresentate da un piccolo tuber¬ colo costruito da mesoderma raddensato ricoperto da uno strato di ectoderma, non sono certo un organo respiratorio funzionante, ma ciò non toglie che le correnti ciliari siano disposte in ma¬ niera tale da assicurare un continuo rinnovamento dì liquido in corrispondenza di esse. Rimane ora la causa delle differenze che si osservano tra le correnti del Loligo e quelle della Sepia e Sepiola : si può pensare che la relativamente minor quantità di liquido perivi¬ tellino, che si osserva negli embrioni di Sepia e Sepiola, unita alla forte differenza di dimensione deH’embrione, a cui proba¬ bilmente si associa una maggiore attività secretoria da parte del¬ l’ectoderma che riveste il mantello, renda necessario che la cor¬ rente, che giunge alle branchie, non abbia immediatamente pri¬ ma percorso una così larga zona in contatto con l'embrione, ma provenga direttamente dalle parti periferiche, dalla zona cioè in cui avvengono gli scambi con l'ambiente esterno. Non mi nascondo che questa ipotesi è un po' ardita, ma è l'unica che mi sembra più plausibile. Essa presuppone che la branchia fun¬ zioni, per un rilevante periodo della vita embrionale, da organo respiratorio. Nella Sepia infatti fin dallo stadio XIV-XV di Naef la branchia appare ripiena di sangue e rivestita da un sot¬ tile epitelio tale da facilitare gli scambi gassosi, allo stadio XV ciliare è arrestato, almeno fino ad uno stadio abbastanza inoltrato dello svi¬ luppo, nulla, o quasi, la tendenza che ha, negli stadi molto inoltrati, il sacco del tuorlo, per il maggior peso specifico di questo, a restare in basso mentre l’embrione si orienta in alto. • T-’"-' .'T "1*7. .• . - . ; *75 ' -. ■ -• — 107 - di Loligo assistiamo alla stessa cosa ed anche Joubin *) in Se pia e Portmann 1 2) in Loligo pensano che verso questo stadio si inizi la funzione respiratoria della branchia. E bene far rile¬ vare che a questo stadio sono già presenti le contrazioni del mantello, ma esse in un primo tempo non hanno grande im¬ portanza, avvenendo raramente e non avendo gran forza, quando l'embrione è però verso la fine dello sviluppo, l’importanza della corrente ciliare è molto ridotta e le contrazioni del mantello assumono la parte principale determinando coi loro alterni mo¬ vimenti, cui si associano quelli delle pinne, un regolare rime- scolamento del liquido perivitellino. Riassumendo possiamo dire che : il liquido perivitellino è tenuto in movimento, durante gran parte dello sviluppo embrio¬ nale, principalmente dalle correnti delle ciglia vibratili dell'ecto¬ derma che in Loligo battono spingendo dall'estremità caudale dell’animale verso il sacco del tuorlo, mentre in Sepia e Sepiola questa corrente, che è la principale, è accompagnata da altre cor¬ renti che deviano in vari sensi, tra cui più notevole quella gene¬ rata in corrispondenza delle pinne e che batte in senso contrario. Come effetto, almeno nei primi stadi dello sviluppo, di que¬ ste correnti l'embrione si orienta nell'uovo col sacco vitellino in basso e la sua futura estremità caudale in alto. In tutte le forme studiate una corrente speciale provvede a spingere l'acqua in corrispondenza della branchia e questa corrente è già presente molto prima che la branchia abbia co¬ minciato a funzionare come organo respiratorio. Dalla Stazione Zoologica di Napoli maggio 1926. Finito di stampare il 18 agosto 1926. 1) Joubi n, L. — 1883 Sur le développement de la branchie des Cépha- lopodes. C. R. Acad. Se. Paris, Tom. 97, p. 1076. — — 1885 Structure et développement de la branchie de quelques Cé- phalopodes des còtes de France. Arch. Zool. exper. et gén. Ser. 2, Tom. 3 , p. 75. 2) Portmann, A. — 1926 Der embryonale Blutkreislauf und die Dot- terresorption bei Loligo vulgaris. Zeit. Morpli. Oekol. Tiere. Bd. 5, p. 406. La Solfara di Giambattista nel territorio di Barrafranca (Caltanissetta). Nota del socio dott. G* S» Candura (Tornata del 31 maggio 1926). La Solfara di Giambattista è situata a sud del paese di Bar¬ rafranca, da cui dista appena 3 km., fra strada carrozzabile e via mulattiera, che, accorciando, conduce anche a Mazzarino. La sta¬ zione ferroviaria più vicina è quella di Caltanissetta, la quale è distante circa 36 Km. Cenni storici. — I primi tentativi per il rinvenimento dello zolfo a Giambattista rimontano al 1872. Però i lavori inco¬ minciarono attivamente nel 1898 per cui, dopo alcuni anni erano già abbattuti i mandorli e le viti, che lussereggiavano nella contrada. La solfara raggiunse per la prima volta il suo massimo splendore nel 1903, quando si incontrò un potente strato di zolfo, che fu subito estirpato, prima dello scadere di quello stesso anno. Oggi questa piccola miniera è ancora coltivata, malgrado la lunga e ben nota crisi solfifera. Geologia. — Questo lembo di terra e gli altri più pic¬ coli delle vicinanze, appartenenti tutti alla formazione gessosa- solfifera, sono stati messi allo scoperto in seguito a continue azioni erosive esercitate, su rocce poco coerenti o fragili, dalle acque. Queste, attualmente, incanalandosi verso sud, percorrono — 109 — 1 ampia e vicina vallata, che è stata scavata dal Braemi, affluente del Salso. Nella solfara tutti gli scavi sono praticati sopra o sui fianchi di una piccola altura oblunga, la quale spicca subito in mezzo all' uniforme terreno tortoniano costituito essenzialmente di marne grigie frammischiate a sabbia e granuli di gesso. Anche ad ovest ed a nord della miniera, il terreno limitrofo si mostra uguale al precedente senonchè a pochi centimetri sotto la superficie si tro¬ vano marne biancastre a foraminiferi, che si associano ad argille azzurrastre del Pliocene inferiore. Alla sommità della collinetta affiorano le marne suddette, che in siciliano sono chiamate trubi. Questa parola nei paesi vi¬ cini vuol dire " torbidi „ e in fatti la roccia è un calcare bian¬ co-sporco per l’ argilla che contiene diffusa. Il carbonato di calcio è dato in gran parte da gusci microscopici di foramini¬ feri prevalentemente del genere Globigerina e Orbulina. I trubi esterni, compatti e tendenti leggermente al giallognolo, sono detti dai solfatai “ mascolini „, mentre sono denominati " femminini „ quelli sottostanti o interni, che sono di color az¬ zurrognolo, talvolta quasi scagliosi e spesso franosi. Tutto lo strato delle marne a foraminiferi ordinariamente ha una potenza di appena 5 m. I gessi, che seguono, fogliettati e cristallini con grossi cristalli, luccicanti alla luce dell' acetilene !), formano un unico strato di circa 10 m. Essi sono umidi e dagli interstizi e fessure lasciano colare gocce di acqua, che rende fangosa e malagevole la strada. Gli strati solfiferi sono immediatamente sottoposti ai gessi e sono costituiti di argille bituminose solfi¬ tele e di calcare solfifero molto marnoso. Questi strati sono intermedi tra i gessi e il calcare concrezionato ; hanno una po¬ tenza di 50 cm. e non sono duraturi per diverse cause do¬ vute a faglie, a fratture ripiene di tufo calcareo farinoso e infine a interruzioni dello stesso strato solfifero per combaciamento dei banchi nei quali è interposto. In quest' ultimo caso lo strato dello zolfo è ritrovato nella stessa direzione, dove, scavando, si q I solfatai si servono quasi sempre di lampade ad acetilene per discen¬ dere nelle solfare. — 110 — osservano talvolta rari granuli del prezioso metalloide diffusi nelle due rocce. Gli strati solfiferi discendono da est, inclinandosi irregolar¬ mente. Tra essi sono intercalati straterelli di marne e argille, che in altre solfare hanno un certo spessore e sono detti par¬ ti m e n t i . Lo zolfo si trova a straticelli di pochi millimetri nella ganga più calcarea, dove dà luogo alla nota tessitura che è detta soriata. Queste rocce, esposte lungamente agli agenti esterni, si alterano, diminuendo gradatamente il loro tenore in solfo. La metamorfosi, nelle suddette rocce biancastre listate di giallo, ha inizio dalla superfie libera : essa diviene farinosa, biancastra più o meno tendente al giallognolo. Ha luogo così la formazione del così detto briscale o ges¬ so briscalato, che, com' è facile a comprendersi, è solfato di calcio idrato. Nella ganga argillosa e marnosa che è più frequente, lo zolfo è disseminato a granuli e ovuli saponacei. Ho raccolto alcuni campioni di minerali solfiferi molto porosi, con ganga a matrice prevalentemente argillosa. In essi il minerale puro è riunito tutto da una parte e dà l’ impressione che si sia rap¬ preso mentre colava. In alcuni scavi, sopra gli strati solfiferi, si trova un' are¬ naria micacea, caratteristica della formazione gessosa solfifera e che è detta arenazzolo. Lo spessore di questo strato è appena di 60 cm. nella parte più alta. Tra gli strati solfiferi non sono rari gli arnioni arrotondati e più spesso piriformi, conosciuti col nome di campanari, i quali in seguito si osservano lungo il cammino sotterraneo, come delle grandi cavità. — da 4 a 10 cm. circa — perchè fu estratto da esse una massa considerevole di minerale, tra il più ricco di zolfo. Il muro o base del giacimento di Giambattista non 1' ho trovato costituito di tripoli !), come in molte solfare; ma di ar¬ gille sabbiose e salate del Tortoniano. 0 I tripoli affiorano in una vicina collina detta del Calabrese (m. 401 sul livello del mare) che si trova di fronte a Giambattista, guardando verso est. Spero di trattare in una prossima nota della natura geologica di questi — Ili — Estensione del giacimento. — La parte coltivata di questa solfara occupa un'area di circa un kmq. ; ma l'esten¬ sione del giacimento solfifero può essere maggiore, poiché a sud-ovest della collinetta esiste un vicinissimo poggio, detto di Sancì, sul quale affiorano calcari marnosi che sono indici pro¬ babilissimi della continuazione degli strati a zolfo. Sistema di coltivazione. — E' il più antico : frequenti buche che conducono al posto di estirpazione o cantiere. Lungo la via delle buche principali s' incontrano delle nicchie, vuote o già ripiene per l'assaggio del terreno. In ogni buca principale sboccano altre secondarie, che servono unicamente per la cir¬ colazione dell' aria. Queste ultime costituiscono pozzi quasi ver¬ ticali in diretta comunicazione con la superficie esterna. In tutta la solfara non esiste una vera galleria. Tutto il lavoro viene eseguito a braccia e il materiale è trasportato sopra da ragazzi {carusi). Esiste solo un semplicissimo impianto per il tiraggio del¬ l'acqua, che viene operato dalle buche situate ai fianchi occi¬ dentali della collinetta. L' acqua nera solfurea, detta acqua militili a, è disciplinata e incanalata verso i pozzi testé ricor¬ dati; non di meno non mancano delle pozzanghere sul suolo. Metodo di estrazione. — Il metodo usato per la estrazione del minerale è quello tipico di calcheroni, praticato su larga scala in Sicilia e ovunque descritto. Tra gli altri svan¬ taggi presenta quello rimarchevole della perdita di un terzo dello zolfo contenuto nel minerale solfifero. Segue l'impossibilità della coltivazione delle terre circostanti alle miniere , perchè la gran quantità di anidride solforosa che si produce, riesce tossica alle piante; e, in primo luogo, non dovrebbe essere dimenticata la salute degli operai *), i quali con questo sistema vanno soggetti a lentissimo avvelenamento e più specialmente tra loro, quelli che si chiamano a r d i t o r i , i quali sono addetti alla cura dei calcheroni. lembi miocenici, dove, oltre al piccolo affioramento di tripoli, ricco di scheletri di pesci, esiste un giacimento di gesso, che non è neppure segnato nella carta geologica d’ Italia. h Tra i solfatai siciliani non è neppure raro X Ankilostoma duodenale Du- bini ; occorrerebbero misure igieniche severissime. — 112 — Lo zolfo fuso cola nel piano inclinato del calcherone e viene raccolto in appositi recipienti di legno, nominati avite, nei quali si modellano le caratteristiche forme giallo-cedrine a tronco di piramide, che vanno nelle raffinerie. Il minerale solfifero estirpato a Giambattista ha per me. una ricchezza media di circa 170 Kg. di zolfo di ottima qualità, quasi privo di materie estranee. Pericoli. — I minatori, avendo per tetto gli ammassi di gesso e di t r u b i non si preoccupano di eventuali frane, che pur tuttavia sono possibili dove le volte sono costituite da trubi azzurrognoli, non sorrette da forti armature. Pochi anni ad¬ dietro accadde una frana di questo genere presso l'apertura di una buca. Rimase ostruito per un buon tratto il cammino sotterra¬ neo, di modo che fu impedito per 12 ore di uscire ad alcune per¬ sone che erano discese per osservare. E' successo che 1' acqua, non sufficientemente disciplinata, ha invaso qualche nicchia profonda, detta discenderia , per la quale ragione, molti anni or sono, si è lamentato un caso di annegamento dovuto a disattenzione. Non si sono mai verificate fughe repentine di gas. Stato della miniera e accenni per uno stu¬ dio t e c n i c o-e c o n o tn i c o. — La miniera è ancora tutta da sfruttare nella parte più importante, che è situata nel tratto della collinetta che guarda ad occidente. Come si è detto, Giambattista è una solfara tra le pochis¬ sime ancora oggi coltivate. Lo sfruttamento di essa è concesso ad alcuni operai, che erano disoccupati per la cessazione di lavoro nelle grandi miniere. La condizione semplicissima è quella di consegnare il 18% delle forme di zolfo ricavate ai proprietari. Questi ultimi, che pur sono tanti, non vogliono impiegare per i lavori occorrenti neppure somme irrisorie e pretendono lauti profitti. Ancora non è stata praticata una sola buca oltre i 60 m. in verticale, anche per allontanare il pericolo continuo dell' acqua. Occorrerebbero macchinari diversi, nonché molte trivellazioni e sondaggi nei pressi della miniera. Inoltre la probabilità della continuazione dello strato solfifero conosciuto verso il poggio di Sancì in direzione della grande miniera di Galati, merita di essere studiata bene con tutti i criteri geologici, tecnici ed eco¬ nomici. I lavori di ricerca sarebbero facilitati dalla tenerezza delle rocce e l’energia elettrica forse potrebbe essere fornita da un impianto di recente costruzione nel paese. La mano d'opera non manca essendovi provetti minatori reduci dall’emigrazione, e costerebbe poco. Ancora oggi, ogni due forme di zolfo sono trasportate da un asino, mentre la costruzione di qualche chilometro di strada carrozzabile darebbe agio ai carri di giungere alla solfara. Finito di stampare il 20 agosto 1926 L’effetto Hall e Y azione dei raggi X sul tellurio. Nota del socio E. A d i n o 1 f i . (Tornata del 17 agosto 1926) Nella serie dei metalli quelli che hanno il coefficiente di Hall più elevato sono il tellurio ed il bismuto; per il primo il valore di R si aggira intorno alle 500 unità, per il secondo R — 9.5, quando si faccia uso di lamine allo stato ricotto e di e- lettrodi puntiformi al contorno. Nei due casi però si hanno sensi opposti per le rotazioni delle linee equipotenziali e cioè nel senso previsto dalla teoria monistica per il Bi e in senso contrario per il Te. Notevoli variazioni del detto coefficiente si possono avere sia per effetto dell'incrudimento che per azione dei raggi X o dei raggi y assorbiti dal metallo durante la solidificazione ; tali influenze sono già state studiate per il bismuto e l'antimonio in lavori precedenti, J). Nella presente Nota riferisco i risultati di esperienze analoghe eseguite con dischi di Te del diametro di 35 m m., con spessore compresi fra 2 e 3 mm., cimentati in un campo magnetico generato da un solenoide il quale con una corrente di intensità di un ampère crea un campo di 57.4 gauss. Le prime ricerche sono state fatte per esaminare l'effetto deirincrudimento sul coefficiente di Hall e allo scopo sono stati foggiati dischi di Te versando il metallo fuso in uno stampo di grafite e facendolo solidificare rapidamente fuori del forno im- l) Adinolfi, E. — " L'influenza dei raggi X sulla cristallizazione del bismuto. Rend. R. Acc. Lincei. Voi. I, serie 6a, 1° seni. Aprile 1925. Campa, M. — Il fenomeno di Hall nell'antimonio. Nuovo Cimento, Anno III, N. 4, 1926. — 115 — piegato per la fusione. Ridotti successivamente tali dischi a spes¬ sore costante e determinatone il valore di R, sono stati ricotti col portarli a temperatura prossima a quella di fusione e col raffreddarli lentamente nel tempo di tre ore, con forno chiuso e con temperatura gradatamente decrescente. Con tre prove distinte si sono avuti i seguenti valori : b (cm) R (Te incrudito) R (Te ricotto) 0,164 220 602 0,278 262 581 0,261 175 490 Evidentemente valori diversissimi di R si possono ottenere col tellurio in diverse condizioni fisiche : ma per avere grandi variazioni del coefficiente di Hall come effetto dell'incrudimento è necessario far variare considerevolmente la velocità di solidi¬ ficazione e di raffreddamento ; operando invece con regime ben determinato del forno — quando specialmente ci si riferisca a la¬ mine allo stato ricotto — gli scarti fra i valori di R sono più piccoli, tali cioè da poterci consentire lo studio delazione dei raggi X agenti durante la solidificazione. Ed è l'avere assodata la sensibile dipendenza del fenomeno galvanomagnetico dallo stato fisico del corpo che mi ha con¬ sigliato di servirmi di tale fenomeno come mezzo d'indagine sulla variazione di struttura, quando non sia facile l'esame cri¬ stallografico, lo studio delle variazioni delle costanti elastiche o quello della resistenza elettrica specifica. L'azione dei raggi X sul Te. Lo studio dell'influenza dei raggi X è stato condotto con le identiche modalità esposte nella Nota precedente ; le misure di R sono state eseguite per quattro diversi valori del campo ma¬ gnetico e si è avuta la massima cura nella determinazione dello spessore unico elemento geometrico che entra in funzione negli •effetti galvanomagnetici. Nelle seguenti tabelle sono raccolti i risultati delle esperienze — 116 — Te N.° 1 b = 0,278 cm H in ampère intensità della corrente primaria divisioni della scala R ; 5,13 0,100 75,7 586 5,40 0,120 86,6 583 7,12 0,120 113,2 579 10,2 0,120 160,1 575 N.° 2 b = 0,238 2,72 0,117 25,8 526 7,62 0,107 66,6 537 7,75 0,118 71,3 506 10,65 0,112 95,6 1 520 N.° 3 b = 0,285 2,41 0,113 30,3 496 4,95 0,113 60,9 486 8,40 0,113 106,8 501 10,85 0,113 134,8 490 N.° 4 b = 0,287 3,50 0,123 30,05 440 6,90 0,123 83,4 443 10,3 0,123 123,6 440 10,5 0,123 126,2 440 Tex N.° 1 b = 0,235 H in ampère intensità della corrente primaria divisioni della scala R 1,30 0,128 12,2 271 3,10 0,128 28,7 267 6,95 0,128 66,0 274 10,65 0,128 100,8 273 N.° 2 b = 0,287 2,30 0,124 10,55 167 5,15 0,126 23,5 163 10,10 0,127 46,8 170 10,3 0,127 48,4 167 N « 3 b = 0,262 3,1 0,119 19,7 220 5,01 0,117 29,3 206 6,9 0,117 40,6 207 10,2 0,116 59,7 208 N.° 4 b = 0,264 3,0 0,123 19,8 207 5,7 0,123 37,2 220 11,07 0,123 73,5 224 11,17 0,123 74,7 225 Resistenza complessiva del circuito secondario = 314 ohm. 117 — Dal confronto delle due serie di valori di R, quantunque anche in questo caso come per il Bi in prove ripetute non si siano ottenuti risultati quantitativamente molto concordanti, si ri¬ leva la non dubbia influenza dei raggi X assorbiti dal metallo che si manifesta con una diminuzione del valore di R. Esame della f. e. m* termoelettrica Te/Tez. Elementi termoelettrici costruiti con spranghette delle due varietà di tellurio hanno segnalata resistenza di una f. e. m. ter¬ moelettrica con comportamento del Te come elettropositivo ri¬ spetto al Tex. E' degno di rilievo il fatto che, mentre per i tre metalli fi¬ nora cimentati (bismuto, antimonio J), tellurio) si ha una dimi¬ nuzione del coefficiente di Hall per azione dei raggi X, la forza elettromotrice termoelettrica Bi/Bix è dì senso opposto a quella degli altri due metalli i quali hanno coefficiente di Hall posi¬ tivo. Riservandomi di fare in seguito tentativo di interpretazione di questo diverso comportamento dei tre metalli che può av¬ valorare la ipotesi che il fenomeno di Hall sia dovuto ad un effetto differenziale, riporto i risultati delle misure eseguite con quattro elementi termoelettrici i quali sono stati cimentati nel- l'intervallo fra la temperatura ambiente e quella del ghiaccio fondente. di = 0°, resistenza del circuito = 2510 ohm. divisioni della scala *2 ^ - X IO6 volts per grado 1 Te / Tex 282 22°0 91,9 2 w 294 22°5 94,2 3 II 250 21°6 83,4 4 II 260 22°0 85,2 5 Tex /Tex 10 22°0 3,5 0 L’azione dei raggi X sull'antimonio è stata studiata dalla Dott. M. Campa e i risultati sono in corso di pubblicazione. — 118 — L'elemento segnato con il numero 5 è stato costruito per controllo con l'impiego dei pezzi di Tex delle pinze 1 e 2, dal che si vede che le cause di errore, che si son potute determi¬ nare per un eventuale diverso incrudimento, sono del tutto tra¬ scurabili al confronto dei grandi valori del potere termoelettrico che si ottenne fra le due varietà di tellurio. Avendo potuto inoltre disporre, per gentile concessione del Prof. Trabacchi, di un tubetto contenente emanazione di radio, la cui intensità era di 90 millicurie nel giorno dell'uso, fu pre¬ parato un elemento con tellurio sottoposto all'azione dei raggi y del radio C durante la solidificazione e si ebbe per il potere ter¬ moelettrico, fra 0° e 22°, 280. IO-6 volts per grado, valore che ha ordine di grandezza uguale ai più elevati poteri termoelettrici che si hanno fra metalli diversi. Per controllo di quest'ultimo risultato si sono determinati i poteri termoelettrici Te/Cu e Cu/Te r.c. e si sono avuti valori rispettivamente uguali a 148 e 125. IO-6 volts con comportamento del Te come elettro -posi¬ tivo rispetto al Cu e del Cu elettropositivo rispetto al Te^.c. ; sicché per differenza si trova il valore di 273. IO-6 molto prossimo a quello ottenuto direttamente fra i due pezzi di tellurio. Dal complesso di queste prove sperimentali pare che possa ritenersi come assodato che radiazioni di grande frequenza, as¬ sorbite da un metallo mentre solidifica e precisamente nell'i¬ stante in cui le forze di coesione fra gli atomi subiscono una brusca variazione, influiscano sull'assetto cristallino o col far variare il numero dei germi o col far variare l'accrescimento dei cristalli. E invero se, per effetto di assorbimento da parte dell'atomo di energia legata ad una data frequenza, si determina una va¬ riazione o nel numero o nella distribuzione degli elettroni vin¬ colati all’atomo, le forze dovute a tali cariche, le quali per la loro grandezza sono atte ad assumere parte essenziale nell'as¬ setto di equilibrio, non possono non risentire tale effetto. Que¬ sti risultati confermerebbero dunque la natura elettrica della coesione, avvalorerebbero cioè l'ipotesi per cui “ l'edifizio cri¬ stallino che sta a rappresentare la struttura tipica di un solido, avrebbe nel suo grande complesso molecolare le condizioni ar- — 119 — moniche di assetto fra l'energia della forza viva degli atomi e quella di forma potenziale inerente alle forze fra le cariche e- lettriche „ l). Napoli, Istituto di Fisica della R. Università. Finito di stampare il 20 agosto 1926 l) Cantone, M. — Considerazioni e indagini sulla possibilità di una coesione di natura elettrica. Rend. R. Acc. Lincei Voi. 26. Ottobre 1917. Contributo allo studio delle relazioni tra i microsismi e gli elementi meteorici del socio Dott.sa Ester Majo (Tornata del 28 luglio 1926) Dalle registrazioni sismografiche si rilevano, com' è noto, perturbazioni microsismiche che durano per ore ed anche per giorni interi. Si presentano come oscillazioni di forma quasi re¬ golare con amplitudine gradatamente crescente con periodo ge¬ neralmente compreso fra 2 e 8 secondi. Lo Zoeppritz e il Linke attribuivano la causa dei microsismi alle perturbazioni nella distribuzione della pressione atmosferica e air infrangersi delle onde sulla terraferma, il Somville e il Galitzine ritenevano che la causa dei microsismi era da ricer¬ carsi nelle variazioni della pressione barometrica mentre il Ghezzi concludeva che i microsismi erano dovuti ai turbini atmosferici. La causa dei microsismi, come si sa, è tuttora oggetto di studi accurati. Allo scopo di apportare un contributo a questi studi mi è sembrato interessante ricercare, da una serie disponibile di registrazioni, Y andamento annuale della frequenza e dell' am¬ piezza delle registrazioni microsismiche e operare il confronto con elementi meteorici. Le registrazioni si riferiscono agli anni 1922-1923-1924 e 1925 e furono rilevate dal Microsismografo normale del Vicen¬ tini a tre componenti e anche dai Sismografi Wiechert per Tul- tiino biennio. Conforme al metodo praticato da altri nello spoglio delle — 121 registrazioni microsismiche ho adottato una scala arbitraria per la determinazione dell’ampiezza e propriamente la seguente: 0 = calma perfetta 1 == quasi calma 2 = debole 3= quasi mediocre 4 = mediocre 5 = più che mediocre 6 = forte 7 = molto forte 8 — fortissima Per ognuna delle tre componenti ho segnato lo stato gior¬ naliero dell' ampiezza, e, col metodo adottato in Meteorologia per la determinazione delle medie, ho determinati i valor medi dell’ ampiezza delle registrazioni mi¬ crosismiche, mentre dal numero totale di giorni con regi¬ strazioni microsismiche ho dedotto la frequenza relativa dei microsismi. I valori ottenuti sono segnati nella tabella a pagina seguente nella quale figurano le medie meteorologiche dedotte dal me¬ desimo periodo per alcuni elementi. *) Riassunto delle Osservazioni fatte nel 1922 all1 Istituto di Fisica Ter¬ restre della R. Università di Napoli. Rend. R. Acc. Se. Fis. e Mat. di Napoli, Serie 3*, Voi. XXIX. — Id. 1923, 1924, 1925 rispettivamente: Voi. XXX, XXXI, XXXII. — 122 — TABELLA 1922-1924 ^ Frequenza dei microsismi Ampiezza delle registrazioni microsismiche sulla comp. verticale Ampiezza -tì delle registrazioni — microsismiche sulla comp. Est-Ovest Ampiezza delle registrazioni ^ microsismiche sulla comp. Nord-Snd Escursione 'cò barometrica mensile ^ Frequenza "T mensile della pioggia ^ Altezza mensile -iS della pioggia ^ Velocità media ' — ■ mensile del vento m 100 s. m.) — Durata attivazione: 4 ore Potenziale del filo ( - 600 volta). DATA Tempo di riduzione a metà Attività totale a equilibrio raggiunto Torio iniziale a equilibrio raggiunto Radio iniziale Percen¬ tuale di torio N' N 7 agosto 1925 60m 15,1 10,1 5,0 67 3040 14 „ 59m 14,4 00 4,6 68 2880 21 „ 62m 15,8 10,3 5,5 65 3280 . Agnano («m58 s. m.) - Durata attivazione : 4 ore Potenziale del filo ( - 600 volta). DATA Tempo di riduzione a metà Attività totale a equilibrio raggiunto Torio iniziale a equilibrio raggiunto Radio iniziale Percen¬ tuale di torio N' N 27 agosto 1925 63m 14,8 11,1 3,7 75 2050 28 „ 60m 14,6 10,2 4,4 70 2640 29 „ 61m 16,3 11,3 5,0 69 2710 — 131 — Vomero (c/5 m 167 s. m.) — Durata dell'attivazione: 4 ore Potenziale del filo ( - 600 volta). DATA Tempo di riduzione a metà Attività totale a equilibrio raggiunto 1 Torio iniziale a equilibrio raggiunto Radio iniziale Percen¬ tuale di torio N’ N 8 settemb. 1925 S 00 m 16,5 8,8 7,7 53 5370 9 „ 57m 15,8 9,7 6,1 61 3860 io 56m 12,0 7,1 4,9 59 4230 Capodimonte (w m 146 s. m.) — Durata dell’attivazione: 4 ore Potenziale del filo ( - 600 volta). DATA Tempo di riduzione a metà Attività totale a equilibrio raggiunto Torio iniziale a equilibrio raggiunto Radio iniziale Percen¬ tuale di torio N’ ‘ N 15 settemb. 1925 53m 10,9 5,9 5,0 54 5200 16 55m 13,2 6,1 7,1 46 7140 18 „ „ 54m 12,9 6,3 6,6 49 6430 Eremo sul Vesuvio ( c/> m 500 s.m.) — Durata dell'attivazione: 4 ore Potenziale del filo ( - 600 volta). DATA Tempo di riduzione a metà Attività totale a equilibrio raggiunto Torio iniziale a equilibrio raggiunto Radio iniziale Percen¬ tuale di torio N’ ' N 19 settemb. 1925 60m 16,5 11,2 5,3 68 2910 20 „ 62m 16,1 9,8 6,3 61 3940 23 „ c* o È 12,6 8,5 4,1 67 2950 24 „ 61 m 16,3 10,1 6,2 62 3770 132 — Portici ( i/> m 5 s. m.) — Durata dell’attivazione : 4 ore Potenziale del filo ( - 600 volta). DATA Tempo di riduzione a metà Attività totale a equilibrio raggiunto Torio iniziale a equilibrio raggiunto Radio iniziale Percen¬ tuale di torio N’ N 1 settembre 1925 45m 12,0 4,2 8,8 34 11990 2 )) )) 44m 16,4 5,6 10,8 34 11830 3 ^ }) ;; 46m 10,8 4,2 6,6 39 9630 Golfo di Napoli — Durata dell'attivazione: 4 ore Potenziale del filo (.- 600 volta). Filo esposto a circa 2 metri dalla superficie del mare. DATA Coordinate geografiche Tempo di riduzione a metà Attività totale a equilibrio raggiunto Torio iniziale a equilibrio raggiunto Radio iniziale Percentuale di torio N' N 6 agosto 1925 i

= 40° 40' ) 5, = 14° 14' ' E. Grw. 45m 10,9 1,3 9,6 12 45230 — 133 — DATA cS l~ 03 3 T3 JS >- Z .5!» — 1; V u f— Pressione a 00 mm Umidità relativa Nebulosità j LOCALITÀ 7 agosto 1925 24,3 757,8 64 0 ) 14 M 25,2 757,2 65 1 > Solfatara 21 25,3 754,0 75 0 \ 27 agosto 1925 22,2 757,2 65 0 ' ) 28 „ 23,4 759,3 66 0 / Agnano 29 ^ V a 23,5 759,9 70 0 ) 8 settemb. 1925 21,0 746,1 60 0 1 9 21,2 747,2 55 2 / Vomero io 22,3 744,6 61 0 1 ) 15 settemb. 1925 18,0 747,2 57 1 ) 16 18,1 750,0 65 0 > Capodimonte 18 „ . „ 18,4 749,3 58 0 ] / 19 settemb. 1925 15,1 692,5 53 1 20 19,3 695,6 62 0 j / Eremo sul Vesuvio 23 20,7 689,8 54 4 24 „ 20,4 686,3 65 3 J 1 settemb. 1925 26,2 764,8 52 0 1 2 ^ lì II 24,9 765,0 57 0 • Portici 3 ^ n a 24,2 763,2 65 o ) 6 agosto 1925 24,7 759,5 54 0 i 2 Quasi calmo 8 „ 24,5 764,8 52 0 -S quasi calmo 18 „ „ 23,9 762,0 53 1 0 1 o quasi calmo 21 „ 24,6 758,4 60 2 c/) legg.te mosso 1 Notando che in nessun caso si ebbe pioggia e che il vento fu sempre debole. — 134 — Risultati sperimentali. Il massimo valore dell' attività totale a equilibrio raggiun¬ to si è rilevato all' Eremo sul Vesuvio e al Vomero anche i valori rilevati a Portici e ad Agnano si scostano rispettivamente di V io e 2 io dal detto valore massimo. Il minimo valore del- 1' attività totale si ebbe a Portici, ma anche i valori rilevati al Capodimonte e nel Golfo si scostano da esso di Vio- Complessiva¬ mente 1' attività totale a equilibrio raggiunto, ottenuta nelle di¬ verse località, varia nel rapporto di 1 a 1,5. In tutte le contrade precedentemente dette ho trovato una notevole percentuale per 1' attività dovuta al torio ; ed è notevole rilevare che anche nel- 1' aria sovrastante al mare nel Golfo di Napoli una parte non trascurabile di attività indotta è di tipo torio. Dalle esperienze del Runge l) di radioattività dell'aria nella Manica e del Pacini 2) nel Golfo Ligure non risultò apprezza¬ bile 1' attività di tipo torio, sebbene la curva rilevata presentasse uno scostamento rispetto a quella teorica di tipo radio non attribuibile però a quantità apprezzabile di torio. La massima percentuale di torio si ebbe ad Agnano col 75% e la minima in terraferma a Portici 34o/0. La minima ri¬ levate da tutte le misure, incluse le osservazioni in mare, fu del 10% nel Golfo. Il tempo di riduzione a metà variò da 63 m a 43 m, avendosi il massimo di 63 m ad Agnano in corrispondenza della maggiore percentuale di torio, il minimo di 43 m nel Golfo in corrispon¬ denza della minima percentuale di torio. Il rapporto variò nelle diverse località, entro limiti abba¬ stanza vasti. Il minimo valore 2050 si ebbe ad Agnano in corrispondenza del massimo valore 75% di torio; il massimo valore 11990 a Portici in corrispondenza del minimo valore 34% di torio. I valori di detto rapporto nel Golfo variarono da 22260 a 45230. *) Runge — Gòttìnger Nachrichten, 1907. 2) Pacini — Nuovo Cimento, 1908. f-- -, — 135 — Conclusioni. Dalle misure eseguite risulta : I. — Nelle località circostanti Napoli vi è nell' aria una no¬ tevole quantità di torio ; il cui valore percentuale varia in terra¬ ferma dal 34 al 75 %. II. — La plaga flegrea si mostra più ricca di emanazioni toriche e propriamente ad Agnano abbiamo in media il 71 % e alla Solfatara il 67 %. Seguono poi la plaga dell’ Eremo sul Ve¬ suvio col 65%, Votnero col 58%, Capodimonte col 50% e Portici col 36%. III. — Anche 1' aria sovrastante il mare nel golfo di Napoli è ricca di emanazioni toriche, avendosi dal 10 al 22% con una media da tutte le determinazioni eseguite del 15%. Nr IV. — Il rapporto ebbe in media ad Agnano il piu pic¬ colo valore con 2470 in media, poi alla Solfatara con 3070, dando così per la plaga flegrea una media di 2770 ; alla plaga del- 1' Eremo sul Vesuvio raggiunse il valore 3390, poi al Vomero 4490 e a Capodimonte 6260 ciò che dà per Napoli il valore medio 5380. N' V. — Il rapporto raggiunse a Portici il valor medio di 11150 e nel Golfo quello di 38690. VI. — In generale sembra potersi rilevare dalle singole espe¬ rienze che il rapporto in ciascun giorno aumenta coll' au¬ mentare dell'umidità relativa il che starebbe ad indicare una di¬ minuzione della quantità di emanazione di tipo torio coll’aumen- tare dell umidità relativa; nè è possibile stabilire una migliore corrispondenza tra elementi meteorici e radioattività indotta. Finito di stampare il 30 agosto 1926 Sulla struttura dell’articolo esterno dei ba¬ stoncelli della retina di A x o 1 o 1 1 di Ambly storna mexicanus. Nota preliminare del socio G. Po 1 i c e (Tornata del 31 maggio 1926). Fin dall'epoca di M. Schultze si ammette in generale che l'articolo esterno della retina dei vertebrati è costituito da dischi regolarmente sovrapposti gli uni agli altri. E tale concetto viene consacrato dalle figure che si veggono in tutti i trattati. Purtuttavia alcuni autori (il Krause ed il Ritter) videro in¬ ternamente all'articolo esterno del bastoncello una fibra a spirale; concetto che veniva confermato negli ultimi tempi particolar¬ mente dall’HESSE e dal Franz, i quali ammettono 1'esistenza ma¬ gari di più di una spirale, concludendo che non è più ammis¬ sibile la struttura a dischi dell'articolo esterno del bastoncelli. Anche nella retina di Axolotl si nota una fibrilla a for¬ ma di spirale nell' interno del segmento esterno dei bastoncelli visto nel suo insieme longitudinalmente. Nelle sezioni trasver¬ sali questa fibra dovrebbe scorgersi come un anello dello stesso spessore di quella che si scorge longitudinalmente. Inoltre in bastoncelli di notevoli dimensioni come quelli dell'Axolotl, in sezioni longitudinali passanti per la parte assiale del bastoncello medesimo, dovrebbe scorgersi come due serie di punti posti lateralmente e internamente alla guaina, mentre invece si scor¬ gono sempre delle rette trasversali, le quali sono collegate fra loro anche da fibrille trasversali. Sono queste le sezioni dei di- 137 — schi, mentre la fibrilla a spirale potrebbe essere soltanto una impressione ottica d’insieme? A me pare che fra la struttura a dischi e quella della pre¬ senza di una fibrilla a spirale vi sia un'altra interpretazione, la quale pur conservando il concetto della presenza di una spirale permette di spiegare come si siano potuti vedere i dischi. Per potere esporre questa interpretazione, è necessario, però di accennare alla costituzione della parte centrale dell' articolo esterno. Lungo l’asse centrale longitudinale dell'articolo esterno dei bastoncelli fu riscontrata una fibra assiale e benché alcuni au¬ tori abbiano voluto vedere in essa il risultato di un' apparenza per diversa rinfrangibilità, oppure un effetto della fissazione, pur- tuttavia molti altri hanno distinto nel bastoncello una parte assiale particolarmente differenziata, da alcuni ritenuta una sostanza as¬ siale, da altri una fibra centrale, da altri ancora un canale assiale. Ed io stesso l'ho potuta riscontrare nell’A x o 1 o 1 1, nè posso credere che si tratti di una illusione ottica quando la si scorge nettamente sia sulle sezioni trasversali che su quelle longitudi¬ nali; nel primo caso come un foro sul centro di un disco, nel secondo caso come un canale longitudinale che attraversa tutto il bastoncello. Come del resto è stata osservata dalla maggior parte degli autori. La presenza di questo stesso canale, messa in relazione col fatto che allorché si colora solo il contorno dei dischi si ha l'apparenza di un filamento ravvolto a spirale e che inoltre le sezioni dei dischi si presentano collegate fra di loro, porta alla deduzione che a me sembra semplice e logica, che nell'in¬ terno dell’articolo esterno vi sia la spirale e qualche cosa ancora che somigli a dischi forati: vi sia cioè a dire una formazione rap¬ presentata da una laminetta nastriforme strettamente ravvolta a spirale intorno al canale assiale come l’elica di una vite intorno all'asse, o meglio come una scala a chiocciola a strette volute. Un preparato nel quale la sostanza interna dell’articolo ester¬ no, accidentalmente veniva fuori per rottura della guaina, la mo¬ stra perfettamente cosi disposta, ed è stato esso che mi ha sug¬ gerita questa interpretazione, connettendola con la presenza di un canale assiale. — 138 — In tal modo il contenuto dell’articolo esterno sarebbe co¬ stituito da due sostanze: una sostanza omogenea amorfa alla os¬ servazione microscopica, ed una sostanza più densa che si con¬ forma a nastro ravvolto a spirale. Le volute della spirale sono molto strette e frammentate nella dissociazione potrebbero rappresentare i dischi riscontrati dagli autori. Al più presto chiarirò con disegni questa interpretazione, assieme a varii altri fatti da me notati nella retina deirAxolotl in una apposita memoria che sto estendendo. Napoli — Dall’ Istituto di Istologia e Fisiologia generale della R. Univer¬ sità — aprile 1926. Finito di stampare il 10 settembre 1026 Il regime dei venti a Perugia del socio Gioacchino Viggiani (Tornata nel 28 luglio 1926) Scopo del presente lavoro è lo studio del regime dei venti a Perugia, in base ai dati raccolti nell'Osservatorio meteorolo¬ gico, annesso alla Cattedra di Ecologia del R. Istituto superiore agrario. L’azione del vento, in rapporto alla sua direzione sullo stato igrometrico deH’atmosfera, sulle precipitazioni, sulla temperatura acquista un particolare rilievo nel settore in esame, per l'asso¬ luta prevalenza di due venti a carattere ben distinto, e in gran parte contrari, il NE ed il SW, i quali occupano il 90% circa del totale delle ore di vento. Frequenza dei venti. — Nella tabella I. riporto la frequenza dei venti nel quinquennio 1921-1925. Tabella I. Frequenza dei venti a Perugia nel quinquennio 1921-1925. 1921 1922 1923 1924 1925 Media del quinquennio N 1,0% 1,0% 0,5 o/o 0,2 o/o 0,5 o/0 0,5 o/o NE 54,0 „ 36,0 „ 42,5 „ 46,0 „ 43,4 „ 43,4 „ E 0,5 „ 0,5 „ 0,5 „ 0,3 „ 0,4 „ 0,4 „ SE 1,5 „ 2,0 „ 2,5 „ 2,0 „ 1,7 „ 1,7 „ S 1,0 „ 1,5 „ 0,5 „ 1,0 „ 1,1 „ 1,1 „ SW 31,0 „ 53,0 „ 46,0 „ 44,0 „ 45,2 || 45,2 „ w 4,0 „ 3,5 „ 2,0 „ 9 5 „ 2,5 „ 2,5 „ NW 7,0 „ 2,5 „ - 5,5 „ 4,0 ,, 5,2 5,2 ,, Calma = = = = = = — 140 — Calcolando il regime di frequenza per quadranti nell’anno e nelle quattro stagioni, si ottengono i dati raccolti nella tabel¬ la II. Tabella II. Regime di frequenza dei venti a Perugia 1921-1925. Inverno Primavera Estate Autunno Anno I 49,0 I 36,4 I 33,0 I 54,0 I 43,4 II 2,0 II 2,0 II 2,0 II 1,0 II 1,8 III 42,0 III 55,6 III 53,0 III 39,0 III 47,5 IV 7,0 IV 6,0 IV 12,0 IV 6,0 IV 7,3 Dall’esame delle tabelle appare manifesto : 1. I venti dominanti in Perugia sono il NE ed il SW in quasi eguali proporzioni; 2. il NE ha una maggiore frequenza nella stagione autunno¬ invernale, mentre il SW predomina in quella primaverile-estiva. 3. I venti del 2° e 4° quadrante presentano una frequenza minima (circa il 9% del vento totale); essi hanno importanza soltanto nel passaggio da uno dei due regimi dominanti, all'al¬ tro, come correnti di transizione. 4. Non esistono periodi (diurni o mensili) di calma assoluta. Nella figura 1 si riporta la rosa dei venti per il quinquennio 1921-1925. Il poliedro sottile a guisa di ferro di lancia, e spro¬ porzionatamente asimmetrico nella direzione SW-NE, dà, a colpo d’occhio, un'idea convincente e sicura della situazione poc'anzi descritta. -I venti e lo stato igrometrico. — Stretti rap¬ porti di interdipendenza esistono tra il regime dei venti e lo stato igrometrico deU'aria. Sia per il SW che per il NE corrispondono, a Perugia, due stati igroscopici differenti che caratterizzano ed individuano molto bene i due tipi di venti. Se si considera inoltre, che l'andamento dell' umidità rela¬ tiva assume nell'estate valori differenti da quelli dell'inverno, si 141 — arriverà alla conclusione che in realtà esistono quattro stati igro¬ scopici, dei quali due corrispondono al NE e due al SW. Passo ad illustrare i tratti più caratteristici di queste diffe¬ renze: 1. Il tipico regime di NE invernale (e quando diciamo re¬ gime tipico intendiamo quel regime di venti che spiri costan¬ temente in una stessa direzione, almeno per ventiquattro ore è caratterizzato da valori relativamente bassi (da 25 a 60) e dal¬ l'andamento normale delPumidità relativa. Questa, cioè, nelle 24 ore segue in maniera inversa la curva diurna della temperatura, la quale aumenta col diminuire del calore, e decresce con l'ele¬ varsi del medesimo. Per quanto riguarda i diagrammi dell'igro¬ grafo registratore, ne risultano chiari e ben nitidi grafici i quali si caratterizzano specialmente per avere il tracciato ondulato ed — 142 — assai movimentato, per cui nel complesso il diagramma viene quasi a rappresentare un vasto insieme di guglie e pinnacoli dolomitici (fig. 2); 2. Il tipico regime del NE estivo si differenzia da quello invernale unicamente per i valori più bassi (15-40) raggiunti dal- Fig. 2. — Regime tipico del NE e del SW. l'umidità relativa, mentre il tracciato dell' igrografo registratore mantiene le stesse caratteristiche sopra ricordate; 3. Per il regime di SW, le caratteristiche igroscopiche sono nettamente differenti da quelle del NE. Il tipico regime del SW invernale, infatti, ha due caratteri differenziali ben evidenti; a) valori elevati e andamento anormale dell'umidità relativa durante il periodo diurno; b) minori mobi¬ lità e oscillazioni nel tracciato della medesima. I valori igroscopici raggiunti in regime di SW invernale oscillano da 15 a 100 di più. Come risulta dal grafico si hanno due massimi dell'umidità relativa: uno verso la mezzanotte e uno verso le otto di sera. Si ha, cioè, un valore continuamente ele¬ vato del grado igroscopico, il quale permane anche in pieno me¬ riggio, quando invece, come si sa dalla meteorologia generale, l'umidità relativa dovrebbe scendere assai più giù. Inoltre — e questo è ancora più caratteristico — l’igrografo registratore in regime di SW dà un tracciato a linea dritta e uni¬ forme, senza nessuna sensibile ondulazione e senza alcuna di quelle guglie che caratterizzano così bene il NE. II grafico che si ricava dal suddetto apparecchio in regime di SW invernale è caratterizzato , perciò, da vasti altipiani ben delimitati nei loro contorni da linee quasi rettilinee ed uniformi. — 143 — Tabella III. Pioggie cadute in regime di NE e SW. Anno Precipitazione totale in mm Percento pioggia caduta in NE Percento pioggia caduta in SW 1921 883,8 45 55 1922 812,4 25 75 1923 979,7 22 78 1924 782,9 30 70 1925 866,9 14 86 Tabella IV. Distribuzione mensile della pioggia nei regimi di NE e SW. Mesi Media di 5 anni Precipitazioni in min di pioggia Percentuale di pioggia caduta in regime di NE Percentuale di pioggia caduta in regime di SW Gennaio 31,1 26,0 74,0 Febbraio 112,3 30,0 70,0 Marzo 64,3 9,5 90,5 Aprile 115,3 17,0 83,0 Maggio 59,9 25,6 74,4 Giugno 77,3 8,4 91,6 Luglio 17,7 17,6 82,4 Agosto 41,9 12,4 87,6 Settembre 78,0 26,6 73,4 Ottobre 93,8 33,6 66,4 Novembre 88,1 46,4 53,6 Dicembre 62,1 22,4 77,6 Tabella V. Distribuzione mensile della pioggia, durante il quinquennio 1921-1925, nei regimi di NE e SW. Giugno | A\S !P aiuiSaj ui ajnpBO 'o/o 78,0 100,0 95,0 85,0 100,0 3N !P ouxiSsj ui ajnpso o/o 22,0 5,0 15,0 iuoizB;idp9ij 137,7 41,0 97,6 64,0 46,5 Maggio A\S ip aiutSaj ui ajnpBD ’o/o 30,0 100,0 100,0 47,0 95,0 3N ip auiigaj ut aijnpBD o/0 70,0 53,0 5,0 moizB^idpajj 160,8 3,2 38,5 38,2 58,8 Aprile AYS !P amiSaj ui ainpBD "o/o 68,0 94,0 1 79,0 88,0 86,0 3N jp auxiSaj ut - ainpBD o/o 32,0 6,0 21,0 12,0 ;i4,o luoizB^idpajj 162,1 91,5 139.4 57,1 126.4 Marzo ip auiiSaj ni sjnpBo 'o/o 100,0 99,5 99,0 68,0 86,0 3N ip auxigaj ut 3;npBo’o/o 0,5 1,0 32,0 14,0 luoizBjidpajj 49.6 73,9 56,8 57.6 83.7 Febbraio ^YS ip auiiSaj ui 9jnpBD "o/o 39,0 81,0 86,0 54,0 89,0 3N ip auiiSaj ut 9}npB0* O/o 61,0 19,0 14,0 46,0 11,0 luoizB^idpaaj 83.6 97,2 105.1 97.7 198.2 Gennaio !P ouiiSaj ut a^npBD o/o 91,0 60,0 64,0 55,0 100,0 3M ip auiiSaj u; a^npBo o/o 9,0 40,0 36,0 45,0 luoizB^idpaaj 15,0 43,7 35,9 55,6 5,5 o i CO co 'vf z CO CO CN CM co 2 O < Dicembre MS !P 3UIl334 UI a;npBD O/o 62,0 62,0 69,0 97,0 88,0 3M ip 3Ull§3J UI 3;npBD*o/0 38,0 38,0 31,0 3,0 12,0 lUOizB^idioajj 39,0 27,8 139,9 60,2 44,0 Novembre MS ip auiiSsj ui ajnpBO O/o 31,0 100,0 57,0 80,0 3N ip auiiSaj ui ajnpBD o/o 69,0 43,0 100,0 20,0 ;uoizB}idpa4c[ 72,3 61.9 164,4 0,3 141.9 Ottobre MS ip auiiSaj ui a;npBo'o/o 35,0 52,0 100,0 49,0 96,0 3JM ip 3UIlS34 UI 3;npBD o/o 65,0 48,0 51,0 4,0 iuoizB^idiDajj 52,6 199,3 39.4 107,9 91.4 1 i VO O CO *— < luoizB^idpajj 82,4 6,0 35.8 31.8 50.8 Luglio MS !P 3UII334 UI ajnpBo o/o 17,0 100,0 100,0 95,0 100,0 3N ip auiiSaj ui ainpBD ‘o/o 83,0 5,0 IUOlZB;idp34d 20,3 6,8 8,6 36,0 17,2 Anno 1921 1922 1923 1924 1925 10 - 146 — 4. Il regime del SW estivo si differenzia dairomonimo in¬ vernale unicamente per i valori più bassi raggiunti daH’umidità relativa. I venti e le precipitazioni — Degna di partico- lar rilievo è la distribuzione delle pioggie a Perugia, in rapporto al regime dei venti. In tutti gli anni del quinquennio in esame, la maggior co¬ pia delle precipitazioni è avvenuta in regime di SW come risulta dalla tabella III. Anche per quanto riguarda la distribuzione mensile della pioggia, dalla tabella IV si rileva l'assoluta prevalenza delle pre¬ cipitazioni che avvengono in regime di SW rispetto a quelle che cadono col NE. Se passiamo infine ad esaminare i dati conte¬ nuti nella tabella V ne risulterà con grande evidenza una quasi completa predominanza delle pioggie che cadono col SW nel pe¬ riodo estivo giugno-agosto. Conclusioni* Da quanto è detto risulta : 1. — La prevalenza assoluta del SW e del NE. 2. — L'esistenza di due situazioni climatiche ben distinte in rapporto allo spirare del SW e del NE. 3. — Quest'ultimo si riporta ad un quadro generale isobari¬ co anticiclonale ; umidità bassa tanto in estate che in inverno; la traccia dell'igrografo presenta una ondulazione caratteristica ed un andamento assai movimentato, che quasi ricorda il profilo di un gruppo dolomitico. 4. — Il SW si ricollega invece alla presenza di depressioni barometriche; l'umidità relativa si mantiene elevata pure in quelle ore del giorno, in cui dovrebbe in rapporto con 1' aumentare della temperatura discendere; la traccia dell' igrografo è decisa, senza ondulazioni, e neirinsieme ci dà la figura di un altopiano separato da profonde solcature (esaminare la figura 2); la mag¬ gior parte delle precipitazioni viene con il SW. 55. — La prevalenza assoluta del SW e del NE che contribui¬ sce a dare un carattere ben definito al clima di Perugia, è mani¬ festamente imputabile al vento SW -NE della media valle Tibe- — 147 — rina, la quale a guisa di lungo corridoio incanala tanto le cor¬ renti fredde del NE provenienti dal passo di Scheggia, quanto le depressioni barometriche e le masse di vapore che avanzano dal mar Tirreno. Perugia. Laboratorio di Ecologia agraria , R. Istituto superiore agrario . Finito di stampare il 10 settembre 1926 Studi e ricerche sperimentali sul Myrtus commutiis var. italica. Nota IL — Il tannino del mirto del socio Dott* Selim Augusti (Tornata del 31 maggio 1926) Sommario. I. — Isolamento del principio attivo (tannino). a) Saggi preliminari. Vari metodi di estrazione. b) Preparazione del tannino puro col metodo all'acetato di piombo. Preparazione dell’estratto tannico. Chiarificazione e concentrazione dell'estratto. Isolamento del tannino puro. c) Saggi preliminari sulla purificazione del tannino. Vari metodi di purificazione. d ) Purificazione del tannino con acetone. II. — C a r a 1 1 e r i z z a z i o n e del tannino puro. a) Saggi di purezza. b) Determinazione del punto di fusione e prove di solubilità. c) Proprietà. d) Analisi qualitativa. e) Prodotti di scissione. Prodotti di scissione col calore. Prodotti di scissione con gli acidi diluiti. f) Analisi quantitativa e formola. — 149 — I. — II tannino del Myrtus communis . In una mia precedente nota ho dato la descrizione delle foglie del Mirto e dell' uso che di esse se ne fa ; mi sono quindi proposto tutta una serie di ricerche su questo materiale ed ho dato notizia dei metodi adoperati da me nella preparazione dell' estratto tannico nonché dei risultati ottenuti all' analisi qua¬ litativa e quantitativa di questo estratto. Si tratta ora di descri¬ vere il metodo da me adoperato per isolare il principio attivo conciante (tannino) ed i risultati ottenuti nell' analisi e nella ca¬ ratterizzazione di questo tannino puro. A. — Saggi preliminari. Poiché come sappiamo, i tannini differiscono 1' uno dall'altra per un certo numero di proprietà, e poiché in una pianta pos¬ sono trovarsi diversi tannini, non vi sono dei metodi generali per 1' estrazione del tannino puro da materiali che ne contengono, e bisogna quindi procedere per tentativi nella ricerca di un me¬ todo da adoperarsi per ogni singolo tannino in esame. Onde avere una certa guida nella ricerca del metodo da adoperare per l' isolamento del tannino del Mirto, ho preso in considerazione dei metodi generali adoperati da alcuni autori nella separazione di alcuni tannini più importanti fra quelli cono¬ sciuti. Ho eseguito a tal uopo delle prove preliminari, basate sui metodi seguenti : I. Metodo. — In questo metodo, adoperato dal Pelouze per 1’ estrazione dell' acido gallo-tannico, dalle noci galla, egli tratta queste ultime, finemente polverizzate, in un apparecchio di estrazione, con etere commerciale a 56° (che contiene per conseguenza notevoli proporzioni di acqua e di alcool). Il li¬ quido ottenuto si divide in due strati ; uno superiore, etereo, contenente sostanze coloranti, acido gallico, acido ellagico, ecc. ; ed uno inferiore, acquoso, ricco in tannino. Si evapora nel vuoto quest' ultima frazione, ad una temperatura non superiore a 100° C. Per purificare il residuo così ottenuto si ripete su di esso 1' estrazione. 150 — Io ho applicato questo metodo al Mirto, estraendo in un apparecchio di Soxhlet, con etere commerciale. I risultati così ot¬ tenuti non sono però buoni in quanto lo strato etereo risulta fortemente colorato in verde e carico di impurezze e nello strato acquoso non si osservano che piccolissime quantità di tannino (forse per la temperatura troppo alta) ed anch' esse molto impure. II. Metodo. — Questo metodo, dovuto a Trimble, è ba¬ sato sulla solubilità dei tannini in acetone ; applicato all' estra¬ zione del tannino della corteccia di quercia, esso è stato dal- T autore condotto nel modo seguente : Si spossa la corteccia in polvere con acetone, mediante una macerazione di 48 ore ; si filtra rapidamente, si lava con acqua per portar via 1' acetone trattenuto dalla corteccia, e si distilla il liquido a b. in. nel vuoto, onde eliminare il solvente. Il re¬ siduo secco vien ripreso con poca acqua calda o con alcool a 93° ; si filtra, si diluisce con una quantità di acqua fredda suf¬ ficiente per precipitare le impurezze, si filtra e si estrae il tan¬ nino dalla soluzione acquosa mediante addizioni successive di etere acetico. La soluzione eterea vien distillata a pressione ri¬ dotta , il tannino viene purificato nuovamente per soluzione in acqua, estrazione con etere acetico e distillazione nel vuoto. Dal residuo .secco vengono eliminate le tracce di resine ed altre im¬ purezze per mezzo di etere assoluto. Applicando questo metodo ho ottenuto una piccola quan¬ tità di tannino, che si presenta colorato e contiene ancora lievi impurezze. III. Metodo. — Si spossa la sostanza tannica con alcool e quindi si concentra la soluzione alcolica a lieve calore. Il li¬ quido così ottenuto vien trattato successivamente con piccole quantità di acetato di piombo. Le prime e le ultime porzioni del precipitato sono raccolte a parte per filtrazione ed eliminate poiché contengono sostanze coloranti ed impurezze. Il precipi¬ tato medio, costituito da tannato di piombo, vien filtrato e la¬ vato rapidamente ; si mette in sospensione in acqua e si tratta con una corrente d' idrogeno solforato fino a precipitazione com¬ pleta del piombo allo stato di solfuro. Si filtra, e la soluzione acquosa, contenente tannino, viene evaporata a lieve calore in 151 — un vuoto parziale fino a consistenza sciropposa, e quindi essic¬ cata su acido solforico nel vuoto. Per operare secondo il metodo descritto ho lasciato dige¬ rire un' aliquota di foglie in alcool a 95°, prima per due giorni a freddo e poi per un' ora a caldo. Questa operazione è stata eseguita in pallone con refrigerante a ricadere, onde non per¬ dere solvente. Ho filtrato, per eliminare il residuo solido ; ho quindi concentrato a lieve calore la soluzione alcoolica, ed ho proseguito secondo il metodo descritto. I risultati sono stati questa volta discreti, perchè, come pro¬ dotto finale ho ottenuto tannino, non eccessivamente colorato, e tracce di acido gallico. Poiché questo procedimento ha dato migliori risultati dei precedenti, io ho ripetuto altre prove, ed ho potuto ottenere risul¬ tati ancora superiori, modificando il metodo nel modo seguente: Invece di preparare la soluzione alcolica delle foglie del Mirto, ho preparato ne più ne meno che una soluzione acquosa col solito metodo del percolatore, ottenendo i seguenti vantaggi ; a) evito di portare in soluzione, o ne porto in minor quantità, quelle sostanze estranee al tannino che sono maggior¬ mente solubili in alcool ; b) risparmio perdita di tempo e di lavoro e realizzo una notevole economia sul prezzo del solvente; c) conoscendo già la quantità di tannino estratto dall'acqua alla temperatura di preparazione della soluzione, posso cono¬ scerne a priori la concentrazione e calcolarne i rendimenti. Sulla soluzione acquosa viene eseguita la precipitazione con acetato di piombo e tutte le altre operazioni già descritte, con la differenza ancora che la soluzione spiombata vien concentrata nel vuoto e non a pressione ridotta, evitando così ogni possi¬ bile elevazione di temperatura e quindi ogni eventuale decom¬ posizione. Ho ottenuto così una polvere bruniccia che disciolta in acqua precipita abbondantemente con gelatina e dà le reazioni quali¬ tative del tannino. Assicuratomi così, con prove in piccolo, del metodo da pre¬ ferirsi nella preparazione del tannino puro, ho proceduto alla — 152 — B. — Preparazione del tannino puro col meto¬ do all'acetato di piombo. Posso, per comodità di studio, dividere questo procedimen¬ to in tre fasi: I. Preparazione dell'estratto tannico; II. Chiarificazione e concentrazione dell'estratto; III. Isolamento del tannino puro. Per la preparazione dell'estratto mi sono servito di una cal¬ daia in rame, mantenuta, a mezzo di un fornello, alla tempera¬ tura costante di 50° O Come percolatore ho adoperato un im¬ buto a collo molto lungo, mantenuto immerso nella soluzione, capovolto, con la bocca ricoperta da un pezzo di garza ed al collo attaccato un tubo di gomma, molto lungo e sottile, ter¬ minante in un tubo di vetro stirato ad un estremo. Una pin¬ zetta di Mohr ne regola l'efflusso, in modo da far cadere la so¬ luzione, goccia a goccia, in un recipiente posto, naturalmente, a livello più basso di quello della caldaia. L'acqua è stata mante¬ nuta in quest'ultima sempre allo stesso livello, mediante un si¬ stema molto semplice di riempimento costante. Secondo il solito metodo, dopo aver lasciato le foglie di Mirto 12 ore in infusione nell'acqua, ho incominciato la sifona- zione a caldo e l'ho proseguita finché il liquido passa incolore e non precipita più con gelatina. L’estratto in tal modo preparato titola 1° Bè. Lasciandolo due giorni in riposo (sempre in presenza di toluolo) esso risulta chiarificato ed atto ad essere concentrato. La concentrazione è stata fatta nel vuoto, in una " boulle „ a serpentino, mantenuta, per mezzo di un b. m. ad una tempe¬ ratura non superiore a 40-45° C. Dopo la concentrazione 1' e- stratto titola 5°, 5 Bé. Nell'estratto concentrato ho eseguita la precipitazione con acetato di piombo (miscela di acetato neutro e basico, per ren¬ dere più completa la precipitazione), eliminando le prime ed ul¬ time frazioni del precipitato. Raccolto il precipitato medio, l'ho messo in sospensione in acqua; ho spiombato con idrogeno sol- — 153 — forato, filtrato, concentrato nel vuoto il filtrato fino a consisten¬ za sciropposa, ed ho quindi essiccato il residuo su acido sol¬ forico nel vuoto. Ho ottenuto, dopo alcuni giorni, un residuo rosso bruno scaglioso, contenente tannino, sostanza colorante, e piccolissime quantità di acido gallico. (R). Si tratta ora di trovare un mezzo per la purificazione completa del tannino. C. — Saggi preliminari sulla purificazione del tannino. Il residuo (R) ottenuto mediante il metodo precedentemente descritto, risulta solubile in acqua, lievemente solubile in alcool diluito ed in etere acetico, insolubile in etere etilico e clorofor¬ mio. Con alcool a caldo esso si scioglie completamente, impar¬ tendo alla soluzione la propria colorazione. Essendo l'etere acetico, in generale, un buon solvente dei tannini, ho preparato la soluzione alcolica su di un'aliquota del residuo (R), e da questa soluzione ho estratto, mediante un im¬ buto a rubinetto, con etere acetico. Separate, dopo agitazione, le due soluzioni, le ho portate a secco. La soluzione eterea, lievemente colorata in giallo, lascia un residuo giallo, solubilissimo in acqua, che dà le reazioni dei tan¬ nini. Sciogliendo questo residuo in acqua, precipitando con ge¬ latina e filtrando, il filtrato si presenta limpido e quasi perfet¬ tamente incoloro, il che indica che la sostanza colorante vien disciolta solo in piccole quantità dall'acido acetico. In questo fil¬ trato si osserva ancora la reazione dell'acido gallico. La soluzione alcolica che come dicevo precedentemente è fortemente colorata in rosso -bruno, lascia un residuo giallo¬ bruno, solubile in acqua a caldo, costituito in maggior parte da sostanza colorante e che dà lievemente le reazioni dei tannini e dell'acido gallico. Ho provato quindi a purificare con acetone, altro buon sol¬ vente dei tannini. Ma essendo l'acetone perfettamente miscibile sia con acqua che con alcool, ho dibattuto direttamente il resi¬ duo (R) con acetone, e, dopo aver lasciato un certo tempo in ri¬ poso, ne ho decantata la soluzione. Questa risulta limpida e di — 154 — color giallo chiaro e, portata a secco, lascia un residuo gialliccio, perfettamente solubile in acqua e che dà tutte le reazioni dei tannini. La soluzione acquosa, preparata su questo nuovo resi¬ duo, dopo eliminazione del tannino con gelatina, risulta perfet¬ tamente limpida ed incolore e non dà più le reazioni dell'acido gallico. Come si vede, questo metodo dà risultati migliori del pre¬ cedente. Ma, prima di stabilire se esso dovesse effettivamente preferirsi al primo, ho voluto nuovamente provare con ambo i metodi, facendo i saggi su di una quantità maggiore di resi¬ duo (R). Dalla soluzione con etere acetico ho ottenuto nuovamente un residuo colorato ed impuro, mentre dalla soluzione in ace¬ tone ho ottenuto ancora un residuo gialliccio avente tutti i ca¬ ratteri dei tannini. Stabilito in tal modo il metodo da preferirsi , ho proce¬ duto alla D. — Purificazione del tannino con acetone. Ho trattato il residuo (R) con acetone in un imbuto sepa¬ ratore a rubinetto, ho agitato lungamente, ho decantato e quindi filtrato il liquido (per eliminare le impurezze eventualmente in sospensione) ed ho concentrato nel vuoto. Col solvente distil¬ lato ho ripreso nuovamente il residuo primitivo (R), ho agitato, decantato, filtrato, concentrato nuovamente nello stesso recipiente, in presenza della soluzione precedentemente concentrata, e così di seguito. In tal modo, ripetendo questa operazione una ven¬ tina di volte, sono riuscito ad estrarre dal residuo (R) tutto il tannino in esso contenuto, ottenendo così nell'apparecchio a vuo¬ to, una soluzione sempre più concentrata. Ho definitivamente concentrata quest'ultima fino a consistenza sciropposa e l'ho quindi lasciata ad essiccare su acido solforico concentrato, nel vuoto. Dopo alcuni giorni ho ottenuto una polverina giallastra che, come vedremo, è costituita da tannino puro. — 155 — II. — Caratterizzazione del tannino poro. A. — Saggi di purezza. Per assicurarmi se il tannino preparato e purificato con i metodi indicati sia effettivamente costituito da una fase pura, ho eseguito su di esso i saggi seguenti: a) ne ho determinato il punto di fusione. Ho sciolto quindi il tannino in acqua, l'ho filtrato e portato a secco nel vuoto; ho ripreso il residuo con acetone e l'ho portato a secco, previa fil¬ trazione. Ho ottenuto in questo modo una sostanza analoga alla precedente ed il cui punto di fusione coincide perfettamente con quello determinato sul tannino in esame; b) ho fatto tutte le prove di solubilità nei solventi propri dei tannini; c) partendo da una soluzione alcoolica del residuo (R) ho nuovamente eseguito tutto il metodo della precipitazione con acetato di piombo e della purificazione con acetone, ed ho ot¬ tenuto una sostanza analoga, per proprietà fisiche e chimiche, al tannino in esame. B. — Determinazione del punto di fusione e prove di solubilità. Il tannino in esame, scaldato, comincia ad alterarsi già verso gli 80° C. e fonde a 106° C. con decomposizione. Esso è perfettamente solubile in acqua, acetone, acido ace¬ tico, glicerina, alcool etilico, etere acetico ; insolubile in etere etilico e cloroformio. C. — Proprietà. Il tannino del Mirto si presenta sotto forma di una polve¬ rina giallastra, amorfa, leggiera, di sapore astringente ma non amaro. Esso risulta inoltre perfettamente esente da acido gallico. D. — Analisi qualitativa. Per caratterizzare effettivamente il tannino del Mirto, ho e- seguito su di esso le reazioni già effettuate sull'estratto tannico, e che come ho già detto ci permettono di riconoscere a qual classe di tannini naturali il tannino in esame si possa ascrivere. — 156 — Ne ho quindi preparata la soluzione acquosa e l'ho trat¬ tata con: а) allume ferrico: colorazione verde scurissima; б) acetato neutro di piombo: precipitato giallo, fioccoso; r) acetato di piombo ed acido acetico: n. n. d) acqua di bromo: precipitato giallo pallido; d formaldeide ed acido cloridrico: precipita abbondantemente all'ebollizione e, dopo raffreddamento , per aggiunta di acetato sodico solido ed allume ferrico, non si ha colorazione violetta; /) solfuro ammonico: dopo ebollizione con acido solforico concentrato, raffreddamento, aggiunta di cloruro so¬ dico solido, agitazione, riposo e filtrazione, dà con solfuro am¬ monico un lieve precipitato, variamente colorato. E. — Prodotti di scissione. ,4) col calore. — Per azione del calore i tannini possono dare origine a pirogallolo (tannini pirogallici), a pirocatechina (tannini pirocatechici), o ad un miscuglio di entrambi (tannini misti). Per studiare quest' azione ho scaldato 1 gr. del tannino in esame con 5 cc. di glicerina, a 160° C., innalzando quindi lentamente la temperatura fino a 210° C. Ho mantenuto a questa temperatura per 30 minuti; ho quindi raffreddato ed estrattola soluzione glicerica (che è diventata di color bruno) con 20 cc. di etere etilico. La soluzione eterea, portata a secco lascia un residuo che/ ripreso con acqua, dà le seguenti reazioni: 1) con cloruro ferrico, colorazione verde, che passa al rosso per aggiunta di ammoniaca, potassa caustica, acqua di calce o di barite; 2) non precipita con una soluzione di gelatina; 3) riduce il nitrato di argento; 4) in soluzione alcalina, all'aria, si colora prima in verde, quindi in bruno e poi in nero. Queste reazioni sono, come ben sappiamo, caratteristiche della pirocatechina. — 157 — Le reazioni per la ricerca del pirogallolo hanno dato esito molto dubbio. 