errare ini rete dito ardore ra ema storto el ino mteda zan inte tte nt lira ra aiar ret esta: Db arr DITTE OLII da » é gas at seria à ” tod - a ® ” : #7; vi se coorte rta piana ring x suo - e vai N SI n IRR CR) - ReBovno 19399 HARVARD UNIVERSITY. LEB:RARA OF HE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOÒLOGY LIBRARY OF SAMUEL GARMAN 70 864 SEP 6, (928 de tg DI rar pra Cl @ N, Safsari I777 Mella Stamperia di Gincegpe Pattoli .— - Soprenmder Li, (2% A MONSIGNORE D.GIUSEPPE MARIA PILO DELL’ORDINE CARMELITANO Fescovo di Uselli, e di Terralba , Èc. Go. Francesco Cetti U na imputazione molto frequente suol farsi al Clero Cattolico dagli scrittori etero- dossi; ed è attribuirgli di impedire la tem- porale felicità de’ popoli. Incolpano costoro il cattolico clero come spopolatore. de paesi mercè del celibato ; come fomentatore. della. ignavia, mercè l’ozio proprio , € quello che. cagiona in altrui colle medesime sue carita- revoli larghexxe 3 come oppressore della ra-. gione, mercè la libertà di. pensare , che to-. glie co’ suoi terribili tribunali. A questi va- ni accusatori chieggo io, se essi si terrebbo- no contenti di vedere le-loro patrie fatte in prosperità temporale uguali alla Italia ? sa- rebbono essi contenti di vedere.le ra patrie ornate di ampie e ricche e popolate città, guanto Italia ne è piena ? di vedere nelle loro campagne un perpetuo intreccio di po- polazione e di coltivazione, come in Italia si vede? di vedere la loro terra fruttifica- re in ogni genere de più preziosi frutti sì riccamente, come fruttifica la terra italiana? di possedere le più nobili arti, come Italia ne è maestra? di aver dato nascimento al- le più nobili scienze, come Italia il diede ? eppure in questa medesima sì fiorente Ita- lia non solo esiste, ma più che in altra parce qualunque regna il Cattolico Clero. Tanto è inconsiderata Ia imputazione, che il Clero cattolico è stato sempre l'uno dei più forti strumenti della prosperità ancora temporale de popoli ; l'uno de più beneme- riti promotori delle scienze e delle arti. Non e forse il cattolico clero quello , il quale nel fervore di accrescere il culto di Dio ha fat- to. rinascere al mondo le del tutto perdute arti di Prassitele, di Apelle, di Timoteo, e di Vitruvio? Nonè egli il cattolico clero. quel- lo, a cui si debbono la maggior parte delle pubbliche e delle private biblioteche ? di quan- te e cattedre e accademie intiere non è stato fondatore il clero cattolico in ogni parte ? QUEL che io dico dei clero cattolico in generale, si è verificato sempre, 0 MON- SIGNORE; ancora in particolare del Prestan- cissimo Clero Sardo. Se esso è un Clero fa- coltoso , un Ciero riccamente dorato d’ entra- te, egli è altresì un Clero, da cui il pubbli- eo oltre agli esempj di virtà, è i soccorsi di spirito, ha ricevuto costantemente i mag - giori benefizi per i medesimi suoi temporali progressi. E non contate vo1 medesimo fra i vostri predecessori un Michele Beltrando, il più benemerito uomo della agricoltura sar- da, mercè i monti granatici da lui fonda- ti, istituzione maravigliosa, di fresco ri- messa in vigore, e al zelo de Prelati dalla Reale providenza saggiamente appoggiata? Quanti non si veggono or tuttavia sorgere per opra de’ Prelati di questo Regno splen- didissimi edifizi destinati alla edncazione pubblica ?. non è forse colle facoltà del clero in gran parte, che sonosi pur ora ristorate le lettere? non è forse dalla mano dè Pre> lati, che la studiosa gioventà , a misura che essa spicca in sapere, riceve con raro esem= pio pecuniarj assegnamenti perquanto campa» MA fra quanti il Clero Sardo conterà Prelati benemeriti del pubblico per ogni verso, Prelati, li quali nella sollecitudine delle loro chiese avranno abbracciata ogni prosperità del popolo loro, vO1 certamente, O MONSIGNORE , non sarete ricordato fra gli ultimi. Collo stesso fervore e zelo, con cui vegliate e faticate per lasantità del co- stume del vostro Gregge, VOI pensate ad ogni maniera di sollevarne la vita € miglio- rarne la condizione. Indefesso distributore siete VOI del pane evangelico mediante la divina parola, la quale vOI personalmen- re amministrate al vostro popolo ogni dì del Signore; e ugualmente premuroso vi trova il popolo vostro a procacciargli l' abbondan= za delle messi. Se ogni settimana presiedere la istruzione del rustico popolo ne rudimen= i della fede, per questo medesimo popolo vor raunate vostro consiglio, e deliberate èome accrescerne le raccolte se nelle rustiche mani si veggono con industria moltiplicate per opera vostra facili.istruzioni cristiane; stringono queste mani medesime manipoli di biade a voi unicamente dovute. Stringono agualmente le bisognose mani soccorsi pe- cuniari continui e copiosi, mediante la sot- tilissima porzione delle vostre entrate, che @ voI medesimo concedete, del resto alimen- tate mendici, abilitate o industriosi al lavo- ro, 0 elette coppie alla benedizion nuziale. Colle vostre renditevoI promovete in olere ad antempo medesimo l’onor di Dio e le arti; allora! quando con munificientissima spesa fate trarre marmi e occupate maestri a cre- scere magnificenza al vostro tempio di Ales; pensate al decoro e alla incolumità episco- pale , e insieme abbellite la diocesi, allora quando un nobilissimo edifizio ergete in Vil- lacidro per un sano soggiorno vescovile esti- vo; provedete alla cultura del vostro clero; e insieme promovete le scienze, allora quan- do a*grandissimo costo ristorate l’ alloggio destinato alla educazione e ammaestramen= to del vostro giovin clero, e di elettissimi soggettiil popolate. Al progresso delle scien- ze avete pure cooperato co’ valevoli stipendj procacciati ai dotti maestrij e ci coopera- te tuttavia conoscendo personalmente ogni mese gli avanzamenti in esse de’ vostri dolci alunni; ma più che in altra maniera coope- rata all’ aumento delle scienze co' personali vostri esempj di dottrina e di applicazione. Saggio chiarissimo non men di zelo pasto- rale, che di dottrina avete vOI dato. nelle vostra preclarissima Sinodo diocesana, sta= ta ricevuta conammirazione in tutta Italia ; ma nondimeno quelli, che più da vicino vi conoscono , non veggono colà dentro derivato se non un sottil filo del vasto sapere vostro in ogni genere di scienza sacra e profa- na ; © pure di nuova scienza sempre sitibon- dò nella vostra eletta biblioteca spendete quante ore gli affari della diocesi lasciano in poter vostro. Con questi esempj ognino s° infervora di sapere; cresce l applicazione e la dottrina. Per una tale condotta, © MONSIGNORE, se siete un vero lume del- la Chiesa Sarda, sieve insieme una prova di quanto il pubblico sia debitore a° Prelazi cattolici, e guanto inconsiderato sia l’irre» ligioso astio di coloro, che al clero cattolico detraggono sì grossolanamente. CoNTRO costoro si leverebbono le grida de medesimi sinceri popoli cattolici, se aves- sero a parlare , smentendogli come calunnia- tori mal avvisati; ma nessun popolo richia- merebbe più fervidamente del vostro popolo, il quale sommamente vi venera per la vostra virtù, e teneramente vi ama perla vostra be- neficenza. Venera egli in voI un Prelato di vita incontaminata, un Prelato irreprensibile in ogni adempimento della sua gravissima carica } ama un pastore vigilante e zelante bensì, ma insiem prudente e soave; ama un padre, che non ha limiti nella beneficenza verso la sua famiglia. Ah non contristate questo popolo con un vostro santo, ma ad ognuno fuorche a vOI funesto pensiero! se- guire ad abbellire il vostro rempio con ric- che pietre e preziose opre di scalpello; ma perche volerci porre ancora quella urna fu- resta? a.che gioverà a vor la vista d’essa? della brevità de giorni dell’uomo non foste VOI convinto infin da giovinetto, allora quando per ispenderli santamente fuggisie dalla nobiltà della casa paterna a racchiu- dervi nel chiostro ? bisognate vOI della vista d'un muto avello per ricordorvi delle tre- mende verità eterne, vOI che sì altamente. le meditate ogni giorno, e di esserne. pro- fondamente penetrato cotanto. il. mostrate nella vostra condotta? A che varrà adunque l’urna funesta, se non a contristare il vo- stro popolo, ricordandogli che un dì avra arimanere privo di vor? Che se pure persi- stere a voler dare ancora quel segno. della vostra cristiana intrepidezza e disinganno , deh! cardi quell’urna tanto a ricevervi, che prima essa medesima si strugga e si disfac- cia. Sono questi î voti del vostro popolo; sono questii miei, 0 MONSIGNORE, nell’at- ro, che umilmente vi presento queste poche, carte, ancora per istimolo di vostra approva- zione da me novellamente vergate ad illustra- zione della naturale storia.di questo Regno. GLI ANFIBI Î Tee ST ite E TV To intendo la parola Anfibio se. Re condo la significazione sua an- AIR: 1a SE la. quale essa parola tica, nel significava un animale atto a vivere ugual- mente in terra e in acqua; ma ricevendo una significazione più moderna , intendo per Anfibio un animale, in cui la strur- tura del quadrupede c dell’uccello si altera già notabilmente, e principia a compa- rire la struttura propria del pesce. Intendo pertanto per Anfibio un animale, per mezzo del quale la lenta natura dai qua- drupedi e dagli uccelli va ai pesci grada- 2 4 tamente, seguendo sempre la maravigliosa sua catena, ossia legge di continuità; leg- ge; la quale non sarà mai posta in luce bastantemente, acciocchè in essa l'intelletto ‘mano trovi riposo e ragione di molte cosevesistenti, delle quali forse non com- prenderebbe il motivo; e. trovi-lai dimostra- zione di molte altre, che esistono, ma non si veggono; e di molte altre non iscoperte trovi l’indizio, e la speranza di scoprirle. LA alterazione della struttura, che suc- cede negli anfibi, risguarda il cuore. Qua- drupedi e uccelli hanno nel cuore doppio ventricolo, e doppia orecchietta ossia tas- chetta hanno pure attaccata al cuore. Non più che un ventricolo, e non più che una orecchietta sola hanno i pesci al cuor lo- ro; e questa semplicità di orecchio e di ventricolo si principia già a trovare negli anfibj. Non sono però questi anfibi tuttavia pesci, perchè altri di loro al modo dei quadrupedi e degli uccelli hanno verace polmone, collocato nella cavità del torace, 5 ne fresca, e assottiglia il loro sangue nell’or= gano polmonare ; altri bensì in vece di polmoni sono corredati di branchie da pe- sce, collocate presso la superficie del cor- po in vicinanza di spiragli per i quali respirano, ma pure non hanno ancora reste, e sono forniti di ossa cartilaginee; e inol- tre propagano tuttavia la loro spezie per mezzo di congiungimenti al modo de’qua- drupedi e degli uccelli, e degli anfibi primi, I primi anfibi sono più vicini agli uccelli e dalla bocca ricevono il fluido, che ri e a quadrupedi, i secondi si avvicinano assai più a'pesci, e ne annunziano l’immi- nente arrivo. Così il passaggio da’ quadru- pedi e dagli uccelli ai pesci si fa più gra- datamente ; la organizzazione dell’un estre- mo si smarrisce più a poco a poco, e poco a poco si fa luogo a quella dell’ altro. Tra gli anfibi primi e i secondi collocò medesimamente la sottile natura anfibi me- diani, cioè la Lainpreda, la quale ne’ pol- moni si assomiglia agli anfibi primi, e negli spiragli laterali sì assomiglia a’ secondi. (Sr deve pertanto per anfibio intendere un animale fornito di sangue, fornito al cuore d’un ventricolo e d’una orecchietta sola, fornito d’ossa o di cartilagini; res- pirante con polmoni o con branchie, e pro- pagante la sua spezie per via di congiun- gimenti. In conseguenza'di questa definizio= ne si schierano fra gli anfibi le Testug- gini, le Lucertole; le Rane, le Serpi; in- oltre gli appellati Pesci carzilaginei, e ciò tanto i Piazzi, che sono la Torpedine, le Razze:, ile«Ferracce:;; la:Rana ‘Pescatrice, detta ancora Diavolo marino; quanto i Tondi, che sono i Cani marini. Nell’inter- vallo che succede ‘alle serpi; e precede i cartilaginei si trova la Lampreda come anello, che aggruppa; e in grazia delle sue. ossa. cartilagince e de suoi spiragli la- terali chiude la schiera degli anfibi lo Sto- rione. Di tutti questi animali nello ottima- mente da Linneo ideato linguaggio chiamati anfibi renderò io conto , per quanto risguat- do ad essi si trova e si osserva in Sardegna, 7 Tg ©"-—@@@©7p@Y ——- È Rd M u © È Sco a cd ù att rat - Cora i È LE TESTUGGINI APECISA MEI A DITA DIA DICI MEI è) x . . LI] ° o) NoN ggonovI in Sardegna Testuggini di Yao terra, Testuggini di acqua dolce, e Testuggini di mare. TESTUGGINE DI TERRA. Ti Testuggini di terra si trovano nell’ Asinara; e ve ne sono pure nella Nurra dalla banda più vicina all’ Asinara cioè ‘al Capo Falcone. Esse testuggini sono testug- gini di terra a tutto rigore, in quanto me- nano la loro vita totalmente lontan dall’ acque; e perciò ne loro piedi, non hanno esse membrana alcuna fra dito e dito, co- me hanno le testuggini acquatiche ; anzi 3 pe pure ci è luogo di sì fatta membrana, poiche non hanno queste testeggini dita ne piedi, e solamente vi si veggono ugne; e perciò sarà questa spezie di testuggine probabilmente quella, che Linneo chiama Graca, la quale è mal proveduta di dita, pedibus subdigitazis. @ Cinque ugne tro- vai regolarmente ne’ piedi dinanzi, e quat- tro ne’ piedi posteriori di queste testuggini; dico regolarmente: poiche con frequenza pute ho trovato di queste testugeini terre- stri, nelle quali le ugne ne'piedi dinanzi erano ugualmente quattro, che ne’ piedi di dietro. Anzi una intera e ben numerosa co- lonia ho io veduto delle testuggini dell’ Asi- mara, ove ne pure una si potè trovare, per quanto io ed altri insieme diligentemente le rivedessimo tutte, la quale avesse le cin- que rigne in quisticne, e tutte quante ne ebbero quattro sole, o maschi o femmine che esse fossero; fossero testuggini vecchie, o pure allora nate. L’orto botanico di (a) In sysr. nan. 9 s. Pierro:in Sassari fu, ed è tuttavia il luogo di tal.colonia. Da questa varierà nel nume- ro. delle ugne d'una. spezie medesima si vede quanto bre si vesgono comparire le testuggini no» velle grosse auanto un guscio di noce; che la "ve bialici del mond d sOnO ia più VEZZOosa cosa ali geonao a ve Cie. VESTUGCINE di FIUME. Rus Testusgini di fume non* arrivano per avventura ‘ad uguagliare la quarta parte della mole delle testuggini di terra. Quat= tro soli pollici di lunghezza si trovano nell’asse massimo. della parzion piatta del loro guscio, e a propotzione scemano tut- te le altre dimensioni. La figera e il color del guscio sono nella testuggine, fiumatica conformi a quelli della testuggine terrestre, se non che le tinte sono più vigorose, e il nero vi domina. maggiormente, e mag- giormente domina pure il nero nella mede- sima: pelle dell'animale, di maniera, che alcuni Sardi chiamano esse testuggini fiu- matiche testuggini nere. Non ugne sota- mente, ma dita. ben. articolate. spiega la | testuggine fiumatica in ciaschedun piede, cinque ne piedi anteriori, e quattro ne posterioti s collegare fra loro con una mem- brana. fino alfa estremità. La coda pure «ella testugginve di fiume è notabilmente. Da «a I2 più lunga di quella della testuggine terre- stre; poichè laddove la coda della testug- gine terrestre di poco eccede la sesta parte della lunghezza del suo guscio, la coda della fiumatica arriva fino alla metà della lunghezza del guscio suo. Invanita mede- simamente sembra questa testuggine fiuma- tica della sua sì ricca coda; cammina non tenendola rinfoderata dentro del guscio, come fa la testuggine terrestre, ma spiegan- dola alteramente, e cammina con una pre- stezza, che in paragone della testuggine ter- restre essa è un achille. Ogni fiume sardo è fornito di testuggini sì fatre, e abbon- dano esse in modo, che è facile nella ‘sta- gione estiva colmarne un sacco. TESTUGGINE di MARE. (BD due ugne è fornita la testuggine ma- rina a ciascheduno de’ suoi piedi, 0, se più piace, pinne; due ugne ha essa a' piedi po- steriori ugualmente, che agli anteriori; e il suo guscio è dentato nel lembo, e rende 13 all’acuto dalla banda della coda. Secondo questi caratteri la restuggine del mare sar= do viene ad essere quella spezie di testug- gine marina, a cui Linneo diede il nome «di Caretta @). I luoghi più abbondanti della sua pesca sono i mari di Cagliari, e i mari di Castel Sardo presso il canale di Bonifacio; ne’ quali luoghi atriva essa talo- ra a tanta mole, che pesa ben quattrocento libbre sarde. a #3 (a) In syst. nata 4 LE LUCERTOLE. APICI DEMEFCAUE EE (C]I A sta REALI ar 3 IKEA (7 î : 3 *M£ “|E! pare una spezie di fenomeni, RR Serra che in Sardegna, non si trovi la vera e propriamente derta Lucertola. Esistono almeno quattro spezie di quel genere medesimo, a cui la vera lucertola appartiene ciò sono una spezie di Ramarro, lo Srellione, la Cicigna, ed una spezie da’ Sardi chiamata dove Til gugu, dove Tilingonive -per qual ragio- ne non ci csisterebbe la lucertola, essa che d'altra parte è sì comune altrove, e che medesimamente secondo gli scrittori di cose naturali alligna a preferenza ne’ paesi situati al meriggio ()> Di tale mancanza (a) Vedi Bomare alla voce Zezard, *5 hon sirebbe facile addurit una spiegazio- ne ragionevole; «perciò ‘mi basterà ‘avere signifcito, che ‘in Sardegna la propria» sente detta Incerebla non esiste '‘LA‘TILIGUERTA 0 CALISCCORTULA. Ao tun animale medesimo si da dii Sat+ di il nome di Tiliguerta, e il nome di Ca- liscertula. Caliscerrula è'il ‘nome del Cam- pidano , e Tiliguerta è il nome del Ca- po di sopra. Questo animale io chiamo tina spezie di ramarro, perchì esso è vi- vameste verde come il ramarro; non ‘però senza mischianza di nero, talora in forma di macchie, talora in forma di lunghe linee solcanti tutto il dorso: e tali Tili- guerte compariscono del tutto fosche, le qua- li si credono femmine, ed in fatti aven= done io aperta una la trovai con le usva. Alla maniera del ramarro si veggono pure în questo animale quei bozzoletti pertagiati disposti in fila in ognuna delle cosce di + 16 dietro, già diligentemente osservati dal Duverney } c finalmente ha anch'esso ques sto animale, come il ramarro, cinque dita, e cinque graffi a ciaschedun piede. Una no- tabile differenza trovo nondimeno fra l’ani- mal sardo, e 1 ramarro descritto dagli autori. Una coda attribuiscono gli autori al ramarro lunga quanto è lungo il restante del suo” corpo senza più: Lacerra; così descrive. Linneo il ramarro, cauda tereti verticillata, longitudine corporis (9; e con poca differenza in quest altro modo la de- scrive: Gronovio nel suo Museo : Lacerza cauda corpore parum longiore. Or la tili> guerta sarda è ben. più ricca di coda: la sua coda arriva ad essere infin doppia della lunghezza del carpo. Tal. eccesso ho io trovato costantemente cin quanti ramarti sardi misurai; due pollici e mezzo trovai dalla estremità della testa infino al principio della coda; e dal principio della coda infino (a) In svsr. pan. 17 alla estremità della medesima pollici cin- que; e per assicurarmi di non prendere per ‘coda se non ciò, che fosse veramente coda; ridussi alcune tiliguerte. a scheletro; misurai la estensione delle vertebre ciuda- li, e le trovai veramente estese per la quan- tità indicata. La lucertola e’ ramarro han- no in verità una grande virtà germinativa nelle loro code; chi:se loro si taglia via la coda; hanno per nulla rimetterne tosto un altra; e chi se loro si fende, d’ogni pezzo ne rifanno una coda: intiera. Non. pate per- tanto, che l'eccesso della coda del ramar- ro sardo sopra la coda del .ramarro co- mune d'Europa indichi diversità di spezie; e ben potrebbe attribuirsi tal eccesso a circostanze più favorevoli in Sardegna; per le quali la medesima: virtù germogliatrice men' prosperante altrove, quì si arrivasse più, e si dispiegasse con più successo. Non» dimeno non ardirei decidere, che sì fatto eccesso discoda fosse accidentale atteso che i naturalisti fanno pure entrare ne’ caratteri 18 propri} delle diverse spezie di lucertole è di ramarri la diversa proporzione delle lo- ro code a’loro corpi. Chi descrive il ramar= ro d'Europa, il caratterizza, come è det- to, dalla coda uguale in lunghezza al re- stante suo corpo; chi descrive cert' altro ramarro americano chiamato Ameiva presso Linneo, il caratterizza dalla sua coda tre volte più longa del corpo restante, come fa Gronovio descrivendo essa ameiva con questi termini : Zacerra cauda tereti corpore rriplo longiore (2). Non è adunque la 7i- liguerta ossia caliscereula ‘sardà un ramar- ro; benchè al ramarro molto si assomigli; e chi la volesse descrivere dovrebbe nella descrizione sua adoperare questi termini: lacerta cauda tereti corpore duplo longiore. Con questi termini nelle Amenità accade- miche si descrive in verità la ameiva; la quale ha pure i bozzoletti pertugiati nelle cosce al. modo della tiliguerta ; e quindi potrebbe sospettarsi non fosse la tiliguerta {a) In Museo. 19 ‘sarda uno stesso animale colla amneiva ame- ‘ticana; nè sarebbe maraviglia, che un ani- inale creduto proprio della America si sco- ‘risse ancora in Europa, dacchè scavando la terra in Irlanda vi si sono trovati i pal- “tchi dell'alce canadese, ‘segno che il mede- simo alce vi fu anticamente in Irlanda pu- te, onde Tommaso Molineux passò ad in- ferire, che anticamente la Irlanda dovette essere appiccata all’ America in un conti- ‘nente medesimo (@. Mz oltrechè della ret- titudine della descrizione fatta nelle Ame- nità academiche ‘si può sospettare in vista della descrizione di Gronovio, trovo un altra ragione per non credere la tiliguerta sarda una stessa cosa colla ameiva, e sono quelle piastrelle o laminette, che armano l’addottine ugualmente nella ameiva, che nella ziliguerta; non più che trenta lami- nette sì fatte si contano nella ameiva, e nella tiliguerta ne ho contato da ottanta ‘disposte. in sei ordini. Sarà pertanto la (3) Tiansattiers abridged. Vol, 1. 20 tiliguerta un' animale simile all’ameiva, co- me è simile al ramarro, ma come essa non è ramarro, così pure non è essa amciva; e sarà un animale di cui converrà ricrescere Ja lista di questi ‘anfibi. Presso Linneo con- verrà porlo fra le lucertole a coda crespa, cauda verticillara. Animate innocente quanto il ramar- ro è questo anfibio sardo; soggiorna per i cespugli, c per le muraglie campestri; nè si asconde nel verno, se non accadendo giornate aspre e tristi. Si trova esso in as- sai grande quantità, e in copia molto mag- giore di quel che si vegga il vero ramarro cin Italia. LO STELLIONE. Auto Stellione si da in buona parte del- la Sardegna il medesimo nome, che in Toscana, ein altre parti d’Italia, cioè il nome di Tarantola. I Campidanesi però il chiamano Piscilloni, e gli Algheresi Ascurpì. Meno di tre pollici di lunghezza i rest IRE Ai e MAI it et DO H PI Ti pi ©SWùù %9y9f%'°5ÉYà=& Ta NT IL “DILIGUEU ; 2I hanno questi stellioni; ‘a ciaschedun piede cinque dita, la loro ‘coda è guernita in tutta la sua longhezza di armille ossia gi relli, e tutta la pelle per la testa, per lo dorso, per l’addomine è rilevata in pun> terelle. Frequentemente ‘si incontrano € nel- le case cittadinesche e nelle rustiche que- sti animali schifosi, IL: TILIGUGU: Au animale, che i Sardi. chiamano 7i- lisugu © Tilingoni noti'si può dare! altro nome fuorchè il satdo; poichè l’animale per quanto parmi è un anîmale sconosciuto altrove. La sua figura è la consueta delle Ju- certole, ma la sua grossezza è” considera- bile in paragone della lungezza. Otto pél- lici incirca ha questo animale di lunghezza dalla estremità del muso a quella dellarco- da, c infin a due pollici attiva il perime- tro del suo corpo; di‘tutta la lunghezza del corpo la coda ne piglia ‘quasi tre pol- lici e mezzo, c questa è ‘tanto grossa al 22 suo principio, che più d'un pollice si ris chiede per circondarla. I piedi e tutto il restante apparato inserviente al moto pro- gressivo sono piccoli. Cinque dita a cias- chedun piede ben formate e ben unghiate ha il tiligugu; ma poi prendendo il dito di maggiore estensione, il quale si trova ne’ piedi posteriori, tutta. la. sua lunghezza compresa medesimamente l’ugna, appena giugne alle quattro. linee; e mettendo in- sieme le dita, e i. due articoli, che forma- no la gamba, appena compiono la lun- ghezza d'un pollice nella gamba posterio= re, che pure è la più grande. La pelle dell'animale è tutta quanta scagliosa ; le squame sopra la testa sono grandi, e di figura simile a quella. de’ramarri; ma in tutto quanto il rimanente del corpo le squa- me sono minute, e. della medesima sostan= za e configurazione, che le squame d'un pesce; di maniera, che come si scaglia il pesce, così si potrebbe scagliare il tiligugu. Per tali. scaglie il tiliguge apperisce ben 23 brunito e lucido; biancheggia in tutta la sua parte inferiore; ma nella superiore è di colore scuro punteggiato di spessissime macchie nere. Amendue le mascelle sono corredate di denti, e la lingua è ampia € carnosa. Nette ben quarantatre spezie diverse, che Linneo annoveta sotto il genere /acerra, non ho potuto scoprite il tiligugu. In quat- tro classi divide Linneo le sue lucertole; alla classe prima spettano le lucertole a coda schiacciata, cauda compressa, fra le quali si trova il cocodrilio; e a questa clas- se non appartiene il tiligugu, poichè la sua coda nell'atto di venirsi sempre più assottigliando fino a terminare in una punta acutissima, pur si mantiene sempre tonda in modo, che dovunque si tagliasse con sezione parallela alla base, ne risulterebbe sempre una sezione circolare. Netta classe seconda sono te lucertole a coda guernita di ciespe, cauda vercicilla- za, € ne pure a questa classe appartiene il 24 tiligugu, atteso che la sua coda è tutta liscia. Le rimanenti due classi contengono le lucertole a coda tonda e scagliosa, cau- da tereti imbricata, e a queste classi ap- partiene veramente il tiliguga. per la sua scagliosa coda. Non appartiene però. alla classe ultima; nella quale sono comprese quelle lucertole, la cui coda è più longa del restante corpo, poichè la coda del ti- ligugu del restante corpo è più breve. Ri- mane pertanto la classe delle lucertole a co- da tonda; scagliosa e più breve del corpo, cauda teretiimbricata corpore breviore (2), c a questa classe propriamente spetta .il tiligugu; ma fra gli ‘annoverati in essa da Linneo nol ritrovo: trovansi in essa il ca- maleonte, la salamandra, la. scinco, e la vera lucertola, ma il tiligagu non visi trova. Assai s'assomiglia in verità il tiligugu nella grandezza, nella figura, e nelle sue. sca- glie al medicinale scinco , e per lo scinco. (a) Nella mia edizione veramente stà scritto, corpore ‘ongiore ) ma non può essere che errore di Stampa. 