Historic, Archive Document Do not assume content reflects current scientific knowledge, policies, or practices. [ \Of\ T\0> v.A-° BOLLETTINO DELIA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IIV NAPOLI VOLUME XL (SERICI II, VOL. XX). ANNO XL II 1928 Con 4, tavole (Pubblicato il 30 aprile 1929) NAPOLI PREMIATO STAB. TIP; NICOLA JOVENE Via Donnalbina, 14 1929 INDICE ATTI (MEMORIE E NOTE) Police G. — Le fossette neuroblastiche nell' abbozzo del sistema nervoso dello Sparassus sp . pag. 3 Zirpolo G. — Sopra due mie Note sui briozoi n 21 Zirpol 5 G. — Le forme cometoidi dell' Asterias tenuispina Lmk. „ 25 Andreotti A. — Ricerche correlative nelle variazioni della pres¬ sione atmosferica , della frequenza e della quantità di pioggia a Napoli . ,, 41 Zirpolo G. — Casi di anomalie osservati in Antedon mediterra¬ nea Lmk. . . 52 Torelli B. — Notizie su alcuni Isopodi del Golfo di Napoli. Il ge¬ nere Cymodoce . » 57 Maione V. — Esperimento sull'impiego dell'acqua decalcificata co¬ me solvente degli urati nell'organismo umano . . „ 66 Platania G. — Un dodicennio di osservazioni eseguite in Catania e in Napoli sulle meteore ottiche . ,,73 Zirpolo G. — Nuovo caso di gemmazione in un Astropecten au- rantiacus L . 83 Jucci C. — La variabilità individuale della capacità di partenoge¬ nesi in razza bi voltina di bachi da seta „ 88 Jugci C. — Somministrazione di sostanze cerose (Spermaceti) per via alimentare . . . . . . . „ 95 Parascandola A. — Osservazioni mineralogiche e litologiche sul- T Isola di Procida -. . . . ,,107 Platania G. — Commemorazione del prof. Ciro Chistoni . . ,,113 Parascandola A. — Su di alcune misure di temperatura eseguite nel Rione delle Mofete e nel cratere del Monte Nuovo nei Campi Flegrei . 125 Parascandola A. — Sulle produzioni crociformi osservate in Na¬ poli ed in vari luoghi in occasione dell’ eruzione vesu¬ viana del 1660 . . . . „ 129 Salfi M. — Ortotteri di Pantelleria . . 139 Majo E. — Il potere rifrangente e la conducibilità elettrica dell'ac¬ qua marina nel golfo di Napoli . „ 142 Police G. — Commemorazione del prof. Francesco Capobianco . „ 147 Jucci C. — Come si eredita la capacità di accrescimento negli in¬ croci reciproci tra le due razze di bachi da seta ( Bom - byx mori) Varo e Bianco chinese . „ 163 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI VOLUME XL (SERIE II, VOL. XX). ANIMO XL II 1928 Con 4- tavolo ( Pubblicato il 30 aprile 1929 ) NAPOLI PREMIATO STAB. TIP. NICOLA JOVENE Via Donnalbina, 14 1929 Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli ATTI (MEMORIE E NOTE) Le fossette neuroblastiche nell’abbozzo del sistema nervoso dello Sparassus sp. Contributo allo studio dell’istogenesi degli elementi nervosi degli Aracnidi del socio Prof. Gesualdo Police (Tornata del 18 marzo 1928) Lo studio del differenziamento dei neuroblasti dagli ele¬ menti embrionali indifferenziati, fra gli Artropodi è stato ese¬ guito principalmente sugl’insetti. Per gli Aracnidi questo diffe¬ renziamento avviene in modo tutto particolare e caratteristico ; purtuttavia poco si sa intorno ad esso : qualche accenno che è stato fatto in proposito è così rudimentale ed è così soggetto a discussione che possiamo dirlo presso che nullo , inquantocchè non sono stati messi in evidenza i particolari del modo di ori¬ ginarsi delle cellule nervose, nè si è data una interpetrazione si¬ cura alle conformazioni che con tale origine si connettono e che non si riscontrano negli altri Artropodi. All’inizio della differenziazione del sistema nervoso, negli em¬ brioni di Aracnidi, si vedono comparire prima nell’area cerebroide € poi sugli abbozzi dei gangli ventrali, numerose fossette , le quali, anche ad un piccolo ingrandimento, si scorgono nel loro insieme (fig. 1 , fn). Queste fossette furono per primo riscontrate nello Scorpione, il quale è stato l’Aracnide il cui sistema nervoso è stato mag¬ giormente fatto oggetto di studio. Kowalevsky e Schulgin sono i primi autori dai quali ho potuto trarre delle notizie sull’argomento in parola, benché eglino — 4 — stessi notano che già il Korotneff abbia osservato questo spe¬ ciale accrescimento del sistema nervoso degli Aracnidi. Questi autori, dunque, osservano, che il sistema nervoso dello Scorpione nei primi stadii embrionali è un semplice accumulo di cellule ectodermiche, ma in seguito, allorché diventano distinti i primi accenni dei segmenti cefalici, comincia un rapido aumento delle cellule ectodermiche (pag. 530) " zuerst auf den Kopfsegmente an 15 bis 20 gesonderten Stellen, welche das Aussehen von Gruben haben „. Sui tagli trasversi queste fosse compaiono " als einfache hohle Ràume, die bald verschwinden wegen des Zusammenwach- sens der sie auskleidenden Zellen, welche letzere bald so hoch an* wachsen, dass sie die ganze Dicke des Stranges bilden Gli autori notano che un simile modo di aumento di cellule ha un gran vantaggio di fronte ad un semplice aumento in superficie. Per mezzo di queste fosse s'ingrossa la massa del cordone nervoso. Come si vede queste notizie non sono abbondanti, nè sono accompagnate da alcun disegno ; purtuttavia debbo dire che danno un accenno esatto di queste formazioni e sopratutto sono giuste nella interpretazione. Anche nello Scorpione riscontra queste fossette il Laurie. Nello stadio I del suo 4° periodo egli nota (pag. 122) che " The epi- blast is not evenly thickened, but thè nuclei are arranged so as to present a wavy outlitie. This is characteristic of thè formation of nerve tissue in this animai and was well seen in thè cerebral lobes in thè last stage E in uno stadio consecutivo (pag. 125) trova che nel cervello " The mass of cells is more or less grouped round small circular clear spaces, wich give to this part of thè brain thè appearance of being composed of a number of small vesicles „. Il Patten disegna queste fossette, in embrioni di Scorpione, nella PI. 23, fig. 1 e 2 e nella PI. 24, fig. 3. Per le frequenti comparazioni con i Vertebrati, non è chiaro il modo come egli si esprime nel testo in rapporto a queste fossette. Pare si rife¬ risca ad esse, allorché dice a pag. 327 " In both cases (nello Scorpione e nei Vertebrati) thè neural and thè spinai ganglia deve- lop from a special modification of thè edge of thè nerve-cords, thè " neural crest „. In scorpio thè crest consist of a row of large dark sense organs estending thè whole lenght of thè nerve-cord (PI. 23 and 24, figs. 1-3 nc ; and text, fig. 2, A and D, tic and sp.g; — 5 also text , fig. 11, sp. g). Con maggiora chiarezza si esprime il Patten su queste fossette nella spiegazione della fig. 1 della PI. 23 a pag. 377 : descrivendo il suo " Stage B „ nota " thè innu- merable sense-organs from wich thè nervous System arises ; thè large sense-organs, nc.=sp. g., which later form an incipient u neural creste „ and from wich thè spinai ganglia develop „. Per il Patten quindi queste fossette rappresentano degli organi di senso, i quali comparirebbero soltanto nei primi stadii embrionali, salvo a scomparire con 1' avanzarsi dello sviluppo. Debbo aggiungere che le figure di questo autore, (PI. 23, fig. 1 e 2 e PI. 24, fig. 3) rappresentano queste fossette ad un piccolo ingrandimento, per modo che si rileva solo il contorno di esse, segnato da puntini disposti a rappresentare piccolissimi circoli. Ogni dettaglio istologico, che avrebbe potuto metterne in evi¬ denza la struttura, e favorire la sua interpetrazione, è mancante. Dirò anzi che queste fossette nei disegni del Patten sono di¬ sposte con una regolarità quasi schematica , quale non appare nè dai disegni degli altri autori sullo Scorpione o su altri Aracnidi, nè dai miei sullo Sparassus. Ed è appunto questa regolarità di disposizione delle fossette neuroblastiche delle figure del Patten, che ha fatto credere al Wheeler (il quale occupandosi dei neuroblasti negl'insetti, vuol fare delle comparazioni anche con gli Aracnidi) che (1, pag. 342) i " peculiar sense organe (dei quali sarebbe ricoperto il sistema nervoso del giovane embrione di Scorpio nei disegni del Pat¬ ten) strange to say, are arranged in four irregular rows in either lateral corde of thè ventral nerve-chain Fatto del quale egli si avvale in appoggio alla sua concezione in rapporto alla di¬ sposizione in quattro fila dei neuroblasti che daranno origine agii elementi che costituiranno ognuno dei gangli della catena ven¬ trale degli Insetti da lui osservati e che egli vorrebbe genera¬ lizzare a tutti gli Artropodi. Il Wheeler, d'altro canto, nota (1, pag. 242) " that thè so- called sense organs in thè Arachnid are, like thè circular spots in thè procephalic lobes of Xiphidium , simply thè expression of an early differentiation of thè primitive ectoderm into integu- mentary cells (dermatoblast) and nerve-cells (neuroblasts) „. Que¬ sta osservazione che è utile all' autore perchè appoggia le sue — 6 — vedute , riporta l'interpretazione di queste fossette dalla conce¬ zione del Patten a quella di Kowalevski e Schulgin. Ed ancora fu ritenuta più giusta l'interpretazione di Kowa¬ levski e Schulgin dal Brauer, il quale si occupò anche della sviluppo dello Scorpione. Neanche il Brauer , però , aggiunge dettagli su queste fossette, alle quali dedica pochi righi, senza dare neanche egli disegni ad ingrandimenti tali da metterne in rilievo i particolari (pag. 417): " Die Grubchen sind von grossen Zellen mit grossen rundlichen Kernen gebildet , sie sind wallartig umschlossen von kleinen spindelfòrmigen Zellen mit kleinen langgestreckten Kernen. Da erstere sieh wenig, letztere da- gegen stark fàrben, so fallen diese Bildungen sehr auf. „ Queste due specie di cellule non sono messe in evidenza nelle sue fi¬ gure, come egli stesso dice. Trova le fossette sia nell' abbozzo dei gangli sottointestinali che in quello del cervello. Me Clendon, un’altro studioso dello sviluppo del sistema nervoso dello Scorpione, anche egli non è favorevole all' inter¬ pretazione del Patten (pag. 45) : “ It is not problable however that thè pits in thè neuromeres represent sense organs, since thè embryology of thè scorpion is of so specialized a type that we would not expect to find such remotely ancestral structures repea- ted bere, when not repeated in more generalized types „. Un accenno su questo argomento dà ancora il Lambert nel suo studio sullo sviluppo dei lobi procefalici dell' Epeira cinerea, con qualche dettaglio maggiore. Egli nota (pag. 433) che ogni fossetta presenta una struttura indipendente ed è circondata da un cerchio ben marcato di nuclei. Le cellule costituenti guar¬ date superficialmente appaiono essere cellule piccole, chiare, di¬ sposte con considerevole regolarità nell'ectoderma. " In sections these pits are seen to be surrounded by cells having a considera¬ le regularity of arrangement. The follow of thè pit is filled with a clear substance, apparently secreted from thè surrounding cells Egli compara queste fossette con i " neuroblasti „ riscon¬ trati dal Wheeler negl’insetti e descritti come “ numerous, large, light cells in thè surface of thè ectodermi, dalle quali per proli¬ ferazione derivano gli elementi che pigliano parte alla costitu¬ zione del sistema nervoso. Il Lambert osserva che nell' Epeira " thè pits are more or less regularly arranged depression of thè — 7 — ectoderm ; thè cells surrounding each depression being grouped together in a manner which strongly suggest thè way thè optic cells are arranged in a simple ocellus „. Egli sostiene quindi l'opi¬ nione espressa dal Patten che queste fossette rappresentano de¬ gli organi di senso primitivi " rather than being, like thè neuro- blasts of Wheeler, thè points of origin for numerous sensory elements Aggiunge inoltre che 11 Patten has shown that these primiti¬ ve sense organs form at a later period, by proliferation and trasfor- mation, special groups of ganglion cells. Moreover, since, as thè same author has clearly shown, thè minute structure of these pits is thè same as that of true peripheral sense organs which occur at thè base of thè legs in scorpions, one can scarcely avoid adopting his point of view L'autore nota ancora che le fossette sensoriali compaiono dapprima nell'area ganglionare della piastra cefalica ; più tardi appaiono nei neuromeri dei segmenti toracici ed addominali, co¬ me pure in altre parti dell'embrione destinate a formare degli organi di senso. Da ciò egli deduce che viene fortemente favo¬ rita " thè view that thè centrai nervous System arises, phylogeneti- cally, not by thè multiplication of simple neural elements, but by thè transformation and aggregation of primitive sense organs into thè parts from which thè nervous System is derived „. Il Lambert, pur dando dei precisi disegni della disposizione di queste fossette viste a piccolo ingrandimento (PI. 6-10) non dà alcun disegno dei loro particolari di struttura. In fondo egli ha appena sfiorato questo argomento nel suo lavoro complesso, nel quale, per altro, sono notati fatti d'altra indole molto inte¬ ressanti. Egli sopratutto si sforza ad affermare le vedute del Patten, le cui affermazioni, anzi, egli chiarisce ; così, per esem¬ pio, allorché precisa che le fossette (organi di senso primitivi) in un periodo posteriore darebbero origine a speciali gruppi di cellule gangliari. Come pure che la minuta struttura di queste fossette è la stessa degli organi di senso periferici della base della zampa dello Scorpione ; cosa della quale notr aveva potuto convincermi, poiché il Patten non dà alcun disegno dettagliato, nè descrizione minuta istologica nè delle fossette in generale nè di quelle che daranno gli organi di senso basali delle appendici — 8 — dello Scorpione. La mancanza di figure sulla struttura minuta, non avvalora certo le affermazioni del Lambert, perchè non ba¬ sta dire soltanto che si tratta di depressioni le quali somigliano a degli ocelli perchè le loro cellule sono regolarmente disposte, ma bisogna anche avvalorare tale interpetrazione. Il Lambert, pur affermando col Patten che si tratti di or¬ gani di senso primitivi, nelle sue figure , più obbiettivamente, indica queste fossette con le lettere tip = nearoblast. In rapporto a queste fossette che appaiono sull'abbozzo del sistema nervoso degli Aracnidi , possiamo quindi affermare che la struttura non ne è conosciuta, essendovi intorno ad essa qual¬ che accenno di descrizione (Kowalewski e Schulgin , Brauer, Lambert) senza alcun disegno illustrativo. Di esse sono stati dati solo dei disegni d'insieme a piccolo ingrandimento. Nel disegno del Laurie (PI. 15, fig. 25) citato dal Wheeler, rappresentante una sezione trasversa che passi attraverso i lobi procefalici di un embrione di Euscorpius italicus , la " unevness „ a cui accenna il Wheeler non possiamo affermare che rappresenti una delle fossette notate dal Patten, ma anche che lo fosse le dimensioni dell' ingrandimento non sono tali da poter illuminare sulla loro struttura. A me pare, quindi, che la struttura di queste caratteristiche formazioni del sistema nervoso embrionale degli Aracnidi sia completamente da studiare. o studio della struttura, porterà poi da se alla loro precisa interpretazione e mostrerà fino a che punto può ammettersi l'in¬ terpretazione del Patten, appoggiata dal Lambert. Le mie osservazioni sono state fatte su di un Araneide, lo Sparassus sp. , che mi è servito anche per altre osservazioni embriologiche riguardanti la morfologia del capo degli Aracnidi. La figura 1 mostra uno degli stadii embrionali nei quali appaiono queste fossette. Essa è vista a piccolo ingrandimento, cioè a dire all' ingrandimento al quale hanno disegnato i varii autori le formazioni di cui qui mi occupo. La intima connessione della loro presenza con la futura dif¬ ferenziazione della sostanza nervosa, permette di distinguere tosto le parti dell'embrione che si trasformeranno in centri nervosi. — 9 - Negli stadii successivi queste fossette diminuiscono di pro¬ fondità , fino a scomparire. Il livellamento della superficie è il prodotto della proliferazione degli elementi delle fossette. Come hanno già detto gli osservatori che mi hanno prece¬ duto (Kowalewski e Schulgin, Brauer, Lambert) le fossette com¬ paiono dapprima nell'area dove si differenzieranno i gangli ce¬ falici e più tardi compariscono nelle porzioni laterali dei segmenti toracici ed addominali, dove si formeranno i gangli della catena ventrale. Scompaiono invece in senso inverso : dapprima negli abbozzi dei gangli della catena ventrale e poi in quelli dei lobi cefalici. II contorno delle fossette è più o meno irregolarmente cir¬ colare. Le loro dimensioni sono variabili , pur essendo piccole le variazioni. Sono sparse senza determinata regolarità ed il loro numero non è costante per ogni abbozzo di neuromero. Ciò appare dalla mia figura 1 (fn) e dalle figure 21 a 29 (nb) del Lambert. La disposizione regolare a quattro file più o meno diritte è indubbiamente capitata occasionalmente nei di¬ segni del Patten ed ha tratto in inganno il Wheeler che ha voluto riscontrare i neuroblasti disposti in quattro file negli A- racnidi, come negl'insetti. Non dirò, come altri, che queste fossette alla loro periferia siano circondate di nuclei : esse sono formate di cellule, le quali tutte sono fornite di nuclei e quindi ad un osservazione in su¬ perficie si scorgeranno le cellule della periferia con i relativi nuclei, mentre, movendo la vite micrometrica, nei diversi piani si riscontreranno i nuclei delle cellule degli strati successivi, fino a quelli del fondo delle fossette. Nella osservazione di queste fossette viste in superficie (fig. 2), in un embrione nei primi stadii di sviluppo isolato dalla massa di vitello, si scorge la disposizione delle cellule della periferia. La figura ha ritratto due fossette adiacenti, ingrandite a 1000 diametri. Si vede tosto che il loro contorno, il quale a piccolo ingrandimento appare più o meno regolarmente circolare, è ab¬ bastanza irregolare. Il primo fatto che colpisce, però, è il gran numero di elementi in attività cariocinetica che si riscontrano alla periferia delle fossette. E osservando i piani successivi, col 10 — movimento della vite micrometrica , in tutti essi , fino al fondo della fossetta si riscontra la medesima attività moltiplicativa, per modo che possiamo affermare che le cellule costituenti tutta la superficie di rivestimento di queste cavità sono in grande atti¬ vità di moltiplicazione. Fig. 1. — Porzione anteriore di un embrione di Sparassus (sp.) X 106, eh — abbozzo dei cheliceri, fri = fossette neuroblastiche, pd — abbozzo dei piedipalpi. Ho scelto per il disegno due fossette nelle cui cellule vi sia una media attività moltiplicatrice , ma ne ho riscontrate alcune nelle quali le cellule in tutto il piano erano in cariocinesi, come ne ho riscontrate altre nelle quali gli elementi in mitosi erano in numero minore. Il modo migliore per osservare tutti questi elementi cellulari in grande attività riproduttrice è appunto l'osservazione in toto quale è riprodotta nella fig. 2. In una sezione trasversa (fig. 3) di una fossetta si ha con- 11 ferma e chiarificazione di quanto può osservarsi nella fossetta veduta superficialmente in toto. Le mie osservazioni sono fatte sopra embrioni in stadii poco avanzati di sviluppo, perchè appunto in essi, essendovi la mag¬ giore attività moltiplicatrice si possono più facilmente distinguere i varii tipi di elementi embrionali che segnano le fasi attraverso le quali passano le cellule ectodermiche indifferenziate per di¬ venire neuroblasti. La sezione da me disegnata mostra due fossette , una più profonda , 1' altra meno : la differenza è dovuta al fatto che la meno profonda è stata tagliata più lateralmente, mentre l'altra è tagliata lungo l'asse di maggiore profondità. Il preparato è stato trattato con colorazione nucleare all'ematossilina ferrica delFHEi- denhaim. Si rilevano abbastanza nettamente i limiti cellulari, in modo particolare per quegli elementi che non ancora hanno su¬ bita alcuna differenziazione. & Fi?. 2. — Due fossette neuroblastiche, vedute su di un embrione preparato in tolo ; la messa a fuoco c per il margine superiore della fossetta X 900. cc^, cc- = cellule in via di moltiplirazione cariocinetica, cf = cellule figlie, ci ~ ce’lule indifferenziate, cm, cm , cm~, cm3, cmr = varii tipi di cellule madri. Gli elementi cellulari che rivestono la superficie interna delle fossette sono regolarmente disposti ; ma la disposizione regolare di questi elementi è quella di un qualunque epitelio ectodermico embrionale ; nè a me pare che ricordi la struttura di un ocello, come è parso al Lambert. Nessuna caratteristica morfologica degli — 12 — elementi che le costituiscono permette di interpretare queste fos¬ sette come organi di senso. Se alcuni degli elementi hanno ca¬ ratteri particolari, questi caratteri sono ben lungi dall'essere quelli di elementi sensitivi, sono caratteri di transizione in rapporto con la loro attività moltiplicatrice , ed intorno ad essi m'intratterrò in modo particolare. Gli elementi che costituiscono le pareti di queste fossette si possono riunire in tre tipi : a) Cellule indifferenziate. — Sono elementi che non differiscono da quelli che costituiscono l'ectoderma delle re¬ stanti parti del corpo. Il loro nucleo è ovale e abbastanza ricco di cromatina, intensamente colorato ; ciò che permette di distin¬ guerle anche sulle fossette viste in superficie su preparati in foto (fig. 2, ci). Sulle sezioni, però, (fi . 3, ci) di queste cellule si di¬ stingue anche la forma : esse sono cilindriche, a protoplasma che si colora più intensamente di quello degli altri elementi in via di differenziazione. Sono regolarmente disposte in fila l'una dopo l'altra. Ho dato loro il nome di cellule indifferenziate, perchè dalle mie osservazioni ho potuto formarmi il concetto che esse sono gli elementi base, dai quali gradatamente si avrà la differenzia¬ zione degli altri. b) Cellule madri. — Sono cellule poligonali a proto¬ plasma pallido (fig. 2 e 3, cm), con nucleo molto più grande delle precedenti, ma assai più povero di cromatina, nettamente sferico. Non mi pare che questi elementi costituiscano delle entità isto¬ logiche stabili (come non lo sono le cellule denominate germi¬ native dall' His nei Vertebrati) , anzi , tutto contribuisce a farmi credere che esse sono degli elementi di transizione fra le cellule indifferenziate ed i successivi tipi di elementi. Infatti, nella se¬ zione rappresentata dalla figura 3 (scelta di proposito) si osser¬ vano in fila tre elementi che a me pare segnino il passaggio dalle cellule indifferenziate alle cellule madri. L’elemento cmv con¬ serva ancora il nucleo di forma ovale , ma questo nucleo si è ingrossato, con spiccato aumento del diametro trasverso e dimi¬ nuzione della cromatina. L'elemento erri1, mostra il nucleo quasi perfettamente sferico , povero di cromatina, ingrossato ; il prò- — 13 — toplasma è più pallido. L' elemento erri" rappresenta la cellula madre tipica con nucleo grosso, sferico, povero di cromatina a protoplasma pallido. Queste cellule madri , pur essendo poligonali tendono ad assumere la forma rotondeggiante (fig. 3, erri*) come le cellule in divisione mitotica, anch’esse a protoplasma pallido (cc), per modo che a me pare che possa dirsi che sono appunto queste cellule madri che entreranno nella fase moltiplicativa. Fig. 3. — Sezione di due fossette contigue. X 1200. Le lettere, come nella fig. 2. Le forme in mitosi si riscontrano sempre alla superficie della fossette viste superficialmente nei preparati in toto , è facile ab¬ bracciare in un solo campo del microscopio tutte le fasi della cariocinesi, come si scorge nella fig. 2. Un fatto degno di rilievo è che fino a quando questi ele¬ menti in cariocinesi si trovano nella fase di piastra equatoriale, l'asse del fuso acromatico è perpendicolare alla superficie della fossetta (fig. 2 e 3, cc 1), ma dopo la metacinesi, dacché s'inizia l'ascensione dei cromosomi verso i poli del fuso acromatico, per lo più , 1' elemento allungandosi dispone il fuso parallelamente alla superficie della fossetta (fig. 2, cc2), quasi che questo subisse uno spostamento graduale per fare in modo che le sue cellule figlie si disponessero entrambe superficialmente. In qualche caso ho riscontrato l'asse del fuso inclinato alla superficie della fos¬ setta : potrebbe trattarsi di una posizione di passaggio. — 14 - Cellule figlie. — Hanno forma quasi sferica , con protoplasma assai chiaro e nucleo piccolo nettamente sferico e ricchissimo di cromatina strettamente concentrata (fig. 2 e 3, cf). Dallo studio delle successive fasi di cariocinesi, deduco che queste cellule rappresentano il nucleo immediatamente dopo la fase ricostruttiva. Infatti essi quasi sempre si incontrano a cop¬ pia, mostrando chiaramente che si tratta degli elementi di pro¬ venienza dalla emitomia cariocinetica. Sono questi elementi che potranno probabilmente diventare nuove cellule madri o direttamente trasformarsi in neuroblasti, o magari diventare elementi di natura diversa. Cercherò di in¬ terpretare ciò avvalendomi degli studii fatti in proposito su altri Artropodi. L'istogenesi degli elementi nervosi negli Artropodi , è stata principalmente studiata negl'insetti, e con maggior lusso di det¬ tagli dal Wheeler (1, 2). Quest' autore riscontra nell' embrione degl'insetti in via di sviluppo (2, pag. 82) nei punti dove avviene la differenziazione dei centri nervosi , due tipi di cellule : delle cellule a protoplasma scuro e nucleo ovale fortemente colorabile e che quindi appare ricco di cromatina; e cellule più grandi, a protoplasma chiaro, poligonali, con nucleo sferico povero di cro¬ matina. Le cellule più piccole a nucleo ovale (e che somigliano a quelle che costituiscono il restante strato ectodermico) formano uno strato continuo, mentre gli elementi grossi appaiono isolati o a piccoli gruppi. Questi piccoli gruppi, posti al disotto dello strato delle cellule scure , formano delle macchie pallide che si scorgono alla superficie del sistema nervoso degl'insetti nei primi stadii di differenziazione (fig. 1 e 2 del Wheeler 2, pcln). Queste macchie pallide, benché molto più rare delle fossette che si scorgono alla superficie dei primi abbozzi del sistema nervoso embrionale degli Aracnidi, a prima vista possono somi¬ gliare alle fossette neuroblastiche che qui descrivo in questi ani¬ mali, ma un esame attento mostra che manca la concavità e che si tratta solo di gruppi di cellule a protoplasma più chiaro, come ben ha rilevato il Wheeler. Le cellule grosse proliferando darebbero origine a cellule — 15 — figlie di piccole dimensioni , cuneiformi e fortemente colorate, con nuclei appiattiti, le quali allorché si allontanano dalle cellule madri modificano la loro forma diventando poi cellule gan- glionari Il Wheeler chiama dermatoblasti le cellule piccole a nucleo ovale eneuroblasti le cellule grosse a nucleo sfe¬ rico. Le prime darebbero origine a strutture puramente tegu¬ mentali (Wheeler 2, pag. 82), le seconde darebbero origine alle cellule ganglionari. Anche Viallanes (1, 2) riscontra nella Mantis, nello sviluppo dei centri nervosi delle cellule superficiali, relativamente piccole, che egli chiama cellule dermatogene e delle cellule profonde o cellule gangliogene. A un dato momento lo strato delle cellule dermatogene si separa dallo strato delle cellule gangliogene e diviene l'ipoderma (2, pag. 293). Le cellule gan¬ gliogene per la loro faccia profonda producono degli elementi più piccoli (pag. 308) a protoplasma ridotto, a nucleo molto ricco di cromatina, che sono le cellule ganglionari. V'e quindi corrispondenza fra i dermatoblasti del Wheeler e le cellule dermatogene del Viallanes, e i neuroblasti del primo autore e le cellule gangliogene del secondo. Entrambi gli autori sono d' accordo nel riscontrare negli embrioni d' Insetti, nel periodo di grande attività moltiplicativa per la costituzione dei centri nervosi, due strati di cellule : uno strato superficiale , che darà origine a parti tegumentali e uno strato profondo che darà origine agli elementi nervosi. Differi¬ scono principalmente perchè il Wheeler trova i suoi neuroblasti disposti, nell'abbozzo dei gangli nervosi, in quattro file longitu¬ dinali, mentre il Wiallanes non ha fermata la sua attenzione su questa costanza numerica, come non l’hanno fermata altri autori che si sono occupati dell'argomento, quali il Korotneff, il Gra- ber, il Nusbaum. Se paragoniamo isolatamente gli elementi riscontrati negli Insetti, con quelli da me riscontrate nelle fossette neuroblastiche degli embrioni di Sparassus, forse troviamo rispondenza morfo¬ logica fra le mie cellule indifferenziate e i der¬ matoblasti del Wheeler, fra le mie cellule madri ed i neuroblasti del Wheeler medesimo, e forse anche fra 16 - quelle da me denominate cellule figlie e quelle similmente dette dal Wheeler e indicate dal Viallanes come cellule gan- glionari. Pur tuttavia nello Sparassus , nel periodo di maggiore attività moltiplicatrice degli elementi che costituiscono il sistema nervoso (periodo delle fossette neuroblastiche) non ho riscontrato la regolarità di disposizione di questi elementi che si riscontra neghlnsetti. Tutti gli elementi da me riscontrati si mostrano perfetta¬ mente connessi gli uni con gli altri, tanto che io stesso non ho saputo pronunziarmi se quelle che ho chiamate cellule figlie diano origine a neuroblasti o a cellule tegumentali. Indubbia¬ mente non esiste negli Aracnidi quella regolarità di disposizione dei dermatoblasti, i quali, secondo il Wheeler si moltiplichereb¬ bero anche per proprio conto. Le cellule madri, somiglianti ai neuroblasti del Wheeler, affiorano numerose alla superficie delle fossette (fig. 2), mentre le cellule figlie hanno l'aria di approfon¬ dirsi e forse esse stesse potranno divenire nuove cellule madri, rinnovando l'attività moltiplicatrice. Indubbiamente il compito fondamentale di questi elementi in proliferazione è quello di riempire le cavità delle fossette e siccome col riempirsi di queste fossette si formerà la massa del¬ l’abbozzo dei centri nervosi, così io debbo ritenere che il com¬ pito principale loro sia quello di costituire dei neuroblasti, cioè a dire delle cellule suscettibili di trasformarsi in cellule ganglio- nari. Questi neuroblasti riempiranno man mano le cavità delle fossette. E siccome gli elementi in proliferazione li ho sempre riscontrati alla superficie delle fossette, così debbo ritenere che i neuroblasti appena differenziatisi si approfondino, in modo che la massa nervosa aumenta in volume dalla superficie in dentro. E gli strati tegumentari, da che cosa si origineranno? Non essendo possibile di differenziare , nell' animale da me studiato, le cellule dermatogene o dermatoblastiche — riscontrate dagli autori negl’insetti — dalle cellule che daranno gli elementi ner¬ vosi , bisogna concludere : o che da quelle che io ho chiamate cellule figlie, in un secondo tempo, dopo la formazione dei neu¬ roblasti, potranno aversi anche cellule dermatogene ; oppure, ciò che a me sembra più probabile, che ai margini delle fossette vi siano cellule le quali entreranno in moltiplicazione nel secondo — 17 — tempo e daranno origine agli elementi tegumentari, i quali esten¬ dendosi in superficie ricovrirebbero le fossette già riempite. Nes¬ suna caratteristica morfologica mi permette però di individua¬ lizzare queste cellule. il Wheeler adopera il nome di neuroblasti negl'insetti per quegli elementi che dovranno ancora proliferare per dare origine alle cellule gangliari. Io adopero invece il termine neu¬ roblasti per quegli elementi, risultato delle successive mol¬ tiplicazioni , che si trasformeranno direttamente in cellule gan¬ gliari. Adopero cioè a dire il termine neuroblasto con lo stesso significato col quale viene adoperato nello studio del si¬ stema nervoso dei Vertebrati, indicando con esso, la cellula che diverrà la cellula nervosa definitiva, senza moltiplicarsi ulterior¬ mente. E credo di non ingannarmi nell'agire in tal modo, sia per¬ chè , come ho già detto , dai neuroblasti del Wheeler o cellule madri mie, negli Aracnidi non ho potuto stabilire che non pos¬ sano originarsi anche, in un secondo tempo, elementi tegumen¬ tari, sia perchè queste cellule madri (e, forse, le cellule figlie da esse derivanti) non darebbero origine soltanto alle cellule gan¬ gliari ma anche ad altri elementi che entrano nella costituzione dei centri nervosi. Infatti i centri nervosi degli Aracnidi — ap¬ partengano essi alla massa nervosa cerebroide o ai gangli della catena ventrale, — sono rivestiti da un nevrilemma con cellule appiattite ; altri elementi a piccolo nucleo fusiforme si riscontrano ancora nei centri nervosi, particolarmente al limite fra la sostanza cerebrale fibrillare e la parte cellulare periferica. In altro mio lavoro , impropriamente chiamai cellule connettivali , seguendo altri autori, queste cellule a piccolo nucleo fusiforme; denomi¬ nazione errata perchè potrebbe trarre in inganno sulla natura originaria di tali elementi. Dalla particolare differenziazione dei medesimi elementi si avrebbero quindi neuroblasti (che diver ¬ ranno cellule gangliari) e poi cellule nevrilemmatiche e, anche altre cellule (nevrogliche ?). È probabile che ulteriori studii permetteranno di stabilire con precisione il destino finale di questi elementi : per ora, allo stato attuale di queste mie prime osservazioni sull' argomento, non sono in grado di dare interpretazioni più precise. ~ 2 - — 18 — Concludendo, quindi : Lo studio istologico di queste fossette , che si riscontrano alla superficie dell'abbozzo dei centri nervosi degli Aracnidi nei primi stadii embrionali mostra che esse sono costituite da nu¬ merose piccole invaginazioni dell' epitelio ectodermico. Nulla di queste cellule riporta alla struttura di organi di senso, serbando esse la medesima disposizione ed i medesimi caratteri morfologici degli altri elementi ectodermici che si riscontrano nelle altre parti del corpo. Mi pare quindi che sia da escludersi l’interpre¬ tazione di Patten e Lambert, che possa trattarsi di organi di senso primitivi. La enorme attività moltiplicativa degli elementi che rivestono la superficie interna di queste fossette , fa sorgere spontaneo il concetto semplice sulla ragione di essere di queste formazioni * esse aumentano la superficie di moltiplicazione (poiché gli ele¬ menti che si moltiplicano si trovano solo in superficie) dei centri nervosi in via di sviluppo, promovendo in uno spazio ristretto un'intensa attività moltiplicatrice cellulare e quindi corrispettivo ingrossamento della massa nervosa. Ed è perciò che io ho dato loro il nome di fossette neuroblastiche. Con la ca¬ ratteristica di queste fossette il sistema nervoso degli Aracnidi verrebbe ad accrescersi in modo speciale. Lo studio istologico minuto, mi conduce quindi ad affermare la interpretazione ac¬ cennata per queste formazioni dai primi autori la cui attenzione si è fermata su di esse : Kowalevski e Schulgin. Gli elementi che entrano a pigliar parte di questi attivi pic¬ coli focolai di sostanza nervosa sono di tre tipi : cellule in¬ differenziate, cellule madri e cellule figlie. Le cellule indifferenziate a nucleo ovale e protoplasma intensa¬ mente colorato ; le cellule madri a nucleo grosso sferico povero di cromatina, protoplasma pallido; le cellule figlie a nucleo sferi¬ co piccolo intensamente ricco di cromatina, protoplasma pallido. Questi tre tipi non costituiscono delle individualità separate, ma sono collegati gli uni con gli altri. Sono le cellule madri che affiorando alla superficie della concavità della fossetta si molti¬ plicheranno attivamente per mitosi. Nè è da escludersi che le cellule figlie , da esse derivanti possano a loro volta entrare in attività moltiplicatrice. Non mi è stato possibile , come è stato — 19 — fatto per gl’insetti, di distinguere gli elementi che daranno ori¬ gine ai tessuti tegumentali da quelli che daranno origine agli elementi nervosi. Probabilmente dopo un’attiva proliferazione di elementi dei centri nervosi (neuroblasti, cellule nevrilemmatiche, cellule nevrogliche) , allorché la fossetta neuroblastica sarà stata livellata dagli elementi proliferanti, entreranno in attività molti¬ plicatrice elementi di riserva che funzioneranno da dermatoblasti. Napoli, gennaio 1928. Dall' Istituto di Istologia e Fisiologia generale della R. Università. LAVORI CITATI 1895. BRAUER, A. — Beitr àge zur Kenntnis der Entwicklungsgeschi- chte des Skorpions. II. Zeit. wiss. Z., 59 Bd, pag. 351, Taf. 21-25, 20 Fig. 1889. GRABER, V. — I. Vergleichende Studien iiber die Embryologie dev Insecten und insbesondere dev Musciden . Denkschr. math. naturw. Kl. Akad. Wiss. Wien, 56 Bd, pag. 48, 10 Taf., 15 Fig. 1890. — — 2. Vergleichende Studien am Keimstreij der Insecten. Denkschr. math. naturw. Kl. Akad. Wien, 57 Bd., pag. 621, 12 Taf., 38 fig. 1885. KOROTNEFF, A. — Die Embryologie der Gryllotalpa. Zeit. wiss Z., 41 Bd., pag. 570, Taf. 29-31, 1 Fig. 1886. KOWALEVSKY, A. und SCHULGIN, M. — Zuv Entwicklungsge- schichte des Skorpions (Androctonus ornatus). Biol. Centralbl., 6 Bd., pag. 525. 1909. Lambert — History oj thè pvocephalic lobes oj Epeira cinerea. A study in Arachnid embvyology. Journ. morph, Voi. 20, pag. 413, 13 PI., 3 fig. 1990. LAURIE MALCON, B. — The embvyology oj a Scorpion (Euscor- pius italicus). Q. Journ. micr. Se. Voi. 31 (N. S.) pag. 105, PI. 13-18. 1904. Me CLENDON, J. F. — On thè anatomy and embvyology oj thè nevvous System oj thè Scorpion. Biol. bull. Voi. 8, pag. 38, 13 fig. 1891. NUSBAUM, J. — Studya nad Morjologia Zwierzat. I. Przyc- zynek do Embvyologii Maika (Meloe proscarabaeus, MARSHAM), 106 pag., 7 tav. 1890. PATTEN, W. — On thè ori gin oj Vevtebvates from Arachnids. Q. Journ. micr. Se. (N. S.), Voi. 31, pag. 317, PI. 23-24, 18 fig. 1901. POLICE, G. — Sui centri nervosi sottointestinali dell’ Euscorpius italicus. Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. 15, pag. 1, tav. 1. 1890. VlALLANES, H. — 1. Sur quelques points de l’histoire du dé- veloppemeni embryonnaire de la Mante religieuse (Mantis re¬ ligiosa). Rev. biol. Nord France Tome 2, pag. 479. 1891. — — 2. Sur quelques points de l’histoire du dévelop- pement embryonnaire de la Mante religieuse (Mantis religiosa). Ann. Se. Nat. (7), Tome 11, pag. 283, PI. 12-13. 1891. Wheeler, W. M. — 1. Neuroblasts in thè Artropod Embryo. Journ. Morph., Voi. 4, pag. 337, 1 fig. 1893. — — 2. A contribution to Insect embvyology. Journ. Morph., Voi. 8, pag. 1, 6 PI., 7 Fig. Finito di stampare il 25 agosto 1928. Sopra due mie Note sui bnozoi del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 18 marzo 1928) Con un procedimento del tutto nuovo per l'indole del " Zoo- logischer Bericht „ ed in generale per tutti i periodici bibliografici, il Dr. Marcus in due recensioni di poche righe su due mie Note riguardanti “ La presenza del Lophopus cristallinus Pallas nel Lago-stagno craterico degli Astroni „ *) e sui " Briozoi raccolti dal Capitano Chierchia „* 2) trae occasione per fare degli apprezzamenti non solo inopportuni ma anche ingiusti ed errati. Il Dr. Marcus che da poco si occupa di Briozoi e già ha pretesa di atteggiarsi a giudice dell'opera altrui, pretende che gli altri si uniformino ai suoi criterii, non pensando che altri possa averne di differenti e di proprii nel redigere i suoi lavori. Io avrei potuto fare anche a meno di occuparmi della cosa, tanto essa ha poca importanza, ma poiché qualcuno, inesperto, per avventura, potrebbe prendere l'apprezzamento del Dr. Marcus per moneta contante, credo utile una breve rettifica. È prima di tutto strano che il Dr. Marcus si meravigli della presenza del Lophopus cristallinus Pallas nel Lago-stagno cra¬ terico degli Astroni. Se io invece di avere un piccolo tubicino contenente una sola lemna con la colonietta di Lophopus avessi avuto un più abbondante materiale, avrei rinvenuto non uno, ma b Zirpolo, G. — Sulla presenza del Lophopus cristallinus Pallas nel Lago-stagno craterico degli Astroni. Annuario Museo Zool. R. Univ. Napoli. Fauna degli Astroni, n. 11, 2 giugno 1925 (presentato il 14 febbraio 1925). 2) Zirpolo, G. — Briozoi raccolti dal Capitano Chierchia. Ann, Museo Zool. U. Napoli (N. S.) Voi. 5, N. 13, 1925, — 22 — molti briozoi, tanto le condizioni ambientali sono qui favorevoli alla loro vita. D’ altra parte basta leggere per intera e bene la mia Nota per constatare come queste osservazioni vengano na¬ turalmente fatte. Il Dr. Marcus si meraviglia che io abbia descritto uno sta- toblasto senza gli apici : si vede che egli non ha saputo o voluto leggere bene nel testo e nelle due figure che riporto. Difatti la mia prima figura riporta uno statoblasto giovanile e la seconda uno statoblasto già completamente formato con gli apici lieve¬ mente arcuati. Io ho trovato nella colonia varii statoblasti in stadi di sviluppo differente e ne ho riportato due, il primo dei quali non prima d'ora descritto per il Lophopus cristallinus ed il secondo disegnato con più cura e con maggiori particolari di quello che non sia stato fatto da precedenti Autori. (Vedere la brutta figura riportata dallo stesso Marcus in " Biologie der Tiere Deutschlands „ Bryozoa a p. 20 fig. 19!). Inoltre il Marcus mi accusa di non aver citata la Bibliografia più recente e di essermi arrestato al 1887. Ebbene il Dr. Marcus non afferma il vero : l'ultimo lavoro da me citato è quello del 1910. Inoltre egli non s'è accorto che 10 ho citato la bibliografia riguardante il Lophopus cristallinus e mi sono arrestato al Kraepelin, oltre del quale non c’è stato altro che abbia indicato con nome diverso il Lophopus da me studiato. Se io ho citato tutti i precedenti Autori, l'ho fatto per¬ chè c’era divergenza, e la sinonimia era necessaria, ma quando dal Kraepelin in poi il Lophopus cristallinus è stato sempre chiamato così , quale necessità di citare altri nomi ? Forse per diluire la sinonimia e la bibliografia ? Io sono contrario a queste inutili e futili ripetizioni e quindi mi sono astenuto , come mi asterrò sempre, perchè ritengo che nei nostri lavori bisogna dire solamente quello che è necessario e che purtroppo si abusa troppo di bibliografia che ha lontani ricordi e che nulla aggiunge alla bontà della ricerca. Nè si può dire che io abbia taciuto altri Autori che si sono occupati in particolar modo degli statoblasti. 11 mio lavoro era una Nota Faunistica sulla presenza del Lo¬ phopus agli Astroni e non uno studio sulla struttura degli stato¬ blasti dei briozoi d' acqua dolce. In quest' ultimo caso io avrei dovuto citare gli altri Autori. — 23 - Ma in fatto di bibliografia io potrei rivolgere un appunto al Dr. Marcus che lo tocca direttamente. Egli che si è occupato di una revisione di tutti i briozoi d’ acqua dolce , cita i lavori pubblicati dal Braem fino al 1897 e si dimentica quelli pubbli¬ cati fra il 1908-1914 (il suo lavoro è stato pubblicato nel 1925!) *) nei quali si occupa di Fredericella , Pectinatella , PLumatella , Pa- ludicella, ed il Dr. Marcus accusa proprio me di non aver ci¬ tato Braem che del Lophopus non si occupa punto ! E mi pare di avere con ciò dimostrato che i rilievi fatti dal Dr. Marcus al primo lavoro siano da non tenersi in conto, anzi da riprovarsi del tutto. Devo ora poche parole per la seconda Nota sui " Briozoi raccolti dal Capitano Chierchia „ Il Dr. Marcus incorre in una serie d'errori dipendenti forse dalla sua scarsa conoscenza dell' italiano e dalla poca pondera¬ tezza con cui ha redatto la nota bibliografica. Egli non ha notato ciò che io riferisco nelle prime righe del lavoro, cioè che riporto semplicemente e testualmente i generi riferiti dal Chierchia nella sua relazione * 2) e mi occupo solamente di quattro specie, cioè solo di quelle che ho potuto avere. Tutti i generi da me riportati sono oggi conservati e le specie restano quelle da me determinate. L’appunto mossomi sul genere Eschara non ha alcun valore : se io riporto un genere riferito dal Chierchia e per semplice notizia, come posso permettermi di cambiarne il nome ? Chi me ne dà il diritto ? Se io avessi potuto avere fra le mani qualche esemplare ed avessi potuto trovare giuste lev ragioni per le quali si vuole cambiare il nome, lo avrei fatto senz’altro ; ma dato che non mi è stato possibile di esaminarlo, io mi son dovuto limi¬ tare ad un semplice riferimento. In fatto di nomenclatura poi è bene intendersi : i criterii possono variare da studioso a studioso e non è mai detta l'ul- 9 Marcus, E. — Biologie der Tiere Deutschlands. Teil. 47, Bryozoa, 54 Abbild. 46 pp. Berlino 1925 (pubblicato il 1 marzo 1925). 2) Chierchia, G. — Collezioni per Scienze Naturali fatte intorno al Mondo dalla R. Corvetta “ Vettor Pisani „ anni 1882-85. Riv. Maritt. sett. Nov. 1885, p. Ili, 12 tavole, 2 carte zootalassografiche, Roma 1885. — 24 - tima parola. D'altra parte le mie Note furono pubblicate in un periodico diretto e redatto da uno Zoologo e sistematico di nota fama , dal Prof. Monticelli che era membro del Comitato in¬ ternazionale per la nomenclatura zoologica e vorrà ammettere il Dr. Marcus, che quello Zoologo, testé immaturamente scompar¬ so, ne sapeva un pochino più di lui in fatto di nomenclatura. Napoli, Stazione Zoologica, marzo 1928. Finito di stampare il 25 agosto 1928. Le forme cometoidi dell^s/er/crs tenuispina Lmk. del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 21 giugno 1927) Nel 1878, E. Haeckel pubblicava una Memoria sulle forme cometoidi delle stelle di mare, sostenendo una nuova teoria sulla morfologia degli Echinodermi. Vari altri autori si sono occupati in precedenza o dopo di fatti analoghi osservati in altre specie di Asteroidi. Così Martens (1866) parla di forme simili notate in Linckia multiformis , Kowalewsky in Opkidiaster Ehrenbergii , Sars in Brisinga, Labidiaster radiosus ed in varie specie appartenenti al genere Asteracanthion , Hirota (1895) in Linckia multiformis , Sarasin ancora in Linckia multifora} Kellog (1904) in Linckia diplax , Richters (1912) £) in Linckia multi f or is e L. guldingi . Durante la mia permanenza di oltre quattordici anni alla Stazione Zoologica ho cercato di compiere numerose esperienze allo scopo di ottenere forme cometoidi da un braccio solo ana¬ loghe a quelle che si osservano nei disegni illustrativi riportati dai varii autori che si occupano dell’argomento. Ho rivolto la mia attenzione su varie specie esistenti nel Golfo di Napoli, delle quali già conoscevo l'ecologia per prece¬ denti studi fatti ( Asterina gibbosa Penn., Astropecten aurantia- cus L., Asterias glacialis O. F. Mùller , Asterias tenuispina Lmk., Echinaster sepositus Gray, Hacelia attenuata) ; ma tutte le esperienze che io ho condotto mi hanno convinto che almeno 9 In particolar modo nel lavoro di Richters si osservano fotografie molto dimostrative di esemplari di Linckia che rigenerano da un braccio solo tutte le altre braccia. - 26 — nelle specie da me studiate, non è possibile, o almeno nei Labo¬ ratori! della Stazione Zoologica non è facile ottenere rigenerazioni complete da un braccio solo. Anche senza ricorrere a tagli, ma cercando di studiare le braccia staccatesi per autotomia dal corpo dell'animale, sopratutto in Asterias glacialis ed Asterias tenui- spina, non potetti mai avere forme cometoidi che dovrebbero dimostrare, secondo Haeckel, una generazione alternante. Tagliando tutte le braccia e lasciando il disco ottenni la rigenerazione di tutte le braccia, ma non ottenni mai la rigene¬ razione del disco e delle altre braccia da un braccio solo. Invece lasciando una piccola porzione del disco ad un braccio, ottenni, in condizioni favorevoli, la formazione del restante disco e delle altre braccia. I risultati positivi in questo senso sono stati ottenuti sola¬ mente in Asterias tenuispina *) Lmk. in due soli esemplari fra le varie centinaia di animali operati in epoche diverse e in condi¬ zioni differenti di ambiente 1 2). Descrizione degli esemplari* 1. — Esemplare che da un braccio con piccola porzione del disco ha rigenerato il disco per intero e cinque braccia. Credo superfluo trattenermi sul modo come ho allevato le specie da me studiate. In un mio precedente lavoro 3) ho dato ampie notizie e rimando i lettori a quello. L'unico braccio dell' animale misura mm. 60 e la porzione del disco lasciata in sua vicinanza occupa una porzione laterale 1) È ben noto che V Asterias tenuispina Lmk. presenta un numero varia¬ bile di braccia. Ve ne sono generalmente esemplari con sette, ma se ne tro¬ vano spesso con sei e con otto braccia. Con nove e con cinque braccia sono più rari. Inoltre si trovano sempre con braccia rigenerate ed il loro potere rigenerativo è così alto che in un esemplare al posto di due braccia perdute se ne rigenerarono nove , ottenendosi un esemplare con quattordici braccia. Cfr. Zirpolo 1917. 2) Un' altra forma così rigenerata mi è pervenuta direttamente dal mare durante la correzione delle bozze di stampe. 