5) con gli acidi diluiti. — Per azione degli acidi diluiti i tannini possono dare, a seconda della loro natura, acido gallico, acido ellagico, flobafeni i) e glucosio. Per studiare quest'anione ho scaldato 1 gr. di tannino per un' ora all' ebollizione, in pallone con refrigerante a ricadere con acido cloridrico al 2%. La soluzione, di color giallo chiaro, all' ebollizione va facendosi più scura e torbida. Ho quindi raf¬ freddato molto lentamente : la soluzione si presenta ora limpida per trasparenza e si nota sul fondo del pallone un deposito ab¬ bondante rosso-bruno (A). Ho filtrato ed ho estratto la soluzione filtrata con etere etilico, dividendo, con un separatore a rubi¬ netto, le due soluzioni : a) la soluzione eterea vien portata a secco ed il residuo, ripreso con acqua, dà con cianuro potassico una colorazione rossa, che presto scompare, ma ricompare per agitazione in presenza di aria. Reazione caratteristica dell' acido gallico; b) per la ricerca del glucosio, la soluzione acquosa vien bollita e neutralizzata con idrato sodico ; la si addiziona quindi di acetato basico di piombo, per precipitare il tannino non de¬ composto ed eventualmente le sostanze coloranti. Ho filtrato ed eliminato 1’ eccesso di piombo con acido solforico diluito, cer¬ cando di evitare un eccesso di acido ed ogni possibile eleva¬ zione di temperatura. Ho neutralizzato la soluzione con idrato sodico ed ho bollito il filtrato limpido con alcuni cc. di liquido di Fehling n. n. ; c ) il residuo (A) rimasto sul filtro può contenere floba¬ feni ed acido ellagico. Ho aggiunto sul filtro stesso alcool a freddo; il residuo si discioglie parzialmente e la soluzione, evaporata, lascia a sua volta un residuo costituito da grumi rosso-bruni, insolubili in acido acetico, solubili in alcali diluiti, borace, alcool: flo¬ bafeni; 1) I flobafeni sono anidridi degli acidi tannici. Essi si presentano in grumi di color rosso bruno, e prendono origine dai tannini pirocatechici per azione del calore sotto pressione, o versando in acqua fredda un estratto tan¬ nico fortemente concentrato. — 158 — d ) ho sciolto quindi in alcool bollente la parte del resi¬ duo (A) non solubile in alcool a freddo. Per raffreddamento si separa una sostanza giallastra che : con cloruro ferrico dà una colorazione verdastra; con acqua di calce un precipitato giallo; con acido nitrico-nitroso, e per aggiunta di acqua, colorazione rosso sangue: acido e llagi'co. Riassumendo possiamo dire che il tannino del Mirto dà origine, per azione del calore, a pirocatechina (forse anche pi- rogallolo ?) e per idrolisi con acido cloridrico al 2°/0 dà acido gallico ed acido ellagico, con produzione di flobafeni. Ora, in base a questi saggi, concludendo circa la natura del tannino in esame, possiamo dire che, poiché per azione del calore si origina pirocatechina, di cui dà anche tutte le reazioni caratteristiche, e d’altra parte tra i prodotti di scissione con acidi diluiti si osserva presenza di acido gallico, il tannino del Mirtus communis è un tannino misto pirocatechico-gallico od una mescolanza di tannino gallico con tannino pirocatechico, con prevalenza di quest’ ultimo perchè, nella reazione con sali ferrici, prevale la colorazione verde. F. — Analisi quantitativa e formola. Il tannino in esame dà all’ analisi elementare i seguenti ri- sultati: Carbonio 48,25 48,32 48,15 48,24 Idrogeno 4,45 4,55 4,59 4,53 Ossigeno 47,30 47,13 47,26 47,23 100,00 100,00 100,00 10,00 In base a tali percentuali analitiche possiamo calcolare la formola empirica : (C 15 H 17 O n)n per la quale si avrebbe un peso molecolare : p. m. = 373 e la seguente composizione centesimale : Carbonio 48, 26 Idrogeno 4,56 Ossigeno 47,18 100,00 — 159 — Ma poiché la formola surriportata non dà alcuna idea della struttura della molecola del tannino in esame e non rende ra¬ gione dei gruppi caratteristici in essa contenuti, azzardiamo una ipotetica formola di struttura che possa darci un’idea generale della presenza e posizione di tali gruppi nella molecola. In base alle percentuali analitiche e tenendo conto del suo comportamento, è probabile che al tannino del Mirto spetti una costituzione analoga alla seguente: risultante dalla condensazione di due molecole di glucosio (forma Y semi-acetalica) di cui l'una contenga un gruppo “ g a 1 1 o i 1 e „ e l'altra un gruppo " protocatechile,,. Per questa formola si avrebbe un peso molecolare: C26 H30 Oig = 630 e la seguente composizione centesimale: Carbonio 49,52 Idrogeno 4,76 Ossigeno 45,72 100,00 La formola surriportata renderebbe ragione del comporta¬ mento del tannino del Mirto verso gli agenti di decomposizione. Infatti : a) per azione del calore esso si decomporrebbe con forma¬ zione di acido protocatechico da cui prenderebbe origine la pirocatechina, secondo l’equazione: — 160 — HO OH acido protocatechico pirocatechina 2 b) per idrolisi con acidi diluiti la molecola ^ del tannino verrebbe scissa completamente, in modo che il " protocate- chile „ darebbe origine ai flobafeni, mentre il galloile in parte sussisterebbe come acido gallico, ed in parte verrebbe ossi¬ dato ad acido ellagico, secondo lo schema: OH OH HO X X. X x COOH — > HO X \ X _ X co-o X X X X acido gallico acido digallico COOH /CO-0\ OH /CO-OX 01 X \ _ / \ \ > / X- \ X / \ /°h~ -^HO x HO OH COOH acido luteico HO \o-co/ acido ellagico c) per azione dei microrganismi la molecola verrebbe spez¬ zata con formazione di acido gallico (fermentazione gallica). A questo tannino da me isolato dalle foglie del Myrtus com- munis propongo di dare il nome di “acido mirti-tan¬ nico D’altra parte allo scopo di rendermi più chiaramente ra¬ gione della costituzione molecolare di questo tannino mi ripro¬ metto di farne uno studio più completo e quanto più possibile preciso. Istituto di Chimica Organica della R. Università di Napoli. Finito di stampare il 12 settembre 1926. Sviluppo larvale della Gonoplax angulata (Pennant). Nota preliminare del socio Ernesto Caroli (Tornata del 17 agosto 1926) Sin dal 7 marzo 1921 , da una femmina ovigera di Gono¬ plax : angulata (Pennant) tenuta in allevamento, avevo ottenuto la schiusa delle zoee, le quali però morirono tutte prima di pas¬ sare allo stadio seguente. E il 4 aprile dello stesso anno, avevo assistito alla trasformazione di una megalopa, pescata il 2 marzo precedente ad una profondità di m. 100-150, in un piccolo granchio che presentava tutti i caratteri della specie suddetta. Però, solo alla fine dello scorso anno (1925), ho potuto com¬ pletare la serie degli stadi larvali di questo Brachiuro. Dall’ottobre del 1925 fino all'aprile del 1926, sono state raccolte numerose megalope, simili in tutto a quella del marzo 1921, parecchie delle quali, messe ad allevare, si sono pure tra¬ sformate in piccole Gonoplax. Insieme con esse venivano pe¬ scate intanto zoee in vari stadi di sviluppo, le quali avevano lo stesso colore rossiccio delle megalope. Avendo confrontato quelle tra esse che, come appariva dai loro caratteri, si trovavano nel 1° stadio, con le zoee direttamente ottenute dalle uova, non riu¬ scii a trovarvi nessuna differenza; ma per maggiore sicurezza, e per togliere qualsiasi dubbio sulla loro effettiva pertinenza a Gonoplax , cercai di ottenere, mediante allevamento, la trasfor¬ mazione in megalopa di qualcuna delle zoee che mostravano uno sviluppo più avanzato. Il tentativo ebbe pieno successo, poiché una di queste, pescata il 24 dicembre, dopo due giorni si era - il - — 162 — già mutata in una megalopa completamente simile a quelle dalle quali avevo ottenuto le piccole Gonoplax. Accertati così il primo e l'ultimo stadio di zoea e quello di megalopa, mi riuscì agevole ricostruire l’intero sviluppo postem¬ brionale della G. angalata , nel quale ho riconosciuto quattro differenti stadi di zoea ed uno di megalopa. Per quanto riguar¬ da gli stadi di zoea, non ho potuto osservare il passaggio di ciascuno di essi nel successivo, ma il graduale e progressivo sviluppo del corpo e delle varie appendici non lascia alcun dub¬ bio sulla loro reale successione, e fa escludere, con quasi asso¬ luta certezza, 1’esistenza di altri stadi intermedi. Le prime megalope furono raccolte il 29 ottobre, le ultime il 23 aprile, cioè durante quasi sei mesi; ma ricerche metodi¬ camente condotte dimostrerebbero, senza dubbio, la loro pre¬ senza anche prima e dopo di queste date. Infatti, il 23 aprile, insieme con le ultime megalope, sono state raccolte anche le ultime zoee; ora, poiché lo stadio di megalopa dura un mese e più, se si assegna ai quattro stadi di zoea una durata com¬ plessiva minima di almeno quindici giorni, si ha che alla fine di maggio e al principio di giugno debbono ancora trovarsi megalope. D’altra parte, poiché il Lo Bianco (1909, p. 507) ha trovato femmine con uova in segmentazione in giugno, e L. O. do Nascimento (1908) riportato dal Williamson (1915, p. 518), ha osservato la schiusa delle uova nelle acque portoghesi al prin¬ cipio di agosto, bisogna ammettere che anche nei mesi che pre¬ cedono ottobre le megalope non manchino !). Il periodo ripro¬ duttivo della G. angalata è dunque molto lungo, e forse dura per tutto l'anno. Le uova sono molto piccole, numerosissime e di colore ros¬ siccio. La loro schiusa non avviene contemporaneamente ; nel caso osservato da me, le prime larve sgusciarono nelle ore po¬ meridiane del 7 marzo e continuarono ad uscire nei due giorni seguenti; al mattino del 10 sotto l'addome materno vi erano an¬ cora uova non schiuse. Le zoee hanno lo scudo armato di quattro spine liscie: una l) Un'altra megalopa è stata infatti pescata dopo la lettura della presente nota, il 2 settembre. — 163 — dorsale, più lunga e più robusta delle altre , ricurva in dietro; una rostrale, notevolmente più corta, anch'essa ricurva in dietro; e due laterali, più corte della rostrale, ricurve in giù. Il pedun¬ colo deU'antenna porta all'estremità due lunghe spine: una in¬ terna, continua col peduncolo e seghettata nella parte distale; l'altra esterna (esopodite), alquanto più corta, mobilmente arti¬ colata col peduncolo e liscia. Il 2° segmento addominale porta le due solite e caratteristiche prominenze dorso-laterali, coniche e ricurve in avanti; i segmenti 3°-5° hanno ciascuno un paio di brevi spine, poste lateralmente, a metà circa del rispettivo seg¬ mento. Il telson è fornito al margine posteriore, fra le sue due lunghe corna, di tre paia di setole; le corna codali portano cia¬ scuno due altre setole, ma brevi e spiniformi, una presso la ba¬ se, al lato esterno, l'altra più dietro, sulla parte dorsale. I ca¬ ratteri più appariscenti, pei quali i quattro stadi si distinguono tra loro, sono i seguenti: Nel 1° stadio gli occhi non sono ancora peduncolati, ed il loro tegumento è continuo con quello dello scudo cefalotora¬ cico. Nelle antenne non vi è traccia di flagello. Gli esopoditi delle due prime paia di massillipedi hanno 4 setole. Nell'addo¬ me sono distinti solo i primi 5 segmenti, il 6° è fuso col telson; mancano affatto i pleopodi; nei segmenti 3°-5° il margine po¬ steriore si prolunga nella parte inferiore di ciascun lato in una sporgenza finemente dentellata. Nel 2° stadio gli occhi sono distinti dallo scudo e pedun¬ colati. Il primo abbozzo del flagello antennale è rappresentato da una piccola gemma alla base della spina fissa. Gli esopoditi del 1° paio di massillipedi portano 6, quelli del 2° 7 setole. Dietro il 2° massillipede sono distintamente visibili gli abbozzi del 3° massillipede e dei 5 piedi. Nei segmenti 3°-5° dell'addo¬ me, al posto delle sporgenze dentellate, si sono sviluppati ro¬ busti processi spiniformi, diretti in giù e in dietro. Nel 3° stadio l'abbozzo del flagello antennale è notevol¬ mente più sviluppato e raggiunge quasi il terzo prossimale della spina fissa. Gli esopoditi dei massillipedi portano 8 setole nel 1° e 9 nel 2° paio. Il 6° segmento addominale è distinto dai tel¬ son; nei segmenti 2°-6° sono visibili gli abbozzi dei pleopodi, in forma di brevi gemme coniche, quelli del 6° segmento sono — 164 — però molto piccoli; in questo segmento inoltre mancano le spine laterali ed i processi spiniformi posteriori, presenti nei segmenti 3° - 5° e molto più sviluppati in questo stadio. Nel 4° stadio l'abbozzo del flagello antennale è solo di poco più corto della spina fissa. Le setole degli esopoditi dei mas- sillipedi come nello stadio precedente o qualcuna in più. Pleo- podi molto più sviluppati, biramosi, con ramo esterno lungo e ramo interno brevissimo; quelli del 6° segmento restano però piccoli e indivisi. Molto più sviluppati sono anche i . processi spiniformi dei segmenti addominali 3° - 5°. La megalopa non ha nè spina dorsale nè spina rostrale; il rostro è anzi rappresentato da una lamina quadrangolare, più larga che lunga, il cui margine anteriore presenta nel mezzo l'accenno di una piccola punta ottusa. Il carapace ha, sulla regio¬ ne gastrica, una bre/e cresta mediana, fiancheggiata da due pro¬ minenze coniche, terminate da un breve aculeo ricurvo in avanti. Sulla regione cardiaca vi è un'altra sporgenza, allungata in senso trasversale e divisa in tre lobi, dei quali il mediano più piccolo dei laterali. I chelipedi portano un robusto aculeo ricurvo sulla parte prossimale del meropodite, ed un altro simile sul basi-ischiopo- dite ; anche i piedi delle tre paia successive portano due aculei, uno sul basi-ischiopodite e l'altro sul coxopodite; gli steriliti cor¬ rispondenti a queste tre paia di piedi portano anch'essi un aculeo nella parte confinante coi coxopoditi. Nulla si conosceva finora dello sviluppo postembrionale della Gonoplax , salvo alcune forme larvali che le sono state ingiustamente attribuite. La Boraschi (1921, p. 10) ha raccolto nelle acque di Quarto dei Mille alcune zoee del 1° stadio che essa ha creduto, sulla scorta del Cano, di riferire a G. angulata. Ma, a parte il fatto che la citazione della Boraschi non è esatta, nel lavoro nel quale il Cano effettivamente tratta della Gono¬ plax (1891), questi afferma con molta chiarezza (p. 640) che non ha "potuto esaminare le prime fasi larvali di questo crostaceo,,. In detto lavoro invece egli descrive e raffigura, oltre alle zoee e megalope del Brachynotus lucasi Milne-Edward *), due diverse fasi di megalopa (p. 642, tav. 11, ) Riportato dal Cano col nome di Brachynotus sexdentatus De Haan. 165 — fig. 1 D, 1 E) 4) che egli attribuisce a Gonoplax; queste però sono tanto differenti dalle megalope raccolte ed allevate da me — basti dire che sono armate di lunghe spine, rostrale e darsale, delle quali nella megalopa di Gonoplax non v' è trac¬ cia — che bisogna supporre, o che il Cano abbia scambiato tra loro megalope di granchi differenti, messe ad allevare insieme, oppure che, impressionato da qualche vaga rassomiglianza, le abbia senz' alcun serio fondamento riferite alla Gonoplax. È, senza dubbio, sulla fede del Cano che il Lo Bianco si fonda, allorché (1909 p. 607) dice che la megalopa di Gonoplax si rin¬ viene in luglio nel knepho plancton del Golfo di Napoli. Questa presunta megalopa di Gonoplax è stata anche riportata e raffi¬ gurata dal Williamson (1915, p. 518, fig. 328). Napoli , Stazione Zoologica , agosto 1926. 4) Le figg. 1 D e 1 E nella parte inferiore e sinistra della tavola ; quelle contrassegnate nello stesso modo, nella parte superiore e destra della tavola si riferiscono invece a Brachynotus. LAVORI CITATI 1921. Boraschi, L. — Osservazioni sulle larve dei Crostacei Decapodi Brachiuri e Anomuri. R. Com. Talass. Ital. Mem. 87, 32 pp. 2 Tav. 1891. Cano, G. — Sviluppo postembrionale dei Gonoplacidi. Atti Ac- cad. Se. Torino, Voi. 26, p. 639, Tav. 11. 1908. Do Nascimento, L. G. — Subsidio para o estudo da fauna car omo¬ logica de Portugal. Epochas de creagao e reprodugao. Bui. Soe. espan. H. N. Madrid, Voi. 8, p. 371. 1909. Lo Bianco, S. — Notizie biologiche , riguardanti specialmente il periodo di maturità sessuale degli animali del golfo di Napoli. Mitth. Z. Stat. Neapel, 19 Bd., p. 513. 1915. Williamson, H. C. — Decapoden . 4 Teil [Larven). Nord. Plank. 18 Lief., 588 pp., 529 fi gg. (Finito di stampare il 21 ottobre 1926) Gemmazioni, rigenerazioni ipertipiche ed ipotipie studiate nt\Y Astropecten auran- tiacus L. Memoria del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 28 aprile 1926) Sommario. Introduzione. I casi di gemmazione. 1. Esemplare con braccio gemmato verso l’apice di un braccio normale. 2. Esemplare pentamero con braccio gemmato dalla regione ventrale. 3. Altro esemplare pentamero con braccio gemmato dalla regione ventrale. 4. Esemplare esamero con cinque braccia normali ed uno gemmato in un interradio. 5. Altro esemplare esamero con braccio gemmato in un interradio. Le rigenerazioni ipertipiche. A. - Le formazioni doppie. 1. Esemplare pentamero con due braccia rigenerate. 2. Esemplare pentamero con due braccia rigenerate ex novo ed un altro rigenerato parzialmente. 3. Altro esemplare pentamero con due braccia rigenerate. 4. Altro esemplare pentamero con due braccia rigenerate completamente ed uno parzialmente. 5. Esemplare esamero per doppia rigenerazione avvenuta al posto di un braccio perduto. 6. Esemplare esamero con due braccia neoformate, di cui uno al posto di quello perduto ed uno in sito anomalo. B. - Le formazioni triple. 1. Esemplare pentamero con tre braccia rigenerate con porzione del di¬ sco ed uno parzialmente. 2. Esemplare pentamero con tre braccia rigenerate. 3. Altro esemplare pentamero con tre braccia rigenerate al posto di due perdute. 4. Esemplare esamero con tre braccia rigenerate al posto di due perdute. 5. Esemplare eptamero con tre braccia rigenerate al posto di due perdute. C. -Le formazioni polimere. 1. Esemplare eptamero ottenuto per formazione di quattro braccia al posto di due perdute. — 168 Le ipotipie. A. - Le formazioni tetramere. 1. Esemplare tetramero ottenuto per mancata rigenerazione del quinto braccio leso. 2. Esemplare tetramero che ha rigenerato due braccia al posto di tre perdute. 3. Esemplare tetramero che ha rigenerato un braccio al posto di due perdute. 4. Altro esemplare tetramero che ha rigenerato due braccia al posto di tre perdute. 5. Altro esemplare tetramero che ha rigenerato in vario modo due brac¬ cia al posto di tre perdute. 6. Altro esemplare tetramero che ha rigenerato in modo differente due braccia al posto di tre perdute. B. - Le formazioni trimere. 1. Esemplare che ha rigenerato un braccio al posto di tre perdute. 2. Esemplare che non ha rigenerato alcun braccio al posto di due perdute. Del modo come si possono interpetrare i fatti studiati. Conclusioni. Bibliografia. Spiegazione delle Tavole. Introduzione. Fra i varii Asteroidi del Golfo di Napoli, uno dei più co¬ muni e che più si presta per gli studii sui processi rigenerativi è r Astropecten aurantiacus L. Sin dal 1917 ho avuto occasione di occuparmi di questa specie e posso dire che quasi ogni anno ho rinvenuto sempre nuovo materiale di ricerca, tanto varii sono i processi di rego¬ lazione che si verificano in essa. I casi che studio nel presente lavoro, in gran parte sono completamente nuovi e non furono da me finora nè osservati nè descritti, altri invece, anche presentando delle rassomiglianze con altri in precedenza studiati, pure, per il vario potere mor- fogenetico della specie, si prestano per fare osservazioni di indole più generale e permettono di poter dare una interpetrazione più razionale di essi. II conoscere l'intimo meccanismo per cui quei determinati processi rigenerativi si verificano, il riunire tutti i vari casi os¬ servati in una più razionale comprensione delle svariate cause che li producono, se pur non mette in condizioni di poter dire l'ultima parola è tuttavia uno sforzo a cui il ricercatore non può e non sa sottrarsi, allorché si presentano alla sua osservazione - 169 — fatti così complicati, variazioni così strane, processi così nor¬ mali nella loro stessa anormalità. Non ha il presente lavoro alcuna pretesa: esso tende sola¬ mente a colmare una lacuna; esso tende solo a far conoscere una serie svariata di fenomeni nel loro succedersi, nelle loro particolari ricostruzioni, nel loro divenire. La serie di fatti qui riportata va collegata alle numerose altre già studiate e con esse si completa ma non si esaurisce. Dall'insieme di osservazioni nu¬ merose, continue è sperabile si possa addivenire ad una più e- satta conoscenza e valutazione di essi. I casi di gemmazione. 1. — Esemplare con braccio gemmato verso l'a¬ pice di un braccio normale. E' un grande esemplare di Astropecten, il cui raggio mag¬ giore misura mm. 190,0 e il raggio minore mm. 45,0, quindi il rapporto fra i due raggi r e R è dato da 1 : 4 (Fig. 1 e Tav.2 fig.l). Fig. 1. La placca madreporica misura mm. 10,0 nel suo asse mag¬ giore e mm. 9.0 nell’asse minore. Quattro braccia di quest’esemplare sono normali, il quinto è degno di studio, giacché, in seguito ad una lesione avvenuta — 170 — nella zona delle placche marginali superiori ed inferiori, si è in quel punto rigenerato un novello braccio. E' interessante notare la distribuzione delle varie placche che costituiscono questo moncone di braccio che, originatosi co¬ me una gemma, ha formato, in seguito, un braccio vero e proprio ed ha determinato in quel punto un aspetto simile ad un disco nella regione superiore ed una zona ventrale con relativa for¬ mazione delle placche caratteristiche. Infatti, nella regione dorsale, nella zona spaziale delle pas¬ sine, le placche marginali superiori non sono aderenti fra di loro, ma sono alquanto lontane e disposte come in un interradio. La prima placca di destra ha forma quasi triangolare ed è sfornita di spine. Quella che segue è normale ed ha due spine ; tutte le altre successive sono fornite di una sola spina, così come si os¬ serva nelle regioni terminali delle braccia normali. Nella regione di sinistra si riscontra una irregolarità nella distribuzione delle placche marginali superiori. Le prime due sono poco sviluppate e la prima è sfornita di spine, la terza ha forma più grande, quasi trapezoidale ed ha due spine e tutte quante le altre successive sono normali. Le passille sono nume¬ rose e connesse strettamente fra di loro. In corrispondenza della prima marginale superiore si sono formate due placche marginali inferiori: in corrispondenza delle altre non si riscontra alcuna anomalia di sorta. Nella regione di sinistra, invece, alle due placchette marginali superiori corrisponde una marginale inferiore, ma in corrispondenza della seconda se ne sono formate tre, ognuna con tutte le spine, sebbene qui ri¬ dotte di calibro. Segue poi ad ogni placca marginale superiore una marginale inferiore. Le placche ambulacrali ed adambulacrali si sono normal¬ mente sviluppate: nel punto d'incrocio, però, là dove si è ini¬ ziato il nuovo braccio se ne riscontra qualcuna in più che resta come fusa fra le due laterali. Quello che però desta maggiore interesse è l'inizio della formazione delle placche boccali. Verso i due punti intermedii, in corrispondenza dell'interspazio di destra, che si potrebbe con¬ siderare come un interradio, si osserva una placca boccale che, se non è completamente sviluppata, pure presenta un inizio di formazione molto evidente: un pò meno visibile è l'altra che va sviluppandosi nella regione opposta: ma, certo, nel punto in cui si è originato il novello braccio si sono dovute determinare par¬ ticolari condizioni da dare origine a formazione di organi la cui posizione non è certamente che quella di dare inizio all'appa¬ rato digerente. Qui non si riscontra alcun inizio di cavità dige¬ rente, in quanto le placche ambulaceli si seguono secondo le direzioni di ciascun estremo di braccio ed in perfetto raccordo con quelle del braccio fondamentale. E' una formazione, quindi, avvenuta in sito anomalo, ma che indica il grande potere rige¬ nerativo dell' Astropecten di formare organi là dove agisce un trauma qualsiasi. 2. — Esemplare pentamero con braccio gemma¬ to dalla regione ventrale. L'esemplare ha quattro braccia regolari che misurano nel raggio maggiore mm. 143,0, 140,0, 139,0 e 146,0 e nel raggio A c Fig. 2. minore mm. 28,0. I rapporti quindi fra r e R sono dati da 1: 5,1; 1: 5,0; 1: 4,9 e 1: 5,2. (Fig. 2) La piastra madreporica trovasi nell'interradio AB. Tutte le placche che costituiscono le quattro braccia sono completamente regolari. — 172 — Quello che è interessante osservare in questo esemplare è la rigenerazione del quinto braccio. Dopo la lesione si è ricostituita immediatamente la zona delle placche marginali superiori, le quali sono in numero di otto. Di esse la centrale e le prime laterali sono più sviluppate, tutte le altre hanno avuto uno sviluppo normale. Inferiormente, però, nella regione delle placche marginali inferiori, s’è originato il quinto braccio, che è sorto come una gemma che ha proceduto nel suo sviluppo, indipendentemente dalla regione rigenerata. Ne è seguito quindi che si è formato un braccio il quale ha, nella regione basale, le placche marginali superiori sviluppate come se fosse un organo a se, indipen¬ dente dalle altre regioni dell'organismo, con le quali è a contatto. La cosa è tanto più interessante per me perchè da tanti anni mi occupo di tale argomento e mai era capitata una ri- generazione così strana. Le passille centrali del disco, che sono sempre in relazione ed in continuità con quelle del disco in tutti gli esemplari di Astropecten) in questo esemplare invece per la formazione delle placche marginali superiori e del disco e del novello braccio non conservano più la continuità. Ciò fa supporre resistenza di un blastema rigenerativo che si attiva solamente se trovasi in correlazione con gli organi vi¬ cini, ma che se ciò non si verifica, nuove orientazioni si deter¬ minano in esso e si forma un organo ex novo, come se fosse indipendente dalle zone collaterali. Potrebbe pensarsi anche a particolari ormoni che permettono lo svilupparsi o meno di de¬ terminati organi o parte di organi in rapporto ad altri o indi¬ pendentemente fra di loro. Certamente il caso è interessante anche per la ulteriore ana¬ lisi delle altre regioni del braccio formato. Infatti nelle zone la¬ terali si sono formate placche marginali inferiori che hanno uno sviluppo maggiore, in modo da formare un tutto insieme con quelle laterali. Quindi la scarsa formazione e il modesto accresci¬ mento delle placche marginali superiori ha determinato un mag¬ giore sviluppo in quelle inferiori che hanno invaso le zone che sarebbero state occupate dalle marginali superiori e l’armonia apparente deH’animale è conservata. — 173 — Nella regione ventrale il braccio non presenta proprio al¬ cuna anomalia degna di nota. C'è una lieve differenza di gran¬ dezza, ma generalmente le varie placche inferiori che si sono formate si sono completamente adattate alle placche preesistenti. Qualche differenza si nota solamente nella placca boccale che è alquanto più sviluppata nella zona delle braccia A ed E. 3. — Altro esemplare pentamero con braccio gemmato dalla regione ventrale. L'esemplare ha quattro braccia normali che misurano rispetti¬ vamente nel raggio maggiore mm. 140,0 le braccia A e B e 145,0 le braccia C e D e nel raggio minore mm. 32,0. I rapporti quindi fra i due raggi sono dati da 1:4,3 e 1: 4,5. (Fig. 3 e Tav. 2 fig. 3) La placca madreporica trovasi nell'interradio C D e misura mm. 5,0. Tutte le placche costituenti le braccia sono regolari. Desta interesse il braccio rigenerato per il modo come esso s'è formato. Nella zona lesa, ampia circa 15 mm. si è, subito dopo lo strappo del braccio, formato un tessuto cicatriziale che ha poi dato origine alle placche marginali superiori che si sono conti- 174 — nuate con quelle laterali. Esse sono in numero di otto: le cen¬ trali sono meno sviluppate ed una sola non porta la spina, così caratteristica in queste placche. Il braccio neoformato, contrariamente a ciò che si verifica sempre in ogni rigenerazione, non presenta le passille della re¬ gione dorsale in continuità con quelle della regione del disco. Alla sua base si sono formate di contro alle placche marginali della regione del disco altre tre placche marginali, quasi disposte in corrispondente simmetria con queste. E' evidente poi che le marginali superiori che si trovano lateralmente al braccio fino all’estrema placca ocellare non sono in continuità con le marginali superiori dell'interradio di destra o di sinistra; ma sono discontinue. Nel punto in cui dovrebbero continuarsi con le marginali superiori dell’interradio trovasi a destra ed a sinistra una placca marginale inferiore, ma che fa parte della vecchia zona del disco. Le marginali inferiori del novello braccio sono indipendenti e si originano alla base e sono discontinue con quelle delle braccia vicine. Apparentemente si potrebbe parlare di una completa rior¬ ganizzazione, anzi di raccordo avvenuto fra di esso, ma ad una osservazione più accurata si nota che le marginali inferiori, spe¬ cialmente nella regione di destra, sono più sollevate in alto, e poi¬ ché il braccio si è formato ex novo dalla regione ventrale, si è formata un’altra placca boccale soprannumeraria, più in alto, men¬ tre quella preesistente si trova più giù ed è in parte rigenerata. Questo è un caso analogo a quello precedentemente studiato. Avvenuta la rottura del braccio, i tessuti si sono rimarginati, ma lo stimolo ha sensibilizzato, si può dire, i blastemi rigene¬ rativi che hanno dato inizio alla loro attività in un secondo pe¬ riodo, quando si erano già costituite le prime placche margi¬ nali del disco. Lo sviluppo poi è proceduto normalmente ed il novello braccio si è formato quasi completo. 4. — Esemplare esamero con cinque braccia nor¬ mali ed uno gemmato in un interradio. L’esemplare presenta cinque braccia normali ed uno rige¬ nerato. Le braccia A, B, C, D, E, misurano rispettivamente nel * — 175 — raggio maggiore mm. 135,0; 143,0; 138,0; 143,0; 140,0. I rap¬ porti fra r e R sono dati da 1 :4,5; 1 : 4,7; 1 : 4,6; 1 : 4,7; 1 : 4,6; 1 : 4,4. (Fig. 4) La piastra madreporica trovasi nell’interradio AF e misura mm. 5. Nelle cinque braccia normali non v'è nulla da notare: tutte le differenti placche sono perfettamente regolari. Il braccio F è gemmato nell'interradio AE. La lesione av¬ venuta in quella zona ha provocato la formazione di un blasfe¬ ma rigenerativo che ha dato origine ad un novello braccio che presenta nella sua struttura generale tutte le placche che si rin¬ vengono nelle braccia normali. Qualche anomalia si riscontra negl'interradi AF ed EF per le placche marginali superiori. Infatti neirinterradio AF, in se¬ guito alla lesione subita dalle marginali superiori, si è formata in quel punto la serie delle passille della regione dorsale del nuovo braccio in connessione con quelle del disco. Di conse¬ guenza le marginali superiori del nuovo braccio si sono spo- — 176 — state in giù e di esse una è nella regione intermedia, grossa e senza spine e tutte le altre si succedono normalmente. Nell' interradio EF lo spostamento di queste placche è stato meno sensibile e, per il minore spazio in cui si è sviluppato il novello braccio, non si è formata la serie delle marginali inter- radiali, così caratteristica, e le due placche del centro sono an- ch'esse sfornite di spine. Le marginali inferiori si sono poi sviluppate normalmente e guardando l'animale dalla regione ventrale parrebbe quasi di essere in presenza di una forma esamera congenita. Ma ove si guardi la placca boccale si vede che essa è nuova e non ha rag¬ giunto lo sviluppo di tutte le altre cinque che costituivano l'e¬ semplare pentamero normale. Questo caso è certamente interessante per questa neofor¬ mazione di un braccio gemmato in un interradio e sovratutto in uno spazio minimo. Non essendo sufficiente lo spazio per la sua completa for¬ mazione, esso ha deviato la base verso la regione interna dell' in¬ terradio successivo, ma tutti gli altri organi si sono completamente raccordati, in modo che l'anomalia non si riscontra se non dopo osservazione accurata. Dimostra il caso in esame la grande pla¬ sticità dell’ Astropecten a rigenerare : basta una piccola lesione, perchè il quel punto il blastema rigenerativo resti sensibilizzato al punto da proliferare e dare origine a novelle braccia. E' tale la importanza che hanno le braccia che queste si for¬ mano dovunque : nella regione dorso-ventrale, negl’ interradi, lateralmente alle braccia, dorsalmente: noi possiamo trovare Aste¬ roidi con il disco ed un sol braccio, ma quelli senza braccia difficilmente vivono. Di qui la grande importanza di questi or¬ gani e la facile rigenerazione di essi. 5. — Altro esemplare esa mero con braccio gemmato in un interradio. L' esemplare è di notevoli dimensioni. Cinque braccia sono normali e misurano rispettivamente, nel raggio maggiore, mm. 135,0 il braccio A, mm. 140,0 il braccio B, mm. 145,0 il braccio C, mm. 142,0 il braccio D e mm. 130,0 il braccio E. Il braccio E è rigenerato per 87 mm. Il braccio F è quello gemmato nel- m \n — l' interradio AE e misura mm. 120,0. Il raggio minore misura mm. 30. I rapporti quindi fra r: R per le braccia A, B, C, D, E, F sono dati dai seguenti valori: 1 : 4,5; 1 : 4,6; 1 : 4,8; 1 : 4,7; 1 : 4,3; 1 : 4,0: La placca madreporica trovasi nell'interradio DE. F Fig. 5. Non è il caso di fermarsi sulle braccia normali che nulla pre¬ sentano da dover essere rilevato. Quello che interessa qui esa¬ minare è il braccio F (Fig. 5, Tav. 2 fig. 4). Avvenuta la lesione nell'interradio AE, nel piccolo spazio si è iniziata la formazione del novello braccio. Per lo spazio ab¬ bastanza limitato si sono formate nell' interradio EF appena due placche marginali superiori visibili e nell' interradio AF cinque marginali superiori visibili. Le placche marginali inferiori non si possono vedere per la forte aderenza del novello braccio con le due laterali. La zona delle passille è molto ristretta e misura mm. 5,0 mentre quella delle braccia laterali è circa quattro volte maggiore e misura mm. 19. Anche le placche boccali sono irregolarmente sviluppate. Si nota che il novello braccio s' è originato per lesione avvenuta - 12 - — 178 — nella zona dorso-ventrale sovratutto ed ivi lo sviluppo è mag¬ giore e si è avuta anche una formazione indipendente delle plac¬ che boccali, senza che sia avvenuta una fusione con quelle laterali. Caso questo che insieme con gli altri dimostra sempre più la grande plasticità che possiede questa specie a rigenerare. Le rigenerazioni ipertipiche* A. — Le formazioni doppie. / 1. — Esemplare pentamero con due braccia rigenerate. L'esemplare è di proporzioni medie. Le braccia B e C sono normali, il braccio A è rigenerato verso 1' apice. Le braccia D ed E sono completamente rigenerate con parte del disco. Il braccio A misura mm. 151,0 a partire dal centro del disco sino all'estrema placca ocellare, di cui 30 mm. terminali sono rigene¬ rati. Il raggio minore misura mm. 33,0. Il rapporto fra r e R è dato da 1 : 4,5. Le braccia B e C misurano rispettivamente mm. 164 e 169. Il raggio minore misura mm. 33,0. I rapporti quindi fra r e R sono dati da 1:4,9 e 1:5,1. 179 — Le braccia D e E sono quasi egualmente sviluppate e mi¬ surano il primo mm. 119 ed il secondo mm. 115. Il raggio mi¬ nore misura mm. 30. I rapporti fra r e R, quindi, sono dati da 1 : 3,9 e 1 : 3,8 (Fig. 6, Tav. 3 fig. 9). La piccola zona rigenerata del braccio A non presenta nes¬ suna variazione degna di nota. E' interessante, invece, osservare la formazione delle due braccia D ed E. In seguito alla lesione delle due braccia nor¬ mali si è aperta nel disco una ferita larga circa 50 mm.: una lesione enorme, ove si consideri la grandezza dell'animale. Ebbene i tessuti lesi si sono subito contratti, chiudendo il più che fosse possibile la ferita e si è iniziato il processo di neoformazione del disco, e poi delle braccia lese. La zona di formazione è stata unica, come si può vedere dalla estensione del disco, che, contrariamente a ciò che si osserva per le braccia laterali normali, in questo interradio è molto più sviluppato. Ciò significa che 1' animale per difendersi dal contatto dell’am¬ biente esterno ha immediatamente dato origine alla formazione del disco. Da questo poi si sono originate le due braccia che hanno proceduto ulteriormente nel loro sviluppo. Piccole e lievi sono le variazioni che si osservano nelle plac¬ che marginali superiori ed inferiori. Nell' interradio AD le plac¬ che marginali superiori sono circa la metà per grandezza in con¬ fronto delle normali e sono sfornite di spine. Così parimenti nell' interradio CE. Tanto nel braccio D che nel braccio E poi si notano ancora due placche che portano due lunghe spine che non si trovano mai nelle placche normali e per lo sviluppo e per la posizione. Difatti, mentre le spine si trovano nel centro su¬ periore in tutte le placche normali, in queste rigenerate sono all' esterno e, a parte la posizione, lo sviluppo è straordina¬ riamente esagerato. Nella regione laterale delle braccia si osservano placche deformi che s' incuneano fra quelle regolari : generalmente que¬ ste placche che possono dirsi accessorie mancano di spine. An¬ che le placche marginali inferiori sono dello stesso numero di quelle superiori e ridotte nello sviluppo. Le placche ambulacrali, adambulacrali e ventro-laterali sono normali. L' unica placca boccale formatasi ex novo non ha raggiunto lo sviluppo delle altre, ma ciò è dipeso dal fatto che le due brac¬ cia non hanno raggiunto lo sviluppo delle altre tre normali. 2. — Esemplare pentamero con due braccia ri¬ generate ex novo ed un altro rigenerato parzial¬ mente. Anche questo esemplare è di proporzioni medie. Il braccio A è Tunico rimasto non leso. Esso misura nel raggio maggiore rum. 132 e nel raggio minore mm. 28. Il rapporto fra r e R è dato da 1 : 4,7. Il braccio B è mutilato all'estremo. Il braccio C è rigenerato all’ estremo di mm. 9,0. Sono di esso rigenerate sette placche marginali superiori nei lato di destra e otto in Fig. 7. quello di sinistra, essendo il taglio del braccio avvenuto obliqua¬ mente. Parimenti le placche marginali inferiori si sono svilup¬ pate egualmente in corrispondenza delle inferiori. Nè variazioni di sorta presentano le placche ambulaceli, adambulacrali e ven¬ trali (Fig. 7, Tav. 3 fig. 11). Maggiore interesse destano le due braccia rigenerate ex novo nella zona lesa m n. Il braccio E misura mm. 118,0 ed il braccio D mm. 115,0. E notevole sovratutto la disposizione delle placche marginali supe¬ riori deH’interradio ED che sono protratte in alto. Ciò è dipeso — 181 — sovratutto dal fatto che essendo avvenuto lo sviluppo delle due superficie troppo rapidamente e non essendovi lo spazio suffi¬ ciente per essere ivi contenute si sono sollevate in alto per avere mezzo libero di svilupparsi. Ciò che ha portato il sollevamento di parte delle placche marginali inferiori e propriamente di quelle dell' interradio DE. Tanto le placche marginali inferiori che superiori non pre¬ sentano grandi variazioni. Appena qualcuna non si è sviluppata come le altre : la gran parte di esse è normale, per sviluppo, distribuzione e numero di spine. Nella regione ventrale non si nota alcuna variazione sia per le placche ambulacrali che adambulacrali. La maggiore variazione si nota nelle placche boccali : di queste due solamente sono nor¬ mali, le altre due avendo subito una forte lesione per la rottura delle due braccia si sono in parte rigenerate. Di esse si sono formati i due pezzi basali semi-ovali, con un inizio di spine su¬ perficiali e laterali, ma le grandi spine del centro e dell' apice hanno appena iniziato il loro sviluppo. Anche in questo esemplare è notevole il fatto che per la larga lesione verificatasi nel disco al momento del trauma l'ani - male ha tentato di chiudere subito la ferita e si è verificato un accrescimento unico, nel quale poi si sono determinate le due braccia che hanno ulteriormente progredito nel loro sviluppo. È un caso analogo a quello studiato precedentemente e che con¬ ferma l'interpretazione già data e che sarà poi più ampiamente discussa in seguito, anche tenendo conto degli altri casi che saranno studiati nei capitoli che seguono. 3. — Esemplare pentamero con due braccia rigenerate. E’ un esemplare di proporzioni notevoli. Ha tre braccia nor¬ mali e due rigenerate completamente con parte del disco. Le braccia A, B e C misurano nel raggio maggiore rispet¬ tivamente mm. 152,0, 158,0 e 168,0. Il raggio minore è di mm. 34,0. I rapporti fra r e R sono dati per le braccia A B e C da: 1 : 4,4; 1 : 4,6 e 1 : 4,7. La placca madreporica trovasi nell' inter¬ radio BC e misura mm. 6 (Fig. 8, Tav. 3 figg. 7-8). — 182 — Tutte queste braccia non presentano variazioni di sorta. In¬ teressanti invece sono le due braccia rigenerate e quasi connate alla base. Di essa, una D è più sviluppata, l'altra di meno, misurando la prima mm. 139 e l'altra 115 nel raggio maggiure, e poiché il raggio minore di esse misura mm. 21 ne segue che i rapporti fra r e R sono così stabiliti: 1 : 6,6 per il braccio D e 1 : 5,4 per il braccio E. Il braccio D presenta poche placche marginali superiori più piccole, specialmente nell'interradio CD, ma tutte quante le altre sono normali. Nell'interradio DE le placche marginali superiori sono poco sviluppate, perchè dato lo sviluppo del braccio E che presenta queste placche sollevate in alto per la torsione che il braccio ha subito, il braccio D resta nella porzione interradiale di sinistra sottoposto all'altro, quindi si è verificato il fatto che le placche di questo non potendosi sviluppare per la presenza dell’altro sono rimaste atrofiche: le placche marginali superiori dell' interradio ED quindi mancano. Le placche marginali inferiori dell' interradio ED mancano ancora, perchè non è stata possibile la loro formazione a causa deH'avvicinamento delle due braccia che si sono sviluppate alla 183 base quasi contemporaneamente, ma in modo che Trina ha fatto pressione sull'altro da vietare il libero sviluppo di ognuna di esse. Il braccio E è alquanto contorto. NelTinterradio AE si no¬ tano numerose placche marginali superiori che si sono formate costituendo una gobba in quel punto. Ciò è dipeso dal fatto che si sono inizialmente formate varie placche, ma poi per il man¬ cato sviluppo della zona delle passille e quindi di porzione del disco, non potendo essere contenute in uno spazio maggiore, esse si sono incurvate all'esterno, producendo un interradio estroflesso e non introflesso, come si sarebbe dovuto verificare se tutto fosse proceduto normalmente. Si sono formate otto placche nelTinterradio, mentre normal¬ mente non se ne osservano che cinque. A ciò si aggiunga la minima superficie di estensione e di qui la formazione di un interradio convesso. Anche le placche marginali inferiori hanno subita la stessa sorte. Le placche ambulacrali ed adambulacrali nella zona del- Tinterradio EA si sono in parte fuse insieme, mentre negli al¬ tri interradi sono normali. Delle cinque placche boccali due sono nuove e di esse una è quasi completamente sviluppata, l'altra corrispondente all' in¬ terradio EA, è appena all'inizio dello sviluppo. Il processo rigenerativo verificatosi in questo esemplare è non privo d'interesse per le varie formazioni che sono avvenute e die si prestano ad una serie di osservazioni per la plasticità che hanno questi animali a rigenerare nel modo più vario. 4. — E se m piare penta mero con due braccia completamente rigenerate ed uno parzialmente. E' un esemplare di medie proporzioni: le braccia A e B sono normali e misurano nel raggio maggiore mm. 134,0 e 140,0 e nel raggio minore mm. 30,0; quindi i rapporti fra r e R sono dati da 1 : 4,4 e 1 : 4,6. Il braccio E è rigenerato per 7,0 mm. Il raggio maggiore misura mm. 105,0. Le braccia C e D che sono rigenerate sin dalla base misu¬ rano rispettivamente mm. 115,0 di cui 15,0 spettano alla porzione 184 — del disco che è rigenerata. La loro lunghezza quindi sarebbe, indipendentemente dalla misura del disco, a partire dalla loro base, di mm. 80,0 (Fig. 9). Nessuna osservazione degna di nota per le braccia A e B che sono normali per tutte le singole placche che le costitui¬ scono. Il braccio E ha tanto le placche marginali superiori che in¬ feriori normalmente sviluppate, anche nella zona rigenerata. So¬ lamente nelle placche ambulacrali si osserva un certo spostamento dovuto alla lesione che ha subito il braccio per cui queste plac¬ che si sono fuse insieme e non conservano la simmetria loro propria. Le due braccia C e D sono completamente rigenerate con porzione del disco. La ferita subita è di circa 40 mm. La zona lesa ha dato origine alla formazione del disco e delle due braccia che si sono normalmente rigenerate. Non si riscontra anomalia o cattiva formazione di qualsiasi placca costituente lo scheletro di questo animale. Nella regione ventrale sono degne di nota le placche boccali corrispondenti agli interradi BC e DE. In seguito alla lesione si è andata riformando la placca basale, ma questa non si é completamente rigenerata. Le numerose spine che circondano e covrono le placche boccali sono in parte formate. — 185 — 5. — Esemplare esamero per doppia rigenera¬ zione avvenuta al posto di un braccio perduto. L’ esemplare in esame presenta quattro braccia normali e quasi ugualmente sviluppate. Il raggio maggiore misura mm. 128,0 ed il raggio minore mm. 35,0: il rapporto fra r e R è dato da 1 : 3,6 (Fig. 10, Tav. 3 fig. 10). Esiste una perfetta simmetria nello sviluppo delle singole placche costituenti lo scheletro di queste quattro braccia. Le due rigenerate al posto del braccio perduto non hanno subito lo sviluppo completo e presentano poche variazioni degne di nota. C'è una formazione esagerata della porzione del disco da cui si originano le due braccia. Le placche marginali superiori dell'interradio DE non sono egualmente sviluppate. La centrale è più piccola e non ha spina ed è incompleta. Ad essa ne seguono tre normali e poi una in¬ co mpleta intermedia: seguono poi le altre che costituiscono il braccio e sono normali. L'interradio EF presenta le placche marginali inferiori intro¬ flesse e combacianti in uno spigolo acuto. Per tale irregolarità la serie di passille costituenti la superficie del disco si sono in¬ troflesse, a loro volta, per seguire lo sviluppo delle marginali su¬ periori. Le marginali inferiori sono poi costanti, per numero, a quelle superiori. — 186 — Nell' interradio FA, nel centro, esiste una triplice placca mar¬ ginale fusa in una e con una sola spina centrale, inferiormente se ne riscontrano altre due che si sono sviluppate V una dopo 1' altra, in modo che questa serie di cinque placche marginali superiori, così formata, compensa la mancanza di formazione di passille in quel punto e la deviazione che ha subito il braccio nel suo ulteriore sviluppo. Nelle placche marginali inferiori non v' è nulla da notare. Delle placche boccali cinque sono normali e sono quelle preesistenti, la nuova che si è formata nell' interradio EF non presenta che uno sviluppo minore per calibro ma normale per il numero di placche e spine che la costituiscono. In questo esemplare evidentemente si è avuta una doppia formazione di braccia, in seguito alla lesione subita da un braccio e ciò per un processo iperrigenerativo che ha trovato favorevoli condizioni ambientali, tali da poter dare origine a blastema ri- generativo duplice, che si è poi individuato nella formazione di due braccia al posto di uno solo. 6. — Esemplare esani ero con due braccia neofor¬ mate, di cui uno al posto di quello perduto ed un altro in sito anomalo. L'esemplare ha quattro braccia normali. Esse misurano nel raggio maggiore nini. 125,0 e nel raggio minore mm. 28,0. I rapporti fra r e R sono dati da 1 : 4,4. Esse sono completamente regolari, per ciascuna placca co¬ stituente lo scheletro (Fig. 11, Tav. 4 fig. 15). Ciò che desta interesse è il braccio E che si è formato la¬ teralmente, in prossimità del braccio A. La lesione è avvenuta in modo da ledere un braccio ed in quello spazio, misurante circa 20 mm. si è formato questo brac¬ cio che è ritorto verso sinistra. Verso la regione di destra si sono ricostituite le placche marginali superiori che vanno dal braccio D al braccio E. La lesione è avvenuta in modo da formare un' apertura di 20 mm. circa ed in essa si è formata questo braccio che vedesi nella figura ritorto verso sinistra. Nella regione di destra si sono riformate le placche marginali superiori che vanno dal braccio A - 187 — al braccio E. Esse non sono regolari : infatti mentre nel centro ve ne sono due molto grandi, lateralmente, a destra, se ne sono formate sei, e di queste una è inferiore alle altre che sono di¬ seguali anche per forma e per grandezza. Nella regione di si¬ nistra sono più regolari e si raccordano con quelle del braccio E. c Fi g. 11. Nelle placche marginali inferiori non c' è corrispondenza, in quanto alle dieci superiori ne corrispondono otto inferiori e non sono tutte fornite delle spine comuni. Il braccio E manca d' interradio nella regione EA, perchè esso proprio nella regione di sinistra è sorto, formandosi in parte sottostante al disco. L' essersi il disco così rimarginato non ha vietato la formazione di ulteriori rigenerazioni. Evidentemente il blastema si è ricostituito nella regione latero-ventrale del disco ed in quello spazio intermedio fra le braccia DE si è formato un nuovo braccio F. Esso si è originato come una gemma che sorta dal disotto delle placche marginali superiori ed inferiori ha quasi presa origine dalla zona ventrale. È ancora all'inizio dello sviluppo e misura mm. 12, ma tutte le sue placche sono ben formate. Delle placche boccali quattro solamente sono regolari, le al¬ tre due sono appena all' inizio dello sviluppo e di esse possono notarsi i pezzi basali e gl' inizii delle spine. Questo esemplare è interessante perchè dimostra ancora una volta la grande plasticità della specie a rigenerare: anche quando — 188 — il disco è rimarginato, se la zona è lesa o meglio sensibilizzata allora è capace di dare origine ad un novello braccio che spun¬ ta in qualunque parte del corpo sia possibile. B. — Le formazioni triple. 1. — Esemplare pentamero con tre braccia ri¬ generate con porzione del disco ed uno parzial¬ mente. E' questo un caso molto interessante per la strana forma¬ zione delle tre braccia (Fig. 12, Tav. 4 fig. 18). L’ esemplare è di modeste proporzioni. Solo un braccio è normale e misura mm. 123,0 nel raggio maggiore e mm. 27,0 nel raggio minore. Il braccio A misura mm. 100,0 e di esso sono mm. 35,0 rigenerati. Questa zona rigenerata appare subito per il di¬ stacco notevole che presentano le placche marginali superiori da quelle circostanti. Esse sono infatti circa la metà per grandezza e così pure le marginali inferiori e le passille. Ma, a parte la gran¬ dezza, non si riscontra anomalia alcuna, essendosi le singole plac¬ che regolarmente formate. La placca madreporica trovasi nell' interradio AB e misura mm 6,0 ed è circondata da passille straordinariamente grandi in confronto delle altre che trovatisi nella regione del disco. La zona del disco rigenerata è lunga, alla base, mm. 30. Essa è quindi abbastanza estesa e 1' animale, in quel punto, ha dato origine a tre braccia in questa zona. Le braccia C e D sono con¬ nesse alla base per il limitato sviluppo della zona del disco ; men¬ tre il braccio E è divaricato dal braccio D e ciò perchè il disco si è molto sviluppato in corrispondenza di essi. NelT interradio BC manca la formazione delle placche co¬ stituenti questa zona, ma subito si origina il braccio. Nell' in¬ terradio CD v' è una riduzione massima di sviluppo, così pure nell' interradio AE per la connessione delle due zone basali che hanno portato in su le placche marginali superiori. L' interradio DE presenta una malformazione delle margi¬ nali superiori, in rapporto alla grandezza ed alla distribuzione, in quanto non conserva la distribuzione comune delle placche interradiali, nè la spina, che è così caratteristica nella regione su¬ periore di ciascuna di esse. Circa poi le placche marginali in¬ feriori esse seguono la stessa sorte di quelle superiori. Solamente nell' interradio DE sono fuse insieme le più vicine. Le placche boccali non sono completamente formate. Evi¬ dentemente in questo esemplare c' è stata una non eguale distri¬ buzione del blastema rigenerativo per variazioni verificatesi nei tessuti lesi. Difatti una zona è più sviluppata e l'altra meno, vuol dire che dopo la chiusura della ferita si sono verificate condi¬ zioni speciali per cui una zona ha potuto ben sviluppare parte del disco e poi le braccia, mentre 1' altra ha subito dato inizio allo sviluppo delle braccia senza che si sia potuto formare la zona mancante del disco. Si tratta di complicate variazioni che riflettono la tendenza dell'organismo a rimarginare le parti per¬ dute, seguendo un ordine vario, a seconda le particolari condi¬ zioni in cui s'è trovato. 2. — Esemplare pentamero con tre braccia ri¬ generate. Si mostrano evidenti le tre braccia rigenerate sovratutto per le dimensioni in confronto delle altre due. Le braccia A e B sono normali e misurano ambedue nel raggio maggiore mm. 132,0 e — 190 — nel raggio minore mm. 28,0. I rapporti quindi fra r e R sono dati da 1:4,7. Le braccia C, D, E, rigenerate, misurano mm. 91,0, 92,0 e 85,0 ed il raggio minore misura mm. 23; quindi i rapporti fra r e R sono dati da 1:3,9; 1:4,0 e 1:4,1. La placca madreporica trovasi nell'interradio AE e misura mm. 5,0 (Fig. 13, Tav. 4 fig. 16). Esiste una grande dissimetria fra le placche marginali supe¬ riori ed inferiori deH'interradio BC non solo per lo sviluppo, ma anche perchè sono mal formate e strette fra di loro e due di esse mancano della spina caratteristica. Nell'interradio AE sono più sviluppate ed una sola ha la spina centrale, mentre le altre ne sono prive. Le placche marginali inferiori seguono la stessa sorte delle superiori. Nella regione ventrale sono rimaste tre placche boccali cor¬ rispondenti alle tre braccia iniziali dell'animale, la quarta in cor¬ rispondenza deH'interradio BC si è sopraformata nell'angolo ed è poco sviluppata. Quella deH'interradio CD è poco sviluppata, quella deH'interradio DE è completa e quella deH'interradio AE non è che imperfettamente sviluppata e non si raccorda con la vicina. Da questo esemplare si deduce che vi è formazione sopran¬ numeraria di placche boccali in sito anomalo. Ciò si è verificato in due punti: nella zona d'innesto del nuovo braccio col vecchio; poiché la connessione non è avvenuta in zone vicine, ma al¬ quanto lontane fra di loro, si è avuta la formazione di placche boc¬ cali fuori posto. Ciò dice sempre che il blastema rigenerativo totipotente, destinato a formare quelle determinate parti del cor¬ po le forma dovunque, pure in punti non proprii e non adatti allo sviluppo. 3. — Altro esemplare pentamero con tre braccia rigenerate al posto di due perdute. E' un grande esemplare nel quale si possono subito distin¬ guere le due zone: E una rigenerata formata da parte del disco con tre braccia e V altra costituita dal vecchio organismo non B Fig. 14. leso. Le tre braccia rigenerate non hanno ancora raggiunto lo sviluppo delle tre pfeesistenti, ma sono tutte ben formate e normali (Fig. 14, Tav. 4 fig. 17). Le braccia A, B, C, misurano rispettivamente mm. 180,0 ; 185,0; e 190,0 ed il raggio minore misura mm. 42:0. I rap¬ porti quindi fra r e R sono dati da 1 : 4,5 ; 1 : 4,4 ; 1 : 4,5. 192 — Le tre braccia rigenerate D, E, F, misurano mm. 160,0 ; 161,0 e 160,0 ed il raggio minore misura mm. 42,0. I rapporti quindi fra r e R sono dati da 1 ; 3,8 ; 1 : 3,8 ; 1:3,7. La piastra madreporica trovasi neU'interradio CD e misura 7,0 mm. La zona lesa è ampia mm. 60,0. Le placche marginali superiori dell' interradio AB e BC sono dieci, come pure quelle degl' interradi DE, EF. Le mar¬ ginali superiori dell' interradio AF sono tredici e non sono tutte normalmente formate perchè la zona rigenerata ha subito tor¬ sioni tali da far variare il numero e la forma di queste. Così ancora le placche marginali superiori dell' interradio CD sono dódici ed hanno subito la stessa sorte delle altre. Ciò è dipeso dal fatto che queste zone si trovavano nelle peggiori condizioni di formazione, considerato che mentre le zone inter- radiali DE, EF si formavano ex novo , quelle degl'interradii CD e FA dovevano raccordarsi con la vecchia zona. Anche parte del disco s'è riformato e si è protratto in avanti alterando completamente la simmetria dell’ animale. Le placche boccali sono sei. 4. — Esemplare esamero con tre braccia rige¬ nerate al posto di due perdute. Strana ed asimmetrica forma di asteroide è l’esemplare in parola. Al posto di due braccia perdute se ne sono formate tre con porzione del disco, in modo da costituire un esemplare esa¬ mero asimmetrico (Fig. 15, Tav. 4 fig. 14 e 15.) Le braccia A, B e C sono normali, ma non egualmente svi¬ luppate. Esse misurano nel raggio maggiore mm. 145,0 ; 150,0 e 145,0 ed il raggio minore misura mm. 33,0. I rapporti quindi fra r e R sono dati dai valori : 1 : 4,3 ; 1 : 4,5 e 1 : 4,3. La placca madreporica si trova neU'interradio BC e misura mm 5,1. Le braccia D, E, F sono completamente rigenerate e pre¬ sentano delle deviazioni dovute all' ineguale sviluppo delle plac¬ che, specialmente delle marginali superiori. Nell' interradio CD le marginali superiori sono numerose e piccole ed asimmetriche, in quanto alcune si sono formate più in alto altre più in basso, in modo da presentare una curva. Anche le marginali inferiori non corrispondono alle supe- — 193 - riori, in quanto al posto delle tre superiori se ne sono svilup¬ pate due inferiori. Parimenti nell' interradio DE le placche interradiali sono ine¬ gualmente sviluppate, di più quelle che costituiscono la base del braccio E e di meno quelle che formano la base del braccio D, per cui il braccio E è deviato in alto. Inoltre le placche marginali inferiori non hanno avuto analo¬ go sviluppo, per la connessione intervenuta, in seguito al rapido sviluppo delle placche opposte. Per tal fatto il braccio E è svi¬ luppato più verso il lato di destra che di sinistra, e ciò può desu¬ mersi dalla curva che esso ha dovuto subire e dal numero delle placche marginali in più, che sono trentotto mentre nell’altra zona sono trentadue. Nell' interradio EF le placche marginali superiori sono po¬ chissimo sviluppate : ne esiste appena una ridottissima mentre le marginali inferiori esistono, sebbene in numero più scarso. Nell' interradio FA si nota solamente il minore sviluppo su¬ bito dalle placche marginali superiori, ma tutte sono però sim¬ metricamente disposte. Le placche ventro-laterali si sono molto poco sviluppate ne- - 13 - — 194 — gl’ interradi rigenerati. Le placche boccali sono in numero di sei, però tre di esse sono sviluppate in parte. Esistono i pezzi basali, ma le spine soprastanti sono molto scarse di numero e abbastanza piccole. Delle tre braccia rigenerate lo sviluppo del raggio maggiore è dato dai seguenti valori: per D mm. 130,0; per E mm. 120,0 e per F mm. 119,0. Il raggio minore è vario : da mm. 33,0 nell' interradio FE a mm. 23,0 nell’ interradio ED a mm. 27,0 nell' interradio DC a mm. 35,0 nell' interradio AF. Le lesione avvenuta nel disco con lo strappo delle due brac¬ cia misura mm. 53 e quindi la zona che si è dovuta rigenerare è stata molto estesa, quindi la dissimmetria verificatasi dipende dallo sforzo fatto dall'animale a formare subito le parti perdute, anzi lo sviluppo è stato abnorme. 5. — Esemplare eptamero con tre braccia ri¬ generate al posto di due perdute. L’esemplare in esame parrebbe a prima vista normale, ma una osservazione più accurata fa subito vedere che si tratta di un individuo che ha rigenerato tre braccia. Queste sono com¬ pletamente sviluppate come le altre normali e nella zona del di¬ sco le passille si sono formate in modo da non lasciare traccia dell'avvenuta rigenerazione. Queste braccia misurano nel raggio maggiore rispettivamente per le braccia A mm. 155,0, B mm. 157,0, C mm. 154,0, D mm. 155,0, E mm. 151, F mm. 154,0, G mm. 159,0 ed il raggio minore misura mm. 33.0. I rapporti quindi fra r e R sono dati dai se¬ guenti valori 1:4,6; 1:4,7; 1:4,6; 1:4,6; 1:4,5: 1:4,6; 1:4,8. La piastra madreporica trovasi nell'interradio AG e misura mm. 5.0 (Fig. 16, Tav. 4 fig. 19). Nella regione dorsale eccetto un piccolo ravvicinamento ba¬ sale che si nota nelle tre braccia rigenerate nulla si nota degno di menzione. Solamente nella regione ventrale è possibile riscontrare for¬ mazioni tali da indicare l'avvenuto processo rigenerativo. Difatti mentre quattro placche boccali corrispondono alle quattro braccia normali 1$ altre tre corrispondenti alle tre braccia neoformate — 195 — non sono ancora completamente sviluppate. Non si è completato lo sviluppo sia delle placche basilari sia delle spine sovrastanti, di modo che in confronto delle altre apparisce dimostrata la no¬ vella origine di essi. Da questo esemplare si deduce che la rigenerazione avviene talvolta così perfettamente da mascherare completamente il suo ti1 i processo. Se l’esemplare fosse stato ucciso più tardi forse non sarebbe stato possibile riscontrare traccia di rigenerazione alcuna, e l'esemplare si sarebbe potuto riferire ad un caso di anomalia congenita ! C. — Le formazioni polimere. 1. — Esemplare eptamero ottenuto per forma¬ zione di quattro braccia al posto di due perdute. E' uno strano esemplare di Astropecten che presenta tre brac¬ cia quasi normali, di cui uno quasi interamente rigenerato e quat¬ tro braccia che si sono rigenerate nella larga zona verificatasi in seguito alla lesione di due braccia. — 196 — Il braccio A e il braccio C misurano rispettivamente nel rag¬ gio maggiore mm. 156,0 e nel raggio minore mm. 35,0; quindi i rapporti sono dati da 1 : 4,4. Il braccio B misura mm. 135,0, però esso è doppiamente rigenerato. La regione più profonda è rige¬ nerata di circa 87 mm. ed appare evidente il punto leso e la neo- formazione delle placche; nella zona di sinistra non esiste nep¬ pure corrispondenza fra le placche marginali superiori e quelle inferiori e la discontinuità è rimasta, nonostante che tutto il resto del braccio sia completamente formato. Un'altra zona rigenerata è quella terminale. Si è formata ver¬ so 1' estremo la placca ocellare e le prime due marginali superiori ed inferiori. La zona rigenerata misura mm. 3,0 (Fig. 17, Tav. 2 figg. 5-6). La zona però che desta maggiore interesse è quella delle braccia DG. Essa misura mm. 55,0 circa in lunghezza. Il primo braccio rigenerato^ rappresentato nella figura dalla lettera G e misura a partire dalla base mm. 40. Nell' interradio AG si notano le placche marginali appena all' inizio del loro sviluppo. Sono corpi ovalari, ricoverti di spine che si vanno accrescendo. Le prime placche marginali che si distinguono sono quelle delle braccia e non sono simmetriche nè regolari, anche perchè manca qualcuna delle spine caratteristiche. Nell’ interradio GF manca la placca marginale centrale che trovasi sempre. Il braccio F misura mm. 25,0 e nella regione di v •/' • T - • - ■ - w-. — 197 — sinistra trovasi in un livello inferiore al disco. Ciò è avvenuto per¬ chè in seguito alla larga lesione si è verificato uno stiramento dei tessuti così forte che per la più rapida chiusura della ferita il tes¬ suto proliferativo del disco si è proteso verso la regione basale. In seguito poi si sono sviluppate le braccia D, E. Il braccio E misura 15 nini. Dalla regione dorsale si può ve¬ dere appena 1' estremo terminale, con cinque placche marginali superiori e la placca ocellare. e nella regione ventrale il mag¬ giore numero di placche marginali inferiori che si sono potuto formare. Il braccio D è appena al suo inizio : non misura che 4 mm. Esso sorge alla base del disco, nella regione profonda ed è svi¬ luppato lateralmente. L' interradio' DC è in parte sostituito da numerose placche, ma non si sono formate le caratteristiche marginali superiori che si riscontrano sempre in questo punto. Delle placche boccali tre sono normali, la quarta corrispondente alle braccia C. D è per metà rigenerata. Nell' altro braccio è anche in parte rigenerata. Come si vede la rigenerazione di questa zona è stata stra¬ ordinaria per la formazione di quattro braccia al posto di uno leso. In così breve zona si sono determinati quattro blastemi rigenerativi totipotenti che hanno dato origine a quattro brac¬ cia : il che dimostra sempre la -grande potenzialità di questi animali a rigenerare. Le ipotipie. A. — Le formazioni tetramere. 1. — Esemplare tetramero ottenuto per mancata rigenerazione del quinto braccio leso. L' esemplare in esame ha quattro braccia normali che misu¬ rano rispettivamente mm. 122,0, 125,0, 120,0 e 130,0 nel raggio maggiore per le braccia A, B, C, D. Il raggio minore misura mm. 27. I rapporti fra r ed R sono dati da 1 : 4,5; 1 : 4,6; 1 : 4,4; 1 : 4,8. La placca madreporica trovasi nell'interradio CD e misura mm. 5,0 (Fig. 18, Tav. 5 fig. 24). Nella zona compresa fra le braccia AD si è verificata una ci¬ catrizzazione al punto in cui è stato leso il 5° braccio. — 198 — La zona rimarginata conserva traccia della lesione subita. Infatti l' interspazio corrispondente al braccio leso è molto limi¬ tato : il che significa che dopo la rottura del braccio si è avuta una contrazione dello spazio in cui avvenne la lesione, e ciò per evi¬ tare il maggior contatto dell'ambiente interno con l'esterno. Di¬ fatti mentre la lunghezza del braccio leso misura mm.25,0, la zona attuale ne misura mm. 15,0: si è avuta una contrazione di mm.10,0. Le varie placche marginali superiori ed inferiori che si sono formate sono irregolarissime : le prime (p. m. s. Fig. 18) sono in .r' numero di otto : la prima di destra ha forma di cuneo, è più grande ed irregolare perchè una sua parte si prolunga e s'insinua fra le marginali inferiori, vietando così il regolare sviluppo di queste ; l'altra che segue è piccola ma regolare e non porta la spina. La successiva è più grande ed ha una spina, ed è così fatta che fa suppore ad una fusione di due placche. Ne segue un'altra pie- cola e senza spine e poi un'altra con spina e finalmente altre due una senza spina e con una placchetta accessoria superiormente, ed un'altra con spina. Le placche marginali inferiori sono aneli' esse irregolari : in corrispondenza della prima superiore ve ne sono tre disposte a cuneo fra di loro, ma combacianti perfettamente con la placca marginale superiore. Ad essa ne segue un' altra di forma quadran¬ golare con grossa spina e corrisponde a due placche marginali superiori ; la successiva è piccola, incuneata lateralmente ed ha due spine e finalmente ne seguono altre tre disposte 1' una sull' altra e nella stessa linea e quindi molto piccole. Tutta questa zona, quindi, sebbene rimarginata, presenta una irregolare formazione delle placche : il che finora non venne ri¬ scontrato. Ciò fa tanta meraviglia in quanto data la esiguità della lesione sarebbe stato necessaria una formazione normale di plac¬ che. Vuol dire che vi è stato o è sopravvenuto un disordine nel blastema rigenerativo, per cui le placche si sono ricostruite alla rinfusa o è mancato l'ormone che orienta la formazione delle varie placche. Ciò ci spiega anche perchè non si è rigenerato il braccio come si sarebbe dovuto verificare data la lesione avvenuta. Vi è stato quindi un disequilibrio dovuto a cause diverse, per cui la zona lesa si è rimarginata sì, ma irregolarmente. 2. — Esemplare tetramero che ha rigenerato due braccia al posto di tre perdute. Strano esemplare è il presente : delle cinque braccia primi¬ tive non restano che due, le quali misurano rispettivamente mm. 150,0 o 135,0 per le braccia A e B e quest’ ultimo presenta 1' e- stremo rigenerato per mm. 4,0. Il raggio minore misura mm. 28,0 e quindi il rapporto fra r e R è per A e B rispettivamente di 1 : 5,0 e 1 : 4,8. La piastra madreporica trovasi nell' interradio AB e misura mm. 7,0 (Fig. 19, Tav. 5 figg. 21-22). Delle due braccia rigenerate al posto delle tre troncate, il braccio C è completamente sviluppato ed ha tutte le placche nor¬ mali : esso è solamente deviato verso un lato. Le placche inter- radiali che generalmente sono in numero di otto, anche in que¬ sto interradio hanno conservato il numero, però due di esse sono — 200 — deformi. In corrispondenza le placche marginali inferiori inter- radiali sono in numero di sei, il che si verifica perchè una sola placca ha avuto tale sviluppo da abbracciare tre marginali su¬ periori. Il braccio D, in corrispondenza dell' interradio CD, presenta delle placche interradiali irregolari, in quanto alcune hanno la caratteristica unica spina ed altre ne hanno fino a tre. Esse inol¬ tre sono spostate in alto per cattiva formazione delle marginali Fig. 19. inferiori. Per sette marginali superiori ne corrisponde una inferiore che è fornita di quattro spine, il che fa supporre che si tratta di quattro placche marginali inferiori fuse. Nell' interradio AD le placche marginali superiori rigenerate sono alquanto minori di calibro e sono in numero di nove ed hanno subito una duplice torsione. In corrispondenza le placche marginali inferiori sono non tutte regolarmente sviluppate, ma alcune corrispondono a due superiori e ciò si desume dal nu¬ mero delle spine che le sormontano. Le due braccia non sono egualmente sviluppate. Il braccio — 201 — C misura min. 140,0 circa, il braccio D mm. 160,0: questo pre¬ senta una duplice torsione. Per un più esteso sviluppo del disco dovuto alla peculiare rottura delle tre braccia essa ha deformato anche la simmetria dell' animale. Nella regione ventrale le placche boccali sono quattro in corrispondenza delle braccia e non presentano anomalia di sorta. Questo esemplare è interessante per la strana rigenerazione che si è verificata in esso. Infatti nella lesione delle tre braccia si è iniziato un processo rigenerativo che ha ricostituito prima una parte notevole del disco, poi si è iniziata la differenziazione delle due braccia che hanno proceduto nel loro regolare svi¬ luppo. Si tratta di particolari condizioni verificatesi neH’animale non subito dopo la rottura delle braccia, ma qualche tempo dopo avvenuta la lesione. 3. — Esemplare tetramero che ha rigenerato un braccio al posto dei due perduti. L' esemplare presenta tre braccia normali, di sviluppo dise¬ guale e di esse due sono rigenerate verso gli apici. Il braccio A è 1’ unico superstite completo e misura mm. 142,0 nel raggio maggiore e mm. 32,0 nel raggio minore. Il braccio B misura mm. 124,0 di cui 23 sono "rigenerati verso 1' apice (Fig. 20, Tav. 5 fig. 26). Il braccio C misura mm. 125,0 di cui 25,0 sono rigenerati. Le varie placche delle regioni delle braccia rigenerate sono normali ed hanno disposizione simmetrica. Sono però più piccole, forse anche per il tempo limitato avuto nello sviluppo. La minore lunghezza delle braccia dipende poi dalla incom¬ pleta rigenerazione degli apici perduti ed anche dal perchè la zona lesa si è fortemente contratta dopo la rottura ed ha dato origine ad un moncone di dimensioni più ridotte: il che ha in¬ fluito sullo sviluppo generale dell'apice del braccio. La piastra madreporica è situata nell'interradio BC e misura mm. 7. Il braccio che si è rigenerato al posto delle due perdute misura mm. 95 nel raggio maggiore: effettivamente la zona rige¬ nerata misura mm. 80,0 e comprende una porzione minima del disco. — 202 — Tutto il braccio non presenta anomalia di sorta: lo sviluppo delle singole placche è regolarissimo: solamente negl' interradi si può notare che le marginali superiori ed inferiori non hanno avuta una completa formazione. Nell’interradio AD si sono for¬ mate appena quattro placchette piccole e senza spine e nell'in- terradio DC se ne sono formate sette, di cui tre con spine e le C altre senza ed alcune di esse sono incuneate e non conservano le caratteristiche loro proprie. Così parimenti delle placche marginali inferiori dell'interradio AD se ne sono sviluppate appena tre e nell’altro appena cinque, di cui due irregolari per grandezza , perchè corrispondono ad una o a due placche marginali superiori. Delle placche boccali tre sono le primitive e l'altra che si va formando ha quasi raggiunta la grandezza delle altre tre. Questo esemplare presenta un caso di ipotipia caratteristica. Delie due braccia perdute se ne è rigenerato uno solo. La zona del disco si è contratta e nel piccolo spazio si è sviluppato un unico braccio che segue il suo corso regolare. — 203 4. — Altro esemplare tetramero che ha rige¬ nerato due braccia al posto di tre perdute. L'esemplare in esame presenta un solo braccio normale A, uno è rigenerato parzialmente B e due sono completamente ri¬ generati con porzione del disco C e D. Il braccio A misura nel raggio maggiore mm. 140,0, il braccio B mm. 144,0 di cui 105,0 rigenerati, il braccio C mm. 130,0 e il braccio D mm. 133,0. Il raggio minore mm. 23,0. I rapporti quindi fra r e R sono dati per le braccia A, B, C, D, dai valori: 1: 6,0; 1: 6,2; 1: 5,6; 1:5,7. La piastra madreporica trovasi nell'interradio AB. La regione più importante di questo esemplare è quello dell'interradio BC. Fig. 21. Le placche marginali superiori sono tutte rigenerate in que¬ sta zona e inegualmente e di esse talvolta si trova un rappre¬ sentante nell'unica spina. Sono in numero di quindici e presen¬ tano due curve una sporgente ed una rientrante. Le placche mar¬ ginali inferiori sono appena otto e ciò perchè quelle corrispon¬ denti alla zona della curva rientrante, data la formazione del no¬ vello braccio, non si sono potute sviluppare (Fig. 21, Tav. 5 fig. 25). Le due braccia rigenerate nulla presentano di anormale nella regione dorsale: sono solamente alquanto divaricate ma si inne¬ stano bene con le regioni laterali. Ventralmente le placche boccali sono quattro in corrispon¬ denza delle braccia: due sono le vecchie placche corrispondenti all'interradio AB e AD. Quella corrispondente all'interradio CD è completa e normale. Quella corrispondente invece all'interra- dio BC risulta formata da frammenti costituiti in parte dal braccio B e in parte del braccio C. Sono due pezzi basali inegualmente sviluppati ma su cui si vanno formando le spine e spinule. Tutte le altre varie regioni nulla presentano degno di nota. 11 caso è notevole, però, perchè dimostra lo sforzo com¬ piuto dall'animale per ricostruire le parti perdute nel miglior modo possibile. Data però la natura della lesione si è riformato un numero di braccia ridotte. 5. — Altro esemplare tetramero che ha rigene¬ rato in vario modo due braccia al posto di tre perdute. L'esemplare conserva un sol braccio non leso ed è il braccio C Fig. 22. A che misura mm. 158. Il braccio B è parzialmente rigenerato: esso misura mm. 132,0 di cui 75 appartengono alla zona rigenerata. Le braccia C, D sono rigenerate dalla base con circa la — 205 — metà del disco. Esse misurano rispettivamente mm. 144,0 e 145,0. Il raggio minore misura mm. 30,0. I rapporti quindi fra r e R per le braccia A, B, C, D, è di 1:5,2; 1:4,4; 1:4,8 1:4,8. La piastra madreporica trovasi nell' interradio BC e misura mm. 6,0. La zona m n rigenerata misura 56 mm. Al posto delle tre brac¬ cia che costituivano t'animale pentamero se ne sono rigenerate due. Le placche marginali superiori nell'interradio BC non si rac¬ cordano per lo sviluppo; le nuove formate sono più piccole di circa la metà. Le marginali inferiori sono corrispondenti a quelle superiori per numero, ma hanno poco sviluppo. Nell’ interradio AC il raccordo delle marginali superiori ed inferiori è quasi perfetto (Fig. 22, Tav. 5 fig. 23). Nella zona ventrale si riscontrano quattro placche boccali di cui tre neoformate così bene che non si saprebbero distin¬ guere dalla placca boccale preesistente. 