Historic, Archive Document Do not assume content reflects current scientific knowledge, policies, or practices. 0.9 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI I1V NAPOLI ; \ VOLUME L1V - 1943 (Pubblicato il 30 marzo 1946) NAPOLI STABILIMENTO TIPOGRAFICO G. GENOVESE PALLONETTO, S. CHIARA 22 1946 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI Ente Morale R. D, 14 luglio 1914, N. 774 BOLLETTINO DELLA VOLUME L1V - 1943 (Pubblicato il 30 marzo 1946) NAPOLI STABILIMENTO TIPOGRAFICO G. GENOVESE PALLONETTO S. CHIARA 22 1946 La Cala delle Ossa, presso Palinuro (Salerno). del socio Giuseppe Mirigliano Con le Tavv. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e IO e una fig. intercalata nel testo. Tornata del 26 giugno 1942 XX Cenni geologici. Ad E.S.E. dell*abitato di Palinuro, tra il basso corso del Lam- bro e la foce del Mingardo, sorge la pittoresca collina calcarea della Molpa i cui strati, diretti prevalentemente da S.E. a N.W., si solle¬ vano dal mare con una superba testata e vanno ad immergersi a N. N.W. con una pendenza media di 35° al di sotto delle alluvioni ubertose del Piano di Orlando. La costituzione geologica di questa collina calcarea alla cui base si apre la Cala delle Ossa rispecchia fedelmente quella delle montagne mesozoiche limitrofe alle quali risulta collegata da un evidentissimo nesso genetico. Come queste, infatti, essa esordisce con una formazione basale a stratificazione non sempre manifesta , fatta di calcari grigi, qua e là macchiati di nero ed inte¬ ressati da frequenti vene di calcite spatica. Questi calcari si mostrano più o meno dolomitici, hanno tessitura compatta o localmente cristal¬ lina ed in alcune zone si presentano ricchi specialmente di Gastero¬ podi (gen. Palaeoniso , Cirrus , Trochotoma , Chemnitzia , Omphalopty - l — 2 - cha, etc. ), di Lamellibranchi ( Peden Hehlii d’Orb. , P. Stolìczkai Gemm., etc.) e di Brachiopodi ( Rhynchonellina Seguenzae Gemm. var., etc.) che, pur essendo di diffìcile isolamento ed in poco favo¬ revole stato di conservazione, mi hanno consentito, durante il recente rilevamento della zona (1), di riferire i sedimenti che li ospitano ad uno dei livelli più bassi del Lias inferiore. Assieme a questi fossili i calcari in esame contengono degli avanzi di Alghe Solenoporacee (le cosidette Evinosportgia dello SxoPPANl) che, prevalendo in alcune zone, impartiscono alla roccia un aspetto oolitico o concrezionare. Al di sopra di questi sedimenti si adagiano in concordanza e con evidente transizione litologica, dei calcari di colore grigio scuro manifestanti una stratificazione molto spiccata ed includenti dei noduli o interstrati di selce nera, se inalterata. Nella parte più bassa questi calcari conten¬ gono ancora le Alghe Solenoporacee predette a cui si aggiungono qua e là dei frammenti indeterminabili di Gasteropodi, di Foraminiferi ( Textu - laria sp., Rotalia sp. ) incrostati spesso di calcite spatica. Questi stessi calcari nella gola della Tragara e in varie località del Monte Bulghe- ria (2) hanno fornito degli avanzi di Pentacrinus jurensis Quenst., degli esemplari di Rhynchonellae del tipo della R. Clesiana Leps., della R. Lycetti Deslongc. e della R. pacatissima Quenst. Essi tal¬ volta alternano con degli strati marnosi di colore verdastro o giallo¬ gnolo che contengono, nella contigua gola della Tragara e in alcune località del Monte Bulgheria , qualche esemplare piuttosto malconcio di Hildoceras bifrons Brug. sp. e di H. Levisoni Simps. sp. Questo complesso di calcari e di marne, per ragioni paleontologiche e strati - grafiche può essere attribuito con qualche riserva al Lias medio -su¬ periore. Con netta discordanza si adagia su questi calcari un mantello qua e là smembrato ed eroso, di arenarie ad elementi prevalentemente silicei e scarsamente cementati che passano, talvolta, a zonule marnose fi) MiriglianO G. — Osservazioni geologiche nei dintorni di Palinuro (Salerno). Boll. Soc. Naturalisti, voi. LIV. Napoli, 1943. (2) Di STEFANO G. — Osservazioni sulla geologia del M. Bulgheria in provincia di Sa~ lerno. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIII. Roma, 1 895, - 3 - ed alternano o, più frequentemente, sono ricoperte da strati di con¬ glomerato a grossi elementi fra cui abbondano , oltre ai ciottoli di calcare liasico locale, vari tipi litologici del Paleogene (scisti argillosi, marne, calcari marnosi , galestri , arenarie , etc.). Questa formazione arenaceo - conglomeratica, non segnata sulla Carta geologica ufficiale, raggiunge 1 4 metri di potenza a! di sotto dei ruderi del Castello della Molpa e rappresenta un lembo della formazione coeva che ri¬ compare sulla verticale della Torre del Mingardo e si riconnette ad una ben più vasta e potente formazione che si distende sulla dorsale calcarea che mette capo al promontorio di Palinuro e riaffiora nei din¬ torni di Caprioli e di S. Mauro la Bruca e si spinge al di là di Centola. Questo complesso arenaceo - conglomeratico di cui già il BlaNC (1) aveva avvertito la presenza al di sotto della formazione dunare quaternaria nelle colline dei dintorni di Palinuro, mi ha fornito, fra Taltro, degli esemplari di Echinoidi irregolari ( Echinolampas cherichirensis Gauth., Saltella Montagnai MirigL) che mi hanno permesso, in armonia con le osservazioni di ordine stratigrafico , di tentare un ravvicinamento di esso all’Oligocene superiore - Miocene medio. 1 prodotti di sfacelo di questo complesso arenaceo - conglomeratico, qua e là commisti con materiali di origine eolica anch’essi degradati, danno luogo a dei sab¬ bioni arrossati, cosparsi di noduli limonitici, o a delle minuscole pi¬ ramidi di erosione che traggono una grande somiglianza di aspetto con le consimili formazioni quaternarie di molte località dell’ Appennino. Dal punto di vista tettonico non è difficile rendersi conto che la collina della Molpa rappresenti, insieme ad altri scogli minori af¬ fioranti sulla foce del Mingardo, una zolla residua dei diastrofismi che, a partire dalla fine dell’ Eocene , hanno contribuito a dare 1* assetto generale al territorio, isolando e smembrando con un sistema di frat¬ ture intersecantesi con vario angolo, le estreme propaggini occidentali del massiccio calcareo che culmina nel M. Bulghena. (I BlaNC A. C. — * InJuslrie m ìslerians e paleolitiche superiori nelle dune fossili e nelle grotte litoranee del Capo Palinuro. Rend. R Acc. d’Italia, S. VII, voi. I, fase. IO, p. 603. Roma, 1940. - 4 — La Cala delle Ossa Tracciata , così , per sommi capi , la successione verticale dei terreni che formano la compagine della collina della Molpa, spingiamo la nostra indagine sulla Cala delle Ossa , conosciuta sin dal secolo scorso per le raccolte quasi sempre inconsiderate dei dilettanti e dei curiosi, piuttosto che per le investigazioni sistematiche da parte degli studiosi. E' noto, infatti, che sin dal 1858 lo stato di espoliazione di essa era giunto a tal punto, secondo quanto riferisce O. G. CO¬ STA (1), da potersi ritenere a priori infruttuosa qualunque ricerca di carattere stratigrafico. 11 COSTA, tuttavia , è il primo naturalista che accenni, per quanto in modo assai vago , alla fauna in essa grotta contenuta. Egli, attraverso l’esame del materiale fossilifero pervenutogli da alcuni raccoglitori , avrebbe determinato una testa di femore di Elefante, non meglio precisato, un ultimo e un penultimo molare di Rinoceronte, nonché alcuni frammenti mandibolari di Bue e di Cervo. Dopo di lui il De Giorgi (2), che ebbe a visitarla nel 1881 , ce ne parla come di una grotta « famosa nel mondo letterario per le bugie che vi hanno creato gli archeologi di due secoli fa , interpre¬ tando male alcuni antichi documenti ». Questo stesso A. ricorda, tuttavia , di aver rinvenuto in essa , commisti nella breccia ossifera, delle ossa di animali domestici e dei resti di industria umana in selce piromaca formati da « frammenti di coltellini , di cuspidi di freccia e di lancia, di raschiatoi e molti nuclei e rifiuti di lavorazio¬ ne ». Col progredire delle ricerche, nel secolo che attraversiamo que¬ sta grotta avrebbe fornito allo ZlJCCARELLI (3) , insieme con degli oggetti litici ed ossa lavorate, un frammento di tibia di Rinoceronte nonché alcuni avanzi di Bovidi e di Cervidi specificamente indeter¬ minabili. Finché in epoca del tutto recente lo studio preliminare d1 2 3 (1) Costa O. G. — Pochi cenni sulla grotta ossifera di Palinuro. Rend. R. Acc. Se fis. e mat., pag. 368-369. Napoli, novembre 1867. (2) De Giorgi C. — Appunti geologici e idrografici sulla provincia di Salerno. Boll. R. Com. Geol. d’Italia, fase. 3 e 4, pag. 81. Roma, 1883. (3) ZuCCARELLl A. -- Gli uomini primitivi delle selci e delle caverne, pag. 62 e seg. Na¬ poli, Perrella, 1906. — 5 - questa e delle altre grotte litoranee esistenti fra il promontorio di Pa- linuro e la Torre Muzza ha permesso al Blanc (1) di portare su un piano d’indagine rigoroso i prodotti industriali in esse grotte rin¬ venuti e di delineare in un primo contributo le probabili condizioni paleogeografiche del territorio durante gli ultimi tempi del Pleistocene. Tuttavia, se il Iato paietnologico dell , investigazione si va al giorno d’oggi decisamente irradiando di luce nuova, pare che allo stato at¬ tuale delle ricerche altrettanto non possiamo dire per ciò che riguarda il contenuto faunistico di queste grotte, tanto piu che neppure la piu ricca in reperti fossili, la Cala delle Ossa, ha permesso di dissipare le incertezze che ancora oggi esistono intorno ai trovamenti di dubbia determinazione segnalati dai primi ricercatori. Ciò è dovuto, in gran parte , alia esiguità e alla discontinuità dei lembi di breccia ossifera superstiti e all’estremo grado di frammentarietà con cui spesso si pre¬ sentano gli avanzi fossili che, talvolta, 1* impregnazione calcitica della breccia rende di difficile isolamento. Isolata dal contiguo litorale da due colossali contrafforti rocciosi che si protendono nel mare, fiancheggiandola ad oriente e ad occi¬ dente, la Cala delle Ossa (Tav. 3 e 4) si apre in un piccolo seno tranquillo alla base della parete meridionale della Molpa, fra la Cala Longa ( 2 ) , a E.S.E. dell’abitato di Palinuro. Per Io strapiombo della parete rocciosa in cui è praticato l’ingresso e per l’esistenza di nu¬ merose e ben visibili fratture esistenti nel calcare, si son determinate 'n progresso di tempo, col concorso della gravità e dei fattori esogeni piu vari, delle falde di distacco nella regione frontale della grotta che, molto probabilmente hanno contribuito ad alterarne la fisonomia origi¬ naria. Una di queste, le cui tracce sono ben visibili per chi si avanzi dal mare, ha contribuito a svasare e ad ampliare l’arcata del vestibolo d’ingresso, creando o almeno accentuando i rapporti di comunicazione (1) BLANC A. C. — Le dune fossili e le grolle paleolitiche di Capo Palinuro Atti XXVIII Congr. S. I. P. S. Pisa, 1939. — — Industrie musleriane e paleolitiche superiori, etc. Loc. cit. — — Palinuro. « Raccolta », novembre-dicembre XX. Roma. (2) Blanc A. C. Industrie musteriane e paleolitiche superiori, etc. Loc. cit. fig. I, - 6 - fra la grotta propriamente detta ed una più angusta anfrattuosita irre¬ golare, priva di concrezioni calcaree e affatto povera di materiale fos¬ silifero, che si estende in dipendenza di una enorme diaclasi esistente sul versante orientale. A questa attuale configurazione è dovuto forse il fatto che gli indigeni usano designare al giorno d’oggi con lo stesso appellativo di Cala delle Ossa entrambe queste due cavità naturali. Comunque, sta di fatto che di fronte alla piccola cavità orientale, probabilmente poco adatta al soggiorno dei trogloditi, la grotta del versante occidentale, assai più ampia ( 1 ), presentava un insieme am¬ bientale più accogliente e più vario per essere prediletta delP Uomo paleolitico, almeno a voler giudicare dall’enorme accumulo degli avanzi dei suoi pasti e dei prodotti della sua industria, che un tempo doveva quasi colmarla. In questa grotta, inoltre, il maggiore contributo appor¬ tato dalle acque calcarifere ha determinato la formazione di frequenti e robuste stalattiti e stalagmiti che suddividono il lume della cavità originaria in un complesso pittoresco di concamerazioni disposte ad anfiteatro ed immettenti nel vestibolo d’ingresso. Addossati a questo rivestimento calcitico, fin nelle più recondite anfrattuosità esistenti fra una trabeazione stalattitica e l’altra, si scorgono dei lembi di breccia ossifera i cui elementi formati prevalentemente da frammenti di calcare autoctono, da avanzi ossiferi, da industria litica e da ossa intenzional¬ mente scheggiate, sono immersi in una ganga argillosa brunastra, qua e là terrigena, e quasi sempre permeata da impregnazioni calcaree che impartiscono al complesso una consistenza lapidea. Questi lembi di breccia, isolati e di tenue potenza, danno appena un’idea di quello che dovesse essere il riempimento originario della grotta, del quale tuttavia si possono scorgere le tracce anche dove le pareti sono state messe a nudo in epoca relativamente recente. Al giorno d’oggi i gia¬ cimenti meno incompleti si può dire che restino confinati nel settore (1) Le dimensioni del giacimento sono le seguenti : larghezza totale del vestibolo esterno abbracciante le due cavità orientale e occidentale, m. 48 circa ; larghezza massima della Cala delle Ossa propriamente detta (cavità occidentale), m. 1 7 circa; lunghezza massima misurata dal punto più profondo dei cunicoli (cavità occidentale) alla proiezione del punto più esterno della volta, m. 28. -7 — occidentale della grotta dove essi, dopo aver ceduto il grosso del loro contenuto all’azione demolitrice del mare ed a quella dei ricercatori di ogni tempo, si limitano ad incrostare con uno strato fertile di po¬ chi centimetri di spessore le pareti di un antro poco profondo e ri¬ compaiono con un esile testimone scalzato alla base e formante aggetto sul mare (Tav. 4). Quivi si può seguire, dal basso in alto, la seguente successione dei materiali : 1 . — Conglomerato formato da una mescolanza caotica di ciot¬ toli calcarei e di ciottoli oligo - miocenici fluitati, fortemente cementati da carbonato di calcio. Questo conglomerato, malgrado sia in gran parte mascherato dai depositi terrigeni della spaggia attuale, può essere se¬ guito lungo tutta la parte frontale della grotta fino all’estremo orien¬ tale del vestibolo, dove si continua col materiale alluvionale esistente alla base di una enorme diaclasi attraverso cui sin dal passato piu remoto vengono convogliate le acque provenienti dalla superficie. La potenza di questo conglomerato non è agevolmente calcolabile; nel- 1 estremo occidentale della grotta, dove è continuamente scalzato dal moto ondoso, presenta in alcuni punti uno spessore di circa m. 1 ,20. Ma presumibilmente la sua potenza originaria doveva essere ancora maggiore. 