3) Cfr. Zirpolo 1921. — 27 — e misura nella massima lunghezza mm. 7. La regione terminale di questo braccio è rigenerata per 20 mm. Tutte le varie placche che costituiscono il braccio sono completamente formate : le pa- pule solamente sono molte scarse e le poche che si sono for¬ mate sono trasparentissime. La placca madreporica misura mm. 1,6 di diametro e si trova nella regione non lesa dal disco. Ciò che si è rigenerato è tutta la zo a laterale del disco con le cinque braccia (Fig. 1). Il braccio B misura a partire dalla base mm. 25 e la regione terminale è, a sua volta, rigenerata per mm. 4,5. Il braccio è completo di tutte le placche che Io costituiscono, — 28 — Il braccio C che segue immediatamente ad esso è meno sviluppato e misura solamente 15 mm., a partire sempre dalla base , cioè dal punto di attacco al disco. Il braccio D è anche meno sviluppato e misura appena 12 mm., però esso va rigenerandosi all' estremo in seguito a subita lesione. La zona che rigenera misura appena 1 mm., ma tutto il braccio dimostra che il suo sviluppo era uguale a quello delle braccia B ed E. Il braccio E misura mm. 24 ed è rigenerato anch'esso all'e¬ stremo per mm. 3. Fra le braccia A ed E sorge un piccolo monconcino lungo appena 2 mm. che è in via di rigenerazione. Se esso appare poco guardando 1' animale dalla regione dorsale è ben visibile dalla regione ventrale , sopratutto per la presenza dei pedicelli ambulacrali. Le placche boccali sono sei e le nuove formatesi si sjno regolate perfettamente con quelle laterali del vecchio braccio, sicché non si riscontra alcuna differenza. La zona del disco che si è rigenerata è naturalmente estesa verso la regione laterale che guarda le braccia B, C, D, ed è quella che prima ha iniziata la ricostruzione dell'animale. Quest' individuo quindi ha presentato una capacità rigene¬ rativa non comune ove si consideri la porzione minima del disco rimasta. Il processo rigenerativo ha seguito le stesse fasi che io ho avuto occasione di descrivere in altro mio lavoro riguardante V Asterina gibbosa . Ma ciò che preme far qui notare è la grande plasticità dimostrata dai tessuti a rigenerare, e ad aversi una ri- generazione completa. Se avessi fatto rimanere in vita l'animale ancora, senza dubbio, le braccia si sarebbero sviluppate egual¬ mente come il braccio A. 2. — E s e m p 1 a r e che da un braccio e piccola por¬ zione del disco ha rigenerato cinque brac¬ cia ed il disco. Più strano è questo esemplare che oltre a sviluppare cinque braccia ha rigenerato notevole porzione del disco. La porzione — 29 — del disco, infatti, rimasta era lievemente maggiore di quella la¬ sciata nel precedente esemplare. In questa regione si sono svi¬ luppate cinque braccia (Fig. 2). Il vecchio braccio A è lungo cm. 7,2 , mentre la porzione di disco misurava cm. 1,2. Questo braccio ha anche V estrema re¬ gione di esso rigenerato per 3 mm. Normale poi tutta la serie di placche e di spine che costi¬ tuiscono il dermascheletro di que¬ sta specie. Il braccio B sorge dalla re¬ gione basale della porzione del disco lasciata in vicinanza della piastra madreporica; misura ap¬ pena 7 mm. Il braccio B non si è formato ex novo, ma ha origine dal monconcino del vecchio brac¬ cio rimasto in seguito alla lesione nella regione ventrale , ciò è ben visibile non solo dalla regolarità delle prime placche , ma anche perchè i primi pedicelli ambula¬ celi, cioè quelli più basali sono sviluppati come quelli del braccio A ed hanno lo stesso colore e lo stesso aspetto. Il braccio C che segue ad esso è formato tutto ex novo sulla porzione del disco rigenerata. E più sviluppato del precedente e misura cm. 1,6 a partire dalla base. Esso è alla base quasi connesso col braccio D che è sviluppato poco meno di esso e misura cm. 1,1. Anche questo braccio si è formato tutto ex novo , dalla porzione rigenerata del disco. Il braccio E misura cm. 1,5 a partire dalla base all'apice ed è anch'esso formato ex novo. Queste tre braccia che fanno parte della nuova zona rigenerata del disco non presentano nulla di anormale : tutte le placche che formano le braccia normali si C Fig. 2. — 30 — trovano anche in questa, senza che si sia verificato spostamento o variazione di esse. Il braccio F è il più piccolo e misura mm. 4. Esso è for¬ mato nella regione dorsale tutto ex novo , mentre nella regione ventrale è innestato col residuo del vecchio braccio leso e ciò si rileva sopratutto dalla zona dei pedicelli ambulatali che si presentano analogamente a quelli descritti per il braccio B. Il disco è quasi formato per una porzione eguale a quella rimasta. Nella zona del vecchio disco si trova la piastra madre¬ porica che misura cm. 1,5. Considerazioni generali sulle forme cometoidi di Asteroidi* E ben noto che vi sono varie teorie che vogliono spiegare la filogenesi degli Echinodermi. Secondo Cuvier gli Echinodermi si possono considerare come raggiati e da porsi insieme con i Celenterati. L'Agassiz (1864) e Metchnicov (1869) trovano una relazione fra gli Echinodermi ed i Celenterati, anzi Metchnicov credette intravedere negli Ctenofori una forma ancestrale. Queste idee sono oggi del tutto abbandonate. Leuckart (1848) riscontra nel corpo degli Echinodermi una verosomiglianza con i vermi e ciò per la considerazione della somiglianza delle Sinapte con i Sipunculidi (Gefirei). Le stelle di mare sarebbero derivate dalle oloturie per esten¬ sione e sviluppo della corona tentacolare che avrebbe dato ori¬ gine alle braccia. Clark (1921) li ritiene quali artropodi aberranti. Haeckel pensa invece che gli Echinodermi si possano con¬ siderare come una colonia di vermi segmentati , analoghi agli anellidi, raccolti intorno ad una cavità digestiva e ad un orifizio boccale comune. E ciò dimostra non solo fondandosi sulla scoperta di Gei- nitz e Liebe i quali trovarono impronte nel siluriano di vermi anellidi corazzati aventi la struttura di un braccio di stella e chiamati Plyllodocites thuringiacus e Crossopodia Henrici e per i quali Haeckel propose la istituzione del gruppo dei Fractel- minti, ma ancora sulla forma di comete rinvenute negli Asteroidi, — 31 — Secondo questo Autore si deve ammettere che esiste una gene¬ razione alternante in questi animali. Sotto forma di stelle a cometa l'A. descrive le stelle di mare che hanno riprodotto Finterò animale da un braccio solo. Poiché il volume del braccio unico rimasto è molto notevole in rapporto alle novelle braccia formatesi si nota un'analogia con la rappre¬ sentazione delle comete. Non si tratterebbe qui, secondo Haeckel, di una rigenera¬ zione comune, bensì di una formazione nuova , in quanto ogni braccio distaccantesi dal disco darebbe origine al novello disco ed alle altre braccia. Così mentre la larva per generazione agama dà origine alla stella, questa, per generazione sessuale, dà origine alla larva. La prima Haeckel ha chiamato Astrotithene (da tWH|vt| - nutrice) e la seconda la sessuata Astrocormus. L' Astrotithene non ha struttura radiata ma una simmetria bilaterale ed inutilmente Agassiz ha cercato di trovare un piano di simmetria raggiata come in una Medusa. L' Astrocormus invece ha per forma fondamentale una pira¬ mide regolare a cinque lati, nei quali, intorno all'asse principale con i poli orale ed aborale si raggrupperebbero a distanza uguale, cinque parameri che si toccano per l'asse comune. In un Echinoderma perfetto Haeckel chiamò Astrodiscus il disco centrale e Astrolena ciascun braccio. La forma fondamentale di Astrodiscus sarebbe una piramide regolare a cinque lati, ri¬ sultante dalla convergenza di cinque parameri e di cinque paia di antimeri. Riferendosi allo sviluppo degli Echinodermi, egli considera come primitivo e solo rimasto fedele alla genesi il caso nel quale si costituisce nell' interno dell'Astrotithene (intorno allo stomaco di questo) la piramide a cinque lati dell'Astrodiscus e conseguen¬ temente alla periferia di quest'ultimo le cinque Astrolene. E im¬ possibile considerare questo fenomeno di generazione come una semplice metamorfosi : è un fatto di gemmazione alternante, poi¬ ché, indiscutibilmente , è un fatto di moltiplicazione dell'organi¬ smo e che da un sol paio di antimeri ne nascono cinque. Di fronte a questa forma di sviluppo per gemmazione del- l'Echinoderma perfetto e che può considerarsi il solo veramente — 32 — e puramente palingenetico le altre forme così varie di questo gruppo sono da considerarsi quali cenogenetiche, cioè il risultato di una alterazione, di una modificazione secondaria della forma originale per gemmazione. Così mentre la larva, o Astrotithene è un unico verme inar¬ ticolato , molto vicino ai rotiferi ed alle larve ciliate degli anel- lidi, come l'ha definito Gegenbaur, l'Astrocormus al contrario è una vera colonia di cinque vermi articolati, riuniti a stella, e ciascuno di questi vermi si lascia paragonare ad un anellide dal punto di vista della metamerizzazione. Haeckel non vuol affermare con questo che le forme ancestrali degli echinodermi siano de¬ gli Anellidi, ma qualche cosa di vicino ai fossili Fractelminti. I nervi poi sarebbero comparabili al sistema della catena addominale dei vermi, ma il collare esofageo di questi ultimi non ha nulla a che fare con il collare pentagonale degli Echinodermi formato da commessure secondarie tra il sistema nervoso dei cinque individui che costituiscono il cormo. Ma una tale concezione che è molto ingegnosa può conser¬ varsi ? è suffragata da fatti sperimentali che la confermino ? Gegenbaur, Sars, Lange, Marshall, Hamann hanno accet¬ tato la teoria se non nei dettagli, nelle grandi linee, come con¬ cezione generale, Perrier sostiene invece primitivi i Crinoidi da cui sono derivate le Asterie e le Ofiure per lo sviluppo delle brac¬ cia e poi le Oloturie e gli Echinidi per fusione degli individui ra¬ diali con l'individuo centrale. Bisogna analizzare i fatti : Haeckel ritiene che il braccio di una stella, senza alcuna parte del disco, sia capace di dare ori¬ gine al disco ed a tutte le altre braccia. Egli infatti riporta esempi che dimostrano il suo asserto. In realtà non si può ritenere come assoluto quanto afferma Haeckel. La rigenerazione di un individuo completo da un solo braccio non si verifica comunemente. Nella lunga permanenza fatta alla Stazione Zoologica, nell'immenso materiale osservato, nello straordinario materiale sperimentato non è stato possibile mai osservare un fatto di tal guisa. E stato sempre necessario che sul braccio vi fosse rimasta una porzione di disco, altrimenti la rigenerazione non si verifi¬ cava mai, — 33 — Negli esemplari surriferiti è ben evidente il fatto. Sulla por¬ zione del disco si è riformato il resto del disco e le altre braccia. Ad ammettere che le braccia siano delle semplici appendici del corpo e non delle individualità complete si è portati in se¬ guito all'osservazione che un braccio solo non è capace di rige¬ nerare l'animale intero. Il fatto è analogo a quello che si verifica in un cefalopodo in un idra, in una rana. Da un tentacolo dei primi due non si rigenera Y animale intero. E nei celenterati, dove è così grande il potere rigenerativo da un pezzo qualsiasi del corpo si rigenera l'intero animale, ma da un tentacolo non si ottiene mai nulla. Così da una zampa di una lucertola o di rana non si rige¬ nera il corpo intero deH’animale. Per dimostrare Haeckel che le braccia degli Asteroidi sono delle individualità egli è venuto alla conclusione che un brac¬ cio solo è capace di rigenerare il resto del corpo per gemma¬ zione. Ma ciò è un voler forzare i fatti per dimostrare il proprio asserto , mentre in realtà i fatti avvengono ben differentemente e non è provato da esperienze che si rigeneri comunemente un animale completo da un sol braccio. I casi riportati nella bibliografia sono molto scarsi e poi si tratta di animali rinvenuti così, e le iniziali condizioni dei processi rigenerativi a noi sfuggono : sperimentalmente si osserva che se un braccio staccatosi per autotomia o in seguito a lesioni trau¬ matiche è capace di vita autonoma , questa dura molto poco tempo e poi il braccio si disfà. L'affermazione di Haeckel che la larva per generazione aga¬ mica dà origine alla stella e questa per generazione sessuale dà o- rigine alla larva, è vera, ma è un fatto che si verifica comunemente negli animali. L'importanza starebbe nel fatto che ciascun brac¬ cio della stella prima di dare le uova dà per gemmazione origine all' animale completo. Si avrebbe così una prima generazione agama a partire dalla larva fino alla stella ed una seconda in quanto ogni braccio è capace di riformare una nuova stella, la quale poi, sessualmente, darebbe le uova. Ma tutto ciò non costituisce nulla di straordinario. Infatti le stelle marine rigenerano facilmente le braccia ed in queste si - 3 - — 34 — sviluppano le gonadi. Le stelle a forma di cometa, quindi, si pos¬ sono considerare come dei casi speciali di rigenerazione, ma non danno affatto lo spunto a considerazioni tali da formulare teorie come quelle di Haeckel. Senza dubbio si ammira sempre lo sforzo a voler generalizzare, ma purtroppo un esame obbiettivo e spas¬ sionato ci conduce a portare i fatti nei loro veri limiti , scarse essendo ancora le nostre conoscenze per potere lanciare teoriche che alla più semplice obbiezione si dimostrano insufficienti. Concludendo : le forme cometoidi di Asteroidi finora rin¬ venute naturalmente o ottenute nei nostri laboratorii si possono considerare come casi particolari di rigenerazioni, ma non si può assolutamente presumere da esse di teorizzare sulla genesi degli Echinodermi. Napoli , Stazione Zoologica, maggio 1927. BIBLIOGRAFIA 1848. LEUCKART, R. — Ueber die Morphoiogie und Verwandtschaft- verhàltnisse der Wiròellosen Thiere. Voi. 8 Braunschweig. 1864. AGASSIZ, A. — On thè embryology of Echinóderms. Mem. Amer. Acad., Voi. 9, 4 pi. 1869. METCHNICOV, E. — Studien iiber di Entwickelung der Echino- dermen und Nemertinen. Mem. Ac. Se. Petersb. (7), Voi. 14, n. 8, 12 pi. 1872-73. LUTKEN, C. 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Pericle Parisi, Direttore del La¬ boratorio di Ricerche della Società Anonima Latte Con¬ densato Lombardo in Milano, dal titolo : L ’ annacqua¬ mento e la scrematura del latte in rapporto ai regolamenti di igiene (comunicazione fatta alia Società di Chimica Industriale di Milano nella seduta del 23 maggio 1928), dove, fra l’altro, si legge : « le « Centrali del Latte in alcune città già costruite o in esercizio, nelle « altre in via di costruzione o in progetto, denotano come una men- « talità nuova si sia formata e sia in via di completo sviluppo, come « si cominci finalmente a conoscere l’alto valore nutritivo di questo « alimento che è forse il più completo ed il meno costoso e che nel- « l’economia delle aziende agrarie ed in quella più vasta e generale «del Paese occupa un ruolo della più alta importanza». Egli auspica che il latte (pasteurizzato o non) debba diventare alimento sempre più popolare e tuttavia non si lusinga che il consumo individuale del latte possa raggiungere, come nell’Europa del Nord e negli Stati U- niti di America, alti valori, ma spera di vedere in un tempo retativa- mente breve il consumo del latte in Italia raddoppiato o triplicato. Attribuisce lo scarso consumo di questo prodotto allo stato naturale sopratutto alle condizioni in cui il latte viene offerto al consumatore, perchè le stalle e le vacche rappresentano Topposto di ogni più ele¬ mentare pulizia, onde il latte che giunge al consumatore ha una non ben definita parentela col latte fornito dalle vacche e quindi fa la peg¬ giore propaganda di sè stesso. E spiegabile perciò la grande diffi- — 37 — denza del pubblico che accomuna tutti i produttori ed i venditori di prodotti alimentari in genere e di latte in ispecie. Il Dott. Parisi attribuisce alle Centrali del Latte il compito di combattere e vincere definitivamente questa mentalità dei consumatori. L’argomento studiato dal Dott. PARISI è di notevole importanza, perchè riguarda le due adulterazioni che in realtà più frequentemente si praticano sul latte, ovunque la vigilanza igienica sia lenta e non continua. Egli fa considerazioni e proposte che si riferiscono al Re¬ golamento di igiene di Milano circa l’annacquamento e la scrematura del latte, ma le conclusioni a cui viene sono poi di carattere generale e sono interessanti e sorprendenti, perchè ha il coraggio di affermare che i metodi analitici ufficiali sono sorpassati, e perciò, per 1’ annac¬ quamento , egli ritiene che il metodo migliore sia la determinazione dell’indice crioscopico, cioè del punto di congelamento del latte che è -0°,56 con oscillazioni al massimo di un centesimo di grado in più o in meno, e che svela subito un annacquamento anche del 5 °/0, mentre, per la scrematura, afferma precisamente e perentoriamente che, in ogni caso, per l’accertamento di questa frode, c’è solo la prova di stalla, perchè nessun metodo analitico permette di svelarla ; e si li¬ mita a consigliare di sostituire il metodo più esatto ponderale, per la determinazione del grasso, al metodo di Gerber, e propriamente quello di Ròse-Gottlieb, estraendo con etere ed etere di petrolio. È indiscu¬ tibile che queste due determinazioni, prese come base per giudicare di un latte, debbano essere fatte con metodi rigorosi, perchè la ven¬ dita del latte nelle varie città italiane è fatta secondo regolamenti di¬ versi, in cui sono fissati, per i requisiti di composizione del latte, va¬ lori minimi, che variano da città a città, circa la densità del latte e del siero, il grasso, la materia secca totale ed il residuo magro , per garantire appunto i consumatori dall’annacquamento e dalla screma¬ tura, mentre poi, praticamente, si consegue la maggiore confusione, onde i competenti e gli interessati sperano che al più presto una leg¬ ge, che vuoisi sia già in elaborazione, disciplini la produzione e la vendita de latte. In generale le conclusioni sono importantissime, per¬ chè fondate su ricerche e considerazioni suggerite dall’esperienza quo¬ tidiana, dato l’enorme movimento della Società del Latte e data la su¬ periorità del latte di Milano per l’ottima qualità dei foraggi e dei pa¬ scoli lombardi e la grande quantità di latte prodotto in Lombardia, che costituisce la maggior parte della produzione italiana che è di 45 milioni di ettolitri di latte all’anno per un valore di 5 miliardi. È notevole quanto afferma il Dott. Parisi circa l’assenza di igiene e pulizia delle stalle di vacca della Lombardia , perchè ci dimostra — 38 che non solo nel Napoletano si lotta per la buona manutenzione delle stalle e per reprimere le frodi praticate sul latte. Ed ora eccomi senz’altro a dire delle Centrali del Latte che è il titolo di questa mia comunicazione e che, come già ho detto, trae o- rigine dalle riportate parole di grande fede in questi stabilimenti. Pertanto è bene che io mi affretti a dire che non dirò delle Centrali in genere, ma della Centrale del Latte di Napoli , che da circa sei mesi è stata impiantata dal Municipio di questa città per iniziativa del Direttore dell’ Ufficio comunale di Igiene , appoggiata validamente ed autorevolmente dal R. Commissario del Comune e dall’Alto Commissario della Campania , i quali per tal modo hanno dotata Napoli di una importantissima istituzione igienica moderna per garentire i consumatori di latte di questa popolosissima città , onde l’ammirazione più sentita deve aversi per tale istituzione e per coloro che la vollero. Con questa mia comunicazione ho lo scopo di esaminare lo stato attuale della Centrale del Latte di Napoli e proporre tutto quanto può concorrere a dare allo stabilimento comunale quella fiducia ne¬ cessaria per una istituzione del genere. E, cominciando dal consumo del latte, esso si appalesa subito piuttosto assai modesto, data la popolazione di Napoli, e perciò è da sperare che, gradatamente, il pubblico acquistando completa fiducia nella Centrale del Latte , consumi quello messo in vendita da questo stabilimento comunale e lasci di consumare il latte condensato od in polvere della Lombardia che poi gli costa più caro. In verità se v’ è ancora un poco di diffidenza da parte del pubblico, bisogna pur ri¬ conoscere che questa può avere un certo fondamento nella mancanza di ogni controllo sul modo come il latte è munto e su lo stato delle stalle, e di ogni garenzia durante il trasporto alla Centrale del Latte e, sopratutto, su l’alimentazione delle mucche che qui, a Napoli, co¬ me è ben noto, si alimentano di foglie di cavoli, dei residui della fabbricazione dello zucchero di barbabietole e di tutti i residui vege¬ tali delle domestiche cucine. Con un importante provvedimento igienico sono state tolte dalla città circa tremila stalle di vacche e trasferite alla periferia, ma le muc¬ che continuano ad essere alimentate egualmente, perchè là non tro¬ vano il pascolo che non vi è stato mai, nè vi sarà mai , essendo la campagna che circonda Napoli non coltivata a pascolo, il quale dà un reddito molto inferiore a quello di tutte le altre colture ; onde provvida sarebbe una disposizione comunale che determinasse il fo- — 39 — raggio per l’alimentazione delle mucche dei fornitori del latte alla Centrale. Il pubblico che ha bene compreso che la Centrale del Latte , con l’importante impianto fatto, gli fornisce latte sterilizzato, apprezzando¬ ne tutto il valore igienico, darà tutta la sua . più sconfinata fiducia allo stabilimento comunale, allorché sarà dallo stesso Municipio ga- rentito su la sana alimentazione delle mucche, su la buona costruzione delle stalle e su la loro igienica manutenzione, su la più accurata ed igienica mungitura , e sul trasporto del latte , con mezzi sicuri di in¬ tangibilità, perchè il pubblico ha pure bene compreso che il controllo chimico municipale sul latte in arrivo alla Centrale , inappuntabilmente fatto da personale tecnico competente sotto la sapiente guida del Di¬ rettore del Laboratorio Chimico Municipale, non è sufficiente a garen- tirlo su la buona qualità del latte. Non ho bisogno di mettere in ri¬ lievo L importanza di quanto ho detto , perchè è ben noto che dalla buona alimentazione della mucca dipende, insieme al buon sapore ed al profumo del latte , il miglior contenuto dei componenti di esso : acqua, sostanze azotate, grasso, zucchero di latte e sostanze minerali che , per essere quelli che riparano le perdite dell’organismo , hanno fatto dare al latte l’appellativo di alimento completo , destinato natu¬ ralmente per l’alimentazione dei piccoli nati. È noto altresì che il latte di vacca più generalmente usato, oltre a soddisfare a tutte le esigenze dell’uomo adulto sano, serve per i bambini e per gli ammalati. Come del pari è noto che il latte di vacca è di composizione assai variabile e che quello posto in vendita nelle città è un miscuglio del latte di parecchi animali. Non è qui il caso di ricordare le buone qualità della vacca per l’industria del latte, dell’ influenza dell’ alimentazione, delle cure igieniche e buon governo sulla produzione lattea , come pure i metodi di conservazione e trasporto del latte. Or, poiché tutto ciò è assai importante, io son sicuro che non sia sfuggito all’acuto esame dei valorosi funzionari dirigenti i servizii di igiene al Comune ed all’Alto Commissariato, onde bisogna bene spe¬ rare che al più presto si dia al consumatore quella garenzia che que¬ sti chiede e che ora sente di non avere. Ed ora mi piace di ricordare la vaccheria modello impiantata nel castello esistente nel parco an¬ nesso alla R. Scuola Superiore di Agricoltura in Portici per opera dell’illustre professore BALDASSARRE, il quale la manteneva in maniera ammirevole. Vi si beveva dell’ottimo latte. Concludo affermando che il Comune di Napoli che ha il merito di aver impiantato in questa città la Centrale del Latte , quando an¬ cora altre città importanti non V hanno fatto e che certamente tutto — 40 — quanto ho prospettato in questa mia comunicazione, ha già rilevato, disciplinerà sicuramente la produzione, la raccolta ed il trasporto del latte alla Centrale , onde si avrà indubbiamente nell’animo del pubblico dei consumatori la più completa fiducia nella Centrale del Latte , la quale sarà di modello alle future Centrali che sorgeranno certamente nelle altre città d’Italia. Finito di stampare il 10 ottobre 1928. Ricerche correlative nelle variazioni della pressione atmosferica, della frequenza e della quantità di pioggia a Napoli del socio Ing> Amedeo Andreotti (Tornata del 7 agosto 1928) Dalla serie delle osservazioni eseguite nell’ Istituto di Fisica terrestre della R. Università di Napoli dal 1866 al 1926, ho preso in esame i dati annuali relativi alla pressione atmosferica media, alla frequenza e alla quantità di pioggia e cioè : per la p r e s - s i o n e a t mosferica media 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1860 760.0 760.3 760.8 760.9 1870 759.6 760.0 760.1 760.4 760.6 760.0 759.5 759.8 759.9 759.4 1880 761.8 759.9 761.2 760.0 761.1 759.6 759.7 760.3 760.7 759.7 1890 759.8 760.3 759.5 759.9 760.2 759.0 759.8 759.8 760.3 760.9 1900 759.3 759.7 760.2 761.0 760.1 760.5 760.0 760.8 761.2 759.9 1910 758.6 760.4 759.9 760.4 759.3 757.8 758.7 758.8 760.1 758.5 1920 760.2 760.1 758.9 758.8 759.1 759.6 759.3 per la fre q u e n z a < della pioggi a : 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1860 100 97 120 123 1870 127 123 131 107 114 113 102 104 128 124 1880 82 114 116 118 114 118 123 116 98 131 1890 114 103 118 96 85 113 116 108 126 107 1900 136 147 131 120 122 132 124 127 107 129 1910 134 121 112 112 U3 159 125 130 124 147 1920 106 115 111 112 112 125 115 — 42 — e per la quantità di pioggia: 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1860 646.7 903.6 1154.6 950.0 1870 949.3 922.7 1055.8 997.0 1173.9 988.8 748.0 908.9 1111.9 730.1 1880 468.1 962.1 1005.8 857.4 816.9 1013.6 976.6 866.5 681.4 1213.9 1890 879.1 788.9 916.1 973.0 720.9 1048.8 917.9 635.8 870.6 946.3 1900 1167.5 995.6 958.1 1054.4 899.8 1030.4 961.0 1110.5 1115.7 820.0 1910 1292.9 801.0 659.6 733.4 979.9 1385.3 1058.9 977.2 1103.1 885.1 1920 716.1 900.2 854.0 919.8 702.7 851.1 675.7 Il valore normale , cioè la media aritmetica generale che si deduce per ogni serie, è; per la pressione atmosferica media : mm. 759, 934 per la f r e q u e n z a della pioggia: giorni 117,654 e per la quantità di pioggia: mm. 924, 754. Tenendo conto dei valori normali ho calcolato gli scarti di ciascun anno , riportati nella tabella I dove AP, AF e AH indi¬ cano rispettivamente gli scarti della pressione atmosfèrica media, della frequenza e della quantità di pioggia. TABELLA © © © © © © © © © © © Os O" OS OS OS © © © © LO in © © © © © O1 © © © © © © © © © _ . © t'- C" CO © OS q © © © t"- OS q © q X. o ©’ 00 CO m © d © CN od d od O1* d O1 CN CO d <1 © o © CN © OS © 0 CO © co 0 CN CN r^ © CO *“ ■ CN © CN CN CN + 1 1 "T 1 1 1 + + 4 + + 1 1 1 1 1 1 1 1 vO © © © © © © © © O1 O4 Os © © © © © © © m © © © © © © © OS Os O1 OS © © © © © © © lu vO co co CO © © © co co CO co co © © © © © q © d r-H © co ©" © © 1—. 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Infine ho calcolato il coefficiente di variabilità. — 45 — e a definito dal rapporto x 100 oppure x 10° ed ho avuto i seguenti valori : per la pressione atmosferica : v, == 0.073 v, == 0.007 per la frequenza della pioggia: v4 = 8.73 v2 = 11.50 e per la quantità di pioggia : v, 14.07 v2 == 18.29 Somme progressive degli scarti. Se xi x9 x3 . xa sono i valori di n osservazioni , la nor¬ male o media aritmetica generale è individuata da : n le differenze : xi — M — di x, — M = d .... xn — M = dn individuano gli n scarti dalla normale, mentre le somme suc¬ cessive : SA = dA S2 ■= Si -rd2 = di + d2 ... Su = (di d2 + ... + d^.i) + dn rappresentano le "somme progressive,, o somme accu¬ mulate degli scarti : La funzione S così definita è una funzione definita della variabile x primitiva di cui le principali proprietà sono : 1) Qualunque valore S (somma accumulata) diviso il nu¬ mero di osservazioni che comprende dà un quoziente che ag¬ giunto algebricamente al numero M , dà il valore normale dei dati fino a quel punto. 2) Similmente dividendo la differenza algebrica tra due valori di S per il numero di osservazioni comprese e aggiun¬ gendo algebricamente al numero base M si ottiene la media di quel periodo. - 46 3) Il valore : 1 n Sm = — Si n l rappresenta lo scostamento medio dalla media aritmetica generale M , ossia la media aritmetica dei valori assoluti degli scostamenti dalla detta media. 4) Sn è identicamente nulla Nella tabella II riporto le somme progressive degli scarti della pressione atmosferica Sp , della frequenza della pioggia Sp e della quantità di pioggia Sq. Coi valori della tabella ho rilevato i diagrammi della fig. 1 relativamente airandainento della funzione S (somma progressiva degli scarti) per la pressione atmosferica, per la frequenza e per la quantità di pioggia. Nella figura i cerchietti servono a mettere in evidenza i principali massimi o minimi comuni ai diversi elementi nello stesso anno, mentre il doppio cerchietto controdistingue i prin¬ cipali massimi o minimi della quantità di pioggia che anticipano di un anno su quelli della frequenza. Notiamo nel 1879 e nel 1919 un minimo di pressione atmo¬ sferica in corrispondenza di un massimo di frequenza della piog¬ gia e con un massimo di quantità di pioggia che precede di un anno. Nel 1899 un massimo di pressione atmosferica in corrispon¬ denza di un minimo di frequenza della pioggia e con un mini¬ mo di quantità che precede di un anno. Negli anni 1880, 1888, 1894, 1908 massimi di pressione at¬ mosferica in corrispondenza di minimi di frequenza e quantità di pioggia, mentre nel 1910 minimo di pressione atmosferica in corrispondenza di massimi di frequenza e quantità di pioggia. Somme progressive degli scarti. 00 ■'t o sO 04 00 O o 04 00 O O 04 00 o o C— 04 o~ »— < o o in o CO co 00 CO o- 04 o o o 00 os 04 o o- 00 ■'f in q q q o q O- q o- q q o> d 04 d 04 d 00* 04* d co co in d d d 04* d d 04 04 Os o o o 04 o co m 04 -v 04 CO CO m 04 in o 00 00 o O in in co 04 + + + + + + + + + + + + _L 00 o sO 04 00 '«r o o 04 00 sO o 00 04 O sO o- co 00 o in o 04 o- £5 in Os co 04 00 m 00 -sr •— 1 00 — ■ o- m q q in q q q d 04* o co 00* d d d d 00* d d in co d d 04* d co 00 l>- in in in o o 04 04 04 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 + + + \ + i 4_ i 1 o o 04 00 O o 04 00 ■'■f o o 04 00 o o OO o- o- o o- o in 04 Os m o m in OS co 04 q OO q m OO o q 00 q q o tL o o d d Oi O' d d in d in co co d 04* d d d o CO + + + + _j_ _|_ 1 + + + + -P + + + + _L + _)_ + p; a© ©s o — N r© >© s© aO Os o — m 04 re i© s© O o 04 04 04 04 04 04 04 C < ©S a a O' ©s ©s ©s ©S Os ©s Os Os Os Os Os Os Os Os Os 00 04 o o 00 04 o o •'tf1 00 04 o O 00 04 O O 04 00 OS in o in — «o 04 o- 04 00 co OS Os m o O CO 04 o q q o o q 04 04 q q q °°. q q q q CO <— • q o d o d 04* d 04* d 04 d 00* 04 d d d co d d co d oo’ co o- O' co l"~ 00 CO co o o -sf Os 04 Os o 00 00 ■^f co CO co 1—1 04 04 04 *=f CO co o o o CO CO 04 1 1 1 ì 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 + + 04 00 q O 04 00 o o 04 00 o o 04 00 o o 04 ■'f os in o 04 f- co Oi 'tf1 O lO o- 04 00 co OS m o o q q o- q o q co q q co o © q q q 04 q in 04 q m pct d d o d d 00* d co* d d d d d 04* co* d d co d 04* co co o- O' 00 00 Os ai 04 in in in o o o- in 04 o o 00 00 o- 1 1 1 1 1 1 1 1 1 7 1 7 7 1 7 7 7 1 1 1 04 00 o o 04 00 o o 04 00 o o 04 00 o o 04 sO 04 Os o 04 Os in 04 co m 04 00 m 04 00 in f— 1 00 m 00 Pl, CO q 00 q q q q q q 00 o q q 1—1 q m q 04 q co d d d d d d d d in in in* d d d d d d d oo* 00* d + + + + -|- + + j + + _L + i + i "T + + + + — r» 0© ©S o __ N i© sO aO Os o 04 re 1© s© o» aO oO 0© ©s ©s ©s ©s ©s Os OS Os Os Os o o o o o o ® e < aO aO aO oO oO aO oO oc aO aC aO aC a© OS OS Os OS Os OS Os Os LU 00 04 O O 04 00 O sO 04 00 O 00 04 O O in o sO h~ 04 04 O .—i sO O in Os r— 1 O 04 00 co q q q »— i q q q q °°. OO q q CO q m m °°. q co o 00* d d d d d d d o d oo’ 04* d d d d co o 00* d 00* W r^- co o 04 o 00 co Os i — i o 00 Os o 04 04 o- CO 04 04 1 1 co co 04 *“ 1 1 1 04 1 1 1 1 1 1 + + + + + + 1 “T + 1 1 ! 1 1 ! 1 o 04 00 o O 04 00 O V© 04 00 -f o o 04 00 o o in r— 1 o 04 00 CO Os o o O- co Os in o o o- co 00 q CO q q 04 q in q q in 04 0°. in q 00 m °°. q d 00* in* d d in 04 co sd d d d d d d co in d 00* 00* 04* (/) 1 co 1 CO 1 co 1 04 1 1 ! 1 1 04 1 CO 1 m 1 1 CO 1 o 1 o- 1 o> 1 1 t" 1 o- ! o 1 vO 04 00 O o 04 00 O o 04 00 o O 04 00 o sO o CO OS o CO o co o o- co O O co o O CO Os sO co Os PL| q q 04 q q q q q q q 00 o- q q co CO in q q CO d o d 04* d 04* 04* 04* co 00* 04 04 04 04* d d in* in* vO* d in + _i_ + + + + + + + + +++ + -L- + + + + s© aO Os ® 04 re l© s© r- aO ©s ® __ M re i© SO c © s© s© s© r- r- r^ r« r- r* o- r«- t" r» a© aO aO aO aO aO aO G aO aO 0© aO aO aO aO aO aO aO aO aO aC aO aO aO aO aO aO QO aO < . Fig. 1. — 49 — Concordanza — Correttone. Ho calcolato nota formula: l'indice di concordanza c — d 1 = n secondo la dove c indica il numero delle concordanze di segno , d quello delle discordanze ed n il numero dei termini delle serie poste a confronto ed ho ottenuto per la frequenza e la quantità di pioggia : i = 0.34 cioè una sensibile concordanza , mentre per la frequenza della pioggia e per la pressione atmosferica ho ottenuto i = — 0.08 cioè una debole concordanza negativa, (discordanza). Ho proceduto poi al calcolo del coefficiente di cor¬ relazione espresso dalla relazione : P r - 0% Gy dove ox e oy sono gli scostamenti quadratici medi dalle medie aritmetiche di due raggruppamenti, mentre : n 2 x g y s P = i - n n dove 2S xs ys rappresenta la somma dei prodotti degli scarti i dalle rispettive medie aritmetiche generali, per la frequenza e per la quantità di pioggia ed ho ottenuto : r = 0.6059 cioè vi è correlazione positiva, mentre per la fre¬ quenza della pioggia e per la pressione atmo¬ sferica ho ottenuto : r = — 0.4599 cioè correlazione negativa. - 4 - — 50 — Le equazioni di regressione sono per il 1° caso: j F = 72.8606 4- 0.04844 Q ( Q = 32.9709 + 7.5796 F la prima cioè è Y equazione della retta indicante l'aumento teo¬ rico della frequenza della pioggia F , in funzione dell' aumento della quantità di pioggia Q ; la seconda è l'equazione della retta indicante l'aumento teorico della quantità Q in funzione dell’au¬ mento della frequenza della pioggia F. Le equazioni di regressione nel 2° caso sono : ^ F = 6563.0359 - 8.4815 P j P — 762.8683 — 0.02494 F la prima cioè è l’equazione della retta indicante l'aumento teo¬ rico della frequenza della pioggia F, in funzione della diminu- 51 zione della pressione atmosferica, la seconda è l'equazione della retta indicante V aumento teorico della pressione atmosferica P in funzione della diminuzione della frequenza della pioggia. Nella figura 2 ho riportato i punti rappresentativi dei valori corrispondenti effettivi della frequenza e della quantità di piog¬ gia e le due rette di regressione. Nella figura 3 ho riportato i punti rappresentativi dei valori corrispondenti effettivi della frequenza della pioggia e della pres¬ sione atmosferica e le due rette di regressione. Finito di stampare il 30 ottobre 1928. Casi di anomalie osservati in Antedon mediter¬ ranea Lmk. del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 7 agosto 1928) Pochi sono i casi di ipertipia osservati o almeno descritti riguardanti X Antedon mediterranea Lmk. Carpenter W. (1866) {) riporta due casi di anomalia dovuti uno ad eccesso ed uno a difetto di sviluppo : in un individuo uno dei rami di un braccio presentava una biforcazione sin dalla base , in modo che il raggio corrispondente portava tre rami invece di due, ed in un altro esemplare non si osservava la comune divisione del braccio basale in due rami, ma esso si continuava in una sola serie di anelli discoidi articolati fra di loro, come in tutte le braccia normali. Carpenter P. (1888) * 2) ha visto un esemplare di Antedon rosacea ed un Antedon del Giappone nella collezione di Do- derlein che avevano quattro raggi con otto rami, ed inoltre ha osservato nel British Museum un esemplare con sei raggi e do¬ dici rami. Sono state poi notate anormalità nello sviluppo dei rami da varii Autori : Dendy 3) ha descritto un esemplare di Ati- A) Carpenter, W. B. — Researches on thè structure , physiology , and development of Antedon (< contattila Lmk.) rosacea. P. I. Philos. Trans. Roy. Soc. London. Voi. 156, Tav. 38, p. 671, 1866. 2 ) Carpenter, P. H. — Re pori upon thè Crinoidea collected dnring thè voyage of H. M. S. Challenger during thè years 1873-74. The voyage of H. M. S. Challenger {Zoologie). Chall. Exped. P. 60, 1888. 3) Dendy, A. — Description of a twelve-armed Contattila fr. thè Firth of Clyde. Proc. Roy. Soc. Edinburg. Voi. 9, p. 180, Tav. 10, 1886. — 53 — iedoti rosacea avente sei braccia e dodici rami e Bateson *) nella stessa specie trova un individuo il cui braccio si suddivide in numerosi rami. Clark (1908) l 2) parla di un Antedon con variazione nelle pinnule e Cotte (1922) 3) nell’ usare materiale per esercitazioni pratiche ha trovato delle Antedon anomale. Przibram (1901) 4) ha ottenuto sperimentalmente un caso di biforcazione di un ra mo nella stessa specie. Per quanto i casi descritti siano varii , pure , tenuta consi¬ derazione del numero enorme di Antedon che continuamente si pescano, essi si possono considerare come rari. Ed i fatti a Na¬ poli, dove X Antedon abbonda straordinariamente, fra migliaia di esemplari che sono stati pescati , durante quindici anni di mia permanenza alla Stazione Zoologica , appena due casi mi è oc¬ corso di osservare. Di essi un esemplare presenta sei raggi con dodici rami regolari ed un altro ha cinque braccia ed undici rami, un ramo in più proveniente dalla biforcazione di uno dei rami di un braccio. Descrizione dell'esemplare con sei braccia. È un esemplare di piccole dimensioni : il diametro del disco misura 5 mm., e la bocca trovasi regolarmente nel centro (Fig. 1). Lateralmente, fra due braccia, trovasi l'ano, sporgente, imbutifor¬ me, ben visibile ad occhio nudo. Le sei braccia misurano, a par¬ tire dalla placca centro-dorsale fino all’estrema placca dei rami 56 mm. In tutte le sei braccia si riscontra la stessa disposizione delle placche ; cioè alla placca centro-dorsale seguono le due l) Bateson, W. — Oti some case of abnormal repetition of Parts in ani- mais. Proc. Zool. Soc. London, p. 584, fig. 4-5, 1890. -) Clark, A. H. — Some case of abnormal arm structure in Recent cri- noids. Smith. Inst. U. S. Nat. Museum. Proceed. Voi. 34, p. 265-70, 1908. 3) Cotte, J. — Quelques anomalies observées au cours des seances de travaux pratiques. C. R. Ass. Fr. Adv. Se. Paris. Tome 48, p. 722-23, 1922. 4) Przibram, H. — Experimentelle studien iiber Re generation. Arch. Entw. Mech. Bd. 11, p. 221, 340, 4 pi., 1901. — — Tierpropfung. Die Transplantation der Korperabschnitte, organe and Keime. 1 voi. pp. 300, 163 figg., p. 49, 1927. — 54 — costali o radiali di Ludwig. La seconda placca costale o a x i 1 1 a r e , caratteristica per le due facce articolari , porta re¬ golarmente le placche disticali che costituiscono l’asse centrale dei rami in cui si divide ciascun braccio. Anche que¬ ste non presentano alcuna irregolarità : ognuna di esse si articola con la disti- cale seguente e lateralmente con la p in¬ nula r e corrispondente. L'esemplare venne raccolto nel Golfo di Napoli fra centoventi esemplari nor¬ mali, nel passato anno 1927. La sua ano¬ malia si può dire congenita, tanta è la re¬ golarità delle singole braccia e della conseguente biforcazione di ognuna (Fig. 2). È un processo che si è verificato naturalmente sin dalle prime fasi dello svi¬ luppo delFanimale. Ciò si può affermare perchè non si riscon¬ tra traccia di rigenerazione. Non sarebbe difficile provo¬ care formazione di nuove brac¬ cia: negli echinodermi, infatti, ed in particolar modo negli asteroidi io ho dimostrato che tagliando alle volte uno o più braccia, se ne rigenerano o un numero minore , o uguale o maggiore. L'aver trovato in altre forme ramificazioni nu¬ merose c'induce a pensare che nei crinoidi si possano verificare analoghi processi. Nei nostri laboratorii è un po’ difficile otte¬ nere rigenerazioni operando questi animali, data la loro grande delicatezza e la impossibilità di mantenerli in vita per lungo tempo. Ma ciò non esclude l'esistenza di un potere rigenerativo anche nella classe, così caratteristica, dei Crinoidea . Fig. 2. Schema della regione ventrale di Antedon medita a, ano ; b, bocca ; br., braccio ; r, ramo. Fig. 1. Antedon mediterranea esamera vista dalla regione ventrale. Esemplare con ramo biforcato* Quest'esemplare è stato anche pescato nel Golfo di Napoli e rinvenuto fra trentasei esemplari. Esso è di dimensioni mag¬ giori del precedente (Fig. 3). Le braccia, a partire dalla plac¬ ca centro-dorsale all’ultima — la f i n i a 1 e — misurano mm. centodieci. 11 braccio, invece, che presenta la biforcazione doppia misura nella branca u- nica mm. centodieci come tutti quanti gli altri rami e mm. ot- tantacinque quello biforcato : la biforcazione s’inizia alla di¬ stanza di mm. ventisette dalla placca centro -dorsale. Nessuna irregolarità si ri¬ scontra nelle braccia: quello che presenta la biforcazione del ra¬ mo, nella regione basale, è formato dalla placca centro-dorsale e dalle costali. Nella regione laterale della seconda costale s'iniziano . le placche disticali che sono in numero di venticinque e fra esse si trovano otto articolazioni s i g i z i e (articolazioni serrate). La ventiseesima placca disticale si presenta di forma analoga alla se¬ conda costale o axillare della regione basale , cioè presenta le due facce articolari da cui si partono le disticali successive che sono in numero pressocchè uguale a destra ed a sinistra. Nè mancano le pinnule come in tutti i rami normali (Fig. 4). E probabile che la biforcazione di questo ramo sia avvenuta in seguito a lesione e che nel punto leso si siano formati due blasfemi rigenerativi , in modo da dare origine a due rami e che il processo sia avvenuto per ognuno analogamente a quello che avviene nello sviluppo di ciascun ramo. Che il fatto sia pro¬ babile è appoggiato anche dall'analisi bibliografica. Il Przibram, difatti, sperimentalmente ha potuto ottenere, in particolari con¬ dizioni la biforcazione di un ramo. nwinimi 56 * Dall' esame dei due esemplari surriferiti si deduce che le anomalie esistono anche nell' An¬ tedon mediterranea Lmk., per quanto siano meno numerose, non si sa se perchè non esistenti o perchè sfuggite al controllo degli osservatori. Il fatto però importante da notare è il loro potere rigenerativo — potere che può dare origine a forme ipertipiche, come si riscontra anche dallo esame bibliografico. L’ aver ottenuto e in natura e sperimental¬ mente forme anomale ipertipiche ci spinge a considerare che anche nei crinoidi esistono bla- stemi rigenerativi totipotenti che, sensibilizzati in seguito a lesioni avvenute naturalmente o pro¬ vocate, sono capaci di dare origine a formazioni integrali di determinati organi e ripetono pro¬ cessi analoghi a quelli che avvengono nella fase normale dello sviluppo ontogenetico. La placca distale studiata nell'esemplare con ramo biforcato (Fig. 4) che si trasforma nel pun¬ to in cui deve avvenire la biforcazione in una placca simile alla seconda costale o axillare ci dice che il processo formativo avviene durante la rigenerazione nello stesso modo come si verifica durante lo sviluppo normale della biforcazione. Fig. 4. Schema del ramo biforcato. d. placca disticale ; ax. plac- Napoli, Stazione Zoologica, giugno 1928. ca axillare o 2a costale ; 1 a cost, prima costale ; cd, centro dorsale ; s, sigizie. Finito di stampare il 30 ottobre 1928. Notizie su alcuni poli. Il genere Isopodi del Golfo di Na Cymodoce del socio Dott. Beatrice Torelli (Tornata dell' 11 novembre 1928) Il gruppo degli Sphaeromini hemibranchiati , nella classifi¬ cazione di Hansen (4) si distingue nelle due sezioni degli Sphae¬ romini e dei Cymodocini. Questi ultimi si riconoscono per avere l'estremità dell' addome , in entrambi i sessi, con una larga e profonda incisura in cui sorge un dente mediano di va¬ ria larghezza. Le parti boccali sono, nella femina, profondamente metamorfosate. Il genere Cymodoce stabilito da Leach (6) , rientrando nel gruppo dei Cymodocini , ha quella forma caratteristica dell' ad¬ dome ed inoltre si distingue dagli altri generi del gruppo, per¬ chè la parte anteriore dell' addome del maschio manca di un prolungamento mediano, perchè gli uropodi sono poco flessibili e restano sporgenti quando l'animale si piega. Tra gli Isopodi del Golfo di Napoli è facile riconoscere alcune Cymodoce. Classificare però le varie specie può riuscire difficile, specialmente se si hanno esemplari di femine. La distinzione delle specie si fa sopratutto per la forma dei segmenti toracici, dell'addome e degli uropodi. Le appendici della testa, i piedi toracici, i pleopodi hanno una grande uni¬ formità di struttura e non possono in alcun modo aiutare nel riconoscimento della specie. Le femine, come già ha osservato Hansen (4), sono molto simili tra di loro ; il corpo è liscio, l'addome è sprovvisto di gra* — 58 — nutazioni e tubercoli, non sempre si riconosce un dente impari nel suo contorno posteriore. Perciò è avvenuto che le temine di Cymodoce sono state spesso attribuite ad altre specie o anche ad altri generi. Già Stebbing nel 1893 (16) osserva con meraviglia che sin allora non si erano mai trovate le temine ovigere di Cymodoce, successiva¬ mente altri studiosi dovettero riconoscere in supposti Sphaeromi temine di Cymodoce; errore del resto che facilmente si spiega. Tattersall per esempio, classificò in un primo momento per Sp. inerme (17) l’animale che poi riconobbe per fernina di C. trun- cata (18). La confusione tra le temine delle varie specie è facilissima sia perchè le temine di specie i cui maschi si distinguono bene l’uno dall’altro, differiscono tra di loro assai poco, sia perchè do¬ vendo classificare una fernina non conosciuta, non essendovi al¬ cun carattere comune col maschio, sarà difficile attribuirla ad una o ad un'altra specie dall’esame del solo animale. Miss Richardson classificò per C. af finis (13) la fernina di C. japonica (14). Io stessa ho trovato nel golfo di Napoli una fernina che per la for¬ ma dell'addome ha molta rassomiglianza con la fernina di C. va¬ lida del Sud-Africa, per quello che può vedersi dalla figura del Barnard (1), e che io non ho potuto classificare. Nelle temine delle Cymodoce, in massima parte, non può as¬ solutamente parlarsi di una incisura mediana del contorno poste¬ riore delltaddome nè tanto meno di un lobo o dente che sorge in essa. L'orlo dell'addome è solo, sulla linea mediana, debol¬ mente sollevato o al massimo leggermente rientrante. Così si vede nella figura che Tattersall dà delta fernina di C. truncata (18 PI. 2 fig. 1), quella che Nierstrasz presenta per fernina di C. robusta (9 PI. 9 fig. 36) Barnard (1) di C. valida e C. umbonata. E mi li¬ mito a pochi esempi, ma dai quali si vede che questo forte di¬ morfismo sessuale non è solo di poche specie affini, ma è molto generale e in specie assai differenti e per caratteri morfologici e per habitat. La fig. 5 pi. 4 che Norman (10) crede di potere attribuire alta fernina di C. truncata probabilmente è quella di una fernina non matura. Io ho potuto verificare che negli ultimi stati larvali la fernina di C. truncata rassomiglia a quella che Norman ripro- — 59 duce, e allora con molta buona volontà si potrebbe vedere un dente mediano sorgere nella poco accentuata incisura posteriore delbaddome. Ho inoltre osservato che nelle temine di Cymodoce la fles¬ sibilità degli uropodi è maggiore che nel maschio e permette all'animale di potere assumere una forma perfettamente sferica. Nella diagnosi del genere bisogna parlare non solo del di¬ morfismo delle parti boccali, ma anche di questo dimorfismo di forma. Non è esatto asserire che " in entrambi, i sessi il segmento addominale posteriore ha una incisura in cui sorge un processo mediano... che l'exopodite degli uropodi non è capace di piegarsi sotto l’endopodite... „ Questi sono caratteri del solo maschio. Tutto ciò è stato osservato da molto tempo [Beddard 1885 (3), Hansen 1905 (4), Tattersall 1905 (18)] e perciò non si devono più ripetere le vecchie definizioni senza correggerle (Richardson 1907 (13) pag. 5). L'osservazione da me fatta per lungo tempo di questi animali mi ha mostrato quanto scarsa, incompleta e disordinata è la co¬ noscenza che se ne ha. Basterebbe leggere le discussioni del Bed¬ dard (3) pag. 145, e di Hansen (4) pag. 119. E sono venuta nella convinzione che una revisione accurata degli lsopodi marini ri¬ chiede lo studio dello sviluppo larvale, se non per tutte, almeno per le specie più importanti. Giacché i caratteri sessuali esterni compaiono molto presto, e d’altra parte i maschi sono sino a quando non compiono l'ultima muta, assai differenti dalla forma adulta, spesso è avvenuto che forme di sviluppo dello stesso a- nimale sono state considerate specie differenti, cosa che già Nor man (10) e Tattersall (18) hanno rilevato. Credo ancora che va riguardato attentamente tutto il genere Exosphaeroma e vedere sino a qual punto sia esatto ammetterlo, perchè qualche stato lar¬ vale, specialmente di femina, ma anche di maschio di Cymodoce può essere confuso con Exosphaeroma (Hansen (4) pag. 118). Inoltre sia lo studio bibliografico che le osservazioni da me stessa raccolte sullo sviluppo larvale, mi hanno indotto a conclu¬ dere che specie anche molto differenti tra di loro devono avere forme di sviluppo abbastanza simili. Quindi bisogna essere molto cauti anche in questo senso e non incorrere nell’errore contrario — 60 — a quello sin ora lamentato e cioè di attribuire alla stessa specie forme larvali di diversi animali. Lo studio dello sviluppo larvale di C. truncata sebbene non completo, mi ha fatto vedere che nei primi stati i maschi non differiscono dalle femine per alcun carattere morfologico. Con la comparsa dei caratteri sessuali esterni la forma del corpo del maschio comincia ad apparire differente da quella della femina, per quanto si riconoscono ancora come animali appartenenti alla stessa specie. Ma difficilmente io credo che visti isolatamente po¬ trebbero essere classificati come Cytnodoce , perchè la superficie del corpo è completamente liscia, perchè l’incisura dell’addome è assai differente da quella del maschio adulto, perchè gli uropodi tanto della femina che del maschio sono del tutto pieghevoli e si possono accostare completamente all’addome giacché V endopo- dite si pone sotto l'exopodite. All’ultima muta il maschio cam¬ bia profondamente e il suo addome presenta i tubercoli, creste e denti caratteristici del genere e della specie, mentre la femina non cambia molto. Nel golfo di Napoli ho trovato cinque specie di Cytnodoce, delle quali quattro erano già conosciute ed in parte trovate an¬ che fuori del Mediterraneo, l’altra è una specie nuova. Non di tutte ne ho trovate le femine, anzi ho potuto riconoscere solo la femina di C. truncata. Per Y altra femina che, come ho già detto, ho raccolta, posso escludere che si tratti di C. truncata, perchè la femina di questa specie è sicuramente identificata , e di C. Tattersalli perchè di essa ne conosciamo i caratteri (Tat- tersall (18) pag. 10) che non coincidono con quelli dell’animale trovato. Ma non posso ora dire quale delle altre tre specie essa sia. Il mio dubbio potrà solo risolversi quando io stessa, racco* gliendo gli animali vedrò come si trovano uniti. Osservo intanto, come notizia incidentale, che i maschi di C. truncata , sono assai più numerosi delle femine, più resistenti a cambiamenti o modificazioni di ambiente. Il modo di vita di tutte queste specie è simile : io le ho sem¬ pre raccolte nei gusci vuoti di Balanus perforatus e solo rara¬ mente nelle alghe dove invece vi si trovano le larve. Cymodoce truncata LEACH. Cymodocea truncata Leach 1818 Leach (6) p. 342. Cymodocea pilosa M. Edwards 1840 M. Ed. (8) p. 213. Sphaeroma curtum Lbach Bate & Westwood (2) p. 412. Sphaeroma prideauxianum Leach 1868 B. & W. p. 415. Sphaeroma inerme Tattersall 1905 Tat. 17 p. 601. ? Cymodoce robusta Nierstrasz 1918 Nier. (9) p. 103 pi. 9 f. 11, 12 32-35. Normann ha riconosciuto nello Sp. curtum e nello Sp. pri¬ deauxianum forme larvali di C. truncata (10), Tattersall ha cor¬ retto la prima classificazione di Sp. inerme da lui fatta di una fe- mina di C. truncata (18), io unisco ancora nella stessa specie la C. pilosa M. Ed. La C. truncata e la pilosa differiscono tra di loro perchè in truncata “ mancano i ciuffi di peli così caratteristici in pilosa „ (M, Ed.). Ma raccogliendo un gran numero di esemplari ho po¬ tuto vedere che quello è un carattere estremamente variabile e non reputo perciò esatto mantenere la distinzione delle specie. Mon mi trattengo ora in una descrizione delTanimale, perchè mi propongo di fare ciò in seguito in una revisione più completa del genere, e rimando ai lavori già citati sebbene ritenga tutte le descrizioni frammentarie ed incomplete. La C. truncata è, fra tutte, la più frequente nel golfo di Na¬ poli in ogni epoca dell'anno. Cymodoce emarginata LEACH. Cymodocea emarginata Leach 1818 Leach (6) pag. 342. Bate & Westwood 1868 (2) p. 428. Questa forma è esattamente descritta da Bate & Westwood (2) tuttavia la descrizione appare in qualche punto poco completa. Per potere distinguere sicuramente la specie dalla C. Tattersalli bisogna aggiungere per lo meno, che il torace in C. emarginata è liscio. La figura che i sopra citati AA. dànno, è assai poco chiara. Per la differenza