Historic, Archive Document Do not assume content reflects current scientific knowledge, policies, or practices. VOLUME XXXIX (SERIE II, VOL. XIX) ANNO XLI Con 19 tavole (Pubblicato il 30 gennaio 1928) uvvea.Ti6AN&o' INyENlEi j NAPOLI OFFICINA CROMOTIPOGRAFICA - ALDINA Piazzetta Casanova a S. Sebastiano 2-4 192^ INDICE ATTI (MEMORIE E NOTE) Ranzi S. — Nuovo Tubellario Policlade del Golfo di Napoli ((Qte- stoplana raff aelei n. sp.) ....... pag. 3 Viggiani G. — L'avvicendamento delle culture a Perugia dal punto di vista ecologico nei riguardi del rendimento del grano „ 12 Pierantoni U. — Osservazioni sui cosiddetti globuli del tifarlo o piastrine di Bnjo viridis . . ... . . „ 23 Fiore M. — Dicotomia e fasciazione foliare in Scolopendrium vul¬ gate L. . ... . . . . . . „ 28 Del Regno W. — Sul comportamento del Selenio eccitato con so¬ stanze radioattive . . . . . . . . . „ 59 De Fiore O. — Linosa (Isole Pelagie) . . . . . . M 65 Salfi M. — Ortotteri di Linosa (Isole Pelagie) . . . . . " „ 140 — — Sii due nuovi Ascidiacei del Golfo di Napoji . . . ,,145 Augusti S. — Studi e ricerche sperimentali sul Myrtus communis L. var. italica . . ... . . . . ,,149 Andreotti A. — Curva delle massime quantità di pioggia, corri¬ spondenti a determinate durate per Napoli . . . „ 1 54^ Majo E. — Sul periodo diurno della pioggia a Napoli . . . „ 160 Pierantoni U. — Osservazioni sui corpuscoli del tuorlo di Rana esculenta. Esperienze di cultura . ,,167 Viggiani G. — Determinazione sperimentale delle costanti ecologi¬ che della patata. . .... . . . „ 171 Zirpolo Q. — Caso di eteromorfosi in un Astropecten aurantia - cus L. . . „ 195 Augusti S. — Ricerche sperimentali sul Lichene Islandieo e sulle sue possibili applicazioni in tintoria . . „ 207 Majo E. — Studio comparativo sulle variazioni della quantità e della frequenza annuale della pioggia in varie città d' Italia . „ 211 Salfi M. — Contribuzioni alla conoscenza degli Ortotteri libici. - 4. Blattidae ed ACrididae di Cirenaica ... . „ 225 Colosi G. — Nota sopra alcuni Vaginulidi . . . . . „ 271 Police G. — Sull'apparato bucco-faringeo del Phalangium opilio L. „ 280 Garoano-'C. — Plastiche gastriche con lembi di aponevrosi fissata. ,, 365 — — Innesto di tessuto testicolare in glandola mammaria, di cane . . . . . . . . . . . „ 389 B O L L E T T I N DELLA SOCIETÀ DEI 4 . . . ■ ' ■ ■ BOLLETTINO DELLA T\n\ i FA DE NATURALISTI I1V NAPOLI VOLUME XXXIX (SERIE II, VOL. XIX). ANNO XLI 1927 Con 19 tavole (Pubblicato il 30 gennaio 1928) NAPOLI OFFICINA CROMOTIPOGRAF1CA " ALDINA , Piazzetta Casanova a S. Sebastiano 2-4 192^ AJJtfP • . * • * • * i *« • *• • •“ ■ , ' " * 'T / ■ ' ' ■ 250442 Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli ATTI (MEMORIE E NOTE) i . . . Nuovo Turbellario Policlade del Golfo di Napoli ( Cestoplana raff aelei n. sp.) del socio Dott. Silvio Ranzi (Con 1 tavola) (Tornata del 2 dicembre 1926) Il 22 luglio 1926, nel piccolo porto di Mergellina (Napoli) rompendo un palo, furono trovate alcune planarie allungate, nastri¬ formi, che vivevano nelle gallerie scavate dalle teredini e che in grande abbondanza si potevano raccogliere, tanto che da pochi pali me ne potetti procurare un numero grandissimo, molte delle quali conservai. Dal primo esame sommario, fattone, risultò che erano da attribuirsi al genere Cestoplana Lang 1884 >), ed io mi accorsi che certamente esse non corrispondevano a nessuna delle sei specie di questo genere, nè alla Cestoplana trovata dalla Jacu- bowa (1906) e non descritta. Credo utile esporre, riportandoli dagli Aa. che le hanno de¬ scritte, i caratteri delle sei specie note, almeno quelli che pos- * sono servire a distinguerle tra loro e da quella trovata da me: La Cestoplana rubrocinctata (Grube 1840), rossastra con stri¬ sele rosse sul dorso, bianco sporca sul ventre, raggiunge 7 cm. di lunghezza su 0,4, -0,5 cm. di larghezza. Gli occhi sono molto piccoli, posti sulla faccia superiore dell'estremità anteriore, e si estendono anche caudalmente al cervello. La bocca si apre nel¬ l'ultimo terzo del corpo e caudalmente a lei è l’apertura geni¬ tale maschile e la femminile. E’ stata trovata nel Mediterraneo !) Ringrazio il prof. M. Fedele per aver messo a mia disposizione questo materiale. — 4 - (Grube 1840, Lang 1884), sulle coste europee dell’Oceano Atlan¬ tico (Hallez 1893) e nelle Isole del Capo Verde (Laidlaw 1906). La Cestoplana faraglionensis Lang 1884, rosso bruna o giallo bruna sul dorso, con una striscia mediana rossastra, e or¬ lata di bianco, raggiunge 4 cm. di lunghezza, per 0,3 cm. di larghezza. Gli occhi sono di differenti dimensioni, quelli posti sui gangli cerebrali molto piccoli, altri posti anteriormente a questi più grandi. Per gli altri caratteri la C. faraglionensis è simile alla C. rubrocinctata. Vive nel golfo di Napoli (Lang 1884). Sulla Cestoplana ceylanica Laidlaw 1902 si hanno ben po¬ chi dati, essa sarebbe abbastanza simile alla C. rubrocinctata , alla quale si avvicinerebbe per la disposizione degli occhi. L’u¬ nico esemplare catturato è lungo 6,5 mm., largo 0,9 mm; conser¬ vato in alcool appariva grigio scuro con un orlo quasi nero. E’ stato preso a Ceylon (Laidlaw 1902). Anche sulla Cestoplana filoformis Laidlaw 1903 non si hanno maggiori notizie, essa sarebbe abbastanza simile alla C. rubro¬ cinctata . E' lunga 2,5 cm., larga 0,3 cm., bianco crema, con striscie giallo chiare nel dorso, la posizione degli occhi non è nota poiché l’estremità anteriore dell'unico esemplare studiato non era ben conservata. E' stata catturata sulle coste africane dell'Oceano Indiano (Laidlaw 1903). La Cestoplana australis Haswell 1907 è lunga 2 cm. lar¬ ga 0,3 cm., è grigiastra con striscie rosse, per i caratteri si av¬ vicinerebbe alla C. rubrocinctata. La faccia dorsale dell'estremità anteriore è coperta di piccoli occhi. Vive sulle coste Pacifiche dell’Australia (Haswell 1907). La Cestoplana polypora Meyer 1921 bruna, lunga 10 cm. larga cm. 2 presenta, caudalmente alla bocca, che si apre nel- l'ultimo terzo del corpo, lo sbocco dell'apparato genitale ma¬ schile e caudalmente a questo da 5 a 30 fori, che rappresenta¬ no altrettanti sbocchi dell’apparato genitale femminile. Questo carattere differenzia la C. polypora da tutte le altre specie nelle quali l'apparato sessuale è descritto (per C. ceylanica , C. fili¬ formi e C. australis gli Aa. non si occupano in modo speciale di questo apparato), e mi lascia un pò scettico nella legittimità dell ’atti ibuire questa specie al genere Cestoplana . Vive nel Mar Rosso (Meyer 1921). Jt ♦ 5 — La specie da me studiata, e per la quale propongo il nome di Cestoplana raffaelei dedicandola al mio Maestro Prof. Fe¬ derico Raffaele, si presenta, ad un'osservazione superficiale, sulla sua faccia dorsale bruna scura punteggiata, con margini più chiari (fig. 1); a volte è presente una linea più chiara longitu¬ dinale, nel mezzo della faccia dorsale, linea che può essere più o meno pronunciata. La faccia ventrale (fig. 2) è bianco-sporca con tendenza al giallastro. Osservando l'animale sotto il micro¬ scopio binoculare si vede che il colore della superficie dorsale è dovuto a macchie stellate di pigmento bruno scurissimo, quasi nero, poste su di uno sfondo bianco-giallastro (fig. 3), come la pelle della superficie ventrale. Queste macchie di pigmento si presentano più fitte sui due lati della linea mediana nella quale possono scarseggiare, o mancare del tutto, sono poi meno fitte nella zona immediatamente laterale, e divengono nuovamente fitte nella zona che precede il margine del corpo che, per la man¬ canza di macchie, appare bianco-giallastro. La lunghezza massima, che ho misurato, è di 110 mm., la minima (in animale intero) 60 mm. Le larghezze corrispondenti • ♦ sono 4 mm. e 2,5 mm. Le misure si riferiscono ad animali vivi e in movimento; aumentando un poco la larghezza a detrimento della lunghezza in animali contratti o fissati. Sulla faccia dorsale dell'estremità anteriore (fig. 3) sono mol¬ tissimi occhi (circa 200), raggruppati in parte in una fascia posta anteriormente, lungo il margine. Sull'orlo però non pigmentato non si trovano mai occhi, quindi la parte più prossima al margine del corpo è, come in tutte le altre cestoplane, priva di occhi. Un altro gruppo molto rilevante di occhi, generalmente più gran¬ di di quelli marginali, trovasi, dorsalmente al ganglio cerebrale, su di una specie di protuberanza impari non pigmentata e di color bianco trasparente, che si trova al di sopra di esso. L'ammasso di occhi da questo punto si estende per piccolo tratto verso l'estremità anteriore, segue una zona in cui gli occhi sono relativamente scarsi e si giunge poi alla zona marginale. Lo sbocco dell'apparato riproduttore maschile, unica apertura che sia ben riconoscibile dall' esterno sul vivo, senza aiuto di lente, si apre sempre nella metà più anteriore del corpo (fig. 2). La bocca, appena visibile, 6 — anche in animali diafanizzati ed osservati al microscopio, è a circa mezza distanza tra lo sbocco dell'apparato riproduttore maschile e l'estremità cefalica, ma generalmente più prossima a questa; quindi la bocca si apre nel primo quarto del corpo, carattere che differenzia questa Cestoplana da tutte le altre cesto- piane descritte, nelle quali essa si trova nell' ultimo terzo del corpo, tanto che questo carattere è stato dal Lang (1884) segnato come carattere generico e ritenuto per tale dagli AA. successivi. Poco caudalmente all'apertura genitale maschile è lo sbocco del¬ l'apparato genitale femminile, che è unico. Per i caratteri dei diversi organi, quali risultano dallo studio di animali debitamente sezionati, ho poco da notare, perchè i caratteri rispecchiano abbastanza quelli descritti da Lang (1884) e dalla Meyer(1921) per Cestoplana rubrocinctata e C. polypora. Il faringe è molto allungato secondo 1' asse cefalocaudale, la bocca si apre quasi in mezzo ad esso ed ha la forma di una sottile fessura lunga e stretta. L’ epitelio cilindrico, che riveste il corpo, si estende verso l'interno, solo a formare le pareti del canale boccale p. d., mentre la tasca del faringe , ed il faringe stesso, sono rivestiti da un epitelio piatto. L'apparato riproduttore maschile (fig. 4) presenta un pene iner¬ me, che sbocca in un antro ben sviluppato, tappezzato da un epite¬ lio cibato, simile a quello che riveste il corpo. Le sue pareti si pre¬ sentano però solcate da pieghe, determinate dal differente svi¬ luppo delle cellule, che compongono l'epitelio, e dirette longi¬ tudinalmente dall'esterno verso il fondo dell'antro. La tasca del pene è ben sviluppata, tappezzata da un epitelio cubico. Il pene, rivolto in avanti (carattere questo del genere), è conico, piutto¬ sto sottile e si presenta, all'esterno e all'interno, rivestito da uno strato di cellule piatte, mentre il suo corpo è fatto da tessuto muscolare. Il condotto eiaculatore dal pene piega, dirigendosi in avanti, verso l'estremità anteriore dell’animale e si presenta, nella parte più prossima al pene, tapezzato da un epitelio cilin¬ drico, non molto alto, le cui cellule presentano caratteri di cel¬ lule in attiva secrezione, mentre tutto l'epitelio è rivestito da uno spesso coagulo, che dimostra una forte affinità coi colori pro¬ toplasmatici e che lascia libero solo un lume strettissimo sul¬ l'asse del condotto; questa zona rappresenta la ghiandola gra- — 7 — nulosa. Il condotto è rivestito all' esterno da uno spesso strato di cellule muscolari disposte in prevalenza circolarmente. Dopo la ghiandola granulosa il condotto eiaculatore si allarga nella ve¬ scicola seminale, mentre le cellule del suo epitelio divengono piatte ed il mantello di fibre muscolari più spesso; la vescicola seminale termina a fondo cieco. Poco prima della sua fine, sui due lati, nella zona ventrale, si aprono in lei i due deferenti, ognuno dei quali ha le pareti costituite da un epitelio, con cel¬ lule piuttosto alte, e dopo un breve decorso tortuoso si dilata in una larga cavità. Queste due larghe cavità, che debbono con¬ siderarsi per dilatazioni dei deferenti, si estendono, poste simme¬ tricamente sui lati del corpo, in direzione anteriore fin quasi al faringe e si ramificano in larghi canali che si anastomizzano co¬ stituendo una rete. La loro parete è costituita da un epitelio cu¬ bico, unistratificato, le cui cellule appaiono in attiva secrezione. I deferenti, negli animali che ho sezionato, apparivano pieni di una gran massa di spermi, come anche tale appariva la vesci¬ cola seminale. L'apparato riproduttore femminile (fig. 4) sbocca a poca di¬ stanza in direzione caudale dal maschile; la parte più prossima allo sbocco è costituita da uno stretto canale, ripieno di un forte coagulo e tappezzato da un epitelio cilindrico con protoplasma intensamente colorabile con eosina; essa rappresenta la zona della ghiandola del guscio. Intorno a questo canale si trova infatti una massa di grandi cellule a protoplasma intensamente colorabile, disposte secondo la descrizione data da Lang (1884). Il canale genitale femminile si dirige dall'orificio obliqua¬ mente in direzione caudale e, ad un certo punto, le cellule del suo epilelio divengono leggermente più basse ed il loro proto¬ plasma vacuoloso e meno colorabile con l'eosina, mentre l'invo¬ lucro di cellule della ghiandola del guscio termina. Il tubo con questi caratteri istologici percorre un breve tratto in direzione caudale e va poi a sboccare nella cavità intestinale. Poco dopo la fine della ghiandola del guscio, dalla superficie ventrale del condotto genitale femminile parte un altro condotto, che si di¬ rige in direzione cefalica e che biforcandosi forma due altri con¬ dotti molto lunghi che, restando uno a destra l'altro a sinistra, si estendono sui lati dell'organo copulatore e più oltre, passando 8 ventralmente ai deferenti, per buon tratto della lunghezza di que¬ sti. Questi due condotti, che presentano gli stessi caratteri isto¬ logici del condotto che fa comunicare 1' apparato genitale fem¬ minile con rintestino, non mandano nessun diverticolo ed hanno un lume di un calibro quasi costante per tutta la loro lunghezza: essi sono gli uteri, ma in essi, in nessuno degli esemplari stu¬ diati (raccolti tutti tra la fine del luglio e i primi di agosto), ho trovato uova. Oli ovari e i testicoli sono posti nel parenchima, presso la faccia dorsale del corpo, al disopra dell'intestino. In base a quanto ho detto possiamo dare per la Cestopla¬ na raffaelei n. sp. la seguente diagnosi: Cestoplana piuttosto grande (lunga 110-60 mm., larga 4-2,5 mm. ) bruna scura sul dorso, bianco giallastra sul ventre. Gli occhi sono di differenti dimensioni, quelli in corrispondenza del ganglio generalmente più gran¬ di. Bocca nel quarto anteriore del corpo. Orifi¬ cio genitale maschile nella metà anteriore del clorpo. Orificio femminile unico a pochissima di¬ stanza dal maschile. I deferenti sono fortemente dilatati (almeno durante un periodo del ciclo sessuale). Gli uteri sono molto lunghi. L'appara-- rato genitale femminile comunica mediante un condotto con l’intestino. Vive nel Golfo di Napoli; nel luglio presenta spermatozoi maturi. Il carattere: bocca nel quarto anteriore del cor¬ po è in contrasto coi caratteri del genere Cestoplana (che val¬ gono anche per la famiglia, contenendo questa un solo genere) posti da Lang (1884) ed accettati universalmente fino ad oggi anche dal Bock (1913), il quale a questo proposito nella sua re¬ visione dei Policladi scrive: “ Der Mund und die kurze Pharyn- gealtasche weit hinten in der Nahe des hinteren Korperendes „. Sembrerebbe per questo carattere non potersi ascrivere la spe¬ cie, che ho descritta, al genere Cestoplana , ma poiché è questo l'unico contrasto, che, si presenta con la diagnosi del genere, e, poiché tutti gli altri caratteri di tutti gli altri sistemi concor¬ dano pienamente, anche quelli dei quali, per brevità, non avendo nulla di speciale da dire non ho parlato , io credo poter attri- 9 — buire anche questa specie, al genere Cestoplana modificando leggermente il carattere generico e dicendo che la bocca, che spesso è nella metà posteriore del corpo (le sei specie precedentemente note), può però anche essere nell'anteriore, ma essa è sempre a breve distan¬ za dagli sbocchi dell'apparato genitale. Dalla Stazione Zoologica di Napoli , dicembre 1926. — 10 — LAVORI CITATI 1913. Bock S. — Studien ueber Polycladen. Zoolog. Bidrag Uppsala. Bd. 2. 1840. Grube E. — Actinien, Fchinodermen and Warner des Adriatischen and Mittelmeeres. Kònigsberg. 1890. Hallez P. — Catalogne des Tarbellariés ( Rhabdocoelides , Tricla- des et Polyclades) da Nord de la F rance et de la Cote Boato n- tiaise récoltés jonsq'à cejoar. Rev. Biol. Nord France. Tome 2. 1907. Haswell W. A. — Observations oti Australian Polyclads. Trans. Linnean Soc. London. Ser. 2 Voi. 9 Zoology. 1906. Jacubowa L, — Polycladen von Nea-Britannien and Nea-Cale- donien. Jenaische Zeit. Naturw. Bd. 41. 1902. Laidlaw F. F .— The marine Tarbellaria, with ari accoant of thè Anatomy of some of thè species. Fauna and Geogr. of Maldive and Laccadive Arcipelagoes. Voi. 1, Part. 3. 1993. — — On thè Marine Faatia of Zanzibar and Britisch Fast Africa , from Collections triade by Cyril Crossland in thè Years 1901 and 1902. Tarbellaria Polycladida. Part . I Acotylea. Proc. Zool. Soc. London 1903 (2). 1906. — — On thè Marine Faana of thè Cape Verde Islands from collections triade in 1904 by Mr. C. Crossland' s. The Pholyclad Tarbellaria. Proc. Zool. Soc. London 1906 (2). 1884. Lang A. — Die Polycladen (. Seeplanarien ) des Golfes von Neapel and der Angenzenden Meeresabschnitte. Fauna und Flora Golf. Neapel. 1 1 Mon. 1921. Meyer F. — Polycladen von Koseir ( Rotes Meer) ( Kollektion Professor Kiunzitiger). Arch. Naturgeschichte. Abt. A. Bd. 87, Heft. 10. — 11 — Spiegaziore delle Figure (Tav. 1) a. , antro genitale maschile. b. , bocca c. , condotto che fa comunicare l'apparato genitale femminile con l’intestino. d. , deferenti. d. d., dilatazioni dei deferenti ripiene di sperma. g. gr-> ghiandola granulosa. g. glLt ghiandola del guscio. u. , uteri. v. , vescicola seminale. cfi orificio genitale maschile. 9, orificio genitale femminile. Fig. 1. - Cestoplana raffaelei n. sp. vista dalla faccia dorsale (x 2). Fig. 2. - Cestoplana raffaelei n. sp. vista dalla faccia ventrale (x 2). Fig. 3. - Estremità anteriore di Cestoplana raffaelei n. sp.: si vede l’ammassa¬ mento degli occhi in corrispondenza del ganglio (x 15). Fig. 4. — Apparato genitale di Cestoplana raffaelei n. sp.: visto dalla faccia ventrale. Le dilatazioni dei deferenti (d. d.) sono alquanto schematiz¬ zate nelle loro ramificazioni. Le cellule della ghiandola del guscio for¬ mando intorno al condotto (g. gu.) un vasto alone che non è indicato nella figura. Lo sbocco dell'apparato genitale femminile nell’ intestino è all'estremo del condotto c. (x 25). i (Finito di stampare il 30 marzo 1927) L’avvicendamento delle culture a Perugia dal punto di vista ecologico nei riguardi del rendimento del grano del socio Dott. Gioacchino Viggiani (Tornata ordinaria del 2 dicembre 1926) Scopo del presente lavoro è la ricerca dell' influenza che esercita sul rendimento del grano la coltura che ad esso pre¬ cede nel senso di attenuare o esaltare l'azione sfavorevole delle avversità ambientali. Materiale usato e divisione del lavor o. — Si è uti¬ lizzato il materiale raccolto dal Prof. Vivenza in un ventennio di esperienze nel campo sperimentale del R. Istituto Agrario di Perugia. Esso riguarda il rendimento in granella del frumento dopo nove culture differenti, facenti parte di altrettanti rotazioni. 1 dati meteorologici raccolti nell' Osservatorio meteorico annesso alla cattedra di ecologia agraria, riguardano la temperatura e la pioggia del ventennio 1901-1920. Per distinguere l'azione esercitata dai fattori meteorici da quella prodotta dalle diverse concimazioni minerali, si è tenuto conto, nell'esame dei dati di produzione, soltanto di quelli delle parcelle che non avevano ricevuto alcuna concimazione chimica all’infuori della comune letamazione al turno del rinnovo. Il lavoro si basa sul metodo della Ecologia Agraria e si di¬ vide nelle seguenti parti: 1) Considerazioni generali; 2) Influen¬ za esercitata dalla pioggia e dalla temperatura sul rendimento in granella del frumento dopo varie culture; 3) Conclusioni e deduzioni. — 13 — Questo studio presuppone, naturalmente, la divisione in sot¬ toperiodi del periodo vegetativo del frumento a Perugia. Considerazioni generali. — Si è studiato il rendimen¬ to in granella del frumento che succede alle seguenti culture: fava, trifoglio, lupinella, sulla, barbabietola da zucchero, canapa, lino, granturco e frumento. Da un esame comparativo dei dati del rendimento in gra¬ nella del frumento dopo le diverse culture sopra menzionate e nei ventanni del periodo in esame, ne sono risultati i dati che si riportano nella seguente tabella, in cui la frequenza vien ri¬ ferita a 100. Cultura precedente Raccolti elevati Raccolti medi Raccolti scarsi Lupinella 45 40 15 Lino 45 40 15 Fava 35 35 30 Sulla 35 45 20 Canapa 30 40 30 Granturco 30 50 20 Trifoglio 25 50 40 Barbabietola 10 50 40 Frumento 10 45 45 I dati qui elencati ne indicano come il maggior numero di raccolti elevati si sia avuto dopo la successione del frumento alla lupinella e al lino; mentre la più alta frequenza di raccolti scarsi, l’ha data il frumento che succede a sè stesso. Comincia così subito a delinearsi la netta differenza che esiste fra una cultura precedente di lupinella e una di frumento; in altri termini, essendo uniformi tutte le condizioni di fertilità e di spe¬ rimentazione, si deve ammettere che i fattori meteorici influen¬ zano in modo vario il rendimento del frumento, a seconda della cultura che lo ha preceduto. L'avvicendamento delle culture, considerato dal punto di vi¬ sta ecologico, assume perciò un’importanza fondamentale nella impostazione di una qualsiasi rotazione in una determinata re¬ gione. Col presente lavoro, si vuol portare un contributo alla in¬ dividuazione del problema. Il periodo vegetativo del frumento, a Perugia, si può di¬ videre nei seguenti quattro sottoperiodi : I. sottoperiodo : dalla germinazione all' accestimento che s' inizia (Ottobre-Novembre); II. sottoperiodo: Accestimento (Decembre- Marzo); III. sottope¬ riodo: dall’inizio della levata alla spigatura (Aprile-Maggio); IV. sottoperiodo: dalla spigatura al raccolto (Giugno-Luglio). Nel primo sottoperiodo, a Perugia, nell'intero ventennio, non si lamentarono mai danni per causa di eccesso o di deficienza idrica o termica. La cultura precedente sembra influire sul rendimento del frumento soltanto per via indiretta, e cioè per quanto contribui¬ sce a determinare un letto di semina più o meno buono. Nessuna valutazione dell’effetto prodotto dalle differenti cul¬ ture nell’attenuare o esaltare l’influenza dei fattori meteorici, è possibile con i dati generici di cui si dispone. Certo è che in questo sottoperiodo, a Perugia, la tempe¬ ratura e la pioggia non hanno sul rendimento in granella del frumento, quell'influenza che gli stessi fattori esercitano in ma¬ niera decisiva in altre regioni d'Italia. Nel periodo dell'accestimento, che a Perugia va dai primi di Dicembre fino a tutto Marzo, si ebbero a lamentare deficienze di pioggia e di temperatura. Agli effetti di queste avversità am¬ bientali, e nei riguardi del rendimento in granella del frumento, esercitano una notevole influenza le culture che hanno prece¬ duto il grano. Così per quanto riguarda la siccità invernale — che, accompagnata generalmente da temperature piuttosto elevate, spinge il grano ad una precoce levata con danno evidente di un buon accestimento, — nel ventennio in esame essa si verificò una volta e dopo la cultura di frumento, il che significa che il grano che succede a sè stesso, è molto suscettibile alla siccità durante l’epoca dell’ accestimento. In questo unico anno (1913) caddero appena, nel periodo dicembre-marzo, circa 34 mm. di pioggia mensile, nel mentre la temperatura si mantenne abbastanza ele¬ vata, (circa 7°C. in dicembre- gennaio; 4°C. in febbraio; e circa 10"C. in marzo) e la massima raggiunse valori eccezionali (12° in febbraio; 19° in marzo). Le deficienze di temperature durante l'accestimento avven- — 15 — gono con scarsa frequenza. Una maggiore intensità del danno si ha dopo culture di barbabietola e di canapa nel mentre, dopo il mais, il grano non ne risente alcuna sfavorevole azione. Così per esempio, nel 1905 temperature minime di — 9,5 e — 8,2 in gennaio agirono dannosamente sul grano che succedeva alla ca¬ napa (si ebbe un raccolto scarsissimo) nel mentre le stesse tem¬ perature non colpirono il frumento che veniva dopo il mais, che nello stesso anno dette uno dei raccolti più elevati del ventennio. La predisposizione del frumento a subire i danni delle ge¬ late invernali dopo culture di canapa e barbabietola si può forse attribuire alle esigenze culturali delle due piante su menzionate che si raccolgono in estate inoltrata o addirittura in autunno, e perciò fanno sì che il terreno non possa essere ben preparato per la semina del grano, che dovrà essere perciò ri¬ tardata, con evidente danno delle piantine di frumento esposte, ancora tenere, ai rigori invernali. Anche per il secondo sottoperiodo resta in definitiva con¬ fermato quanto s'era detto per il primo: che cioè l'influenza della cultura precedente nell'attenuare o esaltare i danni esercitati dalle avversità atmosferiche sul frumento, è, senza alcun dubbio, es¬ senzialmente indiretta. Il terzo sottoperiodo, che va dalla fine dello accestimento — con conseguente inizio della levata — fino alla spigatura effet¬ tuata, comprende la fase più delicata di tutto il periodo vege¬ tativo del frumento. E’ nei venti giorni, infatti, che precedono la fuoruscita della spiga dagli invogli foliari che, come su nu¬ merose varietà di grano ha sperimentalmente dimostrato l'Azzi, cade il periodo critico del frumento rispetto alla pioggia. Se in questo periodo cadono meno di 45-50 mm. di pioggia, il rac¬ colto è definitivamente compromesso, qual si sia stato 1' anda¬ mento della stagione prima e dopo questa epoca. A Perugia la spigatura avviene di regola intorno al 20 Maggio; sono perciò le due prime decadi di questo mese che decidono del raccolto. E’ interessantissimo il rilievo dell'influenza esercitata dalla cultura precedente al frumento nell'attenuare o esaltare il danno del secco durante il periodo critico. Tale rilievo si presenta facile e induttivo dopo un accurato esame delle annate in cui, durante le due prime decadi di Maggio, — 16 ebbe a verificarsi una precipitazione inferiore ai 45 mm. di pioggia. Nella tabella seguente sono riportate, per le sette annate a scarsa precipitazione nelle due prime decadi di Maggio, la pro¬ duzione in granella del frumento che succedeva a ciascuna delle nove culture in rotazione. Tabella. — Prodotto in granella (Q.li per Ha) del frumento dopo varie cul¬ ture in sette annate in cui si ebbe a verificare la siccità durante il perio¬ do critico (meno di 40 mm. di pioggia). Cultura precedente 1901 1908 1909 1912 1916 ■ 1917 1920 Fava 15,00 23,60 20,12 23,80 11,80 18,40 16,00 Barbabietola 18,96 15,72 12,30 19,90 17,16 12,60 23,16 Mais 19,37 19,84 22,20 20,51 17,57 13,36 20,89 Trifoglio 21,96 25,42 22,17 24,10 20,22 24,10 24,06 Lupinella 18,80 29,45 23,65 22,35 22,20 22,35 24,45 Sulla 14,56 17,41 24,22 17,95 27,98 17,95 20,45 Canapa 17,04 29,04 28,32 23,50 21,42 19,60 20,50 Lino 23,38 27,02 15,38 25,70 22,86 18,40 23,70 Frumento 11,62 21,56 21,49 19,30 17,78 13,70 16,10 Dall’ esame dei dati qui elencati ne conseguono interes¬ santissime deduzioni che qui si riportano: 1. Innanzi tutto si osserva che il frumento risente maggiormente i danni del secco primaverile quando succede alla barbabietola da zucchero ed a sè stesso. Infatti si ebbero raccolti scarsi 6 anni su 7 dopo la barbabietola, e 5 anni su 7 dopo il frumento. Queste due piante perciò agiscono in senso sfavorevole sul grano in quanto che lo predispongono a subire i danni della siccità durante il periodo critico, facendone diminuire sensibilmente il raccolto in granella nelle annate in cui la detta avversità succede. A che sia dovuta questa sfavorevole azione delle due culture sopracitate , non si potrebbe con sicurezza affermare , dappoiché dovrebbesi sepa¬ ratamente ed accuratamente studiare l'azione esercitata sulle con¬ dizioni di abitabilità e di nutrizione del terreno da parte delle — 17 — piante di barbabietola da zucchero e di frumento. Se la teoria delle tossine (de Candolle) può venirci in aiuto per quanto ri¬ guarda il frumento che succede a sè stesso, nessun giovamento la stessa ipotesi ci arrecherebbe nel caso del frumento che segue la barbabietola da zucchero; chè anzi è postulato indiscusso del¬ l’agronomia odierna essere la barbabietola una pianta migliora¬ trice per eccellenza, indicatissima per precedere, nella rotazione delle culture, il frumento. Allo stato attuale delle nostre conoscenze agronomiche, non ci resta che porre soltanto il problema, la cui soluzione — in¬ teressantissima dal punto di vista pratico e scientifico — non po¬ trà essere data che dalla prova sperimentale. 2. Le foraggere leguminose, ad eccezione della sulla, si com¬ portano, rispetto alla cultura seguente di frumento, in modo completamente opposto. Esse, cioè, predispongono il frumento ad una forte resistenza alla siccità durante le due decadi che precedono la spigatura. Nelle sette annate del ventennio 1901-1920, in cui ebbero a verificarsi, durante, le due prime decadi di maggio, precipi¬ tazioni inferiori ai 40 mm. di pioggia, il frumento dette infatti costantemente un buon prodotto in granella dopo il trifoglio, e una volta sola (1901), dopo la lupinella, risentì in maniera molto lieve i danni della siccità durante il periodo critico. Dopo la stessa sulla, che non ha certamente le ottime qualità migliora¬ trici delle due foraggere sorelle, il frumento ebbe a patire il danno del secco primaverile una volta sola nel ventennio (1901), dap¬ poiché nelle altre annate di siccità durante il periodo critico, il raccolto in granella non subì certo quelle impressionanti dimi¬ nuzioni che si effettuarono con una certa frequenza dopo cul¬ ture di barbabietola da zucchero e di frumento. La benefica azione di una precedente cultura foraggera le¬ guminosa, nei riguardi del periodo critico del frumento rispetto alla pioggia, si può facilmente spiegare tenendo conto delle ot¬ time condizioni di abitabilità in cui si trova il terreno prima del grano. Da una parte, infatti, il terreno viene ad arricchirsi di sostanza organica, il cui benefico effetto, nei riguardi del secco primaverile, si esplica con un immagazzinamento e conservazione di umidità ; d'altra parte 1* azione rinettante esercitata dalle fo- - 2 - — 18 — raggere rispetto alle malerbe infestanti, fa sì che minore sia al quantità d' acqua perduta dal terreno per inutile traspirazione. Si può così anche spiegare il perchè della superiorità del tri¬ foglio pratense su la sulla : questa infatti lascia il terreno non eccessivamente ricco di sostanza organica e non troppo ripulito dalle erbacce. 3. Quello che si è detto per le foraggere leguminose, può, entro certi limiti, estendersi al lino ed alla canapa, piante emi¬ nentemente rinettatrici e miglioratrici del terreno agrario. 4. Dopo la fava e dopo il mais viene maggiormente risen¬ tito dal frumento l'effetto dannoso del secco primaverile, che però in due anni soltanto (1901 e 1916) produsse degli effetti deci¬ samente sfavorevoli. Resta in definitiva chiaramente dimostrata l'azione benefica esercitata da una cultura precedente di leguminosa foraggera, nel- l'attenuare o eliminare completamente i danni della siccità all'e¬ poca della spigatura , nel mentre in senso decisamente opposto agiscono culture precedenti di frumento o barbabietola da zuc¬ chero. Gli eccessi di pioggia, in questo sottoperiodo — come ri¬ sulta da esperienze del prof. Azzi su Gentil-Rosso — agiscono sfavorevolmente per via indiretta, in quanto che un ambiente umido asseconda lo sviluppo e la diffusione della Puccinia, e assoggetta il frumento ai danni dell'allettamento. Dopo culture di barbabietola da zucchero il frumento si mostra molto suscettibile a subire i danni dell’allettamento e della ruggine, nel mentre resiste abbastanza bene alle dette avversità, quando succede al mais o al lino. I danni veramente rilevanti prodotti dalle piogge eccessive a Perugia si manifestano con maggiore intensità e frequenza durante la fase della maturazione della granella: ritorneremo con maggior dettaglio sull'argomento allorché si tratterà dell'ultimo sottoperiodo di vegetazione. Le basse temperature nel periodo primaverile ritardano la vegetazione del grano, esponendolo poi in maggior misura al¬ l’azione della stretta; e si rendono nel contempo direttamente nocive quando vengono a colpire la pianta durante la fase della fioritura. Per quanto riguarda il ritardo della vegetazione, è im¬ possibile distiiìguere l'azione dovuta alle piogge eccessive da — 19 — quella delle deficienze termiche ; giacché le due avversità, a Pe¬ rugia, agiscono generalmente di conserva. Lo stesso dicasi per quanto concerne il danno recato dalle basse temperature durante la fioritura. A Perugia però, senza alcun dubbio, è maggiormente risentito il danno delle piogge eccessive anziché quello delle de¬ ficienze termiche. L’ultimo periodo vegetativo del frumento va dall’ avvenuto allegamento dei fiori alla formazione e maturazione della gra¬ nella. Esso comprende il mese di giugno e parte del mese di luglio. In questo periodo a Perugia sono particolarmente dan¬ nose le frequenti piogge che, oltre ad impedire la maturazione della granella, provocano estesi allettamenti e violenti attacchi di ruggine. In un ventennio, l’avversità di cui sopra, ebbe a verificarsi ben 15 volte con una frequenza del 75%. L'azione benefica della cultura che ha preceduto il frumento si fa notevolmente sentire anche rispetto a quest’ avversità. Culture precedenti di barba- bietola da zucchero, di frumento e di fava, predispongono il grano all'allettamento e forse anche alla ruggine, nel mentre il mais ed il lino danno al frumento una forte resistenza contro le citate avversità. Nei 15 anni del ventennio 1901-1920 in cui ebbero a ve¬ rificarsi precipitazioni eccessive in giugno e luglio (circa 90 mm. mensili) il frumento dette, dopo le varie culture che lo avevano preceduto, la frequenza di raccolti scarsi indicata nella seguente tabella : Cultura precedente Numero degli anni con raccolto scarso • Mais 1 Lino 1 Lupinella 3 Sulla 3 Trifoglio 4 Canapa 4 Fava 5 Frumento 6 Barbabietola 7 L'evidenza dei dati ne esime da ogni commento. — 20 — Allo stato attuale delle nostre conoscenze agronomiche, non credo di poter trovare una convincente spiegazione alla consta¬ tazione di cui sopra. Se infatti una ricchezza eccessiva di azoto (lussuria vegetativa) può predisporre, dopo culture di barbabie¬ tola e di fava, il frumento all’ allettamento e alla ruggine , non certo ristesso fenomeno dovrebbe verificarsi nel ringrano, giac¬ ché dopo un anno di frumento il terreno non viene ad arric¬ chirsi di azoto. Fattori molteplici e non facilmente valutabili con¬ tribuiranno senza alcun dubbio a dare una sagoma complessa al fenomeno sopra descritto; d’altra parte una convincente spiega¬ zione potrà essere data soltanto dopo numerose e serie prove sperimentali. Si è voluto per ora constatare il fenomeno che, an¬ che agli effetti pratici e nei riguardi dell' avvicendamento delle culture in una determinata zona, ha un’ importanza veramente fondamentale. Le deficienze di temperatura, che quasi sempre a Perugia si accompagnano alle piogge eccessive, fanno ritardare di molto la maturazione della granella, che viene a trovarsi perciò esposta agli effetti dannosi della stretta di caldo. Nel ventennio in esa¬ me, l’avversità in parola si verificò ben 9 volte (frequenza 45%). Riporto nella seguente tabella la frequenza dei raccolti scarsi di frumento che si ebbero dopo le varie culture precedenti, nelle annate in cui si lamentarono deficienze termiche nei mesi di giu¬ gno e luglio. Cultura precedente Numero degli anni con raccolto scarso Barbabietola Mais Lupinella Lino Fava Trifoglio Canapa 0 0 0 0 Sulla Frumento 2 5 Risulta anche qui manifesta la differente azione che eserci¬ tano sul frumento le culture che lo precedono. Mentre, p. es., il ringrano rende la pianta di grano facilmente soggetta agli effetti — 21 dannosi delle basse temperature, la lupinella, il lino, il mais e la barbabietola danno al frumento che a loro succede, una evi¬ dente immunità ed una specifica resistenza al fenomeno avverso. Come nei casi precedenti, nemmeno qui possono essere formu¬ late sufficienti interpretazioni del fenomeno, che potrà avere luce soltanto dall'esperienza continua ed approfondita. Le temperature elevate che a Perugia avvennero 8 volte nel ventennio in esame, possono riuscire dannose in due maniere: o per via diretta provocando la maturazione precipitata della gra¬ nella, che perciò risulta leggera e striminzita (stretta di caldo), o per via indiretta allorché vi si accompagnano piogge eccessive e nebbie, che fanno sviluppare violenti attacchi di ruggine. Culture precedenti di lupinella e di lino rendono il frumento, che ad esse segue, quasi immune dai dannosi, duplici effetti delle elevate temperature nel quarto sottoperiodo. In senso opposto agiscono, negli avvicendamenti delle culture, il ringrano, la bar¬ babietola da zucchero e la fava. Riporto nella seguente tabella la frequenza dei raccolti scarsi di frumento dopo varie culture, nelle annate in cui ebbero a verificarsi eccessi di temperatura durante la granigione. Numero degli anni Cultura precedente con raccolto scarso Barbabietola 5 Fava 5 Frumento 5 Trifoglio 4 Sulla 3 Canapa 3 Mais 3 Lino 1 Lupinella 1 L'evidenza dei dati ne esime da ogni commento. Resta in definitiva dimostrata per il quarto sottoperiodo la notevole ed impressionante influenza esercitata sul rendimento del grano, dalle diverse culture che lo precedono nei comuni av¬ vicendamenti agrari. — 22 — Conclusioni. 1. La cultura precedente esercita una decisiva azione nel- l'esaltare o attenuare l’influenza delle avversità ambientali sul ren¬ dimento del frumento a Perugia. 2. Tale influenza non si rende bene evidente che nel pe¬ riodo primaverile-estivo, allorché il frumento attraversa le fasi più delicate della sua vita (spigatura, fioritura, e granigione). 3. Le culture precedenti di leguminose foraggere (lupinella, trifoglio), predispongono il frumento ad: una elevata resistenza alla siccità durante il periodo critico, mentre in senso decisa¬ mente contrario agisce la precedenza della barbabietola da zuc¬ chero ed il frumento stesso. 4. La barbabietola da zucchero, il frumento, e la fava che precedono nella rotazione il frumento, sembrerebbero indebolirlo fortemente nei riguardi dell'allettamento e della ruggine. 5. Allo stato attuale delle nostre conoscenze agronomiche, il problema non può avere alcuna convincente soluzione se non verrà impostato ed esaminato da un punto di vista strettamente ecologico. Il breve sguardo lanciato attraverso uno degli aspetti più interessanti e più decisivi del problema dell'avvicendamento delle culture, ne ha fatto rilevare 1' importanza considerevole che, dal punto di vista ecologico, hanno le varie piante agrarie nel suc¬ cedersi l'una all'altra, sia per quanto riguarda il loro rendimento, che per la loro resistenza più o meno pronunziata ad una de¬ terminata avversità ambientale o parassitarla. Col presente lavoro si è voluto prospettare semplicemente il vasto campo di ricerche teorico-pratiche che si offrono agli studiosi che vogliano indagare profondamente e sperimentalmente sull'aspetto ecologico dell’ avvicendamento delle culture agrarie nelle varie regioni d'Italia. (Finito di stampare il 30 marzo 1927) Osservazioni sui cosiddetti globuli del tuorlo o piastrine di Bufo viridis. del socio Prof. UmScrto Pierantoni (Tornata del 30 gennaio 1927) Osservando, per i miei stridii sui simbionti ereditarii, il vi¬ tello delle uova di varie specie, io venni recentemente colpito dal modo di presentarsi dei cosiddetti globuli del tuorlo di al¬ cuni vertebrati, e segnatamente di anfibii, uccelli e pesci. Da lunghe e numerose osservazioni io trassi la convinzione che in quelle formazioni aventi forma, come si vedrà, pressocchè costante ed una struttura interna, nop fosse possibile di riscon¬ trare delle semplici goccioline di materiale nutritivo di riserva, come viene quasi generalmente ritenuto, ma piuttosto degli ele¬ menti di natura cellulare, e forse degli esseri viventi di vita propria. Riandando la storia delle osservazioni compiute su questi corpuscoli, io sono stato lieto di constatare che il nostro gran¬ de istologo Camillo Golgi, in un lavoro pubblicato poco pri¬ ma della sua morte , studiando le stesse formazioni nelle uova di Rana, era giunto a conclusioni pressocchè analoghe. Lieto quindi che la priorità della osservazione spetti ad un tanto uo¬ mo, esporrò nella presente nota i risultati di alcune ricerche ori¬ ginali, che allargano alquanto il campo delle conoscenze sul¬ l'importante argomento. Il Golgi nel suo lavoro ultimo, che, a quanto egli dice, ha carattere di semplice " comunicazione preventiva „ l) dopo aver notato che questi corpuscoli hanno una parte interna, protopla¬ smatica, ed un'esterna, più rifrangente (capsula), che sono prov- l) Golgi C. — Intorno alla struttura ed alla biologia dei cosidetti glo¬ buli (o piastrine) del tuorlo. (Meni. R. Ist. Lomb. Se. Lett. Voi. 22-23, sez. Ili, fase. III. — 24 — visti di un centrosoma, che in alcune fasi la loro struttura in¬ terna diviene nettamente initocondriale e fibrillare in rapporto specialmente con un supposto processo riproduttivo, giunge alla importante conclusione che "i globuli del tuorlo sono elementi forniti di tutte le proprietà di orga^ nismi viventi, non esclusa l’attività formativa,,. Nel descrivere i diversi aspetti strutturali da lui riscontrati il Golgi, specialmente in sede d’interpretazione di essi, conclude col dichiararsi favorevole ad ammettere in questi corpuscoli an¬ che un qualche processo riproduttivo e così si esprime a tal pro¬ posito : "Io non credo di poter escludere in linea assoluta il primo modo di divisione (diretta), non potendo trascurare le fre¬ quenti osservazioni di apparente divisione caratterizzata dall'esi¬ stenza di solchi più o meno accentuati ed accennanti alla divi¬ sione, in due e più, dei globuli del tuorlo. „ L'esame della fig. 8 a cui si riferisce i'A. mostra in verità questo modo di divisione come non troppo definito, poiché non vi si scorge che un corpu¬ scolo con una doppia fenditura in croce, che sembra più una lesione casuale della capsula esterna, che non un vero accenno ad un processo di divisione diretta. Nella osservazione di numerosi corpuscoli, tratti special- mente da giovani embrioni di Bufo, io ho potuto ricostruire in¬ vece questa divisione in maniera indubitabile, e concludere che, almeno nella specie da me presa in esame, tale processo è il normale processo moltiplicativo dei corpuscoli. Credo quindi utile di intrattenermi brevemente su di esso e sulle figure da me ri¬ scontrate. Come esattamente fu osservato anche dal citato Autore, ogni corpuscolo è costituito da una capsula resistente, ialina, note¬ volmente spessa, che lo involge e ne delimita la forma, e da una massa protoplasmatica interna in cui è permesso di mettere in evidenza le varie strutture. Lo studio della divisione si fa assai facilmente tanto sul vivo in determinate fasi dell'attività dei corpuscoli, che cercando di mettere in evidenza in corpuscoli di cellule di Stadii embrionali questa massa interna, mercè un colorante che agisca su di essa in toto, lasciando incolore la capsula. A tale scopo serve assai bene l' ematossilina ferrica sec. Heidenhain , che colora questa massa interna anche più 25 intensamente dei nuclei delle cellule embrionali, tanto che, de¬ colorando, i globuli restano ancora tinti in oscuro , quando i nuclei di quelle sono completamente incolori. Le figure contenute nella fig. 1 della Tavola bastano ad il¬ lustrare queste forme moltiplicative tratte da corpuscoli viventi. La fig. 2 mostra delle figure tratte da preparati colorati con ematossilina ferrica. Per quanto riguarda la natura del processo, a me pare che il fenomeno prenda inizio sempre dalla massa interna, e che solo in un’ultima fase si pervenga alla divisione dalla capsula invol¬ gente. In complesso può aversi tanto una scissione uguale , quanto una sorta di gemmazione, in cui la piccola gemma, di solito la¬ terale, rispetto alla forma ovulare, che è quasi costante nei cor¬ puscoli in moltiplicazione, può talora dividersi ulteriormente an¬ che prima di abbandonare il corpuscolo materno. Questa divisione talora uguale, talora disuguale è la causa della presenza di corpuscoli di grandezze differenti, per quanto, come vedremo, i corpuscoli delle diverse grandezze non si tro¬ vino disposti a caso nelle varie cellule embrionali. Per quanto io non abbia l' intenzione di trattare in questa nota dei fatti inerenti al comportamento delle interne strutture nel fenomeno della moltiplicazione dei corpuscoli, pure voglio fin da ora notare, che tanto la colorazione con l'ematossilina ferrica, come quelle col metodo di Giemsa mettono in evidenza una piccola area centrale più oscura che limita una vacuola nella quale talora si scorge un punto oscuro, corrispondente a quello che il Golgi interpreta come centrosoma (fig. 3). Ora quest’area e questo punto nelle forme in divisione, e specialmente in un periodo iniziale del processo, si trovano di solito nel piano di divisione. E' quindi da ritenere che si divi¬ dano, proporzionalmente alle parti più esterne, anche le interne minute strutture (fig. 3). Non mancano figure in cui questa massa interna ed il corpuscolo si vedono già divisi od in via di divi¬ sione. Con colorazioni acconciamente graduate si mette in evi¬ denza anche una zona o massa di sostanza granulosa, come un nucleo, che pare però sia costantemente più addossato ad una delle facce del corpuscolo (fig. 4) e che è doppia nei corpuscoli in divisione. — 26 — Come lio accennato, nelle diverse zone delPuovo maturo, e poi dell'embrione, i corpuscoli del vitello si presentano diversi. Nella parte centrale dell' uovo, più prossima alla vescicola germinativa, i corpuscoli sono di solito più grandi, e più inten¬ samente colorabili con l’ematossilina e prevalentemente colora¬ bili in rosa (eosinofili) col Giemsa. Fra questi corpuscoli abbon¬ dano quelli minutissimi, originatisi forse dai più grandi per gem¬ mazione. Verso la periferia dell'uovo, e' verso la parete cellulare endodermica dell'embriohe, i corpuscoli si notano assai più spes¬ so in fasi di divisione, divengono più piccoli, si colorano meno intensamente con l'ematossilina ferrica, e col Giemsa assumono una colorazione azzurra. Ancora più accentuata in tal senso è la trasformazione che subiscono i corpuscoli che per effetto della segmentazione dell'uovo vanno a trovarsi nei micromeri e si rin¬ vengono poi nell'embrione nelle cellule ectodermiche, ed in egua¬ li condizioni di dimensione e colorabili tà sono ancora i corpu¬ scoli che si trovano annidati entro le cellule endodermiche ed in generale in tutte le cellule dell' embrione, e che sono fram¬ misti ad abbondantissimo pigmento nelle cellule ectodermiche. Questi corpuscoli più periferici sono quelli che, coi metodi su accennati, mostrano più di frequente colorata la piccola massa interna, nel cui insieme, per il comportamento durante il feno¬ meno di divisione diretta e per le caratteristiche di colorazione, io sarei indotto a riconoscere le qualità di un nucleo cromatico. Ma credo che per venire ad una più sicura conclusione oc¬ corra di tentare altri metodi di colorazione e sovratutto di fis¬ sazione; ciò che mi prometto di fare fra non molto. Inoltre per poter venire a più sicure conclusioni sulla na¬ tura di questi corpuscoli, occorre di indagarne anche l'origine, sulla quale esistono nella letteratura già tante osservazioni, che menano in vero ad opinioni assai disparate e lasciano adito ai più profondi dubbii sulla loro attendibilità. Mi premeva qui solo di esporre in forma preliminare i pri¬ mi risultati di queste mie osservazioni, alle quali spero di farne seguire fra non molto delle più ampie e conclusive. Istituto di Anatomia e Fisiologia comparate della R. Università di Napoli. Spiegazione della Tavola 2. Fig. 1. — Corpuscoli del tuorlo in via di divisione ricavati dal vivo. „ 2. — Gli stessi da preparati di sezioni colorate con ematossilina ferrica. „ 3. — Gli stessi, colorati col liquido di Giemsa. „ 4. — Gli stessi, da preparati di striscio, colorati con liquido di Giemsa. Ingrandimento di tutte le figure : X 1500. (Finito di stampare il 30 marzo 1927) Dicotomia e fasciazione foliare in Scolo - pendrium volgare L. del socio Dott.ssa Maria Fiore (con 7 Tavole) (Tornata del 2 dicembre 1926) Dicotomia. Tra le varie forme teratologiche che si conoscono della fo¬ glia di Scolopendrium valgale L. (il Moore pare ne descriva 65!) ve ne è una che attrae particolare interesse dal punto di vista morfologico, e cioè quella forma di solito ricordata dai siste¬ matici come Scolopendriutn vulgare L. var. bifidum. Tale anomalia consiste nella biforcazione uguale o disuguale, e più o meno estesa, dell’apice foliare se non persino dell'intera amina e parte del picciuolo. Dicotomia foliare, invero, è normale in alcune felci come Schizaeaì Dipteris , Platyceriun e alcune specie di Ophioglossum , nè anormalmente può riscontrarsi soltanto in Scolopendrium vul¬ gare L., ma è stata riscontrata anche in altre felci come Poly- podium, Nephrodium , Ophioglossum , Odontopteris ; oltre che an¬ che in foglie di Fanerogame, specie embrionali e fiorali; tuttavia la frequenza con cui è stata osservata ricorrere non appare me¬ nomare il suo valore, ma anzi accrescerlo. E’ appunto la sua frequenza, infatti, che sembra incoraggiare alcune discusse vedute morfologiche quali quella riguardante la architettura foliare e l’origine della pianta vascolare, come an¬ che quelle circa l’unità di origine dell’organo foliare e l' inter- petrazione strutturale del cotiledone delle Monocotiledoni. Per quanto illustri botanici quali I'Hofmeistfr, il Prantle, il % — 29 — Goebel, il Potonie abbiano messa avanti la veduta, specie per studii su Felci, che l'architettura foliare delle piante vascolari è ancestralmente dicotoma, tuttavia , recentemente , è merito del Bower e del Bugnon aver illustrato soddisfacentemente tale que¬ stione, ed insistito sulla sua importanza in riguardo al suo valore ancestrale, una volta, in ispecie, tale teoria applicata all'origine della pianta vascolare. Il Bower nel suo lavoro " On thè leaf architecture as illu— minated by a study of Pteridophyta „ ha investigata ampiamente l'architettura foliare delle Pteridophyta , e da più punti di vista : cioè dal lato comparativo delle foglie giovani e specie di quei tipi ritenuti primitivi; e da quello della comparazione dei risul¬ tati ottenuti con i ricordi fossili. E nemmeno è trascurato dal Bower, per le sue conclusioni, l'interesse che viene anche dalla considerazione delle anormalità " biforcazione e crestazione „, così diffuse appunto tra le felci. D'altra parte il Bugnon, attraverso una serie di investiga¬ zioni che gli hanno permesso di constatare che la tendenza alla dicotomia è molto frequente anche nelle Angiosperme attuali, spe¬ cialmente nelle foglie embrionali e fiorali, è pervenuto alle me¬ desime conclusioni del Bower, che cioè questa tendenza alla di¬ cotomia, più o meno marcata secondo i casi, e normalmente o anormalmente che si presenti, non è che una tendenza atavica della ramificazione primitiva degli antenati. Da entrambi gli autori è così sostenuto che il tipo mono- podiale di ramificazione è derivato da quello dicotomico per sim- podizzazione. Ma il Bugnon va oltre circa l'interesse che viene ad assu¬ mere l'anormalità in questione. Egli in un suo lavoro su di un caso di dicotomia foliare in Viscum album L. dopo aver già in¬ sistito in un altro suo lavoro circa la sua importanza discutendo la veduta del Weuillemin riguardante la non omologia di tutti gli organi foliari, allude appunto all'appoggio che in essa trova la teoria del Lignier, teoria anche condivisa dal Bower ed altri ; oltre che l'interpetrazione di essa quale da lui intesa gli dà modo di decifrare la policotiledonia e la peculiare organizzazione del cotiledone delle Monocotiledoni, combattendo la teoria della sin- cotilia. — 30 — Per Bugnon nelle Monocotiledoni, se derivate da un tipo angiospermo dicotiledone, ciò sarebbe avvenuto per eterocotilia. E’ così che, dato questo accentramento di importanza mor¬ fologica in tale anomalia, essendomi incontrata in bei esemplari di Scolopendriurn vulvare L. racchiudenti dicotomia, talvolta in grado elevato, nel qual modo è difficile riscontrarla, ho creduto opportuno investigare tali esemplari e farne oggetto di uno studio comparativo con una bella fasciazione foliare ugualmente rinve¬ nuta, allo scopo di vedere se quest'ultima anomalia fosse il caso di riguardarla omologa all'altra e quindi farla rientrare nello stesso ambito di interesse e importanza morfologica circa le questioni su accennate. Le ricerche sono state rivolte in ispecie al decor¬ so del sistema vascolare di tali foglie anomale comparato con quello di una foglia normale, mediante tagli in serie trasversi ; come pure all'esame comparativo dei tricomi. Cenni sugli esemplari dicotomici d i Scolopendriurn vulgare L. Tutti gli esemplari dicotomici studiati nel presente lavoro sono stati raccolti nell'Orto Botanico di Napoli, e propriamente in un reparto dedicato alla coltura delle Felci, e dove lo Scolop. v. da tempo si è naturalizzato. Le foglie furono raccolte durante la primavera ultima. Esse non mostrano tutte 1' anormalità da cui sono affette nello stesso grado e modo, ma anzi vi è tutta una serie gra¬ duale di stadii. A seconda del grado le anomalie si possono riunire in cin¬ que gruppi. Il primo comprende quelle foghe la cui sola ner¬ vatura principale e non il lembo foliare si biforca all' apice. Al secondo appartengono quegli esemplari in cui la dicotomia è estesa anche soltanto all'apice foliare, ma alquanto di più, e in¬ teressa anche il lembo foliare (Tav. 3, Fig. 1). Il terzo gruppo comprende foglie mostranti dicotomia ancora più avanzata, poi¬ ché essa si spinge fino ad un terzo e più del lembo foliare (Tav. 3, Fig. 2). Le foglie appartenenti al quarto gruppo sono bei esemplari con dicotomia spinta fino alla metà del lembo fo¬ liare e più (Tav. 3, Fig. 3 e 4). L'ultimo gruppo è, infine, rap- 31 presentato da un caso di biforcazione che si estende fino alla metà del picciuolo, così che si ha l'apparenza come di due fo¬ glie portate da un comune picciuolo (Tav. 4, Fig. 1). E' da no¬ tarsi che questo si mostra appiattito per un bel tratto prima di dicotomizzarsi. Fu raccolto, specie in riguardo ad una delle fo¬ glie, in istato di deperimento. In quanto poi alle modalità della dicotomia, tutti i casi de¬ scritti, meno l'ultimo da considerarsi a parte, si possono riunire a loro volta in due gruppi: uno comprendente il primo, il se¬ condo e il quarto gruppo, tutti casi di dicotomia uguale; l'altro comprendente il terzo gruppo, tutti casi di dicotomia disuguale. Causa fisiologica. E’ ormai generalmente ammesso che un'anomalia sia essa un ricordo ancestrale o un fenomeno progressivo, si suole manife¬ stare in seguito a uno stimolo di natura fisiologica, stimolo che può avere influenza tale, se ben guidato, da rendere l'anomalia ereditaria. Il De Vries così ebbe a dire nel suo libro " Species and Va- rieties „ a proposito delle mostruosità: " Monstruosities are often considered as accidents and rightfully so, at least as long as they were considerev from a morphological point of wiew. Physio- logy of course escludes all accidentality,,. Egli ritiene le anomalie una risposta alle condizioni esterne di una propria innata ten¬ denza ereditaria, e stabilisce due tipi di tale ereditaria qualità interna: quella debole delle razze povere; quella forte delle razze ricche. A riguardo della