2. — Crostone stalagmitico risultante dalla sovrapposizione di un numero variabile di concrezioni successive, delimitabili per la presenza di esili veli terrigeni interposti. La roccia che ne risulta è piu o meno inquinata da ossidi di ferro prevalenti che le impartiscono in massa una tinta volgente al roseo , distinguibile da quella che caratterizza le concrezioni piu recenti. Sulla superficie fresca di frattura si scorge che questa stalagmite basale è alquanto porosa, a grana grossa, e, come caratteristica maggiormente degna di rilievo, risulta assolutamente priva di materiale ossifero e non ingloba che qualche rarissimo ciot¬ tolo soltanto nella sua zona piò superficiale. 3. — Breccia a terra bruna e a ciottoli calcarei angolosi, scar¬ samente ossifera e cementata da carbonato di calcio. Potenza: cm. 80-90. In questo strato sono stati rinvenuti degli avanzi di Capra ibex. 4. — Sabbia a elementi minuti, prevalentemente silicei, sciolta — 8 - o leggermente cementata, qua e là interstratificata con degli straterelli argillosi. Potenza complessiva: cm. 2 a 4. 5. — Breccia ossifera a terra bruna con caratteristiche identiche a quelle della precedente ma più fossilifera e più ricca di industria litica. Potenza: cm. 30. Questo strato ha fornito avanzi di Capra ibex, Cervus elaphus , Ursus spelaeus. 6. — Velo stalagmitico di estensione locale. Potenza: cm. 1 a 3. 7. — Tracce di focolare, con ossa parzialmente carbonizzate e con scarsi avanzi di carbone vegetale. 8. — Breccia ossifera a terra bruna, identica alla precedente. Potenza : cm. 40. In questo strato sono stati rinvenuti degli avanzi di Cervus elaphus , Cervus (Dama) Somonensis, Dama dama , Ca¬ pra ibex , Bos primigenius , Sus scrofa , Felis sp. 9. — Velo stalagmitico di estensione locale. Potenza: cm. 1 a 2. Tanto questo quanto il precedente velo stalagmitico, non essendo stati riscontrati altiove, molto probabilmente devono avere un signifi¬ cato soltanto locale. 10. — Tracce di focolare, con ossa parzialmente carbonizzate e con scarsi avanzi di carbone vegetale. 11. — Breccia ossifera a terra bruna, identica alla precedente. Potenza: cm. 23 a 30. Questo strato ha fornito avanzi di Cervus elaphus , Cervus (Dama) Somonensis , Capreolus capreolus, Capreolus cfr. pygargus, Bos primigenius , Equus cfr. caballus, Sus scrofa. 12. — Terra bruna sterile. Potenza: cm. 25 a 30. 13. — Velo stalagmitico. Potenza: cm. 1 circa. Tanto la fauna fossile che Tindustria contenute in questi sedi¬ menti si presentano con gli stessi caratteri dal livello più basso a quello più alto della zona fertile del giacimento. Ciò è tanto vero che male si distinguerebbero fra loro i reperti rinvenuti in livelli differenti del deposito, se non soccorressero il sistema di notazione e i dischetti di vario colore per farceli identificare. Il materiale paleontologico e pa- letnologico che da questa breccia con lunghe e pazienti ricerche si è potuto isolare comprende — come si è visto — degii avanzi di Mammiferi ed un cospicuo numero di prodotti industriali di tipo gri- — 9 - maldiano. Gli avanzi faunistici presentano tutti lo stesso grado di fos¬ silizzazione e sono formati, in gran parte, da frammenti di diafìsi, da astragali e da arcate dentarie. Purtroppo lo stato di grande sfrantumio con cui essi si presentano non ci ha consentito in alcun caso di fos- marci un’idea esatta della entità dello scheletro degli individui di cui gli avanzi facevano parte. I prodotti industriali sono stati ottenuti daH’Uomo paleolitico impiegando le rocce più varie: dalla selce nera proveniente dal calcare liasico locale, ai ciottoli di diaspro, di ftanite e, subordinatamente, di quarzite provenienti dal conglomerato oligo- mio¬ cenico affiorante — come abbiamo visto — nelle immediate vicinanze e sulla verticale del luogo. La collezione di questi manufatti, pur non essendo assai numerosa, ospita dei pezzi di notevole interesse e di impeccabile conservazione che meritano davvero di essere trattati ade¬ guatamente in altra sede. Di esse qui si darà soltanto un rapido cenno corredato con la visione iconografica di alcuni pezzi tipici ed atipici che potranno bastare ad ognuno per formarsi un’idea sufficien¬ temente approssimata sui caratteri tipologici del complesso. Passiamo, intanto, in rassegna i rappresentanti della fauna. La fauna. Ursus spelaeus Blum. et Rosemn. (Tav. 5, fig. 5) L’unico avanzo appartenente al genere Ursus è rappresentato da un secondo molare inferiore destro. L’ esclusività del reperto i cui caratteri morfologici di solito non sono ritenuti sufficienti per consen¬ tire una determinazione specifica inoppugnabile, sopratutto per le analogie che comunemente si riscontrano fra i molari degli Orsi in genere e fra quelli di Ursus spelaeus e dell’ L/. arctos in ispecie, non permetterebbe di giungere a qualche risultato conclusivo se non at¬ traverso un accurato esame comparativo condotto su copioso mate¬ riale quaternario e recente appartenente alle forme congeneri , consi- -10- derate anche nelle varie fasi del loro sviluppo. Da tale studio risulta anzitutto che, per l’assenza di caratteri arcaici, il dente in esame non consente un ravvicinamento col dente omonimo delle forme plioceni¬ che, mentre per le dimensioni esso va tenuto distinto dal dente omo¬ nimo dei rappresentanti delle forme diminutive dell’Orso, anche se il confronto venga istituito coi soggetti più robusti di queste ultime. Più imbarazzante riesce la discrimina fra Y Ursus spelaeus e YU. arctos in cui, come è noto, nei molari, oltre alle ricordate affinità morfo¬ logiche, si riscontrano talvòlta delle sorprendenti analogie per ciò che riguarda i valori metrici. Tuttavia nel dente in esame non può non essere rilevato il suo carattere decisamente speleoide che gli proviene dal contorno della corona su cui, più di quanto non avvenga neh 1 U. arctos , e marcatamente impressa la costrizione esistente fra la meta anteriore e quella posteriore ; dalla forma degli elementi acces¬ sori esistenti sul bordo linguale della metà posteriore; dallo sviluppo considerevole del metastilide, nonché dalla forma piuttosto ottusa degli elementi della sua superfìcie masticatoria. Tali caratteristiche lo rav¬ vicinano decisamente al dente omonimo dell’ C/- spelaeus così abbon¬ dante nel Quaternario europeo, mentre le sue dimensioni richiamano, fra 1* altro, il M2 inferiore sinistro appartenente ad un individuo adulto proveniente dalla Grotta di S. Donà di Lamon, conservato nel Museo geologico dell Università di Padova e descritto dal FABIANI (1). I valori metrici del dente della mia collezione sono infatti : diametro antero-posteriore della corona . . mm. 30 » trasverso » » . . » 1 9 A complemento di quanto ho detto do l’illustrazione del reperto esaminato che vale, più di una lunga descrizione, a metterne in evi¬ denza le caratteristiche. Felis sp. Nella collezione esiste una branca radicale di un dente (probabil¬ mente Prn3 inferiore destro) appartenente ad un Felino. Le sue dimensioni (1) Fabiani R. I mammiferi quaternari della Regione Veneta, pagg. 30-3 1 , Tav. IV, fig. 8 e Tav. V, fig. Il Mem, I st. Geol. R. Univ. di Padova, voi, V. Padova, 1919, - 11 - ricordano quelle del probabile dente omonimo di Felis leo spelaea Goldf. Ma la frammentarietà e lo stato di conservazione delP avanzo non consentono alcuna diagnosi specifica attendibile. Equus cfr. caballus L. Riferisco con dubbio a\Y Equus caballus una estremità distale di meta¬ carpo sinistro ( met. Ili) in discreto stato di conservazione. L'esame di que¬ sto avanzo rivela uno spiccato carattere caballoide ma — come è ovvio — non mi permette di spingermi troppo nella ricerca della tappa filetica a cui esso deve essere ricondotto. Quello che si può dire di sicuro è che esso appartiene ad un individuo non ancora adulto e che, per le dimen¬ sioni, si mantiene nettamente superiore all’osso omonimo di tutti gli Asi- nidi fin qui conosciuti (I). Messo a confronto coi rappresentanti del Ca¬ vallo quaternario, esso si rivela, per la configurazione complessiva e per i caratteri di robustezza, assai affine all’osso omonimo delle forme del gruppo ctfsidetto occidentale designato' per primo dal CANESTRINI col nome Equus cdiballus major , Il solo valore metrico che mi è consentito di trarre da questo avanzo è il seguente : diametro trasversale massimo della superficie articolare. . . mm. 52. Sus scrofa L . (Tav. 5, fig. 10, 15) Questa specie è rappresentata da 1 Ma superiore sinistro e da un frammento di mandibola destra recante in sito il M3. A giudicare dal- 1 incipiente grado di usura, è facile constatare che essi appartengano ad un individuo giovane. I valori metrici di questi denti sono : mm. 25 » 20 » 43 » 19 (I) Stehlin H. G. e Graziosi P. Ricerche sugli usimeli fossili d'Europa. Abh. Schweiz. paleont. Gesell., Bd. LVI. Basel, 1935. m5 Ma \ diametro antero- posteriore I » trasverso . I diametro antero - posteriore ( » trasverso . Essi ricordano rispettivamente quelli di un dente omonimo del¬ l’Olocene di Adria, conservato nel Museo geologico di Padova e quelli di un M3 inferiore deirOiocene di Fontega, conservato nel Mu¬ seo di Vicenza, studiati dal FABIANI (1). Tenuto conto dei caratteri giovanili dei denti da me esaminati (riscontrabili specialmente nel M3, i cui tubercoli posteriori superano di poco il bordo alveolare ) , bisogna ritenere che l’individuo a cui essi appartengono avesse una statura certamente non inferiore a quella presentata dal S. scrofa ferus Rut. che, come razza maggiore del Cin¬ ghiale, viene da alcuni Autori (2) tenuta distinta dal 5. scrofa L. attuale (= S. europaeus Pallas). Capreolus capreolus L. Fra i materiali estratti dalla Cala delle* Ossa il Capriolo è rappre¬ sentato da un frammento di mandibola sinistra recante in posto i tre pre¬ molari. L' avanzo, a giudicare dalle dimensioni e dal grado di usura dei denti, deve essere appartenuto ad un individuo vecchio, probabilmente di sesso femminile. La lunghezza complessiva di questi tre premolari (Pm2 - Pnm) risulta di mm. 22. Pertanto, tenuto conto sia delle di¬ mensioni che della conformazione dei singoli denti, non mi pare di errare se, anche in difetto delle corna dell’esemplare, lo ascrivo al Capreolus capreolus L. E’ noto (3), infatti, che la lunghezza complessiva dei Pm -|- M inferiori del Capriolo attuale si aggira attorno ai 61 mil¬ limetri di cui, press’a poco, mm. 22-24 spettano ai tre premola¬ ri. Nel Capreolus pygargus Pallas dell’ Asia, invece , si ha come lunghezza totale dei Pm + M inferiori un valore medio di mm. 72 che comporta per i 3 premolari una lunghezza complessiva di circa mm. 30. (1) Fabiani R. Op. cit., pag. 99 e segg. ( 2 ) De STEFANO G. / Mammiferi preistorici dell’ Imolese, pag. 67-68. Palaeont. Italica, voi. XVII. Pisa, 1911. (3) BOULE M. Les grottes de Grimaldi ( Baoussé-Roussé ). T. I, fase. Ili, pag. 200 Monaco, 1910. De Stefano G. Op cit., pag. 82. MlLLER G S. Catalogue of thè Mammals of Western Europe, pag. 983. London. !912, - 13 - Ho potuto, d’altronde, passare in esame i teschi di Capreolus capreo¬ lus L. attuale conservati nel Museo di Anatomia comparata ( 1 ) dell’Università di Napoli ed ho trovato piena concordanza nei valori metrici con quanto hanno osservato gli Autori. Capreolus cfr. pygargus Pallas. (Tav. 5, fig. 9) Oltre all* avanzo di Capriolo precedentemente ricordato, nel¬ la collezione esiste un frammento di mascellare superiore sinistro re¬ cante il Pm2 e il Pm3 il quale, sia per le dimensioni che per la conformazione dei denti, mi pare possa essere ravvicinato più al C. pygargus Pallas che al C. capreolus L. Malgrado la meschinità dell’avanzo che non è sede — per giunta — di caratteri specifici di grande rilievo, questo ravvicinamento porterebbe ad ammettere nella Cala delle Ossa la coesistenza di queste due specie, analogamente a quanto è stato osservato in altri giacimenti quaternari europei (2). E’ noto, infatti, che secondo l’opinione dello STEHLIN (3) e quella più recente del De STEFANO (4) il C. pygargus , lungi dall’essere una razza geografica, come pensa il BoULE, (3) viveva in Europa durante il Pleistocene allo stato di specie ben differenziata assieme al Ca¬ priolo comune. Ciò spiegherebbe anche la presenza di quegli avanzi di Capreolus di grande statura (6) rinvenuti nel Quaternario europeo, i quali raggiungono e talvolta superano (7) per le dimensioni lo stesso Pigargo. (1) Per gentile concessione del Direttore, Prof. M. SaLFI, che qui sentitamente rin¬ grazio. (2) Fabiani R. Op. cit, , paeg. 105-107, (3) StehLIN H. G. et MlEG E. Sur l'àge et la faune de la station préhistorique d'Isiein (Gran-Duthé de Bade). Bull. Soc. Se. de Nancy, 1903. (4) De Stefano G. Op. cit., pagg. 80-83. (5) Boule M. Op. cit., pag, 201. (6) Boule M. Op, cit., pag. 200. (7) ReG \LIA E. Sulla fauna della grotta dei Colombi ( Isola Pai varia). Arch. per l’An- trop. e l’Etnologia, voi, XXUI. Firenze, 1893. — 14 — Cervus elaphus L. (Tav. 5, fig. 8) Questa specie ha lasciato, per quanto allo stato frammentario, il maggior numero di avanzi alla Cala delle Ossa. Tali avanzi spet¬ tano, per la maggior parte, alla dentatura ma, appartenendo i singoli frammenti ad individui diversi per sesso e per statura, non consentono di ricostruire delle serie dentarie complete. A questi si associano, tuttavia, dei frammenti piuttosto logori di corna ì quali, pur non es¬ sendo ricompombili, ci fanno notare che il Cervo nobile era anche