25 facilmente si prenderebbe a prima vista; nondimeno non è esso lo scinco. Qualora fosse vero, che lo scinco non avesse ugne, ciò basterebbe per conchiudere, che il tili- gugu non è lo stesso animale che lo scinco, essendo esso tiligugu ottimamente unghiato ad ogni suo dito; ma negli scinchi da me osservati presso gli speziali, scinchi fatti venire d'oriente per le manipolazioni del mitridate e della teriaca, io ho trovato ugne ugualmente che ne tiligughi, nè per- ciò finisco d’intendere, come altri descri- vendo lo scinco l'abbia fatto senza ugne (4). Conviene pertanto cercare la differenza tra il tiligugu e lo scinco altrove, che nelle ugne» * Chi potesse confrontare insieme questi due animali amendue freschi, forse scoprirebbe facilmente molte discrepanze fra loro; ma io non sono stato a portata di osservare se non se scinchi secchi, ne’ quali si può teme- se, che la forma fosse di non poco alterata. (a) Lacerra cauda tereti mediocri apice compressa; dligiuis muticis marginatis, Lina. syst. nat, € 26 In tale stato dello scinco ho osservato que- ste differenze : nello scinco la mascella superiore è notabilmente più lunga della inferiore, nel tiligagu esse mascelle sono uguali; nello scinco non ho potuto trovare apertura d’orecchi, il tiligugu ha due ampi forami per udire collocati agli angoli del- le mascelle; la più sensibile differenza mi è paruta dal canto delle gambe, e de’ piedi. Il tiligugu ha cortissime gambe come è detto , le anteriori sono appena lunghe cin- que linee, le posteriori sono appena lunghe linee sei; lo scinco al contrario, benchè fos- se minore in grandezza di esso tiligugu, ha gambe tanto lunghe,. che sono lunghe il doppio di quelle del tiligugu. Le dira inoltre del tiligugu sono tonde, assai di- suguali fra loro in grandezza, come sono, le dita del ramarro, e le dita dello scinco poco differiscono in grandezza le une dal- le altre, e paiono quasi schiacciate, e sono corredate e orlate d’una pellicola come per nuotare } e se lo scinco ama le acque, come 27 si scrive, sarà questa una opposizione non di figura ma di indole col tiligugu, poichè ‘il tiligugu è onninamente animale di terra e di secco. Conviene pertanto che i natu- ralisti, dopo avere fatto fare luogo alle lucertole per ammettere tra loro il ramar- ro sardo, le inquietino di nuovo per far loro ricevere ancora il tiligugu; lo spazio, che rimarrà vuoto, dovrà essere accanto allo scinco, e accanto allo scinco prenderà posto il tiligugu (2), SN (a) Le figure, che si fanno incidere per maggiore intelligenza, sovente conducono ad un effetto del tutto opposto; e non servono se non ad ingannare, quando l'incisione non rappresenta con giustezza. Così è avvenuto nella incisione del Tiligugu. L’incisorne parcendosi dalla esattezza del disegno ha allungato a dismisura le’ gambe dell’ animale; allungamento tanto più vizioso, che altera l’animale appunto in uno de’ suoi principali caratteri, che è la grandissima brevità delle sue gambe. 2 28 LA CICIGNA. Mei Cicigna è la Seps de’naturalisti, da altri chiamata /acerca chalcidica , animale ce- lebre per la sua fama di reità, e animale proprio solo de’ paesi più meridionali, e per questo medesimo non bene conosciuto. La Sardegna ne abbonda quasi altrettanto che dell’ erba secca. A due capi si riduco- no i lamenti di quelli, li quali vorrebbono conoscere la cicigna a dovere: dicono, che. non possono sapere il netto nè della forma dell'animale, nè della sua possanza; chi il fa una lucertola, chi una serpe; chi ve- lenoso, chi innocente (). L’ambiguità so- pra la sua forma non è senza fondamento, ‘e si può in realtà dire, che la cicigna è una lucertola, e si può dire parimente, che essa è una serpe, in quanto essa par- tecipa dell'uno e dell'altro aniinale. Di ser- pe ha essa Pallongamento del corpo, il moto, e le posture; di lucertola ha i pie- ‘di, gli orecchi, la dentatura, e la lingua» (a) Vedi Bomare alla voce Sepsa 29 I suoi piedi sono sì piccoli, che uom non vi bada; e quindi non comparendo se non il tronco del corpo, c i movimenti, che sono da serpe, l’uom volgare ne fa tosto una serpe; ed io medesimo istando alle relazioni de’ contadini, prima di avere ve- duto l’animale , eredetti fermamente di dover avere nel Lanzinafenu, o Schili- gafenu, come i Sardi il chiamano, un ani- male da registrare fra’ serpenti. Dodici pol» lici e tre linee ho misurato in una cicigna delle massime dalla estremità della testa infino all'estremità della coda, e di circui- to-ivi, ove il corpo mi parve più grosso, trovai linee non ben dodici. Di tutta que- sta estensione la metà in circa è dalla estre- mirà della testa infino all’ano; il restante lo prende la coda; la quale si va sempre at- tenuando fino a terminare in una sottilissi- ma punta. In quanto ai suoi movimenti, la cicigna serpeggia nell’andare così ap- punto, come fa la serpe, € riposa pure, come fa la serpe, avvolta in se stessa per 30 mille svariate maniere. Ma laddove poi le serpi non hanno nè apertura d'orecchi, nè piedi; la cicigna ed ha aperture per udire collocate dietro le mascelle, e per cam- minare è fornita di quattro piedi, con che viene essa a prendere le sembianze di lu- certola. I due suoi piedi anteriori sono vi» cinissimi alla testa; i posteriori sono all’ori- gine della coda; i denti guerniscono amene due le mascelle con un semplice ordine; e la lingua è carnosa, lunga, niente divisa. Scaglie minute e tonde vestono tutto quan- to il corpo, con righe altre verdelle, altre color di rame, altre nericce tirate per tut- ta la lunghezza della parte superiore; la parte inferiore biancheggia tutta. La cicigna pertanto a dire giustamente è un animale di mezzo fra la lucertola e la serpe; essa è uno di quelli anelli, che gli osservatori van- no si studiosamente cercando per iscoprire i dolci passaggi della natura di genere in genere senza mai precipitarsi, nè venire a salti. Si vede chiaramente nella cicigna, 3 siccome la natura avendo fabbricata la lu- certola, và maturando un’altra idea, e preparando un animale di alkra foggia di progredire , e di altre membra; si scorge, che essa pensa a serbare il capo, la for- ma del tronco, e la coda della lucertola, ma che ne vuol tor via e gambe e piedi. A vedere a che punto sono ridotti gambe e piedi nella cicigna, evidentemente si co= nosce, che quelle membra fra poco non vi saranno più. Non ostante la lunghezza di oltre a dodici pollici di tutto l’anima- le, non più che due linee di lunghezza hanno la gamba e ‘1 piede presi insieme , e ancora le dita de’piedi non sono che tre, Non sono però sì piccoli strumenti oziosi, nè inutilmente posti dalla provida matura: nell'atto, che la cicigna cangia di luogo , si veggono le sue gambe pure in azione, e valorosamente cooperare alla trasla- zion locale. In quanto alla possanza velenosa della gicigna non posso se non uniformarmi al se. sig. Sauvage, il quale scrisse sopra gli anî= mali velenosi della Francia, e ne fu co- ronato dall’ academia di Roano. Come que» sto autore cercando tutta la Linguadocca non ha trovato esempio di danno alcuno recato mai dal morso della cicigna, così io pure non ho trovato vestigio di tal dan- no intutta la Sardegna, ove ognuno s’ ac corda a dichiarare la cicigna o di morso nullo, o di morso innocente. Dicono uni= camente, che se il bue o il cavallo la ro= dono insieme coll’erba, c la trangugiano, il ventre loro ne enfia stranamente con pericolo di morire, se non si soccorre fa- cendo lore inghiottire una bevanda prepa- rata d'olio, aceto e solfo. Non è facile conciliare sì fatta innocenza della cicigna con quanto della cicigna si trova scritto presso gli antichi autori sotto il nome di Seps. Un animale del più atroce veleno è la sepa presso questi autori; il suo morse induce issofatto putrefazione nella parte morduta, e in capo a tre o quattro giorni 33 tette a morte il paziente. Conviene per» tanto che la velenosa sepa degli antichi fos= se diversa della sepa moderna; e quindi @ anticamente più animali avevano nome se= pa, o sonosi scambiati i nomi, e antica- mente sepa si chiamava un animale, oggi così si chiama un altro. Che la sepa mo- derna sia diversa dalla sepa antica, almen dalla velenosa, si fa manifesto dalle de- scrizioni, poichè Aezio fa la sua sepa lun- ga due gombiti, e tutta picchiettata di bian- co; Pausania la fa color di cenere, con ca- po lungo, collo sottile, e coda corta, le qua- li cose per niente non convengono alla sepa ossia cicigna presente. Teme la cicigna il freddo, e il teme, per quanto sembra, più che la testuggine ; poichè essa ancora prima della vestuggine si asconde, e va sotterra; infin dal principio d’ ottobre si veggono scomparire le cicigne, e si trovano sotterrate. A primavera già incominciata si fanno rivedere per i luo- ghi erbosi, ove perseverano ancora quando 34 le (erbe sotto il calore estivo sono già inaridite (2). Non vi è quasi in Sardegna chi non abbia udito parlare dello Scu/rore, e nol tema mortalmente. Un animale grosso ta- lora come la metà del braccio è lo scultore, lungo due spanne, con corta ma grossissima coda, ricoperto di scaglie, colorito di fos- co, fornito di quattro gambe, e di gran- dissimi mustacci, un animale in sostanza simile nella figura al tiligugoe. Non ama esso i luoghi erbosi, nè i coltivati; ama i diserti e le aride rupi, e buon per l’uomo, che così ami; altrimenti ben più dannoso nemico sarebbe esso che non è. Il solo suo sguardo , se previene quello dell’uomo, basta a far cadere l’uomo morto. Ecco in brieve la descrizione e la storia dello scultore (a) La Cicigna ha avuta la stessa sfortuna che il Tiligugu è cadura nelle mani d’ un incisore infedele ; l’uomo non si è avveduro, che nel disegno la cici- gna aveva gambe, e però l’ha incisa senza gambe, e prendendo nel disegno, per corpo ciò che era ombra, ''ha ancora fatta più grossa del dovere. 35 quali esse corrono per la bocca del volgo, Vidal autore Sardo, il quale scrisse contro Vico sostenendo che in Sardegna vi sono animali pessimi e nocivi, attribuisce me- desimamente allo scultore ali, e ne parla come di aniìmal soggiornante nell’ Oliastra. In quanto a me non posso parlare, che per altrui relazione; poichè sì temuto ani- male non ho potuto vedere mai in perso- na; e perciò, e ancora perchè tra sardi medesimi assai più-sono quelli, che ne par- lano, che non quelli, i quali il viddero; inclinerei non poco ad avere esso scu/zone per un animale favoloso ugualmente che il drago e ’l basilisco; mondimeno per favo- lose non ardisco di tacciarlo, per ragione, che molti asseriscono pure averlo veduto, e medesimamente ucciso. Potrà pertanto benissimo succedere in avvenire, che dello scultone si dia una provata relazione, e che in esso si scuopra alcun lucertolone afiicano. LERANE. {DIL )}(dId}<- od DICI (di) Add Faggi VELLA spezie di Rana, che si usa : 10; f comunemente in cibo, e la qua- Birrevaili le fra le mani d’un dotto cuoco sale infino a diventare un manicare ghiot- to, c una miniera di sughi preziosi, quel- la non esiste in Sardegna. Non contento di averne cercato per me stesso, mi sono per saperne indirizzato ad una spezie di persone, le quali mi parvero dovessero es- re informate sopra tutte le altre, cioè ai soldati. Essi per occasione de’loro presidj percorrono tutta l'isola, e in ciò che può giovare alla loro economia la conoscono infino all’ultimo pelo. La ristretta paga, di cui una non piccola porzione è dovuta al ristoro della bevanda gli obbliga a soc- corrersi coll'industria. Conoscono pertanto quanto in campagna vi alligna a proposito per la loro camerata; e i primi pensieri 37 dopo l'arrivo a’castelli e alle guernigioni sono andare alla scoperta di quanto cresca e alligni mel contorno a proposito da far- ne piatto senza spesa. Mi pare adunque, che nessuno meglio de’ soldati industriosi potesse sapere della rana in quistione. E in fatti trovai siccome non avevano ‘essi om- messe diligenze, e attentamente cercato ogni fiume, ogni stagno, ogni acqua in traccia della rana; nessuno però l’ha potuta sco- prire giammai. Da tale attestato militare ‘ per se solo mi sono trovato convinto non esservi in Sardegna la comun rana mangia- tiva, quanto ‘sarei stato convinto, se in persona avessi asciugato ogni acqua dal Tirso infino al più sottil rigagnolo. Ho fatro medesimamente venire le rane di Tos- cana, € mostratele a’ mugnai, a pescatori, a quant altri per ufficio mi parvero obbli- gati ad essere informati dell’ acque; ma essi tutti vedendo quella riga ‘gialla, la quale partendo dalla estremità del muso corre lungo tutto il dorso , accompagnata da due 38 altre righe simili laterali; veduti in oltre quei due grandi forami d’orecchie tonde, con tesavi sopra wna membrana” che paio- no due tamburri: concordemente dissero, che rane di tal foggia non ne avevano ve- duto maî. La comun rana mangiativa non esiste adunque in Sardegna. LA RANA ACQUAJUOLA. Crranps quanto la rana mangiativa è questa rana, che io chiamo acquajuola; ed è essa pure ugualmente che la mangiativa screziata di color varii, ma non ha righe gialle per il dorso, nè per i lati; nè nella sua testa si scuoprono aperture di orecchi, e i denticelli, che sono nel suo palato, vi sì distendono per più lunga lista, che non nella mangiativa rana. Quattro dita ha que- sta rana ne’ piedi anteriori, cinque ne po- sreriori, e sono questi ultimi corredati di membrana fra dito e dito. La chiamo acqua- jaola, perchè a me pare quella spezie, a cui Gesnero. diede il nome di Rara aqua 39 eica innoxia (2, e Rajo la chiamò sempli» cemente Rara aquatica (; che è pure quella spezie, a cui piacque a Linneo di dare il nome di Rana temporaria. (e). Sta essa copiosamente per le acque sarde, e vi gracida nella notte con quanto strepito vi graciderebbe la rana mangiativa; lascia però essa ancora le acque, e. si mette per la campagna secca, priacipalmente duran- te l’estate, I sàrdi la tengono per veleno- sa, non ne mangierebbero per tutto loro del mondo, raccontano medesimamente sto- rie di soldati, che ne morirono; ma atte- stano altri soldati di averne mangiato, e che fece loro buon pro. IL RANOCCHIO VERDE. (A Ranocchio verde, a cui i naturalisti danno il nome di rana arborea , è la se- conda spezie di rane esistenti in Sardegna. Le frondi degli alberi ne sono bastevol- mente guerniti. (a) Ovip. 46. (6) Quadr. a 47. (c) In S. N. 40 LA BOTTA. “f Non hanno i sardi diversi nomi per le diverse spezie di rane; tutto si chiama da essi rana, e sotto questo generico nome di rana si comprende medesimamente la Bot- ta; i Tempiesi soli situati nella parte della Sardegna più avanzata verso l’Italia, hanno mome proprio pet la botta, ed è quel no- ime medesimo, con cui l animale in Italia pure ottimamente si denomina, cioè il no- ime di Rospo. Sono le botte giudicate dai Sardi velenose ancora al semplice contatto; e ciò che si racconta altrove dello affasci- mare, che la botta fa alla donnola, si asse- risce pure in Sardegna, ove molti preten= dono avere veduto co propri occhi la don» nola andare strascinata, senza vedersi da qual forza, nelle fauci della botta. I rac- contatori di questo fatto sono gente cam- pestre le quali certamente non l’avran let» to nel libro sopra i Rospi di Francesco Paullini; e perciò sembra, che vi sia ragio- ne di dar loro qualche fede, nè si possa repurare un tal fatto del tutto falso. LE SERPI. SDUDITIC AME dio Dt DAD Ad dj e Ep” SUOI Po) Gi fg vuo Solino al capo sedicesimo li del suo Polyhistor afferma, che RAR in Sardegna non vi sono serpi: Sardinia est absque serpentibus. Forse al tempo di Solino il sistema delle cose in Sarde: gna ere diverso dal sistema presente; forse Solino per Serpe intese una spezie di ser- pi particolare; forse Solino non fu bene informato. Ma che che sia dè Solino, oggi certamente vi sono serpi in Sardegna, € ve ne sono di quattro spezie. Due spezie sono da' Sardi chiamare Colubri, e duc altre sono chiamate Vipere, IL COLUBRO UCCELLATORE. duoinno uccellatore chiamo la prima spe- zie delle serpi sarde, poichè così la chiama- D 4L no i Sardi medesimi, li quali chiamandola Colora puzonargia altto non vogliono di re, se non se Colubro Uccellatore. La ap- pellazione proviene dal costume di questa serpe di farsi per gli alberi cercando i ni- di degli uccelli per divorarne le uova ec i pulcini. Questa spezie di serpe è la più frequente nell'isola, ed è altresì la più grande. Ne ho misurato alcune, le quali di lunghezza avevano oltre a quaranta pollici; e di giro nella maggiore grossezza. oltre a pollici due, nè questeerano delle massime. In quanto alnumero di quelle lainine, le qua-, li guerniscono il petto e il ventre delle. serpi,; e dalla quantità delle quali alcuni autori st sono messi a differenziare le varie spezie; di serpi, ne contai in questo colubro uc | cellatore fino a dugento. dicianove; e. cento. due paja contai di quelle altre laminet- te minori, le quali guerniscono la coda sotto. Non parmi però di avere sempre. trovato il numero delle lamine sia cau- dali sia addominali uguale e costante nei. 4 siversì individui di questa spezie, ca mm'applicassi a contarle colla maggiore di- ligenza. Tutta la parte inferiore di questo colubro è gialla; la parte superiore è nera brizzolata di giallo, quasi come se fosse tempestata di granellini di miglio. Si po- trebbe quindi avere esso per il Cencro; se non che il cencro presso Dioscoride è serpe di gran veleno, non inferiore all’ aspido; el colubro uccellatore è serpe innocente, non facendo altra offesa agli uomini, se non di rispondere loro con percosse, quando lo intoppano. IL COLUBRO NERO: LIM seconda spezie di colubro si chiama Colora niedda , che è quanto a dire Colu- bro nero: col qual nome si chiama essa serpe, perchè è tutta nera. Questa serpe è minore della precedente, più rara, e non solo non remuta, ma amata, e accarezzara, Maravigliose cose di dette serpi nere sì. rac- contano ne cenventicoli delle donnicciuole: 44 si racconta, che esse già furono donne fatidichc consapevoli dell'avvenire. Mi gio= va credere; che queste storie si raccontino dalle donnicciuole medesime per ischerzo» îma nondimeno un oggetto di apprezza» mento e di affezione sono le serpi nere seriamente per molti fra la gente rusticana. Se alcuna serpe nera apparisce ‘nella ca- panna del pastore, e nel casolare del vil lano , si piglia ciò per segno di buona fortuna; di maniera che il disturbare il colubro nero, si terrebbe per lo stesso; che disturbare la buona fortuna già in pro- cinto di entrare in casa. Si pigliano quindi le donnicciuole la cura di conservare il co- lubro colla inaggiore premura: ponendogli quotidianamente da mangiare presso la sua buca; e wvebbe già tal femmina, che pet due anni continuò sì fatto ministerio. LA NATRICE. i RELA Serpe d'acqua, ossia Natrice viene da’Sardi chiamata nel Campidano Piyere d'acqua, e Pivera d'aba nel Capo di e pra, che è quanto dire Vipera d'acqua, Il suo colore è cinerizio, variato ne’ lati di belle macchie bianche e nere, per le quali probabilmente fu essa appellata Vi- pera. Innocente è questa biscia, lunga cir- ca due piedi, armata di denti, in amendue «le mascelle, e d’una doppia filza pur di denti diretti verso la gola armata nel palato, LA $SERPE derta VIPERA di SECCO. verra, che i Sardi chiamano Vipera di secco, è tenuta comunemente per un’ani- male terribile e mortale; al solo nominar- lo ognuno se ne raccapriccia; nè si trova chi pure ardisca di accostarsegli; e in tale per- suasione ho trovato i più degli speziali me- desimi, nelle cui officine per altro la Vi- pera è uncapo sì usitato, Tale persuasione € tanto orrore sono nondimeno un cetror puro. La vipera sarda è innocentissima, sen- za embra di veleno, e può ognuno ma- neggiaria colla sicurezza d'un Marso o di 46 vin agnato di san Paolo. Parrà questa as- serzione un paradosso; ma la asserzione è certa per esperienza. Non solo non vi è esempio in Sardegna di persona stata per- niciosamente ferita da vipera, caso inevi- tabile a lungo andare, dovunque vi sono vipere mortifere: ma sonosi messe le vi- pere sarde alle più sicure prove, e sonosi messe senza effetto alcuno. Sonosi spiumati i petti di piccoli colombi, e fatti ben bene addentare dalle vipere ancora irritare. Era» no i colombi morduti in dovere di mo+ rire tra pochi momenti; ma essi dopo il morso vissero, € si mossero vegeti, come se non fossero stati punti più, che dai lo- ro pollini. Così fatta mancanza però di veleno nelle vipere sarde non è uno stra- no fenomeno, per la cui spiegazione con* venga andare in traccia di sottili argomen= ti; la mancanza del veleno nelle vipere sar- de è del tutto naturale; poichè le vipere sarde in sostanza non sono vipere. La sola mole ne mette tosto il sospetto: laddove la verace vipera è una serpe lunga-non sì di pollici ventiquattro incirca, di queste vipere sarde ne ho misurato tale, che giun- geva a pollici trentatre, e nondimeno le mancavano la testa e parte della coda; e în questa coda così tronca contai ben qua> rantaquattro di quelle laminette, delle qua> li la coda intera della verace vipera ne ha Solamente. un trenta o trentaquattro. Ma ciò che decide principalmente la quistio> ne, sono i denti. Di quei fieri denti ca- mini, li quali nella verace vipera sono tut- to insieme e lo strumento, per cui essa nei suoi accessi di collera si apre la strada all’ altrui sangue, e il reo canale, percui il ve- ieno all’ altrui sangue infonde, di quei den- ti non vi è vestigio nella vipera sarda. La vipera sarda ha la sua mascella inferiore guernita di denti, e due filze di denticelli ha essa pure nel ciel della bocca diretti ver> so il gorgozzule, nel che essa concorda cor altre serpi, e colla verace vipera; ma lad> ‘dove poi la verace vipera nella estremirà 48 della mascella superiore è armata di terri bili sanne ivi presso ai denti del palato; sanne quattro volte maggiori degli altri den. ti, vuote di dentro e accanalate sino all’ ultima punta, le quali }' animale raccoglie e spiega ad arbitrio, come il gatto fa la zampa: la vipera sarda invece di tali san ne è fornita di altri ordinarj denticelli pian= tati per tutta la mascella. Non è pertanto’ la vipera sarda verace vipera; e mancando essa precisamente degli arnesi, onde la ve= race vipera è fatale, non è da maraviglia= re, che essa sia innocente. Il colore, a cui per altro convien credere sì poco , è stata l'origine dell'errore e del terrore. Il co- lore di questa biscia sarda è veramente vi= perino; tutta la sua parte inferiore è ne- riccia, la superiore è di color di terra ca- ricato di macchie nere, al tutto come si wede nella verace vipera. Ar. vedere come in Sardegna si è pre- so per vipera ciò, che vipera non era, sì può diffidare ancora d’altrove, ec può tes 49 inersi con ragione non sieno sempre vipere quelle, che per vipere si spacciano; e al. ora si temerà con più ragione, quando al. la vipera vada congiunta la straordinaria qualità di hon essere velenosa. Così scrisse Pausania, che nella Arabia felice non so- no velenose le vipere, le quali dormono ne balsameti. Non trovo in verità ripu- gnante, che alcuna circostanza di luoga possa frastornare nella vipera la ingenera- zione del malnato liquore, il quale per il canale del dente cola nella ferita, e fa rap- prendere il sangue; ma pure ancora quelle vipere de balsameti, se non eraio velenose, non saranno state vipere. Le Isole princi- palmente sono cadute in questa pretensione di possedere vere vipere, ma spogliate di ogni veleno. Di così fatta possessione si vantano molte, e molte più si vanterebbo- no, se si ponessero a raccontare le foro imaraviglie. Con ciò sono esse venute dan- do occupazione agli scrittori, e occasione a strani pensamenti per ispiegare il fenomeno» 59 Chi disse che fe vipere delle isole immuni non ‘discendono da quella vipera infelice; del cui corpo ammantatosi il nemico sedus- se la prima donna a mangiare del frutto vietato, la quale vipera ne fu perciò ma- tadetta, cioè condannata ad essere rea e ve: tenosa in tutta la sua discendenza. Chi cer- cò ragion più naturale, e credette trovarla nell’ aura marina, dicendo, che aura sì fat= ta bevuta dalla vipera è un freno agli ele- menti velenosi, perchè non si raunino a piè delle fatali sanne: ‘chi pensò altre cosé peggiori. Questi autori probabilmente si presero briga d’una chimera, e prima di stancarsi spiegando, avrebbono dovuto as- sicuratsi del fatto: la qual cosa facendo ; probabilmente sarebbe cessato il bisogno di spiegare, e avrebbono essi trovato, ché le credute vipere non erano vipere; e pet avventura avrebbono trovato quella mede- sima spezie di biscia, che in Sardegna pus re si crede vipera. 