costante dei caratteri tra C. truncata e C. emar¬ ginata non mi sembra esatto considerare quest'ultima varietà della prima [Norman (10)]. — 62 — Cymodoce Tattersalli n. sp. ? Sphaerotna granulatimi M. Ed. 1840 M. Edwards (8) p. 208. Cymodoce granulatum M. Ed. 1905 Tattersall (18) p. 6 pi. 2 f. 1-9. Io non credo che la C. granulatum descritta dal Tattersall sia proprio lo stesso che Sp. granulatum M. Ed. La descrizione di M. Edwards fa pensare che Sp. granulatum sia forma larvale di qualche Cymodoce. Potrebbe essere esatta la sinonimia se si fosse dimostrato che Sp. granulatum è forma larvale di C. gra¬ nulatum. Ma se ciò non si dimostra bisogna considerare questa Cymodoce come specie nuova. Osservo intanto che essendo il nome Cymodoce femminile, non è grammaticalmente corretta la denominazione di Cymodoce granulatum ; bisognerebbe dire Cymodoce granulata. Ma da Miers (7) è stato usato il nome di Cymodoce granulata per una specie differente da questa che quindi bisogna chiamare diffe¬ rentemente. Io propongo il nome di Cymodoce Tattersalli 1). Questa Cymodoce non è molto frequente nel golfo ; io ho raccolto solo due esemplari di maschi, dodici, anche maschi era¬ no nelle collezioni della Stazione Zoologica. Cymodoce spinosa RISSO. Sphaerotna spinosa Risso 1816 Risso (15) p. 147 pi. 3 f. 14. Cymodocea Lamarkii Leach 1818 Leach (6) p. 343. Secondo l'opinione di Omer-Cooper, che io divido, si devo¬ no considerare fatte sullo stesso animale le brevi descrizioni di Sphaeroma spinosa del Risso (15) e Cymodoce Lamarkii di Leach (6). Io non penso invece come Omer-Cooper quando egli passa in sinonimia con C. spinosa, la specie descritta da M. Ed¬ wards col nome di Cymodoce pilosa. Anche questa non è una specie frequente nel golfo ; di essa J) Colgo eon piacere questa occasione per ringraziare il Prof. Tattersall, dell'Universy College di Cardiff, che gentilmente mi ha fornito notizie e ma¬ teriale per questo studio. — 63 — ho raccolto cinque esemplari di maschi due dei quali sono stati » presi nell'isola di Ischia. Cymodoce Della Vallei n. sp. Questa specie anche essa del golfo, è stata rinvenuta per la prima volta. Ma anche in questo caso devo dare una notizia in¬ completa in quanto non ne ho riconosciuta la femina. La breve descrizione che seguirà, quindi è del solo maschio, e la limito a quei caratteri che valgano a riconoscere l'animale riservandomi di dare in seguito una descrizione più completa. Lunghezza 7-9 mm. Larghezza 4 mm. Colore giallo ocra. Tranne la testa e il primo segmento toracico che sono lisci, il corpo è tutto fortemente granuloso. Dal secondo al settimo, i segmenti toracici presentano un largo orlo posteriore rialzato. Addome scarsamente peloso. I primi segmenti addominali sono fusi tra di loro ; ma le linee di sutura sono poco appariscenti e la prima di tali linee — 64 — spesso è nascosta dall’ultimo segmento toracico che si può pre¬ sentare posteriormente convesso. L'orlo posteriore del quarto segmento addominale è distinto in tre parti da due insenature piuttosto pronunciate. I brevi tratti laterali vanno obliquamente indietro e formano un angolo arro¬ tondato con gli orli laterali del segmento. La parte centrale è divisa in due da una incisura mediana poco accentuata. L'ultimo segmento addominale è fortemente concavo. Pre¬ senta due creste rialzate convergenti che si iniziano poco dopo la base e terminano col dente mediano posteriore dell' addome. Su questi rilievi, non uniformi per grossezza, si possono vedere radi ciuffetti di peli. Il contorno posteriore dell'addome è tipicamente tridentato e il dente mediano è un poco più lungo dei lati dell'incisura in cui è posto. Gli uropodi rotondeggianti, scarsamente pelosi, sono un poco più corti del segmento addominale. Napoli , Stazione Zoologica , novembre 1928. INDICE BIBLIOGRAFICO (1) BARNARD, K. H. — Conlributions to thè Cnistacean Fauna op South-Aprica. Ann. S. Afr. Mus., Voi. 10, p. 11, Cape Town, 1914. (2) BATE, S. C. and WESTWOOD, J. O. — Britsli sessil-eyed Cr te¬ stacea. Voi. 2, London 1868. (3) Beddard, M. A. — Report on thè Isopoda. Voyage of H. M. S. Challenger 1885. (4) HANSEN, H. J. — Ou thè propagatoti, stradare and classifica- tion of thè jamily Sphaeromidae. Q. J. Micr. Se., Voi. 49, 1905. (5) HASWELL, W. A. — On some new Austr aliati marine Isopoda. P. 1, Proc. Lin. Soc. N. S. Wales. Voi. 5, 1881. (6) LEACH, V. E. — Diciionaire des Sciences Natuvelles, T. 12, 1818. (7) MlERS, E. J. — Descriptions oj some new species oj Crustacea chieply proni New Ze alauda. Ann. Mag. Nat. Hist. Ser. 4, Voi. 17, 1876. (8) MlLNE EDWARDS, M. — Histoire naturelle dee Crustacés. T. 3, Paris 1840. (9) NlERSTRASZ, H. F. — Alte and Nette Isopoden. s’Rijks. Mus. Nat. Hist. Leiden Dell 4, 1918. (10) NORMAN, A. M. and Scott, T. — The Crustacea op Devoti and Cornowall. London 1906. (11) OMER-COOPER, J. — Report on thè Crustacea , Tanaidacea and Isopoda. Tran. Zool. Soc. London, Voi. 22, P. 2, 1927. (12) RlCHARDSON, H. — Contr ibutious to thè naturai hy story op thè Isopods. Proc. U. St. Nat. Mus. Voi. 27, 1904. (13) — — Descriptions of new Isopod Crustacea op thè pamily Sphaeromidae. Proc. U. St. Nat. Mus. Voi. 31, 1907. (14) — — The Isopods collected in thè North west Pacipic. Proc. U. St. Nat. Mus. Voi. 37, 1909. (15) RISSO, A. — Histoire naturelle des Crustacés des environs de Nice. Paris 1816. (16) Stebbing, T. R. R. — A history op Crustacea. London 1893. (17) TATTERSALL, W. M. — Some new and rare Isopoda taken in thè British Area. Rep. British Ass. 1904. (18) — — The marine fauna of thè Coast of Ireland. Scientific Investigation of 1904, P. 5, Isopoda 1905. Finito di stampare il 30 ottobre 1928. - 5 - Esperimento sull’impiego dell’acqua decalci¬ ficata come solvente degli urati nell’orga¬ nismo umano del socio Dott* Prof* Vincenzo Maione Chimico e libero docente di medicina legale. (Tornata ordinaria del 15 febbraio 1925) In seguito alla comunicazione fatta dal Prof. Gasparrlmi al¬ l'Accademia Medica di Roma, nella seduta del 27 maggio 1923, sulla presenza dell'urato di calcio nel sangue, (che, secondo lui, costituirebbe il principale componente dei depositi uratici : tofi, ecc.), e sull'impiego dell'acqua acalcica come adatto solvente per eliminarlo, si aprì com' è noto, una viva discussione su questo argomento ; e mentre alcuni autorevoli Accademici già si erano compiaciuti col Gasparrini , ritenendo che le sue conclusioni fossero in parte di accordo con 1' esperienza clinica, (come lar¬ gamente riferì il " Giornale d’Italia „ il 28 maggio 1923), vi fu¬ rono poi altri clinici e qualche chimico-clinico , che su altri giornali politici, con una serrata critica, confutarono quelle con¬ clusioni. A me parve che, più che un'astratta discussione, l'argomento meritasse bene un controllo sperimentale; e, perchè questo mi potesse dare affidamento, decisi di istituirlo su di me stesso. Comprendevo che non si sarebbe potuto generalizzare in base ai risultati di esperimenti eseguiti su di un solo individuo, ma che sarebbero state necessarie parecchie indagini istituite sistematicamente su più individui di diverso temperamento e in diverse condizioni di salute per potersi formare un criterio esatto sul modo di agire dell'acqua acalcica nell'organismo. Tuttavia per la grande difficoltà che avrei incontrata, prima .s.Tjr', — 67 — nell'indurre altre persone a sottomettersi alla pruova, e poi nel- Tesercitare su di loro un controllo assoluto , affinchè i risultati fossero attendibili , mi dovetti accontentare di esperimentare su di me solo. E , per raggiungere nel miglior modo possibile lo scopo prefissomi, m’imposi un rigore straordinario nel procedi¬ mento, così come andrò accennando. Eseguii T esperimento nel settembre del 1923 , e non avrei pensato a renderne di pubblica ragione i risultati, — trattandosi di un caso singolo, — se l’amico Prof. E. Cutolo, al quale avevo parlato del mio lavoro, non mi avesse spinto, nella tornata del 15 febbraio dell'anno corrente, a farne cenno. Nell'accingermi all' esperimento nel mese di settembre spe¬ ravo di potermi giovare di una mite temperatura, per non avere notevoli perdite per la traspirazione cutanea e, per conseguenza, urine troppo scarse; ma, contro la mia previsione, dopo alcuni giorni di fresco, vi furono dei giorni abbastanza caldi, che pro¬ vocavano il sudore quasi come nel mese di agosto. Il 9 settembre cominciai dal prendere un purgante oleoso, e quindi stabilii un regime alimentare che fu poi scrupolosa¬ mente mantenuto eguale e costante per tutta la durata dell'espe¬ rimento, cioè dal 10 al 23 settembre. Fissai due pasti al giorno, non permettendomi le mie occupazioni di farne tre più leggieri; e volli che l'alimentazione fosse piuttosto in eccesso e completa, impiegando idrati di carbonio, grassi, sostanze azotate, e che vi venissero comprese delle purine. Stabilito il mena fin nei pic¬ coli particolari, per ottenere la costanza della composizione chi¬ mica dei diversi alimenti , ne feci una giusta provvista. Vigilai, inoltre , perchè la quantità di acqua introdotta coi diversi cibi fosse quasi invariata. Complessivamente ingerivo ogni giorno gr. 112 di albumine (gr. 17,92 di azoto), gr. 159 di grassi, gr. 432 di idrati di carbonio, gr. 0,45 di purine, e gr. 19 circa di sali minerali. Durante l'esperimento ogni mattina prendevo, a digiuno, 3 cucchiaiate di olio d' oliva , per vincere un po' di stitichezza abituale. Mi pare poi non superfluo aggiungere che durante tutto l'esperimento badai che il mio lavoro, tanto fisico che psichico, fosse possibilmente eguale per intensità e durata. — 68 — Per dare poi un'idea dell'individuo su cui si sperimentava, accenno che sono di sana costituzione fisica, non ho sofferto mai di artritismo, nè di reumatismi, sono alto m. 1,70, e, all'inizio deH'esperimento, pesavo Kg. 80,500. Nei giorni 10 e 11 settembre, sottomettendomi al suddetto regime alimentare, bevvi complessivamente 500 cc. di acqua del Serino al giorno. Dal mattino dell' 11 al mattino del 12 (in ore corrispondenti) raccolsi esattamente le urine e le feci e le sotto- misi ad analisi. I risultati di queste m'indicavano come si effet¬ tuava il ricambio materiale con quella determinata quantità e qualità di cibo e con una quantità di acqua corrispondente ap¬ prossimativamente a quella che ero solito a bere tutt'i giorni. A questo primo periodo feci seguire un secondo di tre giorni (dal 12 al 14 settembre), in cui la quantità di acqua del Serino presa nella giornata fu esattamente di un litro al giorno ; ed esaminai le urine e le feci raccolte (sempre alle medesime ore) dal mattino del 12 al mattino del 13, e poi quelle raccolte fino al mattino del 14 e quelle raccolte fino al mattino del 15. In altri tre giorni consecutivi (15, 16 e 17 sett.), aumentai la quantità di acqua del Serino, portandola a litri 1 l/2 al giorno, e con le stesse norme raccolsi le urine e le feci delle 24 ore corrispondenti e le analizzai. Questo secondo periodo dell’esperimento (dal 12 al 17 sett.) aveva lo scopo di accertare principalmente se il solo aumento della quantità dell'acqua del Serino, presa com'è, nella giornata, bastasse ad eliminare una maggiore quantità di acido urico dal¬ l'organismo. Passai quindi alla seconda parte dell’ esperimento , in cui bevvi esclusivamente acqua del Serino completamente decalcifi¬ cata , mediante una quantità precisamente necessaria di acido ossalico. Per tre giorni consecutivi (18, 19 e 20 sett.) bevvi esatta¬ mente un litro al giorno di tale acqua , ed esaminai le urine e le feci raccolte dal mattino del 18 a quello del 19 e poi dal 19 al 20 e dal 20 al 21, sempre alla medesima ora. Infine per altri 3 giorni consecutivi (21 a 23 sett.) , bevvi litri 1 V, al giorno di acqua del Serino decalcificata ; ed anche in questo periodo, naturalmente, raccolsi ed esaminai le urine e le feci emesse rispettivamente nelle 24 ore dal mattino del 21 a quello del 22, da questo a quello del 23 e da questo a quello del 24, sempre alla stessa ora. Eseguii sulle urine la determinazione della densità, dell’aci¬ dità totale, deirazoto totale, dell'azoto ureico, dell’acido urico, delle purine, dell’indacano, del residuo secco, delle ceneri, della calce e del cloruro di sodio. Però alcune tra queste determina¬ zioni (quelle dell’acidità, dell’ indacano, del residuo secco, delle ceneri e del cloruro di sodio), non occorrono ai fini del presente esperimento , ma , le eseguii perchè potrebbero interessare da un altro punto di vista ; e perciò io non ne riporto qui i risul¬ tati. Aggiungo poi che , eccettuato un discreto aumento della quantità dell’indacano , non riscontrai mai alcun principio pato¬ logico nell’urina. Sulle feci furono eseguite le determinazioni dell’azoto totale delle ceneri e della calce ; ma delle ceneri non darò i risultati qui perchè non avrebbero importanza in questi esperimenti, ma ne potrebbero avere in rapporto ad un altro lavoro, che, forse, pubblicherò. * Quanto ai metodi analitici ho adottato quelli che si seguono a preferenza in chimica clinica, procedendo sempre nelle identi¬ che condizioni. Per la determinazione dell’azoto totale ho seguito il metodo di Kjeldahl-Wilfarth ; per l’azoto ureico quello ga- sometrico con l’ apparecchio di Dannecy , operando su urina trattata con acetato basico di piombo e filtrata , controllando i risultati con una soluzione titolata di urea pura, e desumendo col calcolo l’azoto corrispondente in peso; per l’acido urico mi sono avvalso del metodo del Rhuemann, e ho diviso per 3 i risultati per riferirmi all' azoto corrispondente ; per le purine ho determinato 1’ azoto purinico totale col metodo Salkowski- Ludwig e dal risultato ho sottratto l'azoto corrispondente all'acido urico trovato. Ed ecco nella seguente tabella riportati i soli dati che qui interessano : o © 00 in m CN 00 O CN o (D 00 O 8 Si CN CN ©. m "3" — • © CD 00 'Sj* CN “(0 U CD CD CD CD CD m m © 00 00 t"- c in © O o O O O ©" o © o o © O u CN CD o | o ni CN o CN o CD CN «2 IO o © m ni o <© © in O © CD CN UJ 2 2 © © 00 lO^ oo CN in 00^ 00 CN on^ < 2 CD CD CD CD co" CN CD CD cd' CO" CN •"t' LU z D 1) ’e^ in t oo oo CD CN _ CN o © o CN eS o n- m CN © 00 T— I CD © © o © CO CN CN CN CN CN ca CN CN CN CD CN CD 0=5 C uo CN © © oo in O © O © CD O 00 00 © — 4 CN CN CN o o CD © 1 1 1 CN CN CN CN CN 1 ▼— i o o © o o" o" o" o" o" O CD o" ©" q « © CD in 00 IO o © n- CN 0 u CN CD CN CD CD © in 00 n- © 00 o 00 *— < 1 1 »— 1 1 ' ' — 1 CN CN n^ CN y— < CD O o O o" o" o" o" o" © o" o" CD 0 CD n- •*± h-i o in CD oo © 00 CO o '£ SS 00 T— t in io m m *— i o © 1— c CD >§-S O o o o o o CD^ CN CD *— 1 ©^ ^ a © o o o o" o o" o o" cT o" © ©" 00 ni o © in o 00 t n- © CD © 2 0 o • 2 o CD o o m 00 r- m h- CO CD 00 N V CN O in^ o. in *n. °1 ©^ CN < 5 CD in CN CN cd" CN cd" CD CN cd" CD cd" ’ ' 1 t— 1 ,_H 1 T— 1 < ,—l , oo oo r— 00 CD o o CD 2 Jì o o V— 1 o O l© m 00 n- CD 2 2 y— © CD CD cn CD ■^r © irT © CN < S in cd" cd" CD cn" CD cd" Tt *“ H ,—l ’—l y~^ ym~* T—l T— 1 T~> 1 1—1 ’—l in in jU CD © m CD m N" co CD © O CN T— 1 ni CN v— < i—i CN CN CN CN —4 c o 4) — O o o o o o O O o © O o © Q » oo os O' ©\ ©v O' O' r® c* o in co co I CN co CO CN CO O | co co m cn co oo ^ m - ro co N* CO N“ | CN CN -H I I co | O' I CN I - I - CN 1 CN CO j ^ oo vo CN | CN O i— i cn cn co co in in rf i> in in in N* N- | — | Oi J CN O o Cu < CN CO CO N^S'^iCvOh. N N N N N N O' Ov O' O' O'- ©' Totali 20 18 27 20 21 25 6 5 13 15 20 24 214 — 81 — Queste cifre rappresentano forse valori inferiori al vero, perchè un certo numero di aloni, specialmente lunari , non o- stante la diligenza, può esser passato inosservato. La pratica ac¬ quistata, dopo qualche tempo, dà modo di intensificare l'osser¬ vazione, quando, per la forma delle nubi si riconosce una mag¬ giore probabilità che avvengano fenomeni ottici. E così le os¬ servazioni sono state protratte, qualche volta, fino alle ore not¬ turne l). L'inesperienza, nei primi mesi, può spiegare in parte il piccolo numero di aloni notati per gli anni 1914 e 15, non quello peraltro del 1925. Esaminando le cifre della tabella si nota una grande varia¬ bilità delle frequenze mensili e annue, tra un anno e l'altro. Nel sessennio di Catania il massimo si è verificato in maggio e nei sei anni di Napoli in marzo ; il minimo rispettivamente in luglio e in agosto. La media annuale per Catania è di 46 giorni , per Napoli di 36 ; molto inferiore, per esempio, alla media di Parigi, che dalla statistica del Besson — 1' eminente studioso dei fenomeni alonari — risulta 151 (media di 20 anni), con un massimo di 176 (1907) e un minimo di 126 (1912). Come ho detto dianzi, la fre¬ quenza di queste meteore ottiche è in relazione con la nebulosità, che nell'Italia meridionale è assai inferiore a quella di Parigi. Si noti che nel dodicennio non ho mai notato la massima parte dei fenomeni connessi con aloni, come il cerchio parelico il cerchio circumzenitaie, l'alone di 46° ; quest'ultimo è stato os¬ servato a Parigi in media 8 volte l'anno. Dirò a questo propo¬ sito che Renou, il quale osservò gli aloni per più di mezzo secolo, non vide mai gli archi obliqui dell'antelio, nè il paran- telio di 90°. 9 Lo scrivente, dopo avere offerto al Ministero della Guerra la sua opera di radiologo, rimase quasi sempre in Catania dal 1914 al 1919. Per queste osservazioni si valse della vigile cooperazione di sua moglie, particolarmente quando egli fu chiamato in Roma dal Ministero della Marina (agosto-settem¬ bre 1918 e 19). Trasferito poi definitivamente a Roma, presso il medesimo Ministero, negli anni 1920 e 21, dovette sospendere le osservazioni , che poi riprese in Napoli nel 1922. Durante le brevi assenze di entrambi da Napoli, le osservazioni furono eseguite dal ch.mo prof. S. Aurino, del R. Osserva¬ torio di Capodimonte. - 6 - ì due fenomeni più importanti nel dodicennio furono i a) la colonna luminosa vista dall'Osservatorio Etneo, che è un fenomeno abbastanza raro (a Parigi 50 volte in 20 anni), di cui il Bonacini cita due casi osservati in Italia; b) il parantelio con colori spettrali , con azimut di circa 140° dal sole che è un fenomeno di cui non conosco alcuna altra osservazione. Napoli, maggio 1928. Finito di stampare il 10 novembre 1928. Nuovo caso di gemmazione in un Astropecten aurantiacus L. del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 7 agosto 1928) Pochi sono i casi di gemmazione da me riscontrati nel VA- stropecten aurantiacus. Alcuni di essi furono già illustrati in precedenti lavori. Il presente è uno dei più strani di quelli finora da me osservati. Si tratta di un esemplare che presenta cinque braccia di cui uno solamente è normale : delle altre quattro tre hanno una regione più o meno ampia rigenerata ed il quarto, leso in prossimità della base , ha rimarginato la zona periferica e nella regione centro ventrale ha formato un novello braccio. Questo mentre si è regolato nella regione ventrale in modo da presentare una continuità con le placche ambulacrali del mon¬ cone del braccio residuato dalla lesione e costituire una zona re. golare, nella regione dorsale non presenta che semplici rapporti di contiguità con esso. Per una più ampia e sicura valutazione del fenomeno de¬ scrivo nella presente Nota il novello caso occorsomi , convinto che da tutto il materiale raccolto e descritto se ne possano in seguito trarre elementi per una migliore e più esatta interpreta¬ zione di essi e dei fenomeni biologici in genere. Descrizione dell' esemplare* L'esemplare in esame è piuttosto grande. Il braccio normale A misura, a partire dal centro del disco fino all'estrema placca ocellare mm. 161,0; il braccio B è rigenerato verso l'estremo e misura mm. 134,0 di cui 15,0 rigenerati ; il braccio C misura — 84 — tnm. 175,0 di cui 140,0 rigenerati ; il braccio D misura mrri. 135,0 di cui 65,0 rigenerati , il braccio E misura mm. 45,0 di cui 5,0 rigenerati ed il braccio E mm. 25,0 (Fig. 1). Il braccio A presenta le varie placche che lo costituiscono, cioè le marginali superiori, le marginali inferiori, le passille, le placche ambulaceli , adambulacrali e boccali tutte normali. So¬ lamente qualche placca marginale superiore, nel lato che guarda il braccio B presenta quattro o sei spine, mentre normalmente, in quella zona, ve ne sono due. Il braccio B non presenta alcuna irregolarità nella zona nor¬ male : la zona rigenerata è ineguale ed il numero delle placche è di otto nella regione che guarda il braccio C e di sette in quella che guarda il braccio A. Le placche marginali inferiori sono in perfetta corrispondenza con quelle superiori. Il braccio C si presenta per la maggior parte rigenerato e le placche marginali superiori sono abbastanza ineguali e per disposizione e per numero lungo i due lati di esso. Alcune sono molto strette, altre sono molto larghe da comprenderne due delle precedenti , alcune hanno la spina nella regione normale , altre nel centro o nella regione interna. A parte ciò il braccio presenta delle curve dovute ad irregolare sviluppo delle placche. Il braccio D si presenta rigenerato per circa la metà. La zona rigenerata è molto regolare e non si riscontra che qualche piccola variazione nelle spine su qualche placca, come pure iden¬ tiche variazioni si possono notare nella porzione del braccio normale. Il braccio E , leso irregolarmente , ha rimarginato il bordo senza alcuna regolarità. Difatti, nella regione che guarda il brac¬ cio A vi si sono sviluppate placche marginali superiori , di cui le prime quattro sono appena sviluppate e vi corrispondono ad esse due placche marginali inferiori. Segue un’altra placca mar¬ ginale superiore con due spine — le prime quattro non ne ave¬ vano — e le altre quattro hanno una sola spina. Le placche mar¬ ginali inferiori sono irregolari e non si corrispondono con le superiori. Nella regione che guarda il braccio D se ne contano appena tre con due marginali inferiori. Il braccio E' è degno di particolare studio. Esso, infatti, si è originato dalla regione ventrale, al disotto delle placche mar¬ ginali superiori del braccio E. Le placche marginali inferiori di questo braccio, costituiscono anche le placche marginali inferiori del braccio E', solamente nel punto di attacco. Le placche marginali superiori del braccio E’ non hanno alcuna relazione con le marginali superiori del braccio E. Si vede che il braccio nella regione dorsale ha preso uno sviluppo indipendente , mentre nella regione ventrale , tanto le placche marginali inferiori che le ambulaceli ed adambulacrali si sono regolate con quelle del braccio E , in modo da presentare una continuità fra di loro. Se si osserva il braccio E’ dalla regione ventrale sembra un braccio che si sia rigenerato in perfetta di¬ pendenza del braccio E, così come si è verificato per le braccia B, C, D, mentre nella regione dorsale si osserva il distacco del nuovo braccio dal moncone preesistente. Le placche marginali superiori del braccio E' formano una specie di ellissi che va a chiudersi con la placca terminale. Esse si sono sviluppate regolar¬ mente , solamente qualcuna presenta qualche variazione nel nu¬ mero delle spine. Ne segue che anche le passille del braccio E' non hanno relazione e continuità con quelle del braccio E ; nè col disco, perchè separate nettamente dalle marginali superiori, — 86 — * * * Come spiegare una tale anomalia? Evidentemente dopo la lesione del braccio E, che avvenne in modo irregolare, si sono formate le placche marginali superiori , le passille e nella zona lesa è avvenuta una cicatrizzazione. Nella zona apicale ventrale si è invece originato un novello braccio. È un caso che si ve¬ rifica raramente, perchè ogni qualvolta avviene una lesione delle braccia, o che questa si verifichi in una regione distale o in una media o in una basale si osserva sempre un processo rigenerativo regolare che ridà al braccio leso la sua forma in un tempo più o meno lungo ; ma nel caso in esame si è verificato un altro pro¬ cesso, cioè nella zona ventrale si è iniziato un processo rigenerati¬ vo ex novo. La presenza di un braccio formatosi, come indipen¬ dente dalle regioni laterali, e che ha preso l'aspetto di un corpo innestato in quel punto non può fare escludere di pensare alla presenza di un blasfema rigenerativo totipotente sensibilizzato per particolari cause in una regione dove la rigenerazione par¬ ziale si era verificata con una vera e propria cicatrizzazione. Fa pensare questo fatto che il blasfema rigenerativo totipotente de¬ terminatosi in quel punto non essendo stato possibile regolariz¬ zare il braccio per la rapida cicatrizzazione avvenuta abbia dato origine, indipendentemente , al novello braccio sorto come una gemma. Il caso è senza dubbio interessante in quanto dimostra sem¬ pre più il forte potere rigenerativo esistente in questo gruppo di animali ed in particolare in questa specie e conferma sempre più l’idea che ebbi occasione di ripetere in più occasioni, che blastemi rigenerativi totipotenti si trovano sparsi nelle varie regioni del corpo e che si mettono in attività non appena sono sensibilizzati da particolari condizioni che si verificano nell'ambiente i). Napoli, Stazione Zoologica, agosto 1928. l) Per tutto ciò che riguarda la Bibliografia cfr. : Zirpolo, G. — Gemmazioni, rigenerazioni iperti piche ed ipotipie studiate «^//’Astropecten aurantiacus L. - Boll. Soc. Nat., Voi. 39, p. 167-221, Tav. 2-5, 1926 e ancora: Il potere gemmante negli Asteroidi in: Atti Soc. Ital. per il Progr. d. Se. XV Riunione, Bologna, 30 ottobre 1926, p. 673 e Caullery, M. M. - Sur la potentialités régénératives de la face dorsale du disque et des bras chez les Asteries. Bull. Soc. Zool. France. Tome 52, 221, 1927. Spiegazione della Tav. 1. 1. — Regione dorsale àt\V Astro p eden aurantiacus L. con braccio gem¬ mato. Si vede la rigenerazione parziale delle altre braccia e verso l'alto il piccolo moncone al cui estremo si è formato l'altro braccio. 2. — Regione ventrale dello stesso esemplare. Si nota che fra il novello braccio (quello che vedesi in alto) e il moncone è avvenuta una rego¬ lazione completa fra le placche ambulacrali e le marginali inferiori. Mentre nella prima figura si vede che le marginali superiori hanno sem¬ plice rapporto di contiguità fra di loro. Finito di stampare il 10 novembre 1928. La variabilità individuale della capacità di partenogenesi in razza bivoltina di bachi da seta del socio Prof* Carlo Jucci (Tornata ordinaria del 28 luglio 1926) La conclusione essenziale che emerge dai miei studi è che la tendenza alla partenogenesi naturale è comune a tutti i Bom- byx tnori} ma in molto varia misura e in modo più o meno ma nifesto : ciascuna razza possedendola in un determinato grado, in rapporto al tipo metabolico, e, più direttamente, in evidente, intima correlazione col grado di tendenza al polivoltinismo. A questa conclusione io porto un nuovo elemento di prova con lo studio della variabilità individuale di questa tendenza alla partenogenesi, in razze bivoltine. Di un lotto di razza bivoltina di prima generazione ho rac¬ colto e mantenuto vergini le femmine delle successive giornate di sfarfallamento ; ed ho studiato lo sviluppo partenogenetico delle uova deposte. Un certo numero di uova assumono una tinta più o meno rosea per deposito di piccole quantità di pig¬ mento nelle cellule della sierosa ; alcune di esse disseccano, altre divengono rossiccie per ulteriore accumulo di pigmento , altre ancora, proseguendo lo sviluppo , dànno un embrione maturo, un bacolino perfetto che traspare inarcato entro V uovo dove muore , di solito , alla vigilia della schiusura. Ma un numero molto maggiore di embrioni maturi derivano da uova che hanno completato lo sviluppo senza colorazione alcuna della sierosa. Ad indice della capacità di partenogenesi di una femmina possiamo prendere il numero di embrioni maturi che compaiono — 89 — nella sua ovatura , o il numero di uova rosate (benché questo sembri dover essere un indice meno espressivo, giacché le uova rosate non sono le sole a sviluppo partenogenetico e nemmeno quelle a grado più elevato di sviluppo). Allora, segnando sulle ascisse il grado di capacità di parte¬ nogenesi , espresso in numero di embrioni maturi (o di uova rosate) e sulle ordinate la frequenza di classe, il numero di ova- ture che presentano quel determinato grado, possiamo costruire un diagramma, una rappresentazione grafica della variabilità in¬ dividuale della capacità di partenogenesi. Ho costruito il diagramma per ciascuna giornata di sfarfal¬ lamento del mio lotto bivoltino. Questi diagrammi (ved. diagr. I e II p. 92 e III p. 93) e quello complessivo (diagr. IV pag. 93), ottenuto riunendo assieme le ovature delle varie giornate di sfarfallamento, dimostrano tutti uno stesso andamento della va¬ riabilità. La classe di massima frequenza, il modo della curva di variabilità, corrisponde al valore minimo di capacità partenoge¬ netica (quello espresso dalla presenza di 1 a 5 embrioni maturi nell'ovatura) ; frequenze degradanti presentano le classi a valore più elevato. Si sviluppa così a destra del modo un versante a frequenza degradante per valore di capacità partenogenetica crescente ; mentre a sinistra del modo non rimane che la classe O nella quale si accolgono le ovature che non presentano nemmeno un embrione maturo. Ma queste ovature evidentemente non hanno una capacità di partenogenesi nulla , sibbene una capacità positiva che può variare da un grado infimo a un valore che sfiori , senza rag¬ giungerlo, quello espresso dalla presenza di un embrione maturo. Se della capacità di partenogenesi possedessimo un'unità di misura più piccola, un indice più sensibile, potremmo scomporre questa classe O in tante classi a sinistra del modo a costituire un versante simmetrico al destro. Difatti la frequenza della classe O è uguale , o superiore, alla somma delle frequenze delle classi a destra del modo. Resta dunque assodato che F asimmetria delle curve di va¬ riabilità individuale di capacità di partenogenesi (in razza bivol- - 90 — tina) è solo apparente, e che questa variabilità è del tipo gene¬ rale espresso dalla curva di Quetelet o delle medie * i). È un altro forte argomento questo che comprova la nostra interpretazione della capacità di partenogenesi nei Bombyx, come di carattere costante e regolarmente variabile attorno ad un va¬ lore medio caratteristico della razza. Risulta bene evidente quanto sia impropria l’espressione di partenogenesi accidentale la quale include l’idea d'un fenomeno incostante, discontinuo, saltuario, che si presenti per un concorso imprevedibile di circostanze imprecisate. Meglio l'espressione di " partenogenesi rudimentale „ propo¬ sta dal Lécaillon in seguito alle sue osservazioni sui frequenti tentativi di sviluppo delle uova di razza gialla indigena. Purché si tenga presente che questa capacità di partenoge¬ nesi da un grado rudimentale come nelle razze annuali può rag¬ giungere un grado notevolissimo nelle razze bivoltine e certo più ancora nelle polivoltine. Io mi attendo che il nostro collega Darwin Wen dalla Cina mandi presto la dimostrazione sperimentale della previsione teo¬ rica che le uova di razze polivoltine presentano non soltanto tentativi di sviluppo come le annuali, non soltanto embrioni ma¬ turi come le bivoltine , ma ben anche numerosi bacolini atti a sgusciare dall'uovo e a proseguire la carriera vitale, giungendo l) In una nota ai Lincei " La capacità di partenogenesi delle uova di se¬ conda generazione di razza bivoltina di bachi da seta „ (marzo 1926), studiando la variabilità individuale di essa capacità ho discusso se 1’ asimmetria della distribuzione debba interpretarsi come reale o s ltanto apparente. Confrontando i diagrammi costruiti l'uno (A) in base al numero di uova più o meno colo¬ rate, e l'altro (B) in base al numero di uova annerite completamente, ho no¬ tato che se per B l’asimmetria può ben interpretarsi apparente, per A sembre¬ rebbe invece reale. Dopo quanto ho visto per la prima generazione non mi resta che ammet¬ tere che l'indice scelto nel diagramma A sia troppo poco fedele, poco adatto ad esprimere la capacità di partenogenesi. E si capisce anche: l'annerimento completo dell’uovo corrisponde a un più o meno deciso tentativo di sviluppo (spesso anzi equivalente allo sviluppo preinvernale di uova regolarmente fecondate) ; invece 1' annerimento parziale dipendendo da precoce pigmentazione di qualche blastomero isolato, disordi¬ natamente affiorato alla superficie , ci misura a dir così più la fatica che il lavoro dell'evoluzione partenogenetica, — 91 magari, collo stato adulto, alla capacità generativa e chiudendo, colla deposizione di uova feconde, il loro ciclo partenogenetico. Ma per limitarci ai dati che abbiamo oggi a nostra dispo¬ sizione, sta il fatto che in 404 ovature vergini di razza bivoltina ho trovato ben 2541 embrioni maturi, bacolini perfetti morti nel- Puovo alla vigilia della schiusura. Se si pensa che bacologi come Verson e Lambert in milioni di uova vergini non hanno visto una sola stria embrionale , e Quajat pochissime ; e , dei più recenti, in centinaia di migliaia di uova Grandori non ha trovato un embrione, e Teodoro sol¬ tanto sei, resta evidente di quanta importanza sia per l'osserva¬ zione dei fenomeni la scelta del materiale l). Su questo desidero insistere : che se ho capito qualche cosa della partenogenesi nei bachi , io lo debbo all’ avere affrontato questo problema dopo quello del bivoltinismo, scorgendo nella capacità di voltinismo (sinechepidosi) e nella capacità di parteno¬ genesi due espressioni distinte di una stessa entità fisiologica, la capacità di sviluppo dell'uovo indice sensibile, esponente sicuro delle capacità metaboliche dell' organismo materno , della costi¬ tuzione fisiologica individuale e di razza. A) Io credo che l'importanza di questa scelta non potrà più venire messa in dubbio, dopo i risultati delle mie ricerche. Questa importanza era sfuggita agli altri AA. che contemporaneamente hanno studiato la partenogenesi nei bachi. Grandori nel suo lavoro su la " Segmentazione anomala delle uova par¬ tenogenetiche di Bombyx mori,, (Boll. Ist. Zool. Roma 1924) indica la razza cui appartenevano le uova studiate istologicamente, solo nella spiegazione della tavola che illustra le sezioni microscopiche; onde la mia affermazione legger¬ mente inesatta nel mio lavoro su " La partenogenesi naturale nei bachi da seta,, (Rivista di Biologia 1926): "li Grandori non ha pensato — o non ha creduto utile — a indicare di che razza sieno le uova...,, ; risulta, dalla spie¬ gazione della tavola, che sono di due razze indigene, come avevo diagnosti¬ cato io in base al grado di sviluppo partenogenetico. Teodoro si preoccupa alcun poco della scelta del materiale, ma non in¬ tuisce la correlazione tra capacità di sviluppo dell’uovo e tipo metabolico della razza, e si limita a scegliere la razza Bagdad perchè ad uova sgranate. Verson, lui, ebbe la felice intuizione di un possibile rapporto tra bivolti¬ nismo e partenogenesi, ma non riuscì a mettere in evidenza, in razze bivoltine, fenomeni di partenogenesi più spiccati che nelle univoltine ; e questo perchè, la sua intuizione non essendo abbastanza chiara, egli ricorse, per l'esame della tendenza alla partenogenesi , non alla prima generazione ma alla seconda, — 92 — Diagrammi della variabilità individuale di capacità di partenogenesi in razza bivoltina ( prima generazione , la primaverile) di bachi da seta (Bombyx mori; razza Awojiku). Sulle ascisse il grado di capacità di partenogenesi (espresso in numero di embrioni maturi presenti nell'ovatura) ; sulle ordinate la frequenza di classe (il numero di ovature che presentano quel determinato grado). Diagr. I A : lotto A 19/6 (ovature deposte da farfalle del lotto A sfarfallate il 19 giugno). B : lotto B 23/6 (ovature deposte da farfalle del lotto B sfarfallate il 23 giugno). Diagr. Il lotto A 20/6. A B ì . . S 'O '5 IO 5 '5 zo zs 0 ' s S to 2.S 5 'O \S 2.0 ZS -3 0 ! 5 lo IS 2.0 2-S 30 IS * 15 20 2. 5 3o 35 2,0 Diagr. I, Diagr. II. — 93 — Diagr. Ili lotto B 22 6. Del lotto A il seme fu incubato a. temperatura più elevata, 22° -24° ; del lotto B a temperatura più bassa, 18° -21°. Diagr. IV complessivo nel quale sono state riunite le ovature di tutto il lotto bivoltino (di tutte le farfalle ottenute da A e B). L' andamento della variabilità si dimostra dello stesso tipo che per le singole giornate di sfarfallamento. Nella classe O sono riunite le ovature che non presentano alcun embrione maturo. Nei diagr. I, II, III, ogni puntino rappresenta una ovatura. Nel diagr. IV il segmento, di altezza proporzionale al numero delle ovaturè, per la classe O è stato spezzato in 3 segmenti, rav¬ vicinati l'uno all’altro , per comodità di rap¬ presentazione. Rimane evidente che potrebbe con la classe O costruirsi a sinistra del modo (la classe 1, cioè delle ovature che hanno un solo embrione maturo) un versante simmetrico al destro. oi 1 1 35 7 9 II il '5 '7 >3 2.1 li 25 2? W 3i Diagr. IV. Diagr. III. i BIBLIOGRAFIA JUCCI, C. — Bivoltinismo e partenogenesi nei bachi da seta (Bombyx mori). Rend. Acc. Lincei, Voi. 33 (5) 2° sem., fase. 9, p. 345-8, Sed. 2 nov. (pres. 15 ott.) 1924. — — Vario grado di tendenza alla partenogenesi nelle varie razze di bachi da seta (Bombyx mori) e probabile correlazione col vario grado di tendenza al bivoltinismo. Rend. Acc. Lincei, Voi. 33 (5) 2° sem., fase. 10, p. 435-7, Sed. 16 nov. (pres. 15 ott.) 1924. — — Sui fenomeni di sviluppo partenogenetico nelle uova di Bombyx mori di razza bivoltina (Awojiku) di P e di 2 a gene¬ razione. Ann. R. Ist. Sup. Agr. Portici, Voi. 20, p. 1-5 e 1 tav., febb. 1925. — — Fecondazione artificiale e partenogenesi nei bachi da seta. Informaz. Seriche, Roma, giugno 1925, anno XII, N. 11-12, p. 246-9. — — La capacità di sviluppo dell’uovo, vergine e fecondato, nei bachi da seta (Bombyx mori). Boll. Ist. Zool. R. Un. Roma, Voi. 3, 16 p., 1925. — — La partenogenesi naturale nei bachi da seta. Riv. di Bio¬ logia, Voi. 8, fase. 1, 19 p., genn.-febbr. 1926. — — La partenogenesi nei bachi da seta come esponente delle capacità fisiologiche individuali e di razza. Rend. Acc. Lin¬ cei, Voi. 3 (6) 1° sem., fase. 1, genn. 1926. — — La capacità di partenogenesi delle uova di seconda gene - razione di razza bivoltina di bachi da seta. Rend. Acc. Lin¬ cei, Voi. 3 (6) 1° sem., fase. 6, marzo 1926. — — Partenogenesi rudimentale e partenogenesi ciclica. Riv. di Biologia, Voi. 9, fase. 3, p. 2-7, 1927. Finito di stampare il 30 novembre 1928. Somministrazione di sostanze cerose (Sperma¬ ceti) per via alimentare del socio Carlo Jucci (Tornata dell' 11 novembre 1928) In una nota alla Società di Biologia Sperimentale su " Sin¬ tesi ed Analisi di sostanze cerose nell'organismo animale „ *) ho esposto le premesse teoriche sulle quali è stata da me impian¬ tata tutta una serie di ricerche. La conclusione che emerge sinora da queste ricerche è che: pare possibile, in organismo superiore, determinare, per som¬ ministrazione graduale e prolungata di sostanze cerose con gli alimenti , la comparsa di capacità cerolitiche , nel tubo gastro- enterico almeno. Ma i miei tentativi di determinare la frazione chimica della cera che viene utilizzata dalPanimale, hanno approdato a poco. E per la cera delle api ancora non posso dire se gli acidi e gli alcooli superiori che entrano nella sua composizione , vengano interamente reietti con le feci o parzialmente trattenuti. Ho pensato allora di ricorrere ad un'altra cera animale, lo spermaceti, che presenta, rispetto alla cera delle api , vantaggi per il nostro esperimento. L'utilizzazione alimentare di questa cera da parte dell’orga¬ nismo superiore appare meno difficile, e per la sua origine , e per la sua costituzione chimica, e per le sue proprietà fisiche. Quanto all'origine, come tutti sanno, lo spermaceti si ricava dal grasso dei cetacei. Ma non di tutti : tutto intero il sott’ or- l) Voi. I, 1926, pag. 336. dine dei misticeti, le vere balene, ha grasso costituito di soli gliceridi. Questo fatto, e il fatto che, delle due specie nelle quali lo spermaceti abbonda, (una certa proporzione di spermaceti pre¬ sentano nel grasso del corpo tutti i delfini), V una è YHyperoo- don rostratus, la balena artica che vive tra i ghiacci del polo, l'altra il Physeter macrocephalus, il capodoglio, che abita le ac¬ que freddissime dei mari più nordici come quelle molto calde delle regioni equatoriali; riducono molto il valore della inter¬ pretazione fisiologica che s; suol dare della presenza di sperma¬ ceti nei cetacei come difesa delhorganismo omeotermo adattato alla vita degli oceani glaciali. Più importante dal punto di vista chimico biologico è che nella vescica urinaria di questi cetacei si trovano assai spesso, natanti in un liquido denso, oleoso, giganteschi calcoli (del peso di 6-8 Kg.) fatti di una sostanza ceroide (1' ambra grigia del commercio) fusibile a temperatura elevata. Questo ci lascia in¬ travedere tutto un metabolismo delle sostanze cerose nell'orga- nismo dei cetacei. Quanto alla costituzione chimica, lo spermaceti è costituito essenzialmente di cetina o palmitato di cetile C]6 H33 O CO Q5 H3]. Vero è che il punto di saponificazione, più elevato di quello della pura cetina, dimostra la presenza di altri esteri ; come il numero di iodio, di 3-4 nello spermaceti del commercio, dimo¬ stra la presenza di piccole quantità di olio. In ogni modo la composizione dello spermaceti è certo più semplice di quella della cera delle api : nella quale all'estere, il palmitato di miricile o miricina C30 H6] O CO C|5 H3) è mescolata proporzione considerevole di un acido libero, l’acido cerotico C26 H52 02 oltre una certa quantità di idrocarburi e tracce di a- cido melissico, alcool miricilico e cerilico. Nella cera delle api entrano dunque alcooli ed acidi a gran¬ de numero di atomi di C ; mentre il costituente caratteristico dello spermaceti, l’alcool cetilico C|6H340, è un membro assai mer.o elevato della serie alifatica. Correlativamente, mentre la cera delle api ha un punto di fusione da 62° a 70°, lo spermaceti, (quale si trova in commer¬ cio, liberato dai suoi costituenti fusibili a più bassa temperatura che formano una vera cera liquida, il cosidetto olio di sperma- — 97 — ceti) fonde a temperatura assai meno lontana da quella dell'or- ganismo superiore: 41-49° C. In diretto rapporto con questa differenza di costituzione chimica e conseguenti proprietà fisiche, sta il fatto che lo sper¬ maceti è assai meno resistente alla scissione idrolitica di quel che non lo sia la cera di api. La cera di api si lascia saponifi¬ care solo con grande difficoltà, specialmente perchè i saponi formati sono molto meno facilmente solubili di quelli che si ot¬ tengono dai soliti grassi, saponi che rimangono a inviluppare la cera insaponificata proteggendola dal contatto coll’alcali (e sapo¬ nificazione completa non si ottiene che bollendo assai a lungo con potassa alcoolica quasi anidra, o meglio con alcoolato di sodio). Invece lo spermaceti si lascia saponificare agevolmente come i comuni oli e grassi. Il fatto che i suoi saponi sono facilmente solubili deve concorrere molto a spiegare questa facilità. Mentre la cera delle api è inattaccabile dai soliti fermenti lipolitici degli organismi animali e vegetali, lo spermaceti non sembra resistere ad essi : Lewkowitsch (pag. 8ó, 1° voi.), cita un esperimento su semi-larga scala nel quale coi fermenti si è ot¬ tenuta l'idrolisi del 32 °/0. È, del resto, ben nota l’esperienza di Munch e Rosenstein (1891) che, somministrando palmitato di cetile ad una paziente con fistola linfatica — dalla quale fluiva chilo durante l'assorbimento del grasso — nel chilo raccolto nelle prime 14 ore se non trovarono palmitato di cetile nè alcool ce- tilico, trovarono però tripalmitina : evidentemente la cera era stata idrolizzata nell'intestino e dall'acido paimitico assorbito era stato ricostituito il gliceride. Tutto considerato, si presentava molto opportuno lo speri¬ mentare la somministrazione alimentare di spermaceti al cane per il quale risultavano ancora ambigui gli effetti dell' adatta¬ mento alla ingestione di sostanze cerose (cera d'api). 11 metodo prescelto fu, come per gli esperimenti con la cera d'api, l'esame delle feci per vedere se con esso venisse restituito tutto o parte — e quanta parte — dello spermaceti somministrato. Non essendo possibile, coi soliti metodi, dalle feci isolare - 7 - — 98 — la cera pura, bisogna determinare il contenuto in sostanze gras se, estraibili con appropriato solvente (ho scelto, come migliore tra tutti, il cloroformio) dalle feci del periodo a razione cerosa. Detraendo da questa, la quantità di estratto cloroformico otte¬ nuta dallo stesso individuo in periodi di alimentazione a iden¬ tica razione, ma senza cera, si calcola la quantità di cera ricu¬ perata. 