rappresentato alla Cala delle Ossa con dei soggetti di statura consi¬ derevole. Denti. — Fra i denti e frammenti di mascellari possiamo notare : 3 incisivi; 1 framm. di mascellare sup. destro con M^M*; 2 Mi, 3 M* , 2 M3 sup. destri; 1 framm. di mascellare sup. sinistro con Mi + M2 + M3; 1 framm. di mascellare sup. sinistro con Pm3 -\- Pm4 + Mi ; 3 M2 , 2 M3 sup. sinistri; 1 frammento di man¬ dibola destra con D, + Mi *, 1 framm. di mandibola destra con M, “t" M2 ; 1 framm. di mandibola destra con M2 -|~ M3 ; 1 framm. di mandibola destra con Mi ; 1 Pm4, 1 M2, 3 M3 in¬ feriori destri ; 1 Pm3 inf. sinistro ; 1 tramm. di mandibola sinistra con Pm2 4- Pms + Pm4 5 1 framm. di mandibola sinistra con M2 + M, incompleto ; 3 M3 inf. sinistri, di cui uno appartenente ad un individuo molto vecchio ; 1 framm. di mandibola sinistra con Pm2 ap¬ partenente ad un individuo giovane. Tutti questi denti sono ravvici¬ nagli, sia per la forma che per le dimensioni, (avuto anche riguardo al sesso ed all’età) ai denti omonimi di Cervus elaphus L. tipico rinvenuti nel Quaternario d’Europa. Quanto alle dimensioni, conside¬ randone il diametro antero - posteriore e quello trasverso, si hanno per i M2 superiori dei valori rispettivi compresi fra mm. 24,3 x 23 e mm. 26 x23, mentre per i M ; superiori si hanno dei valori compresi fra mm. 26 x 22 e mm. 27 x 22. Per i denti mandibolari sono da notare, relativamente ai M2, dei valori compresi fra mm. 27 x 14 e mm. 15 — 29 xl4,5, accanto alle dimensioni dei M che sono compresi fra mm. 32 x 14 e mm. 33 x 13. Questi valori, anche se considerati da soli, permettono di escludere che i denti in discorso possano es¬ sere appartenuti a qualcuna delle forme diminutive del Cervo nobile e si mantengono anche superiori a quelli del C. ( Dama ) Somonensis Desm., dal quale si distinguono, tuttavia, per altri caratteri che esa¬ mineremo più avanti. Al C. elaphus L. possono, con molta probabilità, essere ascritti, oltre agli avanzi sopra indicati, dei frammenti di epistrofeo, di sca¬ pola, di omero, alcuni astragali, qualche calcaneo, un osso tarsale e 2 seconde falangi della zampa posteriore destra. Omero. — Esistono un’estremità distale di omero destro e 2 estremità distali di omero sinistro. La prima ha un diametro tra¬ sversale massimo di mm. 58 ; delle seconde quella che consente tale misurazione ha un diametro di mm. 61 . Astragalo. Degli astragali sono presenti 8 destri e 9 sinistri. Di questi 17 astragali soltanto 10 sono perfettamente con¬ servati ( 5 destri e 3 sinistri) e mi hanno consentito di ricavare ì valori metrici principali che nel seguente specchietto si succedono partendo dai sinistri : larghezza massima mm. 50 52 53 54 54 54 54 55 55,5 57 larghezza massima al- ) * 3 | 33 34 5 34 35 34 35 37 38 38 1 estremità sup., ^ idem idem inf. » 31 31 33 33 35 32 33 35 37 38 Calcaneo. — Nella collezione sono presenti un frammento di calcaneo destro ed un calcaneo sinistro appartenenti a due indi¬ vidui diversi, di media taglia 11 calcaneo sinistro misura una lun * ghezza massima di mm. 1 1 3. Questo valore è leggermente superiore a quello (mm. Ili) ricavato dal FABIANI ( 1 ) sull’osso omonimo destro di un individuo appartenente all’Olocene di Arquà. (1) Fabiani R. Op. cit., pag. 11, Tav. XXIV, fig. 17, — 16 — Tarso. — L* osso tarsale destro avanti accennato appartiene ad un individuo adulto e non ha niente di notevole da essere se¬ gnalato. Falangi. — Delle due seconde falangi posteriori destre di cui dispongo la meglio conservata misura una lunghezza assoluta di mm. 46. Cervus cfr. elaphus L. Ascrivo con dubbio al Cervo nobile alcuni denti sciolti i quali, pur avendo l’aspetto complessivo dei denti di questa specie, se ne allontanano per alcune peculiarità morfologiche che non è escluso pos¬ sano rientrare nei limiti delle variazioni individuali tanto frequenti nei Cervidi in genere e nel C. elaphus in ispecie. Questi denti sono : 2 Pm4 inf. destri; 1 D3 infer. destro incompleto; 1 M4 e 1 M2 inf. destri: 3 Mt e 1 M2 inf. sinistri. I Pm4 hanno il diametro antero- posteriore rispettivamente di mm. 19-20 e il diametro traverso di mm. 12-12,5. Sul lato esterno essi presentano, in uno con gli altri caratteri che li accomunano all’ elaphus, una ben marcata suddivisione tra il l e il 2° lobo. Sul lato linguale, però, questo 2° lobo pre¬ senta una maggiore autonomia che non nell5 elaphus e si mantiene bifido per due terzi della sua altezza, in corrispondenza dell’angolo poste¬ riore interno. Dei molari i M4 hanno il diametro antero- posteriore ed il traverso di m. 24 X 1 2, 3 - 24 x I 3 - 23 x 1 2, 5 - 25 x 1 4. I M2 rispetto alle stesse dimensioni misurano mm. 27 x 15 e mm. 29 X 14,5. Tutti questi molari, che presentano la maggiore affinità cogli omonimi del C. elaphus, hanno tuttavia una maggiore accentua¬ zione delle creste della muraglia interna. Dama dama L. Fra i Cervidi anche il Daino risulta presente alla Cala delle Ossa, per quanto i suoi avanzi siano molto scarsi e frammentari. Fra tutto il materiale che ho potuto isolare posso ascrivere a questa specie - 17 - soltanto un frammento di corno, vari frammenti di mascellari supe¬ riori e inferiori e vari denti sciolti. Avendo riguardo alle dimensioni e al grado di usura offerto da alcuni di questi denti, non si può non constatare che la specie era rappresentata non soltanto da individui di statura considerevole ma anche da individui di età molto avanzata. Denti — Fra i resti delle arcate dentarie possiamo elencare; 4 incisivi; 2 frammenti di mascellare sup. destro con +M2 +M3 ; 1 framm. di mascellare sup. sin. con Mt + M2 + M3 ; 1 framm. di mascellare sup. sinistro con D2 + D3 + D4 in via di essere so¬ stituiti; 1 framm. di mandibola sinistra con Pm3 + Pm: + Mt ; 1 sup. destro e 1 Ml inf. sinistro. Gli incisivi presentano i ben noti caratteri dovuti ad una note¬ vole espansione della corona, che tende ad assumere la forma falcata per il maggiore sviluppo nel senso laterale esterno. I premolari infe¬ riori (specialmente il 4°) sono piuttosto tozzi e alquanto compressi in senso antero- posteriore e presentano sul Iato esterno una poco netta demarcazione fra il lobo anteriore e il lobo posteriore. I premolari e i molari superiori, a loro volta, sono notevolmente sviluppati nel senso trasversale, più di quanto non lo siano gli omonimi del Cervus ela- phus. 11 diametro antero- posteriore e trasverso di alcuni M3 superiori mi è risultato di mm. 20 X 18 - 21 X 18. Cervus {Dama) Somonensis Desm. (Tav. 5, fig. 1 a 4, 6, 7, 11 e fig. 1 nel testo) Nel materiale estratto dalla Cala delle Ossa figurano degli avanzi di un Cervide che hanno una sorprendente affinità con quelli che furono attribuiti in epoche diverse dal Boule ( 1 ) e dal Di Stefano (2) al Cervus (Dama) Somonensis Desm. Essi, pur essendo scarsi e (1) BOULE M Les grottes de Grimaldi, Loc. cit, T. 1, fase. Ili, pagg. 208-212. (2) Di STEFANO G. I Cervi e le Antilopi fossili attribuiti al Quaternario dell'Isola di Pia¬ nosa. Atti Soc. Ital. Se. Nat., voi. LI1, pag. 119 e segg., Tav. IV. Pavia, 1913. 2 - 18 - frammentari, sono accompagnati per fortuna, da un frammento di corno (fig. 1) che ha contribuito a rendere più probante la presenza della specie in discorso ed a rendere più oculata la discrimina fra i resti del C. elaph'us L. Questo frammento di corno comprende il peduncolo e si estende per alcuni centimetri al di là dell’impianto del pugnale basale. In esso la rosetta presenta uno sviluppo considerevole e si impianta obliquamente rispetto all’asse della pertica. Da questa si diparte, ad un paio di centimetri di distanza dalla rosetta, il predetto pugnale che, appiattito nel primo tratto, diventa cilindrico nel tratto successivo. Il suo asse longitudinale forma coll’asse della pertica un Fig. 1. - Certìus (Dama) Somonensis Desm. Frammento di corno. angolo di circa 90°. Immediatamente al di sopra di esso la pertica si appiattisce visibilmente. La superficie di questo frammento di corno, come si verifica appunto nel Daino della Somma, è rugosa e per¬ corsa da numerosi solchi longitudinali subparalleli. E appena il caso di far rilevare che il frammento di corno in esame per i caratteri sopra accennati, astrazion fatta delle dimensioni, denota una certa analogia, -19- più che con le corna del Daino attuale, con quelle di alcuni Daini fossili, quali il Cervus Savini Dawkins del Forest-bed d' Inghilterra e il C. Browni Dawkins del Pleistocene di Clacton (1). Denti — In uno col frammento di corno teste descritto sono presenti dei frammenti di arcate dentarie e dei denti sciolti che vanno così ripartiti: I framm. di mascellare sup. destro con Pm4 - M3 ; 2 framm. di mascellare sup. destro con Mi — M3 ; I framm. di mascellare sup. destro con M2 ; 1 Pm2, 2 Pm3, 2 Pm4 sup. de¬ stri ; 2 Pm2, 3 Pm3, 2M, sup. sinistri; 1 framm. di mandibola destra con M4 Mo ; 1 M1 e 4 M2 inf. sinistri; 1 \L e 1 I2. Per i carat¬ teri di questi denti non ho niente da aggiungere alle osservazioni com¬ piute dal BoULE sugli esemplari delle Grotte di Grimaldi , con cui il materiale da me esaminato concorda abbastanza bene tanto nella forma quanto nei valori metrici. Cervus sp. , cfr. C. (Dama) Somonensis Desm. Ascrivo con dubbio al Daino della Somma 2 estremità distali di tibia destra, 1 estremità dista’e di tibia sinistra e 1 estremità pros¬ simale di metatarso destro. Questi avanzi, anche nel loro stato di frammentarietà , ricordano tanto per la forma quanto per le dimen¬ sioni, le ossa omonime di un Daino gigantesco che potrebbe essere il C. (Dama) Somonensis Desm. che, per altra via, ci è risultato presente nella fauna della Cala delle Ossa. Tibia — Dei 3 frammenti che ho a disposizione soltanto quello che si riferisce ad una tibia sinistra mi consente di ricavare ì seguenti valori metrici: diametro trasversale dell’epifisi inferiore . mm. 48,5 » » della superficie articolante con l’astragalo » 33 (I) DaWKINS Boyd W. — The British Pleistocene Mammalia. P. VI. British Pleisto¬ cene Ceroidae. Palaeontographical Soc., Voi. XL (1886), pa^g. 11-21. London, 1887. 20 — Metatarso. — Questo frammento presenta il diametro tra¬ sversale della superficie articolare superiore di mm. 32 ed il dia¬ metro trasversale massimo dell* estremità superiore di mm. 34. In esso si nota chiaramente la retroversione del 4° metacarpale, già segnalata dal BoULE ( 1 ) per il Daino della Somma. Capra ibex L. (Tav. 5, fig. 12 e 13) Lo Stambecco è rappresentato da un frammento di mascellare superiore destro con Pm4 -j- ; da 1 Mi inferiore destro ancora risparmiato dall’usura ; da un’estremità distale di metacarpo destro e da un’estremità distale di metacarpo sinistro. Mascellare. — Questo avanzo abbraccia lo spazio alveolare Pm — Mt e sopporta il Pm4 e il Mr Riesce facile , pertanto , misurarne 1’ estensione alveolare dei 3 premolari, che risulta di mm. 28,5. Il Prm ha il diametro antero- posteriore di mm. 1 1 ; il Mt rispetto allo stesso diametro raggiunge i mm. 1 7. Questi valori collimano abbastanza bene con quelli dei denti omonimi dello Stambecco di Grimaldi illustrati dal BoULE (2) ed hanno una sorprendente analogia con quelli dello Stambecco della grotta di Campagna (Salerno), che il FoRSYTH MAJOR (3) ravvi¬ cina alla Capra Sibirica Meyer. Il FoRSYTH Major dà, infatti , per lo Stambecco di Campagna i seguenti valori: Pm4 , diametro antero - posteriore . . • mm. I 1 Mi , » » » ... » 16. Questi valori, come è facile constatare, si mantengono nettamente (1) Boule M. Op., cit., pag. 211. (2) Boule M. — Op. cit., pagg. 226-228 e Tav. XXVI, fig. 5. (3) FoRSYTH MaJOR C. J. — Materiali per servire ad una storia degli Stambecchi. Atti Soc. Toscana Se. Nat., voi. III. Pisa, 1879. — — — Rernarque sur quelques mammifères de l' Italie, ete. Atti Soc. Ital. Se. Nat., voi. XV. Milano, 1873, superiori a quelli che si ricavano ( 1 ) sulle forme più sviluppate degli Stambecchi viventi e rivelano, tanto nella grotta di Campagna quanto nella Cala delle Ossa, la presenza di individui di grande statura. E’ noto ( 2 ) , infatti, che nello Stambecco vivente la serie dei Pm 4- M superiori ha una lunghezza che va da mm. 67 a mm. 70,6 di cui uno spazio di circa mm. 25 è occupato dai premolari Nello Stam¬ becco di Grimaldi, per lo stesso mascellare si hanno, secondo il BoULE, dei valori compresi tra mm. 76 e mm. 83. Ad una di queste forme gigantesche bisogna ritenere che si riferisca il mascellare superiore ri¬ prodotto nella fig. 5 della Tav. XXVI della sua opera sulle Grotte di Grimaldi più volte citata e con essa appunto collima, nella forma e nelle dimensioni , 1* avanzo di mascellare estratto dalla Cala delle Ossa. Metacarpo. — Anche i frammenti di quest’osso sono attri¬ buibili ad individui di statura considerevole. Dei due avanzi che pos¬ seggo uno solo appartiene verosimilmente ad un maschio e può es¬ sere confrontato col più robusto delle ossa omonime di C. ibex L. riprodotte dal BoULE nella fig. 8 della Tav. XXVIII dell’opera pre¬ detta. I principali valori metrici dell’osso in esame sono, infatti: diametro trasversale dell’epifisi inferiore mm. 43 » antero- posteriore « » * 28. Bos primigenius Boj. (Tav 5, fig. 14) Fra gli avanzi di Bovini da me estratti dalla Cala delle Ossa potreb¬ bero essere attribuiti al Bos primigenius Boj. : 1 Pm4 superiore sinistro, 1 M2 inferiore destro, 1 frammento di mandibola sinistra con -|- M2 (1) Forsyth Major C. J. — Materiali per servire ad una storia degli Stambecchi, Loc. cit., pagg. 36-37 e 44-43. Boule. — Op- cit., pag. 228. (2) Miller G. S. — Op. cit., pag. 296. - 22 - e 1 frammento di mandibola pure sinistra con M4 su cui l'usura è giunta all’ estremo limite. Con lo scarso corredo di materiale consimile, che non è sede di caratteri diagnostici di assoluto rigore scientifico , è facile rendersi conto di quanto sia azzardato giungere ad una determinazione specifica # specialmente quando — come nel caso nostro accade — non si disponga dell’ intero cranio o , per lo meno, delle corna dell’ esemplare. Pur tuttavia, sembrandomi di non poter attribuire i reperti della Cala delle Ossa al genere Bison , spe¬ cialmente per la notevole compressione che i premolari e i molari