5Ir FRATTANTO non esistendo in Sarde» gna la velenosa vipera, viepiù si conferme- ranno nella opinion loro quelli, li quali affermano ; che in Sardegna non esiste ani- mal velenoso alcuno. A questa pretensione pure sono assai soggette le isole, molte la armano, € fra le isole che hanno sosteni* tori di immunità sì fatta, si trova la Sar- degna (4. Anzi la Sardegna e la Irlanda si fanno camminare del pari presso alcuni scrittori: di maniera che la Sardegna è im- mune da ogni animal velenoso, non solo secondo la asserzione di qualche scrittore nazionale, ma medesimamente secondo la opinion pubblica. Non ho fondamento ba- stevole per contradire alla prerogativa del- la Irlanda: anzi mi parrebbe strano, se la Irlanda non fosse così immune come uom dice; da tanti scrittori si asserisce essa im» munità , e da scrittori non solamente anti- (a) Cosa maravillosa es; que en todo el reyno de Sar- degna ni sus islas non se halla niungun animal ponzonoso» Carillo Relagion, $. vi sz chi, ima moderni, e vicinissimi alla Irlane da, e non molto disposti a favorirla, cioè da scrittori Inglesi. Poichè adunque costane temente sì asserisce, credero che l'Irlanda sia un paradiso di immunità; che non vi alligni alcun animal velenoso, neppure delia piccola schiatta degli insetti; crederò che non vi sia nè serpe, nè botta, né scor= pione, nè pure ranocchi; e crederò che non solo animali sì fatti non vi nascono, ma che neppure vi reggono, qualora d’al- trove vi si introducono; e che medesima- mente quella terra benefica trasportata al- crove uccide, ove si spande, ogni velenoso animale (e). Ma alla Irlanda malamente si accoppia la Sardegna, e tra le isole immu- ni da ogni velenoso animale la Sardegna non si può annoverare con verità. Passione o inconsiderazione fu di chi ve la annoverò. Fara medesimo serittore sardo, da me al- trove già lodato, ma uom sincero, € uni- (e) Giraldus Cambrensis in Topograchia Hibernias 53 camente premuroso della verità non della meraviglia, combattè nella manoscritta Co- rografia immunità tale, e la combatte con ragione; poichè non sono pochi gli anima- li, che vi si oppongono, E primieramente senza. parlare nè di zecche , nè di vespe, nè di altrî insetti simili, sonovi pure in Sar- degna il rospo, e lo scorpione. Ma quan» do ancora nè il rospo ci fosse, nè lo scor- pione, sono forse favolose le due spezie di Solifughe? non sono esse saputissime in tut- ta l'isola? non conviene forse soccorrere contro il loro morso col potentissimo ri- medio del letaimajo e del forno? e se il soccorso tarda, non convien forse morirne, o rimanerne offeso per quanto si campa? per la qual cosa avvisò già Solino, che la Sardegna soffre dal canto della solifuga quel veleno, di cui essa va esente dal canto del. le serpi (@), Sarà pertanto la Sardegna una invidiabile isola per molti capi; sarà una (a) Quod aliis locis serpens, hoc solfuga sardois agris» s4 isola felice di messi e di nettari; una isola ricca di frutti, di metalli, e di animali. Sarà una isola immune da molti e gravi sconvolgimenti e meteore (4); una isola me- desimamente immune da molte infeste fie= re: ma non si potrà dire con verità, che sia una isola immune da ogni animale ve- lenoso. (2) Dei tremuoti appena vì è memoria; la gran- dine, e ituoni seno rarissimi, LE LAMPREDE. MIETPEVIRTE 77: "or dis )<+ dA did) a DI por porn MATT 3 L Se Lamprede di fiume non esisto- Wwf 2° in Sardegna; e sono perciò le lamprede a’Sardi un oggetto di sorpresa ugualmente che le rane, quan- do arrivati la prima volta in Italia le veg- gono mangiare sì ghiottamente; non rarda- no però a convertirsi, e coll’altrui esena- pio divengono in brieve lodatori. anch'essi non meno. di quelli apparenti lombrichi , che di quelli apparenti rospi; e ritornati nelle loro patrie non lasciano insieme. agli odo- rosi tartufi di Piemonte di ricordarne le sa= porite lamprede.. “LA Lampreda di mare non manca, e suol trovarsi fortemente appiccara colla bog ca alle feluche di fresco spalmare. (a) Petromizon, Lin. in sysu nat. x I CARTILAGINEI PIATTI scor: cho: 10D0o- «»{ diede Cpo++=Doar +e: tot pot anpor +) LA TORPEDINE. (9) È PINE: {C) OPIOSAMENTE sì pesca da ogni ® fangoso fondo marino la Tor- pedine; benchè alcuni pescatori affermano, che in maggiore quantità se ne pesca nella parte orientale della Sardegna» Sonoci torpedini occhiute , cioè aventi mac° chie a guisa d’occhi sopra il dorso; € so= noci torpedini schiette senza macchia. al- cuna; e di schiette solamente ne ho io ve- dute; delle quali il colore è quasi un co- lor di rubrica per tutto il dorso; e perciò quando nel dizionario di storia naturale del sig. di Bomare si trova scritto, che il dor- so della torpedine è del tutto bianco, (a) Raja sora levis. Ibid. 57 dos del'animal est. tour a fuit blanc. @); si deve ciò avere per un errore di penna, es- sendo così bianco non il dorso, ma il ventre, Poco misurata è altresì l’espressione dell’ autor medesimo, quando. egli dice, che la pelle della torpedine è senza squa- ine. sensibili : sa peaz ese, sans ecailles sen- sibles 5 poichè la. pelle della torpedine non ha squama alcuna nè sensibile, nè insensi- bile; la sua pelle è pelle pienamente sguer- nita e senza difesa; e non solo sprovvedu- ta. di squame, ma spogliata d’ogni pungo- lo, perfino d'ogni asprezza; di maniera che la torpedine cela la sua rea possanza di intormentire, chi la tocca, sotto la più innocente, apparenza. ‘DELLA sua carne non si fa grande sti- ma in Sardegna, e a torto per avventura: piuttosto che carne sembra essa una dili- cata gelatina, la quale fritta diviene un mangiare leggiero e sano; e in fatti la tor- (a) Vedi alla voce Torpille, 58 pedine si trova fra i cibi per leggerezza e per soavità lodati dal medico Galeno (A. LE RAZZE. (0) Aura Torpedine danno 1 Sardi il nome di Tremolosa; tutele altre spezie analo- ghe alla torpedine sono confuse sotto un nome solo, e vengono chiamate indifteren- temente Zirulie ; ‘nome venuto nell’isola non so da qual parte, e forse foggiato nell” isola medesima, atteso una spezie di so- miglianza, che si trova dalle razze e dalle ferracce al vispistrello; il quale in alcuni luoghi si chiama 7irio/. Sono le razze detestate da' Sardi nella comestione; spiace l'odore feridamente sal- vatico della toro sostanza, e spiace la me- (e) Lib. 3. alim. {b) Per Razze s'intendono quei cartilaginei piatti, li quali hanno bensì la coda piena di pungiglioni, ma non vi hanno ferro, col qual nome di ferro întendono pescatori un lungo osso dentaro come una sega; € quei cartilaginei, che di simile osso sono corredati alla coda, si chiamano Ferracce. 59 desima loro sostanza stopposa; poco per- tanto s’ accosta. loro la gente ne’ mercati, nè s' accostano se non bisognosi o economi. Per velenosi sono altresì tenuti i pungiglio» ni delle razze: perciò i pescatori recidono loro issofatto la coda e ?l muso ; altrimenti sarebbono senza remissione multati. La leg- ge di mutilare questi animali in sul posto medesimo della pesca, facendoli arrivare dal mare così sfigurati impedisce non poco il verificare a dovere, quante spezie ve ne abbia in questi mari sardi, Tra le code del- le razze procuratemi altre ne ebbi, nelle quali non si vedeva se non un semplice or- dine di fortissimi denti disposti nel mezzo della coda da capo a fondo; altre ne ebbi, ove olrre alla serie di mezzo ve ne aveva due altre laterali; ma queste due serie. la- terali non furono uniformi in tuite le co- de: in alcune code queste serie laterali non giungevano se non alla metà della coda; in altre arrivavano fino al fine ugualmente che la serie di mezzo. Nei corpi delle razze mu- 2 60 tilati altri ne ho osservati d’un fondo cine= rizio or ondeggiato di nero, or di nero semplicemente punteggiato: la quale spezie deve essere la ra;ja undulata di Ronde- ezio (4: altri ne ho osservati macchiati variamente di verdastro e di fosco; altri ne ho trovati colla pelle tutta liscia; altri col- la pelle aspra, ed anche essa armata come la coda or più or meno di sanne o denti. Più oltre non posso dire di questi pe- sciacci mercè la insuperabile difficoltà pro- Vata in procurarmene degli interi, Era non- dimeno il desiderio e l'impegno di procu- rarmene interi grandissimo , atteso che le razze mi parevano un campo tuttavia biso- gnoso dello studio de’ naturalisti, non an- Cora messo in netto, e pieno di confusione. Tra chi parla di razze non v'è concordia nè intorno al numero delle foro diverse spe- zie, nè intorno alle diverse forme de loro corpi. Rondelezio, il quale sul punto delle razze si può avere per il più solenne mae- (a) Rond. 1. Pisc. 436. GI stro, ne annovera e ne descrive da quindici spezie, e Linneo riduce tutta quella molutu- dine ad un terzo, non annoverandone se non cinque spezie (2). Aldrovandi afferma che alcune razze non hanno denti: alie cos (dentes) Aabene, alie carene (), e Linneo dividendo come fa le sue razze precisamen- re secondo la diversità dei, denti, ponendo in una classe le razze a denti acuti, nell’ altra le razze a denti ottusi: suppone che tutte ne abbiano. Ad una medesima razza, cioè alla razza ondeggiata, Rondelezio at- tribuisce tre ordini di denti ossia pungiglio- ni piantati nella coda, in cauda sunt eriplici ordine disposita (©, e Linneo non le accor- da se non un ordine solo: cauda unico acu- feorum ordine (@). Vergherei ancora due pa- gine, se volessi proseguire le contradizio- ni, le quali risguardo alle razze si trovano {a) In syst. nat. {) De Pisc. lib. 3. c. 48 (c) Apud Aldrov. Lib, 3. de Pisc. È 50» (d) In syst. nar- 62 presso altissimi naturalisti; per le quali sì vede, che il tratto di storia naturale oc- cupato dalle razze, è tuttavia involto di te- nebre e poco saputo. LE FERRACCÈ. a carne delle Ferracce è detestata dai Sardi ugualmente che la carne delle razze, e ugualmente ne sono temute le code. Perciò la sua carne pure è a vil prezzo, e l’ani- male uscendo dal mare viene di presente mutilato. Posso nondimeno affermare, che tutte le varie spezie di Ferracce conosciu- te nel meditertanco si pescano pure nei mari sardi. Si pesca primieramente quella spezie; la quale a cagione della sua coda lunga, tonda, e di color gialliccio somigliandosi alla radice pastinaca , più propriamente che le altre ferracce sì deve chiamare pastinaca. St pesca inoltre quella spezie di fer- taccia a coda corta, la quale i Napoleta- ni chiamano A/tavela, e Cuccio i Genovesi. 63 A questa ferraccia Linneo attribuisce dop- pio ferro ossia sega, ma solo posticamente dentata: aculeis duobus postice serratis. lo però ne’soggetti da me osservati non ho trovato se non una sega sola, e questa den- cata da capo a fondo in amendue i lati. Sr pesca il pesce Aquila, chiamato da alcuni pesce racco, ferraccia anch'esso, si- mile alla pastinaca; se non che la sua te- sta tondeggia più e s' assomiglia a quella del rospo, . Gesnero € Aldrovandi descrivono la coda d'una quarta ferraccia, la quale oltre all'essere accompagnata da due seghe, è tutta quanta orridamente seminata di stelle spinose; e di questa spezie di ferracce si parla per avventura in quei versi di Ceri- fco Calvaneo. » Era il suo legno quasi carovelle E come anfesibena , potea andare Innanzi e indietro, ed'ogni parte ha stelle, Sicché quel pesce pastinaca pare, CA Or che di queste ferraccè pure ve ne abbia ne’ mari sardi, ne posso far fede; poichè d’una coda simile alla descritta dà Aldrovandi ne fui già ‘presentato per usar la in luogo di frusta contro il cavallo. Sono le seghe delle ferracce veramente atte ad aprire c vincere qualanque fortis- simo legno; ma una molto più maravigliosa virtù ho udito attribuire loro da’ pescatori superstiziosi: le credono abili a vincere gli animi; perciò le si mettono indossò, dicen= do certe parole; e con ciò si tengono sicuri di conciliarsi qualunque animo vogliono. ‘ LA RANA PESCATRICE (l°. Que pesciaccio cartilagineo piatto, ché pare composto semplicemente di coda e di una testaccia immensa, chiamato Razza pes> catrice , sì estrae da’ mari sardi di tal gran dezza, che facilmente oltrepassa il pese d’un rubbio. La sua carne è detestata ugual. (a) Lophius depressus capite torundatio. Lin, syst. nati 65 mente che la carne delle razze e delle fer- racce; e riòn và essa pure se non nelle pentole della plebe. Per quanto ho osser- vato ;, assai bene è stato generalmente des- critto quest animale da varj autori; Linneo però merità alcuna correzione per risguardo al nùmero delle verghe , delle quali quest'ani- male è provveduto afline di pescare e man- tenersi; due sole gliene attribuisce Linneo: piscatur tentaculis binis capitis tanquatr linea } ed io talora ne ho trovato fino a ‘cinque; tre lunghissime di queste verghe ho veduto uscire dal capo fra occhio ed occhio ciascheduna colla sua carnosità in cima per adescare ; e dietro a queste ne ‘sorgevano altre due minori. ro squanro ll). Prisca ondsiata e spesso veduta ne mer- cati sardi è quella spezie di cartilagineo , ehe aggtuppa insieme le razze c i cani, par Ca) Squalus pinna ani nulla, ore terminali, Li.sy, nata 66 tecipando della forima d'amendue, cioè Jo Squadro. il quale realmente si può dire, che nel principio e nel fine del suo corpo è un cane, ed è una razza nel mezzo; poichè la squarciatura della sua bocca è collocata non sotto la testa, come. nelle razze, ma nella parte anteriore della testa, come ne'cani, ed in oltre la sua coda è ron- da e carnosa come quella de’ cani; ma poi dalla coda infuori il suo corpo è schiacciato quanto quello delle razze. Squadra o Squa= dro si chiama quest anfibio ancora da' Sardi. I CARTILAGINEI TONDI ossia CANE MARINI: LE grandissima quantità si trovano ne' ma- si sardi quei piccoli cani marini, li quali da’naturalisti vengono chiamati Carz/. Una sola spezie nondimeno è quella, la quale copiosamente si piglia, benchè i naturalisti più spezie ne contino, ed è quella spezie; la quale è colorata e macchiata quasi una vipera, c la quale da’ Toscani si chiama Gattuccio. 67 Tr Cane propriamente detto, quella ‘spezie cioè, la quale da' naturalisti si chia- ima Canis Galeus, e la quale facilmente si ‘può distinguere ad una apertura lineare fat- tale dalla natura dietro l'occhio, insidia gli uomini presso le spiagge sarde ugualmente che altrove; e le storie di persone improv- visamente addentate da simili cani, e altre tirate a fondo, altre infelicemente mutilate, altre miracolosamente salvate si raccontanò pure in Sardegna; ed a' mercati viene pure in copia la trista piattanza di questo animale. IL Mustelus levis, chiamato da'Sardi musola abita esso ancora in quantità per questi mari, Rare volte sì piglia il Pesce Porco, chiamato da’ naturalisti Centriza ; rare volte pure si pigliano lo Spinello chiamato Ga/eus Spinax, e il Nocciuolo detto Galeus Levis DeLLA sua presenza in questi mari dà molti segni il Cane carcaria (), e spesso (a) Squalus dorso plano, dentibus serratis. L. în 5y. Re 68 si mostra in persona. Î segni, che fanno fede della sua esistenza. si trovano in terra in compagnia di quegli altri monumenti, li quali fanno fede, che la Sardegna giacque già un tempo sotto acqua, e dove ora sol- ca l’aratro e sorgono vigne, nuotavano una volta pesci, e s'artaccavano l’ancore; ossia la Sardegna alla maniera di non poche altre parti del globo sorta improvvisamente dai fondi marini fra lo strepito di lampi e tuoni; ovvero sia essa venuta alla luce al tempo che cessando il diluvio il mare si prese a ritenere per se quello, che anticamente era stato terra, e agli uomini abbandonò quel- lo, che era già stato fondo marino (@, Conchiglie, ricci, granchi, ed altri corpi (a) La moltitudine incredibile di corpi marini, deî quali la Sardegna è piena , prova ad evidenza, che questà Sardegna un tempo non ci fu, e giaceva sotto acqua. Nella Storia de’ quadrupedi mostrai già per alcune os- servazioni, che la Sardegna doveva esser stata un tempo parte di continente, Si può pertanto dire con fondamento; che la Sardegna è srara un rempo fondo di mare; poi diventò continente, poi isola. 69 propri del mare si trovano in Sardegna nelle sue parti più rimote dai mari, e incassati nel cuor delle pietre, anzi fatti elementi di fortissimi marmi. Or fra questi moltiplici corpi marini si incontrano con frequenza quelle, che il volgo sardo ugualmente che il volgo maltese risguarda per lingue di serpenti impictrite, e le quali non sono alero fuorchè denti di cani marini; ve ne hia di diverse fogge, ma fra le altre glosso- petre ve ne sono delle grandi, triangolari , e dentate, le quali sono i meri denti del Cane Carcaria. Da queste spoglie rimaste si conosce, che quel Re de’ Cani soggiorna in queste acque. Ma una prova più imme- diata forniscono le tonnare, le quali, non rade volte pigliano il Carcaria, e sempre il temono. Il conoscono sotto il nome di Lamia, col qual nome pure l'appellano al- cuni naturalisti. Or le lamie sono l’ un degli oggetti più remuti da’ pescatori del tonno; talora però nell’atto di inseguire il tonno, rimangono esse medesime immagliare, e 70 coll’abbondante olio, che forniscono, com- pensano riccamente i pescatori, della paura. avuta. Lamie si pigliano in queste tonnare, che avran tre in quattro mila libbre di pe- so; nè minor mole si richiede, per ingojarsi un otto o dieci tonni interi per volta, come fanno. Detto Sturione l non ho altro mo- tivo di parlare, se non quel medesimo, che. ebbi di parlare della lucertola; cioè per di- re, che esso è incognito alla Sardegna. La piccolezza de’ fiumi sardi, che nelle loro foci medesime sono poveri e si disseccano, sarà non inverisimilmente la cagione, per cui questo sì lodato anfibio , intanto che esso fa liete di se le foci de’ fiumi italiani, del tutto si nieghi alle spiagge sarde, (a) Acipenser citris 4, squamis dorsalibus 11. Lin. sy. m. PR), À, n € da i I K |2 res 1 della Sardegna. provengono Ema di fiumi, dagli stagni, e dal mare. Quella spezie di gran ser batoi d'acque, che tramezzano il corso de’ fiumi, e. ‘che si chiamano. laghi, non è conosciuta in Sardegna; in Sardegna non v'è lago alcuno. ti PESCI DI EIUME. Meo di fiume sono proporzionati a’fit- mi medesimi: sono piccoli di mole, e po- chissimi di spezie, come i medesimi fiumi sono piccoli ed ignobili. Le spezie de'pesci GE £ 74 fiumali non sono più che due, ciò sono la Trota ‘e l'Avguilla. | dA LA Trota sarda s assomiglia alla trota svizzera, in quanto le sue macchie non so- no rosse, ma nere; € spessissime, con solo talora alcuna rossa piccolissima frapposta alle nere; la sua coda è biforcata, ed il color del ventre è sommamente argentino, quasi fosse di metallo. Duc libbre sono il massimo pesu di queste trote, ma comu- nemente una trota di mezza libbra è già tiputata. una trota grande. IH tempo della sua bontà è giudicato. quel mese, in cui tutta la natura è in vigore e in fiore, il mese di maggio, ® fra tutte le trote dell’ isola sono celebrate quelle di Ozieri. Ma in qualunque rempo, e in qualunque luogo si piglino, le trote sarde sono secondo la mia esperienza sempre esposte a sapere al- cuna cosa di fango. L’ Anguilla pure se giugne a due libbre, è una grossa anguilla; l’anguilla di Lbbre quattro è una sorprendente anguilla. Sonosi 75 nondimeno prese talora anguille di dodici e più libbre ;* ma allora st riguardano co- me un prodigio, € quasi si teme di pur mangiarne. L’ordinaria piccolezza di que- ste anguille le rende allo stomico di facile smaltimento ; e la loro grassezza e consi- stenza le rende di sapore eccellente. Ogni fiume sardo ne è proveduto, e in ogni rem- po sì pescano; ma nondimeno il tempo del- te gran catture viene al tempo delle piene? Allora il pescatore da ciascheduna riva del fiume fa partire due argini convergenti fra loro, e alla bocca rimasta fra due argini mantiene la nassa, ove le anguille traspor= tate dalla corrente vanno ad insaccarsi. Di wna intera stagione tarda pertanto la gran cattura delle anguille in Sardegna a parago- ne d'italia; poiche d'una intera stagione tardano le piene, non succedendo esse in Sardegna se non nelle vicinanze dello sol stizio jemale, mentre in Italia accadono presso l’equinozio d’aurunno. Fuori de'fu- mi ancora si pigliano anguille in certe poz- 2 96 Pai ze ossia: acque stagnanti; © succede mede- simamente a' lavoratori nello zappare la ter» ra di abbattersi in certi palloni di anguille aggomitolare insieme, che i Sardi chiamano mole. Ma e le anguille delle pozze, e le anguille delle 720/e non si debbono avere se non per anguille iscappate da’ fiumi; giac- che le anguille si dilettano di camminare per terra, e passare da luogo a luogo, ALLe pazze origini delle anguille pen- sate in conseguenza della oscura loro gene- tazione, va annoverata quella, che corre fra’ pescatori sardi, non inferiore di merito a quella, che allegò Plinio, facendo nasce- re le anguille dalla rastiatura della loro pel- le (4); nè a quella, che mise in campo Rondelezio facendole nascere da’ cadaveri de’ cavalli (0); nè a.tante altre ideate nel tem- po, in cui era lecito far nascere le più bel- le e le più gentili fatture di Dio dalla pu- (a) Anguilla atterunt se scopulis , & strigmenta vivee scunt , ‘nec alia est earum fpeneratio, (5) Vide Aldrov. de Pisc. db. 4. cap. 14a 7 tredine. Uno scarafaggio di quel I; che Linneo chiama Dyeiscus, e di cui fa- rò la descrizione nella storia degli insetti, soggiorna per i fiumi sardi; or questo viene da’ pescatori chiamato la madre delle an- guille: sa mamma de sas ambiddas (@, Corra trota e colla anguilla finisce tutta la ennumerazione de’ pesci rigorosa- mente fiumali; laonde in materia di pesci fiumali la Sardegna è veramente poverissi- ma, per un destino assai comane alle isole; delle quali alcuna, comunque maggiore del- ta Sardegna, nè pure giugne ad avere la anguilla, e si riduce alla sola trota. 0). A soccorrere tanta inopia de’ fiumi vie- ne alcun pesce dal mare; ciò sono il Mug- gine e la Laccia; ma de’ mugili non entrano ne fiumi se non i piccoli, e pochi; sicchè 1’ unico pesce avveniticcio di conseguenza è la Laccia ossia Chieppa. I Sardi non hanno altro nome per questo pesce, se non («). Le anguille sono oggi riconosciute per vivipare. {£) La Islanda. Vedi la storia d’ Anderson. 