11 deficit rispetto alla quantità somministrata, rappresenta la parte di sostanza cerosa assorbita. In precedenti esperienze avevo escluso il dubbio che 1' e- strazione col cloroformio in Soxlet fosse insufficiente (una secon¬ da estrazione del materiale fecale non davi apprezzabile quan¬ tità di nuovo estratto); e il dubbio che una parte della cera po¬ tesse essere trattenuta nel tubo intestinale per essere reietta più tardi (le feci di più giorni seguenti al periodo di alimentazione cerosa non davano un estratto più abbondante del solito estratto basale, corrispondente ad alimentazione ordinaria). Quanto alla forma di somministrazione alimentare , per Io spermaceti, come per la cera delle api, si presenta Y impossibi¬ lità di una somministrazione in forma liquida, che sarebbe certo la più adatta per presentare il materiale meglio accessibile alle attività digestive della mucosa intestinale. I solventi della cera sono tutti incompatibili colla somministrazione alimentare. Una certa solubilità le cere dimostrano negli oli e negli acidi grassi , ma si tratta di proporzioni piccolissime date le quali F introduzione di una discreta quantità di cera richiederebbe la somministrazione di quantità colossali del veicolo oleoso. Ho pensato di ricorrere alle soluzioni reciproche. Qualcosa si ottiene per questa via: ma troppo poco. Un grammo di cera (d'api) sciolto in 10 cm3 di cloroformio, aggiunti 30 cm3 di olio di mandorle ed eliminato lentamente il cloroformio per evapo¬ razione a temperatura mediocre — colla speranza che la cera ri¬ manga in soluzione nell'olio — dà un'abbondante precipitato in grosse druse cristalline. Soltanto una piccola porzione della cera rimane disciolta nell'olio, sufficiente però a produrre la coale¬ scenza dell'olio stesso già a temperatura inferiore ai 40°-30°). Questo metodo che non è utilizzabile per la somministrazione alimentare, può riuscire invece utile per l’introduzione parente- rale, ad es. per iniezione intraperitoneale o per via intravenosa, — 99 — •' quale ho praticato per cercare di suscitare, in individui conve¬ nientemente sensibilizzati, l’esplosione di fenomeni anafilattici : tentativo sinora ad esito negativo (notare che recentemente sono stati descritti fenomeni di piccola anafilassi per olio grezzo di oliva). Scartata la soluzione, fallito il tentativo di una emulsione di cera in liquidi vari, non rimaneva che praticare delle sospen¬ sioni in veicolo oleoso, mescolando olio e cera ed omogeneiz¬ zando il miscuglio con agitazione a temperatura elevata. È con¬ veniente la proporzione di 4 parti di olio per una di cera. Ma neanche con questa, e con proporzioni assai più grandi di olio, si riesce a determinare un miscuglio fluido alla temperatura del corpo, se , mescolato 1' olio alla cera fusa ed agitato sino alla omogeinizzazione, si raffredda bruscamente. Allora la cera si concreta in finissimi aghi cristallini che , fittissimamente disse¬ minati nella massa oleosa, la imprigionano nelle maglie di uno strettissimo reticolo, determinando lo stato semisolido, sorta di coagulazione analoga a quella del reticolo fibrinoso per il sangue. L'agitazione protratta durante un lento raffreddamento, sino quasi a temperatura ambiente, dà modo alla sostanza cerosa di concretarsi in aggregati cristallini abbastanza grossi e quindi abbastanza scarsi di numero perchè il liquido oleoso interposto basti a rendere la sospensione scorrevole alla temperatura di 30°-40° gradi (per la cera delle api). S'intende che la fluidità del miscuglio è maggiore, usando proporzioni maggiori di olio ; ma allora diventa eccessiva la quantità di sostanza oleosa da somministrare. D’altra parte, ri ducendo l'olio a proporzioni troppo inferiori, la cera si concreta in sfero— cristalli troppo grossi e cresce troppo la vischiosità e la consistenza del miscuglio. È da riflettere, del resto, che 1' utilizzabilità alimentare di una sostanza dipende essenzialmente dalla sua composizione chi¬ mica, attaccabile o meno dagli enzimi che l’organismo possiede o è capace di sviluppare ; e poco, relativamente, dipende dallo stato fisico nel quale le sostanze si presentano. Tutto considerato, ho creduto bene di sperimentare la som¬ ministrazione alimentare dello spermaceti nelle due forme : gros- 100 — solatiamente solido, incrostato sul pane sul quale lo versavo fu¬ so : e finemente sospeso in olio d'uliva. Ecco la succinta descrizione delle esperienze da me com¬ piute nel giugno 1926 : Esperienza 1. “Spermaceti puro,,. Dal 6 giugno al 9 giugno, razione di 300 gr. pane addi¬ zionato di spermaceti, versato fuso sopra : 6/6 gr. 8 7/6 - 9/6 gr. 16 totale gr. 56 Il periodo è chiuso con due giorni a pane (gr. 300) e car¬ bone : il 10 e 11/6. Raccolgo feci-’ 7/6 8/6 9/6 10/6 11/6 12/6 13/6 39+26+ 47 + 16+40+ 20+ 50+ O 88 40+50+ 42+ 38+41 + 39+ 20+ 27+20 36 26 109 50 202 115 161 168 120 0 88 Questi grammi 854 di feci fresche, seccati e polverizzati, (23/6), si riducono a gr. 328. Ne estraggo una parte, gr. 71, al cloroformio, per 61 ore (24/6 - 28/6). Ottengo, di estratto secco, gr. 10,750. Ne estraggo una seconda porzione pure di gr. 71, pure al cloroformio (1/7 - 11/7). Ottengo di estratto secco, gr. 10,442. Facendo media dei due risultati : 1O'750+ 10-442 10,595 In proporzione : 71 : 328 = 10,6 : X X = 48,97 Dall'estrazione di tutte le feci si sarebbero dunque ottenuti gr. 48,97 di estratto. — 101 — Prendendo come valore dell'estratto (fecale cloroformico) basale giornaliero gr. 1,4 (media tra gr. 1,1 — la vecchia deter¬ minazione del febbraio e marzo — e gr. 1,7 la nuova determina¬ zione del giugno) ; si dovranno sottrarre: gr. 1,4 X 6 giorni = gr. 8,4 di estratto basale, ai gr. 48,97 di estratto ottenuti. Lo spermaceti ricuperato è dunque gr. 40,57. Facendo proporzione : 40,57 : 56 = X : 100 X = 40,57 : 56 = 72,4 Può dunque considerarsi ricuperato il 72,4 °/0 dello sper¬ maceti somministrato. Vi è insomma un deficit , presumibil¬ mente corrispondente ad avvenuto assorbimento, di gr. 15,43 di spermaceti, il 27,5 0/o. Data la somministrazione dello spermaceti puro, senza vei¬ colo oleoso, gettato fuso sul pane, si ha, malgrado ogni cura nella preparazione e consumazione del pasto, una sensibile per¬ dita di sostanza; ma non è probabilmente, da ritenere superiore (inferiore, se mai, airaumento dell' estratto basale per 1' accre¬ sciuta attività intestinale). Ma questo deficit di gr. 15 con tutta probabilità non cor¬ risponde ad un assorbimento del 27 °/0 dello spermaceti som- ministrato, ma ad un assorbimento più o meno elevato, rispet¬ tivamente, dei due componenti, l'acido paimitico e l'alcool ce- tilico. Potrebbe anzi supporsi che questo deficit del 27°/o cor¬ risponda all'assorbimento del 50 7o circa dell'acido paimitico della cetina (essendovi nella cetina il 51,4° 0 di acido paimitico, in gr. 56 di spermaceti debbono esservi gr. 28,78 di acido pai¬ mitico) : 15,43 : 28,78 = x : 100 x = 43,6 Ma allora l’estratto fecale non dovrà precentare i caratteri di un miscuglio, con le sostanze dell'estratto basale, di sperma¬ ceti, ma di alcool cetilico e spermaceti (o di alcool cetilico , di acido paimitico e di spermaceti, se è stata scissa più cetina di quella che corrisponde all'acido paimitico assorbito). — 102 — Esperienza II. “Spermaceti in olio,,. Dal 16/6 al 19/6 razione di 300 gr. di pane spalmato di miscuglio cero-oleoso (8 gr. spermaceti in 20 cm. olio d'oliva. Il miscuglio scende lentamente, sempre vivacemente agitato, da 95° a 35° : lo spermaceti concreta in druse cristalline sospese nel mestruo oleoso ; con rabbassarsi della temperatura cresce la vischiosità del miscuglio, già semisolido a 35°). Chiudo il periodo somministrando (20/6) pane con carbone. Raccolgo feci : 17/6 18/6 19/6 20/6 21/6 22/6 gr. 67 80 64 33 40 30 Questi gr. 314 di feci fresche, seccati e polverizzati (1/7), si riducono a gr. 96. Ne estraggo una metà , circa gr. 48, al cloroformio (2/7 11/7). Ottengo di estratto secco gr. 10, 530 (14/7). Estraggo l'altra metà, gr. 48 all'incirca, pure al cloroformio, per 60 ore (12/7 - 17/7). Ottengo di estratto secco gr. 9,665. Facendo media delle due determinazioni : 10,530 + 9,665 : 2 10,098. Si è ottenuto dalle feci un estratto totale di gr. 20,195. Di questi circa gr. 6 debbono rappresentare l'estratto basale (gr. 1,5 per 4 giorni). Esperimenti precedenti mi avevano dimostrato che l'estratto basale è quasi identico per feci di periodo a solo pane e per feci di periodo a pane addizionato di 20 cm. di olio ; e- videntemente perchè l'olio viene interamente assorbito). Lo spermaceti ricuperato è dunque gr. 15,195. Essendosi somministrati 4x8 = 32 gr. di sostanza, si può considerare ricuperato il 44,4 °/0. È poco meno della percentuale di alcool cetilico dello sper¬ maceti, cioè 48,6 °/0. Vi è ragione di supporre dunque, che tutto e solo l'acido paimitico sia stato assorbito. La determinazione del punto di fusione non porta (e non — Ì03 — potrebbe portare, del resto) una decisa conferma a questa ipotesi. Difatti l'estratto fecale da " spermaceti puro „ ha un P. F. di 43°C (4 prove concordanti, due sull'estratto della prima, due della seconda metà) come se questo estratto consistesse di spermaceti, proprio (lo spermaceti usato ha P. F. di 43°-44°). Nè sembra potersi ammettere che il P. F., rimanga abbassato dal miscuglio colle sostanze dell' estratto basale , dato che per estratto fecale da “ pane solo „ si è avuto un punto di fusione di 46°. D'altra parte anche secondo la nostra ipotesi una metà circa dello spermaceti fornito dovrebbe passare inalterato nelle feci ; e se ne rivela difatti la presenza nell'aspetto cristallino, caratte¬ ristico, che assume 1' estratto fecale solidificando. La differenza tra il P. F. dello spermaceti e quello dei suoi alcooli è troppo poco grande perchè la sostituzione di metà dello spermaceti con i suoi alcooli possa spiccatamente elevare il P. F. L'estratto fecale da “ spermaceti in olio „ presenta un P. F. poco diverso che varia secondo le determinazioni, tra 42° e 45u. Evidentemente non si può decidere per la presenza di sper¬ maceti o piuttosto di solo alcool (l’alcool cetilico fonde a 50°; ma dato che lo spermaceti non è fatto di sola cetina, il P. F. della sostanza insaponificabile dello spermaceti è, secondo i vari AA., 46-48°. Le mie determinazioni mi dànno per la sostanza insaponificabile preparata dall'estratto fecale di "spermaceti puro,, 44-47° ; da " spermaceti in olio „ 44-45°). Però, dato che l'estratto fecale da periodo a " pane e olio „ ha P. F. così basso da esser liquido a temperatura ambiente, il P. F. dell'estratto fecale da " spermaceti in olio „ deve risultarne considerevolmente abbassato : e questa considerazione deve farci ritenere più probabile la presenza, in detto estratto fecale, del¬ l'alcool, anziché di spermaceti integro. D’altra parte la saponificazione dell'estratto e il tentativo di determinarne la composizione, sembrano a prima vista, non solo non confermare l'ipotesi di un assorbimento elettivo dell'acido paimitico, ma tendere anzi a contraddirla. Difatti, saponificati gr. 8,500 di estratto fecale, ho cercato di separare l'alcool. La separazione è stata molto laboriosa ; a- vendo la soluzione eterea abbandonata, in successivo lavaggio, — 104 — all'acqua gran parte delle sostanze prima disciolte ; e in parte recuperate poi sbattendo l’acqua con etere di petrolio. Dalla so¬ luzione acquosa residua si sono filtrati (per sicurezza) i saponi. Orbene gli acidi grassi ottenuti rappresentano un peso quasi uguale a quella della sostanza insaponificabile ottenuta dagli e- stratto etereo e petrolico. Per quanto occorra detrarre da questa cifra un valore no tevole, corrispondente ai pigmenti fecali (passati in gran parte con gli acidi grassi) e agli acidi grassi dell’estratto basale, sem bra che debba rimanere un valore molto elevato : tanto da met¬ tere nell'alternativa o che l'acido paimitico non venga sottratto allo spermaceti (e la sostanza escreta con le feci sia spermaceti nei suoi due componenti); o che (e sembra improbabile) vera¬ mente l'assorbimento sia di acido paimitico, ma l'alcool cetilico residuo venga attaccato e trasformato chimicamente (?) prima di essere escreto con le feci. Senonchè, secondo il calcolo, in 8,5 gr. di estratto fecale debbono essere contenuti gr. 2,5 di estratto basale, cioè (com¬ putando al 95 7 gli acidi grassi) gr. 2,375 di acidi grassi. Ne ho ottenuti invece 3,190 cioè 0,815 di più : Anche se questi gr. 0,815 fosse tutto acido paimitico, derivato dallo sper¬ maceti, sarebbe sempre molto poco : perchè in 6 gr. di sper maceti (8,5 di estratto fecale meno 2,5 di estratto basale) dovreb¬ bero essere contenuti circa 3 gr. di acido paimitico e 3 di al¬ cool cetilico; e 0,815, al più, di acido paimitico derivato da spermaceti. Resta dunque avvalorata l'ipotesi che il deficit sia dovuto ad assorbimento di acido paimitico della cetina scissa. Lo con¬ ferma il basso punto di fusione degli acidi grassi da me isolati; 39,5° C. Concludendo : lo spermaceti somministrato è stato in parte assorbito ; e la parte assorbita, che con tutta probabilità è data soprattutto da acido paimitico, ha raggiunto la proporzione del 27,5 °/0 quando se ne sono somministrati (in 4 giorni) 56 gr. in forma grossolanamente solida ; e la proporzione del 44,4 °/0 quando se ne sono somministrati (in 4 giorni) 32 gr. in forma di fina sospensione in olio d'oliva. — 105 — Questa percentuale^tanto superiore, quasi doppia , dell' as¬ sorbimento nella seconda forma, deve dipendere anche dal fatto che nella seconda forma è stata somministrata una più piccola quantità di spermaceti. Ma non può dipendere soltanto da que¬ sto, anzi deve dipendere essenzialmente da una maggiore dige¬ ribilità dello spermaceti in forma di sospensione in veicolo oleo¬ so. Giacché, considerando non più il valore percentuale , ma il valore assoluto dello spermaceti assorbito, questo risulta di gr. 27,8 nella seconda. Non possiamo dire sino a che punto questa superiorità, re¬ lativa ed assoluta deH'assorbimento dello spermaceti in olio, di¬ pende da una maggiore facilità di scissione dalla cetina da parte dei fermenti lipolitici da tubo gastro-enterico, ai quali la cera diventa più accessibile quando è in forma assai minutamente granulare (facilità alla scissione può anche venire dal fatto che, venendo rapidamente liberati acidi grassi dalla scissione dell'o- lio, questi emulsificano meglio la sospensione cerosa coi succhi digestivi), e sino a che punto dipenda da una maggiore facilità di assorbimento dei prodotti di scissione. Non è affatto da trascurare questo secondo fattore, essendo risaputo che il miscuglio con acidi grassi liquidi della serie o- leica, rende assai più assorbibili gli acidi grassi solidi come il paimitico e lo stearico. Potrebbe probabilmente scindersi l'azione concorrente nel nostro esperimento, dei due fattori, ripetendo la somministra¬ zione di spermaceti in fina sospensione in olio di vaselina ; con che si avrebbe il primo vantaggio , della forma più accessibile alle attività digestive, e non il secondo, della facilitazione all'as¬ sorbimento. Bisogna infine riflettere che i nostri esperimenti sono stati condotti su un cane da parecchi mesi assoggettato a nutrizione ricca di cera di api e che assorbiva una certa frazione (non pos¬ siamo ancora dire quale) della cera somministrata, venendo que¬ sta solo in parte ricuperata dalle feci. Potrebbe supporsi è vero, una specificità del fermento ce¬ rolitico, per il quale, l'adattamento alla cera delle api non mo¬ dificherebbe la capacità di digestione e di assorbimento dello spermaceti : ma non sembra molto probabile. — 106 — E bisognerebbe ripetere l'esperienza su di un cane normale per vedere se, indipendentemente da ogni adattamento , anche in condizioni normali, l'organismo di un mammifero , come il cane, può digerire una cera non tanta lontana dalla costituzione dei grassi, come lo spermaceti ; il che del resto dovremmo già considerare assodato per 1' uomo, se non vogliamo mettere in dubbio la classica esperienza di Munk e Rosenstein. Finito di stampare il 30 novembre 1928. Osservazioni mineralogiche e litologiche sul- F Isola di Procida del socio Dott. Antonio Parascandola (Tornata del 31 dicembre 1928) A. Scacchi 1 2 3 4), Roth 2), Lacroix 3), De Lorenzo 4) e Riva 5) fecero cenno o trattarono di taluni minerali e rocce che si rin¬ vengono nell'isola di Procida, la quale, come ho potuto rilevare nelle mie indagini, offre una grande varietà di tipi litologici in ispecie nelle sue potenti, ricche e policrome Brecce Museum di cui quella della Lingua per sue particolari condizioni. Con la presente comunicazione faccio rilevare, specialmente, la presenza di taluni minerali non rinvenuti , per quanto mi è noto, da altri. Ho trovato nella Breccia della Lingua diversi grandi proietti oltremodo ricchi di analcime. Essi sono di due tipi : ad analcime e calcite, e ad analcime accompagnata da una zeolite in aghetti bianchi sericei o ciuffetti o gruppi fibroso-raggiati che mi pro¬ pongo di determinare. Ho in primo luogo osservato un grande blocco di trachite 1) Memorie geologiche sulla Campania. 2) Monatsher d. k. p. Akad. Wissensch. Berlin 1881. 3) Les enclaves des roches volcaniques. Macon 1893. 4) De Lorenzo G. e Riva C. — Il cratere di Vivara nelle isole flegree. Atti R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, Ser. II, Voi. 10, N. 8, 1901. 5) Riva C. — Sopra due Sanidiniti delle isole flegree con alcune consi¬ derazioni intorno all' impiego di liquidi a nolo indice di rifrazione per la determinazione dei minerali componenti le rocce. Nota I e II. Rend, R. Acc, Lincei, Voi. IX, fase. 5" e 6°, Roma 1900, — 108 — di color giallo ocra con fenocristalli di augite, che misurava un metro nella sua massima lunghezza e poco più di mezzo metro spesso, pervaso di nitidi cristalli di analcime che forma amigdale e tappezza riccamente le cavità costituendo delle brillanti e ma¬ gnifiche geodi le quali raggiungono notevole grandezza. I cristalli in parola sono o incolori e nitidi, o bianco latte, ovvero con un nucleo color bianco latte e la zona esterna in¬ colore. Si presentano in cristalli trapezoedrici con modificazioni (100) che talvolta sono appena percettibili tal' altra abbastanza sviluppate. In tale proietto con l'analcime si presenta anche abbondante la calcite in romboedri incolori che talora raggiungono le dimen¬ sioni di un centimetro. Un secondo tipo di proietto ad analcime è costituito dal detto minerale con la menzionata zeolite in roccia identica alla prima. L'analcime qui si presenta egualmente con abbondanza dif¬ fusa come nel primo tipo di proietto ; il colore ne è lo stesso ma le geodi un po' meno numerose. La forma cristallina di questa analcime è però differente in quanto che si presenta in cubi con modificazioni (211), che tal¬ volta sono sviluppatissime sì da interessare tutto lo spigolo del cubo. Va notato questo diverso modo di presentarsi delFanalcime nei proietti citati quando s' accompagna con la calcite o con la detta zeolite, poiché nel primo caso è il trapezoedro con modi¬ ficazioni cubiche, nel secondo caso è il cubo con modificazioni trapezoedriche come abbiamo rilevato. Questo ho potuto osservare in tutti i blocchi che fino ad ora ho preso in esame. Debbo ancora far parola di un'analcime molto bella da me rinvenuta nella trachite di S. Angelo nell’ Isola d' Ischia *) e di cui non m’è noto se ne sia fatta menzione. Si presenta in cubi trasparenti con modificazioni (211). *) Se ne conserva un mio saggio nel R. Museo dell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Napoli. 109 - Abbondano nella Breccia della Lingua molti tipi di leuco- tefrite, alcune abbastanza alterate che si spappolano fra le dita, caratteristiche talune per la notevole grandezza dei cristalli di leucite. Ho rinvenuto del granato giallo miele (hessonite?) alla Brec¬ cia di Pioppeto in diversi proietti quasi esclusivamente costituiti da cristalli di tale minerale addossati V uno all' altro con le se¬ guenti forme (110) (211) che furono osservate da Lacroix nel granato della Breccia della Marina di S. Cattolico *) che ho osservato anche io. Oltre la melanite menzionata da Lacroix nelle microsanidi- niti ne ho rinvenuto alla Breccia della Lingua in un proietto metamorfosato lì quale contiene anche granato giallo , limonite, e presenta nelle fratture lamine di gesso ~). Fra i proietti sanidinici sono notevoli quelli contenenti ma¬ gnetite sia alla Breccia della Lingua che a quella di Pioppeto. Tale minerale si presenta con frequenza in quei tipi di sanidinite facilmente sgretolagli , in talune delle quali piglia tale uno svi¬ luppo da costituire uno degli elementi femici essenziali; è quindi ugualmente sparso nella massa come l’orneblenda bruna la quale talvolta si presenta incastrata nella magnetite che è in cristalli talora abbastanza grandi ma molto fragili , in ottaedri con mo¬ dificazioni (110) (100). Il Lacroix per la magnetite di Pozzo Vecchio riscontrò (111) (110). Le facce sono lisce ovvero striate. Gli spigoli talora si pre¬ sentano curvi. In generale nei proietti dove abbonda la magnetite si asso¬ cia anche in abbondanza lo zircone in nitidi e minuti cristalli rosei ed è scarsa la mica che in alcuni di tali proietti scompare, mentre abbonda in altri. Altre sanidiniti sono ricchissime di titanite ma scarse , se non quasi prive, di magnetite. 1) Lacroix dice a pag. 330 dell' op. cit. che egli si recò alla Marina di S. Cattolico. È probabile che egli intenda riferirsi alla Breccia della Lingua sia per i tipi di proietti di cui tratta che per la faciltà con cui tale Breccia si visita essendo anche la più in vista approdando. 2) Il gesso è anche citato da A. Scacchi al Pozzo Vecchio nelle Memorie Geologiche sulla Campania, 110 — La magnetite l’ho rinvenuta titanifera e manganesifera; essa oltre ad abbondare nei proietti è largamente diffusa nel suolo vegetale , nella polvere della strada dove questa passa diretta- mente sulla roccia in posto , e nelle sabbie dove talora forma giacimenti abbastanza vistosi ma effimeri. Ma di questo argo¬ mento mi occuperò in altra occasione avendo esteso le mie in¬ dagini ai Campi ed alle Isole Flegree. Accenno per ora che tale magnetite delle spiaggie veniva scambiata dagli storici di Procida per sabbia di piombo in base all' affermazione di Giulio Cesare Capacio : *) “ et plumbeam arenam in litore Annaniello , quae nusquam , nisi in Prochyta reperitur, tota cognovit Italia Nelle sabbie ho rinvenuto i cristallini di magnetite sovente attaccati con cristalli di augite che mostrano la tipica struttura a clepsidra come anche a Vivara ~) si riscontra. Negli scogli dello Schiavone ho rinvenuto nelle fratture al¬ cune produzioni capillari di un minerale il quale si presenta in sottilissime fibrille brune, esili e delicate come muffa che pro¬ babilmente sarà breislachite. La trachite della Punta della Lin¬ gua 1 2 3) si rivela costituita , per quello che fino ad ora è stato possibile osservare da fenocristalli di sanidino sodifero, plagio- clasio e poca augite. L'estinzione massima del plagioclasio nella zona di simme¬ tria è di 25°; ciò lo rapporta ai tipi con il 45 °/0 di anortite. E il plagioclasio in laminette fini geminate secondo la legge dell'albite, ogni tanto cuneiformi, raramente qualche fine lamella è geminata secondo la legge del pendino. Questi cristalli sono appiattiti secondo (010); spesso si rin¬ vengono come nuclei corrosi nei cristalli di sanidino. L'augite è colorata in verde chiaro senza pleocroismo ; è in piccoli cristalli prismatici accorciati terminati dalle faccette solite (100) (010) (110) e da (111). 1) Capacius lib. 2°. Historia Neapolit., p. 202. Napoli 1660. 2) De Lorenzo G. e Riva C. — Op. cit. :i) Ne ho eseguita l'analisi nel Laboratorio di Chimica Generale della R. Università di Napoli, come argomento di Laurea, e sarà pubblicata non ap¬ pena sarà ultimato un sistematico studio in proposito. — Ili — La pasta della roccia è vetrosa ma in parte devetrificata con formazione di sanidino. La devetrificazione è bene sviluppata sull'orlo delle piccole cavità della roccia. Le sanidiniti della Breccia della Lingua, che trovansi anche incastrate nella lava , sono costituite da feldspato alcalino della serie sanidino-sodico-anortose *); ciò è in accordo con l'elevato tenore in alcali della trachite della Lingua la quale trova per i suoi caratteri chimici il suo posto fra le flegrosi sodipotassiche della classe delle persalane , ordine perfelico , rango peralcalico come le trachiti di Marecocco, Rotaro, Monte Nuovo, Cuma. Nel tufo di Socciaro si rinvengono anche proietti trachitici che nell' aspetto ricordano la trachite della Lingua però scarsi, in generale, sono i fenocristalli di feldspato. Rivelano una pasta tutta vetrosa , in alcuni saggi con devetrificazione abbastanza avanzata, mentre in altre il vetro è inalterato. I fenocristalli, in ordine di frequenza sono rappresentati da poco sanidino sodifero, poca augite e poca magnetite. Non mancano però nel tufo di Socciaro proietti più ricchi in feldspato e talune risultano di un vero impasto di tali feno¬ cristalli. È assente in questo tufo l’ossidiana ; qualche raro frammento se ne rinviene più piccolo di una nocciuola. Dei cristalli di olivina e di augite liberi nel tufo di Socciaro ne feci già cenno 3). Menzionai pure 1' abbondanza dei proietti basici i quali non si limitano al solo cratere di Socciaro, ma si trovano anche altrove nell'isola di Procida ; così ne ho raccolto fra l'altro nel tufo grigio superiore del Pozzo Vecchio. Ma la pochezza di tale materiale non permette di trarre conclusioni in proposito. Resta però l' importanza notevole del sistema Vivara - Pro¬ cida, che tale può chiamarsi, situato quasi neH’ombelico della regione Flegrea dove una magma prevalentemente basico si estrinseca tra un materiale prevalentemente acido costituendo A) Riva — Op. cit. 2) Sul tufo del cratere di Socciaro. Boll. Soc. Natur., Napoli, Voi. 38, anno 40, 1926. — 112 — così un interessante anomalia e rappresentando un termine di passaggio fra i vulcani insulari e quelli continentali Flegrei. Mi riservo di comunicare , non appena mi sarà possibile, ulteriori complete osservazioni in proposito. Napoli , 31 dicembre 1928 - VII. Finito di stampare il 10 gennaio 19 29. Giro Ghistoni Commemorazione fatta del socio Giovanni Platania (Tornata del 23 dicembre 1928) Per iniziativa della Facoltà di Scienze di questa Università e del prof. Eredia, allora Presidente della Sezione di Meteorologia del Comitato nazionale geodetico-geofisico, il 25 luglio dello scorso anno, nell'aula magna di questo Ateneo convennero nu¬ merosi i colleghi , gli amici , gli ammiratori e i discepoli del prof. Ciro Chistoni, per le onoranze all'illustre uomo, costretto a lasciare, per limiti di età, l'insegnamento universitario da lui te¬ nuto per quarantanni, dapprima in Modena e poi in questa città. Parlarono in quella occasione il prof. Ferruccio Zambonini, come componente del Comitato Vulcanologico Universitario, il prof. Luigi Palazzo, direttore delFUfficio Centrale di Geofisica in Roma, il prof. Filippo Eredia, direttore dell'Ufficio dei Presagi del Ministero dell'Areonautica ; e furono offerti al Chistoni una coppa di argento, riproduzione di una coppa pompeiana esistente in questo Museo Nazionale , un tripode copiato da quello del tesoro di Boscoreale conservato al Museo del Louvre , e una medaglia di oro sulla quale è raffigurato il Vesuvio col sole na¬ scente, con la scritta : Igneus est ollis vigor. 11 prof. Zambonini, trattando dell'opera scientifica del Chi- stoni, metteva in evidenza principalmente due punti: il metodo di ricerche nel quale Egli era maestro , e la cura da lui avuta nel rivendicare diversi primati italiani che venivano attribuiti a stranieri. " Il Chistoni , oltre a essere uno scienziato — sog¬ giungeva 1' oratore — è anche padre e cittadino esemplare il - 8 - 114 — quale durante il periodo bellico desiderò che i suoi tre figliuoli fossero veri combattenti, e che nel periodo del dopoguerra con lui fondassero, nella sua Fontanella Mantovana , i fasci di com¬ battimento „. In occasione di queste onoranze fu distribuito il volume intitolato " L’opera scientifica del prof. Ciro Chistoni „ redatto da diversi autori, dei quali ciascuno prende in esame un lato della lunga e complessa attività scientifica del Nostro nel domi¬ nio vastissimo della Geosifica ; un volume che può considerarsi come un monumento aere perennius. Degli studi sul magnetismo terrestre tratta il prof. Palazzo, illustrando tutta l'opera di magnetologo del Chistoni, dalla prima campagna nell’ Italia meridionale (1881) fino alle ricerche ese¬ guite a Corleto (1900). " Diligente ed accorto nell' osservare, il Chist ni rivolse sempre la sua attenzione al perfezionamento dei metodi e degli strumenti „ così scrive di lui il Palazzo. E più oltre " è particolarmente da segnalare 1' esauriente discussione che egli fa intorno ai limiti di precisione richieste nelle singole quantità che entrano nel calcolo della componente orizzontale „. E infine così chiude il suo scritto il prof. Palazzo, la più alta autorità in geomagnetismo, e che considera come suo mae¬ stro il Chistoni : " Anche limitandomi ad illustrare 1' opera di lui nel solo campo dellla magnetologia, così come vuole il mio assunto, devo avere persuaso il lettore che il contributo arrecato dal Chistoni alla scienza è davvero cospicuo ed imponente, sia per l'importanza che per la varietà degli argomenti trattati. " Alcuni temi furono da lui ripresi più volte e perseguiti con singolare tenacia. La sua vasta produzione nel geomagne¬ tislmo conferisce a lui il titolo di magnetologo di primo ordine. Quei lavori, che rispecchiano la sua straordinaria attività dispie¬ gata dal 1881 al 1900, per un buon ventennio, nel periodo mi¬ gliore della vita, costituiscono alto onore per lui e devono es¬ sergli particolarmente cari ; le relazioni sulle sue misure di cam¬ pagna rievocano certo in lui i lieti ricordi degli anni giovanili quando, pieno di fervore, egli peregrinava col magnetometro attraverso le belle regioni della nostra Italia — 115 — Nel volume dianzi indicato il prof. Amerio tratta degli studii che il Chistoni dedicò alla misura della radiazione totale del Sole, a cui attese per ben 27 anni. Dopo aver esaminato le pubblicazioni di lui riguardanti la parte teorica e le sue rifles¬ sioni sui metodi di misura da seguire e sulla scelta degli appa¬ recchi, I'Amerio parla delle misure pireliometriche con le quali incomincia il nuovo ciclo di attività del Chistoni, misure fatte a varie quote : a Corleto , a Modena , a Sestola e sul Cimone. Sono circa 1800 determinazioni delle radiazioni solari, eseguite in condizioni ben determinate. Queste misure costituiscono " un materiale di osservazione preziosissimo, scrive I'Amerio, sia per la qualità, sia per la sua mole, che potrà essere molto utile a uno studioso che voglia servirsene tanto per determinare la costante solare , quanto per fare altri studi sulla radiazione to¬ tale del Sole L'Amerio termina esprimendo il desiderio che le serie di misure attinometriche iniziate dal Chistoni " vengano continuate e che sopratutto le misure della radiazione solare, che è un dato così importante , non siano fatte saltuariamente e isolata- mente, ma con continuità, con metodo e in più luoghi, seguendo criteri ben definiti, in modo che sia possibile la coordinazione dei singoli risultati ottenuti da sperimentatori diversi , che altri¬ menti rischiano di andare dispersi o di rimanere sterili Dell’esame e del calcolo delle numerose misure attinome¬ triche eseguite in questo Istituto di Fisica terrestre si occupa il giovane nostro socio Giuseppe Imbò, già allievo del Chistoni e che ora è addetto alla direzione dell' importante Osservatorio Geofisico di Catania. A me fu assegnato il gradito compito di esaminare la via percorsa dal Chistoni nel campo della Meteorologia e della Climatologia, e di trattare delle sue numerose pubblicazioni che riguardano principalmente studi e confronti di strumenti meteo¬ rologici , indagini teoriche sperimentali sul vapore acqueo at¬ mosferico , osservazioni e riflessioni su diverse forme di pre¬ cipitazione, ricerche sulle condizioni climatologiche di Modena e di Napoli. Da questo esame si è indotti a notare la cura che egli dedicò a ricercare le cause di errore delle osservazioni e i — 116 — metodi migliori per evitarli, gli studi sul grado di precisione degli strumenti, la documentazione di ciò che si deve all' inge¬ gno italiano e che da altri è attribuito a stranieri , la chiarezza neli'esporre le indagini e le osservazioni per risolvere le que¬ stioni propostesi, i frequenti suggerimenti agli studiosi per in¬ traprendere altre ricerche relative ai punti dei problemi che im¬ porta chiarire. Il prof. Pacini esamina le pubblicazioni del Nostro sull' e- lettricità atmosferica e il prof. Bonacini, attualmente direttore dell'Osservatorio Geofisico dell'Università di Modena, fa la storia dell’opera svolta dal Chistoni in quell’Ateneo, la quale spiega come questi " sia stato chiamato, nel 1906, a coprire la cattedra di Fisica terrestre nell'Università di Napoli, una delle più im¬ portanti del genere in Italia, illustrata già dal nome del Palmieri Da allora, per 22 anni, il Chistoni rimase qui in Napoli, direttore dell' Istituto di Fisica terrestre e dell' annesso Osserva¬ torio Meteorologico. Tenne anche interinalmente, per 11 anni, la direzione del R. Osservatorio Vesuviano, e dell'opera da lui prestata a van¬ taggio di esso si occupa il prof. Malladra, parlando dei mi¬ glioramenti da lui proposti e ottenuti per quella stazione e de¬ gli studi vulcanologici da lui suggeriti ai propri allievi, al Cap¬ pello, al Bernardini, allo Imbò, allo stesso Malladra, che ora è direttore di quel famoso Osservatorio. L'attività del Chistoni come direttore dell'Istituto di Fisica terrestre in questa Università vien presa in esame , nel detto volume, dal suo allievo ed aiuto dr. Francesco Signore il quale fa notare che il detto Istituto, " che ereditava dall' Osservatorio meteorologico pochi libri e degli apparecchi inservibili o perchè antiquati, o perchè rovinati dal crollo dell'Osservatorio, si trova ora, per la tenacia non comune del prof. Chistoni, ricco di una biblioteca fornita di opere importantissime di Fisica terrestre e di moltissime collezioni periodiche italiane e straniere : di una stazione sismica contenente gli apparecchi del Wiechert per le componenti orizzontali e verticali , e il microsismografo Vicen¬ tini ; di un Osservatorio meteorologico completo con annessa stazione geotermica ; di un'officina meccanica attrezzata in ma- — 117 — niera da potere eseguire tutti indistintamente i lavori di manu¬ tenzione e riparazione dei vari apparecchi ; di una collezione di apparecchi scientifici per le ricerche di magnetismo terrestre, di elettricità atmosferica, di radioattività, di ottica atmosferica , di spettroscopia, e di accelerazione di gravità, tutti in ottime con¬ dizioni e conservati in armadi opportunamente costruiti Il dr. Signore , rammenta inoltre gli studii degli Assistenti prof. Lo Surdo e dr. Maresca e le diverse proposte fatte dal Direttore, per la scelta di un luogo scientificamente adatto per una stazione pireliometrica centrale (Potenza), per un osservato- rio magnetico (presso Pola o presso Otranto), per Y istituzione della Scuola di Geografia nell'Università di Napoli, per 1’ orga¬ nizzazione di un grande Osservatorio Geofisico a Pozzuoli. Il Chistoni richiamò, in diverse occasioni, l'attenzione del Ministro della P. I. sulla necessità di intensificare lo studio della Meteorologia in generale e dell'Aerologia in particolare , e sul¬ l'opportunità di creare almeno due altre cattedre di Fisica ter¬ restre (Pavia e Firenze), in armonia a quanto era stato proposto nei vari congressi scientifici. Disgraziatamente l'illustre Uomo chiuse la sua carriera e, 16 settembre 1927, cessò di vivere, senza che alcuna delle sue proposte fosse stata attuata. Mi ritornano alla mente le conversazioni confidenziali col Chistoni, negli ultimi anni del suo insegnamento, nelle quali si parlava della Geofisica, ed egli si doleva della scarsa attenzione che il pubblico presta ai problemi della Filosofia naturale, e che sparuto è il numero dei giovani i quali si dedicano a siffatti studii, anche in questa regione partenopea, campo vastissimo di ricerche; e si rammaricava dell'incerto avvenire dell'Istituto cui egli aveva dedicato per tanti anni, le sue cure. La cattedra di Melloni e di Palmieri egli esclamava — dovrebbe conservare la sua efficienza, in questo grande Ateneo. Erano momenti di scoraggiamento, proteste contro T indif¬ ferenza degli studiosi, amarezze di chi della scienza che professa si è fatto un altissimo ideale e ad essa ha dedicato tutta la pro¬ pria attività intellettuale. Anche l'illustre geofisico, che è succeduto al Chistoni nella direzione di questo Istituto di Fisica terrestre, il prof. G. Eh — 118 — Rizzo, del quale è nota la grandissima competenza, e che chia¬ mò Chistoni " il principe dei geofisici italiani „ nell’ adunanza della Società per il Progresso delle scienze, in Trieste (1921) si doleva " dell'ingiusto abbandono in cui sono lasciati presso di noi gli studi geofisici, che sono ritenuti come cose di minor conto e pressoché inutili E più oltre: " Le vie aspre e difficili della Geofisica sono vie senza uscita „. E infine : “ Con profon¬ da amarezza vedo incombere la minaccia di una completa esclu¬ sione della Geofisica dal nostro insegnamento superiore E così gli studenti disertarono le aule di Geofisica e il La¬ boratorio di Fisica terrestre, sì che il Chistoni fu costretto a tenere gli strumenti, come scrive il dr. Signore conservati ne¬ gli armadii. E così nel XIX Congresso Nazionale di Idrologia, Climato¬ logia e Terapia Fisica tenutosi recentemente nei Campi Flegrei l’illustre Principe Ginori Conti, in una sua dotta conferenza sul¬ l'utilizzazione del calore terrestre può giustamente affermare che lo studio geofisico della Solfatara di Pozzuoli non è compiuto. Ma per forza di cose, anzi per la forza travolgente della scienza, in tempi recentissimi le nubi addensatesi sono state spazzate via Oggi i metodi geofisici concorrono alla risoluzione di molti problemi economici per esempio la ricerca del petrolio si av¬ vantaggia di ricerche gravimetriche e sismiche per localizzare i depositi naturali del minerale liquido. E gli industriali istitui¬ scono squadre di geofisici accanto alle squadre di geologi, per scoprire nuovi giacimenti. La bilancia di Cavendish trasformata e adattata all'indagine mineraria dal Barone von Eòtvòs e da altri studiosi, fotografando i minimi disturbi di gravità, e i sen¬ sibilissimi sismografi registrando le diverse velocità delle onde elastiche, prodotte da esplosioni artificiali, nei diversi strati su¬ perficiali della Terra, consentono di tracciare la tettonica del sottosuolo per migliaia e migliaia di chilometri quadrati. L' A- zienda Generale Italiana di Petrolii, F "Agip „, ha già da circa due anni organizzato il servizio geofisico gravimetrico per la ri¬ cerca della tettonica petrolifera nella valle padana, ora integrato con ricerche magnetiche, sismiche e geoelettriche. Ciro Chistoni vide con gioia i primi segni di questo fervore 119 — di opere, di questo sviluppo delle applicazioni geofisiche e ne trasse i più lieti auspicii per l'avvenire della scienza cui egli aveva dedicato tutta la sua opera. E non solamente nel campo della esplorazione mineraria diventa sempre più intensa la richiesta di giovani geofisici , ma anche nel campo dell'Oceanografia, per l'incremento delle indu¬ strie marittime e in quello dell'Aerologia, per lo sviluppo della navigazione aerea. Rammenterò qui due punti del discorso , vi¬ brante di entusiasmo, dell'EREDiA, il giorno delle onoranze al Chistoni, nell'Aula Magna di questa Università : “ L'Istituto di Fisica terrestre è il complemento del vostro laboratorio naturale che dal Vesuvio ai Campi Flegrei si illu¬ mina di fantastiche luci, solcanti il puro e bel cielo partenopeo e che da Ischia a Capri si specchia sulle placide acque del mare più incantevole " Questo Istituto deve continuare come centro di quelle in¬ dagini che ognuno di noi vuole intensificate e sempre più in¬ quadrate nelle progressive conquiste del pensiero scientifico. Da questo Istituto proverranno i futuri geofisici, di cui si sente il bisogno, che sparsi nella Penisola, sapranno strappare nuove ve¬ rità ai misteri della natura e aprire nuove vie di utilizzazione per i fenomeni naturali. „ E più oltre : " Voi, o Chistoni, un giorno sognaste con noi il maggiore sviluppo della scienza meteorologica per i futuri uomini alati; oggi il nostro sogno è scosso dai motori rombanti „. Il voto del Chistoni, e di tutti gli studiosi di geofisica è dunque compiuto : 1' Istituto di Fisica terrestre di questo Ate¬ neo, portato, per l'opera di lui, a un alto grado di efficienza, è ora diretto da un altro illustre scienziato, il prof. Rizzo, che già per tanti anni tenne la direzione dell'Istituto e dell'Osservatorio Geofisico dell'Universilà di Messina. E già, in tempi recenti, sono state istituite altre cattedre relative ad argomenti di Geofisica ; nella stessa Napoli , quella di Meteorologia e Oceanografia nel R. Istituto Superiore Navale e quella di Aerologia e Fisica dell’ atmosfera tenuta dal ch.mo Colonnello dr. Luigi Matteuzzi, nella R. Accademia Aeronautica. Anzi due Cattedre propriamente di Geofisica sono sorte in 120 — questo anno scolastico : una nella R. Università di Torino, affi¬ data da quella Facoltà di Scienze al ch.mo prof. Francesco Ver¬ celli, direttore dell' Osservatorio Geofisico della R. Marina in Trieste, ben noto per i suoi studi di Fisica del mare e di Me¬ teorologia ; l'altra nella R. Scuola d'ingegneria Mineraria di Ro¬ ma, dove si terrà un corso di Geofisica mineraria con l'aiuto del Ministero dell' Economia nazionale e della Confederazione nazionale mineraria fascista. A questo corso sono ammessi, oltre agli alunni della Scuola stessa, gli ingegneri laureati e, si noti, i dottori in scienze. Ecco adunque compiuto un altro voto dal prof. Chisto- ni, che propose, insieme col prof. Rizzo, l'istituzione di altre due cattedre di Geofisica. L’altra proposta fatta dal Chistoni, alla quale dianzi ho ac¬ cennato, cioè che l'Istituto di Fisica terrestre sorgesse a Poz¬ zuoli, sarà anch'essa attuata, dappoiché il ch.mo prof. Francesco Paolo Sgobbo la ha testé ripresa in un suo magistrale scritto : “ Per la valorizzazione dei Campi Flegrei. L'istituzione di un os¬ servatorio meteorologico-geofisico „. " Nel nostro Mezzogiorno, egli scrive, pare non si compren¬ da la necessità e l'importanza degli Osservatorii per la valoriz¬ zazione climatica e idrologica E cita dei fatti che documentano questo suo dire, tra cui la soppressione della rete meteorica municipale di Napoli. " La necessità di un grande Osservatorio nella conca flegrea, egli soggiunge, si fa premurosamente sentire e non bisogna ul¬ teriormente differirne l'attuazione „. Si pensi che un siffatto Osservatorio Geofisico a Pozzuoli, in armonia con le moderne vedute scientifiche, dovrebbe mirare a due scopi : uno, quello vagheggiato dal Chistoni per risolvere i numerosi problemi di Fisica terrestre in quel vastissimo cam¬ po di studii, con indagini concernenti la geodinamica , il gra¬ diente termico, le sorgenti termali, le correnti telluriche , ecc. ; l'altro di intraprendere ricerche di climatologia nel senso più vasto, con criterii moderni della scienza del clima in relazione al benessere umano : la climatologia fisiologica. Non solamente perciò, le solite misure degli elementi me¬ teorologici, ma quelle altresì relative alle radiazioni, all'elettricità i - 121 — atmosferica, alla temperatura del suolo, alla rapidità del raffred¬ damento in relazione con l’umidità atmosferica e alla ventilazio¬ ne, a tutti gli elementi insomma il cui studio può riuscire di giovamento a coloro che accorrono a questa zona incantevole domandando salute e vigoria fisica. Un Osservatorio insomma degno delTItalia di oggi, che sotto la guida del Duce ha rag¬ giunto una più squisita coscienza dei proprii doveri e dei pro- prii diritti, un maggior fervore di opere, una più viva fede nelle proprie forze e nel proprio avvenire. Sorge a Davos, neiraltipiano retico, il grande Osservatorio intitolato al Dorno, dove questo illustre scienzato eseguì dili¬ genti ricerche di meteorologia fisiologica, in particolare di raj diazione del sole e del cielo, dell’ energia delle diverse part- dello spettro ; indagini sulla radioattività, sul campo elettrico atmosferico ; esaminando l'influenza di questi elementi sul siste¬ ma nervoso deH’uomo, sia nello stato normale, sia patologico. E sorge accanto a quell'Osservatorio il grande Istituto di ricer¬ che per la fisiologia di alta montagna. Eppure questo genere di studii, che attualmente è poco coltivato presso di noi, costituisce anche un primato italiano, per le indagini di Angelo Mosso concernenti l'influenza del cli¬ ma alpino sull'uomo. Il Chistoni fu socio di molte Accademie e fu eletto socio di questa Società dei Naturalisti — che dedica tanta parte della sua attività a ricerche di Filosofia Naturale — nel 1913, e nomi¬ nato Vice-Presidente nel 1923. E anche tra noi Egli spiegò la sua attività difendendo gli interessi dei geofisici e proponendo ricerche di Fisica terrestre, come quella per il bradisisma di Pozzuoli. Alla venerata memoria di Lui si inchinano riverenti gli stu. diosi italiani, sicuri che nel magnifico rinnovamento dell' alta coltura sarà dato un più ampio sviluppo agli studii geofisici del suolo, del mare, dell'aria, per la crescente prosperità e per la non mai smentita continuità della gloria scientifica della Patria nostra. finito di stampare il 10 gennaio 1929, Sui pozzetti verticali e su talune altre forme che si rinvengono nell'Isola di Procida. Comunicazione verbale del socio Dott* Antonio Parascandola (Tornata del 31 dicembre 1928) Con la presente nota intendo di accennare ai principali fenomeni di erosione che si rinvengono nell’ Isola di Procida, riservandomi di trattarne adeguatamente in seguito, avendo esteso le mie indagini an¬ che alla zona flegrea in generale. De Lorenzo e Riva a) osservarono sul perimetro del cratere di Vivara delle forme di erosione costituite da pozzetti analoghi alle marmitte dei giganti e, sui fianchi occidentali, da canali di erosione radiali affondatisi nel mare. Questi pozzetti non si limitano al cratere di Vivara ma sono dif¬ fusi anche nell’Isola di Procida. Così alla Punta di Socciaro, scaglio¬ nati a diversa altezza, ne ho rinvenuti diversi di vario diametro e pro¬ fondità ; alcuni già formati , altri abbozzati, altri inoltrati. Da taluno di questi ho tolto anche il ciottolo perforatore mostrante i segni della limatura subita, rotando fra le non teneri pareti del tufo giallo che costituisce il cratere di Socciaro. Un pozzetto di particolare interesse ho rinvenuto nello stesso tufo giallo nella località delle Centane, a circa 56 metri di altezza sul livello del mare ; ciò è segno evidente che per lo meno fino a tale altezza il cratere di Socciaro fu sommerso nel mare, come dimostrano altri segni d’erosione marina. Tale fatto è importante perchè farebbe con¬ cludere che per lo meno fino a tale altezza anche il contiguo cratere di Vivara era sommerso. Su questo argomento ho già inoltrate le mie ricerche. *) II cratere di Vivara nelle isole flegree. Atti della R. Àcc. di Se. fis. e mat. di Napoli, Voi. 10 (2a) 1901. — 123 — Lo scoglio del « Cannone » poco discosto dalla terra , in mare tra il faro e la scogliera, ma più vicino a questa, presenta diversi poz¬ zetti ed altri se ne rinvengono con altre forme di erosione nella stessa zona sotto il livello del mare. Magnifici esempi di forme di erosione si rinvengono negli scogli di trachite dello « Schiavone » di fronte alla insenatura della Chiaia dell’asino ad est dell’Isola di Procida, nel tufo giallo di Terra Murata; caratteristiche sono quelle nel tufo grigio della Chiaia ed altrove, che trovano riscontro in altre consimili che io ho osservato nei Campi Flegrei. Faccio qui menzione di due ciottoli ellissoidali di trachite rinve’ nuti alla Punta di Socciaro nel tufo grigio , uno di comune trachite sanidinica, l’altro di trachite color cinereo con fenocristalli di augite verde simile a quelli della breccia di Punta Ciracciello a Vivara. Oltre le suaccennate forme, altre ancora destano interesse per il particolare modo di loro formazione in rapporto alla natura ed alla tettonica degli strati tufacei ; intendo dire delle grotti, ed alcune ab¬ bastanza grandi , formate nel tufo giallo in Procida. Caratteristica è quella che trovasi alla Punta dei Monaci — cratere di Terra Murata — originatasi non solo per le comuni fenditure oblique e verticali ma anche per le fenditure che attraversano tutto il tufo e parallele alla stratificazione di questo. Così la massa tufacea della Terra Murata presenta tre grandiose fenditure che la comprendono tutta, dalla som¬ mità al pelo dell’ acqua , e che intersecandosi con le altre isolano e fanno cadere considerevoli blocchi tufacei contribuendo in particolar modo, con 1’ aiuto dell’ azione potente del mare , alla formazione di grotte. Noto che di tali fenditure parallele se ne osservano anche nella zona flegrea alla collina di Posillipo. Una forma di molto interesse si riscontra nella zona della loca¬ lità delle Centane al lato Nord del cratere di Socciaro. Si ha tutta la impressione perlustrando tale zona di trovarsi di fronte ad un tipico domo di trachite per la sua forma, ma trattasi di tufo. Parrebbe che una intumescenza lavica avesse sollevato a cupola gli strati di tufo della località suddetta, interessando anche parte delle penisolette di Socciaro e Pizzaco. In taluni punti gli strati di tufo giallo come se avessero subito un costipamento si trovano piegati come un piccolo sistema di sin¬ clinali ed anticlinali. Anche notevole è il clivaggio poliedrico di tale tufo in diversi punti della collina delle Centane , della penisoletta di Socciaro e di — 124 - Pizzaco ; infatti presenta una rete di fenditure poligonali più o meno perfettamente rombiche, da cui sotto il colpo del martello si staccano pezzi con clivaggio romboedrico, i quali percossi col martello ancora si dividono, in genere, in parallelepipedi più piccoli. Anche in talune zone dove tale clivaggio non si mostra , ma è direi quasi latente , basta percuotere col martello che subito i fram¬ menti di tufo che ne vengono fuori sono parallelepipedi rombici ben formati o presso a poco. Tale clivaggio oltre ad essere inerente alla natura della roccia stessa è evidente che sia dovuto a spinte esercitatesi in due diverse direzioni sopra la stessa massa, come del resto si osserva fra 1’ altro tra noi in Italia, in diversi luoghi, sia negli scisti silicei che nei calcari che presentano tale clivaggio. L’essere poi il tufo metamorfosato nella sua parte culminante po¬ trebbe essere una qualche conferma della precedente ipotesi del sol- levamento su cui col presente cenno non intendo di dare un giudizio definitivo. Napoli , 31 dicembre 1928 - VII. Finito di stampare il 10 gennaio 1929. Su di alcune misure di temperatura eseguite nel Rione delle Mofete e nel cratere del Monte Nuovo nei Campi Flegrei del socio Dott. Antonio Parascandola (Tornata del 31 dicembre 1928) È noto come il prof. Francesco Signore, con accurati e si¬ stematici studi, si occupi egregiamente della geofisica flegrea. Fra Paltro egli, con una serie di osservazioni dal 1921 al 1925 al Rione delle Mofete, che trovasi ad est del Fusaro, ha potuto constatare che la temperatura massima la quale riscontravasi nel così detto " canalone „ a 50 m. sul 1. d. m. non si distaccava dai 90°.0. Recatomi sul posto nel settembre del 1925 ho potuto con¬ statare ancora la massima temperatura di 99°. 0. Dopo di tali osservazioni non ve ne sono state altre per quanto mi è noto. Stando così le cose, sembrava che la tem¬ peratura massima al canalone del Rione delle Mofete si mante¬ nesse costante e non presentasse niente di notevole. Dopo il fenomeno della mortalità del pesce al Fusaro, volli espressamente recarmi al Rione delle Mofete per vedere se alcuna variazione in occasione di tale fenomeno si fosse presentata e notai con mia grande maraviglia che la temperatura massima, riscontrata nel canalone, nel giorno 9 di ottobre, era di gradi 50°; nè per quanto attentamente esplorassi il terreno mi fu dato di rilevare temperatura superiore. Il 21 del presente mese, di nuovo recatomi al Rione delle Mofete la temperatura massima che ho riscontrato nel Canalone è stata di 87°, superiore quindi a quella dell'anno precedente* — 126 — ma ancora inferiore alla primitiva osservata di 99°. Ho avuto cura di eseguire numerose letture in varie zone, di affondare il termometro, dopo cavata la terra, in più posti della zona dove si riscontrava la massima temperatura, ma gli 87° non furono mai superati. La cartina al tornasole azzurra non si alterava, nè 1’ acqua di barite dava intorbidamento ; perciò resta confermato quanto il Signore osservava che le emanazioni del canalone sono co¬ stituite da vapor d'acqua senza anidride carbonica. Come era da prevedersi il fenomeno della ionizzazione gas¬ sosa, in seguito all'accensione di fiamma si rendeva copiosa¬ mente manifesto. Cratere del Monte Nuovo. Nello stesso giorno 21 dicembre, disceso l) nel cratere del Monte Nuovo, ho rintracciato la fumarola che diversi ritenevano esistesse, ma che mai era stata ritrovata per quel che io so; op¬ pure, se ritrovata, non era stata mai comunicata per iscritto, per quel che mi è noto. Mercalli 2), a proposito del Monte Nuovo dice : " Fino al 1539 continuarono i getti di materie incandescenti. Da quell'anno fino al presente, il cratere rimase tranquillo , e neppure furono molto abbondanti le esalazioni gassose. Verso la metà del secolo scorso v'erano ancora parecchie fumarole deponenti jalite. Al presente esiste solo qualche insignificante esalazione di vapor d'acqua sul fondo del cratere Non sono a mia conoscenza, fino al presente, misure di temperature di fumarole nel Monte Nuovo. Per ritrovare la fumarola in questione bisogna salire il Monte dal lato di mezzogiorno e seguire il sentiero che mena al fondo del cratere, costeggiando la parete est di questo. Poco prima di arrivare sul fondo , volgendo la sguardo a sinistra , a pochi metri di altezza, da un canale vede svolgersi del fumo. 1) Era in mia compagnia il Dott. Magaldi Emilio ed il laureando Vitto Giovanni. 2 ) 1 vulcani attivi della Terra, pag. 87. Milano 1907, — i 27 — Il vapore esce da due fenditure le quali in una sola è evi¬ dente che si risolvono, poiché 1' una è sopra e l'altra è sotto nella stessa direzione. La fenditura superiore s' apre in uno spacco degli strati tufacei della quaquaversale interna del cratere; è alta circa 2 metri, ed è all'esterno a guisa di grotta, ma poi, con la larghezza variabile da dove comincia lo spacco, si pro¬ tende verso Tinterno a profondità non misurata. Il vapor d’acqua che esce copioso con debole corrente, con¬ densandosi in goccioline sul muschio delle pareti, cade con con¬ tinuo stillicidio, mettendo direi quasi una nota di simpatica fre¬ schezza nell'arso cratere che sembrava avesse così presto esau¬ rito anche le ultime deboli manifestazioni di una passata effi¬ mera attività. Affondando il termometro nella spaccatura, fin dove era possibile, potetti rilevare una temperatura di 41°. Forse dispo¬ nendo di altri mezzi si potrebbe raggiungere una temperatura anche più alta, immergendo il termometro in regioni più pro¬ fonde della fumarola; ma ciò a me non fu possibile. La cartina al tornasole azzurra, affondata a più riprese nella fumarola, diede alla punta un leggiero ma evidente arrossamento e l'acqua di barite lievissimamente s'intorbidò. Parrebbe perciò che al vapor d'acqua s'associasse una debole manifestazione di anidride carbonica. Le goccioline d'acqua condensate sul muschio non davano reazione acida. La fumarola inferiore non destava alcun interesse. Anche qui, com'era naturale, si manifestò in modo vistoso il fenomeno della jonizzazione gassosa mediante la accensione di fiamma, ma non vidi però nessun'altra manifestazione di fumo nella cerchia craterica. Riferiscono però quelli che abitano nelle vicinanze e che quotidianamente salgono al Monte, che di mattina presto, verso le ore 7, non solo si vede fumigare la fumarola osservata , ma spesso anche altre tutt'intorno all'interna base del cratere. — 128 — Concludendo. Dalle cose fin qui esposte richiamo quindi l'attenzione degli studiosi dell'argomento sull'osservate variazioni di temperatura al Rione delle Mofete e sulla presenza della fumarola al Monte Nuovo , perchè osservazioni fatte con maggiore frequenza po¬ trebbero portare a qualche notevole conclusione. Napoli, 31 dicembre 1928 - VII. Finito di stampare il 10 gennaio 1929. Sulle produzioni crociformi osservate in Na poli ed in vari luoghi in occasione dell’eru zione vesuviana del 1 660 del socio Doti:. Antonio Parascandola (Tornata del 31 dicembre 1928) Pochi giorni dopo l'eruzione del Vesuvio del 3 luglio 1660 ebbe luogo un fenomeno forse non verificatosi mai prima di tale epoca, nè nelle successive, fino al presente. Apparvero delle croci sulle vestimenta ; e tale fenomeno generò non poca ma¬ raviglia. Il primo autore che ne parlò e che ne diede una descri¬ zione fu il matematico gesuita Padre Zupo. Egli sotto forma di diario espose i fenomeni dell'eruzione e discusse sulle pietre e sugli effetti della cenere eruttata, nonché sulla comparsa di pro¬ digiose croci in vari luoghi dopo l'incendio del monte citato. Questo lavoro è rarissimo ; spetta al Palmieri il merito di aver trovato, o meglio, stabilito esser lo Zupo l'autore del detto o- puscolo anonimo. Con la presente nota intendo di esporre qualche plausibile ipotesi che possa gettare un po’ di luce su tale fenomeno che mai più si è ripetuto nelle posteriori eruzioni. Ricerche bibliografiche. 