presentano nel senso trasversale , sarei indotto, dopo aver passato in esame abbondante materiale quaternario riferito al gen. Bos , a tentare un ravvicinamento dei denti della Cala delle Ossa col Bue primigenio. Denti. — Compatibilmente col loro stato di conservazione, ho potuto ricavare sui denti precedentemente enumerati i seguenti dati metrici: i diametro antero- posteriore, a livello della superficie masticatoria Pm4 mm. 22,5 ^ » trasversale massimo della corona . . » 23,5 diametro antero - post., a livello della superficie masticatoria mm. 35 » trasversale massimo della corona . . » 19,5 altezza massima della corona, sul lato interno . » 55 Il frammento di mandibola sinistra sopporta, come ho detto, il Ml e il M2. Questi denti sono in discreto stato di conservazione e mi hanno fornito ì seguenti valori metrici: l diametro antero -post., a livello della Mi ' » trasversale, sul bordo alveolare i diametro antero- post., a livello della m2 superficie masticatoria mm. 33 . » 20,5 superficie masticatoria mm. 37 » 20,5 trasversale, sul bordo alveolare . I - 23 - I precedenti valori permettono, non soltanto di escludere che i denti in esame possano appartenere ad uno o più individui di B. tali - rus macroceros Diirst o di B. taurus brachyceros Riit., ma fanno lo¬ gicamente supporre che la mandibola di cui facevano parte avesse dimensioni tali da riuscire compatibile soltanto con un individuo di statura gigantesca e da superare, forse, i valori massimi fin qui se¬ gnalati dagli Autori (1) per il B . primigenius Boj. Bos cfr. primigenius Boj. Ascrivo con dubbio al Bue primigenio un astragalo in cattivo stato di conservazione, misurante una lunghezza massima di mm. 86 e una larghezza massima di circa mm. 54. Data la snellezza del corpo delFosso, esso potrebbe essere attribuito ad un individuo femmina. Bo\)idarum gen. et sp. indet. Assieme ai resti di Bovidi già descritti , nella Cala delle Ossa ho rinvenuto pochi altri avanzi che, per la loro frammentarietà ed il cattivo stato di conservazione, non consentono neppure un riferimento generico attendibile. Essi sono rappresentati da un frammemto di ma¬ scellare superiore sinistro con M* -j- M2 spezzati all’altezza del piano del palato ; una vertebra (probabilmente 3a) lombare ; un frammento di tarsale sinistro ; un coxale sinistro incompleto. Su queste ossa ben poco mi resta da dire. Il mascellare doveva appartenere ad un indi¬ viduo di statura considerevole, dato che la parte alveolare dei M, -\- M2 complessivamente misura una lunghezza di mm. 65. Ma il frammento è così logoro che non permette altre considerazioni. La vertebra lom¬ bare si presenta fortemente danneggiata all’apofìsi spinosa ed è priva delle apofìsi trasverse (diapofisi) e delle zigapofisi anteriori. A giudi - (1) Per la bibliografia principale suH’argomento cfr. : BreNTANA D. Contributo allo studio dei Bovini preistorici. Torino (Fratelli Bocca), 1927. Cfr. anche : Boule M. Op. cit., pagg. 234-236, Tav. XXVIII; Fabiani R. Op. cit. , pag. 133 e seg., Tav. XXVII; DuBOlS A. et StehLIN H. G. La grotte de Cotencher, sta~ fiorì moustér.enne. Mém. Soc. Paléont. Suisse. voi. L1I-L1II. Basel, 1932-^3, — 24 - care dalle dimensioni del suo corpo (diametro antero-post. mm.52,5) e dalla struttura del tessuto osseo, essa deve essere appartenuta ad un individuo giovane. Nella sagoma complessiva del suo corpo vertebrale e nella forte carenatura della faccia ventrale essa rivela una maggiore affinità per il genere Bos che non per il genere Bison. Anche il tarsale doveva appartenere ad un individuo di statura veramente con¬ siderevole, dato che il suo diametro antero - posteriore massimo — il solo ricavabile sul frammento — misura mm. 74. Il coxale è molto monco per consentirmene la descrizione. La sua conformazione e le dimensioni complessive si avvicinano moltissimo all’omonimo del Bue della torbiera di Trana, attribuito dal BoGINO ( I ) al Bos primigenius Boj. Il diametro antero - posteriore della sua cavità cotiloide è di mm. 70. U industria Il complesso dell’ industria litica che sono andato accumulando durante la mia campagna di ricerche risulta formato da: lame -ra¬ schiatoio; qualche raschiatoio - bulino; qualche raschiatoio corto*, qualche punta - raschiatoio; vari abbozzi e forme finite di bulini laterali; qualche bulino multiplo; delle punte, fra cui qualcuna del tipo cosidetto pseudo- mustieriano; delle lame semplici con sbrecciature dovute all’uso; qualche lama a incavo ritoccato ( à coche ) e dei nuclei di tipo Paleolitico superiore. A questi si associano: una grande quantità di schegge, al¬ cune delle quali con segni di uso ; qualche abbozzo di difficile in¬ terpretazione ; dei rifiuti di lavorazione e di ciottoli ancora integri. Considerati nel loro insieme , questi arnesi litici presentano tutti lo stesso aspetto fisico nonché una rimarchevole omogeneità nei caratteri tipologici. Basta osservare, infatti, le Tavole 6, 7 e 8 che di essi ri¬ producono i tipi più rappresentativi, per convincersi che si abbia da fare con un insieme di forme che ricordano assai da vicino il tipo grimaldiano che alcuni Autori, seguendo altri criteri, collocano an¬ cora entro i confini del Paleolitico superiore. Seguendo queste ultime (1) BogINO F. — I mammiferi fossili della torbiera di Trana. XVI, pag. 36, Tav. II, fig. 11. Roma, 1897. Boll. Soc. Geol. Ital., Voi, - 25 - vedute, recentemente il Blanc (1) ascriveva al Paleolitico superiore T industria da lui rinvenuta alla Cala delle Ossa e metteva altresì in evidenza le affinità di questa industria con quella della Grotta Ro¬ manelli , avvalorando le idee dello ZUCCARELLI (2) e del BAT¬ TAGLIA ( 3 ) sullo stesso argomento. Insieme con le affinità il Blanc non mancava di far giustamente rilevare che questa industria diver¬ sifica alquanto da quella della Grotta Romanelli per l’assenza di tipici microbulini e di semilune e « per la minore frequenza dei piccoli raschiatói rotondi , d’ altronde di tipo alquanto diverso ». Le stesse osservazioni potrei fare anch’io oggi attraverso i risultati delle mie ricerche in cui mi pare che non manchino gli ele¬ menti per tentare un confronto dell’industria della Cala delle Ossa, non soltanto col materiale coevo dell’ Italia continentale nel quale il VauFREY (4) — attenendosi in linea di massima ai concetti del Rel- LINI (3) — riconosce la facies grimaldiana di quello che egli chiama Paleolitico superiore, ma anche col materiale delle grotte della Sicilia (specialmente con quello delle grotte Mangiapane e di S. Teodoro) che, secondo lo stesso VAUFREY, per il suo aspetto piuttosto recente, andrebbe attribuito all’estrema fine del Paleolitico. Ciò mi viene ispi¬ rato non soltanto dalla coesistenza, in questi depositi in discussione, dei tipici raschiatoi corti e lame -raschiatoio e dalla presumibile presenza dei bulini laterali e multipli, dei bulini doppi e delle punte - raschiatoio, (1) Blanc A. C. Industrie musteriane e paleolitiche superiori, etc. Loc. cit . , p. 608-609. (2) ZUCCARELLI A. — Op. cit., pag. 105 e segg. (3) BATTAGLIA R. — Studio sul Paleolitico superiore in Italia e in Francia. I . Abitati umani del Paleolitico finale in Italia. Riv. di Antropologia, XXV, pag. 194 e seg. Roma, 1922-23. (4) VauFREY R. — Le Paléolithtque italien, pag. 86 e segg. Arch. Inst. Paléont. hu- maine, Mém. 3. Paris, 1928. (3) Rellini U. — Lo strato di Grimildi e l’età Miolitica. Riv. di Antrop., voi. XXIII, Roma, 1919. — — Cavernette e ripari preistorici nell' Agro f olisco. « Monumenti antichi », R. Acc. Lincei, voi. XXVI. Roma, 1920. — — Sul Grimaldiano Riv. di Antrop., voi. XXXI. Roma, 1936. — — Miolitico. Riv. di Antrop. voi. XXXII. Roma, 1938-39. — Sullo svolgimento specifico della civiltà primitiva in Italia. S. I. P. S. Relazioni XXVIII. Riunione, voi. IV, pag. 330 e seg. e Tav. V. Pisa, 1 l-l 5 ottobre 1939, — 26 - ma anche dalla presenza delle cosidette punte pseudomustieriane tagliate in quarzite (Tav. 8, figura 13). Degno di rilievo mi pare, poi, che sia il fatto che tanto nella Cala delle Ossa quanto nelle sopra ricor¬ date grotte siciliane, nelle quali mancano pure i microliti geometrici, appare simultaneo l’impiego della selce e della quarzite. Commista coi manufatti litici sopra ricordati , nella Cala delle Ossa si rinviene una quantità rimarchevole di schegge e di frammenti di osso ( I ) appartenenti nella quasi totalità a dialisi di Cervo elafo e di Daino. Lo stato eccellente di conservazione di questi materiali per¬ mette talvolta di seguire sulle superaci di alcuni di essi le tracce del 1 uso, consistenti in un complesso di strie più o meno pronunziate. Dal punto di vista morfologico questi ultimi materiali che potremmo chiamare intenzionali sono riconducibili a pochi tipi fondamentali. Al¬ cuni di essi, più o meno appiattiti e terminanti a cuneo ad un’estre¬ mità, si direbbero delle spatole , altri , bene acuminati ad un estre¬ mità si direbbero punteruoli o strumenti affini. Assieme a questi tipi non manca qualche esemplare avente una forma rombica quasi del tutto regolare (Tav. 9, fig. 12 e 13), con gli spigoli smussati nella stessa misura, che si direbbe un prodotto di una mano sapiente , piuttosto che un prodotto del caso (2). Tuttavia, senza voler esagerare sull’im¬ portanza di questi frammenti ossei, per la maggior parte dei quali ci sfugge ancora il significato, dobbiamo serenamente riconoscere che essi si presentano nella breccia ossifera della Cala delle Ossa con una (1) Qualcuno di questi frammenti presenta delle analogie con quelli rinvenuti dal ReL- L1NI nell’Agro falisco. Cfr. RelliNI U. Caoernette e ripari preistorici nell’Agro f olisco. Loc. cit . , pag. 51, 58 e Tav. IV. (2) Nell’interpretazione di materiali consimili le riserve non sono mai eccessive. Lascian¬ domi guidare dal criterio soggettivo, avrei dovuto illustrare soltanto quei pezzi che presentano delle indiscutibili tracce di uso. Ma essendo anche di questi poco chiaro il significato ed avendo, d’altra parte, riscontrato la ricorrenza di determinate forme che al giorno d’oggi sem¬ brano incomprensibili come arnesi efficienti ma sembrano anche non del tutto accidentali per essere attribuiti al puro capriccio del caso, ho creduto non del tutto inutile mettere a con¬ fronto nella stessa tavola alcune fra le più frequenti di queste schegge brute che hanno qual¬ che carattere di convergenza o qualche probabile rapporto genetico con quelle che potremmo chiamare intenzionali Ciò potrà essere, forse, di una qualche utilità nell’esame obiettivo del complesso . - 27 — frequenza veramente sorprendente. E possiamo provvisoriamente affer- mare che alcuni di essi sono decisamente il prodotto del puro e sem¬ plice sfrantumalo a cui i Paleolitici sottoponevano le diafisi per estrame d midollo, mentre altri manifestano decisamente i caratteri di un prò» dotto intenzionale. L’ ambiente Dopo quanto abbiamo esposto non è forse prematuro che ci di¬ sponiamo a coordinare gli elementi passati in rassegna nelle pagine precedenti, in guisa da poter lumeggiare le caratteristiche delTambiente in cui vivevano i cavernicoli della Cala delle Ossa. Abbiamo già visto che il conglomerato esistente alla base del giacimento risulta formato da ciottoli di calcare autoctono commisti con ciottoli provenienti dai sovrastanti sedimenti oligo - miocenici e si presenta affatto privo di fossili. Esso, molto verosimilmente, rappresenta un lembo della spiaggia pleistocenica e ricorda, sia per la grossezza che per la natura degli elementi costituenti , la spiaggia attuale che si distende su alcune zone del litorale e, specialmente, di fronte alla Cala del Buon dormire. Il grado di cementazione dei suoi elementi attesta già che nel territorio aveva preso il predominio il regime con¬ tinentale. L’affermarsi sempre più decisivo di tale regime è dimostrato ancora meglio dal crostone stalagmitico che lo ricopre, nonché dal ri- vestimento stalattitico che ha contribuito a dare nelle grandi linee l’a¬ spetto attuale alla grotta. Lo spessore notevole di questo rivestimento calcitico ci dice anche che alla sua formazione è occorso un periodo di tempo abbastanza lungo , durante il quale la grotta non soltanto era emersa ma doveva presentare, almeno nel dettaglio, una confor¬ mazione alquanto diversa dall’ attuale. Infatti, in condizioni del tutto simili a quelle odierne, essa sarebbe risultata troppo superficiale e troppo esposta per non risentire dell’ ambiente in tal caso poco favorevole alla formazione delle sue robuste incrostazioni calcitiche. Molto pro¬ babilmente il suo ingresso, in origine assai meno ampio di quanto sia - 28 - oggi, si andò man mano ingrandendo per il distacco di alcuni settori della volta, come si potrebbe arguire dalle condizioni in cui si pre¬ senta oggi la parte frontale del vestibolo e dalla posizione di una ro¬ busta concrezione immersa nell attuale piano di spiaggia, a destra di chi entri nello scompartimento occidentale (Tav. 4), che è in gia¬ citura del tutto occidentale per essere considerata in posto. Senza dire che la configurazione attuale del suo ingresso molto probabilmente non avrebbe potuto garentire ai cavernicoli una relativa sicurezza di fronte all aggressione da parte dei grossi Carnivori che presumibilmente , si avventuravano anche sulla piattaforma antistante , oggi in gran parte sommersa. Per spiegarci l’accumulo dei materiali che formano la brec¬ cia ossifera dobbiamo rivolgere anzitutto la nostra attenzione alla ganga sterile del giacimento e, segnatamente, alla terra bruna che nella for¬ mazione prende — come abbiamo visto — una parte considerevolis¬ sima. Questa terra bruna risulta formata da una percentuale piu o meno variabile di sostanza argillosa e da uno scheletro sabbioso fatto prevalentemente da granuli di quarzo e, subordinatamente , da fram¬ menti di feldspati , di augite , di orneblenda , di zircone, di rutilo, nonché da granuli di magnetite e di ilmenite. Insieme con questi mi¬ nerali esistono anche dei granuli di calcare , di scisto argilloso , di calcedonio e di arenaria. Dal punto di vista morfologico è degno di nota il fatto che una percentuale abbastanza elevata di questi