7$ il nome spagnuolo di Sadoga, segno per avventura, che dagli Spaguuoli appresero essi a conoscerlo, o ad apprezzarlo. Cinque sono i fiumi sardi, che ricevono la laccia: il fiume di Oristano , quel di Coguinas, il Flumendoso, il fiume di Utta, e quel di Bosa. L'ingresso si fa in marzo, e la uscita succede in giugno j; di maniera, che la lac- cia soggiorna ne’ fiumi sardi quasi il preci- so trimestre della primavera. Nega Aldro- vandi, che la laccia si scarichi delle uova ne’ fiumi, e s’appoggia della autorità di Strabone ‘); Willugbeio e Baltner attesta- no il contrario (©), e ’l contrario pure si ve- de in Sardegna, ove le lacce entrate ne’fiu- mi in marzo colle ovaje piene, si pigliano ‘ne fiumi medesimi già vuote in maggio, e molto più in giugno, e le uova stesse si (a) Pariunt in fine astatis non in ffuminibus , sed in mari, quemadmodum Strabo testatur, & usus compro= bat : in fuvus enim neque recens nata , neque effata ulle 3 sed majores omnes in utero habentes famina , aut mares seimne pleni capiunturo De iisc. lib.1V. Ca, 14 (b) Geofroy. de Mat med 79 vedono ondeggiare, seminate per i fiumi. Ali cempo che la laccia è in uoya viene essa da’ Sardi pure giudicata un eccellente pesce; e vVebbe già, chi la pagò tre paoli e mez- «zo la libbra; spesa enorme in un pae- se, ove il pesce è vilissimo , € paragona- bile ‘agli ottomila nummi da Asinio Celere profusi, per una triglia. Vico giudica le lacce del fiume di Utta le più saporite del- Ta Sardegna, e le antipone a quelle di Tor- tosa in Catalogna, le quali secondo esso so- no d'altra parte assai vantate in Europa (9), Certamente in quanto aila grossezza sem- brano notabili le lacce ‘sarde; arrivano esse a pesate ben dieci libbre, e le lacce del grandissimo Reno d'Allemagna non pas- sano le quattro libbre secondo Lodovico Baltnero (5). (a) En este rio (de utta) se crian les mojores sabogos que en atro niuguno, .. , y con tener fama de muy buenas Tas que se pescan en Tortosa de Cacaluna , afirmarè dezir que no liegan de mucho estas a las del rio de Wira, Hisc. de Sard. Par. 1. C. 4» (5) Apud Gcofroy. de Mat. mo fo) I PESCI di STAGNO. x LI stagni coronano intorno intorno tutta quanta la Sardegna; e se per una parte sono essi alla Sardegna cagione di non poca in- salubrità per effetto delle loro putride esa-* lazioni estive: riescono però i medesimi di altra parte di non poca amenità, e fornis- cono una abbondanza grandissima di cac- ciagione € di pesca. D’ogni maniera pesci accorrono dal mare agli stagni; ma i prin- cipali sono lo Sparo, la Orata, l’Anguil- . la, il Lupo, il Muggine; e quale stagno si vanta più dell'uno di questi pesci, e quale più dell’ altro. Lo stagno di Cagliari è celebrato per i suoi Spari in ottobre; il Ca- ligo d’ Alguer vanta le sue Orate in autun- no. Lupi ortimi e grossissimi fino a libbre dodici si pigliano nel Caligo pure, c negli stagni oristanesi; gli stagni oristanesi sono i più ricchi in anguille. 11 Muggine abbonda in ogni stagno; € si può. esso muggine in ragione di abbondanza e di consumo chia- maie il primo pesce di Sardegna, Ogni ma SK te, ogni fiume, ogni stagno somministra muggini; il muggine da ognuno si consuma in ogni tempo, presso mare e dentro ter- ra; si logora fresco; e sì serba profumato. La maggiore copia nondimeno ne proviene dagli stagni, e dagli stagni oristanesi prin- ‘cipalmente per tal maniera, che pesce di Oristano e Muggine sono quasi voci sino- nime presso a’ Sardi. Fra gli stagni oristanesi medesimi il più ricco di muggini è lo, stagno di Cabras in quel suo accesso, ossia posto avvanzato, che si chiama Mare Pontis. Fra Mistras e la torre partono dal mare più canali, che vanno a mettere capo nello stagno di Cabras; e in questi canali prima che essi arrivino allo stagno di Cabras, si trova Mare Pontis, che altro non è fuor- che abitazione di pescatori, ponti sopra i fossi, e ne fossi medesimi steccati e labirin- ti piantati di cannucce, ove il pesce viene da se stesso a imprigionarsi; Ora in questo posto principalmente regna la abbondanza del muggine; la fiera vi è aperta tutto l'an- 32 no; tutto l'anno vi concorrono vetturali & caricare muggine, che per tutto il regno si divide alle città medesime più lontane, e sedute in riva al mare, ove spesso arriva come un soccorso d'una piazza affamata, allor quando esse non ostante la vicinanza del mare, si trovano prive de’ suoi prodotti. La Peschiera di Mare Pontis forma quindi ana attuale ricca entrata della Casa Vivaldi, riguardevolissima famiglia di questo regno, e prima formava parte del real patrimonio; ma se ne privò Filippo Quarto , allora quan- do non ostante il dominio del vecchio e del nuovo mondo trovò il suo erario sì vua- to, che per combattere i Catalani dovet- te impegnare i suoi stabili (@). Non solo per l'abbondanza, ma ancora per la gros- sezza e per la bontà de muggini prevale Mare Pontis. I suoi muggini arrivano ad ol- trapassare le libbre venticinque; e sono di (a) Fu nell’anno 1652, che Girolamo Vivaldi acquistò le peschiere di Mare Pontis e di S. Giusta per il preze zo di scudi 143099 8; miglior sapore, e di facile smaltimento, per ragione che sono muggini fimmediata- mente vegnenti dal mare, e non ancora guasti dal lungo soggiorno ne’ fangosi stagni. Benchè la estate sia la stagione del maggio- te impinguamento del muggine, nondime- no non è allora il tempo della miglior sua comestione, almeno del muggine, che si piglia fuor del mare; poiche non è facile a concuocere, e s infetta del sapore degli stagni; ne mesi d'inverno è un pesce di buon sapure, sodo, e leggiere allo stoma- co; nè si costuma di mangiarlo con altra preparazione , se non di arrostirlo alla gra- ticola e bagnarne i bocconi in salamoja. OLtrE alla grandissima quantità del muggine , che in Sardegna si consuma fres- co, il muggine si secca, e fassene l'aringa affumata per i bisogni della quaresima. La preparazione per cio usata è quella mede- sima, che gli Inglesi di Yarmourt pratti- cano colla vera aringa. Il imuggine si lascia prima in sale; poi sospesolo in baracche ben chiuse, vi sì fa gian fumo per più 4 giorni; e allora il muggine seecandosi cat> gia come l’aringa il suo colore d’argento in oro. Non sogliono però i Sardi nè sven» rare il muggine, nè strapparli le branchie, come coll’aringa costuimano gh Inglesi. La Yarmout della Sardegna è santa Giusta; € da santa Giusta esconole gran provisioni di mug- gine secco , che i Sardi chiamano Mugheddu. UNA seconda pieparazione si fa del muggine , preparazione preziosa, a cui noî arriva la aringa; ed è la preparazione del- le sue nova. Dai muggini più grossi si trag- gono esse uova, € lasciatele nel loro natù- rale ‘amnio, ossia sacco, si aspergono di sale; poi si tengono compresse fra due ta- vole; nè in prepararle interviene punto il famo. Un vivo color rosso è il segno della loro perfezione; e il nome, che pi- gliano così preparate’, èil nome di Forrarga. Botrarga significava già presso a Greci ogni spezie di salume; ma oggi questo: nome si dà per eccellenza alle uova del muggine insalate; e in realtà non sono esse indegne di essere chiamate salume per eccellenza; 85 le uova del tonno, e il caviale (4) sono pre- parazioni di gran lunga inferiori alle uova del muggine. Risguardano pertanto i Sardi con ragione la loro bottarga siccome un frutto da potersi con onore presentare ad altrui; e perciò trasmettendo a'loro amici esteri i presenti di paste, di melarance, e di moscati, con successo. vi uniscono pure le bottarghe. Il tempo di questa raccolta prin- cipia alla metà di luglio; ‘e dura infino ‘al la metà di settembre; perchè in detto tem= po le uova del muggine sono più piene, siccome il muggine medesimo è più pros- pero e più pingue. Quasi in ogni luogo, ove si piglia il muggine, si fanno bottar- ghe in Sardegna, e quasi ogni luogo pre- tende avere le più eccellenti; la palma non- dimeno si deve ad Alguer; Alguer cede a Bosa il vanto della malvagia, contende colf Oliastra per l’eccellenza del vino, ma su, pera .ogni altra parte. della Sardegna per il zibibbo, e per le sue botrarghe. (a) Questo nome si dà alle uova dello storione , salare in botti, che vengono di Moscovia» I PESCI DI MARE. ob DIC GAB oplodit dc ep did toa To scatti iio DI ASCA È DI 9 L mare sardo non ha veruna spezie SENIO di pesce sua: propria co e hanno per avventura altre parti del mediterraneo; e delle medesime spezie comuni del medi- terraneo alcuna ne manca nel mare sardo. Ma generalmente parlando i comun pesci del mediterraneo si pigliano pure in Sar- degna, e cid in quantità grandissima: il Ton- no poi forma un grande articolo nella sto- ria de pesci sardi, e dona al sardo mare attualmente una grandissima preminenza. Ecco in brieve abbozzata la storia dei pesci sardi marini; alla quale verrò dando compimento seguitando l'ordine e distribu- zione di Linneo. Hanno i pesci oltre alle loro pinne del dorso, de’lati, e della coda, due altre pinne appiccate al ventre, le qua- 7 li Linnco chiama pied? de pesci, perche il pesce sopra esse punta, e si regge, e stà, quando tocca fondo. Or secondo le varie- tà occorrenti ne’ pesci per riguardo a cotai loro piedi, schiera Linneo tutti quanti i pesci in vari ordini, di maniera che se- condo esso Linneo altri pesci sono Apodi, altri Giugulari , altri Toracici, altri Addo- minali ; ai quali aggiunge per quinto ordine ì pesci Branchiostegi. Pesci Apodi , cioè, pesci senza piedi, chiama Linneo quei pesci; li quali non hanno pinne appiccate al ven- tre; pesci Giugu/ari chiama esso quelli altri pesci, ne’quali le pinne del ventre non istanno sotto le pinne lateralmente appicca- te al torace, chiamate g/e, ma sono col. tocate più innanzi verso la. gola ; Toracici chiama quelli, ne'quali le pinne del ven- tre sono sotto esse ale; e quelli, ne”quali le pinne del ventre sono più indietro delle ale, sono detti da Linneo Addominali. Quei pesci finalmente, che non hanno operculi alle branchie, nè certa membrana correda- 88 ta or di maggiore or di minore mumero di spine solita. ad essere interiormente attaccata agli operculi branchiali, vengono da esso appellati Branchiostegi (©). Secondo questa distribuzione Linneiana verrò adunque trat- tando de’ marini pesci sardi. PESCI APODI: Rua Murena , il Grongo, la Serpe mari» na, il Miro sono pesci del mar sardo. La murena si piglia in copia grandissima da ogni lato, or fra gli scogli con forcina, or con cestelle in più alto mare; e giugne essa a pesare «talora ben dodici libbre, ed è di sapore ottimo principalmente in no- vembre. Non convien credere a Bomare, che questo pesce abbia le spine del suo cor- (a) Apertura instru@a opesculis pinnaque branchiali : dum Pinna ventrales vel nulle omnino, APODES. I: ante pinnas pe&orales, JUGULARES. 2. sub pinnis pe&oralibus, THORACICI 3. pone pinnas pe@orales, ABDOMINALES. 4. Desticuta operculis pinnisve branchialibus. BRANCHI. OSTEGI. 4, In sysr. nar. So po collocate, al rovescio di tutti gli altri pesci, cioè dirette non verso la coda, ma verso il capo /es. areres, qui dans tous les autres poisons sons penchées vers la queue, sone rebroussées dans celui-ci (2); Que- sta notizia è ben essa al rovescio della verità. E poichè Bomare pure, ed alcuni altri autori fanno questo pesce macchiato di bianco , forse perchè così è macchiato nei mari loro: sa peau est lisse et vachetée de blanc, dirò che le murene sarde sono mace chiate di giallo. Bomare chiede inoltre se le murene sono ovipare , o pure vivipare, incarica gli osservatori presso al mare di decidere questo punto; ed io a ciò rispon- dendo dico, che non ho trovato nè pesca- tore nè cuoco alcuno, il quale abbia mai trovato in corpo alla murena i figliuoli vi- vi, come si trovano in corpo delle vipere, de’cani, ed altri simili animali. (a) V. il Diz, alla voce Murene, go: In minore quantità della murena si pesca il meno della murena stimabile Gron- go, contro esso. pure. si calano cestelle in alto mare con entrovi l'adescatrice sepia, e vi si. pigliano Gronghi maggiori d'un terzo. delle. massime murene. lr Serpente marino, benche si peschi ne' mari sardi, non sembra però bene co- nosciuto da’ Sardi; poiche viene esso riputa- to un anguilla, e anguilla di mare si chiama, Due segni per altro assai.visibilmente il distine guono dall'anguilla; pilmieramente i suoi. occhi. sono grandissimi, di maniera che le loro periferie per poco non. arrivano a. toc- carsi; in secondo luugo laddove. nella an- guilla la mascella inferiore. è lunga più del- la superiore , questo eccesso nel serpente si trova al contrario nella mascella superiore. Di questo. secondo carattere vorrei, che si: facesse uso a. correggere la descrizione del serpente presso Linneo. Per quanto parmi la descrizione del serpente presso questo autore è identica con quella dell’immediata- 91 mente precedente Ophis. L’ophis viene des- critro così: Murena cauda aptera cuspidata, corpore tereti ; ed il serpente così si descri- ve: murena cauda aptera acuta, corpore sereti. (4), Qualora si dicesse: murena ma- xilla superiore longiore, parmi che il ser- pente nostro sarebbe assai meglio divisaro. Cor nome di pesce Fico mi è srato pre- sentato il Miro, 0 Simiro pesce delicato, con sue barberte appiccate al mento, e orlato di nero in tutta quella sua pinna, la quale partendo dalla nuca corre tutta in un pez- zo fino alla estremità della coda, e ivi dan- do volta prosiegue fino al ventre. Non è molto copiosa la pesca di questo pesce, e quest’ anno in primavera si è esso per av- ventura pigliato in maggiore quantità del solito; nè a me è avvenuto di vederne se non de lunghi circa mezzo piede parigino, OLTRE ai quattro esposti pesci e la anguilla, comprende Linneo. sotto il ter- {e) In syst. na, 93 mine di Murena, primo genere de'suoi apodi, due altri pesci, l'Ophis, e la Ceca. Dello ophis non ho cognizione in questi mari; nè della ceca; la quale per avventura sarà quella spezie di curiosissime, e finissime an guillette , che i Toscani pescano a Pisa, e a Viareggio, e le quali essi chiamano Cieche, che che in realtà si debba dire della vera- ce cecità loro. Doro il genere AMurena sei altri gene= ti di apodi, ma contenenti non più di spezie otto, rimangono presso Linneo. Di queste otto spezie due sole siccome cognite nel mediterraneo, si pottebbono presumere famigliari ancora alla Sardegna; ciò sono la Fiattola, e lo Spada. Ma la Fiattola, pet quanto io so, è quì incognita, e lo Spada è raro. La fiattola piccol pesce, ma dilica- to di carne e gentile di colori abbonda nel mare romano, e per poco non è proprio del solo mare roinano per quanto testifica Rondelezio. Sicche la mancanza della fiat- tola non sarebbe punto nuova in Sardegna. h i 93 Nuova bensì potrebbe parere la-rarità del- lo spada. Lo spada in tutto il mediterra- neo si pesca, e si pesca in ogni stagione, e nella vicina Sicilia se ne fa grandissima cat- tura, di cui si trova menzione infin da quando Ulisse era errabundo per i mari Pare propriamente, che quel pesce guerrie- ro ami i tumulti, e le mischie, e che per- ciò tanto avidamente accorta al Faro. Im mezzo a questa pesca, che dello spada si fa ne vicinati della Sardegna, la Sardegna nol piglia se non al tempo, che passano î tonni, e .il piglia in quantità pochissima. Ai tempo che i tonni passano, passa pure lo spada, ma.alla maniera d’uno sviato, ‘che ha smarrito il suo vero cammino. Quasi temo di dire troppo, dicendo, che le spade, quante annualmente se ne piglia in tutta l’estensione del mar sardo, arriveranno for- se a due dozzine. Sono pertanto le spadé considerate quasi un accidente, e una fortu- na; e perciò chi dispone alla tonnara, ne fa presente a chi giudica, siccoine di cosa 94 rara; e sono essi în realtà presenti stimabili più per la rarità, che per altro, essendo or- dinariamente spade grosse, arrivanti a tre quintali di peso, e perciò spade, che di molto hanno già oltrepassato il vero segno della loro delicatezza, propria soltanto del- le spade piccole. Lo spada, di cui parlo, è quel pesce apodo, la cui mascella superiore s' allonga in figura d'un potentissimo pugnale, pesce chiamato \Yiphias, ovvero G/adius da' natu- ralisti, e ottimamente conosciuto da ognuno. Perciò mi rimango dal farne veruna descrizio- ne, benche una descrizione sembrerebbe ne- cessaria a vedere quanto riguardo a questo pe- sce occorre in iscrittori recentissimi, e dottis- simi. Non sì potrebbe parlare peggio, se lo spada fosse un pesce stato pur ora scoperto in qualche mondo scoperto anch'esso di nuovo. La chiarissima Enciclopedìa ne ha fatto inci- dere la figura nella tavola cinquantesima prima insieme colle figure del pesce Sega, del Can marino, e del pesce Balestra; e di i 95 uîti le quatfro ‘questi pescì, dice ‘essa, che sono pesci cartilaginei, cioè pesci, li quali invece di ossa e di spine sono forniti di mol- li cartilagini: /es quartre poissons de cette \planche sont dù genre des poissons cattila- gineux,c est a dire, qu'au lieu d'os & @'aré- tes ils n'ont que des cattilages souplesj; e -più oltre, dice essa, che tutti e quattro questi pesci sono vivipari: /es poissons car- vilagineux de cette planche sont vivipares, Che la Sega, il Cane, la Balestra sieno car- tilaginei e vivipari, ciò è benissimo detto; ma cartilagineo nè viviparo non fu mai lo Spada; spinoso è lo spada; i suoi maschi banno datti, e vivipare sono le femmine; ed è veramente un gran peccato, che in una opera destinata ad essere il fondaco di ogni vero sapere si introducano errori nè pure stati mai pensati prima. E che dirò del dizionario del sig. Bomiare, ancora cor- retto e ricresciuto sino a nove volumi? dello spada, pesce così noto, nè pure ci si fa menzione, Ho trovato nell'indice di questa 210) opera i nomi di Xiphias, di Spada, di Pe- sce Imperadore, nomi tutti che significano il vero spada; ma poi l’autore per la des- crizione dell'animale corrispondente a' detti nomi rimanda all’arricolo della balena; ed ivi il pesce Imperadore or si distingue, or sì confonde collo spada; poi per pesce Im- peradore si descrive un pesce Gronlandese tutt'altro dallo spada, e per pesce spada {espadon) si descrive il pesce Sega; sicche per il vero spada non v’è luogo, nè men- zione ne’ nove volumi. PESCI GIUGULARI: DI i CW n pesce giugulare bene conosciuto e fa- migliare alla Sardegna è quel pesce, acuila collocazione de’ suoi occhi nella più alta cima della testa, quasi fossero sempre di- retti al cielo, ha fatto dare i più orrevoli nomi. Gli antichi Greci appellandolo Ura- noscopo, cioè osservatore del firmamento, lo hanno riguardato come un astronomo; ‘e i moderni Italiani lo hanno trattato da ad divoto, chiamandolo Pesceprete. I Sardi il ‘chiamano con meno onore cuccu, cioè cuculo, La temuta Ragana è pesce sardo anch’ essa, conosciuta col nome di Ragno. L' Al- drovandi e l’Artedi contano al numero di cinque le velenose spine, ‘le quali sono collocate alla prima pinna dorsale di que- sto pesce; a me è avvenuto di contarne alcuna volta quante ne contò Gronovio , cioè sei, altra volta quante ne contò Arte- di; dal che si vede che le spine nelle pin- ne de’ pesci sono come le vertebre ne' corpi degli altri animali soggette a variare di nu- mero ne diversi individui d’una spezie me- desima. Der genere de’ Naselli, chiamato Ga- dus presso a Linneo, la Sardegna è assai scarsa ancora in confronto di altre parti del mediterraneo; nè è maraviglia, poiche que- sto genere di pesci si fa sempre di mano in mano più scarso, a misura che cresce l’allontanamento dal Norte. Il Norte è la regia de’ naselli: ivi nella aquilonare Islan- 98 da, e nella contigun Notvegia i naselli sono l' occupazione, l’ alimento, l'unica ricchezza de’ popoli (2); e nel settentrio- ne americano () formano i medesimi un oggetto della avidità de popoli d’ Europa. Forte quasi altrettanto, che i metalli del Perù ; e sono stati il tizzon della gucr- ra fra le più possenti nazioni Europee, e l'articolo delle più dolorose cessioni nei trattati di pace (©). Trenta e più mila uomi- ni s occupano annualmente alla cattura dei (a) Sconefeldio riguarda i naselli conceduti al sette» trione come un'riro della providenza divina per supe plire alla mancanza del fromento e di altri generi ne- gati a que’popoli per l’asprezza del clima. (6) La immensa secca, lunga quattrocento ottanta rbiglia situata rimpetto all’isola di Terra - nova presso al Canadà, è la principale stazione de’ naselli in Ame- rica. Un selo pescatore ariiva a pigliarne coll’ amo quar- tro cento in un giorno. (c) Alla pace di Utrecht cedette la Francia all’ In- hilcerra la rotale possessione dell’ Isola di Terra-nova insieme colla Acadia. I Francesi per rifarsi di tal per dita presero l’anno 1713 possesso di Capo Breton, e vi fondarono la pesca de’ naselli; ma Capo Breton preso due volte dagli Inglesi con forza , è rimasto esso pure in poter loro alla pace. va roli maselli americani (4), la metà del mon- do li riceve variamente preparati; e le na- zioni padrone della loro pesca si rifanno con essi di quanto ‘alle altre nazioni sono ‘obbligate di sborsare per le produzioni lo- ro più preziose (5). Questa abbondanza e ricchezza de’ settentrionali naselli è formata principalmente della spezie chiamata in lin- guaggio settentrionale Cadellau, la quale voce piacque ad Aldrovandi tradurre Cape/- lano ; spezie di fecondità sì prodigiosa, che in un solo pesce quasi dieci milioni d’uova contò assistito da suoi maravigliosi micros- copj il veramente pazientissimo Olandese Leewenokio (©. Il capellano insalato o sec- cato va per ogni lato dell’ America e dell’ Europa (4). Al capellano molte altre spezie (a) Sedici mila pescatori franzesi s’occupavano alla pesca de’ naselli prima della perdita di Capo Bretone, dieci e più mila Inglesi; senza contare altre nazioni. (6) La sola Spagna riceve annualmente merluzzi pet il valore di 437500 piastre. Ustariz Teoria del Comm. (c) NÈ osservò 9344000. (4) Baccalà , Merluzzo , Stochefisch, Laberdon sono tutti nomi d’ uno stesso Cabelìau diversamente preparate. Too di naselli a moi sconosciute fanno corte iù que mati: vi abbonda lo Scheltiscio, chia- ‘mato da’naturalisti Agiefinus, esca ghiot- tissima per attrappare il medesimo cabeliau; vi abbonda il Merlano (ase/lus \candidus) + il Drosch (asellus varius), il Carbonajo (asellus niger) ed altri ancora. Tutte que- ste spezie durano infino dl mare germanico; ma sempre scemando di quantità a misura che cresce l'allontanamento dalla regione ‘polare; e nell'oceano franzese non si0trova più se non il mertlano, e nel mediterraneo il medesimo meilano cessa. I naselli del mediterraneo si riducono al verace Nasello, alla Tinca marina, alla Mustela, e per quanto ‘io so, ad'un ‘altro maselletto a tre pinne sopra il dorso. Per verace nasello in- tendo quel pesce, che fu già dagli antichi Greci chiamato Onos, e Asellus dagli anti- chi latini; e questo come anticamente si tro- vava nel mediterraneo, così oggi pure vi si deve trovare, e non può essere altro se noîì quel pesce appunto; che oggi in Italia si IOL chiama nasello, come evidentemente mostra la identità del nome presente col nome an tico. Non trovo questo pesce fra i Gadi di Linneo: due pinne sopra il dorso ha il na- sello italiano ; ha la mascella inferiore più longa della superiore; ma non ha barbette al mento; e con questo complesso non ci è Gadus alcuno presso Linneo; sarebbe il Merluccius di esso autore il nasello in quistione, e ciò ancora atteso il numero delle spine, che si contano nelle diverse sue pinne, nel quale il mer/uccius di Linneo e'l nostro pesce concordano pienamente insie» me; ma il rerluccius è barbato, e barbaro non è il nasello. Linneo adunque sbagliò ap- piccando barbetre al mer/uccius, o il nasel- lo del mediterraneo non è stato da lui re- gistrato.' Nè pure la Tinca marina, o co- me altri il chiama, il Pesce Molle trovo io presso Linneo. Parebbe d'esso il Gadus Molva; ma osta primieramente il troppo diverso numero delle spine piantate nella prima pinna dorsale, delle quali il A0/va ro? ne ha quindici, e le tinche da me os- servate ne ebbero dieci a} più, sono in secondo luogo nel molva distinte luna dall’ altra la pinna anale, e la pinna cau- dale; e nella rinca una sola pinna corre dal- lo sfogo anale infino alla estremità della coda. La Mustela si trova registrata presso. Linneo col suo nome medesimo di mustela; e potrebbe bene il piccolo nasello da me conosciuto essere il Gadus minutus di esso autore, Or di questi pochissimi naselli co- nosciuti nel mediterraneo la Sardegna anco ra meno ne conosce, che le parti del me- diterraneo più settentrionali. L'Italia pesca il vero naselio con bastevole quantità da poterne ancora trasmettere spesso dentro. terra, e rare volte e piccolo il pesca la Sar- degna, di maniera che apparendo ne’ mer- cati, esso vi diviene un soggetto di quistio- ne chi egli si sia, e un campo da farsi onore a più periti dicendo, che è un mer- luzzo. Rara pure è la mustela, e raro è pu- re i piccol: nasello fornito di tre pinne al 10} dorso, e d’una barbetta al mento, che ho giudicato poter essece il Gadus minutus di Linneo. La tinca marina è l'unica spezie. de naselli, la quale in convenevole quanti» tà si tragga dal mare sardo, e si trae gros- sa fino al peso di libbre cinque. 