11 Padre Zupo in " Continuazione dei successi del prossimo incendio del Vesuvio con gli effetti della cenere e pietre da quelle vomitate , e con la dichiaratione , et espressione delle croci maravigliose, apparse in vari luoghi dopo Vincendio. In Napoli, per Giov. Francesco Paci, 1661 „ dice: - 9 - — 130 “ Comparvero doppo l'incendio del Vesuvio alcune Stelle, ovvero Croci sui pannilini, come sono maniche di camicia , in particolare delle donne, che le tengono più esposte all'aria, grem¬ biali o faldiglie delle medesime, veli di testa delle monache, lenzuoli, massime nelle parti, che pendono fuori delle coltrici, collari anche de' putti, tovaglie d'Altari, cotte di Cherici, camici, e simili „. Egli narra che il fenomeno si verificò perfino sulla bian¬ cheria chiusa nelle casse e, per quel che riferiscono persone di credito persino sulle frutta, su tele di seta e, ciò che poi più maravigliò, sulla nuda carne. " La loro forma, egli scrive, è varia ; l'ordinaria è di una croce con due traverse che nell'intersezione s'ingrossano alquanto e poi nel fine bellamente s'aguzzano. Alcune sono sottili e per¬ fette, altre grosse a guisa di macchie, alcune lunghe tre dita, altre mediocri, altre assai picciole ; alcune in un lungo traverso ne congiungono due a guisa di caravacche, altre hanno tre sole braccia, altre un solo traverso : alcune si veggono con le punte doppie e biforcate altre s'intrecciano insieme in un gruppo ; fi¬ nalmente alcune tengono sotto, in forma di monte, una macchia; altre sono pure et informi macchie " Il colore comune è cinericcio, oppure come fussero fatte di grasso ; non hanno odore o sapore alcuno. Due sole assai picciole e perfette ne ho vedute in queste parti, di color rancio o di ruggine; è ben vero che in Napoli ed in Nola sono state di color rancio, e di cenere o piombino ; in altri luoghi per or¬ dinario di color cenere Lo Zupo osserva in oltre che " nel bucato, o col sapone, si nettano assai bene, con l'acqua semplice no. Alcune svani¬ scono da per sè stesse dopo 10 ovvero 15 giorni, altre più tardi. Ho osservato in una tovaglia d'altare, et altri pannilini, che dopo un mese duravano ancora, ma erano assai smorte. „ Il loro numero riferisce lo Zupo "non è dicibile „ ed egli solo ne contò più di 300. In una tovaglia d'altare di Santa Maria a Castello , che sta verso la metà del monte di Somma, se ne contarono 27 ; in una manica di donna 15 ecc. Circa la data della loro apparizione non si sa con certezza quando incominciarono a comparire. " Nella Torre del Greco, — 132 — Nocera, Bosco, Striano, Somma et Ottaiano, circa li 16 agosto : in Salerno S. Anastasia, nelle tovaglie di S. Maria dell'Arco, in Napoli, Portici, Nola, Castella mare, Catanzaro, et altri luoghi in Calabria, Lecce in Terra d'Otranto, circa il principio di set¬ tembre. In Ottaiano, Somma et alcuni luoghi d' attorno le detti apparenze verso il fine di detto mese diedero volta e di rado si facevano scarsamente vedere : ma in altre parti o comincia¬ vano, overo pigliavano nuovo vigore : tutte però in queste parti verso il fine di ottobre svanirono Verso la fine di ottobre in¬ cominciarono ad osservarsi anche a Roma come lo stesso Zupo ci dice, e svanirono verso la metà di novembre. Lo Zupo non è d' accordo con quelli che credono essere tali croci prodotte da stille *) della stessa natura di quelle cadute sulle foglie degli alberi della campagna d' Ottaiano e Castella- mare , poiché egli maravigliavasi come mai in 1600 anni circa, dacché il Vesuvio ha avuto eruzioni , solo in tale anno abbia cacciato rugiada atta a dar croci. Il Padre Kircher gesuita in Roma, trattò dello stesso argo¬ mento diffusamente in una " Diatribe de prodigiosi crucibus ecc. Roma 1661 In principio egli riporta la traduzione latina della relazione del Padre Zupo e passa poi a fare una dissertazione sulla causa delle croci ch’egli ritiene formate da vapori del Vesuvio, che tale forma prendevano seguendo la trama dei tessuti. Giacinto Gimma poi nella sua Fisica sotterranea 1 2) riporta dal Kircher una de¬ scrizione del fenomeno. Arcangelo Scacchi, nel Pontano 1841, parlando dell'eru¬ zione del Vesuvio del 1660, dice " fu in tale occasione , e spe¬ cialmente dalla metà di agosto sino a tutto ottobre , che com¬ parvero sopra i pannilini alcune macchie in forma di croce, non solo nelle contrade circostanti al Vesuvio, ma nelle lontane pro¬ vince di Lecce e della Calabria, e nella Romagna. Il Padre Kir¬ cher e l'Autore dell'operetta pubblicata dal Turino, che molte 1) Riferisce Zupo che " caddero in quel tempo in Ottaiano sopra le foglie di teglia, quercia e vite una rugiada dolce chiamata manna e la stessa cadde in Castellammare sulle foglie di olmo „ perciò alcuni dissero essere questa la materia delle croci. 2) Gimma Giacinto — Fisica sotterranea. Tomo II, p. 516, Napoli 1730, — 133 — di queste macchie osservarono, le reputarono formate dalle esa¬ lazioni vesuviane che prendevano l'indicata forma seguendo l’or¬ ditura della tela in cui lo stame a guisa di croce è disposta. Nelle campagne di Ottaiano e di Castellamare si raccolsero pure sulle foglie degli alberi dolci stille di rugiada, sorta di fenomeno nel quale probabilmente prendeva parte la medesima sostanza che produceva le macchie in forma di croce Luigi Palmieri l) cita 1' opuscolo di Zupo e per incidenza accenna al fenomeno delle croci. Fa rilevare che di già il Kir- cher, e ciò era sfuggito a lui e ad altri, nel tradurre l’opuscolo di Zupo dice che questi ne è l’autore. f + t f t . h L Fig. 2. — Pirosseni crociformi di Stromboli. Fatta l'esposizione storica del fenomeno cerchiamo ora di darne una ragione. Notiamo in primo luogo che al Vesuvio co¬ me in altre regioni vulcaniche non mancano produzioni di mi¬ nerali filiformi. Così Arcangelo Scacchi 2) riteneva la Breislakite varietà A) il Vesuvio e la sua storia, p. 15 dello " Spettatore del Vesuvio e dei Campi Flegrei Napoli 1887. 2) Catalogo dei minerali vesuviani: "Lo Spettatore del Vesuvio e dei Campi Flegrei „, p. 63, Napoli 1887. — 134 — molto rimarchevole di Pirosseno in forma di esili filamenti bruni nelle fenditure della lava vesuviana del 1631. La Breislakite è minerale di formazione pneumatolitica. Zambonini x) dice che A. Scacchi riteneva la Breislakite ve¬ suviana da prima come identica all' antibolo capillare ed in se¬ guito come un pirosseno , mentre la Breislakite è identica alla Ilvaite , essa si ritrova in due varietà, cioè in grovigli d’aghetti di colore bruniccio , con aspetto lanoso , e in aghetti di colore grigio di acciaio o grigio ferro diritti o un po' curvati. Scipione Breislak l 2) è il primo che menziona l'augite pneu¬ matolitica al Vesuvio. Alexandre Brogniart dice : " Certains laves pulverulentes ou centres volcaniques semblent étre entiérement composées de petits cristaux de Pyroxene, ielle est la centre du Stromboli, et celle de l'Etna (Dolomieu). M. Thompson dit avoir vu des Pi- roxenes aciculaires sublimés sur les murs de l'eglise de la Torre enveloppé par la lava de 1794. Zambonini 3) fa rilevare come al Vesuvio si osservano le produzioni di pirosseno ed antibolo capillari. Teodoro Monticelli 4) trattò , in una diffusa monografia, delle pelurie lapidee del Vesuvio, ma non fece cenno al fenomeno delle croci. Arcangelo Scacchi nella sua memoria " Le eruzioni polve¬ rose e filamentose dei vulcani „ 5), non fa parola del fenomeno delle croci e già in precedenza abbiamo visto come si esprimesse in proposito. Bisogna rilevare ancora come al Vesuvio vi sono state a più riprese eruzioni di cristalli liberi di augite e leucite non solo in tempi a noi vicini , ma anche nelle antiche conflagrazioni del Somma, come ritiene A. Scacchi 6). l) Mineralogia vesuviana. Atti R. Acc. Se. fis. e mat. in Napoli, Voi. XIV, Serie 2a, N. 7, p. 289, 1910. •) Voyages physiques et lythologiques dans la Campanie, p. 276. 3) Op. cit., p. 170 e 153. 4) Atti R. Acc. delle Scienze, Voi. 5°, p. II, 1844. ') Atti R. Acc. delle Se. fis. e mat., Voi. Il, Ser. lì, N. 10, Napoli 1686. '’) Sulla origine della cenere vulcanica. Rend. R. Acc. Se. fis. e mat., fase. 8, agosto 1872. — Lezioni di geologia, p. 172, Napoli 1872. — Catalogo — 135 — Nel 1839 vi fu un'eruzione di molti cristalli liberi d'augite che andarono a cadere a grande distanza dal cratere. Hauy parlando di " cristaux croisés „ cita i cristalli croci- formi di Pirosseno dello Stromboli. Cristalli liberi di Pirosseno crociformi se ne sono avuti al¬ l’Etna nei Monti Rossi, ed allo Stromboli come si vedono rap¬ presentati nella figura l). Ipotesi* Varie ipotesi si possono formulare intorno alla natura delle croci in questione ; noi di queste cercheremo la più soddisfa¬ cente la quale sia più in accordo con le cose osservate. Che il fenomeno sia esistito è fuor di dubbio, ne v'è certo chi voglia pensare col Kircher che sia il vapore “ gravido di vari minerali dal Vesuvio buttati, congiunto col vapor della terra assottigliato nell' aria dal calore del Sole nel tempo della state e poi caduto a modo di rugiada „ 2). Si tratta adunque di produzioni minerali esilissime incro¬ ciate del nostro vulcano. Per quel che sappiamo, l’eruzione del 1660 fu esclusivamente esplosiva, nè vi furono effusioni laviche. Fu tale Eruzione di un dinamismo esplosivo veramente sor prendente. Fu copiosa la cenere caduta la quale era di color bianco e faceva apparir bianco tutto il Monte Vesuvio ; onde lo Zupo riteneva fosse tutto salnitro per cui il Monte verso il mezzodì s'imbianchiva. Palmieri opinava fosse tal cenere di na¬ tura leucitica 3). dei minerali e delle rocce vesuviane per servire alla storia del Vesuvio ed al commercio dei suoi prodotti, Napoli 1889. 4) Fotografia di F. Perret riportata nella fig. 17. a. della Tav. XVIII della Zeitschrift fiir Vulkanologie. Band I. Berlin 1914, dove a pp. 32-38 è il la¬ voro di Friedlaender I. “ Ueber die Klrtnformen derVulcanischen Produkte,, in cui sono citati tali pirosseni crociformi. 2) Gimma, G. — Op. cit., p. 511. Più avanti. dice ancora esponendo sem¬ pre ciò che dice Kircher : " Narra che il Vesuvio aveva mandato fuori un va¬ rio mescolamento di zolle , e di sughi diversi , che fermentati collo spirito acido minerale, colla forza del sole si era assottigliato in vapore, il quale ri¬ soluto in umore simile alla rugiada, avea formate le croci 3) A. Scacchi riteneva il fenomeno dell'imbianchimento spiegato dal fatto 136 — Esiste un opuscolo anonimo, di cui ho potuto prendere vi¬ sione, intitolato : " Priticipii e progressi del fuoco del Vesuvio, osservati giorno per giorno dal 3 fino al 25 di luglio in que stanno 1660 ed esposti alla curiosità dei forestieri „ l). In tale opuscolo si dice che la cenere lanciata nell'atmosfera dalla forza dell'esplosione si innalzava su di un pino di 2 miglia e 262 passi circa di altezza e spinta dal vento cadde anche a Trani , Bari, Barletta, Monopoli, Benevento. E ciò è anche in accordo con i luoghi citati da Zupo dove cadde la cenere e dove questi quindi dice essersi anche verificate le croci. Ma nell’opuscolo anonimo citato non vien fatta parola del fenomeno di cui ci occupiamo. Tale premessa sulla natura esplosiva dell' eruzione ha per noi particolare interesse. Si potrebbe ritenere che le croci apparse fossero efflore¬ scenze saline , ma tale ipotesi è distrutta dal fatto che lo Zupo dice essere tali croci senza sapore ed il colore come cinericcio. Nè basta ; se fossero state efflorescenze saline, e volendo anche credere che la gran copia ne fosse stata tale da imbianchire il Monte, ih fenomeno delle croci avrebbe dovuto essere più dif¬ fuso e copioso di quello che fu. La seconda ipotesi è che le croci siano formate dalle cosi¬ dette " pelurie lapidee „ ossia Breislakite ed altri minerali che in forma di esili filamenti si mostrano nelle fenditure delle lave. Ma la Breislakite , 1' antibolo ed il pirosseno capillare sono di formazione secondaria, nè si producono in tanta abbondanza. Con tale ipotesi nemmeno resterebbe spiegato il perchè dell'incrocio. che la cenere contenesse particelle saline, perchè riusciva irritante agli occhi degli uccelli e perchè col levarsi del sole rendeva bianco il Monte. L. Palmieri riteneva che il bianco della cenere fosse fioritura di sai co¬ mune che sempre, più o meno abbondantemente, si trova in essa e che questa fosse la causa che da lontano faceva apparire il Vesuvio come leggermente coperto di neve col levarsi del sole che faceva bianca in superficie la cenere. Ma nel 1872 vide egli cadere per alcune ore cenere bianca la quale esaminata al microscopio risultava costituita da frammenti di leucite. Egli perciò riteneva probabile che la cenere del 1650 fosse della stessa natura. *) È citato anche da M. Baratta in : Il Vesuvio e la sua storia. Roma 1897, p. 41; l’opuscolo non porta data nè luogo di stampa e le pagine sono in numero di 16, non numerate. *- Ì 37 — Può ancora supporsi siansi le croci originate da lapillo fili¬ forme incrociatosi per forza elettrica, la quale si sviluppa copiosa nelle eruzioni vulcaniche. Questa ipotesi nemmeno soddisfa poiché non spiegherebbe Tincrocio dei filamenti che non potevano permanere a lungo in tale stato , poiché in contatto del suolo si sarebbero scaricati. Più che incrociarsi tali filamenti avrebbero dovuto disporsi a coppie parallele ; tale disposizione anche si osserva, stando agli autori citati, nelle croci della eruzione del 1660. In quarto luogo si può supporre trattarsi di lapillo filiforme, ossia " capelli di Pelée „ incrociatisi originariamente per la loro pastosità, ovvero derivati da un magma fluidissimo ed estrema- mente ricco in vapori, i quali rapidamente sfuggendo li avrebbe soffiato in esilissimi filamenti a guisa di pomici spongiosissime, determinando un groviglio filamentoso che frantumandosi nell'atto esplosivo, dando luogo a lapillo , sabbia e cenere, avrebbe for¬ mato le produzioni anzidette. Mi suggerisce giustamente il prof. Zambonini che l'ipotesi ora esposta sarebbe convalidata dal colore riferito da Zupo per le croci il quale più s'addice ai “ capelli di Pelée „ che non alle altre formazioni che ora passo a trattare. Senonchè a parte tutta la problematica varietà di colori che lo Zupo riporta *), non è chiaro come mai l'eruzione del 1660 fosse stata di una tale casualità da incrociare tutti i filamenti e nemmeno uno, a fede degli storici, si sia presentato isolato. Ed ancora non resterebbe spiegata la biforcazione delle punte che presentavano le croci in discorso , come è stato di già in pre¬ cedenza rilevato. Tuttavia non è da escludersi che a far parte del fenomeno potevano probabilmente concorrere anche tali " capelli di Pelée L'ipotesi più attendibile è che si tratti di cristalli geminati probabilmente di pirosseno, non nel loro stato di completa for¬ mazione, bensì al loro inizio, quando cioè essi erano scheletrici ovvero anche molto sottili ed allungati. 4) Circa il colore G. Gimma riporta dal Kircher : " Il color loro era di cenere; ma si videro pure a color del piombo, o di ruggine, di sangue, di nero e scuro, e di biondo,,. — 138 — Un esame comparativo della fig. 1 che riproduce la tavoia annessa all' opuscolo di Zupo con la fig. 2 che rappresenta i cristalli geminati di augite dello Stromboli e dell’ Etna è abba¬ stanza convincente e dimostrativa. V'è non solo corrispondenza di forma, ma anche di particolari; così ad esempio l' ingrossa¬ mento nella intersezione e rassottigliarsi in fine, " le punte dop¬ pie e biforcate,, hanno riscontro fra l'altre nelle croci a, b, c, d; l'intrecciarsi a guisa di gruppo potrebbe trovare il confronto in d. Nè può essere seria obbiezione la grandezza delle croci fi¬ gurate dallo Zupo, perchè, a parte la rudimentalità del disegno, l'ipotesi è anzi avvalorata dalle osservazioni di numerosi studiosi, e fra gli altri dello Zambonini , i quali hanno ripetutamente ri¬ scontrato al Vesuvio non soltanto cristalli isolati di antibolo, ma anche di pirosseno capillari di dimensioni abbastanza vistose. Concludendo : le produzioni crociformi del 1660 citate dagli autori sono di origine vesuviana e rappresentano con grande probabilità cristalli geminati di pirosseno allo stato ancora sche¬ letrico, od anche, come sopra s’ è detto, molto sottili ed allun gati, analoghi pertanto alle corrispondenti formazioni cristal¬ line dell'Etna e dello Stromboli che se ne differenziano soltanto per la più completa loro forma. Napoli , 31 dicembre 1928 - VII. Finito di stampare il IO gennaio 1929. Ortotteri di Pantelleria del socio Dotb Matio Salfi (Tornata del 31 dicembre 1928) Gli ortotteri che formano oggetto della presente nota furono raccolti nell' estate dello scorso anno a Pantelleria dal Prof. O. De Fiore e da questi gentilmente donatimi per lo studio. La raccolta comprende poche specie riferibili alle tre fami¬ glie : Blattidae , Mantidae, Acrididae. La ortotterofauna dell'iso¬ la, da questa prima raccolta risulta essere scarsa. D' altra parte dalle poche notizie che tuttora possediamo sulla presenza di Or¬ totteri nelle isole circumsiciliane verrebbe confermato in generale, oltre che per Pantelleria, il carattere di povertà in specie di Or¬ totteri di tali luoghi, risultandone la mancanza di elementi pro¬ pri , tali da caratterizzare con caratteri positivi dette faune. Pantelleria e Linosa — almeno per gli scarsi dati attualmente acquisiti per quest' ultima l) — hanno tranne qualche eccezione, una fauna composta di specie non soltanto comuni alla costa siciliana e tunisina ma diffuse in tutta la regione circummedi- terranea , conservando però un carattere a prevalenza nord- africano. Lipari ed Ustica 2) , per quanto è finora noto rivelano la J) Salfi, M. — Ortotteri di Linosa ( Isole Pelagie). Boll. Soc. Nat., Na¬ poli, Voi. 39, p. 140. 2) Riggio, G. — Appunti e note di Ortolterologia siciliana. VII. Ortotteri di Lipari. Naturalista siciliano, anno 11°, N. 1, p. 6. — — Materiali per una fauna entomologica dell'Isola d' Ustica. Se¬ conda contribuzione. Naturalista siciliano, anno 8°, N. 5, p. 119. Per Ustica il Riggio enumera le seguenti specie : Phyllodromia germa¬ nica (L.), Loboptera decipiens (Germ.), Blatta orientalis L., Stauroderus — 140 — loro posizione geografica con una fauna compósta di elementi circummediterranei ma spiccatamente tirrenici. Elenco sistematico: Blattidae. 1. Polyphaga aegyptiaca (L.) 1 c? — IX-1928. Mantidae. 2. Mantis religiosa L. 5 99 e 4 cfc? — Vili, IX-1928. 3. Rivetina baetica (Ramb.) 4 92 e 3 c?c? — IX-1928. Acrididae. 4. Acr ideila anguiculata (Ramb.) 3 $9 e 2 tfc? — IX-1928. 5. Oedipoda miniata (Pall.) ( = Oedipoda gratiosa (Serv.) *) 7 $9 e 5 cfcf — Vili, IX-1928. 6. Sphingonotas azurescens (Ramb.) 2 $$ e 1 c? — IX-1928. bicolor (Charp.), Acrotylus patruelis (Sturm.), Phaneroptera quadripuncta- ta Br., Rhacocleis annulata Fieb., Platycleis intermedia Serv., Oecanthus pellucens (Scop.), Gryllus burdigalensis Latr., Myrniecophila acracea Fisch., C urti Ila gryllotalpa Ok. Per Lipari : Acridella nasuta (L.), Brachicrotaphus tryxalicerus (Fisch.), Sphingonotus coerulans (L.), Locusta danica (L.), Calliptamus italicus (L.), Tylopsis liliifolia (Fabr.), Rhacocleis annulata Fieb. La presenza di una specie del gen. Rhacocleis nelle due isole su nomi¬ nate fa ritenere che questo genere abbia rappresentanti anche a Pantelleria e Linosa, essendone, d’altra parte, nota la presenza nell’isola di Galita, per un esemplare riferibile al gruppo della Rh. annulata datomi in esame dal Dott. F. Capra del Museo Civico di Storia Naturale di Genova. l) Cfr. Urarov, B. P. — Records aud descriptions of Orthoptera from North-West Africa. " Novitates Zoologicae „, Voi. 30, p. 70, 1923. — 141 Gli individui riferibili a questa specie intesa in senso lato, coincidono con quello da me descritto per Linosa *) attribuito dubitativamente ad una sottospecie distinta : Sph. azurescens linosae 7. Anacridium aegyptium (L.) 6 99 e 4 c?c? — IX-1928. Ho confrontato gli individui di Pantelleria con altri del Na¬ poletano , della Calabria , dell' isola di Rodi notando differenze qualitative di vari caratteri a seconda della varia provenienza. Dato però lo scarso materiale studiato non mi è consentito poter stabilire se si tratti di variabilità individuale oppure se questa specie possa scindersi in sottospecie geografiche definite. 8. Calliptamus italicus L. Moltissime femmine e maschi — Vili, IX-1928. Quasi tutti gli esemplari riferibili alla subsp. Cali, italicus siculus (Burm.). Finito di stampare il 20 gennaio 1929. 9 Salfi, M. — Ortotteri di Linosa ( Isole Pelagie). Boll, Soc. Nat., Na* poli, Voi. 39, p. 140, Il potere rifrangente e la conducibilità elettrica dell’acqua marina nel golfo di Napoli del socio Dott. Ester Majo (Tornata del 7 agosto 1928) Eseguendo alcuni studi oceanografici nel Golfo di Napoli a mezzo del Jacht " Margherita „ ebbi frequentemente occasione di prelevare diversi saggi di acqua marina : nel presente lavoro riferirò i risultati relativi ad alcune misure ottiche ed elettriche eseguite in laboratorio. Sul cavetto dello scandaglio veniva montato l’apparato por¬ tante un termometro Richter e un cilindro metallico , aperto nella discesa. Allorché veniva raggiunta la profondità voluta si lasciava cadere il messaggero che, giungendo all' appa¬ rato determinava il capovolgimento del termometro Richter e la chiusura del cilindro metallico portante il saggio di acqua rac¬ colto alla stessa profondità. Le bottiglie che si adoperavano per conservare i saggi era¬ no di ordinario vetro verde con chiusura automatica e munite di anello di gomma ed erano state preventivamente lavate, com'è consuetudine, con acqua bollente prima, poi con soluzione pure bollente di carbonato di soda, indi risciacquate con acqua di¬ stillata e poi lasciate asciugare con l’ apertura in basso in lo¬ cale ben aereato. Prima di introdurre il campione di acqua si risciacquava due o tre volte la bottiglia con acqua di mare e poi si riempiva col saggio. Su ciascuna bottiglia veniva applicato un cartellino portante il numero di ordine del saggio , la data e la indicazione della temperatura in sito e di quella dell' aria, mentre il collo e l'imboccatura della bottiglia venivano ricoperti con carta pergamenata munita di legatura. Nella tabella I riporto la indicazione del sito dove vennero prelevati i saggi di acqua marina, la data, le indicazioni relative alla temperatura dell’acqua alla profondità osservata e a quella dell’aria, lo stato del cielo e quello del mare, notando che il vento fu sempre debole e che in nessun caso si ebbe pioggia ; inoltre le osservazioni in sito si eseguirono sempre tra le 15he le 16h . Tabella 1. Num d’ordine del saggio DATA Coordinate geografiche Temperatura dell aria Temperatura a 45 m. di profondità Stato del cielo Stato del mare Colore del mare 1 2-8 - 925 >*-6 — 4^ 4^ O o 0 -J 4^ ~ to 25.° 3 16.° 80 sereno calmo azzurro 2 3 » »

y leg.* mosso azzurro scuro 7 8 » » (p = 40° 35’ À = 14° 3’ 25.° 2 16.° 35 » calmo azzurro 8 9 » » q, = 40° 30’ X = 14° 5’ 26.° 0 16.° 30 » » - 9 10 » » cp === 40° 38’ X = 14° 2’ 26.° 5 16.° 10 » , » 10 11 » » cp = 40° 30’ X = 14° 0’ 25.° 9 16.° 55 » » » 11 12 » » cp = 40° 25’ X = 14° 0’ 25.° 7 16.° 35 » leg.te mosso » 12 13 » » cp = 40° 32’ X — 13° 55’ 25.° 6 16.° 00 ‘/io cop. calmo » 13 14 » » O 00 co ^ o o o co rf — - Il II 8*r<; 25.° 3 16.° 70 3/i0 cop. leg.,e mosso * 14 15 » » cp = 40° 35’ X =13° 52’ 25.° 2 | 16.° 45 sereno » » — 144 — Successivamente nella seconda quindicina di agosto vennero eseguite in laboratorio le misure fisiche relativamente alla ricerca dell'indice di rifrazione dei vari saggi e alla loro conducibilità elettrica. Per determinare l’indice di rifrazione si fece uso di un pri¬ sma cavo, formato da un pezzo massiccio di vetro , avente un largo canale con l’asse perpendicolare al piano bisettore e me¬ diante lo spettrometro venne valutato l’angolo rifran¬ gente del prisma e la deviazione minima relativa al passaggio di un fascio parallelo attraverso il prisma. Il prisma era lavato due o tre volte con l’acqua da essere esaminata, poi era riempito e si inseriva il termometro. Situato il prisma era trovata e letta la posizione della minima devia¬ zione e letta pure la indicazione del termometro. Girando di 180° attorno al prisma veniva trovata e letta la posizione della minima deviazione. La media fra il 1° e il 2° valore dava l’an¬ golo della minima deviazione. La riga D del sodio venne usata per riferimento. Per ogni grado centigrado di differenza di temperatura cor¬ rispondevano 28’’ di differenza nell’angolo di minima deviazione sì che si tenne conto di ciò per apportare le correzioni per la temperatura. L'indice di rifrazione venne calcolato mediante la nota re¬ lazione : 8m + A sen 2 - n — _ - _ A sen 2 conoscendo l’angolo di minima deviazione 8m e l'angolo rifran¬ gente A del prisma. L'angolo rifrangente del prismo adoperato risultò di 60° 6' 4” Per dedurre la resistenza specifica q del saggio di acqua definito dalla relazione sr — 145 — dove s indica l'area, r la resistenza ed l la lunghezza ovvero, tenendo conto della temperatura : q = Qo (1 - y t) venne usato un recipiente cilindrico con elettrodi occupanti due sezioni trasversali ad opportuna distanza e si considerava poi la conduttività, cioè il valore reciproco della resistenza definito dalla relazione : l K = — sr ovvero tenendo conto della temperatura Ko K = i-yt Si usò il ponte di Kohlrausch, munito di telefono e di rocchettino d'induzione. Nella tabella II riporto relativamente a ciascun saggio i risultati delle misure eseguite. Tabella II. Num. d’ordine Conducibilità elet'rica k a 26° Differenza dalla media Indice di rifazione a 26° Dtfferenza dalla media 1 0.06533 — 0.00076 1.339418 - 0.00307 2 6496 — 0.00113 1.339400 — 0.00325 3 6518 - 0.00091 1.339469 — 0.00256 4 6846 + 0.00237 1.339888 + 0.00163 5 7095 -f 0.00486 1.340190 + 0.00465 6 6951 -f 0.00342 1.339974 + 0.00249 7 6478 — 0.00131 i 1.339382 — 0.00343 8 6526 — 0.00083 1.339526 — 0.00199 9 6526 — 0.00083 1.339490 — 0.00235 10 6547 — 0.00062 1.339508 — 0.00217 11 6549 — 0.00060 1.340100 + 0.00375 12 6434 — 0.00175 1.340208 + 0.00483 13 6530 — 0.00079 1.340110 + 0.00385 14 6500 — 0.00109 1.339490 — 0.00235 — 146 — Per la conducibilità elettrica si ebbero valori da 0.07095 a 0.06434 e per l'indice di rifrazione da 1.340208 a 1.339382. Al valore massimo rilevato nel saggio 12 per l'indice di rifrazione si ebbe in corrispondenza il minimo valore della conducibilità elettrica. Il valore medio di tutte le misure risultò per V in¬ dice di rifrazione: 1.339725 e per la conducibilità elettrica: 0.06609 BIBLIOGRAFIA HILL, E. G. — The Electric Conductivity and Refracting Power ecc . Procedings of thè Royal Society of Edinburgh. Voi. XXVII. CANTONE, m. — Corso di Fisica, Voi. 2° - Voi. 3° Napoli. Finito di stampare il 30 gennaio 1929. Francesco 6apobianco Commemorazione fatta del socio Gesualdo Police (Tornata straordinaria del 23 dicembre 1928) Il rito che oggi ho l'onore di compiere mi riesce triste per due ragioni. La prima perchè si tratta di rievocare la figura di un amico immaturamente scomparso. La seconda , perchè non io avevo avuto tale ambito incarico dalla nostra Società, ma al¬ tri assai più degno di me. Sventuratamenle, però, questi non ha potuto, perchè anche egli, con colpo imprevisto, fu immatu¬ ramente rapito alla scienza e agli amici. Povero professor Monticelli ! Anche a lui in questo mo¬ mento vada il mio mesto saluto ! Fu così che il malore, che lentamente minò la vita del Mon¬ ticelli, fece protrarre per oltre due anni la commemorazione del Capobiànco a lui affidata e della quale tristemente io ho raccolto l'eredità. Col mesto ricordo che fonde nella memoria di amici caris¬ simi gli eventi del passato che non torna, si prospetta più me¬ sto il cammino dell'avvenire che bisogna percorrere più soli, più incerti, per il raggiungimento di una meta più incerta ancora. E il raggiungimento di questa meta incerta fu il sogno di tutta la vita anche per Francesco Capobianco, il quale in una lotta continua, fu vicino a vedere attuate le sue aspirazioni e, in alternanze crudeli, se ne vide allontanato. E forse mai egli si era creduto così prossimo all'ideale sognato, allorché , in un momento fatale, svanirono d'un tratto e i sogni, e le speranze, — 148 — da cui attingevano energia le fatiche durate nelle lotte estenuanti che con la tortura deiranima ammazzano il corpo. Quel giorno lo incontrai di mattina nell'atrio della vecchia Università mentre mi recavo agli esami di zoologia. Egli discen¬ deva dai nuovi locali dell'Istituto di Istologia, in via di attua¬ zione, dove erasi recato di buon'ora perchè l’insonnia che da lunga pezza lo torturava lo faceva essere molto mattiniero. Era più pallido dell'usato ed io glielo feci notare, rimproverandolo di uscire troppo presto di casa. — Non mi sento bene — mi disse — vado difilato su all'Istituto : ci vedremo più tardi. Fu in sede d'esami che seppi del suo malore. E corsi tosto al nostro laboratorio. Lo trovai nel suo studio su di un letto improvvisato, come su di un letto di campo. Gli erano daccanto il fratello ed il figlio maggiore. Ed Egli fra le torture che gli straziavano l'addome, trovò ancora tanta forza d'animo per sor¬ ridermi lievemente del suo sorriso buono. E furono trentasei ore di agonia. Accorsero al suo capez¬ zale numerosi gli amici medici, alcuni dei quali fra i più valo¬ rosi clinici napoletani. Ma la scienza medica non riuscì nè ad alleviargli le sofferenze, nè a diagnosticare la causa della sua orribile sindrome addominale. Ed Egli nella calma cosciente con la quale seguiva il de¬ corso tormentoso del suo male, parea dicesse : — A che ci vale il nostro orgoglio ? A che ci valgono i nostri laboratorii ed i nostri studi quotidiani, se siamo impotenti come lo erano i pri¬ mi sacerdoti semplicisti ? — E ad ogni nuovo tentativo per alleviare le sue pene : — Fate pure - diceva - ma non ne ricaverete nulla. — E scettico e rassegnato finì, fra lo strazio dei figli che in lui perdevano tutto, fra il dolore degli amici numerosi, che in lui perdevano (cosa rara oggidì) un cuore sincero. Aveva 56 anni ed era nella piena floridezza del suo inge¬ gno e della sua attività. E non doveva morire perchè la sua o- pera poteva essere ancora molto utile per la società. Ed io lo riveggo nei locali pieni di sole del nostro vec¬ chio laboratorio di S. Marcellino. Lo veggo col sorriso sulle labbra fra gli studenti ; lo veggo attento a sorvegliare le espe- 149 — rienze che gli stavano a cuore ; lo veggo al tavolo di studio intento a tracciare con mano febbrile il manoscritto attraverso al quale egli sperava di raggiungere il sogno della sua vita scien¬ tifica : Oh, egli non prevedeva la rapidità della sua sventura e si cullava invece nella cperanza di un più fortunato avvenire ! Era un uomo serio ed un uomo di carattere ; ma sopra¬ tutto era un uomo buono e la sua bontà , che andava dalla cortesia dei modi all'interessamento altruistico più sincero, atti¬ rava chiunque avesse avuto solo l'occasione di avvicinarlo. Il sorriso e la parola affettuosa erano sempre sul suo labbro, qua¬ lunque fosse stato il travaglio interno del suo animo. E pur¬ troppo questo travaglio non era lieve date le lotte da lui pe¬ riodicamente sostenute nella vita scientifica e fuori ; lotte le cui sofferenze egli rinchiudeva sempre dentro di se, rendendone più vivi gli effetti, che forse hanno contribuito a predisporlo alla fine immatura. Nell'intimità del laboratorio che affratella, assai spesso Egli mi confidava le sue noie e le sue pene. Soleva dire che era perseguitato da una guigne in tutta la sua vita: — Lavoro per raggiungere uno scopo - mi diceva - l'ho raggiunto ; appena sto per acciuffarlo, mi sfugge. — E raccontava tutta una serie di aneddoti in appoggio a questa che egli credeva una verità. Non so quanto vi sia di esagerato in questa sua asserzione, ma indubbiamente egli fu un uomo che lavorò con assiduità ed intelligenza per tutta la sua vita, senza mai ricavare un premio adeguato dal suo lavoro, pur vedendosi spesso vicino alla mèta. Fu assistente alla cattedra d' Istologia e Fisiologia generale fin da quando era ancora studente. E dopo laureato fu anche interno nella clinica del Cardarelli e all'ospedale degl’incurabili. Alternava in tal modo lo studio della scienza pura con quello della clinica, nella quale egli riusciva assai bene promettendo di divenire un medico di valore. Ma arrivò un momento in cui dovette decidersi fra la pratica e la scienza pura. Fu il Carda¬ relli che gli mise Yaut aut. Ed egli si decise per la scienza pura e per diciannove anni fu assistente del Paladino. Nel frattempo fu libero docente prima in Istologia e Fisio¬ logia generale e poi in fisiologia umana. — 150 — Dopo d'allora rasentò più di una volta la cattedra senza mai raggiungerla. Fu incaricato dell'insegnamento deiristologia e della Fisio¬ logia nella R. Scuola Veterinaria da quando il Paladino lo la¬ sciò, e per venti anni mantenne tale incarico. Nel 1920 il Con¬ siglio della R. Scuola superiore Veterinaria, con una magnifica relazione, “ tenuto conto della carriera accademica e didattica del Capobianco, della sua produzione scientifica, nonché della sua lunga e feconda specializzazione nell'insegnamento „, all’ u- nanimità, proponeva al Ministro della P. I. la nomina del Ca¬ pobianco ad ordinario d'istologia e Fisiologia, in applicazione dell'articolo 24 del testo unico delle leggi sulla Istruzione superiore. E mentre pareva che nulla dovesse opporsi al voto formu¬ lato dalla R. Scuola Veterinaria, il mutare di eventi volle diver¬ samente ed egli restò professore incaricato. Egli fu anche incaricato dell'insegnamento della fisiologia umana per gli studenti della facoltà di scienze naturali della no¬ stra Università, e, allorché il Della Valle lasciava l’ incarico dell'Istologia e Fisiologia generale nella medesima facoltà, catte¬ dra rimasta vacante per la morte del Paladino , egli fu chia¬ mato a reggerla, ritornando così nell'istituto dove aveva passata tutta la più bella parte della sua vita scientifica e che formava l'aspirazione dei suoi sogni avvenire. E si rinnovò in lui tutto un periodo di ansiosa e febbrile attività scientifica, quale pre¬ parazione al concorso attraverso al quale egli avrebbe voluto sostituire nell'insegnamento ordinario il suo maestro, il Paladino. Ma la morte inesorabile troncò sul più bello, e sogni ed aspirazioni e con gesto crudele volle essere l'ultima guigne della sua vita : per l'ultima volta gli sfuggiva l'oggetto delle sue aspirazioni nel momento in cui sperava di raggiungerlo. Ed il destino che lo aveva voluto salvo allorché faceva il suo dovere di soldato e di medico sul campo di battaglia, che lo aveva sottratto alle pallottole ed alle schegge di mitraglia austriache, volle annientarlo allorché egli ritornava nella calma serena degli affetti familiari e degli studii. E la fulminea esplicazione del suo male che forse covava da anni, giunse tanto più dolorosa alla nostra Società di Natu- 151 ralisti, in quanto che in queirepoca egli ne era il Presidente, e si ripercosse nell’animo di tutti i socii del nostro sodalizio che è basato su di una serena ed affettuosa cordialità. Ma appunto perchè parlo in un ambiente di Scienza, è mio compito qui di tracciare del Capobianco, oltre la figura morale, anche quella di Maestro e sopratutto di Scienziato. E tale com¬ pito non riesce nè difficile nè discaro, in quanto che egli fu un osservatore di spiccata originalità. La lunga carriera didattica , la facilità di parola , accompa¬ gnata alla distinzione dei modi ed alla bontà del carattere, ne facevano una magnifica tempra di insegnante, che si riverberava nel Laboratorio, dove già per tradizione, da lunga pezza accor¬ revano e Dottori in Medicina, i quali sentivano la mancanza del¬ l'Istologia nella loro cultura, e studenti in Medicina dei primi anni, i quali, ben consigliati, mettevano alla base dei loro studii l'Istologia, la quale doveva prepararli all’Anatomia, alla Fisiolo¬ gia, alla Patologia generale. Ed oltre a questi, gli studenti in Scienze Naturali, i quali, fino a due o tre anni fa, erano ancora abbastanza numerosi, e numerosi accorrevano nel Laboratorio di¬ retto dal Capobianco, ad elaborarvi le loro tesi di laurea. All'attitudine didattica, Egli univa la larga base di cultura scientifica e le Sue lezioni e l’indirizzo da Lui dato nei lavori sperimentali, era sempre improntato a vedute ampie e moderne. La Sua produzione scientifica si traduce in oltre sessanta pubblicazioni, che sono il risultato di più di 30 anni di lavoro, durato con onestà d’intenti, rettezza d’ indirizzo , entusiasmo e fede. Essa concerne importanti problemi di fisiologia generale e speciale, di istologia, di embriologia. A tutti essi, Egli ha portato notevoli contributi. Di grande interesse sono gli studii sulla nevroglia ; sull'in¬ fluenza degli agenti fisico - chimici sulla eccitabilità dei nervi e dei muscoli lisci negli invertebrati ; sull’azione degli estratti or¬ ganici sul cuore , sul lavoro muscolare , sulla coagulazione del sangue ; sulla rigenerazione del parenchima ovarico ; gli studii sulla tiroide e sulla tiroidectomia ; sui corpuscoli di Hassal del timo; sulla correlazione fra le ghiandole a secrezione interna etc. — 152 — E , in alcuni casi , Egli usciva anche fuori dal campo della biologia pura ; così, con gli studi sulla rabbia (fatti in collabo- razione col Germano) Egli entrava direttamente nell'ambito della Patologia, e con quelli suil'azione del formiato di ferro, in quello della terapia. In alcuni degli studi da Lui fatti nell’età giovanile, Egli fu un precursore. Così in quelli sulla tiroide e paratiroidi, fatti nel¬ l’epoca nella quale gli studi di endocrinologia erano al loro ini¬ zio e quando, a spiegare le conseguenze della tiro-paratiroidec- tomia, si brancolava ancora tra le complicanze e le lesioni ner¬ vose operative, tra la disfagia e le infezioni della ferita. E, a tal proposito, ricordo, che la prima comunicazione su questi studi fu da Lui fatta appunto alla nostra Società nel 1892, epoca nella quale, in molti Trattati la tiroide veniva ancora messa nel nu¬ mero delle ghiandole sanguigne. In tal modo, il Capobianco fu tra i primi a segnalare l'in¬ fluenza letale della completa asportazione del sistema tiroideo ed a riporne la causa nella perdita della funzione ghiandolare ; scendendo inoltre a dettagli sul meccanismo e la sintomatolo¬ gia del quadro tireoprivo, sostenendo tenacemente l'autointossi¬ cazione del sistema nervoso. Su questo argomento vi è tutta una serie di lavori del Capobianco, qualcuno dei quali in collaborazione con Mazziotti, i quali valgono di per sè soli, a fargli occupare un posto im¬ portante nel mondo scientifico , poiché lo misero in grado di discutere alla pari con le più eminenti personalità nel campo dell' istologia e della fisiologia. Fu anche precursore nel Suo lavoro sulla influenza degli agenti fisico-chimici sopra la eccitabilità dei muscoli lisci e dei nervi negli Invertebrati. In esso, per alcuni risultati, il Capo- bianco precorse quanto più tardi dovevano mettere in sicura luce i metodi della chimico-fisica, più largamente applicati allo studio della fisiologia. Non è mia intenzione, però, di fare un esame minuto di tutta l'opera scientifica del Capobianco. Nè il tempo concesso per questa mia rievocazione lo consente , nè forse riuscirei a mantenere desta l'attenzione di tutti per troppo lungo tempo. Mi intratterrò solamente su tre o quattro degli argomenti che - 153 hanno formato oggetto dei Suoi studi, fra quelli che a me sem¬ bra si distinguano per una maggiore impronta di originalità, e che valgono a definire la Sua figura scientifica. E anzitutto accennerò ad un argomento da lui trattato in età giovanile, ma che egli ricordava sempre con grande com¬ piacimento : quello della genesi sinciziale della cellula nervosa. La concezione è interessantissima : la cellula nervosa si origi¬ nerebbe dalla fusione di tanti neuroblasti, i quali si coalizzereb¬ bero riunendo le singole individualità in una individualità unica : l'elemento nervoso, questo dispensatore di meravigliose energie a tutti gli organi, sarebbe costituito dalla somma di altre energie elementari, delle quali esso sarebbe la risultante. Ad onor del vero la concezione del Capobianco era stata preceduta da quella del Fragnito, il quale, nel congresso fre¬ niatrico tenuto a Napoli nel 1899, aveva sostenuto la genesi pluricellulare della cellula nervosa. Differenze sulla morfologia degli elementi che andrebbero a costituire il sincizio facevano differire l'ipotesi del Capobianco da quella del Fragnito. Ma i due criteri potettero essere fusi, come risulta da successivi la¬ vori del Fragnito, il cui concetto, in conseguenza, venne deli¬ mitato e perfezionato dal Capobianco. In tal modo questi so¬ stenne nettamente lo stadio sinciziale delle cellule nervose, cioè a dire l'aggruppamento di veri e piccoli neuroblasti, i quali vanno perdendo la loro individualità singola a misura che avanza il completamento dell’elemento nervoso adulto e definitivo. La esistenza dell'aggruppamento di nevroblasti , quale che possa esserne ii significato, fu confermata da vari osservatori italiani e stranieri, quali il Colucci, il Piccinnino, il La Pegna, lo Smirnow, lo Joris. Allorché il Capobianco, alla Stazione Zoologica di Napoli, mostrò al Bethe i suoi preparati, questi gli proponeva di avva¬ lorare la sua osservazione con calcoli numerici seguiti dall ern- brione all’adulto. E tale calcolo il Capobianco fece sui gangli intervertebrali, confermando sperimentalmente le conclusioni del primo lavoro. Negli ultimi anni, nel 1924, il Grawilenko riscontrava for¬ mazioni di sincizi neuroblastici in casi di sviluppo anormale del nevrasse. Egli osservando " che ogni anomalia si può con- — 154 — siderare come una esperienza che la natura ci offre „ veniva ad avvalorare il concetto con tanto entusiasmo sostenuto dal Ca- POBIANCO. Indubbiamente la presenza di più di un nucleo in cellule nervose adulte, varrebbe a scuotere la dottrina della loro ori¬ gine sinciziale; ma i nuclei in degenerazione riscontrati nel sin¬ cizio nei varii periodi di sviluppo e lo stadio di imperfetta fu¬ sione riscontrati in neuroblasti sinciziali mostrano che tale teo¬ ria non è impiantata con leggerezza e che essa è una conce¬ zione sulla genesi della cellula nervosa, la quale, forse, in avve¬ nire potrà ancora di più essere avvalorata. Un argomento assai più originale è la spiegazione del fe¬ nomeno della iuminazione, basata su esperienze e ricerche chi¬ miche, con criterii del tutto nuovi. Per secoli si era ritenuto che la ruminazione avesse valore semplicemente meccanico ; egli di¬ mostrò invece che essa ha valore eminentemente chimico : Men¬ tre la credenza generale era che il contenuto del rumine fosse a reazione alcalina, egli mostrò invece che esso è a reazione a- cida ; e che questa parte dello stomaco composto dei ruminanti anzicchè essere un semplice deposito, è tale che in essa si svol¬ ge un periodo importante del processo digestivo, quello riguar¬ dante la digestione della cellulosa. Mostrò che la ruminazione è provocata dall'acidità del rumine con esperimenti molto inte¬ ressanti': provocando la ruminazione in animali a digiuno, iniet¬ tando soluzioni acide, e impedendo la ruminazione dopo il pasto, iniettando nel rumine soluzioni alcaline. La insalivazione meri- cica è destinata a neutralizzare l'acidità del rumine , favorendo in tal modo la ulteriore digestione batterica, che ha luogo nor¬ malmente nel rumine e che tanta importanza ha nel processo di digestione degli erbivori. La novità di questi dati su di un argomento che pareva esaurito, non si può disconoscere. E a quindici anni di distanza dalle ricerche del Capobianco, queste osservazioni hanno avuto conferma, per quello che ri¬ guarda i dati sperimentali, dalle osservazioni fatte da Garriel nell’Istituto di fisiologia della Scuola Superiore Veterinaria di Vienna. Indubbiamente questo è il più importante degli studii del 155 — Capobianco, come quello che muta sostanzialmente un concetto fisiologico riguardante un argomento importantissimo , intorno al quale nulla dava a divedere che si potessero apportare con¬ tributi così radicalmente nuovi. E di per se solo, forse sarebbe stato sufficiente a fargli ottenere la cattedra da ordinario, se per vincere concorsi fosse necessario soltanto il merito, e si potesse fare a meno dell'aiuto di potenti santi protettori che sappiano imporre la loro volontà. Voglio ancora accennare alle osservazioni che hanno tenuto occupato il Capobianco negli ultimi anni di sua vita , cioè a dire a quelle riguardanti l'eosinofilia sperimentale e le modifi¬ cazioni morfologiche del sangue di animali eterotermi con le variazioni dell'ambiente. Le ricerche sull’eosinofilia sperimentale portano un contri¬ buto rilevante alla discussa quistione della genesi dei leucociti eosinofili, argomento intorno al quale si è molto scritto nei più differenti campi di indagine ematologica, senza venire ad un ac¬ cordo concreto. Il Capobianco volle affrontare la questione sperimentalmente , partendo dalla teoria del Weidenreich. Secondo questa teoria si avrebbe la formazione di granuli eosinofili per inclusione, da parte dei fagociti, di frammenti di eritrociti. Perchè questa teo¬ ria sia vera è necessaria 1'esistenza da un lato di eritrocitolisi e dall'altro, di fagocitosi ; sono necessarie, cioè a dire condizioni tali che producono eritrocitolisi e non ostacolino la fagocitosi. Il Capobianco intuì che una di queste condizioni poteva essere il calore e con osservazioni periodiche, mantenendo gli animali (sperimentava sulla Testuggine) vivi in ambiente termico quasi costante, fra 35°C. e 38°C., notò non solo aumento degli eosi¬ nofili, ma contemporaneamente riscontrò eritrocitolisi e fagoci¬ tosi. In tal modo portava un contributo di fatti puramente spe¬ rimentali intorno ad un fenomeno la cui spiegazione fino allora era rimasta nella pura teoria ; e queste osservazioni sono tanto più valorizzate per quanto è sempre maggiore l’importanza che l'eosinofilia viene acquistando in patologia. Dagli studii sull'eosinofilia negli animali eterotermi sotto l’azione del calore, Egli fu portato a delle indagini ancora più interessanti ; allo studio, cioè a dire, degli effetti di un ambiente — 156 — termico, relativamente elevato , sui corpuscoli sanguigni di ani¬ mali eterotermi, Rane e Salamandre. Dopo aver tenuto per al¬ cuni giorni questi anfibi in ambiente a temperatura relativamente costante fra 32 e 34UC., egli potette notare che i globuli rossi, da che erano nucleati e di forma ellittica, divenivano, in gran¬ dissimo numero di torma rotonda e perdevano il nucleo. Con accuratezza minuta egli segue i passaggi dalla forma ellittica alla rotonda, segue la scomparsa del nucleo senza che nulla compaia che possa dar luogo all’ interpretazione di alterazioni patalogi- che. E con criterii moderni di chimica fisica, Egli con robuste disquisizioni , passa ad interpretare il fenomeno , i risultati del quale Egli otteneva non mutando bruscamente e temporaneamente le condizioni esterne di vita, ma giungendovi con adattamento progressivo. Impiantò così l' inizio degli studii sul comportamento dei varii tessuti ed organi non nella loro funzione d’ insieme , ma nelle loro unità elementari, perseguendo la ricerca analitica dei fenomeni risultanti fin dentro le cellule, al cui studio ci ricon¬ duce Tesarne di qualsiasi funzione speciale delTorganismo vivo. I magnifici risultati ottenuti lo portarono ad allargare le sue ricerche, sperimentando con condizioni ambienti diverse. E con criterio ancora più originale Egli manteneva, con tecnica particolare e precauzioni adatte, il sangue di Rana in siero di Cane. Anche qui otteneva il cambiamento di *orma e la scomparsa del nucleo. Ma la morte venne bruscamente a troncare queste ultime osservazioni che Egli non ebbe il tempo di estendere in mano¬ scritto, ma che io ebbi occasione di minutamente seguire nel laboratorio aiutandolo nella sperimentazione e che d' altronde sono documentate dalle numerose microfotografie già fatte a misura che le esperienze procedevano. E noi ci auguriamo che l’indirizzo nuovo dato da tale ma¬ gnifica concezione di studii biologici possa essere continuato nell’interesse della scienza e in omaggio alla memoria di lui che visse sempre modesto e non tronfio come alcuni Dottori dalla produzione larga e vuota. II Capobianco fu socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Napoli e del R. Istituto d’incoraggiamento, fu — 157 — socio ordinario dell'Accademia Pontaniana, faceva parte di varii sodalizii scientifici ed all' epoca della sua fine era presidente della nostra Società. In guerra prestò lungo ed entusiastico servizio sanitario, non soltanto in zona contumaciale, ma anche in zona di guerra. Fu altresì deputato al parlamento nella penultima Legisla¬ tura. Ed anche in quell'ambiente si distinse per la serietà del suo carattere e la giustezza delle sue vedute. Qualità che Egli poteva far brillare per una sua dote che non da tutti era cono¬ sciuta nell'ambiente scientifico : Egli era un magnifico oratore di una facondia calda, avvincente, densa di pensiero e di senti¬ mento, basata su di una solida cultura letteraria e storica , che Egli di solito non metteva in mostra. Appassionato amatore della patria Egli la mise al di sopra della politica anche quando fu uomo 'politico. Appassionato a- matore della scienza, seppe vederla al disopra delle piccole com¬ petenze personali e degli interessi materiali, e mantenne sempre alta la serenità dei suoi studi. Ma egli ebbe un altro grande amore : la casa. Amore che andava dall'ordinamento delle magnifiche opere d' arte che l'a- domavano, alla bella famiglia che lo circondava, per la quale Egli aveva un culto frenetico e nel grembo della quale il suo animo si riposava, e nel cui affetto trovava il compenso ai di¬ singanni della vita esterna. E in questa famiglia vi è uno, il più piccolo dei suoi mem¬ bri, il quale non avrà la fortuna di portare nella sua memoria impresso il ricordo della figura del Padre e della dolcezza della sua parola, perchè era ai primi giorni della sua vita allorché Egli si dipartì, e che, per ironia della sorte, la prima parola che ha pronunziata è stata quella di papà. A questi otto figli ancora doloranti, che ancora sentono viva la mancanza del consiglio paterno e della sua parola di af¬ fetto, sia di conforto il pensiero che Egli ha lasciato largo rim¬ pianto non solo nella nostra Società di Naturalisti, ma in tutti coloro che ebbero occasione di essergli vicino per comunità di studi o di affari. Elenco delle pubblicazioni del Prof. F. Capobianco 1. - Contribuzione alla istologia delle fibre nervose midollate (in collaborazione con Germano). Giornale dell'Assoc. dei Natu¬ ralisti e Medici di Napoli. Anno I, N. 1, 1889, con tav. litogr. 2. - Per la storia delle cognizioni sulla struttura delle fibre ner¬ vose midollate (in collaborazione con Germano). Ibidem. 