biforcazione foliare anomala, varie cause e fisiologiche le sono state attribuite, quale ipertrofia, attacchi da parte d'insetti, traumatismo dovuto a spacco longitudinale del¬ l'apice foliare, nel quale caso, tuttavia, come sperimentato dal Goebel, si avrebbe rigenerazione. Un'esame degli esemplari da me studiati non ha potuto con¬ durmi ad alcuna definita conclusione in proposito. Se alcuni de¬ gli esemplari, quelli a dicotomia ineguale, presentavano evidente atrofizzazione del ramo principale della dicotomia, il più breve, e se qualche altro esemplare a dicotomia uguale presentava se- — 32 — gni di maltrattamento da parte di animali, altri si presentavano integri ; oltre che l’anomalia, poi, indifferentemente appariva in foglie rigogliose, rachitiche o normali. Se una causa fisiologica ha avuta la sua influenza nell'esplicazione di tale anomalia, essa pro¬ babilmente, nel nostro caso, potrebbe darsi sia da ascriversi ad un allontanamento improvviso dall’ optimum di temperatura ve¬ rificatosi in effetti nella primavera ultima; oltre che alla propria idiosincrasia degli individui affetti *). Sistema vascolare. Decorso dei fasci conduttori in foglia normale. — Il sistema vascolare foliare di Scolopendrium vulgare L. è alla base del picciuolo costituito da due fasci isolati perifloematici diarchi i quali andando in su verso la lamina foliare si vengono sempre più ad approssimare in guisa da effettuarsi prima fusione dei loro floemi e ben presto anche quella dei loro xilemi che ven¬ gono ad assumere la caratteristica forma di un' x come in A- splenium adianturn nigram (Tav. 4, Fig. 2, 3 e 4). In tal guisa al punto dove si inizia il lembo foliare i due fasci vascolari della base del picciuolo sono rimpiazzati da un fascio perifloematico. Questo così si mantiene fin quasi la metà del lembo (Tav. 4, Fig. 5), ma da questo punto in su la sua porzione dorsale si riduce perchè lo xilema perde i rami dorsali della x, e più su la riduzione continua ancora così che all’apice foliare il sistema conduttore è rappresentato da un fascio ellittico costituito da un’esile lamina xilematica residuo dei due rami ventrali della primitiva x, con pochi elementi di floema (Tav. 4, Fig. 6 e 7). l) Modernamente vi è tendenza a considerare la ricomparsa di forme an¬ cestrali (e questo sarebbe il nostro caso) come dovuta a una ricombinazione identica di elementi ereditarii. Il Bower, poi, nel suo 1° volume delle " Ferns fa notare il fatto che felci quali Scolopendrium vulgare var. crispum Drummondiae e Nephrodium Filix mas var. cristatum, che mostrano irregolarità del ciclo dei cromosomi, sono forme crestate. Come l'aposporia e 1' apogamia egli stima che lo stato crestato potrebbe essere l’espressione di una incompatibilità del numero dei cromosomi neH'appaiamento sinaptico, in conseguenza di promiscua ibridazione sempre possibile nelle Felci. — 33 - Decorso dei fasci conduttori nel primo e secondo tipo di dicotomia. — In foglie presentanti tale tipo di dicotomia, cioè di¬ cotomia uguale, però ristretta soltanto all’apice foliare, il siste¬ ma vascolare si mostra normale fin quasi al punto della bifor¬ cazione (Tav. 4, Fig. 8, 9, 10), ma alquanto prima di avverarsi questa, il fascio conduttore a quel livello normalmente più o meno ellittico, data la riduzione della sua parte dorsale , comincia ad allungarsi in direzione dell’asse maggiore dell’ellissi finché, quasi raddoppiatosi (Tav. 4, Fig. 13) inizia a costringersi nel mezzo fino a dividersi in due (Tav. 4, Fig. 14 e 15) originandosi così due fasci ognuno dei quali continua il suo decorso nella metà rispettiva del lembo anch'esso dicotomizzatosi (Tav. 4, Fig. 16). Decorso dei fasci conduttori nel terzo tipo di dicotomia. — Il decorso del sistema vascolare di due foglie appartenenti a tale tipo di dicotomia , dicotomia, cioè, poco estesa, sebbene più dei gruppi precedenti , si presenta anomala già dalla metà del lembo foliare in poi, poiché mentre a questo livello la traccia normalmente inizia la riduzione della sua parte dorsale, in que¬ sto caso si presenta invece non ridotta e con uno dei rami ven¬ trali della x molto sviluppato (Tav. 5, Fig. 1, 2, 3 e 4). E' da questo ramo che si diparte più su un fascio ellittico che va ad innervare uno dei rami della dicotomia, quello più sviluppato, terminando, poi, normalmente il suo decorso (Tav. 5, Fig. 5, 6 e 7). Il fascio dell’altro ramo termina invece conservando il suo legno a forma di un' x ridotta dorsalmente, il che è in accordo con la probabile atrofizzazione dell'apice qualunque ne sia stata la causa (Tav. 5, Fig. 8' e 8”). In un esemplare che pure appartiene a questo tipo di di¬ cotomia, il sistema vascolare presenta alla base picciuolare un’ul¬ teriore anomalia, interessante per la sua comparazione con ciò che si riscontrerà nella fasciazione. Alla base picciuolare di questa foglia , il sistema vascolare in luogo di presentarsi secondo il normale di due fasci, si presenta sotto forma di un unico fascio triangolare con il legno dorsale ancora in formazione e che vie¬ ne differenziandosi man mano aumentando i suoi elementi xile- matici che si sviluppano in forma di arco (Tav. 5, Fig. 9, 10 e 11). Soltanto alquanto vicino alla biforcazione il fascio è costi- — 3 — — 34 tuito normalmente con il suo xilema a forma di x (Tav. 5, Fig. 12). Le ulteriori modalità di decorso si svolgono come nei casi precedenti (Tav. 5, Fig. 13, 14, 15, 16, 17, 18’ e 18”). Decorso dei fasci conduttori nel quarto tipo di dicoto¬ mia. — Nelle due foglie investigate mostranti tale tipo di dico¬ tomia, cioè, uguale e estesa fino alla metà e più del lembo fo- liare, il sistema vascolare alla base del picciuolo foliare si pre¬ senta, come è il normale, sotto forma di due fasci (Tav. 6, Fig. 1), ma in questa guisa perdura, contro il solito, fin quasi la metà del lembo foliare. Ma ben presto a questo livello avviene la fu¬ sione dei due fasci e formazione della parte xilematica a forma di un' FI più che di un’ x (Tav. 6, Fig. 2, 3, 4 e 5). Più su a poca distanza dalla biforcazione si differenziano in corrispondenza della linea orizzontale dello xilema due centri xilematici uno dorsalmente è uno ventralmente. Essi si fanno vertici di due triangoli xilematici che si accrescono l'uno verso l’altro sì da dar luogo a un rombo (Tav. 6, Fig. 6 e 7). La sostituzione nel centro di questo di elementi parenchimatici agli xilematici e la loro connessione con il parenchima esterno prima dorsalmente e poi ventralmente, dà luogo alla divisione in due di questa peculiare traccia foliare originatasi così ex novo. (Tav. 6, Fig. 8, 9 e 10). Ciascuna metà di essa è destinata ad integrare ciascuna metà della primitiva traccia foliare. Da tale differenziamento di cose risultano così due fasci ognuno con la parte xilematica in forma di un'x (Tav. 6, Fig. 11), e ciascuno dei quali prosegue normal¬ mente il suo decorso fino all’ apice del lembo foliare che ha innervato (Tav. 6, Fig. 12 e 13). Decorso dei fasci conduttori nel quinto tipo di dicoto¬ mia. — In quest’ultimo tipo di dicotomia, il più spinto, e inte¬ ressante anche per il fatto che il picciuolo foliare prima di di- cotomizzarsi si mostra per un tratto appiattito , la traccia pic- ciuolare si presenta normale giù alla base essendo, secondo il so¬ lito, costituita da due fasci, e soltanto lo xilema di uno di questi, quello di destra, presenta nella parte mediana della sua conves¬ sità una lieve protuberanza ,(Tav. 6, Fig. 14). Questa ben presto si ingrandisce e si differenzia in modo da trasformare lo xile¬ ma nella caratteristica forma ad x del legno della traccia nella — 35 — regione media della foglia di tale felce (Tav. 6, Fig. 15). Ma ben presto avvenuta la fusione dei due fasci in riguardo al floe- ma, il ramo dorsale della x; di recente costituitosi, si distende sempre di più fino a congiungersi con lo xilema del fascio di sinistra (Tav. 6, Fig. 17 e 18). Per distacco del tratto termi¬ nale di questo ramo che rimane fuso allo xilema del fascio di sinistra che ha raggiunto, anche lo xilema di questo viene pe¬ culiarmente a costituirsi a forma di x, poi che uno dei rami della x non ancora costituitosi, inizia indipendentemente il suo diffe¬ renziamento (Tav. 6, Fig. 19). Per costringimento nel mezzo del floema del fascio e quindi anche del tessuto fondamentale cir¬ costante, si individualizzano, quindi, le due tracce picciuolari che indi continuano normalmente il loro decorso (Tav. 6, Fig. 20, 21, 22’ e 22”). Tricomi. 11 tessuto tegumentale non può evidentemente avere grande valore filogenetico data la sua plasticità in rispetto alle mutevoli condizioni ambientali; purtuttavia i tricomi delle felci sono stati usati con buon profitto circa indagine della seriazione filetica di queste piante. Il Bower ha trovato, esaminando i tricomi delle Felci, piena conferma alla sua veduta che le Eusporangiate sono più primitive delle Leptosporangiate, poiché i risultati di una tale investigazione si sono accordati con i dati della paleontologia e i reperti dell'anatomia comparata. In tale investigazione è assunto che il tipo più primitivo di tricoma è il pelo non ramificato originatosi da un’unica cellula superficiale; e che il tipo più elaborato e evoluto è la squama; mentre i peli ramificati, stellati etc. è ammesso che sono i rap¬ presentanti di un tipo intermedio. A volte vari tipi di tricomi possono trovarsi su di una stessa foglia, ma, quando è cosi, sono sempre i peli più semplici, cioè quelli lineari, che si riscontrano nella regione distale, mentre i peli più complessi e le squame si riscontrano sulle basi foliari e sul rizoma. Anche il Buscalioni in un suo lavoro sui tricomi delle felci rende evidente il valore diagnostico delle parafasi. — 36 — Una investigazione, quindi, comparativa dei tricomi delle fo¬ glie anomale prese in considerazione, con quelli di foglie nor¬ mali, non mi è sembrato inutile. Tricomi di foglia normale. — I tricorni che di solito si riscontrano nelle foglie normali di Scolo pendrium vulvare L. so¬ no di tre specie, e cioè possono essere dei brevi peli articolati terminati da una cellula glandolare mucillaginosa (Tav. 7, Fig. 2); dei tricomi squamiformi; dei tricomi stellati (Tav. 7, Fig. 3). I primi si trovano sparsi nella regione distale delle foglie e per terminare in una cellula glandolare mucillaginosa sono quindi di tipo blecnoide, e ciò fa appunto notare il Bower discutendo dell' affinità blecnoide di tale felce. I secondi, ossia le squame, si trovano specialmente oltre che sul rizoma, sul picciuolo fo- liare e anche sulla metà prossimale della lamina foliare; sono più o meno brunicci e presentano specie alla base gruppi di peli blecnoidi (Tav. 7, Fig. 4), e per lo più terminano in una cel¬ lula glandolare mucillaginosa. Man mano che dalla base del pic¬ ciuolo si va in su, le squame diminuiscono in grandezza. II terzo tipo di tricoma che può riscontrarsi, quello stellato, cioè, è piuttosto raro, e, quando presente, si trova misto alle squame* E' da notarsi inoltre l'accidentale presenza di qualche esile pelo articolato frammisto anche alle squame come quelli stellati, o ancora di qualche simile tricoma anche più raro a riscontrarsi, e peculiare specialmente per le maggiori sue dimensioni (Tav. 7, Fig. 8). Tricomi delle foglie dicotome. — L'esame dei tricomi delle foglie dicotome non ha messo in evidenza alcuna differenza con i tricomi delle foglie normali in riguardo alla regione di¬ stale, in entrambe essendo brevi peli articolati con cellula ter¬ minale glandolare (Tav. 7, Fig. 2); ma in riguardo alla regione prossimale della lamina foliare o regione picciuolare, l'esame com¬ parativo ha messo in evidenza una certa differenza, poiché, salvo qualche caso di foglie quasi del tutto glabre, *) i tricomi ramifi- *) Anche questo fatto che alcune foglie si sono mostrate quasi del tutto glabre, potrebbe ugualmente avere il suo interesse, poiché le investigazioni del Bower — 37 — cati (Tav. 7, Fig. 5), stellati e squame ridotte prendono il so¬ pravvento sulle squame normali. Inoltre grovigli di esili lunghissimi peli articolati mucilla¬ ginosi sono stati riscontrati in un caso di dicotomia ineguale (Tav. 7, Fig. 6 e 7). La presenza di tali ultimi peli è specie molto interessante sia perchè in favore della ancestralità della anomalia foliare presa in considerazione; sia perchè viene a confermare anche dal punto di vista teratologico, invertendo la questione, che i peli lineari nelle Felci sono una struttura primitiva. Fasciazione. Altra anomalia non rara a riscontrarsi, almeno nei fusti e nelle radici, e che ha suscitato l’interesse di valenti botanici è quella conosciuta sotto il nome di "Fasciazione,,. Malgrado, tuttavia, la sua relativa frequenza e il grande studio di cui è stato og¬ getto, non vi è accordo circa l'interpretazione organografica di tale anomalia, oltre che quasi a tutti, poi, sembra indecifrabile l’intimo significato di essa. Da tempo, infatti, come fa notare il Worsdell nel suo trat¬ tato di teratologia, sono originate due opposte vedute: una che fa capo a Linneo, e l’altra a Moquin Tandon. Secondo la prima veduta, la teoria della fusione, un germoglio, ad esempio, fasciato, non sarebbe derivato che dalla fusione di un numero di germogli, originatisi in stretta prossimità. Il Mastler, fra gli altri, segue tale veduta. Secondo l’altra, la teoria, cioè, dell’espansione, la fasciazione, sarebbe dovuta non ad un’ unione meccanica postgenita di pa¬ recchi separati germogli originatisi in stretta prossimità, ma alla espansione di accrescimento in un piano di un singolo germo¬ glio. Il Nestler, ad esempio, così ritiene. Altri, poi, ammettono entrambe le vedute. Alquanto simile, inoltre, alla teoria della espansione è quella della " pleitomia „. Il Blaringhem ritiene la fasciazione, cioè, non risultare dall'unione sulle Felci hanno condotto questo autore alla conclusione che i tipi più arcaici delle felci dovevano portare o tricomi semplici o essere possibilmente glabri. — 38 — di organi giovani che rimangono coerenti per un periodo più o meno lungo o breve, ma dall' assenza di individualizzazione delle cellule o tessuti in germogli indipendenti. La fasciazione risulterebbe, così, da un ritardo nella dissociazione delle parti. Interessanti a questo riguardo della interpretazione organo¬ grafica dell'anomalia “fasciazione,, sono i risultati delle investi¬ gazioni del Buscalioni e Lopriore sulle radici della Phoenix dac- tylifera. Questi autori notano che la comparsa di più apici ve¬ getativi è un fenomeno che segue e non precede la moltiplicità delle stele che, verificandosi , darebbe quasi sempre luogo alla schizzorizia. Il fenomeno di più apici vegetativi appare nelle loro investigazioni quale fenomeno secondario, e la causa vera della fasciazione risiederebbe per loro nella costituzione intima del desma che riducendosi od ampliandosi plasmerebbe la struttura e Torganizzazione delle parti che lo ricettano. Secondo Worsdell, d’altra parte, egli sarebbe d’accordo con il Takobasch che dimostrò che fasciazione può originare in con¬ seguenza di un’incipiente biforcazione del fusto. Egli ritiene, cioè, che un fusto, ad esempio, biforcato e un fusto fasciato rappre¬ sentano essenzialmente il medesimo fenomeno; un germoglio bi¬ forcato non sarebbe che un germoglio che ha raggiunto il primo stadio in direzione della fasciazione. I solchi peculiari di qualsiasi organo fasciato, e che in ap¬ parenza sembrano favorire la teoria delta fusione, sarebbero uni¬ camente dovuti allo scambievole stabilirsi nell’organo di forze agenti rispettivamente per l'unità e la divisione. L'organo fasciato, altrimenti, cilindrico e omogeneo nella sua parte basale, si espan¬ derebbe in un piano diametrale in modo proporzionale all' au¬ mento in statura per tendenza a dicotomizzarsi, tendenza egual¬ mente neutralizzata in ogni momento dalla opposta tendenza unitaria. Causa fisiologica. Ugualmente varii e interessanti, a parte dell'interpetrazione organografica della anomalia in questione, sono i risultati delle investigazioni circa le cause fisiologiche che stimolano la sua comparsa se non sono proprio le dirette cause come ammettono alcuni. — 39 A questo riguardo sono specialmente da ricordare le belle investigazioni del De Vries, del Goebel, del Lopriore, del Bla- ringhem, del Lamarliere, del Pirotta e Puglisi, del Beghinot, deH’His, del Figini etc. Esperimenti portarono il Goebel alla veduta che la causa fisiologica della fasciazione risulta dalla rapida introduzione nel fusto di linfa. Il De Vries che condusse esperimenti nel suo giardino di Amsterdam su piante fasciate ( Taraxacuni officinale , Hesperis matronalis , Picris Meracioides, Crepis biennis etc). venne alla medesima conclusione di Goebel, cioè, la fasciazione essere do¬ vuta spesso in conseguenza di soprabbondanza di nutrimento; e così pensano pure il Worsdell, il Kinight e il Brannon , il quale ultimo studiando esemplari fasciati di fusto viene alla conclusione che la causa sia stata la maggiore quantità di so¬ stanza chimica per unità di tessuto vivente; e altri ancora. Il Lopriore, e anche in collaborazione con il Coniglio, d’altra parte, hanno messo in evidenza con esperimenti di traumatismo diretti all'asportazione dell’apice vegetativo radicale per ottenere appunto radici fasciate, che il traumatismo può dar luogo al¬ l'anomalia “ fasciazione „; e ciò è stato messo in evidenza anche dall'His, dal Blaringhem da Lamarliere. Il Molliard, il Knok e altri, poi, hanno invece dimostrato che fasciazione può essere anche promossa da attacco di insetti, mentre il Peyritsch con altri pare abbia riscontrata fasciazione dovuta ad attacco di funghi, mentre il Migliorato opina che tale anomalia possa, infine, essere dovuta anche a condizioni sfa¬ vorevoli di temperatura. Termineremo questo breve cenno circa le numerose inve¬ stigazioni che si sono condotte sulla fasciazione ricordando oltre gli studii del De Vries quelli del Pirotta e Puglisi, del Bacca- rini, del Figini ed altri diretti specie a mettere in evidenza il ca¬ rattere ereditario, per altro, però, fluttuante, della fasciazione ; e facendo, quindi, notare che qualunque sia l' interpetrazione or¬ ganografica che si voglia concedere alla anomalia in parola, quale sia la causa fisiologica che più si è proclivi ad ammettere, la veduta predominante è che l'ambiente con i suoi fattori fisici, chimici, biologici ha in riguardo, una funzione importante, ma — 40 — contingente: gli agenti esterni (condizioni climatiche, culturali, ritardo di semina etc) non agirebbero che come stimolo sulla fasciazione presente negli individui allo stato latente. Venendo alla causa fisiologica della fasciazione da me rac¬ colta, essa, come per i casi descritti di dicotomia , può ascri¬ versi ad un improvviso allontanamento dall'optimum di tempe¬ ratura ; a meno che non sia, invece, qui, da ricercarsi in una possibile pressione a cui sarebbe stata soggetta 1' apice foliare, o addirittura a una probabile lesione di esso, dato che la fa¬ sciazione in parola, fu da me raccolta in una fessura tra scorie vulcaniche dalla quale veniva fuori e attraverso la quale si era evidentemente fatto strada. Cenni sull’ esemplare fasciato d i Scolo pendriutn vulgare L. Anche l’esemplare fasciato, come quelli racchiudenti dicoto¬ mia, è stato raccolto durante la primavera ultima, nell’Orto Bo¬ tanico di Napoli, nella medesima località destinata alla cultura delle Felci. Come tutte le fasciazioni anche la presente si è mostrata peculiarmente percorsa sia dal lato ventrale che dorsale, ma spe¬ cie ventrale, da solchi e strie; la parte dorsale era, inoltre, al¬ quanto convessa in corrispondenza della parte ventrale alquanto concava. E’ da notarsi, ancora, che il picciuolo si presentava ap¬ piattito invece di cilindrico, sin dalla base. Sei foglie si individualizzavano successivamente dal pic¬ ciuolo fasciato, di grandezza alquanto inferiore alla normale (Tav. 7, Fig. 1). Sistema vascolare. Decorso dei fasci conduttori nel picciuolo fasciato. — Anche qui come per i casi precedenti di dicotomia foliare, il decorso del sistema vascolare è stato seguito mediante tagli trasversi, in serie, dell’organo. Giù alla base tale peculiare picciuolo presenta oltre i due soliti fasci che costituiscono la traccia foliare di Scolo pendriutn vulgare L., tre piccoli fasci tra di essi (Tav. 8, Fig. 1). - 41 — Questi piccoli fasci sono di forma circolare, perifloematici e mesarchi, sebbene nei due laterali con poco sviluppo di xi¬ lema centripeto. Più su, seguendo il decorso di tutti i fasci si nota che uno dei tre piccoli fasci, quello di destra, da circolare diventa ellittico e, quindi, previo sdoppiamento del suo proto¬ xilema presenta nel mezzo un lieve restringimento che prelude ad una prossima divisione di esso in due simili fasci (Tav. 8, Fig. 2 e 3). Intanto è da notare che il piccolo fascio di sinistra da rotondo diventa anch'esso ellittico, mentre il fascio normale di sinistra presenta dalla parte della sua convessità, nuova for¬ mazione di elementi xilematici sotto forma di una protuberanza (Tav. 8, Fig. 4 e 5). Ma ben presto sezioni ulteriori mostrano che uno dei due piccoli fasci risultati per divisione del piccolo fascio di destra, sdoppia il suo protoxilema e si suddivide a sua volta in due, ma per breve tratto, perchè i fasci risultati di nuovo si fondo¬ no. Pertanto il piccolo fascio di sinistra che da rotondo è di¬ ventato ellittico sdoppia anche esso il suo protoxilema e pre¬ senta incipiente divisione in due, mentre la protuberanza xile— matica del grosso fascio di sinistra, per breve tratto ridottasi, si presenta molto evidente (Tav. 8, Fig. 6, 7 e 8). Ma a questo punto del decorso, un nuovo piccolo fascio simile ai precedenti si mostra centralmente, a breve distanza dal piccolo fascio centrale. Esso è interamente circondato da una guaina di più serie di elementi sclerenchimatici (Tav. 8, Fig. 8). Il prossimo mutamento delle cose è dato dalla divisione del pic¬ colo fascio di sinistra seguita ben presto dalla loro riunione ; accrescimento della protuberanza xilematica del fascio normale di sinistra e comparsa in essa, probabilmente per sostituzione, di un nodulo di parenchima; fusione del doppio piccolo fascio di destra con il contiguo così che viene a formarsi un fascio triangolare con i gruppi di protoxilemi uno per ciascun an¬ golo; sdoppiamento del protoxilema dell' ultimo piccolo fascio differenziatosi e, ormai, con lieve forma ellittica, e traslazione di essi verso gli estremi dell'asse maggiore dell'ellissi; cambiamento di forma da circolare ad ellittica anche del piccolo fascio cen¬ trale fin'ora restato immutato (Tav. 8, Fig. 8, 9 e 10). Intanto mentre il nodulo parenchimatico del fascio normale di - 42 — sinistra diventa maggiormente preponderante, il fascio triangolare di destra si fonde con l'unico piccolo fascio formatosi e indi anche con il piccolo fascio mediano (Tav. 8, Fig. 11 e 12). Una lenta fu¬ sione, intanto s’ inizia anche con il piccolo fascio di sinistra a due protoxilemi, mentre il nodulo parenchimatico del fascio nor¬ male di sinistra riesce a farsi strada attraverso gli elementi cir¬ costanti xilematici, e a congiungersi con il tessuto fondamen¬ tale esterno (Tav. 8, Fig. 13 e 14). Un arco si distacca da questa traccia foliare così peculiarmente formatasi mentre il resto di essa, anche in forma di arco, permane ad integrare il fascio da cui si è originata. In tal modo si è formata la traccia foliare della prima foglia che si differenzia dal picciuolo, e che quindi chia¬ meremo foglia N. 1. In questo frattempo, mentre per strozza¬ mento dei tessuti circostanti si individualizza tale prima traccia picciuolare, il fascio di destra si è andato sempre più avvicinando all'unico ormai fascio mediano, risultato dalla fusione di tutti quei piccoli fasci, e si fonde, in fine, con esso (Tav. 8, Fig. 15, 16, 17, 18' e 18"). In seguito anche il fascio arcuato di sinistra distaccatosi dalla peculiare traccia formatasi in connessione del primitivo nor¬ male fascio di sinistra, si avvicina e quindi si fonde con il fascio mediano, mentre a destra un fascio xilematico a forma di arco si distacca dallo xilema centrale per unirsi al legno del primi¬ tivo fascio normale di destra. In questo modo per graduale re¬ stringimento del floema e quindi di tutti i tessuti circostanti si individualizza la traccia picciuolare della foglia N. 2 (Tav. 8, Fig. 19, 20, 21, 22' e 22"). Intanto una volta avvenuta la fusione descritta dei varii fasci, nello xilema intimamente fusosi di questi non è più possibile distinguere i varii protoxilemi, oltre che la sua forma come quella di tutto il fascio continuamente varia quasi in cerca di un assettamento definitivo, finché si risolve per frammentazione del fascio e quindi dei tessuti circostanti, al di fuori della traccia picciuolare N. 2, in quattro peculiari tracce che andranno ad in¬ nervare le altre quattro foglie che successivamente, a destra, si individualizzano, dal picciuolo fasciato (Tav. 8, Fig. 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29', 29", 30, 31', 31", 32' e 32"). E’ da rilevarsi il fatto che la traccia xilematica della foglia — 43 N. 6 mentre da principio mostra lo xilema già in forma di x, in seguito si ha divisione di esso per metà in corrispondenza dell'asse minore della x, per aversi poi di nuovo fusione delle due parti solo quando la traccia entra nel picciuolo individua¬ lizzatosi ; è inoltre da rilevare la peculiare traccia della foglia N. 5 che è incompleta essendo costituita dalla sola parte ven¬ trale ; il terzo protoxilema che sdoppiandosi costituisce la parte dorsale della traccia fa la sua comparsa soltanto dopo la com¬ pleta individualizzazione della foglia del picciuolo fasciato. Decorso dei fasci conduttori nelle singole foglie individua¬ lizzatisi dal picciuolo fasciato. — Nella prima, seconda e terza fo¬ glia che successivamente si individualizzano dal picciuolo fa¬ sciato, il sistema conduttore inizia il suo decorso nei rispettivi picciuoli già, come si è visto, sotto forma di un unico fascio pe- rifloematico con lo xilema a forma di un’ x. Il decorso ulte¬ riore di esso è normale, e soltanto nella prima foglia è da no¬ tarsi che verso l'estremo apice foliare esso si dicotomizza, e accenno a dicotomia si nota anche nel lembo foliare. La dicoto- mizzazione avviene come nel 1° e 2° tipo di dicotomia descritti ; e cioè il legno del fascio ellittico proprio di quel punto del decorso del sistema conduttore, aumenta i suoi elementi in di¬ rezione dell’asse maggiore dell'ellissi, e indi per costrizione nel mezzo di esso si originano due simili fasci (Tav. 9, Fig, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12). Nella terza foglia vi è poi da notare che fin quasi la metà del lembo foliare si osservano tracce deH’anormale origine della x xilematica costituitasi an¬ ziché per 1’ avvicinamento di due fasci uno destro o uno sinistro, per avvicinamento della sua regione ventrale con la dorsale (Tav. 9, Fig. 13, 14, 15, 16, 17 e 18). Nella quarta foglia tale origine della x xilematica è alla base picciuolare ancora chiaramente evidente, perchè la parte dorsale della x è ancora in differenziamento e non ancora fusa con la parte ventrale. Il decorso ulteriore del sistema condut¬ tore è però normale e solo è da notarsi che verso l'apice si dicotomizza inegualmente. La dicotamizzazione avviene come nel terzo tipo di dicotomia descritto, e cioè nello stesso modo come si originano le nervature secondarie, a parte la maggiore mole, — 44 — in questo caso, del fascio che si distacca dal ramo della x (Tav. 9, Fig. 19, 20, 21, 22, 23 e 24). Nella quinta foglia, come si è visto, il sistema conduttore è rappresentato da un fascio perifloematico la cui parte xile— matica ventrale è soltanto rappresentata ; ma subito un centro di differenziamento xilematico appare dorsalmente che dà luogo a un piccolo gruppo triangolare di elementi xilematici. Tale gruppo per sdoppiamento del p^otoxilema e sostituzione con elementi parenchimatici degli elementi xilematici dorsali centrali si trasforma ben presto in un arco la cui convessità aumenta sempre più fino a venire in contatto con gli elementi del legno ventrale (Tav. 9, Fig. 25, 26, 27, 28, 29 e 30). Il decorso così del sistema conduttore nelle foglie 3a, 4a e 5a e più o meno identico a quello del terzo esemplare descritto del terzo gruppo di dicotomia. Nell’ ultima foglia che si individualizza, la 6., il sistema conduttore sin dalla base è sostituito come nella prima foglia, da un fascio perifloematico con lo xilema già a forma di un x; il resto del suo decorso si effettua normalmente (Tav. 9, Fig. 31, 32, 33, 34, 35 e 36). E da notare soltanto anche qui, come nella terza foglia, un ritorno per breve tratto, della individualizzazione delle par¬ ti xilematiche dorsale e ventrale che hanno costituita la x xile— matica del fascio di tale foglia. Tricomi. L'esame dei tricomi della fasciazione è risultato interessante come quello delle dicotomie. Infatti, in luogo di squame, la superficie del picciuolo fa¬ sciato, specie nei solchi, peculiari di ogni fasciazione, si è mo¬ strata rivestita di lunghissimi tricomi mucillaginosi, multi-arti- colati. La Fig. 6 della Tav. 7 mostra un groviglio di tali peli e la Fig. 7 il disegno di due di essi. Circa il valore del riscontro di tali tricomi si è già detto a proposito di quelli riscontrati nelle dicotomie; e solo vi è da aggiungere che qui il ricordo ancestrale in proposito è nella sua maggiore manifestazione, poiché il tipo di tricoma semplice ha — 45 — quasi il predominio assoluto non solo sulle squame, ma su ogni altro tipo di tricoma. Non appare improbabile l’ipotesi che le squame di Scolo- pendrium vulgare L. siano il risultato di intessitura di tali peli. Questa ipotesi sarebbe confortata dalla presenza di qualche ar¬ ticolo portato lateralmente dai detti peli, e differenziato in glan¬ dola mucillaginosa sì da ricordare la presenza di simili glatidole non solo all'apice delle squame, ma anche alla base o ai mar¬ gini di queste. Considerazioni conclusive. Anzitutto è da considerare: quale valore bisogna dare alle anormalità? Anticamente le muostrosità erano considerate alla stessa stregua dei fossili, e cioè, o si ritenevano errori della natura (Aristotile), o scherzi, capricci della natura (Plinio). Fu solo con il Goethe che cominciò a intuirsi l'importanza della teratologia. Ma una volta affermatasi l'importanza di un tal ramo della botanica, gli studiosi di esso si sono divisi in due schiere: al¬ cuni fra i quali Schleiden, Sachs, Goebel ed altri inclinano più o meno a non dare molto valore alle forme teratologiche dal punto di vista morfologico; altri fra i quali G. S. Hilaire, Von Mohl, Moquin Tandon ritengono le anormalità delle piante mo¬ dificazioni peculiari molto spesso di gran valore per risolvere problemi morfologici. In vero molto giustamente dice il Goebel, come riporta il Worsdell, che non sempre può stabilirsi " dove una struttura normale termini e una anormale incominci „, tuttavia risultati di ricerche intraprese dal punto di vista teratologico, una volta che siano in accordo con i risultati dell' anatomia comparata e specie con i risultati ontogenetici e i fatti paleobotanici, non possono non riconoscersi utilissimi. Le presenti investigazioni ci conducono, infatti, a seguire le vedute del secondo gruppo di botanici su nominati; ad essere in accordo con il Jeffrey che fra i canoni dell'anatomia comparata tiene in gran conto la dottrina della reversione ; con il Wor¬ sdell ed altri che non condividono il principio che le forme — 46 — teratologiche siano il risultato di lavoro di pure energie chimi¬ che e fisiche soltanto. * * * Si è accennato nel capitolo sui tricomi ai soddisfacenti ri¬ sultati ottenuti dal Bower anche dall’esame comparativo di que¬ ste appendici del tessuto tegumentale, circa una probabile se¬ riazione filetica delle felci. Il Bower ha invero il merito di aver posto in luce mediante una serie di studii, le reali affinità che corrono fra i varii tipi di felci. Uno dei filutn da lui individualizzato è quello blecnoide al quale egli ritiene appartenga il genere Scolopendrium. Tipi di connessione tra i due generi Scolopendrium e Blecnum sareb¬ bero le specie Scolop. vulg. L. e Blec. punctulatum var. Krebsii. Il filum blecnoide, poi, attraverso Matteuccia intermedia deri¬ verebbe secondo il Bower, dalle Chyateaceae. Ora se non le Cyateaceae , le Protocyateaceae ( Lophosoria e Metaxya) possiedono peli semplici e mucillaginosi e quin¬ di molto simili a quelli da me riscontrati nella fasciazione e in qualche caso di dicotomia. Ciò evidentemente viene ad essere in accordo sia con l'ancestralità e omologia delle anomalie con¬ siderate, sia con le vedute del Bower circa l'importanza dell'e¬ same dei tricomi delle felci in morfologia, e circa una probabile derivazione ciateoidea del filum blecnoide. ■* * * Una delle probabili interpetrazioni da dare all’anomalia " fa¬ sciazione „ come si detto, è quella avanzata dal Takobasch e approfondita dal Worsdel ; secondo la quale, cioè, un organo fa¬ sciato e un organo biforcato non rappresenterebbero che il me¬ desimo fenomeno. Le ricerche presenti ci conducono appunto a condivide¬ re questa opinione, assumendo soltanto, per altro , che la fa¬ sciazione è da farsi rientrare nel medesimo fenomeno della di¬ cotomia, ma, in generale, si mostra alquanto più complessa della semplice dicotomia, probabilmente in conseguenza di una mag¬ giore intensità del ricordo ancestrale ; è evidentemente, poi, in — 47 - conseguenza di un maggiormente lungo e laborioso conflitto tra le forze agenti per l’unità e quelle agenti per la divisione. Come il Takobasch trovò fasciazione in un fusto prossimo a biforcarsi, noi abbiamo riscontrata ugualmente accenno a fa¬ sciazione nell’ ultimo caso di dicotomia descritto, e fasciazione con i peculiari solchi e strie, e parziale torsione, nel caso de¬ scritto di politomia foliare. Tenendo, d'altra parte, presente, in¬ fatti, come appare ben provato, che le parti basale ed apicale delle foglie sono sede di caratteri ancestrali mentre la parte mediana è la più recente, non poche peculiarità del sistema con¬ duttore delle varie foglie dicotome e di quello della fasciazione appaiono omologabili. Con il Worsdell ed 11 Takobasch ci sembra, quindi, evi¬ dente che in riguardo al loro valore morfologico non vi è al¬ cuna differenza tra il fenomeno della dicotomia e quello della fasciazione. * Si è fatto cenno nell’introduzione quale peculiare importanza morfologica si è proclivi ad attribuire all’anormalità " biforcazione foliare „, una volta riguardata nel suo intimo valore ancestrale. E' ben noto come attualmente tre principali teorie si con¬ tendono il primato, e cioè quella della “ fillorizza „, quella del " fi ton „ e quella, diremo, del " Lignier „. Tutte e tre sono so¬ stenute abilmente da valenti morfologi, ma l'ultima teoria che considera il fusto e la foglia come rami omologhi di un primi¬ tivo sistema indifferenziato, non si può disconoscere che , date le presenti conoscenze, sia la più completa e soddisfacente. Con l’ammissione che le Psilotales siano una classe di piante restate primitive, veduta la più probabile, l'embriologia è in suo favore poi che il Bower ci addita (The Ferns v. I, pag. 341) la consi¬ derazione dell'embrione di Tmesipteris studiato dall'HoLLOWAY, nel quale si notano le due regioni dell’ incipiente germoglio ugualmente ben sviluppate; con la costatazione paleontologica che le Botryopteridaceae sono le più antiche felci conosciute, anche l’anatomia comparata è in favore della suddetta teoria, poiché è stato notata la grande rassomiglianza della struttura vascolare tra foglia ed asse di Botryopteris cylindrica ; con il — 48 — riconoscimento di una primitiva razza di piante vascolari quale costituita da Kidston e Lang, o riconoscimento che sia di una razza tal Ioide vascolare, come opina I'Arber, le “ Psilophytales „ anche la filogenia è in suo favore 1). Ora, adesso, con la considerazione dei così frequenti casi di dicotomia foliare e di fasciazione sia nelle Pteridophyta che Spermophyta , e con l’omologare entrambe queste anomalie, con¬ clusione a cui sono pervenuta, almeno nel mio caso, sembra e- vidente che anche la dottrina della reversione è in favore di questa veduta circa l’origine della pianta vascolare. L’accettazione, pertanto, dell’ancestralità di tale tendenza alle dette anomalie, ovunque si mostrino, ci conduce alla que¬ stione dell'omologia o pur no di tutti gli organi foliari. Infatti, restando nei limiti della teoria del “ Lignier „, al¬ cuni con questo autore distinguono due categorie di foglie : quelle delle " Philloideae „ (Lycopodii) originante da emergenze del tallo ; e quelle delle Phyllineae “ ( Pritnofilices , Crittogame vascolari meno i Licopodii , e Spermophyta),, originate da modifica¬ zioni di rami talloidi; altri come Bower e Tansley combattono tale suddivisione ; mentre altri come Veuillemin, invece, compli¬ cano le cose distinguendo nelle stesse piante a seme due ordini di organi foliari e cioè, i frondomi e i fillomi. Secondo questo bo¬ tanico, i cotiledoni, gli stami e i petali, in generale, sarebbero dei frondomi; le foglie vegetative, le brattee e i sepali in gene¬ rale, dei fillomi; il carpello un'associazione intima di un fron- doma e di un filloma. l) Propriamente secondo il Bower l'intero germoglio delle Felci può essere riguardato teoricamente come un dicopodio specializzato derivato da uguale dicotomia dell’apice del fuso primordiale (Teoria del « Primitive Spindle ».) Un ramo della prima distale ramificazione del fuso è da considerarsi nell'embrione di una Felce come Yaxis, ed ha accrescimento continuo, ma lento dell' apice ; l’altro che cresce più celermente sarebbe la prima foglia o Cotyledon. Il fatto che le foglie post - cotiledonari sono realmente viste originarsi lateralmente sotto l’apice dell’asse che è monopodiale, è spiegato dal Bower a mezzo di una ipotesi molto attendibile, e che cioè tale posizione laterale delle foglie post-cotiledonari è da ritenersi una posizione raggiunta secondariamente ; alla medesima guisa, come egli stesso ha messo in evidenza, che 1' origine mono¬ podiale delle pinne lateralmente al fillopodio è stata una modificazione secon¬ daria della dicotomia dell' apice foliare. — 49 — Ma la veduta del Veuillemin è combattuta abilmente dal Bugnon che riscontra indifferentemente la medesima tendenza alla dicotomia sia nelle foglie vegetative che in quelle fiorali e embrionali, organi, in ispecie, da considerarsi eminentemente conservatori dei caratteri ancestrali. Mentre, infatti, il Worsdell ritiene la biforcazione dei cotiledoni un fenomeno progressivo anzi che reversionario, il Bugnon ha dimostrato che la frequente peculiare struttura dell'unico cotiledone delle Monocotiledoni consistente nella presenza di un doppio fascio libero-legnoso principale si deve riattaccare al modo generale e ancestrale di ramificazione foliare dicotomica, e non ritenersi dovuta a una possibile fusione di due organi simili come è stato ammesso dalla Sargant (teoria della sincotilia). Eterocotilia e non sinco- tilia spiegherebbe la probabile derivazione del gruppo delle Mo¬ nocotiledoni dalle Dicotiledoni. * * * Indipendentemente da ogni probabile veduta circa l'origine della pianta vascolare, altra ardua questione è l'indipendenza o pur no di origine dei sistemi libero-legnosi rispettivamente del fusto e della foglia. Tale questione ultimamente è stata presa in considerazione dal Posthumus e dallo Schoute. Il Posthumus nel suo lavoro " On some principles of stelar morphology „ viene alla conclusione che il sistema vascolare delle Felci e Spermopliyta è costituito di legno della traccia fo¬ liare e di legno del fusto e tessuti circostanti; e che la differen¬ ziazione in ciascuno organo è indipendente da quella dell'altro. In un suo secondo lavoro “ On thè anatomy of thè Hymetio- phyllaceae and some additional remarks on stelar morphology „ conclude che la distinzione del legno della traccia foliare e di quello del fusto è giustificata dalpunto di vista descrittivo e che, se uno di essi sia derivato dall'altro non può decidersi per man¬ canza di evidenza. A una simile veduta è condotto lo Schoute nel suo recente lavoro " On thè foliar origin of thè internai stelar structure of thè Marattiaceae „ poiché conclude che dal punto di vista de- - 4 - ' * — 50 — scrittivo é da accettarsi la distinzione tra legno della traccia fo¬ llare e legno del fusto, ma non è certo se la sua distinzione può avere un senso filogenetico; le condizioni nelle Marattiacee non indulgerebbero verso questa direzione. Ora la presenza dei piccoli fasci concentrici descritti tro¬ vati nella fasciazione e che si differenziano in tracce picciuolari, oltre che la formazione di peculiari tracce foliari ex novo in alcu¬ ni casi di biforcazione, mi sembra in favore della veduta che con¬ sidera la traccia picciuolare godere di una propria indipendenza. E’ interessante, a riguardo, che pare che di simili fasci quali da me osservati alla base della fasciazione, siano stati riscontrati nella ramificazione dicotoma in Alsophila glauca, oltre che si tro¬ vano nel midollo di alcune Cyataceae (C. Imrayana, Pteris Podo- phylla , Schizaea dichotoma e Platyzoma ); come pure di simili fasci pare siano stati riscontrati in una fasciazione di Veronica longifo- lia) nell’ hy pariti uni di alcune rosacee, nella corolla di Adenostylis e parte inferiore della lamina foliare in Alchemilla vulgaris L. Il fatto che in Psilophyton non vi è il più debole segno di una traccia foliare originantesi dalla stela caulina; che in Psilo¬ phyton la conversione degli elementi procambiali prende posto nell'asse principale e nei rami indipendentemente (probabilmente in differenti periodi, dice I'Arber), e inoltre che questi centri di li¬ gnificazione non furono in continuità eccetto che per mezzo di tes¬ suti parenchimatici, in modo che le continuità tra le stele dei mem¬ bri di differenti ordini di assi fu una modificazione ultima la cui utilità ben presto, però, diventò ovvia, mi sembra che conforti molto la veduta deH'indipendenza della traccia foliare. * * * Ben noto è lo studio di Bertrand e Cornaille sulla massa libero-legnosa elementare delle Felci attuali e suoi modi di di¬ sporsi nella fronda, nel quale hanno distinti quattro tipi princi¬ pali di traccia foliare; la traccia osmundacea, la ciatacea, l'onoc- leana, la marattiacea, tutte collegate tra di loro. In seguito tra i botanici che si sono occupati della traccia foliare delle Filicales , sono da ricordare Kidston e Owvnne Waughan, Paul Bertrand, il Gordon, il Sinnot. Mentre que- st'ultimo ha investigato le Felci viventi, gli altri, anzitutto, hanno lavorato sulle più antiche Felci fossili conosciute ( Coenopterida - ceae e Osmandaceae). Essi sono pervenuti alla teoria che tutte le differenti forme di traccia picciuolare nelle Felci sono da de¬ rivarsi da un tipo primitivo di traccia rappresentato da un fascio più o meno rotondo od ellittico in sezione, con una solida massa centrale di legno del medesimo contorno e possedente original¬ mente un sol protoxilema mesarco. Da questa primitiva traccia sarebbero derivate parallelamente la traccia osmundacea a forma di una c curva adassialmente e che avrebbe a sua volta dato ori¬ gine, per rimpiazzo delle trachee del lato adassiale del proto¬ xilema da parenchima, a tutti gli altri tipi di traccia delle Felci viventi; quella delle zygopteridee per sdoppiamento del singolo protoxilema in due parti emigrate verso ciascuna estremità di un fascio ellittico (traccia di Clepsydropsis antiqua). Il Sinnot, d'altra parte, avendo studiato la base della trac¬ cia foliare delle felci viventi, ammette tre tipi principali di trac¬ cia: la primitivamente monarca, la primitivamente diarca, la pri¬ mitivamente triarca. Il primo tipo, proprio delle Osmundacee e Ofioglossacee, sarebbe rappresentato da un fascio monarco me¬ sarco come è stato riscontrato nelle Osmundacee fossili. Il se¬ condo tipo, proprio delle Marattiacee, sarebbe rappresentato da due fasci circolari concentrici con protoxilema mesarco. Il terzo tipo, caratteristico di tutte le rimanenti felci, sarebbe dato da un fascio aH'ingrosso triangolare, con la base verso l'asse e con tre protoxilemi uno per ciascun angolo. Nelle Schizaceae , Gleiche- niaceae e primitive Matoninaeì tra le Simplices, il fascio rimar¬ rebbe singolo e triarco, e spesso mesarco (la struttura di Ly- godiurn sarebbe primitiva). Nelle Gradatae più semplici la traccia diventerebbe allun¬ gata in un arco tetrarco appiattito alla sommità, che nelle Dik~ soniaceae e Cyatheaceae diventerebbe separato in due. Nelle Mistae inferiori la traccia si presenterebbe tetrarca e indivisa nelle forme più piccole e più semplici, mentre nelle altre diventerebbe divisa in due uguali fasci diarchi. Il sistema picciuolato compli¬ cato delle Polypodiaceae più evolute, e quindi quello blecnoide a cui la nostra felce appartiene, sarebbe sempre riferibile a questo tipo più semplice di traccia. - 52 — Egli ritiene, inoltre, la traccia marattiacea derivare dalla mo¬ narca per costrizione e separazione in due di un tal fascio pri¬ mitivo diarco come quello di Clepoydropsis, mentre la condi¬ zione triarca essersi originata per amplificazione di un simile fa¬ scio in tetrarco e fusione dei due gruppi mediani di protoxilema. Così mentre Kidston, e Gwynne Waughan e gli altri su no¬ minati sarebbero proclivi a far derivare la traccia foliare delle presenti Felci per via osmundacea, il Sinnot indulgerebbe verso- una derivazione per via zigopteridea. Ora essendo tali le teorte circa una primitiva traccia foliare delle Felci da ammettersi, e sua evoluzione ; a parte le svariate analogie riscontrate in proposito, mi sembra di grande interesse la presenza di quei tre fasci e quindi quattro, circolari, concen¬ trici e mesarchi riscontrati alla base della fasciazione. E' ben sta¬ bilito, infatti, che la base picciuolare è sede di caratteri ance¬ strali. Difficile è, in seguito, in vero, assegnare valore filogene¬ tico alle successive peculiari modalità che si riscontrano, poiché evidentemente ogni ricordo ancestrale appare dominato dalle op¬ poste forze volgenti venso l'unità e la divisione che, come ha messo in evidenza il Worsdell, non mancano mai di svilupparsi in ogni fasciazione. Essi ben presto, infatti, perdono la loro in¬ dividualità, sebbene poi la riacquistino una volta vinta la forza tendente all'unità deH'organo. Pertanto le modalità riscontrate ci conducono, alquanto sche¬ matizzando, alla conclusione che nella fasciazione la fase della traccia foliare consistente di due fasci diarchi è sorvolata; al suo posto tre fasci circolari originati per suddivisione di un primi¬ tivo fascio concentrico mesarco, vengono a costituire le varie tracce, e dei quali due ne formano la parte ventrale, la più im¬ portante, e l'altro sdoppiando il suo protoxilema e differenzian¬ dosi a guisa di traccia osmundacea, la parte dorsale. Abbiamo detto schematizzando, perchè al momento della preponderanza, diremo, della forza unitaria, le varie tracce si fondono in un sol fascio a vario grado di differenziamento, una sola essendosi dif¬ ferenziata già nel modo descritto; e in vario grado di differen¬ ziamento si ridividualizzano. Il valore filogenetico di tali moda¬ lità strutturali è evidentemente dubbio, poiché ricordi ancestrali — 53 — probabilmente potrebbero essere confusi con accelerazioni di dif¬ ferenziamento, e adattamenti. Ma un'ulteriore osservazione è da farsi, o cioè quale inter- petrazione dare alla tendenza dello xilema nelle tracce foliari della fasciazione e nella traccia di un caso di dicotomia, a mantenere la sua porzione ventrale della x separata dalla dorsale che per altro si differenzia con un certo ritardo. È molto probabile che 1' interpretazione da dare a questa peculiare modalità strutturale sia da ricercarsi in un ricordo filetico, sia o pur no la vera traccia ancestrale di Scolop. Vulgare L. quella intravista nella fa¬ sciazione secondo quando si è descritto e su ricordato. Conclusioni generali* 1. Le ricerche eseguite ci conducono a confermare la im¬ portanza delle strutture anomale considerate anche dal punto di vista morfologico* 2. L’esame dei tricomi delle strutture anomale investigate si trova in accordo con l’ammessa ancestralità di queste strutture che, quindi, conferma ; e ne risulta, in conseguenza, evidente la importanza che la investigazione comparativa dei tricomi può avere in morfologia. 3. La comparazione strutturale di entrambe le anomalie stu¬ diate — dicotomia e fasciazione — rende evidente la loro omo¬ logia. 4. La frequenza di tali anomalie viene ad essere in pieno accordo con la generale veduta che la struttura foliare è essen¬ zialmente dicotoma; e tale teoria una volta applicata alla mor¬ fologia della pianta vascolare può assumersi a conforto anche dal punto di vista teratologico della veduta che il fusto e la foglia sono parti omologhe di un primitivo sistema dicotomo indifferenziato. 5. La presenza nella fasciazione investigata di fasci a strut¬ tura ancestrale che si differenziano in tracce foliari, e il costi¬ tuirsi di una nuova traccia foliare in alcuni casi di dicotomia in¬ dulge verso l’opinione che il sistema vascolare del fusto e del¬ l'organo foliare si siano differenziati indipendentemente. 6. Se valore filogenetico può darsi, come sembra, ad alcune m — 54 - modalità strutturali riscontrate nella fasciazione e in un caso di semplice biforcazione foliare, la traccia picciuolare ancestrale di Scolopendrium vulgare è da ammettersi che sia stata di tre fasci risultati per successive divisioni da un unico fascio circolare, mesarco, concentrico; due dei quali, unendosi, costituirebbero la parte ventrale della traccia, mentre l'altro, sdoppiando il suo pro¬ toxilema, ne costituirebbe la parte dorsale. Sento ora il dovere di esprimere la mia gratitudine all' illu¬ stre Prof. Fridiano Cavara, Direttore dell'Istituto, per l'ospitalità offertami e per il suo prezioso interessamento alle mie ricerche. Napoli, Istituto Botanico K. Università. — 55 — BIBLIOGRAFIA 1895. Abbado, M. — Divisione della nervatura e della lamina in al¬ cune foglie di Buxus sempervirens L. Bull. Soc. Botan. Ital. pag. 179. 1921. Arber, E. A. N. — Devonian Floras. Cambridge University Press. 1919. Baccarini, P. — Sulle fasciazioni di Bunias orientalis L. Nuovo Giorn. Bot. Ital. Nuova serie, Voi. 25, pag. 179. 1918. Beghinot. — Sulla ereditarietà della fasciazione nel Poterium Sanguisorba L. Bull. Soc. Bot. Ital. pag. 46. 1917. Bower, F. O. — 7. On thè leaf architecture as illuminated by a study of Pteridhophyta. Trans. Roy. Soc. Edimburg. Voi. 51, pag. 657. 1923. — — 2. The Ferns. Cambridge, Voi. I. 1926. — — 3. „ „ Voi. II. 1914. — — 4. Studi es in thè phylogeny of thè Filicales IV. Ble- chnutn and allied genera. 