6. — Altro esemplare tetramero che ha rigenerato in modo differente due braccia al posto di tre perdute. L'esemplare è di notevoli proporzioni: le due braccia nor¬ mali A e B misurano rispettivamente mm. 161,0 e 165,0 nel rag- Fig. 23. — 206 — gio maggiore e mm. 29,0 nel raggio minore. Le due braccia neo¬ formate hanno il raggio maggiore di mm. 72,0 e il minore di mm. 18,0. La placca madreporica trovasi nell' interradio AD e misura mm. 7,0 (Fig. 23, Tav. 3 fig. 12). Le due braccia rigenerate al posto di tre perdute sono ca¬ ratteristiche per il modo come si presentano all'inizio del loro sviluppo. L'interradio BC presenta otto placche marginali supe¬ riori: di queste lo sviluppo è irregolare: le prime cinque pre- Fig. 24. sentano forma e grandezza differenti e sono quasi tutte fornite della spina caratteristica delle marginali superiori interradialmen- te, le altre tre sono più costanti nella forma, ma mancano della spina. Non esiste corrispondenza con le placche marginali infe¬ riori, le quali sono sviluppate disarmonicamente e sono in nu¬ mero di sette. Anche le spine che le sormontano sono irregolari. L’ interradio CD non presenta placche caratteristiche inter- radiali. Questa zona è in formazione e quindi le placche non hanno avuto tempo di potersi formare, anche perchè lo sviluppo delle due braccia procede in modo tutto particolare. — 207 — L'interradio DA conserva tre placche marginali superiori del vecchio interradio non leso e cinque neoformate e di queste le prime due sono molto irregolarmente sviluppate e le altre sono appena all'inizio di sviluppo e mancano di spina. Anche le plac¬ che marginali inferiori hanno seguito la stessa sorte. Delle placche boccali tre sono le vecchie rimaste, e nelle due braccia, al loro incrocio basale, più che formarsi una sola & c Fig. 25. se ne sono formate due che vanno sviluppandosi per proprio conto e nel centro, fra di esse, si notano formazioni di pedicelli in relazione col sistema ambulacrale. Certamente è molto strana la formazione di queste due braccia. Nella larga zona lesa si è formato un tessuto rigenera¬ tivo che ha dato origine alla formazione delle due braccia. Que¬ ste invero nascono da un moncone unico e poi si vanno diffe¬ renziando e modificando. L'animale tende a rigenerare rapidamente e poi va riar- 208 — ganizzando la sua forma. Ciò del resto l'ho potuto notare an¬ che in un altro esemplare che pure ha perduto tre braccia ed al posto di esse si vede un sol braccio originato alla base, ma verso l'estremo si nota le biforcazione (fig. 24), cioè l'inizio delle due braccia: anzi mentre nella regione dorsale la biforcazione è al¬ l'estremo, nella regione ventrale questa è già iniziata ed è ba¬ sale (Fig. 25, Tav. 3 fig. 13). Il processo formativo, nella sua essenza, resta sempre lo stesso. L’animale prima riforma il più presto che può la zona lesa e poi va riorganizzando la sua forma. B. — Le formazioni tri mere. 1. — Esemplare che ha rigenerato un braccio al posto di tre perduti. L'esemplare è di notevoli dimensioni. Le braccia A e B nor¬ mali misurano nel raggio maggiore mm. 175,0 e 160,0 e nel raggio minore mm. 25. I rapporti quindi fra r e R sono dati da 1 : 7,0 e 1 : 6,4. La piastra madreporica trovasi nell’ interradio AB e misura mm. 5,0 (Figg. 26-27). Al posto poi delle tre braccia perdute se ne è rigenerato uno solo, deviato verso il lato di sinistra: esso misura mm. 155,0 ed è formato con tutte le placche delle braccia normali. Tutta la zona rigenerata è visibile per il minore sviluppo delle placche marginali superiori, che però si innestano regolarmente con quelle delle braccia normali. L’interradio fra il braccio A e D è più breve ed è costi¬ tuito da sole dodici placche di cui cinque della zona preesisten¬ te. L'interradio BD é costituito da diciassette placche marginali superiori di cui sei appartengono alla zona preesistente. Non tutte le nuove placche hanno la caratteristica spina centrale. Le placche marginali inferiori si corrispondono con quelle superiori regolarmente. Nella zona ventrale è interessante lo studio delle placche boccali: di queste ve ne sono cinque, di cui due appartengono alle braccia A e B e tre sono formate neH’interradio BD. Due di esse sono quasi completamente sviluppate, mentre la centrale è più piccola ed appare a stento fra di esse. — 209 — Questo esemplare è stranissimo per il modo come ha ri¬ generato e non si saprebbe spiegare come mai la zona lesa abbia dato origine ad un braccio solo e non a più, come general- Fig. “27. — 210 — mente si verifica. Lo strappo delle tre braccia sarà avvenuto in modo così strano da lasciare formare un blasfema rigenerativo unico totipotente, mentre alla base, nella regione ventrale, si sono determinati blasfemi rigenerativi tali da dare origine alle sole placche boccali. 2. — Esemplari trimeri per mancata rigenera¬ zione delle due braccia perdute. Già in un mio lavoro precedente ho descritto un caso di un grande Astropecten che presentava solamente tre braccia, perchè le altre due lese non si erano rigenerate ma al loro po¬ sto si era formato un tessuto cicatriziale tale da non permettere lo sviluppo delle braccia perdute. Casi analoghi me ne sono capitati ancora quest’anno. Due altri esemplari presentavano lo stesso caso. Credo inutile ripe¬ tere cose che ho già descritto e ne dò semplicemente notizia per la statistica. Del modo come si possono mterpetrare i fatti studiati. Si può affermare che l'analisi dei processi vitali presenta sempre nuovi fatti degni dell'attenzione dello studioso. Le più minute ricerche, le ulteriori esperimentazioni che si possono fare su determinati organismi, come più plastici e forse anche per¬ chè più facilmente acclimatabili negli ambienti dei nostri labora¬ tori, permettono di compiere una serie d’indagini i cui risultati portano a dedurre considerazioni molto interessanti per una più vasta e comprensiva conoscenza di essi. Non si tratta di casi accidentali che si notano qualche volta, ma si tratta di una serie di fatti che si ripetono ed il modo di rinnovarsi e ripetersi è quasi sempre lo stesso: ne segue quindi che le deduzioni che si possono fare poggiano su dati incon¬ trovertibili. Forse l'interpetrazione a cui si giunge può essere di natura differente, secondo le proprie vedute, restano però i fatti e sopratutto preme che questi siano solidi, perchè è indubitato che l’interpetrazione dei fenomeni vitali, che generalmente viene data, è tutt'altro che definitiva: noi conosciamo, più o meno bene una serie di fatti, anche numerosi, ma essi non sono sufficienti — 211 — ad inquadrare i problemi entro confini determinati. Chi si accin¬ gesse a procedere ip tal modo dimostrerebbe di conoscere poco le difficoltà dello studio della biologia. Le «attuali tendenze, favorite da un gruppo di studiosi, di vo¬ ler spiegare i fenomeni biologici ricorrendo alle leggi della chi¬ mica e della fisica hanno dato risultati apprezzabili per lo studio delle analogie, ma nessun risultato degno di essere considerato in sè, come valido, quando si è voluta generalizzarne la spiega¬ zione. L' organismo vivente non può essere considerato come una serie di pezzi staccati, come una macchina insomma, di cui ogni pezzo può funzionare a suo modo : tutt' altro. L' organismo è un tutto armonico, è un complesso di organi così intimamente legati che il distaccarli o studiarli indipendentemente è vana cosa: la interpetrazione parziale di fatti nulla spiega e nulla risolve. Nelle pagine precedenti io mi sono occupato di una serie di fatti interessanti per la conoscenza della plasticità e del potere rigenerativo e formativo dell' Astropecten. Già in una serie di lavori compiuti s\\W’ Astropecten e su al¬ tri numerosi asteroidi del Golfo di Napoli ho dimostrato il grande potere rigenerativo che hanno questi animali, cosa del resto già nota abbastanza, ma che dai miei lavori riceveva novella luce perchè le ricerche sono state impostate seguendo un piano or¬ ganico di lavoro. Ho ora studiato altri fatti molto suggestivi che si presenta¬ vano all' osservazione con grande frequenza e di cui valeva la pena di trovare una ragione d'essere, e di dare una spiegazione che potesse appagare lo spirito. Consideriamo patitamente i varii fatti osservati. Prima fra tutti la gemmazione che si nota nell’ Astropecten aurantiacus. Noi abbiamo visto che verso 1' estremo del braccio, a un terzo di esso, in seguito ad una lesione laterale si è formata una gemma che ha dato origine ad un braccio. E' caratteristica que¬ sta novella appendice che spunta da un lato e si accresce di tanto quanto il pezzo terminale del braccio normale, che ha subito il trauma. Le placche marginali superiori ed inferiori sono identi¬ che quasi per sviluppo e posizione. Nella zona intermedia si è formata una novella placca fornita di spina, così come si osserva — 212 — nelle braccia normali, negl' interspazii fra Y una e Y altra e nella regione ventrale si osserva nel punto intermedio la formazione di una placca boccale. Strana formazione, degna di essere con¬ siderata. Difatti se un novello braccio si forma alla base del di¬ sco per trauma provocato o naturale si forma sempre la placca boccale : nei numerosissimi casi osservati e studiati si trova che sempre questa placca si sviluppa in quella regione come fatto normale. Ora pur essendosi avuto un braccio formatosi in un estremo di un altro braccio, e quindi in sito anomalo, ciò nono¬ stante si è formata anche una placca boccale, quasi come se fosse avvenuta la formazione di un nuovo disco con i relativi organi ad esso annessi. Si sono inoltre formate le placche ambulaceli, adambulacrali con il solco, in modo normale, ed anche la regione interna, cioè i ciechi intestinali hanno seguito il loro sviluppo normale; non si è formata la bocca, ma le placche boccali sì : si è quindi formato un braccio normale e nonostante si sia svilup¬ pato all’estremo di un braccio, esso si è formato come se avesse preso origine dal centro del disco. Tutto ciò conferma sempre che il blasfema rigenerativo è totipotente ed è un sistema ar¬ monico equipotenziale, in quanto forma completamente tutte le singole parti che sono e costituiscono la caratteristica di un braccio. Come nelle comuni gemme che si osservano in molti ani¬ mali, ad es. nei celenterati, poriferi, ecc. vi pigliano parte i vari foglietti del corpo, qui si verifica lo stesso processo : la gemma ha in sè tutti i foglietti destinati a dare i tessuti dell' ectoderma, dell' entoderma e del mesoderma. Restano ancora a considerarsi le formazioni doppie o triple o polimere, che si verificano in molteplici Astropecten. Già dall' analisi precedentemente fatta si è visto che al po¬ sto di due braccia normali che sono state lese se ne sono svi¬ luppate altre due; queste però si sono formate non come natu¬ ralmente si verifica, ma la formazione è stata un pò strana, in quanto si è avuta una formazione delle due braccia connesse, Y una fusa all' altra alla base e poi si sono suddivise in due ed hanno dato origine ognuno ad un braccio indipendentemente dall'altro. Strana questa formazione, perchè non si tratta qui di iperrigenerazione, ma di una rigenerazione che ricostituisce il — 213 — numero normale di braccia, però il processo si verifica un pò differentemente dal normale. Difatti, seguendo lo sviluppo di questi esemplari si constata che dopo la lesione delle due o più braccia, la ferita rimane bean¬ te ed il contatto dell' ambiente interno con Y esterno è perico¬ loso per T animale. I bordi della ferita si contraggono, il tessuto periferico ri¬ ceve abbondante succo nutritizio e per la lesione e perchè quel liquido destinato a irrorare notevoli organi, non potendolo, si ferma nella zona lesa permettendo una maggiore attività prolife- rativa alle cellule destinate a riformare le parti perdute. I bla- stemi rigenerativi che si trovano in quella zona, meglio nutriti, senza ostacoli soprastanti, si trovano nelle migliori condizioni per proliferare. Nel caso delle doppie o triple formazioni si forma una massa unica che ha lo scopo di chiudere la ferita il più presto pos¬ sibile, e dopo che si è rimarginata si inizia la differenziazione dei due blasfemi rigenerativi che dànno origine a uno a due o a più braccia: ecco perchè le due o più braccia airinizio della loro formazione sono sempre fuse alla base e poi si vanno dif¬ ferenziando in modo da costituire delle individualità separate. La minuta analisi che noi abbiamo fatto nelle precedenti pagine sulla conformazione di queste braccia, sulla loro morfo¬ logia, ci mette in grado di poter affermare che in realtà le dop¬ pie formazioni sono un fenomeno costante che si verifica più spesso di quel che si creda. Il numero delle braccia resta ri- costituito: cinque erano da principio e se ne riforma un nume¬ ro da riportare l'esemplare ad una forma pentamera. Resta ad esaminare perchè in alcuni il numero delle brac - eia che riformano è maggiore ed in altre è minore del normale: come mai avvengano queste ipermelie ed ipomelie. Nelle ipermelie evidentemente sono da ammettersi indivi¬ dualizzazioni di blasfemi rigenerativi tanto più numerosi ed at¬ tivi quanto maggiore necessità avverte l'animale a mettersi nelle migliori condizioni di vita. Le ipomelie non si possono spie¬ gare se non pensando alla difficoltà di rigenerare, che si verifica nelle zone dove è avvenuto il trauma. Tante volte di due braccia se ne riforma uno e di uno o di due braccia non se ne forma — 214 — nessuno: quella zona presenta una cicatrizzazione completa co¬ stituita da placche marginali superiori ed inferiori. In altri miei lavori io ho tentato di dare una spiegazione di essi, ma le ricerche ulteriori mi hanno convinto che le cose sono molto più complesse e sventuratamente sfuggono alla no¬ stra indagine. Ad esempio, talvolta’ nella zona di due braccia lese si forma un braccio o due o tre, o quattro. La lesione è apparen¬ temente identica, perchè allora si ha così variamente cicatrizza¬ zione o formazione ipermelica 6 ipomelicà? Si tratta senza dub^- bio di orientazione dei blastemi rigenerativi che si determinano o no in questa zona. Quali sono i fattori che vi concorrono a determinarli? Sono interni o esterni? Il problema è complesso e non si può risolverlo se non gradualmente, con tentativi spe¬ rimentali. In alcune esperienze preliminari ho potuto determinare que¬ sto fatto molto importante dal punto di vista morfo-fisiólogico. Aggiungendo dell'acqua distillata in H20 di mare nella pro¬ porzione del 2 fino al 5 o/0 ho potuto notare una certa velocità di accrescimento rigenerativo. A parità di condizioni mentre gli esemplari tenuti in acqua di mare rigeneravano di un millimetro, quelli tenuti in acqua di mare e acqua distillata al 3, 4 e 5 % rigeneravano di mm. 1,5 circa. Poco se si vuole, ma l'esperienza, in se molto significativa, trova la sua conferma in esperienze col¬ laterali, di cui le più interessanti sono quelle fatte in questi ul^ timi anni dal Child e dal Cotronei. L’acqua di mare, diluita, diventa ipotonica in rapporto al liquido interno del corpo e penetra più facilmente nei tessuti e specialmente attraverso la zona lesa di modo che i tessuti si accrescono di una certa massa d’àcqua. Ora, così avvenendo, si ristabiliscono in questi tessuti condizioni giovanili: infatti i tes¬ suti giovani, è risaputo, sono i più ricchi di acqua, il plasma è più attivo, la cromatina è più abbondante, mentre i più vecchi sono più ricchi di sostanze dette plastine, è minore la croma- tina e l'acqua è più scarsa. Sono i tessuti giovani quelli che più facilmente si accre¬ scono e rigenerano e quindi in tali condizioni* fisico-chimico- biologiche i tessuti lesi possono rigenerare molto più facilmente. Gli esemplari quindi che hanno gemmato, che hanno dato — 215 — origine a formazioni polimere si possono considerare come tes¬ suti aventi ricchi di acqua e capaci così di rigenerare con rpolta facilità. La totipotenzialità poi dei blasfemi rigenerativi è stata capace di dare origine alle braccia con tutti gli organi. Questa interpetrazione evidentemente non risolve il proble¬ ma: essa è una spiegazione di un fenomeno che noi cerchiamo di studiare; vi sono probabilità maggiori e più logiche e basate su di un dato di fatto ben accertato, cioè sulla maggiore atti¬ vità che hanno i tessuti giovani a proliferare per la maggiore quantità di acqua che essi contengono. Sono interpetrazioni che noi cerchiamo per appagare il nostro spirito, giacché le altre spiegazioni date, come quella del maggiore nutrimento che viene utilizzato dalie cellule terminali per la mancanza di quelle che sono state lese, e quindi la più facile e rapida rigenerazione; o quella della minore resistenza che incontrano le cellule terminali per essere state liberate da quelle superiori che sono state stac¬ cate; o la presenza di blasfemi rigenerativi totipotenti sparsi per tutto il corpo e che entrano in azione quando vengono provo¬ cati, se tendono a spiegare il fenomeno non soddisfano appieno il nostro spirito. Forse noi possiamo meglio comprendere i fatti se pensiamo che al processo formativo concorre non una sola azione, ma che vari sono i fattori che concorrono alla morfogenesi del pro¬ cesso rigenerativo. E' indiscutibile che l'acqua agisce come fattore preponde¬ rante, è indiscutibile che le sostanze che dovrebbero nutrire maggior numero di tessuti sono costrette, per l'ablazione di que¬ sti, a fermarsi su di una zona che viene così meglio nutrita per l'abbondanza dei liquidi nutritizii; è indiscutibile che la pres¬ sione meccanica nei tessuti soprastanti diminuisce per l'ablazione di zone più o meno estese; non si può, in seguito a tante os¬ servazioni, escludere un fattore morfogenetico interno che de¬ termini le cellule a svilupparsi e a dare origine agli organi che sono stati lesi. L' azione concordante di questi vari fattori può solo per ora spiegarci i fenomeni studiati. Resta ora ad esaminare come mai si abbiano ipotipie, cioè: come mai rigeneri un numero minore di braccia di quelle per¬ dute o perchè la rigenerazione non si verifichi affatto. — 216 — Una spiegazione si potrebbe dedurre pensando alla rapida cicatrizzazione che avviene in quella determinata zona lesa. E' vero che la lesione si verifica talvolta analogamente ai casi in cui si ha rigenerazione normale o iperrigenerazio- ne , ma quando noi consideriamo più da vicino questi fatti osserviamo che talvolta le lesioni sono così profonde ed avven¬ gono in modo così strano da ledere zone vitali dell’organismo, e si verifica tale un disordine in quelle zone che i blastemi ri¬ generativi non si orientano: le cicatrizzazioni avvengono allora rapidamente per evitare il più lungo contatto degli organi inter¬ ni con l’ambiente esterno. Che se talvolta il blastema rigenera¬ tivo trovasi in condizioni favorevoli per il suo orientamento al¬ lora si origina il processo rigenerativo parziale. L’intima causa per spiegare queste ipotipie escogitata da Giard, cioè che nelle ipotipie si avrebbe un ritorno alle forme ancestrali, non può assolutamente invocarsi per gli Asteroidi, di cui non si conosce nessuna forma primitiva trimera o tetramera e neppure una forma embrionale che si assomigli in parte a queste. Resta quindi la spiegazione che per particolari condizioni che si verificano nella zona lesa, cioè per un disordine i blastemi rigenerativi non si orientano affatto o forse si orientano tardi per cui si hanno rigenerazioni parziali. Nè credo che il sistema nervoso leso possa spiegare le rigenerazioni mancate o parziali come in un primo momemto potrebbe supporsi, perchè nei numerosi esemplari da me studiati i fatti sono contraddittori, cioè in lesioni profonde del sistema nervoso ora si hanno rigenerazione ed ora no. Quindi ben altri fattori devono invocarsi nei processi rige¬ nerativi, chè la parzialità dell'indagine non porta a risultati con¬ creti. Conclusioni. Da quanto è detto nelle precedenti pagine si desume : 1. — Y Astro p erteti aurantiacus L. è una delle specie di Asteroidi che rigenera facilmente e nei modi più vari. 2. — La rigenerazione delle braccia può avvenire o su di uno stesso braccio o alla base del disco o dalla regione ven¬ trale. — 217 — 3. — Molte volte la formazione delle braccia avviene come se vi si determinassero delle gemme nelle parti del corpo dove si è verificato un trauma e queste gemme si sviluppano per pro¬ prio conto, indipendentemente dalle regioni laterali. 4. — Si possono formare braccia soprannumerarie (ipertipie) in seguito a lesione avvenuta in un interradio, alterando così la simmetria dell’ animale. 5. — Se si lede il disco tagliando un braccio può verificarsi o una cicatrizzazione della zona lesa e si ha un animale con un numero di braccia inferiore al normale; o in quel punto si ri¬ genera il braccio e si ricostruisce la forma normale dell'animale; o se ne possono formare due. 6. — Allorché si formano due braccia queste sono, inizial¬ mente, fuse alle base, poi si vanno completando fino a perfetta individualizzazione. 7. — Se si tagliano due braccia può verificarsi o una cica¬ trizzazione e si hanno forme trimere, o può formarsi un sol braccio e si ha un animale con numero di braccia minore del normale (ipotipie); o se ne possono rigenerare due e si ricosti¬ tuisce la forma normale dell'animale; o se ne possono rigenerare tre, o quattro e si hanno delle rigenerazioni ipertipiche. 8. — Se si tagliano tre braccia può rigenerare o un braccio solo e si hanno ancora forme trimere; o possono rigenerare due braccia e si hanno forme tetramere ; o si riformano le tre braccia ricostituendo completamente F animale. 9. — Queste rigenerazioni possono riferirsi sempre a blasfemi rigenerativi totipotenti che sono sparsi in tutte le regioni del corpo e che in seguito a lesioni sono sensibilizzati in modo da dare origine a novelle braccia. 10. — Non può invocarsi il sistema nervoso come influen¬ zante o meno le zone che rigenerano, perchè ledendolo forte¬ mente le rigenerazioni talvolta si verificano talaltra no , il che esclude che esso possa avere una influenza diretta. Napoli , Stazione Zoologica, febbraio 1926. — 218 — BIBLIOGRAFIA 1921. Barfurth, D. — Methoden zar Erforschung der Regeneration bei Tieren. Abderhalden's Handbuch der biologische Arbeits metho¬ den, Bd. 5, p. 3, fase. 1. 1925. Cotronei, G. — Doppie formazioni, scissiparità e rigenerazioni nelle Attinie . Pubbl. Staz. Zoo). Napoli, Voi. 5, p. 199, Tàv. 9 e 14 fi gg. 1902. Driesch, H. t— Ueber ein neaes harmonisch àquipotentielles Sy¬ stem and iiber solche systeme iiberhaapt. Arch. Entw. Mech. Bd. 14, p. 27. 1907. Giard, A. — Sur les régénérations hypotipiqaes . C. R. Soc. Biol. p. 315, Paris. 1905. Korschelt, E. — Regeneration and Transplantation. Jena. 1926. Loeb, L. — Les bases physico-chimiques de la régénération , 1 Voi. pp. 170, Paris. 1901. Morgan, T. H. — Regeneration. Columbia Univ. Biol. Ser. N. 7, New Jork. p. 316, 66 figg. 1922. Pelsener, P. — Polyméles et monstres maltiples chez les Asteries. Ann. Soc. Roy. Zool. Malac. Belgique, Tome 52, p. 125, fig. 1-6, Bruxelles. 1909. 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Ricerche sulla rigenerazione delle braccia di Asterina gibbosa Penn. Pubbl. Staz. Zool. Napoli, Voi. 3, p. 93, Tav. 5-6. 1922. — — 14. Notizia di un Asterias glacialis O. F. Muller con sei braccia pescata nel golfo di Napoli. Boll. Soc. Nat., Voi. 34, p. 160, 1 fig. 1924. — — 15. Notizia di un Echinaster sepositus Gray con sei braccia pescato nel Golfo di Napoli. Rend. Acc. Se. N. Line. Roma, Anno 77, p. 161. 1924. — — 16. Caso di rigenerazione ipotipica in un Astropecten aurantiacus L. Napoli 1924, 2 figg. 1924. — — 17. Ulteriori notizie di Asteroidi anomali. Boll. Soc. Nat., Voi. 36, p. 305, 3 Tav. 9 figg. 1924. — — 18. Ricerche sulla rigenerazione delle braccia di Aste¬ rina gibbosa. Note istologiche. Arch. Zool., Voi. 11, p. 45, 1 Tav. — — 19. Sulla rigenerazione delle braccia di Luidia ciliaris. Boll. Soc. Nat., Voi. 37, p. 241, 1 fig. — 220 — SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE 2-5 Tav. 2. Tutte le figure rappresentano esemplari di Astropecten aurantiacus L. GPingrandimenti non sono dati perchè è stata data nel testo la grandezza di ogni singolo animale. Fig. 1. — Esemplare con braccio gemmato verso l'estremo. Regione dorsale. Fio. 2. — Lo stesso esemplare visto dalla regione ventrale. Fig. 3. — Esemplare che ha il quinto braccio gemmato verso la regione infe¬ riore delle placche marginali superiori. Fig. 4. — Esemplare esamero che ha il sesto braccio sorto in un interradio. Si nota il minore calibro del nuovo braccio verso la regione basale. Fig. 5. — Esemplare che ha rigenerato quattro braccia ; in questa figura vista dalla regione dorsale si notano solamente due delle quattro braccia rigenerate. Fig. 6. — Lo stesso esemplare visto dalla regione ventrale ; in esso si possono osservare le quattro braccia rigenerate di cui l’ultimo è appena per¬ cettibile nella fotografia per la riduzione dell'ingrandimento. Tav. 3. Esemplare pentamero che ha rigenerato due braccia estremamente connesse alla base. Lo stesso esemplare visto dalla regione ventrale. Altro esemplare pentamero con due braccia rigenerate. Esemplare esamero per doppia rigenerazione di braccia avvenuta al posto di uno perduto. Esemplare pentamero con due braccia rigenerate ex-novo ed uno parzialmente. Esemplare tetramero con due braccia rigenerate al posto di tre perdute. Altro esemplare tetramero con due braccia rigenerate al posto di uno perduto. Nella figura si vede un braccio unico che verso 1' e- stremo si sdoppia. Tav. 4. Fig. 14. — Esemplare esamero che ha rigenerato tre braccia al posto di due perdute. Regione dorsale. Fig. 15.— Lo stesso esemplare visto dalla regione ventrale. Fig. 16. — Esemplare pentamero con tre braccia rigenerate. Fig. 17.— Esemplare esamero con tre braccia rigenerate al posto di due per¬ dute. La zona rigenerata è più chiara e le braccia non hanno an¬ cora raggiunto lo sviluppo delle tre opposte. Fig. 7.— Fio. 8.— Fig. 9. — Fig. 10.— Fig. IL— Fig. 12.— Fig. 13.— Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXVIII Tav. 2 . i Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXVIII Tav 3. Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXVIII Tav 4 . Tav. 5 Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli , Voi. XXXVIII — 221 — Fig. 18.— Esemplare pentamero che ha due braccia rigenerate ex-novo ed uno parzialmente. Fig. 19.— Esemplare eptamero con tre braccia rigenerate. Fig. 20. — Esemplare esamero con due braccia rigenerate. Poiché la figura rap¬ presenta la regione dorsale si osserva solamente il braccio più svi¬ luppato mentre l'altro è ancora al disotto nella regione ventrale. Tav. 5. Fig. 21. — Esemplare tetramero che ha rigenerato due braccia al posto di tre perdute. Regione dorsale. Fig. 22.— Lo stesso esemplare visto dalla regione ventrale. Fig. 23.— Altro esemplare tetramero con due braccia rigenerate al posto di tre perdute ed uno parzialmente. Fig. 24. — Esemplare tetramero per mancata rigenerazione del quinto braccio perduto. Fig. 25. — Esemplare tetramero che ha rigenerato due braccia al posto di tre perdute. Fig. 26. — Esemplare tetramero che ha rigenerato un sol braccio al posto di due perdute. (Finito di stampare il 21 ottobre 1926) Ricerche sperimentali sulla capacità rige¬ nerativa degli arti nei Rettili. Nota preliminare del socio Ermete Marciteci (Tornata del 31 maggio 1926) Il caso di rigenerazione da me osservato in Lacerta tnura- lis i) e quello precedentemente osservato da Egger in Lacerta vivipara 1 2), mi avevano fatto convincere che nelle lucertole non solo la coda, ma anche gli arti fossero dotati di una certa ca¬ pacità rigenerativa ; e che i risultati negativi avuti da Fraisse 3) dovessero attribuirsi forse ad errore di osservazione oppure a cause inibitrici, dipendenti probabilmente dallo stato di prigionia in cui gli animali da ricerca erano tenuti. Ho voluto perciò eseguire delle esperienze in proposito so¬ pra alcuni individui adulti di Lacerta muralis tenuti da vario tempo in terrario e già assuefatti alle nuove condizioni di am¬ biente e di nutrizione. Le ricerche, iniziate a principio di questa primavera, sono ancora in corso; tuttavia, avendo ottenuti al¬ cuni risultati positivi, credo utile renderli noti, riserbandomi di pubblicare in seguito i risultati definitivi. 1) MarCUCCI, E. — La rigenerazione degli arti nei Rettili . Un caso di rigenerazione in Lacerta muralis. Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. 38, p. 8, 4 fig. T. 1, 1926. 2) Egger, E. — E in Fall von Regeneration einer Extremitàt bei Reptilien : Arb. Zool. Zoot. Inst. Wurzburg, 8 Bd., p. 201, Taf. 12, 1888. 3) Fraisse, P. — Die Regeneration von Organen und Geweben bei den Wirbelthieren besonders Amphibien und Reptilien : Cassel u. Berlin, Th. Fi¬ scher, 164 p., 3 Taf. 1885. — 223 Il 28 marzo asportai a due lucertole uno degli arti poste¬ riori a metà della coscia e contemporaneamente anche gran parte della coda; cercando in tal modo di produrre sperimen¬ talmente in esse le stesse mutilazioni, che casualmente aveva do¬ vuto subire quella da me esaminata *), la quale, oltre l'appendice codiforme neoformatasi sul moncone di coscia, presentava anche la coda rigenerata. I due animali così mutilati furono messi in un terrario a parte ed esaminati giornalmente. Alla fine di aprile in ambedue le lucertole la coda rige¬ nerandosi, si era alquanto allungata, mentre il moncone dell’arto mutilato portava ancora aderente alla superficie di taglio una grossa escara e non lasciava scorgere alcun segno manifesto di rigenerazione. Ma il due maggio notai che in una di esse, alla quale avevo mutilato l’arto destro, l'escara si era staccata e sulla superficie di sezione appariva una ristretta zona priva di scaglie, di colore oscuro, la quale, in corrispondenza dell’estremo distale del moncone del femore, formava una piccola protuberanza, che aveva tutto 1' aspetto di un apice di rigenerazione. Spinto allora dalla curiosità, distaccai anche all’altra lucertola la grossa escara che ancora permaneva aderente all' estremità del moncone del - l’arto sinistro mutilato. Messa così a nudo l'antica superficie di sezione, potetti osservare che anche questa presentava una zona oscura, priva di scaglie, dal cui centro sporgeva un piccolissimo tubercolo. I due apici di rigenerazione, accrescendosi molto lentamente, hanno dato origine a due brevi appendici tra loro diverse per forma e posizione. Una, situata in corrispondenza dell'estremo femorale, forma un grosso cono alquanto appiattito dorso-ven- tralmente, il cui asse longitudinale fa con quello del moncone dell'arto un angolo ottuso rivolto caudalmente. L’altra invece sorge in corrispondenza della massa muscolare formata dai mon¬ coni degli adduttori e flessori della gamba, e costituisce un gros¬ so bernoccolo a guisa di capezzolo. Queste due neoformazioni, il cui sviluppo sembra essersi arrestato, raggiungono ora appena la lunghezza di circa quattro mm. e sono completamente rico¬ perte da scaglie. Le scaglie, formatesi relativamente tardi, sono ) Marcucci, E. — Loc. cit. — 224 — comparse prima alla base dell’ appendice e poi gradatamente verso l’apice. Esse si distinguono nettamente da quelle del mon¬ cone di arto per il loro colore giallo rossiccio e, specialmente nella regione dorsale, per la loro grandezza, forma e dispo¬ sizione. Neoformazioni pressappoco uguali ho ottenuto anche in altre cinque lucertole , alle quali il quindici maggio avevo amputato, come alle precedenti , uno degli arti posteriori all’ altezza della coscia. Solo in una di esse, con arto destro mutilato, l’appen¬ dice neoformatasi si è molto accresciuta, raggiungendo la lun¬ ghezza di circa dieci mm. Questa appendice dapprima diritta, accrescendosi, si è poi piegata quasi ad angolo retto, rivolgendo il suo apice caudalmente. Essa è ora tutta ricoperta da sca¬ glie, che, come nelle altre appendici neoformatesi, si distinguono nettamente da quelle del moncone dell' arto. La sua porzione distale, piegata caudalmente, è la più lunga, flessibile, codiforme e presenta le scaglie disposte in tredici serie trasversali. L’ altra porzione invece, che forma come la continuazione della coscia, è rigida e saldamente riunita al moncone dell'arto; ciò che fa supporre nel suo interno la neoformazione di uno scheletro osseo in diretta continuazione col femore. Il risultato di queste prime esperienze è una prova evidente che nella Lacerta muralis non solamente la coda, ma anche gli arti sono dotati di potere rigenerativo. Sembra però che negli arti la capacita rigenerativa sia molto più scarsa che nella coda ; e che quindi non si abbia mai una rigenerazione completa del l'arto asportato, ma solo la neoformazione di una breve appen¬ dice, che in alcuni individui tuttavia può raggiungere dimensioni molto notevoli. Napoli , Istituto di Anatomia e Fisiologia comparate , 1926. Finito di stampare il 30 ottobre 1926. Studi sulla bioluminescenza batterica. 8. La resistenza del potere luminoso del socio Giuseppe Ztrpolo (Tornata del 17 agosto 1926) Nel 1917 studiando un nuovo bacillo fosforescente ( Bacii - lus sepiae Zirp.) che si sviluppa post morte m sul mantello della Sepia officinalis L. osservai che se un tubo contenente tali cul¬ ture luminose veniva imparaffinato, dopo un certo numero di ore, la luce scompariva; e se poi si perforava il batuffolo di chiusura, immediatamente, col rientrare dell'aria, la luce ricom¬ pariva '). Tale fatto richiamò la mia attenzione sulla necessità dell'os¬ sigeno per il fenomeno della bioluminescenza batterica. Volli perciò estendere le ricerche, sovratutto per determi¬ nare la resistenza del potere luminoso dei batterii, tenendo in un ambiente privo di aria le culture luminose per determinati periodi di tempo. Le esperienze vennero eseguite sul Bacillus pierantonii Zirp., allo scopo di esperimentare sempre sulla stessa specie * 2) ed esse furono variate in modo da poter eliminare le possibili cause d'errore per addivenire a risultati attendibili. Le culture luminose tenute in tubi con terreni di agar, ap¬ positamente preparati, venivano chiuse con batuffoli di cotone idrofilo e poi questi erano imparaffinati per due o tre volte in *) Cfr. ZlRPOLO, 1917, p. 65. 2) Cfr. le varie ricerche finora pubblicate. - 15 - modo da esser sicuri di una mancanza di contatto fra l'ambiente interno e l'esterno. I quesiti propostimi in queste esperienze sono stati i seguenti: 1. Dopo quanto tempo si smorza la luce dei batteri lumi¬ nosi dacché sono stati .imparaffinati i batuffoli ? E' evidente che i batteri possono utilizzare le quantità di ossigeno che si trova nella massa d'aria racchiusa nel tubo, ma dopo che questa si è esaurita i fenomeni di ossidasi devono terminare e i batteri de¬ vono trovarsi in condizioni non favorevoli per sviluppare quelle attività che sono loro peculiari. 2. Variando il tempo di apertura del batuffolo, dopo che i batteri sono rimasti oscuri, ritornerà la luce ? Se dopo che hanno perduta la luminosità per mancanza di contatto con 1' ossigeno dell'aria si tengono in tali condizioni per più tempo, da giorni a mesi, riportati a contatto dell' aria, riacquistano essi il potere luminoso, ed entro quali limiti questo processo si verifica? 3. Mettendo i batteri in contatto dell'aria e poi togliendoli dopo un numero vario di ore, e ripetendo l'esperienza più volte, cioè imparaffinando e sparaffinando i tubi in periodi vari di tempo, conservano il potere luminoso i batteri o lo perdono e nell'uno e nell'altro caso entro quali limiti ? 4. Possono svilupparsi i batteri luminosi tenuti in ambiente fuori contatto dell'aria atmosferica? e quali fenomeno essi pre¬ sentano ? Le esperienze da me condotte sono state lunghe e sono state ripetute varie volte ed i risultati da me ottenuti dimostrano che la resistenza del potere luminoso dei batteri, almeno della specie da me studiata, è straordinaria. Credo opportuno riassumere i risultati delle mie esperienze, che ho diviso in più serie, nel modo più breve possibile — per ra¬ gioni di opportunità tipografiche — e per dare un' idea rapida a chi legge della grande resistenza vitale del Bacillus pierantonii ed ho la speranza che queste ricerche unite alle numerose altre da me compiute possano riuscire efficaci alla migliore compren¬ sione del fenomeno della bioluminescenza che oggi più che mai è stato affrontato in pieno con ricerche di indole varia e che ha dato risultati, che sono, forse, i più interessanti fra quelli otte¬ nuti nella investigazione attuale dei problemi biologici. 227 — la Serie d'esperienze. Ad alcuni tubi contenenti culture di B. pierantonii svilup¬ patesi nelle ventiquattro ore dalla semina furono imparaffinati i batuffoli di cotone. La luce delle colonie persistette per circa 24 ore, utilizzando i batteri la quantità di ossigeno contenuto nella massa d'aria racchiusa nei tubi e poi si smorzò. Dopo ventiquattro ore dall'oscuramento venne praticato un foro nel batuffolo in modo da mettere in contatto 1' ambiente interno con quello esterno: immediatamente le colonie si illu¬ minarono e molto più vivamente, all' inizio, quelle più vicine al batuffolo e poi le altre più lontane e la luce si intensificò allorché l'aria venne completamente rinnovata. Dopo quarantotto ore i tubi vennero di nuovo imparaffi¬ nati e le colonie ancora dopo ventiquattro ore ridiventarono oscure. Furono così tenute in ambiente privo di ossigeno dal 9 marzo fino al 22 settembre e dopo furono riaperti i batuffoli. La luce non comparve immediatamente, ma nella sera succes¬ sive potetti rivedere una luce vivissima di colore verde smeraldo. I tubi rimasero così luminosi fino al novembre, cioè per circa due mesi e poi si oscurarono. Da questa serie di esperienze si deduce che i batteri hanno resistito una prima volta ventiquattro senza ossigeno e poi ri¬ messi a contatto con esso per quarantotto e poi di nuovo tolti dal contatto dell'ossigeno, per oltre sei mesi, si sono smorzati, ma hanno seguitato a vivere e dopo rimessi di nuovo a con¬ tatto dell'aria ossigenata hanno ripigliato la luminosità per circa due mesi. 2a Serie d'esperienze. Altra serie di tubi furono innestati con B. pierantonii e dopo ventiquattro ore furono imparaffinati. Nel giorno seguente erano completamente oscurati. Furono tenuti fuori il contatto dell'os¬ sigeno per quarantotto ore: dopo furono riaperti praticando un forellino nel batuffolo di cotone imparaffinato. Immediatamente si illuminarono le colonie più vicine al foro di apertura e poi le altre: la luce dapprima era scialba poi si vivificò in modo da — 228 — potersi paragonare a quella emanata dalle colonie del tubo di controllo. Nei giorni e mesi successivi la luce si mantenne costante. Verso gl' inizii del novembre i tubi erano oscurati. Così mentre la semina era stata praticata il 9 febbraio ed erano stati tenuti i batteri per quarantotto ore fuori il contatto dell' aria, dopo, rimessi a contatto di questa, riacquistarono la luminosità conservandola per lo spazio di circa nove mesi. 3a Serie d' esperienze. Altra serie di tubi furono innestati con B. pierantonii e dopo ventiquattro ore imparaffinati. Si oscurarono nel giorno dopo e così rimasero per 144 ore, cioè sei giorni, senza essere in con¬ tatto dell'aria. Indi furono forati i batuffoli e ricomparve di nuovo la luce nelle colonie: scialba all'inizio, sempre più viva dopo. I tubi rimasero luminosi per sei mesi solamente. Si potrebbe da ciò arguire che essendo stati i batteri per vario tempo fuori il contatto dell'aria non abbiano poi avuto la resistenza a conservare per più lungo tempo il potere lumi¬ noso. Ciò però va collegato con altre esperienze di cui dirò in seguito. 4a Serie d'esperienze. Altri tubi furono imparaffinati ventiquattro ore dopo la se¬ mina. Nella sera successiva erano oscurati. Furono lasciati così imparaffinati per circa due mesi. Alla fine del secondo mese fu¬ rono riaperti ed immediatamente le colonie si riaccesero, pur essendo state tanto tempo fuori il contatto dell'ossigeno. Restarono così luminosi per circa sei mesi. Anche per que¬ sta serie di tubi s' è verificato un fenomeno analogo a quello descritto nella serie precedente, cioè maggior tempo i batteri sono stati fuori il contatto dell'ossigeno e minore resistenza hanno dimostrato nella conservazione della luce. 5a Serie d’esperienze. Altri tubi contenenti colonie luminose di B. p. furono im¬ paraffinati dopo 24 ore dall' innesto. Oscuratesi nella sera sue- — 229 — cessiva furono così tenuti per dieci giorni. Quando rientrò l’aria ossigenata nell' interno dei tubi la luce ricomparve viva ed in¬ tensa. Immediatamente furono imparaffinati e così lasciati per circa un mese. Alla fine, fatta di nuovo rientrare l'aria, riacqui¬ starono la luminosità perduta e rimasero luminosi per circa nove mesi. 6a Serie d'esperienze. Altri tubi non appena furono innestati con bacilli luminosi furono chiusi con paraffina, allo scopo di vedere se le colonie si fossero sviluppate, pur vivendo in ambiente fuori il contatto dell'aria ossigenata. Dopo ventiquattro ore le colonie s' erano sviluppate egual¬ mente come quelle dei tubi di controllo ed erano anche lumi¬ nose, ma nella sera successiva s'oscurarono. Le feci così rimanere imparaffinate per circa sette mesi. Quando sparaffinai i tubi la luce non ricomparve subito, ma dopo ventiquattro ore la luce era di un bel verde smeraldo e vivissima e tutti i tubi erano completamente illuminati. Imparaffinai di nuovo i tubi dopo ventiquattro ore ed essi si oscurarono ancora nel giorno seguente. Dopo un mese li spa¬ raffinai ancora e ripresero tutte le colonie la luminosità. Osservai i bacilli al microscopio e non presentavano alcuna anomalia, anzi innestati in brodo di seppia ed in agar diedero culture luminosissime. Interessante questa esperienza per i risultati dati. Era da supporsi che lo sviluppo delle colonie avrebbe con¬ sumato tutto l'ossigeno per cui dopo ventiquattro ore sarebbe stato possibile osservare i tubi oscuri, ma invece non solo s'e- rano sviluppate le colonie, ma esse erano ancora luminose. Dopo ventiquattro ore si sono oscurate: vuol dire che durante il pro¬ cesso di sviluppo esse consumano una quantità minima di ossi¬ geno, in seguito coll’ aumentare le colonie ne consumano tutta la quantità esistente. Ecco perchè dopo lo sviluppo, alla distanza di ventiquattro ore, erano oscurate e nonostante uno sviluppo avvenuto in così avverse condizioni pure hanno resistito un mese intero senza aria ossigenata e quando l'ossigeno è rientrato si sono illuminate di nuovo, per quanto fosse stato necessario uno spazio — 230 — di tempo maggiore perchè il fenomeno si fosse verificato : ciò che però dimostra sempre la grande resistenza del potere lu¬ minoso di questi batteri. Da quanto ho avanti brevemente esposto si desume che i batteri luminosi, almeno la specie da me studiata, ha un potere luminoso straordinario. A misura che l'ossigeno dell'ambiente in cui vivono i batteri si consuma la luce si attenua, diventa scialba, egualmente come una fiamma di una lampada messa sotto una campana va spe¬ gnendosi lentamente, a misura che l'ossigeno si consuma per la combustione. I processi di ossidazione sono necessari a questi micror¬ ganismi per conservare la loro proprietà, almeno per qualche tempo dello loro vita. Infatti l'ossigeno, in questo caso, si può dire che serva unicamente per il processo di ossidasi : quando l'ossigeno dell'aria è consumato il fenomeno della luminescenza scompare: persiste, invece, la vita in questi microrganismi in uno stato latente. Come sia possibile la vita di questi organismi senza ossigeno non è facile spiegare, se non ammettendo V utilizza¬ zione che essi possono compiere dell'ossigeno contenuto nel ter¬ reno di cultura. Invero non c’ è ulteriore accrescimento di colonie o almeno questo è molto attenuato durante il periodo in cui essi sono te¬ nuti lontani dall'ambiente esterno ed i terreni di cultura su cui vivono possono fornire ai microrganismi gli elementi per vivere. Il processo respiratorio è certamente attenuato: la vita di questi batteri subisce una sosta e non appena sono rimessi in contatto con l'ossigeno ripigliano la loro proprietà. Se dopo ventiquattro ore di vita vissuta fuori il contatto dell' ossigeno essi sono ri¬ messi a contatto di questo ripigliano immediatamente la loro luminosità, ma se si fanno restare per più giorni o per più mesi allora è necessario maggior tempo per riacquistare la loro pro¬ prietà fotogena. Notevole il fatto osservato che colonie tenute per maggior tempo fuori il contatto dell'aria ossigenata ripigliano più lentamente il potere luminoso e raggiungono una luce anche vi¬ vissima, quasi come se avessero accumulate delle energie che poi utilizzano allorché ritornano le buone condizioni. Certamente — 231 — ■«. 5V> questi batteri dimostrano possedere una grande resistenza con¬ tro le avverse sorti dell' ambiente in cui vivono e nonostante siano così delicati pure conservano grande il potere luminoso. Queste ricerche si possono riannodare a quelle dell'HARVEY, il quale in esperienze che ha gentilmente ripetute alla mia pre¬ senza nel decembre del passato anno, alla Stazione Zoologica, mi ha dimostrato come la luciferina e la luciferase ricavate dalla Cy- pridina Hilgendorfii (piccolo crostaceo luminoso) se sono agi¬ tate in ambiente ricco di ossigeno danno una luce azzurra molto viva ed intensa, se invece sono tenute fuori il contatto dell'os- sigeno per mezzo di paraffina si smorzano e basta far tornare Taria ossiginata perchè il liquido contenente le due sostanze ri¬ pigli la sua luce viva. Il fenomeno è quindi analogo a quello da me studiato ed è una conferma indiretta del principio della bioluminescenza. E' vero che V Harvey non ha potuto isolare dai batteri le due sostanze, ma non si può dire se per mancanza reale di questi due corpi o per difficoltà di tecnica, ma è certo che il fenomeno che si produce è lo stesso tanto in queste sostanze biochimiche che negli organismi viventi ed io non sono alieno dal pensare, data la identità di risultati, ad una esistenza di corpi presso a poco identici che si trovano nei batteri luminosi. Le ricerche suirargomento non sono evidentemente esaurite ed è sperabile poter in seguito venire a conclusioni definitive. Nopoli , Stazione Zoologica , agosto 1926. — 232 — BIBLIOGRAFIA. 1917. Zirpolo, G. — Ricerche su di un bacillo fosforescente che si svi¬ luppa sulla Sepia officinali L. (Bacillus sepiae n. sp.) Boll. Soc. Nat. Voi. 30, p. 42, Tav. 2-3, 1 fig. 1918. — — I batteri fotogeni degli organi luminosi di Sepiola in¬ termedia Naef. (Bacillus pierantoniì n. sp.) Ibid. Voi. 30, p. 206, Tav. 6. 1918. — — Micrococcus pierantonii. Nuova specie di batterio foto¬ geno dell organo luminoso di Rondeletia minor Naef. Ibid. Voi. 31, p. 75, 1 pag. 1919. — — I batteri fosforescenti e le recenti ricerche sulla biofo¬ togenesi. Natura Riv. Se. Nat. Milano, Voi. 10, p. 60, 6 figg. 1920. — — Studi sulla bioluminescenza batterica. 1. Azione degli ipnotici. Riv. Biol. Voi. 2, p. 10, Roma. 1920. — — Idem. 2. Azione dei sali di magnesio. Boll. Soc. Nat. Voi. 32, p. 112, Napoli. 1920. — — Idem. 3. Azione dei raggi emanati dal bromuro di radio. Ibid. Voi. 33, p. 75, Napoli. 1921. — — Idem. 4. Azione dei sali radioattivi. Natura. Riv. Se. Nat. Milano, Voi. 12, p. 139. 1922. — — Idem. 5. Azione del nitrato di cerio Ce (N03)3 6 H20. Boll. Soc. Nat. Voi. 34, p. 46. 1922. — — Idem. 7. Azione dei sali di chinina , caffeina, cocaina, stricnina. Natura Riv. Se. Nat. Voi. 23, p. 70, Milano 1922. 1923. — — Idem. Azione dei sali di potassio. Boll. Soc. Nat. Voi. 35, p. 245, 1923. 1922. — — Osservazioni sulla biofotogenesi. Boll. Soc. Nat. 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Il lavoro di Soli colma infatti una lacuna della scienza, per¬ chè pochi sono stati i ricercatori, che si sono occupati della cosa, giacché se gli studiosi avessero considerato che gli animali domestici, con relativa frequenza, vanno incontro spontaneamente a siffatte lesioni nei vasi, in specie arteriosi, forse sarebbero stati più oculati nell'interpretare alcuni esperimenti eseguiti, ed avreb¬ bero pensato, per esempio, che il cane non in tutte le contin¬ genze sia il migliore ed il più opportuno animale di laboratorio. Dalla statistica riferita da Soli si ha, che le cifre di frequenza di lesioni arteriose nei comuni animali domestici sono per cento le seguenti: cavallo 7,50; bovini 8,35; lepre 30; cane 3,20; co¬ niglio 3,10; montone 5; maiale 2, cavia mezzo. Queste lesioni si debbono dividere in due grandi categorie: 1) in lesioni di natura parassitarla, e 2) in lesioni d a causa non ancora conosciuta. Evidentemente questo secondo gruppo (che purtroppo è il meno studiato) desta il maggiore interesse per il patologo e per il clinico, potendo forse - 234 — fornire dei dati ecologici e patogenetici di grande rilievo per intepretare affezioni patologiche delle arterie dell'uomo. Le lesioni parassitarie sono al certo più frequenti, e, se, da un punto di vista pratico, poco giovamento arrecano alla pato¬ logia umana, da un punto di vista dottrinale sono di estremo interesse, additandoci l'evolversi delle alterazioni delle arterie, le degenerazioni graduali e progressive delle loro tuniche e lo stabilizzarsi di un aneurisma nel tratto, dove il parassita si è soffermato, aneurisma che, in rapporto alla sua etiologia e pa¬ togenesi, prende il nome di aneurisma verminoso. I progrediti studi di zoologia sperimentale e di parassito¬ logia hanno permesso di stabilire il ciclo biologico della mag¬ gior parte dei parassiti, ai quali si deve rinfestione nei vari or¬ gani, e, nel caso in ispecie, nella parete dell'arteria. In tal mo¬ do l'aneurisma verminoso è dovuto alle alterazio¬ ni più o meno profonde che le tuniche arteriose possono subire a causa dei parassiti, che vi giun¬ gono e che vi permangono. Alle alterazioni determinate dai parassiti nelle pareti arteriose seguono processi reattivi e de¬ generativi, che scemano la resistenza di esse pareti vasali, sicché possono andare evolvendosi rilevanti ectasie aneurismatiche. Dai primi osservatori, Askanazy, Nazari, Mariotti Bianchi, Baecchi, Moriani erano state descritte altresì osservazioni di lo¬ calizzazioni di cisticerchi (cisticercus cellulosae ) nelle arterie ce¬ rebrali, nel cuore, nell'aorta, nella arteria coronaria sinistra, ecc. dell’uomo, ma al vero le localizzazioni più diffuse sono quelle originate dallo Sclerostoma nel cavallo e dalla Spiroptera nel cane. Lo Sclerostoma equinum o bidentatam è un nematode ap¬ partenente alla famiglia dei strongilidi, alla quale appartengono vari generi come il genere Anchilostoma} il genere Sclerostoma ed il genere Strongylas, specie tutte parassite, che determinano particolari sindromi morbose. VAnchilostoma infatti, frequente nei climi caldi e nelle mi¬ niere, induce una malattia nota sotto il nome di clorosi e- g i z i a n a od anemia dei minatori. Lo Sclerostoma è patogeno del cavallo e dell'asino, producendo lesioni vascolari; lo Strongylus a sua volta vive nei piccoli bronchi dei Rumi¬ nanti, dove determina bronchite verminosa. 235 — Per quanto riguarda il genere Sclerostoma si noti che le uova ellissoidi si sviluppano nell'acqua o nel territorio umido, e, che l'embrione, che da esse si evolve, subisce una muta, do¬ po la quale diventa molto resistente. Probabilmente, secondo, Emery, in tali condizioni penetra dall'acqua nell' intestino del- l'ospitatore e da tale organo, perforando la mucosa, raggiunge il sistema circolatorio, dove provoca, come si è detto, la for¬ mazione di aneurismi verminosi, e ciò a differenza di una specie molto affine, lo Sclerostoma tetracantham , che, essendo più piccolo, non penetra nei vasi sanguigni. Recenti studi di si¬ stematica zoologica tenderebbero poi a differenziare in parecchie specie l'antica unica specie di Sclerostoma equinum. Il genere Spiroptera, pur appartenendo anche esso all'or¬ dine dei Nematodi, come posizione sistematica lo dobbiamo in¬ cludere nella famiglia dei Filaridi. Come ha provato Grassi, questo parassita si propaga per mezzo dello scarafaggio delle cucine ( Periplaneta orientalis), in cui si trova incictidato allo stato immaturo. Al genere Spiroptera appartengono numerose specie, che sono parassite di diversi animali, così la Spiroptera megastoma (Rud.), la Spiroptera microstoma (Schn.), la Spiroptera sangui¬ nolenta (Rud.), la Spiroptera strongylina (Rud.), la Spiroptera cincinnata (Ercol.) o Onchocerca reticulata , la Spiroptera sal¬ tata (Mull.), la Spiroptera pectinifera (Neum.), la Spiroptera na¬ suta (Rud.), la Spiroptera uncinata (Rud.), la Spiroptera laticeps (Rud.), la Spiroptera perforans (Centoscudi). la Spiroptera le- prorurn (Mon.). La Spiroptera sanguinolenta è parassita di numerosi car¬ nivori, come volpi, lupi, cani, ecc.; le localizzazioni di essa si hanno principalmente nell'aorta, nella cui avventizia Perroncito e Kitt hanno descritto dei noduli, dei tumoretti, contenenti il verme. Sia gli Sclerostomi o Strongi lidi , che le Spiroptere, infesta¬ no vari organi dei loro ospiti : nella parete dei vasi sanguigni si hanno un doppio ordine di lesioni, alcune a tipo aneurisma¬ tico ed altre a tipo arteriosclerotico. Le lesioni a tipo aneurismatico o altrimenti aneurismi verminosi furono illustrate da Ruysch, Schulze, Davaine e — 236 Bollinger, che fecero notare come essi possono verificarsi in sedi molteplici, principalmente l'arco aortico, l'arteria ileo-cieco- colica, la colica superiore, ecc., raggiungendo perfino il volume, in casi eccezionali, della testa di un uomo. Secondo Bollinger (in Soli) l'evoluzione di questi aneuri¬ smi si ha dapprima per una obliterazione e poi per una trom¬ bosi dei piccoli rami vasali, vicino al punto d'infestione del ver¬ me e dei vasa vasorum, in seguito si hanno fatti di infiltrazione leucocitaria e di neoformazione connettivale nella parete stessa del vaso. Inoltre la media del vaso, sede dell'aneurisma, quasi senza eccezione, si ipertrofizza tanto da raggiungere uno spessore che va da tre fino a sei, sette volte il normale. Tale ispessimento è di doppia natura, in parte è dovuto ad aumento e prolife¬ razione del connettivo, ed in parte ad ipertrofia del tessuto muscolare. Inoltre esso non è uniforme, ma disposto irregolar¬ mente a cordoni anulosi o a placche sollevate, le quali deter¬ minano sulla superficie interna degli infossamenti. A carico del ¬ l'intima si hanno le note di una reazione infiammatoria, acuta o cronica, con fatti regressivi. Talvolta questa tunaca è distrutta o notevolmente ispessita, rugosa, con deposizioni trombotiche e di parassiti e con formazioni ulcerose, alternate a fatti cicatriziali. I fatti di sclerosi vengono a fare scomparire il limite netto fra le tre tonache nell'arteria, ove abbiamo spesso estese calci¬ ficazioni sia dell'intima, che negli strati interni della media, in maniera che la parete dell'aneurisma è dura, facilmente scric¬ chiolante sotto lo sforzo fatto per vincerne la resistenza. Sulla superficie interna deiraneurisma si scorgono sporgenze di forma e grandezza diversa, nettamente calcificate, più raramente ancora si è potuto osservare una vera ossificazione. NeH’interno dell'a¬ neurisma si ha infine un trombo più o meno grosso e i paras¬ siti, che possono essere liberi oppure impigliati nel trombo. Le lesioni a tipo non aneurismatico, anche esse indotte nel le tuniche arteriose dallo Sclerostoma , sono state molto accu¬ ratamente descritte da Zinserling , che con grande competenza ha trattato questo interessante capitolo di patologia comparata. E per vero tenendo calcolo dei criteri fondamentali enun¬ ciati da Bollinger e da Zinserling, su questi due tipi di lesio¬ ni, cioè quelle a tipo aneurismatico e quelle a tipo arteriosclerotico, si nota che in entrambe l'agente eco¬ logico e patogenetico è sempre il parassita, che con la sua evo¬ luzione, induce nelle tuniche arteriose sia Fan euri s m a, che la chiazza di arteriosclerosi. Ma, come opportu¬ namente fa notare Soli, si hanno dei dati invero controllabili : così mentre nei noduli piccoli, ossia nelle forme iniziali, è sem¬ pre dato di mettere in evidenza il parassita ancora all'inizio dello sviluppo, nei nodi di maggiore volume non si nota punto au¬ mento di sviluppo del parassita, come ci si dovrebbe aspettare, ma spesse volte una vera regressione: finalmente in quelli an¬ cora più grossi o si trova solo traccia del parassita , o lo si trova parzialmente calcificato o non lo si trova più addirittura. Questi rilievi, dice Soli, messi in rapporto col dato clinico delle eccezionalità dello sviluppo del parassita adulto nell'aorta, con rottura della medesima, depongono evidentemente per il con¬ cetto che nello spessore dell'aorta il parassita non ha che uno sviluppo iniziale e che solo in via di eccezione può raggiungere uno sviluppo più o meno completo. " In primo luogo tenuto presente la costante distribuzione topografica delle lesioni intimali, e delle altre tonache vasali con i noduli parassitari non può sussistere dubbio di sorta nei rap¬ porti diretti tra causa ed effetto, fra la localizzazione della in¬ festione del parassita e le modificazioni strutturali della parete aortica. I processi d’infiltrazione leucocitaria, sia dall'avventizia, che dalla media, specialmente nelle dirette vicinanze dei noduli parassitari: i fatti emorragici e nevrotici: quelli di neoformazione connettivale in un tempo successivo fino alla formazione di un vero e proprio tessuto cicatriziale attorno al primitivo foco¬ laio d'infestione : ove tutti i dati stanno a dimostrare una evi¬ dente reazione infiammatoria, che è legata sia all'azione diretta del parassita, che ad eventuali sostanze che potrebbero essere elaborate in esso come si è pensato, ad es. per analoghe lesioni arteriose da altre infestioni parassitarie (sclerostoma, echinococco). In altri termini trattasi di un processo infiammatorio della media e dell' avventizia , in seguito al quale si ha una proliferazione dell’intima pura e semplice, analoga a quella, che si osserva in molti altri processi, sia della tonaca esterna, che della media. Siccome, mai si è potuto mettere in evidenza una prolife- — 238 razione dell'intima, indipendente dai noduli, e non si sono mai potuti dimostrare fatti di degenerazione grassa e di calcifica¬ zione , non è assolutamente possibile di parlare di lesioni non solo arteriosclerotiche, ma nemmeno del tipo dell'arteriosclerosi. Quindi, se pure alcune volte si sono avute macroscopica¬ mente dei quadri, che' possono ricordare lesioni del genere di quelle descritte nell'arteriosclerosi dell'uomo, il quadro isto¬ logico permette di escludere in maniera assoluta tale natura ed affermare, che si tratta semplicemente di un processo infiam¬ matorio reattivo del tratto invaso dalle larve del parassita, con proliferazione dell'intima, senza fatti di degenerazione grassa e di calcificazione, una vera e propria arterite parassitarla Gli studi finora compiuti dagli autori portano quindi alla conseguenza che , sia nel tipo aneurismatico, che in quello, così detto, arteriosclerotico, è sempre possibile (per lo meno negli stadi iniziali) mettere in evidenza il parassita, il quale nel successivo evolversi del processo, al quale ha dato origine, finisce per morire e comunque degenerare, in guisa, che, accettando questi dati anatomici e patogenetici, molto pre¬ sumibilmente anche le alterazioni arteriose dei comuni animali demestici di origine non parassitaria, potrebbero essere incluse nella grande categoria delle lesioni parassitarie. In esse il parassita non sarebbe più riconoscibile, essendo morto forse poco dopo di essersi indovato nelle pareti del vaso arterioso: il processo pertanto continuerebbe il suo cammino incessante e progressivo. Credo utile riferire alcune osservazioni di alterazioni aortiche constatate in autopsie di cani uccisi in seguito ad interventi ope¬ ratori molteplici, osservazioni, che si prestano a considerazioni dottrinali di altro interesse. Ciò che mi ha destato meraviglia si è che le alterazioni in parola riguardano esclusivamente ed ab¬ bastanza frequentemente l'aorta (fig. 1) e non si rinvengono mai in vasi arteriosi periferici. La loro frequenza è per lo meno del 25 o/o. Risultano di piccoli nodi della grandezza variabile da una — 239 — lenticchia ad un pisello, siti nella parete del vaso in punti arbitrari: per lo più in un medesimo soggetto se ne possono riscontrare tre, quattro ed anche un numero maggiore. La loro consistenza Fig. 1. — Aorta di cane di grossa taglia. Presenza di due tumefazioni nel tratto discendente dell’arco. Disegno a grandezza naturale di un preparato a fresco. è molle elastica, relativamente minore della consistenza della pa- rete aortica; quando invece il vaso è fissato, per es. nel liquido di Bouin, si ha una consistenza abbastanza simile a quella dei tratti di aorta apparentemente normali. Tagliando il vaso in gui¬ sa da esaminare la superficie opposta a quella della intumescenza, si ha un leggero incavo dell'intima, ma non una vera e propria ectasia aneurismatica, e ciò sia nei bitorzoli in stadi di maggiore evoluzione, che in quelli allo inizio. Sezionando un segmento dell'aorta, fissato, in corrispondenza del bitorzolo e propriamente della parte più saliente di esso, si ha che la intumescenza ap- — 240 — Fig. 2. — Aorta. Sezione trasversa eseguita in corrispondenza di una delle tumefazioni. Distruzione completa degli elementi elastici dell’avventizia e degli clementi muscolari ed elastici della media. Neoproduzione connettivale verificatasi a spese del connettivo periav- ventiziale. In questo tessuto si hanno delle isole di elementi elastici ed alcuni infarti emor¬ ragici. Si ha altresì l’arresto brusco degli elementi elastici avventiziali nel limite tra tu¬ mefazione arteriale ed arteria apparentemente integra. Microfotografia di un preparato colorato con carminio boracico alcoolico-fuxina Weigert. Diametri 70. Fig. 3. — Aorta. Tumefazione arteriale, porzione limitante il lume del vaso. Tessuto connettivo di nuova formazione con zone di degenerazione jalina e numerosi infarti emor¬ ragici. Microfotografia di un preparato colorato con carminio boracico alcoolico-fuxina Weigert. Diametri 90. i pare esclusivamente a carico della tunica avventizia (figg. 2 e 3) pur presentandosi macroscopicamente alterate la tunica media e l’intima. Eseguendo invece sezioni a fresco e cercando di prelevare il contenuto della intumescenza e di osservarlo sotto il micro¬ scopio binoculare a visione stereoscopica del Grenough, non mi è riuscito di mettere mai in evidenza un parassita, sia del genere spiroptera , che di altri generi affini, e ciò altresì nei bitorzoli, che per il loro aspetto sembrano i primi stadi del¬ l’affezione patologica, che, nel suo successivo evolversi, aveva dato origine ai bitorzoli più grandi. Stando quindi ai reperti macroscopici, e a quelli di disse¬ zione, non credo sia autorizzato ad ammettere, che questi bi¬ torzoli, queste escrescenze arteriose siano di natura parassitaria, come d’altra parte per la loro simiglianza con le forme descritte dagli altri autori (che ci hanno preceduto nella difficile disamina di siffatte affezioni morbose arteriali) ci si sentirebbe trasportati, ad includerle cioè nel gruppo di malattie originate da parassiti dell'ordine dei nematodi, che, come si è detto, in numerosi ani¬ mali domestici prediliggono le pareti arteriose. Che se pur resta per noi ancora dubbio il momento ecolo¬ gico e patogenetico di lesioni siffatte, data la loro relativa fre¬ quenza, a noi importa per ora descrivere quali siano le dege¬ nerazioni, alle quali vanno incontro le pareti arteriali sia nei punti lesi, che nelle zone viciniori, e ciò non tanto per un lusso scientifico, quanto per il fatto di mettere in guardia i ricerca¬ tori, che si cimentano in esperimenti sui vasi di cani, con trau¬ matismi e farmaci molteplici, ad essere guardinghi nell' inter¬ pretazione dei risultati, di non attribuire cioè all' agente trau¬ matizzante , alla sostanza venefica, alla tossina , ciò che forse spontaneamente si è verificato, sia per cause non ancora note, sia per parassiti dell'ordine dei nematodi, parassiti che morirebbero subito dopo l'infestione e dopo che la lesione, anche per opera di prodotti tossici da essi elaborati, incomincerebbe un cammi¬ no incessante e progressivo. Per lo studio delle alterazioni arteriali innanzi accennate la microtecnica è stata la ordinaria, cioè fissazione dei pezzi di ar¬ terie, sia in liquido formolo-picrico di Bouin, che in liquido di — 242 — Zenker. Dopo ripetuti lavaggi in alcool a concentrazione cre¬ scente, i pezzi d’arteria si sono diafanizzati in olio di legno di cedro e successivamente si sono inclusi in paraffina. I tagli mi- crotomici si sono colorati con emallume eosina, con ematossilina ferrica, con carminio boracico alcoolico-fuxina Weigert, per met¬ tere in evidenza le fibre elastiche. Noi descriveremo le altera¬ zioni, sia dei segmenti arteriosi, sui quali si constatano quei bi¬ torzoli, quelle intumescenze, sia quelle dei tratti arteriosi vici¬ niori, che non sembrano per nulla indenni da processi notevoli di degenerazione, in ispecie degli elementi elastici. In corrispondenza del centro della intumescenza extraarte¬ riale acciarata, si ha neH’interno del vaso una proliferazione del- l’intìma ed una iperproduzione di tessuto connettivo, di fibre e- lastiche, in dipendenza del sistema connettivale ed elastico della limitante interna (figg. 4 e 5). Questo sistema connettivo elastico va incontro a processi degenerativi, che si appalesano con alte¬ razione e degenerazione dell'endotelio intimale e con alterazioni morfologiche e microchimiche degli elementi costituenti lo strato in parola: con la colorazione al carminio boracico alcoolico-fuxina di Weigert infatti appaiono come colorati uniformemente in una tinta lilla, senza che possano distinguersi ed individualizzarsi. La tunica media in detta sede appare come una zona quasi amor¬ fa, di connettivo in degenerazione, con poche e spesse isole di frammenti di fibre elastiche, che evidentemente sono il reli— quato di ciò, che doveva essere il sistema elastico di detta tu¬ nica media. Ma le maggiori alterazioni sono invero nella tunica av¬ ventizia. Gli elementi elastici sono completamente scomparsi, gli elementi connettivi molto degradati e fra i fasci connettivali si trovano numerosi infarti emorragici, molti dei quali in vicinanza di alcuni vasa vaso rum. Man mano che dalle zone più sporgenti della intumescenza si va verso la parete del vaso, che macroscopicamente sembra nor¬ male (fig. 6), si hanno solo alterazioni avventiziali con scomparsa delle fibre elastiche e con degenerazione ialina del connettivo. Nella media si verificano lesioni meno notevoli, ma pur da te¬ nersi in calcolo: ciò che importa però di osservare si è che le — 243 — Fig. 4. — Aorta. Produzione infiammatoria dell’intima in corrispondenza della tume¬ fazione (stadio iniziale). Graduale degenerazione della tunica media e dell’avventizia. Mi¬ crofotografia di un preparato colorato con carminio boracico alcoolico-fuxina Weigert. Diametri 90. Fig. 5. - Aorta. Tumefazione arteriale, porzione limitante la periferia del vaso. Tes¬ suto connettivo di nuova formazione con zone di degenerazione jalina e numerosi infarti emorragici. Microfotografia di un preparato colorato con carminio boracico alcoolico-fuxi¬ na Weigert. Diametri 90. — 244 — fibre elastiche della media si arrestano bruscamente in corri¬ spondenza della zona della intumescenza. Nei tratti arteriosi prossimiori si hanno pur sempre altera¬ zioni avventiziali caratterizzate da distruzione delle fibre elasti- Fig. 6. — Aorta. Sezione trasversa eseguita in corrispondenza del limite fra tumefa¬ zione ed arteria apparentemente sana. Arresto brusco degli elementi elastici della media e della avventizia. Neoproduzione connettivale periavventiziale in incipiente degenerazione jalina. Microfotografia di un preparato colorato con carminio boracico-alcoolico fuxina Weigert. Diametri 70. che e da degenerazione ialina del connettivo. L’ intima in ge¬ nere non presenta lesioni apprezzabili ed è sostenuta dalla limi¬ tante interna integra, ovvero, in alcuni tratti, subisce una iperpro* duzione nel suo straterello connettivale sottostante. Le maggiori lesioni sono pertanto in questi tratti quelle della media, nella quale si constatano punti di distruzione delle pareti ed alcuni infarti emorragici. Le distruzioni talvolta interessano V intero spessore della tunica media, in guisa che solo lo strato endote- liale, la limitante interna (fig. 7), e lo strato avventiziale dege¬ nerato, fanno da barriera al sangue circolante. Ritengo che sieno proprio questi tratti arteriosi i più com¬ promessi, e che potrebbero per una causa, anche poco apprez¬ zabile, rompersi, producendo una emorragia mortale, non do- . vy__ minabile, perchè non si conosce quale possa essere la causa di essa. Credo invece che i tratti di arteria, dove si hanno le in¬ tumescenze testé descritte, più che andare incontro ad ectasie Fig. 7. — Aorta, Sezione trasversale di un tratto, macroscopicamente sano, in vici¬ nanza della tumefazione. Zone di degenerazione crescente della media e dell’avventizia con produzione di punti, nei quali il vaso può andare facilmente incontro a rotture sponta¬ nee. Microfotografia di un preparato colorato con carminio boracico alcoolico-fuxina Weigert. Diametri 90. aneurismatiche, vadano evolvendosi verso un processo di calci¬ ficazione, creando delle chiazze, che, per molti caratteri grossolani, potrebbero paragonarsi alle chiazze di arterio¬ sclerosi umana, sebbene il meccanismo della loro formazione sia abbastanza dissimile. Clinica Chirurgica della R. Università di Napoli. Finito di stampare il 28 dicembre 1926. La membrana limitante esterna e la guaina degli elementi visivi nella retina del- PAxolotl di Ambly stoma mexicanus. Nota preliminare del socio Gesualdo Police (Tornata del 28 luglio 1926) Fra gli svariati strati che gl'istologi hanno voluto vedere nella retina dei Vertebrati, vanno ancora annoverate le due mem¬ brane limitanti : la limitante interna e la limitante esterna. Nel corso di questa nota mi capiterà di accennare anche alla prima di queste due formazioni , ma è principalmente la seconda che in modo particolare ha richiamata la mia atten¬ zione. La limitante esterna in generale viene ritenuta come una membrana la quale si lasci attraversare dai coni e dai baston¬ celli, in modo che appare tutta forata, come uno staccio. Que¬ sta membrana collegherebbe gli elementi visivi tra loro, e, in rapporto con questa funzione, essa si originerebbe dalle fibre radiali (con le quali avrebbe in comune la funzione di sostegno), i cui piedi esterni slargandosi andrebbero a costituirla. Questo è il concetto diffuso in tutti i trattati e sostenuto dalla maggior parte degli osservatori ; vi è, però, un gruppo di questi, il quale non vide questi rapporti genetici fra fibre ra¬ diali e membrane limitanti (poiché anche la limitante interna si originerebbe dal piede interno delle fibre radiali). Questo gruppo è rappresentato principalmente da coloro 'che hanno studiata — 247 — T istogenesi della retina. Per alcuni di questi le membrane li¬ mitanti sarebbero formazioni cuticulari originatesi fin dai primi stadii dello sviluppo della retina (Kupfer, Chievitz, Ebner) per altri la membrana limitante è prodotta dalle cellule epiteliali co¬ me una membrana finestrata somigliante a quella riscontrata nell' epitelio pigmentato (Verhoeff), oppure è rappresentata dalle cornici cellulari o listerelle otturanti (Leboucq), o anche è costi¬ tuita dalla stessa sostanza interstiziale senza struttura, che for¬ merebbe un' impalcatura in tutta la retina (Ogneff). I dati dell'istogenesi sono importanti, ma anche quelli del¬ l'anatomia della retina in pieno sviluppo presentano nell’Axolotl (date le grosse dimensioni degli elementi costituenti quest'orga¬ no in questo animale) dei caratteri che fanno credere che noi forse finora ci siamo trovati dinanzi ad un equivoco nella in¬ terpretazione della limitante esterna. Comincerò quindi con l'accennare a queste nozioni anato¬ miche. In una sezione longitudinale della retina, questa limitante esterna compare come una linea netta che taglia allo stesso li¬ vello tutti gli elementi visivi, in modo che una porzione di essi resta al di fuori di essa. Da ciò l' interpretazione che essa venga forata dagli elementi visivi. Nella retina dell' Axolotl in sezioni spesse si osserva netta¬ mente questa linea limitante che taglia tutti gli elementi visivi; ma in sezioni sottili che attraversino longitudinalmente, lungo 1' asse centrale, gli elementi visivi, si scorge che in molti punti la membrana si interrompe, come per dar passaggio ad essi ; ma una più attenta osservazione mostra che l'interruzione della membrana limitante esterna è solo apparente , perchè si vede che la linea che la rappresenta si continua direttamente con la guaina del bastoncello o del cono. Sorge da ciò una nuova interpretazione, cioè a dire che la membrana limitante esterna non è una membrana forata per il passaggio dei coni o dei bastoncelli ma si continua con la guaina di questi elementi, la quale riveste non soltanto l'articolo in¬ terno (o parte di esso) ma anche l’articolo esterno; onde essa è come un vasto guanto, le cui numerose dita sono rappresen¬ tate dalle guaine dei singoli elementi visivi. — 248 — Sia le cellule visive che le rispettive guaine sono stretta- mente accollate le une alle altre, per modo che in una sezione tangenziale della retina dell adulto la limitante esterna si presenta come un reticolo a maglie poligonali, senza che fra una ma¬ glia e l'altra vi sia alcuno spazio riservato all'inserzione delle fibre di Muller. Vediamo ora che cosa ci dicono i fatti dell' istogenesi. In embrioni della lunghezza di mm. 5 -la cui vescicola ot¬ tica è costituita di 4 o 5 strati di cellule cilindriche a nucleo allungato, tutte simili tra loro, senza alcun indizio di differen¬ ziazione degli elementi visivi - le superficie cellulari terminali dello strato di cellule che guarda il lato interno della vescicola ot¬ tica, sia di quello che guarda il lato esterno , sono nettamente segnate da un ispessimento lineare che si tinge più intensamente e che dal lato interno rappresenta la limitante interna e dal lato esterno la limitante esterna. Debbo aggiungere che in questo stadio non mi è riuscito di notare traccia delia sostanza inter¬ stiziale dalla quale farebbero originare le limitanti, il Leboucq e 1' Ogneff. Questa sostanza interstiziale compare in stadii em¬ brionali più avanzati. In stadii posteriori (embrioni di mm. 6) comincia a com¬ parire per ognuna delle cellule cilindriche dello strato esterno una bozza, la quale è preceduta dalla formazione nell' interno della cellula di un granulo acromatico. Come ho detto più innanzi, la membrana limitante si tinge più intensamente, quindi una rottura di essa per dar passaggio alla bozza dovrebbe distinguersi con faciltà ; ciò non avviene; in¬ vece si vede come questo straterello più intensamente colorato ac¬ compagni sempre la bozza che darà origine alla parte appendi¬ colare dell'elemento visivo. In stadii più avanzati nei quali le bozze sono più sviluppate e in sezione longitudinale con faciltà vengono sezionate in punti differenti si vede con evidenza come esse siano circondate alla periferia da un rivestimento più inten¬ samente tingibile in continuazione con quello che era la limi¬ tante esterna, mentre la sostanza interna della bozza è assai pal¬ lidamente colorabile. In tal modo quello che in origine era la limitante esterna coinvolge queste bozze e negli stadii successivi si scorge come — 249 — essa riveste tutta la parte appendicolare delle cellule visive, cir¬ condando e proteggendo gli articoli a misura che si formano (anche 1' articolo esterno) e diventando la guaina degli articoli medesimi. Lo studio istogenetico, quindi, conferma le osservazioni ana¬ tomiche: l’articolo esterno e l'articolo interno nella retina dell’Axo- lotl sono circondati da una guaina che si origina per estroflessio- ne della membrana limitante esterna dei primi stadii di sviluppo embrionale, per modo che tutte queste guaine restano compieta- mente collegate fra di loro e il loro margine superiore in tutte si arresta allo stesso livello, dando l’impressione, in tagli spessi, di una linea limitante continua. Siccome gli elementi visivi sono tutti strettamente accollati gli uni agli altri come le dita di una mano, così fra il margine interno di una guaina e l’altro non vi è alcuno spazio per l'inserzione delle fibre radiali, onde in se¬ zione tangenziale la voluta membrana limitante esterna appare come un reticolo a maglie poligonali. Pertanto una limitante e- sterna nel vero senso della parola non esiste che nei primissimi stadii di sviluppo; negli stadii successivi e nell’adulto essa si tra¬ sforma completamente nelle guaine degli elementi visivi; i cui margini liberi restando fusi fra loro e terminandosi allo stesso ivello danno l’impressione nell’ insieme della esistenza di una membrana limitante. Prossimamente, in un lavoro più ampio ed illustrato, sulla retina dell'Axolotl, darò più dettagliate notizie su questo argo¬ mento. Napoli, Luglio 1926. Dall'Istituto di istologia e fisiologia generale della R. Università. (Finito di stampare il 28 dicembre 1926) Il pozzo artesiano della Centrale elettrica del Volturno. 