3. - Della natura dei corpuscoli di Hassal. Contribuzioni alle co¬ noscenze morfologiche del Timo. Boll, della Soc. dei Naturalisti in Napoli, Anno IV, Voi. IV, fase. 2°, 1890. 4. - Ulteriori ricerche sulle alter azioni istologiche del midollo spi¬ nale, seguite alla tiroidectomia. Boll, della Soc. dei Naturalisti in Napoli. Serie la, Voi. VI, 1892. 5. - Contribuzioni alla morfologia del timo. Giornale dell’Assoc. Napol. di Medici e Natur. Napoli, Anno 2°, 1891, con tav. li¬ togr. e Arch. ital. de Biolog. Tome 17°, fase. 1°, Torino 1892. 6. - Sulle fini alterazioni dei centri nervosi e delle radici spinali, seguite alla tiroidectomia. Riforma Medica, N. 209 e 210, 1892 e Archiv. ital. de Biolog. 1892. 7. - La pneumonite da tiroidectomia e quella da recisione del vago nei conigli. Riforma Medica, 1893. 8. - Sur mie particularité de structure de l’écorce du cervelet. Archiv. ital. de Biolog. Turin, 1893. 9. - Di un reperto rarissimo o della presenza di fibre muscolari striate nella glandola tiroide. Con tav. litogr. Boll, della Soc. dei Naturalisti in Napoli, Serie la, Voi. VII, 1893. 10. - Ricerche microscopiche e sperimentali su gli effetti della Ti¬ roidectomia. Con 3 tav. litogr. Internat. Monatschrift. Bd. XI, Heft 11, 14, Leipzig, 1894. 11. - Sugli effetti della tiroidectomia negli animali. Atti dell’ XI Congresso internaziona’e di Medicina in Roma, 1894, Voi. II, pag. 9. 12. - La tiroidectomia nei mammiferi. Riforma Medica, N. 97, aprile 1895, Napoli. 159 — - Contributioìi à l’histológie pathologique de la rage. Annales de l’Institut Pasteur. Con tav. litogr. (in collaborazione con Germano), Paris, 1895. - Nuove ricerche su la genesi ed i rapporti mutui degli elementi nervosi e nevroglici. Con 3 grandi tavole cromo -litogr. Acc. Pont, marzo 1897 ed Ann. di Nevr., Napoli, 1898 (in collabor. con FRAGNITO). - Sulla nevroglia del corpo calloso. Boll, della Soc. dei Natu¬ ralisti in Napoli. Voi. XIII, Anno XII, con tav. litogr., 1898. - Su gli effetti della parativoidectomia. Ricerche microscopiche e sperimentali (in collabor. con Mazziotti). Giornale Intern. delle Scienze Mediche. Anno XXI, Napoli, 1899. - Le lesioni renali seguite alla par atiroidectomia. Arte Medica. Anno 2°, N. 29, Napoli, 1900. - Sulla prima genesi delle cellule nervose della midolla e dei gangli sputali. Verhandlugen der Anatomischen Gesellschaft auf der Vierzehnten Versammlung in Pavia, pag. 213, Jena, 1900. - Della influenza di agenti fisico - chimici sovra la eccitabilità dei nervi e dei muscoli lisci n e gV invertebrati. Ricerche spe¬ rimentali. Atti della R. Accad. delle Scienze Fis. e Mat. di Napoli. Voi. X, Serie 2a, 1901. Con 2 grandi tav. litogr. - Della partecipazione me sode r mica nella genesi della nevro¬ glia cerebrale. Boll, del Congresso Zoologico di Napoli, 1901 e Archiv. ital. de Biolog., Tome XXXVII, fase. 1 ’, 1902. - La ergografia del gastrocnemio nell'uomo. Con tracciati gra¬ fici e figura. Monitore Zoologico Italiano, Anno XII, n. 7, 1901. Rendiconto del Convegno dell’Unione Zoologica Italiana in Na¬ poli, 10-13 aprile 1901. Annali di Nevrologia. Napoli, 1901 e Archiv. ital. de Biolog., Tome XXXVII, fase. 1°, 1902. - Dell' azione di alcuni estratti organici sul cuore. Prima nota preliminare. Boll, della Soc. dei Naturalisti in Napoli, Anno XVII, Voi. XVII, 1903. - Dell’ azione di alcuni estratti organici sul lavoro muscolare. Con tavole e tracciati grafici intere. Atti della R. Accad. delle Scienze Fis. e Mat. di Napoli. Voi. XII, Serie II, 1905. - Dell’ azione di alcuni estratti organici sulla coagulazione del sangne « in vitro ». Rend. della R. Accad. delle Scienze Fis. e Mat. di Napoli, fase. 4°, 1905. - Sulla rigenerazione sperimentale del parenchima ovarico. Con tav. cromo-litogr. Boll, della Soc. dei Naturalisti in Napoli. Voi. XIX, Serie XIX, 1905. — 160 — 26. - Il a del siero del sangue dopo V asportazione completa e par¬ ziale del sistema tiro-par atiroideo. Annali di Nevrologia, fase. I, II, Napoli, 1905. 27. - Ulteriori ricerche sulla genesi delle cellule nervose. Con 2 tav. cromo-litogr. Annali di Nevrologia, fase. I, II, Napoli, 1905. Arch. ital. de Biolog., Tome XLIV, fase. II, Turin, 1905. 28. - Nuove ricerche sulla Tiroide . Ricerche isto-fisiologiche. Con tav. cromo-litogr. Rendiconto della R. Accad. di Scienze Fis. e Mat. di Napoli, fase. 5 a 7, 1907. 29. - Su Vazione emocoagulativa del Jormiato di perro. Nota spe¬ rimentale. La Medicina Italiana, Anno VII, N. 9, 1909. 30. - A proposito di albuminuria da tiroidectomia. Nota (Rivendica¬ zione di priorità). Il Tommasi, Anno IV, N. 12, 1909. 31. - Su la reazione del contenuto del rumine e sui suoi rapporti con la ruminazione . Rend. della R. Acc. di Scienze Fis. e Mat. di Napoli, fase. 5-7, maggio-luglio 1909. 32. - Sur la lipase gastrique. Comunication au XIX Congrès Inter¬ national de Médecine. Budapest, 1909 (Estratto dagli Atti, Section de Physiologie). 33. - La valeur de la rumination. Communication au XVI Congrès international de Médecine, Budapest 1909 (Estratto dagli atti, Section de Physiologie). 34. - Sulla glucosuria duodenale. Nota sperimentale. Atti della Soc. Italiana per il progresso delle Scienze, IV Riunione di Napoli, Sezione di Fisiologia, 1910. 35. - Sui corpuscoli di H assali del timo. Nota. Ibidem. 36. - Su la pressione osmotica del colostro e del latte. Rend. della R. Acc. di Scienze Fis. e Mat. di Napoli, fase. 3° e 4°, marzo e aprile 1912. Arch. italiennes de Biologie, Tome LVIII, fase. II, Pise 1912. 37. - La correlazione tra le glandole a secrezione interna. Ricerche microscopiche e sperimentali. la Nota. Sistema tiroideo e capsule surrenali. Napoli, 1912. 38. - Su la funzione delle saccocce gutturali dei solipedi. Rend. della R. Acc. di Scienze Fis. e Mat. di Napoli, fase. 7 a 10, luglio a ottobre, 1915. 39. - L' azione di un ambiente termico elevato e costante sugli ete¬ rotermi. Ricerche microscopiche e sperimentali. — Gli eritrociti nel sangue circolante. Con tavole microfotogr. Napoli, 1920. — 161 — 40. - I globuli rossi del sangue di anfibii in funzione di tempera¬ tura. Ricerche microscopiche e sperimentali. Rend. della R. Acc. di Scienze Fis. e Mat. di Napoli. Dicembre 1920, Serie III, Voi. XXVI, 1920. 41. - Gli eritrociti nel sangue circolante di anfibii in funzione di temperatura. 2a Nota. Scomparsa del nucleo. Rend. della R. Acc. di Scienze Fis. e Mat. di Napoli, Ser. III, Voi. XXVII, 1921. 42. - Su la funzione digestiva del cieco negli erbivori. Ricerche sperimentali. Rend. della R. Acc. di Scienze Fis. e Mat. di Na¬ poli, 1920-1922. 43. - La digestione nel rumine ed il suo meccanismo regolatore. Rend. della R. Acc. di Scienze Fis. e Mat. di Napoli, Serie III, Voi. XXX, 1924. 44. - Eosinofilia sperimentale. Riassunto. Rend. della R. Accad. di Scienze Fis. e Mat. di Napoli, Voi. XXX, 1924. 45. - Eosinofilia sperimentale. Contributo alla genesi dei granulo- citi ossifili nei rettili. Memoria con 3 tavole cromolitografiche. Atti della R. Acc. di Scienze Fis. e Mat. di Napoli, Voi. XVII, 1924. 46. - Traduzione italiana della Physiological Histology di G. MANN. Con appendice e note originali (in corso di pubblicazione). Riviste sintetiche Prolusioni, Conferenze 47. - Il sonno. Rivista novissima, 1900, Napoli. 48. - La temperatura del cervello. Ibidem, 1900. 49. - L’autoregolazione termica. Ibidem, 1901. 50. - Lo zucchero come alimento . Ibidem, 1901. 51. - La vita prima della nascita. Conferenza. Rassegna di Ostetricia e Ginecologia, Napoli, 1890. 52. - L’autodifesa dell’organismo. Prolusione al Corso pareggiato d’istologia e Fisiologia generale nella R. Università di Napoli. Giornale « Incurabili », 1901, Napoli. 53. - Il microscopio in fisiologia. Prolusione al Corso pareggiato di Fisiologia sperimentale nella R. Università di Napoli. Napoli, 1904. 54. - Cuore e cervello. Prolusione al Corso di Istologia e Fisiologia generale nella R. Università di Napoli. Napoli, 1905. 55. - L’assistentato negl’istituti scientifici universitari. Il Cimento, , Anno I, N. 2, Napoli, 1914. - 11 - 162 — 56. - La riforma degli ordinamenti nelle scuole medie e nelle Uni¬ versità. Opuscolo, Napoli, 1913. 57. - Cieco e rumine negli erbivori. Prolusione al Corso d’istologia e Fisiologia nella R. Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Napoli. Novembre 1920. 58. - La luce e la vita «Fascino di Luce», Conferenza al «Circolo di Cultura » di Napoli. Gennaio, 1919. 59. - Giovanni Paladino. Necrologia, in Arch. ltal. de Biolog. Tome LXV, Pise, 1917. 60. - Giovanili Paladino. Necrologia, Riforma Medica. Anno XXXIII, N. 5, 1917, Napoli. 61. - Commemorazione del Presidente Giovanni Paladino , letta all’accademia Pontaniana nell’ adunanza del 16 febbraio 1919 dal socio prof. Francesco CAPOBIANCO. Atti dell’Accademia Pon¬ taniana di Napoli, Voi. XLIX, 1919. Finito di stampate il 30 gennaio 1929. Come si eredita la capacità di accrescimento negli incroci reciproci tra le due razze di bachi da seta (Bombyx mori) Varo e Bian¬ co chinese del socio Carlo Jucci (Tornata del 30 gennaio 1927) Introduzione* La scelta , per lo studio del comportamento ereditario, dei caratteri che segnano non un tratto di dettaglio , ma una linea fondamentale nella fisonomia organica, dei caratteri di metaboli¬ smo come la capacità di accrescimento, se ci porta in un campo assai più complicato di quello dei soliti caratteri morfologici e ci costringe al sacrificio di visioni unitarie, ci permette però di aggredire il problema da un punto di vista nuovo. 11 problema fondamentale — come si eredita un carattere — si suole considerare risolto in Genetica quando si è determinato se e come e quanto questo carattere ricompare nei discendenti. Certo, ognuno dei caratteri che appaiono ad un determinato stadio dello sviluppo organico , è V espressione morfologica di uno stato chimico-biologico ; però seguirne la preparazione, scen¬ dendo così al determinismo del carattere, è sempre difficilissimo, spesso impossibile. Ma per i caratteri di metabolismo, caratteri che è possibile seguire lungo lo sviluppo dell'organismo in tutte le fasi, è pos¬ sibile restituire al problema ereditario il suo vero significato : come la potenzialità ereditaria trasmessa dal genitore va disvi¬ luppandosi, attuandosi nell'organismo figlio. Per questo studio non soltanto statico ma benanche dina. — 164 — mico dell'eredità, i bachi da seta costituiscono un materiale ec¬ cellente. Bisogna scegliere due razze nettamente distinte tra loro per tipo metabolico, incrociarle reciprocamente e allevare contempo¬ raneamente, nelle identiche condizioni , i due incroci reciproci, contemporaneamente ripetendo l'allevamento delle razze parentali. Si segue lo sviluppo ponderale dei bachi pesandoli prima e dopo ogni muta, sì da determinare in ogni età il peso iniziale e il peso raggiunto, e, dal loro rapporto, il quoziente di accre¬ scimento che esprime 1' accrescimento relativo , cioè di quante volte il peso si è moltiplicato nel corso dell'età. Si calcola invece l' accrescimento assoluto rapportando il peso raggiunto al peso iniziale della prima età, al peso di nascita. Costruite le curve di sviluppo delle razze parentali e dei loro incroci reciproci, calcolati i valori, nel corso dello sviluppo, de¬ gli accrescimenti assoluti e relativi : , . peso raggiunto alla fine dell'età accrescimento relativo = - — .~t~: — rrr; — ; - peso iniziale dell eta peso raggiunto alla fine dell'età accrescimento assoluto— - - - : - peso di nascita è possibile una compiuta analisi che ci conduce alla determina¬ zione del comportamento ereditario dei caratteri. Incrociando reciprocamente due razze a capacità di sviluppa notevolmente diverso , i neonati degli incroci appaiono identici o quasi a quelli della razza materna, mentre alla fine dello svi¬ luppo raggiungono ambedue una grossezza presso a poco in¬ termedia tra quelle caratteristiche della razza materna e della paterna. È presumibile che nel corso dello sviluppo di questi ibridi avvenga un graduale passaggio dal tipo metabolico materno al tipo metabolico intermedio. Anzi è stata questa considerazione la prima che mi ha spinta a intraprendere lo studio dell' eredità del tipo metabolico nei bachi da seta secondo la curva di sviluppo di razze pure e lora incroci reciproci. Finora si è troppo studiata l'ereditarietà dei caratteri, la lora 165 — trasmissione da una generazione all'altra, senza badare, non dico al loro determinismo (che solo in pochi casi è possibile accer¬ tare) ma nemmeno al loro sviluppo nell'ontogenesi. Donde con¬ cezioni dell' eredità prevalentemente statiche , mentre 1' eredità, come tutti i fenomeni della vita, è essenzialmente dinamica. Le razze parentali. Sono state scelte le due razze Bianco e Varo Chinese, l'una del tipo delle piccole razze orientali, 1' altra delle grosse razze indigene. Nella primavera del 1923 si è compiuto in condizioni rigo¬ rosamente identiche l'allevamento delle due razze parentali, e dei due incroci reciproci (il seme è stato fornito dalla Ditta Catenacci di Milano). Nella seguente tabella sono riassunti i dati concernenti lo sviluppo della razza Bianco Chinese : Bianco Chinese Età Peso iniziale Peso raggiunto (in gr.) Accrescimento assoluto Accrescimei relativo I. 0,00043 0,00460 10,7 10,7 II. 0,00440 0,0272 63,25 6,181 III. 0,0260 0,1266 294,4 4,869 IV. 0,1236 0,5170 1202,3 4,183 V. 0,5085 3,228 7507 6,348 maturi 2,356 bozzolo 1,244 73 °/o ) 38 » \ \ del peso a massimo » accrescimento. allo sfarfallamento 1,113 34 » ) Si manifesta nella sua tipica forma l'andamento decrescente, traverso le età , della capacità di accrescimento che si dimezza passando dalla prima alla seconda e nelle successive età , terza e quarta, tende ancora a diminuire. Si risolleva però nella quinta ed ultima ; nè sembra che il risollevamento sia soltanto appa¬ rente (ved. Tav. 4, diagr. V). — 166 — È vero che il peso del baco a massimo accrescimento è molto lordo e non ben paragonabile al peso dei bachi in son¬ no ; ma, anche prendendo come peso finale della quinta età un peso intermedio tra quello del baco a massimo accrescimento e quello del baco maturo 3,228 + 2,356 — - ^ ' - = 2,792 ; il quoziente d' accrescimento nella quinta età risulta 2,792 : 0,5085 = 5,490 spiccatamente superiore a quello della quarta ed anche a quello della terza età. Osservazioni analoghe valgono per la razza Varo della quale i dati concernenti lo sviluppo sono riassunti nella seguente ta- bella : Varo Età Peso iniziale Peso raggiunto (in gr.) Accrescimento assoluto Accresci mento relativo 1. 0,00054 0,00750 13,89 13,89 li. 0,00728 0,0450 83,3 6,181 III. 0,04189 0,1950 361,1 4,655 IV. 0,1856 0,8707 1612,4 4,691 V. 0,8491 5,011 9280 5,902 maturi 3,890 77 °/ 1 1 lo bozzolo 2,000 39 » ( del peso a massimo » ( accrescimento. allo sfarfallamento 1,912 38 » Per mettere in evidenza le divergenze di tipo metabolico tra le due razze Bianco Chinese e Varo, calcoliamo i Rapporti Bianco Chinese — Varo Età Rapporto ponderale tra i pesi iniziali Rapp. di accresci m. assoluto Rapp. di accrescine relativo I. 0,797 0,770 0,770 li. 0,604 0,759 1,000 III. 0,621 0,815 1,046 IV. 0,666 0,745 0,892 V. 0,598 0,809 1,075 tra i pesi a massimo accrescimento 0,644. — 167 — Il valore della capacità d'accrescimento del Bianco Chinese rispetto al Varo è basso nella prima età , va salendo nelle suc¬ cessive (0,77 nella prima; 1,075 nella quinta) sicché T accresci¬ mento assoluto del Bianco rispetto al Varo si sposta da un va¬ lore del 77 °/0 nella prima età ad un valore dell' 81 °/0 i ella quinta età. Ma, per il minore accrescimento nella prima età , il valore del peso del Bianco Chinese rispetto al Varo è sceso dal 79 °/0 (alla nascita) al 60 °/0 (dopo la prima muta) e non si risolleva che di poco nelle età successive , si che il peso a massimo ac¬ crescimento del Bianco Chinese rispetto al Varo è il 64 °/0 ap¬ pena. Dunque il Varo cresce, anche relativamente (al peso di na¬ scita) più del Bianco Chinese ; e questo maggiore accrescimento (9280 anziché 7507 volte) dipende sopratutto dalla maggiore capacità di accrescimento alla prima età. Difatti se il bacolino di Varo dopo la prima muta assumesse la capacità di accrescimento del Bianco Chinese : 0,00728 x 6,181 = 0,045 x 4,183 = 0,825 x 4,869 = 0,1972 x 6,348 = 5,237 arriverebbe al peso di gr. 5,24 (5,24 : 5, 78 = 0,906) anziché a 5,78 (come moltiplicando per i quozienti di accrescimento di Varo). E viceversa se il bacolino di Bianco Chinese dopo la pri¬ ma muta assumesse la capacità di accrescimento del Varo : x 4,655 = 0,1266 x 5,902 = 3,506 0,00440 x 6,181 = 0,02721 x 4,691 = 0,594 arriverebbe al peso di gr. 3,51 (proprio come moltiplicando per i quozienti di accrescimento di Bianco); raggiungerebbero cioè presso a poco lo stesso accrescimento che raggiungono svilup¬ pandosi secondo la capacità delle loro razze. Il rapporto ponderale si manterrebbe pressoché immutato : 3,510 : 5,24 = 0,66 il 66 invece che il 64 °/0 (64 °/0 è il rapporto ponderale calcolato tra i pesi a massimo accrescimento; mentre calcolando tra i prodotti per le capacità di accrescimento è inferiore a 0,61 e allora pare sensibile il van- — 168 — faggio per il Bianco , evidentemente in ragione della sua infe¬ riorità di capacità di accrescimento alla quarta età). Nella seguente tabella, dai dati di sviluppo delle due razze Bianco Chinese e Varo , sono calcolati i valori medi che utiliz¬ zeremo poi per il confronto con i dati di sviluppo dei due in¬ croci reciproci. Media Bianco Chinese — Varo Età Peso iniziale Accrescimento Accrescimento (in gr.) assoluto relativo I. 0,000485 12,29 12,29 II. 0,00584 73,2 6,181 III. 0,0339 327,7 4,762 IV. 0,1546 1407 4,437 V. 0,6793 8393 6,125 a massimo accrescimento 4,120 maturi 3,123 bozzolo 1,622 » allo sfarfallamento 1,512. GV incroci reciproci. Seguito il corso dello sviluppo nelle razze parentali, passia¬ mo a studiare gl' incroci : primo quello ottenuto dalla feconda¬ zione della femmina gialla indigena col maschio orientale. Ecco i dati relativi : 9 Varo c? Bianco Età Peso iniziale Peso raggiunto Accrescimento Accrescimento (in gr.) assoluto relativo I. 0,000565 0,00742 13,13 13,13 II. 0,00715 0,0383 67,8 5,357 III. 0,0382 0,1751 309,9 4,584 IV. 0,1656 0,7800 1380,5 4,710 V. 0,7501 4,433 7846 5,909 maturi 3,466 78 °/o , bozzolo 1,730 39 » ( dei bachi a massimo » accrescimento. allo sfarfallamento 1,571 35 » — 169 — Per metterci in grado di meglio apprezzare le divergenze di tipo di accrescimento tra l'incrocio e le razze parentali, sì da sceverare nel prodotto il valore dei due fattori , paterno e ma¬ terno , esaminiamo in che rapporto stanno tra loro , nelle varie età, gli accrescimenti. Calcoliamo anzitutto i rapporti tra i valori per l'incrocio e i valori per la razza materna. Rapporti 9 Varo c? Bianco — Varo Età Rapporto ponderale tra i pesi iniziali Rapp. di accresci m. assoluto Rapp. di accrescim relativo I. 1,041 0,945 0,945 II. 0,982 0,814 0,867 III. 0,912 0,858 0,984 IV. 0,892 0,856 1,004 V. 0,883 0,845 1,001 dei bachi a massimo accrescimento. Il valore della capacità d'accrescimento del 9 Varo c? Bianco rispetto al Varo è abbastanza elevato nella prima età, di poco inferiore a quello del Varo ; nella seconda età si abbassa spic¬ catamente, per risalire energicamente nella terza, ed elevarsi an¬ cora un poco nella quarta e nella quinta, raggiungendo (e lieve¬ mente superando) la capacità d'accrescimento della razza materna. Sicché l'accrescimento assoluto del 9 Varo c? Bianco rispetto al Varo si sposta da un valore del 94 °/0 nella prima età, a un valore dell'81 °/0 nella seconda, dell'84 °/0 nella quinta. E il valore del peso del 9 Varo c? Bianco rispetto al Varo, scende, attraverso le età, dall' 1 ,04 °/0 (alla nascita) all'88 °/0 (a mas¬ simo accrescimento) scostandosi sempre più dalla razza materna. Dunque : il 9 Varo c? Bianco cresce meno del Varo (7846 anziché 9280 volte il peso di nascita) e questo minore accresci¬ mento dipende sopratutto da abbassata capacità di accrescimento nella seconda età. Difatti, se il 9 Varo Bianco dopo la seconda muta assu- a massimo accrescimento 0,885 \ tra i maturi 0,899 / » bozzoli 0,865 ( » allo sfarfallarti. 0,822 ) — 170 — messe gli accrescimenti del Varo, arriverebbe a un peso di gr. 4,92 (anziché 4,87 come moltiplicando per le capacità sue pro¬ prie) guadagnando ben poco (4,92 : 4,87 = 1,01). E se il Varo dopo la seconda muta assumesse gli accresci¬ menti del 9 Varo c? Bianco, arriverebbe ad un peso di gr. 5,34 9 Varo c? Bianco il rapporto ponderale - Varo - spostandosi soltanto leggermente, da 88 °/0 a 92 °/0 (4,87 : 5,34 = 0,921). Mentre, assumendo la capacità d'accrescimento del Varo sin dalla prima muta il bacolino di 9 Varo c? Bianco arriverebbe ad un peso di gr. 5,67, guadagnando molto (5,67 : 4,87 = 1,16) sì da avvicinarsi assai al peso del Varo (calcolato dal prodotto delle sue capacità) 5,67 : 5,97 = 0,95. E il bacolino di Varo , assumendo dopo la prima muta la capacità di accrescimento del Varo Bianco, arriverebbe ad un peso di solo gr. 4,96 : il rapporto ponderale balzando da 88 °/* a 1,14 °/0 (5,67 : 4,96 = 1,14). Dunque: invertendo dopo la seconda muta, la capacità di accrescimento, è ben piccolo il guadagno per 9 Varo c? Bianco e la perdita per Varo; il che dimostra che Y inferiorità dell’in¬ crocio dipende da minore capacità d' accrescimento nelle due prime età: più nella seconda che nella prima, giacché invertendo la capacità d'accrescimento dopo la prima muta, è imponente il guadagno per 9 Varo c? Bianco e la perdita per Varo. Passiamo a confrontare lo sviluppo dell'incrocio 9 Varo c? Bianco con quello della sua razza paterna. Rapporti 9 Varo c? Bianco — Bianco Età Rapporto ponderale Rapp. di accrescim. Rapp. di accrescim. tra i pesi iniziali assoluto relativo 1. 1,314 1,227 1,227 II. 1,625 1,072 0,867 111. 1,469 1,053 0,941 IV. 1,341 1,148 1,126 V. 1,476 1,045 0,931 a massimo accrescimento 1,373 -* tra i maturi 1,471 » bozzoli 1,390 » allo sfarfallam. 1,411. — 171 Il valore della capacità d’accrescimento del 9 Varo cf Bianco rispetto al Bianco Chinese è molto elevato nella prima età, spic¬ catamente superiore a quello del Bianco Chinese ; nella seconda età s'abbassa spiccatamente , scendendo parecchio al disotto di quella del Bianco, cui si riavvicina nella terza per raggiungerla (e lievemente superarla) nella quarta (abbassandosi di nuovo nella quinta). Sicché 1' accrescimento assoluto del 9 Varo c? Bianco ri¬ spetto al Bianco, s'abbassa lievemente da un valore dell' 1,22 (per la prima età) ha un valore dell' 1,04 per la quinta. E il valore del peso da 1,11 alla nascita (sbalzato a 1,02 con la prima età, risceso nelle successive) si porta a 1,37 nel massimo accresci¬ mento. Dunque : il 9 Varo c? Bianco presenta un accrescimento solo leggermente superiore a quello della razza paterna Bianco Chinese (7846 anziché 7507 volte il peso di nascita) ; e se il va¬ lore del peso raggiunto è notevolmente superiore alla media tra le due parentali — più vicino a quella della razza materna — gli è per influenza dei primi stadi di vita (maggiore peso dell'uovo, vantaggio iniziale mantenuto e ingrandito per la maggiore ca¬ pacità d’accrescimento nella prima età). Difatti, attribuendogli la capacità d’accrescimento del 9 Varo c? Bianco, un neonato di (peso uguale a quello di) Bianco Chi¬ nese arriverebbe a un peso di gr. 4,442 ; e un bacolino mutato di prima muta di (peso uguale a quello di) Bianco Chinese ar¬ riverebbe al peso di gr. 3,001 ; raggiungendo invece, secondo le loro proprie capacità , il 9 Varo c? Bianco il peso di 4,83 e il Bianco Chinese il peso di gr. 3,67. Nel primo caso il baco a- vrebbe perduto parecchio (il 9 °/0) scemando la sua superiorità rispetto al Bianco; nel secondo caso avrebbe perduto moltissimo (il 38 °/0) con uno sviluppo d'assai inferiore a quello del Bianco stesso. E del resto, rispetto alla media teorica dei valori delle razze parentali Bianco Chinese e Varo , l' incrocio 9 Varo c? Bianco presenta solo 1' accrescimento relativo della prima età (e anche della quarta, e l'assoluto della prima) superiore alla media, ben¬ ché il valore del peso sia per tutte le età superiore. Con un peso di nascita pari, se non superiore, l'incrocio rag- — 172 — giunge , nello sviluppo larvale, un peso inferiore (il 12 °/0) a quello della razza materna. La capacità d' accrescimento nella prima età, se è spiccata- mente superiore a quella della razza paterna (il 23 °/0) è però leggermente inferiore a quella della materna (del 6%) e nella seconda età s' abbassa assai notevolmente , scendendo anche al disotto di quella della razza paterna. Evidentemente il carattere della razza paterna già nella prima età si fa sentire ; e nella se¬ conda s'impone energicamente; e nelle successive tende ancora a prevalere, senza però riuscire a cancellare l'orma dell’ iniziale prevalenza materna. Nelle età seguenti terza , quarta e quinta, non è facile discriminare l'influenza paterna e materna, dato che dalla prima muta in poi le capacità d' accrescimento delle due razze parentali sono poco diverse e nel loro prodotto equivalenti. Del resto conviene forse spingere sino a un certo punto, e non oltre, le considerazioni sulle capacità d'accrescimento nelle singole età dell' incrocio rispetto alle corrispondenti delle razze parentali. Giacché il carattere paterno , svolgendosi in ritardo rispetto al materno, potrebbe contribuire magari ad allontanare anziché avvicinare al valore paterno la capacità d'accrescimento dell'incrocio. Consideriamo ad esempio il valore della capacità d'accresci¬ mento dei nostro incrocio alla seconda età. 9 Varo c? Bianco Il rapporto tra la capacità d’accrescimento - Varo - alla seconda età è 0,86 che rappresenta precisamente la media Bianco tra i due valori che assume il rapporto ~ nella prima e / 0,77 + 1,00 \ nella seconda età - - - = 0,88 1 . S’intuisce che l’abbassamento spiccato che avviene nella ca¬ pacità d' accrescimento del 9 Varo c? Bianco, al disotto del va¬ lore della razza paterna, dipende dal fatto che, nella seconda età dell' incrocio , la capacità d' accrescimento è determinata da un fattore materno — capacità d'accrescimento della razza materna nella seconda età — e da un fattore paterno che dipende dalle capacità d' accrescimento della razza paterna non solo nella se¬ conda ma anche nella prima età. Insomma, svolgendosi il carat- — 173 — tere paterno in sensibile ritardo rispetto al materno, le capacità d'accrescimento della razza paterna nella prima età, che ha co¬ minciato nella prima età ad influire sulla capacità d'accrescimento dell'ibrido, senza riuscire ad abbassarla fino alla media teorica, seguita , nella seconda età, ad influire sulla capacità d' accresci¬ mento dell’ibrido ; anzi concorre, con la capacità d'accrescimento delle razze alla seconda età, a determinarne il valore. Passiamo allo studio dell'incrocio reciproco, quello ottenuto da femmina orientale fecondata da maschio giallo indigeno. Nella seguente tabella sono riassunti i dati concernenti lo sviluppo. 9 Bianco c? Varo Età Peso iniziale Peso raggiunto (in gr.) Accrescimento assoluto Accrescimento relativo 1. 0,00042 0,00508 12,1 12,10 II. 0,00528 0,0299 71,2 5,663 III. 0,0320 0,1517 361,2 4,741 IV. 0,1400 0,7052 1679 5,037 V. 0,ò588 3,955 9417 6,000 maturi 3,000 76 °/0 bozzolo 1,673 42 » / del peso a massimo * „ ^ ^ accrescimento, allo sfarfallamento 1 ,536 39 » / Confrontiamo lo sviluppo dell'incrocio 9 Bianco c? Varo a quello della razza materna, la Bianca Chinese, calcolando i Rapporti 9 Bianco c? Varo — Bianco Età Rapporto ponderale Rapp. di accrescim. Rapp. di accrescim. tra i pesi iniziali assoluto relativo I. 0,977 1,131 1,131 II. 1,200 1,125 0,916 III. 1,231 1,227 0,974 IV. 1,133 1,396 1,204 V. 1,296 1,254 0,945 a massimo accrescimento 1,225 tra i maturi 1,273 bozzoli 1,345 » » allo sfarfallare 1,380. 174 Il valore della capacità d’accrescimento del 9 Bianco c? Varo rispetto al Bianco è sensibilmente superiore (il 13 °/0) nella prima età, ma inferiore nelle successive (tranne che nella quarta). Tuttavia il rapporto tra gli accrescimenti assoluti si eleva attraverso le età e così anche il valore del peso del 9 Bianco cf Varo rispetto al Bianco, peso che dal valore iniziale ,di 0,98 (alla nascita) sale a 1,23 (a massimo accrescimento). Dunque : il 9 Bianco cf Varo presenta un accrescimento superiore a quello della razza materna (9417 anziché 7502 volte il peso di nascita) sopratutto per una maggiore capacità di ac¬ crescimento alla prima età. Difatti un bacolino di prima muta, di (peso uguale a quello di) Bianco Chinese, continuando a svilupparsi con le capacità di accrescimento del 9 Bianco cf Varo , raggiungerebbe un peso di gr. 3,568 : di molto inferiore a quello del 9 Bianco cf Varo, 4,121 (l'86°/0 appena); e anche un po' inferiore a quello del Bianco Chinese (3,67). Viceversa un bacolino mutato di prima muta , di (peso u- guale a quello di) 9 Bianco cf Varo assumendo le capacità di accrescimento della razza Bianco Chinese , raggiungerebbe un peso di gr. 4,22 molto superiore a quello di Bianco Chinese e anche un po’ superiore a quello di 9 Bianco cf Varo. Confrontiamo ora lo sviluppo dell’ incrocio a quello della razza paterna, la Varo, calcolando i Rapporti 9 Bianco cf Varo — Varo Età Rapporto ponderale tra i pesi iniziali Rapp. di accrescim. assoluto Rapp. di accrescim. relativo I. 0,778 0,871 0,871 li. 0,725 0,855 0,916 III. 0,764 1,000 1,018 IV. 0,754 1,042 1,074 V. 0,776 1,015 1,016 a massimo accrescimento 0,789 tra i maturi 0,771 bozzoli 0,836 » » allo sfarfallati!. 0,804. 175 — Rispetto alla razza paterna Varo , il 9 Bianco c? Varo pre¬ senta un quoziente d'accrescimento basso alla prima età ed an¬ che alla seconda, ma parimenti elevato (e anche un po' superiore) nelle successive. Onde l'accrescimento assoluto sale da 0,87 (nella prima età) a 1,01 (nella quinta) ; ed il valore del peso si mantiene sul rap¬ porto iniziale, sale anzi leggermente dal 78 al 79 °/0 rispetto alla razza paterna. Dunque: il 9 Bianco c? Varo presenta un accrescimento non meno elevato, anzi un po' superiore (9417 invece di 9280 volte il peso di nascita) a quello della razza paterna, l'influenza della quale si manifesta chiaramente nella prima età. Se, malgrado questo, il valore del peso si mantiene sempre inferiore, non solo a quello della razza Varo, ma benanche alla media teorica tra le due parentali (mentre il valore dell'accresci¬ mento assoluto, inferiore nelle due prime età alla media teorica, la supera nella successiva) ; gli è per l' inferiorità iniziale data dal peso del neonato basso come quello della razza materna : inferiorità l'orma della quale l’influenza paterna non riesce a cancellare. Difatti un neonato di (peso uguale a quello di) Varo, assu¬ mendo le capacità di accrescimento del 9 Bianco c? Varo, rag¬ giungerebbe un peso di gr. 5,297 : di assai superiore al peso di 9 Bianco c? Varo (5,297 : 4,121 = 1,285) e avvicinato al peso di Varo (5,297 : 5,855 = 0,905) il rapporto ponderale spostan¬ dosi dal 79 al 90 °/0). Un bacolino poi, mutato di prima muta, di peso uguale a quello del Varo, assumendo le capacità di accrescimento del 9 Bianco c? Varo, arriverebbe a un peso di gr. 5,911 : ad un peso cioè di gran lunga superiore al peso di 9 Bianco c? Varo (5,911 : 4,121 = 1,434) ed uguale (anzi lievemente superiore) al peso di Varo (5,911 : 5,855 = 1,01). Dunque: veramente l'inferiorità dell’incrocio 9 Bianco c? Varo, rispetto al Varo, è tutta nel peso inferiore alla nascita e nella minore capacità di accrescimento alla prima età. — 176 — * & & A meglio chiarire il nostro esame analitico, dopo aver con¬ frontato ciascuno dei due incroci reciproci colle due razze pa¬ rentali, confrontiamoli ora tra loro, calcolando i Rapporti 9 Bianco c? Varo — 9 Varo c? Bianco Età Rapporti ponderali tra i pesi iniz. tra i pesi ragg. media ') Rapp. di accresc. assoluto Rapp. di accresc. relativo I. 0,743 0,680 0,743 0,921 0,921 II. 0,730 0,780 0,705 1,050 1,052 III. 0,830 4,866 0,805 1,160 1,034 IV. 0,845 0,904 0,855 1,220 1,069 V. 0,878 0,892 0,891 1,200 1,015 tra i maturi 0,865 » bozzoli 0,967 » » allo sfarfallarti. 0,978. La capacità d'accrescimento del 9 Bianco c? Varo, notevol¬ mente minore di quella del reciproco, alla prima età , diviene nella seconda leggermente superiore e nelle successive si man¬ tiene tale. Onde l'accrescimento assoluto sale da 0,92 nella prima età a 1,2 nella quinta; e il valore del peso del 9 Bianco c? Varo rispetto al 9 Varo c? Bianco sale dal 74 all'89 °/0 (restando solo di poco inferiore alla media tra le due parentali). Dunque : il 9 Bianco c? Varo cresce più del 9 Varo c? Bianco (9417 anziché 7846 volte il peso di nascita), malgrado una minore capacità d'accrescimento alla prima età. Inferiore per peso di nascita , nel corso della prima età perde ancora terreno rispetto al reciproco ; ma lo va poi con¬ quistando passo passo nelle successive , diminuendo lo scatto rispetto al reciproco dei due terzi, dal 30 al 10 °/0 : dal 29,5 °/0 nella seconda età, al 19,5 °/0 nella terza, al 14,5 °/0 nella quarta, al 10,9 °/0 nella quinta * 2). 9 Tra il peso iniziale d'una età e il peso raggiunto nella precedente. 2) Difatti il neonato di (peso uguale a quello di) 9 Bianco (f Varo sca¬ piterebbe a svilupparsi secondo le capacità d' accrescimento del 9 Varo (f — 177 — Il $ Bianco cf Varo guadagna rispetto al Bianco il 24°/0, il doppio di quello che perde il $ Varo cf Bianco rispetto al Varo (il 12 °/0). 9 Bianco cf Varo Difatti il rapporto ponderale - Bianco - Sa^e ^a alla nascita a 1,22 a massimo accrescimento; e il rapporto pon- 9 Varo cf Bianco derale - - - scende da 1,04 a 0,88. Varo ’ ’ Ora la differenza finale (tra i pesi a massimo accrescimento) tra Varo e Bianco è proprio del 36 °/0 (il peso del Bianco Chi- nese è il 64 °/0 di quello del Varo) (ved. Tav. 2, diagr. I). Questa differenza parrebbe dover essere interamente colmata dal guadagno del 9 Varo cf Bianco sommato alla perdita del 9 Bianco cf Varo (24 + 12 = 36). Ma non lo è ; e non lo può essere perchè il 24 °/0 che il 9 Bianco cf Varo guadagna rispetto al peso del Bianco , è un peso minore del 24 °/0 del peso del Varo che rimane di diffe- Bianco ; mentre il neonato di 9 Varo cf Bianco guadagnerebbe a svilupparsi secondo le capacità di accrescimento del 9 Bianco cf Varo : conferma che la capacità di accrescimento complessiva del 9 Bianco cf Varo è maggiore di quella del 9 Varo cf Bianco. E tanto più scapiterebbe il bacolino mutato di prima muta del 9 Bianco cf Varo e guadagnerebbe il bacolino mutato di prima muta del 9 Varo cf Bianco, a seguitare lo sviluppo con la capacità d'accrescimento del rispettivo reciproco : conferma che se la capacità d'accrescimento complessivo del 9 Varo cf Bianco non è poi tanto inferiore a quella del reciproco, gli è per la supe¬ riorità di quello su questo alla prima età. Calcolando : un neonato di (peso uguale a quello di) 9 Bianco cf Varo assumendo gli accrescimenti del 9 Varo cf Bianco raggiungerebbe un peso di gr. 3,761, che e : 91 % del peso di 9 Bianco cf Varo e il 78% del peso di 9 Varo cf Bianco. Viceversa, un neonato di 9 Varo cf Bianco assumendo gli accrescimenti del reciproco raggiungerebbe un peso di gr. 5,546 eh' è del 15% superiore al peso di 9 Varo % Bianco e del 34 % superiore al peso di 9 Bianco cf Varo. Un bacolino mutato di prima muta, di 9 Bianco cf Varo, assumendo gli accrescimenti del reciproco, raggiungerebbe un peso di gr. 3,604 che è l'87 °/# del peso di O Bianco cf Varo e il 74 % del peso di 9 Varo cf Bianco. Viceversa un bacolino di prima muta di 9 Varo cf Bianco assumendo gli accrescimenti del 9 Bianco cf Varo arriverebbe al peso di gr. 5,806 che è del 49 % superiore al peso di 9 Bianco cf Varo e del 20 % superiore al peso di 9 Varo cf Bianco. - 12 - — 178 — renza tra il peso del 9 Varo c? Bianco e il peso del Bianco, in ragione dell'inferiorità iniziale del Bianco rispetto al Varo. Può dirsi dunque che il 9 Bianco c? Varo guadagna rispetto alla sua razza materna il doppio di quel che perde, rispetto alla sua razza materna, il reciproco. E che, se gli effetti inversi dell’influenza paterna non con¬ ducono i due incroci reciproci all' identico accrescimento, gli è che questa influenza paterna, per forte che sia, non riesce a col¬ mare il dislivello di una inferiorità iniziale. Vero è che il dislivello residuo tra i due incroci reciproci deve forse considerarsi un po' meno cospicuo di quel che i valori dei bachi a massimo accrescimento non indichino. Giacché il rapporto ponderale tra i due reciproci da 89 °/0 sale al 96 °/c se calcolato tra il peso dei bozzoli. Ora un disli¬ vello del 7 °/0 sembra troppo elevato per essere riportarle tutto a differenza, tra i due incroci, di consumo metabolico negli stati di maturazione e di imbozzolamento. Tanto più che, durante il successivo sviluppo crisalidale, il decremento in peso dei bozzoli è corrispondente nei due incroci riducendosi in ambedue, il peso dei bozzoli alla vigilia dello sfarfallamento, al 91 °/0 dell'iniziale (0,908 perii 9 Varo c? Bianco; 0,918 per il 9 Bianco c? Varo). Notare che il valore del 91,5 °/0 rappresenta quasi esatta¬ mente la media tra i due valori corrispondenti delle razze pa¬ rentali : 1;89 °/0 del Bianco Chine se e il 95 °/0 del Varo. Invece il valore del 42 °/0 che rappresenta per il 9 Bianco cf Varo il peso del bozzolo, rispetto al peso del baco a massimo accrescimento, è notevolmente elevato non solo rispetto al valore corrispondente del reciproco ma benanche ai valori delle razze parentali. D'altra parte è da riflettere che se la determinazione dei pesi a massimo accrescimento va soggetta a molte cause d'errore (per la percentuale più o meno grande di contenuto intestinale) i pesi iniziali della quinta età sono però bene attendibili. Ora il rapporto tra di essi è di 0,87 e nel corso dell’età sale a 0,89 °/0, essendo la capacità d’accrescimento del 9 Bianco c? Varo un po' superiore a quella del reciproco. — 179 — È probabile dunque che la differenza di peso tra i due in¬ croci si sia considerevolmente attenuata proprio nel periodo che intercede tra il raggiungimento del massimo accrescimento e l'imbozzolamento. Certo si è che , benché di poco, durante il periodo crisalidale diminuisce ancora la differenza tra i due reci¬ proci, (il rapporto ponderale spostandosi dal 97 al 98 °/0) e che alla vigilia dello sfarfallamento l'inferiorità del 9 Bianco d Varo rispetto al 9 Varo d Bianco è ridotta al 2 °/0 del peso. I due fattori ereditari, il paterno e il materno. L’esame analitico dei nostri dati ci ha portato alla conclu¬ sione che l'influenza paterna, per forte che sia, non riesce a col¬ mare il dislivello di un'inferiorità iniziale. Intravediamo qualcosa che vorremmo comprendere un po' più chiaramente. Proviamo a liberarci da questo elemento di complicazione rappresentato dalla differenza iniziale tra i pesi di nascita. Lasciamo per ora da parte i valori assoluti del peso e ri¬ prendiamo a considerare i valori di accrescimento che ci espri¬ mono di quante volte si è moltiplicato nel corso dello sviluppo il peso di nascita. accrescimento 9 Varo d Bianco accrescimento Varo 0,84 16 ò/0 in meno accrescimento 9 Varo d Bianco accrescimento Bianco = 1,04 4 °/0 in più. Il 9 Varo c? Bianco perde dunque rispetto al Varo quattro volte di più di quel che guadagna rispetto al Bianco. accrescimento 9 Bianco d Varo - : - ; — — - — = 1,25 25 °/0 in più accrescimento Bianco accrescimento 9 Bianco d Varo accrescimento Varo = 1,01 1 °/0 in più. Il 9 Bianco d Varo guadagna rispetto al Bianco il 25 °/0 ed anche rispetto al Varo guadagna un poco, l'I °/0. A giudicare dall'accrescimento, appare preponderante la in- — 180 — fluenza paterna : giacché F incrocio 9 Varo cf Bianco raggiunge un accrescimento superiore solo del 4 °/0 a quello del Bianca Chinese, mentre è inferiore del 16°/0 a quello del Varo, e del 7 °l0 alla media teorica (7846 : 8393 = 0,934). E T incrocio 9 Bianco superiore alla materna). Dunque : nel corso dello sviluppo l’influenza paterna, ancora inferiore nella prima età, è andata ulteriormente sviluppandosi giungendo a prevalere di molto sulla materna. Però, essendo nelle due razze parentali la differenza spic¬ cata tra le capacità d'accrescimento limitata alla prima età, non — 181 — possiamo attenderci negli incroci l’evidenza di uno sviluppo pro¬ gressivo, graduale dalla prima alla quinta età, del carattere ere¬ ditario paterno. * * * Ora, perchè nella determinazione della capacità di accresci¬ mento dell’incrocio predomina l'influenza della razza paterna ? E questo non solo nel 9 Bianco c? Varo, ma anche nel 9 Varo c? Bianco, malgrado le contrarie apparenze. Mi si ripresenta la riflessione già altre volte affacciatamisi, ma che mi sembrava contradittoria a considerare il valore dei pesi raggiunti, così come sono complicati dalla differenza iniziale, tra i pesi di nascita. Lo spermio nella fecondazione ha due distinte, se non indi- pendenti funzioni : la trasmissione del corredo ereditario paterno e l'attivazione dell'uovo, sia esso, o no, morfologicamente espresso nell'apporto di un centrosoma. Ora lo spermio del Bianco Chinese è fatto per attivare il territorio citoplasmatico dell'uovo di Bianco: e quando è por¬ tato ad attivare il territorio, maggiore, dell'uovo di Varo, l'accre¬ scimento ne soffre, scendendo al disotto della media teorica. Viceversa lo spermio del Varo è fatto per attivare l'uovo di Varo e quando è portato ad attivare il territorio, minore, dell'uovo di Bianco, l'impulso è sovrabbondante e l'accrescimento ne guada¬ gna superando la media teorica (sino alla quale potrebbe arri¬ vare per influenza del carattere ereditario Varo). Ma una spiegazione di questo genere, certamente plausibile se applicata a caratteri come la velocità di sviluppo embrionale, sembrerebbe poco verosimile applicata a dar ragione dell'accre¬ scimento del baco durante lo sviluppo larvale *). Qualche argomento prò o contro questa interpretazione, potrà venirci dallo studio della velocità d'accrescimento nei due incroci reciproci rispetto alle loro razze parentali. 4) Benché sia da riflettere che probabilmente l' impulso cinetico comuni¬ cato dallo spermio non si limita nè s'esaurisce al momento della fecondazione con la formazione dei primi blastomeri ; ma s'esercita ancora attivatore dello sviluppo e si svolge, non possiamo dire fino a che punto immedesimato nello svolgimento del carattere paterno. — 182 — * * * Cerchiamo di rappresentare con una formula Paccrescimento dei nostri incroci. Possiamo incominciare a considerare il carattere ereditario paterno come il moltiplicatore, e il materno come il moltiplicando nel prodotto della fecondazione. Senonchè in aritmetica invertendo i fattori il prodotto non cambia , mentre invece i due incroci reciproci non sono niente affatto identici. Date le due razze A e B, non è : x = A x B ma : x = (A x B) a y = (B x A) b dove a, eredità citoplasmatica è funzione di A, eredità nucleare della razza A ; e b, eredità citoplasmatica è funzione di B, ere¬ dità nucleare della razza B. Cerchiamo di calcolare il valore dei due coefficienti di ere¬ dità citoplasmatica a e b : grazie ai quali uno stesso fattore sem¬ bra assumere valori diversi in x e in y, secondo che è in po¬ sizione materna o in paterna. Calcolando i rapporti di accrescimento (assoluto) : V — = 1,236 B — = 0,809 Il Varo che rispetto al Bianco ha una superiorità del 24 °/ft. imprime alPincrocio una superiorità del 25 °/0 sulla razza materna Bianca. Il Bianco che rispetto al Varo ha una inferiorità del 19 °/0 imprime alPincrocio una inferiorità del 16 °/0 rispetto alla razza materna Varo. In realtà i prodotti di quella partenogesi sperimentale nella quale l'azione attivatrice dello spermio è sostituita da vari mezzi chimico-fisici , ci rivelano non solo un corredo ereditario esclusivamente materno (per assenza d' uno paterno), ma ben anche una caratteristica debolezza costituzionale che potrebbe interpretarsi come dovuta a deficienza di un fattore che normalmente assiste,, attivandolo, lo sviluppo del prodotto della fecondazione. — 183 — Non v'è dunque grande differenza fra il rapporto di accre¬ scimento tra le due razze parentali e il rapporto d’accrescimento tra Tincrocio e la sua razza materna. Possiamo dunque considerare, con una discreta approssima¬ zione, gli accrescimenti : 9 V c? B B V accresc. 9 B c? V V accresc. B accresc. V accresc. V accresc. B cioè : x accresc. Varo = accresc. Bianco x accresc. Bianco == accresc. Varo Il valore del fattore ereditario paterno è dunque vicino al valore del rapporto tra gli accrescimenti paterno e materno, ovvero sia : r accrescimento dell'incrocio è presso a poco uguale a quello della razza paterna. In termini generali : B A x =r K4 A -a ■ = K4 B y = K3 B — = K2 A dove x e y sono gli accrescimenti dei due incroci, A e B delle parentali e K una costante a valore (KA, K9) più o meno, ma sempre assai leggermente superiore all'unità. (Nel nostro caso: K, = 1,045 K2 = 1,015) 4). *) Volendo esprimere l'accrescimento degli incroci in funzione della media teorica tra le due parentali 9280 + 7507 accresc. $ V B = - - - 0,935 9280 + 7507 accresc. 9 B V = - - 1,122 In formule : C 9 A c? e = Ca 4- Cb C 9 B c? A = Cb + Ca a e b, i coefficienti di eredità citoplasmatica sarebbero 0,935 e 1,122; infe¬ riore all'unità quello della razza a maggiore accrescimento, superiore all’unità l'altro. — 184 — Se vogliamo considerare costante il valore del fattore ere¬ ditario paterno e riferire tutta al coefficiente di eredità citopla¬ smatica la differenza tra i due reciproci ; evidentemente : A A Il coefficiente di eredi sulta dunque presso a p del fattore di eredità n razza materna). Tornando ora a considerare i assoluto : 9 V cT B = 0,884 V 9 V c? B = 1,373 B 9 B cT V B 9 B d V = 1,225 = 0,789 V ' B B tà citoplasmatica ri- oco uguale all'inverso u elea re (accrescimento della pesi raggiunti nel loro valore 12 °/0 in meno 37°/0 in più 22 °/0 in più 21 °l0 in meno. Dunque : considerando i valori assoluti del peso, 9 Varo c? Bianco perde, rispetto alla razza materna, il 12 °/0, mentre re¬ sta del 37 °/0 superiore alla razza paterna, superiore anche del 7 °/0 alla media teorica: (4,433 : 4,120 = 1,076). 11 9 Bianco c? Varo poi guadagna il 22 °/0 rispetto alla razza materna, restando inferiore alla paterna del 21 °/0, e notevolmente inferiore anche, del 4 °/0, alla media teorica: (3,955 : 4,120 = 0,960) (ved. Tav. 2, diagr. 1). Cercando di precisare : b è superiore all' unità presso a poco (poco più) di quanto Ca è superiore alla media teorica, a è inferiore all’unità presso a poco (poco più) di quanto Cb è inferiore alla media teorica. Evidentemente a e b non hanno un valore costante , caratteristico delle razze A e B, ma variabile in dipendenza di Cp , la capacità di accrescimento della razza paterna. Questi che abbiamo chiamati coefficienti di eredità citoplasmatica sono piuttosto gli esponenti del¬ l'equilibrio tra le potenze, le capacità paterne e materne. Intravediamo le linee di un equilibrio nello sviluppo del¬ l'organismo ibrido, analogo al nucleo piasmatico nella vita della cellula. — 185 — Per il valore assoluto del peso 9 Varo c? Bianco si presenta dunque, alla fine dello sviluppo, ancora più vicino alla razza ma¬ terna che alla paterna ; ancora nella stessa posizione , rispetto alla media teorica, che occupa, già alla prima età, per lo accre¬ scimento (superiore del 7 °/0). Anche 9 Bianco c? Varo alla fine dello sviluppo è ancora più vicino alla razza materna che alla paterna, anzi in posizione ancora più arretrata (inferiore del 4 °/0) rispetto alla media teorica di quella che occupa alla prima età come accrescimento (inferiore del 2 °/c). A voler rappresentare con formula il peso degli incroci ri¬ spetto alle razze parentali : peso 9 Varo c? Bianco = 1,045 x 7507 x 0,00054 peso 9 Bianco c? Varo = 1,015 x 9280 x 0,00043 * l) e in termini generali date due razze A e B P 9 A cf B — Kt Cb Pa P $ A B = K, Ca Pb dove K è una costante a valore più o meno , e sempre assai leggermente, superiore all'unità ; CB e Ca sono gli accrescimenti rispettivamente delle razze parentali B ed A; dove PA e PB sono i pesi di nascita rispettivamente delle razze A e B. S'intende che dette formule possono rappresentarci non solo l'accrescimento globale alla fine dello sviluppo dei due incroci, ma benanche i valori dell’accrescimento nelle varie età, quando a Ki ed a K2 in queste formule si diano i valori che rispetti¬ vamente assumono nelle successive età i rapporti di accresci¬ mento assoluto : l) Data la differenza, benché piccola, di peso di nascita tra Varo e 9 Varo cf Bianco e tra Bianco e 9 Bianco Varo i coefficienti in realtà rimangono modificati così : 4,43 = Ka X 7507 X 0,00054 = Kt 4,05378 K - 1 4,054 1,093 3,95 = KtX 9280 X 0,00042 = Ki 3,8976 Ki 3,95 3,8976 = 1,013 — 186 — 9 V cf B 9 B d1 V B V 4). Bisogna naturalmente guardarsi dall'attribuire un valore ge¬ nerale a queste formule che rappresentano abbastanza bene la condizione di cose che si verifica negli incroci tra le due razze Varo e Bianco. Analogo comportamento hanno con tutta probabilità molti 4) Ma siccome il valore di questo rapporto se è assai vicino all'unità, per l'ultima età, è anche notevolmente diverso in precedenti, sbalzando nella prima età a 1,23 e 0,87 rispettivamente, la rappresentazione ci appare piuttosto ar¬ tifiziosa. Così anche se si rappresentasse il peso deH’incrocio in funzione della me¬ dia dei valori parentali : P 9 V cf B — ‘ Pv -j- Pb 2 1,076 K4 = 1,076 P $ B (f V — Pb —j- Pv 2 0,96 K2 = 0,96. In questo caso i coefficienti Ki debbono assumere nelle successive età i valori : 1° 1,166 2° 1,224 3° 1,123 4° 1,171 5° 1,105 (calcolati sui pesi iniziali delle età) e finale 1,076. Se poi si volesse rappresentare il coefficiente di eredità materna come il coefficiente per il quale si moltiplica il fattore materno prevalente per ottenere il valore dell'ibrido : Pv (v) -f- Pb 2 Pb (b) + Pv 2 v = 1,125 b - 0,898. I due coefficienti appaiono molto vicini al valore che per l'incrocio reci¬ proco (rispettivamente) assume il coefficiente di capacità d’accrescimento rife¬ rito alla media delle parentali. O forse sarebbe preferibile rappresentare il peso dell' incrocio come il prodotto di due fattori il paterno e il materno (uguali alla y- dei due valori parentali rispettivi) per un coefficiente (superiore all' unità per l' incrocio a razza materna più pesante, inferiore all'unità per l'incrocio a razza materna meno pesante) coefficiente che potremo chiamare di eredità materna : 2 v cf b = y- Vb X © -<1 2 2 9 B cf v = y~ V7 X 0,983 — 187 — incroci di tipo analogo, ma è probabile che V intervento di ca¬ ratteri come il bivoltinismo e il treottismo , modifichi più o meno profondamente lo schema ereditario del tipo metabolico. Se ora calcoliamo il coefficiente di eredità materna per la capacità d'accrescimento alla prima età : C 9 Ve? B = v + Cb v = 1,065 2 C 9 B c? V = b Cb + Cv b = 0,983. 