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L’ingrandimento dei detti disegni è approssimativament l/2 di quello dato dall’oc. 3 e ob. 3 (Koristka). Inoltre i disegni della Tav. VII, Fig. 2, 3, 5, 7 e 8, corrispondono all'in¬ grandimento : oc. 2 e ob. 8 (Koristka); mentre le microfotografie Fig. 4 e 6 a quello: oc. 3 e ob. 5 (Koristka). Le fotografie sono state eseguite dal Chiar.mo Dott. Q. Rodio gentilmente prestatosi. Finito di stampare il 30 marzo 1927 » Sul comportamento del Selenio eccitato con sostanze radioattive. Nota del socio Prof» Washington Del Regno (con 2 tavola) (Tornata del 20 marzo 1927) In una mia precedente nota l) ho posto in evidenza il com¬ portamento di una cella a Selenio sottoposta all' eccitazione di una sostanza radioattiva e propriamente di un preparato di Me¬ sofrio. Questa sostanza emette radiazioni (3 e y ed era da as¬ sodare, in caso di un'azione efficace, quale parte fosse dovuta ai raggi (3 e quale ai raggi y così essenzialmente diversi dai precedenti. Dalle mie esperienze risultò che quasi tutta l'attività di eccitazione era dovuta alle radiazioni p, assai piccola essendo la sensibilità della cella quando, filtrata la radiazione attraverso uno strato di un millimetro di piombo, viene a cadere sulla cella solo la radiazione y. Questo comportamento ho riesaminato sperimentando su di un'altra cella, anche questa fornitami dalla casa Griffin e dello stesso tipo di quella precedente, unica differenza una più gran¬ de superficie sensibile. I risultati ottenuti nelle nuove esperienze confermano le deduzioni tratte dalle esperienze precedenti in merito alila diversa efficacia dei due tipi di radiazioni come ri¬ sulta dai dati della tabella I. q Del Regno. — Sul comportamento del Selenio sottoposto all’azione delle radiazioni del Mesotorio. Rend. R. Acc. dei Lincei. Voi. III. Serie la. lo sem. fase. 4o Roma febbraio 1926. — 60 — Valori di Tempi 15" 30" 45" 60" 90" 120" senza filtro 0,193 0,291 0,329 0,346 0,361 0,368 con filtro — 0,008 — 0,012 0,020 0,023 A confermare poi la piccola efficacia delle radiazioni y an¬ che per altre sostanze radioattive ho eseguito delle esperienze sottoponendo la cella di Selenio ai raggi y del Radio C avendo potuto disporre, per la cortesia del Prof. Trabacchi, di un tu¬ betto di emanazione di Radio di attività uguale a 90 millicurie nel giorno in cui venne impiegato : i valori trovati per la sen¬ sibilità del Selenio così eccitato sono dello stesso ordine di gran¬ dezza di quelli che si hanno per le radiazioni y del Mesotorio. Valori di Tempi 30" 60" 90" 120" Raggi y del mesotorio 0,008 0,012 0,020 0,023 „ „ „ Radio C 0,011 0,018 0,025 0,029 I risultati sopraindicati mostrano che la misura dell' inten¬ sità dei raggi y mediante celle a Selenio richiede metodi diversi da quelli da impiegarsi per i raggi (3. Per i primi, data la non grande efficacia dell’eccitazione sarà necessario ricorrere a metodi di misura più sensibili e, se mai, in qualche caso, all'amplifica- zione delle piccole correnti che possono ottenersi , metodi che ai nostri giorni non presentano più alcuna difficoltà essendo entrati nella pratica comune di laboratorio. D’altra parte è da rilevare che le eccitazioni deboli possono, nel caso del Selenio, essere preferibili a quelle forti perchè mentre la rivelazione di correnti deboli non offre difficoltà, la cella sotto eccitazioni non forti presenta comportamento più regolare, subisce un fenomeno di stanchezza molto minore, e di più la relazione fra corrente fotoelettrica ed intensità di eccitazione risulta più semplice. — 61 Varrebbe quindi se mai ricondurre la misura dell'intensità dei raggi fi a quella dei raggi di piccola eccitazione e ciò ri¬ ducendo con schermi di piombo l'intensità dei fascio incidente; ma il problema non è semplice perchè l'introduzione dello scher¬ mo porta il disturbo della produzione di radiazioni secondarie, disturbo non trascurabile e per di più non ben conosciuto. Le nuove esperienze confermano la grande sensibilità del Selenio eccitato col mesotorio, anzi i valori ottenuti per la sen¬ sibilità, e che si riportano, sono quasi coincidenti con quelli ot¬ tenuti con l'altra cella : si opera cioè sulla stessa varietà di Se¬ lenio e perciò questi nuovi risultati integrano quelli ottenuti nelle esperienze precedenti. Valori di —5— K la cella Nuova cella Tempi AR R Tempi AR R Valori AR nuovi di R 30" 0,320 15" 0,189 0,204 0,186 0,192 0,193 60" 0,335 30" 0,288 0,293 0,285 0,295 0,291 90" 0,350 45" 0,328 0,334 0,320 0,334 0,329 120" 0,360 60" 0,346 0,351 0,328 0,349 0,346 90" 0,361 0,367 0,351 0,361 0,361 120" 0,367 0,374 0,359 0,368 0,368 La variazione della sensibilità della cella al variare dell'in¬ tensità di eccitazione è indicata nel grafico della Fig. I. la va¬ riazione dell'intensità di eccitazione essendosi ottenuta in queste esperienze senza variare la distanza fra Selenio e Mesotorio ma invece interponendo sottili laminette di piombo di spessore va¬ riabile. Dalla stessa figura si rileva anche la variazione della sen¬ sibilità sotto eccitazione costante al variare del tempo di eccita¬ zione in corrispondenza ad intensità diverse della radiazione ec¬ citatrice : le curve ed i risultati sono analoghi a quelli ottenuti nelle precedenti esperienze dimodoché si può affermare che per le radiazioni ,j e y delle sostanze radioattive il Selenio presenta, al variare dell'intensità di eccitazione, un comportamento analogo a quello che si ottiene nel caso dell’eccitazione con raggi dello spettro visibile. In quanto ai risultati ottenuti con un'eccitazione ciclica si danno alcuni dati relativi a cicli di diverso periodo e la rappre- Numero dei cicli 7 AR — -pr— (sensibilità) AR AR’ AR = variazione di resi¬ stenza senza raggi AR’=~variaz. con i raggi raggi B e y raggi y raggi 6 e Y raggi y n 2) 3) 4) i) 2) 3) 4) 1° ciclo 0,39 0,35 0,213 0,184 0,48 0,40 0,03 0,05 2° ^ 1 1 0,28 0,32 0,090 0,096 0,81 0,73 0,35 0,40 3° u n 0,27 0,29 0,075 0,084 0,88 0,91 0,50 0,49 4° ^ a 0,26 0,29 0,067 0,085 0,91 0,87 0,61 0,59 5° a 0,29 9 Tempo di eccitazione 5': di riposo 5' — 2) Tempo di eccitazione 3': tempo di riposo 3' — :ì) e 4) Tempo di eccitazione 10': tempo di riposo 10'. — 63 — sentazione grafica di due di essi. Risulta in modo indubbio che pur avendosi tempi di recupero sempre piccoli qualunque l’ec¬ citazione, anche se molto intensa, la sensibilità, dopo le prime eccitazioni, varia solo di poco, ed il recupero è dello stesso or¬ dine di grandezza della variazione di resistenza, ciò che lascia prevedere che nel caso di eccitazioni più deboli e con tempo di recupero un pò maggiore, l'eccitazione ripetuta può dare va¬ lori della sensibilità dipendenti esclusivamente dall’intensità di eccitazione e non dallo stato nel quale viene a trovarsi la cella volta per volta per azione delle precedenti eccitazioni e quindi la possibilità di un facile e sicuro impiego del Selenio per la misura dell'intensità di queste radiazioni. Altro particolare da rilevare è il seguente. Se si confronta¬ no le variazioni della resistenza della cella negli intervalli di tempo fra un'eccitazione e l’altra si nota che la variazione do¬ po la prima eccitazione è quasi la metà di quella che si ha do¬ po la seconda eccitazione nel caso dell'eccitazione con raggi (3 e Y ed ancora meno (da 1|8 ad 1|10) nel caso dell'eccitazione con raggi y. Il cosiddetto fenomeno di coda per il Selenio eccitato con queste speciali radiazioni è dunque molto grande ma solo dopo la prima eccitazione: questo particolare conportamento può trarre in inganno uno sperimentatore che rilevi la curva di va¬ riazione di resistenza di una cella nel periodo di eccitazione ed in quello che segue quando la cella non è più sottoposta all'a¬ zione dei raggi, e che da questo risultato tragga la conclusione che per queste speciali radiazioni il Selenio presenti un' iner¬ zia molto grande, maggiore di quella che si ha nel caso delle radiazioni luminose, com'è stato asserito da qualche autore. An¬ che nello studio di questo fenomeno il metodo dei processi ci¬ clici, così ampiamente applicato negli studi di elasticità, di termo elasticità, di magnetismo, è quello che meglio di ogni altro può condurre a risultati sicuri potendosi solo in tal modo avere un comportamento quasi del tutto indipendente dalla storia dei pro¬ cessi ai quali la sostanza é stata precedentemente sottoposta. Da un punto di vista puramente teorico infine è da osser¬ vare che assodata la diversa efficacia delle radiazioni (3 in con¬ fronto a quelle y si rende necessario assodare se questa di¬ versità sia dipendente esclusivamente dalla diversa energia dei * due fasci, oppure, come pare più probabile, anche dalla diversa natura di queste radiazioni. Infatti nel caso delle radiazioni lu¬ minose *) impiegando sorgenti a temperature diverse l'effetto massimo si ottiene sempre in corrispondenza alla stessa radia¬ zione pur avendosi massimi di energia in corrispondenza a ra¬ diazioni diverse dello spettro: l'effetto fotoelettrico è quindi un fenomeno di risonanza e per tal fatto è da prevedere che la natura essenzialmente diversa delle radiazioni debba avere la sua influenza. Riassumendo: con queste nuove esperienze 1° si è confermata la notevole sensibilità del Selenio ecci¬ tato con i raggi p e y delle sostanze radioattive e la diversità di azione delle raiiazioni in confronto delle y: 2° si é richiamata l'attenzione sui vantaggi che si possono ottenere nello studio delle proprietà fotoelettriche dall' impiego del metodo delle eccitazioni cicliche e come con le eccitazioni ripetute si possa avere un mezzo facile e sicuro per la misura dell'intensità di queste radiazioni: 3° si è fatto rilevare che non corrisponde al vero l'asserita maggiore inerzia del Selenio per queste radiazioni in confronto a quella che si ha per le radiazioni luminose. Napoli. Istituto di Fisica Sperimentale della R. Università. Marzo 1927. (Finito di stampare il 30 marzo 1927) 4) Del Regno. — Sulla natura del fenomeno fotoelettrico nel Selenio. Nuovo Cimento, anno 1915. Linosa (Isole Pelagie) Memoria del socio O* De Fiore (Tornata del 30 dicembre 1926) Sommario I. — Introduzione. Le descrizioni geologiche di Gussone (1828), Calcara (1846), Spe¬ ciale (1884), Trabucco (1888), Washington (1905). IL — Descrizione geologica e morfologica. M. Bandiera (cr. del fosso), Crateri del Pozzo salito e del Posto (su¬ bacquei). M. Levante - L'edificio dei tufi grigi I (subacqueo). M. Ponente - L’edificio del tufo giallo I (subacqueo). L'edificio del tufo grigio II (subacqueo). L’edificio della scoria e lava III (subaereo). Il Timpone - L'edificio della scoria e lava I (subaereo-subacqueo). L’edificio della scoria II (subaereo). M. Levante - L'edificio della scoria rossa (subaereo-subacqueo). M. Vulcano - Edificio di scoria e lava (subaereo). M. Rossa e suo sistema di crateri e coni avventizii. Edificio di scorie e lava 'subaereo). M. Bancarella - Tufi gialli (subacquei-subaerei). Origine ed estensione delle colate laviche ; col. di M. Ponente ; col. di M. Vulcano; col. di M. Rossa; col. del Timpone. Influenza delle colate sulla geomorfologia. Linee di spiaggia - Tracce di sollevamenti. Topografia subacquea di Linosa. III. — La costituzione morfologica del bacino.-I terreni visibili. -Probabile natura delle basi di Linosa. Fossili, calcari ed età geologica di Lampedusa. Morfologia del bacino del mare di Sicilia. - Emersioni e sommersioni. - Età di Linosa - Comportamento della flora. - Avanzi preistorici. - 5 - — 66 — IV. — N a t u r a e successione delle eruzioni - Morfologia e costituzione degli edifici. I tipi di centri eruttivi. - Periodi eruttivi. Io Periodo - Sottomarino. M. Levante I - M. Bandiera - Calcarella (Cr. del fosso) - Crateri del Pozzo salito e del Posto. - Gli edificii di tufi giallo e tufo grigio, Ponente I— II - Timpone I, Levante IL Ilo Periodo - Subaereo. M. Ponente III - Timpone II- M. Vulcano -M. Rossa - Bancarella, cono sottomarino - 14. V. — Conclusioni. Note e Bibliografia. I. — Introduzione. La costruzione d'una carta batimetrica del Mediterraneo ita¬ liano (1), destinata allo studio dei rapporti fra i varii sistemi di vulcani continentali ed insulari che si estendono su tutta la pe¬ nisola e nelle regioni adiacenti, m' ha dimostrato che sappiamo ancóra ben poco su tali rapporti. Benché i dati siano quasi suf¬ ficienti per seguire l’andamento delle isobate nelle grandi linee, essi non lo sono più se si vuole scendere al dettaglio. Ciò mi suggerì una proposta che, con rapporto scritto, presentai al Co¬ mitato talassografico nella riunione, a Napoli, del 1924. In essa indicavo quali fossero le zone che maggiormente conveniva scan¬ dagliare, corredando così la carta di nuovi dati bati metrici e mi fermavo specialmente sulla zona vulcanica a S della Sicilia, la quale include Pantelleria, Linosa e gli annessi vulcani sottoma¬ rini. Accolta la proposta e deliberata la campagna, ne fui escluso dal Comandante l’Ufficio Idrografico della R. Marina, con una motivazione semplicemente incomprensibile. Quella parte dello studio che io mi offrivo di eseguire gratuitamente, venne affi¬ data ad altri e nulla so dell’esito della campagna del 1925. Sic¬ come però non vedevo affatto la necessità di tralasciare le ri¬ cerche propostemi ed essendo convinto, d'altro canto, del fatto che mai l'Ufficio Idrografico potrà riunire i dati geologici ne- cessarii allo sviluppo armonico e completo dello studio, così co¬ me io l'ho proposto, ho intrapreso per mio conto una prima campagna per l'esame di Linosa. E’ chiaro che in esso vi sa¬ ranno delle lacune per quel che riguarda le configurazioni sot¬ tomarine (e ciò discuterò più oltre), ma è anche evidente che 67 — riunendo i miei risultati a quelli che eventualmente pubblicherà rufficio Idrografico, potremo incominciare a sapere qualcosa di definitivo sulla costituzione geologica e morfologica dei vulcani considerati. La mia campagna s'è svolta nel giugno-luglio 1926. Le carte che corredano questo studio sono state costruite colla base di quelle al 25.000 del R. Istituto geografico militare e dell'Ufficio idrografico della R. Marina (F° 265 II e piano N. 211). Siccome fra le due carte vi sono le solite, e non lievi, differenze di contorno costiero, così come ho osservato anche a Vulcano (2) ed inoltre nella carta topografica v'è qualche lieve inesattezza, dovuta, con tutta probabilità, alla piccolezza della scala originaria di pub¬ blicazione (50.000), così ho creduto opportuno eseguire una trian¬ golazione sussidiaria per quelle parti dell'isola che maggiormente mi interessavano, per dettagli geologici e morfologici. La trian¬ golazione è stata eseguita con un tacheometro del R. Catasto, prendendo come basi i capisaldi trigonometrici principali esistenti ancóra nell'isola ed è riportata nella carta dalla tav. 2 rilevata alla scala 1:10.000. I dati così ottenuti sono stati utilizzati per la costruzione della carta della tav. 1. Per questa parte del lavoro e per l'esecuzione del relativo piano quotato, debbo i miei rin¬ graziamenti più cordiali al Sig. Geometra Aristide Cuffaro, il quale, essendo nell'isola pel suo ufficio, ha messo a mia dispo¬ sizione, pel tempo necessario, il tacheometro ed i suoi uomini, pel rilievo (durante il tempo nel quale Egli era altrimenti oc¬ cupato) e mi ha. poi, efficacemente coadiuvato nella costruzione del piano anzidetto. Le interessantissime collezioni litologiche sono al Museo mineralogico della R. U. di Napoli. Le descrizioni di Gussone (1828), Calcara (1846), Speciale (1884) Trabucco (1888), Washington (1905). Nel 1828 il Gussone (3) visitò le Pelagie e pochi anni dopo ne scrisse una descrizione geologica accurata, ma disgraziata¬ mente poco chiara. Si comprende che egli distingue la forma¬ zione della M. Rossa, i crateri del M. Ponente e del Timpone, il cr. del fosso nel quale vide delle lave, ed il cr. di M. Vul¬ cano. Notevole il fatto che alla M. di Levante distingue le for¬ mazioni dei tufi grigi inferiori, dalla scoria rossa superiore. 1 era- — 68 — teri del centro dell'isola sono indicati come una valle e non ri¬ conosciuti còme tali. La prima descrizione geologica completa (accompagnata da una carta a colori) è quella del Calcara (3), il quale visitò l'isola nel 1846. Seguace delle idee vulcanologiche del tempo ed evi¬ dentemente del Pilla, etc., Egli distinse nell'isola una parte dovuta a sollevamento ed una ad eruzioni. Riferisce al primo le forma¬ zioni della Cala della Pozzolana; il centro dell’isola; la Costa di tramontana e la regione presso M. Bandiera ed alle seconde la Al. Levante con tre crateri (?) ed il lato orientale della M. della Pozzolana (M. Ponente) con due crateri (probabilmente M. Po¬ nente, scoria rossa, ed il Timpone). Le rocce dominanti sono trachite ad augite, olivina e riacolite; tefrina ad augite e labra¬ dorite. Le sue vedute sono condensate nella conclusione che se¬ gue: “ surta dal mare in parte da plutonici sollevamenti ed in parte da successive eruzioni pirogeniche e vulcaniche... Seguendo la scorta dei moderni geologi, io ben ravviso che la roccia tra- chitica di Linosa terminata dai crateri di sollevamento fu al certo la prima roccia che la mercè il fuoco centrale si manifestò al disopra del livello del mare , mentre dopo alquanto tempo se¬ guirono i fenomeni vulcanici producendo l’incandescenti e fuse masse che ivi si addossarono in forma di corrente e produssero la eminenza dei terreni tefrinici, terminati da terreni di eruzione che si riconoscono per la forma e pei materiali scoriacei ed in¬ coerenti di cui essi risultano. La decomposizione della roccia tra- chitica sottoposta o limitrofa, proviene a dir vero dal contatto delle fuse masse della lava e della continua azione decompo¬ nente degli imponderabili e degli agenti meteorici . „ Credo utile notare che fra i fatti geologici di qualche importanza egli rilevò 1’esistenza di due pozzi scavati: uno nella regione della “ mandra dei maltesi,, (ora " mandrazze „) ed uno nel cratere pel Posto (detto anche adesso " pozzo salito „) i quali giunge¬ vano al 1. d. tri. e davano acque salmastre. Inoltre, aggiunge che i venti dominanti sono mezzogiorno e scirocco e, subordinata- mente, tramontana e maestro. Sono anche notevoli le variazioni toponomastiche. Queste osservazioni del Calcara sono importanti per la sto- ria dell'evoluzione della vulcanologia, poiché, come osservazioni — 69 — geologiche, non hanno alcun valore, essendo frutto di precon¬ cetti dovuti alle teorie allora dominanti e come osservazioni mor¬ fologiche, ne hanno ancóra meno a causa delle grandi inesat¬ tezze, p. es. delle quote e dei particolari topografici. Esse sono anche notevoli pel fatto che per lungo tempo e cioè fino al 1880 circa, servirono di base a tutti coloro i quali scrissero dei vulcani d’Italia senza visitarli. È chiara la loro in¬ fluenza nei libri dello Scrope, del Fuchs, del Gatta, del Mer- calli (4), anche quando l’A. non è nominato. Alcuni di questi AA. non solo citano le osservazioni del Calcara su Linosa, ma an¬ che una sua osservazione sul rinvenimento di ciottoli a Lam¬ pedusa, che ammette importati colà dall'uomo, per dedurne che Lampedusa è vulcanica. Dopo lungo tempo, nel 1884, Linosa fu visitata dallo Spe¬ ciale (5) il quale ne diede una descrizione ed una carta geolo¬ gica. Egli distinse " cinque distinti crateri, ora spenti, che eb¬ bero vita in tempi differenti . „. In una breve e sintetica de¬ scrizione geografico-geologica dell’isola enumera questi crateri ed i relativi edifici; M. Ponente (2 crateri), M. Vulcano (1 cr.), M. Bandiera (1 grande cratere ellittico). Dal confronto colle mie osservazioni e dalla ispezione della carta, si può vedere quale approssimazione abbiano queste distinzioni di edificii e relativi crateri. Lo Speciale determina anche l'origine delle varie colate laviche le quali dipendono dai centri di.M. Ponente, M. Vulcano e M. Rossa. Nel 1888 T isola fu visitata e descritta, poi, due volte (ma, dal punto di vista geologico, quasi con le stesse parole) dal Tra¬ bucco (6). Non posso esimermi dal riferire, piuttosto dettaglia¬ tamente, le sue osservazioni e deduzioni, perchè i risultati ai quali giunge sono talmente strani e così lontani dalla realtà delle cose che v’è da chiedersi se realmente l'A. abbia esaminato il terreno. Per comprendere le differenze fra quanto dice L'A. e quanto in realtà si osserva, è bene aver sott'occhio le sue carte e sezioni e quelle che corredano questo studio. Egli distingue i seguenti crateri: M. Levante (7), M. Ponente (2), M. Vulcano (2) M. Rossa (7), " centro dell’isola „ (probabilmente 7). Le coste dell'isola sono formate da una scogliera basaltica, talvolta interrotta da am¬ massi di tufi stratificati: probabilmente l'A. allude ai tufi della Bian- — 70 - carella. Vedremo, invece, che, tranne là dove la costa è formata da editicii sezionati dal mare, ovunque essa è costituita da co¬ late laviche. Queste sono in dipendenza di altrettanti monti vul¬ canici. L'A. distingue due tipi di rocce: il basai te a in i g - d a 1 o i d e (che è la roccia fondamentale dell’isola), le cui cavità sono riempite di calcite accompagnata da dolomite " di origine secondaria „ e il basalte porfirico. Oltre, vi sono i tufi " ricchis¬ simi di olivina e di cristalli di orneblenda (osservazione già fatta dallo Speciale), talora “ distintamente fossiliferi „ e " rocce in forma di pietra pomice in correnti e strati nei tufi,,. Le descrizioni dei vari centri eruttivi sono brevissime e confuse e ricordano molto quelle dello Speciale : non reputo utile ripor¬ tarle. Singolare è il fatto che, dopo aver giustamente osservato che le varie colate sono dipendenti da altrettanti monti vulca¬ nici, l’A. trova che “ la base dell'isola è indubbiamente costituita da un banco di basalte amigdaloide, che si presenta come una roccia fondamentale tutt'attorno alla costiera, formando in essa sempre la parte inferiore „ e tale roccia di spessore molto po¬ tente, si rinviene priva di cratere o di altro centro vulcanico,,. Ad essa si sovrappone a S, E e N "il basalto porfirico, che co¬ stituisce anche i dicchi e le correnti i quali attraversano i tufi negli apparati vulcanici „. Esso " sovrasta all'amigdaloide a guisa di banco, sembra esteso a quasi tutta la isola e vi si trova, come roccia superiore, anche nei punti di elevazione minore a quella del basalte amigdaloide „. Infine, i tufi sovrastanno al basalte porfirico nel centro dell'isola, alla Biancarella, alla cala Pozzo¬ lana ed a M. Levante. Piuttosto che discutere tutte queste af¬ fermazioni, non prive di contradizioni e poco chiare, credo op¬ portuno rimandare alla mia descrizione geologica, dalla quale si vedrà come spesso i fatti siano nettamente opposti a quelli de¬ scritti dal Trabucco. Riguardo ai tufi, Egli osserva che quelli " distintamente stratificati „ (nell'isola non vi sono tufi non stra¬ tificati) contengono fossili e specialmente quelli che ricoprono la base del versante orientale di M. Ponente. Così nella descrizione geologica: invece, nella carta geologica, come località fossilifere sono indicati i pendii W di M. Bandiera. Data tale affermazione, ho eseguito minuziose ricerche di fossili in tali tufi e ne escludo resistenza. Nei tufi di M. Ponente, come in quelli di M. Ban- - 71 diera, si rinvengono soltanto dei blocchi di panchine calcaree fos¬ silifere in blocchi rigettati. La fotografia dei tufi fossiliferi esi¬ bita dall' A. rappresenta appunto un blocco rigettato di questo tipo. I fossili determinati dall'A. sono Cerithium vulgatuni Brug.; Cerithiolum se ab rum Onv., Risso a cirnex Linn.; Gastrochaena dubia Pennant.; Vermetus intortus Lmk., tutti esistenti nel piano siciliano Doderlein, della Sicilia e della Calabria. Faccio fin da ora notare che è sommamente importante sta¬ bilire che i tufi non sono fossiliferi, poiché, se così fosse, le for¬ mazioni eruttive che li contengono sarebbero riferibili al piano siciliano; ma che invece essi contengono dei blocchi rigettati fos¬ siliferi, il che significa che i vulcani di Linosa sono posteriori al piano siciliano (Calabriano). La storia geologica dell'isola viene ad essere così riassunta, secondo l'A. La base ne è formata da basalte amigdaloide eruttato sott'acqua da bocca sconosciuta (mentre si vedono manifestamente tutte le origini delle colate), sul quale, successivamente, si inalzarono e cominciarono ad emergere alcuni coni vulcanici che, mentre andavano man mano inalzando i loro apparati, discendevano sott'acqua costituendo il banco (sic) di basalte porfirico e gli strati tufacei fossiliferi anzidetti. Più tardi, un bradisisma fece emergere i due basalti e portò “la panchina tufacea fossilifera,, a 30 m. s. 1. d. m. L’isola emerse durante il quaternario e si spense in tempi sto¬ rici remotissimi. Nessuna delle osservazioni e delle deduzioni cor¬ risponde alla realtà delle cose, sia perchè le descrizioni non ri¬ spondono alla realtà dei fatti, sia perchè sono frutto di osser¬ vazioni completamente errate e frammentarie: da ciò derivano deduzioni insostenibili. Le conclusioni del Trabucco non differiscono da quelle del Calcara: infatti, il basalte amigdaloide della base dell’isola, tro¬ vato dal Trabucco, fa riscontro alla trachite di sollevamento del Calcara; mentre quello porfirico, occupa, nella concezione del Trabucco, il posto della tefrina fluita in correnti sovra la roccia precedente. Così, dal 1846 al 1899, se ne escludiamo le poche notizie esatte, ma molto succinte, dello Speciale, la geologia di L inosa rimane sconosciuta od inaccettabile. Nel 1905 essa viene esaminata da Washington (7). La sua descrizione è indiscutibilmente la migliore e la più accurata di — 72 — tutte quelle esistenti e già discusse, però (certo per il breve tempo durante il quale l'A. visitò l'isola) essa non è priva di ine¬ sattezze, le quali riflettono sovratutto la cronologia degli edifici eruttivi. L’A. descrive l’isola nelle linee generali e ne traccia an¬ che un buon quadro geografico, dopo di che discute le varie carte esistenti. La descrizione geologica non è molto estesa ed esauriente. Distinti due periodi eruttivi nella storia dell'isola, pas¬ sa ad indicarne gli edificii relativi. Il primo periodo è caratteriz¬ zato da coni di tufi basaltici con il magma sotto forma di bloc¬ chi rigettati. Appartengono a questo tipo M. Bandiera ed un cra¬ tere a N di questo (cr. del Posto) che Egli indica col nome di N- Bau diera; il M. Levante nel quale riconosce la se¬ zione di un solo vulcano, pur errando sull'attribuzione degli strati superiori, terminali, allo stesso edificio (vedremo come essi ap¬ partengano ad altro); M. Bancarella che considera come una cu¬ pola di strati tufacei spinti verso l'alto, " by some invisible pro- trusion from below „ ed il M. di Ponente, che scinde in due formazioni : M. Pozzolana, edificio tufaceo appartenente a questo periodo e M. Ponente, da riferire al successivo. A questo rife¬ risce : M. Vulcano che ravvicina, molto impropriamente, allo Stromboli per un suo particolare morfologico; M. Rosso fornito di un barranco e con un cono avventizio che evidentemente è la “ montagnella del posto „; M. Ponente colle sue grandi co¬ late ed infine M. Ranieri, nome col quale indica il Timpone. Sul¬ l’età delle formazioni in quistione l'A. dice che l'assoluta man¬ canza di rocce sedimentarie e fossili, esclude ogni possibilità di giudizio, mentre la conservazione degli edifici permette di sta¬ bilire che le eruzioni avvennero in tempi assai recenti, però terminarono in epoche antistoriche. Credo opportuno riferire la successione degli edifici colle stesse parole dell’A. “ To recapitulate thè apparent facts as to thè order of eruption of thè several cones, my observations show that thè tuff cones belong to an earlier period than those of lava though it is probable that thè two periods overlaped to a sligt extent. Of thè former thè north crater of Monte Bandiera is al- most certainly thè oldest on thè island, followed, probably soon after, by thè south crater, thè so-called il Fosso. Monti Levan¬ te, Pozzolana, and Biancarella are, almost unquestionably, later 73 — than these, and it seems probable that thè date of thè two for- mer is prior to that of thè last named, though thè exact order is impossible to ascertain. It is more difficult to determine thè lava and cinder cones, as thè relations of their several flows when adjoining, are, except in one instance, obscured dy super- ficial sands, ashes, and cultivated soil. From theirs size it would seem reasonable to ascribe thè eruptions of Monti Rosso and Vulcano to a rather early period, while Monte Ranieri is pro- bably of a later date, and is certainly earlier than Monte Po¬ nente, thè eruption of which may be regarded as closing thè era of volcanic activity Inoltre VA. vede due centri eruttivi sottomarini a SE e N dell'isola, analoghi a quelli che si manifestarono nel 1831 e nel 1891 presso Pantelleria. La seconda parte dello studio dell' A. concerne la petrografia dell’isola, riguardo alla quale sono anche necessarie varie osservazioni. Le analisi eseguite dall’A. su rocce di Linosa sono riportate nel quadro che segue, nel quale sono aggiunte anche le due an. di Trabucco, ignorate dal Washington. La successione stabilita da quest’ ultimo A. è la già detta, dalla quale sono esclusi i tufi perchè, secondo lui , i caratteri originari sono così modificati da non permettere l'uso delle analisi. Io ho invece preferito raggruppare le an. secondo la cro¬ nologia delle formazioni eruttive alle quali si riferiscono. E’ chiaro che queste analisi non sono sufficienti a stabilire la variazione magmatica, sia perchè si riferiscono a cinque centri soltanto (e per me è anche dubbio se sia utilizzabile l'an. Ili e ne dirò altrove il perchè), contro una dozzina almeno identifi¬ cabili; sia perchè i prelevamenti fatti dall’A. non sempre si ri¬ feriscono alle rocce veramente caratteristiche d’ogni centro. Non solo, ma sono escluse le rocce riferibili a formazioni plutoniche (filoniane) ed a formazioni vulcaniche antiche, ampiamente rap¬ presentate nei tufi dei vulcani del periodo sottomarino, ie quali hanno un indiscutibile valore dal punto di vista delle variazioni magmatiche. Questa parte dello studio di Linosa è ancora da fare e malgrado 1’ uniformità di facies delle rocce dell’ isoletta, darà certo risultati notevolissimi per la conoscenza dei magma dei vulcani siculi periferici. — 74 - I lì III IV V VI VII Vili Si02 39,00 47,43 46,55 45,75 48,06 48,84 46,644 49,646 Ti02 2,59 3,00 3,84 2,90 3,31 3,57 t ai2o3 15,58 17,20 14,55 13,98 15,90 14,62 10,650 17,042 Fe203 6,13 4,20 3,17 3,23 3,37 2,08 12,700 17,007 FeO 3,11 5,27 7,88 8,02 7,97 9,00 MgO 6,55 4,85 8,61 14,69 7,11 7,15 4,188 4,188 CaO 6,82 7,56' 8,75 7,11 9,37 9,33 13,216 10,109 Na20 3,22 3,53 3,71 3,10 3,19 2,86 2,812 2,664 k2o 0,59 1,51 1,62 1,10 0,85 0,89 3,284 0,775 h2o+ 6,03 2,42 0,14 0,16 0,40 0,49 6,500 0,199 h2o- 8,18 3,12 0,03 0,04 0,06 0,07 Cl 0,14 0,42 so3 0,05 p2o5 0,55 0,36 0,36 0,36 MnO 0,10 0,06 0,06 0,04 NiO 0,12 0,14 0,09 0,08 s2o 0,04 co2 1,83 I Tufo grigio M. Levante I II Tufo giallo M. Pozzolana = Ponente I III Blocco nel tufo grigio — Il fosso = M. Bandiera — Bas. feldspatico IV Lava — M. Ranieri = Timpone I — Bas. olivinico V Lava colata inferiore N = M. Ponente III — Bas. feldspatico VI „ „ superiore N VII Basalte amigdaloide (feldspatico) — Loc. ? Vili „ porfirico (olivinico) — Loc. ? 75 II. — Descrizione geologica e morfologica. La prima distinzione che può farsi nella geotettonica del¬ l’isola è quella della delimitazione degli edifici sottomarini e su¬ baerei: i primi sono i più antichi ed i meno conservati. Un esame, anche superficiale, della topografia dell'isola mo¬ stra chiaramente la costituzione morfologica di questi antichi edi¬ fici eruttivi e la loro ricostruzione è quasi sempre possibile, spe¬ cialmente in base agli elementi forniti, oltre che dagli avanzi visibili e ben definiti, da quelli ora ricoperti da formazioni più recenti. Procedendo, per quanto è possibile, topograficamente ed anche cronologicamente, descriverò le formazioni che possono riferirsi a questo gruppo di edifici antichi i quali sono almeno cinque. M. Bandiera (cratere del fosso); crateri del Posto, del Pozzo salito (subacquei). Seguendo la strada che si dirige dal paese (q. 13) verso l’estremo N. dell'isola (presso q. 52, M. Bancarella), si costeg¬ giano costantemente gli avanzi, più o meno conservati , di due distinti edificii di tufo grigio. Il meridionale si sviluppa come un troncone di cono, con dorso molto tondeggiante per l'azione de- gradatrice meteorica. Presso il paese esso è profondamente in¬ tagliato da cave e da grotte ed ivi si manifesta costituito da strati, quasi orizzontali, di tufi grigi solcati da fratture, verticali ed inclinate. I piani di separazione degli strati e le fratture sono rivestite da carbonato di calcio in esili velature. Sulla strada, alle porte del paese, appare, sotto i tufi grigi, la testata di uno strato di tufo giallo. Alla sella che unisce M. Bandiera al Timpone, i tufi risalgono, alla superficie, sui pendii di questo, per brevis¬ simo tratto e precisamente nei dintorni d'una antica fossa ce¬ meteriale. Al di là della sella, verso N, la strada corre sul limite fra le formazioni del tufo grigio ed il vasto campo di lave di¬ pendente dal più giovane centro eruttivo di M. Ponente. Gli strati sono costantemente inclinati quaquaversalmente verso l’orlo I o Sez. I. Dallo scalo vecchio, attraverso M. Bandiera, il Cr. del fosso, i crateri del Pozzo salito e del Posto, M. Bancarella e sua parallela verso W (q. 5; q. 102, q. 52), fino alla costa N. — 77 dell'elissi che forma il cratere del fosso. Il cono si abbassa gra¬ datamente e si riattacca, senza alcuna soluzione di continuo, ad uno sperone che si protende verso N il quale , alla sua volta, è bruscamente interrotto ad un certo punto, in corrispondenza della pianura del "pozzo salito,,. Gli strati di questa propag¬ gine settentrionale sono bruscamente spezzati verso il N e verso T E ed inclinano verso W. La sella, fra questo moncone ed il successivo, è poco al disopra del livello del fondo del cratere del Pozzo salito (circa due o tre metri) ed è occupata da un braccio della colata del campo lavico occidentale, la quale è pe¬ netrata nell’interno del cratere, dirigendosi verso S. Dopo la sella compare un moncone isolato, allungato all' incirca SSW-NNE, costituito dalla continuazione di quegli stessi che formano il mon¬ cone già descritto e ricchissimi di blocchi rigettati, principalmente autogeni antichi. Gli strati inclinano generalmente WNW da 12° fino a 20°. Questo sperone isolato è alto circa 50 m. s. 1. d. m. ed è di 40 metri sul livello del fondo del cratere del Posto. Ad W viene a contatto col campo lavico occidentale; a NNW con le lave dipendenti dalla M. Rossa. Qui finiscono le vestigia vi¬ sibili occidentali di questi edificii sottomarini i quali, verso N, vengono rivestiti da materiati più recenti e l’indagine diviene più difficile e meno sicura. Osservo che lo stato di conservazione degli avanzi diminuisce continuamente procedendo da S verso N. Prima di descrivere gli avanzi ricoperti dalle eruzioni della M. Rossa che debbono essere riferiti ancora alla formazione sot¬ tomarina, è necessario completare la descrizione degli avanzi vi¬ sibili di questa. Ritornando verso il S, si traversa dapprima la pianura che prende i nomi di Posto, Pozzo salito, Ogliastro gran¬ de, etc., la quale rappresenta il fondo di un grande cratere, ri¬ sollevato dal trasporto di materiali incoerenti e dall' invasione della colata lavica anzidetta. Il punto più basso del fondo è ora ad 8 rn. s. 1. d. m. Questa pianura craterica è chiusa a N e NE dai pendìi della M. Rossa; ad W, dagli speroni già descritti; mentre ad E il suolo sale con lieve pendio per formare la valle che divide la M. Rossa da M. Vulcano e M. Calcarella. E’ in questo arco di cerchio da N ad E che non sono più visibili tracce scoperte degli edifici sottomarini. A S si ergono gli avanzi del grande cono di M. Bandiera. Una breve sella separa il era- 78 — tere del " Pozzo salito „ da quello del Fosso, alta all’incirca 50 m. s. 1. d. m. e perciò circa 40 m. sul fondo del cratere del Posto e 20 su quello del Fosso. La sella è costituita da strati i quali hanno una inclinazione massima di 32°, e sprofondano visibil¬ mente verso il centro del cratere del Fosso, essendo bruscamente troncati verso quelli del Pozzo salito. Ad essi si appoggiano a N strati consimili, con inclinazione opposta, i quali sono un ri¬ coprimento dovuto all’esplosioni del cratere del Posto. In cor¬ rispondenza di questa sella, sulle pareti E ed W dell'edificio, gli strati inclinano nei due sensi opposti S e N, con inclinazione superficiale di 12° ed in profondità di 22°. Forse, ancora più prò' fondamente, l'inclinazione raggiunge i 26°-32° già osservati altrove e ciò seguendo la regola generale per la quale l'inclinazione di¬ minuisce verso la superficie. Valicando la sella, si penetra nel cratere del Fosso, vasta elissi con ripidissime pareti, costituite da testate di strati che af¬ fiorano tutto all’intorno e da strati con andamento opposto, che poggiano sul pendio delle pareti, ricoprendo le testate suddette fino ad una certa altezza, così come è indicato nella sez. IV. Il fondo del cratere è ricoperto da materiale di trasporto. A S si valica una nuova sella nella quale si osservano gli strati inclinare verso l’esterno S di 30°-32°, spezzati verso l’interno e colle testate ri¬ coperte da altri strati con andamento opposto. I pendìi esterni proseguono dolcemente fino a q. 13, punto di partenza della descrizione. L’orlo del cratere del Fosso che culmina ad W col M. Ban¬ diera, (102 m.) ed ad E col M. Calcarella (148 m.), ha un an¬ damento sinuoso dovuto alle distruzioni operate daH'esplosioni e probabilmente dagli agenti esogeni. Certo alla prima causa è dovuta la sella N. Il resto dell’edificio di M. Bandiera - M. Calcarella, è costi¬ tuito da quanto rimane di visibile verso E del M. Calcarella p. d., ora in gran parte ricoperto dall’ammasso dei prodotti di M. Vulcano. Poiché in questa regione di M. Calcarella, M. Vulcano e M. Levante le formazioni geologiche sono intimamente ricon¬ nesse fra di loro e formano un tutto morfologico quasi omo¬ geneo, descrivo a parte, in seguito, quel che in tale complesso vi è di riferibile al cono di M. Bandiera - M. Calcarella. . — 80 — I pendìi di M. Calcarella, perfettanente visibili nella loro parte originaria a N, S ed W (dove sono costituiti dalle pareti crateriche del Fosso) sono, tanto a S che a N, ammantati, a po¬ ca distanza dall'orlo del cratere suddetto, verso E dalla coltre dei materiali recenti di M. Vulcano. Essa, a S è di colate com¬ patte e scoriacee che scendono formando un enorme costone ri¬ levato dalla sommità a piattaforma del monte (nella quale s'ader¬ ge il conetto di M. Vulcano), mentre a N è di materiali detri¬ tici, scoriacei. Le due intersezioni determinano due valloni ab¬ bastanza pronunziati. Sul lato N la coltre detritica di M. Vul¬ cano scende fin nella valle che separa questo massiccio da M. Rossa e non è più possibile ravvisare le vestigia dell'antico edi¬ ficio, mentre a S la sezione geologica riappare in tutta la sua interezza, dal livello del mare fino alla sommità del monte, dal punto in cui finiscono le colate laviche (scendenti sui pendìi del monte e riattaccali tisi alla colata costiera), fino alle basi della montagna di Levante. La sezione si può osservare dal mare e dalla costa stessa, seguendo i sentieri che corrono sull’orlo della piattaforma di M. Vulcano ed a mezza costa. L’esame dettagliato delle formazioni dà i risultati seguenti. Finite le colate laviche che da M. Vulcano discendono al mare, dalla piattaforma fino a questo v’è una gigantesca lavina di lapilli e di scorie nere, che Washington, molto erroneamente, paragona alla Sciara del fuoco di Stromboli. Si tratta invece del prodotto di sbancamento di un potente strato di materiali de¬ tritici, in strati risaldati, le cui testate appaiono sotto i mate¬ riali della piattaforma di M. Vulcano e che, per effetto di frane, hanno assunto anche la forma di strati inclinati verso il mare. La formazione di questi strati è assolutamente secondaria e strati consimili sono formati anche nello stesso luogo dai tufi grigi dei quali dirò fra poco. Nel punto considerato i materiali si suc¬ cedono nell’ordine che segue: Complesso lavico e scoriaceo di M. Vulcano. Tufi grigi che sottostanno regolarmente al materiale an¬ zidetto. Ad W scompaiono sotto la colata di M. Vulcano che scende al mare; ad E continuano ininterrottamente fino alla mon¬ tagna di Levante. Lapillo nero dal quale proviene la frana anzidetta, 81 interstratificato fra i tufi grigi. Ad W scompare sotto la colata; ad E è interstratificato coi tufi grigi e si può seguire lungo i pendìi del monte, come più oltre vedremo. Tufi grigi inferiori che scompaiono ad W sotto la colata lavica di cui sopra d ad E si sovrappongono alla for¬ mazione del centro della montagna di Levante. Là dove finiscono le frane della scoria nera e la spiaggia, si inizia la formazione del centro eruttivo della montagna di Le¬ vante, costituita essenzialmente da tufi grigi. Lo studio di que¬ sto cono di vulcano è estremamente difficile per evidenti gi¬ gantesche dislocazioni delle quali non è sempre possibile segui¬ re le vicende dettagliate. Nel luogo ora detto, gli strati si sol¬ levano di circa 16° verso E, mentre alla “ pozzolana di levante „, estremo limite E dalla formazione, inclinano verso E con di¬ versi angoli e precisamente, dall'alto verso il basso, di 14° (ul¬ timo strato in alto) 18°, 20°, 32° (strati al livello del mare). Nello stesso tempo, esaminati secondo una sezione normale alla pre¬ cedente (la quale è grossolanamente parallela alla costa e perciò E-W) dunque N - S aH'incirca, e normale alla costa, gli strati inclinano verso N di 38° al 1. d. m. e di 28° in alto. Questa di¬ sposizione mostra chiaramente che la formazione in quistione costituisce un troncone di cono tagliato dal mare verso S, il quale si sviluppa verso N sotto il massiccio della Montagna di levante e di M. Vulcano, ammantato da tre categorie di pro¬ dotti: la scoria rossa e nera; il tufo grigio ; il materiale detri— tico e lavico di M. Vulcano, indicati nell'ordine cronologico di successione. I caratteri delle formazioni e dei materiali riferibili a questo centro eruttivo sono i seguenti. Mentre gli andamenti degli strati agli estremi E ed W della formazione sono piuttosto regolari ed uniformi, poco dopo l'inizio E della formazione incomincia¬ no delle dislocazioni formidabili, con produzione di faglie delle quali non è possibile stabilire l'entità, ma che forse debbono superare i 30 metri. Nel tratto ancora presumibilmente in situ della formazione, ad E, gli strati ai quali si riferiscono le incli¬ nazioni successive già indicate, sono costituiti inferiormente da tufi grigi a breccie. Il numero degli inclusi è veramente sor¬ prendente. Sono pezzi di rocce autogene antiche di dimensioni 6 Sez. III. — Dallo scalo vecchio, attraverso M. Vulcano, Fino presso i Faraglioni (q. 195). — 83 ognor aumentanti man mano che procediamo verso W, fino a rag¬ giungere quelle di oltre un m3. Le rocce sono prevalentemente doleriti nere ed azzurro- chiare, accompagnate da certe rocce, presumibilmente trachitiche, chiare, dominanti. Ad esse, si asso¬ ciano altre rocce in quantità subordinate e segregazioni orne- blendiche piuttosto rare. La prima faglia che s'incontra, proce¬ dendo da E verso W, non continua fino all'alto del complesso tufaceo grigio, ma si arresta prima dell'ultimo strato, il quale forse non dipende dallo stesso centro eruttivo, ma può prove¬ nire da un altro, a riattaccarsi ai tufi grigii sovrastanti alla sco¬ ria nera. Altre gigantesche faglie si incontrano ovunque lungo la costa, ma non n’è possibile la delimitazione. Nelle linee gene¬ rali, però, si può osservare che vi è stato uno sprofondamento dei blocchi centrali del massiccio, con immobilità relativa delle parti periferiche. Il fenomeno delle dislocazioni deve essere in relazione colla formazione dei dicchi, dei quali dirò trattando di M. Vulcano. Circa il complesso dei tufi grigi v'è da notare an¬ cora un carattere generale che è il seguente: gli strati inferiori sono a breccia, mentre i superiori invece sono a tufi cinerei con pochi materiali autogeni antichi ed invece con scorie ne¬ rastre, che evidentemente rappresentano il magma coevo. Qua e là si trovano le solite velature di carbonato di calcio fra gli strati e nelle fratture, il che dimostra che non solo le deposi¬ zioni, ma anche le dislocazioni dei tufi grigi avvennero in am¬ biente sottomarino. M. Pone nte-L* edificio del tufo giallo I (subacqueo) Al di fuori dell'ambito del cono di M. Bandiera - M. Cal¬ catila, all'incirca ad ENE sorge il massiccio di M. Ponente, for¬ mato da almeno quattro edifici più o meno conservati. Topo¬ graficamente ad esso si attacca la propaggine collinosa del Tim- pone. Esaminando la magnifica sezione naturale, operata dal ma¬ re, sul lato S del monte, si osserva la successione schematizzata nella Sez. IV. Il massiccio del tufo giallo forma una conca ed è vertical¬ mente tagliato agli estremi N e S. La massa presenta una stra- 107 e p i Sez. IV. — Dallo scalo nuovo, attraverso M. Ponente, il Timpone, M. Bandiera, il Gr. del fosso, M. Calcatila M. Vulcano, M. Levante, fino ai coni sottomarini di SE. (q. 107, q. 73, q. 102, q. 186 q. 92). - 85 — tificazione, la quale si rende più netta se osservata da lontano: essa, nella parte N della formazione , inclina di 15° verso NE, molto chiaramente, mentre è poco visibile altrove. Questo tufo è talvolta gremito di scoriette vetrose di color plumbeo, vesci- colatissime, fragili; talvolta invece ne è sprovvisto quasi total¬ mente e contiene numerosi inclusi di segregazioni e di rocce autogene antiche filoniane, tra le quali prevalgono i tipi costi¬ tuiti quasi essenzialmente da feldspati ed antiboli. Per lo più, il tufo è compatto, quasi litoide. Questo tufo giallo riappare, al di fuori della sezione con¬ siderata, in due luoghi: sulle pendici NE di M. Ponente, in con¬ tinuazione col lembo N e nell’altura detta " la Paranzella „ a NNE del massiccio. Ivi ha la stessa inclinazione di 15° NE ed è circondato dalle lave della grande colata N che lo investono da tutti i lati. E’ chiaro che si tratta di frammenti dello stesso edificio eruttivo. Un lembo, molto più problematico, è quello che compare sotto M. Bandiera, nella zona delle grotte una volta abitate, là dove il pendio normale del cono è alterato da evidente esistenza di formazioni anteriori. Però, non sono com¬ pletamente sicuro di questa appartenenza del tufo giallo di M. Bandiera all'orizzonte del tufo giallo di M. Ponente, a causa della scarsissima quantità di tufo che ivi appare per pochi me¬ tri e con uno spessore di 50 cm. Forse, degli scavi potranno de¬ cidere la quistione. Nella sezione già detta, al tufo giallo succede quello grigio. A S il tufo giallo termina bruscamente con una parete verticale ed al disotto di una conoide di frana compare il tufo grigio: mancano dunque i contatti diretti. Nel mezzo della conca, que¬ sto riappare poco sopra il l.d.m. e risale verso il lato S della stessa. Al di là dello sperone N del tufo giallo, riappare nuova¬ mente quello grigio, il quale discende gradualmente verso N, probabilmente inclinando verso tale direzione e scomparendo sotto la colata lavica N. Là parte superiore di tufo giallo che sporge in massiccio dal resto della formazione del cono, è notevolmente abrasa ed assume un colore grigiastro superiormente, per un lieve spes¬ sore. Si presenta allora la quistione seguente: se i due tufi gial¬ lo e grigio, siano la medesima cosa ed a quale fenomeno sia — 86 — dovuto il differente colore. A favore del fatto che si tratti del medesimo tufo concorrerebbe la prova ora detta, che in alto i due tufi sembrano uno continuazione dell'altro, ma questa prova è subito annullata dall'altra che, ovunque, negli altri punti, vi so¬ no soluzioni di continuo e netto distacco fra i due tufi. Si po¬ trebbe supporre che si tratti dello stesso tufo alterato superior¬ mente per azione di materiali incandescenti, con trasformazione di quello giallo in grigio; ma ciò è da escludere: 1) perchè là dove i dicchi passano nel tufo giallo lo trasformano soltanto in rosso (dicco III a N); 2) perchè nella cala a S, a livello del mare, il tufo grigio è trasformato in rosso, forse per azione d’un lembo della colata lavica ora abrasa per pochi metri. Altri fatti analo¬ ghi è inutile enumerarli. In conclusione tutte le osservazioni ten¬ dono a dimostrare chiaramente che l'alterazione termica dei due tufi conduce sempre ad una Tubefazione e mai ad un cambia¬ mento dal giallo in rosso o viceversa. Allora non rimane da ammettere altro che la zona grigia che ricopre limitatamente il tufo giallo sia una copertura superficiale operata da agenti at¬ mosferici e forse dovuta al dilavamento del tufo grigio sovra¬ stante che ha incrostato il giallo sottostante. Ciò posto, per l'u¬ bicazione, i fatti geologici e topografici, dobbiamo ritenere che il tufo giallo rappresenti un rudere di edificio, già dimezzato e corroso dal mare allorquando si svolsero i fenomeni eruttivi che produssero gli edifici che descriverò fra poco. Rimane un ultimo fatto morfologico importante per chia¬ rire le dimensioni e la forma dell'edificio del tufo giallo. Os¬ servando il M. Ponente dalla punta di ponente o dalla "balata piatta si osserva che lo sperone N del tufo giallo è rotto da una squamatura dalla quale fluirono le lave del campo N. Ora, appunto in corrispondenza di questa rottura, si vede che i ru¬ deri del tufo giallo formano una conca craterica distrutta dal lato del mare ed a N dall’irruzione delle lave e modificata, ne¬ gli altri lati, dagli accatastamenti della scoria rossa. Un pezzo dell'orlo craterico è nettamente visibile e la sua massima altezza è di circa 20 metri sotto la vetta del monte. 87 — M. Ponente - L’edificio del tufo grigio II (subacqueo) Ho già indicati precedentemente i principali caratteri della distribuzione degli avanzi in questo tufo, che si differenzia mol¬ tissimo da tutti gli altri dell'isola. Tanto il lembo S quanto quello N sono costituiti da strati che inclinano rispettivamente verso S e verso N, convergendo quaquaversalmente verso il cen¬ tro del massiccio di M. Ponente. Tanto a S quanto a N, gli strati scompaiono sotto il l.d.m. e sottostanno a tutte le altre for¬ mazioni eruttive, tranne che ai tufi gialli. Si vedono nettamente sottoposti alla scoria rossa ed alle scorie I S, II S, che descri¬ verò più oltre. Nelle altre regioni del massiccio non appaiono più, almeno in modo sicuramente diagnosticabile. Il tufo grigio è piuttosto compatto, nelle parti non attaccate dalla distruzione esogena, ma è meno compatto del giallo. E’ ric¬ chissimo d'inclusi autogeni antichi, fra i quali prevalgono: le se¬ gregazioni o rocce profonde; inclusi allogeni quarzitici, alterati e resi bollosi da azione termica; pezzi di rocce calcaree fossilifere. Tra gli estremi N e S della formazione intercedono non meno di 700 metri. Sembra che a S il livello al quale sale il tufo grigio sia quasi lo stesso di quello del tufo giallo. Questo tufo grigio occupa cronologicamente un posto successivo a quello del tufo giallo, sul quale si è modellato ed è anteriore alle for¬ mazioni che adesso descriverò. M. Ponente — L'edificio della scoria e lava III (subaereo) Al disopra delle formazioni già descritte v' è un accumulo potente di scorie e di lave alternate, dovute ad una serie di eruzioni con carattere generale prevalentemente effusivo. Pro¬ cedendo da S verso N, nella sezione naturale, all'inizio della cala, sui tufi grigi vi sono due distinti strati di scorie e lapilli. L' inferiore, più potente, da quasi il 1. d. m giunge fino alla vetta meridionale del massiccio ; 1' altro, molto meno potente (al massimo due metri), è in lieve discordanza sul precedente e gli strati, che si assottigliano rapidamente, non giungono alla vetta. Questi due strati riposano sulla colata lavica S la quale, alla — 8S — sua volta, ricopre i tufi grigi al 1. d. m. La seconda scoria II S forma anche tutta la superficie di questo settore meridionale del cono fino alla valletta che separa M. Ponente dal Timpone. E’ molto probabile che qualche lembo di questa formazione appaia anche sui versanti E del monte : in ogni caso doveva esservene qualcuno a NW, perchè ivi, alla superficie del suolo, sul tufo giallo e sulla colata, vi sono scorie, bombe ed abbon¬ danti inclusi autigeni antichi, identici a quelli dei tufi gialli e grigi e di pezzi di quarziti bollose con le cavità ripiene di fila¬ menti di un vetro nero e bruno, identiche alle quarziti eruttate da Vulcano, da Stromboli e dall’ Etna. E' notevole il fatto che tutti questi inclusi sono sempre arrotondati e mai angolosi, a spigoli vivi ed inoltre sono per lo più molto piccoli. La conca dei tufi gialli, riempita parzialmente da quelli grigi (vedi pag. 85), è piena d' un complesso di scoria nera e rossa che sale fino alla vetta del monte e ne forma la dorsale, nella quale si apre un cratere costituito da scoria rossa risaldata e, subordinatamente, da lapillo minuto. La formazione scoriacea corre da N a S per tutta la dorsale del monte, sovrastando di circa 20 metri le vette degli speroni di tufo giallo e grigio, for¬ mando così un vero manto di copertura. Solo nella conca an- zidetta lo spessore è enorme, poiché la scoria giunge a 4 o 5 metri s. 1. d. m. in modo da formare una pila di strati di circa 100 metri di spessore, costituiti dalla scoria e dalle testate d'una colata lavica doleritica a minuti feldspati. Questa colata appare nella conca e si fa strada attraverso una rottura del massiccio N dei tufi gialli, andando a formare la colata superiore del campo lavico N. Oltre queste scorie e lave un sistema di dicchi completa l'apparato eruttivo. Un primo dicco (I) spesso fino ad 1 metro e con qualche ramificazione o raddoppiamento laterale, è orien¬ tato circa E-W e taglia il massiccio dei tufi grigi presso il con¬ tatto con quelli gialli. Le salbande sono un po' vetrificate e pre¬ sentano la superficie cosparsa di singolari colature che attestano una grande fluidità del magma. Un secondo dicco (II) decorre NNW-SSE ed è visibile nel tufo grigio che ricopre la conca dei tufi gialli quasi a 1. d. m. ed è spesso circa 30 cm. Il terzo (III) decorre in prossimità di questo, poco più a N. 89 — Il Timpone — L' edificio della scoria e lava I (subacqueo) Sul lato E di M. Ponente si innesta una piccola elevazione allungata all' incirca da E ad W, la quale va ad urtare contro le basi del cono di M. Bandiera. Sembra che gli ultimi tufi di questo ricoprano, per brevissimo tratto, alcune alle formazioni del Timpone. Questo nell'insieme, forma quasi come una diga che riunisce, con bassa quota, i massicci di Bandiera e M. Ponente. Nel Timpone sono riconoscibili due edifici distinti. Il primo forma la parte N del Timpone ed è uno scheletro di vulcano appena riconoscibile, costituito da un cumulo di scoria rossa in banchi potenti che inclinano verso N all'incirca, sormontati dagli avanzi d' una colata di dolorite molto olivinica, simile a quelle delle ultime eruzioni della M. Rossa e netta¬ mente differente da tutte le colate di M. Ponente. Questo ca¬ rattere è sufficiente, da solo, a far distinguere questo scheletro di vulcano da tutti i circonvicini. E’ sulla scoria rossa che pog¬ giano i tufi di M. Bandiera, dei quali ho già detto, presso una vecchia fossa cemeteriale, dimodoché è chiaro che questo edi¬ ficio I del Timpone è anteriore alle ultime manifestazioni e- splosive dei vulcani centrali dell' isola. Si verifica qualche cosa di analogo a quel che si osserva per la scoria rossa di M. Levante: le eruzioni di questa furono coeve all' ultime ma¬ nifestazioni di M. Bandiera - M. Calcarella. La colata lavica di cui sopra ne offre una conferma. Essa è profondamente intac¬ cata da sculture macroalveolari, prodotte evidentemente dal mare oltreché dal vento. Ora, le colate recenti che si trovano più in basso a N ed allo stesso livello a NW di M. Ponente non of¬ frono tracce di consimili erosioni. E' chiaro che esse avvennero prima dell' emissione delle lave di M. Ponente e cioè prima della formazione dell' edificio della scoria rossa III di M. Ponente. La reciproca posizione della scoria rossa e della sovrastante colata dimostrano che verso la fine dell' attività di M. Bandiera si for¬ mò un cono che aveva il cratere a S all' incirca dell' attuale Tim pone. Dopo una fase esplosiva, probabilmente molto intensa, fu emessa una colata di dolerite olivinica compattissima coi ca- 90 — ratteri d’ una lava fluita in mare. In ogni caso, quanto ne ve¬ diamo ora è T avanzo d’ una colata maggiore, distrutta dall'ero¬ sione marina. Qualche raro e dubbio ciottolo arrotondato e le evidenti sculture ne sono la prova. La colata fu anche distrutta parzialmente dell’ esplosioni successive dei vari centri di M. Po¬ nente, cronologicamente posteriori. Quel che ne rimane forma la copertura protettrice del banco di scoria rossa. Gli avanzi furono protetti da ulteriori distruzioni per mezzo dei crateri del Timpone a S e dalle colate del M. Ponente a N. Il Timpone — L'edificio della scoria II (subaereo) E' formato da tre crateri allineati E-W dei quali i dettagli morfologici si trovano nel piano delle tav. I - II e nella sezione della figura IV. I punti necessari alla costruzione sono stati bat¬ tuti direttamente con la triangolazione. L'ispezione del terreno dimostra che la prima attività s'è manifestata nel cratere W e poi s'è spostata verso E. Nel cratere orientale, le ultime esplosioni hanno scavato un pozzo craterico con le pareti costituite da scorie risaldate, con fenomeno analogo a quello avvenuto a Vulcano verso la fine dell'eruzione 1888-90 (1). L’attività sembra essere stata soltanto esplosiva. Nell’ intersezione con M. Ponente non ho potuto trovare la soluzione certa del problema della priorità fra questi crateri del Timpone e l'edificio della scoria rossa e lava III di M. Ponente. Ma vi sono dati che fanno supporre che i crateri del Timpone siano i più recenti, come per es. il livello delle varie formazioni, 1' andamento delle sezioni pianimetriche dei coni, la freschezza molto maggiore dei prodotti di M. Po¬ nente, I S e II S rispetto a quelli del Timpone, può testimo¬ niare una certa simultaneità d'attività. Il fatto che questi verso W siano ricoperti da quelli degli strati I S, II S di M. Ponente non dà elemento di soluzione perchè si tratta di frane evidenti e di materiali rotolati su un ripido pendio conico. 100 m. incrocio colle sezioni IV materiali di Ponente III. Sez. V. — Dallo scalo nuovo, attraverso M. Ponente e Timpone II, (q, 107 e q. 73). 