4° Contributo alla conoscenza del sottosuolo cittadino , e delle acque sotterranee del socio Michele Guadagno (Tornata del 17 agosto 1926) Nella Centrale elettrica del Volturno, tra Napoli e S. Gio¬ vanni a Teduccio, nei primi dello scorso anno, fu intrapresa la trivellazione di un pozzo artesiano per ricerca di acqua. La località resta a nord della Via Regia di Portici, a m. 1400 circa ad est della foce del Sebeto ed alla quota di m. 4 sul mare. La trivellazione, eseguita dal T Impresa Ing. G. Balsamo di Napoli, procedette senza inconvenienti e si raggiunse col fondo del perforo la profondità di m. 133,80 dal piano di campagna, ossia la quota - 120,80 al disotto del livello del mare. L’Ing. Petrucci dell'Ente Volturno raccolse con scrupolosa cura i varii terreni, ed una serie di essi mi fu gentilmente do¬ nata dall'Ing. Comm. Domenico Gangia, direttore dell’Ente. Le conchiglie trovate nei varii strati furono studiate dal Prof. Raffaele Bellini e le diatomee dal Prof. A. Forti. Agli Ing. Gangia e Petrucci, e ai prof. Bellini, e Forti vadano i miei più sentiti ringraziamenti. I. — I Terreni attraversati1) Dalla quota m. 4,00 sul mare alla quota m. 0,75. Terreno di riporto o di colmata. J) Abbreviazioni: — E. L. - Elementi lapidei ; E. M. - Elementi minerali; O. M. - Organismi marini; r. r. rarissimo; r. raro; ab. abbondante. — 251 — Da m. 0,75, a -6,75. — Sabbia mista grossa e media, ma¬ rina, molto magnetica, grigio oscura 1). E. L. — Ciottolini arrotondati od a piastrella di tefrite leu- citica, di trachiti, di calcare; ossidiane, granuli di vetro verde od jalino. E. M. — Sanidino, augite, olivina, leucite; plagioclasii scarsi; magnetite, ab. ed in cristalli o granuli. O. M. — Frammenti indeterminabili di bivalvi, opercoli di Mure x. Provenienza vesuviana con qualche apporto proveniente da terreni trachitici, forse da quelli delle colline del Pianto. Da m. -6,75 a -10,75. — Sabbia mista finissima e fina ma¬ rina, magnetica grigio oscura. E. L. — Ciottolini arrotondati di tefriti leucitiche e basani- ti; granuli di vetri verdi od ialini. E. M. — Sanidino, augite, plagioclasi, appartenenti alla by- townite-anortite. Provenienza vesuviana. Da -m. 10,75 a -13,75. — Sabbia alluvionale grossa, mista a sabbia marina, e fango di color grigio cenere. E. L. — Ciottolini arrotondati di jalotrachiti, trachiti , tra- chiandesiti. Le rocce si presentano tutte più o meno alterate. E. M. — Sanidino, ab.; augite, olivina. O. M. — Numerosi frammenti di conchiglie bivalvi (Arca Noe L.) e Ceritium, ricoverti da Serpule o da Alghe incrostanti; aculei di echini. Provenienza flegrea, di antica alluvione che ha raggiunto il mare. l) Le sabbie (Cfr. J. Thoulet, Précis d'Analyse des fonds sous-marins, Paris 1907, pg. 56 e 58) sono distinte in grosse, medie, fini, finissime, secondo che vengogo arrestate dallo staccio di 30, 60, 100 e 200 maglie per pollice li¬ neare. I fanghi passano lo staccio di 200 maglie. Sono omogenee le sabbie nelle quali 1’ 80 % al meno di peso appartiene alla stessa categoria. Sono miste nel caso contrario. In questo ultimo caso esse sono designate col nome della due categorie di grani che, nelle pesate delle singole stacciature, vennero riscon¬ trati in maggioranza. Precede il nome della categoria più abbondante. — 252 — Da m. -13,75 a -19,25. — labbia finissima fangosa, grigia, chiara, poco magnetica, argillosa, contenente limi calcarei. E. L. — Granuli di vetro verde, jalino, di calcare cristallino. E. M. — Sanidino, ab.; augite, qualche plagioclasio. Da m. -19,25 a -22.85. — Cinerite argilloso-calcarea grigio chiara, compatta, impermeabile come un argilla e come quella indurentesi in masse, disseccandosi. E. L. — Vetri vulcanici jalini, sostanza argillosa, masserelle di calcite a grumi botrioidali. E. M. — Sanidino in grossi cristalli, apatite r., numerosi pic¬ coli frammenti di calcite, simili a quella delle masserelle botrioi¬ dali; leucite r. r., qualche granato (grossularia); ornblenda ; bio- tite, augiti r* r.; mancano i plagioclasii. O. M. — Assenti. Derivata dal disfacimento di una cenere vulcanica; la cal¬ cite in parte sembra di nuova formazione, venuta a spesa dei plagioclasii ed in parte forse apportata dalle acque. Cenere di eruzione esplosiva stromboliana (vetro con cri¬ stalli o cristallai), e assenza di materiale litoideo lavico. La costituzione di queste ceneriti ricorda quelle delle po¬ mici bianche di Pompei; (Cfr. A. Lacroix. L'éruption du Vesuve (avril 1906 ) Nouv. Arch. du Museum IV0 Tom. IX. Paris 1907; p. 128). Anche in quelle si trova leucite, augite, ornblenda, sa¬ nidino, biotite; anche la roccia di Pompei è punteggiata di calcite secondaria. Parrebbe quindi una cinerite fonolitica leucitica. Da m. -22.85 e -24.35. Ghiaia fine marina, mista a sabbia grossa e finissima fangosa, molto magnetica, grigio chiara. E. L. — Ciottolini a piastrella di tefrite leucitica, di calcari provenienti dal logorio di proietti del Somma o di frammenti inclusi nella lava a breccia, (trachite micacea). Calcare nero bi¬ tuminoso; calcare cristallino; calcare stratificato, tutti derivati da inclusi logorati del Somma. Tefriti leucitiche a grosse leuciti (1° tipo, Lacroix 1. c.). Trachite con calcite secondaria nelle an- frattuosità. Vetri verdi. E. M. — Magnetite, sanidino, augiti in XX. ; granuli di oli¬ vina; anortite. Masserelle di calcite secondaria. » — 253 — O. M. — Circe minima (Montagu); Iujubinus striatus (L.); Arca pulchella Risso; Arca lactea L. Antale vulgare (da Costa); Anonia ; articoli di Echini, gusci di crostacei, Balanus. Alghe calcaree incrostanti su ciottoli. E' questo un vero fondo litorale vesuviano col suo detrito di conchiglie consumato dal mare. Da m. -24.35 a -27.35. — Ghiaia fine con sabbia mista, grossa e media, marina, simile alla precedente. E. L. — Ciottolini di tefrite leucitica, di calcare proveniente da inclusi , di lava a breccia (trachite micacea); però la roccia contiene anche microliti di plagioclasio. E. M. — Sanidino, biotite, olivina, labrador, anortite, augite, diopside. O. M. — tmarginula depressa Risso; Tubo di Serpula; Al¬ bania cancellata (Risso); Alvania reticulata (Montagu); Arca Noe L.; Arca (Acar) lactea L.; Rissoina Brugnerei (Payr); Fibularia (Echinoderma); Opercoli di Astralium rugosum (L.); Cardium oblongum Chemn.; Fusus sp.; Cerithiopsis minima Brusina; Bit- tiurn scabrum (Olivi); Aculei di Echini; Retepora (Briozoo); Ve- nus verrucosa L.; Phasianella pullus (L.); Jujubinus striatus (L.). E' la continuazione del fondo precedente , di un tipico li¬ torale vesuviano, pieno dei residui della fauna marina che vi visse esuberante negli erbai. Da m. -27.35 a -28.05. — Tufo leucotefritico de^ Somma co¬ stituito di ceneri vulcaniche indurite. E. L. — Frammenti di tefriti, angolosi, a spigoli arrotondati; Vetro bruno, grigio verde ed ialino formante la massa della roccia; Piccoli rari grumi di calcite ; tefriti leucitiche miaroli- tiche con fenocristalli di anortite e microliti di bytownite , ra¬ rissime le leuciti isolate, mai in grossi cristalli ; magnetite ; lava vicina al tipo III, (Lacroix 1. c. p. 35). Arenaria calcarea prove¬ niente da incluso nel tufo. E. M. — Sanidino (ab.); augite, ornblenda, diopside. O. M. — Nessuno. Questo tufo è del tutto simile a quello che attualmente si trova verso la spiaggia tra Torre del Greco e Torre di Bassano. — 254 — Da m. -28.05 a -36.25. — Sabbia mista media e fina marina, molto magnetica. E. L. — Ciottolini di tefrite leucitica abbondanti. E. M. — Magnetite, augite, olivina, biotite, bytownite (Ab.); sanidino (r.). Da m. -36.25 a m. 38.25. — Sabbia alluvionale mista a sab¬ bia marina con poche conchiglie. Mi pare chiaro che la trivella ha perforati strati sovrapposti, mischiandone il materiale. Uno degli strati doveva essere di sabbia marina vesuviana simile alla precedente; l'altro di sabbia alluvionale con elementi angolosi e contenente pomici. E. L. Tefriti leucitiche; pomici trachitiche. E. M. Bytownite, (ab.) biotite, diopside, augite, sanidino (ab.); ornblenda. O. M. Bittium sp. Da m. -38.25 a -40.85. — Sabbia marina e pomici con ma¬ teriale alluvionato, simile al precedente, con poche conchiglie. Da m. -40.85 a -4E65. — Sedimento torboso di color bruno oscuro con pomici trachitiche. E. L. Pomici trachitiche di vetro jalino con sanidino nella massa. E. M. Sanidino, augite, ornblenda. O. Diatomee scarse: Nitzschia ( Hantzschia ) amphioxys (Eh- renb.) W. Sm.; Tryblionella (frammento indeterminabile); Fin - nularia sp. Il sedimento è assai ricco di materiali di alterazione di spongiarii di acqua dolce o leggermente salmastra; frequen¬ tissime perciò le spicole silicee. E' identico al campione che nel pozzo di S. Maria la Fede comparve tra m. -62.60 e -7E60 ed è identico a quello di Pa¬ lazzo Reale J). Tale materiale ha dovuto sedimentarsi in un ba¬ cino lagunare od estuarale. l) Guadagno M. — Notizie sul pozzo artesiano recentemente trivellato nella Piazza di Santa Maria la Fede in Napoli. Bollett. Soc. Natur. Napoli, Voi. 36, pag. 120, 1924. — 255 — Da m. -41.65 a -45.65. — Sabbia alluvionale mista a poca sabbia marina. E. L. Frammenti di trachiti , di tefriti leucitiche, di tufo vulcanico, di pomici trachitiche. E. M. Sanidino, augite, olivina, ornblenda, bytownite, anor- tite, ab. O. M. Scarsissimi - Bittium Latreillei (Payr). E’ un apporto di materiale trachitico alluvionale con ma¬ teriale alluvionale vesuviano. Da m. -45.65 a -49.65. — Sabbia mista media e grossa, ma¬ rina, fangosa, ricca di conchiglie. E. L. Ciottolini di tefrite leucitica; frammenti di sieniti ad ornblenda provenienti da inclusi dei tufi del Somma; tufi vul¬ canici con inclusi di tefriti leucitiche con cristalli di augite. E. M. Anortite - bytownite - labrador ; olivina. O. M. Cerithiopsis minima Brusina ; Bittium Latreillei (Payr); Triforis perversus (L.); Rissoa pusilla Phill. Alvania Montagui (Payr); Alvania cancellata (da Costa); Acinus cancellatus (Mon¬ tagli); Rissoina Brugnierei (Payr) ; Ottavia corallina (Gmelin) ; Jujubinus striatus (L.) ; Pectunculus sp.; Natica sp.; Phasianella pullus (L.); Nassa pygmaea (L.) ; Arca (Acar) lactea (L.); Fibu¬ laria (Echino); Aculei di Echini. Fondo marino vesuviano. Da m. -49.65 a -51.25. — Pomici miste a sabbia. M. L. Pomici del Somma, senza leucite, ma con biotite, con augite, (struttura a clessidra) e fenocristatli di anortite e micro¬ liti anche di plagioclasio. Sono pomici simili a quelle di Pollena, angolose ed a spigoli acuti. E. M. Anortite, bitownite, augite, olivina, sanidino. O. M. Nessuno. — Vi è mista qualche conchiglia capitatavi dallo strato superiore durante la trivellazione. Da m. -51.25 a m. -55.25. — Sabbia mista media e grossa, fangosa, marina, senza conchiglie. E. L. Ciottolini di tefrite leucitica. Limi calcarei e però la sabbia fa viva effervescenza con HCI. E. M. Bytownite, augite, olivina. — 256 — Da m. -55.25 a -61.25. — Sabbia mista media e finissima fangosa. Cenere vulcanica grigio-giallastra. E. L. Cenere. — Minute schegge angolose di vetro ialino o verde. Piccoli frammenti di calcare cristallino. Granuli di sabbia. Pomici arrotondate. E. M. Anortite, bytownite, augite, magnetite, qualche cri¬ stallo di labrador, (conosciuto delle tefriti leucitiche presso Poi- Iena); sanidino, diopside ornblenda, olivina. O. M. Donax polita (L.). Sabbia marina dovuta allo sfacelo di preesistenti tufi o al¬ luvioni tufacee del Somma e degli inclusi di essi, mista a pro¬ dotto abbondante vitreo di una eruzione esplosiva di cenere e che la trivella ha portato su mescolato alla sabbia preesistente. Da m. -61.25 a -69.25. — Cenere vulcanica simile a quella precedente, con più numerosi frammenti cristallini. E. L. Numerose schegge di vetro ialino angolose; poche scheggie di vetro verde, molti di questi frammenti provengono da vetro tirato, con fori a gas allungati, o scanellati. Frammenti di tefrite (senza leucite); scorie nere tefritiche (lapilli). Pomici si¬ mili alle precedenti. E. M. Bytownite, anortite. augite in microliti; sanidino in microliti, anortite e sanidino in fenocristalli ; ornblenda, augite aegirinica (r.r.). La roccia tefritica conteneva fenocristalli di anortite, micro¬ liti di un plagioclasio bytownite - anortite; vetro verde; niente leucite; i lapilli neri scoriacei parimenti contenevano anortite, bytownite, augite. Da m. -69.25 a -69.55. — Cenere vulcanica grigio-bluastra, simile pel resto alla precedente, con minor numero di inclusi lapidei, pomici o lapilli. Provenienze dalle eruzioni del Somma. Da m. -69.55 a -72.55. — Cenere vulcanica simile alla pre¬ cedente, mista a sabbia marina ed alluvionale. E. L. Granuli di tefriti leucitiche, numerosi. Piccole pomici, frammenti di tufi vulcanici con inclusi di augite, lapilli scoriacei — 257 — neri, frammenti di sanidiniti provenienti da inclusi dei tufi del M. Somma, con cristalli di ornblenda. Ossidiane e vetri. E. M. Anortite, augite. O. M. Pochi e rari - Bittium Latrellei (Payr). Da m. -72.55 a -74.05. — Cenere vulcanica mista a sabbia alluvionale, con granuli piuttosto angolosi. E. L. Numerosi frammenti di vetro verde con lunghi pori a gas provenienti dalla distruzione di pomici ; pomici verdi, numerose, con fenocristalli di Sanidino, (geminati Carlsbad.); ossidiane con XX di sanidino; rari granuli arrotondati di cal¬ care cristallino. E. M. Sanidino, (fenocristalli e microliti); ab. Augite ab.; in microliti molto rara; ornblenda (r.); qualche plagioclasio. Pare questa la prima netta manifestazione di una eruzione esplosiva trachitica che si incontra nella serie, scendendo dal li¬ vello del terreno attuale. Da m. -74.05 a -75.75. — Sabbia mista grossa e media con pomici. E. L. Pomici di due specie, chiare verdastre ed oscure (gri¬ gio nere). Pomici chiare, formate di vetro jalino con cristalli di bytownite. Pomici scure formate da vetro verde in sezione sot¬ tile, con cristalli di bytownite ed augite. Granuli di sabbia e cristallini sciolti. E. M. Sanidino, augite. Provenienze del Somma- Vesuvio. Da m. -75.75 a -77.25. — Sabbia mista grossa e media, ma¬ rina, ricca di elementi cristallini chiari, di color grigio. E. L. Ciottolini a piastrella di roccia trachitica nera o grigia. Ossidiana con cristalli di sanidino; pomici trachitiche arrotondate dalle acque, grigie. Granuli di tefrite leucitica a leuciti minutis¬ sime; lapilli scoriacei composti di vetro bolloso con pori tondi e cristalli di anortite sparsi nella massa; di bytownite, di olivina; Pomici di vetro jalino a pori bislunghi, verde in massa con anor¬ tite, biotite, apatite, senza leucite. Palline di pozzolana con elementi vitrei, biotite ed anortile - 17 - in frammenti; pomici bollose di vetro verde ad alveoli, come nidi di ape. Ricordano bene le pomici di Pollena. E. M. Sanidino, anortite (anche zonata) ; augite, ornblenda (r.); biotite, olivina, grossi gruppi di cristalli di augite. Materiale in gran parte trachitico misto con materiale tefri— tico-leucitico. Da m. -77.25 a m. -78.25. Pozzolana trachitica. Cenere vul¬ canica di color grigio oscuro, con frammenti cristallini numerosi E. L. Pomici, vetro jalino, verde; filamenti di vetro, cilin¬ dretti e schegge con pori a gas fusiformi. E. M. Sanidino (ab.). Da m. -78.25 a -80.25. — Sabbia mista media e fina ma¬ rina con materie alluvionali. E. L. Ciottoli di tefrite leucitica del tipo della lava di Ci¬ sterna, a grossi fenocristalli di augite e minute leuciti. E. M. Anortite (ab.); augite; btyownite (r.) ; augite aegiri- nica; magnetite. O. M. Mancano tracce di organismi marini. Da m. -80,25 a m. 80-55. Pozzolana. Non posseggo campioni. Da m. -80.55 a -83.75. — Sabbia grossa alluvionale con la¬ pilli neri (circa metà peso); granuli per lo più a spigoli ango¬ losi con pochi elementi arrotondati. E. L. Granuli di tufo arrotondati, pomici alveolari. Pisoliti di cenere, sferici, alcuni contenenti frammenti di scorie nere, al¬ tri no, grossi da 1 a 4 mm. I lapilli appartengono ad una lava nera scoriacea con anortite, con microliti di bytownite , di au¬ gite e cristalli di apatite; niente leucite. E. M. Numerosi cristalli di augite, lunghi fino ad 1 cm. iso¬ lati, sciolti, semplici o geminati a croce, alcuni con facce nitide ed intatte, altri con la superficie alveolata, vetrificata, come se avessero subito un inizio di fusione. Ricordano alcuni simili, eruttati isolati nella eruzione del 1822. A) Cristalli di augite, isolati !) Monticelli, T. — Prodromo della mineralogia vesuviana. Napoli. 1825, pag. 208. — 259 — per erosione della roccia, dalle esalazioni acide delle fumarole, si trovano tuttora nelle sabbie 4); anortite, sanidino. O. M. Nessuno. Da m. -83.75 a -85.25. — Sabbia mista grossa e media ma¬ rina con lapilli simili ai precedenti ma meno abbondanti. E. L. Lapilli scoriacei neri di tefrite leucitica; pomici gri¬ gio-argentine, di vetro jalino in sezione, con pori a gas fusi¬ formi; contengono lamelle esagonali di mica biotite, cristalli di anortite, bytownite, sanidino. Queste pomici con sanidino sono da avvicinarsi a quelle di Pollena citate da Lacroix (1. c. pag. 137) ed alle trachiti micacee del Somma (Lava a breccia) Lacroix 1. c. p. 136, le quali furono trovate nello strato sottoposto. E. M. Anortite, bytownite, sanidino, augite rara in cristalli netti. O. M. Nessuno. Trattasi di una sabbia alluvionale depositata a mare e mista con sabbia marina. Anche le pomici appaiono alluvionate. Da m. -85.25 a -88,75. — Sabbia marina mista, di grana me¬ dia e grossa, ricca in elementi cristallini, vetri e pomici. E. L. Frammenti di un tufo grigio con cristalli di augite; ra¬ rissimi granuli di lava leucotefritica con grandi lamelle esagonali di biotite; lapilli neri bollosi. Pomici verdastre, grigie, a splen¬ dore sericeo. Vetri abbondanti. E. M. Magnetite (3), augite (6), plagioclasi (6), sanidino (9) calcite (1), vetri (66), pomici (123) (I numeri indicano la frequenza media in una serie di 10 campi di diversi preparati microscopici, della sabbia non arricchita. Da m. -88.75 a -90.75. — Sabbia sottile; non ho il campione. Da m. -90.75 a m. -93.95. — Sabbia marina, mista finissima e fine, fangosa chiara. E. L. — Pomici grigio chiare a piastrella; granuli di tefrite leucitica. E. M. Sanidino; augite; ornblenda; magnetite; plagioclasio. T) Zambonini, F. — Mineralogia vesuviana, Atti R. Acc. Se. Fis. e Mat. Napoli voi. 14, (2), n.° 5, pag. 148. — 2ó0 — Da m. -93,95 a m. -103,25. — Sabbia mista grossa e media, scura, marina, molto magnetica. E. L. Granuli di tefrite leucitica, pomici. E. M. Sanidino, magnetite, plagioclasii, augite. Da m. -103,25 a m. -115,25. — Sabbia mista finissima e fine e cenere piuttosto chiara, abbastanza magnetica. Importante per la potenza del banco. E. L. Ciottolini arrotondati di tefriti leucitiche. Pomici gri¬ gio chiare arotondate ed a forma di cilindretti. Ossidiane. Gra¬ nuli di magma vitreo verde, con microliti di augite; con plagio- clasi (Labrador-Bytownite). E. M. Sanidino 17, (10 Campi); Plagioclasii (anortite, bytow- nite) (14). augite (7). calcite (Calcari cristallini) (1). Con la stessa scala. Pomici in frammenti (25). Ossidiana in fram. (14). Granuli di rocce laviche arrotondati (30). Da m. -115.25 a -119,25. — Sabbia mista finissima e fine, cenere grigio chiara, vulcaniche, miste a sabbia marina, con mi¬ nuti detriti di conchiglie; poca magnetite. E. L. Oltre ai granuli di sabbia, vi sono frantumi di pomici grigio chiare o quasi bianche. E. M. Sanidino, augite, rr.; biotite, ornblenda. Da m. -119,25 a -125,25. — Sabbia finissima vulcanica fan¬ gosa, e cenere grigio chiara, come la precedente, mista a sabbia marina contenente minuti detriti di conchiglie, e sostanza argillo¬ sa, poco magnetica. E. L. Grande quantità di vetro verde ed jalino. Calcare. Qualche trovante di tefrite leucitica. E. M. Anortite-Bytownite (3), sanidino (1), calcite (3), ma¬ gnetite (1), augite (1), vetro con leuciti, ornblenda (2), vetri ossi- dianici (68). pomici (5). O. M. Gran numero di frammenti piccoli, arrotondati, di conchiglie indeterminabili. La parte restata in sospensione nell'acqua di lavaggio, dopo sedimentazione, levigata, ha dato un limo composto da minu¬ tissime schegge di vetro jalino, pochi frammenti di vetro verde ed i soliti frammenti di sanidino, augite e calcare. - 261 — Da m. -125,25 a -130,15. — Sabbia finissima fangosa. Ce¬ nere vulcanica grigio chiara con sabbia marina. E. L. Granuli di lava di tefrite leucitica (24), (in 10 campi); Pomici verdi (15); magma vitreo con cristalli di bytownite, au- giti ed anortite (Jalotefrite) (6). E. M. Anortite (4); sanidino (3); augite (2); bytownite (1). O. M. Frammenti di conchiglie. Trattasi di una cenere vulcanica con sabbia marina e sabbia vulcanica e materiale pomiceo. Non vi sono globuletti di vetro, i granuli di sabbia sono angolosi o pochissimo arrotondati. Il ma¬ teriale ha l'apparenza di essere nella giacitura originaria. Da m. -130,15 a 133.35. — Pomici con fenocristalli di plagio- clasii. Sabbia marina ed alluvionale finissima e media. * E. L. Frammenti angolari e solo a spigoli arrotondati delle seguenti rocce: Tefriti ieucitiche a grosse e piccole leuciti. Tefriti leucitiche scoriacee. Trachiti micacee, (lava a breccia). Ciottolo a piastrella che in sezione sottile si è manifestato per una sienite, proveniente da inclusi dei tufi del Somma. La trachite micacea contiene feno¬ cristalli di sanidino, lamelle di biotite, pirosseno incolore ai bordi e verde al centro; aegirina, frammenti calcarei. Vi sono ancora: tefriti leucitiche con leuciti alterate ; frammenti arrotondati di tufi; pomici più o meno angolose con fenocristalli di plagiocla- sio, frammenti di tufo grigio verdastro, di pomici ridotte a ba¬ stoncini e di vetro verde. E. M. Sanidino (ab.) anortite (ab.); augite, ornblenda, dio- pside, calcite. O. M. Alvania Montagai Payr. Materiale di alluvione, depositato su di un fondo marino di litorale preesistente, proveniente in gran parte dal Somma-Vesu- vio, ed in parte forse anche dalla regione flegrea. 2. — Le acque rinvenute. L' acqua latente si presentò alla quota m. 0.97 sul mare, cioè 3 metri, sotto il livello del suolo. Alla quota. — 22,85, nella sabbia marina sottoposta alle cineriti (apporti di ceneri di eruzioni vulcaniche), fu trovata la — 262 — prima falda artesiana, molto povera e che salì nel tubo alla quota 1,50. Essa fu attraversata ed abbandonata. Alla quota. — 76.25 fu trovata la seconda falda artesiana, anche qui, in una sabbia marina ricoverta da un apporto di poz¬ zolana (ceneri vulcaniche). Essa salì nel perforo a quota 3.00 circa, un metro sotto il piano di campagna. Alla quota. — 129.70, pure in un fondo marino colmato da materiali alluvionali, ricoverto da una spesso banco di ceneri e sabbie vulcaniche, fu trovata la terza falda artesiana la quale salì a quota 3.30 (circa 70 cm. dal piano di campagna). In riassunto oltre alla falda di acqua freatica, furono trovate 3 falde artesiane delle quali la prima molto povera e le altre due invece abbastanza importanti. La terza di esse è quella ora uti¬ lizzata. Si posseggono di queste acque, e precisamente delle due più profonde, le valutazioni di durezza, eseguite dal Prof. O. Rebuffat della R. Scuola Politecnica. Le riporto: Livello a m. — 76.25. Durezza in gradi francesi Totale 53.4 Permanente 27.2 Temporanea 26.2 Livello a m. — 129.7 Durezza in gradi francesi. Totale 63 Permanente 23 Temporanea 40 3. — Alcune considerazioni su i terreni attr aversati e sul regime sotterraneo delle acque. Da quanto si è precedentemente esposto risulta che la tri¬ vella, a partire dalla spiaggia attuale (riincontrata col perforo a m. 3,25 circa dal piano di campagna), ha attraversato una serie successiva di fondi marini e di conoidi od apporti di materiale al¬ luvionale, in massima parte proveniente dal Somma-Vesuvio ed in minima quantità dalle colline trachitiche flegree (S. Maria del Pianto, Casoria, S. Pietro a Patierno, etc.). Queste alluvioni, unite a depositi di vere pioggie di ceneri re¬ state in sita e provenienti, queste ultime, in massima parte, dalle — 263 — eruzioni esplosive del Somma Vesuvio, hanno man mano attuato il colmaggio della vallata sottomarina esistente tra il grande Golfo, del mare quaternario e la bassa falda conica, sempre più allar¬ gatesi, del Somma-Vesuvio; e ciò fino a che, dopo un regime lagunare, la zona emerse completamente. Questo re¬ gime lagunare è ricordato dal materiale torboso, trovato a quo¬ ta -40.85 e da quello ricco di Planorbis, Limmee etc. che si suol trovare, alla profondità di 2 a 5 m. nella bassa zona adia¬ cente, detta ancora oggi 11 delle Paludi In tal modo l'attuale Sebeto, che convoglia le acque di al¬ tri rivi sgorganti dalle basse falde vesuviane, e meglio forse l'al¬ veo dei torrenti detto" " di Pollena,, ci indica, in superficie, l'an¬ damento, non ancora del tutto obliterato, della vallata sottoma¬ rina che nel quaternario separava il Somma Vesuvio dalle col¬ line flegree napoletane. Il tufo giallo trachitico, che nel Pozzo di S. Ma¬ ria la Fede era comparso a m. 2 sul mare per discendere alla quota -37 nel Pozzo deH'Arenaccia, (Officina Gas) ed a -38 nel Pozzo ar¬ tesiano di Piazza Duca degii Abruzzi, non si è invece presentato nel pozzo studiato. Si può ritenere quindi, come avevo già ac¬ cennato, in altro lavoro, che la valle del Sebeto separi nettamente, da questo lato, le manifestazioni vulcaniche flegree, in massima trachitiche, da quelle, in massima leuciti-tefritiche, del Somma- Vesuvio. Dalla disposizione e ubicazione delle falde di acque artesiane si può dedurre che queste seguono, nella zona profonda, e nella località studiata, l'andamento di antiche spiagge o fondi marini, seppelliti dagli apporti vulcanici (piogge di ceneri, lave di fango), seguendo così pure, in certo modo, l'andamento sottomarino dei successivi mantelli conici del vulcano. In effetti i fondi marini litorali, le spiagge e le falde basse del vulcano venivano seppelliti man mano da strati di ceneri e di materiale alluvionato. Le acque meteoriche superficiali che una volta, scorrendo in superficie, arrivavano al mare, e scivolando fra le sabbie del fondo marino raggiungevano distanze considere* voli dalla riva, sono ora diventate falde di acqua latenti, artesiane, nel senso che si trovano ad essere ingaggiate in uno — 264 — strato di sabbia marina, ricoverta da banchi di materiale cineri- tico, più o meno impermeabili. La presenza delle conchiglie nelle sabbie dei 3 strati acqui¬ feri incontrati sta a dimostrare bene l’asserto. Anche l'acqua che istantaneamente ed all'impensata sgorgò dal pozzo artesiano di Valle di Pompei, portò a giorno, dalla profondità di 96 metri, sabbia e materiale vario di spiaggia, con¬ chiglie e resti di altri organismi marini *). Il fenomeno di forti ricovrimenti di ceneri (in corrispon¬ denza certo dei straordinari periodi parrossismali esplosivi del vulcano), si è ad intervalli più o meno lunghi, ripetuto, ed in tal modo si sono avute parecchie falde artesiane sovrapposte di acqua la quale, proveniente da bacini tanto più alti, ma tanto meno estesi, nel caso del Somma-Vesuvio per quanto più pro¬ fonda è la falda, va a sgorgare a mare in punti più o meno lon¬ tani dalla costa, in siti che ad un dipresso debbono segnare il limite dei successivi apporti vulcanici (ceneri ed alluvioni) di una certa importanza, seppellitori degli antichi fondi marini. Il carico che fa muovere l'acqua della falda è naturalmente in relazione con l'altimetria della zona subaerea di raccolta, del- l'entro-terra ed in taluni casi, quando 1' acqua della falda arte¬ siana ha potuto traversare gli strati superiori, e venire fuori, si possono avere delle vere sorgenti sottomarine, riconoscibili nei bassi fondali, pel sobbollimento della sabbia o per raddolcimento dell’acqua nell'appiombo del sito. L' intreccio poi delle stratificazioni , frequente nei terreni vulcanici di deposito subaereo ed anche submarino , con epi¬ sodi alluvionali o di abrasioni; la possibilità di depositi solo parziali o di piccola estensione o potenza, insieme alla presenza di valli di erosione preesistenti, (barrancos), che alle volte si pro¬ traggono abbastanza sotto il livello del mare, formano un com¬ plesso di cose per cui 1' acqua di una falda può preferire una parte ad un'altra della totalità di una zona. Si spiega in tal modo, in questi nostri terreni vulcanici, il fatto della diversità di por¬ tata di due pozzi vicini, delle variazioni del livello di fondo a 9 Bakunin M. — La sorgente di Valle di Pompei. Atti Acc. Pontaniana a, 27, N. 12. — 265' — cui vien trovata l'acqua e degli insuccessi che alle volte si hanno nella perforazione di pozzi in zone il cui sistema idrico artesiano apparirebbe abbastanza conosciuto e regolare. In generale il materiale che costituisce i mantelli impermea¬ bili di un tale sistema idrico-artesiano è formato, nella nostra regione vesuviana, da ceneri vulcaniche, le quali riescono com¬ patte e poco permeabili, se formate di elementi di piccolissime dimensioni. In esse gli esigui meati fra i granuli non sono fa¬ cilmente attraversabili dall' acqua, anche se dotata di una certa pressione. Tali terreni poi diventano col tempo anche più im¬ permeabili, per una certa formazione di materia argillosa in di¬ pendenza dell'alterazione dei feldspati, in ispecie dei calco-sodici. Si formano così quei materiali che vari autori, che si occuparono dei pozzi artesiani della regione, nominarono argille, marne ar¬ gillose o marne. Le masserelle botrioidali di calcite debbono in parte essere il risultato di tale alterazione dei feldapati. E' in tal modo che in una regione vulcanica come quella studiata, per successivi apporti di materiale eruttivo ed alluvio¬ nale, mentre il suolo si solleva entro terra e sotto le acque del mare, si vanno formando dei separati sistemi idrici, sfocianti nel mare a varia distanza dalla costa. Nella zona tra i Monti calcarei di Sarno, di Caserta ed il Vesuvio tali acque, una volta sgorganti in mare, ora si riuniscono a quelle della rete sotterranea alimen¬ tata dai bacini della suddetta regione calcarea appenninica, per cui si ha nelle acque di taluni fra i più profondi pozzi littoranei quella maggior durezza, (cfr. le valutazioni di durezza riportate avanti), che mal si spiegherebbe ove le provenienze fossero solo vesuviane, e attraversassero solo terreni schiettamente vulcanici. Come si sa, questo complesso di correnti sotterranee piglia il nome di acque latenti. La prima di queste falde, quella che non ha forza artesiana e che scorre appoggiandosi sul primo strato impermeabile, prende il nome di falda freatica. 4. — Gli organismi marini. I diversi organismi marini trovati ai vari livelli, apparten¬ gono a specie tuttora viventi nel Golfo, nella zona delle laminarie — 266 — (del Forbes), sino a circa 30 metri di profondità e qualcuno nella parte alta della zona corallina. Quelli pochi e rari trovati più in basso debbono essere con¬ siderati accidentali e quali gusci trasportati da correnti, dai siti più alti. Qualcuno vi sarà anche arrivato durante la manovra per l’approfondimento delle tubazioni. In realtà i livelli ricchi di conchiglie, fondi marini abitati da ricca fauna sono tre, e posti cioè tra -10,75 e -13,75; tra -22,85 e -27,35, e tra -45,65 e -49,65. In mezzo ai due ultimi livelli, e precisamente fra le quote -40.85 e 41.65 trovasi il sedimento lagunare. La vita di queste popolazioni marine si è quindi nel tempo e dopo ogni eruzione parossismale importante, segnata dalla spes¬ sa coltre di cenere o tufi che seppellisce il fondo marino, spo¬ stata in altezza, riprendendo ogni volta possesso del nuovo suolo. Parecchie volte i singoli, innumerevoli individui, sono stati annientati dal fenomeno eruttivo; ma sul cimitero delle spoglie dei predecessori, ricoverto dai nuovi depositi, i nuovi arrivati, coloni di nuova terra, nel tripudio della riproduzione, hanno ri. dato la vita , una nuova vita, che è poi la vecchia , al nuovo fondo marino. Si ripete nel mondo di questi minutissimi organismi, sulle cui conchiglie la lente scopre tesori di ornamenti e di eleganza, il ritmo di vita e di morte, e di successive immigrazione e ri- popolamenti, che si riscontra nelle altre comunità di esseri, fino a quella umana. Tale fenomeno che in un giovane vulcano, il più giovane dei vulcani, ho descritto per la Vita vegetale di primo impianto immigrata dalle vicinanze e talvolta da lontano *), non è dissi¬ mile da quello che, nelle caverne preistoriche, ci fa trovare di¬ versi strati di vita umana, gli uni agli altri sovrapposti, e da quello, più memorando, perchè più vicino, a noi, nello spazio, che ci mostra le moderne Resina e Portici, edificate sulla sepolta antica Ercolano. 9 Guadagno M. — La vegetazione di M. Nuovo e le sue origini. Boll' Soc. Natur. Napoli, Voi. 35 1923, pag. 238. Pireliometro “Abbot,, a disco d’argento Nota- del socio Dott. Giuseppe Imbò (Tornata del 28 luglio 1926) Le prime misure di radiazione solare, degne d'essere tenute in considerazione, furono quelle del Pouillet eseguite con pi¬ reliometro da lui stesso ideato. Sebbene il principio su cui si fondi sia rigoroso, vari furono gli inconvenienti cui andava soggetto. Si resero quindi necessarie varie modificazioni atte ad eliminarne il più possibile i difetti. Si ha così una serie di pireliometri “tipo Pouillet,,. Tra i principali: il pireliometro a cas¬ setta dei proff. A. Bartoli e E. Stracciati i); il pireliometro del Tyndall differente dal tipo per la sostituzione di mercurio al¬ l'acqua. Il prof. Charles Greeley Abbot, direttore dell'Astrophysi- cal Observatory della Smythsonian Institution, nel 1902 modificò il pireliometro del Tyndall * 2) adoperando un recipiente di rame anziché di ferro. Nella lunga pratica ritenne opportuno modificarlo ulterior¬ mente e così si ebbe nel 1909 il pireliometro detto “ a disco d'argento „ di cui do una descrizione completa 3). Il serbatoio termometrico a (vedere la sezione trasversale 9 A. Bartoli e E. Stracciati. —Misure del calore solare eseguite in Italia dal 1885 in poi. — Nuovo Cimento — Serie 3a, Voi. XXIX, gennaio-febbraio 1891, p. 63, Pisa 1891. 2) Annals of thè Astrophysical Observatory of thè Smytsonian Institution, Volume 2°. 3) C. G. Abbot. — The Silver Disk Pyreliometer- Smytsonian Miscellaneous Collection .. Volume 56, Number 19 — City of Washington-March, 31, 911. — 268 — dell’apparecchio) è costituito da un disco di argento forato da un lato in modo da potervi introdurre il bulbo cilindrico di un termometro b. Nel serbatoio vi si introduce mercurio che si di- Pireliometro “ Abbot „ a disco d'argento. — 269 spone a guisa di guaina con lo scopo di assicurare perfetto con¬ tatto tra le pareti ed il bulbo. Il disco viene chiuso mediante una cera speciale. Il termometro è piegato ad angolo retto ed avvolto da un tubo di ottone nichelato. Una fenditura praticata sul tubo permette la lettura del termometro la cui graduazione jn- decimi ha per limiti -15° C., + 50° C. Grintervalli tra decimo e decimo sono equidistanti e tracciati in base a determinazione diretta di due punti 0° e 50°. Ciascuno strumento è quindi ac¬ compagnato da una tabella di correzione. Un recipiente cilindrico di rame avvolge a distanza il disco di argento sorretto da tre fili di acciaio situati nel piano centrale del disco con intervallo di 120°. Perchè l'involucro sia protetto da variazioni di tempe¬ ratura durante le osservazioni, una cassa di legno c, divisa in due, come la prima, per comodità di costruzione, avvolge la cassa di rame. Le due parti sono unite da lunghe viti da legno. Una di esse, visibile nella figura, trovasi vicino la lettera d. Sono unite tra loro anche le parti corrispondenti delle due casse. Du¬ rante il trasporto, per fermare maggiormente il disco, attraverso appositi fori si introducono tre viti di ottone a semplice ap¬ poggio, da togliersi però durante le osservazioni. I raggi solari attraversano un tubo e provvisto di una serie di diaframmi fi f2 f3 con aperture circolari. L'apertura di f3, pros¬ simo al disco di argento, è leggermente più piccola delle altre e della sezione del disco, di modo che rappresenta la sezione trasversale del fascio di raggi solari la di cui intensità calori¬ fica deve essere calcolata. Il tubo può essere chiuso mediante un coperchio. L'interno del tubo e , della cassa c e la superficie del disco di argento sono anneriti. L'estremità del tubo e porta un riparo k largo in modo da proteggere la cassa di legno dai raggi solari. Questo riparo sor¬ regge il tubo termometrico ed ha inoltre due fori, uno dalla parte del termometro con lo scopo di permettere l'entrata dei raggi solari. Lo strumento è puntato verso il Sole quando viene illuminato un segno praticato sul tubo avvolgente il termometro. Attraverso il secondo passa un’ asticina metallica g girante che porta all'estremo superiore eccentricamente un sistema di tre lamine metalliche h disposte parallelamente in modo da chiù- — 270 — dere o aprire a volontà il tubo e e all'altro estremo un appen¬ dice in modo da agevolarne il movimento. Il pireliometro è fissato mediante viti su d'un sostegno e- quatoriale. Delle viti permettono di seguire il Sole. Non è ne¬ cessario alcun movimento di orologeria, ma è sufficiente rego¬ lare lo strumento due o tre volte per minuto. A Napoli vi sono due pireliometri di questo tipo: uno ap¬ partenente al prof. Ciro Chistoni, direttore dell'Istituto di Fi¬ sica Terrestre della R. Università di Napoli (S. I. — 4 = B) ed il secondo al R. Osservatorio Astronomico di Capodimonte (S. I. — 33 = A). Nel luglio 1923 il prof. Ciro Chistoni mi dette incarico di coadiuvare il prof. G. Platania per eseguire alcune misure di confronto tra i due apparecchi. Si eseguirono così tre serie al¬ ternative di osservazioni nell'agosto del 1923 ed una quarta con¬ temporanea per la cooperazione del Dott. S. Aurino nel giorno 8 agosto 1925. Il metodo adoperato è quello dettato dall'autore e cioè cia¬ scuna serie consta di 10 osservazioni, come risulta dal seguente specchio. Si assume come 0 l'istante in cui, dopo aver puntato lo stru¬ mento verso il Sole e aperto il coperchio, si iniziano le osser¬ vazioni. 0m 0S aprire il coperchio 0m 20s 2m 0S Lj L2 e aprire il triplice schermo 2m 208 u 4m 0S 4m 20s 1 _i4 e chiudere lo schermo L5 8m 0S 8m 20s L8 e chiudere L9 6m 0S 6m 20® L6 e aprire L7 10m 0S L10 e chiudere il coperchio. Se si vogliono eseguire due serie successive si lascia chiuso lo schermo; al decimo minuto non si chiude il coperchio. Al 200 secondo dopo la Ll0 si inizia la seconda serie con la Lj. Per il calcolo delle calorie il metodo consiste nel ritenere la differenza di temperatura durante i 100s di esposizione pro¬ porzionale all'intensità di radiazione del Sole. Per effetto del raffreddamento la differenza risulta inferiore alla vera. Il termine correttivo adottato è eguale alla somma delle semidifferenze di temperature nei 100s di raffreddamento del disco di argento precedenti e seguenti la libera esposizione. La costante di proporzionalità dipende dalla temperatura delPinvo- lucro (che si può ritenere eguale a quella dell'aria) e dalla tem¬ peratura del serbatoio termometrico. Perchè sia unica la costante si riducono le diffferenze ottenute Ri e R2 a 20° di temperatura dell'aria e a 30° di temperatura del disco. Bisogna inoltre ap¬ plicare la correzione di temperatura secondo la tabella annessa allo strumento. Per il calcolo quindi delle differenze corrette R'! e R'2 si rendono necessarie le seguenti operazioni : 2 (L4-L3) + (Li— L2) + (L5-L6 _ D - 2 - R Ri + + Ri Ki (T aria ~20°) + + Ri K2 (T 1 -30°) + + Ri (Valore tabellare relativo a TJ = R'j 2(L7-L8)+ (Ls-L6) + (L9-Lio)_d - 2 - R2 R2 + + R2 Ki (T aria ”20°) + + R2 K2 (T2 -30°) + + R2 (Valore tabellare relativo a T2) = R'2 Il valore di Ki è eguale a 0,0014, mentre K2 viene dato per ciascun apparecchio. Nel nostro caso è per ambedue eguale a 0,0011. Le temperature Ti e T2 sono la media delle due letture eseguite durante ì 100s di libera esposizione del disco. Per ridurre i due valori R'i e R’2 a vere calorie per cm.2 e per minuto bisogna moltiplicarli per la costante di proporzio¬ nalità data dalla Smythsonian Institution per ciascun apparecchio. R' + R' Il valore di q è quindi eguale a : q = — — — — K corrispon¬ dente al minuto 5 dall'inizio. Il fattore K è eguale a 0,3745 per A e 0,3755 per B. Nella tavola I sono segnate le serie di letture durante le quattro giornate di osservazioni. L'ora rappresenta l'ora media iniziale corretta. Le osservazioni sono state tutte eseguite presso il R. Osservatorio di Capodimonte le cui coordinate sono: qp = 40° 51' 45", 7 N X = 0h 2m 58s , 60W dal meridiano dell'Etna li = 149m. TABELLA I. — 272 — CM U0 CM ^ CO — CO oo o cm cm in in «ONoicn — CM O O (N^fON O co O ^ CM o^in^o^t^ o T— H o o o O h~ O "^f co co co co ©~o~ ©*'©"'©“ h- i>- in co cm co co co co co ©~©~©~o"' n- f — in co co co co co cMco-^tìnn- co co co co co CM ^ O CM 00 O 00 U0 co n ^ o in coj^o^^o^ 0 00 0 0 oq— ^ CM^ O O 0 co 0 0 0 00 cqo^ O o o o o r-- oo f- m co co co co ©-©“o^o^©”' co !>• in 'vf cm co co co co co ©~ ©*©*'©** NOOO^ co co co co o~ ©~©~©~©"‘ 't ^ in 0 00 CO CO CO CO CO - coomo O CM 00 O 1 CM ' CM O oq^o m i"- 0 — 00 co CqcO^ifqCM^ CM in 0. 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Bemporad 2). Della serie 8 agosto 1925, sebbene eseguita contempora¬ neamente da due osservatori , solamente le prime tre osserva¬ zioni si prestano alla determinazione della formula di ragguaglio. Gli errori residui per le ultime due osservazioni superano il de¬ cimo di caloria. Le differenze qA -qB relative ad un dato spessore atmosfe¬ rico ottenute pei primi tre giorni di osservazioni dalle formole di ragguaglio e direttamente per 1' ultimo, soddisfano una fun¬ zione quadratica in qA. La formula calcolata col metodo dei minimi quadrati è la seguente: A' qcaic. =0,0950 qA2+ 0,0028 qA + 0,0055. I residui A qOSSi — VQcaic. = £i, se si escludono i valori avuti nel giorno 8 agosto 1925, poco adatto, come s'é già fatto osser- 1 ) A. Bemporad. — Saggio di una nuova forinola empirica per rappre¬ sentare il modo di variare della radiazione solare col variare dello spessore atmosferico attraversato dai raggi. Rend. della R. Accademia dei Lincei, p. 66, Voi. XVI, 1907. 3) A. Bemporad. — L’assorbimento selettivo deli atmosfera terrestre sulla luce degli astri. R. Accad. d. Lincei. Meni. Anno CCCI 1904. Voi. 5°, p. 233. - 276 - vare, per le osservazioni pireliometriche, sono anch' essi fun¬ zione di 2° grado in qA. Si ha così: ficaio. = — 0,0711 xq a2 + 0,0780 xqA — 0,0145. Il valore quindi di Aq si deduce dalla formola: Aq = 0,0239 X qA 2 + 0,0808 X qA — 0,0090. Nella tavola III sono segnati : i valori qA ed in corrispon¬ denza le differenza qA — qB distribuite per le giornate di os¬ servazioni e la media. Nella colonna I. i valori mentre nella colonna II. le differenze Aqoss — Aqcalc ottenute dalla formola finale. Il valore medio dei residui è 0,00058 di calorie, mentre per il giorno 8 agosto 1925 il valore medio è 0,0342. TABELLA III. Qa qA - qB I II 8-8-1923 10-8-1923 11-8-1923 8-8-1925 Media 1,265 0,1690 0,1690 0,0079 0,0375 1,216 — — — 0,1840 0,1840 0,0346 0,0594 1,200 0,0720 0,1260 0,1680 — 0,1220 -0,0237 -0,0004 1,179 — — — 0,1370 0,1370 0,0038 0,0175 1,173 — — — 0,1570 0,1570 0,0175 0,0393 1,100 0,0710 0,1120 0,1430 — 0,1086 -0,0149 -0,0002 1,038 — — — 0,0820 0,0820 -0,0288 -0,0186 1,000 0,0710 0,0990 0,1190 — 0,0963 -0,0070 0,0006 0,900 0,0690 0,0860 0,0950 — 0,0833 -0,0017 0,0002 ; 0,800 0,0670 0,0740 0,0740 — 0,0716 0,0031 0,0007 0,700 0,0640 0,0610 0,0530 — 0,0593 0,0053 0,0000 0,600 0,0610 0,0500 0,0340 — 0,0483 0,0069 0,0002 0,500 0,0560 0,0380 0,0160 — . 0,0366 0,0060 1 -0,0008 0,400 0,0500 0,0280 0,0010 — 0,0263 0,0045 -0,0008 0,300 0,0430 0,0180 -0,0100 — 0,0166 0,0017 -0,0008 0,200 0,0330 0,0080 -0,0190 — 0,0073 -0,0025 -0,0008 0,100 0,0200 0,0020 -0,0200 — 0,0007 -0,0061 0,0015 Il metodo adoperato per la ricerca delle calorie q inviate per irradiazione dal Sole in un minuto e sull'unità di superficie, è, come asserisce I'Abbot, approssimato. Con opportune consi¬ derazioni, però, credo che il metodo esatto possa essere trattato con maggiore faciltà del metodo approssimato. — 277 — La quantità di calore assorbita da una massa x di una de¬ terminata sostanza eguaglia la quantità di calore q inviata dalla sorgente nello stesso intervallo di tempo diminuita della quan¬ tità emessa dalla superficie S *). Si ha così : cdt = qsdt — hS (t — t0) di (a) in cui ; c — valore in acqua del serbatoio termometrico, dt = variazione di temperatura nel tempuscolo di. s == sezione normale del fascio di raggi che arriva alla su¬ perficie del serbatoio termometrico. S = superficie del serbatoio termometrico, h = quantità di calore che il serbatoio termometrico emette in un minuto secondo e per la variazione di un grado. L'equazione differenziale (a) lineare e di primo ordine ha per integrale : _ hS t = t° + (I-e c T ) (b) Se nella (a) facciamo q=0, o, in altre parole, se si scherma il serbatoio termometrico, per integrazione si ha: hS - 1 (c) e c in cui dj^tj — t0 e tì2— *2 — to> se Sì denotano con t2 e ix le temperature decrescenti per raffreddamento all'inizio ed alla fine dell'intervallo t. Il valore t0 è la temperatura costante del¬ l’involucro durante l'osservazione. Se invece si fa dt = 0, cioè se si è già raggiunta la tem- peratura stazionaria, si ha : o 7 t— qs hS (d) ossia : il o * 1 H II II qS -a C s hS 4 hS c h C. Chistoni. — Misure pireliometriche fatte sul monte Cimone nell'e¬ state del 1911. Rendiconti R. Acc. dei Lincei, Voi. XI, Serie V, fase. 11, pa¬ gina 479. — 278 — da cui se si pone: hS — ni si ha : q = m (e) Il valore di q è quindi funzione di tre valori m, — , th La determinazione della temperatura stazionaria e quindi di ft=T — 10, come si vedrà, dipende da m, valore che è, a sua volta, fun¬ zione di h, S e c. Se si parte dalla legge di Stefàn l'energia perduta in Is da I cm.2 vien data dalla formola : Q — Q0 = a (T4 — T40) — = a ( T3 + TT02 + TT20+ T03) (T - T0) in cui a rappresenta 1’emissione di 1,30 x IO*12 piccole calorie per ogni cm2 di superficie di un corpo nero in un secondo, alla tem¬ peratura di un grado assoluto, indipendentemente dalle condizioni aU’esterno della superficie stessa; T e T0 rappresentano le tem¬ perature assolute del corpo emittente e dell'involucro a tempe¬ ratura uniforme. Nell' ipotesi che siano molto vicine le due temperature si ha sensibilmente : Q — Qo — 4 a T03 (T — T0). di modo che il valore h di raffreddamento ritenuto costante da Newton risulta proporzionale al cubo della temperatura asso¬ luto dell' involucro. Inoltre, siccome sia S che c sono, in approssimazione, fun¬ zioni di 2° grado della temperatura, può considerarsi tale anche S il rapporto—. Di modo che m è funzione : della temperatura dell'involucro , della temperatura del corpo termometrico e ri¬ sulta anche funzione della differenza delle stesse. Se ci riferiamo a particolari valori, cioè a 20o di temperatura dell'involucro e a 30° di temperatura del serbatoio termometrico il valore m ri¬ sulta variabile unicamente con la differenza di temperatura (t-to). Una tabella costruita in antecedenza, adoperando la (c) dà — 279 — pei vari valori di M, il valore corrispondente di m e così an¬ che di: 1 _ e ~ m (t2 — ti) necessario per il calcolo di dato dalla formola: y2 — ft'i 1 — e (t2 — t, ricavata dalla (b) per sostituzione a t e t dei valori delle tem¬ perature crescenti e t’2 nei due istanti iq e t2. c Il valore —, essendoci riferito al particolare valore di tem¬ peratura 30o è costante. Il calcolo di q è quindi molto semplificato. Bisogna tener presente che, basandosi su questo metodo, non è più necessario eseguire 10 osservazioni entro un intervallo di 10 minuti, ma potrebbero bastare anche tre letture e quindi per ciascuna determinazione di q occorrerebbero appena 2 minuti. Se si volessero invece eseguirne due, sarebbero sufficienti 5 minuti. Le misure mediante l'Abbot riescono se non precise quanto- quelle che si ottengono mediante rÀngstròmm, almeno egual¬ mente agevoli. Le letture termometriche sono sempre possibili anche quando le condizioni atmosferiche (vento, veli tenuissimi...) impedirebbero di ridurre a zero il galvanometro, operazione ne¬ cessaria per la determinazione di q col pireliometro Àngstròmm i). Ho tentato per il pireliometro S. I. — 4 determinazioni ba¬ sate su questo metodo, ma, dato le piccole oscillazioni entro cui si aggiravano gli elementi variabili, non è stato possibile determi¬ nare con esattezza i coefficienti per le riduzioni alle condizioni volute. Nonostante ciò, gli errori sono risultati inferiori ai 0,05 àì caloria. R. Osservatorio Geofisico di Ischia. Porto d' Ischia, 14 giugno 1926. Finito di stampare il 30 dicembre 1926. l) C. Chistoni. — Sulp ireliometro a compensazione elettrica dell' Àngstròmm* Rendiconto della R. Accademia dei Lincei. Classe di Scienze fisiche, matema¬ tiche e naturali. Voi. XIV, I. sem., Serie 5., fase. 6°, p. 340, fase. 8, p. 451. Roma. Correlazione tra caratteri dello sviluppo lar¬ vale e caratteri della ovificazione (numero e peso delle uova) nella F2 d’incroci tra razze di bachi da seta a 3 e a 4 mute del socio Jucci C. e Lo Tito A* (Tornata del 28 luglio 1926) Fra i caratteri che più nettamente possono differenziare due razze di bachi da seta tra loro, stanno in prima linea, per lo sviluppo larvale, il numero delle mute e per lo sviluppo imagi- naie, il carattere o meglio il gruppo dei caratteri che si colle¬ gano alla deposizione delle uova : grandezza-numero-peso. Pre¬ senta un interesse tutto particolare lo stabilire quali correlazioni intercedano tra questi due gruppi di caratteri: i caratteri dello sviluppo larvale, come numero delle mute e tipo metabolico che ne consegue, e i caratteri delle uo/a che la farfalla depone. Già molto istruttiva a questo riguardo riesce l’osservazione comparativa su varie razze pure di bachi da seta. Da questo stu¬ dio preliminare risulta che le razze di bachi a 3 mute presen¬ tano una fecondità molto bassa e, per compenso, dimensioni e peso dell’uovo notevolmente maggiori di quelli delle comuni razze a 4 mute. Le razze bivoltine e polivoltine, invece, depon¬ gono un numero grandissimo di uova molto piccole e leggere. Sicché appare evidente una stretta correlazione non soltanto tra il numero delle mute che il baco compie nel suo sviluppo lar¬ vale (o meglio tra il diverso tipo metabolico che il baco assume a seconda del numero della mute che compie) e i caratteri di nu* mero e peso di uova che la farfalla depone; ma benanche tra questi caratteri e le capacità di sviluppo dell' uovo dalle quali direttamente dipende la caratteristica della razza di dare solo una o parecchie generazioni all’anno. Ma anche più istruttivo dell' esame comparato dei caratteri dello sviluppo larvale e della ovificazione nelle varie razze pure di bachi da seta, deve riuscire l'esame comparativo di questi ca¬ ratteri negli incroci tra le varie razze. Oli incroci tra razze di bachi da seta a 3 e a 4 mute pre¬ sentano nella F2 scissione netta dei caratteri parentali : ciascuna ovatura deposta da femmina ibrida della Fl dà bachi a tre e bachi a 4 mute. Di sei ovature allevate isolate nella F2 (quattro dell’incrocio 9 Treotti d Bivoltino, una di 9 Oro d Treotti e una di 9 Treotti d Oro), sono stati diligentemente separati i bachi a 3 dai fratelli a 4 mute; se ne sono ottenute le farfalle e da queste la deposizione delle uova in tante celle isolate. Su queste ovature deposte dalle farfalle della F2; discendenza terzina e quartina degli incroci, sono stati determinati i caratteri della fecondità (col conteggio del nu¬ mero delle uova) e del peso medio dell'uovo deposto (con la pesata di un campione di 500 uova prelevato dalla massa sgra¬ nata (vedi tabelle I e II). Dall'esame della fecondità nei discendenti treotti e quartini di ciascuna ovatura risulta, per i quartini, una fecondità spicca¬ tamente maggiore a quella dei terzini; la differenza è molto più grande di quella che intercede tra le diverse giornate di sfarfal¬ lamento dei terzini. A riguardo di questa variabilità, è accen¬ tuata, ma si presenta piuttosto incostante, una superiorità della fecondità delle farfalle più precoci dei treotti rispetto alle più tardive, mentre risulta quasi costante una maggiore variabilità della fecondità in queste farfalle più precoci; sicché, anche quando il valore medio ed il valore massimo (di numero di uova de¬ poste) sono più grandi che nelle tardive, il valore minimo suole presentarsi più basso. La distribuzione della variabilità della fecondità nella discen¬ denza a 3 e a 4 mute di ogni ovatura, allevata isolata, appare distinta nettamente in due gruppi, corrispondenti precisamente Tabella — 282 — re Z £ '-a O O o> 00 5 ■^f CO LO O .O ;o ~ 'J ^ -ZZ £ 00 o- — ' 00 ON 03 OJ — 1 30 S« ctj Ln > *=f •^t1 ’Sf o LO LO LO LO h~ o- '5f ^ o o~ o oo o 1 — 1 OJ ■ lo lo O LO LO o LO LO _ co 00 O CN O t"- r— o OJ O- 03 00 t-~ o- CN "rt .5 ii o > c ^ u ^ C OJ co co rer CN CO co •CO ^ LO co co co co co co co co co eJ-“ re N •£ fferei fra i vaio medi o- LO 30 I> > 79 75 94 Q " O >- )_ •— w • .re . 2 ts o -7-? — CJ — h O OJ CN OJ — co -H 00 CN — i — 1 lo¬ o 00 — ^t1 >— 00 co w vj »— • 0“ w OJ 00 o- •o O CN — • 03 LO CO co lo lo co ^ LO OJ O LO LO re Si 2 O J- c s. P ~ U = s D.£ C/3 LO LO ret< ^ LO LO -sf LO O ^ LO LO LO 3.U1JBA0 9|J9p 01003 o o — « LO o o co 03 OO vO o o- o r- o OJaiunfsi OJ 'Nh oj co CO VO co CN CO CN ^ OJ *^r 1—L r— I co . t • i «< j; o p ivO vO o o o o o — o O O o o o 3 f— 13 n < ^ t: " P 2 £ . __ T— H oT o'cT 03' 3 o^ o'cn' 03- oT^ ^ OJ o O • ~"- - > - > s > > — > «zìiapùaDSja Bi|S;iu bj LO 50 CN o- 25 — 283 — m al numero delle mute, 3 o 4, compiute nello stato larvale. Per la prole terzina il diagramma della variabilità della fecondità è unimodale, oscillando il carattere moderatamente ed armonica- mente attorno ad un determinato valore medio; così anche è u- nimodale il diagramma che rappresenta la variabilità della fe¬ condità nella prole quartina. Riunendo in un solo diagramma il valore della fecondità di tutta la discendenza a 3 e a 4 mute, il diagramma è nettamente bicuspidale e vi si ritrovano facilmente i due modi (valori medi o classi di massima frequenza) caratteristici della prole a 3 e della prole a 4 mute. Insomma il carattere della fecondità delle farfalle appare strettissimamente correlativo al carattere del numero delle mute nella vita larvale. Questa correlazione, che risulta in modo ben chiaro e preciso, è suscettibile di una interpretazione mende- liana (il carattere della fecondità risiederebbe precisamente nello stesso cromosomo che alberga il fattore determinante il numero delle mute); ma -astraendo da questa che non appare una spie¬ gazione, ma una rappresentazione simbolica dei fatti - quello che è certo è che la costituzione fisiologica che determina il tipo dello sviluppo larvale a 3 e a 4 mute determina anche, nello sviluppo crisalidale, i caratteri della ovificazione (la formazione di una quantità maggiore o minore di uova, più o meno pesanti). Passando all'analisi del peso medio dell'uovo nella discen¬ denza a 3 e a 4 mute delle 6 ovature studiate risulta costante- mente : 1. -— Una netta superiorità in peso dell'uovo dei quartini ri¬ spetto a quello dei treotti; superiorità che si aggira intorno alla cifra di 45 millesimi di mmg., cioè circa gli 8% o del peso del¬ l'uovo. 2. — Un crescere sensibile del peso dell'uovo nei vari lotti di sfarfallamento della prole terzina col crescere della durata di sviluppo. Quest'ultimo fatto, che le farfalle più tardive depongono uo¬ va più pesanti, è di una grandissima importanza se messo in rap¬ porto alla correlazione che esiste tra durata di sviluppo delle far¬ falle e capacità fisiologiche (tendenza al bivoltinismo) delle uova che esse depongono. - 284 — Sembra potersi con sicurezza affermare che esiste, dunque, una netta correlazione anche tra peso dell'uovo e sua maggiore o minore attitudine al bivoltinismo. Parlano nello stesso senso tutta un'altra serie di ricerche che dimostrano come in razze bivoltine le uova che hanno perduto il bivoltinismo appaiono, già dal momento della deposizione, fa¬ cilmente riconoscibili per le loro dimensioni spiccatamente su¬ periori. Parla nello stesso senso l' interessante osservazione che in ovature miste deposte da femmine di razza bivoltina, la misu¬ razione del diametro trasversale rivela una superiorità netta delle dimensioni delle uova che hanno perduto il bivoltinismo. E' noto del resto che, in linea generale, le razze bivoltine presentano uova molto abbondanti ma piccole e leggere, e que¬ sto carattere suole presentarsi ancora più accentuato nelle razze polivoltine; mentre le razze annuali tipiche, come le giallo-indi¬ gene, producono uova grosse e pesanti. Senza affatto escludere che possano esistere tra uova della stessa razza che hanno perduto e conservano il bivoltinismo (e tanto più s'intende tra uova di razze diverse, annuali e polivol¬ tine) differenze qualitative nella sostanza ovulare; appare fin da ora certa e netta una influenza della grandezza di esse uova e del loro peso, espressione essenzialmente della quantità di deu- toplasma dell'uovo, sullo sviluppo dell'uovo stesso. E’ del resto bene ammissibile anche a priori che la presenza di una grande quantità di vitello nell'uovo ne renda più lenti e torpidi i movimenti embrionali, rallentando il ritmo metabolico e predisponendo alla diapausa caratteristica delle uova annuali (a favore di questo concetto parla anche il reperto di un peso lievemente superiore nei bacolini più tardivi a nascere in un dato lotto di semi). Ma il numero delle uova che una farfalla depone , va messo in relazione collo sviluppo somatico di essa farfalla genitrice, cioè, praticamente, col peso della crisalide o del bozzolo (vedi tabella II). Calcolando la fecondità relativa espressa dal valore della frazione peso in mmg. crisalide N. delle uova — 285 — e l’indice ponderale dato dal rapporto : peso in millesimi di mmg. dell 'uovo Peso in gr. della crisalide risulta che: La fecondità maggiore che i quartini della F2 presentano rispetto ai fratelli terzini non è soltanto assoluta, ma anche re¬ lativa. Sono, è vero, le crisalidi dei quartini più pesanti, ma an¬ cora maggiore è la superiorità che presentano rispetto ai terzin nel numero delle uova che producono. Tabella II. INCROCIO Valore medio della fecondità Valore medio del peso dell'uovo Fecondità relativa Peso in mg. crisalide Indice ponderale Peso in millesimi di mg. uovo N.° delle uova Peso in gr . crisalide III IV III IV III IV III IV Treotti cf bivoltino (13-14-2-17) 474 539 0,000510 0,000558 2,082 2,482 0,515 0,417 ? Treotti Oro (50) 504 580 0,000515 0,000549 1,992 2,291 0,512 0,413 } Oro (f Treotti (25) 459 553 0,000585 0,600633 2,102 2,372 0,606 0,482 La capacità di fabbricare un numero grande di uova è dun¬ que caratteristica delle farfalle quartine, non in semplice dipen¬ denza della maggiore capacità di accrescimento, ma in intima com¬ plessa relazione col loro caratteristico tipo metabolico. Da questo punto di vista lo studio degli incroci conferma nettamente il ri¬ sultato delle osservazioni comparative delle razze pure; il quale ci dimostrava appunto nella razza dei treotti una fecondità spie- 286 catamente inferiore a quella delle razze a 4 mute, indigene come orientali. E anche l’altra proprietà caratteristica della razza Cinese a 3 mute, la produzione di uova relativamente molto grandi e pe¬ santi, si ritrova nella F2 d'incroci tra razze di bachi a 3 e a 4 mute. Difatti, se nel suo valore assoluto il peso medio dell'uovo è sempre superiore, per i diversi incroci, nei quartini ; però, relativamente al peso della crisalide, il peso dell'uovo è costan¬ temente superiore nei terzini. Questi depongono uova relativa¬ mente più pesanti. (Finito di stampare il 30 dicembre 1920 Di una nuova Silicospugna del Golfo di Napoli (Microcordyla astenete n. g. n. sp.) Nota preliminare del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 31 maggio 1926) Varii anni or sono e propriamente nel 1915 veniva pescata nel Golfo di Napoli un' Asterias tenuispina Lmk. la quale pre¬ sentava sull'estremo di un braccio dei corpi cilindrici, a forma di bastoncelli, di colore brunastro, lievemente flessibili. Una prima ricerca mi convinse che si trattava di una spu¬ gna diversa da quelle che si pescano nel Golfo di Napoli e che potetti stabilire essere vicina al genere Stylocordyla del Thomson. La scarsezza di materiale ed il cattivo stato in cui mi era pervenuto mi distolsero dal farne una descrizione che sarebbe stata necessariamente incompleta, sperando di poter avere mate¬ riale più abbondante ed in migliori condizioni per fare uno stu¬ dio più accurato. Per oltre dieci anni le mie ricerche sono state infruttuose: tutte le Asterias pervenute alla Stazione Zoologica sono state sempre prive di questa spugna. Nel passato anno ebbi però di nuovo l'occasione di trovare alcuni esemplari attaccati alla base delle spine di un braccio di Asterias tenuispina Lmk. Otto esemplari raccolti in ottime con¬ dizioni mi permisero di ripigliare le ricerche e stabilire defi¬ nitivamente trattarsi di una spugna completamente nuova come genere e come specie e nuova per il Golfo di Napoli in quanto i generi e le specie affini sono state pescate sempre nell'Oceano glaciale artico ; di qui il rinvenimento assume maggiore im¬ portanza. Inoltre , mentre le specie dell' Oceano glaciale artico — 288 — vivono sugli scogli, questa si rinviene aderente alla base delle spine dell’ Asterias ed il suo corpo deve bene adattarsi alle continue contorsioni cui vanno soggette le braccia de\V Asterias durante il loro cammino sugli scogli e sulla sabbia rocciosa. Gli esemplari da me rinvenuti non superano i sette mm. di lunghezza. Verso l’estremo l'osculo si pre¬ senta a forma di coppa con numerosi aghi silicei disposti perifericamente e dall’interno basale della coppa si eleva una serie di spicole. A questa regione anteriore che misura non più di 3[4 di mm. segue un asse cilin¬ drico lievemente arcuato, flessibile, di calibro piuttosto eguale. Ad esso, verso la base, se¬ gue un organo di attacco di una forma ca¬ ratteristica. Esso si presenta formato da tre corpi ovalari fortemente aderenti alla base delle spi¬ ne delle braccia dell 'Asterias. Difatti quali si siano i movimenti di contorsione delle stelle, provocati o diretti, le spugne si flettono,, ma difficilmente si staccano. Bisogna strap¬ parle con pinze, ma allora si vede che hanno subita una lesione al loro estremo. Tenendo queste spugne in piccola quan¬ tità di acqua in cui è disciolta della soda cau¬ stica si può notare che per la macerazione delle sostanze organiche resta lo scheletro si¬ liceo, trasparente, che ha una forma caratteri¬ stica specialmente nella regione basale. Mentre le spicole dell'osculo sono disposte a calice e quelle del tronco sono addossate fra di loro (vi sono o x i solamente, secondo la numenclatura suggerita dal Topsent, cioè sono for¬ mate da un asse unico), la base presenta un rigonfiamento ova- lare. Ad esso aderiscono tre organi in cui si può distinguere una regione basale, di forma ovale, con una scanalatura interna da darle una forma di cucchiaio ed un asse allungato, anch’esso scanalato e che va stringendosi verso l'estremo. Lateralmente^ verso la fine, trovansi due spine che formano un tutto con l’asse. — 289 — e l'estremo apice s’incurva fortemente formando quasi con l’asse dell'organo un angolo di 90°. Questi tre corpi sono mossi o trattenuti da potenti masse muscolari che si colorano vivamente in rosso ai tagli istologici con il metodo del Mallory. Parrebbe che uno sviluppo così straordinario di masse mu¬ scolari dovesse essere in relazione con l' habitat dell'animale. Di¬ fatti il genere Stylocordyla presenta alla base dei ramuscoli con i quali aderisce nelle anfrattuosità degli scogli, qui in¬ vece 1' animale vive su di un altro animale, che ha movimenti piuttosto vivaci e bisogna che esso sia ben fermo altrimenti po¬ trebbe essere rimosso di continuo. Che esso viva su \Y Asterias credo poterlo affermare, perchè oramai sono una decina di volte che ho potuto avere Asterias fornite di tale spugna, e tutte le mie ricerche fatte su frammenti di scogli e in altre località, per la ricerca del materiale, sono state infruttuose. I caratteri differenziali fra Microcordyla asteriae e Stylocor¬ dyla longissima sono i seguenti : Microcordyla asteriae 1) Lunghezza di circa 7 mm. 2) Osculo a forma di coppa. 3) La regione basale è formata da tre organi uncinati. 4) Vive sulle braccia del V Asterias. Stylocordyla longissima 1) Lunghezza di 9-10 centimetri. 2) Osculo a forma di sfera. 3) La regione basale è formata da una serie di ramificazioni sottili. 