1 Sardi la chiamano Mollia con voce forse originata dal nome m0//e, con cui esso pesce si chia» ima nell Adriatico, atresa la reale mollezza della sua carne, per la quale questo pesce medesimo in alcuni luoghi si chiama pesce Fico quasi esso fosse un fico appassito. La sua mollezza scompagnata da ogni altra pre rogativa il rende comunemente poco sti- mato fra’ Sardi, siccome è per tutto altro- ve poco apprezzato. FrA° pesci giugulari venutimi alle mani non ho mancato di trovare il B/eazius ocel- laris; pescetto di scoglio, e facile a distin- guersi ad un bellissimo occhio nero, cit- condato d’ un cerchio bianco, di cui và insignita la sua prima pinna dorsale. Mi è ancora capitato il pescetro da’ naturalisti ac- 104 compagnato al Blennius e da loro appellato Pholis, 1 pescetti piccoli poco interessano i pescatori, e però difficilmente si veggono e facilmente sfuggono alle ricerche de’ filo- sofi. Perciò, comunque io non abbia vedu- to le tre spezie presso Linneo, comprese sot- to il genere Ophidion, non ardirei dire; che di loro sia digiuno il mare sardo. PESCI TORACICI. Rie spezie dell’ordine Toracico sono le più abbondanti nel. mare sardo, € sarebbe. maraviglia se fosse altrimenti; poiche es- sendo le spezie toraciche le più abbondan- ti in natura, a segno, che formano esse so- le la metà dell’intiera razza de’ pesci, be- ne è naturale, che ancora nel mare sardo le spezie toraciche sieno le più copiose Quel pescetto sì vagamente smaltato di colori, che gli antichi Latini chiamarono Rasoio (novacula) , forse perche ad ogni cosa, che toccasse, appiccava al dir di 105 Plinio (@, odor di ferro, quel pescetto di- co frequente ne’ mari di Rodi, di Sicilia € di Sardegna, ma raro altrove (), forse è raro ancora nel mar sardo, e perciò non mi sarà avvenuto mai di vederlo, Unito al Rasoio si trova presso Lin- neo sotto il medesimo genere Coriphena il Pompilo , ed è questo un effetto del me- todo di Linneo di voler distribuire î suoi ordini di pesci in generi secondo il nume- ro di quelle spine, le quali si trovano nel- le pinne branchiostege. Gli autori ei pes- catori concordemente risguardano il pom- pilo per una spezie somigliantissima al ton- no; ed è la sua somiglianza col tonno così grande, che qual chiedesse a’ pescatori al- cuna descrizione del pompilo , dieci volte gli risponderebbono, che esso altro non è fuorchè un tonno, a riserva, che è più pic- colo. Ciò fa vedere che la somma delle somiglianze col tonno è assai maggiore, che (a) Lib. 32. c.7. (b) Aldr. de Pis. lib. 2.c. 27. 196 non quella delle somiglianze con altri pe>. sci; ciò non ostante, perche esso pompilo non ha nella spa membrana branchiostega se non cinque:spine, o come dice Linneo, raggi, e il tonno ve ne ha sette, conviene al pompilo partire dal tonno, e andare a porsi in fila col rasoio sotto la cartella Co- riphena. Il sardo mare non ignora questo pesce, ma il conosce solo in primavera, come viaggiatore che passa; nè gli rende agguati, e il lascia passare tranquillamente. Ancora su questo punto si migliorerà la Sardegna un tempo, e verrà stagione, in cui popoli più orientali della Sardegna si lagneranmo della decaduta loro pesca del pompilo, e conosceranno di averne l'obli- go alla Sardegna, fatta più accorta sopra i vantaggi della sua situazione; per la quale può essa salire nel mediterraneo al princi- pato di molte pesche, come ora occupa il principato. della pesca del tonno. MazzoNE chiamano i Sardi quella spezie di Giozzo nericcio, che i naturalisti 107 chiamano, Gobbius niger. La appellazione sarda è veramente singolare, poiche max- zone significa fra'Sardi in alcune patti vo/- pes nè si vede per qual verso il ghiozzo si debba meritare un tal nome. Non sarà congltiettura improbabile il pensare, che mazzone venga corrottamente da /issorî, col qual nome il ghiozzo si chiama in al- cune parti d'Italia; giacche i Sardi dalla Italia generalmente hanno preso i nomi dei loro pesci , siccome attualmente ancora ne ricevono i pescatori. Questo ghiozzo si pesca in ogni lato della Sardegna, ma scar- samente, a riserva del mare di Cagliari, il quale si distingue colla abbondanza di que- sto non grande, ma buon pesce. Altri ghioz- zi oltre al nero si troveranno per gli sco- gli, e per gli stagni, ma la loro piccolezza, e poco pregio li rende ignobili e sconosciuti. Due pesci assai comuni nel’ mare sar- do sono lo Scorpione, e quella che fu già da Rondelezio e da altri autori malamen- te creduta fafemmina dello Scorpione, cioè 108 la Scorpèna. Facilmente intenderanno i Sar- di qual pesce si significhi col nome di Scor- pèna, poiche essi pure con poca variazio- ne il chiamano scorpiza; ma qual sia lo Scorpione non intenderanno facilmente , poiche ad esso pesce danno essi un troppo altro nome. Il chiamano pesce Capone, mossi da quel suo veramente grandissimo capo, traducendo allo Scorpione quel no- me, che in alcune parti d’Italia si dà all’ Organo , pesce di grandissimo capo anch’ esso. Amendue questi pesci sono in questi mari di buonissima carne; amendue sono temuti per i colpi delle loro spine, nè sò che la scorpèna si debba temere meno dello scorpione , comunque Aldrovandi il dica. La scorpèna certo è un crudel pesce: alle altre crudeltà sue aggiunge essa an- cora quella di divorarsi intieri i pesci del- la medesima sua spezie. Contro Lucio Columella, il quale asserì , che nel solo mare atlantico alligna il pesce Fabro (2), mille clamori sonosi ele- fa) De re rust. lib. 8. ca. 16. ÎIc9 vati dal mediterraneo, facendo richiamo contro sì fatta prerogativa all’ atlantico ma- re attribuita. Loro richiami hanno fatto la Gtecia, l'Italia, la Gallia; dicendo, che esse pure e posseggono il fabro ora, che esso st chiama san Pietro, e il possedettero anti- camente, quando aveva nome Giove (Zeus.) A questi richiami si uniscono i richiami della Sardegna; mon da tutte le bande però richiaima la Sardegna ugualmente, dalla sua banda settentrionale pochi richiami si fanno contro Columella, perche il pesce contro- verso poco ci si pesca; ma nella parte oc- cidentale si richiama assai, ove il pesce san Pietro è frequente, e grande, e buono. Ra- ro però o nullo in ogni parte dev'essere que! collega del pesce san Pietro colorato di rosso, chiamato da’ naturalisti Aper; ben- che il medesimo nel mediterraneo si pes= chi nelle vicinanze d'’ Italia. Come il mediterraneo è povero di mnaselli in paragone dell'oceano settentrio» nale, così in paragone dello stesso oceano Irò è esso pur povero di que pesci, che detti altri Rombi, altri Passere, altri Sogliole, vengono compresi tutti quanti presso gli antichi scrittori sotto il general nome di Pesci piani spinosi, e presso il moderno Linneo sotto il nome P/euronecres ; pesci di strana figura, ove ogni legge di simme- tria è rotta, rotto è ogni ordine di collo- cazione, e perfin sembra contrastato l’evi- dentissimo assioma, che la metà è meno del tutto (@). L’immenso F/ersaz non si mo- stra fuor dell'oceano, e si fa gigantesco presso gli Islandesi fino a pesare libbre quattrocento. La Lima non esce essa pure (a) 1 Plcuronetti pajono la metà d’ un pesce spaccato giustamente per mezzo ; dall’un lato sono co- lorati, dall’ altro ove pare seguita la spaccatura, sone bianchi. Hanno inoltre la stravaganza di avere amendue gli occhi da una parte medesima. Quelli, che hanno gli occhi dalla loro parte sinistra, si chiamano Rombi; e. quei che gli hanno dalla parte destra , se son di figura bislunga , si chiamano Sogliole ; se la figura tira al circolare , si chiamano Passere. In Latino di: rassi Rhombus , Soleà, Passere sù ‘dal imare settentrionale, e seccata al vento pasce assai popoli di quelle regioni al mo- do de'naselli. F/ez e Fleteler sono pure no- mi di pesci sconosciuti a noi, e volgari fuor dello stretto verso settentrione. Il medesi+ mo Rombo sì spesso lodato dai cantori ro= mani, qual esso alligna nel mediterraneo, non è che un tisico e meschin rombo in confronto del rombo inglese e fiamingo E. quando mai nel sì vantato Adriatico si pigliò rombo da stare al paragone eo’rom- bi dell’ oceano? Il vastissimo rombo, fat- to degno di storia, preso a tempi dell’Im- peradore Domiziano, che vista fà mai in confronto del rombo dell'oceano veduto da Rondelezio con venti cubiti di superficie, e un piede di grossezza? Quanto però nella sua scarsezza possiede in questo genere di pesci il mediterraneo altrove, il possiede es- so ancora in Sardegna. Il rombo, cioè il verace rombo, quello che è liscio del tut- to., che fu già per la bontà sua chiamato Fagian di mare, si piglia in Sardegna, ma il: non con assai frequenza; e si pigliano pu- te, ma scarsamente del pari, i rombi aspri e pungenti.. Con assai frequenza si piglia la sogliola chiamata da’ Sardi Palaja; e singolarmente abbonda essa dalle bande di Oristano e di s. Antioco, ove arriva a pe- sare le due e ancora le tre libbre; e con essa si confondono ne mercati ancora le Dassere. Ir mediterraneo si rifà della sua scar- sezza in materia di naselli e di p/euronetri colla abbondanza di quel genere di pesci schiacciati per lo più,e sapotosi, che Lin- neo intitola Sparus. Ventidue spezie ne ane novera questo autore; e alla riserva d'un cinque o sei spezie proprie delle Indie, e d'una spezie propria del lago di Genezarette, tutte le altre sono spezie principalmente proprie del mediterraneo. La Sardegna con» tribuisce in questo punto prodemente alla prerogativa del mediterraneo , non mancans do di veiuna di queste mediterranee spezie. T13 Les Otate oltre agli stagni si pigliano ancora nel mare; e comunque le orate degli stagni medesimi sieno eccellenti in autun- no, principalmente quelle dell’ algherese Caligo, nondimeno le più famose Orare del regno sono le orate del mare d' Iglesias, In quel mare oltre alla bontà della sostan- za , acquistano le orate una srandezza da giungere perfino a pesare quasi libbre ven- ti, grandezza la quale mi è paruta rara, e da non tacere, allora quando lessi in Al- drovandi, che le orate massime appena ar- rivano a pesare libbre dieci: ad denas Zi bras, cum maxime adolevie (aurata) vix pervenie (@). Della orata di Linneo non so che mi dire: la orata avuta sotto l’occhio da questo autore aveva per macchia una macchia nera alla coda: in meo exemplari macula nigra ad caudam ©); e le orate sar- de, come pure le orate di altre parti del mediterraneo, non hanno macchia veruna (a) De Pisc. lib.t. cc 850 (b) In eyst, nas. DI4 alla coda; sono bensì macchiate, mala lo> ro macchia è applicata agli operculi bran- chiali, nè essa macchia è nera se non in un piccolo segmento, e nel restante è rossa. Questo pesce in tutta quanta la Sardegna si chiama Canina, toltone in Alguer, ove si chiama orada. | DeLro Sparo già feci menzione pare lando degli stagni. SaRAGO chiamano i Sardi con po- ca alterazione di parola il Sargo; e co- piosamente ne sono popolati gli scogli marini. Linneo colloca il Sargo fra gli Spa- ri, e tutto insieme. fra i caratteri distintivi del suo genere Sparus mette ancor questo di avere cinque raggi o spine nella mem- brana branchiale. A me esaminando qualche sargo, è paruto trovarne sei di raggi sì fat- ti, e sei ancora mi è paruto trovarne nel Dentice, il quale è sparus anch'esso presso Linneo; e simili discrepanze dal numero di Linneo mi è paruto trovare ancora in altri generi di pesces Non parlo della mia 115 osservazione, se non dubiîtando; perche contro uomini della autorità di Linneo non pare permesso se non di dubitare al più. UN pesce assai simile al sargo di fi- igura, e di colore, e uguale di grandezza sì pesca in questi mari, non però frequente- mente. L'ho udito chiamare da’ pescatori genovesi Purcazz0; nè il trovo in Linneo, alcui genere sparus dovrebbe appartenere. Puntuto è il suo muso; la pinna appiccata alla estremità della coda è semilunare, € tutta nera nella parte concava. Ir vergato Melanuro con suo occhio nero alla coda, ossia la Occhiata copiosa- mente sl pesca. Ma fra quanti pesci abbondano nel mare sardo si distingue tra gli altri in quantità il Zerro, o come altri dicono, Gerre, 0 se più piace lo Swzaride. Una evi- dente prova della sua abbondanza è il po- co prezzo, a cui si vende, non ostante che esso pesce sia l'uno de’ più saporosi pesci da poter contrastare colla sardina e colla 116 acciuga; e che in Sardegna esso si manten- ga in tutta la perfezione della sua bontà. Per tale sua bontà i Sardi ne sono estre- mamente ghiotti, di maniera, che l’arrivo dello smaride in casa rallegra la famiglia, nè più ferocemente si pugna dai provve ditori intorno alle corbé de’pescivendoli ; se ron allorà quando hanno risaputo, che là dentro v'è il giarretto, come il chiama- no. Or questo buon pesce arriva talora a mon valere più de’tristi gatti, e de tristissi= mi cani; si è spacciato talora a due denari la libbra, e il suo ordinario prezzo è dei più infimi. Sassari il tassa a un soldo la libbra, che è quanto dire a un sesto di paolo; e a un soldo pure il tassa Alghero; e di questa viltà di prezzo ne è cagione la abbondanza. Non però in ogni parte della Sardegna abbonda esso smaride ugualmen- te; i più ricchi fondi sono dalla patte sets tentrionale, e Porto Conde è forse di tutti. il fondo più ricco. Tutto l’anno dura lo smaride, e in ogni tempo si può pescarlo 1I7 in questi mari, nondimeno i mesi dell’ab- bondanza e della bontà sono da ottobre fino al termine di febbrajo; dura in mar- zo tuttavia la abbondanza, ma scema la bontà. Insieme allo smaride si pesca ne’ ma- ri sardi la Menola, ma in assai minore co- pia; c come insieme si pescano, così in- sieme si vendono, e tutto passa per sma- ride, prevalendo la denominazione della spezie più copiosa. UN pesce e nella bontà, e nella ab- bondanza rivale dello smaride in queste acque è la sì riccamente d’oro e d’argento vergata Boga. Si pesca essa pure in quan- tità grandissima ne’ mesi freddi, ma essa pure come lo smaride abbonda più dalla banda settentrionale dell’isola, che non dal- la meridionale. Ho veduto boghe, le quali arrivavano a pesare once sei l'una ; co- munque l’ordinario loro peso è di once quattro. Questo pesce viene da Linneo col- locato sotto il suo genere Sparus, e gli 118 spari secondo esso autore hanno il corpo schiacciato, corpus compressum; frattanto la boga lo ha ben pieno e tondo; la qual cosa mostra, che i caratteri genetici di Lin- neo non si debbono sempre intendere in un senso rigoroso , In quanto convengano a tutte le spezie, ma che basta intenderli in un senso morale, in quanto convengono alla parte maggiore, Saro pesce è la Tanuga, non però molto frequente; sardo pesce è pure la piccola e veramente schiacciatissima Casta- tagnola: sardo pesce, ma nè pure esso mol- to frequente, è parimente il Mormiro. Sat- do pesce finalmente, e copioso è la vaga ma spregevole Salpa. Dico spregevole, per- che alle Baleari, e nell’Egitto sarà forse essa tollerabile pesce, poiche così lo affer- ma Plinio. al capo 18 del suo libro 9, ma ne' mari sardi la sua carne è una carne qual essa è presso a tutti gli altri popoli, c qual fu in tutti i tempi, una carne insi- pida, e tigliosa, non degna di essere rive- TI9 stita di livrea sì gentilmente listata di giat- lo, come è la sua, L'acceso Pagello, il simo. Pagro, il sannuto Dentice sono qui pesci volgari, € fra essi volgare più di tutti è il Pagello, Come dentice si spaccia, e come den- tice dagli inesperti si compra un altro pe- sce, che pure non è dentice. Frattanto è buono, che l'errore si tolga non solo per amore della verità, ma ancora perche in vece di un ottimo pesce non si faccia in- cetta d’un mediocre. Il vero dentice, e que- sto pseudodentice assai si rassomigliano nella figura, nella grandezza, e nel rosseggiante loro colore, e quindi è, che sì facilmente si confondono; ma primieramente il pseudo- dentice è macchiato di un grandissimo mac- chione giallo agli operculi delle branchie; in secondo luogo non è esso di gran lunga armato di denti, come il dentice vero; poiche oltre ad una strana moltitudine di denti emisferici, quattro grandissimi denti incisori mostra il vero dentice anteriormente 720 in ciascheduna delle sue mascelle, e in quanti pseudodentici io ho osservato, non ho veduto se non qualche dente maggiore e acu- to irregolarmente piantato quà e la per le mascelle. Chi baderà a questi segni facil- mente schiverà l’errore, distinguerà il ve- race dentice, e non piglierà per dentice la Bufala; dico la bufala, poiche con que- sto nome ho udito nominare da’ pescatori Genovesi il falso dentice, di cui sì quistio= na. Non è improbabile, che questo pesee sia quello, il quale presso gli antichi Greci si appellava già Sizagride, poiche la Si- nagride appunto così si assomigliava al Si- nodonte, che era il vero dentice, che Teo- doro Gaza traslatando Aristotile non dubi- tò usare tanto per la sinagride, quanto per lo finodonte il medesimo vocabolo di der- tex. Ma presso Linneo qual posto occuperà questo pesce ? se il dentice stà bene sotto il genere Sparus, sotto tal genere converrà pure collocare la bufala; poiche ha essa pure sei raggi nella membrana branchioste- Izi ga, quanti mi è accaduto di osservare nel dentice vero; ed ha inoltre ta bufala cor- po schiacciato, e denti robusti; e forse sorto il suo genere Sparus la collocò già Linneo col nome di Hurra. Il pesce da Lin- neo chiamato Hurra certamente assai cone corda col nostro falso dentice, ossia bufala, ancora nel numero delle spine, di cui so- no corredate le diverse pinne del suo cor- po; e Linneo medesimo tacitamente fa com- prendere, che essa. Hurta è assai simile al dentice, dacchè si mette a chiedere, se det- ta Hurta non sarebbe per avventura un medesimo. pesce col dentice, az Denzex? I Tordi e i Merli sono da’Sardì chia- mati col nome o provenzale o genovese che vogliam dire, di Roccali; e per tutte quante le spezie di essi o merli o tordi, non vi è, se non unnome solo; tutti sono Roccali, sieno essi. merli o tordi, sien tordi verdi, o rossi, o di qualunque altra tinta; sien piccoli, o sien grandi. Questo genere di pesci germina. assai. intorno agli scogli sar- A rat di; e ve ne ha di molte spezie; ho avuto. tordi variati de’ più bei colori azzurri, ver- di, e rossi, li quali ben potrebbono essere. il Pesce Pavone; altri tordi ho avuto pic- coli, e con loro macchia nera alla coda; ima le spezie più copiose sono i tordi ver- di, c i rossi. La toro carne poco si apprez- za, perche assai più che non del leggiere e del morbido, si fa quì caso del sodo e del resistente. Sono andato con grandissimo impegno in traccia di quel pesce, che Linneo insie- me co’tordi, e co merli registrò sotto il genere Zabrus; ea cui esso pure come al- th naturalisti ateribuisce il nome di Zulis. E non era egli convenevole di volere co- noscere ad ogni modo questo pesce, dacchè Linneo il chiama il più vago pesce fra quanti ci vivono in Europa? Formosissimus piscis Europeorum ob colores varios, L'au- tor medesimo veramente il fa soggiornare nel mar genovese, habitat. Genza ; ma i luoghi di abitazione da Linneo assegnati, - 123 non sono sempre luoghi esclusivi di altri luoghi abitati similmente. Perciò non dis- perai di potere scoprire il bel /ulis anco- ra ne mari sardi, e l’ ho scoperto in effetto, Mi sono fatto a questa spedizione co’ pes- catori genovesi di Camuglio, che sono i corifei della pesca in non poca parte del- la Sardegna; e colla loro direzione ho col- to alla lenza il Zulis nelle marine della Nur- ra. Ho colto, dico, il /ulis perchè cogliem- mo la Zisurella j e zigurella dicono gli au- tori, chei Genovesi chiamano il Zu/is. Ma quando ancora nessuno il dicesse, sarà chia- ro per se stesso, che la genovese zigurella è il /elis de naturalisti. La zigurella è un pesciolino lungo intorno a tre pollici; for- nito di tutto quel numero di spine nelle diverse. sue. pinne, che i naturalisti. attri- buiscono. al. fulis.; ha essa in oltre una pin- na. caudale indivisa come i tordi, l’ano in mezzo al corpo, una iride vermiglia all’oc- chio, e lista gialla tirata peri fianchi dal- la testaalla coda; lineamenti tutti, che for- 2 124 mano la descrizione del Iz/is. Cogliemmo adunque la zigure/la, e con ciò cogliem- mo il sospirato Iulisj.e però il /uls oltre al mare ligustico abita ancora nel mare sardo. Ma laddove io mi aspettava di dover rimanere incantato della bellezza di questo pesce, e di doverci trovare stemperati ad- dosso in tutta la loro vivacità, quanti co- lori nel più perfetto spettro fa vedere il più perfetto prisma inglese: rimasi stordi- to di mon trovare nel medesimo, se non una bellezza mediocre ,. assai inferiore a quella, che si ammira in varie spezie di tordi. Bella mi parve la vermiglia iride, bella la macchia azzura appiccata agli oper- culi branchiali, bella la laterale lista gialla; ma oltre. a queste bellezze non ci trovai altro da ammirare; bianco era il ventre, bianca lista seguiva sopra la gialla, indi veniva il dorso fosco, e un poco di rosso o giallo sparutamante tingeva le pinne, Avrei dubitato non fosse l’impressione dell’aria, o l’estinzion della vita, che avesse alterata i ì2 la beltà del pesce, se non avessi veduto i pesce vivo e guizzante tuttavia, € nell’ar- to d’ uscire dal mare; avrei ancora dubitato ‘non fosse la poca bellezza da me trovata una accidentale imperfezione del pesce dà me veduto, se un solo veduto ne avessi, ma in quantità ne viddi, e li viddi tutti cotanto inferiori alla aspettazione. Dubitai, i10n fosse la imperfezion veduta effetto della allora‘corrente stagione; poiche alcuni pesci pure in mare, come altri animali in terra cangiano livree e colori al cangiare delle stagioni; ma poco credibile mi parve, che nella allora corrente stagion di primavera il pesce dovesse essere men bello; che in altre stagioni men liete. Conviene adunque dire, che siccome ci sono climi in terra, così ci sono climi in mare, e come una spezie medesima d’uomini, di quadrupedi, e di uccelli in questa parte della terra si conforma e si colora ad un modo, ed im altra in altro : così in mare talora i pesci second» Je diversità locali ricevano diver- 126 sità di apparenze: e converrà dire, che il Iulis sia lun de pesci più soggetti a varia- re secondo la varierà de' luoghi, che esso abita: la qual cosa vieppiù si conferma ve- dendo le svariate descrizioni, Je quali del Iulis si fanno dai diversi autori (@); onde è venuta la opinione, che vi fossero diverse spezie di Iu/is , le quali proba- bilmente non saranno che varietà d'una spezie medesima. Converrà dire finalmen- te, che in questa facilità di ricevere le im- pressioni de’ diversi mari la zigurella è sfor- tunata in Sardegna, che il mar sardo le è nemico, che il sardo mare le cancella quasi tutti i suoi colori dell’arco in cielo, che perfino le sdenta-la sua laterale benda, fa- cendola di ondeggiante e gentilmente denta- ta, che essa è, rimanere diritta; tesa, e senza grazia alcuna. (a) Per prova delle varietà delle descrizioni si confrontino solo queste due: Lateribus cerulescentibus , vitta longitudinali fulva utrinque dentata. Lin. syst. nat. Lateribus . linea alba utringue sinuara varins, Grons mus. 2. n.184, 127 Linneo fra i ‘caratteri distintivi del suo genere Scieza annovera una fossetta sca- vara nel dorso, la quale serve al pesce ad uso di ‘adagiarvi dentro e inguainare la sua pinna dorsale. Ame pare che questa fos- setta non istia bene fra i caratteri distintivi di esso genere Sciera, poiche in molti al- tri pesci di molti altri generi si trova simil fossetta, siccome io medesimo ho osserva- to, e del ronno mi ramenta privcipalmen= te, che la fossa è sì grande da farci tra- vedere, e ‘cotanto vi si asconde dentro la prima pinna dorsale per altro grande, ‘che uom potrebbe credere ‘che in buona parte non ci fosse. CHÙe che sia di coral fossa, sotto que- sto genere Sciena comprende Linneo col nome di sciena cirrosa il pesce chiamato da’ Genovesi Figaro, e questa è una spezie di pesce sconosciuta nel mar sardo. Comprenpe Linneo sotto il genere me- desimo la Ombrina, e questa ne’ mari sardi si piglia grande e ottima. Comunque il Di- 128 zionario di storia naturale del signore di Bomare sia un lodevole ed utile dizionario, non perciò lascierà esso di avere quà e là alcun bisogno di correzione; e perche le correzioni ci si facciano, e si renda il