91 M. Levante. — L’edificio della scoria rossa (subacqueo - subaereo) Al disopra del complesso dei tufi grigi, dei quali alcuni son da riferire al M. di Levante ed altri ad un centro diverso da questo, sovrasta la scoria nera e rossa della quale ho descritto le modalità riguardanti la parte occidentale della formazione. Con varie alternative, lo spessore della scoria aumenta verso E. Si può seguire lo strato sulla cupola dei tufi grigi di M. Levante ed è molto notevole il fatto che le faglie non interessino la sco¬ ria rossa, il che dimostra chiaramente che la sua deposizione è avvenuta dopo la fase delle dislocazioni del vecchio edificio sot¬ tomarino di M. Levante. All' estremo della formazione che de¬ scrivo e cioè da sotto il segnale di q. 92 verso E, la scoria nera è sostituita da lapillo rosso in banchi che all'estremo E sono potenti circa 50 m. La massa dei lapilli è relativamente compatta e contiene rari inclusi allogeni e frequenti bombe contorte delle più svariate dimensioni, oltre a cristalli isolati di felspati ed or- neblenda. E’ chiara l’origine subaerea di questa formazione, iden¬ tica, per aspetto, a quella della Montagna Rossa. Il passaggio fra il lapillo rosso e quello nero è quasi insensibile. Il lapillo nero che viene da W forma due strati che sfumano, per così dire, sopra e sotto i banchi di quello rosso al suo inizio orien¬ tale. Gli strati del lapillo rosso aumentano di spessore verso E mentre inclinano verso W. Ciò c'induce a cercare il centro erut¬ tivo verso l'oriente nella regione dei bassi fondi che si trovano all'incirca ad E nella punta di Levante. Nello schema di successione già riportato a pag. 80 ho ac- « cennato al fatto che fra 1’ orizzonte della scoria nera e rossa e quello del materiale di M. Vulcano p. d. vi sono dei tufi grigi differenti da quelli che sottostanno alla scoria suddetta. Si tratta dunque, d' un orizzonte a sè che compare sotto le colate di M. Vulcano ad W mentre ad E forma il complesso della vetta di M. Levante a q. 92. Ivi gli strati non inclinano più verso E come avviene per il tratto descritto, sebbene lievemente, ma in¬ vece tendono ad inclinare verso W, accordandosi con l'inclina¬ zione della scoria rossa sulla quale si son deposti. E' chiaro che questo complesso di tufi deve considerarsi come un orizzonte & — 92 — unico depostosi dopo la formazione del complesso della scoria rossa e nera ed io non vedo altra spiegazione possibile che quella di riferirli all’edificio di M. Bandiera - M. Calcarella. Si tratta dunque delle ultime propaggini del cono che attornia il cratere del fosso. Stando così le cose, la successione degli edifici nel mas¬ siccio che si estende da W verso E coi nomi di M. Calcarella, M. Vulcano e M. Levante è la seguente: 1. Edificio di M. Levante a tufi grigi 2. Edificio di M. Bandiera-M. Calcarella a tufi grigi ricoprenti il precedente ed in¬ tercalati ai seguenti 3. Edificio della scoria rossa e nera, forse costituente un orizzonte unico, intercalato ai tufi grigi di M. Bandie^a-M. Calcarella 4. Edificio di M. Vulcano, ricoprente tutte le formazioni precedenti sottomarino sottomarino subaereo- subacqueo subaereo M. Vulcano. — Edificio di scoria e lava (subaereo) SuH’originaria superficie di M. Calcarella e perciò sui pendìi orientali del cono Bandiera-Calcarella, dopo la fine dell' attività del cratere del fosso s'iniziò quella di M. Vulcano. Esso è co¬ stituito da un conetto di scorie rosse con ampio cratere slabbrato verso S ed è circondato da una serie di polle laviche delle quali son visibili ora almeno tre: una a S, sotto forma di piccola vo¬ ragine puteiforme dalla quale dovettero sgorgare, almeno in parte, le colate S che scendono fino al mare; due aH’incirca ad E con forma di domo, delle quali una provvista di una cavità centrale a cupola e di voragine puteiforme. Da queste due dipendono, presumibilmente, le colate della piattaforma di M. Levante, che si vedono ora prolungate verso il mare e quelle del pendio E e NE che scendono al mare ed investono dal lato orientale le formazioni del tufo grigio di M. Levante I. Le colate, che sa- - 93 — ranno descritte a parte, sono eminentemente scoriacee. Nel ma¬ teriale frammentario sono abbondantemente rappresentate le bombe contorte, caratteristiche dei vulcani basici. M. Vulcano costituisce la più alta vetta dell'isola , ma soltanto perchè sorge su di una piattaforma elevata di circa 150 m. sul livello del mare. In realtà, il cono è di dimensioni molto modeste: di circa 70 metri. Il carattere di questo centro eruttivo è nettamente effu¬ sivo. Alla formazione di M. Vulcano si riattacca il complesso di dicchi sottili, ramificati, che si possono seguire nelle calette di M. Levante, con direzione generale E-W. Questo dato, assieme a quello della troncatura delle colate della piattaforma di Monte Levante, è molto importante perchè indica chiaramente che la distruzione di M. Levante proseguì attivamente dopo le eruzioni di M. Vulcano. Montagna Rossa e suo sistema di crateri e coni avventizi Edifizio di scorie e lava (subaereo). La regione NE dell' isola è costituita quasi esclusivamente dal massiccio della Montagna Rossa che si aderge sulla pianura quasi come un cono isolato, non geometricamente perfetto, ma con una base pronunziatamente ellissoide, a causa di altre for¬ mazioni anteriori o posteriori all’edifizio ed a causa della com¬ plicata disposizione dei numerosi crateri. Questi ultimi non sono raffigurati sulla carta militare, la quale, inoltre, è lievemente er¬ rata rispetto alla plastica del terreno. Riprendendo le descrizioni dell'isola dal punto in cui fini¬ scono gli avanzi visibili della cerchia craterica del Posto, si os¬ serva per un' arco di cerchio che si estende a N del cratere stesso, un balzo che guarda il S e cioè il recinto del cratere stesso ricoperto da lave delle quali si trova la continuazione verso N, sotto 1' ammanto superficiale della scorie della Mon¬ tagna Rossa e dei tufi giallo-chiari della Biancarella. Di questo tratto di suolo dirò a parte. Il balzo in quistione, che ha tutto l'aspetto del pendio di un cratere rivestito di lave posteriori, scese a cascata verso il S, ha le altitudini segnate sul piano della tav. II: in media 50 m. s. 1. d. m. e cioè l'altezza dello sperone N. — 94 — Verso NE esso continua con uno sperone tondeggiante, rico¬ perto da scorie dei crateri SW di Montagna Rossa, con una cre¬ sta che sale gradatamente fino a circa 140 metri e poi si fonde col massicio di Montagna Rossa p. d. Visto dalla Montagnella del Posto, e cioè da NE, questo dosso si distacca nettamente dal cono di Montagna Rossa e ricorda molto da vicino un re¬ cinto tipo Somma. Ho detto che esso è superficialmente costi¬ tuito dalla scoria della Montagna Rossa: le indagini per trovarvi il tufo grigio, tipo M. Bandiera ed analogo a quello dei tron¬ coni del cratere del Posto non mi hanno dato risultati sicuri. Solo in un punto sembra che vi sia del tufo di questo tipo, in strati inclinati verso il centro del cratere del Pozzo salito. A S. di questo enigmatico avanzo v'è la valle che separa la Montagna Rossa dai Monti Calcarella e M. Vulcano. Le formazioni così descritte fanno parte di edifici prece¬ denti quelli della Montagna Rossa, la quale sorge coi suoi 186 m. su una piattaforma declinante da S a N. Il cono di Montagna Rossa viene in tal modo ad avere un'altezza relativa, sul piano preesistente, di circa 60 m. a S e di poco meno di 100 a N, dove la forma conica è alterata dalla presenza di una fenditura effusiva con relativa colata lavica. Considerando queste parti, è chiaro che l’edificio viene ad assumere forme geometriche tali che più lo riavvicinano a quelle di un cono avventizio, analo¬ gamente a come avviene per gli altri edifici dell'isola. La parte superiore del cuno è modificata dalla presenza di numerosi crateri. Mi sembra che, cronologicamente, il primo sia quello che esiste ad E del segnale 186 e SE del cratere prin¬ cipale. Esso è completamente obliterato e ricoperto dai mate¬ riali del gran cratere. Una serie di altri crateri si estende, poi, con allineamento SE-NW, a SW del medesimo gran cratere. Anche essi sono sformati dal materiale eruttato da quest'ultimo e specialmente il più grande a SE, ridotto ad un avvallamento del suolo, poco pronunziato. Gli altri due invece conservano sufficientemente la forma originaria e specialmente l'ultimo, del quale si possono perfettamente vedere la forma e le dimensioni del cono. Il dislivello tra i fondi e gli orli dei due ultimi cra¬ teri sono soltanto di qualche metro e ciò è dovuto all' azione livellatrice del materiale eruttato dal gran cratere. I quattro era- — 95 teri descritti sembra che non abbiano dato eruzioni effusive, al¬ meno nelle ultime fasi della loro attività, ma soltanto esplosioni a materiale scoriaceo. Il gran cratere, al quale ho ripetutamente accennato, è un vasto imbuto slabbrato a NNW, cogli orli costituiti da impo¬ nenti banchi di scoria rossa e lapilli risaldati, contenenti blocchi autogeni antichi e segregazioni. I diametri sono di circa 140 m., direttamente misurati. Tanto lo Speciale quanto il Washington, dicono che esso è continuato a N da un barranco. Ora, se tale nome è riservato a squarciature radiali del tipo di quelle dei vulcani delle Canarie e cioè dovuti ad atrii incompletamente riem¬ piti, esso non è applicabile alla formazione in quistione, la quale è soltanto una gigantesca slabbratura continuata, verso il basso, da una frattura effusiva dalla quale sono sgorgate poderose co¬ late laviche giunte fino al mare. La più superficiale, e perciò cronologicamente 1' ultima di queste, si può seguire dal canale effusivo fino al mare ed è una dolerite abbondantemente oli— vinica. Un gruppo morfologico importante esiste a NW del cono di Montagna Rossa ed è costituito da una serie di almeno cinque elevazioni subconiche che si adergono sulla pianura. La più set¬ tentrionale, per la forma, le dimensioni, la natura del materiale costituente è chiaramente un conetto avventizio della M. Rossa. Convalidano tal modo di vedere: 1) la forma conica della col¬ lina, col vertice troncato ed incavato, sebbene, ora, molto leg¬ germente; 2) la natura del materiale: lapilli e scorie con un nu¬ mero enorme di inclusi autogeni antichi e cristalli liberi di ane- mosite, Kersutite, olivina. Ora, se questo materiale provenisse da uno dei crateri di Montagna Rossa, è chiaro che esso dovrebbe trovarsi in uguale abbondanza nello spazio compreso fra la mon- tagnella del Posto e Montagna Rossa, mentre nella valle esso è scarso come lo è, del resto, nella regione circostante. Le altre quattro elevazioni a SW della precedente sono di dimensioni minori e possono essere interpretate sia come polle laviche, sia come intumescenze della colata. Le due ipotesi mi sembrano ugualmente verosimili. Nel complesso possiamo distinguere nella Montagna rossa le seguenti entità morfologiche e fasi eruttive : 96 — I) I crateri minori di E e SW, attivi prima del cratere prin¬ cipale. II) II cratere principale, il quale diede le grandi colate N da una squarciatura a NNW. Ili) I! cono avventizio della Montagnella del Posto, del quale non posso precisare P epoca di attività rispetto ai pre¬ cedenti. IV) Forse delle polle laviche anteriori alle ultime esplosioni della Montagna rossa e perciò in attività prima della estinzione di questa. Il tutto sorge su una piattaforma inclinata all’incirca verso il N, formata da ruderi di un edificio preesistente, forse dipen¬ dente dal cratere del Posto. Tufi della Biancarella. Ad W della Montagna Rossa e più precisamente ad W della Montagnella del posto e delle intumescenze laviche a S di questa, s'estende un campo di tufi gialli che è limitato : a N dal mare, a S dalle colate laviche che scendono a cascata sui ruderi del cratere del Posto ed ad W poggiano sulle colate del campo lavico di tramontana. Il colore e la compattezza di questi tufi è variabile: dal giallo chiaro si va al rosso bruno; dal materiale incoerente, terroso, al tufo litoide. Questi tufi poggiano tanto sulla colata del M. Ponente III, quanto su quella della Monta¬ gna Rossa. Il lapillo rosso si trova tanto sopra quanto sotto i tufi in quistione. Quello superiore però, è probabile che sia dovuto a frane od apporti posteriori alla deposizione dei tufi. In complesso i tufi si sono deposti dopo 1’ attività di Ponente III e di M. Rossa, nettamente stratificandosi su questi. Nelle parti alte dell'orizzonte, i tufi della Biancarella sono nettamente subaerei, mentre verso il mare, fino a 7-8 m. di altezza, in taluni luoghi assumono l’aspetto litoide di materiale subacqueo. Sono molto notevoli degli aumenti di compattezza del tufo, in pros¬ simità di blocchi di lava preesistenti, in vicinanza dei quali il tufo diviene nettamente litoide ed assume una struttura a zone ed a fiamme. Nell'insieme mi sembra chiaro che questi tufi siano stati emessi da un centro eruttivo posto a N della regione che essi occupano e depositati sul materiale di Ponente III e della Mon¬ tagna Rossa. Sono perciò posteriori a tutte le attività subaeree deH’isola. Ora, poiché non v' è alcun centro subaereo al quale riferirli, non v' è altro da ammettere che essi siano provenienti da un centro ora subacqueo che identifico con quello del cono sottomarino a N dell'isola (vedi oltre). I tufi furono emessi prima o durante 1’ emersione dell' isola e non è possibile dire se da cratere subaereo, poi demolito dalle onde, o da cratere sottoma¬ rino, come può essere probabile. Origine ed estensione delle colate laviche. Tutto il suolo dell'isola non occupato dalle formazioni de¬ scritte in precedenza è costituito da colate laviche. Di queste, per il primo, si occupò lo Speciale che ne tentò una delimita¬ zione. Successivamente il Trabucco trovò quanto ho già detto nell’introduzione. E' singolare come egli sia caduto in errori così grossolani, pur conoscendo la carta dello Speciale. La de¬ limitazione delle colate non può essere esatta per varie cause. Anzitutto, pei vasti ricoprimenti di materiali frammentarii, per cui le lave spesso compaiono gradualmente da sotto le coltri detri- tiche. In secondo luogo, perchè data la grande somiglianza ma¬ croscopica che presentano le diverse lave, non è possibile una esatta distinzione di limiti fra le colate. Un po' più facile è sta¬ bilire gli interi complessi dipendenti da un centro eruttivo e credo di esservi riuscito con una certa approssimazione. Osservo, però, che questa ricerca ha poco interesse. Per lo studio gene¬ rale dell’ isola, le colate laviche interessano in rapporto ai fatti seguenti : 1) perchè permettono di stabilire la natura dell'attività di alcuni centri ; 2) perchè ci spiegano alcuni aspetti della mor¬ fologia dell’isola ; 3) perchè ci offrono dei dati sul sollevamento della medesima. Io distinguo tre complessi lavici divisi in cinque campi differenti. Colate di M. Ponente. — Un campo che certamente dipende dall'edificio più recente della Montagna di Ponente è quello conosciuto col nome di " scogli di Tramontana „ e che 9S — ha per limiti a S, parzialmente, ad W e N il mare; ed E le colate e le formazioni di Montagna rossa e poi gli avanzi dei crateri del Posto, del Pozzo salito e di M. Bandiera; a S, ancóra parzialmente, il Timpone e le basi del M. Ponente. Per il varco esistente fra i due monconi occidentali del cratere del Pozzo salito, la colata è penetrata nel fondo di questo, dirigendosi verso S. Il gruppo di colate in quistione si è originato sui fianchi N del M. Ponente, aprendosi il varco attraverso una fenditura effusiva nei tufi gialli. Esso dev’essere anche in relazione con i dicchi del sistema di M. Ponente. Le colate, sono diverse e so¬ vrapposte : alla cala di Ponente, lato N, dove finiscono i tufi grigi, vi sono sei colate visibili od almeno sei rifuse della me¬ desima. Mi sembra che le ultime colate che investono tutte le formazioni del massiccio di Ponente già descritto , siano state anteriori alle ultime esplosioni dell’edificio III di M. Ponente e posteriori, sia al tufo grigio che al tufo giallo. Le colate hanno un netto carattere subaereo al disopra dell’isoipsa 10 all'incirca: poi presentano dei caratteri comuni a tutte le colate dell’isola, che descriverò in seguito. Nella parte settentrionale, la colata presenta quei massi enormi, angolosi, caratteristici delle colate etnee più potenti, che il Washington scambia per il prodotto di fenomeni esplosivi secondarii. Questo complesso è di colate a cor¬ de e colate a blocchi e vi si notano anche dei domi di intume¬ scenza. Nella parte settentrionale sono sottoposte ai tufi della Biancarella. Le colate in quistione si prolungano visibilmente per un certo tratto sotto il 1. d. m. Un secondo campo, meridionale, ha per limiti ; a N i pendìi di M. Ponente, del Timpone e di M. Bandiera ; a NE ed E i monti Bandiera e Calcarella, ad E viene a contatto con le co¬ late di M. Vulcano (senza che sia possibile, almeno per ora, stabilire la successione fra le due), mentre da tutti gli altri lati confina col mare. L'origine di queste colate non è visibile. Nel lato S della Cala di Ponente si vede che esse sono posteriori ai tufi grigi, Tubefatti al 1. d. m. ed anteriori ai tufi scoriacei delle ultime fasi dell'attività dell’edificio III, così come avviene anche nel lato N. Credo che, almeno parzialmente, i due campi N e S siano coevi. I caratteri macroscopici delle lave di questi due campi sono quasi identici. — 99 — Colate di M. Vulcano. — Da questo centro eruttivo dipendono due campi lavici. Il meridionale ha le sue origini, perfettamente visibili, alle basi S del cratere di M. Vulcano p. d. E’ chiaro che il condotto ha trapanato il massiccio di M. Cal¬ catila e M. Levante, così come dimostrano la posizione delle bocche effusive e resistenza dei dicchi visibili nei tufi grigi di M. Levante. Le colate fluirono sui ripidissimi pendi di M. Cal¬ catila, fino al mare, formando, prima un costone molto rilevato che modificò profondamente la morfologia primitiva di questo e dilagando, poi, alle basi del monte, dal luogo ora occupato dalla frana di lapilli fino allo scalo vecchio, a contatto con le colate di M. Ponente. I caratteri di questa colata sono netta¬ mente subaerei. Il secondo campo lavico ha per limiti a S ed ad E il mare, a N le formazioni di Montagna rossa; ad W quelle di M. Vul¬ cano. L'origine visibile è sui pendìi SE del cono di M. Vulcano, nel luogo occupato da enormi intumescenze laviche subconiche. Da qui le colate fluirono quasi tutte verso la regione ora detta ed in piccola parte, ma con notevole spessore, sulla piattaforma dei tufi grigi di M. Levante, giungendo al ciglio S di questa. Le distruzioni successive all'efflusso hanno prodotta la sezione naturale che ora ivi si vede. Anche tutte queste lave hanno di¬ stinto carattere subaereo. I limiti terrestri non sono ben visibili per causa del ricoprimento del materiale detritico di M. Vulcano a S e di Montagna Rossa a N. Questi ricoprimenti sono chiari e dimostrano che Montagna rossa era in attività dopo l'efflusso di M. Vulcano. Alla punta di Levante queste lave investono i tufi grigi e sono perciò nettamente anteriori alla fase delle di¬ struzioni degli edifici di M. Levante e della scoria rossa. Mi sembra anche che siano anteriori alla scoria rossa dei Faraglioni. Da questo lato non ho potuto accertarmi con sicurezza del li¬ mite fra le colate di Montagna rossa e M. Vulcano, ma un com¬ plesso di circostanze e di piccoli indizii mi fa ritenere che il li¬ mite sia verso i Faraglioni e che le colate di M. Vulcano siano anteriori a quelle della Montagna rossa. 1 Colate di M. Rossa. — Il campo lavico perfettamente visibile è quello che si estende all’incirca dei Faraglioni ed E giunge a N della Bancarella, circondato a N ed ad E dal mare, * — 100 — 186 A o incrocio colle sezioni li VII Posto M. Rossa materiali del crat. del Posto (tufo grigio). „ scoriacei della M. Rossa. ■1 lave e condotti eruttivi della M. Rossa. --- probabile profilo del rudere dell’orlo del cr. del Posto, sotto M. Rossa. Sez. VI. — Dagli scogli di Tramontana, attraverso il Cr. del Posto, M. Rossa, fino ai Faraglioni (q. 186). 186 A 0 ncroc. colle sez. II VI M. Rossa materiali scoriacei, lave. --- profilo dell’orlo della frattura effusiva N. Sez. VII. — M. Rossa da SSE a NNW. ad W, e N limitato dai materiali della M. Rossa. E’ costituito da potenti colate, dell’ultima delle quali, ancóra oggi freschis¬ sima, si vede l’inizio nella grande fenditura effusiva N della M. Rossa. Questa colata giunge al mare ed è di dolerite ad abbon¬ dantissima olivina. Sembra che essa, sovrapposta nettamente alla colata del campo lavico N del M. Ponente, segni verso N il li¬ mite del campo lavico della M. Rossa. Essa è anteriore ai tufi gialli della Bancarella. Queste colate non offrono nulla che val¬ ga la pena di essere descritto e sono nettamente subaeree. Più enigmatici sono gli avanzi delle elevazioni subconiche ad E della Montagna rossa ed a SW della montagnella del Posto. Eio già emesso l’idea che si tratti di polle effusive, attive prima che fi¬ nisse l’attività esplosiva della Montagna rossa e tutte le osser- vazioni che è possibile fare confermano tale ipotesi. Da esse dipenderebbe tutta la coltre lavica che si estende fra le suddette elevazioni ed a S di esse che come lembo continuo, discende su gli interni pendii dell'avanzo del recinto craterico del Posto. Se è così, abbiamo due campi lavici in dipendenza della Montagna Rossa: quello NW proveniente dalle polle laviche presso la Mon¬ taglieli del Posto e quello NE proveniente, almeno per le ul¬ time manifestazioni, dalla fenditura N. L'uno e l'altro sono an¬ teriori ai tufi della Biancarella ed almeno parzialmente alle lave di M.. Ponente. Colata del Timpone — Il lembo, già descritto, è li¬ mitatissimo e rappresenta appena il rudere d'una colata, la quale doveva avere un'estensione assai maggiore che oggidì. Sembra che la colata sia fluita all'incirca dal S verso il N, in pendio ed in parte in ambiente subacqueo. Influenza delle colate laviche sulla geomorfolo¬ gia. — E' chiaro che le colate non hanno soltanto l'estensione che oggidì possiamo loro attribuire, ma una molto maggiore perchè, da un canto esse si prolungano in mare forse notevolmente, co¬ me p. e. deve avvenire per le colate del campo lavico S di M, Ponente, pel campo lavico S di M. Vulcano, etc; mentre, da un altro canto, esse scompaiono sotto i materiali detritici dei propri centri posteriormente attivi. Uno sguardo alla carta è suf¬ ficiente per convincersi del fatto. Ciò fa si che lo stato attuale delle cose alteri i rapporti che possiamo dedurre fra l'effusività ed esplosività d’ogni singolo centro, con valori numerici dedotti dai rapporti fra lave e materiale detitrico. Un calcolo anche ap¬ prossimato dev'essere fallace. Però è possibile stabilire che, a- vuto riguardo ai grossolani rapporti suddetti: 1) il massimo ca¬ rattere di effusività è dato da M. Ponente III nel quale i feno¬ meni effusivi superano di molto quelli esplosivi; 2) un modo in¬ termedio è dato da M. Vulcano in cui sembra che le quantità di materiali esplosivi ed effusivi quasi si equivalgano; 3) un ca¬ rattere dominante di esplosività è dato dalla Montagna rossa nella quale il materiale d' esplosione supera quasi certamente quello d'efflusso. Non è il caso di considerare i varii edifici della scoria rossa con o senza lave. Gli edifici sottomarini, per quel che ne sappiamo, sono soltanto esplosivi. — 102 L’influenza delle colate sulla geo-morfologia è dato dal fatto che esse non solo aumentano sensibilmente la superficie dell'i¬ sola, perchè ne costituiscono almeno la metà (e molto di più se invece di partire dalla q. 0 partissimo dalla q. - 50), ma dal fatto che esse sono servite a proteggere gli edifici scoriacei dalla di¬ struzione. Là dove le barriere laviche hanno circondato gli edi¬ fici, questi sono stati protetti validamente dall’assalto implacabile del mare. Cosi alla cala di Ponente e sui pendii meridionali di M. Vulcano e M. Levante, dove questa condizione non si è ve¬ rificata, gli edifici sono intaccati, distrutti e ridotti alla metà. Ciò ci permette, per incidenza, di stabilire, che dopo l’emersione de¬ gli edifici sottomarini, l’attività subaerea dovette succedere ra¬ pidamente e distendere la propria coltre protettrice di lave at¬ torno agli edifici tufacei emersi. Se così non fosse stato e gli edifici di M. Bandiera, del cratere del Posto, etc. non fossero stati protetti dalle barriere laviche di M. Ponente e M. Vulcano, essi sarebbero adesso molto più distrutti di quanto non lo siano od anche completamente scomparsi. Ciò spiega la grande distru¬ zione degli edificii del tufo giallo di M. Ponente e del tufo gri¬ gio di M. Levante. 52 A Bancarella M. Rossa materiali scoriacei della M. Rossa. "" tufi gialli della Bancarella. mm lave della M. Rossa e roccia sottomarina. Sez. Vili. — Cono sottomarino - 14 e tufi della Bancarella (q. 52). -4 -33 ■■ roccia sottomarina Hit sabbia Sez. IX, — Coni sottomarini - 4 e - 33. 103 Linee di spiaggia-Tracce di sollevamenti. Prescindendo completamente dal sollevamento che spinse fuori delle onde gli edifici sottomarini del tufo giallo di M. Po¬ nente e del tufo grigio di M. Levante, M. Bandiera, Posto e Pozzo salito, è possibile vedere tracce d'un sollevamento recen¬ tissimo ovunque vi sia una colata lavica. Senza alcuna distin¬ zione, tutte queste presentano una zona elevata fino a circa 10 metri s. 1. d. m. costituita da ciottoli di spiaggia arrotondati, della stessa lava che li sopporta. In alcuni punti, la zona a ciot¬ toli giunge fino al mare, ma questo caso è limitatissimo ed in¬ vece quasi sempre v’è un netto distacco fra la spiaggia o la sco¬ gliera attuale e la zona a ciottoli. In linea generale si può par¬ lare d'una zona di spiaggia ininterrotta, per tutto il circuito la¬ vico dell'isola, la quale segna un vecchio livello del mare, por¬ tato da questo all'altezza attuale. Le più accurate ricerche per stabilire se questa linea di spiaggia sia anteriore o posteriore alle sottostanti colate o, per meglio dire, se vi siano elementi di altre colate che abbiano fornito il materiale delle spiaggie, sono stati vani. Non mi è stato possibile delucidare questa qui- stione, malgrado l’esplorazione minuziosa del terreno: se le co¬ late ultime di Montagna rossa sovrapposte a quelle di M. Po¬ nente siano anteriori o posteriori al sollevamento. Vi sono ele¬ menti indecisi ed in nessun luogo ha potuto rinvenire le tracce d’una colata che investa la linea di spiaggia. Ritengo perciò, che si tratti d'un sollevamento unico, simultaneo, posteriore a tutte le attività dei centri eruttivi dell'isola. Prove del sollevamento si hanno anche in altri due feno¬ meni: le sabbie conchiglifere e le marmitte dei giganti. Un po’ in ogni luogo vi sono tracce di erosione delle co¬ late, sotto forma di cavità subconiche, ma solo all'estremo NW della isola presso q. 12, sulle colate di M. Ponente a circa 5 o 6 metri s. 1. d. m. ho trovato delle perfette e complete marmitte dei giganti, con i nuclei erodenti ancora in situ, delle quali la maggiore profonda almeno due metri. Ora, questo fenomeno, che forse può ripetersi in qualcuno di quei brevissimi tratti che non ho percorso, è un nuovo e decisivo elemento per stabilire il sollevamento. — 104 — Debbo accennare anche a resistenza d’un lembo di una in- # crostazione molto simile ad un’arenaria, esistente a circa 3 m. s. 1. d. m. ad W delle fornaci da calce, presso il cisternone. Essa sebbene completamente afossilifera è sempre un'elemento di prova per la quistione. Sulle carte nautiche è segnata una zona, a S del paese, col nome di " arena bianca „ a causa di un deposito di sabbia cal¬ carea gremita di conchiglie marine, prevalentemente di micro¬ fauna. Per tre quarti la sabbia è costituita da frammenti ed esem¬ plari completi di conchiglie ed animali marini inferiori (crosta¬ cei, echinodermi, celenterati, etc) associati. Ora, questi depositi, in lembi più o meno limitati, si trovano su tutto l’arco di spiag¬ gia della regione che va dalla cala di Ponente alla Bancarella e costantemente sono a qualche m. s. 1. d. m. Un fenomeno consi¬ mile ho già osservato in Sicilia sulla spiaggia fra Sampieri e Poz- zallo. Ritengo che si tratti di banchi limitatissimi di calcare che hanno formato la poca sabbia calcarea mista ai detriti di con¬ chiglie. Nell'isola non v'è alcuna traccia di calcare, mentre se ne trova sotto forma d'inclusi nei tufi degli edifici sottomarini. Que¬ sti probabili affioramenti sottomarini offrono qualche elemento per comprendere la costituzione delle basi dell'isola, specie se messi in relazione agli inclusi dei tufi. Ma il fatto che più im¬ porta è 1'esistenza di questi depositi costantemente a qualche me¬ tro s. 1. d. m. in corrispondenza della zona di spiaggia già de¬ scritta. Un ultimo elemento v'è da descrivere e cioè il carattere delle lave in alcuni luoghi: fenomeno in relazione a quanto ora ho detto. Mentre agli sgorghi e nelle zone prossime a questi, le lave hanno un carattere subaereo, in taluni altri luoghi, al di¬ sotto del livello della spiaggia sollevata e specie nei campo la¬ vico di M. Ponente, le colate laviche hanno un carattere accen¬ tuatamente sottomarino. Finiscono i domi, i blocchi scoriacei e tutte le caratteristiche della colata subaerea; invece v'è la co¬ stante presenza di enormi caverne, come grandi subulliture che si possono spiegare solo quale prodotto del contatto tra una massa lavica incandescente ed una massa acquea. Spesso, alla vòlta delle caverne corrispondono degli spira¬ gli che comunicano con la superficie della colata e che hanno — 105 — tutto l'aspetto di enormi sfiatatoi. L'insieme dei fatti dimostra che le colate che possiamo ora esplorare perchè subaeree, furono al disotto del livello della spiaggia sollevata, originariamente sot¬ tomarine. Perciò l'isola durante il loro efflusso doveva essere no¬ tevolmente più piccola e solo il sollevamento di circa 10 m. le die¬ de le dimensioni attuali. Che il sollevamento non sia storico lo dimostra il fatto che a NE di M. Levante vi erano i ruderi di un fabbricato sulla linea di spiaggia in quistione. I ruderi sono stati distrutti e vi si rinven¬ nero numerosissime monete e vasi; rimangono però abbondanti frammenti di fittili che sembrano con tutta probabilità romani. Topografia subacquea di Linosa. Come ho già accennato all'introduzione, la carta batimetrica della tav. I. è stata costruita coi dati numerici del piano 211, aggiornato pel 1926, dell'Ufficio Idrografico. Le curve sono state tracciate riunendo fra di loro tutti i punti di ugual profondità risultanti dal calcolo fra due quote (negative) prossime. Tutte le possibili combinazioni sono state calcolate con approssimazione di V2 mm. su un ingrandimento al 10.000, dimodoché l'appros¬ simazione è di 5 m. per quest'ultima scala, dalla quale fotogra¬ ficamente è stata ottenuta la carta al 25.000 che pubblico. Ri¬ tengo che questa approssimazione sia superflua (benché abbia voluto applicarla) per varie ragioni. Anzitutto perchè i punti non sono sufficientemente fitti. In secondo luogo perchè le cifre riportate sulla carta, certamente non occupano il punto mate¬ matico che loro compete ed uno spostamento di 1 mm. solo, al 25.000 (scala originaria del piano 211) conduce ad un errore di 25 m. che non si elimina naturalmente col processo di ingran¬ dimento al 10.000, ma si moltiplica. Perciò, in via definitiva la approssimazione dev’ essere ancora inferiore ai 5 m. effettivi e, probabilmente, si aggirerà ancora intorno ai 25 m. per le iso- bate molto distanziate fra di loro e lontane da terra; intorno ai 10 m. per quelle più vicine a terra e più fitte. In media, queste distano fra di loro di 250-200 m. lineari. Date tutte queste cause d’errore, si comprende che l'attendibilità della carta ottenuta di¬ minuisce rapidamente allontanandoci dalla costa. Per questa ra- gione sono calcolate solo le isobate di 50 in 50 fino a quella di - 100 e poi di 10 in 10 da questa a 0. Ora, se noi consideriamole isobate da -300 a -100 vediamo che esse tendono a chiudersi, quasi regolarmente, tranne che in tre luoghi: a NW, a S ed SE-E dell’isola dove si allontanano dalla costa, in corrispondenza di due massicci sottomarini, a pic¬ cola profondità, a NW ed a SE, e di un terrazzo inclinato fra -100 e -50 a S. Tutto il sistema delle isobate presenta una serie di solchi che corrispondono evidentemente a delle vere valli sottomarine, le quali sembrano costituire delle intersezioni di coni, dei quali i tre maggiori hanno le posizioni ora indicate. Risalendo alla isobata di -100, dove i dati cominciano ad essere più attendibili, osserviamo che essa si discosta poco dalla costa: da N ad E, passando per NE; da SW ad WNW, passando per W, la distanza media è di circa 450 m. Al largo dello spe¬ rone a N di Cala pozzolana, il pendio è di 30° e questo sem¬ bra il più accentuato per la zona considerata. Altri casi li esa¬ mineremo studiando i profili geologici. Un fatto risulta dalle ispezioni delle isobate di questo tratto di coste e cioè un ter¬ razzamento da -20 circa al 1. d. m.; il che era da prevedersi quale risultato dell’azione erosiva continua del mare dall’epoca della fine dell’ultimo bradisisma positivo ad oggi. Ma il risultato più interessante fornitoci dalla carta batime- trica è la constatazione dell’ esistenza di alcuni ruderi di coni sottomarini, a piccolissima profondità. I primi da esaminare, seguendo la cronologia degli edificii subaerei, già descritti, sono quelli a SE dell'isola. Nella prece¬ dente descrizione geologica, trattando dell’edificio M. Levante II (scoria rossa e nera) ho accennato alla provenienza di questa da edifici sottomarini orientali: essi sono appunto quelli che scom¬ paiono sotto i flutti, raggiungendo uno -4 e l'altro -33 e co¬ stituiti probabilmente da massicci rocciosi, tufacei o lavici, e per¬ ciò ruderi di coni o necks. E’ chiaro che i materiali di M. Le¬ vante II provengono da uno di questi due edifici e più proba¬ bilmente da quello -4 che, per essere il più vicino alla super¬ ficie, è il più distrutto. Anche l'inclinazione degli strati della scoria rossa conferma tal modo di vedere. L’altro edificio, -33, più conservato, chè se ne riconosce il cono, probabilmente non ha vestigie delle proprie eruzioni nell’isola. Il terzo da considerare è svelato solo dall'accurata analisi dei pochi elementi morfologici posseduti. Vedremo, ricostruendo M. Levante I, come Y ambito del cono originario possa essere geometricamente delineato in base ai dati della morfologia sub¬ aerea. Ora, il cerchio che comprende la base del cono, calco¬ lato, come dirò più oltre, coincide con la isobata -30 la quale mostra chiaramente d'essere la radice del cono sottomarino, ter¬ razzata, poi, verso i -20. Questo cono alla sua volta sorge su di una vasta piatta¬ forma inclinata che si estende nella regione SE-E dell’isola, forse avanzo di cono a livello ancora più basso, verso i 100 m. di pro¬ fondità. Il quarto cono, che è, in fondo, il più recente di tutti i vul¬ cani di Linosa, sorge a NW dell'isola: la sua vetta è a -14 circa ed a 400 m. dalle scogliere. Sembra che si aderga uniforme- mente da -150 a -30, con pendii più ripidi ad E e più dolci da NW ad W e con vasto terrazzamento fra -30 e -20. Su que¬ sto terrazzo sorge uno sperone il quale è, verosimilmente, un pezzo di orlo craterico. Ho già accennato al fatto che l'ampia distesa dei tufi della Bancarella non ha punto di origine mani¬ festo, subaereo, e che invece si tratta d’un complesso, molto uni¬ forme, di materiali depositati sulla precedente superficie delle lave di M. Ponente e M. Rossa. Mi sembra che si possa attri¬ buire a questo centro sottomarino il complesso dei tufi in qui- stione. Le obbiezioni che possono farsi a tal modo di vedere verranno discusse in seguito. Altre particolarità morfologiche utilissime ci vengono date dalla costituzione del fondo sottomarino. Nel piano 211, già ci¬ tato, sono indicati il fango, la sabbia, le alghe e le conchiglie riscontrate nei sondaggi. Purtroppo, non tutte le quote hanno indicazione. Ma considerando come unici complessi le sabbie ed il fango; la roccia e le alghe (e ciò per mia lunga esperienza personale di fondi vulcanici), abbiamo che attorno a Linosa, la zona della sabbie sembra uniformemente estendersi a S fino a circa -30; ad W in media intorno a -50 per discendere fino ad oltre -250 ed oltre in corrispondenza della regione a NW del — 108 — M. Ponente, a N intorno ai -200 in modo da circondare il cono sottomarino -14. A N le sabbie risalgono a circa -300. Quale sia la natura di queste sabbie lo ignoriamo e ignoreremo an¬ córa se non sono state messe in pratica le mie proposte, alle quali ho accennato all'introduzione. La zona rocciosa si estende invece uniformente come un anello attorno a tutta l’isola. E' chiaro che essa dipende, nella massima parte dei casi, dai campi lavici già descritti. Solo in due casi sembra che questa dipen¬ denza non si verifichi e cioè pel cono sottomarino -14 a NW e pei due coni -4 e -33 a SE. Naturalmente, non sappiamo se si tratti di lave o di tufi. Altro importante, ma enigmatico, affio¬ ramento roccioso è a SW dell’isola alle quote -245 e -267. E' da notare, infine, che a S dell'isola a -90 (esattamente in cor¬ rispondenza dello scalo vecchio) vi sono conchiglie, il che può essere in relazione coi giacimenti di sabbie conchiglifere del- 1"' Arena bianca,,. Questi sono i dati di fatto che discuteremo in seguito. 111. — La costituzione morfologica del bacino. I terreni visibili. - Probabile natura delle basi di Linosa. Uno sguardo alle carte batimetriche della regione dimostra come Linosa sorga sull'orlo settentrionale della piattaforma che cinge le coste N d’Africa. Possiamo considerare tale zoccolo come la naturale base del gruppo vulcanico, il quale avrebbe così un’altezza assoluta di circa 700 sulle basi, di fronte ai circa 200 subaerei, che noi conosciamo direttamente. Ora, lo studio deH'imbasamento sul quale sorge Linosa è possibile solo indiret¬ tamente per mezzo degli elementi fornitici dagli inclusi, da un canto, e dagli avanzi del tavoliere africano sommerso, ancóra visi¬ bile a Lampedusa. Quest'ultima isola, che non ho ancóra visitata per mancanza di tempo, sono costretto ad esaminarla sommaria¬ mente colla scorta dei dati, non sempre precisi, che possediamo. Tralascio tutte le considerazioni inutili, limitandomi ad esa¬ minare le analisi dei calcari dell’isola ed i cataloghi dei fossili ivi raccolti e determinati dal Trabucco (8) e dal Nelli (9) L'isola è costituita da strati quasi orizzontali, forse lievemente inclinati verso S, di varia compattezza. Il Trabucco vi distingue un cal- — 109 — care riferibile al pliocene inf. (piacenziano) ed un’arenaria a brec¬ cia calcarea del quaternario, affioranti specie nella regione E del¬ l'isola, oltre ad alcuni limitati lembi di gesso. Secondo il Trabucco, l’età della massa calcarea principale è pliocenica inferiore, e ciò in base all'esame dei fossili da lui rac¬ colti, comuni al bacino piacenziano ed agli strati pliocenici della vicina costa africana. Il De Stefani (10) riferisce, invece, questi calcari all'elveziano, ma le sue osservazioni in ogni caso, non reg¬ gono. Più recentemente, il Nelli (9) esaminò una ricca serie di fossili provenienti dalle cave attorno al porto e riferisce i cal¬ cari che li contengono al pleistocene, ritenendo che Lampedusa non possa essere più antica del postpliocene inferiore. Perciò la sua emersione è assai recente e cade l’ipotesi d'una possibile congiunzione fra la Sicilia e l'Africa per mezzo di una terra “posta nella regione delle Pelagie,,: ipotesi, se non erro, che nessuno ave¬ va mai formulata e che è a priori distrutta daU'esame delle iso- bate fra le Pelagie e la Sicilia. Riporto qui il catalogo dei fossili determinati dal Nelli e dal Trabucco. Nei §§ 1 e 3 sono quelli indicati dal Nelli e dal Trabucco (quest’ultimi sono distinti coH'indicazione della loc. di raccolta); nei §§ 2, 4, 5 sono quelli indicati solo dal Trabucco. Gli * contrasegnano le specie estinte; P il pliocene e PI il pleistocene. Il Nelli, in base alle proprie determinazioni, ammette sen¬ z'altro che questa fauna sia nettamente pleistocenica, pur osser¬ vando che quella del Trabucco può anche essere pliocenica Ma la sua precisazione cronologica non regge, perchè Egli stesso, nella descrizione dei singoli esemplari, fa risultare il fatto che su 34 specie, 6 sono estinte (di queste una è dubbia) e tutte le altre possono essere tanto plioceniche, quanto pleistoceniche. Al¬ lora non rimane che il criterio della percentuale delle specie estin¬ te per valutare l'epoca della fauna. Esse sono il 17%. Nel plio¬ cene classico tale numero va dal 35 al 50 °/0; nella classica fauna della regione etnea, indiscutibilmente appartenente al Piano si¬ ciliano (11) esso è del 2%. Dunque la fauna di Lampedusa è più antica di quella subetnea e più recente di quelle del pliocene classico. Quella subetnea è più recente di quelle di Vallebiaia, M. Mario M. Pellegrino, Ficarazzi, Sciacca, Monasterace, Reggio 110 - Calabria, Valle del Crati etc., ed è paragonabile a quelle di Riz- zolo (Siracusa), Archi, Cacariaci, Piscopio (Calabria). Mi sembra che per le percentuali di specie estinte, quella di Lampedusa sia da considerare indiscutibilmente più antica di quella subetnea e sia da riferire ad una transizione fra P Astiano ed il Siciliano, tendendo più al primo termine che al secondo. 1. — Anotnia ephippiurn L. (P. PI). - *Pecten Planariae Simo- nelli var. Lapedusae Trabucco (P) Cozzo Grecale. - Pecten mul- tistriatus Poli (P. PI). - Pecten opercularis L. (P. PI). - Modiola adriatica Lk. (P. PI). - Arca ( Anadara ) barbata L. (P. PI). - *Arca {. Anadara ) Syracusensis May. (P. PI.) - Arca ( Anadara ) diluvii Lam. (P. PI.) Cozzo Grecale, Cava Conti, Cala Quena. - Cardium aculeatum L. (P. PI). Cozzo Grecale - Cardium papillosum Poli (P. PI).- Dosinia lupinus L. (P. PI.)- Venus ovata Penn. (P. PI.) - Gouldia minima Mtg. (P. PI). - Gouldia minima var. penicillata B. D. D. (viv.) - Donacilla cornea Poli (P. PI.) - Corbula gibba Olivi (P. PI.) - Loripes lacteus L. (P. PI). - Lucina (Jagonia) re- ticulata Poli (P. PI). - Tellina compressa Br. var. obliquestriata (For.) (P. Pi). - Tellina planata L. (P. PI.) - Tellina donacina L. (P. PI.) - Chama gryphoides L. (P. PI.) Cozzo Grecale. 2. — Petricola lithophaga Retz. Cozzo Grecale (P. PI.) -Lito- duinus lithophagus L. (P.PP1.) Cava Conti - Vola Jacobaeah.{V. PI.) Cozzo Grecale - Ostraea sp. 3. — *Fusus Syracusoides Brugnone (P. PI.) - TClavatula (cfr.) romana Defr. (P.) - Nassa incrassata Muller (P. PI.) - Ceritium cfr. vulgatum Brug. (P. PI.) - Turritella subangulata Brocchi (P. PI) Cozzo Grecale - Turritella cfr. tr icarinata Brocchi (P. Pf.)- Turritella triplicata Brocchi var. cfr. turbona B. D. D. (P. PI.) - Vermetus {Petalo co nchus) subcancellatus Bivona (P. PI.) - Ver¬ me tus arenar ius L. (P. PI.) - Vermetus [Spiro glyphus) cristatus Biondi (P. PI.) - Trochus varius L. (P. PI.) - *Trochus patulus Brocchi (P. PI.) - *Brocchia levis Brn. (P. PI.) 4. — Clavagella bacillaris Desh. (P. PI.) - Ficula geometra Bors. Cala Quena (P .) - Conus tioae Brocchi. Cala Pisana (P.)- Natica sp. 5. — Celenterati. Astrea Lmk. - Foraminiferi. Miliolina val- vularis Reuss - Clavulina communis D'Orb. - Bolivina punctata Ili D'Orb. - Polymorphina lanceolata Reuss - Globigerina aequila- teralis Brady - Spirillina vivipara Ehremb. - Truncatullna Un- geriana D'Orb.- Rotalia papillosa ? Brady- Rotalia calcar D'Orb.- Polystornella crispa D'Orb. - Poly stornella striato-punctata Ficht. et Mall. Le analisi dei calcari sono le seguenti: 1 II III IV V CaC03 79,07 96,37 93,25 90,47 68,62 MgC03 16,14 2,49 4,51 4,79 27,90 sìo2 1,54 1,35 1,45 1,78 1,59 Al2o3 Fe203 1 ) 1,61 0,40 0,40 1,55 0,61 h2o 0,51 0,27 0,27 0,43 0,85 99,87 100,88 99,88 99,02 99,57 I Monaco bianco - strati inferiori ( Speciale ) II lì lì „ superiori ( Speciale ) III Località? „ superficiali (Trabucco) IV Madonna Cale, duro, rossastro ( Speciale ) V Cala Pisana (Arenaria ?) ( Speciale ) VI Poggio Monaco 15,74 MgC03 (Trabucco) VII Cala Pisana (Arenaria?) 28,85 MgC03 (Trabucco) Vili P. Sottile y 30,00 MgC03 (Trabucco) Riguardo a queste an. v'è da osservare che non mi sembra che tutte queste siano riferibili al calcare pliocenico in quistione. Ad esso possiamo riferire le I— 1 1 e forse la IV. Dobbiamo ri¬ fiutare la III che sembra arbitraria ed in ogni caso, come tutte le determinazioni dell’A., è senza indicazioni sufficienti. La V è da riferire, probabimente, come le determinazioni VII— Vili, alle arenarie quaternarie della regione orientale dell'isola. Lo Speciale (5), e con Lui il Trabucco, osserva che il te¬ nore di Mg CO3 diminuisce verso l'alto: questa supposizione pos¬ siamo basarla solo sulle due analisi I-II perchè le altre non sono paragonabili, nè con queste, nè fra di loro, perchè sembrano ri¬ feribili a tutt'altra roccia. Ciò risulta anche al confronto fra le — 112 — an. I— 1 1 e la V che ha una composizione assolutamente diffe¬ rente dalle due prime. Secondo il Chelussi la roccia di Lampedusa contiene apa¬ tite e feldspato. In ogni caso, mancano elementi vulcanici e non vi si riscontrano le panchine caratteristicamente pleistoceniche. Un particolare estremamente importante è dato dal fatto che nelle scogliere a picco, a tutte le altezze, si trovano fori di litodomi (Cala Pisana, Capo rupestre, Capo Parate, Albero del sole). Disgraziatamente FA. non ha misurata la massima eleva¬ zione di questa zona a fori. Infine nella parte più bassa dell'i- sola v'è un'arenaria calcarea recente (Cala Pisana). Un' insieme di dati e di ricerche che non è ora il caso di esporre e che esaminerò dettagliatamente altra volta, sembra di¬ mostrare che la regione che consideriamo sia propaggine della costa africana, ricoperta, adesso, verso N, da un velo acqueo esi¬ guo fin verso Linosa e Malta. Al di là di questi limiti, verso oriente, v’è una grande fossa (fin circa -4000) nella quale scom¬ paiono, probabilmente, le manifestazioni eruttive o per lo meno non se ne hanno tracce nelle sedimentazioni recenti (12); mentre a N di Linosa e NW di Malta si estende una fossa (oltre -1500) che continua fino alla Pantelleria, distaccando nettamente lo zoc¬ colo sul quale sorge Linosa, da quello sul quale hanno sede le manifestazioni eruttive di Pantelleria e dei vulcani circonvicini. Questa fossa è limitata da due fondali, relativamente bassi, fra Malta e Capo Passero, ad E e fra Capo Bon e Capo Lilibeo, ad W. Tutte le manifestazioni eruttive si svolgono su quest'ul- tima parte dei fondi marini, spingendosi sull'orlo meridionale della fossa marina di -1500 m. ora detta, fino a Linosa, la quale sembra essere l’ultimo limite sud-orientale della vulcanicità (13). Lo zoccolo in quistione, sul quale sorgono Malta, Lampe¬ dusa e le minori isole adiacenti, sembra essere un ripiano ter¬ ziario (miocenico per Malta; pliocenico per Lampedusa) gli strati del quale sono rimasti relativamente immobili lungo l'orlo ester¬ no deH’Appennino, al di fuori della zona dei corrugamenti. La quasi orizzontalità degli strati di Lampedusa sembra esserne la prova. Nel terziario esisteva , dunque , ad E delle Pelagie una terra congiunta con l’Africa e la Sicilia. Probabilmente le terre — 113 — corrispondenti ai bassi fondi del gruppo maltese esistevano già allorquando emergevano quelle della regione di Lampedusa, più giovani delle precedenti. Le isole maltesi, per molteplici fenomeni, mostrano uno spiccato carattere continentale: sovratutto per la forma e l'orografia. Lampedusa non offre alcun vestigio che per¬ metta un qualsiasi giudizio in proposito. Forse, non è errata la ipotesi del Fischer , il quale ammette che le terre mioceniche occupassero uno spazio corrispondente all' attuale ìsobata -200 e che alla fine del pliocene siano emerse la costa d'Africa di costituzione pliocenica e Lampedusa. Questo sollevamento, che con maggior latitudine di tempo è da riferire al pliocene-pleisto¬ cene, interessa tutti i gruppi insulari di Malta e Lampedusa. La fossa di -1500 sembra essere l'avanzo d’una frattura la quale potrebbe anche essere la continuazione della serie di frat¬ ture che limitano a N la regione dell'Atlante, che verso la metà del quaternario (secondo la maggioranza dei geologi (14) hanno prodotta la sommersione della terra miopliocenica anzidetta ed il distacco del sistema Atlante dal sistema Appennino. Secondo I'Issel (15) a Malta tale sprofondamento cominciò all’inizio del pleistocene (dopo la fine del sollevamento pliocenico-pleistoce- nico di cui sopra) per continuarsi in epoche storiche. Se l'inizio dello sprofondamento fu al principio od alla metà del pleisto¬ cene, poco interessa, tanto più che, con tutta probabilità, esso non fu ovunque simultaneo e potè essere agevolato od ostaco¬ lato da speciali condizioni topografiche, oceanografiche, litolo¬ giche. Quel che interessa è il fatto che nel pleistocene avvenne questa radicale trasformazione del continente africano-siculo, per la quale l'intera terra andò distrutta, rimanendone solo degli ■ avanzi, certo maggiori che oggidì. Circa la durata, ho già rife¬ rito che I'Issel ammette che esso sia continuato, a Malta, anche in epoche storiche, per quanto antiche. Ma in un certo istante, che non possiamo stabilire, forse, se non con nuove ricerche a Malta (chè Lampedusa probabilmente non offre elementi di giudizio ed a Linosa non ve ne sono) si inizia un sollevamento, il quale a Lampedusa è testimoniato da arenarie e panchine quaternarie di aspetto recentissimo e dai fori di litodomi visibili su tutta la costiera fino ad altezza non an¬ cora determinata. Questo sollevamento, a Linosa ha avuto luogo - 8 - dopo la fine di ogni attività eruttiva ed ivi è antistorico (vedi pag. 103). Probabilmente ve ne saranno tracce a Malta, forse anche cronologicamente determinabili. Così poste, a grandi linee le vicende della zona che costituisce la base e l'ambiente dei vulcani di Linosa se ne può dedurre, con relativa facilità, la sua posizione rispetto ad essa ed alla cronologia. I fossili pleistocenici ivi raccolti, dei quali ripeto oltre l'e¬ lenco, sono indiscutibilmente contenuti in blocchi rigettati co¬ stituiti da calcari e da brecciole silicee di aspetto quaternario, ad elementi rotolati, simili a quelli della stessa epoca che ho ve¬ duti molto frequentemente in Sicilia (14). Dunque, le prime eru¬ zioni di Linosa (M. Ponente I, M. Bandiera) sono avvenute dopo la deposizione d'almeno i primi strati del pleistocene, più pro¬ babilmente ad era avanzata. Abbiamo già visto che l'epoca del sollevamento ultimo è riferibile ad eruzioni finite. Vi sono così due termini che chiudono con sufficiente approssimazione la vita eruttiva dell'isola: essa si svolse dalla fine del pleistocene (allo inizio o durante la sommersione di quell' epoca) fino ad epoca antistorica, ma molto vicina a noi. Poiché è chiaro che il manifestarsi dell'attività vulcanica coin¬ cide coi fenomeni di sommersione e conseguentemente di frat¬ tura e compressione, possiamo, senza tema di essere molto lon¬ tani dalla verità, supporre che essa abbia avuto inizio piuttosto ad epoca pleistocenica avanzata, anziché al principio di questa. Aggiungo alcune altre notizie riguardanti le isole, che pos¬ sono indirettamente giovare alla conoscenza dei vari problemi che vado discutendo, ma che non troverebbero posto nella de¬ scrizione geologica, che è oggetto principale del mio studio. Una qualche luce sulle antiche vicende delle Pelagie po¬ trebbe esserci data dalla conoscenza della loro flora. Il Som- mier (16) ha studiato la quistione ed ecco i risultati ai quali è pervenuto. Ammettendo che sia esclusa l'unione fra Lampedusa e le terre di Malta e della Sicilia ed invece ammettendo che sia possibile, se non probabile, che l'isola sia stata congiunta con la Tunisia e se ne possa essere distaccata verso la fine del plio¬ cene o i principi del pleistocene, esamina la flora ed i suoi rap¬ porti con la Sicilia e l'Africa. La conclusione è che essa non dà 115 alcun elemento valido e sicuro che comprovi tale unione e suc¬ cessiva separazione. Gli elementi africani sono in numero mi¬ nore degli elementi siciliani, malgrado la maggiore vicinanza con l’Africa. La flora è indiscutibilmente dovuta per intero all' ap¬ porto dei semi attraverso il mare. Analogamente si verifica per Linosa. L'A. ammette inoltre, che 1' uomo sia stato uno degli agenti di tale apporto e sia anche stato l'agente che ha pro¬ dotto le sensibili modificazioni avvenute nella flora delle isole da un secolo a questa parte. Rimane perciò stabilito che la flora non può darci alcun elemento di giudizio che possa aiutare e chiarire le quistioni dubbie del nostro studio. Altri elementi li fornicono gli avanzi paletnologici. A Linosa v’è 1' assenza completa di avanzi più antichi dell'epoca romana, mentre a Lampedusa, I'Ashby (16) trovò avanzi neolitici ben de¬ finiti. Ciò può farci supporre che i popoli neolitici che correvano quella parte del Mediterraneo e che possiamo riferire ali'incirca al 3° millennio a. C., evitassero Linosa perchè ancora attiva. Si tratta d'una semplice supposizione, la quale però acquista note¬ vole valore se messa in confronto con fatti analoghi delle Eo¬ lie (17) e con la grande freschezza degli apparati eruttivi di Linosa. IV. — Natura e successione delle eruzioni -Morfologia e costituzione degli edifici. Il complesso delle mie osservazioni, esposte nei capitoli precedenti, ci permette di ricostruire, con sufficiente approssi¬ mazione, gli edifici eruttivi, stabilendone la probabile successio¬ ne. Questa è chiaramente delineata nel quadro che segue più oltre, ma non tutta è perfettamente sicura, a causa di alcune incertezze che ho già fatto rilevare volta a volta, dovute a man¬ canza di elementi di giudizio e termini di confronto. E' chiaro che possiamo dividere i centri eruttivi dell' isola in varii tipi e precisamente: A) eruzioni sottomarine con formazione di coni successiva¬ mente emersi (tipo Bandiera - Calcarella; Ponente I) - B) eruzio¬ ni sottomarine con formazione di coni forse mai emersi, ma con prodotti anche subaerei (tipo Bancarella) - C) eruzioni subaeree — 116 — con deposizione di materiali in ambiente subacqueo (tipo Tim- pone I, Levante II) - D) eruzioni subaeree con deposizione di materiale subaereo, sia soltanto esplosivo (tipo Timpone II), sia esplosivo - effusivo (Tipo Ponente III, M. Vulcano, M. Rossa). La storia eruttiva dell'isola si divide in due periodi a noi noti, i quali sono preceduti probabilmente da una lunga serie di eruzioni, a noi ignote, testimoniate dagli inclusi autogeni an¬ tichi, filoniani (plutonici) o non filoniani (vulcanici), i cui avanzi si rinvengono nei modi e nei luoghi che ho già indicati. Ma restringendoci a quanto ci è dato constatare oggidì, i tre pe¬ riodi che possiamo seguire e che cominciano in epoca molto recente e seguono a tutti gli altri ora detti, di epoche antiche, sono i seguenti : I. Periodo, sottomarino — Edificii a tufi gialli o gri— gii, soltanto esplosivi, con fenomeni di costruzione dominanti nelle prime fasi e fenomeni di distruzione dominanti nelle ultime fasi. A questo periodo si ricollegano due edificii che hanno a- vuto probabilmente eruzioni subaeree con materiali depositatisi sott'acqua e dei quali conosciamo solo qualche rudere. Ciò probabilmente avvenne nelle fasi finali del periodo, cioè verso la emersione ed il fenomeno fu dovuto ai diversi livelli ai quali si aprivano i condotti eruttivi sulla piattaforma sotto¬ marina in emersione. II. Periodo, subaereo. — Sviluppatosi dopo la prima emersione, con un cambiamento della natura fisica dei prodotti, dovuto non a sensibili variazioni magmatiche, ma invece al mo¬ do d’emissione e consolidamento, schiettamente subaereo. Da principio predominano gli efflussi, alla fine dominano le esplo¬ sioni. Si costruiscono edificii che ancóra adesso sono in uno stato sorprendente di conservazione e la cui vita deve essere stata relativamente molto breve. Inoltre, per le stesse ragioni per le quali alla fine del pe¬ riodo 1°, sottomarino, e cioè a causa del differente livello al quale si aprivano i condotti, si ebbero eruzioni subaeree che interstra- tificarono i loro prodotti con quelli subacquei; dopo la fine del II. periodo, subaereo, si ebbe una manifestazione sottomarina, la quale lanciò i suoi prodotti su quelli subaerei. Così si accu- 117 mularono i tufi gialli della Bancarella e si chiuse l'attività del- P isola. Durante o dopo quest' ultima fase eruttiva avvenne l'emersione di 10-12 m. E' possibile un'esame analogico coi Campi flegrei. E' noto che ivi si sono succeduti (almeno per la parte continentale) tre periodi, dei quali i due primi (piperno e tufo giallo) sottomarini ed il terzo, durato fino ad epoche storiche, subaereo (tufo gri¬ gio e lave) (18). In precedenza vi sono stati altri periodi che si osservano coll'esame del materiale rigettato dal I periodo. Tanto questo, quanto quelli precedenti, hanno avuto, nella conca cam¬ pana, un'estensione molto superiore a quella che ora è indicata dalla superficie dei C. F. Ora, al I. P. dei C. F., a Linosa cor¬ rispondono quelle manifestazioni delle quali abbiamo tracce solo nei blocchi rigettati. Al II0 P. dei tufi gialli dei C. F., che ha avuto per effetto la costruzione di numerosi coni sottomarini, con lunghe vicende di emersioni e sommersioni, a Linosa fa riscontro il 1° P. sottomarino dei tufi grigii. In ambedue le re¬ gioni, l'attività è stata essenzialmente esplosiva. Al III P. dei tufi grigii dei C. F. che ha costruiti numerosi coni subaerei, a Linosa fa riscontro il II0 periodo, subaereo, il quale si avvicina specialmente, per la natura dell’attività, alla fase dell’eruzioni a scoria e lava dei C. F.: p. e. Fossa Lupara, coni avventizii del Gauro, etc. L’epoca geologica delle due serie di manifestazioni è sensibilmente la stessa: soltanto, a Linosa, è limitatissima nel tempo e nello spazio. I. Periodo, sottomarino. Fanno parte di questo gruppo gli edificii: Levante I, Po¬ nente I— II, M. Bandiera - Calcarella, Cr. del Pozzo salito, Cr. del Posto - Alla transizione fra il 1° ed il Ilo Periodo, cioè al grup¬ po degli edificii subaerei con deposizioni subacquee, apparten¬ gono Timpone I e Levante II. Forse, si riattaccano a quest'ul- tima formazione i coni - 33 e - 4. M. Levante I. — Rimane solo il settore N del cono, il resto essendo stato distrutto dagli agenti endogeni ed esogeni. L’avanzo è così dislocato e franto che non se ne possono più misurare direttamente le dimensioni. — 118 Riguardo all'attività che formò questo edificio ed alla sua costituzione, per quanto ho esposto possiamo tratteggiarne così le vicende. L'attività è stata in ogni tempo esplosiva , a tufi grigii. Nelle fasi iniziali, il materiale fu prevalentemente auto¬ geno antico e, successivamente, apparvero materiali autogeni coevi in piccolissima quantità, che si rinvengono solo negli strati dei livelli superiori, sotto forma di scorie vetrose molto vescicolate. Dopo la fine dell'attività o poco prima di questo termine, l’edificio fu rotto ed infranto con dislocazioni notevoli, le quali sembra che siano avvenute in modo che, rimanendo immobili i pezzi periferici, siano sprofondati i blocchi centrali, per fratture verticali. Altra serie di distruzioni avvenne forse in un secondo tempo e cioè allorquando si mise in attività M. Vulcano. Il magma di questo si insinuò nella compagine dei tufi grigii, sotto forma di dicchi, per poi traboccare alla super¬ ficie e formare un manto di copertura. Ma le distruzioni maggiori furono operate dagli agenti e- sogeni e sovratutto dal mare, a causa della mancata sollecita formazione di una barriera lavica attorno alla fragile e già frat¬ turata compagine di M. Levante. Con ogni probabilità, le di¬ struzioni maggiori sono avvenute all’inizio in ambiente sotto¬ marino; poi si sono prolungate in ambiente subaereo e prose¬ guono tutt’ora. Le pnrne sono state dislocazioni e fratturazioni, le ultime sono state le ordinarie distruzioni esogene. Risultato definitivo è stato l’asportazione di più di metà del cono e pre¬ cisamente della parte S. Al luogo di questa v'è un basso fondo sottomarino terrazzato. Le forme primitive sono state, infine, al¬ terate dalla sovrapposizione dei materiali del M. Bandiera- Cal- carella; di M. Levante II e di M. Vulcano, che hanno sensibil¬ mente modificati i profili originarii delia parte emersa. Circa le dimensioni primitive, è solo possibile una misura indiretta, basata sulla posizione e l’inclinazione degli strati. Pren¬ dendo come estremi i banchi di tufi grigii ad E ed a W (vedi pag. 91) e come asse del cono un punto posto a S del settore di cono ora visibile e traendo partito d'alcuni dettagli morfologici (andamento delle isoipse a N delle isobate a S) possiamo trac¬ ciare approssimativamente i limiti del cono primitivo conside¬ randone le basi al 1. d. m. Esso avrebbe avuto, circa 750 m. 119 di diametro basale e 75 m. d’altezza. Perciò un rapporto D: A = 10.0 (19) assai prossimo a quello di M. Bandiera (vedi oltre). Le indagini morfologiche su questo centro, ho già detto che non sono facili: la più difficile è quella alla ricerca del cra¬ tere, del quale non abbiamo più alcun vestigio. Ma se teniamo presenti i dati di fatto tangibili, esposti, e la possibilità di rap¬ porto fra questo centro eruttivo e quello analogo, ben conser¬ vato, di M. Bandiera, possiamo supporre che l'altezza s. 1. d. m. degli orli craterici sia stata di circa 75 m. ed il diametro del cratere di circa 200 m. Allora abbiamo i rapporti A: C = 0.37 e D: C = 3.7 simili a quelli di M. Bandiera (vedi oltre). M. Bandiera-Calcarella (Cratere del Fos¬ so).