4) Vive sulle rocce. Seguendo il Topsent la posizione sistematica di questa spu¬ gna può essere così definita : Ord - Monaxonia. Sottor d. Spintharophora Sollas Fani. Stylocordylidae. Spugne differenziate in una testa ed in un pedicello. Sche¬ letro a disposizione raggiata nella testa che limita una serie di spicole verticali. Lungo l'asse le spicole sono compatte. Vi sono oxi solamente. - 19 - — 290 — Gen. Microcordyla. S p . asteria e. Spugna lunga non più di 7 mm. Regione anteriore a forma di coppa, asse longitudinale ci¬ lindrico, di calibro eguale, lievemente arcuato, flessuoso. Regione basale formata da tre organi uncinati coi quali si attacca alla pelle delle Asterias. Organi trattenuti o mossi da potenti fasci muscolari. Vive sulle braccia del V Asterias. Napoli, Stazione Zoologica, maggio 1926. (Finito di stampare il 30 dicembre 1926.) . Thaliacea nuovi o rari del Golfo di Napoli del socio Prof. Marco Fedele ( Tornata del 31 maggio 1926 ) Non possediamo che notizie beri scarse e frammentarie sulla presenza e distribuzione nel tempo dei Thaliacea del Golfo di Napoli, come del Mediterraneo in generale; per l’Adriatico e Mediterraneo orientale i lavori della Sigl (1912) portano un buon contributo, anche per forme nuove aggiunte, ma le sue ricerche non possono, nè vogliono, avere il valore di inventario e revisione di tutte le forme mediterranee, nè le sparse notizie riscontrabili in autori che si sono occupati di forme di questo gruppo abitanti i nostri mari, sono sufficienti come dati fanero- logici o sistematici per una esatta determinazione delle specie che ci vivono, sicché una esatta revisione delle specie tirreniche e mediterranee in generale, se da un punto iniziale mi si è mo¬ strata necessaria, durante la sua elaborazione ed in fine, si è ri¬ velata feconda di buoni risultati, avendomi permesso di mettere insieme, oltre ad un inventario di forme più ricco di quello no¬ to, ancora un soddisfacente insieme di precise osservazioni mor¬ fologiche, sufficiente a meglio caratterizzare, meglio descrivere e, talvolta, creare quasi ex-novo in tutti i loro piu essenziali ca¬ ratteri, specie mal note o male interpretate. Il Lo Bianco (1909) enumera per il golfo di Napoli tre specie di Doliolum e dieci specie di Salpa, oltre a Dolchinia mirabilis Kòrotneff, da me dimostrata recentemente (1923) identica a Doliolum chuni Neu- mann e cioè: Doliolum denticulatum Q. e G., D. Multeri Krohn e D. rarum Grobben; Salpa runcinata-fusiformis Cham., S. democratica-mucronata Forsk., S. maxima-africana Forsk., S. scutigera-confoederata — 292 - Cuv. Forsk., S. fasciata-punctata Vogt, Forsk., S. Forskalii- pinnata Tod., sei specie di Salpidae date dal Lo Bianco o co¬ me costanti abitatrici del Golfo (le due prime) o come forme fre¬ quenti che si riscontrano di inverno ed in primavera nei pressi della costa; mentre altre quattro specie: S. costata-Tilesei Q. e Gaim., Cuv., S. dolicosoma-virgula Tod. Vogt, S. cordiforme- zonaria Q. e Gaim., Pall., S. romboidea-proboscidalis Less. sa¬ rebbero, secondo le sue osservazioni, specie che appariscono solo accidentalmente nel Golfo, come le altre, solo nei mesi in¬ vernali e primaverili. Nel lungo periodo di tempo durante il quale io ho potuto sorvegliare molto da vicino la comparsa delle diverse specie di Thaliacea nel golfo di Napoli, e tentare, con diretta sorveglianza del plancton superficiale e con numerose pesche superficiali e profonde di procurarmene, ho potuto raccogliere tutte le specie qui notate, eccettuata la S. Tilesi , che da moltissimi anni non com¬ pare nel golfo. La S. romboidea proboscidalis, riportata dal Lo Bianco, basandosi, con ogni probabilità, solo sulla testimonianza del Todaro (1886) è specie molto dubbia, e, a mio parere, ine¬ sistente, se non si vuole ritenere che il Todaro si sia incontrato in esemplari di quella forma che fu poi trovata e battezzata dalla Sigl (1912 a.) Cyclosalpa polae, ed ora da me ritrovata nel Golfo di Napoli, oppure se non vogliamo identificarla con la C. p in¬ nata (che è però esplicitamente citata dall’ A.), potendo ritenere S. proboscidalis Lesson sinonimo di C. pianata. Le raccolte da me fatte mi han permesso, oltre ad arric¬ chire di alcune forme la fauna pelagica, già tanto ricca e varia, del Mare di Napoli, di precisare punti non privi di interesse della sistematica dei Tunicati pelagici e di illustrare con preci¬ sione alcune specie prima non bene conosciute ed erroneamente interpretate: alludo qui principalmente al Doliolam mirabile e alla Cyclosalpa polae e Salpa rostrata , la prima rarissima, le altre due nuove per Napoli, sulle quali specie essenzialmente qui mi fermerò, senza preoccuparmi, per ora, di fermarmi sulla siste¬ matica generale dei Thaliacea e dei Salpidea dovendo ritornare, fra non molto, esaurientemente suirargomento. — 293 — » Cyclosalpa polae Sigl (1912). 1912 C. polae Sigl (sol., p. 13, T. 1 fig. 4-6; aggr: p. 16 T. 1 fig. 1-3). 1918 C. pianata , subspecie polae Metcalf (pag. 26-27). Questa forma fu trovata e per la prima volta descritta dalla Sigl (1912a.) nella elaborazione del materiale di Thaliacea pescato nella spedizione austriaca fatta nel Mediterraneo orientale con la nave " Pola „ nelle raccolte di superficie eseguite durante gli anni 1892-1893. La Sigl potette studiare diversi esemplari sia della forma solitaria che di quella aggregata e, fondandosi essenzialmente sui caratteri della muscolatura, alquanto diversi in alcuni particolari , da quella della somigliantissima Cyclosalpa pianata , ne fece una -L; specie nuova. \ La diagnosi datane dalla Sigl, senza prendere in sufficiente considerazione la organizzazione complessiva delle due forme pianata e polae ha potuto generare qualche incertezza, tanto che il Metcalf (1918), sulla base di un materiale, invero, poco si¬ curo, riscontrato nella collezione deH'United States National Mu- seum, derivante dalle raccolte fatte dall'Albatross nei pressi delle Isole Hawaii nel Pacifico, non ritenendo costantemente netti e spiccati i due caratteri distintivi dati dalla Sigl (fusione del se¬ sto muscolo del corpo e sua continuazione nella parte dorsale con un tratto longitudinale mediano giungente quasi fino al li¬ vello del muscolo II, nella forma solitaria; e lunghezza spiccata del peduncolo di attacco degli individui aggregati) ritenne la nuova forma una sottospecie della. C. pinnataì e non una spe¬ cie indipendente. Pur senza addentrarmi sul valore sistematico dei caratteri prescelti per la classificazione dei Salpidea, parmi che il mate¬ riale che io ho potuto raccogliere, non ricco, ma vivo ed in ec¬ cellenti condizioni di conservazione, sia sufficiente a ben deli¬ neare definitivamente questa rarissima ed interessante forma. Io non ho potuto pescare individui solitari di questa Salpa, nuova per il golfo di Napoli e per il Mediterraneo occidentale, malgrado gli sforzi ed i numerosi tentativi fatti per averne, ma solo ottenni un gruppo completo di individui aggregati, pescato - 294 — il 2 gennaio 1925 al largo del Capo di Posillipo, e più tardi un individuo pure della generazione sessuata pescato anche esso al largo di Posillipo. Gli embrioni contenuti in tutti gli individui esaminati erano precocissimi e, quindi anche da questo lato non ho potuto raccogliere dati che potessero, in qualche modo, il¬ luminarmi sulla organizzazione degli individui della forma soli¬ taria. q Il gruppo della forma sessuata da me avuto presentava la tipica forma ciclica, gli organi di attacco, molto più lunghi di quelli tipici della specie pianata, lasciavano agli individui una libertà di oscillazione in diversi sensi, che nella C. pianata non è- possibile, nei gruppi di individui aventi analoghe dimensioni di quello della polae in esame, oltre a mostrare differenze sen¬ sibili nello sviluppo e nelle aderenze del mantello e nella as¬ senza del tentacoletto unilaterale da me descritto, in altro mio lavoro, per la Cyclosalpa pianata. Queste ed altre differenze, come la conformazione della mu¬ scolatura, illustrerò più convenientemente, fra breve con l'ausi¬ lio anche di figure; accennerò solo, in questa breve notizia, al¬ cuni altri caratteri che ritengo sufficienti a poter distinguere nettamente la specie polae dalla pianata. L’occhio e la massa gangliare presentano nelle due specie alcune differenze: rocchio della prima forma, visto dalla parte dorsale, é tutto compreso nel contorno della massa gangliare, 9 Successivamente, durante la stampa della presente comunicazione, i miei insistenti sforzi sono stati coronati da successo ed ho potuto pescare altri bel¬ lissimi esemplari della forma solitaria di Cyclosalpa polae Sigl, che ho potu¬ to ben studiare viventi, e poi ben conservati, in tutti i particolari della orga¬ nizzazione e anche dello stolone, che avevano ben sviluppato con le giovani forme aggr. in tutti gli stadi dello sviluppo. Ottenni anche buon numero di altre forme aggr. adulte con embrioni a diversi stadii di sviluppo, fino, a quelli possedenti chiari le caratteristiche muscolari della forma solitaria. Lo studio di questo nuovo materiale, che mi ha permesso di delineare e chiudere con pre¬ cisione tutto il ciclo della C. polae, conferma pienamente che questa forma è urta buona specie, ben distinta dalla Cyclosalpa pianata Forsk. Nella serie di pesche fortunate di questo inverno, poi, ho potuto mettere la mano sopra ad' un'altra specie poco e male conosciuta e nuova per il Me¬ diterraneo: la Salpa asimmetrica Fowler ; di questa e della precedente darò notizie e descrizione particolareggiata prossimamente, in altro luogo. — 295 — F* visto lateralmente, la massa oculare sporge nettamente sulla faccia anteriore del ganglio, aderendovi per la sua metà inferiore e non lascia notare davanti a sè l'ampia camera preoculare che si nota molto pronunziata nella pianata . Il nodo ciliato è più sem¬ plice di molto nella polae che negli esemplari di pianata delle medesime dimensioni, per quanto esso, negli esemplari da me studiati non presentasse l'incrocio come a nodo descritto dalla Siol (1912) per i suoi individui. Nello apparato digerente, il cieco è nella polae meno pro¬ lungato che nella pianata e la curva esofagea arriva con la sua convessità quasi a poca distanza dal suo apice; mentre nella pianata l'estremità del cieco protudera dal corpo in una ac¬ centuata sacculazione della parete del corpo istesso, nell'altra specie questo non avviene. Ma quello che segna ancora una più netta e visibile differenza fra le due specie è lo sbocco del¬ l'intestino, terminante nella pianata sotto il muscolo che va net margine boccale dell'organo di attacco, mentre nella polae ar¬ riva appena al margine inferiore dei due muscoli, che fonden¬ dosi, vanno poi lungo il margine inferiore dell'organo di attacco. Ad un esame accurato, quindi, delle due forme, esteso alla intera organizzazione, ed anche limitandosi alla sola generazione aggregata, la Cyclosalpa polae , come aveva ritenuto la Sigl, e contrariamente a quanto, troppo affrettatamente, il Metcalf (1918) ha sostenuto, deve ritenersi una buona specie. Salpa rostrata Traustedt. 1893. S. rostrata , Traustedt (sol., p. 8, T; I, fig. 1-3). 1894. 5. rostr., Apstein (sol. e aggr., p. 16,35, fig. 9 T. 2, fig. 9. (sol), 17-19 (greg). 1906. S. rostr., Apstein (sol. e Aggr., p. 169, f. 23 (greg. 24 (sol.). 1910. S. rostr., Ihle (sol., p. 27, T. I fig. 17) 1912. 5. rostr. Sigl (sol., p. 18, fig. 6-7) 1919. Brooksia rostrata Metkalf. (sol. e aggr. p. 50,52) Questa specie è male conosciuta e male descritta; gli esem¬ plari da me pescati si mostravano così differenti e con carat¬ teri così proprii, comparati a quelli ricavabili dalle descrizioni date per la S. rostrata , che io sulle prime, basandomi sullo stu- 296 — dio di individui della forma aggr., che per primi ottenni, cre¬ detti fermamente di trovarmi in presenza di una forma nuova e solo l'osservazione successiva di esemplari della forma sol. e di embrioni di altri individui, cominciarono a farmi dubitare di trovarmi in presenza della specie in esame e a cercare di ve¬ dere le ragioni delle differenze risultanti dal materiale da me esaminato e da quello esaminato dagli altri autori. La forma esterna sensibilmente e per vistosi particolari dif¬ ferente; la muscolatura, dalI'APSTEiN data anche con particolari per precisarne la forinola, discordante da quella data ed accet¬ tata dagli autori; la forma del nucleo ed i particolari viscerali discordanti; insomma un complesso di caratteri molto diversi da quelli dati dagli autori, ed in particolari toccanti anche parti essenziali e basali per una diagnosi sistematica. Anche un solo sguardo alla mia figura con le fig. 17-19 dell'APSTEiN (1894), che son le sole che possediamo della forma aggr., ci convince su¬ bito che non erano esagerate le mie esitazioni. Le descrizioni, dunque, date dagli autori sia della forma so¬ litaria, sia della forma aggregata, sono molto incomplete ed è molto difficile farsi una idea esatta sia della organizzazione in particolare, anche nelle sue caratteristiche più significative, sia nella determinazione stessa del numero dei muscoli, riscontran¬ dosi discordanza nelle descrizioni date e mancando i particolari delle disposizioni muscolari orali e cloacali nell’adulto della for¬ ma asessuata come della catenata. Nondimeno, alcuni particolari, come la forma della musco¬ latura della caratteristica appendice anteriore della forma solita¬ ria, come alcuni particolari della organizzazione dell’embrione, de¬ cifrabili nella discreta figura datane dallo Apstein, mi han potuto menare alla decisione di ritenere la forma da me pescata nel Golfo di Napoli la stessa di quella battezzata, e male descritta, come Salpa rostrata , riuscendo, infine, a spiegarmi le apparenti differenze con lo stato del materiale sul quale si era dovuta basare la descrizione della forma aggr. data dalPAPSTEiN. Gli esemplari della forma aggregata da me avuti proveni¬ vano da un frammento di catena pescato a circa due miglia al largo di Mergellina alla superficie, la mattina del 15 marzo 1925. Essi furono portati a me ben viventi ed in ottime condizioni, - 297 — ina staccati dalla catena e nuotanti liberamente l'uno indipen¬ dentemente dall'altro; secondo la testimonianza del pescatore essi erano stati, però, ptscati riuniti ancora in gruppo in ima breve catena lineare, nettamente bilaterale, cosa che lo studio succes¬ sivo e tutta la conformazione degli organi di attacco e generale degli individui, presentantisi in tutta la loro organizzazione di¬ namica (muscoli, apparati sensoriali) nettamente come individui destri o sinistri, conferma pienamente, senza lasciar luogo alla possibilità di dubbio alcuno. Degli individui della forma solitaria potetti trovare, a breve distanza di tempo, due esemplari, fra il plancton pescato al largo del Golfo di Napoli, ad un centinaio di metri di profondità. En¬ trambi gli individui potetti osservarli viventi ma essi non erano in eccellenti condizioni, perché entrambi presentavano il carat¬ teristico rostro della specie alquanto mutilato; ma la organizza¬ zione essenziale e la muscolatura erano in condizioni soddisfa¬ centi e i loro particolari potettero da me essere studiati e rile¬ vati con la massima precisione, anche nei minimi particolari della muscolatura che, trattandosi di materiale vivente, potette essere fissata, in un esemplare, con la miscela osmio-acetica, che, an¬ nerendola, ma lasciandola trasparentissima in modo da rivelarne anche la più minuta trama istologica, ne permette lo studio, fino ai più minuti particolari. Sarebbe sterile tentare la rappresentazione , sia pure molto sommaria, della organizzazione di questa specie senza riferimenti iconografici, che mi porterebbero molto più in là dei limiti di queste brevi notizie; la ricostruzione completa e precisa di que¬ sta specie sarà da me fatta in altro luogo, e credo sufficiente per ora il riferimento alla figura che do della forma aggregata, la quale ci mostra subito, comparandola con quelle dateci dal- I'Apstein, che è stato l'unico autore a descrivere finora la forma aggregata, le sensibili differenze esistenti fra gli individui da me osservati viventi e quelli osservati da altri su materiale certa¬ mente non ben conservato. La forma del corpo appare sensibilmente diversa con i varii prolungamenti dei quali uno pronunziatissimo nella parte po¬ steriore del corpo, alberga il lungo e rettilineare testicolo. Dalla figura sono anche visibili le differenze esistenti fra la muscolatura degli individui da me osservati e le riproduzioni , date dall'ApsTEiN (questo autore dà, fra l'altro, come continui dei muscoli del corpo dalla parte dorsale alla ventrale che io ri¬ scontro nettamente divisi e distinti). Essa dà inoltre la rappresentazione delle mu¬ scolature orale e cloacale, che non erano state finora descritte. L' occhio nella forma solitaria non presenta, nei due esemplari da me stu¬ diati la conformazione a W voluta dall'ApsTEiN ma la so¬ lita forma caratteristica de¬ gli individui solitarii dei Salpidei; il nucleo e gli al¬ tri organi viscerali nelle due forme solitaria ed aggrega¬ ta, presentano caratteri di somiglianza molto spiccata, per quanto differiscano in alcuni particolari: netta poi è la differenza nella posi¬ zione del cuore, che, nella forma solitaria è posto im¬ mediatamente al disopra del- E ansa intestinale, mentre, nella forma sessuata è spo¬ stato molto in alto, quasi a metà della superficie ventrale dell'a- nimale, e ben lontano dallo intestino. I caratteri dell’ansa intestinale, che, più raccolta dell’intesti¬ no delle tipiche Ciclosalpe, si svolge però in una curva molto ben distinta, come la presenza di un testicolo, che va a svilup¬ parsi così appartato dal nucleo, spingendosi in una lunga sac- culazione del corpo; come gli altri notevoli caratteri della or¬ ganizzazione e della muscolatura di questa forma, la rendono degna della più attenta considerazione e del più vivo interesse, Fig. 1. Salpa rostrata Transtedt forma sessuata. Ingr. 5 diam. circa. — 299 — perchè, con le sue caratteristiche, essa si rivela con caratteri intermedii fra i due gruppi in cui da molti si ritengono distin¬ guibili nettamente i Salpidea: Cyclosalpa e Salpa e ci mostra la artifiziosità di tale divisione e la necessità di orientare la si¬ stematica del gruppo su basi più naturali e comprensive , per sfuggire allo schematismo semplicista, necessariamente provviso¬ rio, dei più, o alle inutili ed ingiustificate complicazioni di no¬ menclatura, che qualche autore ha cercato di introdurre recen¬ temente. Doliolum mirabile (Korotn.) Fedele 1923. 1891. Dolchinia mirabilis , Korotneff, (Forozoide, p. 191-193, T. 12, fig. 1). 1904. Dolchinia mir ., Korotneff. (Trofozoide, p. 482, T. 19 fig. 1). 1906. Doliolutn chunif Neumann (Gonozoide, p. 221-222, T. 24 fig. 2). 1913. Doliolum mirabile (Korotn.), Neumann (p. 17-18). 1923. Doliolum mirabile (Korot,) Fedele (p. 125-158. Questa specie, che comprende le forme battezzate dal Ko¬ rotneff Dolchinia mirabilis e dal Neumann Doliolum chimi , fu da me già illustrata e definita nel 1923 in altra pubblicazione, alla quale rimando per brevità ; posteriormente a tale pubblica¬ zione ho potuto pescare altri individui di questa specie vera¬ mente singolare, che pare non debba essere così rara come si è creduto nel Golfo di Napoli, e posso qui, in attesa di uno studio completo anatomico-biologico, che pubblicherò ulterior¬ mente, confermare, per quanto la cosa fosse già sicurissima fin dalle mie prime ricerche, con altri fatti la identità da me sta¬ bilita. Il materiale da me raccolto fu abbondantissimo specialmente neiranno 1925, durante il quale ottenni lunghi pezzi di stolone con numerosissimi. Trofozoidi, portanti individui sessuati con te¬ sticolo a diversi gradi di sviluppo, i quali tolgono ogni dubbio su quanto io asserivo sulla varietà di forma di quest'organo nei vari gradi dello sviluppo e nelle varie età degli individui, sulla sua nessuna importanza sistematica e sul difetto della descrizio- — 303 — ne fattane per la specie dal Korotneff, sulla base di forme as¬ solutamente giovanili. Molti dei miei Trofozoidi portano attaccate all' appendice ventrale gemme, evolventisi gradatamente in gonozoidi non an¬ cora completamente formati, e giovani individui di questa forma a diversi gradi di sviluppo. Ad un determinato stadio di questo gli organi sessuali si mostrano nella forma precisa descritta e figurata dal Korotneff, e da lui erroneamente attribuita alla spe¬ cie come confermazione definitiva, e sono posti dorsalmente al¬ l'arco del tubo intestinale volto verso la parte posteriore del- l'animale. Via via (e i diversi stadi di sviluppo ai quali accenno si riscontrano anche su individui raggruppati sulla appendice dello stesso trofozoide) la parte maschile e la femminile si vanno più nettamente differenziando e spostando, e la gonade femminile e la parte del testicolo prossimale ad essa vengono a mettersi sem¬ pre più allo scoperto, posteriormente all'intestino, prendendo, alla fine, la posizione ed i rapporti caratteristici e già noti dell'adulto. 11 testicolo, poi, manifesta un allungamento progressivo, in¬ curvandosi prima in un solo angolo a squadra, con il lato pros¬ simale alla gonade femminile in direzione parallela quasi agli anelli muscolari del corpo, piegandosi con l'altro lato verso l'alto, in direzione normale a questi. E' quest’ultima parte che, allungandosi via via e oltrapas- sando prima il 6° poi il 5° anello muscolare, si incurva nel 4° spazio intermuscolare, circondando con largo arco il tubo inte¬ stinale, sul lato ventrale sinistro, e prendendo così la caratteri¬ stica forma a pastorale dell'adulto. Per gli altri caratteri diagnostici dissi brevemente nel mio lavoro precedente già riferito, mi basta qui rimandare ad esso confermando pienamente quanto dissi a proposito della forma e delle dimensioni della appendice ventrale del forozoide, della bran¬ chia e delle sue inserzioni e del numero e variabilità nel tem¬ po dei fori branchiali, nonché delle dimensioni degli animali e degli altri caratteri che non enumero ed illustro anche qui per non ripetermi. Stazione Zoologica di Napoli. — 301 BIBLIOGRAFIA CITATA 1894. Apstein, C. — Die Thaliacea der Plankton- Expedition. Ergeb. Plankton-Exp., Bd. 2, E. a. B ; p. 16-35, f. 9, T. 2. 1906. — — Die Salpen der Deutch-Sàdpolar-Expedition. 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Nota preliminare del socio Prof. Marco Fedele (Seduta del 17 agosto 1926) La Caliphylla mediterranea A. Costa, una delle più graziose specie di molluschi opistobranchi, appartenente al gruppo degli Ascoglossa, possiede delle cerate fogliformi che marginano l'ani¬ male dai due lati in più serie regolari con elementi di dimensioni varie e degradanti. La trasparenza spiccatissima di tali organi permette molto agevolmente osservarne la interna organizzazio¬ ne e non cela nessuno dei particolari, anche citologici, della struttura delle cerate e dei prolungamenti epato-pancreatici che in esse si diramano. Queste condizioni opportune mi han fatto presciegliere que¬ sta specie, ed altre dello stesso gruppo, per lo studio della co¬ stituzione dell'organo epato-pancreatico e delle funzioni che in esso si svolgono, e, durante le serie di osservazioni volte a questo scopo, mi hanno porto il destro, in Caliphylla , di sco¬ prire un piccolo ciliato, che vive parassita nei ciechi epato-pan¬ creatici di questa specie, e del quale darò qui brevemente notizia. Tutti gli esemplari di Caliphylla da me esaminati, prove¬ nienti da località diverse del Golfo di Napoli, furono riscontrati infetti da numerosi individui del parassita, che, pur movendosi liberamente attraverso la cavità dei tubuli epato-pancreatici, mo¬ stravano sempre tendenza ad annidarsi nei fondi ciechi di essi — 303 — in modo che questi comunemente ne albergano due tre ed anche più, risultandone talvolta riempiti, al punto da dare alle estremità dei tuboli ciechi l'aspetto di piccoli bulbi cellulari, per i cibati allungati ed affusolati, che vi si ammassano. In questa posizione, i piccoli parassiti possono rimanere per lungo tempo immobili, con tutte le cilia in completo riposo o presentanti un leggiero tremolio. In questi momenti di immobilità locomotoria del protozoo, si possono avere però determinati movimenti ed attività coor¬ dinate di alcuni territorii di ciglia; spiccati i movimenti di at¬ tività ingestivi eseguiti a spese delle ciglia della estremità an¬ teriore dell'aùimalé, assottigliata, e coordinate in modo da avere una vivace corrente andante dai territorii immediatamente an¬ tistanti all'animale verso l'indietro, e in direzione del minuscolo citostoma. Spesso l'animaluccio rota come una trottola, mettendo in chiara evidenza la sezione circolare del suo corpo, sezione che può, in determinate circostanze, con contrazioni, appiattirsi o prendere leggiere concavità che, nello insieme danno al corpo del cibato una forma leggermente a cucchiaio. Dopo periodi più o meno lunghi di immobilità gli anima¬ letti ripigliano i loro movimenti locomotorii e il loro vagare per la cavità del cieco; sovente dalla immobilità al moto si passa con scatti repentini; ma sempre essi tendono ad allogarsi di pre¬ ferenza nei fondi ciechi accennati, dove pare meglio possono svolgersi le loro varie attività, specie la nutritiva, e dove, con il movimento energico delle loro cilia, cooperano al movimento del contenuto del cavo dei tubuli epato-pancreatici, consistente in una miscela di sostanze alimentari, a gradi più o meno avan¬ zati di digestione, e di prodotti dell'attività secretiva digestiva della Caliphylla , messa in moto dalla ciliatura dei tuboli stessi, e nella quale miscela i numerosi cibati, che vi nuotano, trova¬ no appropriato ed abbondante pascolo. Il corpo del parassita è come plastico ed elastico e, nelle compressioni che esso subisce, molto di frequente, avanzandosi e inframmettendosi in mezzo ad altri individui ed a particelle che ne impediscono il libero andare, si deforma, si contorce, — 304 - mostrandosi in alto grado di forma mutevole, riprendendo però, subito, dopo l'ostacolo, la forma tipica della specie. I movimenti son vivaci e l’animale è sensibilissimo agli sti¬ moli; ha scatti e corse nell'uno e nell’altro senso longitudinale del corpo, avanzando o indietreggiando con varia coordinazio¬ ne del movimento delle ciglia. La forma del parassita è allungata e irregolarmente fusoide con una lunghezza, che si aggira in media dai 22 ai 25 micro¬ millimetri, ed un diametro massimo trasversale che è alquanto maggiore della terza parte della lunghezza dell'animale. L'estre¬ mo posteriore è più arrotondato e l'assottigliamento è quivi molto meno pronunziato che nello estremo anteriore, dove l’a- nimale termina molto più affusolato, piegandosi alquanto dal lato opposto a quello dove si apre il citostoma, in modo che ne deriva un margine quasi pianeggiante, ed alquanto incavato nella zona orale, una leggiera convessità complessiva del mar¬ gine del corpo volto da questa parte, ed una concavità, pure non molto pronunziata, nel margine opposto. Le ciglia lunghe, sono ordinate in serie longitudinali, che corrono, in numero di dieci, dallo estremo anteriore alla estre¬ mità posteriore, dirigendosi con lo estremo libero verso la parte anteriore dell’animale, in modo da lasciare il polo posteriore di esso sgombro di ciglia e addensarsi, quasi all'estremità anteriore, in un ciuffo, che è utile ed attivo per la generazione delle cor¬ renti digestive in direzione della bocca; e che di sovente entra in attività durante questa funzione, anche quando tutte le altre zone cibate riposano. II macronuclco è sferico o leggermente ovalare, vistoso e di diametro quasi uguale alla quarta parte dell'asse longitu¬ dinale del corpo; il micronucleo è di difficile osservazione, di minute dimensioni, sferico anche esso, ed addossato quasi sem¬ pre al macronucleo, che lo nasconde. Il citostoma, con solco preorale appena accennato, pic¬ colo e poco appariscente (quando l’animale non è in attività in¬ gestiva) si apre verso il terzo anteriore del corpo, ed è munito di me mb ranella ondulante, che, quando si spiega dallo infossamento orale ed entra in attività, rende sicura e visibile — 305 — la esistenza del citostoma, che altrimenti potrebbe facilmente sfuggire sugli animali viventi o colorati. Esiste una vacuola pulsante presso lo estremo ante¬ riore, il cui periodo di pulsazione è molto lento; pazientemente, sul vivo, si può osservare il confluire in essa di goccioline ed il brusco contrarsi e vuotarsi allo esterno. Non è difficile osservare forme di scissione e colpirla in atto sul vivo, ed i fenomeni nucleari che in essa si manifestano non hanno niente di molto peculiare per questa forma. Descriverò nel lavoro in esteso la struttura del citoplasma, le reazioni degli inclusi e più particolarmente i varii organelli e le varie funzioni ed attività di questa nuova forma, della quale mi limito qui a dare notizia, nonché i rapporti intercorrenti fra essa e la Caliphylla , nella quale vive. Ho studiato le possibilità di infezione di Caliphylla e il modo come il parassita può pervenire in essa. Il protozoo è perfettamente adattato al contenuto deH'organo epato-pancreatico del mollusco e non è in grado di menare vita libera in acqua marina; e in essa, come ho provato replicate volte sperimental¬ mente, si incista. Espulso per la via intestinale o per eventuali rotture o disfacimento delle cerate, si addensa in una massa sfe¬ rica, che lascia ancora vedere alcuni degli essenziali caratteri strutturali interni deiranimale, e si raccoglie in cisti, che poi, introdotte in altri individui con l'alimento, riproducono la in¬ fezione. Non ho potuto osservare in quale stadio dello sviluppo della Caliphylla questa per la prima volta si manifesti, ma le molte uova da me potute osservare, deposte da individui infe¬ stati dal parassita, erano, con i loro nidamenti completamente immuni da ogni traccia di questo. Su questa parte ed altre interessanti la biologia dell'ospite e del parassita mi riprometto di fare ulteriori ricerche nella prossima opportuna stagione. A questo nuovo olotrico, per il citostoma molto difficile a scorgersi, e che si rivela solo in determinate posizioni dell'ani¬ male ed in determinate circostanze, creo il nuovo genere Cryp- tostoma , e per l’ospite in cui vive , il nome specifico caliphyl- - 20 - — 306 — lae} non avendolo io riscontrato in nessuna delle numerosissi¬ me specie di opistobranchi esaminate, pur non escludendo che si possa, un giorno, riscontrare la stessa forma, o forme analo¬ ghe, in altri ospiti da me non osservati. Per l'aspetto generale questo protozoo rassomiglia da una parte alle specie di Uronema, e in particolar modo ad Uro- nenia digitiforme Fabre, descritta dal Fabre - Domergue !) nel 1885 col nome di Philaster digitiformis Fabre - Doumérgue (Tav. 28, fig. 1 e 2) vivente ectoparassiticamente sulla pelle di Asterie (Baia di Concarneau), e, dall'altra parte, ad Anaplophrya (Stein), forme trovate parassitiche nel tubo digerente di diversi anellidi o gasteropodi e nel sangue di crostacei. Le prime forme appartenenti agli Holotrichida Himenostomida , la seconda rac¬ chiusa fra gli Astomata, ma rapportatesi anche essa agli Ime- nostomidi, essendo la assenza della bocca, con ogni probabilità, più che una semplicità primitiva, un effetto secondario, in rap¬ porto al parassitismo. La distinguono nettamente dalle prime (Uronema): 1) la lun¬ ghezza, che in Cryptostoma va dai 22 ai 25 micromillimetri; 2) la mancanza della lunga seta alla estremità posteriore; 3) una maggiore cilindricità della forma, in quanto che Uronema pre¬ senta forma alquanto convessa sul dorso e piana sul ventre; nella leggiera scavatura nella regione boccale si rassomigliano. Dal- V Uronema digitiformis (al quale, come ho detto, più nella forma generale si rassomiglia) differisce, oltre che per i caratteri gene¬ rali suddetti, anche per avere un numero di linee di inserzioni ciliari minore (dieci in Cryptostoma ), e per possedere membrana ondulante orale. Da Anaplophrya differisce nettamente, oltre che per la pre¬ senza della bocca, che in questo genere manca, per possedere un macronucleo di forma sferica ed una sola vescicola pulsante posteriore, mentre Anaplophrya ne conta parecchie, situate lungo uno dei suoi margini laterali. Sicché le rassomiglianze sono puramente superficiali e Cryp¬ tostoma si individua inequivocabilmente per caratteristiche pro- *) 1885. Fabre- Domergue, M. — Note sur les Infusoires ciliés de la Baie de Concarneau. in ; Journ. de l’Anat. e Physiol., Voi. 21, p. 554-568, pi. 28, 29. prie, in modo da potere, per i suoi caratteri e il suo peculiare abitat , fissare nettamente questa forma in un genere nuovo ed in una nuova specie possedente le seguenti caratteristiche: Cryptostorna caliphyllae , n. gen., n. sp. 1) Ciliato Holotrica parassita nei ciechi epato-pancreatici di Chaliphylla mediterranea A. Costa; 2) possedente poche strie di ciliazione longitudinale (dieci serie) ; 3) sprovvisto di ciglia e di seta alla estremità posteriore; 4) con ciglia lunghe quasi più della metà del diametro mas¬ simo deH’animale; 5) bocca piccola, con solco preboccale appena accennato, e munita di membranella ondulante: la bocca per le sue minute dimensioni e per i periodi molto lunghi di riposo della mem¬ brana ondulante non è di facile osservazione; 6) macronucleo rotondeggiante, posto presso la parte me¬ dia del corpo o spinto, più di sovente, verso il terzo anteriore di esso: micronucleo minuscolo , addossato al precedente e non facilmente visibile; 7) vacuoli contrattile posteriore con lento ritmo. Riscontrato finora solo parassita in tutti gli individui di Caliphylla mediterranea) pescati in località diverse del Golfo di Napoli. Dalla Stazione Zoologica di Napoli, agosto 1926. (Finito di stampare il 30 dicembre 1920) Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli COMUNICAZIONI VERBALI Gli cultori assumono la piena responsabilità dei loro scritti. Sul tufo del cratere di Socciaro. (Isola di Procida) Comunicazione verbale del socio Antonio Parascandola (Tornata del 17 agosto 1926) Contiguo al cratere di Vivara trovasi nell’isola di Procida il cra¬ tere di Socciaro il cui tufo forma l’oggetto della presente comunicazione. Il cratere di Socciaro, uno dei più profondi della zona flegrea e dell’isola di Procida, per la sua struttura, è in contrasto direi, con quella di tutta l’isola e della vicina Vivara, poiché, mentre gli altri crateri di Procida e di Vivara hanno il loro edificio costruito dall’intercalarsi del tufo con le lave nere scoriacee e con le brecce, nel cratere in questio¬ ne invece non v’è che solo tufo. Ho quivi trovato un tufo giallo compattissimo di colore tendente al grigio e tufo grigio soprastante al primo. Tale tufo giallo ricorda quello di Vivara e di Santa Margherita. Cinque anni or sono, in uno scavo fatto nella località delle Cen- tane, trovai che il tufo, il quale non mostrava differenziazione di sorta su tutta la superficie del cratere, ne presentava invece nel taglio. Le differenziazioni sono rappresentate da segregazioni scure che nella frattura fresca hanno un colore verde cupo che scompare dopo alcuni giorni, permanendo però la tinta scura. Alcuni saggi di questo tufo si confonderebbero ad occhio nudo con una roccia lavica, ma all'esame microscopico rivelano la loro na¬ tura tufacea, la quale altresì si rivela da accurate osservazioni di tutta la zona. E’ di particolare interesse che il tufo in questione si presenta co¬ stituito dai seguenti minerali, in ordine di frequenza : olivina, a u gite, san idi no e plagiocasi intermedi tra la bi t own i te e Fan orti te. L'olivina e T augite sono straordinariamente abbondanti nel tufo del cratere di Socciaro. — 4 — Essi sono in cristalli liberi, isolati, visibilissimi ad occhio nudo e talora relativamente grandi. Questi cristalli sono facilmente separabili dal tufo li dove vi è stata azione dell'erosione atmosferica e marina. Essi sono in genere nitidi e in ottime condizioni per prestarsi ad uno studio cristallografico. Dalle cose osservate opinerei che il magma formatore del cratere di Socciaro sia stato ricco in Schlieren basiche, dato che noi ora vediamo i cristalli suddetti liberi ed abbondanti nel tufo. Nè mancano i proietti lavici basici a fenocristalli di olivina. Tale fatto è importante perchè rivelerebbe nell'isola di Procida, nel cratere di Socciaro, la presenza di rocce basiche. De Lorenzo trova che la peculiarità di Vivara, che rende tale cra¬ tere il più importante fra tutti i flegrei, è dovuta alla presenza di pro¬ ietti basaltici fra materiale trachitico: unica anomalia riscontrata in tanti coni della zona flegrea. A Vivara si aggiunge perciò Socciaro formando due termini ben vicini, come in seguito cercherò dimostrare. Sicché Vivara geologica¬ mente è intimamente legata all' isola di Procida, formando un siste¬ ma: Vivara-Procida, che legandosi con i crateri del Monte di Procida formano il sistema: Vivara-Procida-Monte di Procida, costituendo, for- mie e fenomeni di passaggio tra l'eruzioni insulari e continentali tra i crateti a brecce e quelli di tufo giallo del secondo periodo dei campi flegrei. In una Nota che seguirà, fra non molto, darò una dettagliata de¬ scrizione del cratere di Socciaro. Procida 15 Agosto 1926. (Finito di stampare il 30 dicembre 1926) Su i frigoriferi e su le carni ed i pesci congelati. Nota merceologica Comunicazione verbale del socio Ugo Mi Ione (Seduta del 30 dicembre 1926) In seguito a parecchi esami fatti su queste merci in varie contro¬ versie, sono in grado di affermare che coloro che fanno l' industria della carne congelata e dei pesci congelati si lasciano guidare da due errori fondamentali e gravi. Essi credono che il frigorifero sia come un ri¬ medio atto a far ritornare allo stato normale gli alimenti alterati od an¬ che solo allo stato di incipiente alterazione e che lo scongelamento sia una cosa da farsi come essi 1' eseguono, cioè facendo passare rapida¬ mente l'alimento congelato dallo stato di congelamento allo stato nor¬ male, mentre è noto che lo scongelamento deve essere graduale come graduale fu il congelamento. Da questi errori conseguono fatti impor¬ tantissimi e cioè che la merce così erroneamente scongelata si presenta male e perciò non è accetta ai consumatori e si altera più facilmente, onde il riportare nel frigorifero una merce così scongelata per poi rie¬ sportarla il giorno seguente è il miglior modo di farla più rapidamente alterare. Ora bisogna che sia ben compreso che nel frigorifero si debbono immettere merci normali e neanche in istato di incipiente alterazione e quindi bisogna far voti che l’Autorità Sanitaria controlli il funziona¬ mento dei frigoriferi, disciplinandoli con norme precise, onde, per e- sempio, non accada che grandi quantità di pesce refrigerato, pro¬ veniente, sia pure nel mese di dicembre, dalla Francia settentrionale, venga immessa nei frigoriferi senza una ispezione rigorosa della merce in arrivo, quando è noto che la merce (pesci), refrigerata, si altera fa¬ cilmente per le lacerazioni che le scheggie di ghiaccio producono sul corpo dell’animale. (Finito di stampare il 30 dicembre 1926) 2. Sullo zucchero cristallino e sullo zucchero granulato. Nota merceologica Comunicazione verbale del socio Ugo Mi) one (Seduta del 26 dicembre 1926) E' noto che lo zucchero comunemente adoperato neH’alimentazione, quando è puro, è costituito di saccarosio solo ed è detto pure zuc¬ chero cristallizzabile per differenziarlo dagli altri zuccheri che non cri¬ stallizzano e si presenta in prismi romboidali obliqui più o meno volu¬ minosi, terminati da sommità diedre e portanti faccette emiedriche. E' noto altresì che lo zucchero raffinato è ottenuto sottoponendo alla chia¬ rificazione ed alla decolorazione con albumina e nero animale lo zuc¬ chero greggio che è prodotto direttamente dalla lavorazione della bar¬ babietola, cioè dai succhi di questa. Lo zucchero granulato, cioè in grani, formati da piccoli cristalli brillanti e nettamente isolati, si ot¬ tiene disturbando la cristallizzazione degli sciroppi raffinati e facendo sgocciare i cristalli a mezzo della centrifuga. Questo zucchero è di una grande purezza, mentre lo zucchero detto cristallino è meno puro e lievemente colorato. Gli zuccheri raffinati si presentano in cristalli molto minuti (se¬ molato, granulato), di colore bianco, mentre gli zuccheri cristallini sono più o meno lievemente colorati. Tuttavia si usano in commercio i così detti zuccheri cristallini in cristalli piuttosto grandi (circa 1-2 mm) e non perfettamente bianchi e questi sono da conside¬ rare come semiraffinati, provenendo da un semplice lavaggio (affina- zione) dei greggi. La denominazione di cristallino dato allo zucchero non raf¬ finato è solamente esatta, quando la merce si presenta colorata anche leggermente e non è arida. Onde è chiaro che il fatto della cristalliz¬ zazione e della grandezza dei cristalli non può costituire da solo un — 7 — elemento sufficiente a stabilire che lo zucchero raffinato detto gra¬ nulato o semolato è sempre egualmente cristallizzato, anche perchè la denominazione di granulato venne in un primo tempo dato al raffinato che si presentava in piccoli cristalli detti grani, ma, più tardi, la grana non è stata poi la proprietà fondamentale e diffe¬ renziale delle due qualità. Difatti in commercio si trovano granu¬ lati grossi e cristallini fini, e ciò perchè il fenomeno della cristallizzazione in grossi o piccoli cristalli dipende da fatti tec¬ nici molteplici, malgrado le norme per avere le varie grane. Pertanto, per assodare la purezza di uno zucchero, se cioè sia raffinato o no, bisogna ricorrere all’analisi chimica per risolvere in modo perentorio la questione, dando lo zucchero granulato una resa di 99,60-99,80, cioè quasi senza ceneri, e presentandosi arido, mentre lo zucchero cristallino dà 99,30 di resa e 0,04 di ceneri e non è arido. (Finito di stampare il 30 dicembse 1926) 3. Composizione di un inchiostro fotorotocalco Nota merceologica Comunicazione verbale del socio Ugo M il o n e (Seduta del 30 dicembre 1926) L'inchiostro conosciuto in commercio con questo nome serve per le macchine rotative per stampare giornali ed altro e quindi per in¬ chiostrare le incisioni fatte con processo speciale sul rame elettroliti¬ camente depositato su cilindri che, girando, si bagnano lievemente in recipienti ad essi sottostanti e poi, data la fluidità grande dell' inchio¬ stro e la volatilità dell’idrocarburo in cui è stemperato, si asciugano sol¬ lecitamente e nella incisione sul rame del cilindro resta solo dell' in¬ chiostro quanto basta a stampare la carta su cui il cilindro viene com¬ presso. Ho avuto occasione di esaminare alcuni campioni di questo in¬ chiostro di provenienza tedesca e, poiché in Italia è poco noto e di questi inchiostri non si parla nè in enciclopedie nè in trattati di mer¬ ceologia, credo di far bene rendendo nota la composizione di questo speciale inchiostro e che è la seguente: Materia colorante, sostanza grassa essiccativa, sostanza bituminosa benzolo e xilolo. (Finito di stampare il 30 dicembre 1926) Rigenerazione in Tritoni adulti di arti in seguito a trapianto eterotopico-omolaterale della loro porzione distale. Comunicazione verbale del socio Ermete Marciteci (Tornata del 30 dicembre 1926) Per alcune mie ricerche in corso avevo dovuto eseguire sopra in¬ dividui adulti di Triton cristatus trapianti eterotopici - omolaterali di arti. I trapianti erano stati fatti sul tronco, tranne uno di arto anterio¬ re, eseguito sulla regione temporale, ed un altro di arto posteriore sulla base della coda. La tecnica adoperata per l’innesto era stata la seguente : Praticavo nella regione dell’innesto, al di sotto della pelle od anche dello strato muscolare più superficiale, una specie di cunicolo, aperto ai due estre¬ mi. Poi, asportata la cute, che ricopriva lo zeugopodio dell’arto da in¬ nestare, introducevo questo nel cunicolo, e, spingendolo , facevo fuo¬ riuscire il piede dall'apertura opposta, in maniera da far rimanere nel cunicolo solamente la porzione priva di pelle. Avvenuto l'innesto, le¬ gavo con un filo di seta l'estremo distale dello stilopodio, e, dopo un certo tempo, tagliavo l’arto all’altezza della legatura, separando così la sua porzione prossimale da quella innestata. In tutti gli animali operati, la porzione di arto trapiantata, quan¬ tunque avesse perduta ogni connessione con i propri centri nervosi e fosse completamente paralizzata, si è, con inversione di polarità, rige¬ nerata regolarmente. Cioè dalla superficie di sezione si è sviluppato, come nelle esperienze di Della Valle ed in quelle di Milojevic e Grbic, un arto tipico, la cui forma quindi, in pieno accordo con la legge di Bateson, è l’immagine speculare dell’arto innestato. Anche gli arti mutilati in seguito all’innesto si sono rigenerati. Ma mentre dai moncherini di quelli, la cui porzione distale era stat^ tra- — 10 — piantata lateralmente al tronco, si è neoformato un arto tipico; il mon¬ cone invece, sia delParto anteriore, trapiantato sulla regione temporale, che di quello posteriore, innestato sulla coda, rigenerandosi, ha dato luogo ad un arto, il cui piede, specialmente per il numero delle dita, differisce dal tipo normale. Così, nell’arto anteriore (v. figura), il piede neoformatosi, invece di avere quattro dita, ne presenta cinque, come quello di un arto posteriore. Così pure il piede, rigeneratosi dal mon¬ cone dell'arto posteriore, è provvisto solo di quattro dita , come un piede anteriore. Nell'arto posteriore però l'aspetto generale del piede, tranne per il numero delle dita, non appare molto mutato. Invece la porzione, rigeneratasi dal moncone dell' arto anteriore (v. figura) , ricorda molto un arto posteriore, non solamente per il numero, forma e disposizione delle dita, ma anche per l’aspetto generale esterno, per l’orientamento del suo asse medio-laterale e per la maniera di muoversi. Ora in questi due casi si tratta di una vera rigenerazione etero- tipica dell’arto, oppure di una casuale apparente eterotipia ? Certo la riduzione del numero delle dita nell’arto posteriore potrebbe dipendere da deficienza di sviluppo rigenerativo o da una si ndattilia molto lar¬ vata delle due ultime dita. Ugualmente nell’arto anteriore, la presenza di un quinto dito potrebbe attribuirsi ad una polidattilia , dovuta a cause meccaniche o meglio alla fusione di due coni rigenerativi, for¬ malisi sopra la stessa superficie di sezione. Ma la rigenerazione tipica di tutte le porzioni di arto trapiantate, l’aspetto generale specialmente del piede neoformatosi dal moncone dell’arto anteriore, il fatto che so¬ lamente i monconi degli arti innestati fuori del tronco abbiano dato luogo alla neoformazione di un piede atipico e resistenza tra questo e quello innestato di una certa correlazione di forma, rispetto alla loro reciproca posizione, ci indurrebbe a supporre che la porzione di arto, trapiantata fuori del tronco, avesse potuto esercitare una certa influenza sulla rigenerazione del moncone rimasto in sito. Volendo venire ad una conclusione, ho eseguito nuovi trapianti di arti sopra un maggior numero di Tritoni. Ma poiché, per ottenere il risultato delle iniziate esperienze, bisognerà attendere ancora molto tempo, ho creduto utile fare questa breve comunicazione verbale. Napoli , Istituto di Anatomia e Fisiologia comparate , dicembre 1926. ( Finito di stampare il 30 dicembre 1926) ; , . i ■ Bollettino della Società dei Na RENDICONTI DELLE TORNATE ED ASSEMBLEE GENERALI (PROCESSI VERBALI) - 21 - PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINARIE ED ASSEMBLEE GENERALI Tornata ordinaria del 22 febbraio 1926 Presidente'. L. Quintieri — Segretario: G. Zirpolo Soci presenti : Monticelli, Jucci, Fiore, Augusti, Mondelli, Wen, Foà, Candura, Palombi, Caroli, Milone, Cavara, Pieranloni, Sa fi, Marcucci, Ranzi, Sereni, Guadagno, De Rosa, Police, Rodio, Biondi. Si apre la seduta in seconda convocazione alle ore 17.30. Il Presidente rivolge un vivo ringraziamento all'Assemblea che volle eleggerlo all’alta carica. Dichiara di avere accettato per quel senso di solidarietà che fu sempre l'anima e la vita delle Società dei Naturalisti. Egli confida sempre sull’aiuto e sul concorso dei vecchi soci. Comunica che il Bollettino per il maggior sviluppo che va pren¬ dendo per i cambi ed i nuovi soci è stato portato al tiraggio di 350 copie da 300. Promette che sarà cura del Consiglio di provvedere al Calendario delle Tornate. Fa poi noto ai soci che per quest'anno sarà concesso un foglio e mezzo di stampa ed un sussidio per clichès proporzionalmente alle spese fatte dell’Autore, ma non superiore alle lire cinquanta. Comunica inoltre che il C. D. ha stabilito che i soci ordinari non residenti paghino nei primi sei mesi dell'anno la intera quota sociale. 11 Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Presenta inoltre il Bollettino della Socielà. Un volume di circa 400 pagine con 15 tavole di cui tre a colori e numerose incisioni nel testo. Il socio Fiore Maria legge un lavoro dal titolo : Sulla morfologia del sistema conduttore delle piante vascolari e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Cavara chiede la parola e dichiara che il lavoro sintetico IV della Signorina Fiore è utile perchè aggiorna la questione tanto di¬ scussa del sistema conduttore delle piante. Il socio Augusti legge un lavoro dal titolo: Studi e ricerche spe¬ rimentali sul myrtus communis L. var. italica. 1. Estratto conciante di mirto e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. 11 Presidente chiede spiegazioni al riguardo e ringrazia il socio Augusti per l’interessante comunicazione. Il socio Wen legge un lavoro dal titolo: I fenomeni dello sviluppo partenogenetico nell'incrocio tra razze univoltine e bivoltine di bachi da seta e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Jucci legge un lavoro dal titolo : Caratteri delVuovo e ca¬ ratteri del bozzolo nei due incroci reciproci tra razze univoltine e razze bivoltine da bachi da seta. La socia Foà conferma le idee esposte dall’Jucci anche per studii istologici cui lei attende. Il socio Zirpolo fa una comunicazione dal titolo: Risultati di una polemica sui batteri luminosi. Il Presidente ringrazia i Soci che hanno fatte le comunicazioni -scientifiche e toglie la seduta alle ore 19. Processo verbale della tornata ordinaria e dell’ assemblea generale del 28 marzo 1926. Presidente: L. Quintieri — Segretario ff. M. Salfi Soci presenti : Biondi, Parascandola, De Rosa, Gargano, Marcucci, Fenizia, Fedele, Ranzi, Pierantoni, Jucci, Cutolo, Monticelli, Giordani: La tornata è aperta in seconda convocazione alle ore 16.30. Il Segretario legge il processo verbale della tornata precedente che è approvato. Il Presidente ricorda l’opera svolta dai soci Bakunin e Zambonini a favore della Società per l’ampliamento dei locali della sua sede. Dice che è sicuro di interpretare i sentimenti dell' assemblea inviando un saluto di riconoscenza ai due benemeriti soci. Il socio Cutolo ricorda come anche il nuovo Rettore Prof. Bottazzr abbia accolto favorevolmente l’occupazione dei nuovi locali da parte della Società; propone quindi che ai nomi dei soci Bakunin e Zambo¬ nini venga aggiunto anche quello del Prof. Bottazzi. Il Segretario comunica i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenir- te in dono. ; :,L V Il socio Gargano fa una relazione sulla stampa scientifica occu¬ pandosi di recenti vedute sulla eziologia del cancro. Il socio Salfi legge a nome del segretario la relazione sull’ anda¬ mento morale e finanziario della Società durante il 1925. Relazione sull’andamento morale e finanziario della Società dei Naturalisti di Napoli per l’anno 1925. Egregi Consoci, Dopo sei anni ritorno per vostra fiducia a questo posto di respon¬ sabilità e di lavoro. Io vi ringrazio per la fiducia che ancora una volta avete voluto riporre in uno dei gregari più modesti che da oltre tre¬ dici anni quasi ininterrottamente è stato ben lieto di poter dare la sua opera per lo sviluppo sempre maggiore del nostro sodalizio, sia come Bibliotecario sia come Segretario e Redattore del Bollettino. Questo decorso anno segnerà una data importante nella storia della nostra Società, perchè l’eredità De Mellis ha assicurata la sua vita in maniera più che mai stabile, mettendo la Società in condizioni di es¬ sere la prima d’Italia per efficacia di mezzi e per nuovi orientamenti e compiti assegnatile. Il nostro pensiero, oggi, in questa assemblea generale, deve rivol¬ gersi grato alla Baronessa Olimpia De Mellis discendente del grande zoologo napoletano Filippo Cavolini, perchè ha voluto con la sua ge¬ nerosità lasciare al nostro Sodalizio i mezzi per poter fare opera scien¬ tifica larga, utile, proficua. Ed un particolare plauso deve rivolgersi al nostro benemerito socio Fr. Sav. Monticelli che estimatore e lodatore della Scuola Zoologica Napoletana ideò ed attuò quei festeggiamenti che hanno fruttato enor¬ me benessere al nostro Sodalizio. E così dopo aver ricordato l’avvenimento più importante dell’anno eccovi la consueta relazione. Soci. — Al 1° gennaio 1925 i soci erano 110 così ripartiti: soci ordinari residenti 74, ordinari non residenti 30, aderenti 6. Al 31 dicembre 1925 il numero dei soci ordinari è salito a 121 così diviso: soci ordinarii residenti 82, soci non residenti 32, soci ade¬ renti 7. L’Assemblea ha ammesso nel 1925: a) a soci ordinari residenti i sigg. Casella Domenico, Cuscianna Niccolò, Cutolo Costantino, Dojmi de Lupis Serafino, Foà Anna, Ga- liani Riccardo, Jucci Carlo, Mondelli Sassinoro Renato, Preti Giacomo, Ranzi Silvio, Russo Giuseppe, Volpiceli Mario, Wen Darwin. b ) a soci ordinari non residenti i sigg. Carlomusto Saturno, Imbò Giuseppe, Morgoglione Ferdinando, Remotti Ettore, Sereni Enrico. c) a soci aderenti il sig. Cerone Roberto. Il Consiglio Direttivo ha trasferito, su sua domanda dalla catego¬ ria dei soci ordinari non residenti a quella dei residenti la socia Ma¬ ria Fiore e dalla categoria dei residenti a quella dei non residenti il socio Mazzarelli Gustavo. Ha anche accettate le dimissioni del socio Capozzoli Rinaldo. La Società ha subita una dolorosa perdita con la morte del socio Presidente Francesco Capobianco la cui immatura ed improvvisa fine ha destato un senso di grande impressione nell'animo nostro. Il Prof. Capobianco fu uno dei primi soci del nostro sodalizio ed al suo grande valore di scienziato accoppiava una rettitudine d' animo ed una bontà senza fine. Non vi parlerò della sua attività di socio, di scienziato, di educatore: in una prossima tornata il chiar.mo socio prof. Fr. Saverio Monticelli, incaricato dal Consiglio Direttivo, vi parlerà degnamente di lui. Tornate. — La Società ha tenuto nel 1925 7 tornate ed a norma dell’articolo 16 dello Statuto due Assemblee generali. Nelle tornate ordinarie sono stati letti numerosi lavori da parte dei soci delle due categorie e fatte comunicazioni verbali e relazioni sulla stampa scientifica. In una tornata straordinaria furono tributate solenni onoranze al nostro socio anziano Prof. Antonio Della Valle in occasione del suo 75° anno di età, Di queste Onoranze, dell' attività spiegata dal nostro sodalizio per la istituzione di un premio a lui intitolato, come pure dei festeggiamenti ne è dato ampio resoconto nel Bollettino testé pub¬ blicato. Voti. — La Società in quest’anno si è occupata della esclusione dei laureati in chimica ed in Scienze Naturali a partecipare al concorso per il posto di Assistente all’Osservatorio Vesuviano, ed ha perciò emesso analogo voto al Ministero competente perchè sia data la possibilità a tutti i laureati in Scienze di poter partecipare al suddetto concorso. Attività scientifica. — I lavori letti nelle tornate sono stati 30, di cui 3 comunicazioni verbali. Essi sono così ripartiti: Zoologia 20. Bo¬ tanica 2. Fisica 1. Fisica terrestre 3. Geologia 1. Chimica 1. Agraria 2. Il socio Riccio ha intrattenuto la Società su alcune esperienze da lui praticate relativi agli innesti di capsule surrenali. Il socio Viggiani ha letto tre lavori dei quali un primo riguardante la questione della consanguineità nei rapporti del miglioramento della razza, un secondo che si riferisce ad osservazioni da lui compiute sulla Tropinota hirta con speciale riguardo ai danni da questi arrecati alle coltivazioni erbacee ed un terzo che si riferisce a esperienze sul Pro-- moloid Asahi. 11 socio Mazzarelli Gustavo ha comunicato alla Società i fenomeni da lui osservati nella Tromba marina del 25 agosto 1923 a Cuma. Il Socio Geremicca ha letto una nota su alcuni prodotti metileninici e delle loro applicazioni terapeutiche. Il socio Imbò si è occupato degli spettri di assorbimento delle so¬ luzioni di cloruro di Cobalto. Il socio Guadagno ha trattenuto la Società sui Rapporti tra pioggia e vegetazione sulla costiera amalfitana e sulla distribuzione geografica di alcune specie di quella plaga che egli considera quali relitti di an¬ tiche flore prequaternarie. Ha ancora illustrato petrograficamente e geologicamente il tufo tra- chitico di S. Stefano al Vomero. Il socio Salfi ha dato comunicazione alla Società di alcuni studi in corso sulle Ascidie del golfo e propriamente sul ringiovanimento della Rhopalaea neapolitana e sulla genesi delle colonie in Holozoa ma - gnilarva. Ha ancora illustrato una serie di Ortotteri di Cirenaica. Il socio Fedele ha letto tre lavori di cui uno riguardante le fasi della metamorfosi dello Scyllarus arctus, un altro relativo all’inversione del movimento ciliare nei ctenofori ed un terzo relativo alla conoscenza delle espansioni nervose motrici nelle Salpe. Il socio Marcucci ha comunicato i risultati di sue esperienze sul Rapporto tra la rigenerazione della Corda dorsale e la restituzione delle parti di corda asportate nelle larve di anuri. 11 socio Wen e il socio Jucci hanno trattenuto la Società su que¬ stioni relativi ai fenomeni di partenogenesi ed eredità nei Bachi da seta, e propriamente il Wen sulla precocità di sviluppo e tendenza alla partenogenesi nei Bachi di razza gialla indigena, ed Jucci sulla discen¬ denza di incroci tra i Bachi terzini e quartini. Il socio Cotronei ha comunicato alla Società i risultati di espe¬ rienze sugli Anfibi suH’influenza del sistema nervoso in relazione a nu¬ trizione con tiroide. Ha ancora comunicato alcune osservazioni sui fenomeni di sdif¬ ferenziamento nel Corydendrium parasiticum. Il socio Zirpolo ha illustrato un caso di simbiosi fra Dromia vul- garis a Balanus crenatus, ha ancora descritto un nuovo Clavelinide del Vili golfo di Napoli ed infine ha trattenuto la Società sulla rigenerazione delle braccia di Laidia ciliaris. Ha ancora fatto una comunicazione verbale sulla lotta contro la cocciniglia degli agrumi. Il socio Colombo ha dato comunicazione di alcune osservazioni sulla forma dei semi di Medicago sativa. Il socio Colosi si è occupato dell’acqua come medium respiratorio. La socia Valerio ha illustrato 1’ andamento annuo della pressione barometrica sul Piccolo S. Bernardo. Il socio Biondi facendo seguito alle sue ricerche nelle Bombe ve¬ suviane ha trattenuto la Società sulle Bombe peritrepiche. Il socio Monticelli ha fatto una comunicazione verbale sulla Bale- noptera acato rostrata, presa a Lacco Ameno (Ischia). Il socio Caroli ha fatto una comunicazione verbale sulla Zoea dei Pontoninae. Bollettino. — Il Bollettino della Società per l’anno 1925 che è stato già pubblicato ed è in distribuzione ai Soci ed alle varie Società con le quali siamo in cambio di pubblicazioni è il Volume 37 (16° della seconda serie) di ben 300 pagine con 15 tavole fuori testo e parecchie figure. In un apposita appendice è data ampia e minuta relazione delle Onoranze svoltesi a cura della Società al socio della Valle, in occasione del suo collocamento a riposo per limiti d’età. Biblioteca. — La Biblioteca sociale, si è anche durante questo anno accresciuta di molti volumi che alcuni soci hanno voluto donarle. Il Segretario deve ricordare con gratitudine ai soci che il socio Monticelli ha donato numerosi libri ed opuscoli che appartenevano alla Biblioteca del suo illustre antenato Abate Teodoro Monticelli. Sono edi¬ zioni rare di trattati di Mineralogia e Geologia ed opuscoli ancora più rari e preziosi perchè contengono autografi degli uomini più insigni italiani ed esteri che tennero carteggio col Monticelli. Così la Società potrà in due particolari scaffali riporre i cimeli di due illustri napo¬ letani: Filippo Cavolini e Teodoro Monticelli. Bilancio. — Il bilancio consuntivo 1925 si chiude con un supero di L. 163, 48. Come l’Assemblea sentirà dai Revisori dei conti il Bi¬ lancio sociale è stato portato nel corso dell'anno decorso per gl’introiti imprevisti (tra cui la vendita del nostro Bollettino) ad una cifra molto più alta di quella del 1924. TX Egregi Consoci, Nel chiudere la mia relazione mi piace rilevare come quest'anno sia cresciuta l'attività del nostro sodalizio e come maggiormente, ora che le sue condizioni di vita sono più che mai assicurate, esso possa pro¬ cedere sempre più facilmente nella via ascensionale tracciatale dalla sua tradizione. Processo verbale della tornata ordinaria del 28 aprile 1926. Presidente : L. Quinti eri — Segretario ff. : M. Salfi La tornata è aperta in seconda convocazione alle ore 17.30 Soci presenti : Monticelli, Milone, De Rosa, Candura, Gargano, Guadagno, Marciteci, Pierantoni, Del Regno, Carrelli, Giordani, Foà, Police, Wen, Jucci. Il Presidente dà la parola al socio Jucci che anche a nome del socio Wen legge un lavoro Sulla curva di sviluppo delle glandule serigene del baco da seta e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. La socia Foà fa alcune osservazioni al lavoro del socio Jucci che risponde esaurientemente. La socia Foà si dichiara soddisfatta. Il socio Salfi, a nome del socio Zirpolo assente, legge un lavoro di quest’ ultimo sulla Gemmazione , doppie formazioni ed ipotipie negli Asteroidi e ne chiede la pubblicazione a nome dell’autore. Il socio Police fa una comunicazione Sulla struttura dell ' articolo esterno degli elementi visivi nelV Axolotl di Amblystoma. Il socio Police legge un discorso commemorativo su Camillo Golgi rievocando la vita di studioso e l’opera scientifica del grande scomparso. Il Presidente si congratula col socio Police e ringrazia anche gli altri soci per le loro comunicazioni. La seduta è tolta alle ore 19. Tornata ordinaria del 31 maggio 1926. Presidente : L. Quintieri — Segretario : G. Zirpolo Soci presenti: Torelli, Adinolfi, Carrelli, D’Aquino, Platania, Au¬ gusti, Parascandola, De Rosa, Pierantoni, Fedele, Chistoni, Ranzi, Mon¬ ticelli, Police, Salfi, Caruso, Marcucci, Fiore, Caroli, Del Regno, Cutolo, Pellegrino L., Milone, Geremicca F., Mondelli, Foà, Jucci, Gargano, Rodio, Guadagno. La seduta e aperta alle ore 17,30 in seconda convoocazine. X Il Segretario legge il processo verbale della tornata precedente, che è approvato, e comunica le pubblicazioni pervenute in dono. Il socio Del Regno legge una conferenza sul Viaggio del Norge. Il Presidente ringrazia il socio Del Regno della interessante lettura. Il socio Cutolo propone di inviare all’Ing. Nobile un voto di plauso dell’Assemblea per 1' ardimentosa conquista. L'assemblea unanime ap¬ prova. Il Presidente dà la parola ai soci per le comunicazioni. Il socio Augusti legge una seconda nota riguardante : Stadi e ri¬ cerche sul Myrtas commutiis e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Fedele legge un lavoro dal titolo : Salpe nuove o rare del golfo di Napoli. Il socio Ranzi legge un lavoro dal titolo : La circolazione del li¬ quido perivitellino nell'uovo dei Cefalopodi durante lo sviluppo em¬ brionale e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio D’Aquino legge un lavoro dal titolo : Gli anelli luminosi nei casi limiti di fosforescenza del fosforo e ne chiede la pubblica¬ zione nel Bollettino. 11 socio Jucci legge a nome del socio Candura un lavoro dal titolo : La Solfatara di Barrafranca in Sicilia e ne chiede la pubblicazione a nome dell’autore. Il socio Salti legge un lavoro dal titolo: Ulteriori osservazioni sulle Sinascidie del genere Sycozoa e ne chiede la pubblicazione. Il socio Zirpolo legge un lavoro dal titolo: Nuova Silicospugna del Golfo di Napoli e ne chiede la pubblicazione. Il socio Marcucci legge un lavoro dal titolo : Ricerche sperimen¬ tali sulla capacità rigenerativa degli arti nei rettili e ne chiede la pubblicazione. Il socio Jucci legge un lavoro dal titolo : Capacità di sviluppo e tendenza alla partenogenesi. La seduta è tolta alle ore 20. Processo verbale della tornata 28 luglio 1926. Presidente : L. Quintieri — Segretario ff. : M. Salfi Soci presenti: Imbò, Fedele, Ranzi, Candura, Fiore, Foà, Fenizia, Platania, Police, Marcucci, Gargano, Guadagno, De Rosa, Monticelli, Jucci, Bakunin. La tornata è aperta in seconda convocazione alle ore 18. XI Il Presidente comunica che con la prossima tornata che si terrà in Agosto, si chiuderà l’accettazione dei lavori da pubblicarsi nel Bollet¬ tino 1926. Il Segretario presenta i volumi che il socio Monticelli ha donato alla Società e che appartenevano alla Biblioteca del suo illustre ante¬ nato l'abate Teodoro Monticelli. Il Presidente, sicuro d’interpretare i sen¬ timenti dell’Assemblea ringrazia il socio Monticelli del dono. Il socio Fedele legge una conferenza su Battista Grassi delineando la figura del Grassi come scienziato e come maestro. Il socio Jucci, a lettura finita, chiede la parola per ringraziare il socio Fedele per avere voluto ricordare il Grassi, che fu suo Maestro, in seno alla Società. Il socio Police legge un lavoro dal titolo : La limitante esterna e la guaina degli elementi visivi nella retina Ambly stoma mexicanum e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Imbò legge un lavoro sul Pireliometro di Abbot e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Salfi a nome del socio Viggiani assente, legge un lavoro di quest’ultimo sul Regime dai venti a Perugia e ne chiede la pub¬ blicazione a nome dell'autore. Il socio Salfi legge ancora due lavori della socia Majo Microsi¬ smi ed elementi meteorici e alcune misure di radioattività a Napoli, e ne chiede la pubblicazione. Il socio Jucci fa una comunicazione verbale su " Bivoltinismo e tendenza alla partenogenesi ed a nome anche del D.r A. Lo Tito legge un lavoro dal titolo : Correlazione tra caratteri dello sviluppo larvale e caratteri della ovificazione e ne chiede la pubblicazione. La seduta è tolta alle ore 19,30. Tornata ordinaria del 17 agosto 1926 Presidente : L. Quintieri — Segretario: G. Zirpolo Soci presenti: Adinolfi, Del Regno, Platania, Rodio, Candura, Mar- cucci, Pierantoni, Guadagno, De Rosa, Caroli, Cutolo E, Ranzi, Fedele, Fiore, Jucci. Si legge e si approva il processo verbale della Tornata precedente. Il Presidente partecipa la morte del fratello del socio Cavara e propone di inviare le condoglianze. L'assemblea si associa e dà incarico alla Presidenza di esprimere il voto unanime di tutti. XII Il Presidente comunica che tenuto conto dei sentimenti della Ba¬ ronessa De Mellis Cavolini, insigne benefattrice della Società, il Consi¬ glio Direttivo ha curato di tenere solenni funerali nel giorno anniver¬ sario della di Lei morte. Invita I' assemblea a partecipare alle funebri onoranze, quale attestato di omaggio e di riconoscenza. L'assemblea si associa. Il socio Caroli legge un lavoro dal titolo : Sviluppo larvale della Gonoplax angulata {. Pennant ) e ne chiede la pubblicazione nel Bol¬ lettino. Il socio Fedele legge un lavoro dal titolo : Di un nuovo olotrico parassita nell’organo epatopancreatico di Caliphylla e ne chiede la pub¬ blicazione nel Bollettino. Il socio Guadagno legge un lavoro dal titolo : Il pozzo artesiano della Centrale Volturno. 4° Contributo alla conoscenza del sottosuolo cittadino e delle acque sotterranee e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Socio Zirpolo legge un lavoro dal titolo: Studi sulla biolumi¬ nescenza batterica. 8. La resistenza del potere luminoso e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Adinolfi legge un lavoro dal titolo: L’effetto di Hall e l’a¬ zione dei Raggi X sul tellurio e ne chiede la pubblicazione. Il socio Del Regno legge un lavoro sul presunto trimorfismo dello zinco. Il socio Zirpolo legge una comunicazione verbale del socio Para- scandola dal titolo: Sui tufi basici del cratere di Socciaro ( isola di Procida). Il socio Jucci fa una comunicazione sulla stampa scientifica su alcune ricerche del Prof. Silvestri Il Presidente ringrazia gli oratori e avverte che la Società piglia le vacanze sociali. Tornata del 2 dicembre 1926. Presidente: M. Bakunin — Segretario : G. Zirpolo Soci presenti : Guadagno, Monticelli, Salfi, Candura, Fedele, Fiore, Pierantoni, Caroli, Marcucci, Augusti, Parascandola. Si legge e si approva il processo verbale della tornata precedente. Il Presidente si dice ben lieto di rivedere il socio Monticelli as¬ sistere ai lavori sociali dopo la sua malattia. Gli porge a nome di tutti i soci i suoi augurii. Il socio Monticelli ringrazia. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il socio Zirpolo legge un lavoro del socio Viggiani dal titolo : L’ avvicendamento delle culture a Perugia dal punto di vista ecolo¬ gico nei riguardi del rendimento del grano e ne chiede la pubblica¬ zione a nome dell’Autore. Il socio Fiore Maria legge un lavoro dal titolo : Dicotomia e fa¬ sciazione f oliare in Scolopendrium vulgare L. e ne chiede la pubblica¬ zione nel Bollettino. Il socio Fedele legge a nome del socio Ranzi un lavoro : Nuovo turbellario policladedel Golfo di Napoli (Cestoplana raffaelei) e ne chie¬ de la pubblicazione nel Bollettino a nome dell’A. Il socio Zirpolo legge un lavoro dal titolo : Caso di eteromorfosi nell' Astropecten aurantiacus L. e ne chiede la pubblicazione nel Bol¬ lettino. Il socio Fedele fa una comunicazione verbale sul potere rigene¬ rativo nei Taliacei. Si chiude la Tornata alle ore 19. Processo verbale della tornata ed Assemblea generale del 30 dicembre 1926 Presidente : L. Quintieri — Segretario : G. Zirpolo Sono presenti: Pierantoni, Salfi, Police, De Rosa, Caroli, D'Avino Parascandola, Platania, Milone, Bakunin, Marcucci, Fedele, Cerone, D’Aquino, Pellegrino, Cutolo, Guadagno. Si apre la seduta alle ore 17. Si legge e si approva il processo verbale della Tornata precedente. Il Presidente comunica che è pervenuta una richiesta di modifica dello Statuto firmata, a norma dello Statuto, da un quarto di soci or- dinarii. Poiché la discussione nell'assemblea attuale non è possibile perchè non si è potuto mettere all’ordine del giorno tale modifica il Presi¬ dente rimanda la discussione alla prossima Assemblea. Il Presidente annunzia ai soci che il Prof. Silvestri ha inviato lire cinquanta quale suo contributo al premio “ Antonio e Paolo della Valle „. Il Segretario legge il tema che la Commissione nominata dal C. D. ha formulato per il premio biennale perpetuo " Antonio e Paolo Della Valle „. XIV Il socio De Fiore legge un lavoro dal titolo : Linosa {Isola Pe- lagié) e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Socio Zirpolo legge un lavoro del socio Andreotti dal titolo: Curva delle massime quantità di pioggia , corrispondente a determi¬ nate durate per Napoli e ne chiede la pubblicazione a nome dell’Autore. Il socio Milone fa tre comunicazioni verbali riguardanti: 1. Su i frigoriferi e su le carni ed i pesci congelati. 