granuli, specialmente quelli quarzosi, è piò intensamente arrotondata e levigata e rappresenta la parte piò intensamente elaborata dal vento, mentre una percentuale di elementi piò decisamente autoctoni, quali i prodotti di sfacelo del calcare e dei sedimenti cenozoici, si presenta ancora in parte con gli spigoli vivi e costituisce la parte prevalentemente elu¬ viale del deposito. L’esame comparativo permette, inoltre, di ricono¬ scere che dal punto di vista mineralogico gli elementi di questa base terrigena presentano una strettissima affinità con quelli della forma¬ zione arenacea oligo-miocenica affiorante sulla verticale del luogo, non¬ ché con quelli della spiaggia attuale e con quelli della formazione dunare che si addossa in vari punti sulla dorsale che mette capo al promontorio di Palinuro. La stessa affinità, del resto, è riscontrabile anche nei confronti dei veli sabbiosi che si intercalano, come abbiamo detto, in seno alla breccia ossifera ed in quelli ancora più esili, che si rinvengono qua e là fra le concrezioni che formano il crostone stalagmitico basale. Sembrandomi, intanto, poco convincente il sup¬ porre che, almeno nella totalità, questa terra bruna risulti dall’accu- mulo in posto del residuo del disfacimento del calcare locale e, con¬ siderando la giacitura dei materiali di riempimento del deposito e la esistenza delle vie di accesso alla circolazione delle acque superficiali, mi pare che sia ragionevole ammettere che all* accumulo d essa e degli altri elementi che formano la ganga sterile del giacimento abbia concorso l’azione combinata di vari agenti erogeni. Noi abbiamo visto, intanto, che la parte basale della breccia ossifera è caratterizzata da una notevole abbondanza di frammenti calcarei angolosi che stanno, molto probabilmente, a dimostrare l’azione degradatrice a cui è stato sottoposto il calcare locale prima ancora che facesse la sua comparsa nella grotta l’Uomo paleolitico. E sappiamo pure che, a misura che procediamo verso l’alto, in seno a questo brecciame prevalentemente calcareo va diventando sempre più cospicuo l’apporto terrigeno, nel mentre che risultano sempre più manifesti 1 relitti dell’attività umana. Connessa con l’abbondanza di questo materiale terrigeno è anche l’esistenza di una cospicua quantità di ciottoli silicei, almeno in gran parte introdotti dall’Uomo, ed una quantità non indifferente di ciottoli arenacei nonché di frammenti di arenaria e di scisto argilloso la cui provenienza dal conglomerato oligo - miocenico sovrastante per opera di fattori inorganici non mi pare che sia del tutto da scartare. Ora, poiché risulta per altra via dimostrabile che dalla piattaforma litorale, ora in gran parte sommersa, che fornì anche la via di accesso ai cavernicoli ebbe luogo in vari momenti il trasporto di materiali eolici, non mi pare azzardato il ritenere che all’azione del vento, contras- segnata specialmente dalla presenza di alcuni veli terrigeni esistenti nel complesso della breccia ossifera che ci interessa, si sia aggiunta, almeno in determinati momenti, anche 1 azione delle acque superfi¬ ciali che, facendosi strada attraverso le discontinuità ( 1 ) esistenti nel M ) Di queste discontinuità le più vistose esistono nel versante orientale della grotta, nel — 30 — calcare della grotta, introducevano, insieme col materiale argilloso» arenaceo, anche dei ciottoli della sovrastante formazione oligo - miocenica. D’altronde, essendo del pari indiscutibile che il materiale detritico elaborato dal vento, nella quasi totalità, è il risultato dello sfacelo delle rocce sedimentane affioranti nelle immediate vicinanze del ter¬ ritorio in esame, risulta spiegabile non solo la provenienza dei mate riali convogfiati ma anche la natura mineralogica e l’aspetto fisico dei singoli granelli sabbiosi. Nel mentre V accumulo di tali materiali si andava effettuando, in determinati settori della grotta lo stillici¬ dio persistente delle acque calcarifere contribuiva ad amalgamarne Tinsieme e a formare quelle croste stalagmitiche che , nello stato attuale del giacimento, ci sono apparse in due livelli della brec¬ cia ossifera. Riprendendo a considerare nel complesso i lembi di breccia ossifera ancora esistenti nella Cala delle Ossa, risulta altresì evidente che in seno ad essi non esistono degli strati di notevole potenza che siano assolutamente sterili dal punto di vista paletnolo- gico così come non sono fino ad oggi rappresentati gli avanzi sche¬ letrici dei grossi Carnivori che dovevano pur prosperare in quell’epoca nel territorio limitrofo. Ciò ci induce a ritenere che la grotta nel¬ l’ultima fase della sua evoluzione non è mai stata abbandonata dal¬ l’Uomo per lunghi intervalli di tempo, in guisa da poter fornire un riparo prediletto ai Carnivori sopra ricordati. L’unico livello sterile, quello superiore a terra bruna, caratterizza l’ultimo episodio del riem¬ pimento durante il quale la grotta, per il suo ormai avanzato stato di colmatura, non si prestava più ad essere adibita a stazione umana, nel mentre che i suoi materiali molto verosimilmente continuavano ad accumularsi, a guisa di conoide, al di là della corda passante per i punti più sporgenti che delimitano lateralmente le fauci del suo at¬ tuale vestibolo. mentre che qualcuna, mena appariscente, interessa il fondo del cuni colo più regolare e più profondo dello scompartimento occidentale, in cui le acque, immettendosi in una diaclasi ver¬ ticale, hanno permesso al materiale convogliato di elaborare la superficie del crostone stalag- mitico. - 31 Per ciò che riguarda la fauna, attese le circostanze poco fortu¬ nate in cui è stato compiuto lo scavo, non potremmo dire se gli scarsi reperti venuti in luce durante le nostre ricerche si riferiscano soltanto ad una frazione del complesso faunistico contenuto in origine nell’intero sedimento. E neppure ci sarebbe possibile fare delle fon¬ date induzioni sulle eventuali ripercussioni climatiche subite da ogn singola specie in esso giacimento contenuta. Potremmo soltanto, giu¬ dicando dalla stragrande abbondanza di elementi ossiferi riferibili ad un esiguo numero di specie, ritenere che tali specie, se non esclusive, siano per lo meno le più rappresentative del giacimento. Così come ci appare, la fauna risulta prevalentemente formata da specie che potremmo chiamare banali a cui si associa un prezioso elemento, lo Stambecco, che, data la latitudine e 1* altitudine del giacimento, in¬ troduce una nota fredda nelle caratteristiche ambientali del territorio. Accanto a queste figura anche l’Orso speleo di cui l’unico dente fi¬ nora rinvenuto è ben poca cosa per autorizzarci a fare delle consi - derazioni di un certo interesse. Altrettanto potremmo dire per l’a¬ vanzo di dente di Felino indeterminabile specificamente. Da quanto abbiamo esposto emerge intanto chiaramente che lo accumulo degli avanzi ossiferi quanto quello dei prodotti industriali è soltanto spiegabile ammettendo uno scambio intenso dei cavernicoli col territorio circostante. Orbene, dato l’attuale isolamento relativo della grotta, ciò equivale naturalmente a riconoscere che la sua con¬ figurazione odierna è il risultato di un complesso di fenomeni che hanno modificato in vario senso ed in momenti diversi del Pleisto - cene i rapporti fra il mare e la terraferma. Tale presupposto teorico trova la sua conferma se noi ci poniamo ad esaminare accuratamente il tratto costiero che ci interessa, il quale conserva ancora frequenti ve- tigia di fori di Litodomi che costituiscono, appunto, i documenti più convincenti delle variazioni della linea di spiaggia subite dal territorio in epoca relativamente recente. Il livello più alto di questi fori di Litodom che io abbia rinvenuto nel territorio esprime una quota di 8 metri al d- sopra del livello medio del mare attuale ed interessa il calcare liasico che forma falesia sulla verticale di un piccolo antro detto localmente — 32 - « Cala della Volpe », situato sul fianco orientale del porto di Palinuro. Diffusione ancora maggiore questi fori hanno sulle pareti di uno dei pilastri delPArco naturale esistente presso la foce del Mingardo. Fra queste due località estreme il tratto del litorale — come del resto è ovvio non è stato immune datazione perforante di tali Lamellibran- chi*, però lo sfacelo della roccia non sempre ce ne ha conservato in posto le vestigia. Di guisa che non raramente accade di rinvenire su alcuni tratti dell’attuale linea di spiaggia come, per es., nella zona compresa fra la Cala Fetente e la Cala del Buon dormire, dei blocchi crivellati di fori di Litodomi, provenienti dal calcare liasico a noduli di selce affiorante sulla verticale del luogo. Alla luce dei fatti passati in rassegna è lecito, pertanto, di supporre che questa linea di riva di 8 metri rappresenti un episodio della fase discendente attraverso la quale il mare pleistocenico, passando per una serie di oscillazioni, portò gradualmente la sua linea di riva a circa due metri (Blanc) al di sopra del livello medio del mare attuale. Durante tutto questo periodo di tempo la collina della Molpa doveva necessa¬ riamente conservare un regime insulare. Sul suo versante meridionale, specialmente durante le ultime fasi del movimento negativo del mare, le onde minavano la compagine del calcare, già fiaccata dalle frequenti diaclasi, ed ampliando e svasando le discontinuità preesistenti, crea¬ vano in uno con le altre grotte litoranee anche la Cala delle Ossa. Col sopraggiungere della regressione marina post -tirreniana, veniva sottratta al dominio del mare una fascia della piattaforma litorale che, a giudicare dall’andamento delle isobate tracciate sulle carte idrografi¬ che e batimetriche del Mediterraneo, doveva essere abbastanza este¬ sa. In questo nuovo assetto la grotta attraversò un lungo periodo di continentalità durante il quale la persistente umidità deH’atmosfera e la circolazione di abbondanti acque calcarifere contribuirono a creare in essa uno spesso rivestimento calcitico che modellava in vario modo la sagoma originaria della grotta e, dopo aver cementato il materiale clastico che si era andato accumulando alla sua base, distendeva su di esso una spessa crosta stalagmitica. Coll’ iniziarsi del disfacimento delle pareti e della volta della grotta, che segna verosimilmente l i- - 33 - nizio di una recrudescenza climatica, e col successivo avvento del- rUomo paleolitico la fase di riempimento della grotta si avviava lentamente al suo apogeo per il concorso del materiale terrigeno con¬ vogliato dalle acque superficiali e dal vento che, in misusa di gran, lunga maggiore, esplicava in determinati momenti la sua azione sui materiali terrigeni delia pianura costiera di recente acquisizione e ri¬ copriva di una formazione dunare un vasto tratto del territorio cir¬ costante. Ma quando la lunga fase di riempimento raggiunse un valore tale da indurre l’Uomo ad abbandonare la grotta, ebbe inizio il de¬ posito della terra bruna sterile che, tuttavia, non riuscì a raggiungere in alcun punto la volta della grotta. Al di sopra di questa terra bruna, per il percolare lento delle acque calcarifere si distese, quindi, a guisa di suggello, una crosta stalagmitica che, nel chiudere il ciclo della sedimentazione, ci avverte che era già subentrato un regime di maggiore umidità atmosferica. Subentra, così, la trasgressione Fian* driana durante la quale il mare prende di nuovo il sopravvento sulla terra emersa e, dopo aver raggiunto un livello medio press’a poco eguale all’attuale, incomincia ad esercitare la sua azione edace anzi¬ tutto sulla conoide alluvionale che mascherava in parte l’ingresso della grotta e successivamente sulla parte frontale della breccia ossifera, contrassegnando, così, il preludio di quella fase di demolizione che, coadiuvata dall’azione degli agenti fisici più vari e da quella del¬ l’Uomo contemporaneo, doveva portare (1) la Cala delie Ossa alla sua fisonomia attuale (2). RIASSUNTO L’A. espone brevemente i risultati del rilevamento geologico latto nei dintorni di Pali- nuro (Salerno) e rende conto dello scavo da lui compiuto in una delle grotte litoranee quivi esistenti, la Cala delle Ossa . (1) Per lo schema della storia geologica recente della costiera di Palinuro clr. Blanc A. C. Industrie musteriane e paleolitiche superiori, etc. Loc. cit. , pag. 5 e segg. e fig. 2. (2) Nel chiudere questo lavoro sento il bisogno di ringraziare sentitamente S. E. il Sen. G. C. Montagna, i prolf. Rellini e Graziosi nonché il doti. Cardini e le Autorità locali che in vario modo si sono interessati alle mie ricerche. Particolare tributo di ricono¬ scenza devo ai Signori Paolo MONTAGNA e Fiorenzo RlNALDI e alla Famiglia Gabrieli per le cortesie che mi hanno prodigate durante il mio soggiorno a Palinuro. 3 Spiegazione delie Tavv. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e IO. Tavola 3. Fig. 1. — Montagne calcaree fra la Cala della Molpa e punta Fenosa. Al centro la rupe della Molpa alla^cui base si apre la Cala delle Ossa. Fig. 2. — La Cala delle Ossa vista dal mare. Tavola 4. Fig. 1. — Antri del versante occidentale della Cala delle Ossa. Tavola 5. Fig, 1 e 2. — Cervus (Dama) Somonensis Desm. Mi e M2 inferiori sinistri. Fig. 3 e 4. — Cervus (Dama) Somonensis Desm. Pm3 e Pm4 superiori destri. Fig. 5. — Ursus spelaeus Blum. et Rosenm. M2 inferiore destro. Fig. 6. — Cervus (Dama) Somonensis Desm. Frammento di mascellare superiore destro con Pim - M3. Fig. 7 e 11. — Cervus (Dama) Somonensis Desm. li e I2. Fig. 8. — Cervus Elaphus L. Frammento di mandibola destra con Mz+Mg. Fig. 9. — Capreolus cfr. Pygargus Pallas. Pm2 + Pm3 superiori sinistri. Fig. 10. — Sus scrofa L. M2 superiore sinistro. Fig. 12. — Capra ibex L. Frammento di mascellare superiore destro con Pm4 + Mi. Fig. 13. — Lo stesso visto dalla faccia esterna. (La figura è ruotata di 180°). Fig. 14. — Bos primigenius Boj. Frammento di mandibola sinistra con Mi + M,. Fig. 15. — Sus scrofa L. Frammento di mandibola destra con M3. Tutte le ligure sono in grandezza naturale. Tavola 6. Fig. 1. — Punta. Fig. 2, 3, 4, 5, 7, 13, 16 e 17. Schegge con tracce di uso. Fig. 6. — Lama-raschiatoio. Fig. 8. — Raschiatoio-bulino. Fig. 10. — Lama-raschiatoio. Fig. 9, 14 e i5. — Probabili abbozzi di bulini laterali. - 35 - Fig. 11. — Nucleo ricordante , per la forma, i cosidetti « raschiatoi a pialla » (Tipo Tarté). Fig. 12. — Nucleo. La figura è ruotata di 180° . Fig. 18. — Raschiatoio con margine concavo ritoccato. Fig. 19. — Lama con sbrecciature di uso all’estremità. Questo manufatto ricorda gli analoghi di Termini Imerese. Tutte le figure sono in grandezza naturale. Tavola 7. Fig. 1, 4, 5, 7, 8, 9, 11, 13, 14, 15, 16, 20 e 21. — Schegge più o meno laminiformi con sbrecciature dovute all’uso. Fig. 2. — Bulino laterale. Fig. 19. — Bulino multiplo. Fig. 24. — Nucleo. Fig. 3, 10, IOa, 12. — Abbozzi. Fig. 17. — Lametta con sbrecciature dovute all’uso. Fig. 18. — Lametta con un'estremità foggiata a punteruolo. Fig. 22, 26. — Punta-raschiatoio. Fig. 23. — Nucleo ricordante, per la forma, gli analoghi di Grotta Ro¬ manelli. Fig. 25. - Lametta con una delle estremità foggiata a bulino (?). Tutte le figure sono in grandezza naturale. Tavola 8. Fig. 1, 5, 7. — Nuclei. Fig. 4. — Scheggia con tracce di uso. Fig. 2, 3, 12, 14. — Raschiatoi. Fig. 6. — Scheggia con tracce di uso. Fig. 8. — Scheggia. Fig. 9. — Scheggia con tracce di uso- Fig. 10. — Abbozzo. Fig. 11, 15. — Schegge con sbrecciature dovute all’uso. Fig. 13. — Punta pseudo-mustieriana. Questo manufatto ricorda, per la forma, gli analoghi di Termini Imerese. (cfr. anche la fig. 19 della Tav. 10). Fig. 16, 18. — Scheggia foggiata a punta, con fitto ritocco marginale. Fig. 17. — Scheggia con sbrecciature dovute all’uso. Tutte le figure sono in grandezza naturale. Tavola 9. Schegge di osso accidentali e intenzionali. Alcune di esse (n. 2, 3, 12, 13 e 14) presentano visibili tracce di uso. Tutte le figure sono in grandezza naturale. Tavola 10. Schegge di osso accidentali e intenzionali. Alcune di esse (n. 1, 2, 4, 9, 11, 12 e 13 presentano visibili tracce di uso. Tutte le figure sono in grandezza naturale. NOTA DELLA REDAZIONE Le tavole e i clichès dì questo lavoro andarono irrimediabilmente perduti durante V incursione aerea che colpì lo scalo ferroviario di S. Giovanni a Teduccìo (Napoli). La Società dei Naturalisti si augura di poter colmare in seguito tale lacuna. Nel frattempo gli studiosi che vorranno formarsi un* idea precisa di quanto è stato descritto nel testo potranno rivolgersi alV Autore , il quale sarà ben lieto di produrre non soltanto gli originali delle tavole, ma anche i materiali in esse riprodotti e quelli che hanno comunque attinenza col testo. La “ halite tipica „ del Mirigliano del prof. dr. A. Rittmann presentata dal socio F. IPPOLITO * (Tornata del 26 gennaio 1943-XXI) In una nota recente MlRIGLlANO G. (1) descrive un frammento di roccia rinvenuto negli scavi di Ercolano fra i materiali eruttati dal Vesuvio nel 79. Egli crede di dover attribuire a tale roccia il bel nome di « italite » introdotto nella nomenclatura petrografica dal WASHINGTON nel 1920 (2); nome giustificatissimo perchè scelto in onore del paese classico delle rocce eminentemente leucitiche della serie magmatica potassica ( mediterranea ) . Con esso il WASHINGTON denomina, secondo la sua definizione riveduta nel 1927 (3), delle plutoniti formate quasi esclusivamente da leucite in cristalli rotondeggianti e di grana media fino a grossolana. Tali plutoniti si trovano fra i blocchi rigettati inclusi nei tufi o, più raramente, nelle lave di Roccamonfina, del Vulcano Cimino, del Vulcano Laziale e del Somma- Vesuvio. Esse sono state rinvenute e descritte più o meno dettagliatamente dallo SCACCHI: 1882 (4), dal Johnston-Lavis: 1884 (5), Lacroix: 1893,1907 (6, 7, 8), Sabatini: 1908 (9), Zambonini: 1910 (10), Washington: 1920, 1927 (2, 3), Panichi: 1921, 1922 (11, 12), Piepoli : 1930 (13), Stella: 1930 (14), Rittmann: 1933, 1934,(13-16.) 4 - 38 - ' Concentrazioni di cristalli di leucite, analoghe all italite. furono trovate dal Penta: 1936 (17) in situ nelle parti superiori della colata lavica vesuviana del 1 794 a Torre del Greco. Già nel 1901 il LOEWINSON - LESSING (18), propose per tali rocce plutoniche il nome di anfigenitey senza però descriverne un esempio concreto. La sua proposta rimase quindi ipotetica e fu ritirata in favore della nuova denominazione data dal WASHINGTON, la quale fu doverosamente corredata da una descrizione mineralogica quantitativa esauriente e da un’analisi chimica completa. Il campione tipico originale fu trovato come incluso nei tufi leu- cititici di Villa Senni presso Grottaferrata (Vulcano Laziale). Esso consiste dei minerali seguenti : leucite . . . . 93 % augite egirinica . . . 3 % hauyna, nefelina . . . , 2 % melanite, biotite, magnetite, apatite 2 % La tessitura è olocristallina- miarolitica a grana piuttosto grossolana. La composizione dell ^italite classica corrisponde al tipo magmatico delle forniti potassiche secondo la nomenclatura del NlGGLIr Sono noti ad ogni petrografo i famosi tentativi del JoHANNSEN, 1931 ( 19, 20), e del Niggli, 1931 (21, 22). di riordinare la no¬ menclatura petrografica, intrecciata e carica di nomi insufficientemente definiti, adoperando dati numerici per definire e circoscrivere quantitati¬ vamente i significati dei nomi petrografici. Da ambedue gli illustrissimi Maestri della petrografia moderna il norrfe di italite fu assunto ed esteso ad una famiglia o sottofamiglia di rocce plutoniche ed eminen¬ temente leucitiche. Nello stesso tempo furono stabiliti i limiti della fami¬ glia dell’italite, oltre i quali tal nome non può essere adoperato. Per le definizioni stesse rimando alla mia nota pubblicata nel 1 934 ( Bull. Volc. voi. VII, pag. 151 ) ove si trova anche una sistematica piu det* tagliata delle italiti entro i limiti stabiliti quantitativamente dal NigGlI* Tutti gli autori hanno definito le italiti come rocce plutòniche ipoa* - 39 — bissali e olocristalline a grana piuttosto grossa, ma spesso anche un poco miarolitiche, con una tessitura , cioè, che ricorda essenzialmente quella delle sanidiniti, dovuta a condizioni fisiche di consolidamento quasi identiche. Le italiti, come le sanidiniti, sono prodotti salici e leggeri della differenziazione magmatica prevalentemente gravitativa. Tale differen¬ ziazione non è una ipotesi , ma un fatto stabilito con la massima sicurezza ! Ambedue i tipi di rocce, come tutti i loro termini di passaggio ( foiaiti e plagifoiaiti sanidiniche, foiaititaliti ecc.), sono vere ed autenti¬ che rocce ignee formatesi nelle parti superiori di un bacino magma¬ tico per accumulazione di cristalli flottanti. Esse rappresentano una facies speciale delle rocce sie itiche, foiaitiche e pseudoleucititiche o anche monzonitiche, trovate tutte in grande quantità in situ dopo che l’erosione ha messo a nudo le parti superiori di bacini magmatici solidifi¬ cati, chimicamente equivalenti a quelli italiani, (p. es. Highwood Mts., Bearpaw Mts, Mt. Mouriah ecc. ) . La facies miarolitica sanidinica o leucitica è dovuta al fatto che tutte queste rocce nell’eruzione vengono strappate ancora calde dalla sede di formazione e si raffreddano rapidamente appena giunte al¬ l’esterno. E’ risaputo del resto che sia il sanidino, che la leucite non sono stabili a bassa temperatura o — la seconda almeno — sotto alta pres¬ sione. Se questi minerali vengono raffreddati lentamente in profon¬ dità, essi subiscono una trasformazione adattandosi alle nuove condi¬ zioni fisiche, li sanidino passa in ortoclasio, cambiando soltanto le sue proprietà ottiche, mentre la leucite viene qualche volta pseudomorfiz- zata in pseudoleucite ( ortoclasio + nefelina ) o più spesso compieta- mente distrutta, dando origine ad una paragenesi senza foide, ma con biotite o olivina accanto all’ortoclasio. L’eteromorfia conosciutissima fra la monzonite biotitica e la tefrite leucitica ne è testimonianza. Ciò esposto è chiaro che le italiti, come le sanidiniti, non pos¬ sono trovarsi in situ, ma soltanto come blocchi rigettati compresi nei tufi o, più raramente, in correnti laviche, nelle quali il raffreddamento è stato abbastanza rapido per impedire la trasformazione del sanidino o della leucite. - 40 - Voler abolire il nome di italite per il preciso tipo di roccia al quale fu dato, è soltanto arbitrario; si dovrebbero allora anche abolire le sa - meliniti quali rocce. La stessa sorte toccherebbe ad una lunga serie di altre rocce, come per esempio riedeniti, pirossenoliti, certe peridotiti, missouriti, architi, ecc. Di ciò non si avvanteggerebbe certamente la petrografia, ma soltanto lo studente pigro, che vuole denominare tutta la vasta variabilità delle rocce con qualche dozzina di nomi; sarebbe lo stesso che un paleontologo volesse contentarsi dei nomi delle sole fami¬ glie di fossili. Tornando ora alla « italite tipica » del MIRIGLI ANO, notiamo anzitutto che la sua descrizione è troppo succinta ed insufficiente. Mancano i dati numerici ; unico dato : « la leucite forma circa il 40 % del volume ». Manca anzitutto l’analisi chimica assolutamente necessaria, dato che oltre la metà della roccia è formata da vetro. Per fortuna la nota del MlRIGLIANO è corredata da due fotografie di sezioni sottili, le quali permettono di farsi un’idea piu esatta di quanto non risulti dal testo. Comunque nel complesso risulta che : I ) Trattasi di una roccia effusiva formata da leucite (circa 40 %), da magnetite? (7%) e da vetro verdognolo con indice di ri¬ frazione n= 1,519. Rarissima qualche laminetta di biotite quasi com¬ pletamente riassorbita. 2) Questa vulcanite include abbondanti frammenti di calcare mi¬ crocristallino in parte riassorbiti. 3 ) 11 frammento di roccia misura airincirca 25 eme (!) e fu proiettato dall’eruzione del 79 (Ercolano). Che questa roccta non possa rientrare nel campo delle italiti non desta meraviglia. Chiunque, un poco pratico della petrografia vesuviana, riconosce subito che si tratta di una varietà di leucitite endomorfica, già descritta dal LACROIX e riconosciuta poi dallo scrivente quale pro¬ dotto di contatto endomorfico di progredita evoluzione sintettica, do¬ vuta, questa, alla reazione del magma vesuviano con i calcari e le dolomie. 1 frammenti di calcare parzialmente riassorbiti ed inclusi nella roccia del Mirigliano ne dànno chiara prova. II MlRIGLIANO non sembra poi essersi reso conto del significato 41 del colore e dell’elevato valore dell’indice di rifrazione del vetro ; ca¬ ratteri questi che concordano nell’indicare la natura sensibilmente femica di questo vetro e tale da indurre che, qualora ia roccia avesse avuto il tempo di cristallizzare completamente, ne sarebbe risultata una leucitite tipica con una grande quantità di pirosseno. Sono stato costretto a mettere in rilievo quanto precede per evitare la confusione che, a causa evidentemente di uno studio incom¬ pleto e superficiale, potrebbe nascere fra un tipo litologico così ca¬ ratteristico e ben definito quale è 1* italite con un prodotto endo- morfico già da tempo conosciuto e magistralmente illustrato dal Lacroix fin dal 1907. Istituto Mineralogico-petrografico dell’Università di Basilea, Giu¬ gno I 940. Riassunto : Dopo aver esposto nuovamente la definizione origi¬ nale dell’italite, la posizione di tale roccia nei diversi sistemi quanti¬ tativi petrografici, la sua genesi e la sua parentela colle sanidiniti e con altre plutoniti a facies sanidinitica miarolitica, l’autore viene alla conclusione che la roccia descritta sommariamente dal MlRIGLIANO non è una italite e meno ancora una « italite tipica », ma una vul¬ canite e, precisamente, una leucitite endomorfica, analoga a quella già descritta dal LaCROIX. BIBLIOGRAFIA (1) 1939. 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Placido Ruggiero (Tornata del 26 gennaio 1943-XXI) L* Isola di Pantelleria, italiana geograficamente e politicamente, trovasi isolata nel Mediterraneo fra le coste di Sicilia e di Tunisia, a 110 Km. da Mazzara del Vallo ed a 70 da Capo Mustafà. L’Isola ha 9806 abitanti, addensati per 3184 nell’unico centro importante, Pantelleria, posto a nord -est a semicerchio intorno al piccolo porto, e per il resto sparsi in diverse borgate e per le cam¬ pagne. L’Isola ha pianta ovale, superficie di circa 83 Kmq., con una lar¬ ghezza massima di Km. 14 circa in direzione NO -SE e di Km. 8 nell’altra direzione, ed un’altitudine massima di 836 alla Montagna Grande. E* accidentata, con 24 alture, avanzi di antichi crateri distri¬ buiti tutti intorno al cono centrale di cui è rimasta la sola parte orientale che discende ad ovest. Esistono il M. Gibelè Grande (m. 700), Cùddia Attalora (560), il M.te Fossa del Russo (481), la Cùddia Randazzo (m, 416), il M. Gelkhamar (289), Monte S. Elmo (265), la piccola Cùddia Ferie (207) e Cùddia Bruciata (118). In contrasto alle alture 5 — 46 — esistono alcune caratteristiche depressioni coltivatissime, avanzi in genere anch’esse di crateri fra cui il Bagno dell’Acqua (m. 2 ) a Nord, del Monastero a SO. profonda quasi 50 m., di Piano Ghirlanda a SE. anche piu profonda, di Rucchia e Cava Gelfìser profonde oltre 100 metri e le gole profonde fra M. Grande ed il M. te Gibelè Grande. L’Isola è di origine essenzialmente vulcanica con lave basaltiche comuni e mentre contiene come Lipari l’ossidiana, vi si trovano mi¬ nerali particolari come la fossilite e la pantallerite, silicati acidi ricchi di soda. Iterreni vulcanici si sono depositati sulle successive colate che si sono alternate in forma di banchi e strati di pomici e lapilli. 