— Esso rappresenta il vulcano maggiore dell'isola, rispetto al quale quelli della fase subaerea e specialmente M. Vulcano, sembrano degli avventizii. E' opportuno notare che i tre crateri del Fosso, del Pozzo salito e del Posto, sembrano costituire un sistema unico, ossia un edificio con spostamenti multipli. Per lo meno la facies eruttiva del materiale è identica pei tre crateri e si differenzia anche abbastanza bene da quella di M. Levante l. Inoltre, rispetto ai subaerei, in un certo qual modo vi sono dei rapporti topografici e cronologici, analoghi a quelli che inter¬ cedono fra il Gauro, C. F. ed i vulcani minori che lo attornia¬ no (Concola, Fondo Riccio, etc.) (20). L'attività del M. Bandiera fu soltanto esplosiva, a tufi grigii. L'esame gli strati che sono ora visibili e che non sono soltanto i superficiali, ma in qualche luogo anche i profondi, dimostra che anche in questo centro fu abbondante remissione del ma¬ teriale autogeno antico, al quale si aggiunse anche del mate¬ riale allogeno. Verso la fine dell'attività avvenne remissione di materiali coevi, costituiti da scorie nere, spesso con nucleo au¬ togeno antico. Questo materiale e la natura delle esplosioni che lo emisero, diedero luogo alla formazione di un cono che, ori¬ ginariamente, doveva essere sufficientemente regolare. Una ir¬ regolarità originaria, marcata, prodottasi all'epoca della forma¬ zione del cono, è dovuta alla preesistenza di edificii, come p. e. M. Levante I o all'interstratificazione di materiali di edifici vicini, come p. e. M. Levante II, Timpone I e forse M. Po- nente I. Infatti, mentre verso W il pendio si sviluppa in un dato modo, verso E si sviluppa molto più dolcemente. La forma ori¬ ginaria è stata modificata, oltre che dalle cause precedentemente indicate, anche dall'attività endogena del centro stesso, a causa di esplosioni che distrussero parzialmente il cono e ne allarga¬ rono enormemente il cratere. Inoltre, nelle distruzioni interven¬ ne l'attività del cratere del Pozzo salito, immediatamente adia¬ cente a N, che demolì tutto il settore settentrionale del cono. La distruzione fu completata, da tutti i lati, ma specie a S, da¬ gli agenti esogeni e specialmente dal mare e dal vento. Natu¬ ralmente, i processi ora detti non operarono solo abrasioni e demolizioni, ma anche trasporti. Le esplosioni dei centri vicini diedero in parte quella massa di strati che poggia contro le pareti del cratere, con andamento opposto agli strati origina- rii dell’edificio. Esse risollevarono anche il fondo del cratere, aiutate in ciò dal terrazzamento e trasporto marino e dal tra¬ sporto eolico. A queste cause è dovuto il sollevamento del fon¬ do del cratere che ora è a 30 m. s. 1. d. m. L'attività che accumulò i materiali eruttivi formanti il cono, più o meno regolare, si chiuse con esplosioni di tal natura che il cratere fu allargato, internamente eroso ed i materiali non caddero più a distanza, ma si accumularono lungo le pareti del cratere formando parte di quegli strati che poggiano contro queste. Da ciò possiamo dedurre che l’attività di questo centro si chiuse con grandiose esplosioni con poco materiale recente e molto antico, polverizzato. Aggiungo che in una inclinazione del condotto verso E vedo anche la causa della maggior mole dell’edificio in questa direzione. L'attività di M. Bandiera è stata posteriore, indiscutibil¬ mente, a quella di M. Levante I e verso il proprio finire è stata sincrona a quella di M. Levante II (scoria rossa e nera). Ugual¬ mente probabile è il sincronismo allo stesso modo con l’edifi¬ cio Timpone I. Tanto per il caso di M. Levante II, quanto per quello di Timpone I, vediamo la scoria rossa interstratificata coi tufi del M. Bandiera. Però i materiali di M. Levante II sono in¬ terstratificati a livello relativamente profondo, mentre quelli del Timpone I sono a contatto molto superficialmente e limitatissi¬ mamente. Tanto che non sarei lontano dal credere che i mate- 121 - riali di M. Bandiera abbiano ricoperto quelli del Timpone 1 solo accidentalmente ed in epoca molto tarda della vita del Cr. del Fosso. Ripeto ancora che non sono affatto sicuro della vera po¬ sizione cronologica del Timpone I rispetto a M. Bandiera. Un punto da discutere, riguardo a queste successioni, è il seguente. E' chiaro, per molteplici fatti rivelati alla natura dei materiali, che le scorie rosse e nere degli edifici Levante II e Timpone I sono state depositate in ambiente, almeno parzial¬ mente, subaereo. Ne fanno fede: la natura e l'aspetto dei la¬ pilli e delle scorie; l'abbondanza delle bombe contorte che non mi risulta che siano state fin’ora riscontrate come prodotto di esplosioni sottomarine; l'identità di aspetto fisico e stratigrafico coi prodotti consimili di centri indiscutibilmente subaerei (Po¬ nente III, M. Vulcano e M. Rossa). Ora, constatato che i mate¬ riali di M. Bandiera, sovrastanti alla scoria rossa di Levante II sono sottomarini, mentre quelli del Timpone I sono parzial¬ mente subaerei (i proiettili) e parzialmente subacquei (la colata) non vi sono che due spiegazioni possibili del complicato feno¬ meno. O l'ammettere che verso la fine dell'attività di M. Ban¬ diera - M. Calcarella (cratere del fosso) si siano avute delle eru¬ zioni subaeree che interstratificarono i loro materiali con quelli di questo centro; oppure l'ammettere una serie di sommersioni ed emersioni estremamente complicate delle quali non abbiamo alcuna prova, nè locale, nè con lo studio dei fenomeni generali della regione. Allora non rimane altro che ammettere che due centri eruttivi, dei quali ignoriamo la posizione esatta (che pos¬ siamo però ricercare nei ruderi sottomarini di -4 o -33 per la scoria di M. Levante II), abbiano lanciato i loro materiali da un cratere subaereo: questi si sono depositati in ambiente subac¬ queo assieme ai materiali eruttati dal cr. sottomarino del fosso. Ciò per M. Levante II. Per il Timpone I avvenivano simulta¬ neamente esplosioni subaeree ed efflussi parzialmente subacquei^ forse per le limitatissime dimensioni del centro eruttante. Sem¬ bra, inoltre, che M. Levante II sia più vecchio del Timpone I. Una prova di tal modo di vedere si ha anche nel fatto che i livelli relativi dei due orizzonti di scorie sono superiori a quello fondo del cratere del fosso ed ancóra maggiore doveva essere — 122 — il dislivello, se si pone mente al fatto che tale cratere era ori¬ ginariamente molto più profondo che oggi. Riassumendo possiamo, nelle linee generali, stabilire che un centro a meccanismo esplosivo costruì l’edificio di M. Ban¬ diera, la cui forma conica venne, all'inizio, alterata dalla preesi- sistenza di altri edificii ed in seguito modificata dall'interstrati- ficazione di materiali provenienti da due centri prossimi subae¬ rei. L'attività si mantenne esplosiva e si chiuse con eruzioni che allargarono e slabbrarono il cratere. Successivamente alla sua morte eruttiva, fu ancora demolito da esplosioni di centri vicini, a N, e dall'azione del mare a S, mentre un edificio avventizio. (M. Vulcano), lo ricopriva dei suoi prodotti a N, E e S. Dei rapporti col centro Ponente I diremo più oltre. Crateri del Pozzo salito e del Posto. — I ruderi visibili del cratere del Pozzo salito e quelli amman¬ tati da formazioni posteriori, sono stati già descritti (vedi pag. 75). Malgrado le accurate indagini, permane il dubbio se parte dello sperone che prolunga a NW il M. Bandiera sia da riferire a questo o dall'adiacente cratere del Pozzo salito. L’indagine sul terreno ci mostra la esistenza di alcuni ruderi, dei quali solo la ricostruzione geomorfologica permette di comprendere il signi¬ ficato, dato Tenoriiie stato di distruzione in cui essi si trovano. A prima vista, sembra ovvio che questi esigui avanzi debbano essere riferiti ad un solo edificio, ma un esame più accurato del suolo e specie l'andamento pianimetrico degli archi di cerchio che allineano i rilievi contornati la pianura del Posto, dimo¬ strano che i crateri sono due. Per quanto se ne può vedere, es¬ si sono stati dovuti ad un meccanismo soltanto esplosivo e gli edifici formatisi sono analoghi a quelli di M. Bandiera, benché molto più piccoli. Dopo l’attività che li ha originati, sono av¬ venute delle eruzioni di formidabile violenza che hanno distrut¬ to totalmente alcune parti degli edifici lasciandone solo qualche rudere di poche decine di metri di altezza, sia s. 1. d. m., sia sul livello della pianura circostante. A qualcuna di queste eru¬ zioni sono dovuti parzialmente gli accumuli del materiale stra¬ tificato lungo le pareti del cratere del Fosso. Circa la successione, abbiamo un solo elemento per stabi¬ lire che il cratere del Pozzo salito è posteriore a quello del — 123 — Fosso e cioè la demolizione del settore N del cono di M. Ban¬ diera, operata appunto dalla esplosione del cratere suddetto. 1 rapporti cronologici fra il cr. del Pozzo salito e quello del Po¬ sto sono difficili a stabilire, ma un complesso di piccoli fatti mi fa ritenere che questo sia l'ultimo della serie. Esso avrebbe avuta un'attività molto limitata, sia per intensità che per durata e ridotta a sole esplosioni distruttrici con emissione di pochis¬ simo materiale antico e coevo. La sua speciale attività, sotto un certo punto di vista, lo farebbe assomigliare ad un maar. Come fenomeno generale, farò notare che nei centri sotto¬ marini del gruppo del tufo grigio, l’attività si è spostata all’in- circa dal S verso il N e più precisamente SE-NW (M. Levante I-M. Bandiera); S-N (M. Bandiera - Calcarella - Cr. del Pozzo salito - Cr. del Posto) ed inoltre giudicando dalle probabili quantità di materiali e dalle dimensioni dei crateri , l' attività forse è andata aumentando dalla prima manifestazione (M. Le¬ vante I; riferendoci sempre dalla q.O) alla seconda (M. Bandie¬ ra), con fenomeni eminentemente costruttori, per poi progres¬ sivamente diminuire (Pozzo salito, Posto) con fenomeni eminen¬ temente distruttori. Ciò è dimostrato dalla forma e costituzione degli edificii, poiché vediamo che negli ultimi si accentua sem¬ pre più il carattere di voragine esplosive. E’ necessario aggiungere che questa successione è valida sólo per gli edificii del tufo grigio, perchè simultaneamente av¬ venivano spostamenti di altri edificii e cioè M. Levante I e Timpone II che, se si sono manifestati in questo ordine, hanno migrato in direzione E-W. Sui crateri del Pozzo salito e del Posto hanno agito due ordini di azioui modificatrici, dopo la loro estinzione e cioè le eruzioni della M. Rossa, che hanno ammantato coi propri pro¬ dotti specialmente il Cr. del Posto ed hanno risollevato il fon¬ do dei due crateri del Pozzo salito e del Posto; le eruzioni del M. di Ponente che hanno parzialmente colmato di lava il Cr. del Pozzo salito ed infine le azioni abrasive del mare e del vento, analoghe a quelle che hanno operato su M. Bandiera. Circa i rapporti già cercati per M. Ponente, l'indagine su M. Bandiera non è meno difficile, a causa dellhrregolarità del cono. Sono possibili solo poche misure dirette e cioè le seguenti: — 124 P = (30 m. s. 1. d. m.) E 1 18 m.; W 72: media 90 m. C =340 (media di varie direzioni) D = 500 m. in direzione WNW fino a q. 30 550 m. „ „ NW „ q. 20 (al rudere N) 500 m. „ „ S „ q. 25 (verso la sella S) media 517 m. nell’arco NW - W - S; media q. 25 800 m. in direzione SE fino a q.O (all'intersezione con Lev. I) A = 148 m. E 102 m. W. Altre misure dirette o non sono possibili o non sicure. Da ciò ricaviamo i rapporti che seguono: A : C per E = 0.44; per W = 0.30; media 0.37 (cfr. coi vulcani di tufo giallo dei C. F.: Gauro, 0.17; Miseno 0.24; Nisida 0.22). D : C per le direzioni WNW e S = 2.9 per la direzione NW = 3.2 media per le 3 direzioni = 3.0 cfr. coi vulcani suddetti: Gauro e Miseno 2.7; Nisida 2.9) per la direzione SE = 4.7 (forse non esatta). D : A per l'altezza E e la direzione SE = 10. 8 per l'altezza W e le altre direzioni = 10. (cfr. coi vulcani suddetti: Gauro, 15.4; Miseno 10.9; Ni¬ sida 13.3). Da ciò risulterebbe che le analogie maggiori si hanno coi vulcani di tufo giallo, sottomarini, di Nisida e Capo Miseno. Le differenze sono probabilmente dovute al fatto che i vulcani fle- grei sono trachitici e quelli di Linosa basaltici. Gli edificii di tufo giallo e grigio. Ponente I- II. — Ho già accennato ripetutamente al probabile rapporto che intercede fra Ponente I e M. Bandiera. E' opportuno, a tal ri¬ guardo, aggiungere un’osservazione importante. Si può pensare che se l’edificio del tufo giallo si estende fino ai pendìi S del M. Bandiera, si debbono trovare tracce d’esso sotto forma di blocchi rigettati nei crateri del Timpone II, che avrebbero tra¬ panato il tufo giallo. Invece non vi sono inclusi di tal natura, — 125 — anzi è utile aggiungere che nella scoria del Timpone II non ho trovati inclusi e che essi sono rarissimi, sotto forma di mate¬ riali autogeni antichi. Ma questa assenza di blocchi di tufo giallo ha valore soltanto relativo, poiché vediamo che inclusi di que¬ sto genere non si trovano neppure nel materiale di M. Po¬ nente III, che pure trapana visibilmente i tufi gialli e grigii I e li. Ne è a dirsi che essi tufi, sotto forma di inclusi, sono as¬ senti, perchè dovendo trovarsi nei livelli bassi degli strati a ma¬ teriali esplosivi, non possiamo rinvenirli, dato renorme spes¬ sore della scoria dell'edificio III: nella sezione naturale della Cala della Pozzolana si può esplorare l'edificio III per uno spessore di circa a 100 metri dalla base alla cima. Ed appunto di fronte all'abbondanza enorme di inclusi allogeni (quarziti e calcari) ed autogeni antichi, risulta l'assenza di blocchi rigettati di tufi gialli e grigi. Sembra dunque che vi sia una speciale ragione di assenza, comune ai due edifici di Timpone I e Po¬ nente III. Io credo che essa sia dovuta al fatto che , data la grandissima friabilità del tufo grigio, esso sia stato letteralmen¬ te polverizzato dalle prime esplosioni dei due edificii in que¬ stione, i quali, nei primi tempi della loro vita, sono stati emi¬ nentemente esplosivi. Per il tufo giallo questa ipotesi è valida solo in parte, pel fatto che talvolta esso è nettamente litoide. Perciò, gli unici elementi per stabilire le dimensioni del¬ l’edificio del tufo giallo son quelli forniti dall’osservazione di¬ retta. Nella sezione della Cala possiamo misurare circa 250 m. circa di basi al 1. d. ni. Prendendo come asse dell'edificio le ve- stigia del cratere già descritto e misurando fino al lato NE del¬ l’affioramento della " Paranzella „, abbiamo ancóra 275 m. circa a 20 m. s. I. d. m: La vetta dell'affioramento è a circa 25 m. s. 1. d. m.; l'inclinazione è a 15° NE: perciò la distanza viene ad es¬ sere a circa 290-300 m. al 1. d. m. Ne risulta un edificio di circa 600 m. di diametri al 1. d. m. Questa ricostruzione si adatta suf¬ ficientemente bene all’andamento delle isoipse del lato NE e N del M. Ponente. Gli scarti sono dovuti alle incertezze del cal¬ colo, ma ancor più alle modificazioni della plastica del terreno, apportate agli edifici precedenti e successivi. Essendo l'altezza di circa 90 m., abbiamo il rapporto D:A — 126 — 6.6 che si discosta molto dagli altri conosciuti di vulcani dello stesso tipo. Circa il rudere dei tufi grigi, nulla si può dire di certo nè sulle dimensioni, nè sulla costituzione. L'inclinazione degli strati fa supporre che l'asse dovesse trovarsi nella Cala, probabilmente non coincidente con quello del tufo giallo, ma un poco più ad E. La misura diretta al 1. d. m. nella Cala, dà alle sue basi la lunghezza di 550 m. L'altezza non è possibile stabilirla, neppu¬ re indirettamente. Non insisto oltre su questo edificio, a causa dei dubbii sulla sua vera natura. La storia eruttiva dei due edificii è molto semplice. Delle esplosioni cineree, con scorie molto vescicolate, un vero vetro bollosissimo, formarono l'edificio del tufo giallo, molto piatto e basso. Le esplosioni trapanarono un suolo sedimentario mol¬ to recente (pleistocenico) e degli strati eruttivi, portando alla superficie blocchi di calcari fossiliferi e materiali filoniani o se¬ gregazioni. Non è possibile stabilire la durata dell'attività , la quale probabilmente coincise con la metà-fine di quella di M. Bandiera. Dopo la fine dell' attività incominciarono le distruzioni o- perate, inizialmente dalle esplosioni di altro centro (Ponente II, Ponente III) e poi dal mare. Finita questa attività eruttiva, probabilmente si attivò un'al¬ tro centro a tufi grigii con eruzioni della stéssa natura del pre¬ cedente, il materiale del quale si depositò su d'esso. I prodotti sono tufi incoerenti ricchissimi d'inclusi autogeni antichi (filo¬ niani?) e rari allogeni. La distruzione di questo centro coincise con quella del precedente e fu operata dagli stessi fattori. Per¬ mane però il dubbio che non si tratti di riattivazione dello stesso centro. L'emersione avvenne ad attività finita e la distruzione pro¬ seguì largamente e continua ancora. T impone I, Levante II. — Della posizione cronologica probabile ho già detto prima, trattando di M. Bandiera ed è i- nutile il ripetere. Della morfologia non è possibile dire quasi nulla. Soltanto si può stabilire che il cratere del Timpone I do¬ veva sorgere all'incirca a S del rudere attuale, costituito da ban¬ chi di scorie inclinati verso il N. Da esso verme fuori una co- 127 — lata lavica che fluì parzialmente in mare. Poi 1' edificio fu di¬ strutto, principalmente dalle esplosioni del Timpone II e rico¬ perto dai materiali di Ponente III. II. Periodo, subaereo. M. Ponente III. — Anche per questo centro è possibile la ricostruzione dell’attività, mentre è molto difficile quella delle di¬ mensioni. Ciò perchè l'edificio si sovrappone assai irregolarmente e stranamente agli edifici preesistenti Ponente I, II, Timpone I e s’interseca con Timpone II. Inoltre, l'andamento delle sue basi nell'entroterra è assai disturbato dal rivestimento delle colate la¬ viche. NeU'insieme vediamo che il magma si aprì una via nella compagine degli edifici precedenti, senza però produrvi dislo¬ cazioni sensibili, come mostra l'esame di dicchi visibili. Esso venne alla luce sotto forma di grandi esplosioni che amman¬ tarono. gli edifici I e II e riempirono la conca craterica di I. Questa fu anche rotta verso NW e dalla frattura fluirono le la¬ ve che, dapprima si interstratificarono con i prodotti scoriacei, poi dilagarono negli ampi campi di N e S. Non tutte le origini delle colate sono visibili: p. e. sono invisibili quelle del campo S. L'attività fu esplosivo-effusiva, con netto dominio della se¬ conda. Si può dire che le eruzioni incominciarono con grandi efflussi lavici accompagnati da limitati fenomeni esplosivi e con¬ tinuarono per lungo tempo così. Le lave fluivano parte in am¬ biente subaereo, parte in ambiente subacqueo. In questo tempo gli efflussi erano accompagnati da quelle limitate esplosioni che concomitano tutti i fenomeni effusivi basici. Verso la fine del¬ l’attività è probabile che sia avvenuto un lieve spostamento del¬ l’asse con trapanazione parziale di nuove parti del condotto e produzione delle masse scoriaceee nere, ad abbondanti inclusi quarzitici ed autogeni. La attività si chiuse con fenomeni e- splosivi, sempre limitati. Successivamente incominciarono le distruzioni, nelle quali però, non intervennero che limitatamente i fenomeni eruttivi (esplosioni del Timpone II) mentre agirono poderosamente i fenomeni esogeni e sovra tutto il mare che demolì l'edificio del lato dove esso non era difeso dalle barriere laviche. 128 — Ti m pone II. — La posizione cronologica di questo centro eruttivo non è molto sicura. Si può stabilire solo, per induzio¬ ne, che esso deve essere quasi sincrono al Ponente III. Esso occupa, rispetto a questo, una posizione nettamente radiale, come può ben vedersi sulla carte e nelle sezioni. Ora, siccome lo spostamento d'attività va da Ponente III a M. Vulcano, l'ipotesi più probabile è che il Timpone II sia posto sulla frattura W -E che congiunge questi due centri e che si sia attivato, come apparato eruttivo radiale, verso la fine della vita di Ponente III. A conferma di tal modo di vedere v'è il fatto, certo, che l'attività di Timpone II s’è spostata da W verso E, cioè nel senso della migrazione Ponente III - M. Vulcano. L’attività incominciò nel cratere occidentale, con eruzioni sco¬ riacee molto pastose, perchè risaldate fra di loro. Successiva¬ mente, con eruzioni della stessa natura, si spostò verso E. Alla fine dell’attività, il condotto non solo si spostò, ma si restrinse, dando luogo alla formazione d'un pozzo d'esplosione, costituito sempre da materiali della natura dei precedenti. Con questa ul¬ tima manifestazione si chiuse l'attività. Della morfologia di que¬ sto apparato eruttivo, che io classifico come radiale, nulla si può dire perchè le forme sono indistinte, sia per la fusione dei tre coni fra di loro, sia per le intersezioni con Ponente e Tim¬ pone I, nel fianco del quale sono scavati i suoi crateri. Alterazioni sensibili non vi sono state, tranne un riempi¬ mento, del resto poco accentuato, dei crateri, per frane e ma¬ teriali rotolati, sia dal Ponente che dal Timpone. M. Vulcano. — Quasi con certezza, l'attività di M. Vulcano seguì quella di M. Ponente III e Timpone II: non possiamo, però, stabilire se vi fu simultaneità in qualche tratto della vita dei due centri, i quali hanno gli stessi caratteri di attività eruttiva. A. M. Vulcano questa s'è manifestata come a M. Ponente III. Anzitutto coll'iniezione di magma nelle fratture del dislocato edificio di M. Levante e nei pendii orientali di M. Calcarella. Ma queste intru¬ sioni non mi sembra che abbiano prodotto delle nuove dislocazioni sensibili: infatti le fratture interessano solo il M. Levante I e non gli strati di Levante II e M. Calcarella ad essi sovragiacenti. Se le eruzioni di M. Vulcano avessero dislocato tutto il complesso del suolo attraverso il quale si fece strada il nuovo magma, anche que- — 129 sti strati sarebbero dislocati: il che non è. V’è dunque il carattere di trapanazione tranquilla, caratteristicamente basica. Notevole è anche il fatto che, analogamente a come è avvenuto a M. Ponente III, il magma s'è fatto strada attraverso numerose vie che possiamo vedere, sia nei dicchi E-W della sezione naturale costiera, sia nelle polle laviche che circondano il condotto principale, ri¬ spondente al cratere, centrale rispetto a queste. Mentre da que¬ sto avvenivano esplosioni che formavano un cono il quale am¬ mantava i fianchi di M. Calcarella e M. Levante I e II, dalle sue basi fluivano le lave che si riversavano verso SW, SE, E e NE, discendendo fino al mare. L'attività però non fu tanto ef¬ fusiva quanto a M. Ponente; ma con andamento più marcata- mente esplosivo. Dire delle dimensioni di questo edificio e delle sue forme è difficile, a causa delle numerose irregolarità che esso presenta. Ma prendendo delle misure secondo i radianti indicati, che sono quelli che meglio si prestano, otteniamo i risultati seguenti: P = 30 circa C — 100 circa 140 m. in direzione WNW fino a q. 160 100 /> ;; S a lì 160 450 » )) SE ii lì 50 450 » iì S « lì 50 450 » 19 NE ii lì 40 A = 196 assoluta 14ó sulle basi NE - E - SE 36 circa sulle basi S ed WNW Da cui: A : C 1,46 verso NE - E - SE } Media 0,91 0,36 „ S ed WNW ) (cfr. nei C. F. Cigliano = 0,30; M. Nuovo 0,29) D : C = 2,8 per la direzione WNW J 9 0 S ) Media 2,4 9,0 per le direzioni NE - E - SE (cfr. idem. Cigliano e M. Nuovo = 3,7) D : A = 6,6 per le direzioni WNW e S 6,1 „ „ „ NE - E - SE Media 6,3 (cfr. idem: Cigliano = 12,5; M. Nuovo = 10,9). - 9 - 130 — Queste misure hanno valore in quanto dimostrano che per M. Vulcano si tratta d’un edificio a dolci pendii, compresi fra 18° e 20°, il che era da prevedersi, trattandosi d’ un magma eminentemente basico. Si noti che il rapporto A : C si scosta notevolmente da quello di M. Nuovo. Tutte le differenze sono dovute sia alla natura del magma, trachitico nei C. F., sia alle cause perturbatrici che a M. Vulcano hanno impedita ia forma¬ zione di un edificio regolare. Questo centro eruttivo non ha subito le devastazioni alle quali sono stati soggetti gli altri e ciò sovratutto perchè non vi fu attività posteriore nelle sue vicinanze. Le uniche distruzioni sono state dovute alla demolizione progressiva di M. Levante I - II, di modo che furono messi a nudo i dicchi e furono troncate poche colate laviche. M. Rossa. — Contrariamente a quanto fin' ora è stato rite¬ nuto, 1’ edificio più imponente dell’isola non è M. Vulcano (molto modesto se ai suoi 195 m. s. 1. d. m. detrajamc i 150 circa della base su cui sorge), ma la M. Rossa di 186 m. di altezza assoluta. Possiamo considerarla come sorgente dalla quota 0, poiché le lave che ne ricoprono le basi fino a q. 40 circa sono posteriori alla costruzione dell'edificio, che evidentemente affondava le pro¬ prie basi nel mare. V' è analogia fra M. Vulcano e M. Rossa per due fenomeni: la molteplicità dei condotti eruttivi e il fatto che tutti e due i vulcani sorgono sulle rovine di edifici preesistenti, sottomarini. Però, mentre a M. Vulcano la molteplicità dei condotti si ma¬ nifesta con la formazione di dicchi attraverso il quale si iniettò il magma, venendo alla luce sotto forma prevalentemente effusiva, alla M. Rossa tale molteplicità si palesò, invece, con numerosi crateri, almeno 5, succedutisi in una breve superficie. Domina, come ho fatto già varie volte rilevare, il carattere esplosivo poiché solo verso la fine dell'attività di questo gruppo di cra¬ teri esplosivi, dal fianco squarciato dell' edificio fluirono le lave ed in quantità relativamente limitata. Ma l’attività non si mani¬ festò solamente attraverso i 5 crateri ora detti, ma sibbene anche per mezzo di qualche minuscolo cratere avventizio e forse di polle laviche basali. Per tutto ciò, un complicato meccanismo esplosivo-effusivo, il quale si può compendiare dicendo che da — 131 una serie di condotti, spostantisi su una limitata superficie, venne fuori il magma sotto forma prevalentemente esplosiva, costruendo un edificio a condotti molteplici. Sono notevoli le analogie fra questo edificio e quelli radiali etnei, sulle quali però non credo utile soffermarmi. La storia eruttiva della M. Rossa si delineò così. Dapprima trapanazione dei condotti a funzioni esplosive, che formarono dei crateri minori ad E e SW, ai quali, forse, potè essere contem¬ poraneo o poco posteriore od anteriore, qualche cratere perife¬ rico, come la Montagnella del Posto. Successivamente formazione di un grande cratere, centrale rispetto agii altri, che ricolma, il quale si squarcia verso NNW e dà luogo ad una poderosa emissione di colate laviche che, con alcune esplosioni poco in¬ tense, chiude l’attività nel centro sudetto. Le azioni demolitrici non si esercitarono che in limitata misura sulla M. Rossa. Non vi sono quelle endogene, perchè non vi è alcun centro eruttivo prossimo più tardivo; non vi sono che in limitatissimo modo quelle del vento, perchè 1’ edificio è estre¬ mamente giovane, e dal mare è difeso da una valida barriera lavica. Misure morfologiche del tipo di quelle già eseguite per alcuni altri centri eruttivi, non sono possibili. Biancarella. - Cono sottomari n o - 1 4 . — L’at¬ tività dell’ isola si chiude con le esplosioni che hanno dato i tufi gialli della Biancarella, i quali si sono depositati parte in ambiente subacqueo, parte subaereo. Ciò può logicamente farci ammettere che le eruzioni siano avvenute o poco prima o (molto più probabilmente) durante l'emersione dell’isola. Riguardo al centro che ha emessi i tufi gialli, per esclusione bisogna ammettere che esso sia da ricercare nel cono sottomarino - 14. Non è improbabile che esso formasse un cono subaereo simile a quello di Giulia, distrutto poco dopo 1' attività, o per lo meno un cratere a fior d’onda. Questa è una quistione che mai sarà risolta. — 132 V. — Conclusioni. Durante il pleistocene, a S della grande fossa di -1500 che divide la Sicilia dall'Africa e forse su una linea di frattura, si manifestò una serie di focolari vulcanici che diedero eruzioni di tipo prevalentemente basico. Esse furono probabilmente precedute da manifestazioni filo¬ niane in un primo tempo e da eruzioni doleritiche in un pe¬ riodo successivo, del quale abbiamo prova solo nei blocchi ri¬ gettati. La serie di eruzioni che noi possiamo studiare, incominciò con fenomeni esplosivi, i quali formarono una serie di coni sot¬ tomarini costituiti da tufi grigi (M. Levante; M. Bandiera - Cal¬ catila, cr. del Pozzo salito, cr. del Posto) nei quali dapprima dominarono i materiali autogeni antichi e poi quelli autogeni coevi. L’attività si spostò in senso SE— >NW/S— >N/S^N e fu tale che, mentre dapprima fu essenzialmente edificatrice, in se¬ guito divenne prevalentemente distruttrice. Quasi simultaneamente si ebbero eruzioni di tufo giallo e grigio ad W di questa linea, con attività consimile. Verso la fine del periodo sottomarino in quistione, e pre¬ cisamente mentre avveniva l’emersione di questi edificii, si ebbe l’attività di due altri centri, i cui crateri, probabilmente a causa del dislivello fra i fondi dei crateri fra di loro e coi precedenti, diedero eruzioni parzialmente subaeree, con deposizione di ma¬ teriali in ambiente subaereo e subacqueo. Questi materiali, a differenza di quelli schiettamente sottomarini, tufacei, hanno i caratteri di quelli del periodo successivo e sono scorie e lave (i primi efflussi) fluite parzialmente in mare (Levante II, Titn- pone I). Alla generale prima emersione degli edificii sottomarini, che deve coincidere colla fine del pleistocene, segue il II0 periodo subaereo. Si formano degli edifici tutti di scoria e lava con ca¬ ratteri tali che, dapprima s’ebbe predominio degli efflussi, in fine predominio delle esplosioni (Ponente III. Timpone II, M. Vul¬ cano, M. Rossa, Cono - 14 ossia Bancarella). Carattere comune di questi centri eruttivi, che si possono raggruppare in quattro sistemi definiti, è la molteplicità dei condotti e cioè la presenza - 133 — di uno centrale con alcuni radiali (Ponente III e Timpone II) oppure debolmente periferici (M. Vulcano e polle laviche cir¬ convicine ; M. Rossa e sistema di crateri e coni avventizii). I cen¬ tri eruttivi si spostarono nel senso WNW-^ ESE/S— >N/SE— >NW, in direzione quasi nettamente contraria a quella degli sposta¬ menti del periodo sottomarino. Durante o subito dopo le ultime eruzioni, avviene un gene¬ rale sollevamento, l’ultimo dell’isola, di circa 10 - 12 m. s. 1. d., il quale è certamente anteriore all’epoca romana. Non è impro¬ babile che la breve vita eruttiva dell'isola si sia chiusa in tempi protostorici e cioè dopo il neolitico. Per. sottomarino II. -(Transizione) III. -Per* subaereo 134 i o ‘So jO o bJO O .So 03 CO co o 03 > 03 O ‘So 5 o 15 bjO ‘So V— ojO txO 03 i— < &J0 3 EIJOOS ‘So o i— o o u— r: £ O CJ co £ <4— ^ <4—4 O o <4— «4— o > (V > co JD - s - o# C/) co O s 0*JJ3 oaisojcIss O-. CU co O O C D hJ Capo generalmente rugoso, poco prominente al disopra del livello della prozona. Antenne lunghe quanto il capo e il pronoto riuniti. Vertice rugoso, as¬ sai scosceso, quasi verticale, di profilo leggermente ondulato, debolmente prominente, carenato lateralmente con carena me¬ diana quasi evidente. Foveole temporali triangolari, imperfetta¬ mente definite da margini poco evidenti, rugose. Costa frontale depressa, leggermente inclinata se vista posteriormente di profilo, lateralmente carenata, ristretta al di sopra e al disotto delLocello mediano, obliterata prima del margine superiore del clipeo. Oc¬ cipite debolmente scosceso, impresso triangolarmente con im¬ pressione debolmente carenata. Occhi subovoidali, ristretti in¬ feriormente poco prominenti. Solco sottoculare sinuoso. Pronoto ristretto nella prozona; questa, se il pronoto è vi- — 142 — sto di profilo sta ad un livello inferiore di quello della meta- zona. Margine anteriore assai largamente bisinuato, prominente nel centro e debolmente diviso in due piccoli lobi ottusi. Solco submarginale della prozona non fortemente svilup¬ pato, subcontinuo , sinuoso , più o meno parallelo al margine anteriore. Primo solco bene sviluppato, largamente, ottusamente rientrante posteriormente nella zona mediana. Spazio tra il sol¬ co submarginale ed il primo solco accentuatamente convesso con due depressioni lateralmente alla linea mediana longitudina- Fig. 1. Fig. 2. Fig. 3. Sph. azurescens (Ramb.) = 1. Capo e pronoto visti di lato, X 7; 2. Capo e pronoto visti da sopra X 7 ; 3. Metà basale dell’elitra destra X 5 [da un esemplare Q di Li¬ nosa (VII. 1926) ]. le , che determinano una carena longitudinale ottusa. Secondo solco largamente sinuoso interrotto nel mezzo in corrispon¬ denza del margine anteriore di una impressione ovoidale ac- centuata a margini ottusi interessante l’interspazio tra il secon¬ do solco e il terzo (solco tipico); solco tipico diritto , bene evi¬ dente. Metazona lunga circa due volte la prozona, subconvessa, con una lieve depressione, rugosa, con carena longitudinale me¬ diana evidente. Margine posteriore ondulato; apice smussato ro¬ tondeggiante. Lobi laterali più lunghi che larghi con debole, larga impressione in corrispondenza della prozona. Margini an¬ teriore e posteriore ondulati. Margine inferiore ascendente, lar¬ gamente sinuoso. Angoli anteriore e posteriore arrotondati. NeL l’angolo posteriore al principio del margine inferiore si nota una piccola prominenza debolmente sviluppata, ottusa. Elitre lunghe circa due volte la lunghezza dei femori po¬ steriori, larghe circa un quinto della loro lunghezza. Reticola¬ zione più intensa nella zona basale in corrispondenza della fa¬ scia basale bruna. Area discoidale aperta; nervatura intercalata quasi obliterata al terzo basale, ben evidente in seguito, sinuosa assai ravvicinata al suo quarto apicale alla nervatura radiale po¬ steriore. La reticolazione dell' area discoidale compresa tra la nervatura intercalata e la radiale posteriore è regolare per circa il terzo apicale, irregolare per gli altri due terzi, complicandosi molto al terzo basale. La reticolazione dell’area discoidale com¬ presa fra la nervatura intercalata e l'ulnare anteriore è costituita da tre serie di maglie più o meno regolari nella parte apicale, sempre più irregolari e fuse in un numero minore nella regione basale. Area interulnare con una serie di maglie regolari trasver¬ salmente allungate nella porzione inferiore della parte apicale ; vi si può a stento intravedere una vena intercalata nella zona media dell’area, mentre per il resto ciò non si può assoluta- mente vedere. Ali subtriangolari con margine posteriore rotondeggiante, con nervature un pò ispessite. Femori posteriori robusti larghi alla base, carena superiore pronunziata nella porzione prossimale, obliqua e quindi oblite¬ rata prima della costrizione preapicale dei femori. Colorazione. — Generalmente bruniccia. Antenne con articoli bruni con lieve anello basale ocraceo. Capo e pronoto unicolorati. Femori anteriori e medi marmorati di bruno. — 144 Elitre con faccia basale bruna intensa a margine distale tra¬ sversale, maggiormente pronunziata nella zona distale in cor¬ rispondenza delle aree mediastina e scapolare e anale. Fa¬ scia submediana poco compatta rappresentata da una stretta macchia nelle aree mediostina e scapolare da piccole irregolari macchiette in corrispondenza delle aree discoidale e interulnare e da una larga macchia trasversale nell'area anale. In seguito a questa fascia si notano al margine inferiore dell’elitra altre quat¬ tro macchiette subequidistanti, sempre più piccole; in corrispon¬ denza circa verticale di queste si notano presso al margine in¬ feriore dell'elitra, quasi lungo la radiale media altre quattro macchiette oscure progressivamente impiccolite. La fascia di solito presente, in altre specie di Sphingono- tus, alla base del quarto apicale dell’ elitra è qui più che obli¬ terata. Ali ialine con nervature nella porzione prossimale anche bianchiccie, e nella porzione distale oscure. Non v'è assoluta- mente traccia di alcuna fascia -oscura. Femori posteriori brunicci, grigiastri ai loro margini. Lato interno con fascia nera preapicale. Apice dei femori posteriori con macchia nericcia al lato interno alla quale fa seguito una macchia oscura all’attacco delle tibie. Tibie giallastre con macchia pallida bruniccia al lato interno verso il principio della serie di spine. $ 23 Lungh. del corpo mm. „ „ pronoto ;; 4,6 „ delle elitre n 24,5 „ dei femori posteriori il 11,2 G e n . Calliptarnus S e r v . 4. C. italicus. (L.) 2 $9 e 1 cT VII-1926. Napoli, Ist. Anat. comparata (R. Univ.) Gennaio 1927. Finito di stampare il 30 giugno 1927) Su due nuovi Ascidiacei del Golfo di Napoli Nota del socio Dott. Mario Salfi (Tornata del 30 gennaio 1927) Tra il materiale di Ascidie che ho potuto riunire durante la mia permanenza alla Stazione Zoologica di Napoli e che andrò via via illustrando, figura anche una serie di esemplari messi a mia disposizione dal Prof. M. Fedele, che qui ringrazio, rac¬ colti nel Golfo durante Finverno del 1914 in varie dragate ese¬ guite dal personale di pesca della Stazione. Tra questi esemplari destano particolare interesse alcuni che riferisco ai generi Rhopalopsis Herd. e Podoclavella Herd., ge¬ neri la cui presenza viene qui per la prima volta segnalata nel Golfo di Napoli. Al Gen. Rhopalopsis si riferiscono due colonie che qui de¬ scrivo come appartenenti ad una nuova specie. Al Gen. Podo¬ clavella si riferiscono due esemplari appartenenti ad una specie anche nuova, ma già individuata dal Della Valle [1880] ed ine¬ dita. In alcuni appunti e figure riunite dal Della Valle !) du¬ rante la preparazione delle sue prime contribuzioni alla cono¬ scenza delle Ascidie composte del Golfo di Napoli (1877, 1881) e brevemente descritta e figurata con l'indicazione manoscritta di Clavelina neapolitana “ un'ascidia che sembra una Clavelina „ e che l'esame della figura e degli esemplari a mia disposizione mo¬ strano chiaramente doversi ascrivere al Gen. Podoclavella Herd. 9 Ringrazio vivamente il Prof. A. Della Valle che volle donarmi i suoi preziosi appunti e figure prese durante le sue ricerche sulla fauna ascidiologica del Golfo di Napoli. - 10 - 146 Ecco intanto alcuni brevi cenni descrittivi delle due specie rinvenute, rimandando ad un successivo lavoro completo una descrizione particolareggiata accompagnata dalle relative figure. Podoclavella neapolitana (Della Valle) 1880. Clavelina neapolitana, Della Valle (in litt.) Colonia — Gli esemplari esaminati sono interamente isolati, uno terminato da una serie di espansioni tunicali, pseudostolo- niali, alla base del peduncolo. Ascidiozoo allungato, grossolanamente claviforme, suddivi¬ so in torace addome ed in una lunga porzione postaddominale contenente il tratto prossimale dello stolone. La tunica è rela¬ tivamente poco spessa, scarsamente trasparente. Sifone branchiale non diviso in lobi distinti. Filetti tenta¬ colari in due serie alterne disuguali. Sifone cloacale vagamente suddiviso in lobi (6?) ottusi po¬ co appariscenti. Sacco branchiale piuttosto allungato con numerose serie di fessure branchiali (25-30). Vasi longitudinali della branchia poco evidenti. Vasi trasversali assai appariscenti perchè con larga mem¬ brana orizzontale verso il lume del sacco. Lamina dorsale con linguette triangolari abbastanza svi¬ luppate. Stomaco liscio, suovvoidale. Intestino quasi tutto posteriore al sacco branchiale tranne una piccola porzione del retto che corre sulla parete branchiale di destra. Gonadi, negli esemplari, non mature, ma contenute nell'ansa intestinale. Punta S. Angelo (Ischia) [Golfo di Napoli] 31 Genn. 1914. Drag. 130 m. Per la doppia serie di filetti tentacolari del sifone branchiale, per la presenza delle membrane dei vasi trasversali della bran¬ chia, questa specie si ricollega a P. borealis (Sav.) e ricorda anche specialmente P. procera Sluit. dei Mari di Malacca, dalla quale, differisce, per altro, per molti caratteri , quali la forma — 147 — generale dell'ascidiozoo, la lunghezza relativa del peduncolo, la fossetta vibratile, e la forma dei filetti tentacolari etc. Le caratteristiche generiche di Podoclavella Herd. lasciano un po' in dubbio sulla necessità di mantenere questo come genere distinto oppure considerarlo come un sottogenere o in¬ cluderlo in un comprensivo genere Clavelina nel senso del Van Name (1921) comprendente cioè anche i generi Chondro- stachys Me. Don. e Rhodozona Van Name. E' evidente però che fino a che una revisione critica di tutti i Clavelinidi non sia compiuta è necessaria la più grande pru¬ denza in tali rimaneggiamenti sistematici. Rhopalopsis hartmeyeri n. sp. Colonia con ascidiozoi isolati riuniti alle loro basi da pro¬ lungamenti tunicali e a volte fusi con tutta la tunica basale. Ascidiozoo senza alcuna suddivisione esterna in zone di¬ stinte con sacco branchiale della lunghezza circa della massa vi¬ scerale. Mantello tunicale assai ispessito poco trasparente. Sifone branchiale con lobi non perfettamente definibili (6?). Filetti tentacolari in una sola serie di lunghezza alternata. Sifone cloacale senza lobi distinti, sublaterale. Sacco branchiale subtriangolare con numerosissime serie di fessure branchiali; vasi longitudinali e trasversali della branchia evidenti; papille rudimentarie. Stomaco ovoidale, liscio. Intestino perfettamente posteriore al sacco branchiale tranne la metà terminale del retto che corre lungo la linea dorsale. Gonadi comprese nello spessore della parete dell’ansa in¬ testinale. Punta S. Angelo (Ischia) [Golfo di Napoli] 31 Gennaio 1914, Drag. 130 m. Questa specie, che attribuisco al Gen. Rhopalopsis per le caratteristiche date dai filetti tentacolari e del sacco branchiale, sembra mostrare affinità con Rh. defeda Sluit. e con R/i. nor- vegica Arnb.; ma sia da quella che da questa Rii. hartmeyeri si distingue per molti caratteri. Per quanto giusta mi sembri 148 - T idea del Van Name (1921) di riunire in uno i generi Rho- palaea Phil. e Rhopalopsis Herd. mantengo ancora qui la di¬ stinzione dei due generi in base ai caratteri attribuiti a questi dall’HARTMEYER (1909). Rh. hartmeyeri potrebbe, forse, essere anche un rappresen¬ tante del Geti. Alina Risso genere che come molti altri di que¬ sto A. per la brevità delle loro diagnosi sono purtroppo oggi inindividuabili. Napoli, Istituto di Anatomia comparata (R. Università) e Stazione Zoo¬ logica, gennaio 1927. Finito di stampare il 20 luglio 1927. Studi e ricerche sperimentali su! Myrtus communis L. var. italica. Nota III. - La concia al mirto • del socio Dott. Selim Augusti (Tornata dal 30 gennaio 1927) In due memorie precedenti ho riferito sui metodi da me adoperati per la preparazione di un estratto conciante e per la separazione del tannino puro dalle foglie del Myrtus communis L., var. italica. Ritengo ora opportuno riportare in questa mia nota il metodo pratico di lavorazione adoperato in quelle fab¬ briche che lavorano con questo materiale conciante, riuscendo interessante conoscere il ciclo delle operazioni conciarie in quanto esso si svolge in modo del tutto particolare. Il mirto adoperato per la concia ha, come abbiamo già detto, una percentuale in tannino ben diversa a seconda della sua pro¬ venienza: il mirto raccolto in collina è assolutamente da prefe¬ rirsi a quello raccolto in pianura in quanto esso contiene una percentuale in tannino molto maggiore (circa 4% in più). La raccolta di questo materiale viene eseguita dai " mor- tellari „ durante i mesi di maggio e giugno e, con maggiore intensità, in agosto-settembre. Le foglie vengono essiccate con molta cura e si conservano molto bene se mantenute in magazzini ben asciutti, al riparo dall'umidità. La prima operazione cui vengono sottoposte le foglie di mirto è quella della “ frantumazione „. Tale operazione viene ese¬ guita presso i singoli stabilimenti in apposite macine di pie- — 150 — tra, preferendo i conciatori comperare il prodotto originale in modo da evitarne le sofisticazioni. Abbiamo ancora detto che con le foglie del mirto si con - ciano cuoi che vengono esclusivamente adoperati per selleria e che si riconoscono dal fatto che essi si presentano di un bel colore giallo-oro. Le pelli adoperate per tale lavorazione sono pelli fresche dei macelli, provenienti da bovini, bufalini ed equini. D'estate si conciano anche pelli di cane e talvolta anche pelli di suini pro¬ venienti da fabbriche locali di carni conservate. Le operazioni preparatorie alla concia vengono eseguite con i sistemi ordinari, ossia calcinai, depilazione al cavalletto, scar¬ natura, bagni di crusca fermentata ecc. Il ciclo completo della concia dura da 90 a 100 giorni a seconda della natura delle pelli e della stagione, e viene com¬ piuto in piccole fabbriche con macchinari antiquati e senz’altra guida o criterio che la pratica del conciatore. Poiché le pelli vengono a contatto, in un primo tempo, di soluzioni relativamente povere di sostanze tanniche e quindi, come vedremo, man mano di soluzioni sempre più concentrate, ne vien di conseguenza che . per la lentezza stessa del processo di concia, il cuoio risultante rivesta tutte le caratteristiche di un buon prodotto conciato. Il ciclo della lavorazione si divide in tre fasi: I. — La prima fase vien chiamata di " coloritura „ e serve più che altro ad eliminare completamente la calce ed a gonfiare alquanto le pelli. Le pelli predisposte alla concia vengono ta¬ gliate nel senso della lunghezza, contrassegnando le due metà con intacchi fatti in prossimità della coda. La concia si compie in una serie di tini o vasche, poggiate sopra travi ad un'altezza di una quarantina di centimetri dal suolo, e della capienza di 15 metri cubi, che si prestano per la concia di 100 pelli gros¬ se, oscillanti intorno al peso di 25 quintali. Le pelli vengono immerse ed estratte successivamente nel¬ l’acqua di un tino contenenente una proporzione di circa 50 Kg. di mirto in 3 metri cubi di acqua. Per questa prima ope¬ razione si adopera acqua pura, ma se le pelli risultano un pò — 151 alterate dalla maturazione conviene adoperare dell'acqua pro¬ veniente da altri tini di lavorazione e che possiede quindi una certa acidità organica. Le pelli, che si trovano impilate su due robusti tavoloni poggiati trasversalmente sugli orli del tino vengono fatte cadere ad una ad una nel liquido mantenuto in movimento e quindi riestratte e ricollocate sui tavoloni. Tale operazione viene ripe¬ tuta 6-7 volte in una giornata ed anche fino a 10 volte nei più lunghi periodi estivi. Questa prima fase dura 4-5 giorni, aumentando ogni giorno la dose del mirto di 50 Kg. (80 Kg. di estate). II. — Nella seconda fase della concia, le pelli vengono di¬ sposte in 5 mucchi sulle pareti di un altro tino. In questo tro- vansi Kg 200 di mirto ed acqua in proporzione tale che essa arrivi al ginocchio dell'operaio destinato al lavoro e che si è calato nel tino. Questi prende una ad una le pelli dai mucchi, le agita per pochi secondi violentemente nel liquido e, dopo aver fatto subire tale trattamento a tutte le pelli, ricomincia l'o¬ perazione in modo che i mucchi vengano disfatti e ricomposti per tre volte. Le pelli vengono quindi riunite sul fondo del tino in due mucchi della stessa altezza, con le pance rivolte verso l'interno, e vi si aggiunge tant’acqua in modo da ricoprirle com¬ pletamente. Il giorno seguente le pelli vengono tolte dal tino a mezzo di speciali uncini ed impilate sopra i due tavoloni trasversali. Mentre 4 o 5 operai imprimono con delle pale al liquido un rapido moto rotatorio, cercando di smuovere anche il mirto che tende a depositarsi sul fondo, altri due operai gettano, ognuno da un mucchio, le pelli ad una ad una rapidamente nel tino. Questa operazione è la più difficile in quanto l'operaio deve cercare di lanciare le pelli ben distese ed aperte ed il più rapi¬ damente possibile, affinchè le pelli cadano nel liquido prima che la loro massa ne impedisca il movimento. Poiché però non si riesce mai a lanciare tutte le pelli finché dura l'agitazione del liquido, allora le pelli restanti vengono accuratamente distese sulla massa stessa e vi si sparge sopra una certa quantità di mirto che era stata precedentemente estratta dal tino. Le pelli vengono lasciate immerse in tal modo modo per due o tre giorni, dopo di che si ripete nuovamente l'operazione suddescritta, sostituendo ogni volta il mirto sfruttato con altro fresco ed aumentando la dose di circa 50 Kg. Questa operazione vien quindi ripetuta lasciando le pelli immerse per tre gionni nel liquido conciante, poi ancora una volta per quattro ed un'ultima volta per cinque giorni: in totale l'operazione della impilatura e successiva immersione delle pelli nel liquido vien ripetuta cinque volte. Durante i periodi estivi l' operazione si ripete sino a 7 volte, prolungando la durata di immersione sino a 9 giorni. III. — La terza fase è la definitiva: in quest'ultima fase si impiegano liquidi tannici sempre più concentrati in tannino, il che si ottiene scaldando l'acqua ed adoperando qualità di mirto forte o mista con lentisco. Il tino adoperato per le precedenti operazioni viene com¬ pletamente ripulito dal mirto in esso contenuto e che viene con¬ siderato come praticamente esurito. Questo materiale già sfrut¬ tato viene utilizzato come combustibile per scaldare in una cal¬ daia il liquido che deve venire a contatto col mirto fresco. Il residuo della combustione parziale delle foglie di mirto costi¬ tuisce un carbone polveroso, che viene assai ricercato dai fornai per scaldare i loro forni e nell'economia domestica per mante¬ nere dei bracieri lungamente accesi. Come si vede questo ma¬ teriale tannico viene sfruttato fino alla sua estrema utilizzazione, ed il risparmio del combustibile per preparare le soluzioni con¬ centrate di mirto nonché il ricavate dalla vendita del residuo carbonioso fanno sì che vengano compensate le spese di acqui¬ sto del mirto stesso. Le pelli vengono al solito impilate sui tavoloni appoggiati alle pareti del tino ed il lavoro viene iniziato come nella seconda fase. Un operaio si cala nel tino, dove si trova già il mirto e tanta acqua che gli arrivi al ginocchio. L'acqua proveniente dalla caldaia è ad una temperatura tale che possa essere sopportata dall’operaio. Le pelli vengono agitate violentemente nel liquido e quindi disposte In due mucchi nel solito modo, con le pan¬ ce rivolte verso l'interno. I mucchi vengono ricoperti con del 153 — mirto e col rimanente del liquido che viene scaldato a 80°C., ma che diviene tiepido appena viene in contatto con la massa di pelli fredde. Tale operazione viene ripetuta per cinque volte con le stesse modalità descritte precedentemente ed i periodi di immersione durano fino ad 8-9-10 giorni, secondo la stagione e finché colui che dirige la lavorazione non ritenga le pelli giunte ad un grado perfetto di concia. Finito di stampare il 20 luglio 1927. Curva delle massime quantità di pioggia, corrispondenti a determinate durate per Napoli del socio Ing. Amedeo Andreotti (Tornata del 30 gennaio 1927) Dall'esame dei diagrammi delle registrazioni pluviometriche si rilevano di tempo in tempo acquazzoni di durata e intensità veramente eccezionali. L’interesse di questi risultati è notevole quando si dispone di un lungo periodo di osservazioni pluvio¬ metriche al fine di determinare la curva delle massime assolute prevedibili quantità di pioggia corri¬ spondenti a determinate durate di precipitazione in un dato luogo. Dai valori orari diurni delle precipitazioni registrate a Na¬ poli relativamente al periodo 1909-1926 (1), si sono isolate le precipitazioni notevoli sia per intensità che per durata e quan¬ tità di pioggia caduta: di ognuna di esse è riportato la data, la durata, la quantità di pioggia caduta (in millimetri di altezza sul suolo) e la intensità massima e media oraria: l) I dati si riferiscono a quelli dell'Istituto di Fisica Terrestre della R. U- niversità di Napoli. — 155 — DATA 30 settembre 1909 6 ottobre 1910 23-24 ottobre 1910 28 ottobre 1910 14 luglio 1911 21 settembre 1911 21 settembre 1912 5-6 novembre 1912 21 ottobre 1914 2-3 settembre 1915 30 sett.-l ott. 1915 6 luglio 1917 6 giugno 1918 4-5 ottobre 1918 20 giugno 1920 25 ottobre 1921 27-28 ottobre 1921 4-5 novembre 1922 7-8 novembre 1923 27-28 settembre 1925 Durata in ore Dalle ore Alle ore 1 17 18 1 19 20 25 22 del 23 23 del 24 6 16 16 1 3 4 15 8 23 7 0 7 11 22 del 5 9 del 6 2 5 7 10 15 del 2 1 del 3 25 19 del 30 20 del 10 2 2 4 2 5 7 25 16 del 4 17 del 5 10 9 18 17 1 18 7 18 del 27 1 del 28 15 11 del 4 1 del 5 14 12 del 7 2 dell' 8 26 20 del 27 22 del 28 Altezza della pioggia mm Intensità massima oraria Intensità media oraria 29,5 29,5 29,50 26,8 26,8 26,80 112,6 22,8 4,50 59,8 26,0 9,97 20,7 20,7 20,70 88,8 42,2 5,92 64,5 41,8 9,21 60,1 25,8 5,46 42,1 28,7 21,05 85,8 24,9 8,58 103,3 18,7 4,13 56,7 46,3 28,35 84,2 76,1 42,10 119,4 17,5 3,78 87,0 41,1 8,70 70,1 14,6 4,12 92,7 45,2 13,24 94,8 25,8 6,32 70,0 30,6 5,00 98,3 16,7 3,78 Fra esse quelle di maggiore quantità si ebbero il 23-24 ot¬ tobre 1910 con m. 112.6, il 30 settembre -1. ottobre 1915 con mm. 103,3 e il 4-5 ottobre 1918 con mm. 119,4. Dall'esame dei dati del periodo 1865 - 1909 si rilevarono tre totali notevoli e cioè: mm. 117,2 in 11 ore il 9-10 ottobre 1877, mm. 132,1 in 20 ore, il 5-6 gennaio 1882 e mm. 135,2 in 10 ore il 22-23 dicembre 1890; mentre i giorni con piog- già superiore mente : ai 70 m/m, misurata nelle 24 ore, furono sola- 3 novembre 1865 99,0 15 ottobre 1875 81,8 24 ottobre 1875 77,5 25 settembre 1889 77,0 27 dicembre 1889 89,2 2 dicembre 1890 85,0 19 aprile 1895 79,2 16 novembre 1896 76,0 Dall'esame delle precipitazioni di notevole intensità verifi¬ catesi nel periodo 1909-1826 si sono isolate quelle degne di rilievo e da esse si sono tracciati, secondo i noti metodi l) i dia¬ grammi delle quantità di pioggia in funzione del tempo : k == f (t), dai quali si sono poi ricavati e tracciati quelli delle massime quantità di pioggia caduta per differenti durate della precipi¬ tazione : h = qp (T). Da questi ultimi diagrammi si sono tracciate le linee inviluppo rilevate nella fig. 1 nella quale sono segnati i totali notevoli rilevati nel periodo 1865-1909. Nella stessa figura si è tracciata la curva inviluppo di tutte le curve. Essa può considerarsi come la curva delle mas¬ sime quantità di pioggia corrispondenti a deter¬ minate durate per la città di Na p o 1 i relativamente al periodo considerato. Tale curva può esprimersi analiticamente mediante l'equa¬ zione: h = 76,1 T0'25 dove h è la precipitazione in mm. e T la durata in ore. Le curve trovate per altre località sono espresse dalle se¬ guenti equazioni : Milano (Prof. Fantoli) 2) h = (48-2/3 T) T V2 Genova (Inglese, Fantoli, Canepa) 3) h = (92-1/3 T) T V2 1) A. F. Meyer — The elements 0} Hydrology. New York 1917. 