2. Sullo zucchero cristallino e sullo zucchero granulato. 3. Composizione di un inchiostro fotorotocalco. Il socio Marcucci fa una comunicazione verbale. Innesti e rigene¬ razione di arti di Triton adulti. Il socio Fedele fa a nome del socio Ranzi una comunicazione: Sviluppo di porzioni di embrioni di cefalopodi separate per mezzo di un taglio. Il Presidente nomina il seggio per la elezione del vice Presidente, di 2 consiglieri, del Segretario e di 2 Revisori dei Conti. Sono nominati i Soci Pierantoni, Milone e Salfi. Il Presidente, in seguito alla votazione, proclama eletti per il bien¬ nio 1927-28: Vice Presidente: Ferruccio Zambonini Segretario: Mario Salfi Consiglieri: Ernesto Caroli Michele Guadagno. A Revisori dei Conti per il 1926 i soci: Police Gesualdo, Gior¬ dani Francesco. L’Assemblea si chiude dopo che il Presidente ha formulato i mi¬ gliori auguri ai soci per il nuovo anno e dopo che è stato letto ed approvato il presente verbale. Premio biennale perpetuo " ANTONIO e PAOLO DELLA VALLE E' bandito un concorso al premio di L. 1500 (millecinquecento) relativo al biennio 1926 - 27 sul seguente tema : " Si domandano nuove ricerche circa l’influenza esercitata dal si¬ stema nervoso sulla rigenerazione dei Vertebrati CONDIZIONI Il premio sarà assegnato all’autore che presenterà la migliore Memoria. Le Memorie dovranno pervenire alla Segreteria della Società dei Naturalisti (Palazzo Medievale a Via Mezzocannone) non più tardi delle ore 15 del 1 gennaio 1928. Le Memorie saranno anonime contrassegnate da un motto che sarà ripetuto su una busta racchiudente il nome del concorrente ed un cer¬ tificato in cui si attesti che il candidato si è laureato in Scienze Na¬ turali nella R. Università di Napoli. Napoli, 21 dicembre 1926 G. Zirpolo Segretario L. Quintieri Presidente CONSIGLIO DIRETTIVO per l'anno 1927 Quintieri Luigi Zambonini Ferruccio Salfi Mario Monticelli Francesco Sav. Cutolo Enrico Caroli Ernesto Guadagno Michele Marcucci Ermete Trezza Ugo Parascandola Antonio Zirpolo Giuseppe Presidente Vice-Presidente Segretario Consiglieri Cassiere Vice-Segretario Bibliotecario Redattore del Bollettino - 22 ELENCO DEI SOCI (7° Gennaio 1927) BENEMERITI DELLA SOCIETÀ Monticelli Francesco Saverio — Via Ponte di Chiaia 27. Cutolo Enrico — Via Roma 404. SOCI ORDINARII RESIDENTI 1. Adinolfi Emilio — Istituto Fisico R. Università. 2. Aguilar Eugenio — Vico Neve a Materdei 27. 3. Andreotti Amedeo — Istituto di Fisica terrestre , R. Università , Napoli . 4. Arena Ferdinando — Via Roma 129. 5. Augusti Selim — Corso Vittorio Emanuele 166 A. 6. Bakunin Maria — R. Politecnico, Napoli. 7. Biondi Gennaro — Resina. 8. Bruno Alessandro — Via Bari 30. 9. Candura Giuseppe — R. Scuola Sup. d’ Agricoltura, Portici. 10. Caroli Ernesto — Istituto Zoologico della R. Università, Napoli. 11. Carrelli Antonio — S. Domenico Soriano 44. 12. Casella Domenico — R. Scuola d' Agricoltura. Portici. 13. Cavara Fridiano — R. Orto Botanico, Napoli. 14. Chistoni Ciro — Istituto di Fisica terrestre R. Università, Napoli. 15. Colomba Giuseppe — Via S. Biagio dei Librai 39. 16. Cuscianna Niccolò — R. Scuola d’ Agricoltura, Portici. 17. Cutolo Enrico — Via Roma 404. 18. Cutolo Costantino — Via Tommaso Carovita 10 19. D’Aquino Luigi — Via S. Domenico Soriano 22. 20. De Fiore Otto — Istituto di Mineralogia, R. Università, Napoli. 21. Della Valle Antonio — Via Salvator Rosa 259. 22. Del Regno Washington — Istituto Fisico R. Università, Napoli. 23. D’Emilio Luigi — Via Depretis 4L 24. De Miranda Domenico — Villa delle Fate a P. G. di Capodimonte. 25. De Rosa Francesco — Via S. Lucia 62. 26. Dojmi di Delupis Serafino — Villa Celimontana. Roma. 27. Fedele Marco — Stazione Zoologica. Napoli. XX 28. Fiore Maria — Corso Vitt. Emanuele 466 . 29. Foà Anna — R. Scuola d’ Agricoltura, Portici. 30. Forte Oreste — Via Pignatelli 48. 31. Galiani Riccardo — Via Tommaso Carovita 10. 32. Gargano Claudio — Via S. Lucia 62. 33. Geremicca Federico — Via Posillipo 113. 34. Getzel Demetrio — Piazzetta Trinità Spagnuoli 4. 35. Giordani Mario — Corso Umberto /, 34. 36. Giordani Francesco — Corso Umberto I, 34. 37. Grande Loreto — R. Orto Botanico , Via Foria. 38. Guadagno Michele — Via Foria 193. 39. Imondi Raffaele — Via Duomo 228. 40. Iroso Isabella — Via Foria 118. 4L Jucci Carlo — Istituto di Fisiologia. S. Andrea delle Dame 1. 42. Majo Ester — Istituto di Fisica Terrestre R. Università , Napoli. 43. Maione Vincenzo — Via Torino 90. 44. Marcello Leopoldo — Piazza Cavour - Farmacia Marcello. 45. Marcucci Ermete — Calata S. Severo alla Pietrasanta 27. 46. Mazzarelli Giuseppe — Istituto Zoologico, R. Università , Messina. 47. Milone Ugo — Via S. Lucia 173. 48. Mondelli Sassinoro Renato — Calata S. Anna dei Lombardi 10. 49. Monticelli Fr. Saverio — Ponte di Chiaia 27. 50. Parascandola Antonio — Corso Umberto /, 153. 51. Pellegrino Giuseppe — Via Sapienza 19. 52. Pellegrino Luigi — Via Sedile di Porto 9. 53. Pierantoni Umberto — Galleria Umberto I, 27. 54. Platania Giovanni — R. Specola di Capodimonte. 55. Police Gesualdo — Via Università 25. 56. Potnilio Umberto — Via S. Lucia 15. 57. Pozzi Olimpio — Soc. Generale Illumin. via Paolo E. Imbriatii . 58. Preti Giacomo — R. Scuola d' Agricoltura, Portici. 59. Quintieri Luigi — Via Amedeo 18. 60. Quintieri Quinto — Via Amedeo 18. 61. Ranzi Silvio — Stazione Zoologica, Napoli. 62. Riccio Raffaele — Piazza Carlo III, R. Albergo dei Poveri. 63. Rodio Gaetano — R. Orto Botanico, Napoli. 64. Roncali Demetrio — Istituto di Patol. Chirurgica R. Univ. Napoli . 65. Russo Giuseppe — R. Scuola d’ Agricoltura, Portici. 66. Salfi Mario — Via Montesilvano 30. 67. Sbordone Domenico — Via Pietro Colletta 68. Scacchi Eugenio — Istituto di Mineralogia della R. Università. XXI — 69. Scarpitti Erminia — Palazzo d’Amelia- Angri (Salerno). 70. Schettino Mario — Via Raffaele De Cesare a S. Lucia 31. 71. Sereni Enrico — Stazione Zoologica, Napoli. 72. Sicca Anna — Via Bernini al Vomero 50. 73. Signore Francesco — Istituto di Fisica Terrestre R. Univ., Napoli 74. Torelli Beatrice. — Parco Margherita 33. 75. Trani Emilio — Via Campanile ai Miracoli 47. 76. Vessichelli Nicola — Stazione Zoologica , Napoli. 77. Viggiani Gioacchino — Riviera di Chiaia 185. 78. Viglino Teresio — Piazza Dante 41. 79. Volpiceli Mario — Viale Elena 23. 80. Wen Darwin — R. Scuola d' Agricoltura, Portici. 81. Zambonini Ferruccio — Istituto di Chimica R. Università , Napoli . 82. Zirpolo Giuseppe — Via Duomo 193. SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Ani le Antonino — Via XX Settembre 27, Roma. 2. Alfano Giov. Batt. — Vico Cangi a Materdei 7 , Napoli. 3. Buffa Edmondo — Via Cavour 325, Roma. 4. Buonocore Alfredo — Via Iolanda 78, Caserta. 5. Califano Luigi — Vico Forino a Foria 7 , Napoli. 6. Carlomusto Saturno — R. Liceo Arpino. 1. Celentano Vincenzo — Vico Minutoli a Foria 33, Napoli. 8. Cerniti Attilio — Piazza Carbonelli 2, Taranto. 9. Cognetti de Martiis Luigi — Istit. Anatomia Comparata, R.U. Genova. 10. Colosi Giuseppe — Istituto Zool. R. Univ. Siena. 11. Cotronei Giulio — Istituto di Anatomia Comparata R.U. Roma. 12. D’Avino Antonio — R. Liceo Nocera Inferiore. 13. Fenizia Gennaro — Via Foria 136, Napoli. 14. Foà Jone — Via Cisterna delVOlio 18, Napoli. 15. Geremicca Alberto — Largo Avellino 4, Napoli. 16. Guarnieri Francesco — Estacion Alleti Republ. Argentina . 17. Imbò Giuseppe — Procida. 18. Lo Giudice Pietro — Laboratorio Ittiogenico di Brescia. 19. Magliano Rosario — Lagonegro. 20. Malladra Alessandro — R. Osservatorio Vesuviano, Resina. 21. Mazzarelli Gustavo — Istituto Zoologico. R. Univ. Messina. 22. Mingioli Paolo — Materdei 8, Napoli. 23. Morgoglione Ferdinando — Calata S. Giacomo 5, Castell. Stabia. XXII 24. Patroni Carlo — R. Istituto Tecnico , Firenze. 25. Palombi Arturo — Corso Garibaldi 84. Portici. 26. Piccoli Raffaele — Via Cisterna dell'olio 18, Napoli. 27. Sbordone Annibaie — S. Domenico Maggiore 3, Napoli. 28. Trezza Ugo — Via Cristallini 53. 29. Valerio Rosaria — Sala di Caserta. SOCI ADERENTI 1. Alfieri Giulio — Via Posillipo 166, Napoli. 2. Caruso Antonio — Vico Avallone 7, Napoli. 3. Cerone Roberto — Via Salvator Rosa, 91 Napoli. 4. Cutolo Claudia — Villa Claudia, Vomero Napoli. 5. Cutolo Costantino — Villa Duretti, Vomero Napoli. 6. Filiasi Giuseppe — Riviera di Chiaia 263, Napoli. 7. Monticelli D’Afflitto Giuseppina — Ponte di Chiaia 27, Napoli. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio ed in dono. (31 dicembre 1926\ Elm delle EUROPA Italia ycireale Aosta Bologna Brescia Cassino Catania Ferrara Firenze Genova — R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Ze¬ lanti (Memorie, Rendiconti). — Bollettino della R. Stazione sperimentale di agrumi- coltura e frutticoltura. — Société de la Flore Valdótaine ( Bollettino ). — R. Accademia delle Scienze dell’Istituto (Rendiconti). — Commentari dell’Ateneo. — La Meteorologia pratica. — R. Accademia Gioenia ( Bollettino , Memorie). — Acc. di Scienze Mediche e Naturali. — Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia. Società Botanica Italiana (Bollettino). Nuovo Giornale Botanico italiano. Bollettino bibliografico della Botanica italiana. Monitore Zoologico Italiano. « R e d i a » Giornale di Entomologia. "L’Universo,, Istituto Geografico Militare. — R. Accademia medica ( Bollettino , Memorie) — Museo civico di Storia Naturale (Annali). Società entomologica italiana. Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università (Bollettino). Società ligustica di Scienze Naturali e Geografiche (Atti). - IV - 1 Milano Modena Napoli Padova Palermo Pavia Perugia Pisa Portici Roma Rovereto Sassari — Società Italiana di Scienze Naturali e Museo civico di Storia Naturale (Atti). Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere (Ren¬ diconti). — Atti della Società dei Naturalisti e Matematici. Bollettino della Società Medico-Chirurgica di Modena. — R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche (Memorie, Rendiconti, Annuario). Accademia Pontaniana (Atti). Annuario del Museo Zoologico della R. Università. di Napoli (Nuova Serie). Orto Botanico della R. Università (Bollettino). Stazione Zoologica di Napoli (Pubblicazioni). Annali di Nevrologia. Società Africana d'Italia (Bollettino). Atti del R. Istituto d’incoraggiamento. — Accademia scientifica veneto-trentino-istriana (Atti). — R. Istituto Botanico. Contribuzioni alla Biologia vegetale. R. Orto Botanico e Giardino coloniale (Bollettino). — B. Laboratorio Crittogamico della R. Università. — Annali della Facoltà di Medicina e Memorie della Accademia Medico-chirurgica. — Società toscana di Scienze Naturali (Memorie, Pro¬ cessi verbali). — R. Scuola Superiore di Agricoltura (Annali). Annali della stazione per le malattie infettive del bestiame. Laboratorio di Zoologia generale ed Agraria (Bol¬ lettino). — R. Accademia Medica ( Bollettino , Atti). R. Comitato Geologico Italiano (Bollettino). Laboratorio di Anatomia normale della R. Università (Ricerche). Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei (Atti). Società Zoologica Italiana (Bollettino). Gazzetta Chimica. Rassegna di pesca. Bollettino dell'Istituto di zoologia della R. Università. — Accademia degli Agiati (Atti). — - Studi sassaresi. i - V - Scafati — Bollettino tecnico della coltivazione dei Tabacchi. Torino — R. Accademia delle Scienze (Atti). Club Alpino Italiano ( Rivista , Bollettino ). Musei di Zoologia e di Anatomia comparata della R. Università (Bollettino). Urania. Trieste — Scienza ed Arte. Società Adriatica di Scienxe Naturali. Venezia — Bollettino bimestrale del R. Comitato Talassografico Italiano. Verona — Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e Commercio (Atti, Memorie). Valle di Pompei — Bollettino dell’Osservatorio meteorico-geodinamico. Finlandia Helsingfors — Acta Botanica fennica. Societas prò Fauna et Flora fennica (Acta, Medde- landen). Helsinki — Societas Zoolog-Botanica Fennica Vanamo. Francia Rennes — Societè geologique et mineralogique de Bretagne (Bullettin). Cherbourg — Société nationale des Sciences Naturelles et Mathé- matiques (Mémoires). Langres — Société de Sciences Naturelles de la Haute Marne (Bulletin). Levallois-Perret — Association des Naturalistes (Bulletin). Nancy Nantes Nice Paris — Société des Sciences et Réunion biologique de Nancy (Bulletin des séances). — Société des Sciences Naturelles de 1’ Ouest de la France (Bulletin). — Riviera scientifique. — Société Zoologique de France (Bulletin, Mémoires). Muséum d’Histoire Naturelle (Bulletin). La feuille des jeunes naturalistes. L’Astronomie. Société d’Océanographie de France. - VI Bruxelles Louvain Budapest Kolozsvar Warszaw Graz Wien Riga Zagreb-Oroazia Brunn Prague Belgio Bulletin sismique. Societé Royale Zoologique. La Cellule. Ungheria - Aquila - Zeitschrif t des K. Ung. Ornith. Institutes - Mùzeumi Fiizetek az erdelynemzeti Asvàni tàrànak Polonia - Acta Societatis Botanicorum Poloniae. - Annales - Zoologici Musei Poloniae Historiae Na- turalis Austria - Mitteilungen des Naturwissenschaftlichen Vereinsfiir Steiermak. - Verh der K-K. Zoologisch. - botanisch. Gesellschaft. Annalen des Naturhistorischen Hof Museum. Lettonia Acta Orti Botanici Universitatis Latviensis. Iugoslavia Olasnik (Societas scientiarium naturalium croatica. Czeco - Slovacchia Verhandl. des Naturforsch. Vereins. Casopis Ceskoslovenske spolecnesti entomologické (Acta societatis entomologicae Cechosloveniae). Buletin inernational. Classe des Sciences mathéma- tiques, Naturelles et de la Médicine. Societè Royale des Sciences de Bohème (Memoires). - VII - Bonn Berlin Leipzig Giessen Frankfurt a M. Halle a. S. Cambridge London Plymouth Tromsòe Amsterdam Coimbra Lisbona Coimbra Germania Naturshistorische Vereins der preussischen Rheilande. Verhandlungen des Botanisches Vereins der Provenz Brandeburg. Sitz. der Gesellsch. Naturfosch. Freunde. Herbarium. Bericht der Oberhessischen Gesellschaft fùr Natur und Heilkunde. Senckenbergiana. Kaiserlich Deutschen Academie der Naturfoscher. (Leopoldina). Inghilterra Philosophical Society ( Proceedings , T r ansati io ns). Biological Reviews. Royal Society (Proceedings , Reports of thè Sleenitig sickness Commission). Marine Biological Association of thè United King dom (Journal). Norvegia Tromsoe Museum. Olanda Academie Royal e (Memoires). Portogallo Annaes scientificos da Academia Polytecnica do Porto. Bulletin de la Société Portugaise de Sciences Na- turelles. Boteria. Rivista de Sciencias Naturaes do Collegio de S. Kiel. Memorias e estudios do museo Geologico da Uni- versittaele de Coimbra. - Vili - Spagna Barcelona — Institució catalana d’ Historia Naturai (Butleti). La Ciencia Agricola. Bulleti del Club Montanyenc. Ayuntamento de Barcelona. Cartuja Madrid — Boletin mensuel de la Estaciòn Sismologica. — Memorias de la Reai Sociedad espanda de Histo¬ ria Naturai. Zaragoza Sociedad espanda de Historia Naturai (Anales, Bo- letìn). Serocio sismologico (Instituto geografico y Catastral. — Sociedad hiberica de Ciencias Naturales (Boletin). Associación de Labradores de Zaragoza y su pro¬ vincia. Anales de la Facultad de Ciencias. Valencia — Anales de l'Instituto Tecnico. Svezia Upsala — Qéological Institution of thè University of Upsala (Bulletin). Stockholm — K. Vet. Akadems-Bibliothek (Arkiv fòr Botanik, Arkiv fòr Zoologi). Arkiv fòr Remi, Mineralogi och Geologi. Svizzera Chur — Naturforschenden Gesellschaft Graubùnden's(/a^r^* bericht ). Lugano Zurich — Società ticinese di Scienze Naturali ( Bollettino ). — Societas Entomologica. Concilium bibliograficum. Russia Perm — Bulletin de 1’ Institut des recherches biologiques à l'Universitè de Perm. - IX - Tokyo Cairo Buenos -Ayres Rio de Janeiro Nicteroy Halifax Santiago Bogotà Messico ASIA Giappone Annotationes Zoologica japonenses. Japanese Journal of Zoology (Transactions and Obstracts. AFRICA Egitto Société Entomologique d' Ègypte (Bulletin , Mi¬ mo ires). AMERICHE Argentina Museo nacional ( Anales , Comunicaciones ). Brasile Archivos do Museu Nacional. Escola sup. de Agricultura. Chili Nova Scotian Institute of Science. Société scientifique du Chili ( Actes ). Colombia E1 Agricultor. — Organo de la Sociedad de los Agricultores colombianos. Revista del Ministerio de Obras publicas. Messico Sociedad Cientifica Antonio Alzate (Memoiras. Revista). Instituto Geologico (Boletin, Perargones). Secretarla de agricultura y fomento ( Boletin oficial ). - X - Messico — Anales del Instituto Medico Nacional. La Naturaleza. Boletin de la direccion d’Estudios Biologicos. Revista Mexicana de Biologia. Paraguay Puerto Bertoni — Estacion Agronomica. Lima Perù — Boletin de la Societad geografica. San Salvador San Salvador — Museo Nacional (Anales). Stati Uniti — University of California ( Publications , Balletin). — Society of Naturai History (Proceedings). — Cold Spring Harbor Monographs. — Elisha Mitchell scientific Society (Journal). — Bull, of thè Lloyd Library of Botany etc. — The University of Minnesota. — Illinois biological monographs. Bull, of thè state Laboratory of Hist. Nat. — Academy of Sciences (Bulletin, Annual Report). Field Museum of Naturai History (Department of Botany). — Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Lettres ( Transactions). Wisconsin Geological and Naturai History Survey (Bulletin). — Bulletin of thè University of Montana (Biologica Series). — Botanical Garden (Bulletin). Notre Dame Indiana — The American Midland Naturalist. Philadelphia — Academy of Naturai Sciences (Proceedings). Saint Louis — Academy of Science (Transactions). Missouri Botanical garden (Annual Report). Springfield (Massachussets) — Museum of Naturai History. Berkeley Boston Brooklyn Chaphell Hill Cincinnati Minneopolis Urbana Chicago Madison Missoula New York - XI - New -Orleans — Louisiana state Museum. Tufts College (Massachussets) — Studies. Washington — United States Geologica! Survey ( Atinual Report ); U. S. Department of Agriculture. — Division of Ornithology and Mammalogy (BulletinNorth Ame¬ rican Fauna). Smithsonian Institution ( Annual Report). U. S. National Museum (Bulletin). U. S. Department of Agriculture (Jearbook). U. S. Department of Agriculture. — Bureau of Ani¬ mai Industry ( Annual Report). Carnegie Institution of Washington ( Publications .) The Rockfeller Sanitary Commission for thè Era- dication of Hookworm Desease. New Haven, Conn. — Tropical Woods. Uruguay Montevideo — Museo de Historia naturai (. Anales ). PUBBLICAZIONI PERVENUTE IN DONO (31 dicembre 1926 ) Libri della Biblioteca di Teodoro Monticelli donati dal Prof. Francesco Sav. Monticelli Auldio Sean — Vues du Vesuve. Naples 1832. Brioschi Carlo — Comentari astronomici della specola reale di Napoli. Napoli 1824-1826 (dono dell’A. con autografo a T. Monticelli). Bendant — Traité elèmentaire de Mineralogie Voi. 1 e 2. Born — Voyage mineralogie. Paris 1780. Carena Hyacinte — Réservoirs artificiels. Tourin 1811. Catalogo dei minerali esotici della collezione del cav. Monticelli. Daubeny Charles — A description of active and extinct Volcanoes. London 1826 (con dedica dell’A. a T. M.) Dolomieu Déodat — Memoire sur les iles Ponces et catalogue raisonné des products de l’Etna. Paris 1788. Dolomieu — Voyage aux iles de Lipari fait en 1781. Paris 1783. Dana — System of Mineralogy. 1844. Davy — Elementi di chimica agraria. Firenze 1815. Ferrara — Storia generale dell’Etna. Catania 1793. Gimma G. — Della Fisica sotterranea. Napoli 1790. Haììy — Traité de Mineralogie - Atlas. Paris 1823. Hauy — Traité de Mineralogie V. 1 - 2 - 3 - 4. Paris 1822. Haùy — Traité de cristallographie Paris 1822. Voi. 1 e II. Homès — Sketches of Man. Basii 1796. Léonard — Geologie des gens du monde. La Béche — Manuel geologique. Paris 1833. Lecoq — Elements de géologie et d’Hichographie. Maclaren Charles — Sketch of thè geology of life and thè Lothians. Edinburg 1839. Mawe Sohn — A treatise on diamonds and precious stones. London 1823. Millin — Mineralogie homerique. Paris 1816. Phillips William — An elementary introduction to Mineralogy. Lon¬ don 1837. Phillips William — Eiementary Treatise on Mineralogy. Boston 1844. - XIV - Scacchi — Lezioni di Geologia (dono dell’A. con autografo) Napoli 1843. Scacchi — Quadri cristallografici (con aut. dell’A. a T. M.) Napoli 1842. Soldani A. — Saggio orittografico ovvero osservazioni sopra le terre nautilifere ed ammonitiche della Toscana. Siena 1780. Jeffries D. — Traité des diamants et des perles. Paris 1753. Tenore — Corso delle botaniche lezioni. Napoli 1816 (con aut. dell’A. a T. Monticelli). L'Assistenza ai tubercolosi di guerra. (Opera nazionale protez. ed assist. invai, di guerra) dono Lustig. Bonifiche - acque potabili - irrigazioni (dono Bordiga) La Bonifica di Coltano 1 ,, S. Cataldo di Lecce f _ . , .. / Opera nazionale combattenti „ della Stomara 1 di Licola e Varcaturo / Filiasi G. — Appunti di fisica e metafisica Voi. Ili (dono A.) Florio A. — I nervi motori oculari in Lacerta viridis (dono A.) Mastrolilli A. — Noterelle cristalligrafiche (dono Aut.) „ — L’uomo nella natura. ,, — Nuovissime osservazioni sui leoni. INDICE ATTI (MEMORIE E NOTE) Pierantoni U. — I corpuscoli fotogeni di Heteroteuthis dispar. pag. Marcucci E. — La rigenerazione degli arti nei Rettili. . . „ Augusti S. — La radioattività delle acque termominerali di Lacco Ameno (Isola d’ Ischia) . „ Jucci C. — Caratteri dell’uovo e caratteri del bozzolo nei due in¬ croci reciproci tra razze univoltina e bivoltina di bachi da seta . „ Andreotti A. — Sulla temperatura delle lamiere isolate esposte al¬ l'aperto . . Wen D. — 1 fenomeni dello sviluppo partenogenetico nell'incrocio tra razze univoltine e bivoltine di bachi da seta . . „ Majo E. — La pioggia a Napoli e le sue variazioni nel periodo 1865-1924 . Augusti S. — Studi e ricerche sperimentali sul Myrtus communis L. var. ital . . . , „ Ranzi S. — La circolazione del liquido perivitellino nell’ uovo dei Cefalopodi durante lo sviluppo embrionale ... „ Candura G. S. — La Solfara di Giambattista nel territorio di Bar¬ rafranca (Caltanisetta) . „ Adinolfi E. — L’effetto di Hall e l'azione dei raggi X sul tellurio. „ Majo E. — Contributo allo studio delle relazioni tra i microsismi e gli elementi meteorici . „ — — Alcune misure di Radioattività dell’aria a Napoli, dintorni e nel Golfo . . Police G. — Sulla struttura dell'articolo esterno dei bastoncelli della retina di Axolotl di Ambly stoma mexicanus . . „ Viggiani G. — Il regime dei venti a Perugia . „ Augusti S. — Studi e ricerche sperimentali sul Myrtus communis var. it . . Caroli E. — Sviluppo larvale della Gonoplax angulata (Pennant). „ Zirpolo G. — Gemmazioni, rigenerazioni ipertipiche ed ipotipie stu¬ diate ntWAstropecten aurantiacus L . . — — Studi sulla bioluminescenza batterica .... „ Gargano C. — Di alcune alterazioni arteriali del cane ritenute di probabile genesi parassitarla . . 3 8 20 36 46 58 65 84 99 108 114 120 128 136 139 148 161 167 225 233 Police G. — La membrana limitante esterna e la guaina degli ele¬ menti visivi nella retina dell’Axolotl di Amblystoma me- xicanus . Guadagno M. — 11 pozzo artesiano della Centrale elettrica del Volturno , . ImbÒ G. — Pireliometro " Abbot „ a disco d’argento . Jucci C. e Lo Tito A. — Correlazione tra caratteri dello sviluppo larvale e caratteri della ovificazione (numero e peso delle uova) nella F2 d' incroci tra razze di bachi da seta a 3 e a 4 mute . ZlRPOLO G. — Di una nuova Silicospugna del Golfo di Napoli ( Mi - crocordyla asteriae n. g. n. sp.) . Fedele M. — Thaliacea nuovi o rari del Golfo di Napoli . — — Su di un nuovo Holotrica parassita dei ciechi epato-pan- creatici di Caliphylla mediterranea A. COSTA: ( Crypto - stoma caliphyllae n. g., n. sp.) . pag. 246 „ 250 „ 267 „ 280 „ 287 „ 291 COMUNICAZIONI VERBALI Parascandola A. — Sul tufo del cratere di Socciaro. (Isola di Procida) . pag. 3 Milone U. — 1. Su i frigoriferi e su le carni ed i pesci congelati. „ 5 — — 2. Sullo zucchero cristallino e sullo zucchero granulato. „ 6 — — 3. Composizione di un inchiostro fotorotocalco . 8 Marcucci E. — Rigenerazione in Tritoni adulti di arti in seguito a trapianto eterotopico - omolaterale della loro porzione distale .... . „ 9 RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1926 . Consiglio Direttivo per l'anno 1927 . Elenco dei socii . Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio e in dono. pag . in „ XVII „ XIX „ III-XIV APPENDICE Fiore M. — Sulla morfologia del sistema conduttore delle piante vascolari . pag. 1 Del Regno W. — Il viaggio del " Norge „ . „ 39 Police G. — Camillo Golgi . „ 47 Fedele M. — L'opera e gli insegnamenti di G. B. Grassi. . „ 59 Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti. APPENDICE Sulla morfologia del sistema conduttore delle piante vascolari del socio Dott.sa Mafia Fiore (con 23 figure nel testo) (Tornata del 16 febbraio 1926) Senza dubbio da diverso tempo lo studio morfologico del sistema conduttore delle piante ha molto progredito specialmen¬ te per il valevole incremento apportatovi dalla fitopaleontologia, tuttavia le varie Scuole anatomiche non sono in accordo, onde numerose sono le interpetrazioni morfologiche di questo siste¬ ma, numerose le terminologie adottate per illustrarlo. Ciò non è di poco interesse, poiché esso è stato preso in molta considerazione non solo per stabilire le affinità tra i varii gruppi di piante, ma anche a delucidazione del problema riguar¬ dante i rapporti filetici tra fusto e radice e tra fusto e foglia, con il quale problema la sua istoria filetica è evidentemente connessa. Le varie opinioni e discussioni si raccolgono, infatti, spe¬ cialmente intorno alle due seguenti questioni : alla questione, cioè, circa il modo come si effettua il passaggio strutturale dalla radice al fusto, e all’altra questione riguardante la concezione di un'unità anatomica originaria, da ammettersi, del sistema con¬ duttore delle piante vascolari. Morfologia del passaggio strutturale dalla radice al fusto. Una volta messa in evidenza (Naegheli per prima) la dif¬ ferente struttura vascolare del fusto e della radice; e ammessa — 2 l'esistenza di una particolare regione, più o meno estesa secondo le piante, tra il fusto e la radice — colletto — (nodo vitale di Lamark 1 * * 4), mesofito di Germ. Saint-Pierre varie vedute sono state emesse circa l'interpetrazione strutturale di tale regione. Una veduta è quella conosciuta comunemente sotto la de¬ nominazione di "Teoria della rotazione di Van Tieghem Essa fu specialmente illustrata dal Gerard nel suo classico lavoro " Re- cherches sur le passage de la racine a la tige nel quale pren¬ de in esame numerose piantine di Dicotiledoni, di Monocotile¬ doni e di Crittogame vascolari. La concezione generale di que¬ sta teoria, quale appunto da lui sintetizzata nelle conclusioni del suo lavoro, è che gli elementi conduttori della radice avanzan¬ dosi verso la parte superiore dell'asse, si modificano, si sposta¬ no e prendono gradualmente la disposizione, la configurazione e l'importanza che possiedono nel fusto; la trasformazione di ciascun elemento essendo indipendente dalla trasformazione de¬ gli elementi vicini, potendo essere continua o effettuarsi in più tempo e più o meno estesi; mostrandosi a volte lenta, a volte rapida, così che l'aspetto strutturale del colletto si presenterebbe molto vario. Ma propriamente di questa teoria sono stati descritti quat¬ tro tipi di transizione, dei quali i primi tre esposti dal Van Tie¬ ghem, sin dalla seconda edizione del suo " Traité de Botani- que „; l'ultimo descritio dalla Sargant in piantine di Monoco¬ tiledoni ( Anemarrhetia asphodeloides). Questi tipi quali appunto riportati dalla Sargant sono: 1° tipo. Numero n di fasci xilematici e fioematici discen¬ dono nella radice ; il passaggio strutturale si inizia per ramifi- 1) Circa la posizione e l’estensione di questo così denominato colletto a lungo si discusse, essendo ritenuto semplicemente un piano formante la base di due sistemi conici opposti, T uno ascendente e l'altro discendente, non come un organo (F. Saint-Hilaire, De Candolle, Lamark, Germ. Saint-Pierre), da localizzarsi al punto di attacco dei cotiledoni (Richard, Correa, Poiteau, Mirbel, Naegheli etc.) ; da altri essendo ritenuti non un piano geometrico, ma una regione più o meno estesa dell' asse ipocotile, nella quale l'asse pre¬ senterebbe degli stati transitorii tra la struttura tipica della radice e quella del fusto (Clos per prima e poi Van Tieghem, Goldsmith, Gerard). - 3 — cazione di ciascun fascio xilematico interno, a destra e a sini¬ stra del fascio fioematico esterno ad esso ; pertanto i protoxi¬ lemi diventano esterni. In seguito il ramo destro di ciascun fascio si unisce al ramo sinistro del fascio adiacente: si riscon¬ trano così n gruppi xilematici. Gli n fasci fioematici rimangono in sita , cioè discendono in linea retta senza ramificazione o ro¬ tazione. 2° tipo. Vi sono 2 n fasci xilematici e fioematici nell’ ipo- cotile, cioè un numero doppio di quello che si riscontra nella radice primaria; il passaggio strutturale si inizia con la fusione a due a due dei gruppi fioematici; i gruppi xilematici anche si uniscono a coppie mentre i loro protoscilemì diventano esterni. Vi sono così nella radice primaria /z gruppi di xilema e n grup¬ pi di floema. 3° tipo. Come nel primo caso neH'ipocotile vi è numero n di fasci xilimatici e fioematici, ma qui ciascun gruppo fioema¬ tico si sdoppia dando un ramo a destra e uno a sinistra, senza però che avvenga rotazione, e i rami adiacenti dei fasci adia¬ centi si uniscono. Persiste così il numero n di fasci fioematici. Nel medesimo tempo ciascun gruppo xilematico rota con¬ temporaneamente sul suo asse senza ramificarsi, così gli n grup¬ pi xilematici hanno i protoxilemi esterni. 4° tipo. Vi è numero n di fasci nell'ipocolite; come discen¬ dono nella radice primaria, il floema di ciascuno di essi si di¬ vide in due senza alcuna rotazione e susseguente fusione. Nella radice si riscontrano così 2 n gruppi di floema. Lo xilema di cia¬ scun fascio pertanto si ramifica in due o più direzioni mentre gli elementi protoxilematici diventano esterni. Nel caso si siamo for¬ mati più di due gruppi xilematici si ha fusione degli adiacenti, co¬ sì nella radice entrano 2 n gruppi di xilema. Questa teoria è stata ed è tutt'ora seguita da parecchi bo¬ tanici, riportata nella maggior parte dei trattati di Botanica, nei quali è descritta e illustrata specialmeate nei due primi tipi che si ritengono i più comuni (fig. la e 2a) (Trattati di Bonnier e Leclerc du Sablon, di Belzung, Chodat, etc.). Teoria del raccordo. — Altra teoria in proposito è quella conosciuta, in generale, con il nome di " teoria del rac- — 4 — cordo Secondo questa teoria nella parte di unione della radice al fusto, cioè neiripocotile, avverrebbe raccordo tra i fasci ra¬ dicali e i caulinari, fra i quali così non esisterebbe continuità, ma contiguità, compenetrazione. Introdotta in un certo modo da Naegheli che ammise il passaggio strutturale tra radice e fusto avvenire bruscamente, fu tenuta in considerazione da C. Eg. Bertrand, Lignier *), Fig. 1. — Schema illustrante il primo tipo di passaggio dalla radice al fusto (spiegazione nel testo). La regione tra i piani ab cd = = colletto. Fig. 2. — Schema illustrante il secondo tipo di passaggio dalla radice al fusto (spiega¬ zione nel testo). Wiullemin, ma è stata specialmente illustrata dal Dangeard e dal Gravis. Il Dangeard innanzi tutto pensa che la radice nel decorso deirevoluzione del cormo si sia originata per trasformazione della parte inferiore di un fusto simile a quello di Tmesipteris , di Psilotum , di Lycopodium o Selaginella , in un rizoma sprovvisto di foglie e fornito invece di peli assorbenti, quale esisterebbe ancora, in mancanza di radice, presso Tmesipteris. l) Il Lignier stima la radice essere comparsa presso piante a organizzazione ancora cauloide, cioè presso piante aventi ancora ramificazione dicotomica e il fusto e la foglia non essendosi ancora differenziati, specializzandosi a spesa della porzione di ramificazione abitualmente inondata. Egli si domanda se Tobliquità e l’esogenia delle prime radici degli attuali Licopodii siano un richiamo onto¬ genetico della disposizione ancestrale per ramificazione cauloide ; e interpetra la struttura di Stigmaria appunto nella luce di questa sua veduta. — 5 — La struttura della radice si sarebbe allora originata per scom¬ parsa del floema sovrapposto al protoxilema, altrimenti per dis¬ soluzione di continuità del floema. Effettuatasi, così, come risultato di un adattamento, la strut¬ tura radicale, come la radice stessa, il raccordo avverrebbe per estinsione nell'asse ipocotile dei fasci xilematici radicali, e ac- collamento sui lati di questi dei fasci xilematici caulinari pro¬ venienti dai cotiledoni. Il Dangeard ha applicata questa sua interpretazione all' e- same anatomico di un gran numero di piante appartenenti a famiglie diverse ; e a più riprese la contrappone alle altre, spe¬ cialmente a quella dello Chauveaud. Per il Gravis, d'altra parte, il fusto e la radice possedereb¬ bero delle strutture fondamentali differenti, e l’ipocotile, regione intermediaria tra questi membri anatomicamente definiti, avrebbe struttura ora cauloide, ora radicoide, ora caulo-radicoide. Già seguace con i suoi noti lavori su Tradescantia virgi- ginica e Urtica dioica della teoria del raccordo per contatto di¬ retto tra le due differenti strutture, egli, pochi anni or sono, ha emessa una nuova teoria in proposito. Il raccordo tra le vie con¬ duttrici si farebbe, cioè, secondo il suo ultimo modo divedere, non direttamente, ma per speciali gruppi che denomina " triadi „, ogni triade essendo composta essenzialmente di un gruppo di trachee centripete compreso tra le due metà di un fascio libero¬ legnoso centrifugo. A un livello superiore, le trachee centripete non esisterebbero e le due metà del fascio sarebbero unite in un fascio normale ; a un livello inferiore il legno centrifugo sa¬ rebbe invece in difetto, mentre i gruppi fioematici si alternereb¬ bero con il legno centripeto. Il Gravis, infatti, ritiene che le piante vascolari ancestrali dovevano essere caratterizzate dal presentare degli assi o rizo- cauli non differenziati in fusto e radice, e a struttura diploxila, e che solo più tardi per scomparsa del legno centrifugo primario negli assi non aerei, si sarebbero differenziate radici ad orga¬ nizzazione centripeta ; e per scomparsa del legno centripeto negli assi aerei si sarebbero differenziati fusti aerei monoxilici a legno del tutto centrifugo. Egli fa notare che la sua concezione delle triadi sarebbe — 6 — evidentemente interessante anche dal punto di vista filogenetico riscontrandosi al principio dell’evoluzione associazione sia di legno centripeto che centrifugo, onde diploxia quale si osserva specie in fusti fossili i). Teoria del Briosi e Tognini. — Altra veduta circa il mo¬ do come si effettua il passaggio strutturale tra radice e fusto è quella emessa dal Briosi e Tognini in un loro studio sulla Canapa. Secondo questa veduta non vi sarebbe nel passaggio strut¬ turale tra radice e fusto nè rotazione dei fasci, nè raccordo, ma semplice ramificazione dei fasci radicali con riduzione di parte dei loro elementi, e propriamente dalla radice entrerebbe nel¬ l’asse ipocotile un sol fascio il quale, ascendendo, si dividerebbe in due parti che conserverebbero il tipo radicale ; in seguito ognuno di questi due fasci si dividerebbe in tre rami dei quali il mediano, costituente le trachee più esterne e più sottili del fascio primitivo , ben presto si esaurirebbe, mentre gli altri due laterali si trasformerebbero in fasci caulinari, gli elementi più centrali riducendosi, e i rimanenti disponendosi in serie tangen¬ ziali. Sul dorso di queste serie comparirebbero a un certo li¬ vello delle trachee a differenziazione centrifuga di origine anche primaria che segnerebbero l’inizio dei fasci caulinari. Questa veduta del Tognini e Briosi è poco ricordata; tut¬ tavia è stata confermata dal Montemartini in due suoi lavori, in uno dei quali si occupa appunto del passaggio strutturale tra radice e fusto in piante a radici diarche, mentre nell'altro di questo passaggio in piante e radici poliarche. Il Montemartini nel suo primo lavoro viene infatti alla con¬ clusione che il passaggio anatomico tra radice e fusto si effet¬ tuerebbe per ramificazione dei fasci radicali, ramificazione seguita da una dissociazione e da uno spostamento di una parte degli 4) Per figure illustrative di tale teoria rivolgersi al lavoro del Dangeard « Recherches sur le mode d’ union de la tige e de la ratine, chez les Dicoty - lénodes (Le Botaniste serie I 1888); e all’ ultimo lavoro del Gravis « Con- nexions de la tige e de la ratine (Ace. Royal Belgique, Bullettin de la classe des Sciences, 1919). — 7 — elementi radicali che andrebbero a costituire la parte più interna delle formazioni centrifughe caulinari, mentre il resto degli ele¬ menti si arresterebbe nel suo sviluppo, si esaurirebbe, si tra¬ sformerebbe. Non differenti furono le conclusioni a cui egli giunse nel suo secondo lavoro, senonchè, qui, in piante a radici poliarchie, i fasci radicali entrando nell' ipocotile si comporterebbero in di¬ verso modo; potendo dar luogo a un numero di cordoni equi¬ valenti o pur no; vario potendo essere il loro differenziamento; alcuni dei fasci primarii dell' ipocotile potendo, in fine, essere completamente indipendenti dai fasci radicali o cotiledonari 1). Teoria delle fasi evolutive dello Chauveaud. — Secondo questo morfologo le cose andrebbero ben altrimenti. Egli dopo molti anni di studio sul sistema conduttore delle piante, è venuto alla conclusione che non vi è anzitutto alcuna diver¬ sità originaria di struttura tra radice e fusto, perchè la struttura di un membro può riscontrarsi nell'altro e viceversa : il passag¬ gio strutturale si avvererebbe per riduzione e rinnovamento degli elementi conduttori. Lo Chauveaud ammette che nel sistema conduttore delle piante bisogna distinguere, nella sua marcia evolutiva, più fasi che raggruppa in due cicli successivi. Il primo ciclo che si rea¬ lizzerebbe presso le Crittogame vascolari, comprenderebbe la fase centrica, la eccentrica, l'alterna; (figure 3, 4, 5) il secondo ciclo che si realizzerebbe presso le Fanerogame, l’alterna, la interme¬ diaria, la sovrapposta, la periferica 2) (figure 6, 7, 8 e 9). Queste varie disposizioni strutturali, non rappresenterebbe¬ ro, così, lo stato primario di tanti tipi differenti di struttura, ma tanti stati successivi di un medesimo apparato conduttore che sotto l' influenza di cause multiple avrebbe subito delle modifi¬ cazioni. La disposizione alterna che in generale caratterizza la ra¬ dice e la disposizione sovrapposta che in generale caratterizza il 9 Per figure illustrative di tale teoria riscontrare i lavori citati del Mon- TEMARTINI. 2) Le fasi del primo ciclo si riscontrerebbero a livelli differenti ; quelli del secondo ciclo coesisterebbero allo stesso livello. — 8 — fusto, sarebbero differenti non per appartenere a membri diversi della pianta, ma perchè corrisponderebbero a fasi differenti del¬ l’evoluzione. Queste fasi non sempre si osserverebbero esattamente nella loro successione, potendo avverarsi arresto, accelerazione di e- □ 8>o Fig. 3. — Disposizione centrica p = tubi cribosi; xa = vasi centrici (Chauveaud) Fig. 4. — Disposizione eccentrica /7 = tubi cribrosi; *£ = vasi eccentrici (Chauveaud) voluzione, scomparsa di elementi conduttori la cui esistenza non sarebbe che transitoria. La marcia evolutiva avrebbe conservata il suo carattere an¬ cestrale nella radice, mentre nel fusto delle piante presenti, in Fig. 5. Disposizione alterna Fig. 6. — Disposizione alterna p = tubi cribrosi; xa = vasi alterni pa = tubi cribrosi alterni; xa = vasi alterni (Chauveaud) (Chauveaud) generale, le prime fasi dello sviluppo del sistema conduttore sa¬ rebbero state soppresse per accelerazione basifuga, potendosi ri¬ scontrare soltanto nell' ipocotile di giovani piante, ma al di sopra di questo, per solito, non si riscontrerebbero più, e scompari¬ rebbero poi anche nell’ ipocotile, una volta diventate adulte. In alcune piante fossili, invece, come ad esempio negli Sphe- — 9 — nophyllum non si riscontrerebbe accelerazione basifuga e in tutto il fusto sarebbero rimaste conservate sia la fase alterna che le seguenti. Tra i seguaci di queste vedute dello Chauveaud sono qui da ricordare specie il Bouvrain, il Messeri, il Meillefer. Fig. 7. — Disposizione alterna (pa, xa ); disposizione in¬ termediaria (pi = tubi cribrosi intermediarii e xi = vasi intermediarii). Il Bouvrain che nel suo lavoro “ Sur l'acceleration basifuge du development vasculaire dans Y Héliantus annuus „ difende appunto questa teoria delle fasi successive e dell’ accelerazione O O Fig. 8.— Disposizione alterna (pa, xa); disposizione intermediaria (pi, xi) ; disposizione sovrapposta (ps — tubi cribrosi sovrapposti e xs = vasi so¬ vrapposti). (Chauveaud). Fig. 9. — Disposizione alterna (3); dispo¬ sizione intermediaria (4,5); disposizione sovrapposta (6,7); disposizione perife¬ rica (8,9,10,11). (Chauveaud). basifuga nell'evoluzione del sistema conduttore delle piante, contro la teoria del raccordo. Il Messeri che nella sua recente pubblicazione in cui si oc¬ cupa del sistema vascolare di alcune Monocotiledoni, tra l'altro così conclude: " . Il cambiamento di struttura del sistema conduttore dalla radice al fusto avviene per graduale susseguenza di fasi; una fase alterna si sviluppa lungo tutto l'asse della pian¬ tina nei primi giorni di germinazione; in un secondo tempo co¬ mincia nella regione dell' ipocotile la differenziazione di una fase ntermediaria e sovrapposta che va facendosi sempre più accen- — 10 tuata dal basso in alto, costituendo il fenomeno dell’accelera¬ zione basifuga Il Meillefer che in un suo lavoro " Sur le développement de la structure anatomique de la tige d’ Impatiens Roylei Wal- pers „ viene appunto alla conferma della legge dello Chauveaud sull’accelerazione basifuga dello sviluppo del sistema conduttore delle piante. Teorie circa una concezione unitaria da ammettersi del sistema conduttore delle piante vascolari. Vediamo ora in che si accordano e in che si diversificano le varie Scuole anatomiche circa una disposizione, un'unità ori¬ ginaria da ammettersi del sistema conduttore delle piante va¬ scolari. In un fusto, in generale, si osserva senza dubbio, un’insieme più o meno compatto di tessuto conducente occupante il centro e connesso con i fasci foliari, ma la questione risiede nel come questa regione bisogna sia interpetrata nella sua ontogenesi e filogenesi, e quindi nella sua evoluzione, perchè da una tale interpetrazione originano evidentemente le divergenze fra le varie Scuole. Tecnica stelare. Teoria di Van Tieghem e Duliot. — Era ritenuto gene¬ ralmente essere il “ fascio „ 1’ unità strutturale del sistema con¬ duttore, quando Van Tieghem e Duliot, per prima, con il loro noto lavoro comparso nel 1886 " Sur la polystelie „, introdus¬ sero nell’anatomia l’idea di un'unità stelare fondamentale del si¬ stema conduttore, essenziale per tutte le piante vascolari. Denominando " stela „ l’ insieme dei fasci vascolari e del connettivo di cui si compone un cilindro centrale, ammisero po¬ tersi riscontrare tre tipi differenti di struttura: la “ monostelia „ (fig. 10), la " polistelia „ (fig. 11) e 1' " astelia „ (fig. 12) o “ schi- zostelia Si avrebbe monostelia quando in sezione trasversa si noterebbe una sola unica stela; polistelia quando si noterebbero più stele ; astelia o schizostelia quando i fasci si presenterebbero sparsi e cioè non si noterebbe alcuna disposizione stelica. La po- — 11 listelia deriverebbe dalla monostelia per ripetute ramificazioni e divisioni, l'astelia dalla monostelia per dissociazione o dalla po- listelia per riduzione. La costante ammessa presenza di due guaine, una interna e appartenente al connettivo della stela " periciclo „ e una esterna e appartenente alla corteccia “ endodermide „ (" peridesma „ in Fig. 10. — Monostelia midollata del Van Tieghem (sezione trasversale del fusto di Aristolochia Cle- matis - Da Massart. caso di astelia) quali entità morfologiche separanti la regione stelica dalla corteccia, completa la concezione di questa teoria di Van Tieghem e Duliot. Nel tipo monostelico distinsero inoltre la monostela ami- dollata da quella midollata costituita da fasci collaterali circon¬ danti un midollo e separati tra di loro da raggi midollati pa- renchimatici ; la struttura centroxilica quando il legno è interno, da quella perixilica quando il legno è esterno; e denominarono gamostelia (o solenostelia) e gamodesmia quelle modalità strut¬ turali che si presenterebbero in fusti rispettivamente polistelici o astelici quando le stele o i fasci tornerebbero a fondersi. Tutte queste strutture ammisero potersi riscontrare in una stessa pianta a seconda dell' evoluzione da questa raggiunta o della regione che si osserva. Nel genere Ranunculus, ad esem¬ pio, si riscontrerebbero la monostelia midollata, l'astelia e la ga¬ modesmia; nel primo caso, secondo il Van Tieghem, il midollo essendo intrastelare, negli altri due extrastelare. In generale, poi, le radici, salvo eccezione (Licopodinee e anche alcune Fanerogame) sarebbero sempre monosteliche, le fo¬ glie, nella lamina, quasi sempre asteliche (nel picciuolo foliare potendosi riscontrare indifferentemente sia monostelia che po- Fig. 11. — Polistelia dialistelica del Van Tieghem (sezione trasversale di rizoma di Pteris aquilina). - Da Jeffrey). listelia o astelia); il fusto sarebbe originariamente monostelico, ma allo stato adulto anche a volte polistelico (parecchie Pterido- fite e in Primula e Gunnera tra le Fanerogame) o astelico !). Il Van Tieghem come già per prima il Wolf e poi il Braun stimò la Morfologia dover essere basata sulla distinzione netta 4) Il Van Tieghem, in seguito, nella 44 5 edizione dei suoi « Elements de Botanique » (1906) distinse nel fusto delle piante vascolari sei tipi di struttura: tipo monostelico collaterale (il più diffuso); tipo monostelico alterno (radice e anche il fusto di alcune Licopodiacee) ; tipo mesostelico, costituito da una stela mediana e da un certo numero di meristele corticali (alcune Calicantacee etc.); tipo schizostelico, costituito interamente di meristele derivate dallo smembramento di un'unica stela primitiva (Ranunculacee et., e Ofioglossacee e Equisetacee) nelle tre forme di dialimeristelia, gamomeristelia gamodesmica e gamomeristelia dia- lidesmica ; tipo polistelico gamostelico e tipo polistelico dialistelico (frequente nelle Crittogame vascolari). — 13 — delle tre parti del corpo della pianta, radice, cioè, fusto e foglia delle quali parti sono ben note le definizioni geometriche che egli diede; varie obiezioni, quindi, ben presto cominciarono a sor¬ gere contro la sua teoria poi che la dottrina evolutiva veniva applicata anche al cormo, e altre correnti d' interpetrazione di a-- b~ c\ (/. / Fig. 12. — Schizostelia del Vati Tieghem (taglio trasversale del fusto fiorale di Erauthis hie- malis). - Da Marie (Belzung). questo venivano affermandosi, quale la fitonica, cioè, col il Gò- the, Gaudichan, Celakowski, Delpino e Campbell ; la dicotomica con Potonie, Lignier, Tansley etc., e quella della fillorizza più modernamente con lo Chauveaud; tuttavia modificata ed ela¬ borata alquanto nella sua concezione e terminologia ha domi¬ nato e continua a dominare molti lavori di anatomia sostituita specialmente dalla Scuola americana di Jeffrey, dalle varie Scuole inglesi e da quella di Jena dello Schoute, le quali tutte ammet. tono un sol tipo di stela: la monostelia. Vedute dello Strasburgher. — Ben presto si iniziarono studii, così, sul sistema vascolare di Felci, tra i quali sono da ricordare quello di Leclerc du Sablon e quello del Poirault, studii che mettono in evidenza la non sempre presenza di un'en- dodermide (Marattiacee) e la modificazione stelare derivante dal distacco dei fasci foliari che produrrebbe delle “ brèches folai- res „ ; ma specialmente lo Strasburgher, d'altra parte, fu uno dei primi a prendere in esame la teoria stelare del Van Tieghem apportandovi qualche modifica, poiché solo in parte ne accettò la concezione e la terminologia. Cioè egli assentì alla monostelia m. — 14 — sia amidollata che midollata, e alla polistelia la quale ultima de¬ nominò “ schizostelia „ ; ma in riguardo all'astelia e alla gamode- smia non si accordò con il Van Tieghem considerando poco probabile che il midollo in specie differenti di un medesimo genere possa essere a volte di origine interna e a volte di ori¬ gine esterna (Ranunc ulus). Considerò le guaine che sono presenti nelle condizioni strutturali gamodesmiche e asteliche non entità morfologiche, ma guaine di natura istologica, così che le moda¬ lità strutturali asteliche e gamodesmiche le considerò come mo- nostelia midollata. La denominazione di endodermide la riservò per designare quello strato di cellule che presentano la punteg¬ giatura del Gaspary, e denominò " fleoterma „ le guaine di altra natura istologica, e cioè ad elementi legnificati, amiliferi etc. Stelolemma denominò, poi, quella porzione di tessuto che nella lamina foliare il Van Tieghem chiamò peridesma. Vedute dello Choute. — Questo botanico in una memo¬ ria che dedica appunto alla teoria stelare espone la sua ve¬ duta secondo la quale egli, avendo constatato endodermide an¬ che in parecchi casi in cui non era stata rintracciata, ritiene buona la teoria del Van Tieghem, ma che bisogna sia ammesso un sol tipo di stela, la monostelia, che esisterebbe sia per il fusto che per la radice. La polistelia e l'astelia non esisterebbero affatto, un organo essendo monostelico se in possesso di un unico ci¬ lindro centrale; meristelico se in possesso di un cilindro cen¬ trale frammentato. Il Lotsy nel suo volume di " Vortràge ueber botaniches Stammesgeschichte „ condivide e segue le vedute dello Schoute. Scuola del Jeffrey. — Per Jeffrey nelle Crittogame va¬ scolari i tessuti del sistema conduttore si possono riscontrare in due condizioni, e cioè di solida massa senza alcun midollo, tipo primitivo di struttura che denomina “ protostela „ (Fig. 13) e che si riscontra, infatti, in alcuni dei tipi più antichi di piante vascolari (Botryopteridee etc.) e in generale nell'organo più con¬ servativo : la radice ; oppure si possono riscontrare in condizione di un tubo includente midollo, tipo più evoluto di struttura che denomina " sifonostela „ (Fig. 14). Ammette che la protostela possa essere concentrica perifloe- — 15 — matica e mesarca, o radiale e esarca; la sifonostela ammette possa essere concentrica o radiale con il floema rivestente o soltanto la superficie esterna del cilindro : “ sifonostela ectofloica, „ o ri¬ vestente sia la superficie esterna che interna del cilindro : “ si¬ fonostela amfifloica Una guaina endodermale ben definita limiterebbe i tessuti della sifonostela da quelli del sistema fondamentale. Caratteristica generale, inoltre, delle felci e piante stretta- mente alleate sarebbe la comparsa nel cilindro centrale tubolare, in corrispondenza delle foglie o dei rami, di lacune foliari o ra- meali !), in vicinanza delle di cui estremità Tendodermide interna diverrebbe continua con quella esterna, e così diverrebbe con¬ tinuo anche il tessuto fondamentale esterno con il midollo 2). Fig. 13. — Diagramma di un fusto protostelico (Jeffrey). 4) Traduco con «lacuna follare» e «lacuna rameale » le denominazioni « foliar-gaps » e « ramular-gaps » della scuola americana di Jeffrey e delle scuole inglesi ; denominazioni che stanno ad indicare quella discontinuità xi- lematica che si avvera nell'anello xilematico (bréche dei Francesi) per il di¬ stacco delle tracce foliari e rameali. 2) Circa i rapporti del sistema vascolare dell'asse e della foglia distinse due tipi filogenetici di cilindro centrale; con soltanto lacune rameali, o sia con la- cune foliari che rameali. Denominò il primo tipo cladosifonico e il secondo fillosifonico, e in corrispondenza distinse due tipi di piante primitive ; le Ly- copodiales, le Equisetales e le Sphenophyllales , cladosifoniche e palingenetica- mente microfille ; le Filicales, Gymnospermae e Angiospermae fillosifoniche e palingeneticamente megafille. Adelosifonico denominò quel tipo di struttura stelare che perde la sua forma tubolare. Nei fusti protostelici ammette che il floema possa scompa¬ rire da un lato della stela creando la condizione collaterale, ma questa riduzione sarebbe specialmente connessa con la sifono- stela delle piante più evolute (Gimnosperme e Angiosperme). Fig. 14. — Diagramma di un fusto sifonostelico (Jeffrey). La polistelia del Van Tieghem secondo questa teoria non deriverebbe, quindi, da biforcazione della stela tubolare ; il si¬ stema stelare delle felci ritenute polisteliche sarebbe una sifono- stela, e evidentemente il termine gamostelia sarebbe poco felice non effettuandosi alcuna fusione di stele, (meristele) ma avve¬ nendo invece appunto il contrario. In quanto all'orientazione dello sviluppo xilematico vi sa¬ rebbe prima esarchismo caratteristico del legno primario del fusto dei Licopodii e piante alleate, poi mesarchismo che si ri¬ scontrerebbe nelle felci e gimnosperme inferiori, e infine endar- chismo che caratterizzerebbe gli organi assiali delle Gimnosperme più evolute e delle Angiosperme. Ma la sua teoria stelare il Jeffrey Y applica non solo alle Pteridofite ma anche alle piante a seme. Ulteriore fase interessante nello sviluppo evolutivo del ci¬ lindro vascolare sarebbe, infatti, secondo questa scuola, da no¬ tarsi in connessione con la progressiva degenerazione del legno — 17 — primario. Questo sarebbe ben sviluppato nelle forme inferiori, ma nelle forme più evolute si presenterebbe molto ridotto così che i raggi del legno secondario sarebbero in apparente con¬ trasto con il midollo. A questo estremo stato di modificazione del cilindro centrale sarebbe dovuto, secondo Jeffrey, la deno¬ minazione poco appropriata di " raggi midollari „ applicata al parenchima radiale del legno secondario, da sostituirsi con quello di " raggi legnosi „. Scuola di Gwynne Waughan. — Questo morfologo come Jeffrey ammette una stela primitiva solida, ossia protostelica, ma non ammette che la sifonostela fu contemporanea della proto- Fig. 15. — Loxoma Cunninghamii. Diagramma mostrante la forma del sistema vascolare a un nodo del rizoma ss = solenostela; It — traccia foliare dipartentesi; Ig = lacuna foliare (Gwynne Waughan). stela, e che il tipo di fusto midollato con fasci collaterali si sia originato da una sifonostela amfifloica; pensa, invece, che si sia direttamente originato dal tipo protostelico per trasformazione di xilema in midollo. Denominò " solenostela „ (fig. 15) quel tipo stelare da Jeffrey chiamato sifinostela amfifloica, e “dictio- stela „ (fig. 16) la polistelia di Van Tieghem frequente nelle Pte- ridofite e trovata ancora in alcuni fusti di Fanerogame ( Gunnera e Primula Auriculà) dimostrando come la presenza in sezione trasversa di due o più masse vascolari, ciascuna costruita come una singola stela di asse normale, sia dovuta non a ramifica¬ zione, come opinò Van Tieghem, di una monostela, ma al fatto che quando l'ordinamento delle foglie è fitto, in sezione trasversa evidentemente si osservano numerose lacune foliari onde l'appa¬ renza di più stele ordinate in circolo. — 18 — La stela protostelica primitiva si risolverebbe, così, in un cilindro, e quindi in una rete cilindroide. Ugualmente come Jeffrey, critica il termine gamostelia (so- lenostelia) di Van Tieghem, poiché un tale tipo di stela non sarebbe derivato dalla polistelia (dictiostelia) ma più antico di questo. Il Gwynne Waughan per le sue vedute a riguardo si fondò spe¬ cialmente sulle Osmundacee sulla cui storia geologica egli ed il Kid- ston hanno portata molta luce. Essi hanno potuto constatare che nelle Osmundacee vi fu prima una sem¬ plice protostela, poi una protostela differenziata in quanto che gli ele¬ menti interni di essa erano brevi ed ampii e con ispessimento reti¬ colato, gli esterni, invece, erano tra¬ cheidi scalariformi ; poi stela incol¬ lata, e poi ancora stela midollata con legno interrotto, e, infine, stela midollata con legno interno e floema accessorio interno. Vedute del Boodle. — Il Boodle nei suoi noti lavori sul¬ le Hymenophyllacee , Schizacee e Gleicheniacee viene ugual¬ mente alle medesime considerazioni. Egli ritiene che la mono- stelia, la monostelia midollata, la solenostelia, e la dialistelia siano tutti tipi di stele riducibili ad uno; inclina, cioè, a stimare che tali tipi derivino tutte da una stela solida la cui porzione cen - trale si sarebbe trasformata in parenchima nella monostelia mi¬ dollata; in parenchima accompagnato da floema e endodermide nella solenostelia e nella dialistelia. In quanto alle guaine endodermiche del Van Tieghem nel ti¬ po strutturale astelico, ritiene con lo Strasburgher che tali guaine non siano che strati speciali di natura semplicemente istologica. Il tempo per l'applicazione di una rigorosa terminologia non gli sembra ancora giunto, tuttavia mette in rilievo che le parti Fig. 16. — Scheletro vascolare dictio- stelico del fusto di Dryopteris. Da Reinke (Bower). 19 — separate del tipo dialistelico più convenientemente possono de¬ nominarsi “ meristele „ o “ dialistele Vedute di Tansley e Lulhan. — Questi botanici si accor¬ dano con le vedute avanti esposte, essere, cioè, la struttura si- fonostelica intermediaria filogeneticamente tra la protostelica e la dialistelica o astelica, tuttavia sono da ricordare per una nuova modalità stelare da loro messa in evidenza studiando alcune felci della Malesia: cinque specie appartenenti al genere Lindsaya. Per possedere la stela di que¬ ste felci un fascio di floetna im¬ merso nello xilema e vicino alla superficie dorsale di questo, il Tan¬ sley e il Lulhan hanno ritenuto tale tipo di stela molto interessante per costituire un legame filogene¬ tico tra la protostela e la soleno- stela, e l'hanno denominato appunto " Lindsaya condition „ (fig. 17). Regolarmente tale modalità strutturale s' incontrerebbe nel- l'ontogenia di varie felci quali, ad esempio, di Pteris aquilina e Neprhodium molle (Le Clerc du Sablon); di Aneimia Phyllitidis (Boodle) etc. Vedute del Bower. — Autore della nota teoria strobilare secondo la quale lo strobilo deve essere riguardato come il pro¬ totipo del germoglio; e più recentemente, con la scoperta delle Psilof itali di nuovo fautore dell' ipotesi che stima il fusto e la foglia essere parti omologhe di un sistema primitivamente indif¬ ferenziato !), il Bower ritiene la stela una reale entità caulina, più Fig. 17. — Sezione trasversale della stela del rizoma di Lindsaya orbiculata. (Il floema è rigato diagonalmente, il le¬ gno, il periciclo e l’endodermide in bianco mentre il limite esterno dell’en- dodermide è segnato da una linea trat¬ teggiata). Da Tansley e Lilhan. Ù II Bower in un suo lavoro del 1884 " Comp. Morph. of thè Leaf in Vascular Cript. and Gymn. „ suggerisce la veduta che è poi la base delle ipo¬ tesi del Potonié, Lignier, Tansley e ancora Bertrand e Hallier, essere il fusto e la foglia rami omologhi di un sistema primitivamente indifferenziato e dicotomico, ma poi, in altro suo lavoro del 1917 * On Leaf Architecture as illuminated by a study of Pteridophyta „ dopo trenta anni, come rivela egli — 20 — o meno, soltanto, secondo le circostanze, integrata, sostituita da sistemi foliari. Opponendosi alla veduta specie del Campbell che dietro studii su Eusporangiate stima il fusto essere costituito intera¬ mente da tracce foliare, egli stima che il sistema vascolare di alcune felci può sembrare effettivamente costituito da un sim- podio di tracce foliari, ma ciò non debba ritenersi esser dovuto che a megafillia, ossia a sproporzione dell’asse in corrispondenza della foglia, e quindi a spinta riduzione del costituente assiale. Questo, infatti, sarebbe invece preponderante nei Licopodi]', ad esempio, nei quali vi è microfillia, ossia preponderanza del fu¬ sto sulla foglia. A tale conclusione viene anche il Lang nel suo studio su Helminthostachys concludendo con il Farmen e Freeman che la stela deve considerarsi come in parte almeno caulina e non co¬ stituita da tracce foliare includenti del tessuto fondamentale. Circa 1' evoluzione della stela egli si accorda specialmente con il Gwynne Waughan e ammette le seguenti modalità strut¬ turali : la protostela, la protostela midollata, la condizione Lin- dsaya, la solenostela, la dictiostela. Descrive poi altre due modalità strutturali della stela che possono riscontrarsi, e, cioè, la " perforazione „ quando alle la¬ cune foliari vengono ad aggiungersi altre comunicazioni di va¬ ria forma (allungate, ovali, circolari) tra la corteccia e il midollo; e la " policiclia „ quando si riscontrano nel parenchima delle re¬ gioni conducenti accessorie ordinate in cicli più o meno rego¬ larmente l'uno nell'altro. Ma il Bower bisogna che sia specialmente ricordato per l' in¬ dirizzo fisiologico che egli ha dato alla morfologia stelare. stesso, ritornando sull'argomento conclude che 1' embriologia mostra essere la posizione dell'asse definita prima della comparsa della foglia che pare iniziarsi quale appendice laterale dell’asse ; in fine recentemente riprende ancora la que¬ stione ricordando la sua prima ipotesi per concludere che, ormai, con il rico¬ noscimento di una classe quale quella delle Psilofitali, e con la grande rasso¬ miglianza della struttura vascolare della foglia e dell' asse di Botryopteris cy- lindrica, l’ idea della differenziazione dell'asse e della foglia da uu sistema di- cotomizzante indifferenziato gli sembra emergere quale ipotesi attendibile. (The Ferns. pag. 341). Una serie d’investigazioni su felci eusporangiate, Psilofitali, Coenopteridee, Psilotee etc., hanno condotto il Bower alla con¬ siderazione che lo studio del sistema vascolare non deve trat¬ tarsi soltanto dal punto di vista anatomico e filetico, ma anche fisiologico: “ Evolution has follovved lines of opportunism, not of logie „ . Nel suo lavoro su Eusporangiate egli nota che i fusti e le radici della maggior parte delle piante sono approssimativamente cilindrici e così naturalmente le loro regioni conducenti. Ora il cilindro essendo un solido in cui la proporzione tra la superficie esterna e la massa è molto debole, e la superficie variando come il quadrato delle dimensioni lineari e la massa come il cubo, ne verrebbe, di conseguenza, aumentando la gran¬ dezza e non mutando la forma, la diminuzione di importantis¬ sime funzioni quale l’acquisto o meglio lo scambio dei materiali che si avvera alla superficie della regione conducente. Questa, quindi, sarebbe costretta evidentemente a deviare dalla sua forma mediante involuzioni e proiezioni, a d ecentralizzarsi, a disintegrarsi Nell'altro suo lavoro più recente il Bower nota che si hanno modificazioni nella forma dello xilema indipendentemente dal cambiamento di forma dell'endodermide, così che stima doversi ammettere nella morfologia stelare anche un fattore intimamente connesso con lo scambio fisiologico tra xilema e floema. Ad eguali conclusioni viene il Wardlaw che in un suo la¬ voro prende in esame la distribuzione dello xilema nel sistema vascolare di Psilotum , Tmesipteris e Lycopodium , concludendo che la grandezza è evidentemente un fattore nella morfologia interna della stela, poiché passando da una stela più piccola a una più grande delle piante esaminate si osserva decentralizzazione e di¬ sintegrazione del legno; e misure fatte dimostrano che mercè tale differenziamento della stela viene mantenuto relativamente alto il rapporto tra superficie e massa. Similmente il Williams nel suo lavoro " Some points in thè anatomy of Dicksonia „ constata che l'aumento in grandezza della stela conduce ad un adattamento di superficie a fine che non venga disturbato lo scambio tra la stela e i tessuti circostanti; e a modificazioni della massa xilematica a fine di costante con¬ tatto tra le tracheidi e gli elementi parenchimatici. In quanto aH'endodermide il Bower ritiene che tale tessuto abbia per compito il controllo dei sali, dello zucchero, delle altre sostanze solubili, e ancora dei gas. Esso si riscontrerebbe sol' tanto dove e quando sarebbe necessario. Le Marattiacee e le Ofioglossacee, felci semi-xerofitiche a lenta circolazione non avrebbero più endodermide dopo il loro stato giovanile ; nelle Leptosporangiate, invece, felci delicate, i- grofite, con rapida circolazione, si riscontrerebbe sempre un'en- dodermide. Questione della midollazione. Le vedute delia Scuola americana di Jebbrey e delle varie Scuole inglesi sono molto simili tra di loro per accordarsi nel- l'ammettere tre tipi principali di stele e cioè il protostelico, il sifonostelico e il dictiostelico dei quali il primo il più primitivo, tuttavia non la pensano ugualmente circa 1' origine del midollo, questione che è stata e continua ad essere oggetto d’investiga¬ zione e di discussione. Mentre, infatti, la Scuola di Jeffrey ritiene il midollo essere d’origine extrastelare ossia dovuto ad intrusione neH'interno della stela di tessuto corticale attraverso le lacune foliari, Gwinne Waughan, il Boodle, il Kidston, il Tansley etc., lo ritengono d’origine intrastelare, ossia dovuto a differenziamento della parte interna della stela, mentre il Bower nel suo lavoro " Medullation in thè Pteridophyta „ ammise entrambe le origini e anzi potersi riscontrare tre differenti origini del midollo : il parenchima in- traxilico, la guaina circondante lo xilema e il parenchima extra¬ stelare. Il modo differente di vedere circa l'origine del midollo nelle Pteritofite, del Jeffrey e dei sostenitori della veduta dell'origine intrastelare, dipende anzitutto dal differente modo d’interpetrare la stela delle Osmundacee. Per Jeffrey, come ancora per il Faull le Osmundacee rappresenterebbero una serie di strutture stelari ridotte, perchè, data la presenza di floema interno e endodermide interna in Osmiinda cintiamo tnea, questi autori ritengono le Osmun¬ dacee attuali derivare per degenerazione da una condizione più complessa da un cilindro solenostelico. Gwynne Waughan, come — 23 ancora il Kidston, riguardano invece il tipo osmundaceo di si¬ stema vascolare come derivato direttamente da una stela primi¬ tiva con vero midollo circondato da un anello xilematico, stela a sua volta derivante da una protostela dalla quale si dipartivano le tracce foliari in forma protostelica. La veduta del Jeffrey avrebbe in suo appoggio la frequente rassomiglianza istologica del tessuto midollare con quello corti¬ cale, oltre die la riscontrata presenza di possibili inclusioni di, tessuto epidermale e rainenti nel midollo della stela tubolare dl Otioclea e di Aneimia ; la veduta contraria avrebbe il vantaggio di essere in accordo con l'evidenza paleontologica, dati gli studii del Kidston e Gwynne Waughan sulle Osmundacee, sia ancora con l'evidenza ontogenetica dati gli studii sulla struttura di gio¬ vani felci fatti dal Boodle, dal Seward e Ford, dallo Chandler dal Gwynne Waughan etc. Il Bower nei suoi lavori sopra citati tenta di risolvere la questione biologicamente. Egli insiste sulla poco ragionevolezza di voler a tutti i costi stabilire un’ istoria filetica del midollo quando non vi è alcuna prova che l'origine del midollo abbia antidatata la segregazione filetica delle stirpi pteridof itiche da una comune stirpe antenata Egli ritiene che non può sussistere alcuna regola in proposito, perchè in ciascun filum delle Pteri— dofite il midollo è da ritenersi essere originato indipendente¬ mente e aver avuto una propria evoluzione, onde dal punto di vista anatomico e ontogenetico, e dalla successione stratigrafica delle Osmundaceae e Lepidodendraceae , conclude che l'origine del midollo non è uniforme tanto che può essere diversa in un medesimo individuo a seconda del suo stato di sviluppo e delle cendizioni fisiologiche. Nelle Pteridofite microfille ad abito eretto si svilupperebbe, ad esempio, midollo di origine sempre intra- stelare, in Pteridofite megafille ad abito strisciante, invece, mi¬ dollo di origine extrastelare ; in Pteridofite megafille, ma ad abito eretto, midollo di entrambe le origini ; e finalmente in Pteridofite microfille, ma ad abito strisciante, midollo di origine extrastelare. Evidentemente, conclude il Bower, non vi è alcuna rigida legge di midollazione e solo dal punto di vista biologico si può ritenere che quando l'asse è massiccio e le foglie sono piccole non avviene intrusione di parenchima midollare; quando — 24 — viceversa l'asse non è molto massiccio e le foglie sono grandi avviene invece, intrusione ; e poiché il rapporto delle parti del germoglio dipende dall'abito, si ha che l'abito eretto è biologi¬ camente in rapporto con la midollazione intrastelare, l'abito stri¬ sciante con quella extrastelare. Per analogia il Bower . esprime la veduta che il midollo delle piante a semi è ugualmente da ritenersi partecipare di en¬ trambe le origini. Più modernamente, continuando sempre la controversia, sono specialmente da ricordare i risultati delle investigazioni del Lang e del Thompson che, almeno per le felci, appoggiano la veduta dell'origine intrastelare del midollo. Infatti, secondo il Lang, il midollo di Botrychium lunaria sarebbe interamente di natura intrastelare comparabile a quello delle Osmundaceae *) quale descritto da Kidston e Gwynne Waughan, e a quello delle Schizacee quale interpetrato dal Boodle. Il Thompson, d'al¬ tra parte, in suo lavoro su Platizoma microphyllum , interessante felce protostelica presa in esame sin dal Poirault, mette in evi¬ denza che le tracce foliari si dipartano dalla stela senza forma¬ zione di lacune foliari onde con il Lang ritiene il midollo