di- zionario sempre più perfetto, non ho la- sciato alle occasioni di oppormi a qualche suo articolo; e per la stessa ragione non tacerò quanto in esso dizionario mi è acca- duto di osservare a proposito della Ombrina. Bomare parla della ombrina alla voce om- Bre, e a questa voce ombre appone esso la versione latina: Umbra marina 5 al fine poi dell’articolo e della descrizione di questa umbra marina aggiugne di più Bomare, che questa umbra marina è il Coregonus Thymal- lus di Linneo: cerco Linneo nel suos. n., ci trovo il TAyma/lus, ma vitrovo altresì, che detro Thymallus soggiorna ne fiumi d'Eu- ropa, habitat in Europa fluviis maritimis. Or come possono conciliarsi insieme queste due cose? come possono due pesci, l’un fiuamale e l’altro marino, essere uno stesso E A 129 pesce? Non perche al Temiolo in alcuni paesi si dà il nome di ombrina, perciò il Temolo è ogni ombrina: sonoci ombrine di fiume, e sonoci ombrine di mare: il te- imolo è l’una delle ombrine di fiume, e di questa parla Linneo sotto il genere Sa/mo al numero 16: ma dell’ombrina marina egli quivi non parla, ma bensì ne parla sotto al genere Sciena al numero 4, chia- mandola coll’usaro nome Umbra. Sogriono i pescatori chiamare la om- brina ombrina di canale per distinguerla da un altro pesce da loro chiamato ombrina di scoglio per essere questo un pesce, che stanzia fra scogli. Questa ombrina di scoglio non è altro fuorchè il Coracinus di Aldro- vandi, e di altri naturalisti, chiamato dai Genovesi Crovo, e da Romani più corret- tamente Corvo. Il nome italiano, e’ no- me latino sono amendue fondati nel color nero di questo pesce, per il quale esso si assomiglia ancora alla ombrina, e perciò per ombrina facilmente si spaccia. Ma più 130 dell'ombrina è esso nero nelle pinne del suo corpo, le quali sono atre., e in que- sto negrore delle pinne principalmente si fonda il suo nome di corvo: la seconda spina della sua pinna anale è una terribile spina, delle maggiori che io abbia veduto in pesce. A _me pare di non trovare in Linneo questo nostro corvo: esso è pesce to- racico, ed è guernito di sette raggi nella sua membrana branchiale, ‘e perciò dovreb- be trovarsi o sotto il genere Perca, o sotto il genere Scomber, o finalmente sotto il genere Trigla ; ma per poco che si consi- derino questi due ultimi generi, si com- prenderà, che il corvo nè si trova sotto essi, nè vi si deve trovare : dove istarebbe più ragionevolmente sarebbe sotto il genere Perca, e ciò in quella porzione di Per- ce, che hanno una sola pinna dorsale, e la pinna della coda intiera come i tor- di, poiche coda intieràa, e una pinna dorsale sola ha appunto il corvo ; ma nep= pure quivi il corvo si trova, € parmi on- 131 minamente, che il corvo sia stato da Lin- neo omesso e ignorato. Non è per altro il corvo pesce sì ignoto : il mediterraneo assai comunemente il conosce, e l'apprezza a se- gno da lasciarlo facilmente sostituire alla ombrina, benche non arrivi mai alla sua mole: e quanti scrittori prattici del medi- terraneo han fatto menzione di pesci, han- nopur fatto onorata menzione del corvo, come Rondelezio, Bellonio, e Aldrovandi, senza nominare gli antichi Greci e Latini, Forse Linneo intende indicarlo col nome Cappa sotto il genere Scieza, ma allora il pesce sarebbe mal descritto e pessimamente collocato. Che che sia della omissione di Linneo questo Corvo è assai frequente nel mar sardo, cresce al peso di molte libbre, e quelle ombrine, che più comunemente sì mangiano, non sono che corvi. OLtRE al Lupo, pesce anch'esso pro- prio de’ paesi australi, e insiem colla mu- rena, col rombo e colla orata sì ghiotta- mente ricercato da’ Romani al tempo, che 132 | le austerità de’ Camilii e de’ Catoni era- no andate in disuso, il quale ancora fuor degli stagni si piglia grandissimo in mare vivo: si pigliano in questi mari la Barcher- ta, € il Mulasso come dicono i pescatori genovesi. Appartengono amendue al genere della Perca presso Linneo : la Barchetta, pesce di poche once, ma nel ventre e nei lati vagamente traversato di cilestro è forse la Perca marina di esso autore: e forse il Mulasso longitudinalmente rigato di bianco e di giallo col capo scarabocchiato di gial- lo e di azzurro è la Perca Scriba dell’au- tore medesimo Mi trovo condotto a quel genere di pesci, che Linneo chiama Scomber, e con ciò mi trovo condotto all'articolo più im- portante di questa storia, cioè al Tonno, il quale è l'una delle spezie comprese sotto esso Linneiano termine generico Scombder. Come il Tonno è l'uno de’ più importanti articoli del commercio e della economia della Sardegna, così è esso assolutamente ES x ev il I\ ) LAO sui marito FTA TAL TEST RI RS IIROT nil ml a A) TIA e DI 133 il più importante articolo della storia dei suoi pesci, Il commercio medesimo del ton- no, e la grandezza della sua pesca ne ren- dono la storia interessante, e pongono le forestiere nazioni in diritto di chiederne al mediterraneo informazione , come sono sta- te informate dall’occano della Aringa, pesce anch'esso viaggiatore, come il tonno, e mercé ib viaggiare suo apportatore anch'esso di gran pesche e ricchezze alle nazioni. Ta- ciuto ha fin ora il mediterraneo, nè alla aspettazione e inviti altrui ha punto rispo- sto; poiche il poco dettone fin quì da alb cun lontano geografo, e da qualche super- ficiale scrittore siciliano, è altrettanto, che averne tacciuto del tutto, Risponderà per- tanto ora la Sardegna, poiche a lei più che ad ogni altra parte del mediterraneo tocca oggi patlare del tonno, e risponderà senza economia, di maniera che rimanga piena- mente esposto quanto risguarda il corpo, l'indole, f agire del tonno, e quanto tocca alla sua pesca e commercio. 134 IL Tonno è l’un de’grossi pesci del mare: se. esso non arriva a pesare le cento libbre, non è più, che uno scampiuro: se non oltrepassa le libbre trecento non è più che mezzo-tonno: dalle trecento libbre in- manzi principia veramente ad essere l'onno: ma tanto oltrepassa esso questo. segno , che i tonni di mille libbre non sono rarissimi, e talvolta si sono presi enormi tonni di mille ottocento libbre. Dal che si vede quan- to poco fossero informati della vera gran: dezza del tonno molti li quali ne scrissero, come il Savary nel suo dizionario, il quale per indicare la grandezza del tonno, dice che è grande quanto un Salmone, pesce ignoto al mediterraneo e proprio dell’ oceca- no dalle bande del baltico; e ciò dice egli asserendo tutto insieme, come è vero, che i grossi salmoni pesano da ventiquattro in trenta libbre. Bomare a significare quanto grossi tonni si piglino da Provenzali dice, che e’ pigliano tonni, li quali arrivano infî- no a cento venti libbre. Cotesti autori c 138 simili non ebbero notizia se non di scam- pitri, di tonni golfitani, e non di tonni di corsa, che sono veramente i buoni tonni, e danno la giusta idea della grandezza di questo pesce. Si potrebbe sospettare, che in.questa spezie di pesci, contro il solito, delle altre spezie (2), il maschio crescesse a maggior mole delle femmine, poiche i più grossi tonni, li quali si pigliano nel medi- terraneo sono sempre con latti. LA figura del tonno tondeggia in tut- ta la sua ionghezza: ma la coda si fa sor- tilissima, € termina in una ampia pinna semilunare. Due pinne s’ alzano sulla schie- na, delle quali la prima è lunghissima guernita di quattordici fortissime spine, e si estende infino a toccare la seconda, la qua- le poco si allarga: d'una pinna è corredato Yano: due sono appiccate al lati, e preci- samente sotro esse due altre pinne vi sono (a) Famine in omni cartilagineo genere major quam mes est, quod idem fere velin careris generibus piscium esse constar Artist. de Hist, An. lib. s. c. 5. 136 all’addomine. Oltre a queste pinne di es- senza, due filari di pinnette gialle da Lin- neo chiamate pinne spurie guerniscono la coda, l'uno sopra e l’altro sotto, e nove in dieci pinnette sì fatte parmi avere con- tato sempre per parte: dico nove in dieci, perche quelle scrupolose degradazioni, che la natura prattica, bene spesso arrivano a segno, che la natura vi lascia in mano con core le quali non sapete cosa si sieno, € pajono mezze entità, propriamente collocate per dividere to spazio tra la cosa e'È nulla: e così in queste pinnetre, le quali vanno impicco- Jendo a misura che siavanzano verso la pun- ta della coda, si-arriva nella estremità a tale, che uom non sa più se sia pinnetta o nò: e per questa ragione sono ancora nel nu- mero di esse pinnette sì poco concordi gli autori tra loro, che Linneo ne conta otto, Artedi otto o nove, Leftingio assolutamen- te nove, Brownio nove sopra, e otto sot- to:edio malgrado mio mi veggo obbligato di accrescere la discordia, dicendo nove 0 10: 137 ima parmi di meritare qualche fede avendo fatte le mie osservazioni, ove tonni pen= devano a migliaja. Aristotile chiama il ton- no. pesce discio. (levis), e Plinio il chia- ma lubrico, e liscio il chiama pure Lin- neo; le quali espressioni sembrano indica- re mancanza di squame, Nondimeno di squame e di squame ben grandi è fornito il ronno: ma sono esse sì strette al cuojo, che quasi non appajono, e ciò diede per avventura occasione di chiamare il pesce /i- scio. Di spessi, sottilie acuti denti sono for- nire amendue le mascelle del tonno, ma so- no denticelli da pescetto , e niente propor- zionati alla mole del resto. L'itide dell’oc- chio è argentina: il colore del corpo sopra il dorso è livido ossia piombino cupo, che par nero , poi. si rischiara fino a diventare tutto bianco nel. ventre. Non è credibile quanta varietà di carni si trovi.in, questo pesce: quasi ad ogni diverso luogo, ad ogni diversa profondità, a.cui il:colrello la tenti, si trova diversa: soda. in un luogo, morbi. a 138 da in altro, quà sembra carne di vitello , la imita il porco. Cento svariate parti se ne tanno quindi, € si condiscono scparata- mente e ve un numero di vocaboli per tutie esse da opprimerne la' memoria. La piu apprezzata paite fra tutte nondimeno si è quella medesima , la quale al tempo, che ic Divinita mangiavano, fu. giudicata degna «i essere messa innanzi al padre di tutti i Dei, cioè la Pancia, che in termine tonnaresco s1 deve dire Sorra. Questa è re. almente una preziosa parte, dottata di mor- bidezza; di sugosirà, di sapore, di sostan- za, e meritamente per €ssa, tresca o sala. ta che si spacci, si esige il aoppio del prez- zo, che si paga per la messa, altro termi- ne tonnafesco, con cui si significa la ‘car ne di seconda qualità del tonno. Verso la fin d’aprile apparisce il ton- no repentinamente nel mediterraneo in gran- dissima quantità dopo una quasi total. ne- gazione preceduta per lo spazio di otto in- rieti mesi, Potrebbe una apparizione sì 139 fatta essere non'altro, se non una emer- sione, la quale il tonno facesse dai profon- di gorghi, ove esso avesse svernato: come mi sembra avere letto de’ naselli della im- mensa .secca di Terranova. Che i tonni nel verno soggiornino cheti, e profondamente sott'acqua non è dubbio, e l’asserirono già gli antichi naturalisti Aristotile e Plinio; ina piu. che l'autorità il dimostra l'osser- vazione fattibile ne’ medesimi mari sardi, ove ne mesi iemali sonosi scoperti tonni in grandi compagnie sepelliti nella maggio- re profondità de’ golfi, e. perciò detti go/- firani. Vero è pertanto, che il tonno raffred> dandosi la region superiore dell’acqua và a trovare la tepidità nel fondo, e vi dura infinche la region superiore non si rattem- pri da capo: emergono adunque i. tonni in primavera, ene emergeranno pute nel me- diterraneo, ma quei che formano la abbon- danza, o come dicono i pescatori la manna del mediterraneo, emergono. altrove, nell’ oceano, € sono avveniticci: nel. mediterra- 2 2,49 neo, e nel mediterraneo medesimo sone viaggiatori. Il ronno adunque, di cui il me- diterraneo si empie alla fin d’aprile, è ton- no in corsa, € la corsa incomincia infin da oltre allo stretto d'Ercole. A togliere ogni. dubbio su questo punto basterebbe la. as- serzione costante di tutti i pescatori di. tut- ti i tempi; ma è facile dimostrarlo. dalla osservazione. E primieramente, che il ton- no di primavera sia nel mediterraneo tonno in corso, si fa manifesto. dalla influenza. d'una tonnara sopra l'altra. Si distinguono le tonnare sopravenzo, e le tonnare sozza- vento : coi quali vocaboli non si indica al- tro, se non una relazione di sito d'una ton- nara all'altra, di maniera che una tonnara medesima è sopravento risguardo ad una tonnara, e sottovento risguardo ad. altra. La siruazione sopravento è quella, la qua- le si giudica più. avanzata verso la venu- ta del tonno, e quella situazione, la quale si giudica avanzata meno, risguardo alla pri» ma è sottovento. Così nella costa settentrio» i i 141 nale della Sardegna Cala 77 ipnolaè tilievoni to risguardo a Pedras de Fogu, e quindi Pe- dras de Fogu.è sottovento risguardo a Cala Vignola, ma Pedras de Fogu è poi sopravento risguardo alle Salize. Or le tonnare a misura, che sono sopravento, pre- giudicano di fatti, e impediscono quelle, che sono sottovento; e sono loro quindi una spina nell'occhio , e un perpetto ogget- ro di querele, e di tentativi per farle ces- sare o con artifizi 0 con trattati; siccome è avvenuto nella costa occidentale della Sar- degna, ove Capo Pecora è giudicato da alcuni il più vantaggioso posto per la pesca de' tonni, ma Porto Scus per essergli esso Capo Pecora sopravento , lo ha combat. tuto , e obbligato a rimanersi inerte ; Quindi i contratempi delle tonnare sopra» vento sono la fortàna delle tonnàre sotto- vento; se la borrasca straccia le reti sopra- vento, 0 lo Spadà le fende sprigionanda se eltonni, latonnara sottovento piglia di presente, € s'empie di quello, di cui la 1:42 tonnara sopraventò si è Votata ; sòpravento si grida, si corre, si rattoppa, si maldice la soite: sottovento si fa festa:, e si ammaz- za. Inoltre lo stato florido presente delle tonnare sarde non è dovuto se non alla decadenza delle tonnare spagnuole e por- toghesi ; la qual cosa tutto insieme con- ferma. che il tonno fa corsa nel mediter- raneo ., e dimostra che la corsa viene dall oceano per lo stretto, e siegue la direzio- ne: da Ponente: a Levante. Diverse sono le cagioni, alle quali si è attribuita da diversi la venuta del ton- no dall’oceano nel mediterraneo. Paolo Giovio l’attribuisce al timore, di maniera che la venuta del tonno nel mediterraneo è una fuga, e il mediterraneo è al tonno un asilo contro un fiero nemico, il quale lo incalza. Il fiero nemico è lo Spada, da cui racconta Giovio, si dà una sì crudel caccia a’tonnilà nell'oceano atlantico, che i greg- gi de’ tonni senza consiglio con folla e tu- multo sisalyvano nel mediterraneo. Ad una | 143 ‘cagion simile ‘attribuiscono i Francesi lar- rivo de merlani alie loro coste, attribuen- dolo alla fuga dalla persecuzione de’ naselli nel mare settentrionale (2), L'avviso di Gio- vio forse gli nacque in capo leggendo in Istrabone ,. che gli. Xifli, cioè Pesci Spada, ingrassano de tonni. Ma onde il Giovio pes- casse una sua sì fatta notizia, essa è falsa evidentemente. Non la combatterò colla ra- gione d'una persona per altro di grandissi- ma autorità in tutto quello, che tocca il tonno , cioè colla ragione di un Rass, li quali farò vedere a suo tempo, che uomini sono in una tonnara. Diceva questo Rais, ché quanto il Giovio, da me nominatogli e da lui pochissimo curato, asseriva non era pos- sibile attesa la sola diversa natura dello spa- da, e del tonno: per la quale essi sempre se- guono cammini diversi, e da non doversi mai trovare vicini; il tonno viaggia nel pro- fondo, c lo spada nel sommo; laonde sono (e) Pluche, spett, de la nat. 144 pesci di regioni diverse, esigenti di loro natura, che fra l’uno c l’altro s interponga sempre un grandissimo intervallo, equiva- lente alla interposizione d' un muro. Con questa ragione non mi opporrò già io al Giovio; perche comunque de due pesci in quistione l’uno ami il sommo, e l’altro limo, non perciò si dirà, che all’occasione non possa lo spada avventarsi all'imo; poiche esso spada è pure l’un di que pesci, che hanno il nuotatojo , cioè quella vescica pic= na d’aria, mediante cui possono i pesci a loro voglia scendere e salire nelle acque. Meglio sarà combattere il Giovio colla os* servazione totalmente opposta alla asser- zione sua. La quale osservazione in sostan- za è questa, che fra il tonno ec lo spada non ci è nimistà, nè ostilità alcuna; nè il ton- no si spaventa dello spada, nè lo spada ves- sa il tonno; ciò si osserva bastevolmente in que’ pochi spada, li quali insieme co’ tonni arrivano in Sardegna, e insiem co’ tonni en- trano nella rete; la loro vista, la loro pre- 145 senza, la loro compagnia non fa più spezie a'tonni di quel che faccia la vista d'un altro tonno; e ben lungi dall'essere nemici, sem» brano conoscenti e compagnoni cari. In fat ti, se lo spada fosse così fiero divorator de tonni come dice Giovio, sarebbe lo spa- da temuto da’ pescatori ugualmente che la Lamia, e per la stessa ragione; il temercb- bono anch'esso come un mostro, che me. nando strage, e mettendo confusione e spa= vento ne tonni gli svia, li dissipa; e perciò del suo arrivo si porrebbono i pescatori ugualmente in allarme, che dell’ arrivo del- Je lamie, e avrebbono contro lo spada scon- giuri terribili ugualmente; che i preparati contro le lamie. Qualche inquietudine è vero desta pure lo spada ne’ pescatoti; ma non viene essa se non da quella appren- sione medesima, per cui ancota antica- mente i pescatori facevano voti a Nettu- no, che lo spada non venisse nella rete co’ tonni; temono non urti esso col suo pu- gnale nella rete, e dilacerandola apra a' ton- T46 ‘ni il varco alla fuga; la qual cosa rion'è gia temere, che lo spada faccia danno ai tonni, ma bensì temere non faccia loro ser- vizio-in danno de pescatori. Hanno pensato altri; che il tonno venisse nel mediterraneo spinto dal bisogno di figliare, andando per tal bisogno infino al mar nero., unico luogo acconcio alla sua figliatura. Così accennò Aristotile, e chiaramente l’ asserì Plinio. Ma che nel mar nero unicamente figlino i tonni è gran- demente falso, e forse neppure ci figliano. E falso dico, che nel mar nero unicamen- te figlino, poiche nel mare sardo pure si scaricano essi delle uova; e uova loro si trovano attaccate alle medesime reti, den- tro le quali sono stati rinchiusi. Anzi piut- tosto fuori del mar nero, che dentro esso sembra, che i tonni figlino. Il maggio , quel mese sì generalmente destinato dall'alma matura al rifacimento delle spezie median= te la nuova progenic, è pure il mese de- stinato al rifacimento de tonni ; in maggio 147 le loro uòva sono più pienè, e bella per- fezion del granare, € in giugno principian tosto le uova a dechinare, come tutta la sostanza del tonno. Or durante il maggio sono i tonni ancora lontani dal mar nero; poiche per tutto quel mese, e per una gran parte del giugno si fa la cattura di essi nel mare sardo e nel siciliano; sicche i ‘tonni non sembrano ‘arrivare nel mar di Ponto se non. in giugno, . quando la buona sta- gione del figliare è già passata. Ma neppure nel restatite del mediterraneo crederò io, che i tonni vengano per figliare; ci figliano perche ci vengono, ma non vengono pet figliarci. Io consentirò , che dugento, e an- cora tre o quattrocento mila tonni arrivino annualmente dall’ oceano nel mediterraneo; ma che tenue porzione è questa in parago- ne degli innumerabili tonni, li quali esisto- no, qualunque sia la parte dello stermina- to oceano, in cui si debba collocare ia ve- race loro sede? a vedere quanto piene e sicclie sono le loro ovaje, io non dubiterei, 148 che l'occhio di Loevenock non ci dovesse tro- vare una moltitudine forse prodigiosa ugual- mente che quella trovata ne’ naselli; nè ame pare punto esagerazione incredibile , che ad Alessandro il Grande i tonni dessero già gran Briga per passare co’suoi navigli, tan- go ne trovò zeppato e aggrumato il mare d'India. Or se tanti tonni esistenti possono figliare, altrove, come potrà credersi, che 1 tonni vegnenti nel mediterraneo ci ven- gono per bisogno di figliare? Richiamerò piuttosto la venuta del tonno alla cagion medesima, a cui ho attribuito il viaggiare degli uccelli. L’esca;, i viveri mancheranno forse in qualche luogo ai tonni troppo ivi moltiplicati; e in traccia di viveri si distac= cherà parte di essi dalla restante moltitu= dine, e questa verrà a cacciarsi nel medi- terraneo. Esca certamente, e molto cara esca trovano i tonni nel mediterraneo ; tro= vano le sardelle, trovano le acciughe, ghiot- tissimo loro pascolo, e oltre a questi pesci trovano ancora la Ghianda, Di questa ghian- 149 da parlò già Polibio Magolopolitano sic- come di cibo, di cui il tonno grandemente impingua, per modo, che Ateneo giudicò potersi il tonno perciò chiamare a ragione porco mazino, titolo ancor oggi spesso da- togli da’ pescatori, non tanto, credo, pet la ghianda, che mangia, quanto per lo lardo , di cui si empie. Or questa ghianda, di cui il sempre veritiero, Polibio scrisse ; ed esiste in realtà, ed esiste nel mar medi» terraneo, come ne fanno fede lo stomaco del tonno e Je spiagge del mare; lo stoma= co del tonno, perche in esso le ghiande si trovano. belle e intiere ; le spiagge, perche esse di dette ghiande spesso si veggono ri: coperte, e l’anno 1765 fra gli altri le spiag- ge sarde se ne viddero stranamente ingom- brate. Sono ancora assicurato , che l’al- bero producitore di simili ghiande alligna in Sardegna e lascia cadere in mare i suoi frutti, \ QuarunQue sia la cagione, per cui il tonno passa lo stretto, esso, passato lo stret- 159 to. piglia ugualmente il cammin dell’ Africa, e il cammin d'Europa. Che parte de’ tonni venga radendo l'Africa, e infili a dirittura il cammin di levante, il rendecerto l’irre= fragabile autorità de’ Rais, e il conferma- no i progetti. più: volte stati. in sul tapeto di piantare ronnare in Barberìa, e la ton- nata effettivamente da qualche anno esisten- te presso.a Tunis: Ma pure il poco fiorire delle ronnare africane, el totale dicadi- mento delle levantine. dopo che a:pescare si mise il’ Europa!, fa vedere; che il gros- so de tonni alla uscita dello. stretto si tiene più dalla, banda d’Europa. Come il popolo delle. aringhe discendendo. ogni an- no dal notte, si separa con divisioni e sud- divisioni replicate in più squadre, alla gui» sa, che fanno gli eserciti. per camminare con minore disagio: così camminano i ton ninel mediterraneo. alla.volta di levante in diverse compagnie, e per vie diverse. Por- zione de’'tonni passa la Spagna, la Francia, la.Liguria, e imbocca il canal di Piombino. l IST contro. questi sono tesi nell'isola dell’ Elba due possenti aguari ossia tonnare in forma l'una a Marciana, l’altra a Porto-ferrajo. 