1 basalti, sia di colate che di lapilli, sono da ritenersi più recenti e superficiali; ma la roccia fondamentale, in banchi di grande spessore, è una fonolite ( effu- — 47 - siva acida contenente feldspati di sodio e potassio ) a grana fine, e su di essa si osservano le trachiti a fine struttura e l’andesite pirossenica (della Montagna Grande). Le eruzioni sono avvenute anche in epoche recenti poiché l’ul¬ tima nel 1891 si è verificata nel fianco sottomarino NO. preceduta da sollevamento della costa N. per oltre 1 metro. Dalla pubblicazione del De Fiore (1) traggo quegli elementi eli - matologici sull* Isola che più interessano il presente studio e che sono riassunti nel prospetto I. (1) Otto De Fiore « Il Clima di Pantelleria » Bollettino della Società dei Naturalisti di Napoli. Voi. XLI1I-193I, pag 185. o 40 © m o ** co o p o c q> oo t o ch O co O CJ in <Ò O ci -t- m O' oo co >o vo r^. ci ci ro o c p o . m ci m ■^j-COp 'rj- Tt-fOOM >-i ci N cò x 4 cò 4 4 ~f- CI hH O CO co ro 00 VO 0 co o CVJOCOO d t n 4 h oo -444 . M 00 VG ci vo ci n» ci ci - V'I'o'^o o n m o O oo* M 0 04 c 04 ro ch OC — — VO Oh ® U3 o 4 — i 00 co LC cò «4 lò N 4 .t^oo — & O IO 04 ci ci m IO CO Q O 0)0''1-0>r}-1-i0>rj-MtOc-i 6 4 -*t* o ch o m 4 oò hOO 4 r4 o - od 4 -4 o c> P P 4 -4 d ■cf 04 M O CO O O t>» co co ITA oq in 0 in 0 q. o> co. oooo^oo 4 có in d o> 4 4 o ° P P ' o « o Tt- M N M M rf OO co co q ai 0 in c oo O me", N ch t^o^coo o 4 o oo «d . o o* cò ’4 o § P 4 o ò -cf- w O O CO Po co co O ci co p O in O O c 4 co <4 o "4 cò oò cj P P cò 4 d ■cr m co O O O ci co ci > "j- 0 ■ct*0 ci og o in o comooo m d 4 i>- 4 ' ch od 4 d còP P 4 ci d c:mio io ■'■t- M Oo m C* CI CI ili ~t-n»0 p'o inrfinocHroo^O,i*inco q M m 4 oo 4 4 di cò *"? q 4 oò H ch •^chO^ Oro co OO O l- CI CI M tj c q c q- 0 p oo o ch o> co oo O eoo co ddcfidcoci4doo*PHJcooMdi cJ-'hCI ci in cr> oo ci ci - C4 q p O c 00 enrecq— t^CHOt^O’^' <4 ^ ci oo co in in co O 4* q 4 4 Hl 4 T "> Ov OOO r- m ® O 1© CH r— ci ci ro ~L OO ^ \ 12% ’C" **-< ^ 1 •I"H :*— ^ of cò" ^ ^ = s 4 c- * a a ^ g> • . © © © .js H > ^ ^ (1) Estratto da “ IL CLIMA DI PANTELLERIA „ del Prof. O. De Fiore ìli Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli — • Annata 1931. (2) Per la direzione ; (3) per la direzione e la velocità ; (D=direzione ; R— risultante). i— coefficiente pluviometrico per l’intensità; f=ideni. per la frequenza. — 49 - Le caratteristiche meteorologiche possono così riassumersi : La pressione atmosferica, alla quota del semaforo di S. Elmo (m. 245 s. m. m.). ha la media annua di mm. 741,3 max » » 743,2 in dicembre minima » » 739,2 in aprile ed un’ escursione da 12,1 a 4,2 con valori eccezionali superiori a IO mm. ed una media intorno ai 7,3. La temperatura atmosferica ha la media annua di 16°, 6 max 25°, 9 in agosto, luglio e minima 7°, 3 in gennaio, febbraio. Per il vento in inverno e primavera (dal dicembre al maggio pre¬ valgono quelli nella direzione del parallelo con velocità rispettivamente di 6,4 e 5,6 m/sec con prevalenza di quelli che spirano dall’Ovest; in estate ed autunno predominano quelli in direzione del meridiano con velocità di 3,8 e 5,3 m/sec con prevalenza dal N; in inverno ed estate predominano i venti del Nord ed Ovest, in primavera ed autunno del Sud e del Nord. Per le piogge, Pantelleria ha regime tipo marittimo con una media annua intorno ai 350 mm; le piogge moderate sono le più frequenti, seguono le leggere e poi quelle di intensità forte con scarsi temporali poiché le massime, superiori ai 50 mm. giornalieri, hanno una frequenza dell’ordine di 1/40 a 1/50 dei giorni piovosi. a * * Dell’attività vulcanica sono tuttora testimoni le cosidette « fa- yare », che sono grandi getti di vapore di acqua calda fino quasi a — 50 - 1 00°, che esce misto a gas acidi da crepacci sul fondo di antichi crateri (oggi a Nord -Est della Zona del Russo, fra Monastero, M. Gibelè Piccolo e M.te Grande e Gibelè Grande) e che si condensa talvolta spontaneamente in pozze dove è anche raccolta per usi locali, o su fascine poste dai pastori sebbene le emanazioni siano molto acide e nocive alla vegetazione e piene di sali che colorano addirittura in rosso mattone le rocce vicine. Di questo tipo è anche il « Bagno asciutto » nella regione Sa- lebe a 2 Km. a sud della città ove un forte getto di vapore caldo, in due camere sotterranee, è utilizzato a scopo curativo. Sono anche termali al¬ cune « Ruvie ». In varie regioni (Gadir e Suduri, ecc. ) vi sono depositi di zolfo ed incrostazioni di silice idrata, ed in alcuni posti m^fete di anidride carbonica. Tutte le rocce si presentano con profonde e frequenti fenditure che, unitamente alla forte permeabilità degli strati pomicei, determinano una percolazione in grande delle acque meteoriche le quali vanno ad adagiarsi presso il livello del mare sul masso granitico anfibolico e che sembra come si è detto, costituire la base decisola. Tale costituzione geologica determina l’assoluta mancanza di sor¬ genti cospicue a quota comunque elevata cosicché dette manifestazioni idrologiche hanno caratteristiche speciali ed estensione limitata, Notasi così il Bagno delFAcqua che è un cratere- lago, di 500 metri di diametro, con fondo a circa 2 metri sul mare, posto sulla costa Nord detta le Balate a circa un chilometro da Pantelleria, contornato dal lembo a 50 m. s.m., e contenente acqua calda dai 50° ai 60° per le parecchie sorgenti termali (Caldarelle) che vi sgorgano intorno, e con¬ tenente molta silice idrata e carbonato di soda che la fa utilizzare quale acqua lisciviata per lavare. Nel fondo gorgogliano anche getti di anidride carbonica. Esistono poi le Buvire ( una diecina ) che sono polle di acqua salmastra le quali sgorgano alla Spiaggia Gadir e specie nella striscia di terra Khartibugal che sta fra la spiaggia Balata ed il Bagno dell’Acqua e che dopo vicende di scomparse e riapparizioni nel 1 890, sono oggi utilizzate per abbeverare il bestiame, sebbene contengono molta silice le cui incrostazioni biancheggiano in fondo alle pozze dove sgorgano. E’ intorno ai 5 metri s. m. che si trova l’unica ricchezza idrica dell’Isola (sorgente di Gadir, Caudareddi del Bagno, Sataria, Nici ) e le falde acquifere intorno a Pantelleria, in cui pescano ad esempio i pozzi del Geometra Valenza e quelli del Comune. Tale ultima falda, dai dati del pozzo Valenza (a monte di Pantelleria sulla stradella che va a Madonna di Magana) si presenta larga oltre 300 metri in una zona di quota circa 20 ad una profondità variabile dai 1 0 ai 1 3 metri, in un banco filtrante di scorie pomicee dello spessore da 4 a 3 metri. Si dice che tale pozzo in annata abbondantissima (1937) abbia dato fino a 4 o 5 litri a I*’. * * * Le manifestazioni idrologiche su cennate e sopratutto la conforma¬ zione geologica, fanno nettamente concludere che le acque meteoriche debbano raggiungere, per la maggiore copia, il più basso livello del- Tlsola dove le trattiene in forma lenticolare la fasciatura di acqua marina. Il fenomeno da me studiato sull’ Isola d’Ischia deve avere in Pantel¬ leria una ripetizione pressocchè identica per cui mi pare di poterlo delineare qui prima di confermarlo con indagini locali. Ma prima di passare a tale trattazione ritengo dover esaminare per primo un lato di questa rassegna esprimendo il parere che sia inutile cercare manifestazioni idriche importanti a quote elevate, potendosi avere soltanto limitate risorse in qualche punto, da ricercare però e da emungere con forti spese ed opere difficili e di esito incerto. Così nella valle Monastero, ovale, chiusa senza sbocco estesa 2 Km. x 1 12 di larghezza, a quota media 270 ^-210, chiusa da SO. dalla Montagna Grande col nome di costa di Vedinicolao lunga I Km. ed alta nella sola parte ripida 120 m., e daiFaltro lato della costa Zichidi alta anch’essa nella parte più ripida per 75 metri. Potrebbe trovarsi acqua verso i 40 metri di profondità proba- - 52 - bilmente termale perchè nella mulattiera di Scauri a S, Gaetano si notano getti di vapore ad alta temperatura. Anche il piano valle della Serraglia a SE. della Montagna Grande si presenta come la Valle Monastero contornato da un lato da pendici alte, trovasi a quota circa 300 e vi scorrono rivoli disor¬ dinati per cui potrebbe esservi acqua anche qui verso i 35 metri; e zone indiziate dovrebbero essere anche le regioni Balate a Nord- Ovest e Baia Marino a Nord dell* Isola, la zona I Sesi sulla cala dell Arca, i piani S. Chiaro, la Chiesa, Barone e forse anche la re¬ gione Buccuram che degrada lentamente al mare. Ritornando ora a quanto dicevamo, che cioè la ricerca di acque ab- bon danti debba farsi a bassa quota, ricordiamo che nelle masse di materiali sabbiosi o molto idrovori, isolati e contornati dal mare, le acque meteoriche si dispongono, imbevendole, quasi galleggianti per la loro minore densità in una lente ìdrica come dallo schizzo della Fig. I configurata in falde il cui livello superiore degrada verso il livello marino dal centro dell’Isola alle spiagge, ed in profondità da una superficie parabolica che rap¬ presenta |a superficie di separazione fra l’acqua dolce superiore e l’acqua marina sottostante, Il fenomeno, studiato da vari autori, fu anche assoggettato ad espe¬ rienze dal Prof. Takaharu NoMITSU che nella memoria da lui pub? - 53 - blicata negli Atti del Collegio delle Scienze della Università Imperiale di Kyoto, dimostra come ’a superficie di contatto della falda acqui¬ fera dolce e di quella salata, lungo le spiagge di natura prevalentemente sabbiosa, assume una conformazione sensibilmente parabolica dipen¬ dente soltanto dalla densità delle due specie di acqua a contatto e che può determinarsi con la conoscenza di una sola quota ipsometrica qua¬ lunque della superficie superiore della falda acquifera in funzione della distanza dalla baitigia, quota che è evidentemente correlativa anche alla natura e quantità della sabbia costituente la spiaggia (Vedi anche Annali Lavori Pubblici Ottobre 1929 - nota dell’Ingegnere Agatino d’Arrigo). Se si indicano con A B e A B’ i livelli superiori ed inferiore della falda acquifera in una sezione normale alla spiaggia, riferiti, come asse delle ascisse, al livello del medio mare con origine in A e con enso positivo da A verso terra, e come asse delle ordinate la ver¬ ticale condotta per A verso l’alto nel senso positivo (Vedi Fig, 2) - 54 - le equazioni a cui perviene il Nomitsu in base a considerazioni d’idromec¬ canica teoretica sono le seguenti : per la curva superiore e per la curva inferiore + avendo posto in cui : y ed y* sono le ordinate delle curve superiore ed inferiore: x le ascisse ; hQ e hL sono le altezze dei livelli superiori della falda sul livello medio del mare (valori di y) nei punti A e C ; Hq e Hl sono le profondità sotto il livello medio del mare (valori di y’ ) della superfìcie inferiore della falda nei punti A e C; e (? e sono le densità dell’acqua salata e dell’ acqua dolce , Trascurando ho e Hq che risultano assai piccoli rispetto ad h2L e HI le equazioni si semplificano nel seguente modo: v — 55 - per la curva superiore e per la curva inferiore y’2 x in cui Se, per fissare le idee, con opportuna livellazione di precisione ad un pozzo distante m. 230 dalla battigia si è trovata una quota ipso° metrica di m, 1 ,60 sul livello medio del mare, la profondità della falda acquifera in corrispondenza di detto pozzo e gli analoghi elementi per un punto prescelto per cavare un altro pozzo distante m. 510 dallo stesso punto della battigia, assumendo per q e (?o rispettivamente i valori di 1 ,03 e 1 ,004 si ottengono da : li _ 1,004 L “ 1,03 — 1,004 1,60 = m. 61,79 1 ,602 230 3 1 0 = 5,6832 da cui y “ m. 2,38 y •2 61, 792 230 510 8475,96 da cui y’ — m. 92,06 Si desume da quanto precede che in punti opportunamente scelti delle zone litoranee lentamente degradanti al mare debbonsi trovare acque dolci in quantità sufficienti. Per le isole vulcaniche, come Pantelleria il problema è alquanto più complesso per la presenza delle attività vulcaniche recenti o residue e quindi della alterazione delle qualità fìsico- chimiche che le acque - 56 - meteoriche subiscono nella percolazione fino alla falda suddetta o per fat¬ tività fumarolica. Tali alterazioni consistono in una mineralizzazione di varia nax tura e dosaggio e nella termalità delle acque. L’indagine quindi deve essere diretta a ricercare le zone dove si possa ritrarre la quantità desiderata di acqua per gli usi cui deve destinarsi, col contenuto di sali il minore possibile per il suo im¬ piego o senza trattamenti speciali, o con depurazione chimico -batte¬ riologica. Tale indagine deve essere sussidiata da ricerche minute chimico - fisico - idrologiche condotte da specialisti con accuratezza di organizza¬ zione. Per i trattamenti fisico -chimici potrà trarsi esperienza dai sistemi da me studiati e proposti per l’ Isola d’Ischia e così pure per il raf¬ freddamento che può essere conseguito facilmente con circolazioni di acqua del prossimo mare in opportuni refrigeranti. In quanto alla energia occorrente ai sollevamenti meccanici delle acque cavate a bassa quota ed alle quale occorre dare carico per la distribuzione, nonché per i trattamenti di depurazione e raffreddamento si potrà utilmente ricorrere alle utilizzazioni dell’energia geotermica da me studiate e fatte studiare presso il Politecnico di Napoli e per le quali si sta delineando un larghissimo campo di utili applicazioni autarchiche econo¬ micamente preziose e che nel caso di Pantelleria avrebbero largo campo di utilizzazioni anche ai fini bellici come diremo appresso. * * * Per le zone alle quali non sarà conveniente o possibile addurre le acque ritrovate od utilizzate come abbiamo detto, potrà adottarsi il sistema delle cisterne. Ho ritenuto pertanto utile calcolare per queste, — 57 - col metodo esposto in mie memorie ( 1 ) precedenti, le dimensioni medie più convenienti da adottare per cisterne di abitazioni ordinarie, mentre per quelle a fini bellici potrà procedersi a calcoli speciali col metodo esposto in altra mia memoria. (2) Nella tabella 11 sono ricalcolati i valori medi per la pioggia neirisola e nelle tabelle III, IV, V e VI seguenti riportiamo i ri¬ sultati medi per i volumi e le superficie di raccolta, cui siamo per¬ venuti e che, aumentati come consigliamo del 1/10, riassumiamone! seguente quadro VÌI : (1) Ruggiero, P. Cisterne e piccoli serbatoi per acque piovane, 1935 - Tip. Arturo Nappa. Napoli id id. Approvvigionamento idrico con acqua piovana mediante cisterne e piccoli serbatoi Rivista « L' Acqua » Novembre, 1939. (2) RuGGlERO, P. Cisterne e piccoli serbatoi per acqua piovana. Dimensionamento di massima sicurezza - Bollettino della Società dei Naturalisti, 1939. Tabella II. — Totali annui r totali mensili della quantità di precipitazione in Pantelleria. _ • fillio m/m o 6 CO CO o io o o oo o oo -1 vd T 4 ló ci N lò ^o co c o- o *© t'v O ** M ci co ^ M t- CO VO co i iO o CO co 1 rf o o O OOOOOOOCO n- ci ó ts « d d N 00 co co vO co i-i i-c vO vq « lò ’ - co io 1 co > g o Z § q co *^r c co q- o q cs o o à c d o d c <ó d 00 'T '3- co t'' ~> IO co CO - | ON O ^ à vO *!