un prodotto di differenziamento intrastelare e l'endodermide interna una formazione originatasi, come anche il floema interno, de novo ; ed in un altro suo lavoro successivo prendendo in esame lo sviluppo ontogenetico di varie felci viene ugualmente alla me¬ desima conclusione. Tali più recenti risultati sono tenuti in conto, discussi e seguiti dal Bower nel suo volume “ The Pherns „. Teoria della condensazione. E’ questa una teoria avanzata da Paolo Bertrand nel suo lavoro sulla struttura dello stipite di Asterochlaena laxa Stenzel , e discussa nell’altro suo lavoro: " L'étude anatomique des Fou- gères anciénnes et les problémes quelle soulève *) Anche le famiglie fossili delle Botryopteridee e Zygopteridee mostrano la transizione da una protostella solida a una midollata in una rigorosa suc¬ cessione stratigrafica. — 25 — Poi che le Zygopteridee, peculiari antichissime felci fossili, presentano il sistema vascolare in forma di massa stellata, forma che si riscontra anche presso le Sphenophyllales e Licopodinee attuali, il Bertrand si domanda se è davvero la protostela la forma più primitiva di stela da ammettersi per tutte le piante vascolari, secondo l'opinione generalmente seguita, 1' asterostela da questa derivando per lobazione e dispersione ; oppure non sia da considerarsi come più primitiva la stella libero legnosa, da questa derivando, invece, per condensazione, la protostela. Eig. 18. — Sezione trasversale incompleta di Asteropteris noveboracensis mostrante parte della stela stellata e parecchie tracce foliari. Da Bertrand (Scott). Il suo studio sulle Inversicatenales conduce così il Bertrand a questa teoria della condensazione come opposta a quella della protostela, ma egli non la dà come definitivamente stabilita, ma soltanto come probabile, in attesa della scoperta di fossili ancora più antichi e primitivi che decidano della questione. Specialmente la Zigopteridea Asteropteris (fig. 18) a stela stellata omogenea cioè senza midollo, e quindi, a questo riguardo, se non per la traccia foliare, più primitiva di Asterochloena , favorirebbe que¬ sta veduta della condensazione ; e il gruppo ugualmente fossile delle Cladoxyleae il cui stipite presenta più stele disposte ra¬ dialmente. Si è già accennato come il Bower considerando la morfo¬ logia stelare dal punto di vista fisiologico la pensi ben diversa- mente circa la stela stellata delle Zygopteridee, ritenendola un'e¬ laborazione dipendente dal fattore grandezza a fine di un'elevata proporzione tra la superficie e la massa. - 26 — Teoria del de sma . Fra i botanici che più che elaborare si sono rivolti contro la teoria che accorda un' individualità alla parte centrale dei di¬ versi membri della pianta, è da ricordare anzitutto il Brebner. In un suo lavoro in cui si occupa dello sviluppo vascolare di alcune Marattiacee, il Brebner possiamo dire che definisce la que¬ stione delle teorie stelari dal punto di vista della terminologia, proponendo i seguenti termini per le varie modalità strutturali del sistema conduttore che si possono riscontrare: “aplostela,, de¬ nominò la protostela semplice, frequente in piantine di Pterido- fite, rizomi di Imenofillacee ; "actinostela,, la monostela della mag¬ gior parte delle radici e di certi fusti, costituita da gruppi alterni o ordinati radialmente di xilema e floema; “solenostela,, il sistema stelare tubolare amfifloico con lacune foliari distanti; "dictyostela,, la stela a forma di rete cilindroide (adelosifonica se perde la forma tubolare e sifonica se la conserva); " eustela „, la monostela di una tipica dicotiledone consistente di un anello di meristele col¬ laterali o bicollaterali includenti midollo; " atactostela „, la ca¬ ratteristica stela a fasci sparsi di una monocotiledone (omodes- mica se con fasci tutti dello stesso tipo e eterodesmica, se con fasci di tipo differente); " isterostela „, la stela ridotta o modi¬ ficata per habitat ( Mottonia e Potamogeton ), " meristela „ il fascio vascolare nel senso di Jeffrey, onde "aplomeristelia,, (Felci) e “eu- meristelia,, (Primula e Gunnera) ; tuttavia in questo suo stesso la¬ voro in un capitolo di riconsiderazione della terminologia in rap¬ porto alla morfologia, egli incita a considerare gli strati denominati periciclo e endodermide, come già il Farmer e I'Hill stimarono, non come entità morfologiche, ed ad abbandonare la teoria ste¬ lare sostituendo ad essa la concezione di un sistema connesso di fasci vascolari da una parte e di tessuto fondamentale dall'al¬ tra, stimando inoltre che, nel medesimo tempo, il tessuto non vascolare non si deve considerare fondamentalmente differente dal vascolare, entrambi differenziandosi da un medesimo meri- stema. Il sistema conduttore delle Dicotiledoni, così, secondo il Brebner, può esser descritto come “ ciclodesmico „ (a desmi di¬ sposti in cerchio); quello delle Monocotiledoni come " atactode- smico „ (a desmi sparsi nel tessuto fondamentale). — 27 — Sono inoltre da ricordare in proposito il Drable che ritiene la stela, il midollo, la cortecia non essere entità morfologiche separate; il Buscalioni e il Lopriore che in un loro lavoro sulle radici dalla Phoenix Dactyliphera concludono appunto che nel problema della stela non si deve tener conto che di due strut¬ ture principali e cioè del tessuto fondamentale e del fascio va¬ scolare, poiché il midollo, il periciclo, Pendodermide non si de¬ vono considerare come altrettanti unità a costituzione specifica, perchè appartenenti al tessuto fondamentale, e la loro presenza non avrebbe che significato fisiologico o morfologico ; il Cata¬ lano che nel suo lavoro “ Morfologia interna delle radici di al¬ cune Palme e Pandanacee „ ammette le vedute del Buscalioni e Lopriore, stimando che per poter comprendere le strutture non bisogna considerare il cilindro centrale, ma il desina. Teoria del divergente. Secondo Bertrand e Cornaille l'unità anatomica del sistema conduttore delle Felci sarebbe il divergente, cioè il pezzo libero legnoso elementare più semplice che si suole riscontrare presso tali piante. Esso sarebbe costituito da un polo xilematico, da due la¬ mine xilematiche che da questo si dipartirebbero divergendosi, e dal floema che le tappezzerebbe sulle due facce. Ma il divergente non sarebbe, inoltre, per nulla un' unità rigida, varia potendo essere la sua forma, come di molto potendo variare lo sviluppo delle lamine legnose di¬ vergenti, ossia delle "ali,,. Bertrand e Cornaille ammet¬ tono, così, potersi effettuare le seguenti forme di divergenti : divergente a “ V „ (le due ali divergendo di poco dal protoxi¬ lema); divergente “ chiuso diretto „ (le due ali incontrandosi da¬ vanti al protoxilema che racchiudono nell'interno del legno) fig. 19; divergente " chiuso inverso „ (le due ali essendo rigettate in una Fig. 19. — Divergente chiuso di Loma- riopsis fr&xird folla. Da Bertrand e CORNEILLE (CHODAT). - 28 — sola massa indietro al protoxilema); divergente asimmetrico (svi¬ luppandosi bene una sola ala, l'altra potendo essere rudimentale o ridotta addirittura a zero (fig. 20). Quest'ultima forma di di¬ vergente sarebbe molto frequente. Le ali dei protoxilemi contingui avanzandosi fino ad incon¬ trarsi darebbero luogo a una catena di divergenti, la quale ri- Fig. 20. — Catena di divergenti asimmetrici ( Osmunda regalis). Da Chodat. marrebbe continua, ad esempio, nelle Osmundacee; mentre nelle Marattiacee e nelle Cyatacee si frazionerebbe in tanti massicci quando sarebbero i protoxilemi. L' interesse di questa unità risiederebbe specialmente nel fatto che, praticando una sezione trasversale di un picciuolo di felce si noterebbero le unità vascolari unite o pur no, disposte sempre secondo una curva. Ora le variazioni della curva insieme al numero dei divergenti di cui sarebbe costituita, sarebbero utili per distinguere le Felci in differenti gruppi i quali, salvo casi di parallelismo, corrisponderebbero abbastanza esattamente con le generali divisioni ammesse. Paolo Bertrand a mezzo di quest'unità elementare interpe- tra il peculiare sistema vascolare delle Zygopteridee. Ma tra i seguaci di questa teoria del divergente è da ricor¬ dare specialmente Chodat il quale l'applica al sistema conduttore di tutte le piante vascolari. Teoria del merifito. Secondo Lignier l'unità anatomica del sistema conduttore delle piante superiori sarebbe il merifito ossia il sistema libero¬ legnoso foliare. — 29 — Egli nella sua teoria generale riguardante 1' organizzazione del corpo della pianta, e secondo la quale l'asse e la foglia sa¬ rebbero derivati da un sistema indifferenziato ramificato dicoto¬ micamente, ammette due gruppi di piante : quello delle " Filloi- dee „ presso il quale gruppo la parte aerea della pianta non sarebbe formata che da rami dicotomici (cauloidi) ricoperti da espansioni foliacee “ filloidi „ derivate da emergenze talloidi (Briofite e Licopodinee foliacee) J) ; quello delle ''Fillinee,,, de¬ rivato dal precedente, e quindi più evoluto, con fusto e vere foglie derivate da modificazioni di rami talloidi (Filicine, Artico¬ late, Spermafite). Ora le Filloidee più primitive come le Licopodinee inferiori attuali avrebbero i cauloidi forniti di una stela assiale a sezione circolare e raggiata, con protoxilema centripeto e circondato da uno strato di floema quasi continuo. Questa stela a livello delle dicotomie si dividerebbe in due stele momentaneamente emicir- colari che ben presto assumerebbero la loro forma normale circolare. Su questo stele s'inserirebbero i fasci dei filloidi. Da una tale struttura del sistema conduttore delle Filloidee il Lignier ammette sia derivata quella del sistema conduttore delle Fillinee, i cui caratteri sarebbero stati influenzati special - . mente dalla A orsiventralità degli organi foliari. Subito che per cladodificazione orizzontale degli ultimi cauloidi si sarebbero prodotte le foglioline terminali, sarebbe avvenuta la sostituzione fisiologica delle vere foglie ai filloidi che sarebbero scomparsi e con essi i loro fasci vascolari. Per tanto, sotto l'influenza della dorsiventralità, le due stele discendenti a livello di ciascuna di¬ cotomia 1 2) sarebbero diventate nel decorso evolutivo sempre più indipendenti l'una dall'altra, così che ciascuno di questi cauloidi 1) Secondo Tansley che condivide in generale le vedute del Lignier, le foglie delle Licopodinee sarebbero derivate da cauloidi brevi ; allora, ribatte il Lignier, se questa interpetrazione sarà riconosciuta esatta, il gruppo delle Fil¬ loidee non verrebbe a comprendere che le Muscinee, e le Licopodinee costi¬ tuirebbero un piccolo ramo parallelo a quello delle Fillinee: le « Parafillinee »• 2) Le stele, veramente, fa notare il Lignier, si differenziano dal basso in alto, ma le modificazioni consecutive della differenziazione del merifito avven¬ gono dall’alto in basso dipendendo dalla dorsiventralità delle vere foglie for¬ matesi. — 30 — inferiori invece di possedere come prima una sola stela assiale ne possederebbe di più, sia ancora accollate in una massa unica di forma stellata piena o vuota, sia già nettamente separate l’una dall'altra, e disposte in cerchio. Nelle rachidi delle Fillinee inferiori, ad esempio, ( Primofi - lices e Lyginodendreae) le stele si osserverebbero ancora poco numerose e indipendenti ; nelle Fillinee evolute (Felci , Gimnosperme e Angio- sperme) sarebbero più numerose e più indipendenti. Nel gruppo delle Fillinee, così, la primitiva unica stela radiata di ciascun cauloide sarebbe sostituita sotto 1' in¬ fluenza della dorsiventralizzazione da nu¬ merosi fasci prima ordinati in cerchio, e poi, nelle foglie, per apertura superiore di questo in un arco semplice e piegato. Questi fasci dapprima esarchi e in¬ teramente protoxilematici, in seguito, sa¬ rebbero diventati più complessi per la presenza di metaxilema che soppiante¬ rebbe il protoxilema, e la comparsa di mesarchismo e quindi di endarchismo. Il floema evidentemente anche da principio ripartito intorno alla stela pri¬ mitiva, si sarebbe poi venuto modifican¬ do, allontanandosi sempre più dal pro¬ toxilema per raggiungere e localizzarsi alla massima distanza da questo. Il Lignier poi che abbandonò par¬ zialmente il campo anatomico per inva¬ dere quello più ampio della morfologia generale e interrogare la fitopaleontologia, stimando innanzi tutto l'organizzazione generale del sistema libero-legnoso derivare da quella del corpo della pianta, s'inspirò specialmente per le sue vedute in Psilophyton che ritenne una crittogoma vascolare pri¬ mitiva (fig. 21). E in vero, il riconoscimento della classa delle " Psilopliyta- Fig. 21 . — Psilophyton. Restaura¬ zione del tallo sterile. Da San- sou (1859) (N.Arber Devonian Floras). — 31 les „ con la scoperta di altre piante semplicissime simili a Psi- lophyton rappresenta evidentemente un gran trionfo per la teoria di questo insigne morfologo. Teoria della Fillorizza e del Convergente. Secondo Chauveaud il massiccio cellulare proveniente dal¬ l'uovo di una pianta darebbe nascenza a una piantina in minia¬ tura che considera quale l'unità fondamentale di tutte le piante vascolari. In questa piantina egli distingue due parti ; una diretta in su con forma e colorazione di foglia e comprendenti due parti, Fig. 22. — Ceratopteris thalic- troides. Taglio longitudinale mediano al primo stadio; fi = fascio fillare della la fillorizza; ri = fascio radicale della prima fillorizza. (Da Chauveaud). Fig. 23. — Ceratopteris thalic- troides. Principio del secondo stato; Ì2 = fascio fillare della seconda fillorizza; b2 = fascio intercaulinare. (DaCHAUVEAUD). una basale (caule) e una terminale (foglia); una diretta in giù con forma e colorazione di radice (radice). Lo Chauveaud de¬ nomina la prima parte " Filla la seconda " Rizza e V intera unità " Fillorizza „ (fig. 22 e 23). A questa prima fillorizza ben presto ne seguirebbero delle altre, così lo sviluppo di una pianta sarebbe dovuto alla forma¬ zione di tante fillorizze successive le quali sarebbero sempre di taglia maggiore e più differenziate. Inoltre con il proseguire dello — 32 — sviluppo della pianta si avrebbe accelerazione e condensazione, cioè la distanza che separerebbe nel tempo e nello spazio la for¬ mazione di due fillorizze successive descrescerebbe sempre più, onde l'aspetto primitivo della pianta si modificherebbe : il mas¬ siccio iniziale divenuto germoglio laterale diverrebbe gradata- mente germoglio terminale. Conseguenza dell'accelerazione e condensazione delle fillo¬ rizze sarebbe la fusione progressiva dei cauli, onde il fusto non sarebbe da ritenersi una formazione autonoma. Tra le Monocotiledoni e le Pluricotiledoni vi sarebbe questa differenza, che, nelle Monocotiledoni la seconda fillorizza sarebbe separata nel tempo e nello spazio dalla prima ; nelle pluricoti¬ ledoni le prime fillorizze apparirebbero invece nel medesimo tempo: la produzione di esse non sarebbe successiva, ma si¬ multanea. Di conseguenza, il massiccio iniziale, sempre laterale in rap¬ porto all'ultima filla, acquisterebbe gradatamente l'apparenza di un germoglio terminale nelle Monocotiledoni; nelle Pluricotile¬ doni ciò avverrebbe subito. Secondo lo Chauveaud così tutte le piante presenti si di¬ viderebbero in due grandi gruppi : quello delle Crittogame e delle Monocotiledoni; e quello delle Gimnosperme e delle Di- cotiledoni. Venendo ora al sistema conduttore, la fillorizza rappresen¬ terebbe per questo morfologo non solo l'unità di piano morfo¬ logico, ma ancora l'unità di piano strutturale. Infatti nello stesso modo che egli ritiene la pianta costituita dalla formazione successiva di tante unità elementari, ritiene il sistema conduttore della pianta essere costituito dalla succes¬ sione di sistemi elementari, ciascuno corrispondente a una fillo¬ rizza. Fasci intercaulinari collegherebbero tra di loro questi suc¬ cessivi sistemi elementari (fig. 22 e 23). Ma l'unità propria del sistema conduttore delle piante va¬ scolari da lui ammessa sarebbe " il convergente „ (fig. 24) cioè un fascio vascolare centripeto alterno con due mezzi fasci cri- bosi, quando simmetrico, o con un sol fascio criboso, quando asimmetrico (radice delle Crittogame vascolari). Questa unita dello Chauveaud corrisponderebbe in certo — 33 - modo alla metà dell'unità ammessa da Bertrand e Cornaille per le felci, ossia al divergente. Nella radice, il convergente, nella sua prima fase di evolu¬ zione, si differenzierebbe in direzione cetripeta fermandosi a una certa distanza dal centro, oppure raggiungendolo ; poi prose¬ guirebbe in direzione centrifuga arrestandosi ugualmente o pur no a una certa distanza dal centro. Questa seconda marcia di Fig. 24. — Parte centrale di un taglio trasversale dei due primi cauli di una di- cotiledone (ombrellifera) al primo stadio mostrante due convergenti. (Chauveaud). differenziazione vascolare, molto limitata nelle Crittogame e nelle Fanerogame senza accrescimento secondario , sarebbe invece molto rappresentata in quelle con formazioni secondarie. Nella Filla il convergente delle Crittogame non oltrepasse¬ rebbe la sua prima fase di evoluzione, ma già in alcune Critto¬ game vascolari fossili, e nel primo caule di parecchie Fanero¬ game attuali esso si differenzierebbe in modo arbitrario e quindi anche centrifugalmente, onde diploxia; e poi nella filla di tutte le Fanerogame, esso per accelerazione basifuga si mostrerebbe solamente nella sua ultima fase di evoluzione. Tra i seguaci delle vedute dello Chaveaud sono da ricor- — 34 — dare Andrea Dauphiné che in numerose sue pubblicazioni si dichiara fautore della teoria della fillorizza e del convergente e sua evoluzione in fasi che si succedono gradualmente o pur no per accelerazione basifuga ; il Chiarugi che nel suo lavoro "Os¬ servazioni anatomiche sopra i così detti stoloni (stolofilli) di Tu- lipa silvestris , interpreta questi organi appunto nella luce della teoria della fillorizza e del convergente; il Messeri, già ricordato, che nel suo recente lavoro " Ricerche sullo sviluppo del sistema vascolare in alcune Monocotiledoni „ si accorda perfettamente con lo Chauveaud in riguardo all'esistenza del convergente come unità del sistema conduttore e all’esistenza della fillorizza come unità morfologica della pianta vascolare. Contro la Scuola dello Chauvcaud sono invece da ricordare il Dangeard, il Gravis e il Bugnon esaltatori, invece, della teoria del Lignier. Il Bugnon nei suoi diversi lavori di critica alla teoria dello Chauveaud fa notare che i dati fitopaleontologici, specie con le recenti scoperte delle Rhyniae e di Hornea, non incoraggiano la teoria della fillorizza e del convergente; ma incoraggiano invece la teoria del Lignier che sembra interpetrare bene i caratteri sia delle piante antiche che presenti, prevedendo 1' esistenza di un gruppo di piante che realmente si è riconosciuto da pochi anni, con nuove scoperte, essere esistite : le Psilophytales. Napoli , Istituto Botanico Regia Università, febbraio 1926. — 35 — BIBLIOGRAFIA 1901. Boodle, L. A. — 1. On anatomy of Gleicheniaceae. Ann. Bot. Voi. 15, pag. 703, Tav. 38 e 39. — — 2. Schizaceae. Ibid. pag. 359, Tav. 19, 20 e 21. 1924. Bouvrain, G. — Sur T accélération basifuge du development dans V Helianthus annuus. Bull. Soc. France. Paris, Tome 71, pag. 293, figg. 4. 1911. Bower, F. O. — 1. Oti thè primary xilem and medullation in Ophyoglossaceae. Ann. Bot. 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Da Roma a Teller estrema punta dell’ Alasca, attraverso T Europa, ai limiti del continente fra le steppe e la bianca di¬ stesa dei laghi russi, nel pieno mistero dell'Artide, una nave aerea italiana, guidata da anime di acciaio, seguita dall'ansia af¬ fettuosa e commossa del Mondo, ha compiuto un viaggio che sembra un sogno ed è una realtà. Questa volta è il dirigibile, l'oscuro e modesto dirigibile, che afferma nel modo più brillante, e ritengo definitivo, la sua magnifica potenzialità di grande mezzo per la navigazione aerea. Purtroppo in Italia ed anche nelle altre nazioni non sono molti quelli che hanno avuto ed hanno fiducia nel dirigibile. Che que¬ sto stato d' animo sia nelle altre nazioni può anche ed in parte giustificarsi , ma non si giustifica assolutamente in Italia, in que¬ sta nostra nazione che ha il grande merito di avere studiato con amore e con tenacia, raggiungendo risultati mirabili, il problema del cosiddetto “più leggiero dell'aria „. L' aeronautica, la gloriosa aeronautica italiana, è sorta difatti con lo studio del problema del dirigibile. I migliori nostri tec¬ nici, anche quelli che passarono in seguito allo studio dei pro¬ blemi dell’aviazione e dell’idroaviazione, hanno avuto il loro battesimo a questa difficile e complessa scienza in quella pic¬ cola sezione del Genio Battaglione Dirigibilisti della Caserma " Cavour „ a Roma, trasformatasi poi in Istituto Centrale Aeronau¬ tico con 1’ annesso attuale Stabilimento di Costruzioni aeronau- — 40 — tiche, la cui attività, prima e sopratutto durante la guerra, è quasi completamente sconosciuta, ma che rappresenta una delle più belle pagine dell' attività scientifica e tecnica del nostro Paese. Perchè in questioni di dirigibili non vi sono state e non vi sono che due concezioni, due indirizzi, due scuole : la tedesca e 1' italiana. La prima fautrice del tipo rigido rappresentato dagli Zeppelin, l’altra del tipo semirigido rappresentato da tutta la numerosa serie di dirigibili italiani, iniziata dal Crocco, conti¬ nuata dal Crocco e dai suoi collaboratori, ripresa nell’ ultimo periodo della guerra e continuata fino ai nostri giorni dal Nobile. I primi dirigibili non erano che grossi palloni, modificati nella forma per renderli atti a vincere la resistenza dell’aria nel loro movimento, con 1' aggiunta del motore istallato in una na¬ vicella che si era sostituita al classico cesto e del congegno di direzione rappresentato dall’ ordinario timone. Come nei palloni così in questi dirigibili la rigidità di forma dell' involucro, co¬ stituito di semplice stoffa gommata, veniva fornita dallo stesso gas che ne assicurava la sostentazione e ciò mediante un regime di sovrapressione all' interno per rispetto all' aria esterna. Evidentemente questa non poteva essere la soluzione del problema sia perchè un regime di sovrapressione, anche se mo¬ derato, dà luogo ad una continua perdita del gas attraverso l' involucro e quindi ad una diminuzione continua della forza sostentatrice, sia perchè nel caso del dirigibile ad assicurare la rigidità di forrpa, in contrasto alla pressione dell'aria sulla parte anteriore ed agli sforzi esercitati dalla sospensione della navi¬ cella, occorrerebbero regimi di sovrapressione assolutamente in contrasto con ogni norma di sicurezza. Una soluzione del problema, semplice, direi quasi ovvia, non mancava: quella cioè di racchiudere l’involucro in una spe¬ cie di rete, di gabbia metallica rigida, capace di sopportare gli sforzi combinati della pressione dell’aria nella parte anteriore e delle tensioni distribuite sull' intera lunghezza del dirigibile. Fu questa la soluzione adottata dal Conte Zeppelin in Germania con la costruzione sin dal principio di grandi aeronavi, grandezza — 41 — che, è bene notarlo , costituisce in questo genere di costruzioni un requisito in gran parte negativo. In effetti se con la struttura metallica cellulare la rigidità di forma dell' involucro è assicurata nel modo migliore, in com¬ penso si ha lo svantaggio di dover sollevare un peso morto no¬ tevole: da ciò la necessità, quando si vuole sollevare un carico utile non piccolo ed ottenere un raggio di azione sufficiente, di ricorrere a grandi cubature cioè ad aeronavi di alto costo, di alto consumo in navigazione, richiedenti difficili manovre alla partenza ed all' atterraggio con mastodontici " hangar „ per il loro ricovero. I nostri tecnici, sin dal principio, scartarono una tale so¬ luzione. A quei tempi i bilanci della Marina e della Guerra erano così magri ed insufficienti che sarebbe stato assurdo pensare alla possibilità di costruzioni tanto costose e delle quali non si ve¬ deva ancora la utilità di un impiego in caso di guerra. Si era ai tempi delle economie, quando i nostri forti al confine erano sguerniti di artiglierie, i nostri depositi militari quasi vuoti e le nostre navi diventavano vecchie sugli scali di costruzione men¬ tre quelle già facenti parte della flotta riposavano nei porti per economia di combustibile e di materiale. Bisognava aguzzare l’ ingegno, studiare i compromessi, vin¬ cere, se possibile, con soluzioni geniali le difficoltà gravi deri¬ vanti dalle limitate disponibilità finanziarie. Nel campo delle costruzioni navali malgrado le altre nazioni di noi più ricche iniziassero proprio allora la corsa ai grandi tonnellaggi ed agli armamenti con grossi calibri il problema ve¬ niva felicemente risolto mercè l'abilità e la genialità dei nostri ingegneri navali. Avemmo allora uno dei periodi più fulgidi di gloria per il nostro Genio Navale che con Vittorio Cuniberti ideò tipi di navi che rappresentarono per quei tempi, e per molti anni ancora, il più felice compromesso fra doti tattiche e stra¬ tegiche riunite in navi di così limitati tonnellaggi. Per la navigazione aerea si era ai primi tentativi ma fin da allora il problema veni /a impostato in modo da condurre ad una soluzione che si è dimostrata perfettamente rispondente ai bisogni ed alle esigenze dalla navigazione. Il tipo semirigido ha - 42 — subito è vero delle modifiche ma queste non sono che dei perfe¬ zionamenti suggeriti dalla esperienza e dal continuo studio, il tipo essendo rimasto integro nella sua linea concettuale, tipo classico eminentemente italiano al quale appartiene tutta la numerosa serie dei nostri dirigibili, dai primi P da 4000 metri cubi agli M da 12000 me., che costituiscono la lunga serie delle gloriose ae¬ ronavi di guerra, fino agli attuali N da 18000 me. dovuti al Nobile. 11 tipo di dirigibile italiano è qualche cosa di medio fra lo Zeppelin ed il Parsival, fra il tipo rigido ed il tipo floscio cioè il pallone. Si ricorre in esso tanto alla sovrapressione del gas neirinterno dell'involuco quanto ad un'armatura metallica; la pri¬ ma però raggiunge valori minori che non nei tipi flosci mentre l'armatura metallica occupa solo la parte inferiore dell'aeronave. Essa ha lo scopo di irrigidire solo questa parte ch'è la più di¬ rettamente interessata nella sospensione della navicella e sulla quale vanno a scaricarsi le più notevoli sollecitazioni, mentre la parte superiore è mantenuta nella sua forma da un moderato regime di sovrapressione del gas, e la parte prodiera, la più ci¬ mentata per la grande pressione prodotta dal movimento attra¬ verso l'aria, è protetta dall'irrigidimento di prua. Siamo cioè al compromesso, alla utilizzazione sempre mi¬ gliore del materiale, allo studio continuo, accurato, geniale di ogni parte del complesso congegno in modo da evitare ogni spreco di peso morto e da eliminare ogni sforzo superfluo senza menomare la sicurezza di funzionamento. A questo studio intenso nel quale all'indagine fisica e ma¬ tematica geniale ed acuta si accoppiava il continuo controllo spe¬ rimentale , eseguito su piccoli modelli in quel tunnel aerodina¬ mico di Roma ch'è stato uno dei primi pochissimi impianti del genere avutosi in Europa, sono dovuti i mirabili risultati conse¬ guiti nello studio della statica e della dinamica del dirigibile, nuovo capitolo della meccanica applicata la cui priorità spetta appunto al nostro Genio dirigibilisti. Può sembrare, ed è infatti sembrato a molti specie in principio, che vi fosse in questo tipo un difetto di solidità avendosi una struttura insufficiente a sop¬ portare e vincere il tormento di una navigazione burrascosa spe¬ cie nel caso di grosse cubature. — 43 — L'esperienza di anni, giorno per giorno, ha però dimostrati infondati tali dubbi. Durante la guerra i nostri dirigibili di tipo M da 12000 me. hanno difatti superata brillantemente la loro prova nelle più pe¬ ricolose navigazioni, effettuate sempre di notte sui campi nemici, quasi sempre ad altissime quote per evitare il tiro bene aggiu¬ stato delle artiglierie antiaeree. Ed ora il viaggio del " Norge „ effettuatosi nelle condizioni più disastrose che si siano mai potute presentare a navigatori dell'aria, conferma la bontà della conce¬ zione italiana per una grandezza di aeronave che è già sufficiente ai bisogni di una ordinaria navigazione. Ricordo il primo 18000 me. italiano costruito dopo la lun¬ ga serie dei tipi M nel 1918 e destinato alla Marina per le sue offese in Adriatico. Partito per la prima delle sue azioni not¬ turne di bombardamento non fece più ritorno alla base , nè fu mai conosciuta la sorte di quegli eroi fra i quali noi napoletani ricordiamo il valoroso comandante dell'aeronave Tenente di va¬ scello Arlotta. Quanto progresso e quanti perfezionamenti da quel primo dirigibile impotente a vincere difficoltà incomparabilmente infe¬ riori a quelle delle quali il “ Norge „ ha così brillantemente trionfato ! Ma per noi cultori di scienze fisiche questo viaggio rap¬ presenta la più bella battaglia combattuta e vinta da questi pio¬ nieri della grande navigazione aerea e l'affermazione più sicura di quella branca della fisica terrestre, fin' oggi tanto negletta, la meteorologia. Al lieto successo della bella impresa ha difatti contribuito 10 studio accurato ed intelligente dell' itinerario da percorrere fino alle Spitzbergen, la scelta dell' epoca nella quale effettuare la traversata e sopratutto, durante la sua esecuzione, la saggia previsione del tempo in quella parte dell'itinerario ch'era, a giu¬ dizio di molti non escluso lo stesso Nobile, il più pericoloso: 11 percorso Leningrado-Vadso-Spitzbergen. Nell' aeroscalo di Galatschina il " Norge „ rimase diversi giorni in attesa del momento favorevole per la partenza. Dovet¬ tero essere quelle le ore più tristi e più dure per quell'equipaggio di eroi ! Alle difficoltà naturali, direi quasi croniche, di quella lunga zona da traversare, venivano ad aggiungersi quelle momentanee derivanti da una vasta notevole perturbazione aerologica nel- l’insieme costituente una situazione del tutto sfavorevole e tale da sconsigliare la partenza. I meteorologi russi erano difatti contrarii alla prosecuzione del volo, che, poco mancò, non venisse rimandato alla fine di giugno. Sulla decisione di partire dovettero influire indubbia¬ mente due fattori: l'uno, l’assoluta, la ferma, la ferrea volontà del Comandante di non arretrare dinnanzi a nessuna difficoltà, l’al¬ tro, la fede, la sicurezza del meteorologo italiano, Filippo Eredia, di potere, seguendo attentamente lo svolgersi in tutti i più mi¬ nuti dettagli della situazione aerologica nella zona in esame, sor¬ prendere l’istante buono per compiere il salto attraverso la zona pericolosa con la maggiore probabilità di uscirne incolumi. La scienza, o signori, qualunque sia la meta che si prefigge ed i mezzi che adopera per le sue indagini, ha il cammino se¬ minato di difficoltà, duro a percorrersi, spesso momentaneamente infecondo di risultati. Lo scienziato, il ricercatore, può sbagliare, sbaglia qualche volta, ma il successo del domani distrugge l'in¬ successo del giorno precedente e la scienza segna una nuova vittoria nel suo cammino fecondo. Ma vi sono casi nei quali non si può, non si deve sbagliare, pena il più doloroso il più triste insuccesso. II meteorologo del “Norge,, non doveva sbagliare: alle sue decisioni erano legate le sorti di un' impresa che tre popoli a- vevano preparata e che sognavano coronata dal più lieto suc¬ cesso. Ma sopratutto era in giuoco la vita di un manipolo di eroi che già avevano, nella dura vigilia, ben meritato dalla pa¬ tria e che bisognava conservare alle loro famiglie ed alla società gelosa dei suoi migliori figli. La decisione venne e fu felice perchè il " Norge „ sfuggendo alla burrasca, in un momento favorevole, trasportò salvi i suoi uomini alla suprema prova della gloriosa avventura. Il meteorologo italiano non aveva sbagliato. — 45 — Di recente alla Camera discutendosi il bilancio dell' aero¬ nautica, S. E. il generale Bonzani ebbe a dichiarare che la co¬ struzione dei dirigibili ha in Italia una tradizione. Ed alcuni giorni prima S. E. l'On. Mussolini ad un giornalista che gli chiedeva il suo pensiero sulle possibilità d'impiego dei dirigibili nella na¬ vigazione aerea, ebbe a pronunziare uno dei giudizi più esatti e più lusinghieri che siano stati mai dati sull'avvenire di queste aeronavi. Siamo dunque finalmente ad un riconoscimento ufficiale della bontà di questo mezzo di conquista aerea, riconoscimento che ricompensa tutti coloro, e non son pochi, che ad esso det¬ tero il contributo del loro lavoro ed ancora oggi danno la pas¬ sione della loro fede e del loro entusiasmo. Fra questi è da ricordare Umberto Nobile. Chi mai avrebbe pensato che egli potesse diventare un na¬ vigatore, l'animatore di una spedizione polare, l'artefice della stessa nave che doveva condurlo sulle vie del Polo ? Finita la guerra, già dispersi quasi tutti quei pochi uomini " della tradizione „, per dirla con la frase di S. E. Bonzani, lo Stabilimento di costruzioni aeronautiche veniva dichiarato inutile, superfluo e quindi da sopprimersi. Rappresentava per i dirigenti di allora un peso morto e si pensava o di cederlo a buon mer¬ cato ad un' industria privata o di trasformarlo in uno stabilimento sussidiario per la fornitura di marmitte per il rancio ai soldati. Questo era l'avvenire che si presentava a quei pochissimi rimasti nell' ambiente aeronautico ed allo stesso Nobile, che da semplice comandato era arrivato a Direttore dello Stabilimento ma che aveva oramai tagliato tutti i ponti con l'antica sua car¬ riera d'ingegnere ferroviario. Ed è proprio questo il merito grande dell'Uomo: egli che aveva sempre avuto fiducia nello sviluppo dell'aeronautica e dei dirigibili l'ebbe ancora quando a tutti mancò ogni fede nella possibilità di continuare nella via fin' allora percorsa. Con quella sua tenacia, caratteristica dell'uomo che ha sem¬ pre uno scalino da salire mai pago del cammino già fatto, egli lottò in tutti i modi, con tutte le sue forze, perchè allo Stabi¬ limento non mancasse mai lavoro riuscendo a sventare la mi- — 46 — naccia della soppressione ed in un secondo tempo ad avere mezzi sufficienti per lo sviluppo e l' incremento di nuove costruzioni. Fu questa la vittoria deiruomo di fede al quale non manca il successo, vittoria per la quale oggi noi possiamo segnare una nuova affermazione del genio della nostra razza. Dobbiamo a lui la bontà della costruzione che ha sfidato le più avverse vi¬ cende atmosferiche e che da lui, improvvisatosi comandante, do¬ veva essere condotta al grande cimento. Egli ha potuto essere ideatore, progettista, costruttore, co¬ mandante, perchè in aeronautica egli ha fatto tutto con la pas¬ sione, con l'entusiasmo, con lo slancio di chi ha la più grande fiducia nella bontà dei risultati da conseguire. “ Ho fiducia che ritornerete „, disse S. E. l'On. Mussolini al Nobile prima della sua partenza da Roma. Questa fiducia era in tutti gli italiani che avevano fede, quella stessa fede che ha sempre animato questo modesto ma eroico figlio del nostro Mezzogiorno il cui nome viene oggi scolpito nel libro d'oro degli artefici della nostra grandezza. Napoli , maggio 1926. Finito di stampare il 29 agosto 1926. CAMILLO GOLGI ’> pel socio G. Police (Tornata del 31 maggio 1926) Gustavo Retzius l' illustre istologo svedese milionario che alla ricchezza delle osservazioni aggiungeva la ricchezza delle edizioni, dicendo di Camillo Golgi, scrisse: "Golgi è un Mae¬ stro che ha tenuta accesa la fiaccola nel campo delTanatomia nella patria stessa degli Scarpa, dei Fontana, degli Spallan¬ zani. Così Tltalia che fu in tempi anteriori, la terra classica del- Tanatomia, mantiene ancora oggi il suo alto posto nel mondo scientifico „. Queste parole sono la eco di molte altre che si elevano da tutte le nazioni civili in lode del Maestro morto in Pavia, nello scorso gennaio. Il valore di queste lodi acquista un significato tutto parti¬ colare se si tiene conto che gli stranieri non peccano di ecces¬ siva tenerezza per noi; e, nonostante Tltalia abbia tutta una schie¬ ra di valorosi biologi, non sempre all’estero eglino sono messi in evidenza con quella cortesia che dovrebbe essere doverosa l) Camillo Golgi, nacque in Corteno (Brescia) il 9 luglio 1843, morì in Pavia, il 21 gennaio 1926. Si laureò in medicina e chirurgia presso l’Univer¬ sità di Pavia nel 1865, e subito dopo la laurea fu assistente successivamente presso le cliniche chirurgica, dermosifilopatica e psichiatrica della stessa Uni¬ versità. Fu indi medico primario nell’ospedale dei cronici ad Abbiategrasso, e poi professore di anatomia prima nell’Università di Siena, poi in quella di To¬ rino. In seguito fu professore di Istologia e poi di Patologia generale ed Isto¬ logia a Pavia. Era socio della R. Accademia dei Lincei in Roma , Dottore in scienze «ad honorem» della R. Università di Cambridge, membro della Società per la Medicina interna di Berlino, membro onorario della Accademia medica impe- — 48 — verso studiosi serii, i quali porgono non lievi contributi al pro¬ gredire degli studii. Ciò che, però, possiamo proclamare ad alta voce, è che lita lia è stata la culla degli studii moderni sul sistema nervoso. E l' impulso potente a questi studii fu dato dai lavori del Golgi, che è stato un biologo che ha fatto onore non solo al¬ l'Italia, ma al mondo intero: il cui nome risuona in tutti i la¬ boratori di biologia del mondo , siano essi i ricchi laboratori tedeschi , gli sfarzosi laboratori Americani o i laboratori della più modesta Università; il cui nome è scritto a lettere d’oro in tutti i trattati di anatomia, di istologia, di fisiologia , di neuro- patologia. Ecco perchè è doveroso che anche la nostra società lo ri¬ cordi. Camillo Golgi fu lo scienziato geniale , il quale ovunque, figgeva lo sguardo scorgeva un fatto nuovo , fu il lavoratore che attingeva la sua grandezza alla sua modestia, alla sua tenacia ed alla perseveranza e profondità nell’osservazione; il lavoratore che ha disseminato nel campo scientifico tutta una produzione vastissima che dalla citologia va all’Istologia, all’anatomia alla patologia, ovunque portando nuova luce con caratteri sempre spiccatamente originali, anche allorché seguiva vie già percorse da altri. In tal modo, se studiò i tumori, precorse sui criteri mo¬ derni, emettendo dei concetti che sono ammessi oggi dopo 50 o 60 anni dalle sue pubblicazioni. Se studiò il rene trovò e spie¬ gò la neoformazione dei canalicoli urinarii nel morbo di Brigt; corresse la descrizione ordinariamente data del decorso dei rap¬ porti, della struttura e dell' origine dei canalicoli uriniferi nor¬ mali. Sulla istologia patologica della rabbia sperimentale, offrì riale di Pietroburgo e della Società pschiatrica e neurologica di Vienna, mem¬ bro della I. Accademia tedesca Leopoldina-Carolina , membro onorario della American neurological Association di New-York, della R. Microscopical So¬ ciety di Londra, socio della R. Accademia delle Scienze di Torino e di Bologna, deH'Accademia medico-fisica fiorentina, socio onorario della R. Accademia medico¬ chirurgica di Genova, della R. Accademia medica di Roma, socio emerito della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli, dell'Accademia dei fisio — critici di Siena e di moltissime altre Società ed Accademie italiane e straniere. Era Commendatore dei SS. Maurizio e Lazzaro e della Corona d'Italia, cavalie¬ re del Merito civile di Savoia, Senatore del Regno, insignito del premio Nobel. — 49 — dei dati che sono stati confermati perfettamente da osservatori che in seguito hanno studiato lo stesso argomento. Se studiò i muscoli vi riscontrò un organo nuovo: l'organo muscolo tendineo del Golgi. Studiando il protoplasma della cellula nervosa vi riscontrò un nuovo apparato mai riscontrato prima, T apparato reticolare interno di Golgi, che poi è stato notato come differenzione costante nel protoplasma di tutte le cellule, benché ne venga discusso il significato. Nella osserva¬ zione della fibra nervosa mielinica vi notò un particolare appa¬ recchio di sostegno, costituito da sottili fili che formano delle spirali ravvolte a coni, gli imbuti di Golgi, che si ripetono ad intervalli più o meno regolari. Basterebbe quanto ho già accennato per fare la fama di uno scienziato; ma a ben più alti risultati hanno menato le ricerche del Golgi, voglio dire delle altre sue ricerche sul sistema ner¬ voso e di quelle sulla malaria , nelle quali egli profuse tutte le sue magnifiche qualità di osservatore scrupoloso, tutto 1’ e- quilibrio della sua intelligenza che lo faceva essere profondo nella osservazione, parco e riservato nella deduzione, cauto nel lanciare concezioni dottrinarie. Ee io mi intratterrò soltanto in¬ torno a questi studii sul sistema nervoso e sulla malaria, ai quali il suo nome è indissolubilmente legato, poiché essi hanno se¬ gnato orme indelebili nel cammino della scienza nel tempo stesso che hanno grandemente contribuito al benessere dell'umanità. L’indirizzo agli studii di Golgi venne dato dall'epoca e dal¬ l’ambiente scientifico nel quale egli viveva. Il Virchow, seguendo la via tracciata da G. B. Morgagni, aveva intuito, che la cagione dei processi morbosi bisogna ri¬ cercarla nelle alterazioni degli elementi cellulari, gettando le basi della patologia cellulare, che doveva segnare un nuovo indirizzo nell’indagine scientifica. In questo senso fervevano gli studii di medicina, particolarmente in Germania dove facevano grandi progressi. Si era nel periodo dal 1860 al 1865. L’ Italia era alla fine dalla guerra del risorgimento e le vicende politiche avevano fatto tutt’altro che prepararla al rinnovamento scientifico. Le scienze biologiche in Italia erano in grande decadenza, mentre avrebbero — 50 — dovuto rifiorire, poiché da noi era stato preparato il sostrato ai loro progressi, con lo Spallanzani, che aveva sviluppato la bio¬ logia sperimentale; con Volta e Galvani che avevano stretti i vincoli fra la biologia e le scienze fisiche; con Falloppio, Val- salva, Malpighi, Fontana, Panizza, Pacini che avevano fatto magnificamente progredire le scienze anatomiche; mentre il Mor¬ gagni aveva mostrato i rapporti tra le alterazioni degli organi e gli stati morbosi. Ma col ridestarsi della coscienza nazionale, comincia a ri¬ destarsi la coscienza scientifica e piccoli centri sorgono qua e là per 1' Italia, preparandola a riprendere il suo posto nell'agone della scienza. Uno di questi centri era sorto nell'Ateneo pavese: un piccolo Istituto di Patologia sperimentale, dove alla povertà dei mezzi si suppliva, con l’entusiasmo nella ricerca e nello stu¬ dio. Era l’ambiente necessario al Golgi ed egli vi formò la sua educazione scientifica prima sotto la guida di Paolo Mantegazza e poi sotto quella di Giulio Bizzozzero, il quale era di due anni più giovane di lui e che poi fu suo amico affettuosissimo, no¬ nostante il Golgi sempre avesse serbato per lui la deferenza di scolaro, tanto da dedicargli “ con devozione di allievo e affetto di amico „ alcuni suoi lavori pubblicati quando la sua fama era vo¬ lata molto più lontana di quella del maestro, che pure fu inge¬ gno elettissimo ed originale. Il laboratorio e la scienza pura attiravano il giovane stu¬ dioso ma le sue condizioni finanziarie lo volevano spingere verso la medicina pratica. Figlio di un modesto medico condotto, do¬ veva pensare a guadagnare la vita e facendo forza alle sue aspi¬ razioni volle cambiare indirizzo. E fu prima assistente nelle cli¬ niche di Pavia e poi, per concorso, fu medico primario nell’O¬ spedale dei cronici ad Abbiategrasso. Ma non perchè egli fu relegato in un ospedale di una pic¬ cola città di provincia era spenta la sua passione per la ricerca scientifica: oh, che forse l'acqua della pioggia spegne il fuoco del vulcano? Le sue mansioni di medico ospedaliero gli lascia¬ no del tempo libero ed egli lo vuole utilmente utilizzare. Re¬ golarmente nell’ospedale non si aveva nozione di un laboratorio, ed egli ne crea uno nel solo ambiente che trova disponibile, nella cucina del piccolo appartamento che gli è stato assegnato. — 51 E lì, in quella stanza dedicata alla preparazione dell'intin¬ golo che doveva solleticare uno dei sette peccati capitali, rifulse nuova luce alla scienza; perchè in essa fu scoperto il metodo della reazione nera, che doveva essere la base dei suoi studii e di quelli di tutti gli osservatori che di poi hanno portato nuovi contributi di osservazioni sulla struttura e sulla funzionalità del sistema nervoso. E noi lo vediamo, il giovane scienziato, solo, senza libri, senza mezzi, nel grande sforzo di volontà ricavare tutto da se stesso, e lo seguiamo nei suoi tentativi di tecnica, ripetuti, per¬ fezionati; e lo vediamo allorché per la prima volta egli sezio¬ nando un brano di sostanza nervosa vi scorge una macchia ne¬ ra più o meno ramificata e là dove l'osservatore superficiale non avrebbe scorto che un precipitato accidentale sotto forma di sgorbio più o meno regolare, il suo occhio indagatore, profondo, scorge, netta, precisa l'immagine d'una cellula nervosa isolata con tutti i suoi prolungamenti. E l'occhio avido con ansia feb¬ brile studia l'immagine nei suoi particolari e ne ricerca un'altra, e trova le connessioni tra l'una e l'altra, e dinanzi alla sua mente si spiega, tutta questa grandiosa connessione fra gli elementi nervosi, e abbraccia nel loro insieme tutti questi infinitamente piccoli che per territorio vastissimo si stendono le braccia l’un l’altro strettamente avvinchiandosi o fondendosi in un armonia meravigliosa per esplicare quel meraviglioso fenomeno che è la sensibilità. E' un lembo del mistero della natura che si è sollevato di¬ nanzi a lui in una grandiosa visione microscopica e nell’entu¬ siasmo dell’animo giovane egli ha la stessa ansia dell’artista che crea dall’argilla inerte o dal colore la immagine che balza viva e possente e lo avvicina a Dio! Ed egli grida “ più oltre! „. E perfeziona il metodo e lo lancia al mondo scientifico, e prosegue le sue indagini e le sue osservazioni. Le sue pubblicazioni sono accolte con diffidenza. Egli insiste e lotta. Mostra i suoi preparati e va innanzi. Intorno al suo nome si fa la fama che attira l'intero mondo scientifico. Nel 1875 lascia Abbiategrasso per andare professore di A- natomia umana prima a Siena e poi a Torino. Indi nell'Univer¬ sità di Pavia si crea per lui una cattedra d'istologia. — 52 Ed egli torna nell'ambiente dei suoi studi e accorrono in¬ torno a lui studiosi da tutte le parti del mondo. Ed il suo la¬ boratorio ha l'onore di accogliere il Kòlliker che viene appo¬ sta a Pavia per studiare il metodo di Golgi della reazione cro- mo-argentica. Da quell’ epoca ora è più di mezzo secolo e fino allora i rapporti minuti fra gli elementi cellulari del sistema nervoso e- rano completamente sconosciuti: fu il metodo di Golgi che li mise in evidenza, permettendo di stabilire le conoscenze fonda- mentali della dottrina della struttura del sistema nervoso cen¬ trale. Il Cajal, che col Golgi fu quegli che principalmente con¬ tribuì allo studio della struttura del sistema nervoso, affermò che noi vivremmo, ancora nella confusione e nell'ignoranza in¬ torno a questo argomento, “ si un illustre savant italien, Golgi, n’avait pas imaginé une méthode d'analyse beaucoup plus par- faite que toutes celles qui etaient connues,,. E qui cade acconcio domandarsi: fu il Golgi soltanto l'in¬ ventore fortunato di un metodo di studio che fu poi sfruttato da altri, oppure, egli stesso sulla guida del metodo da lui tro¬ vato, con le sue ricerche personali aprì ampiamente la via alla nuova Istologia del sistema nervoso? Prima della scoverta del Golgi, le nozioni intime della struttura fondamentale del sistema nervoso giacevano nel buio più assoluto: mancava cioè a dire, la conoscenza delle correlazioni fra le varie cellule, e con l'ignoranza del decorso delle fibre, si ignoravano i rapporti fra le varie parti del sistema nervoso centrale. Si conosceva 1'esistenza di cellule e di fibre nervose e di più, grazie alle ricerche del Deiters , con la colorazione al carminio, si conosceva che le cellule delle corna anteriori del midollo spinale si continuavano con le fibre per mezzo di un prolungamento che andava a continuarsi nel cilindrasse , pro¬ lungamento che si distingueva dagli altri della cellula (prolun¬ gamenti protoplasmatici) perchè indiviso. Golgi dimostrò che tutte le cellule nervose , anche quelle piccolissime che costituiscono lo strato granuloso del cervelletto hanno un prolungamento nervoso: dimostrò inoltre che questo prolungamento non é indiviso, ma si ramifica emettendo dei collaterali, e ciò contro l'opinione tanto generalmente accettata 53 - che lo Schultze aveva proposto di chiamare i prolungamenti protoplasmatici prolungamenti ramificati. Ed in rapporto al modo di comportarsi di queste ramificazioni egli si sentì autorizzato a distinguere due tipi di cellule facilmente differenziabili e con¬ statabili in molte regioni dei centri nervosi: sono le cellule del I e del II tipo di Golgi. Oggi altri autori, Cajal, Van Ge- huchten, ecc. le chiamano cellule a cilindrasse lungo e cellule a cilindrasse breve: altri ancora chiamano cel¬ lule di Golgi quelle del II tipo. E con una produzione meravigliosa per numero e sopra¬ tutto per importanza di fatti sempre nuovi, con mirabile pre¬ cisione ed esattezza di osservazioni, egli scovre comportamento di cellule e dei loro prolungamenti, decorso di fibre , rapporti svariati tra fibre e cellule; e studia in modo organico la costi¬ tuzione anatomica della corteccia del cervelletto, dei bulbi ol¬ fattori; e mette in rilievo la struttura della nevroglia ed altri numerosi fatti ancora, preparando con le sue osservazioni il piano generale dello studio della struttura intima del sistema nervoso, gittando cioè a dire le basi sulle quali, sulle sue orme, edificarono i loro edifizii altri potenti ingegni stranieri quali il Cajal in Ispagna, il Kòlliker in Germania, il Van Gehuchten nel Belgio, Il Retzius in Isvezia, ecc. E perfino i concetti che informarono poi la teoria del neu¬ rone del Waldeyer, furono dal Cajal intuiti nell' osservare i rapporti anatomici che si effettuano tra i collaterali verticalmente discendenti del prolungamento nervoso delle piccole cellule dello strato molecolare ed il corpo delle cellule del Purkinie della corteccia cerebellare; rapporti descritti dal Golgi fin dal 1875, allorché egli era all'inizio della sua vita scientifica. La designazione del premio Nobel volle associare in una medesima onoreficenza il Golgi e Cajal, i due colossi dello studio moderno del sistema nervoso; i due scienziati latini, e- sponenti della vitalità della nostra razza, che non degenera, e che ancora può imporre al mondo la sua parola di alto intel¬ letto. Golgi e Cajal, il secondo filiazione del primo, si integrano e si completano. E se il Golgi sostenne 1'esistenza di una rete nervosa dif¬ fusa che collegherebbe funzionalmente le diverse parti del si- — 54 — stema nervoso; se il Cajal sostenne invece i rapporti di contiguità e non di continuità, fra i varii elementi nervosi; la divergenza nelle concezioni dottrinarie non è sufficiente a dividerli. Ciò che in avvenire di loro resterà saranno soltanto i fatti notati ; la teoria del neurone, ha avuto gran voga perchè riuscita bene accetta ai fisiologi ed ai patologi del tempo principalmente per¬ chè con essa si poteva bene ammettere la dottrina delle localiz¬ zazioni; ma oggi i fatti la scuotono nella sua base, le ricerche di Apathy, Bethe, Donaggio, Kaplan, Nissl mostrano rapporti di continuità tra gli elementi nervosi, nel tempo stesso che non pochi neuropatologi tornano ad ammettere che il “ cervello è fisiologicamente unico e destinato a compiere le sue funzioni tanto nella sua interezza come in ciascuna delle sue parti Le teorie quindi, assai spesso, lasciano i tempi che trovano: i fatti restano. Il Grassi nella sua storia di " cinquantanni di vita scienti¬ fica italiana „ disse che gli italiani " se fossero fieri della loro gloria,,, dovrebbero denominare l'istologia del sistema nervoso “ istologia golgiana Vi è un senso di tristezza in quel “ se fossero fieri della loro gloria „ un senso di tristezza che pur¬ troppo si diffonde in tutta la vita scientifica italiana, poiché noi altri pare ci appassioniamo alla voluttà di svalorizzarci gli uni gli altri, sensa preoccuparci se commettiamo un delitto di lesa carità patria, che contribuisce a svalorizzarci di più all'estero. Nè il Golgi si sottrasse alla mania di disfattismo scientifico nazionale. E mentre il Kòlliker riconosceva tutta la importanza del¬ l'opera di Golgi, moltissimi in Italia cercarono di diminuirne il valore, giungendo perfino ad attribuire ad altri il merito della scoverta della reazione nera. E quando il Cajal, emise l'ipotesi della contiguità e non della continuità tra !e collaterali del ci¬ lindrasse e da questa scaturì la teoria del neurone, e nel mondo dei neurologi, fu un affaticarsi a demolire 1' opera di Golgi ed esaltare quella di Ramon y Cajal e di Waldeyer , furono gli italiani che gridarono più degli altri. E tutto ciò è doloroso, ma purtroppo è realtà: realtà che vige tuttora fra noi dove con¬ tinuamente serpeggia questo spirito di acre critica paesana, che tende a demolire ciò che si distingue per originalità. Forse ciò — 55 — è dovuto al perchè siamo troppo obbiettivamente ricercatori del vero; non voglio credere che sia dovuto al perchè siamo in¬ clini ad apprezzare di più la merce forestiera; nè che si tratti di uno spirito di larvata invidia personale che si nasconde sotto la polemica o sotto la ricerca scientifica. Finirò col credere che sia una malattia nazionale, perchè a quanto pare è sussistita da noi in tutti i tempi. Leggevo da poco la biografia del Morgagni scritta dal Bilangioni, nella quale è notato come gli " invidi ed i pigmei, trovarono modo di morderlo e di dilaniarlo,, (pag. 31), ed egli " lucido come uno specchio, sembrava divenuto lo scudo di Ruggiero che accecava chi lo guardava; e gli accecati, per la stizza di non saperne sostenere la luce, lo dileggiavano Per fortuna il Golgi, fu più apprezzato all’ estero che in Italia e ciò non soltanto per i suoi studii sul sistema nervoso, ma anche per quelli sulla malaria, che furono un altro campo nel quale rifulsero le sue superbe qualità di geniale ed instan¬ cabile osservatore. E' difatti non poteva non attirare la sua at¬ tenzione lo studio di questo flagello, che forse è una delle af¬ fezioni di natura parassitarli più diffuse sulla superficie della terra e che purtroppo è una malattia italiana. Da poco il Laveran aveva scoverto che la malaria è pro¬ dotta da uno sporozoo parassito dei corpuscoli rossi del sangue. * Ma l'osservazione dello scienziato francese era stata accolta con diffidenza, ed anche da noi Tommaso Crudeli, Mosso, Mara- gliano, e lo stesso Grassi, sostenevano che i corpi che si tro¬ vavano nei corpuscoli sanguigni non erano parassiti, ma pro¬ dotti di degenerazione e detriti di emazie. Il Golgi sostenne e dimostrò che realmente si trattava di protozoi parassiti. Ciò av¬ veniva nel 1885 e dopo d’allora egli si occupò per un decennio della malaria, scovrendo i fatti biologici più importanti per la etiologia della malattia. Marchiafava e Celli, confermavano ancora le osservazioni del Laveran aggiungendone di nuove: ma restava sempre sco¬ nosciuto il rapporto fra il parassita e l'intermittenza della feb¬ bre caratteristica della malaria. Gli studii intorno a tale argo¬ mento fervevano in tutte le nazioni ed interessavano tutto il mondo. Era 1' argomento alla moda. E l' occhio indagatore di » - 56 — Golgi, giunge alla constatazione di un fatto per il quale tutto il problema si avvia verso una soluzione netta e che porge il più grande contributo alla etiologia della malaria. Egli nota che nell'interno del corpuscolo sanguigno il parassita si accresce e poi si riproduce e che durante il tempo che esso impiega ad accrescersi ed a riprodursi non si ha febbre; ma la febbre so¬ pravviene soltanto allorché la riproduzione è compiuta, le ema¬ zie si rompono ed i singoli merozoiti si mettono in libertà nel plasma per invadere nuove emazie e ricominciare il ciclo. Così è spiegata l’intermittenza della febbre. Il periodo afebbrile corri¬ sponde al tempo che impiega il parassita ad accrescersi ed a moltiplicarsi. Ma oltre a ciò egli potette dimostrare che alle due forme cliniche di terzana e quartana corrispondono forme di parassiti diversi il cui ciclo vitale si compie con leggi fisse una in 48 ore e l'altra in 72 ore. E del Plasmodium malariae e del Pla- smodium vivax descrisse e figurò minutamente i cicli evolu¬ tivi monogonici con tale precisione che anche oggi tutti li ritengono esattissimi ; e su di essi basò le norme per la som¬ ministrazione del chinino, perché questo possa spiegare la sua azione sui parassiti e sugli accessi febbrili da essi procurati nei differenti periodi vitali. In Francia dapprima non fu accettata la teoria pluralista del Golgi, poiché il Laveran ed il Metschnikoff, ritenevano che il parassita fosse unico e che le differenti forme cliniche di feb¬ bri malariche dipendessero dalla maggiore o minore resistenza deirorganismo. Ma oggi tutti i malariologi, ed anche i francesi, ammettono perfettamente che le differenti forme di malaria so¬ no dovute a specie diverse di parassiti. In tal modo il nome di Golgi, così come in tutti i libri che trattano del sistema nervoso, viene anche ripetuto a lettere di oro in tutti i libri di parassitologia e di patologia medica, ed il ciclo schizogonico del Plasmodio della malaria ha preso il nome di ciclo di Golgi. Il Golgi, fu di una modestia senza pari che appariva quasi come una timidezza di carattere; la quale timidezza sapeva tra¬ mutarsi in una balda fierezza allorché si trattava di difendere con- — 57 — tro i forti il patrimonio dei suoi studii. Così allorché il Valdeyer volle identificare il tipo di terminazione dei nervi nei tendini descritto dal Golgi con quello descritto da Rollet e Sachs; il nostro autore scattò e mutando la sua delicatezza in violenza rispose che evidentemente Waldeyer non aveva com¬ preso il senso della sua comunicazione. In altra occasione fu rude col Caial: Golgi aveva osservato che le fibre decorrenti entro i fasci midollari inviavano fibrille penetranti nella sostanza grigia; il Caial volle affermare che il Golgi, ne aveva parlato in un paragrafo così breve e così oscuro (si écourté e si obscur)e che non aveva insistito sulla realtà della scoperta quasi non ne avesse compresa l'im¬ portanza ; e inoltre volle parlare di una sua maniera di applicare il metodo rapido per la dimostrazione dei collaterali, invocando a testimonianza della utilità di tale modificazione autori italiani, quali il Lachi. Il Golgi rispose che il Cajal doveva aver fatta la critica senza aver letto il testo del lavoro, che i f a 1 1 i non vanno diluiti con parole, che d’altra parte egli vi aveva consacrato 14 fitte pagine in un suo lavoro sulla dottrina delle localizzazioni cerebrali, contro la sua abitudine, tale era l’importanza che vi attribuiva; per quanto riguardava il metodo , poi , soggiungeva che se il Lachi, e lo Staderini attribuivano al Cajal il metodo rapido era perchè questi autori italiani avevano dimenticato la descrizione che egli ne aveva dato, e che comunque gli sembrava strano che il Cajal attribuisse a se il metodo che altra volta aveva riconosciuto di lui, solo perchè nella miscela aveva aumentato di mezzo grammo la dose del bicromato. La sua tempra meravigliosa di lavoratore si mantenne sem¬ pre attiva fino alla sua più tarda età, nè gli onori lo distolsero dagli studii, nè il ritiro dall’ insegnamento per limiti di età. Egli è morto ad 82 anni e credo che la sua ultima pubblica¬ zione rimonti a 3 o 4 anni fa. Coloro che sono stati nella sua intimità hanno potuto rile¬ vare che mentre aveva l'apparenza di essere un uomo chiuso, perchè parco di parole, fu sempre di squisita sensibilità ed af¬ fetto; ed i suoi scolari, che sono una schiera, furono da lui gui¬ dati e sostenuti come figli in tutto il percorso della loro carrie- — 58 — ra scientifica e nel loro animo resta perenne ricordo di ricono¬ scenza e di affetto pel maestro insuperabile. Molti scienziati non hanno avuta la fortuna del riconosci¬ mento dei loro meriti allo stato vivente ; qualcuno ne ha otte¬ nuto il riconoscimento dopo morto; qualche altro non 1' ha ot¬ tenuto mai : ma il Golgi è stato uno dei pochi fortunati, perchè Lui vivente il mondo gli ha voluto porgere omaggio. Infatti egli era insignito di numerose onorificenze, era socio di non so quante Accademie Italiane e straniere, era dottore ad honorem di non so quante Università, era Senatore del Regno ed aveva aveva avuto perfino il premio Nobel. Però, nelle Accademie accanto agli uomini di valore si tro¬ vano assai spesso uomini che valgono molto poco; in Senato, accanto allo scienziato ed all’artista insigne, siede anche l'avvo- catuccio, che vi è giunto col fare il politicante, o il proprieta¬ rio ignorante che vi è giùnto per censo; ed il premio Nobel non sempre venne assegnato a persone di meriti altissimi, forse perchè non è facile trovarne periodicamente. Io credo che la maggiore onorificenza per Camillo Golgi sia stata quella di essere Camillo Golgi. Negli ultimi tempi abbiamo avuto nel campo della fisica diversi nomi che hanno mantenuto alto il prestigio , dell' Italia all’estero: tali il Pacinotti, Galileo-Ferraris, Righi, Marconi, e ciò principalmente perchè i risultati dei loro studii avevano avuta un’applicazione la quale si era imposta nella vita pratica. Accanto a costoro la biologia ha dato il nome di Golgi, pel quale vi è tanto merito maggiore per quanto i suoi studii hanno menato a contributi di scienza pura. Ed è perciò che noi dobbiamo essere orgogliosi di lui. Ed è perciò che dalla Società dei Naturalisti di Napoli va il saluto memore e grato alla memoria di Camillo Golgi benefat¬ tore della scienza, gloria, pura e fulgida della biologia italiana. Finito di stampare il 3 dicembre 1926. & L'opera e gli insegnamenti di Giovanni Battista Grassi del socio Prof. Marco Fedele (Tornata del 28 luglio 1926) Feconda incessante e benefica, V opera di Battista Grassi si volge, negli albori della sua vita scientifica, ad un male della U- manità sofferente, applicando fruttuosamente alla diagnosi di esso l'indagine zoologica (anemia da Anchilostoma , 1878) e si chiude, pochi giorni prima della sua morte, con lo esame dei risultati, fatto per prendere nuova lena a proseguirli e a indurre altri ad intensificarli, della lotta antimalarica in seguito alle nuove sco¬ perte delle quali Egli era stato l'anima (25 marzo 1925) *). Fra questi due estremi, che rivelano la tendenza alle ap¬ plicazioni utili dell'indagine, che caratterizzò nobilmente tanta parte dell'attività del Grassi, sta tutta una vita spesa instanca¬ bilmente nella ricerca scientifica ed una feconda e portentosa serie di risultati, che toccano ed illuminano i più svariati campi della zoologia : dallo studio dei Protozoi ai Vermi, agli Insetti, agli Aracnidi, ai Vertebrati ; nei quali problemi morfologici e tassonomici, come fisiologici, ecologici, clinici, trovano chiara impostazione e soluzioni geniali, sommandosi, nella loro elabo¬ razione, per la condotta logica e metodologica, in quella armonia di linee, che ci rivela subito nel Grassi uno dei più grandi e completi Maestri della Zoologia moderna. 4) GRASSI, B. — Risultati della lotta antimalarica in seguito alle nuove scoperte, in: Intern. Revue Ges. Hydrob. u. Hydrogr. Bd. 13, p. 125-129. Fa¬ scicolo del settembre 1925. Il Grassi era morto in Roma il 4 maggio 1925. — 60 — I problemi che Egli affronta, anche se su cenni o falliti ten¬ tativi di altri, li fa suoi e li trasforma, li amplifica e li appro¬ fondisce con T ampio respiro che gli viene dalla sua tempra eccezionale di sperimentatore e dalla sua cultura, che ha del miracoloso, elevandoli ad una altezza che attrae ed avvinge e dalla quale diventano in sommo grado fecondi, oltre che per T indagine sua acutissima, per 1' attenzione che su di essi sa at¬ tirare. Egli nel sostenere e perfezionare le sue scoperte ha dovuto talvolta lottare ed insistere, ma sempre con quella serena, se pur accorata, superiorità ed obbiettività che lo circonfondeva, insieme con la dedizione ed il disinteresse sublime che poneva nella sua missione di ricercatore, di tanta nobile luce e che lo poneva tanto in alto. Piccole miserie si infiltrarono talvolta, e non per sua opera, in quelle polemiche che Egli volle sempre elevate e che avrebbe per natura évitate, per non interrompere tanta grande e feconda opera costruttrice; piccole, ma tramate con tanto sottile veleno da giungere talvolta a gettare, presso gli ignari, un' ombra torbida in quistioni di priorità, in problemi dove il Grassi aveva gettate le basi stesse per la impostazione, oltre che darne con genialità la soluzione invano da altri tentata. Ma non è questo che io voglio ora ricordare del Grande Maestro. Su alcune ingiustizie che gli furono fatte, stesso in sua vita furono udite parole equanimi e riparatrici ed Egli, il lottatore instan¬ cabile ed invitto, non per sè ma per il buon nome italiano, vide, negli ultimi tempi della sua vita, il pieno riconoscimento di quanto aveva operato. Ora è passato più di un anno da che tanta fiamma di vita riposa sotto il cumulo sorgente dalla terra acquitrinosa di Fiu¬ micino; nel gran silenzio della landa mortifera, della quale con tanta sublime dedizione Egli intraprese la redenzione, dinanzi al mistero della morte, che ci rende sereni per 1' umiltà che si spri¬ giona dalla coscienza del nostro rapido trapasso, la figura di Battista Grassi si spoglia di ogni caducità umana e resta, nella sua più pura essenza di simbolo, come esempio e come inse¬ gnamento. Insegnamento ed esempio che si sprigionano dalla duratura costruzione spirituale delle sue opere, nonché dal fascino spe- - 61 — ciale che la sua singolarissima personalità e la eroica levatura morale dell’ uomo esercitavano anche su chi, pur messo dalle vicende della vita tanto lontano da Lui, da non potere che in radi momenti godere dei munifici benefizii che si irradiavano dalla sua portentosa cultura ed erudizione su quanti lo circon¬ davano, seppe amarlo ed ammirarlo per la fiamma di entusiasmo che sapeva tener desta con la sua parola sempre buona, indul¬ gente ed incoraggiante verso chi, anche in minime proporzioni, mostrasse quel disinteressato amore per la ricerca sincera, che tutto lo animava. Lo spirito di Battista Grassi era teso in un' ansia di tutto abbracciare e, dove la sua osservazione diretta non arrivava, si sforzava giungere con la ricerca e l'assimilazione dei risultati altrui, tanto da potersi dire che non esistesse branca o signifi¬ cativo risultato nella Biologia che non fosse passato nella sua mente e, con quel sereno giudizio critico, che era tutto suo, valutato e fermato nella sua parte positiva. Biologo dalle larghe serene idee, tutto animato dall’amore per 1' acquisto delle rivelazioni ben appurate dei fatti, con qua¬ lunque mezzo ad esse si pervenisse, Egli non spregiava nessun metodo, come nessuna conquista, anche minima, poiché “ ogni contributo, sia pure piccolo, ma sicuro „ Egli riteneva “ poiché anche le piccole cose hanno valore, quando sono fondate sul vero Eppure questo indulgente e chiaroveggente vivificatore degli sforzi anche minimi era una forza formidabile creatrice ed assimilatrice sempre in moto; " da quando acquistai 1’ uso della ragione fino ad oggi io ho indefessamente lavorato, sempre, in¬ tensamente, vorrei dire senza requie „, si esprimeva Egli pochi mesi prima che quel suo grande ed affaticato cuore si addor¬ mentasse, dopo il suo ultimo palpito per la scienza e la sua scuola. Nella scuola del Grassi non ci furono tirannie, ma la più grande libertà di idee e di indagine; tutti ebbero, e sempre, li¬ bertà di esprimere il proprio parere, ed ogni giudizio, anche se veniva dal più umile o dal più giovine, era con rispetto ascol¬ tato e vagliato; per l'indole e la vastità di molte delle sue ri¬ cerche Egli ebbe collaboratori (grati e ingrati) e a molti dettò problemi e indicò vie di indagini, ma a chi veniva a lui con - 62 — corredo proprio di idee e di metodi, lasciò ampia libertà di la¬ voro ed apprestò ogni aiuto materiale ed assistenza spirituale. Non disdegnò la discussione anche con i più umili, quando que¬ sta non era vana accademia, ma franca e fruttifera esposizione di idee, ma consigliò sempre ai giovani di seguire la pro¬ pria ispirazione, confessando, in quel discorso pieno di toccante sincerità, che pronunziò in ringraziamento delle solenni onoranze che gli vennero tributate in Roma nel 1925, e che ri¬ mane come il suo testamento morale, come questo fosse i 1 meglio della sua esperienza. Egli concepiva Y attività scientifica e Y insegnamento come una missione: e così le esercitava in atto; non ammetteva la cattedra come una meta di carriera ma come un sacro e dove¬ roso impegno a più fare ; la cattedra è un posto di combatti¬ mento ed Egli, sublime di fede e di azione, eroico soldato della sua nobile idea, negli ultimi suoi giorni, morente, si faceva por¬ tare su di una sedia, a braccia, nell'aula risonante della sua lu¬ cida dottrina, per dettare la sua lezione ! Ora, se noi tentiamo solo di accennare a quello che è il bilancio positivo di fatti acquisiti alla scienza mercè l' indagine acutissima di Grassi, sapendo come a tanta mole di lavoro si accoppiasse Y appassionata scrupolosità nei controlli dei risultati e la importanza di questi, rimaniamo ammirati e meravigliati che la esistenza di un solo uomo tanto potesse; eppure il Grassi, che aveva piena coscienza della potenza del suo ingegno, ha sempre guardato con somma modestia questa sua opera, dolen¬ dosi di non esser riuscito a far meglio e più, mentre, chi guarda la sua produzione scientifica vede che, in ciascuno dei campi di indagine da lui aporofondito, c'è, per quantità e qualità, messe sufficiente per render fiera la vita di uno studioso. Il gruppo dei suoi lavori sui Vermi, come quello sui Pro¬ tozoi, contribuiscono potentemente allo sviluppo di quella branca della biologia, che Egli battezzò Parassitologia, scoprendo e de¬ scrivendo forme nuove, dettando norme diagnostiche ( Anchilo - stoma) illuminando quistioni e cicli di sviluppo, come nel di¬ morfismo e nell' eterogonia da Lui dimostrata nello Strongiloides stercoralis e nella storia della Taenia ( Mymenolepis ) nana , che, caso unico, contrapponendolo a quella forma larvale, che il 63 — Leuckart denominava Archigetes , perchè diventa sessualmente matura, trovò svilupparsi senza ospite intermedio l), affinandosi con tale ordine di studii nella ricerca degli ospiti intermedii , con quel metodismo e geniale intuizione, che trovarono tanto brillante coronamento nello studio dell' ospite intermedio nella malaria. Volto anche Egli, per la suggestione dei tempi, dietro la ricerca di forme primitive, fece per lunghi anni la sua esperienza filogenetica con ricerche, che se dovevano, da questo punto di vista, fargli pensare più tardi di aver tentato " di dar con la testa contro le rocce „, misero però in luce fatti preziosi ed importanti e crearono in lui quella preparazione morfologica ed entomo¬ logica, che potette permettergli successivamente si grande volo. Con propositi di indagine filogenetica si occupò delle Sa- gitte, la cui monografia, anche di recente, ho visto con profitto consultare da ricercatori stranieri, venuti a studiare quistioni particolari sui Chetognati, partendo dai fondamentali trovati del Grassi. Passò poi alla colonna vertebrale dei Teleostei, con la scorta del Gegenbaur, che il Grassi venerò come Maestro, per partire nelle sue indagini, secondo i dettami del grande morfologo, da condizioni primitive e riportandone la convinzione che i clupeidi, il luccio ed il salmone sono fra le forme più primitive dei Te¬ leostei. Entrò da solo nel campo dei Tracheati, lavorando per quasi sei anni sull'argomento, scoprendo, fra i numerosi e importanti fatti, che mi è impossibile qui riassumere ed enumerare, come nei Termiti basti una variazione dell' alimento per conservare *) Gli interessanti risultati di queste belle ricerche del Grassi, sui quali da qualcuno, senza rifare la via sperimentale seguita dal Maestro con l'acume ed onestà scientifica che caratterizzano tutta 1' opera sua, si volle, gratuitamente, sollevare dubbii, sono state ampiamente, ed anche recentemente, confermati dal Joglux (1920. Bull. Biol. France Belgique Suppl. II) come da Scott, H. Harold e Camb, H. (1923. J. Flelm., London , Voi. 1, p. 193-196, 1 Tav.) e dal Woodland W. N. (1924. Paras., Cambridge, Voi. 16, p.69-83 e p. 424-435). Cito questo episodio perchè il Grassi sempre serenamente tacque alle cri¬ tiche verbali, e perchè i giovani sappiano, all’occorrenza, ben distinguere fra l’ap- pariscenza delte facili ipercritiche verbalistiche, prive di sostanziale contenuto e la silenziosa e serena sicurezza dei fatti, che sorregge l'osservatore di razza. — 64 — l’abito di larva o di ninfa e sopprimere quello definitivo; con¬ statando che nel Termes lacifugus in Sicilia, soltanto queste larve, queste ninfe forzate arrivano a proliferare, mentre gli individui che diventano insetti perfetti vanno tutti irremissibilmente per¬ duti; riuscendo così a mettere in luce, con intuito ed esperimenti, mirabili concatenazioni fra alimentazione, protozoi parassiti dei termiti e la trasformazione e proliferazione di questi ultimi. Sotto T influsso delle idee che aveva cimentate negli studii precedentementi accennati, si iniziarono anche le ricerche sui Murenoidi, in collaborazione da prima con il Calandruccio e che doveva proseguire poi da solo, fino negli ultimi tempi della sua attività scientifica. Tra gli argomenti portati a favore della teoria evolutiva il Grassi ne citava uno che era in quei tempi (1891) articolo di fede ; quello cioè dello sviluppo paranomale che avreb¬ bero presentato alcuni animali, i quali, trasportati dalle onde in alto mare, diventavano voluminosi, edematosi, trasparenti come cristallo, senza un corrispondente sviluppo dei visceri, e finivano per degenerare e morire Il Grassi, con le sue ricerche, demolisce il concetto dello sviluppo paranomale e dimostra che i leptocefali sono larve normali di murenoidi, dando la dimostrazione di un altro fatto biologico della più grande importanza, quale la notevolissima riduzione nelle dimensioni che si verifica nella metamorfosi di questi animali. La monografia sullo sviluppo dei Murenoidi, che Egli è an¬ dato con studii successivi completando e perfezionando, raccoglie quello che di fondamentale è stato fatto su questo difficile pro¬ blema, ma aspetta che prove decisive svelino Y ancora misterioso luogo di riproduzione dell' Anguilla, che i fatti raccolti dal Grassi e la sua intuizione, che non falla, ponevano anche nel Mediterraneo, in opposizione alla successiva recisa affermazione della genesi Atlantica dello Schmidt, che intraprese lo studio dell’ argomento partendo dalla granitica base gettata dal Grassi. Le ricerche sulla malaria, dalla scoperta del Proteosoma de¬ gli uccelli (il cui studio doveva poi essere ripreso e completato con la scoperta del ciclo vitale dal Ross) alla determinazione della trasmissione della malaria umana per mezzo degli Anopheles , — 65 — sono per Grassi un titolo di gloria immortale; e la memoria racchiudente gli " studii di uno zoologo sulla Malaria „ è, e ri¬ marrà nella letteratura scientifica contemporanea, uno dei più classici esempi di costruzione logica ed armonica della ricerca e di feconda ed acuta impostazione del problema e condotta delle indagini *). Altre ed importanti, come geniali ricerche di Battista Grassi sul gozzismo, sulla mosca, sui Flebotomi ecc., fino a quelle più recenti e mirabili sui Fillosserini, ove agli importanti risultati morfologici, sistematici ed ecologici, si accoppiano fondamentali scoperte di ordine pratico, che rendono quest' altra monumen¬ tale fatica del Maestro, così geniale scientificamente, come su¬ scettibili di benefiche applicazioni praticamente, sono tutte mi¬ niere di fatti nuovi acutamente acquisiti alla scienza, che non è possibile brevemente esaminare e la cui sola enumerazione, come mostra Y elenco dei lavori che unisco a queste parole e che, nella sua imponenza, forse manco è completo, malgrado i miei sforzi per renderlo tale 2). 