1 tonni salvatisi da questo. passo con altri forse varcati fra l'Elba e la Corsica prose= guendo lungo l’Italia ritrovano un altro passo armato contro di loro al Tarantel- lo di Napoli ; ma il più terribile po- sto è la costa siciliana da Melazzo infino. a Trapani, tutta quanta ingombrata di ton- nare per modo, che si impediscono fra lo- ro. Que’ tonni i quali per sì malamente elet- ta strada sono giunti salvi infino a dar volta a Trapani, da indi prosieguono omai con poco disturbo il loro pellegrinaggio al le- vante, Malta non li tribola più, e qualche tonnara levantina di Monza e Leva poco li disturba. ALTRI tonni, o perche camminarono più lontano da terra, o perche alle coste di Trancia e di Liguria, diedero volta ver- so scilocco , vengono a scontrarsi. nella gosta occidentale della Corsica, Contro que= 152 sti si tentò. già inutilmente di porre anni sono una tonnara a Figari, nè so qual esito avrà avuto quest anno la ideata. ton- mara di san Fiorenzo. Questi tonni corsi discendendo lungo la Corsica parte iscap- pano per le bocche. di Bonifacio, parte arrivano in Sardegna, ove hanno contro di sei nomi di molte tonnare, Porto Vi- gnola, Cala Agostina, Pedras de Fogu, Sa- line, Trabuccadu, ma di fatti non sono oggi predati se non dalle Saline, e dall’ ancora debole e mal sicuro Trabuccadu. OLTRE a questi tonni, li quali discen- dendo lungo la Corsica vengono a girare nella parte settentrionale della. Sardegna; altri e più copiosi; e più pronti tonni ven- gono portati da maestro alla spiaggia della Sardegna occidentale. Questi cessarono più presto dal costeggiare la Spagna e la Fran- cia, e più presto piegarono verso scilocco, € però vengono a fare liete di se le tonna- re sarde occidentali, principalmente le sedu- te giù all'angolo di Porto Scus; che gli angoli 153 sono sempre fatali a’ tonni, come mo- stra oltre all’ angolo di Porto Scus an- cora l’ angolo Siciliano di Trapavi . I tonni sardi scampati dalle tonnare danno volta verso oriente anch’ essi, e vanno a toccare infin la Sorìa e i più rimoti seni del mare nero. UnA, osservazione fecero gli antichi sopra il camminare dal tonno tenuto nel mar ‘nero : osservarono , o almen cre- dettero osservare , che il tonno entrando nel mar nero si metteva sempre a costeg- giare la riva destra, e ritornava per la sinistra; con che veniva esso a tenere sem- pre rivoltato alla riva |’ occhio destro ; come se il succeduto nel loro mare Fus- sino fosse |’ idea di quanto succede- va in tutto il monde, si misero que’ vera- mente leggieri Greci a dire, che il ronno marciava sempre con l’ occhio destro ap- poggiato alla riva; e per un altro passo della leggerezza greca aggiunsero di più la con- L; 154 seguenza, che il tonno ci vedeva più dall occhio destro, che non dal sinistro; e quin= di fabbricarono ancora un loro modo di si- gnificare che altri civedeva meno dall'occhio sinistro, che non dal destro, dicendo, che ci vedea al modo de’ tonni. Lo specioso è, che sì fatta dottrina greca dura ancora oggi fra molti pescatori, i quali senza saper per- che, dicono anch’ essi, che il ronno è buon veditore dalla banda destra, ma meschino dalla sinistra. Dal solo fondamento sopra cui si è appoggiata sì farta inuguaglianza della facoltà visiva, si vede che essa è po- co credibile; ma di più ogni cosa la mostra falsa: primieramente esaminando gli organi della visione, si trovano amendue il destro e’l sinistro similmente conformati, e per- fettamente uguali; inoltre gli attenti pesca- tori assicurano non essersi avveduti mai di cosa , la quale potesse indicare una sìstrana disuguaglianza ; e finalmente quando il ton- no nella sua corsa costeggia la Spagna, la Francia, l’Italia , la Corsica, la Sardegna 155 cammina pur esso allora dando alla terra l'occhio sinistro ; di mivaniferà, che seconda il ragionare de’ Gieci converrebbe dire, ché il ronno costeggiando Europa ci vede più acutamente dall'occhio Sinistio, ina quan- do giugne al mar nero, l’acutezza lascia l'occhio sinistro e' passa nel destro, Aira metà di Luglio prifcipia il tonno 2 ricomparire in Sicilia di ritotno dal levante incamminato da capo all'oceano; tonno lan go ) magro, e meschino. Non ostante la tri- sta condizion ‘sua |’ avaro uomo l’apposta di nuovo, da capo il tribola' colle tonnare di ritorno ; Sicilia ne ha molte; una sola ne ha ora la Sardegna a Pulla, ma for- se più ne avrebbe ancora la Sardegna, se al tempo di pescare il tonno di ritorno non girasse per la Sardegna medesima una Lamia terribile: a” pescatori. più di quel che essi possano essere avidi de' tonni, cioè l'intem- perie. Altretonnare di ritorno si trovano pure nella Spagna; e così il tonno perpetuamente assalito, perseguitato, intaccato., smembra- 2 156 to arriva finalmente da capo all'oceano, senza che la sofferta strage l’impedisca di rivedere l’anno seguente il mediterraneo in moltitudine uguale. ANTICAMENTE a tempi d Aristotile, di Strabone , di Plinio, e di Eliano le famo- se pesche de’ tonni si facevano alla punta di Bizanzio, la quale perciò si chiamava il Corno d’oro. Insieme alle arti, alle scien- ze, alla libertà perì nella Grecia ancora la pesca, e il nome d’oro non rimase alla punta bizantina se non nel morto linguag- gio de’ libri, Fiorirono appresso grandemen- te le pesche di Portogallo, c di Spagna; ma soffrirono anch'esse. l’ineluttabile vicenda delle cose della terra, c perirono dopo mol- ti secoli di fiorimento limprovisamente non sono molti lustri. Salirono allora più che mai in fiore Sicilia e Sardegna, c vi durano. tuttavia; amendue queste isole sono in fio- re, ma alla Sardegna si deve il. principato; e l’antico corno bizantino passato già a. 1}7 risedere nella Conil'd’ Andaluzia, oggi risie- de veramente in Sardegna. Sei furono le ronnare sarde nella pri- ma loro epoca dopo la scoperta verso la fine del secolo decimosesto fatta da Pietro Porta del passaggio de’ tonni in questi mari; tre si aprirono nel lato settentrionale, ciò fu- rono Porto Vignola, Cala Agostina, e le Saline di Porto Torres, ed altrettante si aprirono nel lato occidentale, l'una a Pittinuri, Val: tra a Porto Paglia, la terza a Porto Scus. Delle tonnare settentrionali le sole Saline tono rimaste costanti; vicende perpetue han- no sofferte le altre: Vignola e Cala Agosti- na furono abbandonate; si armò invece lo- to Pedras de Fogu, e Pedras de fogu or fu Attiva, ©r oziosà, e al presente rimane so- pressa per buoni patti avuti dalle saline, è cui essa Pedras de Fogu è sopravento; di ma- niera, che nel lato settentrionale peschereb- bono or le saline sole, se non che l’antò scorso si fece un tentativo di nuovà pesca nell Asinara al Trèbuccadu; tentativo che 158 fè sperare assai fo scorso anno, e lascia con molto dubbio l’anno presente. Miglior sor- te. ha avuto il laro occidentale: le prime tonnare , sonosi mantenute, e ne varj tenta- tivi fatti: in seguito, altre nuove vi si sono aggiunte. I tentativi sono stati infruttuosi a Porticciuolo. e a Capo Galera; ma sono riusciti ottimamente all'Isola Piana, a Ca- lavinagra, e sonosi ancora aggiunte altre tonnare. IN virtù di queste tonnare maraviglio»= samente si avvivano le spiagge sarde quan do viene il tempo della pesca. Sonoci ad ogni tonnara edifizj deve più , dove me- no ampj e agiati. Fino ad aprile la tonnara tace ed è diserta; ma principiato aprile ogni tonnara diviene un luogo di strepito di facende e di arti; un mercato, una popola- zione composta di categorie diverse; e in mezzo all'interesse e alla occupazione un luogo di religione e di cortesia. La gente vi arriva ugualmente dalla parte di terra, e dalla parte. di mare; e come le case e le 159 baracche si empiono di gente di terra, così la spiaggia si guernisce di bastimenti per ser- vigio della pesca; li quali si rierescono coll’ arrivo delle varie nazioni, che vengono al mercato del tonno. 1 bottai, e i ferrai for- mano i più solenni strepiti alle tonnare; la ciurma fermenta a stendere, rattoppa- re, comporre la immensa rete; bastagi e fo- raci sono in moto a trasportar sale e quan- to altro occorre. Al padron della pesca u- gualmente che il buon ordine della tonna- ra ne lavori, e nella società della sua gen- te, preme la osservanza della religione sic- come articolo, da cui giudica dover dipen- dere non poco il buon esito della pesca; perciò esso adduce seco ancora ìl suo clero;da cui si fonziona con una regolarità da far ono re a qualunque ottimamente regolato popolo. Conduce esso inolrre seco persone di mag- giore sua confidenza e sicurezza; le quali col nome di Ufficiali sovrastano, vegliano; sollecitano ; fanno gli ordini eseguire. 169 MA il primo uomo, e il più impor= tante pezzo per gli interessi del padrone si è il Reis, che viene ad essere il direttore della pesca. Quanto si può pensare di re- lativo alla pesca del tonno, luogo, modo, e tempo, tutto dipende dal Bais. Convie- ne pertanto che il Rais sia primieramente un uomo di una\incorrotta fede, incapace di tradimento verso il suo principale, per favorire alcuna tonnara vicina. Alla fede deve aggiungere una pari intelligenza, sa- gacità, e attività. Intelligenza per cui pie- mamente conosca l'indole del tonno; saga» cità in avvedersi d’ogni menoma cosa, di una punta di terra, d'un rialto, d’un co=- lere nel fondo del mare, che possa influire nella pesca. Deve sapere istudiare tutto, e dopo un ben maturato sistema di cose pianterà con celerità e fermezza in alto mare un vastissimo edifizio di rete atto a reggere come uno scoglio contro le borrasche. Piantata la rete sarà infaticabile a visitarla, e a riconoscere l'avviamento della pesca. 67 Prevederà le procelle colla segacità di un piloto per non impegnarsi in un atto di pesc& mal a proposito; e nel dì che s' ha da ma- cellare, saprà sbrigarsene in brieve ora, € dentro la misura, che le circostanze richie- dono. Da queste qualità del Rais dipende in gran parte la buona fortuna; e però do- po Domenedio l’esito della pesca si aspet- ta dal Rais. Il Rais pertanto è l’uom più accarezzato alla tonnara, siccome vi è il più autorevole. Altro nome quasi non si ode risonare se non quello del Rais, nè al- tra voce vi si eleva più autorevolmente che quella del Rais, Sì importante posto viene oggi coperto in Sardegna da’ Genovesi o dai Siciliani; Siciliani però sono i Rais più co- munemente, siccome aventi una grande scuo- ta nel loro paese, non solo della pesca dei tonno, ma di ogni altra pesca, genere di esercizio, in cui i Siciliani sono veramente al sommo induscriosi e indefessi. Turto aprile si spende in disposizio- ni; il giorno tre di maggio si stringe più 162 l'affare, si.deve incrociare la tonnara. Tal . funzione tocca al Rais, e non è essa altro se non ;la manifestazione, la quale il Rais fa del sistema da se fissato! intorno al luo- go, ove vuol collocare la rete ;. ircrociare la tonnara pertanto non vuol dire altro, se non fare in mare una traccia, la qual serva di norma alla collocazione della rete, sic- come l’architetto segna in terra con pali e funi la direzione, secondo la quale deve sorgere l’edifizio. Se non che il Rais a trac- ciare il suo disegno non-usa pali, ma due corde chiamate inzizo/e, le quali egli ferma a gala dell’acqua parallele fra loro, e rap- presentano i due massimi lati del gran pa- ralielepipedo della rete. Ir giorno dopo l'incrociamento, se ostacolo non vi si oppone, si dee mezzere la rete a bagno; parte essa, benedetta pri» ma solennemente dal clero della tonnara; ripartita sopra più bastimenti. Dalla pianta e profilo incisi si vedrà la forma e la vasti- tà della retejla quale a ragione si può chia+ 163 mare un.arditissimo edifizio piantato in mez- zo al mare, incui paragone le pesche dei naselli, c delle aringhe non sono che un giuoco dafanciulli. Canne diciotto almeno di profondità , cioè adire piedi parigini 108 deve avere il mare ivi ove la retesi pian: ta, e allora alla rete stessa si danno canne vensette ossia piedi parigini 162 di altezza; essendo maggiore la profondità del mare a proporzione aggiunge altezza alla rete,mag- giore dovendo sempre essere l’altezza della rete, che non la profondità del mare, per ragione, che le camere non hanno fondo, e di fondo serve loro il fondo del mare me- desimo ; laonde conviene che la rete si am- mucchi in fondo almare per serrar bene ; e non distaccarsene mai per agitazioni € ondeggiamenti; che succedano. Fondo però ha la camera di morte, ossia il corpo, € lo ha necessariamente per ragione, che essa camera è quella; la quale si alza con entrovi il tonno per ammazzarlo; e per ragione che essa camera deve resistere nell atto di essere 7 alzata all'enorme peso de’tonni, € ‘moltà più che al peso, a loto dibattimenti, e sfor- zi cagionati dalle violenze, che si veggono fatte , è essa tessuta di forte canape, e con istrette maglie; laddove il resto della rete è tessuto semplicemente di sparto d’alican- te, e con maglie ampissime. L’aggregato delle camere vien chiamato Isola, ed è questo propriamente il luogo, ove il tonno riman preso; la Coda ossia Pedale, e’ Co- dardo, non servono se non a fermare il ton- no; e guidarlo alla rete; la coda ferma è guida il tonno, che passa fra la terra e l’ iso- la; il codardo è teso contro il tonno, che passerebbe in più alto mare. Tanto prende di mare questo ingegno di pesca, che a me é avvenuto in due luoghi diversi di spender- ci tre quarti d'ora per arrivare all’isola so- la, benche andassimo in agile legnetto a die- ci remi. Ner tempo the il mare è in calma, non viaggia il ronno; il tempo di calma è per esso tempo di posa; s'occupa allora a 165 scherzare e a cacciare; ma quando il mare si riccomuove al vento, il tonno si rimette in corso, e corre a norma del vento. Te- mono perciò le tonnare dopo le borrasche la calma; sospirano per il vento, e ognuna sospira pet il vento suo. Tutte quante s'ac-. cordano a sospirare da principio per il po- nente; il fiato di questo caccia assai ronno dall'oceano nel mediterraneo. S' accordano ancora tutte le rtonnare sarde a sospirare per il Maestro, e per la Tramontana : que- sti venti allontanano il tonno dal continente d’Europa c il mandano all’isole. Dei Maestro “e della Tramontana song contente senza, più le tonnare sarde occidentali: ma le set- tsntrionali fanno ancora voti per il levan- te: il levante si oppone al tonno fra l’Ita- lia e la Corsica , e l’obbliga a discendere lungo la Corsica occidentale ; il levante pu- re si oppone al tonno alle bocche di Bo- nifazio, e l’obbliga a girare nel golfo rac- chiuso fra Longon Sardo, e l’Asinara; ove siedono esse tonnare settentrionali. 166 A due o treinsieme catniminano. le più volte i tonni: ciò che Eliano disse uno ac= compagnarsi alla maniera de lupi: cammi- nano nondimeno ancora alla foggia delle capre, come pure disse Eliano, cioè în trup- ‘pa é mezza truppa: e v'ebbe volta, in cui la truppa giunse a contenérhe un migliajo. Non ho potuto verificare quella tanta di- sciplina militare, colla quale asserisce Plu- tarco, che i tonni camminano; cioè facendo di se un battaglion quadrato, 0 per me- glio dite cubico, così esatto, che chi nu- merasse una sola filza di tonni, e poi la cubasse, verrebbè ad avere la esatta soli- dità del loro battaglione. Il qual fatto ad- duce Plutarco in prova della intelligenza de’ pesci in quel suo dialogo, ove prende partito in favore della ragione degli anima- li. Di molti e belli fatti è pieno tal dialo- go, ché che sia della loro forza risguardo al fin preteso: ma al battaglione de’ tonni, per quanto mi sono informato, non è da dare assai fede. 167 LA prima entrata ‘del tonno si fa in quella, che chiamasi gran camera, il cuifo- ratico è pienamente aperto; e bensi potrebbe sopra quella porta ripetere l'infernale iscri- zione di Dante : Lasciare ogni speranzavoi, éh'entrate. Di là il tonno non si avvisa di uscire più , benche il foratico rimanga sem- pre aperto ; ben diverso in ciò dallo spada, il quale entra, e torna fuori ,e va a farci fatti suoi senza lasciarsi vedere più Corre il tonno perpetuamente, ma corre intorno nélla camera medesima; dalla quale non- dimeno entra nelle camere vicine, cd ivi pure la processione de’*tonni s'aggira con- tinuamente. I marinai di parte sono perpetuamens ze rin alto. di guardia! all'isola, ispiando , e osservarido quanto tonno va entrando nella rete; € quotidianamente pure mattina e sera wi si trasferisce il Rais col suo luogotenente il sotro Raisper conoscere lo stesso. È. ma- ravigliosa la acutezza, colla quale costoro penetrano a distinguere il ronno sotto acqua, 168 benche il pesce vi dimori tanta profondità, che nonostante l’ingrandimento della sua ima- gine cagionato dalla rifrazione, non com- parisce. spesso. maggiore d'una acciuga; € pure costoro il distinguono, e arrivano a contare i tonni ad uno ad uno, come il pastore conta le sue pecore. Talora però pet discernere meglio si richiedono soccorsi, € consistono questi primieramente in un drap-. po nero, di cui il Rais cuopre la sua filu- ca, ce si fa ombra per allontanare i raggi stranieri, che vengono a confondere la vi- sione. Se ciò non basta, si manda giù un osso di tonno, ovvero la /anterna , la qual lanterna, è un sasso con appiccatovi il bian- chissimo osso della sepia, il quale colla ri- flession sua rischiara il bujo. Quando il Rais s'avvede, che troppi tonni vi sono in alcu- ma delle prime camere, di modo, che im- pediscano l’accesso ad: altri tonni, allora è suo dovere vuotare esse. camere, e far pas- sare i tonni in altre più lontane; funzione spesso fastidiosissima. Non può il Raisvenire +9 49 => —dd Gb d» oa a Camera di morte- Camera di ponente» e J Bastards. d Bordonale di ponente. e Jl Grande ossia Eratico- 5A Bordonale di levante - yg Camera di levante: h Coda. i Codardo La| Sa i Srl & Ge d0- ad td i) nin do E MC, pinnnnyi Tin roaD UNPRERSITY CAMBRIDGE. MA USA i ty = ali Bordon e di ponente 6 Camera di ponente. ; % _ g Camera di levante c Jl Bastardo. ” d Bordonale di ponente. e dl Grande ossia Faratico 7A y YO ) =" ESGE=S=5%5E==5 “SERE === oa — ae E ZI 5 NI == = br SE A a DA Pi x % A MICA Lu» A ù s \ s . a} A : nessi po \ \ ì Di } na ed yi d î bi ' ci «4 (5: ri b:| 1) $ = P; n bid 1 f) - . M È 1 i) Ù x ì; I ù i hi î È 5 i s b w Ì ì | N91 Arda De it n "i N : | ) D e re 169 dietro a’ronni, come fa il pastore, e con un colpo di verga o una fischiata mandar- gli ove gli piace. I tonni si mantengono pro- fondi, e il Rais dimora in alto nella filuc- ca, e di là conviene, che esso maneggi, e faccia muovere il suo gregge ostinatissimo talora a non voler ubbidire. L’artifizio or. dinario, di cui il Rais si vale, aperte che egli abbia le porte delle camere, si è que- sto di mandare giù un pugno di sabbia, e replicarlo inseguendo i tonni, fino ad aver- li cacciati nella camera pretesa; poiche a quei granelluzzi di sabbia il timidissimo tonno si spaventa e fugge così, come se li rovinasse addosso il cielo. Se } arena non basta a spaventare, allora si manda giù l’or- sibil faccia d'una nera pelle di pecora, e ne casi estremi si usa il /ingiarro spezie di rete, con cui si stringe la camera del ton- no, e si obbligaa fuggire. Ap ogni suo ritorno dall’ alto il Rais s'abbocca in disparte col padron della pe- sca ; gli fa rapporto dello stato delle cose, M 170 del numero de’tonni esistente in rete, del- le providenze da se prese, delle distribuzio- ni de’ tonni fatte per le camere. Quanpo vi sien tonni bastevoli nelia rete, e mare tranquillo si viene al più so- spirato dì; a quel dì, a cui ogni lavoro, e ogni preghiera si indirizza, si viene alla mattanza. Quel dì tiene in aspettazione non solo le tonnare, ma quasi ogni luogo cit- convicino, e di lontano le persone di mag- gior distinzione per trovarsi a godere d'uno de'-più giocondi spettacoti det mondo; su- periore d’assai alle illusioni. sceniche delle oziose città. La cortesia regna alle tonnare per principio, di maniera , che il forastiere venuto allo spettacolo, vi è accolto volen- tieri e trattato, e nell’atto del partire me- desimamente con isplendore regalato di par- te della pesca. ArLa camera di ponente manda il Rais nelia vigilia della mattanza quella quantità di tonni, che il padrone giudica destinare a morte per il dì seguente; ec può quella . 171 camera di ponente. a. ragione chiamarsi il vestibolo della morte, perche il tonno colà entro è alla vigilia della morte; se non che alcuni applicano alla camera di ponente il nome dato dagli antichi alla punta di Bi- zanzio, chiamandola camera dell’oro, per ragione, che il tonno nella camera di po- nente equivale ad altrettanto-oro in tasca. LA sera di tal vigilia si cava-a- sorte dall’urna il nome di quel Santo, che sarà il protettore della giornata. seguente. Del Santo che esce, unicamente si invoca il no- . me in quella giornata. Ir giorno della mattanza medesima prima dell’alba parte il Rais per l’ isola, per far fare a'tonni l’ultimo passo, e porgli dentro la camera di morte; operazione la quale ra- lora soffre grandi difficoltà, e metre il Rais in punto di disperazione, quasi i tonni ca- pissero di qual conseguenza sia per loro la- sciar la camera di ponente, e trapassare nella vicina camera. 172 InrANTOAterra si agguzzan gli occhi, si puntan cannocchiali per iscoprire la chia- mata dal Rais. Il rais adunque ordinato che egli abbia tutto, si pone a sventolare una bandiera bianca: a tal chiamata si desta il tripudiare in terra, si dà de remi in ac- qua, e partono i legni carichi qual di gen- te per la pesca, qual di spettatori. A_mi- sura che i bastimenti giungono, prendono posto intorno alla camera di morte, Il Capo- rais, lungo bastimento, ma senza alberi e senza remi s’applica alla camera di morte dal lato di ponente; il Paliscalmo , altro lunghissimo bastimento e'puro scafo anch' esso si pone rimpetto; altri legni minori si applicano agli altri lati della camera; in mez- zo alla camera prende posto il rais col suo gozzo, e comanda l’azione, come fareb- be un maliscalco in una giornata di guerra. L'azione consiste primieramente nell’ alza- mento della camera di morte, ossia nel ti- ramento d’ essa fuor d’acqua. In questa azio- ne il Paliscalmo non piglia parte; esso non, 173 fa che attaccare alle sue sponde il suo latò della camera di morte, e nel resto non s'im- paccia: la ciurma degli altri legni al coman- do del Rais: Sarpa, principià a tirare fuori la camera; la qual cosa per il peso si fa lentamente, e quasi in cadenza al perpetuo gridare Issa, Issa; che tutti i marinari fan- no d'accordo; e si deve da ogni parte ti- rare ugualmente; perciò il rais scorre per- petuamente con quel suo gozzo innanzi e indietro , chi sgrida, chi anima, a chi av- venta un mal termine, a chi alla testa un pezzo di sughero. A misura che la camera sì tira fuor d'acqua , i bastimenti la raccol- gono , il Capo-rais si va sempre avvicinan- do al Paliscalmo, e lo spazio della camera si rinserra in tutte le sue dimensioni; e i tonni sono costretti salire in alto, e avvi- cinarsi alla superficie. Un bollimento nell’ acqua, che vien via via crescendo, annun- zia l'avvicinamento del tonno. Corrono al- lora i forazici armati di crocchi (4) a ri (a) Grosso bastone con incima un graffion di ferro, 174 partirsi negli stellari (©) del capo-raîs è del paliscalmo, unici bastimenti dai quali si ammazzi. Convien vedere l’ardore e l’im- potenza con cui costoro anelano di vedet comparire il tonno , e sentirsi dire di ferire: ammazza grida il rais quando il bollicame de’ tonni giugne a gala, ed è quello il vero punto dello spettacolo: ecco una terribile borrasca commossa dal violento correre e dibattersi de’ grandissimi tonni, che si veg- gono rinserrati , assordati, violentati, assa- liti con graffi e cercati a morte: l'acqua schiu- mante e levata in marosi lava ognuno d’in- torno. I foratici sono furiosi a ferire, e ben mostrano quanto voglia dire avere il guadagno proporzionato alla fatica: perche ogni stellato ritiene per se il più grosso dei tonni, che esso afferra, perche i latti, le (a) Così si chiamano le parti nelle quali medians te legni traversi, rimangono divisi i bastimentiy T75 uova, il cuore, é lo stomaco d'ogni tonno toccano allo stellato, che il prende, perciò sono quella gente veramente accaniti ad aggraffiare quanti più in numero e quanto più grossi tonni possono, accaniti in modo, che ad altro non si bada, nè pure si dareb- be soccorso ‘adun tom caduto in mare, 0 in altra mianiera pericolante, come in un dì di battaglia non si bada, che a vincere. Si grida, si arronciglia; si tira fuor d’acqua con quanta forza e fretta si può, occupan- dosi due o tre ‘uomini a stringere un tonnò solo, d'altro nonsicura. Quando i tonni per l’uccisione sono già fatti rari, l'uccisione si sospende, si ripongono i crocchi, e nuo- vamente vociferando Issa, Issa, si tira fuori dell’acqua nuova porzione di camera: il capo-rais si avanza più verso il paliscal- mo, e lo spazio de’ tonni vieppiù si rinser- ra: succede nuova borrasca,; e uccision nuo- va, e così sì sarpa € si ammazza a vicen- da; finchè il fondo della camera è a gala anch'esso, e tonnò più non vi rimane. ll 376 mare sì fa vermiglio a grande distanza, quan to forse non s'insanguinò nella giornata del» la Meloria, che fè rimanere i Genovesi so- pra i Pisani padroni del mar tirreno e del mar sardo, Dentro breve ora la mattanza è fini- nita, ci bastimenti si fanno alla vela verso terra: il paliscalmo el capo: tais che portano il tesoro vengono a rimorchio. Come in Ispa= gna si ricevono i galleoni apportatori del metallo del Potosì, e in Olanda i. navigli degli aromi, che vengono di Batavia, com uguale solennità si ricevono spesso al lido i tonni, col saluto del cannone. Giunti al- la spiaggia, prima di scaricare i tonni, si pigliano i foratici ciò che de’ronni loro spetta. D'uno de’ più grossi vonni il padron della pesca fa ancora dono al Santo uscito dall’urna protettore di quella giornata, met= tendolo all’ incanto, e facendone alla chie- sa del Santo passare il ricavato. Dopo il santo vogliono loro porzione della pesca ì ladroni, e si può dire, che ognuno è ladrone 177 alla tonnara, di maniera, che volendo si- gnificare una azienda, ove ognun ruba , si suol dire oggi proverbialmente in Sardegna, che quel luogo è una tonnara. Sono le.ton- nare, riguardo al punto del furto, un oggetto del tutto singolare. Il furto non vi è una ignominia, nè un delitto soggetto a pene: il rubatore colto col corpo del delitto sog- giace solo a perderlo, nè questo perde, se già il tiene dentro della baracca. Così pres- so a Lacedemoni non era infamia il ruba- re, nè si puniva: ma solo era vergognoso e punito l’ essere colto rubando, cioè a di- re il non saper rubare. I Lacedemoni in- tendevano con sì fatta loro legge avvezza» re sc stessi ad essere destri: ma alla tonna= ra la permissione del furto procede da un principio di equità. La mereede, che il pa- drone accorda alla sua gente per patto, nom corrisponde alla fatica: laonde a porre la debita uguaglianza fra la fatica e la mer- cede, conviene che alla mercede pattuita si faccia alcuna giunta, e però il padrone per- 17$ mette la ruba, sotto la condizione di non essere scoperta: € perciò coime a cosa mez- zo lecita non le si dà l’ odioso nome di fur- to, ma si chiama semplicemente busca. Quel- la porzione del patto mutuò , per cui il pa- drone salva la sua roba, se scuopre il ru- bato, il tiene esso e i suoi ufficiali in una terribile vigilanza, e ne fa veri argi; e quel- la parte del patto, per cui il rubatore non incorre ignominia nè pena, il fa esso stra- namente coraggioso e destro; laonde non a semplici pezzi di tonno, ma a tonni in- tieri si estende la busca con mille artifizi da non ridirsiin brieve; e colla prestezza d’un giocolare si veggon quei nuovi spar- tani fare scomparire un tonno, come altri farebbe una acciuga. Si ripongono ancora alcuni tonni in disparte a disposizione del padron della pesca; che ne fa diversi do- nativi. Ciò che rimane de’ tonni dopo questi piccoli snembramenti, spesso si spaccia fre- sco e intiero agli avventori Catalani; Fran- 179 zesi, 0 Italiani; li quali sovente contratta- no ancora prima della mattanza , rilevando tutto'ìiltonno auntanto per ogni pesce, gros- so o piccolo che riesca; sovente il rilevano vedutolo ed esaminatolo per poi condir- lo, e prepararlo a loro modo e spesa. «Ir tonno, che non si spaccia fresco, passa a formare ciò , che si chiama mactan- ga di terra. Viene il tonno strascinato dal mare al marfaragio luogo spazioso e 'om- breggiato , ove i maestri con mannaje (0) gli recidono il capo; e poi con coltelli da srar- giare, gli levan le rarge ©. Il tonno così troncato si carica sopra le spalle d'un. 4a- stagio ()., nè può più d'un bastagio sot- toporsi al tonno per enorme che sia, laon- de in quell’atto si veggono talora rinnovati i prodigi di Milon Crotoniate, e va il tonno (a) Spezie di scure, (b) Ossa con carne attaccate alla sommità del ve- race , ove sono piantate le pinne pettorali. (c) Facchino. 