• 1 ^ c 1 vd 1 t o o q q o om c o co io co c, w 1- M co Ov IO co ■^* o co od rj- O 'f rJl % q ài o pi ~. ° © *i q q « o co - c o 00 d co -i (N TJ- co r-^ ci Ov ai 3È C .** tJD <1 - o 6 o qqqqvqqo o 6 ó ó 6 6 6 VO IN có d ci § o d o cocoo^oo co 6 ò 6 6 6 6 6 M oo ó - ,. bc § o § o o comooooo à ó à có o à o rj- 00 od m |CJ ci s Tc % o vd o o o q q c ■ o 'r co O vd ' vd O co ió IO M M (H M ró vd O ó h o t n io M H4 M (>. oo ò- ci O -i N t* S: se q od co o li CO CO O. uo o O d d ó h vd -i ó n -I- N CS HH 00 co N CT) O CO ;§ ■-? o i à i co c ^qqqq qo vd CJ od Ó 4 CO T oò o OU 00 c-1 N CO M QV <Ò lò t^. CO iO © o s o vO O VOMMCGOO có in h à à à à oo o co c) o- IO CO M VO q q o à 00 UO 00 STAZIONE <£ ° © ^ -H (S ro Tt- io vO -L> Oi _ co co co co e*”' co co ce U- _ M u' Q\ O' Oi CI d d OI ^ *2 3 _ -H O = N .j © © - r-iCco j 3 se * s < i ,n © M ce © . n UJ ?• m £3 03 q\ ^ 3? S §....,. ?- Z — © su * Tabella III. Per superfìcie di raccolta aree intonacate di mq. 07.: co I- CO OO • ■ * o vO Ov Tp o c o a a cò 0 00 f 6 d d d d o d 1 <1 CO J CI 00 00 00 " T-l T-1 CO o vq vO o o £ M °o o co o* d 1 © zn d d 00 d 00 1 M — © CI "3- IN Tp o Tp se O bC <3 6 co o o co • O iO io t"~ c TP vO vd oo o © >o o • Tp !>. o — Hi 00 fcj ci o n OC o vO TP io o TP CO •Ov d - co •r. *n co o cq OC co IO o ló © . o o C"- Tp «o r-. CI 5 t>. d TP . M m d d o d bc a vo 00 d »ó 'O co Tp c-^ CO o io Ov o d -P vO — Xj 00 co . o o o o ci oo M o d» Q . H d i-i •o o o HH TP OV vO o co o CI TP q o o sa ni ce od oo vd o vd CO o c» o> >o o io i-H 00 d vO ov co co ov C'- d vO o vq © «ò qv ci t>. o* co o rP> O d d IO co TP M io co vO o o 00 a c CI vq Ov Tp o . TP •Ó Ov o lÒ vd d vd 5 >o o IO © *o CO d TP d d Ov w CO io VO o vO vq IO o IO >ò ON dv od d o d io o TP co IO 0v VO co Ov co 00 co TP . vO 00 0v Tp qv o qv > r^ 00 o i_i o a o tp o TP d i_i io vO 00 TP r^ o d IO d d co IO IO •o q IO © tp 00 od M o tp o co OV Ov iO TP o IO VO «o o d d g •g •- •r •g ■g c \ • r*H • l-H ^ . ~ - f— i O OC/ i co se S i-T et et « ce *^ 'w a >. © in a: .9 'a C a c1 ’n w r* — - © 'S a se g £ © bc a © *ja H, © CC g a *3 © ■*5 cj O a .a a © 'T © 55 o > © © *3 *53 SO a © p= © "35 ,5 22 ’S 5 £ © — 1 '53 ^ a ^ J, r-i ’a ^ 33 ^ o H -a ec -i— • ^ *3 -e a ^ a^ a Q_i W' z^\ 3 Q 6 Tabella IV. Per superfìcie di raccolta su terreni impermeabili di mq. 85.21 Tabella VI. Per superficie di raccolta su terreni permeabili di mq. 365.4 0 Tabella V. Per superfìcie di raccolta su terreni se mi permeai) li di mq. 130.4 ? i r - 63 - Tab. VII. Per area di raccolta : Per ogni abitante , con la dotazione - giornaliera di 50 lit. si può assegnare all’incirca : . « Una superficie di raccolta di mq. Un volume di cisterna di me. « Intocanata 74 9,5 di terreno impermeabile 94 9,5 di terreno semipermeabile 1 43 9,5 di terreno permeabile 402 9,5 o * * Un altro problema gravissimo per Pantelleria, isolata come tro¬ vasi nel mare, è quello della produzione della energia indispensabile a tutte le varie esigenze della illuminazione e riscaldamento, delle sue industrie presenti e future, e dei fini bellici connessi alla destinazione di sentinella mediterranea che ha 1 Isola. Oggi l’energia vi si produce soltanto per via termica, impor¬ tando combustibile solido e liquido con gravi difficoltà e dispendio* Invece, in questa terra che la natura ha flagellato di vulcanismo, potrà largamente attingersi alle attività endogene per produrre, in larga copia, utilizzazioni calorifiche ed energetiche. Ovvie ragioni non mi consentono di dilungarmi in particolari, ma prego il lettore di voler prendere cognizione di quanto ho comu¬ nicato alla recente XL1 Riunione della Società per il Progresso delle Scienze, nei cui Atti appare appòsita memòria. (1) (I) Orizzonti Autarchici Italiani per la produzione di energia geotermica. Atti della XLI Riun one della S.tà Progresso Scienze. 1942, — 64: — Oculate perforazioni in Pantelleria, potranno dare grandissime quantità di vapore di soffioni secchi od umidi, da utilizzare nelle moderne turbine con o senza condensazione. ? Nella memoria precitata abbiamo data larga illustrazione e bi¬ bliografìa sui grandiosi e promettenti orizzonti che sono aperti alle utilizzazioni delle energie geotermiche nazionali. I progressi conseguiti nella scelta dei materiali inattaccabili alle inclusioni minerali fra i vapori di soffioni, la notevole esperienza acqui¬ sita nelle magnifiche realizzazioni di Larderello, non lasciano più al¬ cun dubbio sulla convenienza economica delle utilizzazioni dei vapori di soffioni, iperbolizzata, nel caso di Pantelleria, dal confronto al costo dell’energia prodotta con nafta o carbone. E per speciali usi, nuovi orizzonti sono aperti inoltre dalle re¬ centi conquiste della Scienza nel campo delle utilizzazioni dai piccoli salti di temperatura tra le acque e gas caldi e le fredde acque del mare o dei fiumi, o dell’aria rimestata dei venti. In Pantelleria, come dicemmo, sono abbondanti le sorgenti termali e le emissioni di gas caldi a temperatura anche superiore ai 1 00 gradi, e le acque del mare hanno in profondità temperature fntorno ai 14°, mentre la tem¬ peratura media dell’aria oscilla intorno ai 1 6°. Quali più favorevoli condizioni ? E quale fortuna maggiore potrà venire all’ Isola dal poter di¬ sporre di energia a basso prezzo, continua, indipendente dalle im¬ portazioni di combustibile, eminentemente autarchica, per le applica¬ zioni e gli sviluppi di tutta una nuova economia agricola e indu¬ striale ? Naturalmente prima di passare alla fase di attuazione, sarà ne¬ cessario procedere al completamento del rilievo degli elementi che interessano le varie utilizzazioni completando ed affinando le cono¬ scenze acquisite. Tale indagine deve essere condotta con serietà scientifica, da specialisti deile varie branche, con larghezza di vedute e di mezzi forniti dagli interessati, secondo un programma coordinato e graduato attraverso apposito Ente Tecnico Amministrativo. E* anche probabile - 65 - che oltre le due finalità di cui ci siamo occupati, nel corso delle in¬ dagini, si riconosce la opportunità di estenderle anche ai campi della fisico - chimica dei gas comuni e rari, alla radioattività, alla produ¬ zione mineraria, all’attuazione delle industrie dei prodotti del suolo e del mare. Napoli, 26/ 1 / 1 943-xxi. Placido Ruggiero RIASSUNTO L’Autore espone su quaii risorse possa contarsi per il rifornimento di acqua potabile e di energia geotermica utilizzando le acque piovane e freatiche e Cattività endogena nell’ Isola di Pantelleria. L'analisi è fatta tenendo presenti le caratteristiche geo-idrologiche nonché la natura eminentemente vulcanica, ed è inquadrata ai fini della più integrale valorizzazione delle possibilità agricole, industriali, marit¬ time e delle esigenze belliche dell'Isola. I BIBLIOGRAFIA Amico, V. M. - Lexicon topographicum siculum II. p. 56 segg. 1892. Baratta, M. Gli odierni fenomeni endogeni di Pantelleria. Voghe¬ ra 2 a Ediz. — id. Sulle bombe esplodenti dell’ eruzione sottomarina di Pantelleria 1891. R. Uff. Centr. Meteorologia e Geodinamica (2), XI, - P. 3 . 1891-93. Bertelli T. — Di alcuni moti tromometrici osservati in Si¬ cilia e di quella sottomarina della Pantelleria Acc. Pontif. di Lincei , XLVI-1893 . 1882. Bozzo, S. V. — Note storiche Siciliane del Sec. XIV, Palermo, pag. 39 segg. 1885. Brignone, G. — Analisi di un’ acqua termominerale nell' Isola di Pantelleria. G. C. I. XIV. 1892. Butier, — G.W. The October eruption N.W. of Pantelleria (1891) « The Nature » XL V, 154 . London e XLV. 251. 1846. Calcara, P. — Rapporto del viaggio scientifico eseguito nelle I- sole di Lampedusa, Linosa e Pantelleria « Il Contemporaneo » N. 13 ; N. 14. Palermo. 1853. id. Descrizione delllsola di Pantelleria. — A. Se. Lett. Palermo. 1874. Cavallari, F. S. - Corografia di Corsica e della sua necropoli , in Bull, della Commiss, di Aut. e belle arti in Sicilia. 1S83. D’Aietti, G. — Pantelleria. Studi storici A. S. S. ( Etimologia ). 1901 De Gregorio, G. — Siebord, C. F. — Sugli elementi arabi nel dialetto e neila toponomastica di Pantelleria.. Studi glottologici italiani II Palermo. 1910. De Fiore, O. — Bibliografia scientifica dell’ Italia Meridionale ed Isole adiacenti. 1 Edizione. Napoli. 1930. id. id. Toponomastica di Pantelleria in Arch. Stor. Sic. Or. S // a VI. Voi. XXVI. Catania. 1931. id. id. Il clima di Pantelleria. Boll. Soc. Naturalisti Napoli. 1893. Dannenberg, A. — Ein Besuch auf Pantelleria. Gaca, pag. 653 a 663. 1874-1881. Forstener, H. — Nota preliminare sulla geologia dell' Isola di Pantelleria, secondo gli studi fatfi nel 1874 e 1881- G. G . /.. 1868. Furia, B. — Memoria sulla posizione agraria, silvana e commer¬ ciale dell’Isola di Pantelleria. Palermo ( Carini Caronna). 1831. Gemmellaro, C. — Sopra l’Isola vulcanica di Pantelleria. A.G. V’ 1891. Jervis, W. P. — Skesch of thè Geology of Pantelleria, impor- tance of its thermos spings « The Mediterranean Naturatisi. Malta. 1895. Macchi, E. — L’Isola di Pantelleria. 1895. Mayr, A. — Die antiken MUnzen der insei Malta, Gozo u. Pantel¬ leria, Monaco, 1898. id. Pantelleria in Mittheil d. Ardi. Inst. Rom. Abt , XIII pp 367-398. 1932. Mazzarelli G. — Il Banco di Pantelleria e il rilievo sottomarino nelle Regioni sud-occidentali della Sicilia. Memorie Istituto di Geografia , Messina. 1899. Orsi, P. — Risultati di una missione archeologica. Roma. 1890. id. — Pantelleria. — Me Antichi dei Lincei IX. 1892. P. C. — Pantelleria « Cosmos » N. 380 Mars. 1871. Rosa (Della) G. — Abitazioni dell’epoca della pietra nell’ Isola di Pantelleria. Parma. 1872. id. id. Una gita all’Isola di Pantelleria. Arch. Ant. Etn . del Dott. P. Mante gassa, Firense. 1912. Salomone Marino S. — I siciliani nelle guerre contro gl’infedeli nel Sec. XVI. in Arch. Stor. Sic. XXXVII p. 1 e segg. 1906. Sommier S. — Sui sesi dell’ Isola di Pantelleria Arch. Antrop etn . 283. Treccani, G. — Enciclopedia Italiana. 1914. Washington, H. S. — The volcanoes and rocks of Pantelleria A . I. G. XXI. Chicago . PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINARIE ED ASSEMBLEE GENERALI Tornata ordinaria del 26 gennaio 1943 Presidente: A. Carrelli Segretario: A. Palombi Sono presenti i soci ordinari : Scherillo, Bakunin, De Dominicis, Rug¬ giero, De Lerma, De Lorenzo, Zirpolo, D’ Erasmo, Platania, Camera, Dohrn, Califano, Caroli, Quagliariello, e i soci corrispondenti : Parascan- dola, Aurino, Russo. La seduta è aperta in seconda convocazione alle ore 11.15. Il presidente presenta le pubblicazioni pervenute in dono e comunica che è giunto alla Società un lavoro del Prof. Rittmann, su La « Halite tipica » del Mirigliano , presentato dai soci Penta e Ippolito, i quali ne hanno chiesto la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Ruggiero espone il risultato delle sue ricerche Per la valo¬ rizzazione deW isola di Pantelleria : Ahqua potabile ed energia geoter¬ mica, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Successivamente il Presidente invita il socio Palombi, revisore dei conti, a leggere la relazione sul Bilancio consuntivo del 1942. Il Bilancio viene approvato all’unanimità dall’Assemblea. Il Presidente espone il Bilancio preventivo per il 1943, che è ap¬ provato. La seduta è tolta alle ore 12.10. Tornata ordinaria del 27 febbraio 1943 Presidente: A. Carrelli Segretario: A. Palombi Sono presenti i soci ordinari: Trotter, Caroli, De Lorenzo, Longo, Pierantoni, Bakunin, De Dominicis, Camera, D’ Erasmo, Montalenti, Sche¬ rillo, Quagliariello, Ruggiero, Zirpolo, Califano, De Lerma, Platania, ed i soci corrispondenti: Mazzarelli Gustavo, Parascandola. La seduta è aperta in seconda convocazione alle ore 11.15. Si approva il verbale della seduta precedente. 70 Il Presidente presenta ai soci le pubblicazioni pervenute in dono. Numerosi lavori sono stati inviati dalla Direzione dell’ Osservatorio di Capodimonte. Poiché è presente il socio Camera, Direttore di quell’ Os. servatorio, il Presidente lo invita ad illustrarli. Al termine della relazione il Presidente ringrazia il socio Camera e si compiace con lui della labo¬ riosità di quell’ Osservatorio, attestata dalla mole del lavoro compiuto negli ultimi 6 anni, da quando lo stesso Prof. Camera ne assunse la direzione. Il socio Trotter presenta un lavoro sull’attività botanica di Fran. cesco Saverio Sorda, agronomo e botanofilo meridionale del tutto ignoto nella storia della botanica italiana, e ne chiede la pubblicazione nel Bol¬ lettino. Il socio Ruggiero presenta una relazione a stampa, che a voce illustra, sulla istituzione di un Osservatorio Geofisico nell’isola d’ Ischia ai fini della valorizzazione dell’ isola. La seduta è tolta alle ore 12. Tornata ordinaria del 14 luglio 1943 Presidente : A. Carrelli Segretario : M. Salfi Sono presenti i soci ordinari: Scherillo, De Lorenzo, D’ Erasmo, Pie- rantoni, Longo, Palombi, Dohrn, De Lerma, Platania, Ruggiero, Califano, Camera, Caroli, Imbò, ed il socio corrispondente Parascandola. La seduta è aperta alle ore 9.30. Il Segretario legge il verbale della seduta precedente, che è ap¬ provato. Il socio Ruggiero offre in dono un lavoro sulla bonifica dei corsi d’acqua nella Campania, che illustra brevemente. Il socio Parascandola presenta un lavoro dal titolo: L’ eruzione del Monte Nuovo del 1538 e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Presidente riferisce sui risultati delle Borse di studio e sui con¬ corsi a premio, comunicando i nomi dei vincitori. La seduta è tolta alle ore 10,30 dopo la lettura e 1’ approvazione del presente verbale. ATTI MEMORIE, NOTE E COMUNICAZIONI Mirigliano G. — La Cala delle Ossa, presso Palinuro (Salerno) pag. 1 Rittmann A. — La “ Italite tipica „ del Mirigliano ... » 37 Ruggiero P. — Per la valorizzazione dell’ isola di Pantelleria. Acqua potabile ed energia geotermica .... » 45 RENDICONTI DELLE TORNATE PROCESSI VERBALI Processi verbali delle tornate del 1943 . pag. 69 '