1) Di questa feconda e luminosa pagina dell' attività del grande Maestro, che ne ebbe a soffrire "amarissime amarezze,,, sono note, oramai, con limpi¬ dità definitiva le vicende storiche. Il riconoscimento della scoperta della trasmissione della malaria umana, at¬ tribuita su inoppugnabili documenti al Grassi. (Cfr. fra l'altro: Eckstein, Fr. — Zur Entdeckunsgeschichte der Malaria , in: Zool. Anz., Bd. 58, p. 1-40), non trova più oppositori in buona fede ; e lo stesso Ross non ha trovato fatti da opporre (Ross, R. — The trasmission of Human Malaria, in : Natur, Marz 1924, p. 353), alla stringente ed esauriente documentazione del Grassi, ( Cen - trabl. Backt. Jena, Abt. 1, voi. 22, 1924, p. 392-397; e ancora: Parasitol. Cambridge, 1924, p. 355-364). 2) Dell’ opera di Battista Grassi hanno già detto alcuni dei suoi allievi e con maggiore diffusione il prof. F. Silvestri. Rimando perciò al discorso del Silvestri, come a quello del Casagrandi Oddo pubblicati nel volume delle onoranze a Battista Grassi. Roma, Tipografia del Senato, Bardi. 1925, nonché alle seguenti pubblicazioni : 1925. Sella, M. — Giovanni Battista Grassi. Un grande biologo che scom¬ pare in: Policlinico (Sez. pratica), A. 1925, 24 pp. 1925. Cotronei, G. — Battista Grassi in : Monit. Zool. Ital. A. 36, pa¬ gine 99-103. 1925. D’ Ancona, U. — Battista Grassi in : Intern. Revue Ges. Hydr. u. Hydrogr. Bd. 13, p. 117-124. 1926. Janicki, C. — Giovanni Battista Grassi. Ein grosser Zoologe tmd Parasitologe Italiens. in: Die Naturwiss. 14Jahrg. Heft. 12, p. 225-231, Heft. 13, p. 261-269. — 66 - Ho accennato in questa breve disanima talvolta alle idee con le quali il Grassi entrava e si cimentava nella condotta del suo lavoro di osservazione e di sperimentazione ; vediamole più da vicino per cercare di intendere quali esperienze Egli ne fece e quali ammaestramenti potremmo trarne. Mente logica e realizzatrice, Fgli sente tutto il fascino della speculazione; Egli sa come la metafisica possa corrispondere ad un bisogno della mente umana, ma " fisica e metafisica devono, in ogni caso, andar disgiunte e percorrere ognuna la via propria tracciata dalla loro intima natura Si oppose perciò sempre alle numerose deviazioni della Zoologia dal suo cammino, e critica le invasioni che furono ten¬ tate della zoologia nel campo sociale e fin religioso. " Le scienze sperimentali si muovono nel mondo dei fatti, esse non possono nè debbono aver portata metafisica e perciò lo Zoologo critico resta muto ed in modo esplicito dichiara che tale vuol rimanere. Ovvero, al più, siccome la Metafisica da ogni parte gli si affaccia e lo perseguita sempre, egli si limita ad esprimere le sue opinioni intuitive con tutto quel riserbo che caratterizza il vero sperimentatore, distinguendole con ogni cura dalla scienza positiva. La suprema aspirazione dell’unità della scienza non si scom¬ pagnava mai in Lui dalla chiara visione della realtà contingente e fin dal 1898 Egli vedeva che la speranza di fondere i feno¬ meni della vita con quelli fisico-chimici, di compenetrare la Fi¬ siologia tutta intiera con la Chimica e con la Fisica, se in teoria è sempre viva e sempre vivrà finché vivrà la scienza, in realtà però si poteva ben dire fallita. Il Grassi è noto come un evoluzionista, e le sue prime ma¬ nifestazioni scientifiche e le sue ricerche da me citate in que¬ st' ordine di idee fanno vedere che Egli ancora corse dietro al miraggio filogetico. Ma la sua mente critica non perde il lume in mezzo alle suggestioni, tanto difficili a vincersi, delle idee dominanti, e, dopo aver sperimentato le idee che gli avevano apprese alla prova dei fatti, Egli non esita a confessare che " più di cinquant’ anni di ricerche, alle quali presero parte potentissimi ingegni, non condussero a dirimere definitivamente una sola questione filogenetica. Gloria eterna tributerà 1' uomo ai giganti 67 — Huxley, Gegenbaur, Haeckel, che osarono dar la scalata al deio: l'onore dell’ uomo voleva che si tentasse tale impresa; purtroppo, io debbo dire ciò che mi sembra vero, esclama il Grassi, senza lasciarmi sopraffare dalle imponenti scoperte di cui essi furono autori e promotori, con tanti sforzi non riusci¬ rono che a mettere insieme geniali romanzi più o meno storici! “ La teoria dell'evoluzione presenta una base di fatti meno solida di quella che presentava cinquant’ anni fa. Tante prove che sembravano convincenti non resistettero alla lima della cri¬ tica. L' abisso fra il vivo ed il non vivo si dimostra sempre più insuperabile „. Il Grassi non sa togliersi dalla mente il sospetto che quel- l'appoggiarsi reciproco, nella ricerca delle prove a sostegno della evoluzione, dell' astronomo al botanico e al zoologo, del paleon¬ tologo all' astronomo ecc., non sia tutto questo un brancolare nel vuoto. In breve, " piccola è ormai la speranza che la teoria dell’evo¬ luzione si tramuti in una dottrina „, che documenti la sua nobiltà con prove positive; a Lui sembra che, pur ammettendo la pos¬ sibilità che le specie si siano evolute, siamo ormai al punto di doverci contentare di mettere in rilievo i rapporti morfologici tra gli esseri vivi, senza più ardire di determinarne i progenitori e di erigere alberi genealogici. Ed anche in questa indagine morfologica così intesa l'espe¬ rienza del Grassi ci è ricca di ammaestramenti. Egli, fin da quanto era tutto preso dai metodi del suo grande maestro Ge¬ genbaur (1887), non dimenticava gli insuccessi della morfologia per i suoi trionfi e, mentre riconosceva che la embriologia, in un certo senso, è una materia che, cedevole più della cera, si presta a ricevere le più svariate impronte, non riuscendo diffi¬ cile a l’osservatore riscontrare, fra gli innumerevoli cambiamenti di forma dell'embrione, quello più consono ai suoi preconcetti teorici, riteneva ben più solida l'anatomia comparata, perchè non si presta a tali interpretazioni. Egli vedeva tutta la importanza delle variazioni che pos¬ sono intervenire non solo nell’ adulto, ma in tutte le età, anche in quella embrionale, e come bisognasse tener conto della fisio- — 68 — logia dell’ embrione, che è il più delle volte sconosciuta, ed apprezzare gli adattamenti embrionali. Il Grassi, che esprimeva queste idee fin dal 1887, otto anni prima che nascesse l’ Archiv fur Entwickelungsmeckanick, non si lascia prendere successivamente, sempre equilibrato e critico, dalla infatuazione nei riguardi dei risultati che, con lo studio della meccanica dello sviluppo, o biomeccanica, si pretendono con¬ seguiti. Altro è la meccanica, altro la biomeccanica; sr l' una che l’altra descrivono, ma la descrizione meccanica è completa e semplicissima, partendo da pochissime generalissime premesse, per contrario la biomeccanica riproduce le condizioni sperimen¬ tali in cui versava la scienza del movimento prima della mec¬ canica. Ma, sordo a nessuna voce di progresso, Egli comprese pie¬ namente quale ricca messe di fatti poteva mietersi nella mor¬ fologia causale e non mancò di incoraggiare quello dei suoi al¬ lievi, che, venuto a lui su questa strada, mostrava preparazione e e lena per proseguirvi. Mente in sommo grado lucida e comprensiva, biologo che conosceva tutte le vie che possono far convergere verso la co¬ noscenza dei fenomeni vitali, Egli vedeva la necessità dell'appog¬ gio delle varie branche non solo della biologia, ma dello scibile umano; ha lottato, ed ancora lotta con il monito che vive nel- 1’ opera sua feconda, contro gli esclusivismi e le arbitrarie e gratuite superiorità che, per incomprensione e impreparazione, si vuole attribuire a vie d'indagini, che troppo giovani e intem¬ pestivamente si vorrebbero emancipate dalla via maestra della ricerca biologica, che è segnata dalla tassonomia come dalla e- cologia, dalla morfologia come dalla fisiologia, farmocologia, e che, oggi più che mai, non chiede soppressioni di dottrine e di metodi, ma spirito critico e integrazione. Tutti i dati sono preziosi alla necessaria e fondamentale do¬ cumentazione di fatti, e tutte le tecniche sono utili, quando cor¬ rispondono ai propositi e agli scopi da raggiungere. Non esi¬ stono aristocrazie: egli dal microscopio passava aH'allevamento, da questo all'indagine in piena natura, dalla libera natura alla indagine fisiologica e all’esame clinico; conobbe tutta la impor- - 69 tanza dei nuovi metodi, come la solidità delle conoscenze mor¬ fologiche e tassonomiche, senza esclusivismi. Ma sopra tutto vide rocchio acuto ed educato dell’osservatore, critico sapiente e pre¬ ciso, P intuito e l'acuto istrumento logico del ragionamento. " La osservazione è la madre di tante scoperte e il saper osservare è non meno importante del saper ragionare Il metodo sperimentale è la via maestra del vero progresso scientifico, ma l’intuito e l'esame logico sono strumenti neces¬ sari al persequimento e alla ricostruzione teorica dei fatti, e sono di prezioso ausilio allo approfondimento di questi e a nuove conquiste, oltre a soddisfare allo innato bisogno dello spirito di rendersi ragione delle cose. Un organo è incomprensibile senza la conoscenza della fun¬ zione, come un organismo vivente, come tale, non ha entità fuori del suo ambiente, e così i problemi biologici vanno affrontati in modo da non scompagnare gli animali in esame dai rapporti ambientali (fisici e biologici); importanza grande, quindi, oltre che della morfologia, della ecologia e della fisiologia comparata, che, basata sullo studio severo della morfologia, è larga di pro¬ mettenti successi. Così al Grassi si affacciava imperioso il problema della coo¬ perazione nella ricerca e se ne fece a volte strenuo patrocinatore, come per lo studio dell' ambiente marino e dei problemi atti¬ nenti alla vita del mare. Dove l'acume e la possibilità di successo sono fondamen¬ talmente legati, è nella scelta dei problemi : non perdersi dietro vane concatenazioni di ricerche, che, spesso, sminuzzandosi, portano l'indagine a frammentarsi e as¬ sottigliarsi fino a diventar vane. E, sopra tutto, amore e o- nesta ricerca dei fatti, sono gli estremi giu- dici; il progresso scientifico sta essenzialmente in essi. Ecco dove ci conducono gli insegnamenti derivanti dall'opera e dall' attività di Battista Grassi. Non è di tutti il genio inda¬ gatore e costruttore della sua mente, la levatura morale del- 1' uomo e la dedizione al lavoro ed alla scienza fino al sacrificio di saggiare, per amor di sapere, germi di terribili mali sulla sua persona. Molti giovani potranno però accostarsi alla fonte delle sue opere e trarne bevande salutari; e di fronte a quella che — 70 — potrebbe sembrare la catastrofe spirituale del Grassi, che vide prima appannarsi, poi crollare 1' edifizio delle costruzioni teoriche che lo animarono nei suoi inizii, non saranno presi da scora¬ mento, perchè impareranno da Lui che una sola cosa è bella e immortale : l'amore per il vero, ed una sola ancora è salutare in mezzo agli inevitabili naufragi di chi naviga alla sua ricerca; costruire sui fatti, con attività critica della propria mente, la no¬ stra verità come il nostro pane quotidiano. Le catastrofi delle costruzioni umane, se son ragione di preoccupazione per noi sulla possibilità o probabilità di raggiungere le nostre mete lon¬ tane, non debbono menarci allo scetticismo nè a credere alla sterilità dei nostri sforzi; il lavorio mentale sempre teso e la fecondità fino all' altimo anelito del nostro più grande Zoologo lo affermano chiaramente. Le teoriche conoscono le albe rosee ed i grigi tramonti, ma la mente vigile ai fatti, che contiene tutti i segreti della loro giornata, resta e crea quelle conoscenze che son le pietre più sicure dell' innegabile progresso umano. L'at¬ tività di Giovanni Battista Grassi ci ha lasciato 1' esempio più eloquente di quella che è la parte più vitale e che meglio ali¬ menta gli sforzi della nostra mente nella ricerca del vero, e cioè le conquiste positive dei fatti e delle loro successioni, solo sui quali, e d'accordo con i quali, è possibile costruire durevol¬ mente, per avvicinarci, con la nostra inesauribile sete di penetra¬ zione, alle cause delle cose. Esempio magnifico di quell’ equilibrio e riserbo mentale che la nostra razza ha fecondamente portato nel mondo, Egli vede le basi della Scienza biologica e del suo progresso nell'esperi¬ mento, e, pur non misconoscendo la tendenza della mente alla speculazione e la importanza suprema dell' intuito, pensa che 1' esame diligente e spassionato dei fatti forma la sorgente più sicura della costruzione scientifica. Stazione Zoologica di Napoli, 28 luglio 1926. Opere di G. Battista Grassi 1. 1878. Grassi B. — Intorno ad una nuova malattia del gatto analoga alla clorosi d ’ Egitto dell ’ uomo {anemia da Anchilostoma) in : Gazz. Med. Ita!, di Lombardia, Milano 1878, serie Vili, Tomo III. A. 1878. V. anche: Studi fatti nel Laboratorio di Pavia, 1878 (1879), 8 p. 2. „ — — L’Anguillaia intestinalis. Nota preventiva in: Gazz. Med. Itai. Lomb. Nr. 48, 1878; V. anche: Studi fatti nel Labor. di Pa¬ via, 1878 (1879). 3. 1879. — — Dei Protozoi parassiti e specialmente quelli che sono nell’uomo in: Gazz. Med. Ital. Lomb. 1879, N. 45, 8 p. 4. „ — — Contribuzione allo studio dell’ Elmintologia in: Gazz. Med. Ital. Lomb. Pavia 1879; 6 p. V. anche. Studii Labor. Pa¬ via, 1879. 5. „ — — Parasitologia umana in: La medicina contemporanea. Pavia 1879, Voi. 3, fase. 2, 39 pagg. ; V. anche in Studi Lab. Pavia, 1879. 6. „ — — Sopra 1 Anguillaia intestinale in : Rend R. Ist. Lomb. di Se. e Lett., S. XI, Voi. 12, fase. 5; 1879. 7. „ — — Intorno agli speciali corpuscoli (Psorospermici) dell’ uo¬ mo in: Rend. R. Ist. Lomb., S. II, Voi. 3, fase. 15, 5 p. con fig. V. anche: Stud. Labor. Anat. e Fisiol. Pavia, 1879. 8. „ — — Parasitic protozoa, especially those of Man (Abstr.) in : Journ. Roy Micr. Soc. (2), Voi. 1, p. 764-766. 9. „ — — Intorno ad un caso di Anchilostomiasi in: Atch. Se. Med., Voi. 3, fase. 20. 10. 1881. — — Contribuzione allo studio delle Amibe in: Rend R. Ist. Lomb. (2) Voi. 14, 1881, 4 p. 11. „ — — Di un nuovo parassita dell’uomo: Megastoma enteri- cum (m.) (Prima nota) in: Gazz. degli Ospitali. A. 2, N. 13-15, 4 Pgg. 12. „ — — Note intorno ad alcuni Parassiti dell’uomo in: Gazz. degli Ospitali. A. 2, N. 10, 7 pgg. 13. „ — — Intorno ai Chetognati. Nota preliminare in: Rend. R. Istit. Lomb. (2) Voi. 5, fase. 6, 15 pgg. — 12 — 14. 1881. Grassi B. — Saggio di una monografia delle Api d' Italia. Guigoni, Milano 1881. 15. 1882. — — Intorno ad alcuni Protisti endoparassitici ed ap¬ partenenti alle classi dei Flagellati , Lotosi, Sporozoi e Ciliati in: Atti Soc. Ital. Se. Nat., Voi. 24, p. 1-54, Tav. 1-4. 16. „ — — Ànchilostomi ed Anguillaie in: Gazz. d. Ospitali, 21 maggio 1882, N. 41, p. 325-326. 17. 1883. — — Sur quelques protistes endoparasites appartenants aux classes des Flagellata, Lotosa, Sporozoa .et Ciliata in: Ar¬ di. ital. Biol., T. 2, 3, pgg. 59, 4 Tav. 18. „ — — Lo sviluppo della colonna vertetrale nei pesci ossei in: Meni. Acc. Lincei, Tomo 15, 65 pgg., 8 Tav. 19. „ — — I Chetognati. Anatomia e sistematica con aggiunte em- triologiche in: Fauna u. Flora d. Golfes v. Neapel. 5 Monogr. anche in: Atti Acc. Lincei (3) Mem., Voi. 13, p. 565-701. 20. „ — — Un' ultima parola al Prof. Perroncito. (. Anguillaia in- testinalis). in: Gazz. Med. Ital. Lomb., N. 26, 7 pgg. 21. „ — — Les méfaits des mouches. Note préliminaire in : Arch. Ital. Biol, Tome 4, p. 205-208; V. anche: Gazzetta d. Ospitali, ago¬ sto 1883. 22. 1883. — — Beitràge zur nàheren Kenntnis der Entwicklung der IT irbelsàule der Teleostier. in : Morphol., Jahrb., Bd. 8, p. 457-473. 23. „ — — Développement de la colonne vértétrale chez les pois- sons osseux in: Arch. ital. Biol. T. 4, p. 236-268. 24. „ — — Intorno allo sviluppo delle Api nell' uovo. Atti Soc. Ital. Se. Nat., Milano, Voi. 26, A. 1883, 16 pgg. 25. „ — — Un' ultimissima parola al prof. Perroncito in : Gazz. Med. Ital., Milano 1883, N. 39, p. 391-392. 26. 1884. — — Una parola al D.r Blochmann in: Zool. Anz. 7 Jahrg, p. 175. V. anche : Journ. Micr. Paris, Tomo 8, p. 219-220. 27. „ — — Intorno all ' Anatomia della Scolopendrella. Riassunto preliminare. Catania, 7, pgg. 28. „ — — Intorno all'anatomia dei Tisanuri. Nota preliminare in : Naturai, sicil., A. 3, p. 203-208, 236-242; anche : Arch. Ital. Biol., Tome, 5, p. 381-389. 29. „ — — Breve nota intorno allo sviluppo degli Japix. Catania, 3 pgg- 30. „ — — La società delle Api in: Agricolt. Calabr. e Sicul., A. 9, N. 4. 31. „ — — Contrituzione allo studio del Bacillo Virgola in: Gaz¬ zetta degli Ospitali 1884, N. 77, e 78. 73 — 32. 1885. Grassi B. — Contribuzione allo studio della nostra Fauna. Cenni sugli studii fatti nel laboratorio di Zoologia e d' Anato mia comparata dell' Università di Catania dal novembre 1883 al marzo 1884 in: Atti Acc. Gioenia Se. Nat. Catania (3), Voi. 18, 12 pgg. 33. „ — — Intorno ad alcuni protozoi parassiti delle Termiti in: Atti Accad. Se. Nat. Catania (3), Voi. 18, 6 pgg. 34. „ — — Intorno ad un nuovo aracnide artrogastro (Koenenia mirabilis) che crediamo rappresentante d' un nuovo ordine (Mi- croteliphonida) in: Naturai. Sicil., A. 4, p. 127-133, 162-169. 35. „ — — Intorno allo sviluppo delle Api nell' uovo in : Atti Acc. Gioenia Se. Nat. Catania, Voi. 18, 78 pagg. 1C Tav. 36. 1886. — — I progenitori degli Insetti e dei Miriapodi. Morfo¬ logia delle Scolopendrelle . Mem. I. in : Mem. Accad. Torino (2) Tomo 37, p. 593-624, 2 Tavole. 37. „ — — / progenitori degli Insetti e dei Miriapodi. Mem. Il L'Iapix e la Campodea in : Atti Accad. Gioenia Se. Nat. Cata¬ nia (3), Voi. 19, 83 pgg. 5 Tav. 38. „ — — / progenitori degli Insetti e dei Miriapodi. Contribu¬ zione allo studio dell' anatomia del genere Machilis. Ibid., p. 101 a 128, 1 Tav. 39. „ — — / progenitori dei Miriapodi e degli Insetti. Memoria V. Intorno ad un nuovo aracnide Astrogastro {Koenenia mirabilis . rappresentante di un nuovo ordine (Microtelyphonida) in : Bull Soc. Entom. Ital. Anno 18, p. ‘153-170, Tav. 9 e 10. 40. „ — — / progenitori degli Insetti e dei Miriapoodi. Cenni ana¬ tomici sul genere Nicoletia in : Bull. Soc. Entom. Ital., A. 18, p. 173-180, Tav. 7-8. 41. „ — — Sur le développement de 1 abeille dans l'oeuf in : Arch. Ital. Biol. Tome 7, p. 242-273. 42. „ — — / progressi della teoria dell' evoluzione. Discorso letto per V inaugurazione delV anno scolastico 1885-86. Catania. 50 pgg. 43. „ — — Cenno preventivo intorno ad una nuova malattia paras¬ sitare dell' Uomo in : Gazz. Ospitali. N. 57, Anno 7, p. 450. 44. „ — — Ulteriori particolari intorno alla Taenia nana. Nota preliminare in : Gazz. Ospitali, Anno 7, N. 78, 5 pagg. 45. 1887. — — / progenitori dei Miriapodi e degli Insetti. Altre ricerche sui tisanuri. Nota preliminare in: Bull. Soc. Entom. Ital., A. 19, p. 52-74. 46. „ — — Nuove ricerche sulle termiti. Nota preliminare. Bull. Soc. Entom. Ital., A. 19, p. 75-80. — 74 — 47. 1887. Orassi B. — Re e regine di sostituzione nel regno delle Ter¬ miti in : Atti Acc. Line., Rend. (4) Voi. 3, Sem. 2, p. 388-396. 48. „ — — Les protozoaires parasites de /’ homme in: Arch. Ital. Biol., Tome 9, p. 4-6. 49. „ — — Die Taenia nana und ihre medicinische Bedeutung in : Centralbl. Bakt. Parasitk. Bd. 1, p. 97-100, 2 figg. 50. „ — — Trichocephalus- und Ascaris entwicklung . Pràliminar- note. Centralbl. Bakt. Parasitk. Bd. 1, p. 131-132. 51. „ — — Bestimmung der vier von D.r E. Parona in einem Rleinen Màdchen aus Varese (Lombardei) gefundenen Taenien (Taenia flavopunctata ?). Centralbl. Bakt. Parasitk. Bd. 1, p. 257 a 259. 52. „ — — Filaria inermis, mihi, ein Parasit des Menschen, des Pferdes and des Esels in: Centralbl. Bakt. Parasitk. Bd. 1, p. 617-623, 13 fig. 53. „ — — Einige weitere Nachrichten iìber die Taenia nana. Zweite Pràliminarnote in : Centralbl. Bakt. Parasitk. Bd. 2, p. 282-285. 54. „ — — Come la Tenia nana arrivi nel nostro organismo. Nota preliminare. (Circolare) 3 pgg. 55. „ Entwicklungscyclus der Taenia nana in: Centralbl. Bakt. Para¬ sitk. Bd. 2, p. 305-312. 56. „ — — I progenitori dei Miriapodi e degli 'Insetti. Memoria VII. Anatomia comparata dei / isanuri e considerazioni generali sul- V organizzazione degli Insetti in : Atti Accad. Lincei. Mem. (4) Voi. 4, p. 543-606, 5 Tav. 57. 1888. — — Ersatzpaar bei den Termiten in : Zool. Anz., 11 Jahrg. p. 63; anche : Ent. Nachr. 14 Jahrg., p. 77-78. 58. „ — — Weitere Mittheilangen iiber die Ersatz - Rònige und Ròniginnen im Reiche der Termiten in: Zool. Anz., 11 Jahrg, p. 615-618. 59. „ — — Re e regine di sostituzione nel regno delle Termiti in : Bull. Soc. Ent. Ital., A. 20, p. 139-147. 60. „ — — Morfologia e sistematica di alcuni protozoi parassiti in : Atti Acc. Lincei. Rend. (4), Voi. 4, 1 Sem., p. 5-12. 61. „ — — Significato patologico dei protozoi parassiti dell’ uomo. Atti Acc. Lincei. Rend. (4), Voi. 4, 1 Sem. p. 83-89. 62. „ — — Ciclo evolutivo della Spiroptera ( Filaria ) sanguinolenta. Catania, 1888. 63. „ — — Ancora sul ciclo evolutivo della Spiroptera sanguino¬ lenta e sulle larve di nematodi della pulce. (Nota preventiva), Saronno, 3 pgg. — 75 — 64. 1888. Grassi B. — La pulce del cane ( Palex serraticeps, Gervais ) è l'ordinario ospite intermedio della Taenia cucumerina. Nota pre¬ ventiva in: Boll. Soc. Entom. ital., Voi. 20, 1 pag. 65. „ — — Taenia flavopunctata Wein, Taenia leptocephala Crep- lin, Taenia diminuta Rud. in: Atti Acc. Torino, Voi. 23, pag. 492-501, 1 Tav. 66. „ — — Beitràge zur Kenntnis des Entwicklungscyclus von funf Parasiten des Hundes. (Taenia cucumerina Gòze, Ascaris mar¬ ginata Rud., Spiroptera sanguinolenta Rud., Filaria immitis Leidy u. Haematozoon Lewis ) in : Centr. Bakt. Paras., Bd. 4, p. 609-620. 67. „ — — Nachtrag zu meinem Aufsatz : Beitràge zur Kenntnis des Entwickelungscyclus von fiinf Parasiten des Hundes in : Cen¬ trali. Bakt. Parasitk., Bd. 4, p. 776-777. 68. „ — — Weiteres zur Frage des Ascarisentwickelung. in : Cen¬ trali. Bakt. Parasitk. Bd. 3, p. 748- 749. 69. „ — — Brevi spiegazioni a proposito dell' articolo del Parona sui batriocefali in: Gazz. Med. Ital. Lomb. N. 2. 70. „ — — Ancora sul botriocefalo in : Gazz. Med. Ital. Lomb. N. 30. 71. 1889. — — Ueber Grassia ranarum Eisch in: Biol. Centrali. Bd. 9, p. 424-425. 72. „ — — Ein weiterer Beitrag zur Kenntnis des Termitenreiches. Pràliminarnote in: Zool. Anz., 12 Jahrg., p. 355-361; anche: Ent. Nadir., 15 Jahrg., p. 213-219. 73. „ — — Les ancètres des myriapodes et des insectes in : Arch. Ital. Biol., Tome 11, p. 1-11, 291-337, 389-419, 5 Tavole. 74. „ — — Intorno al genere Embia in : Boll. Acc. Gioenia. Ca¬ tania, Fase. 9. 75. „ — — Frequenza dell' echinococco in Sicilia. Boll. Acc. Gioe¬ nia, Catania, Fase. 10. 76. 1890. — — Altre ricerche sulla malaria. Nota preliminare in: Boll. Mens. Acc. Gioenia Catania, Fase. 16, 6 pgg. 77. „ — - — A contribution towards a Knowledge of Termites in : Psyche, Voi. 5, p. 250, 255. 78. 1892. — — Conclusioni di una memoria sulla società dei Ter¬ miti in: Atti Acc. Lincei. Rend. (5), Voi. 1, Sem. 1, p. 33-36. 79. 1893. — — Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi. in: Boll. Acc. Gioenia, Catania, Fase. 31. 80. 1896. — — The Reproduction and Metamorphosis of thè Com¬ mon Eel (Anguilla vulgaris) in: Proe. R. Soc. London, Voi. 60, pagine 260-271 ; anche in: Q. Journ. Micr. Se. (2), Voi. 39, p. 371-385, 4 figg. — 76 — 81. 1897. Grassi B. — Critica della filosofia zoologica. Discorso pub¬ blicato nel 1898. Roma, Tip. Pallotta, 58 pagine. 82. 1898. — — Rapporti tra la malaria e peculiari Insetti [zan¬ zaroni e zanzare palustri). Nota preliminare in : Atti Acc. Lincei Rend. (5), Voi. 7, Sem. 2, p. 163-172. 83. „ — — Rapporti tra la malaria e peculiari insetti. [Zanzaroni e zanzare palustri). Seconda edizione della nota prec . in: Poli¬ clinico, Voi. 5 - M. 1 ottobre 1898. 84. „ — — La malaria propagata per mezzo di peculiari insetti in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 7, Sem. 2, p. 234-240. 85. „ — — Medici condotti e medici provinciali in : Rivista Polit. e letter. Nov. 1889, 29 p. 86. „ — — Rapporti tra la malaria e gli Artropodi in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 7, Sem. 2, p. 314-315. 87. 1899. — — Le recenti scoperte sulla malaria esposte in forma popolare in: Riv. Se. Biol., Como, Voi. 1, 55 pagg. Tav. 3, 4. 88. „ — — Ancora sulla Malaria in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 8, Sem. 1, p. 559, 561. Sem. 2, p. 165-167. 89. „ — — Osservazioni sul rapporto della seconda spedizione ma¬ larica in Italia , presieduta dal prof. Rock in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 8, Sem. 1, p. 193-203 e p. 223-230. 90. „ Rapports entre la malaria et certains Insectes particuliers in: Arch. Ital. Biol. Tome 31, p. 69-80. 91. „ — — La malaria propagée par le moyen de certains Insectes particuliers in: Arch. Ital. Biol., Tome 31, p. 143-150. 92. „ — — Rapports entre la malaria et les Arthropodes in: Arch. Ital. Biol., Tome 31, p. 257-258. 93. „ — — Sulla anatomia e sui costumi dell ’ Anopheles claviger in: Arch. Ital. Biol. (5), 7, VHP, p. 326. 94. 1900. — — Encore sur la malaria in: Arch. Ital. Biol. Tome 32, p. 435-438. 95. „ — — Die Uebertragung der Malaria durch Stechmiìcken der Gattung Anopheles in: Verh. Ges. D. Natui f. Aertzte, 71, Vers; 2 Theil, 1 Halfte, p. 223-228. 96. „ — — Studii di uno Zoologo sulla malaria in: Atti Acc. Lin¬ cei, Mem. (5), Voi. 3, p. 299-511, 9 f igg., 5 Tav. 97. „ — — Primo resoconto sommario dell 1 esperimento contro la malaria fatto nei dintorni di Pesto in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 9, Sem. 2, p. 193-199. 98. „ — — Studii ulteriori sulla malaria in : Atti Acc. Lincei Rend. (5), Voi. 9, Sem. 2, p, 215-224. — 11 — 99. 1900. Grassi B. — Erster summarischer Bericht iìber di Versuche zur Vethiitung der Malaria angestellt in der Gegend voti Pae- stum. in: Centralbl. Bakt., 1 Abth., 28 Bd., p. 535-541. 100. „ — — Cenno necrologico del socio Tommaso Crudeli. R. Acc. Lincei (5), IX, p. 375. 101. „ — — Cenni storici sulle recenti scoperte intorno alla tra¬ smissione della malaria in: Policlinico. Supplem. 1900, 11 pag. 102. „ — — Per la storia delle recenti scoperte sulla malaria. Po¬ liclinico, VII, p. 1-10. 103. „ — — La malaria propagata esclusivamente da peculiari zan¬ zare. Conferenza tenuta il 25 marzo al Collegio Romano. Ed. Treves, Milano, p. 73. 104. „ — — The new discoveries in malaria in: The Indipendent New York, 52, p. 2975-2979, con 2 ritr. 105. „ — — La malaria. Propagazione e difesa in: Riv. Agr. Ind. Roma, 1900. 106. 1901. — — Studi di uno zoologo sulla malaria. Seconda edi¬ zione notevolmente accresciuta. Roma, 296 p., 21 fig. nel t. e 8 Tav. 107. „ — — Die Malaria. Studien eines zoologen. 2. vermehrte Aufl., Jena, 250 pgg. 15 fig., 8 Tav. 108. „ — — A proposito del paludismo senza malaria in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi, 10, Sem. 2, p. 123-131. 109. „ — — Contro la malaria. Lettera aperta del Prof. Grassi a S. E. Carcano, Ministro dell’Agricoltura Ind. e Commercio e a S. E. Saracco, Ministro dell’ Interno. Tipogr. Roncati, Milano 1901, 4 pag. 110. „ — — Ueber tierische Parasiten, insbesondere ueber die Mo- skitos als Uebertràger der Filaria, Malaria utid gelben Fiebers in: Umschau, 5, p. 941-948, 8 fig. 111. 1902. — — Aggiunte all' opera “ Studi di uno zoologo sulla malaria „. I. — Relazione riassuntiva dell’ esperimento di profi¬ lassi chimica contro l’infezione malarica fatto ad Ostia nel 1901. Tip. Artero, Roma, 1902, 16 pag. 112. „ — Zoologi e Medici in: Riv. d’Italia, VI, p. 758-768. 113. „ — — Per la lotta contro la malaria in: Policlinico (sez. prat.), 1902, 17 pag. 114. 1902 — — Das Malariaproblem vom zoologischen Standpunkte. in: Verh. 5 Intern. Z. Congress. p. 99-114, 2 figg. 115. 1903. — — Aggiunte all* opera 11 Studi di uno zoologo sulla malaria „. II. A proposito di alcuni esperimenti fatti con l’esa- nofele. Tipogr. Roncati. Milano, 1903, 12 pag. — 78 — 1 16. 1903. Grassi B. — Aggiunte all’opera “ Studi di uno zoologo sulla malaria III. A proposito della storia delle recenti scoperte sul metodo di trasmissione sulla malaria. — Risposta del Prof. B. Gràssi al prof. Pàgliàni. Tip. Roncati, Milano, 1903, 21 pag. 117. „ — — Nachtrag zur zweiten auflage von “ Die Malaria. Studien eines Zoologen „ I. Ueber Paludismus ohne Malaria. II. Die epidemiologischen Untersuchungen des prof. Dionisi. III. Kurzer Bericht iiber zu den Ostia... gemachten Versuch ge- gen die Malaria-Infection. Ed. Fischer, Jena 1903, 19 pagg. 118. „ — — Quali vantaggi può ricevere V agricoltura dalla recenti scoperti sulla malaria con riferimento all'Italia settentrionale in : Boll. d. Agricoltori. Roma, Vili, p. 737-749. 119. „ — — Le risaie e la malaria. Relazione al 2° Congresso Ri¬ sicolo Internazionale di Mortara, 1-3 ottobre 1903, 14 pagg. 1 20. „ — — Documenti riguardanti la storia della scoperta del modo di trasmissione della malaria umana, Tip. Roncati, Milano, 103 pg. 121. „ — — Delle varie specie di Tenie o vermi solitari e del teni¬ fugo o rimedio Violoni. Tip. Stefani, Milano 1903, 17 pagg., 3 fig. 122. „ — — Come si propaga la malaria. Riassunto della mia o- pera " Studi di uno zoologo sulla malaria „ Con aggiunte ri¬ guardanti le ulteriori ricerche pubblicate sull’ argomento. Tip. Roncati, Milano 1903, 72 pagg., 14 fig., 1 tav. 123. 1904. — — La questione fillosserica in Italia ( osservazioni critiche) in: Riv. d’Italia, Roma, VII, p. 1-26. 124. „ — — Notizia bibliografica sull'opera del Sig. Raffaele Del Rosso : Pesche e peschiere antiche e moderne nell' Etruria marit¬ tima in: Atti Acc. Line. Rend. (5), Voi. 13, Sem. 2, p. 631, 633. 125. 1905. — — Relazione sull’ esperimento fatto nel 1904 a Ole - vano [Lomellina) nel podere Drovanti per iniziativa del Cong. Internaz. di Risicultura del 1903 in: L’Agricoltura moderna, 1905, Ni. 6, 7, 8, 9 e 10; pagg. 32. 126. „ — — Difesa contro la malaria nelle zone risicole. Confe¬ renza tenuta in Milano il 9 aprile 1905 per cura della Soc. Agra- ria di lombardia. Tip. Marchiondi, Milano 1905. 127. 1906. — — La vita: ciò che sembra ad un biologo. Discorso tenuto nella seduta solenne del 3 giugno 1906 dell’Accademia dei Lincei. Tip. Acc. Lincei, Roma, 1906, 23 p. ; anche in: Rivi¬ sta d’ Italia, Roma, IX, p. 885-912. 128. 1907. — — Riassunto delle ricerche sulle fillossere ed in par¬ ticolare su quella della vite in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 6, Sem. 2, p. 305-317 — 79 — 129. 1907. Grassi B. — Ricerche sui Flebotomi, in: Mem. Soc. Ital. Se. Roma (3) Tome 14, p. 353-394, 4 Tav. 130. 1908. — — Intorno ad un nuovo Flebotomo in: Atti Acc. Lin¬ cei, Rend. (5), Voi. 17, Sem. 2, p. 681-682. 131. 1908. — — La lotta contro la fillossera, in: Boll. Soc. d’A- gricoltori Ital., Roma XIII, pag. 26, anche in: Rivista d’Italia, XI, p. 353-382. 132. 1909. — — Discorso nell' interpellanza del senatore Todaro al Ministero della I. P. sull ' Università di Messina. Tip. del Se¬ nato, Roma, 1909, 8 pagg. 133. „ — — Studii sull' Acanthochermes quercus Rollar in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 18, Sem. 1, p. 540-541. 134. „ — — Ulteriori ricerche sui Fillosserini in: Atti. Acc. Lin¬ cei. Rend. (5), Voi. 18, Sem. 1, p. 657-661. 135. „ — — Ulteriori ricerche sui Fillosserini. Nota 19 in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 18, Sem. 2, p. 417-422. 136. „ — — Di alcune questioni d' indole generale , collegantisi con lo studio delle fillosserine in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 18, Sem. 2, p. 520-528. 137. 1910. — — Osservazioni intorno al fenomemo della rudimen¬ tazione nei fillosserini. (Nota 23) in : Atti Acc. Lincei Rend. Voi. 19, Sem. 1, p. 51-56. 138. „ — — Gli ovarioli delle fillossere. Nota 24 in: Atti Acc. Lincei, Rend., Voi. 19, Sem. 1, p. 711-714. 139. „ — — Contribuzione allo studio dello sviluppo dei Murenoidi in: Meni. R. Coni. Tal. Ital. 16 pp., 1 Tav. 140. 1910. — — Le malattie infettive: Rata azar e febbre di Malta nell' Italia meridionale. Discorso. Tip. del Senato, Roma 1910, 16 pagg. 141. „ — — Per V interdizione del fosforo bianco nell* industria dei fiammiferi. Discorsi tenuti al Senato nelle tornate del 10 e 16 giugno 1910. Tip. del Senato, Roma 1910, 50 pagg. 142. 1911 — — I progressi della biologia e delle sue applicazioni pratiche couseguiti in Italia nelV ultimo cinquantennio in: Cin¬ quanta anni di storia italiana (1860-1910), a cura dell’ Acc. dei Lincei. Ed. Hoepli, Milano, 1911, p. 1-416. 143. 1912. — — Nuova contribuzione alla storia dello sviluppo dei Murenoidi in: Atti, Acc. Lincei, Red. (5), Voi. 21, Sem. 2, p. 15-20. 144. „ — — Nuovo contributo alla conoscenza delle fillosserine. in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 21, 2 Sem. p. 543-548. 80 — 145. 1912. Grassi B. — Ricerche sulle Anguille Argentine allevate for¬ zatamente in vasche d'acqua dolce, in: Atti Acc. Lincei Rend. (5), Voi 21, Sem. 2, p. 675-677. 146. „ — — Il ministero d' Agricoltura di fronte alla Scienza. Ro¬ ma. 1912, 40 pgg. 147. „ — — La talassobiologia e la pesca, in: Att. Soc. Ital. Progr. Se., Riunione 6, 1912, pgg. 59-95. 148. „ — — Conferenza sulla fillossera. Pubbl. speciali d. Soc. Agric. Ital. Nuova serie N. 1, Tip. dell’Unione Editrice, Roma, 35 pagg. 149. „ — — La lotta contro la fillossera in Puglia. Relazione al Congresso viticolo antifillossei ico pugliese. Tip. Cibelli, Ceri- gnola 1912, 11 pagg. 150. 1913. — — La talassobiologia e la pesca. Memoria R. Com. Talass. Ital. Meni. 19, 42 pp. 151. „ — — Metamorfosi dei Murenoidi. Ricerche sistematiche ed ecologiche. 1 Monografia, in: Monogr. R. Comit. Tal. Ital. Ed. Fischer, Jena, 211 pgg., 8 fig. 15 Tav. 152. „ — — Parere nella causa: Tonnare Porto Paglia e Porto Scuso contro Soc. An. Malfidano. Tip. Corsi e Ciarlo, Genova 1913, 14 pagg. 153. 1914. — — Nuovi contributi alla conoscenza delle Fillosserine. Fuoriuscita dal terreno delle prime larve ( neonate ) della Fillossera della vite in: Atti Acc. Lincei, Rend. Voi. 23, Sem. 2, p. 19-30. 154. „ — -- Contributo alla conoscenza delle uova e delle larve dei Murenoidi Aggiunta alla mia monografia sulle metamorfosi dei Murenoidi. in: Atti Acc. Lincei, Memor. (5), Voi. 10 p. 37 a 43, 1 Tav. 155. „ — — Quel che si sa e quel che non si sa intorno alla storia naturale dell' Anguilla in: Meni. R. Com. Talass. Ital. Meni. 37, 50, pgg. 3 tav. 156. „ — — Contributo alla conoscenza delle uova e delle larve dei Murenoidi. Aggiunta 1 alla Monografia sulla metamorfosi dei Murenoidi in: Memor. R. Com. Tal. Ital. Meni. 42, p. 1 Tav. 157. „ — — Funzione respiratoria delle cosidette pseudobranchie dei Teleostei ed altri particolari intorno ad esse, in : Bios. Voi. 2, p. 1-16, 3 Tav. 158. „ — — Commemorazione del corrispondente Marchese Giacomo Doria. in: Atti Acc. Lincei Rend. (5), Voi. 23, Sem. 1, p. 747-755. 159. „ — — Sulla etiologia del gozzismo in: Tumori, Roma 1914, 64 pgg. — 81 lóO. 1915. Grassi B. — The present state of our knowledge of thevine Phylloxera. in : Bull. Inst. Agric. Roma, Voi. 6, p. 1269-1290. 161. — — Modem views of thè control of thè vine Pilloxera. in: Bull. Inst. Agric., Roma, Voi. 6, p. 1553-1571. 162. „ — — Il problema fillosserico. in: Boll. Mens. Entomol. Agr. e Patol. veg., 1915, p. 44. 163. „ — — Contributo alla conoscenza delle uova e delle larve di Murenoidi {Aggiunta 2a alla monografia sulla metamorfosi dei murenoidi) in: Atti Acc. Lincei, Mem. (5), Voi. 10, fase. 16, pa¬ gine 693-71 1, 2 Tav. 164. „ — — Di una malattia infettiva della Diaspis pentagona. in: Boll. Inforni. Seriche. Roma, 1915, Voi. II, N. 19, 9 pgg. 165. „ — — Ancora sulla maiuttia infettiva epidemica della Diaspis pentagona Targ. Il Nota in: Boll. Inforni. Seriche. Roma 1915. II, pagg. 633-634. 166. „ — — Ricerche sulla fuoriuscita del terreno delle prime larve {Neonate) della fillossera della vite in: Boll. Minist. Agric., XIV, Serie B, p. 1-11. 167. „ — — " Dagli all' untore „ in: Riv. Medica 23, N. 10, 10 pag. 168. 1916. — — Per l'italianità e la serietà degli studi. Le scienze biologiche nelTultimo cinquantennio in : Rassegna Nazionale, 38, p. 225-244. 169. „ — - — Discorso per T inaugurazione dell ' Istituto centrale di Biologia marina in Messina in: Boll. Com. Talass. I tal.. Voi. 6, p. 19. 170. 1917. — — Flagellati viventi nei termitidi. Memoria I in: Aiti Acc. Lincei (5), Voi. 12, p. 331-394, 10 Tav. 171. « — — La lotta contro la fillossera nel teramano dal 1901 al 1916 in: Boll. Min. Agr. Serie B, XV, pag. 72, 12, fig., 3 carte. 172. „ — — Contributo alla conoscenza delle uova e delle larve dei Murenoidi {Aggiunta II alla Monografia sulla metamorfosi dei Murenoidi) in: M. R. Com. Talass. Ital. Memor. 45, 32 pgg., 2 Tav. 173. 1918. — — Sulla necessità di non abbandonare la lotta con¬ tro la filossera. Poscritto alla relazione : sulla lotta contro la filossera nel teramano dal 1901 al 1916. Tip. Acc. Lincei, Roma 1918, 27 pag., 3 carte. 174. 1919. — — Riassunto di una Memoria riguardante la storia Naturale dell'Anguilla, in: Atti Acc. Lincei, Voi. 28, p. 313-319. 175. „ — — Nuove ricerche sulla storia naturale delT Anguilla in: Mem. R. Com. Talass. Ital., Mem. 67, 141 pagg., 9 Tav. — 82 — 176. 1919. Grassi B. — Relazione sull1 esperimento di lotta antimala¬ rica eseguito nel 1918 a Fiumicino (Roma). Tip. Artero, Roma 1919, 48 pagg. 177. 1920. — — Osservazioni sulla vita degli Anofeli. Nota I. in: Atti Acc. Lincei, Rend. Voi. 29, Sem. 2, p. 307-313. 178. „ — — Nota aggiuntiva alla nota di Antonino Pais « Risa¬ namento dei malarici cronici per mezzo dei raggi X „ in A. Acc. Lincei, Rend (5). Voi. 29. 179. „ — — Osservazioni sulla vita degli anofeli. Nota li. in: A. Acc. Lincei, Rend. (5) Voi; 29. p. 339-340. 180. „ — — Sulla Stazione zoologica di Napoli. Discorso tenuto il 9 dicemdre 1920 al Senato. Tip. d. Senato, Roma 1920, 11 pagg. 181. „ — — Alcuni cenni sulla morfol-anini completare con la in- dicaz. Rivista di Biologia. 182. „ — — Alcuni cenni sulla morfologia animale. Breve intro¬ duzione ad un corso di Anatomia Comparata. Roma, Bardi Edit. 1 Voi. p. 51, con 46 fig. 183. „ — — Relazione sul premio della fondazione " Carpi „ per il 1919. in: Rend. Acc. Lincei, Ad. 6 giugno 1920. 184. 1921. — — L’ anofele può propagare la malaria anche diretta- mente? in: Atti R. Acc. Lincei, Rend. Voi. 30, Sem. 1, p. 336-337. 185. „ — — Razza biologica di Anofele che non punge V uomo. Un singolarissimo caso di anofelismo e paludismo senza malaria in: Atti: R. Acc. Lincei, Rend. Voi. 30. 186. „ — — Nuovo orizzonte nella lotta antimalarica. Memoria Riv. biol. Voi. 3, Roma, 1921, p. 421-463. 1 87. „ — — U anofele può propagare la malaria anche diretta- mente. Nota III. Atti Acc. Lincei. Rend. (5), Voi. 30. 188. „ — — Irrigazione e malaria. Tip. d. Senato, Roma 1921. 189. „ — — Osservazioni sulla biologia degli anofeli in : Annali d'igiene, Voi. 31, fase. 8, 6 pagg. 190. 1922. — — Animali domestici e malaria, in : Annali d’igiene,. A. 32, fase. 6, p. 95. 191. „ — — Nuovo contributo allo studio dell anofelismo (palu¬ dismo) senza malaria, in: Atti*Acc. Lincei Rend. Voi. 31, pagg.. 419-423. 192. 1922. — — / cibi preferiti dagli Anofeli in: Atti Acc. Lin¬ cei Rend. Voi. 31, Sem. 2, p. 496-500. 193. „ — — Ancora sulle preferenze degli Anofeli: conseguenze epidemiologiche in: Atti Acc. Lincei Rend. Voi. 31, Sem. 2,. p. 535-540. — 83 194. 1922. Grassi B. — San Donà di Piave attende i bonificatori d'Italia! I tre punti di vista del problema. Il punto di vista malariologico in: Circeo, Roma, II. N. 11-12. 195. „ — — / due progetti di bonifica del primo bacino del com¬ prensorio di Pise inara. Brevi considerazioni in: Circeo, Roma II, N. 15, 16, 17. 196. „ — — Malaria e coltura intensiva in : Circeo, Roma, II, N. 26. 197. „ — — Due eroici pionieri: Ernesto Fortunato e Umberto Po- lettini in : Circeo, Roma, II, N. 29. 198. „ — — Un provvedimento che s'impone : allontanare i mala¬ rici restii alla cura dalle zone infette in: Circeo, II, N. 34. 199. « — — Un'usanza provvidenziale contro la malaria in: Circeo, II, N. 36. 200. „ — — Bestiame domestico e malaria in: Circeo, II, N. 41. 201. v — — Note e commenti : le protezioni meccaniche contro la malaria in: Circeo, N. 45, 46, 47, 48. 202. „ — — La lotta contro le zanzare in: Circeo, II, N. 51, 52. 203. 1923. — — Razze biologiche differenti di Culex pipiens in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 32, p. 457-461. 204. „ — — Nuovi contributi alla biologia degli Anofeli in: Atti Acc. Lincei Rend. Voi. 32, Sem. 1, p. 373-375 e p. 438-442. 205. „ — — Pesci nostrali antimalarici in : Atti Acc. Lincei Rend. (5), Voi. 32, Sem. 1, p. 511-513. 206. „ — — Acclimatazioni della Gambusia in Italia in : Atti Acc. Lincei Rend. (5), Voi. 32, Sem. 1, p. 544-548. 207. — — Anofelini Italiani in : Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Volu¬ me 32, Sem. 2, p. 317-320. 208. „ — — Sui provvedimenti per la protezione della selvag¬ gina e l' esercizio della caccia. Biscorso. Tip. d. Senato, Roma 1923, 32 pagg. 209. „ — — La lotta antimalarica a Fiumicino ( 1918-1923 ). Luci ed ombre della lotta antimalarica. Tip. d. Senato, Roma 1923, p. 32; 1 carta. 210. „ — — Bacini per la lotta antimalarica in: Circeo, Roma III, N. 2. 211. „ — — Necessità della propaganda nella lotta antimalarica in : Circeo, Roma, III, N. 5. 212. „ — — Fra le commissioni del Ministero d' Agricoltura. Come funziona la commissione malariologica in: Circeo. Ili, 8, 9. 213. „ — — Modificazioni e proposte a un disegno di legge. La protezione della selvaggina e V esercizio della caccia in: Circeo % III, N. 11. - 84 214. 1923. Grassi B. — Calendario antimalarico. Osservatorio di Fiu¬ micino ( mese di aprile al mese di dicembre ) in: Circeo , III, N. 13, 18, 22, 26, 30, 35, 39, 43, 48. 215. „ — — Legislazione antimalarica in: Circeo, III, N. 15. 216. „ — — Nemici naturali degli anofeli. I pesci indigeni in: Cir¬ ceo, III, N. 21. 217. » — — Nemici naturali degli anofeli. Le Gambusie in: Cir¬ ceo, III, N. 23. 21S. „ — — Microtan, Sapro l per zanzare e Larviol in: Circeo, III, N. 28. 219. „ — — Nemici naturali degli anofeli. Altri animali acquatici in Circeo, III, N. 31. 220. „ — — Nemici naturali degli anofeli. Altri animali acquatici e animali terrestri in : Circeo, III, N. 33. 221. „ — — Una malattia che si cura con la malaria {paralisi pro¬ gressiva) in: Circeo, III, N. 33. 222. „ — — Vaccinazione contro la malaria? in: Circeo, III, N. 40. 223. „ — — Malaria e bonifiche agrarie in: Circeo, III, N. 41-42. 224. „ — — Non si dà sufficiente importanza ai problemi malàrici in: Cicreo, III, N. 45. 225. „ — — Lotte antimalariche. Una vittoria in: Circeo, III, N. 49. 226. „ — — U allevamento delle bufale {il parere dell' acchiappamo¬ sche) in: Circeo III, N. 51, 52. 227. 1924. — — • Sulla trasmissione della malaria in: Atti R. Acc. Lincei Rend. (5), Voi. 33, p. 373-376. 228. „ — — Nach fiinfundzwanzig fahren. Chronologische Ueber- sicht der Entdeckung der menschlichen Malariaubertragung. in : Centralbl. Bakt. Jena Abt. 1, Voi. 22, p. 392-397. 229. „ — — The transmission of human malaria, in : Nature, Lon¬ don, 1924, p. 304-307. 230. 1924. — — Sull' Anopheles elutus. Nota in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 33, p. 207-209. 231. „ — — Agostino Bassi precursore di Pasteur, di Roch e di Lister in: Difesa sociale, III, p. 35-41. 232. „ — — Biologisches ueber Anopheles in: Verhandl. Intern. Ver. Limnologie. Innsbruck 1924, p. Ili, 115. 233. „ — — Reviviscenza temporanea della malaria in Toscana in: Ann. d'igiene. Voi. 34, fase. II, 13 pagg. 234. „ — — Discorso per le onoranze tributategli per il suo 40 0 anno di insegnamento. “ Onoranze a Battista Grassi » I Volume pubblicato a cura del Comitato « Fondazione per gli studi zoo- — 85 — logici delle malattie parassitane „. Tip. d. Senato, Roma 1925, p. 75-88. 235. 1924. Grassi B. — Twenty-five years after. A chronicle of thè discoveries relating to thè mode of transmission of human mala¬ ria in: Parasitol. Cambridge, 1924, p. 355-364, 236. 1925. — — Bonifiche , laghi artificiali e malaria. A proposito del lago di Lentini. Tip. d. Senato Roma, 1925, 46 pagg. 1 carta. 237. »' — — Contro la malaria nell'Agro Pontino. Relazione in : L’Avvenire sanitario, 19, N. 13. 238. „ — — Risultati della lotta antimalarica in seguito alle nuove scoperte in: Echi e Commenti VI, N. 9. 239. „ — — Necessità di intensificare la lotta contro il flagello malarico in: Il Corriere della Terra, Roma 1925, I, N. 1. 240. „ — — La Malaria in: Il Corr ere d. Terra, Roma 1925, I, N. 2, 4. 241. „ — — Il nostro referendum sul chinino di Stato in: Il Cor¬ riere d. Terra, Roma 1925, I, N. 6. 242. 1925. — — Lezioni di Anatomia Comparata tenute nell' anno accademico 1923-24. Roma 1925, 1 Voi., 1032 pgg. con 947 fig. 243. „ — — Commentario all'opera parassitologica di Agostino Bassi. Tip. Cooperativa, Pavia 1925, p. LXVIII-674. 244. „ — — Risultati della lotta antimalarica in seguito alle nuove scoperte in: Intern. Rev. ges. Hydrob. u. Hydrogr. Bd. 13, pagg. 124-129. 245. 1896. — — Metodi e fini della morfologia in: Policlinico, Roma 1896, Suppl., 39 pgg. (questo lavoro andrebbe nell'ordine cronologico della serie al N.° 80 bis). — 86 — Opere in collaborazione 1. 1878. Grassi B. e Parona C. ed E. — Intorno all' Anchylostoma duodenale (Dubini). Annotazione, in : Gazz. Med. Ital. Lomb. 1878, N. 20, p. 193. 2. „ Grassi B. e Parona C. — Sullo Sviluppo dell’ Anchilostoma duodenale in: Studi Labor. Pavia, 1878, 2 tav. 3. „ — — Sopra alcune mostruosità di uova di gallina, in: Atti Soc. Ital. Se. Nat., Voi. 20, 24 p., 1 Tav. 4. 1879. — — Sopra l' Anguillaia intestinale {dell’uomo) e sopra embrioni probabilmente d' anguillaia intestinale in: Arch. per la Se. mediche, Voi. 3, N. 10, 1879, anche in: Studi fatti nel Lab. di Pavia, 1878 (79) (Parte Zool. 7 p., Parte mediche 7 p.) 5. „ — — Sovrala Taenia crassicollis in: Atti Soc. Ital. Se. Nat. Voi. 22, 15, p. 1 tav. b. „ — — Intorno all ’ anchilostomiasi in : Ann. Univ. di Med. e chir. giugno 1879. 7. „ — — Animali che devono essere conosciuti dagli apicultori , Milano, 1879, 8, 32 p. 8. 1884. Grassi B. e Calandruccio S. — L’ anguillaia ( Rhabdonema ) in: Gaz. Med. Ital. Lomb. 1884. N. 47. 9. „ — — Intorno ad una malattia parassitaria in: Agricoltore calabro-siculo; Catania, a. 9, Nr. Il, 4, pgg. 10. 1886. — — Intorno ad una malattia parassitaria , cachesia it- tero-ver minosa o cachessia acquosa o merciaja, in : Centralbl. Bakt. Parasitk. Bd. 1, p. 725. 11. „ Grassi B. ed Aloi. — Relazioni sui danni che arrecano le Termiti ai vigneti di Catania, in: Boll. Notizie Agrar. N. 51, 11 pgg. 12. 1886. Grassi B. e Ferrara. — Zur Bothriocephalusfrage . Offener Brief an cleri hochgeehrten herrn Medicinalrath D. F. Riichen- meister in: D. Med. Wochenschr., 1886, N. 40, p. 699. 13. 1887. Grassi B. e Segrè R. — Nuove osservazioni sull' etero genia del Rhabdonema (Anguillula) intestinale. Considerazioni sull’etero- genia in: Rend. Acc. Lincei (4), Voi. 3, 1 Sem. p. 100-108. 14. „ Grassi B. e Rovelli G. — Contribuzioni allo studio dello sviluppo del botriocefalo lato in: Giorn. Acc. Med. Torino, A. 50, p. 511-521, 3 fig. 15. „ Grassi B. e Calandrucio. — Uber einen Echinorhynehus, welcher aneli in Menscken parasitist and dessen Zwischenwirth ein Blaps ist. in: Centralbl. Bakt. Parasitk. p. 521-525 7. figg. - 87 — ■ 16. 1888. Grassi e Calandruccio. — Bandwurmerentwickelung in : Cent. Bakt. Parasitk. Bd. 3, p. 174. 17. „ Grassi B. e Schewiakoff N. — Beitrag zur Kenntnis des Me¬ gastoma entericum in: Zeits. Wiss. Z., Bd. 46, p. 143-154, Ta¬ vole 15. 18. „ Grassi B. e Rovelli G. — Bandwermerentwicklung. Centr. Bakt. Parasitk. Bd. 3, p. 173. 19. „ — — Intorno allo sviluppo dei Cestodi. Nota preliminare in: Atti Acc. Lincei Rend. (4), Voi. 4, Sem. 1, pagine 700-702. 20. „ — — La Bilharzia in Sicilia, in: Ati. Acc. Lincei, Rend. (Voi. 4 Sem. 1, p. 799. 21. „ — — Di un singolare Acaride “ Podapolipus reconditus, no- bis „ in: Bull. Soc. Ent. Ita!., A. 20, p. 59-63, Tav. 13. 22. „ Grassi B. e Rovelli, G. — Ciclo evolutivo della Taenia lepto- cephala. Catania 1888. 23. 1889. Grassi B. e Calandruccio. — Contribuzione allo studio della Struttura dell'organo olfattorio dei mammiferi in: Boll. Acc. Gioe- nia, 1889, fase. 4. 24. „ Grassi B. e Calandruccio. — Ciclo evolutivo d’una filaria del cane. Nota in: Boll. Acc. Gioenia, Catania 1889, fase. 6, p. 5-7. 25. „ Grassi B. e Castronovo. — Reazione di Golgi negli Invertebrati in: Boll. Acc. Gioenia, Catania 1889, fase. 9 e 10. 26. „ Grassi B. e Rovelli. — Tavola analitica dei Tisanuri italiani da noi finora riscontrati in: Boll. Soc. Entom. I tal. Voi. 21, 6 pagg. 27. „ — — Fmbryologische Forschungen an Cestoden in: Centr., Bakt. Parasitk. Bd. 5, p. 370-377, 401-410, 4, fi gg. 28. „ Grassi B. e Rovelli G. — Sviluppo del cisticerco e del cisti- cercoide. in: Atti Acc. Lincei, Rend. (4), Voi. 5, 1 Sem., p. 165-174, 4 figg- 29. „ — — / progenitori dei Miria podi e degli Insetti. Memoria 6. Il sistema dei 7 isanuri fondato sopratutto sullo studio dei Ti¬ sanuri Italiani, in: Natur. Sicil., A. 9, p. 25-41 53-68, p. 77-87, 105-124, T. 1-2. 30. „ Grassi B. e Castronovo A. — Beitrag zur Renntnis des Geru- schsorgans des Hundes in: Arch. Miks. Anat., Bd. 34, p. 385-390 Tav. 21. 31. 1S90. — — Dimostrazione di alcuni preparati fatti col metodo di Golgi in: Bull. Acc. Gioenia, Catania (2) Fase. 10, p. 3-4 32. „ Grassi e Feletti. — Parassiti della malaria negli uccelli in : Boll. Acc. Gioenia, Catania, 1890, fase. 13; anche in: Centralbl. Bakt. Parasitk., Bd. 9, p. 403-409, 423-433, 461-467. — 88 — 33. 1890. Grassi e Feletti. — Ueber di Parasiten der Malaria. Vorl. Mitth. in: Centralbl. Bakt. Parasikt., Bd. 7, p. 396-401, 430-435. 34. „ — — Ancora sai parassiti malarici degli Uccelli. Seconda nota preliminare in: Boll. Mens. Acc. Gioenia Catania, fase. 14, 5, pgg- 35. „ — — Sai parassiti della malaria. Aggiunta alla nota preli¬ minare in: Riforma medica, Marzo 1890. 36. 1890. — — Di un’Ameba che si trova in vita libera e che po¬ trebbe rapportarsi ai parassti malarici. Nota preliminare in : Boll. Mens. Acc. Gioenia, Catania fase. 14, 2 pgg. 37. „ — — Altre ricerche salta malaria in: Boll. Acc. Gioenia, Ca¬ tania, 1890, fase. 15. 38. „ — — Laverania Danilewsky. Centralbl. Bakt Parasitk., Bd. 7, p. 463. 39. 1890. Grassi e Calandruccio. — Uber Haematozoon Lewis. Ent- wickelangscyclas einer Filaria (Filaria recondita Grassi) des Hun- des in: Centralbl. Bakt. Parasitk. Bd. 7, p. 18-26, 17 fig. 40. 1891. Grassi B. e Feletti R. — Nuova contribuzione allo studio della malaria. Nota preliminare in: Boll. Acc. Gioenia, Catania, fase. 16, 4, pgg. 41. 1891. — — Inoculazione dei parassiti malarici da uccello ad uccello. Parassiti dei globuli rossi della rana in: Boll. Acc. Gioe¬ nia, Catania, fase. 18-19. 42. „ — — Parassiti malarici degli uccelli , Classificazione dei pa¬ rassiti malarici. Corpi flagellati in: Boll. Acc. Gioenia, Catania, fase. 18-19, 8 pagg. 43. 1891. Grassi, B. e Feletti, R. — Malariaparasiten in den Vògelti . Vorl. Mitth. in: Centralbl. Bakt. Parasitk., Bd. 9, p. 405-409, 429-433, 461-467. 44. „ — — Weiteres zur Malariafrage in: Centralbl. Bakt. Para¬ sitk. Bd. 10, p. 449-454, 481-488, 517-621. 45. „ — — Di alcuni metodi di colorazione dei parassiti malarici in: Riforma Med. Napoli, 1891, p. 75. 46. 1892. — — Contribuzione allo studio dei parassiti malarici in : Atti Acc. Gioenia, Catania (4) Voi. 5, 77 pagg., 1 Tav. 47. „ Grassi, B. e Rovelli G. — Ricerche embriologiche sui Cestodi. Memoria in: Atti Acc. Gioenia, Catania, Voi. 4, 109 pagg. con figure e 4 Tav. 48. „ Grassi, B. e Calandruccio, S. — Le Leptocefalide e la loro tra¬ sformazione in Murenoide. in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5) Voi. 1* Sem. 1, p. 375-379. 49. 1893. — Grassi, B. e Sandias, A. — Costituzione e sviluppo della Società dei Termitidi . Osservazioni sui loro costumi. Con un1 ap¬ pendice sui Protozoi parassiti dei Termitidi e sulla famiglia delle Embidine. in: Atti Acc. Gioenia, Catania (4) Voi. 6 e 7, 150 pp. 5 Tav. 50. „ Grassi B. e Calandruccio S. — Ulteriori ricerche sui Lepto¬ cefali. Seconda nota preliminare in: Atti Acc. Lincei Rend. (5) Voi. 2, Sem. 1, p. 450-452. 51. „ — — Fauna della provincia di Catania e delle regioni limi¬ trofe in: Boll. Acc. Gioenia, Catania, 1893, fas. 31. 52. „ — — Ancora sullo sviluppo dei murenoidi. 3a Nota in: Boll. Acc. Gioenia, Catania, 1893, fase. 34 e 35. 53. „ — — Intorno allo sviluppo dei Murenoidi , 4a nota in: Boll. Acc. Gioenia, 1893 fase. 34, 35. 54. 1894. — — Soluzione di un enigma antichissimo, ossia scoperta della metamorfosi dell' Anguilla, Venezia 1894. 55. „ — — Sullo sviluppo dei Merenoidi. 5 Nota preliminare in : Boll. Mens. Acc. Gioenia Catania, Fase. 37, 1 pag. 56. „ — — Sullo sviluppo dei Murenoidi. 6 Nota prelim. in: Boll. Mens. Acc. Gioenia Catania. Fase. 38, 2 pagg. 57. 1895. — — Abito di nozze delle anguille. Contribuzione allo svi¬ luppo dei Murenoidi in: Boll. Acc. Gioenia, Catania 1896, fase. 51. 58. 1896. — — Sullo sviluppo dei Murenoidi. in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5) Voi. 5, Sem. 1, p. 348-349. 59. „ Ulteriori studii sullo sviluppo dell' Anguilla e sul Grongo, in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5) Voi. 5, Sem. 2, p. 241. 60. 1897. — — Descrizione d' un Leptocephalus bi evirostris in via di trasformarsi in Anguilla vulgaris in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 6i, p. 239-240. 61. „ — — Ulteriori ricerche sulla metamorfosi dei murenoidi Nota, in-: A. Acc. Lincei, Rend. (5) Voi. 62, p. 43. 62. „ — — Riproduzione e metamorfosi delle anguille in: Giorn. Ital. Pesca e acquic. 1897, N. 7-8, 20 pagg. 63. „ — — Fortpflanzung und Metamorphose des Aales in : Allg. Fisch. Zeit. 1897, n. 21. 64. „ Grassi, B. e Sandias, A. — The Constitution and Development of thè Society of Termites: Observations on theirs Flabits ; with appendices on thè parasitic Protozoa af Termitidae and on thè Embiidae in: Q. Journ. Micr. Se. (2) Voi. 39, p. 245-322, Ta¬ vole 16-20; Voi. 40, p. 1-75. (Traduzione dal lav. del 1893 eseg. da W. F. H. Blandford). — 90 — 65. 1898. Grassi, B. e Dionisi, A. — Il Ciclo evolutivo degli Emospo- ridi in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5) Voi. 7, Sem. p. 308-313. 66. „ Grassi, B., Bastianelli, A., Bignami, A. — Coltivazione delle semilune malariche delVuomo /^//'Anopheles Claviger Fabr. {si¬ nonimo Anopheles maculipennis Meig.) Nota preliminare in : Atti Accad. Line. Rend. (5) Voi. 7, Sem. 2, p. 313-314. 67. „ Grassi B. e Calandruccio, S. — Ueber Eortpflanzung und Me- tamorphose der Aale in: Schweiz, Fisch. Zeit.. Bd. 6, p. 133-137, 149-152, 165-167, 176-180. V. anche: Danks, Fischerif. Med- lemsbl. Bd. 7. 68. 1899. Grassi B. e Dionisi A. — Le Cycle évolutif des Hémospori- dies. in: Ai eh. Ital. Biol., Tome 31, p. 248-254. 69. „ Grassi, B., Bastianelli, G., Bignami, A. — Cultivation des formes en croissant tnalariques de V Homme chez l Anopheles claviger Fabr. (sinonime Anopheles maculipennis Meig.). 70. „ — — Ulteriori ricerche sul ciclo dei parassiti malarici umani nel corpo dello Zanzarone in : Atti Acc. Lincei, Rend. (5) Voi. 8, Sem. 1, p. 21-28 anche: Arch. Ital. Biol. Tome 31, p. 259-268. 71. „ — — Resoconto degli studi fatti sulla malaria durante il mese di gennaio in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5) Voi. 8, Sem. 1, p. 100-104. 72. „ — — Ulteriori ricerche sulla malaria. 4 Nota preliminare. in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5) Voi. 8, Sem. 1, p. 434-438, anche: Arch. Ital. Biol., Tome 31, p. 248-254. 73. 1900. Grassi, B. e Martirano, Blessich, Druetti, Gilblas, Jacobelli e Marcovecchio. — Primo resoconto sommario dell esperimento contro la Malaria fatto nei dintorni di Pesto in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 9, seni. 2. Anche: Rivista Medica, Voi. 8 (suppl,). N. 9. e Centrbl. Bakt. Parasitk. Bd. 28, p. 535-541. 74. „ Grossi, B. e Noè, G. — Propagazione delle Filarie nel sangue esclusivamente per mezzo della puntura di peculiari Zanzare, in: Atti Acc. Lincei (5), Voi. 9, Sem. 2, p. 157-162; in tedesco an¬ che: Centralbl. Bakt., 1 Abth. 28 Bd. p. 652-657; in inglese an¬ che: Brith. Med. Journ. 1900, p. 1306-1307. 75. 1901. Grassi, B. e Martirano. — Relazione sull esperimento di pre¬ servazione dalla Malaria fatto sui ferrovieri nella Piana di Ca¬ pacci Tip. Civelli, Milano 1901, 56 pagg., 3 tav. 76. 1902. Grassi, B. e Barba Morrihy, Pittaluga, Noè e Riccioli.— Relazione dell esperimento di profilassi chimica contro l infezione malarica fatto ad Ostia nel 1901 Tip. Rancati , Milano 1902, 142 pagg. — 91 — 77. 1903. Grassi, B. e FoÀ. — Ricerche sul Cytorictes del Guarnieri in: A. Acc. Lincei, Rend. (25), Voi. 11 Sem. 1. p. 241. 78. „ Grassi B. e Munaron. — Ricerche preliminari dirette a preci¬ sare la causa del gozzo e del cretinismo endemici in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 12, Sem. 1. p. 478-482. 79. „ Grassi B. e Calandruccio. — Riproduzione e metamorfosi delle anguille in Acquic. Lombarda. Milano, Voi. 5, p. 57-58; 72-75; 110-111, 160-168. 80. 1904. Grassi B. e Munaron. — Ricerche preliminari dirette a pre¬ cisare la causa del gozzo e del cretinismo endemici. 2. Nota in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 13, Sem. 1, p. 57-65. 81. „ Grassi, B. e FoÀ, A. — Ricerche sulla riproduzione dei Flagel¬ lati. 1. Processo di divisione delle Joenie e forme affini. Nota preliminare, in: Atti Accad. Lincei, Rend. (5) Voi. 13, Sem. 2, pag. 241-253, 17 figg. 82. „ Grassi B. e Munaron. — Ricerche preliminari dirette a precisaxe le cause del gozzo e del cretinismo endemici. 3. Nota in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 13, Sem. 1, p. 687-688. 83. „ — — Ricerche preliminari dirette a precisate le cause del gozzo e del cretinismo endemici 4. Nota in: A. Acc. Lincei. Rend. (5) Voi. 13, Sem. 2, p. 571-576. 84. 1905. — — Uno sguardo alle nostre ricerche sul gozzo e sul cretinismo endemici in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 14, Sem. 1, p. 489-496. 85. 1907. — — Riassunto delle ricerche sulle fillossere e in parti¬ colare su quella della vite eseguite nel R. Osservatorio antifil- losserico di Fauglia fino all' agosto 1907 per incarico del Mi¬ nistero d' Agricoltura dal prof. Grassi [Direttore) e dalla Dott. Anna Foà [Assistente) in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 16, sem. 2, p. 305-317. V. anche in: Boll. Min. Agric. 1907, 13 pagg. 86. „ — — Inaspettata scoperta di una fillossera sulle radici della quercia. Nota in : A. Accad. Lincei, Rend. (5), Voi. 16, sem. 2» p. 429. 87. 1908. — — Ulteriori ricerche sulla fillossera della vite. Pro¬ duzione delle galle da parte delle radicicole. Differenza fra le fillossere e radicicole nelle varie stagioni dell'anno. Nota in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 17, sem. 1, p. 753-760. Anche in: Boll. Min. Agr. VII, Voi. 4, fase. 2, 6 pagg. 88. » Grassi, B. e Grandori. — Ulteriori ricerche sulle fillossere gal- lecole della vite in : A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 17, sem. 1, p. 760-770. — 92 — 89. 1998. Grassi, B. e Grandori. — Ulteriori ricerche sulla filossera gallecola della vite (dalla fine di maggio alla metà di luglio 1908 ) in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 17, seni. 2, p. 99-106. 90. „ Grassi, B. e FoÀ. — Ulteriori ricerche sulla fillossera della vite. 1. Ancora a proposito delle galle prodotte dalle radicicoP. — II. Lun¬ ghezza del rostro delle neonate. — III. Le punture delle fillos¬ sere. — IV. Madri radicicole con caratteri ninfali. — V. Quattro sole mute per arrivare alla alata. Differenziazione delle madri attere e delle alate in: A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 17, sem. 2, p. 349-359. 91. „ — — Sulla classificazione delle fillossere in: A. Acc. Lin¬ cei, Rend. (5), Voi. 17, sem. 2, p. 683-690 92. 1909. — — Le nostre ultime ricerche sulla fillossera della vitet fino al settembre 1909. Nola 17 in': A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi 18, seni. 2, p.. 161-169. Anche in: Boll. Min. Agric. Vili, Voi. 2, serie C, fase. 8. 93. „ Grassi, B., Cuboni, Danesi, Grimaldi, Paulsen e Ruggeri. — Re¬ lazione sull’inchiesta intorno alle cause dei deperimenti di alcuni portinnesti amaricani eseguita dalla commissione speciale nomi¬ nata con decreto 4 novembre 1908 in : Boll. Min. Agr. Vili, Voi. 2, serie A, fase. 27, 18 pagg. 94. 1911. Grassi, B., Foà, A. e Topi, M. — Studii sulla diffusione spon¬ tanea della fillossera. Nota 26 in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 20, 1° Sem., p. 305-310. 95. „ Grassi, B. e Topi, M. — Nuovi studii sulla diffusione spon¬ tanea della fillossera. Nota 27 in: Alti Acc. Lincei Rend. (5) Voi. 20, 2° Sem. p. 603-611. 96. „ Grassi, B. e Foà, A. — Schemi del ciclo evolutivo di alcune fil- losserine. (Phylloxeiinini, Parthenophylloxera ilicis, Acanthaphis spinulosa e Phylloxera quercus). Nota 28 in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5) Voi. 20, Sem. 2, p. 611-617. 97. „ — — Intorno ai Protozoi dei Termitidi. Nota preliminare. in: Atti Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 20, Sem. 1°, p. 725-741. 98. 1912. Grassi, B., Foà, A., Grandori, R., Bonfigli, B., Topi, M. — Contributo alla conoscenza delle fillosserinet ed in particolare della fillossera della vite. Roma, 456 pgg. fig. e 19 Tav.; seguito da un riassunto teorico-pratico della biologia della fillossera della vite di A. Foà, 75 p., 12 fig., 1 Tav. 99. 1915. Grassi, B. e Miraldi. — Nuova contribuzione all'etiologia del gozzisrfio in: Annali d'igiene Sperim. Voi. 25, fase. 3, Anno 1915. — 93 — 100. 1917. Grassi, B. e Topi M. — Esistono diverse razze di fillossera della vite? in: Atti Acc. Line. Rend. Voi. 26, Sem. 1, p. 265-278. 101. „ Grassi, B. e Zanoni, A. — Nuovo contributo allo studio del gozzismo . Nota preliminare in: Atti R. Acc. Lincei Rend. (5) Voi. 26, Sem. 1, p. 448-486. 102. 1920. Grassi, B. e Presbitero. — Provvedimenti in favore della pesca e del pescatore. Relazione in : Atti parlamentari, Senato, Tornata 7 luglio 1920. 103. „ Grassi, B. e Sella, M. — Seconda relazione della lotta anti¬ malarica a Fiumicino {Roma), Tip. d. Senato, Roma 1920, 314 pagg. 11 Tav. 104. 1924. Grassi, B. e Topi. — Le due specie di fillossera della vite distinte dal Borner sono inconsistenti in A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 33, seni. 1, p. 81-83. 105. „ Grassi, B. e Topi. — Esperimenti sulle presunte diverse razze o specie di fillossera della vite in : A. Acc. Lincei, Rend. (5), Voi. 33, sem. 1, p. 47-52. Finito di stampare il 30 dicembre 1920 Poi. ice G. — La membrana limitante esterna e la guaina degli ele¬ menti visivi nella retina dell'Axolotl di Amblystoma me- xicanus . pag. 246 Guadagno M. — 11 pozzo artesiano della Centrale elettrica del Volturno , . . . . „ 250 Imbò G. — Pireliometro " Abbot „ a disco d'argento . . . „ 267 JUCCI C e Lo Tito A. - Correlazione tra caratteri dello sviluppo larvale e caratteri della ovificazione (numero e peso delle uova) nella F, d' incroci tra. razze di bachi da seta a 3 e a 4 mute . . - . . . „ 280 Z IR polo G. — Di una nuova Silicospugna del Golfo di Napoli ( Mi - crocordyla asteriae n. g. n. sp.) . . . . . „ 287 Fedele M. — Thaliacea nuovi o rari del Golfo di Napoli . . „ / 291 — — Su di un nuovo Holotrica parassita dei ciechi epàto-pan- creaticrdi Caliphylla mediterranea A. Costa: ( Crypto - stoma caliphyUae n. g., n. sp.) . . . . . „ 302 COMUNICAZIONI VERBALI Parascandola à. — Sul tufo del cratere di Socciaro. _ (Isola di Procida) ^ . pag. 3 Milone U. — 1. Su i frigoriferi e su le carni ed i pesci congelati. „ 5 — — 2. Sullo zucchero cristallino e sullo zucchero granulato. „ 6 — — 3- Composizione di un inchiostro fotorotocalco . 8 Marcucci E. — Rigenerazione in Tritoni adulti di arti in seguito a trapianto eterotopi :o - omolaterale della loro porzione distale .... ..... „ 9 RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1926 : . . Consiglio Direttivo per ranno 1927 . . Elenco dei socii . Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambip e in dono. APPENDICE Fiore M. — Sulla morfologia del sistema conduttore delle piante vascolari . . k . pag. 1 Del Regno W. — Il viaggio del u N orge „ . . . . „ 39 Police G. — Camillo Golgi . . 47 Fedele M. — L'opera e gli insegnamenti di G. B. Grassi. . „ 59 Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al SEGRETARIO DELLA SOCIETÀ' Dr. Mario Salfi presso la Sede R. Università — Via Mezzocannoqe - Napoli. Direttore responsabile: Claudio Gargano pag . IH ,/ S-XVH „ XIX „ III-XIV