2 Questi coefficienti coincidono o quasi coi valori calcolati per i pesi raggiunti. Lo stesso valore numerico rappresenta il coef¬ ficiente per il quale bisogna moltiplicare la media dei valori delle razze parentali (per l'accrescimento alla prima età) per a- vere il valore dell'accrescimento (alla prima età) nell'incrocio, e il coefficiente per il quale va moltiplicata la media dei valori delle razze parentali (per il peso al massimo sviluppo) per avere il valore del peso a massimo sviluppo dell'incrocio. Questo valore numerico è il coefficiente di eredità materna (o citoplasmatica). Corre dunque tra le capacità d'accrescimento alle varie età e i pesi raggiunti alla fine dello sviluppo larvale uno stretto rapporto. La seguente considerazione lo mette in forma anche più evidente : Il rapporto tra i pesi raggiunti alla fine dello sviluppo : o V cf B V ° ■ = 0,884 V è uguale al rapporto Il rapporto tra i è uguale al rapporto tra gli accrescimenti alla prima età : 9 Bd V V = 0,87. pesi raggiunti alla fine dello sviluppo : 9BdV B = 1.225 tra gli accrescimenti alla prima età : 9 V cf B B = 1,227. Dunque : il rapporto di un incrocio alla sua razza materna — 188 — (alla fine dello sviluppo) è uguale al rapporto dell' incrocio re¬ ciproco alla sua razza paterna (tra gli accrescimenti alla prima età). I due valori numerici 0,88 ed 1,22 (o, se si preferisce, la loro differenza con l'unità -0,12, e + 0,22) possono rappresentare il va¬ lore ereditario che spiegano nei loro incroci (quale si sia il senso dell'incrocio) le razze Bianco e Varo, rispettivamente. Il carattere B agendo come paterno nell'incrocio 9 Varo c? Bianco ha in tutto 10 sviluppo una influenza sul peso uguale all'influenza sull' ac¬ crescimento che ha svolto nella prima età lo stesso carattere B nell'incrocio reciproco , agendo come materno. E così per il carattere V. Si direbbe che ognuno dei due caratteri B e V abbia un determinato valore o potenza ereditaria, che non cangia invertendo 11 senso dell'incrocio, ma che, mentre si esercita d' un subito quando il fattore agisce come materno, si va esplicando molto lentamente quando il fattore agisce come paterno, dovendo com¬ battere, vincere, superare le condizioni avverse di iniziale pre¬ valenza materna (date dal corredo citoplasmatico dell' uovo di origine materna, di carattere, per quantità e qualità, tutto materno). In c? „ — > 9 9 B F b — — 0,88 Fv = 1,22 Conclusione e Riassunto» Ho allevato contemporaneamente, nelle identiche condizioni, le due razze di Bombyx Mori , Varo e Bianco Chinese, e i loro incroci reciproci, determinando la curva di sviluppo larvale. I pesi a massimo accrescimento dei bachi dei due incroci non coincidono con la media aritmetica dei valori parentali ma appaiono spostati, in sopra e in sotto della media rispettivamente, verso la razza materna (ved. Tav. 2, diagr. I e II). P 9 V d1 B = K, -P--9— - dove Kt= 1,076 P 9 B d V = K. Pb + Pv K, = 0,960 K , il coefficiente di eredità materna o citoplasmatica, è superiore — 189 — alla unità nell’ incrocio a razza materna più grossa, inferiore nell'altra. Appare dunque per i pesi alla fine dello sviluppo larvale uno spiccato predominio del carattere materno. Ma per ben valutare occorre tener conto non solo dei punti di arrivo nella corsa dello sviluppo, ma ben anche dei punti di partenza. Ora, il peso di nascita è diverso nei due incroci reciproci, per ciascuno eguale al peso di nascita della propria razza ma¬ terna (giacché la femmina Varo, anche fecondata da maschio Bianco, depone uova grosse e pesanti, e la femmina Bianco, an¬ che fecondata da maschio Varo, depone uova piccole e leggere). Occorre dunque considerare la capacità di accrescimento, che misurata dal rapporto peso raggiunto alla fine dello sviluppo larvale peso di nascita ci dice di quante volte il peso si è moltiplicato nel corso dello sviluppo. Ora le capacità di accrescimento dei due incroci reci¬ proci sono diverse fra loro e spiccatamente lontane dalla media teorica dei due valori parentali. Difatti : C 9 V d* B = K, Cv ^Ce K, = 0,935 C 9 B cf v = K, Cb_+_Cv_ Ki==1(122. 2 La capacità di accrescimento del 9 Varo cf Bianco scende al di sotto della media teorica fino a restare di poco superiore alla capacità di accrescimento del Bianco ; la capacità di accre¬ scimento del 9 Bianco cf Varo sale al di sopra della media fino a raggiungere ed anzi lievemente superare la capacità d' accre¬ scimento del Varo (ved. Tav. 3, diagr. III). C 9 V c? B = K, Cb dove K1 = 1 ,045 C?Bc?V = K2Cv K2= 1,015. Si ha dunque per la capacità d'accrescimento un dominio — 190 — del carattere paterno sì da poter rappresentare il peso dell’ in¬ crocio col prodotto del peso di nascita della razza materna per la capacità di accrescimento della razza paterna : P $ V (f B = K, Cb Pv P 9 B c? V = Kj Cv Pb Ma allora lo spostamento dalla media che si nota nel peso alla fine dello sviluppo deirincrocio verso il valore della razza materna, non si costituisce per una prevalenza del carattere ma¬ terno — si direbbe — ma si mantiene , malgrado un opposto predominio del carattere paterno, grazie al vantaggio iniziale da¬ to dal peso di nascita uguale a quello della razza materna. Però lo studio del corso dello sviluppo ci dimostra che nella prima età la capacità di accrescimento di ciascuno dei due in¬ croci è ancora più vicino a quella della razza materna che della paterna (ved. Tav. 3, diagr. IV). ^ 1° età _ Cv -j- Cb $ V c? B ~ V 2 ^ 1° età _ , Cb -f- Cv v- 9 B cT V “ b 2 dove v — 1,065 „ b = 0,983 È soltanto nel proseguire dello sviluppo che la capacità di ac¬ crescimento paterno s'impone superando la resistenza che gli op¬ pone la prevalenza iniziale materna assicurata dal corredo pro¬ toplasmatico (ved. Tav. 4, diagr. V). Dunque il vantaggio dell'eredità materna non si riduce alla quantità di deutoplasma accumulata nell'uovo. Il fatto che tra i pesi a fine sviluppo, di un incrocio e della sua razza materna, corre lo stesso rapporto, che corre tra le ca¬ pacità d'accrescimento, alla prima età, dell'incrocio reciproco e della sua razza paterna ; ci dà un’espressione precisa della nostra intuizione che ognuno dei due caratteri " Bianco „ e "Varo „ ab¬ bia un determinato valore o potenza ereditaria che non cangia invertendo il senso dell’incrocio, ma, mentre si esercita di un subito quando il fattore agisce come materno, si va esplicando lentamente, invece, quando il fattore agisce come paterno. Difatti risulta : — 191 — peso a fine sviluppo ? Vcf B peso a fine sviluppo V = 0,885 accrescimento in prima età 9 B c? V accrescimento in prima età V = 0,870 peso a fine sviluppo 9 B c? V peso a fine sviluppo B = 1,225 accrescimento in prima età 9 V cf B accrescimento in prima età B = 1,227 in -> 9 S— c? Fv = 1,22 Fb = 0,88. Dunque : BIBLIOGRAFIA JUCCI, C. — Sulla curva di sviluppo del baco da seta. Boll. Lab. Zool. gen. e agr. Portici, Voi. XVI, 1922. — — Su l'eredità del tipo metabolico nei bachi da seta. -/. Il bi- voltinismo. Boll. Lab. Zool. Portici, 1924. — — Su l’ eredità de la capacità d'accrescimento in incroci reci¬ proci tra varie razze di bachi da seta (Bombyx mori). Boll. Lab. Zool. Portici, Voi. XVIII, 1925. — — Su l’eredità del tipo metabolico nei bachi da seta : le capa¬ cità di sviluppo larvale degli incroci reciproci tra due razze di Bombyx mori. Rend. Acc. Lincei, Voi. V, ser. 6a, 1° sem.r fase. 1°, 1927. — — L’ eredità materna e la paterna nelle capacità di sviluppo larvale degli incroci reciproci tra due razze di bachi da seta . Rend. Acc. Lincei, Voi. V, ser. 6a, 1° sem., fase. 2°, 1927. — — Su l’eredità del tipo metabolico. La capacità d’’ accrescimento degli incroci reciproci. L’ eredità materna e la paterna nelle capacità di sviluppo larvale degli incroci reciproci tra due razze di bachi da seta, Varo e Bianco chinese. Rend. 15° Conv. Union. Zool. Ital. Bo¬ logna 1926 e Monitore Zool. 1927. Spiegazione dei Diagrammi (Tav. 2, 3 e 4). Diagr. I e lì. — Lo sviluppo ponderale dei due incroci reciproci e delle loro razze parentali. Per ciascuno degli incroci il valore è spostato dalla me¬ dia, in sopra e in sotto rispettivamente, verso la razza materna. Nel diagr. II , sulle ordinate il peso raggiunto alla fine dello sviluppo larvale, sulle ascisse la durata della vita larvale, assunta costante. Diagr. III. — L'accrescimento ponderale. Per ciascuno dei due incroci è spo¬ stato dalla media, verso la razza paterna. Sulle ordinate V accrescimento raggiunto alla fine dello sviluppo larvale (di quante volte si è moltiplicato il peso di nascita). Diagr. IV. — La capacità di accrescimento alla prima età. Per ciascuno dei due incroci è spostata dalla media, verso la razza materna. Sulle ordinate l'accrescimento raggiunto alla fine della prima età. S' intende che nei diagrammi II , III e IV la rettilinea che congiunge il punto di origine al punto di arrivo rappresenta solo assai schematica¬ mente il corso dello sviluppo. Diagr. V. — La capacità di accrescimento nelle cinque età dello sviluppo lar¬ vale dei due incroci reciproci e delle loro razze parentali. Si succedono , dall' alto in basso , Bianco chinese , 9 Bianco Varo, 9 Varo o7 Bianco, Varo. L'area del rettangolo è proporzionale al valore del quoziente di accresci¬ mento (rapporto tra il peso raggiunto e il peso iniziale di ciascuna età). ARRENDICI1) Bianco Chinese 25-4 neonati N. 100 0,00043 1-5 1° sonno (primi addorm.) » 137 0,004598 6-5 2° » » 100 0,02722 7-5 2a muta 0,02600 11-5 3° sonno (primi addorm. dei secondi svegliati) » 25 0,127 3° » » 50 0,1262 13-5 3a muta (massa) » 60 0,1236 3a » (secondi svegliati) 0,1407 17-5 4° sonno » 25 0,491 4° » (entrano) » 25 0,538 18-5 4a muta (svegli dai primi addormentati) » 50 0,5106 4° sonno » 20 0,5069 19-5 4° » (ritardat. lotto B) » 37 0,534 mutati 4 a muta » 50 0,4751 20-5 » » (sec.di svegl. lotto B) » 50 0,5398 26-5 massimi » 15 3,175 » » 17 3,050 27-5 » lotto B » 26 3,460 maturi » 20 2,372 » lotto B » 26 2,340 1-6 bozzoli » 100 1,209 crisalidi •» 100 1,003 corteccie seriche » 100 0,159 2-6 bozzoli lotto B » 100 1,279 crisalidi » » 50 1,082 corteccie seriche » » 50 0,171 9-6 bozzoli (alla vigilia dello sfar¬ fallamento) » 129 1,113 (') Stralcio dal Giornale degli allevamenti questi dati , a mo’ d’esempio. Spesso del peso iniziale o finale di una età ho preso più determinazioni (avendo allevato separatamente i nati in diversi giorni) delle quali ho poi fatto la media. — 195 $ Bianco c? Varo 26-4 neonati N. 100 0,00042 1-5 1° sonno (del 25-4) » 100 0,00508 4-5 la muta svegli (del 27-4) » 100 0,00528 7-5 T sonno (del 25-4) » 40 0,0296 2° » (del 26-4) » 25 0,0302 8-5 mutati 2 !a muta (del 25-4) » 100 0,0264 9-5 » » (del 26-4) » 100 0,0391 10-5 » » (del 27-4) » 100 0,0305 13-5 3° sonno (del 26-4) » 40 0,1517 14-5 3° » (ancora sul letto ritardatari del 25-4) » 50 0,1435 mutati 3 a muta (del 26-4) » 50 0,1400 » » (del 27-4) » 50 0,1439 17-5 » (del 27-4) » 40 0,1332 19-5 4° sonno (del 26-4) » 50 0,6746 21-5 mutati 4 a muta (del 25-4) » 40 0,6777 » » (del 26-4) (2/3) » 50 0,6482 23-5 4° sonno (del 27-4) » 20 0,7358 25-5 mutati 4 a muta (del 27-4) » 30 0,6505 27-5 massimi (del 25-4) » 23 3,979 » (del 26-4) » 16 3,935 » (del 26-4) » 18 4,060 » (del 27-4) » 20 3,848 1-6 massimi (del 27-4) lotto B » 10 3,352 maturi (del 27-4) » 15 2,648 6-6 bozzoli » 148 1,707 crisalidi » 100 1,488 corteccie : seriche » 100 0,245 7-6 bozzoli bianchi » 100 1,336 9-6 bozzoli (del 27-4) lotto B » 120 1,640 17-6 bozzoli (alla vigilia dello sfar¬ fallamento) » 100 1,536 Finito di stampare il 20 febbraio 1929. Gli apparecchi copulatori della famiglia Po/yposth/idae (Policladi Acotilei). Ricerche sistematiche e considerazioni sulle affinità debordine dei Policladi del socio Dott. Arturo Palombi (Tornata del 25 aprile 1929) La presenza di particolari formazioni glandolari in rapporto cogli apparecchi sessuali, da me riscontrate nel 1922 in alcune specie di Policladi mi permette ora , dopo un maturo esame dell'argomento, di aggiungere alle succinte notizie già date, ul¬ teriori considerazioni di carattere generale, sia perchè tali Poli¬ cladi si distaccano profondamente dagli altri conosciuti , tanto che le relazioni fra loro riescono non solo difficili a stabilire ma anche molto imprecise *), sia perchè in queste forme, gli ap parecchi sessuali, considerati nell' insieme, possono fornire un criterio per conoscere meglio lo sviluppo e la trasformazione degli organi copulatori. L'enorme importanza, inoltre, che questi organi hanno nella sistematica dell'ordine — se anche per alcuni autori i caratteri degli apparecchi sessuali sono posposti ad altri — è chiaro che in gran parte essa è dovuta alle affinità che tali organi mostra¬ no, criterio, che guida appunto il sistematico nella delimitazione delle specie. In tal senso appunto cercherò, nell'ultima parte del 9 II Laidlaw (1907) nel suo tentativo di classificazione dei Policladi scriveva: " I have omitted altogether thè genera Cryptocelides ('93), Polyposthia ('93) and Bergendalia ( : 03 a) because , whilst their peculiarities enable them to be readily distinguished , they make it impossible to define their relationship to other Polyclads on our present knowledge of thè group „. — 197 - lavoro, di trarre, dallo studio complessivo degli organi copula- tori, il filo conduttore che possa guidare alle probabili affinità dell'intero ordine dei Policladi cogli altri gruppi. Verrei meno al compito che mi sono imposto, quello cioè di illustrare me¬ glio gli apparecchi copulatori di queste forme e di porle in rap¬ porto fra loro e con gli apparecchi copulatori degli altri gruppi, se volessi qui tracciare quadri filogenetici o alberi genealogici. * •h * Non sono molte le specie di Acotilei che posseggono gli apparati glandolai in questione. L'esiguo numero tuttavia non ostacola affatto, tale è la somma e l'importanza dei caratteri, la discussione piena ed esauriente sull'argomento. Nel 1893 il Bergendal descrisse la prima specie ( Cryptoceli - des loveni) provvista di tali apparati ; nel medesimo anno un'al¬ tra specie ( Polyposthia similis), anch'essa molto interessante dal punto di vista degli apparecchi sessuali e rappresentante di un nuovo genere affine al primo, fu rinvenuta dallo stesso autore. A circa 30 anni di distanza, esaminando la raccolta di Policladi fatta dalla R. N. " Liguria riconobbi alcuni esemplari che, dal punto di vista degli apparecchi sessuali, mostrano stretta affinità coi due generi precedenti. Inclusi le specie da me riconosciute per nuove, dopo averle raggruppate in due nuovi generi ( Polyposthides e Metaposthid), nella famiglia Polyposthiidae già creata dal Bock per accogliere i generi Cryptocelides al quale io ascrissi la nuova specie sa- moensis , e Polyposthia In tutti, il carattere saliente è la presenza di più organi co¬ pulatori accompagnati da glandole che hanno il valore di glan- dole granulose (Kòrnerdrusen) in numero molto variabile. Alle specie citate, sulle quali particolarmente soffermerò la mia at¬ tenzione, debbo aggiungere, per alcune considerazioni collaterali necessarie, il gen. Bergendalia istituito nel 1903 dal Laidlaw. In questo mancano organi glandolai diffusi, ma esiste un du¬ plice apparato sessuale maschile con due vescicole glandolai in relazione coi due organi copulatori, dei quali uno solo è fun¬ zionante. — 198 — Conferma le osservazioni del Laidlaw la nuova specie (B. diversa Yeri e Kaburaki) rinvenuta nel 1918. In questa, l'appa- recchio funzionante sta presso l’organo femminile, mentre nella specie precedente i due organi sessuali sono separati dall'appa¬ recchio copulatore maschile inattivo. Sono queste in rapida rassegna, le specie che posseggono siffatti organi sessuali, la cui importanza potrà meglio risaltare, qualora essi vengano in un primo tempo considerati isolatamente ed in seguito nel loro insieme. Prendendo in esame una specie qualsiasi del genere Poly- posthides Palombi, si notano, lungo la linea mediana numerosi apparecchi copulatori maschili, disposti a rosetta, con sbocco comune. Intorno a ciascuna rosetta di peni, sono sparse nume¬ rosissime glandole granulose. La differenza esistente fra i due organi è dovuta al fatto che mentre la rosetta dei peni è in rapporto coi testicoli e cia¬ scun pene, a forma di pera, è provvisto di un sottile vaso de¬ ferente, le glandole, anch’esse piriformi, sono sprovviste di qual¬ siasi tubo che possa far pensare ad una relazione cogli organi interni l). La struttura medesima dei due apparecchi ne conferma la differenza; prevalentemente muscolare (glandolare nella parte interna) negli apparecchi che funzionano da peni, solamente glan¬ dolare negli organi annessi. Sono questi ultimi le glandole granulose a funzione pretta¬ mente secretrice. Nella disamina delle specie, che compongono il genere, gli apparecchi copulatori sono diffusi lungo tutta la linea mediana, sebbene si possa già notare in P. caraibica un brevissimo ac¬ cenno di localizzazione degli apparecchi sessuali verso la parte posteriore. Alla forma diffusa degli apparecchi copulatori ma¬ schili, si passa, in Polyposthia similis Bergendal ed in Meta- posthia norfolkensis Palombi ad un sensibile addensamento di J) Perchè non possa generarsi confusione , chiamerò vescicola p e - niale, apparecchio, organo copulatore le vescicole glande lari granulose che hanno funzione copulatrice ; riserberò il termine di glan¬ dole granulose soltanto alle vescicole con funzione esclusivamente se¬ cretrice. — 199 — tali apparati nella parte posteriore del corpo. In questa regione, infatti, trovasi un gruppo di organi piriformi i quali si irradia¬ no da un punto centrale ove è l'orifizio esterno e verso il quale sono rivolte tutte le aperture dei singoli peni. Numerose glandole inoltre, pure piriformi, fanno corona a- gli apparecchi peniali completandone l'organizzazione. La strut¬ tura ed il significato di tali organi non differiscono da quelli del medesimo tipo accennati per Polyposthides. Se è facile notare la concentrazione degli apparecchi copu- latori nella parte posteriore del corpo nei due generi esaminati, non egualmente ordinata ne appare la disposizione la quale si riscontra invece agevolmente, qualora si considerino gli organi del medesimo tipo in Cryptocelides. In questo genere, nell'ulti¬ mo quarto del corpo, si trova una rosetta di apparati copulato- ri, molto avvicinati gli uni agli altri e sboccanti tutti in un an¬ tro comune. Il numero degli apparecchi che costituiscono la ro¬ setta è molto variabile : da 2 a 8. Le glandole granulose fin qui riscontrate, in questo genere non sempre sono presenti : si tro¬ vano nella specie Cryptocelides samoensis Palombi, nella quale sono localizzate nel quinto posteriore del corpo, mancano del tutto nella specie Cryptocelides loveni Bergendal. Dovrei qui per completare la rassegna, parlare del genere Bergendalia ; tralascio ogni cenno, sembrandomi sufficienti le notizie già date di sopra ed alle quali rimando. Dopo il sommario accenno alle specie che, nella costituzio¬ ne degli apparecchi sessuali maschili, presentano indubbi segni di affinità, sorgono spontanee le domande : possono gli apparati copulatori servire di guida per determinare meglio i rapporti esistenti fra le varie specie ? quale posizione sistematica deve essere serbata a queste forme ? La risposta al primo quesito io l'ho già accennata nel la¬ voro del 1924, p. 14; maggiori considerazioni possono trovare posto nel presente lavoro. Considerando infatti gli organi copulatori dei Policladi Aco- tilei, oltre alla netta distinzione tra l'organo maschile e quello femminile, si nota molto spesso, una certa complicazione degli apparecchi per raggiunta di organi accessorii ; sempre poi la oro ubicazione è nella seconda metà del corpo. Gli orifizi tut- — 200 — tavia non si trovano in un punto determinato : le aperture, qual¬ che volta comuni [Discocelis tigrina (Blaxchard) Lang, Stylo c ho plana agilis Lang, Copidoplana paradoxa Bock ecc.] pur mantenendosi costanti in questa parte del corpo, possono tro¬ varsi distanziate più o meno dal margine posteriore, e in qual¬ che famiglia [ Discocelidae (Laidlaw) Bock emend. , Plehniidae sensa Bock] esse risultano poco lungi dal centro del corpo. Confrontando gli organi copulatori delle specie che formano og¬ getto del presente studio, con quelli degli altri Acotilei, è chiaro che essi divergono sia per la ubicazione, che non è in tutte le forme nella seconda metà del corpo, sia per il numero degli apparecchi che a volte è piuttosto grande, sia infine per la loro semplicità. Se prendiamo perciò come termini di confronto la localiz¬ zazione degli apparecchi ed il loro numero, dovremo riconoscere che più la loro diffusione nel corpo è grande e maggiore è il loro numero, e più riesce difficile il collegamento colle altre specie degli Acotilei. Per tal maniera quindi le specie del ge¬ nere Polyposthides, per la diffusione degli apparecchi copulatori che si spingono fin nella regione anteriore (prefaringea), dovran¬ no precedere tutte le altre nelle quali tali apparecchi occupano la porzione posteriore solamente. Tuttavia un accenno alla loca¬ lizzazione nella seconda metà del corpo lo avvertiamo già, seb¬ bene insensibilmente, in una specie del medesimo genere , P. caraibica, nella quale le rosette dei peni sono maggiormente ac¬ centrate in questa parte. Le glandole granulose trovansi diffuse in tutto il corpo, particolarmente addensate presso gli organi copulatori , verso i quali sono rivolte le singole aperture, e vanno man mano dira¬ dandosi, procedendo verso i margini del corpo. Tale disposizione è facilmente comprensibile qualora si tenga conto che le glandole granulose accompagnano sempre gli or¬ gani copulatori. 11 gran numero di esse è evidentemente in rap¬ porto a quello dei peni che, nel genere Polyposthides , è abba¬ stanza elevato. Tenendo fermo il criterio della posizione e del numero de¬ gli apparecchi per la ricerca delle affinità, tra le forme fino ad oggi conosciute, non vi sono che i generi Polyposthia e Meta - posthLa che in tal senso possono meglio degli altri collegarsi col citato genere Polyposthides. L' orifizio , sia in Polyposthia similis che in Metaposthia norfolkensis è unico ; i peni invece sono numerosi e distinti l'uno dalFaltro. Le glandole granulose, anche qui in numero abbastanza ri¬ levante, seguono gli apparecchi copulatori e, come questi occu¬ pano la porzione posteriore del corpo. La direzione delle glan¬ dole granulose e degli apparecchi peniali è segnalata dall'unico orificio genitale verso il quale, a guisa di raggiera, sono rivolti i condotti di ciascun organo (vescicole peniali e glandole gra¬ nulose). L'accentramento nella seconda metà del corpo degli organi copulatori colle rispettive glandole, che da ora in poi troveremo sempre in questa parte, segna un deciso passaggio verso gli al¬ tri Policladi Acotilei. La disposizione diffusa degli apparecchi, notata in Polypo¬ sthia e Metaposthia, in cui le singole vescicole peniali sono di¬ stinte le une dalle altre, è sostituita , nel genere Cryptocelides , da un deciso accentramento. In questo genere infatti le vescicole peniali sono riunite in¬ torno all'orifizio genitale esterno a formare una caratteristica ro setta. I peni, in numero variabile (da 2 a 8) in Cryptocelides loveni , hanno le aperture rivolte verso il centro in cui trovasi l'orifizio genitale esterno. Un principio direzionale tuttavia già è possibile riconoscere nei due generi precedenti, nei quali, tutte le aperture dei peni e delle glandole sono rivolte verso il foro genitale esterno. In quanto alle glandole granulose, che finora nelle altre forme del gruppo in questione abbiamo riscontrate sempre presenti, nel genere Cryptocelides intanto, mentre si ri¬ trovano nella specie sarnoensis Palombi mancano del tutto nella specie loveni Bergendal. La scomparsa delle glandole granulose, aggiunta alla riduzione degli apparecchi copulatori (in qualche caso fino a due), segna un ulteriore passaggio verso la forma nota di apparecchio dei Policladi Acotilei, nel quale troviamo l’organo copulatore e la rispettiva glandola granulosa coi due tipi distinti : inserita, libera, 202 — A quale di questi due tipi sia da riferire Cryptocelides , è molto difficile stabilirlo ; tuttavia sarebbe più semplice ritenere il tipo colla glandola granulosa inserita come termine più pros¬ simo a Cryptocelides quando dei due peni non ne resti che uno solamente. Infatti, se ammettiamo con Meixner che la vescicola seminale non è altro che un rigonfiamento del deferente, basta che questo, presso l'apparecchio copulatore, che tra l’altro fun¬ ziona anche da glandola granulosa, si dilati, perchè sia attuato il tipo di apparecchio delle Schematommata con la glandola gra¬ nulosa inserita. Questa spiegazione tuttavia se ha il pregio di essere di una grande semplicità, ha il torto di essere unilaterale, ed io stesso riconosco le enormi difficoltà che si incontrano, sia per il cumulo dei caratteri propri delle Schematommata non con¬ ciliabili colle forme passate in rassegna, sia ancora per il genere Bergendalia che dovrebbe rappresentare, per il carattere degli organi copulatori, un'aberrazione, che assolutamente non mi sem¬ bra giustificabile. L'apparecchio del genere Bergendalia , piutto¬ sto che un’anomalia prodotta da un raddoppiamento degli or¬ gani copulatori, come si riscontra ad es. in Tysanozooa , potrebbe attestare la riduzione degli apparecchi, che da multipli in prin¬ cipio diventano semplici in seguito. È chiaro che questa spiega¬ zione è diametralmente opposta a quella emessa dal Bock (1913 p. 310) il quale afferma che sarebbero “ durch Spaltung der Anlage eines einzigen Apparats zu erklàren „ ; condizione , che si ripeterebbe per ereditarietà. La parziale riduzione degli appa¬ recchi in Bergendalia sarebbe dimostrata dai due apparecchi posti uno dietro l’altro lungo la linea mediana del corpo e dei quali uno solamente, il posteriore, è funzionante. Costituiscono gli apparecchi copulatori la vescicola glandolare granulosa libera e la vescicola seminale, che entrano in rapporto lungo il dotto eiaculatore. È questo il tipico apparecchio delle Craspedommata alle quali Bergendalia deve essere riferita. Assodata ormai, per le ragioni esposte, l'impossibilità di rag¬ gruppare le specie in esame nella sezione Schematommata Bock, resta a vedere quale posizione esse dovranno assumere nella se¬ zione Craspedommata Bock. Nell' ordinamento generale dei Policladi dato dal Bock (1913) la famiglia Polyposthiidae occupa il quarto posto in — 203 - tutto il sistema dopo le famiglie: Discocelidae , Latocestidae , Plehniidae. L' affinità fra i gruppi citati è sensibilissima e lo stesso ock (1923) , non esita a riconoscere che fra i generi PLehnia , Discocelides della famiglia Plehniidae e Polyposthia e Cryptoce- lides della famiglia Polyposthiidae esistono stretti rapporti non soltanto “ in ecological habit „ ma anche morfologicamente : " they can grouped together morphologically „. E più oltre * " As a consequence of my investigata, it follows that this biologi- cal group can be traced back to a common origin „. Data, quin¬ di, questa forte affinità fra i generi citati e questa loro origine comune, la successione delle famiglie potrebbe subire un lieve mutamento senza intaccare la compagine del sistema dato dal Bock. Richiamando alla mente quanto ho esposto precedente- mente sugli apparecchi copulatori, lo spostamento dovrebbe ri¬ flettere unicamente la famiglia Polyposthiidae, la quale dovrebbe passare in testa a tutto il sistema. Ad essa dovrebbero seguire le Plehniidae , le Discocelidae , le Latocestidae. Col rimaneggiamento proposto, mentre da un lato vengono poste in principio del sistema forme che, per gli apparecchi co¬ pulatori, possono essere ritenute fra le meno complesse, dall'al¬ tro sono messi in rilievo alcuni fatti, i quali a loro volta pos¬ sono servire per derimere la dibattuta questione sulle affinità dei Policladi. * v- * Varie e molto disparate sono le ipotesi emesse dai varii autori per stabilire i rapporti che corrono tra i Policladi e gli altri gruppi. Il Lang e il van Beneden pur accordandosi nell'ammettere una parentela tra i Policladi ed i Ctenofori, dissentono per altro verso, perchè il Lang considera i Policladi come Ctenofori stri¬ scianti, mentre il van Beneden è del parere che i Ctenofori siano dei Policladi adattati alla vita pelagica. Il Villey a sua volta fa derivare tanto i Ctenofori che i Po¬ licladi da forme primitive : Coeloplana e Ctenoplana costituenti il gruppo Archiplanoidea. Lo Schouteden fa discendere i Policladi dalle forme del — 204 — genere Coeloplana (C. metschnikowti Kowalewsky) e queste , a loro volta, dalle Coeloplana di Abbott (C. willey , C. mitsukurii), che, per comodità chiama Pseudocoelo plana , infine queste ultime da una forma comune Hydroctena, una specie di medusa rac¬ colta dal Dawydoff presso risola di Saparea nell'arcipelago In¬ do-australiano. Senza riportare le altre ipotesi sulle affinità dei Platelminti, farò rilevare che esse in gran numero sono state emesse in epoche diverse e da molti altri autori, i quali o hanno introdotto nuove idee o hanno modificato quelle già esistenti e più su ac¬ cennate, oppure (Komai, 1922) hanno negato ogni relazione mor¬ fologica tra i Policladi ed i Platictenidi ( Coeloplana e Ctenopla- na), dichiarando che le somiglianze fra le forme di questi due gruppi debbono riferirsi ad un semplice fenomeno di conver¬ genza. Non è mio scopo di formulare nuove ipotesi : a me preme di mettere in evidenza alcuni fatti. Nella descrizione di Ctenoplana, per la prima volta dal Wil¬ ley (1896) furono messi in evidenza dei condotti provenienti dai testicoli , aventi l'ufficio di trasportare all'esterno i prodotti ge¬ nitali elaborati dagli stessi. In una comunicazione preliminare su Tjalf iella tristoma , il Mortensen (1910) fece conoscere che anche in questo animale esistevano condotti speciali per l’espulsione dei prodotti sessuali. Nella memoria definitiva il Mortensen (1912, 1) portò una rettifica al suo primitivo giudizio, nel senso che i prodotti sessuali non pervengono all' esterno mediante un condotto proprio , bensì sono avviati nel sistema dei canali endodermici. Tuttavia sotto ogni testicolo si riscontra un'invaginazione che, secondo questo autore, malgrado i rapporti anatomici , non ha alcuna relazione funzionale coi testicoli. Il Mortensen pensa anche che queste " cavità paragenitali „ possano avere una funzione sensoriale a causa della esistenza di alcune cellule cibate; il Kemma (1912, 1) dal canto suo suppone che possano avere un ufficio respiratorio, e tanto questo che il Mortensen pensano che i condotti, di cui parla il Willey per Ctenoplana , siano da riferire invece alle ca¬ vità paragenitali di Tjalf iella. Nel 1920 il Krempf nel suo lavoro su Coeloplana gonocte- — 205 — na , portò una splendida conferma alle osservazioni del Willey: “ les testicules ont un canal excréteur unique débouchant à l'exte- rieur au sommet d'une papille saillant très visible „. Altrettanto ritrovò, poco dopo, il Komai all'esame di alcune specie del gen. Coeloplana del litorale di Misaki (C. willey Ab¬ bott, C. mitsukurii Abbott e C. bocki Komai) ; anche in queste specie " Apically it (il testicolo cioè) continues into a tubular structure which opens to thè dorsal surface of thè body e un po' più oltre : " At thè opening of thè tube, thè epidermis of- ten shows a slight depression Il gruppo dei Platictenidi ( Coeloplana e Ctenoplana ) com¬ prende dunque forme i cui testicoli posseggono un condotto, che sbocca direttamente all'esterno e che nella sua parte termi¬ nale rilevata o invaginata, è formato a spese dell’ectoderma. È ques' ultima parte appunto che nel corso di successive complicazioni può assumere la funzione copulatrice. Le cavità paragenitali di Tjalfiella tristoma, il cui significato è ancora oscuro, potrebbero , qualora le cellule fossero destinate ad una funzione secretrice, avere l'ufficio delle glandule granulose, non molto dissimile da quello delle glandule granulose del gen. Po- lyposthides ; o, pur restando tali , per il cambiamento della fun¬ zione, potrebbero assumere l'ufficio di apparecchio copulatore. In un confronto fatto tra un apparecchio testicolare di una delle specie del gen. Polyposthides, 1' unica differenza che pos¬ siamo riconoscere sta nella porzione terminale dei due apparec¬ chi, che ha assunto in Polyposthides la funzione copulatrice. Orbene se le cellule della porzione dell' ectoderma di Coe¬ loplana, in rapporto diretto coi testicoli , assumessero funzione copulatrice noi non troveremmo alcuna differenza fra l'apparec¬ chio dell'uno e quello dell'altro gruppo. Ma non tenendo conto delle complicazioni che si son potute verificare nel corso del tempo, è certo che fra gli apparati dell'uno e deli’altro gruppo esistono sensibilissime analogie ; e senza voler tracciare la via o la maniera, con cui si sono attuate non può escludersi che com¬ plicazioni e trasformazioni possono essere intervenute tanto da essere attuato il tipo più semplice di apparecchio copulatore riconosciuto nelle specie del gen. Polyposthides. E a me pare che qui cada acconcio richiamare in vigore la — 206 — ipotesi del Lang sulla derivazione di un organo da un altro per mutamento di funzione — per gli apparecchi copulatori da glan- dole — ipotesi , che potrebbe nel caso specifico trovare la sua plausibile applicazione. Le citate notizie sugli apparecchi sessuali , mentre da un lato aprono una nuova via per lo studio degli apparecchi ses¬ suali , dall' altro forniscono un nuovo legame per collegare fra loro Platictenidi e Policladi. BIBLIOGRAFIA 1907. ABBOTT, J. 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Confronto fra il pluviometro ed il pluviome¬ tro totalizzatore di Nicolosi (Etna) del socio Prof. CX De Fiore (Tornata del 16 marzo 1929) Raccogliendo ed elaborando i dati per la meteorologia del¬ l'Etna *) per cortese concessione dell'Ufficio idrografico di Paler¬ mo ho potuto esaminare quelli dei pluviometri totalizzatori della regione. Mia prima cura è stata la determinazione dell' attendi¬ bilità dei risultati di osservazione ed a tale scopo ho fissata la mia attenzione su l'unica stazione, Nicolosi , la quale fornisce dati di confronto fra un pluviometro comune ed un totalizzato- re, installati sulla medesima terrazza. Recentemente lo stesso argomento è stato trattato dal Prof. Di Ricco 1 2), il quale, fra le varie stazioni, esamina anche quella di Nicolosi, però per un periodo molto breve e cioè dal 1924 IX al 1926 Vili. La serie da me presa in esame va dal 1921 IX al 1927 XII e, per la maggiore quantità di osservazioni, deve for¬ nire dati molto più attendibili. Le osservazioni ed i calcoli relativi sono riportati nella ta¬ bella I. In essa indico l'anno (A) ed il giorno dell'osservazione (m. g.) ; il dato di osservazione (T) messo a confronto con quelli simultanei del pluviometro (P) e la relativa differenza (D) ; i va- 1) O. De Fiore. — Meteorologia ed idrografia dell' Etna. La temperatura. Napoli, (I.N.A.G.) 1928. 2) G. Di Ricco. — Brevi considerazioni preliminari sulle precipitazioni misurate ai pluviometri totalizzatori del servizio idrografico italiano. Boll. N.° 15 (b) del Comitato nazionale italiano geodetico-geofisico. Venezia 1927. - 211 - lori mensili dati dal pluviometro (P') e dal totalizzatore (T') con la relativa differenza per ogni mese (d). I dati mensili sono stati ricavati dalle pubblicazioni del sud¬ detto Ufficio idrografico ; quelli mensili del totalizzatore per mezzo di un semplice calcolo di proporzionalità rispetto alle os¬ servazioni giornaliere e mensili del pluviometro. Aggiungo che il totalizzatore di Nicolosi è fornito di scher¬ mo e la soluzione anticongelante è la glicerina. Ciò posto, passo ai confronti. Dalla tab. I, col. D, si rilevano le differenze fra le osserva¬ zioni al pluviometro ed al totalizzatore. In linea generale si os¬ serva che i valori del totalizzatore sono sempre inferiori a quelli del pluviometro, tranne alcuni rari casi e cioè per le osservazioni 1921 X 7, XI 6, XII 6; 1922 X122, XII 23 ; 1923 28, XI 17; 1924 VI 22, VII 19 ; 1926 Vili 19, IX 2 ; 1927 IV 2. Queste date dimostrano già da sè stesse che non v’è una distribuzione rego¬ lare di tali scarti in determinati mesi e che le differenze cadono indifferentemente in qualsiasi mese dell'anno. E tale distribuzione irregolare permane se consideriamo gli scarti riferiti alle preci¬ pitazioni mensili (tab. I, col. d) raggruppate nella tab. II. Dalla quale risulta ancora che i casi nei quali il totalizzatore ha dato valori superiori a quelli del pluviometro sono rappresentati dai mesi I, IV, VI, VII, VIII, IX, X, XI (3 volte), XII (2 volte). Con ciò si potrebbe dire che v'è forse un predominio di questo caso in autunno e nel primo mese dell'inverno, ma la cosa è tutt'al- tro che sicura per le varie cause di errore delle quali dirò più tardi. Dalla tab. II si rileva quale sia il comportamento mensile degli scarti e la media mensile per l’ intero periodo osservato, basata sui dati bruti. La prima causa della differenza fra totalizzatore e pluvio metro, a mio parere, va ricercata negli errori di lettura degl' i- strumenti e principalmente del totalizzatore. Naturalmente non sono da escludere anche dei possibili errori di lettura del plu¬ viometro, ma questi sono già meno probabili. È noto che, nel totalizzatore, la lettura viene eseguita per mezzo di un'asta gra¬ duata ed il valore effettivo della precipitazione è un quarto di quello letto, in modo che un errore di 1 mm. nella lettura cor¬ risponde a 4 mm. di precipitazioni. In altri termini, nella valu- 212 — fazione di queste , l’ errore di lettura viene moltiplicato per quattro. Ho anzitutto voluto esaminare se vi sia un rapporto fra i valori, per ordine crescente di quantità, misurati al totalizzatore e gli scarti col pluviometro, espressi in letture effettive in mm. La constatazione che può farsi sulla distribuzione degli scarti, positivi e negativi, è quel'a che non v’è una regola fissa. Par¬ tendo da un valore 0 del totalizzatore e giungendo ad uno di 580, non si trova una regola nella distribuzione degli errori. I valori passano da cifre alte a basse e da positivi a negativi con grande facilità. Considerati per se stessi (tranne che in alcuni casi nei quali deve essere intervenuto un fatto naturale che real¬ mente ha influito sulla differenza fra le quantità di acqua rac¬ colte dai due istrumenti) le cifre oscillano prevalentemente in¬ torno a 1-2 mm. e cioè, per i casi più frequenti : 1 mm. 7 volte 2 3 4 5 II II 7 3 4 3 v a 6 mm. 8 a 9 a 10 „ 5 2 3 2 3 volte a il che dimostra in parte degli evidenti errori di lettura : alcuni dovuti forse a difficoltà di stima, altri ad un errore materiale per scambio di lettura delle graduazioni. Se si pone mente al fatto che oltre a questi possono anche esservi degli errori nella lettura del pluviometro, si può subito concludere che non è possibile un fattore di correzione per questo genere di errori. Ma è chiaro che gli scarti al disopra di un certo valore (pur potendo talvolta dipendere da errata lettura) difficilmente pos¬ sono essere attribuiti a tale causa e debbono invece piuttosto essere ricercati in fatti naturali od in difetti strumentali. Una prima causa è quella della differenza di precipitazione che può essere raccolta da due strumenti anche se vicinissimi fra loro. Questo errore può anche essere grave, ma non è eli¬ minabile , comechè dipende da cause naturali , alle quali effetti¬ vamente non possono ovviare schermi ed analoghi dispositivi. Nel nostro caso, è evidente un’influenza dello schermo del quale — 213 — è provvisto il solo totalizzatore, mentre ne è sprovvisto il plu¬ viometro. A Nicolosi, spesso la pioggia cade sotto fortissimi angoli (e ciò ho avuto agio di constatare personalmente in di¬ versi inverni) dimodoché lo schermo ostacola la raccolta nel to¬ talizzatore e naturalmente fa sì che con questo istrumento si ab¬ biano valori più bassi. Osservo, però, che le influenze dello schermo non sono definibili con sicurezza. Se si esaminano i diagrammi del Di Ricco per uno strumento fornito ed altri sfor¬ niti di schermo, si vede che anche nel primo caso i valori delle precipitazioni raccolte dal totalizzatore sono inferiori a quelle raccolte dal pluviometro. La quistione, a mio parere, non può essere risolta con considerazioni astratte , ma solo con ricerche sperimentali. Una seconda causa possiamo ricercarla nella temperatura. A temperature elevate, mentre il pluviometro totalizzatore non de¬ ve praticamente subire perdite per evaporazione, il pluviometro normale, letto ogni 24 ore, deve subire delle perdite inevitabili. È bensì vero che durante i mesi caldi , almeno nella regione che io studio, le precipitazioni sono minime e le cause di errore debbono diminuire. E ciò sembra dimostrato dalla maggioranza delle osservazioni dei mesi del semestre caldo, tranne qualche caso di lettura evidentemente aberrante (p. e. 1924 VII). Ma que¬ sta considerazione della possibilità di differenze maggiori nei mesi estivi a causa dell'evaporazione, è in contrasto col fatto che le differenze, per ordine di grandezza diminuente, sono nei mesi II, I, III, XII, IV, V, X, VI, IX, XI, Vili (-) od anche: inverno - 30,9 ; primavera - 1 5,0 ; estate 0,9 ; autunno - 2,3 ; men¬ tre le temperature hanno le seguenti successioni per valori cre¬ scenti : I, II, XII, III, IV, XI, V, X, VI, IX, VII, Vili, od anche inverno, primavera, estate, autunno. Ciò dimostra che mentre dovremmo attenderci delle diffe¬ renze minori nei mesi freddi e maggiori in quei caldi, è preci¬ samente nei primi che abbiamo le differenze maggiori. Non sem¬ bra dunque che le differenze debbano ricercarsi neir evapora¬ zione, diretta conseguenza della temperatura e dello stato igro¬ metrico dell'aria. Se così fosse, nei mesi del semestre freddo, il totalizzatore dovrebbe registrare quantità di precipitazioni u- guali (ed in ogni caso non superiori) e nei mesi caldi quantità — 214 — superiori a quelle del pluviometro. In pratica si vede che le quantità registrate dal totalizzatore sono sistematicamente infe¬ riori a quelle del pluviometro e la probabilità ora accennata trova una verifica solo nel mese VII, nel quale la quantità di acqua raccolta dal totalizzatore è superiore a quella del pluvio¬ metro, ma in quantità tale che evidentemente si tratta di un errore. Non credo che nel nostro caso si debba discutere il feno¬ meno del congelamento. Invece è da prendere in esame una pos¬ sibile influenza delle precipitazioni nevose. Nel caso di forti ne¬ vicate, si può ostruire la bocca del pluviometro e questo si può completamente riempire impedendo la raccolta delle precipita¬ zioni successive. Un errore di tale genere è stato segnalato dal Di Ricco per alcuni pluviometri calabresi , ma nel nostro caso non mi sembra che tale causa possa essere presa in considera¬ zione. I dati pluviometrici di Nicolosi non ci indicano forti ne¬ vicate durante il periodo che consideriamo, tali da riempire il pluviometro. Nelle tabelle I e II sono indicati con un * i mesi nei quali si ebbero nevicate. Confrontando le medie differenze ottenute per mesi dello stesso nome, ma con o senza neve, abbiamo : Con neve Senza neve I -46,9 -11,9 II -63,4 -4,6 III -33,4 -13,3 XI 20,4 -3,4 XII 67,9 -33,0 Da queste cifre si rileva che nei mesi I, II, III con neve, la quantità di precipitazione misurata al totalizzatore è stata molto inferiore a quella misurata negli stessi mesi senza neve : in altri termini, nei mesi nei quali nevicò, le quantità di acqua misurate al pluviometro furono sensibilmente maggiori che nei mesi nei quali non nevicò, contrariamente a quanto avrebbe dovuto suc¬ cedere per il presupposto secondo il quale nei mesi nevosi il totalizzatore dovrebbe registrare in più del pluviometro (invece — 215 — registra sensibilmente in meno) e come è avvenuto realmente nei mesi XI e XII. Mi sembra chiaro che non abbiamo alcuna prova probativa di una causa di scarto prodotta dalle precipi¬ tazioni nevose. Concludendo, mi sembra che quanto può stabilirsi circa l'attendibilità dei dati raccolti col totalizzatore, possa riepilogarsi in quanto segue. Escludendo gli eventuali errori di costruzione (che possono far variare i rapporti fra le quantità di acqua raccolte e misurate e possono provocare delle perdite, con conseguente mancanza di osservazione), perchè a questi errori si può ovviare a priori, rimangono alcune cause di errore che possono raggrupparsi co¬ me segue : 1) Influenza di fenomeni naturali e più pre¬ cisamente : angolo di caduta della pioggia (con re¬ lativa influenza dello schermo); temperatura e stato i- grometrico dell'aria (che fa variare i valori effettivi mi¬ surati al pluviometro, provocando degli scarti ai due istrumenti) ; precipitazioni nevose (?). 2) Cattivo metodo di misura adottato, il quale non solo moltiplica gli errori per quattro, ma induce con tutta facilità in errore per difficoltà di stima. Le cause del primo gruppo non sono sceverabili e non so¬ no, a mio parere, ovviabili. Si può forse eliminarne qualcuna ; p. e. togliendo lo schermo e disponendo nel pluviometro un di¬ spositivo che impedisca 1' evaporazione, ma non si possono eli¬ minarle tutte e tanto meno si può tenere conto della loro influenza nei risultati già posseduti. La causa principale di errore, consi¬ stente nel metodo di lettura, è pienamente eliminabile, ed è veramente sorprendente che non si sia pensato prima all' ado¬ zione di un mezzo meno rozzo di lettura. Di ciò mi occuperò altrove. Riguardo all'utilizzazione effettiva delle osservazioni della tab. I ho stabilito quanto segue. Nella tab. Ili sono riportati i valori medii osservati al pluviometro (P) ed al totalizzatore (T) ; le differenze (d) ed il rapporto (R). Un'ispezione dei valori men¬ sili che hanno fornite medie di P e T dimostra che vi sono al- — 216 — cuni mesi che bisogna escludere e nella 2a parte della tabella stessa sono ripetute le medie suddette con l'esclusione dei mesi appartenenti agli anni indicati in (A). L'esame delle colonne d’, R' mostra già una serie di valori con andamento più regolare e perciò più accettabile : però , sempre con le debite riserve. In altro studio, esaminando i dati forniti dagli altri totalizzatori, vedremo se tali rapporti siano attendibili o meno. I — 217 — Tabella I. A m. g. T p D = mm. T' P’ d in 1921 IX 12 112 110.3 1.7 0.4 IX X 7 100 80.0 20.0 5.0 95.0 76.0 19.0 X XI 6 240 160.1 79.9 20.0 227.8 152.6 75.2 XI Xll 6 120 125.4 -5.4 1.3 96.8 94.7 2.1 XII 1922 1 6 140 336.6 -196.6 49.1 101.5 189.0 -87.5 r 11 15 40 104.2 -64.2 16.0 116.1 286.6 -170.5 ii* 111 16 0 23.2 -23.2 5.8 2.8 20.8 -18.0 IH IV 14 40 64.2 -24.2 6.0 15.9 35.2 -19.3 IV V 15 24.1 40.0 -15.9 V 0.0 0.0 0.0 VI 0.0 0.0 0.0 VII 0.0 0.0 0.0 Vili IX 6 7.9 14.8 -6.9 IX X 21 8 18.4 -10.4 2.6 27.2 26.2 1.0 X XI 22 140 116.6 23.4 5.8 119.2 98.8 20.4 XI* Xll 23 100 76.0 24.0 6.0 98.1 76.7 21.4 XII* 1923 1 28 216 269.9 53.9 13.5 211.6 264.4 -52.8 1* 64 114.6 -50.6 12.6 37.8 67.6 -29.8 li* 111 27 28.8 49.8 -21.0 III IV 24 104 113.6 -9.6 2.4 102.6 111.4 -8.8 IV V 20 8 4.2 -3.8 0.9 10.9 14.0 -3.1 V VI 20 8 20.6 -12.6 3.1 3.9 10.2 -6.3 VI 9.6 VII 6.2 Vili IX 21 69.0 IX 80 68.4 11.6 2.9 19.5 16.7 2.8 X XI 17 60.5 51.7 8.8 XI 141.0 141.2 -0.2 XII* 320 320.6 -0.6 0.1 — 218 — (segue tabella I) A m. g. T P D = mm. T' P' d ni 1924 167.0 167.4 1 p 1* 11 9 15.8 65.7 -49.9 11* 4 56.7 -52.7 13.2 111 3 60.2 80.2 -20.0 111 60 77.2 -17.2 4.3 IV 2 68.0 109.4 -41.4 IV 68 109.4 -41.4 10.3 V 2 8.0 2.6 5.4 V 8 2.6 5.4 1.3 VI 22 7.8 4.8 3.0 VI 60 36.8 23.2 5.8 VII 19 52.2 32.0 20.2 VII 0 0.0 0 0 Vili 26 0.0 0.0 0.0 Vili 108 125.0 -17.0 4.2 6.4 7.4 -1.0 IX X 26 130.9 147.6 -16.7 X VII 1 200 204.4 -4.4 1.1 170.7 174.4 -3.7 XI All 1 392 434.6 -42.6 10.6 453.6 526.2 -72.6 Xll Xll 18 1925 1 16 68 101.2 -33.2 8.3 6.4 9.6 -3.2 1 22.9 26.2 -3.3 11* 244 279.0 -35.0 8.8 221.1 252.8 -31.7 111* IV 4 63.3 77.6 -14.3 IV V 31 136 166.7 -30.7 7.7 72.7 89.1 -16.4 V 0 0.0 00 0 0.0 0.0 0.0 VI VII 30 0.0 0.0 0.0 VII 0 21.5 -21.5 5.4 0.0 0.0 0.0 Vili 1 Y 01 60.0 86.1 -26.1 IX IA ZI 144 156.6 -12.6 3.1 X 22 257.7 267.4 -9.7 X 224 226.2 -2.2 0.5 89.7 114.6 -24.9 XI XI 15 16.6 26.8 -10.2 Xll* 56 90.6 -34.6 8.6 1926 1 3 57.2 61.2 -4.0 1 104 111.3 -7.3 1.8 11 26 48.5 52.5 -4.0 11 111 29 80 115.8 -35.8 8.9 78.3 113.4 -35.1 111* 32 39.6 -7.6 1.9 IV 29 32 0 39.6 -7.6 IV 88 93.8 -5.8 1 .4 — 219 — {segue tabella I) A m. g. T P D • = mm. T’ P' d m V 31 88.0 93.8 i òo V 6 13.2 -7.2 1.8 6.0 13.2 -7.2 VI VII 8 12.0 6.0 6.0 VII Vili 19 12 6.0 6.0 1.5 0.0 0.0 0.0 Vili IX 22 108 37.0 71.0 17.7 144.8 85.0 59.8 IX X 25 60 78.2 -18.2 4.5 23.2 30.2 -7.0 X XI 21 32 47.4 -15.4 3.8 50.2 74.8 -24.6 XI 120 180.8 -60.8 15.2 50.5 76.0 -25.5 Xll 1927 1 18 91.2 119.6 -28.4 1 128 135.4 -7.4 1.8 88.1 93.2 -5.1 11 111 4 67.8 62.2 5.6 111 IV 2 72 66.0 6.0 1.5 28.2 35.6 -7.4 IV V 2 24 31.8 -7.8 19 11.7 26.2 -14.5 V 4.3 9.6 -5.3 VI 16 35.8 -19.8 4.9 00 00 0.0 VII Vili 30 00 00 0.0 Vili 90.6 122.8 -32.2 IX 164 222.2 -58.2 14.5 73.4 99.4 -26.0 X XI 4 317.2 368.6 -51.4 XI 580 674.0 -94.0 23.5 262.8 305.4 -42.6 Xll* 1928 1 1 * Mesi con neve. — 220 — Tabella li. Mese 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 Media I -87.5* -52.8* -0.4* -3.2 -4.0 -28.4 -29.4 II -170.5* -29.8* -49.9* -3.3* -4.0 -5.1 -43.7 III -18.0 -21.0 -20.0 -31.7* -35.1* 5.6 -20.0 IV -19.3 -8.8 -41.4 -14.3 -7.6 -7.4 -16.5 V -15.9 -3.1 5.4 -16.4 -5.8 -14.5 -8.4 VI 0.0 -6.3 3.0 0.0 -7.6 -5.3 -2.7 VII 0.0 20.2 0.0 6.0 0.0 5.2 Vili 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 IX -6.9 -0.1 -26.1 -59.8 -32.2 -1.3 X 19.0 1.0 2.8 -16.7 -9.7 -7.0 -26.0 -5.2 XI 75.2 20.4* 8.8 -3.7 -24.9 -24.6 -51.0 0.0 XII 2.1 21 4* -0.2* -72.6 -10.2* 1 -25.5 -42.6* -18.2 * Mesi con neve. Tabella III. Mese p T d R A P' T' d' R’ I 135.2 105.8 -29.4 1.277 -1922 124.4 106.7 -17.7 1.166 II 98.6 54.9 -43.7 1.796 -1922 61.0 42.6 -19.4 1.432 III 96.5 76.5 -20.0 1.261 96.5 76.5 -20.0 1.261 IV 68.1 51 .6 -16.5 1.319 68.1 51.6 -16.5 1.319 V 44.3 35.9 -8.4 1.234 44.3 35.9 -8.4 1.234 VI 10.7 8.0 -2.7 1.337 10.7 8.0 -2.7 1.337 VII 7.6 12.8 5.2 0.593 7.6 12.8 5.2 0.593 Vili 0.0 0.0 0.0 1.000 0.0 0.0 0.0 1.000 IX 63.2 61.9 -1.3 1.021 63.2 61.9 -1.3 1.021 X 94.8 89.6 -5.2 1.058 94.8 89.6 -5.2 1.058 XI 147.9 147.9 0.0 1.000 -1921 147.1 134.6 -12.5 1.309 XII 178.1 159.9 -18.2 1.114 178.1 159.9 -18.2 1.114 Finito di stampare il 27 aprile 1929, Notizia di Asteroidi irregolari del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 4 agosto 1928) Dò notizia nella presente Nota delle altre forme anomale di stelleridi pervenute direttamente dal mare e da me raccolte, allo scopo di conoscere il massimo numero possibile di forme irre¬ golari che si riscontrano in questa caratteristica classe degli A- steroidi l). Non si tratta solamente di una raccolta quantitativa, la quale ha la sua importanza per la statistica, ma si vogliono an¬ che con questi studii conoscere le probabili cause determinanti le anomalie. Dai molti esemplari raccolti, da esperienze condotte in laboratorio sarà possibile compiere un lavoro di sintesi che dia a noi la facoltà di meglio interpetrare e conoscere le ano¬ malie ed i loro determinanti. Descrivo: un esemplare di Anseropoda membranacea (Linck) a sei braccia ; tre esemplari di Echinaster sepositus Gray, di cui due con quattro braccia ed uno con sei; due esemplari di Astro- pecten bispinosus di cui uno con quattro ed uno con sei braccia e cinque esemplari di Asterina gibbosa Penn di cui quattro a sei braccia, ma di cui uno è un esemplare gigante ed uno con quat¬ tro braccia. Descrizione degli esemplari. 