2) Fantoli — Le acque di piena nella rete delle fognature di Milano. Edit. Vallardi. 3) Fantoli, Inglese, Canepa — Sulla portata del torrente Bisogno. 1909. 157 — 158 — Firenze (Ing. Contessimi)*1) h = 50.6 T °’38 Emilia (Ing. Montanari) 2) h = 70.0 T >/s Italia (Prof. Forti) 3) h = (187-T) T V* Roma (Ing. Frosini) 4) h = 80.0 TO-42 Segue inoltre la Tabella che dà i valori delle quantità pioggia per varie durate : Ore Milano Genova Firenze Emilia Italia piogge disastrose Roma Napoli i/2 33,7 64,6 38,8 55,6 148,1 59,8 64,0 1 47,3 91,0 50,0 70,0 186,0 80,0 76,1 2 66,0 127,3 66,0 88,2 233,0 107,0 90,5 4 90,7 176,0 85,7 111,1 290,4 143,2 107,6 6 107,8 210,6 98,8 127,1 328,7 169,8 119,1 8 110,7 237,6 111,5 139,9 357,8 191,6 128,0 10 120,4 259,3 121,4 150,7 381,0 210,4 135,3 Cioè per Napoli si hanno valori superiori a quelli ottenuti per Milano, per Firenze e per l'Emilia (dopo tre ore) e infe¬ riori a quelli ottenuti per Genova, per Roma e per l'Emilia sino a tre ore. Il valore i dell'intensità massima media prevedibile che cor¬ risponde alla durata T e alla precipitazione h , essendo = ì è data dalla espressione : i = 76,1 T-°.75 *) Contessimi — Un ventisettennio di osservazioni pluviografiche a Fi¬ renze. 1922. Memorie e studi idrografici. Tip. del Senato. 2) Montanari — Nubifragi e laghi artificiali. Annali del Cons. Sup. delle Acque. Anno 1921, fase 2°. 3) Forti — Annali del Cons. Sup. delle Acque. Anno 1922, fase. 2° e 3°. 4) Frosini — Preliminare esame di alcune piogge di notevole intensità in Roma. Annali LL. PP. Aprile 1926. La curva relativa è tracciata nella figura 2. Nella seguente tabella sono riportati i corrispondenti valori: ORE 1/2 1 2 4 6 8 10 Media intensità possibile 128,0 76,1 45,3 27,0 19,9 16,0 13,5 Media intensità per minuto 2,13 1,27! 0,76 0,45 0,33 0,27 0,23 Finito di stampare il 20 luglio 1927. Sul periodo diurno della pioggia a Napoli del socio Dott. Ester Majo (Tornata del 30 gennaio 1927) L'andamento diurno della pioggia quando è ricavato da un solo anno di osservazioni presenta diversi massimi e minimi, ma, se lo si determina da un discreto numero di anni, le oscil¬ lazioni diurne si riducono generalmente a tre: due dei tre mas¬ simi si verificano intorno alle 4h e alle 16h mentre il terzo si inserisce- vesso le 7h o 19h . Il massimo principale lo troviamo in una stazione al mattino, in un'altra nel pomeriggio ed in base a questa caratteristica I'Hann divise le stazioni in oceaniche o costiere e continentali secondo che la maggiore precipitazione si verifica nelle ore della notte e prime ore del giorno col massimo intorno alle 4h , ovvero nelle ore del pomeriggio col massimo intorno alle 16h . Nè mancano eccezioni: Milano, città continentale, ha il massimo della precipitazione la notte; Roma, città costiera, l'ha nel pomeriggio; Parigi è tra le stazioni che cambiano tipo con la stagione J). Allo scopo di studiare l'andamento diurno della pioggia a Napoli, disponendo di una bella serie di diciotto anni di osserva¬ zioni giornaliere 1 2) relative al periodo 1909-1926 (inclusivi), coi noti metodi usati in Meteorologia, ho calcolato 3) per Yaltezza e la frequenza della pioggia i valori medi dati dalle Tabelle I e II e relativi agli intervalli biorari per i singoli mesi, per le stagioni e per l’anno. 1) E. Oddone. — Per la spiegazione del periodo diurno della precipi¬ tazione. La Meteorologia Pratica. Anno VI, N. 1, 1925. 2) Valori orari diurni delle precipitazioni registrate all’ Istituto di Fisica Terrestre della R. Università di Napoli. 3) Fu impiegata la Calcolatrice "Thales,,. TABELLA I. — Altezza diurna della pioggia* — 161 — co s CO LO co CN CN O LO CN © o 00 LO © 00 o CN o LO co Ol OO 00 tp r"- co o o co o o vd“ LO co"" CO “ “ r—"" - o" © CN CN LO h- Ol CN LO e- o CO o N" © co O o LO f"- CN OL_ CN o H o o e- o h~ LO LO CO CN co"" CN co h-"" co lo" CN ed o t"- CN © 00 CO CO N" CO o o OL CN _ CN co © f» © o o r— co o h- OL o CN _ IO lO O co co CO 00 o' co r-‘ oT © LO LO CN OL LO CN o_ _ __ CN LO__ N, o _ _ co LO LO oo h~ C) o _ O _ 00 LO LO LO CN *>-r ’ ' LO o o" OL CN CN CN *-•*« VO CN VO VO CN 00 o CN © co CO LO 00 N" LO co O CO r- » < 00 _ t"- o LO LO CO © 1 ' LO cn" ©“ ed CO CN co" > r-~ CN ed O co_ CN t"- LO t'- CN r- — LO o OL CO o 00 _ vO _ 00 O CN CN ■— * lo" ed - ed CN LO' LO* co o o_ o_ CN o h- 00 © o O CN t"* © LO CN co o LO LO LO O LO - cn" O CN CO o co lo"" h- O' p_ co_ vo LO_ 00 © 00 o o o Ol CO CN 00 CN CN o vo" LO o CN cn' — ed CN CN co" oo' r-"" CN CN ' * o» Ol co__ © N" co CO 00 00 o _ o LO O VO o oF LO CN N' CN 'Sf LO o tC OL CN CN co - CO CN o" o__ co_ »o rp CO O o 00 00 co 00. 00 LO co o 00 o co co CO O vo~ 00 oo N’ CN N' nT CN CN oT VO o- CN co o LO o r- CN e — _ © © lo' CN 1—1 lo"" © — LO CN Ol OL Ol CN lo" 00 CN o co co CN LO © vo o CN 00 o Ol Ol oo"" o" Os LO LO CO LO co"" © LO cn" PI LO CN o CN CN co LO Ol co _ o ©> co LO In o CN_ tN O. CO o Ol CO O" 00 © co' CN' o CO lo"" co CN oo* CN CN 00 - o- oo S"*. co co sO LO CN LO o o 00 LO CN OS LO IO SO __ Os SO Nh On O O LO LO CN ’*C o o co io"' o-" Os CN CN co *"< nT Nh CN r— r-> l>- O -st* o t" !>■ 00 LO N* !>• so CN CO vd LO CO o o CO LO so' Os CN *«N CN lo' o' LO 1 < o K LO co 00 Os co OS O o sO O SO _ o o njT LO LO CN o sd o- co co' CO LO • CM LO o 00 CN co LO rt* co co o LO CN o o CO !>■ o~ LO Nh CN CN o — CN LO o- t"- Os CN LO O LO 00^ o 00 <3\ O e- 00 co CN OS K SO CN CN o LO LO CN o' o CN o- O- Os *P *•«. co” Os 'xf 00 o co oo. O CN co co _ SO co K CN SO SO o o CO CN — o CN LO' SO K od *■»«. CN 'xf co' oo' Nh r_H co o o co CN O 00_ co 00 CO CN LO LO co - — OD oo' so LO CO CN T—l oT CN sO CN CN CO co' 'xC r— H co LO SO o o o_ CN O CN O o 00 CO 00 CN _ 00 t"- LO LO CO v— H — o co LO 00 CO CN CO co o- LO co o O o- — O- O o> LO vO r- SO 'xf "vt* 00 CN tV t^r o" LO T— ' o CI SO o' 00 CO CN sO‘ co' lo' Os' LO LO _ LO o LO o LO CN sO 00 SO so CO OS h- o so co' 1—1 LO o- od CN CN so" co o- Os LO o OS LO o- CN o O co 'O co OS O- co_ co o- sO LO vo' LO CO O o CN LO 00 00 CN LO co sO sO LO o 1Q09-1926 Gennaio o ój d jo S — ( > « > dimento assoluto (maggior numero di tuberi, e maggior numero di tuberi della 3a classe) è stato dato dalle piante della seconda serie nel 1° sottoperiodo; 2° che il maggior numero di tuberi grandi relativamente al numero totale dei tuberi prodotti si è avuto nelle piante della 6a serie nel secondo sottoperiodo; 3° che il maggior numero di tuberi piccoli lo hanno dato le piante della seconda serie nel 4° sottoperiodo; 4° che il minor numero assoluto di tuberi è stato presentato dalle piante della 5a serie nel primo sottoperiodo; 5° che il tubero più grande è stato quello della serie 4a; 6° che il tubero più piccolo è stato quello della serie 2a nell’ultimo sottoperiodo. Ne risulta in definitiva che il massimo rendimento s'è a - vuto con piante tenute in condizioni normali di temperatura, e cresciute in terreno scarsamente umido (15% circa di umidità) ed il rendimento minimo è stato invece dato dalle piante te¬ nute a secco nel sottoperiodo che precede la fioritura. Ho eseguito inoltre per ognuna delle serie, e per ciascun sottoperiodo, la determinazione dell’acqua e della sostanza sec¬ ca dei tuberi. Eccone i risultati. Sotto¬ periodi Serie la Serie 2a Serie 3a Serie 4a Serie 5a Serie 6a acqua sost. secca acqua sost. secca acqua sost. secca acqua sost. secca acqua sost. secca acqua sost. secca I 81,0 19,0 78,5 21,5 80,5 19,5 77,5 22,5 81,0 19,0 81,5 18,5 II 78,0 22,0 77,0 23,0 81,5 17,0 77,5 22,5 79,0 21,0 78,0 22,0 III 71,0 29,0 77,5 22,5 78,0 22,0 77,5 22,5 79,0 21,0 77,0 23,0 IV 76,0 24,0 75,5 24,5 81,0 19,0 77,5 22,5 74,0 26,0 — — I tuberi che hanno più sostanza secca , sono quelli delle piante tenute a secco nel terzo sottoperiodo; i più acquosi, in¬ vece, sono quelli delle piante trattate con eccesso di umidità nel secondo sottoperiodo. In generale, come si rileva dai dati surriportati, hanno minor contenuto in acqua i tuberi prodotti, nei vari sottoperiodi, dalle — 182 — piante della la, 2a, 4a, serie; mentre sono meno ricchi in sostanza secca i tuberi della serie 3a. Riporto, infine, i rapporti calcolati in base ai risultati di cui sopra, fra parte ipogea ed epigea, da una parte, e fra il peso fresco dei tuberi ed il peso totale della pianta intera, dal- l'altra. Sotto- Serie 1* Serie 2a Serie 3a Serie 4a Serie 5a Serie 6a periodi p. ipogea p. tuberi P. ipogea p. tuberi P. ipogea p. tuberi P. ipogea p. tuberi P. ipogea p. tuberi p. ipogea p. tuberi P. epigea P. piante P. • epigea P. piante P. epigea P. piante P. epigea P. piante P. epigea P. piante P. epigea P. piante I 1,2: 1 0,5 : 1 3: 1 0,7: 1 4 : 1 0,8: 1 0,9: 1 0,4: 1 2,5:1 0,8: 1 3 : 1 0,7 : 1 II 1,1:1 0,5: 1 5,9 : 1 0,8 : 1 1 : 1 0,5 : 1 0,9: 1 0,4: 1 1,4:1 0,6 : 1 1,8 : 1 0,6: 1 III i : 1 0,5: 1 2,8: 1 0,7: 1 0,9: 1 0,4: 1 0,9 : 1 0,4: 1 0,7: 1 0,4: 1 0,5 : 1 0,3: 1 IV 4: 1 0,8 : 1 2: 1 0,6: 1 1,3 : 1 0,6: 1 0,9 : 1 0,4: 1 0,7: 1 0,8:1 — — Il rapporto più elevato tra parte ipogea (tuberi) e parte e- pigea (foglie) è dato dalle piante della 2a serie nel secondo sot¬ toperiodo; il rapporto più basso dalle piante della 6a serie nel 3° sottoperiodo. Fra il peso fresco dei tuberi ed il peso fresco della pianta, vi è un rapporto molto elevato nelle piante della 6a serie nel 3° sottoperiodo. Dalle determinazioni eseguite, risulta manifesta la superiorità delle piante della 2a serie su quelle delle altre serie; la patata, cioè, dimostra di avere esigenze limitate in fatto di acqua nel terreno* Influenza dei fattori ambientali sul ren¬ dimento delle patate. — I fattori ambientali, di cui si è tenuto conto nelle prove eseguite, sono: la temperatura dell’aria e del terreno, l'umidità relativa dell'aria ed il contenuto di ac¬ qua nel terreno. Nei grafici sono riportate le temperature medie giornaliere dell'aria e del terreno, per tutta la durata dell’espe¬ rienza. Primo sotto periodo: dalla semina alla fuoruscita delle piantine dal terreno. — Al — 183 momento della semina, la temperatura del terreno esercita una influenza decisiva agli effetti del rendimento in tuberi delle pa¬ tate. Il fattore "umidità,, ha invece un'influenza molto più li¬ mitata che si riflette specialmente neH’attenuare il rigore delle basse temperature. Serie 1. Serie 3. Serie 4. Serie 5. Serie 6. Giorni dalla nascita . . . 76 76 30 13 12 Umidità del terreno . . . ii % 30 o/o 22 o/o 22 o/o 22 o/0 Ternp. inedia nomi, dell’aria 9°1 901 9°1 10°6 15°8 Temp. inedia nomi, del terr. / 00 o Cn 9°3 9°0 13°2 15°0 Temperature nel terreno aggirantesi intorno ai 13°, 14° C. fanno germogliare i tuberi in circa 10 giorni. Se la temperatura del terreno, invece, si mantiene al disotto di 9a C., la fuorusci¬ ta delle piantine avviene dopo almeno due mesi dalla semina. Qualora il terreno sia soverchiamente umido, anche se la sua temperatura è superiore ai 9° C., la nascita dei germogli viene di molto ritardata (76 giorni). In generale l'ottimo è dato da una umidità di circa 15 °/o, e da una temperatura di circa 10° C. Nei riguardi dell’andamentò vegetativo delle piante delle singole serie nei sottoperiodi successivi si rileva: Le piante della serie la emisero un solo germoglio di di - mensioni modeste e con foglioline molto pelose e intensamente verdi; in seguito, appena riportate nelle condizioni normali di umidità, emisero altri tre getti con numerose foglie. Le piante si mostrarono molto sensibili agli attacchi della peronospora, no¬ nostante le copiose irrigazioni di poltiglia bordolese avute, e non fiorirono affatto. Alla fine della vegetazione i getti erano quattro, misurava¬ no 15 c/m l'uno di lunghezza, e avevano ciascuno 10 foglie po¬ co sviluppate e abbastanza clorotiche. I tuberi ottenuti furono di media grandezza ed abbastanza acquosi (81 o/0 di umidità). — 184 — Le piante della serie 2a emisero molti germogli fin dalla prima fuoruscita dal terreno (10 germogli); questi si sviluppa¬ rono nei sottoperiodi successivi con ritmo crescente, fino ad as¬ sumere un aspetto veramente grandioso. Si ebbe un’abbondante fioritura; ma i fiori, appena sbocciati, cadevano senza alligare. Le piante di cui sopra, si mostrarono completamente immuni dagli attacchi di peronospora. All’epoca del raccolto, erano le migliori per sviluppo e sta¬ to vegetativo; i loro getti misuravano quasi 36 c/m di lun¬ ghezza con 11 foglie, grandi, verdi, e molto ben sviluppate. Il loro prodotto in tuberi, (sia per il numero che per la grandez¬ za) è stato il massimo assoluto ottenuto fra le piante in prova. I tuberi poi, si sono mostrati all’analisi abbastanza ricchi di sostanza secca. (21-5%). Le piante della serie 3a germogliarono con grande ritardo, emettendo dapprima un solo getto. In seguito ne ebbero 10 che svilupparono numerose foglie, piccole e verdi, e quasi comple¬ tamente glabre. La fioritura fu appena abbozzata ; la perono¬ spora vi ebbe molta presa ma le piante reagirono energicamente, emettendo, nel terzo sottoperiodo, nuovo e ricco fogliame. Alla fine del quarto sottoperiodo le piante, di cui sopra, avevano 8 getti di c/m 30 di lunghezza (2 erano abortiti), con 12 foglie poco espanse, abbastanza ovali e di colore verde pallido. II rendimento della parte ipogea è stato fra i più elevati, ed i tuberi contenevano 80.5 % di acqua. Le piante della serie' quarta emisero fin dal primo nascere tre germogli, che poi si conservarono inalterati fino al raccolto. Lo sviluppo vegetativo di queste piante fu davvero rilevante; i getti arrivarono ad una lungezza di 40 c/m e portarono in media 16 foglie larghe, espanse, e abbastanza pelose. La fiori¬ tura non fu abbondante e all’epoca del raccolto si ebbero po¬ chi tuberi, ma grandi e ricchi di sostanza secca (22.5%). La pe¬ ronospora non colpì le piante di questa serie. Le piante delle serie 5a e 6a mostrarono, fin dalla fuoruscita dei germogli, all’esterno uniformità di sviluppo e di vegetazio¬ ne. Quelle della serie 5a emisero due getti, mentre le altre, della serie 6a dettero un sol getto. Le piante di tutte e due le serie, però, hanno avuto un — 185 comportamento speciale; e cioè i getti s'innalzarono quasi ad alberello, con foglie disposte regolarmente come i rami attorno ad un fusto. Le foglie, non molto espanse, erano uniformemente verdi e pelose; le piante non subirono alcun attacco di peronospora, e non produssero fiori. Il raccolto in tuberi è stato notevole, e rilevante è stata la percentuale dei tuberi molto grossi. L'umidità dei tuberi si ag¬ girò intorno al l'8 1 %. Le piante, di cui sopra , sono state fra quelle che hanno dato un rapporto abbastanza elevato fra parte ipogea ed epigea (3:1). In quasi tutte le piante delle varie serie, al raccolto, si con¬ servava ancora seminalterato il tubero di semina che, sottopo¬ sto a ricerche analitiche, si mostrò ridotto ad un puro ammasso cellulosico. In alcune serie, però, il peso del tubero vecchio si mantenne quasi inalterato, raggiungendo alle volte valori più elevati dei tuberi nuovi. Nel primo sottoperiodo sono state le piante della serie la quelle che hanno conservato il tubero-se¬ me più inalterato — (gr. 65.5); mentre nelle altre serie il tubero vecchio era quasi interamente decomposto. Secondo sotto periodo: dalla fuoruscita delle piantine dal terreno all'inizio della formazione dei t u b e r i. — In questo sottoperiodo si fa risentire l'influenza dannosa del secco, aggravata da tempera¬ ture basse nel terreno. Una umidità nel terreno inferiore a 8-10%, produce un notevole ritardo nella formazione dei primi tuberini, e porta ad un raccolto in tuberi molto scarso. Una temperatura nel ter¬ reno inferione ai 12° C. produce gli stessi risultati. L'ottimo di umidità nel terreno si aggira intorno al 20% circa e l'ottimo di temperatura intorno a 15° - 16° C. L'eccesso di acqua (30%) dà esito a piante molto deboli con produzione di tuberi abbastanza scarsa. Il raccolto più elevato è stato quello della serie 5a le cui piante trovarono nel terreno un'umidità del 20% ed una tem¬ peratura di 15° C. Il raccolto più scarso lo hanno dato le piante delle serie la e 3a. — 186 — Per quanto riguarda il comportamento delle piante nei sot¬ toperiodi successivi, riporto i seguenti dati: Le piante della se¬ rie la che avevano nel sottoperiodo precedente soltanto due getti, si mantennero piccole e statiche nel secondo sottoperiodo. No¬ nostante l'arresto dello sviluppo delle piante di cui sopra, le u- niche quattro foglie non ebbero mai ad appassire per il secco patito. Riportate in condizioni normali di umidità, le piante ri¬ presero a vegetare in maggio, ma non produssero neppure l'ab¬ bozzo di un boccio fiorale. La peronospora non ebbe presa. Alla fine del quarto sottoperiodo, le piante avevano due getti lunghi 29 c/m con 18 foglie ognuno non molto sviluppate. I tuberi, pochi e grandi, contenevano il 22% di sostanza secca. La seconda serie, anche in questo sottoperiodo, ha dato pian¬ te forti, vigorose, [immuni da peronospora, con tuberi gran¬ di e grossi. I getti prodotti furono quattro, di 33 c/m, con 14 foglie ben sviluppate ed intensamente verdi. La sostanza secca, nei tuberi, raggiunse valori notevoli: 23%. Le piante della terza serie soffrirono molto, nella loro parte epigea, per l'eccesso di umidità nel terreno. Ritornate in con¬ dizioni normali nel terzo sottoperiodo, rimasero clorotiche, su¬ bendo attacchi numerosi ed intensi di peronospora. Al raccolto presentarono sei getti di 12 c/tn di lunghezza, aventi ognuno 12 foglie poco sviluppate ed espanse. Non si ebbe nessun ac¬ cenno di fioritura. I tuberi prodotti furono di dimensioni medie, ed il loro contenuto in acqua (83 %) raggiunse il valore più ele¬ vato, fra tutte le piante avute in prova. La serie quinta dette piante rigogliose, con fogliame verde e grande, e con getti vigorosi ed elevati. Si ebbe appena un inizio di fioritura. Alla fine della vegetazione le piante avevano cinque getti, di cui uno alto c/m 30, e quattro c/m 20; ogni getto con 15 foglie, molto sviluppate, verdissime e pelose. Le piante di questa serie dettero un rilevantissimo prodotto di tuberi grandi, ad elevato contenuto di sostanza secca (21%) e di forma molto regolare. Le piante della sesta serie svilupparono un'abbondante su¬ perficie foliare, e dei due getti che avevano alla fine del primo sottoperiodo, ne mantennero uno solo. Questo unico germoglio che si allungò per ben 35 cm. prò- — 187 — dusse un'abbondante e regolare fioritura che dette esito a nor¬ male fruttificazione. E' di grande interesse rilevare, che fin dalla fine del secondo sottoperiodo, queste piante si presentavano pronte per la fioritura ; la quale avvenne dopo solo due set¬ timane, con un anticipo di circa un mese, rispetto a tutte le al¬ tre piante in prova. Terzo s o tt o p e r i o d o : dall'inizio della forma¬ zione dei tuberi alla fioritura. — Con l'approssimarsi della fioritura, la patata entra in una fase particolarmente deli¬ cata del suo ciclo vitale. E' in questo sottoperiodo che cade in¬ fatti il periodo critico della patata rispetto all'umidità del terreno. Un'umidità aggirantesi intorno al 7 o/0 è fatale nei riguardi del prodotto finale, qualunque sia stato l'andamento dei fattori ambientali prima e dopo questo periodo. Le piante della la serie, infatti, erano state in condizioni nor¬ mali di umidità e di temperatura nei due sottoperiodi prece¬ denti; e in condizioni normali vennero riportate dopo. Ciò no¬ nostante esse rimasero indietro a tutte le altre per sviluppo epigeo ed ipogeo; e, nei riguardi di quest'ultimo, dettero tuberi piccoli e malformati, attaccati ancora al tubero-seme, il quale pesava da solo quasi il triplo del prodotto neoformato. I nuovi tuberi risultarono ricchissimi di sostanza secca (29 o/0). Una conferma sperimentale delle forti esigenze idriche della patata nel terzo sottoperiodo, ci è data dall'abbondante produ¬ zione cui dettero esito le piante della terza serie (eccesso di u- midità nel terreno). Temperature del terreno superiori ai 20° C. sono decisa¬ mente sfavorevoli agli effetti del rendimento finale anche se l'u¬ midità si mantiene abbastanza elevata (22%). La produzione maggiore è stata quella delle piante della prima serie, le quali sono cresciute in terreno non molto umido (15%), con temperatura media di circa 15° C. Queste condizioni ambientali (umidità 15 o/0 e temperatura 15° C.) rappresentano l'ottimo ecologico nel terzo sottoperiodo. Alla fine della fioritura, riportate in condizioni normali di umidità e di temperatura, le piante delle varie serie si compor¬ tarono diversamente: — 188 — Quelle della la serie emisero nuovi germogli ed ingrandi¬ rono alquanto i tuberini formati, ma non riuscirono a riparare al danno prodotto dal secco all’epoca della fioritura. Quelle della 2a serie conservarono le loro ottime caratteri¬ stiche, e andarono gradatamente appassendo nella loro parte e* pigea. Al raccolto presentarono quattro getti di 40 c/m, con 20 foglie ognuno, ed i tuberi, tutti grandi, contenevano il 77.5 o/0 di acqua, con forma e dimensioni molto simili fra loro. Le piante della 3a serie non dettero origine a caratteristi¬ che di particolar rilievo; mantennero verdi e vegeti, fino alla fi¬ ne, 3 getti di 16 c in l'uno con 13 foglie poco sviluppate e leggermente clorotiche. I tuberi prodotti — in prevalenza medi e piccoli — contenevano il 22% di sostanza secca, e si mante¬ nevano ancora saldamente uniti al tubero vecchio (conservato quasi integro e indecomposto). La 5a serie dette piante meschine e rachitiche che furono molto soggette agii attacchi peronosporici. Al raccolto si ebbero tre getti di 20 c/m, con 15 foglie ciascuno, ed una scarsissima produzione ipogea. I tuberi nuovi non arrivavano nemmeno al¬ la metà del peso del tubero vecchio, che si conservava quasi inalterato. La sostanza secca nei tuberi si aggirò intorno al 21 oo/0. Le piante della 6a serie assunsero prima della fioritura un aspetta- epigeo veramente grandioso. Si ebbero getti (due) che per sviluppo raggiunsero il valore più elevato fra tutte le piante in prova (60 c/m di lunghezza). La fioritura fu incerta ed irre¬ golare; i tuberi prodotti piccoli, malformati e abbastanza ricchi di sostanze secche (23 %). Il rapporto fra il peso della parte ipogea ed il peso della pianta intera, si mantenne molto basso. Quarto sotto periodo: dalla fioritura alla maturazione dei tuberi. — In questa ultima fase della vita della patata, i fattori ambientali hanno, sul raccolto finale, un’influenza molto limitata. La pianta, infatti, ha già formato i suoi organi sotterranei e li ha portati alla loro massima gran¬ dezza. In questo sottoperiodo, si dovrà soltanto fissare la qua¬ lità del prodotto, e cioè, mentre al principio i tuberi sezionati si presentano in varie zone di diversa translucidità, a matura- zioue avvenuta assumeranno un aspetto uniforme che è carat¬ teristico per ogni varietà. Le piante della la serie non risentirono alcun danno dal secco del terreno; esse dettero anzi tuberi abbondanti ed ab¬ bastanza uniformi, con un elevato contenuto a sostanza secca (24%). I getti sviluppati dalle piante furono 7 di 32 c/m l'uno; e di essi 5 arrivarono al raccolto secchi ed afflosciati. Le piante della serie 2a dettero un'elevatissima produzione di tuberi piccoli ed irregolari. Non è il caso di parlare di tuberi articolati, dappoiché i tuberini, per quanto piccoli, erano già formati dalla fine del terzo sottoperiodo. Il loro contenuto di sostanza secca fu molto elevato (24.5 %). Le piante, di cui sopra, svilupparono dieci getti di 31 c/m di lunghezza, con 11 foglie, espanse, verdi, e com¬ pletamente esenti da invasione peronosporica. Le piante della serie 3a ebbero a soffrire, in seguito allo eccesso idrico, una produzione di numerosi nuovi tuberini , i quali si svilupparono dalle gemme di quelli più grandi, alteran¬ done e modificandone il peso, in modo da portare alla cosi¬ detta " articolazione dei tuberi „, tanto deprecata dal commercio agrario. Il basso contenuto di sostanza secca, presentata da questi tuberi (19%), ne dimostra con molta evidenza la imperfezione qualitativa. Le piante della 5a serie non ebbero a risentire alcun dan¬ no per la temperatura abbastanza elevata del terreno (circa 19° C.) Esse produssero un abbondante raccolto di tuberi, di di¬ mensioni ed aspetto quasi uniformi, aventi un'elevata percen¬ tuale di sostanza secca (26 %). I getti portati erano 6, lunghi 23 c/m ognuno con 13 foglie ben sviluppate, verdi e molto pelose. Le piante della serie 6a furono eliminate dalla prova, in quanto che, per attacchi di parassiti animali, ebbero ad intri¬ stire nella loro parte epigea ed ipogea, alterando di molto i ri¬ sultati realmente conseguiti. L’ottimo di umidità nel terreno, in questo sottoperiodo, si aggira tra il 15 ed il 20%; l'ottimo di temperatura trai 18° C. ed i 20° C. 190 — Influenza del fattore idrico sui tuberi già formati. — Per poter studiare particolareggiatamente l'a¬ zione dell'acqua sui tuberi, neH’ultimo sottoperiodo, erano state lasciate in condizioni normali di temperatura e di umidità tre piante segnate rispettivamente con i numeri XXXII, XXXI e V. Le piante di cui sopra, a sviluppo epigeo quasi uniforme, furo¬ no poco soggette agli attacchi peronosporici. Alla fine del terzo sottoperiodo, le tre piante in prova non ebbero alcuna somministrazione di acqua, in modo da ridurre l’umidità del terreno a circa l'8%. Il 26 giugno si irrigò abbondantemente per l'ultima volta il vaso N. XXXII. L’umidità del terreno raggiunse valori ele¬ vati (25%). La pianta, prima del trattamento idrico, si presen¬ tava con 6 getti di 12 c/m l’uno, di cui 4 erano quasi comple¬ tamente secchi. Al 20 giugno (dopo solo due giorni) la pianta diede segni manifesti di aver ripreso la vegetazione nella parte epigea; due getti secchi e afflosciati rinverdirono e presero un comportamento eretto, mentre due getti verdi emisero nuove e vigorose foglie. Al 10 luglio 4 getti erano completamente sec¬ chi; due vegetavano ancora. Al 1° luglio si fece un’abbondante somministrazione di ac¬ qua alla pianta n. XXXI, la quale era stata tenuta a secco fin dall'inizio del quarto sottoperiodo, ed aveva 6 getti di cui 4 quasi secchi. La pianta reagì energicamente e rinverdì in qualche germoglio, che mantenne poi verde fino alia fine del periodo vegetativo. L'ultimo trattamento idrico fu fatto alla pianta N. V, che era stata tenuta a secco fino al 5 luglio, e che aveva 3 dei quat¬ tro getti completamente secchi. Anche questa pianta reagì, nella sua parte epigea, rinverdendo due dei suoi getti secchi. I risultati conseguiti al raccolto sono esposti nella Tabella 3. Dall’esame della Tabella risulta: 1°) La somministrazione di acqua, nell'ultimo sottoperiodo, produce articolazione dei tuberi, ciò che significa formazione di nuovi tuberini a scarso valore agrario e commerciale. 2°) La prima somministrazione di acqua (vaso XXXII) è stata abbondantemente utilizzata dalla pianta, la quale ha in¬ grandito i suoi tuberi già formati anziché produrne dei nuovi; — 191 — co < tu < f- Rapporto tuberi a parte epigea r ■ « , ■ « t ■ < h- O' o Rapporto tuberi a peso pianta 08:1 0.5: 1 0.8: 1 Peso tubero più piccolo 0.80 0.25 0.54 Peso tubero più grande 18.25 10.82 38.05 Sostanza secca tuberi 24 23 27 Umi¬ dità tuberi 76 77 73 Peso fresco tuberi 109.5 45.0 155.0 Peso secco parte epigea 5.88 9.92 9.51 Peso fresco parte epigea 14.07 40.06 32.50 Grandezza dei tuberi co LO o LO LO o CO CN CN co CN CN •— 1 CO O' — — co — 1 H 1 + 1 + + + 1 + + + + + + + + + + 1 + I + + + + 1 + + + + LO LO vO vO co co co 'T o io t'- 00 © CN 00 CN e> — i Ov LO o o io — < CZ od ed CN LO ed o ed ed co ed © © ed co ed vd ed o t+ vd 1+ + ed d 00 CO E Tf 00 — < © o © o CN co o 1—» r"- 1— H LO co co o * < 00 CN co i— « CN LO o rv' -- 1 CN LO CN co 1 CN — 1 —■ co CN — 1 i i 1 1 1 1 i 1 1 1 1 1 1 1 1 + + i i 1 i 1 1 + 1 + 1 1 + 02 LO — CO o 00 CN 00 t"- © o © O o LO o _ e> LO O — . co o co 00 ’5o — i od d d — vd LO © CN ed © d CN r4 ed ed CN ed r'H — I CN t"- + o o 00 vd CO — -• o CN o 00 00 »— H co LO o © LO CN e> LO CO t>- LO e> 00 1—1 LO U* CN CN co — 1 co CO — OJ CO 1 CO CN T1 H -1 CL 1 1 1 1 1 + 1 1 + I 1 1 1 1 1 + i i 1 1 + 1 1 + 1 + 1 1 I o E — CL, 'tOio^i-Hin^r-HrHfoocooorocno^O'-'OJcoiniooqooioqojin o co a o cl oi ro io O' cn ^ o co ci 06 in ^ o in co d o cf' io o rocn^mt^cMcocO’- o> Oinvo^Om^cocoMinh LO * T 4“ * i + ' * * i + i i-j-i i i i 4- 4- i i I4- ' + + + + a s > o ~o aS Cu insoNinocN--^ocnooc\iimnoif)oocoMNCNocoooinO(N(N o (4 c> o d 4 h! 6 a lo oò a 4 od 4 4 o co a oi in od in (N 4 oò co 6 n ONOOWOiDO'O' in^'^OONOO'^'HOOCOO^N^Mn^^ CN — . 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I, 1924). d, Parte del femore, tibia e tarso della zampa anteriore destra vista da sotto X e, idem della zampa media di sinistra X 6; f, idem della zampa posteriore sinistra meno i quat¬ tro articoli dorsale. X 6 [tutte le tre figure da un esemplare di Tobruk (III, 1925)J. — 230 — Colorazione. — Bruno rossiccio uniforme. Capo con porzione della fronte compresa tra 1' inserzione delle antenne oscura. Ispessimento del clipeo nero lucente. Pronoto un po’ più chiaro della rimanente parte del corpo. Spine delle tibie nero- brunicce. Maschio. — Caratteri morfologici. — Corpo ovale depresso. Capo con impressione trasversale tra l’inserzione delle antenne, pronunziata. Due elevazioni mammellonari sul cli¬ peo. Occhi grandi ricurvi. Ocelli grandi, situati al disopra del- l’ inserzione delle antenne, assai ravvicinati. Antenne della lun¬ ghezza del corpo, con i primi 6-7 segmenti glabri, gli altri pu¬ bescenti. Pronoto trasversalmente ovale a margine anteriore leg¬ germente e ottusamente avanzato, a margine posteriore roton¬ deggiante. Una impressione decorrente assai parallelamente al margine posteriore del pronoto e impressioni variabili nel mezzo della concavità di quella. Elitre ampie ristrette verso la base, un po' concave al mar¬ gine posteriore, più lunghe del corpo. Nervatura mediastina e scapolare ravvicinate, raggiungenti il margine anteriore. Campo marginale con nervature derivate dalla nervatura me¬ diastina irregolari, debolmente reticolate. Nervature secondarie originate dalla nervatura scapolare subcurve, quasi parallele. Nervatura mediana assente. Nervatura anale rapidamente ricurva verso il margine posteriore che è raggiunto in corrispondenza di piccola porzione trasparente. Nervature del campo anale reti¬ colate. Ali più corte delle elitre, porzione anteriore assai sviluppata. La nervatura scapolare emette soltanto qualche nervatura seconda¬ ria verso la parte distale. Nervatura mediana biforcata. La nerva¬ tura inframediana emette gran numero di nervature secondarie a loro volta biforcate. Nervatura dividente assai pronunziata. Zampe allungate più deboli che nella femmina. Nelle zampe anteriori la disposizione delle spine nelle tibie è identica a quella che si osserva nelle tibie della femmina. Il metatarso è relativa¬ mente più lungo (circa 2 y2 la lunghezza tibia) e le spine, quelle che raggiungono maggiore lunghezza eguagliano circa l/3 della lunghezza del metatarso. Nelle tibie medie è conservata anche la stessa disposizione delle spine che si osserva nella femmina. — 231 — Nelle tibie posteriori, assai allungate, oltre al verticillo api- cale formato da sette spine si osservano verso il lato esterno un succedersi di gruppi di spine, a cominciare dalla porzione distale, di 3, di 2, di 1 mentre al lato interno circa all'altezza del terzo apicale si nota un gruppo di 3 spine consecutive. Manca qualsiasi traccia di spina genicolare ai femori, e le unghie dei tarsi sono sprovviste di arolio. Addome ovale a segmenti trasversali ma dal quinto seg¬ mento circa con margine posteriore concavo. Lamina sopranale trasversa. Cerci appariscenti, ad articoli terminali subcilindrici, roton¬ deggianti, pubescenti. Lamina sottogenitale a margine posteriore subdiritto, con una lieve emarginatura mediana. Stilo unico ri¬ curvo. Colorazione. — Più chiara della femmina, di un giallo bruno testaceo Capo, chiaro con elevazioni brunicce. Pronoto pubescente con macchie oscure variabili, ma a margine anteriore sempre chiaro almeno lateralmente. Elitre uniformi, ma con va¬ riegature brunicce. Ali come le elitre. Parte inferiore del corpo e zampe uniformemente giallicci. 2 99 da Bengasi (4-X-23; 19-1-24). 1 cf da Bengasi (15— VI 1 1—25). 4 dV da Tobruk (15-111-925). Lunghezza del corpo „ del pronoto Larghezza „ „ Lunghezza delle elitre 9 ‘ mm. 14,5-12,5 » 6,5- 4,6 „ 9,1- 7,5 d" 14,5-12,5 5.2- 4,8 7.2- 6,1 16, -14,9 5. Polyphaga krùgeri , n. sp. (fig. 3) Un maschio di Porto Bardia (20— VI 1 1— 1 925) le cui carat¬ teristiche lo rendono assai affine al maschio della specie prece ¬ dente ma dal quale differisce per molti altri caratteri. Nel capo mancano le escrescenze mammellonari del clipeo ma al loro posto si nota una elevazione trasversa, leggermente ricurva longitudinalmente; gli ocelli sono più piccoli e ben di¬ stanziati e, relativamente, gli occhi meno sviluppati. Tra gli ocelli, si nota un elevazione a margini laterali rotondeggianti con la — 232 — concavità rivolta verso Testerno. Pronoto scarsamente pubescente trasverso, subovale, a margine anteriore decisamente avanzato, subtriangolare; così pure il margine posteriore. Una forte im¬ pressione trasversa a margine posteriore rotondo con due pic¬ cole impressioni mediane. Elitre a margine anteriore quasi retto, non allargate nella zona distale. Nervatura mediastina e scapolare strettamente ravvi¬ cinate raggiungenti il margine anteriore; campo marginale sub¬ reticolato; campo discoidale con nervature, dirette verso il mar¬ gine posteriore dell'elitra, ed originate dalla nervatura scapolare od Fig. 3. — Polyphaga kriigeri. — r^]. a. Capo visto di fronte X 12; b. Pronoto X 6; c, Parte del femore, tibia e tarso della zampa anteriore di destra vista da sotto X b; d, idem della zampa media di sinistra vista in posizione latero dorsale X 6; e, idem della zampa posteriore di sinistra [il tarso non è Interamente figurato] X 6 (da un esemplare di Porto Bardia Vili, 1925). anche indipendenti da quella. Nervatura anale ricurva posterior¬ mente,' con membrana trasparente verso la sua parte terminale fino al margine posteriore. Campo anale a nervature subretico¬ late. Ali ispessite lungo il margine anteriore, nel campo mar¬ ginale. Nervatura mediastina debole. Nervatura scapolare che emette — 233 nervature irregolari verso il margine anteriore. Nervatura me¬ diana diretta, biforcata soltanto presso l'estremità distale. Nerva¬ tura inframediana da cui partono circa 7-8 nervature che si estendono nel campo discoidale verso il margine posteriore. Nelle zampe si notano gli stessi caratteri di P. Karny, le spine delle tibie sono di lunghezza varia, senza una norma in¬ dividuabile che distingua le superiori dalle inferiori. Nelle tibie anteriori si nota il solito verticillo di 8 spine più la spina api- cale ; nelle tibie medie al lato esterno (superiore) si notano an¬ cora oltre al verticillo terminale composto da sette spine, proce¬ dendo verso la base della tibia, 2: 1: 2: 1: 1 spine. Nelle tibie posteriori il verticillo terminale è composto di sette spine e poi al lato interno si osservano quattro spine disposte più o meno consecutivamente ed al lato esterno (superiore) 10 spine disposte più o meno in tre serie longitudinali. La lunghezza dei meta¬ tarsi relativa alle spine ed alle tibie, i 4 articoli dei tarsi dopo il metatarso eguali in lunghezza, la mancanza di arolii sono ca¬ ratteri che questa forma ha in comune con i maschi di P. Kar¬ ny Wern. Colorazione. — Giallo chiaro variamente ornato da macchiette brune. Caratteristica, nel capo, la colorazione oscura della porzione di fronte compresa tra il clipeo e gli ocelli. Ele¬ vazione trasversa del clipeo giallo chiaro. Pronoto con margini anteriori largamente chiari, con macchia centrale bruna sfumata anteriormente, raggiungente il margine anteriore, posteriormente terminata in corrispondenza del solco ricurvo del pronoto. Elitre subialine con variegature e macchiette brune. Ali ialine con ner¬ vature biancastre e larga macchia biancastra lungo il margine ante¬ riore. Superficie ventrale del corpo e zampe giallo chiaro uniforme. Lunghezza del corpo w „ pronoto Larghezza „ „ Lunghezza delle elitre d1 mm. 13, — . 4,3 . 5,8 „ 13, 7 1 o"i Porto Bardia 20- Vili— 925. Descrivo questo esemplare sotto una nuova denominazione specifica poiché per i caratteri che esso mostra non può attri- — 234 buirsi a nessuna della specie di Polyphaga, come queste sono definite nella revisione del genere data dal Saussure (1893). La sistematica di questo genere è però assai incerta ed una revi¬ sione su abbondante materiale è più che necessaria. Fam. Acrididae 6. A. unguiculata (Ramb.) 1 c? da Giarabub. IV.- 1926. 7. Platypterna lybica Slf. (fig. 4, 5) 1924. Platypterna lybica , Salfi. Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. 36, p. 289, Tav. 4 fig. 6-7. Quattro esemplari, 3 99 e 1 cf da Giarabub (Vili - 1926) sono qui riferiti a P. lybica specie da me descritta (1924) sul¬ l'esame di un solo esemplare cT di Tobruk. Il maschio di que¬ sta piccola serie di Platypterna di Giarabub coincide quasi per¬ fettamente con quello di Tobruk, pure variando in alcuni ca¬ ratteri, variazione che credo possa benissimo rientrare nella flut¬ tuazione individuale dei caratteri. Ho esaminato ancora un e- semplare 9 di Platypterna raccolto a Bengasi (1921) dal Prof. E. Festa del Museo di Torino e determinato dal Giglio Tos (1923) per Platypterna tibialis ; a parte la questione se l'esemplare di Tolmetta possa riferirsi a P. tibialis , il che forse è da esclu¬ dere se a P. tibialis debbono, come vuole I'Uvarov (1926), ri¬ ferirsi soltanto gli esemplari di Grecia, è certo che questo esemplare è differente per vari caratteri da quelli qui da me riferiti a P. lybica. Un esemplare cf di Agedabia [(Cirenai¬ ca) (25 V 1925)] differisce poi sostanzialmente sia dagli e- semplari di Tobruk e Giarabub che da quello di Bengasi ; esso si ravvicina moltissimo ad un esemplare di Rodi, raccolto an¬ che dal Prof. Festa (1913) e determinato dal Giglio Tos per PI. pruinosa Brun. Descriverò qui prima gli esemplari riferiti a P. lybica. Le tre femmine di Giarabub (VII.- 1926) sono assai simili fra loro sia come statura che come aspetto generale. Colpisce, 235 — ad uno sguardo d’insieme l’ottusità e relativa grossezza del capo e del pronoto. Caratteri morfologici. — Femmina. Vertice e oc¬ cipite ottusi subconvessi, rugosi, con carena mediana longitudi- Capo e pronoto visti di lato X 6 (dall’esemplare di cui in b è figurata la parte basale dell’antenna). naie non molto evidente, irregolare nel decorso, non raggiun¬ gente il margine anteriore del pronoto. Sommità del vertice allargata ottusamente, subtriangolare, - 236 convessa a margini evidenti, ma ottusi ; vista di profilo la som¬ mità del vertice è largamente parabolica; la sua lunghezza è mi¬ nore del diametro minore dell'occhio. Foveole temporali allungate, assai regolari, debolmente ri¬ curve, fortemente impresse in vicinanza dell’ocello, ma gradual¬ mente attenuate verso la porzione distale, in corrispondenza del¬ l'estremo del vertice. Occhi ovoidali, obliqui, leggermente ristretti anteriormente, a contorno subretto posteriormente tanto da conferire ad essi un aspetto subtriangolare col vertice rivolto in avanti ; il loro diametro maggiore è circa due volte il minore. Faccia quasi piana se vista di profilo ; costa frontale a mar¬ gini paralleli fino all'ocello, ma un po' allargati in corrispondenza dell’inserzione delle antenne, allargati ancora intorno all'ocello, ristretti inferiormente a questo e poi divergenti fino al solco di demarcazione del clipeo, solco che non è raggiunto essendo i rilievi marginali attenuati ; solco tra i margini della costa fron¬ tale maggiormente accentuato fra l'inserzione delle antenne e l’ocello. Carene laterali della faccia quasi diritte, attenuate verso la loro porzione superiore in corrispondenza dell'inserzione delle antenne. Solco sottoculare impresso, a decorso sinuoso. Antenne lunghe un pò più della lunghezza del capo e del pronoto riuniti, con articoli dilatati per circa il quarto basale, in seguito con articoli cilindrici. Nei tre esemplari 9 da me esaminati, la cui porzione ba¬ sale dell'antenna destra di ciascuno è figurata gli articoli di queste presentano le seguenti catteristiche. I caratteri del 3° e 4° articolo coincidono nei tre esemplari. Il 3° articolo infatti è semilunare ; il 4° assai breve, la sua lunghezza è uguale a pres¬ sapoco un terzo della larghezza ; il 5° articolo in due esempla¬ re (a, c) quasi uguale al 4° in lunghezaa e in larghezza, nel¬ l'altro (b) lungo circa due volte la lunghezza assai simile al 7°; 8° articolo quasi largo quanto lungo, in un esemplare (a) indi¬ stintamente diviso; 9° articolo quadrato in un esemplare (c) più allungato in un altro esemplare (b) ma indistintamente diviso nel terzo esemplare (a) breve, lungo circa la metà della lunghezza. In questo esemplare (a) il 10° e 1' 1 1° articolo uguali al 9°; nel- — 237 — l'esemplare (b) il 10° articolo lungo e largo circa quanto il 9a e il 12° lungo una volta e mezzo rii0 ; nell’esemplare (c) il 10° e TU0 articolo uguali ma un pò più brevi del 9°; il 12° e il 13° articolo circa uguali, subquadrati negl'esemplari (a) e (c). Dal 13° articolo in poi gli articoli diventano cilindrici. I 4° ultimi moniliformi. L’antenna dell’esemplare (a) ha 31 articoli, quello dell'esemplare (b) 28 articoli; quelle dell'esemplare (c) 29 articoli. La brevità del 9° articolo circa uguale al 10° nell'esemplare (a) messi a confronto con il 9° articolo dell' esemplare (b) im¬ perfettamente diviso farebbe pensare ad una prossima suddivi¬ sione in due di questo. D'altra parte nello stesso esemplare (a) l'8° articolo presenta traccia di suddivisione, mentre ancora nel¬ l'esemplare (c) 8° e 9° articolo hanno una dimensione a lunghezza maggiore della larghezza. Si potrebbe insomma interpretare la cosa nel senso che gli articoli 8° e 9° interi nell'esemplare (c) si sono ulteriormente suddivisi in (b) e in (a); il che farebbe pen¬ sare ad un accrescimento intercalare degli articoli delle antenne, senonchè a me sembra che la simmetricità della imperfetta di¬ visione degli articoli 8° e 9° negli esemplari rispett. (a) e (b) fac¬ cia più pensare ad ascrivere il solco indicante una divisione im¬ perfetta di caratteri di variabilità individuale anzi che a carat¬ teri dovuti a cause di sviluppo. Il Pronoto ha il disco assai debolmente tettiforme con de¬ boli rugosità, metazona più breve della prozona [negli esemplari con le seguenti dimensioni (a). Prozona mm. 4. Metazona 3; (b) Przn. mm. 4,1 Mtzn. mm. 2,9; (c) Przn. mm. 4,5, Mtzn. 2,8]; le rugosità della metazona sono dirette in senso longitudinale. Mar¬ gine posteriore ottusamente triangolare. Carena longitudinale mediana del pronoto evidente diritta, vista di profilo con un leggiero dislivello dal solco tipico in poi nella metazona che è un po' più elevata relativamente alla prozona. Carene laterali evidenti, abbastanza elevate, quasi parallele nella prozona , di¬ vergenti nella metazona, ottuse verso il margine posteriore di questa. . Solco tipico ben pronunziato avanzato anteriormente in cor¬ rispondenza della carena mediana. Il solco tipico taglia profon¬ damente sia la carena mediana che le carene laterali. — 238 — 1° e 2° solco della prozona che tagliano profondamente le carene laterali ma non la carena mediana che nella porzione è intera. Il decorso dei due solchi della prozona è, nel disco di questa, non diritto ma questi si avanzano anteriormente con una sinuosità accentuata scomparendo in vicinanza della carena mediana. Lobi laterali evidentemente più lunghi che larghi debol¬ mente rugosi sia nella prozona che nella metazona. Margini anteriori e posteriori diritti, inferiori sinuosi. Nei lobi laterali si nota un solco paramarginale anteriore; il 1° solco della pro¬ zona in tutti e tre esemplari si arresta quasi al mezzo; il 2° solco si continua oltre e il solco tipico quasi fino alla metà dei lobi. Pleure con la stessa rugosità del pronoto. Lobi mesoternali lunghi quanto larghi con margine interno arrotondato, legger¬ mente angoloso nel mezzo. Lobi metasterali contigui , separati alle basi da uno spazio triangolare. Elitre che si estendono posteriormente aH'estremità dei fe¬ mori posteriori per una lunghezza uguale alla metà circa della lunghezza di questi. Femori posteriori robusti; la porzione più ingrossata larga circa un quinto della lunghezza totale. Tibie posteriori leggermente allargate alla estremità più brevi dei femori relativi. Maschio — I due esemplari maschi sono uno di Tobruk già da me descritto in altra occasione (1924) Taltro di Giarabub catturato insieme con le tre femmine precedentemente descritte. Il maschio mostra una maggiore sveltezza nel suo aspetto, specialmente per il pronoto e il capo, generalmente più ristretti e più allungati e per una maggiore globosità del capo stesso. Il verti¬ ce e l'occipite mostrano, infatti, ima maggiore convessità; e la som¬ mità del vertice è, contrariamente alla femmina, più lunga che lar¬ ga, i margini sono più accentuati e la carena mediana che comincia alla estremità del vertice è meno elevata nella regione dell'oc¬ cipite e quasi obliterata verso la metà di questo. Vista di profilo la sommità del vertice è più ristrettamente parabolica , la sua lunghezza e maggiore della larghezza. La faccia vista di profilo è più obliqua che nella femina; la costa frontale è più profonda- — 239 mente impressa, e i margini assai più divergenti nella porzione inferiore verso il clipeo. Antenne filiformi, dilatate alla base per circa un quarto della lunghezza totale. 3° Articolo semilunare; 4° breve lungo un terzo della larghezza; 5° rettangolare lungo circa la metà della lar¬ ghezza; 6° più allungato tendente alla forma quadrata nell’esem- Fig. 5. — Platypterna lybica Salfi. — a, Capo e pronoto visti di lato X 6; b, Capo e pronoto visti da sopra X 6; c, Articoli basali deli’antenna sini¬ stra X 12 (da 1111 esemplare di Giarabub; VII, 1926); d, Articoli basali dell’antenna destra di un esemplare di Tobruk (III, 1924) X 12. piare di Tobruk; 7° e 9° circa uguali in lunghezza; 8° più breve; 10° subquadrato; 11° quasi cilindrico allungato; dal 12° in poi cilindrici. Ultimi articoli (i quattro ultimi) moniliformi. Antenne di 28 articoli nell'esemplare di Giarabub, di 26 ar¬ ticoli in quello di Tobruk. In genere le antenne a maggior nu- — 240 — mero di articoli hanno questi di forma più trasversale, mentre le altre hanno gli articoli più allungati. Il Pronoto più snello, meno allargato nella metazona (nell'es. di Tobruk la Przn. è lunga 2,3 min. e la Mtzn. 1,5 mm.; in quello di Giarabub, Przn. 2,5 mm. Mtzn. 1,8 mm.). I caratteri dei solchi del pronoto e le carene mediane e late¬ rali corrispondono a quelli della femmina. I femori posteriori sono più robusti, più ingrossati alla base, la loro larghezza è uguale a circa un quarto della lunghezza e le tibie sono più lunghe di quelle della femmina uguagliando la lunghezza dei femori. Colorazione. — Generalmente ocroleuca testacea, uni¬ forme, antenne più oscure, giallo brunicce alla base, più ten¬ denti al giallo rossiccio nella loro porzione cilindrica. Faccia di un giallo bruno più intenso. Guance bianchicce nei maschi, meno nelle femmine dove il bianco è limitato al margine inferiore delle medesime. Occipite con piccole macchie bianche, ordinate irre¬ golarmente, affievolite verso il fastigio del vertice. Indistinta fascia fatta da una serie di macchiette ricurve o- scure postoculari, dell'estremo superiore dell'occhio fino al punto corrispondenti all'inserzione delle carene laterali. Queste strisce sono più accentuate nei 2 maschi osservati, insieme con le mac¬ chiette bianche. Pronoto con disco a lievi crinature bianche nelle femmine, bianchicce nei maschi; carene pallide, lobi laterali con una de¬ bole fascia nerastra in corrispondenza delle carene laterali, con macchia biancastra nella porzione inferiore specialmente nel maschio. Elitre ialine, con nervature più oscure nell'esemplare di To¬ bruk, bianche negli esemplari di Giarabub. Estremità delle eli¬ tre tendenti al bruniccio. Vene radiali più intensamente colorate in giallo alla base ; femori posteriori bianco giallicci con una lieve tinta, ma assai leggera, violaceo chiara ; estremità unico¬ lori con macchia oscura al lato interno. Tibie debolmente vio¬ laceo bluastre, spine nerastre alla loro estremità. • * : gt — 241 — Le dimensioni sono le seguenti : (Giarabub (VII-26) (Tobruk III-24> 99 cT & Lungh. del corpo mm. 42,3 41- 42,5 26,5 23,- „ capo 5,4 5,8 5,4 4- 3,5 ii „ pronoto „ 7,2 7,- 7, 4,5 3,8 n delle elitre „ 1^ co 31- 31,5 20,5 19,- dei fem. post. „ 19,8 17,- 17, 12,3 11,- L'esemplare $ di Platypterna di Bengasi (Palmeto di E1 Me- nestre) determinato dal Giglio Tos per PI. tibialis è differente dalle tre femmine di Giarabub per il capo più allungato, per la faccia più obliqua, vertice più acuto, più lungo che largo, per la prozona del pronoto più ristretta, per le carene laterali della metazona più divergenti e più arcuate, per i femori posteriori, relativamente alla statura dell'animale più robusti e più ingros¬ sati alla base. Infine come colorazione, questa è generalmente più tendende al giallo ocraceo scuro, senza alcuna traccia di macchie bianche; la macchia genicolare alla faccia interna dei femori meno sviluppata, e infine le tibie posteriori non mostrano traccie di colorazione azzurrastra. & * * 8. Un'altra forma di Platypterna è rappresentata in un esem¬ plare cT di Agedabia (25-V-1925) decisamente affine a PI. prui¬ nosa. Ho infatti confrontato questo esemplare con un esemplare Q raccolto a Rodi dal Prof. Festa del Museo di Torino (1913) e determinato dal Giglio Tos per PI. pruinosa. Tranne le differenze inerenti alla differenza di sesso gli e— semplari di Agedabia e Rodi corrispondono nelle loro caratte¬ ristiche essenziali ed anche nella colorazione. Per maggiore chia¬ rezza darò una descrizione dei due esemplari, quello di Age¬ dabia potendo probabilmente costituire il tipo di una sottospecie cirenaica di PI. pruinosa. - 16 - a) Esemplare riferito a PI. pruinosa Br. (Rodi, 1913, Prof. Festa). Femmina. — Caratteri morfologici. — Vertice e occipite poco convessi con deboli rugosità, con carena lon¬ gitudinale mediana evidente regolare nel suo decorso. Sommi¬ tà del vertice tanto larga quanto lunga, ottusamente marginata; vista di profilo, leggermente e ottusamente angolosa, con re¬ fe e Fig. 6. — Platypterna pruinosa Br. — Q. a, Capo e pronoto visti di lato X 6; b, Capo e pronoto visti da sopra X 6; c, antenna di destra X 12 (da un esemplare di Rodi; III, 1913). stremità un po' prominente. Foveole temporali ricurve, assai profonde, a margini non troppo netti. Occhi subovoidali, obliqui, subtriangolari, ristretti anteriormente in corrispondenza del ver¬ tice, col lato maggiore nella direzione della faccia ; il loro dia¬ metro maggiore è un pò minore del doppio della lunghezza del diametro minore. Faccia piana, assai leggermente convessa; co- — 243 — sta frontale profonda, a margini elevati, paralleli dal vertice fino all’ ocello mediano, poi divergenti, ma sempre evidenti fino al solco del clipeo. Carene laterali della faccia elevate, ricurve in alto, attenuate verso gli occhi. Solco sottoculare debolmente impresso, retto. Antenne lunghe un pò meno del capo e pronoto riuniti, di¬ latate per circa il terzo basale. 3° articolo (il 1° della porzione dilatata) subtrapezoidale; 4° e 5° articolo trasversali, brevi, lunghi più di cinque volte la larghezza, uguali fra loro; 6° lungo circa quanto il 7° ambedue trasversali, larghi circa tre volte la lun¬ ghezza ; 8° e 9° meno trasversali, lunghi circa metà della loro larghezza, 10° quasi quadrato; 11° e 12° circa uguali, subquadrati, l'1 1° comincia a divenire cilindrico, 12° e seguenti cilindrici; ul¬ timi articoli moniliformi. Le antenne di questo esemplare sono composte di 25 articoli. Il pronoto ha il disco quasi piano, assai debolmente tetti- forme in vicinanza della carena mediana; metazona più breve della prozona (nell’esemplare esaminato Przn. mm. 2,5 Mtzn. mm. 1,5) entrambe rugose, ma nella metazona le rugosità sono dirette in senso longitudinale. Margine posteriore della metazona triango¬ lare, ma con angolo assai ottuso, quasi con lati un pò ricurvi. Carena mediana evidente, elevata; se vista di profilo, diritta senza accenno di dislivello tra la metazona e la prozona. Carene la¬ terali evidenti quasi parallele, ma un pò divergenti già verso la porzione posteriore della prozona, divergenti evidentemente nella metazona. Solco tipico, nel disco, retto che incide profondamente le carene laterali e la mediana; 1° e 2° solo della prozona, nella porzione posteriore di questa a decorso irregolare rientrante e poi avanzati, che incidono anche la carena media. Lobi laterali trapezoidali più lunghi che larghi, margine an¬ teriore retto, posteriore debolmente ricurvo, inferiore quasi retto, con una breve salienza mediana. Nei lobi laterali si notano un solco paramarginale anteriore; il prolungamento del 2° solco della prozona, che si estende assai in basso ; il prolungamento del solco tipico che si arresta circa alla metà. Pleure rugose, ma debolmente ; lobi metosternali quadrati, a margine interno subrotondato; lobi metasternali contigui sepa¬ rati alla base da uno spazio triangolare. — 244 Elitre che oltrepassano di poco l’estremità dell'addome, lun¬ ghe circa una volta e mezzo i femori posteriori. Femori posteriori robusti; la porzione più ingrossata larga circa un quarto della lunghezza totale. Tibie posteriori di poco più brevi dei femori, ad estremità assai leggermente allargata. Colorazione. — Bruna rossiccia, con larga presenza di zone irregolarmente colorate in bianco. Antenne uniformemente bruno giallastro; occipite biancastro, con una fascia mediana o- scura in bruno chiaro. Fasce post'oculari bruno intenso rossic¬ cio, che si continuano nella porzione superiore dei lobi laterali,, al disotto delle carene laterali del pronoto. Zampe anteriori e medie bruno rossicce. Femori posteriori giallo rossiccio alla faccia esterna, più pallidi alla faccia interna; macchia geniculare irregolare poco pronunziata, ma larga. Elitre ialine con nervature brune. Nervature radiali bruno scure. Area scapolare con larga fascia bianca. Tibie posteriori gialle più intensamente nella porzione basale e più debolmente alla loro estremità. Lungh. del corpo „ „ capo „ „ pronoto w delle elitre w dei femori poster. 