180 altancaro, ove per la coda si sospende alle funi, chiamate in termin proprio dogali. Indi il tonno si rorcz; cioè a dire, riceve esso sei incisioni longitudinali; due dall’ano fino alla estremità della coda, vicinissime fra loro, e separate solo dalla spine/la biar- ca, che sono le pinne spurie sotto la coda; due altre per tutto il dorso fino alla coda estrema, vicinissime fra loro anch’esse e separate solo dal fil di mezzo della schie- na, e dalla spizella nera; finalmente due alcre laterali, una per parte. Con queste incisioni, ed un'altra trasversale rimango- no nel tonno segnate le diverse carni, che distintamente , spolpandolo , se ne debbono separare. Prima se ne spicca la sorra,e va essa alla cianca() , ove si taglia in più piccoli pez- zi e poi s’ insala. Alla sorra succedono il dorso, e le due codelle bianca e nera (2); le quali tre parti formano quella spe- (a) Grandissimo tavolone, (5) Garne della coda 183 zie di carne, che si chiama rezza. Le car- ni del tonno. già salate si distribuiscono in botti, e per ben imbeversi del sale vi si lasciano otto o dieci giorni scoperte al sole e alsereno, a riserva della sorra , la quale nel metodo italiano si tiene all’om- bra. Dopo tale spazio il tonno si ricava dalle botti, e distribuito per le prance (4) si mette a scolare. Dopo la scolatura si imbot- ta da capo; un uomo quanto può calca coi piedi, ciò che i Catalani fanno calzando scarpe di legno, e ben calcato che sia, il bottajo rimpagna, cioè mette il fondo ‘alla botte. La botte si corica quindi in sul fianco; si stura, e intorno alla buca si forma un rial- to di sale chiamato doccale, ove si infon- de salamoja , la quale dalla tonnina si vien via via succiando; e di salamoja si mantien sempre pieno il boccale, infinche non venga il tempo di imbarcare la botte. Botti si fanno (a) Tavole inclinate. l 182 pure della Businaglia, carnaccia infima det tonno; e delle spinelle, de lampazzi (), degli occhiali () , e d’ altre bagatelle, che nulla si perde di quel pesce, facendosi infin olio del- Je ossa e del cuojo dorsale. D’una botte di sorra , tre di netta, ed una quinta di busi- maglia e simili parti infime si compone ciò, che in linguaggio catilano si chiama Gizoco. St scabeccia pure il tonno prendendo ‘ perciò gli scampirri ; la carne si fa prima bollire in acqua salata ; poi si imbotta. con olio. NELLA mattanza, se essa non è l’ulti- ma, non si vuota mai la rete del tutto ; per esca e quasi zimbello di altri. tonni alcun centinajo di tonni vi lascia sempre il provido Rais; e a misura che. nuovi tonni sopravenendo si raunano in bastevole quan- tità si ripetono i felici dì delle mattanze, in- finchè dura la stagione del passaggio del tonno. (a) Ossetti attaccati alla sorra, (5). Carne intorno all’ occhio, 133 Questa stagione dura per la Sardegna infino al. solstizio estivo : dopo esso. non’ si vede più ronno alcuno; la camera di mor- te si leva da bagno e si ripone ne magaz- zini; il resto della rete si taglia, e si aba bandona al mare. Durante la stagione del passaggio, & misura, che le tonnare sono buone, le mat- tanze sono frequenti e forti. Le Saline di Sassari, tonnara nè primaria nè infima, arriva aotto mattanze l’anno di cinquecento tonni luna; a diciotto mattanze convien calco» lare Porto Scus di circa 850 tonni l'una, ciò che fa la somma di tonni quindicimila; rispettabile somma, poiche le Formiche di Sicilia, prima tonnara di quel regno, in dieci sue mattanze non oltrepassa iquattro- mila tonni. Quindicimila tonni ho io aggiu- dicato a Porto Scus per informazione di chì n’ebbe longamente l'appalto; e non poco ne arricchì. Dalla proporzione degli affitti risulta, che tutte le altre tonnare insieme pi- gliano presso a poco due volte cotanto, quanto T84 Porto Scus: laonde quarantaciquemila ton- ni restano secondo me annualmente preda» ti dalla Sardegna: li quali calcolati indifie- rentemente a non più di tre scudi l’uno (*), formano la somma di scudi 135000. Di que- sta somma porzione si deve alla Spagna per la sparteria, porzione a’ Genovesi o Siciliani per la camera di morte, porzione a Trapani per il sale: alcuna spesa richiedono le fer- ramenta, e alcuna porzione pure avanza- ta della sua paga trasporta seco la ciur- ma genovese e siciliana stata impiegata al- la pesca. Fatta la detrazione di quanto per servigio della pesca esce del regno parm; però, che nel regno rimarran sempre lire di Savoja 400000: somma non grande peruna volta sola, ma somma importantissima , dac- chè stabilmente e annualmente si viene a in- fondere nel regno. In fatti, chi.calcolerà di quanto l’asse pubblico sarà cresciuto in grazia di detta somma dagli oltre a venti, (a) Ho veduto quest'anno tonni venduti sette zec- chini l'uno. 185 anni in quà, che le tonnare sarde sono in fiore, troverà un aumento di dieci milioni. Quindi come le proprietà delle tonnare so- no oggi il più ricco redito delle famiglie più illustri, e le renderebbono atte a comparire con isplendore in qualunque parte ancora fuor della loro patria: così gli appalti del- le ronnare medesime sono oggi il più lucro- so traffico, quello per cui si veggono na- scere repentine e grandi fortune, formarsi famiglie, edificar palagi, acquistar titoli e Siguorie. Ho detto che le tonnare sarde so- no in fiore da oltre a venti anni in quà senza più: perche comunque la scoperta di Pietro Porta sia antica di quasi due secoli, nondimeno fino a questa ultima epoca il be- neficio non fu grande: poco si pescava, dif- ficilmente si spacciava, e le tonnare sarde erano oscure. La ragione di ciò erano di- ciasette ronnare piantate nelle coste di Spa- gna, € fra esse la famosa di Conil, degna di formar parte delle grandissime entrate de Duchi di Medina Celi. Un giorno. solo, N 186 per quanto si asserisce non senza fonda- mento, bastò a fare la gran rivoluzione, e tolse alla Spagna la ricca pesca de’ tonni, e ne fe presente alla Sardegna; e fu quel memorabile giorno, che abbattè Lisbona, e tutto insieme scosse tanta parte della ter- ra. Quel giorno fe cessare la pesca de’ton- ni in Ispagna allontanando il tonno dalle rive spagnuole; e accrebbe la pesca sarda mandando il tonno alle sarde rive con più abbondanza; e ditanto cambiamento in quel giorno succeduto si rende una giusta ragione. il tonno ama il profondo, e in primavera imedesima ama esso di camminare sotto ac- qua alla profondità di cento piedi; laonde a quelle rive, che hanno poca profondità, il tonno non si accosta. Ora in quel dì me- morabile, che il tremuoto fe accorta la ter- ra delia sua pochezza, e la scosse come un atomo, una grandissima quantità d'arena e d'altra materia si rovesciò dall’ Africa con- tro, l'Europa; e s'alzarono quindi grande- mente i fondi in Ispagna nell’atto, che in 137 Barberìa si vuotarono e nettarono i porti di Tetuan e di Salè. Il tonno rivenendo dall’ occano in primavera trovò le spiagge di spagna stranamente inarenate, e senza fon- do; e quindi tanto se ne allontanò, che a rattrapparlo si. richiederebbono reti d’una impossibile lunghezza. Cessata la cattura dei tonni in Ispagna, fu necessario che la quan- tità de tonni si presentasse maggiore in Sar= degna, ricresciuta di tutta quella moltitu- dine la quale primg rimaneva predata dal- le coste spagnuole. Ma che che sia della precisa epoca della distruzione delle ronna- re in Ispagna, la quale alcuni, benche men autorevoli, fanno d’alcuna cosa anteriore all'anno 1755, certamente se esse non si strussero precisamente al tempo del tremuo- to, intorno a quel tempo si strussero cessan- do il passaggio de tonni per qualunque ra- gione cessasse; e allora solamente, che le tonnare spagnuole si strussero, e nelle co- ste Andalne si mise il silenzio e la soli- tudine, principiò lo. strepito, il concorso, 2 138 il fervore del commercio nelle coste sarde, e divenne la Sardegna la prima sede della pesca del tonno, per rimanerlo non può in- dovinarsi fino a quando; giacche stabilità non v'è nelle cose ancora in apparenza più fer- me; ed ogni cosa migra dopo un certo tem- po, infino le scienze e le virttà de’ popoli. ERRORE CORREGGI. Pag. 151 lin. 7 Tarantello Granatello. NIU/NGILA SJ i 1 pr nt ne ra Ai Tonrare: > BI) die dirr (dite % , nre cal A Saline : Sectentrionali 4 = II | Pittinuri a sà Flumentorgiu » "wi 2 | è (C Porto Paglia AS Isola Piana ° SR 3 | & +} Porto. Scus RIS) À : A Galavinagra n;Is. s- Pie, 4 3| Calasaboni. n, Is.s. Anr. 3] dic Î eRi Porto Pino tai "3 S Carbonara e. È Pula Tonar. ai Ritorno, LA NAIA SAL Stato delle Tonnare calate in Sardegna l’anno î778 Ti ad Cfr e PAD Ye ed (dpe}Ce ef die) cd DIL) 42 <>( did) Trabuccadu n. Is. Asin, VASLASAINIASASLA LIZA IA a casa preci rn aa NVISION VEWVIWT VIA > )d > (BT) ( dite di al died Affitto annuo. Appaliatori. opl die }4o > DIE) +>£ die )<- (dit) Ta: Signori, Proprietari, DCdit)o dedite «Marchese Pasqua Fran. Rapallo e Belgrano Duca dell’ Asinara { Sc. 5800 da paoli 8 Gratis pet 3. anni Franc. Rapallo. e Comp. — als p.100 della pesca Marchese Pasqua Angelo Gagliardi e 'C. Giulio Cesare Bayle.e C. aree era gra area n Sa a pia a o o_o». a «il Re 5 per. 100 Conte di Monteleone | Scudi 9000 Raimondo Belgrano. March. Villamarina 20000 Franc. M. Viale e Fate pe, (È, oco mi occorrerà di dire di que- FECIIN sto ordine di pesci. perde è scarso per se stesso , ‘e di più la maggior parte de’suoi generi soggiorna nel- le acque dolci: comunque si debba spiega- rc questa spezie di mistero, che i pesci aventi le loro pinne ventrali assai indietro verso la coda sieno stati comunemente esclusi dal mare, e rilegati he laghi c ne fiumi. CocnitA è nel mare sardo la Sfirena, ‘ossia Luccio di mare, da’ Genovesi appel- lato Luzzaro. Non è cognito il Pesce Ar- gentino , meritamente così appellato dal fi- nissimo argento, di cui sono inargentate infin le sue budella, pesce ottimo, e caris- simo alle mense toscane. Abbonda per lo contrario quel pescetto trasparente come 196 un vetro, con una benda d'argento Îate- rale, pescetto simile alla acciuga, benche più piccolo, che i naturalisti chiamano 4 herina, ei Genovesi Quennaro. I Sardi il chiamano Sesrero. Più spezie di Muggini distinguono in questi mari non meno i pescatori Genovesi; che i Napoletani. Quattro spezie me ne hanno fatto vedere i Napoletani; primo il Cefalo, che cresce più di tutti, ed ha un grandissimo capo; secondo l'Ozzoze di ca- po più acuto, e che saltando fuor dell’ac- qua non fa che un salto solo; terzo la Tumula ossia Lissa, la quale saltando gira in aria descrivendo colla coda un arco di cerchio intorno al capo quasi centro. Quar- to la Concadita grossa al più di due libbre, la quale guizza sopra l’acqua con molti salti alla guisa di quelle pietruzze sottili, è larghe, che i fanciulli gettano per trastul- lo, c le quali hanno dato da meditare ai fisici. Tre spezie sole ne ho udito distingue= re da Génovesi; il muggine Nero, così detto 197 dal color suo più cupo; il Capo grosso, così detto dalla grossezza della testa, e. il Sal- tatore, così detto da’ salti. In quanto a me, avendo osservato i muggini, non ci ho tro- vato differenze da poterli giudicare di spezie diverse. Giuncenpo alla Sardina da Linneo com- presa sotto il suo genere C/upea, ognuno è in diritto di aspettarsi un grande articolo. Il nome di sardiza mostra essere stato da- to al pesce dalla Sardegna non per altro, se non perche la Sardegna gli sia special- mente patria, o perche esso ami la Sarde- gna principalmente; e quindi perche la Sar- degna sia la sua regia, la sede della sua ab- hondanza. Così si crede assai dal pubblico, e. così si afferma da alcuni autori, e dai moderno Salmon fra gli altri, il quale in parlando della Sardegna scrive.così: I/ me». re intorno (alla Sardegna) somministra una abbondante pescagione , e in particolare sv0. delle Sardelle., che si vuole abbian da x tsa preso il nome. Adunque. si aspetterà 19$ i ognuno, che all'articolo del tonno un quasi ugualmente difiuso io soggiunga della Sar- dina, descrivendo .e il tempo in cui le sar- dine discendono al mar sardo, e quanti le- gni vanno a incontrarle, c quante migliaja d’uomini s'aftaccendano in salarle, e di quan- te migliaja di scudi l'isola annualmente ne arricchisca. Ma a tanta aspertazione non pos- so corrispondere se non con sorpresa, di- cendo, che altissimo silenzio risguardo alla sardina regna in Sardegna. Non solo non si strepita, nè si fermenta per essa, ma essa appena.si pesca e si vede. Quanti luo- ghi in tutto il circuito. della Sardegna. sie- dono in riva al mare, ignorano la sardina; Alguer è il luogo, ove essa si vede e. si piglia alquanto più; ma in questo Alguer medesimo si stà talora i due e i tre anni senza vederne; c quando si fa buona pesca. andrà il preso in tutta una stagione a quan- to nell’ oceano se ne trae in poco più d'una tirata di rete. Dico nell'oceano, perche quivi in realtà si fanno oggi le 199 grosse pesche delle sardine, in modo, che di là vengono esse salate e imbottate a provvedere il mediterraneo infino all’ulti- mo levante; nè, se la Sardegna pesca po- che sardine, si può attribuire tutto a col- pa sua. I Norvegi la pescano in quantità ; la pescano gli occidentali Inglesi di Devon e di Cornwall, e la sola francese Bretagna ne pesca annualmente per il valore di ben due milioni (@). Frattanto in vista di questa scarsezza della sardina non solamente alle spiagge sarde, ma ancora in tutto il me- diterraneo in paragon dell’oceano, che di- remo noi della etimologia del nome sardina ?- Per qual ragione si denominerà. questo pe- sce dalla Sardegna, se in Sardegna esso è si scarso? malgrado la mia avversione alle congetture, ecco una idea, con cui si po- trebbe rispondere al quesito. I popoli del me- diterraneo sono stati certamente industriosi , e navigatori assai secoli prima dei popoli dell’ (a). Diz. Savary. 200 oceano; e quando quei popoli dell'oceano, quei medesimi che oggi pretendono essere 1} fior delle genti, erano tuttavia. cacciatori puri, i popoli del mediterraneo erano già da gran tempo inventori, artefici, commer- cianti famosi. Siccome adunque anticamen- te per la barbarie di quei popoli dovettero le grandi frotte di sardine provenienti. dal norte, passare impunemente dinanzi a Nor- vegi, a’ Britanni, a Galli, e in tutta abbon- danza infondersi nel mediterraneo: così le nazioni del mediterraneo accorte dovettero pigliarle in quantità, e la Sardegna eccel- lentemente situata nel mediterraneo ben po- verte farne presa e condirle in più copia, co- me oggi fa del tonno; e quindi la, Grecia sempre dotta nella imposizione de’suol no- mi dovette al. pesce imporre il nome dalla Sardegna, per significare il luogo della mag- giore sua abbondanza. Si destarono. a poco a. poco i popoli dell'oceano; s'accostarono al imare, fabbricarono legni e reti, e principia- rono aintercettare ciò, che prima stoltamente 201 lasciavano passare ; ciò mise nel meditertanco la scarsezza delle sardine; ma alla sardina rimase il nome del luogo della abbondan- za antica. LA Acciuga è tuttavia abbondante nel mediterraneo, e dal mediterraneo medesi- mamente passa cssa condita all'oceano a quei popoli, che al mediterraneo forniscono le sardine. La Catalogna e la Provenza pes- cano acciughe copiosamente; riccamente ne pescano Genovesi e Toscani; la sassosa Ca- praja di sosco lire genovesi ne arricchisce annualmente ; Bastia, san Fiorenzo, e Ajac- cio ne traggon quantità dal mare corso, e infino all’ultima Sicilia regna la cattura delle acciughe. Nella Sardegna sola non v’è tal ricchezza di pesca; tal anno si pesca, tal altro no, a misura che si presentan pesca- tori; e sempre si pesca scarsamente, perche sempre scarsamente i pescatori si presentano. PESCI BRANCHIOSTEGI. PM FCI edi dtd TION TOLTI A die je (E g ELLE quaranta spezie di pesci, 4 È * 3:Di 21 FA 2a] A li li | li x rv li quali non hanno operculi nè visibile membrana alle bran- ghie , spezie quasi tutte esotiche all’ Euro- pa, non ho veduto mai in Sardegna quel- la, che ancora nel mediterraneo è rara spe- zie, e la quale per il suo lunghissimo ro- stro fu già chiamata da’ naturalisti acceggia di mare (scolopax); né pure ho veduto il raro anch'esso Pesce Tamburro altrimenti detto Luna di mare, pesce difforme, e che sembra non più che la testa d'un pesce. QuaTtTRO soli pesci conosco di quel genere, che Linneo chiama Syguarhus, Co- nosco |’ Aguglia, benche non assai frequen- temente essa si peschi; conosco quell’ altro pesce, il cui corpo è settangolare, ma la 203 ‘coda è tetragona, chiamato da Linneò S ‘ygna= thus pelagicus ; ne ebbi de’ presi nell’alga, e de’ trovati in corpo ad altri pesci; e ne eb- bi de lunghi un piede parigino. Conosco anè cora quella spezie , il cui corpo non ha an- goli, ma è tondo chiamato da Linneo Ophi- dion; e finalmente conosco il Caval mari- no, vero termine de' pesci e principio degli Insetti, DALLA passata esposizione de’ pesci sar= di si manifesta quello, che infin. da princi> pio avvisai, cioè che dî varj pesci cogniti nel mediterraneo il mar sardo è privo. Ma non ostante questa mancanza, rimane ve- ro, che il mare sardo è assai pescoso. Que- sto elogio fanno alla Sardegna comunemen= te turti i geografi e descrittori di essa, ces tebrando insieme alla abbondanza del fru- mento la quantità de’ suoi pesci; ed è un elogio giustissimo. Comunque alcuna spezie manchi, le spezie esistenti sono tanto più copiose, da non solo compensare le mancanti spezie è ma rendere medesima- 2, 204 mente la Sardegna abbondante in confronto di altre parti del mediterraneo, come i me- desimi pescatori italiani confessano. E in fat= ti non una volta mi è avvenuto di vedere gittar le reti dentro un piccolissimo trat= to di mare, e dopo poca aspettazione ve- derle trarre fuori sì piene di pesci, che i pescatori medesimi lasciavano libero il pren- derne a chi ne voleva. Nè questa abbondan» za sitrova in una parte sola; le bande dell? isola di s. Pietro si giudicano veramente di tutte le più ricche in pesce, ma ricca è re- almente ogni parte, e dovunque il pesca= tore in tutto il circuito dell’isola tenta la pesca, è sicuro di rentarla utilmente. L'acer- bo in mezzo a questa abbondanza si è, che l'abbondanza si ferma in mare, e non ridon= da in vantaggio pubblico; duro è, che es- sendovi un mare sì pescoso , il pubblico pa- tisca disagio di pesce. Non è credibile a qual segno arrivi questo disagio; città non v'è in tutto il regno, comunque seduta in riva al mare, la quale non sia ad ogni tratto espo= 10f sta a querelarsi della mancanza del pesce; e dove l'acquisto d' alcuna porzione di pe- sce peri privati non sia abitualmente un oggetto d’impegni, di industrie, di ar- tifizj, come se fosse un contrabando ; e dove una buona parte de' cittadini, e ta- lora la città intiera non debba rimanere di- giuna di pesce del tutto, ancora nelle circo- stanze di maggior bisogno. Sono da molti anni testimonio delle abituali scene in tem» po di quaresima in una delle primarie città dell’isola: A salvare il pesce dalla vio- lenza de’concorrenti conviene circondarlo d’armati, e distribuirlo colla assistenza d'un magistrato da entro a inferiate, al- le quali vi è an fremito, un tenzonare, co- me se là entro ci fosse il sommo bene; e chi di lì può spiccare un pajo di libbre di pesce và più contento d’un console romano colle spoglie d'oriente. Per conseguenza chi non ha forza o protezione all’inferiata è ridot- to a passare cinquanta giorni con nissun al- ‘&ro pesce, se non il secco nasello d'Ame- 206 rica. Entrino in questa città medesima tin ottocento libbre di pesce: ve ne avrà allora mezza oncia per abitante, e pur si grida allora abbondanza; la qual cosa ben mostra a qual grado sia la abituale scarsezza. Di questo disordine la cagione è que- sta, che i Sardi non pescano, e i pescatori si aspettano d'Italia; ciò fa, che i pescatori sono scarsi, e talora nulli. Sono scarsi, per- che mal volentieri ognuno abbandona la pa- tria, principalmente quando la tassa messa al pesce rende il guadagno troppo tenue. IL medesimo pescatore poi, che pursi fa animo a venire, vuol anch'esso in qualche parte dell’ anno rivedere il suo focolare : il Na- poletano vuol ritornare alla torre di Greco; il Camugliese vuol rivedere la riviera, ed ecco allora i pescatori nulli in Sardegna, e con essi nullo il pesce. * A rimediare pertanto al disordine con- verrebbe che i Sardi medesimi si dessero alla pescagione. Felice epoca! non solo re- gnerebbe allora la abbondanza del pesce a 207 utile pubblico, ma sarebbe quella una epo- ca di più alte cose: sarebbe l’ epoca d’ una navigazione, sarebbe l’cpoca d’un commer- cio, sarebbe l’epoca di vedere ancora la bandiera dalle quattro teste approdare coi suoi frutti alle. scale del mediterraneo, passare co'suoi frumenti e vini lo stretto, e condurre suoi sali infino all’ultima Svezia. Sì bella epoca non è dificile. Non vè iso- la, nazione non v'è in tutto il medirerra- nco, la quale non abbia legni e non navi ghi, e perche sarà il Sardo solo a non na- vigare? Se i frumentosi campi, e la domesti- ca abbondanza non impediscono il Siciliano dall’ essere uom di mare, e perche simile ab- bondanza impedirà il Sardo? mancherà forse coraggio, forza, destrezza al Sardo? ad esa so, che di valore, di robustezza, e di agili- tà dona sì splendide mostre nella milizia ter- restre? non altro adunque, che una felice circostanza, o una opportuna provvidenza si richiedono, e sarà il Sardo navigatore anch’ esso: una sola legge bastò a fare sì possenti 208 e dotti navigatori, come oggi sono, quei me- desimi, che per passare la Manica e guer- reggiare in Fiandra ebbero gia bisogno un tempo di assoldare Ammiraglio, e Orche Ge- novesi; una sola vessazione bastò agli abi- tatori de paduli Olandesi, perche repen- tinamente divenissero conquistatori e Signo= ri igfino del mare Asiatico» CLIN E V. si stampi. Sassari li 15 Giugno 1778. Deliperi Vic. Gen. ANI IN V. se ne permette la stampa. Sassari li 15 Giugno 1778. ARAGONEZ. a) ® ii è elica ine dei, pi det sie È ddr Chatta dSz SLA IO ar sm at e nente izà; ente radar editti 1 dA Dt n si sn ,