1. Anseropoda membranacea (Linck) 2) Non molto numerose sono le anomalie riscontrate in Anse¬ ropoda membranacea. Ludwig ha visto un esemplare con sei ed A) Dei miei precedenti studii sulle forme anomale degli Asteroidi si sono occupati il Pelsener ed il Caullery. 2) Anseropoda membranacea Linck — Palmipes membranacens L. Ag. — 222 uno con quattro, Sars uno con sette braccia e Perrier, Viguire e Herdman un esemplare ciascuno con sei braccia. Le sei braccia dell'esemplare in esame non sono egualmente sviluppate. Il braccio A misura mm. 95, il braccio B mm. 90, il braccio C mm. 94, il braccio D mm. 93, il braccio E ed il braccio F mm. 82. Il raggio minore misura mm. 57. Il rapporto quindi fra i due raggi è dato dai seguenti valori 1:1,6; 1:1,5; 1 : 1,6; 1 : 1,6 e 1 : 1,4. Non è uno dei più grandi esemplari: il Ludwig ne registra alcuni normali il cui raggio maggiore raggiunge i 111 mm. L'e¬ semplare a sei braccia riportato da Ludwig misura un raggio maggiore di mm. 4,5 e minore di 3,5. Fig. 1. — Anseropoda membranacea (Linde). Regione ventrale. La piastra madreporica misura mm. 2,1 e si trova nell' in- terradio D E. Le piastre boccali sono sei e ben regolari (Fig. 1). Lo studio dello scheletro dell' esemplare in esame lascia vedere che le braccia meno sviluppate E ed F sono rigenerate, — 223 — ma non hanno ancora compiuto V intero sviluppo. Ciò si nota in modo molto evidente osservando la regione ventrale. Le placche ventro laterali infatti nella zona in esame sono più piccole e si nota la differenza con quelle laterali corrispon¬ denti alla zona non rigenerata. Ma, a parte questa duplice dif¬ ferenza , cioè lo sviluppo non completo e la piccolezza delle placche ventro-laterali, tutte le altre placche, come le dorsali, le radiali, le adradiali, le terminali, le ambu- lacrali e le adambulacrali sono tutte regolarmente disposte e già bene sviluppate. La porzione terminale del brac¬ cio D è rigenerata anch' essa di mm. 30 e si presenta, circa lo sviluppo delle placche costituenti lo scheletro dorsale, come quelle costituenti lo scheletro ventrale analogamente agli estremi terminali delle braccia E ed F. La rigenerazione insomma delle parti lese è così regolare che, a stento, si può notare la piccola differenza delle varie placche , differenza che consiste non nella disposizione che è regolarissima, finanche nelle placche supple¬ mentari, ma nella grandezza. Echinaster sepositus Gray. In due miei precedenti lavori ho descritto tre esemplari di questa specie, due con sei braccia regolari ed un terzo con un braccio biforcato. Finora non mi era stato dato di osservare e- semplari tetrameri, pur essendone stati descritti da altri autori per altri mari. Dal 1924 ad oggi io ho rinvenuto in più riprese due esemplari tetrameri ed uno esamero. I due esemplari tetra¬ meri furono pescati l’uno nell'aprile 1925 fra 16 esemplari nor¬ mali e l’altro il 27 novembre 1927 fra cinque esemplari nor mali. Quello esamero è stato pescato il 19 settembre 1928 fra tre esemplari nei pressi di Posillipo. Fra le varie anomalie finora riscontrate dai vari autori in questa specie prevalgono le forme esamere, quelle ad otto ed a sette braccia. Le forme tetramere sono più rare. Difatti pur raccogliendo io da oltre quattordici anni tale specie , nel no¬ stro Golfo che è così ricco, non ne rinvenni a quattro braccia che appena due esemplari e lo stesso Ludwig che studiò varii anni alla Stazione Zoologica di Napoli per la sua Monografia — 224 — sugli Asteroidi non parla che di un solo esemplare esatnero. Data quindi la rarità del reperto credo utile dare più estese no¬ tizie. 1° Esemplare tetramero. Le dimensioni di questo esemplare sono modeste : il brac¬ cio A misura mm. 38 a partire dal centro del disco sino aire- strema placca ocellare. Di esso 14 mm. della regione terminale sono rigenerati. 11 raggio minore calcolato dal centro del disco all'estremo interradiale misura mm. 10. Il braccio B misura mm. 60 ; il brac¬ cio C mm. 52, il braccio D mm. 51. I rapporti quindi fra il raggio mino¬ re delle quattro braccia ed il raggio maggiore è di 1:38; 1:6,0; 1:5,2; 1:5,1. La placca madreporica trovasi nell’intermedio C D e misura mm. 2. Le quattro braccia presentano tutte le placche come si trovano negli esem¬ plari normali (Fig. 2). Nella regione ventrale si notano in corrispondenza delle quattro brac¬ cia quattro placche boccali egualmente sviluppate. L'esemplare presenta le due brac¬ cia C e D quasi eguali e le altre due A e B disuguali, e di queste il braccio A presenta tutto Y estre¬ mo in via di rigenerazione. Nella regione interna non si riscon¬ tra anomalia di sorta. X Esemplare tetramero. È uno dei più grandi Echinaster che mi siano finora capi¬ tati. 11 raggio maggiore del braccio A misura mm. Ili, il brac¬ cio B mm. 122, il braccio C mm. 110, il braccio D mm. 112. 11 raggio minore misura mm. 16; quindi i rapporti fra i raggi sono rispettivamente di 1 : 6,9; 1 : 7,6; 1 : 6,8 ; 1 : 7,0. V'-: ■ •- 0^ Fig. 2. Echinaster seposilus Gray, tetramero. — 225 — La piastra madreporica trovasi neirinterradio B, Ce misura mm. 2 (Fig. 3). Nella regione ventrale si notano le quattro placche boccali in corrispondenza delle quattro braccia. Il più grande esemplare visto da Ludwig misurava un rapporto fra i raggi di 1 : 7,75 e Muller e Troschel parlano di e- semplari il cui rapporto è di 1 : 8. L’esemplare raccolto misurando un rapporto di 7,6 si avvicina ai più grandi finora rinvenuti come animali normali. Fra gli anormali quindi acquista mag¬ giore importanza il suo rinve¬ nimento. Nessuno degli estremi delle braccia presenta rigenerazione. Tutte le placche caratteristiche di queste specie sono normal¬ mente sviluppate e, nella regione interna del corpo, i varii organi sono sviluppati egualmente come negli esemplari normali. In questi due esemplari non si può parlare di anomalia dovuta a rigenerazione, perchè non si riscontra traccia di essa, ma si può vedere che essi sono sviluppati normalmente. Si tratta di un’ipotipia naturale dovuta alla mancata formazione del quinto braccio. Esemplare esamero. L’esemplare è di grandezza media e per quanto apparen¬ temente possa sembrare regolare pure la lunghezza delle singole braccia varia. Vi sono tre braccia più sviluppate e tre di meno. Le prime misurano nel raggio maggiore mm. 42, 43, 43, le altre tre mm. 35, 40, 37. Il raggio minore misura mm. 8 ; quindi i rapporti fra i - 15 - Fig. 3. Echinastet sepositus Gray, tetramero. — 226 — due raggi sono dati rispettivamente da 1:5,2; 1:5,3; 1:5,3; 1 : 4,3 ; 1 : 5.0 ; 1 : 4,5. La piastra madreporica misura mm. 1. La irregolarità del numero delle braccia dipende in questo caso da rigenerazione sopravvenuta aH’animale, in seguito alla perdita di braccia. Nel punto leso si sono formate tre braccia invece di due. La zona del disco dimostra chiaramente la neo- formazione avvenuta nel punto leso. Senonchè invece di aversi una rigenerazione normale si è verificata una iperrigenerazione con formazione di tre braccia invece di due. Ciò è un fatto che si verifica spesso negli asteroidi , specialmente in alcune specie come la Coscinasterias tenuispina Lamk. Astropecten bispinosus Otto. Di questa specie sono stati finora rinvenuti esemplari te¬ trameri dal Giebel (1862) e dal Ludwig (1897). Io ne ho descritto già uno con braccio biforcato rinvenuto sulla spiaggia di Baia dal prof. O. De Fiore e nel presente scritto descrivo due esem¬ plari aventi uno sei braccia ed uno quattro. Esemplare esamero. È questo il primo esemplare esamero che viene rinvenuto. Il raggio maggiore misura mm. 45 ed il minore 10 mm. Il rapporto fra i due raggi è dato da 1 : 4,5 (Fig. 4). L'animale quindi è piuttosto piccolo, tenuto conto che il Lud¬ wig ne riporta alcuni il cui rag¬ gio maggiore misura 90 mm. e il minore 15 e nella varietà pia- tyacanthus qualcuno che ha il raggio maggiore di 100 mm. La piastra madreporica mi¬ sura 2 mm. Le placche m argi n al i su- Fig. 4. Astropecten bispinosus Otto, esamero. — 227 — p e r i o r i sono in media 24 nelle singole direzioni delle brac¬ cia. Ognuna è fornita di un' acuta spina e non si riscontra che qualche breve variazione. Parimenti le placche marginali in¬ feriori si corrispondono con le superiori. Anche le placche ventro-laterali sono normalmente disposte. Le placche boccali sono sei in corrispondenza delle braccia. Non esiste traccia di rigenerazione avvenuta in questo animale , per cui è da considerarsi 1' anomalia come congenita. Nell' uovo stesso si sono verificate modificazioni tali al momento dello sviluppo da provocare la formazione di un numero di braccia superiore a quelle che si rinvengono negli esemplari normali. Esemplare tetramero. Il presente esemplare è di medie proporzioni. 11 raggio mag¬ giore misura mm. 64, ed il raggio minore mm. 12; il rapporto quindi fra i due raggi è dato da 1 : 5,3. La piastra madreporica misura mm. 1,1 (Fig. 5). Esiste una completa regola¬ rità nelle differenti placche che costituiscono lo scheletro dell'a¬ nimale in esame. Le placche mar¬ ginali superiori sono cir¬ ca trenta in ciascuna direzione del braccio e così parimenti le placche marginali infe¬ riori. Così le placche venti¬ late r a 1 i sono normali e le placche ambulacrali ed a dambulacrali si sono svi¬ luppate regolarmente nelle sin¬ gole braccia. Le placche boc¬ cali sono quattro in corrispondenza del numero delle braccia. Anche in questo esemplare si deve parlare di un'anomalia congenita perchè non esiste traccia di processo rigenerativo av¬ venuto in esso. Le quattro braccia sono perfettamente regolari. — 228 — Dallo studio precedente fatto sui due esemplari si desume che nell' Astropecten bispinosus sono più comuni le anomalie tetramere che esamere. Se si consideri il numero di studiosi che si sono occupati dell’argomento e le notizie date su le anomalie riscontrate in questa specie, si deve dedurre che le anomalie esamere sono più rare. Io però che mi vado occupando da vari anni ho potuto constatare che forme anomale registrate come rare e rarissime non sono rimaste tali quando sono state fatte ulteriori e più in¬ tense ricerche. Per dare un esempio, quando nel 1916 io mi sono occupato della tetrameria del \' Astropecten aurantiacus non ave¬ vo trovato in bibliografia nessun caso registrato e lo stesso Ludwig nella sua Monografia riteneva rara 1' anomalia. Ebbene in questi ultimi anni ho rinvenuto numerosi esemplari tetrameri di Astropecten aurantiacus e di essi mi sono occupato in varii lavori, e spero al più presto pubblicare uno studio completo sulla tetrameria di questa specie ! Asterina gibbosa Penn. Finora ho rinvenuto nel numeroso materiale di Asterina gibbosa Penn. pescato dalla Stazione Zoologica di Napoli nel Golfo dieci esemplari con sei braccia e quattro tetrameri. Dal mio ultimo lavoro, pubblicato nel 1919, ho rinvenuto ancora in tempi varii altri cinque esemplari di cui quattro esameri( e fra questi uno che può dirsi il gigante della famiglia ed uno tetramero. 1° Esemplare esamero. L'animale è uno dei più grandi che finora io abbia avuto occasione di osservare. Esso misura nel raggio maggiore mm. 37 e nel raggio minore mm. 23, quindi il rapporto fra i raggi è di 1 : 1,60. Ludwig nella sua monografia sugli Asteroidi riporta le misure di una serie di esemplari il cui raggio maggiore mi¬ sura al massimo mm. 29, ed il raggio minore misura mm. 16,5. Ne segue un rapporto allora di 1 : 1,76. Nell' esemplare da me rinvenuto invece mentre il raggio maggiore misura mm. 37 il — 229 — minore ne misura 23, quindi il rapporto fra i due raggi è di 1 : 1,60. Per quanto possa sembrare più piccolo, pure il valore del raggio maggiore dice della grandezza dell'esemplare. Da un estremo all’altro dell'animale si ottiene una misura di 74 mm. La piastra madreporica misura mm. 1,5 (Fig. 6). Fig. 6. — Astesina gibbosa Penn, 2 esemplari esarr.eri. Quel o a sinistra è l’esemplare gigante. L’esemplare è regolarissimo. Tutte le varie placche che co¬ stituiscono lo scheletro dell' animale sono tutte regolari. Anche le placche boccali' non presentano alcuna variazione. L’anomalia ipermelica è dovuta ad un fattore congenito e lo sviluppo ec¬ cezionale a quel fenomeno di gigantismo che si riscontra talvolta in tanti tipi animali. 2° Esemplare esamero. Il secondo esemplare è di più modeste dimensioni. Il rag¬ gio maggiore misura mm. 22 ed il minore misura mm. 15. Il rapporto quindi fra i due raggi è di 1 : 1,4. La placca ma¬ dreporica misura appena 1 mm. L' esemplare è regolarissimo, tutte le differenti placche che si trovano negli esemplari nor¬ mali si rinvengono analogamente in questo. Anche le placche boccali sono sei e regolari. Lo studio particolareggiato sull’ e- semplare fa notare che non esiste traccia di rigenerazione e quindi l'esemplare si è sviluppato, così, dall’uovo per un eccesso di sviluppo. — 230 3° Esemplare esamero. Quest'esemplare esamero fu da me rinvenuto il 26 marzo 1928 fra trentacinque piccole astenne, pescate nel Golfo. L' e- semplare è di piccole dimensioni. Il raggio maggiore misura mm. 3 ed il minore mm. 2 quindi il rapporto fra i raggi è di 1 : 1,5. La placca madreporica misura mm. 0,4. L'esemplare si avvicina a quello pentamero riportato dal Ludwig al n. 36 della sua tabella riportata a p. 213 della sua monografia. L'esemplare non presenta traccia di rigenerazione, quindi la sua polimelia è congenita, così come si è notato per i due precedenti esemplari descritti. 4° Esemplare esamero. L' esemplare è di piccole dimensioni. Le sei braccia sono tutte regolari. Il raggio maggiore misura mm. 6, il raggio mi¬ nore mm. 3,5 ; il rapporto quindi fra i due raggi è di 1 : 1,7. La piastra madreporica misura mm. 0,4. Tutte le singole plac¬ che della regione dorsale sono regolari. Nella regione ventrale le placche boccali sono tutte normali e così pure le altre plac¬ che circostanti. Si tratta quindi di un'anomalia congenita. Esemplare tetramero. E un esemplare di piccola taglia. Fu rinvenuto fra 60 in¬ dividui normali. Il raggio maggiore misura 10 mm. ed il mi¬ nore 5. Il rapporto quindi fra i due raggi è di 1 : 2,0. La pia¬ stra madreporica misura mm. 0,3 e le placche vicine sono ag¬ gruppate e fuse. Si tratta di un esemplare in cui non v’è traccia di rigenerazione : la sua anomalia è congenita. Napoli , Stazione Zoologica, giugno 1928. BIBLIOGRAFIA 1877. VlGUIER, C. — Anatomie comparée dn squelette des Stelléri- des. Arch. Z. Exper. Tome 7, p. 33, pi. 5-16. 1897. LUDWIG, H. — Die Seesterne des mittelmeeres. Fauna und Flora des Golfes von Neapel. 24 Monogr. Berlin. 1916. ZlRPOLO, G. — Di una rara anomalia delle braccia di Astro- pecten aurantiacus L. Pubbl. Staz. Zool., Voi. 1, p. 31, Tav. 1-3, 10 figure. 1916. — — Alcuni casi di anomalia delle braccia di Asterina gibbosa Penn. Boll. Soc. Nat., Voi. 29, p. 3, 2 Tav. 1917. — — Notizia di Asteroidi anomali pescati nel Golfo di Napoli (Echinaster sepositus Gray ed Asterias glacialis O. F. MiiLLER). Boll. Soc. Nat., Voi. 30, p. 20, 4 figg. 1919. — — Notizia riguardante altri esemplari anomali di A- sterina gibbosa Penn. pescati nel Golfo di Napoli. Boll. Soc. Nat., Voi. 32, p. 63. 1924. — — Notizia di un Echinaster sepositus GRAY con sei braccia pescato nel Golfo di Napoli. Atti Pont. Acc. Nuovi Lincei, Anno 77, maggio 1924, p. 161. 1924. — — Ulteriori notizie di Asteroidi anomali. Boll. Soc. Nat., Voi. 36, p. 305-346, Tav. 6-8, 9 fig. 1924. KOEHLER, R. — Les Echinodermes des mers d' Europe. Tome 1, Paris 1924, Gaston Doin Edit. 1927. CAULLERY, M. M. -- Sur les potentialités régénératives de la face dorsale du disque et des bras chez les Astéries. Bull. Soc. Zool. France, Tome 52, p. 221, 3 figg. Finito di stampare il 27 aprile 1929. Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli Rendiconti delle Tornate ed Assemblee Generali (PROCESSI VERBALI) IV Il socio Zirpolo replica affermando il suo diritto alla pubblica- zione. Domandano la parola i soci Zambonini, Giordani, Gargano, Quin- tieri , Cutolo e, tra questi si discute della questione se nel Bollettino possano o pur no trovar posto note polemiche. Il Presidente fa notare, che in base allo Statuto e Regolamento in vigore, non può essere messa in discussione la pubblicabilità di un lavoro di un socio, quale che sia l’argomento. Dichiara quindi che il lavoro del socio Zirpolo, a norma del regolamento, resterà depositato per otto giorni in segreteria a disposizione di quei soci che volessero prenderne visione. Il Segretario legge la Relazione sull’attività sociale pel 1927. Egregi Consoci, Eccovi la consueta relazione sull’attività del nostro Sodalizio nel decorso 1927 : Soci. — Il numero dei soci è rimasto ancora come pel 1926 inva¬ riato poiché il Consiglio Direttivo non ha creduto di proporre l’am¬ missione di nuovi soci fino a che le modifiche dello statuto appro¬ vate dall’Assemblea generale straordinaria del 20 marzo 1927 non aves¬ sero avuto la loro sanzione, dalle competenti autorità superiori , alle quali, essendo la nostra Società ente morale, sono state trasmesse. Non essendo ancora tale pratica completamente espletata il nu¬ mero dei soci sarebbe ancora quello del decorso anno. Ma con vero dolore dobbiamo constatare che esso è invece di¬ minuito : tre soci sono infatti venuti a mancare e tra questi due dei nostri più affezionati ed attivi che molto si cooperarono in varie oc¬ casioni, spesso critiche, per la vita del nostro sodalizio. 11 socio Prof. Ciro Chistoni morto nell’agosto scorso fu già Vice Presidente della nostra Società della quale era socio da più di venti anni. Venuto a Napoli a dirigere l’Istituto di Fisica terrestre comprese subito l’importanza del nostro sodalizio e contribuì validamente colla sua autorità di scienziato valoroso ad aumentarne il prestigio. Fu uno dei nostri più attivi soci e in varie occasioni si fece iniziatore di voti tra i quali recente quello riguardante il Serapeo di Pozzuoli. Il socio Prof. Francesco De Rosa morto improvvisamente nell’ot¬ tobre scorso ed il socio Prof. Francesco Saverio Monticelli la cui im¬ matura fine avvenuta nel novembre scorso è stata una dolorosa per¬ dita sia per la nostra Società sia per la scienza furono già soci, gio¬ vanissimi della Società quando questa ancora aveva nome di Circolo degli Aspiranti Naturalisti e furono poi tra i fondatori della Società, quando questa nel 1881 venne a costituirsi per opera di pochi entu¬ siasti che seppero farla vivere in quei primi periodi di difficoltà e di incertezze. Tanto il De Rosa quanto il Monticelli nostro socio bene¬ merito, ebbero più volte la carica di Presidente. Le loro figure indimenticabili di soci sono intimamente legate allo sviluppo ed all’incremento della nostra Società. Come è stato an¬ nunziato dal Presidente nella tornata del 30 dicembre, in sedute ap¬ posite come è consuetudine sociale, verranno commemorati questi no¬ stri soci. Alle doloranti famiglie alle quali il Consiglio Direttivo ha inviato le parole di condoglianze sincere, vada il solidale saluto dell’assemblea. Tornate. — La Società ha tenuto nel 1927, 6 tornate ordinarie, due assemblee generali ed un’ assemblea straordinaria generale. Nelle tornate ordinarie sono stati letti numerosi lavori da parte dei soci delle due categorie e fatte comunicazioni verbali. Attività scientifica. — 1 lavori letti nelle tornate sono stati 23 oltre 2 comunicazioni verbali : in tutto 25 lavori così ripartiti : Zoologia 11 ; Botanica 2 ; Patologia chirurgica 1 ; Agraria 1 ; Geologia 1 ; Metero- logia 3; Ecologia agraria 3; Chimica 3; Fisica 1. Il socio Ranzi ha descritto un nuovo Policlade del nostro Golfo. Il socio Viggiani si è occupato delFavvicendamento delle culture ' dal punto di vista ecologico e della determinazione della costante e- cologia della patata. Il socio Pierantoni ha comunicato osservazioni sui globuli del vitello delle uova di Bufo. La socia Fiore si è occupato della dicotomia e fasciazione foliare in Scolopeudrium viti gay e L. Il socio Del Regno s’è occupato del comportamento del Selenio eccitato con sostanze radioattive. Il socio De Fiore ha presentato una memoria geologica sull’Isola di Linosa. Il socio Salfi ha illustrato alcuni Ortotteri di Linosa, nuovi or¬ totteri di Cirenaica e ha descritto preliminarmente due Ascidie del golfo di Napoli. Il socio Augusti si é occupato di sue ricerche chimiche sul Mirto è sul Lichene d’Islanda. Il socio Andreotti ha trattato della curva delle massime quantità di pioggia per Napoli. VI La socia Maio s’è occupata del periodo diurno della pioggia a Napoli e di uno studio comparativo sulle variazioni della quantità e della frequenza annuale della pioggia in varie città d’Italia. Il socio Zirpolo ha illustrato un caso di eteromorfosi in Astro- pecten ed ha segnalato la presenza della Barentsia discreta nel Golfo di Napoli. Il socio Colosi ha letto una nota su alcune nuove specie di Va - ginulidi. Il socio Police ha presentato una memoria sull’ apparato bucco- faringeo del Phalangium opilio. Il socio Gargano s’è occupato delle Plastiche gastriche con lembi di aponevrosi fissata e degl’innesti di tessuto testicolare in glandola mammaria di cane. Il socio Rodio ha esposto sue osservazioni sul pigmento delle Schizoficee. Il socio Milone infine s’è occupato della determinazione dell’aci¬ dità del latte. Bollettino. — Il Bollettino che è stato presentato all’Assemblea é il Voi. 39, anno 41°. E’ un volume di circa 450 pagine con 21 tavole e numerose figure nel testo. Esso è diviso in tre parti, la prima che raccoglie le memorie e note dei soci, la seconda le comunicazioni verbali e la terza i processi verbali e l’elenco dei soci, dei cambi e delle pubblicazioni pervenute in dono. Biblioteca. — Anche la Biblioteca si è andata sempre più arric¬ chendo. Numerosi volumi sono stati donati dal compianto socio Mon¬ ticelli appartenenti alla Biblioteca dell’Abate Teodoro Monticelli. Sono opere assai interessanti di Geologia, Mineralogia, Geografia , molte delle quali con dediche autografe di illustri scienziati. Il socio Milone e l’ing. Mario Monticelli hanno donato altre pregevoli pubblicazioni alla nostra Biblioteca. Moltissimi volumi (circa 200) sono stati rilegati ed altri si spera di far rilegare durante ih corrente anno. Una lode ed un ringraziamento vadano al socio A. Parascandola che nelle continue peripezie a cui anche in questo anno è andata soggetta la Biblioteca per i continui lavori di sistemazione e della facciata ha avuto la pazienza di rifare più volte il lavoro di riordina¬ mento che ci auguriamo di poter portare a termine al più presto, nella speranza che i lavori di riattamento dei locali siano ultimati, così da poter definitivamente ordinare i libri perchè soci e studiosi possano avvantaggiarsene. VII Voti. — La Società ha, su proposta del socio Prof. Cavara, appro¬ vato un voto per la conservazione del bosco di Gariglione nella Sila piccola. Egregi Consoci, Nel chiudere la mia relazione lasciate che io esprima P augurio che la nostra Società per le sue rinnovate attività abbia sempre più a prosperare e ad affermarsi tra le numerose Società ed Accademie scientifiche e permettete che additi alla riconoscenza dell’Assemblea, quattro nostri soci che con il loro ben volere e zelo hanno reso non pochi servizi al funzionamento del nostro sodalizio. Il cassiere Prof. Ermete Marcucci, vigile ed oculato custode delle finanze sociali, il Bibliotecario Antonio Parascandola che ha prestato largamente e di¬ sinteressatamente l’opera sua a vantaggio della Biblioteca sociale, il Prof. G. Zirpolo che ha dedicato tante cure alla Redazione del Bol¬ lettino, ed infine il V. Segretario socio U. Trezza che in varie occa¬ sioni ha con solerzia disimpegnato le sue mansioni. Il Segretario a nome dei Revisori dei conti legge la relazione di questi ultimi del Bilancio consuntivo 1927. Il Presidente mette in votazione il Bilancio consuntivo 1927 che è approvato all’unanimità. Il Presidente comunica poi che non essendo note, a causa della ancora non avvenuta consegna dell’Eredità DeMellis, le entrate del pros¬ simo anno 1928, il consiglio ha creduto di rimandare la compilazione del preventivo ’28, e domanda perciò all’assemblea un esercizio prov¬ visorio fino ad ultimazione delle pratiche legali della consegna della Eredità. L’assemblea approva all’unanimità. La seduta è tolta alle ore 19,30. Processo verbale della Tornata ordinaria del 21 maggio 1928. Presidente : PlERANTONi. Segretario : SALFI. Soci presenti : Fedele, Salfi, Cavara, Platania, Candura, Pierantoni, Marcucci, Fiore, Parascandola, Quintieri, Zirpolo, Jucci, Gargano, Guadagno, Milone, Caroli, Rodio, Baronessa Monticelli. La tornata è aperta in seconda convocazione alle ore 18,15. Il Segretario legge il processo verbale della tornata precedente che è approvato. Il Presidente comunica all’assemblea la morte del socio Leopoldo Vili Marcello e le condoglianze fatte pervenire alla famiglia dal Segretario a nome del Consiglio Direttivo e dei soci tutti. Il socio Gargano propone che in una tornata venga commemo¬ rato il socio defunto. Tale proposta è approvata. Il Presidente comunica che il Tribunale ha emesso 1’ espediente volontario e che ultimate le pratiche in corso presso V esecutore te¬ stamentario, la Società entrerà in possesso definitivo dell’eredità. Il socio Fedele legge un lavoro dal titolo : Sullo sviluppo lar¬ vale dei Phyllirho'idae e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Platania legge un lavoro dal titolo : Un dodicennio di osservazioni di ottica atmosp erica eseguite in Catania e Napoli e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. L’ assemblea approva la pubblicazione di queste due note nel Bollettino. Il socio Pierantoni fa una relazione sulla stampa scientifica occu¬ pandosi di recenti pubblicazioni negli organi fotogeni batterici dei pesci. In ultimo il Presidente prima di togliere la seduta rendendosi in¬ terprete dei sentimenti dei soci presenti si congratula vivamente ed ha parole di augurio per il socio Milone . oramai completamente ri¬ stabilito e di nuovo ritornato a prender parte all’attività sociale. Il socio Milone ringrazia sentitamente il Presidente ed i soci tutti. La tornata è tolta alle ore 19,30. Processo verbale della Tornata ordinaria de! 7 agosto 1928. Presidente : Pier ANTONI. Segretario : SALFI. Soci presenti : Cavara, Zirpolo, Quintieri, Milone, Police, Mar- cucci, Cutolo E., Caroli, Volpicelli. La tornata è aperta alle ore 18. Il Presidente comunica che il Ministero ha approvate le modifiche dello statuto, chiedendo però alcune varianti di forma da apportarsi all’articolo II delle modifiche. Tale variazione richiesta dal Ministero è approvata dall’assemblea. 11 Presidente comunica che i lavori per la lapide ad A. Costa sono stati ultimati. Il Segretario legge il processo verbale della tornata pre¬ cedente che è approvato. Il socio Cutolo chiede se il C. D. ha stabilito nulla circa le com¬ memorazioni dei soci defunti. Il Presidente informa che il Consiglio ha già dato incarico a vari soci perchè preparino le commemorazioni IX clie saranno lette in tornate speciali o in tornate ordinarie e ciò nel corrente anno. 11 Segretario legge un lavoro del socio G. Imbò sulla: Radiazione solare e vapore acqueo e ne chiede la pubblicazione a nome dell’A. La socia Maio legge un lavoro del socio Andreotti su alcune Ricer¬ che pluviometriche e ne chiede la pubblicazione a nome dell’ A. La socia Maio legge un lavoro su Conducibilità elettrica e potere rifran¬ gente di diversi campioni di acqua marina e ne chiede la pub¬ blicazione. Il socio Zirpolo legge un lavoro : Casi di anomalie os¬ servate in Antedon Mediterranea e comunica ulteriori osservazioni sulle anomalie e gemmazioni di Asteroidi e ne chiede la pubblicazione. Il socio Milone fa una comunicazione verbale Sulle centrali del latte. Il socio Cavara comunica alfassemblea che è stata recentemente istituita nel R. Orto Botanico : una Stazione sperimentale per le piante utili. La seduta è tolta alle ore 19,45. Processo verbale della Tornata ordinaria dell’ Il novembre 1928. Presidente : PlERANTONI. Segretario : SALFI. Soci presenti: Milone, Cavara, Parascandola, Torelli, Fiore, Cali- fano, Giordani Francesco, Marcucci, Zirpolo, Ranzi, Mondelli, Caroli, Cutolo, Bakunin, Gargano. La tornata è aperta alle ore 18 in seconda convocazione. Il Presidente invita il Segretario a leggere il processo verbale della tornata precedente che è approvato all’unanimità. Il Segretario presenta due pubblicazioni del socio De Fiore e co¬ munica che il C. D. ha accettato il cambio con l’Accademia Masaryk di Scienze di Praga. Il Segretario a nome del socio Jucci, assente, legge un lavoro di quest’ultimo dal titolo : Somministrazione di sostanze cerose per via alimentare e ne chiede la pubblicazione a nome dell’Autore. La socia Torelli legge una nota dal titolo : Gl’Isopodi del Golfo di Napoli: Il genere Cymodoce e ne chiede la pubblicazione. Il socio De Fiore fa un’ampia relazione sulla Costituzione Geo¬ logica delVIsola di Pantelleria e ne chiede la pubblicazione. Il socio Pierantoni fa una comunicazione verbale a proposito della Balenottera ( Physolus antiquorum) arenata sulla spiaggia di S. Giovanni a Teduccio il cui scheletro sarà conservato nel Museo di Anat. Comp. dell’Università. La seduta è tolta alle ore 18,45. X Processo verbale della Tornata ordinaria del 23 dicembre 1928. Presidente jf. : MlLONE. Segretario : SALFI. Soci presenti : Marcucci, Parascandola, Zirpolo, Platania, Police, Cutolo, Rodio, Caroli. La tornata è aperta alle ore 18 in seconda convocazione. Intervengono alla seduta anc e il Prof. Signore in rappresentanza del R. Oss. Vesuviano. 11 Prof. M. Fedele in rappresentanza della Staz. Zoologica. 11 Presidente invita il socio Police a leggere la commemorazione del socio Capobianco. Il socio Police legge la commemorazione del socio Fr. Capo¬ bianco che fu Presidente del nostro sodalizio, lettura che verrà inse¬ rita nel Bollettino del c. a. Ad invito del Presidente il socio G. Platania legge la commemo¬ razione del socio Ciro Chistoni che come la precedente sarà anche inserita nel Bollettino. La seduta è tolta alle ore 19,15. Tornata ordinaria ed Assemblea generale del 31 dicembre 1928. Presidente : PiERANTONi. Segretario : SALFI. Soci presenti: Viggiani, Zirpolo, Malladra, De Fiore, Zambonini, D’Avino, Cavara, Parascandola, Caroli, Police, Salfi, Pierantoni, Mi- lone, Gargano, Bakunin, Fedele, Giordani, Marcucci. La tornata è aperta alle ore 18. 11 Segretario legge i processi verbali delle tornate dell’ 1 1 novem¬ bre e del 23 dicembre che sono approvati. 11 socio Parascandola legge un lavoro : Sulle produzioni cruci- Jormi dell’eruzione vesuviana del 1660. Il socio Salfi fa una comunicazione su alcuni Ortotteri di Pan¬ telleria e ne chiede la pubblicazione. Il socio Parascandola fa quattro comunicazioni verbali : Sulle j umar ole del Monte Nuovo ; Sui pozzetti dell’ Isola di Procida ; Su alcuni minerali di Procida e Su alcune concrezioni calcaree di Pro¬ cida e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Si procede alla votazione per l’ammissione a socio ordinario re¬ sidente del Prof. G. Carobbi, che è ammesso a grande maggioranza. A soci ordinari non residenti sono ammessi: Prof. G. Rovesti, il Prof, XI P. Pasquini , il si g. P. Salvi, ed il sig. G. Guadagno a grande mag¬ gioranza. Si procede all’elezione del V. Presidente, di 2 Consiglieri, del Se¬ gretario e di 2 Revisori dei conti. Risultano eletti a V. Presidente : G. Police, a Segretario : G. Zir- polo, a Consiglieri : A. Carrelli e O. De Fiore, a Revisori dei conti : E. Cutolo e L. D’Aquino. La seduta è tolta alle ore 20 , dopo aver approvato il processo verbale seduta stante. CONSIGLIO DIRETTIVO PER L’ANNO 1929 Pierantoni Umberto Police Gesualdo Zirpolo Giuseppe Milone Ugo Giordani Francesco Carrelli Antonio De Fiore Otto Marcucci Ermete Salti Mario Parascandola Antonio Caroli Ernesto Presidente Vice-Presidente Segretario Consiglieri Cassiere Vice Segretario Bibliotecario Redattore del Bolletiino ELENCO LEI SOCI (7° Gennaio 1929) BENEMERITI DELLA SOCIETÀ f Monticelli Francesco Saverio. Cutolo Enrico — Via Roma 404 . SOCI ORDINARII RESIDENTI 1. 20-1-924 2. 6-4-902 3. 13_7_924 4. 28-3-920 5. ■ 5-3-922 6. 30-5-921 7. 6-4-902 8. 30-11-924 9. 31-12-928 io. : 15-3-903 n.| 17-11-918 12. 29-6-910 13. j 13-8-921 14. 26-1-896 15. 1 26-7-925 16. ! 16-12-923 17. ! 30-11-924 18. 28-7-889 19. 4-6-922 20. 5-3-922 21. 13-8-921 22. 5-3-922 ; Adinolfi Emilio — Istit. di Fisica R. Univ ., Napoli. Aguilar Eugenio — Vico Neve a Materdei 27 . Andreotti Amedeo — Istit. di Fisica R. Univ., Napoli. Arena Ferdinando — Via Roma 129. Bakunin Maria — R. Politecnico, Napoli. Biondi Gennaro — Resina. Bruno Alessandro — Via Bari 30 Candura Giuseppe — R. Scuola Sup. d’Agr., Portici. Carobbi Guido — Istit. di Chimica R. Univ., Napoli. Caroli Ernesto — Istituto Zoologico R. Univ., Napoli. \ Carrelli Antonio — 5. Domenico Soriano 44. Cavara Fridiano — R. Orto Botanico, Napoli. I Colomba Giuseppe — Via S. Biagio dei Librai 39. Cutolo Enrico — Via Roma 404. Cutolo Costantino — Via Tommaso Carovita 10. D’Aquino Luigi — Via S. Domenico Soriano 22. De Fiore Otto — Istit. di Miner. R. Univ., Napoli. Della. Valle Antonio — Via Aniello Falcone 112 Del Regno Washington — Istit. Fisico, R. Un., Napoli. D’Emilio Luigi — Via Depretis 41. Fedele Marco — Stazione Zoologica, Napoli. Fiore M^ria — Corso Vittorio Emanuele 466. XVI 23. 26-7-925 24. 11-1-885 25. 2-6-925 26. 28-3-905 27. 28-3-919 28. 25-5-919 29. 31-12-913 30. 16-12-923 31. 31-12-913 32. ! 31-12-913 33. 2-6-925 34. 4-2-923 35. 16-3-924 36. 10-5-903 37. 4-12-887 38. 10— i 1—881 39. 1-1-929 40. 21-8-921 4L 16-12-923 42. ' 18-3-900 43. 20-1-924 44.1 30-12-900 45.’ 4-2-922 46. | 9-6-895 47. 11-5-913 48. 2-6-925 49.| 16-12-923 50. 16-12-923 51. 26-2-893 52. 29-6-919 53. 4-2-921 54. 7-3-906 55. 26-7-925 56. 29-4-923 57. 28-2-904 58. 16-3-924 59. 25-5-890 60. ! 2-6-925 I Foà Anna — R. Scuola d’ Agricoltura, Portici. Forte Oreste — Via Pignatelli 48. Galiani Riccardo — Via Tommaso Carovita 10. Gargano Claudio — Via S. Lucia 62. Getzel Demetrio — Via Tarsia 62 Giordani Mario — Corso Umberto I, 34. Giordani Francesco — Corso Umberto I, 34. Grande Loreto — R. Orto Botanico , Via Foria. Guadagno Michele — Via Foria 193. Iroso Isabella — Via Foria 118. Jucci Carlo — Istituto di Zoologia R. Univ ., Sassari. Majo Ester — Ist. di Fisica Terr. R. Univ., Napoli. Maione Vincenzo — Via Torino 90. Marcucci Ermete — Cai. S. Severo alla Pietrasanta 27. Mazzarelli Giuseppe — Istit. Zool. R. Univ., Messina. Milone Ugo — Via Fiorentini 12. Monticelli d’Afflitto Giuseppina — Ponte di Chi aia 27 Parascandola Antonio — Procida. Pellegrino Luigi — Via Roma 404. Pierantoni Umberto — Galleria Umberto I, 27. Platania Giovanni — Grad. Mad. Grazie a P. Picc. 15. Police Gesualdo — Via Università 25. Pozzi Olimpio — Soc. Gen. Illuni, via P. F. Imbriani. Quintieri Luigi — Via Amedeo 18. Quintieri Quinto Via Amedeo 18. Ranzi Silvio — Stazione Zoologica, Napoli. Riccio Raffaele — Via Depretis 114 Rodio Gaetano — R. Orto Botanico, Napoli. Roncali Demetrio — Ist. Patol. Chir. R. Univ., Napoli. Salfi Mario — Via Montesilvano 30. Sbordone Domenico — Via Roma 404. Schettino Mario — Via Rafj. DeCesare a S. Lucia 31. Sereni Enrico — Stazione Zoologica, Napoli. Torelli Beatrice — Parco Margherita 33. Trani Emilio — Via Campanile ai Miracoli 47. Viggiani Gioacchino — Cor soVittor io Emanuele 121. Viglino Teresio — Piazza Dante, 41. Volpicelli Mario — Viale Elena 23. 61. 11-2-924 62. 28-11-912 1. 17-4-913 2. 17-2-924 3. 28-3-919 4. 31-12-916 5. 1 -6-902 6. 16-12-923 7. 8-7-923 8. 29-8-909 9. 26-2-893 10. 25-5-919 11. 6-2-903 12. 31-12-916 13. 31-12-929 14. 22-3-925 15. 1-6-913 16. 20-11-913 17. 11-4-919 18. 4-2-919 19. 2-6-928 20. ! 4-2-922 21. 31-12-929 22. 31-12-891 23. 31-12-929 24. ! 31-12-923 25. 12-5-917 26. 4-2-923 27. ! 29-4-923 28. 5-3-922 29. 30-12-923 Zambonini Ferruccio — Istit. di Chini. R.Un., Napoli. Zirpolo Giuseppe — Via Duomo 193. SOCI ORDINARI NON RESIDENTI Alfano Giov. Batt. — Vico Cangi a Materdei 7. Buonocore Alfredo — Via Iolanda 78, Caserta. Califano Luigi — Vico Forino a Foria 7. Celentano Vincenzo — Vico Minutoli a Foria 33. Cerruti Attilio — Piazza Carbonelli 2, Taranto. Cognetti deMartiisLuigi-TsT Anat.Comp.R. U. Genova Colosi Giuseppe — Istituto Zool. R. Univ., Siena. Cotronei Giulio — Istit. di Anat. Comp. R. U., Roma. D’Avino Antonio — R. Liceo Nocera Inferiore. Finizia Gennaro — Sacramento a Foria 23 Foà Jone — Corso Mar r acino III , Chieti. Geremicca Alberto — Largo Avellino 4 Guadagno Giuseppe — Via Foria 193. ! Imbò Giuseppe — R. Osserv. Geofisico, Catania. | Magliano Rosario — Lagonegro. Malladra Alessandro — R. Osserv. Vesuviano, Resina. Mazzarelli Gustavo — Istit. Zool. R. Univ., Messina. Mingioli Paolo — Materdei 8. Morgoglione Ferdinando — Cai. S. Giac.5 , Cast. Stabia. ; Palombi Arturo — Corso Garibaldi 84, Portici. I Pasquini Pasquale — Ist. Zool. R. Un. ( Policl .) Roma. Piccoli Raffaele — Corso Marrucìno III, Chieti. Rovesti Guido - Fed.Naz.Ind.Chim.Muratte43,Roma Salvi Pasquale — Via Principessa Margherita 20. Sbordone Annibaie — 5. Domenico Maggiore 3. Signore Francesco — R. Osserv. Vesuviano , Resina. Trezza Ugo — Via Cristallini 53. Valerio Rosaria — Sala di Caserta. Vessichelli Nicola — Stazione Zoologica , Napoli. 1 . 2-6-925 2. 12-7-018 3. 11-8-895 4. 18-6-905 — XVIII — SOCI ADERENTI Cerone Roberto — Vico 5 Corsea 2. Cutolo Claudia — Villa Claudia, Vomero Napoli. Cutolo Costantino — Bagnoli. Filiasi Giuseppe — Riviera di Chiaia 263. M Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio Elenco delle pubblicazioni pervenute io cambio EUROPA Italia Acireale — R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Zelanti ( Memorie , Rendiconti). — Bollettino della R. Stazione Sperimentale di agru¬ micoltura e frutticoltura. Aosta — Société de la Flore Valdótaine ( Bollettino ). Bologna — R. Accademia delie Scienze dell’Istituto ( Rendiconti ). Laboratorio di Entomologia R. Istituto Superiore Agrario. Brescia — Commentari dell’Ateneo. Cassino — Osservatorio Geofisico di Montecassino. Catania — R. Accademia Gioenia (. Bollettino , Memorie ). Ferrara — Acc. .di Scienze Mediche e Naturali. Firenze — Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia. Società Botanica Italiana ( Bollettino ). Nuovo Giornale Botanico italiano. Regia Stazione di Entomologia Agraria. Istituto Geografico Militare. Genova — Museo civico di Storia Naturale {Annali). Società entomologica italiana. Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università ( Bollettino ). Società ligustica di Scienze Naturali e Geografi¬ che {Atti). Milano — Società Italiana di Scienze Naturali e Museo civico di Storia Naturale {Atti). Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere (. Ren¬ diconti) — IV — Modena Napoli Padova Pavia Perugia Pisa Portici Postumia Rodi Roma Rovereto Sassari Scafati Stra — Atti della Società dei Naturalisti e Matematici. Bollettino della Società Medico-Chirurg. di Modena. — R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. (. Memorie , Rendiconti , Annuario). Accademia Pontaniana (Atti). Annuario del Museo Zoologico della R. Università di Napoli (Nuova Serie). Orto Botanico della R. Università (Bollettino). Stazione Zoologica di Napoli (Pubblicazioni). Ufficio Stampe della Federazione Provinciale Fa¬ scista (Bollettino). Atti del R. Istituto d’incoraggiamento. Archivio Zoologico Italiano. Rivista di Fisica, Matematica e Scienze Naturali. — Accademia scientifica veneto-trentino-istriana (Atti). — R. Laboratorio Crittogamico della R. Università. — Annali della Facoltà di Medicina e Memorie della Accademia Medico-chirurgica. — Società toscana di Scienze Naturali (Memorie, Pro¬ cessi verbali). — R. Scuola Superiore di Agricoltura (Annali). Laborat. di Zoologia generale e Agraria ( Bollettino ). — Le Grotte d’Italia. — Osservatorio Meteorico-Geodinamico (Biblioteca). — R. Accademia Medica (Bollettino, Atti). Bibliografia Italiana. Accademia dei Lincei. Società Italiana per il progresso delle scienze. Il Chimico Italiano. R. Ufficio Geologico Italiano (Bollettino). Laboratorio di Anatomia normale della R. Univer¬ sità (Ricerche). Accad. Pontificia dei Nuovi Lincei (Atti, Memorie). Istituto di Zoologia della R. Università (Bollettino). Gazzetta Chimica. Reale Società geografica italiana. — Accademia degli Agiati (Atti). — Studi sassaresi. — Bollettino tecnico della coltivazione dei tabacchi. — Bollettino bimestrale del R. Comitato Talassogra¬ fico Italiano, — V - Torino Trento Trieste Verona Valle di Pompei Heisingfors Helsinki Cherbourg Langres Levallois-Perret Nancy Nantes Nice Paris Bruxelles Louvain — R. Accademia delle Scienze {Atti). Club Alpino Italiano ( Rivista , Bollettino). Musei di Zoologia e di Anatomia comparata della R. Università {Bollettino). Urania. — Studi trentini di Scienze Naturali. — Società Adriatica di Scienze Naturali. — Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e Commercio {Atti, Memorie). — Bollett. dell’Osservatorio Meteorico-Geodinamico. Finlandia — Acta Botanica fenilica. Societas prò Fauna et Flora fennica {Acta, Medde - landen). — Societas Zoolog.-Botanica fennica Vanamo. Francia — Société nationale des Sciences Naturelles et Ma- thématiques (Mémoires). — Société des Sciences Naturelles de la Haute Marne (. Bulletin ). — Association des Naturalistes {Bulletin). — Société des Sciences et Réunion biologique (Bul¬ letin des sé ance s). — Société des Sciences Naturelles de F Ouest de la France (Bulletin). — Riviera scientifique. — Muséum d’Histoire Naturelle (Bulletin). La feuille des jeunes naturalistes. L’Astronomie. Société d’Océanographie de France. Belgio — Société Royale Zoologique. — La Cellule, — VI — Polonia Warszaw — Acta Societatis Botanicorum Poloniae. Annales Zoologici Musei Poloniae Historiae Na- turalis. Graz Austria — Mitteilungen des Naturwissenschaftlichen Vereins fur Steiermark. Wien — Verh. der K.-K.Zoologisch.-botanisch.Gesellschaft. Annalen des Naturhistorischen Hofmuseum. Riga Lettonia — Acta Orti Botanici Universitatis Latviensis. Zagreb-Croazla Jugoslavia — Grasnik (Societas scientiarium naturalium croatica). Ceco - Slovacchia Brunii Prague — Verhandl. des Naturforsch. Vereins. — Casopis Ceskoslovenske spoiecnesti entomologické (Acta societatis entomologicae Cechosloveniae). Buletin international. Classe des Sciences mathé- matiques, Naturelles et de la Médicine. Societé Royale des Sciences de Bohème ( Memoires ). Akademie Masaryk du Travail. Germania Rostock — Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschi- chte in Mecklenburg. Bonn — Naturshistorisches Vesein der preussischen Rhein- lande. Berlin — Verhandlungen des Botanisches Vereins der Pro- venz Brandeburg. Sitz. der Gesellsch. Naturfosch. Freunde, - VII — Leipzig Giessen — Herbarium. — Bericht der Oberhessischen Gesellschaft fur Natur und Heilkunde. Frankfurt a M. Halle a. S. — Senckenbergiana. -- Kaiserlich Deutsche Academie der Naturfoscher. Hamburg (Leopoldina). — Verhandlungen des naturwissenschaftlichenVereins. Cambridge Inghilterra — Philosophical Society ( Proceedings , Transactions). Biological Reviews. London — Royal Society (Proceedings, Reports oj thè Slee - ping sickness Commission). Plymouth — Marine Biological Association of thè United King- dom (Journal). Tromsòe Norvegia — Tromsòe Museum. Olanda Amsterdam — Academie Royale (Mémoires). Lisbona Portogallo — Bulletin de la Société Portugaise des Sciences Na- turelles. Coimbra — Memorias e estudios do museo Zoologico. Sociedad Broteriana ( Boletim ). Spagna Barcelona — Instituciò catalana d’Historia Naturai (Butleti). Bulleti del Club Montanyenc. Cartuja Ayuntamento de Barcelona. — Boletin mensuel de la Estaciòn Sismologica. - Vili — Madrid — Memorias de la Reai Sociedad espanola de Histo- ria Naturai. Sociedad espanola de Historia Naturai ( Anales , Boletìn). Servicio sismologico (Instituto geografico y Ca¬ tastai. Zaragoza Valencia — Sociedad hiberica de Ciencias Naturales ( Boletin ). — Anales de l’Instituto Tecnico. Upsala Svezia — Geological Institution of thè University of Upsala (. Bulletin ). Stockholm — K. Vet. Akadems-Bibliothek (Arkiv fòr Botanik, Arkiv fòr Zoologi). Arkiv fòr Kemi, Mineralogi och Geologi. Svizzera Chur — Naturforschendende Gesellschaft Graubiinden’s Lugano Zurich (Jahresbericht). — Società ticinese di Scienze Naturali (Bollettino). — Societas Entomologica. Concilium Bibliographicum. Russia Perni — Bulletin de l’Institut des recherches biologiques à l’Université de Perni. Saratov — Station regionale d’agriculture. Biologische Wolga-Station. Kiew Saratov Leningrado — Société des Naturalistes. — Société des Amateurs des Sciences Naturelles — Société Entomologique de Russie. — IX — ASIA Giappone Tokyo — Annotationes Zoologica japonenses. Japanese Journal of Zoology ( Transactions and Abstracts). Cairo AFRICA Egitto — Société Entomolog. d’Égypte (Bulletta, Mémoires ). Buenos-Ayres AMERICHE Argentina — Museo nacional (Anales, Comimicaciones). Sociedad Cientifica Argentina. La Piata — Edicion Oficial de las Obras y correspondencia Cientifica de Fiorentino Ameghino. Brasile Rio de Janeiro — Archivos do Museu Nacional. Santiago Chili — Société scientifique du Chili (. Actes ). Colombia Bogotà — Museo Nacional. Messico Messico — Sociedad Cientifica Antonio Alzate ( Memoiras , Revista). — X — Messico Instituto Geologico ( Boletin , Perargones). Secretaria de agricultura y fomento (. Boletin ojicial). Boletin de la direccion d’Estudios Biologicos. Revista Mexicana de Biologia. Lima Perù Boletin de la Sociedad geografica. San Salvador San Salvador — Museo Nacional (Anales). Stati Uniti Berkeley — University of California ( Publications , Bulletin). Boston — Society of Naturai History (Proceedings). Brooklyn — Cold Spring Harbor Monographs. Chaphell Hill — Elisha Mitchell scientific Society (Journal). Cincinnati — Bull, of thè Lloyd Library of Botany etc. Minneapolis — The University of Minnesota. Urbana — Illinois biological monographs. Bull, of thè state Laboratory of Nat. Hist. Chicago — Academy of Sciences ( Bulletin , Annual Report). Field Museum of Naturai History (Department oj Botany). Madison — Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Lettres (Transactions). Wisconsin Geological and Naturai History Survey (Bulletin). Missoula — Bulletin of thè University of Montana (Biologica Series). New-York - - Botanical Garden (Bulletin). Notre Dame Indiana— The American Midland Naturalist. Philadelphia — Academy of Naturai Sciences (Proceedings). Saint Louis — Academy of Science (Transactions). Missouri Botanical garden (Annual Report). Springfiel (Massachussets) — Museum of Naturai History. New-Orleans — Louisiana state Museum. Tufts College (Massachussets) — Studies, Washington - Xi — — United States Geological Survey ( Annual Report). U. S. Department of Agriculture. — Division of Ornithology and Mammalogy [Bulletin North American Fauna). Smithsonian Institution {Annual Report). U. S. National Museum {Bulletin). U. S. Department of Agriculture {Yearbook). U. S. Department of Agriculture. — Bureau of A- nimal Industry ( Annual Report). Carnegie Institution of Washington ( Publications ). The Rockfeller Sanitary Commission for thè Era- dication of Hookworm Desease. New Haven, Conn. — Tropical Woods. Uruguay Montevideo — Museo de Historia naturai ( Anales ). INDICE ATTI (memorie e note) Police G. — Le fossette neuroblastiche nell' abbozzo del sistema nervoso dello Sparassus sp . pag. 3 Zirpolo G. — Sopra due mie Note sui briozoi . . . „ 21 Zirpol G. — Le forme cometoidi dell' Asterias tenuispina Lmk. 25 Andreotti A. — Ricerche correlative nelle variazioni della pres¬ sione atmosferica , della frequenza e della quantità di pioggia a Napoli . 41 Zirpolo G. — Casi di anomalie osservati in Antedon mediterra¬ nea Lmk. . 52 Torelli B. — Notizie su alcuni Isopodi del Golfo di Napoli. Il ge¬ nere Cymodoce . 57 Maione V. — Esperimento sull'impiego dell'acqua decalcificata co¬ me solvente degli urati nell’organismo umano . . 66 Platania G. — Un dodicennio di osservazioni eseguite in Catania e in Napoli sulle meteore ottiche . n 73 Zirpolo G. — Nuovo caso di gemmazione in un Astropecten au- rantiacus L . 83 Jucci C. — La variabilità individuale della capacità di partenoge¬ nesi in razza bivoltina di bachi da seta .... w 88 Jugci C. — Somministrazione di sostanze cerose (Spermaceti) per via alimentare . M 95 Parascandola A. — Osservazioni mineralogiche e litologiche sul- 1' Isola di Procida . „ 107 Platania G. — Commemorazione del prof. Ciro Chistoni . . „ 113 Parascandola A. — Su di alcune misure di temperatura eseguite nel Rione delle Mofete e nel cratere del Monte Nuovo nei Campi Flegrei . . 125 Parascandola A. — Sulle produzioni crociformi osservate in Na¬ poli ed in vari luoghi in occasione dell' eruzione vesu¬ viana del 1660 . » 129 Salpi M. — Ortotteri di Pantelleria . „ 139 Majo E. — Il potere rifrangente e la conducibilità elettrica dell'ac¬ qua marina nel golfo di Napoli . „ 142 Police G. — Commemorazione del prof. Francesco Capobianco . „ 147 Jucci C. — Come si eredita la capacità di accrescimento negli in¬ croci reciproci tra le due razze di bachi da seta ( Bom - byx mori) Varo e Bianco chinese . . . . . „ 163 Palombi À. — Gli apparecchi copulatori della famiglia Polyposthii- dae (Policladi Acotilei) . pag. 196 De Fiore O. — Confronto fra il pluviometro ed il pluviometro totalizzatore di Nicolosi (Etna) . u 210 Zirpoi.o G. — Notizia di Asteroidi irregolari ...... j( 221 COMUNICAZIONI VERBALI Milone U. — Le Centrali del latte . pag. 36 Parascandola A. — Sui pozzetti verticali e su talune altre forme che si rinvengono nelFIsola di Procida . ... n 122 RENDICONTI DELLE TORNATE ( PROCESSI VERBALI ) Processi verbali delle tornate 1928 . Consiglio Direttivo per l'anno 1929 Elenco dei soci . Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio pag. in „ xiii » XV ,, III Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al SEGRETARIO DELLA SOCIETÀ Prof. Giuseppe Zirpolo presso la Sede R. Università -Via Mezzocannone- Napoli. Direttore responsabile : CLAUDIO GARGANO TAV OLE ÉÉéÉÉÉÉ t . Boll. d. Soc. dei Naturalisti , Voi. XL. Tav. 1. Zirpolo fotogr. Boll. d. Soc . dei Naturalisti , Voi. XL. Tav. 2. ■r* OO T — 1 cO o sp CQ > > ov +■ >h O csf •4* io i-o cn cn CQ CH¬ OC o/ ol cn u, bo ri 5 CQ O Boll. d. Soc. dei Naturalisti , Voi. XL. Tav. 3. \ - - - Palombi A. — Gli apparecchi copulatori della famiglia Polyposihii - dae (Policiadi Acotilei) . pag. 196 De Fiore O. — Confronto fra il pluviometro ed il pluviometro totalizzatore di Nicolosi (Etna) . „ 210 Zirpolo G. — Notizia di Asteroidi irregolari . „ 221 COMUNICAZIONI VERBALI Milone U. — Le Centrali del latte . pag. 36 Parascandola A. — Sui pozzetti verticali e su talune altre forme che si rinvengono nell’Isola di Procida . . . . «122 RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1928 . pag. in Consiglio Direttivo per l'anno 1929 . . xm Elenco dei soci . . xv Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio . ... „ m \ Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al SEGRETARIO DELLA SOCIETÀ Prof. Giuseppe Zirpolo presso la Sede R. Università -Via Mezzocannone - Napoli. Direttore responsabile : Claudio Gargano