9 nini. 23,- „ 3,2 n 4,- „ 16,6 „ 11,5 b) Esemplare di Agedabia riferibile ad una forma locale sirtica : PI. pruinosa agedabiae n. subsp. Questa forma di Platypterna di Agedabia nota per un solo esemplare d è strettamente affine a quella dell'esemplare di Rodi riferibile a PL. pruinosa Br. Maschio. — Caratteri morfologici. — Vertice e occipite poco convessi, con deboli rugosità , con carena longi¬ tudinale mediana obliterata nella porzione posteriore; sommità del vertice un po' più lunga che larga, a margini ottusi, vista di profilo pienamente ottusa. Foveole temporali profonde a margini evidenti, ricurve. Occhi subovoidali, obliqui subtrian- — 245 — golari, ma in maniera minore dell'esemplare di Rodi ristretti an¬ teriormente verso il vertice, il loro diametro maggiore circa il doppio del minore. Faccia piana, assai leggermente convessa; co¬ sta frontale profonda a margini paralleli, leggermente ristretti so¬ pra l’ocello, poi divergenti e obliterati in vicinanza del solco del clipeo. Carene laterali della faccia elevate, leggermente ricurve verso gli occhi. Solco sottoculare poco impresso, subsinuoso. Fig. 7. — Platypterna pruinosa agedabiae.. — a, Capo e pr noto visti di lato X 6; b, Capo e pronoto visti da sopra X 6; c, Articoli basali dell’antenna di destra X 12; d, Ultimi articoli della stessa antenna X 12 (da un esemplare di Agedabia V, 1925). Antenne lunghe quanto il capo e pronoto riuniti dilatate per circa il terzo basale; 3° articolo subtrapezoidale; 4° e 5° arti¬ coli trasversali, larghi circa tre volte la loro lunghezza, uguali; 6° poco trasversale, lungo circa la metà della larghezza; 7° subqua¬ drato, allungato, 8° e 9° traversali, lunghi metà della larghezza; 10° e 11° quadrato, Fll0 più piccolo di poco del 10°; 12° cilin¬ drico; 13° e segg. cilindrici. Antenne di 29 articoli. Gli ultimi cinque articoli assai ristretti e rimpiccioliti, moniliformi. — 246 — Il Pronoto ha il disco debolmente tettiforme, poco rugoso, la metazona più breve della prozona (Przn. 2,4 mm. Mtzn. 1,5 min.). Margine posteriore del pronoto ottusamente triangolare. Carena mediana evidente diritta, ma se vista di profilo, con un dislivello lieve dalla prozona alla metazona. Carene laterali un pò divergenti nella prozona, assai diver¬ genti nella metazona. Solco tipico a decorso trasversale retto, che incide le carene laterali e mediana; 1° solco della prozona e 2°, quasi nella porzione mediana di questa, che non incidono la carena mediana. Nei lobi laterali si notano il solco paramarginale anteriore; il 1° solco della prozona, che si estende di poco in basso; il 2° solco della prozona che percorre il lobo laterale quasi fino al margine inferiore; il solco tipico, che raggiunge circa il terzo in¬ feriore del lobo laterale. Elitre oltrepassanti di circa un terzo della loro lunghezza, restremità dei femori posteriori. Femori posteriori lunghi quattro volte la loro larghezza massima. Tibie posteriori di poco più brevi dei femori relativi, all'estremo leggermente ingrossate. Colorazione. — Bruno-ocroleuca, con presenza di zone più chiare concolori e bianche; antenne brune nella porzione ci¬ lindrica, bianchicce in quella dilatata. Occipite con fascia bruno chiara mediana fino all' estremo del vertice. Fasce postoculari brune che si continuano nella por¬ zione superiore dei lobi laterali del pronoto, al disotto delle ca¬ rene laterali. Guance bianchicce, faccia bruno giallastra. Zampe anteriori e medie giallette. Elitre ialine con nervature brune. Fa¬ scia bianca nell'area scapolare, pialletta nell'area interulnare. Fe¬ mori posteriori gialletti alla faccia interna con piccola e sbiadita macchia geniculare. Bruno-chiari alla faccia esterna. Tibie poste¬ riori uniformemente giallo pallido. Spine a estremità oscura. Lungh. del corpo „ capo „ pronoto delle elitre dei femori poster. Le differenze tra le due forme, quella di Rodi e quella di Agedabia, tralasciando la forma più allungata del capo di quello di Agebadia che può riferirsi alla differenza di sesso, (infatti negli esemplari precedentemente descritti di PI. lybica si nota, quale differenza tra i due sessi, anche una maggiore snellezza e pro¬ minenza del capo nei maschi), possono ritrovarsi, nella struttura del pronoto, della costa frontale, dell’antenna, nella colorazione e in genere nell’ habitus più snello che la forma di Agedabia mostra rispetto a quella di Rodi. 9. Dociostaurus genei (Ocsk.) 5 cFcF e 4 99 da Bardia (26-VII-25) 10. Omocestus ray mondi (Yers.) 3 cFcF e 1 9 da Ain Mara (IV-1926) 11. Aiolopus thalassinus (Fab.) 1 cF da Derna (15-V1I-924) e 1 cF da Bardia (25-VII-25) 12. Aiolopus strepens (Latr.) 3 cFcF da Bardia (22-VI-1926) 2 99 e 1 cF da Ain Mara (IV-26) 13. Locusta danica L. 2 99 e 1 cF da Ain Mara (IV, 1926) 14. Thalpomena dernensis (Wern.) (tav. 12, fig. 1, 2, 3; fig. 8). 1908. Sphingonotus dernensis Werner Z. Anz. Bd. 32, p. 715. 1908. — — — Zool. Jahrb. (Syst.). Bd. 27, p. 116, tav. 5, fig. 7. Tre esemplari che riferisco a questa specie 1 9 e 2 cF cF- La 9 di Bengasi e i due cF cF da Porto Bardia. La descrizione data di questa specie dal Werner (1908) è assai povera e si riferisce soltanto al maschio. Qui sarà data una descrizione anche della femmina. Femmina. — Caratteri morfologici. — Corpo di medie dimensioni notevolmente più grande di quello del maschio. — 248 — Capo con evidente ma rada pubescenza decisamenta pro¬ minente al disopra del livello della porzione del pronoto. Antenne circa i/5 più lunghe del capo e del pronoto riu¬ niti; articoli della porzione terminale (terzo apicale) più forte¬ mente comparsi di punteggiature di quelli dei due terzi basali. Lunghezza degli articoli terminali circa il doppio della larghezza. Faccia debolmente reclinata, cosparsa di punti impressi, irrego¬ larmente disposti. Costa frontale separata dal vertice da un lieve rilievo trasversale ristretta, allargata poi in corrispondenza della inserzione delle antenne e dell'ocello, poi ancora un po' ristretta; margini evidenti fino all'altezza dell'ocello, poi obliterati verso il clipeo a circa V3 di distanza dal solco clipeale. Fig. 8. — Thalpornena dernensis (\S ern.) — w , a, Capo e pronoto visti da sopra X 7I b, Capo e psonoto visti di lato X 7 (da un esem¬ plare di Bengasi [1, Vili, 923]). La costa frontale è convessa fino all’ altezza dell’ocello poi incavata. Carene laterali della faccia quasi rette, un po' arcuate con la concavità verso la costa frontale. Sommità del vertice quasi larga quanto la costa frontale, a margini laterali evidenti assai scoscesi, Foveole del vertice assai irregolari, rugose, a mar¬ gini indefiniti. Vertice impresso da una lieve concavità, con una impressione trasversa, rotondeggiante verso l'occipite. Occipite con carena mediana assai poco appariscente. Occhi a forma subovale, leg¬ germente ristretti inferiormente, bene prominenti. Solco subocu¬ lare ricurvo, impresso. Pronoto compresso nella prozona, pubescente come il capo; prozona ristretta, lunga meno della metà della metazona, a margine anteriore leggermente e ottusamente prominente. Solchi bene svi¬ luppati; solco paramarginale obliterato al mezzo per una cresta ottusa compresa trà il margine anteriore e il secondo solco del pronòto che è bene sviluppato, mentre il primo solco lo è scar¬ samente. Solco tipico bene sviluppato. Nello spazio compreso tra il secondo solco e il solco tipico e presso la linea mediana si nota una depressione trasversale a margini ottusi, di forma quasi ovale. Metazona piana, debolmente rugosa, a margine posteriore triangolare ottuso, leggermente ondulato; carena mediana ben distinta, lineare. Carene laterali non presenti, ma due angoli ottusi formati dalla superficie della metazona e dai lobi laterali. Lobi laterali larghi circa metà della loro lunghezza, debol¬ mente rugosi ; margine anteriore debolmente sinuoso ; margine inferiore obliquo, retto, angolo posteriore ottusamente rotondeg¬ giante; margine posteriore retto. Nei lobi laterali sono presenti il solco paramarginale, bene evidente; il 1° solco che si arresta circa alla metà; il 2° solco prolungato e il 3° solco che si ar¬ resta alla metà con un solco trasverso che lo congiunge al 2° solco. Meso e metapleure rugose pubescenti. Steriliti e zampe decisamente pubescenti. Femori posteriori larghi circa V3 della loro lunghezza, debolmente ristretti verso l'apice. Elitre che si estendono per circa l/3 della loro lunghezza al di là della estremità dell'addome. Nervatura discoidale ricurva verso la porzione distale dell’area discoidale (che è aperta), ravvicinata, ma che non tocca la nervatura radiale posteriore ; reticolazione piuttosto densa nella metà basale dell'elitra, regolare nella metà apicale. Ali larghe con nervature principali pi uttosto ingrossate. Colorazione. — Giallo ocraceo scuro. Capo uniforme- mente tendente al grigio brunastro con lievi punteggiature brune Antenne con articoli annulati di bruno alla base. Pronoto unifor¬ memente colorato della tinta fondamentale a metazona un po1 più scura. Elitre col quarto basale più oscuro, debolmente ialine, bruno rossicce. Al margine inferiore e nella zona compresa fra questo e 250 — le nervature ulnari posteriori si notano una serie di macchiette (sei) di cui le due ultime assai poco appariscenti. Una macchia più oscura mediana in relazione col margine anteriore. Ali ialine, de¬ bolmente rosee alla base, con una macchia oscura debolissimamen¬ te accennata nel campo delle nervature anali. Nervature oscure. Femori posteriori leggermente marrrìorati di bruno alla su¬ perficie esterna, superficie interna nera con una interruzione pal¬ lida verso l'apice. Solco inferiore nero, tranne la zona in corri¬ spondenza della fascia pallida presso l'apice. Tibie posteriori nero bluastre, con una fascia pallida presso la base, in maniera che, quando le tibie sono ripiegate contro il solco inferiore del femore, vi è perfetta corrispondenza tra la porzione nera della superficie interna del solco, del femore e quella della tibia. Maschio. — Caratteri morfologici. — Decisamente più piccolo della femmina più ingrossato e meno svelto. I carat¬ teri del capo corrispondono circa a quelli della femmina, soltanto che il capo è nel maschio meno prominente. Il pronoto è meno ristretto nella prozona, e la metazona ha una forma più deci¬ samente triangolare; gli altri caratteri coincidono con quelli della femmina. Elitre un po' più brevi, relativamente all’addome, che nella femmina. Nervatura discoidale più diritta, ma sempre appros¬ simata oltre il quarto basale alla nervatura radiale posteriore. Ali relativamente più lunghe e meno larghe. Femori posteriori larghi circa V3 della loro lunghezza. Pubescenza del corpo meno pronunziata. Colorazione. — Si tratta di esemplari provenienti da una località differente di quella della femmina e quindi non si può, data la nota variabilità della colorazione di questi Oedipo- dinae istituire un preciso confronto con la colorazione della femmina precedentemente descritta. Il colore nei due maschi esaminato e giallo ocraceo bruno, col capo tendente al grigio giallastro uniforme. Antenne anel¬ iate di bruno alla base. Pronoto del colore fondamentale ma con i lobi laterali più chiari. Elitre più ialine alla loro porzione api- cale, al terzo basale leggermente più oscuro con fascia mediana irregolare ma congiungente il margine posteriore e anteriore del- l'eli tra ; ialine al terzo apicale con accenno di una terza fascia ma assai irregolare spezzata in più macchiette. Ali rosee verso alla base con macchia oscura centrale. Femori posteriori con fascia trasversale appena accennata. Antenne come nella femmina. Tibie come nella femmina. § (Bengasi) Lunghezza del corpo mm. „ „ pronoto „ „ delle elitre „ „ dei femori poster. „ 19,- 4- 19,5 9,7 ÓV (Bardia) mtn. 16, — 15,- » 3,2- 3,5 „ 16,3-16,- » 8,2- 8,5 1 $ da Bengasi (1— Vili— 923) e due d'd' da Bardia (25-VII-925) 15. Acrotylus insubricus (Scop.) 2 (TcT e 1 ? da Giarabub (VII— 1926). 16. Egnatioides striatus (Voss.) 1 9 e 2 cfcf da Scegga (5— VI 1 1— 1 925). 17. Sphingonotus obscuratus (Walk.) 1 cT e 1 9 da Scegga (10-VIII-1925). 18. Sphingonotus octofasciatus (Serv.) 1 9 da Tobruk (V-1926). 19. Sphingonotus rubescens (Walk). (tav. 12, fig. 9: fig. 9, 10) I quattro esemplari che riferisco a questa specie prevengo¬ no da Scegga (1 9 e ì (f, [3-VI II— 1925]) e da Giarabub (2 cfcf, [VII. 1926]). L'Uvarov (1923) ha dato i caratteri distintivi di Sph. rube¬ scens relativamente a Sph. coerulans e in base a quelli, strut¬ tura del capo e del pronoto e specialmente nervatura dell'elitra, non esito a riferire a questa specie gli esemplari esaminati. Di questi esemplari dò qui alcune figure dell'insieme e dei particolari del capo e del; pronoto ad illustrazione dei pochi cenni descrittivi che faccio qui seguire. Caratteri morfologici. — Femmin a. — Capo e pronoto relativamente ottusi, poco svelti. Vertice largo quasi quanto la sua 252 — lunghezza con carena mediana assai evidente. Occipite convesso; ma tutto il capo non è fortemente prominente al disopra del pro¬ noto. Antenne più lunghe del capo e del pronoto riuniti. Costa frontale subpiana, poco obliqua, separata superiormente dalla carena mediana del vertice ed all'apice di questo da una piccola impressione. Margini abbastanza pronunziati ravvicinati in cor¬ rispondenza deH’inserzione delle antenne, distanziati in seguito e ravvicinati nuovamente in corrispondenza dell'ocello mediano, che è proprio situato al disopra di questa costrizione. In seguito divergenti e obliterati quasi a metà distanza tra. l'ocello e il clipeo. Carene laterali della faccia debolmente sinuose. Foveole temporali debolmente impresse. Solco sottoculare quasi retto. Pronoto chiaramente ristretto nella prozona, debolmente gra- nuloso. Margine anteriore della prozona debolmente avanzato. Disco a solco paramarginale poco impresso, ma chiaramente pre¬ sente, interrotto nel mezzo da una ottusa salienza con due im¬ pressioni laterali che occupano tutto lo spazio interposto tra il solco paramarginale e il primo solco. Primo solco debolmente e largamente rientrante, fortemente impresso. Secondo solco in¬ terrotto nel mezzo da una larga fossetta abbastanza profonda, ovoidale, limitata da margini elevati ottusi, rotondeggianti; il li¬ mite posteriore coincide col terzo solco (solco tipico), quasi retto, assai profondo. Metazona lunga circa due volte e mezzo la prozona a margine posteriore subtriangolare rotondeggiante, lievemente ondulato; anteriormente ai due lati e verso il solco tipico si notano due bozze semi ottuse. Carena mediana evidente, debolmente obliterata verso l'ini¬ zio del solco tipico. Lobi laterali più lunghi che larghi (2: 1). con margine inferiore obliquo, terminato all'angolo posteriore da una salienza acuta. I solchi che si notano sono: il paramargi¬ nale, il 1. solco che si estende fino a metà, il 2. solco e il 3. (solco tipico) quasi fino al margine inferiore; un piccolo solco trasversale è situato fra il 2. e il 3. solco, circa a metà dei lo¬ bi laterali. Elitre lunghe circa due volte e mezzo la lunghezza dei fe¬ mori, a margini quasi paralleli, attenuate leggermente e ricurve all'apice che è ottuso. ; - . v " v- «. — 253 — La caratteristica della nervatura intercalata di essere curva nella zona distale e ravvicinarsi alla radiale posterione è qui be¬ ne evidente. Le nervature secondarie dell'area compresa fra la nervatura intercalata e la nervatura ulnare anteriore sono a strut¬ tura e disposizione regolare, quasi parallela per la serie di maglie b Fig. 9. — Spingonotus rubescens Walk. — (J). a, Capo e pronoto visti di lato. X 7; b, Capo e pronoto visti da sopra. X 7 (da un esemplare di Scegga £3— VI 1 1 —925]). immediatamente al disotto della n. intercalata più irregolari per la rimanente porzione. In generale possono individuarsi tre serie di maglie più o meno mascherate, in alcuni punti, le maglie delle due serie inferiori (cioè verso la ulnare anteriore) sono as¬ sai piccole. Femori posteriori lunghi quattro volte la larghezza, a su¬ perficie esterna piana con le impressioni caratteristiche. Tibie posteriori un pò più corte dei femori posteriori. Maschio. — Più piccolo della femmina, più snello. E’ no¬ tevole una maggiore costrizione della prozona e una maggiore prominenza degli occhi. Nei tre maschi esaminati (uno di Scegga. [3. Vili, 925] e due di Giarabub [VII, 1925]) i caratteri, pur coincidendo in ge¬ nerale, mostrano alcune differenze qualitative di un certo ri¬ lievo. Anzitutto la costrizione della prozona del pronoto è più accentuata nei due maschi di Giarabub, che in quello di Sceg¬ ga e nel capo gli occhi di questi ultimi sono più rotondeggianti — 254 — è maggiormente prominenti, e più ravvicinati di quello di Sceg- ga. Il vertice è in questi esemplari di Giarabub, più stretto e la carena mediana è assai più accentuata. La struttura dei solchi, che corrisponde a quella della femmina è nei maschi di Giara¬ bub meno profondamente manifesta che in quello di Scegga, in cui le somiglianze con quelli della femmina da me figurati è assai più evidente. Cosi pure i lobi laterali negli esemplari maschi di Giarabub sono un pò meno allungati e il margine inferiore è sinuoso. I solchi dei lobi laterali, anch’essi meno accennati, cor¬ rispondono a quelli del maschio di Scegga e della femmina. Fig. 10. — Sphingcnotus rubescens Walk. — r-7'. a, Capo e pronoto visti di lato X 7* b, Capo e pronoto visti da sopra X 7 (da un esemplare di Giarabub |VIl-926j). L’ elitra del maschio di Scegga differisce poco da quella della femmina della stessa località. Ma nei due esemplari di Gia¬ rabub le nervature secondarie trasversali sono più regolari e mentre nel cT di Scegga possono riscontrarsi, per quanto molto irregolari tre serie successive di maglie nel campo tra la inter¬ calata e la ulnare anteriore, in quelli Giarabub queste nerva¬ ture sono più regolari (2 serie di maglie) e somigliano di più alla figura data dall'UvAROV (1923). Colorazione. — La colorazione generale è giallo rossiccia con sfumature grigio giallastre. La macchiettatura delle elitre e nei due esemplari di Scegga meno accentuata che in quelli di Gia¬ rabub. La prozona basale dell'elitra è occupata da una macchia oscura più o meno accentuata maggiormente, in alcuni punti, macchia che si estende fino a circa la metà della lunghezza del¬ l'area intercalata; a questa macchia basale ne fa seguito un'altra 255 meno definita e con maggiori spazi trasparenti nel suo ambito, che occupa la porzione dell'elitra in corrispondenza dell'area in¬ tercalata, con una maggiore intensità in corrispondenza della zona compresa tra l'ulnare anteriore e il margine posteriore del¬ le elitre. La zona distale dell'elitra è occupata da altre macchiette, che possono considerarsi come resti di macchie continue non perfettamente sviluppate, perchè riunibili in gruppi non bene definiti la cui maggiore accentuazione permane in corrisponden¬ za del margine posteriore dell’elitra Tendenza generale delle mac¬ chie a rimanere circoscritte nei limiti delle maglie delle nerva¬ ture secondarie. Ali debolmente cerulescenti alla base e per gli ultimi tre o quattro settori anali, perfettamente ialine; nervature nerastre. Femori posteriori con accenno (maggiormente accen¬ tuato negli esemplari di Giarabub) di macchia preapicale al mar¬ gine superiore. Tibie posteriori con macchia geniculare oscura, bianchicci e in seguito, cerulescenti dalla metà all'apice. Scegga (3- VI 1 1—925) Giarabub (VII, 926) 9 d d* del pronoto „ 5,7 4,4 3,8 4- ti delle elitre „ 33,- 26,5 24,5 26,4 H dei fem. poster. „ 13,4 11,1 10,5 11,5 20. Sphingonotus azurescens (Ramb). Vari esemplari di Sphingonotus vengono da me riferiti a questa specie, intesa in un senso molto largo. Differenti for¬ me forse separabili specificamente o meglio ancora come razze geografiche o ecologiche di un unica specie. Esemplari di Sphingonotus proveniente da Linosa (Isole Pelagie, sono stati da me descritti (1927) riferendoli a questa specie ed ancora una serie di esemplari raccolti in Calabria e nel Napoletano da riferire anche a queste specie intesa nel senso sopra indicato saranno prossimamente da me illustrati. Differenze fra questi gruppi di esemplari, appartenenti ad un unico insieme di forme esistono, ma la difficoltà, a causa principalmente dello scarso materiale di osservazione (materiale non sempre di facile raccolta) sta principalmente nel precisare queste differenze il più delle volte anzi quasi sempre di valore qualitativo, non facilmente definibile con parole e tanto meno da potersi individuare con misure. Caratteri importanti per la differenziazione di queste forme di Sphingonotus sono dati oltre che dall'aspetto generale, che ha una parte preponderante nella distinzione delle forme, anche dalla struttura e dai rapporti reci¬ proci del capo e del pronoto ed anche dalla colorazione in re¬ lazione quest'ultima, evidentemente, con le condizioni ecologiche. Il carattere della nervatura delle elitre e delle ali, ha secon¬ do I’Uvarov (che ha voluto cortesemente accondiscendere a mie questioni in proposito rivoltegli, specialmente per la determina¬ zione deH’esemplare di Linosa) poco valore essendo questo. as¬ sai variabile. Di ciò ho potuto convincermi esaminando oltre la piccola serie di esemplari qui studiata anche la più estesa serie di Sphingonotus di Calabria e Napoletano che sarà come ho detto prossimamente da me illustrata. a) Esemplari di Cirene, (tav. 12, fig. 4, 5, 6). Femmina — Caratteri morfologici. — Cor po de¬ bolmente pubescente nel capo, torace e zampe. Capo ben pro¬ minente al disopra della prozona, leggermente ristretto inferior¬ mente. Sommità del vertice scoscesa, ma non fortemente, a mar¬ gini piuttosto evidenti. Vertice un po’ più lungo che largo, a margini evidenti, sempre più ravvicinati verso V occipite dove all'altezza degli occhi, si obliterano, con carena mediana debol¬ mente accennata. Foveole del vertice a margini ottusi ma ben netti. Faccia quasi verticale. Costa frontale pianeggiante, impressa, separata dal vertice da una lieve depressione trasversale, mar¬ gini laterali ben pronunziati, quasi paralleli tra il vertice e l'in¬ serzione delle antenne, divergenti in corrispondenza deli' inser¬ zione dell'ocello mediano, poi ravvicinati e bruscamente diver¬ genti; tali margini si continuano, sempre più aumentati fino allo inizio del clipeo. Carene laterali della faccia un po’ ricurve quasi obliterate verso il clipeo. Solco sottoculare un po' sinuoso ben pronunziato. Occipite convesso. Occhi subovoidi, appena trian¬ golari perchè ristretti inferiormente, poco prominenti. Antenne lunghe più del capo e del pronoto riuniti. Pronoto a prozona ristretta. Margine anteriore leggermente avanzato, leggermente emarginato al mezzo. Solco paramarginale largo, poco profondo quasi interrotto, in corrispondenza della linea mediana, da una salienza careniforme ottusa, che interessa lo spazio compreso fra il margine anteriore e il primo solco. Primo solco profondo, bene evidente, ricurvo. Secondo solco interrotto in corrispondenza della linea mediana da una depressione ovale trasversa, a margini larghi ottusi, che interessa tutto lo spazio fra il primo solco e il terzo (solco tipico). Metazona lunga più di due volte della lunghezza della prozona, a margine posteriore ottuso all'apice, con carena mediana evidente, specialmente nella prima metà, verso il solco tipico. Ai lati, proprio all' inizio dei lobi laterali, e con questi, la metazona forma angolo poco smus¬ sato, ma evidente. Lobi laterali a margini inferiori presso l'angolo, avanzati in una salienza acuta ma ad apice smussato. Nei lobi laterali si notano il solco paramarginale, il primo solco che si arresta quasi al terzo superiore, il secondo solco prolungato fino quasi al mar¬ gine inferiore, il solco tipico che si arresta quasi a metà alla estre¬ mità del quale, un solco trasversale lo congiunge al secondo solco. Meso e metapleure rugose. Elitre prolungate per più di 1/3; della loro lunghezza al di là dell'estremità dei femori posteriori; al loro quarto apicale leggermente ristrette. Nervatura intercalata quasi diritta, assai poco ravvicinata alla radiale posteriore; porzio¬ ne dell'area discoidale compresa fra la radiale posteriore e l'inter¬ calata con nervature trasversali parallele; porzione compresa fra 1' intercalata e l'ulnare anteriore reticolata. Zona interulnare re¬ ticolata, con una nervatura avventizia alla prima metà. Ali più lunghe che larghe con nervature principali ingrossate. Femori posteriori larghi meno di l/3 della lunghezza, ristretti al loro quarto apicale, piuttosto svelti. Colorazione. — Giallo - bruno rossiccio come colore fondamentale. Capo cosparso di marmorature grigiastre. Pronoto uniformemente colorato della tinta fondamentale. Elitre subialine, con fascia occupante tutto il terzo basale, di un bruno più oscuro, col margine distale con macchiette di un bruno intenso. Accenno di una fascia submediana. Piccole macchiette brune nella re¬ gione apicale. - 17 - 258 — Ali ialine con nervature nerastre debolmente tinte in azzurro chiaro verso la base (ultime aree anali). Fascia bruno nerastra ben pronunziata a margini netti, ma irregolari debolmente sfu¬ mata verso la sua porzione posteriore. Femori unicolori con lievi marmorature brune, con accenno di due fasce trasversali oscure. T'bie pallide, un po’ bluastre, tra le spine, verso l'apice, con mac¬ chia geniculare interna, oscura. Maschio — Caratteri morfologici. — Più pic¬ colo della femmina. Capo meno prominente. Vertice più largo che nella femmina, con carena mediana poco pronunziata. Foveole poco impresse con margini meno evidenti. Antenne più lunghe del capo e pronoto riuniti. Occhi più ovoidi e più prominenti. Costa frontale e carene laterali della faccia come nella femmina. Solco sottoculare bene impresso. Pronoto con prozona un po' meno ristretta di quella della fem* mina; con solchi meno impressi, con la stessa disposizione della femmina. Metazona a dislivello meno accentuato dalla prozona, che non nella femmina. Lobi laterali con secondo solco e solco tipico assai profondi, quest’ultimo che si arresta alla metà, con¬ giunto da un solco trasversale al secondo verso la metà del per¬ corso. Meso e metapleure rugose. Elitre che si estendono per circa l/3 della loro lunghezza al di là dell’estremità dei femori posteriori. Reticolazione meno densa. Nervatura intercalata più ricurva di quella della femmina ma che non tocca la radiale posteriore. Area interulnare come nella femmina. Ali più lunghe che larghe con nervature princi¬ pali ingrossate. Femori posteriori larghi circa l/3 della loro lun¬ ghezza. Colorazione. — Differisce da quella della femmina per una maggiore accentuazione delle marmorature brune, e per la fascia oscura delle ali assai più larga e sfumata al margine in¬ terno. Lunghezza del corpo „ „ prò noto „ delle elitre „ dei femori poster. 9 mm. 24,- « 4,5 „ 23,3 » 12,5 cT 20,5-21,- 42 - 4,5 21,3-21,8 10, -10,2 Cirene. 1 9 e 2 cTcf. ( 1 5— VI 1—924) — 259 b) Esemplari di Porto Bardia. (tav. 19, fig. 7, 8) Si tratta di due femmine. La caratteristica principale di queste due femmine è una dimensione relativamente minore, una rugosità relativamente accentuata del capo del pronoto della pleure e dei femori posteriori. Corpo poco pubescente, specialmente torace e zampe anteriori e medie. Capo ben prominente al disopra della prozona. Sommità del vertice assai scoscesa, ristretta. Vertice largo quasi quanto lungo, con rugosità e depressione generale larga, con margini ricurvi, evidenti, ottusi, leggermente convergenti verso l'occipite che a livello degli occhi si obliterano. Foveole tempo¬ rali a margini più netti, ma aperte posteriormente. Faccia verticale; costa frontale impressa, separata dalla som¬ mità del vertice da una impressione ristretta. Carene laterali assai ravvicinate all'inizio indi divergenti, assai distanziate in corrispon¬ denza dell'ocello, ravvicinate in seguito e divergenti bruscamente; obliterate proprio al limite della faccia col clipeo. Carene la¬ terali della faccia evidenti per tutto il loro percorso. Solco sot¬ toculare impresso. Occhi ovoidi leggermente ristretti inferior¬ mente. Antenne lunghe più che il capo ed il pronoto riuniti. Pronoto rugoso a metazona quasi allo stesso livello della prozona. Prozona leggermente ristretta, con margine anteriore leggermente avanzato. Solchi meno evidenti che negli esemplari di Cirene. Impressione ovoidale nello spazio compreso tra il secondo e il solco tipico assai poco profonda. Cresta compresa tra il mar¬ gine anteriore e il primo solco stretta, non smussata come negli esemplari di Cirene. Metazona rugosa a margini posteriori ondu¬ lati, a carena mediana ben evidente. Angoli laterali ben pronun¬ ziati. Lobi laterali lunghi una volta e mezza la loro larghezza; margine inferiore obliquo ristretto e prominente in basso verso l'angolo posteriore, terminato come in quelli di Cirene, ma meno acutamente, da una salienza triangolare ad apice smussato. Meso e metapleure meno rugose del pronoto. Elitre con venature dello stesso tipo degli esemplari di Ci¬ rene. Porzione apicale più ristretta; reticolazione del quarto ba¬ sale densa. Nervatura discoidale intercalata quasi retta ma un po’ sinuosa verso la radiale posteriore alla sua porzione distale. Zona dell’area discoidale compresa fra la radiale posteriore e la di- — 260 scoidale con nervature trasverse. Zona posteriore dell'area di¬ scoidale, tra la n. discoidale e l'ulnare anteriore reticolata come nell'elitre degli esemplari di Cirene* Area interulnare con ner¬ vatura avventizia sottile, ma marcata. Ali dello stesso tipo di quelle di Cirene, un po' più larghe che lunghe e con margini posteriori della zona radiata più ro¬ tondeggianti. Nervature meno ingrossate* Femori posteriori un po’ più ristretti alla base di quelli de¬ gli esemplari di Cirene. Colorazione. — Differente nei due esemplari esaminati: in uno la colorazione fondamentale è bruno-rossiccia (fig. 7, 8) mentre nell'altra 9 è di un bruno tendente al rossiccio ma più chia¬ ro. Sono da notare nel capo due fasce oscure che fanno seguito nel¬ l’occipite alle carene laterali del vertice e due deboli fasce parallele a queste, postoculari. La macchia basale delle elitre non è terminata debolmente da una accentuazione di colorito più oscuro come ne¬ gli esemplari di Cirene e le altre fasce, la submediana e la ter¬ minale, risolte in tante piccole macchiette, sono appena accennate* Ali ialine con nervature nerastre nel campo anteriore, bianco brunicce nella zona radiata debolmente azzurrine alla base. Mac¬ chia oscura dell'ala ristretta al margine anteriore e con un an¬ golo un po’ saliente al margine laterale* Femori posteriori con accenno di fascia oscura obliqua alla loro faccia esterna. Oscur1 alla base nella faccia interna con anello oscuro peapicale* Notevole la presenza nell'esemplare qui figurato di macchiette bianche al margine posteriore del pronoto, sulla faccia esterna dei femori posteriori. Il Finot (1895) a proposito della diagnosi da lui data di Sph. arenarius Lue. dice “ prozone et bords la- teraux de la métazone très souvent ornés de blanc „ ed a pro¬ posito di Sph. savignyi Sauss. dice pel pronoto " disque prè- sentant deux bandes blanchàtres laterales Tibie posteriori pallide unicolori. Lunghezza del corpo „ pronoto delle elitre dei femori poster. $ 22,5-22,- 4,- 4,2 22, -22,5 11.2-11.- Porto Bardia (20-VII-925) 2 99. 261 — 21. Belioscirtus gravesi Uv. (tav. ì?t fig. 10-13) Ho potuto osservare quattro esemplari da riferire a questa specie due e due $9. Il Dr. Uvarov del British Muse uni ha voluto gentil¬ mente confrontare il tipo 9 della specie da lui istituita che coincide perfettamente con gli esemplari da me qui descritti; vadano perciò a lui sentiti ringraziamenti. Ecco dunque una descrizione degli esemplari esaminati. Maschio — Caratteri morfologie i. — Capo se è visto di profilo distintamente prominente, al disopra del pro¬ noto, breve. Vertice più breve che largo, assai scosceso, a margini evi¬ denti ma ottusi, separato dalla costa frontale da una piccola impressione trasversa, con una breve ma larga e poco elevata carena longitudinale mediana. Quasi al termine posteriore di que¬ sta carena verso l’occipite si nota una larga depressione trasver¬ sale fra gli ocelli. Costa frontale quasi retta, debolmente obliqua se vista di profilo, a margini evidenti, paralleli fino all’altezza dell’ocello, al¬ largata e poi ristretta intorno a questo, in seguito divergente fino al clipeo, dove i margini divengono assai poco appariscenti. La superficie della costa frontale sopra l'ocello presenta una convessità longitudinale mediana che si continua poi, separata però dalla impressione trasversale, con la carenula ottusa del vertice sopra accennata, inferiormente all’ocello impressa, poi piana fino al clipeo. Nella porzione sopra l'ocello la costa fron¬ tale è larga un terzo della distanza infra-oculare; nella porzione più larga in corrispondenza dell'ocello è larga circa metà della distanza infra-oculare. » Occhi subovoidi, con l'apice inferiore distintamente ristretto quasi acuto, larghi circa due terzi dell'altezza; altezza circa u- guale alla distanza infra-oculare, misurata questa in direzione del¬ l’apice del vertice. Pronoto con prozona evidentemente ristretta, lunga circa la metà della metazona; margine anteriore leggermente avanzato nella porzione mediana con una debole emarginatura nel punto della maggiore salienza. Nella prozona il primo solco, paramar- — 262 gi naie fortemente impresso, secondo solco anche impresso ma con una lieve e ottusa concavità in corrispondenza della linea me¬ diana occupata da una ottusa e bassa salienza careniforme lon¬ gitudinale. Nella porzione della prozona compresa fra il secondo solco e il solco tipico che la separa dalla metazona, e nella zona mediana di questa parte a contatto del solco tipico, si nota una infossatura con due salienze rotondeggianti laterali che la de¬ limitano. Metazona rugosa con infossature e depressioni roton¬ deggianti, con carena longitudinale ottusa, irregolare nel decorso; margine posteriore della metazona triangolare, apicalmente ottu¬ so a lati debolmente ricurvi. Superficie della metazona subcon¬ vessa che al limite coi lobi laterali forma, specialmente al mar¬ gine anteriore, due distinti angoli arrotondati. Lobi laterali più lunghi che larghi (circa 1/2 della lunghezza) margini anteriori assai debolmente ondulati, posteriori quasi retti. Margini inferiori obliqui. Angoli anteriori larghi a vertici ottusi. Angoli posteriori largamente rotondeggianti. Elitre oltrepassanti notevolmente l’estremità del corpo, esten- dentesi per circa 4/3 della loro lunghezza al di là dell’estremità dei femori posteriori, a margini, anteriore e posteriore, quasi pa¬ ralleli, leggermente ondulati con una lieve salienza in corri¬ spondenza dell area mediastina, debolmente ristrette all’apice che è obliquamente troncato. Nervatura intercalata quasi parallela alle radiali e all’ulnare anteriore, per circa i due terzi basali del suo percorso, debolmente ricurva e approssimata alla radiale posteriore verso l'apice. Area compresa fra la radiale posteriore e l'intercalata con nervature d’ordine secondario parallele più o meno regolarmente biforcate verso la porzione basale dell'elitra. Area compresa fra la nervatura intercalata e la ulnare anteriore irregolarmente reticolata. Area interulnare con due serie di cel¬ lule, con nervatura adventiva quasi ben costituita. Ali triangolari, margine anteriore lievemente sinuoso, mar¬ gine posteriore con due salienze rotondeggianti, una in corri¬ spondenza del campo delle radiali, l'altra più larga fra questo e il campo percorso delle nervature anali. Nervature delle ati piut¬ tosto deboli, le anali alternativamente ingrossate. Femori brevi, piuttosto larghi (la lunghezza uguale a quat¬ tro volte la larghezza). — 263 — Tibie posteriori larghe circa quanto i femori. Le spine ai margini superiori negli esemplari in numero. Tibia post, sinistra. Lato esterno „ „ „ Lato interno Tibia post, destra. Lato esterno „ » ... Lato interno esaminati sono così ripartite d" Altro cf N.° spine 8 9 13 12 ti 9 9 n 12 12 Femmina. — Capo meno saliente del disopra della prozona che nel maschio. Vertice più largo. Pronoto a prozona meno ri¬ stretta, a metazona meno bruscamente elevata nella prozona. Elitre a nervatura intercalata dell'area discoidale più retta, quasi equi¬ distante dalla radiale posteriore e dalla ulnare anteriore. Area in- terulnare con due serie di cellule nella porzione prossimale che divengono incerte neila zona distale. Femori posteriori più ingrossati, meglio sviluppati ma sempre col medesimo rapporto tra lunghezza e larghezza (larghezza u- guale a l/4 d^la lunghezza). Tibie posteriori lunghe circa quanto i femori posteriori con spine ai margini interno e esterno così ripartite negli esemplari esaminati. ? Altra 9 Tibia post. sinistra. Lato esterno N.° spine 9 9 V w a Lato interno „ 11 11 V » destra. Lato esterno „ 7 8 H W V Lato interno „ 11 12 Colorazio ne. — Bianco lattescente tendente al giallo bruno ocraceo. Antenne con anellature brune a limiti poco netti. Co¬ lorazione del capo uniformemente bianco lattescente oppure con lievi macchiette giallo ocracee. Pronoto come il capo. Nell'e¬ semplare cf il cui capo presenta delle macchiette al disco del pronoto le presenta più fitte e meglio evidenti. Lobi laterali sempre più chiari relativamente al disco in tutti i tre esemplari esaminati. Elitre ialine. Parte basale sempre più oscura. Le mac¬ chie a colorazione più oscura variano negli esemplari esami¬ nati; in generale però si possono distinguere le seguenti mac- chiettature. 264 — Nella parte basale dell' elitra fino a circa la metà dell' area discoidale corre la macchia basale più accentuatamente oscura verso il suo limite distale perchè nella porzione basale vi sono delle interruzioni più chiare che accennano ad una suddivisione di questa macchia. In corrispondenza della biforcazione delle radiali e della fine del campo discoidale, corre un’altra macchia sempre più accentuata, come del resto anche la precedente, in corrispondenza dell’area anale. Nella seconda metà dell' elitra si nota una altra macchia anteriore, poco sviluppata in corrispon¬ denza dell’area mediastina e scapolare, e in seguito tre altre macchie non continue, ma ridotte a due macchie: una verso il margine anteriore l’altra verso il margine posteriore. L’ultima si risolve in una serie di piccole macchiette. Negli altri esemplari le' macchie stanno pressapoco ripartite nelle identiche maniere. Negli esemplari $ vi è però da notare che le macchie, tranne nella regione del campo anale si risolvono in piccole macchiette che lasciano però sempre individuare la posi¬ zione delle macchie, così bene sviluppate nei maschi. Le tibie posteriori hanno sia nei d che nelle 9 una mac¬ chietta oscura alla base al lato esterno, il primo quarto è giallo chiaro, poi hanno un colore tendente al verdiccio giallastro. Al- l'estremità ridiventano gialliccie. Le dimensioni degli esemplari esaminati sono le seguenti : d d $ ? Lung. del corpo mm. 23,5 23,- 24,5 24,- x „ capo » 2,9 2,5 2,7 2,9 u delle antenne „ 9- 9,5 10- 10,2 a del pronoto . 4,5 4,5 5- 5- w delle elitre » 24- 24,5 23,9 23,5 w dei fem. post. » 9,5 9,5 10,7 10,5 2 dd e 1 $ da Scegga (5- Vili— 1925); 1 9 da Scegga (3— VI 1 1— 1 925). 22. Tmethis cisti kart erti Uv. 2 9$, 3 dd, 2 dd (larve) e 1 9 (larva) da Ain Mara (IV-1926). 23. Pyrgomorpha conica (Ol.) 265 Oli esemplari che riferisco a questa specie sono nove così ripartiti per sesso e per località. Giarabub, VI - 1926, 1 9 Agedabia, V - 1925, 1 9 e 1 cT Tobruk, IV - 1925, 3 dV Ain Mara, IV - 1926, 3 cTcf Il carattere dato dallo " interspazio mesoternale „ esclude che questi esemplari possano riferirsi a P. vosseleri Uv. Tranne nell'esemplare 9 di Giarabub in tutti gli altri la lun¬ ghezza dello interspazio mesosternale e sempre uguale o minore della sua larghezza. La struttura del pronoto e specialmente quella dei lobi la¬ terali, ricorda quella degli esemplari figurati dal Vosseler come P. cognata Krauss, ma dalla figura del Vosseler si distinguono gii esemplari cirenaici da me esaminati e qui figurati per la man¬ canza di accentuazione acuta degli angoli infero-anteriori e in¬ feriori posteriori dei lobi laterali del pronoto. La 9 di Giarabub è quella che per questo carattere si av¬ vicina di più alla figura del Vosseler mentre per la forma delle parti dello sterno si accosta alla figura delle stesse parti date daH'UvAROV (1923) riferita a P. vosseleri. Gli esemplari di Agedabia si distinguono per la loro ru¬ gosità accentuata specialmente la 9- Quelli di Tobruk per la speciale forma del margine inferio¬ re dei lobi laterali del pronoto ed infine quelli di Ain Mara per la conformazione del capo più acuta. Per la forma del margine inferiore del pronoto l'individui di Ain Mara si avvicinano assai a quelli di Tobruk mentre quelli di Agedabia a quello di Giarabub. Il numero degli articoli delle antene e leggermente più ele¬ vato negli individui di Agedabia e Tobruk (16-17) che in quelli di Ain Mara e Giarabub (15-16). La colorazione e assai variabile. L'individuo 9 di Giarabub e giallo ocraceo con lievi macchiette oscure nella area esterna dell'elitra (tra le radiali e il margine anteriore). La fascia post' 0- culare oscura è pochissimo accennata e così le fasce superiori — 266 dei lobi laterali del pronoto. Le ali hanno alla base una lieve colorazione rosea. Gli esemplari di Agedabia hanno le rugosità più elevate in bianchiccio mentre presentano gran varietà di variegature nel ca¬ po, nel pronoto e nelle elitre, specialmente nelle 9. Il nucleo è un pò più chiaro. Le ali hanno una colorazione basale assai de¬ bolmente rosea. Gli esemplari di Tobruk e Ain Mara si distinguono per la loro colorazione più scura. Il vertice, l'occipite e il disco del pronoto, sono colorati in bruno scuro. Le ali debolmente colo¬ rate in roseo, alla base presentano qualche iridescenza. In generale in tutti gli esemplari e costante nei lobi laterali del pronoto più o meno chiaramente distinta al loro terzo infe¬ riore una fascia di colorazione sempre più chiara dal resto della colorazione (Tobruk). Le dimensioni degli individui sono le seguenti: Giarabub. Agedabia Tobruk Ain Mara 9 $ cf c? cT Lutig. corpo 24,- 24,- 16,5 16,5-17,6 15,-16,5 M capo 3,1 3,5 2,6 2,9- 3,1 2,6- 2,8 V antenne 5,5 6,5 4,5 5,1- 6,- 4,5- 5 M pronoto 4- 4,2 3,4 3,2- 3,4 3,- 3,2 W elitre 18,5 17,2 10,9 13,5-14,- 12,-13,5 w fem. post. 9,5 12- 8,- 8,6- 9,- 8,— 8,2 24. A cinipe orientalis (Wern.) 1 cf e 2 cfd* (larve) da Aiti Mara (IV-1926). 25- Dericorys militerei Bonn, et Fin. 3 99 da Bardia (20- VII— 1 925). 25. Calliptamus italicus (L.) 2 9$ e 1 cT da Bardia (22-VI-1925). Thisoicethrus littoralis (Ramb.) 1 a" da Giarabub (IV-1926). 2 99 da Scegga (5— VI 1 1— 1 925). Napoli , maggio 1927. — 267 — Aggiunta Durante la preparazione e la stampa di questo lavoro ho ricevuto un'altro invio di Ortotteri, raccolti ancora in Cirenaica dal sig. Krùger nelle stesse località dove furono raccolte le specie di Blattidae ed Acrididae precedentemente notate. Que¬ sta raccolta contiene specie appartenenti ai Mantidae , Phasgo- nuridae, Achetidae ed ancora un certo numero di Dermatteri. Noto qui le specie rinvenute: Fam. Mantidae 1. Heteronytarsus aegyptiacus Lef. 1 9 da Oiarabub (Vili— 1926) ; 1 cf (larva) raccolta nel II- 1927 a Bir Dakar Teruzzi (540 km. a Sud di Giarabub), dal Cap. Adolfo Vitale. 2. Eremiaphyla Typhoti Lef. 1 9 (larva) da Giarabub (VII— 1 926) ; 1 9, 1 9 (ninfa), 1 cf (ninfa) raccolti a Bir Dakar Teruzzi nel 11-1927 dal Cap. A. Vitale. 3. Centromantis denticollis (Lue.). 1 cf larva da Tobruk (V-1925). 4. Elaea marcitali (Reiche et Fairmaire). 2 cf cf da Giarabub (VII— 1926). 5. Rivetina baetica (Ramb.). 1 cf da Giarabub (VII— 1926). \ Fam. Phasgonuridae 6. Phaneroptera falcata (Poda) . 2 efef da Derna (22-VI-1925). 7. Platycleis grisea (F.). 2 99 e 1 cf da Tobruk (V-1926). — 268 — 8. Platycleis laticauda Br. 1 9 da Bengasi (5-V-1926). 9. Metrioptera tessellata (Charp.). 1 9 e 1 c? da Bengasi (V-1926). 10. Steroplearus lucasii (Br.). 1 9 da Bardia (21-VI-1925). Fam. Gryllidae 11. Qryllus domesticus (L.). 5 dans le Nostoc commune. C. R. de l’Ac. d. Se. 163. Wille N. — Phykoerythrin bei den Myxophyceen. Berichte Deutsch. Bot. Ges. Bd. 40, 1922. Finito di stampare il 30 dicembre 1927, Sulla presenza della Barentsia discreta Busk nel Golfo di Napoli del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 6 maggio 1927) Per quanto nel Golfo di Napoli vi siano varie specie di Endoprotti i) non era stata finora registrata la presenza della Barentsia discreta che Busk per la prima volta ha descritto sotto il nome di Ascopodaria discreta * 2). Questa specie, infatti fu da lui rinvenuta presso le Isole Tristan de Cunha, verso il 38° pa¬ rallelo Sud nell’estremo Oceano Atlantico. Su di un frammento di foglia di Posidonia Cavolini ho rin¬ venuto nel passato aprile questo entoprotto in pochissimi esem¬ plari, nè in ricerche ulteriori, fatte su abbondante materiale, ho potuto rinvenire altri animali. Questo grazioso endoprotto (Fig. 1) misura una lunghezza complessiva, a partire dalla base all' estremo della corona ten¬ tacolare rientrata, da mm. 1, 5-2.0. Il polipide misura appena mm. 0,5 x 0,4; il pedicello mm. 1,2 e la regione basale mm. 0,3. Queste misure si allontanano alquanto da quelle date da Busk nella sua descrizione, ma si tratta semplicemente di diffe— 0 Nel testo del Delage ( Traité de Zoologie concrète. Tome 5, p. 153, fig. 325) viene portata sotto il nome di Ascopodaria fruticosa V Ascop. di¬ screta Busk. Si tratta evidentemente di un errore di figura. 2) Il Lameere in una recente classifica ( Abrégé' de la classification Zoolo- gique : Ann. Soc. Roy. Zool. Belgique, Tome 57, anno 1924, p. 27) riporta di nuovo gli Endoprocta come suddivisione dei briozoi. Nulla giustifica que¬ sto ritorno alla già sorpassata classificazione. — 414 rente stadio di sviluppo, perchè tutti gli altri caratteri sono co¬ muni e non lasciano alcun dubbio sulla specificità dell’ esem¬ plare in esame. Non si può supporre che gli esemplari del Golfo di Napoli siano meno sviluppati, perchè ho potuto rinvenire animali in Fig. 1. — Frammento di foglia su cui si é sviluppata la Barentsia discreta Busk. stadii differenti di accrescimento, dai semplici bottoni gemmanti agli esemplari adulti. Il suo habitat non è costante: mentre io l'ho rinvenuto sulle foglie della Posidonia , Harmer nel materiale raccolto dalla " Si- boga Expedition „ lo trovò su Retepora , Lepralia, Celteporides} Adeonella1 tutti briozoi molto comuni. Lo stolone di questo endoprotto è sottile, opaco, cilindrico e di tanto in tanto presenta un ingrossamento su cui si sviluppa il polipide. Dalla regione basale di questo si partono quattro rami che nel loro ulteriore sviluppo ripetono la stessa disposi¬ zione del ramo originario. Lo stolone presenta all' interno una sostanza di colore giallo pallido: questa si va raddensando verso gli apici dei rami e pi¬ glia un colore giallo carico. Da essa si partono ramuscoli che terminano verso i polipidi. La regione dello stolone è molto importante, perchè i ca- 415 — ratteri differenziali delle varie specie note sono basati proprio sulla forma di questo. Il polipide si origina dalla regione dorsale della zona no¬ dale. In esso si possono distinguere: una regione basale, una cilindrica sottile che segue alla prima, una ingrossata alla base del polipide ed il polipide. La regione basale misura (Fig. 2) mm. 0,3 - 0,4: è un corpo di forma cilindrica, lievemente slargato alla base. Verso la zona su- Fig. 2. — Regione basale del polipide. periore s’ inarca e dà origine ad una zona circolare convessa che si strozza nel punto dove piglia origine lo stelo. In questo corpo si nota la parte esterna costituita da un tubo chitinoso, trasparente, che presenta numerose pieghe. Attraverso ad esso si può notare una zona opaca, fornita di muscoli che sono disposti longitudinalmente fra la base e la regione a cu¬ pola, che contraendosi raccorciano il corpo cilindrico per cui lo si osserva pieghettato. Lo stelo che segue alla regione basilare è lungo circa mm. 1,2 ed è rigido, formato da una sostanza chitinosa di colore giallo-bruna, spessa è fornita all' interno di una sostanza bian¬ co-giallastra che si continua alla base del polipide, in vicinanza della zona rigonfiata. — 416 Lungo lo stelo si notano brevi estroflessioni della sostanza interna che vanno a terminare verso la regione chitinosa, dove si osserva un piccolo forellino, sicché lungo questo stelo si pos¬ sono constatare numerosi fori disposti con certa regolarità. La regione che precede il polipide, secondo Busk, è for¬ mata da una serie di anelli disposti a spirale. Harmer nella sua descrizione non li indica, nè io nei miei esemplari ho potuto osservarli. Questa zona è rivestita di una cuticola molto sottile: quando è estroflessa non presenta nessun rigonfiamento, ma se è con¬ tratta si notano varie pieghe che danno la parvenza di una spi¬ rale; sicché questa regione non presenta alcuna speciale carat¬ teristica, ma deve quel rigonfiamento unicamente al suo stato di riposo. Il polipide ha forma ovale alla base e slargata all'apice, dove si estende la corona tentacolare fornita da 16 a 20 tenta¬ coli : questi hanno forma conica, se estesi, ma cilindrici e ri¬ volti all' interno della cavità atriale, se contratti. Sono disposti tutti sull'apice del calice l'uno successivo al¬ l'altro senza membrana intertentacolare, che li unisca alla base. Non hanno alcun rivestimento speciale, ma sono forniti di ci¬ glia lunghe e numerose nella regione che guarda la cavità del corpo. Sono molto contrattili e generalmente sono sempre ri¬ volti verso l'interno della regione orale: il che dipende dallo straordinario sviluppo delle fibre muscolari della regione interna. Anche il vestibolo è capace di rinchiudersi, contraendosi for¬ temente e ciò avviene per azione delle fibre muscolari circolari che si trovano in questa regione. Nella zona anteriore del vestibolo si trova la cavità boccale che è beante e ad essa segue un esofago più o meno stretto ed uno stomaco molto sviluppato che occupa quasi tutta la cavità del corpo. Un' intestino piuttosto grosso e cilindrico ed un retto corto che sbocca nella stessa cavità del vestibolo completano lo^ apparecchio digerente di questo animale. Visto per trasparenza questo apparato ha forma di semicer¬ chio con la concavità rivolta verso la regione superiore. Il sistema nervoso risulta formato da un ganglio situato fra la bocca ed il retto. — 417 — Si riproduce sessualmente e gli organi riproduttori sono co¬ stituiti da due masse ovalari (gonadi) che si trovano lateralmente all'apparato digerente. L’animale ha movimenti pendolari e talvolta di torsione. Si muove non solo la base in un senso o in un altro, ma anche il polipide indipendentemente: i movimenti non sono ritmici, ma a sbalzi e varii. La distribuzione geografica di questa specie è interessante studiarla, occupando essa un'area di distribuzione molto estesa. È stata infatti questa rinvenuta nei tre grandi Oceani : l’Atlantico, il Pacifico e 1’ Indiano. Busk li rinvenne presso le Isole Tristan da Cunha, al 38° parallelo Sud (Oceano Atlantico), così pure Waters presso lo stretto di Magellano verso l'estrema punta dell' America del Sud nell’Oceano Atlantico, Osburn la rinvenne a Woods Hole Region e nella Florida. Nell'Oceano Pacifico fu rinvenuta da Waters presso Lon- donderry, nell'estrema punta dell'Atnerica del Sud. Nell’Oceano Indiano è stata trovata da Tornerly ed Herd- mann presso le isole Ceylon, da Annandale a Post Canning, da Kirkpatrick presso Tizard Bank. Come si vede da questa rassegna la Barentsia discreta Busk fu trovata sempre verso le regioni più meridionali dei tre oceani. E per ciò che si riferisce in particolar modo all'Oceano Atlantico le regioni più settentrionali in cui fu trovato l'animale in esame sono Woods Hole e la Florida. Questo rinvenimento avvenuto nel nostro Golfo è quindi importante perchè non solo aumenta il numero delle specie e- sistenti nei mari europei e propriamente del Mediterraneo, ma ancora perchè ci dice che la distribuzione geografica di molte specie non si può crederla limitata ad una più che ad un' altra regione. Di molte specie, infatti, credute caratteristiche di de¬ terminate regioni si va via via commentando la presenza in altri mari. Se per le specie terrestri si può ritenere, talvolta per al¬ cune di esse, una località caratteristica, per le specie marine que¬ sta non può sempre ritenersi stabile, tenuto conto delle cor¬ renti marine che possono trasportare la fauna planctonica e con - 27 - — 418 — questa larva di organismi bentonici facilmente da un mare al¬ l’altro e dopo l’apertura dei grandi canali da un Oceano all'altro. Oggi noi possiamo parlare di faune locali in senso relativo non assoluto, perchè possiamo considerarle come uno stato d'e¬ quilibrio proveniente da fattori differenti; ma ove mai soprav¬ vengano condizioni nuove questo equilibrio si rompe e si ri¬ costituiscono condizioni nuove alle quali la fauna va via via a- dattandosi. La distribuzione geografica degli animali è un capitolo molto interessante ma molto complesso che bisogna venga studiato con costanza: chè se da scarse notizie vogliamo subito teorizzare ca¬ diamo in errore. Un esempio molto sintomatico l’abbiamo nella teoria della bipolarità proposta dal Pfeffer nel 1871. Delle 250 specie ritenute da Maurry caratteristiche dei poli artico ed antar¬ tico oggi se ne ammettono appena quattro o cinque e non sia¬ mo neppure sicuri se queste siano assolutamente bipolari, per¬ chè la esplorazione dei fondi marini delle zone equatoriali non è certo compiuta. Senza dubbio gli studii faunistici, zoogeografici vanno sem¬ pre più estendendosi e numerosi biologi se ne occupano con competenza anche qui da noi in Italia. Così la distribuzione geo¬ grafica degli animali viene sempre più conosciuta nelle sue par¬ ticolarità, nelle sue variazioni, nelle sue varie forme di divenire: è un lavoro che richiede spese non indifferenti e quindi non può essere fatto che da spedizioni organizzate convalidi aiuti: oggi molte scoverte si devono in gran parte o all'attività dei singoli o a casi fortuiti di rinvenimenti di animali nuovi per una data regione, ma le grandi spedizioni come quella dello " Challen¬ ger della Tiefsee Expedition „ ed altre non sono state finora ripetute e sarebbero da intraprendersi periodicamente, perchè è ovvio che la raccolta sistematica di materiale faunistico o floristico, fatta con metodi razionali e moderni può permettere una cono¬ scenza più vasta e più estesa delle forme animali e vegetali e concedere una visione sintetica più razionale della distribuzione geografica degli animali e delle piante. BIBLIOGRAFIA 1912. Annandale, N. — Polyzoa. The occurretice of Entoprocta in In¬ diar! waters. Ree. Ind. Mus. Voi. 7, p. 205. 1886. Busk, G. — Report on thè Polyzoa collected by H. M. S. Chal¬ lenger during thè years 1873-76. P. 44, Tav. 10, Fig. 6-12. 1890. Ehlers, E. — Kjenntniss Pedicellineen. Abhand. Gòttigen, Bd. 36, p. 143. 1890. Kirkpatrik, R. — Report upon thè tiydrozoa and Polyzoa. China sea. Ann. Mag. Nat. Hist. (6) Voi. 5, p. 17. 1895. Oka, A. — Sur B. misakiensis. Zool. Mag. Tokyo, Voi. 7, n. 78, p. 76, pi. 12, fig. 1-8. 1 896. Ortmann A. E. — Ueber Bipolaritàt in der Verbreitung mariner Thiere. Zool. Jarhb. Abth. Syst. Bd. 9, p. 571. 1910. Osburn, R. C. — Bryozoa Woods Hole. Bull. Bur. Fisheries Wa¬ shington, Voi. 30, p. 214, Bd. 18, fig. 5, 5a. 1914. — — Bryozoa Tortugs Islands. Pubi. 182. Carnegie Instit. Washington, p. 185. 1896. Prouvot, G. — Distribution geographique. Année biol. p. 559. 1913. Summer, Osburn and Cole. — Biol. Survey Woods fiole. Bull. Bur. Fisheries, Voi. 30, Pt 1, p. 108; Pt 2, p. 596. 1905. Thornely L. G. in Herdman. — Rep. Pearl Oyster Fisheries. Pubi. Roy Soc. Suppl. Rep. 26, p. 128. 1904. Waters A. W. — Bryozoa. Esped. Antarch. Belge " Rés. Voy S. V Belgica „ Zoologie p. 99, PI 7. fig. 6a - f. PI. 8 fgs. 17a-c. 1905. — — Bryozoa Cape Horti. Journ. Linn. Soc. Zool., Voi. 29, p. 230. Finito di stampare il 30 dicembre 1927. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli COMUNICAZIONI VERBALI Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti ... I Comunicazione verbale del socio Prof. Fridiano Cavara (Seduta del 12 agosto 1927) Quale membro della Commissione pel Paesaggio e per la conser¬ vazione dei Monumenti, e per aver fatto parte del Comitato che si pro¬ poneva lo studio delle condizioni fisiografiche per la istituzione del parco Nazionale della Sila, promosso da S. E. l'On. Michele Bianchi, avendo saputo che di recente sono stati aggiudicati lotti per il taglio nel grande bosco del Cariglione, nella Sila piccola o di Catanzaro, e- sprime in seno alla Società dei Naturalisti un senso di viva preoccu¬ pazione per la sorte di quel meraviglioso monumento naturale. Egli ebbe più volte occasione di decantare pubblicamente {“ Gior¬ nale d’Italia forestale „, " Brutium „, il " Bosco „) la superba bellezza di quel bosco, il più imponente forse, il più maestoso d'Italia per grandiosità di Faggi e di Abeti che lungo le pendici si portano sino alla cima del massiccio montuoso, il quale rivaleggia con l’ altro di “ Femmina morta „ in Sila piccola, e col " Montenero e " Botte Do¬ nato „ in Sila grande ; ma tutti questi supera per i giganteschi suoi Faggi ed Abeti. Egli ebbe a sostenere in seno al Comitato tecnico per il Parco della Sila, la tesi che la scure non dovesse recare offesa mai a quei secolari monumenti viventi, e che, se necessità di ordine tecnico ed economico imponevano una utilizzazione, con tagli regolari, di quella foresta, fosse risparmiata almeno una parte di essa, quella che sul cul¬ mine del Cariglione, per il meraviglioso sviluppo di eccezionali sog¬ getti, è l’esponente della bellezza di quel paesaggio. Le sane direttive che S. E. Bianchi persegue per 1'" Estate Silana per portare gli Italiani tutti in quella magnifica sua terra, e rispec¬ chianti le idee fondamentali del Duce sulla conservazione dei boschi che conferiscono " bellezza imperiale „ ai nostri monti, e “ sicurezza al piano „ sono certamente garanzia di incolumità del superbo mas- siccio del Cariglione ; e la suprema carica di recente conferitagli di Alto Commissario per i rimboschimenti, nè dà pieno affidamento. Le meravigliose foreste delle due Sile non devono essere conside¬ rate dal solo punto di vista economico, quello, cioè, di un ordinario sfruttamento della loro massa legnosa, ma ancora dal punto di visla estetico che nei riguardi del turismo, del campeggio, delle stazioni climatiche, è parimenti una visione economica per le forti popolazioni si lane. La Società dei Naturalisti udita la comunicazione del Prof. Cavara, e consideratane tutta la importanza e la opportunità, fa suo il voto che, nella utilizzazione intrapresa da parte dell’Amministrazione fore¬ stale del grande bosco del Cariglione, sia risparmiata la parte supe¬ riore di esso con i suoi secolari e grandiosi monumenti viventi che fanno corona alle fresche e verdi valli. Finito di stampare il 30 dicembre 1927. La determinazione dell'acidità del latte. Nota di Chimica Bromatologica. Comunicazione verbale del socio U go Milone (Seduta del dì 11 agosto 1927) La determinazione dell’acidità del latte ha grande importanza in rap¬ porto al valore igienico del latte, perchè fornisce utili indicazioni. Secondo il Soxhlet il contenuto acido del latte in un primo mo¬ mento rimane inalterato, costituendo quello che egli chiamò stadio di incubazione, ma subito dopo il contenuto acido aumenta per 1’ intervento di microrganismi. È vero che il quantitativo di microrganismi nel latte può crescere senza che si verifichi aumento di acidi, ma la numerazione dei mi¬ crorganismi non indica spesso la bontà del latte, questa dipendendo dalle tossine che nel latte si trovano disciolte e contro delle quali la sterilizzazione del latte riesce insufficiente. L’esperienza ha dimostrato che la formazione delle tossine nel latte procede di pari passo con la formazione degli acidi. La determinazione di questi è dunque prefe¬ ribile alla numerazione dei microrganismi. Con la determinazione degli acidi appunto fu trovato che lo stadio di incubazione ha durata va¬ riabile secondo la temperatura. Con la determinazione del contenuto acido di un latte, prima e dopo la bollitura, ed, abbreviando il suo stadio di incubazione mediante la temperatura, si può con una ulteriore determinazione della sua acidità dire se il latte si trovava nel suo pe¬ riodo di incubazione o no, se fu raccolto con le debite cautele o no. 11 latte fresco, munto con nettezza, si conserva almeno per cinque ore nella stufa a 37° senza alterarsi. 11 latte fresco, raccolto senza la debita nettezza, dopo cinque ore mostra aumento della sua acidità. Premesso ciò, è facile rilevare l’importanza della determinazione ‘dell’acidità del latte ed il vantaggio che si consegue con la soluzione - 6 di barite da me adoperata invece dell’idrato sodico, ottenendosi risultati più esatti con la barite. Due metodi sono noti per la determinazione del contenuto acido del latte, cioè quello del Soxhlet e quello del Pfeiffer. Col primo metodo a 50 cm3 di latte si aggiungono 2 cm3 di una soluzione al¬ colica al 2 % di fenolftaleina e poi si titola con una soluzione 1 4 N di soda (NaOH) fino ad ottenere una colorazione rossa stabile. Col secondo metodo 10 cm3 di latte si diluiscono con 40 cm3 di acqua e quindi, aggiunte poche gocce di una soluzione concentrata alcoolica di fenolftaleina, si titola con una soluzione \ l0 normale di idrato sodico. In tutti i due metodi la quantità di acido è espressa dal numero dei centimetri cubici di soluzione di soda impiegati. L’esperienza ha dimostrato che per ricerche esatte il metodo di Pfeiffer non è ado¬ perabile, perchè dà luogo ad errori, derivanti specialmente dalla dilui¬ zione del latte con l’acqua, che aumenta l'alcali nità del liquido e quindi dà delle cifre inferiori al vero. È preferibile perciò il metodo di Soxhlet. Ed anche questo metodo contiene cause di errori, onde io credo pre¬ ferire alla soluzione di soda una soluzione di barite [Ba(OH)2] a ti¬ tolo noto, e ciò perchè una soluzione di barite è più facilmente con¬ trollabile, come fu rilevato dal Pettenkofer che la prescelse per il suo classico metodo per la determinazione dell’anidride carbonica nell’aria, e con essa si hanno cifre superiori a quelle che si ottengono con soluzioni di soda, potendosi esattamente determinare anche il contenuto di ani¬ dride carbonica del latte. L’ impiego della soluzione di barite ha pure il vantaggio di rendere più cospicue le differenze che si verificano nel contenuto acido del latte, se questo viene mediante bollitura privata dei suoi gas e quindi pure di anidride carbonica, che si trova in tutti i liquidi escreti dairorganismo animale. La pratica dell’operazione è la seguente: in due bevute di 150 cm3 si introducono 25 cm3 di latte e si portano all’ ebollizione per un minuto; quindi una bevuta si lascia raffreddare in un vaso contenente acqua fredda, mentre nell’altra bevuta si aggiunge un cm3 di soluzione alcoolica di fenolftaleina al 2 % e si titola con soluzione di barite a titolo noto. Si paragona infine con l’altra bevuta in cui si sia aggiunto 1 cm3 di soluzione di fenolftaleina per rilevare il punto della colorazione.. LFinito di stampare il 30 dicembre 1927. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli. RENDICONTI DELLE TORNATE ED ASSEMBLEE GENERALI (PROCESSI VERBALI) PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINARIE ED ASSEMBLEE GENERALI Tornata ordinaria del 30 gennaio 1927. Presidente : L. Quintieri — Segretario : M. Salfi. Soci presenti: Zambonini, Guadagno, Zirpolo, Viggiani, Candura, Parascandola, Del Regno, Augusti, lucci, Carrelli, Bakunin, Pierantoni, Caroli, Mondelli, Geremicca, Fedele, Ranzi, Sbordone, Cavara, Milone, De Rosa, Marcucci. Pellegrino, Cutolo, Giordani F., Grande. La seduta è aperta alle ore 16 in seconda convocazione. Il Presidente comunica all’assemblea che, per regolare la ricezione ed il lavoro di stampa del Bollettino il C. D. ha stabilito che gli AA. debbono consegnare alla segreteria il manoscritto delle loro comunica¬ zioni nella tornata stessa in cui queste vengono fatte. Il Presidente comunica i ringraziamenti del Socio Zambonini per la sua elezione a Vice Presidente. Il Segretario presenta all’assemblea il Nuovo Bollettino 1926, Voi. 38. Comunica inoltre i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il socio Pierantoni legge un lavoro: Sulle cosiddette piastrine o globuli del tuorlo in Bufo viridis e ne chiede la pubblicazione. Il socio Fedele comunica alcune Notizie su Thaliacea nuovi o rari del Golfo di Napoli e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Salfi fa due comunicazioni : Ortotteri di Linosa; Su al¬ cuni Ascidiacei del Golfo di Napoli e ne chiede la pubblicazione. Il socio Jucci legge un lavoro: SulV eredità negli incroci reciproci e ne chiede la pubblicazione. Il socio Jucci comunica un lavoro: Considerazioni sullo sviluppo degli individui e dei popoli e ne chiede la pubblicazione. Sulla comunicazione del socio Jucci prendono la parola i soci Zam¬ bonini, Giordani, Quintieri, chiedendo schiarimenti per le conclusioni a cui egli giunge. IV Il socio Jucci legge a nome del socio Wen un lavoro di quest’ul¬ timo sulla Eredità della partenogenesi. Il socio Augusti legge un lavoro: Stadi e ricerche sperimentali sul Myrtus e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Zirpolo legge la Relazione sull’andamento morale e finan¬ ziario della Società per l'anno 1926. Egregi Consoci, Sono ben lieto oggi, in quest’ assemblea generale, riassumere quanto il Consiglio Direttivo, coadiuvato dai soci, ha espletato nel decorso anno 1926. Soci. — Il numero dei soci è rimasto invariato, giusto il delibe¬ rato del Consiglio Direttivo di non ammettere novelli soci fino a che lo Statuto non sarà modificato. Sicché esso è di 121 così divisi: soci ordinarii residenti 82, soci ordinarii non residenti 32, soci aderenti 7. Tornate. — La Società ha tenuto nel 1926 otto tornate ordinarie e due assemblee generali. Nelle tornate ordinarie sono stati letti nu¬ merosi lavori da parte dei soci delle due categorie e fatte comunica¬ zioni verbali e relazioni sulla stampa scientifica. Attività scientifica. — I lavori letti nelle tornate sono stati 29 oltre 5 comunicazioni verbali e 3 conferenze: in tutto 37 lavori così ripar¬ titi: Zoologia 14, 1 di Batteriologia, 1 di Patologia generale, 5 di Fi¬ sica, 5 di Chimica, 3 di Fisica terrestre e meteorologia, 2 di Botanica, 7 di Geologia, oltre uno di aeronautica e due comunicazioni. Il socio Pierantoni ha comunicato i suoi nuovi studii sui corpu¬ scoli fotogeni di Heteroteuthis dispar. 11 socio Police ha presentato due Note concernenti le retina degli Axolotl ed ha letto inoltre la Commemorazione di Camillo Golgi. Il socio Ranzi ha trattenuto la Società con due comunicazioni sulla circolazione del liquido perivitellino nell’ uovo dei Cefalopodi e su di un nuovo turbellario del Golfo di Napoli. Il socio Viggiani ha presentato due Note sul regime dei venti a Perugia e sul rendimento della campagna del Grano. Il socio Wen si è occupato dei fenomeni dello sviluppo parteno¬ genetico nell’ incrocio tra razze univoltine e bivoltine di bachi da seta. Il socio Zirpolo ha letto cinque comunicazioni : due riguardano i batteri luminosi, una riguardo le gemmazioni, le rigenerazioni ipertipi- che ed ipotipie nell’ Astropecten, una di una nuova silicospugna del Golfo di Napoli ed una di un caso di eteromorfosi ne\Y Astropecten. Il socio Guadagno si è occupato di un pozzo artesiano della Cen¬ trale elettrica del Volturno. Il socio Imbò del pireliometro di " Abbot „ a disco d’argento ed il socio Jucci ha presentato una nota riguardante i caratteri dell’ uovo e del bozzolo negli incroci di razze univoltine e bivoltine di bachi da seta ed una nota in collaborazione con Lo Tito circa le correlazioni tra caratteri dello sviluppo larvale e caratteri della ovificazione. La socia Majo ha intrattenuta la Società sulla pioggia a Napoli, sulle relazioni tra microsismi ed elementi meteorici e su misure di ra¬ dioattività. Il socio Milone ha dato notizie sui frigoriferi e le carni e pesci congelati, sullo zucchero cristallino e zucchero granulato e sulla com¬ posizione di un inchiostro fotorotocalco. Il socio Marcucci ha presentato due note sulla rigenerazione degli arti nei rettili e sulla rigenerazione in Tritoni adulti di arti in seguito a trapianto eterotopico-omolaterale della loro porzione distale. Il socio Parascandola ha dato notizie sul tufo del cratere di Soc- ciaro. Il socio Adinolfi si è occupato dell’efi^ riall e dell’azione dei raggi X sul tellurio. Il socio Augusti ha presentato tre note: una sulla radioattività delle acque termominerali di Lacco Ameno e due su ricerche sperimentali fatte daH’autore sul Myrtus communis. Il socio Andreo.tti ha in una nota esposto gli studi sulla tempera¬ tura delle lamiere isolate esposte all’aperto. Il socio Candura ha presentato una Nota sulla Solfara di Giam¬ battista nel territorio di Barrafranca (Caltanissetta). Il socio Caroli ha intrattenuto la Società sullo sviluppo larvale della Gonoplax anguLata (Pennant). Il socio Del Regno ha tenuto una conferenza sul viaggio del Norge. Il socio De Fiore ha presentato una memoria su Linosa (Isole Pe- lagie). La socia Fiore ha parlato della morfologia del sistema conduttore delle piante vascolari e su di un caso di fasciazione della Pteris aquilina. Il socio Fedele ha presentato due note sui Taliacei nuovi o rari del Golfo di Napoli e su di un nuovo protozoo olotrico: inoltre ha commemorato il prof. Battista Grassi. Il socio Gargano ha comunicato le sue ricerche su alcune altera¬ zioni arteriali del cane ritenute di probabile genesi parassitaria. VI Bollettino. — Il Bollettino che ho l’onore di presentare all’assem¬ blea è il Voi. 38, anno 40°. Si compone di circa 450 pagine con sei tavole e numerose incisioni nel testo. Esso si presenta un po’ di¬ verso dai precedenti per mole ed è diviso in tre parti che raccolgono i lavori letti nelle Tornate, le comunicazioni verbali fatte dai soci ed i processi verbali, seguiti dall’elenco dei soci e delle pubblicazioni per¬ venute in cambio ed in dono. Il volume contiene inoltre un appendice in cui sono raccolte le commemorazioni dei Proff. Golgi e Grassi che la Società ha voluto onorare in due Tornate speciali. Biblioteca. — Anche la Biblioteca si è andata sempre più arric¬ chendo. Cura del Consiglio Direttivo è stata quella di far legare il mag¬ gior numero possibile di libri e difatti oltre trecento volumi sono stati legati quest’anno e di più saranno legati nel corrente anno. Vada una lode ed un ringraziamento al socio Bibliotecario A. Pa- rascandola, che nelle continue peripezie cui è andata soggetta la Bi¬ blioteca ha avuto la instancabile pazienza di imitare Sisifo. Purtroppo per condizioni indipendenti dalla nostra volontà la Biblioteca è stata non si può dire quante volte ordinata e disordinata ed è sperabile, ed io faccio i voti più vivi a che i locali siano una buona volta riattati così da poter ordinare i libri in modo che i soci e gli studiosi se ne possano avvantaggiare. Anche il Bilancio è soddisfacente. Esso, cosa rarissima, nonostante le numerose spese si chiude con avanzo di oltre 2000 lire. Vada una lode all’oculato Presidente, al nostro benemerito socio Cutolo che ha fatto avere alla Società vari sussidii nonché al socio Marcucci, infaticabile Cassiere. Egregi Consoci, Nel lasciare il posto che or son due anni mi fu affidato più che dai miei meriti dalla vostra benevolenza io devo esprimervi i miei sen¬ titi ringraziamenti e pregarvi di scusare le mie manchevolezze, e nel contempo lasciate che io esprima l’augurio che il nostro sodalizio abbia sempre più a prosperare e ad affermarsi fra le numerose Società ed Accademie scientifiche, in particolar modo oggi che un novello soffio di vita spira nel nostro amato Paese. 11 socio Giordani anche a nome del socio Police, Revisore dei conti legge la Relazione sul Bilancio consuntivo 1926. Il Presidente Pgge il Bilancio consuntivo 1926 che messo in vo¬ tazione è approvato all’unanimità. VII Il Presidente mette in votazione il Bilancio preventivo 1927, che è approvato all’unanimità. Si inizia quindi la discussione sulla modifica dello Statuto presen¬ tato da più di un quarto dei soci nel dicembre scorso a norma dello articolo 24 dello Statuto sociale. Il Presidente legge le modifiche formulate dai soci proponenti, ma fa osservare che per la discussione e 1’ approvazione di una qualsiasi modifica allo Statuto sociale, è necessaria la presenza di almeno due terzi del totale dei soci in regola. Attualmente essendo i soci 71 esclusi 9 (sospesi) sarebbe necessa¬ ria la presenza di 49 soci, mentre ne sono presenti soli 33. Il socio Zambonini propone di prendere visione e discutere prov¬ visoriamente le modifiche da proporre da parte del nucleo di soci oggi presenti, convocando tutti i soci in una prossima assemblea generale straordinaria. Il socio avv. Cerone fa notare che la discussione è consultiva ma non deliberativa. Nella lunga discussione che segue si formulano gli articoli di mo¬ difica allo Statuto. Esaurita la discussione si decide di tenere una seconda assemblea generale straordinaria. La seduta è tolta alle ore 19,50. Processo verbale della tornata ordinaria ed assemblea generale straordinaria del 20 marzo 1927. Presidente : L. Quintieri — Segretario : M. Salfi. Soci presenti: Quintieri, Salfi, Guadagno, Geremicca, Platania, De Rosa, Parascandola, Torelli, Della Valle, Gargano, Quintieri Quinto, Del Regno, Zirpolo, Mondelli, Bakunin, Adinolfi, Giordani F., D’Emi- lio, De Fiore, Zambonini, Scacchi, Roncali, Galiani, Cavara, Marcucci, Pierantoni, Milone, Caroli, Foà, Trezza, Viglino, Cutolo E., Forte, Vol¬ piceli^ Cutolo Cost., Trani, Police, Fedele, Marcello, Pozzi, Maione, Colomba, Sbordone D., Mingioli, Ranzi, D'Aquino, Candura, Pomilio, Pellegrino L., Cerone. La seduta è aperta alle ore 15,45 in seconda convocazione. Il Presidente, nell’ aprire la seduta esprime il suo compiacimento per l’ intervento di un così rilevante numero di soci. Comunica che è giunto il Decreto che mette la Società in possesso dell’ eredità De Mellis e ne dà lettura. - 28 - Vili Propone che l' assemblea invii congratulazioni al socio Malladra -di recente nominato Direttore dell’ Osservatorio Vesuviano. L’assemblea si associa unanime. Su proposta del socio Gargano si decide, per la morte del socio L. Ricciardi, di inviare condoglianze alla famiglia. Il Segretario comunica le pubblicazioni pervenute in dono. Pel socio Viggiani (assente) il socio' Salfi legge un lavoro dal ti¬ tolo : Ricerche di ecologia agraria. Determinazione delle costanti eco¬ logiche della patata e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino per conto dell’A. Il socio De Rosa, a proposito del lavoro del socio Viggiani, intrat¬ tiene l’assemblea su varie questione d’ indole agraria relativa alla cul¬ tura della patata ed alla storia delle sue qualità commestibili. Per le Relazioni sulla stampa scientifica il socio Giordani riferisce su alcuni argomenti di attualità. Si passa quindi all’ approvazione delle aggiunte modifiche dello Statuto. Il Presidente, constatato il numero legale dei soci presenti, a norma dell’ articolo 8 dello Statuto e 24 del regolamento, apre la votazione sugli articoli. a) I soci ammessi dopo il 1926 potranno far parte del Consi¬ glio di Amministrazione ed avere diritto a voto amministrativo soltanto quando abbiano raggiunto dieci anni di anzianità; o anche prima di tale termine quando siano stati dichiarati Benemeriti a norma dell’ar¬ ticolo 14 dello statuto. Il Presidente mette in votazione questo articolo che è approvato con 47 voti favorevoli e 3 contrarii. b ) I dieci soci più anziani che abbiano raggiunto almeno 25 anni di iscrizione ininterrotta alla Società saranno esonerati dal contributo sociale. Messo in votazione questo articolo è approvato all’ unanimità. c) Sono altresì esonerati dal pagamento del contributo sociale i soci incaricati delle funzioni di Segretario, V. Segretario, Cassiere, Bi¬ bliotecario, Red. del Bollettino. Messo in votazione è approvato all’ unanimità. Il Presidente ringrazia gl’ intervenuti e la seduta è tolta alle ore .18,30. IX Processo verbale della tornata ordinaria del 6 maggio 1927. Presidente-. L. Quintieri — Segretario-. M. Salfi. Soci presenti : Candura, Zirpolo, Pierantoni, Marcucci, Parascan- dola, Gargano, De Rosa. La seduta è aperta in 2a convocazione alle ore 17.30. Il Presidente comunica che il socio Monticelli ha donato alla Bi¬ blioteca della Società moltissimi volumi appartenenti alla Biblioteca del¬ l’Abate T. Monticelli. Sono opere assai interessanti di Geologia, Mineralogia, Geografia molte delle quali con dediche autografe di illustri scienziati. Si decide quindi su proposta del Presidente di inviare al socio Monticelli una lettera di ringraziamento. Comunica anche che molti libri sono stati donati dall’Ing.re Mon¬ ticelli, al quale si decide di far pervenire anche i ringraziamenti del¬ l'assemblea. Il Segretario comunica il nuovo cambio con 1’ Accademia Masarik di Praga. Su proposta del socio Pierantoni sì decide di inviare una copia della edizione delle opere di Cavolini, al Liceo scientifico di Napoli, perchè questo sarà intitolato, su proposta fatta dal socio Pierantoni, a quel Preside al nome di Filippo Cavolini. Il socio Salfi, a nome del socio Colosi, legge una nota di questi dal titolo: Sopra alcuni Vaginulidi e ne chiede la pubblicazione a nome dell’A. Il socio Salfi legge una nota: Su alcune specie cirenaiche di Or¬ totteri e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Zirpolo fa una comunicazione sulla presenza della Ba- rentsia discreta nel Golfo di Napoli. Processo verbale della tornata ordinaria del 30 giugno 1927. Presidente : L. Quintieri — Segretario : M. Salfi. Soci presenti: Augusti, Parascandola, Marcucci, Fedele, Candura, Zambonini, Police, Valerio, Rodio, Ranzi, Foà. La seduta è aperta alle ore 18 in seconda convocazione. Il Presidente comunica notizie sulla questione della proprietà della banchina di Posillipo esponendo lo stalo delle cose ed il da farsi. Dice come le cure del Consiglio Direttivo siano rivolte principal- X mente alla sistemazione della Eredità perchè al più presto la Società possa risentirne gli effetti. 11 Segretario comunica i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il Presidente dà la parola al socio U. Pierantoni che comunica nuove Osservazioni nei globuli del tuorlo degli Anfibi e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. 11 socio Police riassume un lavoro sull' Apparato bucco - faringeo del Phalangium opilio. Il socio Ranzi chiede alcune spiegazioni in proposito, alle quali risponde il socio Police. Il socio Augusti legge uua nota: Ricerche sul lichene d1 Islanda e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Presidente ringrazia gl’ intervenuti e toglie la seduta alle ore 19. Processo verbale della tornata ordinaria dell’11 agosto 1927. Presidente : L. Quintieri — Segretario : M. Salfi. Soci presenti: Quintieri, Salfi, Rodio, Caroli, Cavara, Foà, Mar- cucci, Milone, Candura, Zirpolo. La seduta è aperta alle ore 18 in seconda convocazione. Il Presidente comunica all’ assemblea che è stato ritrovato l’Istru- mento di acquisto della proprietà di Posillipo del 1793 e che quindi si potranno risolvere tutte le questioni ancora sospese riguardanti i confini. 11 socio Caroli legge un lavoro su Tre Bopiridi nuovi del Golfo di Napoli e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. La socia Maio legge un lavoro Sulla pioggia di alcune Città d' I- talia e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Rodio comunica i risultati di ricerche sui Pigmenti di al¬ cune Schizoficee. Il socio Milone fa una comunicazione verbale Sulla determinazione dell acidità del latte. Il socio Cavara propone un voto per la difesa del Bosco del Ga- riglione nella Sila che è approvato. Si dà perciò mandato allo stesso prof. Cavara, perchè d’accordo col Segretario si occupi dell’invio del voto medesimo alle autorità competenti. La seduta è tolta alle ore 19.30. XI Tornata ed Assemblea Generale del 30 dicembre 1927. Presidente : L. Quintieri — Segretario ff. : G. Zirpolo. Soci presenti: Pierantoni, Zambonini, Marcucci, Caroli, Biondi, Mi- lone, Augusti, Colomba, Palombi, Cutolo E., Cutolo C., Cavara, Rodio, Fiore, D’Aquino, Sereni, Fedele, Gargano, Cerone, Parascandola. Il Presidente apre la seduta in seconda convocazione alle ore 16,30 e prega il socio Zirpolo di voler fare da Segretario, essendo fuori Na¬ poli il Segretario ed il Vice Segretario. Il Segretario legge il processo verbale della tornata precedente che è approvato. Il Presidente poi fa le seguenti comunicazioni: Dopo la nostra ultima riunione tre soci sono venuti a mancare : Ciro Chistoni, Francesco De Rosa, Francesco Saverio Monticelli. Il socio Chistoni, morto nell’agosto ultimo scorso, faceva parte della Società da circa venti anni. Venuto a Napoli comprese subito l' impor¬ tanza del nostro sodalizio e contribuì ad aumentare il prestigio della Società stessa. Egli fu sempre attivo e prese parte a tutte le manifesta¬ zioni sociali. I soci De Rosa e Monticelli erano entrati giovanissimi a far parte della Società che allora aveva nome di Circolo di Aspiranti Naturali¬ sti. Le figure di questi due eminenti soci sono intimamente legate allo sviluppo della Società: non si può parlare della Società senza ricor¬ dare i nomi di De Rosa e Monticelli, i quali hanno dato al sodalizio infinite prove di interessamento e di affetto. Egli dice che i nomi di De Rosa e Monticelli sono ben noti per essere necessario di aggiungere altre parole, ma che la Società com¬ memorerà in sedute speciali i soci scomparsi. Propone che alle fami¬ glie vadano le condoglianze dell'Assemblea. II socio Zambonini si associa alle parole del Presidente e propone che i ritratti di De Rosa e Monticelli adornino le sale sociali. Il Segretario comunica i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il socio Gargano legge due lavori : Innesto di tessuto testicolare in ghiandola mammaria di cane e Plastiche gastriche con lembi di apo- nevrosi fissate e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Cavara domanda se i non soci possano presentare lavori per il Bollettino. Il Presidente dice che non v'è consuetudine accettare .lavori di non soci. XII Si procede poi all’ elezione del Presidente , di due Consiglieri e di due revisori dei Conti. Nomina a tal uopo il seggio nelle persone del socio Cavara Pre¬ sidente, e di D’Aquino e Colomba scrutatori. Risultano eletti per il biennio 1928-29 a Presidente il socio U. Pie- ranfoni ed a Consiglieri: Ugo Milone e Francesco Giordani. A Revisori dei conti per il 1927 i soci Forte Oreste e D’ Emilio Luigi. Il socio Quintieri presidente uscente rivolge le sue espressioni di gratitudine ai soci ed al Consiglio Direttivo che lo hanno coadiuvato nei due anni della sua Presidenza e rivolge un saluto al nuovo Pre¬ sidente e gli augurii ai soci tutti per la prosperità individuale e del sodalizio. Dopo aver approvato il processo verbale seduta stante la seduta si chiude alle ore 18. per l'anno 1928 Pierantoni Umberto Zambonini Ferruccio Salti Mario Caroli Ernesto Guadagno Michele Milone Ugo Giordani Francesco Marcucci Ermete Parascandola Antonio Zirpolo Giuseppe Presidente Vice-Presidente Segretario Consiglieri Cassiere Bibliotecario Redattore del Bollettino ELENCO DEI SOCI (7° Gennaio 1927 ) BENEMERITI DELLA SOCIETÀ -f Monticelli Francesco Saverio. Cutolo Enrico — Via Roma 404. SOCI ORDINARII RESIDENTI 1. Adinolfi Emilio — Istituto Fisico R. Università. 2. Aguilar Eugenio — Vico Neve a Materdei 27. 3. Andreotti Amedeo — Istituto di Fisica terrestre , R. Università, Napoli. 4. Arena Ferdinando — Via Roma 129. 5. Augusti Selim — Corso Vittorio Emanuele 166 A. 6. Bakunin Maria — R. Politecnico, Napoli. 1. Biondi Gennaro — Resina. 8. Bruno Alessandro — Via Bari 30. i 9. Candura Giuseppe — R. Scuola Sup. d’ Agricoltura, Portici. 10. Caroli Ernesto — Istituto Zoologico della R. Università, Napoli. 11. Carrelli Antonio — S. Domenico Soriano 44. 12. Cavara Fridiano — R. Orto Botanico, Napoli. 13. Colomba Giuseppe — Via S. Biagio dei Librai 39. 14. Cuscianna Niccolò — R. Scuola d’ Agricoltura, Portici. 15. Cutolo Enrico — Via Roma 404. 16. Cutolo Costantino — Via Tommaso Carovita 10 17. D’Aquino Luigi — Via S. Domenico Soriano 22. 18. De Fiore Otto — Istituto di Mineralogia, R. Università, Napoli. 19. Della Valle Antonio — Via Salvator Rosa 259. 20. Del Regno Washington — Istituto Fisico R. Università, Napoli. 21. D’Emilio Luigi — Via Depretis 41. 22. De Miranda Domenico — Villa delle Fate a P. G. di Capodimonte. 23. Fedele Marco — Stazione Zoologica, Napoli. 24. Fiore Maria — Corso Vitt. Emanuele 466. 25. Foà Anna — R. Scuola d’ Agricoltura, Portici. XVI 26. Forte Oreste — Via Pignatelli 48. 27. Galiani Riccardo — Via Tommaso Carovita 10. 28. Gargano Claudio — Via S. Lucia 62. 29. Geremicca Federico — Via Posillipo 113. 30. Getzel Demetrio — Piazzetta Trinità Spagnuoli 4. 31. Giordani Mario — Corso Umberto /, 34. 32. Giordani Francesco — Corso Umberto I, 34. 33. Grande Loreto — R. Orto Botanico , Via Foria. 34. Guadagno Michele — Via Foria 193. 35. Iroso Isabella — Via Foria 118. 36. Jucci Carlo — Istituto di Fisiologia. S. Andrea delle Dame 1. 37. Majo Ester — Istituto di Fisica Terrestre R. Università , Napoli .. 38. Maione Vincenzo — Via Torino 90. 39. Marcello Leopoldo — Piazza Cavour - Farmacia Marcello. 40. Marciteci Ermete — Calata S. Severo alla Pietrasanta 27. 41. Mazzarelli Giuseppe — Istituto Zoologico, R. Università , Messina . 42. Milone Ugo — Via S. Lucia 173. 43. Mondelli Sassinoro Renato — Calata S. Anna dei Lombardi 10. 44. Parascandola Antonio — Corso Umberto /, 153. 45. Pellegrino Luigi — Via Sedile di Porto 9. 46. Pierantoni Umberto — Galleria Umberto I, 27. 47. Platania Giovanni — R. Specola di Capodimonte. 48. Police Gesualdo — Via Università 25. 49. Pomilio Umberto — Via S. Lucia 15. 50. Pozzi Olimpio — Soc. Generale Illumin. via Paolo E. Imbriani. 51. Quintieri Luigi — Via Amedeo 18. 52. Quintieri Quinto — Via Amedeo 18. 53. Ranzi Silvio — Stazione Zoologica , Napoli. 54. Riccio Raffaele — Piazza Carlo III, R. Albergo dei Poveri. 55. Rodio Gaetano — R. Orto Botanico , Napoli. 56. Roncali Demetrio — Istituto di Patol. Chirurgica R. Univ. Napoli . 57. Salfi Mario — Via Montesilvano 30. 58. Sbordone Domenico — Via Pietro Colletta 59. Scacchi Eugenio — Istituto di Mineralogia della R. Università. 60. Schettino Mario — Via Raffaele De Cesare a S. Lucia 31 . 61. Sereni Enrico — Stazione Zoologica , Napoli. 62. Sicca Anna — Via Bernini al Vomero 50. 63. Signore Francesco — Istituto di Fisica Terrestre R. Univ., Napoli. 64. Torelli Beatrice. — Parco Margherita 33. 65. Trani Emilio — Via Campanile ai Miracoli 47. 66. Vessichelli Nicola — Stazione Zoologica, Napoli. XVII 67. Viggiani Gioacchino — Riviera di Chiaia 185. 68. Viglino Teresio — Piazza Dante 4L 69. Volpiceli! Mario — Viale Flena 23. 70. Zambonini Ferruccio — Istituto di Chimica R. Università , Napoli » 71. Zirpolo Giuseppe — Via Duomo 193. SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Anile Antonino — Via XX Settembre 27, Roma. 2. Alfano Giov. Batt. — Vico Cangi a Materdei 7, Napoli. 3. Buonocore Alfredo — Via Iolanda 78, Caserta. 4. Celentano Vincenzo — Vico Minutoli a Foria 33, Napoli. 5. Cerniti Attilio — Piazza Carbonelli 2, Taranto. 6. Cognetti de Martiis Luigi — Istit. Anatomia Comparata, R. U. Genova . 7. Colosi Giuseppe — Istituto Zool. R. Univ. Siena. 8. Cotronei Giulio — Istituto di Anatomia Comparata R.U. Roma. 9. D’Avino Antonio — R. Liceo Nocera Inferiore. 10. Fenizia Gennaro — Via Foria 136, Napoli. 11. Foà Jone — Via Cisterna delTOlio 18, Napoli. 12. Geremicca Alberto — Largo Avellino 4, Napoli. 13. Imbò Giuseppe — Procida. 14. Magliano Rosario — Lagonegro. 15. Malladra Alessandro—/^. Osservatorio Vesuviano, Resina. 16. Mazzarelli Gustavo — Istituto Zoologico. R. Univ. Messina. 17. Mingioli Paolo — Materdei 8, Napoli. 18. Patroni Carlo — R. Istituto Tecnico, Firenze. 19. Palombi Arturo — Corso Garibaldi 84, Portici. 20. Piccoli Raffaele — Via Cisterna dell'olio 18, Napoli. 21. Sbordone Annibaie — S. Domenico Maggiore 3, Napoli. 22. Trezza Ugo — Via Cristallini 53. 23. Valerio Rosaria — Sala di Caserta. SOCI ADERENTI 1. Alfieri Giulio — Via Posillipo 166 , Napoli. 2. Cerone Roberto — Via Salvator Rosa, 91 Napoli. 3. Cutolo Claudia — Villa Claudia, Vomero Napoli. 4. Cutolo Costantino — Villa Duretti, Vomero Napoli. 5. Fidasi Giuseppe — Riviera di Chiaia 263, Napoli. 6. Monticelli D'Afflitto Giuseppina — Ponte di Chiaia 27, Napoli \ \ Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli. Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio ed in dono. EUROPA Acireale Aosta Bologna Brescia Cassino Catania Ferrara Firenze Genova Milano Italia — R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Z e lanti {Memorie, Rendiconti). — Bollettino della R. Stazione sperimentale di agrumi- coltura e frutticoltura. — Société de la Flore Valdòtaine ( Bollettino ). — R. Accademia delle Scienze dell’Istituto ( Rendiconti ). — Commentari dell'Ateneo. — La Meteorologia pratica. — R. Accademia Gioenia ( Bollettino , Memorie). — Acc. di Scienze Mediche e Naturali. — Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia. Società Botanica Italiana {Bollettino). Nuovo Giornale Botanico italiano. Monitore Zoologico Italiano. « R e d i a Giornale di Entomologia. " L'Universo „ Istituto Geografico Militare. — R. Accademia medica ( Bollettino , Memorie) — Museo civico di Storia Naturale {Annali). Società entomologica italiana. Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università {Bollettino). Società ligustica di Scienze Naturali e Geografiche {Atti). — Società Italiana di Scienze Naturali e Museo civico di Storia Naturale {Atti). Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere {Ren¬ diconti). - IV - Modena Napoli Padova Palermo Pavia Perugia Pisa Portici Postumia Roma Rovereto Sassari Scafati Stra Torino — Atti della Società dei Naturalisti e Matematici. Bollettino della Società Medico-Chirurgica di Modena. — R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche (Memorie, Rendiconti, Annuario). Accademia Pontaniana (Atti). Annuario del Museo Zoologico della R. Università di Napoli (Nuova Serie). Orto Botanico della R. Università (Bollettino). Stazione Zoologica di Napoli (Pubblicazioni). Annali di Nevrologia. Società Africana d’Italia (Bollettino). Atti del R. Istituto d’incoraggiamento. — Accademia scientifica veneto-trentino-istriana (Atti). — R. Istituto Botanico. Contrib. alla Biologia vegetale. — B. Laboratorio Crittogamico della R. Università. — Annali della Facoltà di Medicina e Memorie della Accademia Medico-chirurgica. — Società toscana di Scienze Naturali (Memorie, Pro¬ cessi verbali). — R. Scuola Superiore di Agricoltura (Annali). Laborat. di Zoologia generale e Agraria (Bollettino). — Le Grotte d’Italia. — R. Accademia Medica ( Bollettino , Atti). R. Ufficio Geologico Italiano (Bollettino). Laboratorio di Anatomia normale della R. Università (Ricerche). Accad. Pontificia dei Nuovi Lincei (Atti, Memorie). Istituto di Zoologia della R. Università. Gazzetta Chimica. Reale Società geografica italiana. Bollettino dell'Istituto di zoologia della R. Università. — Accademia degli Agiati (Atti). — Studi sassaresi. — Bollettino tecnico della coltivazione dei Tabacchi. — Bollettino bimestrale del R. Comitato Talassografico Italiano. — R. Accademia delle Scienze (Atti). Club Alpino Italiano ( Rivista , Bollettino). Musei di Zoologia e di Anatomia comparata della R. Università (Bollettino). Urania. — V - Trieste Verona Valle di Pompei Helsingfors Helsinki Cherbourg Langres Levallois-Perret Nancy Nantes Nice Paris Bruxelles Louvain Warszaw Società Adriatica di Scienze Naturali. Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere , Arti e Commercio (Atti, Memorie). Bollettino dell’Osservatorio meteorico-geodinamico. Finlandia Acta Botanica fennica. Societas prò Fauna et Flora fennica (Acta, Medde- landen). Societas Zoolog-Botanica Fennica Vanamo. Francia Société nationale des Sciences Naturelles et Mathé- matiques ( Mémoires ). Société de Sciences Naturelles de la Fiaute Marne (. Bulletin ). Association des Naturalistes (Bulletin). Société des Sciences et Réunion biologique de Nancy (Bulletin des séances). Société des Sciences Naturelles de 1’ Ouest de la France (Bulletin). Riviera scientifique. Muséum d’Histoire Naturelle (Bulletin). La feuille des jeunes naturalistes. L’Astronomie. Société d'Océanographie de France. Belgio Société Royale Zoologique. La Cellule. Polonia Acta Societatis Botanicorum Poloniae. Annales - Zoologici Musei Poloniae Historiae Na- turalis. - 29 - - VI Graz Wien Riga Zagreb-Croazia Brunn Prague Rostock Bonn Berlin Leipzig Giessen Frankfurt a M. Halle a. S. Austria - Mitteilungen des Naturwissenschaftlichen Vereins fùr Steiermak. - Verh der K-K. Zoologisch. - botanisch. Gesellschaft. Annalen des Naturhistorischen Hof Museum. Lettonia - Acta Orti Botanici Universitatis Latviensis. Iugoslavia Glasnik (Societas scientiarium naturalium croatica. Czeco - Slovacchia Verhandl. des Naturforsch. Vereins. Casopis Ceskoslovenske spolecnesti entomologické (Acta societatis entomologicae Cechosloveniae). Buletin international. Classe des Sciences mathéma- tiques, Naturelles et de la Médicine. Societè Royale des Sciences de Bohème (Memoires). Akademie Masaryk du Travai I. Germania Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschi- chte in Mecklenburg. Naturshistorische Vereins der preussischen Rheilande. Verhandlungen des Botanisches Vereins der Provenz Brandeburg. Sitz. der Gesellsch. Naturfosch. Freunde. Fierbarium. Bericht der Oberhessischen Gesellschaft fùr Natur und Fleilkunde. Senckenbergiana. Kaiserlich Deutschen Academie der Naturfoscher. (Leopoldina). Verhandlungen des naturwissenschaftlichen Verens. Hamburg - VII - Inghilterra Cambridge — Philosophical Society (Proceedings, Transactions). Biological Reviews. London — Royal Society ( Proceedings , Reports of thè Sleeping sickness Comtnission). Plymouth — Marine Biological Association of thè United King- dom (Journal). Tromsòe Norvegia — Tromsòe Museum. Olanda Amsterdam — Academie Royale ( Memoires ). Lisbona Portogallo — Bulletin de la Société Portugaise de Sciences Na- turelles. Coimbra — Memorias e esludios do museo Zoologico da Uni- versittaele de Coimbra. Sociedade Broteriana ( Boletirn ). Barcelona Spagna — Institució catalana d’ Historia Naturai (Butletl). Bulleti del Club Montanyenc. Ayuntamento de Barcelona. Cartuja Madrid — Boletin mensuel de la Estaciòn Sismologica. — Memorias de la Reai Sociedad espanda de Histo¬ ria Naturai. Madrid Zaragoza Valencia Sociedad espanda de Historia Naturai ( Anales , So¬ le tìn). — Servicio sismologico (Insti tuto geografico y Catastral. — Sociedad hiberica de Ciencias Naturales (Boletin.) — Anales de l’Instituto Tecnico. Svezia Upsala Stockholm — Qeological Institution of thè University of Upsala (Bulletin). — K. Vet. Akadems-Bibliothek (Arkiv fòr Botanik, Arkiv fòr Zoologi). Arkiv fòr Ketni, Mineralogi och Geologi. Svizzera Chur Lugano Zurich — NaturforschendenGesellschaft Graubùnden’s(/a/zr£s- bericht). — Società ticinese di Scienze Naturali ( Bollettino ). — Societas Entomologica. Russia Perm Saratov Kiev — Bulletin de l' Institut des recherches biologiques à. r U ni versité de Perm. — Station regionale d'agriculture. Biologische Wolga-Station. — Société des Naturalistes. ASIA » Tokyo Giappone — Annotationes Zoologicse japonenses. Japanese Journal of Zoology (Transactions and Obstracts. AFRICA Cairo Egitto — Société Entomolog. d’ Ègypte (Bulletin, Mémoires).. AMERICHE Argentina Buenos -Ayres — Museo nacional ( Anales , Cotnunicaciones). — IX — Rio de Janeiro Halifax Santiago Bogotà Messico Lima San Salvador Berkeley Boston Brooklyn Chaphell Hill Cincinnati Minneopolis Urbana Brasile Archivos do Museu Nacional. Chili Nova Scotian Institute of Science. Société scientifique du Chili ( Actes ). Colombia Museo Nacional. Messico Sociedad Cientifica Antonio Alzate (Memoiras. Revista). Instituto Geologico (Boletin, Perargones). Secretai ia de agricoltura y fomento (, Boletin oficial ). Boletin de la direccion d’Estudios Biologicos. Revista Mexicana de Biologia. Perù Boletin de la Societad geografica. San Salvador Museo Nacional (Anales). Stati Uniti University of California ( Publications , Bulletin), Society of Naturai History (Proceedings). Cold Spring Harbor Monographs. Elisha Mitchell scientific Society (Journal). Bull, of thè Lloyd Library of Botany etc. The University of Minnesota. Illinois biological monographs. Bull, of thè state Laboratory of Nat. Hist. - X - Chicago Madison — Academy of Sciences (Bulletin, Annual Report). Field Museum of Naturai History ( Department of Botany). — Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Lettres ( T ransactions ). Wisconsin Geological and Naturai History Survey (Bulletin). Missoula — Bulletin of thè University of Montana ( Biologica Series). New York — Botanical Garden (Balletin). Notre Dame Indiana — The American Midland Naturalist. Philadelphia — Academy of Naturai Sciences (Proceedings). Saint Louis — Academy of Science (T ransactions). Missouri Botanical garden (Annual Report). Springfield (Massachussets) — Museum of Naturai History. New -Orleans — Louisiana state Museum. Tufts College (Massachussets) — Studies. Washington — United States Geological Survey (Annual Report)-, U. S. Department of Agriculture. — Division of Ornithology and Mammalogy (BulletinNorth Ame¬ rican Fauna). Smithsonian Institution ( Annual Report). U. S. National Museum (Bulletin). U. S. Department of Agriculture (Jearbook). U. S. Department of Agriculture. — Bureau of Ani» mal Industry (Annual Report). Carnegie Institution of Washington (Publications.) The Rockfeller Sanitary Commission for thè Era- dication of Hookworm Desease. New Haven, Conn. — Tropical Woods. Uruguay Montevideo — Museo de Historia naturai (Anales)* t PUBBLICAZIONI PERVENUTE IN DONO Dono del Prof. FRANCESCO SAVERIO MONTICELLI 1) Historia naturalis di G. Plinio secondo, tradotta da L. Dominichi. Ve¬ nezia 1589, pergamena. Gimma G. — Storia naturale delle gemme, delle pietre e di tutti i mi¬ nerali ovvero della Fisica sotterranea. Napoli 1730, pergamena. Borrelli Ioh. Alphonsi. — De motionibus Naturalibus a gravitate pen- dentibus, Regio Iulio, 1670, pergamena. Portae Ion. Baptistae neapolitani. — De aeris transmutationibus. Ro- mae 1610, pergamena. De La Beche T. Henry. — Coupes et vues pour servir à l’explication des Phénomènes Géologiques avec un texte traduit de 1' an- glais par H. De Colleono. Paris 1839. G. Guarini, L. Palmieri ed A. Scacchi. — Memoria sullo incendio ve¬ suviano del mese di maggio 1855 fatta per incarico della R. Accademia delle scienze. Napoli 1855. Agli Scienziati d’ Italia del VII congresso, dono dell’Accademia Ponta- niana. Napoli 1845. Metteucci Carlo. — Lezioni di Fisica. Napoli 1850. Hall James. — Geology of New York. Albany 1843. Crescenzi P. — Dell’agricoltura, libri 12. Fiorenza 1605, pergamena. Dandolo. — Dell’arte di governare i Bachi da seta. Milano 1818. Smithsonian Report for 1883. Washington 1885. Smithsonian Report July 1885 Parte I. Washington 1886 Smithsonian Report July 1885 Parte IL Washington 1886 Transactions of thè American National Society, voi. I; Washington 1839. 9 I libri soprasegnati furono gentilmente donati dal Prof. Francesco Sav. Monticelli, socio benemerito, alla nostra Biblioteca, poco tempo prima che mo¬ risse. Si tratta di opere che appartennero al suo illustre avo Abate Teodoro Monticelli e che costituiscono dei cimeli rari anche per le dediche autografe che molti di essi portano. Alla memoria del Benemerito socio Prof. Francesco Sav. Monticelli vada il ricordo grato della Società che egli amò intensamente e nella quale lascia un incolmabile vuoto. Teodoro Monticelli. — Opere. Ouvres du C. Hamilton. Fréderic Cailliaud. — Voyage a Méroé et au Fleuve Blanc. Tomo I- II-III-IV. Le Comte Orloff. — Voyage dans une partie de la Francie. Tomo I- 11-111. Guarini G. — Dizionario farmaceutico magistrale ed officinale. Na¬ poli 1846. Tondi Matteo. — Oreognosia. Bertolotti D. — Viaggio in Savoia. Voi. I, 182S Torino. Barraccano G. — Osservazioni sul colera morbo, Napoli 1849. Stanley H. M. — La liberazione di Emin Pascià. Frank G. P. — Polizia Medica. Voi. I a XI. Petri Belloni. — Observationes. Antuerpiae 1589. Martin. — Le regulateur universelle T. I-II. Avogadro. — Fisica dei corpi ponderabili. Voi. I-II-III-IV. — — Séances des écoles normales. Débats, Tomo I- II -III, Paris 1800-1801. — Séances des écoles normales. Legons. Voi. I — III a X, Paris 1800-1801. — — Memorie dell’Accademia Ercolanese. Voi. I - III. » » n ;; I — HI* Garnier. — Traité sur les puits artésiens. Paris 1826. Chevalier M. — Lettres sur l’Amérique du Nord. Tomo I— II— III, Bru¬ xelles 1838. Ritter C. — Géographie Générale. Bruxelles 1838. Vandermaielen Ph. — Essai sur la statistique générale de la Belgique. Bruxelles 1841. Rubini R. — Teoria delle forme in generale. Parte I e II, Lecce 1886. Antonii Sanfelicii. — Campania illustrata. Napoli. Loudon C. — Solution du probléme de la population. Paris 1842. Flauti. — Del metodo in matematiche. Napoli 1822. Paoli D. — Del moto intestino. Firenze 1820, Memoria II. F. Fontana. — Novae celestium terrestriumque rerum observationes. Napoli 1526. Jo. Baptistae Portae Neapolitani. — Elementorum curvilineorum libri tres. Romae 1610. Fr. Ferrara. — Descrizione dell’ Etna. Palermo 1818. Adrien Balbi. — Abrégés de Geographie. Paris 1839. Hauy. — Traité des caractères phisiques des pieri es prècieuses. Paris 1817. Humbold. — Il cosmos. Voi. I-II-III. — — Les nouvelles découvertes des Russes. Lorenzo Giustiniani. — I tre rarissimi opuscoli di Simone Porzio, di Girolamo Borgia e di Marcantonio delli Falconi scritti in occasione della celebre eruzione avvenuta in Pozzuoli nell’anno 1538 colle memorie storiche dei suddetti autori , raccolte da L. G. Napoli 1817. Ferrarese Luigi. — Memoria sulla dottrina frenologica. Napoli 1836. Moschettini Cosimo. — Della brusca malattia degli ulivi. Napoli 1877. Monsignor De Luca. — Il Dio Creatore. Tomo III. Napoli 1806. Granata L. — Economia rustica per lo Regno di Napoli. Napoli 1830. Voi. I e IL Fortunato N. — Discoverta dell'antico Regno di Napoli. Napoli 1767. Ria G. — La idroterapia. Napoli 1874. Rubini. — Compendio di calcolo infinitesimale. Napoli 1880. D’Orimini A. — Delle arti e delle scienze tutte divisate nella giurispru¬ denza. Parte I e II. Napoli 1747. Linneo. — Du systeme de le nature. Pallas. — Travelles through thè southern provinces of thè Russian eim- pere. Tomo I-II-III, London 1803. Jouannin Jh. Mie. — L’univers. - Turquie. Per un movimento agraiio. Discorsi, articoli e documenti. Napoli 1905. Matteo G. — Pensieri sull' istruzione pubblica, relativamente al Regno delle due Sicilie. Napoli 1809. Frèderici L. C. — Lezioni di Geografia. Napoli 1811. Denza. — La meteorologia e le più recenti sue applicazioni. Torino 1883. Richard. — Guide du Voyageur en Italie. Paris 1826. Chatouillet M. — Catalogne des camees pierres gravées et autres mo- nu me nts. Molinari. — Commerce des grains. Paris 1855. Flaminien Venason. — L’invention de la Boussole nautique. Naples 1808. Piero Rezzatore. — I viaggi polari. Roma 1880. Chaptal. — De l’ industrie francoise. Tom I— II. Paris 1819. Morgera. — Le terme dell’isola d’ Ischia. Napoli 1890. Fineschi A. M. — Regole per fare le stime dei predj rustici. Firenze 1816. Barzellotti G. — Medicina legale. Tom I. Napoli 1831. Berdier M. — Vademecum. Armellini. — Le leggi dell’agricoltura. Napoli 1838. Galanti. — Geografia elementare. Napoli 1836. Elegiés historiques par Vico d’Azar. Tom I-II-III. - XIV - Lullin. — Des graines artificieles. Genève 1819. Zuccati. — Notice sur la Venezuela. Paris 1889. Guenin. — Le credit agricole. Paris 1891. F. S. Nitti. — La città di Napoli. Napoli 1904. Palmieri e Oglialoro. — Sul terremoto dell’ isola d’ Ischia del luglio 1883. — — Commission pour l’examen des questions relatives a Lesela— vage et a la constitution politiques des colonies. Paris 1843. — — Manoscritto dell’Agricoltura e pastorizia. G. M. Galante. — Della descrizione geografica e politica delle Sicilie. Napoli 1793. — — Della descrizione geografica e politica delle Sicilie. Napoli 1793. — — Descrizione geografica e politica delle Sicilie. Tom I— IV. — — Nuova descrizione geografica e politica delle Sicilie. Tomo II-III, Napoli 1889. Dono dell’Ing. MARIO MONTICELLI. Galileo Galilei. — I dialoghi sui massimi sistemi, Tolemaico e Coper¬ nicano. Milano 1883. Monticelli M. — L’arsenale di Marina in Napoli e l’utilizzazione com¬ merciale e civica del porto Militare e delle sue adiacenze. Na¬ poli 1914. — — La trasformazione dell’ arsenale di Marina e la costruzione di un bacino di carenaggio di 300 metri nel Porto di Napoli. Napoli 1917. — — Questioni partenopee. Napoli 1920. — — Arsenale Castelnuovo e Reggia e le comunicazioni litora¬ nee fra piazza Municipio e S. Lucia. Napoli 1924. — — Criteri generali di un sistema di comunicazione dei due ver¬ santi di Napoli fra loro e colla zona alta. Napoli 1926. Moschetti A. — L’ industria mineraria nell’ Italia Meridionale. Roma 1923. Scribandi A. — Le proprietà geometriche fondamentali delle superficie dei centri isocarenici di Carena e di galleggiamento. Spezia 1889. Canalis P. e Crossenini E. — Intorno ad alcuni recenti impianti ita¬ liani di depurazione di acqua potabile mediante l’ ozono, i raggi ultra violetti e filtri Jewell. Novi Ligura 1913. - XV - Lanino P. — La questione meridionale: questione nazionale, problema agricolo, problema tecnico. Roma 1920. Cerio E. e Camberini D. — Per l’industria della pesca in Italia. Ro¬ ma 1913. Piscicelli G. — Relazione e proposta per un nuovo ordinamento dei servizi riflettenti la pubblica nettezza (Pel Municipio di Na¬ poli. Napoli 1910). Magnaghi G. — Tavole e formule nautiche. Milano 1883. Lo Surdo A. — Conferenza sull’acustica subacquea e sue applicazioni , alla ricerca dei sommergibili. Roma 1918. Poggi T. — La coltivazione degli asparagi. Domenico G. e Mayer G. — Le caratteristiche della migliore lavora¬ zione del terreno, in corrispondenza ai vari movimenti e alle diverse culture e nei riguardi dei mezzi meccanici. Laplage. — Essai philosophique sur les probabilités. Paris 1819. Kernot F. — L'acqua filangieri minerale acidola-alcalina. Napoli 1873. Bressan C. — Le riforme da introdursi negli Istituti nautici. Genova 1906. — — Consigli popolari per la difesa individuale contro il colera. Roma 1910. — — Sterilizzazione dell’acqua potabile mediante l'ozono. Parish. — Buenos Ayres and Rio de la Piata. London 1828. Sorrentino G. — Manuale di navigazione. Napoli 1891. Balbi A. — Necrologia di Teodoro Monticelli. Geva Grimaldi G. — Elogio del Comm. Teodoro Monticelli. Napoli 1845. Dono del socio Prof. UGO MlLONE. Gl’Incurabili 1887-1889; 1891; 1898-1900. Donzelli Giuseppe. — Teatro Farmaceutico, Dogmatico, Spagirico. Ve¬ nezia 1743. Macquer di Pietro Giuseppe. — Voi. 1-10, Napoli 1785-1786. Morelot Simon. — Cours elementaire thèorique et pratique de phar- macie chimique. Voi. 2-3, Paris 1803. Cassola Filippo. — Trattato di chimica. Voi. I-IV, Napoli 1830-1834. Pouillet M. — Fisica Sperimentale e Meteorologia. Voi. I-III, Napoli 1839-1840. Semmola G. — Trattati di Farmacologia e Terapeutica. Napoli 1853. Del Grosso Luigi. — Giornale di Chimica Farmaceutica. Serie II, Voi. I, Napoli 1844. - XVI - Orlila M. P. — Elementi di Chimica. Voi. I-IV. Napoli 1823. — — Supplemento alla Chimica. Napoli 1827. Atti del Congresso contro la Tubercolosi in Napoli, Aprile 1900. Folima R. — Lezioni di Farmacologia. Voi. I, Napoli 1846. Gazzetta di Medicina pubblica. Voi. I-IV; IX-XII; XV, XVI. Mastrolilli A. — Considerazioni sul riscaldamento Polare. Napoli 1927. — — Notizie anatomo-morfologiche sui leoni (dono Aut.) Napoli 1927. — — Il vantaggio dei più piccoli nella lotta per la vita (dono Aut.) Napoli 1927. Janet C. — Théorie orthobiontique 1925 (dono Aut.). INDICE ATTI (MEMORIE E NOTE) Ranzi S. — Nuovo Tubellario Policlade del Golfo di Napoli ( Ce - stoplana raff aelei n. sp.) . V iggiani G. — L’avvicendamento delle culture a Perugia dal punto di vista ecologico nei riguardi del rendimento del grano Pierantoni U. — Osservazioni sui cosiddetti globuli del tuorlo o piastrine di Bufo viridis . Fiore M. — Dicotomia e fasciazione foliare in Scolopendrium vul- gare L . Del Regno W. — Sul comportamento del Selenio eccitato con so¬ stanze radioattive . De Fiore O. — Linosa (Isole Pelagie) . Salfi M. — Ortotteri di Linosa (Isole Pelagie) . — — Su due nuovi Ascidiacei del Golfo di Napoli . Augusti S. — Studi e ricerche sperimentali sul Myrtus communis L. var. italica • . Andreotti A. — Curva delle massime quantità di pioggia, corri¬ spondenti a determinate durate per Napoli Majo E. — Sul periodo diurno della pioggia a Napoli . Pierantoni U. — Osservazioni sui corpuscoli del tuorlo di Rana esculenta. Esperienze di cultura . Viggiani G. — Determinazione sperimentale delle costanti ecologi¬ che della patata . Zirpolo G. — Caso di eteromorfosi in un Astropecten aurantia- cus L . AUGUSTI S. — Ricerche sperimentali sul Lichene Islandico e sulle sue possibili applicazioni in tintoria . Majo E. — Studio comparativo sulle variazioni della quantità e della frequenza annuale della pioggia in varie città d' Italia Salfi M. — Contribuzioni alla conoscenza degli Ortotteri libici. - 4. Blattidae ed Acrididae di Cirenaica . Colosi G. — Nota sopra alcuni Vaginulidi . Police G. — Sull’apparato bucco-faringeo del Phalangium opilio L. Gargano C. — Plastiche gastriche con lembi di apotievrosi fissata. — — Innesto di tessuto testicolare in glandola mammaria di cane . . . . . . . . . . pag. 3 „ 12 „ 23 „ 28 „ 59 „ 65 „ HO „ 145 „ 149 „ 154 „ 160 „ 167 „ 171 « 195 „ 207 „ 211 „ 225 „ 271 „ 280 365 „ 389 Rodio G. — Sui pigmenti delle Schizoficee e sul pigmento rosso di una Schizoficea . pag. 403 ZiRPOLO G. — Sulla presenza della Barentsia discreta BuSK nel Golfo di Napoli . „ 413 COMUNICAZIONI VERBALI Cavara F. - Per il Bosco di Cariglione . pag. 3 Milone U. — La determinazione dell'acidità del latte „ 5 RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1927 pag. in Consiglio Direttivo per l’anno 1928 „ xm .Elenco dei socii . „ xv Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio e in dono. . „ in— xi TAVOLE Boll, di Soc. d. Naturalisti in Napoli. Voi. XXXIX Tav. 1 V. Serino dis. r\ i V- Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav. 2. Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli , Voi. XXXIX. Tav. 3 Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav. 4. 1 J Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav 5. Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napolit Voi. XXXIX. Tav. 6. Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav. 7 ... Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli , Voi. XXXIX. Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav. 8". . Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav. 9. Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav. 10. . ^ . ... \ - • • * Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav. 11. — Boll. d. Società dei Naturalisti in Napoli, Voi XXXIX. / : ? ; CALDEE 150 - 200 --95Q . V. Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav. 13 (II) Triangolazione dei crateri del Timpone II, M. Bandiera-Calcarella, Pozzo salito, Posto (De Fiore 1926 VI). A Basi trigonometriche dell' I. G. M. I. O Stazioni A B C D E. ■ X Punti quotati. • Punti per le distanze. Tav. XIII. Boll d Soc. dei Noi. in Napoli, Voi. XXX IX Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav. 14 Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Tav. 15 Boll. d. Soc. del Naturalisti in Napoli , Voi. XXXIX . Tav. 16 ! : .! i i ! 5 3 I - Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX . Tav. 17 Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXIX. Fig. 1. Fig. 2. Tav. 18. Fig. 4. Boll. d. Soc. dei Nat. in Napoli, Voi. XXX ! X Tav. X/t GfUHCMI «Ulti 1 IACBOI* - MILANO e Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli , Voi. XXXIX. Tav. %0. rn 3 ni rn irv G. Police dis. Boll. d. Soc. dei Naturalisti in Napoli , Voi. XXXIX. Tav.21. . o^7nj G. POLICE jJlS. ' Rodio G. — Sui pigmenti delle Schizoficee e sul pigmento rosso di una Schizoficea . . pag. 403 ZiRPOLO G. — Sulla presenza della Barfntsia discreta Busk nel Golfo di Napoli . 413 COMUNICAZIONI VERBALI Cavar a F. - Per il Bosco di Cariglione . pag. 3 Milone U. — La determinazione dell’acidità del latte „ 5 RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1927 . Pag. / m Consiglio Direttivo per l'anno 1928 . » XIII Elenco dei socii . ■. » XV Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio e in dono. a III-XI 'fi Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al SEGRETARIO DELLA SOCIETÀ* Dr. Mario Salfi presso la Sede R. Università — Via Mezzocannone - Napoli. Direttore responsabile : Claudio Gargano